L'altra parte del mio cuore.

di gridanelsilenzio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


L'ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.




Tutte le persone hanno bisogno di qualcuno.
Qualcuno che le sappia amare.
Ma non sempre, questo qualcuno, rimane.







1.






Starmene seduta qui, da sola, a guardare l'enorme edificio che trasmette tutte le possibili emozioni a parte la felicità, sorseggiando il caffè da una tazzina bianco ceramica, non era stato mai programmato nei miei piani.
O almeno, io non l'avevo programmato.
Pensavo di poter vivere una bella vita, una di quelle che si raccontano nei libri e che si vedono nei film, sapete no?
Una bellissima storia d'amore normale, una storia d'amore che sembrava potesse durare secoli. Costruire una famiglia forte e intatta, una famiglia addirittura indistruttibile, che certo ogni qual volta poteva litigare anche per delle sciocchezze, ma che poi risolveva tutto con un sorriso.
Di avere una bella casa isolata dalla città, dal caos e dalle persone impertinenti e troppo impiccione, che non mi sono mai andate a genio. Di vivere in serenità con le persone a me più care, con le persone che amo di più nella vita. Di godermi a pieno il mio lavoro di guida turistica per la città, io che ho sempre amato parlare e socializzare con le persone. Anche se alle volte preferivo chiudermi in me stessa per pensare e per rilassarmi, amavo il contatto con la gente. Mi faceva sentire in qualche modo importante.
Pensare che adesso nessuno mi rivolge più parola.

Ma evidentemente Dio, per me, aveva altri piani.
Probabilmente il mio futuro l'aveva già scritto dal momento della mia nascita, aveva già deciso di farmi diventare una dannata.
Una ragazza, quasi una donna, di vent'anni con un passato pieno di delusioni e di paure, e di incomprensioni. Se quel passato prima lo odiavo, non potevo immaginare di odiare ancor di più il mio futuro. Pensavo, anzi, ero certa che col passare del tempo le cose sarebbero cambiate. Che sarebbero migliorate. E invece, col passare dei mesi, sono solo peggiorate, degenerate, e io ho toccato il fondo.
Ho dovuto abbandonare il mio lavoro per concentrarmi sulla mia famiglia, su mia madre Anne e su mio padre Josh, che sono gli unici che ancora mi riescono a guardare in faccia e ad avere un dialogo civile con me. Sono le uniche due persone che mi sono rimaste sempre accanto, anche se non sono entusiasti del mio passato, ma non mi hanno mai abbandonata.
Al contrario, molte altre persone l'hanno fatto. Ma questa è solo una delle tante cose che son successe.
Tutte quelle che io prima definivo "pilastri fondamentali per la mia sopravvivenza", mi hanno abbandonata per colpa sua. Mi hanno lasciata a combattere da sola contro i pregiudizi della gente che giudicava e che continua a giudicare ancora oggi, guardandomi con disprezzo e con ripudio.
Come se avessi ucciso io una persona. Quando mi trovano qui, seduta al bar davanti al carcere, mi guardano e non mostrano pietà nei miei confronti. No. Mi passano con gli occhi tutto il loro odio verso di me, tutto il rancore e anche il terrore.
Ormai in questa piccola città anche gli animali, le piante, le case e il mare hanno paura di me. Hanno paura di quello che potrei fargli perché pensano che io sia una malata di mente. Una squinternata. Una drogata. E tutte queste cose non sono vere. Hanno paura dei miei occhi bui e profondi, hanno paura dei miei pensieri. E sinceramente, anche io se fossi in loro avrei paura di me.
Avrei paura di vedere una ragazza, ventenne, passare per la città vestita tutta di nero, mai con un vestito di qualche colore diverso, con i capelli lunghi e anch'essi neri e con gli occhi spenti, scuri.
Avrei anche paura del mio sguardo triste ma attento, attento ad ogni singolo movimento degli altri abitanti di quella stupida cittadina composta solo da parlatori.

Sotto lo sguardo attento del cameriere del bar, che per rivolgermi una parola e uno sguardo ci ha messo ben mezz'ora e in più ha balbettato, ho spento la sigaretta sotto il mio stivaletto in pelle nera, e mi sono alzata, noncurante di tutti gli occhi puntati addosso.
Con la coda dell'occhio l'ho visto, il cameriere, fare un sospiro di sollievo, appena ho girato l'angolo per trovarmi di fronte all'immensa porta in ferro o in acciaio del carcere.
Sbuffo, perché non vorrei e non dovrei trovarmi in questa situazione, ma ormai ci sono dentro fino al collo.
Non posso più uscirne. Posso solo continuare ad andare avanti per la mia strada.
Il mio problema, quando arrivo davanti a questa porta, è sempre quello di non riuscire ad entrare subito. Devo prima guardarmi intorno, assimilare tutte le cose che posso vedere al mio ritorno uscendo da quella topaia, vedere ancora una volta la luce del sole che, fortunatamente, anche oggi splendeva e trasmetteva calore.
E anche adesso l'ho fatto.
Con una mano trasandata e magra appoggiata alla porta, ho guardato in fondo al parco vicino alla prigione e ho visto una mamma tenere per mano una bambina.
Non volontariamente, mi sono ritrovata a sorridere.
Anch'io, da bambina, ero così con mia mamma.
Ma poi succede quello che speravo non succedesse.
La bambina si è accorta del sorriso che le stavo rivolgendo e subito l'ha ricambiato. Istintivamente la madre ha girato il volto verso di me, ha tirato uno schiaffetto debole dietro la testa della figlia e le ha urlato sottovoce «Non devi. Lei era con quei pazzi. Lasciala stare.»

Così ci si sente quando si sta male?
Ci si sente così quando si sta per perdere il controllo?
In questo momento io mi sento vuota. Come se non provassi nessuna emozione. Come se non fossi più in grado di sorridere.
E in effetti non sono più in grado di farlo da sette mesi ormai, perché ho sempre paura del giudizio della gente, della gente che prima era mia amica, che prima mi era fedele.
Mi sento terribilmente frustrata al solo pensiero di essere sola, di essere stata abbandonata, di essere solo un rigetto di una società che non mi vuole più tra i piedi.
Trattenendo le lacrime, in tempo record sono riuscita a suonare al campanello per segnalare il mio arrivo. Quel fastidioso 'drin' allungato ogni giorno mi da sui nervi. Non lo sopporto più.
Ed eccolo.
Un uomo sui cinquanta, fortemente palestrato, in divisa blu con una miriade di distintivi piazzati sul taschino destro e sulle spalle. Erik, si chiama.
E' forse l'unico abbastanza gentile e premuroso, dentro quella gabbia di matti.
« Ancora qui, eh? Non ti stancherai mai? » mi chiede sogghignando.
, vorrei rispondergli, mi sono già stancata da molto tempo.
« No, non penso che mi stancherò mai. » gli sorrido.
E detto questo, entro in quella fogna, nella quale da bambina non avrei mai desiderato entrare.

Da dentro, la prigione è ancora peggio che vista da fuori.
I muri crollano al solo passaggio, la vernice viene giù come gli aerei quando atterrano.
La puzza di piscio e di vecchio entra nelle narici facendoti venire la nausea, quasi il vomito. Ma ormai ci sono abituata.
La stessa identica e nauseabonda puzza si sente anche quando passeggi per la città.
Una città che di nuovo e di pulito non ha proprio nulla.
Case su case incastrate lì, l'una vicino all'altra, ed è palese che le hanno costruite anni e anni fa, visto che l'intonaco cade ad ogni folata di vento e che le fondamenta di tutte le case stanno cedendo.
Non ce la passiamo bene, qui. Ma nessuno si lamenta.
Siamo un piccolo paesino in provincia di una grande e moderna città, chi mai ci potrebbe dare ascolto? Nessuno.
Viviamo qui da generazioni passate e penso che mai ce ne andremo.
Ma dopotutto qui si sta bene, anche se tutti si conoscono con tutti, anche se tutti giudicano e spettegolano, anche se non ti lasciano vivere serenamente.
Sarebbe tutto più facile se Justin fosse qui con me.








Angolo scrittrice:
Ciao a tutte!
E' la prima volta, da quando sono entrata su EFP con un nuovo profilo, che scrivo una storia su Justin.
Solitamente scrivo storie sugli One Direction, ma siccome ho deciso di voler sperimentare, ho deciso di pubblicare questa storia che avevo già pronta da un bel po' di tempo.
Come potete vedere, questa storia è diversa. Sarà la protagonista a raccontare che cosa sta vivendo nel presente, e che cosa invece ha vissuto nel passato con, appunto, Justin.
Ci saranno tantissimi colpi di scena e, se avete voglia, vorrei sapere che cosa ne pensate tramite una piccola recensione. Vorrei davvero avere la vostra opinione su questa storia perché è la prima volta che scrivo in questo modo, e non so cosa ne verrà fuori.
Per qualsiasi cosa, contattatemi pure.
A presto,

Francesca.

@tipregosorridi su Twitter, per qualsiasi cosa contattatemi pure.

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Capitolo 2
*** 2. ***


L' ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.



Sei tutti i miei sorrisi più belli.



2.




L'estate in cui conobbi Justin era esattamente l'estate di tre anni fa.
Avevo appena compiuto diciassette anni e diciamo che non ero la ragazza modello che i miei genitori si aspettavano diventassi.
Ogni sabato sera ero fuori a divertirmi con i miei amici, con il mio solito gruppetto conosciuto alle scuole superiori.
Non eravamo un gruppo di ribelli, come invece gli altri ci chiamavano. Eravamo semplicemente un gruppo di ragazzi che amava divertirsi facendo baccano alla notte e disturbando gli altri abitanti del paesino.
Ero una ragazza esageratamente bassa. La mia altezza era pari a quella di un'adolescente di quattordici anni, ma poco mi importava, perché mia nonna mi diceva sempre nella botte piccola c'è il vino buono e io ci credevo. Non amavo il mio corpo, come tutte le ragazze dopotutto. L'unica cosa che mi piaceva di me, erano i miei capelli lunghi e mossi. Per il resto mi facevo schifo.
Eravamo seduti sulla nostra solita panchina nel parchetto vicino scuola, io e Shelpy, la mia migliore amica, e Harold e Lucas.
La serata non era di certo delle migliori. Il brutto temporale dello stesso pomeriggio aveva fatto andare la corrente, e tutta la città era senza luce. Ma noi avevamo deciso di uscire lo stesso, perché non avremmo mai rinunciato ad una serata tra amici.
Solo che io avevo paura del buio.
E' sempre stata la mia più grande paura e, anche a diciassette anni, io ne ero terrorizzata. Infatti stringevo il più possibile il braccio di Shelpy, senza curarmi del fatto che probabilmente le avrei causato un livido.
Mentre parlavamo di cosa fare, ogni minimo rumore mi faceva saltare e venire la pelle d'oca.
Non era colpa mia, era colpa di quegli stupidi animali che non lasciavano stare in pace le piante, e che quindi mi spaventavano a morte.
Avevo paura che spuntasse un assassino da un momento all'altro - si, proprio le paura da bambina.
« El, noi andiamo a prendere qualcosa da bere al bar qui di fronte. Vieni con noi o resti qui? » mi aveva chiesto Shelpy.
Stando qui, mi cagherò in mano, avevo pensato, ma attraversando il buio con tre stronzi come voi, sarà ancora peggio.
« No, vi aspetto qui, tranquilli » sorrisi terrorizzata.
Quando finalmente si erano allontanati abbastanza, avevo la possibilità di guardarmi intorno e di combattere la mia paura del buio.
Girando la testa, e guardando verso l'uscita del parco, vedevo solo le piante svolazzare lentamente per colpa del vento di cui sentivo persino il rumore, che mi terrorizzava ancora di più.
La paura che qualcuno spuntasse dietro di me mi faceva morire, ma non pensavo che succedesse per davvero.

Erano passati solo due minuti da quando i miei amici si erano allontanati, ma a me quei minuti sembravano ore.
Avevo la mano che sorreggeva la mia tempia, i capelli che svolazzavano e lo sguardo che guardava l'entrata del parco, implorante che facessero presto.
Sentendo una mano appoggiarsi alla mia spalla, mi ero girata felice e sollevata credendo che fosse Harold.
E invece mi spaventai, perché l'unica cosa che ero riuscita a vedere prima di riconoscere chi avevo davanti, erano i suoi occhi scuri che con la luce della luna brillavano.
Aveva un sorrisetto divertito stampato in volto.
E io avevo paura.
Sapevo cosa voleva dire rivolgergli la parola.
Sapevo a che cosa portava.
E sapevo anche che dovevo tenermi a distanza da lui.
E ci credevo di riuscirci.
Non pensavo di ritrovarmi a dipendere totalmente da lui.

La paura si era impossessata di me ed ero terrorizzata, più di quanto non lo fossi stata prima a causa del buio.
Sapevo di trovarmi davanti al pericolo in persona, e per quel motivo non sapevo se muovermi, se parlare, se scappare. Stavo lì, impalata, a fissarlo con la bocca aperta e i capelli non smettevano di svolazzare, per colpa del vento.
Volevo parlargli, dirgli per quale motivo era venuto lì, davanti a me, ma le parole mi morivano in gola. Se toccavo un suo punto dolente, potevo dire addio alla mia vita.
« Cosa ci fa una bella ragazza come te, tutta sola in un parco, di notte? » chiese con ironia.
La voglia di tirargli un pugno in faccia e stenderlo per togliergli quel sorriso che si ritrovava c'era, si era impossessata di me anche quella, e mentre una parte del mio cervello mi diceva di colpirlo, l'altra - quella più sensata - mi consigliava di stare calma e di non fare cazzate, perché sapevamo entrambi quanto male avrebbe potuto causarmi.
« In giro con amici » risposi senza dare segno di paura.
Scappo, era stato il mio primo pensiero.
Ma l'avevo scartato subito, vedendo i suoi occhi guardarmi da testa a piedi, come se mi stessero controllando ogni movimento.
« E dove sono questi amici? » aveva chiesto.
Il tono della sua voce metteva paura sul serio, altro che tutto il resto. Tutti quanti in città lo classificavano come tenebroso, lugubre e tutte quelle cose. Cose che, in realtà, non erano vere.
Era un ragazzo bellissimo.
E si sa che i ragazzi bellissimi nascondono sempre qualcosa agli occhi delle persone, e per questo vengono chiamati 'pericolo' come nel suo caso.
Ma lui sorrideva.
E aveva un sorriso fantastico.
« S-sono andati a prendere da bere » risposi con titubanza.
La paura nella mia voce si era fatta sentire e lui l'aveva notata, smorzando tutto con un perfetto ghigno che poteva incutere paura ad alcune persone, ma a me rassicurava. Il che era abbastanza strano.
Mi strinsi ancora di più nel giubbino di pelle che avevo.
I miei occhi erano incollati all'erba del prato sottostante, le mie ginocchia erano attaccate tra loro come calamite e tremavo. Tremavo sia per il freddo, che per la paura.
E mi sorpresi di me stessa, perché io non avevo mai avuto paura di parlare con le persone, anche se terrorizzavano.
Avevo sempre avuto, scusate il termine, le palle di parlare senza peli sulla lingua.
Lui invece mi terrorizzava.
Ma si sa che la paura scatena anche l'amore alle volte.

Dentro quella prigione si muore di freddo.
L'unica cosa che, ogni giorno entrando la dentro e sentendo quel freddo, mi veniva in mente era come potevano vivere così.
Insomma, saranno dei criminali, degli assassini o tutto quello che volete, ma non possono lasciarli a marcire in un posto dove si gela e in un porcile. Hanno anche loro dei diritti, dopotutto. Devono vivere la loro vita, anche se chiusi tra quattro mura, divertirsi con quello che offre la prigione. Peccato che essa non offre nulla.
Sono dietro ad un uomo in divisa che non ho mai visto in tutti questi mesi a fare avanti e indietro tra la prigione e la casa dove abitavamo prima insieme. E' robusto, forse anche troppo, ed è alto almeno una volta in più di me.
Deglutisco senza far rumore.
Ho paura di come possano trattare Justin qui dentro.

I miei amici ancora non arrivavano, e io ero rimasta la seduta con Justin che si era accovacciato davanti a me per guardarmi negli occhi visto che io non accennavo nessun movimento.
« Io ora devo andare a svolgere un lavoretto in questo parco, se dopo sei ancora qui tutta sola, ti prendo e ti porto via con me » disse.
E mentre se ne stava andando, lo guardavo e pensavo ti prego portami davvero via da questa merda. Avevo sgranato gli occhi quando avevo capito che cazzata avevo pensato. Non potevo fidarmi di lui, ma c'era qualcosa in quel ragazzo che mi attirava.
Era come se volessi scoprire qualcosa di più.
Ma nello stesso tempo, speravo che i miei amici arrivassero in tempo.

Picchietto fastidiosamente le dita sul davanzale di marmo che c'è dalla finestra in ferro. Guardando fuori non si vede granché. Solitamente io mi lamento quando cammino per la città e trovo solo nero e grigio, i due colori che ormai mi porto dietro da troppo tempo. Ma guardando da questi vetri sporchi e con mille ditate e disegni sulla polvere mi accorgo di quanto fa schifo realmente questo posto. E non parlo della prigione. Parlo di questa città.
« Signorina Denver? » mi chiamano.
Istintivamente mi giro. La mia faccia penso assomigli a quella di un pazzo sclerato appena uscito dall'ospedale.
Se non peggio. Questo è l'effetto del non dormire da troppo tempo. Solo con Justin al mio fianco riuscivo a dormire, perché quando gli incubi s'impossessavano di me, almeno avevo lui al mio fianco.
Adesso non posso più farlo.
Un altro omone si avvicina a me.
Questo però lo conosco, c'è sempre quando vengo a fargli visita.
« Il signorino la sta aspettando in sala » mi dice.
Io gli sorrido e lo seguo a testa bassa, come un cagnolino, quando comincia a camminare.
Il mio cuore comincia a battere a mille.
L'effetto che, ancora, mi fa.

Mezz'ora.
Era passata esattamente mezz'ora e dei miei compagni neanche l'ombra. La prima cosa che mi era passata per la mente era la possibilità di un loro scherzo. E ero consapevole del fatto che ne erano capaci.
Stavo comunque morendo di freddo, e non avevo più voglia di stare seduta sullo schienale di quella panchina.
Dopo essermi alzata e dopo aver fatto qualche passo verso il cancello, diretta a casa, sento la mia schiena rabbrividire.
La paura che mi trasmetteva quel posto era troppa.
Avevo cominciato a camminare velocemente perché volevo togliermi di mezzo, volevo tornare il più velocemente possibile a casa, solo che i piedi essendo stati troppo fermi, non me lo permettevano. Quindi con tutta la mia calma ero arrivata al di fuori del cancello e, finalmente, riuscivo a vedere di nuovo i lampioni.
Una folata d'aria mi attraversò.
E' normale, pensai continuando a camminare.
Ero sul marciapiede principale quando, per la miliardesima volta in quella serata, la paura s'impossessò di nuovo di me.
Una macchina nera scintillante mi seguiva quatta quatta.
Senza girarmi, cominciai a correre più velocemente, ma quando stavo per girare l'angolo la macchina mi si parò davanti.
Mentre si abbassava il finestrino, sospirai a fatica.
« Ti avevo detto che sarei venuto a riprenderti » rise, Justin. « Forza, salta su che ti riporto io a casa ».
Senza protestare, avevo accettato sorridendo.
E lui ricambiò.
Il mio cuore perse un battito.
E' possibile amare così tanto un sorriso?




spazio autrice:
Buongiorno!
Questo capitolo è un po' un casino, e lo saranno anche tutti gli altri perché, come avete capito, racconterà i fatti del passato e del presente.
Spero che andando avanti vi piaccia!

https://www.youtube.com/watch?v=3kqXvLC10jg il trailer della storia, se volete farci un salto, ringrazio IoSonoPowa per averlo realizzato.

Un bacio,
Francesca.


Twitter: @tipregosorridi per qualsiasi cosa contattatemi.

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Capitolo 3
*** 3. ***


L' ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.




I segreti possono spaventare.
Ma si possono anche amare.




3.



La macchina che Justin guidava era sicuramente costata parecchi soldi e, nella mia testa, mi domandavo continuamente come un ragazzo di un solo anno più di me potesse riuscire a mantenere un'automobile del genere.
Tutti sapevano la storia di Justin.
Tutti sapevano che sua madre era stata uccisa violentemente da Ruphus, suo padre.
Padre che era a stretto contatto con il mondo della criminalità, del quale Justin, ancora quand'era all'inizio dell'adolescenza, non voleva fare parte.
Quindi quando vedevano passare un ragazzo di soli diciassette anni, alla guida di una macchina sportiva, nera e scintillante, andare verso il quartiere più elegante e costoso della cittadina, a tutti sorgevano delle domande.
E anche io, avevo sempre avuto dei dubbi.
Avevo sempre sentito parlare di quel ragazzo, quel ragazzo che faceva paura, che faceva cose sbagliate, che uccideva, che si drogava, che beveva.
Ed effettivamente, spaventava.
Spaventava a morte, con i suoi grossi occhi color caramello però tetri, bui. Spaventava con il suo modo lento di camminare, e di fare ogni gesto con lentezza, quasi a voler assaporare ogni dettaglio. Spaventava la sua voglia matta di divertirsi, di sballarsi e di fare casino. Spaventava la sua continua sete di vendetta.
Ma tutto quello che io mi ritrovavo di fianco, quella sera, era un ragazzo con un cappellino viola firmato, e con gli occhiali da sole nonostante fosse tarda notte, e con gli occhi puntati fissi sull'asfalto.
Stava attento ad ogni minimo dettaglio, controllava con occhi vigili quello che accadeva intorno a lui.
Io invece ero rimasta incantata da lui.
Perché io volevo scoprire di più su di lui.
Volevo sapere i suoi segreti.


Sto percorrendo, per la centesima volta in un mese, quel lungo e sudicio corridoio che mi separa dalla 'stanza parlante', come la chiamo io.
Le ho affibiato questo nome perché quella stanza è il simbolo della parola. In quella stanza si incontrano i criminali con i loro parenti, con i loro cari.
E si raccontano tutto.
Per questo quella stanza sa tutto: segreti, verità, desideri, speranze.
Tutto.
E un po' mi fa paura. Mi fa paura sapere che una stanza, quattro muri tirati su da del cemento, da dei mattoni, possono sapere cose oscure e misteriose, che possono terrorizzare, che nessuno sa.
Ma ho imparato, a fregarmene.
Per questo sto camminando a testa alta, adesso.
Nonostante quel corridoio mi faccia paura, mi terrorizzi, io cammino a testa alta.
Non ho più paura di nessuno.
Non ho più paura di niente.


La strada era buia.
Faceva paura, perché non poter controllare quello che ci accadeva intorno, imbestialiva sia me che Justin.
E lo vedevo dai suoi occhi, che scrutavano più che potevano le strade che ci circondavano.
Non faceva così paura come pensavo, Justin.
Era completamente diverso da come l'avevano sempre etichettato.
Era solamente un ragazzo con un brutto passato, un brutto presente.
Ma non aveva niente di sbagliato.
« Dovresti saperlo, che non si accettano passaggi dagli sconosciuti » aveva sussurrato, continuando a tenere lo sguardo vigile sulla strada, ma con uno strano sorriso stampato sul volto.
Sono spacciata avevo pensato, in preda al panico.
« Tu non sei uno sconosciuto » avevo risposto.
Mossa sbagliata, invece, avevo pensato quando gli occhi di Justin si spostarono velocemente dalla strada e si puntarono su di me.
Il suo sguardo era cattivo, maligno.
Faceva quasi paura.
« Tu non mi conosci » era l'unica cosa che mi aveva detto, prima di girare di nuovo il volto verso la strada.
Nessun'altra frase mi avrebbe mai ferita, tanto quanto quella.


Erik sta continuando a fare battute, e non lo sopporto più.
Secondo lui non ne vale la pena di venire in questa fogna, ogni giorno, per parlare neanche venti minuti con un criminale, che secondo lui non mi ama più, che secondo lui è sbagliato.
Justin non è sbagliato, vorrei urlargli, Justin è il ragazzo più giusto del mondo, vorrei urlargli, ma non posso.
Se sapessero le cose che so io, a quest'ora sia io che Justin saremo in cella, e non solo lui.
« E' solo un grandissimo figlio di puttana » sento dire da Erik.
I miei occhi lo guardano. Lo guardano in modo cattivo, maligno, un modo di guardare che io non ho mai usato con nessuno, neanche con le persone che più odio al mondo.
Ma in questo momento, tutto quello che provo dentro di me è odio, odio per lui che crede di conoscere Justin e la sua storia. Odio per lui che si sente chissà chi per darmi consigli su cosa devo e non devo fare.
Le mani mi prudono.
La voglia di attaccarlo al muro e farlo sputare sangue cresce, ma non posso, non adesso, e non qui. Quindi mi trattengo.
Faccio solo un sorrisetto, alzando un angolo della bocca.
Un sorriso maligno, uno di quelli che riservavo solo a Justin quando litigavamo.
« Tu » sputo, cattiva. « Non osare dire più una cosa del genere » continuo a parlare, abbassando sempre di più la voce.
Lo sguardo di Erik non è impaurito ma, anzi, divertito.
Si sente potente, perché lui qui comanda, lui qui è a casa sua, se gli succedesse qualcosa sarebbe sicuramente poi vendicato dai suoi compagni.
Ma non sa che io, fuori, posso fargli qualsiasi cosa che non ci sarà nessuno a tenermi.
Lui non mi conosce.


All'incrocio che portava a casa mia, Justin non aveva girato a destra, non era andato verso la mia abitazione, come gli avevo chiesto.
Non potevo fare nulla. Ero impotente davanti a lui e davanti a quei suoi fottuti occhi che ti mettono sotto incantesimo, che ti lasciano lì, fermo, a domandarti perché ti sei fidata.
E mi stava portando nel quartiere più bello, nel suo quartiere. Nel quartiere più "in", come lo chiamavano a scuola. E quel quartiere faceva veramente paura, perché non sapevi cosa si nascondeva dietro l'angolo.
Non potevi sapere niente perché altrimenti, se scoprivi qualcosa da non scoprire, potevi passartela veramente male. Nel peggiore dei modi.
140 all'ora. Justin stava andando troppo veloce, e io mi sentivo un groppo in gola, qualcosa che non riuscivo a mandare giù. Avevo paura, e mi ero ricreduta riguardo le cose che dicevano su quel ragazzo.
Evidentemente avevano ragione, quando dicevano che era un pazzo, uno psicopatico.
Il suo sguardo, poi, non aiutava a pensare il contrario.
120 all'ora. Stava diminuendo la velocità, ma non per me. Lui, si sapeva, non si preoccupava delle altre persone. Meno ne aveva attorno, meglio era secondo lui. E quelle cose le sapevo soltanto perché in quella cittadina nessuno si faceva i propri fatti, ma andavano a sparlare di chiunque. Non curandosi di nulla.
90. Manovrava con destrezza e con sicurezza il volante, girando di tanto in tanto qualche curva, qualche rotonda o per entrare in qualche vicolo. E io ero rimasta incantata dai suoi gesti, così esperti, così perfetti e senza nessuna paura o nessun timore.
40. Si stava piano piano fermando. Io continuvo a tenere gli occhi fissi sul contatore della velocità. Era come se quella lancetta mi avesse catturato.
0. La macchina ferma, il rumore del motore era cessato. E non avevo ancora capito che ci eravamo fermati, finché lui non mi aveva guardato con un sopracciglio alzato, e io avevo alzato la testa.
Davanti a noi c'era un enorme casa, ne troppo costosa, ma neanche diroccata.
Casa sua avevo pensato, Sto entrando nella casa di un criminale. Avevo deglutito a fatica.
Ma nonostante quella paura, lo seguivo come un cagnolino fino alla porta d'ingresso.
Non potevo fare altro.





angolo autrice:
Ciao a tutti!
Mi rendo conto che questo capitolo è un po' confuso, forse ci saranno parecchi errori - spero di no-, ma volevo avvisarvi che è solamente un capitolo di passaggio.
E' come un piccolo stacco dalle cose che succederanno nei seguenti capitoli che vi assicuro, saranno molto più avvincenti dei primi. Si entrerà nel vivo della storia e spero che vi piaccia.
Intanto, ringrazio con tutto il cuore le persone che hanno recensito questa storia fin dall'inizio, con critiche e non, che l'hanno messa tra le preferite, le ricordate e le seguite.
E ringrazio anche le lettrici silenziose, che ci sono sempre. Potete anche farvi vedere, vi assicuro che non mordo!
E detto questo, vi ricordo che c'è anche il trailer, creato da quella santa ragazza di IoSonoPowa. Fate un salto da lei, vi assicuro che non ve ne pentirete.

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=3kqXvLC10jg&feature=youtu.be
Twitter: @tipregosorridi, per qualsiasi cosa mi trovate lì.

Un bacio,
Francesca.

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Capitolo 4
*** 4. ***


L' ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.



Ho pezzi di vetro infetti conficcati negli occhi.



4.





La sedia più scomoda del mondo, probabilmente l'avevano presa apposta per me, perché ogni volta che vengo qui mi ritrovo seduta su una seggiola poco alta, verde marcio, con le gambe di metallo che cigolano ad ogni mio movimento.
E io non riesco mai a stare ferma.
Ogni volta quel rumore che mi irrita, e parecchio, mi entra nelle orecchie e mi fa venire i brividi.
Per l'irritazione, non per altro.
Che poi ci devo stare seduta per venti, venticinque minuti, e la cosa è abbastanza squallida.
Perché devo stare in questo posto?, continuo a domandarmi, ogni volta che vengo qua.
Come se non sapessi la risposta.
Per la persona che ami, mi rispondo, dopo neanche qualche secondo di riflessione.
Se non fosse per lui, sarei anche io qui dentro.


Justin mi aveva lasciata sola, seduta nel salotto di quell'enorme casa che non avevo neanche il desiderio di girare, e di rivedere più.
Mi faceva paura, tutta quella grandezza.
Non ero abituata a spazi ampi, anzi, casa mia era un piccolo appartamento dove puntualmente mi ci perdevo, sbadatamente.
Sbagliavo strada e, se dovevo andare in cucina, mi ritrovavo nel bagno, o viceversa. Risi sottovoce nel ricordarmi quanto ero imbranata.
Però, continuavo ad osservare ogni minimo particolare di quella sala.
Vetro era la parola chiave.
Ogni mobile, soprammobile, tavolo e quant'altro, era fatto di vetro.
Vetro pulito, luminoso, che ti trasmetteva calma.
Sembrava che quel ragazzo amasse la calma, il silenzio, la solitudine.
Infatti in quella casa era da solo, o almeno, così mi sembrava, siccome nessuno era venuto ad accoglierlo alla porta, e nessun rumore si sentiva a parte il getto d'acqua della doccia.
Sorrisi.
Anche io amavo il vetro.
Amavo il momento in cui, per il freddo, quel pezzo di vetro, che sia stato della finestra, della macchina, di un oggetto, s'appannava, ed io ci scrivevo sopra cose impensabili.
Nomi. Date. Città.
Mi sentivo tanto una bambina, ma per me era come scrivere una parte di me e lasciarla la, indelebile.


Vetro.
Il vetro mi divide dall'altra parte della stanza.
Il vetro mi divide dall'altra sedia, dove tra poco ci sarà Justin.
Il vetro mi divide dalla persona che amo, e che vorrei abbracciare, stringere forte.
Il vetro, adesso mi fa paura. Il vetro, mi spaventa.
Il vetro, ha tutto il mio odio contro adesso.
Il vetro, è diventato il mio peggior nemico.
E' diventato l'unico ostacolo da rompere, da spaccare, da distruggere per raggiungere Justin.
Ma lo odio, il vetro.
Non posso distruggerlo.
E di conseguenza non posso abbracciare Justin.
Non penso ci sia qualcosa di più brutto, del vetro.


Sapevo che non era una bella cosa, sapevo che probabilmente se l'avesse scoperto, Justin me l'avrebbe fatta pagare.
Ma amavo, in un certo senso, farmi gli affari degli altri, frugando tra i loro ricordi, capendo qualcosa di più del loro passato.
Infatti, stavo guardando le foto appese alla parete.
Una cosa che si fa sempre, una cosa che si vede sempre scritta da tutte le parti, ma per me aveva un significato profondo, guardare le foto. Da esse, potevi capire tante cose.
Una di quelle che si possono intendere di più è se la persona in questione ha avuto un'infanzia felice, oppure no.
E da quelle foto, mi sembrava che Justin fosse così felice, da bambino: una in particolare, mi aveva sconvolto.
Rappresentava il bambino, solo, davanti ad un lago.
Non era molto spettacolare come scena, ma era lui, ed era felice.
Aveva gli occhi caramello molto più dolci, pieni d'amore, luminosi, ed un sorriso, un sorriso fantastico, con i denti bianchi che si notavano perché il sorriso gli partiva da un orecchio all'altro.
Sorrisi anch'io, involontariamente.
Pensavo sempre di più che Justin fosse totalmente un'altra persona.


L'attesa mi sta facendo impazzire.
Ogni volta è la stessa storia: mi dicono che Justin arriverà tra qualche minuto, che è gia pronto ad aspettarmi nella stanza, e invece mi ritrovo sempre ad aspettare per mezz'ora.
Mi fanno passare minuti d'inferno. Io vorrei solo arrivare qui, vedere Justin e abbracciarlo, dirgli quando ancora lo amo e ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per me, per farmi stare bene.
E invece, ogni volta, sono costretta a guardarlo da dietro uno stupido vetro, e vedere quegli occhi tristi, quegli occhi spenti, e non poter fare nulla, mi fa piangere il cuore.
« Dovrebbe entrare a momenti » una voce di un altro ragazzo, che non ho mai sentito, mi parla.
Mi giro per vederlo meglio ma non lo trovo dietro di me. Non lo trovo dentro quella parte della stanza dove sono io, allora mi rigiro, stupendomi per qualche millesimo di secondo.
E' un ragazzo, che sta dall'altra parte del vetro. Con la divisa aranciaone. E le manette.
Anche lui ha gli occhi spenti, contornati da delle occhiaie evidenti.
Anche lui ha un sorriso stanco. Anche lui è sciupato.
Deglutisco, perché non capisco come fa a sapere che sto aspettando Justin.
« Come fai a sapere chi aspetto? » chiedo, con un tono freddo, distaccato.
Adesso odio parlare con altre persone.
La sua risposta non arriva. Sento solo la sua risata isterica, da pazzo, prima di sentire la porta aprirsi con un cigolo.
Sorrido, e un brivido mi fa vibrare il corpo.
Justin è qui.


Il rumore di passi che scendevano sbadatamente le scale non l'avevo sentito. Ero stata troppo catturata da quelle bellissime foto, da quel Justin che probabilmente nessuno aveva mai visto.
Un sorriso da bambino, gli occhi pieni di vita, nessuno l'aveva mai visto così. Parlavano tanto del ragazzo tenebroso, ma i tenebrosi erano loro, erano loro che giudicavano senza conoscere.
E io, lo volevo conoscere.
« Cosa stai facendo? » una voce.
La sua voce. Girai di scatto la testa, trovandolo esattamente dietro di me, a qualche metro di distanza però, con un sorrisino divertito e gli occhi fissi su di me.
Avevo sorriso anch'io, un po' incerta.
« Stavo guardando le tue foto » gli avevo risposto.
Lui si era avvicinato solamente, senza staccare lo sguardo da me.
I suoi occhi non trasmettevano niente.
Non capivo se era scocciato per quella mia azione, o se era felice, o indifferente. Non lo capivo, quel ragazzo.
Mentre continuavo a guardare quella foto che mi aveva catturato fin dall'inizio, sentii una presa leggera sul collo.
Girandomi, lo trovai a pochi centimetri da me.
« Non ti hanno insegnato che non devi impicciarti negli affari degli altri, ragazzina? » sussurrò.
Prima di andarsene, mi guardò per un attimo, trovandomi con le gambe e le mani tremanti. Sorrise, come se fosse fiero di lui e vittorioso, e poi se ne andò di nuovo su, senza degnarmi più di uno sguardo.
Ti ammazzerei volentieri, Justin.





angolo autrice:
Ed eccolaa!
Sono stata più veloce del previsto, forse.
Volevo mettere velocemente questo capitolo perché voglio andare avanti e vedere che cosa ne pensate.
Ci tengo troppo al rapporto tra Justin ed Eloise, tengo troppo a questa storia, tengo troppo alle vostre recensioni.
Quindi, la fatidica domanda: che cosa ne pensate?
Vi chiedo un ultimo favore.
Ho messo da poco una piccolissima storia sui Five seconds of summer, durerà solamente cinque capitoli ma vi faccio una statua se l'andate a leggere.
Detto questo, grazie mille a tutti come sempre!
Alla prossima,
Francesca.

Twitter: @tipregosorridi.

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Capitolo 5
*** 5. ***


L' ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.



Adesso capisci come ci si sente a vedere la persona che ami stare male, e non poterla stringere a te?



5.



« Justin » questo, è tutto quello che riesco a dire in questo momento.
Quella parola, quel nome, quel nome e quella parola detti con così tanto dolore dentro, quando entra quel ragazzo, il mio ragazzo, conciato in quel modo, farebbe male anche alla persona più forte al mondo.
Dentro di me si stanno facendo di nuovo vive quelle emozioni che ero convinta di non dover più provare.
Quelle emozioni che ti divorano, che ti uccidono, che ti ammazzano.
Pena.
Dolore.
Odio.
Tristezza.

Un altro uomo, di cui non mi importa nulla adesso, accompagna Justin alla sedia, esattamente davanti a me.
Fa fatica, a sedersi. E quando lo fa, sul suo volto si fa spazio una smorfia di dolore, sento che sta quasi per scoppiare a piangere. E il mio cuore con lui.
« Non più di venti minuti » dice monocorde l'agente.
Annuiamo, insieme. Ormai sappiamo a memoria il regolamento, che stranamente seguiamo.
Ma tutto quello che mi interessa, ora, è sapere che cosa è successo la dentro.
Devo saperlo, perché vedere Justin in quel modo, pieno di sangue seccato sul viso, con vari lividi che vedo solo nelle parti scoperte dalla tuta, mi fa stare male.
Non mi guarda, Justin.
Non alza lo sguardo verso di me e questo, mi fa scoppiare a piangere. Io, che piango, davanti a Justin.
In tutti questi anni non è mai successo, e l'ho visto in condizioni ben peggiori di queste.
Eppure adesso, sto avendo un crollo emotivo, perché lui è dall'altra parte di questo vetro che sta male ed io non posso abbracciarlo.
Lo vedo dal suo modo di aprire e chiudere gli occhi, quant'è stanco.
Lo vedo da come si vergogna di farsi vedere meno forte, che non ce la fa più.
Lo vedo dalle sue mani, piene di sangue e rosse, che non ha più voglia di combattere.
Justin sta morendo, dentro.
E sto morendo anch'io.
Sto morendo con lui.


Stupida cogliona , avevo pensato nel momento esatto in cui mi ero resa conto di che grosso errore avevo fatto, andando a casa di Justin.
Non che io avessi paura di lui, anzi.
Non avevo per niente paura di lui, ma dei suoi sbalzi d'umore sì.
Prima stronzo, poi gentile, poi dolce, poi di nuovo stronzo, e poi aggressivo.
Fortuna che, dopo venti minuti passati di nuovo da sola, l'avevo visto scendere le scale tutto vestito di nero.
Lo avevo guardato, forse con degli occhi troppo indagatori, siccome lui si era girato abbastanza scocciato.
« Che vuoi? Sto andando a fare un lavoro » sputò, acido.
Ed eccolo, è tornato lo stronzo , avevo pensato, alzando gli occhi al cielo ma senza farmi vedere da lui.
Se ne stava andando, ma nello stesso istante in cui afferrò la maniglia, questa si girò per la presa di qualcun altro all'esterno.
Entrò un ragazzo molto più alto e molto più robusto di Justin, con i capelli castani alzati in una cresta malfatta.
I suoi occhi scuri mi fecero rabbrividire, altro che Justin, quello sì che faceva paura.
« Stupido Bieber! Che cazzo ti è saltato in mente, eh? » urlò l'altro, avvicinandosi a pochi centimetri da Justin. « Uccidere quel coglione al parco, ti sta facendo sentire più grande? Siamo nei casini fino al collo adesso, grazie a te! » continuava a sbraitare contro Justin.
Io seguivo la scena attentamente, come se anche io c'entrassi qualcosa, anche se in realtà non dovevo impicciarmi dei loro affari, come mi aveva detto Justin.
Guardando il biondo, notai che avevo più paura io che lui, di quel mostro entrato dalla porta.
Justin lo guardava e qualche volta annuiva, quando sentiva che l'amico stava per urlare troppo.
Fortuna che sto coso non si è ancora accorto di me, avevo pensato ma, ovviamente, la fortuna non era in mio favore.
Mi aveva notato, girandosi, e mi squadrò da capo a piedi.
Il mio cuore fece un salto nel vuoto quando mi si avvicinò troppo velocemente e con uno sguardo troppo curioso.
Ma di colpo, come se Dio avesse sentito le mie preghiere, qualcosa o meglio, qualcuno si posizionò davanti a me.
« Non ti avvicinare a lei » sussurrò cattivo, Justin.
In risposta dall'uomo, sentì solamente un ghigno di approvazione e poi dei passi decisi verso la porta, che dopo pochi secondi, era stata sbattuta con non poca violenza.
Guardai ancora un po' impaurita Justin, per poi perdermi nel meraviglioso sorriso che mi stava regalando.


Sono già passati quattro minuti dall'arrivo di Justin in questa stupida stanza e nessuno dei due ha ancora aperto bocca.
Si sentono solo i miei singhiozzi, i singhiozzi che ho cacciato per troppo tempo, e che ora sono venuti fuori di colpo.
Justin respira a fatica, mi sta guardando, sento i suoi occhi su di me ma questa volta, sono io che non riesco ad alzare lo sguardo verso di lui.
« El per favore, non piangere » mi sussurra, con una voce rotta, ma rotta dal dolore, non dal pianto.
E questo scatena ancora di più la mia disperazione.
« Io dove cazzo ero, eh Justin? Io dove cazzo ero mentre ti stavano massacrando? Dovevo esserci io al tuo posto, non tu! » grido, con tutto il fiato che ho in corpo.
L'ho gridato così tanto che anche i due agenti che stanno a sorvegliare le porte della stanza sono entrati, ma non c'è nulla di interessante nel vedere me che piango come una disperata perché Justin non si merita tutto questo.
« Eloise, guardami. » mi dice, ma non alzo lo sguardo. « Eloise, amore, alza gli occhi » sussurra.
Amore. Questa parola mi fa alzare la testa.
Questa parola mi da il coraggio sufficente per riuscire a guardarlo.
Nonostante tutto, è sempre bellissimo, è sempre quel Justin di cui mi sono innamorata tre anni fa.
E' sempre lui, forse un po' più invecchiato e con qualche cicatrice in più sul corpo, ma è sempre lui.
Mi ha sorriso, come se non avesse subito nulla.
Cerca di rassicurarmi con quel sorriso che lo fa sembrare un bravo ragazzo, uno come gli altri. Con quegli occhi luminosi, forse un po' rossi e gonfi, ma con quegli occhi che ti fanno sentire importante.
« Non è colpa tua, non è colpa tua se io sono qui. E tra poco uscirò El, e staremo di nuovo insieme, senza intoppi. Te lo prometto. » mi sorride, e io non posso far altro che credergli.






angolo autrice:
Scusatemi per l'immenso ritardo, per prima cosa.
Ho dovuto studiare perché essendo che sono una ragazza molto studiosa, sono stata rimandata, e tra qualche giorno avrò l'esame.
Abbiate pietà di me.
Allora, finalmente si sono incontrati i due piccioncini!
Probabilmente l'incontro non ve lo aspettavate così, scusatemi se questo capitolo vi sembra deludente o cose del genere.
Prometto che cercherò di stupirvi nei prossimi, ma intanto godiamoci le promesse che Justin fa ad Eloise.
Voi credete che andrà tutto bene tra loro?
Intanto che sono qui nello spazio autrice a scrivere cose senza senso, ringrazio tutte quante di cuore per leggere e recensire questa storia. Siete fantastiche.

Un bacio,
Francesca.

Twitter: @tipregosorridi
Trailer - creato da IoSonoPowa -: https://www.youtube.com/watch?v=3kqXvLC10jg&feature=youtu.be

Se volete passare, ho un'altra storia di soli cinque capitoli in corso, «Luke, please don't love anyone else.». Fateci un salto se vi va.

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Capitolo 6
*** 6. ***


L'ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.



Distanti un passo dall'amarci e due dal frantumarci.




6.





Dopo quell'episodio, Justin stava nuovamente per uscire di casa, ma una sensazione strana, un senso di disagio si era impossessato di me.
Non volevo che mi lasciasse da sola in quella casa, troppo grande per me, e troppo lussuosa, e troppo silenziosa.
Odiavo anche il silenzio.
La sensazione di vuoto che ti logorava dentro, quella solitudine che il silenzio portava. Non lo sopportavo.
Infatti ero diventata ansiosa.
Respiravo irregolarmente, e quando Justin si era avvicinato alla porta e aveva afferrato la maniglia, il mio cuore aveva per un attimo smesso di battere.
Ti prego non andare avevo pensato.
E in meno di un secondo mi ero ritrovata a non sentire più il controllo delle mie gambe, che avevano cominciato a correre verso di lui, che ancora non se ne era accorto.
Potevo sentire il suo profumo da cinque metri di distanza, ed era un profumo buonissimo, che ti faceva sentire calma al solo annusarlo.
Si era girato, sorpreso di trovarmi lì, esattamente dietro di lui.
Con un sopracciglio alzato, mi guardava, e io non potevo fare nient'altro se non sorridere abbastanza in imbarazzo.
« Che succede? » mi aveva chiesto.
Trafficava con una mano in una tasca della sua giacca di pelle nera, era alla ricerca delle chiavi, probabilmente.
« Non voglio rimanere qui.. da sola » risposi.
Avevo marcato "da sola", per fargli capire che sarei andata con lui ovunque.
Ma non capivo perché volevo fidarmi così tanto di quel ragazzo, non capivo perché volevo scoprirlo.
« Posso venire con te? ».


Ci stiamo sorridendo.
Non ci sono parole per esprimere quello che sto provando, o meglio, quello che ancora mi fa provare con un sorriso.
Io lo so, lo so che sta male, e che non vede l'ora di uscire da questo stupido posto per tornare a quella che lui definisce la sua vita normale. Lo so che ha voglia di scappare da tutto e rifugiarsi, al riparo da occhi indiscreti.
Mi sorprende, ancora.
Alza la mano destra, e l'appoggia al vetro.
Sorrido, e faccio la stessa cosa. Appoggio la mia mano al vetro, no. Appoggio la mia mano alla sua.
E' il nostro modo per sentirci vicini, insieme, felici.
« Cosa mi racconti? » mi chiede.
Alzo le spalle in risposta.
Non posso dirgli che tutto quello che faccio è combattere contro gli sguardi delle altre persone, contro gli insulti, e soprattutto contro i miei pensieri, le mie paure.
« C'è qualcosa che non va » afferma.
Ha sempre avuto questa strana dote di capire le persone, se mentono, se dicono la verità, se stanno bene o se stanno male.
Lui ha sempre detto che in realtà non era una dote, ma era una sensazione, una sensazione che provava. Quando guardava negli occhi delle persone, riusciva a capire come stavano.
E adesso l'ha fatto anche con me.
« E'.. difficile, difficile stare qui senza di te » riesco a dire, guardando sotto il bancone, in direzione delle mie scarpe.
Lo sento sorridere.
« E dove sono finiti gli altri? » chiede, poi, con tono abbastanza duro, freddo.
Gli altri stanno per Chaz, Ryan, quelli che un tempo erano nostri amici, nostri alleati, quelli che adesso non ci sono più.
« Mi hanno lasciata sola.. » sussurro.
Fa che non mi ha sentito, fa che non mi ha sentito continuo a ripetermi, nella testa, ma tanto so che l'ha fatto, so che ha sentito questa stupida frase, e so che si imbestialirà, e non poco.
Alzo lo sguardo verso di lui, è freddo, mi guarda con gli occhi di ghiaccio, quelli che fanno tanto paura, quelli che non perdonano.
« Tu.. Loro.. Non ti preoccupare, risolverò io tutto quando esco da qui » mi dice.
E mentre parla non posso fare a meno di sentire il suo tono cattivo, maligno, assetato di vendetta, e questo mi fa paura, tanta paura, perché ho paura di perderlo di nuovo.


Con mia grande sorpresa, Justin non mi aveva mandato a quel paese, ma mi aveva rivolto uno dei più bei sorrisi che avessi mai visto.
« C'è una cosa, però, che devi sapere » mi aveva detto, piantandosi davanti a me, e guardandomi dritto negli occhi.
Avevo annuito, per farlo parlare, cosa che non tardò a fare.
« Se tu verrai con me, ci sarà una cosa che dovrai fare » continuava a parlare, e a fare avanti e indietro per la stanza.
Non stava fermo un secondo, come se la cosa che mi doveva dire fosse troppo importante, troppo pericolosa, troppo stupida.
« Che cosa devo fare? » gli avevo chiesto.
« Dovrai entrare nella nostra banda ».






angolo autrice:
Ho fatto l'esame!
Non c'entra niente, ma volevo rendervi partecipe del mio disagio, gn.
Scusate scusate scusate se il capitolo non è lungo come avevo promesso ad alcune di voi ma, ehi, non è ancora finita la faccenda!
Prometto che il capitolo successivo e tutti gli altri li allungherò ancora di più, anche perché se li facessi tutti così corti ci metterei un'eternità a finire la storia.
A proposito di questo, non so quanto durerà ancora questa storia, ma so per certo che comincerò a scrivere entro pochi giorni la prossima.
Ma adesso, parliamo di sta cacchetta, chiamata capitolo sei.
Eloise non voleva rimanere in casa da sola e ha chiesto a Justin di andare con lui, e lui cosa fa? La ricatta.
Piccolo stronzino.
Succederanno delle belle cose, eheh, ve lo prometto.
Un bacio,

Francesca.


Twitter: @tipregosorridi
Trailer: - creato da IoSonoPowa - https://www.youtube.com/watch?v=3kqXvLC10jg&feature=youtu.be
Altra storia: «Luke, please don't love anyone else», la trovate sul mio profilo.

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Capitolo 7
*** 7. ***


L'ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.



Volevo solo farti sapere che amo il modo in cui ridi.




7.



« Justin, per favore, non fare niente. Non voglio perderti di nuovo, non un'altra volta. Non ce la farei » gli dico, quasi in preda ad una crisi isterica.
E' incredibile come il solo pensiero di perderlo di nuovo, di non averlo accanto per la seconda volta, mi fa stare male.
Mi ha reso così forte, così coraggiosa e combattiva, ma nello stesso tempo mi ha reso debole, debole senza di lui, senza la sua protezione, il suo sorriso.
Ma lui no, lui non mi guarda. Preferisce guardare un punto dietro alle mie spalle, preferisce non guardarmi negli occhi.
« Tu non meriti più di stare male Eloise. » mi dice, continuando a guardare dietro di me.
Starei male altre mille volte per te.
« Io non sto male Justin, e non starò male se tu sarai con me » gli dico, cercando un contatto visivo con lui, che subito non trovo.
« Ti va se ti racconto una barzelletta? » mi dice, e lo sento ridere, lo sento ridere col cuore, e questo non può fare a meno di farmi sorridere.
Perché se sorride lui, sorrido anch'io.


Era tardi, quella sera.
Il parco era completamente buio. Nessun lampione lo illuminava.
Non avevo paura, sapevo che Justin era con me, e anche se probabilmente mi odiava, anche se probabilmente gli stavo sul cazzo per il mio modo di fare da bambina, sapevo che mi avrebbe sempre protetta.
Camminavo dietro di lui.
Lui sembrava deciso su ogni passo che faceva, come se si fosse studiato la strada per arrivare in quel posto a memoria.
« Le hanno spente gli altri miei compagni, le luci. Ci siamo abituati » mi aveva detto.
Probabilmente aveva notato il mio sguardo confuso ed interrogativo mentre camminavo e guardavo ogni singolo lampione spento, ed ero arrossita, abbastanza contenta che avesse notato il mio disagio.
In lontananza, li avevo visti.
Due ragazzi con una sigaretta in mano, o meglio, una cosa che assomigliava ad una sigaretta, che tenevano fermi altri due ragazzi, inginocchiati a terra.
Non sapevo cosa volessero fare, non sapevo neanche perché fossimo lì e perché fossi così terrorizzata.
Ma tutto quello che m'importava in quel momento era seguire Justin in qualsiasi sua mossa.


Mi sono fermata per qualche secondo a guardare Justin, mentre ride. Non me lo ricordavo così pieno di vita.
Ricordavo quel Justin pieno di energia, sì, ma solo mentre menava qualcuno, o mentre si faceva di qualche sostanza, o mentre spacciava.
Non l'ho mai visto ridere per qualcosa che non sia stata alcool o droga, o se non per qualche figura di merda, o per qualche uccisione andata male.
Lui era sempre stato uno che non mostrava la sua parte migliore a nessuno. Ma l'aveva mostrata a me, mi aveva fatto imparare a conoscerlo, e mi aveva fatto imparare ad amare anche i suoi errori, i suoi sbagli, e i suoi difetti.
« A che pensi? » mi chiede.
Alzo le spalle. « A quanto sono fortunata ad averti ».
Sorride per l'ennesima volta in questa giornata che, mi accorgo solo in questo momento, si è fatta più grigia.
Sta venendo a piovere, proprio come nel giorno in cui l'ho perso penso, mentre guardo fuori dalla finestra.
« Ah, sei diventata così dolce? Che palle » mi dice, e ride.
Per la seconda volta ride, e il mio cuore fa un salto nel vuoto, perché quella positività che solo lui possiede, mi è mancata, mi è mancata troppo.
« Non rompermi i coglioni » gli rispondo.


I due ragazzi mi facevano paura.
Non che facessero paura fisicamente, ma appena io e Justin eravamo arrivati davanti a loro, avevano cominciato a fargli delle battutine tipo «la tua nuova fiamma, eh Bieber», che mi avevano urtato leggermente i nervi.
Li guardavo e non ci notavo niente di maligno, in loro.
Parlavano come dei normali ragazzi di diciassette anni, come se fossero stati nel corridoio della scuola a parlare del prossimo test.
« Eloise, giù! » avevo sentito urlare da uno di loro.
Fu un attimo, tutto il resto.
Justin mi aveva passato una pistola. Avevo in mano una pistola e non avevo idea di come si usasse, ma lui mi guardava, e vedevo che con i suoi occhi mi diceva «credo in te, puoi farcela».
O almeno, questo era quello che io ci leggevo.
Chaz mi aveva preso per il braccio e buttato dietro ad un cespuglio insieme a Justin e a Ryan, mentre lui aveva cominciato a sparare, a sparare a destra e a manca.
Mi ero tappata le orecchie. Avevo paura.
Guardavo Justin, che aveva gli occhi fermi e fissi su Chaz.
Poi successe tutto di nuovo in pochissimi secondi.
Ryan era uscito dal nascondiglio per aiutare Chaz ed ero rimasta al fianco di Justin, che dopo due secondi fu preso per il collo da un uomo, un uomo che faceva paura, un uomo che trasmetteva solo terrore.
Lo stava soffocando, e avevo paura. Lo stava soffocando e non sapevo cosa fare.
« S-spara! » mi aveva detto, Justin.




angolo autrice:
nanana, mi dispiace se l'ho fatto finire in questo modo brusco.
no, non è vero. volevo tenervi sulle spine, eheh.
è scritto di cacca, me lo sento, ma vi prego, non odiatemi.
ho lo stress pre-scuola, cercate di capirmi, domani comincia, e dopo domani è il mio compleanno.
io non sono pronta.
non ho più idee e mi sento completamente inutile, perché non riesco a scrivere più niente di sensato.
ma come sempre, ringrazio tutte le sante persone che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite, e ovviamente anche a chi recensisce e a chi legge soltanto.
siete tutte fantastiche.
mh, cosa dite, il rapporto tra Eloise e Justin si sta evolvendo?
Un bacio,
Francesca.

Twitter: @tipregosorridi Trailer: - creato da IoSonoPowa - https://www.youtube.com/watch?v=3kqXvLC10jg&feature=youtu.be Altra storia: «Luke, please don't love anyone else», la trovate sul mio profilo.

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Capitolo 8
*** 8. ***


L'ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.



Sosterrò il tuo mondo, e tutto il tuo dolore.




8.





C'era un corpo, per terra. Io non avevo ancora realizzato l'accaduto, non ero cosciente. Mi tremavano le gambe, le braccia, non ero più capace a distinguere le figure.
Ho sparato, continuavo a ripertermi nella testa.
E più me lo ripetevo e meno ci credevo.
Un uomo era a terra, senza vita, in una pozza di sangue, per colpa mia, per la mia voglia di salvare, di salvare Justin.
Me la ricordo, me la ricordo perfettamente la sua faccia, la sua espressione, la sua gratitudine, sì, la sua gratitudine.
Però avevo notato qualcosa di strano, una sorta di paura nei suoi occhi. Non poteva avere paura di me, non poteva.
Io dovrei avere paura di te, Justin.


Una guardia ci sta guardando come se potessimo far scoppiare una bomba da un momento all'altro, ma io non ci do peso, faccio finta di niente, faccio finta che non esista.
Che non ci sia nessun'altro a parte me e Justin, che in questo momento si sta contorcendo dal dolore per le ferite che ha addosso, del quale me ne ero quasi dimenticata.
« Fanno tanto male? » provo a chiedergli.
L'ha sentito, il mio tono supplichevole, il mio tono dispiaciuto.
« No, tranquilla » e mi sorride.
Io lo so che non è vero. So che mi sta mentendo, ancora.
Ma cosa posso fare? Di certo non posso obbligarlo a dirmi la verità, anche se io devo saperlo, perché io lo voglio proteggere, lo voglio salvare, lo voglio ancora salvare, proprio come il primo giorno.
Vorrei portare via tutto il male che adesso si è impossessato di lui, il male fisico e il male psicologico, voglio portarlo via, voglio prenderlo per me.
Ma so che è una cosa che purtroppo non posso fare, perché non mi è permesso, perché lui non me lo permette.
E' sempre stato troppo orgoglioso per ammettere qualsiasi cosa.
Soprattutto per ammettere il suo stare male che, però, al mio occhio attento non è mai sfuggito, anche se non ho mai potuto fare nulla.
« Ma non ti curano lì dentro? » chiedo, un po' alterata.
Lo sento ridere di gusto, e anche se io non ci trovo nulla di divertente, sorrido un po' anch'io.
« Dicono che non ho niente, ed in effetti sto bene » mi dice.
Gli sorrido, ma poi quando lo vedo scivolare dalla sedia, fino a sbattere per terra, mi alzo in piedi gridando il suo nome, gridando al cielo di farlo alzare.


Ryan e Chaz, che per fortuna erano usciti da quel "combattimento" illesi, mi guardavano stupefatti mentre io, ancora sotto shock, continuavo a tenere in mano la pistola e a guardare quell'uomo inerme.
Non mi sentivo ne bene, ne male.
Anche se l'angoscia e l'ansia si erano impossessate di me, sapevo di aver fatto la cosa giusta, perché io volevo salvare Justin e l'avevo fatto.
« Dimmi che rimarrà con noi! » aveva urlato Chaz, girandosi nella direzione di Justin.
Lui non si era mosso, l'aveva solamente ucciso con uno sguardo, per poi riportare lo sguardo su di me, per uccidermi altrettante volte.
Mi guardava con un misto di disgusto e malignità negli occhi, ed io non riuscivo a capire perché.
Dopotutto avevo fatto quello che mi aveva chiesto lui, al suo comando io avevo sparato verso l'uomo, come mi aveva detto.
Si era alzato, dopo poco, per venire esattamente di fronte a me.
Zoppicava, lo vedevo, e scendeva sangue dal suo labbro inferiore, ma non avevo detto nulla, avevo solamente abbassato la testa, sentendomi inferiore, sentendomi impotente.
« Andiamo a casa » aveva detto, rivolto a me.
Non avevo neanche avuto il tempo di ribattere, di spiegare, che Justin mi aveva già preso per il braccio e buttato nella sua macchina, diretto verso casa.
Se normalmente ci rivolgevamo la parola a stento, in quel momento anche quello di parlarci sembrava un diritto svanito, perché nel tragitto verso casa nessuno dei due aveva parlato.
La macchina si era fermata dopo pochi minuti sul vialetto di casa sua, perché il percorso dal parchetto alla sua abitazione non era tanto lungo, ma io non me ne ero accorta, o meglio, non volevo accorgermene.
« Scendi » aveva detto.
Un altro comando che ero indecisa se seguire o no, ma che seguii lo stesso, perché volevo andare a casa, volevo staccare il cervello per qualche minuto e non pensare.
Mi ero seduta sul divano appena entrata in casa, senza neanche guardarmi intorno. Era tardi, probabilmente era già passata la mezzanotte, ma poco m'importava del buio che ci circondava.
Justin era rimasto appoggiato allo stipite della porta a guardarmi, anche se io non lo vedevo, sentivo il suo sguardo possessivo su di me.
« Potevi finire male, questa sera » parlò, dopo poco.
Per salvare te sarei finita male, Justin.




angolo autrice:
secondo me tra qualche giorno troverò delle bombe piazzate sotto casa mia, perché se continuo a far finire i capitoli in questo modo, vi arrabbierete, e non poco.
però state tranquille, non succederà nulla di grave a Justin, per ora.
sì, lo so, non dovrei dirvi ste cose perché poi diventate ancora più ansiose e mi dispiace, davvero.
cosa ne pensate comunque di questo nuovo Justin?
vi aspetto in tante nelle recensioni!

un bacio,
Francesca.


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Capitolo 9
*** 9. ***


L'ALTRA PARTE DEL MIO CUORE.



Ho bisogno di un tuo abbraccio che rimetta insieme i miei pezzi.



9.



Justin è sdraiato a terra, inerme, con gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta.
Nessuno degli agenti che sono fuori dalla stanza cerca di fare qualcosa, probabilmente non se ne sono neanche accorti.
Solo quando comincio ad urlare ripetutamente il suo nome entrano già con le pistole in mano e puntate nel punto esatto dietro di me, hanno paura che Justin mi faccia del male.
« Justin! Justin, ti prego, Cristo apri gli occhi! » continuo ad urlare, anche quando un agente mi prende per le spalle e mi porta via da quella stanza.
Non portatemi via, lasciatemi qui penso quando mi ritrovo attaccata alla porta da dove sono appena uscita.
« Non ti preoccupare, adesso lo portiamo in infermeria e.. » comincia a parlare un altro agente, ma io lo blocco.
« In infermeria? Voi siete pazzi! Lui ha bisogno di andare in ospedale, subito! » gli urlo contro.
In questo momento non m'importa se sono in un carcere, se sto urlando contro un agente della sicurezza, se sto mancando di rispetto ad un pubblico ufficiale.
Non m'importa un cazzo.
Il mio ragazzo è svenuto davanti ai miei occhi, e loro lo vogliono portare in infermeria.
Non possono, io non voglio.
« Per favore.. Portatelo in ospedale, vi prego » mi ritrovo a pregarlo in ginocchio, mentre le lacrime mi scendono incontrollate dagli occhi.
Vedo due agenti che portano di peso Justin fuori dalla stanza. Spariscono in pochi secondi.
« Lo stanno portando in ospedale, tranquilla, si rimetterà » mi sussurra un agente, che nel frattempo mi ha fatta alzare dalla posizione che avevo pochi secondi prima.
Comincio a ringraziarlo ripetutamente, ma la paura dentro di me continua a crescere.
Che cos'ha Justin?


Non sapevo per quale motivo, ma Justin non mi aveva più rivolto la parola da quell'episodio al parco.
Usciva, non me lo diceva.
E io rimanevo sempre da sola a pensare a quello che avevo fatto, o al possibile giorno in cui avrebbero trovato qualche traccia e sarei finita in carcere.
Però, una sera, era successo qualcosa di strano.
Justin era tornato alle tre del mattino.
Io l'avevo aspettata sveglia, non sapevo per quale motivo ma sentivo che dovevo aspettarlo, e in più non riuscivo ad addormentarmi.
Quando avevo sentito la chiave girare nella serratura, un sorriso mi era spuntato sul viso, sollevata al pensiero che fosse a casa sano e salvo.
Ma quand'era entrato, era ubriaco fradicio, quasi non si reggeva in piedi.
L'avevo aiutato a stendersi sul divano, e nel mentre avevo notato delle piccole ferite su tutto il viso e sul corpo.
Così dopo essere corsa in bagno a prendere l'occorrente per curarlo, l'avevo medicato meglio che potevo.
« Fa.. Male » mi aveva detto, dopo un po'.
La sua faccia era contorta dal dolore, mi faceva quasi tenerezza.
Avrei voluto fare più piano, provavo a fare più piano ma mi veniva difficile, perché mi sembrava che le ferite fossero tanto infette.
« Lo so, ma tra poco passa » avevo risposto.
Lui aveva sorriso per quello che poteva, e quando avevo finito di mettere le garze, successe qualcosa che non mi aspettavo.
Justin mi aveva abbracciato, mi stava tenendo forte, e per quei secondi mi sono sentita al sicuro, tra le sue braccia.
« Grazie ».


Sono seduta fuori dalla sua stanza da almeno un'ora, e nessuno ancora mi dice nulla.
Sembro una da evitare, perché passano ogni secondo dottori e infermieri che escono dalla sua camera ma nessuno si degna di fermarsi e dirmi che cosa sta succedendo.
In cinque minuti ne sono passati due, che mi hanno guardata, mi hanno studiata, come per capire se anch'io ho qualcosa che non va, e poi sono andati via, lasciandomi lì da sola a domandarmi quale fosse il loro problema.
Adesso mi sto torturando le mani, mi tremano, e non so fermarle, non ne sono capace perché l'ansia è troppa.
Così ho fermato uno dei dottori col camice bianco che è appena uscito dalla stanza di Justin. Mi ci sono parata davanti e guardandolo negli occhi l'ho pregato.
« Per favore, mi dica come sta. Per favore » gli dico.
Lui sembra studiarmi, come altri avevano fatto in precendenza, con occhi vigili e severi, ma poi si scioglie e mi appoggia una mano sulla spalla, con un sorriso accompagna il suo gesto, e mi rassicura.
« Il tuo ragazzo sta bene, non gli è successo niente di grave. Probabilmente il troppo stress e il nervosismo gli hanno causato un mancamento, ma adesso è stabile e tra poco lo riporteranno in cella » mi dice, e poi aggiunge « Vuoi un caffé? ».
Io solamente scuoto la testa in segno di negazione.
Annuisce e se ne va, si allontana da me, e tiro un respiro di sollievo mentre alcune lacrime mi rigano il volto.
Ho creduto fino all'ultimo che Justin potesse tornare con me a casa, ma evidentemente non era ancora possibile.
Che sciocca che sei continuo a ripetermi, mentre mi alzo e vado il più veloce possibile verso l'uscita dell'ospedale.
«Signorina Eloise?» sento chiamarmi.






[Francesca's corner]
Oh mio dio, finalmente sono tornata!
Non vi sono mancata per niente, lo so, ma voi siete mancate veramente tantissimo a me. Ho avuto dei problemi in casa e non ho potuto continuare nulla.
Ora sono tornata e vi romperò le scatole fino alla fine di questa storia, è una promessa, rido
Questo capitolo è molto.. come dire.. interessante?
La storia sta prendendo una svolta molto misteriosa.
Ne sorgeranno delle belle, sì sì.

Ho un'altra sorpresina per voi: andate nel mio profilo, se avete voglia, e troverete un'altra storia appena iniziata.
Fatemi sapere che cosa ne pensate!

Tomlinsonsshoes.

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