L'ultima lacrima di kiara_star (/viewuser.php?uid=58219)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buongiorno, principessa... ***
Capitolo 2: *** Ombre dal passato ***
Capitolo 3: *** Vorticare di domande ***
Capitolo 4: *** Atto II ***
Capitolo 5: *** Nuove prigioni, vecchi prigionieri ***
Capitolo 6: *** Sigyn ***
Capitolo 7: *** Messaggio da un mondo lontano ***
Capitolo 8: *** Linn di Asgard ***
Capitolo 9: *** Riflesso di donna ***
Capitolo 10: *** Un accordo atipico ***
Capitolo 11: *** Quella lama chiamata “verità” ***
Capitolo 12: *** Equilibri precari ***
Capitolo 13: *** Nuova tempesta (a Central Park) ***
Capitolo 14: *** Alleanze tradite ***
Capitolo 15: *** Una crepa nel vaso di Pandora ***
Capitolo 16: *** Il caldo tocco di fredde dita ***
Capitolo 17: *** Sulla via di casa ***
Capitolo 18: *** Le memorie del corpo ***
Capitolo 19: *** Ciò che resta di una menzogna ***
Capitolo 20: *** Forte come un battito di cuore ***
Capitolo 21: *** Fino al sorgere del sole ***
Capitolo 22: *** Senza appello ***
Capitolo 23: *** Il castigo dei peccatori ***
Capitolo 24: *** Legame di sangue ***
Capitolo 25: *** Un prezzo da pagare ***
Capitolo 26: *** Solo egoismo ***
Capitolo 27: *** Degno ***
Capitolo 28: *** Il miglior guerriero di Asgard ***
Capitolo 29: *** Di ritorni e addii ***
Capitolo 30: *** Lontani eppur vicini ***
Capitolo 31: *** La storia di un principe dimenticato ***
Capitolo 32: *** Una pioggia di fiamme ***
Capitolo 33: *** Coraggio e follia ***
Capitolo 34: *** La scelta più difficile ***
Capitolo 35: *** L'ultima lacrima ***
Capitolo 36: *** ۞۞۞ ***
Capitolo 1 *** Buongiorno, principessa... ***
Cap1
Eccomi a voi con il tanto agognato(?) sequel de “La
carezza di un'altra illusione”.
Sequel non direttissimo, nel senso che è ambientato post-The
Avengers.
La storia non terrà conto delle vicende che verranno narrate
in
Thor: The Dark World.
Questi primi capitoli potrebbero essere (leggasi "sono") alquanto
frenetici e caotici, è una scelta di gusto personale per
dare
più dinamicità all'intreccio.
Si alterneranno POV diversi e spero solo di non aver fatto un gran
minestrone, perché il rischio c'era.
Non ho mai trattato tanti personaggi tutti insieme e vi chiedo fin da
ora perdono se non riuscirò a render loro la giustizia che
meritano.
Ribadisco gli avvisi del prequel:
- non ho
conoscenza né di comics né di mitologia norrena,
per cui a parte qualche riferimento tutto sarà frutto della
mia
fantasia;
- ogni scena erotica incest, qualora presente, verrà postata
censurata per rispetto del regolamento.
La storia è totalmente plottata ma mi sono portata avanti
solo
di una manciata di capitoli. Cercherò di mantenere per
quanto mi
sarà possibile un ritmo di aggiornamento decente.
Mi sembra tutto.
Vi auguro una buona lettura e ringrazio chiunque abbia seguito
“La carezza di un'altra illusione” con affetto e
passione. È anche colpa vostra se questo sequel balordo ha
visto
la luce.
Kiss Kiss Chiara
Disclaimer:
I
personaggi Marvel sono dei legittimi proprietari. Eventuali original
characters presenti all'interno di questa storia sono di mia
proprietà e per tanto ne rivendico la paternità.
Storia scritta senza scopo di lucro.
L' ultima lacrima
I.
Aveva udito i passi avvicinarsi lenti e decisi.
Il rumore delle suole che colpivano le pozze d'acqua del pavimento in
pietra.
Li aveva contati tutti.
Non aveva mai ospiti, non amava averne.
Quando la figura comparve davanti a lui, non represse comunque un
sorriso. Le solite vesti di uno sfarzoso ceruleo, l'oro dei Vanir
al collo, alle dita delle mani, ai lobi delle orecchie.
L'arroganza dei Vanir a risplendere su ogni gemma.
«Sembri a tuo agio su quel trono, ragazzo.» La voce
era
roca e profonda come ricordava, i suoi occhi lame nere e affilate come
aveva imparato a temere.
Ma non era più un fanciullo, non bastava più
qualche trucchetto per impressionarlo.
«Cosa vuoi?» chiese annoiato passando le dita sul
bracciolo del suo seggio.
La figura sorrise. «Nulla di cui anche tu non possa godere,
Loki: un'alleanza.»
Dalla sua gola salì una risata di beffa e si
alzò scendendo i gradini impolverati della sala priva di
luce naturale.
Decine di vecchie torce adornavano i muri scarni, l'acqua
filtrava dalla volta di roccia come fosse un lungo e interminabile
pianto.
«Un'alleanza? Con te? Styrkárr, per favore, sii
serio.»
«Oh, mai stato più serio di così,
ragazzo
mio.» I suoi occhi neri si piegarono in due archi e le labbra
scoprirono i denti in sorriso mellifluo. «So che sei a corto
di
alleati, tuo fratello ti ha fatto terra bruciata intorno e nessuno ha
intenzione di ritrovarsi contro Thor Odinson. Mi sembra un
comportamento lecito, codardo forse, ma non neghiamo a nessuno la
libertà di scegliere da quale parte schierarsi.»
Loki annuì e girò lentamente attorno al suo
visitatore. «E tu vorresti stare dalla mia, giusto?»
«Sono sempre stato dalla tua.»
Quando lo fronteggiò ricambiò quel sorriso.
«E se io non volessi stare dalla tua,
Styrkárr?»
«Perderesti l'opportunità di avere ciò
che brami da sempre, Loki.»
Rise di nuovo. Styrkárr continuò a sorridere.
«Grazie dell'offerta, ma preferisco prendere da solo la
testa di mio fratello. Non ci sarebbe gusto a lasciarlo fare a qualcun
altro.» E con lenti passi tornò sul suo trono ma
una nuova
presenza lo obbligò a prestare nuovamente attenzione alle
sue
spalle.
«Ma Styrkárr non parlava della sua testa,
Loki.»
Quella voce la ricordava bene, l'aveva odiata troppo per poterla
dimenticare.
«Hai un bel coraggio a mostrati qui, Incantatrice.»
«Quanto ne hai tu a rifiutare la nostra offerta senza neanche
udirla.»
Si sedette con lentezza e scrutò a lungo i due visi, quello
sorridente di Styrkárr, quello insopportabile della donna al
suo
fianco.
Rivide vecchie immagini assolate. Risentì due voci all'ombra
di un ciliegio.
Udì il suono fastidioso di baci umidi. Carezze su una pelle
non sua.
Il male che mi hai fatto non sarà mai lavato via abbastanza,
fratello...
«Ascolta cosa abbiamo da proporti e poi deciderai di
conseguenza.
A noi serve il tuo aiuto, non nascondiamolo, altrimenti non saremmo
qui.»
«Ho sempre amato la tua schiettezza, Vanr»
sospirò passandosi un dito fra le labbra.
Styrkárr fece un cenno con il suo capo privo di capelli.
«E io la tua intelligenza, Loki, e so che quando sentirai
cosa
posso, anzi, possiamo offrirti, sarai più che lieto di stare
dalla nostra parte.»
Prese un respiro e annuì. «Avanti, allora, avete
la mia
attenzione. Sfruttatela al meglio e non vi ritroverete senza vita negli
attimi che seguiranno le vostre parole.»
Styrkárr rise e lei lo guardò con un ghigno che
gli fece prudere le mani.
*
«Allora, ti sembra uno scambio equo?»
Loki sorrise. «Quando iniziamo?»
Più di una risata risuonò nella cavernosa sala.
₪₪₪
La polvere dei calcinacci gli era entrata fin dentro alle narici.
Tossì un paio di volte e tornò a guardare la
situazione.
Non andava bene.
C'erano troppi civili e pochi uomini per contrastare l'attacco.
Martedì pomeriggio nel bel mezzo della città:
sarebbe stato un massacro.
«Stark?»
«Dimmi,
capitano.»
Coprì con il palmo della mano l'orecchio destro per riuscire
a sentire al meglio la sua voce.
«Cerca di allontanarli da qui, portali verso sud, lontano dal
quartiere.»
«Sarò
un'esca magnifica, vedrai.»
Un'altra scossa gli fece quasi perdere l'equilibrio.
«Stark? »
«Già
ti manco, Rogers?»
«Porta Thor con te, in due attirerete un numero
maggiore.»
Salì sul cofano di un'auto e poi su quello dell'auto
accanto.
«C'è
un piccolissimo problema, però.»
Raggiunse in breve di nuovo l'epicentro della battaglia da cui
era stato allontanato a causa di un colpo di quei dannati mostri
bianchi.
«Quale?»
Lo scudo volò dritto nello stomaco di uno di loro e lui lo
recuperò per poi farlo collidere contro il cranio di un
altro.
«Thor
è alquanto impegnato al momento. Credo stia facendo
un'altra predica da buon samaritano a suo fratello.»
Alle
sue spalle un esplosione fece crollare al suolo un gruppo di sette
sbiancati,
come li aveva rinominati Tony - per Thor quelli si
chiamavano Fruxer.
Alzò la testa e vide Iron Man volteggiare su di lui.
«Attento anche
alle chiappe, capitano.»
«Grazie per il consiglio, Stark, ora vai e porta questi
bastardi lontano da qui.»
«Agli ordini.»
Iron Man volò verso sud e Steve decise che era meglio
raggruppare tutti in un unico luogo ben circoscritto, anche se erano in
pochi avrebbero comunque evitato che facessero maggiori danni. Gli
agenti dello S.H.I.E.L.D. erano giunti in supporto, ma non aveva
intenzione di chiamarli nello scontro diretto.
Erano solo uomini, e benché il loro coraggio ne aumentasse
il valore, rimanevano solo uomini.
Come me, si
diceva spesso.
Un siero, niente di più, per il resto era di carne e paura.
«Barton, come va?»
«Se ve ne
avanza qualcuno mandatelo da me, qui c'è davvero poco con
cui giocare.»
Bene, voleva dire che stavano avendo la meglio.
Con un paio di gomitate mise a tappeto un altro pugno di esseri.
«Thor?... Thor?»
«È
in pieno Central Park con Loki, capitano. Non ti darà retta.»
La voce di Natasha risuonò nel suo orecchio.
«Raggiungilo se puoi-» Udì un rantolo e
poi un tonfo. «Tutto bene, Romanoff?»
«Sì,
ho solo bisogno di una doccia, ma ho un po' di
compagnia adesso, non credo di liberarmi a breve.»
Altro rantolo,
altro tonfo.
«Va bene, andrò io.»
Steve guardò alla sua sinistra un gruppo di sbiancati che se
la
stavano prendendo con una cabina telefonica, all'interno
c'era un uomo che cercava di proteggersi con una
ventiquattrore nera.
Lo scudo viaggiò contro una testa, poi contro un'altra. Il
terzo lo abbatté con un calcio.
«Tutto intero?»
Lo tirò per un gomito aiutandolo a rimettersi in piedi.
«S-sì, sì. Grazie, capitano.»
Aveva gli occhiali rotti e un sorriso grato sulla faccia tonda.
«Cerca un posto dove nasconderti.» Gli
consigliò
indicandogli con un cenno del capo un edificio poco distante.
L'uomo annuì stringendo fra le dita la sua valigetta e lo
ringraziò per l'ennesima volta.
Steve guardò i corpi a terra dei nuovi amici di Loki e
sospirò.
C'era qualcosa che non andava, quell'attacco era stato strano da quando
era iniziato.
Un ringhio animalesco salì alle sue spalle, con una gomitata
lo fece tacere.
Decise che avrebbe lasciato le riflessioni a quando l'asfalto non fosse
diventato bianco.
*
Il fulmine tagliò verticalmente un albero e le fiamme
presero a salire alte.
«Richiama queste bestie, adesso!»
«Oh, e perché dovrei? Lascia che si divertano
anche loro.»
Thor strinse i denti e strinse l'impugnatura di Mjolnir. Il sorriso di
Loki si allargava secondo dopo secondo.
«Perché li hai condotti qui? Quale altro piano
insensato hai la presunzione di portare a termine?»
«Nessuno, a dire il vero. Mi stavo solo annoiando.»
Mjolnir volò verso di lui ma colpì solo il
terreno, Thor
lo richiamò giusto in tempo per proteggersi da un pugnale
che
stava per colpirlo alla schiena.
Si ritrovò comunque a terra e dovette rialzarsi velocemente
prima di finire sotto l'ennesimo colpo.
«Tu non ti annoi mai, fratello?» rise Loki mentre
tentava
di colpirlo ancora. Stavolta riuscì a frenare il suo polso.
«Smettila!»
Sorrise ancora e Thor sentì una scossa lungo il braccio che
gli fece lasciare la presa - no, non una scossa, un brivido.
«Non credo che lo farò.»
«È della vita di persone innocenti che stiamo
parlando,
Loki, non sono giocattoli. Non puoi pensare che io ti lasci continuare
questa o altre follie.»
Mjolnir riempì di nuovo la sua mano.
Loki lo fronteggiava sorridente.
Thor ancora non capiva.
Era un ciclo senza interruzione. Avrebbero continuato a lottare in
eterno.
Loki avrebbe attaccato impunemente la sua amata Terra e lui
l'avrebbe difesa allo stremo, poi lo avrebbe avuto in pugno e non
sarebbe riuscito a spezzare la catena.
Loki andava via e poi tornava.
Thor vinceva ogni scontro e poi si sentiva un perdente.
È mio
fratello, diceva, e nessuno dei suoi
compagni osava più contraddirlo, eppure lo pensavano tutti.
“Non
è tuo fratello, è un mostro.
Non è tuo fratello, ha tentato di ucciderti decine di volte.
Non è tuo fratello, è un nemico.”
Alle volte Thor aveva timore che un giorno avrebbe creduto anche lui a
quelle voci e avrebbe smesso di sperare di veder ritornare il vecchio
Loki, il suo
Loki.
Quando lo chiamava “fratello” mentiva ogni volta,
perché Thor non riconosceva quegli occhi verdi, non
riconosceva
quel sorriso né la sua voce.
Chiunque fosse l'uomo con cui continuava a lottare, non era Loki. Non
voleva che lo fosse.
«Sai cosa ho promesso loro, Thor? Avanti, prova a
indovinare.»
«Non ho tempo per i giochi, ora richiama questi esseri
immondi e
tornatene da dove sei venuto e cerca di evitare di rimettere piede qui
finché la mia collera non sarà placata.»
Il suo viso serio si scontrò con una risata. «Oh,
accidenti, eri quasi convincente!»
Il pugnale passò da una mano all'altra. «Ho detto
che avrebbero potuto depredare e saccheggiare ogni cosa, che avrebbero
potuto far prigionieri e schiavi tutti i mortali che intrecciavano la
loro strada.»
Provò a muoversi ma sentì i piedi incollati al
suolo.
Loki iniziò a camminare lentamente verso di lui e Thor
capì tardi di essere caduto in un altro dei suoi inganni,
probabilmente un incantesimo di stasi o qualcosa di simile. Si
maledì per quanto riusciva a essere poco accorto quando si
trattava di lui.
Saettò con gli occhi al martello non riuscendo
però a sollevare la mano.
«I Fruxer, a differenza di ciò che si crede, amano
seviziare e torturare le loro vittime - e hanno molta fantasia,
credimi. Immagina cosa possono fare ai tuoi amati terrestri.»
La rabbia gli salì in gola acida eppure la sua lingua non
riuscì a pronunciare una sola parola.
«In questo sono molto simile a loro, lo sai?»
L'indice di Loki sfiorò la sua armatura e il suo viso si
deformò in un'espressione di puro sadismo. «Potrei
trascorrere i prossimi secoli a sentirti urlare e mi inebrierei del
sangue scarlatto che dipingerebbe il pavimento e le mura. Le tue urla
raggiungerebbero anche le orecchie della tua preziosa
Jane...» Il
cuore stava pompando forte eppure si sentiva sempre più
debole,
sempre più lontano da quel luogo.
Da quando aveva iniziato a udire quel fischio? Da quando le sue dita
avevano lasciato la presa di Mjolnir?
Non aveva sentito il tonfo, non
aveva avvertito le mani formicolare.
Le gambe... Le gambe stavano diventando troppo molli.
Cercò con gli occhi qualcosa, qualcuno - Chi? Steve? Steve
era
lì? - ma riusciva solo a vedere quelli di fronte a lui, quel
verde penetrante più della fitta vegetazione che li
circondava.
«Sarebbero secoli di pura gioia, ma alla fine, non mi
lascerebbero niente.» La sua mano aveva raggiunto il suo viso
ma
Thor non la sentiva sulla pelle, non sentiva nulla. «E io
voglio
tutto, e lo avrò, Thor, e tu non riuscirai a impedirmelo
stavolta.»
Poi anche gli occhi di Loki sparirono, anche la sensazione di debolezza
svanì.
La sua voce fu l'ultima cosa che udì.
«Addio, fratello.»
Poi fu solo buio.
*
«Signore,
l'energia è al 20%.»
«Grazie per l'informazione, Jarvis.»
«Dovrebbe
prendere in considerazione la possibilità che la
Mark non mantenga gli standard se dovesse scendere sotto la soglia del
15%.»
«Lo prenderò in considerazione.»
«È
sempre un piacere darle consigli che poi ignorerà totalmente.»
«Piacere tutto mio, Jarvis.»
Ormai aveva limitato l'attacco a un solo isolato, al di fuori del
perimetro non c'erano più sbiancati e con ogni
probabilità quelli che erano rimasti avrebbero fatto tutti
la
fine del topo e il formaggio.
Però...
Ogni volta che Loki faceva loro "gradite" visite, si portava sempre
dietro qualche mostro uscito dai peggiori videogiochi giapponesi, ma di
solito per quanto brutti e disgustosi e vestiti male potessero essere,
avevano sempre un loro scopo, per lo meno nell'ottica contorta e
bacata di quell'asgardiano.
Questi sbiancati invece sembravano hooligan ubriachi di camomilla
scaduta. Generavano caos, facevano un gran macello - Dio solo sapeva
quante ne avrebbero sentite lui e gli altri per i danni a tutta la
città - ma erano fondamentalmente degli inutili
mostriciattoli
albini, e pure parecchio stupidi, visto che si erano lasciati
raggruppare facilmente come delle pecore. Giusto, pecore! Ecco cosa gli
avevano ricordato a prima vista.
Perché li hai portati qui, brutto schizzato?
Non perse troppo tempo a cercare una risposta.
«Jarvis?» Volò sopra il recinto
immaginario che
aveva realizzato e si fermò al centro. «Che ne
dici di un
mega barbecue?»
«Dico che non
è una buona idea, signore.»
Tony sorrise da sotto al casco allungando entrambe le mani in avanti.
«Lo immaginavo.» Un attimo dopo aveva iniziato a
colpire
con facilità tutti gli sbiancati - Frustor? Fucer? Come li
aveva chiamati, Thor? Fruben?
«Ehi, falco, dovresti sentire che profumino si sente da
queste parti.»
«E tu dovresti
sentire come mi sto gelando il culo dalle mie. Mi hai lasciato su
questo tetto da ore, Stark!»
Tony rise e abbrustolì l'ultimo Fruxer - se l'era ricordato
alla fine.
«Hai finito le frecce, Robin?»
«No, ho finito
i bersagli, perciò vieni a recuperarmi ché mi
sono divertito poco oggi.»
Ormai non c'era più ombra di sbiancati o Fruxer o pecore
in giro. Dovevano solo andare a prendere a calci quel rompiscatole e
sperare che stavolta Thor decidesse di fargliene dare qualcuno anche a
lui.
Volò in direzione del palazzo dove intravide facilmente la
sagoma di Clint.
Anche Tony si era divertito poco quel giorno, e un barbecue non bastava
di certo.
«Sono da te fra cinque secondi. Lanciati.»
«Cosa? Senti,
Stark, non sono in-»
«4, 3, 2...»
«Oh, DANNAZIONE!»
Quando sentì il peso di Clint colpirlo sulla schiena
sentì anche quello di un paio di pugni. «Pazzo
bastardo!»
Per fortuna la Mark non era permalosa.
*
Aveva capito che c'era qualcosa che non andava ma avrebbe dovuto
capirlo prima di ritrovarsi con le spalle contro il tronco di un albero
e con il corpo bloccato da cerchi di energia - luce? Magia? Qualsiasi
cosa fossero non riusciva a muovere un muscolo.
«Mi dispiacerebbe farti del male, soldato, ma non posso
lasciarti
ficcare il naso. Non costringermi a segnare quel tuo bel
viso.»
La donna di fronte a lui teneva una mano tesa davanti a sé e
Steve era certo che fosse una specie di maga o roba simile, di certo
un'alleata di Loki.
Era in momenti come quello che si sentiva davvero solo un ragazzotto
del '40.
Guardò oltre le spalle della donna, di nuovo verso Thor che
sembrava immobile quanto lui, ma decisamente in una posizione peggiore,
visto che la persona che gli si stava avvicinando era quel folle di suo
fratello.
«Lasciami andare, chiunque tu sia.»
Provò a
divincolarsi senza successo. Loki nel frattempo lo aveva raggiunto.
«Thor?» lo chiamò ma non
sembrò sentirlo.
«THOR?»
«È inutile, bel soldato, non può
sentirti.»
«Chi sei? Cosa vuole Loki stavolta?»
La donna sorrise da sotto una cascata di capelli così chiari
da
sembrare d'argento, e fece qualche passo verso di lui.
Steve tornò a guardare ciò che accadeva a qualche
decina di metri.
«Cosa vuole? Quello che vuole da sempre.»
«Di che parli?»
Era bella, anche troppo, di una bellezza che chiaramente aveva poco a
che vedere con l'essere umana. Ormai aveva imparato a farsi poche
domande perché tutte le risposte erano di difficile
comprensione
- di impossibile accettazione. E in guerra se perdi un secondo di
troppo a pensare, puoi beccarti un proiettile, se sei fortunato.
«Ti basti sapere questo: se Loki otterrà quello
che vuole,
non dovrete più preoccuparvi di lui. Non è una
buona
notizia, bel soldato?»
Respirò sempre più a fondo ma quando vide Thor
accasciarsi al suolo tentò nuovamente di liberarsi.
«Thor? - Maledetta, lasciami andare!»
La donna gli diede le spalle e con un gesto della mano fece svanire i
cerchi di luce. Steve si ritrovò in ginocchio ma si mise
velocemente in piedi.
«Cercate di andare d'accordo, ho sentito dire che ha un
carattere difficile.»
Non capì le sue parole ché la vide letteralmente
sparire.
«Thor?» Da lontano il corpo non sembrava si
muovesse.
Cercò Loki: non c'era.
Iniziò a correre.
*
«Nat, che ti è successo?» Clint la
osservò
mentre si toglieva qualcosa dai capelli e ghignò divertito.
«Non sono brandelli di carne, vero?»
«No, è un fermaglio all'ultimo grido»
sospirò lei pulendosi le mani addosso. «E tu che
hai? Mi
sembri alquanto pallido.»
«Un pessimo volo, tutto qui.»
«Servizio di prima classe, però. Diamo onore al
merito.»
Iron man atterrò accanto a loro e Clint gli
lanciò un'occhiataccia appuntita come i suoi dardi.
«“Merito” un corno, Stark!»
«La prossima volta prendi l'ascensore.»
«Oh, lo farò, non dubitarne.»
«Signore,
calmatevi. Allora, sono finiti?» chiese Natasha e Clint
annuì. Sì, erano finiti, purtroppo.
Non era stata una battaglia epica, aveva avuto appena il tempo di
scaldare le dita. Quei così si facevano colpire come se
fossero
nati per essere infilzati dalle sue frecce.
Un lavoro ordinario, troppo ordinario.
Prese a regolare l'arco mentre sentiva nelle orecchie la voce di Steve.
«Ragazzi?»
«Capitano, tu hai ancora qualche culo pallido da far
fuori?» chiese sorridendo a Nat, ma la voce di Steve gli
rispose
con troppa agitazione.
«Thor... Non
lo so, credo stia male!»
Aveva già afferrato una spalla di Iron Man.
«Arriviamo.»
Nat si appropriò dell'altra.
«Cerca di non vomitarmi addosso, Barton, d'accordo?»
Strine il metallo e sospirò.
Forse no, non era per nulla un lavoro ordinario.
*
Quando era arrivata la chiamata, Bruce era nel suo laboratorio.
“Un attacco al centro di New York.” Aveva tuonato
Fury da uno schermo.
“Chi?” Aveva chiesto Steve.
“Loki e qualche amico.”
Tutti avevano sbuffato. Thor non aveva detto una sola parola.
“Se abbiamo bisogno...”
“Fatemi un fischio.”
E poi erano tutti scesi in campo.
Bruce no, Bruce non scendeva in campo se poteva evitarlo. Bruce non
poteva permettere che l'altro facesse più casini di quelli
che doveva aiutare a sistemare.
Non aveva neanche acceso la tivù, non gli piaceva vederli e
non
essere lì, non gli piaceva sentirsi in qualche modo in
colpa.
È per il loro bene, si diceva.
Quando avranno bisogno di me, mi chiameranno. Dio, fa' che non abbiano
bisogno di me.
Stava digitando qualcosa al pc quando aveva udito l'ennesima
esplosione.
Ignorarla era difficile e non aiutava, ma nessuno lo aveva chiamato.
Le cose non erano così drammatiche.
Non era la prima volta, sarebbe andata bene anche quel giorno.
Poi Jarvis aveva parlato e lui aveva poggiato gli occhiali sulla
scrivania.
«Dottore, il
signor Stark chiede di lei.»
La sua armatura la indossava sempre senza alcun orgoglio.
«Dove sono, Jarvis?»
«In soggiorno,
dottore.»
Guardò inconsciamente verso l'alto come volesse chiedere
alla A.I. di Tony di leggergli nella mente.
In soggiorno?
«Stanno tutti
bene ma chiedono di lei.»
Prima o poi avrebbe dovuto domandargli come diavolo l'avesse
programmato.
*
Il ghiaccio tintinnò nel bicchiere e dopo fu lo scrosciare
del whisky a risuonare nella stanza.
«Qualcuno ne vuole uno?» Nessuno gli
rispose e Steve gli
aveva appena tirato un destro micidiale con una sola occhiata
– e
lui non indossava più la Mark. «Ok, come non
detto.»
Poggiò la bottiglia sul bancone e raggiunse gli altri che
continuavano a guardare il divano come se vi fosse adagiata la Sacra
Sindone.
Avevano cercato Bruce per avere qualcuno che riuscisse a capire cosa
diavolo fosse successo a Thor e invece il buon dottore aveva solo
sgranato gli occhi e detto un balbettante “C-che?!”
Molto, molto scientifico.
«Beh, respira, è già un fatto
positivo»
sospirò bevendo un sorso generoso di alcol. Solo Clint lo
guardò mentre gli altri erano ancora troppo occupati a non
dire
nulla.
«È stato Loki, questo mi pare ovvio.» La
verità uscì dalla bocca di Bruce.
«Speravamo in qualcosa di più preciso, dottore.
Sei tu l'esperto.»
«Esperto? No, no, io sono un dottore in fisica, non in
anatomia - ho dato solo quattro esami in medicina, per la cronaca -e
mi sembra chiaro che qui la questione sia un tantino
anatomica.»
«Molto anatomica, direi.» Ah, Clint, meno male che
c'era lui. Tony gli lanciò un sorriso obliquo che Barton
ricambiò solo in parte avvertendo addosso come aghi aguzzi
gli
occhi di Steve.
«Siamo sicuri almeno che sia Thor?» chiese ancora
Bruce.
«Sì, l'ho visto io accasciarsi al suolo ed era...
era Thor, ma quando l'ho raggiunto...»
«Hai trovato Aurora[1].
Chiaro, Cap.» Finì
il suo
whisky e decise che era meglio farsene un altro, almeno prima di
parlare con Fury. Non credeva avrebbe preso positivamente la notizia
che uno dei suoi campioni, come amava definirli il fu Thor, fosse
stato
convertito in una coniglietta di Playboy - da quel poco che lasciava
intravedere l'armatura adesso troppo larga, le curve erano tutte a loro
posto.
«Perché Loki ha trasformato Thor in una donna?
Poteva
ucciderlo, ne ha avuto l'occasione.» Steve parlò
ancora continuando a tenere lo sguardo fisso sulla donna che sembrava
dormire profondamente.
«Perché è uno psicopatico con manie di
grandezza e sessualmente confuso?» suggerì Clint.
«O perché gli era utile.» La risposta di
Natasha era molto simile a quella che si era dato lui.
Ormai era chiaro che l'attacco di quei pecoroni era stato solo un
modo per tenerli occupati e permettere a Loki di portare a termine quel
suo bizzarro piano.
«Utile per cosa?»
Un brontolio però non permise a Bruce di avere risposta.
Tony buttò giù in un solo sorso il nuovo shot e
si
poggiò con i gomiti allo schienale del divano guardando due
palpebre che si sollevavano.
Sapeva che Steve non l'avrebbe presa bene ma, al diavolo, lo avrebbe
fatto lo stesso.
Sorrise e... «Buongiorno, principessa.»
***
Note:
[1] Aurora
è il nome della Bella
Addormentata nell'omonima fiaba.
|
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Capitolo 2 *** Ombre dal passato ***
cap2
L' ultima lacrima
II.
Era nel bel
mezzo di una
lezione quando l'insolito brusio era iniziato.
Jane non gli aveva prestato troppa attenzione, poi i suoi studenti
avevano iniziato a prestare meno attenzione a lei e molta di
più
ai loro smartphone.
«Ragazzi, al test non accetterò-»
«New York è stata attaccata!»
Il cuore di Jane aveva battuto appena un po' più forte.
«Gli Avengers stanno combattendo vicino Central
Park!»
«Forza, adesso spegnete quegli affari e-»
«È Loki!»
«Ancora?»
Si era limitata a sospirare guardando una cattedra di legno con troppi
graffi.
*
Se c'era una dote che Thor possedeva in quantità eccessiva
era l'irruenza.
Questo Tony lo sapeva bene e a ricordarglielo c'erano ancora varie
ammaccature di altrettante varie Mark, c'era quella sagoma inquietante
di un troll nell'atrio della Stark Tower e c'era anche Pepper che gli
ripeteva di continuo di non stuzzicare due metri di furia asgardiana
quando erano in casa.
Era perciò preparato a vedere la sua amabile e perfetta
abitazione da supermiliardario essere completamente rasa al suolo nel
momento in cui il caro e barbuto amico si fosse accorto dell'assenza
della barba e della comparsa di due simpatiche protuberanze sul petto.
Tutti a terra!
Si era anche già schiarito la voce per urlarlo e invece...
«Ancora uno, per favore.» E invece Thor era al
secondo
whisky e sembrava reggerlo malissimo visto l'occhio lucido e il leggero
tremolio della voce, e di solito Thor, il whisky lo usava per
sciacquarsi la bocca prima di qualcosa di più forte....
Tony riempì comunque il bicchiere.
«Ghiaccio?»
Thor scosse la testa e la massa di morbide onde bionde, troppo
femminili anche per uno che solitamente sfoggiava orgoglioso virili treccine.
Il vetro vuoto cozzò sul bancone.
«Ancor-a...» Poi si portò una mano alla
fronte chiudendo gli occhi.
Ecco, ora avrebbe anche vomitato sul marmo di Carrara.
Pepper mi
ucciderà sul serio, pensò fra
sé.
«Mi gira la testa.»
«Va bene, stenditi un momento e basta con questi.»
Bruce
aveva afferrato il braccio, insolitamente troppo magro, e l'aveva
accompagnato sul divano, insolitamente ancora intero.
Thor era, soprattutto, insolitamente docile.
«Thor, se per te non è un problema, vorrei farti
delle
analisi e qualche prelievo. Ho il sospetto che qualunque cosa abbia
fatto Loki non abbia cambiato solo il tuo aspetto esteriore.»
«Cosa intendi dire?» chiese Steve ancora in tutina
luccicante.
Bruce prese un respiro e si tolse gli occhiali.
«Ha bevuto due bicchieri ed è già k.o.
Fai due
più due, capitano.» Si intromise Tony,
perché era
alquanto chiaro che in quel momento il loro compagno non fosse
propriamente un Dio, come millantavano tanto quelli della sua stramba
famiglia.
Steve non rispose ma sembrò fare quattro.
«Fai pure ciò che devi, Bruce.»
Quella voce non aveva nulla a che vedere con il cavernoso tono con cui
era solito sentirlo, e Tony faceva fatica a non trovare la situazione
di una sottile ironia.
Non c'era molto su cui fare ironia però, questo poteva
ammetterlo almeno a se stesso, perché se quel mezzo - anzi,
meglio togliere il “mezzo”- sciroccato aveva deciso
che
evirare suo fratello fosse necessario al suo chissà quale
nuovo
piano, non potevano di certo stare sereni. Con molta
probabilità
lo avrebbero visto comparire molto presto: Loki amava fare encore
così come amava essere insopportabile.
Stranamente gli riusciva malissimo la prima ma perfettamente la seconda.
«Vieni in laboratorio e-»
«No.» Thor si alzò cercando di non
ricadere il
secondo successivo con il sedere sul divano. «Devo recuperare
Mjolnir.»
«È a Central Park.» Lo
informò Natasha.
«C'è una squadra a sorvegliarlo, non
preoccuparti.»
«E poi dubito che qualcuno provi a sollevarlo, almeno che non
brami un'ernia inguinale.»
Bruce insospettatamente sorrise alla sua battuta, Thor no.
Thor non lo faceva quasi mai, di solito perché non capiva il
suo
umorismo. Tony lo perdonava perché era un Asgardiano con
gravi
problemi interfamiliari e con una complicata relazione a superdistanza.
Chi proprio non perdonava era Steve Rogers che ormai aveva avuto
abbastanza tempo per aggiornare il suo firmware mentale, e
invece era ancora fermo all'obsoleta versione 1940.
«Tony ha ragione, Thor. Facciamo quegli esami e poi andrai a
recuperare il tuo martello. Non ci vorrà molto.»
«Guarda che puoi fidarti: ha superato ben quattro esami di
medicina!»
Non sembrava convinto, pensò Tony, perché aveva
corrucciato la fronte. Certe cose restavano le stesse anche quando ti
sottoponevi all'intervento di cambio sesso più veloce e
più riuscito della storia.
«Dobbiamo essere sicuri che tuo fratello non ci abbia fatto
qualche altro regalo.» Clint ancora non gliel'aveva
perdonata.
Nessuno gliel'aveva perdonata.
Tony a volte ancora vedeva Phil entrare non invitato dalla porta.
Si andava avanti perché la vita era così,
perché
si poteva finire sotto le macerie della propria casa, si poteva finire
inghiottiti da un buco nero o farsi scoppiare il cervello in pieno
spazio aperto, e allora vivere ogni giorno con una pessima battuta e un
trucchetto da quattro soldi era l'unica soluzione.
Lui aveva Pepper, e quando sarebbe crepato avrebbe avuto qualcosa da
rimpiangere.
Alla fine Thor annuì silente e seguì Bruce in
ascensore.
Steve ingoiò visibilmente un sospiro e Tony
guardò di nuovo la bottiglia di whisky.
*
«Premi qui.»
«Va bene.»
Bruce poggiò un batuffolo di ovatta all'interno del gomito
sentendo le dita di Thor prendere il posto delle sue. Dita troppo
piccole, troppo sottili. Troppo morbide.
«Ti spiace se faccio anche qualche lastra? È
solo-»
«Puoi fare tutti gli esami che ritieni utili, Bruce. Ti ho
già detto di non preoccuparti. Conosco fin troppo bene
l'esito.»
La prima volta che Hulk aveva preso il sopravvento a Bruce era quasi
scoppiata la testa, il cuore poi... Era meglio non parlarne.
Thor non era diventato un mostro rabbioso verde né un
assassino
incontrollabile, eppure Bruce capì che quel tono non era il
risultato di un insospettato autocontrollo, era altro, un sofferente
altro.
«Thor?» Iniziò a verificare sullo
schermo i dati che
venivano rilasciati secondo dopo secondo. «Non è
la prima
volta, vero?»
Thor se ne stava seduto sul lettino d'acciaio con lo sguardo fisso sul
cotone idrofilo e con un accenno di sorriso sulle labbra.
«Come l'hai capito?»
«Ho avuto qualche dubbio quando appena sveglio non hai
distrutto
il soggiorno di Tony - e non hai distrutto Tony dopo che ti ha chiamato
“bionda sexy”.» Gli strappò
una risata stanca.
«È successo molto tempo fa, molte vite fa. A volte
mi sono
chiesto se fosse accaduto davvero o se... Ora mi sembra ben chiara la
risposta.» Non disse altro.
Si udì un sibilo e i risultati comparvero ordinatamente
sulle stringhe del computer.
Bruce li lesse in silenzio, li lesse più volte. Poi
sospirò.
«Sono mortale, vero?»
Annuì semplicemente. «Una perfetta donna
terrestre.»
Non volle sorridere ma Thor lo fece. Piegò le labbra e fece
un
cenno con la testa.
«Era quello che temevo.»
Il piano di Loki acquistava un senso per un verso e non ne aveva ancora
nessuno per un altro: rendere Thor un semplice uomo privo di poteri era
assolutamente un vantaggio, non si chiese come fosse possibile, in
fondo scienza e magia viaggiavano su binari paralleli impossibili da
incrociare. Ma perché una donna? Quale beneficio ne poteva
trarre?
Uno scherzo di cattivo gusto, un modo per divertirsi?
Non sapeva darsi reale risposta; Loki, non l'aveva mai voluto
comprendere troppo.
Thor aveva anche confermato i suoi dubbi: non era la prima volta.
«Anche allora fu per colpa di Loki?» Magari era
sono un tiro mancino crudelmente riciclato.
«No» rispose ancora stancamene Thor. Il whisky
invecchiato di Tony iniziava a fare effetto.
«Aspetta, prendi due di queste.» Afferrò
dalla
scrivania il barattolino di aspirine e gliele versò nel
palmo di
una mano. Riempì una tazza con dell'acqua e gliela porse.
«Ti aiuteranno con il mal di testa.»
«Sì, le prende anche Jane, a volte.»
Jane... Jane aveva più coraggio di lui senza ombra di
dubbio,
perché ci voleva coraggio ad amare qualcuno come Thor, ci
voleva
coraggio a farsi bastare quei pochi frammenti di vita, ci voleva
coraggio, o forse solo fiducia.
Bruce non credeva di averne poi molto di entrambi.
«Capirà, vedrai. Jane ne ha viste molte, non
sverrà per la scomparsa di un cromosoma.»
Thor sorrise e ingoiò le aspirine. Bruce evitò di
chiedersi se avesse almeno capito la sua stupida battuta. Jane
sì, l'avrebbe capita, ma forse non avrebbe sorriso.
«La notizia positiva è che stai bene, i valori
sono nella
norma e non c'è nulla di... strano nel tuo corpo.»
Allungò una maglia per farlo coprire e Thor la prese senza
però indossarla.
«Nulla?» gli chiese e Bruce scosse il capo confuso.
«Cosa intendi dire?» Aveva fatto dei semplici esami
di
routine, qualche lastra, magari una risonanza sarebbe stata utile, ma
per adesso non aveva riportato alla luce nulla al di fuori dell'ovvia
realtà che aveva di fronte.
Thor indossò la maglia e non aggiunse altro.
Non doveva essere facile per lui, pensò Bruce, di certo non
poteva essere facile.
«Puoi stare tranquillo, Thor, davvero non c'è
nulla di strano nel tuo corpo... Beh, relativamente parlando.»
Strano.
Era tutto decisamente strano, e se non fosse stato il dr.
Banner, pioniere nello studio delle radiazioni gamma e coinquilino di
Hulk, avrebbe anche sprecato del tempo a interrogarsi del
perché.
«Solo... posso chiederti come sei tornato uomo l'ultima
volta?»
«Loki mi aiutò.» Thor sembrava non
volesse parlarne,
ma Bruce aveva lo sguardo occupato dai monitor per vedere l'ombra buia
che copriva i suoi occhi.
«In che modo?» Poi la vide e sospirò
colpevole.
«In un modo che non può più
funzionare.» Thor
saltò giù dal lettino. «Devo riprendere
Mjolnir.»
Quando entrò in ascensore Bruce tornò a guardare
i dati senza realmente vederli.
La doppia elica del DNA continuava a girare.
*
«Cosa
significa?» Fury non l'aveva presa bene.
«Non
solo ve lo siete lasciati scappare, di nuovo, ma ora venite a
raccontarmi che Thor è una donna?»
«Una donna mortale... » sottolineò Tony
e Fury non
prese bene neanche quello. «Bruce me lo confermerà
a
breve.»
Steve respirò a fondo e guardò il grosso viso del
suo capo che troneggiava sulla parete.
«Signore, non potevamo prevederlo, avremmo cercato di
impedirlo altrimenti.»
«Capitano, cercare
non fa vincere le
battaglie. Dovresti saperlo bene.»
«Lo so, signore, è lo spirito di squadra che fa
vincere le battaglie e per questo non abbandoneremo Thor.»
«Non vi ho
chiesto nulla di simile.»
«Meglio così» si intromise di nuovo
Tony. «Loki non l'ha fatto da solo.»
Già, e lui era stato così stupido da non
accorgersi di quella donna e delle sue intenzioni.
«C'era una donna, aveva degli strani poteri e-»
«Quale donna?» Thor era appena entrato nella
stanza. Non
indossava più la parte superiore dell'armatura - il suo
attuale
corpo probabilmente non gli permetteva di sostenerla - ma una semplice
maglia troppo ampia, Steve ricordò di averla vista un giorno
sulle spalle di Tony.
Quella ragazza era Thor? Era il suo buon amico con cui faceva lunghe
chiacchierate? Con cui si sentiva un po' meno estraneo e con cui poteva
lamentarsi di cose che ancora non capiva?
Era lo stesso Thor con cui
boxava per ore senza doversi trattenere, lo stesso che gli diceva che
non c'era nulla di male a lasciare andare un po' di rabbia, che perdere
il controllo poteva anche salvarti la vita?
Gli occhi avevano lo stesso colore, i capelli anche, il resto non lo
riconosceva.
Non abbandoneremo Thor.
Era un giuramento.
«C'era una donna, bionda, alta... molto bella. Lei mi ha
impedito
di muovermi e di aiutarti quando... Avrei dovuto essere più
prudente.»
«No, non avresti potuto far nulla, anzi, è un bene
che non ti abbia fatto davvero del male, Steve.»
Aggrottò la fronte. «Tu sai chi
è?»
Restò una domanda priva di risposta.
Quando Thor entrò nel campo visivo di Fury, Steve
notò un profondo respiro sollevare le spalle dell'uomo.
«Sistemerò le cose in breve.» Thor
fronteggiava
l'enorme schermo con la stessa risolutezza con cui scendeva in campo.
Steve lo aveva sempre ammirato per questo.
«Recupererò
Mjolnir e poi andrò a cercare Loki.»
«E dopo lo
lascerai andare. Thor, abbiamo già avuto questa
conversazione perciò-»
«Stavolta no, stavolta è diverso.»
«Thor...»
«Loki pagherà.»
Steve riconobbe un po' del suo compagno in quel viso determinato,
riconobbe la lotta che Thor viveva ogni volta che c'era Loki di mezzo.
Riconobbe però anche la fermezza a rispettare
la parola
data. Stavolta era davvero diverso.
Perché era diverso?
Fury osservò tutto in denso silenzio poi fece un cenno con
la
testa. «Farò
in modo che non ci siano elicotteri o
telecamere a riprendere la zona. Non ho voglia di spiegare a quegli
idioti perché il nostro alleato asgardiano ha le extension.
Fate
in fretta.»
Poi sparì.
«Extension?»
«Lascia stare, Rogers, non abbiamo tempo per spiegarti le
innovazioni in campo hair style degli ultimi anni.» Tony lo
affiancò ed entrambi si ritrovarono a guardare verso di
Thor.
«Chi era quella donna, Thor?»
«Il suo nome è Amora ed è
pericolosa.»
Steve se n'era reso conto anche se non le aveva visto fare altro che
tenerlo fermo con un semplice gesto della mano. Proprio per questo si
era chiesto cos'altro avrebbe potuto fare.
«È anche lei di Asgard?» chiese Tony.
«Non proprio, però ha vissuto per un lasso di
tempo alla
corte di mio padre. La chiamano Incantatrice.»
Benché la
voce fosse diversa, Steve percepì in Thor comunque il tono
preoccupato. Se ne stava con lo sguardo pieno di pensieri e poche
verità sulle labbra. Non si chiese quali altre fossero ferme
sulla punta della sua lingua.
«È una specie di maga, quindi?» Thor
annuì e
lui trattenne un sospiro. «Ed è un'alleata di
Loki.
Perfetto.»
«Loki e Amora non sono mai andati d'accordo, al contrario,
evitavano anche di trovarsi nello stesso luogo nello stesso
momento.»
«E perché lo sta aiutando?» Non aveva un
grande
senso quell'alleanza se entrambi erano apertamente avversi l'uno
all'altra.
«Ah, ho capito. È chiaro. Ovvio»
sentenziò
Tony facendo quella fastidiosissima cosa con il naso che Steve
letteralmente odiava.
«Cosa è ovvio, Stark?» chiese senza
nascondere la sua irritazione.
Tony era un genio - parole sue -, una persona brillante e preparata.
Sul campo Steve si fidava di lui come di ogni altro dei suoi compagni.
Sul campo Captain America e Iron Man sapevano essere una cosa sola.
Tolta l'armatura, era l'essere più arrogante e fastidioso
del pianeta.
Steven Rogers e Tony Stark sarebbero sempre stati due opposti
incompatibili.
«Allearsi con una tua ex. Tuo fratello è proprio
una carogna, Thor.»
Ex?
Steve guardò verso quel nuovo viso che si limitò
a
restare in silenzio mentre si scostava una ciocca che cadeva
stancamente sulla fronte.
Non negò.
Così quella bella donna pericolosa era stata una fidanzata
di Thor.
Thor amava parlare di due cose: di Asgard e di Jane.
Amora faceva di certo parte della prima, eppure Steve non l'aveva
sentita nominare fino a quel momento.
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non
avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche
dubbio.
“Perché
continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché
io so che c'è del buono.”
Steve smetteva di chiedere, Thor smetteva di parlare, e finivano con il
boxare fino a notte fonda.
«Devo recuperare Mjolnir.»
«Aspetta.» Steve lo bloccò e i nuovi
occhi di Thor
si voltarono a guardarlo. «Ora sei umano, Thor, sei sicuro di
poter... insomma, puoi usare la tua arma?»
Thor gli sorrise. «Comprendo i tuoi dubbi, amico mio, ma
questa nuova forma non è un limite.»
«La forma forse no - a proposito, ancora complimenti
- ma il peso di quel coso sì» aggiunse
Tony ma Thor
continuò a sorridere sicuro.
«Mjolnir è legato alla spirito di chi lo impugna e
lo
spirito esula dalla natura del corpo. Uomo, donna, non ha importanza.
Retaggio e razza non contano. Ciò che conta è
essere
degni della sua difesa.»
«Quindi anche un umano potrebbe sollevarlo se fosse
degno?»
chiese ancora incerto Steve, cercando di comprendere ancora una volta
quel mondo lontano e così diverso che Thor chiamava casa.
«Esattamente.»
«Quand'è così.» Tony avvolse
un braccio
attorno alle spalle di Thor - cosa che gli fu possibile avendo in quel
momento quasi la medesima altezza - e lo accompagnò verso
l'ascensore. «Clint e la Romanoff ti stanno aspettando nel
parcheggio sotterraneo. Coraggio, bambola, non farli
attendere.»
Le porte si chiusero quando Thor fu nella cabina e Steve non
riuscì a trattenersi dal lanciare un'occhiataccia a colui
che
avrebbe dovuto essere la mente brillante della squadra.
«Di' un po', Stark, ti diverte tutta questa
situazione?»
Quel sorriso strafottente era una risposta assordante.
*
Bruce stava ricontrollando per l'ennesima volta i dati quando
aveva sentito il cellulare vibrare sul tavolo. Lo aveva ignorato ma
quando aveva continuato a tremare per i successivi cinque minuti lo
aveva raccolto con un sospiro.
Il nome sullo schermo lo fece sospirare ancora una volta.
Tentennò a rispondere cercando sulla linguale parole da
dire,
ponderando se essere diretto o più evasivo, se usare un tono
allegro o serio.
Non riuscì a trovare una risposta soddisfacente.
Rispose e decise di darle l'unica cosa che meritava, prima che venisse
a saperla da qualcun altro: la verità.
«Ciao, Jane...»
*
«A me sembra assurdo. Tutto.»
Tony guardò Steve con la coda dell'occhio e
continuò a digitare sul suo palmare.
“Tesoro, mi manchi.”
“Cosa hai combinato stavolta?
Dovremo andare in albergo anche stanotte?”
“Al contrario, forse dovremo
preparare una stanza per gli ospiti.”
«Voglio dire: com'è possibile?»
“Sono a casa fra un paio di ore.
Fa' che non debba usare una delle tue Mark contro di te.”
«Cosa? Che stiano dritte senza push-up?»
«Dritte?... Ma che- STARK!»
Sorrise al rossore sul viso del supersoldadino Made In Brooklyn e
poggiò il delicato oggetto sul tavolo.
Se c'era qualcosa di cui sarebbe sempre stato grato allo S.H.I.E.L.D.
era di aver salvato Steve Trollatemi
Rogers e di averlo ibernato affinché arrivasse a lui pronto
per l'uso. L'antistress più funzionale di sempre.
«Rilassati, soldato. Quando Thor recupererà il suo
bel
martello e lo farà rimbalzare un paio di volte sulla testa
di
Loki - a meno che non scivoli sulla brillantina - tornerà
tutto
come prima» affermò alzandosi dal divano e
accendendo la
tv.
Fury aveva fatto un buon lavoro: non c'era una sola emittente che
riuscisse a recuperare immagini da Central Park.
«C'è solo
una cosa che non mi torna - Jarvis, mute.»
La tv continuò a mandare video afoni e Tony
guardò dritto
verso il suo antistress. «La sua reazione.»
«Di Thor?»
Aprì le braccia enfatico. «E di chi altri?! Non ti
sembra
strano che non abbia battuto ciglio? Ok, si è bevuto un paio
di
drink ma poi? Niente. Se io mi risvegliassi nel corpo di una donna, nel
senso letterale del termine - e senza interpretazioni di natura
sessuale per quanto dubito tu possa coglierle - come minimo avrei una
crisi
isterica.» O
un attacco di panico.
Steve sollevò le spalle incrociando le braccia
sul petto.
«Magari nel suo mondo non è una cosa insolita che
un uomo
diventi una donna.»
«Neanche da queste parti lo è, credimi, aspetta il
prossimo Gay Pride e poi mi dirai. Quello che intendo dire
è-»
«Non è la prima volta.» Bruce
sbucò in
soggiorno con una penna fra le dita e gli occhiali tenuti stancamente
sul naso. Bruce sembrava fare tutto stancamente, sembrava anche vivere
stancamente. «Thor è già stato una
donna. Tempo fa,
da quello che mi ha detto.»
Tutto chiaro.
«Era quello che pensavo. Beh, ora capisco perché
ha dei capelli così curati.»
«Per favore, Stark.»
«Non mi ha detto cosa è accaduto esattamente ma fu
Loki ad aiutarlo a tornare come prima.»
«Come?» chiese Steve mentre Bruce li raggiungeva -
stancamente.
«Magari con un bacio di vero amore.»
«Dinne un'altra e ti faccio volare io dalla
finestra!»
«Non hai visto Shrek? Devi recuperare, Rogers - e lascia
stare le
finestre, quella è prerogativa dei lavavetri e
degli
dèi psicolabili.» Sorrise sghembo e si
beò di
quell'espressione da meraviglioso repubblicano.
Steve preferì ignorarlo - lo avrebbe fatto ancora per poco -
e
si rivolse ancora a Bruce: «Credi che ci sia un modo per
farlo
tornare come prima? Intendo senza ricorrere a magia e roba
simile.»
«Non penso, Steve. Qui non si tratta di modificare
semplicemente
la forma di un corpo, qualsiasi cosa abbia fatto Loki ha cambiato
completamente il quadro genetico di Thor. È come se fosse
nato
così. Anche i suoi organi interni sono quelli di una
donna.»
«E quelli esterni?» Stavolta fu ignorato anche da
Bruce.
Ah, uomini privi di
ironia.
«Quindi non c'è proprio alcun modo?»
Bruce scosse la testa. «Non esistono tecniche in grado di
fare tanto qui sulla Terra.»
«Dammi qualche anno e poi vedremo, Bruce»
scherzò
recuperando la sua attenzione e riuscendo perfino a farlo sorridere.
Far sorridere Steve invece era praticamente impossibile, soprattutto
quando entrava nella fase
preoccupato-riflessivo-il.mondo.ha.bisogno.di.me. «Ah,
c'è
una novità: abbiamo scoperto l'identità della
donna che
ha sbattuto al muro il nostro capitano - o era un albero?»
«Si chiama Amora, e da quel che dice Thor è
pericolosa.»
«Sì, ma io prenderei con le pinze quello che dice
Thor,
nessuno è mai troppo gentile quando parla dei suoi
ex.»
«Ex?» Ecco Bruce e la sua adorabile espressione da
“sono caduto dal pero” stavolta con i calzoni
ancora
integri.
«Esatto, ora converrete con me che quel poser sfigato
è un vero bastardo.»
«Sì, stavolta convengo, Stark.»
Il mondo avrebbe smesso di girare presto: Steve gli aveva appena dato
ragione.
*
Per la prima volta da quando lo conosceva Natasha pensò che
Thor avrebbe pianto, avrebbe pianto davvero.
«E ora?» Clint al suo fianco rispecchiava i suoi
stessi pensieri.
«Nulla. Torniamo alla base e cerchiamo un modo per
rintracciare quel figlio di puttana.»
Clint sorrise, Thor teneva ancora lo sguardo fisso sulle sue mani.
Tremavano.
«Ti ho mai detto che amo lavorare con te, Nat?»
«Ogni volta che ti ubriachi.»
Thor non lasciò andare una sola lacrima eppure Natasha le
vide tutte.
₪₪₪
Su una panchina, dietro la coltre di macchine nere e assassini
mascherati da colletti bianchi, un uomo leggeva un libro.
Copertina scarlatta, titolo d'oro. Parole scritte in un tempo lontano.
Una foglia cadde dall'albero accanto finendo con il posarsi fra le
pagine del suo volume. La prese fra le dita e la fece roteare tenendola
per il debole stelo. I suoi occhi guardarono oltre la foglia, oltre le
auto, oltre i volti con scure lenti.
Guardarono il viso di una donna che piangeva lacrime invisibili, che
urlava nel silenzio di un respiro troppo accelerato.
I biondi capelli le ricadevano scomposti sulle spalle.
Un'altra donna le si avvicinò, capelli rossi come il sangue
alla luce della luna.
L'uomo lasciò cadere la foglia nel libro e lo chiuse.
Si alzò e con lenti passi si allontanò.
Alle sue spalle una coltre di macchine nere e assassini mascherati da
colletti bianchi.
Alle sue spalle una panchina vuota e un vecchio libro dal titolo d'oro:
La leggenda di Nygis.
***
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Capitolo 3 *** Vorticare di domande ***
cap3
L' ultima lacrima
III.
Aveva lunghi capelli neri, vispi
occhi color zaffiro, mani calde e morbide. Mani strette nelle sue.
Thor le
sfiorò il viso e sorrise.
Il sole era una carezza
sulla pelle, Asgard era bella come in ogni altro giorno.
«Padre?»
Occhi tanto simili ai
suoi eppure così diversi.
«Cosa
c'è?»
«Mi ami,
padre?»
Thor le baciò
dolcemente la fronte.
«Più
della mia vita.»
Lei sorrise, il sorriso
dolce e furbo che non poteva non riconoscere.
«E faresti di
tutto per me?»
«Ogni cosa e
anche oltre.» Sentirla ridere era il più bel dono
che potesse esistere. «Chiedimi e avrai.»
«Posso avere
quell'astro lassù?» La piccola mano
indicò la stella che bruciava rovente nel cielo.
«È
tuo.»
«E anche la
forza di quest'albero?»
«È
tua.»
«E l'oro dei
tuoi capelli?»
«Dammi una
lama e lo avrai.»
Rise ancora e le braccia
si strinsero teneramente attorno alle sue spalle.
Thor sentiva battere il
piccolo cuore contro il suo petto.
Poi si fermò.
Il suo calore, il suo
cuore.
Tutto si
fermò.
«Padre...
Perché?»
Le braccia lo
strinsero più forte. Le nuvole grigie e torbide
macchiarono l'azzurro della volta.
«Diglielo.
Merita di sapere.»
La voce
arrivò dal suo fianco. Thor vide la donna che lo guardava
con
una sola lacrima a rigarle una guancia.
«Perché,
padre?»
Quando la bambina lo
guardò anche il suo volto lacrimava.
«Perché non mi hai permesso di nascere?»
Un fulmine
tagliò il cielo.
Erano passati secoli da quando aveva visto quel viso, il viso che aveva
sognato a lungo, che aveva disegnato nei suoi pensieri e nelle sue
speranze quella notte, quel viso che aveva amato anche se non aveva mai
potuto sfiorarlo con le dita.
Si mise a sedere respirando brevi e veloci ansiti.
Il sole era calato, New York si preparava a sprofondare nell'abbraccio
della notte.
Bruce gli aveva dato altre pasticche; le aveva prese senza chiedere
cosa fossero e poi aveva avuto sonno.
Tony aveva già preparato una stanza.
Guardò le sue mani, piccole, mortali, vuote e
sentì il peso di mille colpe gravare sulle spalle.
Si toccò un ventre altrettanto vuoto e una sola lacrima
rigò la sua guancia.
*
«Penso siano collegate a quanto successo a Thor.»
«Lo credo anche io.»
«Ovviamente non possiamo sapere cosa significhino
finché non si sveglia.»
«Ammesso che lo sappia.»
Steve ascoltò ancora Natasha e Tony parlare mentre teneva
gli
occhi fissi sulle figure che si disegnavano sul tavolo di vetro del
laboratorio.
Quando Thor era tornato ed era tornato senza il suo fedele Mjolnir,
Steve aveva capito che la situazione era
più grave di quanto avevano creduto. Tony aveva scherzato,
come
il suo solito, e lui aveva avuto la cattiva idea di lasciarsi
tranquillizzare dalle sue parole.
Gli occhi di Thor invece lo avevano riportato con i piedi a terra e ora
c'era davvero poco su cui scherzare.
Dal grafico tridimensionale che si sollevava dalla superficie piana, si
riconosceva la sagoma del martello e tre simboli a distanza di tre
metri circa da esso, diramati con precisione quasi chirurgica a nord, a
sudovest e a sudest. Era stata Natasha a notarli.
Simboli non casuali, ovviamente. Nulla era casuale quando si parlava di
Loki.
Allungò una mano ma toccò solo l'aria.
«Sono rune» affermò.
«Rune? Come fai a saperlo? Ah, forse eri presente quando le
hanno
inventate, giusto?» scherzò prevedibile
Tony e Steve
continuò a guardare i tre simboli.
«Thor mi mostrò un libro tempo fa, parlava di
Asgard e di
altri luoghi. C'erano simboli come questi e disse che si chiamavano
rune. Sono legate alla magia o più in generale alle
tradizioni
delle sue genti. Più di questo non saprei dirvi.»
Quando sollevò lo sguardo Natasha lo fissava impenetrabile e
Tony...
Era meglio ignorare la sua espressione sconcertata.
«Tu e Thor che leggete libri?»
«Piantala...» gli intimò calmo.
«No, fammi capire.» Se lo ritrovò
accanto con una
mano sulla spalla e un sorriso fastidioso sulle labbra. «Tu e
Point Break, fra una boxata e l'altra, vi dilettate in letture
esoteriche?» Scrollò la spalla per fargli togliere
la
mano. Riuscì solo in quello, il sorrisetto era ancora tutto
lì. «Correte anche nudi sotto la luna
piena?»
«Qualunque cosa abbiano fatto Loki e quella donna, comincia
da
questi simboli.» Tornò al fulcro della situazione
ricevendo solo l'attenzione di Natasha. Quando Tony iniziava a fare
l'idiota preferiva non badare proprio alla sua presenza.
«Thor ha detto che questa Amora è pericolosa,
c'è
la possibilità che sia più abile di Loki in
questo
campo.»
«Nella magia, dici?»
Natasha annuì. «Ha detto che non andavano
d'accordo,
l'unico motivo per cui adesso sono dalla stessa parte può
essere
solo uno: hanno bisogno l'uno dell'altra.»
«O vogliono la stessa cosa» ragionò a
voce alta.
«Il nemico del tuo nemico è mio amico.»
Annuì alla frase di Natasha con un sospiro mal celato.
Non
importava quale fosse il campo, quali fossero gli avversari, da quale
mondo, Era o follia arrivassero: alla fine la guerra aveva sempre le
stesse regole.
«Solo Thor può aiutarci... Dorme
ancora?» chiese.
«Bruce gli ha dato un paio di Halcion[1],
e se conti
i due whisky, credo dormirà ancora per un
po'.»
«Non l'ho mai visto così... così
perso»
sospirò. Era difficile guardare il suo viso e non trovarvi
il
sorriso gioviale e rassicurante.
“Andrà tutto bene, Steve.” Diceva anche
quando la bilancia della battaglia non pendeva in loro favore.
Steve gli credeva e poi andava bene.
Thor sorrideva e tutti andavano a bere, e loro finivano sempre con
l'aiutare Bruce a rimettere in ordine quando Tony sveniva ubriaco sul
pavimento insieme a Clint e Natasha si limitava a scuotere la testa
sorseggiando una vodka.
Era la cosa più vicina a una famiglia che Steve potesse
chiedere
e
Thor era la persona più vicina a un fratello che potesse
avere.
Thor era un buon fratello, ed era per questo che non aveva
meritato una sola volta la follia e l'odio che Loki gli aveva versato
addosso.
Un odio incomprensibile, un odio con ragioni che forse avevano qualcosa
a che fare con lo sguardo con cui era tornato da Central Park.
Perso.
«Tornerà quello di un tempo, capitano.»
Natasha gli
regalò un sorriso sbilenco ed era tutto ciò che
sapeva
aveva da offrirgli, perché la comprensione non la regali
quando
non la conosci, non la doni quando non ne capisci il senso
né ne
provi il bisogno.
Natasha gli ricordava Peggy, in alcuni momenti, rivedeva labbra rosse e
una forza che ne eguagliava la bellezza.
Ricambiò quel sorriso e si rese conto solo allora che Tony
non
era più nella stanza. Lo cercò con gli occhi
senza
trovarlo.
«Dov'è finito Stark?»
«Non mi stupirei se stesse accucciato davanti al buco della
serratura della stanza di Thor.»
Steve impallidì. «Non ne sarebbe capace,
vero?»
chiese con un tono che fece sorridere stavolta più
dolcemente la
sua collega.
«Più che altro non credo ne abbia
bisogno.»
Seguì il suo indice e incrociò l'occhio rosso di
una
telecamera. «Ce ne sono in ogni angolo della Stark
Tower.»
Tornò a guardare il suo viso. «Non lo trovi, non
so, un tantino-»
«Morboso?»
«Scorretto.»
«Parliamo di Tony, capitano. Lui direbbe che è
divertente.»
La telecamera li stava ancora guardando. Steve tornò a
preoccuparsi dei simboli decidendo che Natasha poteva avere
più
che ragione.
*
Solo quando si trovò una busta di chips e la puzza -
perché era puzza - di formaggio sotto al naso, Bruce
capì
di non essere più solo.
«Da quanto tempo non controlli il colesterolo,
Tony?»
«Iron Man non teme il colesterolo.»
«Iron Man non ha un sistema cardiovascolare che potrebbe
ostruirsi causandogli una trombosi o un arresto cardiaco.»
«Non eri un dottore in fisica?»
Staccò solo allora gli occhi dallo schermo per portarli sul
sorriso sornione di Tony.
«Non parlavo come dottore, ma come amico.»
Affondò
la mano nella busta rumorosa prendendo una sola patatina.
«Non
dovresti mangiare questa roba, non così spesso.»
«Il mio cuore non avrà mai un arresto, Bruce.
È più probabile che vada in corto
circuito.»
Sorrise e scosse la testa. «Non credo le conseguenze siano
poi molto diverse.»
Tony semplicemente sollevò le spalle, perché Iron
Man era
fatto di metallo così come Tony era fatto di carne, ma
entrambi
troppo testardi e stupidi per ascoltare un consiglio.
«Steve e Thor leggono libri di magia nera e cabala nel tempo
libero.» Lo sentì esordire mentre leggeva
distrattamente i
risultati delle sue ricerche.
«Cosa?»
«Sì, il ragazzo d'oro d'America e Mr. Muscolo
sfogliano grossi tomi che parlano di magia e di rune.»
«Rune?»
«Guarda.» Bruce portò gli occhi al
monitor sul quale
i suoi dati erano stati sostituiti da un grafico tridimensionale che
Tony stava facendo ruotare, al centro vi era il martello di Thor. Era
una ricostruzione di Central Park, o almeno della zona in cui era
avvenuto lo scontro fra Thor e Loki. «Li vedi questi
simboli?»
Si avvicinò ulteriormente al grafico aggiustandosi gli
occhiali sul naso. «Sono rune.»
«Cosa significano?»
«Non lo sappiamo, purtroppo Steve non ha finito la collezione
di
“Enciclopedia di magie aliene - Asgard
Edition.”»
Tony masticò rumorosamente gettando nel secchio a destra
della
scrivania il cartoccio vuoto.
Poi lo guardò, e quando Tony faceva quello sguardo voleva
dire
solo una cosa: avevi la sua completa e totale attenzione.
«Cosa
ne pensi? Avanti, voglio il tuo parere, senza filtri né
censure.»
«Dei simboli?» Quando tornò al grafico
ogni immagine era svanita.
«Di Loki e della sua idea di trasformare suo fratello in una
bionda da copertina.»
Sospirò e si poggiò spalle alla sedia.
«Non farlo.»
«Fare cosa?»
«Congetture squallide e infondate. Loki non piace a nessuno,
è malvagio, ma non penso che si abbassi a tanto.»
«Si abbassi a cosa, Bruce?»
Si alzò dalla sedia sentendo i suoi passi seguirlo.
«Non mi tirerai dentro, Tony.»
Tony aveva sempre avuto una sua teoria poco ortodossa sulle ragioni che
avevano spinto Loki ad attaccare Thor e la Terra negli ultimi tempi.
Bruce non le condivideva, anche perché loro non potevano
sapere
davvero come avessero vissuto lui e Thor ad Asgard, cosa fosse davvero
successo.
L'unica versione che conoscevano era quella di Thor ed era la versione
di qualcuno che aveva perso una persona cara senza neanche capirne il
motivo, l'aveva vista allontanarsi e poi cambiare per ragioni a lui
ignote.
Nessuno aveva chiesto a Loki cosa fosse accaduto, a nessuno,
onestamente, interessava ascoltare le parole di un assassino.
«È l'unica risposta che possiamo trovare, Bruce.
Non sono
congetture, sono solo deduzioni logiche sulla base di prove
inattaccabili.»
«Oh, andiamo, adesso non metterti a fare Sherlock Holmes,
Tony!»
«Ehi?» Si ritrovò costretto a fermasi e
voltarsi
quando Tony lo bloccò per un braccio. «A parte il
fatto
che in un altro universo sarei stato uno strabiliante Holmes, quello
che voglio dire è che la risposta più scontata
alle volte
è quella corretta. L'unica motivazione per cui Loki
può
aver trasformato Thor in una donna è una: poterlo avere - in
un
modo più tradizionale.» Prese un profondo respiro
e Tony
lasciò andare il suo braccio. «Pensaci e dimmi che
tutta
questa storia non puzza di “segreti di
famiglia”.»
Si prese qualche attimo per riflettere. La faccenda puzzava, era vero,
perché il motivo di quel cambio di sesso non sembrava avere
davvero senso, ma Bruce non era certo di poter correre dietro alla
teorie fantasiose di Tony.
La psicologia di Loki era tutt'altro che
di facile comprensione, magari era solo un misogino e aveva trasformato
la persona che più odiava nel genere che più
odiava.
Era conscio che anche le sue teorie facevano acqua da tutte le parti...
«Se è come dici tu, Holmes,
perché non l'ha portato con sé quando l'ha
trasformato?
Che senso ha lasciarlo in quelle condizioni qui sulla Terra?»
Tony sorrise e annuì. «Ottima domanda, Watson.
Ottima domanda.».
₪₪₪
«È stato meraviglioso!» La risata di
Styrkárr
iniziava a essere irritante. Lo sguardo fisso di Amora non aveva smesso
di esserlo per un solo istante. «Siano benedetti i Fruxer e
la
loro bonaria stupidità.»
«Neanche i mortali brillano in quanto a
intelligenza.»
Il Vanr rise ancora. «Hai ragione, Incantatrice. Sono
sciocchi proprio come narrano le leggende. Sciocchi e deboli.»
«La feccia dell'universo» sentenziò
arcigno facendo roteare il vino rosso nel bicchiere. «Solo lui
poteva prenderli sotto la sua ala.» L'ultimo fu solo un
pensiero
a voce alta ma fece ridere ancora il suo fastidioso alleato. Loki
buttò giù in gola tutto il vino e
poggiò
rumorosamente il bicchiere sul bracciolo del suo trono.
Amora sorrise. «Riuscirai a mantenere la concentrazione fino
al
termine del piano, Laufeyson? Sei sempre stato troppo emotivo in
guerra, Thor lo ripeteva sempre.»
Non ruppe il vetro solo perché le avrebbe dato una dolce
soddisfazione. Piegò le labbra, invece, e la
guardò
pacato. «Vuoi sapere cosa ripeteva di te? Quali lusinghiere
parole accompagnavano i suoi racconti, Incantatrice? Oppure dopo aver
udito tanto saresti tu a non riuscire a mantenere la
concentrazione?»
Piccole scintille d'oro scoppiarono sulla punta delle dita della donna.
Non sorrideva più.
Loki continuò a farlo.
«È solo il primo atto.» La voce di
Styrkárr
non spezzò quel muto scontro di sguardi. «Il
sipario sta
per alzarsi ancora una volta.»
«Regaliamo loro uno spettacolo che non dimenticheranno
facilmente.»
Styrkárr rise e Amora diede loro le spalle.
Loki sapeva dove fosse diretta e tenere sulle labbra quel sorriso fu
più arduo del previsto.
Riempì di nuovo il suo calice e lo alzò in alto.
Al tuo ricordo, fratello.
₪₪₪
Virginia “Pepper”
Potts era una donna che aveva fatto di
necessità
virtù, perché lavorare per Tony Stark prima e
condividerne la vita dopo, aveva richiesto e richiedeva una massiccia
dose di pazienza, comprensione e soprattutto controllo. Bruce diceva
che lei sarebbe stata capace di tenere sotto chiave anche Hulk. La
verità era che se Pepper avesse perso le staffe, sarebbe
stato
Hulk a dover tenere sotto controllo lei.
Quando aveva letto i messaggi di Tony si era preparata a scendere dal
jet e trovarsi qualche bizzarra sorpresina a casa, dopo quell'osceno
coniglio gigante, ormai era tutto affrontabile al meglio.
Aveva ricevuto la visita di vari ospiti sgraditi, dèi
psicotici, troll puzzolenti, enormi ragni che sputavano acido.
Sì, tutto poteva essere affrontato.
Prese l'ascensore e si passò una mano sul collo indolenzito.
Quell'incontro di lavoro a Los Angeles l'aveva prosciugata.
Voleva farsi una doccia e poi decidere se fosse il caso o meno di
spedire Tony a dormire sul divano, se avesse avuto ancora un divano ad
aspettarla.
Le porte si aprirono: il divano era lì, come il resto della
mobilia. I vetri erano intatti e non sembravano esserci ospiti
puzzolenti o appiccicosi.
«Bentornata,
signorina Potts.»
«Grazie, Jarvis. È sempre bello trovare qualcuno
ad
accoglierti.» Si tolse le décolletés e
le prese fra
le dita.
Aveva sentito dello scontro a Central Park ma sembrava fosse nulla di
diverso dall'ordinaria routine; doveva solo aspettare la visita del
sindaco con l'ammontare dei danni.
«Dov'è Tony?» chiese dirigendosi verso
la camera da letto.
«In
laboratorio con il dottor
Banner. Il capitano Rogers e l'agente Romanoff sono invece al
dodicesimo piano, nella sala riunioni.»
Quel bambino che si ritrovava per compagno l'aveva messa in allarme per
niente, forse c'era solo l'ennesimo peluche di dubbio gusto ad
attenderla sul letto.
Quando entrò nella stanza però, sul letto
trovò qualcosa di diverso da un peluche.
Strinse forte le scarpe nella mano e prese un respiro profondo.
«Jarvis, chi è la bionda che dorme mezza nuda nel
nostro
letto?» chiese con pazienza, comprensione e controllo.
Respira, Virginia,
respira.
«Tesoro, sei tornata?! Che bello, veder-»
Le scarpe erano appena volate dritte sulla faccia del bambino.
*
Natasha non
nascose il suo divertimento mentre guardava Pepper che
tamponava con un batuffolo di cotone la fronte di Tony.
«Perché
non mi hai avvisato quando ero in
volo?»
«Non pensavo
fosse il caso di parlare di trasformazioni
mistiche a trentamila piedi di quota.»
Pepper
sospirò e gettò il batuffolo nella
spazzatura.
L'occhio di Stark si
sarebbe gonfiato, il taglio sulla fronte avrebbe
richiesto qualche giorno per guarire.
«Il grande
Iron Man messo al tappeto da un tacco
12»
ghignò inclinando di qualche grado la testa.
«Tecnicamente
è stato il calcio nelle parti basse
a
mettermi al tappeto.» Tony si alzò tenendosi una
mano fra
le gambe e Natasha avrebbe pagato una bella cifra per poter vedere la
scena, magari le sarebbe bastato chiedere a Jarvis di mostrarle il
filmato, d'altronde c'erano telecamere anche in quel corridoio.
Sì,
Stark,
hai ragione: è divertente.
«E il tuo
urlo stridulo ha anche svegliato Thor,
nonché
messo in allarme Rogers che è partito subito a prendere lo
scudo» sottolineò ancora divertita mentre lo
guardava
zoppicare verso l'amato bancone.
«Povero
Thor, spero almeno che i vestiti le vadano
bene.» Pepper si massaggiò le tempie con un
sospiro.
«Ti prego,
tesoro, non usare il femminile, trasforma la
situazione da inquietante a sexy.»
«Vuoi
ripetere l'esperienza del tacco 12? Ho anche delle
zeppe borchiate, nel caso.»
«Lo so, te
le ho regalate io, e non le hai indossate
mai.»
«Forse
perché sono delle zeppe
borchiate?»
«Dici?»
Tony mandò giù un
bicchiere e Natasha
osservò come Pepper facesse fatica a trattenere un sorriso.
Ammirava quella donna,
ammirava il fegato di stare dietro a uno come
Stark e il coraggio di donargli addirittura il suo cuore.
Lei avrebbe potuto
uccidere un uomo a mani nude, poteva sopportare ogni
tortura senza battere ciglio né aprire bocca. Natasha sapeva
come morire con dignità e come vivere senza farsi troppe
questioni di coscienza, eppure la forza di Pepper non l'avrebbe mai
avuta.
«Io torno
alla base. Cerca di non farti pestare nuovamente,
Stark.»
Tony alzò
una mano ironico per salutarla mentre andava via.
«Perfida
spia russa...»
Si voltò
prima di pigiare il pulsante. «Guarda che
ti ho sentito» sibilò con un'occhiata truce.
Il pomo di Adamo di
Tony non poté non sussultare.
*
“Perché non mi hai
portato con te?”
“Non capisco
perché avrei dovuto farlo.”
“Il tuo
fidanzato figo e alieno diventa una donna e tu mi chiedi
perché dovevi portarmi con te???”
Jane non
riuscì a non sorridere alle cinque faccine
imbronciate che comparvero accanto al messaggio.
Forse davvero avrebbe
dovuto portare Darcy con lei. Forse
Darcy avrebbe
avuto qualche battuta da dire quando avrebbe incrociato gli occhi di
Thor. Forse Darcy avrebbe impedito al suo viso di tradire l'espressione
stanca e la paura. Forse Darcy le avrebbe tenuto la mano per non farla
tremare e le avrebbe schiaffeggiato una guancia per non farla piangere.
Forse Darcy sarebbe
stata l'ancora a cui aggrapparsi ancora una volta
quando la sua realtà che di scienza ne aveva paradossalmente
poca, si sarebbe incrinata ancora una volta.
“Scusa.”
Lo
inviò guardando dal finestrino del jet.
Aveva telefonato a
Bruce non appena era uscita dall'aula. Dopo, aveva
quasi desiderato non averlo fatto.
Tony le aveva mandato
un aereo, Bruce le aveva detto che Thor stava
bene, nonostante tutto.
Nonostante
tutto.
«Champagne,
dottoressa?» Il sorriso bianco e
perfetto della hostess la fece sentire ancora meno sicura.
«No,
grazie.»
Voleva solo arrivare
quanto prima, volava solo sentire Thor dirle che
avrebbe sistemato ogni cosa, che c'era una soluzione.
“C'è
sempre speranza, Jane” diceva.
Lei non aveva mai
avuto il coraggio di dirgli che gli scienziati non
credono alla speranza.
Che voce aveva ora? Di
che colore erano i suoi occhi? E le sue mani
erano calde?
Sarebbe riuscita ad
abbracciarlo?
Abbracciarla?
Il cellulare
suonò ancora:
“Ti perdono se mi mandi una foto.”
Sorrise.
“Non pensarci proprio.”
“ :(
”
*
«Ancora
niente?»
«Stiamo
monitorando ogni angolo del pianeta, se è
qui lo troveremo. È solo questione di tempo.»
Clint
osservò i vari schermi e annuì.
«Dobbiamo
solo sperare che sia ancora qui.»
Sentì
Natasha raggiungerlo al fianco con le braccia incrociate e lo sguardo
serio.
«È
qui, ne sono sicuro.»
«Allora
aspettiamo.»
Se la sua arma
preferita era
l'arco,
la sua compagna perfetta era Natasha Romanoff. Perché sapeva
essere spietata e fredda così come sapeva tirargli fuori
l'energia necessaria per affrontare anche duecento ceceni armati fino
ai denti con una semplice battuta. Natasha era bella come nessun'altra
donna che avesse incontrato e allo stesso tempo l'unica che avesse
guardato con stima e rispetto e senza un'erezione nei pantaloni.
Perché la Morte non ti eccita quando la conosci
così bene.
«Ti sei
perso una scena meravigliosa alla Tower.»
«Ah
sì? Il capitano ha finalmente preso a pugni
Stark?»
Lei sorrise.
«Ci sei andato vicino, solo che non era Steve ma
Pepper, e non era un pugno ma un tacco da 700 dollari. Stark
però ha un bell'occhio nero e un simpatico dolore
all'inguine.»
«Fanculo,
Fury mi convoca sempre nei momenti
migliori»
brontolò saltando con gli occhi da un'immagine all'altra dei
piccoli monitor sparsi su tutto il muro della stanza. «Il
motivo?»
Si voltò
incrociando il suo sguardo e un sorriso divertito.
«Prova a indovinare.»
«Neanche un
indizio?»
«Oh,
andiamo, agente Barton, le cose facili non piacciono a
nessuno.»
Clint annuì
umettandosi le labbra e guardando le riprese di
un
mercato senegalese. «Sei sempre la stronza più
simpatica,
Nat.»
Natasha
restò in silenzio qualche attimo e poi...
«Pepper
entra in camera da letto e trova Thor che dorme, solo che Stark
dimentica di avvertirla che adesso Thor è una
donna.»
«Wow...»
Rise scuotendo la testa. 'Fanculo Fury per
davvero!
Poi un sibilo e i
sensi del Falco tornarono
vivi.
«Forse ci
siamo!» esordì l'agente
Roberts.
«Dove?»
«Panama,
è un frame di un negozio di musica.
C'è
solo una corrispondenza del 64%, ma per ora è
l'unica.»
Clint gli diede una
pacca su una spalla e ghignò.
L'adrenalina gli stava
già fluendo dolce nelle vene.
«Contatta il direttore.»
Quel bastardo avrebbe
avuto i minuti contati questa volta.
***
Note:
[1] Halcion
è un sonnifero appartenente alla famiglia dei
benzodiazepinici.
NdA.
Lo so, pensavate di esservi liberati delle mie note, ma mi
spiace distruggere i vostri sogni: sono ancora qui ad ammorbarvi.
Sarò veloce, però, volevo solo ribadire un grazie
a
chiunque stia seguendo questo sequel perché mi fa davvero
piacere vedere un così caldo riscontro. Siete tutte
meravigliose
[sospetto che il 99% dei lettori sia composto da belle donzelle, per
cui passatemi il femminile] e vorrei potervi abbracciare tutte sul
serio <3
State rendendo questa nuova avventura un'altra bella esperienza.
Per qualsiasi domanda, dubbio o curiosità, sarò
felice di rispondere ^^
Alla prossima e preparatevi, pare che i nostri abbiano trovato il
“bastardo”...
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 4 *** Atto II ***
cap4
L' ultima lacrima
IV.
Tony
guardò la grossa
stella ancora una volta poi guardò il viso di Thor, poi
guardò quello di Rogers, poi decise che un martini non gli
avrebbe fatto male.
«Quando hai
detto di avergli dato dei vestiti credevo gli
avessi dato dei tuoi
vestiti.»
«Ho pensato
che si sarebbe sentito più a suo agio
con qualcosa di maschile.»
Pepper lo avvolse in
uno sguardo di indulgenza, quella che si riserva
ai bambini quando ti chiedono perché babbo natale non ha
portato il regalo che volevano.
«Ma proprio
“quella” maglia?»
E poi sorrise.
Tony l'amava anche per
quello, perché Pepper era l'unica
persona al mondo a farlo sentire uno stupido.
«Oh, non
dirmi che non volevi far sapere a Steve che avevi
una
maglia di Captain America gelosamente conservata
nell'armadio...?»
«Avevo
tredici anni ed ero sotto acido quando la
comprai!»
Si
giustificò mentendo e ricordando invece la voce di Howard
che
gli diceva che grande uomo fosse Steven Rogers, che fortuna fosse stata
averlo conosciuto, quanto avrebbe potuto imparare lui. Tony lo aveva
sempre recepito come “non sarai mai la metà di
lui”.
Poi aveva avuto modo
di conoscere Steve e avrebbe voluto che suo padre
fosse ancora vivo per dirgli che si era sbagliato, che Steve aveva poco
da insegnare e tutto da imparare, che era un noioso soldatino con un
taglio di capelli discutibile, che non era per nulla il grande uomo di
cui aveva sentito parlare in tutti quegli anni.
Howard non gli avrebbe
risposto e al massimo gli avrebbe lanciato uno
sguardo rassegnato. Tony sarebbe uscito dal suo ufficio tronfio e
sorridente, stupidamente pago per tutte quelle grosse bugie che aveva
appena sparato.
«Mi sembra
che a Thor piaccia.»
«Credo che i
gusti di qualcuno che se ne va in giro per
l'universo con un mantellone rosso non siano da prendere in
considerazione» affermò osservando Thor e Steve
che
parlavano seduti al suo tavolo da pranzo.
«Perché,
quelli di un uomo che sfreccia nei cieli
con un'armatura cromata lo sono?»
«Solo se
quell'uomo è Tony Stark e, guarda un
po', io sono To-» Le labbra di Pepper gli rubarono le
ultime parole.
«Ora devo
andare. Cerca di non fare nulla per meritarti un
altro tacco sulla faccia.»
«Non
è stato poi così
male...» sospirò stringendola a sé.
Pepper sorrise sulla
sua bocca. «Davvero? Allora quando torno
proveremo tutta la collezione di Manolo. Contento, Tony
Stark?»
«Aspetterò
trepidante nella mia armatura
cromata.»
Ed era per quella
dolce risata che avrebbe continuato a indossarla.
₪₪₪
«Ci
possiamo
fidare di lui?»
Amora guardò il suo profilo cercando di leggere nella sua
mente.
Non ci riuscì.
Con lui non c'era mai riuscita e vi era
solo un altro essere che fosse capace di tenerla fuori dai suoi
pensieri.
Ora si era ritrovata con entrambi dalla stessa parte del campo di
battaglia.
«Ovviamente no, mia bella Incantatrice, ma questo sai cosa
significa?» Al suo sorriso restò silente.
«Che la
cosa è reciproca.»
«E di te posso fidarmi, Styrkárr?»
«Noi siamo della stessa natura, Amora, non confondermi con
quello
sporco Jotun.» Gli sentì sentenziare con un
disprezzo per
nulla celato.
Amora odiava Loki.
Sapeva, Styrkárr provava lo stesso.
Lei odiava anche Styrkárr e di certo, come amava ripetere
quello stupido Vanr, la cosa era reciproca.
Due schiene sarebbero state colpire senza possibilità di
scampo.
Non aveva intenzione di essere una delle due.
«Se ognuno farà la sua parte nessuno
resterà deluso. Dico bene, ragazza mia?»
Finse un sorriso e annuì. «Perfettamente, mio
signore.»
Styrkárr rise sguaiatamente e lei accennò una
risata suadente.
Se sto facendo tutto
questo, amore mio, è solo per te.
₪₪₪
«Allora,
Hermione,
cosa
vogliono dire quei simboli?» Tony
raggiunse il tavolo e si sedette sulla sedia di fronte a quella di
Steve. Thor alla sua destra lo osservava con il solito piglio
diffidente.
«Nella fattispecie non saprei dirlo, sono di certo rune, ma
questo già lo sapete.»
«Sì, il capitano ci ha tenuto una breve lezione
sull'occulto alieno.» Steve sbuffò dal naso e lui
sorrise. «Hanno a che fare con questa tua nuova forma,
però. Giusto?»
«Con ogni probabilità sì, Loki... lui
deve averli
usati per...» Non concluse la frase e Tony avvertì
un
ringhio muto salire dalla sua gola. Certo non doveva essere piacevole
guardarsi allo specchio e non riconoscersi, soprattutto non doveva
essere piacevole indossare quell'orrenda maglia sotto gli
occhi di Steve. Per lui non lo sarebbe stato.
Perché non la gettava?
...
Prossima domanda?
«Non le avevi prima.» Alla sua frase Thor
sbatté le palpebre guardandolo confuso.
«Perdonami?»
Tony allungò l'indice e sfiorò il suo piccolo
naso.
«Le lentiggini. Non le avevi da uomo. Cos'è, un
plus
di tuo fratello?»
«Tony, per favore, cerca di essere serio almeno una
volta» brontolò Steve stringendo i pugni sul
tavolo.
«Ma sono serissimo. Guarda, tu le ricordi?»
Stavolta gli punzecchiò una guancia.
«Finiscila!» Si sentì afferrare il polso
e posare
forzatamente il palmo sul vetro del tavolo. Meglio non far incazzare
Captain America soprattutto se era ancora in alta uniforme con tanto di
scudo al fianco.
«Le ho sempre avute quando ero una donna.»
«Thor, non devi rispondergli.»
«Davvero? Le hai anche sul resto del corpo?»
«A dire il vero-»
«Basta adesso!» Steve aveva perso la calma e di
solito
succedeva spesso quando lui era nei paraggi così come
accadeva
spesso che gli si imporporasse il viso quando si parlava di qualcosa
che avesse a che fare con il gentil sesso. «Siamo qui per
cercare
di capire cosa ti sia successo, Thor, e se c'è modo per
aiutarti, ma se continui a dare retta a questo idiota non si
andrà da nessuna parte! Capisco che la situazione non sia
facile
per te ma, per favore, restiamo concentrati. Va bene?»
«Ascolta, Rogers, cerca di rilassarti. Stiamo solo
chiacchierando
fra amici. Ora, solo perché Thor non ha più un
ninnolo
fra le gambe non significa che lo devi trattare in maniera diversa. Non
so come funzionava al tuo tempo ma oggi questa è
discriminazione
e si finisce in tribunale. Vuoi finire in tribunale? Papà
Fury
non sarebbe contento.» Tony sapeva di Peggy, Tony sapeva
tutto di
Steven Rogers.
«Stark, te lo dirò un'ultima volta.» Il
viso
di Steve era pericolosamente - e minacciosamente - vicino al suo.
«Chiudi. Quella. Bocca.»
«Mi spiace, ma non posso. È anche grazie a questa
bocca
che le Stark Industries sono ciò che sono, certo
è
soprattutto per il mio genio, ma se hai una buona idea e non la sai
vendere, quell'idea vale zero. Concetti di marketing, Rogers.
Prendi appunti.»
Steve sorrise in modo preoccupane. «Vuoi che ti mostri i miei
concetti, Stark?»
Ok, forse aveva varcato quella sottile linea che divideva lo scherzo
dal suicidio.
«Signore?»
«Jarvis! Amico mio, parla pure!» Mai come in quel
momento fu grado di sentire quella voce.
Steve tornò al suo posto senza però perdere la
luce
assassina negli occhi e Thor sembrava semplicemente troppo
occupato a fissare il tavolo. Forse la battuta del
“ninnolo” non era stata così simpatica...
«L'agente
Romanoff chiede di lei.»
«Sono tutto orecchie.»
«Come
desidera, signore... “Stark, lo abbiamo trovato.”»
Solo in quel momento Thor alzò lo sguardo.
*
Bruce ascoltò il discorso in silenzio. Si passò
poi una
mano sul viso e decise che non avevano poi nulla da perdere, ammesso
che l'altro se ne fosse stato al suo posto e non avesse fatto
alcun colpo di testa.
«Tu resterai qui con Thor.» Annuì e
guardò il
volto metallico di Iron Man. «Noi andiamo a fare un
viaggetto. -
Ci vediamo in volo, Capitano.»
Un secondo dopo Tony era sparito nei cieli sopra la Stark Tower.
Steve si sistemò lo scudo al braccio. «Fa'
attenzione, Bruce... Speriamo solo che Stark abbia ragione...»
«Per quanto la cosa possa essere irritante di solito
è
sempre così, Steve.» Abbozzò un sorriso
che Steve
ricambiò.
«Lo so, purtroppo.» E salì
sul jet in cui Natasha e Clint erano già in cabina di
pilotaggio.
Bruce alzò anche una mano per salutarli quando si alzarono
in
volo causando una forte folata di vento che quasi gli fece perdere
l'equilibrio.
Bruce, scemo...
Sta' zitto!
Sospirò e guardò un'ultima volta la scia bianca
che sfumava nel cielo azzurro.
Mentre tornava in soggiorno ripensò alle parole di Tony.
Avrebbe funzionato? Sarebbero riusciti a prendere davvero Loki stavolta?
Sarebbe riuscito a reprimere la rabbia quando lo avrebbe riempito di
simpatici insulti?
Probabilmente Thor in quest'occasione non avrebbe potuto - voluto? -
alzare un dito per difenderlo.
Quando entrò nella stanza lo trovò a braccia
incrociate a
fissare la vetrata con indosso un'imbarazzante t-shirt da
dodicenne e un paio di pantaloni rossi di una tuta troppo larga.
«Sono partiti ora.» Alle sue parole Thor
annuì e non disse altro.
Bruce fece solo pochi passi ma restò fermo accanto al
divano.
Dal riflesso della finestra riusciva anche a vedere il viso serio e
pensieroso del compagno. Nonostante i nuovi lineamenti rimaneva sempre
il Thor intimidatorio e combattivo che aveva conosciuto quella prima
volta sull'elivelivolo.
«Mi spiace crearvi tanto disturbo.»
«Non dirlo, Thor, noi siamo abituati... cioè, nel
senso
che siamo una squadra e quindi i problemi di ognuno- non voglio dire
che sei un problema, solo che...» Thor si voltò
con un
sorriso gentile sul viso e Bruce si grattò la testa
sospirando.
«Risolveremo anche questa, ecco.»
«Grazie, Bruce.»
Annuì e fece dondolare fra l'indice e il pollice una penna.
«Dobbiamo aspettare, quindi.»
«Chi aspetta spende le stesse energie di chi scende sul
campo.
Non si è guerrieri solo se si impugna un'arma.
C'è coraggio e onore anche nello scegliere di rinunciare
ad armarsi, forse ve n'è di più.»
Bruce ascoltò quelle parole e le sentì forti e
sicure
come una stretta di mano, le sentì calde come un abbraccio e
sincere come il sorriso che ancora sfoggiava Thor.
Thor aveva sempre avuto la capacità di calmarlo.
Paradossalmente
un omaccione di un altro pianeta dai modi a tratti autoritari e facile
alla rissa, sapeva anche possedere una sorprendente dose di
serenità, di equilibrio.
Era l'equilibrio che Bruce cercava da sempre, restare in bilico
su quella sottile asta che separava l'uomo dal mostro, la rabbia
dalla pace, Bruce da Hulk.
Nelle notti dense, quelle che non passavano mai, quelle scandite dal
suono severo di una lancetta, Bruce si chiedeva cosa sarebbe accaduto
se un giorno avesse deciso di saltare quell'asta, di cadere da
una parte anziché dall'altra. In quelle notti dense,
sentiva di voler saltare, di voler lasciare andare l'equilibrio
ed essere libero. Ma la libertà non apparteneva a Bruce e
allora
aspettava che sorgesse il sole, aspettava di vivere un altro giorno di
dorata prigione.
Thor guardava ancora al di là dell'imponente vetrata. Bruce
si
avvicinò e restò in silenzio a osservare lo
stesso
paesaggio.
Due ore più tardi erano ancora in quella stanza, in attesa.
*
«Deve avere un permesso da parte del signor Stark per
entrare.»
Il giovane alzò appena gli occhi dallo schermo prima di
sgranarli. Il cuore gli arrivò in gola.
«No-»
Fu veloce e fulmineo.
Un attimo dopo giaceva privo di sensi, riverso sul bancone della
reception della Stark Tower.
Il sistema di sicurezza diede immediatamente l'allarme.
*
Il sibilo era risuonato prepotente nelle sue orecchie.
«Jarvis, che succede?»
«Qualcuno
è entrato nel sistema, dottor Banner, sta cercando di
mettermi offline.»
Bruce guardò verso Thor che gli restituì lo
stesso sguardo.
«Avvisa Tony e gli altri, Jarvis, io-»
«Non posso,
signor-e, non riesco- a- sono- ta-»
La voce della A.I. iniziò a gracchiare e anche i vari
monitor sparsi in giro presero a mal funzionare.
«Thor...»
Guardò nel fondo dei suoi occhi azzurri qualche attimo.
«Va'.»
Un solo cenno con la testa.
Bruce scese velocemente per le scale, seguendo il suono degli spari.
Ci siamo.
*
C'erano ancora strani rumori simili ad acuti lamenti, ma erano
artificiali. Allarmi, li chiamava Tony, sirene diceva alle volte Steve.
Non aveva tempo né interesse a decidere per un nome
più corretto.
Fissò ancora il suo riflesso.
Pochi passi che udì nonostante la confusione.
Nel vetro, accanto al suo viso, un altro. Altri due occhi e un sorriso
che conosceva bene.
Un sospiro abbandonò la sua gola.
«Finalmente ci rincontriamo... Sigyn.»
*
Avvolse un braccio attorno alle spalle dell'uomo e lo condusse
verso la parete libera.
«Respira piano, non è nulla di
grave.» Il ragazzo annuì sofferente e Bruce lo
fece sedere lentamente a terra. «Premi forte qui.»
«Va bene.» L'altro portò le mani
tremanti sulla
propria coscia dalla quale usciva un debole fiotto di sangue.
«Non
è l'arteria, tranquillo.»
«Ok, ok.»
Bruce si guardò attorno e vide altre persone a terra,
nessuno sembrava in fin di vita.
Non poteva aiutarle tutte, non ora, doveva pensare alle parole di Tony.
“È
di certo una trappola, lo sa che lo stiamo cercando e ha voluto farsi
trovare. Un copione già visto.”
“Allora non
dovremmo andare, così faremo solo il suo gioco.”
“È
qui che sbagli, capitano. Noi dobbiamo fare il suo gioco in modo che
sia lui a fare il nostro.”
“Stark, non ti
seguo.”
“La cosa non
mi sorprende...”
Bruce, invece, l'aveva seguito perfettamente.
«Torno subito. Continua a premere sulla ferita.»
Tranquillizzò il ragazzo e corse verso il suo laboratorio.
Corse veloce sperando che le pulsazioni non aumentassero troppo.
Resta dove sei. Non
uscire!
Il cuore gli batteva forte nelle tempie e nella gola.
Dovette aprire la porta con le mani, dato che l'apertura elettronica
era fuori uso.
Il cassetto in basso a destra.
Lo aprì con un profondo respiro.
Resta dove sei, ancora
per dieci minuti.
*
I suoi occhi, le sue labbra, il suo profumo.
Le dita strette nei pugni.
La rabbia.
Fece ancora un passo
Lei non indietreggiò, lei non indietreggiava mai.
Lei aveva più onore e coraggio di chiunque altro. Era
così avventata e ingenua da non temerlo.
Era bella come ricordava, forse di più.
Allungò la mano e le sfiorò il viso.
«Non avresti dovuto. Fra tutte le tue bassezze, questa
è la più vile.»
Sorrise quando gli scostò la mano con uno gesto secco.
«Vile... Ho ricevuto insulti peggiori, Sigyn.»
«E li hai meritati tutti.»
Rise divertito mentre vedeva le sue spalle alzarsi e abbassarsi. La
bocca stretta in una linea sottile e la luce scura nello sguardo.
«Come hai potuto infangare anche questo? Dopo quello
che...»
Lei tremava, come quella prima notte, come quell'ultima, e lui la
guardò con lo stesso desiderio e la stessa paura, assopita
nel
suo petto per un tempo così lungo che pareva far male
sentirla
tutta insieme.
Un dolce male, una lama amica che gli tagliava il cuore in due, una
metà le apparteneva.
No.
Tutto, tutto era suo, fino all'ultima goccia di sangue bastardo Jotun
che gli scorreva nelle vene.
«Sigyn-»
«No, non usare quel nome, non dire un'altra parola,
fratello. Questa volta non ci sarà posto per nulla di
diverso
dalla-»
«Non sono tuo fratello.»
L'unica, sola, incancellabile verità.
Sigyn scosse la testa con un sorriso tragico. «Lo sai? Hai
ragione, tu non sei mio fratello, tu non sei il fratello che conoscevo
e che amavo,
Loki. Chiunque vesta la tua pelle adesso è qualcun
altro.»
Prese un respiro e piegò le labbra dolcemente.
«Sei la solita ingenua, Sigyn.»
«Non chiamarmi così!» Negli occhi lesse
il dolore
che filtrava dalla rabbia, la sofferenza che faceva vibrare le labbra
insieme all'ira.
«È il tuo nome...» Lesse la sua stessa
storia
scritta su una pergamena diversa, la storia di un sogno andato in
frantumi, di una meravigliosa illusione svanita sotto le dita.
Questa volta l'avrebbe tenuta in piedi, questa volta avrebbe reso
le trame della sua volontà così fitte da essere
più solide di qualsiasi altro destino deciso nelle Ere
antiche.
Questa volta avrebbe rivendicato il suo vero trono.
«Non c'è più quel nome, non
c'è
più niente di quel tempo, Loki. Non c'è mai stato
niente, era solo il gioco perverso di due ragazzini stupidi. Non
è così? Altrimenti non avresti calpestato ogni
singolo
ricordo, non avresti rinnegato l'affetto che ci ha uniti per
tutti quegli anni... Non avresti insultato quella piccola vita mai nata
per soddisfare i tuoi meschini piani.»
Il suo sorriso mutò, divenne un ghigno, una ferita deforme
sul
viso pallido. «Le vesti di questo piccolo mondo non ti donano
come la seta di Asgard.»
«Smetti adesso, per favore, fratello.»
Fratello... fratello...
fratello...
Chiuse gli occhi e ingoiò la forza che avrebbe guidato la
mano a
violare il suo viso, che le avrebbe urlato ancora una volta,
l'ennesima, quell'unica realtà.
Lasciò che i pensieri governassero la sua gola, le sue
gesta, le
sue emozioni. Sarebbe venuto presto il tempo di viverle, il tempo di
liberarsi della maschera una volta per tutte e di afferrare e
trattenere fra le mani ciò che gli era sempre appartenuto,
l'utopistica legittimità che aveva assaporato in giorni di
sole e notti nascoste nella memoria, che aveva avuto il suono della sua
voce e il calore del suo corpo.
Fece un passo indietro solo per perdersi nella sofferenza che le
tingeva il viso.
«Perché l'hai fatto?»
«E tu perché chiedi risposte che già
hai? Non
fingere più ingenuità di quella che
già possiedi,
principessa.»
La vide stringere i pugni e inclinò appena
la testa con fare arrogante.
«Tu sei...»
«Cosa, mia cara?... Cosa sono?»
Non udì la sua risposta. Avvertì solo una fitta
al collo e la terra mancargli sotto i piedi.
Quando portò le dita sulla pelle sentì qualcosa.
Ne
dirò via quello che sembrava un sottile dardo acuminato.
Si voltò solo per incrociare il viso di Banner, le sue mani
che stringevano un'arma.
Sorrise, forse rise. Non udì neppure la sua stessa risata,
perse
l'equilibrio e cercò di recuperarlo poggiandosi su qualche
sostegno.
Non riuscì a far altro che crollare in un sonno non
richiesto.
Nei suoi occhi ora assopiti, ancora bruciava l'immagine della sua Sigyn.
Mia.
*
«Tutto bene?»
Thor annuì continuando a guardare il corpo privo di sensi
steso sul pavimento.
Bruce gettò la pistola sul divano e cercò di
recuperare un ritmo cardiaco decente.
«Tony aveva ragione» sospirò.
Visto Capitano? Aveva
ragione anche stavolta... dannato lui.
Pregava solo che non avesse ragione su tutto eppure la voce di Loki,
così diversa dal solito, che aveva udito entrando nella
stanza,
sembrava rispecchiare irrimediabilmente quell'assurda
verità.
Non aveva compreso le parole, non aveva intenzione di chiedere a Thor
di chiarirgliele.
Sono un codardo...
Bruce, scemo!
Sì, forse hai
ragione...
«Per quanto dormirà?» Si
sentì chiedere.
Portò gli occhi sul viso di Loki e poi su quello di Thor.
«Per un bel po', spero. Ho lavorato a questo narcotico per
anni affinché potesse abbattere... Beh, qualcosa di
più
grosso e verde.» Finalmente anche Thor lo guardò.
«Anche se Loki non è propriamente umano, ha
comunque un
organismo simile al nostro. Per qualche ora dovrebbe starsene
buono.»
Thor non disse nulla, prese solo un respiro e annuì ancora.
«Ehi, Bruce?»
Come ogni volta saettò con gli occhi al soffitto.
«Tony!
È andato tutto secondo il piano, più o
meno.»
«Non avevo
dubbi.» Sorrise stanco al suo tono soddisfatto.
«Bruce, ci
sono stati feriti?» Stavolta era la voce di
Steve e il tono era di tutt'altra natura.
«Qualcuno, ma nessuno in pericolo di vita.»
«E Thor? Tutto
ok?»
«Sto bene, Steve... Sto bene.» Non sembrava stesse
mentendo.
«Fury sta
provvedendo a mandare una squadra.» Era di nuovo
Tony. «Ah,
Bruce, voglio quel pazzo squilibrato fuori da casa
mia, ok? Ho già detto a Nick di allestirgli una bella stanza
per
il suo nuovo soggiorno.»
Bruce cercò qualcosa negli occhi di Thor, quella vena di
dispiacere e di colpa che solitamente gli copriva lo sguardo ma
stavolta non la trovò. Non trovò nulla, per la
prima
volta Thor sembrava completamente estraneo da tutto ciò che
riguardasse Loki.
Non sembrava più Thor.
«Saremo
lì fra poco.»
«Ok, Steve.»
La chiamata terminò.
Sul pavimento Loki dormiva.
Bruce avrebbe giurato di vedere ancora un ghigno su quel viso pallido.
*
Jane scese l'ultimo gradino d'acciaio con il petto gonfio di domande.
Con le dita strette attorno alla tracolla cercò con gli
occhi un
volto amico, qualcuno che avesse qualche risposta al suo mare di
interrogativi.
Prese un respiro e poi vide l'auto nera e lucida, la portiera che si
apriva e le gambe lunghe e perfette di Pepper.
Lasciò andare via l'aria ma tenne forte la fibbia nella mano.
Camminò veloce, forse troppo, non le importava. Raggiunse
presto il viso sorridente della donna.
«Jane, com'è andato il volo?» Si
sentì strofinare una spalla e annuì.
«Bene, grazie per avermi mandato un aereo. Io...»
Si
stirò una ciocca di capelli dietro un orecchio e
annuì
ancora.
Impacciata come una ragazzina.
Ingenua come una bambina a innamorarsi di qualcuno che non sarebbe mai
stato realmente suo.
«Figurati. Vieni, c'è stato qualche movimento alla
Tower ed è meglio che ti aggiorni.»
Quando entrò nell'auto prese un nuovo respiro.
«Pepper?» La domanda era lì, il coraggio
di porla
no. Gli occhi indugiarono sul sedile invece di sparire in quelli
gentili della sua amica.
«Non è grave come sembra, però potrebbe
mettere in pericolo la tua autostima di donna.»
Alzò il viso per incontrare un altro sorriso.
«Neanche con
anni di trattamenti riuscirei ad avere quella pelle.»
Rise e si sentì un po' meglio.
«E per il resto?»
«A parte lo sguardo da cerbiatta e la terza di seno,
è
sempre lui.» Poi il sorriso sfumo dalle labbra rosse di
Pepper per dar spazio a
un'espressione più seria, un'espressione che le fece
stringere le dita contro la pelle nera. «Hanno preso Loki. Lo
S.H.I.E.L.D. lo sta prelevando proprio adesso.»
Mandò giù un nodo ruvido.
«Non sono una bella persona se dico che spero che gli
facciano
male, vero?» Dalla sua gola salì una risata triste
e la
mano di Pepper sfiorò il dorso della sua.
«Io avrei voluto scuoiarlo solo perché mi aveva
distrutto il soggiorno.»
Sorrise. «Sì, noi donne siamo
vendicative.»
«Già e forse Loki si è appena dato una
bella
mazzata sui piedi da solo. Thor non è mai stato un maestro
di
zen, e con una buona dose di estrogeni forse riuscirà
finalmente
a dare a suo fratello la lezione che merita.»
Forse.
*
Nick Fury guardò la porta che si chiudeva, la porta da cui
era
appena uscito l'agente Tyrell a cui aveva dato il comando della
squadra che avrebbe preso Loki in custodia.
Picchiò la punta delle dita sulla scrivania guardando a
vuoto la parete coperta dal simbolo dell'agenzia.
«Troppo facile...» sospirò nella
solitudine del suo studio. «Troppo facile.»
*
La vide entrare dalla porta e si alzò dal letto.
Lei sorrise debolmente. Tremava, non si sforzò di
nasconderlo.
«Oddio... sei...» La sua voce era incerta, piena di
paure.
«Sono io.»
Jane deglutì e fece piccoli passi.
Le andò in contro con altrettanti brevi falcate.
Le fu di fronte e lasciò che il suo sguardo vagasse sul suo
corpo, che facesse mute domande che si desse risposte sbagliate, che
provasse curiosità, altra paura, forse disgusto.
Poi incrociò il suo azzurro e Jane sorrise di nuovo. Un
sorriso come armatura..
«Posso?» Allungò le dita verso il suo
viso.
«Certo.» Quando si sentì sfiorare una
guancia gli
occhi di Jane divennero lucidi, le labbra vibrarono. La mano si
ritrasse subito. «Lo so, è strano.»
«Sì, è strano...» Raggiunse
le sue dita con le proprie e le intrecciò sorridendole.
«Sono sempre io, però.»
«Sì?...» Poi le lacrime iniziarono a
bagnarle il
viso. «Scusami, ma io non credevo che...» E Jane le
asciugò
con il dorso della mano facendola sfuggire via dalla sua.
Quando quel calore abbandonò la sua pelle, l'avvolse fra le
braccia senza dire altro.
«Thor...» La strinse forte e sentì le
sue lacrime aumentare. «Thor...»
Il nome risuonò nelle sue orecchie più volte.
Il corpo di Jane premuto contro il suo per un tempo che non
contò.
Il pensiero diviso in due, come ogni volta.
Metà in quell'abbraccio, l'altra nella cella sterile di un
edificio poco distante.
«Thor...» sospirarono due labbra.
Sigyn...
sorrisero altre due.
***
NdA.
Aggiornamento al volo perché ho ancora qualche neurone
funzionante, non so per quanto. Perdonate eventuali e immancabili
refusi.
Grazie nuovamente a tutti ^^
Vi lascio speculare su quello che succederà adesso.
Qualche idea?
Come direbbe Tony: sono tutto orecchie!
Alla prossima e un abbraccione a tutte.
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 5 *** Nuove prigioni, vecchi prigionieri ***
Cap 5
L' ultima lacrima
V.
Se
c'era qualcosa che la guerra prima, e quel pazzo mondo dopo, gli
avevano insegnato, era che la prudenza non era mai troppa; per questo
Steve controllò la stanza almeno tre volte prima di
permettere
agli agenti di portare dentro il corpo ancora privo di sensi di Loki.
Controllò che non ci fosse nulla che quello potesse usare,
controllò che le manette cingessero ferree i suoi polsi, che
le
catene che lo tenevano a terra fossero resistenti.
Seguì con
accuratezza i gesti con cui l'agente Steward lo
legò alla sedia di acciaio e con la stessa attenzione
scrutò il viso pallido del loro nemico che ancora sembrava
dormire.
«Fatto,
signore» affermò poi l'agente
sollevandosi in piedi.
Steve diede un ultimo
sguardo alla figura seduta in catene sulla sedia
e annuì. «Sicuro che non riuscirà a
liberarsi?»
«Dubiti di
me, capitano?» Udì la voce
familiare,
prima che la solita fastidiosa mano gli si posasse sulla spalla.
«Quelle manette sono opera delle Stark Industries, e
già
questo dovrebbe essere una garanzia, no?» Sfidò il
sorriso
di Tony con uno sguardo severo. «Oh, beh, un vecchio amico mi
ha
dato una mano per progettarle, ma il 90% è tutta farina del
mio
sacco. Tranquillizzati, Rogers, il nostro bambino cattivo non
andrà da nessuna parte.» Si scrollò la
mano dalle
spalle e uscì dalla stanza seguito dagli agenti. Quando
anche
Stark fu fuori diede ordine di chiudere la porta.
L'intera cella,
perché di una cella si trattava, era
completamente rivestita di un materiale di cui non aveva sentito
parlare finché non aveva incontrato Stark, non Tony, ma suo
padre: vibranio. Lo stesso materiale di cui era costituito il suo scudo.
Indistruttibile, gli
avevano detto. Steve, con tutta la gratitudine che
ancora provava verso Howard, conservava nel fondo del cuore qualche
piccolo dubbio.
Fury aveva deciso
finalmente di abbandonare le celle anti-Hulk, dopo
che era bastata qualche martellata, da ciò che aveva
riportato
Thor al tempo, per mandarla in frantumi.
Sulla parete frontale
solo un piccolo specchio spia alla vecchia
maniera, che permetteva di vedere cosa accadesse all'interno, anche se
l'intera cella era completamente supervisionata da decine di telecamere
a infrarossi.
«Dov'è
Thor?» chiese mentre Tony lo
affiancava.
«In una
camera da letto con la dottoressa Foster.»
Lo
guardò con la coda dell'occhio aspettando la solita battuta
che
sarebbe arrivata puntuale.
Non arrivò.
«Credi che
parlerà?» Tornò a
guardare l'uomo - poteva chiamarlo così? - ancora svenuto.
«Parlare?
Sicuramente - anche troppo. Dirà quello
che vogliamo sapere? No di certo.»
«Glielo
faremo dire.» Clint li aveva raggiunti con
una
fredda luce nello sguardo. «Lasciatemelo dieci minuti e lo
farò cantare come un usignolo.»
«È
uno spettacolo per cui pagherei, dico
davvero»
sentenziò ancora Tony con un sorriso tirato. «Ma
non credo
che questo basterà.»
Clint sorrise a sua
volta, un sorriso che Steve definì
tagliente. «Fatemi almeno provare.»
«Aspettiamo
che si svegli e poi decideremo.» Mise
fine al loro dialogo con una sola frase.
Poi più
nessuno parlò, stranamente neanche Tony.
Natasha si
unì a loro subito dopo.
Quando Loki
iniziò ad aprire gli occhi, Thor non era ancora
arrivato.
*
Aveva un buon odore, dolce e sensuale, ma diverso da quello che
ricordava, eppure, non era la stessa pelle?
«Non serve che tu venga, Jane.» La sua voce... Era
armoniosa
eppure non le provocava brividi, non era il tono deciso e rassicurante
con cui amava sentirgli pronunciare il suo nome.
«Credo che Thor abbia ragione.» Pepper le sorrise e
a lei non restò che annuire.
Sarebbe voluta andare allo S.H.I.E.L.D., avrebbe voluto guardarlo negli
occhi e magari avere il coraggio di tirargli anche uno schiaffo. Ci
sarebbe riuscita se Thor fosse stato al suo fianco.
Thor non c'era.
La bella donna che le stava accarezzando il viso non era Thor.
«Fai attenzione» sospirò e la
guardò aprirsi
in un sorriso che le faceva nascere ancora altre lacrime.
Poi Bruce disse di andare, Pepper raccomandò loro di
impedire a
Tony di dire qualche frase di troppo e vide quel sorriso sparire dietro
alle porte lucide di un ascensore.
Si sentì meglio.
E non le piacque per nulla sentirsi così.
*
Forse l'idea di Barton non era poi così malvagia.
Se avesse avuto meno autocontrollo, Steve gli avrebbe già
aperto
la testa in due, ma per fortuna aveva capito che cedere alle
provocazioni era solo fare il suo gioco.
«La vostra ospitalità è peggiorata
dall'ultima
volta.» Quelle labbra sorrisero melliflue e lui
mandò
giù un sospiro di fastidio. «Mettere in catene un
ospite.
No, no, no, che cattivi padroni di casa questi terrestri.»
«Cosa sono quei simboli?»
Loki sorrise innocente. «Quali simboli?»
Sì, l'idea di Barton era decisamente buona.
«Qualsiasi cosa tu gli abbia fatto, devi farlo tornare come
prima.» Le braccia incrociate sul petto, lo sguardo dall'alto
al
basso e tutta l'aria di non scherzare affatto. Era questo Steve Rogers
in quel momento, eppure lui, Loki, rise di gusto.
«È tutto qui? Stavo per decimare la vostra
popolazione e
tu vieni a pregarmi di ridarvi il vostro compagno di
merende?!»
Stavolta fu lui a sorridere. «Non ti sto pregando, te lo sto
ordinando.»
«Gli ordini sono prerogativa dei padroni, Rogers, non dei
cani al guinzaglio.»
Mise tutta la sua forza per non scagliarsi su di lui.
Perché Thor continuava a credere di poterlo cambiare?
Loki era marcio, era marcio dalla testa alla punta dei piedi. Le sue
parole erano veleno, le sue azioni le rispecchiavano.
Non aveva lealtà, non aveva dignità. Dubitava
seriamente avesse anche un cuore che gli battesse nel petto.
Faceva del male e gli piaceva.
Era solo questo: un essere malvagio privo di salvezza.
«Sai...» Iniziò facendo qualche passo
nella stanza.
«Da quella parte della porta c'è un numero
decisamente
consistente di persone che vorrebbero strapparti di bocca le parole con
ogni mezzo a loro disposizione.»
Loki non sembrò intimorito. «Falle entrare,
darò a
ognuna di esse il mio benvenuto e poi le guarderò andare via
con
la compagnia del loro fallimento.»
«Sì, forse non diresti nulla comunque ma, credimi,
a loro basterebbe anche solo provare.»
Un'altra risata. «Oh, capitano, hai fatto le prove per questa
bella scenetta? Perché, devo confessarlo, la stai
interpretando
bene, ma dimentichi che un bugiardo smaschera con facilità
un
pessimo bugiardo e la tua sicurezza è una menzogna
così
fragile che si sgretola non appena poso gli occhi su di te.»
E quegli occhi, Steve doveva ammetterlo, erano letali. Sembravano
leggerti dentro e carpirti pensieri che neanche sapevi di fare
«Andiamo, Rogers, metti da parte l'onore del soldato. Anche
se
sono qui in catene, sai bene che siete voi ad aver bisogno di me, non
il contrario.»
«Potremmo lasciarti su quella sedia per giorni, per mesi...
Anni.
Ho sentito dire che hai una lunga vita davanti... bene: preparati a
trascorrerla in questa cella.»
Loki rise. «Capisco perché andate così
d'accordo tu
e lui... Stessa tempra, ahimè, anche stessa
stupidità...»
«Chi è quella donna?» chiese severo
ricordando la
soffocante sensazione di impotenza provata davanti a lei. Thor non
aveva aggiunto molti dettagli.
È pericolosa,
si era limitato a dire. Nessuno poi si era preso la briga di chiedere quanto,
ciò che sembrava riempire la testa di tutti era perché.
Perché era con Loki? Cosa si aspettavano di ottenere con
quell'insensata alleanza?
Sapeva bene, erano risposte che non avrebbe avuto da lui.
«Amora?... Oh, è solo una vecchia amica, anzi,
sarebbe
più corretto dire una vecchia amica di Thor. Vi ha parlato
di
lei, immagino.»
Non sopportava quel ghigno beffardo, il veleno che aleggiava dietro, la
sfacciataggine di non provare neanche a celarlo.
«Perché?» chiese privo di colore.
Un perché per molte cose, Loki scelse di rispondere solo ad
una:
«Perché distruggere la dignità di
qualcuno è
divertente, Rogers, soprattutto se quel qualcuno è il
principe
ereditario di Asgard, coperto d'oro e scarso in intelligenza... Amora
non ha preso bene che lui l'abbia sostituita con una mortale - mettiti
nei suoi panni, non è stato un gesto cortese da parte di
Thor.
È solo venuta da me per avere una mano e sono stato ben
felice
di porgerle i miei servigi. E poi non avevo di meglio da
fare.»
«Una ripicca? Mi stai dicendo che hai trasformato Thor in una
donna per ripicca? Che vi siete alleati per..» Non
terminò. Era assurdo ed era più che certo non
fosse
neanche la verità.
«Per gioco? Sì è stato un gioco,
divertente
finché è durato.» Loki fece spallucce e
sorrise.
Steve quasi rabbrividì a quel piegarsi di labbra.
«Tutto
è un gioco, Rogers, anche le vostre vite. Non valgono
niente.» Strinse la mascella e sentì le mani
tremare,
avrebbe solo voluto farle schiantare su quel ghigno sadico ma non lo
fece perché Thor non era lì e colpirlo ora era da
codardi. Steve Rogers non era mai stato un codardo neanche quando
veniva costretto all'angolo di un vicolo, neanche quando tornava a casa
sulle spalle di Bucky pieno di fratture e di lividi con la sola voce di
un ennesimo richiamo.
«Non mettere alla prova la mia pazienza, Loki.» Una
minaccia che non ebbe alcun effetto.
Il ghigno era sempre lì, il veleno pure.
«La vostra intera esistenza è solo un disegno
tracciato
sulla sabbia e io sono l'onda che lo cancellerà. Sempre. Non
importa quanto proverete, non importa quanto Thor potrà
tentare
di difendere questo insulso pianeta... Prima o poi cadrete.»
Scattò come una molla di un solo passo e vide lo scintillio
nel suo sguardo.
Gli aveva appena dato la vittoria, gliel'aveva posata su un piatto
d'argento senza neanche accorgersene.
Tutto è un
gioco...
«Ti costringerò a sputare la verità, lo
giuro» ringhiò stringendo i pugni ma sul suo viso
c'era
ancora quel glaciale sorriso.
*
«Il capitano perde colpi» alitò Tony
grattandosi un sopracciglio.
«Lo sapevo che non era una buona idea far parlare
lui.»
«Coraggio, Nat, diamogli un po' di fiducia.»
Natasha sospirò appena e Clint sorrise tornando a guardare
al di là del vetro.
Guardò il ghigno sul volto di Loki e le spalle di Steve che
si
alzavano e abbassavano con troppa velocità. Aveva ragione,
non
avrebbero dovuto lasciare a Steve il compito di interrogarlo ma Clint
sapeva cosa si provava quando ti portano via un buon amico, il
migliore, quando ti portano via una parte di te.
Thor era ancora lì con loro, bloccato in un corpo diverso,
eppure capiva perché Steve sentisse di averlo perso.
Anche se erano una squadra era inevitabile avere affinità
diverse con ognuno di loro, era inevitabile trovare qualcuno che in
qualche modo sembrava completarti o specchiarti, nei pregi o nei
difetti. Lui aveva Nat e Steve aveva Thor.
Con Tony avevano sprecato notti, ubriachi fradici, a ridere alle loro
spalle. Perché
i biondi sono una cerchia a sé stante,
diceva Tony, e Clint doveva correggerlo perché anche lui era
un
po' biondo. Tony rideva fino alle lacrime e poi iniziava a dire che un
giorno Thor e Steve avrebbero fatto a scambio armi per dimostrarsi il
loro amore cameratesco.
Clint scuoteva la testa e vomitava sul divano di pelle.
La mattina seguente incontrare lo sguardo di Pepper era un po' come
avere un tête-à-tête
con Hulk.
«O con le
buone o con le cattive, scegli, stavolta non ci sono mezze misure.»
Steve sembrava aver raggiunto il limite massimo e Clint lo
percepì.
Non fu il solo.
*
«E va bene, mi
hai stancato,
Rogers. Fallo entrare e vi restituisco il vostro caro Thor... Sapete
essere tremendamente noiosi voi terrestri.»
Natasha seguì le labbra sottili quando la voce di Loki
risuonò nel suo auricolare, risuonò in quello di
tutti.
«È una farsa.» Condivideva il pensiero
di Clint,
forse lo stesso stava facendo Rogers perché
continuò a
guardare diffidente il viso assurdamente calmo di Loki.
«Pensi che
siamo così stupidi da credere alla tua resa?»
«Resa?»
Loki rise. «Nessuna
resa, è un atto di clemenza la mia. Un atto di clemenza
dinnanzi
alla vostra disperazione. Solo io posso dissolvere l'incantesimo che lo
tiene legato in quel corpo. Non amo ripetermi, ma ne conviene che siete
voi ad aver bisogno di me.»
«Il bastardo ha ragione.» Tony sospirò
sonoramente.
«A meno che non sottoponiamo Thor a una decina di interventi
di
chirurgia non possiamo farlo tornare il culturista di un tempo, e
comunque resterebbe sempre in ballo la questione “martellone
nella roccia”.»
«Cosa proponi di fare: dargli corda?» chiese e lo
vide annuire.
«Diamogli un po' di lenza sì, e vediamo dove ci
porta. Io ho qualche teoria che amerei verificare.»
«Io voto sempre per aprirlo in due come un tacchino e
costringerlo a sputare la verità.»
«Anche se Thor è parecchio incazzato, ho come il
dubbio
che non ci permetterà di usare il suo fratellino come
rimpiazzo
del piccolo chirurgo, Clint.»
Natasha osservò ancora Steve all'interno della cella e poi
il volto spavaldo di Loki.
Era legato mani e piedi, immerso in una gabbia impenetrabile di
vibranio, alla mercé di assassini addestrati e individui che
non
avrebbero battuto ciglio nel testare la soglia del suo dolore fisico,
eppure sembrava essere lui a dettare le regole. No, era lui a dettare
le regole.
Non le piaceva, Loki non le era
mai piaciuto.
«Fai uscire Rogers e chiama Thor.»
«Ne sei sicura?» Alla domanda di Clint
ingoiò un sospiro.
«No, però cos'altro possiamo fare?»
«È un suicidio, Nat.»
«Può darsi, falco» intervenne Tony
mentre digitava
qualcosa sul suo palmare. Quando finì sollevò lo
sguardo
al vetro. «Ma resuscitare ci viene piuttosto bene.»
Natasha sollevò un angolo delle labbra e a Clint non
restò che sospirare sonoramente.
*
Bruce sentì il trillo del cellulare ma non ricordava dove
l'avesse messo.
Cercò nella tasca dei pantaloni, poi nel taschino della
camicia. Niente.
Cercò sul sedile dell'auto e infine lo trovò fra
le mani di Thor.
«Era a terra. L'ho raccolto.»
«Oh, grazie, Thor.»
Sullo schermo il nome di Tony.
“State arrivando? Fra un po'
tocca alla nostra coppa C.”
Si grattò la fronte con un sospiro sulle labbra.
Non sapeva
se
essere grato o meno alla sua natura stravagante anche in momento
davvero poco leggero.
«Ci sono nuove?»
Sollevò il viso su quello di Thor. «Oh... ehmm,
sì,
cioè no. Tony voleva sapere se stavamo arrivando.»
Provò in tutti i modi a non lasciare che i suoi occhi
cadessero
più in basso del suo collo altrimenti avrebbe dovuto
prendere
Tony e organizzargli un appuntamento al buio con il suo lato rabbioso.
Per fortuna Thor annuì soltanto e tornò a
guardare dal finestrino.
Bruce tirò in mezzo sospiro mentre rispondeva a Tony che
sarebbero stati lì a momenti.
«Posso chiederti un favore, Bruce?»
La voce di Thor era appena un sussurro eppure sembrava sorretta da una
strana sicurezza.
«Certo.» Quando lo guardò i suoi occhi
resero giustizia alla sua sensazione.
«Puoi prenderti cura di Jane, per me?»
Non capì. Scosse la testa confuso. «Cosa vuoi
dire?»
«Lei non mi vuole accanto, non così. L'ho capito
quando
l'ho abbracciata.» Lo sguardo si abbassò e un
triste
sorriso piegò la sua bocca. «Non voleva che lo
facessi.»
«Cerca di capirla, Thor, non è facile. Ha bisogno
di tempo e forse-»
«No, lei non riuscirà a starmi vicino
finché
sarò chiuso in questo corpo e non permetterà a me
di
starle vicino. Non gliene faccio una colpa. Ma finché non
avrò la possibilità di tornare me stesso, vorrei
che tu,
Bruce, la protegga per me. Hai la mai fiducia ma, soprattutto, hai
quella di Jane... Puoi farlo?»
Deglutì a vuoto, deglutì davanti a una preghiera
sospirata.
«Thor, io...» Non
riesco a proteggere neanche me stesso...
La macchina si arrestò proprio in quel momento, dai vetri
grigi si intravedeva l'ingresso dell'enorme edificio.
«Va bene. Lo farò.» Era ciò
che, sapeva, Thor
aveva bisogno di sentire, era ciò che Bruce voleva dire, era
ciò che Hulk non avrebbe mai potuto rispettare.
«Grazie, amico mio.»
Non era ciò di cui Jane aveva bisogno.
*
«Non se ne parla, non permetterò a Thor di entrare
in quella stanza né a Loki di uscire!»
Steve sembrava irremovibile.
«Ascolta, Steve, o questa soluzione o lasciamo che Clint
metta le
mani sui suoi attrezzi di tortura e si diverta con lui.
Scegli.»
Sembrò rifletterci su e Tony ebbe il dubbio che avrebbe
scelto
la seconda ipotesi. Sarebbe stata una sorpresa, una sorpresa per nulla
piacevole...
«Thor è umano adesso» sospirò
il capitano dopo un lungo silenzio.
«Lo siamo anche noi.» La linea di Natasha non
aiutò.
«È diverso.» E per quanto gli dolesse
ammetterlo,
Rogers aveva ragione. Thor era sì umano ma sembrava anche
cambiato in altri sensi. Sembrava quasi... Stranamente con tutta la sua
lingua sciolta non sapeva dirlo.
Sembrava altro.
Intravide la sagoma di Bruce che giungeva incerta dal fondo del
corridoio, al suo fianco una donna bionda che avrebbero dovuto
continuare a chiamare
Thor.
«Signore?»
La voce
di Jarvis risuonò solo nel suo auricolare. Lasciò
che
fosse Natasha a chiarire ai due nuovi arrivati la situazione e si
allontanò di qualche metro.
«Allora, Jarvis?»
«Signore ho
provato a
recuperare le immagini delle telecamere a circuito chiuso ma
è
stato inutile. Nessun algoritmo è servito.»
«E le registrazioni audio?»
«Vuote,
signore. I file risultano privi di una qualsiasi traccia.»
Tony guardò l'interno della cella, gli occhi di Loki che
vagavano annoiati sulle pareti.
«Grazie, Jarvis.»
Benché avesse previsto un mal funzionamento dei software in
caso
di arrivo di Loki, Tony aveva preso le sue precauzioni comandando
Jarvis di fare un back up di ogni dato presente nella Tower. Le
telecamere sparse nel salone avrebbero dovuto riprende comunque
ciò che accadeva, i rilevatori di suono e movimento
avrebbero
dovuto funzionato lo stesso.
Non era andata così.
Era chiaro come il sole che Loki aveva voluto che nessuno sentisse o
vedesse.
Ma avrebbe potuto celare ogni suo segreto ancora per poco.
«Sei umano adesso, non essere avventato. Ragiona, Thor, se ti
vuole in quella stanza ci sarà un motivo e non credo sia
quello
di farti tornare come prima.» Sentì Steve cercare
di
persuaderlo.
«Sono d'accordo con il Capitano: entrare in quella stanza
è solo una pessima idea, anzi è un'idea
decisamente di
merda.» E Clint, gli andava dietro.
«Forse hanno ragione, magari... »
No, Bruce, non ti ci
mettere anche tu.
«Lasciatelo entrare.» Raggiunse di nuovo il gruppo
e
portò gli occhi sul volto di Thor diretto però
verso il
vetro della cella. «E poi noi saremo qui fuori, cosa volete
che
possa accadere? Insomma siamo supereroi, che cavolo!»
Steve gli lanciò la solita occhiataccia da: “no,
siamo
uomini comuni che fanno solo il loro dovere per difendere questo mondo
dalle persone brutte e cattive.”
Clint era ancora per: “idea di merda. Lasciate entrare me e
una motosega e poi ne riparliamo.”
Bruce invece ostentava la sua classica espressione da: “ho
scordato i pantaloni di riserva. Non contate su di me.”
Natasha non aveva espressioni. Era russa, cosa poteva aspettarsi di
diverso?
«Non sono una donzella in pericolo, anche se ho queste
sembianze.»
E Thor aveva ancora il pregio di usare parole arcaiche con la solita
nonchalance.
«Nessuno pensa a te come a Bella Swan, Thor, stai
tranquillo» sospirò battendogli una mano su una
spalla.
«Tu hai più tette.»
Thor non sembrò infastidito dal commento quanto Steve. Tony
iniziava a temere che fosse un femminista convinto e che magari un
giorno lo avrebbero visto guidare una marcia per i diritti delle donne
bruciando reggiseni...
«Finché non saremo sicuri delle vere intenzioni di
Loki
non possiamo farlo entrare in quella stanza. Cosa ci ha detto? Niente.
Né su Amora né sul perché è
di nuovo
piombato qui.»
«Andiamo, Rogers, cosa credevi che dicesse? È
Loki.
Qualunque cosa dica o non dica non ci possiamo fidare di lui a
prescindere.»
«Tony ha ragione.» Thor si era avvicinato alla
porta.
«Di lui non vi potete fidare. Provate a fidarmi di
me.»
Un nuovo silenzio scese.
Tony avrebbe voluto spezzalo con la solita frase sbagliata, ma stavolta
fu Steve a prendersi l'incomodo.
«Sei sicuro, Thor?»
Thor assentì con un cenno del capo. «Lo
sono.»
Steve pretese qualche altro attimo e poi acconsentì.
«Va
bene, ma fa' attenzione e, in qualunque momento dovessi ritenerti in
pericolo, entreremo. Che tu lo voglia o meno.»
«E se fossi in te, Thor, cercherei di uscire da lì
con
qualche muscolo in più.» Scherzò ma non
riuscì a sollevare alcun sorriso. Natasha nel mentre
inserì il codice di sblocco.
Poi il tonfo della porta.
In bocca al lupo, Point
Break...
Quando il vibranio si chiuse alle spalle di Thor, nessuno
poté ignorare il sorriso vittorioso sulla bocca di Loki.
*
Jane notò un'ombra sul bel viso di Pepper mentre leggeva
qualcosa sul suo smartphone.
«Che succede?» chiese con un che di ansioso.
«Oh, nulla, Tony dice che stanno provando a far parlare tuo
cognato.»
Pepper la raggiunse sul divano con due tazze fumanti fra le mani.
«Ti prego, non chiamarlo così. È
raccapricciante» sospirò prendendo una delle due
ceramiche. «Grazie.»
«Scusa.» Sorrise gentilmente al suo fianco
soffiando appena
sul bordo dalla tazza. «Allora, com'è
stato?»
Jane sospirò. «Cosa? Il ritrovarsi davanti il tuo
uomo
sotto forma di donna o lo scoprire che è una donna
più
femminile di te?»
«Io ti avevo avvisato.»
Le piaceva la compagnia di Pepper, sebbene fossero molto diverse.
Pepper era una donna sicura e determinata. Jane era solo uno
scienziato e la sua sicurezza le era data dalle nozioni che conosceva,
perché la scienza è scienza, i numeri sono
numeri. Ma la
scienza era rassicurante anche nel suo essere ignota, era un mondo in
cui si sentiva a casa, sebbene povero di costanti e intrinseco di
variabili.
La scienza le aveva portato Thor e ora qualcosa di diverso glielo
aveva portato via.
«Thor ti ha detto che non è la prima volta che gli
succede?»
Annuì ripensando al loro breve discorso in camera. A come
per
poco la sua mascella non era caduta a terra quando aveva sentito
confessare da una bocca troppo carnosa che c'era stato un tempo - lontano,
diceva - in cui aveva già vestito quella pelle. Un
tempo,
seppur così lontano, di cui Thor non aveva ritenuto
importante
metterla a conoscenza.
E aveva provato rabbia verso di lui, verso di lei, verso quel
viso che sembrava arrossire impercettibilmente mentre le chiedeva scusa
per averle nascosto tutto.
Quale tutto?
Cosa significa
“tutto”?
Sentiva che c'era ancora altro che Thor le stava nascondendo, un altro
che non era così sicura di voler conoscere.
«Non è Thor... È strano, ma non riesco
a riconoscerlo.»
Pepper le sorrise ancora. «No, non è strano, Jane.
È comprensibile. Se capitasse una cosa del genere a me non
so
come reagirei, oddio, forse lo so, anche perché nel caso
sarebbe
sempre colpa di Tony, in un modo o nell'altro.»
Strappò un
sorriso anche a lei. «Però è lo stesso
Thor, non
è cambiato il suo cuore, solo il suo corpo e non per
sempre.»
Prese un sorso di calda tisana e scosse la testa. «Non so
come spiegarlo, Pepper. Non riesco a sentirlo,
è come se...» Poggiò poi la tazza sul
tavolino
nascondendo il viso fra le mani. «È come se si
fosse
allontanato, c'è qualcosa che non vuole dirmi, forse pensa
che
non riesca a capirlo? Io non lo so.» Sospirò a
lungo
ricacciando indietro le lacrime, ricacciando indietro la voglia di
urlare che era stanca di tutte quelle stranezze, era stanca di
aspettare una serenità che sembrava non esserle destinata.
Era stanca.
«Credo di sapere cosa sia.» Alzò il viso
su quello di Pepper che non sorrideva più.
«Cosa?»
«Non so se sia il caso che te ne parli io, ma forse
è meglio sollevare Thor anche da questo incarico.»
Sentì l'agitazione guidare la sua mano mentre si stirava
qualche
ciocca di capelli dietro a un orecchio aspettando che Pepper
continuasse. «Loki non è venuto da solo, questa
volta.» Posò la tazza accanto alla sua e prese un
respiro.
«C'era anche una donna, una specie di maga. Ha messo in seria
difficoltà anche Steve, ma...»
«Chi è?»
«Si chiama Amora.» Capì che quella pausa
era un modo
per chiederle se sapesse di chi stesse parlano. No, non lo sapeva e
sinceramente aveva paura di scoprirlo. Pepper udì la sua
afona
risposta e parlò ancora: «È una sua ex
- di Thor,
intendo, non di Steve, ovviamente. Non credo Steve abbia qualche ex
ancora in vita. A dir la verità non credo neanche che Steve
abbia delle ex...- comunque, non so per quanto e quando siano stati
insieme, ma forse Thor aveva timore di parlartene perché non
voleva che dovessi affrontare anche questo. Credo sia naturale
dopotutto.» Ma Jane era rimasta a quella prima frase.
Una sua ex.
Non doveva stupirsi di certo, anche lei ne aveva avuto qualcuno, no?
Thor aveva vissuto una vita dieci volte più lunga della sua,
era
normale avesse lasciato qualche donna dietro al suo percorso, ora c'era
lei al suo fianco e questo doveva rassicurarla.
Eppure non poté che provare altra rabbia, stavolta per se
stessa, stavolta per quel sentimento che quasi sentiva sbagliato.
Perché era sbagliata per stare al suo fianco, l'aveva sempre
saputo e forse un giorno anche Thor lo avrebbe capito.
*
Loki la guardò fare piccoli passi verso di lui e fermarsi di
fronte, con lo sguardo freddo e le labbra serrate.
«Sigyn... dove eravamo rimasti?»
Sorrise, sorrise ancora, sorrise sentendo sulla lingua il sapore
inconfondibile della vittoria.
Dolce e acre, inebriante eppure spaventoso.
Le labbra di Sigyn restarono una linea netta.
***
NdA.
Scusate il ritardino. Purtroppo questo capitolo è stato una
spina nel fianco perché ho dovuto scriverlo praticamente due
volte avendo perduto (a causa della mia idiozia) la prima revisione
=\\\=
Spero sia stato gradito comunque, benché personalmente lo
odi con tutta me stessa +__+
Ok, alla prossima con il nostro face2face fra Lokino e Sigynuccia e,
attenzione, stavolta abbiamo degli spettatori...
Un abbraccio infreddolito a tutte ^^
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 6 *** Sigyn ***
cap6
L' ultima lacrima
VI.
Quando
le labbra di Loki iniziarono a muoversi Bruce guardò verso
Tony.
Incrociò anche gli occhi di Clint, poi quelli di Natasha.
«Sigyn?»
La domanda che stava viaggiando nella testa di
tutti fu Clint a porla. «Chi cavolo è
Sigyn?»
«Oh...
è peggio di quello che credevo...»
sospirò Tony e Bruce ebbe il timore di aver capito cosa
volesse
dire.
Non ebbe il tempo di
verificarlo perché qualcos'altro attirò la loro
attenzione.
«Che
succede?» chiese Natasha sistemandosi l'auricolare
nell'orecchio. «Non sento nulla.»
A quel punto Bruce
portò gli occhi sulla bocca di Loki che si
muoveva mentre nelle loro orecchie si udiva solo il silenzio.
«Neanche io
riesco a sentire. Stark, che succede?»
Steve
interrogò Tony e lui continuò a guardare
all'interno della camera il muto parlare di Loki. Thor non riusciva a
vederlo, non riusciva a vedere se stesse rispondendo.
Ma rispondendo a cosa?
«Non lo so
ma credo sia la stessa anomalia accaduta alla
Tower» udì da Tony mentre armeggiava con un
dispositivo.
Loki parlava. Ancora
silenzio.
«Quale
anomalia, Tony? Perché non sentiamo quello che
dicono?»
Le pulsazioni stavano
salendo, piano, lentamente ma Bruce le sentiva aumentare.
Odiava essere in
quell'edificio, odiava dover avere tanti piani
affollati sulla testa. Diciassette, per l'esattezza, diciassette piani
con centinaia di persone in ognuno di essi.
Si schiarì
la gola quando avvertì quel groppo di ansia.
Tony continuava a
digitare sul suo palmare. Ancora nessuna voce risuonava nelle loro
orecchie.
«Io
entro» asserì Steve raggiungendo la porta.
«Aspetta,
dammi il tempo di fare un controllo dei software. Forse
è solo un problema tecnico. Le attrezzature dello
S.H.I.E.L.D.
sono imperfette almeno quanto l'addestramento dei suoi
agenti»
borbottò ancora Tony.
«Grazie per
la fiducia.»
«Dovere,
falco.»
Bruce non riusciva a
condividere la loro tranquillità. Steve
invece condivideva la sua preoccupazione e quando anche Nat
parlò, capì che erano in tre.
«Ci deve
essere sotto qualcosa.» Natasha si avvicinò di
più al vetro assottigliando la vista.
«Riesci a
leggere le sue labbra?» Le chiese cercando di
farlo a sua volta ma non riusciva a carpire una sola parola che
abbandonasse la bocca di Loki.
«Non
riconosco la lingua...» sibilò lei al suo
fianco. Stava per chiederle altro quando i begli occhi della compagna
si sgranarono. «Dannazione! Aprite la porta!»
«Che
succede?»
Fu letteralmente
gettato via con una spinta mentre Natasha cercava di inserire il codice
di apertura, senza successo.
Le pulsazioni erano
troppo, troppo alte.
«Non si
apre!» Anche Steve provò inutilmente con una
spallata.
Guardò
attraverso il piccolo vetro. Lo sguardo sul ghigno di
Loki, poi più in basso, ai piedi della sedia dove era legato.
«Oh,
cavolo...» sospirò affannando.
Hulk gli stava
chiedendo di uscire.
*
La stanza era silenziosa, fredda, vuota. Se non ci fossero stati quegli
occhi, se non ci fosse stato quel sorriso, avrebbe creduto fosse anche
vuota.
Sentiva il suo stesso respiro nelle orecchie, profondo, falsamente
sicuro. Celava altro, sapeva bene, Loki poteva percepirlo.
«Dove eravamo rimasti?»
Dove eravamo rimasti?
Benché le immagini della battaglia fossero ancora vivide
nella
sua mente, ciò che ricordava con più
facilità era
la promessa fatta su un balcone, con la notte testimone e
l'ingenuità nelle parole.
Ricordava più facilmente la paura nelle carezze di Loki, la
stessa paura che aveva provato sulla sua pelle. Ricordava le risate e
le lacrime, la rabbia e la passione. Ricordava un mondo chiuso dietro
una porta, una storia vissuta fra le calde braccia di lenzuola umide.
Siamo ancora su quel
balcone, Loki?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?
“Hai la mia parola, Loki, non
cambierà nulla.”
Ma
era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era
stato suo fratello a pronunciarla.
«Hai detto che avresti spezzato questa stregoneria. Avanti,
sto aspettando.»
Lo sentì ridere, una risata morbida, quasi priva di malizia,
quasi... quasi vera.
«Sempre impaziente...» sospirò poi
addolcendo il viso.
Perché?
Ma l'aveva già chiesto benché la risposta la
conoscesse bene.
Perché l'hai
fatta tornare? Quanto altro male credi che possa sopportare?
Quanto ancora ne puoi
sopportare tu, fratello?
«È una maledizione? C'è un sigillo
anche stavolta?»
Ma Loki continuava solo a sorridere.
Sentì le mani tremare. «Rispondimi!»
«No. Non è una maledizione.» Il sorriso,
finalmente sfumò.
«È un incantesimo, allora?»
«No.»
Provò ancora rabbia, ancora atroce e soffocante rabbia.
«Fallo smettere. Adesso.» Ti prego...
La voce aveva tremato e si odiò per questo. Si
odiò per
avergli mostrato per l'ennesima volta la breccia mai chiusa nel suo
cuore.
«Vuoi davvero che lo faccia?»
Eppure Loki non colpì. Non affondò la lama nella
ferita, non ne allargò lo squarcio.
Perché sembrava non ci fosse più traccia di
rancore
dietro quegli occhi? Dov'era finito il livore di qualche ora prima?
Stava fingendo ancora una volta?
«Nostro padre-»
«Non c'è modo che ti veda. La vista del guardiano
non
può giungere fino a te, non può giungere in
nessun angolo
di questo pianeta.»
Non capì e ne ebbe timore.
«Cosa significa? Cosa hai fatto?»
Loki sorrise ancora. «Dovresti ringraziarmi.»
Quel sorriso rubò la sua attenzione e sentì solo
qualche attimo dopo il suono dell'acciaio sul pavimento.
No, non acciaio, ghiaccio.
*
Fu il turno delle catene che gli tenevano le caviglie; caddero a terra
come fossero fatte di plastica.
Steve diede una spinta alla porta, poi un'altra e un'altra ancora.
«Spostati!» Seguì l'ordine di Natasha ma
neanche i
proiettili riuscirono a scalfire la serratura, avendo come unico
risultato quello di mandare in cortocircuito la chiusura elettronica.
Loki era ora in piedi, libero, privo di ogni restrizione, libero di
fronteggiare spavaldo Thor.
Thor era mortale, senza martello né alcuna difesa. Thor era
solo in quella stanza.
«Stark, apri questa dannata porta!»
ringhiò cercando di buttarla giù con un paio di
calci.
Nulla, neanche un graffio.
«Ci sto provando! Ma qualcosa mi impedisce di entrare nel
programma – Jarvis, che succede?»
«Signore, non
riesco a trovare il problema.» Sentì
la voce elettronica di Jarvis anche nelle sue orecchie
«Ma che significa?»
«Il sistema
è operativo,
ogni stringa è perfettamente ordinata e non rilevo nessuna
anomalia. Credo di non riuscire a trovare alcun bug perché
non
esiste.»
«Tony, che sta succedendo?» chiese al limite della
sopportazione.
Quella porta non cedeva neanche sotto i suoi calci, neanche sotto il
peso dei suoi colpi.
Che stupido! Non avrebbe dovuto permettere a Thor di entrare. Avevano
solo fatto il gioco di Loki - ancora una volta.
«Il problema è che non c'è problema.
Apparentemente
il programma è perfettamente funzionante. La porta non si
apre
perché nessuno la sta aprendo» spiegò
Tony.
«Ma questo non ha senso...» La voce di Bruce era
debole e tremava.
Di getto guardò Natasha che annuì capendo il suo
comando.
«Bruce, è meglio che tu vada in un luogo
più
tranquillo.» Lo prese per un braccio senza
lasciargli il
tempo di ribattere. Non l'avrebbe comunque fatto.
Li guardò allontanarsi velocemente per il corridoio, poi
guardò l'interno della stanza.
*
Cercò ancora, setacciò ogni angolo di ogni
memoria sparsa nell'intero edificio.
Ogni computer, ogni dispositivo, ogni maledetto lettore musicale. Non
trovò nulla.
«Maledizione!» sbraitò fra i denti.
«È
un incantesimo, non c'è altra spiegazione...
Bastardo!»
Loki stava ancora parlando, stava ancora gesticolando con un irritante
sorriso sulla bocca.
Oh, quanto avrebbe voluto rifilargli un guanto della Mark dritto sulle
gengive e godersi la maschera di sangue che sarebbe diventata la sua
faccia!
«“Opera delle Stark Industries”,
eh?»
Udì ringhiare Steve mentre cercava ancora di sfondare la
porta
con una spallata.
«Quando ho progettato quelle manette l'ho fatto tenendo conto
della forza e dei campi magnetici esercitati dalla pseudo magia di
quell'idiota. Come potevo sapere che era anche un refrigeratore
ambulante?!» Si giustificò cercando di nuovo un
modo per
entrare nel sistema di apertura della stanza. «È
vibranio,
Rogers, non gli farai un graffio.»
«Ma questo no.» Alla frase di Clint
seguì un suono
strano e sulla vetrata della parete si conficcò una freccia
con
una punta a ventosa. «Allontanatevi.»
Quando vide il luccichio rosso a intermittenza che preannunciava
un'imminente esplosione, non se lo fece ripetere due volte.
Corse pochi metri seguendo l'ombra di Steve prima che un boato
deflagrasse nel corridoio.
Il fischio nelle orecchie che ne seguì fu quasi
più assordante.
Si ritrovò a perdere l'equilibrio e si appoggiò
sulla provvidenziale schiena di Cap che si trovò davanti.
«Tutto bene?»
Annuì alla sua domanda.
«Sì, il tuo sedere mi ha attutito la caduta.
Grazie.» Si tirò in piedi scrollando la testa
mentre il
fumo dell'esplosione si diradava.
«Cazzo!»
L'esclamazione di Clint non era un buon segno.
*
«Un'esplosione al livello 18, signore.»
Fury fulminò l'agente con un solo unico sguardo.
«Stavolta quell'asgardiano me la paga...»
borbottò fra sé mentre raggiungeva l'ascensore.
*
Si pulì più volte i polsi come a lavare via ogni
traccia di quelle ignobili ferraglie.
«I giocattoli di Stark... avevo dimenticato quanto fossero
semplici da mandare in frantumi.»
Sul volto di Sigyn non lesse nulla di diverso dalla più
spontanea sorpresa. Lo fece sorridere.
«Come hai fatto?»
«Dimentichi quale sangue scorre nelle mie vene?»
rispose con beffa ma sapeva bene a cosa si stesse riferendo.
«Cosa voleva dire che Heimdall non può
vedermi?»
Adesso aveva controllo, adesso aveva imparato ad averne. Non era
più schiavo delle emozioni, sapeva governarle, sapeva
governare
ogni alito che gli sfiorava il petto.
Fu solo per questo che non cedette all'istinto che voleva avvolgerle le
braccia attorno e stringerla forte, sussurrarle quanto avesse aspettato
di riaverla, quanto avesse bramato di nuovo il suo calore.
«Vuol dire ciò che ho detto, ora non badare a
questo. Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me.»
Non fu sorpreso dal suo cambio di atteggiamento, dalla sua diffidenza,
dal suo sorriso beffardo.
«Io dovrei fare qualcosa per te?» Poi il sorriso
sparì. «Tu mi hai costretto in questo corpo ancora
una
volta. Tu sapevi, sai,
cosa
significava. Non chiedermi nulla, non puoi chiedermi nulla, non dopo
quello che hai fatto. Avrei preferito mi avessi piantato una lama alla
gola, fratello, ma non questo...»
Fece un passo, poi un altro. Sigyn lo fronteggiò con la
solita ostinazione.
«Non chiamarmi fratello. Smettila di chiamarmi fratello,
Sigyn.»
Di nuovo un sorriso, disperato quanto il suo. «E tu smettila
di
usare quel nome. Chiamami con il mio, se tanto ti disgusta chiamarmi
“fratello”. Thor,
è questo il mio nome. Non ne ho altri.»
Deglutì un denso sapore acido e serrò la
mascella, la
mano tremò appena ma restò ferma lungo il suo
fianco.
«Spezza questo incantesimo o qualsiasi cosa tu e Amora mi
abbiate
fatto... Allearsi con lei... Perché, Loki? A tal punto
arriva il
tuo odio per me?»
«Io non ti odio, Sigyn.»
«Smettila...»
Sorrise inclinando appena la testa. «Se farai ciò
che ti chiedo non-»
«Per le Norne, Loki! Io non faro nulla di ciò che
mi
chiederai! Hai nuovamente attaccato Midgard per diletto, senza alcun
rispetto né riguardo per gli innocenti che la abitano. Hai
costretto nuovamente ad armare le loro mani, la mie, e per cosa? Per
divertirti a guardarmi in questo stato? Per deridere l'unico legame
sincero che sia mai esistito fra di noi? Quanto è profondo
il
pozzo in cui alberga il tuo rancore?»
«La compagnia vuota di questi mortali offusca il tuo
giudizio.»
«No, è la bieca vendetta a offuscare il tuo,
fratello e-»
Fu un attimo, breve e fugace. Un attimo e le sue dita si avvolsero
attorno al suo polso, i denti si digrignarono, la rabbia
squarciò ogni patetico
controllo.
«Io non sono tuo-»
Non seppe cosa venne prima, se il grido, se il suono delle ossa, se lo
sguardo perso e sofferente sul suo viso.
Si ritrovò solo a lasciare quel polso fragile, troppo
fragile.
Una domanda nella testa che per un solo breve istante occupò
ogni suo pensiero.
La risposta la trovò subito, la trovò negli occhi
di
Sigyn, nell'odio che per la prima volta vedeva risplendere nelle sue
asciutte lacrime.
*
Il vetro era ancora perfettamente integro, non una crepa non un
maledettissimo graffio.
Clint colpì la lastra con un pugno sibilando un paio di
oscenità a denti stretti.
Tony e Steve lo raggiunsero subito.
«Quell'esplosivo può mandare a gambe all'aria una
testa
blindata dei Marines! Di che diamine è fatto questo dannato
vetro?»
«Di nessun materiale che possa resistere a un'esplosione del
genere» sentenziò Tony guardando ancora una volta
quella
cella. «È decisamente qualcosa di magico, non si
spiega
altrimenti. Anche il perché non riusciamo a sentire cosa
dicono.»
Steve riprovò con la porta, cocciutamente, ma Clint non
poteva fargliene una colpa.
Saettò nuovamente con lo sguardo su Loki, poi sulle sue
mani.
«Che sta facendo?» chiese quasi più a se
stesso
quando lo vide afferrare un polso di Thor. L'espressione sul suo viso
gli fece riprovare orribilmente sotto la pelle la sensazione
dell'essere un fantoccio di pezza alla sua mercé.
Rabbrividì.
«Ma che-» Le parole di Tony si spezzarono quando
Loki lasciò andare quel braccio.
La porta si aprì.
*
«Thor!» Il primo volto fu quello di Rogers, il
secondo di
Stark, il terzo, che rimase fermo sulla soglia dell'entrata, era di
Barton. Teneva l'arco tirato e una freccia puntata fra i suoi occhi.
L'ultimo che vide fu quello di Sigyn.
*
La freccia fischiò sulla parete con un sibilo, poi cadde a
terra.
Clint abbassò il braccio ingoiando una decina di insulti.
«Dov'è finito?» chiese Tony.
«È scappato, come i codardi.»
Agganciò l'arco
sulla schiena e raggiunse Steve. «Cosa gli ha
fatto?»
Thor tremava, non sapeva se per rabbia o per dolore. Si teneva un polso
che si stava gonfiando troppo.
«Potrebbe essere solo lussato» sospirò
il capitano.
«È rotto...» Anche la voce di Thor
tremava. Era
strano, era strano vederlo così, con quella sofferenza
chiaramente disegnata sul viso, con la determinazione a non cederle
trattenuta sotto le palpebre.
Era umano adesso, e lui sapeva bene quanto davvero poteva far male un
arto rotto.
«Portalo in infermeria, capitano.»
Steve annuì. «Andiamo, Thor.» Non
riuscì a
sorreggerlo, Thor non glielo permise. Scostò la sua mano e
prese
a camminare fuori dalla cella. Steve lo seguì.
Nel mentre si ritrovò a guardare Tony che fissava atono
quella
sedia vuota. Le catene a terra, il ghiaccio che abbracciava le sue
manette.
Prese un respiro profondo e aspettò che lo guardasse.
«Cosa facciamo ora?»
Tony alzò le spalle infilando entrambe le mani nelle tasche
dei jeans. «Aspettiamo la sfuriata di Nick?»
«Probabilmente è già al corrente
di-»
Un secondo dopo, il viso del direttore sbucò dalla porta.
«Voi due, con me!»
Appunto.
ஐஐஐ
«L'hai
visto?»
«Sì, mia regina.» Frigga
respirò a
fondo guardando il nero prato dei cieli. «Si
chiuderà presto.»
Lo sapeva. E sapeva cosa fare.
«Quanto tempo abbiamo?»
«Forse troppo poco. Forse quello che può
bastare.»
Annuì grave alle parole del guardiano. «Mia
regina, il
nostro re-»
«No, non è necessario.»
«Tacere è tradire, mia regina.»
«Tacere è l'unica possibilità che ho
per salvarlo.»
L'unica che mi resta per
non perderli entrambi. Ancora una volta.
ஐஐஐ
Bruce
non riusciva a stare fermo
sulla sedia. Distese le spalle, poi poggiò i gomiti sul
tavolo,
poi tornò a drizzare la schiena. Cercò una penna
con cui
giocherellare: non la trovò.
«Chi vi ha dato l'ordine di interrogarlo?»
«Signor-»
«Capitano, confidavo in te per tenere sotto controllo queste
teste calde e scopro che sei tu l'artefice di questa
stupidaggine?»
Steve deglutì a vuoto e Fury sgranò furente il
suo unico occhio.
Bruce voleva dannatamente una penna.
«Eravamo tutti d'accordo che interrogare Loki fosse l'unico
modo
per scoprire cosa era successo. Nessuno si è opposto alla
proposta del capitano Rogers.»
Clint tentò una difesa che ebbe come unico risultato quello
di
beccarsi la stessa occhiata che era stata rifilata pocanzi a Steve.
«Quella stanza era stata costruita per queste
eventualità,
Nick. L'abbiamo solo battezzata.» Ammirava il modo con cui
Tony
riusciva a reagire e ad agire
in ogni occasione, forse era la spavalderia dei miliardari, o la
stupidità dei geni. «E se mi permetti è
un bel
localino, un po' spoglio forse.»
«Oh, grazie, Stark. Per fortuna non l'abbiamo fatta costruire
a
te altrimenti sarebbe finita congelata all'istante come le tue belle
manette.»
«Sì, lo so che da quando ho smesso con la
produzione di
armi di distruzione di massa non vi sono più molto
simpatico.
Reed però è un buon sostituto, e per la cronaca,
c'era
anche il suo contributo in quelle belle manette finite
“congelate
all'istante”. [1]»
«Il professor Richards prende molto seriamente il suo
compito, a differenza tua.»
«Semplicemente perché non è un compito
per me.
È un favore, Nick, un favore che faccio a te e a quei
parrucconi
seduti sulle sedie del senato. Potrei starmene nella mia villa nuova a
bere piña colada per quanto mi riguarda, così
saresti
libero di abbaiare ordini a Reed e al resto della sua banda.»
Eccoli che ricominciavano. Quando iniziavano a battibeccate, Fury e
Tony erano peggio di una coppia di vecchi sposi inaciditi.
«Non ti tengo legato, Stark, la porta è quella.
Puoi andare quando ti pare.»
«Se non lo faccio è solo per la compagnia e non
certo la tua, mi pare ovvio.»
Si passò una mano sulla fronte contando fino a dieci.
«Dottor Banner!» Non era arrivato neanche a otto.
Alzò lo sguardo sul viso di Fury che troneggiava in piedi a
capo
del grosso tavolo di legno.
Tutti loro seduti attorno come una massa di scolaretti disubbidienti.
Non aveva preso un dottorato in fisica nucleare per finire
così...
«Lei cosa ci faceva qui? Lo sa qual è il
protocollo, giusto?» Il
mostro resta in gabbia quando non è utile.
«Beh, visto che c'erano tutti ho pensato di unirmi
anch'io...» Vide Tony sorridere del suo coraggio ma lo
sguardo
del direttore lo fece spegnere in fretta.
«Vi ho messo nelle mani la sicurezza, l'ordine e la fiducia
di
questa nazione, di questo intero mondo, e mi ritrovo cosa? Un dio
nordico senza poteri e senza attributi e con un polso rotto! Un
pericoloso criminale alieno scappato chissà dove con
chissà quale alleato di cui ignoriamo provenienza e
potenziale!
Per non parlare del circo che ho dovuto tirare su a Central Park a
causa di quel dannato martello!»
«Signore-»
Steve fu zittito ancora.
«Ora, fate in modo di rimettere quel martello nelle mani di
Thor
quanto prima, trovatemi Loki, in qualunque buco si sia nascosto e senza
farvi fregare come delle mammolette, ma soprattutto, evitate di usare
la base operativa della mia agenzia come area-test per le vostre
armi.»
L'occhiataccia finale fu tutta per Clint.
«Sissignore.» E fu lui il primo a lasciare la sala.
*
«Te l'avevo detto che non era rotto.» Natasha
osservò l'infermiere che stringeva la fascia attorno al
polso di
Thor, osservò il suo viso e lo sguardo incuriosito con cui
lo
stava guardando, la
stava guardando. «Puoi andare» ordinò e
lui annuì con malcelata soggezione.
«Fa male» sospirò Thor una volta che
furono rimasti soli cercando di muovere il braccio appena medicato.
«Lo so.» Lei si alzò dalla sedia e
raggiunse il
bancone d'acciaio su cui sostavano ancora le forbici e la garza
sterile. «Ma forse tu non sei abituato, vero?» Gli
sorrise
poggiandosi al tavolo e incrociando le braccia sul petto.
Thor alzò le spalle. «La prima volta che sono
stato
mortale, Jane mi ha investito con la sua auto, due volte.» Le
sorrise di riflesso. «Eppure non ho provato il dolore che ho
sentito prima...» I suoi occhi si abbassarono e percorsero il
bianco della stoffa. «Non mi sono mai sentito più
debole... più-»
«Vulnerabile» suggerì e Thor
tornò a guardarla.
«Già.»
«Posso farti una domanda?» Aspettò che
facesse un
cenno con la testa e continuo: «Chi è
Sigyn?»
La domanda se l'erano posta tutti, altre domande Natasha le aveva
sentite nascere nella testa quando aveva visto gli occhi con cui Loki
guardava Thor in quella cella.
Erano solo piccoli movimenti del viso, pallidi riflessi, un'alzata di
sopracciglia, un labbro che vibrava. Loki era un bravo attore eppure
ogni tanto la maschera si incrinava e lasciava trapelare la sua vera
pelle.
«Sigyn è...» Thor si prese qualche
attimo prima di
continuare. «È il nome che Loki mi diede quando
fui
obbligato in questo corpo la prima volta.»
«Un nome?»
Annuì. «Allora non sapevo cosa fosse accaduto
né
quanto tempo avrei dovuto trascorrere con indosso questa pelle. Loki
decise che darmi un nome sarebbe stato...» Sorrise
tristemente
come perso in ricordi lontani, forse tristi, di certo dolorosi.
«...Sarebbe stato d'aiuto. Nessuno era a conoscenza di
ciò
che mi era accaduto al di fuori di lui.»
«Fu una specie di nuova identità.»
Thor non disse nulla. Le sorrise soltanto annuendo con il capo.
E cosa accadde davvero,
Thor?
Se Natasha fosse stata sicura di avere una risposta avrebbe fatto anche
quella domanda ma, sapeva, Thor non avrebbe risposto.
₪₪₪
Le
dita erano fredde, gelide,
sembravano essere capaci di tarmare anche l'anima, paradossalmente,
alle sue spalle la roccia pareva quasi calda.
Amora cercò di respirare attraverso la morsa con cui la
teneva ferma.
«Dammi un solo motivo per cui non debba ucciderti in questo
momento.»
Provò a sorridere e la stretta si chiuse ulteriormente.
«Non capisco di cosa parli...»
«È mortale!» Il ringhio che si
spezzò fra
denti di Loki la fece sorridere ancora mentre con le dita disegnava la
linea di una runa nel suo stesso palmo. «A cosa
può
esserci utile adesso in quel debole corpo?»
«Oh, di certo è questa la tua vera
preoccupazione... Non
è che temi forse che le sue cosce non siano abbastanza
calde?» Quando poggiò il palmo contro il petto
dello
Jotun, sentì la morsa spezzarsi e lo vide fare un passo
indietro. Solo uno. Almeno poteva respirare nuovamente.
«Non giocare con me, Incantatrice.»
«Non sto facendo nessun gioco, Laufeyson, e non provare
più a mettermi quelle sudice mani addosso»
scandì
tastandosi la gola. «Se è mortale è
perché
qualcosa non ha funzionato.»
Loki ghignò nel suo solito modo fra il cinico e il patetico.
Loki era indubbiamente un patetico, lo era sempre stato.
«Non ha funzionato...» Le fece eco.
«Avevi un solo
compito e l'hai fallito. Il tuo contributo è stato inutile e
inconcludente come la tua stessa presenza.»
Stavolta fu lei a ghignare. «Non ho fallito nulla, Loki. Ha
ancora ciò che ci necessita per mettere fine a questa
storia.
Mortale o Aesir non ha importanza.» Si allontanò
di
qualche passo sfidandolo con un'espressione decisa.
«Piuttosto
che accusare me, impegnati a giocare bene la tua parte.
Sbaglierò, ma sei tu quello che ancora non ha portato a fine
il
suo compito...» Poi sorrise. «Non ancora.»
La risata che udì non la sorprese. «Fossi in te
cercherei
di non sfidarmi. Sai bene la fine che fanno coloro che solo lo
tentano.»
«Siedono su un trono d'oro?» Lo schernì
senza però rubare la soddisfazione di vederlo ferito.
«Non hai ancora ciò che brami, Incantatrice.
Ricordalo.» Quegli occhi verdi non lasciarono trapelare
niente.
«Neanche tu... Ma sappi che se soltanto pensi di usare i tuoi
stupidi inganni contro di me, la tua bella Sigyn svanirà
come
una bolla di sapone. Se io non riavrò ciò che
è
mio, tu mi seguirai nel medesimo fato.»
Loki sorrise ancora. «Guardati le spalle,
Incantatrice.»
«Ti ringrazio per il gentile consiglio, mio principe.»
Lo derise con un inchino. «Faresti bene a seguirlo anche
tu.»
Quando si allontanò poté sentire il suo sguardo
fra le scapole.
Non riuscì a non rabbrividire.
₪₪₪
I corridoi erano silenziosi.
Succedeva sempre quando il principe non era a palazzo.
Ultimamente il
principe era a palazzo sempre meno spesso.
Linn stava
trasportando un vassoio con delle rose appena recise.
Sarebbero servite per creare una lunga treccia floreale con cui
adornare la sala del trono. Perché Thor avrebbe fatto presto
ritorno e come ogni volta sarebbe stata grande festa.
«Sei
Linn?» Si voltò verso quella voce maschile
trovandosi di fronte il viso serio di una delle guardie.
Fece un cenno con la
testa. «Cosa volete?» chiese con
qualche incertezza tenendo salde le dita attorno al vassoio d'argento.
«Chiedono di
te. Seguimi.»
Non fece un passo.
Corruccio la fronte e restò immobile anche
quando la guardia le lanciò uno sguardo spazientito.
«Chi
mi cerca? Chi dà ordine a una delle guardie reali di
convocare
una serva?»
Non era mai un buon
segno. Non aveva commesso nessun'azione che giustificasse una
convocazione ufficiale.
Aveva solo fatto il
suo lavoro, svolto i compiti che le erano stati assegnati, eseguito gli
ordini impartiti.
Chi poteva...
«Il
guardiano richiede la tua presenza. Non farmi perdere altro tempo o ti
carico di forza sulle spalle.»
Per poco il vassoio
non le cadde dalle mani.
***
Note:
[1] Reed
Richards ossia Mister Fantastic, dei Fantastici Quattro.
Considerato l'uomo più intelligente del mondo (per quel che
riguarda l'universo Marvel). [Wikipedia]
NdA.
Tadah!
Altro casotto dove non si capisce nulla, lo so, ma mi auguro che il
capitolo non sia stato troppo caotico @x@
Abbiamo spianato qualche grinza, però: i nostri hanno almeno
fatto la conoscenza di Sigyn (e Loki sta per avere un altro
esaurimento nervoso...)
Mi auguro che tutti conosciate l'amato Mr Fantastic, non
avrà alcun ruolo nella storia, volevo solo inserire un suo
cameo perché lo adoro e perché mi piaceva l'idea
che lui e Tony si rispettassero e talvolta collaborassero.
Tranquilli, nessun crossover marvelliano perché,
ahimè, non saprei gestirlo. *è una capra*
Torna Linn e io sono felice, perché è la mia
bambina e le voglio bene >///<.
E ora piccole news di servizio:
1. Avrete notato il cambio di font. Non è un capriccio ma un
piccolo test. Nonostante ami il font classico di EFP noto che dallo
smartphone c'è qualche problema per quanto riguarda il
corsivo, almeno dal mio non riesco a leggerlo e questo crea qualche
difficoltà per la comprensione di alcune parti della storia.
Questo cap è scritto con il mio caro e vecchio Georgia e
vorrei chiedere a voi se trovate qualche miglioria per la lettura. A
seconda delle risposte vedrò di formattare tutta la storia e
anche il prequel con il nuovo font, altrimenti resta tutto
com'è e vuol dire che è il mio cell a essere
tardo =_=
2. Sicuramente domenica prossima riuscirò ad aggiornare ma
forse sarà l'ultimo aggiornamento per quest'anno.
Lo so che state già festeggiando, brutta gente,
però non sparisco dalla circolazione perché sto
lavorando a una cosuccia per natale ^^
Bene, grazie come sempre per la compagnia e scusate la lungaggine di
queste note >///<
Un abbraccio e alla prossima <3
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 7 *** Messaggio da un mondo lontano ***
Cap7
L' ultima lacrima
VII.
«Ti fa
male?»
«No,
è solo una contusione. Non la sento neanche»
mentì e le sorrise.
Faceva
male, terribilmente male, come se non avesse provato una sola volta una
ferita sulla pelle, come se le sue ossa non avessero vissuto attacchi
di più nemici con armi ogni volta diverse.
Ma quel
polso era niente rispetto al dolore che bruciava nel suo petto.
Quello non
si poteva fasciare; non c'era alcuna medicina, terrestre o asgardiana
che potesse alleviarlo.
Non voleva
riavere di nuovo quel corpo, non voleva riprovare di nuovo la
sensazione di sentirsi diverso.
Non voleva riscoprire quei ricordi vivi, troppo vivi.
Non voleva
guardare il viso di Jane e non sentire il bisogno di sfiorarlo.
Che
viltà...
Aveva
chiesto a Bruce di prendersi cura di lei, ma non aveva avuto il
coraggio di dirgli la verità, di dirgli che era lui a non
esserne capace, perché il nome che aveva ribadito con
determinazione in quella cella, lo sentiva scivolare via respiro dopo
respiro. Ogni volta che rivedeva lo sguardo di Loki, quello sincero e
privo di malizia, sentiva di volersi spogliare di quel nome. Forse
perché non lo aveva più rivisto, forse
perché non era stato capace di meritarselo, dopotutto.
Aveva
giurato di proteggerlo, di amarlo e di essere al suo fianco sempre. E
aveva tradito tutto, era riuscito solo ad allontanarlo.
Ma in
quella stanza fredda e sterile, aveva rivisto il ragazzo gentile con
cui era cresciuto, aveva ritrovato anche se per pochi frammenti di
tempo, il giovane che aveva chiamato “fratello”,
prima di scoprire quanto stretta potesse essere quella parola. Troppo
stretta per racchiudere ciò che significava, ciò
che aveva significato.
Un balcone
e mille bugie, un sogno spezzato e una storia che si era scritta con il
sangue.
Con
l'arrivo di Amora tutto era andato in pezzi.
Con Jane,
Thor sapeva avrebbe perso anche l'ultimo ricordo di quel giovane.
L'aveva
amata, l'amava, e non avrebbe dovuto provarne colpa.
Thor non
provava nessuna colpa.
Ma Thor non
sembrava più abitare in quella pelle.
«Forse
dovresti riposare.»
«Ho
riposato anche troppo, Jane, ma se vuoi chiudere gli occhi,
veglierò volentieri il tuo sonno.»
Jane scosse
la testa e sfiorò la sua mano ferita. «No, sto
bene, Thor.»
Thor
avrebbe voluto baciare la sua fronte.
Sigyn non
lo fece.
«Perché
non mi hai mai parlato di lei?»
Sapeva che
quella domanda sarebbe arrivata. Lo sguardo di Jane ne aveva altre
mille di domande, non sapeva se aveva una risposta per ognuna di esse,
non sapeva se avesse risposte che Jane era disposta ad ascoltare.
«Perdona
il mio tacere, era solo perché non c'era motivo di
parlartene.»
«Non
pretendo che tu mi racconti di tutte le tue ex, non voglio neanche
chiederti quante siano state...»
Aveva
sorriso e Jane gli aveva regalato un piccolo riflesso di quel sorriso.
«Però un accenno a una pericolosa strega in
combutta con tuo fratello sarebbe stato gradito.»
«Non
avevo idea che Amora e Loki fossero alleati... Non potevo saperlo. Non
ti avrei messa in pericolo, non avrei voluto mettere in pericolo
nessuno di voi.»
«Lo
so, Thor.» Aveva sentito le dita stringersi dolcemente
attorno alle sue e quel bacio che Thor aveva voluto darle
sfiorò la sua fronte. «Potrei abituarmi
all'assenza della barba... ma solo a quella.»
Le aveva
sorriso di nuovo mentre le dita di Jane scivolavano ora fra i suoi
capelli troppo lunghi.
«Sono
belli.» Sembrava un sospiro diretto a se stessa. Jane
accarezzò con lo sguardo i suoi capelli, le sue mani, il suo
viso. «Sei bella...»
«Tornerò
quello di sempre, Jane. Te lo prometto.»
Lascerò andare
Sigyn ancora una volta.
«E
tu mantieni sempre le tue promesse, non è
così?» La fiducia di Jane era la stessa che aveva
visto negli occhi verdi di un ragazzo spaventato.
“Possiamo affrontare tutto
questo, possiamo farlo insieme, Loki. Io e te... insieme.”
«Sempre.»
E anche a lei mentì.
ஐஐஐ
«Abbiamo
poco tempo. Va' e ricorda ciò che ti ho detto, bambina
mia.»
Linn
abbassò il capo e si strinse nel mantello.
Il
vorticare del Bifrost era assordante.
«Mia
regina, siete certa che io-»
Non le fu
concesso di continuare. Sentì le mani prendere le sue e un
sorriso sincero disegnarsi sul viso della sua bella sovrana.
«Solo
tu puoi, Linn.»
«Perché,
mia regina? Sono solo una serva...»
Il rumore
diveniva via via più forte, la sfavillio della luce
l'avrebbe accecata se non avesse avuto il capo coperto dalla stoffa
nera.
Ma non ebbe
alcuna risposta.
«Non
abbiamo più tempo.» La voce di Heimdall
risuonò cavernosa. «Devi andare.»
Il suo
cuore batté come un tamburo mentre muoveva un passo verso il
luogo più lontano che avesse mai visto.
Lo sguardo
della sua regina l'accompagnò finché non si
sentì cadere nel niente.
Fu un
attimo, forse di più, forse furono milioni di secondi e
altri milioni ancora.
Linn si
ritrovò a crollare sulle sue stesse ginocchia quando
l'abbraccio del viaggio la lasciò.
Era freddo,
freddo come non aveva mai avuto modo di provare.
Neve.
La neve che
governava le lande delle terre dei ghiacci, le terre patria di un
principe perduto.
La paura
l'avvolse all'istante.
Alzò
lo sguardo in alto verso il cielo nerissimo costellato di piccole
lucciole morenti.
I Cieli di
Jotunheim erano privi di stelle, si diceva, non poteva trovarsi di
certo sull'ingrato pianeta nemico. Heimdall non poteva sbagliare,
Heimdall non sbagliava mai.
Midgard,
così le era stato ordinato: recarsi a Midgard con un
compito, portare a termine quel compito a costo della sua vita.
Sapeva
quanto poco valesse quella vita rispetto al comandamento della sua
regina ed era stata ben felice di metterla in gioco quando aveva udito
dalla voce accorata di Lady Frigga quella richiesta.
Si strinse
nel mantello per proteggersi dalle raffiche di nevischio.
C'erano
alberi, tanti alberi e il suono lugubre e inquietante del vento che si
faceva spazio fra le fronde.
Le era
stato detto di attendere.
Raggiunse
il tronco umido di un albero e cercò riparo sotto i suoi
rami. Non parve trovarne ma decise di restare immobile e silenziosa.
Non avrebbe attirato nessuna bestia selvatica, sebbene su Midgard non
avrebbero dovuto esserci bestie troppo pericolose.
Il principe
Thor amava parlare di Midgard, amava parlare delle genti che vi
abitavano. Linn lo ascoltava in silenzio e si chiedeva cosa si provasse
a poggiare i piedi su una terra così lontana eppure, a
sentirne le storie, così meravigliosa.
Non
sembrava meravigliosa come in quei racconti. Era fredda, Midgard,
fredda e inospitale. Ma Linn aveva un compito da adempiere.
La sua vita
era un prezzo che poteva pagare.
Guardò
il cielo ancora una volta; Asgard era ora lontana.
*
Clint
attraversò i corridoi della base con lo sguardo dritto e le
labbra strette in una linea sottile.
L'arco
legato alla schiena e le mani ancora formicolanti.
Quando
passò davanti a quella porta, e solo in quel momento, la
mascella si irrigidì.
Erano solo
due passi per superarla, ma ogni volta Clint sentiva la sua voce, si
sentiva chiamare e si sentiva dare direttive per la prossima missione.
Sul vetro
non c'era più il cartellino con il suo nome. Ora era
l'ufficio dell'agente Greens.
L'agente
Greens era un buon agente, preparato e meticoloso, e indossava occhiali
neri.
Clint si
era chiesto se Fury avesse cercato barbaramente un modo per
sostituirlo, se si fosse almeno reso conto di quanto fosse squallido e
spregevole tutto ciò, di come ne schiacciava il ricordo
prima ancora del rispetto che lui meritava.
Due passi e
rivide Loki e il suo ghigno.
Due passi e
sentì l'energia che si impossessava del suo corpo e della
sua volontà.
Due passi e
la rabbia tornò a pompare nelle vene, insieme all'unico
sentimento che Loki si era guadagnato, l'unico che Clint avesse mai
donato a un nemico: odio.
Due passi e
al terzo il sorriso schivo di Phil era ancora lì.
«Barton.»
La voce di Steve non lo sorprese. Lo vide avvicinarsi con passo deciso.
«Allora?»
«Dall'area
logistica non risultano anomalie. I tecnici stanno effettuando i
controlli finali su ogni apparecchiatura sia software che hardware. Dai
primi rilevamenti non pare che la struttura sia stata
compromessa.»
Steve
annuì alle sue parole. «Bene. Non lasciamo nulla
al caso, qualunque cosa abbia fatto Loki in quella stanza è
una chiara dimostrazione di quanto siamo stati imprudenti.»
«Non
è stata colpa tua, Steve. Non assumerti la
responsabilità di un'azione di squadra.»
Sapeva bene
che Rogers considerava il suo ruolo nei Vendicatori una specie di
privilegio. Era un modo per mettere al servizio della nazione le sue
qualità, così diceva, e Clint ogni volta si
tratteneva dal prenderlo a pugni, perché erano loro ad avere
avuto il privilegio di poter combattere al suo fianco, era Nick Fury a
dover essere grato a Steve Rogers perché non era capace di
vedere il marcio che infettava le fondamenta dell'agenzia, del governo,
degli uomini in generale.
«Non
avrei dovuto permettere a Thor di entrare in quella stanza.»
Steve iniziò a incamminarsi e lui lo seguì.
«Ha
solo un polso malconcio. Poteva andargli peggio.» Ma subito
il passo si arrestò.
«Clint...»
Lesse la domanda nel suo sguardo serio ma non seppe rispondere.
«Non
lo so, capitano. Questa storia puzza e, mi spiace dirlo, ma credo che
Thor non abbia intenzione di chiarirla per davvero.»
«Thor
è solo una vittima della follia di Loki.»
Sospirò.
«Ne sei scuro? Steve, io mi fido di lui quanto te, ma
guardalo ora. Ascoltalo... Non ci sta dicendo tutto. Pensa a
“Sigyn”.» Lo vide riflettere sulle sue
parole. «Non dico che abbia le risposte ma non vuole neanche
trovarle.»
«Signori?»
Natasha li raggiunse dal fondo del corridoio. «La struttura
è stata dichiarata sicura. Nessun reparto pare essere stato
pregiudicato in alcun modo.»
Studiò
le ombre sul suo viso e sapeva bene quale significato dar loro.
Ma tu credi che non sia
così...
Nat gli
restituì solo uno sguardo e Clint seppe leggere anche
quello.
«Thor
è da Stark e con lui c'è anche Banner. Se Loki
provasse a fare una nuova apparizione stavolta non credo che il dottore
si tirerebbe indietro.» Le parole di Natasha parvero
tranquillizzare Steve.
«Dovremmo
cercare un altro modo per rintracciare Loki, a questo punto. Magari
Tony ha qualche aggeggio strano che può aiutarci.»
Si ritrovò a sorridere all'espressione sul viso del suo
compagno e lo stesso fece Nat. «Beh, volevo dire che qualcosa
ci inventeremo.»
Come sempre, capitano.
Il pensiero non arrivò sulla lingua in tempo ché
un agente li avvicinò con passo svelto.
«Capitano!»
«Cosa
succede?» L'attimo di quiete era appena sfumato.
«Abbiamo
registrato un campo elettromagnetico anomalo nella regione del
Québec, Canada, nei pressi di Salluit.»
Di male in
peggio.
«Cosa
intendi per “anomalo”?» chiese Natasha.
L'agente si
aggiusto gli occhiali sul naso facendo loro segno di seguirlo.
Lo fecero
finché non giunsero nella cabina di controllo del
diciottesimo piano.
Una
quantità di schermi e ologrammi su ogni superficie
disponibile. Solo tre gli agenti a lavoro oltre l'uomo che li aveva
accompagnati.
«I
valori sono completamente fuori dalla norma per i nostri standard
ma...» Dopo aver digitato qualcosa sulla tastiera l'agente si
volse verso di loro tenendo però lo sguardo fisso sul viso
di Steve. «Ci sono similitudini con alcuni eventi registrati
in passato dai nostri strumenti. Il primo fu quello del New Mexico nel
2011.»
Thor...
«Abbiamo
una visita» sentenziò Natasha.
«Bene...
Amici o nemici?» chiese Clint conoscendo la risposta di Steve.
«Scopriamolo.»
Ghignò
annuendo mentre il capitano chiedeva un aereo per raggiungere il luogo.
«Capitano,
il protocollo prevede di informare il direttore per ogni azione sul
campo, soprattutto quando si tratta di un codice-»
«Fa'
pure il tuo dovere, agente, ma voglio un aereo pronto sulla pista entro
due minuti.» Lo interruppe con un tono che non ammetteva
repliche.
«S-sisignore.»
Clint ne
era sempre più convinto: lavorare con Steve Rogers era
davvero un fottuto privilegio.
Ora capisco perché
lo ammiravi tanto, stupido agente.
*
Pepper si
era addormentata e Tony pensò che avrebbe dovuto passare
più notti sveglio a guardarla dormire e meno a incasinare il
suo laboratorio.
Fosse stato
un altro uomo l'avrebbe fatto, le avrebbe sistemano il lenzuolo sulle
spalle e avrebbe continuato a restare in silenzio per godersi il suono
del suo respiro finché non fosse sorta l'alba. Ma non era
quel tipo di uomo, non lo sarebbe mai stato e lei lo amava a tal punto
da accettarlo.
Le
baciò la fronte e uscì dalla stanza, diretto nel
suo piccolo regno sicuro, senza incubi né coscienza, senza
un padre sempre presente nonostante la sua eterna assenza, senza il
peso di un titolo che non sentiva di indossare appieno. No, non era un
eroe, era solo un egocentrico con un QI più alto della media
e qualche soldo da poter spendere senza rimpianti.
I mille
pensieri che vorticavano nella sua testa quella notte erano una
compagnia rumorosa.
Non si era
sorpreso di scoprire che anche le miriadi di telecamere sparse
nella cella costruita da Reed avessero ripreso il nulla, un'infinita
serie di frame
neri privi di immagini.
Tutto
ciò che era accaduto era testimoniato solo da quello che
loro avevano visto attraverso il vetro e dalle parole che Thor aveva
ascoltato dalla boccaccia di suo fratello, parole che ancora non aveva
riportato.
Magari
avrebbe potuto disturbare Bruce, di certo anche lui era nel suo rifugio
di numeri e bip, ricurvo su dati che non erano una cura
perché non c'era nessun male da curare. Magari avrebbe
potuto esprimere altre piccole e amorali
teorie su tutta quella storia...
Si diresse
in cucina alla ricerca di una “tisana scaccia
problemi”, quando scorse la testa bionda di Thor, seduto sul
suo divano con lo sguardo fisso al niente.
«Insonnia?»
Thor si
voltò disegnando sulle labbra un piccolo sorriso.
«Jane
dorme, non volevo svegliarla.»
Traduzione
Thor-Mondo: scusami se
sono seduto sul tuo divano, non volevo crearti disturbo, lo so che quel
pazzo di mio fratello ne combina una dietro l'altra e che sono troppo
tenero per dargli la lezione che merita, sopportami ancora per un po'
finché non troverò il modo di farmi ricrescere la
barba... e altro.
Beh,
traduzione più o meno corretta.
Tony
afferrò una bottiglia di brandy e due bicchieri.
«È
stata una giornata faticosa per tutti» sospirò
sedendosi sulla poltrona accanto e poggiando i vetri sul tavolino.
«Questo ci aiuterà a sopportare anche quella che
ci aspetta domani.» Riempì i bicchieri e ne
allungò uno verso Thor.
«Ti
ringrazio.» Thor lo accettò ma restò a
guardarlo senza buttarlo giù.
«Come
va il polso?» chiese gettando in gola il suo per poi
riempirlo una seconda volta.
«Bene.
Bruce dice che basterà tenerlo fasciato.»
«E
meno male che erano quattro esami... Con cinque avrebbe effettuato
un'operazione a cuore aperto con una mano sola mentre risolveva un
sudoku con l'altra.»
Quella
battuta fu abbastanza per convincere Thor a bere il contenuto del
bicchiere.
«Ehi,
vacci piano, bionda, non mi pare reggessi molto bene l'alcol l'ultima
volta.»
Thor rise
porgendogli il bicchiere. «La seconda volta va sempre meglio
della prima.»
«Sì,
e alla terza ci si sveglia ubriachi e nudi e senza voglia di farsi
domande.» Versò altro brandy mentre Thor gli
regalava un'altra risata.
«Allora
meglio fermarsi alla seconda.»
Tony
sorrise e poggiò la bottiglia sul tavolo. «Mi fa
piacere che ti sia rimasta la voglia di scherzare. E pensare che
c'è della brutta gente in giro che dice che sei incapace di
essere autoironico.» Sì,
quella brutta gente sono io.
Mandò
giù il suo shot e lasciò che Thor bevesse il suo.
Forse
poteva tentare...
«La
Romanoff ci ha raccontato di quella storia della falsa
identità.» Cercò di fare il vago ma
Thor parve rabbuiarsi. Decise di non badarci. «Sigyn... mh,
è un bel nome.»
Provò
a cercare qualcosa sul fondo dei suoi occhi ma erano puntati al
bicchiere perché potesse leggerci.
«Non
era solo un nome, era anche un ruolo, un personaggio da interpretare...
Possiamo dire così?» Nessuna reazione.
Doveva fare
di meglio. «Tuo fratello mi è sempre parso incline
alla commedia, o tragedia se lo preferisci. Un commediante nato,
direi.»
«Loki
cercò solo un modo per proteggermi, sapeva bene che nostro
padre non avrebbe appreso con gaudio la notizia che suo figlio fosse
stato tramutato in una donna.»
C'era
quasi...
«Sì,
non mi sorprende che abbia architettato chissà quale piano
per tenere tutti allo scuro del tuo cambiamento... Serpe
ingegnosa.»
Affondò
e colpì.
«Tieni
a freno la tua lingua.»
Eccolo
lì, il Thor pronto a difendere suo fratello anche di fronte
alla verità.
«Come
lui ha tenuto a freno la sua? No, aspetta, non l'ha fatto, anzi ha
chiacchierato parecchio ma solo tu hai sentito cosa abbia detto in
questa stanza e in quella cella.» Thor lo guardò
senza dire nulla. «Vuoi illuminarmi?» Non ebbe
risposta.
«Sono
parole senza importanza, parole dette al solo scopo di schernirmi.
Ciò ti basti.»
E no che
non bastava!
Sospirò
e lasciò cadere sul tavolo il bicchiere vuoto.
«Thor, perdonami, ma questo tuo continuo eludere le nostre
domande non fa che farne nascere di nuove.»
Quando fu
Thor a poggiare il bicchiere sul tavolo, il rumore che ne
seguì fu decisamente più forte. Tony quasi
temette che potesse frantumarsi e non sarebbe stata neanche la prima
volta che Thor gli decimava un servizio di cristalli, ma ora non era
per baldoria o eccesso di goliardia, ma per un sentimento
più infimo e umano:
rabbia.
«Tu
non cerchi risposte, Tony, vuoi solo la conferma per quelle che hai
già dato a te stesso. E bada bene, questo corpo non
può impedirmi di rammentare a te né ad altri il
limite della mia pazienza.»
«Ehi,
ehi!» sorrise sollevando teatralmente le mani in alto.
«D'accordo. Come sei suscettibile... Cos'è, non
saranno i tuoi giorni?»
Thor si
alzò lanciandogli uno sguardo severo e se non avesse
indossato quella canotta azzurra a pois bianchi - prestito di Pepper -
sarebbe anche stato intimidatorio.
«Ok,
ho esagerato. Scusami. Va bene?» Si mise in piedi a sua volta
con un sorriso sornione. «Non farò più
battute di natura sessista per le prossime due ore. E non ti
guarderò più il sedere. Giuro.» Ma Thor
continuava a fronteggiarlo con espressione seria. «Stiamo
solo cercando un modo per inquadrare questa storia, Thor. Tutto qui.
Non vuoi dirci cosa ti ha detto in quella stanza? Ok, easy, non importa.
Allora raccontaci cosa accadde quella prima volta. Alle volte bisogna
tornare al punto di partenza se si vogliono fare passi
avanti.»
«Comprendo
le tue intenzioni, ma non c'è bisogno di narrare il passato,
non è di alcuna utilità. Ciò che
accadde a quel tempo è ormai solo memoria lontana. Lo
è per me e lo è per Loki.»
Tony
sospirò. «Ne sei sicuro? Perché ti
basta guardare allo specchio per capire che per Loki non è
così.»
Gli occhi
di Thor abbandonarono i suoi per posarsi sul vetro della balconata.
Tony li vide luccicare troppo per appartenere a un dio, a un uomo.
Ma Thor non
era un dio in quel momento, non era neanche un uomo, sembrava
soprattutto, non fosse neanche Thor.
«Signore?»
La voce di Jarvis risuonò nella stanza.
Aspettò
qualche secondo per rispondere.
«Cosa
c'è, Jarvis? Siamo stati attaccati da delle cavallette
hippie?»
«No, signore. C'è il
capitano Rogers in collegamento.»
Brutto
segno.
«Ci
sono novità, Rogers?»
«Stark, dov'è Thor?»
Alla domanda di Steve guardò quel viso ancora una volta.
«È
qui, stavamo facendo due chiacchiere davanti a un bicchiere.»
«Ah, bene.»
Bene?
«Andate alla
base dello S.H.I.E.L.D., saremo lì in breve.»
«Perché,
dove diavolo sei a quest'ora della notte?» Forse Clint lo
aveva finalmente convinto a entrare in uno stripclub.
«Steve?»
«Mi dispiace, signore, ma il
collegamento è stato chiuso.»
«Odio
quando Rogers fa il misterioso, gli riesce anche male fra l'altro, ma
lui continua imperterrito... Ah, deve essere l'età che
avanza.»
Stavolta
non era riuscito a strappare neanche mezzo sorriso a quella bocca.
«Tutto
ok?»
«Sì,
certo. Steve ci ha detto di andare.» Prima che potesse
allontanarsi però lo fermò per una spalla.
«Siamo
tutti dalla tua parte, Thor, e ok, non importa nulla di quello che
è successo e chissenefrega se non vuoi dircelo,
però fai attenzione, stavolta Loki non sembra intenzionato a
proteggere nessuno a parte se stesso.»
Thor fece
solo un cenno con la testa. «Dobbiamo avvertire
Bruce.»
Il modo in
cui aveva cercato di cambiare discorso era alquanto imbarazzante, ma
Tony stavolta preferì mordersi la lingua, in fondo essere se
stesso non era sempre un bene.
«Ci
penso io, tu vai a cambiarti quella canotta inguardabile, e soprattutto
trova una maglia più accollata. Sai, non vorrei che al
capitano cadesse l'occhio.»
E Thor
stavolta gli fece un piccolo sorriso.
No, forse
essere se stesso era sempre un bene.
*
«Li
hai avvisati?» Annuì alla domanda di Clint
guardando poi la figura seduta su uno dei sedili dell'aereo.
«Non mi sembra pericolosa.»
«Le
apparenze possono ingannare» sentenziò cercando di
studiare il viso messo in ombra dal cappuccio nero.
L'avevano
trovata lì, nel bel mezzo del nulla, con gli abiti inumiditi
dalla neve e le mani strette attorno alla stoffa del mantello.
Non aveva
detto molto.
Non aveva
neanche detto il suo nome, ma aveva voluto conoscere il loro.
“Sono
il capitano Steve Rogers.” Solo a quel punto aveva alzato gli
occhi nei suoi e li aveva seguiti senza opporre resistenza, senza
mostrare timore né incertezza. Si era lasciata cingere i
polsi con delle manette e perquisire senza emettere un solo fiato. Non
avevano trovato nulla a parte una lettera sigillata con della ceralacca
che aveva detto fosse per il principe Thor.
“Da
parte di chi?”
Non aveva
risposto.
Sembrava
tranquilla, pensierosa, Steve non capiva se fosse anche spaventata, se
era così sapeva nasconderlo bene.
«Qual
è il tuo nome?» Chiese avvicinandosi.
«Linn,
mio signore.» Provò una strana sensazione a
sentirsi appellare in quella maniera, una sensazione per nulla
piacevole.
«Ehi,
Steve?» Clint lo affiancò e si avvicinò
discretamente al suo orecchio. «Ti ha chiamato “mio
signore”...»
Guardò
quel ghigno divertito con una nota stonata; non gli andava di scherzare
in una situazione così poco chiara.
Non poteva
altresì negare di ammirare e alle volte invidiare la
capacità di Clint, come quella di Tony, di sdrammatizzare
anche nella peggiore delle emergenze, o il cinismo di Natasha di dire
una frase tagliente nonostante fossero a un passo dalla sconfitta.
Tony diceva
che era un noioso, forse era vero, forse sì, prendeva il suo
compito con troppa serietà, ma quando vedi morire il tuo
migliore amico davanti ai tuoi occhi, quando quella mano tesa non
è abbastanza, quando la guerra la combatti e la vinci e
perdi tutto lo stesso, la serietà è l'unica cosa
che ti salva dalla disperazione.
Con loro
aveva imparato che le regole potevano essere infrante, che un ordine
aveva anche una diversa chiave di lettura che, talvolta, il fine
giustifica i mezzi.
Chissà,
con il tempo avrebbe imparato anche a ridere di una ferita che non si
sarebbe mai rimarginata.
Tornò
con lo sguardo sulla giovane donna che aveva spostato il suo verso il
pavimento del aereo.
«Linn?»
la chiamò facendole rialzare il volto.
Aveva dolci
lineamenti e occhi così azzurri che Steve aveva visto solo
un paio di volte: sul viso di Thor, la prima, su quello di Amora, la
seconda.
C'era
qualcosa di indubbiamente diverso in coloro che non abitavano la Terra,
qualcosa che però li accomunava: una stranissima e
impalpabile aura.
Lo sguardo
di Linn però aveva un'altra luce, una luce più
umile quasi sommessa, come se si stesse sforzando di tenerlo fisso nel
suo, come se in qualche maniera, non si sentisse di ricambiarlo.
«Sei
di Asgard?» chiese incrociando le braccia e le sue
riflessioni trovarono ragione quando la ragazza riabbassò
per l'ennesima volta gli occhi.
«Si,
mio signore.»
Di nuovo
quella strana sensazione.
«N-non
chiamarmi così.» Lei lo guardò di
nuovo, stavolta con una certa incertezza. «Steve o capitano -
no è meglio Steve. Chiamami Steve. Io sono Steve.»
Cercò
di non badare al ghignare di Clint alle sue spalle.
«Sì,
so bene chi siete, capitano Steve.» Sulle labbra si era
disegnato un timido sorriso che non aveva compreso finché
Linn non aveva continuato. «Il principe Thor è
solito narrare le gesta dei suoi compagni di armi qui su Midgard. Nei
suoi racconti il vostro nome è ricorrente.»
Aggrottò
la fronte confuso.
«Thor
parla di me?» chiese senza nascondere la sua sorpresa. La
ragazza lo guardò per qualche attimo e poi annuì.
«Molto
spesso. La vostra nobiltà è una voce diffusa fra
le genti di Asgard.»
Sapeva che
Thor provasse, oltre a una sincera amicizia, anche una forte stima nei
suoi confronti, ma mai avrebbe pensato che avesse parlato di lui con le
sue genti, con il suo mondo.
La cosa lo
inorgoglì e rattristò allo stesso tempo.
Ti riporterò
indietro, amico mio...
«Perché
sei qui, Linn? Chi ti ha mandato?»
Il piccolo
sorriso sfumò dalle sue labbra.
«La
mia amata regina mi ha dato incarico di consegnare una missiva al
principe suo figlio. Non ne conosco il contenuto, non ero tenuta a
saperlo, sono null'altro che un'ancella. Mio era solo il compito di
porla nelle mani del principe Thor e non di altri.»
«Sei
giunta qui grazie a quella specie di arcobaleno?» Fu Clint a
chiederlo.
Linn non
tentennò. «Il guardiano Heimdall, colui che tutto
vede, mi ha avvertito che avrei trovato accoglienza fra le genti di
Midgard grazie ai giusti uomini che affiancano il mio signore nelle suo
compito di proteggerla. Mi ha intimato di non temere nulla,
perché sarebbero giunti da me.»
«Sapeva
che avremmo notato l'insolito fenomeno» sottolineò
a quel punto scambiando uno sguardo con il compagno. «Posso
vedere quella lettera?»
«No.»
La risposta fu rapida e non ammetteva repliche. «Perdonatemi,
capitano, ma come vi ho già detto, mi è concesso
lasciarla solo nelle mani del principe Thor.»
Sospirò
ma decise di non insistere.
«Ehi,
capitano, permetti una parola?»
Annuì
alla richiesta di Clint e lo raggiunse tenendo però sempre
sotto occhio la figura della ragazza.
«Credo
che dica la verità» bisbigliò al suo
compagno e Clint assentì con un gesto della testa.
«Chiama Thor e chiedigli se conosce questa ragazza, avremo
presto una conferma.»
«Sì,
Steve, però c'è un piccolo problema.»
Spostò lo sguardo sul viso di Clint e aspettò che
continuasse. «Ha detto che questa misteriosa lettera
è per Thor e che la consegnerà solo a
lui.»
«E
allora?»
Clint si
umettò le labbra con un sorriso. «Steve, noi non
ce l'abbiamo “Thor” al momento, abbiamo solo una
bionda con due belle tette.»
Evitò
di rimproverarlo per quel commento poco appropriato ma non poteva che
dargli ragione. Non potevano certo prenderla con la forza, o meglio,
potevano e di certo il direttore non si sarebbe fatto scrupoli a
ordinarglielo, ma era altrettanto certo di non obbedire a un simile
ordine.
Se la madre
di Thor aveva deciso di inviargli una lettera proprio in quel momento
allora ciò che vi era scritto aveva una certa importanza.
Magari da
Asgard sapevano cosa stava accadendo, quale fosse il piano di Loki e
Amora, magari c'era la soluzione ai loro problemi.
Sapevano di
Thor e del suo cambiamento?
Se era
accaduto anche in passato forse su Asgard erano preparati ad affrontare
quell'eventualità.
E allora
perché Thor non aveva chiesto di mettersi subito in contatto
con il suo mondo?
Troppe
domande, troppe pesanti domande.
«Chiama
Thor e poi penseremo al da farsi.»
Clint
sospirò pigiando l'indice sul suo auricolare.
«Come
vuoi, capitano.»
«Siamo
in arrivo alla base.» Li informò Natasha dalla
cabina di pilotaggio. «Attendo i tuoi ordini per
atterrare.»
«Va
bene.»
Non gli
restava far altro che aspettare che Thor rispondesse.
***
NdA.
Linn viene a farci visita con un piccolo presente per il nostro
principino, e se ve lo state chiedendo, sì, resta con noi
fino alla fine della storia *w*
YEAHHH!
Recupero il contegno e vi informo che al 90% avrete anche il cap 8
domenica prossima, questo perché la mia idea natalizia
sembra si sia arenata (damn... >///>) ma anche
perché questo è un capitolo di transito e mi
sentirei una bastarda a lasciarvi così.
È Natale e siamo tutti più buoni, anche una
sadica come me >///<
Allur, i risultati del sondaggio per il font hanno dato vincente il
Georgia con un punteggio di 1-0 (grazie a Glitter Princess per
aver partecipato ;P) e così ho sistemato già
l'intera storia.
Niente d'aggiungere stavolta ^^
Ci leggiamo nel prossimo dove tornano anche i nostri tre terribili(?)
cattivoni...
Grazie a tutti <3
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 8 *** Linn di Asgard ***
Capp8
L' ultima lacrima
VIII.
Si era appena fermato davanti
a un semaforo quando sentì il bip della chiamata.
Lasciò che
Jarvis facesse il suo lavoro e la trasferisse sull'impianto
comunicazione dell'Audi.
«Rogers,
stanotte sei in vena di chiacchiere? Non è il caso di
assumere uno psicologo o di chiamare una squillo? Fury ti passa un
bello stipendio, puoi permetterti qualche lusso da star»
scherzò lanciando un'occhiata a Thor seduto accanto che
sembrava aver deciso di tenere le labbra incollate fra di loro.
Non aveva detto molto
da quando avevano sentito Steve l'ultima volta.
L'unico scambio, se
così si poteva chiamare, lo avevano avuto quando Thor era
uscito dalla stanza con indosso l'orrenda t-shirt di Captain America e
Tony lo aveva obbligato a rimettere la canotta a pois perché
no, era meglio che a Steve venisse qualche pensiero poco morale sulle
curve di Thor piuttosto che lasciarlo gongolare ancora su
quell'imbarazzante scheletro che Pepper aveva avuto la brillante idea
di portare fuori dal suo armadio.
L'aveva lasciata
addormentata nel suo letto, Pepper.
A Jarvis il comando di
avvisarla non appena si fosse svegliata. In verità sperava
di cancellare quell'ordine prima che lei aprisse le palpebre.
Tony aveva scoperto
anche che Thor aveva qualche riflesso di codardia sotto tutto quel
senso dell'onore, perché alla dottoressa Foster, lui, non
aveva lasciato neanche un misero post-it.
Avevano chiesto a
Bruce di restare alla Tower come lady-sitter. Steve non aveva chiesto
la sua presenza e di certo Bruce era più che felice di
starsene rintanato nella sua bella gabbietta.
«Ehi,
Stark, c'è Thor?» La voce era di
Clint.
«Posso
sapere da quando sono diventato il segretario personale di Thor?
È già la seconda volta che qualcuno mi chiama per
chiedermi di lui. Cos'è, fra un po' mi comanderete di
chinarmi sulla scrivania per leggere gli errori battuti a macchina?[1]»
brontolò fingendo offesa ma Thor non sorrise, non
alzò un sopracciglio, non fece nulla di
“simpatico”.
Sembrava una di quelle
stronze che aveva accompagnato a casa troppo spesso, quelle snob con la
puzza sotto al naso che quando regalava loro un diamante Tiffany
richiudevano annoiate la scatola sospirando un
“carino”.
E Dio solo sapeva se
non aveva la stessa voglia di sbatterlo a calci nel sedere fuori dalla
sua macchina...
Ma
perché bastano due tette e una vagina per rendere qualcuno
così insopportabile?!
«Parla pure,
Clint. Sono qui.»
Oh, sì, una
bella pedata in quel suo sedere gli avrebbe di certo risollevato la
serata.
«Ehi,
amico, abbiamo trovato una ragazza che viene dalle tue parti. Ha
qualcosa per te...»
«Thor, non
sapevo avessi un passato da Casanova» sorrise mentre un paio
di clacson gli suonarono alle spalle. Gettò distrattamente
un occhio allo specchietto retrovisore da cui si riflettevano i fari di
una vecchia utilitaria.
«Dice di
chiamarsi Linn. La conosci, Thor? Possiamo fidarci?» udì
chiedere ancora da Clint.
Thor, se possibile, si
fece ancora più serio. Non era un buon segno.
«Sì,
è un'ancella del palazzo di mio padre. Non è
pericolosa, è solo... è solo Linn.» La stronza parve andare via per qualche
attimo mentre il clacson tornò prepotente insieme a un'altra
decina. «Dov'è? Sta bene?»
«È
qui e sta bene. Il capitano si sta prendendo cura di lei e pare che sia
un compito che gradisca.»
«Falco, non
dirmi che Rogers ci sta provando con una donna!»
«Adesso
sogni, Stark... Comunque stiamo per atterrare allo S.H.I.E.L.D.»
La chiamata si chiuse.
Nel frattempo era
scattato il verde.
«Perché
un'ancella di tua madre dovrebbe venire a cercarti? E per darti
cosa?» Tony si immise nel traffico della notte newyorkese
salutando l'utilitaria alle sua spalle con una sgommata sull'asfalto.
Thor non rispose e lui
provò di nuovo la voglia di gettarlo dall'auto in corsa.
«Potresti smetterla di fare così?»
«Di fare
cosa? Di non rispondere a interrogativi di cui ignoro la
risposta?»
Per un solo istante a
Tony parve di vedere un po' di Loki in quegli occhi, un po' di
insopportabile Loki. Forse non era vero che non erano fratelli di
sangue, forse qualche spruzzata di stronzaggine scorreva anche nelle
vene di Thor.
Evitò di
parlare per tutto il tragitto, ringraziando gli AC/DC per la gentile
compagnia.
Arrivarono presto allo
S.H.I.E.L.D. e Tony non fu mai più felice di vedere una
bionda scendere dalla sua auto.
*
Era un luogo freddo,
quasi più freddo della neve che l'aveva accolta.
Una volta scesa dal
grande volatile d'acciaio su cui aveva viaggiato, Linn fu accompagnata
all'interno di un alto palazzo, attraverso corridoi bianchi cosparsi di
tanti occhi rossi.
Aveva paura e aveva
cercato di nasconderlo. La presenza del capitano Steve al suo fianco
l'aveva aiutata in quell'impresa.
Non era come lo aveva
immaginato.
Dalle parole che aveva
udito dalle labbra del suo principe, Linn aveva creduto che Steve
Rogers fosse un uomo dal grande coraggio e dalla profonda
lealtà, ma non anche un ragazzo gentile.
Un
ragazzo gentile.
Se c'era una dote che
le aveva sempre scaldato il cuore era quella: la gentilezza.
Ne aveva conosciuta
poca nella sua vita, forse ne aveva bisogno più del normale,
sapeva solo che non avrebbe mai smesso di bramarla.
«Scusa per
le manette, ma è il protocollo.»
Lei neanche aveva
badato a quei ferri che le abbracciavano i polsi.
Aveva scosso la testa
e bevuto ancora un sorso di gentilezza dal sorriso del capitano Steve.
Quando il passo si
arrestò, vide le guardie midgardiane allontanarsi e
lasciarla in compagnia solo del capitano e degli altri due prodi
soldati: l'arciere di cui aveva sentito decantare le abilità
sul campo e la bella donna dalla chioma rossa, che nulla avrebbe dovuto
invidiare a una valchiria per grazia e valore, così diceva
il suo amato principe.
«L'agente
Steward ha detto che Stark è appena arrivato.»
«E il
direttore?»
«Sarà
qui a momenti.»
Li udì
parlare e non sapeva quale senso dare alle loro parole. Non le
comprendeva, non avrebbe potuto farlo.
Si guardò
ancora intorno cercando di trovare similitudini con il suo mondo, con
il palazzo reale in cui era nata e crescita.
Era tutto
così diverso.
C'era una luce quasi
accecante in ogni stanza benché all'esterno la notte fosse
lontana dall'abbandonarli. Avrebbe voluto vedere Midgard di giorno,
vedere con i suoi occhi le albe che tanto aveva amato sentir narrare, i
tramonti rossi e infiniti in cui si era perduto per tante volte lo
sguardo del suo principe.
«Stanno
scendendo ora. C'è anche Thor con Stark.» Quando
udì quel nome saettò con gli occhi sul volto
della bella donna incrociando il suo sguardo. Non riuscì a
reggerlo.
Sembrava denso, denso
come lava eppure freddo come i ghiacciai eterni. Lo sguardo di un
guerriero. Lo stesso sguardo che tingeva gli occhi di Lady Sif.
«Vieni.»
Il capitano le fece cenno di camminare verso l'interno di una stanza e
poi le sciolse le catene. «Non c'è più
necessità di queste adesso.» Non si
massaggiò neppure i polsi, la sua attenzione fu tutta per la
lettera che teneva fra le pieghe del mantello. La tastò per
sincerarsi della sua presenza e prese un respiro.
«Capitano,
quando potrò avere udienza dal mio principe?»
La sua domanda
sembrò confonderlo eppure le sorrise.
«Siediti
pure, Thor sarà qui a breve.»
Eseguì il
suo ordine.
Gli altri due soldati
erano spariti fra i freddi corridoi e Linn rimase a guardare la porta
aperta chiedendosi quando avrebbe visto entrarvi il principe Thor.
Il capitano era
però rimasto accanto a lei con le braccia incrociate sul
petto e lo sguardo pensieroso.
Indossava una strana
armatura di un intenso color ceruleo priva di reali spallacci e gambali.
Provò a
immaginarselo in battaglia e si disse che per qualche ragione non ne
avrebbe avuto bisogno.
Sembrava forte e
impavido e di certo una guida saggia per qualsiasi esercito.
Non avrebbe dovuto
arrivare a conclusioni tanto presto, forse si era lasciata condizionare
dai tanti racconti che aveva udito su di lui, forse si era lasciata
condizionare dalla sua gentilezza.
Non sapeva dirlo,
sapeva solo che al suo fianco quella fredda stanza sembrava scaldarsi
almeno un po'.
*
«È una lettera. Dice che è da parte di
tua madre.»
Una lettera da parte di sua madre.
Ascoltò quelle parole come fossero graffiate dritte sulla
pelle.
Una lettera di sua madre fra le mani di Linn.
Perché? Quale crudele beffa poteva mai essere?
“La vista del
guardiano non può giungere fino a te...”
Doveva aver mentito, come sempre.
Heimdall aveva visto.
Sua madre aveva visto. Suo padre aveva visto.
Quell'oscuro segreto che aveva annegato nel cuore per secoli era sotto
gli occhi di Asgard. La sua vergogna, il suo fallimento.
Loki sapeva e aveva agito di conseguenza.
Aveva deciso di gettare anche la memoria nell'abisso in cui aveva
gettato il suo cuore.
Aveva deciso che non c'era nulla che valesse la pena salvare, neanche
un ricordo, per quanto sporco e folle, il solo che ancora li univa.
Non c'era più nulla adesso.
E allora di chi erano gli occhi che aveva incrociato in quella cella?
Di chi era il sorriso sincero?
Dove sei adesso, Loki?
Chi sei?
...
Chi sono...?
«Dov'è?» chiese a Natasha.
«È con Rogers.»
Il tempo dei segreti non poteva più scorrere.
«Portami da lei.»
«Lei vuoi vedere il principe Thor.»
Le parole di Natasha fecero nascere un triste sorriso sulle sue labbra.
«Portami da lei.»
*
«Hai freddo?» Linn scosse la testa. «I
tuoi vestiti sono umidi...»
«Sto bene, capitano, grazie per il vostro
interessamento.»
«Non c'è di che.» Steve si
schiarì la voce con un colpo di tosse e tornò a
guardare il corridoio privo di agenti. «Ehm... e
così sei un'ancella?»
Il silenzio l'aveva sempre avuto come compagno, sapeva dargli il suo
giusto valore, sapeva dirgli grazie perché alle volte
parlava più delle parole. Eppure in quella stanza senza
occhi né orecchie Steve aveva sentito il bisogno di aprire
bocca e darle aria.
L'atteggiamento che aveva sempre rimproverato a Tony ora lo stava
indossando senza un vero motivo.
«Sì, capitano. Principalmente mi occupo dei
bisogni della mia regina, ma capita sovente che venga affidata ai
servizi delle cucine.»
Linn gli rispose con sorprendente tranquillità, quella che
lui in quel momento non sentiva di possedere perché tutta
quella situazione stava minando anche l'acciaio dei suoi nervi.
«Ah, certo... capisco.»
Lei abbassò il capo nascondendo un accenno di sorriso e
Steve per l'ennesima volta sentì quel silenzio pesare.
«Capitano?» Fu Linn a spezzarlo e non seppe se
fosse un bene. Aspettò che rialzasse il viso e lo guardasse
stavolta con una luce più triste, spaventata forse, negli
occhi. «È accaduta qualche disgrazia al mio
principe?»
Deglutì ma scosse la testa. «Perché me
lo chiedi?»
Quindi non sapeva? Ad Asgard non erano giunte notizie su quanto
accaduto a Thor?
«Non ho mai visto alcun'aurora che non fosse fra i cieli di
Asgard e d'improvviso la mia amata sovrana mi investe di un
così alto incarico come quello di consegnare una sua diretta
missiva.» Le labbra tremarono eppure Steve vide solo una
grande forza in quel tremore. «Cosa gli è
accaduto, Steve?»
Quando pronunziò il suo nome deglutì ancora e ora
aveva bisogno di quel denso silenzio.
Cosa gli era accaduto?
Non sapeva rispondere, avrebbe voluto conoscere anche lui quella
risposta.
Dove era finito Thor? E perché non riusciva a trovarlo nel
fondo di quello sguardo chiaro?
«Thor sta bene, puoi credere alle mie parole, ma
sì, non nego che abbiamo qualche problemino qui sulla Terra.
Cercheremo di risolverlo.» Accompagnò quelle
parole con un sorriso.
Cercheremo una risposta
finché non la troveremo.
«È verità? Non che voglia mettere in
dubbio la vostra parola ma-»
«È la verità.»
E poi fu Linn a sorridergli.
«Steve?»
Natasha comparve sulla soglia e lui non si era neanche accorto del suo
arrivo. La guardò in cerca di una domanda e la lesse nel suo
sguardo.
“Thor
è qui. Cosa facciamo ora?”
Ma fu proprio Thor a rispondere quando entrò nella stanza.
In quel momento Steve non sapeva dire quale fosse l'espressione sul
viso di Linn, sapeva solo che stava piangendo.
*
Non poteva essere. Non poteva essere vero.
Sentì le mani tremare così come tremarono le
gambe quando si alzò dalla seggiola di metallo.
«Voi?» Tremò la voce e tremarono le dita
quando coprirono le labbra. «Voi, mia signora?»
Le lacrime le bagnarono le ciglia e le guance eppure in quella foschia
salata Linn riconobbe il viso gentile della sua signora, l'oro dei suoi
capelli, la dolcezza del suo sorriso.
«Linn...» Il calore della sua voce.
Quanto aveva sognato di rivederla? Quante le notti in cui le Norne
avevano ascoltato e ignorato le sue preghiere? Quante le mattine in cui
le era parso di scorgere i suoi occhi su un viso che non avrebbe dovuto
appartenerle?
Ora sapeva, le era sempre appartenuto.
Il pensiero folle e sciocco di una ragazzina era sempre stato
verità.
«Mia signora!» Colmò la distanza che le
divideva con pochi veloci passi. Le prese le mani senza rifletterci
troppo e le baciò con tutta la devozione che aveva sempre
provato e che mai aveva avuto modo di mostrarle, con tutta la
gratitudine per quei giorni di calore che avevano abbracciato una
piccola bambina senza importanza, per il ricordo che aveva fatto
compagnia a una giovane donna.
«Linn, non piangere.»
I suoi occhi...
Quei begli occhi ora si specchiavano nei suoi.
«Non sapete quanto lunga è stata l'attesa, mia
signora, eppure adesso tutto sembra solo un battito di ali.»
Le sorrise e non riuscì a impedire ad altre lacrime di
scivolare giù dalle guance.
Lady Sigyn le asciugò con dolcezza e poi le sorrise ancora.
«Linn, è giusto che tu sappia...»
Non le permise di continuare. Spostò la sua mantella ancora
umida e raccolse la lettera che celava fra le sue pieghe. Lady Sigyn la
guardò apparentemente incerta.
«Vostra Madre vi manda questa missiva.»
«Io...» Sembrò che le sue lacrime si
fossero specchiate anche negli occhi di Lady Sigyn eppure il suo viso
rimase asciutto. Le porse la lettera con riverenza. «Per
me?»
Annuì a capo chino. «La mia sovrana mi ha
comandato di consegnarla solo nelle mani del principe Thor.»
Le dita di Lady Sigyn sfiorato le sue quando presero la missiva.
«Come hai...?» Fu un breve fiato.
«È stata la regina a informarti?»
Quando riguardò quel viso che tanto le era mancato sorrise
ancora fra la lacrime. «No, non sapevo che vi avrei
rincontrato qui su Midgard, ma non ho mai dimenticato le sfumature dei
vostri occhi... Forse la mia regina lo sapeva.»
«Linn...»
«E io voglio che voi sappiate che la mia fedeltà
è cieca quanto indissolubile, mia signora.»
Il suo sguardo disse più di quanto fece la lingua.
Lady Sigyn comprese e se trattene le sue di lacrime, era solo
perché nelle sue vene scorreva il sangue di un principe di
Asgard.
«Grazie.»
*
Tony prese un respiro e guardò verso Clint.
«So quello che stai per dire» sospirò
Barton e lui sorrise. «Abbiamo qualcuno con delle
risposte.»
«E non ne sei felice?»
Clint gli lanciò un'occhiataccia e poi tornò a
guardare l'interno della stanza dove Thor, o meglio, Sigyn, stava
ancora chiacchierando con la sua vecchia amica.
«In parte sì, in parte ho paura che alla fine di
questa storia dovrò andare in analisi...»
«Faremo delle sedute di gruppo, tranquillo» rispose
con un ghigno soddisfatto.
La Romanoff aveva seguito la scena in silenzio ma Tony fu rapito
più volte dalla faccia assurdamente interdetta di Steve.
Povero Cap, se la faccenda assomigliava solo lontanamente a quella che
aveva ipotizzato lui, probabilmente neanche le sedute di gruppo
sarebbero servite.
Ma ora non aveva importanza, ciò che contava era che
finalmente era giunta la persona giusta e, destino magnanimo, al
momento giustissimo.
Non restava che fare le domande, e Tony aveva stilato da tempo una
bella lista.
*
Steve avrebbe voluto chiedere spiegazioni, Steve aveva bisogno di
spiegazioni per capire cosa si celava dietro quello che era appena
accaduto davanti ai suoi occhi, dietro la reazione di Linn, dietro a
quella di Thor.
Non ebbe tempo neanche per formulare una cortese ma bisognosa richiesta
ché vide Linn accasciarsi fra le braccia di Thor.
«Linn?» Thor chiamò il suo nome mentre
cadeva in ginocchio per sostenerla.
«Cos'ha?» chiese a quel punto avvicinandosi e
sentendo un'inquietudine che non capiva tingere il suo viso mentre
osservava quello privo di sensi della ragazza.
«È stato il viaggio.» Thor le
sfiorò la fronte e poi una guancia ancora umida di lacrime.
«Linn non ha mai viaggiato oltre le mura di Asgard. Deve
essere stato spossante per il suo corpo. Necessita di riposo e di abiti
asciutti.»
Steve incrociò quegli occhi azzurri e forse non
riuscì a impedire alle domande, alla diffidenza, ai dubbi di
trapelare dai suoi perché Thor riabbassò presto
lo sguardo sul volto assopito della ragazza mentre scioglieva i piccoli
nastri che tenevano stretto il mantello ormai zuppo.
Le parole di Clint risuonavano nella sua testa: “Thor non ci
sta dicendo tutto.”
Era verità.
Thor aveva segreti chiusi fra le labbra e non aveva intenzione di
pronunciarli.
Quei segreti avrebbero forse dissipato le nebbie che circondavano le
azioni di Loki e della sua alleata o, nel peggiore degli scenari, ne
avrebbero create di nuove.
«Qualcuno mi aggiorni. Cosa sta succedendo?» Il
direttore Fury era giunto anch'egli ma Steve non badò molto
alla sua presenza. Flesse un ginocchio e distese le braccia attorno al
corpo di Linn.
«Me ne occupo io, Thor.» Intrecciò i
suoi occhi solo per brevi istanti mentre si rialzava tenendo fra le
braccia il corpo così leggero della ragazza.
«Grazie.»
«Capitano?»
Lo sguardo di Fury non riuscì a evitarlo, e non
evitò neanche di dargli una risposta alla sua domanda muta.
«Signore, questa ragazza non è una
minaccia.»
«Questo lascialo decidere a me.»
«Certo, signore, ma mentre lei decide renderò
onore all'ospitalità della Terra facendola riposare su un
letto anziché su un pavimento gelido.»
Varcò la soglia ignorando i successivi richiami e
dirigendosi verso il reparto di infermeria, l'unico con delle brande.
Sentì la voce di Natasha prendersi l'incarico di spiegare
ogni accaduto.
«Wow, Rogers! Ho avuto un'erezione, giuro!»
La compagnia coattiva di Stark era l'ultima cosa di cui necessitava ma
non fece nulla per impedirgli di andargli dietro.
Sapeva che Fury avrebbe fatto il terzo grado a tutta la squadra e poi
lo avrebbe chiamato per fargli una lavata di capo, l'ennesima, per il
suo comportamento.
Avrebbe affrontato a testa alta ogni sua parola, ciò che gli
premeva adesso era capire almeno un po' quella situazione.
«La faccia di Nick era stupenda, sensazionale! - Jarvis, hai
recuperato le immagini dalla telecamera nell'angolo ovest del
corridoio?.... Oh perfetto, le voglio in HD sul mio palmare il prima
possibile.»
Trattene un ringhio mentre lanciava un'occhiata spazientita al
compagno, ma Stark aveva dalla sua un'irriducibile capacità
di menefreghismo che, doveva ammettere, gli aveva invidiato
più volte.
Quando raggiunsero l'ascensore e le porte si chiusero alle loro spalle,
non poté più evitare la sua presenza.
«Dovresti ammutinarti più spesso, Rogers, dico sul
serio! Hai un lato sovversivo che ignoravo. Sicuro che non fumi erba di
tanto in tanto?»
«Stark, anche se ho le mani occupate questo non vuol dire che
non possa rifilarti un calcio nel sedere se dici ancora mezza
parola.»
Tony sorrise alzando le mani con fare scenico.
«Come vuoi, Cap. Come vuoi.»
Sapeva che non avrebbe mantenuto fede a quella parola.
Mentre i piani si intervallavano sulla parete frontale, Steve
guardò il viso della ragazza che stringeva fra le braccia,
le ciocche ramate che le ricadevano sul viso e rivide le lacrime che le
avevano bagnato le ciglia pochi attimi prima.
Il modo in cui Linn aveva guardato e poi parlato con Thor raccontavano
di qualcosa che andava oltre il rispetto, la stima e l'obbedienza che
si riserva a un capo, a un Padrone - per quanto lo disturbasse quella
parola. Se avesse voluto cercare un termine corretto, probabilmente ne
avrebbe usato uno alquanto blasfemo: fede.
Tutto sommato, non era poi così blasfemo, ma per ammetterlo
avrebbe dovuto mettere in discussione parecchie certezze e non era
né il momento né il luogo adatto, soprattutto non
quando aveva addosso lo sguardo sornione di Tony.
«Carina, eh?»
«Sto per alzare il piede.»
Tony sorrise ancora. «Non metterti sulla difensiva, Steve,
non c'è nulla di male ad ammettere che una donna
è attraente, anzi, se lo facessi potresti anche mettere a
tacere tutte quelle voci sulla tua presunta
omosessualità.»
Si sentì avvampare e d'istinto serrò la presa sul
corpo sottile di Linn.
«Ma ch- Chi osa mettere in giro simili voci?» Era
esterrefatto e indignato. La sua vita privata doveva restare tale e non
capiva perché ci fosse quel continuo interesse a ficcanasare
nei suoi affari. Non era un Don Giovanni e forse con le donne non
sapeva neanche come parlare, ma questo non voleva assolutamente dire
che avesse qualche tipo di strana
inclinazione.
«Ehm... Sono stato io in effetti, però anche
Clint- Ahi!»
Stavolta il calcio non fu solo una minaccia a vuoto. Steve gli
colpì uno stinco con decisione e Tony per poco non
svegliò la ragazza con il suo urlo.
«Ma che diavolo, Rogers! Vuoi rompermi una gamba? Sono
già convalescente. Non hai visto il taglio sulla fonte? Ho
anche il cerotto! Lo vedi?» brontolò Tony mentre
si indicava un ridicolo cerotto rosso che sarebbe stato bene solo sulla
fronte di un bambino, non certo su quella di un sedicente genio,
miliardario playboy e quello che era.
«Se la gente ti tira scarpe e ti prende a calci non
è il caso che ti fai un esame di coscienza? Magari quelle
scarpe e quei calci li meriti, Stark» sentenziò
mal celando un sorriso di beffa.
«Ah sì?» Le porte si aprirono e fu solo
per questo che Tony riuscì a evitare il secondo calcio che
Steve avrebbe voluto rifilargli quando riaprì bocca:
«E tu meriti di restare vergine per il resto della tua
vita!»
«Stark!»
₪₪₪
«La
barriera è ristabilita.»
«Bene.» Styrkárr sospirò a
fondo guardando il suo stesso riflesso nell'enorme specchio che
tagliava in due la parete. «La falla però potrebbe
essere stata avvertita, anzi, sicuramente è stato
così.»
Amora lo affiancò con le braccia incrociate sul petto e
osservò i suoi occhi attraverso la lastra riflettente.
«Cosa facciamo?»
«Nulla, ragazza mia, nulla. Loki deve ancora fare la sua
parte e questo è il motivo per cui gli perdoniamo questa
piccola disattenzione.»
«Insopportabile arrogante... ha osato mettere in dubbio le
mie capacità quando non sa controllare neanche le reazioni
delle sue braghe.»
Styrkárr rise di gusto e si voltò per incrociare
il viso imbronciato della donna.
«Oh, Incantatrice... Abbiamo bisogno di lui ancora per un
po'. Poi...»
Non continuò ma riuscì a disegnare un sorriso
sulle sue labbra. «Spero lascerai a me un tale
onore.»
«Non oserei mai negartelo, Amora, lo sai bene.»
«E io non te lo permetterei, Styrkárr.»
Amora gli piaceva, avevano lo stesso modo di vedere le cose, la stessa
determinazione nel ribadire ciò che apparteneva loro e
nessuno scrupolo a usare ogni mezzo per rispettare quella
proprietà.
Per questo in qualche maniera gli spiaceva doverle tagliare il collo
una volta che non avesse più avuto bisogno di lei. Ma
avrebbe mantenuto la sua parola: non avrebbe negato a lei il diritto di
tagliare quello di Loki.
«Data questa piccola inconvenienza sopraggiunta
accidentalmente, abbiamo bisogno di accorciare i tempi.»
«Notizia meravigliosa. Non vedo l'ora di chiudere questa
storia. Non sopporto più di averlo davanti a gli
occhi.» La donna alzò lo sguardo verso il soffitto
e non nascose un'espressione di puro disgusto che Styrkárr
condivideva. «Non sopporto più neanche questo
sudicio posto che si ostina a chiamare palazzo.»
«Per un ratto anche una fogna è una casa,
Incantatrice.»
«Un ratto ha più buon gusto.»
Condivisero anche una risata mentre Styrkárr si diceva
ancora una volta che sarebbe stato veloce e preciso e Amora non avrebbe
sofferto troppo. Sarebbe stato il suo modo per ringraziarla della
sublime compagnia.
*
Loki strinse forte i pugni sentendo le unghie conficcarsi nel palmo
delle mani.
Serpi velenose...
Sapeva bene con chi aveva stretto quel patto, sapeva bene quale sarebbe
stato il loro ruolo all'interno della sua commedia, sapeva bene come
avrebbe fatto scontare a ognuno di loro ogni parola, ogni sguardo, ogni
singola risata.
Serpi velenose... Io lo
sono di più.
Spinse le porte e attraversò il salone raggiungendo i due
che lo accolsero uno con un sorriso e l'altra con espressione seria.
«Pronto, giovane re?» lo beffeggiò senza
decenza Styrkárr.
Loki sorrise serafico. «Mai stato più
pronto.»
«Bene, allora vedi di non farti distrarre stavolta.»
Conficcarle una lama in gola, sarebbe stata la sua più
grande soddisfazione.
«Amora, non dovresti dubitare del nostro alleato. Siamo
giunti fin qui perché abbiamo completa fiducia nelle sue
doti. Non è così? Se non fossimo stati certi che
avere il suo aiuto fosse stato utile ma mai quanto necessario, non
avremmo neanche osato disturbarlo.»
Conficcare una lama nella gola di Styrkárr sarebbe stata una
soddisfazione ancora più grande.
«Quando sarò su Midgard sarò celato
anche ai vostri occhi. Spero non sia un problema.»
«Oh, assolutamente, Loki.»
Amora sorrise con sfregio. «Nessuno di noi ha interesse a
vedere quali mezzi deciderai di usare per convincerla a
collaborare.»
«Fa' ciò che devi, ragazzo, e torna vittorioso. So
già che lo farai.»
Loki si congedò con un cenno del capo e un sorriso sulle
labbra.
Conficcare una lama nella gola di entrambi sarebbe stata una
soddisfazione sublime, lasciare che se la conficcassero a vicenda,
però, le avrebbe superate tutte.
₪₪₪
L'alba aveva appena
accarezzato il cielo. Rosso e arancio si abbracciavano come vecchi
amanti mai stanchi.
Nelle sue mani sentiva
la rigidità della carta e l'odore di casa
solleticò le narici.
Aveva chiesto un po'
di solitudine e aveva deciso di cercarla sulla cima del palazzo,
sull'enorme spiazzo su cui sovente atterravano gli uccelli ferrosi
dello S.H.I.E.L.D.
Infilò una
ciocca di capelli dietro a un orecchio e si sedette a terra con le
spalle contro un muro.
Ai suoi piedi la
bellezza algida della città chiamata Grande Mela.
Aveva sempre trovato
bizzarro quel nome ma aveva altresì sempre amato guardarla
in compagnia del silenzio; che fosse sul terrazzo di casa di Tony o sul
tetto di quel freddo edificio, o fra le braccia di Jane, non avrebbe
mai smesso di lasciarsi sfuggire brevi sospiri di piacere.
Sollevò gli
occhi al cielo ancora una volta sentendo il pallido sole incapace di
scaldare la sua pelle inumidita ancora dalla brezza del primo mattino.
La lettera fra le sue
mani era ancora chiusa.
Osservò a
lungo il sigillo laccato di rosso, le linee fuse nella ceralacca che
riportavano le iniziali di sua madre.
Lo ruppe sentendo una
profonda inquietudine guidare le sue dita.
Quando ne
spiegò la carta prese ancora un profondo respiro mentre
scorreva con gli occhi le parole che sua madre aveva deciso di affidare
a Linn, la sua piccola Linn.
Linn era parte di quel
sogno andato in frantumi, parte di quell'illusione consumata in secoli
lontani, non abbastanza lontani da non fare ancora male.
Ma Linn era anche la
prova che non era stata un'illusione.
Linn era la
testimonianza che un tempo aveva avuto davvero l'amore di suo fratello.
“Non sono
tuo fratello, non lo sono mai stato.”
E se quella menzogna
non fosse mai stata detta?
Se avessero sempre
saputo che non era sangue ciò che li legava ma altro? Che quell'altro non era un
peccato?
Se quella notte di
tanti secoli prima, Sigyn fosse rimasta, forse le cose...
Scosse la testa per
sbarazzarsi di quel pensiero.
Sogni, speranze,
utopie che non doveva più far germogliare né
nella testa né nel suo cuore.
Avrebbe fatto solo
altro male, avrebbe fatto male a troppe persone.
Mentre leggeva quella
lettera, parve che la voce di sua madre fosse lì, che lei
fosse lì a sospirargliele all'orecchio mentre faceva
scorrere le dita fra i suoi capelli.
E quanto ne avrebbe
avuto il bisogno ora, neanche sapeva dirlo.
“Qualunque sia la trama scritta
dal fato, Thor, figlio mio, solo tu puoi toccare il cuore di Loki...”
Non c'era quel nome,
non veniva menzionata lei in nessuna riga, eppure era presente in ogni
singola parola.
Sentiva che sua madre
sapeva, per questo aveva inviato Linn su Midgard.
Ma aveva sempre
saputo? Anche allora? Anche quando aveva indossato quel nome e quel
cuore? Anche in quel tempo in cui aveva vissuto un vita e una passione
tanto intensa quanto sbagliata?
Sua madre sapeva
quando aveva asciugato le sue lacrime dopo l'inganno di Loki? Quando
aveva pianto la sua morte e aveva sospirato fra le sue braccia quanto
sentisse la mancanza di suo fratello? Quanto amasse suo fratello?
E suo padre sapeva,
quando rigido e regale aveva comunicato la crudele verità
delle origini di un bambino rubato al suo mondo e cresciuto e cullato
in una calda e atroce menzogna?
Temeva quale fosse la
risposta.
“Sono ombre nere quelle che
abbracciano il destino di Midgard e quello del resto dei Nove Regni.
Sono nere le ombre che abbracciano il cuore di Loki. Sono ombre antiche
e cariche di rancore, un rancore che può distruggerlo...”
Aiutami
a capire, Madre, aiutami a scogliere quelle ombre...
Ma non c'era soluzione
in quelle parole, c'era solo una richiesta.
“Pensa come fratello ma agisci
come un Re. Cerca la forza nel fondo del tuo cuore e non avere paura di
usarla...”
Usarla
contro chi, Madre? Contro cosa?
“Midgard è celata alla
nostra vista. Tutto è celato eppure il mio sguardo non ti
abbandonerà, figlio mio, non abbandonerà nessuno
di voi.
Anche le tenebre
più fitte possono essere squarciate da un semplice raggio.
Ricordalo, bambino
mio...”
Sollevò gli
occhi al cielo sempre più caldo e sospirò le
ultime parole che sua madre aveva scritto.
«...C'è
sempre speranza.»
***
Note:
[1] La
battuta di Tony è un riferimento alla famosa scena del
bellissimo film “Secretary”.
NdA.
Eccoci qui, ormai la verità è lì
lì per essere scoperta...
...
Sìììì, credeteci XDDD
Più che altro iniziamo a smuovere le cose anche
perché Lokino tornerà a fare danni, e che danni,
signore mie u.u
E Linn si è presa una cotta per Cap, e Tony pure si
è preso qualcosa per (colpa di) Cap, diciamo un livido sotto
al ginocchio OxO
Io invece soffro di crisi da felicità natalizia e vorrei
solo abbracciare tutti coloro che stanno seguendo questo sequel
perché vi voglio bene e voglio bene a questa storia e la sto
scrivendo con cuore e pancia *^*
Un abbraccio anche a quelle due serpi di Amora e Styrkárr
perché grazie a loro posso bullizzare Loki senza troppi
sensi di colpa XDDD
Il piccolo principe mi perdonerà, mi farò
perdonare, promesso...
Ok, sparisco io e le mie demenze da xmas-addict.
Vi auguro un felice e sereno natale e, se non dovessimo leggerci, buona
fine e miglior inizio!
Vi voglio bene <3
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 9 *** Riflesso di donna ***
Cap 9
L' ultima lacrima
IX.
Quando
aprì gli occhi si sentì avvolta da un dolce
tepore. Non
riconobbe il luogo che l'accoglieva e cercò con lo sguardo
qualcosa che l'aiutasse a orientarsi.
La
trovò su una seggiola
vicino a quello che sembrava uno scrittoio. La trovò nel
capo
assopito del capitano Rogers, poggiato sulle sue stesse braccia.
Si
tirò a sedere scoprendo
che il tepore che sentiva era causato dalla morbida consistenza di una
pelliccia che le avevano poggiato addosso. Era una cosa bizzarra. Non
aveva mia visto una pelliccia priva di peli, così liscia al
tatto eppure così calda.
Pensò
che doveva aver perso i sensi.
Ricordava
solo il viso di Lady Sigyn e le sue braccia che la sostenevano.
Poi un
profumo forte e deciso che
l'aveva accompagnata fin dentro all'universo in cui aveva
sognato l'oro del palazzo e il sorriso della sua sovrana.
Passò
le dita sul tessuto grigio e sollevò ancora lo sguardo sul
volto del giovane soldato.
Quel
profumo era ancora in quella stanza bianca: era quello del capitano
Rogers.
Aveva
vegliato il suo sonno?
Si
sentì una sciocca a pensarlo. Semplicemente l'aveva vigilata.
Era
un'estranea. Non
apparteneva a quel mondo, era giusto e saggio che le venisse affidato
un custode per controllare i suoi passi.
Ad Asgard
era usanza adottare simili prudenze con ogni forestiero.
Si
portò la pelliccia
più vicino e le fu concesso di indugiare sul viso assopito
del
midgardiano. Sembrava stanco e bisognoso di riposo, sembrava che quel
sonno lo stesse cullando dolcemente.
Le labbra
quasi sorridevano.
Avrebbe
potuto tranquillamente
camminare al fianco dei soldati della guardia reale senza alcuna
difficoltà. Non deficeva per nessuna dote: corporatura,
forza, coraggio... bellezza.
Con indosso
l'oro di Asgard avrebbe potuto competere con la magnificenza del suo
principe.
Si
sentì arrossire a quel pensiero e scosse il capo per
rimproverarsi.
«Sei
sveglia?»
Notò
solo allora, sulla
soglia della porta, la figura della valchiria dalle rosse chiome. Non
si chiese da quanto fosse lì, da quanto la stesse
osservando.
Aveva paura che rispondersi avrebbe solo aumentato il timore che ella
le suscitava.
«Ho
perduto i sensi?» chiese abbassando lo sguardo sulla
pelliccia che stringeva fra le dita.
«Sì.
Thor dice che è normale visto che è stato il tuo
primo viaggio.»
Annuì
ancora a capo chino. «Perdonatemi per avervi arrecato tanto
disturbo.»
«Figurati...
di solito le
visite che riceviamo non sono molto gradite, anche perché il
più delle volte hanno come unico scopo quello di
annientarci.» La stranezza di quelle parole le fece alzare
gli
occhi sul viso della donna e lo trovò segnato da un sorriso.
«Quando arriva qualcuno con delle buone intenzioni siamo ben
felici di ospitarlo.»
La fierezza
del suo sguardo non
impedì a un'insospettata dolcezza di attraversarlo e Linn
fu felice che la bella guerriera l'avesse ritenuta degna di
quella concessione.
Un
brontolio si sollevò dello scrittoio e capì che
il sonno del capitano doveva essere stato spezzato.
«Capitano,
alla
buonora!» Udì scherzare la donna e
osservò come il
busto del soldato si sollevava con movimenti apparentemente ancora
stanchi.
«Credo
di essermi appisolato...» La sua voce ancora incerta aveva un
suono stranamente dolce.
«Infatti,
e non ci hai fatto una bella figura con la nostra ospite.»
A quel
punto incrociò gli
occhi azzurri del soldato e se non avesse d'istinto scostato i
suoi avrebbe visto il rossore che aveva imporporato le sue guance.
«Oh,
io...» Un colpo di tosse. «Sei sveglia? Bene...
Come ti senti?»
«Ristorata,
capitano. Grazie per il vostro gentile interessamento.»
«Fury
ti vuole nel suo
ufficio.» La guerriera parlò ancora e il viso del
capitano
si fece serio. «Resto io con lei, tu vai. Non credo che
stavolta
sarà veloce.»
Non
capì cosa volesse dire.
Vide solo il capitano avviarsi alla porta e regalarle un ultimo sguardo
prima di imboccare il corridoio a sinistra.
Non avrebbe
voluto che andasse via,
ma sapeva non poteva chiedere che uno dei guerrieri più
valorosi
di Midgard fosse regresso al servizio di guardia, non per una semplice
messaggera come lei.
*
Sentì
dei passi arrivare dal fondo delle scale e poco dopo scorse il viso di
Clint.
«Sapevo
di trovarti qui.» Lasciò che si avvicinasse.
«Hai letto la lettera di tua madre?»
«Sì»
ammise guardandola ancora fra le sue dita.
«Dice
qualcosa che potrebbe esserci d'aiuto?»
Alzò
il viso per incrociare i suoi occhi e scosse la testa.
«Mi
spiace.»
Clint prese
un profondo respiro e
portò lo sguardo all'orizzonte, lo stesso in cui aveva
annegato il suo nelle ultime ore.
«Neanche
qualcosa che può essere d'aiuto a te?»
Clint le
ricordava Fandral. Anche
lui, come il suo buon amico, nascondeva la profondità dei
suoi
pensieri e delle sue emozioni sotto una maschera di spavalderia, non
ostentata come quella dello spadaccino, ma comunque mirata al solo
scopo di non mostrare quanto a fondo e lontano potesse giungere il suo
cuore.
Clint aveva
una spiccata sensibilità eppure sapeva tenerla sotto chiave.
Era una
difesa e poteva talvolta essere un'arma.
Non si
stupì perciò della sua domanda così
sottile eppure decisa.
«Forse»
rispose sollevandosi da terra e lo vide sorridere.
«Allora
è andata bene
comunque.» Riflesse il suo sorriso mentre adesso i raggi del
sole
cocevano come fiamme. «Fury mi ha affidato al controllo e
alla
supervisione delle tue interazioni all'interno e
all'esterno della squadra.»
Non
riuscì a decifrare
velocemente quell'espressione ma fu Clint a chiarirla con un
ennesimo sorriso. «In parole povere vuole che ti spii come
una
carogna e che gli riporti ogni tuo movimento... Inutile dire che
può sognarselo.»
Non chiese
per quale motivo, era chiaro anche a chi non aveva mai brillato per i
fini ragionamenti: non si fidava.
Fury non si
fidava, forse neanche Steve si fidava più.
Lo aveva
letto nei suoi occhi, nelle domande che non aveva fatto e nelle
risposte che non aveva voluto udire.
Non poteva
dar loro neanche torto, la loro sfiducia era solo conseguenza del suo
comportamento limaccioso.
Stark aveva
avuto anche la schiettezza di dirlo apertamente.
«Ti
sono grato per la tua lealtà, Clint»
sospirò con sincerità.
Clint
rispose con un piccolo sorriso.
«Sai
perché mi piace
osservare dall'alto le cose?» Scosse il capo in silenzio.
«Perché assumono una forma diversa, non
perché
sembrano più piccole - quella è una cazzata da
psicoanalisi - ma perché hanno contorni più
netti. In
qualche maniera è come se fossero più
reali.»
«Più
facili da combattere, quindi.»
«Esattamente.
Quando sai dove
colpire è difficile sbagliare mira, la questione a quel
punto
è solo una.»
Aspettò
qualche istante
prima di chiedere una risposta che sapeva aver trovato già
sul
fondo di ghiaccio dei suoi occhi.
«Se
sei pronto a colpire?»
Il suo
compagno scosse il capo sciogliendo le braccia che teneva incrociate
sul petto.
«Se
sei pronto ad affrontare ciò che accade dopo aver
colpito.»
Se sei pronto a prenderti le
responsabilità per le tue azioni.
Dall'alto
di quel maestoso
edificio riuscì a vedere il cuore di Loki, i suoi contorni
netti
e la crepa che lo lacerava.
Suo padre
non si era preso la responsabilità di quel fendente.
Sua madre
aveva tentato di curarlo ma non era stata lei ad affondare la lama.
Quell'elsa
l'aveva tenuta prima Odino e poi Thor.
Thor non si
era preso la responsabilità di quel fendente.
Adesso,
toccava a Sigyn farlo.
*
Jane aveva
afferrato una brioche e
l'aveva guardata a lungo, aveva provato a portarla alla bocca ma
non era riuscita neanche a tirar via un misero morso.
Pepper
aveva preso un aereo qualche ora prima.
Le aveva
chiesto scusa ma doveva
andare. Le aveva detto di sentirsi come a casa sua, di chiedere a
Jarvis qualsiasi cosa di cui avesse bisogno.
Poi aveva
mandato Happy a comprare delle brioche e Happy gliele aveva portate
calde e profumate.
Pepper,
elegante come sempre, era
sparita dietro alle porte dell'ascensore. Il viso tondo di Happy
l'aveva seguita subito dopo.
Jane era
rimasta sola in quell'enorme casa con l'unica compagnia di una voce
elettronica.
Forse non
proprio sola: sul divano del soggiorno, Bruce ancora dormiva.
Erano ormai
le 10.00 passate di mattina e la brioche era diventata fredda.
Thor non
era ancora tornato.
La bella
donna forse lo avrebbe fatto presto. Thor non sarebbe tornato
altrettanto presto.
«Dottoressa Foster?»
Era
sobbalzata a quella voce e il dolce le era caduto dalle dita.
«Che
succede?» Dal
divano anche Bruce si era svegliato. «Dannazione, mi sono
addormentato di nuovo...» brontolò stropicciandosi
gli
occhi con le dita. «Scusa, Jane, è che-»
«Sei
solo stanco, Bruce. Non devi scusarti.»
Ma Bruce si
era scusato ancora e
Jane aveva preferito sorridergli piuttosto che ripetergli per
l'ennesima volta che non ce n'era bisogno.
«Dottoressa Foster, ho il signor
Stark in linea per lei.»
Stavolta i
suoi nervi avevano retto.
«Oh...va
bene. Cosa devo
fare?» Si guardò attorno confusa sentendosi
paradossalmente impacciata a essere una scienziata che aveva
così poca familiarità con delle attrezzature
informatiche
all'avanguardia.
«Credo
che basti rispondere
“pronto?”» Le suggerì Bruce
con un sorriso
stiracchiato che però in quel momento sembrò
scaldarla.
Sorrise a
sua volta e sollevò lo sguardo al soffitto.
«Ehm...
pronto?» ridacchiò imbarazzata mentre vedeva il
sorriso di Bruce allargarsi.
«Jane? Sono Tony, Tony Stark.
Ricordi? Il bell'uomo vestito Ferragamo sul quale hai rovesciato
lo champagne all'ultimo ringraziamento? »
Incredibile...
ancora voleva
continuare con quella storia. Come se il ricordo della sua
imbranataggine non fosse già abbastanza.
«Sì,
mi ricordo di te,
Tony» sospirò mentre Bruce la guardava
con
solidarietà. Se c'era qualcosa che li accomunava oltre
l'amore per i numeri e la scienza, era l'essere totalmente
fuori posto praticamente ovunque.
«Bene, allora se il dottor
Banner è ancora in sé vorrei che ci raggiungeste
allo
S.H.I.E.L.D. C'è qualcosa che necessita del tuo
cervellone, dottoressa.»
«Cosa?»
chiese Bruce precedendola.
«Stelle e pianeti, o meglio,
pianeti spariti misteriosamente all'occhio del Grande
Fratello asgardiano.»
Non
capì molto chiaramente ma non sembrava nulla di positivo.
«Cosa
significa?»
domandò ormai abbandonando l'idea di fare una colazione
anche solo per calmare il brontolio del suo stomaco.
«Significa che la Stark Tower
molto presto finirà per essere il più lussuoso
albergo di Midtown.»
Scambiò
uno sguardo confuso con Bruce quando la chiamata si spense.
«Credo
che tradotto voglia dire: altri guai in vista»
sentenziò a quel punto Bruce grattandosi un orecchio.
Jane
sospirò soltanto mentre seguiva con gli occhi il contorno
della sua testa arruffata.
«Thor
sarà lì.»
Bruce
annuì e lei inghiottì ogni altro sospiro.
No, Thor
non era lì. Thor non era più lì.
*
«Mia
madre dice che Midgard
è celata ai loro occhi, questo vuol dire che con ogni
probabilità c'è una qualche barriera mistica che
impedisce perfino a Heimdall di far giungere i suoi occhi fino a
noi.»
«Opera
di Loki, presumo.» Steve sospirò e
osservò il viso dei suoi compagni.
Il silenzio
di Natasha, quello di Clint. Il silenzio di Tony...
Il silenzio
di Tony era la prova che la cosa aveva una sua gravità.
«Celarsi
ai nostri sistemi di
videosorveglianza in fin dei conti è roba che un buon hacker
potrebbe fare senza bisogno di trucchetti magici.» Tony
decise di
uscire da quel insolito mutismo sedendo su una scrivania.
«Per
Loki deve essere stato semplice, ma addirittura nascondere tutta la
Terra... Può farlo davvero?»
Thor scosse
la testa. «Per
quanto grande possa essere il suo potere, il suo seiðr non
può espandersi così tanto... almeno
credo.»
«Se
lui non ha questa capacità magari è stato aiutato
dalla sua bella bionda.»
Thor non
disse nulla e sembrava stesse cercando qualcosa nello sguardo perso al
pavimento.
«Non
c'è davvero
niente che possa aiutarci in quella lettera, Thor? Magari tua madre ti
ha lasciato qualche messaggio cifrato» ipotizzò
Natasha.
«Potrebbe
essere.» E
Clint appoggiò la sua riflessione. «Nel caso fosse
caduta
nelle mani sbagliate.»
La
richiesta era implicita: volevano leggere con i loro occhi le parole
scritte su quei fogli.
Steve aveva
chiesto a Linn di mostrargliele, lei aveva rifiutato.
Thor aveva
solo riportato il
contenuto ma teneva stretta fra le mani quella lettera con la palese
intenzione di non porla in quelle di qualcun altro.
Steve era
sicuro che Thor non
avesse omesso nulla di quelle parole, e insistere affinché
gliele mostrasse sembrava una costrizione bella e buona e Thor era un
amico, un amico in difficoltà, non certo un nemico.
«Questa
lettera era diretta a
me, e mia madre conosce bene le pieghe del mio cuore così
come
conosce quelle della mia perspicacia.»
«In
altre parole non sei il
tipo da leggere fra le righe.» Tony saltò
giù dalla
scrivania e lo raggiunse. «E la tua amica asgardiana? Neanche
lei
ne sa niente?»
«Linn
ha solo eseguito il
compito che le è stato affidato e avrebbe messo in gioco la
sua
vita per portarlo a termine. Non sa nulla che possa aiutare le tue
ricerche, Stark.»
Thor si era
messo sulla difensiva e
Steve lo aveva avvertito. Aveva avvertito il senso di protezione e di
responsabilità che provava verso quella ragazza.
Linn
sembrava importante per Thor, lo era.
Non si
perse in pensieri di natura
maliziosa, non era come Tony, ma soprattutto aveva letto solo sincero
affetto e gratitudine negli occhi di Thor.
«Nessuno
chiederà
risposte a Linn, Thor. Stai tranquillo» lo
rassicurò con
fermezza. «Aspetteremo l'arrivo della dottoressa Foster e
vedremo se almeno lei può capirci qualcosa.»
«Sperate
sia
così.» Il tono di Fury li sorprese con ancora
più
sicurezza. «Questa storia si sta protraendo anche troppo e
ormai
non riesco a tenere a bada tutti quei paparazzi che gironzolano come
mosche attorno a quel martello.»
«Non
credo che questa sia la priorità, Nick. I paparazzi poi
fanno solo il loro lavoro.»
«Se
permetti decido io quali
siano le priorità qui, Stark, e farti tenere quella bocca
chiusa
è una di quelle che mi impegnerò a far rispettare
di
persona.»
Tony decise
di non controbattere stavolta e rispose solo con un sorriso arrogante.
Steve
gliene fu grato, non aveva voglia di subirsi un altro dei loro screzi,
soprattutto non avrebbe portato a nulla di buono.
«Chiamatemi
quando la dottoressa sarà qui.»
«Sissignore.»
E con il
saluto di Clint il direttore li lasciò nuovamente, non prima
di
aver regalato a ognuno di loro un'occhiata di monito.
Steve prese
un altro respiro profondo mentre Tony propose qualche altra stramba
teoria che nessuno condivise.
Poco dopo
dalla porta si affacciò il viso di Bruce, accanto a lui
quello di Jane.
Gli occhi
di Thor si coprirono ancora una volta di un'inspiegabile tristezza.
*
Linn aveva
sentito parlare della
bella midgardiana che aveva rapito il cuore del suo principe. Ne aveva
sentito decantare la bellezza e le eccellenti doti intellettuali.
La
osservò in silenzio, seduta sulla sua sedia di metallo, e
parlò solo quando le veniva chiesto.
Non aveva
risposte che sembrassero
di utilità. Si sentì lei stessa davvero solo un
ulteriore
incomodo alle già ardue vicissitudini che stavano
attraversando
i midgardiani.
Cercavano
un modo per riportare
indietro Thor, così dicevano, per spezzare l'incantesimo
che lo teneva chiuso in quel corpo.
L'incantesimo
gettato da un principe perduto, un principe dallo sguardo triste e dai
sorrisi studiati.
Un principe
perduto che lei ricordava di aver visto un tempo bello e vivo. Felice.
Ciò
che accadde quando il principe Loki tradì, sembrò
non sorprendere quasi nessuno.
Era
malvagio, si diceva ad Asgard. Il suo cuore nascondeva solo inganni, la
sua lingua era madre di menzogne.
Aveva
tradito e aveva perduto il
senno. Aveva rinnegato il suo passato e la sua stessa famiglia per
abbracciare le profondità dell'oscura magia.
Linn vide
solo gli occhi della sua regina piangerlo, solo il silenzio del
principe Thor ricordarlo.
Nella
solitudine della sua piccola
camera, anche lei versò lacrime per quel ragazzo a cui fu
destinato il titolo di Signore del Caos.
Ma i
midgardiani non sapevano, non
sapevano della giovane donna che aveva scaldato il cuore di un figlio
dei ghiacci. Non sapevano di un fratello che aveva amato davvero, e nel
fondo degli occhi di Lady Sigyn, Linn capì che non voleva
sapessero.
La sua
lingua avrebbe legato ogni parola, e non c'era tortura o minaccia che
potesse far vacillare la sua fedeltà.
Se anche la
morte l'avesse
aspettata alla fine di quel viaggio, con lei avrebbe portato quel
segreto così come lo aveva custodito nel corso dei secoli,
così come neanche l'occhio del Grande Padre era riuscito a
estirparlo dalla sua bocca.
«Heimdall
non può
sentirmi. Ho provato a invocare il suo nome e chiedere l'accesso
al Bifrost ma non ho ricevuto risposta.»
«Abbiamo
provato prima sul
tetto e non è successo niente.» L'arciere
parlò con voce grave verso la donna che avrebbe dovuto
essere la
dama del cuore del principe Thor.
Lei la
osservò ancora e
cercò di comprendere cosa avesse permesso a quella gracile
creatura di entrare con tale prepotenza nell'anima del suo
signore.
Sul grande
tavolo c'erano
tanti fogli, tante carte diverse con segni che non riconosceva, e
ascoltava parole che non capiva.
Lady Jane
parlava con calore e passione, tanta, troppa passione per un fisico
così minuto.
Forse era
stata quella passione ad averlo rapito.
«I
satelliti non mostrano
anomalie e non è stata rilevata alcuna stranezza per quanto
riguarda l'orbita della Terra né degli altri corpi
celesti. È tutto perfettamente ordinato... Anche
troppo.»
«Cosa
vuoi dire?»
L'uomo che
aveva accompagnato
la donna era lo studioso che serbava una bestia indomabile
nell'anima. Così aveva detto il principe Thor in uno dei
suoi racconti.
Linn non
riusciva a credere che un uomo così mite e dallo sguardo
buono fosse in realtà solo un falso involucro.
«Ogni
giorno orbitano attorno
alla Terra infiniti corpi celesti: asteroidi, comete, frammenti di
diversa natura. I nostri satelliti servono a monitorare il loro
percorso anche per evitare che essi possano essere attratti dalla
gravità terrestre e finire con il collidere contro la Terra
stessa. Dai rilevamenti delle ultime 72 ore, però non
è
stato riscontrato un solo movimento critico di corpi celesti nella
nostra orbita.»
«Che
vuoi dire, che non ci sono più meteoriti nello
spazio?»
«No,
è questo il
punto, Bruce: i meteoriti e gli asteroidi ci sono ancora. Vedi? Sono
stati rilevati dai nostri satelliti ma nessuno di essi è
più entrato neanche lontanamente in contatto con la nostra
orbita.»
«Ci
stanno evitando? È questo che volete dire?»
Il viso del
capitano Rogers si
piegò in un'espressione confusa che Linn condivideva
perché non riusciva a seguire il discorso di Lady Jane.
«No,
Rogers, è che non ci vedono.»
«Esattamente.»
Uno strano
silenzio scese nella
stanza e lei si sentì così fuori posto che
avrebbe solo
voluto tornare nella stanza ad abbracciare la pelliccia priva di pelo
con cui era stata scaldata quella prima notte su Midgard.
«Ecco
quello che voleva dire
tua madre con “La terra è celata.” Loki
ci ha
nascosto non solo dalla vista del tuo guardiano, ma dall'universo
stesso.»
«Questo
non è possibile, Clint.»
«A
quanto pare lo è, capitano.»
«Ma
se il tuo mondo non
può vederci e quindi collegarsi al nostro, Thor, come ha
fatto
Linn a giungere da noi?»
Alla
domanda del capitano, Linn si
sentì investire da una moltitudine di occhi e
finì con
l'abbassare i propri.
Non aveva
risposte per quei quesiti.
«Non
lo so...» La voce
di Lady Sigyn era così inquieta che si sentì
stringere il
cuore. Non voleva udirla così, voleva udirla allegra e
spensierata così come la ricordava da bambina, eppure da
quando
l'aveva rivista le era sembrava così diversa, la sua amata
signora, così triste, così persa...
«Sono
stata convocata dal
guardiano e dalla mia regina e mi è stato intimato di
affrettarmi.» Iniziò a chiarire di sua iniziativa
e
sentì un collettivo silenzio rispondere. Sollevò
lo
sguardo e cercò quello di Lady Sigyn. «Ho udito
Heimdall
ribadire più volte che non vi era più
tempo.»
«Non
c'era tempo per cosa?» le chiese il capitano.
Linn scosse
il capo. «Non conosco altro, mi spiace.»
«Una
crepa.» Fu la
midgardiana a parlare. «La barriera eretta da Loki deve
essersi
fratturata e questo ha permesso al tuo mondo di vederci e di aprire il
ponte.»
«Cosa
vuoi dire con fratturata, Jane?»
«Pensaci,
Thor: Loki ha come
inglobato l'intero pianeta in una scatola chiusa, ma per qualche
ragione si deve essere creata un'apertura e tua madre ne ha
approfittato per inviare Linn e permetterle di recapitarti la sua
lettera. Con ogni probabilità la barriera è stata
richiusa e adesso non è più possibile collegare i
due
mondi. Lo so, lo so che sono solo ipotesi prive di dati che possano
accreditarle, ma credo che sia questa la strada giusta da seguire per
chiarire la situazione... Se solo potessi studiare i cambiamenti
astrali almeno degli ultimi 20 giorni... Ma avrei bisogno di
tempo.»
«Ha
tutto il tempo che vuole,
dottoressa Foster, e i laboratori dello S.H.I.E.L.D. sono a sua
disposizione. Faccia ogni ricerca che ritiene necessaria e chieda ogni
risorsa utile affinché questa faccenda veda un punto di
svolta.»
L'uomo
dalla pelle nera le
incuteva timore. L'aveva osservata a lungo e le aveva chiesto
cose a cui non aveva saputo - voluto - rispondere.
«Jane,
non serve che tu resti qui. Non hai l'obbligo di farlo...»
«Non
è un obbligo,
Thor. Voglio restare qui e rendermi utile. So che posso esserlo. Questo
è il mio mondo, non ricordi? Pianeti, stelle...
Alieni.»
Aveva un sorriso dolce, Lady Jane.
Dolce
quanto quello che le restituì la sua signora.
«Perfetto,
immagino che anche tu, Bruce, prenderai casa nel laboratorio dello
S.H.I.E.L.D., giusto?»
«Se
non ti conoscessi, direi che mi stai cacciando dalla Stark
Tower.»
«Perspicace,
dottore. Ora che abbiamo un altro ospite devo liberare una
stanza.»
«Ci
sono almeno dodici piani vuoti nella tua torre, Tony, non serve
sfrattare il dottor Banner.»
«Da
quando sei così
preoccupata per il destino di Bruce? Non dirmi che batte un cuore in
quel gelido corpo da spia?»
«Vedrai
cosa batterà nel tuo quando ti avrò infilato una
granata lì dove sai...»
La rossa
guerriera aveva abbandonato la stanza seguita da un sorridente arciere.
«Siamo
sulle tracce di quello svitato, se avete bisogno di noi.»
«Tranquillo,
falco, vivremo bene anche senza il tuo culo nei paraggi.»
Linn
pensò che i midgardiani avevano uno strano modo di
comunicare...
Lady Sigyn
le si avvicinò e lei si alzò intrecciando le dita
delle mani.
«Mia
signora, mi spiace arrecarvi fastidio.»
«Nessun
fastidio, Linn. Tony
ha cortesemente messo a disposizione la sua dimora e lì
sarai al
sicuro finché non riusciremo a trovare il modo di aprire il
Bifrost cosicché tu possa tornare ad Asgard.»
Non senza di voi...
Lo
pensò ma restò fermò sulla punta della
lingua.
«Come
desiderate, Lady Sigyn.»
«Continui
a chiamarmi
così anche adesso che sai...» La vide sospirare
debolmente
con le labbra ancora piegate verso l'alto.
«Perdonatemi,
se volete che smetta-»
«No...
no, va bene, Linn. Va bene.»
Avrebbe
voluto cancellare
l'ombra buia nei suoi occhi, avrebbe voluto cancellare il
tormento e la sofferenza che avevano spento quel piccolo dolce sorriso.
*
Tony era
stato gentile ancora una volta.
Aveva
accolto Linn nella sua casa
senza fare troppe domande e le aveva messo a disposizione ogni strano
attrezzo terrestre che perfino lei
faceva ancora fatica a comprendere.
Jane era
rimasta allo S.H.I.E.L.D.,
insieme a Bruce. Gliene fu grata, avrebbe voluto dirgli ancora grazie;
sperò che i suoi occhi lo avessero fatto.
Steve li
aveva accompagnati fino alla torre e poi era tornato indietro per
seguire Natasha e Clint nella loro ricerca di Loki.
Sapeva,
sarebbe stato inutile,
perché Loki non si sarebbe più fatto trovare
almeno che
non lo avesse ritenuto utile per i suoi fini.
I suoi fini
non li conosceva,
temeva di chiedersi realmente quali fossero, temeva di chiedersi quale
fosse il ruolo di Amora in tutto ciò.
«Ti
ho fatto un piccolo regalo, così magari stendi un po' i
nervi. Mi sembra che tu ne abbia bisogno.»
Si
voltò verso il viso sorridente di Tony mentre guardava Linn
che prendeva confidenza con la tivù.
«Mi
occupo io di lei. Ho
intenzione di insegnarle a usare il microonde. Sono certo
sarà
un'allieva più promettente di te.»
«Non
ho bisogno di dormire. Grazie comunque per l'offerta, Tony»
rispose sapendo di mentire.
Aveva
bisogno di chiudere gli
occhi, aveva bisogno di dimenticare almeno dietro all'illusione
di due palpebre chiuse tutta quell'ondata di emozioni che
l'avevano investita così all'improvviso. Aveva
bisogno di chiudere gli occhi e sentirsi ancora Thor, invece di
continuare ad avvertire il suo nome abbandonare sempre più
la
sua pelle, e con l'arrivo di Linn, Sigyn
era diventata sempre
più forte.
«Oh,
ma io non parlavo di dormire.»
Non
capì.
Tony si
alzò dal tavolo e raggiunse Linn che sedeva ancora
diffidente sul divano di casa sua.
«Allora,
piccola Linn, Thor ti ha parlato della pay TV?»
«No,
signor Stark.»
«Bene,
allora iniziamo dal principio - e non chiamarmi “Signor
Stark”, mi fai sentire un vecchio.»
«Non
volevo offendervi, mio signore.»
«Sbagliato
ancora, Linn: “non volevo offenderti, Tony.”
Chiaro? Io Tony, tu Linn.»
Linn era
arrossita ma aveva annuito. «Va bene, Tony.»
Le sue
labbra si sollevarono in un
sorriso stanco mentre ascoltava Tony dilettarsi in ciò che
sapeva fare meglio: ostentare la sua infinita conoscenza.
Quando
raggiunse la sua camera, capì in cosa consisteva il regalo
di cui aveva parlato Tony.
Nel grande
bagno la vasca in marmo
rosa era completamente colma d'acqua calda e dei piccoli
bastoncini bruciavano spandendo nell'aria un odore così
buono che le regalò un breve momento di quiete.
Non avrebbe
dovuto prendersi quel
lusso, non era tempo di cedere al torpore del corpo e della mente,
eppure era così invitante quell'angolo di pace...
I suoi
fratelli di armi stavano
investendo ogni loro risorsa per aiutare la sua causa. La sua Jane,
stava ricurva su carte e numeri per cercare qualche risposta. Sua madre
di certo stava cantando preghiere per raccomandare alle Norne la sua
sicurezza e suo padre... Se sapeva, stava affrontando la cosa come un
re: nel silenzio del giudizio, nella riflessione della giusta sentenza
da pronunziare.
Non avrebbe
dovuto, potuto, voluto
abbandonarsi al becero richiamo di qualche attimo di sciocco riposo.
Vigliaccamente
cedette.
Fece
scivolare via ogni abito, ogni
stoffa che aveva tenuto coperto quel corpo che non riusciva a far
tacere, che aveva richiamato memorie credute perdute, e sentimenti,
bisogni, creduti ormai dimenticati.
Quando
l'ultimo tessuto abbandonò la sua pelle osservò
l'immagine della donna riflessa allo specchio.
Sfiorò
con la mano il viso, il seno, il ventre.
“Perché
non mi hai permesso di nascere?”
Quella
piccola voce che le parve di udire nelle orecchie condusse il suo
sguardo lontano da quell'immagine.
Perdonami...
Affondò
un piede
nell'acqua calda e subito sentì il bisogno di immergere
ogni angolo di pelle nell'abbraccio quasi ustionante di quel
bagno.
Si immerse
fino a che il pelo dell'acqua non coprì anche i suoi capelli.
Riemerse
qualche attimo dopo quando si accorse che i polmoni non avevano
più la resistenza che rammentava.
Prese brevi
e veloci respiri e quando il battito rallentò
poggiò il capo sul bordo di marmo chiudendo gli occhi.
Non aveva
badato al suo polso e ora
anche la fasciatura era completamente bagnata. Le medicine che le aveva
dato Bruce avevano attenuato il dolore sebbene ne avesse sentito
l'eco aumentare nelle ultime ore.
Avrebbe
dovuto chiedergli di medicarlo nuovamente, avrebbe dovuto chiedere a
Bruce di lasciare Jane.
Decise che
poteva rifare anche da
sé quella fasciatura, aveva combattuto abbastanza battaglie
da
saper come medicare un arto ferito.
Thor ha combattuto quelle
battaglie...
Aprì
gli occhi al soffitto bianco.
«Thor...»
sospirò volendo risentire ancora addosso quel nome.
Non
sembrava calzarlo più.
*
Natasha
sapeva cosa voleva dire quello sguardo e sapeva anche che Clint avrebbe
saputo leggere il suo.
«Non
le hai chiesto nulla?»
«Esattamente»
rispose
percorrendo con gli occhi i risultati dell'ennesima ricerca
infruttuosa comparsa sul monitor.
«Perché?
Sei stata in quella stanza con lei per un'ora.»
«Non
sa nulla che può aiutarci e ciò che sa non lo
avrebbe detto ugualmente.»
Quando
Steve l'aveva lasciata
da sola con Linn, Natasha aveva ovviamente pensato di poter
approfittare di quell'occasione.
Il
direttore era stato chiaro:
quella ragazza non era una semplice messaggera. A lei il compito di
scoprire tutto ciò che poteva sul suo conto.
Avrebbe
portato a termine il suo ordine, però aveva capito da subito
che non sarebbe stato facile.
“La mia
fedeltà è cieca quanto indissolubile.”
Non le
erano sfuggite quelle parole
e quindi era stato chiaro che la catena che teneva la lingua di Thor,
avrebbe tenuto stretta anche quella di Linn.
Linn era un
soldato, forse non nel temperamento e di certo non per le
capacità sul campo, ma di cuore sì.
Ed era un
soldato dei più leali e fidati, un soldato che neanche il
dolore di una tortura avrebbe fatto vacillare.
«Solo
perché non ho fatto domande, non vuole dire che non abbia
avuto risposte, Clint.»
La
osservò dubbioso e poi scosse la testa.
«Io
credo che dovremmo essere più diretti.»
«Ah
sì?» Si voltò a guardarlo e sorrise.
«Tu lo sei stato con Thor?»
Non le
rispose. «Colpa del
tuo debole per le bionde, agente Barton.» Lo
provocò
sfoggiando un sorriso compiaciuto.
Clint
ghignò di rimando. «Che stronza...» E
riprese a cercare un qualche indizio che li conducesse a Loki.
«Ricorda
che per quanto vuoi affondare un relitto, prima o poi qualche rottame
torna sempre a galla.»
«Ti
sei data agli aforismi, Nat? La compagnia del capitano ha un cattivo
effetto.»
Non
trattenne un risolino
divertito. «Sarà, ma qualcosa mi dice che la
nostra
messaggera la gradisca particolarmente.»
Clint
arrestò il suo lavoro e la guardò incuriosito.
«Te
l'ho detto: non mi serve fare domande.»
La Vedova Nera scopre sempre
ciò che le serve sapere.
«È
una fortuna non
averti come avversaria...» Si scambiarono un sorriso
complice.
«Non più.»
«Chissà,
forse un giorno rimpiangerai di non avermi fatta fuori quando ne hai
avuto occasione...»
«È
molto più
probabile che rimpianga quella notte a Budapest quando non ho
approfittato della tua sbronza per portarti a letto.»
E pensare
che fu l'unica missione che Natasha Romanoff fallì.
«Come
se ti fosse stato possibile...»
Ma questo
Clint, non l'avrebbe mai saputo.
*
Quando
riaprì gli occhi e sentì l'acqua fredda bagnare
il corpo, capì di essersi addormentata.
Non sapeva
quanto tempo fosse passato, si rimproverò per quella
debolezza.
Doveva
tornare da Linn, doveva tornare dai suoi compagni.
«Non
è saggio addormentarsi in acqua.»
Il cuore le
arrivò in gola ma seppe celare la sua reazione.
Sulla
soglia del bagno lui la guardava senza alcun'espressione.
«Sapevo
che saresti
tornato» affermò sentendo i brividi di freddo
coprire le
sue braccia e avvertì il polso dolere quando
tentò di
muoverlo.
«Mi
conosci bene.»
«Non
quanto credevo...» Non
quanto avrei voluto.
Deglutì
nel vederlo avvicinarsi.
Non sapeva
quale significato dare ai suoi gesti, non sapeva quali sarebbero stati
i suoi gesti.
Ma Loki
raccolse solo il bianco telo in spugna dalla sedia e glielo porse.
Lo
guardò a lungo non
riuscendo a impedire alle labbra di tremare per la sensazione
dell'acqua ormai fredda che l'abbracciava.
«Non
è tempo per il pudore, Sigyn... Non credi?»
Sentì
la rabbia - e la
vergogna - cancellare ogni gelo e si sollevò dalla vasca
cercando di non gemere per il dolore che le attraversò il
polso
quando fece perno su di esso.
Strappò
via dalle sue mani la stoffa candida senza smettere di guardarlo negli
occhi.
«Sei
qui per spezzarmi anche
l'altro braccio?» Legò la stoffa attorno ai seni e
lo fronteggiò tentando si mostrare quanta più
fermezza
potesse fingere.
Non era mai
stata brava a mentire, e davanti a Loki ogni sua menzogna sarebbe
presto crollata.
«Come
sei melodrammatica...» Le sorrise. «Sono qui per
chiedere i tuoi servigi.
Ricordi il nostro discorso? Purtroppo siamo stati interrotti.»
«Non
credevo la follia ti avesse vinto fino a questo punto, Loki.» Fratello.
Quella
parola era rimasta ferma nella gola e non era scesa sulla lingua.
“Non sono tuo
fratello...”
«Non
importa quante ossa avrai intenzione di spezzarmi, ribadirò
il mio no più forte ogni volta.»
«Oh...
Sigyn... » Loki scosse la testa e sorrise ancora.
«Non sono le tue ossa che spezzerò.»
Sapeva cosa
volevano dire quelle parole.
Sentì
il corpo attraversato
da un nuovo brivido e stavolta non a causa della poca stoffa che la
copriva né per l'acqua che continuava a grondare fredda
dai suoi capelli.
Loki le si
avvicinò di un passo e lei provò desiderio di
farne uno indietro.
«Taglierò
la testa a
ogni stupido midgardiano che mi abbia sfidato e la farò
rotolare
davanti ai tuoi piedi.» Ancora un passo.
«Inizierò
da Stark, poi sarà il turno di Rogers, a seguire tutti gli
altri... e per ultima sarà la testa di Jane a
macchiare di
sangue il pavimento.»
«Non
oserai-»
«Oserò!»
La rabbia
montò avida nelle
vene e il desiderio di stringere le mani attorno al suo collo crebbe a
ogni centimetro di distanza che lui distruggeva.
«Una
dopo l'altra...
Ogni tuo no sarà un cadavere che mi lascerò
dietro. Ogni
tua resistenza sarà una vita presa a questo stupido mondo,
finché da quelle labbra non udirò ciò
che voglio
udire.»
«Con
quale nome devo chiamare
la bestia che ha preso il posto di mio fratello? Dimmelo,
cosicché possa maledirlo fin quando avrò fiato in
gola!»
Affannò
per la collera e
l'incapacità di contrastarla, per
l'incapacità di contrastare la sua sanguinaria promessa.
«Qualunque
nome deciderai di
pronunciare, suonerà come è sempre suonato sulla
tua
lingua, Sigyn: come una preghiera, come la supplica di una
sgualdrina.»
Bruciò
in un fiato la distanza che li separava colpendolo dritto al mento con
un pugno.
Non
sentì neanche il dolore alle nocche, il gelo del suo sguardo
aveva coperto ogni altra sensazione.
«Cosa
sei diventato? Da quando il veleno delle tue parole ha corroso anche il
tuo cuore?»
Loki non
rispose, restò a guardarla arrogante.
Scosse il
capo stringendo le dita
in un pugno che faceva male. «Conosco i miei torti e te ne ho
chiesto perdono, ti ho chiesto perdono anche per quelli che non avevano
sfiorato le mie mani, anche per quelli che portavano il nome di nostro
padre!»
«Credi
che il perdono basti?
Che basti chiederlo e ottenerlo? Credi che qualche parola gettata al
vento con sprezzo possa cancellare un'intera vita di
menzogne?»
Gli occhi
di Loki dissero più di quanto avevano alitato le labbra e
lei sentì i suoi pungere.
«Credi
che basti questo per placare la mia rabbia, Sigyn?»
«Ti
ho concesso la mia stessa vita per placarla...»
«Non
era una vita che volevo.» Era altro...
Riuscì
solo ad abbassare lo
sguardo sulla sua mano che tremava, con la benda ormai sciolta e il
polso sempre più gonfio.
Lo so...
«Porgimela.»
Quando lo
rialzò non
riuscì a impedirgli di prenderla, di far scorrere le sue
dita
sulla pelle infreddolita e umida, e liberarla da quella stoffa ormai
inutile. Non gli impedì di sibilare qualcosa di inudibile
fra le
labbra.
Osservò
il suo viso vicino e
gli occhi chiusi dietro le palpebre. Poi Loki li riaprì ed
erano
così verdi che le parve di non averli veduti da una lunga
vita.
E le erano
mancati.
Le dita
abbandonarono il polso che smise di pulsare e di far male, smise di
tremare.
«Indossa
qualcosa. Ho bisogno di parlarti.»
Perdonami...
Voleva
chiederglielo ancora.
Perdonami per averti lasciato
solo, per non aver compreso i tuoi silenzi e i tuoi falsi sorrisi.
Perdonami per aver guardato ma
non aver mai visto, per aver ascoltato senza mai
sentire.
Perdonami per averti avvolto
in
troppo amore, un amore che non era quello che chiedevi, non era quello
di cui avevi bisogno, ma l'unico che la mia codardia mi ha
concesso di donarti.
Perdonami...
Le sue
labbra sospirarono solo l'ultima parola.
«Fratello...»
*
La sua
pelle era fredda e coperta
di brividi e lui avrebbe voluto scaldarla. Avrebbe voluto asciugare una
per una le gocce d'acqua che piangevano sul suo corpo.
Il suo
cuore non aveva battuto, si era semplicemente spezzato, spezzato in
mille frammenti affilati e aveva fatto male.
Perché
quegli occhi non avrebbero dovuto lasciarlo, lei non avrebbe dovuto
lasciarlo.
Tutto quel
vuoto non avrebbe mai
dovuto divorare la sua anima e l'oscurità che gli era
stata destinata per fato non sarebbe mai dovuta esistere.
Ma le Norne
avevano deciso di
tessere un disegno beffardo e crudele e lui avrebbe solo dovuto
recitare la parte che era stata scritta, come un fantoccio.
Loki non
era un fantoccio, il Dio
del Caos non recitava un copione che non portasse la sua firma e questo
lo avrebbe ribadito con il sangue e tutti, il fato incluso, si
sarebbero piegati al suo volere.
«Fratello...»
Il suo
cuore si spezzò ancora una volta.
«Vestiti.»
Si
allontanò. Allontanò le sue mani, le sue labbra,
i suoi occhi.
Diede loro
le spalle e le nascose il fuoco che bruciava nei suoi, fuoco nero come
pece e cremisi come lava.
«Non
permetterò che tu faccia loro del male.»
Sorrise
celandole anche quel sorriso.
«Allora
fa' ciò
che ti chiederò senza attentare alla mia
pazienza.» Quando
si voltò lei lo guardava con lo stesso fuoco che tingeva il
suo
cuore. E non avrebbe potuto desiderarla più di
così.
«Parla
dunque.»
Sorrise.
«La
tua risolutezza deve portarmi a credere che tu abbia deciso di
collaborare?»
Chiese una
risposta che non necessitava.
«Parla.»
***
NdA.
Ben trovati ❤
Spero abbiate passato delle serene festività.
Grazie moltissime a tutte le persone meravigliose che hanno inondato la
mia mail di auguri e pensieri bellissimi.
Mi avete scaldato il cuore davvero! Ho i migliori lettori del mondo, mi
spiace per le altre autrici, ma è così u.u
...
Tornando a noi, Loki ha fatto la sua mossa...
E adesso?
...
Adesso si gioca... *-^
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 10 *** Un accordo atipico ***
10
L' ultima lacrima
X.
«Sto andando bene?»
«Oh,
sì, ora gira ancora mezza volta e- alt! Ok, basta
così.»
Tony
sorrise mentre Linn guardava poco convinta il bicchiere di fronte a
lei.
«Ho
terminato?» chiese e lui assentì.
«Certo.
Ora lo assaggiamo.» Afferrò la coppa ghiacciata e
la portò alle labbra. «Wow...
Fenomenale!»
Era
dannatamente buono.
«Davvero?»
E l'incredulità di Linn era disarmante.
«Assolutamente.
Hai un futuro da bar woman, Linn, credi a me.»
In breve
mandò giù l'intero bicchiere facendo poi
tintinnare il ghiaccio contro il vetro vuoto quando lo
riportò sul bancone.
Linn
sorrideva raggiante come le avesse fatto il più bel
complimento del mondo, anche se Tony dubitava fortemente che sapesse
cosa voleva dire “bar woman”.
«Ma
l'Americano è roba semplice, passiamo a qualcosa di
più complesso.»
«Sono
pronta.»
Quando Thor
era partito per scartare il suo regalo -che doveva aver evidentemente
gradito visto che stava rintanato in bagno da ore- aveva pensato bene
di sfruttare al meglio l'opportunità di restare da solo con
la ragazza.
Non che
volesse farle un terzo grado, ma magari poteva soddisfare qualche
piccola curiosità.
Aveva
capito da subito che non sarebbe stato facile.
Dietro
l'apparenza gentile e cortese, Linn era una vera statua. Non dava
aperture, nessuno spiraglio.
Chiedere in
modo diretto non era il metodo più produttivo, soprattutto
da quando Nick con le sue domande a bruciapelo aveva fatto ben intuire
quanto loro volessero conoscere chiaramente tutta quella situazione.
Nick e le
sue maniere da S.H.I.E.L.D....
Quando
mostri quanto qualcosa sia importante ne aumenti il valore.
Aveva
imparato negli affari che per abbassare il prezzo bastava essere
semplicemente e fastidiosamente disinteressati.
Ed era una
teoria che aveva dato i suoi frutti anche con le donne,
benché Tony Stark non avesse bisogno di attuare nessuna
teoria per avere prima un numero di telefono, e poi tutto il resto.
«Vedi
quell'oggetto lucido alle tue spalle, Linn? Si chiama shaker.
Prendilo.»
«Questo
qui?»
«Sì,
esatto. Adesso ti insegno a preparare un Lady Killer, e qualcosa mi
dice che diventerà il tuo cavallo di battaglia.»
«Cavallo...
Cosa vuol dire, Tony?»
Benedetti
asgardiani e la loro ignoranza supergalattica.
«Faremo
lezione sui modi di dire terrestri in un altro momento, ora voglio
vedere come te la cavi con le percentuali.» Si
alzò e raggiunse la lunga mensola con le bottiglie ben
ordinate. «In un cocktail la precisione è
fondamentale. Fai ben attenzione, Linn.» Prese un brandy e
dell'acqua tonica e li poggiò sul bancone. Linn ascoltava
concentrata ogni sua parola. «Basta sgarrare di qualche
decimo e puoi rovinare tutto.» Aggiunse poi anche un Campari
e del Cointreau. «È semplice, alla fine, ma ci
vuole un po' di esercizio, però tu, piccola Linn, hai le
carte in regola per farcela.»
«Cercherò
di non deludere le tue aspettative, Tony.»
«Oh,
non lo farai - e poi non puoi fare peggio di Thor che è da
anni che bazzica da queste parti e ancora non sa caricare una caraffa
di caffè.»
In
compenso sa scolarselo bene.
Preferì
non informarla anche di questo visto che il suo viso era già
arrossito abbastanza.
Anche se
timida in modo quasi inquietante, era una ragazza curiosa e molto
sveglia. Aveva capito il funzionamento di metà degli
elettrodomestici in qualche manciata di minuti e aveva sottolineato,
secondo lei, la loro inutilità subito dopo, perché a cosa serve
una scatola che genera onde radio su una frequenza di 2450 MHz quando
basta accendere una brace con dei rami secchi per scaldare il cibo?
Quelli di
Greenpeace l'avrebbero adorata.
Aveva
però scelto di mettere da parte le invenzioni midgardiane e
buttarsi invece in qualcosa di più universale, qualcosa che,
non importava quanti anni luce di distanza fossero, riusciva sempre a
unire due esseri di mondi diversi: l'alcol.
Pepper,
forse, non sarebbe stata molto d'accordo.
«Ora
ti faccio vedere come si fa e poi tu lo ripeti. Pronta?»
Linn
annuì mentre lui tirava fuori il cestello del ghiaccio.
«Signore?»
«Dimmi
tutto Jarvis - quattro o cinque cubetti di ghiaccio per
iniziare.» Li gettò nello shaker afferrando poi il
brandy.
«Lo spider è attivo.»
Lo informò Jarvis.
«Grazie
per l'info, ma so bene che è attivo. L'ho attivato io... Ora
40% di questo. È brandy. Vedi?» Linn
assentì con il capo mentre lui lo versava.
«Perché me lo stai dicendo, Jarvis?»
Fu il turno
del Cointreau. «Altri 40%.»
«Signore, lo spider sta rilevando
immagini incompatibili con quelle registrate dal sistema di
videosorveglianza della Tower.» Ma a lui gliene
sfuggì un po' di più.
Fermò
i suoi gesti e cercò di non mostrare a Linn il suo cambio di
umore.
«Incompatibili?»
«Totalmente.»
«Vuoi
dire che vede qualcosa che tu non vedi?»
«La sua analisi è
corretta, signore.»
«Dove?»
«Nel settore
“Hooligan”.»
Guardò
verso il corridoio che dava nelle camere e prese un respiro.
Aveva avuto
la giusta intuizione... come se la cosa potesse poi sorprenderlo.
«Grazie,
Jarvis. Avvisami quando la connessione sarà
terminata.»
«Sarà fatto.»
Disegnò
un sorriso e afferrò il Campari.
Linn lo
guardava silente.
«Tornando
a noi, 15% di Campari, adesso... Tutto chiaro finora?»
«Sì,
Tony.»
Quando
versò anche il Campari chiuse lo shaker con l'altra
metà.
«Ora
agitiamo con vigore. Così.» Iniziò a
shakerare mentre la ragazza seguiva ogni suo gesto.
Era il
momento di osare.
«Di'
un po', Linn, com'era questa storia di lady Sigyn? Thor è
stato alquanto vago...» chiese continuando a shakerare.
«Beh,
io... Io ero la sua ancella personale.»
«Di
Thor? Cioè, Sigyn?» La giovane annuì
mentre Tony tornava ad aprire lo shaker. «Ma tu non sapevi
che lei in realtà era Thor, giusto?»
«No,
non lo sapevo a quel tempo.»
Thor aveva
detto il vero quindi, quando aveva riferito a Natasha che solo Loki ne
era a conoscenza.
«Capisco...
vedi, ora versiamo il tutto in una coppa adatta - e tecnicamente chi
era Sigyn?»
Linn
seguì ancora i suoi movimenti mentre versava il cocktail.
«Non
comprendo la tua domanda, Tony.»
Dalla sua
espressione sembrava fosse sincera.
«Thor
ha detto che, per ovvie ragioni, non poteva dire di essere lui, quindi
mi chiedevo come si presentava ad Asgard. Per girare in quel bel
palazzo immagino bisogna avere un determinato titolo, un lasciapassare,
giusto? Altrimenti chiunque può imbucarsi e, da quel poco
che ho capito, papà Odino non mi pare un tipo che appezza un
intruso a casa sua.»
Diamogli
torto, ne ha adottato uno e per poco non gli accoppava il vero figlio!
Ma Linn non
rispose e quel silenzio diceva molto.
A quel
punto sorrise con fare amichevole scuotendo il capo. «Lascia
stare. Come non detto. Sono solo un curiosone.»
Forse
tirare in mezzo il vecchio non era stata una buona idea.
«Lady
Sigyn...»
O forse
sì.
Linn
sembrò titubante ma poi continuò: «Lady
Sigyn era un'amica del principe Loki.»
Amica? E ad
Asgard si erano bevuti un'assurdità simile?
Loki che
aveva amici? Amiche?
Lui? Uno
che si vestiva male e si pettinava peggio e simpatico come un pitbull
idrofobo attaccato alle palle?
Ma Asgard
aveva cresciuto uno come Thor quindi sì, poteva anche starci.
Decise che
andava bene così, meglio non insistere troppo.
Impara,
Nick. Impara...
Ora
bisognava solo terminare quel Lady Killer.
«Per
finire versiamo dell'acqua tonica-»
«5%.»
Lo anticipò lei e Tony sorrise annuendo.
«Precisamente.
Sei molto attenta, Linn.»
Linn si
lasciò sfuggire un risolino che però nascose
dietro a una mano e Tony sorrise di quel pudore.
«Mescoliamo
leggermente, come abbiamo fatto prima con l'Americano, et voilà»
Afferrò la coppa e gliela porse con un inchino studiato.
«Un perfetto Lady Killer per voi, mia signora.»
Linn rise
ancora. «Nessuno mi ha mai chiamato
così...»
«C'è
sempre una prima volta.»
La ragazza
lo prese e ne bevve un sorso.
«È
buono. Non credo che sarò capace di farne uno altrettanto
buono.»
«Beh,
non ci resta che provare.»
Mentre le
dava direttive sulla preparazione del cocktail, Tony non poteva far a
meno di pensare a ciò che gli aveva detto Jarvis: spider
stava rilevando immagini in contemporanea celate alle sofisticate
videocamere sparse nell'intero edificio, immagini provenienti dal
settore Hooligan, ovvero dalla camera di Thor.
Quel nome
in codice, deciso da ubriaco con Clint solo perché chiamare
Iglù la camera di Steve sembrava divertente, alla fine si
era rivelato utile: se Linn avesse sentito anche solo nominare Thor si
sarebbe di certo insospettita.
Mai quanto
si era insospettito lui.
Immagini
celate, Thor che era in ammollo da ore, la mancanza di
novità dallo S.H.I.E.L.D...
Tutto
puzzava troppo di gel per capelli da quattro soldi e di cerone per
vampiri.
Tutto
puzzava troppo di segreto scottante.
Tony
avrebbe scoperto quel segreto a ogni costo.
*
Lo
ascoltò in silenzio. Non capiva, non aveva senso.
«Perché?»
chiese senza nascondere la sua diffidenza. «Perché
vuoi che sia io a recuperare quell'oggetto?»
«Perché
io non posso farlo. Semplice.»
Avrebbe
chiesto un altro perché
ma sapeva non avrebbe ricevuto la risposta che voleva. Loki avrebbe
danzato abilmente attorno alla sua domanda eludendola senza neanche
tentare di celarlo.
«È
per questo che ti sei lasciato catturare...»
Ora almeno
qualcosa era più chiara.
“Devi prendere qualcosa per me”,
le aveva chiesto, “qualcosa
custodito nell'edificio dello S.H.I.E.L.D.”
«Dovevo
avere la certezza che fosse lì. Avevo bisogno di
sentirlo.»
Studiò
a lungo il suo viso sperando di riuscire a leggere qualcosa. Fu
inutile.
«Sentirlo?»
Le sorrise
e annuì. «Certo, ed è così
che tu lo prenderai e lo porterai da me.»
«No»
asserì decisa. «Non porterò nelle tue
mani nulla che possa ledere la sicurezza di Midgard.»
«Oh,
cheta la tua preoccupazione. Non è nulla che riguardi questo
stupido pianeta. È solo qualcosa che voglio e che,
casualità, si trova proprio qui. Semplice coincidenza, mia
cara.»
«Coincidenza...»
In quel momento fu lei a sorridere. «Non esistono coincidenze
con te.»
«Così
mi lusinghi.» Si sentì schernire con un altro
freddo sorriso.
Eppure
qualche attimo prima aveva visto cosa nascondeva davvero quel sorriso,
aveva visto la brace che ardeva sul fondo e il bisogno di essere
rianimata.
«Non
lo farò.»
«Perdonami?»
E quel sorriso non sfumò.
«Non
recupererò quell'oggetto, qualsiasi esso sia, e non
permetterò che lo recuperi nessun altro, almeno che tu non
mi dica perché lo vuoi e quali sono le tue vere
intenzioni.»
Una risata
tagliente risuonò nella stanza e lei non si chiese se
qualcun altro potesse udirla.
Sapeva che
non era possibile, ché se Loki si era mostrato a lei in
quella casa era perché si era celato ancora una volta e
né Tony né Linn, fortunatamente, potevano essere
consci della sua presenza.
«Forse
non sono stato abbastanza chiaro, ma non esiste possibilità
di negoziare. Hai solo due alternative: accettare o rifiutare, ma sai
bene cosa porterà la scelta della seconda. E in ogni caso
sarebbe solo un inutile spreco di tempo, dato che alla fine dovrai
dirmi, sempre e soltanto, di sì.»
Spalle al
muro, era questa la sensazione.
Avrebbe
dovuto chiamare Tony, chiedere il sostegno dei suoi compagni, unire con
loro le forze per porre fine una volta per sempre alla follia che
guidava i gesti di Loki eppure non riusciva a far altro che avvertire
il muro contro cui si era lasciata inchiodare, e sentire la catena che
le stava stringendo la gola.
Se li
avesse chiamati li avrebbe condannati a morte, se avesse rifiutato,
avrebbe avuto il medesimo risultato.
Loki non
mentiva, stavolta era sincero e avrebbe mantenuto la sua parola, e le
sue mani avrebbero grondato sangue.
«Dov'è?»
chiese invece di dirgli per l'ennesimo volta No.
E Loki
parve soddisfatto della sua scelta.
«Nel
settore E34, esattamente a una decina di piani nel
sottosuolo.» La informò camminando per la stanza.
«Non conosco l'ubicazione precisa, ma una volta che giungerai
nelle sue vicinanze, saprò scorgerlo senza
possibilità di errore.» Le sue mani sfiorarono
distrattamente varie superfici della mobilia finché i suoi
occhi non la colpirono ancora e lei si sentì di nuovo
dannatamente inchiodata al muro.
«L'intero
edificio ha occhi e orecchie, e a me manca la capacità di
nuotare nelle ombre.»
«Non
curarti di questi aspetti tecnici, me ne occuperò io. Tu
dovrai solo arrivare lì.»
Forse era
solo un gioco, un altro, per farle scontare le sue colpe, quelle colpe
che avevano nomi diversi e carnefici diversi, eppure sembravano essere
destinate a convergere tutte sulla sua pelle, nel suo cuore.
«Che
forma ha?»
«È
piccolo, tondo e leggero come una piuma.» Loki rise ancora e
lei avrebbe solo voluto chiudere gli occhi e riaprirli secoli prima
quando quella risata aveva un suono dolce mentre era lei a volare
leggera come una piuma sotto il suo sguardo divertito.
Memorie di
un tempo che non sarebbe tornato.
«Ora
porgimi ancora la tua mano.»
Quella
richiesta le fece stringere le dita attorno all'asciugamano che ancora
le cingeva il corpo ed era ormai umida e fredda così come
l'aria che le sfiorava i capelli bagnati.
Il suo
polso era guarito, Loki lo aveva guarito.
Perché,
non lo sapeva. Ormai non riusciva più a darsi risposte, ogni
volta che ne trovava una, Loki faceva in modo di infrangerla e gettarla
di nuovo nell'ignoto.
«Per
favore, porgimela.»
Esitò
ancora poi però mosse pochi passi per raggiungerlo.
Sollevò
il palmo finché le sue dita non lo afferrarono.
«Cosa
stai facendo?» chiese sentendo il suo indice disegnare
qualcosa sulla sua pelle.
Bruciava,
sembrava fosse la punta di un tizzone ardente. Provò
l'istinto di ritrarre la mano, ma la presa ferrea di Loki la
obbligò a sostare a quel dolore.
«Fa
male...» Non riuscì a mordersi la lingua e quegli
occhi furono ancora nei suoi.
«Non
è divertente essere mortale, vero?»
«Non
ho bisogno della tua falsa compassione. Sbrigati.» Strinse i
denti per non lasciare al gemito di dolore che saliva dalla sua gola di
abbandonare anche le sue labbra.
«Ho
quasi fatto.» L'indice continuava a scorrere, a incidere la
sua pelle ed era insopportabile.
«Quando
ti avrò riportato questo oggetto... Manterrai la tua
parola?» chiese con voce incerta.
Loki
sorrise portando lo sguardo sul suo lavoro.
«Mi
stai chiedendo se puoi fidarti di me?»
«La
mia fiducia è qualcosa che hai perduto tanto tempo
fa.»
«Oh,
non sai quanto mi ferisca tutto questo.» Rimase seria al suo
risolino di scherno. «Quando avrò ciò
che voglio non ci sarà più motivo per mettere
piede su questo mondo né su alcun altro.»
Asgard...
«Cosa
vuoi dire?» La sua mano fu libera ma tutto ciò che
riuscì a vedere su quel palmo era solo un insieme di sottili
linee verdi che però sparirono qualche attimo dopo.
«Cos'è?» E con quella seconda domanda
gli permise di non rispondere alla prima.
«Solo
qualcosa che ti permetterà di recuperare la mia sfera con
più facilità.»
Chiuse a
riaprì la mano ma le linee non ricomparvero. Sembrava non ci
fosse nulla eppure aveva bruciato per tutto il tempo.
«A
cosa ti serve, Loki? Questa risposta la pretendo.»
«Portami
la sfera e avrai tutte le risposte che vuoi.»
Studiò
il suo volto a lungo.
«È
una specie di patto?»
Le labbra
di Loki si spiegarono in una piccola curva morbida. «Se
preferisci vederla sotto quest'ottica... La sfera in cambio della
verità.»
A quella
parola sentì il cuore cavalcare forte nel petto e forse
anche Loki lo percepì perché il sorriso si
accentuò.
«Tu
menti» sibilò diffidente.
«Quanta
cattiva fede... No, non mento. A me la sfera, a te la
verità, per non parlare della salvezza dei tuoi amici
terrestri. Se ci pensi bene sei tu ad avere i vantaggi maggiori in
questo accordo, Sigyn.»
«Cos'è?
Adesso dovrei anche ringraziarti? Non sono così sciocca da
non saper distinguere un ricatto da un vero accordo!»
Loki rise.
«Diciamo che è un accordo atipico. Ti piace di
più detta così?»
«No,
continua a non piacermi, ma ho altra scelta?...»
sospirò e raccolse ogni sensazione sul fondo dello stomaco e
le ignorò.
Gli occhi
di Loki tradivano una vena di divertimento che non sapeva bene se la
indispettisse o la ferisse di più.
Gettò
anche quella domanda lontano dai suoi pensieri.
La
verità...
Ma come
poteva credere alla sue parole? A quante aveva creduto e quante le
volte in cui Loki le aveva tradite?
Avrebbe
davvero voluto abbandonarsi alla cieca follia e fidarsi.
Fidarsi
voleva dire mettersi a nudo, mettere il suo cuore sotto il suo tiro e
pregare affinché non scoccasse il colpo.
Non aveva
più preghiere, le aveva consumate tutte nelle notti in cui
lo aveva creduto morto, in quelle in cui aveva dovuto rimembrare il suo
tradimento, in quelle in cui aveva creduto di averlo davvero perso.
«Perché
hai celato Midgard agli occhi di Heimdall?... Come ci sei riuscito?...
Amora? È stata lei?»
A quelle
domande rispose con un mezzo sorriso. «Jane dice che
c'è stata una frattura.»
E all'udire
quel nome ogni ombra di sorriso sfumò.
«Il
nostro accordo prevede le risposte a seguito della tua collaborazione.
Non vorrai trasgredire alle regole, vero?»
«Tu
hai delle regole?»
«Touché.»
Il successivo sorriso era solo una maschera. «Ora, non vorrei
portarti fretta, ma avrei una certa urgenza di avere quella sfera,
perciò se volessi essere così gentile da vestirti
e recarti quanto prima al nostro caro S.H.I.E.L.D. te ne sarei
grato.»
Serrò
le dita delle mani e deglutì un senso amaro.
«Perché
questo corpo?... Se era il mio aiuto che volevi, avresti potuto
semplicemente chiederlo, senza il bisogno di questa stupida
commedia.»
Il falso
sorriso era ancora sulla sua bocca. «Mi farai tornare come
prima, non è così?»
«Una
volta che giungerai a destinazione guiderò i tuoi
passi.»
«Loki...?»
Sapeva bene
non avrebbe risposto, sperava almeno non ignorasse quella domanda.
Speranza
scioccamente vana.
«Mi
sembra superfluo ricordarti che avvertire i tuoi amici del nostro
piccolo patto non sarebbe una buona idea.»
«E
io ti ricordo che tradirmi ne sarebbe una anche peggiore... Fallo e ne
pagherai le conseguenze.»
Loki non
ribatté e continuò a propinarle quello sfregio
sul viso.
«Bene,
dunque. Dal momento che abbiamo stabilito ogni clausola del nostro
contratto, sarà meglio che ti lasci.» Raggiunse il
letto portando apertamente lo sguardo al sottile reggiseno che Pepper
le aveva fatto trovare insieme ad altri abiti ancora chiusi in tante
scatole accantonate l'una sull'altra. «Mi sembra che non
necessiti più di aiuto per indossare determinati
capi.» Ghignò poi.
Lei lo
guardò senza fare un fiato, con gli occhi fissi nei suoi e
le labbra sigillate.
Rabbia e
dolore. Ancora una volta non sapeva quale delle due fosse
più forte.
«Non
tardare.»
Ma prima
che potesse sparire come al suo solito, lo fermò per un
polso.
«Al
termine della nostra collaborazione, rivoglio il mio corpo.»
Strinse forte le dita ma sapeva bene non aveva la forza necessaria per
trasmettere quanto fosse risoluta in quel momento.
Loki
alzò un angolo delle labbra e annuì.
«Avrai
il corpo che tanto brami... È una promessa.»
Allentò
la presa mentre il sorriso di Loki si stendeva dolcemente sulle labbra.
Era il
sorriso del ragazzo che aveva conosciuto un tempo.
“Non c'è nulla di
marcio in te, Loki. C'è solo tanta bellezza che neanche tu
riesci a vedere. Io la vedo, l'ho sempre vista...”
Fece
scivolare via le dita dal suo polso andando a sfiorare le sue.
Un gesto
semplice per un legame che non lo era mai realmente stato.
«Stai
tremando...»
Deglutì
quando si accorse che era vero e allontanò la mano dalla sua.
«Ho
freddo» mentì scostando poi lo sguardo.
Perché
doveva sentirsi così? Perché doveva sentire il
cuore battere così forte nel petto?
Perché
non riusciva a cancellare i brividi che le stavano coprendo la pelle?
Come poteva
un semplice corpo sfuggire così alla sua volontà?
«Cerca
di affrettarti.»
All'udire
la sua voce portò gli occhi su di lui, ma Loki non c'era
già più.
*
Non capiva
perché a Tony piacessero così tanto quelle
miscele che si chiamavano cocktail. Su Asgard non esistevano intrugli
simili però non poteva negare fossero divertenti da
preparare.
Tony le
aveva insegnato qualche nome strano e le aveva mostrato diversi liquidi
alcolici che potevano essere uniti agli altri.
Li aveva
memorizzati tutti e aveva memorizzato alla perfezione ogni cocktail che
le aveva mostrato.
«Hai
una capacità di apprendimento straordinaria.»
Era
arrossita.
«Sei
tu a essere un maestro paziente, Tony.»
«Oh,
troppo buona» le aveva risposto sorseggiando quello che aveva
chiamato Manhattan.
«Dico sul serio, sei un'allieva modello.»
«Ho
solo l'attitudine a eseguire un ordine» lo aveva sospirato
con semplicità perché era semplicemente vero.
Quando ti
impongono ordini da tutta una vita, impari a eseguirli alla perfezione,
impari a non farteli ripetere due volte e a non sbagliare quando li
esegui.
Non c'era
nulla di lodevole in tutto ciò, era solo il suo lavoro, la
sua vita, il suo destino.
Vivere alla
corte di Asgard e servire fedelmente la famiglia reale.
Lo faceva
con gioia, perché il Grande Padre e la regina Frigga erano
sovrani giusti e buoni, e il principe Thor sarebbe stato un
ottimo successore.
Lei non
aveva una madre né un padre, non aveva mai avuto una
famiglia e avrebbe potuto essere destinata ad altre mansioni,
più umili e disdicevoli.
Essere
un'ancella era un dono, e di questo doveva solo essere grata alla
magnanimità dei suoi sovrani.
«Io
invece non sono bravo con gli ordini. Rogers lo è, lui
è un fanatico degli ordini. Si farebbe dare ordini per tutto
il giorno... A dir la verità è quello che fa
già.»
A sentir
nominare il capitano non riuscì a reprimere un sorriso.
Un soldato
ligio al dovere, un guerriero nobile di anima e deciso nella battaglia.
Un ragazzo
gentile con occhi buoni.
«Guarda
chi si vede! Com'è andato il bagno? Pep ha fatto degli
acquisti per te da qualche parte sulla Madison. Li hai visti?»
Solo in
quel momento notò Lady Sigyn che entrava nella sala.
«Sì,
è stato molto cortese da parte sua. Vorrei poterla
ringraziare come merita.»
«Figurati,
si sarà solo divertita. Le donne amano lo shopping, anche
quelle che lavorano come amministratori delegati.»
Quando
incrociò i suoi occhi immediatamente intrecciò le
mani salutandola con un inchino.
«Mia
signora.»
«Linn...
cosa state facendo?»
Quando li
raggiunse Linn notò i suoi capelli umidi stretti in una
debole treccia che le ricadeva disordinata su una spalla e i vestiti
così diversi dalle vesti di Asgard che le cingevano il
corpo.
Sembrava
stanca, più stanca di qualche ora prima.
Tony le
aveva detto che aveva preparato una stanza da bagno con dell'acqua
calda per ristorarla, che quindi non c'era bisogno di preoccuparsi per lui - Tony usava
riferirsi alla sua signora usando il nome del principe Thor.
Linn aveva
creduto alle sue parole e si era lasciata trascinare in quel vortice di
novità che era Midgard e i suoi usi. Ora si chiedeva se
fosse stato un bene.
«Tony
mi ha insegnato a preparare dei cocktail midgardiani, mia
signora.»
«Proprio
così e la nostra Linn è un vero
talento.»
Abbassò
il capo imbarazzata dalla parole di Tony.
Lady Sigyn
non disse nulla annuì soltanto con ancora un'ombra scura a
coprirle lo sguardo.
«Io
ho bisogno di andare allo S.H.I.E.L.D. » Le sentì
affermare.
«Ci
sono novità? La dottoressa Foster ha scoperto
qualcosa?»
«No,
però ho bisogno di andare da lei. Devo parlarle.»
Quella
stessa ombra aveva ora attraversato la sua voce.
Cosa
vi preoccupa, mia signora?
Sarebbe
stato ingenuo chiederlo, eppure era la domanda che le sfiorò
la mente mentre la guardava parlare ancora con Tony.
«Quando
scendi chiedi un'auto alla reception.»
«Grazie,
Tony.»
«Mia
signora?» La chiamò quando la vide allontanarsi.
Lei si voltò con un debole sorriso.
«Cosa
c'è, Linn?»
Sentì
il cuore scenderle nello stomaco. «I vostri capelli... Sono
bagnati.»
Aveva tanto
desiderato rivederla, aveva desiderato ancora trascorrere del tempo con
lei e adesso che l'aveva ritrovata sembrava che la stesse perdendo di
nuovo.
Non capiva
quella sensazione, non capiva perché la sentisse
così diversa adesso.
Eppure
sarebbe bastato pensare a quel principe triste dagli occhi verdi.
A quel
fratello...
«Al
mio ritorno posso chiederti di sistemarli? Non sono mai stata brava a
farlo da sola...»
Avrebbe
pianto se non avesse saputo che le sue lacrime l'avrebbero solo
rattristata di più.
«Con
immensa gioia, mia signora.»
*
Avrebbe
voluto infrangere quel vetro, avrebbe voluto far schiantare il suo
pugno contro il finestrino dell'auto e urlare finché il
cielo non avesse pianto e le sue urla avessero richiamo fulmini e
saette.
Non poteva
farlo, e quantunque avesse ceduto a quell'istinto, nessuno avrebbe
ascoltato le sue chiamate.
Non era
più il dio del tuono, non era più un asgardiano,
non era più Thor.
Guardò
le strade di New York dipingersi davanti ai suoi occhi, i volti degli
uomini e delle donne, dei bambini. I colori, la vita.
Stava
mettendo tutto nelle mani di una promessa, la promessa sulle labbra di
qualcuno che non ne aveva mai mantenute.
Le proprie
labbra invece avevano imparato a raccontare menzogne.
Jane...
Anche lei,
aveva dovuto macchiare anche lei con quella bugia e Tony lo aveva
creduto, e Linn l'aveva guardata con così tanta fiducia che
quasi si sentiva nauseare.
Quando
l'auto si arrestò sotto l'edificio prese un profondo respiro
e scese.
Guardò
in alto socchiudendo gli occhi ai forti raggi de sole.
Era caldo,
eppure dentro sentiva solo gelo.
*
«Urgente?...
Cosa vuol dire?»
«Non sono a conoscenza dei
dettagli, capitano, il signor Stark ha solo chiesto la sua presenza
alla Tower con urgenza.»
Steve alle
volte odiava quella voce elettronica che ogni tanto risuonava nelle sue
orecchie, odiava dover portare quasi ininterrottamente un maledetto
trasmettitore addosso, odiava, soprattutto, che Tony lo chiamasse con
urgenza senza spiegargli il perché.
Non aveva
chiesto l'intera squadra quindi, conoscendolo - ormai poteva dire
tristemente di conoscerlo – si sarebbe trovato davanti a una
stupidata delle sue.
Non voleva
rischiare però, perché in quel momento tutto era
una possibile minaccia. Alla Tower poi c'era anche Thor e c'era Linn.
«Dove
vai?» gli chiese Clint mentre armeggiava con un computer.
«Da
Stark, ha chiesto di parlami.»
Clint mise
in pausa il suo lavoro e lo guardò. «Da
solo?»
«Ha
chiesto solo di me.»
«Sarà
una cazzata.» E tornò al pc.
Steve lo
studiò con la coda dell'occhio mentre infilava la giaccia.
Sapeva bene
che Clint aveva ragione.
«Se
ci sono novità avvisatemi.»
«Sarà
fatto, capitano, ma tanto questo bastardo non lo troviamo per adesso,
inizio a pensare che non lo troveremo più.»
Temeva che
Clint avesse ragione anche su quello.
Fino a quel
momento i risultati delle ricerche su Loki avevano dato tutti esito
negativo. Sembrava volatilizzato nel nulla.
Non un
indizio, nessuna seppur minima corrispondenza.
Credere che
se ne fosse semplicemente andato da qualche altra parte era fuori
discussione, anche perché a quel punto avrebbero dovuto
mettere in conto che far tornare Thor come prima era un'ipotesi sempre
più remota.
No, non
poteva accettarlo.
«Continuate
a cercare.»
E con quel
monito uscì dalla stanza.
*
Bruce
guardò il tavolo completamente coperto di carte e i monitor
che lampeggiavano con frequenza quasi psichedelica.
«Sono
le rilevazioni degli ultimi venti giorni?» chiese
assottigliando la vista mentre cercava di leggere qualche dato.
«Questi
dati non coprono neanche quattro giorni, Bruce.» Si
voltò verso Jane con espressione sorpresa.
«Abbiamo appena cominciato.»
Jane gli
sorrise e lui tornò a guardare il monitor.
«Ci
vorranno settimane per analizzarli tutti...»
«Lo
so, ma dobbiamo cercare di dimezzare i tempi.»
Avrebbe
voluto chiederle se ne valeva la pena, se analizzare quella montagna di
dati avrebbe davvero portato a qualche risultato. Ciò che
stava accadendo alla Terra aveva del soprannaturale, era qualcosa che
non obbediva a leggi della fisica né ad altre regole che
vigevano sul loro mondo.
Era magia,
o forse solo una scienza troppo avanzata anche per cervelli come i
loro.
Si tenne
quei dubbi sulla lingua perché la determinazione di Jane era
schiacciante, e riusciva a cancellare anche la più labile
volontà di scalfirla. Non avrebbe voluto scalfirla, in
verità, avrebbe voluto esserne contagiato.
Fu per
questo che iniziò a guardare quei dati memorizzandoli e
studiandoli, per quel poco che le sue rozze nozioni di astrofisica gli
permettevano.
Prese
qualche appunto e lo passò a Jane mentre cercavano di
estrarre qualche teoria dalle prime rilevazioni.
Fury non
aveva raggruppato una squadra di luminari o esperti, avrebbe potuto ma
non l'aveva fatto, perché Fury era furbo quanto cauto, era
scaltro quanto ambiguo e se riusciva a gestire un'organizzazione come
quella dello S.H.I.E.L.D. senza mostrare cedimenti o esitazioni era
forse proprio per quell'ambiguità.
La linea
fra giusto e sbagliato era così sottile che forse l'avevano
attraversata tante volte senza neanche accorgersene.
Bruce
l'aveva attraversata di certo, l'attraversava ogni volta che lasciava
che la rabbia lo prendesse e non avrebbe mai ammesso, neanche a se
stesso forse, che distruggere quella linea era forse la cosa
più vicina alla libertà che conoscesse.
*
«Mi
hai fatto venire qui per... per questo?»
Steve
sembrava nervoso, no, non era nervoso, era imbarazzato ed era
divertente.
«Sì,
certo, a chi altro potevo chiederlo?» sospirò con
fare evidente mentre girava attorno al tavolo.
Linn, per
fortuna di Rogers, era nella stanza accanto a provare la magnificenza
dei bagni terrestri e quindi Tony poté godersi l'espressione
porpora sulla faccia del capitano. «A Clint? O alla
Romanoff?... Bruce?... Andiamo, siamo seri, Steve.»
«Tu
dici a me di essere serio?... TU?»
Aveva
bisogno di avere del tempo per verificare i rilevamenti di spider e se questo
voleva dire divertirsi un po' a spese di Steve era solo un motivo in
più per congratularsi con se stesso per quell'idea.
«Non
agitarti, Rogers, voglio solo che tu la porti un po' in giro. Le fai
veder Central Park, qualche vetrina, date da mangiare alle anatre, le
compri un souvenir con I Love NY e le mostri quanto siamo accoglienti e
ospitali noi terrestri.»
«Non
c'è tempo per fare i turisti, Stark! Ma come ti viene in
mente che-»
Ma Steve si
ammutolì quando nella stanza comparve la ragazza.
Anche Linn
parve sorpresa di ritrovarsi davanti Steve però lei aveva un
modo molto più raffinato per celarlo.
«Capitano...»
lo salutò con un piccolo inchino appena accennato.
«Linn...»
Steve invece sembrava stesse fermando un taxi sulla quarantaduesima con
quella stupida mano alzata.
Sarà
un disastro...
Toccava a
lui smuovere le cose.
«Sai,
Linn, il capitano Rogers vorrebbe mostrarti la nostra bella
città.»
Linn
sbatté le palpebre sorpresa per poi arrossire e Tony
pensò che sì, sarebbe stato un disastro
perché tenere due timidoni con il fetish dell'obbedienza
nella stessa stanza era già abbastanza difficile con uno
come lui presente, sperare che riuscissero ad argomentare là
fuori nel grande mondo era solo una roulette russa.
Ma a lui
serviva tempo e adesso doveva premere quel grilletto.
«Ti
piacerà il nostro pianeta, e i terrestri. I terrestri sono
simpatici... vero, Steve?»
«Eh?..
Ah sì, siamo simpatici.»
Tony,
non scoppiargli a ridere in piena faccia, per favore, potrai ridere di
lui quando sarai nel tuo laboratorio.
Cercò
di convincersene ma le sue labbra si piegarono comunque
all'insù, si piegarono forse un po' troppo perché
degli occhi di Steve parevano bruciare fiamme.
Ok,
capitano, teniamo le ramanzine sul dovere a quando avrò
sbrogliato questa matassa.
«Io
non vorrei creare disturbo al capitano.»
«Ma
quale disturbo!» sentenziò poggiandole una mano
dietro la schiena e obbligandola ad avvicinarsi a Rogers. «Ti
divertirai. Hai bisogno di divertirti. Tutti abbiamo bisogno di
divertirci.»
«Tu
lo fai anche troppo, Stark.»
Gli sorrise
strafottente mentre li conduceva senza neanche nascondere la fretta
verso l'ascensore.
«Io
non so-»
«Sarà
un pomeriggio fantastico, fidati!»
Li
gettò quasi letteralmente nell'ascensore ma quando stava per
pigiare il tasto sentì la mano d'acciaio di Steve cingergli
un braccio.
«Questa
me la paghi. Lo giuro!» gli sibilò all'orecchio
quasi digrignando i denti conscio che Linn non lo avrebbe udito.
Alla
fine vedrai che avevo ragione anche sulla sua
omosessualità...
Neanche lo
stesse invitando a uscire con una cozza!
Linn era
graziosa ed educata.
Steve era
educato... grazioso un po' meno, ma di certo un tipo che apprezzava una
ragazza un po' all'antica, e più antico del modo di porsi di
lei, c'era solo il taglio orribile che sfoggiava lui.
Si
sarebbero divertiti, se ne sarebbero stati fuori dai piedi per un po' e
lui avrebbe avuto il suo quarto d'ora di pace.
«Mi
raccomando, riportala prima delle 10, giovanotto»
scherzò senza perdere il bianco sorriso e lasciò
che le porte d'acciaio si chiudessero.
Prese un
respiro e si concesse qualche secondo di silenzio.
«Jarvis?»
«Mi dica, signore.»
Guardò
ancora verso le stanze e di quel sorriso non ci fu neanche
più l'ombra.
«Hai
trasferito le immagini sul server?»
«Così come mi era
stato chiesto, signore. Vuole visualizzarle adesso?»
«No,
lo farò in laboratorio. Inviale sullo schermo.»
«Eseguo subito.»
Per quelle
di spider
invece era necessario farlo manualmente.
Si diresse
così a passo spedito verso la camera di Thor.
*
Non
arrivò neanche all'ingresso che sentì il palmo
bruciare ancora.
Quando lo
guardò vide materializzarsi dal nulla un piccolo rettangolo
di carta. No, non era carta, era uno dei dispositivi che usavano i
midgardiani per accedere alle zone protette.
“È
un badge.”
Sussultò
e si guardò intorno.
Non c'era
nessuno.
Loki...
«Dove...?»
“Non
sono lì, non cercarmi. Ma ti sono comunque accanto...
Romantico, vero?”
Nella sua
voce poteva vedere quelle labbra sorridere beffarde.
Strinse il
badge fra le dita e serrò la mascella.
«Cosa
devo fare?»
“Soltanto
seguire le mie indicazioni, Sigyn.”
«Smettila
di usare quel nome. Quante volte devo ripetertelo?!» Lo
ammonì mentre l'apertura di vetro si schiudeva al suo
passaggio.
“Come
desideri, principessa.”
Trattenne
un ringhio e si avviò verso il primo ascensore. Nessuno la
fermò, nessuno sembrò davvero badare a lei.
Pensò
che forse Loki avesse celato la sua presenza ma quando le porte
d'acciaio si aprirono e incontrò il viso di un uomo vestito
di nero, scoprì che non era così.
«Salve.»
La salutò con un sorriso.
«Salve»
rispose senza aggiungere altro mentre lasciava che l'uomo pigiasse uno
dei numerosi tasti sulla parete frontale.
«A
che piano?»
Non sapeva
rispondere.
“12b”,
sentì sibilare contro l'orecchio.
«12B.»
Non
sopportava quella situazione. Già il senso di colpa e i
dubbi erano così forti da farle attorcigliare lo stomaco, ma
sentirsi completamente nelle mani di Loki era ancora peggio.
Non sapeva
dove la stesse guidando, magari non c'era nessun oggetto a cui
giungere. Era solo una pedina, per l'ennesima volta, una stupida pedina
da muovere a piacimento.
Si
ritrovò ad abbassare lo sguardo su quel badge leggendo
parole che in realtà non vedeva.
Vedeva solo
il sorriso di due ragazzini, di due bambini che si rincorrevo, che
cavalcavano insieme, che si divertivano a fare a gara a chi giungeva
per primo a valle.
Vedeva la
paura di due occhi e il tremore di due mani, vedeva i brividi e le
lacrime, la dolcezza e la speranza.
Vedeva
tutta una vita che era scivolata via veloce e inesorabile e tutte le
occasioni perse per riaverla indietro.
«Sei
nella squadra di Derek?»
«Cosa?»
Sollevò
lo sguardo sul viso dell'uomo che ancora sorrideva sebbene lei avesse
imparato quale significato dare ai sorrisi degli uomini di Fury.
«Se
vai al dodicesimo devi essere nella squadra di Derek... mi
sbaglio?»
Loki non le
suggerì alcuna risposta e decise di prendere l'iniziativa.
Le avrebbe
dato la mera illusione di allargare il collare che sentiva cingerle il
collo.
«Sono
informazioni riservate.» Era una frase che aveva sentito dire
spesso a Natasha e di solito aveva la forza di mettere a tacere ogni
altra domanda.
L'uomo
stirò ancora le labbra e annuì.
«Ovviamente.»
Spostò
poi i suoi occhi nocciola sui numeri che si intervallavano senza
più parlare.
Tirò
un sospiro di sollievo cercando di convincersi ancora una volta che
stava facendo la cosa giusta.
“Ti
faccio i miei complimenti, hai glissato l'insidia con
maestria.”
«Sta'
zitto» masticò fra i denti controllando che
l'agente non l'avesse udita.
“Attenta,
se continui così stuzzicherai di nuovo la
curiosità del tuo compagno di viaggio.”
Cercò
di ignorarlo.
“E,
se mi permetti, ti consiglio di chiudere ancora un bottone della
camicia o potresti stuzzicare qualcos'altro al di fuori della
curiosità...”
«Taci!»
«Scusa?»
Deglutì
guardando il volto dell'agente e scosse semplicemente la testa.
«Nulla.»
Sapeva bene
che Loki lo aveva fatto di proposito.
Avrebbe
dovuto essere arrabbiata, avrebbe dovuto infuriarsi per la sua
strafottenza, per la sua assoluta mancanza di rispetto per tutto e
tutti eppure... eppure per un breve momento le era parso che il tempo
si fosse riavvolto, che fossero ancora due fratelli, due fratelli
legati da un profondo peccato.
Non c'era
nulla di tutto ciò, adesso.
Non erano
più fratelli e non c'era più alcun peccato.
E
assurdamente ognuna di quelle verità alleggeriva il peso
dell'altra.
Un suono
che ormai conosceva bene risuonò nel piccolo ambiente quando
un lungo corridoio si disegnò oltre la porta.
«12B...
Buon lavoro.»
L'uomo la
salutò quando uscì e lei semplicemente gli
rispose con un cenno del capo.
“Sei
quasi arrivata.”
«Dove
conduce questo corridoio?» chiese ormai sicura di non avere
orecchie a seguirla.
“A
un secondo ascensore poi giungerai al settore E34... E comunque ero
sincero sulla camicia, dovresti chiudere quel bottone.”
«Smettila
con questa storia, non è tempo per i giochi.»
Dopo
qualche metro arrivò a una biforcazione. «Dove
vado?»
Loki non
rispose.
Ognuno dei
corridoi era speculare all'altro. Non c'era modo di distinguerli.
«Avanti,
dove devo andare?»
E sapeva
bene quale significato dare a quel silenzio.
Prese un
profondo respiro cercando di ingoiare ogni parola rabbiosa.
«Loki...?»
sospirò poggiando le mani sui fianchi.
Ancora
silenzio.
Accidenti
lui e i suoi giochi infantili!
«E
va bene! Questa dannata camicia è troppo piccola e non si
chiude... Contento ora? Adesso basta con questi discorsi inutili e
dimmi dove devo andare.»
“Destra.”
Non le sfuggì il tono divertito. “Percorrilo tutto
e usa il badge quando trovi un accesso chiuso.”
Scosse il
capo e imboccò la svolta.
Sparsi per
tutto il lungo corridoio una miriade di occhi rossi che sapeva avessero
il compito di rubare ogni immagine che attraversava il loro campo
visivo.
“Perché
l'hai indossata se non era della tua misura?”
«Vuoi
davvero intavolare una conversazione su questo?» chiese
continuando a far vagare lo sguardo sulle pareti e sulle porte quasi
totalmente chiuse.
“Bisogna
ammazzare il tempo in qualche modo... O preferisci che ammazzi
qualcuno?”
«Questa
era pessima... anche per te» sentenziò mentre si
avvicinava all'ennesimo accesso serrato.
“Allora?...
perché?”
«Erano
tutte di questa misura. Soddisfatto, ora?»
confessò sperando di mettere fine una buona volta a quel
discorso.
Loki non
continuò.
Giunta alla
porta strisciò la scheda nell'apposita fessura e lo spesso
vetro si aprì.
Prese
ancora un profondo respiro.
«Spero
solo che tu non mi stia ingannando, altrimenti...»
“Un
po' tardi per i ripensamenti.”
«Non
è mai troppo tardi per riempirti di pugni.»
Udì
la sua risata e non poté impedire alle sue labbra di
piegarsi appena un po'.
Incontrò
diversi agenti ma nessuno le fece alcuna domanda. Sembrava che il solo
essere riuscita a giungere lì fosse una risposta sufficiente.
Era
lì perché ne aveva il diritto. Che fosse merito
della piccola scheda che le aveva dato Loki, non sapeva dirlo, di certo
i terrestri avevano troppa fiducia nelle loro tecnologie.
“È
dietro quella porta. Riesco a sentirlo.”
Prese un
profondo respiro e fece scivolare ancora una volta il badge nella
fenditura sulla parete.
Non
tradirmi... Te ne prego...
Nel fondo
del cuore temeva cosa sarebbe successo quando Loki avrebbe ottenuto
ciò che voleva.
La porta si
chiuse alle sue spalle.
Non c'era
nessuno.
Era una
grande sala che somigliava a un archivio, più precisamente
era una stanza a uso di deposito. Numerosi scaffali, diverse scatole
d'acciaio di altrettante diverse grandezze, collocate in un ordine
scandito da dei numeri e delle lettere scritti su ognuna.
Si
guardò intorno ma sembrava vedere sempre la medesima
immagine.
«Dov'è?»
La sua voce
risuonò nel silenzio del locale. Non vide occhi rossi sulle
pareti o negli angoli.
Possibile
fosse priva di protezione? E allora perché Loki non era
giunto da sé in quella stanza?
Cosa si
celava davvero?
“Chiudi
gli occhi.”
Le sue
domande furono spazzate via.
«Cosa?»
“Fa'
come ti ho detto. Chiudi gli occhi.”
Deglutì
ogni altra richiesta di chiarezza, conscia ormai che non avrebbe avuto
soddisfazione.
Osservò
un'ultima volta una lunga fila di scrigni metallici e poi
eseguì il suo ordine.
Tale era e
tale era risuonato anche alle sue orecchie.
«E
adesso?»
“Adesso
devi trovarlo.”
«Come
posso cercare qualcosa di cui ignoro forma e sostanza? Senza neanche
l'ausilio della vista-»
“Non
devi cercarlo con gli occhi ma con il seiðr.”
Non capiva.
«Io
non lo posseggo, forse ti è sfuggito questo dettaglio quando
mi hai affidato questo compito» sottolineò
nell'oscurità del suo sguardo.
Sentì
Loki sospirare e avrebbe solo voluto averlo di fronte per colpirlo
finché non avesse consumato l'ultima briciola di rabbia.
“Ho
infuso un po' del mio nella tua mano. Lascia che ti guidi.”
A quelle
parole riaprì gli occhi e li portò al suo palmo.
Adesso aveva capito cosa avesse fatto eppure ancora ignorava le ragioni
più importanti.
Decise che
ormai non vi era più tempo per tergiversare.
Adesso era
lì, tanto valeva rischiare fino alla fine.
Quando il
buio tornò a governare la sua vista sollevò la
mano e la portò davanti a sé.
Non
successe nulla.
Passarono i
primi secondi, poi i successivi minuti e tutto ciò che
sentiva era solo il silenzio che la circondava.
Quando
iniziò a perdere la pazienza qualcosa accadde:
sentì del calore provenire dalla sua sinistra.
Cos'è?
Pensò, ma non cercò una risposta, semplicemente
lo seguì.
I suoi
passi non erano incerti, sembravano conoscere la strada senza che fosse
lei a indicargliela.
Il calore
aumentò finché non sentì nuovamente il
palmo ardere.
Strinse i
denti e mandò giù ogni parola.
Presto il
calore divenne insopportabile ed era come se l'intera mano fosse
avvolta dalle fiamme.
«Loki...»
Quel nome
fu impossibile da ingoiare.
“Basta
così.”
Aprì
gli occhi tirando via la mano dal niente e osservandola con un leggero
fiatone.
Davanti a
sé non c'era nulla a parte una piccola scatola. Una fra le
più piccole.
«È
questa?» chiese desistendo dallo sfiorarla.
“Aprila.”
Non c'era
serratura, non sembrava neanche potesse essere aperta. Era un unico
blocco di metallo grigio privo di qualsiasi fessura o taglio.
“Avvicina
la mano.”
Loki
rispose alla sua domanda non posta.
«Cosa
vi è contenuto?»
“Aprila
e vedrai con i tuoi occhi.”
E se fosse
stata un'arma? Se ciò che vi giaceva si fosse rivelato un
pericolo per le genti di Midgard?
Come poteva
davvero fidarsi? Perché lo aveva fatto fino a seguirlo in
quell'impresa ignota?
Aveva
mentito e aveva taciuto ai suoi compagni ogni cosa.
Non
riusciva a riconoscere il suo comportamento, non riusciva ad
approvarlo.
E
allora perché sono qui?
Allungò
la mano e l'avvicinò alla scatola. La risposta l'avrebbe
trovata al suo interno.
Più
si avvicinava allo scrigno più esso si dissolveva sotto i
suoi occhi, diveniva sempre più labile, sempre
più sottile e tutto ciò che riusciva a scorgere
era un oggetto tondo. La sfera di cui aveva parlato Loki.
Più
piccola del suo stesso pugno, priva di colore.
Quando la
scatola scomparve la sfera fluttuò verso la sua mano fino a
posarsi su di essa.
Piccola,
tonda e leggera come una piuma.
Era
esattamente così. Sembrava non sentirla, sembrava una
semplice bolla di sapone.
Non aveva
l'aspetto di un'arma né di qualcosa di realmente minaccioso,
ma sapeva fin troppo bene quali insidie potevano celarsi anche dietro
al più gentile dei fiori.
Quando
sfiorò il suo palmo le linee verdi tornarono a disegnarsi
sulla pelle e la sfera rubò il loro colore coprendosi della
medesima tinta.
Un attimo
dopo non c'era più nulla: la sfera era svanita.
«Cosa
succede? Dov'è finita?»
“Raggiungi
la cima dell'edificio.”
«Cosa?
Il tetto?... Perché?»
Nessuno
rispose.
«Loki?»
Alzò lo sguardo intorno ma non vi era niente da vedere oltre
agli scaffali. «Loki?»
Non
udì più la sua voce.
*
Odiava quel
posto, odiava quel mondo. Odiava sapere di essersi abituato a esso.
Guardò
dall'alto le miriadi di piccole teste, di piccoli e insulsi umani che
vivevano le loro brevi vite con affanno e caparbietà. Le
loro brevi vite che Thor si era cocciutamente prefissato di difendere.
Sei
sempre stato uno sciocco, fratello.
Avrebbe
potuto governarli, governare ogni mondo semplicemente imponendosi con
il suo nome, quel nome che un tempo aveva vestito anche lui: Odinson.
E invece
aveva deciso di ergersi a loro difesa, aveva deciso di prenderli sotto
la sua ala, aveva deciso di donare il suo cuore a una di loro.
Una piccola
e sciatta mortale.
Non glielo
poteva permettere.
Il sole
colpì i suoi occhi quando li rialzò per portarli
verso quel cielo azzurro, mai azzurro quanto quello che aveva rincorso
per secoli.
Un rumore
alle spalle e un sorriso che si disegnò sulle sue labbra.
«Sei
sempre stato qui?»
Si
voltò e la vide. Arrabbiata e diffidente, eppure era
lì.
«Sei
stata brava.»
«Tieniti
pure le tue vane lusinghe, e adesso mantieni fede al nostro
patto.»
Tese la
mano per invitarla a raggiungerlo ma lei restò immobile sui
suoi passi, testarda come sempre.
«Non
ho ancora la mia sfera.»
«Allora
prenditela!» Quando fu Sigyn a tendere la sua mano non
riuscì a nascondere un sorriso.
«Se
avessi potuto farlo non avrei chiesto a te di adempiere a quel compito,
ti pare? Non posso prenderla dalle tue mani, sarai tu a portarla dove
mi necessita.»
«Questo
non faceva parte dell'accordo!» ribadì lei con
furia stringendo ora quella mano in un pugno che tremava.
«Dovevo immaginarlo che avevi altro in mente! Sleale come al
solito.»
Sorrise.
«Devo darti ragione: non è della tua
misura» aggiunse poi alludendo alla sua camicia ma la sua
provocazione non fu colta.
Sigyn
continuava a guardarlo con sguardo rabbioso e senza alcuna intenzione
di ascoltare altro.
E per
quanto amasse vedere l'ardore coprire il suo viso, non aveva
più molto tempo.
Fu lui a
raggiungerla, fu lui ad avvolgerle un braccio attorno alla vita.
«Cosa
stai facendo?»
Non si
stupì che le lo allontanasse senza complimenti.
Ignorò
ogni protesta e ripeté il gesto serrando la presa in modo da
impedirle ogni tentativo di svincolare.
«Mantengo
fede alla mia parte dell'accordo.» Il brivido che
attraversò il suo corpo nel sentirla nuovamente
così vicina fu impossibile da domare. «Sto per
darti le risposte che aneli.»
Sigyn
cessò ogni resistenza.
«La
verità...?» La sua voce era un fiato debole, un
fiato che ardeva contro le sue labbra.
«L'unica
e sola.»
Avrebbe
voluto poggiarle sulle sue e lasciarsi bruciare ancora una volta,
bruciarsi dimenticando tutto il resto.
Non gli era
ancora concesso.
«Prega
solo di essere pronta a udirla.»
Un attimo
dopo il sole non scaldava più la sua pelle.
***
NdA.
Ok, ci siamo!
Si, stavolta è vero, ci siamo: la verità sta
arrivando.
Vabbè, solo parte di essa ma sempre meglio di niente, no?
Lasciatevi abbracciare tutti, dal primo all'ultimo, perché
siete belli.
Mi lasciate sorpresine graditissime nella mail, mi trovate un nome alle
ship e mi riempite di caldo affetto nei vostri commenti <3
Ne ho davvero bisogno in questo periodo, per cui grazie di cuore ^^
Ci leggiamo alla prossima quando apriremo insieme questo vaso di
pandora...
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 11 *** Quella lama chiamata “verità” ***
cap11
L' ultima lacrima
XI.
Fu veloce eppure
sentì il suo corpo rischiare di crollare al suolo come
avesse percorso a piedi decine di campi.
Loki la
sostenne ma lei lo scansò con sdegno e preferì
barcollare per qualche attimo sulle sue stesse ginocchia.
«Dove
siamo? Cos'è questo posto?»
Non aveva
ricordi di quelle mura né di quelle fioche luci che le
adornavano.
Non aveva
memoria di quel luogo così tetro e triste.
Aveva solo
il ricordo del suo abbraccio e voleva fuggire via da esso ancora una
volta.
«Non
ha importanza dove siamo.»
Lo
guardò furiosa cercando sostegno sulla parete alla sua
destra.
«Mi
avevi promesso verità.»
«Ed
è ciò che avrai.» Le sorrise.
«Seguimi... se riesci a camminare.»
E con quel
sorriso beffardo prese il passo verso un lungo corridoio.
No, non
riusciva a camminare, perché le sue gambe tremavano e lo
odiava.
Quel corpo
era più che mortale, era fastidiosamente e irrimediabilmente
debole.
Cercò
di stargli dietro con la mano che scivolava sul muro per consentirle di
tenere l'equilibrio.
Non sapeva
dire se il luogo
che avevano raggiunto fosse sulla Terra o meno. Sapeva solo che era
avvolta in una densa stanchezza, che derivasse dallo spostamento o da
altro non era una risposta che conoscesse.
Più
si addentravano in
quel corridoio meno luce lo illuminava, quando Loki si
arrestò
dinanzi a una porta sembravano ergersi solo ombre.
«Le
tue risposte.»
Si
voltò e con un sorriso spinse il legno.
All'interno
della stanza il bagliore era accecante.
Quando vi
entrò e vide,
sentì che le sue gambe non l'avrebbero davvero
più sorretta.
₪₪₪
Linn camminava silente al suo
fianco, il capo chino e lo sguardo sul marciapiede.
Steve le
lanciava di tanto in tanto qualche occhiata e ogni volta che una parola
si posava sulla sua lingua la inghiottiva.
Dannato
Stark! Come gli era saltato in mente di chiedergli una cosa simile?
Con tutto
il caos che c'era in
quel momento, con tutte le domande che ancora governavano la sua testa
e quella del resto della squadra.
«Perdonatemi
per aver rubato il vostro tempo, capitano.»
Udì
appena quelle parole per via del traffico che rumoreggiava nell'aria.
«Oh,
no. Non hai rubato
nulla, Linn. Davvero! È solo che...» Linn lo
guardò
e Steve ingoiò altre cento parole. «Non sono la
migliore
compagnia per una ragazza.» Le uniche che videro la luce
erano
tristemente vere.
Aveva
passato così
tanto tempo a lottare in guerre sempre più diverse, che
forse
neanche ricordava cosa volesse dire qualche ora di pace, qualche ora a
passeggiare senza troppi pensieri per le caotiche vie di New York,
qualche ora a chiacchierare di sport e cinema, di musica.
«Non
so perché
Tony abbia creduto che fossi la persona giusta per farti da
guida.» Sorrise imbarazzato. «Immagino volesse solo
prendersi gioco di me - di nuovo.» Quell'ultima frase fu
più un sospiro a se stesso.
Prima o poi
Tony si sarebbe fatto una lunga degenza in ospedale se avesse
continuato a provocarlo.
«Tony
ha grande stima di
voi, capitano.» Non riuscì a nascondere la sua
sorpresa e
Linn dovette capirlo perché gli sorrise. «Ho
sentito il
vostro nome più volte nei suoi discorsi.»
«Beh,
questo non vuol dire che mi stimi.»
«Se
mi è
permesso, non credo che un uomo dal grande carisma come Tony
spenderebbe parole su qualcuno che non suscita in lui stima o
rispetto.»
Sorrise
divertito a sua volta.
«Non
lo conosci ancora
bene, Linn. Tony spende parole su tutto e tutti anche su persone e
argomenti che non c'entrano nulla con il discorso che sta affrontano,
così come il più delle volte non c'entrano nulla
i suoi
stessi discorsi con la situazione. Ed è irritante e
sfiancante
avere a che fare con lui e-»
Fu dapprima
debole poi sempre più forte, finché Steve non
vide Linn soffocare una risata con una mano.
Era confuso.
Eppure non
era la prima volta
che una donna gli scoppiava a ridere in faccia, sebbene dopo il siero
le cose fossero un tantino cambiate.
Ciò
nonostante, nel bel
mezzo di un pomeriggio assolato del 2013, Steve Rogers era tornato a
essere il mingherlino e asmatico ragazzino delle risse nei vicoli.
Non le
chiese il
perché, non ne sentiva neanche il bisogno, stirò
le
labbra in un sorriso e ascoltò quella dolce risata
finché
non sfumò.
«Chiedo
venia se vi ho mancato di rispetto, capitano.»
Scosse il
capo mentre Linn nascondeva le labbra dietro alle dita. I suoi occhi
ancora sorridevano.
«Non
devi... Ma
dammi del tu, per favore, e chiamami Steve... Non sono Captain America
quando non indosso il costume.»
«Sono
del parere che non
sia un'armatura a determinare un cuore.» L'ascoltò
silente
mentre la vita della Grande Mela scorreva di fianco, inondandoli e
ignorandoli contemporaneamente. «Il nome che indossi non
cambia
ciò che sei... Steve.»
«Un
soldato, quindi?»
Alzò
un solo angolo delle labbra e Linn scosse il capo.
«Un
ragazzo gentile.»
Quelle
parole richiamarono alla mente quelle del dr. Erskine: non un soldato
perfetto, ma un uomo giusto.
«Un
ragazzo gentile...» ripeté quasi imbarazzato.
«Mi piace.»
Linn
sorrise e sembrò che il suo imbarazzo la contagiasse un po'.
Ma Steve
non era bravo a
capire le donne e di Linn aveva compreso poco, sapeva solo che era una
persona diversa dalle altre, una persona che sembrava non aver timore
di mostrare la sua vulnerabilità.
Ormai era
abituato ad avere
intorno donne forti che nulla avevano da invidiare a un uomo. Ne aveva
amata una in passato e l'avrebbe sempre amata perché il
sorriso
scarlatto di Peggy era impossibile di cancellare.
Con Natasha
divideva il fianco in battaglia, così come spesso era
accaduto con Maria.
A modo suo,
perfino Pepper era una donna d'acciaio, e per stare dietro a uno come
Stark bisognava essere come minimo di ferro.
Non aveva
perciò avuto
occasione di incontrare qualcuno come Linn. Qualcuno che non celasse la
sua inadeguatezza, quella stessa inadeguatezza che lui stesso ancora
continuava a combattere, perché se Linn veniva da una terra
lontana, Steve era figlio di un tempo lontano, e non c'era enciclopedia
virtuale che potesse ridargli quegli anni perduti.
«Hai
mai mangiato una nuvola su Asgard?» chiese a bruciapelo
disegnando un sorriso sulle labbra.
«Una
nuvola?» Linn gli sorrise di riflesso e scosse la testa.
«Vuoi
assaggiarla?»
E poi rise.
«Certo, Steve.»
Se c'era
qualcuno che
conosceva bene le donne invece, quello era Bucky, e se c'era un
consiglio che Steve aveva ricevuto più volte da lui era uno:
a
un primo appuntamento, zucchero filato.
Magari era
un po' fuori moda
in quella nuova era di astronavi e computer, magari era anche
inappropriato perché non era un primo appuntamento.
Steve
sperò solo che a Linn sarebbe piaciuta.
«C'è
un uomo qui vicino che ne vende di buonissime, vedrai. Si chiama
Jason.»
«Non
metto in dubbio la tua parola.»
Avrebbe
voluto che Bucky fosse lì, che gli strizzasse un occhio e
gli desse una pacca sulla spalla.
E
bravo il mio Steve...
Qualcosa
gli diceva che sarebbe stato fiero di lui.
*
Tony
afferrò il cavo sottile fra i denti e strappò via
la gomma che ne celava i fili.
«32
minuti, Jarvis. Sono
32 minuti» borbottò collegando le fibre di rame ad
altre
che fuoriuscivano dalla piccola sonda poggiata sul bancone d'acciaio
del suo laboratorio.
«Non mi aveva chiesto di
decriptarli, signore.»
«E
c'era bisogno di
dirtelo? Ma secondo te posso mai guardare delle immagini in codice
binario? Cos'è, Matrix, adesso?!»
Quando
finì di unire ogni collegamento richiuse il coperchio e si
passò una mano fra i capelli.
«Signore, lei mi dice sempre di
non prendere iniziative. Mi attengo ai suoi ordini, signore.»
«Sì,
sì,
come ti pare...» Si strofinò gli occhi e si
gettò
stancamente sulla sedia aspettando che lo schermo smettesse di essere
completamente grigio. «E basta con questo signore,
fra te e Linn mi state facendo venire il mal di testa... anzi, quasi
quasi assumo lei come assistente personale e ti disinstallo.
È
una persona puntuale e precisa, priva di sarcasmo e in più
fa
dei cocktail divini.» Che non conoscesse poi mezzo linguaggio
di
programmazione era un problema risolvibile. Più o meno.
«Non credo che la signorina Potts
sarà favorevole.»
«Jarvis,
cosa ti avevo detto circa il prendere iniziativa?...»
Ma un paio
di bip interruppero ogni discorso.
«Le
immagini sono state decriptate.»
«Bene.»
Alla sua
destra lo schermo grigio era divenuto nero, lo schermo con le immagini
delle riprese di Jarvis.
Alla sua
sinistra ancora un insieme di linee verticali di diverse
tonalità di grigio: erano le immagini di spider.
Dopo
l'incursione di Loki alla
Tower e la sua fuga dalla base dello S.H.I.E.L.D., Tony aveva
effettuato un'attenta analisi dei software che quello era riuscito a
bloccare. Le modalità usate non le aveva ancora chiarite,
però il risultato era poco differente da quello ottenuto da
un
semplice e volgarissimo virus.
Si
insinuava nel programma e
metteva fuori uso telecamere e microfoni e, nel caso della cella di
Reed, anche i sistemi di chiusura, con un apparentemente semplice
lavoro di sniffing
distruttivo.
Aveva
pensato quindi di creare
un programma che fungesse da antivirus per contrastare nuovi attacchi,
ma aveva poche informazioni su cui lavorare, pochi brandelli di byte ed
era insopportabilmente chiaro che la magia di Loki faceva uso di
nozioni che probabilmente anche una mente come la sua ignorava.
Come un
biologo avrebbe avuto
bisogno di un ceppo virale su cui studiare una cura, anche lui doveva
possedere almeno una stringa completa di quel malware alieno.
Non
l'aveva, ma era lì
che si era accesa la lampadina: se non poteva proteggere un programma,
tanto valeva eliminare il suddetto programma.
Niente
sistema operativo, niente virus.
Ed ecco che
entrava in gioco spider.
Le prime
immagini che iniziarono a comparire sullo schermo destro mostravano la
camera di Thor, vuota.
Quelle a
sinistra erano alquanto sgranate e poco a fuoco ma riflettevano la
medesima immagine.
Spider era,
per l'appunto, un
ragno. Un ragno-spia di quelli che aveva usato al tempo per spiare le
matricole al college - era sempre stato un ragazzo precoce.
Funzionava
con delle
comunissime pile vecchia maniera ed era privo di microfono, effettuava
riprese in bianco e nero a bassissima risoluzione e che saltavano un
frame sì e l'altro pure, ma la cosa più
importante, era
la mancanza di sistema operativo che lo rendeva fondamentalmente
inattaccabile.
Ferrovecchio
ne aveva
recuperato qualcuno in delle vecchie scatole e Tony aveva pensato bene
di spargerli un po' per tutta la Tower, principalmente nelle zone
delicate, e per “zone delicate” voleva dire la
camera da
letto di Thor.
Indiscreto,
scorretto,
moralmente opinabile - e se Pepper lo avesse saputo, altro che scarpe
gli avrebbe tirato - ma Tony si era detto pronto a qualsiasi azzardo
pur di far luce su tutta quella storia.
In
verità serbava poche
aspettative in quel piano anche perché per quanto Loki fosse
folle e squilibrato, andare a far visita a suo fratello nel bel mezzo
del giorno con i vendicatori in allerta era rischioso. E la
possibilità, stavolta reale, di finire utilizzato da Hulk
come
un piumino per la polvere, lo avrebbe portato a ponderare con
più prudenza le sue mosse.
Eppure
qualcosa gli aveva
suggerito di tentare, ché per qualche ragione forse adesso
un
po' meno oscura, Loki avrebbe anche fatto qualche imprudenza.
Per tentare
di uccidere Thor nel sonno?
Certo che
no, ma per fare una “sorpresa” a Sigyn, forse
sì...
La
distinzione era quanto mai imbarazzante, ma Linn con il suo arrivo
l'aveva anche ribadita forte.
Non
cambiavano solo le forme
del suo corpo, non cambiava solo la sua stessa umanità,
cambiava
anche qualcos'altro, e Thor e Sigyn erano chiaramente due
entità
diverse. Lo erano per Loki, lo erano per Linn, lo erano perfino per
Thor stesso, per quanto si sforzasse di non mostrarlo.
Dopo
qualche minuto di riprese
per lo più inutili e inutilizzabili, su entrambi gli schermi
si
delineò la sagoma di Thor-Sigyn.
La porta
del bagno aperta, un invito che Tony, sapeva, non sarebbe stato
rifiutato.
Purtroppo
dalla posizione di
spider la stanza da bagno veniva ripresa solo in minima parte, ma quel
poco bastò a Tony per vederla prima denudarsi e poi
immergersi
in acqua. Stessa scena veniva mostrata anche sull'altro schermo, in
qualità decisamente migliore.
«Devo
dire che nel
cambio Thor ci guadagna... Se riusciamo a ridargli il martello ce lo
teniamo così. Che ne dici, Jarvis? Fury sarebbe
d'accordo?»
«Non so cosa risponderle, signore.»
«Potrebbe
sostituire
anche Rogers nelle campagne di sensibilizzazione contro droga e alcol.
Sai, le bionde con i martelli vanno alquanto in voga in questo
momento...»
Le immagini
di Jarvis
iniziarono a sgranarsi per poi divenire completamente un unico frame
nero. Spider invece aveva continuato a riprendere con qualche problema
di messa a fuoco che però sembrò stabilizzarsi in
pochi
minuti, fino a svelare, con poca sorpresa e molta soddisfazione,
l'aggiunta di una figura alta che si muoveva lentamente nella stanza.
«Bingo...»
sospirò assottigliando la vista e osservando con attenzione
ciò che accadeva sullo schermo sinistro, dal momento che il
destro ormai era privo di qualsiasi immagine.
Loki
camminava verso la porta
del bagno - la ripresa era di spalle quindi Tony non sapeva dire se
stesse dicendo qualcosa, data la mancanza di audio.
Thor-Sigyn
era ancora nella vasca.
«Se
non sapessi cosa sto
guardando direi che somiglia in modo pericoloso all'inizio di un film
hard... Ricordi “La novizia prende i voti – e non
solo
quelli”, Jarvis?»
«Signore,
la signorina Potts ha ordinato la cancellazione di ogni genere di
materiale a contenuto pornografico dalle mie memorie. Nel caso fosse
interessato a visionare un film con contenuti per adulti la invito a
noleggiarlo in una videoteca, in quanto ho avuto ordine di non
scaricare né acquistare alcun genere di -»
«Ehi,
ehi, un momento!
Non volevo guardare un filmetto asiatico con delle monache allegre!
Stavo solo dicendo che spero di non essere prossimo a vederne uno a
tematica incestuosa!» brontolò mentre Loki si
fermava
sulla soglia. «Non è il mio genere, a meno che non
si
tratti di due gemelle, in quel caso...»
Preferì
non andare oltre e concentrarsi sulle riprese.
L'immagine
rimase
pressoché uguale per i successivi minuti e se non fosse
stato
per i piccoli movimenti della testa di quel pazzoide, Tony avrebbe
potuto dire che fosse un fermo immagine.
Iniziò
a dirsi che
forse Thor non si era neanche reso conto di essere stato stalkerato da
suo fratello mentre faceva il bagno e magari Loki se ne era andato
prima che se ne accorgesse. Forse aveva avuto l'impressione corretta
sull'ossessione ambigua di Loki per quella forma femminile, e ne aveva
avuta una errata sulla cattiva fede di Thor.
Lo
pensò per le
successive lunghissime due ore in cui le sue palpebre riuscirono a
restare aperte solo grazie al caffè che aveva riempito
più volte la sua tazza.
Ne
buttò in gola un ultimo sorso facendo cozzare la ceramica
bianca contro il tavolo.
Si
massaggiò gli occhi e quello sbadiglio non fu proprio
possibile da mandare giù.
Se Loki con
la sua stupida
testa e quel suo stupidissimo vestito gothic non gli avesse coperto la
visuale di “Sigyn” in vasca, forse sarebbero state
anche
due ore particolarmente interessanti.
Alla fine
Loki si riprese.
Mosse
qualche passo nella
camera e il suo movimento concesse a Tony di vedere le palpebre di Thor
alzarsi. Come aveva immaginato si era addormentato.
Ciò
che accadde dopo fu
difficile da decifrare: stavano parlando, cosa dicessero non sapeva
dirlo ma dall'espressione di Thor, l'unica che riusciva a vedere, non
era nulla di piacevole e quando gli rifilò un bel destro su
quel
ghigno ne ebbe conferma.
Non si
chiese neanche cosa
avesse detto per meritarsi una simile reazione, perché far
perdere la pazienza alla gente era un qualcosa che a Loki riusciva bene
senza troppo impegno.
Ci furono
altre immagini nere e altre sgranate.
La scena
tornò e i due erano ora nella camera. Tony poteva vedere il
viso di entrambi.
Altre
parole, niente più pugni, e Loki tornò a coprire
la visuale di spider.
Dopo altri
muti discorsi l'immagine si spense.
Le riprese
di Jarvis invece erano rimaste ancora totalmente nere.
Aspettò
di rivedere qualcosa quando Jarvis parlò: «Signore, il sensore avvisa che
la ripresa è terminata.»
«Terminata?
Come “terminata”?»
«Le pile che alimentavano spider
si sono esaurite.»
Ringhiò
un insulto verso quello stupido ragno di metallo e si passò
due dita sul mento.
Attese
qualche altra decina di minuti e poi rivide l'immagine della camera di
Thor comparire sullo schermo destro.
Si stava
rivestendo.
Non poteva
sapere cosa fosse
successo di preciso, ma quello che aveva visto bastava per darsi
qualche risposta, bastava soprattutto per incazzarsi come una bestia
nei confronti di Thor, che a quanto sembrava, aveva deciso bene di
tacere sulla visita di Loki. Magari era stato costretto, magari quello
squilibrato gli aveva fatto un lavaggio del cervello come accadde la
prima volta con Clint, quando per disgrazia le loro vite furono
costrette a incrociarsi.
No...
Qualcosa
gli diceva che Thor
era conscio di ciò che faceva, era conscio di star mentendo
ed
era altresì conscio di essere nel torto.
Lo aveva
messo alla prova. Thor non l'aveva superata.
Nonostante
tutto aveva sperato
di essersi sbagliato, aveva sperato che il buon Thor non si fosse
deliberatamente preso gioco di lui.
«Jarvis,
Thor è allo S.H.I.E.L.D. in questo momento?»
Qualunque
cosa fosse andato a fare lì era più che certo non
aveva nulla a che fare con la Foster.
«Sì.
Le telecamere dell'edificio mostrano il suo arrivo all'incirca tre ore
fa. Vuole che verifichi la sua ubicazione precisa?»
Tony si
mise in piedi stiracchiando i muscoli del collo.
«Sì,
Jarvis,
fammi sapere dove si è cacciato perché gradirei
davvero
fare due chiacchiere con lui - ah, se Rogers dovesse tornare prima di
me, avvisalo.» Afferrò la giacca dallo schienale e
recuperò gli occhiali da sole dalla scrivania.
«E la signorina Potts?»
«Preferisco
parlarle io dall'auto. Vorrei evitarle sorprese stavolta.»
E
vorrei evitare alla mia faccia altri lanci di scarpe.
*
«Alla
fine ci siamo
ritrovati senza una macchina e siamo stati costretti a chiedere un
passaggio, e l'unico che si è fermato è stato un
vecchio
contadino del Wisconsin che portava del concime organico sul retro. E
dove ha voluto che salissimo? Sul retro... Bucky voleva
uccidermi.»
Linn rise e
Steve scosse la testa con un sorriso.
«Hai
molte avventure da narrare, Steve.»
«Queste
non sono avventure, sono solo figuracce che forse era meglio non
rispolverare.»
Si
fermarono nei pressi di una
staccionata di metallo. Linn continuò a mangiare la sua
nuvola
rosa che Steve le aveva poi detto chiamarsi “zucchero
filato”. Era solo zucchero eppure per Linn rimaneva ancora
una
soffice nuvola dolce.
«Sembra
una vita fa...»
C'era un
certa malinconia nella sua voce e lei lo percepì.
«È
il prezzo di un ricordo. Il calore che esso dona va ripagato con la
nostalgia che cagiona.»
Il capitano
la guardava in silenzio e Linn abbassò imbarazzata lo
sguardo. «Ho detto qualcosa di sbagliato?»
«No,
no assolutamente... È solo che non parlo molto del mio
passato, voglio dire del mio vero
passato, quando non indossavo una maschera... Il più delle
volte
credo che non sia un argomento interessante, anzi, non vorrei averti
annoiato con tutte queste storie.»
Steve non
le aveva mostrato la
città, così come gli aveva chiesto Tony. Non le
aveva
parlato di Midgard e dei suoi abitanti, o delle tradizioni e degli usi.
Steve le
aveva fatto dono di
una nuvola di zucchero e le aveva parlato di lui, di quel ragazzo dagli
occhi di cielo e dal sorriso cosparso di stelle.
Le aveva
parlato di un soldato rimasto un cuore puro, un soldato che la guerra
non aveva cambiato ma solo fatto maturare.
Linn aveva
ascoltato in silenzio e aveva sorriso dei suoi racconti respirando la
sua malinconia.
«Le
tue storie non sono noiose, Steve. Raccontano di te, e sono onorata che
tu abbia voluto narrarmele.»
«Grazie...
cioè,
ok. Voglio dire... Non sono bravo con le parole quanto te.»
Le
aveva sorriso spostando poi lo sguardo lontano.
E se c'era
una dote che Steve Rogers possedeva più della gentilezza era
l'umiltà.
Linn non
era abituata a vederla in tale quantità nelle parole e nei
gesti di un solo uomo, non di un uomo come Steve.
Nata e
cresciuta in un palazzo
fatto d'oro, circondata da esseri fatti anch'essi d'oro, dove perfino
l'ultimo degli stallieri vantava superbia regale, Linn era rimasta
incantata e stupita da una tale dimostrazione di modestia.
I racconti
del principe Thor non gli avevano reso la giustizia che meritava, e
Linn adesso lo sapeva.
«Ne
vuoi un
altro?» A quella domanda abbassò lo sguardo sul
bastoncino
bianco che reggeva fra le dita. Non si era neanche resa conto di aver
completamente divorato la nuvola rosa.
Si
sentì imbarazzata, perché mangiare con tanta
avidità non era opportuno per una fanciulla.
Scosse il
capo arrossendo incapace di dire qualcosa.
Il suo
imbarazzo sparse altre briciole di silenzio.
«Penso
che dovremmo tornare.»
Strinse
forte il bastoncino fra le dita.
Non voleva
tornare, voleva continuare a passeggiare al suo fianco ascoltando dalla
sua voce mille nuove storie.
«Forse
anche Thor è tornato... è andato allo
S.H.I.E.L.D., giusto?»
«Così
ho udito dire a Lady Sigyn.»
Steve non
le aveva chiesto né di Thor né di Lady Sigyn.
Aveva
avvertito le domande
insidiose di Tony quando erano nella sua dimora, e aveva cercato di
aggirarle senza mostrarlo. C'era riuscita, o Tony aveva capito che da
lei non avrebbe avuto risposte.
Linn poteva
comprendere i
crucci che governavano le menti dei midgardiani, ma non poteva
permettere che la sua signora affrontasse gli sguardi accusatori e
sentenzianti dei suoi compagni.
Dacché
aveva cullato
quel dubbio nel suo cuore, aveva sempre compreso quanto fosse
disdicevole e intollerabile quell'unione. Era follia, era la
più
grande delle follie.
Ma lei
aveva visto occhi e sorrisi, aveva ascoltato risate e respirato vita.
Lei sapeva
che non era sbagliato.
Linn amava
la sua signora e
benché non le fosse concesso di dirlo ad alta voce, Linn
amava
ancora il principe oscuro che Asgard aveva ripudiato e condannato, e
aveva sempre pregato affinché un dì quei sorrisi
e quella
vita potessero tornare ad abbracciarli.
Magari in
un altro tempo e in un altro luogo, magari in un'altra storia.
E quando
aveva rivisto Lady Sigyn quella preghiera era tornata forte a far
battere il suo cuore.
«Posso
farti una domanda, Linn?»
«Certo.»
Lo sguardo
del capitano si era velato di inquietudine.
«Perché
lo chiami Sigyn anche se sai che è Thor?»
Era stato
schietto e diretto, e benché le avesse fatto comunque male,
era stata grata per la sua sincerità.
«È
solo un
nome...» sospirò tenendo lo sguardo sull'asticella
appiccicosa. «Solo un nome, Steve.»
«È
come il
discorso di prima? “Il nome che indossi non cambia
ciò che
sei...”» Aveva riportato gli occhi in quelli di
Steve e li
aveva visti ancora più tristi. «E allora
perché a
me sembra che Thor sia cambiato?» Sapeva bene non era una
domanda
posta a lei. «Forse dovrei iniziare a chiamarlo anche io
Sigyn.»
Stavolta
non era riuscita a restituirgli il sorriso e quello di Steve si spense
presto.
«Se
il mio principe avesse potuto dissolvere i tuoi dubbi l'avrebbe
già fatto.»
«Lo
so, Linn, per questo
non lo riconosco più.» Deglutì della
sua
determinazione osservando le labbra restare una linea sottile.
«Thor non mi avrebbe taciuto la verità, qualsiasi
essa
fosse stata, ma la tua Lady Sigyn invece sembra essere più
avvezza ai segreti.»
Sentì
il cuore stringersi.
«Ti
prego, non parlare
così.» Le dita avevano fatto male per quanto forte
avevano
stretto il bastoncino. «Non posso sopportare parole tanto
dure
nascere dalle tue labbra-»
Si accorse
tardi di ciò che aveva detto e ogni altra sillaba le
morì in gola.
Steve la
guardava in silenzio e lei si voltò celandogli i suoi occhi
lucidi.
Aveva
permesso al suo cuore di
parlare al posto della testa e non avrebbe dovuto, ma la vicinanza di
Steve era frastornante, il suo calore lo era, e lei avrebbe solo dovuto
conoscere il suo posto e quello delle sue emozioni.
La regina
le aveva dato un ordine e lei lo aveva portato a termine senza sbagli.
Doveva solo
attendere
affinché la bella midgardiana avesse trovato un modo per
farla
tornare ad Asgard. Non poteva lasciare che qualcosa di quel mondo le
restasse dentro, perché sarebbe stato solo un modo in
più
per sentirne la mancanza. Eppure quella gentilezza le aveva
già
ferito la pelle e non c'era alcuna possibilità di celare le
cicatrici che avrebbe portato con lei.
«Non
volevo turbarti, Linn... scusami.»
Quella
gentilezza le lasciava
ogni volta un taglio più profondo, e il sorriso di Steve
continuava a fendere forte il suo cuore.
«Forse
sono io a essere
una cattiva compagna di conversazione, Steve. Non meriti la mia
tristezza, non dopo avermi sacrificato il tuo tempo.»
Ricacciò
dietro le lacrime perché no, Steve non meritava neanche
quelle lacrime di imbarazzo e vergogna.
«Pensi
davvero che questo pomeriggio sia stato un sacrificio?»
Non disse
nulla, guardò
solo il suo volto illuminato dai raggi del sole. «Di solito
passo
il tempo allo S.H.I.E.L.D. o a sorvolare mezzo Paese su un aereo o su
un altro - questo quando non sono sul campo a combattere contro lo
psicopatico vendicativo di turno... Non ho molto tempo libero
benché teoricamente dovrei essere un pensionato, almeno
così direbbe Tony...» C'era dell'incertezza nelle
sue
parole e Linn non riusciva neanche a capirle tutte, però la
voce
di Steve aveva un suono dolce, dolce come la luce che sprigionava dai
suoi occhi. «A ogni modo, credo che questo pomeriggio sia
stato
uno dei pochi in cui posso dire di essermi divertito... E non succedeva
da un po', da un bel po'» sorrise spostando lo sguardo
lontano e
Linn si chiese se fosse per non guardare il luccichio che stava
coprendo il suo.
Era un Grazie, sincero
come muto, eppure era stato assordante nel suo petto.
Il silenzio
che scese fra di
loro era morbido e caldo, Linn si perse a guardare i lineamenti del suo
viso mentre la vita di Midgard scorreva rumorosa e forte.
«Ne
vorrei
un'altra» sospirò poi mostrandogli il bastoncino
bianco.
«Un'altra nuvola di zucchero.»
«Davvero?»
Annuì
mordendosi un labbro imbarazzata. «Solo se lo dividi con me,
però.»
Steve
sembrò donarle lo stesso imbarazzo.
«Va
bene... ma, per favore, non dirlo a Tony. Mi perseguiterebbe a
vita.»
Rise
dandogli la sua parola.
₪₪₪
Era un
grande talamo quasi nella totalità avvolto in un forte
bagliore dorato.
Ricordava
bene quel bagliore,
lo ricordava avvolgere il corpo di suo padre quando la
necessità
ne obbligava il lungo sonno.
Eppure il
corpo steso sulle lenzuola non era quello di Odino.
«Cosa
significa?»
chiese sentendo il battito arrivarle fin dentro le tempie.
Guardò il volto di Loki alla ricerca di una risposta che non
fosse quella che si stava dando.
Non
può essere...
«Secondo
te cosa significa?»
Scosse il
capo furente.
«È
un trucco! Uno
sporco trucco!» Gli occhi continuavano a percorrere il viso
obbligato nel sonno cercando di assorbirne la visione.
«Nessun
trucco.» E
la tranquillità che esibiva Loki era quasi stordente.
«Volevi risposte. Eccole a te.»
La mano a
indicare il corpo dormiente e un sorriso sulla bocca.
«Smettila!
Cosa vorrebbe significare, eh?»
Il sorriso
sfiorì mentre la sua rabbia aumentava.
«Ora
capisci quanto
potere abbia la verità? La prossima volta che la pretendi
chiediti se sei preparata ad ascoltarla.»
«Ascoltarla?
Pensi
davvero di potermi ingannare, stavolta? Pensi che possa credere che
quel corpo sia... che io...» Non aveva parole, solo furente e
cieca rabbia.
Guardò
ancora le
palpebre chiuse, i capelli biondi, la barba che incorniciava il mento.
Il lenzuolo che lo copriva fino a metà ventre mostrando
l'addome
nudo.
«Tu
non sei Thor.»
Suonò
come una sentenza.
«Taci
con le tue follie, Loki. Taci se ancora serbi un briciolo di
decenza.»
«Decenza?»
La sua
risata sembrò assordante. «Come la tua, Sigyn? La
stessa
decenza che ti fa coprire gli occhi come un infante per non
vedere?» Aveva solo voglia di uscire da quella stanza a
correre
finché le gambe avessero retto.
«I
miei occhi vedono solo illusioni.»
«Vedono
solo la nuda verità.»
«Non
mi condurrai alla pazzia...»
Loki
restò in silenzio solo per pochi attimi.
«Tu
non sei Thor.»
Lo
raggiunse fino ad
afferrargli le vesti fra le dita delle mani.
«Strapperò
quella lingua velenosa. Lo giuro!»
Un attimo
dopo le sue mani erano strette in quelle di Loki obbligate con forza
dietro la sua stessa schiena.
«Accomodati.»
Un soffio dritto sulle labbra.
«Mi
hai promesso
risposte e mi offri solo menzogne. È così che
rispetti i
tuoi patti, figlio di Laufey? Eppure tuo padre possedeva più
dignità e onore.»
Fu l'ira e
la paura a guidare le sue parole e se ne pentì nell'istante
immediatamente successivo.
Non lesse
livore però
in quegli occhi verdi, così vivi da agitarla ancora
più
della follia che dormiva su un letto a pochi metri.
«Se
vuoi provocarmi fai
pure, ma dovresti rammentare bene quali sono le
conseguenze...»
La sua bocca sfiorò appena la sua. «Vuoi che te lo
ricordi?»
«Voglio
udire una spiegazione valida a ciò che sta succedendo. Basta
con i giochi, fratello.»
Non
riuscì neanche a
ingoiare un gemito di sofferenza quando si trovò con le
spalle
contro il muro, le mani ancora bloccate e l'impossibilità di
sfuggire dalla sua presa e, soprattutto, dal suo sguardo.
«Tu
non sei mio fratello. Tu non sei lui. Non sei Thor!»
«Io
sono Thor!»
«NO!»
Le mani
furono libere e lo sguardo sparì quando Loki le diede le
spalle.
«Mi chiedi risposte e non vuoi udirle, reclami
verità e
sei incapace di accettarla...» Le parole divennero sempre
più deboli mentre il suo cuore non smise mai di battere
forte,
sempre più forte.
«Io
so chi sono, non
puoi neanche pensare di riuscire a portarmi via questo! Neanche tu,
tessitore di inganni!» Un velo scuro coprì quelle
iridi
verdi, il medesimo velo scese anche sui suoi occhi. «Io sono
Thor
Odinson, un tempo mi hai chiamato fratello e hai diviso con me l'amore
di una madre e le ferite della battaglia, per poi tradirmi senza
attenuanti... Sei tu ad aver dimenticato chi sei, Loki, non io.
Rammenta quei giorni e rammenterai anche di aver avuto del buono in
fondo al marciume con cui hai voluto circondare il tuo cuore.»
«Ciò
che ricordi
è solo una bugia costruita ad arte da Odino, una reliquia
rubata
a un mondo vinto e umiliato. Cosa può saperne il sole di
quanto
freddo si provi nell'ombra?...»
«Chiediti
chi ha evocato quell'ombra e non essere tu l'infante che copre i suoi
occhi.»
Loki
sorrise di un sorriso che
era un pianto. «E adesso i tuoi sono ancora chiusi, Sigyn?
Ancora
rinnegano che il corpo che giace su quel letto è quello di
Thor?»
«Sta'
zitto!»
Ma Loki non
lo fece.
Avanzò
ancora e lei
aveva un muro alle spalle che le impedì di fare un altro
passo
indietro, un passo più distante da quella follia.
«Combatti
una guerra inutile perché sai bene che dico il
vero.»
Sta'
zitto... Ti prego...
«Io
so chi sono e so chi sei e, mia cara, anche tu lo sai. L'hai saputo dal
primo momento in cui ti sei svegliata.»
«No...»
«Negalo
ancora e cederò a te la corona di bugiardo che cinge da
millenni la mia testa.»
Non poteva
negarlo.
Non poteva.
Ma allo
stesso non poteva accettarlo.
«Odino
è stato un
pessimo padre, in compenso un maestro impeccabile.» Sentirlo
parlare così le provocò una fitta dritta allo
stomaco.
«Una delle prime lezioni che mi impartì riguardava
la
natura stessa della vita. Ogni essere vivente, diceva, è
costituito da tre essenze. Aesir, Vanir, Terrestri... Jotuns... Non
conta la razza, ognuno di essi vive grazie all'unione di queste tre
essenze.» Le era di nuovo di fronte e sentì gli
occhi
inumidirsi.
Loki la
guardò a lungo e poi continuò.
«Corpo... cuore... e anima.»
Ricordava
quella lezione,
ricordava il pomeriggio assolato che aveva guardato con brama da una
grande vetrata mentre loro padre li aveva obbligati alla freddezza
della biblioteca.
Ricordava
gli occhi curiosi e
attenti di Loki assimilare ogni singolo verbo che abbandonava quelle
antiche labbra, ricordava il proprio sbadiglio annoiato che Odino
punì con un severo schiaffo dietro la nuca.
“Un
re saggio combatte prima di lingua e poi di spada. L'istruzione
è la base di un guerriero ma cibo essenziale per un sovrano.
Tieni a mente questo insegnamento... Anche un possente troll
può
cadere nella trappola di una piccola volpe.”
“Sì, padre.”
E aveva
odiato il sorriso divertito di Loki. Aveva odiato Loki
perché sarebbe stato di certo un re migliore di lui.
Era tornato
a guardare i
giardini di Asgard con rabbia e umiliazione mentre Odino regalava la
sua conoscenza a un bambino che non aveva l'oro fra i capelli ma che un
giorno avrebbe sciolto parole d'argento.
«Padre
diceva che la vita stessa nasce dall'equilibrio delle tre
essenze.»
«E
non è del tutto falso.»
Loki
spostò lo sguardo verso il letto e lei fu obbligata a
seguirlo.
Voleva
forse dire che...
«Il
mio corpo...» No,
il suo, il corpo di Thor.
«Momentaneamente
fermo
in un limbo. Ancora vive, il che è sorprendente per qualcuno
a
cui è stato infranto tale equilibrio.»
Fu il muro
a sorreggerla perché le gambe tornarono a tradirla.
Tutte le
sensazioni dimenticate, tutte le emozioni frastornanti che l'avevano
salutata al suo risveglio...
Loki aveva
ragione, lei aveva sempre saputo di essere diversa, di non essere
più lui.
Jane
l'aveva forse compreso ancor prima.
«Cosa...»
La voce
si spezzò mentre l'abbraccio gelido della paura la coglieva.
Corpo, cuore e anima. Se su quelle lenzuola giaceva il corpo allora...
«Cosa sono?...Non sono reale? Sono un'illusione?»
Loki le
accarezzò con dolcezza il viso.
«No,
Sigyn, sei la cosa più reale che abbia mai
conosciuto.»
Gli
poggiò le mani sul petto e lo spinse via con tutta la forza
che la rabbia aveva fomentato.
«Ora
dimmi chiaramente
cosa sono! Dimmi cosa tu e quella serpe di Amora mi avete
fatto!»
urlò fino a sentire la gola ardere.
Loki scelse
il silenzio come risposta e non poteva permetterlo.
Si
guardò le mani che tremavano senza che potesse impedirlo.
«Tutto
questo ha a che
fare con quella sfera, vero? Perché hai voluto che la
prendessi?
Perché io potevo farlo e tu no?» Cercò
le linee
verdi di seiðr che avevano attraversato il suo palmo ma non vi
era
nulla, non vi era più nulla.
«Quella
sfera mi era necessaria.»
«Necessaria
per cosa?»
Loki si
avvicinò al
letto passando le dita fra la nebbia dorata con lo sguardo fisso su un
corpo addormentato che no, non avrebbe dovuto esserci.
Perché se
Thor era lì allora lei non era niente.
Un'illusione.
Sono solo un'illusione.
«Il
suo vero nome si
è perso nel corso delle Ere, ma è volgarmente
conosciuta
come “ladra di anime”.»
Ladra di anime... Conosceva
quel nome.
«È
un cimelio dei Vanir. Madre disse che andò perduto durante
l'ultima guerra.»
Osservò
ancora un palmo vuoto quando Loki parlò.
«Andò
perso,
è vero, ma non distrutto. Si diceva possedesse il potere di
accrescere la forza di un Vanr, di ampliarne acume e coraggio e
renderlo imbattibile, ma è solo una mezza verità.
Ciò che non viene mai accennato è la sua
capacità
di annullarne la coscienza. Veniva usato per creare eserciti composti
da soldati privi di propria volontà.»
Le dita di
Loki continuarono a nuotare fra i raggi aurei. « Ti ricorda
qualcosa, vero?»
«Il
tesseract...»
Le labbra
sorrisero e le dita abbandonarono il bagliore.
«Se
Vanir e Aesir hanno sempre combattuto ad armi pari è
perché hanno usato gli stessi stratagemmi.»
«Hai
già fallito una volta con il tesseract, non riuscirai ad
asservire Midgard usando la sfera.»
«Cosa?
Asservire Midgard?» Rise. «Non essere sciocca, non
è certo questo il mio intento.»
«Allora
abbandona gli
enigmi.» Loki la guardò e lei voleva solo che non
leggesse
lo smarrimento che tingeva il suo viso. «Dammi una
verità
in parole che anche una sciocca come me può
comprendere.»
«Non
è la
comprensione della verità il vero ostacolo, Sigyn, quanto la
tua
incapacità di accettarla.»
«Accettare
cosa...?» chiese con un filo di voce ed ebbe solo silenzio.
«Accettare cosa?... Cosa sono veramente?»
Ancora
silenzio.
Strinse i
pugni con un sospiro disperato: «Cosa sono, Loki?»
«Il
suo cuore.»
Ciò che ricevette fu una risposta dalla calma devastante.
«Il suo cuore, ecco cosa sei, Sigyn... Sei il suo cuore,
quello
che aveva promesso di donarmi, quello che doveva appartenermi ma mi
è stato sottratto. Il cuore che mi è stato
portato via un
mattino di molte vite fa...» Ma la calma delle sue parole era
tradita dal fuoco che bruciava nei suoi occhi e quelle fiamme verdi
erano così alte da ustionarla. «Sto solo
reclamando
ciò che mi spetta.»
«Cosa
stai
dicendo?» chiese al limite del raziocinio.
«Ascoltati, in
nome di nostra madre, ascolta cosa stai dicendo, Loki!»
Sentiva
la testa girare, lo stomaco rivoltarsi e la voglia di coprirsi le
orecchie e serrare le palpebre. «Tutto questo non ha senso,
è privo di ragionevolezza e logica...»
Affannò
saltando con lo sguardo dal volto di Loki a quello di Thor...
Si
passò le dita sul proprio volto e sentì il cuore
scoppiarle nel petto.
No,
sono io Thor. Io sono Thor!
I
suoi ricordi sono i miei! Le sue emozioni sono mie!
«Io
sono Thor, non
può esistere realtà diversa. Io sono Thor e come
tale ti
ho amato e continuo ad amarti, ma hai perso ogni equilibrio, Loki.
Vaneggi e pronunzi bestemmie assurde!» Lo raggiunse e lo
scosse
per le braccia. «Sei stato tu a rinnegare il mio affetto per
tutti questi anni, come puoi darmi la colpa di averti portato via il
mio cuore quando sono tue le mani che lo hanno gettato a terra e
calpestato senza alcuna remora?!» Lo scosse ancora mentre
Loki
sembrava indifferente a ogni sua parola.
«Richiama
la mia sfera.»
«Cosa?
No, Loki, ascoltami-»
«Basta!
Ne ho avuto
abbastanza.» Fu lui a scostarla stavolta, fu lui ad
allontanarsi
con sdegno. «Ti ho dato le risposte che bramavi. Fa' che ti
bastino.»
«Chiami
risposte i tuoi assurdi deliri?»
«Scegli
il nome che
più ritieni giusto. E ora mostrami la ladra di anime
perché è terminato il tempo che ci era concesso
per
restare qui.» Le allungò la mano per invitarla a
fare
altrettanto ma lei non lo fece. Tenne quella mano chiusa
così
forte che le unghie segnarono profondi solchi nella carne.
«La
mia sfera.»
«No.»
Scosse di nuovo la testa. «Metti fine a questa pazzia.
Adesso.» Non
permettermi di arrivare a odiarti...
Loki
sospirò abbassando il braccio.
«Bene...
Non mi lasci
altra scelta.» Uno sguardo severo e cinico, e lei ebbe paura
di
ascoltare ancora. «Vuoi sapere perché non potevo
prendere
da solo la sfera? Vuoi che ti faccia dono anche di quest'ultima
verità?... Saprai udirla questa volta?»
No,
voglio solo che tu smetta.
Non
riuscì però
a dirlo perché sentiva un nodo acuminato incastrato fin
dentro
la gola. Quel nodo in cui aveva compresso altre urla, altri perché e
mille lacrime.
«Se
solo l'avessi
sfiorata, la ladra di anima avrebbe rubato la mia di anima, il mio
seiðr. Tu invece sei uno scrigno perfetto e a questo punto
avrai
ben compreso il perché.»
Si
guardò d'istinto il palmo segnato dalle mezzelune e
rabbrividì.
Corpo,
cuore... anima.
No,
no, no...
«Non
ho un'anima...» Le parole furono stilettate nella gola.
«Esattamente.
Tu non hai
un'anima, Sigyn. Sei solo un cuore in un corpo che l'Incantatrice ha
plasmato per me. Nessuna illusione... ma carne e sangue.»
Non poteva
essere davvero quella la verità. Era un inganno, uno dei
tanti.
Doveva
essere così!
Io
sono Thor... io sono Thor...
Ma la voce
nella sua testa era quella di Sigyn.
«Perché?
Perché mi hai fatto questo?»
Non
udì risposta solo un forte calore irradiarsi dalla sua mano.
«No...»
sospirò appena.
Non
poté impedirlo e
lentamente sentì il fuoco ardere contro la pelle e la
piccola
sfera tornare a prendere forma. Il suo colore verde però
svanì presto mentre le stringe di seiðr ripresero a
marchiarle la carne e il globo assunse nuovamente la sua consistenza
trasparente.
«Tocca
a te mantenere la tua parte, ora.»
A quelle
parole la vide allontanarsi da sé, librando silenziosa verso
il letto.
Una ladra
di anime...
L'anima
di Thor.
Realizzò
solo in quel momento il suo vero intento.
«No!»
La presa di
Loki le impedì di recuperarla e poté solo
guardare inerme
la sfera che veniva divorata letteralmente dalla foschia dorata che
cingeva il corpo assopito. «Non puoi farlo! Ti prego, non
farlo,
Loki!» Si dimenò ma alle sue spalle Loki le
limitò
anche il più piccolo movimento.
«Fermerò questa
follia!»
«Non
puoi.» Udì soffiare contro un orecchio.
«Nessuno può, neanche tu, Sigyn.»
Sigyn...
L'ultima
immagine che le
coprì la vista fu quella del letto aureo prima che il cielo
azzurro di New York la sostituisse.
Loki la
lasciò andare e scoprì di trovarsi di nuovo sul
tetto dello S.H.I.E.L.D.
Si
guardò intorno, guardò senza realmente vedere i
palazzi e le nuvole che frastagliavano il cielo.
«Era
un'illusione...» Non sentiva l'aria arrivarle in fondo ai
polmoni. «È stata un'illusione.»
«Nulla
di più reale.»
La voce
mandò in frantumi ogni mera speranza.
Loki la
osservò in silenzio e poi si aprì in un sorriso.
«Ci
vediamo presto, cuore mio.»
«No-
Loki!»
Ma Loki non
c'era già più.
Non
sei Thor... Non sei Thor...
Non
hai un'anima, Sigyn. Sei solo un cuore in un corpo che l'Incantatrice
ha plasmato per me.
Crollò
su quelle deboli ginocchia guardando mani tremanti senza riuscire
neanche a bagnarle di lacrime.
Dentro di
lei, caddero tutte una dopo l'altra.
Non
sono Thor...
***
NdA.
Spero che voi abbiate assimilato la verità meglio di quanto
abbia fatto Sigyn.
Tutto il discorso per quel che riguarda l'argomento corpo-cuore-anima
sarà affrontato nei successivi capitoli, anche se penso sia
abbastanza intuibile la vera natura di tale suddivisione, ma
già
dal prossimo appuntamento faremo un altro po' di luce su tutta la
faccenda, tranquilli ^^
Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto e in caso
contrario... Sorry *^*
Ormai i nodi stanno venendo al pettine e ci stiamo avvicinando alla
seconda fase di questa piccola avventura.
Grazie nuovamente per il vostro supporto <3
Un abbraccione a tutte!
Vi voglio bene.
Kiss Kiss Chiara
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Capitolo 12 *** Equilibri precari ***
cap12
L' ultima lacrima
XII.
«Che significa che
non l'hai visto?»
Bruce
scosse il capo.
«Tony,
non vedo Thor da
quando siete tornati alla Tower e sono certo che anche Jane non l'abbia
visto. Siamo stati in laboratorio tutto il tempo.»
Odiava aver
sempre così dannatamente ragione.
Avere
ragione talvolta non era per nulla piacevole.
Sospirò
guardando il viso di Bruce ma decise di tacergli ogni dubbio.
«Forse
è andato da Clint. Ha detto che doveva chiedergli qualcosa.
Ok, vado a cercarlo.»
Prima che
potesse uscire Bruce lo fermò.
«Tony,
che sta succedendo?»
Si
guardò attorno scorgendo Jane attraverso il vetro nella
camera accanto.
«Non
ne sono sicuro, Bruce. Ma tieni d'occhio la Foster.»
Provò
ad andare via e per l'ennesima volta fu fermato.
«Non
fare il misterioso con me. Avanti, dimmi che sta succedendo.»
«Ok,
ma acqua in bocca
con la dottoressa.» Aspettò che gli facesse un
cenno con
la testa e si avvicinò per poter parlare quanto
più
sottovoce possibile. «Thor è un bugiardo e io
voglio
sapere perché.»
Bruce lo
guardò confuso. «Ti rendi conto che non mi hai
chiarito nulla?»
«Lo
farò presto, ma ora, bocca chiusa.»
Stavolta
riuscì a uscire dal laboratorio.
Jarvis
aveva inviato sul suo palmare le immagini dell'arrivo di Thor.
Scendeva
dall'auto, arrivava all'ingresso, raggiungeva l'ascensore, le porte si
chiudevano.
Tutto nella
norma, se non fosse che non compariva un solo dannatissimo frame di
Thor che da quel maledetto ascensore usciva.
Aveva
già passato a
setaccio ogni video e forse era giunto il momento di avvertire gli
altri della sua piccola iniziativa di spiare Thor e della sua altra
piccola iniziativa di non metterli subito a conoscenza della comparsa
di Loki alla Tower.
Forse era
stato un errore
attendere, forse sarebbe stato meglio fare incursione nella sua stanza
e verificare immediatamente i suoi dubbi, nella peggiore delle ipotesi
Thor lo avrebbe aggredito fisicamente per essere entrato nel suo bagno
mentre era completamente nudo.
Ma no, la
voglia di sospirare
superbo “io l'avevo detto” era stata più
forte,
così come il desiderio di poter affermare di averci visto
giusto
fin dall'inizio e sbattere in faccia a Thor per primo e a tutti gli
altri dopo che Tony Stark non si poteva di certo fregare.
Perché
essere uno stronzo borioso e affamato di lodi era in fondo la sua vera
natura.
Quell'armatura
avrebbe dovuto
renderlo migliore, e invece si rendeva sempre più conto di
aver
soltanto enfatizzato tutti i suoi difetti peggiori, con l'unica
differenza che adesso il mondo glieli perdonava.
Pepper
glieli perdonava e questo era ciò che aveva davvero
importanza.
Magari
sarebbe giunto presto
un giorno in cui avrebbe dovuto fare ancora un passo per meritarsi quel
continuo perdono e salvare qualche vita non sarebbe più
bastato.
«Jarvis,
l'hai trovato?»
«Sì, signore. L'uomo
in ascensore è l'agente Brian Hustown, livello 4.»
Tony
imboccò una svolta
che lo portò davanti all'ennesimo ascensore. Se Thor era
sparito, lo stesso non era avvenuto con l'altro uomo presente nella
cabina di cui era riuscito ad avere un fermo immagine che Jarvis aveva
subito provveduto ad analizzare e a cercare negli archivi
dell'agenzia.
«Dov'è
al momento?»
«Piano 23, sala A45, seconda
fila, settima scrivania.»
Spinse il
pulsante corretto e aspettò che il viaggio terminasse.
«Jarvis,
Nick è qui?»
«Il
direttore Fury è attualmente fuori dallo Stato, signore. La
sua
ubicazione precisa è un'informazione che non mi è
stato
possibile recuperare.»
«Tranquillo,
mi basta sapere che non me lo ritroverò alle spalle nei
prossimi dieci minuti.»
Non fu
troppo difficile
trovare l'uomo seduto sulla sua sedia, impegnato ad addentare una
ciambella dall'apparenza per nulla saporita.
«Agente
Brian Hustown?» lo chiamò con un sorriso.
L'uomo
sollevò gli
occhi dal suo monitor e gli lanciò uno sguardo annoiato per
i
primi due secondi, poi la noia divenne stupore.
«Signor
Stark!»
Fece cadere la ciambella sulla scrivania e si pulì
goffamente la
mano sui propri pantaloni prima di allungargliela.
Tony la
strinse con vigore.
«A
cosa devo l'onore? Come posso aiutarla?»
Allo
S.H.I.E.L.D. la notizia
del cambiamento di Thor era stata tenuta segreta, solo pochi agenti ne
erano a conoscenza, al di fuori dei Vendicatori e della Hill. Quel
simpatico mangiaciambelle di Hustown era ovviamente fuori da quella
piccola élite, doveva quindi trovare il modo meno sospetto
di chiedere
informazioni.
«Oh,
dunque Brian - posso chiamarti Brian?»
«Certo,
signor Stark.»
«Perfetto.
Vedi, Brian, sto cercando una persona, una donna, a dire il
vero.»
L'uomo lo
ascoltava con
interesse e Tony se ne compiacque mentre vagava distrattamente con gli
occhi per la stanza. «Era con te in ascensore qualche ora fa.
Ho
bisogno di sapere a che piano è scesa. Nessuna domanda:
è
in gioco la sicurezza della nazione.»
E quando
tiravi in ballo la sicurezza della nazione non c'era addestramento
S.H.I.E.L.D. che reggesse.
«Signor
Stark, ho usato
l'ascensore molte volte da questa mattina. È difficile
rammentare tutti i volti che ho incrociato-»
«Bionda,
alta, sexy,
jeans e camicia blu leggermente fuori misura, e due
“occhi”
difficili da dimenticare.»
Alla sua
descrizione lo vide deglutire.
Bravo
Hustown, lo sapevo che avevi la vista lunga...
«Allora,
agente? A che piano è scesa?»
«Piano
12B, signore, ma
non credo che possa raggiungerla. È un settore ad accesso
limitato agli agenti di livello 7.»
Perfetto...
E cosa era
andato a fare Thor in un settore ad accesso limitato? E soprattutto,
come era giunto fin lì?
Le risposte
ovviamente portavano tutte un solo unico fastidioso nome: Loki.
«Grazie
per il tuo
aiuto.» Gli strinse ancora la mano e lo tirò
più
vicino. «Non dire nulla di questa conversazione. Ricorda che
ad
Iron Man non piacciono gli agenti pettegoli.»
«Assolutamente,
signore. La mia bocca resterà sigillata.»
Sorrise
soddisfatto e
annuì. «Bene, e per la tua collaborazione
parlerò
con Fury affinché ti faccia salire a livello 5, anzi, al
sesto.»
«Oh,
grazie, signore! Grazie.»
Ok, aveva
un tantino esagerato, ma era meglio evitare ogni futuro imprevisto.
Salutò
l'agente e si diresse a passo spedito verso l'ascensore.
«Barton?»
chiamò tramite l'auricolare.
«Che succede, Stark?»
«Solo
una curiosità: cosa c'è al livello 12B
dell'agenzia?»
«Ci sono i laboratori di analisi
chimiche e qualche deposito.»
«E
cosa c'è in quei depositi?»
«Oggetti
di vario genere, alcune armi, anche qualche reperto archeologico di
dubbia provenienza. In buona parte sono cianfrusaglie.
Perché ti
interessa?»
«Non
interessa a me, ma qualcosa mi dice che interessa a qualcuno di nostra
conoscenza.»
Clint non
ci mise molto a capire di chi parlasse.
«Loki?»
«Esatto,
e credo che Thor sia lì al momento.»
«Thor? Ma che stai dicendo,
Stark? Dove sei?»
«Sto
venendo da te al diciassettesimo. Dobbiamo andare subito a controllare
quei depositi. Ti spiego tutto a voce.»
L'ascensore
prese a scendere velocemente.
₪₪₪
Quei
corridoi erano lugubri e soffocanti. Amora li odiava.
Lei era
cresciuta nell'abbraccio del verde e del sole, nel calore del giorno e
nella carezza della sera.
Era nata
libera e priva di
radici, priva di ogni catena. Con una bellezza e un potere che le
avrebbero permesso di avere ai piedi chiunque senza fare neanche uno
sforzo.
Così
aveva creduto
finché non aveva incontrato il sorriso arrogante e luminoso
del
principe di Asgard e si era miseramente resa conto che anche lei poteva
avere dell'oro legato ai polsi, che c'era una bellezza che attraversava
gli occhi e arrivava dritta al petto. Ed era letale.
Percorse in
fretta quel lungo corridoio finché non giunse nelle sue
camere, quelle che Loki le aveva generosamente
riservato fino all'estinzione del loro patto.
Non era
riuscita più a
vederlo, dacché era andato via. Ma questo lo avrebbe dovuto
sapere bene, ciò che la sorprese e la irritò fu
che non
riuscisse a vederlo neanche adesso che non era più su
Midgard, e
quando aprì la porta e lo trovò lì
avvertì
la rabbia scivolare cocente nelle vene.
Se ne stava
in piedi con lo sguardo fisso al letto, con lo sguardo fisso su di lui.
Avrebbe
solo voluto cavargli quei begli occhi verdi e schiacciarli fra le
falangi.
Sbatté
la porta alle sue spalle per ribadire la sua presenza.
Loki
sembrò non curarsene. Allungò le dita e
spostò una ciocca bionda di capelli dalla fronte di Thor.
Fu troppo
anche per il suo sangue freddo.
«Che
ci fai qui? Hai portato a termine il tuo compito?» chiese.
«Ne
dubitavi, forse?»
Quel
sorriso era come uno schiaffo dritto sul viso, e volle gentilmente
restituirglielo.
«I
tuoi metodi di persuasione hanno dunque dato frutti?... Spero che la
tua bella non si sia fatta troppo male.»
«Non
quante ne farò a te se continui su questa strada,
Amora.»
Il sorriso
era ancora lì, la sua rabbia pure.
Incrociò
le braccia sul seno e lo fissò altera.
«Le
hai detto cos'è in realtà?»
Loki
tornò a guardare il viso di Thor e poi il suo.
«Dov'è
il Vanr?» E con quella domanda aveva risposto alla sua.
Debole.
Sei un debole, figlio di Jotunheim.
Si godette
quella considerazione nel caldo del suo silenzio.
«Si
sta preparando. Sarà qui fra un po'.»
Loki
annuì e si allontanò da letto di qualche passo.
Lo sguardo
serio e pieno di
pensieri. Amora sapeva bene che erano tutti diretti alla loro disfatta
perché fidarsi di Loki non era mai stato qualcosa da
prendere in
considerazione.
Potevano
fidarsi solo di una cosa: la sua debolezza.
Per quella
debolezza avrebbe collaborato, per quella patetica illusione avrebbe
mostrato la schiena.
Il suo
pugnale era già pronto a colpirla e mai ci sarebbe stata
vittoria più dolce del vederlo spezzarsi sotto i
suoi occhi.
E Thor
sarebbe stato per sempre suo.
Avrebbe
cancellato per sempre quell'ombra, quel ricordo, quella parte di lui
che non era mai riuscita neanche a sfiorare.
Il suo
potere le aveva da
sempre concesso di insinuarsi senza fatica nelle menti di chiunque, di
giocarne e di spogliarle senza che potessero impedirglielo.
La mente di
Thor era stata un
prato privo di insidie, tanto puro era il suo animo e tanta la fiducia
dietro quello sguardo azzurro.
Eppure
quando aveva provato a forzare una porta, si era scontrata con ferri
pronti a difenderla.
Non era
riuscita a vedere, a sentire.
La nebbia
era densa e vischiosa e non c'era possibilità di scioglierla.
Quella
nebbia di cui era riuscita a scorgere solo una chioma nera, corvina
come le ali di un corvo.
Un lontano
ricordo di Thor sigillato da quella pece.
Chi era?
Chi poteva essere
l'ombra che turbava quel animo così pulito da sembrare
irreale?
Chi si celava dietro le piume di corvo che ne offuscavano la luce?
Thor le
aveva donato carezze e sorrisi, baci di fuoco e notti prive di pudore.
Le aveva
dato tutte le attenzioni di un amante generoso e le parole dolci e
calde di un uomo infatuato.
Avrebbe
dovuto farsele
bastare, avrebbe dovuto farsi bastare la promessa di renderla una
regina al suo fianco, di darle un trono su cui sedere e una stirpe
d'oro da portare nel suo grembo.
Ma Amora
aveva voluto qualcosa
di più, aveva voluto che quella nebbia si dissipasse e le
lasciasse vedere tutto, le lasciasse vedere chi davvero teneva le
briglie di quel ricordo impossibile da raggiungere.
Aveva
preteso risposte senza chiederle e aveva commesso l'errore
più grande della sua vita.
E
quell'errore glielo aveva portato via.
Perché
la nera chioma
non apparteneva a Sif, non apparteneva alla bella guerriera che aveva
sempre suscitato la sua gelosia e alimentato le sue paure, non
apparteneva alla donna che aveva reso quei timori ossessioni e a cui
aveva deciso di donare il sonno senza risveglio prima che Thor glielo
impedisse.
Perché,
quella notte,
non era il petto di Sif quello in cui avrebbe dovuto affondare la lama,
ma quello dell'ombra che l'aveva seguita da quando era giunta ad
Asgard. L'ombra che lei aveva ritenuto una delle tante, ammaliate dalla
sua bellezza, e invece era solo la scia di una serpe pronta a mordere.
Così
quando le porte si
erano aperte con un boato e Thor era entrato nelle stanze di Sif, per
trovarla con la lama puntata al cuore della donna, Amora aveva
finalmente visto il vero viso a cui apparteneva quella chioma nera,
aveva visto gli occhi verdi e velenosi alle spalle di Thor e il ghigno
deforme sul suo viso.
“Tu...”
Thor
l'aveva gettata a terra,
le aveva stretto una mano attorno al collo e le aveva urlato con
collera di sparire dalla sua vista.
E Amora
aveva obbedito a quell'ordine.
Mentre
guardava il suo
principe dorato correre al capezzale della sua compagna d'armi, aveva
visto un'ultima volta quegli occhi verdi ridere del suo errore.
Non era mai
riuscita a vedere in quella nebbia perché lui non glielo
aveva mai permesso.
Aveva
rivisto quegli occhi
secoli dopo, su un viso perso e sconfitto, rinnegato dal suo mondo e
dalla sua gente e nonostante tutto Loki le aveva rifilato un ghigno da
vincitore e le aveva mostrato finalmente cosa aveva celato in quella
foschia, i frammenti di un ricordo che poteva macchiare l'onore di un
principe, di certo distruggere l'amore di un fratello.
Loki le
aveva fatto un dono crudele e disperato, folle e perverso.
“Ora sai, Incantatrice. Dimmi,
dunque, vorresti ancora essere la sua regina?”
Aveva riso,
Amora, aveva riso di una risata che era un urlo.
“Non più di quanto tu
abbia voluto che lui fosse la tua... E questo è patetico
anche per te, Loki Laufeyson.”
Loki aveva
riso con lei.
“Allora ti rallegrerai di sapere
che lui adesso ha già la sua nuova regina.”
Quella
notizia non l'aveva sorpresa, lei già sapeva della
midgardiana a cui Thor aveva deciso di dare il suo cuore.
“Mi rallegro nel pensare che sei
stato tu a metterlo nella condizione di trovarla. Questo è
stato il tuo di errore.”
Le aveva
sorriso ed era sparito, sparito dietro la chiamata di un titano avido.
«Credi
di riuscire a controllare il suo potere?»
Quella
domanda la riportò con i pensieri al presente.
«Ora
non essere tu a
dubitare di me. Se non avessi potuto controllarlo non avremmo neanche
iniziato questa storia» sottolineò alquanto
indispettita
dalla sua allusione.
«Styrkárr
non apprezzerebbe un fallimento, Amora.»
Sorrise
facendo ondeggiare teatralmente i capelli. «A differenza tua
non sono solita averne.»
Loki
continuava a camminare
lentamente attorno a quel letto e non riusciva a sopportarlo. Lo voleva
fuori da quella camera, lontano da lei, lontano soprattutto da Thor, e
presto
sarebbe stato finalmente così.
Ancora un
passo, ancora uno e avrebbe potuto avere di nuovo il suo principe, il
suo bellissimo e perfetto Thor.
«La
sfera?» chiese osservando la foschia dorata.
«È
dove deve
essere.» Loki le si avvicinò e sentì
come ogni
volta la nausea salire dallo stomaco. «Potrai finalmente
giocare
con la tua bambola, Incantatrice. Non sei felice?»
«Ne
sono estasiata,
Loki.» Sorrise velenosa. «E tu cerca di non rompere
la
tua... Mi sembra alquanto fragile.»
«Tutte
le cose belle lo sono.»
«Non
ti facevo un
romantico.» Lo derise assottigliando lo sguardo ma Loki non
cadde
nella sua provocazione forse troppo gonfio di soddisfazione per aver
visto il suo piano realizzarsi così facilmente.
Goditi
questo momento, presto conoscerai la disperazione vera, la disperazione
di perdere ciò che ami di più e non poterlo
impedire.
Soffrirai,
Loki Laufeyson, soffrirai come non hai mai sofferto.
Perché
Amora sapeva che non c'era sofferenza peggiore di conoscere la
felicità e vederla poi svanire in un lampo.
Loki
avrebbe avuto tutto
ciò che aveva sempre agognato, avrebbe avuto quel cuore che
aveva rincorso con tale affanno, lo avrebbe avuto il tempo necessario
per vederselo portare via.
Amora gli
aveva dato un sogno e lo avrebbe presto tramutato in un incubo.
Gli aveva
mostrato una luce, ma presto sarebbe piombato nelle tenebre.
Bella
e fragile, come una statua di cristallo.
La
manderò in frantumi sotto i tuoi occhi e li vedrò
piangere lacrime di sangue.
Sarà
questa la tua morte, subdola serpe.
₪₪₪
«Così
Amora attentò alla vita dell'amica di Thor?»
Linn
annuì. «Non
fu possibile neanche imputarla di tradimento in quanto
lasciò
Asgard prima che fosse convocato un tribunale per il processo... Almeno
così mi fu detto al tempo.»
Steve era
ancora confuso.
Perché
mai Thor gli aveva nascosto quella storia?
Linn gli
aveva narrato di
Amora, del suo soggiorno alquanto lungo nel palazzo di Thor e dalle sue
parole sembrava che quella donna fosse destinata a essere a tutti gli
effetti la sua futura moglie.
E allora
perché?
Perché
si era poi rivelata una donna non degna di fiducia? Non degna del suo
amore?
Credeva
forse che lui potesse in qualche modo giudicarlo?
Perché,
amico mio?
«E
Loki? Che tipo di rapporto aveva con lei?»
«Il
principe Loki non
aveva una buona opinione di Lady Amora e non celava a nessuno il suo
dissenso su quell'unione.»
Linn
sembrava restia a
parlare. Steve aveva notato che lo era soprattutto quando si trattava
di Loki. Non le era sfuggito il fatto che continuasse a nominarlo
dandogli il titolo di principe e usando un certo rispetto nei suoi
toni, benché fosse consapevole delle sue azioni criminali
contro
il suo stesso regno, prima ancora che contro la Terra.
Era un po'
lo stesso che era accaduto con Thor
e Sigyn.
Non sapeva
dire se era per questioni di etichetta o di altro.
«Loki
non si fidava di
lei... Aveva ragione» pensò a voce alta e per la
prima
volta gli parve di vederlo sotto un'ottica diversa. No, non condivideva
l'idea di Thor che potesse nascondersi davvero del buono in quel cuore,
ma magari un tempo qualche piccola scintilla c'era stata. Era a questo
forse che si aggrappava ancora oggi il suo amico.
«Mi
spiace dei torti che ha subito Midgard per mano del
principe...»
Linn
sembrò aver sentito i suoi pensieri e il suo viso fu
attraversato da un'ombra triste.
«Uccidere
degli innocenti non è un torto, Linn. È una
follia.»
«Non
intendevo sminuire la vostra perdita, Steve. Non era mia
intenzione.»
Steve la
tranquillizzò
con un sorriso mentre la giovane cameriera raggiungeva il loro tavolo
poggiandovi due tazze fumanti.
«Non
preoccuparti,
capisco il tuo punto di vista e spero comprenderai il nostro. Tu hai
conosciuto anche un altro Loki, così come Thor, ma noi
abbiamo
solo visto la sua crudeltà. È difficile
immaginare
qualcosa di diverso in lui e, onestamente, non si è mai
sforzato
troppo per farci cambiare idea.»
Linn non
aveva più detto nulla portando lo sguardo sul liquido scuro
della tazza.
«È
caffè. A Thor piace.»
Era
riuscito a far nascere un piccolo sorriso.
«Grazie,
Steve.»
Avevano
camminato molto, Steve
aveva di certo attraversato mezza New York e Linn lo aveva seguito
senza mostrare affanno, perché la sua apparenza mite e
fragile
era per l'appunto solo un'apparenza. Linn veniva dal mondo di Thor e
come lui ne aveva ereditato le peculiarità.
Teoricamente
anche lei avrebbe dovuto essere una di quelle divinità
pagane scritte sui libri.
A dispetto
della gerarchia che
vigeva su Asgard, Linn era a tutti gli effetti una creatura diversa dai
terrestri, una creatura speciale.
Quel
pensiero lo portò a mandare giù con abbondanti
sorsi quasi tutto il caffè.
«Com'è?»
chiese guardandola assaporare in silenzio la bevanda.
«Non
saprei, è diverso dai cocktail che mi ha offerto
Tony.»
Quella
rivelazione lo agitò.
«Aspetta,
Tony ti ha fatto bere degli alcolici?»
Linn lo
guardò da sopra la tazza e annuì. «Non
avrebbe dovuto?»
«No!
Cioè, non
credo sia sbagliato. Thor regge bene l'alcol, immagino che anche tu
quindi, anche se sei una donna, perciò...» Si
passò
sospirando una mano sul viso
«È
forse inopportuno qui su Midgard che una fanciulla beva,
Steve?»
Sorrise
della sua ingenua
curiosità e scosse il capo. «No, certo che no,
è
solo che ancora devo capire bene come funzionano le cose al giorno
d'oggi.»
Linn lo
ascoltava continuando a bere il suo caffè tenendo la tazza
con entrambi le mani.
«Ai
miei tempi non era
consuetudine che una ragazza bevesse, almeno credo... Onestamente non
saprei risponderti con sicurezza, non ne frequentavo molte.»
Confessò
con un sorriso imbarazzato.
Forse non
avrebbe dovuto fare simili rivelazioni, non era di certo un bel modo di
presentarsi.
Salve,
sono Steve Rogers e non so come parlare a una donna perché
ho passato gli ultimi settant'anni sotto zero.
Non che
prima avesse poi avuto un granché di esperienza in quel
determinato campo.
Pensò
a Peggy come ogni volta.
«Mi
piace.» Linn sorrideva. «Il caffè...
credo che mi piaccia più dei cocktail di Tony.»
Sul suo
viso un leggero rossore che fece sorridere anche lui.
Linn
sembrava uscita da uno
dei suoi amati film retrò, quelli che Clint aveva provato
più volte a sostituire con dei rumorosi blockbuster di
guerra.
Ma Steve amava conservare un po' del suo passato, amava riviverlo anche
se solo su una pellicola.
Le ragazze
che si imbarazzavano per un regalo semplice, che arrossivano per un
complimento.
Ragazze che
non erano pin-up e che non volevano esserlo.
Quelle
ragazze che in quel nuovo mondo sembravano solo storie per la
televisione.
«Capisco
perché al mio principe piace questa bevanda.»
«Sì,
e ama anche frantumare le tazze a terra, ma qui non è visto
di buon occhio.»
Linn rise.
«È un
gesto di apprezzamento tipico dei guerrieri di Asgard. Durante i
banchetti a palazzo il pavimento si copre quasi per la
totalità
di cocci e vino. Sembra una sonata il rumore dei bicchieri che si
frantumano. A volte i soldati della guardia fanno a gara a chi ottiene
più schegge. È divertente... Pulire al termine
dei
festeggiamenti, ahimè, non lo è
altrettanto.»
«Non
ti pesa mai il tuo
lavoro, Linn?» Fu una domanda spontanea. Per quello che aveva
compreso, essere un'ancella era poco diverso dall'essere una domestica,
con l'unica differenza che lo si era 24 ore su 24.
Non era
neanche un lavoro, era una vita.
«No»
rispose lei
sincera lasciando che le sue labbra continuassero a sorridere
dolcemente. «Io non ho mai conosciuto mia madre, Steve, e di
mio
padre ignoro anche il nome. Il destino che mi aspettava era triste e
buio. Avrei potuto essere una delle tante ragazze nelle case del
piacere, e invece la regina ha voluto far di me una delle sue ancelle.
Ha voluto darmi una vita diversa... Come può pesarmi questo,
Steve? Se per ripagare la sua generosità devo raccogliere
dei
cocci da terra o lucidare anfore d'oro, sono ben felice di
farlo.»
Steve si
rese conto che sapeva
così poco di quel mondo lontano, in verità
conosceva solo
l'aspetto che narrava Thor, e Thor su Asgard era un principe.
Dai sui
racconti sembrava un
posto magico, speciale, che non poteva essere realmente narrato ma solo
vissuto, così diceva spesse volte.
Dalle
parole di Linn però sembrava non essere poi tanto diverso
dalla Terra.
Schiavi e
padroni, generali e soldati, re e sudditi.
Perché
stupirsi se poi
qualcuno con una psicologia fragile come quella di Loki finiva con
l'invadere un pianeta millantando di volerlo governare; aveva passato
una vita fra i fasti di una corte dove ogni parola era legge, dove si
poteva salvare una vita e per questo quasi possederla.
Forse Loki
non era altro che il risultato di un'educazione discutibile su di una
personalità già instabile.
Evitò
quella riflessione a Linn perché, sapeva, avrebbe ferito la
sincera fedeltà al suo regno.
Non
poté però negare di sentire un po' d'amaro sulla
lingua.
Linn era
una ragazza dolce e
gentile e non avrebbe dovuto passare la vita a servire qualcuno,
avrebbe solo dovuto viverla come voleva.
Ma in fondo
cosa la rendeva diversa da lui?
Steve aveva
ricevuto un dono, era stato il primo e unico, il dr. Erskine era morto
per permettere a quell'idea di nascere.
E ora lui
aveva deciso di
vivere la sua vita per far sì che quel sacrificio e mille
altri
non fossero stati vani, affinché il suo dono non fosse solo
il
motore di una propaganda.
Linn lavava
pavimenti e lui combatteva con uno scudo.
Se avessero
chiesto a lui se gli pesasse essere Captain America avrebbe risposto al
suo stesso modo.
«Steve,
sei tu in quel ritratto?»
Seguì
gli occhi di Linn
oltre la vetrata: sulla fiancata di un camion fermo al semaforo,
l'immagine di Captain America che beveva una Coca Cola.
«Ehm...
diciamo di sì» ammise imbarazzato.
Ok, alcune
volte sì, gli pesava un po'.
*
Tony si
guardò intorno ancora una volta.
«Deve
essere qui» sospirò alquanto esausto.
«A
meno che non si sia nascosto in uno di questi box non lo vedo
possibile.»
Clint al
suo fianco sospirò di rimando.
Avevano
setacciato quel dannato piano e non erano riusciti a trovarlo: Thor
sembrava volatilizzato.
Con molta
probabilità
forse aveva già lasciato lo S.H.I.E.L.D., ma stavolta non
c'era
nessuna immagine che potesse confermarlo, né un agente
guardone
che potesse dir loro qualcosa.
«Possiamo
sapere se è stato portato via qualcosa?» chiese.
«Ogni
singolo oggetto
è archiviato in un database, ovviamente. Basta fare un
inventario e, prima che ti possa saltare in mente di chiedermelo: no,
non mi offro volontario.»
«Allora
siamo in due, falco.»
Incrociò
le braccia sul petto osservando vagamente i vari scaffali.
«Credi
che sia con lui adesso?» chiese Clint.
«Non
so cosa pensare, sinceramente.»
Aveva
raccontato a Clint di
spider e di cosa aveva ripreso e Barton non era sembrato stupito
più di tanto. Condivideva con lui l'idea che Thor stesse
nascondendo qualcosa, così come condivideva quella che Loki
fosse più squilibrato di quanto avevano creduto fino a quel
momento.
«Comunque
è stato
imprudente da parte tua non fare niente, Tony. Chissà cosa
poteva farle in quella stanza.»
«A
parte che ho potuto
vedere le immagini solo dopo che Thor se n'é andato, quindi
non
avevo la sicurezza che quel pazzo fosse davvero lì, e in
ogni
caso dubito che Loki le avrebbe fatto davvero del male.»
Clint lo
guardò
diffidente. «Ti ricordo che le ha slogato un polso senza
troppi
complimenti e noi eravamo tutti schierati a pochi metri.»
Tony gli
restituì la stessa occhiata. «Ti sei accorto che
stiamo parlando di Thor al femminile, vero?»
Barton
annuì serio.
«Sì,
il che vuol dir che questa storia è andata anche troppo per
le lunghe.»
Si
avvicinarono alla porta per uscire e Tony sbuffò stancamente
premendosi due dita sugli occhi.
«Dove
andiamo a cercarla ora? Mettiamo una foto sui cartoni del
latte?»
Clint rise
mentre raggiungevano l'ennesimo corridoio.
«Teniamola
coma ultima
risorsa. C'è ancora un posto dove possiamo controllare. E
sarebbe il caso di informare anche gli altri di questi sviluppi, non
credi?»
Tony fece
spallucce. «Basta che teniamo Nick fuori da questa storia
finché non l'avremo chiarita.»
«Il
direttore è
l'ultimo dei nostri problemi, Stark.» Clint prese una pausa e
arrestò il passo. «Chi lo dice al
capitano?» Certo,
Steve e la sua fiducia cieca, il suo rapporto fraterno con Thor.
«Tranquillo,
il nostro Rogers sarà abbastanza di buon umore da sopportare
ogni brutta notizia.»
«Di
che parli? Riguarda il perché l'hai chiamato prima? A
proposito, dove è finito?»
Sorrise
della sua espressione curiosa e semplicemente gli poggiò una
mano sulla spalla.
«Donne,
amico mio. Donne.» Lo superò per dirigersi verso
l'ascensore.
Una volta
all'interno Clint volle sapere ogni minimo dettaglio. Tony di certo non
si tirò indietro.
*
Era stata
una caduta da cavallo, una delle tante.
Il solco
non era mai del tutto
sparito, un solco seppur sottile, che riusciva sempre a sentire sotto i
polpastrelli sulla spalla sinistra.
Il solco
non c'era.
Sigyn
sfiorò ancora la pelle trovandola spaventosamente liscia.
Tirò
su la camicia con un sospiro.
Non era
importante quella cicatrice, era importante il suo ricordo.
Ricordi,
memorie. Frammenti di un passato che non poteva non appartenerle.
Gli
abbracci di sua madre, le sue carezze sulla testa e sul viso quando era
un fanciullo.
Le sgridate
di suo padre. I pugni con Volstagg. I racconti delle notti di Fandral,
a riderne fra boccali di birra.
I consigli
di Sif, gli insegnamenti di Hogun.
Il colore
della pelliccia del
primo cinghiale che aveva ucciso con le sue mani, senza armi, senza
neanche una pietra, per mostrare a tutti che era figlio di Odino.
Il profumo
delle locande, il frastuono dei canti, il sudore e la sporcizia sotto
le unghie di ritorno dall'arena.
Il sole di
Asgard e le sue piogge. I suoi inverni senza neve.
Ricordi,
memorie.
Si strinse
ancora in quella camicia sottile e troppo piccola per quel corpo.
Un corpo
plasmato da un incantesimo, un corpo che non avrebbe dovuto esistere.
Mai.
Nato dal
capriccio di una ninfa e morto in quello di uno stupido ragazzino
ingenuo, convinto di poter affrontare tutto.
Quando quel
corpo era sparito,
il ragazzo aveva capito che no, non era possibile affrontare, che
ciò che aveva provato era sbagliato.
Un fratello
che era diventato
qualcosa di diverso, per poi tramutarsi in un estraneo, e quel ragazzo
ormai senza più ingenuità, aveva lasciato che
accadesse.
Thor aveva
voluto seppellire
Sigyn nei suoi ricordi e con essa seppellire ciò che aveva
fatto
battere e vivere il suo cuore.
Thor aveva
scelto di sotterrare quel cuore e adesso Loki era venuto a reclamarlo.
E per
riaverlo era disposto a riportare alla luce tutto il resto.
Le mani
avevano smesso di tremare eppure continuava a guardarle senza poterne
fare a meno.
Cosa era
riuscita a tenere fra quelle mani?
Niente.
Sigyn non
aveva niente da stringere, aveva perduto ogni cosa in una notte di
secoli prima.
Cosa poteva
stringere adesso?
Adesso che non aveva nulla al di fuori di una verità tossica
e
di un segreto che non sapeva per quanto avrebbe potuto custodire?
Non aveva
niente oltre all'illusione con cui era nata e morta. E poi tornata.
Era ancora
un'illusione? Lo era?
Lo
sono?
“Sei la cosa più reale
che abbia mai conosciuto.”
Mai come in
quel momento aveva desiderato sentirlo mentire.
Si
sollevò da terra. Non una nuvola a macchiare il cielo
limpido di New York.
«Thor?»
Era la voce
di Clint.
Non si
voltò.
«Ah,
sei qui.» Si aggiunse anche quella di Tony.
Erano voci
lontane, che in realtà non udiva.
Gli occhi
fissi davanti, le mani abbandonate lungo i fianchi.
Il respiro
calmo e regolare.
«Ti
godevi la
vista?» Tony la raggiunse ma non gli dedicò
neanche uno
sguardo. «Senti, io e te dobbiamo fare due
chiacchiere.»
«Sono
d'accordo con Tony. Thor, qui ci devi qualche spiegazione.»
«Esattamente.
Ci sono un paio di domande a cui gradirei rispondessi e-»
«Risposte?»
sibilò con innaturale freddezza mentre guardava il viso del
compagno. «Vuoi risposte, Tony? Vuoi sentirmi dire
“cosa”? Cosa è accaduto in secoli
così
lontani che tu puoi conoscere solo per storie narrate? Cosa ho sentito
in quella segreta di metallo? Cosa so sul piano di Loki?... Sono queste
le risposte che vuoi, Tony?»
Non avrebbe
voluto, eppure si ritrovò a guardarlo torvo, guidata solo
dalla rabbia, guidata solo dalla paura.
Ma Tony se
non era mai stato
un soldato, era sempre stato un guerriero, per questo aveva avuto prima
la sua stima e poi la sua amicizia.
Così
si ritrovò
a osservare i suoi occhi castani scrutarla in silenzio, quasi privi di
una qualsiasi vera emozione.
«Tanto
per cominciare potresti dirmi perché Loki era in camera tua
qualche ora fa.»
Sorrise
senza più maschere. «E quale risposta vorresti
udire?»
Quale
peccato vuoi che confessi?
«Una
che non mi
porterebbe a sbatterti fuori da casa mia e a consegnarti alle cure di
Nick senza battere ciglio, e credimi quando ti dico che ho preso a
calci degli amici per molto meno.»
«Ok,
adesso calmiamoci.»
Clint era
intervenuto a
placare due animi che Sigyn sapeva erano pronti a infuocarsi,
perché la calma del verbo cela solo la furia che
conterranno le azioni.
«Da
che parte
stai?» Tony ignorò ogni tentativo di far da
paciere di
Clint, Sigyn al canto suo non fece altro che imitarlo.
«È
questo il tuo problema? Sapere se sto in qualche modo aiutando
Loki?»
«Era
a casa mia, Thor!
Casa mia! C'ero io e c'era anche la tua Linn, se non te ne fossi
accorto, e lui era lì, a pochi metri, e tu non hai detto una
sola maledettissima parola!... È questo il mio
problema!»
«E
cosa avrei dovuto
dire? Cosa credi che avrebbe fatto Loki se avessi anche solo provato a
chiamare te o qualcun altro? Pensi davvero che se ne sarebbe andato
come nulla fosse? Pensi che la tua armatura lo avrebbe
fermato?»
«Oh,
quindi è
stato un modo per proteggerci tutti? “Il grande Thor si
sacrifica
in nome della salvezza dei suoi compagni facendo comunella con quello
squilibrato di suo fratello.” Ora sì che sei
un'eroina da
romanzo.»
Sentì
l'affanno della rabbia prendere il soppravvento.
Afferrò
con decisione la sua maglia e si avvicinò minacciosa al suo
viso altrettanto furente.
«Non
sopporterò altri scherni.»
«E
io non sopporterò altre menzogne... Sigyn.»
Quel nome
era scivolato dalla lingua di Tony come una goccia di veleno e aveva
bruciato le sue mani.
Lo spinse
con sdegno in avanti lasciando andare la stoffa e continuò a
guardarlo senza dire una sola parola.
Cosa poteva
dire? Cosa aveva da dire?
Tony aveva
solo detto la verità.
Verità,
verità, verità...
L'aveva
rincorsa, l'aveva pretesa e per cosa? Per sentirne il peso
così forte sulle spalle?
“Prega solo di essere pronta a
udirla.”
Adesso,
sapeva, non lo sarebbe mai stata.
«Mi
hai guardato dritto
in faccia e hai avuto anche il coraggio di dirmi una cazzata come
quella che dovevi venire qui a parlare con la Foster!»
«Tony,
dacci un taglio, avanti.»
«Coraggio,
bella bionda,
dicci che cosa sei venuta a fare al livello 12B! Siamo tutti curiosi di
sentire quale nuova balla ci rifilerai.»
«Potresti
trovarti privo
di sensi ancora prima che apra bocca, Anthony Stark!» lo
minacciò con foga stringendo il pugno.
«Ma
davvero? Beh, se credi che mi tiri indietro solo perché
adesso sei una donna ti sbagli di grosso!»
Tony la
fronteggiò quasi con la stessa determinazione, Sigyn sapeva
non poteva avere anche lo stresso squarcio nel petto.
«Per
una volta soltanto dai seguito alle parole con le azioni, invece di
farti scudo con la tua lingua tagliente.»
«Non
ho bisogno di
scudi, io... Forse sei tu che dovresti chiederlo in prestito a Cap, dal
momento che il tuo bel martello ti ha voltato le spalle, principessa!»
Clint le si
parò davanti per tenerli separati quando tentò di
afferrarlo per l'ennesima volta.
«Adesso
calmatevi! Tutti e due.»
Quando
incrociò
l'azzurro dei suoi occhi fece un passo indietro senza però
riuscire a controllare il tremore dei suoi pugni.
Avrebbe
solo voluto farli
schiantare uno dopo l'altro sul viso di Tony, che nella sua testa
sembrava prendere sempre più velocemente i lineamenti di
Loki.
Scrollò
il capo
coprendosi il viso con una mano mentre udiva altre parole dalla bocca
di Clint, altre parole per chiedere a entrambi calma e controllo.
Sigyn non
possedeva più nessuno dei due.
*
«Nat, sul tetto.
Ora.»
A Natasha
erano bastate quelle poche parole di Clint per raggiungere velocemente
il luogo.
Una volta
arrivata si era
trovata davanti a una scena che sembrava uscita da un racconto di
qualche anno prima quando più che una squadra erano
un'accozzaglia di squilibrati privi di legami.
Forse lo
erano ancora, degli
squilibrati, ma di certo aver rischiato la pelle in più di
un'occasione li aveva in qualche modo uniti.
Eppure
dalle parole che si
stavano scambiando Tony e Thor sembrava che nulla fosse cambiato dalla
prima volta che si erano incontrati.
«Che
sta succedendo?» chiese quando li raggiunse.
Clint
teneva Tony per un
braccio mentre Thor lo guardava con una luce negli occhi che somigliava
terribilmente a quella che aveva coperto i suoi ormai una vita fa:
persa e arrabbiata.
«Bene,
è arrivata anche la nostra Romanoff. Perfetto, magari fra
donne vi capite meglio.»
«Tacita
la tua lingua prima che ti getti di peso da questo edificio!»
Natasha era
riuscita ad afferrare in tempo Thor prima che potesse davvero mettere
in pratica la sua minaccia.
«Ditemi
che sta succedendo o vi faccio parlare io, e non sarà
piacevole.»
Clint la
guardò con uno
sguardo fra il grato e il preoccupato. Tony le dedicò appena
un'occhiata prima di liberarsi dalla presa di Clint e fare qualche
passo più in là.
Thor non
disse nulla e vedeva solo le sue spalle alzarsi e abbassarsi con furia.
Fu Natasha a lasciar andare la presa.
«Allora?»
intimò quando sembrò che si ritrovasse una certa
calma.
Clint le
aveva solo fatto quella breve richiesta ma non pensava sarebbe dovuta
intervenire per placare la lite di due bambini.
Tony non
rispose e Clint le fece segno di rivolgersi direttamente a Thor.
Il suo
sguardo pronunziò la domanda e Thor la lesse.
«Loki
è venuto da me per chiedermi di aiutarlo.»
«Lo
sapevo che-»
«Dannazione,
Stark, chiudi quella bocca!»
Lo
zittì riuscendo in quella difficile impresa.
Tony
aprì le braccia con un sorriso nervoso e non disse
più nulla.
«Quando
è successo?»
Tornò
a prestare
attenzione a Thor che però sembrava non aver smesso di
essere
attraversato da impercettibili fremiti.
Rabbia,
pensò.
«Oggi»
le rispose
però guardando verso Tony. «Mi ha chiesto di
recuperare
qualcosa dallo S.H.I.E.L.D.»
«E
ha minacciato ogni essere di tua conoscenza nel caso non l'avessi
fatto... giusto?»
Non
servì nessuna
risposta alla domanda di Clint che si passò poi una mano fra
i
capelli con un leggero sospiro. «Avresti dovuto dircelo,
Thor.»
«Non
potevo.»
Ma qualcosa
le diceva che non era la minaccia di Loki ad averlo costretto al
silenzio.
«Cos'era
che dovevi prendere?»
Thor non
rispose.
«Qualcosa
dal livello
12B.» Fu Tony a intervenire. «Probabilmente qualche
arma
che userà per attaccare la Terra, tanto per cambiare. Ottimo
lavoro, Thor, davvero ottimo!»
«Tony...»
«Come
puoi credere che
possa aiutare Loki nei suoi intenti bellici contro Midgard?»
C'era più della delusione nelle parole di Thor,
più della
rabbia. C'era sofferenza, colpa, forse paura.
Natasha non
sapeva dirlo con certezza.
Sapeva solo
che i suoi dubbi erano più che fondati.
«Qualsiasi
fosse il motivo, l'hai aiutato. A me basta questo.»
Capì
subito che se voleva sapere cosa fosse accaduto avrebbe dovuto portare
Thor lontano da Tony.
«Ok.
Vieni con
me.» Lo prese gentilmente per un braccio pronta a fortificare
la
presa nel caso avesse tentato di sfuggire ma Thor, insospettatamente,
si lasciò guidare senza dire niente, senza guardare nulla
che
non fosse il pavimento prima e le scale dopo, che non fossero le porte
d'acciaio dell'ascensore.
Natasha
bloccò la discesa e respirò a fondo.
«Thor...»
Il suo
sguardo rimasse fisso alle porte sigillate ma la sua gola
sussultò.
«Qualsiasi
cosa possa
dire Tony, sono certa che hai agito solo a fin di bene. Anche se sei
sempre stato poco imparziale quando si trattava di Loki, so che non
metteresti mai in pericolo la sicurezza della Terra... E dei tuoi
compagni.»
La gola
sussultò ancora, gli occhi ancora non incontrarono i suoi.
«Vi
ho mentito. Tony ha
ragione, io...» Un altro sussulto, un fremito delle labbra e
solo
l'orgoglio a far restare asciutto il viso. «Io non so neanche
più chi sono.»
Un triste
sorriso e una mano che andava a coprire l'ombra di invisibili lacrime.
Natasha non
disse nulla, non
fece nulla. Ascoltò il suo respiro affannoso
finché non
sfumò in un profondo silenzio. Solo allora Thor
alzò il
viso e la guardò.
«Io
non sono Thor.»
Fece un
piccolo cenno con il capo.
Lo
so.
*
«Prendi.»
Clint gli allungò un bicchiere con del caffè ma
Tony lo
rifiutò con un'espressione disgustata.
«Vuoi
forse avvelenarmi?»
«Perdonaci
se non
abbiamo un distributore di rhum» sospirò
sarcastico
mandando giù il caffè senza preoccuparsi di
sentirlo
ardere in gola. Accartocciò poi il bicchiere di carta e lo
buttò nel cestino dell'angolo.
«L'hai
presa un tantino sul personale. Spero tu te ne renda conto.»
Tony
sbuffò affondando le mani nelle tasche e poggiandosi contro
il muro del corridoio.
«Era
personale, Clint.
Quella è casa mia... Deve solo ringraziare che non ci fosse
anche Pepper altrimenti le avrei scatenato contro tutto l'arsenale
della Mark.»
Clint si
lasciò cadere su una sedia con un sospiro.
«Tu
sapevi che lui era
lì, Tony. Sei stato tu a far finta di nulla, ancora non ho
ben
capito perché. Potevi chiamarci e avremmo risolto la cosa
subito.»
Tony non
rispose e quando Tony Stark non aveva niente da dire non era mai un
buon segno.
«Hai
avvisato Bruce?»
«Sì»
gli rispose brevemente mentre lo guardava osservare con attenzione la
porta a qualche metro.
Dietro
quella porta c'erano
Nat e Thor, e Clint era più che certo che lei sarebbe
riuscita a
capire cosa fosse accaduto e perché, soprattutto senza
fallire.
Non aveva
compreso che Tony
fosse così coinvolto dalla cosa, altrimenti ci avrebbe
pensato
due volte prima di andargli dietro alla ricerca di Thor.
Ancora non
sapevano cosa Thor
avesse recuperato né a cosa potesse servire quell'oggetto
per i
piani di Loki. Con molta probabilità c'entrava anche Amora,
ma
per adesso non avevano nulla su cui ragionare.
Dovevano
solo aspettare che Natasha uscisse da quella porta con delle risposte,
delle risposte che potessero udire.
«Che
facciamo con la Foster?» chiese per spezzare il corso dei
suoi pensieri.
«Ho
chiesto a Bruce di non dirle niente, almeno finché non
sappiamo cosa abbia combinato Sigyn.»
«Non
chiamarlo così, credo lo odi.»
Lo vide
finalmente sorridere. «È il motivo per cui
continuerò a farlo.»
Non
riuscì a non imitarlo.
Dal fondo
del corridoio intanto vide la sagoma di Bruce che a passo spedito li
raggiungeva.
Aveva i
capelli più in disordine del solito e l'immancabile penna
stretta fra le dita.
«Allora?
Cosa sta succedendo?»
Clint
alzò lo sguardo sul viso di Tony.
«Glielo
dici tu o lo faccio io?»
Tony
sospirò annoiato incrociando le braccia sul petto.
«Loki
ha fatto una capatina dalle nostre parti.»
Bruce
sembrò ovviamente allarmato.
«Dove?
Quando?»
«Alla
Tower, qualche ora
fa.» Lo informò Clint alzandosi dalla sedia.
«Ha
chiesto a Thor di venire allo S.H.I.E.L.D. e prendere qualcosa dal
livello 12B.»
«Ma
la cosa più
interessante, caro dottore, è che Thor l'ha
fatto.»
Concluse Tony senza nascondere ancora una certa rabbia.
Bruce si
prese qualche secondo per assimilare la notizia guardando in alternanza
i loro visi.
«Perché?»
Clint
alzò le spalle. «Crediamo che Loki lo abbia
minacciato e quindi Thor si sia sentito costretto-»
«No,
Clint, intendevo dire, perché Loki ha chiesto a Thor di
prendere qualcosa per lui?»
A quella
domanda risposero entrambi con un silenzio che portò Bruce a
chiarire ulteriormente il suo quesito.
«Loki
non ha alcuna
difficoltà a insinuarsi dove vuole né a giocare
con i
sistemi di videosorveglianza. Perché ha chiesto a Thor di
fare
qualcosa che poteva fare anche lui?»
Clint
scosse il capo riflettendo sulle sue parole.
Bruce aveva
ragione: come aveva celato Thor alle videocamere, avrebbe potuto celare
anche se stesso.
Che senso
aveva farlo fare a Thor?
Erano stati
così concentrati dal capire i perché di Thor da
non soffermarsi su quelli di Loki.
«Loki
lo ha
minacciato...» sospirò Tony con il suo stesso
sguardo
pensieroso. «Questo vuol dire che aveva la
necessità che
Thor accettasse di aiutarlo. Non era un capriccio, era un parametro
fondamentale.»
«Era
qualcosa che poteva fare solo Thor, quindi?» gli chiese
seguendo il suo discorso.
Tony
osservò a lungo i suoi occhi per poi sorridere soddisfatto.
«No,
Clint. Non Thor, ma Sigyn.»
«Questo
spiegherebbe il perché l'abbia tramutato in una
donna» ragionò Bruce a voce alta.
Aveva un
senso.
Qualsiasi
cosa avesse preso Thor dal livello 12B, Loki non era in grado di
prenderla.
Perché?
Ma questa
era una domanda a cui poteva rispondere solo Thor... solo Sigyn.
«Dov'è
adesso?» chiese Bruce.
«È
con la Romanoff. Sta cercando di capirci qualcosa.»
«Noi
non abbiamo avuto molta fortuna» ammise lanciando un'occhiata
a Tony che decise apertamente di ignorarla.
Restarono
in silenzio per una manciata di minuti ognuno con mille pensieri
diversi nella testa.
«Anche
Steve è con Natasha e Thor?»
A quella
domanda sia sul viso di Tony che di Clint si disegnò un
sorriso.
«Il
capitano è in altre faccende affaccendato» rispose
Stark.
«E
cioè?»
Si
scambiarono uno sguardo complice che confuse ulteriormente il povero
Bruce.
Dato che
dovevano solo aspettare per delle risposte, tanto valeva trovare un
argomento con cui sopportare l'attesa.
₪₪₪
Stava
andando tutto secondo i suoi piani. Tutto sarebbe andato come aveva
programmato.
Avrebbe
avuto ciò che
bramava da secoli, millenni, ciò che aveva desiderato
possedere
per poter realizzare il suo alto proposito.
Sarebbe
tornato lì, nella casa da cui era stato cacciato, nel regno
per cui aveva lottato e sacrificato tutto.
Da lei, che
lo aveva illuso, usato e poi gettato come fosse l'ultimo dei cani.
Vendetta?
Niente di
più volgare.
Non era la
vendetta che bramava, non era come uno di quei due mocciosi mossi da
sentimenti puerili e sciocchi.
Amore...
rancore... rabbia.
Patetici
moscerini.
Combatteva
per un fine
più alto, Styrkárr, combatteva per restituire
l'ordine
delle cose, per correggere gli errori del fato.
Combatteva
perché aveva giurato fedeltà anche a chi non
aveva saputo vederne il valore.
Lei avrebbe
capito che tutto
ciò che aveva fatto, che ogni azione che aveva compiuto e
che
era stata creduta folle era solo la più alta dimostrazione
di
fedeltà.
Il suo
regno lo avrebbe accolto come meritava, e avrebbe guidato la guerra
necessaria e l'avrebbe vinta.
L'ordine
delle cose.
Il
legittimo fluire di un corso deviato senza il consenso delle Norne.
Avrebbe
sacrificato ogni cosa
andasse sacrificata, avrebbe donato alla sua causa ogni vita che
valesse la pena prendere. Non per gusto, non per diletto.
La morte
era un dono, il più nobile.
Chiunque
avesse avuto il privilegio di offrire la sua vita avrebbe solo fatto
ciò che andava fatto.
Anche il
più misero degli esseri, anche il più prode dei
soldati, anche il più dorato dei principi.
Sotto le
palpebre chiuse rivedeva il tumulto delle guerre, il sangue scarlatto
versato senza alcuna logica.
Rivedeva il
verde delle sue
terre macchiato con la linfa infetta dei nemici che avevano osato
alzare la spada contro il suo regno.
Rivedeva
l'azzurro dei loro occhi, le loro mani grondare e le urla chiamare una
vittoria che non avevano meritato.
Rivedeva il
marmo del suo palazzo usurpato e mandato in frantumi.
E rivedeva
lei.
Aprì
gli occhi ma incontrò solo il buio delle sue stanze.
Si
sollevò da terra
tenendo i palmi in alto e sentendo il calore del seiðr affluire
in
ogni singola vena, in ogni singola scheggia di cuore.
Le ombre
furono lacerate nell'istante in cui lo fece espandere fino ai limiti
concessi.
Sarebbe
bastato poco e sarebbe
stato inghiottito e consumato da esso, ma non aveva trascorso gli
ultimi mille anni a prepararsi a questo giorno se avesse temuto la sua
stessa forza.
Richiamò
l'energia raccolta e la compresse tutta.
Era
doloroso, lacerante, eppure sorrise.
Sorrise
sempre più ampiamente finché una roca risata non
abbandonò la sua gola.
Era pronto.
***
NdA.
Capitolino di
passaggio utile però per capire almeno un po'
cosa viaggia nella testa dei nostri amati cattivoni.
Le motivazioni di
Amora spero siano ora meno oscure, anche se era
abbastanza chiaro cosa, o per meglio dire “chi”,
volesse.
Styrkárr
è invece ancora una mezza incognita, ne
sono
conscia, ma avrà la sua parte quando salteremo allegramente
per
le lande asgardiane perché è ovvio che bisogna
tornare a
casa prima o poi e...
Shhhh, basta spoiler,
a Chiara non piacciono!
Perdonatemi lo sclero,
ogni tanto svalvolo anche io.
Bene, dal prossimo un
po' di azione e qualche colpicino di scena che
non guasta mai ^-*
Appuntamento fra sette
giorni, stavolta, superpuntuale
<3
Kiss kiss chiara
|
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Capitolo 13 *** Nuova tempesta (a Central Park) ***
cap13
L' ultima lacrima
XIII.
Quando
Styrkárr entrò nella stanza, Loki
percepì con
intensità le vibrazioni emanate dal suo seiðr. Erano
così forti che quasi l'aria stessa ne fu intrisa.
Tornò
con la memoria
alla prima volta che aveva visto l'uomo passeggiare fra i giardini di
Asgard, la prima volta che aveva avvertito un potere così
grande, un potere così simile al suo.
Era poco
più di un
bambino, seduto sull'erba leggeva un vecchio libro sulla storia di
Svartalfheim quando si era trovato a sollevare gli occhi e incrociare
quelli neri di Styrkárr.
“Tu devi essere il principe Loki.
Dico bene?”
In un altro
momento avrebbe
reagito con sdegno per quella mancanza di rispetto, per la
sfacciataggine di quell'uomo che lo osservava dall'alto in basso con un
sorriso bianco sulle labbra.
Ma non
aveva osato dire una sola parola. Aveva chiuso il libro e si era
sollevato da dove era stato seduto nelle ultime ore.
Un cenno
del capo per rispondere in modo affermativo.
“Il mio nome è
Styrkárr.” Gli aveva teso una mano e
Loki aveva visto le lunghe dita abbracciate da oro e gemme.
Non era un
gesto di riverenza ma un gesto da uomini.
Aveva
temuto di stringerla eppure l'aveva fatto.
“È un piacere fare la
tua conoscenza, giovane principe.” La sua mano
era fredda e Loki l'aveva lasciata andare presto. “Torna pure ai tuoi studi. La
cultura è una fedele alleata, ricordalo.”
Ed era
andato via, passeggiando fra i fiori che tanto amava curare sua madre.
Loki,
rimasto di nuovo solo, si era seduto a terra tornando ad aprire il suo
libro.
“Styrkárr...”
aveva sospirato debolmente quando sollevando lo guardo non era
più riuscito a scorgerlo.
Lo aveva
cercato poi ogni giorno.
Un ospite
di Odino, era
così che era stato poi presentato ufficialmente. La
verità era un'altra, ma Loki l'aveva scoperta solo anni dopo.
“Non mi piace.”
Diceva Thor da sotto i suoi riccioli biondi, con il viso di bambino e
la sicurezza di un adulto. “Non voglio che tu stia con lui,
fratello.”
Ma Loki non
gli aveva mai dato
ascolto. Aveva continuato a cercare la compagnia di Styrkárr
e i
suoi insegnamenti, soprattutto.
Styrkárr
governava il seiðr con eccelsa maestria senza che questo fosse
per lui motivo di vergogna.
Quando
aveva iniziato a
sentirlo scorrere nelle vene prima e a capirne l'arte dopo, nessuno, a
parte sua madre, aveva trovato nella sua scelta motivo di onore
né vanto. Il seiðr era un'arte riservata alle donne,
gli
uomini dovevano imparare a padroneggiare le armi e la forza, ad agire
d'astuzia sul campo come d'istinto fra le lenzuola.
Un figlio
di re non poteva, non doveva fare eccezione.
Loki era
sempre stato un'eccezione in tutto.
Odino non
aveva mai espresso
apertamente il suo dissenso, eppure Loki lo aveva avvertito in ogni
singolo sguardo che gli aveva rivolto da allora.
Styrkárr
era diventato la sua guida, il suo mentore.
“Allontana le emozioni, Loki,
ciò accrescerà in maniera esponenziale la tua
energia.”
Aveva
seguito
quell'insegnamento per tutta la vita e poi ne era stato travolto,
perché le emozioni non si allontanavano, non sparivano, si
potevano solo comprimere.
E alla fine
arrivavano sul punto di esplodere.
Questo
Styrkárr non glielo aveva insegnato, lo aveva dovuto
imparare sulla sua pelle e lo aveva imparato a causa sua.
Sigyn...
Era lontano
il tempo della sua fanciullezza, il tempo dell'innocenza e delle
menzogne dorate.
Sarebbe
sempre stato in
qualche modo grato a quel Vanr superbo e vanesio ma non gli avrebbe di
certo permesso di portare a compimento il suo piano.
Mai.
«La
sfera è al
suo posto.» Amora osservava con determinazione il corpo di
Thor
senza apparentemente lasciar trapelare nulla, ma Loki conosceva bene
ciò che stava viaggiando sotto la sua pelle, in fondo
condivideva la stessa brama di veder realizzato il proprio intento
quanto prima.
Nessuno dei
due, né Amora né Styrkárr avrebbero
però potuto vantare il medesimo risultato.
Stavolta
Loki non avrebbe fallito, stavolta avrebbe avuto soddisfazione. Avrebbe
avuto tutto.
«Possiamo
cominciare.»
Alle parole
del Vanr prese posto sul lato opposto del talamo, con Amora di fronte e
Styrkárr alla sua destra.
Loki
guardò un'ultima volta il volto assopito di Thor.
Se
solo avessi continuato ad amarmi... Se solo non me l'avessi portata
via...
Ma non vi
era tempo per sciocchi pensieri.
Uno sguardo
con l'Incantatrice e il rito ebbe inizio.
₪₪₪
Natasha affidò al
silenzio i suoi pensieri mentre le parole di Thor suonavano ancora
improbabili nella sua testa.
Non
sembravano avere senso, non sembravano potessero essere vere, ma cosa
era vero a quel punto?
Ne aveva
viste e vissute anche
troppe per permettersi il lusso di credere a qualcosa di
così
fittizio come la normalità.
Nulla era
normale, nulla aveva un solo significato.
Seguì
con gli occhi i
movimenti nervosi con cui Thor stringeva e univa le dita delle mani,
con cui batteva un piede a terra e con cui si spostava le ciocche
confuse che erano ormai sfuggite alla sua treccia.
Lo sguardo
al pavimento, il tremore delle spalle.
Non era
rabbia, lo aveva compreso dopo, era paura.
«Loki
vuole rubare la tua anima?»
Aveva usato
quel possessivo di
proposito per rendere tutta quella situazione meno disturbante alle sue
orecchie, ma Thor... Sigyn non aveva accettato quel compromesso.
«L'anima
di Thor.» La corresse non senza difficoltà.
Quando il
silenzio era cessato, era sorta la verità, debole e
sofferta, quella che Sigyn aveva voluto raccontarle.
Loki che
entrava nella sua stanza, che le offriva uno scambio. Lei accettava e
si dirigeva allo S.H.I.E.L.D.
Al piano
12B avevano trovato
quella sfera e poi Loki l'aveva portata in un altro luogo e
lì
Sigyn aveva visto e aveva udito.
Natasha non
l'aveva
interrotta, non aveva fatto domande, aveva lasciato che fosse lei a
darle le risposte che era in grado di dire. Sapeva ce n'erano ancora
altre centinaia che però, in quel momento, non aveva la
forza,
il coraggio di pronunziare.
«Non
avrei mai creduto
che potesse esistere un incantesimo in grado di fare tanto... in grado
di infrangere l'equilibrio vitale di qualcuno...»
«Siamo
proprio sicuri che non sia stata solo una delle sue
illusioni?»
Scosse il
capo. «Era reale... era dannatamente reale.»
Aveva
davvero sperato fosse
solo un altro dei suoi giochetti illusori, ma Sigyn e la sua reazione
erano la dimostrazione che non era così, che Loki era
riuscito
in qualche modo a fare una cosa così straordinaria quanto
spaventosa.
La ragione
era invece di una
semplicità imbarazzante e non serviva neanche chiederla, ma
arrivati a quel punto non poteva farsi problemi di morale. In fondo non
se li era mai fatti e forse Sigyn poteva ricomporsi solo se si fosse
frantumata davvero. Quando si tocca il fondo, e solo allora, si
può risalire.
«Se
ciò che
serviva a Loki era qualcuno senza un'anima, poteva usare chiunque. Non
aveva senso chiedere a te.» Non aveva senso creare te.
Fu il pensiero corretto, ma riuscì a piegarlo nelle parole.
Se Loki era
riuscito a
distruggere quell'equilibrio di cui aveva sentito parlare, poteva
riuscirci con chiunque e invece no. Aveva scelto Thor perché
voleva Thor. Voleva Sigyn.
«Perché
l'ha
fatto?» A quella domanda la vide chiudere gli occhi e
respirare a
fondo. «Non uscirà da questa stanza. Hai la mia
parola.» Quando li riaprì li portò nei
suoi.
«Ci sono azioni che ti perseguitano per tutta la vita, anche
se
provi a dimenticare, anche quando credi di esserci riuscita. Sono
lì, sotto ogni strato di convinzione... sono lì e
dovrebbero restarci.» Sapeva che poteva capire cosa volesse
dire.
«Ma a volte la loro eco ritorna e non è facile
ignorarla.»
«No,
non lo è...»
«Qualsiasi
cosa Loki
abbia intenzione di fare con quella sfera e tutto ciò che ha
fatto finora... l'ha fatto per Sigyn.»
Ancora un
respiro, ancora un tremore, ancora mille lacrime rimaste ferme
orgogliosamente sulle ciglia.
«C'era
un
sigillo...» Fu una debole frase. «Una ninfa dei
boschi mi
lanciò una maledizione che si sarebbe spezzata solo
infrangendo
quel sigillo: per riavere il mio corpo avrei dovuto amare con un cuore
di donna...» Lasciò che si prendesse altri attimi,
che
lasciasse arrossire appena le guance con un sorriso triste sulle
labbra. «Credevo che avrebbe funzionato, che sarebbe
bastato...
Adesso non saprei neanche dire come sia accaduto ma fatto sta che
accadde, e fui io a volerlo.»
Anche se
non l'aveva detto
direttamente era chiaro di cosa stesse parlando, era altresì
chiaro che lo stomaco di Natasha ebbe un leggero sussulto.
«Tu
e Loki?»
Un lungo
sospiro, una mano a coprire gli occhi.
«Sì...
È
una follia, lo so, eppure allora... allora sembrava... non riesco a
spiegarlo, sembrava naturale.»
Natasha
avrebbe voluto
sospirare a sua volta, avrebbe voluto nascondere anche lei il viso
sotto una mano e scuotere il capo bisbigliando qualche imprecazione in
russo.
Non lo fece
perché era
un agente addestrato, perché era una donna con nervi
preparati
ad ogni evenienza, soprattutto perché era un'amica.
Ciò
che era successo in
quel passato era qualcosa che faceva fatica ad accettare, e se su Loki
non aveva mai avuto pensieri di natura positiva, su Thor era diverso.
L'aveva conosciuto come una persona leale e determinata, come un
combattente che, seppur nella sua esuberanza, aveva uno spiccato senso
del dovere e dell'onore.
I
sentimenti forti e alle
volte incomprensibili che lo avevano legato a Loki erano sempre stati
palesi, ma che sotto quei sentimenti ci fosse anche un trascorso del
genere era un qualcosa che non aveva mai realmente sospettato, non
prima dell'arrivo di Sigyn.
«Immagino
cosa penserai di me, adesso.»
«Non
sono qui per
giudicare...» Un debole sorriso per dare più forza
a
quelle parole. Sembrò riuscire nel suo intento quando gli
occhi
di Sigyn parvero brillare di una tenue gratitudine. «Non fu
un
episodio isolato, vero?»
Il suo viso
arrossì ancora e la gola sussultò.
«No.»
Quell'unica parola sembrò uscire strozzata dalle sue labbra.
«Ok.»
Si alzò dalla sedia deglutendo l‘ennesimo sospiro.
Quindi Loki
e Thor avevano
avuto una specie di relazione con tutti gli annessi e i connessi del
caso, quando quest'ultimo aveva le sembianze di Sigyn.
Sia Clint
che Stark di certo
avevano avuto i suoi stessi dubbi sebbene nessuno ne avesse fatto
parola a voce alta, ma a questo punto non aveva davvero molta
importanza quella storia, ciò che contava era che Loki al
momento era in possesso di un'arma in grado di derubare qualcuno della
sua anima e della sua stessa coscienza, da quello che aveva detto
Sigyn. Un'arma che aveva intenzione di usare su Thor.
Ricordava
ancora bene gli
occhi glaciali di Clint a seguito della sua soggiogazione con il
tesseract. Non poteva accadere una seconda volta.
Ma gli
altri non avevano bisogno di sapere tutta la storia, non in quel
momento.
Il pensiero
non poté
non andare al capitano Rogers. Se Steve avesse saputo non aveva idea di
come avrebbe potuto reagire, e mantenere l'equilibrio della squadra
sembrava un'impresa già ora.
La
verità avrebbe di
certo spianato i dubbi e le domande, ma avrebbe anche messo Thor sotto
il giudizio di tutti, e l'unica donna – russa - nel gruppo
era
lei.
«Dobbiamo
trovare Loki il prima possibile» sentenziò.
Sigyn si
sollevò a sua volta dalla sedia.
«Non
saprei come essere d'aiuto. Non ho riconosciuto quel luogo e non so
neanche se appartenesse a Midgard.»
Bel guaio.
Forse
l'unica che poteva trovare qualche risposta era la dottoressa Foster.
Non
invidiava proprio la sua posizione.
«Dobbiamo
aggiornare gli
altri sulla storia della sfera» affermò e Sigyn la
guardò seria. «E solo su quella...»
«Non
voglio mentire ancora.» C'era coraggio nelle sue parole,
oppure solo altro timore.
«È
una scelta che spetta a te, ma non sarà facile alle loro
orecchie. Questo lo sai.»
Sigyn
abbassò ancora gli occhi.
«Ai
fini delle nostre
ricerche non è importante che alcuno conosca tutta la
storia.
Non è mentire, è solo proteggerli dalla
verità.»
«Proteggerli
dalla
verità...» Un piccolo sorriso malinconico.
«Sembra
di udire parole di mio padre.»
Natasha non
seppe cosa
rispondere, sapeva solo che vivere una lunga vita era un modo per
collezionare tante ferite diverse, mille segreti d'amianto, delusioni e
rimpianti che non si potevano lasciare ai ricordi.
Un tempo
aveva creduto davvero
che Thor e Loki potessero essere vicini alle definizione di
déi,
eppure adesso si trovava a scoprire quanta umanità ci fosse,
l'umanità che fa compiere sbagli senza neanche riuscire a
comprenderli, che fa nascere e vivere follie.
Non era il
riuscire a
resistere a una scarica di colpi senza riportare un graffio a renderti
un dio, né la freddezza con cui strappavi una vita, o
centinaia.
Essere un
dio significava essere al di sopra di ogni emozione, di ogni
sentimento, al di sopra di ogni sbaglio.
Al di sopra
di ogni debolezza.
Thor ne
aveva sempre avute
tante di debolezze e non le aveva mia tenute celate, adesso
però
era chiaro quale fosse quella di Loki; Natasha la stava guardando
dritta negli occhi.
«Dov'è
Steve?»
«È
con Linn al momento.»
Sigyn
sembrò riflettere sulle sue parole.
«Falli
entrare.»
«Qualunque
cosa dica Stark, cerca di non staccargli la testa. Ci serve ancora
tutto intero.»
Udì
una debole risata.
«Tenterò...»
Il badge
strisciò nella fessura e la porta si aprì.
*
Bruce
ascoltò il discorso con attenzione, battendo ritmicamente le
dita sul gomito.
Ciò
che aveva fatto
Loki era scientificamente impossibile. No, non si poteva prendere il
cuore di qualcuno con tutti i suoi ricordi, la sua stessa
personalità e creare dal nulla un corpo che lo contenesse.
Non
esisteva una sola possibilità che questo accadesse.
Ma non si
poteva neanche
rendere un uomo una donna a livello genetico, e non si poteva neanche
credere che una bestia rabbiosa venisse fuori dalle sue membra ogni
volta che si arrabbiava.
Era
illogico. Tutto.
Era pura e
semplice follia.
Era la sua
stranissima e maledetta vita.
«Non
sei Thor, quindi?»
Clint aveva
un'espressione di
una tranquillità disarmante, ma Bruce sapeva erano solo gli
anni
di addestramento e forse il pensiero di un whisky da buttare in gola
una volta usciti da quella stanza.
«Certo
che è
Thor» ribatté Tony che invece non nascondeva il
suo
nervosismo dato che continuava a gesticolare come un forsennato a ogni
sillaba che pronunziava.
«Come
può essere
Thor se Thor è steso su un cavolo di letto in una specie di
coma
indotto?» Clint era ancora calmo ma il suo collo si era teso
per
alcuni attimi.
«Teoricamente
è
una parte di Thor.» Natasha aveva sempre lo straordinario
autocontrollo che lui aveva visto perderle poche volte, la prima delle
quali fu a causa sua, o meglio a causa dell'altro.
Sollevò
gli occhiali e premette due dita sugli occhi.
È
un'assurdità...
Quando
riportò lo sguardo alla stanza non poté che
soffermarsi sul viso di Thor. No, non era Thor, era Sigyn.
«Si
comporta come Thor,
dice le sue stesse scemenze circa l'onore e bla bla bla. Ed
è
altrettanto ingenua da fidarsi delle parole di quel manipolatore di
Loki. È Thor!»
Tony
continuava a parlare come
se Sigyn non fosse presente, forse non lo era davvero. I suoi occhi
osservavano tutti senza realmente vederli, erano altrove.
Scoprire di
essere qualcosa di diverso da ciò che pensavi di essere.
Era
scioccante, destabilizzante. Era devastante.
Bruce
poteva saperlo, Bruce
sapeva cosa si provava a guardarsi in uno specchio e sapere di essere
solo un involucro. Il terrore di chiedersi se si era reali, di
chiedersi chi dei due fosse l'ospite dell'altro.
«Se
fosse Thor
riuscirebbe a sollevare il suo martello, no? Questa mi sembra una
risposta abbastanza chiara per tutti.»
«Andiamo,
Clint! Loki
sta solo cercando un modo per confonderci tutti e per tenerci occupati
in modo da non poter avere il tempo di scoprire e boicottare i suoi
nuovi piani. Tutto qui.»
Clint e
Tony continuarono il
loro scambio mentre anche Natasha intervenne a favore di Clint,
condividendo la sua teoria sulla netta distinzione fra Thor e Sigyn.
Fu in quel
momento che Bruce vide lo sguardo di Sigyn posarsi sulle sue mani e
quelle mani iniziare lievemente a tremare.
«Come
stai?» La sua domanda le fece rialzare gli occhi e zittire
ogni altra voce.
«Sto
bene» rispose mentendo.
No, non
stava bene, non poteva stare bene e solo in quel momento
sembrò che anche Tony e Clint lo comprendessero.
Scese il
silenzio.
₪₪₪
Si sentiva svuotato, debole.
Era il
prezzo di quel rito.
Le gocce di
sudore scivolarono dalla sua fronte e le asciugò con il
dorso della mano.
Amora
poggiò i palmi sulle ginocchia e lo guardò .
Un sorriso
gelido a piegarle le labbra, lo stesso sorriso governava il volto di
Styrkárr.
Loki
respirò a fondo
cercando di ritrovare la forza. Le dita delle sue mani dolevano,
così doleva ogni muscolo delle sue carni.
«È
ora»
enunciò Styrkárr con sguardo affamato. Ogni vena
sul suo
corpo era ora ben visibile e pulsava eccitata.
I suoi
occhi erano nella totalità coperti di nero e il
seiðr intossicava l'aria.
Sul grande
letto, Thor ancora dormiva.
Loki lo
guardò con respiro affannoso sulle labbra, sentendo una voce
sibilare nella sua testa.
So
cosa sto facendo. Andrà tutto secondo il mio piano.
...
No,
non fallirò.
Non
fallirò.
Poi il
portale si aprì.
₪₪₪
Steve
affondò le mani nelle tasche dei suoi jeans quando
avvertì per l'ennesima volta il desiderio di sfiorarle il
viso.
Non sarebbe
stato opportuno.
Linn
continuò a narrare
altri piccoli aneddoti della sua vita su Asgard, a porgergli domande
curiose e a tratti ingenue su quella che scorreva sulla Terra.
Avevano
passeggiato e sorriso. Le aveva fatto assaggiare ogni street food che
conoscesse perché, come aveva spesse volte udito, il modo
migliore per conoscere un posto era conoscerne la cucina.
Di certo un
hot dog all'angolo
non era il massimo della genialità culinaria terrestre, ma
per
sua fortuna Linn sembrava una persona che apprezzava volentieri anche
il più piccolo gesto, il più piccolo dono.
Così
li aveva chiamati: doni.
Qualcosa
che si dava per
scontato come un panino, un caffè, o un stupido racconto del
suo
passato, lei li aveva considerati dei doni.
E Steve
aveva combattuto ancora una volta la voglia di abbracciarla, e non solo.
«Sta
per piovere.» La guardò sollevare il viso in alto
e scrutare con attenzione il cielo.
La
imitò ma non scorse neanche una nuvola.
«Come
fai a dirlo?» chiese curioso.
«È
la pressione dell'aria... Il suo odore.»
I suoi
occhi erano chiusi e le labbra sorridevano dolcemente.
Steve
restò immobile a osservare quel viso finché le
palpebre non si riaprirono.
«È
qualcosa che impari quando condividi tutta la tua vita con chi governa
i fulmini.»
Sorrise a
sua volta.
Thor gli
aveva detto che
poteva capitare che il suo umore influisse sui cambiamenti climatici ad
Asgard e che non era raro che la pioggia governasse il suo regno anche
per intere settimane a causa della sua indole poco incline alla
diplomazia.
Poi in
lontananza un fulmine tagliò il cielo sereno e subito ne
seguì un rombo assordante.
Poi un
altro e un altro ancora.
Il sorriso
morì presto dalle sue labbra.
C'era
qualcosa che non andava.
«Steve?»
Linn
percepì la sua inquietudine.
All'ennesimo
tuono che parve battere dritto nelle sue orecchie la vide sussultare.
«Non
è normale» sospirò guardandosi attorno.
Nessuno
sembrava trovare
stranezze in quel che stava accadendo, cercavano solo un riparo dalle
prime gocce che stavano abbandonando il cielo.
Le nuvole
iniziarono ad
ammassarsi velocemente come fossero nate dal niente. Ed erano grigie e
tetre come cenere che saliva dalla bocca di un vulcano.
La pioggia
divenne sempre più fitta.
«Vieni.»
Afferrò
d'istinto la
mano di Linn e prese a camminare velocemente per raggiungere il muro di
un edificio così da farsi scudo dall'acqua sotto i
cornicioni.
Il suo
scudo, ecco qualcosa che al momento sentiva di volere.
«Cosa
sta succedendo?»
«Non
lo so ma qualcosa mi dice che non è niente di
positivo.»
Quando si
voltò a
guardare il suo viso, solo a quel punto si accorse di avere ancora le
dita intrecciate in quelle della ragazza.
«Ohm..
scusa.»
Immediatamente la lasciò andare non riuscendo a impedire a
un
inopportuno rossore di spandersi sul suo viso.
Linn scosse
il capo. «Non devi, Steve.»
Si
grattò il collo
ancora in imbarazzo quando un nuovo rombo del cielo lo
obbligò a
prestare attenzione a ciò che stava accadendo.
Era solo
pioggia, era solo un temporale esploso nel bel mezzo di un pomeriggio
assolato, eppure c'era qualcosa che non andava.
Una
sensazione per nulla nuova stava pompando velocemente il suo sangue.
I muscoli
si tesero mentre cercava di leggere una risposta da ciò che
lo circondava.
La pioggia
si infittì
ancora, e ancora saette divisero il cielo finché non
iniziarono
a cadere una dopo l'altra, in lontananza, ma in un punto ben preciso
che fu facile da scoprire quando il fumo degli alberi prese a salire.
Central
Park.
«Thor...»
sospirò. «È Thor.»
«Non
può essere,
il principe è...» La frase di Linn rimase tronca
quando la
sentì quasi farsi più piccola al suo fianco.
«Vado
a vedere cosa sta succedendo, resta qui.»
Non
riuscì a fare un passo che sentì una mano fermare
il suo polso.
Una tacita
richiesta nei suoi occhi che non poteva accogliere.
«Potrebbe
essere solo un falso allarme o potrebbe essere qualcosa di peggio, e di
pericoloso, Linn.»
La presa si
fortificò e
Steve quasi non poteva credere fosse quella piccola mano a trattenerlo
con tanta fermezza.
«Resta qui.»
«No.»
Una semplice e breve parola, ma tutta la determinazione a sorreggerla.
Il passo
dei newyorkesi si era
fatto più lesto, i clacson più rumorosi mentre il
traffico si intensificava a causa dell'acqua che cadeva copiosa.
«Linn...»
Tentò un'ultima volta di farla desistere ma fu tutto inutile.
«Se
Lady Sigyn è lì, ed è in pericolo, non
posso restare qui, Steve. Non posso.»
Trattenne
un sospiro perché sapeva cosa fosse giusto fare, ma non lo
fece.
Annuì
e lasciò che la mano di Linn scivolasse fino ad afferrare la
sua.
La strinse
forte stavolta senza tempo per imbarazzarsi di quel gesto.
«Andiamo.»
Iniziò
a correre sotto la pioggia sapendo che Linn riusciva a stargli dietro
senza troppa difficoltà.
La pioggia
bagnò in breve i suoi capelli che gli coprirono parte della
vista.
Attraversò
le strade
ignorando i clacson e voltandosi di tanto in tanto per scorgere il viso
di Linn, come se la sensazione delle sue dita strette nella sua mano
non fosse una prova sufficiente.
Seguì
il fumo ancor
prima dei fulmini, ancor prima dell'odore di bruciato che andava a
invadere sempre più prepotentemente le narici.
Giunse nei
pressi di Central Park e sapeva fin troppo bene dove dovesse andare.
«Linn...»
affannò guardandola, era completamente zuppa d'acqua almeno
quanto lui eppure non sembrò vacillare un solo istante.
Un solo
cenno del capo e la corsa riprese.
Una folla
sempre più
numerosa di persone correva nella loro direzione opposta e dai loro
visi era palese che non fosse quell'acquazzone improvviso la causa.
Adocchiò
immediatamente
la cupola d'acciaio che lo S.H.I.E.L.D. aveva eretto per proteggere il
martello di Thor dall'occhio dei curiosi, non vide però
nessun
agente nei paraggi, Avrebbe dovuto esserci un'intera squadra con agenti
scelti eppure non scorse un solo volto.
Arrestò
il passo.
«Linn,
adesso
ascoltami.» Dovette tenere un tono di voce più
alto del
solito per farsi udire fra il fragore della pioggia.
«Dov'è
Lady Sigyn?»
Non
riuscì neanche a
rispondere alla sua domanda che un nuovo boato lo investì.
Immediatamente fece scudo con il proprio corpo alla ragazza quando
oltre al rumore arrivarono anche dei frammenti di metallo.
Linn
nascose il viso fra le mani e non riuscì a trattenere in
gola lo spavento.
Era stata
un'esplosione.
«Stai
bene?»
Lei
annuì poco convinta e Steve gli scostò qualche
ciocca umida dal viso per avere conferma che dicesse il vero.
Aveva
commesso un errore, non avrebbe dovuto permetterle di seguirlo.
I suoi
timori si erano rivelati fondati: stava accadendo qualcosa.
Quando si
voltò verso il luogo da dove era arrivato il boato per poco
non imprecò.
La cupola
era completamente sventrata con le lamiere che si erano piegate
all'esterno.
Avrebbe
dovuto avvicinarsi
ancora per vedere realmente cosa stava succedendo. Avrebbe dovuto
avvisare gli altri, anche se era più che certo che una
situazione tanto critica fosse stata già registrata
all'agenzia.
E allora
dov'erano i soccorsi?
Doveva
avvisare Stark alla Tower e chiedere a Clint e Natasha di raggiungerlo
a Central Park portando con loro il suo scudo.
Prima
però avrebbe
dovuto porre Linn al sicuro e non riusciva ancora a trovare un solo
luogo nei paraggi che potesse soddisfare le sue esigenze.
Stava
ancora effettuando un veloce studio del perimetro quando qualcosa
rubò tutta la sua attenzione.
No, non
qualcosa, qualcuno.
Il viso di
Linn tradì la stessa sorpresa.
«Il
principe...»
Non ebbe
neanche il tempo per
interrogarsi ancora su quell'incomprensibile rispetto ché
noto
Loki quasi barcollare sulle sue stesse ginocchia fino a crollare a
terra.
Di fronte a
lui avanzava un
uomo; Steve non l'aveva mai visto, ma ciò che gli fece
sgranare
lo sguardo e far mandare in confusione i pensieri fu vedere cosa
stringeva nel suo palmo.
«Non
può essere...»
Mjolnir,
l'arma fedele solo a
Thor, stava ora rispondendo ai comandi di qualcun altro e chiunque
fosse non sembrava avere di certo buone intenzioni.
Non ci
volle molto per scoprire al fianco dell'uomo la sagoma di Amora.
Sentì
lo stomaco
attorcigliarsi su se stesso quando i pensieri del loro primo incontro
tornarono a tormentare il suo orgoglio.
Ancora
faceva fatica a credere di essersi sentito tanto inerme contro una
donna del genere.
Le braccia
incrociate e l'immancabile sorriso sul bel viso.
Anche
l'altro uomo stava sorridendo mentre l'acqua scivolava sulla sua testa
calva.
Amora
sembrava invece non
subire alcun effetto dalla pioggia, come se le infinite gocce la
ignorassero e le cadessero a pochi centimetri dal corpo.
Nessuno dei
due dovette notare
la loro presenza, forse per la distanza, forse perché troppo
preoccupati a far sì che Loki non si sollevasse dalla sua
attuale posizione.
Qualsiasi
cosa stesse accadendo era chiaro che fosse lui a trovarsi in svantaggio.
L'uomo che
brandiva Mjolnir sollevò il braccio con l'arma e dal cielo
un fulmine colpì il metallo del martello.
Ciò
che stava per seguire sembrava essere ridicolmente prevedibile.
«Steve...»
Al suo
fianco Linn si portò una mano a coprire la bocca mentre non
sapeva dire se fosse pioggia o lacrime a bagnarle il volto.
«Devi
aiutarlo.»
«Cosa?»
Scosse il
capo incredulo.
«Ti
prego, Steve, aiutalo...»
E in quel
momento era più che certo fossero lacrime quelle che stavano
abbandonando le sue ciglia.
Aiutare
Loki?
Perché
avrebbe dovuto?
Doveva
chiamare i suoi
compagni e cercare di porre fine a quella storia. Doveva avvertire Thor
che il suo martello era nelle mani di qualcun altro e che Amora era con
lui.
Soccorrere
un nemico, un
essere vile e privo di qualsiasi sentimento come Loki non era nei suoi
compiti, né nei suoi voleri.
Aveva
causato troppo dolore,
troppe madri avevano pianto figli e mariti, troppi figli aveva dovuto
soffrire la perdita di un genitore, un amico, di un fratello che non
sarebbe mai più tornato a casa.
Loki
meritava una punizione eguale ai suoi crimini e lui non avrebbe fatto
nulla per impedirla.
«Ti
prego...»
Saettò
con gli occhi dal viso di Linn a quello dell'uomo che teneva ancora in
alto Mjolnir.
Loki era di
spalle, inginocchiato a terra senza mostrare la forza o l'intenzione di
muoversi da lì.
Stava per
essere colpito, e pur volendo non avrebbe potuto impedirlo.
Ma il colpo
non arrivò.
Amora fronteggiò l'uomo e in quel breve momento di stallo,
Steve
udì ancora la preghiera di Linn.
«Aiutalo,
Steve....»
Ingoiò
un respiro e si scostò i capelli dalla fronte umida con un
gesto quasi di stizza.
«E
va bene» mormorò poggiando gli occhi su un
cassonetto a pochi metri.
Come ai
vecchi tempi, pensò mentre recuperava velocemente il
coperchio di metallo.
«Stai
qui, Linn, e se
fosse necessario scappa via senza voltarti. Qualsiasi cosa dovesse
accadere, a chiunque dovesse accadere. Capito?... Tu corri
via.»
Linn
annuì.
La guardo
un'ultima volta stringendo le dita attorno a quello scudo improvvisato.
Tornò
poi a osservare i tre a qualche centinaia di metri.
Era
più che sicuro che se ne sarebbe pentito.
Smise di
pensare e indossò la sua armatura.
*
«Spettava
a me. Lo
sai.» Amora assottigliò lo sguardo incurante del
potere
smisurato che emanava il Vanr che le era di fronte. «Hai
promesso.»
«Non
morirà, Incantatrice. Voglio solo che assaggi la vera
potenza di quest'arma leggendaria.»
Styrkárr
rise chiamando
altri fulmini che quasi resero incandescente la testa ferrata del
martello. «E poi sarai tu a prendere la sua vita,
così
come d'accordo.»
Alle sue
spalle udì quella che doveva essere una risata, ma che era
suonata nell'aria come un rantolo.
«Morire...»
Loki
tossì tenendosi un braccio attorno alla vita che sanguinava
copiosa. Il suo viso nascosto dai capelli era una maschera di pura
follia. «Sono già morto numerose volte, Vanr... e
sono
ancora qui.»
«È
un'abitudine
che perderai presto, Loki» rispose con sfregio
Styrkárr
facendo roteare l'elsa nella sua mano. «Tuo fratello ti ha
sempre
trattato con gentilezza. Ora sentirai sulla pelle cosa vuol dire
governare realmente il capolavoro dei nani.»
Loki rise
ancora, ancora un rantolo, ancora un colpo di tosse, ancora sangue a
imbrattare le sue vesti.
«Non
è mia
intenzione ucciderlo ora» confessò Amora
avvicinandosi al
Vanr. «Non è così che voglio
farlo.»
Aveva
accarezzato quel momento per troppo tempo per non volerne godere ogni
attimo.
Styrkárr
ascoltò le sue parole e smise di sorridere.
«Bene»
sospirò abbassando il braccio. «È un
tuo diritto dopotutto.»
Gli diede
le spalle per
portare lo sguardo sul capo chino di quel verme Jotun che aveva osato
portare via tutto ciò che per lei aveva sempre avuto un
valore,
le aveva portato via il suo futuro da regina e il posto nel suo cuore.
E avrebbe
pagato caro.
Afferrò
una manciata di capelli fra le dita e lo obbligò a sollevare
il viso.
Non si
stupì di trovarvi un sorriso, un ghigno velenoso, come si
addiceva a quello di una serpe.
«Voglio
farti un dono, principe.»
«Se
è ciò
che hai donato a metà degli Aesir, ne faccio volentieri a
meno... A differenza di mio fratello non mangio nei piatti degli
altri.»
Strinse con
più forza la presa quasi potesse strapparli impietosamente
dalla sua stessa pelle.
Loki non
smise di mostrarle quel sorriso fastidioso.
«Ascoltami
bene,
bastardo Jotun.» Flesse un ginocchio per poterlo guardare
dritto
su quel viso, che nonostante la caparbietà, tradiva la
sofferenza che stava attraversando il suo corpo. «Potrei
cavarti
questi begli occhi verdi e consegnarli direttamente nelle mani della
tua Sigyn.» Solo al pronunciare quel nome il sorriso
vacillò appena. «Potrei portarla qui e strapparle
quel
prezioso cuore dal petto e tu saresti solo in grado di sentire le sue
urla giungere fino ad Asgard.» Strattonò ancora i
suoi
capelli con rabbia. «Potrei farlo e lo farò,
sebbene lo
ritenga solo uno spreco di tempo, perché prendere la vita
della
tua puttana non mi arrecherebbe alcuna soddisfazione.»
Sulle
labbra di Loki c'era ora
solo il veleno di una risposta pronta a colpire, ma Amora non glielo
permise. «Ma vederti soffrire per la sua morte... questa
sì che sarà la mia gioia più
grande.»
Fu a quel
punto che un nuovo sorriso si disegnò sul viso sofferente.
«Fallo.
Uccidila... e lui morirà con lei.»
Lasciò
andare i suoi capelli con sdegno e si sollevò da terra.
Non poteva
averlo fatto!
«Tu...»
Aveva
tenuto gli occhi su di lui sempre, in ogni momento, solo quando era
stato su Midgard le era stato celato-
No.
Realizzò
infine. Lo aveva trovato nelle sue stanze e non l'aveva veduto entrare.
Stupida!
«L'hai
legata?»
Aspettò
che Loki sollevasse lo sguardo ed era così carico di
soddisfazione da farla tremare dalla rabbia.
«Come
una bolla di sapone... ricordi? Scoppiane una e scoppierà
anche l'altra.»
Lo scherno
delle sue parole
quasi la spinse a finirlo lì, subito, senza pensarci due
volte.
Lasciare che Styrkárr facesse cadere ogni setta su quel
corpo ma
alla fine no, non aveva cercato la sua vendetta tanto a lungo per
gettarla via con un moto di rabbia.
Poteva
ancora fargli male, poteva ancora togliergli qualcosa.
«Avevo
intenzione di donarti il tormento eterno, ma ti darò
qualcosa che saprai apprezzare ugualmente.»
Iniziò
a sibilare poche parole che sapeva lui avrebbe compreso.
Il sorriso
si deformò sul viso e si tramutò in una smorfia
furente.
«Lurida
cagna...»
Fu un fiato sempre più debole mentre continuava la sua nenia
e
mentre Loki continuava a contorcersi su se stesso.
Era un
dolce compiacimento
vedere le espressioni di dolore sul suo viso, così come il
tremore che attraversava il suo corpo.
Era
così dolce sapere la sofferenza che gli stava procurando e
che gli avrebbe procurato dopo.
Riuscì
in tempo a finire il rituale quando qualcosa la colpì con
irruenza e quasi perse l'equilibrio.
A terra un
oggetto metallico tondeggiante.
Saettò
con indignazione
nella direzione di chi aveva osato alzare un'arma contro di lei e
incrociò presto uno sguardo che aveva già avuto
modo di
scorgere e che le fu facile riconoscere nonostante il viso scoperto e i
capelli completamente scompigliati dalla pioggia.
«Oh,
il bel
soldato...» sospirò con un sorriso. Alle sue
spalle
Styrkárr sembrò totalmente disinteressato alla
situazione. «Sono felice di rivederti.»
«Vorrei
poter dire lo stesso.»
Aveva
apprezzato da subito
l'audacia delle sue parole, anche se erano solo sinonimo di
stupidità e ignoranza, perché chiunque avesse
saputo chi
fosse Amora non avrebbe di certo osato una tale sfrontatezza nel
rivolgersi a lei.
«Sei
venuto a reclamare
la tua morte, soldato?» chiese divertita facendo scintillare
la
punta delle sue dita prima di formare una piccola sfera di energia.
«Sei fortunato: oggi sono in vena di clemenza.
Sarà veloce
e indolore.»
«Grazie
per l'offerta, ma morire non rientra nei miei piani.»
Quando gli
lanciò
contrò la sfera, il soldato la evitò con un salto
laterale per poi rotolare agilmente sul terreno umido eludendo le
successive che lasciarono la sua mano.
Serrò
la mascella irritata. Quel moscerino le stava solo creando ulteriori
fastidi.
Nel
frattempo Loki era quasi crollato completamente al suolo.
Non
riuscì a non lasciarsi andare a una debole risata.
Aveva
tempo, abbastanza tempo per disfare i suoi fastidiosi inganni e
liberarsi di lui una volta per tutte.
«Possiamo
andare»
sentenziò ignorando il terrestre che era pronto a evitare un
altro possibile attacco evidentemente impossibilitato a portarne a
segno uno. Non aveva armi con sé e quantunque ne avesse
avute,
nessuna delle cianfrusaglie di Midgard avrebbe potuto anche solo farle
un graffio.
«Sicura
che non vuoi liquidare adesso la faccenda?»
domandò il Vanr con finto interesse.
Lei lo
guardò da sopra una spalla e scosse il capo.
«Tempo
al tempo...»
Styrkárr
rise e le porse una mano che accettò senza timore.
Nell'altra Mjolnir vibrava.
Gettò
un ultimo sguardo
al corpo malconcio che giaceva sul terreno fangoso di Midgard trovando
che nulla avrebbe potuto essere più appropriato per un verme
della sua specie.
Striscia.
Striscia come si conviene alla tua natura.
*
La luce fu
accecante ma durò solo pochi secondi.
Steve si
passò una mano sugli occhi quando una moltitudine di flash
neri coprirono la sua vista.
Amora non
era più lì e neanche l'altro uomo.
A terra
solo qualcuno che ancora si chiedeva perche avesse deciso di aiutare.
Non lo
aveva fatto di certo per lui.
Per Linn,
per Thor.
Perché se la dipartita di Loki sarebbe di certo stata una
buona
notizia per la maggior parte della popolazione dell'universo, Thor non
sarebbe mai stato del medesimo parere e benché avesse
più
volte ribadito di essere pronto a fare l'indispensabile per proteggere
la Terra e Asgard dalla minaccia di suo fratello, Steve sapeva che era
una parola che non avrebbe mai potuto mantenere.
La pioggia
diminuì in
fretta per poi cessare del tutto, così come le nubi si
sciolsero
con la stessa velocità con cui si erano unite.
Inspirò
a fondo facendo pochi lenti passi verso quel corpo che respirava con
fatica.
«Ehi?»
lo chiamò privo di colore nella voce.
Ma Loki non
rispose.
Si chiese
ancora una volta cosa stava facendo quando si inginocchiò
accanto per scuoterlo per una spalla.
«Non
toccarmi!» Fu
un ringhio senza troppi complimenti, ma mentre gli scacciava con poca
gratitudine la mano, Loki gli permise di vedere la profonda ferita che
stava sanguinando dal suo ventre.
Ma quello
era un mezzo dio,
non sarebbe di certo morto per così poco, eppure sembrava
soffrire, sembrava soffrire davvero. Non era una finzione, non era un
inganno.
Poteva
davvero fidarsi?
Non gli fu
concessa risposta
che sentì prima i passi veloci calpestare il terreno umido e
poi
vide il viso di Linn a pochi centimetri dal suo, mentre si chinava sul
corpo di Loki con evidente apprensione.
«Mio
principe!»
Loki
alzò il viso e la guardò, Steve era pronto a
spezzargli anche il collo se solo avesse osato-
«Linn...»
E invece quello sorrise e lasciò che lei lo aiutasse a
stendersi con le spalle al suolo.
«Siete
ferito.»
«A
quanto pare...» Una smorfia a sottolinearne la
gravità.
Linn mise
una mano sulla sua ferita e Loki strinse forte la mascella.
«Dobbiamo
medicarlo immediatamente, Steve.»
«Noi?»
Sapeva
quanto suonasse stupido, ma non era riuscito a impedire a quella
domanda di nascere.
Linn lo
guardò con un'altra preghiera sulle labbra e neanche
stavolta poté restare sordo.
«Ok,
chiamo
qualcuno.» Attivò immediatamente l'auricolare
sollevandosi
da terra e continuando a guardare dubbioso il modo con cui Linn si
stava prendendo cura di Loki, soprattutto il modo con cui lui glielo
stava permettendo. «Barton?... Ho bisogno di una squadra a
Central Park...» Gli occhi di Loki incrociarono i suoi e
Steve
sospirò. «E di un'ambulanza... niente
domande, ma
raduna tutti allo S.H.I.E.L.D... chiamate anche Thor.»
Quando
chiuse la chiamata non poté ignorare l'ennesima smorfia
sofferta che aveva piegato il viso del loro nemico.
«Grazie.»
Fu Linn
a dirlo, e Steve era più che certo che se avesse aspettato
il
grazie di Loki avrebbe anche potuto invecchiare, invecchiare per
davvero.
*
«Il
capitano vuole una
squadra a Central Park» affermò Clint portando
immediatamente lo sguardo in quello di Natasha.
«Central
park?» ripeté Bruce. «E
perché?»
«Sarà
stato di
nuovo aggredito da qualche fan squilibrata che voleva farsi autografare
il seno.» Come al solito Tony non prese la cosa sul serio
sospirando annoiato.
«Ha
chiesto anche
un'ambulanza...» Quando ci fu quell'ulteriore informazione
nessuno si permise più di scherzare.
Natasha
osservò ancora il viso di Clint finché non
arrivò l'immancabile accordo silenzioso.
«Ok,
andiamo noi»
affermò controllando immediatamente che il suo caricatore
fosse
pieno. Il suono metallico ne diede la conferma.
«Linn
è con
Steve.» Sigyn sembrò naturalmente allarmata da
quel
dettaglio, ma se fosse accaduto davvero qualcosa a Linn, Steve lo
avrebbe di certo riferito. No, non si trattava di lei, si trattava di
altro, e quando il capitano Rogers spendeva così poche
parole
era qualcosa che non gli piaceva per niente.
Clint aveva
già allertato la prima squadra disponibile e un'ambulanza a
seguito.
«Stark,
vai a prendere
la tua armatura, e tu Bruce resta con lei» comandò
ancora
la Vedova riflettendo sulla possibilità di un prossimo
attacco
da chiunque fosse guidato, anche se vista la situazione, tutte le
opzioni di scelta convogliavano in un solo unico nome.
«Vengo
con voi.» Sigyn dovette pensare lo stesso.
«No.»
La
fermò prima che facesse anche un solo passo. «Non
saresti
di aiuto, qualsiasi fosse la situazione.» Fu glaciale ma
sapeva
bene fosse l'unico modo per impedirle di insistere.
Saresti in pericolo.
Era questo che avrebbe voluto dire, ma Thor era sempre stato un
testardo spesse volte privo di buon senso, Sigyn non poteva di certo
differire.
I suoi
occhi azzurri si
strinsero in sottili linee ma non una parola lasciò le sue
labbra. Le mani in due pugni stretti restarono ferme lungo i fianchi.
«Tenetevi
pronti.» Un cenno di assenso per ognuno - Stark
preferì un'alzata di mano.
«Salutatemi
Cap.»
Clint
sorrise aprendo la porta. «Sarà fatto.»
Il viaggio
fino a Central Park non durò che una manciata di minuti.
*
Quando
l'auto raggiunse il
luogo Clint non ebbe neanche il tempo di scegliere l'esclamazione
migliore per rappresentare il suo attuale stato d'animo.
Inserì
il freno a mano
e si sfilò gli occhiali da sole guardando il capitano fermo
in
piedi di fronte alla vettura. A terra, a pochi metri, avrebbe preferito
ci fosse un esercito di kamikaze di Al Qaida e non
quel...«Brutto figlio di puttana.»
Al suo
fianco Natasha mormorò in russo più o meno lo
stesso.
*
«Devo parlare con
Jane.»
Bruce
sapeva che quel momento sarebbe arrivato.
«Non
credo sia il
momento migliore.» Tony era tornato alla Tower e lui era
rimasto
in quella stanza con Sigyn, Thor, non sapeva neanche che nome darle.
“Il cuore di Thor in un
corpo modellato dalle parole di un incantesimo.”
Era così
che si era definita, con un'innaturale calma delle parole e una ovvia
agitazione nello sguardo.
Era umana a
tutti gli effetti,
di questo non poteva che esserne sicuro. Era stato lui a esaminare il
suo sangue e i suoi valori, era stato lui a visionare le lastre del suo
corpo, e che quella donna fosse una comunissima donna come ogni altra
che viveva sulla Terra era un fatto innegabile.
Era reale
come l'aria che stava respirando, reale come la paura che stava
provando.
Controllò
il conta
battiti al suo polso: erano tutti regolari, eppure sentiva caldo. Dal
collo in su era come se avesse la testa chiusa in una bolla di vetro.
«Jane
ha il diritto di sapere.»
«Non
sto dicendo che non
devi dirle niente, anzi. Voglio solo dire che in questo momento i suoi
studi sono l'unica cosa che le consente di tenere
l'equilibrio.»
Sigyn
seguì il suo discorso e si sedette su una sedia prendendosi
la testa fra le mani.
«Lasciala
lavorare e
starà bene. Non ha bisogno di altre verità al
momento...
e non ne hai bisogno neanche tu.»
«Cosa
vuoi dire?» I suoi occhi lo pregarono di tacere
così come le labbra lo invitarono a parlare.
Bruce si
chiese a quale dare ascolto.
Prese un
profondo respiro e si sedette sulla sedia accanto a lei.
«Pensa
a come si
è comportato Loki e a come hai reagito tu.» E
sebbene
Bruce non fosse stato presente, conosceva fin troppo bene l'indole di
Thor e tanto bastava per immaginare la sua possibile reazione.
«Anche la reazione di Jane potrebbe essere naturalmente
forte...
E poi scaricare una verità tanto pesante su qualcuno solo
per
alleggerirsi la coscienza è un comportamento egoista. E tu
non
sei una persona egoista.»
«In
questo momento non
so più che persona sono, Bruce. Ho perso la certezza di cose
che
ho dato per scontate per lungo tempo, e temo che l'essere un egoista
sia solo la più dolce delle scoperte della mia vera
natura.» Sigyn si accarezzò gli occhi con le dita.
«Se è un cuore ciò che ha portato alla
luce mio
fratello, so per certo che questo cuore non appartiene a chi ho
guardato allo specchio per secoli.»
«Sei
sempre tu, Thor. Non lasciare che Loki giochi con le tue
convinzioni.»
Tornò
ad avere l'attenzione del suo sguardo eppure sentiva i suoi pensieri
nuovamente altrove.
«Nessuno
conosce
realmente ogni dettaglio della propria natura. Ci sono lati di noi che
non vogliamo vedere, che ci spaventano, eppure ci sono. Ogni uomo
possiede luci e ombre, ma sta a noi decidere con quali vogliamo
affrontare la vita.»
«Il
tuo parlare è saggio, amico mio, eppure mi è
così difficile far mie le tue parole.»
E parole
erano, perché
Bruce sentiva la lingua vacillare nel pronunciarle e se era vero che
ogni essere poteva scegliere da quale parte stare, con quale parte di
sé vivere o convivere, era altresì vero che alle
volte
era semplicemente una delle due a prevalere, per quanti sforzi
potessero essere fatti per impedirlo.
Essere
egoisti o generosi, essere astuti o ingenui, essere sinceri o bugiardi.
Buoni o
cattivi.
Finché
riuscivi ancora a sentire quella distinzione c'era
possibilità di scegliere.
«Se
non dovessi trovare un modo per riunirmi con il mio corpo...»
«Lo
troverai. Troveremo un modo.»
C'era
ancora paura nei suoi occhi, ancora dubbi nell'esitazione sulla sua
bocca.
«E
fino a quel momento?... Chi sarò, Bruce?»
«Tu
sai chi sei.»
Un pallido
sorriso si
aprì sul suo viso. «Un uomo saggio e un amico
sincero. Hai
tante nobili doti, Bruce Banner.»
L'imbarazzo
si tramutò in una risata e scrollò le spalle poco
convinto.
«Tante
nobili doti e anche una buona dose di stranezza, direi.»
Sigyn rise
a sua volta e Bruce lasciò andare un po' di inquietudine con
una nuova risata.
«Di'
un po', è
vero che stavi per gettare Tony dal tetto?» Cercò
di
sdrammatizzare ulteriormente la situazione e Sigyn scosse il capo
sempre sorridente.
«Non
sarebbe stato originale.»
«Già...
è Loki ad avere l'esclusiva di far volare Tony senza
armatura.»
Ecco, la
frase assolutamente inopportuna da dire.
Sei
il solito idiota, Bruce.
Si
rimproverò, ma il
sorriso non abbandonò le labbra di Sigyn, anzi si
allargò
fino a tramutarsi in una nuova calda risata.
Che fosse
sincera o meno, non sapeva dirlo, fu solo sollevato di udirla.
Il
cellulare squillò proprio in quel mentre.
Era Natasha.
«Allora,
che succede a Central Park?»
«Qualcuno ci ha lasciato un bel
pacchetto regalo.»
Corrucciò
la fronte e lasciò trapelare a Sigyn la sua confusione.
«Perdonami,
Natasha, ma se inizi a parlare anche tu per metafore non credo che i
miei nervi possano reggere molto.»
Bastava
Tony e il suo sarcasmo a metterli alla prova in ogni dannato momento.
Dall'altra
parte udì un brusio confuso e gli parve di riconoscere sia
la voce di Clint che quella di Steve.
«È Loki, Bruce.»
Non riuscì a far scendere la saliva. «È ferito. Lo stiamo
portando allo S.H.I.E.L.D.»
«Siete
impazziti?»
Dovevano
esserlo sul serio se si lasciavano fregare di nuovo dal solito cavallo
di Troia.
«Non
abbiamo avuto altra scelta. Cerca di fare qualche esercizio di
respirazione, perché ho bisogno che tu resti concentrato e
soprattutto che resti in te, Bruce.» Non sapeva
cosa dire, sentiva solo il battito aumentare e gli occhi di Sigyn
scrutarlo in cerca di risposte. «Informala. Stiamo tornando.»
Fu l'ultima
cosa che udì da Natasha.
«Cosa
è successo?»
Non seppe
darle una risposta per i successivi ventitre secondi.
Quando
ritrovò l'uso della lingua nel ventiquattresimo
riuscì soltanto a dire un nome.
«Loki.»
***
NdA.
Come promesso: aggiornamento superpuntuale!
Il prossimo non posso assicurarvelo però *^*
Sorry! é_è
Un abbraccio a tutte ❤
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 14 *** Alleanze tradite ***
cap14
L' ultima lacrima
XIV.
Emorragia interna. Era stata
questa la prima diagnosi e Steve non riusciva a capirla, o meglio, ad
accettarla.
«Dovrebbe
guarire da solo» mormorò a Clint seduto accanto a
lui in quell'ambulanza.
Loki era
steso su una barella con quattro mani che cercavano di arginare la
fuoriuscita del sangue. Sibili delle macchine e garze e aghi.
Linn sedeva
sul lato opposto con un'espressione così sofferente da farlo
quasi sentire in difetto per non condividerla.
Clint aveva
deciso di restare in quell'ambulanza perché no, stavolta non
avrebbe permesso a Loki di fotterli, così aveva detto.
«Forse
è la volta buona che crepa.»
La risposta
fu dura e sincera, e fu la sua sincerità a farlo sospirare.
Se da una
parte la morte di Loki sarebbe stata una liberazione, dall'altra non
avrebbe permesso loro di sistemare la situazione in cui si trovava
Thor.
«Avete
avvisato Thor?» Alla sua domanda Clint non rispose
immediatamente, teneva lo sguardo fisso sul viso assopito di Loki; i
medici lo avevano imbottito di antidolorifici obbligandolo in un sonno
forzato.
Per non farlo soffrire...
Che
insopportabile beffa.
«Nat
ha chiamato Bruce.»
Annuì
alle sue parole tornando a studiare quell'insolito contesto.
Natasha li
seguiva con il resto degli agenti.
Alla cupola
di metallo avevano trovato sette corpi sotto le macerie, avevano
chiamato altrettante ambulanze perché l'unica presente era
stata destinata a quell'essere.
Non
avrebbero dovuto sprecare un solo medicinale con lui, avrebbero dovuto
lasciarlo nelle mani dei suoi aguzzini e fargli scontare la pena a cui
era stato destinato.
Steve
avrebbe dovuto lasciarlo morire.
Non l'aveva
fatto.
Pietà?
Generosità? Nobiltà?
No, non
c'era nulla di nobile nel suo gesto, non c'era la volontà di
salvargli la vita.
Aveva solo
eseguito, per l'ennesima volta, un ordine. Un ordine sospirato come una
preghiera.
Non aveva
fatto poi molta differenza.
“Aiutalo, Steve...”
Alzò
di nuovo lo sguardo sul viso di Linn ormai senza più
sorprendersi di trovarlo umido di lacrime.
Piangeva
per lui, per la vita di qualcuno a cui non era mai importato di quella
degli altri. Qualcuno che aveva ucciso e goduto nel farlo, che aveva
massacrato innocenti senza provare rimorso.
«Ci
sono novità» sospirò Clint al suo
fianco con le dita che accarezzavano l'arco con movimenti studiati.
«Quali?»
«Thor.»
In quella
piccola ambulanza nessuno sembrava preoccuparsi delle loro parole. I
medici continuavano a curare le ferite di Loki e Linn aveva smesso di
piangere e iniziato a bisbigliare qualcosa fra le labbra.
Preghiere,
pensò Steve, preghiere verso chissà quale Dio.
Clint non
riprese subito la parola. Lo guardò a lungo e poi
ringhiò un'imprecazione fra i denti.
«La
storia è un po' lunga ma, per farla breve, Thor non
è propriamente Thor.»
Non
capì. Aggrottò la fronte e lasciò al
suo sguardo parlare della sua confusione.
«Cosa
vuoi dire?»
Clint si
fece più vicino.
«Voglio
dire che questo bastardo ha trovato il modo di separare una parte di
Thor e trasformarla in quella bionda. Ecco cosa voglio dire.»
Assimilò
quelle parole e cercò di comprenderle.
Thor non
era Thor.
Una parte
di Thor nel corpo di una donna.
Quella
donna non era Thor.
Abbassò
lo sguardo sul viso addormentato di Loki e sospirò.
«Sigyn...»
«Esatto.»
Eppure
c'era ancora qualcosa che non era chiara.
«Ma
perché ha fatto una cosa simile?»
E fu a quel
punto, mentre udiva i medici parlottare fra di loro di emocromo e
pressione, che Clint gli raccontò cosa fosse accaduto
qualche ora prima alla Tower. Il piano di Tony di smascherare in
qualche modo le vere intenzioni di Loki. Il comportamento assolutamente
assurdo di Thor - o Sigyn? - che aveva aiutato suo fratello nel
recupero di un oggetto non meglio identificato ma che aveva la
capacità di derubare dell'anima un essere vivente.
Troppe
informazioni e troppo poco tempo per metabolizzarle.
L'ambulanza
si arrestò e le porte si aprirono con un rumore metallico.
«Portatelo
subito in sala operatoria» comandò uno dei medici
mentre facevano scendere con rapidità la barella dallo
scivolo del mezzo.
Clint la
seguì immediatamente mentre Steve rimase su quell'ambulanza
con i capelli e i vestiti fradici e mille domande nella testa.
Solo quando
sentì nuovamente un pianto, si accorse che anche Linn era
rimasta con lui; le mani intrecciate e gli occhi chiusi.
Non
riuscì a chiederle nulla.
Come stai?
Chi stai pregando?
Perché ti importa
tanto della sua vita?
Restò
in silenzio ad ascoltare le sue lacrime.
«Lady
Sigyn...» Le udì mormorare. I suoi occhi azzurri
lo guardarono umidi e quasi più belli.
«È
stata avvisata» rispose con troppa freddezza forse, ma Linn
non parve avvertirla.
«So
quanto ti è costato ciò che hai fatto,
Steve.»
No, non
poteva saperlo, non poteva sapere degli agenti in fin di vita nelle
altre sette ambulanze. Non poteva sapere delle notti insonni con gli
incubi di quella prima invasione a tormentarlo ogni notte, con le urla
delle persone che non era riuscito a salvare. Linn non poteva sapere
che salvando la vita di Loki aveva in qualche modo calpestato quella
che avevano perso coloro morti per mano della sua follia.
«Non
l'ho fatto per Loki.»
Sperava
soltanto che quella motivazione potesse acquietare un po' la sua
coscienza.
Linn si
coprì di silenzio e asciugò il suo viso. Il resto
del suo corpo era ancora bagnato dalla pioggia che li aveva investiti
in quel pomeriggio.
Un
pomeriggio che aveva creduto potesse essere diverso, libero dalla sua
divisa, ma non era stato così.
Steve
Rogers non avrebbe mai potuto smettere i panni di Captain America.
Captain
America non glielo avrebbe mai permesso.
*
Quando lo
vide steso su quelle lenzuola sporche di sangue, Sigyn sentì
il suo cuore fermarsi per interi attimi fino a ripartire nuovamente a
ritmo forsennato.
Il rumore
cigolante delle ruote con cui veniva trasportato le passò
accanto come un vento e lei restò immobile a guardarlo
sparire dietro le porte d'acciaio di una camera luminosa.
Il tempo
rallentò e si dilatò, i suoni divennero voci
sott'acqua e il suo respiro era l'unica cosa che riusciva a udire.
Qualcuno le
disse qualcosa. Forse era Bruce, forse Natasha.
Qualcuno le
scosse una spalla.
Restò
con lo sguardo fisso a quella porta finché un viso non le
coprì la vista: era il viso di Natasha.
«Thor?
Thor?»
Guardò
le sue labbra muoversi e quel nome risuonare.
«Loki...»
sospirò.
«Se
ne stanno occupando i medici, anche Bruce sta per entrare.»
Quella bocca vermiglia si mosse ancora.
«Sta
morendo?» Non riconosceva la sua stessa voce. «Non
può morire. Loki non può morire...»
Non può lasciarmi...
Era Thor a
parlare? Era lui a rifiutare categoricamente di perdere così
suo fratello? Perderlo senza aver avuto ancora modo di ritrovarlo?
Era Sigyn?
Era lei che si sentiva schiacciare dall'idea di non rivedere
più i suoi occhi? Di non udire la sua voce? Di non poter
toccare le sue mani?
Dov'era ora
la rabbia? Dov'era la paura di non sapere di chi era il cuore che
batteva furente nel suo petto?
Aveva
davvero importanza?
«Non
morirà.»
Natasha
parlò ancora e solo in quel momento riudì i suoni
del mondo che aveva chiuso fuori in quei lunghissimi secondi. Vide le
luci del corridoio e sentì il calore della sua mano che le
stringeva il braccio.
«Cos'è
successo?» chiese con un sospiro soffocato che
tentò di rendere il più stabile possibile.
«I
dettagli li conosce Steve, ma pare che Amora e qualcun altro lo abbiano
attaccato.»
Tradito... Era
questa la verità.
Loki era
stato tradito, tradito per l'ennesima volta.
«Ma
non è tutto.»
Spostò
a fatica gli occhi dalla porta per riportarli al viso della sua
compagna.
«Parla»
le intimò con poche incertezze.
«Il
tuo martello. L'hanno preso.»
E se prima
era stato silenzio nella sua testa, in quel momento fu un sibilo
affilato a trafiggerla.
Nessuno
poteva rivendicare Mjolnir, nessuno ne era degno a parte Thor.
Fu in quel
momento che la realtà prese colore e le sfumature delle
domande sparirono nella definizione di una risposta.
L'anima di
Thor.
Tornò
a fissare la fredda porta e sentì il sapore salato della
delusione scendere sulla lingua.
Cosa hai fatto, Loki?
Cosa hai fatto, fratello?
ஐஐஐ
Frigga udì la
presenza della guardia ancor prima del suono delle suole che battevano
leste i pavimenti di marmo del palazzo.
L'aria mite
del mattino accarezzava gentile il suo viso e il canto di un'allodola
le faceva compagnia, sebbene fosse incapace di cancellare in lei ogni
ombra di tristezza e timore.
Quando le
ante si spalancarono con un suono deciso, l'allodola spiegò
le ali e fuggì via spaventata, portando con sé le
note della sua melodia.
Frigga si
voltò priva di richiami per la guardia che aveva messo piede
nelle sue stanze senza chiederne il permesso, perché la
notizia che portava poteva solo essere di importanza tale da far
mantenere a Heimdall la parola data.
«Mia
regina.»
«Parla
pure.» Mise fine presto alla reverenza obbligata da un ruolo
e aspettò impaziente le parole dell'uomo che splendeva nella
sua armatura d'oro e seta.
«Heimdall
chiede la vostra presenza al ponte con premura, mia regina, e
perdonatemi se ho osato mancare ai miei doveri di suddito.»
Immediatamente il ginocchio del soldato toccò terra mentre a
capo chino chiedeva ancora una volta perdono per aver rispettato il
comando di un Guardiano e non quello di un sovrano.
«Alzati
pure, soldato.» Lo invitò raggiungendolo con passi
armonici ma rapidi. «E scortami al ponte cosicché
il tuo cuore possa dirsi libero dal peso di questa tua
mancanza.»
L'uomo
abbassò ancora il capo levandosi in piedi e battendo il
pugno contro il petto.
«Ai
vostri comandi, mia sovrana.»
«Buon
Heimdall, quali notizie mi chiedi di ascoltare?»
L'occhio
perso come sempre nell'abisso dell'universo e le miriadi di vite a
riflettersi nel fondo della sua ambra. Frigga sperò che le
labbra del fedele alleato si muovessero a pronunciare parole che
avrebbero alleviato la pena del suo cuore di madre.
«La
luce di Midgard è ora ben chiara alla mia vista,
regina.»
«E
i miei figli? Vedi anche la loro luce?»
La sua
espressione restò come al solito immutata mentre Frigga,
sapeva, il suo volto parlava di preoccupazione e apprensione, di
debolezze di donna che non avrebbero portato di certo lustro al suo
ruolo di monarca.
«Sì,
mia regina, vedo anche la loro luce ma essa si perde attraverso quella
del resto delle vite di Midgard.»
«Spiegati.»
Eppure
temeva di aver compreso.
«L'una
è pallida e fioca eppure forte, l'altra splende di colori
che non dovrebbe possedere.»
A quel
punto Heimdall portò la sua millenaria vista al suo viso e
Frigga capì.
«Sono
al sicuro?»
Non ebbe
risposta ché avvertì un brivido attraversare la
sua pelle. Lo sguardo si posò al profilo di Asgard.
«È
tempo di tornare, regina Frigga.»
Heimdall
non pronunziò più alcuna parola tornando ai suoi
doveri di guardiano.
Frigga
respirò a fondo lasciando che la guardia l'accompagnasse
fino ai cancelli della città per poi congedarla.
Raggiunse
in solitudine le stanze del palazzo, raggiunse in compagnia solo dei
propri pensieri la camera reale.
Odino
l'accolse con un'occhiata gelida.
«Dove
sei stata?»
«Sai
bene dove sono stata.» Si mosse lentamente verso di lui
raggiungendo la balconata che gettava la sua vista sul verde dei
giardini. «È lì che sei venuto a
chiamarmi.»
Odino
continuò a regalarle gelo.
«Heimdall
non conosce ogni cosa.»
«La
sua vista giunge in ogni dove.»
«La
vista non è conoscenza, moglie mia.» Il tono
autoritario che celava malamente il suo richiamo.
Frigga
guardò il viso del suo compagno a lungo.
«Sono
in pericolo, questo lo sai, e devi fare qualcosa per
soccorrerli.»
«Ho
ancora dei mocciosi da allevare e non lo sapevo.»
«Risparmiami
il sarcasmo puerile della tua rabbia, Odino!»
«E
tu risparmiami le richieste sciocche di una donna spaventata! Sei una
regina, comportati come tale o mi porterai a credere che non sono state
mie le mancanze che hanno generato un tale fallimento.»
Strinse con
forza i pugni sentendo il petto pungere.
«Loki
non è stato un fallimento. È tuo figlio, e che tu
sia dannato quando parli con tale astio!»
«È
stato lui a scegliere di non avere un padre. Ne ha ucciso uno e tradito
l'altro.» Odino abbandonò con fretta il balcone ma
Frigga non aveva intenzione di concedergli ancora una fuga.
«Non
hai mai voluto comprenderlo davvero.»
«Basta
con questo tedio. Non ha più importanza.»
«L'avrà
sempre e peserà sul tuo cuore tanto quanto pesa sul
mio.»
Ma suo
marito non volle ascoltare altro, le diede ancora le spalle e
varcò la soglia delle loro stanze lasciando che la porta si
chiudesse priva di garbo.
Frigga era
conscia del dove fosse diretto e temeva il suo ritorno, stavolta temeva
davvero.
Perché
il Guardiano aveva giurato fedeltà al Grande Padre, e al
Grande Padre doveva risposte che a lei non erano concesse.
Poteva solo
pregare di poterle affrontare, pregare soprattutto che Odino potesse
affrontarle.
Cercò
nel cielo ancora un'allodola, ma nessuna creatura aveva per lei un
canto felice.
ஐஐஐ
Linn si
avvolse ancora una volta nella coperta che un cortese soldato vestito
di nero le aveva donato.
Si strinse
e cercò di non tremare.
Il freddo
era lieve, l'acqua che grondava sul suo corpo era nulla rispetto alla
tormenta che stava soffiando dentro di lei.
Non lo
aveva più visto. Da quella sera Linn non aveva
più incontrato lo sguardo del suo principe.
La sera che
precedette la mancata incoronazione, quando il principe Loki se ne
stava in silenzio seduto sui gradini del palazzo.
Nella
grande sala dei banchetti, si festeggiava la gloria e il coraggio del
principe Thor, la sua prossima vita da re, la sua grandezza di
condottiero e sovrano.
Il principe
Loki non era in quella sala.
Linn aveva
osservato da dietro una colonna il suo viso piegato in pensieri che non
poteva di certo conoscere, che non osava neanche provare ad avvicinare.
Aveva osservato le sue labbra prive di sorriso e i suoi occhi perdere
il verde per abbracciare il nero di uno sguardo spoglio di luce.
I capelli
in disordine sul viso.
Un'immagine
che pensava di aver dimenticato.
“Linn!”
Era stata Jayr a chiamarla e in quel momento il principe l'aveva
scoperta.
Aveva
temuto di aver provocato la sua collera per quel comportamento
inopportuno ma il principe Loki non le aveva donato rimproveri, solo
uno sguardo. Un lungo sguardo che si era spezzato nel momento in cui
Jayr aveva afferrato il suo braccio.
“Dobbiamo andare.”
Le aveva intimato tirandola via con poca gentilezza. Linn aveva
guardato un'ultima volta le scale, ma quel ragazzo triste non era
più lì.
La festa
era continuata fra danze e baldoria.
Il giorno
che ne era seguito aveva cambiato per sempre l'equilibrio di Asgard.
«Devi
asciugarti.» Steve era rimasto al suo fianco, Steve aveva un
cuore più grande di quanto aveva creduto.
Se non
avesse versato tutte le lacrime in quella carrozza bianca, Linn ne
avrebbe versate per ringraziarlo della sua generosità.
«Anche
tu dovresti cambiare le tue vesti, Steve.»
I suoi
capelli avevano iniziato ad asciugarsi sebbene qualche ciocca umida
ancora ricadesse sulla sua fronte al momento corrucciata.
Però
le aveva sorriso, quel sorriso che la stava riscaldando più
della coperta che cingeva il suo corpo.
«Non
mi ammalerò, tranquilla.»
I corridoi
sembravano gli stessi che l'avevano accolta la prima sera, eppure il
loro odore era diverso. Era un odore pungente e intenso che sembrava
impregnare l'aria.
Gli uomini
che avevano soccorso il principe Loki indossavano vesti bianche e Linn
aveva incrociato molti altri uomini con il medesimo abbigliamento.
Erano i guaritori di Midgard che utilizzavano fiale e pozioni invece di
riti e rune guaritrici.
«Per
di qua.» Quando svoltarono l'angolo, una fitta si
conficcò nel suo stomaco nello scorgere la chioma bionda
della sua signora.
Avrebbe
voluto affrettare il passo eppure le sue gambe rallentarono
costringendo Steve a tenere il suo ritmo lento.
Lady Sigyn
era in piedi poggiata contro un muro, le braccia piegate sul seno e
l'espressione seria e asciutta.
Non una
lacrima le rigava il viso, non un fremito le scuoteva le membra.
Non furono
che una manciata di passi prima che lei si accorgesse di loro.
Vide solo
in quel momento la gola sussultare ma i suoi occhi azzurri guardavano
il viso del capitano Rogers.
Al suo
fianco la bella Natasha li accolse con poche parole.
«È
fuori pericolo. Gli stanno dando un paio di punti
sull'addome.»
Sospirò
sollevata chiudendo gli occhi per ringraziare le Norne di quella
notizia felice.
«Tu
come stai?» La voce di Steve la riportò alla
realtà.
«Bene.»
Lady Sigyn rispose con freddezza.
La stessa
freddezza sembrò coprire anche le parole del capitano.
«Clint
mi ha detto cosa è accaduto oggi.»
La sua
signora abbassò lo sguardo bagnandosi le labbra e
annuì.
«Mi
prendo le responsabilità per le mie azioni, Steve.»
«Non
sono le responsabilità che mi interessano,
Thor...» Al pronunciare quel nome entrambi cessarono di
parlare.
Cos'era
accaduto? Quali potevano essere queste responsabilità?
Non chiese
e non ebbe risposta.
«Credo
che questo sia un discorso da affrontare quando avremo modo di parlare
con Loki.» Fu Natasha a riprender parola
«Perché
non è guarito da solo?» E la domanda di Steve
portò nell'aria un denso silenzio.
«Non
lo so» asserì Lady Sigyn. «Forse
è solo uno dei suoi soliti imbrogli.»
«No!»
Mise più voce di quella che voleva in quella negazione e lo
sguardo di Lady Sigyn fu finalmente nel suo. «La sua
sofferenza era reale, mia signora... Non c'era menzogna nel dolore del
principe.» Le mani erano ancora sporche del suo sangue.
«Anche
a me pareva che stesse parecchio male.»
Lady Sigyn
continuò a guardarla e poi abbassò lo sguardo e
Linn fu più che certa di scorgere il luccicare di una
lacrima nei suoi occhi.
«Come
stanno gli agenti feriti?» chiese Steve.
«Sono
ancora tutti vivi. Ne avranno per qualche mese ma per fortuna si
rimetteranno.»
Lo
udì sospirare sollevato a quella notizia.
«Bene...
Dov'è Stark?»
«Alla
Tower, ma non credo ci raggiungerà.»
Steve
chiese ancora qualcosa a Natasha e lei gli rispose con zelo, Lady Sigyn
non disse più nulla e continuò a guardare di
fronte a sé una grande porta di freddo acciaio.
«Mia
signora?» Ebbe di nuovo la sua attenzione ma non ne
approfittò per dire nulla.
«Va'
ad asciugarti, Linn.» Abbassò il capo ma non fece
un solo passo.
«Ti
accompagno io.» Natasha le sorrise ma fu il sorriso che non
piegò la bocca di Lady Sigyn a spingerla a seguirla.
*
Il silenzio
pesava come un macigno nonostante fosse centellinato dal secco girare
di una lancetta sul muro.
Thor non
gli aveva chiesto come stesse, non gli aveva chiesto cosa fosse
successo, se Linn fosse stata in pericolo, se qualcun altro avesse
rischiato la vita a causa delle azioni di suo fratello.
Thor era
rimasto silente a fissare un punto che forse non era neanche davanti a
sé, era più lontano e più profondo,
talmente profondo che Steve si chiese fin dove potessero giungere i
suoi pensieri.
Sapeva del
suo martello? Gli era stato detto di Amora e di un uomo con la
capacità di sollevare la sua arma?
Ma ogni sua
domanda fu spazzata via quando fu Thor a porgergliene una e una
soltanto.
«Perché
l'hai salvato?»
Gli occhi
non si mossero di un solo millimetro da quel punto impossibile da
raggiungere.
Seduto su
una seggiola Steve sospirò poggiando la nuca ancora umida
contro il muro.
«Non
lo so.»
Forse perché era
giusto, forse perché me l'ha chiesto Linn, forse l'ho fatto
per l'affetto che mi lega come un fratello a un amico, un amico che non
riesco più a vedere quando ti guardo.
Tutto
rimase fermo nella gola.
«Grazie.»
Non
riuscì a non sorridere amaro.
«Per
tutto il tragitto in ambulanza mi sono detto che era giusto che
morisse.» Sapeva che erano parole dure e prive di tatto, ma
erano anche le uniche vere.
«Lo
era...» Alzò il viso e incontrò il suo
sguardo. «Per questo ti ringrazio, Steve.»
Fece solo
un cenno con la testa lasciando alle lancette dell'orologio di misurare
quel nuovo silenzio.
*
Aveva
comprato quel divano, quando? Due, tre mesi fa? Quattro?
Lo odiava.
Era arrivato a questa conclusione.
Sistemò
ancora il cuscino dandogli qualche colpo con il pugno.
Piedi a
penzoloni sul bracciolo e il freddo di una coca cola nella mano.
Tony Stark
che beveva una coca cola: il massimo dell'assurdo.
Ma erano le
sette di sera e aveva già collezionato una bella dose di
alcol nel suo sangue. L'addestramento di Linn poi era stato un extra
non previsto.
Sentì
un bozzo contro l'orecchio e con un ringhio afferrò il
cuscino e lo lanciò lontano.
Udì
il suono ovattato di piedi nudi sul pavimento.
«Odio
questo divano» sospirò e aspettò che
Pepper si affacciasse dallo schienale.
«Non
puoi odiarlo, lo hai scelto tu.» E il cuscino gli ricadde sul
viso.
«Non
ne sono certo.» Si mise a sedere tirando un sorso dalla
cannuccia della sua bibita. «Posso affermare con sicurezza
che tu mi abbia circuito affinché dicessi di sì a
questo orrore di design e fallimento di ergonomia.»
«Circuito?»
Sorrise lei voltandosi a guardarlo coperta solo da una debole veste
color lavanda.
«Vuoi
negare forse di avere questa capacità?» Ed era
così bella quando sorrideva che Tony avrebbe voluto fermare
il tempo ogni volta.
«Se
avessi la capacità di circuirti non la userei per cambiare
l'arredo di casa.»
«Davvero?»
E ne seguì il suono gracchiante dell'ennesimo risucchio di
cannuccia.
«Davvero.
Preferirei usarla per impedirti di fare qualche stupidaggine tipo
cavalcare testate nucleari... o litigare con i tuoi amici sul tetto
dello S.H.I.E.L.D. come un liceale con l'acne.»
Perfetto,
aveva parlato con Natasha.
Si
lasciò cadere ancora sul divano coprendosi stavolta
volontariamente il viso con il cuscino.
«Mi
hanno istigato» brontolò attraverso la stoffa.
«La
versione di cui sono in possesso vede te iniziare a punzecchiare
Thor.»
Sbuffò
sentendo il suo fiato scaldare il tessuto. «La tua versione
è quella della Romanoff ed è appurato che la
Romanoff mi odi, ergo, non è attendibile.»
«Ergo,
sei il solito bambino.» Il cuscino sparì giusto il
tempo per ricadere sulla sua faccia.
I passi di
Pepper si allontanavano in direzione delle camere.
Saltò
giù dal divano facendo cadere la lattina a terra - e grazie
a Babbo Natale era vuota, e quindi aveva evitato di macchiare il
tappeto persiano che era più che certo avesse scelto lei.
«Se
sapessi tutta la storia staresti dalla mia parte»
sentenziò poggiandosi contro lo stipite della porta mentre
Pepper raggiungeva la cabina armadio.
«So
tutta la storia e continuo a ripeterti che ti sei comportato in modo
infantile con Thor.»
«Perché
è infantile l'aver ripreso il suo comportamento?
È stato lui a mentire e a nasconderci la visita di Loki.
Cosa dovevo fare? Fargli un applauso e chiedergli di autografarmi il
calendario?»
Sull'ultima
frase Pepper lo guardò aggrottando la fronte.
«Beh,
Clint dice che in questa nuova forma Thor somiglia alla modella di
febbraio del suo Playboy.»
E da come
aveva roteato gli occhi capì che era un'informazione di cui
lei avrebbe fatto volentieri a meno.
«Ok,
forse non le somiglia molto. Anzi, non saprei neanche dire se le
assomiglia. Io non l'ho visto il calendario di Barton.»
«In
compenso hai visto altro,
o sbaglio?»
Ops, la
ripresa del bagno.
Era logico
che Natasha non si fosse lasciata sfuggire occasione di complicargli
ulteriormente la vita.
«Era
per fini scientifici: la nobile ricerca della verità. Non ho
tratto alcun appagamento fisico né mentale dal vedere Thor
che faceva il bagno.»
Un paio di
vestiti furono gettati sul letto e subito ne seguono altri.
«In
due anni che viviamo insieme non mi hai preparato il bagno neanche una
volta.»
«Te
l'ho detto, tesoro, fini scientifici.» Il successivo vestito
gli cadde in testa e Tony fu felice che stavolta fosse seta e non mezzo
chilo di tacco. «Vuoi che ti prepari un bagno stasera? Va
bene, lo farò. Hai qualche olio preferito?»
«Ho
già fatto la doccia.»
«Posso
farti anche un massaggio rilassante, ne ho imparato uno qualche anno fa
a Ibiza grazie a una simpatica cameriera brasiliana - ma questa non
è una storia da tirare fuori al momento.»
Pepper
sollevò annoiata lo sguardo su di lui mentre si liberava del
vestito lavanda per indossare la gonna di un tailleur.
«Non
voglio che mi prepari il bagno, voglio che tu vada allo S.H.I.E.L.D. e
stia accanto ai tuoi compagni.»
Sbuffò
passandosi una mano fra i capelli.
«C'è
Cap con loro, non hanno bisogno di me. Tu hai bisogno di me e delle mie
mani da massaggiatore.»
Le si
avvicinò e le cinse la vita ancora nuda.
Pepper gli
avvolse le braccia attorno al collo e lo baciò con dolcezza.
«Lo
so che tutta questa storia è strana, Tony...»
«Non
è strana, è allucinante. Neanche sotto peyote
avrei potuto viverne una altrettanto psichedelica.»
Pepper
sospirò accarezzandogli una guancia.
«Se
lo è per te, come pensi possa essere per Thor?...»
Non rispose, si sporse solo per toccare le sue labbra. «Ha
sbagliato, hai ragione, ma non credi che abbia qualche
attenuante?»
«È
stato sconsiderato e imprudente, e se lo dico io vuol dire che
è stato davvero sconsiderato e imprudente.» Il
sorriso che si disegnò sul suo viso non fece sfiorire lo
sguardo serio dai suoi occhi.
«Non
avrebbe messo in pericolo né te né nessun altro.
È Thor, lo conosci. Non avrebbe mai permesso a Loki di farvi
del male.»
«Non
è che avesse molte frecce al suo arco per potergli impedire
qualcosa, a meno che non avesse deciso di aprire-»
Pepper gli
premette un palmo della mano contro la bocca.
«Il
mio ginocchio è all'altezza del tuo inguine.
Ricordarlo.»
Annuì
e lasciò che le sue labbra fossero di nuovo libere.
Sorridevano. «A meno che non avesse deciso di aprire la porta
e scappare urlando. Non essere maliziosa, signorina Potts.»
Pepper
sciolse l'abbraccio con espressione diffidente.
«Lo
so che hai cambiato versione dopo la minaccia della mia
ginocchiata.»
«Sì,
è vero, l'ho fatto» ammise sornione osservandola
vestirsi con la solita incredibile eleganza.
«Signor Stark?»
«Jarvis»
sospirò seguendo con gli occhi la linea affusolata delle sue
gambe e le dita che stringevano il cinturino della scarpa attorno alla
caviglia.
«Il dottor Banner ha chiesto di
informarla sull'attuale situazione allo S.H.I.E.L.D.»
«Riferisci
al dottor Banner che ho uno smartphone con tanto di segreteria.
Può lasciarmi lì i suoi messaggi e io
provvederò quanto prima a ignorarli e cancellarli dalla
memoria.»
Pepper gli
lanciò un'occhiataccia alla quale rispose con un fare
innocente.
«E
va bene, ormai sono un uomo senza più libero arbitrio. Una
vittima delle decisioni altrui. Un individuo privato della
facoltà di decidere cosa-»
«Continua
così e sarai privato anche di qualcos'altro.»
Pepper sollevò i capelli e li legò con rigore.
«Non
puoi usare il sesso come merce di scambio, avevamo già
affrontato questa conversazione.»
«Non
mi riferivo al sesso, ma al tuo frigo bar.»
Afferrò poi la borsa dalla poltrona e lo guardò
con un sorriso studiato. «Non essere malizioso, signor
Stark.»
E lui
avrebbe solo voluto toglierle di nuovo i vestiti e gettarla su quel
letto mandando bellamente al diavolo tutto il resto.
«Torno
per cena.» Un leggero bacio sulle labbra ed era rimasto solo
con la scia del suo profumo sulla pelle. «Vai da Thor e fate
la pace come bravi compagni di banco.»
«È
Bruce il mio compagno di banco. Thor siede sui gradini del campo da
football con il quarterback Rogers.»
Pepper
letteralmente lo ignorò e lui la guardò parlare a
telefono con chissà chi.
Era
abbastanza chiaro che di quell'azienda lui possedesse solo il nome. Le
Stark Industries erano Virginia Potts, e lui non poteva essere
più d'accordo.
«Allora,
Jarvis, vuoi aggiornarmi? Sto aspettando.»
«Signore, mi ha detto di riferire
al dottor Banner della sua segreteria.»
Ok, era il
momento di fare un piccolo aggiornamento del sistema.
Afferrò
lo smartphone e controllò subito i messaggi.
Trovò in cima alla lista il nome di Bruce.
“Tony, sono io. Senti, Loki
è uscito dalla sala operatoria e non dovrebbe metterci
troppo a svegliarsi.”
«Come
se la cosa dovesse importarmi» bisbigliò fra
sé.
Il
messaggio continuò: “I suoi esami sono stabili
però ho riscontrato delle anomalie.”
Ma
perché diavolo gli stava elencano la cartella clinica di
quello lì? Ma che gliene fregava a lui della conta dei suoi
globuli bianchi e del livello della sua glicemia?
Avrebbero
dovuto lasciarlo agonizzare a Central Park. Steve, come sempre, era
stato il solito cuore gentile.
Il solito idiota.
Clint lo
aveva informato subito di ciò che era successo ancor prima
che potesse inserire le coordinate di Central Park nella Mark: il tipo
strano che aveva fregato il martello nella roccia, la strafiga che
aveva messo al tappeto il capitano, e quel rockettaro anni 80 che le
aveva prese da entrambi.
Loki aveva
scelto male i suoi alleati e l'aveva preso in quel posto.
Chiuso,
fine della storia.
Adesso che
era steso moribondo in un letto, bastava un po' di pressione
– ossia tortura fisica, e di questo sarebbe stato felice
Barton - e avrebbe anche rimesso Sigyn in Thor, il quale, in tutta la
sua grandezza da culturista, sarebbe andato alla ricerca di questi due
mattacchioni e si sarebbe ripreso il suo martello.
Era una
soluzione così semplice che era quasi un insulto che
qualcuno dovesse anche suggerirla.
Ma poi
continuò ad ascoltare il messaggio di Bruce e
capì che no, non poteva essere così semplice, che
doveva esserci sempre la fregatura in tutto, e siccome c'era di mezzo
Loki, le fregature erano appartate dietro ogni angolo, pronte a
saltarti alle spalle al suono di Jump
dei Van Halen.
“Anche se le sue cellule mostrano
sempre una straordinaria capacità di rigenerazione,
nell'attuale stato, sulla base di alcuni esami e tenendo anche conto
dei soccorsi che sono stati necessari per arginare l'emorragia beh...
Tony, spero di sbagliarmi, ma credo che Loki sia-”
«Umano»
sospirò nel medesimo istante.
“Raggiungici quanto prima e per
favore non cancellare questo messaggio... cioè... Ok, vieni
qui alla svelta.”
Tony
guardò il display divenire sempre più scuro.
Forse
sarebbe stato meglio farsi davvero di peyote.
*
Natasha
osservò in silenzio Linn che si tamponava stancamente i
capelli con un asciugamano. Lo sguardo fisso al pavimento e le guance
arrossate dal pianto.
Clint le
aveva detto di quante lacrime avesse versato per Loki eppure lei era
convinta che la tristezza più grande provenisse dal
comportamento di Sigyn.
«Abbiamo
la stessa taglia. Dovrebbero starti bene.» Le sorrise
indicandole i vestiti che aveva poggiato sulla sedia.
Linn fece
un cenno con il capo e non tentò neanche di rispondere.
«Non
è facile per lei.»
Solo in quel momento sollevò lo sguardo. «Non
è solo Loki a preoccupare Sigyn, ci sono anche altre
questioni.»
La sua gola
sussultò e le dita strinsero forte l'asciugamano.
«Riguardano
le responsabilità di cui ha parlato prima?»
«Sì.
Mentre eri con Steve sono accadute un paio di cose che hanno
destabilizzato un po' tutti.»
Linn
l'ascoltò e annuì. «Non sta a me
chiedere risposte.»
«Sei
sua amica, è naturale che tu voglia risposte.»
«Amica...
No, io sono solo un'ancella, Natasha.» Un sorriso colmo di
tristezza piegò la sua bocca.
«È
un limite che hai deciso tu, non lei» sentenziò
sicura obbligandola a spegnerlo. «Inizia con l'eliminare
questo asservimento, inizia a parlare senza timore di essere ripresa o
peggio, punita. Sigyn non vuole la tua lealtà o la tua
obbedienza, vuole la tua amicizia.»
La gola
sussultò ancora e gli occhi si inumidirono. «La
mia amicizia?»
«Tu
condividi con lei qualcosa che nessuno può condividere e non
mi riferisco a un segreto, ma a un legame d'affetto.»
Linn
tirò su con il naso asciugando le prime lacrime con le dita.
Natasha
sapeva che Sigyn aveva bisogno di qualcuno che potesse capirla sul
serio, qualcuno con cui sentirsi libera di dire e fare ciò
che voleva senza la consapevolezza di essere giudicata.
Era Linn
quella persona.
Per quanto
lei stessa avesse provato, per quanto Bruce o Steve o Jane, avessero
provato, nessuno avrebbe potuto comprendere la causa e il colpevole di
tutti quei problemi: il legame profondo e instabile con Loki.
Ognuno di
loro lo odiava e se non era odio era rabbia, rabbia bruciante e
corrosiva, e perciò nessuno avrebbe potuto provare
compassione per lui, nessuno di loro avrebbe potuto comprendere le
lacrime che Sigyn aveva necessità di versare, nessuno poteva
comprendere una storia come la loro così complessa e
così sbagliata.
Ma tutti
avrebbero giudicato.
No, Sigyn
non aveva bisogno di questo, aveva bisogno di non crollare del tutto,
di restare in equilibrio e combattere per tornare a riprendersi
ciò che gli apparteneva, per tornare a essere Thor.
Sigyn aveva
bisogno di Linn perché solo Linn poteva comprendere il suo
amore per Loki.
«Smettila
di essere la sua ancella, Linn, e inizia a essere sua amica.
È di questo che ha bisogno adesso.»
Linn aveva
annuito e aveva pianto ancora ma stavolta Natasha aveva visto un
sorriso quasi felice su quelle labbra.
«Grazie...
grazie, Natasha.»
«Avanti,
adesso. Smettila di piangere e vestiti.»
«Sì,
va bene.» Aveva abbandonato finalmente l'asciugamano e
iniziato a togliersi le vesti umide. Sulle sue labbra quel sorriso non
era più andato via.
*
Il
cellulare era squillato due volte prima che Steve riuscisse a tirarlo
fuori dai jeans mezzi bagnati.
Il nome
sullo schermo non prometteva nulla di buono.
Guardò
verso Thor che rispose al suo sguardo con un muto quesito.
«È
Fury» rispose prima di premere il pulsando verde.
«Direttore?»
«Capitano Rogers, come vanno le
cose?» Quel tono sarcastico non era
rassicurante.
«Ci
sono stati dei movimenti, signore.» Gli occhi cercarono di
nuovo quelli di Thor.
«Movimenti? È
così che chiami l'esplosione della mia cupola d'acciaio a
Central Park, il ferimento grave di sette agenti nonché il
ricovero a spese dello stato di Loki che, per chissà quale
motivo, pare avere un debole per la nostra struttura?... Movimenti,
capitano?»
Chiuse gli
occhi sperando che il direttore non potesse udire il sospiro che aveva
abbandonato la sua bocca.
«Avevo
intenzione di aggiornarla, signore.»
«Risparmiati la fatica, Rogers.
Per fortuna allo S.H.I.E.L.D. c'è ancora qualcuno che fa il
suo lavoro, come ad esempio contattarmi quando un manipolo di
terroristi fa saltare in aria una delle nostri basi!»
«Non
erano terroristi, er-»
«Qualsiasi cosa fossero adesso ha
poca importanza... Dov'è il martello, Rogers?»
Deglutì.
«È stato preso, signore.»
Dall'altra
parte solo silenzio.
«Loki
dovrebbe svegliarsi a momenti, ho intenzione di interrogarlo e
chiedergli risposte.» E stavolta senza alcun limite di morale.
«Tu non farai proprio un bel
niente, capitano. Sto per atterrare alla base. Fatevi trovare tutti
insieme perché ho voglia di parlare una volta soltanto, e
che nessuno entri in quella stanza. Stavolta le cose si fanno a modo
mio.»
Non gli fu
concessa replica che il direttore aveva interrotto ogni collegamento.
«Fury
sta venendo qui.»
Thor non
disse nulla. Fece solo un cenno con la testa e rimase con le braccia
incrociate contro il muro.
Steve
sentì leggermente i brividi per via degli abiti ancora umidi
ma decise di non badarci.
«Contatto
gli altri. Stark dovrebbe già essere qui.» Fu
quasi un discorso a se stesso, perché qualcosa gli diceva
che Thor non lo stava ascoltando.
Chiamò
Clint e Natasha e per scrupolo anche Tony, il quale ne
approfittò per chiedergli come fosse andato il suo
appuntamento. Steve pensò bene di riagganciare senza troppi
complimenti.
Appuntamento...
Bell'appuntamento!
Fra i tanti
crimini di Loki, adesso poteva anche aggiungere l'avergli rovinato
forse il pomeriggio migliore degli ultimi tempi.
Si
sentì uno sciocco a fare simili pensieri, non quando la
sicurezza della Terra era di nuovo minacciata da chissà chi,
non quando Thor era chiuso in un corpo che, da quel che aveva detto
Clint, era solo frutto di una magia.
Steve non
avrebbe dovuto essere un egoista, eppure non riuscì a
impedire al suo cuore di rattristarsi al pensiero della bella giornata
con Linn conclusa in modo così sbagliato, fra lacrime e
sangue.
«Steve?»
Era ancora perso nei suoi pensieri quando Thor lo chiamò. Il
suo viso sembrava non tradire emozioni eppure Steve lo conosceva bene
per sapere che in realtà era completamente travolto da
ognuna di esse, ma troppo orgoglioso per mostrarlo. «Chi ha
preso Mjolnir?»
Quella
domanda era infine arrivata.
«Non
lo so di preciso, Amora non ha fatto il suo nome.»
«Descrivimelo.»
Nella sua mente si disegnò il viso dell'uomo e il suo
sorriso inquietante.
«Era
un uomo, apparentemente umano, nel senso che non aveva qualche
particolarità evidente... Carnagione chiara, calvo, occhi
neri...» Ad ogni dettaglio vedeva il respiro di Thor
accelerare e sebbene il viso sembrasse imperturbabile il suo petto non
smetteva di alzarsi e abbassarsi con ritmo sempre crescente.
«Aveva degli orecchini ai lobi delle orecchie, piccole gemme,
non saprei dirlo, e molti anelli. L 'ho notato quando...»
Quando aveva sollevato il martello per colpire Loki.
Thor non
sembrava necessitare di quel dettaglio, né di alcun altro.
Le palpebre
si erano leggermente serrate e la gola aveva sussultato più
volte.
Steve
capì che Thor doveva aver compreso chi fosse quell'uomo.
«Thor?»
Si avvicinò di qualche passo poggiandogli la mano su una
spalla. Thor non sembrò neanche accorgersene.
«Avevo
pregato di essermi sbagliata.»
Non gli
sfuggì quel femminile e ritrasse la mano quasi l'avesse
sentita bruciare.
«Chi
è quell'uomo? Lo conosci?»
Decise di
mettere da parte altri pensieri e concentrarsi ancora una volta
sull'espressione sul viso di Thor stavolta palesemente scosso.
«Il
suo nome è Styrkárr.» Gli occhi
sembrarono perdersi in qualche ricordo, forse lontano, ma Steve
cercò di riportarlo al presente.
«È
di Asgard anche lui?»
Thor scosse
la testa. «No, è un Vanr... ed è un
traditore.»
«Traditore?»
«Buona
sera a tutti.» La risposta si perse con l'arrivo rumoroso di
Tony e con il mutismo dietro cui sembrò farsi scudo Thor.
«Cap, ti vedo un po' inumidito. Lo sai che alla tua veneranda
età devi stare attento ai reumatismi.»
Quel
sorriso era così inopportuno che non riuscì
neanche a rispondergli come meritava.
Si
lasciò cadere su una seduta e guardò Tony
osservare con attenzione la porta d'acciaio.
«Il
nostro amico è sotto i ferri?»
«No,
è stato trasferito in una stanza»
spiegò brevemente e Tony annuì fingendo un
interesse che palesemente non aveva.
«Bene.
Andiamo al dunque: Bruce vi ha detto della novità,
vero?»
Fu preso
alla sprovvista e d'istinto guardò verso Thor che continuava
a propinare a Tony uno sguardo per nulla amichevole.
«Di
che stai parlando adesso? Quale novità?»
Tony
roteò la mano scenicamente. «La novità
sul nostro amato
Loki.»
Thor non
risposte ma la sua mascella si serrò un po' troppo. Steve
pensò fosse meglio mettersi in piedi e soprattutto mettersi
fra di loro.
«Stark,
abbiamo passato una giornata stressante, risparmiaci le tue commedie e
vai al dunque.»
«Stressante?
Non direi, Steve. Hai anche rimorchiato oggi! E non mi hai neanche
detto grazie!»
Ok, forse
sarebbe stato meglio mettere qualcuno anche fra lui e Tony.
«Che
sta succedendo? Perché ogni volta che c'è una
lite ci sei tu di mezzo?»
Preso
com'era dal concentrarsi per non spedire Tony a far compagnia a Loki in
un letto accanto al suo, Steve si era accorto solo allora dell'arrivo
di Natasha e Clint, al loro fianco anche Linn. Indossava dei vestiti
asciutti e i capelli legati in una coda non totalmente umida.
Nell'istante
in cui incrociò i suoi occhi sentì la rabbia
sfumare.
«Come
stai?» Le chiese ritenendo assurdamente più
importante conoscere quella risposta e non le ultime novità
millantate da Stark.
Linn
sorrise. «Sto bene.»
Fece solo
un cenno con il capo senza spezzare quel contatto visivo.
«Manca
solo Banner» evidenziò Clint.
«Sarà
qui a momenti» spiegò Tony. «Aveva solo
bisogno di controllare ancora una volta i risultati dei suoi test prima
di lanciare la bomba.»
«Di
che stai parlando stavolta?» Natasha diede voce ai suoi
pensieri e Tony si posizionò di fronte a tutti con l'aria di
chi era pronto a lanciare una bomba per davvero.
E adesso
cos'altro poteva essere successo?
«Bruce
ne era abbastanza sicuro, quindi mi prendo l'onere di far detonare
l'ordigno e in fondo chi meglio di me può farlo?»
«Piantala
Stark, non siamo in vena di spettacoli, oggi.»
«Come
vuoi, Barton... dunque, iniziamo dalla nostra domanda:
perché siamo qui? Semplice, siamo qui perché per
qualche ragione il nostro temibile avversario, quello che sembrava
avere più vite di un gatto, è stato sottoposto a
un delicato intervento per arginare una copiosa emorragia interna. E da
qui la domanda numero due: perché è stato
necessario un intervento quando più volte Loki si
è alzato ed è scappato - e sottolineo scappato -
via a gambe levate anche dopo aver ricevuto uno dei trattamenti
intensivi del caro amico Hulk senza mostrare più di qualche
graffio? Ecco, a questo quesito Bruce ha trovato una
risposta.»
La pausa
che ne seguì snervò un po' tutti ma Steve fu come
sempre portato a osservare il viso di Thor e a notare come stesse
faticosamente impedendo alle sue mani di serrarsi attorno al collo di
Tony, istinto che doveva ammettere condivideva.
«La
risposta, Tony, prima che ti pianti una freccia dritta fra gli
occhi.»
Tony
sorrise e allargò le braccia. «Mi ero preso una
pausa strategica nell'attesa che Bruce arrivasse con un'entrata a
effetto ma magari rimandiamo alla prossima.» Il sorriso
sparì e stavolta la serietà del suo sguardo la
diceva lunga. «Loki è umano – o
terrestre, se preferite.»
Il silenzio
che ne seguì la diceva ancora più lunga.
«Che
vuol dire “umano”?» chiese non riuscendo
a sopportare altri misteri. Ce n'erano già troppi e Steve
era ormai stanco.
«Vuol
dire che l'organismo di Loki è molto simile al nostro al
momento.» Fu la voce di Bruce a rispondere appena li
raggiunse con una cartella fra le mani e un leggero fiatone.
«Bruce,
sei in ritardo sull'entrata scenica.»
«Zitto,
Stark.»
«Loki
è umano? Ne sei sicuro, Bruce?» chiese ancora.
Bruce
annuì e aprì la cartellina leggendo qualcosa.
«In
base agli esami che abbiamo fatto i suoi valori non si discostano di
molto da quelli di un normale terrestre, sebbene la sua
capacità di guarigione sia comunque al di sopra della media.
Una persona comune sarebbe di certo morta a seguito delle sue ferite,
ma lui ha reagito bene alle cure. I medici dicono che in un tempo di
quindici, venti giorni dovrebbe rimettersi del tutto. La vera sorpresa
è che non abbiamo rilevato campi magnetici o stranezze nel
suo corpo, nel senso che non ha riportato comportamenti che ci
porterebbero a credere che-»
«Vuole
dire che non ha congelato l'anestesista quando gli ha infilato un ago
nella vena.»
Bruce si
schiarì la voce e tornò con gli occhi sulla
cartella. «Sì, più o meno era questo.
Grazie per il riassunto, Tony.»
Steve
saltò con lo sguardo dal viso di Tony a quello di Bruce.
Non era mai
stato molto abile a comprendere i loro silenzi o le loro spiegazioni
scientifiche, ma ciò che stava accadendo era chiaro anche
per uno come lui.
«State
dicendo che Loki non ha più alcun tipo di potere?... Che
è innocuo?»
Tony fece
una smorfia. «”Innocuo” è un
parolone, diciamo che stavolta ci bastano delle semplici manette
d'acciaio.»
«Sarà
felice il direttore» sentenziò Clint e poi nessuno
più parlò.
Steve si
voltò alla sua destra verso Thor, ma non riuscì a
incrociare il suo sguardo, in quel momento fisso al pavimento.
*
Sentiva il
respiro pesante, come se qualcosa gli impedisse di far giungere l'aria
fin dietro i polmoni.
Gli occhi
erano pesanti, le mani lo erano, la lingua pesava come non l'avesse
utilizzata per secoli.
Sollevò
le palpebre e la luce fu una stilettata nelle pupille, le
serrò all'istante e provò a muovere le labbra.
Erano asciutte, tiravano e non pronunciavano nulla.
In bocca il
sapore ferroso di sangue e di acido, più un gusto amaro che
non riconosceva.
La testa
girava, le gambe non le sentiva.
Non sentiva
neanche il tronco e riusciva a malapena a muovere le dita delle mani.
Aveva
freddo, troppo freddo. E aveva sete.
Aveva fame.
Aveva sonno.
Provò
a risollevare di nuovo le palpebre e stavolta riuscì a
resistere a pochi secondi di luce. Richiuse gli occhi e
riprovò ad aprirli.
Dopo una
decina di tentativi riuscì a vedere con meno fatica.
Bianco e
verde e ancora bianco.
Grigio.
Sentì
lentamente la lingua prendere il giusto peso e la mosse di poco solo
per bagnare le labbra. Provò a dire qualcosa ma non
uscì una sola vocale.
Poi un
suono, una nenia ritmica con lo stesso tono. Intervalli regolari, un
tamburo acuto... no, più una nota di corda di liuto... No,
era ancora più diverso, era un suono artificiale.
Poi un
nuovo suono, una voce. Non la conosceva e le parole giungevano troppo
lontane per capirle.
Gli occhi
si abituarono sempre più alla luminosità
dell'ambiente fino a scorgere contorni più nitidi: il
profilo di una lumiera al soffitto, una finestra priva di vetro e di
paesaggio, sbarre d'acciaio ai bordi di un letto.
I contorni
del viso di un uomo fermo nell'angolo della stanza. Nell'angolo opposto
un altro uomo.
Lenti nere
a coprirne lo sguardo e mani impegnate nello stringere un'arma, un'arma
terrestre.
«È
sveglio.»
«Avvisa
il direttore.»
Iniziò
a sentire la punta delle dita dei piedi, la sensazione della stoffa
delle lenzuola che lo copriva, il freddo innaturale per lui di un corpo
nudo.
Ruotò
la testa quel poco che riuscì e scoprì la natura
di quel suono ritmico, la sua provenienza.
Cercò
ancora una parola ma la lingua era stanca, stanche erano anche le
palpebre.
Le chiuse e
udì solo suoni, solo voci, sentì solo freddo.
Il rumore
di una porta che si apriva, il fruscio di fogli di carta.
«Il
paziente deve riposare.»
«Non
è un paziente come gli altri, dottore.»
«Finché
è sotto le mie cure lo è. Fate silenzio o
dovrò chiedere al direttore di farvi uscire.»
«Libero
di provare, ma è una richiesta che non sarà mai
accolta.»
Poi altro
fruscio, altri fogli che si piegarono gli uni sugli altri e il freddo
che si attenuava. L'abbraccio di una stoffa che copriva il suo petto
pesante, le sue spalle nude.
La porta si
chiuse.
«Dovremmo
soffocarlo nel sonno...»
«Non
tentarmi, Fred.»
«Basterebbe
iniettare del cianuro in quella flebo e giustizia sarebbe
fatta.»
«Non
credo che il dottore sarebbe d'accordo.»
«Fanculo
il dottore!»
Una risata,
poi solo il suono della nenia che continuò ipnotico.
Quando si
svegliò la seconda volta, le palpebre si sollevarono senza
troppa fatica.
Sentiva i
piedi, le gambe, le spalle, le braccia, il petto, l'addome ancora
costretto nella morsa di una fasciatura.
Sentiva le
mani e i polsi fermi. Non poteva muoverli, non ci provò
neanche, non aveva ancora la forza, ma riconobbe il freddo delle
manette di metallo.
Sentiva la
sua lingua, soprattutto, sentiva le parole sostare su di essa.
Portò
lo sguardo sulle due figure rimaste ferme lì dove le aveva
vedute la prima volta.
«Avevi
ragione...» fu solo un sospiro. I due uomini lo guardarono
silenti. «Avreste dovuto soffocarmi nel sonno.»
E le labbra
sorrisero.
***
NdA.
Quiete prima della tempesta?
Mh...
Sì, possiamo dire così.
Anche ad Asgard le cose si muovono e qui sulla Terra non stanno andando
per niente bene...
Il nostro principe si è svegliato, ed è come
sempre simpatico come un enterocolite!
Appuntamento al prossimo capitolo ^^
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 15 *** Una crepa nel vaso di Pandora ***
cap15
L' ultima lacrima
XV.
Quando era giunta la
comunicazione dall’osservatorio di Houston, Jane stava
controllando l’ennesima catasta di dati apparentemente
inutili, chiedendosi che fine avesse fatto Bruce e
perché nessuno in quel maledetto piano sembrasse
conoscere la risposta.
Stava di
certo accadendo qualcosa ed era più che pronta a chiedere
spiegazioni se non avesse ricevuto per l'appunto quella comunicazione.
La rilesse
più volte sentendo il cuore battere forte nel petto.
La
stampò immediatamente precipitandosi fuori dal laboratorio.
«Dottoressa
Foster, non può allontanarsi da questo reparto.»
Fu praticamente fermata non appena aveva messo il piede fuori dalla
porta.
«Devo
trovare il dr. Banner!»
L'agente
l'aveva afferrata per un polso impedendole di fare anche un passo e lei
lo aveva guardato con sgomento.
«Devo
parlare immediatamente con il dr. Banner! O lo portate qui o portate me
da lui.»
«Ho
l'ordine di non farle lasciare la struttura, dottoressa.»
Strattonò
il polso per liberarsi dalla presa ma fu solo perché
l'agente allentò la morsa delle sue dita che ci
riuscì.
Strinse
forte nel pugno la mail che aveva stampato e gliela piantò
dritta davanti agli occhi.
«Il
direttore Fury mi ha promesso la massima libertà di lavoro e
adesso che ho delle comunicazioni importanti non posso neanche fare due
metri senza essere arrestata?!»
«Non
la sto arrestando.»
«Allora
mi lasci andare dal direttore. Parlerò direttamente con
lui.»
L'agente la
studiò a lungo, Jane sapeva la stava letteralmente
studiando. Stava mettendo in pratica quelle tecniche strane da
superspie per capire se stavi mentendo o dicevi la verità.
Per sua fortuna non ci volle molto per decidere.
«Va
bene. L'accompagnerò personalmente dal direttore
Fury.»
«Grazie.»
Ma non c'era gratitudine nella sua voce, solo fastidio, e per capirlo
non era necessario essere una superspia.
Lesse
ancora i dati che aveva fra le mani mentre seguiva l'uomo attraverso il
corridoio.
Qualunque
cosa stesse facendo Bruce al momento aveva poca importanza adesso che
finalmente aveva trovato qualcosa, e qualcosa di davvero significativo.
Si chiese
se Thor fosse lì o se fosse ancora da Tony nella sua torre,
insieme a quella ragazza.
Linn.
Era bella e
dolce, e sembrava nata per essere una di quelle docili mogliettine che
vivono per rendere felici il loro uomo. Ed era soltanto un'ancella.
Come poteva
competere con un mondo dove perfino una semplice domestica era bella e
raffinata come una principessa?
“Sei solo il capriccio di questa
vita. Si stancherà anche di te.”
Le parole
che Loki le sibilò in uno dei loro sempre spiacevoli
incontri, erano risuonate più volte in quegli ultimi giorni,
sebbene la sua eco non l'avesse mai davvero abbandonata.
Un
capriccio.
Il
capriccio di chi vive cento vite in una, di chi governa fulmini e
tempeste, bello e perfetto come solo un dio può essere.
E
altrettanto impossibile.
«Direttore?
La dottoressa Foster ha delle novità che vuole
comunicarle...» Aveva udito l'agente parlare attraverso il
suo auricolare. Non sapeva cosa stesse rispondendo Fury ma vide l'uomo
assentire con il capo. «Va bene, signore.» E poi
tornò nel suo silenzio mentre le porte dell'ascensore si
chiudevano.
«Allora?»
Lo incitò quando qualcosa le insinuò per
l'ennesima volta il dubbio che stesse accadendo qualcosa di cui non era
conoscenza. «Che sta succedendo? Dov'è finito
Bruce?...» Di Thor non poteva chiedere, lo sapeva, e quella
domanda fu costretta a mandarla giù.
Dove sei, Thor?
«Il
direttore non vede l'ora di udire le sue scoperte, dottoressa
Foster.»
Al suo
sorriso sollevò un sopracciglio scettica.
«Non
rispondete mai alle domande da queste parti?»
L'agente
allargò il sorriso quando le porte si aprirono al piano
selezionato.
«Mi
segua, dottoressa.»
«Lo
prendo come un no»
mormorò tenendo il suo passo lesto.
Fra le mani
forse il primo passo per risolvere quel rebus. Il primo passo per
ritrovarlo.
*
«Questi
sono gli attuali ordini da seguire e rispettare. Non
accetterò sbagli, stavolta. Sono stato chiaro?
Perché in caso contrario fareste meglio a deporre le vostre
armi sul tavolo e a uscire da quella porta, ma se prendere questa
decisione state pur certi che il vostro nome sarà il primo
sulla mia lista nera e io amo particolarmente il nero.»
Tony si
umettò le labbra e guardò attentamente il volto
dei suoi compagni: nessuno osava fiatare.
Ma lui non
era nessuno e, soprattutto, aveva qualcosa da dire non solo da fiatare.
«Chiarissimo,
Nick. Ora veniamo al dunque: che ne facciamo di quello
lì?»
E se gli
occhi di Thor avessero potuto sputare fiamme, Tony era convinto che in
quel momento sarebbe diventato pura cenere.
«Quello
lì,» iniziò Nick con lo stesso occhio a
vulcano. «È una mia questione, da adesso in
avanti. Nessuno entri in quella stanza, nessuno provi anche solo a
poggiare la mano sul pomello della porta perché gliela
faccio saltare per aria.»
«Ho
necessità di parlare quanto prima con Loki.»
Alle parole
di Thor, Sigyn o dio solo sapeva come diavolo avrebbe dovuto chiamarla
ora, scese nella stanza l'ennesimo silenzio.
Quando Nick
li aveva raggiunti in tutto il suo splendore da “sono
incazzato nero e ‘fanculo la politically correct”
era stato chiaro a tutti che il tempo dei sotterfugi era finito. Tony
non avrebbe mai pensato di dirlo, ma era stato grato a Nick di quello.
Ok, si era
beccato la ramanzina sul suo piccolo operato da guardone
così come si era beccato l'occhiataccia di Steve e
l'ennesima di Thor, il quale aveva però avuto la decenza di
starsene zitto ed evitare altre brillanti e inutili scuse come
“l'ho fatto per il bene di Midgard.”
Che lo
avesse fatto per il bene di qualcuno era chiaro, di certo non era
quello della Terra.
Il suo
bene, il bene di Loki, o di quel segreto ballerino che a quel punto era
anche ridicolo cercar di tenere sotto al tappeto.
Tutta la
questione ancora mezza confusa di cuore, corpo e anima che aveva
millantato Thor, Fury aveva preferito non udirla neanche. Voleva solo
ritrovare quel martello e vedere Loki dietro una gabbia, stavolta
d'acciaio, magari senza finestre e vie di fuga e interrata a cento
metri nel sottosuolo.
La notizia
della momentanea e inspiegabile perdita delle sue capacità
extra umane era stato invece da subito motivo di sospetto.
Loki si era
anche svegliato dall'operazione, così avevano riferito i
medici, ma Nick non aveva permesso a nessuno di avvicinarlo, ribadendo
che questa volta se ne sarebbe preoccupato di persona.
Se non
fosse stato un piccolo bastardo anche lui, Tony forse avrebbe anche
provato della compassione per quel povero squilibrato che di
lì a poco avrebbe avuto a che fare con la Furia di Fury.
Ma quel
povero squilibrato era Loki e se anche Tony Stark fosse stato uno
stinco di santo alla Rogers, avrebbe comunque goduto nel saperlo nelle
mani sadiche di Nick.
Nessuno si
era opposto, nessuno a parte Miss Asgard.
Come se si
fosse aspettato il contrario.
«Thor,
l'ordine è per tutti. Nessuno metterà piede in
quella stanza.»
«Queste
questioni riguardano me e io devo parlare con lui prima che sia tardi.
Non sai cosa ha scatenato davvero Loki. Midgard è in
pericolo ma lo è anche Asgard. Non chiedermi di stare qui in
attesa, non posso rispettare la tua volontà
stavolta.»
La faccenda
si era un tantinello complicata, anzi si era decisamente complicata.
Alla fine,
sebbene gli costasse ammetterlo, Thor aveva ragione. Doveva parlare con
Loki lui di persona visto che da quel che aveva riportato Cap, il terzo
tizio che aveva fregato il suo martello era una vecchia conoscenza di
entrambi.
Era una
questione asgardiana fra Loki, Thor e tutti i loro sporchi segreti con
vecchie ex e amici di dubbia sincerità.
Loro non
c'entravano nulla, come al solito. La Terra era solo un campo di
battaglia come un altro, un palcoscenico dove interpretare l'ennesimo
dramma shakespeariano.
Il problema
era che erano sempre loro a pagare il biglietto e a raccogliere i cocci
al termine dello show.
Quella
storia aveva stancato un po' tutti.
«Dopo
il casino che hai combinato recuperando per lui quella dannata sfera,
starei attento a dettare legge.» Fury sembrava furibondo,
probabilmente lo era. «Mi allontano qualche ora e trovo la
situazione peggio di come l'ho lasciata. E voi sareste la squadra su
cui dovremmo contare nei casi peggiori?»
«Non
siamo mai stati la soluzione migliore, Nick. Questo lo sai bene anche
tu» intervenne a quel punto. «Tutta quest'idea
è stata una scommessa fin dall'inizio, e le scommesse si
possono perdere.» Si alzò dalla sedia e
osservò il volto di Nick con una nota stonata.
Tony ci
aveva creduto nella squadra, ci credeva in quella squadra di strambi
personaggi così diversi eppure così simili.
Credeva che collaborare alle
volte poteva anche essere utile – e divertente.
Credeva nei Vendicatori.
«Getti
la spugna, Stark?»
Alla sua
domanda sorrise con fierezza.
«Io?
Mai.» Sfiorò poi il legno del tavolo con un gesto
annoiato. «Dicevo che le scommesse si possono perdere, Nick,
non che la nostra sia una di queste.»
Clint
sollevò un angolo delle labbra e scambiò uno
sguardo d'intesa con la Romanoff. A Tony non sfuggì.
Non
sfuggì il sospiro di Cap, troppo concentrato a capirci
qualcosa per preoccuparsi dei suoi capelli che stavano assumendo
un'inquietante ondulatoria naturale che non gli donava –
aveva appena trovato la ragazza e adesso rischiava di perderla per
colpa dell'acconciatura.... destino infame, povero Cap.
A Tony non
sfuggì neanche il cenno del capo di Bruce che valeva mille
parole e mille rimproveri e altri mille consigli da ignorare, ovvio.
Non gli
sfuggì il silenzio di Nick e quello di Thor. Il silenzio di
Sigyn che pesava come forse neanche quel martello nella mano.
«Vai
da Loki e metti in pratica la tua tecnica di interrogatorio, Nick. Se
funziona, bene, altrimenti dai un taser alla nostra bionda e mandala
dentro.»
«Stark...»
Capitano, lasciami fare.
«Tony,
non ho tempo per giocare.»
«Nessuno
vuole più giocare, Nick, è questo il
problema.» Guardò poi Thor che ricambiò
il suo sguardo e forse i suoi stessi pensieri.
«Nessuno.»
«Abbiamo
bisogno di risposte, signore» sentenziò la
Romanoff.
«E
quelle risposte le possiede solo lui.» Sulla conclusione
scontata ma purtroppo corretta di Clint, anche Nick tacque.
Fu un lungo
minuto, forse qualche secondo in più, qualcuno in meno.
Poi il
sibilo dell'auricolare di Nick.
«Dimmi...
D'accordo, portala nel mio ufficio.»
Tony
scambiò uno sguardo con Bruce nel mentre che Nick
raggiungeva la porta.
«La
Foster ha delle novità e se siamo fortunati saranno anche
positive.»
«Che
genere di novità?» chiese Bruce ma Nick, al
solito, non rispose.
«Il
monito è sempre valido: prima che ritorni, nessuno metta
piede in quella stanza. Ho telecamere puntate in ogni angolo del
corridoio e anche una decina di agenti di guardia, se per caso a
qualcuno venisse la brillante idea di insinuarsi nei nostri sistemi di
videosorveglianza e metterli fuori uso.»
Tony
alzò la mano. «Ehm, vorrei ricordarti che l'unico
con tale hobby è attualmente il protagonista della nuova
puntata di “Non sapevo di essere umano”.»
Solo Clint
sorrise.
«Stark,
non mi riferivo a Loki.»
Sì, lo sapevo.
«Oh,
allora come non detto.» Fece una smorfia di finto imbarazzo e
aspettò che il direttore uscisse.
Quando la
porta si chiuse gli parve che le spalle di Cap si abbassassero come se
avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, conoscendolo non era
qualcosa di così troppo lontano dalla realtà.
«Jane
non sa nulla...» sospirò Thor ma ci
pensò Bruce a tranquillizzarlo.
«Fury
non le dirà nulla in ogni caso. Vorrà sapere cosa
ha scoperto e poi agirà di conseguenza. È chiaro
che deve sapere, ma cerchiamo prima di inquadrare la
situazione.»
Thor
assentì con il capo e un nuovo silenziò invase la
stanza.
*
Linn era
rimasta seduta su quella panca per un tempo che non aveva contato.
Steve aveva detto che doveva attendere lì. Lady Sigyn aveva
evitato di dirle una qualsiasi parola e fu a quel punto che la voce di
Natasha era risuonata nella sua testa.
Esserle
amica.
Ma come
poteva se era così palpabile la distanza che stava mettendo
fra di loro?
Era a causa
del principe Loki? A causa di ciò che stava succedendo in
quella stanza in cui le era stato vietato l'accesso?
Come poteva
chiedere se non aveva modo di parlarle?
Il soldato
a cui era stata affidata la guardava dall'alto al basso, nonostante le
lenti scure dietro cui si riparava, Linn percepì i suoi
occhi su di lei in più di un'occasione.
Voleva solo
sapere cosa stava accadendo, voleva semplicemente sapere.
Sapere di
Steve, sapere di Lady Sigyn, sapere delle condizioni in cui versava il
suo principe.
Umano,
privo di poteri, privo del suo seiðr.
«Posso
cortesemente chiedere notizie sul principe Loki?»
Era stata
educata, aveva usato un tono basso e appena accennato eppure aveva
ricevuto come risposta una risata di sfregio.
«Principe?»
Le fece il verso l'uomo e di istinto abbassò lo sguardo
sulle sue mani poggiate sulle ginocchia. «Sta bene, il tuo
principe, non preoccuparti. Per nostra sfortuna quello ha il brutto
vizio di non crepare mai.»
Un brivido
le aveva attraversato la pelle e il suo respiro era diventato
affannoso. Tentò di regolarizzarlo ma udì ancora
il soldato ridere e chiuse le palpebre.
Steve aveva
ragione, Midgard aveva subito gravi perdite per mano sua e quindi era
naturale che non ci fosse alcun sentimento magnanimo e gentile per lui,
eppure fu impossibile ignorare la fitta al petto nell'udire ancora
parole di scherno e cattiveria nei suoi confronti.
«Lo
sai? Cinque dei miei compagni sono morti sotto le macerie di Midtown
tre anni fa, altri sono morti carbonizzati da qualsiasi stregoneria sia
capace di fare. Dodici erano a Chicago quando il tuo principe ha
stretto alleanza con quel pazzo di Doom, e due ore fa altri sette
uomini sono finiti dritti in ospedale per colpa sua! Risparmiami
domande sulla sua salute perché deve soltanto ringraziare
che nessuno sia entrato in quella stanza a staccargli la morfina per
fargli provare una per una tutte le ferite che ha inflitto a ognuno di
loro!»
«Io
non volevo-»
«Non
volevi cosa? Non volevi dire che la vita di quel bastardo vale
più di quella di qualsiasi altro uomo?»
Strinse
forte le dita e non riuscì a sollevare il capo per guardarlo
nonostante tutta la sua rabbia l'aveva investita come una tormenta
affilata.
«Mi
dispiace...»
«Ascoltami
bene, ragazzina.» Se l'era ritrovato inginocchiato di fronte,
non aveva più lenti nere e ora i suoi occhi castani erano
dritti nei suoi e dentro vi trovò annegato un denso rancore.
«Non so cosa farmene delle tue scuse, chiaro? Non so neanche
che diavolo ci fai qui. Dovresti startene nel tuo mondo insieme a tutti
i mostri che avete mandato da noi. Tu e quell'altro genio con il
martello, visto che è colpa sua se tutta questa storia ha
avuto inizio.»
«Il
principe Thor non ha colpe per le azioni compiute da altri.»
Lo difese sentendo la rabbia convogliare anche nelle sue vene.
L'uomo la
guardò a lungo e sorrise con sdegno per poi alzarsi. Lei
stavolta lasciò che i suoi occhi seguissero quel viso.
«Oh,
sì che ha colpa, perché sarebbe bastato uccidere
Loki quando ne ha avuto occasione e nessuno si sarebbe fatto
male.»
Strinse la
mascella ricacciando indietro le lacrime.
L'uomo
indossò ancora le sue lenti nere. «Ma stai serena,
forse è arrivato finalmente il momento che qualcuno stacchi
la testa dal collo di quell'animale.»
Quanto
odio, quanta rabbia, quanto rancore...
Fu troppo
da sopportare. Linn non sentiva più neanche il battito del
suo cuore, era solo un martellare furioso fin dentro le tempie e fu
solo perché udì una nuova voce che non
scappò da lì all'istante.
«Che
sta succedendo?» Era la sua voce, la voce di Steve.
«Nulla,
capitano.»
Quando lo
guardò capì che Steve aveva compreso il suo stato
d'animo e così fu glaciale l'occhiata che lasciò
al soldato.
«Cosa
le hai fatto?»
«Nulla.»
Steve
osservò a lungo il volto dell'uomo e poi lo
congedò.
«Torna
al tuo reparto, qui resto io.»
«Sissignore.»
Il soldato fece un cenno con il capo e andò via senza dire
più niente.
A quel
punto Linn nascose il viso fra le mani, così fu
più facile ingoiare ogni lacrima e non lasciare che le
bagnassero il suo viso. Basta piangere, aveva detto Natasha e lei
sapeva che era ciò che avrebbe dovuto fare.
Basta piangere.
«Ti
ha fatto qualcosa?»
Spostò
i palmi incrociando i suoi occhi, belli e caldi nonostante il cielo
azzurro che li tingeva.
Scosse il
capo e sorrise. «No» mentì e Steve parve
crederle.
«Non
è stata una giornata tranquilla per nessuno»
sospirò e lei assentì.
Era in
ginocchio davanti a lei, i suoi capelli avevano assunto una leggera
ondulatura ed erano ancora umidi sebbene avesse cambiato la maglia e i
pantaloni.
Linn
provò l'istinto di sfiorarli, di far scorrere le dita fra il
suo biondo e sentirne il profumo.
Ancora
poteva avvertire la sua mano che stringeva forte e rassicurante la sua.
Le sue braccia che l'avvolgevano per proteggerla.
La sua
carezza sul viso per assicurassi che stesse bene.
«Dovresti
riposarti.»
Sorrise
ancora. «Non credo di aver fatto altro dacché sono
qui... Riposare e asciugarmi.»
E il
sorriso di Steve era più dolce di ogni nuvola rosa che
potesse assaggiare.
«Steve...»
Sentì
le dita tremare e il cuore battere forte.
«Cosa
c'è?»
Sollevò
piano la mano e gli sfiorò il viso.
Vide la sua
gola sussultare e gli occhi velarsi di incertezza.
Poi
sfiorò finalmente i suoi capelli umidi e morbidi e le labbra
di Steve smisero lentamente di sorridere.
«Linn...»
Il suo nome
non le era mai sembrato più bello.
«Grazie»
sospirò.
«Per
cosa?»
Non sapeva
cosa stava facendo, sapeva solo che voleva farlo, che aveva bisogno di
farlo.
Si sporse
in avanti e lo baciò, con le palpebre chiuse e le labbra
tremanti, con un'innocenza che non aveva più ma che le parve
di ritrovare contro la sua bocca.
Un bacio
innocente come non ne aveva più dati a nessuno, come non ne
aveva più neanche il ricordo.
Quando
riaprì le palpebre gli occhi di Steve erano di un azzurro
quasi più intenso. Il suo viso arrossato e le labbra ancora
vicine alle sue.
«Per
tutto, Steve...» Gli sorrise. «Grazie per
tutto.»
*
«Ne
è sicura?»
«Più
che sicura. Dall'osservatorio astronomico di Houston hanno rilevato una
pioggia di meteoriti nella zona della Louisiana e da Mosca arrivano le
medesime rilevazioni. Guardi.»
Nick si
ritrovò qualche foglio svolazzare sotto al naso e lo
studiò velocemente, ma le carte avevano poco valore quando
non ne capivi il contenuto. Ciò che importava era che la
dottoressa Foster ne fosse sicura.
«Mi
sta dicendo che siamo prossimi all'ennesima catastrofe cosmica?
È questo, dottoressa?»
Strano come
una donna così minuta potesse guardarlo con un tale sguardo
irritato.
Nick doveva
darle atto che aveva del temperamento.
«Sto
dicendo che dopo giorni di silenzio lo spazio è tornato a
parlarci. Il che vuol dire solo una cosa.»
Ah ecco,
adesso l'aveva capito. Con tutto il casino che quelle teste calde
avevano combinato il suo acume aveva subito qualche botta d'arresto. Si
sarebbe ripreso molto presto.
Strappò
dalle mani della donna le carte e le lesse velocemente.
«La
barriera di Loki» borbottò restituendogliele.
La
dottoressa assentì con fermezza.
«Di
certo nelle prossime ore avremo altre comunicazioni come questa, il che
vuol dire che non c'è più alcuna barriera
mistica, almeno per il momento. Non so perché, a dire il
vero, ma ciò che conta è che adesso possiamo
metterci in contatto con Asgard. Thor può tornare nel suo
mondo e chiedere aiuto.»
Troppo
ottimismo... che brutta abitudine.
Nick
sospirò riflettendo bene sulla questione.
La
dottoressa Foster lo guardava aspettandosi forse un salto di gioia o un
abbraccio di ringraziamento.
Sì, come no...
«Non
so per quanto durerà, perciò, direttore, sarebbe
meglio informare subito Thor e Bruce, e tutti gli altri! Non
c'è tempo da perdere!»
«Si
calmi, dottoressa. Ho capito, ma non possiamo muoverci in questo
momento.»
E lui non
aveva tempo per stare a sorbirsi il suo sguardo confuso con quegli
occhioni nocciola.
«Perché?
Che sta succedendo? Perché qui nessuno mi dice
niente?»
«Agente
Stumber?» Si rivolse all'agente al fianco della donna.
«Accompagna la dottoressa nella sala al dodicesimo piano e
lascia che informi i Vendicatori di quanto sta accadendo, e assicurati
che loro informino lei.»
«Sissignore.»
«Aspetti!
Informarmi su cosa?»
«Chieda
al suo fidanzato.»
Si
avviò verso l'ascensore deciso a chiarire una volta per
tutte quella situazione.
E pensare
che un tempo aveva creduto che dirigere lo S.H.I.E.L.D. sarebbe stato
interessante.
Nick, sei un coglione!
Aspettò
che la discesa finisse e si diresse verso il reparto di infermeria.
Stavolta si
sarebbe tolto la soddisfazione.
*
Ammettere
con Natasha ciò che era accaduto a quel tempo pensava fosse
stata la cosa più difficile, poi aveva visto Loki su quella
barella, e poi aveva saputo di Styrkárr.
Sigyn
credeva realmente di non poter affrontare nulla di peggio.
Ma Bruce
aveva riportato quella nuova verità: Loki era umano, il che
voleva dire che non aveva più alcun potere per sistemare le
cose.
Per sistema cosa? Il mio
corpo? Il mio cuore?
Questo sentimento
così sbagliato e folle?
Come poteva
ancora restare in quella stanza con loro senza crollare, non sapeva
come fosse possibile.
Come poteva
non sfondare la porta e raggiungere Loki senza necessitare di alcun
permesso, era ancora più assurdo.
Quando Jane
entrò da quella porta con un enorme sorriso sulle labbra,
Sigyn capì.
Aveva
paura, una spasmodica e incontrollabile paura.
Paura di
dire qualsiasi cosa, di fare qualsiasi cosa, di udire qualsiasi parola.
Paura della
verità che ne sarebbe venuta fuori.
Paura
semplicemente di scoprire chi fosse realmente.
Steve
entrò nella stanza, con lui c'era anche Linn.
Non
riusciva neanche a guardarla, non dopo ciò che era accaduto,
non dopo aver saputo con quanto fervore aveva chiesto a Steve di
salvare Loki, con quanta abnegazione gli era rimasta accanto e lo aveva
medicato e poi accompagnato fin lì.
Non sapeva
dirle grazie,
perché se l'avesse fatto avrebbe spezzato la maschera che
stava indossando sul viso e sul cuore.
Linn la
guardò e le sorrise e Sigyn scostò lo sguardo con
codardia.
«La
barriera di Loki è sparita? Ne sei certa?»
«Non
ho la sicurezza matematica, ma deve essere così, Bruce. Deve
essere così.»
E poi anche
Jane aveva sorriso e tutto ciò che Sigyn era riuscita a fare
fu uscire da quella stanza senza voltarsi.
Qualcuno
chiamò il suo nome.
«Thor?»
Il nome
sbagliato.
*
Aveva
studiato tanto per trovare una soluzione, aveva sbattuto la testa su
quelle carte perché sapeva di essere utile, aveva ignorato
il mal di testa e il bruciore agli occhi perché Thor aveva
bisogno che lei scoprisse cosa stava accadendo.
Jane aveva
fatto tutto solo ed esclusivamente per lui.
«Cosa
significa...?»
E il mondo
le era crollato addosso ancora una volta.
«Jane,
lo so che sembra una cosa assurda, ma è ciò che
ha fatto Loki.»
Fu
costretta a sedersi e lasciò che Bruce le si accomodasse
accanto.
«Non
è Thor...» sibilò ancora incredula.
«Certo
che è Thor.»
Sul volto
di Bruce non trovava rassicurazione però, nella sua voce non
riusciva a sentire il calore.
Era
svuotata da ogni sensibilità. Era svuotata da ogni emozione.
Era vuota.
«Non
è Thor...»
E lei lo
aveva capito da subito.
*
Tony si
avvicinò all'orecchio di Clint con riservatezza.
«Senti,
Barton, io me la squaglio.»
«Dove
credi di andare?» lo rimproverò quest'ultimo con
un bisbiglio. «Già è sparito Thor, e
Fury sarà qui a momenti.»
Ma la
tragedia che si stava consumando di fronte a lui portò Tony
a varcare quella soglia prima con il pensiero e poi con le gambe.
«Coprimi.»
Alla fine
non servì.
Tutti si
accorsero della sua uscita e la verità fu che non
importò niente a nessuno.
Il dramma
emotivo della dottoressa Foster sembrava di certo una questione
più importante.
Per fortuna.
*
Gli stavano
bucando un altro braccio, questa volta il sinistro.
Un altro
lungo ago stava perforando la sua pelle prima e la sua vena dopo ed era
fastidioso.
Dolore...
sì, c'era anche quello e attraversava quasi tutto il suo
corpo, soprattutto l'addome.
Di tanto in
tanto lo sentiva scemare e poi aumentare ancora. Poi tornare a
diminuire.
Osservò
i medici che controllavano le loro carte e poi i macchinari accanto al
suo letto.
Sorrise
divertito.
Gli avevano
salvato la vita e ora lo stavano curando.
Avrebbe
riso e avrebbe riso forte se solo ne avesse avuto la forza.
Sul fondo
della camera le due guardie erano cambiate sebbene sembrassero tutte
uguali per abiti e maniere.
Lo avevano
minacciato, lo aveva insultato e avevano cercato di spaventarlo.
Loki
avrebbe solo voluto ridere ogni singola volta.
«Quanto
dolore senti?» Gli chiese un uomo con il camice bianco,
occhiali sul naso e pochi capelli ai lati della testa.
«Da
uno a dieci?... Direi sette» rispose con beffa ma l'uomo non
si curò della sua ironia e a Loki piacque quella reazione.
I medici di
Midgard erano di certo più temprati dei suoi difensori, a
cui bastava una parola detta con la giusta intenzione per infiammarli
come cerini.
«Fra
un'ora verranno a cambiarti la medicazione.»
Appuntò qualcosa sui suoi fogli e lo guardò con
gelido distacco. «Non fare movimenti bruschi.»
Loki
sorrise. «Tenterò.»
Il medico
uscì e lui tornò di nuovo sotto lo sguardo delle
due guardie.
Il suo
piano aveva dovuto subire una piccolo cambio ma non aveva importanza.
Aveva sempre un asso nella manica e il gioco di Amora non sarebbe
andato che a suo favore.
Non aveva
neanche iniziato a sentire le ennesime minacce di morte, tortura o
altre poco fantasiose intimidazioni che la porta si era aperta
nuovamente.
Stavolta
non era nessun medico, stavolta era un volto che conosceva bene.
«La
mia prima visita... quale onore che sia tu in persona, direttore
Fury.»
«Fuori.»
Al comando dell'uomo i due agenti abbandonarono la stanza.
Pochi passi
e gli era accanto.
«Vuoi
soffocarmi con un cuscino? Perché è stata la
prima idea dei tuoi uomini e, detto fra noi, non è molto
originale.»
Fury
sorrise con la sua solita aria che avrebbe voluto essere terrificante e
invece era poco più che divertente. Loki stirò
semplicemente le labbra.
«Lo
sai? Abbiamo dovuto scomodare un genio come Richards per costruire
quelle catene che hai mandato in frantumi all'istante e adesso...
guardati.» Il sorriso di Fury si allargò.
«Obbligato in un letto d'ospedale con delle semplici manette
di caro vecchio acciaio.»
«Non
per merito tuo, Nick. Gustati il risultato ma non prendertene
l'onore.»
«Giusto.
Sono stati i tuoi amici a farti questo bel regalo: una ferita niente
male, la perdita dei tuoi poteri... Per non parlare dell'imbarazzo per
l'ennesimo fallimento.»
Provò
a ridere sebbene sentisse il petto ardere. Cercò di mitigare
ogni smorfia di dolore.
«I
miei amici... devono dire anche grazie a te per la loro riuscita. Non
è stato facile trovare la sfera ma tu, caro il mio Nick, hai
saputo tenerla al sicuro adeguatamente.» Ingoiò
una fitta all'addome e continuò a sorridere. «A me
è bastato prenderla.»
Il sorriso
di Nick però sparì in fretta e il suo viso si
fece più vicino.
«Non
so quali siano i tuoi piani, pazzo squilibrato, né quale
siano quelli dei tuoi due compari, ma ascoltami bene.» La
mano si poggiò sul lenzuolo in corrispondenza della sua
ferita e sentì la pressione premere contro di essa.
Strinse i
denti e trattene ogni gemito di dolore.
«Thor
vuole riavere il suo martello e io voglio riavere Thor,
perciò, prima che questa ferita sia solo l'inizio di una
lunga serie, farai meglio a parlare e a dirci dove possiamo trovare
quei due, altrimenti non basterà tutta la morfina degli
Stati Uniti per evitarti il dolore che ti infliggerò con le
mie stesse mani.»
Trattenne
il respiro finché Fury non rallentò la pressione.
Il dolore
era insopportabile.
Odiava
quella nuova condizione, odiava quella fastidiosa debolezza.
«Se
anche ti dicessi dove sono, non potresti raggiungerli.»
Lo
udì ridere con soddisfazione.
«Forse
non hai ricevuto le ultime notizie ma pare che la tua bella barriera
sia evaporata, immagino sia stato per via del tuo incidente con
l'immortalità. In ogni caso non abbiamo problemi di
trasporto, per cui, pensa a parlare e noi penseremo ai
passaporti.»
Nick si
avviò alla porta e lo osservò un'ultima volta con
superbia.
«Ti
lascio riposare. La notte porta consiglio.»
Quando si
chiuse la porta alle spalle Loki non riuscì a negarsi
l'ennesima risata e quel dolore poteva anche sopportarlo con piacere.
La barriera
si era infranta.
Perfetto.
Aveva
soltanto bisogno di avere una conferma.
E adesso
poteva agire di conseguenza.
*
Linn
attraversò il corridoio e svoltò a destra. Pareti
bianche, uomini vestiti del medesimo colore.
Tornò
indietro e imboccò la svolta opposta.
Il suo
cuore sussultò quando scorse Lady Sigyn seduta su una sedia
con le mani fra i capelli.
Quando
l'aveva vista uscire dalla stanza senza dire nulla aveva provato
l'istinto di seguirla ma poi aveva udito Jane chiedere spiegazioni e
Bruce dargliele, e quelle spiegazioni le avevano azzerato il respiro.
Linn
conosceva di quali poteri fosse in possesso l'Incantatrice
così come conosceva quelli del principe Loki eppure non
credeva possibile potessero giungere a tanto.
Il suo
principe e la sua signora erano due entità diverse.
L'una era
lì con loro, l'altra era stesa dormiente in un letto lontano.
Il principe
Thor e Lady Sigyn non erano più la stessa persona.
“È il suo cuore, il
cuore di Thor. È sempre lui” ribadiva
convinto Bruce e la midgardiana lo guardava con il viso di chi vorrebbe
credere a quelle parole. Forse lo credeva, forse cercava di crederlo.
Linn no,
Linn non credeva che Thor e Sigyn fossero la medesima persona, non
adesso, non dopo ciò che aveva appena udito.
“Va' da lei.”
Era stata Natasha a ordinarglielo... Non a ordinarglielo, a
chiederglielo.
Aveva
annuito e aveva lasciato la stanza.
Steve non
le aveva chiesto nulla e l'aveva guardata allontanarsi.
Linn
l'aveva cercata in quei corridoi luminosi tutti uguali
finché non l'aveva trovata.
«Lady
Sigyn...»
La vide
alzare il capo e guardarla.
«Linn...
che ci fai qui?»
«Vi
cercavo» rispose sedendosi accanto a lei. «Ero
preoccupata.»
«Non
serviva. Sto bene.»
I suoi
occhi lucidi, il viso stanco, i capelli in disordine, l'inquietudine a
piegare le sue labbra.
«No,
non state bene, mia signora.»
Lady Sigyn
la osservò in silenzio e non disse nulla. Abbassò
lo sguardo e lasciò andare un sospiro.
«Come
puoi essermi seduta accanto e guardarmi così quando sai la
verità , Linn?» Di nuovo il viso coperto da una
mano. «Come puoi ignorare la vergogna che mi copre come una
seconda pelle?»
«Io
non ignoro nulla, Lady Sigyn, per il semplice motivo che non vi
è alcuna vergogna in voi.»
Non le
aveva mai parlato così, con tale libertà e con
tale sincerità, forse. E Lady Sigyn pensò lo
stesso perché la guardò con sguardo dolce e perso
allo stesso momento.
«Era
mio fratello... è mio fratello...»
Le prese la
mano e la strinse. Le sorrise e scosse il capo.
«Che
importanza può avere?»
Il sorriso
che si dipinse sul viso della sua signora raccontava invece di una
sofferenza che non aveva forse neanche più una
dignità, neanche più un margine di guarigione.
«Ha
importanza, invece. Per Asgard, per me... per Loki.»
Strinse
forte le dita attorno alla sua mano.
«No,
mia signora, non ne ha mai avuta. Non per il principe Loki.»
«Linn...»
«Ascoltatemi,
io ho vissuto a palazzo per tutta la mia vita, sono nata e cresciuta
sotto l'oro della vostra casa e mai vidi giorni più paghi di
quelli in cui conobbi voi.»
I suoi
occhi azzurri sembrarono inumidirsi e così fecero i propri.
«Mai
ho visto il principe Loki più felice come quando era in
vostra compagnia... mai.» Linn sorrise ancora.
«Come poteva essere sbagliato? Come può esserlo?
Quale vergogna può esistere nel vivere un sentimento che
rende vivi e pieni?»
Lady Sigyn
strinse gli occhi e Linn scorse una sola piccola lacrima abbandonarli.
«Non
era una vergogna allora, non lo è adesso, mia signora.
Adesso che voi siete davvero Sigyn.»
Le palpebre
si aprirono e lasciarono andare altre lucciole di sale.
«Io...
io sono solo il risultato di una magia... Loki ha dimenticato quel
tempo così come ho fatto io, Linn. Non c'è
più Sigyn... non più...»
Quando le
sue lacrime aumentarono Linn strinse ancora le sue mani con coraggio e
affetto.
Essere
un'amica. Essere qualcuno che poteva comprendere quell'amore sbagliato.
«Non
siete mai andata via dal cuore del principe Loki come non avete mai
abbandonato il mio.»
Era un
pianto muto, il suo, un pianto che raccontava di tanti altri affogati
nel silenzio. I pianti muti di un principe d'oro più fragile
di quello che avrebbe creduto, di quello che aveva voluto credere.
«Potete
ancora chiedere a quel cuore. Il principe non vi negherà
risposte.»
«Ci
sono risposte che possono uccidere più di una
spada...» Le udì sospirare mentre la guardava con
il viso umido e arrossato.
Linn
portò via con delicatezza quelle lacrime dalle sue guance.
Le scostò i capelli dal viso e le sorrise ancora.
«Avete
ragione, ci sono risposte e verità che possono ferire, ma
non c'è male peggiore di quello che può partorire
il silenzio e la negazione.»
Le
accarezzò ancora il viso e le baciò le mani con
tenerezza.
«Non
abbiate paura. Non di lui...»
«Gli
errori che ha commesso Loki portano anche il mio nome.»
«È
vero, ma se ha sbagliato per voi, rimedierà per
voi.»
Le lacrime
erano sfumate eppure non un briciolo di quel dolore aveva abbandonato i
suoi occhi.
«Esiste
davvero rimedio, mia Linn?... Io non lo credo, non lo credo
più.»
«C'è
sempre speranza... Sempre.» Quelle parole sembrarono
accendere qualcosa nel suo viso, nel suo cuore.
Linn
sentì Lady Sigyn stringere a sua volta forte le sue mani.
«C'è sempre speranza...»
Assentì.
«Sempre e per chiunque.»
Ancora una
lacrima abbandonò i suoi occhi eppure stavolta le sue labbra
sorrisero.
*
Tony
lasciò andare un sospiro mentre poggiava le spalle contro la
parete.
Stava
cercando il modo di aggirare la squadra di sorveglianza posta davanti
le stanze di Loki ed era finito invece per incrociare i passi di Linn.
L'aveva
seguita.
Dietro
quell'angolo aveva finalmente udito le risposte che gli erano state
negate fino a quel momento.
Quelle
risposte pesavano come un badile di scorie radioattive ed erano
altrettanto pericolose.
Loki e Thor
avevano giocato a fare i Lannister[1] e la cosa
era inquietate e anche parecchio disturbante, soprattutto
perché fra i due, a conti fatti, era Thor quello con la
coscienza più lorda.
Loki si era
trovato davanti un metro e ottanta di bionda, con due belle tette e gli
occhi da cerbiatta. Ok, ci stava. Con una sorella così anche
Tony avrebbe rischiato di cadere in tentazione, ma Thor...
Dannazione, Thor!
Si
passò una mano sul viso.
Tuo fratello, Point Break! Ma
come ti è saltato in mente di scopartelo?
Sapeva bene
non era una domanda che avrebbe mai potuto fare.
Linn e
Sigyn - ormai doveva considerarla un'altra persona altrimenti avrebbe
rischiato di farsi venire la nausea ogni volta che la chiamava Thor -
stavano ancora parlando. Linn le stava dicendo qualche altra frase
fatta sull'universalità dei sentimenti, sul non avere timore
e altri inutili blateramenti asgardiani.
Sigyn
l'ascoltava annuendo e di tanto in tanto accennava a un sorriso.
Tony
guardò le sue labbra piegarsi senza riuscire a non pensare a
Loki che le baciava.
Brivido
raccapricciante.
Fra tanti
asgardiani con cui poteva provare le gioie dell'essere donna, ma
proprio con quell'egocentrico psicolabile pallido doveva finire a
letto?!
No, tutta
quella storia l'avrebbe decisamente fatto impazzire.
Cercò
di concentrarsi su altro, cercò di immaginarsi la faccia di
Bruce all'udire di quella notizia. Non che volesse andarsene in giro a
spettegolare, ma Bruce era Bruce. Doveva sapere, doveva dirgli che
Sherlock aveva avuto conferma delle sue ipotesi incestuose.
In
verità aveva creduto che Loki avesse avuto un debole per le
grazie di sua sorella, ma non credeva che poi sua sorella gliele avesse
concesse allegramente...
In realtà non sono
davvero fratelli, giusto?
Vallo a
raccontare alla nausea che gli stava inacidendo lo stomaco.
Uno scotch,
ecco cosa ci voleva.
Sentì
il sibilo nel suo auricolare e si allontanò di qualche passo
per non farsi udire.
«Stark?»
Era Nick.
Probabilmente
aveva scoperto della sua evasione e voleva fargli il cazziatone.
«Non
ora, Nick. Sono al gabinetto» rispose stancamente.
«Allora sbrigati a scrollarlo
perché ho bisogno di te.»
«Hanno
rapito di nuovo il Presidente?» Ma dov'era Rhodey quando
serviva?[2]
«Non dire scemenze. Voglio che tu
parli con Loki.»
Forse aveva
capito male.
«Io?»
«Sì, tu.»
«Hai
già abbandonato la strada di Torquemada, Nick? Te l'avevo
detto che la tortura è fuori moda ormai.»
«Personalmente la reputo un
evergreen, e comunque ho bisogno che tu gli faccia saltare i nervi.»
«E
cosa ti fa credere che sia io la persona giusta?»
«...»
Sorrise con
una certa soddisfazione.
«Ok.
Ma di' ai tuoi uomini di non spararmi addosso. Chiaro? Sono
disarmato.»
«Sono stati avvisati. Sbrigati.»
«Ehi,
Nick?» Lo chiamò prima che interrompesse la
chiamata.
«Parla in fretta, Stark.»
Si
voltò di spalle verso il muro che celava Linn e Sigyn.
«Niente...»
Lo
udì borbottare dall'altra parte prima che la connessione
cadesse.
Non poteva
dirlo a Nick, come minimo avrebbe voluto la testa di Thor su un piatto
e avrebbe tagliato altro
a Loki. Non che la seconda gli potesse poi importare molto, anzi, era
una scelta punitiva che aveva un suo fascino dantesco.
Controllò
l'ora. Aveva saltato la cena anche quella volta e Pepper aveva anche
evitato di chiamarlo.
Voleva solo
accoccolarsi fra le sue braccia e chiederle di cacciare via tutti i
brutti pensieri.
Lei gli
avrebbe dato per l'ennesima volta del bambino ma lo avrebbe
accontentato.
«Jarvis?»
Dopo, dopo
lo avrebbe di certo fatto.
«Signore?»
«La
camera di Loki è video sorvegliata, dico bene?»
«È corretto. Ci sono
quattro telecamere e microfoni nella medesima quantità.»
Come aveva
immaginato.
«Vuole che attivi il protocollo H?»
Sorrise
mentre si avviava verso il corridoio.
«Mi
leggi nel pensiero, Jarvis.»
«Ogni qualvolta mi pone questa
domanda, in caso di esito positivo, mi chiede di attivare il protocollo
H.»
«Sono
così scontato?»
Girò
l'angolo e vide subito gli agenti sparsi su ogni lato del corridoio.
«È solo il risultato
di un algoritmo, signore.»
Erano otto
uomini tutti armati e con poca voglia di sorridere.
«Hai
attivato il protocollo?» chiese sistemandosi il colletto
della camicia.
«Operazione eseguita con successo.»
«Bene.»
Almeno avrebbe evitato di dover parlare per metafore.
*
Jane si
torturò le dita delle mani senza neanche accorgersene, solo
quando le unghie graffiarono troppo forte la pelle e vide piccole gocce
di sangue, se ne rese conto.
Dov'era
Thor?
Dov'era
questo luogo dove se ne stava steso su un letto privo di sensi?
Come poteva
anche solo respirare pensandolo in quella situazione?
Bruce le
aveva portato un bicchiere d'acqua, Natasha le aveva detto che stavano
facendo il possibile, Clint asseriva che ormai che avevano Loki era
solo questione di tempo prima di avere risposte e soluzioni.
Steve non
aveva detto nulla.
Jane aveva
cercato i suoi occhi e aveva trovato gli stessi timori. Ma Steve era un
soldato leggendario ed era capace di celarli, lei era solo una donna
innamorata e la sua paura distruggeva anche la patina di raziocinio che
le dava un dottorato in astrofisica.
Guardò
la porta aprirsi e Linn entrare. Guardò il viso della donna
al suo fianco, il viso di Sigyn.
Trattenne
le lacrime solo perché non ci sarebbe stato lui a lavarle
via con una carezza, non ci sarebbe stato lui a stringerla e a
sussurrarle di non tremare.
«Jane...»
Un nodo
spigoloso le scese in gola.
«Noi
raggiungiamo Fury.» Natasha parlò ancora ma lei
aveva lo sguardo fisso in quello azzurro a pochi metri.
Con la
Romanoff anche Clint lasciò la stanza e poi fu il turno di
Steve.
Linn
seguì il capitano non prima di averla guardata con una
strana tristezza che non aveva tempo né forza di spiegarsi.
Bruce fu
l'ultimo ad andare via, fu l'unico che però le sorrise.
La porta si
chiuse e in quella stanza Jane avrebbe solo voluto che quegli occhi
azzurri appartenessero a Thor.
*
Entrò
lentamente nella stanza e subito si ritrovò la canna di una
pistola contro la tempia.
Alzò
entrambe le mani con un sorriso.
«Calma,
ragazzi. Mi manda papà Fury.» Gli occhi saettarono
al letto al centro e al viso assopito che vi giaceva.
«Hai
cinque minuti, Stark. Sono questi gli ordini.» Gli
intimò l'agente alla sua destra.
«Basteranno.»
Abbassò
le mani e aspettò che i due uscissero.
Nick doveva
confidare molto nelle sue videocamere altrimenti non gli avrebbe
lasciato quella libertà. Nick era un po' troppo ingenuo per
essere a capo di un'agenzia di intelligence che aveva la pretesa di
difendere il mondo da minacce terrestri e aliene.
O forse era
Tony a essere un po' troppo stronzo per lavorarci - anzi, per farvi
beneficienza, dal momento che nessuno gli passava un verdone.
Guardò
la stanza bianca e sterile e i macchianti accanto al letto.
Loki
dormiva.
Le braccia
nude stese sul lenzuolo e l'ago di una flebo nel braccio destro. Le
manette che legavano i polsi alle sbarre d'acciaio laterali.
Bruce gli
aveva detto della sua ferita all'addome, ma non ci teneva proprio a
scostare il lenzuolo per sincerarsene.
Si
avvicinò con passi tranquilli osservando le telecamere
all'angolo che stavano riprendendo la scena ma che, chissà
per quale motivo, avrebbero avuto qualche problemino sia d'audio che di
video.
Sapeva che
Nick non avrebbe apprezzato la sua idea di insinuarsi per l'ennesima
volta nei suoi sistemi, ma poteva sempre dare la colpa a Loki. Si
poteva sempre dare la colpa a Loki un po' per tutto.
Quando
raggiunse il letto guardò il viso pallido e il taglio sulla
fronte. Il labbro spaccato e i lividi sulle spalle.
Lo avevano
mazzolato per bene.
Sollevò
un angolo della bocca e gli schiaffeggiò una guancia un paio
di volte.
«Ehi,
Gray's Anatomy, svegliati» sospirò schiaffeggiando
leggermente anche l'altra.
Ci fu
dapprima un brontolio e poi uno sbattere infastidito di palpebre.
In
realtà pensava stesse fingendo di dormire. Doveva essersi
sbagliato.
Sembrava
essere messo abbastanza male, eppure rimaneva diffidente a ogni suo
comportamento. Quello lì ne sapeva sempre una più
del diavolo.
«Andiamo,
ho solo cinque minuti» brontolò incrociando le
braccia e aspettando che Loki lo mettesse a fuoco.
«Stark...»
«Mi
hai riconosciuto. Bene. Possiamo escludere danni alla corteccia
celebrale, anche se mi preoccupano più quelli di natura
psicologica.»
Un debole
sorriso gli piegò le labbra.
«Fury
vuole usare la tua compagnia per torturarmi?... Che uomo
sadico.»
Sospirò
allontanandosi di qualche passo e sedendosi su tavolo posto al lato
della stanza.
«Immaginavo
avresti preferito la compagnia di qualcun altro. Devi accontentarti.
Quando tenti di invadere un pianeta una decina di volte di solito le
persone non sono propense a darti quello che vuoi.»
Loki lo
ascoltava con il capo leggermente reclinato di lato.
Deglutì
un paio di volte mal celando una smorfia sofferente.
«Se
evitassi di morire nei prossimi minuti te ne sarei grato.»
Lo vide
sorridere e osservarlo con la solita arroganza.
Quanto
poteva essere insopportabile anche in quel momento?
«Sei
qui per chiedermi di Mjolnir?... Ti risparmio tempo: non ho idea di
dove sia.»
Arrogante e
scontato.
«Sbagliato!
Non sono qui per il martellone di tuo fratello - che detta
così suona anche ambiguo.»
Loki
sollevò un sopracciglio visibilmente diffidente e Tony
sapeva avrebbe avuto ben poco da fare il diffidente fra un po'.
Saltò
giù dal tavolo e prese a gironzolare per la stanza.
«Ambiguo!
Ecco, era proprio di questo che volevo parlare.»
Loki non
rispose. Dovette però intuire che voleva andare a parare da
qualche parte.
Loki era
irritante e fastidioso, ma mai uno stupido. Dannato lui...
«Falla
breve, Stark, vorrei dormire.»
«Sarò
una scheggia! Vorrei che rispondessi solo a due domande.»
Arrestò il suo vagare e lo fissò con finta
curiosità. «La prima: quanto devi essere messo
male per dover tramutare tuo fratello in una donna per poter scopare? E
due: che droga hai usato per convincerla?... Perché non
credo che qui sulla Terra ne esistano di così
forti.»
Loki lo
guardava senza lasciar trapelare nulla. Era bravo, su questo non poteva
dire nulla.
«Sei
qui per chiedermi consigli sulle donne, Stark? Non mi dirai che la
bella Virginia non è soddisfatta adeguatamente...
vero?»
Ghignò
scuotendo il capo.
«Ho
capito, non ne vuoi parlare. Beh, hai ragione. Hai assolutissimamente
ragione! Neanche a me andrebbe di parlare del modo in cui ho giocato al
dottore con mio fratello quando è diventato mia sorella,
però devi farlo perché, non so se l'hai notato,
ma qui sulla Terra ne abbiamo un po' le scatole piene di te e dei tuoi
trucchetti.» Non ci fu più spazio per i sorrisi e
le battute. Non c'era più spazio per niente che non fosse la
verità. Tony lo sapeva, Loki anche.
«O
mi dici ora i dove,
i perché
e i per come
senza tralasciare nulla, o vado dalla tua Sigyn e le faccio qualsiasi
domanda mi passi per la testa e credimi, ne ho alcune davvero
delicate.»
Loki non
aveva più sorrisi sul viso né arroganza nello
sguardo, eppure non mostrò un solo singolo tentennamento.
I polsi bloccati dalle manette
non si mossero di un centimetro, la gola non sussultò,
nessun fremito, nessuna piccola traccia di rabbia.
Solo il
semplice e apatico niente.
«Fa'
pure, Stark.»
Quella
risposta fece nascere un ringhio sulla sua lingua ma lo
inghiottì. Credeva avrebbe funzionato. Credeva che toccare
lei avrebbe portato a parlare lui.
«Falle
tutte le domande che ti passano per la testa. Chiedile di Amora, di
Styrkárr... di noi.» Un piccolo sorriso
piegò le labbra screpolate di Loki. «Chiedile
anche quante volta l'ho posseduta, forse ricorda il numero esatto... o
forse no. Sai, sono state un numero considerevole...»
Non credeva
davvero a quello che stava sentendo. In verità non voleva
sentire nulla di quella storia.
«Chiedile
di come gemeva il mio nome, di come mi supplicava di prenderla ancora e
ancora... Chiedile della facilità con cui ha allargato le
gambe alla prima occasione, e di come ha goduto nel farlo.»
Scosse il
capo disgustato e quel disgusto dovette trapelare dalla sua espressione
perché il ghigno inquietante sul viso di Loki si
accentuò.
«Vuoi
risposte, Stark?... Chiedile al tuo caro Thor.»
La porta si
aprì ma Tony non osservò i due agenti rientrare.
Gli occhi sul quel viso e su quell'espressione sprezzante che gli stava
rivoltando lo stomaco.
«Tempo
scaduto.»
Sorrise
ancora nauseato e lasciò quella stanza senza dire una parola.
*
Quando la
porta si chiuse alle spalle di Stark, le due guardie ripresero il loro
posto.
Loki
deglutì a vuoto e lasciò che il viso perdesse
ogni curva di sorriso, di falso e ingannevole sorriso.
Respirò
a fondo.
Sigyn...
Nella sua
mente disegnò ogni dettaglio del suo viso, l'azzurro dei
suoi occhi lo abbagliò.
Poi quegli
occhi divennero più infantili e splendevano su un viso
tondo.
“Fratello, sbrigati!”
Era Thor
che correva per le colline di Yord. Era Thor che gli tendeva la mano
per aiutarlo a salire. Era il sorriso di un bambino spavaldo eppure
dolce come nessun altro, che gli baciava la fronte prima di
addormentarsi al suo fianco, che gli giurava che lo avrebbe difeso da
ogni pericolo.
Era il
sorriso e gli occhi di un fratello che aveva amato più di
ogni altra cosa nella sua vita.
Sulle
colline di Yord, sotto l'arancio del tramonto, lui e Thor sospiravano
sogni di fanciulli, disegnavano futuri dorati da re e condottieri.
Erano solo
Loki e Thor.
Non era
più stato così.
Quel
fratello era morto secoli dietro, era molto fra le risate di Fandral e
gli scherni di Sif, era morto nelle battute di Volstagg e le occhiate
di Hogun. Era morto su ogni bocca che aveva baciato, nel gemito di ogni
donna che gli aveva scaldato prima il letto e poi il cuore.
Il Thor che
affermava ancora con fastidiosa convinzione di essere suo fratello era
solo l'ombra di un ricordo lontano.
E Loki
aveva smesso di cercare quell'ombra, aveva smesso di inseguirla.
Se quel
fratello era perduto, così non era stato per la donna che
aveva amato. L'unica, la sola.
Sua e di
nessun altro.
Thor è perduto.
Era sua la
voce che lo ribadiva forte.
Sigyn è mia.
Sollevò
le palpebre con un sospiro. «Che ore sono?»
«È
ora che chiudi quella bocca.»
Irritanti
midgardiani.
«Voglio
solo sapere quanto devo aspettare affinché queste dannate
luci si oscurino, cosicché possa dormire lontano dalla vista
fastidiosa delle vostre facce.»
La guardia
sulla destra fece qualche passo e raggiunse il letto.
«Di'
ancora una sola parola e ti pianto un proiettile in testa e allora
dormirai tutto il tempo che vuoi. Chiaro?»
Sorrise
divertito ma l'uomo tornò alla sua posizione senza cedere.
«Chiaro»
sospirò chiudendo nuovamente le palpebre.
Qualche
attimo dopo scese una tenue penombra che sebbene non potesse chiamare
buio, gli concesse comunque di tenere le palpebre aperte senza che i
due lo notassero.
Un solo
volto in quelle ombre, un solo nome fermo sulla punta della lingua.
***
Note:
[1] Lannister.
È ovviamente un riferimento all'opera letteraria
“Games
of Thrones” in cui i fratelli Cersei e Jaime hanno una
relazione di
natura incestuosa.
[2] Rhodey,
ovvero James Rhodes/War Machine,
amico di Tony. L'episodio del rapimento del Presidente è una
citazione
al film Iron Man 3.
NdA.
Loki diventa sempre più simpatico, tanto per citare Bruce.
Tony ha aperto il vaso di Pandora, la barriera è sparita,
Linn ci ha messo un po' di lingua e Jane sta per farmi causa.
Nel prossimo capitolo reazioni, azioni e inevitabili conseguenze.
^-*
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 16 *** Il caldo tocco di fredde dita ***
cap16
L' ultima lacrima
XVI.
Jane ricordava bene il primo
dettaglio di cui si era innamorata. Perché Thor era sempre
stato bello da far male, ma c'era qualcosa che era più
sorprendente di ogni altro particolare: i suoi occhi.
Azzurri
come un cielo che non aveva mai osservato con nessun telescopio, un
azzurro che non aveva visto dipinto su nessuna tela di nessun museo, un
azzurro di cui neanche in un laboratorio sarebbe stato possibile
ricrearne la cromia.
Thor era
piombato dal cielo come in una storia ridicola, una leggenda vecchia e
polverosa, o una fiaba rosa confetto.
Un principe
caduto dal cielo e atterrato davanti ai suoi piedi.
Il sogno di
ogni donna.
Fra la
polvere e la luce di qualche torcia, Jane aveva visto quegli occhi e
non aveva potuto far altro che innamorarsene.
Sigyn aveva
gli stessi occhi di Thor; lo stesso identico colore, la stessa forma,
la stessa luce colpevole, la stessa dolorosa bellezza.
Eppure
Sigyn non era Thor.
«Sono
ancora io.»
Scosse il
capo con un sorriso che piangeva. «Sei una parte di
Thor» sospirò strofinando ancora i palmi delle
mani fra di essi.
«Jane...»
«Una
parte che non conoscevo» continuò.
«Amora... Styrkárr... » Scosse ancora la
testa. «Ci sono tante cose che non conosco, c'è
un intero passato che non conosco, però non mi
è mai pesato, perché mi dicevo: Jane, come puoi
pretendere che qualcuno che ha vissuto tanto a lungo ti racconti per
filo e per segno ogni minimo aneddoto?»
Sigyn
l'ascoltava con le labbra serrate, con la gola che sussultava di tanto
in tanto, con quegli occhi - Dio,
i tuoi occhi - che cercavano di restare fissi nei suoi.
«Andava bene, perché non mi importa del passato ma
nascondermi un pezzo di te... no, questo a me non sta bene.»
«Non
avrei voluto farlo.»
«Lo
so... ma l'hai fatto e bada bene non voglio colpevolizzarti,
però non chiedermi di essere forte stavolta
perché non posso esserlo.»
«Oh,
Jane.» Le sue piccole mani avevano intrappolato le sue. Erano
calde e morbide, eppure Jane non sentiva alcun conforto in quel tocco.
«Non ti chiederei qualcosa che non potresti sostenere. Ma tu
sei forte... Sei la persona più forte che conosca in questo
mondo.» E le aveva sorriso ma Jane non era riuscita a
rispondere a quel sorriso.
Aveva fatto
scivolare via le sue mani e si era alzata dalla sedia.
Una ciocca
a nascondersi dietro a un orecchio e mille parole sulla punta della
lingua.
«Io...»
Si umettò le labbra e la guardò ancora.
«Ho bisogno di Thor per essere forte.»
«Sono
qui, Jane.»
Abbassò
il capo e stavolta sorrise.
«No,
non sei più qui... Non per me.»
Non ebbe
risposta eppure la udì comunque.
Quando
sollevò gli occhi, scoprì quelli di Sigyn fissi
sulle sue stesse mani ferme immobili contro le ginocchia.
Percorse
con lo sguardo le linee morbide del suo viso, i capelli in disordine,
le spalle che si alzavano e abbassavano a un ritmo tristemente calmo.
«La
barriera di Loki non c'è più»
asserì recuperando la sua attenzione.
Sigyn
annuì e si alzò a sua volta.
«Chiama
Asgard e chiedi aiuto.»
Un sospiro
abbandonò le sue labbra, ma non una parola fu pronunziata.
Fu Jane a
doverne dire ancora.
«Aiutami
a riportare qui Thor.»
«Perdonami,
Jane.»
No, non
c'era nessun perdono da chiedere né da concedere, Jane
questo lo sapeva.
Allungò
una mano e aspettò che lei la afferrasse.
Sigyn
indugiò a lungo con lo sguardo sulle sue dita, poi fece un
passo e le sfiorò.
Ne fece
ancora uno e la strinse fra le braccia.
Sii forte, Jane.
Nella sua
testa era Thor a sospirarglielo dolcemente.
Jane
l'abbracciò a sua volta e sentì quanto
quell'abbraccio significasse più per Sigyn che per lei.
Respirò
a fondo e chiuse gli occhi. Dietro le palpebre trovò il
sorriso di Thor.
Sii forte.
...
Lo sarò. Per te.
Sarò forte e ti
porterò indietro.
Quando
quell'abbraccio si sciolse, c'era un po' di Thor sulle labbra di Sigyn,
un po' di quel sorriso che era stato il secondo dettaglio che aveva
amato di lui.
*
Bruce stava
discutendo con Steve delle condizioni dell'agente Marchel quando aveva
scorto con la coda dell'occhio Tony dal fondo del corridoio.
Non era
neanche riuscito a sentire la frase con cui Steve lo aveva accolto
ché la mano di Tony si era serrata attorno al suo polso e,
senza neanche smettere di camminare, se l'era trascinato dietro
lasciando visivamente interdetti sia Steve che Linn.
Dopo
all'incirca sette passi, Bruce sentì che il conta battiti
stava visualizzando delle cifre un po' troppo alte.
«Tony!
Ma che ti prende?» chiese sfuggendo dalla sua presa.
Solo allora
vide l'espressione sul suo viso e no, non era per niente rassicurante.
Si
tastò con le dita il polso mentre giravano un angolo.
«Che
sta succedendo adesso?»
Tony non
aveva detto mezza parola. Aveva poi aperto una porta e gli aveva fatto
cenno di entrare.
A quel
punto Bruce non aveva potuto fra altro che seguirlo.
La porta si
era chiusa.
Era uno
stanzino del reparto di infermeria. C'era una lettiga d'acciaio,
qualche scaffale in alluminio, dei camici bianchi gettati su un paio di
scatole.
Disinfettanti,
tinture di iodio.
Tony aveva
fatto un lungo sospiro e aveva tirato fuori il suo smartphone.
Bruce
studiò ancora il suo viso ma quando non udì un
solo fiato, scosse il capo incrociando le braccia sul petto.
«Ok,
adesso mi stai spaventando, Tony.»
Nessuna
risposta.
Tony teneva
lo sguardo fisso sul palmare mentre digitava qualcosa con i pollici.
Pulsazioni
troppo alte. Hulk stava bussando.
«Tony!»
Forse urlò, non se ne rese conto, ma Tony non
mostrò alcun intento di fare o dire qualcosa.
Stava per
uscire da quella stanza quando finalmente qualcuno parlò:
non era Tony, era la voce di Loki.
“Falle tutte le domande che ti
passano per la testa. Chiedile di Amora, di Styrkárr... di
noi. Chiedile anche quante volte l'ho posseduta, forse ricorda il
numero esatto...”
«Ma
che cos'è?» chiese anche se aveva intuito bene
cosa Tony voleva dimostrare.
«Ascolta.»
Finalmente aveva parlato e Bruce aveva seguito il suo comando.
La voce di
Loki abbandonò ancora lo smartphone di Stark.
“Chiedile di come gemeva il mio
nome, di come mi supplicava di prenderla ancora e ancora... Chiedile
della facilità con cui ha allargato le gambe alla prima
occasione, e di come ha goduto nel farlo.”
«Oh
dio...» Si passò una mano sugli occhi e
sospirò a lungo.
“Vuoi risposte, Stark?...
Chiedile al tuo caro Thor.”
Poi fu
silenzio.
Milleuno... milledue...
milletre... millequattro...
Iniziò
a contare lentamente mentre un calore insopportabile saliva dalla sua
gola. Gli occhi ancora serrati.
Il verde
dei prati, le onde del mare, la sabbia dorata del deserto del Sahara.
Le lande
gelide del Polo Nord, i ghiacci silenziosi su cui aveva camminato anni
addietro.
Milleventisette...
Il
centinaio di agenti in quel dannato edificio di cemento.
«Non
so tu, Bruce, ma io credo di aver bisogno di un'intera bottiglia di
bourbon.»
Scostò
le dita e tornò con lo sguardo sul viso di Tony.
Aveva
millantato a lungo, aveva scherzato e anche pesantemente ironizzato su
una possibile relazione ambigua fra Thor e Loki, eppure in quel momento
Bruce non voleva credere che quelle ipotesi discutibili fossero la
realtà.
«Sei
stato da lui?» chiese cercando di non badare al rumore sordo
dei battiti nelle sue orecchie.
«Mi
ha mandato Nick, non è stata una mia idea.» Tony
continuò a giocherellare con lo smartphone per poi infilarlo
nella tasca. «In verità stavo cercando un modo per
aggirare la sicurezza e insinuarmi in quella stanza ma Nick mi ha tolto
dall'incomodo.»
Non si
stupì di quella confidenza. Quando l'aveva visto sparire
aveva subito intuito stesse macchinando qualcosa che aveva a che fare
con Loki.
«In
ogni caso, questa qui, caro dottore, è una confessione in
piena regola.»
«Ehi,
aspetta, Tony. Qualsiasi cosa ha detto può aver mentito. Chi
ci dice che dica la verità? È Loki, dopotutto.
Non puoi lasciare che-»
«Mi
spiace deluderti ma le parole di Loki sono la verità
perché prima di parlare con lui ho accidentalmente ascoltato
un discorso fra le nostre due bionde e, credimi, avrei ceduto la mia
quota maggioritaria delle Stark Industries per dimenticare quello che
ho sentito.»
Aggrottò
la fronte e scosse il capo. «Hai origliato Linn e
Thor?»
«Linn
e Sigyn, Bruce. Chiamala Sigyn perché, fidati, a livello di
conati la cosa aiuta parecchio, e comunque te l'ho detto: è
stato accidentale.»
Poi fu un
lungo silenzio. Bruce cercò di metabolizzare tutto; Tony
chissà che diavolo stava combinando con il suo auricolare
mentre parlava con Jarvis.
«Thor
e Loki...» sospirò a se stesso.
Non pensava
davvero che Tony potesse aver ragione. Non pensava davvero che la
situazione fra quei due fosse così complicata.
«Bruce,
cerca di riprenderti dallo shock dell'incesto perché
dobbiamo parlare con gli altri.»
«Cos-
Tony, non dire sciocchezze, non possiamo dirlo agli altri!»
Dall'espressione
sul suo viso sembrava avesse detto una castroneria come “la
Terra è piatta”, ma Tony non poteva essere davvero
convinto a raccontare la storia a tutti.
«Dobbiamo
farlo. Ormai Loki ha svuotato il sacco, e ci sono intere riprese delle
sue parole, anche se al momento le ho inibite. Adesso possiamo
affrontare Thor, cioè Sigyn, senza più
filtri, Bruce. Possiamo mettere fine a questa cosa una volta per
tutte.»
«Come
pensi di poter andare da Nick e dirgli una cosa simile? A che pro? Come
può aiutarci a recuperare Mjolnir sapere dei loro
trascorsi?» Tony lo ascoltò in silenzio soffiando
forte dal naso. «Steve... non hai pensato a Steve? Come pensi
che reagirebbe?»
«Le
reazioni da cattolico di Cap non sono un mio problema. Le bugie di Thor
lo sono, e anche quelle di Linn. Le perversioni di Loki lo sono e io
voglio solo usarle contro di lui.»
«E
calpesteresti la dignità di un amico per farlo?»
Tony
sospirò ancora portando lo sguardo sulla parete.
«Credi
davvero che provi piacere a farlo?»
«Non
sto dicendo questo, dico solo che se devi parlare con Thor, va bene...
ma per favore, Tony, te lo chiedo per favore, non alzare un polverone
adesso.»
«Prima
o poi va alzato.»
Assentì
con il capo umettandosi le labbra.
«Sì,
hai ragione, ma non adesso.»
Tony lo
guardò a lungo e poi sollevò un angolo della
bocca.
«Lo
fai per la Foster, vero?»
Sentì
il viso accaldarsi.
«Anche,»
rispose. «Jane non ha bisogno di sapere anche questo... dio
solo sa come stia in questo momento.»
«Perché
non ti fai avanti? A quanto pare il suo fidanzato preferisce i
martelli... in tutti i sensi.»
Gli
lanciò un'occhiataccia di richiamo ma Tony sorrise e lui non
poté fare a meno di ricambiare.
«Non
è corretto fare battute su questa situazione,
Tony.»
«Oh,
Bruce, non ho ancora iniziato a fare battute.» Si
avviò alla porta e poggiò la mano sul pomello.
«Tony...»
«Lo
so, Bruce.» Tony lo guardò e non c'era
più alcun sorriso. «Ma terrò la bocca
chiusa solo fino a domattina.»
«Domattina?»
Tony
annuì. «Domattina.»
Non
insistette più. Era già un buon compromesso.
*
Da quando
Bruce era stato letteralmente rapito da Stark, Steve e Linn non avevano
detto una sola parola.
Steve la
guardava e tentava di aprire bocca, poi lei guardava lui e nessuno
osava fiatare.
Lo aveva
baciato.
Lei.
La piccola
e timida Linn aveva baciato lui.
Ed era
stato meraviglioso.
Si
sentì arrossire al ricordo delle sue labbra e prese un
profondo respiro.
Quando si
era tirata indietro Steve non aveva saputo rispondere al suo “grazie”, si era solo alzato in piedi
e le aveva detto che dovevano andare, e Linn lo aveva seguito.
Non era
stato molto galante ma, accidenti,
non aveva la minima idea di come comportarsi.
Gettò
uno sguardo all'angolo dietro cui erano spariti Bruce e Tony.
Thor stava
ancora parlando con Jane, e Clint e Natasha erano di certo da Fury.
E lui era
lì, in compagnia di una ragazza che in meno di 48 ore lo
aveva irrimediabilmente travolto, con i suoi silenzi e i suoi sorrisi
imbarazzati, con modi che credeva perduti e occhi tanto dolci che non
avrebbe mai immaginato ne esistessero.
Non c'era
scudo con cui potesse difendersi da quello che stava nascendo nel suo
petto.
E il
momento non poteva essere meno appropriato.
«Perdonami.»
A quella
voce si voltò a guardarla.
«Scusa?»
Forse aveva
sentito male perché Linn non poteva avergli chiesto-
«Perdonami
per averti baciato. Non avrei dovuto. È stato un gesto
inopportuno e me ne rammarico.»
Non credeva
davvero alle sue orecchie e sebbene avesse solo voglia di gridarle che
non aveva nulla di cui scusarsi e che lui avrebbe voluto baciarla dal
primo momento e che l'avrebbe già fatto se non avesse dovuto
indossare uno stupido costume a stelle e strisce, Steve
riuscì solo a restare in silenzio con lo sguardo sulle sue
labbra.
«Ti
prego solo di dimenticare la mia insolenza, Steve. Solo
questo.»
«Linn...»
sospirò e si passò una mano sul viso.
Stupido!
Stark aveva
ragione: era un vero idiota!
«Senti,
io...» Non trovava parole, non trovava nessuna frase che
andasse bene e gli occhi di Linn erano tropo belli per meritarne di
sbagliate.
Mando
giù nella gola ogni dubbio e si schiarì la voce
con un leggero colpo di tosse.
Passò
i palmi delle mani sulle cosce perché li sentiva troppo
umidi.
Si
bagnò le labbra e la guardò ancora.
Linn era in
attesa che lui dicesse qualcosa, con la gola che sussultava e le spalle
che si alzavano e abbassavano e-
No, non
stava aspettando parole.
Sentì
il cuore accelerare e si schiarì di nuovo la voce.
Non l'aveva
mai fatto. Non aveva mai realmente baciato una donna, assurdamente
erano sempre state loro a fare il primo passo e se pensava che era come
una bandiera per un'intera nazione, poteva sentire l'imbarazzo di
quella verità solcare sotto la sua pelle e farla
rabbrividire.
I brividi,
ma di ben altra natura, si moltiplicarono quando si avvicinò
a lei ancora di qualche passo.
La gola di
Linn sussultò nuovamente.
Le sue
labbra erano socchiuse e gli occhi fissi nei suoi.
Momento sbagliato, posto
sbagliato, situazione sbagliata...
Le
sfiorò il viso con il dorso dell'indice e sentì
lo stomaco stringersi fino a fare male.
Momento
sbagliato, posto sbagliato, situazione sbagliata.
Ma Linn era
giusta, le sensazioni che scatenava dentro di lui erano giuste, il
desiderio che nasceva a ogni centimetro di distanza che la sua bocca
divorava era maledettamente giusto.
«Steve...»
Sentì soffiarlo contro le sue labbra prima che le sfiorasse
con le proprie.
Ed erano
calde e dolci, ed erano tutto ciò che in quel momento
importava.
Scivolò
con le mani sui suoi fianchi fino a stringere la sua vita sottile fra
le braccia. Sentì quelle di Linn legarsi attorno alle sue
spalle e le dita nuotare fra i suoi capelli.
La
baciò con dolcezza e poi con passione. La baciò
dimenticando tutto il resto, sentendo un cuore infuriare contro il
petto senza chiedersi a chi appartenesse.
Qualcuno
passò loro accanto, poteva udire i passi di qualche agente.
Non si
curò di loro né di alcun altro. Non si
curò dell'occhio rosso delle telecamere né del
sibilo del suo auricolare.
Con un
gesto istintivo lo tirò via dall'orecchio lasciandolo cadere
a terra.
Il mondo
poteva fare anche a meno di lui per i prossimi dieci minuti.
Per le
prossime dieci ore.
Per i
prossimi dieci anni.
*
Quando
qualcuno bussò Sigyn guardò la porta con
diffidenza.
Quando da
essa si affacciò il viso di Tony, la diffidenza divenne
fastidio.
Non poteva
farne a meno, sapeva bene che Tony non aveva colpe, eppure non riusciva
a sfuggire da quella sensazione.
«Sto
tornando alla Tower.» Lo udì affermare. Accanto a
lui le parve che Bruce scostasse lo sguardo. Non si chiese neanche il
perché.
«Vuoi
un passaggio?» A quella domanda si voltò d'istinto
verso Jane.
«Io
non credo sia il caso di lasciare la struttura»
affermò cercando nello sguardo di Jane la richiesta di
rimanere.
Quella
richiesta non arrivò e Sigyn sapeva bene era giusto
così.
Ma non
aveva intenzione comunque di seguire Tony nella sua casa.
Non adesso,
non dopo ciò che era accaduto quel pomeriggio, non dopo aver
udito la verità abbandonare le labbra di Loki.
«Come
preferisci.» Tony affondò le mani nelle tasche dei
suoi pantaloni. «Allora parleremo qui, anche se avrei
preferito farlo davanti a un bicchiere di buon vino.»
«Io
torno in laboratorio.» Jane si allontanò e lei non
riuscì neanche a fermarla.
«Ti
accompagno?»
Alla
richiesta di Bruce, pregò che lei accettasse. Lo fece e gli
sorrise.
Prima di
uscire la guardò e Jane sorrise anche a lei.
Grazie...
Non serviva
pronunziarlo. Jane era la donna più forte e bella e
intelligente che avesse mai incontrato nella sua lunga vita.
Bruce
chiuse la porta e Sigyn rimase sola con Tony.
Sapeva che
avrebbe voluto udire altre spiegazioni di Styrkárr e Amora,
qualsiasi cosa potesse essere loro d'aiuto.
Aiutare
loro affinché loro potessero aiutare lei, aiutare Thor.
«Dimmi.»
Incrociò le braccia sul seno e aspettò l'ennesima
domanda.
Ma Tony non
fece alcuna domanda.
«Ho
parlato con Loki.»
Aggrottò
la fronte con un groppo asciutto che le scendeva nella gola.
«Quando?»
Gli ordini
di Fury erano stati chiari e sebbene Stark fosse sempre stato un uomo
poco incline alla subordinazione, non credeva avrebbe davvero
calpestato anche quel comando.
«Poco
fa e tranquillizzati, dolcezza, mi ha mandato Fury.»
Non
badò neanche alle sue ennesime beffe, troppo occupata a
preoccuparsi di cosa avesse potuto dir Tony a Loki, cosa soprattutto
Loki aveva detto a lui.
Tony la
guardò senza dire niente per interi minuti.
«Che
ti ha detto?»
Una domanda
che non necessitava di risposte.
«Qualcosa
che avrei preferito non sapere.»
Sentì
il volto bruciare, il petto incrinarsi e il suo stesso orgoglio
sbriciolarsi sotto le dita.
Deglutì
e non riuscì a tenere il suo sguardo.
«Ho
le registrazioni nel caso volessi ascoltare, ma ti avviso che non
c'è andato giù leggero, ma questo è
scontato visto di chi stiamo parlando.»
Sentiva la
bocca secca e le dita stringere con troppa forza i gomiti.
Loki non
poteva averle fatto anche questo, non poteva aver distrutto anche il
rispetto dei suoi compagni.
«Saltiamo
la parte in cui mi dici che è stato tanto tempo fa e in cui
io ti rispondo che non importa, perché sarebbero entrambe
delle cazzate, e arriviamo dritto al punto in cui tu entri in quella
stanza e fai parlare Loki con ogni mezzo.»
Sollevò
lo sguardo e la gola sussultò.
Tony non
mostrò alcun apparente reazione ma sapeva bene era solo il
suo modo di affrontare la cosa. Chiunque sarebbe stato scosso e
disgustato da tutta quella storia. Lo era Natasha, lo era Tony e
chiunque altro l'avrebbe udita. Lo sarebbe stato Clint e lo sarebbe
stato Steve. Ed era giusto che fosse così.
Perché
per quanto dolci potessero essere stato le parole di Linn, Sigyn non
credeva davvero che tutta quella storia fosse mai stata giusta, fosse
mai stata legittima, e non per colpa di un sangue che li univa e che
ironicamente non li aveva mai uniti su serio. Perché essere
fratelli non era qualcosa che nasceva dal fluido rosso che scorreva
nelle vene o dal seno a cui si era stati allattati. Loki era stato suo
fratello perché aveva giocato con lui in fasce, aveva
ascoltato i suoi pianti, le sue risate. Era suo fratello
perché avevano litigato mille volte e mille volte avevano
fatto pace. Era suo fratello perché Odino aveva avuto un
richiamo per ognuno di essi e Frigga una carezza per entrambi.
Era suo
fratello perché era stato il primo a credere in lui e
l‘ultimo ad abbandonare il campo di battaglia al suo fianco.
Era suo
fratello perché senza di lui Thor non era niente.
Non c'era
legittimazione in ciò che avevano fatto in quelle notti e in
quei giorni, non c'era nulla di lecito nella passione che avevano
consumato con disperazione e con follia, non c'era nulla di perdonabile
in tutta quella storia annegata in un passato lontano e colmo di
illusioni.
«Con
noi non parlerà anche se dovessimo torturarlo per bene,
però credo che tu possa essere più persuasiva e
prima che ti infuri, non intendo nulla di sessualmente
incestuoso.»
Rabbrividì
nell'udire a voce alta quella parola.
Era
sibilata così tante volte nella sua testa eppure riusciva
ancora a farle male, riusciva ancora a farle sentire il peso di un
peccato che non era mai andato via, neanche quando quella luce
innocente era prima nata per poi spegnersi nel suo stesso ventre.
Tremò
nel chiedersi se Loki avesse gettato via l'ultimo riflesso di quel
sentimento, ma Tony non disse nulla che lasciava trapelare che fosse in
possesso anche di quell'ultima crudele verità.
«Non
ho poteri, non ho niente con cui obbligarlo a parlare»
sospirò cercando di mitigare l'imbarazzo naturale di quel
momento.
«Beh,
neanche lui, quindi potete giocare ad armi pari.»
«Non
so cosa ti aspetti che possa fare.»
Tony
sorrise ma era un sorriso freddo e di facciata.
«Ti
inventerai qualcosa.»
Cosa?
Non porse
la domanda, si limitò a studiare il suo viso sentendosi
scomoda nella sua pelle, quella pelle nuova eppure così
familiare da farla impazzire.
«Hai
fino a domattina, poi dirò al resto della squadra
ciò che Loki mi ha detto. Per adesso solo Bruce ne
è a conoscenza.»
Sussultò
e scosse il capo impercettibilmente.
«Non
è una minaccia, né un ricatto, è solo
ciò che farò domattina. Volevo avvisarti per
correttezza.»
Una
manciata di ore, ecco ciò che la divideva dalla delusione e
dal ribrezzo che avrebbe letto negli occhi dei suoi compagni, dalla
rabbia e forse dall'odio che avrebbe trovato in quelli di Jane.
Una
manciata di ore e Thor sarebbe stato distrutto per sempre.
«Fra
qualche minuto gli agenti di guardia alla camera di Loki riceveranno
l'ordine di Fury di lasciarti entrare.» Sentì la
voce sicura di Tony parlare ancora: «Ovviamente
sarà Jarvis a trasmettere quell'ordine; Fury non sa nulla di
questa storia... almeno non ancora.»
Assentì
con il capo e cercò di raddrizzare le spalle.
«Non
badare alle telecamere che vedrai, non riprenderanno nulla. Le riprese
della stanza e dell'intero corridoio saranno offuscate. Neanche io
vedrò.» Tony sbuffò con la solita
espressione noncurante. «Puoi fidarti. A questo punto
è inutile giocare a mentirci a vicenda.»
Lo
ascoltò senza dire nulla rivivendo il loro breve scontro sul
tetto e ogni singola occhiata di sfida che si erano scambiati.
Tony aveva
ragione: mentire era ormai una pratica relegata al passato.
«Se
Loki mi darà le sue risposte...»
«Spereremo
che siano utili.»
Non era
ciò che intendeva dire.
Ma Tony
aveva preferito far finta di non udire la sua richiesta codarda e
umiliante.
Non ci
sarebbe stato nessuno scambio, non ci sarebbe stato nessun modo per
evitare l'inevitabile.
Stark
avrebbe detto a tutti ciò che sapeva a dispetto di qualsiasi
cosa lei fosse stata capace di far dire a Loki.
Tony era
stato almeno onesto nel pronunciare la sua sentenza senza
possibilità di ricorso.
«Va
bene.»
Ascoltò
le sue direttive: il piano, il corridoio, il numero della stanza in cui
giaceva.
Ascoltò
tutto e annuì silente ad ogni informazione.
Prima di
uscire guardò ancora verso Tony.
«Natasha...
lei già sa.»
Tony non
sembrò sorpreso dalla sua confidenza; fece un cenno con la
testa e non disse altro.
Sigyn
uscì.
Tempo, era
solo questo che le era concesso: un po' di tempo.
Su Midgard
il tempo sembrava essere la cosa più importante,
perché le vite dei terrestri erano brevi e fugaci e ogni
respiro aveva un valore prezioso.
Benché
avesse lottato al loro fianco e avesse lottato per loro, non aveva
compreso quanto potesse davvero essere importante lo scorrere del tempo.
Ora lo
sapeva.
E la sua
clessidra era appena stata capovolta.
₪₪₪
Gli occhi di
Styrkárr la guardarono a lungo e Amora vide nel fondo nero
solo morte.
«Cosa
significano le tue parole, Incantatrice?»
Non si
lasciò intimorire.
«Significano
ciò che ho detto.»
Un suono
gutturale e un fulmine che cadeva in lontananza.
Nella landa
desolata non c'era nulla che potesse essere dato alle fiamme.
«Non
era nei nostri patti, Amora.» La voce era bassa e le parole
sibilate con lentezza. Styrkárr avanzò tenendo
stretto nel pugno il manico di Mjolnir. «Non era nei
patti.» Le soffiò sul viso.
Amora
deglutì ma non mostrò incertezze.
«Prima
di proseguire devo disfarmi degli inganni di quel cane.»
«Non
era nei patti!» L'urlo di Styrkárr fece piovere
altre saette.
Nel suo
petto il cuore iniziava a battere un po' più forte ma il
viso non lasciò trapelare la sua agitazione.
Un profondo
respiro e la fermezza nello sguardo.
«Non
impiegherò molto. Lasciami solo il tempo per slegare il suo
incantesimo e potremmo proseguire.»
Styrkárr
sembrò ascoltarla e allo stesso tempo ascoltare altro,
qualche voce nella sua testa, il bisbiglio di qualcun altro.
«Quanto
tempo?» Si sentì chiedere con tono minaccioso.
«Il
tempo necessario.»
Caddero
ancora fulmini e poi ogni fulgore cessò.
Eterni
sembrarono gli attimi che ne seguirono.
Styrkárr
le diede le spalle e Amora temette cosa potesse aver celato al suo
sguardo
«Così
sia.» A quelle parole non riuscì a trattenere un
sospiro grato. «Avrei il tempo di cui hai bisogno, ma bada
bene, Incantatrice: la mia pazienza ha un limite.»
«La
tua fiducia non sarà tradita, Styrkárr.»
Quando il
Vanr si voltò non c'era alcun sorriso sulla sua bocca.
₪₪₪
Non mise neanche un piede nel
corridoio che gli agenti posti di guardia le impedirono di proseguire.
«Non
puoi stare qui.» Affermò un uomo più
alto di lei dai capelli neri e il viso liscio.
Sigyn
guardò i suoi occhi con fermezza.
«Ho
il permesso di Fury di fargli visita.»
Ricordò
le parole di Tony.
L'agente la
studiò per qualche attimo poi si consultò con un
altro agente tramite una sola semplice occhiata.
«Il
tuo nome.» Le comandò.
Ancora il
ricordo della voce di Tony risuonò nelle sue orecchie.
«Non
è un'informazione di cui hai bisogno»
sentenziò.
L'agente
osservò ancora il suo viso e poi sollevò un
angolo delle labbra.
«Prego»
sospirò mimando un gesto di finta cortesia con il braccio.
Sigyn
andò oltre l'uomo e oltre tutti gli altri agenti finche non
giunse davanti ad una porta.
Spinse la
maniglia e la penombra della stanza la inghiottì.
«Chi
sei?»
A quella
domanda fu un altro agente a rispondere, l'agente che le aveva fatto
strada.
«Il
direttore ha detto di farla entrare. Fuori voi due.»
I due
agenti eseguirono l'ordine.
«Divertiti...»
Si sentì sospirare contro l'orecchio dal primo uomo, prima
di restare in quella stanza da sola.
Tony aveva
fatto ricever loro il falso ordine di Fury che comandava di lasciar
passare una donna priva di nome che aveva come unico compito quello di
interrogare il prigioniero.
Non era
neanche una vera menzogna, ma ormai Sigyn non si perdeva più
ad analizzare la sottile linea che divideva la verità dal
falso.
Non c'era
più alcun confine, non c'era più nessuna
distinzione in nulla che la riguardasse.
Osservò
la stanza buia e la sagoma del letto su cui giaceva Loki. Fece solo un
passo prima che una forte luce illuminasse l'ambiente dal soffitto.
Socchiuse
gli occhi per quel cambio repentino e poi la sua gola
sussultò quando l'immagine nitida le comparve dinanzi.
I lividi,
le ferite, le manette, la pelle pallida coperta di fasciature.
Le palpebre
serrate, il viso colpito, i capelli neri che cadevano come pece sul
cuscino bianco, le lunghe braccia stese sulle lenzuola e il sottile
tubo che viaggiava dalla sua vena alla sacca appesa sull'asta di
metallo.
Grandi
macchinari che sibilavano, linee verdi e sottili che si disegnavano con
cadenza regolare.
Solo in
quel momento la paura tornò a impossessarsi del suo petto,
la sensazione che aveva vissuto nel momento in cui aveva udito il
cigolio della barella attraversare i corridoi.
Il terrore
di vederlo morire.
Prese un
profondo respiro e raggiunse il bordo del letto.
Il suo
sguardo seguì il contorno di ogni singolo taglio che si
disegnava sul suo corpo.
Scese fino
alla punta delle dita. Avvertì l'istinto di sfiorarle, di
stringerle fra le proprie, perché qualsiasi errore avesse
compiuto, qualsiasi azione anche la più folle e avventata
avesse mai realizzato, Loki rimaneva sempre Loki.
Nessun
rancore sarebbe mai stato più forte dell'affetto che provava
per lui.
Per quanto
avesse potuto anche odiarlo, non lo avrebbe mai amato di meno.
Guardò
la porta chiusa alle sue spalle.
Poche ore e
la verità sarebbe stata versata come una cascata impetuosa
nelle vite dei suoi amici.
«Un
po' tardi per una visita.»
Si
voltò immediatamente scoprendo i suoi occhi aperti e le
labbra sorridenti.
«Non
sono qui a porgere visite di piacere» affermò
sentendo comunque il bisogno di fare un passo indietro da quel letto.
Loki la
osservo umettandosi le labbra e facendo un cenno con il capo.
«Perché
sei qui, allora?»
Sorrise
istericamente. «Sai bene perché sono qui!...
Risparmiami la pantomima dell'innocente, ormai non sei più
credibile.»
«Potrei
dire lo stesso.»
Ispirò
a fondo.
Non avrebbe
lasciato alle sue parole di inghiottire quel poco tempo che le era
concesso.
«Mjolnir.
Dimmi dov'è, dimmi dove quel traditore di
Styrkárr lo ha portato e indicami la strada per giungere a
recuperarlo.»
Una stanca
risata abbandonò la gola di Loki prima che si tramutasse in
una debole tosse.
La tosse
non cessò presto e il suo viso si contorse in una smorfia di
dolore.
Sigyn
sentì quello stesso dolore tingere anche il suo viso.
«Cos'hai?»
chiese con apprensione senza neanche celarla.
Loki non
rispose e continuò a tenere lo sguardo serrato e i denti
digrignati.
«Loki?»
Lo raggiunse e gli poggiò una mano sul petto.
«Cos'hai? Rispondimi!»
«La
mano...» Era un debole sospiro.
«La
mano? Ti fa male?» Non capiva. Saettò con lo
sguardo alle sue dita strette in un pugno. Forse l'acciaio che gli
cingeva i polsi era troppo stretto.
«La
tua mano... mi sta premendo sulla ferita.»
A quel
punto capì e ritrasse l'arto guardando la fasciatura bianca
che avvolgeva il suo addome.
«Scusa!»
Non si era
neanche resa conto di averlo detto finché non aveva visto il
suo viso aprirsi in un sorriso stanco.
«I
medici della Terra sono molto abili ma i loro metodi risultano alquanto
arretrati.»
Stava bene.
Dannato lui!
Sospirò
ancora e si scostò i capelli dalla fronte.
«Dovresti
solo ringraziare che abbiano deciso di porgerti le loro cure dopo
quello che hai fatto al loro pianeta in più di
un'occasione.»
Loki
alzò un sopracciglio con un piccolo cerotto bianco.
«Non
gli ho chiesto io di farlo. Non è colpa mia se sono
così stupidi da salvare la vita a un loro nemico.»
«Ancora
li insulti?!... Sei incredibile!» sostenne con sdegno.
Come poteva
parlare così degli uomini che avevano offerto le loro
capacità e i loro rimedi per curarlo?
Ma Loki
sorrise ancora, divertito forse dalla sua reazione scontata.
Sigyn non
aveva tempo per dilettarlo con la sua poca freddezza.
«Adesso
parla alla svelta e dimmi-»
«È
inutile.»
Tacque e lo
osservò perdere sorriso e ironia.
«Cosa
è inutile?»
«Sapere
dove si trova Styrkárr. È inutile
perché in quelle condizioni non potresti comunque far
nulla.»
Si
sentì ardere come le avessero gettato lava addosso.
«Non
sta a te decidere! E ora parla prima che ti costringa con la
forza.»
«Sarò
lieto di guardarti tentare.»
«Allora
allietati!» ringhiò e fece schiantare con rabbia
il palmo contro la fasciatura.
Loki
digrignò i denti e la sua gola lasciò andare un
suono che non era sofferenza, ma una debole risata.
«Oh,
adoro il tuo ardore...» sospirò beffardo con un
filo di voce.
«Taci!»
Era pronta a ripetere la stessa azione se non avesse visto il sangue
tingere le fasciature e il bianco divenire in breve sempre
più roseo.
La sua
ferita doveva essersi riaperta.
Sapeva
quanto era costato suturarla e quante ore avevano impiegato i medici
per curare la sua emorragia e ora lei...
«Loki...»
La voce si incrinò e la mano quasi tremò.
Loki non
sembrò accusare molto il dolore ma Loki era sempre stato un
bravo attore.
«Non
è nulla.»
«Nulla?
Vado a chiamare-»
«No.»
Non riuscì neanche a fare un passo.
Lo sguardo
di Loki era serio e lucido e la obbligò a restare.
«I
punti si sono aperti. Tutto qui.» Lo udì affermare.
«Allora
devo chiamare i medici-»
«Ascoltami.»
Fu interrotta ancora. Il suo respiro sembrava essere più
faticoso, doveva di certo esserlo, e le macchie da rosa divenivano
sempre più scarlatte. «Tu puoi curarmi.»
Scosse il
capo assottigliando lo sguardo.
«Che
stai dicendo? Io non posso fare nulla.»
Loki
deglutì e strinse ancora la mascella.
Un altro
respiro. «Il seiðr che ho infuso nella tua mano
può curarmi.»
Guardò
d'istinto il palmo e poi il suo viso.
«Come?
Non conosco incantesimi di guarigione né rune.»
«Non
serve, basterà che tu ti connetta con il mio
seiðr.»
Era ancora
più confusa e la macchia di sangue che stava coprendo le
bende non l'aiutava di certo.
Doveva solo
chiamare qualcuno e smettere di andare dietro ai suoi deliri.
«Ho
ancora il mio seiðr, Amora lo ha solo bloccato, come ha
bloccato la mia natura.»
Loki
sospirò con sofferenza quelle parole e Sigyn
sembrò però capire di più anche
ciò che aveva detto Bruce circa gli esami fatti a Loki.
Un
organismo simile a quello di un terrestre ma con una straordinaria
capacità rigenerativa.
Amora aveva
potere di fare ciò che aveva detto Loki, Amora aveva un
potere spaventosamente smisurato.
Il corpo
che stava indossando il suo cuore era nato da quello straordinario
potere.
Abbassò
lo sguardo ancora una volta sulla sua mano e poi lo sollevò
per portarlo in quello di Loki.
«Posso
sbloccare i tuoi poteri?» chiese.
Loki scosse
il capo. «No, puoi solo guarire le mie ferite, il che sarebbe
già una fortuna dato quanto tempo ci impiegherei con la
medicina midgardiana.» Si prese una pausa e poi
continuò. «Per sciogliere la catena mistica che
tiene assopito il mio seiðr c'è bisogno di avere una
profonda conoscenza delle arti magiche e-» La frase fu
sprezzata da un ringhio di sofferenza.
«Loki?»
Non sapeva
cosa fare, riuscì solo a guardare quella macchia allargarsi
e la testa urlare di uscire a chiamare aiuto.
Le macchine
sibilarono sempre più rumorose ma nessuno entrò
nella stanza.
Gli agenti
di guardia credevano che lei stesse facendo ciò che le era
stato ordinato da Fury, che lo stesse obbligando a parlare con ogni
mezzo.
Crudele
ironia.
«Stai
perdendo troppo sangue!»
«Allora
curami.»
Scosse la
testa facendo ondeggiare la treccia sempre più disfatta.
«Non
posso farlo!»
«Sì...
puoi... devi solo fare quello che ti dirò... va
bene?»
Sospirò
sonoramente e chiuse gli occhi. Quando li riaprì
osservò quelli verdi di Loki e la sofferenza che li tingeva.
Non disse
nulla e aspettò che lui le sorridesse appena.
«Poggia
la tua mano sul mio petto.»
Tentennò
mentre il sangue aveva impregnato le bende.
Loki le
fece un cenno con il capo e lei eseguì il suo comando.
Poggiò
la mano in corrispondenza della ferita e sentì il sangue
umido sotto al palmo.
«E
adesso?» chiese saettando con lo sguardo dalle sue dita alle
macchine rumorose.
«Adesso
devi connetterti con il mio seiðr.»
«Come
faccio?» La sua voce tradì l'agitazione e la
diffidenza.
Loki
tossì ancora e bagnò ancora una volta le labbra
screpolate e ferite.
«Cercalo...
sentilo... e connettiti.»
«Alquanto
vago» sospirò cercando di smorzare la tensione.
Loki le
sorrise e poi chiuse gli occhi.
«Devi
farlo altrimenti morirò dissanguato.» Lo disse con
tale tranquillità che Sigyn ebbe l'impulso di tirargli un
altro pugno e uscire da quella stanza senza voltarsi.
«Pensi
che la pressione psicologica aiuti?»
«Tutti
operano meglio sotto pressione.»
Sospirò
in disaccordo e cercò di concentrarsi, cercò di
riprovare la sensazione che aveva avvertito nel magazzino dello
S.H.I.E.L.D.
Cercò
di sentirlo.
Prese un
profondo respiro e chiuse gli occhi a sua volta.
Le macchine
continuarono a sibilare. Cercò di allontanarle dalla sua
testa, cercò di pensare solo a ciò che sentiva
sotto il palmo della sua mano, ma percepiva solo l'umido del suo sangue.
Respirò
ancora.
Lentamente
i respiri divennero più regolari, i suoni più
ovattati, il sangue più caldo.
Nel buio
delle sue palpebre vide una debole luce dal colore inconfondibile.
Una pallida
luce verde che aumentava di intensità.
«Ci
sei...» La voce di Loki raggiunse i suoi pensieri.
«Ora connetterti.»
«Continui
a dirlo ma non mi hai detto come fare» brontolò e
la luce si allontanò.
«Lo
stai perdendo.»
Strinse i
denti e ringhiò ancora con svilimento mentre tentava di
riacquistare la concentrazione di pocanzi.
Ma la luce
sparì e tornarono i suoni delle macchina.
Aprì
gli occhi con rabbia.
«Dannazione!»
«Riprova.»
Si
allontanò dal letto con furia.
«No,
non posso farlo!» Lo guardò con espressione
avvilita.
Loki non
disse nulla. Respirò solo profondamente chiudendo di nuovo
gli occhi.
Doveva
andare a chiamare qualcuno.
I medici
avevano conoscenze che sebbene rudimentali potevano aiutarlo. Lo
avevano già fatto.
Doveva
andare a chiamarli.
Doveva.
Non lo fece.
Raggiunse i
macchinari e staccò con stizza ogni filo.
«Che
sai facendo?» Le chiese quasi annoiato Loki.
Sigyn non
rispose, scollegò ancora tutti i cavi finché le
macchine non cessarono di far rumore.
«Mi
distraggono» affermò poi e tornò
accanto a letto.
Staccò
anche la flebo dal suo braccio.
«Quella
potevi lasciarla, credo serva per non farmi morire
disidratato» sospirò lui.
Lo
guardò di sottecchi mentre posizionava ancora la mano sul
suo petto.
«Se
muori dissanguato non puoi morire disidratato»
sentenziò.
«È
un ottimo spunto di discussione, dottoressa.» Le sue labbra
sorrisero ma Sigyn cercò di non farsi distrarre anche da
quelle.
Ispirò
profondamente e chiuse gli occhi.
«Connettersi
vuol dire fondere insieme l'energia di due seiðr.»
Riaprì
le palpebre e lo guardò silente.
«Dal
momento che entrambi appartengono alla stessa fonte, sarà
ancora più semplice.»
Assentì
con il capo e aspettò che Loki continuasse:
«Nell'attimo
esatto in cui avvertirai l'energia, sarà essa stessa a
connettersi con te. Devi solo lasciarla entrare...»
«Devo
lasciarla entrare» ripeté con un po' di
diffidenza.
«Più
complicato a dirsi che a farsi, credimi.»
Il suo viso
era più pallido del solito, la sua voce più
rauca.
Sigyn
sapeva che non aveva più domande da porre né
risposte da udire.
Chiuse gli
occhi.
Riuscì
presto a trovare la luce del suo seiðr e con la stessa
velocità la vide allontanarsi.
Strinse le
palpebre già serrate cercando di non perderla ma diveniva
sempre più piccola.
«Dammi
la tua mano.»
«Cosa?»
«Dammi
la tua mano, Sigyn.»
E mentre
teneva il palmo destro premuto contro quella ferita, lasciò
che le dita della mancina trovassero quelle stese sulle lenzuola, le
dita fredde di Loki, fredde come non le aveva mai davvero avvertite.
Eppure
bastò che le stringesse per sentire il calore aumentare.
Aumentò
anche il calore che si irradiava dal suo palmo, e la luce divenne
sempre più forte, sempre più luminosa,
finché un'esplosione di smeraldo non le coprì la
vista.
Era
indescrivibile l'energia che sentì pervaderla,
l'intensità che le attraversò il corpo e la
mente... il cuore.
L'energia
dei seiðr di Loki era semplicemente abbagliante.
La sua
anima lo era.
Intrecciò
forte le dita fra le sue mentre sentiva di essere viva come non lo era
mai stata.
Quando la
luce iniziò ad affievolirsi e l'energia a sfumare piano dal
suo corpo, Sigyn aprì gli occhi e scoprì quelli
di Loki che la guardavano.
«Ce
l'hai fatta.»
Alle sue
parole guardò davanti a sé. La benda era ancora
sporca ma Loki non mostrava più la sofferenza di poco prima,
anche le ferite sul resto del suo corpo sembravano essere sparite, non
c'erano più lividi né tagli.
Guardò
ancora il suo viso privo di una qualsiasi abrasione.
Loki le
sorrise e lei non riuscì a far altro che ricambiare.
Aveva un
leggero fiatone di cui si era resa conto solo in quel momento, come si
rese conto solo in quel momento delle loro dita ancora legate
saldamente.
«Stai
bene?» chiese assurdamente un'ulteriore rassicurazione. Loki
fece un cenno con il capo e sciolse l'abbraccio delle loro mani.
«Grazie
a te» sospirò poggiando il palmo sul suo dorso.
Eppure non
riuscì a tenere lontana la tristezza e l'amarezza, la
delusione e la rabbia.
«Dov'è
Styrkárr?»
A quella
domanda Loki non allontanò la mano, fu lei a farla scivolare
via.
«Ti
ho già detto che non puoi raggiungerlo.»
«Allora
guidami da lui.»
«Oh,
Sigyn...» sospirò stancamente. «In
queste condizioni sono inutile quanto uno di questi insulsi
terrestri.»
Indurì
lo sguardo e si morse le labbra.
«Hai
voluto tu questo, Loki. Non chiedermi di provare compassione per te
adesso» affermò. «Non solo ti sei
alleato con Amora ma hai anche creato un'alleanza con quel traditore! E
hai visto a cosa ha portato... Mjolnir nelle sue mani. Per Hel, come ti
è saltato in mente!?» Era tornata la collera e la
frustrazione.
Le labbra
di Loki si serrarono in una linea sottile.
«Quello
è stato un imprevisto. Non era nei miei piani.»
«Cosa?
Che un folle visionario brandisse un'arma destinata solo a chi ne aveva
diritto e valore?»
«Valore?»
La sua voce si fece più acuta. «Odino aveva
già deciso a chi destinare Mjolnir ancor prima che i nani ne
terminassero la costruzione! Non parlarmi di valore quando dietro a
ogni singolo evento della nostra vita c'è stata la
macchinazione di quel vecchio guercio!»
Raggiunse
la branda con pochi passi e alzò il pugno per minacciarlo.
«Non
ti permetto di parlare così di nostro padre!»
«Sì,
difendi pure il suo onore, magari riuscirai a tornare ad Asgard senza
doverti nascondere!»
Temette di
aver capito ma continuò a tenere il braccio sollevato e le
dita strette.
«Il
velo è sparito, Sigyn. Sai cosa vuol dire, vero?»
«Posso
ridurti in uno stato peggiore di come ti ho trovato in questo letto.
Non mettermi alla prova.» Lo minacciò, ma dagli
occhi di Loki trapelava solo una determinazione che il suo polso non
aveva.
Infatti si
abbassò lentamente mentre anche lo sguardo tornava a sostare
sul petto macchiato di sangue.
Senza la
barriera di Loki Asgard poteva vedere cosa accadeva sulla Terra,
Heimdall poteva vedere. Tutti potevano vedere il vero nome che
apparteneva alla fanciulla dai capelli d'oro che aveva attraversato
secoli dietro le sale del palazzo stretta al braccio di Loki.
Asgard
poteva conoscere la sua vergogna.
E all'alba
anche la Terra avrebbe saputo quanto lorda era la coscienza del potente
Thor.
«Era
questo che volevi? Distruggermi?» sospirò
scuotendo il capo e sentendo gli occhi pungere. «Volevi
distruggere la mia forza, la mia stessa identità... Volevi
distruggere la mia dignità. Distruggere il rispetto dei miei
compagni e quello del mio regno... Di ogni regno...»
Sorrise con
tristezza più che con rabbia.
«Sei
riuscito nel tuo intento. Hai vinto: hai completamente distrutto
Thor.» Non cancellò neanche la lacrima che
lasciò le sue ciglia. «Sei felice adesso, fratello?»
Loki
restò in silenzio e apparentemente privo di reazioni poi la
sua gola sussultò.
«Credi
davvero che abbia fatto tutto questo per vendetta? Per una stupida
vittoria su mio fratello?»
Sollevò
le spalle e passò le dita sugli occhi.
«Cosa
vuoi che importi più adesso?... L'hai detto tu: è
inutile. No?» Aprì le braccia con un sorriso
tragico. «Styrkárr ha Mjolnir, il mio corpo
è chissà in quale meandro dell'universo e tu non
hai più alcun potere per far nulla.» Scosse il
capo e sospirò. «È finita, Loki. Per
tutti e due.»
Era finita.
Tirò
dietro i capelli e sospirò a lungo.
Era finita.
...
Non può esserlo!
Non poteva
essere finita. Non poteva permetterlo!
“Aiutami a riportare qui Thor.”
Risentì
la voce di Jane.
Rivide il
viso dei suoi compagni.
“Se ha sbagliato per voi,
rimedierà per voi.”
Linn...
Lo
guardò in silenzio per lunghi secondi.
“Potete ancora chiedere a quel
cuore. Il principe non vi negherà risposte.”
«Tu...»
iniziò avvicinandosi ancora al letto. «Mi
porteresti da lui?»
Come
previsto le sorrise con beffa.
«Non
posso farlo.»
«Sì,
ma se potessi, se riavessi i tuoi poteri, mi aiuteresti a recuperare
Mjolnir?»
Ancora un
sorriso. «Anche se involontariamente, sono stato io a fare in
modo che Styrkárr lo avesse e in verità non mi
interessa niente di quel pezzo di ferro... Perché dovrei
farlo?»
«Perché
te lo sto chiedendo io» rispose con fermezza e le labbra di
Loki si arcuarono ulteriormente finché non scoprì
i denti in un sorriso divertito.
«E
con questo?»
Non disse
nulla e Loki si umettò le labbra assottigliando lo sguardo.
«Mh... sei un po' subdola, Sigyn.»
«Ho
avuto un buon maestro.»
Loki rise e
poi lasciò andare un lungo sospiro.
«Anche
se volessi soddisfare la tua richiesta, cuore mio, non c'è
modo che possa aiutarti. I miei poteri sono assopiti, non dimenticarlo,
e da solo non sono in grado di riaccenderli.»
Sapeva che
era un azzardo, sapeva che era una mossa pericolosa ma era anche
l'unica che potesse giocare.
«Hai
detto che qualcuno con una forte conoscenza delle arti magiche
può farlo» affermò e lui l'ascolto
senza interromperla. «Io so dove trovare quella
persona.»
Loki
capì e scosse il capo sorridendo.
«Non
mi faranno neanche varcare i cancelli di Asgard e poi dubito seriamente
che i tuoi amici mi permetteranno di andare via adesso che possono
divertirsi.» Nel dirlo mosse un polso facendo tintinnare
l'acciaio delle manette.
«Parlerò
con Fury affinché ti affidi a me e una volta su Asgard
proferirò direttamente con nostro padre e-»
«Guardati!»
La interruppe. «Pensi davvero che lui si degnerà
anche solo di riceverti?»
Non seppe
ribattere. Serrò solo la mascella mordendosi un labbro con
rabbia. «E se anche accettasse di ascoltarti non
farà nulla per farmi riavere i miei poteri. Mi spiace
deluderti, ma il tuo piano risulta un chiaro fallimento ancora prima di
essere messo in atto.»
«Cosa
vuoi che faccia? Che rinunci? Che getti la spugna? Se
Styrkárr ha voluto Mjolnir non l'ha fatto per diletto. Ha un
piano e questo è un pericolo anche per Asgard, per tutti i
regni! Padre non potrà ignorare questa
verità.»
«Allora
torna su Asgard da sola e chiedi aiuto al Grande Padre, se sei
così certa della sua comprensione. Non hai certo bisogno di
me.»
«Certo
che ho bisogno di te!» Sentì la gola stringersi e
mandò giù un sorso di amarezza. «Devi
sciogliere l'incantesimo che mi tiene in questo corpo.»
Ma non era
quella la vera ragione.
La
verità era che Sigyn temeva che Loki avesse ragione, che una
volta dinanzi agli occhi di suo padre non avrebbe avuto la forza e la
dignità di dire una sola parola.
Temeva che
se lui non fosse stato al suo fianco a dividere quel peccato, non
avrebbe saputo affrontarlo.
La
verità era che era una codarda.
Loki la
guardò silente e poi stirò i muscoli del collo
con un sospiro.
«Va
bene, ma se vuoi il mio aiuto, faremo a modo mio.»
«Il
che vuol dire...?» Si mise sulla difensiva e quando Loki le
rivolse un ghigno sornione capì che forse il suo piano,
sgangherato e rozzo, stava subendo già il primo cambio di
programma.
«Vuol
dire che adesso mi aiuterai a evadere da qui.»
***
NdA.
Loki e le sue richieste indecenti...
La nostra Sigyn accetterà?
...
La risposta nel prossimo capitolo ^^
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 17 *** Sulla via di casa ***
cap17
L' ultima lacrima
XVII.
«Ricordami
perché lo sto facendo» sospirò Sigyn
mentre poggiava il palmo sulla maniglia della porta.
Loki non
rispose ché con un sorriso.
Scosse il
capo e prese un lungo respiro.
Loki aveva
ragione: Fury non avrebbe mai dato l'autorizzazione per lasciare la
struttura dello S.H.I.E.L.D. tanto meno Midgard, né a lei
né a Loki.
Ma era
l'unica alternativa che aveva alla disperazione.
Doveva
tornare ad Asgard e chiedere aiuto a suo padre. Doveva pregarlo di
sbloccare i poteri di Loki e fare in modo che lui le indicasse la via
per raggiungere Styrkárr; quel Vanr era una minaccia che il
grande padre non poteva ignorare.
Loki diceva
di non sapere i suoi veri intenti. Non sapeva se credergli o meno.
Ma non
aveva altra scelta: era questa la sua unica speranza.
E quando
non si aveva altro che quella, si era disposti a fare di tutto.
Aprì
la porta in modo da potersi affacciare senza mostrare l'interno della
camera.
Gli agenti
di guardia erano dieci, tutti uomini ben addestrati e dalla corporatura
importante.
«Ho
bisogno di un volontario» enunciò guardandoli
attentamente.
Nessuno di
loro fiatò.
Pregò
di saper interpretare quel ruolo senza lasciar loro modo di dubitare.
Poggiò
poi infine gli occhi su un uomo più esile degli altri.
«Tu.»
Lo indicò con l'indice. «Entra.»
L'agente
cercò come sempre lo sguardo dei colleghi e soprattutto
quello dell'uomo che l'aveva accolta quando era entrata in quel
reparto. Era abbastanza palese fosse lui il comandante della squadra.
L'uomo fece
un cenno con il capo appena percettibile e l'agente che Sigyn aveva
indicato raggiunse con pochi passi la porta.
Ma prima di
farlo entrare, Sigyn lo fermò poggiando un palmo sul suo
petto.
«Il
tuo taser.» Ruotò poi la mano e piegò
più volte le dita per invitarlo a porgerglielo.
«Perché?»
Le chiese diffidente l'uomo cercando di guardare l'interno della
stanza.
Non poteva
permettere che scoprisse cosa stesse accadendo sul serio.
Si
avvicinò ancora al viso dell'agente e lo fissò
negli occhi neri.
«Perché
ne ho bisogno» affermò con fermezza.
Per
favore...
Nell'angolo
in alto a destra, l'occhio rosso di una telecamera li spiava.
Si chiese
se Tony le avesse detto il vero e che quindi nessuno poteva sapere cosa
stesse accadendo il quel luogo.
Doveva per
forza di cose essere così, altrimenti avrebbe già
ricevuto la visita di una squadra nel momento stesso in cui aveva
curato Loki.
Non le era
permesso comunque rischiare.
«Hai
qualche problema con l'udito, soldato?» chiese con tono di
rimprovero.
L'uomo
sembrò irrigidirsi a quel richiamo e si udì il
mormorio divertito dei suoi colleghi.
«Coraggio,
John. Daglielo...» Era stato il comandante a fare quel
commento chiaramente allusivo.
In un'altra
occasione gli avrebbe spaccato i denti con una gomitata, ma in quel
momento doveva fare in modo che nessuno degli presenti facesse domande.
L'agente di
nome John emise un ringhio contrariato mentre estraeva l'arma dalla
cintola. Sigyn non poté non notare il luccicare di piccole
chiavi di metallo legate a un anello di acciaio.
Con poca
gentilezza le poggiò il teaser nel palmo e la
guardò alquanto spazientito.
«Bravo,
John. Non era difficile, visto?»
All'ennesima
battuta ci fu l'ennesimo risolino degli agenti.
Sigyn non
riuscì a reprimere un'occhiata gelida verso il comandate
della squadra che le rispose alzando divertito le sopracciglia.
«Entra»
ordinò poi a John chiudendo immediatamente dietro le sue
spalle la porta.
Ora non
poteva più tirarsi indietro.
«Ma
che è successo?» brontolò l'agente allo
scoprire che le macchine erano state manomesse.
«Scusami...»
«Cos-»
Ci fu il
sibilo della scossa che attraversava il collo dell'uomo prima che
cadesse a terra con un tonfo.
Sigyn
soffiò fuori l'aria e abbassò la mano con il
taser guardando il corpo privo di sensi del soldato terrestre.
Aveva
giurato di proteggerli e invece...
«Li
hai ingannati per bene. Sono impressionato.» Vide Loki
sorridere dal letto ma evitò di rispondergli.
Si
inginocchiò invece sul corpo dell'uomo afferrando le chiavi
d'acciaio.
«Prega
che siano quelle giuste altrimenti userò questo su di
te.» Lo minacciò con il taser raggiungendo la
branda e cercando di aprire le manette.
«Tutti
gli agenti ne hanno un mazzo» la informò Loki
mentre udiva lo scattare dell'apertura. Alzò gli occhi nei
suoi quando il suo polso fu libero. «Li ho studiati bene e,
come ben sai, ho sempre avuto una predilezione per i
dettagli.»
Lasciò
le chiavi nel suo palmo e tornò dall'agente.
«Sono
nove e tutti armati» spiegò sfilando dal corpo la
giaccia e sbottonando velocemente i bottoni della camicia bianca.
Cercò
di non badare al senso di colpa che bruciava nello stomaco mentre
guardava il viso tramortito del soldato.
«Non
sarà un problema» sospirò dal letto
Loki facendo scattare anche le altre manette e sollevando il busto per
sedersi sul letto.
Sigyn
osservò i suoi gesti mentre si affrettava a sfilare anche i
pantaloni.
Loki stava
sciogliendo le bende sporche di sangue che avevano legato il suo
addome.
Quando le
fece cadere sulle lenzuola, il suo petto non mostrava alcun tipo di
ferita, solo lo sporco del sangue rappreso.
Ancora non
credeva di essere stata lei a essere riuscita a sanare le sue ferite.
Risentì
la sensazione avvolgente che aveva provato poco prima, una sensazione
quasi estasiante.
Scacciò
poi ogni pensiero; non era questo il momento.
Afferrò
il cumulo di vestiti e lo raggiunse gettandoli con pochi riguardi sulle
sue gambe ancora coperte dal lenzuolo.
«Fa'
alla svelta» ordinò tornando a guardare la porta.
«Potrebbero entrare.»
Udì
un risolino insieme al rumore confuso della stoffa.
«Non
essere in imbarazzo. Mi hai visto nudo altre volte.»
Non
poté impedire al suo viso di accaldarsi per la rabbia -
vergogna?
«Non
dire assurdità! Controllo che non entri nessuno»
ribatté però senza voltarsi.
«Oh,
certo...»
«Sono
ancora in tempo per rimetterti in quel letto più livido di
prima.» Ennesima minaccia, ennesima risata.
Anche la
telecamera sulla cima della porta puntava verso di loro.
Perché
si era lasciata convincere ancora, non lo sapeva.
Loki
l'aveva già pugnalata alle spalle una volta, cosa gli
impediva di farlo ancora?
Non era
più fiducia la sua. Allora cos'era?
Ancora il
fruscio degli abiti prima che lui l'affiancasse chiudendo i bottoni
della camicia.
«Prendi
la sua pistola.»
«Non
pensarci neanche!» affermò con sdegno.
Sul viso di
Loki solo un'espressione annoiata.
«“Sono
nove e tutti armati”. Parole tue» rispose chiudendo
l'ultimo bottone del polsino. «Non ho alcun potere.
Devo arrangiarmi.» Sollevò poi il colletto
indossando la giacca.
«Allora
trova un altro modo per “arrangiarti”.»
Non poteva
permettergli di far del male a quegli uomini privi di colpe. Stavano
solo eseguendo degli ordini. Erano loro i fuorilegge in quel caso e no,
Loki non avrebbe preso nessuna delle loro vite.
«Le
scarpe?»
Lo
guardò spazientita e gli indicò l'uomo a terra.
«Sono
lì!»
Loki le
sorrise assottigliando lo sguardo.
«Sempre
gentile...» sibilò andando a recuperare le scarpe
nere che giacevano accanto all'agente.
«Sei
già fortunato che ti rivolga ancora la parola. Non cercare
gentilezza perché qui non ne troverai.»
Quando Loki
fu ormai vestito con gli abiti dell'uomo la guardò con
espressione seria. Avrebbe potuto facilmente passare inosservato fra le
fila degli uomini di Fury se non fosse per l'assenza della nera
cravatta.
«Porgimi
il taser» la invitò.
Non ebbe
tentennamenti e anzi fu grata che avesse scelto di non far loro del
male... o meglio, non più del necessario.
Gli porse
l'arma e Loki la studiò per poi guardarla ancora.
«Sei
sicuro di farcela?» chiese e lui sollevò un angolo
delle labbra mostrandole ancora il taser stretto nella mano destra.
«Mi
arrangerò.»
Sigyn
ispirò e poi espirò profondamente umettandosi le
labbra.
Un cenno di
intesa e la porta si aprì.
*
Tony era
più che sicuro di aver perso un terzo dell'udito dopo l'urlo
di Fury, e c'era anche una buona probabilità che qualche
schizzo di saliva gli fosse finito in faccia durante il testa di ca-
«Spiegami!»
Indietreggiò
di un passo mostrando i palmi in segno di resa.
«Non
ho fatto nulla, Nick.»
Fu
costretto a farne ancora due quando Nick letteralmente gli fu addosso.
Una mano a
stringere la sua giaccia e quell'unico occhio che aveva rabbia per
quattro!
«Sei
di nuovo entrato nei nostri sistemi?»
Deglutì
e sorrise. «Ehm... c'è la remota
possibilità che Jarvis abbia attivato automaticamente
qualche protocollo. Sì.»
Nick lo
spinse via con rabbia e Tony si massaggiò il petto. Dannato
Fury e le sue maniere da regime fascista.
Sapeva bene
che non si stava bevendo nessuna delle sue scuse, sapeva bene che
quando aveva visionato quelle riprese pressoché mute aveva
già progettato dieci diversi modi per farlo fuori
–in maniera dolorosa, ovviamente. Sapeva bene che Nick Fury
amava minacciare e amava mantenere fede a quelle minacce, sapeva bene
che lui si era più che meritato ognuna di esse.
Ma doveva
guadagnare un po' di tempo, doveva permettere a Sigyn di parlare con
Loki.
Aveva
mantenuto la parola: non aveva visto alcuna ripresa né udito
alcun audio. Jarvis stava trasferendo il flusso di immagini in un
server protetto alla Stark Tower. Sugli schermi della sala controllo
dello S.H.I.E.L.D., chiunque stesse controllando il reparto in cui era
Loki, avrebbe continuato a vedere a loop le immagini riprese prima
dell'arrivo di Sigyn.
«Tony,
smettila di prendermi per il culo e dimmi cosa è successo in
quella stanza prima che ti ci faccia finire io a calci!»
Poteva
vedere il vapore sulla sua pelata e i denti così digrignati
da aver timore che iniziasse a ringhiare sul serio.
Si
schiarì la voce e annuì.
«Nessun
problema. Ho cercato di far perdere le staffe a Loki e lui le ha quasi
fatte perdere a me perché è uno stronzo
psicopatico» spiegò e poi sorrise. «Fine
della storia.»
Nick non
sorrideva. Nick continuava a fumare e a ringhiare. Nick stava per
infilargli la canna di una pistola in qualche posto nascosto e molto
poco confortevole...
«Stark...»
iniziò con tono ombroso. Tony non riuscì a non
deglutire. «I miei tecnici più preparati stanno
cercando di recuperare le tue riprese e quando lo faranno -
perché lo faranno, non dubitarne - io visionerò
personalmente ogni singolo frame, trascriverò a mano ogni
singola parola, prenderò nota di ogni tuo battito di
ciglia.» Gli era di nuovo di fronte con i suoi mille occhi da
killer. «Perché, Stark, quando avrò
quelle immagini e saranno totalmente differenti da ciò che
mi stai raccontando, farò in modo che i metodi di Torquemada
sembrino giochetti da asilo al confronto di ciò che ti
farò con le mie stesse mani.»
Se c'era un
buon momento per gettarsi a terra e piangere invocando
pietà, Tony sapeva era quello.
Annuì
soltanto con falsa sicurezza e aspettò che Nick gli desse le
spalle.
Quando lo
fece buttò fuori l'aria e ne riprese ancora nel momento in
cui Fury tornò a voltarsi.
«Dov'è?»
Cavolo...
«Ehm...
chi? Cap? Credo stia facendo qualche serenata alla bella asgardiana o
forse sta cercando un libro con le figure che spieghi come è
fatta una donna dalla cintola in giù.» Fece un
gesto verso il basso con l'indice ma Nick non aveva voglia di ridere.
«Dov'è
Thor?»
Arcicavolo...
«Non
ne ho idea» mentì scrollando le spalle.
«Sarà con la Foster.»
«La
dottoressa è in laboratorio con Banner.»
«Allora
Clint-»
«Barton
e la Romanoff sono al diciassettesimo piano a supervisionare i tecnici
che stanno sistemando i tuoi casini con il nostro sistema... Tony,
dimmi immediatamente dov'è Thor.»
Guardò
velocemente l'orologio sulla parete della stanza. Non era passata
neanche un'ora da quando Sigyn era andata da Loki.
Forse era
troppo poco, forse era abbastanza.
«Nick,
se vuoi sapere dov'è, chiedi ai tuoi amati tecnici. Ci sono
milioni di telecamere in questo edificio! Perché dovrei
saperlo io?»
«Perché
sei tu il genio del “dai un taser alla bionda e mandala
dentro!”»
«Wow,
memoria d'acciaio, Nick. Complimenti...» mugugnò
in leggera difficoltà.
Un'ora.
Poteva
bastare.
Fattela
bastare, Barbie.
Quando Nick
avrebbe saputo della tresca illecita fra Loki e suo fratello di certo
la sua irruzione nei sistemi dello S.H.I.E.L.D. sarebbe passata in
secondo piano.
«Thor
è da Loki?» A quella domanda ci fu un breve
silenzio.
«Ci
sono le telecamere, Nick. Controlla tu se è
lì.»
Nick
piegò le labbra in un sorriso che aveva lo stesso effetto di
un sibilo di una bomba sganciata sulla testa di qualcuno, in quel
frangente, la sua.
«Telecamere...
certo... affidabili. Vero, Tony?»
Non
rispose. Non ce n'era bisogno.
Nick
aprì la porta e lo guardò nuovamente.
«Se
lo trovo in quella stanza...»
«Ci
finisco anche io. Afferrato.»
Quando lo
seguì subendosi altre allegre minacce, Tony sperò
almeno che ne fosse valsa la pena.
*
Jane era
silenziosa. Bruce dal canto suo non sapeva neanche che discorso
iniziare.
Stavano
organizzando le ultime notizie che arrivavano con rapidità
da ogni osservatorio sparso sul globo e tutte riportavano la presenza
di fenomeni stellari nell'orbita terrestre.
Le cose
stavano tornando alla normalità, il che voleva dire che
qualsiasi cosa ci fosse prima - barriera mistica o incantesimo o
qualsiasi altra diavoleria senza leggi fisiche avesse messo in atto
Loki - al momento non era più in atto.
Era una
buona notizia.
Doveva
esserlo, perché ultimamente stavano collezionando una
pessima notizia dietro l'altra.
Faceva
ancora fatica a mandare giù la storia che era saltata fuori
per ultima, e Bruce si chiese quanto davvero fosse in grado di
controllare le sue reazioni.
Forse aveva
più autocontrollo di quanto la sua scarsa autostima gli
permettesse di vedere.
Forse era
solo questione di ore, questione di minuti.
Cercò
di scacciare via quella stretta alle viscere che gli prendeva ogni
volta.
Guardò
Jane: stava digitando qualcosa su una tastiera.
Il viso era
stanco, gli occhi cerchiati di leggere occhiaie, le labbra prive di un
qualsiasi sorriso.
«Perché
non provi a dormire un po'?»
«Non
adesso, Bruce.»
Fine del
discorso.
Al
successivo tentativo di riprendere parola, Jane semplicemente lo aveva
ignorato.
Bruce
sospirò e tacque.
Sarebbe
stata una lunga notte e l'alba che li stava aspettando sarebbe stata
anche peggio.
*
Nel momento
esatto in cui svoltarono l'angolo, Tony percepì un brivido
viaggiare lungo la sua spina dorsale. Non sapeva dire con sicurezza se
fosse per la vista degli uomini stesi al suolo privi di sensi, o per il
tremore che stava attraversando le spalle di Nick.
«Ehi?»
D'istinto si chinò sul primo agente scuotendolo e
controllando le pulsazioni. Era ancora vivo. Si chiese se lo fossero
anche gli altri.
Udì
i passi di Nick che giungevano rumorosi alla stanza e vide
l'espressione rabbiosa che aveva piegato il suo viso.
Deglutì
sollevandosi da terra e raggiungendolo a sua volta.
Non
puoi avermi fatto questo, Point break...
Quando i
suoi occhi guardarono la stanza, tutto ciò che videro fu un
letto sfatto e vuoto, e due paia di manette appese alle sbarre laterali.
Poi Nick lo
guardò e il pugno che si schiantò velocemente nel
suo stomaco lo obbligò a piegarsi in due.
Crollò
con un ginocchio sul pavimento mentre Nick dava direttive ai suoi
uomini per avere soccorsi e preparare una squadra d'assalto.
Tossì
portandosi una mano contro lo stomaco e guardò ancora la
stanza vuota.
Il pugno
che gli aveva rifilato Nick non era niente rispetto alla pugnalata che
stava bruciando dietro le sue spalle.
Che
tu sia maledetto, Thor!
*
Percorsero
velocemente un paio di corridoi prima di infilarsi con
rapidità in una stanza.
«Entra!»
Loki chiuse la porta alle loro spalle.
Era
riuscito a tramortire tutti gli agenti. Nonostante la mancanza delle
sue arti illusorie, Loki non aveva perso un solo granello di
abilità nel combattimento.
Sigyn lo
aveva visto scivolare e nuotare con grazia e rapidità fra
gli uomini armati e metterli a terra uno dopo l'altro senza quasi
riuscire a vederne i veri movimenti.
Si era
sentita impotente e fastidiosamente inutile.
Si era
sentita debole ancora una volta.
Ma Loki
l'aveva incitata a seguirlo velocemente e non c'era stato
più tempo per sentire
niente.
«Che
ci facciamo qui?» chiese guardandosi attorno. C'erano delle
attrezzature alla parete e dei monitor come quelli che si trovavano
nella Tower di Tony.
Cercò
di ignorare l'ennesima sensazione di colpa per ciò che stava
facendo. Per la seconda volta gli aveva mentito, per la seconda volta
aveva scelto di non fidarsi di loro.
«Cerchiamo
un modo per uscire da questo palazzo» rispose Loki
indaffarato a premere qualche pulsante.
Sigyn non
capiva la tecnologia terrestre mentre Loki sembrava averne grande
familiarità.
Lo
affiancò studiando i vari monitor ma riuscendo a scorgere
solo parole e numeri per lei privi di significato.
Osservò
poi il suo viso concentrato nella lettura e non poté
impedire al suo cuore di provare l'inopportuna gratitudine nel vederlo
vivo.
Aveva
davvero temuto, forse più di ogni altra volta,
più di ogni altra battaglia in cui avessero lottato fianco a
fianco a e poi faccia a faccia.
Quella
volta aveva avuto paura di perderlo sul serio.
Loki si
voltò e lei scostò lo sguardo davanti;
percepì comunque le sue labbra sorridere.
«Dobbiamo
raggiungere il parcheggio esterno per poter invocare il tuo amico
Heimdall.»
«Non
sarebbe più semplice giungere al tetto?» propose
ignorando volutamente il tono irriverente.
Loki scosse
il capo e pigiò ancora qualche tasto.
«È
la scelta più semplice ma anche la meno sicura. In caso
qualcosa andasse storto rimarremmo senza vie di fuga.»
Aggottò
la fronte. «Cosa dovrebbe andare storto?»
Una volta
aperto il Bifrost avrebbero raggiunto Asgard in un battito di ciglia.
Per questo
dovevano raggiungere velocemente il tetto prima che gli agenti si
accorgessero della loro fuga.
«In
ogni piano qualcosa può andare storto, e al momento non
abbiamo martelli che possano aiutarci a raddrizzarla in una tale
eventualità.»
«E
questo grazie a chi?» brontolò guardandolo di
sottecchi.
Loki
continuò a sorridere e smise di fare qualsiasi cosa stesse
facendo.
«Ci
siamo. Ora dobbiamo andare.»
Lo vide
raggiunge nuovamente la porta e gli andò dietro.
Nel
corridoio non c'era nessuno.
«Preparati
a correre quando senti il sibilo.»
«Sibilo?»
«Esatto.»
Con il
retro del taser Loki ruppe un piccolo quadrato di vetro sulla parete,
scoprendo così un pulsante dal colore cremisi.
Non sapeva
cosa stesse facendo, ma nelle fughe non era mai stata molto brava.
Non era mai
fuggita da una lotta, non aveva mai voltato le spalle a uno scontro.
Combattere
con onore, vincere con merito, perdere con dignità.
Era questo
il suo credo.
Era questo
il credo di ogni guerriero di Asgard.
Poteva
ancora chiamarsi guerriero? Poteva ancora stringere nel cuore quella
fede?
Ogni
domanda fu spazzata via nel momento in cui Loki fece schiantare il
pugno contro il pulsante.
Ciò
che sentì non fu un sibilo, fu una vera e propria sirena
assordante.
«Ma
cosa hai fatto?» chiese con voce acuta per sovrastare il
rumore.
«Andiamo!»
le rispose Loki e poi iniziò a correre.
*
Steve
sollevò lo sguardo verso la spia rossa che aveva iniziato a
lampeggiare sulla parete a seguito dell'allarme.
«Cos'è
questo suono?» A malapena riuscì a sentire Linn.
«È
l'allarme antincendio» rispose mentre vide alcuni agenti
correre per i corridoi.
Aveva perso
la cognizione del tempo, aveva perso la cognizione del luogo, aveva
perso anche la cognizione di se stesso.
Linn
cercò la sua mano e la strinse con forza mentre si guardava
intorno confusa. Steve avrebbe voluto tranquillizzarla ma
udì il suo nome chiamato con urgenza.
«Capitano?»
Era Clint.
«Che
sta succedendo?» chiese.
«Ho
provato a chiamarti. Perché non hai risposto?»
Solo in
quel momento si ricordò dell'auricolare gettato a terra.
Lanciò
uno sguardo a Linn che lo guardava con la stessa aria colpevole.
Si era
lasciato prendere dalle emozioni e benché fosse stato bello
e intenso come poche altre cose che avesse provato, non poteva
rischiare di dimenticare i suoi doveri.
Le sorrise
comunque lasciando andare le sue dita.
Linn
accettò il suo gesto e lo capì.
Linn in
quei due giorni sembrava paradossalmente averlo capito meglio di
chiunque altro.
«Clint,
che succede? C'è un incendio nell'edificio?»
«Molto
improbabile.» Mentre Barton gli rispondeva altri agenti
correvano con le armi in braccio.
Non era un
incendio, questo era palese.
Ad ogni
modo la sirena dell'allarme non era ancora cessata.
«È
scappato.»
«Chi?»
Anche se l'aveva chiesto sapeva già a chi si stesse
riferendo. «Loki?»
Clint
annuì.
«Sì...
E Thor è con lui.»
*
Natasha era
entrata nel laboratorio con le mani occupate a stringere una pistola
diversa dal solito.
Bruce la
riconobbe subito.
«Che
sta succedendo?» Alla domanda di Jane nessuno rispose.
Bruce
osservò solo gli occhi di Natasha e assentì con
il capo.
«Va
bene.»
«Mi
spiace, Bruce, ma la situazione è un po' complicata
e non possiamo rischiare.»
«Credimi,
preferisco così.»
Un attimo
dopo un dardo lo colpì al collo.
Perse i
sensi immediatamente.
*
«Oddio!
Bruce!» Jane si gettò immediatamente sul corpo di
Bruce scuotendolo per una spalla. «Perché gli hai
sparato?»
Natasha non
le rispose di nuovo ma si inginocchiò accanto a lei
recuperarono il dardo dalla sua pelle.
«Natasha,
cosa sta succedendo? È un incendio?»
«Loki
è fuggito.»
Scosse il
capo incredula tenendo ancora la mano poggiata contro la spalla di
Bruce.
«Cosa?»
Gli occhi
di Natasha erano ghiaccio: bruciavano la pelle solo a guardarli.
La donna si
rimise poi in piedi infilando la pistola con cui aveva sparato a Bruce
in una fascia legata alla coscia.
Jane era
più che certa che se non ci fosse stato il suono assordante
dell'allarme avrebbe sentito il battere furioso del suo cuore risuonare
per tutto il laboratorio.
«Dov'è
Thor?» Dov'è
Sigyn?
Nessuna
risposta.
«Sta
bene? Ti prego, rispondimi!»
Abbandonò
momentaneamente l'amico svenuto per guardare con tangibile agitazione
il viso dell'agente di Fury.
«Temiamo
che sia stata Sigyn a far fuggire Loki.» Parole prive di tono
che furono uno schiaffo sul viso. «Resta con Bruce.»
«Natasha,
aspetta!»
Non aveva
aspettato.
La porta si
era spalancata e l'agente Romanoff era corsa via senza darle
più alcuna risposta.
Jane
guardò il viso addormentato di Bruce.
Si
chinò su di lui recuperando gli occhiali dal suo viso. Li
chiuse e li strinse in una mano.
Si sedette
sul pavimento e gli spostò i capelli dalla fronte.
La sirena
coprì anche il suono del suo pianto.
*
Le scale
sembravano non avere mai fine. Scesero una rampa e poi ancora una e ve
n'erano altre decine al di sotto.
«Arriveranno
dozzine di agenti!» sospirò Sigyn con l'affanno
dovuto alla corsa.
«Lo
so!» rispose Loki che le era davanti.
«Che
razza di piano di fuga è mai questo?»
«Uno
che funzionerà.»
Non chiese
altro, non perché non aveva domande ma perché non
aveva più fiato nei polmoni.
Si
poggiò sul passamani di metallo recuperando il respiro.
Loki si
voltò a guardarla quando giunse all'ennesima svolta.
«Sbrigati!»
«Un
attimo!»
Respirò
ancora a fatica. Sentiva le gambe tremare e il petto ardere.
Alzò
gli occhi a guardare i piani che avevano già superato. Non
erano neanche la metà di quelli che li aspettavano.
«Abbiamo
un vantaggio di pochi minuti.» Anche Loki sembrava respirare
con difficoltà ma Sigyn sapeva bene era solo l'adrenalina.
Benché privato della sua natura era comunque più
forte e più resistente di un normale terrestre.
Ricordava
bene la sensazione che aveva provato quando era accaduta a lei quella
prima volta... quando Thor
era stato un mortale.
Il suo
attuale corpo invece era perfettamente umano, era soprattutto
perfettamente fragile.
Prese un
profondo respiro e riprese a correre. Se si fosse fermata in quel
momento avrebbe sentito la fatica impossessarsi dei suoi muscoli e
impedirle di continuare anche solo a camminare.
Giunse allo
stesso livello di Loki e lo superò sentendolo poi andarle
dietro.
«Siamo
quasi arrivati» le sospirò affiancandola e
saltando altri gradini di metallo.
«Per
quanto durerà questo suono?» chiese con un fiato.
«Finché
non troveranno il modo di farlo smettere e di far ripartire tutti i
sistemi informatici dello S.H.I.E.L.D.»
Buttò
un occhio al suo viso e poi tornò ai pioli.
«Hai
boicottato le loro difese?... Come hai fatto?»
Loki
sorrise.
«Non
c'è bisogno di magia per farlo. Basta qualche conoscenza
rudimentale delle loro nozioni informatiche. Tutti i sistemi sono
offline, tranne quelli di emergenza. In caso di allarme automaticamente
vengono aperte tutte le uscite ed è possibile bloccarle solo
manualmente. Ho inibito temporaneamente questa loro
possibilità.»
Ascoltò
distrattamente la sua spiegazione.
Il suo
ginocchio cedette e si aggrappò al passamani per non cadere
di faccia sulle scale.
«Dannazione...»
ansimò rimettendosi in piedi.
«Vuoi
che ti porti in braccio?»
Lo
fulminò con un'occhiataccia. Non era neanche certa stesse
scherzando.
«Piuttosto
mi getto di sotto!» Guardò davvero in basso
considerando l'eventualità.
Udì
la sua risata e poi avvertì le dita bianche raggiungere e
stringere quelle della sua mano.
Guardò
confusa il suo viso con le spalle che si alzavano e abbassavano
velocemente.
Il calore
che partì dal palmo raggiunse in breve il resto del suo
corpo.
La
stanchezza scemò e i polmoni smisero di bruciare.
«Il
seiðr?» chiese trovando un respiro più
regolare.
Loki
sollevò solo un angolo delle labbra e tornò a
correre senza risponderle.
Non
lasciò la sua mano finché non giunsero alla fine
di quelle scale.
Una volta
aperta l'enorme porta, si trovarono di fronte al parcheggio sotterraneo
dell'edificio.
C'erano
numerosi veicoli tutti del medesimo colore.
«Per
di là.» Loki le indicò una salita di
cemento che percorsero velocemente finché non giunsero
all'esterno dello spiazzale. Ad accoglierli la notte fredda di Midgard
e la vista caotica di una moltitudine di agenti impegnati a correre
apparentemente privi di meta.
«Loki!»
Lo chiamò allarmata.
Era stato
inutile. Se quegli agenti si accorgevano di loro non avrebbero neanche
avuto il tempo di chiamare Heimdall, e benché abile, Loki
non avrebbe potuto competere con il numero di soldati che si sarebbe
trovato a fronteggiare.
E le armi
che impugnavano erano armi letali.
«Vieni!»
Loki prese
una via fra dei cespugli che si diramavano attraverso lo spiazzale.
Gli agenti
non sembrarono accorgersi di loro; Loki riusciva a confondersi fra di
essi grazie agli abiti che indossava. L'unica che avrebbe attirato
davvero l'attenzione era lei.
Continuarono
a correre finché non raggiunsero un luogo alle spalle del
palazzo.
In
lontananza ancora si scorgevano degli uomini armati, ma erano
abbastanza distanti per poter tentare.
Loki si
fermò e la guardò con leggero affanno.
«Avanti...»
La invitò.
Sigyn
portò gli occhi al cielo nero pece con poche stelle che
sopravvivevano al bagliore delle luci di New York.
«Heimdall!
Apri il Bifrost!» comandò con voce ferma.
Non accadde
nulla.
Prese un
respiro e provò ancora: «Heimdall! Aprici la via
per Asgard! Adesso!»
Sentiva gli
occhi di Loki bruciare sul suo viso.
Si
voltò a guardarlo quando per la seconda volta non ci fu
risposta.
«Il
velo è tornato?» chiese credendola l'unica
possibile spiegazione.
In
lontananza si udiva il vociare degli agenti.
«Impossibile»
spiegò Loki. «La barriera si reggeva su tre
pilastri energetici. Bloccando il mio seiðr Amora ha fatto
collare l'equilibrio mistico che l'attivava.»
Scosse il
capo confusa e guardò ancora il cielo nero.
«Allora
perché?»
«Perché
lui non
vuole farci tornare.»
Quelle
parole le fecero gelare il sangue nelle vene. Abbassò lo
sguardo sul viso di Loki che però teneva il suo verso un
albero poco distante.
Su un ramo,
nelle ombre della notte, brillavano due piccoli occhi. Piume nere e
lucenti.
«Huginn...[1]»
Non credeva
possibile che Loki avesse ragione.
Il corvo
spiegò le ali e volò via con un verso acuto.
Guardò
a terra il cemento umido.
Huginn era
lì con un chiaro messaggio: non erano i benvenuti ad Asgard.
Suo padre
non aveva intenzione di aprir loro alcuna via di ritorno.
Era finita
sul serio.
*
Loki non si
aspettava reazione diversa da quel vecchio; come se si potesse
pretendere il contrario.
Gettò
uno sguardo alle sue spalle: gli agenti si stavano organizzando.
Sarebbe
passato poco prima che i sistemi fossero di nuovo in uso e loro fossero
localizzati e braccati.
E stavolta
Fury non ci sarebbe andato leggero.
«Dobbiamo
andare» sospirò cercando velocemente con gli occhi
la prima grata che conduceva nei condotti sotterranei della
città.
La
trovò a qualche decina di metri.
La sua
memoria non l'aveva tradito.
«Per
fortuna non abbiamo seguito la tua idea del tetto. A
quest'ora-»
Quando
voltò lo sguardo verso di lei ogni parola si spense.
Gli occhi
di Sigyn fissavano persi il cemento, le sue mani immobili, le sue
spalle avevano anche smesso di alzarsi con fatica.
Il vento
della notte le spettinava senza cura i capelli.
Loki
tornò con la memoria a quel giorno alla lingua di Dourn; il
suo smarrimento era lo stesso.
“Padre. Dobbiamo andare da Padre
e raccontargli tutto, lui ci aiuterà”,
aveva detto allora.
Dopo tanti
secoli, dopo tante ferite, ancora credeva di poter chiedere aiuto a
quel padre.
Dopo tanti
secoli, dopo tante ferite, ancora gli permetteva di deluderla.
Si
sfilò la giacca e gliela porse.
Sigyn lo
guardò ancora con espressione immutata.
«Farà
freddo dove stiamo andando» le disse.
Le sue mani
raccolsero la giacca nera ma non la indossò.
Guardò la stoffa senza realmente vederla. La gola
sussultò. Gli occhi tornarono a guardare il suolo.
«E
dove possiamo andare, Loki?... Dove?» chiese con un filo di
voce.
«Non
possiamo stare qui né tornare indietro. I tuoi amici
impiegheranno un battito di palpebre per rinchiuderci entrambi in una
cella.» Sigyn lo guardò e solo allora
sembrò riprendere vigore. Sorrise della sua
ingenuità. «Non avrai creduto davvero che ti
avrebbero perdonato l'avermi aiutato?... Di nuovo.»
Ancora uno
sguardo alle squadre in avvicinamento.
«Basta
parlare. Non abbiamo tempo.»
Nella
cintola che apparteneva all'agente di cui stava indossando le vesti,
trovò una piccola torcia.
Nulla
sarebbe stato più utile.
Controllò
velocemente che funzionasse e la strinse nel pugno.
«Siamo
bloccati qui... Senza possibilità di fare niente!»
Una crisi
isterica era l'ultima cosa che invece serviva alla loro situazione.
«Ho
un piano di riserva» mentì e lei gli credette.
I suoi
occhi si allagarono speranzosi.
«Quale?»
Sorrise e
raggiunse la grata facendole segno di seguirlo.
«Lo
vedrai.»
*
«I
sistemi di videosorveglianza sono fuori uso e la sicurezza di ogni
singola uscita dell'edificio è stata compromessa.»
Clint
ingoiò un nodo acido mentre ascoltava le parole di Nat.
«Dobbiamo
setacciare ogni angolo di questo palazzo personalmente?»
chiese con rabbia.
«Non
abbiamo altra scelta» rispose lei cercando di sovrastare
l'assordante rumore della sirena. Erano minuti che continuava a suonare
senza smettere. «Dov'è il capitano?»
«Con
Linn. Credo stia trovando un luogo dove sia al sicuro...»
brontolò premendo due dita sugli occhi. «Cazzo!
Thor non ne sta facendo una giusta!»
Come aveva
potuto aiutare a farlo evadere? E come avevano fatto?
Loki era
mezzo moribondo in quel letto e lui era chiuso dentro un corpo utile
solo a una cosa.
E
soprattutto perché?
«Forse
Loki ha recuperato i suoi poteri.» Udì appena le
parole di Natasha.
«Forse
non li ha mai davvero persi» sostenne. «E noi ci
siamo ricaduti di nuovo con tutte le scarpe.»
«Ehi!»
Steve li raggiunse tenendo ancora i suoi abiti civili ma impugnando lo
scudo nel braccio destro. «Stark sta cercando di sistemare la
questione dei computer.» Li informò.
«Speriamo
si sbrighi!»
Non
terminò neanche di dirlo che fu finalmente silenzio.
Sospirò
con una nota sollevata sentendo comunque le sue orecchie dolere per la
tortura inflitta loro in quei lunghi minuti.
«Avrà
sistemato anche le telecamere?» chiese a quel punto.
Steve
scosse il capo guardandosi intorno e Natasha lasciò andare
un sospiro.
«Andiamo
a chiederglielo.»
*
Quando quel
suono stridente era cessato, Linn aveva aperto gli occhi.
Il silenzio
fittizio che ne era seguito le aveva permesso di ascoltare il suo
respirare ansioso.
Guardò
la porta chiusa sentendo il passo svelto dei soldati.
Nessuno
sarebbe entrato, nessuno l'avrebbe cercata.
Steve
l'aveva portata nella sua stanza e le aveva detto che sarebbe stata al
sicuro.
Linn
sfiorò la stoffa del piccolo letto singolo e vagò
con lo sguardo sulle pareti nude.
Una croce
di legno di fronte a lei, una piccola cornice poggiata sulla scrivania.
La
raggiunse e l'afferrò fra le mani.
Era un
dipinto senza colori che raffigurava due giovani sorridenti: uno era
Steve, l'altro era un ragazzo moro dallo sguardo profondo.
Bucky...
Non poteva
che essere lui, l'amico di cui Steve le aveva raccontato nel
pomeriggio, l'amico che aveva visto morire davanti ai suoi occhi senza
poter fare nulla.
Linn
accarezzò con le dita i due visi e poggiò
nuovamente il ritratto sulla scrivania.
La stanza
di Steve era piccola e accogliente eppure trasudava tanta solitudine.
Si
avvicinò all'armadio e ne aprì le ante: pochi
abiti, poco colore, ma il suo profumo era su ognuno di essi.
Raccolse
una maglia e l'avvicinò al viso, chiuse gli occhi ispirando
forte e poté risentire le sue braccia e le sue labbra.
Si
sentì arrossire e sorrise con una profonda tristezza.
Non aveva
neanche avuto il tempo per comprendere ciò che stava
accadendo in lei, che era stata travolta dall'ennesima tormenta.
Il principe
era fuggito e con lui anche Lady Sigyn.
Non era
triste per la loro fuga, non era triste per la situazione in cui si
erano ritrovati ancora una volta i terrestri. Linn era triste
perché non poteva ammettere a voce alta quanto fosse
sollevata nel saperli lontano da lì.
Qualcosa le
diceva che stavano bene, che ovunque fossero ora e ovunque fossero
diretti, era lì che dovevano essere.
Era
egoista, era anche stupido forse, ma saperli insieme la rendeva serena.
Aveva
taciuto quelle parole a Steve, aveva scosso il capo quando le era stato
chiesto se ne sapesse qualcosa.
“Lady Sigyn non mi ha detto nulla.”
Era la
verità e sembrarono crederle.
Avrebbe
voluto pregarli di non cercarli, di non inseguirli con la stessa rabbia
con cui si insegue un cervo ferito. Avrebbe voluto dir loro di
lasciarli semplicemente liberi di trovarsi.
Piegò
nuovamente la maglia e la ripose nell'armadio.
Tornò
a sedersi sul letto a guardare la porta chiusa, aspettando che si
aprisse e che Steve tornasse da lei.
Sapeva che
lo avrebbe fatto.
ஐஐஐ
Frigga aveva udito Odino
rientrare, non perché egli le avesse proclamato il suo
arrivo, ma perché l‘intero palazzo
tremò dalle fondamenta.
La sua
rabbia silenziosa raggiunse ogni granello di polvere che si posasse
sulle superfici, l'aria era irrespirabile tanto densa era diventata.
Chiuse gli
occhi, la regina, e inspirò a fondo.
Il Bifrost
non si era aperto, nessun ritorno era stato annunciato eppure lei aveva
udito la voce di una chiamata.
Non era la
voce di Loki, non era la voce di Thor.
Eppure era
la voce di un figlio.
Immensi
furono i secondi che trascorsero finché non decise che
ciò che una regina non poteva chiedere, una madre lo poteva
semplicemente pretendere.
Chiese un
cavallo e raggiunse il guardiano immobile.
«Il
principe ha chiesto che gli fosse aperta la via.» Non si
perse in sciocchi convenevoli. Fronteggiò l'uomo con
l'audacia di chi è pronta a tutto. «Cosa impedisce
al Guardiano di permettere a un principe il suo ritorno?»
Già
conosceva la risposta eppure volle udirla comunque.
«L'ordine
di un re, mia regina.»
«La
vita dei miei figli vale più di un ordine!»
sentenziò. «Apri loro il passaggio.
Adesso!»
Heimdall
schiuse le labbra senza guardarla.
«Non
posso» enunciò con voce profonda.
Frigga
sentì l'impotenza di fronte a quella realtà. Non
poteva comandare nulla, non poteva fare nulla.
Un regina
con oro sulla testa e gemme fra le dita, vestita di seta eppure
incapace di farsi udire.
«Ti
prego, Heimdall... falli tornare.»
I comandi
cessarono e giunsero le suppliche.
Avrebbe
anche gettato via la sua dignità e si sarebbe prostrata
dinanzi ai piedi del guardiano se fosse servito.
Ma gli
occhi di Heimdall erano destinati alla vista del cosmo non alle
preghiere che stavano luccicando negli occhi stanchi di una donna
debole.
«Non
posso» ripeté semplicemente senza scostare la
vista. Le mani strette nella possente spada e il viso glaciale.
Si
sentì mozzare il fiato nella gola.
Quanto
forte era l'orgoglio di suo marito? Era più forte dell'amore
di un padre? Più forte della lungimiranza di un sovrano?
«Se
accadrà loro qualcosa, se accadrà qualcosa al tuo
principe sarai ritenuto responsabile agli occhi delle Norne! E
farò in modo che nelle Ere a venire il tuo tradimento non
venga mai dimenticato!»
Sentì
le labbra tremare mentre pronunziava parole sconvenienti e minacce vili.
Heimdall
non rispose e lei gli diede le spalle per raggiungere il destriero che
l'avrebbe portata a palazzo, che l'avrebbe portata a guardare negli
occhi il Grande Padre di tutto.
«Mia
regina?» Udì la voce levarsi dietro di lei. Non
voltò il capo ma arrestò il passo.
«Benché possa suonare blasfemo, sono
più al sicuro in quel mondo di quanto possano essere qui...
Sotto il giudizio del Padre degli Dèi.»
Sentì
una lama scendere nella sua gola.
«E
il tuo di giudizio, Guardiano?»
Heimdall
sapeva, così come lei aveva sempre saputo forse,
così come negli occhi di Thor aveva visto tanto e troppo,
aveva letto sentimenti che la spaventavano. Negli occhi di Loki era
sempre stato difficile leggere per chiunque, tranne per lei. Frigga
aveva visto il verde calmo di un prato e il tossico tormento della
rabbia.
Frigga
aveva sempre saputo che ogni volta che una sfumatura violava quegli
occhi di smeraldo, era perché erano volti a guardare Thor.
Solo un
tempo aveva scorto una nuova luce, solo un tempo lontano e felice. E
non era il viso di Thor quello che Loki aveva guardato con spaventosa
perdizione.
«Il
mio compito è osservare, mia regina. Non spetta a me
emettere sentenze.»
Eppure
sapeva bene che tutta Asgard ne avrebbe pronunziata una e non ci
sarebbe mai stata alcuna clemenza.
ஐஐஐ
L'unico rumore che aveva
accompagnato i loro passi, era il gocciolare laconico dell'acqua dalle
pareti.
Sigyn
seguiva silente il camminare di Loki che si faceva strada attraverso
decine di condotti nel sottosuolo della città, aiutato solo
dalla tenue luce di una candela artificiale.
Ogni svolta
era sicura e priva di incertezze.
«Come
conosci questi luoghi?» chiese udendo la sua voce risuonare
attraverso il vuoto del buio corridoio.
«Conosco
questa città meglio di chi si proclama suo difensore, come
conosco questo intero pianeta. Non puoi pretendere di conquistare un
forte senza averne studiato ogni anfratto.»
Se avesse
potuto vedere il suo viso, sapeva che avrebbe trovato un'espressione di
semplice compiacimento.
Quasi fu
lieta che le ombre glielo celassero.
«Conosci
bene anche l'edificio che accoglie lo S.H.I.E.L.D.?» Non era
una domanda, era una semplice constatazione.
Aveva
attraversato quei corridoi decine di volte eppure non avrebbe saputo
orientarsi senza una guida, mentre Loki aveva mostrato di saperne
davvero ogni angolo.
«Quante
volte sei stato lì?» Quella era la domanda e la
risposta di Loki fu una debole risata.
«Un
paio...» Girarono ancora per un altro ombroso condotto
dall'odore poco piacevole. «Di solito non era neanche
necessario ricorrere a un incantesimo. Mi bastava qualche codice con
cui entrare nei loro sistemi.»
Il passo si
arrestò, Loki fece luce verso una scala d'acciaio che
portava di nuovo in superficie.
«Siamo
arrivati?» chiese e lui annuì.
La debole
luce le permise di vedere il suo viso sorridente e anche qualche goccia
di sudore che gli scendeva dalla fronte.
Lei aveva
davvero dovuto indossare la sua giaccia perché le
temperature che governavano in quelle grotte erano davvero basse.
Loki invece
aveva anche arrotolato le maniche della camicia.
La
guardò e le fece segno di salire.
«Prima
le signore.»
Non era in
vena di ribattere nulla.
Loki le
porse la luce e lei la prese iniziando a salire le scale.
Il ferro
era scivoloso e umido e dovette procedere con passo cauto.
Arrivata in
cima c'era ancora una grata a chiudere il passaggio. Non
aspettò che Loki la invitasse a spingerla. Lo fece di
propria iniziativa e poi si sollevò con le braccia per
uscire all'esterno.
L'aria
sembrò scaldarsi benché fosse notte.
Si mise in
piedi mentre Loki la raggiungeva e chiudeva la griglia alle loro spalle.
Era il
vicolo di una strada, c'erano dei palazzi sulla destra e sulla
sinistra. In lontananza si vedevano le forti luci dello S.H.I.E.L.D.
Anche se
avevano camminato a lungo, non sembravano essersi allontananti di molto.
«Non
faranno fatica a trovarci» sospirò non
comprendendo ancora il piano di cui aveva parlato Loki.
«Non
ci troveranno. Fidati.» Loki le prese la luce dalle mani e la
spense infilando poi in tasca la piccola torcia.
C'era un
alto lampione che illuminava il vicolo e qualche finestra dei palazzi
mostrava che non tutti erano persi nel sonno.
La
chiamavano la città che non dorme mai.
Una volta
aveva sentito Pepper dire che al mondo non esisteva nessuna
città bella come New York.
Avrebbe
voluto mostrarle Asgard, avrebbe voluto che la sensibilità
per la bellezza delle cose di Pepper si estasiasse dinanzi all'oro
della sua casa.
Sentì
lo stomaco torcersi.
Nella sua
casa, adesso, non era più benaccetta.
«Seguimi.»
La voce di Loki la riportò al buio della notte.
Gli
andò dietro mentre si dirigeva verso un palazzo, saliva i
pochi gradini e iniziava a cercava qualcosa fra le foglie di una pianta.
«Che
stai facendo?» chiese tentando di comprendere lo scopo dei
suoi gesti.
«Prendo
le chiavi.» Le rispose con tranquillità facendo
luccicare un mazzo di chiavi nella mano.
Scosse la
testa confusa. «Le chiavi di cosa?»
Loki le
inserì nella serratura del vecchio portone e in breve fu
aperto.
Si
voltò poi con un sorriso.
«Le
chiavi di casa mia.»
ஐஐஐ
Odino accarezzò con
le mani stanche e incallite i braccioli del suo seggio.
Un lungo
sospiro abbandonò le labbra secche e l'unico occhio che
ancora gli restava si chiuse con pesantezza.
Dal
balcone, Huginn annunciò il suo arrivo.
Sollevò
il viso verso la bestia e allungò il braccio per chiamarlo a
sé.
Le zampe si
posarono sulla sua veste e gli occhi di Huginn gli parlarono.
Ascoltò
ogni cosa.
«Grazie...»
sospirò. «Adesso va' e sii la mia vista.»
Un nuovo
gracchiare si levò a salutare il Re e Huginn riprese il volo.
Odino
guardò la piuma nera che cadeva lentamente, quando
toccò il pavimento sembrò fare un rumore
assordante.
***
Note:
[1] Huginn,
insieme a Muninn, è uno dei corvi fedeli a Odino.
NdA.
I nostri fratellini sono riusciti a scappare ma le cose non sono andate
secondo i piani...
E sì, Loki ha una casa a NY e no, non posso darvi
l'indirizzo.
Sorry!
Papà Odino intanto sembra alquanto contrariato, e ne ha ben
donde.
Ma adesso?
Adesso appuntamento a martedì prossimo con il capitolo
“problematico” (chi ha orecchi, intenda...)
Un abbraccio e un grazie a chiunque dedichi una goccia del suo tempo
per leggere questa storia ^^
Vi voglio bene <3
kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 18 *** Le memorie del corpo ***
cap18
L' ultima lacrima
XVIII.
Era un piccolo ingresso con un
mobile color noce sulla destra, su cui Loki fece tintinnare le chiavi.
Sigyn si
guardò intorno: una cucina semplice, un divano, un tavolino.
Un letto si
intravedeva da dietro una porta.
«Questa
è casa tua?» Alle sue stesse orecchie quella
domanda era suonata assurda.
«Una
delle tante.»
Si
voltò a guardarlo e Loki dovette capire dalla sua
espressione quando trovasse quella situazione inverosimile.
Le sorrise
e iniziò a sbottonarsi la camicia.
«Mettiti
comoda e
perdona la poca cortesia, ma ho urgenza di lavarmi questo sangue di
dosso.» La stoffa venne gettata malamente sul divano e Sigyn
seguì la sua figura finché non sparì
dietro la
porta che dava nella camera.
Gli
andò dietro senza pensarci due volte.
«Avevi
detto di avere un piano!» sbraitò.
«Nessuno
verrà a
cercarci qui» sospirò Loki mentre sfilava la
cintura dai
pantaloni. «Rilassati.»
Si
sentì pervadere dalla rabbia.
«Rilassarmi?
Non c'è tempo! Dobbiamo tornare ad Asgard adesso!»
«No,
devo fare una
doccia adesso!» ribeccò lui accendendo la luce
della
piccola sala da bagno adiacente alla camera.
«Come puoi pensare
alla doccia in questo momento?!»
«Non
so se l'hai notato,
ma abbiamo appena camminato fra i liquami di questa città.
Tu
potrai anche apprezzare il loro tanfo, ma io non ho il tuo stesso
gradimento per i pantani.»
La
superò e si diresse verso il bagno.
Sigyn
bloccò la porta mentre la chiudeva e lo guardò
furiosa.
«Mi
stai mentendo
ancora... non hai nessun piano. Non c'è nessun dannato
piano!» ringhiò stringendo il legno fra le dita.
«Libera
di
crederlo.» Loki le regalò solo uno sguardo e poi
forzò la porta che si chiuse con un tonfo dritta sulla sua
faccia.
Sbatté
più volte il pugno sul legno.
«Apri!
Codardo che non sei altro! Apri questa porta prima che la butti
giù!»
Una
spallata poi un'altra.
La porta
non si aprì e il rumore del getto dell'acqua
iniziò a risuonare nella stanza.
All'ennesima
inutile spallata, rinunciò.
Sentiva il
braccio dolere e
tutta la fatica che aveva accumulato attraversò ogni fibra
del
suo corpo, finché non sentì le gambe bisognose di
riposo.
Raggiunse
il letto con poca convinzione e si sedette stancamente sulle lenzuola.
Indossava
ancora la sua giacca.
In un gesto
d'ira se la sfilò e la gettò a terra con rabbia.
Non c'era
nessun piano. Loki non ne aveva alcuno che potesse permettere loro di
raggiungere Asgard.
Lei lo
aveva sempre saputo eppure era andata comunque con lui.
Perché?
Poteva
fermarsi, poteva
lasciare che gli agenti li raggiungessero e li arrestassero. Poteva
restare sotto il giudizio dei suoi compagni e ammettere le sue colpe;
affrontare le responsabilità con dignità consona
a un
principe.
Invece era
scappata, era fuggita come una vigliacca.
Poggiò
i gomiti sulle ginocchia e nascose il viso fra le mani.
Era tutto
perduto, perduto per sempre.
Dov'era
Styrkárr adesso? Dov'era Amora?
Cosa stava
accadendo su Asgard?
E se non
fosse stato loro padre a impedir loro il ritorno? Se ci fosse stato
dell'altro?
Ogni
speranza si frantumò al ricordo degli occhi rapaci di Huginn.
Odino aveva
voluto che entrambi sapessero che lui era a conoscenza di tutto e che come
naturale conseguenza, aveva scelto di lasciarli al loro destino.
Esiliati su
Midgard...
Le sue
labbra sorrisero tristemente nel rimembrare quella notte di secoli
prima.
“Potrebbe esiliarci su Midgard,
non sarebbe male.”
“Speriamo di no, quei barbari
ancora si ammazzano per un pezzo di terra...”
Quell'ultima
notte di secoli prima.
Voltò
il capo a guardare le lenzuola del letto.
Era così che
sarebbe dovuta finire, Loki?
Era così che
avrebbe dovuto iniziare?
Banditi
dalla loro casa per aver scelto di consumare un peccato.
Non c'era
vergogna, diceva Linn, non c'era mai stata vergogna.
Oh,
sì che c'era, e nonostante tutto, Sigyn poteva ancora
sentirla scorrere sotto la pelle.
Vergogna...
e desiderio.
*
Uscì
dal bagno
coprendosi con un accappatoio bianco. Un asciugamano fermo nella mano
con cui asciugare le gocce che lacrimavano dai suoi capelli.
Quando
tornò nella stanza lei era ancora lì, seduta sul
letto, ad accoglierlo con sguardo serio.
«È
il tuo turno» sospirò con un sorriso mentre
poggiava l'asciugamano umido sulla sedia.
Sigyn non
rispose e continuò a guardarlo senza scostare mai gli occhi.
Sorrise.
«A meno che tu non preferisca continuare ad avere
quell'odore.»
Raggiunse
l'armadio sulla parete, per recuperare gli abiti, quando finalmente
udì la sua voce.
«Ci
pensi mai?»
Le
lanciò uno sguardo veloce mentre raccoglieva una maglia da
una gruccia di legno.
«A
cosa?»
«A
Hela.»
Fu silenzio.
Gli occhi
sulla stoffa e il cuore in una morsa.
«Sai,
io l'ho sognata
per anni.» C'era una sofferenza indescrivibile nella voce di
Sigyn, la stessa che aveva bruciato lui per secoli, che ancora
bruciava. «Lei era lì ed era la cosa
più bella che
avessi mai visto e...»
La frase si
spense.
Loki le
dava ancora le spalle.
«A
volte mi sembra di sentirla ancora dentro di me.»
Non aveva
ancora fatto un fiato mentre Sigyn gli raccontava di un dolore che non
aveva mai trovato fine.
«Dovrei
vestirmi» sentenziò con tono freddo, chiudendo
rumorosamente l'armadio.
La
guardò e trovò solo rabbia nei suoi occhi.
«So
bene cosa c'è
sotto quell'accappatoio, ma se preferisci privacy allora
sarò
lieta di concedertela!»
Si era
alzata con sdegno e aveva abbandonato la stanza senza neanche chiudere
la porta.
Loki
sospirò e si passò una mano fra i capelli ancora
umidi.
Faceva
male, ancora un dannato male.
Per tanto
tempo aveva cercato
negli occhi di Thor la condivisione per quel dolore e non era mai
riuscito a trovarla. Per tanti anni aveva chiesto a quegli occhi di non
dimenticare, di non dimenticarsi di quella piccola vita.
Per tanti
anni aveva chiesto senza avere risposta.
Thor aveva
cancellato Sigyn, così come aveva cancellato ogni altra cosa.
Era
ciò che Loki aveva
creduto, che aveva voluto credere per potersi permettere di odiarlo con
più facilità.
Eppure
aveva sempre saputo che
Thor non aveva dimenticato, ché se gli negava i suoi occhi
era
perché quel ricordo e mille altri non erano mai andati via.
Aveva
imparato a conviverci, Thor; Loki non era riuscito mai neanche a
sopravvivervi.
Aveva
trascinato la sua esistenza come una creatura in agonia, aspettando di
morire ogni volta sempre più a fondo.
Si
vestì lentamente e stirò indietro i capelli umidi.
Quando era
tornato in soggiorno, Sigyn era seduta sul suo divano a osservare la
notte dalla finestra.
«Era
un maschio.»
Lei si
voltò a guardarlo sbattendo le palpebre.
«Un
maschio?»
Loki
assentì e si poggiò allo stipite.
«Ha
bussato ai miei sogni ogni notte.»
Un sorriso
piegò le labbra di Sigyn, un sorriso di una dolcezza
dolorosa.
«Com'era?»
«Rumoroso...»
Le
strappò una piccola lacerata risata.
Sigyn si
alzò dal divano e lo raggiunse con impazienza.
«Parlami
di lui.»
Scosse il
capo. «Erano solo sogni.»
«Per
favore!»
Sentì le sue mani stringergli le braccia con forza.
«Per
favore...» La voce implorare, gli occhi riflettere quella
preghiera.
Sospirò
incapace di negarle anche una ferita.
«Cosa
vuoi sapere?»
«Cosa
diceva, cosa faceva... il colore dei suoi occhi...»
Avrebbe
voluto sollevare la mano e sfiorarle il viso.
«Aveva
i tuoi occhi... » Azzurri
e orgogliosi.
E quegli
occhi divennero sempre più lucidi.
«Continua»
gli chiese ancora.
Loki
sorrise mentre si perdeva nel ricordo di quei sogni che avevano reso
meno buia ogni sua notte.
«Mi
chiedeva di
insegnargli a far fluttuare una foglia.» Anche Sigyn sorrise
mentre lo ascoltava in silenzio. «“Padre, mi
insegni?” diceva...»
«E
tu glielo insegnavi?»
Assentì.
«Gli
insegnavo tutto ciò che voleva. Ogni volta mi chiedeva
qualcosa
di nuovo... Glielo mostravo e lui imparava velocemente.»
Una piccola
lucente lacrima solcò la sua guancia.
«Come
si può sentire la mancanza di qualcuno che non è
mai esistito, Loki?»
A quella
domanda non aveva risposte da darle.
Scosse il
capo guardando un'altra lacrima abbandonare i suoi occhi.
«Non
lo so...»
«Il
suo nome?»
«Leyld»
rispose e lei sorrise asciugandosi il viso con il dorso della mano.
«Pensavo
lo ritenessi un nome orribile.»
«Oh,
lo è!» La sentì ridere con lo sguardo
ancora lucido. «E tu “Hela”...»
Il piccolo
sorriso sulla bocca di Sigyn sembrò sciogliere il gelo che
avvolgeva il suo cuore.
«È
un nome più appropriato per una bambina... così
mi disse qualcuno.»
Avrebbe
voluto stringerla a sé e asciugare con le labbra ogni
lacrima.
Avrebbe
voluto che non ne avesse più dovute versare.
Avrebbe
voluto avere la capacità di riavvolgere quel filo e
ricominciare.
Non poteva
realizzare nessuna di quelle volontà.
«Se
mi assicuri di non introdurti di soppiatto nel bagno approfitterei
della tua doccia.»
Rise
scuotendo la testa, grato
per la sua capacità di spezzare la lastra del dolore anche
se
per un breve lasso di tempo. Una goccia di acqua sul taglio, fugace
sollievo.
«Hai
la mia parola, ma se non ti basta, puoi ruotare la chiave nella
serratura.»
Sigyn
annuì ancora
sorridente e lo superò per raggiungere il bagno.
Prima di
chiudere la porta però lo guardò e Loki vide quel
sorriso
spegnersi.
Grazie...
O forse Mi dispiace.
Li
udì entrambi in quel piccolo cenno del capo.
*
Nella sala,
i monitor non smettevano di inviare immagini ma nessuna di esse era in
grado di aiutarli a trovarli.
Si udiva
solo il continuo pigiare dei tasti, il sibilo di qualche computer, lo
squillare dei telefoni.
«Non
possono essersi volatilizzati!» mormorò Clint al
suo fianco.
Natasha
sospirò e continuò a cercare un viso fra le
decine che coprivano gli schermi.
«I
nostri sistemi sono stati down per molto tempo, questo ha dato loro un
vantaggio.»
«Parliamo
di New York,
Nat. C'è una telecamera in ogni fottuto angolo!»
sbraitò ancora Clint indicando nervosamente un monitor.
«Se non sono in quelle immagini vuol dire che non sono
più
qui.»
«Nessuno
ha rilevato
alcun tipo di fenomeno elettromagnetico. Non sono andati via dalla
Terra, Clint. Su questo ne sono più che sicura.»
«Come
puoi dirlo? Cosa
ne sappiamo noi delle reali facoltà di Loki? Di quelle dei
suoi
complici? Non ti è passato per la mente che tutta la
faccenda di
Central Park poteva essere una farsa per metterlo nella condizione di
avere Thor dalla sua parte?»
Certo che
lo aveva pensato.
Natasha aveva subito ritenuto strano ciò che era accaduto al
parco, soprattutto il modo in cui Loki aveva deciso semplicemente di
arrendersi.
«Stark
sta controllando
le riprese nella stanza, sperando solo che la destabilizzazione del
sistema non le abbia corrotte.»
Clint
sbuffò incrociando le braccia sul petto e dando le spalle ai
monitor.
«Non
capisco come abbia fatto a mandarli offline...»
Le poche
riprese prima del down avevano mostrato Loki e Sigyn che entravano in
una delle sale di controllo del piano.
Qualsiasi
cosa avesse fatto
Loki in quella stanza aveva avuto come naturale effetto quello di
mandare offline ogni singolo processo informatico della struttura. Un
lavoro da hacker esperto. Nessuna magia.
Avevano
sbagliato a ritenerlo più debole adesso che era privo di
magia.
Loki
restava comunque
pericoloso, per il semplice fatto di essere una mente spaventosamente
brillante. Se non fosse stato dalla parte sbagliata della barricata,
Natasha era più che certa che Fury non ci avrebbe impiegato
che
una manciata di secondi per chiedergli di unirsi a loro.
«Il
direttore è ancora con il capitano?» chiese.
Clint
scosse il capo.
«No.
Hanno discusso e
Steve lo ha mollato nel suo ufficio... Fury non l'ha presa
bene.»
Poi un sorriso. «Chi l'avrebbe detto che il ligio Captain
America
sarebbe diventato un insubordinato per colpa di una donna.»
Anche
Natasha sorrise.
«Ogni uomo dà il meglio e il peggio di
sé per colpa
di una donna, Clint. Non devo essere io a insegnartelo.»
«Anche
per una che conosce da meno di 48 ore e che ancora non gliel'ha
data?»
Alla sua
domanda sorrise ancora. «Soprattutto per quello,
credo.»
Si
udì l'ennesimo sibilo a indicare l'ennesimo falso allarme.
Entrambi
guardarono verso lo schermo e poi ingoiarono un sospiro.
Stavolta
sarebbe stato di certo più difficile trovarli.
Natasha
credeva davvero in
ciò che aveva detto: un uomo dava il peggio e il meglio di
sé per una donna, e sapeva bene che Loki, per Sigyn, avrebbe
portato all'estremo entrambe le cose.
*
Steve
mandò giù il caffè con pochi sorsi e
buttò con rabbia il bicchiere vuoto nella pattumiera.
La caffeina
non aveva effetto sul suo organismo, eppure la sua mente si
sentì meglio.
Fury non
poteva chiedergli di
trattare Linn come una prigioniera, come qualcuno da interrogare e da
rinchiudere. Non era un feroce criminale, soprattutto, non sapeva
davvero nulla di ciò che stava succedendo.
Se anche
non avesse provato
ciò che stava provando, avrebbe comunque impedito con tutte
le
sue forze che un simile reato fosse commesso.
“Non
lascerò che nessun agente l'avvicini, signore! Ha la mia
parola
che chiunque ci proverà sarà costretto ad
affrontarne le
conseguenze!”
“Capitano, non riesco a credere
che proprio tu abbia perduto la lucidità per colpa di un bel
faccino!”
Aveva
dovuto trattenersi dal
prenderlo a pugni. Aveva preferito andare via, aveva preferito
lasciarsi alle spalle i suoi richiami e le sue urla.
Affrettò
il passo mentre tornava nella sua stanza. Nessuno avrebbe osato
mettervi piede, neanche sotto ordine di Fury.
Aprì
la porta con il suo nome sulla lingua, ma quando la scorse assopita sul
letto, non emise un solo suono.
Il viso
addormentato, le braccia nascoste sotto il suo cuscino.
Chiuse con
accortezza la porta e cercò di fare meno rumore possibile
con i suoi passi.
Linn
respirava profondamente e sembrava serena.
Non
riuscì a impedire a un sorriso di piegare le sue labbra.
Raggiunse
il letto e flesse un ginocchio per guardare il suo viso.
Perdere la
lucidità per colpa di un bel faccino...
Fury forse
non aveva tutti i
torti, ma Steve non aveva mai provato nulla di simile, qualcosa di
altrettanto forte sì, con Peggy, di altrettanto bello, ma di
diverso.
Il
sentimento che scaldava il
suo cuore quando guardava Linn era diverso da ogni altro che aveva
vissuto, paradossalmente era qualcosa che lo spaventava.
Se era
riuscita in così
poco tempo a entrare nel suo cuore, cosa avrebbe potuto fare se solo
avessero avuto l'occasione di trascorrerne di più?
Ne
avrebbero mai avuto occasione?
Linn non
apparteneva al suo mondo, Linn non apparteneva a nulla di
ciò che aveva creduto di conoscere.
Steve non
conosceva Asgard, non conosceva quella vita. Conosceva solo Thor.
E adesso si
chiedeva quanto realmente conoscesse anche lui.
L'aveva
aiutato a fuggire,
Thor aveva aiutato quell'assassino di suo fratello a fuggire per
l'ennesima volta. Perché, anche se non aveva aperto le sue
manette in altre circostanze, l'aver provato clemenza e dubbio prima di
affondare il colpo, equivaleva all'averlo aiutato a scappare via dalle
sue responsabilità.
Più
volte aveva provato a comprenderlo e aveva sempre avuto l'illusione di
esserci riuscito.
Aveva
provato a mettere se
stesso nella sua posizione, aveva provato a pensare a Bucky in quella
di Loki. Trovarsi chi avevi considerato un fratello come nemico.
Cosa
avrebbe fatto lui? Cosa avrebbe mai potuto fare se un giorno avesse
scoperto di dover combattere contro di lui?
I
sentimenti dell'uomo dovevano soccombere davanti ai doveri del soldato?
Porre il
bene dell'intera umanità più in alto dell'affetto
per un fratello, per un amico.
Sulla carta
sembrava una scelta facile per chi si proclamava difensore della Terra,
eppure non lo era.
Come Thor
aveva da sempre esitato davanti a Loki, così Steve sapeva
avrebbe potuto esitare davanti a Bucky.
Ma stavolta
Thor non aveva
esitato, non aveva mostrato il dubbio, aveva semplicemente scelto di
aiutarlo, aveva scelto Loki a loro.
Sospirò
e lasciò che le dita accarezzassero il viso di Linn.
Non voleva
svegliarla, non voleva guardare i suoi occhi e leggere domande a cui
non sapeva dare risposta.
*
Il getto
d'acqua caldo scivolava con forza sulle sue spalle, sulla sua testa,
sul suo viso.
Sigyn
tirò indietro i capelli e lasciò che la forza
dell'acqua sciogliesse stanchezza e pensieri.
Non sciolse
nessuno dei due.
Sentiva il
corpo teso e affaticato e la necessità di riposo.
Sentiva la
testa esplodere e il cuore fare male.
Le parole
di Loki suonavano
nella sua mente; i suoi occhi, che nascondevano il suo stesso dolore,
apparivano nel buio quando chiudeva i propri.
Avrebbe
voluto sentirlo parlare ancore e ancora, ascoltare ancora i suoi sogni
e lasciarsi cullare in quelle fantasie.
Leyld...
Hela...
Qualunque
nome avesse portato,
qualunque sesso avesse avuto, di qualunque colore fossero stati i suoi
occhi, non avrebbe voluto altro che sentirlo fra le sue braccia.
Sentire
quella vita battere contro di lei, sentire che da quel peccato era nato
qualcosa di innocente.
Chiuse il
getto lasciando grondare l'acqua dal suo corpo.
Respirò
a fondo e si massaggiò gli occhi con le dita.
Fu allora
che udì la porta aprirsi.
Da dietro
la parete dal finto vetro, intravide la sagoma alta di Loki.
«Avevi
detto che non saresti entrato...» mormorò aprendo
di poco la parete.
«Ti
avevo anche suggerito di far girare la serratura.»
Loki
indossava dei pantaloni
neri e una maglia del medesimo colore. Aveva i capelli asciutti ora,
meno lisci del solito, con piccole onde che gli cadevano sulle spalle.
E sorrideva.
Era bello
vederlo sorridere.
Scacciò
quel pensiero e portò lo sguardo su ciò che
stringeva fra le mani.
«Cosa
sono?» chiese.
«Vestiti»
rispose lui. «O avevi intenzione di indossare di nuovo quella
piccola camicia fetida?»
Riconobbe
quelli che sembravano dei jeans e una maglia ovviamente di misura
maschile.
«Poggiali
lì» sospirò allungando la mano per
recuperare
l'accappatoio. Da quella posizione però le era impossibile
raggiungerlo. Forzò ancora il braccio tenendo ostinatamente
chiusa buona parte della parete per celare la sua nudità.
Sarebbe
stato più
facile che i suoi muscoli si strappassero piuttosto che fosse in grado
di afferrare la stoffa attaccata al muro.
Loki lo
capì e fu lui a prenderla per avvicinarla alla sua mano.
«Non
c'è di
che...» mormorò ironicamente prima di recuperare i
vestiti
che si era tolta e avviarsi alla porta.
Sigyn
restò con
l'accappatoio fermo nelle mani ad aspettare che lui uscisse, ma Loki
rimase sulla soglia a guardarla con un sorriso divertito.
Sbuffò.
«Vuoi uscire, per favore?»
«Anche
io so bene cosa c'è sotto quell'accappatoio.»
«ESCI!»
Loki
andò via ridendo.
*
Loki
guardava il piatto che girava lentamente attraverso lo sportello del
microonde.
Sentì
dei passi alle sue spalle.
«Hai
fame?» chiese mentre si udiva il suono del timer e il piatto
cessava di muoversi.
Quando si
voltò scorse
Sigyn, con i capelli mezzi umidi, che gli porgeva con espressione
infastidita i pantaloni che le aveva poggiato nel bagno.
Indossava
di fatti solo la maglia cercando ti tirarla verso il basso con l'altra
mano.
«Non
posso indossarli» sentenziò aspettando che lui li
afferrasse.
Loki
percorse ancora una volta il suo corpo prima di prestare attenzione ai
suoi occhi.
«Il
motivo?»
Sigyn
lanciò i pantaloni sul tavolo con un mezzo grugnito
spazientito.
«Non
posso indossarli
senza prima indossare qualcosa sotto... La stoffa
è...» Un
leggero rossore le coprì le guance. «È
fastidiosa.»
Cercò
di reprimere un sorriso divertito mentre si schiariva la voce con un
colpo di tosse.
«Mi
stai dicendo che vuoi della biancheria intima da donna?»
«Certo
che no!»
Ovviamente la vide inalberasi. «Mi chiedevo se avessi dei
pantaloni più confortevoli.» Ancora la mano a
tirare in
basso la maglia.
«Confortevoli?»
Le fece il verso e lei lo guardò truce.
«È
già tanto che te li abbia chiesti. Avrei potuto aprire il
tuo armadio e prenderli da me.»
«Potevi
farlo.» Le
rispose con tranquillità mentre apriva lo sportello del
microonde per tirare fuori il piatto caldo.
Scorse gli
occhi di Sigyn seguire i suoi gesti.
«Che
stai facendo?»
«Cucino.»
«Perché?»
«Perché
ho fame.»
«Hai
fame?»
Posò
il piatto sul tavolo e la guardò aggrottando la fronte.
«Perché
fai sembrare tutto quello che faccio
“strano”?»
Sigyn gli
restituì lo stesso sguardo.
«Perché
è
strano, Loki... Questa casa, tu... » Scosse il capo.
«Che significa tutto questo?»
Si
accomodò al tavolo avvicinando il piatto e iniziando ad
affondare la forchetta senza risponderle.
«Che
ci facciamo qui?»
Sospirò
masticando il cibo che aveva davanti.
«Siedi.»
La
invitò indicando la sedia accanto a lui.
«Avanti.»
Insistette quando sulle prime non si mosse.
Al secondo
incitamento Sigyn si sedette sulla sedia guardandolo diffidente.
Loki
continuò a mangiare con tranquillità poi si
alzò e prese un secondo piatto dal ripiano.
Lo mise nel
microonde e impostò il timer.
«Solo
in questa
città ho sette diversi luoghi dove posso dimorare»
spiegò poggiandosi al mobile. «In ogni singolo
Stato, in
ogni nazione, in ogni paese di Midgard ho luoghi dove trovare ristoro e
riparo. Questo era il più vicino allo S.H.I.E.L.D. e anche
il
più sicuro.»
«Come
può essere sicuro? Sono a un passo da noi.»
Il piatto
continuava a girare e Loki raccolse delle posate dal cassetto in basso.
«I
sistemi di ricerca
utilizzati dallo S.H.I.E.L.D. si basano principalmente sul
riconoscimento facciale ma, per quanto possa essere accurato,
c'è sempre un margine di errore. Io faccio in modo di
trovarmi
in quel margine.» Posizionò le posate accanto a
lei mentre
il timer risuonava nella cucina. Sigyn lo guardava ancora dubbiosa.
«Spiegati.»
Sorrise.
«Questa
casa è del professor Derek Smith, insegnante di lingua
inglese dell'istituto Fort
Hamilton di Brooklyn.»
Sapeva
avrebbe solo continuato a confonderla.
Fu per
questo che dopo averle
poggiato il piatto di fronte, recuperò le lenti da vista,
che
sostavano su una mensola, e le indossò sedendosi nuovamente
al
suo posto.
«Io
sono il professore Derek Smith.»
Sigyn
aprì appena la bocca ma non disse nulla.
Accettò
silente il cibo che le aveva offerto senza preoccuparsi di ringraziarlo.
Dopo la
prima forchettata si decise a parlare.
«Hai
delle false identità. È questo?» chiese
con la bocca piena.
«Esatto.
Ogni qualvolta
i sistemi dello S.H.I.E.L.D. recupereranno immagini che mi ritraggono
in questa città o in ogni altra, io sarò in quel
margine
di errore. Ogni ripresa che è stata effettuata in queste ore
darà loro solo un esito negativo, perché questo
viso
appartiene al rigido professore di uno stupido liceo di
Brooklyn.»
Sigyn
continuò a masticare guardandolo attentamente.
«Stai
per dirmi che sono
infido? Beh, grazie, ne sono conscio» sospirò
mentre si
sfilava gli occhiali e li lasciava cadere sul tavolo. «Quando
hai
tanti nemici, devi ingegnarti per salvare la pelle.»
«Se
evitassi di farti tanti nemici non dovresti ricorrere a questi
stratagemmi per salvarti la pelle.»
Sorrise
mandando giù un altro boccone mentre la guardava mangiare a
sua volta.
Non
sembrava passato un giorno
dalle mattine a palazzo, da quella prima mattina in cui era entrata
nella sua vita piena di difetti e di rumore, con la grazia di un troll
e i modi di uno stalliere.
Con la sua
veste troppo corta e i capelli troppo disordinati.
Ed era
stato sbagliato dal primo momento.
Ed era
stato altrettanto inevitabile.
Mangiò
in silenzio non riuscendo a toglierle gli occhi di dosso.
«Smettila»
sospirò lei all'ennesima occhiata che le rivolse. La
forchetta a punzecchiare stancamente il cibo.
«Non
è facile... Sei così bella.»
Il metallo
cadde tintinnando nel piatto mentre Sigyn si copriva gli occhi con una
mano.
«Per
favore, Loki.»
«Non
riesci ad accettare
la mia sincerità? Immagino sia lecito non essere creduto
quando
ti legano a un titolo come il mio, ma pensavo che almeno tu sapessi
scindere la verità dalle menzogne.»
«Basta!
Per favore,
basta! Basta trattarmi così!» Sigyn
schiantò i
palmi sul tavolo con rabbia e Loki indurì lo sguardo.
«Vuoi
che smetta di desiderarti?» sibilò serio.
«Voglio
che tu smetta di
trattarmi come se non avessi cercato di uccidermi negli ultimi anni!
Come se non avessi ribadito più volte il tuo odio nei miei
confronti, come se non avessi giurato sulla tua stessa vita di volere
la mia morte e quella di ognuna delle persone a me care, Loki! Voglio
che tu smetta di guardarmi e fingere di non vedere Thor,
perché
io sono Thor! Sarò sempre Thor, qualsiasi nome tu voglia
darmi,
qualsiasi incantesimo tu possa fare per illuderti di
cambiarmi!»
Sigyn si
alzò in piedi con gli occhi colmi di rabbia e sofferenza,
colmi di sentimenti che Loki conosceva e condivideva.
«Tu
sei l'unico motivo
per cui Thor è rimasto vivo in questi anni, Sigyn»
spiegò con fredda calma che ebbe come unico risultato quello
di
fomentare la sua collera.
«Perché
continui
a fare questa distinzione?! Non c'è alcuna distinzione,
Loki. Io
sono Thor tanto quanto Thor è Sigyn!»
Scattò
in piedi a sua volta.
«E
io ti amo tanto
quanto ti odio! È così difficile
capirlo?!»
urlò perdendo ogni lucidità. Aprendo quel cuore
che
grondava sangue e che non era mai riuscito a rattoppare.
Lei lo
guardò respirando con affanno.
«Sì,
lo
è...» sospirò. «È
difficile
comprendere perché io non sarei in grado di odiare qualcuno
che
amo, Loki. Per quanti aspetti oscuri possa avere, per quante ombre
possano albergare nel suo cuore, io amerò sempre ognuna di
quelle ombre... Sempre... anche quando quelle ombre avranno inghiottito
ogni luce.»
«È
questo quello che pensi? Credi che non ci sia altro che buio dentro di
me?»
Sigyn
scosse il capo allungando una mano per sfiorargli il viso.
«Io
credo che da qualche
parte in tutto quel buio ci sia ancora il fratello che ho amato e che
amo, ci sia ancora quel ragazzo riservato che amava leggere per me
nelle sere di inverno.» La sua mano era calda e i suoi occhi
densi come lava di mare. «Se tu hai perso te stesso, Loki, io
non
ho perduto la speranza di ritrovarti.» La sua gola
sussultò a quelle parole, a quella carezza, a quel sorriso.
Ogni
paura aumentava e si infrangeva allo stesso tempo quando gli era
così vicino. «Ogni singolo torto che hai commesso
contro
di me, ogni tua azione, anche la più crudele, volta al solo
fine
di farmi del male, per me non avrà importanza. Nulla
avrà
importanza se riuscirò a ritrovare quel ragazzo.»
«Anche
tu mi guardi fingendo di non scorgere la mia vera natura... Io sono
sempre stato questo
ma tu non volevi vedere.» Sorrise triste e scostò
la sua
mano con gentilezza. «Chi dei due è il vero
bugiardo a
questo punto?»
«Il
mio affetto è sincero.»
«E
così è
il mio.» Fu la sua mano ad accarezzarle il viso, furono le
sue
dita a scorrere sulle sue labbra. «Se non riesci a
comprenderlo
almeno accettalo.»
Si
avvicinò e lasciò che la bocca trovasse la sua.
Ed era come
lasciarsi cadere fra le fiamme.
«No.»
Lo
allontanò. Lo spinse via con sdegno, passando il dorso della
mano sulla bocca. «Non farlo.»
Era un
ordine, era un urlo, era una preghiera.
Qualsiasi
forma avesse, Loki non le diede ascolto. Distrusse di nuovo la distanza
e le prese il viso fra le mani.
Di nuovo
labbra su labbra.
«Smettila!»
Sigyn voltò la testa e tentò di scappare ancora.
Non glielo
permise.
«Ascoltami...
Io ti amo
tanto quanto ti odio» sospirò poggiando la fronte
sulla
sua, scaldandole le labbra con il fiato e sentendola respirare forte
conto la sua bocca. «Ti desidero tanto quanto ti
detesto.»
Ancora un
bacio stavolta umido e disperato.
«Farei
scorrere una lama sulla tua pelle tanto quanto la lascerei rabbrividire
dal piacere sotto la mia lingua.»
Le morse le
labbra e la
strinse fra le braccia lasciando che sentisse tutto il desiderio e la
rabbia e la disperazione e il bisogno e la pazzia che scatenava in lui.
«Adesso
smettila...»
Ma non
c'era convinzione nella
sua voce, non c'era nulla che non lo spingesse a baciare il suo collo
con passione fino a sentirla tremare.
«Non
posso smettere e
non voglio farlo» sospirò contro il suo orecchio
sollevandola con forza e lasciandola ricadere sul tavolo di legno.
Sigyn lo
guardava affannando, con le labbra gonfie e gli occhi lucidi.
Le dita di
Loki raggiunsero un
coltello e lo poggiò fra le sue di dita. Glielo fece
sollevare
finché non puntò alla sua gola.
«Se
non lo vuoi almeno quanto lo voglio io, affondalo nella carne e
smetterò.»
«Loki...»
La mano tremava, la lama fredda premeva senza forza contro la pelle.
«Che stai facendo?»
«Ti
sto dicendo che l'unico modo per impedirmi di volerti in questo preciso
istante è uccidermi.»
Fece
scorrere le mani sulle sue cosce nude fin quasi a graffiarle e il suo
respiro accelerò.
La lama
sempre meno stabile, le labbra sempre più vicine.
«Uccidimi
adesso e non passerò il resto di questa notte a dimostrarti
quanto forte è il mio odio.»
A dimostrarti quanto ti ho
atteso, quanto ho aspettato di riaverti.
I suoi
occhi si sciolsero nei
suoi, il coltello cadde a terra tintinnando assordante e le labbra di
Sigyn gli rubarono ogni altra parola.
Eppure non sei mai andata via
davvero...
Sentì
le mani scorrere
fra i suoi capelli e stringerli con forza, la stessa con cui lui
afferrò le sue ciocche bionde e umide.
Bocca su
bocca, lingua contro lingua, lo stesso peccato consumato ancora una
volta.
Il cuore
batteva forte contro il suo petto, come non aveva più
battuto.
Si
sfilò la maglia
lasciandola cadere a terra e le unghie di Sigyn gli graffiarono presto
le spalle mentre lo tirava a sé.
Non ci furono parole, non ci
fu dolcezza né attenzioni.
Loki non ne
aveva da donare, Sigyn non le chiese.
I secoli scorsero veloci, le
lacrime, le urla, il sangue, la guerra, la morte...
Tutto
scivolò
attraverso i suoi pensieri caotici e annebbiati. I ricordi si sciolsero
nei sogni, le illusioni nelle verità.
Sei sempre stata tu, la luce
più fulgida del giorno e il nero soffocante di ogni mia
notte.
Il mio desiderio e il tormento
che mai mi ha lasciato.
Ogni disperazione
più folle.
E si perse,
si perse ancora
una volta in lei, come forse non aveva mai davvero fatto. Senza
più colpe né vergogna, conscio come mai prima di
quanto
ne avesse urgenza e paura.
Restarono
immobili per
interminabili minuti: lui in piedi fra le sue cosce e le mani piantate
sul tavolo; le braccia di Sigyn poggiate stancamente sulle sue spalle.
I loro
occhi non si incrociarono, persi ognuno sulla parete opposta.
I respiri
si regolarizzarono e il sudore si raffreddò sulla pelle di
entrambi.
«Ne
è valsa la pena?» Era la voce di Sigyn, debole e
amara.
Loki
sollevò le spalle
e finalmente guardò il suo azzurro: era freddo come la neve
di
cui avrebbe dovuto essere sovrano.
«È
valsa la pena
fare tutto questo, Loki?» Non rispose vedendo le sue labbra
incurvarsi in un sorriso privo di gioia. «Una bella fatica,
non
trovi?... E tutto per scoparti questa sgualdrina!»
Lo spinse
via con rabbia e Loki semplicemente la lasciò fare.
Lasciò
che si tirasse
giù la maglia, che stringesse le gambe e lo guardasse con
gelo
prima di portare gli occhi sulla sua mano ancora sporca.
«Spero
davvero ne sia valsa la pena, fratello.»
Quando
Sigyn andò via sbattendosi alle spalle la porta del bagno,
Loki si volse a guardare la finestra.
Nel nero
della notte, due piccoli occhi e un verso acuto che raggiunse le sue
orecchie.
Si
avvicinò al vetro osservando il corvo fermo sul davanzale
che lo osservava a sua volta.
Nella pece
delle sue piccole iridi vide un bagliore d'oro.
Afferrò
la tenda e coprì la finestra con un gesto deciso.
Lo
spettacolo è finito, padre.
₪₪₪
La stanza era calda e il
profumo delle essenze possedeva ogni molecola dell'aria.
Amora
osservò il viso di Thor dormiente e sorrise.
«Amore
mio...»
sospirò liberandosi del primo stivale. «Manca
poco, lo
sai?» Anche il secondo cadde a terra.
Raggiunse
il letto e salì sensualmente sulle lenzuola fino a stendersi
accanto al corpo caldo di Thor.
«Saremo
di nuovo insieme, amore mio.» Poggiò la guancia
contro il suo petto sentendo il debole battito.
La mano ad
accarezzargli l'addome e l'odore della sua pelle a riempirle i polmoni.
«Di
nuovo insieme.» Sorrise ancora sollevando il viso per
guardare il suo.
Accarezzò
i suoi capelli e si sporse e baciarne le labbra.
«Stavolta
nessuno ti porterà via da me... Nessuno.»
Osservò
ancora gli occhi chiusi e sentì la rabbia scorrere furente
nelle vene.
Loki
avrebbe pagato quell'ennesimo insulto, avrebbe pagato così
come avrebbero pagato tutti gli altri.
Così
come avrebbe pagato quella stupida mortale che aveva osato insinuarsi
nel cuore del suo Thor.
A
Styrkárr aveva dato una parola che non era certa di
mantenere.
Perché
prima di soddisfare i desideri di quell'egocentrico Vanr, Amora aveva
altro di cui occuparsi.
Si
tirò a sedere prima di salire a cavalcioni sul corpo fermo
nel limbo: lo sarebbe stato ancora per poco.
Posizionò
entrambe le mani contro il suo petto e chiuse gli occhi.
Le sue
labbra pronunziarono formule antiche, le sue dita lasciarono fluire
l'energia necessaria.
Non aveva
modo di sciogliere
l'incantesimo di Loki, non sapeva quale rito avesse usato, e se avesse
per errore provato a spezzare l'incantesimo sbagliato, avrebbe
rischiato di non riuscire più a svegliarlo.
Era
ciò che voleva Loki, probabilmente: voleva metterla con le
spalle al muro.
Non glielo
avrebbe permesso.
Sibilò
ancora parole e
suoni mentre sentiva il calore abbandonare il suo corpo per trasferirsi
in quello che giaceva sotto di lei.
Quando il
rituale terminò si sentì spossata e debole.
Aprì
gli occhi e sorrise soddisfatta quando anche le palpebre di Thor si
sollevarono.
Quegli
occhi meravigliosi la guardarono e, per quanto vuoti potessero essere,
Amora li amò come sempre.
«Amora...»
Al
sentirgli pronunciare il suo nome non riuscì a non sorridere
con più gioia.
«Sì,
sono io,
amore mio.» Gli accarezzò il viso e Thor
continuò a
guardarla senza mutare espressione. «Come ti
senti?» Gli
chiese facendo scorrere le mani sul suo collo e sul suo petto.
Thor non
gli rispose, non poteva risponderle, non ne aveva la
possibilità.
Si
chinò sulle sue labbra e lo baciò ancora.
«Sai
perché sei qui, Thor?» sospirò contro
la sua bocca.
«Per
servirti, mia regina.»
Sorrise
ancora e ancora una volta lo baciò.
«E
farai tutto ciò che ti chiederò, non è
vero, amore mio?»
«Sei
la mia regina e Signora. Farò tutto ciò che mi
chiederai.»
Oh, tutti
avrebbero pagato, tutti avrebbero provato sulla loro pelle la sua
vendetta.
Amora
sollevò il busto guardando ancora estasiata il suo
capolavoro.
Era
perfetto e bellissimo, ed era suo.
«Sei
pronto a soddisfare
la mia prima richiesta, amore mio?» bisbigliò
sentendo
sotto le mani i muscoli tesi del suo addome.
Thor
assentì con il capo senza cedimenti.
«Sono
ai tuoi comandi.»
La sua voce
roca che le giurava fedeltà era la melodia più
sensuale che avesse mai udito.
Fece
scorrere le dita fra il
suo oro sentendo la stanchezza del rito scemare velocemente dal corpo
per far spazio a un nuovo bisogno, a una nuova fame.
«Allora
amami. Amami come una regina merita di essere amata.»
Solo allora
sentì le
mani di Thor posarsi possenti sui suoi fianchi e ribaltare le posizioni
con ferocia finendo con le spalle contro la seta delle lenzuola e
sentendo il corpo di Thor premere caldo contro di lei.
«Come
desideri, mia regina» sospirò la sua bocca mentre
scendeva a baciare ogni angolo di pelle.
Non
riuscì a tenere in gola un solo gemito.
***
NdA.
Anche stavolta ho preferito epurare il capitolo e, sebbene la versione
integrale possegga solo qualche riga in più, vi invito a
leggere
quella perché c'è anche un altro piccolo
dettaglio
importante ai fini del rapporto fra i nostri due fratelli, che non sono
riuscita a inserire qui nonostante ci abbia provato.
Incest a parte, questo è un capitolo che ho amato molto
scrivere. Mi auguro, come sempre, sia stato gradito ^///^
Anche Amora ha fatto la sua mossa e il nostro Thor è
Thornato... non del tutto.
Grazie a chiunque legga e a chiunque lasci un suo pensiero <3
Il prossimo aggiornamento potrebbe slittare di qualche giorno, ma solo
perché il 25 è il mio bday e non credo di
riuscire a
ritagliarmi del tempo. Ad ogni modo cercherò di non farvi
aspettare troppo ^-*
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 19 *** Ciò che resta di una menzogna ***
cap19
L' ultima lacrima
XIX.
Si era chiusa alle spalle la
porta del bagno ed era scivolata a terra nascondendo il viso fra le
mani.
Cosa aveva
fatto? Come aveva potuto ricaderci di nuovo?
Per quanto
la mente le
gridasse quanto fosse sbagliato, quel corpo sembrava non volere altro.
E ne avrebbe voluto ancora se non fosse andata via.
Sbatté
un pugno sul pavimento ringhiando con rabbia e vergogna.
Strinse
forte le ginocchia eppure non poteva non sentire ancora i brividi e il
desiderio scorrere nella sua carne.
La sua mano
ancora umida.
Ancora il suo odore, ancora il suo piacere che avrebbe voluto sentire
scorrerle dentro fino a impazzire.
Cercò
aria ma sembrava
respirare veleno. La gola si stringeva ogni volta che ispirava e fu
costretta a lavarsi il viso con l'acqua fredda più volte.
Alzò
gli occhi al suo riflesso provando disgusto e biasimo per se stessa.
Ripensò
a tutti quei
secoli trascorsi a sfuggire da quel desiderio, a obbligarsi a guardarlo
e vedere solo un fratello da proteggere e amare. Ripensò a
tutte
le donne con cui aveva tentato di annegare quel bisogno,
ripensò
agli occhi di Loki che divenivano più freddi e lontani.
Ripensò
alle notti bianche e al rosso del sangue in battaglia, con cui calmare
un altro tipo di fame.
E poi era
sfumato.
Ogni
pensiero, ogni brama, era
semplicemente sfumata e Thor aveva deciso che era stato solo un lontano
sogno di due ragazzini, che ormai non aveva più importanza.
Jane aveva
chiuso per sempre
ogni dubbio, e fra le sue braccia aveva trovato dolcezza e passione,
quiete e vita. Jane lo completava, completava quel cuore ferito di Thor.
E allora
perché era
bastato rivestire quella pelle per trovarsi a sentire che non era
trascorso un solo singolo giorno? Perché per quanta sabbia
fosse
caduta in mille clessidre, non sarebbe mai bastata a non farla fremere
sotto le sue carezze, sotto le sue parole, sotto il suo semplice
sguardo?
Un'intera
eternità non
sarebbe mai bastata per impedirle di voler sentirsi morire una volta
ancora nelle fiamme di quel peccato.
Abbassò
gli occhi sul freddo lavabo sentendo la testa esplodere.
Rivide il
viso sudato di Loki,
risentì i suoi respiri e le sue mani sulla pelle. Ogni
ricordo
colpì il cuore e poi lo stomaco, e scese fino a battere
forte
nel suo stesso ventre, scese più in basso finché
fu
costretta e stringere ancora gambe e occhi, a stringere fra i denti
ogni bisogno di chiamare forte il suo nome e supplicarlo... Supplicarlo
come la sgualdrina che forse era sempre stata.
Era tutto
perso, tutto era andato in frantumi.
Erano in
fuga verso il niente, senza una casa dove tornare né amici a
cui chiedere aiuto.
Erano soli
e privi di salvezza.
Quando
ritrovò il suo
sguardo lucido contro la lastra riflettente, Sigyn capì che
per
loro due non ce n'era mai davvero stata nessuna.
Uscì
dal bagno che ormai c'era solo silenzio.
La stanza
era vuota, il letto intatto.
La cucina,
messa in ordine, illuminata solo da una tenue luce.
Sul divano,
Loki dormiva con il viso di chi sogna solo incubi, con la fronte
aggrottata e le labbra troppo strette.
La notte
avvolgeva ancora ogni cosa e la stanchezza stava chiedendo tregua anche
a lei.
Ma come
poteva chiudere gli occhi e dormire? Come poteva chiudere gli occhi
senza sapere cosa avrebbe trovato ad attenderla?
Raggiunse
la cucina e aprì il rubinetto dell'acqua riempiendo un
bicchiere fino all'orlo.
Mandò
giù un unico sorso respirando forte quando poggiò
il vetro sul ripiano.
Con la coda
dell'occhio vide il tavolo sgombro e lo stomaco quasi si contorse nel
suo addome.
Cercò
ancora sollievo nell'acqua quando udì i passi alle sue
spalle.
Non si
voltò e fissò il bianco delle mattonelle lucide.
«Domattina
tornerò allo S.H.I.E.L.D.» enunciò
senza dargli
modo di dire nulla. «È giusto
così.»
«È
una tua scelta, se mi permetti, molto stupida. Ma libera di fare cose
stupide per quanto mi riguarda.»
Sorrise
contro il niente.
«Le cose stupide sembrano essere quelle che mi riescono
meglio» sospirò quasi più a se stessa.
«Usa
pure la mia camera per riposare.»
«Non
serve»
sentenziò riuscendo finalmente a voltare la schiena per
guardarlo. «È casa tua. Dormi nel tuo letto e io
riposerò sul divano.» Cercò di non
respirare a
ritmo del suo battito per quanto doloroso fosse spingere giù
i
polmoni. «E domattina metterò fine a questa
storia.»
Anche se
era più che
certa che Tony non avrebbe più tenuto fede alla sua parola
di
attendere l'alba. Perché avrebbe dovuto dopo che era stata
lei a
tradire per prima la sua? Quale lealtà doveva essere
riservata a
chi non ne era degno?
«I
tuoi amici non ti possono aiutare, lo sai.»
«Neanche
tu, o
sbaglio?» Restò seria al suo piccolo sorriso.
«Mi
sembra altrettanto inutile stare qui, a questo punto.»
«E
qual è il tuo piano? Sentiamo.»
«Prendermi
le
responsabilità delle mie azioni, anche se questo
vorrà
dire accettare lo sguardo deluso dei miei compagni.»
«Oh,
come sei nobile...»
Serrò
la mascella al suo palese sarcasmo.
Loki la
guardava con la solita
falsa tranquillità, con il solito falso sorriso, e il solito
falso atteggiamento distaccato.
Aveva avuto
ragione: ormai riusciva a scindere con facilità le sue
menzogne dalla sua verità.
«Avrò
tanti
difetti, ma la codardia non è, né sarà
mai, uno di
questi» ribatté fermamente e lui
assentì con ironia.
«Certo...
Perché scappare da questa casa non è da
codardi.»
«Io
non sto scappando da niente né da nessuno!»
«No?...
Eppure a me
sembra tutto il contrario.» Fece pochi passi verso di lei e
Sigyn
sentì che avrebbe voluto farne uno indietro, ma il mobile
alle
sue spalle glielo impediva e il suo orgoglio era un ostacolo ancora
più insormontabile. «A me sembra che tu voglia
uscire il
più veloce possibile da quella porta, sperando che
ciò
basti a lasciarti dietro ogni pensiero poco morale che ti sta
affollando la testa in questo momento.»
Deglutì
ma finse un sorriso. «Io non sono come te.»
Quando
ormai le fu di fronte anche le labbra di Loki erano piegate in un
sorriso della medesima onestà.
«Allora
perché non hai affondato quel coltello nel mio
collo?»
«Sei
folle se credi che
ti avrei ucciso per evitare di...» Non riuscì a
terminare
e sentì il viso accaldarsi per mille sensazioni diverse.
Vergogna, rabbia... desiderio.
«Ah,
quindi mi stai dicendo che ti ho ricattato? Che ti ho preso contro la
tua volontà?»
«Non
mettermi in bocca
parole che non ho pronunziato!» Lo spinse sul petto ma Loki
recuperò subito il passo che aveva perso e tornò
a
fronteggiarla senza cedimenti.
Era
insostenibile, il suo
sguardo e la sua stessa presenza, era insostenibile il pulsare di quel
cuore e la vertigine che le provocava.
«Era
sbagliato allora
tanto quanto lo è adesso...» affermò
con
sofferenza. «Perché vuoi riportare a galla
quell'illusione?»
«Perché
nella mia
vita non ho avuto altro che illusioni.» Non c'era
più
arroganza nelle sue parole, non c'era più distacco nei suoi
occhi. E faceva male. «Mi si chiede perché ne sono
il
Signore eppure si conosce così chiaramente la risposta...
Tutti
voi la conoscete.»
«Ogni
illusione si dissolve alla fine»
Loki
sorrise. «E sai cosa resta dopo?»
Non sapeva
rispondere, non voleva farlo.
Cosa
resta dopo, fratello? Cosa resta quando l'illusione crolla e la
verità punge gli occhi fino a farli lacrimare sangue?
Ma Loki non
le lasciò risposta mentre si allontanava silente.
«Se
domani avrai
intenzione di andare, va' pure. Ti chiedo soltanto di farlo prima che
mi svegli.» Un ultimo sguardo. «Sarà
più
difficile che te lo impedisca.» E un ultimo sorriso.
«Buonanotte.»
Poi
restò sola.
Nel momento
in cui Sigyn
poggiò il capo contro il divano, sapeva bene che non sarebbe
uscita da quella porta. Sapeva bene che l'alba sarebbe giunta senza che
lei potesse fare nulla per evitarlo. Sapeva che avrebbe lasciato che
anche l'ultima briciola di dignità e rispetto si frantumasse
inesorabilmente.
Sapeva che
da Asgard non avrebbe avuto aiuto, che anche la Terra glielo avrebbe
negato.
Sapeva che
quando avrebbe
riaperto gli occhi, il sole sarebbe stato alto e forte e non avrebbe
più potuto nascondere niente, non avrebbe potuto
più
nascondersi da nessuno, neanche da se stessa. Sapeva che avrebbe
ritrovato quelle sensazioni e quella rabbia, e la paura e la vergogna.
Sapeva che
quando avrebbe
aperto gli occhi, avrebbe rivisto quelli di Loki e li avrebbe visti
grati per non avergli voltato le spalle, per essere rimasta a reggere
quell'illusione.
Abbassò
le palpebre e si addormentò.
Nei suoi
sogni stanchi, trovò Hela a sorriderle.
*
Linn si era
svegliata che era
mattina. Dalla finestra trapelava una luce d'oro e arancio; l'alba di
Midgard era bella come quella di Asgard.
Steve non
era nella stanza, non era con lei. Steve non era tornato.
Si
tirò a sedere passando le dita sugli occhi gonfi.
«Buongiorno.»
Sollevò
immediatamente lo sguardo e il sorriso che incontrò fu
ancora più luminoso di quel sole.
«Buongiorno.»
Steve se ne
stava poggiato contro l'arco della porta, con una candida maglia in
dosso e una tazza che fumava fra le mani.
Le si
avvicinò e gliela porse.
«Caffè?»
Era
così strano quel momento, era così bello.
Assentì
con il capo e la prese dalle sue mani bevendone un sorso.
«Grazie...»
sospirò stringendo la ceramica fra le mani.
«Dormito
bene?»
Annuì
ancora
imbarazzata, come se ci fosse ancora spazio per l'imbarazzo; come se
non avesse tremato fra le sue braccia per un semplice bacio, come se
non si fosse sentita morire per tutti quelli che ne erano seguiti; come
se non avesse dormito sul suo letto sognando di averlo accanto a
stringerla e a baciarla ancora.
«Tu
hai dormito, Steve?» chiese sentendosi un po' stupida. Ma
Steve le sorrise e si sedette accanto a lei.
Sentì
ancora una volta i brividi sulla pelle per la sua vicinanza.
«Non
ne ho avuto tempo, ma ho chiuso gli occhi un'ora scarsa. Per me
è abbastanza.»
Solo quando
guardò il
suo viso così vicino, Linn scorse la stanchezza e il
pallore,
scorse i pensieri e le preoccupazioni piegare la sua fronte e i dubbi
attraversare le linee del suo volto.
«Siete
riusciti a...» Non continuò, temeva la risposta.
«No,
non li abbiamo ancora trovati.» Le rispose comunque lui
perdendo un po' di sorriso.
Si sentiva
così in colpa per il sollievo che provò.
Tenne la
tazza con una sola mano e con l'altra cercò la sua.
La strinse
forte osservando le loro dita che si intrecciavano. Avrebbe voluto
sentirle per sempre avvolte nelle sue.
«Linn...
quello che è successo ieri... io... quello che voglio
dire...»
Scosse il
capo sorridendo dolcemente.
«Non
dire niente, Steve.»
E Steve non
disse più niente. La guardò con i suoi occhi
stanchi e la baciò di nuovo.
Linn
sentì il sapore
del caffè anche sulle sue labbra, il sapore dolceamaro di
quel
sentimento che batteva senza tregua nel suo petto.
Allungò
la mano per
poggiare la tazza sul piccolo ripiano accanto a letto, senza smettere
di respirare contro la sua bocca.
«Steve...»
sospirò sorridendo felice come non lo era mai stata.
Ancora un
bacio, ancora le sue braccia attorno al suo corpo, ancora il profumo
della sua pelle e i suoi capelli fra le dita.
«Devo
tornare dalla squadra...» Gli sentì mormorare
eppure restò lì ad abbracciarla forte.
«Lo
so» rispose guardando il suo viso e accarezzandolo piano.
«Hai dei doveri.»
Steve
sospirò a chiuse gli occhi poggiando la fronte contro la
sua.
«A
volte mi sembra di non avere altro... Dovere e obblighi...»
«È
il destino di
un eroe.» Lo vide sorridere divertito. «Ho sentito
i
soldati chiamarti così.» Gli confidò
sorridendo e
sentì di nuovo le sue labbra sulle proprie.
«Steve?»
«Dimmi.»
Prese un
respiro e spense ogni sorriso.
«Il
principe Thor... lui
è fedele a questo mondo.» Anche Steve
tornò serio e
allentò appena il suo abbraccio. «Non dubitarne
mai,
qualsiasi cosa possa accadere, tu non dubitare mai della sua
lealtà e della sua amicizia.»
«Che
stai cercando di dirmi, Linn?»
Quando le
braccia di Steve sciolsero del tutto l'abbraccio, Linn prese le sue
mani con fermezza.
«Voglio
dire che un eroe
resta sempre un uomo e che può sbagliare. Voglio dire che
anche
se ti sarà difficile comprendere le sue azioni, sappi che le
ha
compiute perché le riteneva giuste.»
«Far
evadere Loki non era giusto.»
«Per
Midgard non lo era,
perché il dolore che ha causato è tanto e
imperdonabile,
e io non dovrei neanche avere il diritto di proferire parola in merito,
ma Steve, ci sono ragioni per cui poteva essere giusto, ragioni che
magari ti risulteranno inaccettabili, ma se il principe ha scelto di
seguire quelle ragioni, lo ha fatto privo di cattivi intenti.»
Nello
sguardo di Steve lesse qualcosa che le fece male, ma che sapeva avrebbe
visto.
«Tu
sai qualcosa. Non è così?»
Non rispose
e Steve lasciò le sue mani e si alzò.
«Per
favore, Linn, dimmi che tu non sai cosa c'è davvero dietro
tutta questa storia!»
«Se
Lady Sigyn avesse
ritenuto che il principe fosse una minaccia per Midgard, non lo avrebbe
mai aiutato nella sua fuga.» Si levò in piedi a
sua volta
non riuscendo a cancellare dagli occhi di Steve la sua diffidenza.
«Dove
sono?» le chiese.
«Non
lo so.» Fu sincera eppure non fu creduta.
«Linn,
dimmi dove sono in questo momento.»
«Non
lo so, Steve! Te lo giuro!»
«E
cosa sai?»
Senti le
lacrime bruciare
eppure le trattenne dinanzi alla fermezza con cui Steve la stava
fronteggiando, e Linn sapeva di meritare i suoi sospetti.
«So
che ovunque siano
adesso, è lì che dovrebbero essere e che nessuno
dovrebbe
cercare di riportarli qui.» La sua sincerità fu
ripagata
dalla delusione che Steve lasciò trapelare sul suo volto
stanco.
Non
tentò di fermarlo quando sia avviò alla porta.
«Non
allontanarti.»
Quando
sparì dietro la
porta, Linn guardò il caffè che ancora fumava e
lasciò andare una sola piccola lacrima.
*
Natasha si
passò una
mano fra i capelli sentendo che la pesantezza di quella notte non aveva
allentato la pressione per un solo istante. Ma non c'era tempo per il
riposo, né per un bagno caldo, né per una vodka
gelata da
mandare giù con un'imprecazione categoricamente in russo.
«Sei
ancora in tempo per non farlo, Tony» sibilò con
tono stanco.
Ma Tony non
le rispose, restò poggiato contro il muro a guardare la
porta della sala.
«Dirglielo
non ci aiuterà a ritrovarli» aggiunse poi.
Quando
erano rimasti soli,
Tony le aveva confidato che sapeva, che aveva udito quella
verità prima dalle labbra di Linn e poi da quelle di Loki,
che
era stata Sigyn a confermargliele.
Tony le
aveva fatto i
complimenti per lo stomaco di ferro e le aveva dato della stronza per
non aver ritenuto necessario informare anche loro di tutta quella
storia.
Anche Nick
sapeva,
perché Tony gli aveva mostrato le immagini delle riprese
della
stanza di Loki e gli aveva fatto ascoltare le sue parole.
Qualsiasi
reazione avesse avuto il direttore, aveva deciso di affrontarla nel
silenzio del suo studio.
«Siamo
una squadra, non
è così? Non è così che vi
piace parlare?
“I vendicatori come bravi amichetti che difendono in
mondo”... Beh, a questo punto mi sembra il minimo lavare i
panni
sporchi fra amichetti.»
«Capisco
che ti sia sentito tradito dal suo comportamento ma-»
«Se
pensi che lo faccia
per vendicarmi, ti sbagli. Ormai abbiamo superato la linea del
personale, Natasha. Siamo oltre ogni linea tracciabile.»
«Sì,
ma se tu adesso dici loro tutta questa storia ne traccerai una che non
si potrà oltrepassare.» Condannerai Thor per sempre.
Tony
respirò a fondo ma
non sembrò cambiare idea. Natasha aveva tentato ma aveva
compreso da subito che sarebbe stata un'impresa dal sicuro fallimento.
«Thor
ha deciso di
tracciarla, non io. E tutti devono avere il diritto di vederla. Tutti,
compreso Steve e i suoi ideali da cattolico. È dura, fa
schifo,
è una situazione del cazzo, ma è questa
situazione, e io
sono stanco di nuotare nel torbido!... Lo sono tutti.» Lo
vide
prendere ancora un respiro. «Li sto solo mettendo nella
posizione
di sapere e scegliere. È democrazia, Romanoff. Solo
questo.»
Scosse il
capo con un sorriso ironico.
«No,
Stark, stai solo
lanciando l'ennesima ordigno sperando che ci siano abbastanza detriti
da coprire la superficie.»
Tony
aprì le braccia con l'espressione di chi ormai non ha
più copioni da recitare.
«Certe
abitudini sono dure a morire.»
Tony era
irremovibile, la sua
decisione era stata prese, e benché ormai fossero solo Clint
e
Steve gli unici a ancora allo scuro, Natasha sapeva che il capitano ne
sarebbe uscito distrutto, perché ciò che Tony non
sembrava voleva capire era che ormai non si trattava solo di Thor,
adesso c'era anche Linn, e mezzo S.H.I.E.L.D. aveva visto
ciò che era accaduto in quel corridoio, mezzo
S.H.I.E.L.D.
aveva visto gli occhi con cui Steve guardava quella ragazza, e Steve
sarebbe stato distrutto due volte.
Un tempo
non avrebbe provato
certi sentimenti, un tempo sarebbe stata gelida e distaccata, ma un
tempo non aveva avuto una famiglia da proteggere e a cui chiedere
protezione.
Quella
famiglia stava perdendo
pezzi lentamente ma inesorabilmente. Quando Tony avrebbe portato alla
luce quella verità, forse non sarebbe più stato
possibile
rimetterli insieme.
*
Non credeva
possibile che
avesse detto una cosa simile, non credeva davvero che Linn potesse
avere una tale fedeltà verso Loki da ritenere la sua fuga
qualcosa di giusto.
Eppure era
coscia dei suoi
crimini, era consapevole di quali azioni scellerate e folli avesse
compiuto ai danni del loro pianeta e ai danni di Thor, eppure era
ancora lì, pronta a difenderlo.
Perché?
E
perché faceva così tanta rabbia rendersene conto?
Cosa celava
davvero quella fedeltà?
E se non
fosse stata fedeltà? Se fosse stato altro?
Attraversò
i corridoi con foga senza neanche badare agli agenti che per poco non
travolse.
«Scusa.»
Si
voltò per scusarsi velocemente con l'uomo che stava per
mandare
a terra e si accorse che era Clint.
«Capitano,
tutto ok?»
Annuì
con finta sicurezza.
«Sì,
stavo... stavo cercando Stark. Ha detto che doveva parlarmi.»
Cercò
di accantonare i
suoi pensieri, cercò di reprimere sul fondo dello stomaco la
sensazione acida che stava risalendo dalla gola.
«Allora
andiamo dalla stessa parte.» Barton lo affiancò e
ripresero il passo.
Tony aveva
detto loro che le
riprese della stanza non avevano svelato molto, che
però
in qualche modo Thor aveva aiutato Loki a guarire – nel dirlo
però aveva usato il nome di Sigyn.
Non gli
aveva mostrato
però le immagini che erano state visionate solo da Fury. Da
ciò che aveva riportato Natasha, Fury aveva scelto di
chiudersi
nel suo studio senza voler essere disturbato da nessuno.
Steve non
aveva avuto modo di chiedergli altro. Dopo la loro litigata, era stato
impossibile anche solo guardarsi a vicenda.
Eppure
adesso temeva che il direttore avesse avuto ragione: Linn poteva sapere
qualcosa che non aveva ancora detto.
Fu di nuovo
rabbia.
«Come
sta?» Alla domanda di Clint gli lanciò uno sguardo
veloce.
«Chi?»
«La
tua ragazza asgardiana.»
Per poco la
saliva non gli andò di traverso.
«Sta
bene e non è la mia ragazza.» Dirlo
però gli fece provare una spiacevole fitta all'addome.
«Non
è quello che
si dice in giro.» Il tono di Barton era divertito eppure non
gli
provocò un solo sorriso. «Pare che tu abbia dato
spettacolo ieri nei corridoi del ventiduesimo piano.»
Deglutì
ricordando bene quel momento.
«È
questo che
fate qui? Vi impicciate della vita privata della gente?»
brontolò acidamente e Clint sorrise ancora.
«Steve,
c'erano tre
telecamere a riprendere la scena. Se vuoi limonare in segreto cercati
un luogo meno video sorvegliato... Ti pare?»
Non
ribatté e lasciò che ancora un po' di imbarazzo
scaldasse il suo viso stanco.
«Ad
ogni modo,»
riprese a parola Clint, «spero vivamente che Tony abbia una
pista
o un qualche indizio per portarci da loro, perché altrimenti
dovrete darmi ragione: non sono più qui sulla
Terra.»
«E
dove pensi che siano, ad Asgard?» chiese.
«Non
lo so, ma Sigyn ha
parlato di un luogo dove Loki l'ha portata per mostrarle il corpo di
Thor. Dalle sue parole sembrava che non fosse propriamente qui sulla
Terra, magari è su qualche altro pianeta o roba
simile.»
«Spiegami
perché
tu e Stark continuate a chiamarlo “Sigyn”... Anche
Linn...» spezzò il discorso per non dover
ricordare la
loro ultima conversazione.
«Perché
io credo
che quella ragazza non sia davvero Thor. Forse mi farò
confondere da quel corpo, ma qualcosa mi dice che Thor e Sigyn sono davvero
due persone diverse.»
Scosse il
capo con un sospiro.
«Non
ha senso quello che dici, Clint.»
«Sarà,
ma sono convinto che Loki la pensi più o meno
così.»
Giunsero
nella sala dove Stark li stava aspettando, quando entrarono l'uomo era
in compagnia solo della Romanoff.
«Bruce?»
chiese Steve senza preoccuparsi di convenevoli.
«Bruce
sta ancora smaltendo la dose di sonnifero. Non ti preoccupare,
c'è la Foster con lui.»
Tony
sembrava condividere lo stesso animo.
Non c'era
ironia né sarcasmo né voglia di fare show.
Il
comportamento di Thor aveva
sorpreso tutti, ma di certo era stato Tony quello
più
coinvolto. Steve aveva saputo della sua idea di farlo parlare con Loki,
e sebbene non approvasse i suoi metodi, era certo che Tony aveva fatto
ogni cosa solo per risolvere la situazione. Non poteva rimproverargli
nulla.
«Allora?
Novità?»
Fu prima
silenzio, lungo e denso.
«Direi
che più
che le novità dovrebbero interessarci gli eventi
passati.»
Tony fu dapprima criptico come al suo solito, eppure stavolta sembrava
non essere per volontà di attirare l'attenzione quanto per
una
palese difficoltà, un disagio che non riusciva a comprendere.
«A
cosa ti riferisci?»
Ancora un
silenzio, poi venne la verità.
«Mi
riferisco al tempo in cui Thor e Loki si divertivano a fare i
fidanzatini. Ecco a cosa mi riferisco.»
*
Loki non
c'era, quando si era svegliata, Loki non era in casa.
Il sole
filtrava appena dalle
tende chiuse, eppure un raggio raggiunse i suoi occhi colpendoli forte.
Sigyn si coprì prima con la mano e poi fu costretta a
sollevarsi
per sfuggire al bagliore.
Sul divano,
una piccola coperta.
Non era
stata lei a prenderla. Era facile intuire chi l'avesse poggiata sulle
sue gambe nude.
Provò
una strana sensazione, un misto agrodolce che la fece sospirare.
Non voleva
chiamare il suo nome, ma aveva bisogno di sapere dove fosse, se ci
fosse ancora.
La cucina
era vuota, la porta della sua camera ancora chiusa.
Si
avviò piano e la spinse con un palmo.
All'interno
c'era sole e c'era ordine. Il letto rifatto con maniacale precisione:
tipico di Loki.
Saettò
con gli occhi
alla porta del bagno ma fu il rumore che provenne da quella d'ingresso
ad attirare la sua attenzione.
Loki
entrò con una
busta di carta fra le braccia, i capelli stretti in una coda e sul viso
un paio di lenti da vista, le stesse che aveva indossato la sera prima.
«Pensavo
non ti
svegliassi più.» Un piccolo sorriso mentre gettava
le
chiavi sul solito mobile e poggiava sul tavolo della cucina la busta.
Non disse
nulla, non era capace di dire nulla.
Ogni
sensazione, ogni
emozione, ogni timore era rimasto dentro di lei nonostante la notte,
nonostante la voce di Hela e le sue mani calde, nonostante la decisione
di restare.
«Ho
preso della frutta.
Qui ho solo cibo in scatola per via della facilità di
conservazione. Come immaginerai, non ho il tempo di rifornire
quotidianamente la dispensa di ogni casa.» Le parole
scivolarono
sulla lingua di Loki come fossero burro fuso, senza un cedimento, senza
un'esitazione. «Non preoccuparti: non mi ha visto nessuno, o
meglio, nessuno ha visto Loki.»
Ancora un sorriso.
Guardò
silente le sue labbra piegarsi, il suo maglione grigio, i suoi capelli
legati, i suoi occhiali appuntati sul naso.
No, non
sembrava Loki, eppure era sempre lui.
«Hai
fatto colazione?»
Lo
osservò ancora in silenzio, poi scosse il capo.
«No» rispose semplicemente.
«Ho
del caffè. So che lo gradisci.»
«Non
ho fame.»
Cercò una normalità, cercò un
equilibrio,
cercò di restare stretta a quel filo senza cadere. Eppure le
sue
mani scivolavano ogni secondo di più.
Loki
iniziò a tirare
fuori dalla busta delle mele, delle arance e altre cibarie,
finché non poggiò sul tavolo una piccola scatola
rettangolare.
La
osservò a distanza,
ferma ancora sulla soglia della cucina sentendo lo stomaco brontolare,
ma incapace di afferrare almeno una mela dalla cesta in cui le stava
sistemando.
Dannato
orgoglio, dannata paura.
«Cos'è?»
Fu
tutto ciò che riuscì a chiedergli distogliendo
l'attenzione dal frutta e riportandola sulla scatola. Non sembrava
contenere cibo.
«Questa?»
Loki la prese con una mano e gliela porse. «È per
te.»
«Per
me?»
«Sì,
prendila.» Non lo fece. Continuò a guardarla senza
muovere
un passo. Fu Loki ad avvicinarsi e a porgergliela di nuovo.
«Non
è una tagliola per lepri, fidati.»
La sua
ironia non era d'aiuto, il suo sorriso non lo era, la sua vicinanza non
lo era.
Raccolse la
scatola solo perché era l'unico modo per farlo allontanare.
Aspettò
che raggiungesse di nuovo il tavolo e poi studiò
attentamente l'esterno prima di aprire la confezione.
«Ma
che-» Quello che ne tirò fuori erano semplicemente
degli slip bianchi. Di pizzo. Da donna.
«Sono
di tuo gusto?»
Non sapeva
se ridere, urlare o sfondargli il cranio.
«Ma
come ti è
saltato in mente?» Fece un po' tutte le cose, sebbene fosse
conscia che la scatola che gli tirò contro avesse poca
possibilità di ledergli la testa.
Loki si
abbassò per evitarla e la guardò con
straordinaria tranquillità.
«Le
preferivi rosse?»
Era
esterrefatta.
«Rosse?...
Avrei preferito ci fosse davvero una tagliola in quella
scatola!»
Guardò
la stoffa che stringeva fra le mani con sdegno.
«Ieri
mi era parso di capire che-»
«Cosa?
Che volessi indossare queste?» chiese ancora strattonando per
l'ennesima volta gli slip fra le dita.
Era un
incubo, un terribile e ridicolo incubo.
Si
passò una mano sul viso prendendo fiato.
Di male in
peggio.
Come poteva
fare un gesto
simile? Con quale logica si presentava con un tale regalo dopo
ciò che era accaduto quella sera? Dopo ciò che si
erano
detti e come se lo erano detti? Dopo il modo in cui si erano lasciati
quella notte?
Loki era
illogico, imprevedibile, folle, snervante, irritante e... Era...
Era
semplicemente Loki.
Le labbra
si piegarono da sole prima che una debole risata le salisse dalla gola.
«Degli
slip...»
mormorò mentre sentiva l'ilarità aumentare.
«Mi hai
comprato davvero degli slip da donna?»
Lo
guardò scuotendo il
capo incapace di non sorridere divertita, e quell'assurdo, inopportuno
divertimento, contagiò anche lui.
«Erano
in saldo.»
Rise
più forte scuotendo il capo.
«E
che significa?»
Loki scosse
la testa a sua volta.
«Non
ne ho idea. È qualcosa che dicono spesso in questa
città.»
Si
coprì ancora il viso per soffocare altre risate ma non ne fu
capace.
Quando
anche Loki iniziò a ridere gli lanciò contro
anche gli slip.
«Potresti
almeno ringraziarmi.» Le sospirò afferrandoli al
volo.
«Non
ne ho la minima
intenzione! Piuttosto dovrei scuoiarti vivo per avermi arrecato una
simile offesa!» Non c'era rabbia, non c'era alcuna minaccia
c'era
solo ancora una volta quell'inopportuna semplice ilarità.
«Offesa?
Ti ho invitato a indossarle non a toglierle.»
«Loki!»
Sentì il viso bruciare e stavolta non era per colpa delle
risate. Loki fece ondeggiare gli slip sull'indice e sorrise ancora.
«Sicura
di non volerle almeno provare?»
Ancora
fiamme sul volto.
«Potrei
legartele al collo e strangolarti. Sì, quello lo proverei
volentieri.»
Il sorriso
sul viso di Loki
assunse un'altra luce, i suoi occhi assunsero un'altra
intensità
e Sigyn sentì un brivido solcarle la pelle.
«Mh...
Suona erotico.»
La gola si
strinse e ogni divertimento divenne imbarazzo.
Scostò
lo sguardo con
necessità quando quella piccola parentesi di assurda
familiarità si sgretolò presto.
L'ennesima
illusione che svaniva irrimediabilmente.
Udì
lo schiarirsi della sua voce.
«Vado
a prenderti dei pantaloni più comodi, tu... beh, mangia
qualcosa.»
Annuì
in silenzio mentre le passava accanto e la superava per dirigersi nella
sua camera.
Quando
alzò gli occhi sulla cesta vide accanto i piccoli slip
bianchi.
Ci fu
ancora un piccolo assurdo sorriso.
Sigyn non
si accorse del corvo che la guardava poggiato sul ramo dell'albero di
fronte la finestra.
*
Bruce si
lavò il viso e
chiuse l'acqua del rubinetto. Si asciugò con un asciugamano
e
sospirò contro la stoffa.
Tony gli
aveva mandato un piccolo messaggio, solo tre parole eppure pesavano
come una lunghissima sentenza: tocca
a te.
Non avrebbe
voluto avere quel compito, odiava dovere essere lui a doverle dire una
cosa simile ma non aveva altra scelta.
Jane doveva
sapere, sapere
anche l'ultimo tassello di quell'intricato gioco. Avrebbe dovuto essere
Thor a confessarglielo, avrebbe dovuto essere lui a prendersi l'onere
di guardare i suoi begli occhi sgranarsi e perdersi in quella
verità.
Thor aveva
deciso di non essere lì, aveva lasciato scegliere a Sigyn e
lei aveva scelto Loki.
Jane non
sarebbe mai uscita indenne da quella storia.
Bruce stava
per fare qualcosa di crudele e malvagio, al suo confronto, Hulk
sembrava solo un ragazzino discolo.
Frantumare
il cuore di qualcuno che ami era molto più crudele del
radere al suolo un intero quartiere di una metropoli.
Indossò
i suoi occhiali e uscì dal bagno.
Jane lo
aspettava poggiata contro il tavolo della scrivania.
«Come
ti senti?» Gli chiese e lui finse un sorriso.
«Meglio.»
Lei non
dovette credergli perché non rispose a quel sorriso.
«Grazie per esserti presa cura di me stanotte... Spero di non
aver russato.»
«No,
non hai russato, in compenso hai sbavato parecchio.»
Arrossì
a quella confidenza ma Jane sorrideva, finalmente, e allora andava bene.
Sentì
i palmi
inumidirsi mentre metteva in fila una serie di parole nella testa;
preparava risposte a prossime domande, risposte che non sapeva
minimamente dove andare a cercare.
«Jane...
senti, devo parlarti.»
Si
bagnò le labbra e giocherellò con le dita delle
mani.
Per fortuna
l'agitazione non era un innesco per l'altro, altrimenti
sarebbe già venuto fuori per spaccare tutto e tutti.
«Riguarda
Sigyn?»
Sentirle usare quel nome gli fece capire che forse le domande non
sarebbero state molte, che qualche risposta Jane l'aveva già
trovata.
Annuì
e la raggiunse.
«Sai
dove sono?»
«No,
li stanno ancora cercando e Clint pensa che potrebbero non trovarsi
più qui sulla Terra» le rispose.
«È
stato rilevato qualche valore che ci porta a credere che sia stato
aperto il ponte per Asgard?»
Scosse di
nuovo la testa.
«No che io sappia, ma quello che voglio dirti non ha a che
fare
con la loro fuga di stanotte.»
Prese un
respiro e guardò quegli occhi attendere e temere.
Bruce non
aveva il coraggio
né la volontà di andare avanti ma doveva farlo.
Adesso
che anche Steve e Clint avevano saputo, doveva farlo, e conosceva bene
Jane da sapere che avrebbe preferito mille volte morire sotto quella
verità piuttosto che restare nella fittizia culla di un
dubbio.
Perché un uomo di scienza ha il vizio della
curiosità,
ogni ricerca nasce semplicemente dalla volontà di uscire da
un
limbo di ignoranza, per quanto stordente possa esserne poi la scoperta.
«Sigyn...
Thor ti avrà detto della prima volta in cui è
stato... Beh, una donna?»
«Un
po' in ritardo ma
sì, l'ha fatto.» Un piccolo sorriso. «Se
stai per
dirmi che è stato anche un cavallo non credo di poterlo
accettare con la stessa facilità.»
«Non
sono pratico dei miti, ma mi pare che quella storia riguardasse Loki,
anche se non ho la certezza.»
Nelle
risate di entrambi
trapelava però l'angoscia e la paura. Quando si spensero,
Bruce
raccolse ancora aria nei polmoni e Jane incrociò le braccia
sul
petto.
«Cosa
devi dirmi, Bruce? Niente giri di parole, per favore.»
Deglutì.
«Niente giri di parole... ok, va bene.»
No, non
andava bene ma era la sua decisione e lui l'avrebbe rispettata.
«Si
tratta di Thor e Loki, di Sigyn e Loki...»
Le parole
restarono ferme sulla lingua.
«Bruce?...
Dimmelo.»
Si
vestì di silenzio e poi assentì.
«Quanto
lo ami, Jane?»
Quella
domanda le inumidì appena gli occhi.
«Quanto
non credevo di esserne capace, Bruce...»
Pregò
soltanto che fosse abbastanza.
*
Quando
Steve entrò
nella stanza la seconda volta, Linn tremò per la violenza
con
cui la porta si aprì e poi si chiuse.
Non sapeva
quanto tempo fosse
passato da quando l'aveva lasciata lì, ma non credeva fosse
così tanto da trasformare la sua espressione. Cosa era
accaduto?
«Steve?»
La stava
guardando con gli
occhi troppo spalancati e le labbra socchiuse e mille respiri furiosi
ad alzargli con ritmo forsennato le spalle.
«Steve?»
Lo
chiamò ancora temendo per quel comportamento. Temendo che
potesse portarle notizie di orribile natura.
Avrebbe
voluto avvicinarsi,
avrebbe voluto sfiorargli il viso e chiedergli se stava bene, cosa era
accaduto per offuscare il suo azzurro, ma qualcosa le diceva che se mai
avesse fatto un solo passo, Steve avrebbe schiacciato via ogni sua
carezza.
La sua gola
sussultò quando fece lui il primo passo, e poi un altro e un
altro ancora finché non le fu di fronte.
«Dimmi
che si
sbaglia...» La sua voce era debole, fratturata, un suono che
le
fece male. «Dimmi che Tony si sbaglia, Linn.»
«Cosa-»
Le
afferrò entrambe le
braccia con troppa forza ma lei sapeva non le avrebbe fatto del male,
perché nei suoi occhi Linn lesse solo dolore, lesse una
preghiera e non una minaccia.
«Dimmi
che non è così...»
Le sue
labbra tremarono e fu costretta a stringerle fra i denti.
Non c'era
bisogno di chiedere,
non c'era bisogno di sapere oltre, nel suo viso c'era ogni domanda,
nelle lacrime che bagnarono quello di Linn, Steve vide tutte le
risposte.
«Oddio...»
La lasciò andare per portarsi le mani fra i capelli e darle
le spalle. «Oddio!»
«Steve,
ti prego...
non... non giudicare.» Nascose il tremore della sua bocca
dietro
alle dita mentre il velo umido scendeva impossibile da arrestarsi.
«Giudicare?...
Linn... questo è...» Ogni parola si spezzava
accompagnato da un respiro affannoso.
Quando
rivide gli occhi di Steve i suoi divennero ancora più
d'acqua.
«È
inaccettabile.»
Scosse il
capo incapace di dire alcunché.
«Come
hanno potuto... come... mio Dio... Thor... come ha potuto
farlo?»
«Steve...»
«Era
questo che volevi
dirmi stamattina, non è così? Quando mi hai
chiesto di
non dubitare?» Lo smarrimento lasciò il posto alla
rabbia
e Steve sembrava guardarla come non aveva mai voluto che lo facesse.
«Volevi dirmi che dovevo credere alla sua amicizia anche
quando
avessi scoperto che si era portato a letto suo fratello?»
Premette
forte il palmo contro la bocca ma non riuscì a trattenere un
solo singhiozzo.
Eppure
Steve non sembrava
avere intenzione di calmarli smettendola di osservarla come fosse la
più grande delle delusioni.
«Tu
lo sapevi, tu sapevi di questa storia disgustosa e non mi hai detto
nulla...»
«Non
volevo mentirti, volevo solo... io...»
«Volevi
essere fedele a
quel verme? Al tuo principe?» Quasi urlò, quasi
anche i
suoi occhi di cielo divennero acqua. Ma i soldati non piangono, i
soldati stringono i denti e vanno avanti, e affondano la lama
finché il corpo trafitto non smette di dibattersi.
«Cosa
mi impedisce di pensare che anche tu non faccia parte del suo piano?
È per questo che mi hai supplicato di salvargli la vita, non
è così?»
«Ti
prego, Steve!»
«Siamo
tutti burattini,
siamo tutte pedine nelle mani di quel folle!» Steve non
l'ascoltava più, non voleva più farlo.
«E Thor
è della sua stessa pasta.»
«No,
no, non dire
questo!» Lo raggiunse stringendo forte le sue braccia, non
coprendo più lacrime e tremore, non coprendo più
la colpa
e la vergogna per quel segreto che gli aveva negato. «Tu non
hai
idea di cosa voglia dire trascorrere anni, secoli della tua vita a
vedere qualcuno morire dentro giorno dopo giorno! Non sai cosa voglia
dire guardare i suoi occhi spegnersi e divenire pietre per colpa
tua!» Ogni parola fu una goccia di sangue, fu una lacrima
cremisi
per troppo tempo tenuta dentro. «Non sai cosa abbia passato
il
principe Thor né quello che abbia dovuto affrontare il
principe
Loki! Non puoi giudicare il loro sentimento! Credi sia stato semplice?
Credi che non ci sia stata la stessa vergogna e lo stesso disgusto che
stai provando adesso? Credi che vivere una vita così lunga
rispetto alla vostra renda i rimpianti più lievi?... Li
rende
solo più forti e condiziona ogni altra scelta che tu possa
compiere, Steve! Incolpa pure me per averti taciuto tutto ma non dare
colpa a chi ha soltanto amato.»
Tirò
su con il naso e lasciò andare le sue braccia.
«Non
vi è colpa ad amare...»
Steve non
rispose, non le asciugò il viso né la
guardò ancora. Si diresse verso la porta e l'aprì.
Non le
donò neanche uno sguardo, neanche una parola e
uscì.
Il suo
addio fu silenzioso.
ஐஐஐ
Quella
mattina era iniziata in modo strano. Non aveva mai creduto alle
sensazioni, alle sciocchezze come presentimenti e cattivi presagi,
eppure Sif, sapeva, sentiva che qualcosa stava per accadere. Temeva, in
verità, che fosse già accaduta.
Qualcosa la
colpì alla coscia: era stato il piatto della spada di
Fandral.
«Concentrazione,
Sif.»
Gli sorrise
facendo ruotare l'elsa della sua nel palmo.
«Mi
stavo solo riprendendo dalla tua lentezza nell'affondo,
Fandral.»
«Uh...
nessuna donna si è mai lamentata dei miei affondi.»
Il suo
sorriso spavaldo le fece scuotere il capo.
«Parla
meno e pensa a non ricadere con il sedere nella polvere.»
Avanzò
con scatto
rapido, portando il colpo al fianco. Fandral lo bloccò con
la
lama e tentò a sua volta di colpire.
Non gli
lasciò spazio né tempo.
Contrastò
con facilità ogni attacco e con altrettanta
difficoltà provò a portarne a segno uno.
La danza di
lame però fu interrotta dal suono di una marcia che giungeva
da lontano.
Si
voltò a osservare, al di là dei bagliori del
sole, le aste e i vessilli in avvicinamento ai cancelli.
Dall'arena
si aveva una buona visuale; i simboli raffigurati sugli stendardi erano
di facile riconoscimento.
«Ne
sapevi
qualcosa?» Udì la voce di Fandral mentre il
marciare
diveniva più forte e il suono di un corno saliva alto nel
cielo.
Una squadra
di non più
di una dozzina di soldati, dalle divise grigie e pesanti, si muoveva in
direzione dei cancelli; alle loro spalle, due cavalli bianchi
trasportavano una carrozza d'oro e gemme.
«Che
ci fa qui?» chiese più a se stessa.
«Non
sapevo che Odino avesse in programma un incontro diplomatico con
Vanaheim» disse Fandral.
Sospirò
osservando lo squadrone arrestarsi dinanzi ai cancelli.
«Non
credo che Odino sapesse del suo arrivo.»
«Visita
di piacere?» Alla sua domanda lo guardò sollevando
un sopracciglio.
«L'altezzosa
Freyja che lascia il suo bel palazzo per porgere visite di
piacere?»
Fandral
scrollò le spalle scostandosi poi una ciocca bionda dal viso
con il dorso di una mano.
«Cosa
posso saperne...
Di certo se ci fosse in ballo una questione di grave entità
si
sarebbe saputo, e Odino avrebbe immediatamente richiamato
Thor.»
«Forse
neanche il Grande Padre ne è a conoscenza.»
Quel
fastidio allo stomaco con
cui si era svegliata, quel disagio senza spiegazioni che l'aveva
accompagnata da qualche giorno, tutto si amplificò nel
momento
in cui i cancelli furono aperti e la guardia reale di Odino
scortò Freyja e la sua armata fino al palazzo.
«Abbandona
le preoccupazioni, bella Sif. Non son questioni di cui curarsi
adesso.»
Fandral le
sorrise ancora invitandola a riprendere la lotta.
«In
caso di
necessità sguaineremo le spade e mostreremo a chicchessia il
valore di Asgard.» Un inchino beffardo e un altro sorriso.
«Ora bada solo ai miei affondi, perché ho
intenzione di
mostrarti i migliori.»
«Se
maneggiassi la lama come pronunzi lusinghe saresti un guerriero abile
almeno due volte più di adesso.»
«La
mia fama di
spadaccino lotta spesso con quella di amatore, e ancora oggi nessuna
delle due riesce a prevalere sull'altra. Una cosa è certa,
mia
buon'amica: un giorno, per una o per l'altra,
verrà di
certo ricordato il mio nome.»
Riuscì
a strapparle un sorriso, sebbene nessun pensiero inquieto
lasciò la sua mente.
Riprese la
posizione e stese il braccio destro che impugnava la spada.
«Dimentica
le parole adesso, spadaccino amatore, e lascia che siano le armi a
parlare.»
Ancora un
inchino.
«Ai tuoi comandi,
Lady Sif.»
In lontananza, i cancelli si
chiudevano al passaggio della carrozza.
Durante tutta la loro sfida,
la strana sensazione non volle però abbandonare il cuore
della guerriera.
***
NdA.
Tony ha sganciato la bomba e ha fatto ovviamente danni. E mentre Linn
si trova a fare i conti con la reazione di Steve, Loki tenta di
riconquistare la sua bella con regali imbarazzanti =\\\=
Scusatelo, è un po' fuori allenamento.
Intanto su Asgard abbiamo visite...
Piccolo avviso: il prossimo aggiornamento sarà
fra due
settimane, questo perché ho voglia di completare
l'altra long che ho attualmente in corso ^^
Dal prossimo aggiornamento, poi, riprenderanno le pubblicazioni con
cadenza settimanale.
Perdonatemi se approfitto della vostra pazienza.
Siete i lettori migliorissimi del mondo tutto >////<
Vi voglio bene!
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 20 *** Forte come un battito di cuore ***
cap20
L' ultima lacrima
XX.
Loki aveva trascorso la
mattina a pigiare i tasti di un piccolo computer.
Sigyn aveva
trascorso quella
stessa mattina a guardarlo silente, incapace di fare domande e di
udire risposte. Aveva trascorso la mattina a mandare giù un
nodo
dopo l'altro mentre Loki si vestiva di quel
medesimo silenzio.
Aveva
sciolto i capelli eppure aveva tenuto quegli occhiali sul naso.
Se ne stava
seduto al tavolo a sorseggiare di tanto in tanto qualcosa da una tazza,
senza mai spostare gli occhi dallo schermo.
Sigyn aveva
guardato il cielo
azzurro più volte, aveva guardato gli uomini e le donne
passeggiare sui marciapiedi, i bambini giocare e urlare, le macchine
correre e arrestarsi, il rumore dei clacson, i fumi che salivano
nell'aria.
Aveva
guardato la donna
anziana che si era affacciata dalla finestra del palazzo di fronte ad
annaffiare un vaso di fiori, il giovane che aveva spettato a lungo
accanto al lampione, osservando l'orologio, finché non era
stato
raggiunto da una ragazza mora: sul suo viso era nato un sorriso che
sembrava aver ripagato ogni attesa.
Li vide
prendersi per mano e
allontanarsi; li seguì finché non svoltarono
l'angolo,
poi tornò con gli occhi al cielo e alla città.
In
lontananza, si ergeva la struttura dello S.H.I.E.L.D.
Loro erano
lì e li cercavano, loro erano lì e, adesso, sapevano.
Strinse fra
le dita la tenda e sospirò.
«Vieni
via da quella finestra.» La voce di Loki giunse dopo ore di
mutismo.
Si
voltò a guardarlo ma la sua attenzione era ancora tutta per
quel computer.
«Possono
vederti e tu non hai un'identità dietro cui
ripararti.»
Chiuse di
getto la tenda offuscando metà della luce della stanza.
«E
cosa devo fare? Mangiare un'altra mela?» mormorò
nervosamente.
«Temo
non sia possibile.» Loki finalmente le rivolse lo sguardo.
«Le hai praticamente finite.»
Era la
verità. Il cesto sul tavolo, quella mattina colmo, era ora
di nuovo vuoto.
Si
sentì in imbarazzo per la sua osservazione.
«Credevo
di poterle mangiare.» Si giustificò.
Loki
sorrise. «Non
volevo dire questo. Voglio dire che ci sono altri modi per passare il
tempo a parte mangiare e fare l'anima in pena alla finestra.»
Colpita.
«Cosa
suggerisci di
fare? Fingere che tutto vada bene? Negare il fatto che siamo costretti
a fare i clandestini, senza alcun modo per risolvere tutta questa
situazione?»
Al suo
sfogo Loki si limitò a sospirare e tornò a
digitare sul computer.
«Hai
almeno una minima idea di cosa significhi?»
sbraitò ancora interrompendo nuovamente il suo lavoro.
«Se
ti riferisci alla
questione “Banditi per aver commesso incesto”,
sì,
lo so» rispose fastidiosamente calmo. «Sebbene ci
sarebbero
delle interessanti questioni da prendere in esame per appurare la
legittimità di tale accusa, la prima delle quali
è la mia
assoluta mancanza di parentela con la famiglia reale, ma questi sono
dettagli. La verità è che fra
“tradimento” e
“tentato genocidio” , l'incesto è
l'ultimo reato per
cui verrei processato ad Asgard. Mi perdonerai quindi se non ho molta
fretta di rimetterci piede.»
Sigyn si
sentì investire di rabbia e serrò la mascella con
un ringhio.
«Pensavo
volessi riavere i tuoi poteri.»
Ancora un
sorriso.
«Bel
tentativo... ma pur
volendo non posso fare nulla per aprire quel dannato ponte e tutte le
altre strade non sono percorribili senza l'ausilio del seiðr, o
di
un mezzo con una tecnologia così avanzata da permetterci di
attraversare lo spazio che divide Midgard da Asgard. I tuoi amati
terrestri si saranno anche evoluti da quando se ne andavano in giro a
bruciare la gente sui roghi, però non hanno ancora raggiunto
questi livelli.» Loki tornò al suo PC.
«Perciò se non sei in possesso di una navicella
spaziale o
dell'ubicazione di qualcuno che ne abbia una, faresti meglio a non
distrarmi.»
Ingoiò
qualunque
protesta, conscia che non ne aveva alcuna che reggesse. Loki era nel
giusto: non avevano nulla con cui snodare quella situazione.
Dovevano
solo attendere che loro padre si decidesse a permettere loro di
tornare. Ma quell'attesa poteva essere un pericolo.
Come poteva
Odino ignorare la gravità della situazione?
Il loro
crimine era senza
eguali, era vero, ma la sicurezza di Asgard e di Midgard e di ogni
altro regno non aveva forse la priorità?
Sospirò
e si sedette
sulla sedia alla sinistra di Loki. Poggiò il mento nel palmo
della mano e si limitò a guardarlo fare qualsiasi cosa
stesse
facendo.
«Ti
ho chiesto di non distrarmi.» La rimproverò.
«Non
ho detto nulla» brontolò.
«Non
serve parlare: la tua presenza mi distrae.»
Sbuffò
ancora ma non si allontanò.
Cosa poteva
fare?
Se restava
in solitudine la
testa avrebbe continuato a girare, i pensieri l'avrebbero soffocata, i
sensi di colpa e i dubbi e la consapevolezza di ciò che
stava
accadendo ai suoi compagni e a Jane, l'avrebbe fatta impazzire.
Vagò
con lo sguardo
alla cucina, ormai la conosceva a memoria, ne conosceva ogni singola
mattonella. Si soffermò sul lavello d'acciaio, poi sui
fornelli,
sulla macchina del caffè, sullo straccio attaccato al muro.
Tornò
infine con gli
occhi sul viso di Loki, concentrato nel suo lavoro. Sulle sue lenti
vedeva il riflesso azzurrognolo dello schermo.
«Perché
li indossi anche in casa?» chiese con curiosità.
«Di
che parli?»
«Ti
aiuta a recitare meglio la parte del professore?»
Loki la
guardò e le sorrise.
«In
un certo senso
sì. Dato che potrei dover uscire ancora una volta, non vedo
perché rischiare, e poi sono solo vetro e non implicano
fastidi
alla mia vista. Soddisfatta?»
Voleva solo
parlare di
qualcosa che non la facesse riflettere su tutta quella situazione,
parlare come fossero ancora amici, complici. Voleva solo non sentirsi
così sola. Voleva averlo ancora accanto, sentirlo accanto,
dimenticare tutte le azioni che aveva compiuto, dimenticare che era
l'artefice e il responsabile di tutta quella storia.
Voleva sentirlo
ancora come suo fratello, il fratello che le spiegava cose che non
capiva, che la faceva sentire stupida e ignorante, la faceva irritare e
infastidire con la sua aria saccente, e la faceva sorridere per lo
stesso motivo.
«Ti
donano»
sospirò soltanto e si alzò.
«Porterò la mia
fame e la mia anima in pena da un'altra parte.»
Avrebbe
voluto sorridere con meno tristezza, ma non ci riuscì.
Stava per
lasciare la cucina
quando lo udì parlare ancora: «In
realtà volevo
chiederti di preparare il pranzo.»
Si
voltò a guardarlo dubbiosa.
Loki aveva
chiuso il computer e le sorrideva annoiato.
«Io
ho cucinato ieri per cena e anche stamattina a colazione. Mi
sembra equo che tu ricambi.»
«Hai
scaldato due piatti
e riempito un cesto di mele. Io non lo definirei
“cucinare”» ribatté.
«Oh,
allora mi aspetto
che tu faccia di meglio.» Loki si alzò dal tavolo
sorridendole e gettandole quella sfida.
«Non
sarà difficile.»
E Sigyn
l'accettò, come aveva sempre accettato ogni altra sfida di
suo fratello.
*
Aveva
legato i capelli e sollevato le maniche della maglia; sul viso
un'espressione minacciosa.
Loki la
guardava combattere con una padella, incapace di trattenere un sorriso
divertito.
Era la
terza.
«È
la terza» sentenziò beccandosi uno sguardo
infuocato.
«Fa'
silenzio.»
«Hai
intenzione di bruciarne anche una quarta? Perché temo di
averle terminate.»
«Ho
detto: fa' silenzio.
Non è colpa mia se queste cose non reggono il calore della
fiamma. Da quale fabbro le hai acquistate? Dovresti farti ridare i
soldi.»
«Dovresti
chiederlo al precedente proprietario di questa casa.»
Si godette
ancora la vista
della padella che prendeva fuoco, per l'ennesima volta, prima che Sigyn
la gettasse nel lavandino con stizza.
L'odore di
bruciato aveva impregnato tutta la cucina.
Si
avvicinò alla finestra e l'aprì lasciando entrare
l'aria.
«Non
può essere
così difficile!» brontolò Sigyn
guardando torva il
fumo che saliva dalla padella annerita.
«Non
lo è, infatti, sei tu ad essere inadeguata a essere una
donna, ma questa è ormai storia vecchia. E poi l'unico
lavoro culinario in cui avresti successo sarebbe tirare il collo di
qualche gallina a mani nude.»
«Taci
tu, che ti limiti a pigiare due bottoni su un cassone di
metallo!»
«Almeno
io non do fuoco alla casa nel tentativo di friggere una
zucchina...»
La suddetta
zucchina gli arrivò dietro la nuca mentre guardava una piuma
nera sul davanzale.
Perse ogni
voglia di sorridere, ma non voleva lasciare che ciò
giungesse anche a Sigyn.
Afferrò
la piuma fra le dita e la gettò di sotto. Si
voltò poi fingendo una smorfia divertita.
Era ancora
lì, li stava
ancora osservando e giudicando. Non aveva intenzione di lasciar loro di
giungere ad Asgard ma non aveva neanche la volontà di
lasciarli
semplicemente liberi dalla sua vista e dal peso della sua sentenza.
Stupido vecchio egoista...
«Hai
vinto tu: non so cucinare.»
«Non
era una sfida, non
ridurre tutto alla mera competizione» sentenziò
scacciando
con la mano un po' di fumo che ancora saliva.
Sigyn lo
guardava con rabbia, di certo stavolta più verso se stessa,
per quella piccola sconfitta, che verso di lui.
«Ad
ogni modo potresti
provare anche tu a pigiare due bottoni, però ti avviso: devi
prima inserire delle cibarie nell'apposito vano.»
Sigyn gli
sorrise con sarcasmo. «Come sei divertente.»
«Lo
so»
ghignò strizzandole un occhio. «E forse
è il caso
che stai alla larga dai fornelli. Torna a deprimerti davanti alla
finestra, qui faccio io.»
«Non
tentare la sorte, Loki...» Lo minacciò.
«Non
ho mai giocato con
la sorte. “Fato” è solo un altro modo
per chiamare
la pigrizia dell'esistenza.»
Sigyn
rimase silente sulla sua riflessione a voce alta.
Loki aveva
solo detto
ciò che pensava. Nessuna entità ultraterrena o
millantata
tale poteva avere potere sulla sua vita. Avrebbe fatto le scelte che
riteneva giuste, avrebbe fatto ciò che voleva incurante di
qualsiasi fosse stata la trama che si era decisa per lui... per loro.
Nessuno
avrebbe potuto invertire il corso di un fiume che era stato lui stesso
a creare.
Nessuno...
Tanto meno tu, Padre degli
Dèi.
«Cosa
stai facendo a quel computer?»
Alla sua
domanda lasciò
andare un sospiro tornando al PC e lasciando da parte pentole bruciate
e pranzi che non si sarebbero di certo preparati nelle prossime ore.
Avrebbe ripiegato come da programma su qualche altro cibo precotto, una
delle poche cose intelligenti create da quei terrestri.
«Prenoto
un volo per Parigi» le rispose sistemandosi gli occhiali sul
naso.
La vide
osservare e studiare ancora ogni suo gesto.
«Per
quale motivo?»
«Perché
è la città dell'amore... così
dicono.»
La sua
espressione seria si imporporò appena e non
riuscì a non sorridere divertito.
«Devo
recuperare qualcosa dalla mia dimora parigina, qualcosa che
può aiutarci» confessò.
«Aiutarci
a raggiungere Asgard?»
«Più
o
meno...» sospirò digitando gli ultimi codici per
entrare
nel sistema di prenotazione dell'aeroporto di New York. Non sarebbe
stato facile senza l'ausilio della sua magia, ma ciò non
avrebbe
reso il difficile "impossibile". Con un po' di ingegno e attenzione,
non c'era davvero nulla che potesse ostacolare un qualsiasi suo piano.
«Dovrò
rimediare
dei documenti per te,» la informò ancora.
«Ci
vorrà un po' di tempo, ma non mi sembra che tu abbia balli a
cui
partecipare.»
«Se
non mi spieghi cosa
stai architettando in realtà ci sarà un funerale
che
esigerà la mia presenza.»
Era
così facile; i
nervi scoperti erano gli stessi di secoli prima, sebbene lei non fosse
la stessa, ed era così ingenuo continuare a crederlo che
Loki
non poteva più affidarsi a quella menzogna.
Neanche lui
era più il
ragazzo di quel tempo, non avrebbe potuto esserlo, non voleva neanche
esserlo. Quel ragazzo non aveva fatto nulla per cambiare il corso degli
eventi, aveva semplicemente accettato e aveva perso tutto.
No, non
sarebbe accaduto una seconda volta.
Sigyn lo
guardava con le
braccia incrociate e il nervosismo sul viso. Gli occhi sottili e le
labbra imbronciate che nulla avevano di minaccioso, eppure era
lì, era tutta lì la testardaggine e l'irruenza di
suo
fratello. Suo fratello era tutto lì.
Abbassò
la parte superiore del portatile con un sospiro.
«Circa
sei mesi fa ero a
Parigi perché ero stato raggiunto dalla voce che un cimelio
risalente all'Era di Borr fosse stato ritrovato e raccolto in un
piccolo museo.»
«Così
ti sei dato
alla ricerca di cimeli del passato...» Sigyn sorrise con
beffa.
«Volevi avere la tua personale sala delle
reliquie?»
«Per
certi versi»
rispose ignorando il sottile ago con cui aveva voluto pungerlo.
«In verità quest'oggetto mi interessava
particolarmente.»
«Cos'era?»
«Un
grimorio, un antico grimorio.» Le confessò.
Sigyn
assottigliò
ancora lo sguardo e Loki vide in quelle lame azzurre tutte le altre
domande che non gli porse, e nel suo silenzio, Sigyn ascoltò
ogni singola risposta.
«Era
in quel grimorio, vero?... L'incantesimo con cui hai distrutto la mia
vita.»
«Uno
dei tanti, e fra essi c'è quello che può aprirci
un'altra via per Asgard.»
Ma quella
notizia non parve
regalare serenità al suo sguardo, non parve donare sorriso
alle
sue labbra strette con ostinazione, non diede pace alla sua rabbia
silenziosa.
Loki la
osservò abbandonare la stanza senza dire una parola.
Non la
fermò stavolta, non le andò dietro.
La
lasciò solamente
andare via. Non sarebbe andata da nessuna parte in ogni caso. Avrebbe
dovuto soffocare quella rabbia o affrontala, e lui era ben disposto ad
accettare qualsiasi fosse stata la sua volontà. Non
importavano
i pugni, le maledizioni, non importava l'astio con cui lo avrebbe
ancora guardato o le bugie che avrebbe continuato a udire dalla sua
bocca.
Nulla
importava adesso che era lì, e lì sarebbe restata.
*
Jane era
rimasta in silenzio
per un tempo che aveva misurato tramite il battito del suo cuore. Bruce
aveva visto quelle labbra aprirsi e nessuna parola venire fuori, aveva
visto gli occhi divenire lucidi eppure restare asciutti, aveva visto le
mani tremare ma le sue gambe non cedere.
Poi lo
sguardo si era posato a terra e la mano destra aveva raggiunto il petto.
«Jane...»
«Va'
via, Bruce.» Fu un battito più rumoroso degli
altri. «Vattene... per favore.»
Non avrei voluto essere io a
dirtelo.
Perdonami, Jane.
Non un
fiato lasciò le sue labbra.
Prese un
profondo respiro e camminò fino alla porta.
Non
riuscì a non voltarsi indietro. Lei era ferma silente nella
stessa posizione di poco prima.
Uscì
dalla stanza e poggiò la schiena contro la porta.
Ancora un
respiro, ancora un battito rumoroso.
«Come
sta?»
Si
voltò alla sua sinistra: Clint se ne stava poggiato con una
spalla contro il muro e l'espressione seria.
«Credo
che stia per crollare» rispose.
«Allora
dovresti rientrare.»
Scosse il
capo. «A quel punto crollerei anche io e non credo sia questo
il momento migliore.»
Fu Clint a
prendere un respiro e a raggiungerlo.
«Se
avessi saputo prima
che l'aveva data a Loki, ci avrei provato» mormorò
con un
mezzo sorriso. «Sarebbe stato meno inquietante. Non
credi?»
Ricambiò
quel sorriso. «Dubito che ci sia davvero qualcosa di non
inquietante in tutta questa storia.»
«Già.»
Clint guardava la porta come se riuscisse a vedervi attraverso. Bruce
non osava voltarsi, non osava guardarla e chiedersi se doveva essere
dall'altra parte con lei. «Tony ci ha mostrato le
riprese.»
«Qualcosa
di utile?» chiese cercando di allontanare la mente da quei
pensieri. Era un'impresa ardua.
Clint
continuava a tenere lo sguardo nell'apparente vuoto davanti a
sé.
«Lo
ha curato. Non
sappiamo come abbia fatto, ma è stata lei a curarlo e poi
hanno
deciso di tornare su Asgard.»
Sospirò
e annuì.
«Non
c'è neanche gusto a dire “ve l'avevo
detto”» terminò Barton con un ghigno
stanco.
Tutti erano
stanchi e di certo non solo fisicamente.
«Sono
su Asgard quindi?»
«Con
ogni probabilità sì.»
«Che
si fa allora?»
Che posso dirle adesso?
Come posso impedirle di
rompersi del tutto?
Come posso impedire all'altro di venire fuori e distruggere
ogni cosa?
Clint
alzò le spalle e si voltò poggiando a sua volta
la schiena contro la parete.
«Linn.
È lei la
nostra unica possibilità di venirne a capo. Fury vuole
torchiarla e temo che Steve non si porrà a sua difesa,
stavolta.»
Cercò
nei suoi occhi una risposta che aveva paura di chiedere.
«Come
l'ha presa?»
«Male,
ovviamente, ma
reggerà. Fino al termine della missione reggerà
il peso
di sapere che il suo caro amico aveva l'hobby di scoparsi quel bastardo
di suo fratello.»
«Clint...»
Non gli
era sfuggita la nota di veleno. Clint l'aveva giurata a Loki,
gliel'aveva giurata e Thor più volte gli aveva impedito di
prendersi la sua vendetta. E se Clint aveva rispettato quella scelta
era perché in cuor suo, sotto il nero della tuta e l'acciaio
delle frecce, sapeva che l'affetto di Thor verso Loki era sincero, che
benché conscio della crudeltà di suo fratello,
non gli
avrebbe voltato mai totalmente le spalle. Ma questa volta era diverso,
sapere che quell'affetto era altro, che era stato altro e
chissà
se ancora lo era, sviliva ogni amicizia, forse sviliva anche il
reciproco rispetto.
*
Era stata
Natasha ad entrare dalla porta, non Steve.
Steve era
uscito per non fare più ritorno.
Linn aveva
asciugato tutte le
lacrime, si era seduta sul letto con la schiena dritta a guardare da
lontano la foto di due giovani amici.
E aveva
atteso, atteso il giudizio di Midgard, le sue domande le sue accuse.
Era pronta
anche ad affrontare
le sue torture. Nulla avrebbe potuto essere peggio dello sguardo deluso
e arrabbiato di Steve, nulla avrebbe potuto fare più male.
Quando
Natasha era quindi
entrata dalla porta per chiederle di seguirla, lo aveva fatto senza
chiedere né opporsi. Si era alzata e aveva camminato al suo
fianco.
Natasha non
aveva parole da dirle quella mattina. I suoi occhi di ghiaccio non
avevano spazio per la comprensione.
Linn non le
rimproverava
nulla. Fu grata del suo silenzio, fu grata della mancanza di false
raccomandazioni, di mendaci promesse.
Fu
accompagnata in una stanza
come quella prima sera, una sedia di acciaio al centro. Soldati
all'esterno, e all'interno il generale dalla pelle scura.
«Accomodati.»
Non era un
invito gentile e non esigeva di esserlo.
Quando Linn
si sedette sulla
sedia i suoi polsi furono legati ai lati da freddi bracciali d'acciaio.
Le sue caviglie subirono il medesimo trattamento.
Non faceva
male.
La luce del
soffitto era accecante e rendeva il viso dell'uomo che si ergeva
dinanzi a lei ancora più ombroso.
Un unico
occhio la guardava, in esso le pareva di scorgere l'azzurro
intimidatorio del suo Sovrano.
Anche su
Asgard, adesso, avrebbe dovuto affrontare un altro pesante giudizio.
«Dove
sono?» Prima domanda.
«Non
lo so.» Prima risposta.
Quella
domanda le fu posta
ancora una volta e quando per la seconda volta rispose con
sincerità, sentì una forte scossa partire dagli
arti e
attraversare tutto il corpo.
Non
riuscì a ingoiare un gemito di dolore.
Nella
stanza, solo l'uomo che
la guardava indifferente. Alle sue spalle, nel grande specchio, poteva
veder riflesso il suo stesso viso e la smorfia di sofferenza che
l'aveva piegato.
«Sappiamo
tutta la
storia, Linn e, onestamente, a me non importa nulla dei passatempi
fraterni che si usano dalle tue parti.» Con quelle parole il
generale attirò nuovamente la sua attenzione.
«Ciò
che mi preme è sapere dove sono adesso, dov'è
quel tizio
che si fa chiamare Styrkárr e come possiamo riprendere dalle
sue
mani un'arma potente come quel martello prima che la Terra possa essere
in pericolo.»
«Io
non so dove siano,
né dove si trovi Styrkárr. È questa
l'unica
verità che abbandonerà le mie labbra, signore.
Perché è l'unica che possiedo.»
L'uomo
sorrise.
«Allora
cerca di trovare qualche altra verità, perché al
momento questa non mi basta.»
Poi fu
ancora dolore.
*
Natasha
osservò il viso
di Linn coprirsi di gocce di sudore, il respiro affannoso sollevare
ritmicamente le spalle, e gli occhi lucidi che tentavano
coraggiosamente di trattenere le lacrime.
«Non
sa niente» sentenziò con un sospiro.
«Ne
sei sicura?» Clint al suo fianco sembrava nascondere ancora
dubbi.
«Sì,
lo sono, e
sai di cos'altro sono sicura? Della reazione di Steve quando
saprà quello che Fury sta facendo.»
Clint la
guardò aggrottando la fonte.
«Non
lo sa?»
«La
tua ingenuità mi stupisce...»
Fury aveva
chiesto di poter
interrogare Linn. Questa era la versione ufficiale, quella che avrebbe
dovuto essere riferita a Steve se lo avessero trovato.
Steve non
sembrava
rintracciabile, di certo era da qualche parte a cercare di
metabolizzare quelle nuove realtà e Fury ne aveva
approfittato
per poter mettere letteralmente le mani su Linn.
Natasha
aveva solo eseguito
gli ordini, non perché li ritenesse giusti, ma
perché
solo così si sarebbe chiarito una volta per tutte
l'estraneità della ragazza in tutta quella storia. Linn
sapeva
di Loki e Sigyn ma non sapeva del loro piano di fuga. Ne era certa, ne
era assolutamente certa.
Non aveva
avuto il tempo di
saperlo e Natasha conosceva bene Loki da comprendere che mettere a
conosceva Linn di un qualsiasi piano sarebbe stato inutile e privo di
vantaggi. Sarebbe stato anche pericoloso per lei. Che Loki fosse un
tipo da preoccuparsi solo dei suoi bisogni e della sua sopravvivenza
era un dato di fatto, eppure quegli ultimi giorni avevano portato alla
luce anche un altro lato.
C'era anche
qualcos'altro che
aveva per lui importanza, qualcun altro, e forse in quella fetta di
sentimenti c'era un piccolo angolo anche per Linn.
Lo sperava,
più che
altro, perché una fedeltà come quella di Linn
meritava
almeno un piccolo riflesso se non di affetto, per lo meno di
riconoscenza, anche da parte di uno come Loki.
«Se
il capitano lo
scopre, temo che dovremmo chiedere aiuto a Hulk per placare la sua
reazione...» sentenziò Clint.
Ancora una
scossa, ancora un gemito, ancora una lacrima non versata.
Natasha
ingoiò un sospiro stanco.
«Io
vado a cercarlo» affermò. «Se Fury
dovesse esagerare, per favore, entra.»
Clint le
fece un cenno d'assenso con la testa.
«Sei
tu il mio superiore, Nat.»
Gli
sorrise. «Un bel modo per scaricare ogni
responsabilità, agente Barton.»
«Uno
dei tanti.»
Lanciò
un ultimo sguardo al vetro e alla tenacia di Linn.
Poi
lasciò il corridoio.
Forse
sapeva dove cercarlo.
A livello
3B si trovavano i
poligoni di tiro e le sale ad uso allenamento. La seconda porta sulla
destra portava la scritta “Accesso limitato agli agenti del
progetto 'Blondie'”, e ovviamente non esisteva nessun
progetto simile allo S.H.I.E.L.D.
Era stato
Tony a consigliare Fury di aggiungerla dal momento che Steve e Thor
trascorrevano il tempo a distruggerla. Non era quindi il caso che altri
agenti rischiassero la vita per aver semplicemente varcato una soglia.
Natasha
arrivò davanti a quella porta e sapeva di trovarla aperta.
Spinse il
metallo e nel
silenzio della stanza scorse la sagoma di Steve, in piedi a guardare il
muro d'acciaio coperto di onde e di solchi.
Le mani
nelle tasche e
l'espressione seria sul viso. Lo raggiunse senza dire una parola e lo
affiancò guardando la medesima parete.
«Quando
mi sono
svegliato in questo mondo, credevo che non sarei riuscito mai a
trovarvi posto.» La voce di Steve era profonda e carica di
malinconia. «Lo S.H.I.E.L.D. mi ha dato un posto e uno
scopo.» Un piccolo sorriso. «E una
famiglia...»
«Nessuna
famiglia
è perfetta, Steve» sospirò e lui
assentì
continuando a guardare davanti a sé la parete ammaccata.
«Hai
ragione... nessuna lo è.»
Sapeva bene
quanto quella
scoperta lo avesse destabilizzato. Natasha sapeva cosa significava Thor
per Steve: un fratello, un animo affine con cui condividere domande e
risposte e quell'istinto innato da eroe, che in realtà
nessuno
di loro aveva. Steve era nato per essere un'ispirazione, un esempio,
era nato per rendere migliori le persone. Era più che certa
che
anche prima del siero fosse una specie di soldato privo di paura pronto
a sacrificar tutto, anche se stesso, per il bene del mondo. Steve aveva
trovato in Thor qualcuno che per molti aspetti aveva quello stesso
istinto protettivo, lo stesso animo da difensore a ogni costo. Anche la
stessa ingenuità alle volte, la stessa curiosità
e lo
stesso stupore per le piccole cose.
Natasha
sapeva quanto Steve si sentisse tradito in quel momento, doppiamente
tradito se pensava anche alla questione Linn.
«Se
posso darti un
consiglio, non farti domande, Steve. Non ci sono spiegazioni che
potrebbero rendere la faccenda diversa da quello che è.
Cerca
solo di rimanere lucido e concentrato.»
«Non
cerco spiegazioni, Nat.»
Lo
guardò con la coda dell'occhio e ispirò a fondo.
«Allora
non cercare
neanche di comprendere. Sarebbe inutile... È un altro mondo,
un'altra dimensione... un altro tempo. È questione di
prospettiva, forse, ma Asgard può avere leggi diverse dalle
nostre.»
«Non
è questo...»
Abbassò
il capo e poi lo guardò ancora. Steve aveva gli occhi fissi
sulla parete eppure guardava oltre.
«Non
ti ha tradito. Non
ha tradito nessuno di noi. Thor ha solo protetto se stesso e non ha
sbagliato a farlo.» Finalmente Steve la guardò.
«L'ho fatto anche io. Si tratta di sopravvivenza. A volte
è necessario per non lasciarsi soffocare dai propri sbagli.
E
ciò che ha fatto Thor ha avuto conseguenze solo su di lui,
non
ha implicato nessun altro... Non credi che abbia avuto i suoi motivi
per tacerti la cosa?»
«Ciò
che credo
è che qualsiasi cosa sia accaduta, dal momento che Loki
è
venuto qui a minacciare, a uccidere e a distruggere, Thor aveva il
dovere di dirlo!» Fu una frase pacata eppure nascondeva la
rabbia
di un urlo.
«Anche
Linn aveva lo
stesso dovere?» Vide la sua gola sussultare e gli occhi
tornare a
guardare lontano. «Non dare colpe anche a lei. Ha solo fatto
ciò che andava fatto per difendere chi ama.»
«Loki?»
Non
riuscì a non sorridere.
«Per
favore, Steve, non fare il geloso. Non con Loki, per lo meno.»
«Non
è gelosia, è solo-»
«Piantala!
Sarai anche
un eroe leggendario, ma sei come ogni altro uomo.»
Aspettò
di riavere il suo sguardo e poi sorrise ancora. «Stupido e
cieco.»
Steve
lasciò andare un altro respiro profondo ma non
disse nulla.
«Linn
tiene molto a
Thor, a Sigyn... e sì, anche se sembra assurdo, tiene anche
a
Loki, ma non come la tua mente da stupido e cieco maschio tende a
idealizzare.»
«Tu
non hai visto come
lo guardava...» Fu una frase appena sussurrata di cui
sembrò pentirsi subito ma Natasha non volle lasciar cadere
l'occasione.
«E
tu non hai visto come guarda te, capitano.»
Se c'era
qualcuno che poteva
tenere lontano Steve dal riflettere troppo su ciò che era
accaduto fra Thor e Loki era Linn, se c'era qualcosa che poteva
acquietare le sue domande, era ciò che provava per lei,
ciò che lei palesemente provava per lui. Natasha decise che
era
l'unica strada percorribile per riavere il capitano, per renderlo in
grado di sostenere quella lotta contro un nemico ancora ignoto per
motivi fin troppo chiari.
«Se
hai finito di studiare ogni singola curva di questa parete, ti
consiglio di andare da Fury.»
Tempo
scaduto. La scelta era stata presa e non si tornava indietro.
«Che
vuoi dire?» Alla domanda di Steve sperò solo fosse
quella giusta.
«È
con Linn,
nella sala degli interrogatori, e non è contento delle sue
risposte.» Tanto bastò per vedere le sue spalle
alzarsi e
abbassarsi rapidamente, lo sguardo assottigliarsi e la mascella
serrarsi con forza.
«Clint
è di guardia. Se vuoi, puoi dargli il cambio...»
Non le
disse niente, andò via come un vento e lei rimase nella
stanza silente a guardare quella parete d'acciaio.
«Da
Vedova Nera a Telefono Amico...» mormorò fra
sé. «Sto perdendo colpi.»
*
Continuò
a scuotere la testa mentre sentiva il cuore battere forte nelle tempie.
«Io
non lo so...»
ammise per l'ennesima volta e per l'ennesima volta non fu creduta. Per
l'ennesima volta sentì saette nel corpo e il fuoco sulla
pelle.
Le dita
delle mani tremavano,
forse anche il resto del suo corpo tremava. Linn non sapeva dirlo
perché ormai non riusciva neanche più a scorgere
il
proprio riflesso nel grande specchio alle spalle del generale che
continuava a chiederle domande a cui non poteva che dare quell'unica
vera risposta.
Avrebbe di
certo perduto i sensi a breve. Avrebbe pianto e avrebbe chiesto che
smettesse, che le credesse.
Le immagini
si confusero ancora all'ennesima domanda alla quale rispose senza una
risposta che fu ritenuta credibile.
«Abbiamo
tutto il
giorno, se vuoi però puoi mettere fine a tutto dicendomi
dov'è Loki e cosa ha in mente.»
Strinse i
denti e sentì le guance inumidirsi.
«Io
non conosco queste
risposte! Non so dove sia il principe, dove sia Lady Sigyn, dove sia
Styrkárr o Amora! Sono solo un'ancella senza importanza! Non
mi
è dato sapere né chiedere. Perché
continuate a
credere che abbia un ruolo e un valore?... Avrei potuto dire un luogo
qualsiasi, avrei potuto lasciarvi vagare senza meta ma ho solo detto la
verità!» Le lacrime offuscarono del tutto la vista
e non
poté vedere l'espressione sul volto dell'uomo; semmai
l'avesse
vista sarebbe stata di certo fredda e priva di compassione.
«Potete anche prendere la mia vita, ma non vi
saprò mai
dire nulla di diverso perché non ne sono a
conoscenza...»
Tirò
su con il naso sentendo la testa esplodere.
«Se
pensi che crederemo
ancora che sei arrivata qui per fare da postino a Thor, ti sbagli.
Magari per il tuo mondo non saremo una minaccia, ma voi lo siete per
noi. Lo siete stati e lo sarete ancora, per cui evitami le lacrime e
inizia a dirmi qualcosa che possa aiutarmi a riportare qui quel figlio
di puttana.»
Avrebbe
voluto coprirsi il
viso e nascondere il suo pianto, avrebbe voluto poter correre via dal
suo sguardo e dalle sue accuse, e invece era obbligata a mostrare la
sua debolezza e la sua paura.
Alzò
il viso umido respirando con fatica fra i singhiozzi.
«L'unica
cosa che posso
dire... mio signore... è che ovunque siano il principe e
Lady
Sigyn... se non vorrà che li troviate... non li troverete
mai.» Prese ancora un respiro sentendo le spalle sussultare
senza
controllo. «E adesso, se vorrete continuare a tenermi qui...
fate
pure... ma non ho più niente da dire.»
Aspettò
ancora la
scossa, aspettò il suo dissenso e la sua rabbia, ma
ciò
che sentì fu solo il tonfo della porta che si apriva, nella
nebbia salata che le copriva gli occhi le parve di vedere un volto
amico, un volto amato.
Steve...
Il suo nome
rimase fermo sulla
lingua. Udì ancora suoni, ancora tonfi ma era stanca e
debole e
ferita prima nel cuore e poi nella carne.
«Linn?»
La sua voce.
Non
riuscì a non lasciar andare altre lacrime.
«St-Steve...?»
I bracciali
che le legavano i polsi furono scardinati con forza e così
avvenne anche alle catene alle sue caviglie.
Si
ritrovò ad
accasciarsi contro il suo corpo non sentendo altro che non fosse il suo
calore e il suo profumo. Non sentì altro che non fosse Steve.
«Ti
porto via.»
Forse lo
stava immaginando, forse lo stava sognando.
Mentre
Steve la prendeva fra
le braccia, non si chiese dove la stesse portando, non si chiese cosa
stesse accadendo. Si chiese solo se non fosse tutto solo un gioco della
mente piegata dalla sofferenza.
«Steve...»
sospirò ancora con il viso contro il suo collo. Le dita
deboli
aggrappate alla sua maglia. «Perdonami...»
«Shhh...»
Le sue
labbra le baciarono la fronte e le dita di Linn strinsero con tutta la
poca forza che le rimaneva le sue vesti. «Va tutto bene,
Linn...
Va tutto bene.»
Fra le sue
braccia, contro il suo cuore adesso sì, adesso andava tutto
bene.
₪₪₪
«Ti
piace?»
Amora
guardava il riflesso
nell'enorme specchio. Guardava il viso di Thor, l'oro dell'armatura, i
guanti di pelle che gli coprivano le mani, il bianco perla del mantello
alle sue spalle.
«Piace
a te, mia
signora. Basta questo.» Le rispose senza un sorriso, senza il
riflesso di nessuna emozione. E per adesso andava bene così.
Incrociò
le braccia sul petto e gli chiese di voltarsi. Thor obbedì.
Studiò
ancora il suo corpo soddisfatta.
«Ho
ancora qualcosa per
te» sospirò aprendo il palmo della mano destra.
Dal nulla
iniziò a vorticare una piccola sfera di un celeste glaciale.
La
magia si modellò presto prendendo le sembianze di una spada
dalla lama diamantata.
Anche nella
tenue luce di quella camera, i riflessi sul piatto del filo erano
accecanti.
«Prendila.»
Thor
allungò la mano e afferrò l'elsa.
La
soppesò, ne studiò gli intarsi, la finezza del
taglio.
«È
una buona
spada» sentenziò poi facendola roteare e provando
un paio
di fendenti. Alle sue spalle il bianco mantello sembrava danzare.
«Solo
buona?»
sorrise Amora sedendosi sul letto e osservandolo testare ancora la sua
arma. «In tutti e nove i regni, amore mio, non troverai lama
più affilata né taglio più
resistente»
spiegò. Thor continuò silente a esaminare la
spada.
«Non è semplice diamante, Thor, è
diamante vivo...
e obbedirà ai tuoi voleri.»
Catturò
tutta la sua attenzione. I suoi occhi furono su di lei.
«Vivo?»
«Esatto...»
Si
spostò una ciocca di capelli con un movimento studiato.
Accavallò le gambe e lo guardò con un sorriso.
«Vuoi che sia fuoco? Sarà lava. Vuoi che sia
ghiaccio?
Neanche Jotunheim ne avrà uno simile.»
«E
se volessi veleno?» chiese Thor osservando con nuova
attenzione l'arma lucente.
«Allora
il suo taglio sarà letale al solo contatto»
rispose.
Ci fu
silenzio, poi una debole frase, quasi un sospiro: «Ma sarebbe
da codardi...»
La pallida
eco della sua anima.
«In
guerra non esiste la
codardia, Thor. Esiste solo l'astuzia. Tuo fratello non te l'ha
insegnato?»
«Mio fratello non ha mai avuto
abilità
che mi interessasse apprendere.»
Amora
lasciò andare una piccola risata.
«Come
sei crudele, Thor... Non provi un po' di compassione per lui?»
«I
mostri non si
compatiscono, si cacciano e si trucidano.» Quelle parole
erano
più fredde del diamante che stava maneggiando e Amora quasi
fece
fatica a riconoscere la voce di chi le aveva pronunziate. Thor
infilò poi la spada nel fodero e la guardò.
«Ti
ringrazio per questo dono.»
Il
ginocchio toccò
terra e il pugno si posò all'altezza del cuore. Quando
chinò il capo, i suoi capelli biondi caddero lucenti sul suo
viso.
Amora non
poteva essere
più appagata da ciò che vedeva: il guerriero
più
abile dei nove regni ai suoi comandi, il principe più
coraggioso
vestito di oro e obbedienza solo per lei.
Aveva
creato una nuova
armatura solo per lui. Avrebbe potuto recuperare quella che Thor aveva
lasciato su Midgard, ma Amora voleva che Thor, il suo
Thor, rappresentasse quella nuova storia, la loro nuova storia.
Finché Styrkárr avesse posseduto Mjolnir non
avrebbe potuto però realizzarla come desiderava, ma
bisognava fare un passo alla volta: adesso doveva per prima cosa
mettere fine a quel sortilegio
che Loki aveva gettato su Thor.
«Quando
potrò mostrarti la mia fedeltà, mia
regina?»
Amora
allungò la mano.
«Presto...»
Thor prese le sue dita e posò un bacio sul dorso.
«Molto presto.»
I suoi
occhi azzurri furono attraversati da un lampo.
₪₪₪
Era uscito
a cercare l'uomo
che aveva usato tempo addietro per entrare in confidenza con la
tecnologia terrestre. Viveva poco distante da dove si ergeva la sua
dimora ma Loki scoprì presto quanto la mancanza del suo
seiðr aumentava la sua anima paranoica di natura.
Non aveva
un'assicurazione, non aveva una reale difesa per affrontare qualche
imprevisto.
Non
riuscì a
raggiungere neanche lo studio dell'uomo per chiedere di recuperare i
documenti per Sigyn, che fu costretto ad arrestare la sua marcia.
Un'auto nera stava percorrendo la strada per la terza volta, aveva
tenuto a mente i numeri di identificazione sul pannello frontale,
quelli che chiamavano targa. Al volante una donna di mezza
età e
un ragazzo sul sedile accanto.
Apparentemente
sembravano
privi di qualsiasi intento minaccioso, ma al quarto giro, Loki
capì che non era casuale. Cercò rifugio
momentaneamente
nella prima bottega e aspettò che l'auto andasse oltre.
Uscì poi per far ritorno casa.
Non andava
bene, per niente.
Doveva
cercare di non farsi
vincere dalla paranoia, ma questa volta non era facile, questa volta
rischiava di perdere davvero tutto.
Badare alla
sicurezza di
qualcun'altro oltre se stesso era una debolezza di cui stava avvertendo
la pericolosità solo in quel momento, ma seppure avesse
voluto
vestirsi ancora di egoismo, non gli sarebbe stato possibile, non adesso.
Aveva
bisogno di prenotare il
volo quanto prima e aveva ben poco tempo per recuperare i documenti che
avrebbero permesso a Sigyn di viaggiare.
Stupidi
umani e i loro sistemi di accertamento, neanche fossero bestie da
marcare!
Avrebbe
trovato una soluzione anche a quel piccolo problema, ne era certo.
Quando
rientrò in casa Sigyn era di nuovo in cucina a guardare
dalla finestra, stavolta con gli occhi verso il cielo.
Era uscito
senza dirle nulla e lei non aveva chiesto; non avevano più
scambiato una parola.
«Ti
ho già detto di stare lontana dalla finestra.» Le
rimproverò di nuovo ma lei non volle ascoltarlo.
«Hai
recuperato ciò che ci necessita?» Gli
chiese continuando a guardare oltre il vetro.
Sospirò
ma celò la sua preoccupazione. «Quasi. Ci
vorrà più tempo del previsto.»
«Quanto?»
Altra gelida domanda.
«Dipende,
non posso fare
una stima esatta. Qualche giorno... Qualche settimana.» Le
mentì solo per scatenare una reazione diversa da quel falso
distacco.
«Settimane?»
Ebbe
la reazione desiderata, soprattutto i suoi occhi su di sé.
«Credi che abbiamo a disposizione settimane?
Styrkárr
farà la sua mossa quanto prima! Non possiamo perdere
tempo.»
Un sorriso
sottile sulle labbra che aumentò l'astio in quello sguardo
azzurro.
«Se
hai tanta fretta
perché non riprovi con Heimdall? Magari il vecchio ha
cambiato
idea e non vede l'ora di riabbracciare il suo amato figlio, o dovrei
dire figlia?»
Non
finì neanche la
frase che si ritrovò a sbattere la nuca contro la parete,
con
una mano stretta attorno alla gola. Gli occhiali gli scivolarono via
cadendo a terra con un tintinnio.
«Dovrei
ucciderti»
ringhiò Sigyn a denti stretti. «Ne ho il diritto e
la
volontà, soprattutto... Dovrei mettere fine ai tuoi inganni
e
prendermi la tua vita senza battere ciglio. È il destino che
ti
spetterebbe per i tuoi crimini.»
«E
perché non lo fai?»
Sentì
prima la presa serrarsi e rendergli ancora più difficile il
respiro e poi allentarsi fino a sciogliersi.
«Perché
sono migliore di te.»
Rise con
sfregio tastandosi la gola dolente.
«Se
ti rende felice crederlo... Non sarò io a distruggere le tue
convinzioni, cuore mio.»
«Non
chiamarmi così!»
«È
ciò che sei...»
Si chiese
se si sarebbe
ritrovato di nuovo con il collo stretto fra le falangi e la sua rabbia
a colpirlo. Ma Sigyn restò a guardarlo a pochi passi senza
apparente intenzione di farne né uno avanti né
uno
indietro.
Loki
recuperò le lenti da terra poggiandole poi sul mobile con
cura.
«Non
c'è bisogno
di questi, per adesso» sentenziò con naturalezza
ignorando
l'astio che tingeva i suoi occhi. «Allora? Sei riuscita a
cucinare qualcosa, mia adorata?»
Rise quando
la sua nuca
colpì di nuovo la parete. Stavolta non aveva nessuna mano
attorno al collo ma le dita di Sigyn erano strette attorno alla sua
camicia nera.
«Continua
così e mi renderai le cose facili, fratello!»
«Stai
progettando di uccidermi nel sonno?»
Sigyn
avvicinò il viso
con minaccia. «Quando deciderò di piantarti una
lama nel
corpo lo farò guardandoti dritto negli occhi,
cosicché tu
sappia che non proverò niente nel vederti crepare come il
cane
che sei.»
Sentì
il suo fiato contro le labbra e sorrise di nuovo.
«Continua,
ti prego... mi stai accendendo di desiderio.»
Si
ritrovò a colpire di nuovo il muro per poi finire
direttamente a terra quando Sigyn lo spinse con rabbia.
Si mise a
sedere con una
debole roca risata a salire dalla gola mentre la guardava osservarlo
con la stessa luce che bruciava i suoi occhi.
«Anche
tu mi stai rendendo le cose facili... fratello»
sospirò e approfittò del debole tentennamento che
le
attraversò il viso per afferrarle una caviglia e farla
cadere a
sua volta a terra.
«Loki!»
Le
bloccò i polsi ai lati della testa tenendola ferma con il
suo corpo contro il legno del pavimento.
«Avanti,
vediamo quanti
insulti riesci a urlarmi prima di perdere la voce,
principessa»
la beffeggiò mentre Sigyn digrignava i denti con rabbia e
tentava senza riuscire di liberarsi.
«Stavolta
ti ammazzo sul serio!»
«Puoi
fare di meglio.» La derise ancora trattenendosi dal baciare
le sue labbra e restando stoicamente a guardarla.
«Lasciami
andare! Te lo ordino!»
«Non
ci siamo
proprio» sibilò con un sospiro annoiato.
«Non ti
stai neanche impegnando... questo mi porta a credere che apprezzi
essere a gambe aperte sotto di me.»
«Apprezzerei
vederti
contorcere dal dolore mentre affondo le dita nel tuo petto!»
ringhiò ancora Sigyn provando a strattonare i polsi senza
successo.
«Io
credo che
apprezzeresti di più se fossero le mie dita ad affondare in
te.
Sbaglio?» Rise dell'espressione di vergogna e rabbia che le
piegò il viso.
Poi il
sorriso si spense e lui allentò piano la morsa sui suoi
polsi.
«E
ad ogni modo mi hai già strappato via il cuore una volta e
non te ne sei neanche accorto»
confessò con un fiato debole mentre le liberava totalmente
le mani.
Il pugno
che gli arrivò
sul viso non lo sorprese. Si passò le dita sulla guancia
mentre
guardava Sigyn osservarlo ancora con le spalle contro il pavimento.
Il respiro
affannoso e lo sguardo ridotto a una lama.
Fece
scorrere gli occhi sul suo corpo, sul suo collo, sui seni, sulla maglia
che lasciava scoperto un lembo di pelle del ventre.
Lo
accarezzò delicatamente con il dorso delle dita e tanto
bastò per vedere il suo respiro accelerare.
«Quella
notte... mi
dicesti che saresti rimasta, che avresti scelto di essere Sigyn senza
alcun rimpianto.» Ancora una carezza mentre gli occhi
incontravano quelli di Sigyn. «Lo avresti fatto
davvero?»
Vide la sua
gola sussultare.
«Sì...»
Sorrise
tristemente.
«Ma
non lo avresti fatto
per me... non è così?»
Accarezzò ancora il
suo ventre fino a far scorrere le dita sotto la maglia e premere
delicatamente il palmo contro la pelle calda. «Saresti
rimasta
per lui. Avresti sacrificato tutto per lui.»
«È
ciò che hai creduto per tutto questo tempo? È per
questo che mi odi?»
«Mi
hai dato la tua
parola che nulla sarebbe cambiato ma è bastato che quella
vita
si sciogliesse per dimenticare ogni promessa.»
Sentì gli
occhi pungere ma non ci fu spazio per le lacrime, ormai non ce n'era
più. «È bastato l'arrivo di Amora
perché
tornassi a essere invisibile ai tuoi occhi... e mi chiedi
perché
ti odio, Thor?»
Furono gli
occhi di Sigyn a lasciare andare quelle lacrime che Loki si era negato.
«Avrei
voluto essere in
grado di mantenere quelle parole ma non avrei mai potuto amarti come
volevi... lo sai bene. Non ci sarebbe mai stato concesso.»
Sorrise
ancora asciugandole una lacrima.
«Io
l'avrei fatto. Avrei
ignorato ogni legge e infranto qualsiasi codice morale esistente e
l'avrei fatto. Avrei amato Thor come amo Sigyn, avrei avuto le stesse
carezze e la stessa passione. Avrei fatto l'amore con la stessa
disperazione.»
«Loki...»
Ancora una lacrima, ancora un ricordo che si frantumava sulla fredda
realtà.
«Tu
non hai neanche
voluto provarci, non hai neanche tentato, e il mio odio, il mio
rancore, la mia rabbia... È tutto ciò che sono
disposto a
donarti, fratello.» Le abbracciò il viso fra i
palmi e
posò le labbra sulle sue. «Ma per te, cuore mio,
darei la
vita.» La baciò ancora e le prese una mano per
portarla
contro il proprio petto, contro quel battito folle. Guardò i
suoi occhi lucidi e belli, e le sorrise senza più maschere.
«Di' una parola, una sola, e lo strapperò via una
seconda
volta.»
*
Sigyn lo
guardò in silenzio lasciando che le lacrime si asciugassero
sul suo viso.
Gli occhi
di Loki parlavano di
dolore, di paura, di disperazione. Li aveva visti di tutte le sfumature
che la natura potesse avergli donato, eppure ce n'era una nuova in quel
momento, la stessa che aveva fatto inumidire i suoi, che aveva fatto
incrinare il suo petto e sciogliere ogni rabbia e ogni rancore.
Era
sbagliato, era
semplicemente folle ogni singola parola che aveva pronunziato, eppure
si lasciò abbracciare da ognuna di esse, si
lasciò
cullare da quell'affetto sincero, da quell'amore che le aveva urlato
con un sospiro, che le aveva mostrato con errori su errori, ma che non
aveva mai smesso di mostrarle.
Il male che
gli aveva fatto
forse lo capiva solo in quel momento, il modo con cui Thor lo aveva
ferito forse anche coscientemente, quel male che aveva tramutato un
ragazzo spaventato e solo in un essere cinico e privo di morale. Erano
colpe di Thor, colpe di Sigyn, colpe di Loki, colpe di Asgard. Colpe
che non potevano essere lavate, perché il sangue arde sulla
pelle anche quando non ve n'è traccia.
Ma in quel
momento, con i suoi
occhi che erano una via senza ostacoli per il suo cuore, Sigyn smise di
chiedersi, smise di pensare alle colpe e a ogni sbaglio che portava il
loro nome.
Si
sollevò a sedere tenendo ancora il palmo contro quel petto
con le dita di Loki premute contro il suo dorso.
Gli
accarezzò la nuca con l'altra mano stringendo forte i suoi
capelli neri.
Fronte su
fronte e poi labbra su labbra.
Contro il
suo palmo, quel cuore batté sempre più forte.
***
NdA.
Ben trovati ^^
Salutino al volo stavolta, solo per informarvi che ci stiamo
avvicinando all'ultima tranche di questa storia.
Come di consueto mi auguro sia stata una lettura piacevole.
Appuntamento a settimana prossima.
Vi abbraccio tutti ❤
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 21 *** Fino al sorgere del sole ***
cap21
L' ultima lacrima
XXI.
Frigga
si trovava alla sinistra del seggio regale, in piedi, con la mano
poggiata sull'oro della seduta su cui Odino guardava Freyja avanzare
con lentezza.
La Signora
di Vanaheim
indossava seta color zaffiro e avorio, oro, gemme, e i lunghi capelli
neri raccolti da fermagli finemente lavorati. Sul viso, pallido e
perfetto, gli occhi color notte contornati dal fine carbone.
Giunta alle
scale, Freyja fece un cenno con il capo e guardò dapprima
Frigga, che ricambiò il saluto, e poi Odino.
La regina
di Asgard prese un respiro profondo piena di inquietudine.
«Odino,
mio buon amico,
ti chiedo di perdonare la mia visita improvvisa, ma avevo urgenza di
conferire quanto prima con te.»
La voce
priva di cedimenti e lo sguardo carico di fermezza.
«Dimentica
pure gli
obblighi noiosi posti dall'etichetta, regina Freyja, e spiegami pure da
cosa nasce la tua urgenza. Mi auguro solo che le questioni di cui vuoi
discorrere valgano la fatica del tuo lungo viaggio.»
Freyja
assentì ancora con il capo e comandò alle sue
guardie di lasciare la sala.
Odino non
chiese il motivo e si limitò a impartire il medesimo ordine
alla sua guardia reale.
Quando
l'ultimo soldato
lasciò la sala, chiudendo dietro sé il pesante
portone,
il silenzio che scese fra i tre sovrani fu presto spezzato.
«Styrkárr
è tornato.» All'udire quel nome lasciare le labbra
di
Freyja, Frigga sospirò chiudendo le palpebre.
«Sei
venuta fin qui
perché temi ancora quel traditore, Freyja? Sei diventata una
regina timorosa» mormorò Odino accarezzandosi la
fronte.
«Il
timore per quel
traditore, con cui ti stai prendendo gioco di me, ha ben motivo di
esistere, Odino. E parte della responsabilità ricade su di
te.»
«Spiegati!»
Frigga
non riuscì a tenere le parole sulla lingua.
Abbandonò il
posto che le spettava per ruolo e scese per raggiungere la donna.
«La
vista del vostro
guardiano è leggenda in ogni regno, Frigga, non venire a
chiedere a me risposte che già possiedi.»
«Basta
parlare per
enigmi, Freyja, se hai accuse da fare ponile in fretta,
cosicché
possa zittirti come si conviene a chi osa varcare la soglia della mia
casa puntando il dito» tuonò Odino dal sul seggio.
Ma
Freyja non mostrò offesa o paura, annuì con il
capo e
guardò dritto il sovrano.
«Fra
le mani di
Styrkárr vi è l'arma che ha a lungo bramato,
Odino, ed
è stato tuo figlio a render possibile che un tale pericoloso
evento si realizzasse.»
Frigga
sentì il cuore saltarle nel petto.
Lei non
aveva avuto notizie di
ciò; Heimdall non si era pronunciato in merito a un legame
fra
Styrkárr e Loki, né alla possibilità
che Mjolnir
fosse ora alla mercé di quell'uomo folle.
Ma sul viso
di Odino, Frigga
non lesse lo stesso stupore, e benché di maschere suo marito
possedesse una vasta collezione, sapeva bene che non era questo il
motivo di quella freddezza.
«Tu
sapevi?» gli chiese dimenticando la calma.
Odino non
rispose e la regina si sentì coprire di vergogna.
«Tuo
figlio ha aiutato
Styrkárr nei suoi intenti e adesso spetta a te fare in modo
che
ciò non porti a catastrofiche conseguenze»
continuò
ancora Freyja. «Se anche il pericolo che investe Vanaheim non
si
riflettesse su Asgard, saresti comunque in dovere di mostrarmi la tua
alleanza, come l'antico patto ti obbliga, Odino.»
«Se
è il mio
aiuto per rintracciare e abbattere una volta per tutte quel traditore
che chiedi, Freyja, non hai bisogno di ricorrere a questi infantili
espedienti» ribatté Odino. «Conosco bene
l'accordo
firmato con il sangue di mio padre, per cui evita di
rammentarmelo.»
«Allora
spiegami
perché ho avuto notizia di ciò solo adesso,
quando il tuo
guardiano ha veduto diversi soli fa ciò che stava accadendo
su
Midgard.»
«Freyja...»
Frigga
le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla
nuda.
«Se non hai avuto notizie è perché non
ne eravamo
in possesso.»
«Non
c'era alcuna
minaccia su Midgard, per quel che Heimdall poteva vedere»
aggiunse Odino e Frigga fu costretta ad assentire con
difficoltà; fu costretta a recitare il ruolo di moglie
obbediente e regina fedele, benché non volesse altro che
dimenticare di quale freddezza era capace l'uomo che aveva sposato.
Quando era
tornata a palazzo,
Odino l'aveva accolta con silenzio, e quando lei gli aveva chiesto di
sollevare Heimdall dal suo ordine e permettere che Thor e Loki
tornassero ad Asgard, era arrivata la rabbia.
“Sto solo facendo ciò
che giusto.” Aveva solo risposto lui a ogni sua
domanda.
«So
che non sono le minacce ai nostri regni gli argomenti che occupano la
vista del tuo guardiano, Odino.»
Frigga si
sentì
irrigidire dallo sguardo di Freyja, da uno sguardo che parlava,
così come parlava, urlava, il silenzio che scese fra i tre.
Poi
fu la regina di Vanaheim a riprender parola: «Qualsiasi
questione
tu abbia in sospeso con i tuoi figli, va messa da parte dinnanzi a
ciò che potrebbe distruggere la quiete e la pace di Vanaheim
e
di Asgard. Ti chiedo di agire solo come il tuo ruolo ti impone. Nulla
di più, nulla di meno.»
Osservò
il viso perlaceo della donna, i suoi occhi marchiati di nero, le labbra
rosee e serie.
Poi
guardò Odino che dal suo seggio pareva più
vecchio e più stanco che mai.
«Quando
Styrkárr
sarà realmente una minaccia, allora
agirò»
affermò con voce atona, priva anche di fermezza, priva di
ogni
emozione.
«Lo
è già!
E tu lo sai.» Le emozioni di Freyja, invece, viaggiarono su
ogni
singola parola che pronunziò. «Ritieni la mia
visita un
gesto di rispetto verso la nostra amicizia prima ancora che verso il
tuo trono di PadreTutto. Se però non vorrai dare ascolto
alle
mie parole, mio buon amico, è bene che tu e la tua saggia
compagna sappiate che giungerò di persona su Midgard per
pretendere da tuo figlio le risposte che mi stai negando.»
«Tu
non lo farai,
Freyja!» tuonò rabbiosamente Odino sbattendo il
pugno sul
bracciolo dorato. Il tremore del labbro tradì la sua
collera, la
sua agitazione, forse i suoi timori.
Freyja
però non parve nascondere alcuna paura. Continuò
a guardare con risolutezza suo marito.
«Non
ho bisogno del tuo
permesso per farlo. Se non avrò il tuo aiuto, stai pur certo
che
saprò trovarlo altrove.»
Quando la
sovrana dei Vanir gli diede le spalle, Frigga vide Odino scattare in
piedi e reggere con livore Gungnir.
«Non
ti darà il
suo aiuto. Non ti darà niente di ciò che
chiederai.» Le parole di Odino risuonarono nella stanza con
tale
sicurezza che Frigga si sentì tremare il cuore.
Deglutì e
cercò di celare nel suo sguardo la tristezza e la rabbia che
gli
provocava vedere tanto astio negli occhi del suo sposo, tanto astio
verso loro figlio.
«Potrei
comunque
tentare, mio re» sentenziò Freyja tornando a
mostrar loro
il suo volto. «Chiederò il suo prezzo e
sarò
disposta a pagarlo.»
Una risata
abbandonò la gola di Odino mentre scuoteva il capo.
«Non
vi è prezzo, non esiste somma per pagare la
sincerità di chi non ne ha mai posseduta.»
Per
l'ennesima volta Frigga si
sentì travolgere da mille vili sentimenti, e tutto
ciò
che avrebbe voluto era urlare contro l'uomo che l'aveva scelta come
compagna di vita, urlargli la sua rabbia e la sua indignazione;
chiedere a Freyja di farlo, di andare su Midgard e riportare Loki da
lei, di riportarli entrambi da lei.
Non poteva,
perché
prima di essere una madre in pena, era una donna; prima di essere una
donna era una regina, e come tale aveva doveri ai quali, seppur con
sofferenza, doveva adempiere. Non poteva contraddirlo, non poteva
dirgli quanto fosse sciocco comportarsi così, quanto si
mostrasse debole a tenerli lontani dagli occhi e dal cuore.
«Ti
porrò questa
domanda ancora una volta e aspetterò una risposta che
rispecchi
la tua saggezza, Odino.» Freyja sollevò appena il
mento
con una certa arroganza che però Frigga le
perdonò,
perché era disposta a piegare il capo se questo fosse
servito a
riavere di nuovo i suoi figli.
Odino
sembrò trattenere il respiro, conscio forse di
ciò che gli stava per essere chiesto.
«Ho
la tua mano tesa, custode dei nove regni? Ho la tua alleanza? Ho il tuo
rispetto e la tua amicizia?»
Frigga vide
il suo viso
coprirsi di una maschera di rabbia per il modo poco leale con cui
Freyja aveva deciso di metterlo alle strette. Nel suo cuore di madre
ferita, trovò un raggio di tristezza che bruciò
il suo
orgoglio di moglie. Freyja, seppur con giusti intenti, aveva scelto di
usare una meschina astuzia per raggiungerli.
Odino
lasciò andare l'aria e sembrò allentare la presa
sulla lancia.
«Non
chiederlo ancora.
Rispetto e amicizia è ciò che lega prima le
nostre
persone e poi i nostri regni, Freyja. Se è un'alleanza che
chiedi, sappi che tale alleanza non è mai stata messa in
discussione.»
La regina
di Vanaheim mostrò soddisfazione e annuì con
ostentato compiacimento.
«Allora
ciò che
mi aspetto da te non è nulla più di
ciò che hai
appena ribadito. Rispetto e amicizia.»
Chinò
il capo con reverenza per poi tornare a sollevare il viso verso il
trono.
«Non
equivocare il mio comportamento, Odino. Sto solo proteggendo
ciò che mi è più caro.»
Poi gli
occhi neri di Freyja
furono su di lei e Frigga assentì con il capo,
perché una
donna è disposta a tutto per difendere ciò che
ama, chi
ama.
Frigga, nel
silenzio che seguì l'abbandono di Freyja, non
riuscì a trattenere in gola un sospiro.
Quando le
porte si chiusero
alle spalle della donna, Odino tornò a sedere e nascose lo
sguardo dietro al palmo della mano. La postura ricurva, il tremore
delle dita.
«Sarai
felice, donna...» Avrebbe voluto essere un richiamo eppure
trapelò solo tanta stanchezza.
Frigga
sollevò gli occhi sul suo viso in ombra.
«Di
cosa dovrei esserlo,
se il mio sposo cede dinanzi alle minacce di un'altra donna eppure si
mostra di fredda pietra davanti alle lacrime di sua moglie. Posso solo
biasimarti per la tua debolezza di sovrano ma apprezzare il cuore del
padre. Almeno spero ve ne sia ancora traccia.»
Odino
spostò la mano e la guardò a lungo, in silenzio,
soppesando ogni singolo secondo che trascorse.
«Il
bene dei regni, Frigga, viene prima di ogni disgusto che possa provare
verso i tuoi
figli. Chiamala pure debolezza, moglie mia. Te lo concedo in nome della
stessa vergogna che sei costretta a condividere con me.» E
con
quelle parole Frigga capì che il tempo di restare ai piedi
di
quel trono era scaduto.
Scosse il
capo con un sorriso rassegnato. Le mani congiunte. Un inchino appena
accennato.
Lo
fissò ancora in quell'unico stanco occhio e ogni sorriso
sparì.
«Bene,
dunque, mio re.» Adesso
però falli tornare.
Non
aspettò repliche, sapeva che non sarebbero arrivate.
Lasciò
la sala facendo
risuonare lo strusciare della lunga veste sul pavimento e
abbandonò suo marito ai suoi doveri, alle sue paure, alla
sua
colpa.
ஐஐஐ
C'era
silenzio. Non c'era mai
silenzio, Tony era quasi fisiologicamente incapace di produrre
silenzio, eppure nell'abitacolo non era volata una sola parola.
Scalò
di marcia,
svoltò all'incrocio. Semaforo rosso. Clacson e urla. Un paio
di
flash di qualcuno che aveva riconosciuto la sua Audi.
«Grazie.»
La prima parola la pronunziò Steve. Il primo sospiro lo
lasciò andare Steve.
Tony
guardò lo
specchietto retrovisore e osservò la dolcezza con cui teneva
il
capo di Linn contro la sua spalla, la gentilezza con cui le scostava i
capelli dal viso stanco, il senso di colpa con cui la guardava.
«Sei
sicuro, Cap? Ho
parecchie stanze libere da me, lo sai» sospirò
cercando di
mostrare una verve che in quel momento non si sentiva sulla pelle.
«Non
serve. Grazie comunque.»
Semaforo
verde, altri clacson, altri flash.
«Non
voglio offendere il
tuo alloggio retrò a Brooklyn, ma almeno alla Tower non ci
sono
topi che fanno baldoria nelle travi...» Sorrise delle sue
stesse
parole, ma poi il sorriso si spense e un sonoro sospiro
lasciò
le sue labbra. «Nick è stato un bastardo, su
questo sono
pienamente d'accordo con te.»
Interrogare
Linn di nascosto, torturarla, estirparle verità che Tony,
aveva compreso bene, non conosceva.
Quando
aveva incontrato Steve
nel corridoio era stato quasi travolto dal suo passo svelto, poi era
stato travolto dalla sua richiesta.
“Portala via da qui.”
Era stato travolto dalla sua reazione così fuori divisa.
“Per favore,
Tony.”
Nessun
ordine, nessuno sguardo
austero da Captain America. Tony aveva visto gli occhi azzurri di Steve
come non li aveva mai davvero visti: fragili.
Aveva
acconsentito e gli aveva
fatto strada fino al parcheggio. Li aveva fatti salire in macchina e
aveva accettato di portare la sua bella Audi in un quartiere poco chic
e molto shock come quello di Brooklyn.
Linn non
era priva di sensi ma
sembrava comunque aver solo voglia di tenere lo sguardo celato, di
stare contro la pelle di Steve e stringere debolmente le sue dita.
Steve gli
aveva raccontato, con frasi spezzate dalla rabbia, ciò che
era accaduto, e poi era sceso il silenzio.
Parcheggiò
sotto al palazzo anni trenta e portò lo sguardo alle
finestre tutte uguali.
«Immagino
sia inutile
dirti che Fury sa bene dove l'hai portata...»
sospirò
voltando il capo verso i sedili posteriori. «Vero,
Cap?»
«Certo,
e aspetto che mi faccia visita.»
Sorrise
della sua determinazione e lo guardò scendere portandosi
dietro una Linn ancora traballante.
«Grazie...»
Fu la sua debole voce a sollevarsi mentre lo guardava con il viso
stanco e provato.
Tony
alzò una mano con una smorfia di sincera gentilezza.
«Non
c'è di che,
piccola Linn.» Non aveva colpe, lei, non ne aveva alcuna se
non
quella di voler bene a qualcuno che, in quel momento, Tony avrebbe
volentieri preso a sberle.
Linn non
aveva colpe eppure le
aveva dovute scontare sotto la mano di Fury e sotto la reazione di
Steve. Non sapeva come fosse andata, ma lo poteva immaginare, e gli
occhi di Steve dicevano anche troppo con quella loro lucente patina di
vergogna.
Steve
strinse ancora la ragazza al suo fianco per sostenerla e poi lo
guardò.
Un cenno
del capo, un mezzo sorriso, un “ti devo una birra”
che Tony avrebbe volentieri voluto sentirgli pronunciare. Ma Steve
aveva già messo da parte pesantemente la sua divisa, e a
Tony
bastò che non gli raccomandasse di andare piano per strada
per
ritenersi più che soddisfatto.
Lasciò
il quartiere, tornò al suo innaturale silenzio e poi fece
partire la chiamata.
«Dove
sei?» chiese senza aspettare un “pronto?”
«In laboratorio... dove vuoi che
sia, Tony?»
La voce di Bruce era scura e fiacca. Tony sapeva di avergli lasciato
forse il compito più ingrato facendolo parlare con la
Foster. Ma
a quel punto quel badile di merda andava comunque svuotato una pala
alla volta, e chi più chi meno, a tutti loro ne era finita
un
po' sulle scarpe.
«Ti
passo a prendere. Andiamo a bere qualcosa.»
Udì
un sospiro, un
brontolio. Mentre svoltava all'ennesimo incrocio era più che
certo che Bruce si stesse impastando gli occhi con le dita.
«Tony, non credo che-»
«Che
sia il caso? Il
momento adatto?... Quale momento migliore di questo, Bruce? Nella vita,
amico mio, ci sono solo due buoni motivi per bere: il primo
è
per festeggiare, il secondo è per dimenticare. In
verità,
però, ve n'è un terzo, di cui mi ritengo
orgoglioso
sostenitore, ed è “Bere in mancanza di
altro”.»
«Che vuol dire “bere in
mancanza di altro”?»
Sorrise a
se stesso.
«Vuol
dire che se non
puoi fare una cosa, o dirla, o semplicemente pensarla, allora puoi
bere. Ma se anche fai quella cosa e non la puoi più
cambiare,
puoi bere comunque, anzi è consigliato farlo. Non
è una
filosofia affascinante, dottore?»
«Affascinante come una cirrosi
epatica, Tony.»
«Sono
un uomo di
metallo, Bruce; è l'acqua il mio nemico numero uno. L'alcol
serve solo a tenere lisci gli ingranaggi.»
«Dovrebbe essere l'olio a farlo...»
«Non
posso abbondare
troppo con l'olio, lo sai. L'hai detto tu, no? Il colesterolo. E poi
sono italiano: morire di infarto è già un rischio
intrinseco nel mio DNA. La nostra cucina sarà anche
salutare, ma
è così condita...» brontolò
con finto
fastidio.
«A
parte il fatto che non ti ho mai visto mangiare salutare né
tanto meno italiano da quando ti conosco, ma di che stiamo parlando
adesso?»
«È
questo il
bello: non parlare di niente. Bere e soltanto bere. Pep non
è in
casa e possiamo vomitare sul tappeto. Non ti solletica
l'idea?»
Ma Bruce
era rimasto silente e
Tony sapeva bene il perché: Jane non gli aveva voluto
parlare,
Jane aveva preferito prima il silenzio e la solitudine, e poi aveva
chiamato Pepper. Pepper aveva chiamato Tony perché se era la
sua
donna era perché era più sveglia della norma, e
Tony le
aveva raccontato brevemente gli ultimi avvenimenti, ovviamente
aggiungendo raffinati contorni al racconto che l'avevano fatta
sospirare più di una volta.
Adesso Pep
era con Jane
chissà dove, magari stavano bevendo anche loro, magari
sarebbero
finite a vomitare anche loro due sul divano di qualcun altro. Magari
era meglio stare lontano dai pensieri e dalle reazioni di una donna che
scopriva di essere andata a letto con uno che a sua volta era andato a
letto con il fratello e, a giudicare da come si era evoluta la cosa,
doveva anche essergli piaciuto.
«Avanti,
Bruce, solo un goccio... ne ho bisogno.» Alla fine era
arrivata la supplica.
«Pensavo fosse Clint il tuo
compagno di sbronze.»
Sbuffò
osservando il traffico dell'ora di punta che intasava l'Avenue.
«Infatti!
Clint è il mio compagno di sbronze, tu sei il mio
ascoltatore da sbronzo. È diverso.»
«Tony,
non verrò a bere con te per poi essere costretto a sentirti
raccontare per l'ennesima volta quella storia della Svizzera... e poi
sono occupato.»
«Non
sei occupato e comunque giuro che non parlerò della
Svizzera. Hai la mia parola, Doc.»
Ci fu
silenzio, poi il rumore di fogli di carta, poi un altro sospiro - le
dita che stropicciavano gli occhi.
«Immagino che al momento dobbiamo
solo aspettare...»
Tony
sorrise aspettando che continuasse.
«E d'accordo... però
se soltanto nomini-»
«Niente
Svizzera. Parola
di boy scout! Fatti trovare all'esterno, io lascio il finestrino aperto
e tu salti in corsa dalla portiera come un agile Bond.»
«Quanto sei idiota...»
Udì
una debole risata e rise di riflesso.
*
Quando
varcò la soglia
di quella nuova casa, Linn ebbe come la sensazione di tornare ad
Asgard, in un luogo in particolare, un luogo che le era molto caro: la
biblioteca.
La stanza
aveva lo stesso
odore, lo stesso silenzio, la stessa luce calda. Il legno scuro del
pavimento, quello più chiaro dei mobili, il bagliore che
filtrava dalle finestre di un vetro opaco.
«Siediti.»
Steve la fece accomodare su un sofà di stoffa e le
poggiò un cuscino dietro la testa.
Linn
sospirò, avrebbe voluto dirgli ancora grazie, ancora
perdono, ancora abbracciami
forte.
Lo
guardò soltanto con tutte le parole ferme nella gola e gli
occhi che pungevano.
Lasciò
che Steve trovasse le sue dita e le sfiorasse.
Lasciò
che si inginocchiasse davanti a lei come il giorno prima e le
sorridesse.
«Come
ti senti?»
Deglutì
con una certa sofferenza.
«Sto
bene... adesso.» Il suo sorriso però dovette
tradirla, perché presto quello di Steve si spense.
Le
accarezzò il viso e poi i capelli e infine le strinse forte
le dita.
«Non
avrei dovuto lasciarti sola, non avrei dovuto permettere che ti facesse
del male.»
Scosse il
capo.
«No...
non è colpa tua...»
È
colpa mia, del mio silenzio, del mio tacere, del mio negarti una
sincerità che meritavi e che meriti.
Non
trovò una sola
frase ad aspettarla sulla lingua, lasciò solo cadere ancora
una
lacrima e Steve si sollevò per poggiare le labbra sulle sue.
Le
asciugò quella lacrima con un pollice e le sorrise ancora.
«Riposa.»
Resta, chiesero i
suoi occhi. Resta con
me, mio capitano.
Steve
sembrò udire la sua preghiera e le si sedette accanto.
Linn
abbandonò il capo contro la sua spalla e chiuse gli occhi.
Aveva
dormito qualche ora e
quando si era svegliata si era sentita meglio. Non sapeva dire se fosse
merito del riposo o se fosse a causa della pozione che Steve aveva
sciolto in un bicchiere e poi le aveva offerto. Linn aveva bevuto
l'acqua diventata dolciastra senza chiedere, perché di Steve
si
fidava e Steve non le avrebbe mai fatto del male.
Sollevò
il busto lasciando cadere sulle ginocchia la coperta che le aveva
sistemato quando si era coricata.
Lo
cercò con lo sguardo prima e con la voce poi.
«Steve?»
Aveva un
suono rauco e debole. Si schiarì la gola con qualche colpo
di
tosse prima di mandare giù dell'acqua poggiata su un piccolo
tavolino accanto al sofà.
Steve non
sembrava essere
nella stanza, però Linn udì la sua voce da dietro
a una
porta. Si alzò in piedi aspettando che la testa smettesse di
girare e si avvicinò a piedi nudi verso quel suono familiare.
«Non
al momento... no,
adesso no.» Sembrava stesse parlando in solitudine, ma
attraverso
lo spiraglio che lasciava aperta la porta, Linn lo vide con uno di
quegli strani strumenti con cui i midgardiani potevano comunicare a
distanza: cellulari. Glielo aveva detto Tony, e le aveva mostrato come
usarli. Le aveva anche detto che se voleva poteva dargliene uno, e Linn
aveva risposto che benché lusingata dalla sua offerta, le
sembrava abbastanza insensato avere qualcosa che non avrebbe potuto
usare. Un possesso privo di utilità.
Tony aveva
riso e le aveva
detto che era insolitamente sveglia per venire dallo stesso mondo di
Thor. Non aveva trovato la sua battuta divertente, non l'aveva neanche
compresa molto.
Adesso,
mentre guardava Steve
e lo ascoltava parlare con chissà chi di qualcosa che non
capiva
realmente, Linn si chiese come sarebbe stato possedere uno di quei
cellulari per potervi ascoltare la sua voce.
«Mi
sembra abbastanza inutile, Clint, per quel che ne sappiamo sarebbe
soltanto uno spreco di tempo.»
Clint era
l'arciere dallo sguardo chiaro e dal sorriso impertinente.
Se parlava
con lui, Steve poteva parlare solo di un argomento.
Si
sentì pervadere dalla tristezza e abbassò lo
sguardo sul pavimento di legno.
Dov'era
adesso la sua signora? Adesso che i suoi compagni sapevano di quel
passato, l'avrebbe più rivista?
Avrebbe
più rivisto il suo principe? E con lei accanto, sarebbe
tornato a sorridere come in quei giorni mai dimenticati?
Quando
sollevò lo
sguardo incrociò quello di Steve, ma non ci fu spazio per
provare imbarazzo nell'essere stata sorpresa mentre udiva le sue
conversazioni, forse perché negli occhi di Steve non
trovò nessun richiamo, forse perché le parve di
veder
riflessa la sua stessa tristezza.
«Tienimi
aggiornato solo se ci sono sviluppi... ok. Grazie.»
Steve mise
fine alla sua discussione a distanza e poggiò il cellulare
su un comò prima di aprire la porta.
«Sei
sveglia... come ti senti?»
Le sorrise
e Linn annuì soltanto facendo un passo dentro quella stanza.
«Molto
meglio» rispose sorridendo a sua volta.
Si accorse
solo in quel
momento che era giunta nella stanza da letto di Steve. C'era un letto
più grande con lenzuola arancio e tende del medesimo colore,
con
un armadio e lo stesso ritratto che aveva visto nella piccola camera,
stavolta incorniciato sulla parete. Ce n'erano tanti altri con tanti
altri volti, fra di essi, Linn scorse il viso di una donna. La donna al
fianco di Steve sorrideva impercettibilmente e Steve sembrava felice di
averla accanto.
Scostò
in fretta lo sguardo dalla parete.
«Non
avrei voluto ascoltare.» Si giustificò sentendo in
quel momento la necessità di farlo.
«Non
preoccuparti, non
erano segreti di stato.» Steve sospirò e poi
poggiò
le mani sui fianchi. «Hai fame?»
Linn
guardò i suoi occhi e una domanda abbandonò
d'istinto la sua lingua.
«Sai
dove sono adesso?» Ma la domanda era scorretta e Linn se ne
rese conto. «Sono al sicuro?»
Quell'onestà
sembrò rabbuiare lo sguardo di Steve.
«Su
Asgard sarebbero al sicuro per te?»
Le rispose
con una domanda e lei sentì il cuore galoppare forte.
«Su
Asgard...?»
«Tony
ha recuperato i
loro discorsi. Sono su Asgard adesso, quindi non abbiamo modo di
raggiungerli se da lì non vogliono che lo facciamo. Dico
bene?»
Non era un
quesito, e Linn non rispose.
Non
potevano essere su Asgard, non aveva senso fossero lì.
Odino... il
Grande Padre...
No, non
erano al sicuro su
Asgard, e Linn sapeva che il principe ne era conscio. Il principe Loki
non avrebbe messo in pericolo la vita della sua signora conducendola in
un luogo che avrebbe potuto essere solo più pericoloso di
Midgard.
Avrebbe
voluto condividere i suoi pensieri con Steve, ma sul suo viso lesse la
voglia di non continuare quel discorso.
Tacque e
sospirò.
«Ho
un po' di
fame...» Non era vero, il suo stomaco non brontolava,
perché la preoccupazione aveva gonfiato il suo cuore
così
tanto da far sembrare inutile ogni altro organo.
Steve
sorrise.
«Non
sono un bravo cuoco
onestamente e in casa ho poco...» Si grattò la
nuca in
imbarazzo e sembrava aver dimenticato ogni brutta sensazione, anche a
Linn parve di dimenticarle. Era solo una falsa veste.
«Cucinerò
io» propose con semplicità.
«Oh
no, tu devi riposare, io-»
Allungò
una mano e afferrò la sua. Ancora un sorriso, ancora silente
gratitudine.
«Lascia
che cucini per te, Steve. Concedimi questo onore.»
Steve
sembrò divertito e imbarazzato al contempo.
«Onore?»
Lei
annuì e allargò il suo sorriso. A quel punto
Steve
alzò le spalle guardando un punto indefinito della stanza
mentre
le accarezzava il dorso della mano con il pollice. «Dovrei
avere
dei fagioli... forse.»
«Andranno
bene.»
La cucina
di Steve era luminosa e accogliente, la mobilia di un legno
così chiaro da rasentare il colore del marmo.
Le
mostrò qualche verdura e un paio di scatole cilindriche di
metallo contenenti altre cibarie.
Non
parlarono molto, Steve le chiese ancora se stesse bene, Linn gli
rispose con sincerità di sì.
Mentre il
coltello batteva
ritmicamente sul tagliere di legno, intento ad affettare finemente una
carota, Linn osservò con la coda dell'occhio Steve che la
guardava seduto al tavolo.
Sorrise
imbarazzata e felice
di avere i suoi occhi su di lei. La guardava come se stesse facendo
un'opera importante, come se non stesse solo tagliando una carota
arancione.
Finì
di affettare l'ortaggio e ne prese un altro. Ancora il cadere del
metallo sul legno.
Ogni fetta
era perfetta,
stesso spessore. Linn maneggiava i coltelli con l'abilità di
un
macellaio perché fin da bambina le era stato mostrato come
aprire e sezionare una carcassa. Seppure aveva avuto la
possibilità di maneggiare una lama solo poco prima
dell'adolescenza, l'aver osservato per anni Lady Gunhild e le altre
donne a lavoro nelle cucine, aveva fatto di lei un'abile mano.
Tony aveva
detto che aveva un senso dell'apprendimento fuori dal comune, nel
rimembrare quel complimento sorrise ancora.
«Io
mi sarei già tagliato un dito...» udì
mormorare Steve e rise.
«Le
tue mani sono fatte
per impugnare il tuo scudo, Steve, non per tagliare verdure.»
Lo
disse con facilità eppure vide il suo sguardo velarsi di una
nebbia che non comprese.
Avrebbe
voluto chiedere,
avrebbe voluto sapere se aveva detto per l'ennesima volta qualcosa di
sbagliato, ma dal fondo della strada salì il suono di una
nenia.
Voltò
il capo verso la finestra e rallentò il suo lavoro.
Era una
musica dolce, simile a quella di un carillon.
«È
il signor
Standman.» La informò Steve mentre si alzava dalla
sedia
per raggiungere il vetro. Scostò la tendina e
guardò
verso il basso con un sorriso dolce. «Gira il quartiere con
il
suo camion di gelati. Credo che al giorno d'oggi non lo faccia
più nessuno.»
«È
una musica molto bella» sospirò e Steve la
guardò annuendo.
Poi la
musica si allontanò e lei smise di tagliare le carote.
«È
volata via...
È un peccato» sospirò a se stessa
mentre fissava il
legno umido sotto la sua mano.
In quelle
poche note le tornò in mente uno dei tanti balli al palazzo.
Era poco
più che una
fanciulla appena divenuta donna e sostava ai piedi di una colonna con
una brocca di vino fra le mani, pronta a riempire i boccali degli
ospiti.
Nella sala,
le giovani nobili
ballavano e sorridevano nei loro vestiti di seta e oro; i soldati
fischiavano e battevano le mani e urlavano apprezzamenti.
“Ehi, tu?”
Era stata chiamata da un nobile alquanto brillo. Lo aveva raggiunto e
aveva riempito il suo boccale. L'uomo aveva riso e le aveva
schiaffeggiato la schiena con forza, forse per ringraziarla in maniera
molto maldestra.
Aveva
preferito allontanarsi e, poggiata a terra la brocca, si era
massaggiata la spalla dolente.
“Modi rozzi per un duca. Non
trovi?” La voce del principe Loki l'aveva
sorpresa. Un sorriso sulle labbra e un bicchiere di cristallo fra le
dita. “Si dice
che la nobiltà venga dall'anima prima che dal sangue, in
queste occasioni mi chiedo se non sia la verità.”
Aveva
chinato il capo e intrecciato le mani sulla tunica color avorio.
“Comandate, principe.”
“Ti diverti?”
Quella
domanda l'aveva
confusa. Aveva alzato solo qualche attimo lo sguardo e aveva visto il
suo vagare per la sala: sembrava insolitamente sereno.
Non aveva
risposto alla sua domanda, però. Non sapeva cosa rispondere.
Aveva
guardato poi la brocca a terra e l'aveva raccolta sempre a capo chino.
“Devo riempire il vostro
bicchiere, mio principe?”
Neanche il
principe aveva risposto.
Nel
frastuono dei festeggiamenti, era stato solo silenzio.
Quando
aveva sollevato lo
sguardo sul suo viso, aveva scorto il principe guardare verso la pista
da ballo. Un'ombra buia nei suoi occhi, ogni sorriso si era perso.
“Questa festa mi ha annoiato.”
Aveva versato il vino rimasto nel suo bicchiere sul pavimento e
frantumato il cristallo sulla colonna. Linn aveva quasi tremato a quel
gesto.
Era poi
andato via senza dire nulla.
Lo aveva
seguito con lo sguardo finché non era sparito dietro uno dei
corridoi e poi aveva guardato verso la pista e-
«Vuoi
ascoltare della musica, magari?» La voce di Steve la
portò via da quei ricordi.
«Musica?»
chiese sbattendo le palpebre.
Steve non
rispose, raggiunse un mobile e alzò una teca di vetro,
almeno così sembrava.
«Questo
quartiere
è molto più silenzioso della Stark Tower,
immagino lo
troverai anche meno interessante.» Fra le sue mani una
sottilissima scatola da cui estrasse un disco nero e lucido che
posizionò sulla piastra del medesimo colore. Linn non
riuscì a vedere cosa fece dopo, ma d'un tratto
udì delle
note dolci.
Steve si
voltò con un
sorriso imbarazzato, forse lo era, forse era lei ad esserlo e lo vedeva
riflesso nei suoi occhi azzurri.
«La
musica mi fa compagnia» disse sorridendole ancora, facendo
scivolare le mani nelle tasche dei pantaloni.
La musica
conteneva parole, parole di un uomo che parlava di amore.
Era diversa
dalle canzoni che
era solita ascoltare su Asgard, era diversa dalla voce dei menestrelli
e dal suono dei liuti e delle arpe, però era incredibilmente
bella.
Non
riuscì però
a continuare il suo lavoro, abbandonò il coltello e rimase
ad
osservare gli occhi azzurri di Steve dall'altra parte della stanza,
mentre dolci noti li avvolgevano.
Steve
abbassò
però lo sguardo e poi lo sollevò ancora. La sua
gola
sussultò. Un colpo di tosse. Tirò via dalla tasca
una
mano e la passò sul retro del collo.
«Ti
va... cioè... vuoi ballare?»
Quell'invito
le fece ardere le guance.
Era la
prima volta che qualcuno glielo chiedeva.
Abbassò
lo sguardo e scosse il capo.
«Io
non ne sono capace, Steve» confessò.
Aveva visto
centinaia, e
centinaia di balli, di feste, ma aveva visto tutto attraverso gli occhi
di una serva. Non aveva avuto mai occasione di indossare un vestito di
seta e volteggiare fra le braccia di un cavaliere. Non aveva neanche
mai avuto modo di sognarlo soltanto. Sarebbe stato inutile, sarebbe
stato solo uno spreco di tempo e di cuore.
«Neanche
io ne sono capace.»
La voce di
Steve le fece
risollevare gli occhi. Sul viso del suo capitano, Linn lesse la sua
stessa incertezza, la stessa paura e la stessa voglia di non averne
più.
Si
pulì le mani su un
canovaccio e gli sorrise mordendosi infantilmente un labbro, poi
allungò le dita verso di lui. Lo aveva visto fare alle
fanciulle
nobili, alle lady del palazzo.
Steve
tentennò qualche secondo e poi la raggiunse.
Le
afferrò la mano e
prese un profondo respiro. Linn non sapeva cosa fare, in vero, e
lasciò che l'altra mano si poggiasse sulla sua spalla.
Il cuore
batteva forte contro il suo petto e la musica sembrava farlo risuonare
ancora più forte.
«Credo
che si faccia
più o meno così.» Dicendo questo, Steve
portò il palmo dietro la sua schiena e la tirò un
po'
più vicino.
Sorrise con
il viso accaldato.
Rimasero
qualche attimo in quella posizione mentre Steve passava con gli occhi
dal suo viso ai loro piedi.
«Adesso...?»
«Credo
che si dovrebbe volteggiare» consigliò con un filo
di voce.
Steve
annuì con vigore e si schiarì ancora la gola.
«Oh,
certo. Volteggiare, sì.»
Ma proprio
in quel momento la musica crebbe per poi terminare.
Guardò
delusa la strana scatola ma Steve strinse con decisa gentilezza le dita
nel suo palmo.
«Adesso
riparte» le confidò e Linn tornò a
guardare i suoi occhi e le sue labbra sorridere.
Dopo pochi
secondi di silenzio riudì le note e non riuscì a
ingoiare una risata.
«Visto?
Te l'avevo detto.»
Annuì
e sistemò
ancora con un certo nervosismo la mano contro la sua spalla. Fu lei poi
a tossire per schiarirsi la voce mentre aspettava che Steve muovesse un
passo.
Erano passi
incerti e sembrarono girare sul posto senza un vero ritmo.
«Oddio,
non credo di essere proprio capace...» mormorò
Steve arrossendo.
«No,
va bene.» Lo
rassicurò perché non le importava nulla dei
passi, o di
altro. Se anche fossero rimasti con i piedi piantati al suolo sarebbe
comunque stato il suo ballo, il loro
ballo.
Linn
abbassò lo sguardo
e poggiò il capo contro il suo petto, contro il battito del
suo
cuore, sentendo le dita della mano strette nelle sue.
L'uomo
continuava a cantare, le note dolci continuarono a suonare.
«Ha
perso il suo amore...» sospirò ascoltando le
parole. «È triste.»
«Già...
È
stata Pepper a regalarmi quel disco.» Alzò il viso
per
guardare quello di Steve. «Ho sentito la prima volta questa
canzone in un film; allora era cantata da una donna. Poi Pepper mi fece
ascoltare questa versione. Mi piacque molto... Io non potevo conoscerla
perché quando fu registrata ero...» Un sorriso
amaro.
«Dormivo. Così dicono, che ho dormito per 70
anni.»
Nelle iridi
chiare di Steve,
Linn vide la carezza della tristezza e della nostalgia, forse; vide i
ritratti privi di colore e i sorrisi di Bucky e della bella donna al
suo fianco, delle sue labbra intense.
Fece
scivolare il palmo dalla sua spalla al suo viso. Lo
accarezzò con dolcezza.
«E
cosa sognavi, Steve?» gli chiese. «Cosa hai sognato
in quel lungo sonno?»
Steve la
osservò con un'espressione malinconica.
«Di
ballare» rispose. «Sognavo di ballare.»
C'era
profumo di solitudine nella sua voce, c'erano ombre di rimpianti nei
suoi occhi.
Si
sentì triste.
«Con
chi sognavi di ballare?» Eppure temeva di conoscere la
risposta.
Steve
restò in silenzio per alcuni secondi e poi sorrise.
«Con
la ragazza
giusta.» E quel sorriso sembrò lavare via la sua
tristezza, eppure lasciò comunque una patina di salato.
Si sporse
in avanti e lo
baciò chiudendo gli occhi, lasciandosi stringere nel suo
abbraccio, avvolti solo dal calore di quei suoni che divenivano sempre
più lontani.
Linn gli
circondò le spalle con le braccia con il battito sempre
più forte, e il respiro sempre più corto.
Quando
ritrovò gli
occhi di Steve si chiese se anche i suoi erano così lucidi,
si
chiese se anche il cuore di Steve stesse cavalcando impazzito, se anche
le sue mani tremassero.
Quelle di
Linn tremarono
mentre le faceva scivolare via dalle sue spalle, mentre raggiungeva la
maglia e se la sfilava gettandola a terra. I capelli le ricaddero
morbidi sulle spalle ora nude.
Steve la
guardava silente ma la sua gola sussultò.
«Linn...»
Fu un debole respiro.
Lei non era
in grado di dire
nulla. Voleva solo che lui la stringesse ancora, che nascondesse con il
corpo i brividi che stavano coprendo il suo.
«Abbracciami,
Steve» sospirò debolmente.
Le dita di
Steve gli sfiorarono la schiena e lei sentì il respiro
smorzarsi sempre più.
Dolcemente,
scivolarono sulla
sua pelle fino ad arrivare alla stoffa del piccolo corpetto che Natasha
le aveva dato affinché coprisse i seni.
Steve ne
seguì la sottile stringa su una spalla e la fece poi cadere
lentamente.
«Forse...
Non dovrei,
non dovremmo...» Ma la voce di Steve si spezzava, mentre la
sua
era ancora incastrata nella gola.
«Io
lo voglio... E tu, Steve?» Fu tutto ciò che
riuscì a dire.
Nella sua
mente non
pensò a quanto fosse sconveniente lasciarsi andare fra le
braccia di un uomo conosciuto appena qualche giorno prima,
perché Linn sapeva che in tutta la sua vita non aveva mai
incontrato nessuno come Steve, e mai lo avrebbe più
rincontrato.
Sapeva che quando sarebbe tornata su Asgard avrebbe portato per sempre
nel cuore il suo viso e suoi occhi, la sua gentilezza e la
sua
dolcezza; e quel cuore gli sarebbe appartenuto e nessun altro lo
avrebbe potuto reclamare.
Voleva
essere sua anche una sola volta e poi non avrebbe permesso
più a nessuno di averla.
«Non
ti biasimerò
se riterrai il mio comportamento disdicevole»
sospirò
sulla sua bocca. «Ma se in questo momento mi è
concesso
esprimere una sola volontà, allora è quella di
poter
restare fra le tue braccia.» Il suo respiro era caldo contro
le
labbra.
Tienimi
qui, con te, per sempre... Mio capitano.
Il silenzio
di cui si vestì Steve la fece sorridere nervosamente.
«Sono
troppo sfacciata?» La sua domanda fece sorridere anche lui.
«No...»
Era un
suono roco che e provocò un altro brivido. «E che
io...» Le accarezzò il viso con il dorso delle
dita,
bagnandosi le labbra e sorridendole di nuovo.
Un'altra
risata nervosa, un altro batticuore. «Tu cosa?»
La gola di
Steve sussultò.
«Io
credo di non avere voluto altro dal primo momento, Linn...»
Avrebbe
voluto piangere e
piangere ancora, e affondare il viso umido fra le sue braccia. Ma non
lasciò andare una sola lacrima, lasciò solo che
le loro
labbra si trovassero di nuovo, lasciò che Steve
l'accarezzasse e
la stringesse forte, lasciò che le gambe si avvolgessero
attorno
al suo corpo mentre le braccia di Steve la sollevavano con dolce forza.
Nel
silenzio dei loro baci, solo la musica che diveniva sempre
più distante mentre varcavano la soglia della sua camera.
Poi la
sensazione delle
lenzuola fresche contro la sua schiena nuda, la maglia candida di Steve
che cadeva a terra, il suo corpo perfetto sotto i suoi occhi, sotto le
sue mani.
Quella
gentilezza con cui
l'aveva conquistata, Steve la infuse in ogni singolo gesto con cui la
spogliò delle vesti, in ogni carezza che le donò,
in ogni
bacio con cui la fece tremare.
«Steve...»
Solo un
nome sulle sue labbra. Affondò le dita fra i suoi capelli e
strinse le lenzuola con l'altra mano. Il respiro affannato di Steve le
scaldò il collo e poi i suoi occhi sciolti si specchiarono
nei
suoi.
Ed era
bello come nessun'altra
creatura su cui Linn avesse posato lo sguardo, e quella bellezza
sembrava avvolgere e possedere anche lei, con lo stesso impeto e la
stessa intensità con cui Steve stava possedendo il suo corpo.
«Linn...»
Il cuore
sarebbe potuto esplodere in mille schegge, tanto forte batteva.
*
Erano stesi
di fianco, viso contro viso, respiro su respiro.
Un lenzuolo
a coprire i loro
corpi nudi e la luce invadente del giorno a filtrare dalle finestre.
Loki aveva chiuso le tende eppure sapeva che era stato inutile.
Non era il
sole a voler tener lontano, era un altro oro quello che voleva accecare.
Sigyn
schiuse le labbra ma non lasciò andare una sola parola.
Loki
sospirò e
accarezzò con gli occhi ogni dettaglio del suo volto, quasi
avesse voluto contare una per una ogni piccola lentiggine che pioveva
sul suo naso. Ritrovò l'azzurro del suo sguardo e avrebbe
voluto
sorridere.
Se lo
avesse fatto, Sigyn non avrebbe risposto a quel sorriso.
Si
avvicinò soltanto e la baciò ancora, con dolcezza.
Poi
tornò a poggiare la guancia contro il cuscino.
Sigyn
continuava a osservarlo, in silenzio, bagnandosi appena le labbra con
la punta della lingua.
Poi gli
accarezzò il viso, gli spostò qualche capello
dalla fronte.
Le sue
labbra avrebbero voluto sorridere di nuovo sotto i suoi gesti e di
nuovo Loki si negò quel sorriso.
Sentiva le
caviglie
intrecciare le sue, il calore del suo corpo confondersi con il proprio,
i suoi capelli, sparsi sul cuscino, scivolare nel nero delle sue
ciocche umide.
Quando la
carezza di Sigyn sfiorò le sue labbra, Loki prese quella
mano fra le proprie e la baciò.
Baciò
i polpastrelli, le nocche, il dorso, il palmo.
Donò
un bacio a ogni lembo di pelle e poi sospirò chiudendo gli
occhi e tenendo quella mano contro la bocca.
Sigyn la
fece scivolare via e gli accarezzò ancora il viso, i
capelli, la nuca.
Nel buio
delle sue palpebre,
Loki sentì un bacio sulla fronte e si sporse in avanti per
posare le labbra contro il suo collo.
Poggiò
poi il capo sul
suo seno e Sigyn gli accarezzò ancora i capelli, con gesti
lenti
e delicati. Con dolcezza, con tenerezza, con una vecchia e dimenticata
gentilezza.
Loki
lasciò andare ancora un sospiro, stringendosi al suo corpo e
abbandonandosi al cullare delle sue carezze.
Non ci
furono parole. Non ce
ne furono neanche quando riaprì le palpebre, neanche quando
sollevò il viso e la guardò con desiderio,
neanche quando
le baciò le labbra e fece scorrere con fame le mani sul suo
corpo, neanche quando fecero l'amore ancora una volta.
E poi
ancora una, e nessuno dei due disse una sola parola.
Ogni volta
che Sigyn gemeva,
Loki gemeva più forte, ogni volta che lei lo baciava, lui la
baciava con più passione; ogni volta che raggiungeva il
piacere,
Loki sentiva di morire nel suo.
Quando
calò il sole e
l'arancio del crepuscolo sembrò scaldare ogni ombra della
stanza, erano ancora in quel letto, vicini e nudi, a guardarsi in
silenzio.
«Io-»
«Shhh...»
Sigyn
gli poggiò con poca delicatezza le dita sulle labbra
impedendogli di continuare. «Non dirlo
più.» Un
sorriso stanco. «Finirò per crederci.»
Sorrise a
sua volta e baciò ancora quelle dita.
«E
cosa vuoi che dica?» Le chiese con un fiato appena udibile.
«Devi
obbligatoriamente parlare, lingua d'argento?» Gli chiese di
rimando e lui sorrise di nuovo.
Ancora un
bacio, ancora un abbraccio. Il fruscio delle lenzuola, il calore della
sua pelle sotto le sue mani.
Le parole
avrebbero atteso
l'alba. Le domande avrebbero atteso, la realtà stessa
avrebbe
atteso e dormito fino al sorgere del nuovo giorno.
E
così trascorse quella
notte, fra baci e carezze, fra respiri caldi e brividi e sudore, fra
parole inghiottite e gemiti lasciati salire senza pudori.
Trascorse
la notte e venne l'alba, dorata e invadente.
Sigyn era
ancora fra le sue
braccia, addormentata, con il capo contro il suo petto e le dita della
mano legate alle sue, con le labbra socchiuse e il respiro calmo.
Sigyn era
ancora fra le sue
braccia quando Loki aprì gli occhi e guardò, al
di
là della piccola balconata, il cielo del primo mattino che
perdeva il suo oro. Guardò la volta che dall'azzurro sfumava
nel
grigio, guardò lo sbattere di ali di corvo e udì
il suo
verso stridulo. Poi un altro e ancora uno.
Sigyn era
ancora fra le sue braccia quando Huginn volò via dal
davanzale.
Prese un
profondo respiro.
Ci siamo,
pensò.
Le
accarezzò il viso e le spostò i capelli che le
coprivano la fronte.
Un bacio su
una bocca addormentata.
«Svegliati.»
Un
brontolio, un battito di ciglia, due occhi azzurri a perdersi assonnati
nei suoi. «Vestiti. È ora.»
Sigyn
sollevò il capo strofinandosi un occhio con il dorso della
mano.
«Ora?...»
Uno sbadiglio. «Ora per cosa?» Ancora uno.
Huginn
urlò nuovamente.
Stavolta
anche Sigyn lo sentì e si voltò immediatamente
verso il vetro.
Cadde una
piuma.
È
ora di tornare a casa.
***
NdA.
Ci siamo: Asgard is coming...
Steve e Linn hanno finalmente consumato, e io ho potuto soddisfare la
mia fantasia di uno Steve che balla romanticamente sotto le note di una
vecchia canzone ❤
Capitolo un po' più sentimentale; dal prossimo avremo invece
un
pochino più di dinamicità nella storia. Promesso
u///u
Piccole note informative:
1. Freyja, così come tutti gli abitanti di Vanaheim -
incluso
Styrkárr -, hanno lineamenti orientali e colori bruni. Ho
preferito questa scelta al più popolare “tutti gli
dèi sono biondi”, cuz it's boring...
(E poi sognavo di avere Gong Li nel mio cast virtuale ~w~)
2. Il disco che suona il nostro capitano è “Smoke
gets in your eyes”. La canzone ballata è
la celeberrima cover dei Platters,
mentre la versione a cui fa riferimento Steve è quella
cantata da Irene Dunne
nel film “Roberta”.
Detto questo, grazie a chiunque abbia dedicato il suo tempo per leggere.
Spero di non avervi annoiato troppo ^^
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 22 *** Senza appello ***
cap22
L' ultima lacrima
XXII.
Si
avvicinò a piedi nudi al vetro della balconata. In strada,
la
gente non sembrava aver badato troppo alla nube buia che stava coprendo
il cielo.
Huginn
volteggiava a pochi
metri dalla sua visuale. All'ennesimo grido animale, il chiarore
accecante squarciò le nuvole per irradiarsi sull'asfalto
delle
strade di Midgard.
Fu
immediato caos.
Sigyn prese
un profondo respiro e chiuse la tenda.
«Anche
loro
arriveranno presto» sentenziò Loki alle sue
spalle. Si era
rivestito, così come anche lei aveva indossato velocemente
una
maglia e un paio di pantaloni.
Annuì
silente.
Sì,
anche loro sarebbero arrivati, anche i suoi compagni Vendicatori.
«Andiamo»
comandò raggiungendo la porta della camera e poi quella di
casa. La mano rimase ferma sul pomello per qualche attimo, gli
occhi fissi sul metallo freddo.
«Qualsiasi
cosa
accada,» sospirò Loki quando la raggiunse.
«Non
mostrargli quanto male faccia.» Il verde intenso dei suoi
occhi.
«Mai. Non mostrarglielo mai.»
Un cenno
del capo, ancora uno sguardo e la porta si aprì.
*
Percorse
con lo sguardo il
profilo del suo naso, poi delle sue labbra schiuse. Si fermò
a
osservare il nero delle ciglia; i suoi begli occhi azzurri,
però, gli erano celati.
Steve
poggiò il mento nel palmo della mano sostenendosi sul gomito
mentre guardava Linn dormire.
Il sole le
splendeva sui capelli color rame e sulla pelle chiara.
Avrebbe
potuto trascorrere il resto della mattina a guardarla dormire, il resto
del giorno.
Il resto della vita.
Fu un
pensiero dolce e terrificante, un pensiero che gli fece abbandonare un
lungo sospiro.
Avevano
ballato sotto le note
della sua musica, e poi avevano fatto l'amore dolcemente, stretti fra
le lenzuola. Linn aveva sorriso e aveva pianto, aveva sospirato di non
lasciarla andare, e Steve aveva chiesto a lei di non smettere mai di
dire il suo nome: sulle sue labbra suonava come qualcosa di prezioso,
di importante.
Steve, fra
le braccia di Linn,
si sentiva importante come non era mai stato davvero, neanche quando
quel siero lo aveva reso unico e inimitabile, un capolavoro di scienza
e di chimica.
“Tu non hai visto come guarda te.”
Le parole
di Natasha erano risuonate nella sua testa più volte.
Era stato
diffidente sulle
prime, perché benché conscio dell'interesse di
Linn nei
suoi confronti, non credeva davvero che fosse qualcosa di
così
intenso, eppure negli occhi sciolti di Linn, Steve aveva visto cosa
davvero volevano dire quelle parole e pregò che anche Linn
riuscisse a sentire cosa volessero dire i suoi sguardi, le sue carezze,
i suoi baci.
Perché
con la voce non
era riuscito a dirlo, perché il grande Captain America aveva
paura di qualche semplice parola, perché non c'era scudo
né addestramento che difendesse o preparasse davvero il suo
cuore a ciò che stava vivendo.
Come una
granata a cui era stata rimossa la spoletta: pronta a esplodere senza
più ritorno.
Si
sentì così
stupido a dover ricorrere per l'ennesima volta a metafore militari, ma
sembrava che la sua vita fosse sempre una continua guerra. C'era sempre
un campo di battaglia, c'era sempre qualcuno da difendere e un nemico
da abbattere. Il nemico, stavolta, era il più coriaceo di
tutti:
la paura.
Aveva paura
di numerose cose,
Steve, aveva paura di ciò che stava accadendo a Thor, di
ciò che stava accadendo alla loro squadra, di ciò
che
sarebbe accaduto di lì in avanti con Fury e con il resto
dello
S.H.I.E.L.D., paura di cosa significasse quel batticuore che
imperversò nel suo petto quando Linn aprì gli
occhi e lo
guardò, quando gli sorrise e gli sfiorò il viso
con le
dita.
«Buongiorno.»
Le
posò un bacio sulle labbra e le donò un sorriso a
sua volta.
«È
l'alba?» gli chiese e lui annuì.
«Da
un paio di
ore» rispose stendendosi poi al suo fianco e lasciando che le
dita di Linn scivolassero delicatamente fra i suoi capelli.
«È
l'alba...» sospirò ancora Linn con voce dolce.
«E sei ancora qui.»
«Dove
dovrei essere?»
Linn non
rispose ma il suo sorriso sembrò spegnersi lentamente.
Non vorrei essere in nessun
altro luogo a parte qui, Linn.
Le parole
rimasero incastrate nella gola.
Sapeva che
Linn aveva bisogno
di sentirle, che aveva bisogno che le dicesse che andava tutto bene,
che non aveva motivo di sentirsi colpevole di nulla, ché lei
non
aveva nessuna colpa, che forse non le aveva neanche Thor ma che lui era
troppo orgoglioso e ferito per ammetterlo a voce alta.
Rimase in
silenzio, a guardarla, a lasciare che le loro labbra mute si trovassero
ancora.
La strinse,
la baciò,
l'accarezzò con desiderio. E Linn sembrava così
fragile
fra le sue braccia, e Steve sapeva quanto invece in realtà
non
lo fosse, quanta forza aveva e forse neanche ne era conscia.
Il lenzuolo
cadde via dalla
sua schiena mentre scivolava su di lei. I ricci sparsi sul cuscino, il
calore del suo corpo ad accoglierlo.
Intrecciò
le dita fra le sue e la baciò, ingoiò ogni suo
gemito e ogni suo sospiro.
«Mio
capitano...»
Ogni volta
che lo ansimava era un battito furente nel petto.
Avrebbe
voluto impedire a
chiunque altro di chiamarlo più così, voleva
udirlo solo
dalla sua voce, voleva che solo Linn potesse chiamarlo
“capitano”. Suo, il suo capitano.
*
Le urla dei
terrestri erano come al solito irritanti, ma ormai Loki aveva fatto
l'orecchio a quei suoni fastidiosi.
Le auto si
fermarono a pochi
metri dai quattro uomini che stavano in piedi al centro della strada.
Armature d'oro con gli stemmi di Asgard; spade al fianco e lunghi
mantelli alle spalle.
Guardò
Sigyn accanto a lui, la sua espressione sicura e priva di cedimenti:
una splendida maschera.
Scese i
pochi gradini per
raggiungere i soldati. Nessuno dei quattro parlò, nessuno
mostrò un solo istinto di fare o dire nulla.
Furono
ormai prossimi a
toccare il simbolo impresso come un marchio nel cemento della strada,
quando la prima guardia fece un passo avanti: fra le mani stringeva una
pergamena che gli porse.
Loki
studiò ancora gli occhi azzurri del soldato prima di
prendere il documento.
Ruppe il
sigillo laccato di rosso e lesse velocemente le parole.
Un sorriso
indovinato si dipinse sul suo viso.
Era un
semplice e breve ordine
di seguire le guardie fino ad Asgard, dove il Grande Padre aveva
intenzione di riceverli. Anche se non c'era scritto chiaramente, le
parole “arresto” e “processo”
trapelavano da
ogni singola riga.
«Cosa
dice?» gli chiese Sigyn con un filo di voce appena udibile.
«Nulla
che non sapessimo
già» rispose richiudendo la pergamena e porgendola
di
nuovo alla guardia. «Sono qui per scortarci a casa...
Abbiamo risparmiato un viaggio a Parigi.» Quando il soldato
l'afferrò la porse a sua volta al giovane in armatura alla
sua
destra.
Con la coda
dell'occhio, Loki vide le mani dell'altra guardia impegnate ad aprire
la serratura di un paio di pesanti manette.
Odino non
si smentiva mai. Per lo meno aveva avuto la decenza di evitargli quel
dannato muso metallico.
Allungò
annoiato i polsi, ma la guardia lo ignorò andando verso
Sigyn.
«Cosa...?»
Un
pallido dubbio attraversò gli occhi di lei mentre passavano
con
lo sguardo dal ferro che le stavano porgendo al viso della guardia, e
poi ancora a quello di Loki. «Abbiamo intenzione di seguirvi
senza opporre alcuna resistenza. Esigo di conoscere il motivo di queste
catene.» Era un ordine. La guardia non obbedì e
solo in
quel momento Loki capì. «Rispondetemi!»
comandò ancora Sigyn.
«Non
possono
farlo» sentenziò con un sorriso sbilenco.
«Ha
mozzato loro la lingua in modo che non potessero riportare al di fuori
delle mura del palazzo ciò che sta per succedere.»
La gola
della guardia ebbe un impercettibile sussulto che fece allargare il
ghigno sul suo viso. «Una prova di vera fedeltà
alla
corona.»
«Padre
non può
averlo fatto davvero...» E quando Sigyn usò
quell'appellativo per riferirsi a Odino, la gola della guardia
sussultò ancora.
«Indossale.»
Le
suggerì mentre, dalle spalle del portavoce, la quarta
guardia
mostrava un secondo paio di catene. «Facciamo in
fretta.»
Loki lasciò che gli venissero chiuse attorno ai polsi e a
quel
punto, benché riluttante, Sigyn lo seguì, e il
soldato
fece scattare i ferri attorno alla sua carne.
Gli sguardi
dei midgardiani
avevano seguito attoniti la scena e alcuni coraggiosi - o stupidi -
avevano anche ripreso il tutto tramite i loro sciocchi telefoni.
Il rombo di
un elicottero, intanto, si avvicinava sempre più.
Loki
guardò il cielo e
la struttura dello S.H.I.E.L.D. in lontananza. Scoprì gli
occhi
di Sigyn guardare la medesima direzione per poi voltarsi a incrociare i
suoi.
Le sorrise
e disse: «Ricorda ciò che ti ho detto».
Sigyn non
riuscì a riflettere il suo sorriso.
«Quando
giungeremo dinanzi a lui, lascia parlare me.» Gli
intimò.
«Come
preferisci.»
Sapeva che
non avrebbe cambiato nulla, che il giudizio di Odino sarebbe rimasto il
medesimo.
Il pensiero
volò al volto di sua madre, per un solo breve istante.
Lo
scacciò via.
Huginn si
posò dinanzi ai loro piedi e poi gracchiò forte.
Heimdall
aveva udito la sua chiamata: il Bifrost fu aperto.
*
Quando
aprì gli occhi,
Bruce sentì la testa far male. No, girare vorticosamente,
anzi,
ancora peggio: la sentì implodere.
Si
passò le dita sugli occhi, per contrastare la luce del sole,
e poi sulla fronte.
Sentiva un
peso sul petto. Alzò il capo e vide una massa confusa di
capelli neri.
Si
guardò attorno: era alla Stark Tower, sul divano, con Tony
che sbavava sulla sua camicia.
«Tony?»
lo chiamò con voce impastata premendo ancora due dita sugli
occhi.
«Ancora
due minuti,
Pep...» brontolò Tony sistemandosi meglio sul suo
petto.
Bruce provò a spostarlo e colpì con il piede una
bottiglia di vetro a terra. Si accorse solo a quel punto delle altre
quattro che le facevano compagnia.
Avevano
bevuto un po', un po' troppo. Avevano parlato un po', un po' troppo.
Ricordava
anche che Tony aveva
pianto, o forse riso o chissà cos'altro, e poi erano finiti
a
guardare delle repliche di un programma con tante bionde e Tony aveva
iniziato a inveire per l'ennesima volta contro Sigyn usando epiteti
poco carini...
«Tony?
Svegliati.»
Gli scosse una spalla per fargli allentare la presa, dal momento che si
trovava con le sue braccia attorno al busto e la sua testa che ancora
gli comprimeva lo sterno.
«Mh...
tesoro, solo due minuti.»
Sbuffò
reclinando la
testa contro lo schienale e decise che prima che fosse Hulk a far
scendere poco carinamente Tony dalla sua pancia, ci avrebbe pensato
Bruce a sistemare la cosa.
Allungò
una mano e
raccolse la bottiglia da terra che ancora conteneva del liquido e,
semplicemente, la svuotò sulla sua testa.
«Alle
scialuppe!»
urlò Tony sollevando immediatamente la testa.
Impiegò
circa due secondi e mezzo per riprendersi. Bruce lo guardò
con
un'espressione annoiata ripoggiando a terra il vetro.
«Bruce?»
I suoi
capelli grondavano whisky e così anche la barba sul mento.
«Sì,
sono io, e
tranquillizzati: non stiamo affondando...» sospirò
potendo
finalmente alzarsi da quel divano. Aveva la schiena a pezzi e la testa
pulsò maledettamente quando si mise in piedi.
Tony era
ancora inginocchiato sul divano a passarsi le dita sulla testa per
liberarsi dal liquido.
«Bruce,
dimmi che questa roba gialla sul divano non è ciò
che penso.»
Sorrise
stancamente e scosse
il capo. «È solo whisky, come il resto di roba
gialla che
ti sta colando dalla testa e che ti sta corrodendo a poco a poco il
fegato.»
Tony
sbadigliò e si stiracchiò.
«Meno
male»
masticò mentre scendeva anche lui dal divano.
Calciò una
bottiglia che rotolò a terra, spargendo il suo residuo sul
pavimento, e mancando miracolosamente il tappeto.
Si diresse
poi verso il bancone.
«Ci
siamo divertiti
ieri, vero?» chiese retorico con un ghigno mentre preparava
del
caffè. «Un'altra epica Drunk Science Night.»[1]
Bruce
sbadigliò a sua volta allentandosi la camicia umida dalla
pelle.
«Non
c'era nulla di
“science” stavolta, e in ogni caso non lo definirei
divertimento» brontolò raccogliendo da terra
bicchieri e
bottiglie vuote e poggiandole sul tavolino ai piedi del divano.
«Andiamo,
Doc, fare sesso con me non è stato divertente?»
«Che-?»
Bruce
colpì il bordo del tavolo con uno stinco, la bottiglia di
rum
gli cadde dalle mani e si riversò sul tappeto.
Tony rise.
«Scherzo.
Dovrei essere
molto più che ubriaco per finire a letto con te. Dovrei
essere,
che ne so, posseduto, o lobotomizzato... O peggio ancora: dovrei essere
un asgardiano. Hanno quest'usanza di andare a letto con chiunque. Non
trovi?»
Bruce
sospirò guardando la sua espressione strafottente.
«Vuoi
aiutarmi a sistemare o preferisci stare lì a sparare
giudizi? Pepper potrebbe tornare a momenti.»
Ma Tony
sembrò non
ascoltarlo. Afferrò qualcosa da un vassoio tirato fuori da
un
mobile - potevano essere biscotti, o caviale, per quello che riusciva a
capire in quel post sbronza - e si gettò nuovamente sul
divano,
incurante della stoffa bagnata.
«A
quest'ora saranno in qualche stanza a darci dentro, sex toys
compresi.»
«Oddio,
Tony! Per
favore...» mormorò sentendo un senso acido salire
dallo
stomaco, dovuto sia all'alcol che a tutti i pensieri che avevano
investito la sua mente, soprattutto al pensiero di Jane.
Chissà
se era ancora con Pepper. Chissà come stava,
chissà come
sarebbe stata.
«E
staranno ridendo di noi, poveri ingenui terrestri che abbiamo creduto a
ogni loro cazzata.»
Bruce
abbassò il capo e
lasciò cadere sul tavolo l'ultimo bicchiere. Si
accomodò
accanto a Tony guardandolo con la coda dell'occhio.
«Lo
sai che non è
così» disse. Tony alzò le spalle e
mangiò
ancora qualcosa, Bruce vide che erano biscotti. «Ovunque sia
adesso, Thor sta solo cercando un modo per sistemare le cose.»
«Oh,
come no, e magari la soluzione è nelle mutande di Loki.
Perché non ci abbiamo pensato prima?!»
«Vuoi
piantarla?! Quello
che è accaduto, è accaduto tanto tempo fa. Se
Loki
è rimasto fermo in quella storia, ciò non toglie
che Thor
sia andato avanti.»
Tony lo
guardò con un'espressione spaventosamente seria.
«Bruce,
io ho visto i
filmati di quando Loki è stato qui. Ho visto i filmati di
quando
lei è stata in quella stanza. Ho ascoltato il modo con cui
Loki
mi ha parlato e con cui Sigyn non l'ha fatto.»
Deglutì
sotto la sicurezza di quelle parole e Tony scosse il capo con un
sorriso rassegnato. «Non è cambiato niente da
quella
volta, credimi. Qualsiasi cosa sia accaduta, quei due ci sono ancora
dentro fino al collo.» Morse ancora un biscotto e si
alzò
per recuperare il caffè pronto. «Forse hai
frainteso le
mie riflessioni, Bruce, ma a me non interessa nulla di chi va a letto
con chi, del quando e del perché, ciò che mi
importa
è che noi finiamo per essere il tappeto sotto cui nascondere
la
polvere. Quei due hanno dei grossi problemi, entrambi, che andrebbero
risolti alla radice perciò, se posso dire la mia, sono ben
felice che se ne siano tornati nel loro bel pianeta pro-incest,
perché almeno abbiamo finito di fare gli spettatori paganti
del
loro ridicolo spettacolo.»
C'era tanta
amarezza nelle sue
parole, c'era tanta rabbia seppure ben celata dal sorriso e dal tono
canzonatorio. Bruce conosceva bene Tony da saper estrapolare la
verità da ogni singola parola.
«Non
è finito nulla» affermò mentre lo
guardava riempire due tazze.
«Per
me sì, e
anche per Steve, penso.» Tony lo raggiunse nuovamente
porgendogliene una e sedendosi sul bracciolo asciutto del divano.
Bruce
guardò il liquido nero e il suo debole riflesso.
«E
Linn? Lei non
è una spettatrice.» Linn era, suo malgrado, una
delle
interpreti di quello spettacolo che Tony aveva usato come metafora, e
Bruce era sempre più convinto che no, con la partenza di
Loki e
Sigyn non era finito proprio nulla, anzi, era tutto appena iniziato.
«Fury
c'è andato
pesante con lei. Rogers non gliela perdonerà»
sospirò Tony bevendo un sorso. «E per come la vedo
io, la
nostra Linn ha più motivi per restare qui a fare la
fidanzatina
di Cap piuttosto che tornare su Asgard e lucidare cessi per il resto
della sua lunga vita.»
Bruce non
rispose.
Guardò ancora il caffè caldo e poi ne
mandò
giù qualche sorso sentendolo scendere nella gola ustionante.
«E
noi che facciamo?» chiese poi.
«Che
dobbiamo fare?
Niente. Thor ha deciso di fare di testa sua e noi lo accontenteremo.
Vuole fare l'eroina che si allea con il nemico? Bene. Che si
arrangiasse da sola a trovare il suo martello e il suo corpo
addormentato. Non sono più fatti che ci
riguardano.»
«La
fai facile...»
Tony
finì il suo
caffè. «È facile, Bruce. È
maledettamente
facile. Tutto quello che dobbiamo fare è riprenderci le
nostre
vite, e tu hai anche l'occasione per farti avanti con la
Foster.»
Scosse il
capo.
«Smettila
di scherzare, Tony. Jane è di certo nella situazione
più ingrata di tutte e lo sai bene.»
«Quello
che so è
che Thor ha lasciato lei e noi su questo pianeta ed è andato
via
come un codardo, e sottolineo, codardo.»
«Non
è stato Thor a lasciarci...»
Tony
sbuffò incrociando
le braccia. «Piantala con questa storia della doppia
identità. Tu e Barton siete incredibili! È sempre
Thor,
è sempre lo stesso anche se ha quell'aspetto. Non cercate
una
giustificazione al suo comportamento perché non ce
n'è
nessuna.»
«E
tu non cercare a tutti i costi di dimenticare ciò che
abbiamo condiviso negli ultimi anni.»
Tony non
rispose e tornò a riempiersi la tazza.
Bruce lo
seguì
rispettando quel silenzio, poi aspettò che risollevasse lo
sguardo sul suo prima di riprendere parola.
«Le
persone ci possono
sorprendere in modi che non pensavamo possibili, e ci possono deludere,
anzi, lo fanno spesso e tu lo sai bene.» Bruce sapeva quanto
il
tradimento di Obadiah Stane avesse lasciato ripercussioni sulla
precaria fiducia che Tony riversava nelle persone, perché
non
sempre quando Tony beveva finiva a dire stupidaggini; alle volte apriva
quel piccolo angolo di cuore dove nascondeva ancora un bambino lasciato
solo per troppo tempo, un bambino che aveva inseguito un padre e che
non era mai riuscito a raggiungerlo, che aveva cercato quel padre in
modi e in persone diverse e ogni volta ne era uscito fuori sempre meno
integro.
Tony,
così come Bruce stesso, aveva forse cercato nei Vendicatori
un equilibrio, una casa dove sentirsi meno soli e meno diversi.
Ognuno di loro, dietro la facciata spavalda, dietro allo sguardo
glaciale, dietro ai modi da spia o da agente segreto, nascondeva
soltanto una profonda solitudine. Era qualcosa che non serviva dire,
che non c'era bisogno di tramutare in parole a voce alta; c'erano
sguardi, sorrisi, silenzi.
C'era
fiducia, e per Tony forse la fiducia era la cosa più
preziosa che potesse donare.
E Thor
l'aveva tradita.
Bruce non
poteva perciò fargli una colpa per quell'ostentata
strafottenza.
«Nick
non ha idea di dove cercarli, nessuno lo sa» affermo Tony.
«Lo
so, però dobbiamo essere ottimisti» rispose lui e
Tony gli donò un sorriso divertito.
«Già!
Magari
adesso riceveremo una chiamata da parte dello S.H.I.E.L.D. che ci
dirà che ci sono novità»
scherzò e Bruce
sorrise di riflesso.
«Qualcosa
del genere...»
Un attimo
dopo un breve sibilo risuonò nel soggiorno.
«Jarvis?»
chiamò Tony. «Che succede?»
«Signore, ho una chiamata dallo
S.H.I.E.L.D. da parte dell'agente Barton: dice che ci sono
novità.»
Bruce
guardò gli occhi
nocciola di Tony e provò ad aprire bocca ma Tony gli
puntò l'indice sulla faccia con espressione seria.
«Non.
Dire. Niente.»
Obbedì.
ஐஐஐ
Il
vorticare di colori sfumò e Sigyn sentì il cuore
fermarsi.
La cupola
dorata in alto, il cielo dalle mille stelle di Asgard sulla sua testa,
il palazzo che governava l'orizzonte.
Dinnanzi a
lei, si stagliava ora la figura di Heimdall e i suoi occhi di ambra.
Capì
a quel punto che
non sarebbe mai stata davvero pronta ad affrontare ciò che
la
stava aspettando. Se si sentiva schiacciare solo dal suo sguardo, come
poteva tenere quello di Odino? Quello di sua madre?
«Nessuna
fanfara per il
ritorno del principe perduto?» Udì la voce di
Loki. Sul
viso un sorriso sicuro. «Mi aspettavo che Odino allestisse
una
parata della vergogna per enfatizzare il mio cammino in
catene...»
La sua
insolenza che spesse
volte aveva mal tollerato, in quel momento le sembrò un
sostegno. E lo era anche la sua maschera, fragile e bella.
Avrebbe
voluto indossarne una anche lei, ma sul suo viso non avrebbe retto.
«Il
Padre degli
Dèi vi attende.» Furono le parole di Heimdall. Non
una
reazione attraversò il suo volto, non un giudizio parve
venir
fuori dal suo sguardo.
La guardia
alla sua destra la
strattonò per le catene quando non riprese lesta il passo,
fermatasi a guardare il viso dell'amico guardiano, con cui aveva
condiviso tanti silenzi e tanti pensieri. Tanti pensieri per Jane...
«Non
facciamolo attendere, allora» sospirò ancora
sfrontato Loki recuperando il suo sguardo.
“Non mostrargli quanto male
faccia. Mai.”
Nei suoi
occhi verdi le
sembrò di rileggere quel monito. Cercò di farlo
suo,
benché fosse difficile come lo era anche solo respirare
mentre
percorreva il lungo ponte di cristallo che li avrebbe portati ai
cancelli di Asgard.
Dopo poche
decine di metri,
vide iniziare a ergesi ai lati del passaggio un'ordinata fila di
soldati, armati di lancia, con lo sguardo severo che però
non
pareva essere destinato a loro.
«È
la Decima
Divisione» sentenziò con un sospiro. Aveva
riconosciuto
alcuni volti, alcuni giovani con cui aveva duellato all'arena tante
volte. «Non ha senso...»
La Decima
Divisione era una
delle compagnie dell'esercito più abili e prodi, composta
solo
dai migliori guerrieri di Asgard. Odino non avrebbe di certo schierato
una delle sue armate migliori per sorvegliare il loro arrivo. Erano
senza poteri, non erano una minaccia. Neanche Loki lo era.
Una
minaccia...
A quel
punto capì.
«Se
Odino è a
conoscenza di ciò che è accaduto su Midgard, non
deve
stupirti che abbia già organizzato l'esercito.»
Alzò
gli occhi sul viso
di Loki che sembrava aver perso un po' di superbia mentre si
avvicinavano sempre più ai cancelli.
Ma se Odino
sapeva di
Styrkárr perché non era intervenuto?
Perché aveva
atteso prima di permetter loro di far ritorno ad Asgard?
Eppure non
sembrava un rientro
voluto. Con quelle catene ai polsi, Sigyn capiva perfettamente che la
loro posizione era tristemente chiara: adesso erano criminali.
Loki
portava sulle sue spalle più di un reato ma adesso anche
lei, anche Thor, aveva la coscienza corrotta.
Per le
leggi di Asgard,
avevano commesso uno dei crimini più abietti. Davanti agli
occhi
dei loro genitori, avevano fatto anche peggio.
Cercò
di non pensare a
sua madre, a come si sarebbe sentita nello scorgere il suo sguardo,
eppure il grande portone era ormai prossimo.
Alzò
il viso verso le colonne d'oro che si avvicinavano e prese un profondo
respiro.
«Ho
un favore da
chiederti, Loki» iniziò. Lui la guardò
e le fece un
cenno del capo per invitarla a continuare. «Non aprire bocca.
In
nessun caso.»
Le rispose
con un sorriso che però si spense gradualmente quando
capì il vero significato di quella richiesta.
«Saprò
stare al mio posto... Come sempre.»
Avrebbe
voluto avere le mani libere per stringerle nelle sue, avrebbe voluto
sentirgli dire un fratello
che avesse ancora quel vecchio significato.
Il passo si
arrestò.
Le guardie
poste a difesa
della porta principale aprirono con solennità le due ante e
in
quel momento il rumore che produssero portò Sigyn a chiudere
gli
occhi per cercare nel buio delle palpebre ancora una briciola di forza.
Ne avrebbe
dovuta avere molta di più per non spezzarsi sotto l'unico
occhio di suo padre.
Quando
sollevò le palpebre guardò Loki che
però aveva il volto verso l'alto.
Lo
imitò ma scorse solo un balcone vuoto.
*
Frigga
aveva visto il Bifrost
aprirsi. Non le era permesso attendere all'Osservatorio, né
come
madre né come regina. Odino
era stato irremovibile. Odino si era chiuso in un assordante silenzio,
seduto sul suo seggio, con la sola compagnia di Huginn e Muninn
A nessun
altro era stato
concesso di restare nella sala del trono. Nessuno, a parte lei, avrebbe
potuto assistere a ciò che si sarebbe celebrato di
lì a
poco.
Salì
veloce i gradini che portavano alle sue camere, le uniche che davano
sulla facciata principale del palazzo.
Quando vide
da lontano i soldati, il suo cuore si strinse come fosse tenuto stretto
in una mano.
Scorse i
capelli corvini di Loki e le bionde ciocche di...
Si
portò una mano sulla bocca per soffocare un gemito.
Vestita in
semplici abiti
terrestri non sembrava neanche la bella fanciulla che aveva regalato
giorni di sole a quel figlio sempre in ombra.
Ma
più la distanza che
li divideva si affievoliva, più Frigga scopriva su quel viso
di
donna, l'espressione pensierosa di Thor, le sue domande, i suoi
pensieri che erano sempre viaggiati liberi in ogni sguardo e in ogni
parola.
Portò
la mano dalle labbra al suo petto, per governarlo e farlo tacere.
Aspettò
che la guardia
giungesse dinnanzi ai cancelli e si comandò di rientrare per
raggiungere suo marito nella sala. Ma due occhi verdi si accorsero di
lei e il suo cuore di madre non fu più capace di zittirsi.
Le sue
labbra si piegarono
impercettibilmente, ma quelle di Loki restarono una linea rigida. Se
anche quegli occhi azzurri l'avessero guardata, Frigga non avrebbe
saputo trattenere una sola lacrima.
Quel
pallido sorriso non
abbandonò la sua bocca neanche quando rientrò
nelle sue
camere, neanche quando fu costretta a ingoiare mille urla.
Si
vestì di coraggio e si avviò alla sala del trono.
*
Sif stava
bevendo un boccale
di birra quando la porta della taverna si spalancò con forza
e
un Fandral alquanto scompigliato vi entrò.
«Hai
le braghe aperte.
Datti un contegno...» brontolò Volstagg al suo
fianco
mentre ingurgitava dell'alcol. Sif studiò velocemente il
compagno di spada: i suoi capelli in disordine, la camicia sbottonata,
la casacca verde indossata distrattamente e sì, Volstagg
aveva
ragione, aveva di certo dimenticato anche di chiudere i calzoni che
teneva su con una mano.
«Scommetto
che il marito
è rientrato prima dalla sua battuta di caccia»
ipotizzò con un sorriso facendo ridere Volstagg.
«E
non sarebbe neanche la prima volta» aggiunse l'amico.
Bevve un
altro sorso di birra aspettando che Fandral si facesse spazio fra la
folla per raggiungerli.
«Non
crederete mai a quello che sto per dirvi!» esordì
poggiando un braccio sul bancone di legno.
«Sarà
difficile stupirci, amico mio, ma sono tutto orecchie»
mormorò ancora Volstagg.
Sif sorrise
attendendo il racconto di Fandral sull'ennesima avventura amorosa
finita in chissà quale modo assurdo.
«C'è
poco da scherzare. Stavo allegramente conversando
con una gentile donzella sull'altopiano di Roufort, quando il mio udito
è stato attratto da un distinto rumore di stivali.»
«Era
il marito?» chiese Volstagg. Sif rise ma Fandral
sembrò non trovare divertimento in quella battuta.
«Serietà,
Volstagg! E ascoltatemi.»
E
quell'espressione non era la solita di Fandral. C'era davvero della
preoccupazione nei suoi occhi. Stava accadendo qualcosa.
«Parla»
ordinò a quel punto Sif senza attendere troppo.
E Fandral
continuò:
«Il rumore di stivali a cui mi riferivo era il marciare di
uno
squadrone, nella fattispecie, della Decima Divisione.»
«Diretti
dove?» domandò accigliandosi Volstagg comprendendo
anche lui che la questione esulava dallo scherzo.
«Diretti
al ponte. Posizionati lungo gli argini. Non si sono mossi da
lì.»
Non aveva
senso: la Decima Divisione era una squadra da battaglia non da
sorveglianza.
«Perché
Odino ha inviato la Decima Divisione al ponte?» chiese
confusa.
Ma Fandral
soddisfò velocemente quella curiosità.
«La
cosa ha insospettito
anche me, per questo ho deciso di attendere affinché
giungesse
un dettaglio che potesse far chiarezza fra le mie domande, e dopo
neanche una clessidra, il Bifrost si è aperto.»
Prese una
pausa scuotendo il capo. «A quel punto la cosa ha assunto
più ragione: era la guardia reale che rientrava con due
prigionieri in catene.»
Sif
sentì il cuore galoppare.
«Chi?»
chiese.
«Loki.»
Scambiò
uno sguardo con Volstagg.
Thor doveva
essere finalmente
riuscito a fermare le follie di Loki. Era per questo che Odino aveva
schierato la Decima Divisione per sorvegliare il suo arrivo.
Però
mancava ancora un tassello.
«Chi
era il secondo
prigioniero, Fandral?» A quella domanda il compagno
sospirò sistemandosi distrattamente i capelli.
«È
questo quello che mi ha confuso di più... Era
Sigyn.»
«Sigyn?»
ruggì Volstagg. «Come può essere lei?
È
scomparsa da Asgard da quanto? Tre, quattrocento anni? Sicuro che non
l'hai confusa con qualcun altro?»
«Non
dimentico mai il
viso di una donna, Volstagg, e quello di Sigyn è rimasto
impresso con forza nella mia mente.»
«Come
il suo pugno...» mormorò Sif per spezzare il
flusso di pensieri che le stavano attraversando la testa.
Si era
chiesta molte volte che
fine avesse fatto quella fanciulla che le aveva chiesto di essere sua
allieva. Comparsa dal nulla e sparita nel medesimo modo. L'unica che
sembrava essere riuscita a tirar fuori qualcosa di diverso dalla
cattiveria in Loki. «Hogun è
ancora da Freyja?» chiese a quel punto.
Volstagg
annuì. «Voleva porgerle i suoi saluti. Ma credo
che a quest'ora abbia finito di inchinarsi.»
Abbandonò
il boccale sul tavolo e si alzò dallo sgabello di legno.
«Se
Loki è stato catturato forse anche Thor è
tornato» disse Fandral. Sif condivideva quel pensiero.
«Freyja
giunge ad Asgard
senza preavviso. Subito dopo Loki viene condotto a palazzo in catene e
con lui anche una donna che sembrava scomparsa secoli addietro senza
lasciare traccia. Non è una coincidenza.»
«Sif,
credi che ci sia un legame?»
«Potrebbe
esserci» affermò e guardò il viso dei
suoi compagni di armi.
«Allora
che stiamo
aspettando?» Volstagg saltò giù dalla
sua seduta
bevendo l'ultimo sorso di birra prima di frantumare il boccale a terra.
«Recuperiamo Hogun e scopriamo cosa sta tramando stavolta il
nostro caro principe perduto.»
Sif
assentì ed entrambi si avviarono alla porta.
«Ehi,
aspettate!» urlò alle loro spalle Fandral.
«Fatemi chiudere le braghe!»
«Non
crucciarti, tanto
hanno visto tutte lo stiletto che celi lì sotto.»
Lo
beffeggiò la guerriera accompagnata da una calda risata di
Volstagg.
*
Il fragore
delle catene era
insopportabile, il suono delle suole dei soldati che battevano
ritmicamente a terra sembrava picchiare violento nella sua testa. Il
silenzio delle parole era anche peggio.
Loki
camminava al suo fianco con la testa alta e lo sguardo sicuro.
Camminò
a testa alta anche lei, ma il suo sguardo, sapeva, tradiva ogni
emozione.
I corridoi
che aveva
attraversato infinite volte nella sua vita, sembravano d'un tratto
soffocanti, le pareti parevano chiudersi su loro stesse ed essere
prossime a inghiottirli.
Respirò
a fondo mentre voltavano l'ultimo angolo che li avrebbe condotti nella
sala del trono.
A quel
punto, arrestato il passo, vi era solo una porta a separarli dal suo
giudizio.
Guardò
gli intarsi sul legno, i rami d'oro che salivano alti, le fronde che
avrebbero dovuto rappresentare Yggdrasill.
L'equilibrio
dell'universo, il corso delle Ere deciso dalle Norne.
Tanto
dolore, tanta rabbia, tante lacrime, e solo perché
così era stato disegnato.
Aspettò
che le guardie
aprissero le porte ma non avvenne. Trascorsero minuti e poi altri
ancora e loro erano ancora lì davanti, fermi, in attesa.
«Che
succede?»
chiese dimenticando per un attimo l'impossibilità dei
soldati di
darle una risposta. Era più che certa non sarebbe comunque
giunta.
«Forse
si è
addormentato» sibilò Loki guardandola con un
sorriso
inopportuno. «Può capitare. Data
l'età...»
«Smettila.
Non
c'è niente su cui fare ironia.» Lo
rimproverò
guardandosi attorno, cercando di scorgere nei volti delle guardie
qualcosa, ma non fu facile leggere nulla in quelle espressioni rigorose.
«Ehilà?
C'è qualcuno?» chiese Loki a gran voce, con fare
sacrilego.
«Sta'
zitto!» gli intimò nuovamente senza
però riuscire a cancellare quel sorriso beffardo.
Sapeva era
solo il suo modo di
affrontare la cosa, e in parte invidiava la sua capacità di
essere così distaccato. Che poi fosse solo una finzione era
un
dato di fatto, però sembrava davvero capace di tener lontana
ogni inquietudine. Nella testa di Sigyn, invece, regnava il caos
più assoluto. Mille emozioni si accavallavano e combattevano
l'una con l'altra: vergogna, rabbia, preoccupazione e poi ancora
vergogna. Poi tornavano le immagini di quella notte, gli occhi di Loki,
le sue parole, le sue carezze, e il suo cuore si scaldava e quella
vergogna si scioglieva.
Tornavano i
suoi “mi sei mancata”, “ti
voglio”... “ti amo.”
Tutto era
sembrato giusto quella notte, come tutte quelle che si erano consumate
in quel palazzo secoli prima.
Era giusto.
«Magari
dovete bussare» suggerì Loki annoiato verso una
delle guardie che semplicemente lo ignorò. «Non credi anche tu
che dovrebbero bussare, Sigyn?»
A quel nome
lo guardò con l'ennesima inquietudine.
Non
riuscì neanche a richiamarlo ancora, sapeva non sarebbe
neppure servito.
Loki
lasciò andare un sospiro e si voltò a guardarla.
C'era ancora un pallido sorriso sulle sue labbra.
«Forse
se ti baciassi qui davanti...»
Si
sentì mancare.
«Smettila,
Loki.»
Lo minacciò con fermezza ma i suoi occhi saettarono sui
volti
delle guardie che li accompagnavano. Guardavano tutte dritte dinanzi a
loro, tutte verso quella porta che pareva non volersi aprire.
«Che
male ci
sarebbe?» Loki si avvicinò ancora.
«Sarebbe quella
che su Midgard chiamano “prova
schiacciante.”» Il suo
viso si faceva sempre più vicino, le sue labbra sempre
più calde e nessuno dei soldati pareva voler far nulla.
«“Nessuna clemenza, membri della corte. Date a
questi
scellerati il massimo della pena!”»
ridacchiò
scenico.
«Non
peggiorare la cosa...» sospirò sentendo il cuore
battere forte.
Loki
sorrise a un soffio dalla sua bocca.
«Definisci
“peggiorare”.»
«Loki...»
Un rumore
imponente quasi la fece sobbalzare.
«Visto?
Bastava solo
sollevare il chiavistello giusto.» Loki tornò a
guardare
davanti a sé mentre la porta si apriva lenta e inesorabile.
Il lungo
tappeto, le colonne
ai lati, le scale che salivano brevi ma maestose e lì, in
cima,
il trono su cui sedeva Odino.
Sigyn
sentì la bocca
farsi secca e le gambe tremare mentre camminavano verso quello che
pareva a tutti gli effetti un patibolo.
La figura
di suo padre si
ergeva come una statua, immobile e fredda. Il suo sguardo non
permetteva di percepire nulla che non fosse la pura
impassibilità.
Regolò
quanto possibile
il suo respiro sentendo, passo dopo passo, quel corpo divenire sempre
più difficile da vestire. Era una pelle che pareva bruciare,
e
quei vestiti terrestri non bastavano a coprirne la colpa.
Il suo
passo fu comunque
fermo, così come quello di Loki, ma quando scorse il viso di
sua
madre alla destra del trono lo sentì farsi incerto, lo
sentì rallentare e la guardia fu costretta a tirare le
catene
per farle riprendere la marcia.
Sul volto
di Frigga non c'era il gelo di Odino, ma neanche il sorriso che avrebbe
voluto vedere.
Come poteva
pretenderlo? Con
quale attenuante poteva chiedere a sua madre di donare comprensione
quanto era già tanto non leggere disprezzo?
Mandò
giù un
nodo abbandonando gli occhi azzurri della donna per portare lo sguardo
sul volto di Odino, quando giunsero finalmente ai piedi del trono.
Ci fu
silenzio. Le catene
smisero di far rumore. I passi cessarono. E, nel petto, Il cuore pareva
tuonare come le saette che un tempo aveva governato.
«Ebbene?»
Fu Loki a prender per primo la parola, ma lo sguardo di Odino, la sua
accusa, era tutta per lei.
Si
alzò dal seggio tenendosi alla sua Gungnir e prese a
scendere il primo dei gradini.
Ogni passo
era un colpo dritto al cuore.
Come aveva
immaginato, fu
arduo tenere lo sguardo incatenato al suo, ma un principe non poteva
abbassare il volto. Così era stato insegnato loro: un
principe
di Asgard affrontava anche la più crudele delle punizioni
con
coraggio e onore.
Le mani
quasi tremarono quando
Odino giunse all'ultimo piolo. Fu codardamente felice di avere i polsi
in catene, così almeno suo padre non li avrebbe visti
attraversati dai fremiti.
Il respiro
si congelò nella gola mentre le si avvicinava fino a
fermarsi di fronte a lei.
La
guardò a lungo, silente, senza alcun apparente sentimento.
I suoi
occhi invece erano divenuti una tormenta.
Prese un
respiro e con esso ancora una richiesta di coraggio.
«Padre-»
Lo schiaffo
risuonò per la sala vuota.
Fu violento
e brutale.
Si
ritrovò il viso
rivolto verso Loki. La guancia prese a bruciare furiosamente e il
sangue che fluì dal labbro le scivolò in bocca.
Negli occhi
di Loki scorse mille voci che però restarono sigillate. Le
aveva dato la sua parola e l'avrebbe mantenuta.
Leccò
via il sangue ignorando il dolore e tornò a guardare suo
padre, stavolta ingoiando ogni incertezza.
A quel
punto, l'unica gemma azzurra di Odino parlava come ancora non aveva
fatto la sua lingua.
«Padre?
Mi chiami “Padre”?»
Davanti al
suo tono ombroso si ritrovò a mandare giù ancora
un groppo ferroso.
«So
di aver
sbagliato...» affermò cercando di non farsi
tradire dalla
voce. «Accetterò ogni tuo giudizio, ma ti prego di
ascoltarmi. C'è un grave pericolo che minaccia la pace dei
regni
e-»
Stavolta
non fu uno schiaffo a interromperla, fu una debole risata. E fu anche
peggio.
Odino
scosse il capo con le labbra piegate in un gelido sorriso.
«Credi
che non sappia di
Styrkárr e del suo folle piano? Credi che avessi bisogno di
te
per decidere come comportarmi in merito?»
«Non
intendevo-»
«E
non c'è nulla che puoi intendere! Nulla!»
La sua voce
adesso era il ruggito di una fiera. E come tale la fece tremare.
Odino fece
un passo indietro e
si voltò a guardare Loki. Ma fu solo un fugace sguardo, poi
tornò nuovamente a trafiggerla con il suo giudizio.
«Se
lui è stato
una delusione, tu sei stato un completo fallimento, come erede, come
figlio... Perfino come uomo.» Quelle parole le fecero tremare
nuovamente le gambe, e Odino non aveva ancora terminato. «Vergogna
è un termine troppo gentile per descrivere di quale crimine
ti sei macchiato.»
«Sono
pronto a scontare qualunque pena.»
«Non
c'è pena che
potrei infliggerti che possa lavare via l'onta con cui hai macchiato il
nome della tua famiglia. Neanche la tua vita sarebbe un prezzo equo,
perché niente può ridare più onore e
dignità a questa casa!»
Sentì
gli occhi inumidirsi ma ricacciò ogni lacrima vigliacca.
«Allora
uccidimi mille
volte se ciò potrà servire ad alleviare il dolore
che ti
ho causato, padre... Che ho causato a entrambi.» Ma non ebbe
il
coraggio di cercare gli occhi di sua madre. Se li avesse visti umidi
avrebbe lasciato andare via anche quel poco di orgoglio che ancora
cercava ridicolmente di tenere in piedi.
«Ucciderti
ora non
avrebbe senso.» La voce di Odino si affievolì
mentre il
suo sguardo parve perdersi sui marmi del pavimento. «Avrei
dovuto
ucciderti allora, impedirti di vedere la luce. Avrei dovuto strapparti
dal ventre di tua madre con le mie mani. E che le Norne mi siano
testimoni, se avessi saputo di quale infamia si sarebbe macchiato mio
figlio lo avrei fatto senza esitazioni.» Sentì lo
stomaco
rivoltarsi davanti a quella affermazione. «Avrei preferito
che il
mio retaggio si fosse perso con la mia morte piuttosto che essere
spettatore del più grave dei tradimenti consumato dalla
carne
della mia carne.»
Sigyn non
aveva più
parole a cui reggersi, non aveva più niente che la
trattenesse
dal sentirsi morire sotto la rabbia di suo padre.
«Ho
chiamato folle
Laufey per ciò che vidi su quell'altare, in quella notte di
sangue. Ma adesso vorrei solo fosse vivo per chiedergli perdono per la
mia cecità.» Ed ora la sua rabbia era diretta
verso Loki,
e Sigyn vide il suo volto pallido sostenere a fatica la maschera che
aveva indossato dacché erano giunti ad Asgard. «Tu
saresti
dovuto morire su quell'ara di ghiaccio, e l'averti salvato mi ha
condannato... E con me Asgard.»
«Padre...»
Fu
l'unico debole fiato che lasciò le labbra ferite di Sigyn.
Ma
Odino non ascoltò né volle ascoltare oltre.
«Silenzio!»
ordinò. «Se conservate ancora un po' di rispetto
per la
donna che avete chiamato madre, vi invito a tacere, entrambi;
perché ogni vostro singolo respiro è un'offesa a
lei a
questa stessa casa.»
Sigyn non
fu più in
grado di tenere lo sguardo nel suo, non fu più in grado di
tenerlo in quello di Loki, non fu più in grado di tenere
nulla.
Chiuse gli
occhi e li
aprì solo verso il pavimento. Se non ci fu un pianto a
lavarlo
era solo perché le lacrime si erano pietrificate davanti
alle
parole di suo padre.
Avrebbe
ancora potuto chiamarlo tale, adesso?
Avrebbe
ancora potuto chiamarsi Odinson?
Avrebbe
ancora potuto chiamarla “casa”?
*
Lava.
Era lava
quella che stava
bruciando nelle sue vene. Loki avrebbe voluto solo farla esplodere e
con essa far esplodere la sua rabbia.
Avrebbe
voluto urlarle di alzare il viso e smetterla di dargli tutto quel
potere.
Avrebbe
voluto avere una lama da affondare in quell'unico occhio e completare
così il lavoro del suo vero padre.
Frigga lo
guardava dai piedi del trono, guardava entrambi, con il viso asciutto
eppure con mille lacrime invisibili a bagnarlo.
Frigga li
guardava e taceva
perché era così che avrebbe dovuto agire una
regina e
Loki no, non gliene faceva una colpa, perché a sua volta
stava
guardando Sigyn spezzarsi eppure taceva anch'egli.
Ma
conosceva quanto forte potesse essere il suo orgoglio, quanto stolto
potesse essere e l'amava tanto da rispettarlo.
Suo
fratello avrebbe preferito
sopportare ancora un'altra pioggia di veleno e rancore, piuttosto che
sentire giungere da lui una sola parola di difesa. L'avrebbe odiato.
Calpestare così la sua dignità era l'unica azione
per cui
Loki avrebbe ricevuto il suo odio.
Per questo
tacque, per questo
si morse la lingua e strinse i pugni fino ad affondare le unghie nei
palmi mentre guardava la guancia di Sigyn diventare sempre
più
rossa, le sue labbra sanguinare ancora e i suoi occhi color cielo
divenire più bui di un abisso.
«Nelle
segrete»
comandò Odino e la guardia afferrò con decisione
la
catena che legava i polsi di Sigyn. «Nelle segrete
comuni.»
Loki
dovette stringere la
mascella con più forza, perché Odino non aveva
ancora
smesso di punirla. Forse non aveva neanche iniziato, costringendola
nelle prigioni riservate ai più vili dei criminali, fra
ladri e
stupratori, fra truffatori e puttane.
«Odino?»
Udì la voce di Frigga, la voce di sua madre e anche gli
occhi di Sigyn si sollevarono.
Ma Odino
mise a tacere ogni altra parola con un solo sguardo.
«Nelle
segrete! Adesso! E che non venga permesso a nessuno di far visita a
questa donna.
Pena la fustigazione in pubblica piazza.»
La guardia
batté i
tacchi degli stivali e trascinò letteralmente Sigyn via. Con
essa andò anche la seconda guardia.
Riuscì
a scambiare con lei un solo sguardo prima che fosse condotta fuori
dalla sala.
Le porte si
chiusero e Loki sciolse l'anello che teneva la sua lingua.
«Con
lui
è stato facile. Con me dovrai impegnarti un po' di
più, Padre degli Dèi.»
Odino si
voltò a guardarlo e un sorriso si disegnò sulle
sue labbra stanche.
«Sei
vivo per un solo motivo, non attentare alla mia clemenza
perché quel motivo potrebbe diventare irrilevante, figlio.»
Sorrise a
sua volta.
«Hai
perso poco fa il tuo unico figlio e per mano tua... Ti ringrazio per
avermi permesso di assistere.»
«Loki...
Basta adesso.» Si voltò a guardare sua madre e
ogni foga si spense di fronte alla sua sofferenza.
«Hai
stretto alleanza
non con uno ma con due traditori, hai attaccato nuovamente le genti
pacifiche di Midgard e, ciò non bastasse, hai permesso a
Styrkárr di impadronirsi di Mjolnir. Basterebbe uno solo di
quei
crimini per condannarti alla forca.»
Odino
invece non mostrò
pietà per gli occhi lucidi di sua moglie, per la sua gola
che
sussultava a ogni parola, per le sue mani poggiate sul petto. E la
rabbia di Loki crebbe.
«Dimentichi
di
aggiungere ciò che hai visto in quella casa, ma crimine
più, crimine meno, sai cosa importa?! Scegli pure quello che
più ti aggrada e poi liberami dal fastidio di questa vita.
Hel
sarà di certo più piacevole del sopportare un
secondo di
più il tedio delle tue parole.»
«Sopporterai
questo
tedio per i prossimi secoli se avrò voglia di sprecarli con
te,
moccioso arrogante!» La lancia batté sul pavimento
di
pietra facendo vibrare l'aria stessa. «I tuoi intrighi devono
giungere alla fine, Loki. Hai fino all'alba per decidere se collaborare
o meno e alleggerire la colpa che grava sulle tue spalle. E ringrazia
Frigga se ti è stata concessa questa scelta.»
Trovò
ancora gli occhi di sua madre.
«Risparmiati
una notte
insonne: non avrai aiuto da me. Chiama pure il flagellatore ed
evitiamoci ulteriori perdite di tempo» sentenziò
con
determinazione ma Odino proruppe in una risata che celava in
verità tanta tristezza, e Loki era abbastanza avvezzo alle
maschere per poterne scorgerne i contorni su un qualsiasi volto, anche
su quello del Padre degli Déi.
«Se
chiamerò il flagellatore non sarà per
te.»
Sentì
i denti stridere gli uni sugli altri il respiro galoppare nei suoi
polmoni.
Guardò
ancora sua madre e poi Odino.
No, Frigga
non lo avrebbe
permesso, non avrebbe permesso che le fosse fatto del male, non adesso
che il corpo che conteneva il suo amato figlio aveva semplici e fragili
carni mortali.
«La
mia risposta è no» ribatté deciso.
«Non
tentarmi,
Loki.» Lo sguardo di Odino si fece pericolosamente denso, ma
era
un bluff. Doveva esserlo, e Loki lo avrebbe portato a scoprire le sue
carte.
«No»
ripeté e poi sorrise tronfio.
«Spiacente.»
Se Odino
voleva fare quel
gioco avrebbero giocato secondo le sue regole. Se era il suo aiuto per
fermare Styrkárr che voleva, avrebbe dovuto comprarlo a un
prezzo equo.
«Loki,
per favore.» Frigga fece qualche passo verso di lui.
«Non far vincere l'orgoglio.»
«Non
è un
consiglio che dovresti dare a me, mia regina.» Le rispose
celandole la sofferenza che provava nel doverle donare un tale
distacco.
«Risparmia
il fiato,
Frigga. Ha fatto la sua scelta, ma gli sarà comunque
concesso il
suo tempo per poterla rivedere.» Odino fece un cenno alle
guardie
che lo tenevano in custodia. «Alle celle. Il monito
è lo
stesso: nessuno porga visite senza il mio diretto permesso.»
«Non
credo ci sia la
fila per farmi visita» mormorò con beffa. Odino
rispose
con uno sguardo distante prima di tornare a sedersi sul suo trono,
poggiandosi alla sua lancia.
Era vecchio
e stanco, Odino, e Loki non provava altro che disprezzo per quell'uomo
che un tempo aveva solo voluto rendere fiero.
I soldati
stavano per portarlo via quando il Re parlò ancora.
«Mi
accusasti di
preferire Thor.» Si voltò e lo guardò
freddamente.
«Mi accusasti di considerarvi diversi e di avervi amato in
modo
diverso...» Se avesse guardato il volto di Frigga lo avrebbe
visto bagnato. Ma Loki tenne lo sguardo su quello di Odino, su
quell'unico occhio e sull'oro che copriva l'altro. «Ti
renderà felice sapere che mai come adesso, davanti al mio
cuore,
siete esattamente uguali.»
Non rispose
nulla, non una parola, non una battuta caustica.
Nulla.
Tornò
a dargli le spalle e seguì le guardie fino alla sua cella.
***
Note:
[1] La Drunk Science Night
è ispirata a questo
piccolo adorabile video.
Note Tecniche:
Dal momento che da questo capitolo la storia avrà una
divisione
più netta fra Asgard e Midgard, volevo chiedervi se vi
risulta
comprensibile il passaggio fra i due mondi come attualmente
è
segnalato, ossia tramite questo simbolo [ ஐஐஐ ] oppure sarebbe
più comoda una didascalia che riportasse per l'appunto
“Asgard” e “Midgard” (o
“Terra”) a
seconda dell'ambientazione.
Se vorrete darmi la vostra opinione in merito, come sempre,
sarò ben felice di ascoltarla ^^
Alla prossima.
Kiss kiss chiara
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Capitolo 23 *** Il castigo dei peccatori ***
cap23
L' ultima lacrima
XXIII.
Linn guardò in
silenzio Steve che si rivestiva velocemente.
«Qui sarai
al sicuro»
la rassicurò infilando una maglia e poi una giacca nera.
«Ti lascio il mio cellulare se ne dovessi aver bisogno, e
questo
è un taser. Non servirà ma voglio che tu lo abbia
comunque.» Le mostrò uno strano meccanismo che
produceva
un'intensa scossa elettrica capace di stordire chi ne veniva in
contatto. Ricordò il pomeriggio trascorso legata su quella
sedia, sotto l'occhio buio del generale Fury. Un brivido le
attraversò la pelle.
«Va
bene.» Lo raccolse senza mostrargli quanto la mettesse a
disagio impugnare un'arma simile.
Non erano
più nel letto
quando era giunta la chiamata dello S.H.I.E.L.D., la divisione per cui
prestava sevizio Steve. Erano seduti attorno a quel piccolo tavolo a
bere del caffè e mangiare qualche biscotto che Steve aveva
tirato fuori da una grande busta rumorosa.
Stavano sorridendo,
stavano
parlando, con le dita a sfiorarsi di tanto in tanto, e il vento che
attraversava la finestra ad accarezzare i loro corpi.
Stavano vivendo in un
limbo, lontani dalla realtà, quando quella realtà
aveva bussato e Steve aveva aperto.
C'era stato qualche
cambiamento, c'erano delle nuove che richiedevano la sua presenza.
Come soldato non
poteva che obbedire.
«So che non
dovrei chiedertelo, ma se ci fossero notizie su di loro gradirei
saperle. Di qualsiasi natura fossero.»
Strinse l'arma nella
mano e lo guardò raggiungere la porta.
«Va
bene» disse Steve. «Niente più
segreti.»
Per la voce era
un'affermazione, nei suoi occhi Linn lesse una domanda.
Annuì.
«Niente
più segreti» ripeté.
Il sorriso che le
regalò fu ancora più caldo di un bacio.
Poi chiuse la porta e
Linn
andò alla finestra aspettando di vederlo andare via. Steve
alzò il capo verso la sua finestra e le sorrise ancora.
Lo vide poi salire su
quello strano mezzo di trasporto chiamato moto, prima di perdersi nel
resto dei midgardiani.
«Fa'
attenzione...» sospirò contro il vetro quando di
Steve non restò che un puntino lontano.
*
Tony e Bruce erano
giunti
velocemente allo S.H.I.E.L.D.
Clint li stava aspettando
nell'atrio. Clint non aspettava mai nessuno nell'atrio.
«Che
succede?» chiese subito Tony.
Barton fece loro segno
di seguirlo all'ascensore. Le porte si chiusero e finalmente
parlò: «Non avete notato il fenomeno
atmosferico che ha colpito il cielo qualche ora fa?»
Tony e Bruce si
guardarono.
«Eravamo
piuttosto occupati a
essere ubriachi, comunque se ci dici di che stai parlando sarebbe tutto
più facile» sospirò massaggiandosi gli
occhi
stanchi.
«Il ponte
per Asgard è stato aperto.»
A quelle parole
guardò il compagno sbattendo le palpebre.
«Siete
sicuri?» chiese Bruce.
Clint annuì
mentre l'ascensore continuava la sua strada verso l'alto.
«Ci siamo
sbagliati: non erano su Asgard ma erano ancora qui, a due passi da
noi.»
Le porte si aprirono e
Clint
riprese il passo e il discorso: «Nick ha inviato
immediatamente
una squadra sul posto ma non siamo arrivati in tempo.»
Svoltarono
verso la sala. «Abbiamo però riprese nitide di
ciò
che è accaduto.»
Tony scorse la chioma
rossa di
Natasha intenta a guardare verso uno dei monitor. La
affiancò e
poté vedere le riprese di cui aveva parlato Clint: Loki e
Sigyn,
in abiti terrestri, e circondati da quattro strani individui vestiti
come dei cosplay medioevali cornuti.
Allora era un vizio
asgardiano inserire corni su ogni elmo.
«Il tutto
è accaduto a meno di dieci chilometri da qui.» Li
informò la Romanoff.
Tony
allargò l'inquadratura con un gesto della mano.
«Il che ci
porta a dire che
Loki ce l'ha fatta di nuovo» sospirò acidamente
portando gli occhi sulle loro mani.
«Erano qui vicino?»
chiese perplesso Bruce. «Come è possibile che i
sistemi
dello S.H.I.E.L.D. non li abbiano rintracciati?»
«Ormai non
ha più
importanza, Bruce» rispose Tony catturando un fermo immagine.
«Qualcun altro si è preso la briga di
arrestarli.»
Indicò le manette legate ai polsi di entrambi con un sospiro.
Così il
vecchio papà
Odino era venuto per sculacciare i suoi bambini cattivi. Tony non
poteva che provare una certa solidarietà per quel povero
uomo
che si era ritrovato fra le mani un simile casino, già non
bastasse lo stress di essere considerato a capo della più
barocca compagnia di déi che avesse mai creduto esistessero.
Sprofondò
le mani nelle
tasche saettando con gli occhi da quelle manette impresse nello schermo
al viso di Loki che non sembrava molto contento di ciò che
stava
accadendo.
Ben
ti sta!
Bruce, di fianco a
lui, si
sistemò gli occhiali sul naso scrutando silente la medesima
immagine. Clint sospirava piuttosto nervosamente e la Romanoff se ne
stava, braccia incrociate, a propinar loro la sua espressione da
compagna.
«Adesso
abbiamo la certezza
che non sono più un nostro problema»
affermò Tony
conquistando l'attenzione di tutti. «Direi che è
ora
di smontare la guardia e aspettare che un nuovo cattivo ci venga a
disturbare. Giusto?»
«No,
sbagliato.» La
voce di Nick saltò fuori dalla porta prima che il direttore
facesse il suo ingresso. A Tony non sfuggì il livido sullo
zigomo e il grosso taglio che attraversava il lobo destro della sua
testa.
Sollevò un
angolo delle labbra.
Steve gli aveva fatto
un bel
lavoretto, e doveva anche esserci andato giù leggero
perché Nick ancora poteva camminare sulle sue gambe.
Rogers era entrato
nella sala
interrogatori e aveva abbattuto il drago cattivo e portato in salvo la
damigella prigioniera nella torre. Così gli era stato
raccontato
al telefono da Clint, perché Steve per tutto il tragitto
nella
sua macchina, non aveva detto nulla in merito all'aver malmenato
Nick.
Steve non si era
neanche fatto
ancora vivo, il che voleva dire solo una cosa: aveva finalmente tolto
il lucchetto della sua cintura di castità.
«Nick, ormai
non
c'è niente che possiamo fare. Ad Asgard se la sapranno
sbrigare da soli» sentenziò mentre il direttore li
raggiungeva.
«Loro erano
qui e noi non lo
sapevamo, questo mi porta a credere che ci sia la stessa
possibilità che quel martello sia ancora in giro dalle
nostre
parti, e finché non avrò una prova che non
sarà
una minaccia, continuerete la vostra missione.»
Sospirò.
«Riflettici:
anche se riuscissimo a trovare questo tizio, come faremo a prendergli
quel dannato martello? Ti ricordo che solo Thor poteva sollevarlo come
fosse fatto di polistirolo.»
«Tony ha
ragione,»
intervenne Clint. «Anche se lo localizzassimo non potremmo
fare
altro. Da Asgard sapranno di certo cosa sta accadendo e agiranno di
conseguenza. Se vuole che continuiamo a cercarlo lo faremo ma, signore,
mi permetta di dirle che sarebbe uno spreco di tempo.»
Nick sembrò
riflettere sulle sue parole.
«Non
possiamo comunque abbassare la guardia» disse.
«Monitoreremo
la situazione
allora.» Fu la proposta di Natasha. «Per lo meno
saremo
pronti in caso di necessità.»
Nick
assentì con il capo.
«Bene,
allora informo il consiglio.»
«Ehi,
Nick?» lo chiamò Tony prima che andasse via.
«Cosa diciamo al capitano?»
E Nick colse
immediatamente la sua frecciatina. Socchiuse quell'unico occhio e quasi
ringhiò.
«Ditegli di
tenere gli occhi
aperti e di sorvegliare quell'asgardiana. È una sua
responsabilità adesso.»
Quando Nick
abbandonò la sala, Clint lo guardò con un ghigno.
«Visto che
occhio nero?»
Tony rise dalla sua
battuta scontata ma bellissima, suscitando la reazione annoiata della
Vedova Nera.
«Siete i
soliti bambini...»
«Oh,
andiamo, Nat. Ci stava tutta.» Si giustificò un
sorridente Barton.
Bruce invece era
silenzioso e Tony era fin troppo certo di sapere cosa stesse pensando.
«Vuoi
avvisare la
Foster?» gli chiese a voce bassa, mentre Clint e Natasha
dibattevano ancora sul humour discutibile di Occhio di Falco.
Bruce
sospirò e annuì.
«Credo che
dovresti chiedere
a Pepper di riferirglielo. In questo momento penso sia l'unica
persona con cui Jane possa parlare.»
Tony alzò
un sopracciglio.
«Cosa te lo
fa credere? Solo perché sono donne?»
«No, ma se
Pepper riesce a gestire un fidanzato come te, può gestire
tutto, anche un incesto alieno.»
«Ecco, vedi,
Clint? Questa è una bella battuta»
affermò Natasha.
Bruce la
guardò confuso. «Non era una battuta»
precisò.
E mentre Tony si
affrettava a dire
che non era stata una battuta e che se lo era stata non era stata per
niente divertente, fu il turno di Steve di fare il suo ingresso nella
sala.
«Allora?
Cosa succede?»
«Cap, se
arrivassi in orario eviteremmo di ripetere le cose settecento
volte.»
«Sono stato
più veloce che potevo!»
Sorrise sornione.
«Spero tu
non lo sia stato
anche con Linn. A proposito: hai usato precauzioni?... Ohi, Rogers,
tutto ok? La tua faccia sta andando a fuoco. Non sarà un
effetto
tardivo del siero di Erskine, vero?»
E se si fosse
ritrovato un altro occhio nero come Fury, almeno lo avrebbe potuto
sfoggiare con soddisfazione.
*
Pepper lesse il
messaggio di Tony e
guardò con la coda dell'occhio Jane che a sua volta stava
leggendo qualcosa sul suo cellulare.
“Chiamata dallo S.H.I.E.L.D.
Potrebbero esserci novità. Di' alla dottoressa di tirarsi
su di morale. Se vuole le presento qualche amico. Solo figli
unici.”
Sospirò
poggiando lo smartphone sul piccolo tavolino.
Stavano sorvolando i
cieli ormai da
ore. Erano atterrate solo per rifornire i serbatoi e poi erano
ripartite. Senza una vera meta, solo con una buona manciata di quota a
dividerle dalla Terra, come se questo potesse bastare a far restare
incollati al terreno anche i problemi.
Jane era stata in
silenzio per un
lungo tempo, poi aveva pianto e si era coperta ancora di silenzio, poi
aveva detto che non sapeva se doveva odiarlo e si chiedeva
perché, pur volendo, non ne fosse capace.
“Perché lo ami”,
le aveva risposto a quel punto Pepper e Jane aveva pianto di nuovo.
Era sempre stata
forte, Jane
Foster, una delle donne più forti che Pepper avesse mai
conosciuto. Una delle più caparbie e tenaci. Non si stupiva
perciò che fosse riuscita a conquistare il cuore di un dio.
Ma quella storia
avrebbe spezzato
chiunque, forse avrebbe spezzato anche lei. L'unica differenza
è che Pepper conosceva Tony e il suo abisso, conosceva i
suoi
demoni e le sue paure, conosceva le sue imperfezione ed erano forse in
numero superiore ai suoi pregi. Pepper sapeva che anima fragile fosse
Tony e lo accettava per quello che era, lo amava per ciò che
non
le nascondeva.
In verità,
nulla
l'avrebbe davvero sorpresa. Sarebbe stato difficile da accettare,
magari impossibile da perdonare, ma mai una sorpresa.
Ciò che
aveva davvero ferito
Jane, era invece rendersi conto quanto quel dio che aveva inseguito con
affanno fosse in realtà più umano degli uomini
stessi,
fosse più complesso di quel sorriso perfetto, fosse
più
tortuoso dell'azzurro dei suoi occhi.
Ma non era una colpa
da imputare a
nessuno, né a lei né a Thor, era solo la
realtà a
essere così meschina, perché quando si gode solo
di pochi
attimi si vuole che siano privi di crepe, che siano integri e perfetti.
Solo così avrebbero potuto fare da compagnia durante
l'attesa che avrebbe diviso un attimo dal successivo.
Era un pensiero
scontato, una riflessione superficiale eppure niente di più
vicino alla verità.
Se Jane avesse potuto
perdersi
nello sguardo di Thor per un tempo più lungo, avrebbe forse
visto quelle ombre e quei conflitti.
Ma i se i forse non portavano
a
niente. Ciò che Pepper doveva fare adesso era essere una
buon'amica e tenere uniti i cocci del cuore di Jane.
«Che ne
pensi di Vienna?
Conosco dei negozi favolosi» propose cercando di farla
sorridere.
Ciò che Jane le regalò però fu solo un
debole
movimento di labbra. Non era un sorriso, nessuno avrebbe potuto
definirlo tale.
«Immagino
che tu abbia degli
impegni e io ti ho tenuto su questa altalena emotiva per tutta una
notte. Pepper, mi sento così imbarazzata.» Nascose
gli
occhi dietro a una mano e Pepper le scosse la spalla con affetto.
«Ehi, non
dire nulla di
simile. Mi aspetto solo che quando Tony ne combinerà una
altrettanto grossa tu ricambi il favore.»
Stavolta Jane sorrise.
«Dubito che
perfino Tony Stark possa combinarla più grossa di
questa.»
«Oh, non sai
quante risorse abbia quell'uomo. E credimi, lo dico con molta
disperazione.»
«Non sembri
disperata...»
«Yoga»
rispose con
esasperata afflizione. «Tanto tanto yoga, e qualche maratona
di
“2 Broke Girls”.»
Le strappò
anche una piccola risata.
«Darcy ha
cercato di
convincermi a guardare qualche episodio, anche se ha una strana
avversione per la protagonista mora. Dubito comunque che una sit-com
possa farmi scordare che il primo e indimenticato amore del mio
fidanzato sia stato suo fratello...»
Ci fu silenzio. Pepper
le accarezzò la schiena e Jane sospirò.
«Non ho mai
potuto competere con Loki, mai. Neanche quando ignoravo quanto fosse
importante per Thor.»
«Siete due
affetti diversi.»
«No, Pepper,
l'unica
cosa che ci rendeva diversi era che con me ci andava a
letto...»
Un sorriso fragile. «Avrei dovuto capirlo, avrei dovuto
capire
che nel cuore di Thor non ci sarebbe mai stato abbastanza spazio per
tenerci tutti e due. Amare Loki ne richiede troppo, e neanche un dio
è così forte, forse.»
«Ascoltami.»
Le
prese le mani e aspettò che sollevasse gli occhi nei suoi.
«Io non so in realtà come stiano le cose ma, vuoi
sapere
una cosa? Non lo sai neanche tu perché non hai avuto modo di
parlare con lui. Tutto ciò che ti è stato detto
da Bruce,
da Tony – Dio solo sa cosa possa dire Tony –
è
soltanto una versione filtrata. Dovrai fare a Thor le tue domande e
Thor saprà darti le risposte.»
«Forse non
voglio più udire risposte, forse sono stanca...»
«Oh, sei una
scienziata,
Jane. Voi volete risposte a tutto.» Nel dirlo le sorrise.
«Quando troveranno Thor, gli parlerai e allora, anche se
potrà sembrare più difficile, in
realtà
sarà più facile.»
Jane
sospirò ma assentì con un cenno del capo.
«Non credo
di poter fare altro a questo punto.»
«Tony ha
detto che ci sono novità, magari-»
Proprio in quel mentre
il cellulare squillò.
«Visto?
È lui»
disse alzandosi dal sedile e rispondendo alla telefonata. Sperava
davvero ci fossero delle buone notizie.
«Tesoro? Tutto ok?»
«Sì,
tutto ok. Cosa sta succedendo allo S.H.I.E.L.D.?»
«Avete già fatto la
battaglia con i cuscini? Lo sai che vorrei essere presente.»
Premette due dita sul
setto nasale
ingoiando le tremila imprecazioni che voleva lanciargli contro e
contò fino a dieci, come ogni volta, poi rispose:
«Se hai
chiamato solo per ricordarmi di farti dormire sul divano, potevi
evitare. Avevo già intenzione di accontentarti
stasera.»
Lo udì
ridere dall'altra parte e poi farsi serio.
Non era un buon segno.
«Ascolta... C'è
stato un aggiornamento importante... diciamo pure che i fratelli
Lannister sono su Asgard.»
Jane la guardava in
attesa e Pepper trattene un sospiro.
«Ne siete
certi?»
«Al 100%. Ci sono tanto di
riprese che testimoniano la partenza per la Madre Patria. Quindi...»
Grazie,
Tony, per aver complicato ulteriormente la mia posizione.
Ma in fin
dei conti non ne aveva nessuna responsabilità.
«Ho
capito» disse con un fiato. «Ci penso io.»
«Tesoro?... Ti amo.»
Le sue labbra si
piegarono
automaticamente come tutte le volte che glielo diceva con quel tono,
fra un cucciolo e un detenuto seduto sulla sedia elettrica. Era strano
trovare quell'immagine romantica... Ma era la donna di Iron Man:
tutto era strano nella loro relazione.
Mise fine alla
telefonata e tornò a guardare Jane.
«Allora?»
Si sedette al suo
fianco e
cercò velocemente di trovare un modo per dirle che la
situazione
si era leggermente complicata.
«Ehm...
Sicura che non vuoi andare a Vienna?»
Jane alzò
un sopracciglio.
No, la partenza era
stata decisamente un fiasco.
ஐஐஐ
La cella era piccola e
fredda; le mura umide, da cui lacrimava un laconico gocciolare.
Non c'era una finestra
e la
sola luce che filtrava attraverso le sbarre di metallo era quella delle
fiaccole poste sul corridoio.
Era la gola
più profonda del
palazzo, le segrete più lontane, dove venivano rilegate le
vergogne più ignobili di Asgard.
Sigyn alzò
lo sguardo al soffitto di pietra, lasciando che una goccia di acqua le
ricadesse sulla guancia arrossata.
Le guardie le avevano
tolto le
catene e l'avevano condotta all'interno. La grata si era
poi chiusa assordante alle sue spalle.
Non aveva ancora avuto
il coraggio
di toccare il metallo. Sarebbe stato gelido come quella cella, come lo
sguardo di suo padre. Sarebbe stato impossibile da piegare come il suo
orgoglio ferito.
Nell'angolo destro, un
vaso
di ceramica per raccogliere le deiezioni del prigioniero. Non una
branda, non un giaciglio seppur misero.
C'era solo una vecchia
coperta malandata piegata accanto al vaso.
Sigyn non la prese
benché
sentisse i brividi di freddo sulla sua pelle mortale. Provò
a
stringersi in quella maglia, ma era troppo sottile per coprirla, troppo
sottile per scaldarle corpo e anima.
Ma lei non aveva
un'anima, e ancora lo dimenticava.
Raggiunse con due
passi la grata e
guardò attraverso le sbarre: di fronte, una seconda cella in
cui
un prigioniero giaceva sul pavimento. Alla sua destra, lungo il
corridoio in penombra, altre celle buie e fredde. Lo stesso alla sua
sinistra.
Le guardie poste a
sorveglianza non erano della guardia reale. Erano soldati semplici, i
meno valorosi e i più brutali.
Coloro che non avevano
portato
lustro alla divisione di appartenenza venivano rilegati ai servizi di
custodia delle segrete. Per governare sulla vergogna di Asgard
c'era bisogno di cuori privi di compassione, privi anche di onore.
Sigyn udì
le urla di un detenuto risuonare per il condotto di pietra e le risate
roche delle guardie.
Non era mai scesa in
quei luoghi,
Thor non aveva mai messo piede in quelle celle, e adesso che era
lì non aveva neanche la forza di negare a se stessa il
timore
che provava.
«Perché
sei
qui?» Era la voce del prigioniero di fronte, ancora
rannicchiato
sul pavimento, con lo sguardo celato.
Non rispose, credendo
fossero solo parole di un vecchio addormentato.
«Parlo con
te, raggio di
sole.» Ma poi i suoi occhi si aprirono, rivelando due iridi
castane. Il viso segnato dalla fame e dalla sporcizia però
non
era quello di un vecchio uomo, se ne rese conto solo quando si
tirò a sedere. Forse aveva qualche anno più di
lei, di
certo aveva subito qualche affanno di più.
I suoi lunghi capelli
bruni erano
tenuti indietro da un semplice spago. Il corpo era coperto da vecchi
vestiti logori, una casacca ingrigita che un tempo era stata bianca.
Con ogni probabilità erano quelli che aveva indossato quando
era
stato condotto lì.
Sigyn lo
studiò in silenzio e l'uomo si aprì in un debole
sorriso.
«Hai forse
rubato del denaro a un tuo cliente?»
Si sentì
incendiare di rabbia.
«Osa darmi
ancora della
puttana e ti strappo quella lingua!» ringhiò con
impeto
facendo sorridere ancora l'uomo.
«Oh, chiedo
venia, mia
signora, ma non vedo quali crimini una fanciulla come te
possa aver
commesso per finire in questo posto.»
«I miei
crimini mi
appartengono» sentenziò. «E
così mi
appartiene la loro pena, e intendo condividere entrambi solo con me
stessa.»
L'uomo
assentì con il
capo sollevandosi in piedi e raggiungendo a sua volta le sbarre. Si
poggiò stancamente contro di esse guardandola attraverso lo
spazio che intercorreva fra due aste di metallo.
Sigyn tenne il suo
sguardo senza cedimenti, come fosse ancora un principe libero, degno
ancora di rispetto.
«C'è
un'ala riservata alle donne in queste segrete.»
«Lo so
bene» ribatté interrompendolo, sapendo dove
volesse andare a concludersi il suo discorso.
Ma l'uomo non
mostrò intenzione di frenare la sua parola.
«Allora
saprai anche che
nessuna viene condotta qui. Ciò vuol dire che il tuo
crimine,
quello che intendi custodire con tale tenacia, deve essere senza
eguali.»
«Lo
è...» Ammise freddamente.
Un
peccato senza eguali.
Il prigioniero
voltò il capo verso il corridoio alla sua destra quando si
udirono altre urla.
«Almeno che
tu non abbia
attentato alla vita stessa di Odino, o a quella di suo figlio, non
capisco davvero come il Padre degli Dèi possa averti
condannato
a una tale pena.»
Abbassò gli
occhi approfittando della sua distrazione.
«Se Odino ha
deciso che fosse
giusta, allora lo era.» Quando li rialzò
incontrò
di nuovo quelli del prigioniero.
«Sei
coraggiosa, o solo molto stupida.»
«Forse
entrambe le cose.»
Le labbra dell'uomo
sorrisero
ma non c'era gentilezza in quel gesto, né amicizia.
C'era solo il risultato di una vita al buio, fra freddo e piscio
e sofferenza.
«Confido
allora che non urlerai troppo forte, perché odio essere
svegliato durante il mio sonno.»
Non disse altro e
tornò a giacere a terra, tirandosi fin sulla testa la sua
coperta rattoppata.
Sigyn
scrutò la sagoma dell'uomo sentendo il respiro risuonare
nella piccola cella.
Giunsero altre urla e
altre risa, giunse il rumore di una frusta e quello delle catene.
Strinse i pugni e
chiuse gli occhi
cercando di controllare il suo battito che sembrava aumentare
all'avvicinarsi di quelle grida.
Suo padre, per quanto
saturo di
collera, non avrebbe mai permesso sul serio che fosse umiliata in quel
modo, non avrebbe permesso che suo figlio fosse seviziato e violato nei
modi più infimi.
Eppure ogni colpo di
frusta la fece sobbalzare. La convinzione sembrava abbandonarla a ogni
respiro.
Loki...
Dov'era? In un'altra
di quelle segrete? Era ancora sotto il giudizio di Odino?
Quale punizione
sarebbe toccata a lui?
Ancora una frustata,
ancora un urlo, un pianto. Sadiche risate.
Respirò a
fondo tirando indietro i capelli.
Avrebbe affrontato
ogni conseguenza
senza tirarsi indietro. Non avrebbe portato altra vergogna alla sua
casa seppure le sue carni fossero state flagellate e arse vive. Seppure
quel corpo fosse stato tempio delle più spregevoli bassezze,
Sigyn non avrebbe mostrato paura. Mai.
Nessuna lacrima,
nessuna supplica. Se anche fosse arrivata la morte, l'avrebbe accolta a
viso asciutto e labbra sigillate.
Così viveva
un asgardiano e così moriva: con onore.
*
La luce che governava
l'ambiente era quasi accecante. Quando i suoi polsi furono
liberi, le guardie fecero un passo fuori dalla cella che fu sigillata
con una barriera di seiðr. Loki provò a sfiorarlo
con le
dita e un'intensa scossa attraversò il suo braccio.
Scrollò la
mano dolente e
guardò con astio quella stanza: pavimenti candidi, un
sofà di pregiato velluto, uno scrittoio con carta,
inchiostro e
libri; un letto e un cuscino di piume, un vassoio con una brocca
d'acqua e un cesto di pane.
Era l'ennesima beffa,
l'ennesima freccia che quel vecchio voleva scoccare al suo petto.
Sapeva bene cosa ci
fosse nelle
segrete, sapeva bene che tutto quello che Odino gli aveva messo a
disposizione in quella cella, era solo per rimembrargli ciò
che
invece non avrebbe avuto Sigyn.
Non avrebbe mai
creduto che la sua
ira potesse corrodere così intensamente il suo giudizio. Era
pronto a udir parole di laudano e sguardi affilati contro di loro, ma
mai avrebbe creduto che Odino riservasse il suo peggio a quel figlio
che aveva amato e cresciuto come il più prezioso dei tesori.
Eppure era così facile capirne il perché: quel
tesoro era
stato profanato. Thor non era più oro adesso, e Odino aveva
scoperto che non lo era mai realmente stato.
Doveva mantenere la
lucidità
e delineare il migliore piano di attacco, la migliore strategia da
seguire, eppure tutto ciò a cui Loki riusciva a pensare era
lei,
il suo sguardo ferito, le sue labbra sanguinanti.
E adesso era sola in
quelle segrete.
Loki aveva visto con i
suoi occhi quelle segrete.
Era solo un bambino,
curioso e
avventato, quando aveva sceso i pioli di pietra del palazzo. Uno dopo
l'altro, mentre il buio lo inghiottiva.
Poi era nata una
pallida luce. Una candela, aveva pensato.
Piccolo sciocco.
Quando era giunto al
termine della scalinata, per poco non era stato travolto da una delle
guardie.
La sua unica fortuna
era stata
l'essere riconosciuto e così, invece di essere preso a
calci per essere giunto fin lì, la guardia lo aveva
sollevato e
poggiato sulle sue spalle.
“Ti piacerà, piccolo
principe.”
E lo aveva condotto
attraverso i
lunghi corridoi illuminati dalle lanterne. Nelle celle, solo sguardi
sofferenti, visi sporchi e arti magri. Un tanfo nauseabondo si spandeva
per l'aria e Loki aveva sentito lo stomaco rivoltarsi.
Aveva guardato
disgustato e
intimorito l'ambiente fino a quando la guardia non aveva
arrestato il suo passo davanti a una di quelle celle. Lo aveva fatto
scendere e gli aveva detto di guardare.
Una volta aperta la
cella,
l'uomo che stava dormendo a terra era stato sollevato per i
capelli e gettato con forza nuovamente sul pavimento.
Poi erano stati calci
e pugni e
sputi, era stato lo schioccare di una frusta sulla sua schiena e la
carne che veniva dilaniata a ogni colpo.
La guardia rideva ma
Loki non riusciva a far altro che piangere e correre via udendo le urla
di quell'uomo.
E quando aveva
risalito tutti i pioli era corso nella sua camera, nella camera di Thor.
Si era gettato fra le
sue braccia
in cerca di rassicurazione, in un abbraccio che sperava potesse
cancellare via dalla sua mente e dai suoi occhi ciò che
aveva
visto.
Thor lo aveva
accarezzato e lo
aveva tenuto stretto, aveva passato le dita fra i suoi capelli neri e
gli aveva baciato la fronte.
“È stato solo un
brutto sogno, fratellino”, gli aveva detto
sorridendo. “Solo
un brutto sogno.”
Lo aveva tenuto
stretto fino al mattino.
E adesso Thor era in
quelle segrete, sotto lo sguardo sadico della guardia di turno, sotto
le sue mani.
“Se chiamerò il
flagellatore non sarà per te.”
«Non lo
farai...» sospirò Loki in solitudine.
«Non te lo permetterò.»
Ma come avrebbe mai
potuto impedirglielo?
Sigyn era la sua
debolezza
più grande e Odino adesso lo sapeva, e se anche avesse
violentato il suo cuore di padre, avrebbe usato quella debolezza per
piegarlo alla sua volontà.
Si avvicinò
a una sedia e strinse fra le dita la pelle.
Come poteva Frigga
restare a guardare ancora adesso? Dov'era sua madre?
Afferrò la
sedia e la gettò contro quella barriera dorata.
Dannato
sia Odino e tutte le Norne! Dannata sia Asgard!
Respirò con
affanno guardando il seiðr scintillare a intermittenza.
Se solo avesse avuto i
suoi poteri,
se solo avesse avuto la sua semplice natura, avrebbe potuto frantumare
quella barriera in mille cristalli di ghiaccio, e gelare il cuore di
chiunque avesse incrociato la sua strada.
Avrebbe voluto essere
uno Jotun, uno dei tanti mostri con cui era cresciuto e, come un
mostro, distruggere ogni cosa.
*
Frigga
guardò ancora una volta Odino e gli porse di nuovo quella
domanda.
«Lo farai
sul serio?»
Lui non la
guardò.
«Se
sarà necessario.»
«Come puoi
pensare che
accetti una soluzione simile?... Guardami, e dimmi come puoi chiedermi
di restare in disparte mentre torturi mio figlio!»
«Non
è tuo figlio!» tuonò Odino brandendo la
sua lancia.
«Il corpo
che veste non mi
impedisce di riconoscere il suo cuore. Potrà indossare mille
nomi e mille volti e sarebbe sempre Thor, sarebbe sempre mio figlio,
tuo
figlio.»
Suo marito si
passò le dita sulla fronte nascondendole di nuovo il suo
sguardo e Frigga sapeva vi avrebbe trovato colpa.
«Thor ha
tradito questa casa
come neanche Loki ha fatto. Non posso ignorare questa
verità,
non puoi chiedermi di farlo.»
Salì
velocemente i gradini
che la dividevano dal trono e si inginocchiò al suo fianco,
prendendo con le mani quella che il suo sposo teneva poggiata sul
bracciolo.
«Non pensare
che non
comprenda il tuo dolore. La stessa pena divide il mio cuore. Li ho
cresciuti come fratelli, amandoli come fossero nati entrambi dalla mia
carne. Ho insegnato loro l'amore per Asgard e per il suo popolo,
l'amore per la pace e la giustizia.» I suoi occhi si
inumidirono mentre quello di Odino sembrava risplendere dello stesso
sentimento. «Ho insegnato loro ad amarsi a vicenda e a
proteggersi e aiutarsi...»
«Lo so,
Frigga, so che nessuna colpa macchia le tue mani.» Odino le
prese fra le proprie e le baciò.
«E nessuna
macchia le tue,
mio adorato marito. Non ci sono colpe se l'unico amore in grado
di unirli era anche l'unico che li avrebbe condannati.»
«Oh,
Frigga... Per le leggi
di Asgard è un reato inconcepibile! Per il mio cuore
è
una vergogna che non riuscirò mai a sotterrare.»
Frigga tenne strette
le sue mani con forza.
«Non devi
sotterrarla, devi
affrontarla e vincerla. Cos'è la vergogna rispetto
all'affetto di un figlio, alla sua devozione? Loki è
lontano adesso, ma non è perduto. Puoi ritrovarlo.»
Odino scosse il capo.
«Non credo
ci sia più speranza per lui...»
«Ve
n'è. Io lo
so, c'è speranza per quel figlio, ma se allontanerai anche
Thor non ce ne sarà per nessuno. Sono legati in questo
peccato
come non potrebbero esserlo in nessun altro modo. Non punirli
più del necessario, non servirà a
cancellarlo.»
Fu poi Frigga a
baciare le sue mani e a bagnarle con le sue lacrime.
«Lasciameli
vedere, lascia che parli con loro e lascia che il silenzio parli a te.
E ascoltalo.»
Pregò che
suo marito non la scacciasse, che non le impedisse nuovamente di essere
una madre.
Pregò che
Odino fosse più forte del suo trono.
Una carezza gentile le
portò via una lacrima.
«Non so se
sarò mai in
grado di perdonare Thor. Non so se sarò mai in grado di
chiamarlo ancora figlio mio... ma non calpesterò il tuo
affetto,
Frigga, non quando esso è così forte da fare
invidia al
mio stesso orgoglio.»
Le baciò la
nuca e fece scivolare via le sue mani.
«Dirò
alle guardie di
condurti ove desideri e di restare tutto il tempo che
vorrai.»
Odino si alzò sostenendosi alla sua lancia, e Frigga, ancora
in
ginocchio, assentì con il capo.
Ti
ringrazio.
Non lo disse; sapeva
che l'avrebbe solo ferito ancora.
*
Loki sentì
un brivido lungo la schiena e poi quel profumo dolce e familiare
invadere prepotente la cella.
«Non
è qui che dovresti essere» esordì
voltando le spalle e incontrando gli occhi di sua madre.
Frigga gli sorrise con
dolcezza e lui sentì il petto incrinarsi davanti a
quell'immagine.
Accanto a lei due
guardie, che
rimasero indietro quando la regina attraversò senza
impedimenti
la barriera di seiðr fino a giungere a pochi passi da lui.
«No.
È qui che devo
essere, figlio mio.» Quando sentì la sua mano
accarezzargli il volto mandò giù un nodo umido e,
benché avesse voluto, non riuscì a sottrarsi alla
sua
carezza. Lasciò che il calore del suo palmo si irradiasse
sulla
sua pelle fino a giungere nelle pieghe più profonde del suo
cuore.
«Ti manda
lui? Crede di
potermi manipolare affinché accetti le sue
regole?» chiese
velenoso ma Frigga non tirò via la sua mano. Ne aggiunse
un'altra e gli circondò il viso con i palmi.
«Odino vuole
solo proteggere i regni. Anche Freyja è giunta ad Asgard con
lo stesso intento.»
Sorrise.
«Immaginavo
che la regina di Vanaheim si fosse sentita presa in causa dalle
malefatte del suo vecchio comandante.»
Frigga gli
donò uno sguardo
di rimprovero che sembrò riportarlo indietro nel tempo,
quando
non c'era una cella attorno a loro ma gli alberi in fiore dei
suoi giardini, quando non si parlava di distruggere un mondo, ma solo
di affrontare con diplomazia le schermaglie con Sif e gli altri ragazzi.
Una vita fa.
«Styrkárr
è
pericoloso, lo sai bene, ma benché la sua minaccia sia per
me
motivo di profonda preoccupazione, sono qui solo in veste di madre, per
poter guardare gli occhi del mio bambino e dirgli che nulla
è
cambiato nel mio cuore.»
Non riuscì
a trattenere una
lacrima. Frigga riusciva a entrare dentro di lui come non era mai
riuscito nessuno, più forte del dolore e più
forte
dell'amore stesso.
Loki le prese una mano
e la baciò.
«Perdonami
se le parole di oggi ti hanno ferito, madre.»
«Ho imparato
da tempo a saper interpretare la tua lingua, Loki.»
Sorrise sincero
tenendo quelle mani strette nelle proprie.
Poi il sorriso
tramontò mentre guardava l'azzurro dei suoi occhi.
«Come
sta?» chiese soltanto e Frigga sospirò.
«Andrò
nelle segrete e
farò in modo che venga riservato il giusto trattamento che
si
conviene a un principe.»
«Un
principe...» Scosse il capo con un sorriso. «Non
è un principe lì sotto.»
«È
sempre un principe, in qualunque luogo, qualsiasi pelle vesta.
È sempre mio figlio e tuo fratello.»
«Ho perduto
da tempo il
diletto di definire cosa sia realmente per me» ammise
lasciando
andare le sue mani e dandole le spalle.
Non era suo fratello,
era altro, era niente ed era tutto.
Era più di
un fratello, più di un amante, più di un
avversario, più di una vittoria.
«Non
perdonerò nessuno
che permetterà che le venga fatto del male»
affermò
poi duramente tornando a guardarla negli occhi. «Nessuno,
madre.
Neanche te.»
Frigga
sembrò assorbire con una certa inquietudine quelle parole ma
assentì con un cenno della testa.
«Non lo
perdonerei io per prima. Nessuno leverà una mano su di lei.»
E come sempre sua
madre riusciva ad andare al di là delle parole, al di
là delle maschere e di ogni illusione.
Si sentì
rinfrancato da quella promessa. Sapeva che di lei poteva fidarsi come
di nessun altro.
«Amora ha
sigillato il mio
seiðr.» Le confidò infine. «E so
che anche se ti
chiedessi di sciogliere quella catena non potresti farlo...» E
forse neanche lo vorresti.
Frigga
soppesò ogni respiro e ogni silenzio. Congiunse le mani sul
ventre e lo guardò con rigore.
«Non avresti
dovuto creare alcun legame con lei, Loki, men che mai con qualcuno come
Styrkárr.»
«Ho sempre
pensato che non
conti il percorso che si sceglie di intraprendere, madre, quanto la
meta a cui esso è destinato. Un alleato è solo
un'altra arma da brandire: ho scelto quelle che mi erano
più utili.»
«Questa tua
filosofia ti ha
arrecato solo dolore. Quanto credi di poterne sopportare prima di
ammettere di aver sbagliato?»
Sorrise e
abbassò il capo.
«È
questo il punto:
non credo di aver mai sbagliato a volere ciò che voglio e a
lottare con ogni mezzo lecito o meno per ottenerlo.» La
guardò con occhi sicuri e privi di incertezze.
«Nessuna
guerra risparmia cicatrici. Sono pronto a indossare tutte quelle che
saranno necessarie.»
«Oh,
Loki...»
Ritrovò di nuovo la sua mano stretta in quelle di sua madre
e il
suo sguardo a chiedergli qualcosa che Loki, con tutto l'amore che
ancora provava verso di lei e che sempre avrebbe provato, non poteva
concederle: una resa.
No,
mai.
Piuttosto avrebbe
perso la vita, ma non avrebbe piegato il capo dinnanzi a Odino. Non
più.
«Madre...»
Perse un
po' di arroganza e le mostrò quell'angolo di cuore
buio in cui solo i suoi occhi erano sempre giunti. «Vorrei
che ti
assicurassi che sia al sicuro. Te lo chiedo anche se so che lo farai
comunque.» Perché
ami lui quanto io amo lei.
Frigga
annuì in silenzio e gli lasciò andare la mano.
«Farò
quanto in mio
potere per proteggerla ma, Loki, ti prego di riflettere: non governi
sui Nove Regni se pieghi il capo al primo capriccio di un
figlio.»
«Io
non-»
«Ascoltami,
adesso.»
Sua madre lo interruppe con fermezza e Loki tacque ingoiando ogni altra
parola. «Se vuoi proteggere Thor, o il suo riflesso negli
occhi
di quella fanciulla, sappi che dovrai sacrificare molto più
della tua carne. Ci sono cicatrici che non vestono la pelle ma
l'anima, e quelle che solcano l'onore di un uomo sono le
più difficili da sopportare.» Sospirò
sotto lo
sguardo severo di Frigga e vide la Regina nelle parole di sua madre.
Non avrebbe mai voluto piegarsi davanti alle minacce di Odino eppure
sapeva bene che Frigga aveva ragione.
«Credi
davvero che userebbe
il suo amato figlio per costringermi a collaborare?» Lo
chiese
con un finto sorriso ironico. Sua madre non gli credette: troppo palese
quella bugia.
«Alleandoti
con
Styrkárr hai risvegliato la brace di un vecchio astio, e se
i
Vanir ci sono restati fedeli è perché Freyja
è una
regina degna di sedere su un trono. Ma il cuore di Odino è
stato
colpito da una ferita ancora più profonda e tu sai bene che
nulla può contro la collera di tuo padre.»
Mandò
giù un ago di
rabbia ma non mostrò un solo velo coprire il suo viso.
Frigga
prese un respiro profondo e continuò a osservarlo con
espressione autorevole.
«Mi chiedi
se Odino si
servirà di Sigyn
per colpire te? Sì, lo farà,
perché se c'è un difetto che accomuna tutti gli
uomini di questa famiglia è l'orgoglio. Quel dannato e
stupido orgoglio.»
«E io dovrei
calpestare il mio per assecondare quello di quel vecchio?»
sbraitò perdendo la calma.
Frigga
sospirò e
abbandonò stancamente la cella. Loki la vide sparire dietro
la
parete dorata e scendere i pochi pioli prima di voltarsi e guardarlo
ancora.
«Esiste un
bene per cui anche
l'orgoglio perde di valore, Loki, e cambia da cuore in cuore. Per
me è e sarà sempre la famiglia, i miei figli. Per
Odino
il suo regno.» Si concesse una pausa prima di porgergli
quella
domanda a cui Loki aveva già dato risposta dentro di
sé.
«Per te cos'è?»
E quella risposta
restò ad
aleggiare nel silenzio quando Frigga abbandonò le prigioni
con
le due guardie al suo fianco.
*
Le urla si erano
affievolite. Le
guardie dovevano aver lasciato quel corridoio, perché Sigyn
non
udì più alcun suono che non fosse il gocciolare
dell'acqua dalle pietre del soffitto.
Si era seduta a terra,
con la testa
contro il muro; le braccia poggiate sulle ginocchia e lo sguardo fisso
davanti, a quelle sbarre di ferro. Nessuna paura sul suo viso, nessuna
emozione che tradiva alcun timore.
Chiunque avesse osato
varcare quella soglia non avrebbe avuto vittoria facile.
Nessuno
entrò. Nessuno attraversò quel corridoio.
Si ritrovò
più volte
a seguire il profilo del prigioniero di fronte alla sua cella. Era
ancora rannicchiato a terra, ma non stava dormendo. Ne era certa.
Aveva ascoltato il suo
respiro, si
era concentrata su ogni singolo rantolo per evitare di far vagare la
testa su inutili e stupide fantasie.
Doveva mantenere la
concentrazione
e il sangue freddo, solo così avrebbe potuto affrontare ogni
situazione, indipendentemente da quanto ardua fosse stata.
Poi, d'improvviso, un
rumore
metallico risuonò fra i corridoi. Saettò con lo
sguardo
alle destra e poi alla sinistra ma non scorse nessuno.
«Stanno
giocando a
dadi.» Udì un brontolio stanco: era il
prigioniero.
«Prima del cambio si radunano in una cella vuota e
scommettono.» Sigyn lo vide scostare la coperta lercia e
piegare
un gomito a terra. Poggiò il mento nel palmo e la
guardò
ghignando attraverso le sbarre. «Indovina cosa si
giocano...»
Non rispose e l'uomo sorrise nuovamente. «Noi. Decidono a
chi tocca il diletto di farci urlare.»
«Se tenti di
spaventarmi devo
deluderti: non sono quel genere di donna» affermò
fiera.
Il prigioniero sbadigliò e si mise a sedere.
«Buon per
te» sospirò poggiando a sua volta le
spalle contro la parete.
«Perché
sei
qui?» Gli chiese benché non le interessasse molto
la
risposta, ma tutto era meglio di quel silenzio freddo che puzzava di
attesa. Attesa per cosa, poi, preferiva non chiederselo sul serio.
«Sono un
disertore.» Le rispose l'uomo senza colore.
«Allora hai
ragione di startene qui.»
L'uomo
lasciò andare una debole rauca risata.
«Ho solo
dato più
valore alla mia pelle che al lustro del mio amato sovrano... Se questo
è un motivo per togliere la libertà a un onesto
cittadino, mi chiedo quanto realmente sia magnanimo il nostro
re.»
Mandò
giù un gomitolo
acido. Ripensò alle parole di suo padre, alla sua rabbia,
alla
sua confessione di preferirlo mai nato piuttosto che macchiato con quel
peccato.
«Se eri un
soldato, sai bene
che giurare fedeltà ad Asgard è un voto che ti
vincola
per la vita. Disertare equivale a tradire il tuo regno. E non
c'è alcuna onestà in questo.» Eppure
dalle
sue labbra uscirono le parole con cui Thor era cresciuto da bambino.
L'onore, la devozione per Asgard e per suo padre.
«Parole
sagge per qualcuno che si trova nella mia stessa posizione...»
Non
ribatté. Osservò
gli occhi scuri dell'uomo e le sue labbra secche che si piegavano
nell'ennesimo stanco sorriso.
«Mio padre
ha servito e
combattuto al fianco di Odino nell'assalto a Jotunheim, durante
l'ultima grande guerra contro gli Jotun. Perse la vita, morendo
con le mani strette attorno alla sua spada, con il nome di Asgard sulla
lingua e una moglie e un figlio che lo aspettavano a casa...»
Il
sorriso si spense a ogni parola, mentre Sigyn sentiva la sua gola
stringersi ad ogni discesa di saliva.
«È
morto con onore. Dovresti esserne orgoglioso» disse.
L'uomo
continuò a
guardarla in silenzio prima di continuare a narrare la sua storia.
«Mio padre è morto con onore, sì... Ma
per cosa?
Per difendere un re che ha raccolto fra le braccia il figlio di un
nemico? Che ha infettato Asgard con il veleno di quella piccola
serpe?» L'uomo si infervorò ma sembrò
ritrovare in breve il suo autocontrollo. Sigyn invece sembrava aver
smesso perfino di respirare. «Io sono entrato nell'esercito
cullato dal ricordo di mio padre, pronto a rendere orgoglioso lui nel
Valhalla così come lui aveva reso orgoglioso me, ma il
giorno in
cui quel mezzo Jotun ha tradito e ha portato quei dannati mostri qui, e
me li sono trovati davanti, ho visto solo gli occhi di mia moglie... E
sai cosa ho capito? Che non ne valeva la pena.» Di nuovo un
sorriso, stavolta dolce mentre sembrava che il castano dei suoi occhi
si coprisse di ricordi. «Ho gettato la spada e sono corso
via,
sono corso da mia moglie e l'ho tenuta stretta a me fino al
giorno dopo, quando la guardia reale ha sfondato la porta della mia
casa per trascinarmi via e rinchiudermi qui. E se adesso mi chiedessi
se lo rifarei, se getterei via l'onore e la libertà per
avere una sola notte fra le braccia della mia sposa, ti risponderei di
sì. Se questo fa di me un vigliacco e un uomo degno di
queste
prigioni, allora così sia. Sopporterò la mia
condanna
così come tu sopporterai stoicamente la tua, bella
fanciulla, mi
auguro solo che anche per te ne sia valsa la pena.»
Attraverso le parole
dell'uomo, Sigyn rivisse quei giorni che sembravano lontani e
allo stesso tempo che erano così ancora caldi nella sua
memoria:
il tradimento di Loki, il Distruttore... La morte. Per pochi attimi
aveva veduto i cancelli del Valhalla, come un sogno luminoso disegnato
instabile su uno specchio d'acqua. Rivisse anche i giorni che ne
seguirono, quelli che precedettero, i giorni appena trascorsi sulla
Terra. Migliaia di giorni scorsero via nei suoi pensieri.
«Perdonami
se ho giocato con
la tua paura» disse ancora l'uomo. «È
trascorso così tanto dall'ultima volta che ho incontrato
una fanciulla che devo aver scordato le giuste maniere.»
Sigyn scosse
il capo.
«Nessun
rancore.» E lui
la ringraziò con un cenno della testa. «Qual
è il
tuo nome, soldato?» chiese a quel punto.
«Enok, mia
signora.»
Sorrise per
quell'appellativo che non aveva mai realmente sentito suo.
«Non sono
una signora.» Lo corresse, ed Enok ricambiò quel
sorriso.
«E io non
sono un soldato.»
Uno sguardo di intesa
cameratesca.
Per tanti anni aveva
vissuto
circondata da linee nette, senza sfumature. Per anni, secoli, aveva
vissuto senza rendersi conto che invece c'era sempre una
sfumatura in ogni scelta, incapace di capire che giusto o sbagliato
avevano confini labili, che un errore non sempre era sinonimo di
sconfitta.
Se avesse visto quelle
sfumature
prima, se solo avesse capito prima che c'era ancora un margine
per recuperare, per tenere strette fra le dita quelle di suo fratello,
che poteva amarlo senza sentirsi in colpa forse...
Aveva vissuto tanti
anni eppure aveva imparato così poco.
«E il tuo
nome? A meno che tu non voglia tener segreto anche quello.»
A quella domanda prese
un denso respiro.
«Sigyn»
rispose. «Sono Sigyn.»
Quando lo
soffiò via
sembrò quasi aver lasciato andare per sempre anche quel peso
che
aveva soffocato il suo cuore per tutto quel tempo.
Enok annuì.
«Allora,
coraggiosa Sigyn,
cosa mi rispondi?... Commetteresti ancora il tuo misterioso crimine,
adesso che conosci il severo castigo a cui ti ha condannato?»
Trascorrere i suoi
giorni in quelle
fetide segrete con il rischio di essere usata per sfogare i bassi
istinti dei più vili carcerieri. Sentire risuonare per
sempre
nelle orecchie le parole velenose di Odino, rivedere la sua rabbia e la
sua delusione. Essere conscia di aver perso la sua fiducia e prima
ancora il suo rispetto. Accettare di aver tradito i suoi
stessi compagni, la sua dolce Jane. Aspettare un perdono che
non le avrebbe
forse concesso mai.
Era un castigo
più che
severo, era una condanna che non avrebbe mai realmente avuto fine. E
tutto solo per aver amato, per aver amato illecitamente un fratello che
non era mai neanche stato tale.
Guardò gli
occhi bruni di Enok e sorrise.
La risposta era
dannatamente scontata.
«Sì»
sospirò. «Lo commetterei altre mille
volte.»
₪₪₪
Styrkárr
teneva lo sguardo celato e il capo sollevato.
Amora
scrutò il suo viso nell'attesa di una risposta. Al suo
fianco, Thor era silente.
«Sono su
Asgard» disse infine il Vanr riaprendo gli occhi.
Un palpito eccitato
saltò
nel petto dell'Incantatrice che si voltò a guardare il
profilo di Thor. Il suo principe le ricambiò lo sguardo con
espressione glaciale.
«Ti avverto:
hai solo questa
opportunità. Poi basta con i giochi.» Il tono di
Styrkárr non ammetteva repliche. Amora avrebbe voluto
fracassargli il cranio fra le falangi ma non era ancora venuto il
tempo. Annuì soltanto.
«Non
sarà
un'opportunità sprecata. E poi potremo portare a
compimento il tuo caro piano.» Gli sorrise e
Styrkárr
preferì non ribattere alla sua provocazione. Strinse
l'impugnatura di Mjolnir nella mano e la guardò severo.
«Fa' in
fretta.» Le ordinò.
«Sai bene
che non dipende da me, ma qualcosa mi dice che non ci vorrà
molto.»
Si avvicinò
poi alla parete
nuda allungando la mano contro di essa. Creò quindi un
vortice
di energia che avrebbe collegato i due luoghi.
Thor la
affiancò tenendo nel pugno la spada che lei gli aveva donato.
«Sei pronto
a rendermi
felice, mio campione?» Gli chiese per solleticare l'unico
vero sentimento che bruciava in quelle iridi di ghiaccio.
Thor sorrise in
maniera sinistra mentre si avvicinava al passaggio dimensionale.
«Dimmi
quanti cuori vuoi che porga ai tuoi piedi e lo
farò.»
«Oh, amor
mio, me ne bastano cinque.» Sorrise a sua volta.
«Solo cinque.»
Thor
assentì prima di varcare la soglia della finestra di energia
che aveva creato.
Amora si
voltò verso
Styrkárr un'ultima volta, un ultimo falso sorriso e poi
seguì Thor attraverso il varco.
Un attimo dopo il sole
di Midgard bruciava sui loro volti.
***
NdA.
Dal prossimo capitolo finalmente un po' di azione. Dopo questo turbine
di emotività, ci voleva ^^
Rinnovo i ringraziamenti a tutti i seguaci di questa serie, per la
compagnia e l'affetto con cui mi coccolate.
Ne approfitto per segnalarvi una storia molto carina scritta da
Barby_Ettelenie_91
che tende a parodiare diversi fandom e i loro
cliché più diffusi. Barby è stata
molto gentile a
dedicare perfino l'ultimo capitolo della sua fic alle vicissitudini
fandomiche della mia serie con fem!Thor, e la ringrazio ancora per
questo.
Se volete farvi un bagno di leggerezza e sana autoironia, datele
un'occhiata -> [Cliccami]
^-*
È tempo di salutarvi, grazie anche per aver partecipato al
sondaggio del cap precedente.
Siete unici ❤
Al prossimo aggiornamento.
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 24 *** Legame di sangue ***
cap24
L' ultima lacrima
XXIV.
Freyja avrebbe soggiornato
nelle stanze regali. Questo era ciò che era stato riferito a
Fandral da una delle domestiche, e Sif non sprecò molto
tempo a domandarsi della veridicità di quella confidenza:
Fandral sapeva essere molto convincente a modo suo.
Attraversò
il lungo corridoio in compagnia di Volstagg e dello spadaccino, e
giunsero dinnanzi alla porta che era di certo quella che chiudeva le
camere riservate alla regina di Vanaheim: alla sua custodia, quattro
guardie Vanir che non impiegarono che pochi secondi prima di puntare
alle loro gole le armi.
«Non
potete stare qui senza permesso di Odino»
sentenziò uno dei soldati.
«Non
abbiamo intenzione di varcare quella porta. Stiamo solo cercando il
nostro compagno» spiegò Fandral con il
palmo poggiato sull'elsa del suo fioretto ancora infoderato.
«Chiediamo
solo di sapere se si trova ancora in compagnia della regina
Freyja» aggiunse Sif, e il soldato la guardò a
lungo prima di abbassare l'arma, subito seguito dalle altre guardie.
«Lady
Sif e i tre guerrieri, presumo» disse poi scrutandoli con
attenzione.
«Al
momento due» precisò Volstagg. «E stiamo
per appunto cercando il terzo.»
«Lord
Hogun è ancora in consiglio con la Regina. Non potete
disturbare.»
Sif
scambiò uno sguardo con i suoi compagni. Un tacito accordo.
«Bene.
Aspetteremo qui che termini il suo incontro» propose.
Il soldato
annuì.
«Permesso
concesso» disse poi facendo fiorire un sorriso sulle labbra
della donna.
«Non
era un permesso quello che chiedevamo.»
Anche il
Vanr sorrise.
«Le
voci sono dunque verità: la prode Lady Sif, tanto coraggiosa
quanto incantevole.» I suoi occhi neri si assottigliarono
ulteriormente mentre il sorriso di Sif tramontò per lasciare
posto un'espressione annoiata.
«Fossi
in te darei adito anche a quelle che parlano della sua
permalosità, mio buon amico» sospirò
Volstagg. «Sono altrettanto vere.»
Fandral
rise. «Per non parlare della sua
crudeltà...» aggiunse poi facendo ridere anche il
compagno.
Sif li
guardò con la coda dell'occhio non degnandoli neanche di una
risposta.
Uomini...
così stupidi.
*
Le guardie
non erano ancora giunte. Sigyn aveva trascorso le successive ore ad
attendere di vederle aggirarsi per i corridoi e, nel peggiore degli
scenari, di varcare la soglia della sua cella.
Non era
accaduto. Non ancora.
Enok le
aveva parlato ancora della sua casa. Diceva di vederla ogni volta che
chiudeva gli occhi, diceva che terminata la sua pena sarebbe
tornato dalla sua sposa e avrebbe trascorso il resto della vita a
coltivare i campi. Sarebbe tornato ogni sera stanco, con le mani
sporche e la schiena a pezzi ma che sua moglie avrebbe reso quel giorno
più leggero con un solo sorriso.
Le aveva
chiesto cosa avrebbe fatto lei, perché era quel pensiero che
avrebbe potuto aiutarla nella prigionia.
Sigyn non
gli aveva risposto, Sigyn non conosceva risposte perché non
sapeva se la sua prigionia avrebbe mai avuto fine. Se anche fosse
uscita da quella cella, Asgard non sarebbe stata più la sua
casa.
Neanche
Midgard poteva più esserlo, non dopo che aveva tradito la
fiducia dei suoi compagni e l'amore di Jane. Aveva tradito la fiducia
stessa che Midgard aveva riservato in Thor, quando aveva permesso che
Styrkárr venisse in possesso di Mjolnir.
Ora Enok
giaceva sul pavimento con gli occhi chiusi, perso in un altro sonno in
cui avrebbe visto la sua casa e il sorriso della sua sposa.
Sigyn si
passò le dita sulla fronte sentendo lo stomaco brontolare e
la gola stringere. Non aveva neanche dell'acqua in quella cella, tanto
meno del cibo.
Forse la
sua condanna sarebbe stata quella di morire di stenti e di fame.
Quale
umiliazione...
Sentì
il rumore di stivali giungere da lontano e il cuore palpitò
più velocemente.
Si
irrigidì con le spalle contro il muro e prese profondi
respiri.
I passi si
fecero più vicini. Era più di un uomo, forse due,
tre. Udì il fruscio delle vesti e il tintinnio metallico
delle catene, o erano spade. Non aveva la lucidità
necessaria per poter decidere con più sicurezza.
I suoi
pensieri furono gelati nel momento in cui una guardia giunse dinnanzi
alla sua cella. Le vesti erano quelle scure dei carcerieri, le mani a
stringere una grossa chiave.
Si
alzò immediatamente in piedi cercando di non far trapelare
la sua inquietudine.
Era un
guerriero, per le Norne, le sue gambe non avrebbero tremato!
L'uomo la
guardò con evidente curiosità e un accenno di
sorriso sul viso barbuto mentre infilava la chiave nella grossa
serratura.
Sigyn
strinse i pugni lungo i fianchi quando l'uomo aprì la cella.
Era pronta a usarli se fosse stato necessario.
Ma la
guardia non entrò, non le si rivolse neanche più
con lo sguardo.
Era diretto
a qualcun altro quello sguardo, e quando l'uomo parlò,
capì anche chi fosse: «Prego, mia
regina.»
A scorgere
il viso di sua madre non seppe trattenere una lacrima che
scivolò vilmente sulla sua guancia ancora dolente.
«Potete
lasciarci.» La sua voce era come al solito decisa ma
rassicurante.
La guardia
chiuse la cella alle spalle di Frigga e si allontanò. Tre
guardie reali, le stesse che li avevano prelevati dalla Terra, si
porsero a difesa della cella, celandone la vista a chiunque avesse
transitato nel corridoio.
Sigyn
sentì il cuore battere così forte da fare male.
Non
riuscì neanche a scostarsi dalla parete a cui aveva quasi
incollato la schiena.
Fu Frigga a
fare ancora un passo, con le mani intrecciate davanti, e la sua bella
veste di sera a scivolare su quel pavimento indegno perfino di essere
calpestato dai suoi piedi.
«Madre...»
sospirò sentendo il freddo soffiare sulla pelle resa umida
da quell'unica lacrima.
Frigga non
disse nulla.
Si
avvicinò ancora. Le poggiò una mano sul viso e
asciugò con il pollice quella piccola riga salata.
«Perdonami.»
Subito ne cadde un'altra. «Perdonami, madre.»
Quando poi
le sorrise dolcemente, Sigyn non riuscì a trattenerle
più.
«Ti
prego, perdonami.»
Frigga la
accolse fra le braccia, e Sigyn lasciò andare tutte quelle
che aveva soffocato. Lasciò andare la sua colpa, la sua
vergogna, la sua rabbia, la sua incertezza, la sua stessa paura.
Lasciò che quel cuore che Loki diceva di amare tanto,
rotolasse fra le mani di sua madre e che lì restasse a farsi
stringere, così come le sue mani la strinsero forte contro
il suo seno, così come le dita scivolarono dolci fra i suoi
lunghi capelli.
Se aveva
ancora una casa, era fra quelle braccia.
ஐஐஐ
Amora si guardò
intorno con aria soddisfatta. Quel piccolo mondo era veramente
interessante. Benché i suoi abitanti fossero poco
più che fastidiosi e inutili insetti, Midgard era un luogo
magnifico, con colori e aromi diversi e invitanti. Anche nella sua
miseria era un luogo di una certa bellezza. Non si stupiva che Thor lo
avesse sempre amato, ciò che non tollerava era che avesse
preso a cuore quegli stupidi terrestri, che avesse preso a cuore una di
loro.
Lo
guardò con un sorriso mentre il sole caldo si rifletteva
sull'oro della sua armatura.
Attorno a
loro un'ampia landa di sabbia. Poco distante, una città
illuminata da mille fuochi elettrici, visibili nonostante il giorno.
«Dove
trovo i cinque cuori che mi hai chiesto?» Le
domandò Thor toccando con le dita, coperte dai guanti,
l'elsa della sua spada che pendeva al suo fianco sinistro.
Amora ne
percorse la lunghezza con lo sguardo prima di portarlo all'orizzonte
assolato.
«Saranno
loro a trovare te. Non temere» gli rispose incrociando le
braccia sul petto. «Dovrai solo attirare la loro
attenzione.» Sorrise verso il suo principe.
Thor
studiò in silenzio la sua espressione per poi tornare con lo
sguardo alla città in lontananza.
«Non
sarà un problema» affermò estraendo poi
la sua spada. «Quando giungeranno, strapperò i
loro cuori con le mie mani.»
«So
che lo farai, amore mio» sospirò ancora la donna
mentre guardava Thor che si incamminava verso il piccolo centro
abitato. «O per lo meno ci proverai...» aggiunse in
solitudine mentre aspettava che il suo piano si realizzasse davanti ai
suoi occhi.
Piccola serpe, avrai
ciò che meriti.
Ancora un
sorriso baciò le sue labbra quando si udirono le prime urla.
*
«Non
dire cazzate!» brontolò Clint lanciandole contro
una manciata di patatine.
Natasha
sorrise.
«È
solo la verità» ribatté raccogliendone
una dalla tastiera del PC e portandola alla bocca. «Ho
sentito la Hill dirlo con le mie orecchie.»
Clint
sbuffò togliendo i piedi dal tavolo e guardando annoiato i
monitor.
«Come
può dire che sono gay? Siamo anche stati a letto
insieme!»
«Prova
a ricordarti come è andata, forse è da
lì che è nata la sua convinzione della tua
omosessualità.»
Stavolta le
arrivò una penna che la colpì dritta alla nuca.
«Fai
sesso con me e poi ne riparliamo.»
Si
voltò a guardarlo con un ghigno.
«A
tuo rischio e pericolo... Lo sai cosa si dice delle vedove nere? Spesso
uccidono il maschio dopo l'accoppiamento.»
Clint
sorrise.
«Ora
capisco perché sei ancora single nonostante quelle
tette.»
Natasha non
aveva nulla da lanciargli a parte uno sguardo divertito.
Fury aveva
acconsentito a dar loro solo il compito di monitorare la situazione, e
così avevano trascorso l'intera mattina nella sala monitor a
cercare qualcosa che li potesse condurre da Styrkárr o da
Amora.
Fino a quel
momento era stata una ricerca infruttuosa.
«Dato
che stiamo in tema di confidenze, è vera quella storia di te
e Ward?» chiese Clint accartocciando la busta di alluminio e
lanciandola nel cestino all'angolo della stanza.
«È
ancora vivo, giusto? Credo basti come risposta.»
Clint
sorrise e sul suo viso lesse la voglia di non abbandonare quella
discussione, ma un sibilo risuonò nella sala spezzando
quella parentesi di apparente relax.
«Che
succede?» mormorò la Vedova Nera cercando la
natura di quell'allarme.
Anche
Barton si mise al lavoro.
«C'è
stato un attacco, a poche miglia da Las Vegas.» La
informò recuperando le immagini delle telecamere nella zona.
Si vedeva
fumo e fiamme, gente che correva spaventata.
«Un
attentato?» chiese Natasha. «Da parte di
chi?»
«Lo
sapremo presto.»
Clint
recuperò altre riprese mentre nella stanza entravano alcuni
agenti che riportavano la medesima notizia.
«Agente
Romanoff, dobbiamo contattare il direttore?» le chiese uno di
loro.
«Prima
dobbiamo avere qualcosa da dirgli» rispose e l'uomo
annuì.
«Nat...
vieni a vedere!» La voce di Clint arrivò debole
alle sue orecchie. Lo raggiunse e guardò il monitor.
Schiuse la
labbra per lo sconcerto non riuscendo a non far battere con meno forza
il suo cuore.
«Non
può essere...» sospirò mentre guardava
un uomo che veniva gettato a terra. Una lama lo trafisse alla schiena.
L'elsa era impugnata da Thor.
*
Bruce non
riuscì a non sorridere mentre guardava Steve che cercava di
trattenersi dall'afferrare Tony per il collo.
«Neanche
un piccolo dettaglio? Niente di sconcio, giusto qualche
accenno...» insisteva Stark mentre Steve beveva il suo
caffè con invidiabile self control, chissà per
quanto ancora. «Andiamo, Rogers! È anche merito
mio se ti sei trovato la fidanzata.»
«Stark,
se non la pianti con questa storia vedrai un lato di me che, credimi,
preferiresti non conoscere.» Fu la replica –
minaccia – del capitano, che si alzò poi dalla
sedia per abbandonare Tony e la sua curiosità al tavolo.
«Scusalo,
Steve. Cerca solo di distrarsi» disse quando il compagno lo
affiancò.
Steve prese
un respiro e poi sbuffò.
«Potrebbe
trovarsi un altro modo per distrarsi al di fuori del farsi gli affari
degli altri, e quando dico “degli altri” intendo
“miei.”... Brutto pettegolo...»
«Guarda
che ti ho sentito!» brontolò Tony dall'altro lato
della stanza. «E comunque posso sempre chiedere a Linn. Siamo
amici e molto intimi, anche.»
Steve si
voltò spazientito.
«Tu
provaci solo a dirle qualcosa, Stark!»
«Uh...
paura che vengano fuori dettagli imbarazzanti, Cap? Dimensioni o
durata?»
«Ok,
te la sei cercata adesso!»
Bruce rise
ancora mentre Steve si dirigeva furente verso di Tony che a sua volta
era balzato in piedi pronto a prendere la porta, ma con un sorriso
divertito sul viso.
Erano
davvero una banda di strambi personaggi, doveva ammetterlo, e qualche
volta l'essere in possesso di un alter ego verde sembrava essere anche
la cosa meno strana di tutte.
Alquanto
inquietante...
Tony era
appena saltato sul tavolo, con Steve sul punto di tirarlo
giù con maniere ben poco cortesi, quando Natasha era entrata
come una furia dalla porta.
«Preparatevi!»
aveva ordinato loro. Sul viso un'espressione dura.
Bruce si
era avvicinato stringendo ancora nella mano il suo caffè
ormai freddo.
«Prepararci
per cosa?» chiese.
Tony era
sceso dal tavolo e Steve aveva dimenticato la sua vendetta per prestare
tutta la sua attenzione alla compagna.
«Che
sta accadendo adesso, Nat?»
«Dobbiamo
andare in Nevada. C'è un attacco in corso»
comunicò loro. «Clint sta preparando il jet...
Bruce, stavolta vieni con noi.»
Un secondo
che parve durare un eternità.
Il dottore
mandò giù la sua inquietudine mentre si sistemava
gli occhiali.
«Per
quale motivo?» Fu Tony a chiederlo e Bruce temette la
risposta.
«Perché
abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile per fermarlo.»
Odiava
doverlo fare, odiava doverlo lasciare andare, ma non poteva neanche
tirarsi indietro. La vacanza era durata anche troppo.
Annuì
soltanto mentre Steve si avvicinava ulteriormente a Natasha con la
stessa domanda che stava attraversando la sua testa e di certo anche
quella di Tony.
«Per
fermare chi?»
Natasha
prese un profondo respiro che diceva tanto. Bruce sentì il
cuore rallentare e poi riprendere a battere forte. Il contabattiti
stava già andando su di giri.
«Thor»
rispose Natasha, e probabilmente quello di tutti stava battendo alla
stessa folle velocità.
ஐஐஐ
Indossava ancora quei vestiti
terrestri, quei volgari jeans e quella camicia chiara.
Su una
seggiola, Loki aveva trovato degli abiti puliti, accuratamente piegati.
Li aveva lasciati lì, senza dar loro più di un
fugace sguardo.
Da quando
Frigga aveva lasciato la sua cella, aveva trascorso il tempo in
silenzio, con la mente impegnata a correre tortuosa.
Freyja era
lì, il che voleva dire che Vanaheim era pronta a scendere in
campo in caso di guerra, benché fosse più
probabile che quella guerra vedesse impegnata in prima linea Asgard. In
fondo era questo il piano di Styrkárr: attaccare Asgard e
farla cadere. Eliminare la famiglia reale e prenderne il controllo, che
poi lo facesse in nome di un regno che lo aveva cacciato e di una
regina che lo aveva rinnegato, erano questioni che non lo riguardavano,
che non riguardavano neanche Odino.
Odino
voleva solo liberarsi di quel Vanr e riprendere Mjolnir e, con esso,
riprendersi Thor.
E lui
l'avrebbe persa ancora una volta.
Si
passò una mano sugli occhi respirando a fondo.
No, non era
disposto ad accettare quell'eventualità, in nessun caso. Non
adesso che l'aveva ritrovata, che le aveva aperto il cuore e che aveva
lasciato cadere ogni maschera.
No, non
avrebbe perso Sigyn una seconda volta.
Frigga
l'avrebbe protetta dalle decisioni folli di Odino, e grazie
all'incantesimo che aveva fatto, era al sicuro anche dalle mire
dell'Incantatrice.
Era al
sicuro, e questo importava.
Doveva solo
riflettere e agire senza sbagliare e tutto sarebbe andato per il
meglio.
Nessun
fallimento, non stavolta. Il prezzo da pagare sarebbe stato troppo
alto, troppo alto anche per lui.
*
La guardia
entrò con fragore nella sala del trono, frantumando il
silenzio che gli aveva fatto compagnia fino a quel momento.
«Mio
re!» Il pugno a battere sul petto e il capo chino.
«Parla»
comandò Odino e il soldato alzò il volto.
«Heimdall
chiede di voi. Dice di raggiungerlo con urgenza.»
Lo
congedò con un cenno del capo e aspettò che il
giovane abbandonasse la sala prima di lasciare andare un lungo sospiro.
ஐஐஐ
«Quanto manca
all'arrivo, Jarvis?»
«Undici minuti, signore.»
«Facciamo
cinque, ok? Massima spinta nei propulsori.»
«Come desidera.»
Alle sue
spalle, il jet dello S.H.I.E.L.D. lo seguiva. A bordo oltre a Cap,
Clint, la Romanoff e Bruce, solo una manciata di agenti.
Dalle
immagini che stavano giungendo ciò che stava accadendo aveva
tutte le caratteristiche per essere classificato sotto la didascalia
“massacro”, e nessuno poteva credere che l'autore
fosse Thor. Nessuno.
Doveva
essere un trucco, un'altra di quelle cazzate magiche asgardiane. C'era
anche la bionda con lui, l'ex squilibrata che aveva messo in
difficoltà anche Steve.
Era
un'illusione, di quelle che usava anche Loki.
Non era di
certo Thor quello che stava mettendo a fuoco e fiamme una piccola
cittadina del Nevada.
Thor era su
Asgard, con Loki, ad affrontare le prediche di Odino.
Era
così, doveva
essere così.
Fury si
sarebbe occupato di evitare che quelle immagini giungessero su una
qualsiasi piattaforma, tv, internet stesso. Lo S.H.I.E.L.D. poteva
permettersi certi sistemi di controllo, per quanto la cosa fosse
inquietante.
Iron Man
scorse i fumi salire alti.
Era ormai
giunto. Altro che cinque minuti: ne aveva impiegati poco più
di tre.
«Stark? Non fare di testa tua.
Chiaro?» La raccomandazione di Steve
risuonò nel suo casco.
Volò
proprio sopra al luogo dell'attacco scorgendo molti civili in fuga,
alcuni bloccati fra le lamiere delle auto, altri fra i detriti di
qualche edificio prossimo al crollo.
«Ricevuto,
Cap. Ma cercate di sbrigarvi.» Li invitò
mascherando la sua reale preoccupazione.
La
situazione era peggio di quanto avevano immaginato.
«Saremo lì fra cinque
minuti.» Lo informò Natasha.
Proprio in
quel momento un uomo stava urlando in preda al dolore, con il busto
schiacciato sotto il peso di un palo della luce caduto al suolo.
Si diresse
immediatamente verso di lui sollevando con facilità il
lampione e permettendogli di scivolare via.
«Tutto
intero?» chiese e l'uomo annuì mostrando ancora
sofferenza. Il viso segnato da lividi e tagli, gli abiti strappati.
Soprattutto una comprensibile paura a bruciare nelle sue iridi.
«Trova
un riparo. Sta arrivando la cavalleria.» Provò a
rassicurarlo, ma l'uomo sgranò gli occhi guardando oltre le
spalle della sua Mark e poi iniziò a correre spaventato.
Tony
lasciò cadere a terra il lampione e si voltò
scorgendo il motivo di quel terrore.
Non poteva
essere davvero lui.
«Jarvis,
rilevi una qualche energia insolita?» chiese mentre guardava
il figuro che pretendeva di essere Thor avanzare a passo lento verso di
lui. Fra le mani quella spada barocca che aveva trovato ridicola
già dalle immagini. Come se il vero Thor potesse mai
maneggiare una spada!
«Nessuna, signore.»
«Attiva
gli infrarossi.»
Almeno
sarebbe stato facile stabilire che tipo di illusione era. Ma la vista
della Mark rilevava valori stranamente nella norma. Era un corpo
vivente quello che si faceva sempre più vicino.
Disattivò
gli infrarossi e zoomò sul suo viso. I suoi occhi erano gli
stessi, i suoi lineamenti, la sua espressione.
No, non
puoi fregarmi.
Non era
Thor. Non poteva esserlo.
«Jarvis,
voglio che fai una comparazione in termini di valori vitali fra quelli
rilevati da questo tizio e quelli che abbiamo in archivio di
Thor.»
«Procedo subito.»
Non sei Thor.
La ricerca
avrebbe dato esito negativo. Ne era certo.
Eppure si
ritrovò ad attivare i propulsori inferiori e sollevarsi dal
suolo di una decina di metri.
«Analisi terminata. I dati
rilevati risultano compatibili con quelli in archivio.»
«Con
quale percentuale?»
«99%, signore.»
Scosse il
capo.
«Non
è possibile. Rifai il controllo.»
«Confronto in corso...»
Tony guardò l'uomo che era ormai giunto a una manciata di
metri da lui, con lo sguardo verso l'alto e un ghigno che non poteva
appartenergli sulle labbra. «Analisi terminata. I dati
risultano matematicamente compatibili con quelli in archivio. Nessun
margine di errore, signore. Vuole che ripeta ancora l'analisi?»
«No,
Jarvis...» sospirò.
Non poteva
essere Thor...
Non gli
restava che confutare le sue teorie sul campo e al diavolo le
comparazioni scientifiche.
Atterrò
nuovamente al suolo e sollevò il frontalino del casco.
L'aria calda gli soffiò sul viso.
«Non
sei male come imitazione, ma l'originale di solito ha qualche treccina
in più» affermò.
L'uomo di
fronte sorrise ancora facendo roteare l'elsa nel palmo.
«Sarai
tu il primo.» La voce... Era dannatamente simile a
quella di Thor. Era praticamente uguale, ma non poteva essere la sua.
«Preparati a darmi il tuo cuore, uomo di metallo.»
Prima che
potesse provare un ulteriore dubbio, si ritrovò sotto il suo
attacco. La lama scorse veloce sulla sua armatura provocando un
profondo squarcio nell'addome.
Si
alzò in volo per evitare un secondo attacco.
«Di
che diamine è fatta quella spada?!» chiese
abbassando il frontalino.
«Materiale sconosciuto.»
Udì la voce di Jarvis mentre lo pseudo Thor saltava
agilmente sulla carrozzeria di una macchina prendendo uno slancio che
quasi lo raggiunse.
Tony
attivò nuovamente i propulsori e si allontanò
sapendo di essere seguito. Tenne una velocità bassa in modo
che per lo meno l'attenzione di quel chidiavolofosse si allontanasse
dai civili.
«Ehi,
ragazzi, qui la situazione è pessima»
comunicò al jet che ormai era prossimo a giungere.
«Che succede, Stark?»
«Succede
che questo qui ha la stessa mano pesante di Point Break...»
mormorò voltandosi di spalle. «Ma è
meno cordiale.»
L'uomo
continuava a corrergli dietro. Era lui che voleva: quegli occhi azzurri
non sembravano bramare altro che vederlo crepare dolorosamente.
Brutta,
brutta sensazione.
«Sei riuscito a capire chi
è? O cosa sia?» chiese Natasha
attraverso l'auricolare.
«Ho
confrontato i suoi valori vitali con quelli di Thor... Per i calcoli di
Jarvis si tratta della stessa persona.»
«Ma che significa, Stark? Non
può essere Thor!»
Tony scorse
la sagoma del jet che si avvicinava sempre più.
«Allora
salta giù, Rogers, e guarda con i tuoi occhi.» Un
paio di secondi dopo un piccolo puntino lasciò il jet. Tony
sospirò. «Non intendevo in senso letterale,
Cap.»
*
Qualsiasi
cosa stesse accadendo non gli piaceva. Basta magie, basta incantesimi.
Steve era stanco di tutte quelle assurdità aliene.
Atterrò
a terra sollevando un alone di polvere e si mise in piedi impugnando
saldamente lo scudo con il braccio sinistro.
Iron Man
stava volando nella sua direzione. Prese a correre per andargli contro.
Le strade
erano vuote ma da dietro alle finestre delle abitazioni scorse volti
spaventati. Buona parte della popolazione era riuscita a mettersi in
salvo chiudendosi nelle case. Quando Nat e Clint sarebbero atterrati
avrebbero aiutato il resto a trovare un luogo dove rifugiarsi. Fury
stava mandando anche una squadra in supporto dalla divisione
S.H.I.E.L.D. de Las Vegas.
«Sta venendo verso di te. Venti
secondi allo scontro, Cap. Cerca di frenare i talloni.»
Lo informò Tony.
Steve corse
più velocemente finché la sua attenzione
passò dalla sagoma rossa di Iron Man a quella d'oro che si
stagliava di fronte.
Rallentò
il passo sempre più fino ad arrestarsi, quando anche l'uomo
si fermò. Una spada nella mano, un lungo mantello bianco
alle spalle. Il viso del suo vecchio amico.
Schiuse le
labbra.
«Thor?»
Era lui?
Non era
possibile. Thor era nel corpo di Sigyn, e Sigyn era su Asgard adesso.
Che Loki
avesse trovato il modo di farlo tornare quello di prima?
E allora
perché si stava comportando in quel modo?
«Raccomanda
l'anima al tuo Dio, mortale» enunciò con voce roca
l'uomo che aveva a tutti gli effetti la fisicità e la voce
del suo compagno di squadra. La lama puntata verso di lui.
«Sto per prendere la tua vita.»
«Cosa?-»
L'attacco
fu fulmineo. Steve parò il fendente con lo scudo e poi lo
spinse via.
«Chi
sei?» chiese con un ringhio, osservando furioso il suo
avversario.
L'uomo
sorrise.
«Sono
la falce nera che sta per cadere sulla tua testa.»
Ancora un
attacco, ancora una difesa sofferta.
Aveva
lottato tante volte con Thor, per allenarsi, per testare i suoi limiti,
per mettersi alla prova, certo, ma conosceva la sua forza e il suo stie
di combattimento, e doveva ammettere che chiunque fosse questa persona,
somigliava a Thor non solo nella fisionomia.
Fu per
questo che non gli fu facile attaccare, fu per questo che Steve si
limitò a parare i suoi attacchi, impossibilitato a portarne
a segno uno.
«Chi
diavolo sei davvero?» chiese con affanno quando giunse
l'ennesimo fendente che fischiò ancora sul vibranio del suo
scudo. Un salto per evitarne un altro, un balzo indietro per impedire
all'affondo di raggiungere la sua coscia. «Non sei
Thor!» sentenziò ancora stringendo la fibbia di
cuoio dello scudo.
L'uomo
sorrise nuovamente con il sole a riflettersi accecante sulla sua
armatura e con una strana espressione sul viso.
«Smettila
di parlare, capitano, e mettilo a terra»
suggerì
Clint mentre il jet sorvolava rumorosamente la zona.
No, c'era
qualcosa che non andava: quel tizio non poteva essere certamente Thor,
perché Thor non avrebbe attaccato degli innocenti senza
motivo e non avrebbe attaccato loro, soprattutto. Eppure più
guardava il suo viso, più Steve si convinceva di avere
davanti quello del suo amico.
«Thor?»
lo chiamò abbassando momentaneamente la difesa.
«Che stai combinando, Rogers?!»
lo rimproverò Stark, ma Steve decise di fare di testa sua.
«Thor,
sono io, sono Steve» disse con fermezza. «Mi
riconosci?»
L'uomo rise
senza rispondere e guardò la sua spada con un ghigno sadico.
«Smettila con queste cazzate,
Steve. Non è Thor. Fallo fuori e basta!»
«Clint ha ragione, capitano. Non
fidarti dei tuoi occhi, c'è di mezzo Amora. Non dimenticarti
che la chiamano Incantatrice. Ci sarà un motivo...»
Ma la voce
di Natasha non riuscì a farlo desistere.
«Thor,
siamo noi -»
«Non
ha nessun valore per me. Chiunque tu sia. Devo solo strapparti il cuore
dal petto e consegnarlo alla mia signora. E ora smettila di
infastidirmi con le tue parole, lurido mortale.»
Steve
serrò la mascella sospirando. Al suo fianco
atterrò Iron Man.
«Credo
sia sotto qualche sortilegio» disse verso la sua maschera di
metallo.
«Sei
convinto che sia lui?» gli chiese Tony mentre Thor si
avvicinava con passo deciso.
Annuì.
«Amora
l'avrà fatto tornare come prima e gli avrà
cancellato la memoria... anche quella
storia di Sigyn, forse.»
Iron man si
voltò a guardarlo.
«Teoria
un po' romanzata. Al giorno d'oggi nessuno fa più i lavaggi
del cervello alla gente...» Il braccio puntato verso di lui.
Steve gli bloccò il polso.
«Non
possiamo colpirlo, Stark!» gli ordinò.
«Steve,
guardati intorno! Anche se fosse come dici tu, dobbiamo impedirgli di
continuare questa carneficina, e inoltre è chiaro che quello
svitato vuole farci fuori. Perciò prima che colpisca lui, lo
faremo noi.»
Quando
partì il colpo, Thor lo evitò facilmente ed
evitò anche i successivi.
«Lo
tengo impegnato per un po'...» affermò poi Tony.
Steve provò nuovamente a fermarlo ma senza successo.
Iron man
colpì ripetutamente l'avversario che però si fece
scudo con la sua lama che pareva essere di un materiale simile al
vibranio, in quanto non fu scalfita da nessun laser che Tony gli
lanciò contro.
Steve
assistette impotente allo scontro fra i due quando sentì il
tonfo che seguì l'arrivo di Occhio di Falco, gli occhiali
neri sul naso e l'arco nelle mani.
«Nat
sta setacciando il perimetro alla ricerca di quella strega»
comunicò.
Steve
seguì il profilo del suo viso.
«Credi
anche tu che sia un'illusione?» chiese brandendo lo scudo.
«Non
lo so, ma nel dubbio cerchiamo di metterlo comunque al tappeto, senza
ferirlo troppo» rispose Clint tendendo la sua arma.
«Può andare come piano, capitano?»
Captain
America prese un profondo respiro e poi annuì.
«Possiamo
provare.»
E il dardo
partì.
ஐஐஐ
Gli aveva chiesto perdono
ancora e poi ancora. Anche quando le lacrime si erano arrestate, anche
quando il suo viso ferito era tornato asciutto, Sigyn aveva continuato
a chiederle perdono, con il ginocchio a terra e le labbra premute
contro il dorso delle sue mani.
Ma Frigga
l'aveva fatta alzare, le aveva sorriso ancora e le aveva chiesto come
stesse. E Sigyn avrebbe voluto piangere ancora.
«Sto
bene. Starò bene» rispose con un sorriso sincero
perché adesso che poteva averla di fronte stava davvero
bene. Poi il sorriso sfumò mentre stringeva forte le sue
mani. «Ma non dovresti essere qui, madre. Padre ha proibito
che mi fosse fatta visita» ricordò senza
nascondere il dolore per quella verità.
Ma Frigga
scosse il capo.
«Odino
ha revocato quell'ordine per me e mi ha concesso di porgerti visita...
di porgerla ad entrambi.»
Il suo
cuore tornò a battere forte, la gola già arsa, si
asciugò ulteriormente.
«Sei
stata da Loki?» chiese con un sospiro. Il sorriso di sua
madre non andò via mentre annuiva.
«Sta
bene» rispose a quella domanda senza che Sigyn la
pronunziasse.
Un calore
forte si irradiò nel suo petto e un pallido sorriso
piegò anche le sue labbra ferite.
«Grazie
per essere venuta... davvero, grazie.»
Frigga non
aggiunse nulla e le accarezzò il viso con la mano e poi le
sfiorò la ferita ancora fresca sulla bocca.
«Ti
fa male?» chiese e Sigyn scosse il capo. Poi però
provò la stessa sensazione che aveva avvertito quella prima
volta nella camera di Stark e successivamente accanto a quel letto
d'ospedale. Quando Frigga allontanò la mano, Sigyn si
passò le dita sulle labbra e sulla guancia che aveva
bruciato fino a poco prima.
Non c'era
più alcuna ferita.
Il
seiðr di sua madre era luminoso e caldo quanto quello di Loki.
Lasciò
andare un profondo respiro e abbassò il capo.
«Non
dovevi. Padre ha avuto ragione a colpirmi.»
«E
io ne ho nel volerti curare, bambino mio.» Nel sentirsi
chiamare così riavvertì una fitta al cuore, una
miscela di dolcezza e di amaro, un incontro fra la gratitudine e la
colpa.
Guardò
a lungo gli occhi azzurri e profondi di sua madre sentendo quasi di non
meritare il suo sguardo materno.
«Madre,
quando hai inviato Linn da me, affinché mi portasse la tua
lettera... tu sapevi?» La domanda volò nell'aria
per qualche secondo. Frigga non aveva più sorrisi ma il suo
sguardo non aveva smesso di essere comprensivo.
«No»
rispose soltanto e Sigyn percepì la vergogna vestirla
nuovamente. Abbassò il capo e chiuse le palpebre.
«Non
credo esistano parole per dirti quanto vorrei non averti ferito
così.» La gola sussultò nel buio del
suo sguardo. «Se potessi tornare indietro io-»
«Ascolta.»
La sua mano le fece risollevare il viso e Sigyn riaprì gli
occhi guardando quelli di Frigga. «Se anche tu e Loki avete
commesso un reato per le leggi di Asgard, nessun crimine è
stato commesso davanti al mio cuore. Mentirei se dicessi che questa
scoperta non abbia turbato i miei pensieri, ma mai il mio affetto si
è posto domande. Mai...»
Sigyn
strinse i denti e mandò giù un nuovo pianto.
Lasciò gli occhi asciutti e le labbra chiuse per non
supplicare a sua madre ancora un perdono che aveva compresa non voleva
sentirsi chiedere.
«Tu
sei e resterai sempre mio figlio così come lo
sarà Loki, per quanto il suo animo fragile possa portarlo
distante dalla via più giusta. Posso recriminarti tante
cose, Thor, perché avrei voluto che tu ti fidassi di me e
non temessi il mio giudizio, ma non posso recriminare l'amore che hai
sempre nutrito per tuo fratello. L'hai sempre amato più di
tutti, forse più di me.»
«Madre-»
«No,
ascoltami, per favore.» Frigga la obbligò al
silenzio mentre mille batticuori stavano imperversando nel petto di
Sigyn, mentre mille lacrime stavano nuotando silenti negli occhi della
regina. «Asgard potrà ritenerlo illegittimo, ma
come madre non posso che gioire nel vedervi uniti, di qualsiasi affetto
il vostro cuore possa saziarsi. Fosse anche quello ritenuto
più inaccettabile, ma mai sarà sbagliato. Non per
me.»
Sigyn si
bagnò le labbra respirando a fondo, sentendo il petto fare
male per come forte tuonava quel cuore.
«È
vero, io ho sempre amato Loki anche se ha sbagliato, anche se ha
commesso tante azioni scellerate, ho sempre avuto solo affetto per lui
ma...» Deglutì e scosse il capo. «Loki
non ama Thor, non quanto ama Sigyn.» Sorrise tristemente.
«Forse è questo il mio vero crimine: avergli
regalato quest'illusione.»
«Sigyn
non è un'illusione, Thor. È una parte di te e
questo Loki lo sa ed è il motivo per cui l'ha lasciata
entrare nel suo cuore.»
Si
sentì arrossire e riabbassò lo sguardo.
«Perdonami,
non dovrei neanche affrontare un discorso tanto disdicevole in tua
presenza, madre.»
Frigga
sorrise.
«Ti
sei presentato ubriaco e sporco di fango a una delle sedute del
consiglio presiedute da tuo padre... quello è stato
disdicevole, non confidarmi i tuoi timori, Thor.»
Lasciò
andare una piccola risata ricordando quel giorno.
«Padre
minacciò di diseredarmi» sospirò.
«Forse si sta pentendo di non averlo fatto sul
serio» aggiunse con un sorriso che però celava
tanta sofferenza. Frigga lo capì.
«Da
lui non avrai mai comprensione né accettazione, ma con il
tempo capirà» affermò sua madre e Sigyn
annuì con il capo.
«Vorrei
poterlo credere, davvero vorrei...» Ma in realtà
temeva che il disprezzo e l'accusa non abbandonasse mai più
il suo sguardo e il suo cuore. Anche quando la rabbia fosse sfumata, la
patina di delusione sarebbe sempre rimasta, e non c'era niente che
potesse fare per lavarla via.
«L'orgoglio
di tuo padre è resistente come le radici di Yggdrasill, ma
la sua sofferenza ti dimostra che il suo cuore è quello di
un uomo come gli altri. Imparerà ad ascoltarlo.
Imparerà.»
Le parole
di Frigga erano miele, dolce e caldo, e capaci di togliere almeno un
po' quell'amarezza che riempiva i suoi pensieri.
«Grazie»
le disse ancora con un sorriso.
«Basta
con la gratitudine, va bene?» le sorrise e le fece un cenno
con il capo.
Sigyn le
restituì quel cenno d'intesa così come le
restituì quel sorriso.
«Ora,
perché non mi racconti le vicissitudini che hanno reso il
mio bambino la giovane che vedo davanti a me?»
A quella
domanda avvertì il viso accaldarsi di nuovo ma doveva
mettere da parte l'imbarazzo del principe e a lasciare andare la
sincerità del figlio. Sua madre lo meritava.
Le
raccontò della maledizione, del sigillo, le
raccontò di come si era sentita a disagio a recitare il
ruolo della “fanciulla” e di come Loki si era
divertito a prenderla in giro.
Non le
disse nulla che avrebbe potuto offenderla, non le disse della passione
che era nata senza che se ne rendessero conto e di come si erano
perduti in essa. Ma Frigga non aveva bisogno di parole, dolce e
profonda come sempre, colse ogni sfumatura.
Poi i
ricordi belli e spensierati scivolarono al rimembrare quell'ultima
notte, al ricordo delle parole di Loki, al ricordo del viso di Hela.
Era un
dolore che non aveva condiviso con nessun altro a parte lui,
perché nessuno poteva comprendere, nessuno poteva perdonare.
Ma sua
madre era lì e la guardava con tenerezza, le stringeva le
mani e sorrideva, e Sigyn aveva bisogno che la guardasse con
più tenerezza, che la stringesse più forte, che
le sorridesse portando via le lacrime che sarebbero scese quando le
avrebbe detto di quel figlio mai nato.
«Madre,
c'è ancora qualcosa che vorrei che tu sapessi»
ammise con un fiato debole cercando nel cuore la forza di tramutare i
pensieri in parole.
Frigga
annuì e non le mostrò fretta, ascoltò
il suo silenzio e la sua incertezza, il dolore e la
difficoltà di socchiudere le labbra.
Poi
d'improvviso, fu un dolore lancinante. Un gemito salì dalla
gola di Sigyn mentre si portava la mano alla spalla sinistra.
«Cosa
succede, tesoro?» Udì la preoccupazione di sua
madre.
La spalla
continuò a far male, come fosse attraversata da un tizzone
ardente.
«Io...»
Sigyn allontanò la mano e scoprì il palmo sporco
di sangue. «Io non lo so.»
ஐஐஐ
Tony vide l'espressione
irritata attraversare il viso di Thor quando Barton lo colpì
con una freccia. Era riuscito a centrare una delle zone non protette da
quella inguardabile armatura, poco sopra l'ascella sinistra, ma
sembrava non aver causato danni importanti a parte l'irritazione in
quel vichingo asgardiano.
Thor
afferrò la freccia e la strappò via con un
ringhio prima di voltarsi a guardare nella direzione da cui era giunto
l'attacco.
Era una
buona occasione.
«Mai
distrarsi, riccioli d'oro» sentenziò attaccandolo
in quella distrazione con una scarica di energia che proruppe dai palmi
della sua Mark.
Thor non
riuscì a schivarla né a pararla, e fu colpito in
pieno.
Quando il
fumo si diradò però, per l'ennesima volta c'era
solo rabbia sul suo viso. Nessuna sofferenza, nessuna ferita meritevole
di nota.
«È
un osso duro» sospirò fra sé Tony,
volando in direzione di Steve e Clint. «Ho un
piano» affermò poi.
«Anche io,»
rispose Cap. «Rimandarti
a casa!» sentì mormorarlo con voce
infastidita attraverso il suo casco.
«Non
gli ho fatto nulla, Rogers. Anzi, quello lì sembra non
accusare niente.» Nel frattempo Thor li stava raggiungendo.
«Quale sarebbe il piano, Stark?»
chiese ancora Steve.
«Tenerlo
occupato e lasciare che Falco lo colpisca con uno dei sonniferi
superpotenti di Bruce. Quello che ha abbattuto Loki potrebbe
bastare.»
«Può funzionare»
sospirò il capitano.
«C'è solo un problema,»
li informò Natasha. «Non li abbiamo con noi.»
A quella
notizia Tony gemette in disapprovazione.
«Avete
un jet di quella portata e non avete un cassetto libero per due fiale
di narcotico?!» li rimproverò. Intanto Thor li
aveva raggiunti e aveva deciso di attaccare nuovamente Steve.
Clint provò a colpirlo con un'altra scarica di frecce ma
stavolta per qualche strana ragione, quella dannata spada aveva
iniziato a emettere scintille quasi fosse incandescente, e tutti i
dardi erano esplosi prima di giungere a segno.
Steve
provò a difendersi con il suo scudo ma Thor non parve
volerglielo permettere.
Tony
dovette rivedere il suo piano.
«Io
torno alla Tower a prendere un paio di sonniferi. Ci
impiegherò di certo meno tempo. Voi cercate di impedirgli di
ammazzarvi. Chiaro?»
Aumentò
la propulsione fino a raggiungere l'altezza del veicolo in volo.
«D'accordo»
disse Natasha.
«Sbrigati
però» aggiunse Clint mentre cercava
di lanciare
per l'ennesima volta una freccia. La spada la tagliò di
netto ma Steve riuscì a rifilargli un calciò
nello stomaco.
«Farò
il prima possibile.»
L'ultima
cosa che Tony vide fu Thor che si portava una mano all'addome e che
scagliava poi Steve lontano venti metri con un colpo di spada.
Sospirò
all'interno del suo casco.
«Jarvis,
massima potenza!»
«Agli ordini, signore.»
ஐஐஐ
Frigga si ritrovò a
dover sorreggere fra le braccia il suo corpo quando la giovane donna si
accasciò sofferente contro di lei.
«Che
sta succedendo?» chiese nuovamente mentre la udiva tossire.
Dalle sue labbra fuoriusciva qualche goccia di sangue. La spalla non
smetteva di sanguinare senza apparente motivazione e il dolore le stava
piegando il bel viso.
«Madre...»
le udì gemere. «Cosa mi succede?»
Frigga le
passò una mano sulla fronte e provò a sentire
cosa stesse accadendo al suo corpo.
Lo
avvertì subito: il flusso di un forte potere che riverberava
nelle sue vene.
Era un
incantesimo di quale natura non sapeva dirlo, di certo qualcosa che la
stava uccidendo.
«Andrà
tutto bene...» le rassicurò. Poi si volse verso le
guardie e ordinò loro di aprire la cella immediatamente.
«Conducetela nella camera della guarigione! Adesso!»
La guardie
aprirono la cella ma non mostrarono intenzione di raccogliere quel
corpo sofferente dalle sue braccia.
«È
un ordine, soldati!» comandò ancora, ma
benché incapaci di parlare, il loro dissenso era visibile
sul loro viso. Frigga si sentì pervadere dalla rabbia.
«Osate disobbedire a un diretto comando della vostra regina?
Volete che faccia porre le vostre teste di traditori su una
picca?» Le sue urla richiamarono il carceriere che raggiunse
la cella con passi svelti.
«Cosa
sta succedendo?»
«Questa
donna sta male e necessita di immediate cure. Conducetela nelle camere
della guarigione all'istante. È un ordine della tua
regina.» Si rivolse allora al carceriere che però,
benché mostrò un certo spavento per la
situazione, non seguì nessuno dei suoi comandi.
«Non
posso, mia regina. Non mi è concesso far uscire nessuno dei
prigionieri dalle segrete, quale ne sia la ragione.»
«Sigyn?
Che ti sta succedendo?» Frigga udì un uomo
parlare, un uomo alle spalle dei soldati: era il prigioniero costretto
nella cella di fronte. «Stupidi soldati,
aiutatela!» inveì contro di loro ma il carceriere
fece schiantare la sua mazza di acciaio contro le sbarre provocando un
suono terribile.
«Sta
zitto, cane!» lo rimproverò.
«Sei
tu il cane se lasci che questa ragazza soffra in quella
maniera!»
«Enok...»
Era la sua voce, debole e fiacca.
Frigga la
sostenne contro il proprio corpo sentendo il sangue macchiare anche le
sue vesti.
«Non
parlare, tesoro.» La rassicurò ancora sentendo
però il timore crescere a ogni respiro. «Guardie,
vi prego, conducetela nella stanza della guarigione e poi sarete liberi
di andare dal vostro re e riportare ciò che è
accaduto» affermò umile come non avrebbe mai
dovuto. «Riportate pure il tradimento che vi ho ordinato di
compiere e nessun torto vi sarà fatto. Ma lasciate che
questa ragazza soffra ancora e subirete una punizione senza
eguali.»
Le guardie
si consultarono con lo sguardo mentre il carceriere non
mostrò alcuna intenzione di intervenire.
Ci fu
ancora un gemito, ancora un sussulto nel corpo che Frigga stringeva,
mentre nuove ferite fiorivano dal nulla sul suo viso e sugli arti.
Qualsiasi
cosa stesse accadendo non c'era più tempo. Infuse del
seiðr per cercare di guarirla ma l'incantesimo che fluiva nelle
sue vene sembrava respingere ogni tentativo di sanarla.
«Questo
corpo... sta morendo...?» Si sentì chiedere
debolmente.
Il suo
cuore sussultò. Non poteva vedere i suoi occhi, celati con
forza dalle palpebre.
«No,
non stai morendo. Non morirai» disse con sicurezza
benché avesse terrore di ciò che invece poteva
seguire.
Poi d'un
tratto una delle guardie si avvicinò e si
inginocchiò al suo fianco, raccogliendo quel corpo ferito
fra le braccia.
Un cenno
del capo che Frigga ricambiò prima di rimettersi in piedi a
sua volta.
«Facciamo
presto» ordinò quando la guardia, seguita dalle
altre due, prese il passo per uscire dalle segrete.
ஐஐஐ
Natasha guardò dal
jet lo scontro che vedeva impegnati i suoi compagni. Clint stava
provando ad attaccarlo, come di natura, dalla distanza ma era difficile
colpirlo; riuscì a sfiorarlo e a lasciargli solo qualche
ferita lieve, mentre Steve ingaggiò un corpo a corpo che
però era palesemente sbilanciato dal momento che il capitano
mostrava evidente difficoltà a lottare contro di lui.
«Steve
finirà con il farsi uccidere...»
mormorò con un sospiro.
Al suo
fianco Bruce, in silenzio, osservava la stessa scena. Era agitato, si
vedeva con facilità, eppure nei suoi occhi Natasha lesse la
volontà di fare qualcosa, anche se l'unica cosa che poteva
fare era forse quella che odiava di più.
«Dobbiamo
aspettare Tony. Sarà qui a momenti» disse il
dottor Banner, ma c'era molta poca certezza nella sua voce.
Natasha lo
guardò e prese un profondo respiro.
«Bruce?»
lo chiamò. Lui si voltò a guardarla e
capì.
Un sospiro
abbandonò le sue labbra mentre si toglieva gli occhiali dal
naso.
«Non
voglio fargli del male... Se Steve avesse ragione e fosse realmente
Thor, io-»
«Non
gli farai del male. Lui
non gliene farà.»
«Non
ne sarei così sicuro» brontolò ancora
Bruce.
«Ok,
se fosse realmente Thor vuol dire che oltre alla sua forza ha anche la
sua straordinaria capacità di guarigione, no?»
Provò a convincerlo con un sorriso. «L'hai detto
tu: Tony sarà qui a breve.» Guardò
nuovamente attraverso il finestrino Steve che si faceva malmenare da
Thor e Clint che stava salendo su una grossa cisterna d'acqua.
«Devi solo giocare
un po' con lui.»
Bruce
ingoiò un altro sospiro e poggiò gli occhiali
sulla console di volo.
«Almeno
siamo nel deserto» mormorò iniziando a sbottonarsi
la camicia. Natasha annuì con un cenno del capo e
aprì il portellone.
«Metterò
al sicuro tutti i civili. Non temere.» Lo
rassicurò.
Bruce
lasciò la camicia su un sedile e si avvicinò
all'apertura.
Il vento
violento sferzò i suoi capelli mentre un riflesso verde gli
attraversò le iridi.
Un ultimo
sguardo di intesa e poi saltò giù.
«Ragazzi,
sta arrivando il quarterback» comunicò la Vedova
attraverso l'auricolare.
Qualche attimo dopo un ruggito
salì alto fino al jet.
*
Steve
udì il fragore dei passi di Hulk come quello di una mandria
di bufali.
Balzò
indietro giusto il tempo necessario per evitare la sua carica. L'amico
verde colpì in pieno Thor che fu scaraventato a decine di
metri di distanza finendo con il colpire e frantumare un muro di un
palazzo per fortuna vuoto.
«Capitano
a terra» disse il gigante con il cuore di Bruce.
Steve
tossì e si mise in piedi.
«Sto
bene, Hulk. Non preoccuparti» affermò guardando il
polverone di detriti in cui era affondato Thor.
«Hulk
aiuta amico capitano.»
Steve
sorrise e annuì.
«Sì,
lo so, ma anche Thor è amico di Hulk, ricordi? Non devi
fargli male.»
Hulk
aggrottò la fronte con un'espressione contrariata.
«Thor
colpito capitano. Hulk colpito Thor. Hulk più forte di Thor.
Hulk più forte di tutti!»
«Su
questo non ci piove» mormorò sistemandosi al
braccio lo scudo. Il jet era volato in direzione del centro abitato,
dal momento che lo scontro si era spostato nella zona meno popolata.
Era un
bene.
Nel
frattempo dalle macerie si alzò la figura di Thor e del suo
mantello non più candido come prima.
Ma che
diavolo stava succedendo?
Già
quella faccenda di Sigyn e di Loki lo aveva destabilizzato, adesso ci
si metteva un'altra assurdità come quella!
E dov'era
Amora?
Dalle
immagini era chiaro ci fosse anche lei eppure non l'avevano vista da
nessuna parte. Natasha non era riuscita a rilevare la sua presenza in
nessun luogo nelle vicinanze.
Doveva
trovarla, doveva mettere fine a quella storia una volta per tutte.
«Orrido
mostro! Ti abbatterò come si conviene a creature della tua
specie!» Si udì la minaccia di Thor che li stava
raggiungendo con la sua spada in pugno. Sul viso un paio di tagli,
sulle labbra una smorfia rabbiosa.
Hulk
ruggì ancora al fianco di Steve.
«Thor
dice brutte cose a Hulk! Hulk arrabbiato con Thor!» Si
batté poi forte i pugni sul petto ruggendo ancora.
«Hulk spacca!»
«Aspetta-»
Non
riuscì a fermarlo che il gigante si avventò con
furia contro Thor che riuscì però a balzare sul
fianco destro ed evitare così la sua carica. Lo
colpì quindi alle spalle con un fendente facendolo urlare
ancora più furiosamente.
«Hulk
molto molto arrabbiato!» La grossa mano verde
afferrò il taglio della spada e lanciò per
l'ennesima volta Thor via, stavolta però lo raggiunse prima
che potesse alzarsi.
Steve aveva
visto Thor e Hulk lottare tante volte, perché Thor amava
combattere con una creatura straordinaria come Hulk, e Hulk si
divertiva a “giocare” con Thor.
Era questa
la quotidianità. Era stata questa la loro strana e
rassicurante routine.
Adesso era
diverso, adesso c'era cattiveria nelle azioni di Thor, adesso non c'era
nessun gioco.
Steve
temette davvero che fossero giunti a un punto di non ritorno.
***
NdA.
Ops... Qui qualcosa non va, vero?
Speriamo nessuno si faccia troppo male, anche se...
Come di prassi, spero abbiate gradito. Perdonate se sono una sega nelle
scene d'azione, ma non sono proprio il mio genere prediletto ^///^
Però amo leggerle e mi auguro almeno di non aver scritto un
obbrobrio eccessivo.
Per qualsiasi domanda o dubbio o correzione, sono sempre qui ^^
Ce la faranno i nostri a tenere a bada dark!Thor?
Tony giungerà in tempo o si fermerà a mangiare
uno shawarma per strada?
Frigga riuscirà a capire cosa sta accadendo a Sigyn prima
che sia troppo tardi?
Ma, soprattutto, adesso chi glielo dice a Loki???
...
Al prossimo appuntamento dove vedremo come andrà a finire
questo avvincente(?) scontro fra Titani.
(e dopo questo imbarazzante teatrino mi dileguo >///>)
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 25 *** Un prezzo da pagare ***
cap25
L' ultima lacrima
XXV.
Una volta giunti nelle camere
della guarigione, i soldati non erano andati via, si erano invece posti
a difesa della porta cosicché nessuno potesse impedirle di
fare del suo meglio per guarire suo figlio.
Era stata
una prova di assoluta fedeltà, era stato un gesto di
rispetto e affetto per la loro sovrana che Frigga non avrebbe
dimenticato di premiare.
Eir stava
ancora tentando di curare con le pietre le ferite su quel corpo, ma non
sembrava davvero esserci modo di riuscirci.
«Mia
regina, c'è qualcosa che impedisce la guarigione»
appurò la donna più anziana mentre passava una
spugna umida sul viso sofferente di quella giovane che era in
realtà il suo amato bambino. Frigga non poteva
però che tale notizia fosse resa pubblica, non poteva far
conoscere a nessun altro la vera identità della ragazza,
perché sarebbe stato solo un modo per ferirli maggiormente,
per espandere oltre ogni limite quel loro profondo peccato.
«C'è
un incantesimo che impregna il suo sangue,» le
confidò Frigga mentre le giovani aiutanti di Eir tentavano
di tenere per lo meno puliti tutti i tagli che stavano sorgendo sulle
braccia, sul volto e sull'addome.
«Mia
regina, se è stato gettato un sortilegio su questa ragazza
non possiamo aiutarla almeno che non venga sciolto.»
Frigga lo
sapeva bene, ma non era riuscita a comprendere di che natura fosse
quell'incantesimo.
«Coraggio,
bambina. Sii forte...» sospirò Eir premendo una
benda sulla profonda ferita alla spalla e accarezzandole i capelli
mentre la sentiva gemere dal dolore, incapace perfino di tenere gli
occhi aperti.
Thor non
aveva mai mostrato le sue sofferenze, non aveva mai pianto neanche da
bambino, quando aveva subito una ferita. Ma adesso era diverso, adesso
il corpo che vestiva era quello fragile di un essere umano.
Non aveva
idea di come aiutarlo, e forse solo una persona poteva farlo.
Si
avvicinò all'unica guardia rimasta nella sala e
afferrò con decisione la sua casacca.
«Vai
nelle celle e porta il principe Loki da me»
comandò. La guardia mostrò solo qualche attimo di
incertezza, poi annuì battendo il pugno sul petto e
uscì dalla stanza.
Frigga
prese un profondo respiro mentre un forte tossire si udiva alle sue
spalle.
Ingoiò
la paura e si avvicinò a letto. Prese fra le mani la sua,
tremante e sporca di sangue, e la strinse forte.
«Andrà
tutto bene, tesoro mio.» La portò alle labbra e la
baciò. «Andrà tutto bene.»
*
Il silenzio
di quella cella era assordante. Loki iniziò a camminare
lentamente per la stanza per produrre almeno un rumore di suole che
potesse renderlo meno soffocante.
Aveva fino
all'alba, così gli aveva detto Odino: fino all'alba per
decidere se collaborare o meno, per decidere di riportare Thor da lui e
lasciar andare ancora una volta Sigyn.
Poteva
lasciare che Styrkárr mettesse Asgard a ferro e fuoco,
poteva guardare Odino cadere in miseria e gioirne, poteva guardare il
viso di sua madre in lacrime... Poteva guardare quello di Sigyn e
leggerne il suo odio.
Qualsiasi
cosa avesse fatto l'avrebbe comunque persa.
Sospirò
a fondo e tirò indietro i lunghi capelli neri.
Senza i
suoi poteri non poteva comunque fare nulla. Era in catene, nel senso
meno poetico che esistesse, e Odino stava vincendo in ogni caso.
Chiedere
sostegno a sua madre era l'unica arma che aveva al momento, almeno
finché non avesse trovato il modo di infrangere la catena
mistica che quella cagna di Amora aveva legato attorno al suo
seiðr.
Per adesso
aveva tempo. Fino all'alba, aveva tempo, a meno che Styrkárr
non avesse deciso di agire prima, a quel punto...
I suoi
pensieri furono interrotti dal passo veloce e un rumore di stivali:
erano due guardie che stavano giungendo dal fondo del corridoio.
Si
avvicinarono alla sua cella e Loki le osservò
distrattamente. Erano le guardie mute che ormai Odino doveva aver
deciso di destinare alla sua sorveglianza.
«Siete
qui per fare due chiacchiere?» le beffeggiò con un
sorriso. I due soldati non mostrarono neanche interesse
nell'ascoltarlo. Si avvicinarono alla barriera di seiðr e la
fecero svanire.
Loki rimase
alquanto confuso.
Fra le mani
dei due non c'era alcuna catena da legare attorno ai suoi polsi.
Uno di loro
lo afferrò per un braccio e lo trascinò di peso
fuori dalla cella.
Provò
a divincolarsi ma quelli non erano deboli terrestri, e senza i suoi
poteri neanche la sua agilità poteva molto.
«Dove
mi state conducendo? Ah, giusto, non potete dirmelo...»
mormorò infastidito, costretto a seguirli ovunque avessero
voluto condurlo. Forse Odino aveva cambiato idea, magari voleva udire
la sua risposta immediatamente.
La
situazione, da qualsiasi angolazione la si guardava, sembrava comunque
non pendere in suo favore.
Il passo
delle guardie era lesto e Loki le studiò velocemente con la
coda dell'occhio, fino a quando non scorse tracce di sangue sul collo
di una di loro. Non era di certo il suo, era abbastanza chiaro fosse
stato trasferito da qualcun altro.
«Di
chi è quel sangue?» chiese serio. Il soldato
voltò il capo per guardarlo ma scostò subito lo
sguardo.
Loki
avvertì un brivido attraversare la sua schiena.
Il cuore
velocizzò il battito.
No, non
poteva essere il suo,
non poteva essere quello di Sigyn.
Stava per
porre un'altra domanda che sarebbe restata priva di risposta, quando la
guardia svoltò nel lungo corridoio. Non erano diretti alla
sala del trono, capì in quel momento Loki, e quando la
grande porta dorata si fece più vicina, il battito
impazzì ancora.
Era la sala
della guarigione.
Fu lui ad
aumentare il passo costringendo la guardia che lo teneva per il braccio
a stargli dietro.
A difesa
della porta le altre due sentinelle che, quando li videro giungere,
l'aprirono velocemente.
Loki ebbe
serio timore di scoprire cosa avrebbe visto.
«Loki!»
Udì lontana la voce di sua madre. Non vide neanche le
guaritrici attorno al letto.
Ciò
che rubò la sua attenzione, che straziò il cuore
e che gli fece smorzare il respiro nella gola, fu scorgere Sigyn, la
sua Sigyn, coperta di sangue.
ஐஐஐ
«Perimetro sicuro, capitano.
Abbiamo fatto evacuare tutta la zona. Nessun civile nelle vicinanze.»
Steve
annuì alle parole di Natasha.
«Ben
fatto, Nat.»
«Stark è
già giunto alla Tower. Sarà di ritorno a breve,
10 minuti al massimo.»
Era una
buona notizia, anche se Steve temeva che dieci minuti sarebbero stati
troppi, dal momento che Hulk e Thor non avevano smesso un attimo di
lottare.
Clint si
era sistemato in cima a una cisterna d'acqua, con la visuale libera,
per poter colpire una volta in possesso delle cariche narcotiche di
Tony. Non aveva più lanciato alcuna freccia verso di lui.
Steve
comprese era una tecnica per distrarre Thor dalla sua presenza e fargli
abbassare la guardia su un eventuale pericolo proveniente dall'alto.
Lui neanche
aveva avuto modo di intervenire in quello scontro che sembrava non
giungere mai a una fine.
Benché
privo del suo martello, Thor riusciva a tenere come sempre testa a
Hulk, sebbene la fatica iniziava a imperlare il suo viso.
Steve
ancora non credeva che quello potesse essere il loro compagno.
Aveva avuto
la stessa sensazione quando aveva incontrato gli occhi di Sigyn la
prima volta, ma era bastato parlare perché scoprisse in lei
l'anima del suo amico, o meglio, il suo cuore.
Quella
strana questione delle tre essenze era ancora un bel casino nella sua
testa.
C'era
qualcosa che però non tornava: Amora era riuscita a far
tornare Thor come prima...
E Loki?
Dov'era adesso?
Se entrambi
erano su Asgard, allora come aveva fatto Amora ad avvicinarsi a Sigyn,
farla tornare Thor e addirittura far mutare in tal maniera il suo
comportamento?
Per quel
poco che conosceva Loki, era chiaro che non glielo avrebbe permesso con
facilità.
Che fosse
morto?
«Cap? Come vanno le cose?»
Tony spezzò il filo dei suoi pensieri.
«Non
so per quanto riusciremo a tenerli sotto controllo, Stark»
rispose mentre guardava Hulk colpire allo stomaco Thor con un gancio.
«Tony?» sospirò poi.
«Cosa c'è?»
«Dov'è
Loki, secondo te?» chiese.
Iron Man
non rispose immediatamente.
«Se fossimo fortunati, sarebbe
sei piedi sotto terra, ma la fortuna è parecchio stronza con
noi. Probabilmente è scappato via. È quello che
gli riesce meglio.»
Steve
scosse il capo.
«Pensi
che avrebbe rinunciato a lei senza lottare?»
Udì
un risolino nel suo auricolare.
«L'amore ti ha reso
più acuto, Rogers» mormorò
poi Tony. «Io
ho una teoria. Vuoi ascoltarla?»
Hulk
ruggì e afferrò Thor fra le braccia nel chiaro
tentativo di stritolarlo. Un colpo di spada sul suo addome gli fece poi
lasciare la presa. Fu il turno di Thor di attaccare.
No, non
sarebbe durata per molto.
«Parla,
Tony.» Lo esortò.
«Hai presente tutta la faccenda
delle tre essenze?»
«Certo.»
«Beh, Sigyn diceva di essere il
cuore di Thor e di aver visto con i suoi occhi il corpo addormentato.»
Iniziava a capire dove volesse condurlo Tony, ma aspettò di
avere una conferma. «Comincio
a condividere con te l'opinione che quello lì sia Thor, e
non c'entrano i calcoli di Jarvis, però credo che non sia il
Thor con cui abbiamo avuto a che fare fino adesso: credo sia il suo
corpo.»
Steve si
concesse qualche secondo per riflettere.
Loki e
Sigyn erano su Asgard. Amora poteva essere in possesso del suo corpo
addormentato.
Un corpo
senza cuore. Un involucro apparentemente vuoto da poter riempire con
ogni tipo di sentimento.
«Forse la tua idea sul lavaggio
di cervello non è così lontana dalla
realtà, e di certo manipolare qualcuno privo di coscienza
è anche più semplice, soprattutto se sei una
specie di strega.»
Steve
sentì una morsa fastidiosa allo stomaco.
«Questa
storia non mi piace per niente» mormorò fra i
denti. «Sbrigati, Tony.»
«Sarò lì a
minuti.»
Quale
essere si sarebbe approfittato di qualcuno privo di sensi e di
consapevolezza per crearne un'arma da usare a suo piacimento? Un'arma
da usare contro i suoi stessi amici.
Se le cose
stavano davvero così, Amora aveva compiuto un abominio ben
peggiore di quello commesso da Loki.
Benché
inaccettabili, tutte le azioni compiute da Loki erano state guidate
solo da un sentimento che faceva fatica a comprendere ma che non poteva
di certo accusare, soprattutto quando era stato chiaro che quel
sentimento non era per nulla a senso unico.
“Non vi è colpa ad
amare...” Aveva detto Linn e aveva ragione. Se
Loki aveva agito in quel modo, lo aveva fatto perché amava
Sigyn, quella strana creatura così simile a Thor eppure
così diversa. Ma nelle azioni di Amora, qualora confermate,
Steve non riusciva a trovare nulla di tutto ciò.
Ricordava
bene il suo sorriso e i suoi modi di agire.
Era una
donna arrogante e senza scrupoli. E andava fermata.
«Nat?
Ci sono novità sul fronte Amora?» chiese.
«Nessuna, Steve. Continuo a
cercare.»
«Trovala.»
Thor si
rialzò da terra sputando un grumo di sangue. Hulk
alzò il pugno e colpì ancora.
Steve
guardò verso Clint e poi in lontananza il cielo azzurro del
Nevada, sperando di scorgere la sagoma di Iron man quanto prima.
ஐஐஐ
Nel momento
in cui Frigga lo vide entrare dalla porta, temette di aver commesso uno
sbaglio a non parlare con lui prima di condurlo davanti a quella scena.
I suoi occhi non la degnarono di uno sguardo, la sua attenzione era
catalizzata tutta alla lettiga al centro della stanza.
«Loki!»
Lo chiamò una seconda volta quando lo vide strattonare via
il braccio dalla presa del soldato per raggiungere il letto a passo
svelto.
«Cosa
è successo? Cosa...» Scuoteva il capo. La bocca
schiusa che cercava di ispirare più aria possibile, le
spalle ad alzarsi e abbassarsi con ritmo sostenuto. Frigga poteva dire
di conoscere suo figlio meglio di chiunque altro in tutti e Nove i
Regni, eppure scoprì in quella circostanza di non averlo mai
visto così, così realmente spaventato,
arrabbiato, sconvolto. Neanche quando quella verità era
piovuta improvvisa sulla sua coscienza.
«Non
avrebbe dovuto! Non avrebbe dovuto toccarla!»
Capì
immediatamente a cosa alludesse.
Lo
raggiunse con passo rapido e lo afferrò per un polso.
«Non
è stato Odino.» Lo informò subito
tenendo uno sguardo al suo viso e uno a quel letto insanguinato, dove
sostava tutta l'attenzione e la preoccupazione di Loki.
«Nessuno ha levato una mano su di lei.»
Loki la
guardò per la prima volta da quando era entrato.
«Spiegati.»
Fu un sospiro eppure parve un comando.
Frigga
guardò il volto sofferente che Eir tentava di curare senza
successo.
«È
un incantesimo. C'è qualcosa che le sta provocando continue
ferite e non c'è alcun modo per curarle.»
Lasciò
che Loki facesse scivolare via il suo polso, che si avvicinasse al
letto e che avvolgesse le dita attorno a quelle di Thor - di lei.
«Un
incantesimo?» chiese con un fiato.
Frigga
annuì e scambiò uno sguardo con Eir.
«Non
siamo riuscite a risalire alla sua matrice mistica»
spiegò la curatrice tergendo la fronte della giovane ormai
priva di sensi.
Frigga
guardò le pallide dita di Loki accarezzare con dolorosa
gentilezza le altre, guardò il suo viso divenire scuro, i
suoi occhi osservare liquidi quel volto addormentato.
Il suo
cuore provò una fitta a ogni respiro.
Si sentiva
così impotente di fronte a quel dolore che specchiava e
ampliava il suo.
«Sono
stato io» disse poi Loki. «È mio
quell'incantesimo.»
«Cosa?»
Frigga non capì. «Di cosa stai parlando?»
Ma Loki si
vestì di silenzio per interminabili secondi per poi
indossare la stessa armatura con cui aveva affrontato sempre il mondo,
la più resistente e impenetrabile, con cui nascondere e
sotterrare ogni emozione.
La
guardò e la sua espressione era una lama.
«Solo
io lo posso sciogliere» sentenziò. «Devi
farmi riavere i miei poteri.»
«Oh,
non posso» disse la regina stringendo il pungo contro il
petto. «Non ne ho né la facoltà
né la capacità necessaria. Ma se sai come
possiamo salvarla allora sii rapido nel dirci la maniera
perché non vi è più tempo,
Loki.»
Ma Loki
scosse il capo. Lasciò andare quella mano rossa di sangue e
le si avvicinò con poche falcate.
«Io,
madre, solo io posso spezzarlo. Non altri.»
«Loki,
ragiona! Il solo che può ridarti il seiðr
è tuo padre e non lo farà mai...neanche per
salvare lei.» Fu difficile dirlo, fu orribile ammetterlo, fu
devastante accettarlo, ma era la verità.
Odino non
avrebbe concesso a Loki di riavere accesso alla sua magia né
ad altro, neanche se questo voleva dire salvare quella parte di Thor
che Loki tanto amava, l'unica che forse gli permetteva ancora di
provare qualcosa di buono, l'unica che avrebbe potuto salvarlo perfino
da se stesso.
Suo figlio
prese un respiro profondo senza mutare espressione, senza voltarsi
verso il letto quando salì l'ennesimo gemito di dolore,
quando Eir provò a asciugare altro sangue, quando le altre
due giovani guaritrici corsero a prendere altre bende.
Loki
restò a guardare lei, sua madre, con il ghiaccio nel fondo
dello sguardo.
«Allora
morirà anche lui» dichiarò cheto e poi
aggiunse: «Anche Thor morirà.»
Frigga
avvertì le gambe sul punto di abbandonarla, e si
avventò contro la maglia di suo figlio, contro la sottile e
umile stoffa.
«Cosa
vuol dire? Cosa hai fatto, Loki?» chiese con veemenza e Loki
continuò a guardarla freddamente nascondendo dietro alla sua
corazza quelle stesse lacrime che stavano celate negli occhi della
regina.
«Li
ho legati» rispose infine. «Il suo cuore al suo
corpo. Ho legato Thor a Sigyn, ogni cosa accada all'uno accade di
riflesso all'altra, e non c'è seiðr curativo che
possa interrompere il fluire del legame... L'ho fatto per
proteggerla.»
«Ma
lei sta morendo! Adesso, davanti ai tuoi occhi! E tu vuoi forse dirmi
che la stessa sorte sta affliggendo...?» Non
terminò, fu troppo da sostenere.
«Tuo
figlio.» Ma Loki non le evitò quel colpo e Frigga
lasciò bagnare il viso sciogliendo la presa sulle sue vesti,
portandosi una mano a coprire i gemiti di colpa e vergogna
perché, chiaro come non lo era stato mai e come invece lo
era sempre stato per Loki, Frigga capì che anche lei provava
il suo stesso dualismo nel cuore, e la fanciulla che stava giacendo
morente su quel letto non era Thor.
Ma Thor,
adesso, moriva nel medesimo istante.
*
Odino
ascoltò le parole del guardiano. Guardò il fondo
infinito dell'universo e non disse nulla.
Voltò
le spalle e prese il passo.
«Mio
re?» Heimdall lo chiamò e lui si
arrestò. Ridiede attenzione e sguardo al più
fedele dei suoi sudditi e attese una domanda che già
conosceva. «Non sarebbe saggio inviare supporto ai
terrestri?»
La domanda
vera era un'altra e il re la udì comunque:
Non sarebbe saggio giungere su
Midgard per salvarlo? Per salvare vostro figlio da se stesso?
Ma Odino
aveva imparato così tanto nella sua lunga vita, aveva
imparato tante lezioni e forse impartitone poche, ma ciò che
mai aveva negato a Thor né Loki era conoscere il
più importante di ogni insegnamento: un uomo matura
indossando ferite, non evitandole. Un buon padre lascia che la spada
ferisca il suo figlio più caro e raccoglie dal suo viso le
lacrime. Un buon padre non ferma la freccia che gli
trafiggerà il costato, ma è pronto a curarne lo
squarcio. Un buon padre non si frappone fra un figlio e il suo destino
ma lo piangerà senza riposo, nel più asciutto dei
silenzi.
Odino
sapeva di aver commesso tanti sbagli, di aver dato forse più
importanza a un trono che a quel compito altrettanto arduo che era
crescere e formare due giovani uomini.
Ciò
che però Odino non avrebbe mai tradito, sarebbe stato
quell'insegnamento che Borr gli lasciò in eredità
e che lui comprese solo quando l'oro dei suoi capelli si era ormai
tinto d'argento.
«Lascia
che Midgard combatta le sue battaglie, Heimdall. Ci sono uomini giusti
e valorosi pronti a difenderla.»
«Conosco
bene il valore di Midgard e delle sue genti, mio re, temo
però che quel valore possa portarli a compiere scelte
difficili. Scelte che partoriranno conseguenze che anche Asgard
sarà costretta a condividere.»
Odino
respirò a fondo.
«Ciò
che Asgard condividerà con Midgard sarà solo la
vittoria su un avversario. Nulla più»
affermò.
«E
la morte di un principe» sottolineò con la solita
solennità il guardiano.
Odino
serrò inconsciamente la presa sulla sua lancia e lo
guardò nei suoi occhi che tutto vedevano e che tutto
avrebbero sempre visto.
«Se
quel principe finisce con il diventare il fantoccio di una fattucchiera
e ciò lo condurrà alla morte, sarà
già tanto se Asgard lo piangerà. E adesso,
Heimdall, torna pure ai tuoi doveri.»
Fece per
riprendere il passo ma fu nuovamente fermato dalla sua voce.
«Perdonatemi,
ma credo che le emozioni offuschino la vostra saggezza, mio
re.»
«Ho
molto rispetto per la tua opinione. Di tutti e Nove i Regni, di nessuno
ho riguardo quanto del tuo consiglio, Heimdall, ma bada bene a mettere
in discussione ancora le mie disposizioni e non ci sarà
lealtà dietro cui troverai riparo.»
«Non
era mia intenzione mancarvi di rispetto, Padre degli Déi, ma
gli eventi di recente piovuti mi portano a considerare il vostro
giudizio di re alquanto sbilanciato. E se questo mio pensiero
è per voi motivo tale da ritenermi meritevole di una
punizione, sarò ben lieto di affrontarla.»
Odino
avrebbe voluto esplodere con impeto e mostrare a Heimdall tutta la sua
disapprovazione per quel che aveva pocanzi pronunziato, ma la
realtà era che c'era del fondo di veridicità
nelle sue parole, un riflesso pallido ma pur esisteva.
Raccolse
fiato e calma, rilegò al silenzio ogni ira e sdegno, e
osservò con rigore il guardiano.
«Styrkárr
potrebbe portare a breve un attacco alle mura di Asgard e non ho
intenzione di allontanare neanche uno scudiero dalla sua difesa per
inviarlo a infoltire le fila di un esercito che non lo ha
richiesto» sentenziò. «Se Midgard
avrà bisogno di aiuto, scenderò di persona a
debellare ogni singola minaccia, ma finché avrà
il suo esercito a difenderla, fosse anche da un suo stesso alleato, io
non darò alcun ordine di intervenire. Accada ciò
che accada. E che si dica pure che Odino, figlio di Borr, è
un re dal discutibile giudizio.»
Gli diede
ancora le spalle stavolta senza neanche la minima intenzione di
arrestarsi a qualsivoglia parola.
Ma Heimdall
non disse più di un saluto.
«Come
comandate, mio re.»
*
La porta si
aprì e i soldati Vanir si misero sull'attenti, nel momento
in cui Freyja varcò la soglia. Hogun a seguirla un passo
dietro.
«Regina
Freyja.» Sif si inchinò con riverenza e
così fecero Volstagg e Fandral.
Avevano
atteso un po', non troppo, ma adesso potevano forse avere responsi da
udire.
«Lady
Sif.» La salutò la sovrana e poi dedicò
un cenno a ogni guerriero al suo fianco. «Devo avervi
sottratto troppo a lungo la compagnia del vostro Hogun se siete giunti
fin qui per rivendicarla.»
Non c'era
vero rimprovero nelle sue parole, solo una giusta osservazione.
Sul viso un
sorriso nobile e gentile, nel fondo dei suoi occhi neri, mille
verità silenti.
«Non
era nostra intenzione affrettare l'incontro del nostro amico con la sua
amata regina.» Si scusò Fandral per tutti con un
ennesimo inchino.
Freyja
alzò il palmo della mano con eleganza per invitarlo a non
aggiungere altre parole.
«So
perché siete qui, valorosi guerrieri, e ciò non
fa che rendere onore alla vostra fama di fedeli difensori di
Asgard.»
Sif
scambiò uno sguardo con Volstagg e poi cercò gli
occhi di Hogun che era ancora vestito di silenzio.
«Mia
regina, non sta a me chiedere, non né ho il diritto, ma
-»
«Prode
Sif,» la interruppe però la donna. «Se
avete domande che inquietano il vostro cuore, dovrete porle al vostro
re. Non considerate il mio negarvele una mancanza di fiducia alla
vostra lealtà, tutt'altro. Il mio rispetto per voi
è così elevato che mi sentirei di farvi un torto
nel riferirvi verità che dovreste udire direttamente dal
vostro signore e sovrano.»
Sif non
aggiunse altro. Accettò la sua replica con un cenno del capo
e capì che, come aveva consigliato loro Freyja, avrebbero
dovuto chiedere direttamente a Odino.
Stavano per
congedarsi quando si udì un confuso rumore di passi, comandi
urlati in lontananza e, benché le parole giungessero incerte
da esser comprese, il tono era impossibile da confondere.
«Forse
quelle risposte giungeranno prima del previsto» disse ancora
Freyja.
E Sif
temette quasi di udirle.
*
Quando la
guardia lo aveva avvicinato il suo volto era piegato in un'espressione
di puro terrore. Odino lo aveva visto letteralmente gettarsi a terra
con il viso premuto al pavimento.
«Perdonatemi,
mio re. Vi chiedo di perdonarmi! Pietà!»
«Cosa
è accaduto?» chiese severo. Era una delle guardie
delle segrete, uno dei carcerieri dediti alla sorveglianza e alla
custodia dei prigionieri minori.
«La
giovane donna, mio re...» balbettò ancora l'uomo
senza sollevare il viso da terra.
Odino fu
investito nuovamente dall'inquietudine.
Quando
aveva destinato Thor alle segrete sapeva era stata una punizione di
certo eccessiva, ma la sua rabbia aveva guidato la sua lingua, e
l'arroganza negli occhi di Loki aveva cancellato il dolore e la colpa
che aveva letto in quelli azzurri di quella donna che ormai faceva
fatica a voler riconoscere.
«Parla!»
ordinò facendo tremare l'uomo ai suoi piedi.
«Mio
re, la... la regina l'ha condotta via.»
«Cosa?»
«La
regina-»
Odino
afferrò con forza la veste dell'uomo sollevandolo di peso e
guardandolo dritto in quegli occhi spaventati.
«Ripeti
ciò che hai detto!»
Ancora
fremiti attraversarono il corpo della guardia. La sua gola
sussultò mentre il sudore imperlava la sua fronte.
«La
regina Frigga è scesa nelle segrete»
iniziò così il suo racconto. «Ho
lasciato che facesse visita alla prigioniera come mi era stato ordinato
ma poi... Poi la donna ha iniziato a stare male e la regina ha ordinato
alle guardie reali di accompagnarla nella camera della guarigione. Io
le ho detto che non mi era concesso di lasciar andare via nessun
prigioniero ma le guardie hanno obbedito ai suoi comandi e io... mio re
perdonatemi. Vi prego! Abbiate clemenza!»
Odino
lasciò andare la stoffa e la guardia cadde a peso morto a
terra, continuando a supplicarlo senza un minimo di dignità.
Ma il Padre
degli Dèi non aveva orecchio per le sue preghiere.
Odino non
avrebbe avuto più orecchio per nessuna preghiera.
*
Loki vide
il viso umido di sua madre ma trattenne sul proprio la cera di quella
maschera distaccata.
Udiva Sigyn
soffrire ancora, vedeva le guaritrici portare via bende sempre
più insanguinate; leggeva la preoccupazione sui loro visi,
la rassegnazione nel loro silenzio.
Voltò
il capo e guardò ancora quello di Sigyn, con gli occhi
chiusi e le labbra spaccate, la fronte ferita, e poi le braccia, la
spalla, l'addome.
Una ferita
fiorì proprio davanti al suo sguardo, sulla sua guancia
destra, e Loki si avvicinò al letto per portare via quella
lacrima di sangue con un pollice.
«Se
c'è qualcosa che si può fare, devi dircelo,
Loki.» La voce di Eir giunse roca ma decisa. Loki
guardò i suoi occhi e non poté non tornare con il
pensiero a quella notte, a quella notizia, a quella paura che adesso
pareva così sciocca. «Continuerà a
soffrire, continuerà a perdere sangue... Le sue ossa si
stanno frantumando. Gli organi collasseranno e
morirà.» Assorbì quelle parole con
apparente freddezza mentre in realtà provocarono dentro di
lui una tormenta di rabbia.
Accarezzò
ancora il viso di Sigyn.
Quando
l'aveva legata al suo corpo aveva creduto fosse la scelta migliore,
perché Amora avrebbe protetto quel corpo e allo stesso tempo
avrebbe protetto Sigyn. Nessuno avrebbe levato una mano su di lei
perché nessuno l'avrebbe levata su di lui.
Ma Amora
era una donna infida e pericolosa e Loki avrebbe dovuto immaginare che
sarebbe giunta a tanto per fargli pagare quella scelta.
Qualsiasi
cosa stesse accadendo al corpo di Thor, stava uccidendo Sigyn ma, Loki
sapeva, lo stesso non stava accadendo a lui in quanto il suo era un
corpo Aesir. Più resistente, più forte.
Sigyn
invece aveva carni mortali, carni terrestri e non sarebbe sopravvissuta
almeno che non avesse reciso quel legame.
Era questo
che voleva, era questo il piano di quella lurida puttana: costringerlo
a disfare il suo incantesimo per salvarla.
Ma non
poteva farlo, non poteva sciogliere la magia che li legava se non
avesse riavuto possesso del suo seiðr, e solo Odino aveva la
facoltà di liberarlo dalla catena con cui Amora lo aveva
legato.
Una nuova
smorfia di dolore piegò il viso di Sigyn e Loki
mandò giù nella gola la sua voglia di urlare.
Le
accarezzò i capelli e si trattenne dal posarle un bacio
sulla fronte.
«Va'
da lui» sospirò poi guardando ancora sua madre.
«Digli che collaborerò, che farò tutto
ciò che posso per fermare quel Vanr.» Era disposto
a piegarsi, era disposto a farlo vincere ancora. Non aveva importanza,
niente avrebbe avuto importanza se l'avesse perduta. Neanche la sua
stessa vita. «Farò tutto ciò che
vorrà, ma ti prego, madre, supplicalo di salvarla.»
Trattenne
lacrime di dolore e di rabbia mentre Frigga asciugava le sue.
«Se
non vorrà farlo per me, lo farà per te e per lui»
aggiunse ancora, consapevole di ogni parola che stava pronunciando.
Prima che
Frigga potesse anche solo fare un passo, la porta si
spalancò con forza tale da sbattere assordante sulla parete.
Odino
entrò con una squadra di sei guardie reali al seguito.
«Tu!»
La sua ira lo investì prima del suo colpo di lancia.
Loki si
ritrovò a colpire con la schiena una colonna per poi
ricadere a terra dolorante.
*
Frigga si
precipitò da suo marito quando lo vide in procinto di
raggiungere Loki che a fatica si rimetteva in piedi.
«Fermati!»
gli ordinò ponendosi fra lui e loro figlio, poggiando le
mani sul suo petto e guardandolo con occhi lucidi ma determinati.
«Basta adesso!»
«Togliti
di mezzo, Frigga! Anche tu sei complice di questo ennesimo
tradimento.»
«Ascoltami.»
Lo afferrò per le spalle e lo guardò con
severità. «Avrai tutto il tempo per punirmi e per
punire lui, se vorrai, ma adesso devi salvarle la vita prima che sia
troppo tardi.»
Guardò
verso il letto e Odino seguì il suo sguardo.
«È
solo un inganno» affermò e Frigga si
sentì pervadere dall'incredulità.
«Come
puoi dire una cosa simile? Guardala! Sta morendo e tu puoi salvarla e
salvare anche Thor.» Odino sembrò confuso da
quella frase e aggrottò la fronte facendo un passo indietro.
Frigga portò le mani al petto sentendo i passi di Loki che
l'affiancavano.
«Li
ho legati...» disse quest'ultimo con un fiato.
«Muore lei e muore anche lui. E addio al tuo prezioso
erede.»
Frigga
sospirò grave a quell'inopportuna frase ma sperò
solo bastasse per convincere Odino a intervenire quanto prima.
«Credi
che sia così sciocco da fidarmi delle parole di uno come
te?» ruggì il re.
«Fidati
delle mie, allora» disse a quel punto lei. «Ho
sentito la magia che li lega. Esiste ed è forte, e io non
sono in grado di spezzarla, ma tu puoi.» Gli
afferrò la mano e lo supplicò con lo sguardo.
«Salvalo, ti prego...»
Ma Odino
stavolta fu cieco e sordo alle sue suppliche, tirò via la
mano e guardò sia lei che Loki con espressione fredda.
«Neanche
la tua parola ha più valore per me, Frigga. Sei stata
vittima dei suoi inganni così a lungo che non riesci
più a scindere la realtà dalla menzogna.
Altrimenti vedresti quale essere indegno continui a chiamare figlio!
Vedresti quanto marcio è il suo cuore!»
«Se
lei morirà allora il marcio di questo cuore
inghiottirà anche te, Padre degli Dèi!»
gridò Loki al suo fianco.
«Quanto
impeto! Così bastava il calore umido di una donna per
renderti finalmente un uomo?»
«Vi
prego, basta...» li implorò sentendosi ferire da
ogni singolo scambio di sguardi e parole, da tutta quella rabbia e
quell'astio che stava corrodendo entrambi.
«Mia
regina!» chiamò poi Eir con urgenza. «Il
sangue le sta riempiendo i polmoni. Se esiste rimedio che venga attuato
immediatamente, altrimenti nulla più potrà
salvare questa donna.»
Provò
a raggiungere il letto ma Loki la superò con
rapidità.
Si
sentì morire dal modo con cui la stava accarezzando, con cui
la stava guardando, con cui cercava di non lasciar andare alcuna
lacrima.
«Come
puoi essere così crudele?» sospirò in
direzione di suo marito, cogliendo un pallido riflesso di incertezza
nel suo sguardo. «Come puoi odiarli tanto?»
Vide la sua
gola sussultare ma non un passo venne fatto, né un gesto che
potesse cambiare le sorti che stavano ormai inevitabilmente giungendo.
«Allontanatevi
da lei.»
La voce che
ruppe i suoi pensieri salì alle sue spalle. Frigga si
voltò e scorse la figura di Freyja sulla soglia. Con lei Sif
e i tre guerrieri, sui loro visi mille mute domande.
«Cosa
ci fai qui, Freyja?» chiese duramente Odino.
La Signora
di Vanaheim non rispose, camminò lentamente nella stanza
senza che nessuno la seguisse.
«Non
è affar tuo ciò che sta accadendo!»
sentenziò ancora Odino ma la regina dei Vanir
ignorò anche quelle parole. Si avvicinò a Loki
che la guardava silente, con una profonda sofferenza sepolta
però nei suoi occhi verdi.
Frigga
sentì un nuovo palpito sfiorare il suo cuore. Una nuova
lacrima scese sul suo viso e le bagnò le labbra: aveva il
sapore della speranza.
*
Loki
guardò gli occhi di Freyja, neri e intensi, così
simili a quelli di Styrkárr eppure così diversi;
guardò poi le palpebre celarli.
Guardò
le sue labbra muoversi impercettibilmente, le sua mano posarsi sul
petto ferito di Sigyn.
Avvertì
la luce che si irradiò dal palmo e che avvolse a poco a poco
il corpo che giaceva sulle lenzuola insanguinate. Percepì
l'aura incredibile del suo seiðr spandersi quasi violentemente
nella stanza.
Ascoltò
la voce di Odino intimarle di non continuare oltre, ascoltò
il silenzio di sua madre e quello di Eir, quello delle due giovani
guaritrici.
Ascoltò
le mute domande dei soldati, e quelle di Sif e di Fandral, di Hogun e
di Volstagg che lo guardavano fermi sulla porta.
Loki
guardò gli occhi di Freyja schiudersi, l'energia scemare e
la sua mano allontanarsi dal corpo di Sigyn.
«Il
legame è infranto» affermò poi la
regina dei Vanir. «Dovrete comunque porgere immediate cure
altrimenti la morte conquisterà in breve questo fragile
corpo.»
«Le
pietre guaritrici! Presto!» Fu Eir a prender parola e a
frantumare fra le mani una delle due pietre che le erano state
consegnate immediatamente. Fu Eir a ringraziare le Norne mentre
lentamente le ferite di Sigyn sembravano rimarginarsi.
Loki
osservò il tutto quasi non fosse realmente lì,
quasi fosse ancora chiuso nella sua bolla di cristallo che lo teneva
lontano dal resto dell'universo, lontano dal dolore e dalla paura,
lontano dalla disperazione.
«Ora
hai un debito nei miei confronti, Loki di Asgard, e mi aspetto che tu
lo paghi.» La voce di Freyja era ora dura e così
lo sguardo con cui lo guardava.
Loki non
rispose, non disse ancora nulla. La sua gola era priva di parole.
La
guardò a sua volta aspettando di udire altro.
La regina
non tardò ad accontentarlo.
«Hai
commesso un grave errore concedendo a Styrkárr un potere che
non sa governare. Il prezzo che ti chiedo è di porre rimedio
a quell'errore.»
Non attese
risposta, Freyja. Gli diede le spalle e si avviò alla porta
seguita dallo sguardo severo di Odino e quello grato di Frigga.
Mentre la
guardava allontanarsi, Loki incrociò gli occhi di Sif.
ஐஐஐ
Amora
sorrise. Guardò i fumi che si levavano dalla
città, guardò gli umani che cercavano un riparo,
guardò il bel soldato che osservava con preoccupazione il
cielo, l'arciere posto sulla sommità di una vedetta.
Guardò la bestia verde che lottava con Thor, e il suo Thor
coperto di ferite ma ancora in piedi, per combattere fino al suo ultimo
respiro in nome suo.
Amora
sorrise, sentendo finalmente il filo creato da Loki essere spezzato.
Poteva
ritenersi soddisfatta: il suo piano era stato un successo.
Avrebbe
volentieri continuato a guardare gli umani combattere contro il loro
vecchio compagno, avrebbe volentieri atteso finché Thor non
le avesse davvero portato i loro cuori con devozione.
Ma non
aveva più tempo da dedicare a quel piccolo pianeta.
Styrkárr era stato chiaro e, a malincuore, Amora era
costretta a obbedirgli.
Ancora per poco...
Si
materializzò quindi nel bel mezzo dello scontro, sotto lo
sguardo della bestia e quello di Thor.
«Dobbiamo
tornare» annunciò bloccando con un gesto i
movimenti del gigante verde.
«Non
ho ancora ciò che mi hai chiesto» disse Thor con
affanno, con il viso ferito e il sangue a macchiare l'oro e il mantello
della sua armatura.
Amora
sapeva di ledere il suo onore di guerriero, ma non aveva scelta, e Thor
avrebbe comunque seguito i suoi comandi.
«È
tempo di andare, Thor.»
Ci fu un
solo sguardo e subito dopo la spada fu rifoderata.
Amora
scorse in alto il volatile di metallo dei terrestri avvicinarsi, scorse
anche l'uomo in armatura cremisi volare sempre più vicino;
scorse l'arciere tendere l'arco e il soldato correre verso di loro.
Sollevò
la bestia con la forza della sua magia e la scaraventò
lontano più di cento piedi.
Quando Thor
le fu accanto aprì il passaggio.
*
Tony vide i
due sparire proprio sotto i suoi occhi e non poté fare a
meno di imprecare duramente.
«Cazzo!»
udì Clint fare più o meno lo stesso.
«Dove sono finiti ora?»
chiese il capitano.
Intanto si
udiva il ringhio di Hulk salire in alto.
«Se
ne sono andati...» sospirò sorvolando la zona
dello scontro. Nella mano ancora stringeva le fiale di narcotico.
Dannazione,
era stato tutto inutile.
Ma che
razza di attacco era stato? Che senso aveva avuto?
Era
incredibile come quei dannati asgardiani riuscissero a mettere in seria
difficoltà perfino il suo geniale raziocinio.
«Fury ha ordinato di rientrare.»
Li informò poi la Romanoff. «Recuperate Banner.»
«Come se fosse semplice»
brontolò Steve. Tony lo vide fermarsi e posare le mani sui
fianchi. Lo vide sospirare e stringere fra i denti qualche esclamazione
che avrebbe fatto molto poco Captain America ma che in quel momento
poteva essere perdonata anche al ragazzo d'oro a stelle e strisce.
«Dal
momento che mi sono fatto qualche miglia per prendere queste, tanto
vale usarle» affermò Tony raggiungendo Clint e
lanciandogli le fiale.
«Credi che funzioneranno su di
lui?» gli chiese Occhio di Falco mentre le
agganciava a un paio di frecce.
Tony
guardò Hulk che scaricava la sua rabbia contro un palazzo
ancora miracolosamente integro. Non potevano aspettare che Bruce
tornasse in se spontaneamente, c'era un po' troppa adrenalina nell'aria.
«Non
ci resta che provare, Falco» disse mentre lo guardava
prendere la mira.
La freccia
partì e subito ne seguì un'altra.
Hulk non
era sembrato troppo felice della cosa.
ஐஐஐ
Qualsiasi
cosa stesse accadendo era chiaro che la situazione fosse
particolarmente delicata.
Sif lo
aveva capito quando aveva udito la risposta vuota di Freyja, quando
aveva seguito la regina attraverso i corridoi fino a giungere dinnanzi
alla camera della guarigione, quando aveva visto Odino e Frigga e poi
lui, Loki, ai piedi di un talamo coperto di sangue.
Ciò
che era accaduto dopo era stato confuso e incerto.
Quando
Freyja aveva abbandonato la camera, Odino aveva ordinato di lasciare
immediatamente la stanza, aveva ordinato di riportare in cella Loki
all'istante e di fare in modo che ci restasse.
Sif aveva
scorto i suoi occhi verdi guardare un'ultima volta verso il letto prima
di essere condotto via senza emettere un solo suono. Non una replica
né un gesto di ribellione. Loki aveva seguito silente le
guardie con la testa alta e le labbra strette, e non aveva degnato
nessuno di uno sguardo.
Sif aveva
visto il viso di Sigyn ancora incosciente prima che le porte venissero
chiuse.
«Che
sta succedendo qui?» La domanda di Fandral ruppe silenzi e
pensieri.
«Styrkárr»
disse poi Hogun conquistando l'attenzione dei tre, rimasti soli nel
corridoio reale. «È tornato.»
Gli occhi
della guerriera guardarono quelli bruni del compagno e poi la porta ora
sigillata.
Ancora una
domanda nella sua mente, ancora un nome che stava per abbandonare le
sue labbra.
«Dov'è
Thor?»
Rimase
senza risposta.
*
Le porte si
chiusero con un tonfo deciso. Frigga restò immobile a
guardare il viso di Odino, leggendovi tutta la rabbia che lo copriva.
Alle sue
spalle, Eir continuava a curare velocemente quel corpo ferito che
pareva finalmente riuscire ad accettare i suoi rimedi.
«La
sua vita non è più in pericolo, mia
regina» affermò infine la vecchia guaritrice e
Frigga le fece un cenno del capo per ringraziarla.
«Bene.
Allora ributtatela nelle segrete!» A quell'affermazione si
voltò ancora verso il suo compagno.
«È
ancora debole e priva di coscienza. Non puoi dare un ordine
simile.»
Ma Odino
non sembrò cambiare la sua volontà.
«Appena
riuscirà a rimettersi in piedi verrà ricondotta
lì. Così è deciso.» Stava
per andare via quando la regina lo raggiunse e lo fermò.
«Non
ti permetterò di rimandarla in quelle segrete»
sibilò in modo da essere udita solo dal Padre degli
Dèi.
«È
già tanto se non vi farò rinchiudere anche te,
Frigga.»
Lo
sfidò prima con gli occhi e poi con il suo stesso corpo,
ponendosi fra lui e la porta.
«Ho
visto come la guardano i carcerieri» affermò e
vide un profondo sospiro alzare le sue spalle. «È
questo che vuoi? Che venga violata? Non ti importa più nulla
della dignità e della sorte di tuo figlio?»
«Mio
figlio ha fatto una scelta» disse Odino severo.
«Tale scelta lo ha allontanato dal mio cuore.»
La regina
serrò i pugni di fronte alla freddezza delle sue parole e
del suo sguardo.
«Mi
chiedi se mi importi della sua dignità?»
continuò ancora Odino per poi aprirsi in un tragico riso
glaciale. «Non mi importa più neanche della sua
vita!» Fu un ruggito che raggiunse anche le orecchie delle
curatrici. «Non è più affar
mio» aggiunse poi il re indicando il letto.
«Prenditela, fanne ciò che vuoi. Falla dormire su
petali di rosa e proteggila come un prezioso tesoro! Non è
di alcuna preoccupazione per me. Quella donna non è niente
per me! Niente!»
Frigga fu
incapace di dire alcunché. Odino la superò e
varcò la soglia.
La porta si
richiuse con l'ennesimo assordante boato.
***
NdA.
Lo so, lo so, sono in ritardo sia con l'aggiornamento che con le
risposte alle recensioni >\\\<
Farò il possibile per rimettermi in carreggiata e tornare al
vecchio ritmo. Promesso!
La mia unica speranza è che almeno questo capitolo vi abbia
ripagato un po' dell'attesa; se così non fosse stato, vi
farò recapitare un cesto di muffin al cioccolato e cocco,
fatti con le mie belle manine ^w^
Un po' di zucchero per superare questi momenti di drammaH asgardiano (e
anche un po' terrestre)
Btw, come di rito per domande, dubbi, curiosità, correzioni,
insulti e minacce, sono a vostra disposizione, cerchiamo di non
eccedere con gli ultimi due, però. Ok? O\\\O
Al prossimo appuntamento in cui, già lo so, inizierete
davvero a odiarmi...
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 26 *** Solo egoismo ***
cap26
L' ultima lacrima
XXVI.
Bruce era ancora privo di
sensi.
Tony gli
sistemò una coperta addosso per coprirlo. I calzoni li
avrebbe indossati da sé al suo risveglio.
Natasha
continuava a pilotare
il jet verso la roccaforte dello S.H.I.E.L.D.; seduto al posto di
co-pilota, Clint informava Nick di ciò che era accaduto.
Sospirò
Tony, sedendosi su una panca di metallo, con ancora indosso la sua Mark
e il casco poggiato accanto.
«Dovremmo
chiamare Asgard.» disse poi Steve.
Alzò
lo sguardo per incontrare quello azzurro e preoccupato di Rogers.
«Quelli
lì hanno
un guardone che lavora 24 ore su 24, sette giorni su sette»
disse. «Sanno cosa sta succedendo, hanno visto quello che
è successo. Se volevano aiutarci l'avrebbero
fatto.»
«Amora
può aver ricreato la barriera usata da Loki. Non ci hai
pensato? Magari non sanno che-»
«Che
Thor è
diventato un robot al servizio di una stronza ossigenata e ha tentato
di fare fuori i suoi amici e dei poveri disgraziati del
Nevada?»
lo interruppe cinico. Steve sospirò e tacque, e Tony si
alzò dalla panca. «Se ne sono lavati le mani,
Steve. Ecco
tutto. Odio doverlo dire, ma è una gatta che dobbiamo pelare
da
soli. E se stai per chiedermi in quale modo faremo, mi dispiace, ma non
ne ho la più pallida idea.»
«Fury
sta inviando una
squadra di spazzini a ripulire la zona.» Li
informò Clint
quando li raggiunse. «Cercheranno anche di arginare ogni
possibile uscita di informazioni. Almeno per quanto possibile,
finché non troviamo il modo di far “rinsavire
quell'idiota di Thor”. Testuali parole.»
Steve
annuì incrociando le braccia sul petto e Tony si
limitò a un'alzata di spalle.
«A
questo punto, tanto vale fare quello che dice Nick.»
Dio, come
stavano messi male se dovevano seguire davvero gli ordini di Nick benda
nera Fury...
«Stark,
mi presti un cellulare? Vorrei fare una telefonata.»
Alla
richiesta di Steve, Tony scambiò uno sguardo con Clint prima
di sorridere divertito.
«Telefonata
d'amore, Cap?» lo prese in giro porgendogli lo smartphone.
Steve lo tirò via con un grugnito.
«Voglio
solo sapere se
è tutto ok» rispose facendo partire la chiamata.
«Con Amora in libertà e Thor in quelle condizioni
non
sappiamo chi sia un bersaglio e chi no.»
Ci fu
ancora uno sguardo con Barton mentre si udiva il rumore del telefono
che bussava a vuoto.
«Steve,
non
c'è nulla di male a voler sentire la voce della donna che
ti ha liberato dalla tua eterna verginità
post-guerra»
affermò Tony. Clint sorrise trattenendo una risata e Steve
lo
fulminò con un'occhiataccia.
«Non
risponde.»
Sembrava preoccupato e così fece partire una seconda
chiamata.
Il telefono premuto contro l'orecchio e la fronte aggrottata: era
uno spettacolo troppo divertente per non poterne approfittare ancora.
«Magari
sarà in bagno a farsi una doccia»
ipotizzò Tony con finta serietà.
«Sì,
può darsi.» E Steve non sembrava aver per nulla
colto la sua ironia.
«Se
vuoi dico a Rhodey di sorvolare la zona e vedere se c'è
qualcosa che non va.»
«Potrebbe
essere un'idea e-»
Purtroppo
quel maledetto
Barton si era lasciato sfuggire una risata che aveva immediatamente
provocato in Tony la stessa identica reazione.
«Siete
due
idioti!» ringhiò allora il capitano divenendo
leggermente
porpora e comprendendo solo in quel momento di essere vittima di una
delle loro ricorrenti prese in giro.
«Scusa
Tony, ma non ce
l'ho fatta» piagnucolò Clint tenendosi lo stomaco
con un braccio e ridendosela di gusto. «Chiamare War Machine...
non ci credo!»
Tony si
asciugò una lacrima con l'indice.
«La
tua faccia, Steve... era bellissima...» balbettò
ancora.
Steve
cercò di ignorarli ma il suo viso era ancora una
meravigliosa tinta vermiglia.
«Capitano?»
Si udì anche Natasha dalla cabina di pilotaggio.
«Protocollo New Jersey?»
Tony non
comprese cose stesse dicendo, troppo occupato a ridere con la compagnia
di Clint.
«Affermativo,
agente
Romanoff» rispose poi Steve raccogliendo il casco della sua
Mark
e porgendolo a Clint che lo afferrò senza comprendere a sua
volta che stessero farfugliando. «Ne avrà
bisogno»
aggiunse ancora Rogers.
Tony
guardò le mani di Clint che tenevano il suo casco, poi il
sorriso sinistro sul viso di Steve.
«Ma
che-?»
Il
portellone si aprì e un calcio lo lanciò fuori
dal jet.
Ciò
che Tony udì
fra il suono del vento e quello dei propulsori della Mark che cercavano
di fargli prendere quota, fu l'urlo di Clint che precipitava
pericolosamente sotto di lui.
*
Dopo aver
lanciato di peso
anche Clint fuori dall'aereo, Steve sospirò soddisfatto
mentre Natasha richiudeva il portellone.
«Mi
auguro che anche
Clint porti dei pantaloni di riserva» ridacchiò la
Romanoff facendo sorridere divertito anche lui.
«Bruce
sta ancora dormendo, magari gli prestiamo i suoi.»
Afferrò
poi ancora il cellulare e telefonò nuovamente.
«È
sempre un piacere lavorare con te, capitano.»
«Piacere
tutto mio, agente.»
Si
scambiarono ancora uno sguardo complice mentre si udivano i primi
squilli.
ஐஐஐ
Non era
l'alba quando
riaprì gli occhi, né la volta vermiglia del
tramonto. Era
stata la notte ad accoglierla al suo risveglio, la notte profonda e
bellissima del cielo di Asgard.
La stanza
era silenziosa e
profumava di lavanda. Nelle notti più irrequiete, sua madre
ne
faceva bruciare qualche ramoscello ai piedi del letto così
che i
suoi sogni si acquietassero. E fu sua madre che Sigyn cercò
in
quella stanza vuota.
Era la sua
vecchia camera, con le tende di seta e le lenzuola rosse come una bacca
matura.
Niente
più segrete, niente più sbarre di ferro, eppure
la condanna era ancora tutta da scontare.
Sbatté
le palpebre
più volte sentendo un senso di vertigine coglierla quando
provò a sollevarsi. Ricadde immediatamente sui cuscini
scoprendo
solo allora le sue braccia fasciate e poi la sua testa, la sua spalla.
Se avesse scostato le lenzuola, forse avrebbe visto altre bende
avvolgerla.
Ricordava
il dolore, il
sangue, la voce di Frigga, quella di qualcun altro. Poi era stato buio
e altro dolore, poi era stato come cadere in un abisso.
Si
bagnò le labbra
secche e provò a muoversi di nuovo. Lottò contro
il
giramento di testa e restò seduta sul letto. Una mano
premuta
sugli occhi e l'altra a stringere le lenzuola.
Respirò
a fondo,
lentamente, finché non fu in grado di tenere le palpebre
aperte
per guardare la camera senza che la vedesse girare.
Non c'era
nessuno; era sola.
Avrebbe
voluto scendere,
liberarsi di quelle bende e bere dell'acqua fresca per lavare via
il sapore ferroso che le invadeva la bocca.
Ma ci fu il
rumore della
maniglia che girava, il sibilo della porta che si apriva. Ci fu la luce
di un candelabro e poi gli occhi di sua madre che la guardavano.
«Madre?»
la chiamò con un debole fiato.
Frigga
raggiunse il letto e poggiò il candeliere sul mobile accanto.
«Devi
riposare.» Le comandò sussurrando e
l'aiutò a poggiarsi nuovamente spalle al materasso.
«Cosa
è successo?» chiese mentre Frigga le sistemava il
lenzuolo.
«Nulla,
tesoro mio. È tutto passato.» Un sorriso, una
carezza sul viso... una bugia.
Sigyn
fermò le sue
carezze con la propria mano e la guardò in silenzio. Quella
menzogna si infranse insieme al sorriso di Frigga.
«Cosa
mi è
successo?... Dimmelo, per favore.» Ma non ebbe ancora
risposta.
Frigga abbassò lo sguardo e respirò a fondo senza
lasciar
andare una parola. Sigyn ebbe timore. «Perché mi
trovo
qui? Almeno a questa domanda puoi rispondere?»
sospirò
sentendo nuovamente la vertigine. Chiuse gli occhi ma finalmente
udì la sua voce.
«Tuo
padre ha deciso che
non era più necessario che tu stessi nelle
segrete.»
Riaprì le palpebre e guardò il suo viso: c'era un
pallido sorriso. «Puoi stare qui, nelle tue stanze.»
Il modo con
cui le
accarezzò i capelli, le trasmise solo tanta tristezza, e fu
facile capire che la decisione di Odino di revocare per lei
l'ordine di stare nelle segrete, non era da appellare a un
insperato perdono, quanto a una fredda e ancora più crudele
diffidenza.
«Mi
odia...» affermò con un sospiro. «Non
valgo più neanche il disturbo di una punizione.»
«Non
dire così.
Tuo padre ha solo scelto di affrontare a modo suo questa situazione.
Non siete solo tu e Loki, c'è anche Styrkárr a
occupare i suoi pensieri e adesso che Freyja ha...» Il
discorso
non terminò e Sigyn guardò la gola di sua madre
sussultare.
«Freyja?...
Freyja
è qui?» Nonostante la spossatezza si mise
nuovamente a
sedere guardandola bene in viso. «Dimmi cosa è
accaduto,
madre, altrimenti uscirò da questa stanza e
cercherò da
me le risposte.»
Qualunque
fossero state sarebbero sempre state meglio di quella soffocante
ignoranza.
Al suo
ennesimo silenzio era
pronta a scendere via da quel letto ma poi finalmente le labbra di
Frigga si schiusero: «Loki ha fatto un incantesimo che ti ha
legato al tuo corpo in modo tale che ogni evento accaduto all'uno
avrebbe condizionato l'altro.»
Non
capì e scosse il capo confusa.
«Cosa
vuol dire? Il mio
corpo...» Abbassò lo sguardo sulle lenzuola
ricordando
perfettamente l'immagine di quel letto, di quel viso, di quella
foschia dorata che lo avvolgeva. «Il mio corpo giace fermo in
un
limbo» affermò ritrovando gli occhi di sua madre.
«È stato Loki a dirmelo e io l'ho visto e... di
quale incantesimo stai parlando?»
Frigga
poggiò la mano sulla sua e solo allora Sigyn si accorse che
stava tremando.
*
«Questo
è il tuo
piano?» Odino scosse il capo e lasciò andare una
roca
risata. «E io dovrei affidare la sicurezza del mio regno
nelle
mani di quel folle?»
Freyja
raggiunse la sua tazza e bevve lentamente da essa per poi riposarla
elegantemente sul tavolo.
«Loki
pagherà il
suo debito nei miei confronti. Non ti chiedo di fidarti del figlio che
ha tradito più volte la sua casa, ma di fidarti dell'uomo
che ama quella donna.»
Le parole
della regina gli
provocarono un tumulto nel petto. Odiava sentir parlare
così,
odiava dover rivedere quel viso di donna fra i suoi pensieri e non
riuscire in vero a tenerlo lontano, perché Frigga aveva
avuto
ragione: Thor era suo figlio, nel bene e nel male, e per quanto tossica
fosse ancora la delusione e la rabbia, Odino non poteva non provare
quel palpito di padre.
«Non
gli farò
riavere la sua magia» affermò. «E non
accetterò nessuna azione da parte tua che non rispetti
questa
decisione, Freyja. Già ciò che è
accaduto nella
sala della guarigione ha messo a dura prova la mia
lealtà.»
Freyja
annuì con riverenza.
«Il
mio agire è
stato istintivo, ne sono conscia, e ti ho già ribadito che
non
era da considerarsi una mancanza di rispetto verso le leggi della tua
casa, quanto un'occasione per ritrovare l'ordine che
Styrkárr è deciso a infrangere.»
«Oh,
avanti, Freyja. Non
credermi uno stupido» affermò Odino con un sospiro
stanco.
«So bene cosa ne pensi di tutta questa storia. Ma Asgard non
è Vanaheim: due fratelli non possono avere quel tipo di
legame,
e se anche Loki e Thor non fossero stati miei figli sarebbero comunque
stati puniti per il loro crimine.»
«È
vero,
considero incivile condannare un'unione per ragioni così
ridicole come quelle di una parentela, in questo caso addirittura
inesistente, ma non sono qui per mettere in discussione i regolamenti
asgardiani, sebbene li reputi oltremodo barbari, e tu lo
sai.»
Freyja si alzò poi dalla sua poltrona, tenendo le mani
congiunte
sulla sua veste azzurra. «Avere Loki dalla nostra parte
è
un vantaggio, non una vergogna, Odino. Lui conosce i piani di
Styrkárr, conosce soprattutto il legame mistico con cui egli
può governare la potenza di Mjolnir. Sai come me che non
possiamo disfare alcun incantesimo se non ne conosciamo le leggi con
cui esso vive. Un passo errato e potrebbe essere impossibile sciogliere
la magia, e a quel punto tutto andrebbe perso.»
Odino
sospirò ancora e rubò un po' di silenzio.
Non poteva
fidarsi di Loki,
non voleva fidarsi, non voleva dargli l'ennesima
opportunità di tradirlo, e paradossalmente non voleva
dargliene
neanche una per non farlo. Non voleva vedere la lealtà che
avrebbe dimostrato a quella donna, non voleva vedere quanto forte quel
peccato lo aveva reso.
«Convocherò
l'esercito e i miei generali. Organizzerò ogni reparto
affinché sia allertato contro qualunque evenienza»
sentenziò poi e Freyja lo ascoltò senza
interromperlo.
«Ti concederò di parlargli e di provare la tua
strada, ma
il tempo dell'attesa sta per concludersi. Mi auguro tu abbia
ragione, Freyja, perché arrivati a questo punto non possiamo
far
altro che prepararci alla guerra.»
*
Erano
trascorsi tre giorni e
mezzo. Frigga non gli aveva più fatto visita, le guardie non
erano più tornate. Nessuno gli aveva portato del cibo o
dell'acqua, nessuno gli aveva rivolto la parola.
Tre giorni
di silenzio e isolamento completo, con la sola compagnia dei suoi
pensieri.
Loki non
aveva sofferto la
fame, o la sete, o la solitudine stessa. Avrebbe potuto trascorrere
altri mille anni in quella cella e non avrebbe supplicato mai per un
bicchiere d'acqua o un pezzo di pane, eppure dopo soli tre miseri
giorni si sentiva impazzire all'idea di non sapere come stesse e
dove fosse adesso. Tre giorni a farsi le stesse domande e a udire la
stessa silente risposta.
Forse in
realtà Freyja
non era riuscita a sciogliere completamente il suo legame, forse Amora
aveva trovato un'altra maniera per colpirla, forse Frigga non
aveva il coraggio di dirgli la verità. Eppure Odino avrebbe
potuto torturarlo con quella verità, avrebbe potuto
umiliarlo e
deriderlo per la sua debolezza.
Prese un
profondo respiro,
così come faceva da ormai tre intensi giorni.
Respirò e
tacitò le sue paure, la sua paranoia. Arrivare alla follia
era
solo fare il suo gioco, perdere il controllo era regalargli
un'altra vittoria.
«Al
contrario di
ciò che avrei creduto, Odino mostra molta
magnanimità nel
donarti un castigo così confortevole.»
Era la
prima voce che udiva, e
sebbene non fosse quella che avrebbe voluto, fu comunque lieto di
vedere un volto al di là della barriera.
Freyja si
ergeva dinanzi a lui priva di guardia, sola e algida, con il suo
sguardo nero a trafiggerlo.
Loki si
avvicinò con passo lento alla parete che li divideva.
«Una
catena, seppur
d'oro, resta sempre una catena» disse. «Anche
quando
non lega i polsi essa non smette di stringere.»
Freyja non
rispose nulla,
restò a guardarlo in attesa che le porgesse quella domanda
che
Loki non avrebbe trattenuto a lungo sulla lingua.
«Lei
sta bene?»
La regina
sorrise.
«Vuoi
sapere se sei
ancora in debito con me? Sì, lo sei, ed è per
questo che
sono scesa in questi luoghi che per nulla si apprestano a ricevere la
visita di una regina.»
Se avesse
avuto meno
dignità avrebbe sospirato con gratitudine. Si
limitò solo
a far sua quella verità, e gioire in silenzio nel suo cuore
per
quella buona nuova.
Allungò
un braccio con
fare scenico per invitarla a parlare. «Non voglio che tu ti
trattenga più di quanto il tuo nobile rango ti conceda. Per
cui,
mia regina, chiedi ancora il tuo prezzo.»
Freyja lo
scrutò a lungo, silente e poi parlò:
«Conosci i piani di Styrkárr?»
Loki
assentì con un lento movimento del capo.
«Attaccare
Asgard e
farla ardere fino alle fondamenta» rispose privo di
espressioni,
come stesse pronunciando una frase senza importanza. «Tornare
poi
vittorioso a Vanaheim, per chiedere alla sua regina di ripagare la sua
lealtà. Qualcosa di banale...»
Freyja
sorrise. «Come può credere che possa
accettarlo?»
E Loki le
sorrise di riflesso.
«Non
so rispondere; so
soltanto che in mancanza di una tua risposta, Vanaheim
subirà la
medesima sorte di Asgard. Cosa accadrà dopo non saprei, ma
giunti eventualmente a quel momento saresti già piuttosto
morta
per preoccupartene.»
La signora
di Vanaheim non
mostrò interesse alla sua provocazione.
«Benché con
in pugno quel martello non può pensare di conquistare Asgard
da
solo. Non è folle fino a questo punto.»
«Non
lo
farà,» le rispose. «L'Incantatrice gli
ha
promesso un esercito e non sarà di comuni
soldati.»
Loki
poté vedere i
mille pensieri che stavano vorticando nel fondo del suo sguardo,
sebbene il viso di Freyja fosse privo di apparente inquietudine.
«Posso
ritenere ripagato
il mio debito, vostra maestà?» chiese con falsa
riverenza.
La donna si avvicinò ulteriormente alla barriera
così che
Loki si sentisse inghiottire letteralmente dai suoi occhi bruni.
«La
vita della tua amata
vale forse così poco?» sospirò con
solennità
e Loki si ritrovò a stringere forte la mascella.
«Cos'altro
vuoi da
me? Non ho neanche la forza necessaria ad abbattere questa barriera.
Non vedo cos'altro possa fare per soddisfare le tue
richieste» affermò.
«Non
libererò il tuo seiðr, se è questo che mi
stai chiedendo, Loki.»
Rise
scuotendo il capo.
«Non
sono così
ingenuo, Freyja. Immagino che Odino si sia preoccupato di intimarti di
non compiere altri gesti senza la sua... come posso dire...
approvazione.»
«Se
anche non avessi
tale rispetto per Odino e la sua casa, non farei comunque nulla per
rimetterti nella condizione di creare altro caos, figlio di
Jotunheim.»
Loki perse
ogni sorriso e la
guardò con freddezza. «Cosa vuoi da me?»
chiese
lapidario, stanco di quella conversazione.
«Asgard
e Vanaheim sono
pronte ad affrontare qualsiasi esercito quella donna abbia intenzione
di porre ai comandi di Styrkárr, ma quell'arma nelle sue
mani è una minaccia che nessuno è disposto ad
accettare» spiegò la regina con serietà
e Loki
sapeva cosa volesse dire. «Devi dirci come disfare il legame
che
gli permette di governarla. Qualsiasi sia il costo.»
«Sarebbe
un costo che pagherei io,» precisò con rabbia mal
celata. «Non è la mia guerra.»
«Sei
stato tu a darle
inizio, e tu ne decreterai la fine» ribadì Freyja.
«Mjolnir è destinato a essere l'arma fedele al
figlio di Odino, non ad altri, e tu farai in modo che questo caos lasci
il passo al vecchio ordine.»
Sbatté
il pugno contro
la barriera ignorando la scarica che gli attraversò prima il
polso e poi il braccio, ignorando il sangue che prese a fluire dalla
sua carne.
«Il
prezzo per averle
salvato la vita sarebbe perderla?» ringhiò mentre
il
liquido rosso scorreva sulla barriera di seiðr. Non poteva fare
ciò che chiedeva, non poteva rimettere Mjolnir nelle mani di
Thor perché a quel punto Sigyn sarebbe svanita per sempre.
«Negarmi
la tua
collaborazione equivale ribadire la condanna inflittati di Odino:
trascorrere il resto della tua vita in questa cella»
sentenziò Freyja. «Non potresti comunque
più
vederla.»
Ingoiò
la sua rabbia togliendo il pugno dalla barriera e lasciando che gocce
di sangue cadessero sul pavimento.
«Accetta
di donarci il
tuo aiuto e potrai godere della sua presenza finché non
riusciremo a porre fine a tutta questa storia» disse ancora
Freyja. «È molto più di quanto potresti
chiedere.»
Loki scosse
debolmente il capo stringendo entrambi i pugni.
«E
dopo? Tornerò
qui dentro e ci resterò... Non cambierebbe nulla»
sospirò fingendo una sicurezza che non aveva.
«Allora
ti conviene dare valore a ogni singolo attimo.» Gli
suggerì Freyja prima di voltarsi. «Il loro ricordo
sarà la tua compagnia.»
Loki la
vide andare via, la vide sparire silenziosa, così come era
arrivata.
*
Sif
scambiò uno sguardo con Hogun quando Odino
pronunciò quel nome.
Styrkárr,
il Vanr che aveva tradito prima il suo regno e poi la fiducia di
Asgard, era tornato e pronto ad attaccare.
Quei giorni
erano trascorsi
irrequieti e coperti di incertezza. Dopo l'episodio della camera
della guarigione, Sif non aveva più neanche intravisto la
regina
Frigga a palazzo, Odino e Freyja ancora meno.
Non si
avevano notizie di
Sigyn, e si diceva che Loki fosse stato condannato al silenzio della
più lontana delle prigioni di Asgard.
Avevano
provato a chiedere ma
nessuno conosceva risposte, perfino i capitani della Decima Divisione
erano allo scuro di ogni situazione, ed era stato comandato loro solo
di ergersi a difesa in caso di bisogno.
E adesso
Odino aveva convocato
ogni singolo reparto e aveva annunciato che era tempo di scendere in
campo per proteggere il regno.
Aveva dato
a ogni contingente i singoli ordini, aveva dato il comando ai
più prodi e fidati generali.
Eppure Sif
aveva una domanda da porre, sorpresa che ancora nessuno l'avesse fatto.
«Mio
re?» Lo chiamò battendo la mano sul petto, facendo
un passo avanti e uscendo dalla fila dei guerrieri.
«Parla
pure, Lady Sif.» La invitò Odino dal suo trono.
«Mio
re, perdonate la
mia domanda, ma dal momento che Asgard si trova in grave pericolo, non
sarebbe saggio richiamare il principe Thor? Midgard sarà di
certo ben difesa in sua assenza.» Nel momento in cui
alzò
il viso verso il suo sovrano, Sif non seppe cosa lo coprisse.
C'era un velo di gelo che non pareva avere motivo di esistere,
perché la domanda era lecita e la risposta avrebbe dovuto
essere
altrettanto semplice.
«Thor
non può servire Asgard e resterà su Midgard il
tempo che riterrò giusto che resti.»
Era confusa
dalle sue parole.
Cosa volevano dire? Avrebbe voluto chiedere oltre, ma nel momento in
cui le sue labbra stavano per schiudersi ancora, Fandral la
fermò per un polso e le intimò con lo sguardo di
non
continuare.
«È
tutto. Siate pronti a mostrare il vostro valore. Asgard non vi chiede
altro.»
Il rumore
dei tacchi che sbattevano all'unisono fu assordante.
Sif
seguì con lo sguardo il re abbandonare la sala seguito dai
suoi più fedeli consiglieri.
«Sta
succedendo
qualcosa...» mormorò poi, quando restò
in compagnia
solo dei tre compagni. «Perché Thor non
può
tornare?»
Volstagg
scosse il capo. «Non sta a noi chiedere, Sif. Odino sa
ciò che fa.»
«Esattamente»
concordò con lui anche Fandral. «So cosa stai
pensando, ma
se fosse accaduto qualcosa a Thor lo avremmo saputo.»
«Non
lo so, questa
storia è piena di punti interrogativi e qualcosa mi dice che
il
Padre degli Dèi conosce il modo per risolverli ma non ha
interesse a farlo» sospirò irrequieta.
«Se
anche fosse come
dici tu, Sif, non possiamo fare nulla» ribadì
Volstagg.
«Dal momento che sia Asgard che Vanaheim sono sul ciglio di
una
nuova lotta, il nostro dovere è restare qui a difendere il
regno.»
Comprendeva
bene i suoi doveri
e sapeva che le parole dell'amico erano giuste e sagge, eppure
era cosi difficile tacitare la sua preoccupazione.
«Forse
anche Midgard
è in pericolo» ipotizzò poi Hogun nella
sua
compostezza. «L'esercito di Asgard e quello Vanr sono
più che sufficienti per debellare ogni minaccia, ma i
Midgardiani sono privi di una tale forza e l'aiuto di Thor
è per loro di inestimabile valore.»
«Hogun
ha
ragione,» disse poi Fandral con un sorriso.
«Probabilmente
Loki ha creato altro caos su Midgard e adesso dovranno sistemare le
cose.» Le poggiò poi la mano sulla spalla con
amicizia.
«Non turbare i tuoi pensieri con inutili preoccupazioni,
amica
mia. Un guerriero deve restare concentrato.»
«Ben
detto! Per questo meglio mettere qualcosa nello stomaco... A digiuno si
ragiona male.»
Volstagg
provò a strapparle una risata che Sif lasciò
andare debolmente.
Doveva
fidarsi dei suoi compagni, doveva fidarsi del suo re e del suo
giudizio. Doveva fidarsi di Thor, ovunque fosse.
*
Le ferite
si erano
rimarginate, ogni frattura era guarita e ormai Sigyn non avvertiva che
un lontano senso di spossatezza che però Frigga le aveva
detto
sarebbe presto svanito.
Era rimasta
al suo fianco,
Frigga, le aveva fatto compagnia durante i pasti, le aveva fatto
portare vesti che potesse indossare senza sentirsi svilire dalla loro
femminilità, le aveva raccolto i capelli e li aveva legati
come
un tempo, con piccole trecce da guerriero. L'aveva invitata a
fare un bagno ed era uscita dalla sua stanza prima che lei glielo
chiedesse.
Frigga
l'aveva trattata
come fosse ancora un principe, come fosse ancora suo figlio, eppure
dalle sue labbra, non l'aveva più udita chiamarla con quel
nome.
Neanche sua
madre, in tutto il suo amore, riusciva davvero a vedere Thor nei suoi
occhi.
Perché
Thor era con Amora, chissà dove, a seguire i suoi folli
comandi.
Quando
aveva udito quella
storia per poco non aveva urlato, di rabbia e di vergogna, nel sapere
di quali abominevoli azioni si stava macchiando Amora, nel sapere che
quell'abominio si era realizzato anche grazie a Loki.
“Il mio odio, il mio rancore, la
mia rabbia... è tutto ciò che sono disposto a
donarti, fratello.”
Eppure non
credeva che Loki
odiasse Thor così tanto, lo odiasse al punto tale da
calpestare
perfino la sua dignità nel renderlo un fantoccio nelle mani
di
quella donna.
Frigga le
aveva assicurato che
la Terra non aveva subito reali danni, che i suoi compagni di armi si
erano posti a sua difesa con valore, anche se erano stati costretti a
combattere contro un loro alleato.
Non pensava
di poter far
soffrire tanto il mondo che aveva promesso di proteggere, di poter far
soffrire e deludere ancora i suoi amici.
E adesso
era li, vestita come
una valchiria, a guardare la bellezza del suo regno dalla balconata
delle sue camere. La sua nuova prigione.
Non aveva
più visto suo
padre, non aveva più avuto modo di potergli parlare. Se
anche ne
avesse avuto la facoltà, in verità non sapeva
cosa avesse
potuto dirgli, quali parole avrebbe potuto usare.
Esistevano
parole in grado di rappresentare il suo senso di colpa? Il suo rimorso?
La rabbia contro se stessa?
Esistevano
parole che potessero oltrepassare la corazza con cui Odino aveva
vestito il suo cuore?
«Tesoro?»
Frigga l'aveva raggiunta e le aveva sorriso. «Come ti
senti?»
«Bene,
madre. Non
preoccuparti per me, sto bene.» Provò a sorridere
a sua
volta sebbene non ne avvertisse la forza.
«Tuo
padre ha informato
l'esercito,» disse poi Frigga con serietà e Sigyn
si
voltò a guardarla. «Ha detto loro solo il
necessario. I
soldati non hanno bisogno né voglia di conoscere altro al di
fuori dei loro ordini.»
Avrebbe
voluto essere una rassicurazione, ma Sigyn sentì comunque il
cuore incrinarsi.
«Non
voleva che sapessero la vergogna che gli aveva procurato suo figlio.
Non lo biasimo.»
«Oh,
basta
colpevolizzarti adesso.» La riprese ancora Frigga.
«C'è anche qualcos'altro che devi
sapere.»
Sospirò
a annuì; ormai era pronta ad ascoltare ogni
verità.
Frigga
però attese qualche respiro prima di pronunciarla.
«Freyja
ha parlato con Loki affinché collaborasse.»
Sigyn le
aveva chiesto di lui
un paio di volte, ma provava un bruciante risentimento verso suo
fratello, dopo essere venuta a conoscenza di ciò che aveva
permesso di fare ad Amora. Non ne andava fiera, ma non era riuscita a
reprimere la rabbia per il suo comportamento egoista.
Loki diceva
di amarla, di
essere pronto a fare tutto e poi aveva concesso all'Incantatrice
di usarla. Le aveva taciuto di quell'incantesimo, le aveva
taciuto altre mille verità che aveva invece promesso di
dirle.
«Perché
dovrebbe
farlo? Loki non ha motivo di collaborare adesso»
ribatté
con eccessivo livore. «Freyja è un'ingenua se
crede
che lui farà qualcosa per aiutare lei oppure
Odino.» Si
allontanò dal balcone per celare a sua madre la sua
espressione
rancorosa. «Loki non fa niente che non sia per se
stesso.»
«Tuo
fratello è sempre stato un egoista, ma è solo una
parte del suo animo e tu lo sai.»
A quelle
parole si voltò nuovamente con un sorriso tragico.
«Non
difenderlo,
madre... Non continuare a difenderci. Non esiste scusante per le nostre
azioni. Padre è nel giusto: non meritiamo
attenuanti.»
«Stammi
a sentire,
adesso. Ti ho cresciuto affinché fossi in grado di
comprendere i
tuoi errori e di affrontarne le conseguenze, ma non ricordo di averti
mai insegnato l'autocommiserazione.» Ora era Frigga a
guardarla con rancore e Sigyn non si sarebbe sorpresa se la sua mano le
avesse violato il viso. «Il fatto che non ti abbia lasciato
marcire in quelle segrete o che non abbia gioito nel sapere Loki in
quella cella, non vuol dire che scuso e approvo il vostro
comportamento.» La sua gola sussultò davanti allo
sguardo
di Frigga e la sua lingua fu incapace di ribattere alcunché.
«Eravate fratelli, siete fratelli, e avete fatto qualcosa che
due
fratelli non dovrebbero mai fare.» Si sentì
arrossire e
scostò lo sguardo.
«Madre...»
«È
questo che
vuoi sentirmi dire? Vuoi che resti qui a nutrire i tuoi sensi di colpa
o vuoi che ti spinga a reagire?»
«Io
non so che cosa
posso fare!» esclamò con foga. «Non so
come
proteggere il mio regno o Midgard! Non so come impedire che Amora
faccia ancora del male alle persone che amo...»
Abbassò
poi lo sguardo sulle sue mani e scosse il capo. «Sono
bloccato in
questo corpo che non fa che ricordarmi in ogni istante tutto quello che
ho perduto, e non intendo Mjolnir né il rispetto di mio
padre.» Una lacrima quasi sfuggì al suo controllo
ma la
ricacciò indietro con rabbia. «La colpa con cui mi
sento
soffocare, madre, non ha a che fare con ciò che abbiamo
condiviso io e Loki, ma con ciò che non abbiamo potuto
condividere.» Rialzò gli occhi umidi e
guardò
quelli di Frigga che erano altrettanto tristi ma che ignoravano il
dolore che annegava realmente nei suoi. «Se non fossi stato
tanto
codardo, se non fossi stato io il vero egoista, nulla di tutto questo
sarebbe mai accaduto. Non avrei reso mio fratello il mostro che
è diventato, non avrei messo in pericolo un regno pacifico
come
la Terra né avrei condannato Asgard a dover subire le ire di
un
vecchio nemico. Se solo avessi avuto il coraggio di amare come Thor,
non avrei avuto l'ignobile necessità di vestirmi con un
altro nome per farlo.» Ogni lacrima che non scese fu comunque
lavata via dalle carezze di sua madre, dai suoi baci sul viso, dal suo
abbraccio caldo. «Se c'è qualcosa che posso fare
per
rimediare almeno a uno dei miei sbagli, madre, comandami di farlo... Te
ne prego.»
Sigyn
strinse a sua volta il corpo di Frigga affondando il viso fra le sue
braccia.
Si
sentì accarezzare i capelli e poi baciare la fronte.
«Allora
sii pronto,
figlio mio, perché se è un ordine che chiedi, sto
per
darti il più difficile.»
₪₪₪
«È
giunto il
momento.» Styrkárr guardò il buio
dell'universo, privo di stelle e di qualsivoglia luce.
Guardò il suo percorso, ciò che aveva lasciato
indietro e
ciò che avrebbe conquistato a breve. Guardò
l'abisso senza fine e vide solo trionfo.
Amora al
suo fianco fu silente.
«Fra
poco Asgard
cadrà e Odino dovrà soccombere alla mia
grandezza.»
Un riso isterico, mentre gli occhi percorrevano il metallo del martello
che impugnava. «Gli fracasserò il cranio con la
stessa
arma che ha donato al suo amato figlio... Oh, Norne benigne, quale
gaudio sarà per me...»
Non
badò allo sguardo
glaciale dell'Incantatrice né a quello privo di vita del
tonante alle sue spalle, ormai solo un inutile pupazzo nelle mani di
quella donna.
«Fai
ciò che devi, ragazza mia, e quando l'armata sarà
pronta, vieni a chiamarmi.»
Amora fece
un cenno di accordo con la testa e lasciò la stanza. Thor la
seguì muto.
Styrkárr
guardò
nuovamente la pece dinanzi ai suoi occhi e mentre la potenza di Mjolnir
fluiva nelle sue vene, gli parve che non ci fosse nulla di
più
maestoso.
₪₪₪
Si stava
rigirando fra le mani
una piccola clessidra priva di sabbia, un modo per rimembrargli che il
tempo in quella cella avrebbe perso per sempre di consistenza.
Loki
giaceva seduto a terra,
con le spalle contro la parete a guardare con la coda dell'occhio
il corridoio vuoto alla sua destra.
Le altre
celle erano vuote. Non un suono, non un fiato.
Aveva
fasciato la mano che si
era ferito con un pezzo di stoffa strappato dal lenzuolo pregiato. Lo
aveva legato stretto attorno al palmo, mentre il seiðr di
protezione aveva sciolto e fatto svanire ogni traccia di sangue sulla
barriera
Freyja era
andata via con la
sua richiesta e lui aveva ingoiato ogni urlo affinché
nessuno
potesse gioire della sua debolezza.
Fece
saltare in aria ancora
una volta la clessidra e poi ancora una, finché non la
strinse
nel palmo della mano quando udì dei passi.
Attese che
divenissero
più vicini e si sporse con il capo verso la barriera per
scorgere chi fosse il nuovo visitatore. Non era Freyja, che sembrava
viaggiare nel vento, non era sua madre il cui profumo l'avrebbe
sentito a distanza. Non era Odino, perché i passi erano
troppo
lesti e brevi.
Una
guardia, forse, o il famigerato flagellatore, pronto a estirpare con la
forza la sua alleanza.
Chiunque
fosse, Loki era pronto a riceverlo.
Stava ora
scendendo le scale,
con rumorosi passi di stivali, quando Loki riprese a giocherellare con
il piccolo ornamento. Un sorriso disegnato sul viso, con cui accogliere
chiunque stesse giungendo all'ultimo gradino. Presto avrebbe
visto il suo viso e avrebbe potuto far sciogliere la sua lingua.
Quando
l'ospite
voltò l'angolo e Loki ne scoprì il volto, la
piccola clessidra cadde sul pavimento e il sorriso cinico si
ridisegnò in uno più dolce e sincero.
Si
alzò da terra e si
avvicinò alla barriera mentre la distanza che li divideva
diveniva via via più misera.
«Sigyn?»
sibilò quando la vide poi arrestarsi dinanzi alla sua cella.
Il
suo viso privo di ferite, il suo corpo fasciato in abiti asgardiani che
tanto ricordavano quelli che lui le donò secoli prima.
Sottili
ciocche d'oro a incorniciarle il viso.
I suoi
occhi azzurri a guardarlo, le sue labbra rosee appena schiuse.
«Come
stai?» Gli
chiese con un sospiro e Loki sentì il suo cuore battere
forse
per la prima volta in quei lunghi tre giorni. «Cosa hai fatto
alla mano?»
«...
Se solo potessi
toccarti...» sospirò con un ennesimo fiato. Ma
Sigyn
abbassò il capo senza rispondere al suo sorriso e Loki era
già pateticamente appagato dalla sua vista che non
lasciò
tempo per turbarsi del suo comportamento. «Io sto
bene»
disse poi riavendo il suo sguardo. «Odino mi tratta con
inaspettata generosità, come puoi ben vedere.»
Ghignò mostrandole la cella. Nessun sorriso piegava ancora
le
sue labbra e Loki spense anche il suo. «Ti credevo nelle
segrete» confessò e Sigyn annuì con
aria distaccata.
«Ero
nelle segrete fino a qualche giorno fa, prima che il tuo incantesimo mi
costasse quasi la vita.»
Loki
riuscì a scorgere il suo rancore dal suo viso prima ancora
che dalle sue parole.
«Era
per proteggerti» ammise.
Sigyn
finalmente gli donò un sorriso ma era privo di
verità, solo una smorfia arrabbiata.
«Proteggermi
mentre Amora usava il mio corpo come più le
piaceva?!»
Loki
sospirò bagnandosi le labbra.
«Credevo
fosse chiaro
quale era il suo scopo all'interno di questa storia. Non sei mai
stata così stupida da ignorarlo.»
«Beh,
forse lo ero,
perché non ho mai ipotizzato che potessi scendere
così in
basso. Neanche tu.» La sua gola sussultò e gli
occhi si
tinsero di freddo ghiaccio. «Ma in fondo perché
stupirmi?
Tu mi hai usato allo stesso modo di Amora.»
«Non
azzardarti a dirlo
ancora» le intimò Loki senza celarle la sua
disapprovazione per quell'allusione.
Sigyn
curvò ancora le
labbra facendo un ulteriore passo verso la parete finché non
ci
fu soltanto essa a dividerli. «Perché non dovrei?
Amora mi
ha usato per attaccare i miei stessi amici e tu per appagare le tue
pulsioni... Che differenza c'è?»
Loki
strinse forte i denti e la guardò con rabbia.
«Non
parli sul serio. Vero?» le chiese retorico e Sigyn scosse la
testa passeggiando lentamente.
«Credevo
che ciò che mi hai detto fosse vero, che il tuo affetto
fosse-»
«Lo
era!»
ribadì Loki riavendo i suoi occhi. «Lo
è»
disse ancora con un fiato più debole. «Metti
ancora in
dubbio ciò che provo? Ancora adesso, che sono qui dentro...
Per
te?»
Una risata
isterica lasciò la gola di Sigyn.
«Per
me? Io non ti ho
chiesto di dare il via a una simile follia, Loki! Non ti ho chiesto di
riaprire vecchie ferite né di crearne di nuove.»
«Potevi
uscire da quella
casa in qualsiasi momento, non ti ho obbligata a rimanere. Non fare la
parte dell'innocente, non te lo permetto!»
«E
tu non cercare di
ripararti dietro a un fantomatico amore dal momento che non sai neanche
cosa voglia dire realmente amare!»
Ora i suoi
occhi erano lucidi, le sue labbra tremavano e la sua gola
sussultò.
Loki
strinse nel cuore quell'immagine, e la voglia di frantumare quella
barriera crebbe vertiginosa.
«Confondi
la lussuria con il sentimento, Loki» disse ancora Sigyn.
«Lussuria...»
ripeté lui debolmente. «Non ci credo che ancora
adesso tu
mi venga a dire una cosa simile.» Non dopo che ti ho aperto il
cuore, non dopo che te l'ho donato e con esso ti ho donato tutto
me stesso.
«“Se
solo potessi
toccarti”... me l'hai detto adesso, dopo che ho quasi
rischiato la vita a causa dei tuoi folli trucchi! Tutto ciò
che
hai saputo dirmi quando mi hai visto è stato “Se
solo
potessi toccarti”...» Un altro sorriso sofferente.
«Non è forse una risposta?»
«Chiami
menzogna ogni
parola che abbandona le mie labbra e lussuria ogni mio gesto»
disse Loki guardandola incredulo. «Forse sei tu a non saperne
nulla dell'amore dal momento che l'hai giurato alla prima
terrestre che hai incontrato.»
Sigyn si
incendiò di rabbia. «Non mettere Jane di mezzo.
Lei non c'entra nulla.»
La stessa
rabbia avvolse lui.
«È
questo il
problema: lei non avrebbe dovuto entrare in niente!»
affermò con impeto. «Ma era più facile
per te. Non
è così?» Quella rabbia divenne veleno e
scivolò sulla sua lingua senza che potesse impedirlo.
«Era
più facile fingere di essere l'eroe senza macchia
piuttosto che il vero te stesso.»
Loki vide
ogni parola colpire il suo orgoglio e il suo stesso viso come uno
schiaffo.
«Ti
è bastato
rimettere piede qui per rimproverarti tutto ciò che hai
fatto
sulla Terra. Ma se pensi che questa ritrovata coscienza basti per
recuperare il rispetto di tuo padre, ti sbagli.» Sorrise
affilato, come una lama di spada pronta a trafiggere. «Odino
non
dimenticherà mai che il suo amato figlio, il potente e
perfetto
Thor, è stato la mia puttana per intere notti.»
Sigyn
rispose a quel sorriso con tristezza e forse altro, ma Loki aveva
troppa delusione nel cuore per poterlo riconoscere.
«Non
era il rispetto di
nostro padre che volevo recuperare ma la tua anima...»
sospirò priva di rabbia e Loki capì l'altro
sentimento che la avvolgeva: rassegnazione. «Non sono venuto
qui
perché ci scambiassimo altro odio, Loki, ma
perché
credevo che fossi pronto per metterlo da parte. E se proprio vuoi
saperlo, io non mi rimprovero nulla di ciò che ho fatto. Non
mi
pento dell'affetto che provo per te, seppure sia esso ritenuto
illecito per le leggi di Asgard... Non mi pento di essere stata la tua
puttana se è questo che ha significato per te.»
Loki
sospirò e
abbassò il capo poggiando la mano contro la parete bianca.
Non
avrebbe voluto farle del male, neanche con una sola parola. Non a lei,
eppure non riusciva a far altro che a infliggere dolore, non riusciva a
far altro che a sputare tutto il veleno con cui era divenuto
ciò
che era: portatore di caos, figlio della menzogna e sovrano di inganni.
Colui che
amava ciò che non avrebbe dovuto, che chiedeva qualcosa che
non avrebbe mai potuto ottenere.
Le Norne,
nell'alba dei
tempi, avevano voluto giocare sadicamente con la sua vita e Loki non
aveva potuto sottrarsi a quell'infelice giogo.
«Forse
hai
ragione...» sospirò debolmente senza rialzare il
capo.
«Non so cosa sia l'amore, magari il mio è solo
egoismo, è solo la smania infantile di un pazzo
ma...»
Quando lo risollevò i suoi occhi verdi erano colmi di
lacrime
che restarono sigillate nella sua sofferenza. «Ma non posso
perderti... Non voglio. Chiamala lussuria, chiamala follia, dalle il
nome che più trovi appropriato o inventane uno, non
importa...
Ma io non posso perderti un'altra volta.» Non
sopravvivrei...
Sigyn si
avvicinò
ancora alla barriera ponendo il palmo contro di essa e Loki temette
potesse ferirsi, ma attraverso l'oro della parete vide il
riflesso verde della runa che aveva inciso contro la sua pelle, quel
frammento di anima che le aveva donato.
«Non
mi perderai, Loki,
non adesso che ci siamo ritrovati.» Avrebbe voluto porre il
palmo
contro il suo, avrebbe voluto che non ci fosse nessuna barriera che lo
dividesse dal suo calore, ma c'era. C'era una barriera e ci
sarebbe sempre stata; era Asgard, era Odino, era l'orgoglio di
Thor, era il suo egoismo, il suo rancore. «Io sarò
sempre
qui, al tuo fianco.»
Gli stava
promettendo la stessa menzogna di secoli prima, con la stessa
convinzione, con la stessa fiducia.
Non le
avrebbe più creduto.
«No»
disse sorridendole. «Se stavolta ti lascio andare
sarà per sempre. E tu lo sai.»
«Loki...»
Sigyn
premette ancora il palmo con lo sguardo d'acqua a versarsi nel suo.
Nessuna menzogna stavolta,
fratello. Nessuna falsa promessa.
«Aiuterò
Freyja
se è questo che vuoi. Aiuterò Asgard a
scongiurare gli
intenti di Styrkárr, rimetterò Mjolnir nelle mani
di Thor
e riporterò a Odino il suo prezioso erede. Ti
ucciderò
dai miei pensieri e dalla memoria, dimenticherò che tu sia
mai
esistita, cancellerò ogni notte e ogni alba,
cancellerò
ogni respiro e ogni brivido che hai condiviso con me, Sigyn.»
Loki vide il suo viso teso e i denti trattenere il labbro per
impedirgli di tremare. «Chiedimi di lasciarti andare e lo
farò senza alcuna esitazione.» Prese un respiro e
le porse
quella domanda da cui sembrava dipendere la sua stessa vita:
«Vuoi che ti lasci andare... cuore mio?»
Le labbra
di Sigyn si
schiusero e la sua gola sussultò. Lo sguardo si
abbassò e
il palmo scivolò via dalla barriera.
«Sì...»
In quell'istante il cuore di Loki si frantumò.
***
NdA.
Ennesima crepa nel rapporto già instabile dei nostri due
fratellini.
Stavolta sarà davvero la fine?
Loki manterrà la sua parola di lasciare andare la sua amata
sorellina?
Bah, chi lo sa.
Nel prossimo capitolo finalmente una svolta e si torna anche sulla
nostra sventurata Terra, ormai meta preferita di ogni mente bacata in
giro
per l'universo.
Scusate se questo aggiornamento è stato più breve
e meno d'azione, ma era necessario ^///^
Noi ci leggiamo settimana prossima, se ne avrete voglia ~
Kiss kiss Chiara
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Capitolo 27 *** Degno ***
cap27
L' ultima lacrima
XXVII.
«Per invertire il
processo di scissione occorre la medesima energia con cui esso
è stato creato.»
Sigyn
guardò le sue
labbra muoversi, i suoi occhi guardarla con distacco e cercò
di
concentrarsi su ciò che Loki le stava dicendo e non su
quello
che invece le stava tacendo, eppure quel tacere era assordante.
«Cosa
significa?» chiese tenendo la voce più ferma
possibile.
Le sorrise,
freddo.
«C'è
bisogno di
una triade mistica per riunire le tre essenze. Io non sono nella
condizione di essere uno dei vertici, per cui Odino dovrà
procurarsi tre fulcri di energia abbastanza forti da equilibrare ognuno
il seiðr degli altri due.» Annuì ancora,
silente,
aspettando che continuasse. «Il rito è alquanto
complesso
ma basterà recuperare il grimorio a cui ho accennato giorni
fa.
Non credo sia un problema che il Padre degli Dèi non possa
risolvere.» Loki mise in fila ogni parola come fosse la perla
di
una collana, perfetta e priva di difetti. Nessuna frattura nella sua
voce, nessun'incertezza nel suo tono.
Sigyn
ancora si stupiva della
sua capacità di chiudere in un cassetto le sue emozioni. Lei
faceva fatica anche solo a guardarlo, faceva fatica a guardare i suoi
occhi sapendo che gli aveva chiesto forse il sacrificio più
grande che avesse mai potuto compiere. E lo aveva anche accusato di non
essere in grado di amare...
«Per
attivare il rituale
sarà comunque necessario che Styrkárr sia qui, in
quanto
l'energia verrà canalizzata ai piedi di Yggdrasill. In
questo
modo la triade avrà il potere necessario per spezzare il
vincolo
che lo lega a Mjolnir.»
«E
poi?» chiese con un fiato debole. «Cosa
accadrà?»
Loki la
guardò a lungo
apparentemente privo di un qualsiasi riflesso emotivo, eppure Sigyn era
ben consapevole di ciò che stava ardendo nel suo cuore.
«Nel
momento in cui il
vincolo sarà infranto, Styrkárr
perderà
temporaneamente la facoltà di servirsi del martello e a quel
punto basterà riporlo nelle mani di Thor per riunire le due
essenze e contemporaneamente richiamare la terza.»
Sigyn si
ritrovò a guardare per l'ennesima volta le sue mani.
Ti
lascerò andare per sempre.
Sigyn
sarebbe andata via per sempre.
Perché
faceva male? Perché sentiva quel vortice corrosivo allo
stomaco?
Era
ciò che aveva
voluto dall'inizio: tornare ad essere Thor. Eppure adesso, tutto
sembrava divenire ridicolmente senza importanza.
«Ad
ogni modo ho bisogno
di discutere i dettagli con Freyja.» Loki recuperò
la sua
attenzione. «Affrontare il discorso con te sarebbe inutile.
Senza
offesa.» Ancora un sorriso glaciale e lontano.
Ma cosa si
aspettava da lui?
Aveva
calpestato i suoi sentimenti ancora una volta, coscientemente. Era
stata egoista ancora e ancora, e si odiava per questo.
«Dubito
che Freyja
accetti di scendere nuovamente nelle prigioni»
ragionò a
voce alta, cercando di non annegare nella sua colpa sotto i suoi occhi.
Loki continuava a guardarla con quel sorriso, con le braccia
intrecciate dietro la schiena e i capelli neri che gli circondavano
confusi il viso. Indossava ancora gli abiti con cui avevano lasciato
Midgard, indossava ancora la sua maglia chiara che lei aveva fatto
scivolare via dal suo corpo quella notte.
Si
sentì in difetto
nelle sue vesti da guerriera, dal momento che non si addicevano a una
codarda come lei. Non a qualcuno che aveva volutamente chiuso la
persona più importante fuori dal suo cuore.
«Chiederò
a
nostro-» Si morse la lingua e poi riprese la parola notando
la
luce che aveva attraversato le sue iridi verdi. «Odino
accetterà di farti uscire dalla tua cella il tempo
necessario
affinché si compia il piano.»
«Forse
è meglio
che mandi Frigga a parlare con lui. Non credo che i tuoi occhi di cielo
abbiano su di lui lo stesso potere persuasivo che hanno su altri.» Quella stilettata
la colpì in pieno e si ritrovò a bagnarsi le
labbra a disagio.
«Loki...
io-»
«Raccomandagli
di affrettarsi con le manovre militari. Styrkárr non
tarderà a fare la sua mossa.»
Loki
spezzò il suo discorso sul nascere e con esso ogni altro
intento che lei avesse avuto di riprender parola.
Sigyn
annuì soltanto e si allontanò di qualche passo.
«Grazie.»
Non aspettò nulla, né uno sguardo, né
un nuovo sorriso d'argento.
Voltò
le spalle alla cella e prese il passo per le scale.
Ogni volta
che lo stivale
colpiva il pavimento, lo sentiva battere nelle tempie, battere nel
cuore. Poi il cuore prese a battere due volte più veloce e
quando voltò l'angolo, diretta alle scale, si
fermò
poggiando le spalle contro la pietra.
Premette un
palmo contro la bocca e chiuse gli occhi.
Perdonami...
Celò
ogni singhiozzo, ogni urlo, mentre le lacrime bagnavano mute il suo
viso offuscandole la vista.
Eppure il
viso di Loki era nitido nei suoi occhi, la sua delusione, la sua
sofferenza, la sua sconfitta.
Perdonami.
Ingoiò
silente quel pianto di vergogna che non avrebbe mai avuto realmente
fine.
*
Frigga
aveva notato i suoi
occhi cerchiati di rosso, le maniche della casacca umide e le gote
arrossate. Ma non aveva detto nulla.
Quando si
chiuse la porta alle
sue spalle e la raggiunse, Frigga non mostrò quanto male le
facesse vedere il dolore che governava il cuore di suo figlio.
«Lo
farà.» Udì soltanto dalle sue labbra.
Mi
dispiace...
avrebbe voluto dire, ma tacque. Spesso il silenzio era un abbraccio
più giusto dell'ennesima parola vuota.
*
Odino non
apprezzava per nulla
la richiesta che gli aveva pocanzi fatto sua moglie. Far uscire Loki
dalla sua cella era apparentemente un semplice atto di clemenza spoglio
di pericolo, dal momento che era privato della sua magia, ma
altresì dimostrava un assecondare i suoi voleri che Odino
non
poteva approvare.
E aveva
infine acconsentito
solo per benevolenza verso Freyja, dacché doveva in parte a
lei
la sola svolta che era finalmente giunta.
Frigga gli
aveva detto della
seconda visita che aveva poi convinto definitivamente il loro
secondogenito, ma Odino non aveva voluto udire in realtà
nulla
che riguardasse quei due.
Non
più.
Ciò
che contava era
porre rimedio ai loro errori quanto prima e ristabilire la pace e
l'equilibrio sia di Asgard che di Vanaheim. Avrebbe dovuto tenere fuori
dalle sue riflessioni tutte le altre questioni e, fra di esse, Thor era
la più coriacea. No, Odino non aveva intenzione
né tempo
per dedicare un solo pensiero a quel figlio da cui si era sentito
tradito così vigliaccamente, nel più spregevole
dei modi.
L'esercito
era pronto, i
generali informati su ogni strategia di cui servirsi in previsione dei
più svariati scenari che quel folle di Styrkárr
avesse
avuto intenzione di attuare.
Nella Sala
del Consiglio, la
sola compagnia con cui dividere l'attesa era quella della regina di
Vanaheim, vestita di silenzio e pensieri. Attraverso il loro muto
parlare, si era chiesto più volte quanto realmente ci fosse
spazio per fidarsi delle parole e delle azioni di Loki. Troppe volte si
era dimostrato un giocatore sleale e privo di affidabilità.
Era
un rischio mettere il destino di Asgard nelle sue mani, mettere la vita
di ogni singolo asgardiano.
Lo avrebbe
ucciso di proprio
pugno. Non avrebbe accettato e lasciato impunito un altro tradimento, a
costo di commettere il più cruento dei delitti, avrebbe
stretto
le mani attorno al collo di quel figlio scelto e amato, e
avrebbe
tenuto la presa fino a rubargli l'ultimo respiro.
«I
Sapienti stanno
giungendo or ora da Vanaheim.» Freyja infranse quel silenzio.
«Ho comandato di recarsi qui ad Asgard rapidamente. La loro
magia
sarà fondamentale per poter affrontare ogni genere di
esercito
l'Incantatrice abbia intenzione di evocare.[1]»
«I
soldati dell'esercito
asgardiano sono addestrati contro qualsiasi nemico, di qualunque
natura.» Precisò il re. «Non voglio che
tu scopra un
fianco del tuo regno per un'eccessiva apprensione.»
Freyja
sorrise.
«Vanaheim è già ben difesa. E se
ciò che tuo
figlio ha riportato è vero, Styrkárr
darà via al
suo piano da Asgard. Fermarlo qui sarà solo un vantaggio.
Convieni?»
Odino
assentì e prese un profondo respiro.
«Solo
se ritenessimo verità le parole di Loki...»
«Oh,
lo sono, non dubitare.»
Non volle
approfondire quel
discorso conscio di come esso si sarebbe evoluto, e qualsiasi fosse la
ragione per cui Loki era disposto a mettere da parte i suoi rancori e
la sua cieca rabbia, Odino decise che non lo riguardava. Non voleva che
lo riguardasse.
«Ho
dato ordine alle
guardia di condurlo qui. Soddisfa ogni tua domanda in questo incontro,
Freyja, perché non ve ne sarà un altro.»
La regina
Vanr accettò la sua offerta con un cenno del capo e fu nuovo
silenzio.
I secondi
corsero densi come
gocce di melassa acida, finché le porte della Sala del
Consiglio
non si aprirono, ma non fu la sua guardia con Loki a seguito a farvi
ingresso ma sua moglie. E non era sola.
Come scorse
quel viso, Odino sentì il sangue scorrere come veleno nelle
sue vene.
«Cosa
ci fa qui?» chiese con durezza a Frigga evitando perfino di
guardare il viso della donna al suo fianco.
«Mi
hai concesso
libertà di agire come ritenevo giusto, e ritengo giusto che
ci
sia la presenza di tutti. Siamo giunti al termine di questo delirio,
metti da parte la tua rabbia, non ne è più
tempo.»
Odino
strinse con forza Gungnir e fece battere a terra l'asta.
Frigga
tacque ma lo guardò con rimprovero. Freyja scelse
sapientemente il distacco verbale in quel nuovo scontro.
Sebbene lo
ferisse, non
poté non incrociare quegli occhi azzurri e leggervi dentro
una
richiesta di tregua, una richiesta che il Padre degli Dèi
non
poteva accettare.
«Esci
immediatamente da
questa sala» comandò severo e vide la sua gola
sussultare.
Teneva la testa alta e il portamento di un guerriero che quel corpo
femminile non aveva per nulla svilito, e Odino sentì la
rabbia
crescere con più forza.
«Padre,
se posso-»
«Fuori
da questa sala!
All'istante! Prima che ti rimetta in una cella e stavolta mi assicuri
che tu non vi esca per nessuna ragione.»
«Odino,
per favore.»
Il re
donò un'occhiata glaciale alla sua sposa.
«Da
quando gli ordini di
un re devono essere ripetuti due volte? Tanto profonda è la
vostra mancanza di rispetto? » scandì con voce
dura, con
un tono che provocò una smorfia di sofferenza sul bel viso
di
Frigga. Ma prima che potesse far nuovamente appello al suo cuore di
padre, fu lei a parlare.
«Come
desideri. Non intendo offenderti ulteriormente.»
Odino vide
le sue spalle e i
suoi capelli dorati troppo lunghi. Vide la porta che si apriva e poi si
richiudeva. Vide lo sguardo deluso con cui Frigga lo guardava.
*
Le guardie
erano giunte in un
numero superiore a quello che si aspettava. Erano dieci, tutte armate
di lancia. Fra di esse non vi era nessuno dei quattro soldati che lo
avevano prelevato su Midgard; Odino non doveva aver approvato il loro
gesto nei confronti di Frigga, il loro esserle fedele stavolta sarebbe
costato più della loro lingua.
Se avesse
avuto ancora qualche
sentimento in fondo al cuore fra la melma di risentimento, forse
avrebbe trovato compassione per loro. In realtà cos'erano se
non
solo poveri schiavi volontari?
Li vide
raggiungere la sua
cella e far svanire la barriera di seiðr che la sigillava.
Porse i
polsi prima che gli fosse chiesto e guardò con un sorriso le
catene che gli vennero avvolte attorno.
Li
seguì con passo
deciso, lasciandosi alle spalle la sua cella e i suoi vecchi abiti
terresti, avendo scelto di indossare le vesti che gli erano state
offerte la prima volta. Aveva lasciato alle spalle i dubbi e le
incertezze, aveva lasciato indietro il suo cuore e ogni sentimento che
vi era vissuto fino al momento in cui Sigyn aveva sospirato quel sì.
Attraversò
a viso alto i lunghi corridoi, sentendo a malapena il risuonare delle
catene e lo strusciare della sua veste.
Neanche
stavolta erano diretti
alla Sala del Trono. Dalla svolta che avevano preso, era facile intuire
che quel incontro si sarebbe tenuto nella Sala del Consiglio, dove vi
era una sola via di ingresso e di uscita. Nessuna finestra, nessuna
balconata. Le mura stesse erano attraversate da una potente stringa di
seiðr che impediva di carpire anche una sola parola che vi
venisse
pronunciata al suo interno.
Di tutte le
stanze del palazzo era la più sicura, la più
impenetrabile.
Nessun
orecchio sarebbe giunto
a rubare alcun segreto, nessun occhio avrebbe mai potuto scorgere
neanche un barlume, forse neanche Heimdall stesso.
Sorrise.
Odino era
sempre stato un ottimo stratega, un ottimo generale di guerra, in
verità anche un buon re.
Come padre,
poi...
Si
costrinse a tenere sulle
labbra quel sorriso anche quando vide Sigyn in piedi, poggiata contro
la parete, con le braccia incrociate sul petto.
Un'espressione
buia nei suoi occhi.
Decise che
non vi avrebbe dato importanza.
Le guardie
arrestarono il
passo e picchiarono sulla porta con tre tocchi decisi a intervalli
regolari. Loki continuò a guardare quell'ombra sul viso di
chi
aveva dato una ragione alla sua esistenza e ne aveva anche decretato la
fine.
«Tesoro,
non sei stata
invitata a questo simpatico rendez-vous?» Le chiese
mostrandole
il più sottile dei suoi sorrisi.
Sigyn
guardò le sue labbra piegarsi e poi i suoi occhi, e non
rispose.
La porta si
aprì e Loki sentì il suo sguardo seguirlo
finché non si chiuse alle sue spalle.
*
Aveva
chiesto a sua madre di
partecipare all'incontro e subito aveva ricevuto da lei la risposta di
quanto fosse pessima quell'idea.
Aveva
insistito, Sigyn l'aveva
pregata affinché potesse essere presente. Voleva guardare
gli
occhi di suo padre senza abbassare lo sguardo, voleva guardare quelli
di Freyja e lasciare che i suoi parlassero di gratitudine. Voleva
guardare quelli di Loki ed essere in grado di celargli quanto
ciò che gli aveva chiesto di fare la stesse in
verità
torturando.
Ma l'ira di
suo padre era
stata più forte, il suo disgusto lo era stato, la codardia
di
Sigyn era stata più forte e così aveva dovuto per
l'ennesima volta chinare il capo.
Sospirò
guardando la
porta di legno che si era chiusa da qualche minuto dietro i passi di
Loki. Le guardie erano uscite e si erano allineate lungo il corridoio.
Nessuna levò uno sguardo su di lei, nessuna riteneva
interessante né importante la sua presenza. Forse
perché
ignoravano la verità, più semplicemente
perché era
ciò che era: una donna inutile per tutti.
Doveva solo
restare in
disparte a guardare, doveva solo aspettare di ritornare a vestire la
sua vecchia pelle e illudersi di vestire il suo vecchio cuore.
Quello che
batteva nel suo petto, adesso, aveva un palpito diverso.
*
Odino lo
guardò a
lungo, in silenzio, senza neanche curarsi di nascondere il proprio
disprezzo. Loki non provò neanche più rabbia nel
suo
sguardo.
«Tutto
qui?» chiese poi il Padre degli Dèi.
Frigga non
osò dire nulla, Freyja invece parve riflettere sulle parole
che aveva pronunciato poco prima.
«Non
basterà
infrangere il legame. Bisognerà che la triade distrugga la
sfera
di Sálþjófr[2]
con cui l'anima di Styrkárr si fonde con quella del Tonante,»
disse a quel punto la regina Vanr.
Loki
assentì.
Odino
guardò Freyja evitando accuratamente di incrociare il suo
sguardo.
«Chi
comporrà la triade?» chiese il Padre degli Dèi.
«Io
posso essere un vertice e, se posso permettermi, sarebbe saggio tu
fossi il secondo cardine» propose Freyja.
«D'accordo.
Ne manca
comunque un terzo» osservò ancora Odino.
«Fra i tuoi
Sapienti ci sarà qualcuno che potrà completare
-»
«Lo
farò io.»
Loki
guardò il viso deciso di sua madre e così fece
Odino.
«È
pericoloso,
Frigga. Non metterò a rischio la tua vita»
affermò
poi il Padre degli Dèi, e Loki avrebbe voluto far salire in
alto
una risata stridula. L'aveva ferita e torturata in ogni momento da
quando erano giunti ad Asgard, non riusciva neanche a chiedersi cosa
avesse potuto dirle prima del loro arrivo. Odino aveva usato su Frigga
la stessa violenza che aveva destinato a lui e Thor, con l'unica
differenza che Frigga non aveva alcuna parte in quel dramma illecito
che avevano consumato.
«Non
ci sarà
alcuna vita in rischio. So ciò che faccio e mi aspetto che
tu
riponga fiducia nelle qualità di tua moglie. Così
farò, e che non si indugi oltre sulla mia
decisione.»
Un piccolo
sorriso orgoglioso
fiorì sul viso di Loki all'udire la replica di sua madre. Se
Odino lo avesse notato o meno non aveva importanza. Si
limitò a
tacere, il Grande Padre, si limitò a dover chinare il capo
di
fronte all'irremovibilità della sua regina.
«Così
sia. Non resta che recuperare il grimorio che fu di mio padre,
quindi.»
Era facile
intuire che Odino
non aveva alcuna volontà di continuare quell'incontro e che
non
aspettasse altro che gettarlo nuovamente nella sua cella, magari con la
speranza di dimenticarsene.
Loki
però non era dello stesso parere.
«In
verità
c'è ancora un aspetto da sistemare»
affermò deciso
a chiudere con grandezza la sua recita.
Odino lo
guardò con distacco.
«Di
che parli adesso?» gli chiese poi, senza nascondergli la sua
disapprovazione.
Loki
sospiro e si umettò le labbra.
«Mi
sorprende che proprio tu non abbia trovato la falla così
evidente in questo brillante
piano.» Sfidò la sua pazienza e la sua calma ma
sembrò che Odino non volesse concedergli vittorie. Forse era
per
la presenza di Freyja, più probabilmente per quella di
Frigga.
«Parla.»
Lo invitò poi e Loki lo accontentò.
«La
Ladra di Anime non
potrà essere distrutta finché l'anima di Thor non
tornerà al legittimò proprietario, il che vuol
dire che
la triade dovrà tenere attivo il rituale finché
Mjolnir
non giungerà nelle mani del tuo erede, così che
la
scissione possa essere invertita.» Loki osservò il
viso di
Odino e capì che aveva compreso cosa volesse dire.
«Thor
è sotto il
giogo di quella donna quindi non potrà ritrovare da
sé la
sua arma.» Anche Frigga aveva avuto chiara la situazione
così Loki poté terminare la sua esposizione dei
fatti
senza più pause.
«Parliamo
della
più semplice delle azioni: recuperare Mjolnir e porlo
materialmente nelle mani di tuo figlio. Ma se sarai impegnato nel rito
ai piedi di Yggdrasill non ti sarà concesso
compierla.» Si
rivolse direttamente a Odino e quasi gioì nello scorgere la
preoccupazione appesantire ancora di più il suo viso.
«Lei...»
propose con evidente spiacere il re. «Lei può
farlo.»
Si
aspettava quel
suggerimento, si aspettava quel disgusto nella sua voce, non si
aspettava che gli facesse ancora rabbia, non dopo ciò che
aveva
scelto di fare, non dopo essersi ripromesso di chiuderla per sempre
fuori dal suo cuore.
«Desolato,
ma Sigyn non
può sollevare Mjolnir.» Usò volutamente
quel nome,
usò volutamente quel tono, usò volutamente quel
sorriso
mentre pronunciava ogni parola. «Oh, potrei spiegarti nei
dettagli il perché, ma penso che tu ne abbia avuto un'ampia
visione in quel di Midgard...»
«Ti
cucirò quella
bocca, un giorno o l'altro.» La minaccia infine giunse,
sottile e
affilata, ma Loki l'accolse con l'ennesima maschera di distacco e
indifferenza.
Cuci
pure le mie labbra, non potrai mai far tacere il mio disprezzo, padre.
*
Sigyn vide
la porta finalmente
aprirsi e attese che le guardie rientrassero per condurre Loki fuori,
ma ciò che accadde fu diverso: fu sua madre a uscire ea ad
avvicinarsi a lei chiedendole di rientrare.
Aggrottò
la fronte lasciando che lo sguardo parlasse della sua incertezza.
«Tuo
padre vuole parlarti.»
A quelle
parole sentì
la gola tremare e schiuse le labbra per acquistare più aria.
Sentì la mano di Frigga sfiorare il suo braccio con fare
materno, per trasmetterle una rassicurazione che era lontana da
intravedere.
Tacitò
comunque ogni inquietudine e mise piede nella sala, sotto lo sguardo di
Odino e quello di Freyja.
Loki era in
piedi al centro
della stanza, le catene che gli legavano i polsi erano state assicurate
alle colonne che si ergevano possenti. Quasi fosse un animale
dissennato pronto ad attaccare, e benché l'espressione che
sfoggiava era di pura sicurezza, Sigyn sapeva quanto in
verità
fosse diversa la realtà.
Scostò
lo sguardo dal suo per portarlo in quello di suo padre.
Cercò
inutilmente di
governare il suo cuore. Odino le aveva ormai riservato le parole
più deplorevoli che fosse in grado di ascoltare. L'aveva
colpita
e umiliata, le aveva mostrato quanto forte fosse il suo sdegno con ogni
mezzo, eppure Sigyn temeva ancora ogni suo gesto.
Chinò
il capo con riverenza e poi lo rialzò attendendo qualsiasi
sorte gli fosse riservata.
«Mjolnir
ti fu destinato
perché ne eri degno.» Odino le dedicò
ancora gelo
ma c'era una sottile malinconia nella sua voce.
«Ciò non
vuol dire che tu fossi l'unico.»
Non
comprese ancora il suo
discorso perché c'era troppa agitazione nei suoi pensieri,
c'era
un tumulto emotivo che impediva al raziocinio di governare la sua mente.
«Sì,
padre,» disse soltanto e quasi si pentì
immediatamente di
quelle due brevi parole. Il Padre degli Dèi
però
non mostrò intento di rimproverarla, non mostrò
in vero
alcun evidente emozione. La guardava dritta negli occhi, algido e
regale, e Sigyn combatté l'istinto di distogliere lo sguardo.
«Se
vogliamo porre fine
alla minaccia di quel Vanr c'è necessità di
ritrovare un
altro essere meritevole della magnificenza e della protezione
dell'astro reso arma.»
Fu ancora
più confusa e
fu quasi involontario cercare lo sguardo di Loki. Ma sapeva bene non
avrebbe avuto da lui più alcun aiuto, più alcuna
mano
tesa. Non adesso.
Quando
quella verità colpì crudele il suo cuore
tornò con gli occhi al viso di Odino.
«Non
capisco cosa-»
«Facciamola
breve.» Fu invece Loki a interromperla con tono annoiato.
«C'è bisogno di qualcuno che concretamente
recuperi
Mjolnir quando il rito impedirà a Styrkárr di
sollevarlo.»
«Ma...
per quale motivo? Padre-»
«Quanto
sei
cocciuta,» sospirò ancora infastidito Loki.
«Non
fare domande, spremi le meningi e tira fuori un nome.»
«Io
non ho idea di chi
altri possa governarlo!» La risposta nacque più
acida del
previsto, ma era stato impossibile non lasciarsi pungere dalla sua
sufficienza.
«Andiamo,
hai incontrato
i più valorosi guerrieri dei Nove Regni e vuoi farmi credere
che
nessuno di essi può essere considerato degno almeno quanto
Thor?!... Quanta arroganza...» Adesso c'era un sorriso
irriverente sul suo viso, una scintilla di malizia nei suoi occhi.
Sigyn fu
costretta a combattere l'istinto di afferrarlo per il bavero e
scuoterlo.
«È
l'unico modo
per avere successo.» La voce di sua madre giunse ad
acquietare
almeno un po' la sua reazione. Sigyn osservò il suo viso e
calmò il suo impeto, calmò i suoi pensieri e
cercò
semplicemente di riflettere.
Ripensò
al discorso di Loki, al suo piano. Non capiva in verità il
perché di quella necessità. Odino poteva
recuperare Mjolnir senza problemi, ma se era giunto a mettere da parte
la sua collera per farle quella richiesta, voleva dire che davvero era
importante.
Non chiese
nulla, quindi, rimase silente a far scorrere la sua mente.
Qualcuno
degno, qualcuno in
cui riporre la sua fiducia e quella del suo regno. Se avesse voluto
essere davvero oggettiva, avrebbe dovuto ammettere che dopotutto Thor
non era mai stato così degno di un'arma come Mjolnir e
paradossalmente l'amore che aveva diviso con Loki era l'ultima delle
ragioni. Thor era stato crudele, spietato, perfino malvagio per un
lungo periodo della sua esistenza. Stupido e infantile, aveva giocato
con la vita come se ne fosse il padrone, aveva giocato con la paura e
con i sentimenti.
E Mjolnir
gli era rimasto fedele senza cedimenti.
Poi aveva
compreso, almeno
aveva creduto di comprendere. Midgard lo aveva cambiato, Jane lo aveva
fatto. I suoi compagni lo avevano cambiato e reso migliore.
Se quindi
doveva pensare a
qualcuno meritevole di possedere il potere e la difesa della sua arma,
non poteva che pensare a loro. E fra di essi un nome risuonava forte
sopra tutti gli altri.
«Va
bene, può
essere un azzardo ma...» Guardò ancora il viso di
sua
madre e poi quello di Loki, infine voltò lo sguardo in
quello di
suo padre. «Se in tutti e Nove i Regni esiste qualcuno degno
di
Mjolnir...» Prese ancora un respiro e poi fece quel nome:
«Costui è Steve Rogers.»
ஐஐஐ
«Etciù!»
Tony
sollevò distrattamente lo sguardo su Steve che stava tirando
su con il naso.
«Ti
sei beccato un raffreddore, Cap?» chiese divertito mentre
stringeva una vite con una piccola chiave inglese.
«Non
ho più preso
un raffreddore dal ‘43...» ribatté Steve
sospirando
e poggiandosi contro il tavolo del laboratorio. Fra le mani una palla
da baseball che continuava a far saltare nel palmo.
«Allora
qualcuno ti ha nominato» aggiunse ancora Tony neanche troppo
coinvolto nel discorso.
Guardò
con attenzione la sua opera e si passò il dorso della mano
sulla fronte umida.
Era
alquanto soddisfatto. Un
sorriso si dipinse sul suo viso quando si voltò in direzione
di
Steve che però aveva lo sguardo perso sulla parete e
continuava
a far saltare ritmicamente - e fastidiosamente - la palla.
«Ha
un ritardo?» chiese Tony a bruciapelo, recuperando la sua
attenzione.
Steve
sbatté le sue ciglia ridicolmente lunghe per un uomo e lo
guardò confuso.
«Scusa?»
Tony
gettò quindi la chiave sul tavolo facendola tintinnare e si
sdraiò stancamente su una sedia.
«Ti
stavo chiedendo se
la tua ragazza avesse un ritardo perché hai la classica
espressione di qualcuno che ha appena perso tutto in un investimento
sbagliato di Wall Street, o che sta per diventare padre, ed escludendo
che tu sappia anche solo cosa sia un indice borsa, ho ipotizzato fosse
la seconda.»
Steve
strinse la palla così forte nel palmo della mano da
comprometterne per sempre la forma sferica.
«Nessun
ritardo.» Quasi ringhiò e Tony alzò le
mani per scusarsi.
«Era
solo un'ipotesi» puntualizzò.
«A
parte l'idea malsana
di comparare un fallimento economico a un'esperienza meravigliosa come
la paternità, non capisco come sia tu a poter essere
così
tranquillo.» Steve si avvicinò a un cestino e
gettò
la palla ormai inutilizzabile. Poi tornò a guardarlo e
giudicarlo con i suoi occhi. «Non pensi di essere tu quello
“strano”?»
«Mai
preteso di non
esserlo» affermò poi Tony dondolando leggermente
sulla
sedia. «Stranezza è solo un sinonimo di
genialità.»
«O
di pazzia...» evidenziò Steve e Tony sorrise.
«È
quello che ho detto io.»
E il
capitano preferì
non continuare quel discorso, dedicandogli una significativa occhiata e
un ancor più significativo movimento oscillatorio del capo
che
tradotto era più o meno: “ma che parlo a fare con
te?!...”
Tony
ghignò ancora e si alzò dalla sedia ammirando
nuovamente la sua opera.
«Allora?
Che te ne
pare?» gli chiese giulivo. «Non è
l'invenzione
più stupefacente del secolo?»
Dovette
aspettare la bellezza di ben sette secondi prima che Steve si
schiodasse dal muro e mettesse da parte la sua faccia da Ti spiezzo
in due, e
lo raggiungesse.
Guardò
verso il tavolo, incrociò le braccia sul petto e poi
sospirò: «È una moka.»
La sua
sterilità inventiva era avvilente.
«Non
è una moka,
è una Starkoffee 4.1 autoalimentata, capace di utilizzare
ben
cinque differenti capsule di miscela per creare una combinazione
straordinaria.» Tony ammirò ancora il piccolo
gioiello di
meccanica su cui aveva trascorso la sua mattinata. «Neanche a
Roma potresti bere un caffè dall'aroma simile...»
Quando si
voltò
nuovamente verso Steve con la sua espressione soddisfatta si
scontrò con il suo fondo schiena che si avviava alle scale.
Tony
sospirò e scosse il capo.
«Ma
che parlo a fare con te?!...»
*
La voce di
Pepper era come il vento che smuove le tende di primo mattino.
Fu questa
la definizione che
Linn si ritrovò a dare mentalmente quando la udì
parlare
la prima volta, quando quella bellissima donna, elegante come una
regina, si era presentata e le aveva teso la mano con gentilezza.
Le aveva
categoricamente proibito di chiamarla Lady, di chiamarla Virginia e di
usare un solo gesto di cortesia obbligata.
Linn aveva
accettato volentieri la sua richiesta.
Pepper
stava parlando di
qualcosa che riguardava un evento di Midgard, di qualcuno che non
poteva conoscere che aveva sposato e poi lasciato qualcun altro.
Non aveva
in verità
grande importanza cosa stesse dicendo, perché tutto era
preferibile al silenzio che sarebbe di certo sceso nella stanza se ci
fossero state solo lei e Lady Jane.
Steve era
tornato a casa quel giorno, senza ferite evidenti, ma con una profonda
ferita nello spirito.
Le aveva
raccontato cosa fosse
successo, “chi” avesse deciso di attaccare
vigliaccamente
le genti di un piccolo villaggio della Terra.
Linn aveva
fatto fatica a
credere, aveva fatto fatica a non scivolare nella tristezza e nella
paura, aveva fatto fatica a non coprirsi le orecchie e chiudere gli
occhi e fingere che tutto ciò che stava accadendo fosse solo
un
brutto sogno.
Era passata
una manciata di
giorni, eppure l'inquietudine negli occhi di Steve sembrava solo
essersi sfumata e trasformata in preoccupazione.
Un cattivo
presagio era in arrivo. Quella quiete che ne era seguita, era solo il
preludio di qualcosa di terribile.
Linn
cercò di non farsi vincere da quella sensazione, ma era
difficile.
Era perfino
tornata da Tony,
alla sua maestosa torre, perché Steve aveva detto che
lì
sarebbe stata più al sicuro. Aveva così
conosciuto Pepper
e rivisto la midgardiana amata dal suo principe, e aveva visto la
rabbia e il dolore nel fondo del suo sguardo nocciola.
Perché
adesso lei sapeva, e quel sapere aveva ora reso Linn una colpevole ai
suoi occhi.
Linn non
aveva avuto il coraggio di dirle nulla, Jane non aveva avuto coraggio
di farle domande.
Era tutto
un equilibrio
precario, una lastra di ghiaccio così sottile che presto si
sarebbe frantumata, chi avrebbe mosso il passo fatale, ancora non era
possibile capirlo.
ஐஐஐ
«Tu
non hai la certezza che questo umano possa farlo?»
Non era una
domanda, era un affermazione e così Sigyn si
ritrovò a deglutire sotto il tono aspro di Odino.
Cercò
di non abbassare lo sguardo ma era un'impresa ostica.
«Steve
non ha mai
neanche tentato di sollevarlo e questa è la dimostrazione
che
può riuscirci» disse ma suo padre scosse il capo
alquanto
deluso dalla sua spiegazione.
Sigyn
credeva in ciò
che diceva, credeva in Steve ed era certa che lui avrebbe potuto
governare Mjolnir come se non più degnamente di Thor stesso.
«Il
rispetto che Steve
ha sempre dimostrato per Mjolnir sarà la chiave attraverso
cui
ella gli permetterà di impugnarla. È un uomo
giusto e
valoroso. Il più valoroso che conosca.»
«C'è
in gioco la
sicurezza e l'esistenza stessa di più di un regno e io
dovrei
affidarmi alle tue convinzioni dettate da stolti sentimenti di
amicizia?!» ringhiò Odino contrariato.
Era una
follia, eppure Sigyn
gli fu grata di quella dimostrazione di scetticismo: in qualche modo
sembrava che Odino lo trattasse ancora come suo figlio, quel figlio
ingenuo e stolto che faceva domande sciocche e non sembrava possedere
mai l'acume indispensabile a un guerriero. Perché Thor era
istinto e azione, Thor era sangue caldo e zero riflessioni, e Odino
aveva provato con più di un mezzo a mettere un po' di buon
senso
nella sua testa.
Per pochi
frammenti di respiro, Sigyn si risentì di nuovo Thor, e
Odino era di nuovo suo padre.
«Mi
hai chiesto un nome
e io ho dato l'unico che conosca, e chiunque abbia avuto occasione di
incontrare Steve Rogers sa che è la scelta migliore se non
la
sola.»
Uno sguardo
volò
involontariamente alla sua sinistra, verso il viso di Loki. Non vi
trovò che un sorriso sbilenco e nessuna parola che
l'appoggiasse.
Non la
pretendeva, forse però l'aveva sperata.
«Non
è la mia
amicizia a parlare ma la semplice obiettività. Su Midgard il
coraggio e il valore di Steve non è storia conosciuta da
ogni
popolo per diletto, ma perché è la semplice
realtà.»
Il silenzio
che scese nella
sala sembrò durare un'eternità, prima che Odino
lo
frantumasse con un sospiro spazientito.
«Portatemi
il mortale.
Voglio parlare con lui e poi decidere se sia o meno una scelta stupida
come il suo sostenitore.»
Non aveva
il suono di una
vittoria, anzi, eppure Sigyn sorrise e distese il viso in
un'espressione grata. Abbassò il capo e si portò
il pugno
all'altezza del cuore. Un gesto antico, dovuto, ma in quel momento
desiderato come non mai.
«Grazie,
padre.»
Quando
alzò lo sguardo, Odino non rifletteva nessuno dei suoi
sentimenti.
«Torna
nelle tue stanze e restaci stavolta.» Le comandò
con gelo.
Non fu il
suo distacco quanto le sue parole a confonderla.
Abbassò
il polso e aggrottò la fronte.
«Pensavo
che avrei raggiunto io la Terra per-»
«Non
dire altre
assurdità!» la interruppe suo padre.
«Finché
non sarà ristabilita pace e sicurezza, il tuo posto
sarà
in questo palazzo, lontano da un qualsiasi sguardo che possa cogliere
la vergogna che traspare dal tuo viso.»
L'ennesima
frustata, l'ennesimo schiaffo, l‘ennesima crepa nel petto.
Sua madre
non giunse in suo
soccorso stavolta. Restò un passo indietro, silente.
Restò al fianco di Freyja, regina dagli occhi neri e da una
storia che in qualche modo poteva rispecchiare la loro ma che era stata
vissuta in un tempo lontano, in un luogo diverso, con una coscienza
differente.
E poi c'era
Loki, che
l'osservava come non l'avesse mai tenuta stretta, come se non l'avesse
mai voluta e desiderata, come non l'avesse mai amata: come un'estranea,
con un'indifferenza che solo Odino pareva eguagliare. E Sigyn
capì che aveva perduto per sempre anche l'ultimo riflesso di
suo
fratello.
Ma non
aveva perduto se stessa, non aveva perduto la sua anima, anche se era
lontana.
Non aveva
perduto il suo
cuore, che batteva forte nel petto, che le fece irrorare di sangue le
guance e stringere con rabbia i pugni: il cuore di Thor.
*
«Non
intendo restare in disparte a guardare!»
Loki la
guardò incendiarsi, la guardò tremare e serrare i
denti come una fiera affamata e furiosa.
Guardò
Odino che
l'osservava con rimprovero da pochi passi, guardò sua madre
che
mordeva parole e ingoiava sospiri. Guardò Freyja che
piegò impercettibilmente gli angoli delle labbra.
Poi
guardò ancora lei, la Sigyn che non avrebbe più
potuto chiamare sua,
e capì perché l'amava, perché pur
volendo non
avrebbe mai smesso di farlo, perché quell'amore sarebbe
stato la
causa della sua rovina.
«Non
ti permetto di obiettare a un mio diretto comando!»
tuonò Odino.
Sigyn fece
un passo in avanti stringendo il pugno come se ancora impugnasse la sua
arma leggendaria.
«E
io non ti
permetterò di lasciarmi fuori da tutto come se la cosa non
mi
riguardasse» affermò poi senza cedimenti, fissando
e
sfidando Odino e la sua regalità, la sua pazienza.
«Non ti
chiedo di mettere da parte il tuo giudizio, padre, ma di lasciarlo al
tempo che seguirà questa guerra. Non mi sottrarrò
al
castigo a cui deciderai di destinarmi, lo sai bene, ma voglio lottare
in nome di Asgard! Voglio riprendermi ciò che mi
è stato
portato via, fosse anche a costo della vita! Se sarà fato
che
muoia così sia, ma lo farò lottando, sul campo, e
non
nascondendomi in una stanza dorata solo per fare un favore al tuo
orgoglio ferito.»
«Non
è al mio
orgoglio che faresti un favore, ma al tuo, ammesso che te ne sia
rimasto anche solo una briciola.» La replica di Odino fu
tagliente e pesante come un macigno eppure non la schiacciò.
Loki non le
vide chinare il
capo come accaduto nella Sala del Trono, non la vide piegarsi sotto lo
sguardo del Padre degli Dèi. La vide alzare di
più il
viso, respirare con più affanno, sfidarlo con più
determinazione.
La vide
forte come un principe di Asgard, luminoso e accecante come il sole che
era sempre stato.
E fece
più male.
La maschera
rischiò di
incrinarsi, di mostrare i suoi veri sentimenti e a quel punto non ci
sarebbe stato più appiglio dove affondare le unghie per
restare
in piedi.
«Ho
ancora orgoglio e
dignità, e morirò possedendo entrambi nella
medesima
entità. Così come mi è sempre stato
insegnato.»
Odino
sorrise, ed era una
beffa, era un modo per deridere la sua convinzione, oppure un
involontario gesto di un padre orgoglioso...
Loki non si
porse quella domanda, non gli interessava neanche avere una risposta.
«Conserva
pure le tue
certezze, ciò non cambierà il mio ordine.
Resterai nelle
tue camere finché non avrò disposto
diversamente.»
Al ribadire
di quell'imposizione Sigyn scattò ancora.
«Dovrai
mettermi in catene allora.»
«E
cosa ti fa credere
che non lo farò?» Un sorriso di sfida stavolta
piegava le
labbra di Odino e gli occhi di Sigyn divennero due zaffiri affilati.
«Scommetto che il tuo amato fratello sarà ben
felice di cederti le sue. Non ne avrà bisogno su
Midgard.»
Loki si
ritrovò sotto lo sguardo di Odino e di Sigyn, sotto quello
di sua madre.
Qualsiasi
fosse il gioco di Odino, a Loki stava piacendo sempre meno.
Assottigliò
lo sguardo e fissò quell'unico occhio.
«Cosa
significa?» Fu Sigyn a chiederlo, dal momento che le labbra
di Loki restarono una linea rigida.
«Andrai
sulla Terra per
prelevare il mortale.» Odino diede a lui quella risposta.
«Inoltre devi riportare qui il grimorio, la cui protezione,
immagino, tu abbia assicurato con qualcuno dei tuoi stupidi
trucchetti.»
Loki gli
restituì un sorriso beffardo.
«Affidare
la vostra
unica possibilità di riuscita ad un traditore... Scelta
rischiosa, Padre degli Dèi» mormorò
ironico e Odino
sorrise a sua volta.
«Pensi
che ti lascerei
andare da solo? Sarai scortato dal migliore dei guerrieri di Asgard, e
sarà pronto a piantarti una lama nello stomaco se lo
metterai
alla prova.»
Non serviva
neanche chiederne il nome.
ஐஐஐ
Steve
salì l'ultimo
gradino e imboccò il corridoio che conduceva nel soggiorno
di
Tony. Si fermò ad un passo dallo svoltare l'angolo e
guardò la stanza: Pepper stava parlando animatamente,
poggiata
contro il bancone dell'angolo bar facendo ondeggiare la coda bionda
alle sue spalle, Jane l'ascoltava seduta stancamente su una sedia, con
i gomiti poggiati sul tavolo di vetro, era chiaro che non stava davvero
prestando attenzione alle parole di Pepper. E in fondo al tavolo, con
le mani congiunte sul ventre, la sua Linn era intenta ad ascoltare con
la massima attenzione qualsiasi discorso la Potts stesse facendo.
Apparentemente sembrava una scena come un'altra, un discorso come un
altro, ma in verità Steve percepiva la reale atmosfera.
Percepiva la preoccupazione e le riflessioni, il fingere e soffocare
delle vere emozioni di ognuna di loro.
E Pepper
era così simile a Tony in alcuni momenti da fare paura.
Fece
qualche passo silenzioso che però fu subito intercettato.
«Sta
ancora giocando con la moka?» gli chiese Virginia
interrompendo il suo discorso.
Steve
annuì.
«Starkoffee
4.1» sospirò e vide Pepper roteare gli occhi.
«Prima
di cena
avrà costruito anche la versione beta della 7.3»
mormorò la donna facendolo sorridere. Era il suo modo di
distrarsi, Steve lo sapeva bene, perché Tony era fatto
così: doveva tenere impegnato sempre il cervello. I geni
avevano
questo grave difetto...
«Vado
a controllare che
non costruisca un tostapane a pannelli solari. Con permesso.»
Pepper si congedò con un sorriso e Steve la
salutò con un
piccolo cenno del capo.
Subito
l'assenza della donna mostrò la precarietà di
quella situazione.
«Per
quanto tempo Fury
vuole tenermi segregata?» Il tono di Jane era duro e nervoso.
Allentava e stringeva le dita delle mani sul tavolo, muovendosi sulla
sedia come se scottasse la sua pelle. Linn lo guardò ma non
disse nulla.
«Nick
sta solo cercando
di tenere sotto controllo la situazione» rispose ma la
dottoressa
Foster non sembrò soddisfatta di quella spiegazione.
«Non
capisco come il mio
essere costretta a restare a NY possa essere d'aiuto al controllo della
situazione» affermò rigida. «Devo
tornare a
Houston, ho decine di progetti all'Osservatorio, e poi ci sono tutti i
miei studenti.» La frase sfumò nel silenzio
così
come i suoi occhi scivolarono via da quelli di Steve per posarsi sul
vetro del tavolo. «Non voglio restare più qui. Lo
capisci,
vero?»
Certo che
lo capiva. Steve
capiva perfettamente cosa volesse dire sentirsi traditi non una ma due
volte, sentirsi così stupidi per non aver visto
né sentito.
Amicizia e amore avevano in verità la stessa matrice, e
benché sapeva bene di non poter porre sul medesimo piano i
suoi
sentimenti verso Thor con quelli di Jane, poteva condividerne comunque
la ferita.
Jane aveva
bisogno dei suoi studi, di miglia di distanza, di molti numeri e un
solo cielo per cucire almeno in superficie quel taglio. Come Tony aveva
bisogno di costruire qualcosa di stupido e inutile per rattoppare
quelli che perfino il suo cuore luminoso aveva riportato. Pepper
parlava, più del solito, Bruce studiava,
più del solito e poi c'era Clint e con Natasha, e loro
avevano un modo speciale per essere amici e agenti, e sembrava aver
sempre funzionato; sembrava funzionare anche adesso.
E Steve... Steve aveva una divisa e ora aveva Linn, ed entrambe
coprivano con cura ogni ferita sulla sua pelle.
«Jane,
se vuoi davvero
tornare a Houston, Fury non può impedirtelo, ma per la tua
sicurezza sarebbe meglio che-»
I piedi
della sedia stridettero sul parquet quando Jane si alzò in
piedi.
«Me
la sono sempre
cavata da sola, Steve.» In quegli occhi castani vide tanto
coraggio e fragilità, ed era per questo che Thor doveva
averla
amata tanto... E ancora l'amava, ne era certo. In un qualche modo
illogico e assurdo, Steve sapeva quanto forte e sincero fosse il
sentimento che li aveva legati, così folle da superare la
realtà stessa.
Non
provò a fermarla,
non sapeva cosa dirle per farlo, cosa fare o cosa non fare.
Restò immobile con le braccia lasciate cadere lungo i
fianchi
quando Jane lo superò per dirigersi nella zona notte,
probabilmente per recuperare la sua valigia e il resto delle sue cose.
Steve restò immobile a guardare il viso di Linn.
«È
giusto che vada, Steve» disse lei con la sua voce delicata.
«È giusto.»
Steve però scosse il capo.
«Ma non è giusto nulla di quello che sta
passando...» Si passò una mano sul viso e
sospirò. «Non merita tutto questo, Linn.»
«No,
non lo merita.
Nessuno merita di soffrire per le scelte di qualcun altro, ma fino a
che punto sono scelte? Come possono i sentimenti essere soggetti a
qualcosa di razionale come lo scegliere? Non pensi sia il
contrario?»
Comprendeva
il suo pensiero,
eppure per quanto gli occhi di Linn fossero luminosi e belli mentre
parlavano di amore, Steve sentiva comunque tristezza, perché
quelli di Jane non avrebbero più brillato così.
Linn si
alzò dal tavolo e lo raggiunse accarezzandogli con
delicatezza una guancia.
«Su
Asgard si suol dire
che ogni dolore non è che un seme piantato nel cuore di un
uomo.» La sua mano gli sfiorò il collo e poi il
petto, e
Steve lasciò che il suo cuore battesse contro le dita
sottili di
Linn. «Più esso è grande,
più a fondo pianta
le sue radici, e sembra che nulla potrà mai estirparlo ma
poi...» Un piccolo sorriso piegò le sue labbra.
«Poi
da quel dolore nasce sempre qualcosa, qualcosa di buono, e talvolta di
bello, di una bellezza che non pare reale. E a quel punto è
chiaro...»
Linn non
continuò e Steve si sentì cadere nel suo sguardo.
«Cosa
è chiaro?» chiese con un filo di voce.
«Il
disegno del fato, la
linea della vita scritta prima della nascita di ogni uomo,
perché quel seme, quel dolore, era necessario per poter far
germogliare un bocciolo meraviglioso. Ma riesci a capirlo solo quando
puoi sfiorare ogni petalo della corolla con le tue dita.»
Le
accarezzò il viso e sorrise di quella riflessione.
«Credi
davvero che tutto ciò che sta accadendo porterà a
qualcosa di buono?»
Linn
annuì.
«Ho
vissuto una lunga
vita, Steve, e ho avuto tanti semi di dolore piantati nel mio cuore, e
tante lacrime ad annaffiarli... E credo che sì, ci
sarà
un bocciolo anche stavolta, anche per Jane. Può sembrare una
blasfemia, ma l'amore che il principe Thor nutre per lei è
puro
e sincero.»
Steve
sospirò e
allargò le braccia fino a stringerla contro il suo petto.
Ispirò il profumo dei suoi capelli e le posò un
bacio
sulla fronte.
«Sono
un uomo di guerra,
Linn, e forse dei sentimenti ne capisco poco, delle donne ancora
meno... per cui, mi fido di te.»
La vide
ridere e poi sollevarsi sulle punte dei piedi per trovare le sue labbra
con le proprie.
«Tu
sei il mio bocciolo, capitano... Lo sai?»
E
tu sei il mio, Linn.
Non lo
disse, lasciò che fosse un dolce bacio a sussurrarglielo.
***
Note:
[1] I Sapienti
di Vanaheim, così come la Decima Divisione
di Asgard, sono ovviamente reparti militari del mio universo
fanfictioniano. Essendo Vanaheim la culla dei seiðr, ho pensato
che
potesse esserci una fazione di “maghi”
particolarmente
abili che venissero impiegati in specifiche circostanze,
così
come la Decima Divisione è la punta di diamante
dell'esercito
asgardiano.
[2] Sálþjófr
è l'antico nome della Ladra
di Anime, composto per l'appunto dalle parole norrene sál
(anima) e þjófr
(ladro). Mi sembrava plausibile che Freyja lo conoscesse.
NdA.
Dopo un full immersion asgardiano, si torna anche sulla Terra con tutte
le conseguenze del caso.
Tony sta per fare concorrenza a Mondial
Casa,
Jane prenoterà presto un posto sul primo Shuttle per Marte
(forse Plutone), e Steve e Linn apriranno un negozio di fiori...
Scemenze a parte, siamo ormai giunti al termine di questa storia. No,
il prossimo non sarà l'ultimo; purtroppo per voi
c'è
ancora un po' (taaanto) da leggere, però diciamo che il
tutto
sta per concludersi.
Spero che la storia non vi abbia stancato o annoiato, ma se
così
fosse non vi biasimerei. È stata più lunga del
previsto,
ma dovevo assecondare l'ispirazione e la mia idea iniziale, quindi
scusatemi se vi sto rubando più tempo del dovuto ^^ (e per
la
cronaca, ci sarà anche una terza parte ma mooolto piccola e
mooolto fluff. Promesso!)
Un grazie a tutti coloro che, irriducibili, continuano a seguirla e a
farmi compagnia, a chi si è unito nel corso dell'avventura e
anche a chi mi ha saggiamente
abbandonato - che ovviamente non leggerà questo
ringraziamento ma ok, fa lo stesso XD.
Non so il motivo, ma sentivo di fare questi ringraziamenti adesso, al
27simo capitolo. Colpa di Steve e Linn, probabilmente, che sono
così dolcerrimi da contagiare anche un cuore sadico come il
mio
<3
MaBBasta sentimentalismi, adesso!
Il Capitano sta per essere chiamato a rapporto.
Sarà la mossa giusta?
Stay tuned
e lo scoprirete ^-^
Un bacio a tutti, vi voglio bene <3
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 28 *** Il miglior guerriero di Asgard ***
cap28
L' ultima lacrima
XXVIII.
Quando
rientrò in camera per poco non scardinò la porta;
avesse
avuto la sua vecchia forza lo avrebbe di certo fatto.
L'aveva
cacciata via, come
fosse un moccioso stupido e impertinente. Odino l'aveva trattata
nuovamente con distacco e disapprovazione, e Sigyn infine aveva
lasciato la stanza senza neanche voltarsi verso sua madre quando aveva
provato a fermarla.
Mandare
Loki sulla Terra per recuperare Steve: quale assurdità era
mai questa? Cosa c'era davvero sotto?
Suo padre
aveva di certo un
secondo fine per volere che Loki tornasse su Midgard, e con ogni
probabilità non era il recupero di Steve e neanche quello
del
grimorio.
Come
avrebbero potuto fidarsi i suoi amici se fosse stato lui a chiedere il
supporto di Steve?
Non gli
avrebbero mai creduto, non dopo tutto quel vortice di segreti che era
saltato fuori, non dopo il suo tradimento.
Non aveva
senso alcuno la decisione di Odino.
Il suo
respiro affannoso
risuonò nella camera vuota, sentiva il petto ardere per la
foga
con cui immetteva e soffiava fuori l'aria.
Rabbia,
cocente rabbia, e delusione, e poi ancora rabbia.
«Dannazione!»
inveì in solitudine calciando malamente la sedia della
scrivania
che cadde a terra con un tonfo.
Si
passò le mani sugli occhi, sul viso, fra i capelli, dietro
al collo.
Stava
impazzendo, era giunta a un punto di non ritorno... stava crollando.
Ogni sua
certezza stava volando via come cenere di un falò che non
avrebbe mai smesso di ardere.
Tutto era
bruciato, tutto era perduto.
Stava
cercando di recuperare i
cocci di qualcosa che non sarebbe mai tornato integro. Neppure dopo
aver sconfitto Amora e Styrkárr, neppure quando Thor sarebbe
tornato.
Nulla
sarebbe più stato come un tempo, nessuno più
sarebbe stato lo stesso.
Tutto era
cambiato
irrimediabilmente: Asgard era cambiata, il suo profumo, la sua luce,
non era più la stessa. Perfino Midgard sarebbe stata
un'altra
terra dopo quella storia.
Un
guerriero lottava fino alla
fine, anche quando non c'era più alcuno spiraglio di
vittoria,
anche quando l'ineluttabile era vicino. Lottava e moriva lottando.
Così
gli era stato insegnato, con quella verità Thor era
cresciuto e aveva vissuto.
Non ci
sarebbe stata mai
vittoria per Thor, non più. Fra le mani avrebbe tenuto solo
altra cenere, solo altri cocci che avrebbero continuato a tagliare la
sua carne e a farla sanguinare. Sarebbero trascorsi anni e poi secoli,
e anche quando tutto avrebbe avuto la sua fine, mai ci sarebbe stata
reale vittoria, mai ci sarebbe stata reale salvezza.
*
«Attendi
qui.»
Loki
lanciò un'occhiata annoiata alla guardia mentre si
allontanava. Altre cinque erano rimaste con lui.
Dopo aver
abbandonato la Sala
del Consiglio, era stato condotto nella Sala del Trono. Non aveva
veduto sua madre, che era rimasta con Freyja nella sala mentre Odino
andava via, e Sigyn... lei era uscita con impeto, sbattendo la porta
alle sue spalle, con il viso arrossato dalla rabbia e lo sguardo di
rimprovero di Odino a seguirla.
Avrebbe
voluto dirle qualcosa,
non dirle niente, avrebbe voluto continuare a guardarla o chiudere gli
occhi e allontanare ogni immagine che la riguardasse. Qualsiasi cosa
volesse, non poteva averla comunque; era questa la verità.
Era un po'
come quelle
guardie: alla completa mercé di Odino e delle sue scelte,
dei
suoi capricci di vecchio sovrano adirato e orgoglioso. Ma cosa
importava in fondo?
Avrebbe
messo fine a quella
storia una volta per tutte, avrebbe smesso di cercare di non essere
ciò che era destinato ad essere. Avrebbe tradito come era
nella
sua natura, e avrebbe amato farlo.
Avrebbe
assecondato
l'oscurità che albergava nel suo cuore, e quando Odino
avrebbe
voltato le spalle avrebbe affondato la mano e tirato via il suo cuore.
Come un codardo, come quel vile mostro che era sempre stato ritenuto.
E tutti gli
occhi azzurri che aveva sempre amato nella sua miserabile vita,
avrebbero pianto.
La bestia
avrebbe distrutto ogni catena e le sue zanne avrebbero colato sangue.
Oh, quale
gioia sarebbe stata
uccidere Styrkárr e Amora? Quale sarebbe stata vedere il
viso di
Odino pago per la vittoria prima di colpire?
E
l'avrebbero odiato, finalmente. Anche lei l'avrebbe odiato e il cerchio
sarebbe stato completo.
*
Sif era
sempre meno sicura di ciò che stava accadendo.
Non era la
Sala del Trono,
né quella del Consiglio. Non era l'arena d'addestramento o i
campi battuti su cui si esibivano i cavalieri nelle loro giostre.
Era la
camera privata del Re, un luogo che Sif non aveva mai varcato, non
prima di quel giorno.
La guardia
l'aveva raggiunta e le aveva detto di seguirla. Aveva lasciato Volstagg
e gli altri alle scuderie.
Addestrata
fin da bambina a
non chiedere più del necessario, non aveva posto domande sul
dove fossero diretti, le era bastato ascoltare che erano ordini di
Odino, che Odino chiedeva la sua presenza.
Una volta
di fronte la stanza
aveva bussato incerta, mentre il soldato si allontanava nuovamente per
il corridoio. E quando Odino le aveva dato il permesso di entrare, Sif
aveva varcato la soglia con passo fermo, eppure nel suo stomaco
qualcosa torceva.
«Mio
Re.» La voce
tradì quell'incertezza e la gola sussultò
debolmente
quando odino si voltò a guardarla: era in piedi contro il
tavolo
della stanza, poggiato stancamente, con il viso segnato dagli anni e
dalle responsabilità.
«Chiudi
pure la porta, Sif.» Non un ordine, ma una richiesta.
La giovane
accompagnò
l'anta finché non si chiuse e prese un profondo respiro. Era
buia, la stanza del Re, a causa della notte che era scesa su Asgard.
Poche candele ad illuminare l'ambiente, un denso odore di lavanda a
impregnare l'aria.
Non
indugiò più del dovuto su ciò che la
circondava, se era lì era per un motivo importante.
Internamente
tremò al
pensiero che fosse qualcosa che riguardasse Thor, nel peggiore dei casi
una notizia di sventura accaduta al suo amato principe.
Non chiese
nulla. Attese silente che fosse Odino a prender parola per primo, a
spiegare il perché di quell'incontro.
Il Grande
Padre le diede le spalle per interi minuti, finché la sua
voce non risuonò nella stanza.
«Ho
un compito per te.» Era deciso, eppure c'era una vena di
inquietudine nel suo tono.
Sif
assentì con il capo sebbene Odino non potesse vederla, dal
momento che ancora le era di schiena.
«Accompagnerai
Loki su Midgard e porterete qui su Asgard un giovane
terrestre.»
Odino
finalmente si
voltò, e dovette leggere il sentimento di confusione che la
stava investendo. «Ho scelto te perché di te mi
fido come
di nessun altro, Sif. Sei un guerriero unico, e non perché
sei
una donna, ma perché di forza e valore, nessuno
può dirsi
superiore.»
Sif
deglutì alle parole di Odino, al suo sguardo fiero eppure
colmo di apprensione.
«Grazie
per la vostra
fiducia, mio Re, ma confesso di non comprendere il motivo di questo
compito.» Non abbassò il capo in segno di
umiltà,
perché le domande erano così tante da opprimere
ogni
dovere.
Odino
annuì grave.
«Che
dietro ai movimenti
di Styrkárr ci fosse la mano di Loki, immagino sia un
pensiero
che ormai avrà conquistato la tua mente, Sif.»
«Lo
è, mio Re» ammise e attese che odino continuasse.
«Loki
non è una
minaccia al momento. È stato privato del suo seiðr e
di ogni
sua facoltà che lo mettesse in condizione di arrecare altri
danni ad Asgard o a qualunque altro dei Regni. Ha accettato di far
ammenda per le proprie azioni dandoci informazioni e mezzi con cui
poter fermare quel Vanr.»
«In
cambio di cosa?» La domanda fu spontanea.
Odino la
guardò a lungo e poi sorrise debolmente.
«Fra
le tue innumerevoli
doti l'arguzia è di certo la più
spiccata...»
sospirò poi il Re quasi a se stesso. Sif non ebbe modo di
dire
nulla che il sovrano continuò: «ciò per
cui Loki
collabora non è di alcuna importanza, Sif, devi solo
accompagnarlo a recuperare questo mortale e un antico grimorio. E so
che sarai pronta a ogni azione necessaria nel caso tentasse la fuga o
peggio.»
Sif
osservò in silenzio il suo re.
«Prenderò la sua vita se mi
costringerà.»
«E
questo ti rende
l'unica che possa mettere al suo fianco in questo momento.»
Odino
fece pochi passi verso di lei e sembrò scrutarne l'anima con
il
suo occhio di acqua. E carpì i suoi pensieri, le sue
emozioni,
le sue paure. «Thor non è su Midgard.»
Il suo
cuore prese a galoppare forte, così forte che avrebbe potuto
uscirle fuori dal petto.
«Cosa?»
La voce si spezzò e gli occhi bruni si spalancarono.
Odino
tacque per un tempo che parve più eterno
dell'eternità stessa, più soffocante di quella
notte.
«È
sotto il giogo
dell'Incantatrice» affermò poi.
«È anch'essa
causa del ritorno di quel traditore.»
E Sif
avrebbe solo voluto urlare.
*
Frigga si
passò una mano sulla fronte prendendo un profondo respiro.
«Non
dire sciocchezze.
Non puoi andare» ribadì per l'ennesima volta, ma
quegli
occhi azzurri sembravano irremovibili.
«Se
Padre vuole impedirmelo, dovrà usare la forza.»
Il pugnale
scivolò nel fodero e poi fu il turno della spada che venne
legata saldamente sulla schiena.
«E
pensi che la cosa lo
spaventi? Hai dimenticato la pena a cui ti ha condannato?! Ed era
pronto a ributtarti in quelle segrete se non lo avessi convinto a
fatica a non farlo.»
I suoi
gesti si fermarono e lo sguardo si posò sul suo viso.
«Ti
rimetterà in
catene, se lo costringerai, ti farà rinchiudere in una
torre, o
in una delle celle mistiche senza pensarci due volte. Per non parlare
dell'ulteriore ferita che infliggerai al suo orgoglio se disubbidirai a
un suo diretto ordine.» La raggiunse e le posò una
mano
sul polso. «Per una volta soltanto, Thor,
ascoltalo.»
Quando
pronunciò quel nome, per quanto difficile fosse stato, vide
una scintilla diversa nel suo sguardo.
«Se
anche lo facessi ciò non spegnerà il suo rancore
verso di me...»
«No,
non lo farà,
ma sarà un passo in avanti per dimostrargli che anche se lui
può aver perso il rispetto per te, tu non lo hai fatto nei
suoi
confronti.»
«E
non potrei mai farlo.
Lui è mio padre... Lo rispetterò e lo
amerò
sempre, qualsiasi cosa accada.»
La notte di
Asgard splendeva
come forse neanche il giorno avrebbe potuto. Dalle tende aperte, le
infinite gocce di stelle che tingevano il cielo illuminavano d'argento
il viso di quel figlio tanto amato, sebbene fosse ora il ritratto di un
altro cuore.
«L'irruenza
è un
vezzo che dovresti aver smussato. Non agire di istinto, non adesso che
tutto è in precario equilibrio. Ricorda: bisogna danzare con
attenzione su un lago di cristallo perché può
infrangersi
in ogni istante.»
A quelle
parole vide le sue labbra sorridere dolcemente.
«È
sempre stata la preferita di Loki.»
Frigga le
accarezzò il
viso ricordando i giorni di giovane madre, a crescere due bambini
speciali e meravigliosi, diversi eppure destinati a completarsi. Che
poi il fato avesse scelto una strada così tortuosa per
realizzarsi, nessuno avrebbe potuto prevederlo, neppure lei.
«Vorrei
andare da lui.»
La regina
scosse la testa con tristezza. «Non credo sia una buona idea
e sono certa non ti sia neanche permesso.»
«Ho
solo bisogno di assicurarmi che mantenga fede al suo patto.»
Fu una
menzogna dolorosamente evidente, ma Frigga non ebbe coraggio di
portarla alla luce delle lune.
Annuì
solamente lasciando andare la mano sottile dalla propria.
«Odino
ha dato ordine di partire prima dell'alba, forse puoi rubare qualche
minuto.»
«Grazie,
madre.»
Un nuovo
sorriso, quel nuovo
sorriso che aveva imparato ad amare, perché era sempre Thor,
il
suo piccolo coraggioso Thor.
*
Il soldato
non fece in breve
ritorno, ma il vero interesse di Loki non era per lui. Ciò
che
al momento impegnava i suoi pensieri era scorgere il guerriero
destinato alla sua custodia, di scorgere lei e leggere nei suoi occhi
neri tutto il suo disprezzo.
Quando Sif
imboccò il
lungo corridoio, lasciandosi dietro di qualche metro il soldato, Loki
non trattenne un sorriso sulle labbra.
Odino era
così scontato...
Si
avvicinava a passo deciso e
rapido, con la mano ferma sull'elsa della spada al fianco, e i lunghi
capelli neri che gli aveva donato secoli prima, a danzare alle sue
spalle.
Quando
ormai gli fu prossima,
la sua lingua non riuscì neanche a formulare una sola parola
che
si ritrovò con una mano stretta al collo e la testa a
sbattere
dolorosa contro il muro alle sue spalle.
Il freddo
della lama
accompagnò la sensazione di oppressione alla sua gola,
mentre
nessuna delle guardie presenti parve intenta a intervenire.
«Andate
via» comandò loro la guerriera senza smettere di
tenerlo bloccato.
I soldati
obbedirono immediatamente, e quando ormai furono soli, Loki
disegnò a fatica un sorriso.
«È
sempre un
piacere, Sif...» mormorò con
difficoltà,
ostinandosi a tenere quel sorriso sulla bocca seppure l'aria iniziasse
a scarseggiare.
«Verme!»
La presa
si strinse ulteriormente e la lama quasi tagliò la sua
pelle.
«Verme disgustoso.»
«La
stima è reciproca» ansimò ancora e poi
finalmente poté respirare di nuovo.
Tossì
un paio di volte
mentre Sif rifoderava la spada senza smettere però di
pungerlo
con lo sguardo. «Immagino che Odino ti abbia riferito delle
mie
ultime attività da filantropo...»
ridacchiò
tastandosi ancora il collo.
«Ho
la facoltà di
tagliarti la gola al primo passo falso e, credimi, mi auguro con tutto
il cuore che tu mantenga fede alla tua fama perché trarrei
enorme piacere nel vedere quella testa rotolare davanti ai miei
piedi.»
«Poetica...»
sospirò ancora. «Fammi indovinare: sei arrabbiata
per la
faccenda di Amora, vero?» chiese beffardo sfidando la sua
ira.
«Povera Sif, Thor si concede a chiunque tranne che a te. Deve
essere umiliante.» Ridacchiò convinto che Odino le
avesse
facilmente detto ormai tutta la verità che li riguardava,
eppure
negli occhi di Sif non lesse quel senso di disgusto che avrebbe
creduto.
«Ancora
non capisco come Sigyn non riesca a vedere che razza di essere
sei.»
Ma con
quella frase sottile,
Loki capì che no, Odino non aveva detto tutto alla bella
guerriera e di certo il motivo era solo uno: preservare l'amore di Sif
per Thor così che lei facesse di tutto per salvarlo.
Touché,
Padre degli Dèi...
Forse
poteva colmare lui quella piccola lacuna, confessandole l'altra parte
della storia che le era stata taciuta.
«Ah,
la mia Sigyn...
è così ingenua» sospirò
invece con aria di
falsa afflizione a cui ovviamente Sif rispose con uno sguardo truce.
«Mi ricorda mio fratello...»
«Thor
non è tuo
fratello!» sentenziò rabbiosamente la donna
puntandogli un
dito contro. «È arrivato il momento che anche lui
lo
capisca. E dopo la vigliaccata che gli hai fatto stavolta sono sicura
che non ci sarà più alcuna tua brillante
illusione che lo
convincerà del contrario.»
«Ne
sei certa? Io penso
che potrei anche strappargli il cuore dal petto e continuerebbe a
perdonarmi perché è così tanto, tanto
sciocco.» Rise ancora e credette che stavolta Sif gli
piantasse
davvero una lama nello stomaco, ma aveva più sangue freddo
di
chiunque altro e più rabbia nei suoi confronti. Forse in
nessuno
dei Nove Regni esisteva qualcuno che lo odiasse più di Sif,
forse neanche se stesso.
«Voglio
che tu lo
sappia, perché non sono una codarda che attacca alle spalle,
ma
quando questa storia sarà finita, quando Asgard
avrà
fatto giustizia e le teste di Styrkárr e Amora saranno
finalmente su una picca, e Thor sarà tornato
qui...» Sif
lo guardò profondamente, con il viso serio e la voce ferma,
con
le dita a sfiorare l'elsa e il respiro calmo. E Loki sapeva cosa stava
per dire. «Io ti ucciderò. Alla prima occasione,
ti
ucciderò. Hai la mia parola.»
Non seppe
trattenere un ennesimo sorriso che fiorì spontaneo sulle sue
labbra.
Spero
davvero che tu lo faccia, Sif.
Ma non lo
disse, non disse
nulla, restò con lo sguardo fermo nel suo finché
non
percepì solo in quel momento un'altra presenza che li
osservava
da qualche metro di distanza. Non l'aveva notata prima, forse il suo
cuore non aveva voluto farlo.
Non si
voltò verso di lei, fu Sif a farlo e a mostrarle il suo
disappunto.
«Non
dovresti essere qui, Sigyn.»
«Lo
so.»
No, non
doveva essere
lì, non doveva guardarlo, non doveva costringere i suoi
occhi a
cercare i suoi, non doveva fargli sentire quel palpito e quella
sensazione sotto la pelle. Fargli sentire rabbia e rancore, odio e...
«Cosa
vuoi?» Le chiese con freddezza, con un distacco che faceva
male.
Lei lo
guardò accusando ognuna di quelle sensazioni che aveva
infuso nelle sue parole e poi si bagnò le labbra.
«Volevo
solo parlarti. La... La regina mi ha concesso di farlo prima della
partenza per Midgard.»
Il
desiderio di tirare fuori
tutto, sotto gli occhi di Sif, fu selvaggio. Poteva umiliarlo davvero,
poteva frantumare anche quell'ultimo granello di dignità che
ancora conservava, poteva distruggere definitivamente Thor e il suo
ricordo, e distruggere perfino Sif stessa con quella verità.
Ma non lo
fece, perché
si rese conto che aveva mentito, che non era vero ciò che le
aveva confessato quella notte su Midgard: Loki non odiava Thor quanto
amava Sigyn. L'amava di più, più di un qualsiasi
odio, o
semplicemente non vi era nessun odio, solo dolore. Thor era stato tutto
per lui, Thor era tutto e così sarebbe sempre stato. Il
cardine
attorno a cui vorticava la sua dannata esistenza. Ogni sua
infelicità, ogni sua gioia, il suo attimo più
luminoso e
quello più buio. Tutto era ruotato attorno a lui. Loki
stesso
ruotava attorno a Thor.
Il
sole di Asgard... il mio sole.
«Non
credo che Odino
concordi con la scelta della regina» affermò Sif e
lui le
dedicò uno sguardo distratto prima di tornare a quel volto.
«Ma so che non sei una minaccia, quindi ti concedo un minuto,
non
di più.»
Fece un
passo indietro e poi un altro ma restò lì, con
gli occhi su di loro e una mano sulla sua arma.
«Grazie,
Sif.»
Inghiottì
un sospiro
quando Sigyn gli si avvicinò, e avrebbe voluto fare anche
lui un
passo lontano da lei e dalla sua colpa.
«Risparmiati
le
raccomandazioni: non tirerò nessun tiro mancino ai tuoi
preziosi
amici» mormorò con sufficienza. «Ho un
cane da
guardia molto aggressivo, non dimenticarlo» aggiunse ironico
guardando volutamente Sif che aveva udito le sue parole. Non
mostrò però nulla al di fuori del più
militare dei
distacchi.
«Dammi
la tua mano.» A quel comando ritrovò lo sguardo di
Sigyn.
«Scusa?»
chiese falsamente divertito.
Ma Sigyn
gli afferrò la
mano nonostante fossero entrambe strette in pesanti catene. La mano con
la fasciatura, la mano che aveva sanguinato quando Freyja gli aveva
chiesto di sacrificarla, di lasciarla andare. Prima che fosse Sigyn
stessa a chiederglielo.
«Non
capisco
che...» La sua frase sfumò lentamente mentre Sigyn
chiudeva gli occhi e teneva la mano stretta attorno alle sue dita,
mentre Loki sentiva il suo seiðr risvegliarsi debolmente sotto
la
pelle, bruciare nelle vene e fondersi con quello che ardeva nel palmo
di Sigyn, mentre la ferita nascosta dalla benda diveniva sempre
più sottile e meno dolorosa, mentre la sensazione di
pienezza e
di vita vibrava nella sua carne.
Guardò
le sue palpebre
sollevarsi, le sue labbra schiudersi e le dita lasciar andare la sua
mano ora sana, che tornò ad essere fredda lontano dalla sua.
«Volevo
ricambiare il
favore.» Le sentì affermare con un sospiro serio,
privo di
qualsiasi sentimentalismo. Non riuscì a trattenere una
risata.
«Oh,
certo...»
mormorò mentre si guardava divertito le mani legate e la
fasciatura ormai inutile. «Mi sembra appropriato
dopotutto.»
Non ci fu
risposta.
Sentì solo le sue dita sul collo affondare nei suoi capelli,
sentì solo la forza con cui Sigyn lo tirò verso
le sue
labbra, con cui le premette contro le proprie.
Sgranò
gli occhi come
quella prima notte di secoli prima, come quel primo bacio, con la
stessa incredulità e la stessa paura, con lo stesso terrore
e lo
stesso desiderio di sentirsi perdere.
E quando
Sigyn lo spinse senza
gentilezza indietro, stringendo forte la presa sul suo viso, Loki non
seppe dire niente. Ma avrebbe voluto schiaffeggiarla anche stavolta.
Neanche lei
disse nulla. Guardò solo Sif con una punta di imbarazzo, con
un cenno del capo e andò via.
Loki la
seguì fino a
sparire dietro a una svolta, non udendo neanche i suoi passi, tanto
forte il cuore batteva nelle sue tempie.
«Andiamo.»
Sif lo afferrò per le catene e solo in quel momento il tempo
riprese a scorrere.
*
Aveva fatto
tutto quello che
si era promessa di non fare, aveva tradito ogni decisione presa e ogni
raccomandazione che si era data mentre attraversava quei corridoi.
Era bastato
rivedere il suo
viso, leggere la rabbia celata d'indifferenza nei suoi occhi, ascoltare
la tristezza della sua risata e sentire sotto le mani le sue. Era
bastato quel calore che li aveva uniti, quell'abbraccio di anime che
erano una sola, per far crollare ogni proposito.
Aveva
ignorato il luogo, il
momento e le circostanze, dimenticato per un attimo Heimdall e i suoi
occhi, quelli di suo padre, quelli di Sif; dimenticato la sua stessa
richiesta di lasciare andare per sempre quella parte del suo cuore, e
lo aveva semplicemente seguito.
Si
sfiorò le labbra
sentendo le guance ardere come fosse un'innocente vergine, come non
avesse condiviso con Loki molto di più, come non avesse
condiviso la passione più sbagliata e più
travolgente
possibile con il suo stesso fratello. E avrebbe solo voluto farlo per
il resto dell'eternità.
Chiuse gli
occhi, poggiando le spalle contro la porta della sua camera e
colpendo il
legno con la nuca un paio di volte.
Poi
sospirò guardando
il soffitto coperto di affreschi che ritraevano cavalieri e guerrieri,
ritraevano tutto ciò che aveva desiderato essere da bambino:
un
eroe, il cui mito sarebbe sopravvissuto nelle Ere a venire.
E cos'era
adesso? Chi era adesso?
Scorse il
bagliore del
Bifrost, in lontananza, tagliare il buio della notte. Se si fosse
alzata e avesse raggiunto la balconata, avrebbe sentito un solo nome,
avrebbe sentito una sola voce chiamarlo, e sarebbe stata la sua.
*
Odino
attendeva all'Osservatorio, al suo fianco solo Frigga.
«Un
solo
passo falso e per te è finita»
sentenziò il Padre degli Dèi.
Loki non
accusò le sue parole, nemmeno il suo sguardo. Non
accusò nulla.
Piegò
le
labbra in un semplice sorriso e non gli dedicò neanche una
frase ironica, pungente.
Si
voltò a
guardare sua madre e le fece un cenno con il capo, un saluto, un
ringraziamento, un gesto da figlio.
Frigga
rispose con un
altro silente cenno.
La presa di
Sif era
ferrea. Teneva le sue catene strette nel pugno e
Loki sapeva sarebbe stato impossibile sfuggirle; non lo voleva, non
avrebbe neanche tentato. Avrebbe raggiunto Midgard e recuperato il
grimorio, avrebbe sopportato gli sguardi di quegli sciocchi terresti e
le loro minacce, e avrebbe fatto in modo che Rogers giungesse su
Asgard. Avrebbe guardato una guerra animarsi sotto gli occhi, chiuso
nella più sicura delle prigioni, e avrebbe atteso il suo
termine, la vittoria di Asgard e quella di Odino. Avrebbe atteso il
ritorno di Thor, avrebbe atteso la sua visita dall'altra parte di
quel vetro, se mai avesse avuto il coraggio di porgergliela. Avrebbe
atteso che Sif mantenesse la sua parola e lo svegliasse nella notte con
una lama puntata alla sua gola, avrebbe atteso di sentirla trafiggerla
lentamente, avvertendo il sangue caldo lavare la sua pelle. Avrebbe
atteso di scorgere i cancelli di Hél e la sua Nera Signora,
che
indossava il nome di una figlia che non avrebbe mai potuto stringere
fra le braccia.
O forse...
O forse
avrebbe
approfittato della prima occasione in cui Sif avesse voltato le
spalle... E si sarebbe preso tutto.
«Consegna
questa ai terrestri.» Odino allungò a Sif
una missiva sigillata. La guerriera la prese e annuì.
«Sarò
di ritorno a breve, mio Re» annunciò
con sicurezza e Odino le donò uno sguardo che diceva molto.
Poi fu
comandato di
aprire il ponte e Heimdall come di prassi obbedì, il
più fedele dei cani del Re.
Mentre il
vorticare
frastornante faceva vibrare l'aria, Loki
voltò il capo verso Asgard. Un tempo l'aveva chiamata
casa, un tempo avrebbe dato la vita per quella casa. Guardò
il
palazzo che si ergeva maestoso, guardò, cercandola, una sola
finestra, una sola balconata. Lì era stata pronunziata una
promessa mai mantenuta, lì aveva creduto per la prima volta
a
una menzogna non sua.
Non si
chiese se lei
fosse lì, non si chiese se suo fratello
fosse lì, a guardarlo. Se lo avesse fatto avrebbe sentito il
desiderio di dire quel nome, il suo
nome, e di far giungere la voce
fino a lei.
Voltò
le
spalle e seguì Sif.
ஐஐஐ
Bruce si
grattò l'orecchio impacciato, non sapendo in vero cosa dire.
Guardò
la
sacca poggiata sul letto e Jane che posava disordinatamente al suo
interno qualche capo.
«Hai
proprio
deciso?» chiese e lei gli rispose tirando con forza il
cordoncino che la chiudeva.
«Certo.»
Quel tono distaccato nascondeva altro, lo sapeva bene, ma non stava a
lui dirle di restare, di lottare.
Jane
infilò
la sacca sulla spalla destra e si avviò alla porta, dove lui
se ne stava poggiato contro lo stipite.
Si
arrestò
e lo guardò, gli sorrise e gli poggiò la mano su
un braccio.
«Grazie,
Bruce.»
Sorrise.
«E
di cosa? Ho solo fatto quello che fa un amico, forse neanche nel
migliore dei modi.»
«Oh,
sbagli.
Sei un buon amico, forse il mio unico amico con un cromosoma
y.»
Ci fu una
piccola
risata di entrambi e poi Bruce si spostò per permetterle di
passare.
«Se
hai
bisogno di qualcosa, lo sai... Tony, io... anche Nick, noi siamo qui,
tutti.»
Jane
annuì
con un altro sorriso. «Non sto mollando, Bruce, voglio solo
ritrovare un equilibrio e poi...»
«Riprendertelo?»
suggerì.
«Inizierei
con il prenderlo a pugni, e poi deciderò in
seguito.»
Bruce rise.
«Se vuoi una mano, so che qualcuno è ancora un po'
arrabbiato con lui.»
«Sì,
l'ho sentito dire.» Jane sospirò
aggiustandosi la sacca sulla spalla. «Lo so che ho detto che
non
voglio entrare in questa storia ma... tu lo sai...»
«Se
ci sono
novità ti chiamo. E Pepper volerà da te
all'istante.»
Quando si
ritrovò le sue braccia attorno alle spalle,
sentì tutto il bisogno che Jane stava urlando, tutta la sua
paura e la sua rabbia.
L'abbracciò
a sua volta, sperando di riuscire a
trasmetterle la sua amicizia, il suo sostegno, perché Bruce
lo
aveva promesso: aveva promesso a Thor che si sarebbe preso cura di lei
finché non fosse tornato, e sapeva che lo avrebbe fatto,
perché se c'era qualcosa su cui si sarebbe giocato tutto,
era l'amore che Thor nutriva per lei.
Non serviva
certo che
Jane lo sapesse, ma nel suo cuore, Bruce avrebbe fatto di tutto per
tenere fede a quella promessa.
Le stava
per augurare
buon viaggio quando Jarvis lo chiamò.
«Dottor Banner? Deve raggiungere
immediatamente la sala.»
Entrambi
guardarono il
soffitto.
«Che
succede
adesso?» chiese Jane senza celare un timore.
Bruce
scosse il capo.
«Jarvis,
c'è qualche problema?» Porse quella
domanda mentre raggiungeva l'ascensore con Jane a seguirlo.
«È in corso una
riunione straordinaria dei Vendicatori.
L'agente Romanoff e l'agente Barton sono appena atterrati.
Date le circostanze insolite e l'urgenza con cui è stata
convocata tale riunione, posso affermare quindi che sì,
dottor
Banner, c'è un problema.»
La salita
parve come
al solito più lenta del previsto, sebbene i
piani si intervallassero velocemente uno dopo l'altro.
«Se
è di nuovo lui, con lei...» mormorò
Jane
stringendo fra le dita la fibbia della sacca. «La
prenderò
per i capelli quella strega, quant'è vero-»
«Vediamo
prima di cosa si stratta. Ok?» tentò di calmarla e
lei annuì con vigore.
Le porte si
aprirono
ed entrambi raggiunsero il salone.
Come aveva
detto loro
Jarvis, c'erano anche Natasha e Clint,
quest'ultimo con ancora indosso gli occhiali da sole e la giacca
di pelle.
Tony si
stava invece
togliendo dalla testa la maschera da saldatore con
cui doveva aver raggiunto il soggiorno. C'era anche Pepper al suo
fianco, e ovviamente Steve con Linn.
E tutti
stavano
guardando in silenzio l'enorme schermo della sala.
«Che
succede?» chiese Bruce unendosi a loro e portando gli occhi
al video.
«È
accaduto meno di un'ora fa...» mormorò Tony con un
sospiro. «A Parigi.»
Bruce vide
le immagini
del telegiornale dove la calca di persone
scappava spaventata. Erano riprese di smartphone, smosse e incerte, ma
l'inquadratura era chiara, l'uomo che camminava per le
strade parigine poteva essere solo lui: Loki.
Si
sistemò
gli occhiali sul naso avvicinandosi lentamente allo
schermo, quasi fosse necessario per delineare meglio ciò che
stava vedendo.
«Quando
la
squadra dello S.H.I.E.L.D. ha raggiunto la zona non
c'erano già più.» Li informò
Clint.
«Dai
primi
rilevamenti non risulta abbiano attaccato la
popolazione o altro» aggiunse Natasha. «Stiamo
cercando di
capire il motivo per cui erano lì.»
«Chi
è la donna con lui?» chiese Steve e Bruce
guardò la donna mora al fianco di Loki. «Un'altra
alleata di cui ignoravamo l'esistenza?»
«È
Lady Sif» disse a quel punto Linn coprendosi la
bocca con una mano. Tutti gli occhi furono ovviamente su di lei.
«E
chi è Lady Sif adesso?» chiese quasi spazientito
Tony.
«È
un'amica di Thor.» Ma fu Jane a rispondere.
«Aspettate,
mi sembra di ricordarla ma...» mormorò
Clint sollevando gli occhiali neri sulla testa e sedendosi stancamente
su uno sgabello. «In verità non ci sto capendo
più
niente. Qualcuno vuole fare un po' di chiarezza?»
Linn
dovette sentirsi
presa in causa perché si schiarì la
voce pronta a parlare ma d'improvviso la stanza iniziò a
tremare. No, non era solo la stanza ma l'intera struttura della
Stark Tower.
«Stark,
che
succede?» Chiese il capitano avvolgendo immediatamente le
braccia attorno a Linn.
«Tranquillo,
Rogers, è tutto antisismico» disse Tony
mentre cercava di camminare senza inciampare. «Tesoro,
ricordi
dove ho messo la t-shirt dei Guns
n' Roses?»
«Ti
sembra
questo il momento?!» ringhiò Pepper che
era caduta con il sedere a terra a causa delle scosse. «Credo
sia
in lavanderia...»
«Ah,
ecco
perché non riuscivo a trovarla.»
Bruce
guardò la stanza che si muoveva, poi gli occhi furono rapiti
dal cielo divenuto improvvisamente buio.
«Jane?»
La chiamò e scoprì che stava guardando la stessa
finestra.
«Non
può essere...» mormorò l'astrofisica e
poi tutto smise di muoversi.
*
«Nessun
danno?... Bene,
come previsto... Grazie, Happy.» Proprio quando era riuscito
a
raggiungere il suo smartphone, la scossa era terminata. Tony ebbe
comunque conferma che nessuno dei piani della Tower era stato
compromesso, il che voleva dire che scegliere la squadra di
ristrutturazione più costosa di NY era stata una buona
scelta.
Un altro motivo per amare Pepper.
«Che
diavolo è
stato?» chiese Clint recuperando gli occhiali che erano
caduti a
terra durante quel breve terremoto e che erano stati accidentalmente
calpestati da Tony. «Questi me li ricompri, Stark»
sospirò poi guardando la lente destra frantumata.
«A
ogni modo ti stavano
male» sottolineò Tony mentre tornava al divano.
«Ci
deve essere stata una scossa di magnitudo 4, o 4.5. Robetta
così. Di certo Nick saprà-»
«Non
è stata una
scossa.» La voce di Jane salì alquanto stridula, o
probabilmente era l'udito di Tony ad essere diventato molto delicato.
«E
cos'era?» chiese Natasha.
Tony vide
la dottoressa raggiungere a grandi falcate la vetrata e puntare il suo
piccolo indice contro.
«Il
cielo. Non lo avete visto?»
«Jane,
ok che sei un
astrofisica e quindi il cielo è la tua passione, ma quello
era
un terremoto non un meteorite caduto sulla nostra testa»
mormorò con un sospiro.
«Ma
non avete visto la nube? Era un chiaro segno di-»
«Signore?» Arrivò
Jarvis a interromperla.
«Dimmi
tutto, Jarvis.»
«Rilevo la
presenza di due soggetti sulla pista di atterraggio della Tower.»
Tony
aggrottò la fronte. «Agenti S.H.I.E.L.D.
?» chiese.
«Negativo,
signore.»
«Ok,
sei in grado di
identificarli?» domandò ancora raggiungendo il
tavolo di
lavoro ma prima che potesse anche solo sollevare un ologramma, Jarvis
rispose esaustivo al suo quesito.
«Certo,
signor Stark, si tratta di Loki e della donna che la signorina Linn ha
detto essere Lady Sif.»
*
Nella sacca
di cuoio legata
alla vita, Sif aveva riposto il grimorio recuperato nella
città
di Midgard in cui Heimdall aveva lasciato che giungessero. Era stato
semplice, gli umani erano giustamente spaventati dal loro arrivo ma non
ci furono tentativi di attacco o altro. Loki la guidò in una
struttura alquanto anonima in cui trovarono il libro, che stranamente
non aveva alcuna protezione mistica a difenderlo. Loki era
più
arrogante di quanto credeva, più presuntuoso e stupido di
quanto
aveva creduto.
Non ci fu
tempo per dire o
fare nulla, nemmeno lui fece alcun'azione che la portasse a credere a
un tentativo se non di attacco, di fuga.
Il portare
si era poi aperto per la seconda volta e per la seconda volta aveva
tenuto strette fra le mani quelle catene.
Le aveva
sorriso, irritante e superbo, ma Sif aveva scelto di ignorarlo.
Il secondo
luogo era diverso,
in quanto fondamentalmente si ritrovarono sul tetto di un alto
edificio. Sul loro capo, quando il Bifrost chiuse il collegamento, solo
un cielo di un azzurro intenso e qualche macchia bianca di sporadiche
nuvole.
«Stark
non apprezzerà.» Sentì mormorare
stancamente al suo fianco.
«Dove
siamo?» chiese rigida dando ancora uno sguardo a
ciò che la circondava.
Loki
sembrò imitarla con fare annoiato.
«Oh,
presto lo scoprirai» le rispose poi divertito.
«Se
solo provi a -»
«Lo
so, lo so. Non serve
ricordarmelo, Sif» brontolò ancora Loki scuotendo
il capo.
«Non ti ricordavo così petulante...»
E Sif ebbe
l'istinto di
gettarlo di peso da quell'altitudine. Nessuno ne avrebbe sentito la
mancanza, nessuno a parte Sigyn forse...
Odino non
le aveva detto nulla
di lei, ma Sif aveva compreso che lei non era altro che la moneta di
scambio che Loki aveva dovuto chiedere per dar loro il suo aiuto. Le
circostanze precise, le vicissitudini che avevano portato a quella
situazione, non erano di alcuna importanza.
Sif
guardò al di sotto del parapetto di cemento i midgardiani
che vivevano la loro vita.
Thor... oh,
Thor non avrebbe mai fatto loro alcun male. Thor li avrebbe protetti e
difesi a costo della sua vita.
Spostò
con astio lo sguardo sul profilo di Loki.
«Come
puoi odiarlo tanto? Cosa ti ha fatto per meritare tanta rabbia da parte
tua?»
In
realtà non voleva
neanche una risposta, non le interessava neanche una, eppure era stato
difficile tenere le parole sulla lingua e i brividi di ira sotto la
pelle.
Loki la
guardò. Nessun sorriso sulle labbra, nessun risolino di
scherno.
Solo il
vento che smuoveva i suoi capelli e le sue vesti nere.
Non ebbe
risposta comunque. Un
rumore salì alto, un rumore metallico prima che da una
apertura
laterale venissero fuori un manipolo di uomini che Sif avrebbe dovuto
conoscere.
Un uomo
bruno con due profondi
occhi castani, al suo fianco uno biondo, che impugnava un arco con una
freccia puntata verso di loro; una donna dallo sguardo fiero e
pericoloso, anch'essa con un'arma in pugno che aveva veduto
già
in passato nelle mani dei terrestri, e per ultimo la figura che
rubò la sua attenzione: un ragazzo alto con due occhi
azzurri
come quel cielo, con l'espressione seria e uno scudo legato al braccio.
Nessuno
disse nulla. Si
studiarono, silenti e immobili, prima che fosse Sif a fare un passo
verso di loro tenendo la mano stretta attorno alle catene.
Non si
mossero, non abbassarono le armi, ma non attaccarono.
Raggiunse
il primo uomo, colui
che li guardava con le mani sprofondate nelle tasche, e l'unico
con uno strano ghigno curioso sul viso.
«Non
sono qui per arrecarvi altri problemi, terrestri»
enunciò la guerriera quando gli fu di fronte.
«Ma
va?» sospirò l'uomo. «Il cane malnutrito
al tuo guinzaglio dice il contrario.»
Sif
percepì perfettamente lo sguardo tagliente che Loki gli
donò dopo quella frase.
«Come
hai chiaramente
sottolineato, è in catene. Non è più
pericoloso di
un puledro stanco.» Il terrestre sorrise e assentì
con un
cenno del capo.
«Mh,
puledro... sì, bello. Mi piace.»
Sif si mise
sulla difensiva
quando l'uomo tirò via dalla tasca la sua mano destra, ma si
rilassò quando semplicemente gliela porse.
«Io
sono Tony Stark,» si presentò. «Piacere
di fare la tua conoscenza, Lady Sif.»
La
guerriera guardò
quelle dita ambrate e poi di nuovo il suo viso, i suoi occhi bruni e
densi e il suo sorriso furbo ma sincero.
Gli strinse
la mano con quella che aveva libera e sorrise a sua volta.
«Scusate
la mancanza di invito.»
Tony rise.
«Oh,
ormai ci siamo abituati.»
In tutto
quello scambio, Loki non aveva detto una sola parola.
*
Jane
contò i secondi, i millesimi, i battiti del suo cuore e ogni
singolo respiro che uscì dalle sue labbra.
Contò
ogni goccia di
vita che trascorse dal momento in cui Jarvis annunciava la presenza di
Loki e Sif alla Tower a quando Tony e gli altri non li condussero nel
soggiorno.
Jane
contò mentalmente
ogni brivido che attraversò la sua pelle mentre scorgeva
prima
il viso di Loki e poi i suoi occhi.
Tutto perse
di importanza
quando quegli occhi la raggiunsero, quando quelle labbra sottili si
piegarono beffarde, quando il suo cuore prese a fare male fisicamente.
Non
udì un suono, non
sentì la presa di Bruce che tentava di fermarla per un
polso.
Jane camminò verso di lui, decisa e spezzata, e lo
colpì
al viso con uno schiaffo.
«Uh...»
Solo Tony osò fare un commento seppure di semplice aria.
La mano
bruciava e non si
chiese se così dovesse fare anche la guancia di Loki, di
certo
si arrossò, anche se quel sorriso velenoso non aveva
abbandonato
la sua bocca.
Non
riusciva neanche e pensare
a ciò che era accaduto quel tempo, non riusciva a sopportare
quel segreto che Thor le aveva taciuto e che la stava lentamente
distruggendo. Non aveva importanza del perché fosse qui, del
perché lei non fosse con lui. Dov'era,
non aveva importanza.
Thor non
era lì, non era accanto a Jane ed era questo che contava, ed
era tutto a causa sua.
«Vorrei
dire che mi
dispiace,» sospirò infine Loki. Ancora un sorriso,
ancora
una lama nello stomaco. «Ma la verità è
che...» Poi fu una debole risata, e Jane sentì gli
occhi
pungere. «Beh, tu sai qual è la verità,
Jane. Non
è così?»
Se Loki non
vide le sue
lacrime scendere, fu solo perché Pepper la prese per un
braccio
e la portò via, via da quegli occhi, via da quel sorriso.
Non
riuscì a condurla lontano da quel dolore, nulla avrebbe mai
potuto farlo.
*
Pepper non
era neanche riuscita ad allontanare la Foster, che Clint aveva rifilato
un bel pugno sullo zigomo appuntito di Loki.
Tony era
certo che non sarebbe durato altri cinque minuti se avesse continuato
ad aprire bocca.
«Pezzo
di merda!»
ringhiò Barton pronto a dargliene un secondo e anche un
terzo se
Steve non fosse intervenuto a bloccargli il braccio.
«Mantieni
la calma,
Clint» gli ordinò con il suo sguardo da Captain
America.
Clint fece fatica ma acconsentì e si tirò
indietro di
qualche passo. Nel mentre un rivolo di sangue aveva preso a bagnare la
guancia di quel dannato porta guai, e non c'era motivo per cui la scena
non sarebbe dovuta essere una goduria per gli occhi di Tony.
«Prima
che il resto
della squadra gli porga i suoi saluti, meglio che ci dici il
perché sei qui, Sif, e soprattutto perché con
lui.»
Decise quindi di prendere in mano la situazione dacché Steve
si
stava preoccupando di tenere sotto occhio sia Clint che Linn, la quale
era scivolata in un silenzio tradito solo dal luccicore nei suoi occhi.
Ebbe
però la decenza di
evitare qualsiasi “povero principe”,
perché con ogni
probabilità una sberla se la sarebbe beccata pure lei.
Tony la
vide restare immobile
in un angolo della sala, accanto a Bruce, mentre Natasha sembrava
più interessata a passare ai raggi x la nuova arrivata.
Jarvis
aveva confermato essere
la stessa donna che era giunta anni indietro nel New Mexico durante la
prima comparsa di quello che si sarebbe rivelato più che un
alleato, una causa di problemi; ma meglio tenere per sé
certe
considerazioni.
Non c'erano
dubbi quindi che
fosse realmente Sif, o Lady Sif come cavolo la volevano chiamare, e non
c'erano dubbi che era dalla parte dei buoni: Loki in catene era un buon
argomento, anche se il perché fossi di nuovo fra i piedi,
quello
sì era un enigma.
Tony
aspettò che la
donna tirasse fuori da una sacca quella che sembrava una lettera, aveva
lo stesso aspetto di quella che Linn aveva consegnato a Thor.
La
guardò senza intenzione di prenderla.
«Dal
Padre degli
Dèi. Non ne conosco il contenuto» disse la donna
risultando spazientita dalla sua evidente riluttanza
nell'afferrare quel foglio di carta.
«Non
mi piace che mi
porgano le cose» spiegò con naturalezza intanto
che
giungeva Natasha a toglierlo dall'incomodo.
Mentre la
compagna rompeva il
sigillo e passava velocemente gli occhi sulle righe, Tony
guardò
il viso di Loki che si sforzava di non mostrare né dolore
né interesse a ciò che stava accadendo.
Dio, quanto
avrebbe voluto dargli un pugno anche lui...
Dannato
Barton, gli aveva fregato l'occasione!
«Che
ci facevate a Parigi?» chiese quindi attendendo che la
Romanoff completasse il suo lavoro di lettrice.
Nel porgere
la domanda Tony tenne gli occhi in quelli di Loki, seppure fu Sif a
rispondere.
«Dovevo
recuperare qualcosa. Mi concedo di pensare che sia tutto riportato
nella missiva del Re Odino.»
Tony
lanciò uno sguardo ai fogli.
«Siete
riusciti a riportarlo indietro o ha ancora quella bella mercanzia
addosso?» chiese fintamente annoiato.
Quando
portò gli occhi sul volto di Sif però scorse una
certa confusione.
«Di
cosa stai parlando, Tony Stark?» Si sentì
chiedere.
Fu
automatico guardare Loki, fu automatico ingoiare un ringhio quando
scorse l'ombra di un sorriso.
Oh....
«Stark,»
Natasha
lo chiamò e gli mostrò la lettera, e mentre
leggeva le
parole riportate, tutto fu ancora più chiaro.
Arrivato
alla fine non trattene un sospiro.
«Bene...
vizi di famiglia, quindi» brontolò spostandosi e
permettendo anche a Clint di leggere.
«Cosa
c'è scritto
in quella lettera?» domandò Rogers tenendo sotto
occhio
ogni volto e ogni singolo gesto che poteva essere fatto.
«Qualunque
cosa ci sia
scritta spero sia chiaro che dobbiamo muoverci con la massima
urgenza.» La bella ragazza mora non sembrava interessata
realmente a ciò che c'era scritto, il che spiegava il
perché Loki fosse ancora in vita.
Quando il
foglio finì finalmente fra le mani di Cap, il silenzio che
scese sembrò appesantire l'aria.
Non lo
sapeva. Lady Sif,
l'amica di Thor nonché una dei guerrieri più
forti di
Asgard, non sapeva che Sigyn in realtà fosse proprio Thor.
Odino aveva
scritto quattro
righe chiedendo di offrire la loro collaborazione al fine di porre
termine agli attuali infausti eventi, ma raccomandava di tenere il
massimo riserbo su quel che riguardava la reale identità di
quella donna, in quanto quella verità avrebbe potuto minare
ancora più pericolosamente l'equilibrio dei Regni.
Parola
più, parola
meno, la verità era che papà Odino aveva una fifa
nera di
essere additato come un pessimo babbo che era stato incapace di
scorgere la tresca dei suoi figli avvenuta proprio sotto il suo naso.
Se non
ricordava male, doveva essere cieco da un occhio, non che questo lo
scusava.
Bastava
pensare a Nick, che con un occhio solo vedeva il doppio delle cose di
tutti loro messi insieme.
Tutto
sommato non c'era
scritto nulla che spiegasse perché quella bella moretta era
saltellata prima su Parigi e poi sulla sua casa, né
perché si portava dietro il peggiore bastardo esistente.
«C'è
scritto che
avete bisogno della nostra collaborazione.» Fu Steve a
prendere
per primo la parola mentre porgeva a Natasha la lettera e quest'ultima
si apprestava a piegarla e infilarla in una tasca dei propri jeans.
«Per
poter eliminare la
minaccia rappresentata da Styrkárr, è necessario
che uno
di voi mi segua fino ad Asgard.»
Alle parole
della donna, un po' tutti si scambiarono uno sguardo, perfino Bruce che
era rimasto volutamente accanto a Linn.
«Per
quale motivo?» chiese a quel punto proprio Banner.
Sif lo
guardò per
qualche attimo ma poi tornò con lo sguardo sul volto di
Steve;
doveva trovarlo particolarmente attraente, perché Tony aveva
notato che non gli aveva levato mai gli occhi di dosso.
Cap,
è chiaro che hai un fascino particolare per le asgardiane.
«Ti
verrà
spiegato tutto una volta giunti ad Asgard. Adesso devi venire con me,
Steve Rogers» affermò poi la ragazza senza
smettere di
fissarlo.
«Io?»
Ora
sì, che la cosa diventava interessante.
*
Steve aveva
tentato di tenere
la calma e soprattutto il controllo della squadra. Era il capitano, il
leader e quindi toccava a lui fare in modo che nessuno andasse fuori di
testa per nessun motivo.
Con Clint
era riuscito a stento a tacitare la sua ira, ma alla fine aveva
ottenuto la sua concentrazione.
Aveva
evitato di guardare
Linn, per non dover incontrare i suoi occhi umidi e le parole tenute
strette fra i denti perché sapeva avrebbe fatto del male a
troppe persone pronunciandole.
Ma adesso
che quella donna
veniva a dirgli che doveva seguirla fino ad Asgard, Steve temette di
poter perdere lui stesso un po' di lucidità.
Scosse il
capo.
«Di
che stai parlando? Per quale motivo devo venire con voi?»
«Sei
sempre il solito
diffidente, Rogers» mormorò arrogante Loki, come
non fosse
tenuto in manette con il viso mezzo livido. «Ti hanno appena
invitato nel regno dorato del tuo caro Thor... sarebbe scortese non
accettare.»
«Chiudi
quella bocca se
non vuoi che ti disarticoli la mandibola con una gomitata»
minacciò sottile la donna di nome Sif e Loki, sebbene
sorridesse, sembrò seguire il suo comando.
Aveva
sentito parlare di lei
tante volte da Thor. Diceva che era bellissima e forte come nessun
altro in tutta Asgard, diceva che Sif era la sua amica più
cara.
Steve si
ritrovò a guardare quegli occhi neri e a provare tanta
inquietudine.
Sif non
sapeva la
verità, Odino o chi per lui gliel'avevano negata. Sif, che
era
amica e fidata compagna di armi di Thor, non conosceva il vero destino
a cui era stato condannato. Non conosceva neanche ciò che
era
stato, ciò che aveva condotto a quel fato.
Allora cosa
sapeva? Perché Odino aveva mandato proprio lei? E
perché avrebbe dovuto andare fino ad Asgard con lei?
Steve
doveva conoscere quelle risposte.
«Prima
ho bisogno di parlarti» esclamò tenendo lo sguardo
nel suo. «In privato.»
La donna
assentì con un cenno della testa.
«Sicuro,
Cap?» Sentì mormorare Tony.
Steve
annuì e lasciò che Sif porgesse proprio a Tony le
catene che tenevano legati i polsi di Loki.
«Te
lo affido» disse Sif e Tony stavolta accettò con
un sorriso.
«Oh,
volentieri! Ho
sempre sognato un pony...» sospirò poi ironico
mentre
scrutava il viso di Loki con aria di sfida.
Steve
lasciò il controllo della situazione a Natasha, tramite un
tacito comando degli occhi.
Poi fece strada a Sif fino alla balconata.
***
NdA.
Questo capitolo era venuto fuori eccessivamente lungo e ho deciso di
tagliarlo per non appesantire troppo la lettura. Ve lo confido soltanto
perché credo si noti il taglio drastico, ecco
>///<
...
Sif è stata scelta per fare da baby-sitter a Lokino, il
quale ha
ricevuto un caloroso bentornato da parte dei suoi amati
amici-ma-anche-no terrestri...
Lo schiaffo di Jane è ovviamente una citazione a The Dark World,
mentre il pugno di Clint è tutta farina del suo sacco.
Bene, come sempre spero abbiate gradito l'aggiornamento, e per
qualsiasi domanda o dubbio sono a vostra disposizione, anche se
rispondo un po' tardino, rispondo. Tranquilli XDDD
La puntualità non è il mio forte, purtroppo *^*
Al prossimo appuntamento, allora, e grazie per la compagnia <3
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 29 *** Di ritorni e addii ***
cap29
L' ultima lacrima
XXIX.
«Tutto
bene?»
Linn si
voltò verso il viso gentile di Bruce e annuì.
«Vuoi
un bicchiere d'acqua?» Alla sua seconda domanda invece scosse
la testa.
«Sto
bene, Bruce. Grazie.»
Bruce
Banner aveva un animo sensibile e generoso, impossibile credere alla
creatura che serbava nella sua anima.
Tony stava
parlando con il principe. Lo stava più che altro deridendo
per la sua condizione di prigioniero, ma il principe non aveva mostrato
nessun effettiva sorpresa per quelle parole.
Il suo
cuore aveva tremato quando Jane lo aveva schiaffeggiato. Sapeva che
aveva ragione, che la terrestre aveva tutte le motivazioni
più comprensibili per provare del rancore verso di lui,
eppure le fece male vedere quel momento. Quando poi Clint lo aveva
preso a pugni, aveva voltato il capo, convinta che presto ne sarebbero
seguiti altri, che sarebbe tornato a sanguinare inerme come quel
pomeriggio nel parco. Ma anche adesso Steve era intervenuto a fermare
la mano del compagno. Non lo aveva fatto per il principe Loki,
ovviamente, e forse neanche per lei, ma le piacque pensare che invece
fosse proprio così.
E ora Steve
era con Lady Sif, la quale aveva chiesto che lui la seguisse fino ad
Asgard.
Perché?
Cosa stava realmente accadendo nel suo regno? E dov'era Lady Sigyn?
A quella
domanda solo una persona poteva rispondere, ma quella domanda non
poteva essere lei a porgerla.
«Hai
notato, vero, che ogni tua brillante idea di conquista termina con te
in catene e con noi che ne gioiamo?» chiese ironico Tony.
«Chissà,
la prossima volta potrebbe terminare con te in una fossa...»
aggiunse Clint con sguardo torvo. «Sarebbe un bel cambiamento
per tutti.»
Il principe
sorrise, con la guancia arrossata e il sangue rappreso che aveva smesso
di scorrere dal suo zigomo ferito.
«Ce
l'hai ancora con me per averti usato come servo, Barton? O
perché ho eliminato qualche tuo amico?... Non ricordo
neanche quanti sono stati... Avevano poi dei visi così
anonimi.»
Stavolta fu
Natasha a bloccare ogni azione di Clint, mentre sul volto del principe
nessun sorriso era sfumato.
Linn aveva
visto tante volte quel sorriso, tante volte l'aveva resa triste.
«Vai
ad aggiornare Fury,» disse poi Natasha accanto al compagno,
il quale seguì controvoglia il suo comando, sebbene fosse
chiaro era solo un modo per tenerlo lontano dal loro nemico.
Clint
abbandonò la stanza con un cellulare attaccato all'orecchio,
e Linn guardò oltre la vetrata Steve e Lady Sif parlare.
Nessuno poteva udire cosa stessero dicendo, ma il viso di Steve era
serio e preoccupato, i suoi occhi di cielo erano bui.
Un sospiro
avrebbe voluto abbandonare le sue labbra, ma lo trattenne nel petto con
ogni altra inquietudine.
Tony aveva
tirato con poca gentilezza il principe verso il bancone dove sostavano
i liquori e ne aveva assicurato le catene ad un perno al muro. Soffriva
nel vederlo così, così umiliato e ferito, di
certo più nel cuore che nel corpo.
I terrestri
si stavano prendendo la loro rivincita, la loro vendetta forse, e
seppure ne avessero ragione, non c'era reale comprensione per il modo
con cui lo stavano trattando.
«Mi
perdonerai se stavolta non te lo offro...» mormorò
Tony versando dell'alcol in un bicchiere.
«Me
ne farò una ragione, Stark» rispose a tono il
principe tenendo ben salda la sua espressione. Ma sul fondo dei suoi
occhi c'era solo tanta sofferenza. Linn la vedeva, la sentiva, ed era
forse certa di conoscerne la causa.
«Linn?»
Bruce la chiamò sottovoce quando lei si allontanò
verso il lavello d'acciaio, apriva l'acqua e bagnava una piccola pezza
dal colore paglierino.
La
strizzò con cura e raggiunse il bancone.
La sua
signora avrebbe voluto così.
Tony non
disse nulla, né Bruce o Natasha.
Neanche il
principe disse nulla mentre gliela passava gentilmente sulla guancia
arrossata, a lavare via quelle macchie di sangue. La guardava soltanto,
senza sorrisi bugiardi o sguardi ingannevoli.
«Sta
bene...» le disse poi quando la pezza era ormai sporca e il
suo viso privo di sangue.
Linn
sentì gli occhi bruciare e annuì, con un sorriso
grato.
Stava bene,
la sua signora stava bene. Non aveva bisogno di udire altro.
Il principe
non le sospirò un grazie né altre parole. Eppure
Linn le udì tutte nel suo piccolo sorriso, stavolta sincero
come pochi.
«Tesoro,
vai accanto a Natasha,» la invitò Tony poggiando
il bicchiere vuoto sul bancone. «Il capitano sta per tornare
e se ti trova vicino a lui non basterà una pezza umida per
rimetterlo in sesto.»
Linn si
voltò verso il balcone mentre Lady Sif lo varcava, e fece
pochi passi lontano dal principe per raggiungere il fianco di Natasha.
Steve vide
comunque lo straccio fra le sue mani, vide il volto pulito di Loki ma,
a differenza di ciò che aveva predetto Tony, non disse nulla
né fece nulla. Non le dedicò neanche uno sguardo
di richiamo. Capiva, Steve, perché era un uomo dal cuore
buono.
«Allora?»
chiese Natasha verso il suo capitano.
Lady Sif
intanto era andata a recuperare le catene di Loki e le aveva assicurate
in un pugno. Anche la guerriera notò la guancia lavata ma
non mostrò interesse nell'indagare.
«Seguirò
Sif fino ad Asgard. Voi tenete gli occhi aperti.»
Un brivido
attraversò la schiena di Linn quando Steve fece
quell'annuncio.
«Ehi,
ehi, Rogers, andiamo con calma!» sbottò Tony con
espressione confusa. «Che cavolo dovresti andare a fare su
Asgard?»
«Stark,
ho deciso di andare. So quello che faccio e vi chiedo di fidarvi di me.
Ok?»
«No,
non è ok, Steve» affermò ancora Tony.
«Noi non saremmo neanche dovuti entrare in tutta questa
storia, e adesso dovremmo lasciarti andare su un dannato pianeta
lontano anni luce senza sapere neanche perché?!»
Steve
sospirò e la guardò e Linn non sapeva come
rispondere a quello sguardo. Perché lei di Steve si fidava e
sapeva che anche il resto della sua squadra lo faceva, ma una densa
preoccupazione non faceva che galoppare forte nel suo petto.
«Non
c'è tempo. Dobbiamo andare adesso»
comandò poi Lady Sif con aria decisa.
«Aspetta,
una spiegazione è necessaria,» disse con tono
pacato Natasha cercando gli occhi del capitano. «Nessuno
oserà fermarti, Steve, se è quello che hai deciso
ma se-»
«Certo
che verrai fermato, capitano.» Nella stanza proruppe prima la
voce e poi la presenza di Fury, e Linn non riuscì a
reprimere un brivido di paura nello scorgere la sagoma dell'uomo.
*
Tony
sospirò, per una volta felice di sapere Nick dalla sua
parte. Non perse tempo a chiedersi quando e come era arrivato,
conoscendolo era capace di essersi fatto tutti i cunicoli sotterranei
di NY per giungere nella sua Tower.
«Signore,
non c'è tempo per spiegare,» disse Steve con
sicurezza, ma Nick non se ne curò. Li raggiunse e
puntò il suo occhio in quelli del capitano, non prima di
aver donato uno sguardo tagliente a Loki.
«Barton
mi ha informato di quanto accaduto ed è chiaro che non ti
darò la libertà di lasciare la Terra per
andartene a fare una scampagnata per le lande asgardiane, a costo di
rimetterti sotto zero.»
«Ma
signore-»
«Non
senza un'assicurazione.» Lo interruppe ancora Nick.
Steve
aggrottò la fronte non capendo forse cosa volesse dire, ma
Tony era più che certo di aver afferrato perfettamente il
concetto.
Nick, vecchio volpone.
«Asgard
vi ha dato il suo supporto. Thor ha lottato per Midgard un numero
considerevole di volte. La vostra collaborazione dovrebbe essere solo
un atto di gratitudine,» sentenziò la mora e Nick
le rispose con un sorriso sarcastico.
«Sì,
Thor ci ha tolto da qualche problema, è vero, ma ce ne ha
anche creati parecchi, per cui, scusaci se non stiamo facendo i salti
di gioia per questa situazione.»
Sif non
parve gradire per nulla l'ironia di Nick.
«Il
capitano Rogers ha deciso di venire, non serve altro»
affermò ancora la donna.
«Il
capitano Rogers non ha alcun diritto di decidere nulla. Qui si parla
della sicurezza della Terra. Sono io che do gli ordini, sono io che
decido chi va e chi rimane, sono io che se voglio posso farti chiudere
in una cella assieme al tuo compare asgardiano.»
«Prova
pure a mettere in atto la tua minaccia, terrestre, e vedremo quanto
vicino giungerai a realizzarla»
«Ok,
adesso calmiamoci.»
Tony decise
di intervenire per evitare che quella lì cavasse con un
indice anche l'altro occhio di Fury. Sembrava avere tutta l'aria di
esserne capace.
«Nick
ha ragione, se volete la nostra collaborazione e quella del capitano
sarà il caso che ci dimostriate una, come possiamo dire,
fiducia.»
Le sue
parole furono seguite da un silenzio generale prima che Nick, dopo uno
sguardo di intesa, indicasse Loki alla sua destra.
«Voglio
lui» asserì infine il direttore.
Sif no, non
sembrava per nulla d'accordo.
*
Quei
terrestri erano saccenti e arroganti. Stavano solo complicando una
situazione già di per sé complessa.
Odino le
aveva ordinato di portare Steve Rogers su Asgard, e Steve Rogers aveva
tutta l'intenzione di seguirla, eppure adesso ci si mettevano di mezzo
i suoi compagni a creare altri problemi.
«Loki
è un prigioniero di Asgard. Deve scontare i suoi crimini
contro Asgard e contro la corona, non esiste possibilità che
resti qui su Midgard.»
«Non
moriamo dalla voglia di averlo fra i piedi, credimi, ma se volete il
capitano questa è la condizione,» disse ancora
l'uomo giunto per ultimo, con l'aria di chi conosceva i propri mezzi e
la propria posizione di potere. «Sarà in nostra
custodia per tutto il tempo in cui Rogers resterà su Asgard
e quando tornerà qui, tutto intero, e quando anche Thor
tornerà in sé, a quel punto ve lo potete
riprendere. Questo è l'unico accordo che sono disposto ad
accettare.»
Nessuno
osò controbattere, perfino il capitano Rogers
restò silente alle parole dell'uomo. Era lui il loro
comandante e sembravano essere tutti intenzionati a seguire i suoi
comandi. Sif pensò che in verità tutti
condividessero la proposta del comandante. Aveva detto che Midgard era
in debito con Asgard, eppure sapeva che molte delle tristi
vicissitudini che aveva subito quel regno erano state causate da Loki,
e in qualche modo riconducibili proprio ad Asgard.
La
diffidenza era lecita, la prudenza pure, e sebbene sapesse che i
terrestri si sarebbero assicurati che Loki non facesse del male a
nessuno, anche per via della sua incapacità offensiva, non
poteva accettare quell'accordo. Non ne aveva il diritto né
la facoltà, ma altresì non aveva altra scelta.
«Capitano
Rogers,» si rivolse direttamente a lui. «Sono
queste le condizioni necessarie per la tua collaborazione?»
chiese con tono risoluto.
Negli occhi
chiari di Steve non lesse incertezza.
«Asgard
non corre rischi con Loki in nostra custodia e i miei compagni
sarebbero più tranquilli sapendolo sotto la loro
sorveglianza. Perciò sì, sono questi gli
accordi.»
Sif
scrutò il suo viso, poi quello del comandante e infine
quello di Loki, che era stato in silenzio quasi non fosse lui il prezzo
per quella collaborazione.
«Così
sia» affermò infine Sif, decisa a prendersi le sue
responsabilità davanti a Odino per quella scelta.
Riportare
indietro Thor era di primaria importanza, toglierlo dalle grinfie
dell'Incantatrice e mettere fine una volta per tutte ai suoi intrighi e
a quelli di Styrkárr era fondamentale, e la guerriera era
disposta anche a subire la punizione del suo re per aver scelto di fare
di testa propria.
«Immagino
che la mia opinione sia superflua...» mormorò solo
a quel punto Loki.
Nessuno gli
rispose. Sif guardò le catene nella sua mano e poi le porse
all'uomo a capo di quella compagnia di difensori.
L'uomo le
prese e annuì in accordo. Lei ricambiò quel gesto
di consenso.
Stava
facendo la cosa giusta.
*
«In
caso di necessità, Sam vi darà una
mano» affermò Steve mentre legava saldamente lo
scudo al braccio.
Natasha
disse qualcosa, Clint anche, perfino Stark disse qualcosa, ma Linn non
disse nulla. Guardava solo il suo volto e provava paura nel saperlo
andare via.
Cosa
avrebbe fatto su Midgard a quel punto? Aveva ancora senso restare
lì senza di lui, con il cuore in pena e le lacrime a
scendere nella sua anima in ogni momento?
Si
portò una mano al petto ma il battito non rallentava.
Bruce stava
ascoltando i suoi compagni, mentre Lady Sif parlava con il direttore
Fury, forse porgendo qualche raccomandazione, forse raffinando i
dettagli di quell'accordo.
E il
principe era lì, legato, solo, e la guardava.
Nessuno
sembrò neanche badare a lei che gli si avvicinava, nessuno a
parte Steve che smise di dire qualsiasi cosa stesse dicendo, ma Linn
non riuscì a fermare i suoi passi.
«Mi
dispiace...» disse con un sospiro, quasi fosse colpa sua,
quasi fosse lei il motivo che lo aveva condotto in quella condizione.
Il principe
a quel punto sorrise.
«Dovresti
tornare a casa, Linn. Ormai è tempo.» Quelle
parole furono un vento che minacciò il suo equilibrio.
Aveva
ragione: era tempo di lasciare Midgard, era tempo di smettere di vivere
in quel limbo, era tempo di tornare alla sua vera vita.
Una lacrima
scivolò via dai suoi occhi.
«Mi
prenderò cura di lei, se me lo concederete»
mormorò con voce rotta dall'emozione.
«So
che lo farai...» disse il principe porgendole un cenno del
capo.
Avrebbe
voluto sfiorare il suo volto, sfiorare quel piccolo sorriso, sfiorare
il suo dolore, ma non poteva.
«Linn?»
Guardò
il viso di Steve che l'aveva affiancata, ascoltò la sua muta
domanda e rispose con un sorriso, asciugandosi la guancia con una mano.
Sì, Steve, sono
sicura: voglio tornare a casa.
*
Non era
facile vederla così vicino a Loki, non era mai facile
scorgere così chiaramente l'affetto che provava per lui.
Steve
poteva solo rispettare quell'affetto, rispettare i sentimenti benevoli
che Linn riversava verso di lui, anche se non poteva accettarli. Ma
Linn meritava il suo rispetto.
Per questo
non disse nulla mentre la guardava piangere di fronte a lui,
così come non aveva detto nulla quando aveva notato che
aveva terso la sua guancia con un canovaccio umido.
Steve
tacque, perché il silenzio era prezioso e Linn meritava
ciò che di più caro aveva da offrirle.
Giunsero
quindi sulla pista di atterraggio in cima alla Tower.
«Andrà
tutto bene,» rassicurò i suoi compagni mentre Sif
invocava Heimdall e il cielo prendeva a essere coperto di gonfie nubi
grigie.
«Riporta
qui il culo, Rogers. Siamo intesi?»
Sorrise
verso Tony e annuì.
«Non
ti liberi facilmente di me, Stark» disse quando
iniziò a soffiare un forte vento.
«E
portaci un souvenir, capitano» scherzò Natasha e
al suo fianco Clint sorrise.
«Non
credo ne avrò il tempo...» mormorò
scorgendo saette di luce squarciare le nubi.
Nick lo
guardò soltanto e in quello sguardo c'era tutto il mondo di
un soldato e, sebbene avesse spesso delle divergenze con il direttore,
Steve sapeva che ogni sua azione era volta al solo fine di proteggere
la Terra.
Guardò
poi Loki, accanto al direttore, con i polsi in manette e i capelli
smossi dalle raffiche.
Nessun
sorriso su quel viso, quasi gli sembrò di leggere solo
tristezza nei suoi occhi.
«Grazie
per la vostra ospitalità.» Udì poi Linn
rivolgersi ai suoi compagni. «Sono stata onorata di poter
condividere questi giorni con voi, nobili guerrieri di
Midgard.»
«Mi
mancheranno i tuoi cocktail, piccola Linn» Tony le
strizzò un occhio e riuscì a fermare quella che
era una lacrima che stava per cadere dalle sue ciglia.
Linn
sorrise e prese la sua mano. La strinse forte, e sebbene fosse il
momento meno adatto, Steve fu felice di quella dimostrazione di
affetto... di amore.
«Non
mi verrà la nausea, vero?» le chiese riferendosi
al viaggio.
Linn rise e
scosse la testa. «Dura un attimo.»
«Bene»
sorrise a sua volta stringendo le dita nelle sue e quelle dell'altra
mano attorno al cuoio dello scudo.
Un enorme
fascio di luce li colpì in pieno e poi fu solo altra
accecante luce.
ஐஐஐ
Riaprì
gli occhi e l'oro dell'osservatorio le coprì la vista. La
mano ancora legata in quella di Steve.
Si
voltò a guardare il suo viso e lo scoprì ad
osservare naturalmente stordito ciò che lo circondava.
«Mio
Re.» Lady Sif abbassò il capo e si
colpì il petto con un pugno. Solo a quel punto Linn scorse
il viso di Odino e quello della regina Frigga accanto al guardiano.
Lasciò
andare all'istante la mano di Steve per congiungerle entrambe sul
ventre. Si inchinò con reverenza tenendo lo sguardo al
pavimento.
«Miei
sovrani.» Li salutò, incapace di sollevare gli
occhi. Non voleva incrociare quelli del Padre degli Dèi, vi
avrebbe letto solo un richiamo e un'accusa. Non aveva cuore di reggere
nessuno dei due.
«Oh,
cara Linn.»
Ma
sentì la voce della sua regina chiamarla con dolcezza e
sollevò il viso per guardare il suo, gentile e bello, e
quasi ogni timore si sciolse.
«Questo
è Steve Rogers, mio Re.» Udì Lady Sif
fare la doverosa presentazione, prima di piegare un ginocchio e toccare
con esso terra. «I terrestri hanno richiesto la temporanea
custodia di Loki per permettergli di seguirmi. Mi prendo ogni
responsabilità per questa scelta, Padre degli
Dèi.»
«Se
ho inviato te, Lady Sif, è perché confido nella
saggezza del tuo giudizio,» disse il re con voce dura. Linn
non osava guardare il suo volto. «La collaborazione di Loki
è giunta ormai al termine. Sarà utile su Midgard
tanto quanto lo sarebbe stato qui. Non crucciarti quindi per la tua
decisione, hai solo agito per il bene di Asgard. Come sempre.»
«Grazie
per la vostra fiducia, mio Re.»
La
guerriera si sollevò da terra con devozione porgendo poi
alla regina un piccolo tomo che aveva raccolto dalla sacca al suo
fianco. Linn osservò come l'espressione della sovrana si
rabbuiò mentre lo raccoglieva.
«Che
l'ancella venga condotta nelle sue stanze,»
comandò poi il Grande Padre e Linn fu costretta a incrociare
il suo sguardo freddo. Chinò il capo e lasciò che
Lady Sif l'affiancasse.
Si
voltò a guardare Steve un'ultima volta prima di seguirla
silente, verso il ponte di cristallo.
*
Quando
Steve vide Linn allontanarsi non seppe tenere a freno la lingua.
«Dove
la state portando?» chiese osservando una lunga strada
luminosa nascere da un arco di quella struttura tondeggiante.
«Solo
dove potrà trovare ristoro e riposo, terrestre» si
sentì rispondere dalla donna che lo fronteggiava.
«Non temere per lei.»
Era la
madre di Thor. Sul suo viso trovò tante sfumature che
ricordavano quelle del suo compagno, molte di più quelle che
ricordavano Sigyn. Gli occhi avevano lo stesso colore, il sorriso era
altrettanto gentile, i suoi capelli di identica tonalità.
Al suo
fianco, un uomo dai bianchi capelli, con una placca d'oro a coprirne un
occhio. Quella che sembrava una lancia tenuta stretta nella mano e
tutta l'aria di giudicarlo dalla testa ai piedi.
Doveva
essere Odino, e adesso Steve capiva perché perfino Thor ne
avesse tanto timore. Quell'unico occhio sembrava avere la forza di
leggere la sua anima, di scrutarla e infrangerla, di carpire pensieri
ed emozioni.
Leggere
delusione nel suo sguardo doveva essere un'esperienza spaventosa.
C'era anche
un terzo uomo, con un'armatura di un accecante oro e lo sguardo color
ambra caldo. Non aveva detto nulla, aveva solo tenuto quello sguardo
fisso dinanzi a sé.
Colui che
tutto vede, lo chiamava Thor. Heimdall, era questo il suo nome.
«Seguimi,
terrestre» gli ordinò Odino dandogli le spalle.
«Ho
un nome» sottolineò a quel punto Steve senza fare
un passo, e Odino arrestò i suoi e tornò a
voltarsi. «Steve Rogers» aggiunse irritato da quel
continuò chiamarlo in maniera così fastidiosa.
Non era neanche l'appellativo “terrestre” quanto il
tono di sufficienza che lo accompagnava. Era incredibile come
nell'atteggiamento di Odino, Steve trovasse più
affinità con Loki che con Thor.
«Steve
Rogers...» pronunziò quindi il Re con voce roca.
«Seguimi adesso.»
Steve
guardò il volto della madre di Thor cercando
involontariamente forse un motivo per seguire quell'uomo superbo.
La donna
sembrò ascoltare quel pensiero e lo invitò con un
cenno della testa, e solo a quel punto Steve seguì Odino.
*
«Heimdall?»
chiamò la regina quando furono ormai soli. «Riesci
a vederlo?»
«Sì,
mia regina» rispose il guardiano. «È al
sicuro con i terrestri.»
Frigga
sospirò e strinse fra le mani quel grimorio antico. Era
sottile eppure sembrava pesare quanto tutto quel dolore che Loki e Thor
si erano portati dietro in quei secoli.
Ne
sfiorò la copertina marrone e consumata, e
percepì l'energia che lo impregnava.
«Pensi
che il terrestre riuscirà nel suo compito?» chiese
ancora verso l'alleato, anch'egli al corrente dell'importanza che aveva
quell'uomo al fine di riportare da loro il suo bambino.
Heimdall
respirò a fondo tenendo le mani ferme sulla sua spada.
«Ho
visto Steven Rogers nascere e crescere, mia regina. Ho visto il suo
valore quanto esso superava perfino il suo corpo. Ho visto le lacrime
versate per i suoi alleati persi nel corso delle guerre, ho visto le
notti in cui è rimasto sveglio a ricordarli e quelle in cui
ha dormito cullato solo da incubi di sangue. Ho visto Steven Rogers
prima e dopo essere diventato una leggenda per Midgard e un buon
compagno per il nostro principe, e non credo che in tutti e Nove i
Regni esista uomo più adatto a portare a compimento questo
incarico.»
Frigga si
sentì rincuorata dalle parole del Guardiano e
ricordò il viso di Thor che le parlava di Steve Rogers, di
questo soldato coraggioso e nobile che aveva conquistato l'ammirazione
di suo figlio come forse nessuno prima.
I suoi
occhi azzurri le ricordavano quelli di Thor, perfino la sua irruenza
pareva rispecchiare quella di Thor. Capiva perché ci fosse
un profondo legame a unirli, capiva perché quell'amicizia
fosse così importante per lui.
«Grazie,
Heimdall» disse infine e quest'ultimo le donò un
inchino del capo. «Veglia sul mio ragazzo.»
«Sarà
fatto, mia Regina.»
Lasciò
l'osservatorio per raggiungere il palazzo, per porgere il grimorio a
Freyja e sperare che quell'incubo giungesse presto a una fine.
*
Aveva visto
il Bifrost aprirsi una seconda volta, aveva visto il vorticare
arrestarsi e ogni fulgore spegnersi. Sigyn aveva osservato dalla sua
balconata quel luogo d'oro nell'attesa di scorgere nuovamente il viso
di Loki, e al suo fianco quello di Steve.
Voleva
parlargli, voleva che sapesse quanto male le faceva essere stata
costretta a mentirgli, a mentire a tutti loro, voleva che sapesse
quanta fiducia invece serbava per lui. Voleva chiedergli ancora
perdono, voleva udire dalla sua voce che quel perdono sarebbe un giorno
giunto.
Strinse
forte la presa sul davanzale mentre scoprì il viso di Sif
varcare per primo il ponte. Un passo dietro di lei, Linn camminava a
capo chino, con le mani incrociate davanti e abiti terrestri ad
avvolgere il suo corpo minuto.
Anche Linn
era tornata ad Asgard, anche la sua piccola e dolce Linn e nessuno
forse meritava la sua gratitudine quanto quella giovane ancella. Mai
aveva sperimentato tanta lealtà, mai avrebbe creduto di
essere degna di una tale fedeltà.
Le due
donne raggiunsero poi uno stallone legato ad un argine del ponte e Sif
aiutò Linn a salirne sulla groppa. Montò a sua
volta l'animale tenendo le redini prima di galoppare con ritmo
sostenuto verso il palazzo. Sigyn ne seguì la cavalcata
finché non scorse altri due visi abbandonare l'osservatorio.
Quello di
suo padre e quello di... Steve.
Steve era
ad Asgard, nella sua amata Asgard. Quel compagno di armi tanto simile
eppure così diverso. Al suo braccio l'immancabile scudo,
sebbene non fosse vestito con la sua armatura cerulea, ma con quei
vestiti con cui spesso lo accompagnava per le strade di New York, per
raccontargli di quando non c'erano tutte quelle macchine né
altre invenzioni strane, per ascoltare Steve narrargli del suo passato
e delle sue vittorie, più spesso delle sue sconfitte nei
vicoli di quelle strade caotiche eppure per molti invisibili.
Amava
passeggiare con Steve, amava ascoltarlo, amava la sua compagnia.
Si chiese
se sarebbe stato ancora così, se avrebbe potuto guardare i
suoi occhi senza leggere disapprovazione o, peggio, disgusto.
Non
riuscì a mentirsi: sapeva che nulla sarebbe più
stato come un tempo.
Non sapeva
se suo padre stesse parlando, se Steve stesse rispondendo. Non sapeva
se vi erano domande, se quelle domande li riguardavano, se riguardavano
Loki.
Serrò
ancora la presa sul freddo marmo del davanzale mentre Odino saliva in
sella a Sleipnir.
Steve
montò invece uno stallone bianco. Steve amava cavalcare, era
stato Thor a insegnarglielo, a insegnargli come si cavalca uno stallone
da guerra.
Era stato
bello fare a gara, testare anche lì la loro forza e la loro
intesa.
“Devi venire su Asgard, voglio
mostrarti i campi più verdi che esistano e le colline d'oro,
dove hai la sensazione di cavalcare le nuvole, tanto alto il cielo le
bacia.” Diceva con aria felice.
“Mi piacerebbe”,
rispondeva Steve con un sorriso.
Adesso
Steve era Asgard, ma non avrebbero cavalcato nell'oro, né
lottato all'arena in cui era cresciuto, né bevuto fino a
prosciugare un'intera botte d'idromele e scoprire se Steve avrebbe
resistito anche al suo vino preferito. Non avrebbe potuto presentargli
i suoi amici più cari e narrare con loro mille avventure.
Steve era
ad Asgard per tentare di salvarla, per salvare ogni regno messo in
pericolo da Styrkárr e Amora... per tentare di salvare Thor.
Quando poi
fu il viso di sua madre a percorrere il lungo ponte, Sigyn
avvertì una morsa all'addome.
Era sola.
Dov'era?
...
Dov'era
Loki?
ஐஐஐ
Era stato condotto in una
cella, l'ennesima. Ormai non era neanche più ironica la
cosa.
La
massiccia porta si chiuse con uno sbuffo metallico. Due pareti erano di
mura bianche, mentre altre due, quella frontale e la sinistra, di
spesso vetro.
Loki si
guardò attorno, annoiato, e poi guardò i suoi
polsi che erano rimasti incatenati.
«Queste
potevate toglierle, o Sif ha dimenticato di darvi le chiavi?»
chiese con beffa guardando Stark dall'altra parte della parete.
Fury aveva
deciso che restasse alla Tower, sotto il controllo dei Vendicatori. Non
era una minaccia reale, era solo una spina nel culo. Così
aveva detto e poi lo aveva guardato con aria minacciosa.
Loki aveva
solo sorriso.
In fondo
Fury era sempre divertente a modo suo.
«Ti
riferisci a queste?» chiese retorico Stark facendo saltare
nella mano una pesante chiave di metallo. «Sai, sto per
andare al cesso e qualcosa mi dice che mi cadranno distrattamente nella
tazza...» Un riso di scherno mentre le faceva saltare
un'ultima volta nel palmo. «Sono così sbadato a
volte.»
Loki si
avvicinò al vetro e ne percorse con lo sguardo i bordi prima
di abbassarlo in quello del terrestre.
«Non
siete molto originali, voi terrestri» mormorò con
un sospiro. «Quante volte volete che evada dalle vostre
ridicole prigioni?!» chiese poi con arroganza e Stark
continuò a sorridere.
«Oh,
stavolta abbiamo deciso di prendere delle precauzioni.»
«E
quali sarebbero? Porrete un drago sputa fuoco alla mia
sorveglianza?»
«Non
male come idea! Ma troppo antiquata...» Stark si
allontanò poi di qualche passo e solo a quel punto Loki
iniziò a sentire uno strano odore invadere la cella, un
odore dolciastro e stordente. «Io preferisco le tecniche
più all'avanguardia.»
La voce del
terrestre divenne sempre più lontana. L'ultima cosa che Loki
vide fu ancora il suo sorriso mentre cadeva a terra privo di sensi.
ஐஐஐ
Quel posto sembrava uscito
fuori da un film ambientato nel medioevo. Mentre percorreva lunghi
corridoi con altissime mura e colonne, Steve si chiese se davvero fosse
reale tutto ciò che vedeva.
Odino lo
aveva condotto in quel palazzo dopo aver varcato delle cancellate di
spesso metallo laccato d'oro, e qualcosa nella sua testa gli diceva che
fossero interamente oro.
Adesso
capiva perché la chiamavano la città dorata:
tutto sembrava fatto d'oro, perfino le mura.
Aveva
incrociato anche qualche abitante con abiti simili a quelli che
indossava Linn la prima volta che l'aveva incontrata, sola e
silenziosa, con un tappeto di fredda neve a circondarla.
Linn, la
sua Linn... chissà dov'era.
La madre di
Thor gli aveva detto di non temere per lei, in fondo Asgard era la sua
casa e nessuno le avrebbe fatto del male.
Odino non
aveva detto nulla, Steve aveva deciso di porgere le sue domande solo
una volta che il loro camminare si fosse arrestato.
Avvenne di
lì a poco, quando una porta di legno intarsiato fu aperta da
due guardie cosicché potessero passare.
Venne poi
chiusa alle loro spalle e Odino, finalmente, si voltò a
guardarlo.
Non disse
però una parola, continuò a scrutarlo in silenzio
con il suo intimidatorio occhio azzurro.
Steve
iniziava a sentirsi a disagio.
«Allora?
Adesso posso sapere perché sono qui?» chiese
quindi tenendo lo sguardo fisso nel suo.
«Cosa
ti è stato detto da Lady Sif?» lo
interrogò a sua volta Odino.
Steve
raccolse un respiro esasperato.
«So
che avete trovato un modo per fermare Styrkárr e Amora ma
che vi serve il mio aiuto» rispose e poi chiese:
«In che cosa dovrei aiutarvi?»
«La
pazienza non è fra le tue virtù, vedo.»
Odino raggiunse un tavolo della stanza dove sostava una brocca con
quello che doveva essere vino. Ne versò un po' in un calice
ovviamente d'oro e ne bevve un sorso. «So che mio figlio vi
ha arrecato un'ingente ammontare di problemi e me ne scuso a nome
suo.»
«Ormai
ci abbiamo fatto l'abitudine» ammise. «Quando Loki
-»
«Non
parlavo di Loki.» Lo interruppe Odino mentre poggiava il
calice sul tavolo. Le sue dita lo strinsero forte e Steve non si
sarebbe sorpreso se il bicchiere si fosse accartocciato nel suo palmo.
«Thor avrebbe dovuto essere una luce per Midgard, non
un'ombra oscura.» Odino fissava il velluto della stoffa che
copriva il legno del tavolo eppure pareva guardare oltre.
C'era molta
delusione nella sua voce e allo stesso tempo una certa colpa, come se
si sentisse responsabile per ciò che stava accadendo.
«Thor
è sempre stato un buon amico, e nessuno sulla Terra gli
dà colpa degli eventi che sono accaduti»
affermò con sincerità eppure quando Odino
sollevò lo sguardo gli parve di scorgere una certa
diffidenza.
«È
una vittima anche lui. E voglio aiutarlo a tornare quello di un
tempo.» Non aveva dimenticato lo sguardo glaciale che aveva
visto in quegli occhi, non aveva dimenticato la rabbia e la
crudeltà con cui aveva colpito prima quei poveri uomini e
poi suoi stessi compagni nel Nevada. Se c'era un colpevole quello era
Amora, era Styrkárr, perfino Loki, ma non Thor.
«Thor
non tornerà più quello di un tempo»
sentenziò a quel punto Odino. «Non dopo che la sua
vergogna ha coperto la sua casa e i suoi fedeli alleati.»
Capì
che si stava riferendo all'altro aspetto della faccenda, quello che
Steve aveva cercato di allontanare dai suoi pensieri e dal suo animo.
Odino non doveva esserci riuscito, di certo per lui quella ferita era
doppiamente profonda.
«Credo
che queste siano questioni che riguardino soltanto lui. Io voglio solo
che tutta questa storia arrivi alla fine. Solo questo.»
Alle sue
parole Odino sorrise e poi rise debolmente mentre scuoteva il capo con
i capelli argentei.
«Steve
Rogers, sai cos'è un incesto?» A quella domanda
non osò rispondere. Sapeva che Odino non voleva che lo
facesse. Sentì comunque il viso accaldarsi ma il re non
parve farci caso, forse non gli importava. «Asgard ha leggi
molto severe e ciò che mio figlio ha commesso è
un reato grave, un reato punibile con la vita.»
Deglutì
serrando la presa sul suo scudo, sebbene pendesse stancamente dal suo
braccio.
Fino a quel
momento non si era chiesto dove fosse lei, pensando che l'imbarazzo e
il senso di colpa l'avessero portata a celarsi alla sua vista, ma dopo
ciò che aveva detto Odino, Steve iniziò a pensare
che qualcosa di orribile le fosse accaduto.
Possibile
che Odino avesse messo a morte il suo stesso figlio, sebbene al momento
chiuso nel corpo di una donna, solo perché aveva condiviso
un peccato con suo fratello?
Nemmeno per
Steve era qualcosa che si poteva perdonare né tantomeno
accettare, ma la vita... prendere addirittura la vita di qualcuno solo
perché amava chi non avrebbe dovuto.
Era follia.
Era pura follia!
«Dov'è
Sigyn?» chiese quindi allarmato guardandosi confusamente
attorno, quasi fosse possibile avere risposte da quella stanza
illuminata da decine di candelabri.
«Sigyn...»
sospirò Odino come fosse in solitudine. Poi
riempì ancora il calice. «Vive, quella donna vive
ancora se è questo ciò che sta agitando i tuoi
pensieri.»
Si
sentì in qualche modo rassicurato, eppure nulla nella voce
di Odino avrebbe dovuto farlo. C'era astio, rabbia, forse odio. Nel
modo in cui aveva pronunziato quel nome, nel modo con cui l'aveva
definita “quella donna” non c'era niente che
sembrava lasciar intendere che la clemenza fosse dovuta a una scelta.
«Ci
sarà un rito, un rito attraverso il quale il legame con cui
Styrkárr governa Mjolnir sarà
infranto.» Odino cambiò completamente argomento e
atteggiamento e lo guardò rigido. «Per metterlo in
atto quindi sarà necessario attendere che faccia lui la
prima mossa, che quindi si presenti di persona qui ad Asgard, il che
accadrà a breve dal momento che attaccarci è il
primo dei suoi desideri.»
Cercò
di assorbire ogni informazione.
«E
io che dovrei fare?» domandò soltanto quando Odino
cessò di parlare.
«Solamente
recuperare Mjolnir nell'attimo esatto in cui quel Vanr ne
perderà il possesso.»
Aggrottò
la fronte schiudendo le labbra.
«È
impossibile. Solo Thor può sollevare quel
martello.»
Che diamine
stava farneticando Odino? Era un dato di fatto che nessuno a parte Thor
potesse avere accesso a quell'arma; perfino Sigyn, che di Thor ne era
il cuore, non era riuscita a sollevarlo.
«Ciò
che dici non è corretto» appuntò il re.
«Mjolnir è nato per servire chiunque fosse degno
della sua difesa. Nulla afferma che quindi esso sia limitato a
Thor.»
In quel
momento gli tornarono in mente le parole di Thor, di Sigyn, alla Tower
di Tony.
“Mjolnir è legato allo
spirito di chi lo impugna e lo spirito esula dalla natura del corpo.
Uomo, donna, non ha importanza. Retaggio e razza non contano.
Ciò che conta è essere degni della sua difesa.”
“Quindi anche un umano potrebbe
sollevarlo se fosse degno?”
“Esattamente.”
Nei suoi
ricordi rivide il sorriso sicuro di Sigyn, quello di Thor, e
sentì la sua voce rassicurante.
«Ma
io...» Aveva ancora dei profondi dubbi. «Non ho mai
neanche impugnato quel martello. Non c'è sicurezza che possa
riuscirci.»
«No,
non ve n'è, ma non abbiamo altra scelta che
tentare.»
Steve
sospirò.
«E
se vi sbagliaste? Se arrivati a quel punto non riuscissi a sollevarlo?
Qual è il piano B?»
Odino
proruppe in una debole risata che sembrava inopportunamente divertita.
«Non
c'è un piano di riserva, ragazzo. Se dovessimo fallire ci
sarebbe solo la guerra, e si protrarrà finché non
giungerà alla fine, finché
non ci sarà un vincitore, e sarà nostro dovere
far sì che sia Asgard a trionfare. Qualunque sia il prezzo
da pagare.»
Steve
sentì un brivido solcare la sua pelle, sentì
improvvisamente freddo sotto lo sguardo di Odino, si sentì
nudo senza la sua armatura a stelle e strisce.
Riuscì
solo a stringere più forte il suo scudo.
*
Frigga
guardò Freyja sfogliare e studiare con attenzione le pagine
del grimorio.
«È
un incantesimo impegnativo» disse poi la sovrana Vanr e
Frigga seppe dare il giusto significato a quelle parole.
«Ce
la farò, Freyja. Non temere.»
Freyja
chiuse poi il libro e lo poggiò sulle sue ginocchia; seduta
davanti a lei, Frigga sorrise.
«Non
mi permetterei di mettere in dubbio le tue doti di seiðkona,
Frigga, ma la mancanza di regolare pratica può aver influito
sulla tua capacità di governarne il potere che ti scorre
nelle vene.»
La regina
di Asgard allungò quindi la mano e la poggiò sul
dorso pallido di quella di Freyja.
«La
tua preoccupazione non può che riempirmi di calore, Freyja,
perché trapela la tua sincera amicizia, ma se non ritenessi
di poterlo fare non avrei neanche osato farmi avanti,»
sospirò. «Parliamo di mio figlio, e della sua
stessa vita. Chiamami egoista, ma per me è mille volte
più importante di ogni altra motivazione di guerra, e non
rischierei mai un fallimento per stupida presunzione.»
Freyja
rispose al suo sorriso e le coprì a sua volta il dorso con
l'altra mano.
«La
tua determinazione acquieta i miei timori, Frigga, e credimi quando
dico che sebbene non sia io stessa una madre, comprendo i tuoi
sentimenti verso i tuoi figli. E ammiro la tua tenacia.»
Frigga fu
grata della comprensione di Freyja, perché solo ella poteva
in realtà comprendere, solo Freyja poteva capire cosa si
provava a vivere un sentimento come quello che legava Thor e Loki.
«Quando
giungerà il momento, sarai una madre meravigliosa, Freyja.
Lo dico con sincero affetto.»
La regina
Vanr sembrò rabbuiarsi eppure sorrise delle sue parole.
«Non
accadrà mai,» disse poi e Frigga strinse
più forte la sua mano percependo il suo dolore.
«L'unico figlio che avrei voluto portare in grembo era quello
di Freyr, e Styrkárr mi ha tolto per sempre questa
possibilità quando lo ha ucciso nel più vile dei
modi.» Una lacrima lasciò gli occhi bruni di
Freyja e ruppe la sua maschera di algido distacco. «Anche io
combatto per egoismo, Frigga, per vendicare il mio amato fratello e la
felicità che ci fu portata via da quel traditore.»
«Avrai
la tua vendetta,» affermò Frigga mentre
accompagnava le sue lacrime con le proprie. «Le Norne mi
siano testimoni, avrai la tua vendetta.»
*
Tornare ad
Asgard era stato strano, per tutto ciò che aveva visto, per
tutto ciò che aveva ascoltato e perfino per tutto
ciò che aveva subito, soprattutto, per tutto ciò
che aveva vissuto.
Linn
sentiva di essere una persona diversa da quando aveva lasciato il suo
regno e aveva incontrato i terrestri e Steve, il suo capitano.
Come si
sarebbero evolute adesso le cose era un'incognita che la spaventava.
Sif l'aveva
condotta nelle sale della servitù e l'aveva lasciata per
raggiungere i campi dove l'esercito si stava organizzando. Erano state
poi le altre ancelle a dirle i dettagli e a chiederle di Midgard e dei
Midgardiani, a chiederle del capitano Rogers, che si diceva fosse
giunto su Asgard. Le chiesero del principe Thor e della sua assenza.
Mentì e disse che stava bene, mentì come le era
stato ordinato da Lady Sif, in modo che nessuna voce sulla reale
condizione del principe venisse alla luce. Linn comprese che la
guerriera ignorava la completezza della situazione, ignorava della
reale identità che vestiva la sua signora.
Non stava a
lei dire nulla.
Tacque e
disse ciò che le era concesso dire.
«È
bello come dicono?»
«Ed
è forte e coraggioso, vero?»
«Dove
alloggia? Possiamo vederlo?»
Si sentiva
stordire da quelle domande, si sentiva stordire e opprimere da quella
curiosità, o forse era solo gelosia. Ma era stata lei stessa
vittima del fascino del capitano Rogers, prima dai racconti e poi dalla
sua stessa conoscenza. Perché provare fastidio per lo stesso
spasmodico interesse che aveva vissuto lei?
Perché
adesso Steve non era più il leggendario guerriero di
Midgard, era altro... era suo.
Oh, quanto
si sentiva sciocca a pensarlo.
Si
scusò con le altre ragazze per l'impossibilità di
rispondere alle loro domande e fu lieta che presto la
curiosità lasciasse il passo all'indifferenza.
Poggiò
con cura gli abiti che aveva indossato fino a quel momento, quelli che
Pepper le aveva gentilmente donato, e indossò la sua veste
da ancella, con il suo color senape e le stringhe di raso che la
chiudevano sul fianco.
Indossò
i sandali e i bracciali color ametista con cui si identificavano le
ancelle della regina Frigga.
Acconciò
i capelli come amava la sua sovrana, con ordinate trecce raccolte sulla
nuca, e lavò il viso e le mani con acqua profumata,
così che la regina potesse essere appagata dalla sua
compagnia.
Erano riti
quotidiani, riti che aveva eseguito centinaia e centinaia di volte,
eppure in quel momento assunsero un altro sapore.
Quando
sollevò il viso e scrutò l'immagine della ragazza
riflessa allo specchio, Linn sapeva che non era più
quell'ancella.
Era un
pensiero triste, eppure si ritrovò a sorridere.
*
Era uscita
in cerca di sua madre, in cerca di una risposta alla sua domanda.
Non era
riuscita a trovare Frigga, né nelle sue stanze né
nelle sale del palazzo. Era notte e avrebbe potuto cercarla nei
giardini, contravvenire agli ordini di suo padre e uscire fuori, sotto
lo sguardo di Asgard. Ma seppure avesse avuto meno giudizio, era
più che certa che Frigga non era lì.
Forse era
proprio con Odino, forse era con Freyja... Forse era con Steve.
I suoi
passi divennero meno lesti finché non si arrestarono nel bel
mezzo di un corridoio.
Cosa stava
pensando in quel momento Steve? Cosa aveva deciso?
Lo
conosceva abbastanza da sapere che avrebbe fatto tutto il possibile per
donare il suo contributo, che avrebbe sacrificato perfino la sua vita,
e sperava solo non si arrivasse mai a quell'evenienza. Non lo avrebbe
permesso.
Strinse i
pugni, sentendosi così debole da farle rabbia. Cosa mai
avrebbe potuto fare in quelle condizioni per proteggerlo? Nulla. Aveva
ragione suo padre: era solo un problema.
Poi
sentì dei deboli passi raggiungerla. Forse una delle guardie
giunte a recuperarla dacché aveva abbandonato la stanza, ma
quando si voltò incontrò un volto amico, un volto
gentile: il volto di Linn.
*
Stava
cercando Steve, perché sapeva che Odino lo aveva condotto
nella Sala del Consiglio. Lo aveva udito dire da una delle guardie che
passeggiavano per i corridoi. In poco la notizia dell'arrivo di Steve
aveva viaggiato per tutto il palazzo, forse era anche giunta nelle
periferie più lontane del regno.
Ciò
che si ignorava era il motivo per cui il soldato di Midgard fosse
lì.
Anche Linn
lo ignorava e aveva bisogno di vedere il suo viso, di sentire il suo
calore e ascoltare la sua voce che la rassicurava, che le diceva che
tutto sarebbe andato bene.
Aveva
bisogno del suo capitano, adesso che era nel suo regno eppure sembrava
così lontano.
Nessuno
avrebbe dovuto attraversare quei corridoi a quell'ora della notte, ed
era certa che in breve sarebbe riuscita a trovarlo.
Quando
voltò l'angolo si sorprese quindi di scorgere una chioma
bionda, sottili trecce fra i capelli e lunghe gambe fasciate di pelle
nera.
Nonostante
fosse di spalle, non poté non riconoscerla.
Aveva
chiesto di lei alle ancelle, ma nessuna era stata capace di dirle dove
fosse né come stesse. C'erano voci confuse, voci di dubbia
verità. Nessuna di esse era riuscita a tranquillizzarla
davvero.
Ma era
lì, davanti a lei, e questo era un buon motivo per
sorridere.
Le si
avvicinò con piccoli passi finché non furono
uditi, e Linn vide la sua signora voltarsi e guardarla.
«Lady
Sigyn...» la salutò gentilmente e vide i suoi
begli occhi azzurri allargarsi.
Lady Sigyn
la raggiunse con ampie e veloci falcate e quando le fu di fronte, Linn
poté vedere tutta l'inquietudine che le avvolgeva il cuore.
«Dov'è?»
Si sentì chiedere mentre le poggiava con forza entrambe le
mani sulle spalle nude e quasi la scosse. «Dov'è
Loki?»
Quella
reazione la colpì come un pugno. Era orribile vedere tanta
paura sul suo viso.
Le
poggiò un palmo su una mano e sorrise.
«Il
principe è su Midgard. Sta bene.»
L'espressione
sul suo volto parve distendersi ma c'era ancora del timore nei suoi
occhi.
«Perché
è lì?» Le chiese senza lasciare andare
le sue spalle.
«È
la condizione chiesta dai terrestri per permettere a Steve di giungere
su Asgard» spiegò e capì che Lady Sigyn
aveva bisogno di altri dettagli.
Le
raccontò quindi di ciò che era accaduto nella
torre di Tony, di ciò che il direttore Fury aveva chiesto a
Lady Sif, e di come Lady Sif aveva accettato.
Le tacque
quello che era accaduto fra il principe e Lady Jane, le tacque del
pugno del compagno Clint e degli sberleffi di Tony.
Non era
necessario sapesse.
«Quindi
Loki resterà sulla Terra finché
Styrkárr non verrà sconfitto, finché
io...» sospirò poi la sua signora, quasi fosse
più una riflessione a voce alta. Linn avrebbe voluto
chiedere a sua volta cosa stava accadendo, avrebbe voluto chiederle
qual era il compito che Steve doveva svolgere per aiutare le sorti del
suo regno, ma non disse nulla quando vide il profondo abisso in cui
erano annegati i pensieri di Lady Sigyn.
«Mia
signora?» La chiamò soltanto quando
lasciò andare le sue spalle. La vide poi sfiorarsi le labbra
con le dita e guardare un punto invisibile del pavimento.
«Mia signora?»
Lady Sigyn
non sollevò lo sguardo.
*
Lo aveva
perso.
Se ne rese
conto solo in quel momento mentre Linn la chiamava e le toccava una
spalla, Sigyn si rese conto di averlo perso per sempre.
Loki
sarebbe rimasto sulla Terra per la durata di quella guerra,
finché tutto non fosse giunto alla fine, finché
Thor non fosse tornato e Sigyn non fosse andata via per sempre.
Era
ciò che gli aveva chiesto di fare: lasciarla andare,
dimenticare tutto e salvare il loro regno.
E non
avrebbe mai dovuto farlo.
Perché?
Perché era stata ancora una volta una codarda?
Perché aveva avuto ancora una volta così
dannatamente paura?
Cosa
importava adesso, ormai nulla contava.
Loki era
lontano, sarebbe stato sempre più lontano.
Si
passò ancora le dita sulle labbra, provando a ricordare le
sue, il loro calore e la loro incertezza.
Era tutto
ciò che sarebbe rimasto di quel sentimento?
Un bacio
rubato?
Non ci
sarebbe stato un vero addio? Una confessione? Un'ammissione di colpa?
Neanche una scontata e sciocca richiesta di perdono?
Nulla,
niente, non una parola sarebbe stata detta.
Che ironia
per una storia come la loro, dove miriadi di parole si erano spese,
parole di veleno e di ghiaccio, parole di miele e velluto. Parole
sprecate... troppe, e ne sarebbero bastate solo due.
E adesso
neanche una poteva più essere pronunziata.
***
NdA.
Questa è letteralmente la seconda parte del cap precedente.
Come avrete notato, era indecente pubblicarlo integro
>///<
Volevo lasciare un piccolo appunto su Freyja e Freyr, nel caso la scena
fra la Dea e Frigga vi avesse confuso: ebbene sì, i nostri
fratelli Vanir avevano un legame sentimentale ma, soprattutto, un
legame pubblico. Questo è il motivo per cui Frigga pensa che
Freyja possa comprendere meglio di altri ciò che sta
provando Thor, e per cui Odino, al tempo, disse che Asgard non era come
Vanaheim. [cap. 26]
La storia verrà comunque approfondita, o meglio, chiarita
nei futuri capitoli insieme agli altri piccoli e grandi misteri ancora
sparsi in giro ^^
Per altre domande sono sempre qui. Sto cercando di impegnarmi per non
lasciare buchi o incertezze per strada.
Grazie a tutti e appuntamento alla prossima!
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 30 *** Lontani eppur vicini ***
cap30
L' ultima lacrima
XXX.
Steve si guardò
intorno. Era una stanza come quella dei grandi hotel. C'era stato un
paio di volte per presenziare a qualche conferenza stampa in giro per
il mondo, ma poteva dire di preferire la sobrietà della sua
camera allo S.H.I.E.L.D., e ovviamente quella della sua vecchia casa a
Brooklyn.
Dopo aver
parlato con Odino, quest'ultimo lo aveva fatto accompagnare da una
guardia proprio in quella stanza, e aveva detto che sarebbe stata a sua
disposizione per tutta la permanenza ad Asgard.
Non gli
piaceva per nulla. C'era un'aria strana, quasi come se ogni singolo
oggetto posto avesse un suo motivo per essere lì.
Guardò
il letto, enorme, come non ne aveva mai visti. Il baldacchino con veli
che potevano essere di seta o roba simile. Un balcone che dava sulla
città con tende così spesse che una volta
lasciate cadere avrebbero creato un buio pesto.
Si
avvicinò proprio alle tende e le sfiorò con le
dita.
Quello era
il mondo dove Thor era cresciuto, era casa sua. Eppure Thor era una
persona semplice. Certo, aveva il suo carattere esuberante e forse
arrogante alle volte, ma non sembrava qualcuno nato in un mondo
così prezioso.
Aveva visto
tanta servitù, aveva visto tanti inchini e tanti sguardi
bassi, tanto timore in quegli occhi chiari.
Non poteva
non pensare a Linn, alla sua vita fra quelle mura.
Voleva
vederla, voleva assicurarsi che stesse bene.
Nessuno gli
aveva detto che doveva rimanere in quella stanza, e sebbene fosse notte
inoltrata, non c'era nessun comando che lo obbligasse ad attendere
l'alba steso a guardare quel inquietante baldacchino.
Poggiò
lo scudo accanto al letto - qualcosa gli diceva che nessuno avrebbe
osato portarlo via - e raggiunse la porta per spingerla e uscire. Non
cigolò, non fece un solo rumore neanche quando si chiuse
alle sue spalle.
I corridoi
erano cosparsi di lumiere che rendevano l'ambiente quasi sinistro.
Altro che
palazzo d'oro, sembrava più simile a uno di quei castelli da
film dell'orrore.
Scosse il
capo per scacciare quel pensiero, quando il viso di Tony che rideva di
lui comparve nella sua testa.
«Stark
saprebbe orientarsi, però» sospirò a se
stesso voltando per l'ennesima volta in un corridoio che pareva
identico al precedente. Con ogni probabilità adesso tornare
indietro sarebbe stato impossibile. Non aveva neanche potuto prendere
qualche riferimento: quei corridoi erano dannatamente simili fra di
loro.
«Dovevo
portarmi lo scudo...» brontolò sommessamente, in
solitudine, assottigliando lo sguardo per scrutare l'ennesima svolta.
Colonne,
lumiere, quadri, affreschi. E poi altre colonne, altre lumiere, altri
quadri e altri affreschi.
Quasi ebbe
l'istinto di sospirare avvilito mentre si passava una mano fra i
capelli tenendo l'altra poggiata sul fianco.
Avrebbe
dovuto cercare una guardia o qualcuno che lo riconducesse nella sua
stanza o chiedere direttamente dove poteva trovare Linn.
Uno
sperduto forestiero in una terra sconosciuta. Adesso sì che
capiva come si era sentito Thor quella prima volta, in qualche maniera
era un po' risvegliassi di nuovo da un lungo sonno, con la differenza
di trovarsi su un luogo diverso e non un tempo.
«Dove
vado adesso?» Si interrogò nuovamente guardando un
nuovo bivio.
Non era un
palazzo, era un labirinto.
Sul fondo
alla sua destra però proveniva una luce più forte
che si avvicinava. Almeno c'era qualcuno con cui parlare.
Gli
andò in contro con un filo in più di
rassicurazione ma quando pochi metri li dividevano, vide brillare
davanti agli occhi quella che scoprì essere una spada.
La luce lo
colpì in pieno causandogli l'impossibilita momentanea di
mettere a fuoco chiunque avesse di fronte.
Alzò
comunque entrambe le mani per mostrarle prive di armi.
«Chi
è che si aggira furtivamente per i corridoi del
palazzo?» chiese una voce maschile.
Steve
provò a socchiudere gli occhi e cercare di riconoscere il
volto di chi aveva parlato. Riusciva come sempre solo a vederne i
capelli di un caldo biondo e due iridi nere che ci avrebbe scommesso
essere in realtà azzurre.
«Sono
il Capitano Steve Rogers, e cercavo solo la mia stanza.» Perché mi sono perso
come un ragazzino.
Il suo
orgoglio gli impedì di aggiungerlo.
«Steve
Rogers?» Il suo tonò mostrava un certo interesse.
La luce della lanterna che stringeva nella mano sinistra fu abbassata e
la spada sottile rifoderata.
Steve
abbassò le braccia osservando un sorriso bianco che si
stendeva sul viso dell'uomo.
«Sif
aveva detto che eri giunto qui,» disse quest'ultimo mentre la
luce ne illuminava meglio i lineamenti eleganti e il biondo pizzetto
che incorniciava le sue labbra. «Io sono Fandral. Piacere di
conoscerti, capitano.»
A quel nome
sospirò sorridendo a sua volta e allungò una mano
aspettando che l'altro la stringesse.
«Steve.
Piacere mio.»
«Dai
racconti di Thor ti facevo più robusto.»
«Ah
sì?»
«E
il tuo scudo? Parla sempre del tuo scudo che nessuna lancia potrebbe
infrangere.»
«È
in un posto sicuro.»
«Certo.
Mai abbassare la guardia.»
Una cosa
era certa: a Fandral piaceva parlare, piaceva parlare molto. Avrebbe
dovuto ricordarselo, perché parecchie volte aveva sentito
Thor dirlo.
Due amici
di due mondi lontani che avevano in comune l'affetto per la stessa
persona.
Steve aveva
sentito parlare di Fandral così come Fandral doveva aver
sentito parlare di lui, perché Thor amava i suoi compagni, i
suoi fratelli di armi.
Mentre
camminavano per i corridoi, ogni parola pronunziata dall'asgardiano
aveva fatto comprendere quanta stima e quanto rispetto provava per
Thor, quello stesso rispetto che provava lui... che aveva provato.
La storia
di Loki, di quello che era stato, di Sigyn, non poteva negarlo: aveva
alquanto destabilizzato i suoi sentimenti verso di lui. Era stata
più di una doccia fredda, era stata una delusione.
Si sentiva
così ingiusto e meschino, eppure come poteva mentire a se
stesso?
«Ti
accompagno fino alle stanze comuni, lì di certo un paggio
saprà condurti nelle tue camere.»
«Grazie
Fandral, sei stato gentile.»
«Solo
un piacere, mio buon amico terrestre.» Steve lo
guardò con la coda dell'occhio scorgendone il sorriso
amichevole. «Fortuna esserci incontrati, altrimenti avresti
peregrinato fino all'alba.»
Non
represse una risata colpevole.
«I
navigatori satellitari hanno assopito il mio naturale senso
dell'orientamento» mormorò senza chiedersi se
Fandral sarebbe stato confuso dalle sue parole. «Meno male
che eri di guardia.»
A quel
punto fu Fandral a ridere.
«Non
era il dovere a tenermi sveglio, capitano, ma il piacere»
confessò sistemandosi con la mano libera la folta chioma
bionda. «Porgevo una dolce notte a un altrettanto dolce
fanciulla.»
«Oh,
capisco.» Tagliò corto alquanto imbarazzato.
«Siamo arrivati?» chiese poi cambiando discorso.
Fandral
annuì indicandogli la fine del corridoio.
«Quasi,
però è davvero un peccato non poter bere un
boccale di birra insieme. Volstagg e Hogun avrebbero volentieri fatto
la tua conoscenza.»
Si
ritrovò a sorridere.
«Non
mancherà tempo» disse e Fandral gli fece un cenno
del capo.
«Al
termine di questa guerra, se mai ci sarà, Odino
proclamerà quaranta giorni di festeggiamenti, come accadde
per la vittoria di Nornheim. Oh, fu un grande giubilo: l'idromele
scorreva a fiumi, le donne più belle di Asgard ci
allietavano con la loro compagnia. Ogni sera c'erano lotte e duelli, e
decine di scommesse. Thor rischiò anche di essere diseredato
perché si presentò ubriaco a una delle assemblee
del consiglio.» Fandral rise. «Sono certo che ha
sbadatamente mancato di inserire questo episodio fra i suoi racconti,
vero?»
Una
tristezza fiorì nel petto di Steve.
«No,
mi ha detto di quel giorno. Odino era così infuriato che
voleva decapitarlo...» Perché Thor gli raccontava
tutto, non aveva segreti. Così aveva sempre creduto. E si
era sbagliato.
«In
verità non mi sorprende. Thor è sincero come
pochi.»
Non seppe
ribattere, tenne per sé pensieri e parole.
Erano ormai
giunti al termine del corridoio quando un'altra figura si
avvicinò nel verso opposto, stavolta nonostante il buio e le
candele sui muri, Steve riconobbe immediatamente il suo viso.
«Linn?»
la chiamò velocizzando il passo e lasciando così
indietro Fandral.
«Steve!»
Si ritrovò le sue braccia attorno alle spalle e il suo
respiro sulla pelle. «Ti ho cercato tanto, Steve.»
«E
io mi sono perso per cercare te.» Le confidò
guardandola in viso ed era così bella... Dio, se era bella.
«Non
vorrei essere di troppo...» mormorò Fandral
raggiungendoli con un sorriso sul viso.
Steve si
sentì in imbarazzo e sciolse l'abbraccio permettendo a Linn
di ritrovare il suo atteggiamento elegante e cortese.
«Lord
Fandral,» lo salutò lei con un cenno del capo.
«Non vi avevo veduto nel buio.»
«Avevi
lo sguardo impegnato su qualcun altro, bella Linn, nessun rancore.
Anzi... » L'asgardiano le prese poi una mano e le
posò galante un bacio sul dorso. «Sei incantevole
stasera.»
No, a Steve
non piacque quel gesto e lasciò che il suo sguardo glielo
trasmettesse.
Ma Fandral
sembrava immune a certi taciti discorsi, dal momento che
tornò in posizione eretta con le labbra ancora curvate
amabilmente.
«Grazie,
Lord Fandral.» Anche Linn si mostrò a disagio per
quel gesto ma Steve non sapeva dire se fosse per il bacio in
sé o perché era avvenuto davanti ai suoi occhi.
«Bene,
non voglio disturbare l'incontro audace di due giovani
amanti.» Ci fu un inchino che pareva finto tanto perfetto fu.
«Una intensa notte a entrambi.» E poi il lungo
mantello danzò alle spalle di Fandral quando si
allontanò nel verso opposto del corridoio.
«È
un tipo... bizzarro» esclamò Steve quando la luce
della lanterna del asgardiano sfumò dietro un angolo. Si
voltò poi a guardare Linn.
Ci fu
silenzio, poi un sorriso, poi un dolce bacio.
Le
accarezzò una guancia con il dorso delle dita.
«Hai
parlato con il Padre degli Dèi?» gli chiese Linn
prendendo quelle dita fra le proprie.
Steve
annuì e sospirò.
«Secondo
lui dovrei essere in grado di sollevare il martello di Thor e in questo
modo spezzare quella specie di incantesimo fatto da Loki e
Amora.»
Un'ombra
triste dipinse gli occhi di Linn.
«Mi
dispiace» le sospirò sapendo bene cosa volesse
dire per lei.
«No,
non devi. Asgard ti sarà grata per il tuo aiuto,
Steve.» Sforzò un sorriso che però era
solo una lacrima asciutta sulle labbra. «Ciò vuol
dire che resterai qui per un po'?»
Annuì.
«Finché
non inizierà questa guerra, anche se a me sembra che sia
iniziata da tempo.»
«Steve,
ascoltami...» Linn abbassò lo sguardo e poi lo
risollevò sul suo viso. «Vorrei che tu parlassi
con Lady Sigyn, che l'ascoltassi... Lei ha bisogno della tua amicizia e
del tuo perdono.»
Si
sentì quasi schiacciare dallo sguardo supplichevole di Linn,
dalle sue parole e dal silenzio che ne seguì.
«Quindi
l'hai vista...» mormorò retorico ma Linn
annuì comunque.
«Sono
di ritorno dalle sue stanze. Se volessi-»
«No,
non adesso» rispose prima che gli venisse posta quella
domanda. Non era ancora pronto ad affrontare quello sguardo, la sua
voce e le parole che avrebbe pronunziato. «Domattina,
forse.» Forse una notte non sarebbe bastata, ma a Linn quella
promessa parve farlo.
Gli sorrise
e avvolse le dita della mano fra le sue.
«Ti
accompagno nelle tue stanze, capitano.»
Steve
scosse la testa imbarazzato. «Non ho idea di dove siano,
veramente... Io... te l'ho detto: mi sono perso.» Alla sua
confessione ci fu una piccola risata. Linn tenne di fronte la lumiera
per far luce nei corridoi e prese il passo.
«Sei
un ospite di rara preziosità, è probabile che il
Padre degli Dèi ti abbia riservato un alloggio nell'ala
degli Eterei, è la zona più raffinata e protetta
del palazzo» spiegò voltando con
facilità per i corridoio, e Steve le andava dietro
ascoltandola parlare di quell'enorme castello come fosse la
più semplice delle dimore. «Sarebbe sconveniente
disturbare per chiedere, quindi cercheremo di ritrovare la via smarrita
da noi. A Odino non farebbe una buona impressione sapere che il suo
salvatore giunto da Midgard vaga spaesato per la sua casa...»
Steve
arrossì ma sorrise divertito dal modo con cui Linn sembrava
felice di essere lì. Forse perché era ad Asgard,
forse perché aveva potuto rivedere e parlare con Sigyn,
forse perché c'era lui con lei.
Qualunque
fosse il motivo andava bene: era solo bello vederla sorridere.
«Aspetta,
ricordo questo dipinto con i due cavalieri!»
Arrestò il passo indicando l'enorme affresco su una parete.
Steve aveva sempre amato l'arte e non poteva negare che Asgard sembrava
davvero uscita fuori dal pennello di un artista, tanto magnifica era
nelle sue forme, nelle luci e perfino nelle ombre.
«Allora
avevo ragione...» disse Linn facendo luce sulla parete e poi
nuovamente per il corridoio.
Steve si
permise di guardarla, di guardarla nei suoi abiti asgardiani, con i
capelli raccolti e il dolce tintinnio dei bracciali. Le sue spalle nude
e la scollatura profonda sulla schiena.
Aveva una
sensualità di cui neanche era conscia e che gli faceva
mozzare il fiato in gola.
«Se
riconosci-»
Tacitò
le sue parole, quando le avvolse un braccio attorno alla vita e la
tirò a sé, premendo le labbra sulle sue.
«Credo
sia questa» sospirò contro la sua bocca spingendo
la porta di una delle stanze.
Al suo
interno il suo scudo brillò sotto la luce della lanterna.
Linn aveva
ancora le labbra schiuse e non disse niente. Lo guardava soltanto con
le gote arrossate.
Steve la
teneva ancora stretta, fermo sulla soglia ormai aperta.
Scivolò
nei suoi occhi e la baciò ancora accarezzandole la pelle
morbida sulla schiena.
«Linn...?»
sospirò con affanno ma Linn sorrise e gli avvolse
le braccia attorno alle spalle.
«Non
chiederlo neanche, capitano» rispose tirandolo dentro la
stanza.
Steve
chiuse la porta con una mano e Linn poggiò distrattamente la
lanterna sulla prima superficie libera.
*
Le dita
picchiarono sulla scrivania più volte. Sigyn
guardò la fiamma della candela che danzava a ogni suo
respiro.
Allungò
l'indice e la sfiorò. Il polpastrello si annerì
ma non sentì bruciarlo.
Nell'ombra
della notte vide qualcosa brillare nel suo palmo: era la runa disegnata
da Loki.
Sospirò
e strinse la mano affondando il viso fra le braccia piegate sul legno.
Linn era
andata via da qualche minuto. Le aveva detto che Loki era sulla Terra,
in mano ai suoi compagni Vendicatori, e lì sarebbe restato
fino alla fine.
È
una fine sarebbe stata.
Respirò
profondamente e sollevò la testa. La candela ancora tremava
nella sua tenue luce.
Voltò
poi lo sguardo verso la balconata, poi verso la porta chiusa.
Attendere,
attendere e ancora attendere.
Non sarebbe
mai riuscita in quell'intento.
Il folle
desiderio di raggiungere il Bifrost crebbe nei suoi pensieri. Avrebbe
potuto supplicare Heimdall affinché le aprisse la via per la
Terra e...
E poi? Cosa
sarebbe accaduto una volta giunta lì?
Avrebbe
solo ravvivato l'ira di Odino, resa più profonda la sua
delusione e creato un riflesso perfino nel cuore di sua madre.
Raggiunse
invece il letto e vi si gettò con stanchezza.
I capelli
le ricaddero sul lato sinistro del viso offuscandole la vista.
Era
orribile sentirsi così impotente. Sbuffò sentendo
una pesante inquietudine crescere nel suo ventre e si voltò
spalle alle lenzuola per fissare il soffitto buio.
Forse c'era
un modo, una soluzione per non perdere tutto. Ma cosa le era rimasto in
fondo da perdere ancora?
Il rispetto
di suo padre si era frantumato come una foglia di vetro gettata sul
pavimento, quello dei suoi compagni aveva seguito il medesimo destino
e, se avesse avuto modo di rivedere lo sguardo di Steve... non sapeva
neanche se aveva il coraggio di tenerlo.
Negli occhi
di Sif era anche peggio guardare, perché c'era ancora la
tossica menzogna a specchiarsi, e così sarebbe stato per
quelli di Volstagg, di Fandral e di Hogun.
Gli occhi
di Jane forse non avrebbe più potuto vederli, non meritava
nulla fuorché le sue spalle, fuorché il suo
disprezzo.
Jane, la
sua amata Jane.
Quanto male
le aveva fatto, quante gliene stava ancora facendo adesso,
perché nel martellare dei suoi rimpianti, i colpi
più forti battevano non per lei, non per i suoi compagni,
non per suo padre né sua madre... battevano per lui, per
quegli occhi verdi che le sarebbero mancati più di tutti,
gli unici in cui avrebbe voluto annegare per l'eternità. Gli
occhi di suo fratello, del suo nemico più brutale, del suo
unico vero amante.
E non
avrebbe più potuto vedere quegli occhi sciogliersi e
guardarla come nessuno mai aveva fatto, con tale devozione e passione,
con tale disperazione. Perché fare l'amore con Loki era
disperazione, lasciarsi prendere e perdersi lo era; ogni bacio, ogni
gemito, ogni goccia di sudore era disperazione. E nulla era
più vivo di quella disperazione. Sigyn non era mai realmente
viva se non quando era fra le sue braccia, cullata dal suo desiderio e
dalla sua passione.
“...Se solo potessi toccarti...”
Risentì
la sua voce mentre chiudeva gli occhi e la mano scivolava sul suo
corpo, mentre si sfiorava i seni stretti nel bustino pensando fossero
sue le dita.
Se solo fossi tu a toccarmi...
Lasciò
salire un debole gemito mentre le carezze danzarono sul suo ventre
ancora coperto fino a fermarsi dove sentiva nascere e crescere il
più folle dei battiti.
Sigyn
lasciò che le dita si infilassero sotto la pelle nera dei
suoi pantaloni e sfiorassero quel calore che solo lui sapeva toccare
davvero.
Ed erano
quelle pallide dita gentili e audaci che la stavano accarezzando
adesso, era il suo sorriso quello che vedeva brillare nell'ombra dei
suoi occhi, era la sua voce a farla tremare. Loki era lì,
con lei, perché era di questo che aveva bisogno: averlo al
suo fianco, ad affrontare ogni guerra e ogni sconfitta, a condividerne
i trionfi e le lacrime.
Era
lì a toccarla e amarla e farla sentire sua, come fosse
davvero quella stella di cui indossava il nome.
Fiorì
ancora un gemito e poi ancora uno, folle e imperdonabile come quel loro
legame illecito.
E quando
l'immagine di Loki sfumò dai suoi occhi che si aprirono a
mirare nuovamente un soffitto nero, Sigyn guardò quella mano
umida e calda, la mano dove brillava il verde del suo seiðr.
Una lacrima rotolò dai suoi occhi bagnando la stoffa del
cuscino mentre la stringeva contro il petto, contro un cuore che
batteva troppo forte.
“Cuore mio...”
Sarà sempre tuo,
fratello.
ஐஐஐ
Quando Loki si
svegliò si accorse che qualcosa era diverso.
Sbatté le palpebre un paio di volte avvertendo una leggera
emicrania e si passò le dita fra i capelli.
Era
allungato su una branda, una semplice branda in quella stupida cella
dove Stark lo aveva chiuso. Si tirò a sedere e lo sguardo
cadde sulle sue vesti che non erano più quelle che
indossava.
«Eri
inquietante con quella vestagliona nera.» All'udire quella
voce alzò gli occhi verso una vetrata. Stark lo guardava con
un sorriso divertito mentre mangiava qualcosa. «Questa divisa
rispecchia meglio la tua condizione da detenuto.»
Loki
aprì le braccia per guardare incredulo i pantaloni grigi di
misero cotone e la maglia a maniche corte del medesimo colore e stoffa.
«Hai
osato svestirmi?» chiese quasi inorridito.
«Ma
dico, scherzi?! Chi ci tiene a vederti nudo!?»
sbottò l'umano facendo una palla con la carta bianca che
aveva fra le mani e lanciandola verso un cesto di metallo a qualche
metro di distanza. «È stato Bruce a occuparsi di
te e, se ti posso dare un consiglio, più che al tuo look
dovresti badare a quel piccolo cip che ti è stato impiantato
nel collo.»
La mano
saettò sul retro del collo e quando sfiorò la
pelle, Loki sentì la carne pungere. Non c'era
però nessun cip o chissà quale altra diavoleria
nel suo collo.
«Che
cosa mi hai fatto, dannato Stark?» domandò furente
scattando in piedi.
Tony
sospirò e incrociò le braccia sul petto, solo
allora Loki notò che anche lui non indossava più
gli abiti di quando l'aveva veduto prima di perdere i sensi.
Doveva
essere passato forse un giorno o più.
«Dal
momento che ti vanti tanto delle tue fughe, Scofield[1],
Nick ha pensato bene di fare in modo che in caso ti venisse idea di
rifare qualcun altro dei tuoi brillanti piani di evasione, ci fosse
più semplice rintracciare il tuo culo.» Stark poi
si toccò il proprio collo per indicargli la zona che poco
prima aveva lui stesso sfiorato. «È un rilevatore
di posizione. Se metti un piede fuori da questa cella ci
basterà tenere sotto occhio un piccolo e adorabile puntino
rosso su uno schermo. È un sistema che si usa anche per i
cani quando si perdono, lo sai? Oh, ma non vorrei offendere i cani
paragonandoli a te, ecco» farfugliò
fastidiosamente ancora il terrestre. «Ti basti sapere che se
solo provi a estrarlo, a parte farti un male atroce, automaticamente
sarà rilasciata una quantità minima di GTA 5 che, nel caso
te lo stessi chiedendo, è una tossina paralizzante. Cadrai a
terra come un sasso e puff!
Fine dei giochi.» Stark fece schioccare le dita di entrambe
le mani con fare divertito e poi gli sorrise ancora. «Tutto
chiaro, bad boy?»
Loki non
era neanche riuscito a reprimere i respiri affannosi che stavano
smuovendo le sue spalle. Strinse i pugni delle mani furioso e
guardò con la stessa furia la faccia di quel mostriciattolo.
«Ti
scuoierò vivo, e userò le tue interiora come cibo
per i corvi...» minacciò con voce roca, ma Tony
non sembrò per nulla curarsi delle sue parole né
della sua ira, prese a salire le scale e mosse annoiato le dita della
mano.
«Sì,
sì, come ti pare...»
«Stark!»
urlò Loki mentre l'uomo saliva i pioli allontanandosi dalla
sua visuale. «Mi hai sentito, Stark? Ti farò
soffrire! Soffrirai come non hai idea!» Il resto delle
minacce fu ascoltato solo dal silenzio.
Loki
sbatté rabbiosamente il pugno contro il vetro. Non ci fu
alcuna scossa ad attraversare il suo braccio, ma il tacito luccicare di
una spia rossa nell'angolo della cella era anche peggio.
*
Bruce
sospirò mentre Tony lo affiancava.
«Era
necessario?» Gli chiese alternando lo sguardo dal suo viso al
monitor dove era visualizzata la cella di Loki.
«Necessario
forse no, divertente... Oh, dio, assolutamente!»
Sebbene
fosse inappropriato, condivise quel sorriso divertito.
«Perché
gli hai detto quella stupidata del paralizzante?» chiese
ancora e Tony alzò le spalle.
«È
solo un deterrente per evitare un futuro tentativo di levarsi il nostro
trasmettitore.»
«Sei
sicuro che l'abbia bevuta, almeno?... Andiamo... GTA 5?»
Tony rise
di gusto. «Ma sì che l'ha fatto, e poi
è vero: quando giochi a GTA ti paralizzi davanti alla console[2],»
gli rispose. «E comunque penso che stavolta non
proverà neanche a scappare» affermò poi.
«Sarà...»
Bruce sospirò poco convinto. Se Loki voleva scappare si
sarebbe inventato qualcosa e l'avrebbe fatto, ormai era assodato che
quello lì ne conoscesse una più del diavolo.
«Pensi che collaborerà fino al ritorno di
Steve?»
«Basta
che se ne stia buono lì dentro. Non è che gli
costi un grande sforzo, e se farà il bravo gli
darò qualche foto di Sigyn come ricompensa.»
Bruce lo
guardò con rimprovero e Tony sorrise.
«Gli
daremo anche un pareo. Tranquillo, Bruce: nessuno vuole vedere i suoi
lavori di mano.»
«Per
l'amor della decenza, Tony!» sbraitò imbarazzato
il dottore coprendosi pudicamente gli occhi con il palmo della mano e
facendo ridere ulteriormente l'amico. Tony gli avvolse poi un braccio
attorno alle spalle e lo scosse un po'.
«Il
Capitano farà il suo dovere da eroe e metterà le
cose a posto.» Puntò poi l'indice verso lo schermo
e Bruce seguì la sua direzione con lo sguardo.
«Godiamoci un po' di relax, nel frattempo. Ce lo siamo
meritato.»
Il dottore
sospirò mentre vedeva Loki che sedeva nervosamente sulla
branda.
«Se
questo è relax...» mormorò guardando
poi il viso di Tony al suo fianco.
Tony gli
schiaffeggiò affettuosamente una guancia con le dita.
«Lo
è, credimi. Lo è.»
Bruce
continuava a esserne poco convinto.
ஐஐஐ
Il sole iniziò a
diventare fastidioso e Steve fu costretto a sollevare le palpebre.
Lasciare le tende aperte era stata una pessima idea: l'alba di Asgard
sembrava dieci volte più intensa di quella della terra.
C'erano sfumature arancioni più calde e un blu del cielo che
pareva dipinto.
Brontolò
coprendosi gli occhi con un braccio allungando l'altro alla sua
sinistra.
Era vuota.
Si
sollevò immediatamente scoprendo le lenzuola in disordine e
il cuscino sgualcito, ma Linn non era lì.
Si
passò una mano sul viso ancora piegato dal sonno e scese dal
letto recuperando i boxer da terra.
«Linn?»
la chiamò, e quando non udì risposta la
chiamò ancora. La cercò anche nella stanza da
bagno direttamente collegata alla camera, ma era vuota.
Dov'era?
Forse era andata via prima dell'alba perché sarebbe stato
inopportuno farsi vedere uscire dalla sua stanza. Era qualcosa che
poteva appartenere al suo comportamento. Non riuscì comunque
a sopprimere il senso di delusione nello svegliarsi in solitudine, non
dopo la notte dolce e passionale che avevano appena trascorso.
A volte
dimenticava che Linn era un'ancella e che lo era sempre, in ogni attimo
della sua vita. Aveva dei doveri, degli impegni a cui non si sarebbe
mai sottratta.
Si sedette
stancamente sul letto e accarezzò con le dita la stoffa.
Avrebbe solo voluto tenerla lì con lui per tutto il giorno e
non pensare a ciò che sarebbe seguito, alla missione che gli
era stata data da Odino stesso, alla speranza che riservavano in lui.
E se avesse
fallito? Se arrivato lì non fosse riuscito nel suo compito?
Odino aveva
parlato di guerra, Odino parlava di guerra con gli occhi di chi ne
aveva visto ogni lato, con lo stesso sguardo che Steve vedeva ogni
mattina quando si guardava allo specchio.
“Qualunque sia il prezzo da
pagare...”
Al
rimembrare le sue parole e la sua voce, sentì nuovamente
quel brivido.
Fu scosso
dal suo pensare solo nel momento in cui qualcuno bussò alla
sua porta.
Attese un
secondo tocco e poi cercò con lo sguardo il resto dei suoi
vestiti.
«Un
attimo!» disse infilandosi i jeans e poi la t-shirt.
«Arrivo!» Nel caso fosse stato proprio Odino, non
Sarebbe stato opportuno aprire in mutande.
Quando
arrivò alla porta e afferrò la maniglia si
trovò davanti non il padre di Thor, ma un ragazzino con un
vassoio fra le mani.
«Capitano
Rogers» lo salutò quest'ultimo chinando umilmente
il capo e tenendo sempre lo sguardo basso disse ancora: «Sono
Jóel, e mi hanno comandato di portarvi la colazione,
Capitano Rogers.»
Steve si
sentì a disagio per quel comportamento così
servile.
«Oh,
grazie...» sospirò grattandosi la nuca e aprendo
subito dopo la porta. «Prego, entra.» Lo
invitò gentilmente e il ragazzo entrò.
Raggiunse
silente un tavolo e vi poggiò il vassoio. Poi si
voltò tenendo le mani congiunte sul davanti e sempre lo
sguardo al pavimento.
«Mi
è stato detto di chiedervi se necessitate di indumenti
freschi.»
A quella
domanda indiretta si ritrovò ad arrossire, in effetti non
aveva pensato di portare dietro un cambio o altro, credendo forse che
il tutto si sarebbe risolto nel giro di un paio di ore. Era stato poco
previdente.
Si
guardò indosso e poi guardò il giovane.
«Credo
di essere apposto così» rifiutò con
leggero impaccio e Jóel fece un cenno del capo.
«Come
desiderate. Se c'è bisogno che faccia qualcosa per voi, mio
signore, comandate pure.»
«Cosa?
No, no non c'è nulla. Davvero. Grazie,
Jóel.»
Comandate? Mio signore?
Come si
poteva vivere in un posto simile?
Ripensò
a Linn, a come l'aveva conosciuta, a come gli era sembrato insolito e
sgradevole l'essere oggetto di una simile riverenza. Non poteva
accettare che avesse vissuto tutti quegli anni con il capo chino, a
chiedere di essere comandata, a ringraziare per ognuno di quegli ordini.
Guardò
con rabbia quel vassoio che il giovane gli aveva portato e quasi ebbe
l'istinto di chiedergli cortesemente di portarlo via.
Ma non
poteva offendere così il suo lavoro, la sua stessa persona.
Lo
ringraziò ancora e gli disse che era stato gentile a
portargli la colazione.
Jóel
alzò il capo con un sorriso timido. «È
stato un piacere, Capitano Rogers.»
«Steve,»
lo corresse amichevole. «Chiamami Steve, ok?»
Il ragazzo
sembrò confuso da quella richiesta ma accettò con
un altro sorriso.
Lo
accompagnò fino alla porta ma prima di varcarla il giovane
tirò fuori da una tasca un piccolo biglietto piegato.
«Da
parte di Linn.»
Steve
abbassò lo sguardo sul foglio e poi lo prese.
«Grazie
mille.»
Jóel
chinò il capo stavolta con meno umiltà e sincera
gratitudine e poi uscì.
Il capitano
accompagnò la porta con la mano ma tutta la sua attenzione
era sempre per quel biglietto.
Lo
aprì passeggiando verso il tavolo e sorrise nello scorgere
la calligrafia elegante di Linn.
“Mio Capitano, perdonami per
essere andata via prima del tuo risveglio...”
Già
le prime parole gli provocarono un'ondata di calore, già
leggere quel Mio Capitano scritto di nero sulla pallida carta.
Steve
continuò a leggere raccogliendo distrattamente della frutta
dal vassoio che gli era stato portato.
Linn diceva
che era dovuta andare via perché la sua regina aveva bisogno
di lei, non c'erano dettagli in merito, e poi continuava:
“Quando i raggi colpiranno la
torre a sud del palazzo, io sarò nei giardini reali. Chiedi
pure a Jóel di condurti lì. Aspetterò
con ansia di vederti giungere.
Eternamente tua, Linn.”
Sorrise
dolcemente guardando ogni singola morbida curva delle lettere e poi
avvicinò al viso il foglio di carta, quasi potesse sentire
il suo profumo.
*
Frigga le
aveva fatto visita nella mattinata per informarla di ciò che
era stato deciso in merito al coinvolgimento di Steve. Non si era
sorpresa del suo consenso, né del giudizio positivo che sua
madre aveva avuto di lui.
Un giovane
pieno di spirito e giuste convinzioni, così lo aveva
descritto.
Sigyn aveva
sorriso ritrovando nelle parole di Frigga davvero un ritratto onesto
del suo buon amico.
“Puoi passeggiare con me nei
giardini, se vuoi. Non ti è proibito.”
Ma aveva
rifiutato il gentile invito di sua madre. Il suo cuore non aveva luce
né calore da poter essere una buona compagnia.
Le aveva
baciato il dorso della mano e le aveva detto che sarebbe rimasta nella
sua stanza a rispettare i voleri di suo padre.
Era una
comoda scusante, era una codarda soluzione a tutto.
Quando
Frigga era uscita chiudendosi la porta alle spalle, Sigyn era scivolata
nuovamente nella sua malinconia, aveva cancellato ogni sorriso ed era
tornata a tormentarsi con sensi di colpa. Ed erano così
tanti che quasi le sembrava di soffocare.
Non
riusciva a restare a letto senza sentire freddo sulla pelle, non
riusciva a guardare il grande specchio senza provare desiderio di
infrangerlo, non riusciva a toccare le sue armi, sparse per la stanza,
senza avvertire la voglia di urlare di rabbia.
Uscì
da quella camera e fece l'unica cosa che le dava un po' di sollievo:
raggiunse la porta vicina e la spinse. Attraversò la stanza
in ombra con una sottile coltre di polvere e arrivò alla
balconata. Ne tirò le tende e lasciò che Asgard
si versasse nei suoi occhi. La guardava e si diceva che doveva fare in
modo di salvarla, di salvare ogni singolo uomo giusto che l'abitava.
Era per Asgard che non avrebbe ceduto, per la sua casa.
Ne
accarezzava i profili con lo sguardo, i tetti delle case e le morbide
curve delle colline. Ispirava l'odore dei mille fiori che l'adornavano
e ascoltava il canto degli uccelli così dolcemente ignari di
ciò che stava accadendo. Spiegavano le loro ali e potevano
volare via da tutto, in alto, lontano, fino a raggiungere il
più azzurro dei cieli e i raggi più caldi di ogni
stella.
Sfiorò
con le dita il parapetto ricordando quando si sedeva con le gambe verso
il vuoto, con Loki che diceva di stare attento, che se fosse caduto,
Padre si sarebbe arrabbiato con lui.
“Se vuoi gettarti da un balcone,
usa quello della tua stanza!” Gli consigliava
con il suo tono di bambino troppo intelligente per la sua
età. Thor rideva e calciava l'aria stringendo i pugni sulla
pietra.
“Il tuo ha una vista migliore,
fratellino.” Lasciava che il vento gli soffiasse
via i capelli dalla fronte e aspettava che Loki lo affiancasse
poggiando i gomiti accanto a lui.
“Non è ciò
che vedi, Thor, ma come lo vedi.” Diceva, e Thor
non capiva. Non capiva la sua espressione, l'ombra nei suoi occhi. Per
anni, secoli, Thor non aveva capito.
Adesso
capiva, adesso che era troppo tardi.
Portò
lo sguardo al verde dei giardini, dove sua madre stava passeggiando.
Poteva scorgerne le bionde chiome e le balze morbide delle vesti.
Saperla baciata dal sole e nella compagnia silente dei suoi amati
fiori, le acquietava un po' il cuore.
Sorrise e
la guardò accarezzare con la punta delle dita la foglia
umida di una pianta, avvicinare il viso per sentirne il profumo.
Loki amava
guardarla, Loki restava ore su quella balconata con un libro sulle
ginocchia e un sorriso sulle labbra quando la vedeva passeggiare.
“Fratello! Vieni giù a
prendere aria, altrimenti ammuffirai come i tuoi libri!”
Thor gli urlava dal basso, con una risata divertita e la compagnia dei
suoi amici più fedeli e Loki lo ignorava, tornava a leggere
e non sorrideva più.
Si
passò una mano sul viso.
Quanto
stupido era stato, quanto male gli aveva fatto senza accorgersene... e
ora avrebbe solo voluto che fosse lì, accanto, a guardare
nella stessa direzione.
ஐஐஐ
Pepper provò a
fermarla fisicamente, trattenendola per un polso, ma seppure aveva una
struttura ossea minuta, Jane sembrava possedere la forza di un
culturista. Di certo era merito dell'adrenalina che le stava scorrendo
nelle vene.
«Non
è per niente una buona idea, credimi!» le
consigliò.
Jane
però strattonò il braccio dalla sua presa e la
guardò risoluta.
«Non
tenterò di strangolarlo. Voglio solo parlargli.»
«Hai
visto com'è andata a finire ieri? Quello è una
serpe, dirà qualsiasi cosa per farti del male e tu non devi
dargli volutamente questa soddisfazione.»
«Stavolta
non riuscirà a farmi nulla, Pep. Voglio solo che mi guardi
in faccia e mi risponda.»
Pepper
aveva dovuto tenere sotto stretta sorveglianza Jane da quando Nick
aveva deciso di utilizzare la cella anti-Hulk della Tower come
momentaneo alloggio per Loki. Senza poteri era comunque abbastanza
innocuo da poter essere chiuso in una comune prigione, ma forse Nick
sapeva che nessuno avrebbe avuto più volontà
è caparbietà nel tenerlo dentro dei Vendicatori,
Tony in primis, dal momento che aveva tirato loro più di un
tiro mancino.
Ma che Jane
adesso se ne andasse a parlare con lui... no, era proprio una pessima
idea.
«Sono
finiti i tempi dei dubbi, adesso voglio le risposte a tutte le domande
che mi hanno ossessionato nell'ultima settimana. So che è
una serpe, so che è perfido e gode nel fare del male,
soprattutto nel farlo a me, ma so anche che conosce quelle
risposte.»
Pepper
riuscì solo a lasciar andare un breve sospiro.
«Jane,
le risposte che cerchi devi averle da Thor non da lui... Cerca di
capirlo: prenderà la verità e la
plasmerà fino a che non sarà solo un'arma da
usare contro di te, e contro di Thor.»
Ma non
c'era incertezza negli occhi di Jane, non c'era nulla che facesse
intuire che avrebbe dato retta alle sue parole.
«Sono
pronta ad ascoltarla, Pepper.»
E non c'era
niente che avrebbe potuto fare per impedirglielo.
*
Se ne stava
sdraiato a guardare il soffitto bianco, con quella odiosa luce rossa
che si accendeva e spegneva a intermittenza. Non aveva detto una
parola, né fatto alcun gesto per dare reale soddisfazione a
quei terrestri. In vero, non aveva neanche nulla che volesse realmente
fare, a parte staccare a ognuno di loro la testa dal collo. Ma quello
sarebbe venuto un giorno, con il tempo...
Un braccio
piegato dietro la testa e le caviglie intrecciate. Avrebbe potuto
chiudere gli occhi e sarebbe sembrato assopito, ma Loki non aveva
interesse a celare la sua veglia.
Sentì
poi dei passi, i primi da quando aveva veduto Stark l'ultima volta.
Non
alzò il capo e aspetto che i passi si arrestassero davanti
alla vetrata.
«Secondo
i miei esami anche il tuo organismo necessita di cibo,
quindi...»
Voltò
solo la testa e incrociò il viso di Banner, fra le mani un
vassoio con un piatto.
Sorrise.
«Allora
entra. Questa è la tua cella, suppongo»
affermò con leggerezza mettendosi a sedere.
Banner
però era bravo a tenere per sé le sue reazioni,
il che era paradossale.
«Confido
che non cercherai di attaccarmi alle spalle, non sarebbe una scelta
consigliata.» Gli raccomandò soltanto mentre una
porta di vetro si spostò sulla sinistra permettendogli il
passaggio. Loki seguì i suoi passi finché non
poggiò il vassoio sull'unico spoglio tavolo di fronte alla
branda. Gettò un occhio alla porta ancora aperta ma non
tentò di fare nulla. Lasciò che Banner uscisse e
che il vetro si richiudesse tornando un tutt'uno con la parete.
Tornò
quindi a stendersi spalle al sottile materasso, ignorando il piatto.
«Sei
stato elevato allo status di servo, Banner? Un bel passo avanti per un
mostro.»
«Loki,
lo sai che con me questi giochi non funzionano.»
Ridacchiò
sommessamente alla sua replica inarcando un po' di più il
collo per guardarlo. Se ne stava con le braccia piegate sul petto,
nella sua classica posizione ricurva e sulla difensiva, con l'aria di
chi tiene sott'occhio ogni via di fuga.
Era di
certo colui con il potere maggiori in quella banda. Da solo avrebbe
potuto annientare uno per uno ognuno dei suoi compagni, avrebbe potuto
conquistare interamente quel piccolo mondo e invece... invece fuggiva
dalla sua forza, quasi fosse una vergogna. Loki lo chiamava mostro, ma
in realtà non l'aveva mai considerato tale. Hulk era una
creatura straordinaria che avrebbe potuto essere un valido alleato se
solo si fossero incontrati in circostanze diverse. Ma Banner lo
soffocava, lo teneva rinchiuso nel suo piccolo cuore di uomo
spaventato. Un uomo così intelligente e al contempo stupido
come pochi.
«E
se un giorno non riuscissi a governarlo?... Ci hai mai
pensato?» chiese senza sorrisi, senza tono canzonatorio, ma
con semplice e naturale curiosità.
Banner non
rispose e lui si tirò nuovamente a sedere.
«Potresti
distruggere tutto e tutti, le tue mani gronderebbero il sangue dei tuoi
stessi amici e tu non potresti fare nulla.»
«Mi
stai chiedendo cosa farei se mi ritrovassi nella tua posizione? Se
perdessi tutto ciò a cui tengo perché non sono
riuscito a controllarmi?»
A
quell'insinuazione sentì un fremito fastidioso allo stomaco
e il suo sguardo sul viso di Banner si indurì.
«Io
ho fatto le scelte che ho fatto con la volontà di farle,
Banner. Non sono vittima di istinti che non riesco a
governare.»
Il
terrestre piegò le labbra in un sorriso.
«Ma
l'amore è il più grande degli istinti privi di
controllo. Sbaglio?»
Sorrise a
sua volta scuotendo il capo.
Impertinente...
eppure nel giusto.
«Mi
consideri un debole che cede ai sentimenti? Oh, non sai quanto ti
sbagli.» Ma Banner non parve credere alla sua menzogna,
perché chi custodisce una bestia dentro ne riconosce sempre
i riflessi negli occhi di un altro.
«Anche
il dolore è un sentimento, anche la rabbia e la delusione,
anche il desiderio di vendetta lo è... perciò
sì, ti considero tanto debole da cedere a ognuno di essi, ma
se vuoi farmi credere che erano loro a guidare le tue azioni... Beh, mi
spiace ma non ci riuscirai.»
«Io
volevo solo umiliare e distruggere Thor ed è ciò
che ho fatto!» affermò scattando in piedi.
«Potete portarlo indietro, potete fermare Styrkárr
e Amora e ogni altra minaccia, ma sono io ad aver vinto stavolta e voi
lo sapete.» Sorrise in maniera sinistra avvicinandosi alla
parete trasparente che li divideva. «Thor non è
più niente, né un dio, né un eroe...
È ciò che è sempre stato, che io ho
sempre visto ma che l'universo, cieco e stolto, si rifiutava di vedere:
una bugia.»
«Una
bugia?»
Rise.
«Sì,
una menzogna. Il suo coraggio, il suo valore, la sua perfezione...
Nulla di più falso e io, che ne sono il Signore, ho portato
finalmente alla luce la più sordida di ogni menzogna. Il
principe d'oro si è infranto fra le mie mani e
ciò che ne resta adesso, è solo
polvere.» Sorrise ancora, sentendosi soffocare da ognuna di
quelle parole che aveva pronunciato con fredda convinzione, con veleno
e soddisfazione, sentendo solo la voglia di urlare al cielo.
«È
questo quello che pensi?»
La voce che
giunse a porre quella domanda non era quella di Banner, era una voce
più sottile, più lontana che però
divenne vicina nel momento in cui Loki scorse il viso di Jane.
«Jane,
non dovresti essere qui.» Le disse il dottore, ma lei lo
ignorò e lo affiancò guardando Loki dritto in
viso, e sul quel viso un sorriso crudele non era ancora andato via.
«Vuoi
darmi un altro schiaffo, dottoressa? Perché stavolta mi
sembra un'impresa un po' più ostica»
mormorò ironico sfiorando il vetro con la punta delle dita.
«Pensi
di aver distrutto Thor? Sul serio?» Adesso un sorriso piegava
anche le sue piccole labbra e Loki si costrinse a non far sfiorire il
suo. «Thor non era perfetto, non è perfetto e
nessuno di noi lo ha mai ritenuto tale. Pensi di aver compromesso
l'affetto dei suoi amici? Dei suoi genitori? Il loro rispetto? Beh, ti
sbagli, perché tutti stanno lottando per lui e tutti
lotteranno sempre per Thor.»
Proruppe in
una risata stridula accentuandola volutamente.
«Oh,
piccola sciocca umana, non sai cosa stai dicendo. La guerra che si sta
per consumare ha ragioni che esulano quell'idiota, e nel momento in cui
tornerà non avrà più niente. Gli ho
tolto tutto. Tutto!»
«Avrà
me!» affermò quindi Jane con impeto e Loki
sentì di voler frantumare all'istante quella parete per
fracassare la sua testa fra le mani. «Io sarò qui
e lui lo sa, e tornerà da me.»
Si
avvicinò ulteriormente al vetro appannandone quasi la
superficie con il fiato.
«Non
sarà mai tuo...»
«Lo
è già.»
Sorrise,
fra il disperato e il divertito.
«No,
non lo è mai stato. Il suo cuore mi appartiene e mi
apparterrà sempre, perché io l'ho ferito e
colpito, io l'ho fatto sanguinare nei più crudeli modi. Quel
cuore è mio perché nessuno potrà mai
cancellare il dolore che gli ho causato e che lui ha causato a me...
Credi di conoscere l'amore, Jane? Se non conosci la disperazione che
esso provoca allora non ne sai nulla.»
Si
allontanò dal vetro lentamente, con lo sguardo incatenato al
suo, a scambiare la stessa rabbia e la stessa sofferenza. Tanto simili
eppure mai più distanti.
«Jane,
adesso andiamo.» Banner provò a portarla via ma
lei rimase contro quella parete, così piccola e al contempo
così sicura.
«No,
Bruce, vai tu. Io voglio ancora scambiare due parole con lui.»
«Cos'altro
vuoi sentirti dire, Jane? Che tutto ciò che faceva a letto
con te lo ha appreso da me?» Rise crudelmente ma Jane
mostrò un'invidiabile freddezza.
«Credi
davvero che mi disturbi pensare che siete stati a letto
insieme?» Gli rispose a tono. «Quello che davvero
mi disturba è che tu abbia gettato via il suo amore e la sua
fiducia, che abbia calpestato i suoi sentimenti solo perché
sei un bambino arrabbiato.»
Loki
forzò il suo sorriso sebbene la rabbia inacidisse il suo
stomaco.
«Attenta
alle parole che escono da quella bocca, perché questo vetro
potrebbe non bastare.»
«E
tu attento a quelle che escono dalla tua perché ormai hanno
perso di significato. Tu hai perso di significato, Loki.»
La
guardò a lungo, silente e sciolse ogni sorriso
perché in fondo cosa ne poteva sapere quella piccola donna
della profondità del suo tormento e di quello che avevano
diviso con Thor? Erano solo gocce di verità quelle di cui
disponevano gli altri. Ciò che era stato ciò che
era ancora, solo lui poteva saperlo; il male che ancora sentiva
tagliargli la carne, solo Loki poteva percepirlo.
«Quando
tornerà, se sei così convinta che lo
farà, chiedigli di Hela,» disse con un filo di
voce, senza maschere. «Chiedigli del suo significato, Jane
Foster, e chiedigli se lo ha mai perso.»
Voltò
le spalle e tornò alla sua branda, udì ancora
voci, ancora Banner che la spingeva ad andare via, e lei che si
opponeva.
Poi furono passi, poi fu di nuovo silenzio. Poi fu di nuovo solo dolore.
***
Note:
[1] Scofield,
riferimento a Michael Scofield, protagonista del telefilm
Prison Break.
[Wikipedia]
[2] GTA 5
è ovviamente è il famoso videogioco della Rockstar Games. [Wikipedia]
NdA.
Un altro giorno è trascorso. Steve cerca di godersi il suo
soggiorno asgardiano, con l'aiuto di Linn, Sigyn inizia a sentire la
mancanza di suo fratello e quest'ultimo è bullizzato dalla
qualunque. Possiamo dire che è la classica situazione di
preguerra, ecco XDDD
Scherzi a parte siamo davvero davvero agli sgoccioli. Sto scrivendo in
questi giorni gli ultimissimi capitoli e posso dire con quasi certezza
che la storia si concluderà con il 35. Cifra tonda, yes ^^
Wow... sarà la mia storia più lunga di sempre!
Alla prossima con l'ultimo capitolo di “pace.”
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 31 *** La storia di un principe dimenticato ***
cap31
L' ultima lacrima
XXXI.
Era
in ritardo e lo sapeva. Aveva atteso così a lungo per quel
dannato raggio e adesso era in ritardo perché aveva deciso
bene
di non chiedere a nessuno dove si trovassero i giardini.
Sono giardini, saranno
all'esterno.
Ciò
che aveva dimenticato era che per uscire da quel palazzo-labirinto ci
voleva una mappa o meglio un radar.
Così
il capitano Steve
Rogers aveva girovagato per quella che era stata di certo una buona
mezz'ora per poi finire con il trovarsi nelle cucine, sotto lo sguardo
curioso dei cuochi e quello ancora più curioso delle altre
ancelle.
«Salve!»
salutò educatamente sollevando una mano. «Io...
ehm,
cercavo l'uscita. Cioè, cercavo i giardini reali.»
Giustificò la sua presenza lì ma nessuno fece una
sola
domanda; nel mentre una povera oca stava scappando via e venne subito
acciuffata da un ragazzino.
«Presa!»
urlò gettandosi a peso morto sull'animale e facendolo urlare
forse di paura, forse di dolore.
«Ragazzo?»
Si
sentì chiamare da un uomo robusto, con un grembiule bianco a
coprire la pancia e una mannaia fra le mani. «I giardini sono
per
di là, alla fine del corridoio e dopo la
scalinata.» Gli
indicò la direzione con la lama e poi la fece schiantare
duramente sul tagliere. «Spero tu abbia un buon motivo per
stare
lì: gli stallieri non possono andarsene in giro come gli
pare.
Lo sai, vero?»
Capì
a quel punto che
lo aveva scambiato per uno stalliere, forse sarà stato per
l'abbigliamento modesto o per l'aria trafelata che indossava, di certo
Steve fu più felice di quella svolta che ritrovarsi davanti
l'ennesimo inchino.
«Oh,
grazie. Lo
terrò presente» rispose con gentilezza guardando
un'ultima
volta la vita caotica della cucina.
Imboccò
quindi la
direzione indicatagli, sperando fosse giusta, e al termine del
corridoio vide una discesa di una trentina se non più di
scalini
di marmo. Li saltò con rapidità per scoprire se
le
indicazioni erano state corrette, e varcata la grande porta si
ritrovò sotto il sole cocente di Asgard. Non
riuscì a non
sorridere, ma il sorriso si spense presto, quando scoprì che
quei giardini erano ancora più intricati dei corridoi.
*
«Linn?
Tutto bene?»
All'udire
la voce della sua regina, Linn annuì e chinò il
capo.
«Sì,
mia regina» rispose.
Si era
distratta per guardarsi
intorno, alla ricerca di Steve. Era ormai trascorso del tempo da quando
gli aveva dato appuntamento eppure non riusciva a scorgerlo. Forse era
stato trattenuto dal Grande Padre, forse da altri impegni. Era stato
sciocco pensare di poterlo incontrare con tale facilità,
quasi
dimenticava che se Steve era lì ad Asgard era per questioni
di
elevata importanza.
Continuò
a passeggiare alle spalle della sua regina, a seguirne i passi leggeri
e ad accompagnare il silenzio con il suo.
«Sai
come si chiama
questo fiore, Linn?» le chiese poi la regina Frigga
interrompendo
il suo lungo tacere. Linn guardò le sue mani che stringevano
un
fiore dal colore ceruleo, grande quanto il suo palmo, con una corolla
composta da sottilissimi petali, quasi fossero aghi di ghiaccio.
«No,
mia regina» rispose con sincerità.
La regina
sorrideva guardano il fiore, ma era un sorriso privo di gioia.
«Bacio
d'Inverno.»
«È
un nome appropriato, mia regina.»
La regina
annuì in accordo.
«È
vero, sembra
quasi una rosa di ghiaccio, non trovi? Eppure ti sorprenderà
sapere che nasce solo in primavera. I suoi petali diventano d'argento
durante la calura estiva, e sono bellissimi, Linn. Ma al primo vento
dell'autunno essi cadono, uno dopo l'altro... E d'inverno, di questo
bel fiore non resta nulla, solo l'attesa di vederlo sbocciare
ancora.»
Linn
guardò a lungo il fiore tenuto nella mano della regina e
sentì tanta profonda tristezza.
«Nessuna
creatura è fatta per vivere nel gelo, neanche chi ne
racconta l'eco.»
Alle sue
parole la regina si voltò a guardarla e i suoi occhi erano
lucidi tanto da sciogliere anche i suoi.
Ma nessuna
lacrima cadde, la
regina le accarezzò il viso e riprese il passo
finché non
giunsero ai piedi di una fontana, di quella fontana, che tanto adesso
significava.
La regina
Frigga guardò insù, verso il viso di pietra della
statua, e intrecciò le mani sul ventre.
«Quando
ero in attesa di
Thor, le curatrici mi dissero che sarebbe stata una bambina.»
Poi
la guardò e le sorrise. «Non l'ho mai detto a
nessuno,
neanche al mio sposo.»
«Mia
regina...» sospirò l'ancella quando la sua sovrana
le fece quella preziosa confidenza.
Ma Lady
Frigga raggiunse la statua sedendosi sul bordo, e fece
scorrere le pallide dita nell'acqua, increspandola appena.
«Una
bambina come
primogenito non sarebbe stato di certo di buon auspicio, ma io ero
felice e sapevo che quando Odino l'avrebbe avuta fra le braccia lo
sarebbe stato a sua volta... Non puoi immaginare quindi la mia sorpresa
quando poi nacque il principe.» Ci fu un sorriso e una debole
dolce risata. «Avevo accarezzato ormai l'idea di avere una
bambina, l'avevo disegnata nei miei pensieri. Il colore dei suoi occhi,
il profumo che avrebbero avuto i suoi capelli, la grazia che avrebbe
indossato... era viva, era sempre stata viva nei miei occhi eppure,
d'improvviso, non c'era più.»
Linn
sentì il cuore
battere a ogni parola, a ogni goccia che scivolava via dalle sue dita,
a ogni pallido sorriso che piegava le sue labbra.
«Ma
quando ho stretto
Thor al seno la prima volta l'ho amato come amavo quella bambina.
Perché un figlio è amore, Linn, sempre... Li ami
sempre,
qualsiasi aspetto abbiano, qualsiasi animo abbiano... Anche se non sono
nati dal tuo ventre. Un figlio è parte di te dal momento che
entra nel tuo cuore.»
Non disse
nulla,
ascoltò il silenzio che ne seguì, il riverbero di
quella
confessione mai data, di quel dolore di madre. Lei, che una madre non
l'aveva mai neanche sognata.
*
Non fu
facile, ma alla fine,
dopo aver sudato come non ricordava di aver mai fatto prima neanche nei
deserti percorsi nella sua guerra, Steve riuscì a trovarla.
Linn
era accanto alla madre di Thor, nei pressi di quella che sembrava una
fontana.
Si
sistemò alla meno peggio i capelli per non dare
un'impressione ancora più disordinata alla regina.
Ma forse
non era un buon
momento per presentarsi lì. Forse doveva attendere che
Frigga
andasse via; lo avrebbe fatto prima o poi, no?
E se invece
Linn avesse dovuto seguirla per via dei suoi doveri?
Aveva fatto
davvero troppo tardi e così aveva perso l'occasione di poter
stare con lei.
Sospirò
rallentando il
passo e sentendo una voce che gli rimproverava la sua mancanza di senso
del dovere. Era su Asgard per altri motivi, non per amoreggiare nei
giardini, eppure avrebbe solo voluto fare quest'ultimo per il resto
della sua permanenza.
Era nel bel
mezzo di una lotta
di coscienza quando si accorse dello sguardo di Linn e subito dopo di
quello della regina. Le due donne si parlarono e poi Linn le fece un
inchino e si mosse in direzione sua.
Quando lo
raggiunse Steve
gettò ancora un occhio a Frigga che era rimasta accanto a un
cespuglio con dei piccoli fiori arancioni.
«Steve,
sono felice di vederti.» Gli disse Linn con un sorriso, bella
come sempre.
«Ho
fatto tardi, lo so ma... I corridoi...» mormorò ma
lei rise e scosse la testa.
«Ti
avrei atteso fino al tramonto in ogni caso.»
Le
accarezzò il viso e si sporse per baciarla ma poi si
tirò indietro.
«Forse
non è appropriato?» le chiese dubbioso.
«In
effetti non lo
è, ma non preoccuparti.» Linn gli sorrise ancora e
poi si
voltò verso la regina. «La regina Frigga sta per
rientrare
e sarebbe gentile se le porgessi i tuoi saluti.»
«Oh,
certo.»
Accettò e la seguì finché non
raggiunsero la
donna. Non sapeva bene se dovesse inchinarsi o baciarle la mano o
magari fare un saluto militare.
Alla fine
optò per un sobrio e universale cenno del capo.
«Buongiorno.»
La salutò.
La vide
sorridere quasi divertita e si chiese se avesse detto qualcosa di
strano.
«Buongiorno,
Steve. Mi auguro che la stanza che ti abbiamo riservato sia stata di
tuo gradimento questa notte.»
Lo sguardo
saettò sul viso di Linn che però tenne il suo
calato sulle sue vesti.
«Sì,»
rispose quindi. «È molto accogliente.
Grazie.»
«Bene,
allora ti lascio
alla compagnia della nostra amabile Linn. Sono certa saprà
renderti più piacevole il soggiorno forzato nelle nostre
Terre.» E con quelle parole la regina si allontanò
elegantemente verso un sentiero di pietre affiancato da alti alberi.
Steve la
seguì con gli
occhi per un po' e poi tornò al viso di Linn che si era
inchinata per salutare la sua sovrana.
«Non
dovevo dirle buongiorno,
vero?» le chiese e lei rise prendendogli una mano.
«Non
ci si rivolge a un sovrano senza un adeguato titolo,» gli
spiegò.
«“Buongiorno,
mia
regina” oppure “Vi porgo i miei saluti, regina
Frigga”, ma anche “Felice mattino,
Milady” può
essere accettato.»
«Ah
sì?» chiese ancora e Linn annuì.
«E
l'inchino, Steve.
Devi porgere un inchino quando saluti un membro della famiglia
reale.» Non c'era nota di rimprovero nella sua voce ma solo
divertimento, e Steve sospirò godendosi la sua dolce risata.
«La
prossima volta lo terrò a mente» promise e Linn
alzò il viso per guardarlo.
«È
bello averti
qui.» Gli confidò e Steve si chiese se fosse
ancora
inappropriato baciarla. La risposta non fu necessaria dal momento che
fu lei a poggiare le labbra sulle sue. «Solo
perché non
c'è nessuno nei paraggi...» soffiò
contro la sua
bocca e automaticamente Steve guardò intorno scorgendo in
effetti solo un uomo anziano che toglieva delle erbacce a metri di
distanza.
Prima che
però potesse approfittare della benevolenza della situazione
Linn lasciò andare la sua mano.
«Voglio
mostrati una
cosa,» gli disse mentre si voltava verso la fontana. Linn si
sedette poi sulla panca dirimpetto ma Steve resto in piedi a guardarla.
«Vedi la statua sulla fontana, Steve?»
Portò
lo sguardo sulla
raffigurazione e ne seguì la pregiata lavorazione: ritraeva
una
donna che in ginocchio sembrava pregare, con le mani giunte e i capelli
smossi dal vento.
«È
molto bella,» affermò con sincerità
apprezzando la raffinatezza dell'opera.
«Quando
sono triste e
pensierosa, vengo qui e la guardo, e mi fa stare meglio»
disse
Linn e Steve si voltò a guardarla. Sorrideva eppure c'era
della
pallida malinconia nei suoi occhi.
«Chi
è la donna che prega?» chiese e Linn
continuò a sorridere senza spostare gli occhi dalla statua.
«È
Sigyn»
rispose, e quella risposta lo confuse. Linn dovette capirlo.
«Non
la mia signora, ma il personaggio di una leggenda.» Gli
chiarì e a quel punto Steve tornò a osservare la
scultura.
«Una
leggenda...»
sussurrò debolmente mentre il viso della statua sembrava
riflettere il viso della Sigyn che aveva conosciuto lui, il cuore di
Thor.
«Vorresti
ascoltarla, capitano?»
Alla
domanda di Linn esitò ma poi annuì in silenzio
sedendosi accanto a lei.
«Mi
piacerebbe, Linn.»
E Linn
sembrò felice di quelle parole.
*
Anche se
era distante, anche se non poteva udire la sua voce, Sigyn sapeva bene
cosa stesse dicendo Linn.
L'aveva
scorta al fianco di
sua madre e poi aveva scorto Steve. Era stato strano vederlo
passeggiare per i giardini, nei suoi giardini, nei quali aveva corso da
bambino. Eppure era lì.
Steve aveva
salutato sua madre
e poi era restato con Linn, e Sigyn non era riuscita a non sorridere
quando li aveva visti baciarsi.
Non sapeva.
Linn non le aveva
detto del legame che era nato con Steve, ma non se ne sorprendeva. Il
cuore gentile di Linn poteva essere destinato solo a uno altrettanto
gentile come quello di Steve.
Aveva
provato un grande calore nel vedere i sorrisi sui loro visi, nel vedere
il sorriso di Steve seppur da lontano.
E poi li
aveva visti guardare
la fontana, la fontana doveva aveva trascorso tante ore fra pensieri e
rimpianti, fra ricordi e memorie.
Lì,
Linn aveva iniziato
a parlare e probabilmente a narrare la stessa leggenda che aveva
narrato per Thor per tanti anni, quando forse ignorava chi era stato un
tempo, quando forse lo aveva sempre saputo.
In
quell'istante pensò
a Loki, a dov'era adesso e come stava il suo animo così
fragile
che lei aveva soltanto ferito ancora.
Pensò
ai suoi compagni,
ai loro sguardi e alle loro parole. Pensò a Jane e si chiese
come stesse, cosa stesse facendo. Non aveva chiesto di lei a Linn la
sera prima, a Linn aveva chiesto solo di Loki.
Si accorse
in quel momento
quanto avesse sbagliato. Non avrebbe dovuto chiedergli di combattere
per amor suo, avrebbe dovuto chiedergli di combattere al suo fianco,
insieme, come due fratelli, come due riflessi dello stesso cielo.
Abbassò
il capo
lasciando che i capelli piovessero sul viso e strinse forte i denti per
inghiottire l'ennesimo grido di rabbia.
Quando
risollevò il viso con il cuore in tumulto, scorse ancora
Steve e Linn alla fontana.
Decise di
rientrare, aveva già rubato troppo del loro tempo insieme.
Attraversò
la stanza
senza guardare nulla, né il letto né il tavolo
con decine
di pergamene e libri, cercando di ignorare i ricordi che raccontavano.
Lasciò
così la camera di Loki ma quando raggiunse la maniglia della
sua si sentì soffocare.
Non
riuscì a spingerla né entrare.
Poteva
forse cercare sua madre per una parola di sollievo, o attendere il
ritorno di Linn o...
Era dunque
giunta a questo? Ad
aver bisogno di qualcun altro per non lasciarsi sopraffare dalle
emozioni? Così fragile e debole era ora il principe di
Asgard?
In un moto
di rabbia
iniziò a camminare con passo lesto per il corridoio, senza
curarsi del dove le sue gambe l'avessero condotta. Se avesse incontrato
suo padre sarebbe stato un bene comunque, avrebbe potuto mostrargli la
sua tenacia, la sua perseveranza. Se avesse incontrato Freyja le
avrebbe porto quel ringraziamento che non aveva ancora fatto. Freyja
l'aveva salvata per piegare Loki, certamente, eppure perché
negarsi di credere che c'era anche un'altra ragione? Quella ragione che
le rendeva simili, perché Freyja aveva condiviso con suo
fratello lo stesso amore che avevano condiviso loro, e sebbene per
Vanaheim non fosse illecito né motivo di scandalo, Sigyn
sapeva
che era forse l'unica che poteva comprenderla davvero. Se l'aveva
salvata era perché questo anche Freyja lo sapeva bene.
I passi
rallentarono fino ad
arrestarsi quando giunse davanti alla scalinata che conduceva nelle
segrete; due soldati posti a sorveglianza.
Ricordava
quando l'aveva
percorsa, con quale vergogna e colpa, ricordava anche un volto amico
che le aveva scaldato il freddo di quella cella. Sua madre le aveva
detto del prigioniero che aveva inveito contro le guardie
affinché l'aiutassero.
Enok...
Sigyn non
aveva dimenticato Enok, e anche a lui doveva un grazie.
*
Steve aveva
ascoltato la sua
storia, in silenzio. Linn aveva visto la sua gola sussultare e le
labbra trattenere domande, forse risposte.
Ma aveva
taciuto. Steve aveva
taciuto ogni parola finché non era giunta al termina della
leggenda che tanto le era cara, finché i suoi occhi non si
erano
inumiditi e lei non aveva ricacciato indietro l'emozione per
sorridergli.
Lui
osservava ancora la statua
e non diceva nulla, ascoltava il vento e i suoi pensieri, e Linn
più lo guardava più si rendeva conto di quanto a
fondo
era entrato nel suo cuore.
«Thor
veniva qui?» chiese poi spezzando il suo silenzio.
Linn
annuì.
«Spesso, e sedeva su questa panca,» rispose
accarezzando la
pietra con le dita e ricordando il suo volto triste.
«E
Loki?»
Alla
seconda domanda rialzò lo sguardo e sospirò.
«No,
il principe
passeggiava di rado fra i giardini dopo che...» Quando la sua
frase sfumò Steve la guardò e Linn si convinse
che non
gli avrebbe negato nessuna verità. «Dopo la
partenza di
Lady Sigyn, lui veniva sempre meno finché non smise di
passeggiare. Restava nelle sue stanze e alle volte era possibile
scorgerlo solo lì, dal suo balcone.» Gli indico la
direzione e Steve la seguì. Quel balcone vuoto da cui non si
affacciava più nessuno. «È sempre stato
un animo
solitario e amava trascorrere le giornate nella biblioteca.»
Sorrise nel ricordarsi quell'ormai lontana memoria, ma poi il sorriso
scivolò via al giungere delle altre. «Era mal
visto a
corte. Al suo passare aleggiavano sempre voci meschine e crudeli, e
nessuno osava difenderlo. Nessuno.»
«Neanche
Thor?»
Scoprì
Steve a guardarla e scosse la testa.
«No,
neanche il principe
Thor prendeva mai le difese di suo fratello. Ma non lo faceva per una
qualche volontaria cattiveria, lungi da me affermare una tale eresia.
La verità è che il principe Thor ha avuto sempre
fiducia
nella sua gente, nel suo popolo, perché tutti lo amavano, e
forse ha creduto per lungo tempo che la stessa sorte abbracciasse anche
suo fratello. Quando il principe tradì Asgard, nessuno se ne
sorprese davvero, nessuno a parte il principe Thor.»
Steve
restò in silenzio
a osservare un punto lontano del terreno e Linn si chiedeva quali
pensieri stessero attraversando la sua mente.
«Cosa
cerchi di dirmi, Linn?» le domandò con un fiato,
donandole ancora i suoi occhi di cielo.
«Non
voglio dipingerlo
per qualcuno che non è, Steve» rispose.
«Conosco i
suoi sbagli, tutti noi li conosciamo e nulla giustifica le azioni che
ha compiuto. Quello che cerco di dirti è solo un'altra parte
della storia, una parte che sembra non interessare a nessuno, ma so che
il tuo cuore gentile è capace di ascoltare.» Gli
prese le
mani e le strinse fra le sue.
«Che
altro dice questa storia?»
Alla sua
nuova domanda respirò a fondo e gli accarezzò il
dorso della calda mano.
«C'è
stato un
tempo in cui anche il più oscuro dei principi brillava, in
cui
nessuna ombra offuscava il suo sguardo né il suo cuore.
Asgard
questo lo sa.»
Steve
comprese e annuì anche se con aria pensierosa.
«Sigyn...»
mormorò e Linn tacque in consenso.
«Lei
lo rendeva migliore, lo rende migliore... E nessuno dei due lo ha mai
dimenticato.»
*
Sapeva che
non sarebbe mai
potuta scendere da sola, sapeva anche che suo padre non avrebbe dato
alcun permesso affinché le fosse concesso farlo.
Tentò
ugualmente:
chiese a una delle guardie di poter porgere visita ad un prigioniero e
le bastò dire un nome, il suo nome, affinché il
soldato
le facesse strada.
Odino le
aveva comandato di
non abbandonare il palazzo, sua madre diceva che poteva anche
passeggiare nei giardini. Chi era Sigyn adesso, che ruolo stesse
giocando agli occhi di Asgard, era però un vero mistero.
Cosa
aveva detto il Padre degli Dèi di quella ragazza prima
costretta
in catene e poi condotta nella sala della guarigione dalla regina in
persona?
Prima un
traditore, un criminale da condannare, poi qualcuno la cui salvezza era
stata invocata dalla sovrana Frigga.
Non sapeva
darsi risposta, non aveva neanche reale voglia di conoscerla.
Scese la
tortuosa scalinata
seguendo il giovane in armatura che le faceva strada e, giunta al
termine, si trovarono dinanzi uno dei bruti carcerieri.
«Chi
si rivede...»
mormorò l'uomo con un ghigno, incrociando le braccia sul
petto
nudo. Non aveva memoria di costui, eppure lui sembrava averne.
«Che ci fai di nuovo qui, bel fiore?»
«Sono
qui per far visita
a un prigioniero. So che ne ho diritto,» affermò
seppure
con qualche incertezza nel petto. No, non aveva in realtà
alcun
diritto ma il soldato che l'aveva scortata non obiettò.
Riconobbe il suo viso fra quelli che avevano condotto Loki alla Sala
del Consiglio.
«Lascia
libero il
passaggio,» comandò poi la guardia con tono duro e
il
carceriere sorrise in maniera ironica per poi mostrar loro la via.
«Da
questa parte» li invitò.
Sigyn prese
il passo e lo seguì.
Le immagini
non erano
ovviamente mutate, c'erano sempre piccole fredde celle, volti
sofferenti e aria maleodorante, c'erano sempre urla che giungevano da
lontano e risate sadiche ad accompagnarle.
«È
stato un
peccato che la tua permanenza qui sia durata così
poco.»
Udì mormorare al carceriere mentre camminavano nei corridoi.
Poi
i suoi occhi chiari furono sul suo viso insieme a un altro sorriso
fastidioso. «Ci saremmo divertiti.»
Non ebbe
neanche il tempo per afferrarlo per il collo ché la guardia
lo spintonò contro il muro con la sua lancia.
«Sta'
al tuo posto.» Lo minacciò premendo l'acciaio
contro il suo petto nudo.
Una smorfia
sofferente fiorì al posto di quel sorriso mentre l'uomo
annuiva controvoglia.
Non amava
che giungesse
chicchessia a sua difesa e, anzi, il gesto della guardia quasi la
indispettì, ma non poteva di certo rimproverargli nulla. Gli
fece solo un cenno del capo e la lancia tornò a toccare il
pavimento di pietra, lasciando un segno rosso sulla pelle del
carceriere.
Non ci
furono più
sguardi lascivi né squallide allusioni, e in breve giunsero
nel
corridoio che accoglieva quella che era stata la sua cella e, di
fronte, quella di Enok.
Si
fermò e guardò la guardia reale.
«Puoi
restare
qui.» La invitò e lanciò solo
un'occhiata gelida al
carceriere che le dedicò stavolta solo occhi di rabbia.
La guardia
assentì in
accordo e si assicurò che anche l'uomo che li aveva
accompagnati
rispettasse la sua volontà restando a dovuta distanza.
Sigyn si
avvicinò
così alla segreta di Enok e dedicò uno sguardo a
quella
frontale, in quel momento priva di occupanti. Tornò da Enok
che
era a terra, coperto con quella vecchia stoffa, raggomitolato su un
fianco. Forse stava dormendo, o forse fingeva di farlo.
«Enok?»
Lo
chiamò con voce bassa ma quando non ricevette risposta si
inginocchiò accanto alle grate e tornò a chiamare
il suo
nome. «Mio buon amico, sei sveglio?»
Fu prima un
brusio poi
finalmente la coperta scivolò via dalla testa rivelando un
volto
ferito, come Sigyn non lo ricordava.
«Sigyn?»
La
riconobbe immediatamente e le sorrise mettendosi a sedere. Lei non
riuscì a ricambiare quel sorriso mentre percorreva con lo
sguardo i lividi sul suo corpo: il labbro ferito e lo zigomo spaccato,
l'intero occhio destro tumefatto e talmente gonfio da impedirgli di
aprire la palpebra.
«Cosa
ti hanno
fatto?» gli chiese urgente ma Enok continuò a
sorridere
avvicinandosi carponi alla grata che li divideva. Sigyn vide altre
ferite e dal modo in cui si trascinava, probabilmente aveva anche
qualche frattura alle gambe.
«Sono
cose che capitano
qui sotto. Hai dimenticato?» le sospirò con voce
roca.
«Piuttosto tu... sono felice di vederti bene. Temevo ti fosse
accaduto il peggio.»
Sigyn non
si trattenne dall'infilare un braccio nella cella per posarlo
gentilmente contro la sua spalla.
«Sto
bene, amico mio, e
sono qui per dirti grazie per ciò che hai fatto,»
gli
disse sentendo lo stomaco contorcersi dalla rabbia per lo stato in cui
versava quell'uomo. Lo aveva conosciuto solo qualche ora eppure tanto
era bastato per avvicinarlo al suo affetto. «Sarei dovuta
venire
prima, lo so, e mi rammarico di non aver portato con me qualche pietra
guaritrice per curare le tue ferite.»
«Sarebbe
stato un buon
modo per tornare qui dentro. Non si può portare nulla che
allevii le condizioni di noi feccia in catene.» Sul viso di
Enok
ancora un sorriso, nelle sue parole solo tanta triste verità.
Si
sentì impotente ancora una volta, si sentì in
colpa ancora una volta.
«È
a causa mia,
vero? Ti hanno percosso perché hai cercato di
aiutarmi?»
Gli chiese avvertendo la magra mano di Enok posarsi su quella che
teneva poggiata contro la sua spalla.
«Trovano
sempre un motivo per farlo, raggio di sole.»
Scosse il
capo chiedendosi come poteva permettere che accadessero simili barbarie
nella sua stessa casa.
«Mi
ricordo di te,
sai?» A quell'affermazione lo guardò confusa ed
Enok
sorrise lasciando scivolare via la sua mano cosicché Sigyn
potesse portarla contro una delle barre di metallo. «Quando
mi
hai confidato il tuo nome mi sembrava di averlo già udito,
ma
credevo che i miei ricordi si confondessero con quella sciocca
leggenda.»
Sigyn
deglutì attendendo che lui continuasse.
«Poi
ho visto la regina
scendere qui e a quel punto mi è tornato in mente.
È
accaduto tanto tempo fa, io ero ancora una recluta che si allenava nei
campi a nord quando ti vidi cavalcare.»
«Mi
hai vista cavalcare?» chiese incerta e lui rise con qualche
colpo di tosse.
«Sì,
su un
magnifico stallone bianco, e il giorno dopo tutte le reclute guardavano
nella stessa direzione per vederti, perché nessuno credeva
alla
tua esistenza, nessuno credeva alla bella fanciulla che aveva rapito il
cuore del più nero dei principi.» Sentì
un tuffo al
cuore e sospirò abbassando il capo. «Ora capisco
di quale
crimine parlavi: amare un traditore di Asgard deve essere peggio che
esserlo.»
«Enok...»
«Se
avessi saputo chi
eri forse non avrei detto ciò che ho detto, questo non
toglie
che lo pensi però,» disse poi lui riferendosi al
modo con
cui aveva parlato di Loki. Ma Sigyn non gliene faceva una colpa e ne
apprezzò invece l'onestà.
Sollevò
poi lo sguardo nel suo.
«Sei
un uomo buono,
Enok,» affermò sincera. «Perdona se ho
giudicato le
tue scelte prima di sapere.»
«Ti
perdono se mi doni un sorriso, bella Sigyn.»
E Sigyn gli
sorrise, con amicizia e gratitudine.
«Tornerò
a
trovarti se potrò e ti prometto che farò in modo
di farti
uscire da questa cella. Hai la mia parola.»
Allungò ancora
la mano e aspettò che lui l'afferrasse, che la stringesse
debolmente, anche se non si aspettava il bacio che le posò
sul
dorso.
«Se
avessi scelto Thor avremmo avuto una regina degna di Frigga.»
Quella
frase la fece sospirare tristemente.
«È
il cuore a scegliere...» disse ed Enok annuì
lasciandole andare la mano.
«Se
il tuo ha scelto quello del principe Loki allora non deve essere
davvero così oscuro.»
Sigyn
sorrise con la solita dolorosa tristezza.
«No,»
rispose. «Non lo è.»
*
Le parole
di Linn risuonavano
ancora nella sua testa, i suoi occhi bui e le lacrime che avevano
coraggiosamente trattenuto. Mentre attraversava quei tortuosi corridoi,
Steve si sentì così lontano dall'eroe che era
ritenuto.
Aveva giudicato, aveva deciso che fosse sbagliato prima di sapere in
realtà tutto ciò che era accaduto, tutto
ciò che
aveva portato a quello sbaglio, se mai di sbaglio si fosse trattato.
Non negava che come uomo, forse stupidamente, faticava a trovare un
punto di incontro nelle azioni di Thor, eppure come amico avrebbe
dovuto farlo. Forse era tardi, ma Linn diceva che non era mai davvero
tardi quando si agiva con coscienza.
Sorrise nel
pensarla dolce nell'accarezzargli il viso e baciarlo nel più
tenero dei modi.
Alzò
lo sguardo verso
l'affresco con il giovane che cacciava quello che sembrava uno strano
cinghiale. Era nella giusta direzione: ricordava quel ritratto quando
aveva raggiunto la camera di Odino. Doveva girare a destra, e poi-
Ogni
pensiero si arrestò quando voltò lo sguardo e ne
incrociò uno azzurro.
«Steve?»
Lo
salutò lei. Un sorriso impacciato che sembrava indeciso se
restare sulla sua bocca o sfumare. Era vestita in maniera diversa,
più simile all'abbigliamento di Sif e al contempo
più
simile al vecchio Thor che aveva imparato a conoscere e stimare.
«Ehi...»
rispose
debolmente e scorse al suo fianco una guardia reale che
sembrò
scrutarlo con attenzione. Forse avrebbe dovuto presentarsi.
«Il
capitano Steve
Rogers, soldato.» Fu lei a farlo e la guardia
chinò il capo
facendo battere l'asta della lancia al suolo come segno di rispetto.
«Il più valoroso dei guerrieri di
Midgard.» C'era
tanto orgoglio nella sua voce e Steve si sentì ancora
più
meschino per il comportamento che aveva tenuto.
«È
un onore, capitano Rogers» disse a quel punto il giovane in
divisa dorata.
Stavolta
non c'era tempo per
imbarazzo o altro. Gli occhi di Steve erano solo in quelli della donna
che era stata il suo amico più caro, che ancora lo era
forse...
che forse sarebbe sempre stato.
«Possiamo
parlare?» le chiese con serietà e lei
sembrò
sussultare ma non di timore, quasi di gratitudine.
«Certo»
rispose e poi si rivolse alla guardia. «Grazie per il tuo
servizio, soldato.»
«Dovere,
Milady.»
Il soldato
chinò ancora il capo e prese la strada da cui era giunto.
Quando
svoltò per poi sparire dalla loro vista, Steve
sentì ogni parola restare nella gola.
«E
così sei ad Asgard.» Fu lei a spezzare il primo
silenzio. «È come l'avevi immaginata?»
Sorrise e
scosse il capo.
«In
parte, e in parte
è più intricata di un labirinto. Mi sono
già
perduto più di una volta, sia qui che nei
giardini»
confessò e la udì ridere.
«Avresti
dovuto portare uno di quegli strani apparecchi di Stark.»
Anche lui
rise.
«Sì,
l'ho pensato in effetti. Probabilmente avrebbero funzionato anche
quassù senza problemi.»
Era un po'
come i vecchi tempi, come condividere domande e dubbi, come condividere
una vera amicizia.
Poi le
risate sfumarono, lente, e tornò il silenzio.
Steve
sospirò
affondando le mani nelle tasche e il suo sguardo vagò da
quel
viso al pavimento, all'affresco sulla parete, alla luce che filtrava
dalle piccole finestre verticali su quella opposta.
«Grazie
per il tuo aiuto, Steve» disse poi lei e lui annuì.
«Dovere.»
Si
scambiarono ancora un sorriso nel notare quella risposta specchiare
quella della guardia.
«E
grazie anche per non aver aggiunto alcun titolo»
mormorò e Steve rise ancora.
«Non
avrei potuto
neanche volendo,» ammise con una nota di sconcerto che non
era
riuscito a nascondere ma che sembrò solo rendere ancora meno
teso il suo viso.
«Nelle
mie stanze potremo parlare con più riserbo... se ne hai
voglia.»
Tentennò
solo un po' poi acconsentì.
«Perdersi
nuovamente
sarebbe un colpo troppo duro per il mio orgoglio di soldato»
sospirò e Sigyn lo affiancò con un ennesimo
sorriso
amichevole.
«Nulla
potrebbe mai scalfire il tuo orgoglio di soldato, Steve.»
Non fu
capace di risponderle
nulla. Prese il passo accanto al suo e fu ancora silenzio, stavolta
meno colpevole o imbarazzante. Fu solo silenzio.
Di tanto in
tanto si lasciava
sfuggire uno sguardo al suo profilo e rivedeva un po' di Thor. La cosa
non avrebbe dovuto stupirlo e in qualche maniera gli era di sostegno.
«Assomigli
molto a tua madre» affermò mentre camminavano.
«Lo
dicono in
molti» rispose con voce dolce lei e poi lo guardò
con un
sorriso quando giunsero dinnanzi a una porta. «Siamo
arrivati.»
La spinse e
gli fece segno di seguirla.
La stanza
che si
ritrovò davanti era molto simile a quella in cui alloggiava
ma
c'erano molte armi poggiate qui e lì, qualche libro,
un'armatura
sistemata su di un supporto nell'angolo più lontano.
«Spero
ti abbiano rivolto la giusta accoglienza» disse poi lei
recuperando la sua attenzione.
«Oh,
certo»
rispose Steve. «Sif è stata molto gentile e ho
incontrato
anche il tuo amico Fandral la scorsa notte.»
«Davvero?»
gli chiese ovviamente curiosa. «In quali
circostanze?»
Un leggero
imbarazzo gli scaldò le gote.
«Ehm,
mi ero perso,
tanto per cambiare, e lui era nei paraggi a fare qualcosa di piacevole
con qualche fanciulla. Così ha detto.»
«Tipico
di
Fandral.» La risata fu fragorosa eppure lo sguardo celava una
certa malinconia, poi scese ancora il silenzio e Steve si
ritrovò a far vagare lo sguardo finché non giunse
sul
grande letto a baldacchino al centro della camera.
Fu ancora
un sorriso.
«Lenzuola
rosse...» notò e la guardò.
«Sul serio?»
Lei rise e
si poggiò contro una scrivania.
«È
il mio colore preferito, lo sai.»
«Sì,
ma addirittura le lenzuola. È come se io indossassi i boxer
a stelle e strisce» mormorò.
«Non
lo fai?» Alla sua domanda la guardò con
rimprovero.
«È
solo una
diceria messa in giro da Stark!» sottolineò e
rivide sul
suo viso quel vecchio sorriso amichevole che gli aveva fatto tanta
compagnia.
«Per
sincerarmene chiederò a Linn.»
Non disse
nulla, lasciò
che fosse il leggero rossore sulle sue guance a parlare per lui. Ma non
ci furono battute, non ci furono altre allusioni perché Thor
era
così: un amico sincero e genuino che non godeva nel rendere
volutamente ancora più imbarazzante una situazione.
«Sai,
quando ero un
fanciullo volevo un cavallo rosso,» gli confidò
dopo un
breve silenzio. Lo sguardo come perso in vecchi ricordi, le labbra
piegate con nostalgia. «Pregai mio padre di girare tutti e
Nove i
Regni per trovarlo ma mia madre disse che non esisteva una creatura
simile. Non sai come mi rese triste quella notizia... Rimasi chiuso in
questa stanza per interi giorni. Non volevo vedere nessuno, ero troppo
arrabbiato. Se ritieni che fossi un bambino viziato in
verità
non sbaglieresti.»
Anche Steve
sorrise senza interrompere il suo racconto.
«Poi
una sera ero seduto
lì, ai piedi del letto, con un lungo broncio, e Loki
entrò dalla porta. Gli urlai contro e tentai di cacciarlo,
ma
lui ignorò ogni mia ira e mi si sedette accanto.»
In
quegli occhi azzurri, Steve vide tanta tristezza e al contempo tanta
tenerezza. «“Ho
trovato un incantesimo, fratello - mi disse, - Un incantesimo per creare un
cavallo dal manto rosso come fiamme”... Non gli
credetti. “Bugiardo
- gli urlai, - Vuoi
solo prenderti gioco di me!”... Ma Loki non
rinunciò e mi mostrò un libro con tante rune che
non capivo. “Posso
farlo. Lo farò per te, Thor. Ti prometto che
creerò un cavallo incredibile.”»
«E
lo fece?» chiese Steve e a quel punto sembrò che
lei si ridestasse da un sogno a occhi aperti.
«Sì,»
rispose sorridendo. «Quella sera andò nelle stalle
e fece
questo incantesimo su una puledra che avrebbe partorito a breve. Mi
chiese di attendere e di non dire nulla a nessuno, ché era
un
segreto. Ero così ansioso che trascorsi i successivi sette
giorni davanti a quella stalla finché la cavalla non
partorì... La sorpresa fu che non nacque nessun cavallo
rosso,
ma un piccolo puledro con otto zampe.» Rise e scosse il capo.
«Oh, Loki era così deluso ma io... io no, io ero
impressionato dalle capacità del mio piccolo fratellino.
“Perdonami se
non ci sono riuscito”... Piangeva quando me lo
disse. “Perdonami
se non ho mantenuto la promessa”...
Ma l'aveva mantenuta: aveva creato il più incredibile dei
cavalli, tanto incredibile che fu scelto da mio padre come suo
destriero, anche se lui ancora oggi non sa che fu Loki a dargli
vita.»
Al termine
del racconto Steve
pensò a quel cavallo particolare che aveva visto cavalcare
da
Odino, pensò a Loki, pensò ai ricordi di Linn.
«Lo
so che le
verità che sono venute alla luce hanno compromesso per
sempre la
nostra amicizia, Steve, e voglio che tu sappia che non intendo
biasimarti nulla. Sono solo grato che tu sia qui, grato che nonostante
tutte le vicissitudini e il mio comportamento scorretto e codardo, tu
sia qui. Ho tanto di cui chiedere perdono a te e a tutti gli altri
amici di Midgard, e cercherò la maniera per meritarmelo,
anche
se ci vorrà tempo e -»
«No,»
interruppe
il suo fiume di parole e colpa, e scosse la testa. «Non
c'è bisogno di alcun perdono.» Le si
avvicinò
lentamente con un accenno di sorriso. «Ok, hai commesso
qualche
errore, come aiutare quell'evasione o sottrarre la sfera dalla base
dello S.H.I.E.L.D. e di certo Nick avrà una ramanzina da
rifilarti quando tornerai, ma a parte questo noi siamo una squadra,
Thor, e una squadra affronta tutto insieme, anche quando sembra che
quell'insieme
sia difficile da
gestire.» Quando le fu ormai di fronte vide i suoi occhi
divenire
lucidi di gratitudine e altro, di amicizia, di incredulità,
di
ogni sentimento che aveva sempre battuto nel cuore buono di Thor.
«Io non sono bravo con le parole e lo sai, ma voglio solo
dirti
che la nostra amicizia non è stata compromessa, niente
potrebbe
realmente farlo.» Allungò poi la mano destra e
aggiunse:
«“Vendicatori Uniti”,
giusto?»
Lei la
strinse con la propria e Steve la sentì calda come
ricordava, con la stessa presa forte e sicura.
E poi lo
tirò a sé, a circondargli le spalle con l'altro
braccio.
Thor era
sempre stato un tipo
caloroso anche nelle sue dimostrazioni di affetto, quindi Steve
cercò di non badare troppo all'altezza leggermente inferiore
al
solito che lo obbligò a piegarsi un po', soprattutto
cercò di non badare alla pressione del suo seno contro il
petto.
«Grazie,
Steve... Grazie, amico mio.»
Badò
solo alle sue parole, badò solo alla sua amicizia e sorrise.
Qualsiasi
aspetto avesse avuto, qualsiasi passato avesse mai vissuto, sarebbe
stato sempre lui: sempre e solo Thor.
₪₪₪
Amora lo
guardò riluttante.
«Non
capisco il motivo
di questa decisione!» affermò senza celargli il
suo
disappunto. Styrkárr le camminò incontro tenendo
gli
occhi fissi nei suoi.
«Non
posso rischiare.
Conosco Odino e so che starà di certo cercando il modo
per
riprendersi la sua arma, se non l'ha già trovato. Non posso
lasciare che le tre essenze siano nel medesimo luogo, sarebbe
pericoloso. Perciò te lo ripeto: il tuo cavalier servente
non
verrà con noi.»
Amora era
furente. Aveva
mantenuto la sua parola, creato l'esercito che quel Vanr borioso le
aveva chiesto e adesso le impediva di godere dei suoi sforzi? Voleva
che Thor fosse con lei durante l'assalto ad Asgard, che fosse al suo
fianco quando avrebbero incrociato lo sguardo di quella cagna di Sif,
quando avrebbero arso il palazzo reale da cui era stata cacciata senza
rispetto. Voleva che Thor fosse con lei durante il suo trionfo.
«Ti
ho già
assicurato che non c'è modo di separarti da Mjolnir. Nessuno
può invertire il processo che vi lega»
ribadì.
Styrkárr
non sembrava
intenzionato a darle retta. Un tuono risuonò poco distante e
i
suoi occhi neri la inghiottirono.
«Se
il tuo esercito
lavorerà come hai promesso, Asgard cadrà in
fretta e,
quando Odino sarà solo un corpo in putrefazione, potrai fare
quello che vuoi con quel tuo pupazzo d'oro.» Le si
avvicinò e le afferrò il collo con una mano.
Strinse.
«Fino ad allora, donna, farai ciò che ti ordino o
ti
staccherò questa piccola testa senza pensarci due
volte.»
Strinse ancora e Amora sentì l'aria mancare. «Devo
ripetertelo, Incantatrice?»
Cercò
di annuire benché infinite piccole scosse le stessero
colpendo la trachea e il resto del corpo.
Quando
Styrkárr la
lasciò andare cadde a terra e tossì forte
carezzandosi la
gola dolente. Alzò poi lo sguardo con astio e si
sollevò
dal pavimento.
«Come
vuoi!» ringhiò e lasciò la stanza senza
dire altro.
Raggiunse
la sua camera dove
Thor se ne stava, braccia incrociate, a guardare al di là di
una
finestra che mostrava solo buio.
«Quando
attaccheremo?» le chiese voltandosi con la solita aria gelida.
«C'è
stato un
cambiamento.» Lo informò avvicinandosi alla conca
di
ceramica con l'acqua. Si lavò con rabbia il collo
più
volte e poi si voltò a guardarlo. «Ho un altro
compito per
te, amore mio.»
Thor la
guardava senza porre domande, pronto solo a soddisfare ogni sua
richiesta.
«Portalo
a compimento senza fallire e mi renderai orgogliosa di te.»
«Comanda,
mia regina.»
Sorrise,
Amora, ancora logora
di rabbia e umiliazione e si avvicinò lenta e inesorabile al
suo
tesoro più prezioso. Se non poteva godere di quella
soddisfazione che tanto aveva accarezzato, ne avrebbe avuta un'altra
per colmare la delusione, e forse sarebbe stata anche più
dolce.
ஐஐஐ
Odino
guardò i reparti
organizzati ordinatamente lungo i campi, udiva la voce dei generali dar
loro i comandi. Il rumore degli stivali, la polvere che si alzava, il
fremere delle lance.
Huginn
volava in alto, e lo
salutò fino a posarsi sul suo braccio, sotto i raggi
dell'astro
più alto le sue piume brillavano di nera pece.
«È
con il
mortale...» sospirò il re all'udire il suo tacito
messaggio. Poi scosse il braccio e lo fece volar ancora via.
Steve
Rogers... impertinente
eppure umile. Un uomo ligio al dovere, le cui convinzioni brillavano
nell'azzurro del suo sguardo giovane.
Tanto
simile a quel figlio che
aveva amato e cresciuto credendo di farne un valente condottiero, un
buon re, una guida saggia e giusta.
E dov'era
adesso quel figlio?
Lo aveva
veduto davanti a
sé il giorno prima, con la stessa arroganza di un tempo, con
la
stessa aria polemica con cui lo aveva contestato negli anni della
giovinezza, che credeva avesse imparato a governare con il tempo e
l'esperienza.
Era
lì, suo figlio, in quel corpo fragile e sbagliato, vestito
di un nome che celava un peccato.
Si
accarezzò la fronte con le dita stanche udendo ancora il
marciare dei soldati e il galoppare dei cavalieri.
Una guerra
era prossima, una guerra che andava vinta a ogni costo.
Eppure
qualsiasi fosse stato l'esito, Odino sentiva già di aver
perso.
*
Sigyn
sorrise mentre chiudeva la porta alle loro spalle.
«So
che le dimensioni
del palazzo possono essere alquanto intimidatorie, ma fidati: basta
girarlo un paio di volte ed è facile ritrovarsi.»
Steve
alzò le spalle guardandosi intorno.
«Ho
preso dei punti di
riferimento per orientarmi» disse indicando poi l'affresco
sulla
parete del corridoio. «I dipinti mi aiutano,»
spiegò
e Sigyn annuì.
«Sono
tutte
rappresentazioni di episodi realmente accaduti, di battaglie, la
maggior parte di mio padre e di Borr, suo padre.» Lo
accarezzò poi con le dita ricordando quando Odino narrava le
gesta dei loro valorosi avi affinché potessero essere di
esempio. Una lunga vita fa.
«Ce
n'è anche qualcuno che ti riguarda, Thor?»
Steve era
l'unico che ancora
usava quel nome, era forse l'unica persona che quando la guardava negli
occhi rivedeva ancora Thor. Perfino Sigyn stessa faceva fatica a
ritrovarsi, a ritrovare i suoi sentimenti e le sue emozioni.
«Un
paio» rispose
con un certo orgoglio. «Il momento in cui ho sollevato
Mjolnir la
prima volta... il mio preferito.» L'orgoglio si
trasformò
in amarezza e Steve dovette leggerlo nei suoi occhi.
«Spero
davvero di farcela» mormorò guardandola e Sigyn
gli strinse con calore la spalla.
«Non
esistono motivi per
cui tu debba fallire. Sei un uomo di valore e coraggio, un uomo giusto
e di elevati principi morali. Mjolnir non potrebbe mai chiedere mano
più degna della tua.»
Era
verità quella che abbandonava le sue labbra e Steve
sembrò lasciarsi cullare dalla sua sicurezza.
«Se
lo dici tu...» sorrise.
«Fidati!»
Sigyn
gli diede uno schiaffo sulla spalla e prese il passo notando come Steve
osservava con interesse la battaglia dipinta sulla parete.
Ci fu un
silenzio compagno
durante il loro passeggiare e Sigyn ne fu felice; ricordava le loro
lunghe passeggiate fra le strade di Midgard, ad ascoltare semplicemente
il suono della vita che li circondava, un suono bellissimo.
«Così
tu e
Linn...» infranse poi il silenzio con quella breve frase, ma
solo
perché voleva vedere come gli occhi di Steve avessero
brillato.
E brillarono al semplice udire il suo nome.
Sorrise
imbarazzato scostando
lo sguardo dai muri e portandolo ora al pavimento, ora al lungo
corridoio che si apriva davanti ai loro passi.
«Già,»
disse soltanto con un accenno di nervosismo che la fece sorridere.
«Linn
è una
ragazza speciale, una ragazza come poche e tu devi trattarla come
merita e non farla soffrire. Mi hai capito, Steve?»
Il suo
sguardo si allarmò.
«Morirei
prima di farle del male!»
E Sigyn non
riuscì a trattenere una risata intenerita da quella reazione.
«Lo
so, amico mio. Lo so.» Lo rassicurò e Steve scosse
il capo comprendendo il suo bonario giocare.
Stavano
ancora passeggiando
senza meta quando una guardia li raggiunse chiedendo a Steve di
seguirlo fino alla Sala del Trono, dove il Grande Padre lo attendeva.
«Non
farlo aspettare.
Non ama chi giunge in ritardo.» Gli consigliò
gentile,
ignorando l'inquietudine che nasceva pian piano in lei.
«A
dopo allora.» La salutò Steve prima di seguire il
soldato.
Avrebbe
voluto chiedergli di
Loki, di come stava, di quali fossero le reali intenzioni di Fury e
dello S.H.I.E.L.D., ma non l'aveva fatto perché qualsiasi
risposta avesse udito non avrebbe comunque potuto fare nulla.
Sospirò
guardando il
corridoio di fronte ora vuoto, pronta a tornare nelle sue stanze quando
voltandosi scorse la sagoma di una donna poggiata a una delle grandi
finestre ad arco del corridoio. Era Freyja, e sembrava immersa in mille
pensieri.
Il suo
passo era silenzioso
eppure bastò che ne muovesse solo un paio nella sua
direzione
ché la regina di Vanaheim si accorgesse di lei e le donasse
prima uno sguardo e poi un accenno di sorriso.
«Regina
Freyja.»
La salutò con un cenno del capo quando le fu vicina.
«Non
intendevo disturbare i tuoi pensieri.» Si scusò ma
Freyja
sorrise più ampiamente.
«Non
potevi farlo. Ne
eri tu al centro, principe di Asgard» rispose con la solita
pacatezza smuovendo invece ancora agitazione nel petto di Sigyn.
«Io?»
chiese
incerta e la regina tornò a mirare al di là
dell'arco
senza risponderle, per lunghi densi secondi.
Sigyn
quindi l'affiancò poggiando la mano sul muro all'altezza del
suo ventre.
«Non
ho ancora trovato
un momento per dirti grazie per ciò che hai fatto, Freyja,
per
avermi salvato la vita. Qualsiasi ne fosse il motivo»
mormorò e aspettò che i suoi occhi la
guardassero, ma non
accadde. Freyja continuò a tenere lo sguardo fisso davanti,
con
il solito accenno di sorriso sulla bocca.
«Lo
ami?» Si
sentì chiedere con naturalezza e il suo stomaco ebbe un
sussulto. La bocca diventò all'istante asciutta e nessuna
parola
sembrava avere il coraggio di posarsi sulla lingua. «Non vi
è nulla di cui sentirsi in colpa, sebbene Odino e Asgard
possano
trovare molte motivazioni affilate con cui affermare il
contrario.»
Sigyn
mandò giù quel poco di saliva e
abbassò lo sguardo sul piccolo muro.
«Asgard
è diversa da Vanaheim» sospirò soltanto.
«Lo
è solo
perché è voluta esserlo. Prima che mio padre
Njördr
rendesse lecito ogni tipo d'amore, la stessa cecità copriva
gli
occhi dei Vanir.»
Sigyn
conosceva la storia di
Njördr, padre di Freyja e grande re dei Vanir, conosceva
l'amore
che nutriva per la sorella, quell'amore che aveva dato vita al principe
Freyr. Tutta Asgard lo conosceva, tutti conoscevano quella che fu
chiamata la più grande vergogna. E Njördr aveva
reso quel
figlio erede di un intero regno, invece di ucciderlo come avrebbe
comandato ogni legge.
Si
sentì quasi mancare
il fiato nel pensare a quel figlio che non aveva mai potuto avere, che
era andato via eppure era sempre stato lì.
I suoi
occhi divennero lucidi e Sigyn fu costretta a ricacciare indietro ogni
lacrima.
Se non
fosse stata Asgard ma Vanaheim, se non fosse stato Odino ma
Njördr, la storia avrebbe avuto un finale diverso?
«Il
Re, mio padre,
cambiò le leggi e con esse la storia, perché
aveva
vissuto sulla pelle la loro crudeltà»
affermò
Freyja. «Essere al comando di un reame non è un
motivo per
aver timore, ma bensì il contrario: chi se non un re
può
creare giustizia e uguaglianza per i suoi sudditi?»
Quella
domanda retorica la fece sorridere con dolore.
«Mi
stai dicendo che
semmai sarò re dovrei abolire ogni regolamento che vieta
l'unione fra fratelli? Come se questo bastasse per cambiare la
mentalità degli asgardiani, Freyja...» Come se questo bastasse a
riportare indietro le cose, a riportarmi indietro Loki.
«Nessun
cambiamento
è mai facile, e tu più di chiunque altro sai bene
cosa
vuol dire.» Alzò lo sguardo incontrando finalmente
le
gemme brune della regina e il suo sorriso. Poi il sorriso si spense.
«Ho amato mio fratello Freyr come non potrò mai
più
amare nessuno e sebbene il fato ci ha separato troppo presto, sono
grata di ogni istante vissuto insieme. Nessuna vergogna, nessuna colpa,
solo la semplice libertà di amare. È la
più
naturale di ogni richiesta.»
Scosse il
capo quasi con violenza per cancellare quella fragile lacrima.
«È
una richiesta che mi è proibita, Freyja.»
«Sei
tu che vuoi che lo sia.»
«No,
non è
così. Non è solo Asgard o mio padre. Ci sono
troppe
persone che soffrirebbero per quella scelta e io... Che giustizia
porterei nel farla? Sarebbe solo egoismo e-»
Sentì
la mano di Freyja
afferrare la sua, tremante, e la guardò sul viso perlaceo
senza
più nasconderle alcun pianto.
Gli occhi
della regina erano caldi, seppure neri come la più immensa
di ogni voragine.
«Permetti
a questo cuore
di fare la sua richiesta. Se è ciò che desidera,
se
è ciò che può dargli vita, non
lasciare che taccia
ancora.»
E Sigyn lo
sentì
battere forte quel cuore, sempre più forte, sempre
più
dolorosamente... sempre più coraggiosamente.
*
Heimdall
allentò la stretta attorno all'elsa e guardò
nella profondità del cosmo.
Il buio era
vicino e stava per inghiottirli.
Un tuono
urlò e poi ne venne un altro, prima che una saetta
illuminasse la cupola del suo Osservatorio.
Lasciò
la spada che apriva la via per il Regno e raggiunse Gjallarhorn[1].
Dal cielo
iniziò a piovere cenere.
Soffiò,
lasciando che il più forte di ogni tuono venisse divorato
dal suono del suo corno.
Soffiò
ancora una volta e poi ancora una.
La cenere
divenne fiamma e le fiamme brandivano spade.
Suonò
ancora, il guardiano di Asgard, suonò l'inizio di una nuova
guerra.
***
Note:
[1] Gjallarhorn,
secondo la mitologia norrena, è il corno posseduto da
Heimdall e
verrà suonato all’alba del Ragnarök. Una
lettura meno
rigida del mito lo considera però come semplice strumento
con
cui il Guardiano avverte Asgard di un qualsiasi imminente pericolo.
NdA.
La pace è finita, è tempo di guerra.
Vi informo che ho terminato la stesura di tutta la storia quindi mi
impegnerò ad effettuare aggiornamenti superregolari per non
allungare troppo la tortura.
I capitoli effettivi saranno 35 mentre il 36esimo sarà, per
così dire, un plus.
I dettagli li lascio a dopo, anche perché al momento non
sono di alcuna importanza ^^
Avrete notato che ho liberamente reinterpretato un paio di leggende
norrene, come la nascita di Sleipnir e le varie illazioni sull'incesto
di cui si sarebbe macchiato Njördr con sua sorella,
quest'ultimo
episodio l'ho riadattato proprio per sottolineare ancora più
nettamente come sia diversa la mentalità Vanr da quella
Asgardiana.
Bene, mi auguro che anche questo aggiornamento sia stato di vostro
gradimento e per qualsiasi dubbio non esitate a chiedere.
Alla prossima, se avrete ancora voglia di farmi compagnia ^^
Un abbraccio a tutti <3
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 32 *** Una pioggia di fiamme ***
cap32
L' ultima lacrima
XXXII.
Steve
guardò verso l'ampia balconata quando udì il
suono
vigoroso di un corno. Poco prima era stato un tuono ad allertarlo, poi
pioggia di fumo.
Odino non sedeva
più sul suo
trono da cui lo stava istruendo su ciò che avrebbe dovuto
aspettarsi. Odino era scattato in piedi come fosse una giovane recluta,
aveva brandito la sua lancia ed era sceso per raggiungerlo.
«Che
succede?» chiese Steve. «Sono qui?»
La risposta dovette
attendere quando dal grande portone entrarono in tutta fretta Sif con a
seguito uno squadrone di soldati.
«Mio
Re!» lo
salutò con il fiato tagliato dall'adrenalina della vicina
lotta e Steve poteva leggerlo negli occhi neri della donna. Lo stesso
brivido stava solcando la sua pelle.
«L'esercito
è in posizione?» la interrogò Odino.
«Sì,
mio Re. I reparti
sono schierati. Gli arcieri pronti e così la cavalleria e i
Sapienti di Vanaheim.»
«A te il
comando, Lady Sif. Ogni tua decisione sarà la mia.»
Steve vide la donna
battersi il pugno contro il petto e prendere l'uscita, seguita dal
manipolo di altri uomini.
Ci fu ancora un tuono
e la pioggia, sempre più fitta, si trasformava in piccole
scintille. Era assurdo.
Steve era combattuto
dal
raggiungere il balcone e spalancare la bocca alla vista di quello
spettacolo oppure correre a impugnare il suo scudo.
Il secondo istinto fu
più forte.
Con ampie falcate era
prossimo al portone quando udì il re chiamare il suo nome.
«Dove pensi
di andare, ragazzo?»
«A
combattere, mi pare ovvio» rispose come fosse la
più scontata delle risposte.
Odino gli fu di fronte
in breve.
«Tu resti
qui, e quando sarà il tuo momento sarai chiamato.»
«Cosa?»
Scosse il capo
incredulo. «Non me ne starò qui a fare da
tappezzeria!» ribatté. «Avete chiesto il
mio aiuto e
sono qui per darvelo, perciò adesso prendo il mio scudo
e-»
«Stammi a
sentire, terrestre!
Su Midgard sarai un eroe, non lo metto in dubbio, ma questa
è
Asgard, qui le guerre si combattono in maniera diversa.»
Il tono di Odino era
come quei
tuoni che urlavano in lontananza, eppure più sottile,
più
infido, e così dannatamente simile a quello di Loki.
«Sono un
soldato addestrato e
scenderò in campo. Discorso chiuso.» Non
riuscì
neanche ad aprire la porta che Odino la richiuse con un sonoro tonfo.
«Non sei
addestrato per una
guerra di simili proporzioni!» sentenziò
guardandolo
austero. «E non possiamo rischiare la nostra unica
possibilità di riuscita per assecondare il tuo piccolo
orgoglio.»
Era assurdo come
quest'uomo
poteva impuntarsi con tale fermezza sulla sua decisione mentre fiamme e
saette stavano colpendo la sua casa. Steve poteva già udire
le
urla dei soldati, gli incitamenti dei generali, quasi il sibilo delle
frecce che venivano scagliate.
No, quella guerra era
anche la sua, era anche la loro. E nessuno, nemmeno quel Dio sarebbe
riuscito a fermarlo.
«Signore,»
fu deciso e
pacato. «Ha ragione, non sono un asgardiano e magari non ho
la
vostra tempra o la vostra forza, ma la limitazione fisica non
è
mai stata motivo per tirarmi indietro davanti a una
difficoltà,
e non lo sarà di certo adesso che in ballo c'è la
vita di un mio amico, di un fratello. Perciò, se vuole
davvero
fermarmi, la invito a usare tutta la sua potenza da Dio
perché
io sto per prendere il mio scudo e combattere, e può stare
certo
che non mi farò ammazzare perché anche se sono un
piccolo
orgoglioso terrestre, ho la pelle piuttosto dura.»
Odino lo
guardò in silenzio mentre fiamme cremisi illuminavano il
cielo.
Steve temette davvero
che potesse
colpirlo con la sua lancia e metterlo al tappeto senza neanche dire una
parola. Ma Odino sospirò scuotendo debolmente il capo e
lasciò che la porta si aprisse.
«Per le
Norne, mi sembra di
parlare con quel testone...» lo sentì brontolare
fra
sé. Poi lo guardò nuovamente e c'era tutta la
regalità del suo ruolo. «Fa' ciò che il
tuo
cuore da guerriero chiede, ma ti avverto, non farti ammazzare
perché la mia ira ti raggiungerebbe fino al Valhalla e a
quel
punto neanche la morte sarebbe più una salvezza da
essa.»
Un lungo brivido gli
saettò
lungo la schiena all'udir quella inquietante promessa, ma Steve
si limitò ad annuire.
«Sarà
fatto, signore.»
Stavolta corse come un
vento senza
sbagliare una sola svolta, corse fino alle sue stanze e il suo scudo
era lì, ad attenderlo, pronto a lottare ancora una volta al
suo
fianco.
*
Linn perse
l'equilibrio
quando la forte scossa fece muovere il pavimento. La brocca cadde al
suolo rovesciandosi e lei si ritrovò a guardare le lumiere
che
traballavano.
«Tutti nei
rifugi!» comandò Lady Gunhild.
La guerra era stata
annunciata ma nessuno sapeva quando sarebbe giunta, nessuno credeva
sarebbe giunta così in fretta.
Le ancelle e gli
inservienti delle
cucine corsero giù, lungo le scale che conducevano ai rifugi
sotterranei che li avrebbero protetti dalla lotta, ma Linn
restò
lì, con le spalle contro il muro a guardare l'acqua che
colava fra le mattonelle di pietra del pavimento.
«Avanti,
bambina! Vai!» la incitò ancora Lady Gunhild, ma
Linn non poteva andare.
«No...»
sospirò mettendosi in piedi e poggiandosi a una colonna
quando giunse una seconda scossa.
«Non essere
sciocca, Linn.
Devi metterti al riparo.» La mano dell'anziana donna le
abbracciò una guancia e i suoi occhi la implorarono ancora
più delle parole.
«No,»
ripeté e le sorrise. «Non posso.»
«Linn?»
Sentì chiamare alle spalle «Linn?»
Non si
voltò, corse verso le scale e attraverso i corridoio, corse
da lui, corse dal suo capitano.
*
Un fendente, poi un
altro, finché una fiamma non bruciò la punta
della sua lunga coda di capelli.
Sif ringhiò
come una fiera e
affondò la lama nello stomaco di quell'essere. Cadde a
terra con un lamento stridulo e continuò a bruciare.
Tutto bruciava: le
spade, le frecce, perfino la carne di quei mostri.
«Obbligateli
nella vallata!» urlò salendo in sella al suo
cavallo. «Nella vallata!»
I soldati le risposero
con un grido di lotta.
Dov'era? Dov'era
quella cagna di una strega?
La cercò
con lo sguardo
attraverso il campo dove la sua squadra stava tenendo testa a una
cinquantina di quegli strani esseri. Avevano fattezze umane, perfino
un'armatura indosso, eppure erano privi di occhi e naso, solo una
bocca raccapricciante con aguzzi denti. Non sanguinavano: ardevano.
Erano piovuti
letteralmente dal
cielo, come cenere, per poi ammassarsi e sollevarsi in piedi. E il
cielo continuava a vomitare quelle bestie.
Alzò la
fronte in alto
mentre saette tagliavano il blu della volta. Quelle saette che
appartenevano a Thor e che erano al comando di un traditore della
peggior specie.
Strinse le briglie con
la mano
sinistra e galoppò attraverso il campo fendendo
più teste
possibili con la sua lama.
«Sif!»
Si sentì chiamare. «Dov'è la Decima
Divisione?»
Era Fandral che
giungeva da est, sulla sua guancia il segno di un'ustione.
«Balder
è al comando.
Sono a difesa delle mura,» rispose cercando di tenere la
situazione attraverso la sua visuale.
«Ma ci
servono qui!»
spiegò Fandral e poi indicò la cima della torre.
«Gli arcieri sono una difesa più che sufficiente,
basteranno loro a tener la lotta lontano dalla città.
Dobbiamo
abbatterli adesso prima che-»
Una freccia giunse nel
vento, una
fiamma rossa che colpì il fianco del nero frisone dello
spadaccino facendolo sollevare selvaggiamente sulle sue zampe.
«Attento!»
Sif lanciò
la spada alle spalle di Fandral e colpì il nemico che
cercava di scoccare un altro dardo.
Smontò poi
da cavallo per recuperare la sua arma.
«Trova Hogun
e digli di spingere la fazione a sud ovest. Dobbiamo accerchiarli nella
vallata.»
«Sarebbe
inutile, Sif!
Guarda, questi abomini cadono letteralmente dal cielo. Tanti ne
accerchiamo e tanti ne troveremmo al di fuori di qualsiasi perimetro tu
possa predisporre.»
Alle parole dell'amico
rispose con un'occhiata severa.
Estrasse poi la lama
dal corpo in
fiamme e tornò dal suo destriero. La lotta intanto iniziava
a
creare vittime anche nel loro schieramento. Urla di dolore
abbandonavano le gole dei soldati asgardiani. Gli arcieri posti a
difesa cadevano giù dalle mura, colpiti dalle fiamme. I
cavalli
disarcionavano i loro cavalieri spaventati da centinaia di lingue di
fuoco.
Fandral aveva ragione:
accerchiarli era una strategia che non poteva funzionare.
«Guida il
distaccamento» gli comandò poi portando il muso
del
cavallo verso le colline. «E cerca di restare vivo.»
Il compagno
alzò un angolo delle labbra e assentì con il capo
mentre la guerriera cavalcava lesta.
*
«Freyja!»
Frigga
riuscì a scorgere il viso della regina di fronte a
sé, attraverso il lungo corridoio.
«Madre!»
Vide anche lei, al
fianco della sovrana Vanr.
Frigga strinse quel
sottile corpo fra le braccia e le baciò la fronte.
«È
tempo di iniziare
il rito,» comandò Freyja e Frigga
assentì alle sue
parole sciogliendo l'abbraccio materno.
«Odino ci
aspetta. Andiamo!»
Fece quindi strada,
con mille
pensieri nella testa, con mille batticuori e mille paure a galoppare
nel suo petto. I passi veloci risuonavano attraverso i corridoi ora
vuoti mentre si dirigevano al centro del palazzo, attraverso la lunga
discesa di scale che le avrebbe condotte dinanzi alle radici di
Yggdrasill.
«Madre?»
«Coraggio,
tesoro, non
c'è tempo.» La esortò tenendo il passo,
ma
poi la sentì rallentare, la sentì arrestarsi.
Si voltò
con affanno temendo
cosa avrebbe letto nei suoi occhi, tremendo ciò che avrebbe
udito dalla sua voce, temendo l'indole di quel figlio troppo
testardo e troppo suo.
«Thor...
no...» lo
implorò prima che potesse dire una sola parola, ma poi vide
quel
sorriso, quel devo,
quel non posso restare,
e abbassò il capo
trattenendo sotto le palpebre il pianto.
«Non
rischierò la vita, madre. Lo so quali sono i miei
limiti.»
«Frigga...»
Sentì poi la mano di Freyja sulla spalla e scorse anche il
suo
di sorriso. «Abbi fiducia.»
Sospirò, la
regina Frigga,
sospirò e lasciò che fosse quel figlio a baciarle
la
fronte, che fosse lei a stringerle le mani.
«Ci
rivedremo presto.»
Suonava come un addio.
Se non avesse avuto le
lacrime a
coprirle la vista, Frigga avrebbe visto il Brísingamen[1]
che
brillava al collo della sua
bambina, il gioiello che era sempre
appartenuto a Freyja.
*
Linn corse, corse
veloce, corse
attraverso stanze adesso vuote, attraverso pavimenti che vibravano e
scintille e fuliggine che volavano soffocanti dalle finestre. Corse,
lasciando che le stringhe di cuoio che tenevano i sandali si
sciogliessero, che le trecce cadessero confuse e la paura vestisse la
sua pelle.
Corse chiamando il suo
nome.
«Steve?...
Steve?... Steve?»
Non c'era, non era
nelle sue stanze, non era nella Sala del Trono. Steve non c'era.
«Linn?»
Si voltò
con il volto bagnato di lacrime e tirò su con il naso quando
vide il viso della sua signora.
Aspettò che
le fosse vicina,
aspettò che non le chiedesse nulla, che ascoltasse le
risposte
nei suoi singhiozzi. Aspettò che le avvolgesse le braccia
attorno e la stringesse forte, lasciandosi bagnare dalle sue lacrime.
Lasciò che
le sospirasse che sarebbe andato tutto bene, che Steve stava bene e
sarebbe stato bene.
Lasciò che
i lampi
squarciassero i cieli, che altre fiamme piovessero attraverso le grida
dei soldati e il sangue che scorreva sulla loro pelle... Come scorreva
su quella di Lady Sigyn.
*
Era incredibile, molto
più
di quanto aveva creduto, molto di più di quel che sembrava
da
quelle imponenti balconate.
Steve alzò
il naso
all'insù e poi portò lo scudo sulla sua testa
mentre una palla di fuoco lo colpiva.
La vide rotolare via,
davanti ai
suoi piedi, finché la palla non iniziò a muoversi
e le
fiamme divennero braccia e gambe, e una spada. Le fiamme lo guardavano,
urlavano, e correvano per colpirlo.
Piegò lo
scudo pronto a riceverlo, ma le fiamme caddero di nuovo a terra,
così come erano arrivate.
«Ma che...?
»
Abbassò
l'arma e voltò il capo alla sua sinistra.
«Bella
difesa, amico. Ma deficiti alquanto nell'attacco.»
Un uomo corpulento con
una folta chioma rossa come la lunga barba, gli sorrideva, tenendo
strette fra le mani due grandi asce.
Al suo fianco un altro
uomo dai lineamenti orientali che aveva da poco infilzato un'altro
ammasso di fiamme.
«Il Capitano
Steve Rogers, presumo,» disse ancora quello più
basso che aveva finalmente conosciuto.
«Volstagg?»
chiese per
sincerarsene rivedendo su quel viso quello del compagno di vecchia data
di cui tanto aveva narrato Thor.
Volstagg sorrise
ancora e annuì.
«Ai tuoi
comandi, capitano. Lui è Hogun, colui che ha appena salvato
la tua vita.»
«Grazie.»
Si sentì in dovere di ringraziare mentre sentiva il caldo
soffocante stringergli il collo.
Dense gocce di sudore
presero a
bagnargli i capelli e scivolarono sulle sue tempie. Guardava incredulo
la piana in cui si stava consumando una lotta che sembrava tanto simile
a quelle che aveva vissuto nella sua prima guerra eppure assolutamente
diversa.
«Lotti a
mani nude, soldato?»
«Cosa?»
chiese
distratto vedendo altre enormi ammassi infuocati precipitare dalle nubi
grigie che offuscavano il cielo.
Volstagg gli venne
vicino e gli
porse una delle sue asce. «Una buona guardia necessita di
un'altrettanto degna offensiva.»
Steve
guardò la lama lucente
e il lungo manico. Non aveva mai brandito un'arma simile ma
sapeva bene che l'uomo aveva ragione, con il suo solo scudo non
poteva molto contro quelle creature composte totalmente di fiamme.
Accettò quindi la sua offerta e quando strinse
l'impugnatura l'avvertì più leggera di quello
che aveva creduto. Sembrava essere stata costruita per essere
maneggevole e allo stesso tempo letale.
La testò e
la fece ruotare nella mano prendendone confidenza.
Udì
Volstagg consigliargli di recuperare anche un'armatura ma per quella
non aveva tempo.
«L'armatura
che vesto
di solito non è poi molto diversa da ciò che
indosso
ora» affermò non propriamente onesto,
però non era
il caso di sottolineare l'appariscente look della sua divisa.
«Non si
muovono seguendo
l'avversario ma attaccano senza uno schema preciso.» Hogun
parlò per la prima volta e Steve capì
perché Thor
diceva che era un uomo dalle poche parole ma dai consigli preziosi.
«Cosa
proponi di fare?» gli chiese quindi.
Hogun
continuò a guardare
l'orizzonte. «Sono bestie prive di raziocinio. Nessuna
strategia può davvero essere efficacie. Dobbiamo solo
debellarli
tutti, uno a uno, e restare vivi.»
Steve
sospirò.
«Ottimo
piano, amico
mio.» Ruggì Volstagg. «Tagliamo loro la
testa e
spegniamo i loro bollori» ridacchiò e
benché
inappropriato, Steve fu quasi rincuorato dalla sua ironia.
Cercò con
lo sguardo di
scorgere Styrkárr o Amora fra la folla di teste. Al loro
fianco
avrebbe forse scorto anche Thor e in tutta sincerità,
benché consapevole di ciò che gli era stato
chiesto, era
preoccupato su come si potesse evolvere la faccenda. I suoi compagni
ignoravano la realtà delle cose, solo Sif conosceva parte di
quella verità. Steve si chiese come Odino avrebbe mai potuto
spiegare al suo esercito il perché il loro principe li stava
combattendo al fianco del nemico.
La vista di un gruppo
di una
dozzina di esseri di fiamme lo costrinse a sopprimere ogni pensiero. Si
stavano avvicinando come una marea di fuoco pronta ad inghiottirli.
Strinse la mano
attorno all'ascia e l'altra alla fibbia dello scudo.
«Per
Asgard!» L'urlo di Volstagg gli risuonò quasi nel
petto.
«Per
Asgard!» urlò anche il quieto Hogun.
Deglutì e
si preparò alla battaglia.
«Per
Thor...» mormorò fra sé mentre scattava
verso di loro.
*
Odino udì i
passi che
giungevano dalle scalinate. Lo sguardo fisso dinanzi, sugli arbusti
senza tempo che raccoglievano sapere e storia.
Allungò la
mano verso
l'antica corteccia e sentì sotto il palmo la linfa della
vita di ogni terra e mondo, di ogni singolo essere che viveva e che
aveva vissuto.
«La
battaglia infuria.»
Fu Freyja a parlare per prima mentre Frigga raggiungeva il suo fianco.
Odino annuì grave e volse lo sguardo verso la sua sposa. Il
viso
piegato dall'afflizione, i suoi occhi lucidi ad abbracciare
lacrime.
«Styrkárr
è
qui. Ne percepisco l'energia,» affermò e Freyja
concordò con lui. «È però
celato dietro a un
velo mistico. Dobbiamo attendere che cada e poi potremo
iniziare.»
«Il tempo ci
è nemico, Odino,» disse la regina di Vanaheim.
«Nulla
più ci resta,
Freyja, se non attendere. Credimi, se potessi ridurre l'attesa
l'avrei già fatto.» Finché
Styrkárr
non si fosse mostrato e con esso il legame che lo legava a Mjolnir, il
rito non avrebbe avuto ragione di essere attuato.
«E
Thor?» Giunse infine la domanda di Frigga.
«È qui?»
Odino
accarezzò ancora il legno dell'universo e tacque.
Ciò che
aveva temuto era accaduto.
*
«Che ne
pensi?» Amora
sospirò soddisfatta mentre udiva le urla dei soldati e il
loro
affannoso lottare. «Sei pago di ciò che vedi?
Fuoco e
fiamme. Tutto ciò che chiedevi.»
Styrkárr
rise querulo e
quella risata era rivoltante. L'Incantatrice incrociò le
braccia sotto al seno mentre continuava a guardare la sua opera
dall'alto della sua finestra magica, aleggiando nell'aria,
al di sopra di una ventina di metri dal campo di battaglia.
«Hai un
gusto davvero
invidiabile nella creazione delle tue creature, Amora, te ne do atto.
C'è un perverso fascino nella loro abominevole
natura.»
«Lo prendo
come un complimento.»
«Oh, lo era,
mia cara. Assolutamente...»
Anche
Styrkárr guardava
ciò che stava accadendo al di sotto dei loro occhi, con le
dita
legate attorno quell'arma che lei aveva fatto in modo che
possedesse.
«Voglio
vedere Odino in
miseria» sospirò Styrkárr con occhio
folle.
«Voglio vederlo inchinarsi ai miei piedi e baciare il suolo
mentre invoca pietà per le sue genti.» E poi rise
ancora e
la guardò. «Voglio vederlo piangere sangue da
quell'unico dannato occhio.»
«Prego,
allora.» Lo
invitò mentre raggiungevano la cima di un piccolo colle. Con
un
gesto della mano il velo che li celava si frantumò.
«Dopo che
avrò fatto giustizia, avrai la tua corona di regina di
Asgard, Amora.»
«Te ne sono
grata.» Finse un sorriso mentre un senso di fastidio e rabbia
cresceva nel suo stomaco.
A quanti compromessi
era dovuta
scendere a causa di questo folle Vanr? E adesso Thor non era
lì
al suo fianco, e non poteva sopportarlo. Avrebbe voluto che gli occhi
di tutta Asgard inorridissero nel vedere quanta lealtà e
devozione il loro principe riversava per la donna che avevano chiamato
strega e traditrice. Voleva che gli occhi dei suoi compagni, gli occhi
di Sif, fossero su di lei mentre Thor prendeva la sua vita.
Il suo sguardo
cercò la mora guerriera che lottava con furia le sue
creature.
Poi
Styrkárr alzò il
braccio e un fulmine rivelò a tutti la loro presenza. Anche
gli
occhi della lupa guerriera furono su di lei.
E se Thor non poteva
offrirle il
cuore di Sif in dono, poco importava. Le avrebbe portato un altro cuore
per dimostrarle la sua adorazione, e sarebbe stato altrettanto
piacevole.
ஐஐஐ
«La lunga
guerra che aveva
per secoli diviso Asgard e Vanaheim giunse a un punto di stallo. Le
perdite erano state ingenti su entrambi i fronti, gli eserciti erano
logori e stanchi, ma soprattutto ignari del vero motivo per cui
continuavano a lottare. Così, il Re Freyr, al commando
dell'armata Vanr, invocò una tregua fra i due regni e
chiese a Odino di ritirare le sue truppe dal territorio di Vanaheim, in
cambio avrebbe concesso asilo e cure a tutti i soldati asgardiani
feriti. Odino accettò e la tregua divenne in breve un tacito
accordo di non belligeranza. Ma la pace non è sempre una
conquista, per alcuni essa equivale alla più cocente delle
sconfitte, fu così che Styrkárr, uno dei generali
dell'esercito di Vanaheim, pensò bene di avvelenare il suo
re e accusare Asgard di quell'attentato, in modo da poter
infrangere la pace da poco trovata. Ma Freyja, sorella e amante del re
Freyr, dubitò da subito della veridicità delle
accuse
mosse da Styrkárr ma, mentre Freyr giaceva grave in un
letto,
Styrkárr giunse ad Asgard con una richiesta di asilo
politico.
Odino ignorava le reali condizioni in cui versava Freyr e
così
accettò in nome della ritrovata alleanza di ospitare quel
Vanir.
Freyja mise in guardia
il Padre
degli Dèi più volte, inviando missive che
allertavano
alla prudenza, ma senza palesare come stavano le cose. Non voleva che
si sapesse della precarietà del comando di Vanaheim. Sperava
che
Freyr si riprendesse così da poter accusare apertamente
Styrkárr e chiedere ad Asgard di estradare quel traditore e
punirlo come meritava.
Nel frattempo
Styrkárr si
insinuava nelle grazie della corona di Asgard e spargeva pillole di
dissenso per quella pace, parlando di come Freyr e Freyja fossero in
realtà pronti ad attaccare gli Aesir quanto prima. Odino,
sciocco, quasi cadde nelle sue trame se non fosse che le condizioni di
Freyr peggiorarono portando alla morte del re e così Freyja
giunse di persona ai cancelli di Asgard, colma di dolore e rabbia, e
chiese a Odino di portargli quel traditore affinché potesse
ucciderlo con le sue mani. Fu a quel punto che Styrkárr
fuggì, svanendo nel nulla, ma lasciando dietro sé
le
braci di una nuova prossima guerra. Ma la guerra non venne, e Odino e
Freyja decisero di sancire quella pace con un accordo che punisse
qualsiasi gesto di offesa e che li spingesse a soccorrere uno il regno
dell'altra in caso di pericolo. Quindi Styrkárr
fallì nel suo intento ma non abbandonò mai la
voglia di
vendicarsi di Asgard, e nella sua folle perversione, è
ancora
convinto di lottare in nome di Vanaheim... Questo è tutto.
Domande?»
Natasha
osservò il viso di
Loki che sedeva a gambe incrociate sulla branda, con la sua nuca
poggiata contro il muro e le dita delle mani intrecciate sul ventre.
Era scesa per
chiedergli di
parlargli di ciò che sapeva su Styrkárr e sul suo
piano,
di come Steve poteva aiutarli. Era scesa pronta a usare ogni tecnica
necessaria per debellare il suo prevedibile rifiuto, e invece si era
ritrovata di fronte a qualcuno che semplicemente le aveva risposto.
Forse era
verità, forse solo
un ammasso di menzogne cucite ad arte per prendersi gioco di loro, e
conoscendo Loki era quasi impossibile non puntare sulla seconda
ipotesi, eppure qualcosa la spingeva a credere a ciò che
aveva
appena ascoltato.
Studiò in
silenzio la sua
espressione rilassata cercando di scorgere il più piccolo
gesto
che le portasse a dedurre con più esattezza come stavano le
cose, ma la risposta che riceveva era sempre la stessa: aveva detto la
verità.
«Styrkárr
voleva
Mjolnir per poter dichiarare guerra ad Asgard e riaprire una partita
chiusa secoli fa?» Non era una vera domanda. Più
una
constatazione, ma Loki annuì e alzò le spalle.
«È
sempre stata una personalità alquanto disturbata.»
Non riuscì
a non sorridere.
«Ma
nonostante questa bassa opinione lo hai aiutato comunque...»
sottolineò e Loki sospirò annoiato.
«Non l'ho
aiutato,
Romanoff, ho semplicemente usato la sua esuberante pazzia per
raggiungere i miei scopi.» Le sorrise scoprendo i denti ma
nonostante quella sicurezza, Natasha sapeva di conoscere la vera
realtà delle sue emozioni, e benché Loki avesse
gridato
vittoria più volte da quando era chiuso lì
dentro, i suoi
occhi parlavano di sconfitta, la più dolorosa delle
sconfitte.
«Perché
me lo stai dicendo?» chiese quindi con diffidenza.
«Perché
me lo hai
gentilmente chiesto,» le rispose lui sciogliendo le gambe
e stendendosi sulla branda, un braccio piegato dietro alla testa e le
palpebre a chiudersi. «Ora, se non ti dispiace, gradirei
approfittare del mio status di prigioniero politico per stare in
solitudine. Se hai altre domande puoi accompagnare Banner quando mi
porterà la cena fra... penso due ore.»
Natasha
sollevò scettica le
sopracciglia alzando lo sguardo verso la telecamera prima di lasciare
la stanza e tornare dagli altri.
*
«Penso che
dica la
verità» affermò la Romanoff entrando
nella stanza.
Tony si stiracchiò sulla sua sedia mentre Clint gli rubava
un
paio di chips dalla busta che teneva poggiata sulle gambe.
Bruce taceva, con lo
sguardo
pensieroso e l'espressione di chi non era molto felice di
sentirsi dare del cameriere, soprattutto se a farlo era Loki.
Guardò
ancora il monitor
dove quello lì fingeva di dormire, o dormiva sul serio,
ormai
aveva anche perso la voglia di chiederselo.
«Sbaglio o
ha detto che il re
di Vanacoso
aveva per amante sua sorella?» chiese Clint senza
celare il suo disappunto.
Natasha
sospirò e si sedette sulla seduta accanto.
«Non credo
fosse quello il fulcro della storia, Clint.» Lo
ammonì.
«Quello che
voglio dire
è che, gente, forse siamo noi ad essere arretrati. In
pratica
nel resto dell'universo scopare fra consanguinei è la
prassi,» mormorò Barton fregandosi ancora una
chips.
«Se proprio
vogliamo
intavolare questa conversazione, volevo precisare che Thor e Loki non
hanno legami di sangue. Quindi la loro relazione non può
neanche
definirsi realmente un incesto.» Bruce intervenne dal fondo
della
scrivania mentre si massaggiava lentamente il ponte del naso.
«Sì,
ma quando si sono
divertiti a testare la solidità dei letti di Asgard questo
non
lo sapevano. Ricordi?» sottolineò a quel punto
Tony.
«Teoricamente erano consapevoli di commettere un incesto ma
se ne
sono ampiamente fregati.»
«Esatto!»
concordò con lui Falco. «E comunque se avessi
avuto una
sorella come Sigyn, anche io me ne sarei sbattuto le palle della
morale.»
A quell'affermazione
Tony gli
mostrò il pugno chiuso affinché lo colpisse con
il
proprio. «Ben detto, fratello. Yo!»
«Cosa?!»
mormorò
incredulo Bruce per poi scuotere la testa. «A ogni modo a me
sta
per venire un emicrania. Vado a prendere un'aspirina prima che
peggiori. Voi continuate pure con i vostri profondi discorsi sulla
morale... o sulla sua assoluta mancanza.» E continuando a
borbottare abbandonò la stanza. Tony lo seguì con
la coda
dell'occhio finché la porta non si chiuse, poi
infilò una mano nella busta d'alluminio scoprendola vuota.
Fulminò Barton con un'occhiataccia mentre
quest'ultimo masticava sorridente la sua ultima patatina.
«Credete che
sia davvero
innocuo o sta nascondendo qualcosa?» chiese poi Natasha senza
mostrare alcun interesse per i loro precedenti discorsi.
«Non
dobbiamo abbassare la
guardia in ogni caso,» disse Clint. «Quel bastardo
è
capace di inventarsi di tutto per salvarsi il culo.»
«Sarà,
ma a me sembra
che abbia gettato la spugna...» Le parole della Romanoff
furono
seguite da un breve silenzio mentre tutti guardavano la sagoma di Loki
che dormiva sulla branda.
«Sta per
perdere
l'unica donna che lo abbia mai amato. Anche gli psicopatici hanno
un cuore» sospirò Tony con finta ironia, sentendo
in
verità di credere realmente a ciò che aveva
detto. Che
Loki amasse Sigyn era un dato di fatto, che poi Sigyn fosse la versione
femminile di un fratello a cui aveva giurato odio fino al termine dei
suoi giorni, era, per così dire, un piccolo enorme
dettaglio.
«Se sta
soffrendo gli sta
solo bene. E scusatemi se non provo empatia per le pene d'amore
di un pluriomicida alieno.»
«Nessuno
prova empatia per
lui, Clint, sto solo dicendo che per quanto uno possa essere un viscido
verme, anche un viscido verme può avere i suoi punti di
rottura... Natasha ha ragione: ha mollato.» E detto questo
Tony
si alzò per gettare la busta vuota nella pattumiera.
«Il
problema è che quando non hai più nulla da
perdere,
è a quel punto che diventi davvero pericoloso.»
Natasha trattenne
palesemente un
sospiro e Clint masticò qualche parola fra i denti. Tony
avrebbe
scommesso il suo patrimonio, fossero gentili insulti.
*
Il silenzio non
esisteva. Il silenzio aveva il suono dei ricordi e il sapore amaro
della rabbia.
Loki lo sentiva
battere nella testa, versarsi nelle orecchie e scorrere selvaggio in
ogni cellula del suo corpo.
Il silenzio profumava
di lei, aveva il suo respiro e la sua voce, la luce dei suoi occhi, la
colpa che li inumidiva e li celava.
Il silenzio era l'eco
di quella richiesta che gli aveva fatto, di quel cuore che era
collassato su se stesso.
Il silenzio, un tempo
amico, era adesso la più ignobile delle compagnie, ma anche
la sola che poteva avere accanto.
Aprì gli
occhi a guardare il soffitto bianco.
La Romanoff era andata
via con le risposte che le aveva dato e le domande che non gli aveva
posto.
Loki non si chiese
perché le avesse concesso quella conoscenza.
Sono annoiato,
sibilava nella sua mente. È
solo un gioco.
Ma le menzogne
sembravano crollare
in fretta adesso. Neanche la sua lingua d'argento riusciva
più a tenerle integre.
Pensò a
Jotunheim, alle sue
montagne di ghiaccio, che mai nessun tempo avrebbe scalfito. Sarebbe
dovuto divenire come quel ghiaccio, come quelle terre su cui avrebbe
potuto governare se avesse voluto, come quella patria che aveva sempre
rinnegato.
Allungò una
mano davanti ai
suoi occhi e la studiò: era pallida, sottile, con la pelle
liscia e priva di imperfezioni.
Tante volte l'aveva
vista
mutare sotto il suo sguardo, l'aveva sentita divenire gelida e
ruvida. Ma non adesso, adesso non sentiva quel freddo bruciare nelle
vene, quel soffio di ghiaccio sfiorare la sua anima.
Sentiva freddo, Loki,
ma non perché ne possedeva il seme.
Perché
qualunque creatura lontana dal suo sole moriva di gelo, anche un figlio
dell'inverno.
ஐஐஐ
«Lo
vedo!» Odino
affermò quando riuscì a scorgere distintamente il
seiðr di Styrkárr e la forza mistica di Mjolnir.
Provò anche
richiamarlo,
provò un assurdo tentativo per evitare di attuare quel
potente
rito ma non riuscì. Era distante, Mjolnir, intrappolato in
una
fitta rete che gli impediva di giungere a lui.
«Anche
l'Incantatrice
è con lui,» appurò Freyja prendendo
posto alla sua
sinistra. Frigga mosse qualche passo affinché la triade si
formasse con accuratezza.
Odino la
guardò a lungo finché non ebbe il suo sguardo
indietro.
«Se Thor non
è qui come potrà il mortale giungere da
lui?» gli chiese con freddezza.
Odino le aveva
comunicato che Thor
non era su Asgard, che la sua essenza non toccava il loro regno, ma non
era distante. Odino poteva dire di conoscere la vera ubicazione di quel
figlio ma aveva taciuto questo alla sua sposa, troppo avrebbe chiesto
al suo cuore di madre già ferito, al suo spirito
già
provato.
Conosceva
Styrkárr,
conosceva il suo essere subdolo e infido e sapeva bene che non avrebbe
rischiato una mossa con Thor nelle vicinanze. Aveva sperato fino
all'ultimo che la superbia lo spingesse a un gesto avventato, ma
il Vanr si era mostrato consapevole delle sue azioni.
E se Thor non era su
Asgard, poteva essere solo su un altro regno, e non era una buona
notizia.
«L'Incantatrice
potrebbe interferire con la magia nel caso l'avvertisse. Dobbiamo
essere rapidi e non lasciar loro alcuna possibilità di
agire.»
Le due donne annuirono
all'unisono e Odino poggiò nuovamente le mani contro il
tronco stavolta seguito dalle due sovrane.
Guardò
ancora la sua sposa,
il suo viso concentrato e gli occhi celati e pregò le Norne
affinché non dovesse pentirsi di aver ceduto alla sua
ostinazione. Ma non vi era tempo per simili sentimenti.
Era tempo di porre
fine a quella storia, era tempo di salvare il suo regno e la sua
famiglia.
*
La battaglia esplose
con rabbia
quando accanto agli esseri di fiamme giunsero quelli che sembravano
enormi lupi dalle lunghe zanne, con artigli neri come pece e occhi di
un terribile glaciale grigio. Il loro manto anch'esso cosparso di
fuoco, mentre caricavano decine di soldati neanche fossero fuscelli al
vento. Tutti quegli uomini con cui aveva lottato, che aveva visto
allenarsi all'arena, e bere sorridenti alle locande. Tutti
stavano morendo uno dopo l'altro.
Sigyn strinse i pugni
e denti
sentendo la rabbia esplodere come una tempesta. Non poteva fare nulla,
non poteva lottare al loro fianco, non poteva neanche morire in nome
del suo regno e della sua salvezza.
Linn lasciò
andare ancora un
singhiozzo, mentre si copriva la bocca con le mani. I suoi occhi umidi
e le piccole spalle scosse dalla paura.
Sigyn le avvolse un
braccio attorno
e la tirò a sé coprendole la vista di quella
carneficina
che si consumava dalla balconata. Le mura della città erano
protette dal più prode dei reparti dell'esercito, e i
Sapienti stavano invocando incantesimi per sollevare alte barriere di
seiðr e impedir alle frecce di fiamme di oltrepassare il
perimetro.
«Devo
raggiungere il Bifrost, Linn» affermò e la vide
sollevare il capo per guardarla.
«No, mia
signora non potete!»
«Io
devo,» insistette
poggiandole le mani sulle spalle. «Devo andare da Loki. Devo
parlargli prima che-» Un forte scossone interruppe le sue
parole
e fece tremare il pavimento. Sigyn si appoggiò a una parete
e
Linn le cadde addosso. «Tutto bene?» le chiese e la
ragazza
annuì asciugandosi le guance con il dorso della mano.
«Mia
signora, non
c'è modo di raggiungere il Bifrost adesso,»
affermò con voce rotta. «Guardate, come potete
pensare di
sopravvivere?» C'era paura nei suoi occhi, c'era
apprensione e terrore.
Sigyn
sospirò, conscia della
verità delle parole di Linn, ma doveva andare doveva parlare
con
Loki prima che fosse tardi.
«Se anche
riusciste a
superare la bolgia della battaglia, come potete aprire il
passaggio?» Linn indicò un punto in lontananza e
Sigyn lo
seguì scorgendo la lunga spada di Heimdall e la lucente
armatura
del guardiano che lottava con coraggio e onore. «Il Guardiano
non
può aprirvi la strada, nessuno può
farlo.» Una
lacrima lasciò ancora gli occhi di Linn. «Non
andate,
Sigyn... non andare...»
Ne scese ancora una e
poi ancora
una, finché Sigyn non le asciugò con le dita
accarezzando
con dolcezza quel viso arrossato.
«Potrei non
rivederlo più, Linn. Lo capisci?»
«Perché
dici questo?
Steve ce la farà, lui riuscirà a salvare Asgard e
Thor.» Quelle parole erano una lama nel suo cuore,
perché
Linn non sapeva del patto che aveva stretto con Freyja, del loro
accordo, della folle richiesta che aveva fatto alla Signora di Vanaheim.
Sigyn doveva andare,
doveva fare in
modo che Loki sapesse ciò che provava e che aveva sempre
provato. Doveva ascoltare la sua supplica di perdono, ascoltarla anche
senza mai concedergliela. Loki doveva semplicemente sapere.
Quando Loki
tornerà io non sarò più qui, e tutto
svanirà come non fosse mai accaduto.
Sentì ogni
singola parola salire in gola e posarsi sulla lingua ma nessuna di esse
venne pronunciata.
Linn poteva sapere,
Linn che era stata una persona così importante per entrambi
poteva sapere e forse...
«Linn,»
le
accarezzò ancora il viso e la guardò con
serietà.
«Voglio che tu mi ascolti attentamente, che ascolti tutto
ciò che ho da dirti senza aver timore. Va bene?»
Attese il suo assenso
che giunse con incertezza dopo un primo silenzio.
Fuori la guerra
vomitava altre
vittime, le fiamme incendiavano gli arbusti e le carni dei soldati.
Grida di dolore e di battaglia salivano alte nel cielo. Le mura
tremarono ancora, ma Sigyn e Linn restarono lì, silenti e
vicine.
«Ti ascolto,
Sigyn.»
E Sigyn sorrise anche
se in realtà aveva solo lacrime da versare.
*
Si sentiva stanco,
stanco come non
mai. Il braccio doleva e un fiotto di sangue scendeva dal suo
sopracciglio sinistro e gli offuscava la vista. Aveva qualche costola
rotta, ustioni su buona parte del corpo e la caviglia destra gonfia,
forse distorta, ma non poteva curarsi di questo. Steve lottò
come fosse ancora al primo respiro, lottò contro ognuno di
quei
mostri come non ne avesse già abbattuti decine e poi altre
decine. Lottò al fianco di Volstagg e di Hogun, al fianco di
Fandral che si era unito a loro saltando giù da un cavallo e
brandendo con agilità la sua spada.
Piegò lo
scudo e si
riparò quando quella bestia enorme lo caricò
senza
complimenti. Si ritrovò gettato una decina di metri
indietro, e
scattare in piedi fu doloroso ma dovette farlo prima di finire
schiacciato dalle sue zampe.
Impugnò
l'ascia e la
fece ruotare stringendo i denti, l'adrenalina pompava selvaggia
nelle sue vene nascondendo al momento l'effettivo dolore che
piegava il suo corpo. Lo attaccò al collo con un colpo
secco, squarciando la sua gola nonostante le fiamme. La bestia
urlò e barcollò tentando di attaccarlo
nuovamente, ma
alle sue spalle Fandral balzò veloce e piantò la
sua lama
sottile fra gli occhi dell'animale che cadde a terra con un tonfo
assordante.
Steve riprese fiato
abbassando di poco le sue armi e aspettò che il biondo
guerriero lo affiancasse.
Un semplice cenno di
intesa e la
lotta riprese. Alzò però lo sguardo alla collina,
dove
aveva scorto Styrkárr e Amora. La donna non era
più
lì però e l'uomo era rimasto nello stesso luogo a
lanciare saette sull'esercito di Asgard, quasi fosse suo intento
quello di mostrarsi apertamente ai suoi avversari.
E Thor dov'era?
Guardò poi
alle sue spalle,
il palazzo che si ergeva ora distante. Respirò con affanno e
si
pulì il mento insanguinato con il polsino ormai logoro della
sua
camicia.
Odino doveva
sbrigarsi, qualsiasi
cosa stesse facendo, perché Steve temeva che il tempo fosse
ormai agli sgoccioli; la sua forza di certo lo era.
*
Amora
avanzò con passi lenti
tenendo il viso alto e un sorriso sulle labbra. Sif le era di fronte,
stanca e ferita eppure con lo sguardo fiero di chi non temeva nulla.
«Lady Sif,
sei pronta per
abbracciare la morte a cui sfuggisti secoli fa?» Si fece
beffe di
lei con una risata divertita, e la guerriera fece ruotare l'elsa
della sua lama nel palmo della mano.
«Pagherai
ciò che gli hai fatto, lurida cagna.»
«Uh, sei
sempre così poco femminile... non deve stupirti che Thor non
ti abbia mai degnata di uno sguardo.»
Sif
digrignò i denti con un sonoro gemito di gola.
Ad Amora non
restò che fare un ultimo passo e un ultimo sorriso.
«Stai per
morire, Sif, e morirai senza mai conoscere il sapore dei suoi
baci.»
Un'ultima parola prima
che si avventasse su di lei.
*
Era uno spettacolo
senza prezzo:
Asgard in fiamme, le urla, il sangue, l'impotenza
dell'esercito Aesir che si decimava sotto i suoi occhi.
E l'energia che
scorreva nel
suo braccio, nel suo corpo, nella sua anima era adesso spaventosamente
potente. Saette e tuoni vibravano sotto la sua pelle mentre
squarciavano i cieli con il loro fragore.
Dov'era Odino? Dov'era
quel vecchio codardo? Nascosto nel suo bel palazzo d'oro invece
che sul campo al fianco dei suoi uomini? Era così
terrorizzato
il Padre degli dèi?
Styrkárr
rise e rise ancora
lasciando cadere altri fulmini, a decine, sull'armata di Asgard.
Presto sarebbe crollata e, con un esercito inesauribile come quello
creato dall'Incantatrice, il trionfo era solo questione di
attimi.
Mjolnir cantava, piangeva nella sua
mano, la sua forza senza eguali che lo avrebbe portato in breve ad
avere sotto i piedi il cadavere di Odino.
Ancora una risata,
folle, mentre il
pianto diveniva lamento e i brividi sotto la sua pelle presero a
pungere come mille scintille.
«Cosa...?»
sospirò guardando l'arma. Era ancora sua, la sentiva,
poteva farne ciò che voleva eppure era come se stesse
cercando
di dirgli qualcosa.
Ancora una scossa,
ancora un lamento.
Serrò la
stretta
sull'impugnatura benché la percepisse divenire sempre
più calda, sempre più pesante.
Poi capì.
«Odino!»
ringhiò cercandolo con lo sguardo.
Quel maledetto!
Mjolnir
continuò a piangere e Styrkárr iniziò
a temere.
«Uccideteli!
Uccidete tutti
questi cani Aesir!» urlò verso l'esercito
continuando a colpire con saette e fulmini, mentre le sue dita facevano
sempre più fatica a restare attorno a quel martello.
ஐஐஐ
Era un mondo piccolo,
un mondo inutile, abitato da altrettante inutili creature.
Aveva combattuto per
quel mondo, lo
ricordava, eppure non ricordava il perché. Per quale ragione
li
avesse difesi, Thor non lo sapeva. Non se lo chiedeva,
perché
tutto ciò che contava era soddisfare i desideri della sua
regina.
Alzò lo
sguardo verso
l'alta costruzione. Ignorò i patetici uomini che cercarono
di interporsi fra lui e la sua meta. La spada divenne vento e
spazzò via tutti. Il vento aumentò mentre ne
faceva
ruotare l'elsa nel palmo e si ritrovò a volare in
direzione della cima.
La sua missione era
lì, la
sua missione aspettava di essere portata a compimento. Una vittoria e
mai nessuna sconfitta, in nome della sua signora e regina Amora.
I piedi toccarono il
duro spiazzare
grigio. Thor non si guardò intorno, puntò dritto
davanti
a sé verso la porta chiusa che aprì con un
calcio. Scale
e altre scale. Uomini e altri uomini. Soldati inutili da eliminare con
pochi fendenti.
Il bianco mantello
volteggiava alle
sue spalle, la mano stretta attorno al dono più caro che
avesse
mentre divorava con vigore una rampa dopo l'altra.
Ancora una porta, un
fischio fastidioso. La spada divenne fuoco e bruciò.
I volti con cui si
scontrò stavolta li conosceva, conosceva i loro nomi e
sapeva che aveva lottato a loro fianco.
La donna disse
qualcosa, Thor la
colpì con la lama mentre lei cercava di evitare l'affondo.
L'arciere gli scagliò contro una freccia e ancora una.
La spada era ora
ghiaccio e l'intera stanza si coprì di brina.
Le frecce caddero a
terra come cristalli senza vita, i corpi fragili dei due presero a
tremare.
«Fermati!
Thor, fermati!»
Ascoltò
quelle parole ma non le udì davvero.
Lo scontro fu rapido,
e la donna
cadde a terra con un profondo squarcio nell'addome.
L'arciere urlò. Non sprecò tempo a ucciderli. Non
era stato questo il suo comando.
Afferrò il
collo
dell'uomo con l'arco e strinse forte subendo calci e pugni
finché la sua forza non si affievolì insieme alla
vita
che bruciava nei suoi occhi.
«Dov'è?»
chiese. L'arciere tentò di parlare mentre gli stringeva le
mani attorno al polso. Thor lo sollevò da terra e
alzò lo
sguardo per guardare il suo volto perdere il colore naturale.
«Dov'è?»
chiese ancora allentando appena la presa.
«Che diavolo
vuoi...? Thor... smett-ila» rispose affannoso l'arciere.
Clint...
Erano stati amici.
Erano amici?
Sentì un
brivido, un forte calore alle tempie. Serrò la mascella e il
pugno attorno alla gola.
«Dove si
trova Jane
Foster?» chiese stavolta con voce rabbiosa.
«Rispondimi e
non ti spezzerò il collo.»
«Non p-puoi
fare del male a... Jane... Thor, tu la a-mi, lei...»
«DOV'È?»
L'intera stanza tremò sotto il suo urlo ma la risposta non
venne.
L'arciere
assottigliò lo sguardo e mostrò i denti come una
bestia pronta a dar battaglia prima di morire.
«Fottiti!»
L'osso del collo,
glielo avrebbe spezzato e poi avrebbe setacciato ogni stanza
finché non l'avesse trovata.
“Un solo cuore, amore mio. Solo
un cuore per avere la mia eterna gratitudine.”
Il cuore di Jane
Foster, e Thor glielo avrebbe consegnato ancora grondante di sangue.
Strinse le dita,
rubò altra aria a quell'umano e poi...
***
Note:
[1] Brísingamen
è un gioiello magico che secondo la mitologia appartiene
alla Dea Freyja. [Wikipedia]
NdA.
Sono costretta a ripetermi ma, davvero, le scene di azione non sono
proprio il mio forte. Questo capitolo e il successivo sono stati per me
motivo di grande insicurezza perché boh, mi facevano
semplicemente defecare ^^'
Ma non sono in cerca di blande rassicurazioni.
Spero solo che sia stato decente. Solo questo.
Come preannunciato anche il 33 sarà un capitolo di azione(?)
ma avremo anche il più importante dei risvolti.
Con questo non aggiungo altro e vi saluto chiedendovi infine di
perdonare il cliffhanger bastardo.
Alla prossima!
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 33 *** Coraggio e follia ***
cap33
L' ultima lacrima
XXXIII.
Una
fitta al polpaccio destro gli fece allentare la presa. L'arciere
cadde a terra privo di sensi e Thor si voltò per incrociare
lo
sguardo della donna stesa al suolo che si teneva la ferita
all'addome con un braccio e con l'altro impugnava uno
strano oggetto, ed era stato quello a colpirlo: una pistola, riusciva a
ricordarlo.
«Morirai,
donna!» La
minacciò senza però riuscire a tenere fede a
quella
promessa quando si ritrovò gettato con violenza contro il
muro.
La spada cadde a terra e un rivolo di sangue scivolò dal suo
labbro inferiore. Thor lo pulì con il dorso della mano.
Udì il
ruggito e poi scorse la verde creatura a pochi metri, al di
là della parete completamente distrutta.
*
Tony corse come un
dannato per le scale. Gli ascensori erano fuori uso. Maledetta
sicurezza centralizzata!
«Sto mandando una squadra, Stark!»
Scosse il capo
saltando a tre a tre le scale.
«Non dire
cazzate, Nick! Ce ne occupiamo noi qui» rispose con il fiato
corto mentre percorreva il corridoio.
«L'ultima volta ve lo siete
lasciati scappare. Non voglio che-»
«Stammi a
sentire: quando
Thor tornerà in sé non sarà per nulla
piacevole
dirgli che ha ammazzato decine di agenti a mani nude. Abbiamo Hulk! Ci
basta questo, e poi me la sbrigo io con le riparazioni della Tower...
come al solito.»
Fury tacque ma Tony lo
udì mormorare sottovoce qualcosa.
«Ok, nessuno entrerà
ma metterò un perimetro di sicurezza attorno alla Torre,
chiaro?
Nessun civile deve essere coinvolto nella vostra operazione di
gruppo!»
«Assolutamente
d'accordo. Ora, se volessi scusarmi, devo cercare di mantenere in vita
un'astrofisica»
«Aspetta, che-»
Ma Tony
terminò la chiamata prima che potesse udire altri richiami
in Fury Style.
Quando Thor era
ricomparso nessuno
di loro se lo aspettava. Non era neanche riuscito a fermare la squadra
di sorveglianza delle Stark Industries che era corsa a difesa della
struttura.
Jarvis riportava che
nessuno era stato ferito in modo grave ma doveva muoversi a far
evacuare la Torre il prima possibile.
Ci fu ancora una
scossa. Di certo avevano sfondato un'altra parete.
Raggiunse poi la
stanza e chiese a Jarvis di aprire la porta chiusa dall'esterno.
Si ritrovò
immediatamente il viso di Pepper di fronte.
«Che diamine
succede, Tony?»
«Nulla di
grave,
tesoro» rispose cercando di ritrovare un respiro
più
pacato. C'era anche Jane accanto a Pepper.
«Nulla di
grave?»
ribatté esasperata Pepper. «Ci stanno attaccando!
Bruce-» La seconda scossa la fece cadere fra le sue braccia,
mentre Jane si poggiò alla parete.
«Devi
lasciare la Torre. Adesso!»
Tony non aveva
intenzione di
mettere ancora in pericolo la sua vita, non a causa di quel idiota di
Thor! «Happy si sta occupando di evacuare ogni reparto.
Prendi le
scale di emergenza e vattene da qui.» La invitò
stringendola per le braccia. «Capito?»
Convincerla con
così poco
sarebbe stato solo un sogno, e infatti Pepper si liberò
presto
dalla sua presa e lo guardò come avesse detto la cosa
più
stupida del mondo.
«Chi
è
stavolta?» gli chiese e lui esitò. In
quell'esitazione trovò lo sguardo della Foster e la
risposta giunse silente a entrambe.
Pepper si
voltò verso la donna e respirò a fondo tenendo le
labbra incollate.
Si udivano in
lontananza le urla di
Hulk e colpi di una forza spaventosa che stavano mettendo a dura prova
la solidità della sua casa.
«Pep,
ascoltami. Aiuta Happy
a far uscire tutti. Io devo tornare dagli altri. Ok? E ti prego, non
dire di no altrimenti-»
«Ok,
Tony.» Lo
zittì accettando il suo compito. Ma quando chiese a Jane di
seguirla Tony fu costretto a fermarla.
«No, Jane
resta qui. Me ne occupo io» disse comprendendo la confusione
sul viso di entrambe.
Prese un respiro e
disse ciò che sapeva sarebbe stata una bella batosta per
l'astrofisica.
«Lui
è qui per
lei,» affermò e poi si rivolse direttamente alla
dottoressa. «Non possiamo rischiare che scateni una guerra
per
correrti dietro. Qui sarai al sicuro, Jane, e potremmo arginare il suo
raggio di azione. So cosa-»
«Va
bene,» rispose lei tagliando corto. «Non voglio che
nessuno rischi a causa mia.»
«Ma
Tony-»
«Sarà
al sicuro,
tesoro. Te lo prometto.» Rassicurò la sua compagna
e
cercò di essere il più convincente possibile,
benché sapesse di non essere nella condizione di promettere
nulla.
L'ennesimo colpo
provocò la caduta di alcuni calcinacci dal soffitto.
«Adesso
vai.»
Pepper
annuì e raggiunse le
scale in breve mentre si metteva in contatto con Happy. Restati soli,
Tony si avvicinò alla Foster e la guardò negli
occhi.
Jane aveva di certo una bella tempra se ancora non era crollata dopo
tutto quel casino che l'aveva vista vittima, dopo aver avuto
anche il coraggio di affrontare quella lingua biforcuta chiusa in
gattabuia.
«È
qui per uccidermi, vero?»
Sforzò un
sorriso.
«Beh, magari
vuole solo riprendersi i regali che ti ha fatto,»
scherzò e Jane sorrise tristemente.
«Tony...»
Poi il
sorriso si spense. «Non fategli del male. Non è
lui,
è solo... è solo...»
«Quest'attacco
non
è casuale, Jane. Sono certo che su Asgard sta accadendo
qualcosa
e che Steve farà la sua parte.» Provò a
rassicurarla. «Dobbiamo solo guadagnare tempo.»
«Ok, allora
dove andiamo?»
Alla domanda di Jane
guardò
verso le scale: c'era solo un posto in tutta la struttura dove
sarebbe stata abbastanza al sicuro. Solo uno.
*
Loki fissò
il soffitto che continuava a far piovere sottili granelli di intonaco.
Era ancora allungato
sulla sua
branda, quando l'attacco era iniziato non si era mosso da
lì, non aveva emesso un solo fiato.
Stark non era nuovo ad
attacchi
diretti alla sua dimora, più di una volta proprio lui si era
dilettato nel testare la solidità di quella struttura anche
solo
per vedere la sua faccia infastidita dall'ennesimo incidente che
avrebbe distrutto la metà della sua Torre.
L'autore o gli autori
di
quell'assalto potevano essere molteplici, eppure Loki era
più che certo di conoscere con precisione il nome del
mandante.
Styrkárr
non avrebbe mai
rischiato di avere le tre essenze nel medesimo luogo, permettendo cosi
a Odino una mossa per contrattaccarlo; e con Mjolnir nella sua mano e
Sigyn ad Asgard, c'era solo una manovra che poteva attuare.
E se
Styrkárr era prevedibile, Amora era scontata: se lui era
lì su suo comando poteva volere solo una cosa.
Nonostante l'eco
lontana
della lotta Loki udì comunque il rumore dei passi, e quando
Stark saltò giù dalle scale con lei al suo fianco
si
tirò a sedere con un sorriso divertito.
«Avevi
ragione, alla fine:
è tornato per te.» Rise dell'espressione di rabbia
e
dolore sul suo viso. Sciocca, piccola mortale...
«Ehi, sta'
zitto!» blaterò Stark mentre si avvicinava al
vetro. «Avanti, esci.»
Loki guardò
la porta trasparente che si apriva e si alzò in piedi
avvicinandosi alla soglia ma senza varcarla.
«Ah... ho
capito»
sospirò poi studiando i bordi dell'apertura. «Vuoi
chiuderla qui dentro, giusto? Beh, Stark, non credo che questa piccola
gabbia di cristallo le salverà la vita.» Quando i
suoi
occhi ritrovarono quelli di Jane, Loki riuscì a leggere
l'odio che provava, il suo rancore, perfino la sua paura.
«Tic-tac, Jane... il tuo tempo sta per scadere.»
Sorrise
ancora, con una nota di palese divertimento.
Lei fece un passo e
gli fu di
fronte. Loki aspettò che lo colpisse, che lo ingiuriasse,
non si
sarebbe neanche sorpreso se si fosse ritrovato sul viso la sua saliva,
e invece Jane lo superò e varcò la soglia
entrando nella
cella.
«Coraggio,
fuori dalle
scatole tu.» Stark lo afferrò letteralmente per la
maglia
e lo tirò fuori. Loki glielo permise perché stava
ancora
guardando incuriosito il viso di Jane che adesso era alle sue spalle.
La porta di vetro poi
si richiuse e
Stark lo obbligò a guardare il suo di viso, tenendo fra le
dita
la sua maglia e fronteggiandolo a muso duro.
«Stammi a
sentire. Qui
nessuno ha voglia di preservare la tua vita ma ho promesso alla
strafiga mora di riconsegnarti tutto intero e mi dispiacerebbe non
rispettare gli accordi presi con una signora, perciò trovati
un
buco e restaci. O scappa, non mi importa, tanto ti ritroveremo ovunque
andrai. Chiaro?»
«Dovrei
scappare, Stark? E
perché mai? Voglio essere in prima fila mentre vi uccidete a
vicenda... E mentre lei muore per mano del suo grande amore.»
Tony lo
spintonò ma poi lo lasciò andare lanciandogli
solo uno sguardo che non ebbe alcun interesse a definire.
«Qui sarai
al sicuro,»
rassicurò la donna. «E ignora questa testa di
cazzo»
ringhiò prima di prendere le scale.
Loki lo
guardò sparire e poi si volse verso il vetro, ormai abituato
a vedere dalla parete opposta.
«Non ho
paura, non di lui» affermò la donna.
«Dovresti,
perché se
è venuto per prendere la tua vita allora prenderà
la tua
vita,» ribatté. «Soggiogato o meno, Thor
non ha mai
amato fallire.»
Sebbene tacque, Loki
vide la sua gola sussultare.
Ne gioì.
*
Natasha si
trascinò accanto a Clint e gli controllò le
pulsazioni. Erano basse ma il suo cuore ancora batteva.
Sospirò e
strinse i denti
quando avvertì la ferita pungere. Non era profonda come
pensava,
forse non aveva leso neanche alcun organo vitale, di certo
però
aveva un paio di costole incrinate e la sua spalla destra era slogata.
Fece perno sul braccio
ancora
illeso e cercò di tirarsi a sedere. Poggiò la
schiena
contro la parete e afferrò la maglia di Clint per tirarlo
accanto a lei. Adagiò la sua testa sulle sue gambe e
respirò lentamente per non rendere la ferita ancora
più
profonda.
Hulk era giunto in
tempo, Hulk era l'unico che poteva fermare quell'essere che aveva le
sembianze di Thor.
«Jarvis?»
chiamò con voce rauca attraverso l'auricolare.
«Mi dica, agente Romanoff.»
«Dove
sono?» chiese deglutendo a fatica.
«Al dodicesimo livello. Se il
ritmo dello scontro non rallenta, in breve distruggeranno anche
l'ultima dozzina di piani. La sicurezza della struttura non
è però stata compromessa.»
«Bene,
almeno una buona
notizia.» Mancava solo che l'intera Torre crollasse sotto i
loro piedi. «Stark ha ricevuto il mio messaggio?»
«Si, agente Romanoff. La
dottoressa Foster è stata condotta nella stanza
più
sicura della Tower ma il signor Stark mi impedisce di rivelarne
l'ubicazione esatta. Protocollo necessario per preservarne la
sicurezza.»
«Sì,
certo...» mormorò ancora Natasha chiudendo per
qualche secondo gli occhi.
Il pavimento
tremò sotto le
sue gambe e fu costretta a riaprire lo sguardo. Attraverso la parete
crollata di fronte poteva scorgere quella che era stata fino a poche
ore prima la loro sala riunioni, con la macchinetta di caffè
espresso con miscela colombiana, con il distributore di merendine
voluto da Clint, con il tavolo di vetro adesso in frantumi su cui si
accasciava Bruce quando credeva che nessuno lo vedesse, e dormiva con
il capo poggiato sulle braccia. La bandiera sul muro era ora a terra,
coperta dai detriti, e la grande A sulla porta era sparita, insieme
alla porta stessa.
Sospirò e
abbassò lo
sguardo sul viso ancora assopito di Clint. Gli scostò i
capelli
dalla fronte e trattenne un gemito di dolore.
«Capitano...»
mormorò fra sé. «Qualunque cosa tu stia
facendo per
risolvere questa situazione, per favore, sbrigati.»
ஐஐஐ
Linn guardò
i suoi occhi. Non disse nulla, non comprendeva.
«Hai capito,
Linn?» Ma quando Sigyn glielo chiese annuì.
«Sì,
ho capito.»
«Bene.»
L'abbracciò,
e in quell'abbraccio avvertì la sua paura e i suoi timori.
Tenne per
sé ogni domanda, tenne per sé ogni dubbio.
«Ora
troviamo un luogo dove sarai al sicuro.»
La seguì
mentre si
allontanava dalla balconata, mentre allontanava la guerra e le fiamme,
mentre Linn si chiedeva dove fosse Steve, come stesse, e quando quella
guerra sarebbe durata.
«Sigyn?»
La chiamò mentre scendevano una lunga scalinata.
Lei si
voltò e Linn non disse nulla. Sigyn le sorrise e le prese la
mano.
«Andrà
tutto bene, Linn,» le ribadì. «Te lo
prometto.»
E Linn le credette.
*
Steve si
ritrovò con un ginocchio sul terreno fangoso.
Tossì forte
e vide gocce di sangue cadere sulla terra.
Il polmone, forse lo
stomaco.
Stava cadendo a pezzi.
Fece leva sull'ascia e
si
rimise in piedi, la caviglia mandò una scossa di dolore
quando
poggiò la pianta del piede. Era coperto di ustioni e ferite,
eppure la più fastidiosa era quella dannata caviglia.
Dovette ritrovare
presto l'attenzione quando fu attaccato da due esseri.
Bloccò
l'affondo di
uno mentre colpiva l'altro all'addome. Ruotò poi
lascia abbassando il capo in modo da colpire anche il nemico
dall'altro lato, caddero entrambi a terra privi di vita.
Il caldo era
però
insopportabile; per colpa di quelle creature, la vegetazione era in
fiamme. Gli arbusti e gli alberi, alti e antichi, bruciavano e le loro
foglie cadevano come petali di fuoco sulle teste dei soldati.
Respirare iniziava a
fare male e il sangue che continuava a sputare non era per nulla un
buon segno.
Si pulì la
bocca e
bagnò le labbra screpolate e ferite. Doveva continuare a
lottare, doveva resistere finché avesse avuto ancora sangue
da
sputare e ossa da ingessare.
«Capitano,
prendi!»
Voltò il
capo verso la voce, era Hogun che gli stava lanciando contro quella che
sembrava una pietra.
Poggiò
l'ascia e l'afferrò guardandola confuso.
«Cos'è?»
chiese e l'asgardiano gli si avvicinò con un sorriso sul
viso provato dalla lotta.
«Frantumala
sulle tue ferite. Ti aiuterà.»
Prima che potesse
chieder altro,
Hogun era corso in direzione di altri avversari e Steve si
ritrovò al momento in solitudine a guardare quella pietra,
con
la sola compagnia di cadaveri avvolti dalle fiamme.
*
C'erano quasi, il
vincolo si stava sciogliendo.
L'anima di Thor si
stava
allontanando da quella del Vanr e dovevano solo tenerla separata
finché il terrestre non avesse compiuto il suo incarico.
Odino aprì
gli occhi,
dapprima celati per aumentare l'energia del rito, e guardò
il viso di Frigga, cosparso di gocce di sudore, le sue mani poggiate
contro l'Albero dell'Eterno tremavano, le sue labbra
tremavano.
Non avrebbe lasciato
che la sua sposa soffrisse ancora.
Erano vicini, non
restava che compiere l'ultimo atto.
*
No, non poteva essere.
Styrkárr
sentì la
mano bruciare, come fosse bagnata dal più letale dei veleni.
Le
dita si sciolsero senza che potesse impedirlo e Mjolnir cadde a terra
con un tonfo.
Il suo cuore
batté forte, sempre più forte, sempre
più rabbiosamente.
Abbassò la
mano e
afferrò di nuovo l'arma, riuscì a sollevarla di
pochi centimetri prima che fosse costretto ad abbandonarla.
«Non puoi
ribellarti a
me!» ringhiò. «Io governo la tua
potenza. Mia
è l'anima del tonante! Mia sarà la
vittoria!»
Avvolse entrambe le
mani attorno al
martello ma stavolta fu impossibile anche solo tenere i palmi poggiati
contro l'impugnatura.
L'Incantatrice! Lei
aveva il dovere di...
Non riuscì
neanche a dire il
suo nome. Anche la sua gola prese a bruciare come inghiottisse mille
tizzoni ardenti. Si strinse il collo con le mani e crollò in
ginocchio sul terreno.
Non riusciva a
respirare, il suo
petto era come lacerato, era come se qualcuno lo stesse tagliando nel
mezzo con una lama, e Styrkárr sapeva bene chi ne era la
causa.
*
Stava schivando un
nuovo assalto
quando sentì un brivido solcargli la pelle. Steve
abbatté
la creatura e si fermò. La pietra di Hogun aveva alleviato
il
dolore alla caviglia e sembrava che secondo dopo secondo ogni ferita
diventasse più lieve. Forse quel brivido era un effetto
collaterale di quella cura ma poi lo avvertì ancora, e poi
udì una voce.
Va'... è
tempo.
Conosceva quella voce,
era quella
di Odino ed era come se glielo stesse sospirando all'orecchio.
Conosceva anche ciò che voleva dire.
Sollevò
immediatamente lo
sguardo verso la collina dove aveva visto Styrkárr lanciare
saette e lo rivide lì, nel medesimo luogo eppure qualcosa
era
cambiato. Era in ginocchio, inerme, ma soprattutto, Mjolnir non era
più nella sua mano.
Va'...
Prese un respiro, il
fuoco era
ormai alto e il sudore bagnava perfino le sue ciglia. Lasciò
cadere a terra l'ascia che gli era stata donata da Volstagg,
quell'ascia con cui aveva ucciso bestie che non pensava potessero
esistere al di fuori dell'Inferno, e strinse il suo scudo.
«Capitano?
Che succede?» chiese Fandral.
Steve
continuò a guardare la collina.
Doveva andare.
«Guardatemi
le spalle!» ordinò e iniziò a correre.
Corse fra le fiamme,
il sangue e la
morte. Corse fra i nemici e i soldati, saltò le carcasse e i
corpi feriti dei coraggiosi asgardiani e puntò dritto verso
quel
martello, la cui sagoma si stagliava nel cielo ormai rosso come lava.
Il cuore picchiava
così
forte da sembrare quello di qualcun altro. Mentre divorava i metri,
Steve pensò a Thor, a ciò che gli aveva promesso,
ripensò ai suoi amici sulla Terra che confidavano in lui,
ripensò a Linn alla quale aveva giurato di salvare Asgard e
le
sue genti, ripensò allo sguardo di Odino, allo sguardo di un
padre che sapeva di aver sbagliato e che forse era solo troppo
orgoglioso per ammetterlo.
Ripensò a
quell'unica speranza che era letteralmente fra le sue mani.
Le gambe spinsero con
più
vigore, ormai non c'era più alcun dolore e, se
c'era, Steve non lo sentiva. Giunse alle pendici del piccolo
colle e salì veloce, affondando ad ogni falcata nella terra
inumidita dal sangue.
Quando
arrivò in cima,
Styrkárr lo guardò: c'era un sentimento oscuro
nel
suo sguardo, un'energia malvagia che gli aleggiava intorno.
Steve
ignorò i suoi occhi, i
suoi gemiti soffocati, le sue mani che cercavano di fare perno per
sollevarsi. Rimase inerme, Styrkárr, piegato su se stesso
mentre
Steve cancellava la distanza che lo divideva da quell'arma.
Non aveva mai avuto
occasione di
sfiorarla, non aveva mai neanche avuto desiderio di toccare
un'arma con un tale potere, forse per rispetto verso Thor, forse
per rispetto verso Mjolnir stesso.
Un passo dopo l'altro,
mentre il respiro caldo bruciava nei polmoni dolenti.
Steve tenne il suo
scudo al braccio
sinistro e allungò la mano destra verso quell'impugnatura.
Le sue dita parvero quasi tremare, ma non aveva tempo per tentennare.
Devo farcela!
Nel momento esatto in
cui strinse
il pugno, avvertì una leggera scossa attraversare il suo
avambraccio e vibrare fin dentro al petto.
Sentì poi
un dolce sibilo, quasi un canto, quando lo sollevò senza
neanche accusarne il peso.
*
Amora si
voltò all'istante mentre sentiva il suo incantesimo
sbriciolarsi.
Non si era resa conto
di ciò
che stava accadendo, accecata dalla rabbia e dalla smania di uccidere
quell'impertinente donna.
Scorse il terrestre
sulla collina
con il pugno stretto attorno a Mjolnir, e Styrkárr a terra,
incapace perfino di stare in piedi sulle sue gambe.
«Maledetto!»
ringhiò pronta a impedire a quell'umano di fare qualsiasi
cosa avesse in mente di fare, sebbene fosse facile intuire quale era il
suo scopo.
«Dove credi
di andare?!»
Si ritrovò
a picchiare il
viso al suolo polveroso quando Sif le saltò letteralmente
addosso. Provò a liberarsi di lei, ma finì solo
con il
voltarsi e mostrarle il volto che la guerriera colpì con
violenza.
L'attacco fu talmente
brutale che Amora non ebbe neanche occasione di pronunziare un solo
sortilegio per fermarla.
«È
finita,
Amora!» affannò Sif mentre le spaccava lo zigomo
con un
pugno. «Hai perso... l'hai perso.»
«Non questa
volta...»
sibilò approfittando dell'attimo in cui Sif
recuperò fiato. Disegnò una runa con l'indice e
spedì la donna a una decina di metri di distanza.
Poggiò poi
un ginocchio a
terra per rimettersi in piedi. Il viso le doleva e così
l'addome, ma nulla le avrebbe impedito di fermare quel piccolo
insetto.
«Thor mi
appartiene»
affermò pulendosi le labbra sanguinanti e guardando Sif che
si
rialzava. «È mio.»
«Lui
preferirebbe essere
morto anziché sottostare ai tuoi folli comandi,
strega!»
sentenziò poi l'asgardiana. «Affrontami,
sconfiggimi. Uccidimi! Perché solo così ti
lascerò
andare, Amora.»
Amora si
voltò a guardare il terrestre e poi tornò con lo
sguardo in quello della donna.
Non avrebbe raggiunto
Midgard,
né potuto fare nulla per far riavere a Thor la sua anima.
Non
c'era alcuna speranza che riuscisse a spezzare il legame con cui
lei e Loki l'avevano vincolata a quella di Styrkárr, e la
voglia di prendere la vita di Sif era troppo forte.
Sorrise passandosi la
lingua sui denti per lavare ogni traccia di sangue.
«Porterò
la tua testa da lui affinché la schiacci sotto i
piedi.» Le promise sinistra.
Sif
recuperò la sua spada e il suo scudo e le mostrò
il più fiero degli sguardi.
«Fatti sotto
allora, perché intendo fare lo stesso,
Incantatrice.»
*
Ce l'aveva fatta.
Odino
avvertiva l'energia di Mjolnir unirsi a quella del terrestre. Ma
l'anima di Thor era ora ancora legata a quella di quel traditore
Vanr e il rito avrebbe dovuto tenerle entrambe soffocate
finché
Rogers non avesse concluso la sua missione.
Heimdall... sibilò
Odino nella sua mente mentre chiamava quella del fido alleato... Aprigli la via.
Dopo qualche frammento
di attimo sentì chiara la sua risposta.
Sarà fatto,
mio re.
ஐஐஐ
Iron Man giunse nella
stanza e scoprì sia la Vedova che il Falco a terra, sebbene
la donna fosse ancora cosciente.
Si avvicinò
e piegò un ginocchio accanto al corpo del compagno per
sincerarsi delle sue condizioni.
«È
tutto ok, Stark» sospirò Natasha con il viso
più pallido del solito.
«Non direi
proprio»
ribatté lui sollevando fra le braccia Clint. «Nick
è fuori. Si occuperà di lui.» Poi la
guardò
attraverso il casco della Mark ma tenne sulla lingua ogni
raccomandazione di resistere. Di certo lo avrebbe mandato a quel paese
senza pensarci due volte.
Senza indugiare oltre
volò
fuori dalla parete distrutta per raggiungere una delle squadre
allineate alla base della Tower.
«Che diamine
è successo?» chiese immediatamente Nick vedendolo
atterrare.
Tony gli
lasciò soltanto cadere il corpo privo di sensi di Barton fra
le braccia e tornò a sollevarsi dal suolo.
«Cure
immediate»
comandò e volò verso il piano in cui Natasha era
ancora
seduta sul pavimento con le spalle contro il muro.
«Vieni,
tocca a te,»
disse avvicinandosi per sollevarla ma la Romanoff rise scuotendo la
testa e tenendosi l'addome che sanguinava.
«Non
abbandono mai il campo di battaglia finché la missione non
è compiuta.»
Testarda di una russa.
«Stark!»
La udì poi litigare mentre la raccoglieva fra le braccia.
«Taci,
rossa. Ho una nuova missione per te: restare viva.»
Natasha lo
guardò con rabbia
e quel sentimento di impotenza che doveva farle male, e avvolse le
braccia attorno alle sue spalle.
«Non sei il
mio capo...» mormorò con una smorfia di dolore
mentre Tony prendeva quota.
«Lo so. Cap
è il tuo boss e sono certo che sarebbe d'accordo con me.
»
La Vedova non disse
più
nulla e si lasciò condurre fino alla squadra di soccorso.
Tony
le diede l'incarico di informare Nick e soprattutto di tenerlo
fuori da quell'edificio.
Sapeva che Natasha
Romanoff poteva portare a compimento anche due missioni nello stesso
momento.
Sollevò il
capo verso l'alto quando presero a cadere interi pezzi di pareti e
acciaio.
Bruce stavolta avrebbe
dovuto contribuire a ripagare almeno il 30% dei danni.
*
Jane sentiva il suo
cuore battere
furioso e il fiato spezzarsi ogni volta che immetteva aria. A ogni
colpo che udiva, a ogni scossa che rischiava di farle perdere
l'equilibrio, il cuore batteva più forte.
Loki se ne stava
seduto
tranquillamente sulla scrivania sul fondo della stanza, incurante dei
calcinacci che cadevano dal soffitto, del pavimento che tremava, della
paura che bruciava nei suoi occhi.
Loki sedeva, silente a
gambe incrociate, e la guardava con un sorriso glaciale.
Provò
rabbia, più di
quella che avrebbe creduto di poter ancora provare e avrebbe soltanto
voluto ucciderlo con le sue stesse mani.
Se solo Thor lo avesse
fatto tanto tempo fa, se solo...
Si sentì
così debole.
Gli stava dando quello che voleva, stava diventando una creatura
viscida e spregevole. Stava diventando come lui; provava gli stessi
sentimenti orribili e lo stesso buio nell'anima.
«Hai davvero
intenzione di
restare lì a guardare?» gli chiese sottolineando
tutto
l'astio che l'avvolgeva.
«Oh, certo.
Perché
dovrei perdermi un tale meraviglioso evento?! Thor che uccide la donna
che ama sotto l'influsso di una donna che ha amato.» Poi
rise velenoso e crudele. «Perché lui l'amava, sai?
Voleva che fosse la sua regina. E anche se Amora è una
puttana
manipolatrice, sarebbe stata di certo una regina più degna
di
te, Jane Foster. Almeno non avrebbe reso il futuro re di Asgard vedovo
nel giro di qualche decennio.»
«Quanto
piacere provi a farmi
del male?... È questa la tua unica soddisfazione?»
La sua
voce tremò attraverso quella domanda. Perché il
silenzio
di Thor l'aveva ferita, le sue bugie, i suoi segreti. Tutta
quella vita che non sapeva avesse vissuto era stata una ferita che non
si sarebbe richiusa facilmente.
Loki sorrideva ma
piano, mentre
Hulk urlava in lontananza, ogni maschera si sciolse da quel viso
pallido, e quegli occhi verdi tanto inquietanti quanto magnetici
sembrarono divenire più umani.
«Non sono io
a farti del male, Jane. È stato lui, è stato Thor
a prendere il tuo cuore e romperlo.»
Una lacrima
sfuggì al suo
controllo e se ne vergognò. «Lui ha questa
capacità
innata di essere dannatamente crudele con chi dice di amare.»
“Quel cuore è mio
perché nessuno potrà mai cancellare il dolore che
gli ho
causato e che lui ha causato a me.”
«Chi
è Hela?»
domandò poi, ripensando alle sue parole, ripensando ai suoi
occhi che anche mentre pronunziavano quel nome sembravano gli occhi di
un uomo ferito, e non di un mostro assassino.
Loki sorrise e
abbassò il capo.
«Non vuoi
saperlo davvero, credimi» rispose.
«Perché?
Perché mi ferirebbe ancora?»
«No,
perché te lo farebbe odiare.»
Restò
silente alle sue
parole ed ebbe vero timore di scendere ancora più a fondo in
quell'abisso di dolore che era il loro legame.
«Hela...»
sospirò e Loki la guardò ancora.
«È il
motivo per cui tu lo odi... Non è
così?»
Ancora un sorriso,
stavolta di una
straordinaria dolcezza, una dolcezza di cui Jane non lo avrebbe mai
ritenuto capace, un sorriso che assurdamente ricordava quello di Thor.
«Lei
è il motivo per cui non l'ho mai davvero fatto.»
Sussultò.
«Lei?»
Ci fu ancora una
scossa, stavolta di spaventosa forza che la catapultò a
terra.
Perfino Loki cadde
dalla scrivania e si appoggiò ad essa per rimettersi in
piedi.
«Credo che
il tempo delle
confidenze si sia esaurito.» Era tornata la maschera, era
tornato
il ghigno, era tornato il vecchio Loki. «Ed anche il tuo di
tempo, dottoressa Foster.»
*
Quella spada era una
spina nel fianco. Anzi, una spina nel suo culo metallico.
Non esisteva modo per
togliergliela
dalle mani, non esisteva neanche modo per
“spegnerla”. Di
qualunque materiale fosse fatta era indistruttibile e anche parecchio
pericolosa.
La stanza prese fuoco
nell'attimo in cui il fendente destinato al polpaccio di Hulk
tagliò di netto il muro.
Tony provò
con ogni singola arma presente nella sua Mark, ma nessuna di esse
sembrava efficace.
La struttura della
Torre inoltre
stava subendo troppe sollecitazioni e un pericolo di crollo non
sembrava più un'ipotesi così remota.
Portare la lotta
all'esterno
sarebbe stato anche peggio, ma qualcosa dovevano inventarsi altrimenti
sarebbero finiti tutti sotto quintali di cemento e acciaio e nonostante
quello, Thor e la sua dannata spada sarebbero continuati ad essere una
spina nel culo.
Hulk anche iniziava a
perdere colpi il che era tutto dire.
Ringhiò, il
gigante buono, e
si avventò contro Thor afferrandolo per quel ridicolo
mantello e
facendo fuori un'altra colonna del suo soggiorno.
«Toglietevi
dalla mia strada,
terrestri!» comandò loro Thor quando si
rialzò in
piedi. «Non è la vostra vita che voglio.»
«Grazie per
la clemenza, Lord Mantello Candido» mormorò Tony
sparandogli contro qualche altro colpo.
Altra mossa inutile.
Thor rispose al suo
attacco e Tony
si ritrovò a colpire con le spalle il telaio d'acciaio
della vetrata, i cui vetri erano ormai coriandoli taglienti sul
pavimento. «Dannazione...»
Di quel passo sarebbe
andato presto a far compagnia a Clint.
Hulk gli
regalò qualche
secondo per rimettersi in sesto mentre affrontava ancora Thor. Almeno
potevano contare su di lui e...
L'urlo che
salì un
attimo dopo fu tremendo. Tony sgranò gli occhi attraverso il
suo
casco mentre lo vedeva crollare sul pavimento. La spada, adesso
completamente viola, affondata nel suo stomaco e il volto di Thor era
una maschera di fredda crudeltà.
L'amico verde era
ancora in
ginocchio, nel tentativo di togliersi la lama dalla carne con uno
strano liquido che stava fuoriuscendo dalla ferita. Un liquido dello
stesso inquietante colore viola che si mischiava con il sangue di Hulk,
ma che nel momento che gocciolava a terra lasciava un solco.
Non poteva essere, non
poteva averlo fatto sul serio.
«È
veleno?» chiese incredulo Iron Man. Nessuna risposta era
necessaria.
«Hulk...
male...»
mormorò la povera creatura con una smorfia di dolore sul
volto.
«Hulk male» ripeté sofferente e Tony si
ritrovò a tremare di rabbia nella sua Mark.
Thor nel mentre
abbandonò la
sua posizione e camminò verso di lui, lasciando alle spalle
Hulk, con la sua spada ancora affondata nello stomaco.
«Jane
Foster. Dimmi dov'è?»
Si sentì
chiedere Tony e avrebbe solo voluto spaccargli la faccia a suon di
pugni.
Fu quello che fece.
Al diavolo laser e
altre cazzate, voleva solo farlo sanguinare con le sue mani.
Thor cadde con le
spalle a terra e
Tony gli salì a cavalcioni addosso assestando un pugno
dietro
l'altro sul suo viso.
«Pezzo di
merda! Sei un
lurido pezzo di merda, Thor! Che tu sia maledetto. Stupido ottuso
asgardiano!» vomitò rabbioso senza fermarsi dal
colpirlo.
Thor subì
il suo attacco
silente, senza emettere un solo gemito di sofferenza, sebbene il suo
viso iniziasse a essere bagnato di sangue. Gli afferrò poi
entrambi i polsi metallici fra le mani e lo guardò.
Tony respirava
affannoso e il casco della Mark pareva soffocarlo ancora di
più.
Non riusciva
più a muovere le mani, bloccate nella sua morsa.
«Jarvis?»
chiamò.
«Sì signore?»
Thor lo
colpì con una testata e poi ancora una.
Tony cadde al suolo,
sentendo la testa girare e le orecchie fischiare.
«Rogers...
digli...»
bofonchiò tentando di sollevarsi. Il suo braccio fu ancora
una
volta fra le mani di Thor.
«Signore?»
Ciò che
Jarvis udì poi non fu un comando, solo un urlo, quando Thor
gli spezzò di netto il braccio.
*
Le scosse cessarono.
La polvere si poggiò silente sulle superfici. Fu silenzio.
E sembrò
essere anche più terrificante di quei suoni di battaglia.
Jane guardò
il soffitto, la
cella, i vetri che avevano tremato sotto ogni sollecitudine della
struttura ma che erano rimasti integri.
Trascorsero secondi
pesanti come
ore e poi altri secondi ancora e non accadde nulla. Sembrava che la
lotta fosse terminata, che tutto fosse finito.
Guardò
infine Loki, che non sorrideva più e che osservava il fondo
delle scale.
Non chiese cosa stesse
aspettando,
non chiese chi. Quando udì i passi, non chiese nulla,
respirò solo a fondo mentre li sentiva avvicinare, mentre
vedeva
la sagoma entrare nel suo campo visivo, mentre il suo cuore cadeva a
terra come un frutto troppo maturo.
«Thor...»
Le sue labbra si mossero da sole, la sua lingua pronunziò
quel nome senza che lo volesse.
Era lì,
davanti a lei,
ferito e sanguinante, che la guardava come se non la vedesse davvero.
Era vuoto il fondo del suo sguardo, era privo di espressione il suo bel
viso.
Saettò con
lo sguardo alle
sue spalle, dove Loki era rimasto silente a osservare il tutto, con le
spalle premute contro la parete e la bocca serrata in una linea rigida.
«Jane
Foster.»
Al sentire la sua voce
pronunciare
il suo nome ebbe un brivido orrendo. Non era la voce di Thor, non
c'era dolcezza né tenerezza nel suo tono, non c'era
nulla in lui.
Respirò con
più
affanno restando immobile mentre lo vedeva fare un passo di
più
verso il vetro che li divideva.
Quando le fu ormai di
fronte appoggiò il palmo contro la parete trasparente.
Jane avrebbe voluto
poggiare il suo
contro quel vetro, chiedergli di tornare ad essere l'uomo che
amava, che l'aveva fatta sentire speciale e unica come nessun
altro, che l'aveva fatta sentire amata come non le era mai
accaduto.
Torna a essere Thor,
il mio Thor.
Avrebbe voluto
dirglielo, avrebbe
voluto piangere altre lacrime e altre ancora, ma ogni emozione
ghiacciò quando quel palmo si chiuse in un pugno, quando
Thor
colpì con quel pugno il vetro fino a farlo tremare.
*
L'aveva guardato, una
volta soltanto e poi l'aveva ignorato.
Cosa c'era di
così
diverso? Cosa c'era in questo Thor che differiva
dall'essere accanto a cui aveva vissuto per tanti secoli?
Loki si
ritrovò a porsi quella domanda mentre guardava le sue spalle
allontanarsi per giungere alla cella.
Le sue spalle, la sua
schiena...
La storia si ripete,
dunque, fratello?
L'umana era spaventata
eppure sembrava conservare una speranza nel fondo dei suoi occhi
nocciola.
Poi Thor
colpì il vetro e il rumore sembrò essere da solo
capace di frantumarlo.
Loki sentì
risuonare i successivi nel suo petto, come fosse il suo cuore che Thor
stava colpendo con il pugno.
Lo era stato, un tempo.
Jane
indietreggiò a ogni colpo finché non
finì con le spalle contro la parete bianca.
«Thor, sono
io. Smettila, ti
prego...» Le sentì supplicare con sofferenza, e
Loki
sapeva non era la morte a spaventarla quanto la mano che
gliel'avrebbe donata.
Aveva sempre sperato
che fosse Thor
un giorno a ucciderlo, sarebbe stato un modo degno con cui essere
legati per sempre. Morire per mano di un fratello troppo amato e troppo
odiato, far sì che fosse Thor a morire per mano sua.
Morire insieme, uno
accanto all'altro, morire come non erano stati capaci di vivere.
I pugni si fecero
più
brutali, finché Thor non colpì la parete anche
con i
calci, eppure nulla parve scalfirla.
Stark aveva avuto
ragione quella
volta: quella cella era il solo luogo in cui la donna avrebbe potuto
trovare una parvenza di sicurezza. Ma era solo questione di tempo.
Presto anche quella parete sarebbe crollata e Jane Foster, la donna
mortale che tanto aveva odiato e disprezzato, sarebbe morta.
Se anche Rogers fosse
riuscito nel
suo intento, se anche Odino e Freyja avessero messo fine alla minaccia
di Styrkárr e Amora, se anche Thor fosse tornato ad essere
il
Dio del Tuono, nulla avrebbe potuto chiudere la ferita che avrebbe
portato per sempre, sapendo di essere colui che aveva ucciso la donna
che amava.
Avrebbe potuto
guardare i suoi
occhi colpevoli, le sue mani che non sarebbero state mai più
candide. Aveva ferito i suoi amici, il mondo che aveva giurato di
proteggere, era stato il cane a guinzaglio di quella folle di Amora e
per di più aveva strappato il cuore dal petto di Jane Foster.
Sarebbe stata una
vendetta di cui
godere, la sua sofferenza avrebbe per sempre riflesso quella che aveva
portato lui nel cuore per secoli, che avrebbe sempre portato. Quella
colpa li avrebbe uniti come li aveva uniti quel peccato.
Una crepa si
disegnò sul vetro, sottile, e si allungò al
successivo colpo.
Bastava guardare e
attendere e godere della sua distruzione.
Con le tue mani, Thor.
Sono state le tue mani a portare tanto dolore...
Avrebbe riso della sua
sofferenza,
avrebbe gioito della sua disperazione. Quegli occhi di cielo
non
avrebbero mai più smesso di piangere, quegli occhi di cielo
che
tanto amava.
Mi odierai, perché ho
dato inizio a tutto questo. Mi odierai, fratello, come ho sempre
desiderato.
Eppure...
“Io non sarei in grado di
odiare qualcuno che amo, Loki. Per quanti aspetti oscuri possa avere,
per quante ombre possano albergare nel suo cuore, io amerò
sempre ognuna di quelle ombre... Sempre... anche quando quelle ombre
avranno inghiottito ogni luce.”
No, non era
così. L'avrebbe odiato, Thor lo avrebbe odiato, Sigyn lo
avrebbe odiato! Lei... lei...
Odiami! Devi odiarmi!
Sentì quel
vecchio dolore
che tornava prepotente a bruciare la sua carne, lo sentì
spandersi sotto ogni crepa che si disegnava sulla superficie
trasparente, sotto ogni lacrima che lasciava gli occhi di Jane.
Non l'avrebbe mai
odiato, non lei,
non Thor.
Avrebbe odiato se
stesso perché il dolore che aveva portato Loki era stato
Thor a causarlo e questo lo sapeva.
E quella colpa sarebbe
stata la sua vera morte.
«Sono un
folle...»
sospirò fra sé mentre poggiava lo sguardo sulla
piccola
arma che sostava a terra, accanto alla scrivania, forse caduta durante
una di quelle scosse.
Si
inginocchiò e la raccolse stringendola nella mano.
La guardò,
nera e pesante, mentre una sottile linea elettrica attraversava le due
estremità in cima.
«Sono sempre
stato un folle.»
Si bagnò le
labbra e sorrise.
Qualcosa diceva che
una volta giunto in Hel, se ne sarebbe pentito.
*
Il vetro avrebbe
ceduto. Pochi secondi, ancora pochi colpi e sarebbe esploso in mille
schegge.
Jane non riusciva
neanche
più a vedere il suo viso, tante erano le lacrime che le
offuscavano la vista. Si portò una mano a coprire un gemito
mentre Thor continuava a colpire con ferocia la parete, mentre
continuava a guardarla come fosse solo un problema da eliminare. Senza
alcun'emozione, alcun sentimento.
Non c'era neanche odio
nel suo sguardo. Non provava niente.
«Smettila...»
La sua voce era un fiato che fece fatica lei stessa a udire.
La parete alle sue
spalle era l'unica cosa che le impediva di crollare.
Non poteva finire
così, non poteva accettarlo.
Guardò
quegli occhi di
ghiaccio ancora una volta prima che le fossero celati, prima che Thor
li chiudesse con un ringhio e cadesse a terra sul suo ginocchio destro.
Non capì
cosa stesse
accadendo finché non scorse Loki alle spalle di Thor con un
taser nella mano e un ghigno sul viso.
«Ci ho
ripensato,»
affermò. «Mi diverte troppo mettergli i bastoni
fra le
ruote.» Ancora un sorriso sinistro mentre balzava indietro
nell'attimo in cui Thor si rialzava.
«Tu!»
tuonò Thor con rabbia. Jane vide Loki aprire le braccia con
fare colpevole.
«Un'ultima
lotta. Solo tu e io... Che ne dici? Ti va, fratello?»
E c'era tanta
sofferenza in quel sorriso che Jane forse capì solo adesso
una briciola del loro legame.
«Io non sono
tuo fratello, sporco Jotun.»
«Oh, non sai
quanto ho aspettato di sentirtelo dire.»
Poi Thor lo
attaccò e Jane avrebbe solo voluto chiudere gli occhi.
ஐஐஐ
«Capitano
Rogers!»
Steve si
sentì chiamare con
vigore e cercò nella folla che lottava quella voce. Era il
guardiano Heimdall che combatteva con furia. Steve aspettò
di
avere i suoi occhi e poi capì.
«Seguimi!»
Annuì e
corse nella stessa sua direzione sebbene fosse ancora su quella
maledetta collina.
Lo scudo al fianco e
il martello stretto nella mano.
Era incredibile. Ci
era riuscito: l'aveva sollevato come fosse leggero come una piuma.
Lo guardò
ancora stordito
poi alzò lo sguardo verso Heimdall che correva molto
più
velocemente di lui e Steve comprese che era diretto al ponte.
Doveva consegnare il
martello a Thor e Heimdall doveva sapere dove fosse.
La sua sagoma diveniva
sempre
più piccola mentre balzava con incredibile
agilità. Steve
strinse i denti e cercò di tenere il suo ritmo, ma la
caviglia
iniziava a fare davvero male e non aveva più pietre da
usare.
Ebbe un'idea.
Se era riuscito a
sollevarlo magari sarebbe riuscito anche usarlo come faceva Thor.
Si fermò
con il fiatone e ne afferrò l'estremità.
«Proviamoci»
mormorò e iniziò a farlo ruotare. L'arma prese
sempre più velocità finché Steve non
sentì
un'incredibile energia esplodere direttamente dal suo braccio.
Lanciò poi
il martello verso l'alto tenendo saldamente la presa e un attimo dopo
stava volando verso il Bifrost.
Non ebbe neanche il
tempo di
guardare il campo di battaglia che si estendeva ai suoi piedi che si
ritrovò a ruzzolare letteralmente sul ponte di cristallo.
Perfino Mjolnir gli
cadde dalle
mani e scivolò via fermandosi miracolosamente solo a un paio
di
centimetri dal margine del ponte.
Steve si
rialzò passandosi
una mano sulla fronte, mentre avvertiva una strana nausea salire dallo
stomaco. La testa girava e tentò di scacciare il malessere
dovuto alla caduta.
Recuperò
poi Mjolnir mentre attendeva che Heimdall lo raggiungesse.
Il guardiano fu da lui
in breve.
«Non hai
raccolto quell'arma per poi farla cadere nell'abisso dei mondi, Steven
Rogers.»
Non sapeva se fosse un
richiamo o
altro, sentì comunque l'imbarazzo farsi spazio fra le
altri mille emozioni che cavalcavano nel suo petto.
Heimdall tenne stretta
la sua spada
e la infilò in un ampia fessura al centro della cupola.
Steve lo
affiancò volgendo però lo sguardo alle sue
spalle, verso
il palazzo, verso la guerra, verso le grida dei coraggiosi soldati,
verso le fiamme che avvolgevano la vegetazione.
«Dov'è
Thor?» chiese poi prestando nuovamente attenzione all'uomo.
Un nuovo vortice prese
a brillare dinanzi ai suoi occhi.
Era uno spettacolo
straordinario che non aveva avuto modo di vedere quando era giunto
lì.
«Su
Midgard,» rispose. «Devi affrettarti, non
c'è più tempo.»
L'ultima frase lo
agitò ma non chiese oltre. Si avvicinò alla
soglia dove mille luci vorticavano accecanti.
«Il destino
di Asgard è nelle tue mani.»
Steve
sospirò.
«Grazie per
aver reso le cose
più facili...» mormorò e poi fece un
passo in
avanti. Non riuscì a non chiudere gli occhi.
Sentì il
suolo sotto i suoi
piedi dopo pochi frammenti di tempo. Aprì le palpebre
scoprendo
così di trovarsi sulla cima della Tower, sulla pista di
atterraggio sul cui cemento era ancora impresso il simbolo lasciato
dall'arrivo di Sif.
Poi un rumore lo
obbligò a sollevare lo sguardo.
Un jet dello
S.H.I.E.L.D. sorvolava la zona. Si accorse che erano due.
Pensò che qualcosa non andava.
“Devi affrettarti, non
c'è più tempo.”
Thor doveva essere
lì alla Torre, il che voleva dire che...
«Accidenti!»
Si
catapultò alla porta e
saltò lesto le scale finché non si
trovò davanti
alla più totale delle devastazioni: intere pareti al suolo,
polvere, calcinacci, vetri. Non c'erano però uomini a
terra.
Si guardò
in giro cercando i suoi compagni con entrambe le mani impegnate.
«Ehi, Stark?
Dove sei?... Nat?... Bruce?»
Provò a
chiamarli ma nessuno
rispose. Scese ancora un paio di piani saltando direttamente attraverso
le voragini del pavimento. Era stato Thor a fare tutto questo?
«Thor?»
Provò a chiamare lui ma neanche allora ebbe risposta.
Sentì tutti
i lividi e le ferite pulsare nel momento in cui i suoi passi
rallentavano e il respiro trovava il suo ritmo.
Era passato un giorno,
un solo giorno, e sembrava che tutto fosse andato in rovina.
E se fosse stato
tardi? Se Thor avesse fatto qualche gesto folle sotto il comando di
Amora?
Non riusciva neanche a
pensarci.
Si voltò
ancora intorno.
C'erano solo detriti e polvere. I mobili erano andati in frantumi
e così i lampadari, perfino gli schermi di Tony e tutti i
suoi
oggetti moderni di cui tanto andava fiero.
«Dove ti se
cacciato, Stark....» masticò fra i denti.
E Pepper? Jane?
Anche loro erano alla
Tower quando era andato via.
Non era possibile che-
«Steve...»
Udì
un brontolio, una voce che però riconobbe subito. Si
avvicinò velocemente a un paio di grossi pezzi di cemento
che
sollevò dopo aver poggiato lo scudo a terra.
«Bruce?»
Era coperto di ferite
e senza vestiti a coprirlo.
«Steve... ce
l'hai fatta?» gli chiese Bruce mentre Steve lo sollevava fra
le braccia.
«Che
è successo, Bruce? Dove sono gli altri? Dov'è
Thor?»
Bruce
tossì, con il volto sporco di polvere e sangue.
«È
andato da lei, da Jane... Devi aiutarla.»
Annuì con
vigore adagiando
il compagno sull'unica zona ancora intatta del pavimento. Si
sfilò la giacca e gliela poggiò in dosso e si
accorse
solo allora della ferita sul suo ventre.
«Bruce,
sei-»
«È
tutto ok, Steve. Devi andare da Jane.»
«Dov'è?»
Bruce scosse la testa
con stanchezza e sofferenza e Steve trattenne un sospiro.
«Capitano Rogers?»
D'improvviso la voce di Jarvis risuonò nella desolata stanza.
«Jarvis?»
Steve non fu mai più felice di udirlo.
«La dottoressa è al
piano G66. Il signor Stark ha ritenuto che chiuderla nella cella anti
Hulk fosse l'unica opzione che avrebbe aiutato la sua
sopravvivenza. Mi ha ordinato di comunicarlo unicamente a lei,
capitano, quando sarebbe tornato. A proposito, ben tornato.»
Stark sapeva sempre
tutto. Stupido geniale Stark.
«Grazie»
sospirò
e si rialzò recuperando scudo e martello. Guardò
poi
Bruce che lo osservava con lo sguardo socchiuso. Un debole sorriso
sulle labbra.
«Vai,
capitano.»
Steve
ricambiò quel sorriso e poi si recò rapidamente
verso la cella.
*
Sputò un
grumo di sangue e sorrise mentre lo vide formare una strana forma sul
pavimento.
Si trascinò
fra la polvere con i gomiti sentendo come se ognuna delle sue ossa si
fosse rotta.
Non riuscì
a trattenere un
gemito di dolore quando avvertì il colpo del tacco del suo
stivale alla schiena, fra le scapole, che lo bloccò
nuovamente
al suolo.
Poi la pressione
sparì e una
mano lo afferrò per i capelli sollevandolo di peso da terra.
Loki si ritrovò il viso sbattuto contro il muro
più volte
per poi ricadere ancora sul pavimento.
Rise, tossendo sangue,
e si voltò.
Thor lo guardava
rabbioso e oscuro come non era mai stato.
E così era
giunta la fine.
Era giusto
così.
Non si
ribellò quando Thor
gli avvolse la mano attorno al collo e lo tirò su
finché
non toccava neanche più il suolo con la punta dei piedi.
Poi strinse.
Lo guardò
fisso negli occhi e tentò di sorridere.
Continua... avrebbe
voluto avere la forza di dirlo, ma non riusciva neanche a respirare.
«Fermati,
Thor!»
Era stata Jane a
urlarlo dalla
cella. Era tornata accanto al vetro e aveva ora il viso asciutto,
sebbene i suoi occhi erano arrossati e ancora umidi.
«Non puoi
ucciderlo. È tuo fratello...»
Che straordinaria
follia! Adesso stava anche cercando di salvargli la vita.
Ma, in fondo, lui non
aveva poc'anzi fatto lo stesso?
Oh, sì,
Loki avrebbe voluto
avere più aria nei polmoni per ridere di gusto. Ma non
c'era più aria, non c'era più forza, perfino
la sua vista si stava affievolendo.
«Tu non vuoi
ucciderlo, Thor. Non vuoi fargli davvero del male.»
Ma Thor non
l'ascoltava.
Stringeva, stringeva sempre più forte e Loki gliene fu
grato.
Avrebbe messo così fine a ogni sua pena.
Che valore aveva ormai
più la vita per lui?
Aveva perso tutto
ciò per cui aveva continuato a lottare, a ingannare, a
uccidere, a vivere...
La sua famiglia, la
sua casa, sua madre, Sigyn.
Cos'era
un'eternità nella più profonda solitudine se non
una lenta e crudele morte?
Invece presto sarebbe
finito, ogni dolore, ogni sofferenza, tutto sarebbe finito.
Sentì una
lacrima lasciare l'angolo dei suoi occhi.
Avrebbe voluto
impedirlo ma ormai non aveva più forza per fare nulla.
Thor lo guardava
ancora, con le mani avvolte attorno alla sua gola.
Finalmente Thor lo
stava guardando.
*
Jane non riusciva a
fare altro che sbattere il palmo contro il vetro mentre vedeva Thor
soffocare letteralmente Loki.
Non poteva
lasciarglielo fare, non
poteva permettere che Thor uccidesse Loki. Non sarebbe mai
sopravvissuto al senso di colpa, quel senso di colpa sarebbe stato la
sua morte.
«Thor!»
urlò e colpì la parete.
«Thor!»
Non la stava a
sentire, non esisteva. In quel momento tutto ciò che
sembrava occupare la sua mente era uccidere Loki.
Jane crollò
con le ginocchia
a terra tenendo entrambe le mani contro quel vetro, mentre Thor perdeva
l'ultimo riflesso di sé.
«Basta
adesso!»
Accadde tutto troppo
velocemente.
Loki che cadeva al suolo, Thor che si voltava verso le scale, lo scudo
che lo colpiva, lui che lo afferrava.
*
Era arrivato in tempo
e
ringraziò Dio per questo, il suo Dio, quello in cui aveva
sempre
creduto e in cui nonostante tutte le assurdità che gli erano
capitate, continuava a credere.
Lanciò lo
scudo e vide Thor afferrarlo.
Loki giaceva a terra,
con gli occhi chiusi e il volto insanguinato ma il suo petto si
sollevava e abbassava, seppur lentamente.
Jane era nella cella,
come aveva detto Jarvis, e sembrava stare bene, nonostante tutto.
E Thor era
lì, ancora sotto l'influsso di quella donna, e a Steve
restava solo un'azione da fare.
Sollevò il
martello e glielo mostrò.
«Armi
sbagliate, amico
mio,» affermò e Thor lo guardò con
astio prima di
scagliargli contro il suo scudo.
Steve lo
bloccò e nel medesimo istante gli lanciò contro
il suo martello.
Nel momento esatto in
cui Thor lo afferrò ci fu un'esplosione di luce.
ஐஐஐ
Linn sentì
il fiato spezzarsi. Sigyn le cadde d'improvviso fra le braccia, come
una bambola di pezza.
Si
inginocchiò a terra e la chiamò allarmata.
«Sigyn?...
Sigyn?» Le scosse le spalle, le sfiorò il viso e
trattenne un gemito di paura.
Non respirava, non
c'era battito.
Le
accarezzò i capelli, le baciò la fronte e la
strinse fra le braccia.
Chiuse gli occhi, come
chiusi erano ora quelli di Sigyn, della sua amata signora.
La cullò
silente, sentendo
il suo profumo svanire respiro dopo respiro, la sua pelle farsi fredda
come quella della statua che portava il suo nome.
«Andrà
tutto
bene» sospirò contro la sua tempia donandole
ancora un
bacio. «Andrà tutto bene.» E
bagnò quel viso
freddo con le sue lacrime.
*
«NO!»
Amora urlò
quando
sentì distintamente il suo legame infrangersi, quando
sentì l'anima di Thor tornare nel suo corpo e il suo
vincolo di obbedienza spezzarsi all'istante.
Guardò Sif,
con la quale
aveva lottato fino a quel momento, mentre piccole gocce di acqua
cadevano sul suo viso e il cielo di Asgard si copriva di nubi.
La pioggia divenne
presto tempesta spegnendo le fiamme che stavano divorando la vallata.
L'aveva perduto, era
stato tutto inutile, ed era soltanto colpa di quello stupido Vanr.
E se Amora aveva perso
la sua guerra, lo avrebbe ricambiato con la stessa moneta.
«Arrenditi,
Amora.»
Non diede ascolto alle
parole di
Sif. Sollevò soltanto la mano richiamando tutte le sue
creature
che si sciolsero presto in cenere come non fossero mai davvero esistite.
«Mai, Sif.
Finché avrò fiato e finché
avrò la forza di provarci.» Le promise.
E così
avrebbe sempre fatto.
Thor le sarebbe
appartenuto, un giorno. E quel giorno sarebbe di certo giunto.
Schioccò
poi solo le dita e svanì nel nulla, come d'incanto.
*
Freyja
guardò le radici di Yggdrasill, ne accarezzò le
venature del legno e poi allontanò la mano.
«Frigga?»
Udì Odino
chiamare il nome
della sua sposa e poi correre da lei mentre la regina si accasciava
stanca e provata. «È stato troppo per te, mia
adorata» sospirava Odino con visibile preoccupazione.
Frigga sorrise e
scosse il capo. Accarezzò il viso del suo consorte e
lasciò che Odino baciasse le sue mani.
«È
finita»
enunciò poi Freyja rubando l'attenzione di entrambi i
sovrani di Asgard. Frigga le donò un sorriso stanco e Odino
tacque con sguardo ancora colmo di pensieri.
«Fa'
ciò che
devi, Freyja» le disse poi il Padre degli Dèi e
Freyja
assentì con gratitudine.
Si
allontanò tenendo le mani elegantemente legate sul davanti.
Per te, Freyr. Per te,
mio adorato fratello.
*
Styrkárr
sentì la
forza riavvolgere lentamente il suo corpo. Si guardò le mani
che
tremavano di rabbia, di amara rabbia.
«Maledetta
Incantatrice!»
Lo aveva tradito, gli
aveva voltato
le spalle e lo aveva lasciato a marcire nella polvere sotto lo sguardo
dell'esercito di Asgard, sotto le sue lance. E Styrkárr
guardava quegli occhi che lo fissavano, glaciali, senza dire una
parola.
Riconobbe perfino il
viso di uno di
loro, di Hogun, il Vanr che aveva giurato fedeltà agli
Aesir. Un
traditore, ma che lei
aveva portato alla gloria delle battaglie.
Si alzò
sulle sue gambe e
mostrò ai suoi avversari la sua fierezza. Perché
se era
giunta la sua ora, non avrebbe mai chinato il capo dinnanzi a nessuno.
«Allora? Chi
vuol farsi
avanti? Chi vuole rivendicare la testa del grande
Styrkárr?...» urlò a gran voce e quando
ci fu solo
silenzio rise. «Nessuno? Nessuno osa sfidarmi? Uno contro
cento,
contro mille, e mille periranno davanti ai miei piedi!»
minacciò con enfasi, nascondendo il reale sentimento che
attraversava le sue membra.
«Coraggio,
Asgard, mostrami
la tua forza, o sono solo leggende fasulle? Dov'è il tuo
re, dov'è Odino? Perché non scende qui? Troppo
vecchio e spaventato, forse, troppo codardo i Padre degli
Dèi
per affrontare il potente Styrkárr!»
E poi la vide, come
una perla fra la sabbia, bellissima e maestosa come era sempre stata.
La sua sola regina.
Si
inginocchiò tenendo però il capo sollevato per
vederla avvicinarsi silente, come danzasse sull'acqua.
«Freyja...»
sospirò il suo nome quando gli fu di fronte e
allungò la
mano per afferrare la sua. Le posò un bacio sul dorso e
sospirò contro la sua pelle. «Io...»
Il fiato gli si
spezzò nei
polmoni. Le parole morirono nella sua gola, il più atroce
dei
dolori lo avvolse mentre il sangue iniziò a scorrere sulle
sue
vesti.
Abbassò poi
lo sguardo e
inorridì quando vide le pallide dita della sua mano
affondare
sempre più nel suo petto fino a stringere letteralmente il
suo
cuore.
«Io...
io...» Per
te, per Vanaheim, per la gloria che quel folle di Freyr ci ha rubato
accordandosi con Asgard.
Era questa la ragione
e Freyja avrebbe capito, avrebbe capito perché aveva deciso
di agire come aveva agito.
Ma non ci fu tempo di
parlare né di respirare. Non ci fu più tempo.
L'ultima cosa che vide
fu il suo sguardo freddo che lo guardava senza mostrare emozione.
Poi il dolore
aumentò, divenne insopportabile, finché non
svanì.
Styrkárr si
accasciò
a terra, senza vita. Freyja stringeva nel palmo insanguinato quel cuore
marcio. Lo schiacciò forte fino a renderlo una poltiglia e
poi
lo lasciò cadere accanto al suo cadavere.
La vallata, bagnata
dalla pioggia, tacque.
La guerra era finita.
***
NdA.
La guerra è vinta e adesso si contano le vittime.
Questo capitolo mi è costato mezzo fegato perché
ho
svalvolato parecchio mentre lo scrivevo. Così mi pare di
ricordare dal momento che è passato un po' XP
Almeno è finito, così come è finita la
guerra e
ogni idea pazzoide di Styrkárr e compagnia bella... ma Amora
che
fine ha fatto?
...
Ad ogni modo spero sia stato gradito.
Il prossimo sarà il preludio del finale e con il 35 si
concluderà la nostra avventura ^^
Ci becchiamo quindi settimana prossima!
Kiss Kiss Chiara
|
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Capitolo 34 *** La scelta più difficile ***
cap34
L' ultima lacrima
XXXIV.
Bruce
attraversò il corridoio rileggendo la cartella medica che
aveva
fra le mani e quasi finì con il travolgere un agente.
«Oh,
mi scusi,» si
scusò sistemandosi gli occhiali che avevano rischiato di
cadere.
Il giovane in divisa non gli mostrò poi tanta attenzione.
Scostò lo sguardo e lo superò.
«Bruce?»
Era stato
Clint a chiamarlo. Al collo una fasciatura e un paio di punti sul
sopracciglio. «Il direttore ti cercava.»
Bruce
sospirò chiudendo la cartella.
«Magari
più tardi» mormorò e Clint sorrise
assestandogli una pacca sulla spalla.
«Come
ti pare. Dirò che non ti ho visto.»
Ricambiò
quel sorriso. «Grazie.»
«Ora
scappo. Vado a
prendere in giro Nat perché non potrà
più
indossare un bikini!» ridacchiò il compagno
strizzandogli un occhio e
Bruce lo guardò allontanarsi e scosse il capo. Clint non
sarebbe
mai cambiato.
Natasha era
stata fortunata,
aveva ricevuto in tempo tutte le cure e la sua ferita non le aveva
provocato seri danni a parte, come diceva Clint, quello di evitare di
andare in giro con l'addome scoperto, anche se una cicatrice su una
bella donna come Natasha sarebbe stata solo affascinante.
Decise di
lasciar da parte certi pensieri mentre si avvicinava alla stanza 32, in
cui sapeva lo avrebbe trovato.
Aprì
la porta e Tony era lì, con la faccia spalmata contro quel
vetro, come faceva ormai da giorni.
«Come
va il braccio?» gli chiese e Tony gli mostrò
silente il braccio ingessato oltre il gomito.
«Come
dieci minuti fa, Bruce, ma grazie per avermelo chiesto.»
«L'acidità
non ti
dona, Tony. Sappilo» bisbigliò Bruce affiancandolo
e
guardando verso la medesima direzione.
Thor era
ancora incosciente, e
dormiva apparentemente tranquillo in quel letto. Erano stati effettuati
tutti gli esami necessari e tutti avevano dimostrato che il suo
organismo era tornato quello di prima, quello straordinario capace di
sollevare montagne e cicatrizzare ferite con incredibile
velocità. Il suo viso e il suo corpo di fatti non mostravano
più i segni della battaglia, mentre loro ne avevano ancora
l'esperienza riflessa sulla faccia.
A lui alla
fine era andata meglio, l'altro
si era anche beccato una spada avvelenata nell'intestino, ma al suo
risveglio Bruce aveva solo trovato una lieve ferita che aveva
necessitato di pochi punti.
Mi
hai salvato la vita... di nuovo.
«Ho
un incubo,»
confessò poi Tony. «Si sveglia e ci chiede di
ridargli le
tette.» La sua espressione seria lo fece sorridere.
«Sono
serio, Bruce. Quest'esperienza potrebbe aver leso la sua coscienza
sessuale. Potrebbe diventare un travestiThor! Non ci hai pensato?
Già indossa mantelli osceni e si fa le treccine, per non
parlare
delle mèches... Dai, non ci credo che sia il suo colore
naturale... e poi questa mania di giocare con i martelli? Chiaro
oggetto di forma fallica, sottolinea un desiderio inconscio ben
preciso, e non menziono neanche la faccenda Loki...»
Tony
continuò a brontolare di cose senza senso e Bruce gli
concesse il suo sfogo, il suo bisogno di normalità.
«Diventeremo
una squadra
più ridicola dei Fantastici Quattro, e loro indossano tutine
attillate, più attillate di quelle di Cap, il che
è tutto
dire!»
«Ascoltami,
Thor si
sveglierà e sarà quello di prima. Hai sentito
Steve, no?
Da Asgard hanno pensato a ogni cosa. Noi dobbiamo solo essere fiduciosi
e restare tranquilli, e soprattutto non fare incubi.»
Tony
sbuffò formando una patina di condensa sul vetro.
«Non
voglio indossare tutine attillate, Bruce» brontolò
con fare infantile.
«Nessuno
indosserà tutine attillate, tranquillo.»
«Perché
io non la
indosso» ribadì ancora Tony e Bruce tacque,
ascoltando il
silenzio della stanza e quello che proveniva dall'altra parte del
lastra. «Magari potrei accettare qualche
mèches»
aggiunse ancora l'amico. «Ma poi sembrerei Strange[1].»
Bruce
sorrise guardando il suo profilo.
«Si
sveglierà presto» affermò poi,
perché in fondo Tony lo conosceva fin troppo bene.
*
Loki
guardò il soffitto
bianco. Le lenzuola bianche, le pareti del medesimo colore. Ma stavolta
c'era una finestra che dava su New York, su Central Park. Si vedevano
alberi verdi, si poteva udire il cinguettio degli uccelli nel frastuono
delle auto.
Voltò
la testa verso la porta quando la vide aprirsi. Era nuovamente Rogers.
Sospirò
annoiato e tornò a guardare la finestra.
«I
medici dicono che ti stai rimettendo più velocemente del
previsto.»
«Che
bella notizia...» mormorò senza entusiasmo.
Guardò
ancora Rogers che era fermo ai piedi del letto con la sua odiosa
espressione comprensiva.
«Quando
mi riporterai ad Asgard?» chiese lapidario e il soldato
restò in silenzio.
«Le
tue condizioni non sono-»
«Risparmiami
la
pantomima del “è per il tuo bene”
perché, se
mi permetti, non sei credibile.» Lo interruppe sul nascere, e
la
sua gola che sussultò fu un chiaro segnale che ci aveva
preso in
pieno. Sapeva bene qual era la vera ragione per cui continuavano a
tenerlo lì, ammanettato a quel letto, nonostante potesse
camminare tranquillamente sulle sue gambe.
«Si
sveglierà e
sarà quello di prima. Nessuno vi ha tirato alcun
tiro»
affermò. «Ora riportami ad Asgard.»
«Vorrà
parlarti... non credi?»
Sorrise.
«Ma
io non ho voglia di
parlare con lui, perciò sii il bravo ragazzo di sempre, e
riporta questo pericoloso criminale in una prigione dove
potrà
scontare la sua pena.»
Rogers
tacque respirando a fondo.
«Stammi
a sentire: io
non voglio parlargli né vederlo, chiaro? È
così
difficile da capire per quel tuo piccolo cervello?»
sbraitò nervosamente Loki sentendosi soffocare da quelle
catene
di metallo che lo obbligavano a letto. «Voglio soltanto
lasciare
questo dannato pianeta e i suoi dannati abitanti!»
«Non
posso rischiare. Se qualcosa è andato storto avremo bisogno
di te per sistemare le cose.»
Sospirò
stancamente sentendo la gola stringersi mente mandava giù la
saliva.
Non
sopportava più quel
posto, né alcuno di loro, non sopportava più
nessun viso
che si affacciava ad ogni ora e momento da quella porta.
«Riunire
le tre essenze
è stato più complicato che separarle,»
spiegò con distacco. «Il trauma che ha subito sta
obbligando il suo organismo a riadattarsi. È solo questione
di
tempo ma si sveglierà e tornerà ad essere il Dio
del
Tuono e il tuo caro compagno di guerra. Se Odino avesse avuto un solo
dubbio sulla riuscita del piano sarebbe già qui, fidati. Lo
conosco bene quel vecchio. Perciò, Rogers, evitami altri
momenti
di sterile conversazione come questi e portami ad Asgard. Te lo sto
soltanto chiedendo.»
Steve lo
guardava ancora senza dire nulla, seppure un'ombra combattuta sfiorava
i suoi occhi. Alla fine cedette.
«Parlerò
con Fury.»
Gli diede
poi le spalle e raggiunse la porta.
«Grazie.»
Non avrebbe
voluto dirlo eppure lo disse.
Steve si
voltò a guardarlo e poi andò via.
Nella
solitudine della sua stanza, neanche più il verde degli
alberi dava colore.
*
Mentre si
incamminava verso
l'ufficio di Fury, Steve si chiedeva se fosse la cosa giusta da fare.
Una parte dentro di lui gli diceva che non poteva fidarsi delle parole
di Loki, un'altra diceva di fidarsi dei suoi silenzi.
Steve aveva
passato molto
tempo nella sua stanza da quando lo avevano ricoverato. Non sapeva
neanche il motivo, forse perché sapeva che nessuno se ne
sarebbe
preso davvero cura, forse per compassione, forse per ciò che
aveva capito su Asgard.
Pensava a
Linn in ogni
momento, pensava a come stesse, a cosa stesse facendo, a ciò
che
stava accadendo lì. Quando era riuscito a porre Mjolnir
nelle
mani di Thor e l'aveva visto accasciarsi svenuto al suolo, aveva
compreso che era riuscito nel suo intento, ma si era chiesto se la
guerra ancora imperversasse in quel di Asgard.
Aveva
espresso il desiderio di
ritornare immediatamente, di chiamare Heimdall e farsi aprire la via,
ma poi i suoi compagni avevano avuto bisogno di lui. Erano feriti, il
mondo stesso era stato ferito da ciò che era accaduto. Thor
era
adesso visto come una minaccia e sarebbe stato difficile far cambiare
l'opinione della Terra.
Nick aveva
deciso di tenerlo
sotto sorveglianza, ma Thor ancora non si era svegliato. Dormiva, quasi
serenamente, mentre il mondo era cambiato e la sua Asgard era cambiata.
Mjolnir
riposava al suo
fianco, sebbene Nick fosse contrario, ma Steve aveva sentito ancora
quel sibilo quando si era avvicinato al corpo svenuto di Thor. Quando
aveva provato a prenderla, Mjolnir sembrava piangere, come non volesse
più essere tenuta lontana dal suo unico padrone.
Era stato
un pensiero folle, ma alla fine era riuscito a convincere Nick e lo
S.H.I.E.L.D. che non sarebbe stato un pericolo.
Stava per
svoltare verso l'ufficio del direttore quando guardò nella
direzione opposta.
La
imboccò senza rifletterci troppo e aprì la terza
porta bianca.
Bruce e
Tony erano lì.
«Niente
di nuovo?» chiese avvicinandosi al vetro che li separava
dalla vera stanza di Thor.
«No,»
rispose Bruce. «Ma non deve essere una cattiva
notizia.»
Bruce
cercava sempre di essere ottimista ed era una qualità che
Steve apprezzava molto.
«Loki
ha chiesto di
essere portato ad Asgard» confidò guardando il
volto
assopito del suo compagno. «E io non so che fare.»
«Non
vuole essere
presente quando Thor si sveglierà e vorrà fargli
il culo
a strisce» affermò Stark.
«Comprensibile.»
Ma Steve
non condivideva la sua teoria e sapeva bene che neanche Tony ci credeva
sul serio.
Loki non
voleva essere presente quando Thor si fosse svegliato,
perché avrebbe dovuto accettare che lei non c'era
più, che Sigyn era andata via per sempre.
«Fury
che ne pensa?» chiese Bruce.
«Sto
andando a parlargli,» rispose. «Ma non credo che
accetterà.»
Bruce
annuì e restò in silenzio. Assurdamente anche
Tony non disse più nulla.
*
Il
sole era caldo, era dolce sulla pelle.
Thor
si stese sull'erba con le braccia piegate dietro la testa, ad ascoltare
il canto di una capinera.
«Voglio
prenderla!» Quella voce lo fece sorridere, sollevò
il capo
per guardare il bambino che cercava di arrampicarsi sull'albero.
«Non
ci riuscirai mai,» rispose la bambina al suo fianco,
scuotendo rassegnata la piccola testa bruna.
«Leyld,
lascia stare quella capinera.»
Si
voltò e si mise a sedere quando lei li raggiunse.
«Ma
madre, voglio prenderla...» gemette in disaccordo il bambino.
«Voglio tenerla per me, in una gabbia»
spiegò ancora
mentre la donna si avvicinava a lui. Gli si inginocchiò
accanto
e gli accarezzò il viso tondo.
«Perché
vuoi chiuderla in gabbia?» gli chiese.
«Perché
così canterebbe solo per me» le rispose.
«E
non pensi che sia triste? Tutto il bosco deve poter godere del suo
canto, non credi? Se vuoi ascoltarla, non chiuderla in una gabbia,
perché non canterebbe più. Vieni qui e siediti ai
piedi
del suo albero, e lei canterà volentieri per te.»
Il
bambino ascoltò le sue parole e sorrise comprendendone il
significato.
«Va
bene, madre» disse e si sedette a gambe incrociate sull'erba
con il naso all'insù.
La
bambina gli saltò sulle spalle sorridendo e lui la fece
sedere accanto prendendole la pallida mano.
La
donna si alzò e si voltò a guardarlo.
«Sono
belli, vero?» gli chiese e Thor annuì.
«Somigliano
a lui» disse e fu lei ad annuire.
Poi
camminò lentamente verso di lui, con i lunghi capelli biondi
che
le incorniciavano il viso e Thor la invitò a sedersi al suo
fianco.
Il
sole le baciava il viso e si rifletteva nei suoi occhi azzurri.
«Dovresti
andare,» gli disse e Thor sospirò. «Non
puoi restare ancora qui, lo sai.»
«Lo
so,» confessò. «Ma è l'unica
cosa che vorrei:
restare qui e vederli crescere come due fratelli, senza rancori
né incomprensioni... senza alcuno sbaglio.»
I
due bambini ascoltavano ancora il canto del piccolo uccello, tanto
dolce quanto triste.
«Sbaglio?»
gli chiese lei e Thor vide i suoi occhi divenire tristi.
«Pensi
ancora che sia stato uno sbaglio?»
«Perdonami,»
si scusò scostando lontano lo sguardo. «Per me
è
difficile. Lo è sempre stato.»
«Non
deve esserlo più, adesso.» gli disse poggiando la
mano
sulla sua e Thor tornò a guardare quel viso che tanto
somigliava
al suo eppure che era così diverso. «Ricordi
ciò
che ti ho detto?»
Thor
annuì e lei sorrise.
«Allora
va', torna da lei e amala come merita. Senza rimpianti né
colpe.
Non devi più sentirne il peso sulle spalle. Non sono
più
tue.»
La
guardò e sorrise a sua volta.
«Grazie,
Sigyn.»
E
poi la vide allontanarsi verso quei due meravigliosi bambini che le
corsero in contro.
Thor
ascoltò un'ultima volta le loro risate, amò i
loro
sorrisi e sapeva gli sarebbero mancati come l'aria nei polmoni. Lui gli
sarebbe mancato.
Ma
doveva andare.
Senza
più rimpianti né colpe.
Il
sole bruciò ancora, poi divenne più freddo mentre
chiudeva gli occhi.
Quando
li riaprì, si chiese se fosse stato davvero un sogno.
*
«Si
sta
svegliando» sospirò Bruce quasi non ne fosse del
tutto
convinto. Poggiò la mano contro il vetro mentre percepiva
anche
i suoi compagni avvertire lo stesso sentimento di agitazione.
Poi gli
occhi di Thor si
aprirono. Sbatté le palpebre un paio di volte come per
orientarsi e poi sollevò il capo tirandosi a sedere.
Osservò
le sue mani, le strinse e le ruotò.
«Se
prova ad attaccarci...» mormorò Tony con un fiato.
«Non
lo farà» rispose Steve seppure con un vago sentore
di dubbio.
Bruce
tacque osservando come
Thor studiava silente la stanza e il suo stesso corpo. Poi
sollevò lo sguardo verso il vetro, verso di loro.
Li
guardò a lungo senza apparentemente voler fare nulla poi,
lentamente, alzò una mano e la scosse.
Un sorriso
si disegnò sulle sue labbra.
Bruce
sospirò e ricambiò quel sorriso.
Avvertì
alle sue spalle Steve sospirare con sollievo.
«È
tornato» affermò il capitano sollevato.
«Bene,»
disse a quel punto Tony scostandosi dal vetro. «Adesso posso
spaccargli finalmente la faccia.»
Nonostante
il braccio malandato, fu necessaria tutta la forza di Captain America
per impedirgli di entrare.
*
Il primo a
varcare la soglia fu Bruce, e Thor non ne fu sorpreso.
«Ehi!»
Lo
salutò amichevolmente mentre si chiudeva la porta alle
spalle.
Stark e Steve erano rimasti dietro il vetro.
«Bruce...
è bello rivederti,» disse sincero e lo vide
aprirsi in un sorriso.
«Vorrei
controllare come
stai. Posso?» gli chiese e Thor acconsentì
lasciando che
Bruce facesse tutti i controlli che erano necessari. Sentiva le sue
mani tastare gentili il suo polso, sfiorare la sua pelle che sembrava
scaldarsi sotto il suo tocco amico, quasi fosse stata immersa nel
ghiaccio fino a quel momento.
«Hai
dei giramenti? Nausea? Dolori di qualche genere?» gli chiese
ancora e lui scosse il capo.
«No.»
«Sarebbe
naturale
comunque, sei stato in una specie di coma quindi le tue funzioni vitali
hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi, ammesso che su di te possa
essere usata la medicina convenzionale.» Bruce sorrise mentre
illuminava i suoi occhi con una piccola luce.
Thor non
aveva dolori o fastidi eppure...
«Bruce,
cosa mi è successo?» domandò e il
sorriso di Bruce si spense lentamente.
«Cosa
intendi dire?»
«I
miei ricordi sono confusi» confessò.
«È come se ci fosse un vuoto nella mia
testa.»
Bruce si
voltò verso il vetro, verso i suoi compagni e poi
tornò con lo sguardo su di lui.
«Qual
è il tuo ultimo ricordo?» gli chiese.
Thor
cercò di
concentrarsi, di riportare la mente a uno stato di
tranquillità
per poter vedere più chiaramente cosa giaceva sul fondo.
«Central
Park,» disse. Vedeva gli alberi, il sole, la lotta, la
polvere e... «Loki.»
Bruce
tacque e lui non capì.
«Stavamo
lottando e poi
tutto è diventato confuso e... Non riesco a ricordare.
Ricordo
Asgard, la Torre di Tony, ma sono solo frammenti.» Si
portò una mano alla testa scuotendola. «So che ho
fatto
qualcosa di sbagliato, però. Ma non riesco a ricordare cosa
fosse.»
Era troppo
buio nei suoi ricordi, c'era troppo caos, troppe emozioni.
Una densa
nebbia abbracciava la sua memoria.
Vedeva il
volto di una donna,
però, di una donna che conosceva, che aveva conosciuto un
tempo
che pareva lontano, che aveva amato.
Sapeva il
suo nome ma non ebbe il coraggio di pronunciarlo.
Amora.
*
Tony
sospirò accarezzandosi la fronte con le dita.
«Ci
mancava solo l'amnesia» mormorò.
Era
incredibile. Adesso che
finalmente potevano chiarire tutto, che potevano soprattutto farla
pagare a quel biondone da strapazzo, ci si metteva di mezzo la memoria
bucata.
«E
se stesse
mentendo?» ipotizzò voltandosi verso Steve.
«Pensaci: sono saltati fuori i segreti più
scabrosi del
suo passato e per di più ha tentato di fare fuori i suoi
amici e
la sua donna. Fare lo smemorato sarebbe una soluzione
intelligente.» Steve non lo degnò di una risposta
e lo
ignorò platealmente. «Ma Thor non è il
massimo
dell'intelligenza. Afferrato.» Si corresse tornando a
guardare il
vetro.
Bruce stava
continuando il suo
controllo e gli stava porgendo altre domande. Thor rispondeva con
qualche incertezza ma era chiaramente frutto della confusione e non di
una recita.
«Devo
dirgli quello che
è successo» affermò poi Steve tenendo
le braccia
incrociate sul petto. «Deve sapere ciò che
è
accaduto qui e su Asgard.»
«Aspetta,
Rogers, non
puoi andare lì e dirgli: “Ehi, lo sai che abbiamo
scoperto
che ti scopavi tuo fratello? A proposito, l'hai fatto evadere e a causa
tua ha fatto scoppiare una guerra sia qui che nel tuo mondo
perché si è messo in combutta con quella sventola
squilibrata della tua ex e un pelato con vecchi rancori. Comunque la
tua versione femminile ha delle belle tette, lo sai? Qui se la
sarebbero fatta un po' tutti ma Loki ha voluto l'esclusiva. E io mi
sono anche fidanzato con la tua bella ancella e ho sollevato il tuo
martello! Che figata, non trovi? Ah, e prima che mi dimentichi, tuo
padre sa tutto e ti odia.”»
Steve gli
concesse solo uno sguardo severo.
«Hai
finito con le tue
stupidate?» gli chiese poi retorico e Tony avrebbe voluto
alzare
entrambe le braccia per l'esasperazione ma non poteva perché
quell'idiota di Thor gliene aveva spezzato uno!
«Rendevo
solo
l'idea,» si giustificò. «Sarà
una doccia
fredda e, anche se ho ancora voglia di raparlo a zero mentre dorme, non
credo che sia il giusto modo di agire.»
«E
cosa proponi? Tenerlo allo scuro di tutto e lontano dal mondo e dalla
sua stessa casa?»
Tony
sospirò.
«Da
quando sei tornato
da Asgard sei diventato più ottuso, Rogers, deve essere
l'aria.
Quello che voglio dire è che non puoi sganciare un simile
siluro
su uno come Thor. Crollerebbe e andrebbe in depressione per il senso di
colpa. Li conosco i tipi come lui, sono grandi e grossi ma hanno il
cuore come un budino perciò, se proprio qualcuno glielo deve
dire allora dovrà essere la persona giusta.»
Steve lo
ascoltò soppesando ogni parola, e probabilmente bypassando
la faccenda dell'ottuso.
«Nat...»
suggerì ovviamente il capitano e Tony assentì.
«E
chi altri? Bruce ci
andrebbe troppo tenero, io sarei troppo diretto, tu ci impiegheresti
giorni solo per parlare della faccenda dell'incesto e Clint farebbe
delle domande idiote come “ti sei mai toccato quando eri una
donna?”» analizzò ad alta voce.
«Se abbiamo
una Romanoff in squadra non è solo per il suo sexy accento
russo.»
*
«Si è svegliato.»
Alle parole
di Bruce, Jane sentì un sussulto nel petto.
«Come
sta?» chiese tenendo saldamente il cellulare.
«Bene, fisicamente sta bene, solo che...» Bruce prese una pausa e poi
continuò: «Non
ricorda nulla di quello che è accaduto.»
«Nulla...?»
chiese debolmente e Bruce le confermò ciò che
aveva appena detto.
«Non
sappiamo se la memoria tornerà con il tempo o meno, ma
abbiamo
ritenuto giusto che sapesse. Natasha è con lui adesso.
Sarà lei ad informarlo di ogni cosa.»
Jane fu
costretta a sedersi sul divano.
«Bruce...»
sospirò senza aggiungere altro.
«Lo so che sarà
difficile per lui, ma era l'unica cosa da fare.»
Jane
capiva, comprendeva la
loro prospettiva, ma ciò che stavano per fare sarebbe stato
devastante. Metterlo a conoscenza di quello che era accaduto, di
ciò che era venuto alla luce, di come aveva attentato alla
vita
di gente innocente e dei suoi stessi compagni, di come aveva attentato
alla sua...
Thor non ne
sarebbe mai uscito illeso.
La
verità faceva male,
la verità tagliava come un coltello e lasciava ferite
così profonde che mai si sarebbero realmente rimarginate.
Jane
adesso lo sapeva bene.
«Dovrai stargli vicino, Jane,
anche se non sarà facile.»
Quella
responsabilità
la schiacciava come un macigno. Jane non sapeva se era in grado di
farlo, se poteva ancora guardare i suoi occhi e non vedere quelli
dell'uomo che stava per ucciderla, non vedere quelli di Sigyn e fingere
che non fosse mai davvero esistita.
Scostò
il cellulare dalle labbra per impedire a Bruce di sentire il suo
sospiro.
«Vorrà
stare solo, immagino» disse poi.
«Probabile. Ma quando
sarà pronto, la prima persona che vorrà
incontrare sarai tu.»
Sorrise
tristemente alle parole di Bruce.
No, non
sarebbe stata lei.
«Chiamami
quando sarà il momento,» gli chiese e Bruce le
assicurò che l'avrebbe fatto.
Mise fine
alla telefonata e lasciò cadere il cellulare sul piccolo
divano.
Sarebbe
andato da lui, avrebbe voluto vedere lui e nessun altro.
*
«Ho
finalmente il
permesso di abbandonare la nave, Colonnello?» Loki
ghignò
verso Fury, che lo guardava silente dalla porta.
Rogers
doveva aver fatto
ciò che gli aveva chiesto e presto avrebbe potuto dire addio
per
sempre a quel piccolo sudicio mondo.
«Thor
si è svegliato» disse invece il direttore dello
S.H.I.E.L.D. e Loki sentì morire ogni sorriso.
«Buon
per lui»
rispose con apparente indifferenza. «Immagino che questo
renda la
mia richiesta di trasferimento impossibile da rifiutare,
direttore» osservò risoluto e Fury
sollevò un
angolo delle labbra. Si avvicinò a una sedia poggiata contro
la
parete e l'afferrò fino a trascinarne rumorosamente i piedi
metallici sul pavimento.
La
sistemò ai piedi del letto e si sedette poggiando poi gli
avambracci sullo schienale.
«Mi
hai creato parecchi
problemi, Loki,» iniziò. «Di tutti i
bastardi
criminali con cui ho avuto a che fare, e ne sono stati parecchi, tu sei
quello che mi ha creato più problemi.»
«Me
lo dicono spesso» ribatté fiero. «Non mi
chiamano Dio del Caos per vezzo.»
«E
non potresti avere
nome più appropriato, te lo concedo.» Poi Fury
sospirò, e fu silenzio prima che si rimettesse in piedi e lo
guardasse serio.
«Ti
verranno a prendere
fra poche ore. Avrai i tuoi vestiti, e Rogers ti condurrà ad
Asgard.» Detto questo si avvicinò alla branda e si
chinò finché non fu vicino al suo viso.
«Non voglio
rivederti mai più da queste parti, chiaro? La prossima volta
che
la tua faccia compare su uno dei miei schermi, giuro che ti ammazzo con
le mie stesse mani e poi andrò fino ad Asgard a prendere a
calci
nel culo Odino e la sua banda che non hanno saputo tenerti al giusto
posto.»
Loki
sorrise mentre il direttore raggiungeva la porta.
«Anche
per me è
stato un piacere, Nick,» affermò ghignante e il
direttore
gli sorrise di riflesso, senza vera simpatia.
«Non
mettermi alla prova» disse e uscì.
Loki
restò di nuovo solo con quelle quattro parole nella testa: Thor si è svegliato.
Chiuse gli
occhi sentendo il cuore far male.
*
Non voleva
crederci, non poteva essere vero. Stavano mentendo, Natasha mentiva.
Quando
provò a sfiorargli la mano con la sua, Thor la
tirò via quasi scottasse.
L'aria
stringeva nella sua gola, non riusciva a respirare.
Non era
accaduto davvero.
Sollevò
lo sguardo sul volto di Natasha e sentì le guance bruciare
per la vergogna e la colpa.
«Vi
ho ferito» sospirò con affanno. «Ho
fatto del male a degli innocenti, io...»
«Non
eri in te, Thor. Nessuno ti accusa.»
Scosse il
capo furente.
«Non
basta, non è
una ragione per giustificare ciò che ho fatto.» Lo
sguardo
gli cadde sulla fasciatura che le stringeva il busto e che le avvolgeva
perfino la spalla. «Sono stato io a farti questo»
affermò incapace di guardare i suoi occhi. Natasha gli
poggiò una mano sul braccio e cercò di calmarlo.
«Stiamo
bene, Thor. Stiamo tutti bene, tutti gli agenti stanno bene,
ok?»
«No,
io vi ho attaccato,
sono stato così debole da farmi usare da lei e
adesso...»
Quando lo sguardo incrociò quello di Steve dall'altra parte
del
vetro Thor provò ancora più vergogna.
Al suo
fianco Tony mostrava
un'espressione seria che stonava così tanto con il suo
animo. Il
suo braccio rotto tenuto fermo da pesanti bende bianche, il suo viso
ferito... E aveva ferito anche Clint, anche Bruce. Anche persone
innocenti e tutto perché...
Loki!
Cosa
hai fatto? Perché L'hai fatto?
Il viso
arse e lo nascose dando le spalle ai suoi compagni.
Nessuno
avrebbe mai dovuto
sapere, quella storia era stata dimenticata e sepolta, Sigyn era stata
sepolta in un punto così profondo del suo cuore che non ne
avvertiva neanche più l'eco.
E Loki
aveva riportato tutto in superficie, tutto il dolore e la vergogna che
Thor aveva deciso di affogare nella sua memoria.
E Jane? E
sua madre, suo padre? Adesso anche loro sapevano e, per le Norne, che
destino gli sarebbe mai stato riservato adesso?
Con quale
onore avrebbe continuato a vivere?
«Vorrei
un po' di solitudine» chiese sempre celando il viso.
«Per favore.»
Sentì
Natasha sollevarsi dalla sedia.
«Certo.
Se hai bisogno di qualcosa siamo qui. Siamo tutti qui.»
Thor
serrò le palpebre
per ricacciare indietro le lacrime e quando sentì Natasha
uscire
dalla porta attese interi minuti prima di voltarsi. Quando lo fece non
c'era più nessuno al di là di quel vetro.
*
Steve aveva
ricevuto il comando non appena era uscito dalla camera.
Fury aveva
deciso di
riconsegnare Loki alla giustizia asgardiana e lui lo avrebbe
accompagnato fin lì, e avrebbe anche rivisto Linn,
così
da poterle dire addio.
Era un
pensiero che aveva
deciso di non sfiorare, perché era un pensiero terribile, un
pensiero che gli faceva mozzare il respiro.
Loki era
già vestito
nei suoi soliti abiti quando Steve entrò nella stanza. Due
agenti di guardia gli stavano sistemando le manette.
«Andiamo.»
Comandò
senza perder tempo.
Loki non
voleva parlare con Thor e Thor non era certo nella condizione di
parlare con lui.
Forse era
meglio così,
era meglio che Loki sparisse dalla sua vista e dalla sua vita. Forse
solo così Thor avrebbe potuto risollevarsi. Non lo
informò della sua momentanea amnesia, non riteneva avesse
potuto
giovare a qualcuno.
«Mi
sembri alquanto
ansioso di tornare nel bel mondo dorato» sibilò
Loki al
suo fianco mentre lo conduceva nell'ascensore. Le due guardie attesero
fuori. Steve sapeva di poter gestire da solo la situazione.
Non era
sicuro che Heimdall
avesse potuto aprire un varco anche su quell'edificio, in caso
contrario sarebbero stati obbligati a raggiungere la Tower che al
momento era sotto ristrutturazione e supervisionata dello S.H.I.E.L.D.,
dato che era pericolante.
«Mi
chiedo se sia per un
profondo senso di giustizia che ti spinge a mettermi in una bella cella
magica o perché potrai rivedere la nostra dolce
Linn.»
Steve lo
fulminò con lo sguardo.
«Pensavo
fossi tu quello
che non vede l'ora di godere dei comfort dei carceri
asgardiani»
ribatté e Loki sorrise mentre i piani scendevano sotto i
loro
piedi.
«Io
voglio solo abbandonare questo mondo e il suo fetore.»
«Beh,
sappi che questo
mondo e il suo fetore te ne sono grati,» mormorò
quando
giunsero finalmente all'ultimo piano.
La porta di
acciaio si
aprì e Steve diede le ultime indicazioni agli agenti posti a
difesa che si organizzarono in un perfetto cerchio attorno a lui e a
Loki.
«Confessa,
ti è
piaciuto tenere in mano quel martello, vero? Sentirne la forza, la
potenza, sentirlo cantare...»
Steve
cercò di
ignorarlo. Se l'ultima azione di Loki sulla Terra sarebbe stata quella
di fargli perdere le staffe, allora lo avrebbe consegnato a Odino con
un bel naso rotto.
«Potresti
averlo, potresti prenderlo. Non penso che Thor si senta ancora
così degno come i vecchi tempi.»
«Ok,
adesso stai zitto,
chiaro? Altrimenti ti faccio imbavagliare.» Lo
minacciò.
«Come i vecchi tempi.»
Loki non
disse più nulla ma continuò a sorridere.
Steve si
voltò verso il
cielo e chiamò il nome di Heimdall. Bastò farlo
una volta
soltanto che il cielo si oscurò con intensità.
«Oh,
sei diventato un
cittadino onorario, Rogers» ghignò ancora Loki con
le
braccia strette nelle manette. Steve ne afferrò le
estremità con forza per assicurarsi che non facesse alcun
colpo
di testa eppure era sicuro che non avrebbe tentato alcuna fuga.
«C'è una cosa che mi è sempre piaciuta
di
Midgard...» Non aveva più alcun sorriso di scherno
adesso.
Guardava il cielo con occhi tristi, Loki, mentre il collegamento per
Asgard si apriva davanti a loro.
«E
cos'era?» chiese Steve fra il frastuono e la luce.
Loki si
voltò a guardarlo e sorrise. «Il clima.»
Steve
stranamente ricambiò quel sorriso.
ஐஐஐ
Il Bifrost
si era aperto.
Frigga attendeva accanto a Odino nella Sala del Trono, attendeva il
ritorno del terrestre e di Loki, il ritorno di suo figlio.
«Freyja,»
disse poi Odino mentre erano soli nella loro attesa. «Non
avrebbe dovuto.»
Frigga non
rispose, sapendo
bene cosa bruciasse nel cuore del suo sposo e anche cosa bruciava nel
suo, in parte poteva condividere quel dissenso.
«È
stata una sua scelta,» affermò soltanto.
«Dobbiamo rispettarla.»
«È
stato un atto di disobbedienza, Frigga. Un atto che andrebbe punito
e...»
Frigga si
avvicinò al trono e poggiò la mano su quella di
Odino.
Lo
guardò silente senza accuse o richiami, senza più
voglia o tempo di combattere con la sua testardaggine.
Basta guerre...
Odino
comprese e forse condivise perché non disse più
nulla.
L'attesa fu
breve e presto la
porta si aprì mostrando la figura del capitano Steve, al cui
fianco camminava Loki in catene, e Frigga era così stanca di
assistere per l'ennesima volta a quella scena, il suo cuore di madre lo
era.
«Com'era
negli accordi» disse il terrestre senza perdersi in troppi
convenevoli. Odino parve apprezzarlo.
Assentì
e chiamò le guardie affinché prendessero in
custodia loro figlio.
Frigga lo
guardò
scorgendo la solita maschera, quasi più bella del solito,
come
se l'avesse costruita con attenzione e maniacale cura.
Perché
il dolore da celare, stavolta, era troppo grande.
«È
bello essere a casa, padre» asserì con sfida Loki
ma Odino non raccolse.
«Conducetelo
nella
camera della guarigione,» comandò il re, e Loki
sembrò sorpreso di quell'ordine ma seguì silente
le
guardie.
«A
mai più
rivederci, Rogers!» urlò ancora dal fondo della
sala,
mentre varcava la soglia con un sorriso che le faceva male.
*
Era stato
felice di vedere che
Asgard aveva ritrovato la pace. Steve aveva osservato la piana su cui
aveva lottato ed era rimasto sorpreso dal non scorgere alcun segno di
quella lotta. Gli alberi che aveva visto bruciare erano ora verdi e
forti, così l'erba bagnata dalla rugiada e gli infiniti
fiori
che popolavano le colline.
Sembrava
che la guerra non fosse mai avvenuta, eppure sapeva che non era
così.
Ricordava i
volti dei soldati caduti, ricordava le loro urla, il sangue, l'odore
della carne bruciata.
Dimenticare
sarebbe stato impossibile.
“Hanno avuto gli onori che
meritavano e ora siedono con gloria nelle stanze del Valhalla,”
rispose Frigga quando Steve chiese di loro, di quei soldati che avevano
dato la vita per il loro regno.
Perché
sebbene la magia
di Asgard potesse riportare alla vita una vallata violata dalle fiamme,
non poteva riportare alla vita quegli uomini.
Odino lo
informò anche della dipartita definitiva di
Styrkárr e della fuga di Amora.
“Non tornerà,”
affermò il Padre degli Dèi eppure Steve non
sapeva se
poteva credere a quell'eventualità. Per quel poco che aveva
avuto modo di vedere, la follia di Amora era grande e ciò
l'avrebbe spinta a fare altre azioni terribili.
Sperava che
Odino avesse ragione, sperava che non ci sarebbe stato più
il bisogno di sacrificare alcuna vita.
«Asgard
ti ringrazia per il tuo contributo» disse poi il re dal suo
seggio.
«Ho
fatto solo il mio
dovere» rispose Steve senza troppo interesse a udire altre
adulazioni. «Se posso, prima di tornare sulla Terra vorrei
poter
salutare una persona» chiese indirettamente sentendo che era
questa l'unica domanda che aveva da fare.
Odino non
mostrò di aver compreso ma Frigga sorrise.
«Ti
accompagnerò da lei.»
Steve fu
grato della sua gentilezza e le fece un cenno del capo per ringraziarla.
La regina
scese le scale che dividevano la sala dal reale trono di Odino e lo
affiancò.
Steve si
voltò nuovamente a guardare il re per congedarsi ma aveva
ancora qualcosa da dire prima di andare.
«Thor
si è
svegliato ma non ricorda nulla di quanto successo.» Alle sue
parole né Odino né Frigga mostrarono sorpresa, di
certo
Heimdall aveva veduto e informato i due sovrani. «Lo abbiamo
comunque messo a conoscenza degli eventi. Era la cosa giusta da
fare.» Si sentì in dovere di giustificare il loro
agire.
Frigga gli
poggiò gentilmente una mano sul braccio.
«Grazie
per tutto, Steve Rogers.»
Non ebbe il
tempo di risponderle nulla che fu Odino a parlare.
«Capitano
Rogers,»
lo chiamò con voce decisa. «Riferisci pure a Thor
che al
momento Asgard non necessita della sua presenza.» Non serviva
leggere fra le righe, quel “non lo voglio qui” era
assordante.
Steve
avrebbe voluto ribattere ma in fondo non aveva diritto di giudicare i
sentimenti di un padre ferito.
«Va
bene» disse pronto ad abbandonare la sala.
Ma Odino
continuò:
«E digli anche che, quando sarà venuto il giusto
tempo, la
soglia della sua casa sarà aperta.»
Gli occhi
di Frigga si
inumidirono sotto le sue parole e Steve avrebbe giurato che anche
quello di Odino avesse fatto lo stesso nel pronunciarle.
«Va
bene» rispose ancora, stavolta con un sorriso grato.
*
Le
curatrici si erano prese
cura delle sue ferite, sebbene ci fu poco su cui lavorare. I terrestri
avevano fatto un buon lavoro e Loki dovette ammetterlo almeno a se
stesso. Quando erano andate via, quando perfino Eir aveva lasciato la
camera della guarigione, era rimasto solo.
Non aveva
più catene ai polsi né guardie alla sua custodia
eppure sarebbe rimasto per sempre un prigioniero.
Poi la
porta si aprì
ancora e Loki pensò fosse sua madre. Voleva fosse lei,
voleva
sentire le sue braccia attorno al corpo, la sua presenza scaldarlo, la
sua voce rassicurarlo, anche se poi non gli sarebbe stato concesso
credere a nessuna delle sue parole. Aveva bisogno anche di menzogne,
Loki, in quel momento più che mai.
Ma non fu
Frigga a varcare la soglia, fu l'ultima persona che pensava di vedere
davanti a lui.
«Il
terrestre mi ha
detto ciò che hai fatto su Midgard.» Odino lo
guardò con la solita severità.
Loki
alzò le spalle con diffidenza.
«Non
so di cosa parli,» rispose e il Grande Padre decise di non
andare più in là di quella bugia.
Si
avvicinò ancora e
Loki temette davvero che avesse deciso di ucciderlo lì, con
le
sue mani. Sarebbe stata una fine davvero stupida.
Ma Odino
allungò solo
una mano verso il suo petto, senza sfiorarlo, senza smettere di
guardarlo negli occhi e in quel momento Loki sentì il
respiro
incrinarsi e qualcosa di caldo scorrere nelle sue vene. Era il suo
seiðr, la sua anima che Amora aveva sigillato.
Si
sentì vivo,
finalmente vivo, e quando Odino allontanò il palmo, Loki
sapeva
che non solo il suo seiðr era tornato. Si guardò una
mano
sapendo che avrebbe potuto far nuovamente nascere una lama di ghiaccio
dal nulla.
Poteva
farlo, e poteva affondarla nel suo collo. Quel pensiero gli
provocò un brivido sotto la sua pelle.
«Perché?»
chiese soltanto ma Odino non rispose a quella domanda.
«L'esilio.
È
questa la tua condanna» affermò. «Non
potrai mettere
più piede sul suolo di Asgard né su Midgard, fino
al
termine dei tuoi giorni... o per mia sola volontà.»
Sorrise di
quella sentenza.
«Credi
sia saggio, Padre
degli Dèi, lasciarmi libero di vagare per i Regni? Non temi
che
la mia follia possa portarmi ad attaccare qualche altro sventurato
pianeta? Alfheim, o Vanaheim magari...» chiese con beffa ma
Odino
gli donò un sorriso stanco, un sorriso di padre.
«Non
lo farai.»
«Come
puoi esserne
convinto?» chiese infastidito dalla sua sicurezza, ma Odino
si
avvicinò alla porta senza degnarlo neanche stavolta di una
risposta.
«Saluta
tua madre prima di sparire.» Lo invitò poi uscendo.
*
Linn
passeggiava in silenzio, senza reale coraggio di dirgli nulla. Accanto,
Steve teneva lo sguardo verso il sentiero.
Erano
quieti i giardini, era quieta Asgard.
Quando
l'aveva visto giungere
al fianco della regina Frigga quasi aveva fatto fatica a trattenere le
lacrime per la gioia e il sollievo.
L'aveva
abbracciato e baciato, gli aveva sospirato quanto fosse felice di
vederlo, quanto avesse temuto per la sua vita.
Steve le
aveva risposto che stava bene, che era lì perché
aveva riportato il principe Loki, e per vedere lei.
Per dirmi addio,
pensò.
Era stato
un sogno, un sogno
meraviglioso ma che non avrebbe mai potuto essere realtà.
Linn
aveva vissuto giorni intensi su Midgard, fra le sue braccia, giorni che
non avrebbe mai dimenticato e che sarebbero stati la sua compagnia per
tutta la vita. Perché non sarebbe mai esistito un altro uomo
come Steve, nessuno l'avrebbe mai amata né stretta come lui.
Linn non voleva che nessun altro lo facesse.
«Non
ricorda.»
Steve infranse il suo silenzio e arrestò il passo quando
giunsero dinanzi alla fontana. «È stato terribile
dovergli
dire ciò che era successo.»
Linn
sospirò e gli sfiorò il braccio.
«Il
principe è
forte e supererà anche questa
difficoltà,» disse.
«E ha voi al suo fianco. Non è solo ad
affrontarla.»
Steve
annuì cercando forse di convincersi delle sue parole.
Poi la
guardò e sorrise accarezzandole il viso.
«Potrei
tornare» sospirò e fu una ferita che
tagliò il suo cuore. «Qualche volta.»
Linn si
costrinse a sorridere eppure quanto male faceva.
«Certo,
Steve» rispose con un nodo alla gola che seppe celare.
«Qualche volta.»
*
Alla fine
sua madre giunse. Varcò la soglia con un sorriso e lo
abbracciò senza dire nulla.
Loki
respirò a fondo e fece suo quel profumo, quel calore,
quell'amore.
«Troverò
il modo
di rivederti» gli promise Frigga con un sospiro contro il suo
orecchio. «Te lo prometto, bambino mio.»
Loki
sorrise e si lasciò abbracciare ancora.
Grazie
per avermi amato nonostante la mia follia, la mia debolezza, la mia
solitudine.
Frigga lo
ascoltò nel suo silenzio.
*
Steve
raggiunse il ponte. Non
prese un cavallo, voleva attraversarlo passo dopo passo, e imprimersi
nella mente la più piccola luce che lo avvolgeva, voleva che
in
ognuna di esse ci fosse un po' di lei, un po' dei suoi occhi, della sua
dolcezza, del suo amore.
Non aveva
saputo dirlo, non era stato capace di dirglielo.
Aveva avuto
paura, il grande
Captain America aveva paura, perché se avesse detto quelle
due
parole non sarebbe più riuscito ad andare via, non sarebbe
più riuscito a dirle addio e Linn non aveva bisogno di
questo.
Doveva vivere la sua vita, perché Asgard era la sua casa e
Frigga la sua famiglia. Era una donna gentile, Frigga, e l'avrebbe
trattata come meritava, e avrebbe incontrato qualcuno che l'amasse e
potesse esserle accanto sempre.
Rallentò
i passi mentre
la cupola dorata si avvicinava, mentre sentiva il viso bagnato. Si
passò la mano su una guancia guardando incredulo le dita
umide.
Lacrime.
Stava
piangendo e neanche se ne era reso conto.
*
«Freyja
ha lasciato da
poco Asgard.» Lo informò sua madre mentre gli
accarezzava
i capelli. «E ha portato con sé la Sálþjófr.»
Se ne
stavano seduti su quel
letto bianco, come in un tempo lontano, quando Frigga lo vegliava nella
sua febbre raccontandogli storie di cavalieri e principi, e poi storie
di maghi talmente abili da far impallidire quei principi. E Loki
ascoltava ogni parola come fosse una magnifica melodia, la rubava, la
conservava nel suo cuore come il più prezioso dei tesori.
Le parole,
la sua arma più letale.
E adesso a
cosa servivano?
«Avrei
voluto essere
presente quando ha cavato dal petto il suo cuore» sorrise
malignamente e Frigga lo rimproverò con uno sguardo.
Poi ogni
rimprovero si spense e tornò il suo dolce sorriso.
«La
pace, Loki,
può esistere solo qui» affermò
poggiandogli una
mano sul petto. «Non aver timore di cercarla, e non temere di
trovarla.»
«Madre...»
Frigga si
alzò dal letto e gli baciò ancora la fronte,
teneramente.
«Anche
le tenebre più fitte possono essere squarciate da un
semplice raggio. Ricordalo[2].»
E poi
andò via,
nascondendogli le lacrime, mentre Loki sentiva la voglia di chiamarla
arrestarsi in gola, insieme a un groppo che fu doloroso mandare
giù.
Osservò
le sue mani quando sua madre lo lasciò solo.
Sarebbero
sempre state sporche
di sangue quelle mani, qualsiasi cosa avesse fatto, niente avrebbe
potuto cambiare la sua natura. Era il suo destino: distruzione e caos.
Non lo aveva scelto e solo adesso comprendeva che allo stesso non
poteva cambiarlo.
Strinse i
pugni mettendosi in piedi.
Distruzione
e caos. Nessuna pace. Mai.
Che
bruciasse in Hel, Odino e
il suo esilio. Non avrebbe chinato il capo, non adesso che non aveva
più nulla da perdere o proteggere.
Avrebbe
portato morte e
disperazione e ne avrebbe gioito. Odino avrebbe rimpianto di avergli
ridato i suoi poteri, avrebbe rimpianto di non averlo ucciso su
quell'altare, quella fredda notte.
Lo rimpiangerai, padre.
Rimpiangerai la tua debolezza.
«Loki?»
Poi
udì quella voce e il cuore si fermò.
«No...»
sospirò quasi spaventato mentre si voltava alle sue spalle.
«Non tu...»
Ma lei era
lì e lo guardava.
«Non
sei reale,» sentenziò scuotendo il capo mentre la
vedeva avvicinarsi.
Stava
impazzendo, stavolta la
sua follia era vera e tangibile, non solo una maschera dietro cui
nascondere le sue insicurezze e le sue paure. «Non sei
reale.» Rise drammaticamente.
Qualcuno
gli stava giocando quello sporco tiro. Odino, era Odino di certo!
Amora!
Sì, quella sporca cagna che ancora viveva.
Lei si
faceva più
vicina e i suoi occhi lo guardavano ed erano come li ricordava, le sue
labbra lo erano, i suoi capelli, le sue mani che gli stavano sfiorando
il viso.
Loki non si
accorse neanche di star tremando sotto il suo tocco.
«Sono
io, Loki,» disse lei con un sorriso. «Sono io...
Sono Sigyn.»
*
Non era
sicura di poter anche
solo pronunziare una parola, ma poi lo aveva visto, aveva ascoltato la
sua voce e scorto il suo sorriso mentre sua madre lo teneva stretto
come fosse ancora un bambino e Sigyn aveva capito che ne era valsa la
pena.
Si era
avvicinata leggendo la sua paura, la sua incertezza, le sue domande.
E aveva
risposto a quelle domande prima che le venissero poste.
Gli aveva
raccontato di
Freyja, della richiesta che le aveva fatto, quella richiesta assurda
che però la regina Vanr aveva accettato di soddisfare.
Una sola
anima, un solo corpo,
ma due cuori. E da quel secondo cuore, ferito e spaventato, Freyja
aveva dato vita forse alla follia più grande che fosse mai
esistita nei Nove Regni, ma che era divenuta reale.
Gli
mostrò la collana
che Freyja le aveva donato e che aveva detto di tenera al collo senza
temere, di come aveva tagliato il palmo della sua mano e raccolto le
sue gocce di sangue, di come le aveva detto che non c'era sicurezza che
potesse riuscirci davvero, che Thor avrebbe potuto perire sotto
quell'incantesimo, ma che era bastata una sola probabilità
per
rischiare la sua stessa vita.
«Lo
so, sembra una
pazzia, ma è così!» affermò
con un sorriso
quasi imbarazzato, senza neanche accorgersi dell'ombra che copriva gli
occhi di Loki. «In pratica è un corpo Vanr, ma non
è importante. Ciò che conta è
che-»
Ogni parola
si perse nel
momento in cui Loki la schiaffeggiò con forza, senza dire
nulla,
guardandola un'ultima volta prima di darle le spalle e andare via.
«Loki?»
sospirò premendo le dita su quella guancia accaldata.
No.
*
Stupido,
stupido, stupido!
Stupido
Thor!
Come poteva
aver pensato una cosa simile? Come poteva aver creduto davvero che lui
ne sarebbe stato felice?
Loki
attraversò quei corridoi con foga, volendo mettere quanta
più distanza possibile fra di loro.
Lo odiava.
La odiava. Li odiava entrambi!
«Fermati!»
Ma lei
lo raggiunse, correndo veloce come un vento, fino a fermare la sua
corsa. «Che diavolo ti prende adesso?» gli chiese
furiosamente afferrando le sue braccia. «Non hai sentito cosa
ti
ho detto?»
«Lasciami
andare» comandò Loki liberandosi dalla sua presa e
riprendendo il passo.
Sigyn gli
bloccò nuovamente la corsa.
«No
che non ti lascio andare! Non dopo che ho sacrificato tutto per
te!»
Fu a quel
punto lui ad afferrarle il braccio e scuoterla.
«Sacrificato
tutto?» ringhiò con rabbia. «Tu non hai
sacrificato
un bel niente!» La allontanò poi con violenza e
provò ad andare via ancora. Stavolta si ritrovò a
sbattere con il viso a terra quando lei gli saltò
letteralmente
addosso. Un mano ad afferrare i suoi capelli e tenerlo con la guancia
contro il pavimento.
«Osi
dirmi una cosa simile?! Come puoi farlo?» chiese lei
duramente.
La sua
forza era quella di un
tempo, era la stessa di Thor, e Loki dovette utilizzare la sua
ritrovata magia per liberarsi di lei. Una catena di seiðr le si
avvolse attorno alla caviglia mentre la lanciava di peso contro la
parete.
Cadde a
terra con un gemito di rabbia più che di dolore e si rimise
presto in piedi mentre Loki faceva lo stesso.
«Non
voglio lottare con te» affermò lei guardandolo
severamente.
Loki
ricambiò quello sguardo.
«Neanche
io, e sai una
cosa? Non voglio nulla da te. Nulla!» ribadì.
«Mi
hai sentito? Riesci a fartelo entrare nella testa? Non mi interessa di
quale stupido incantesimo Freyja ti abbia fatto partecipe. Non mi
interessa quello che hai da dire, non mi interessa niente di te. Non
voglio più averti davanti agli occhi, non voglio
più
averti nella mia vita. Chiaro? Sei morta nel momento in cui, davanti a
quella cella, mi hai chiesto di ucciderti.» Le parole caddero
come pioggia acida e fecero male mentre le pronunciava, e vedeva quello
stesso dolore riflesso negli occhi di Sigyn. «Sei morta per
me.»
«Non
puoi farlo davvero...» disse lei scuotendo il capo.
«Non puoi gettare via tutto per orgoglio.»
«Non
mi hai sentito,
allora» ringhiò stanco. «Sei stato tu a
chiedermi di
gettare via tutto e io l'ho fatto. Io mantengo la mia parola,
Thor.»
I suoi
occhi divennero una tormenta e il suo viso si indurì.
«Io
non sono Thor! Non
sono più Thor. Ho rinunciato a quel nome, a
quell'identità, a quella stessa vita. Ho rinunciato alla mia
casa, ai miei amici, alla mia famiglia! Tu non hai la minima idea a
quanto ancora ho rinunciato per te, e adesso mi vuoi dire che
è
stato tutto inutile?»
Mandò
giù quel
sentimento che abbracciava il suo cuore mentre la guardava cadere,
pezzo dopo pezzo, fragile come forse non era mai stata neanche in quel
corpo umano.
«Sì,
è quello che sto dicendo.»
«No,
non puoi dire sul
serio. Smettila di mentirmi, Loki!» urlò lei
fronteggiandolo, afferrando la sua casacca e sbattendolo contro il
muro. «Non puoi farmi questo...» La rabbia divenne
supplica, la tormenta divenne pioggia, debole e fredda. «Non
farlo.»
Loki non si
lasciò bagnare da alcuna goccia.
Scostò
le sue mani e la guardò con distacco.
Poi
andò via.
***
Note:
[1] Tony
si riferisce a Stephen
Strange, alias Doctor
Strange, altro meraviglioso personaggio dell'universo
Marvel. [Wikipedia]
[2] Frigga dice a Loki le medesime parole che scrisse nella lettera che
fu recapitata a Thor da Linn. [v. cap
8]
NdA.
Eccoci ormai alla fine. Sembra che tutto sia perduto oppure no, ma per
la conclusione o pseudo tale vi tocca aspettare ancora un po' ^^
La faccenda Thor/Sigyn è ancora un po' confusa (anche se io
qualche indizietto lo avevo lasciato ;P) e vi saranno ulteriori
spiegazioni nell'ultimo capitolo.
Non vi rubo troppo tempo stavolta, perché sarò
“costretta” a farlo nel prossimo, con i miei
chilometrici
saluti finali.
Un abbraccio <3
Kiss kiss Chiara
|
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Capitolo 35 *** L'ultima lacrima ***
cap35(END)
L' ultima lacrima
XXXV.
Linn si asciugò il
viso ancora una volta mentre raccoglieva dal mobile i tanti piccoli
fermagli.
La regina Frigga
sarebbe tornata a breve e la sua camera doveva essere in ordine.
Sistemò i
preziosi monili nello scrigno sul canterano e iniziò a
riordinare anche le spazzole e i pettini.
Tirò su con
il naso sentendosi soffocare.
Nascose gli occhi
dietro a una mano e respirò a fondo.
Doveva lasciarlo
andare, era giusto così. Anche se faceva male, e avrebbe
fatto male ogni giorno di più.
«Linn?»
Voltò il
capo alle sue spalle con timore. La porta non era stata aperta eppure
qualcuno era entrato e la guardava.
«Principe?»
Lo
salutò asciugandosi velocemente gli occhi. «Sono
felice di
sapervi salvo,» affermò con voce incerta. Non
voleva farsi
vedere così, non voleva mostrare il suo dolore.
«Cercavo mia
madre» disse il principe Loki avvicinandosi a lei.
«La regina
sarà qui a momenti, principe.»
Non si chiese il
perché
fosse lì, libero, il come avesse fatto a entrare senza
varcare
materialmente la soglia. Il suo cuore gonfio non aveva spazio per
quelle domande.
Stava bene, e forse
solo questo aveva importanza.
«Tu lo
sapevi, vero?»
Alla sua domanda
impiegò qualche istante per comprendere ma poi dal suo
sguardo capì.
Annuì.
«Ho temuto
fino alla fine non
si risvegliasse più,» confessò
ricordando i giorni
trascorsi al capezzale di Sigyn, a vegliare il suo sonno che sembrava
non voler finire. Ricordò quando le aveva confidato
ciò
che aveva deciso di fare, l'accordo che aveva preso con la regina
Freyja, il rischio assurdo di perdere la vita nel caso
l'incantesimo non fosse riuscito.
«Come hai
potuto lasciarle fare una sciocchezza simile?»
Si sentì
rimproverare con sguardo accusatore.
Linn
abbassò il capo.
«Dovevi
fermarla.»
«E
come?» chiese lei a
quel punto risollevando gli occhi. «Ditemi quali parole avrei
potuto pronunziare per farla desistere, perché io non ne
avevo
alcuna, principe. Neanche una.»
A quel punto fu lui a
scostare lo sguardo celando la sua rabbia che però era
impossibile da non vedere.
«Non datele
colpa anche di questo. Non datele la colpa di avervi amato
troppo.»
Il principe sorrise
scuotendo il
capo come le sue fossero solo sciocchezze. Allora Linn gli si
avvicinò e afferrò la manica della sua tunica
nera.
Lui la
guardò diffidente ma non aveva importanza un altro richiamo.
«L'amore del
principe Thor era così grande da non aver spazio per un
cuore solo.»
«Linn,
smettila
adesso.» Le spostò la mano che lo teneva e le
diede le
spalle. «Saluta mia madre da parte mia.»
«Non potete
allontanarla
adesso!» affermò quasi con rabbia.
«Avete
così paura di essere felice da gettare via tutto solo
perché avete deciso di non meritarlo?»
Quando il principe le
mostrò nuovamente il volto c'era un pallido sorriso sulle
sue labbra.
«E
tu?» Le chiese con
semplicità. «Che ci fai ancora qui, Linn? La forza
delle
tue parole non trova concretezza nelle azioni, o sbaglio? Oppure ha
valore solo per me?»
Capì cosa
volesse dirle e si sentì così piccola e debole
sotto il suo sguardo.
Scosse il capo
abbassando gli occhi e ingoiando altre lacrime.
«Io non
posso, io-»
Quando il principe le
prese la
mano, Linn sentì il cuore battere forte, mentre le sorrideva
e
le baciava la fronte con una dolcezza che non gli aveva mai visto, che
aveva serbato per una persona soltanto.
«Va' da
lui» le
comandò... No, le chiese con tono gentile. «Vivi
la tua
vita, Linn. È tua e di nessun altro.»
Il principe le
asciugò una
lacrima e Linn lo vide svanire sotto i suoi occhi, come un vento, come
un soffio di aria impossibile da trattenere fra le dita.
*
«Quando
vorrai sarai il benvenuto. Chiama il mio nome e Asgard ti
accoglierà.»
Steve annuì
con un sorriso obbligato alle parole di Heimdall.
«Grazie.»
Non si
prolungò sentendo che doveva andare adesso, prima che
potesse provare il desiderio di non andare più.
Il Bifrost
iniziò vibrare nell'attimo in cui il guardiano
azionò il vortice tramite la sua spada.
Un paio di metri, una
manciata di
passi e il sogno sarebbe svanito. La realtà lo avrebbe
salutato
dall'altra parte e Steve Rogers non avrebbe potuto far nulla per
sottrarsi a quel ruolo, a quella maschera, a quel destino.
«Steve!»
Si chiese se
se lo fosse immaginato: Linn che lo chiamava, che urlava il suo nome.
«Steve! Aspetta!»
No, era vero, era
reale.
Si voltò
all'istante scorgendola correre attraverso il lungo ponte.
«Linn?»
Le andò
in contro quando varcò la soglia dell'Osservatorio.
«Che ci fai qui?» chiese mentre Linn riprendeva
fiato.
«Non posso
chiedertelo, tu
non puoi lasciare il tuo mondo. Midgard ha bisogno di te, e tu di
Midgard. È la tua casa, il tuo passato e i tuoi
ricordi.»
Come un fiume in piena
Linn
parlò fra gli affanni con il petto che si alzava a ogni
respiro,
con i capelli in disordine per la corsa, e quei meravigliosi occhi
azzurri a guardarlo.
«Linn, non
capisco che-»
«Io ti amo,
Steve. Ti ho amato dal primo momento e ti amerò fino al mio
ultimo giorno.»
Ci fu silenzio,
perché Steve
aveva il cuore incastrato in gola e Linn ancora l'affanno della
corsa, e avrebbe voluto rispondere che era lo stesso, che provava la
stessa identica cosa, che la sola idea di averla lontana lo uccideva,
ma non seppe dire niente.
Fu Linn a parlare
ancora, con un sorriso sulle labbra mentre gli prendeva le mani fra le
proprie.
«Io non
posso chiedertelo ma tu puoi farlo, perciò, mio capitano, ti
imploro di chiedermelo.»
«Linn...»
Sapeva cosa volesse
dire, sapeva
cosa avrebbe risposto e ne aveva assurdamente paura perché
il
suo cuore di soldato sembrava così fragile per poter
sostenere
tanto.
«Chiedimelo,
Steve,»
disse lei sorridendogli, bella e dolce, e così perfetta per
stargli accanto. «Chiedimelo soltanto.»
Fu un fiato, una
manciata di parole, fu il gesto più coraggioso che avesse
mai compiuto.
«Vieni con
me»
sospirò infine. «Vieni sulla Terra con me
e...» Linn
lo guardava con il sorriso che si allargava con il luccicore a coprire
gli occhi, e Steve sentì che non sarebbe mai stato
più
folle e più spaventato come lo era in quel momento, non
sarebbe
mai stato più vivo. «Permettimi di trascorrere il
resto
della vita a dimostrarti quello che non sono capace di dire.»
E infine quel sorriso
contagiò anche lui quando Linn gli gettò le
braccia al
collo sospirando un sì
dietro l'altro.
«Dio, sarei
impazzito senza di te...» confessò stringendola
forte, regalandole un bacio e poi uno ancora.
«Oh,
Steve.»
Ancora un sorriso,
ancora un abbraccio, ancora vita.
«Capitano?»
Si udì la voce di Heimdall risuonare poderosa.
«Credo sia tempo di andare.»
Si voltò
provando solo allora un leggero imbarazzo.
«Certo,»
rispose guardando Linn e tenendole la mano mentre si avvicinavano al
Bifrost.
«Sei
sicura?» Le chiese poi quasi avesse bisogno ancora di
risposte.
E Linn non gliene
diede più alcuna. Sorrise soltanto e attraversò
il varco.
Quando la Terra li
accolse, le loro dita erano ancora intrecciate.
*
Le stanze erano
silenziose. Le ombre divoravano ogni angolo sebbene fossero
alti soli che bruciavano nel cielo.
Eppure era tetro
ovunque poggiasse gli occhi.
Sfiorò con
le dita
l'armatura assemblata con maniacale precisione. Ne percorse ogni
dettaglio, ogni disegno, ogni stemma e simbolo.
L'armatura di un
principe, di un Dio.
Adesso non era
più niente.
Non ricordava neanche
cosa si
provava indossandola, non ricordava la sensazione del cuoio sulla
pelle, del freddo dell'elmo sulla testa.
Ricordava ogni singolo
momento in cui l'aveva indossata, eppure non ricordava cosa aveva sentito.
Freyja l'aveva
avvertita, le
aveva spiegato cosa avrebbe comportato quel rito arcaico, ma Sigyn
aveva accettato. Thor aveva accettato di lasciare che il suo cuore si
scindesse in due, che una parte fosse solo sua.
Aveva accettato di
avere un corpo
plasmato di carne e seiðr, aveva accettato di non avere anima,
e al
contempo il destino di una morte priva di gloria, perché
quando
quel cuore a metà avesse cessato di battere, non ci sarebbe
stato luogo dove giungere; non il Valhalla, e neanche Hel.
Solo l'oblio. Il
nulla.
Thor aveva accettato
tutto per lui,
per quell'unica vita dove non avere rimpianti, con la semplice
libertà di amarlo come non era stato capace. Aveva deciso di
rendere Sigyn non più un'illusione, una maschera, ma
realtà.
E non era servito.
Le dita sfiorarono
ancora
l'armatura finché con una spinta Sigyn non la
gettò
a terra, lasciando che si rompesse nella sua perfezione. Ogni pezzo
fece rumore mentre si separava dagli altri eppure quel sibilo nella sua
testa era così forte da coprire ognuno di essi.
Loki...
ti odio!
ஐஐஐ
Thor la guardava,
silente, incapace di dire alcunché.
Era stato difficile
affrontare i
suoi compagni, era stato difficile subire le battute di Tony,
benché avesse tentato solo di farlo sorridere, avvertire gli
sguardi di Clint, accusatori e allo stesso tempo colpevoli; ascoltare
la comprensione di Bruce e quella di Natasha, i richiami di Fury e le
sue minacce.
Era stato difficile,
eppure non era
stato nulla al confronto di ciò che provava adesso che aveva
il
viso di Jane di fronte al suo, adesso che la vedeva seduta accanto al
suo letto, con le labbra prive di sorriso e quel denso silenzio ad
avvolgerla.
«Non so se
saprò perdonarti, Thor.»
Mandò
giù un nodo e annuì.
«Non ho
neanche il coraggio di chiedertelo, Jane, io...» Tacque
ancora scostando lo sguardo sul lenzuolo.
Era rimasto in quella
stanza
perché così aveva deciso Nick, per monitorare il
suo
corpo, più probabilmente, per monitorare la sua mente.
Aveva dei buchi, degli
squarci,
eppure lentamente ritrovava immagini che aveva vissuto, piccoli
frammenti di sé, perfino di lei.
Rivedeva Loki, il suo
viso, la sua
presenza. Poteva perfino udire la sua voce, le sue parole, eppure
nonostante tutto, non lo sentiva. Non come avrebbe dovuto.
Sapeva cosa era
accaduto fra di
loro, in che modo quel segreto era stato dissotterrato e violato, le
conseguenze che aveva portato, ma nel fondo della sua mente, del suo
cuore, Thor non sentiva più nulla che riguardava quel tempo.
Se pensava a Loki
rivedeva il
fratello che aveva amato e perduto, per cui aveva lottato e contro cui
aveva combattuto. Rivedeva il ragazzo solitario e schivo che
riusciva sempre a zittirlo con una frase tagliente, con cui amava
sfidarsi, con cui amava vincere e odiava perdere.
Non c'era altro, non
c'era quell'altro.
Era come se
quell'insieme di
emozioni di cui aveva sempre avuto timore e vergogna fosse ora solo
l'eco lontana di un sogno, di un sogno di qualcun altro.
Aveva Jane davanti ai
suoi occhi, e non credeva di aver mai amato qualcuno come amava lei.
Cos'era accaduto?
Cos'era quel vuoto che sentiva?
Non era la memoria,
era il suo cuore che sembrava avere una voragine inspiegabile.
«Le bugie, i
segreti,» disse ancora Jane scuotendo la testa e Thor si
sentì piccolo sotto il suo sguardo.
«Jane...»
«E come se
non ti avessi mai
conosciuto, come se l'uomo di cui mi fossi innamorata non fosse
mai realmente esistito.»
Si sentì
soffocare sotto le sue parole e nascose gli occhi dietro le dita.
«Non ti
biasimerei se volessi
avermi fuori dalla tua vita, e sappi che la consapevolezza di averti
ferito sarà la più profonda di ogni ferita che
indosserò» confessò con vergogna,
coperto di colpe
e rimproveri.
«Hai
frainteso le mie parole,
Thor» disse poi Jane con tono dolce e Thor la
guardò
ancora. Un piccolo sorriso sulla sua bocca. «L'uomo di cui
mi sono innamorata non esiste più, è vero, e
questo lo
sappiamo entrambi. Ma l'amore che provo per lui non è
svanito.» Jane prese fiato e poi continuò.
«Non so
cosa accadrà da adesso in poi, non so se saprò
ancora
darti fiducia, Thor, e come scienziata non credo al destino
né a
robe simili. Quindi non so dire se torneremo ad essere quelli di un
tempo o se le nostre strade si divideranno per questa ragione o
un'altra... quello che so è che sebbene sia arrabbiata
con te, sebbene sia furiosa e senta solo la voglia di
riempirti
di schiaffi, voglio conoscere chi sei davvero. Voglio conoscere
l'uomo che ho davanti adesso, senza più menzogne
né
silenzi. Voglio vederti come sei veramente, con le tue luci e
soprattutto con le tue ombre. Perché ce ne sono nel cuore di
ogni uomo e credo che questo valga anche per un dio.»
Thor non sapeva cosa
rispondere
davanti a quella seconda possibilità, davanti alla vera
forza
che Jane gli stava dimostrando, una forza che faceva impallidire quella
di ogni altra creatura dei Nove Regni.
Le prese le mani e le
baciò
con bisogno, sentendo di non voler altro che tenerle fra le sue, tenere
lei fra le sue braccia finché gli fosse stato concesso.
«Io ti
prometto che
saprò essere degno del tuo perdono, degno dei tuoi sguardi e
di
ogni tuo gesto. Prometto che-»
«No,
Thor.» Lo interruppe lei scuotendo il capo. «Basta
promesse. Fallo e basta, ok?»
Non seppe trattenere
un sorriso e
la strinse a sé baciandole le labbra ma Jane si
allontanò
ponendo le sue dita sulla sua bocca.
«Ehi, un
passo alla
volta,» lo ammonì mentre lui scioglieva il suo
abbraccio.
«Dammi il tempo di metabolizzare la faccenda del sesso con
Loki,
prima di riavvicinarci fisicamente, se capisci cosa intendo.»
«Oh...
certo.» Un
leggero porpora bruciò sulle sue guance mentre anche Jane
gli
regalò un sorriso imbarazzato.
«Ora vado,
ho da sistemare alcune cose» affermò poi mentre si
allontanava dal letto.
«Jane?»
la chiamò e lei si voltò con una mano sulla
maniglia. «Grazie.»
Jane rispose al suo
sguardo e al suo sorriso.
«Fatti
portare dei vestiti,» gli disse poi. «Quel camice
da ospedale non ti ha mai donato molto.»
Thor lasciò
sulle labbra un sorriso anche quando Jane andò via.
*
Linn
respirò a fondo mentre Steve chiudeva la porta alle loro
spalle. La sua casa, piccola e accogliente.
«Posso
davvero restare qui, Steve?» gli chiese voltandosi.
Steve rise e
alzò le spalle.
«Solo se
vuoi. Cioè,
magari una convivenza e un po' precoce e forse vuoi avere i tuoi
spazi per abituarti alla vita qui, però per me non
c'è problema se vuoi restare, anzi. Certo i miei orari
sono abbastanza irregolari quindi non-»
Linn tacitò
quel fiume di parole con un bacio.
«Grazie»
sospirò sulle sue labbra.
«Non
c'è di
che» rispose Steve sorridendole a sua volta. «Sei
certa che
non ti mancherà la vita su Asgard?» le chiese poi
accarezzandole il viso. «Qui non c'è molto da
fare,
potresti annoiarti.»
Linn rise felice e
scosse il capo.
«Tony ha
detto che mi
troverà un lavoro così potrò conoscere
meglio le
abitudini di Midgard... della Terra. Ha detto che devo chiamarla
così» gli confidò ricordando la
chiacchierata con
Tony al suo ritorno.
“Ci avrei scommesso”
le
aveva detto quando li aveva visti insieme, poi aveva buttato
giù
un bicchiere e le aveva strizzato l'occhio.
Era stata felice di
rivederlo, di rivedere ognuno di loro e sapere che non avrebbe
più dovuto salutarli.
«Stark vuole
trovarti un lavoro?» domandò ancora Steve
mostrandosi incerto sulla questione.
«Sì,
potrei essere la
sua assistente. Dice che è un po' come essere
un'ancella ma con i tacchi a spillo... non ho ben compreso cosa
volesse dire.»
Steve
sospirò.
«Fai
ciò che ti rende felice, Linn. Basta che mi dici se prova ad
allungare le mani.»
Arrossì a
quella considerazione.
«Steve, non
credo che Tony ti mancherebbe di rispetto in questo modo.»
«Ancora non
lo conosci,
quando lo farai, trarrai grande liberazione dal tirargli quel tacco a
spillo sulla faccia. Chiedi a Pepper.»
Non seguì
bene il suo discorso ma Steve sorrideva e Linn rise.
Se pensava che avrebbe
potuto guardarlo sorridere in ogni singolo giorno da allora le sembrava
di passeggiare fra le nuvole.
«Steve?»
lo chiamò poi con un sospiro.
«Dimmi...»
Linn si morse le
labbra e poi lo baciò.
«Sono
felice,» disse. «Sono davvero felice.»
ஐஐஐ
La guardò
camminare in solitudine, con lo sguardo buio e le labbra martoriate fra
gli incisivi.
Poi l'armatura cadde e
lei la fissò con astio.
Loki le
girò intorno, celato dal suo manto di seiðr,
finché non le fu di fronte.
Se avesse allungato
una mano
avrebbe potuto sfiorarla, avrebbe potuto far piovere ancora uno
schiaffo e poi un altro su quel viso. Avrebbe potuto far scivolare una
carezza...
Sigyn si
spostò raggiungendo il grande armadio che aprì
con furia.
Vagò con lo
sguardo sui vestiti e poi ne tirò giù uno: una
casacca blu con rifiniture d'oro.
Thor era solito
indossarla durante le assemblee del consiglio presiedute da Odino,
quando armi e armature erano proibite.
La tenne stretta nella
mano,
così stretta da poterne strappare la stoffa. Loki avrebbe
predetto che l'avrebbe sul serio lacerata in mille brandelli,
conosceva troppo bene il suo impeto, ma Sigyn la fece cadere debolmente
nell'armadio e richiuse l'anta. Un profondo sospiro
lasciò le sue labbra mentre si passava una mano fra i
capelli.
«Stupido
Loki...» Le
udì mormorare e d'istinto sollevò un sopracciglio
come se lei avesse potuto vederlo.
Qualcun
bussò poi alla porta e senza attendere un permesso
entrò: era Frigga.
«Madre.»
La salutò lei senza gioia. Frigga le sorrise dolcemente e la
raggiunse.
Una domanda che
restò muta alla quale Sigyn rispose comunque.
«Se
n'è andato» disse facendo sfumare il sorriso di
Frigga.
«Lo conosci,
sapevi come avrebbe reagito. Loki non sa accettare regali, solo
conquiste.»
Si ritrovò
a sentirsi
così nudo sotto le parole di sua madre. Quanto a fondo
poteva
conoscere il suo cuore? Non l'avrebbe mai saputo dire.
«È
stata colpa mia,
credevo che avrebbe potuto funzionare, che una pazzia così
grande avrebbe cancellato ogni altra che l'aveva preceduta ma...
Il suo rancore è così forte, madre.
C'è
così tanta rabbia in lui, che mi chiedo se lo stargli vicino
non
la nutra soltanto,» affermò Sigyn. «Ho
sbagliato a
pensare che sarebbe stato facile se non fossi stato più io,
se... Se avessi reso realtà l'illusione che tanto amava,
se avessi smesso di vestire il cuore di Thor per indossare solo quello
di Sigyn, allora Loki non avrebbe più avuto ragioni di
odiarmi,
di odiare nostro padre... di odiare la vita.»
«Tesoro...»
Sigyn scosse il capo
con un sorriso triste.
«Ho perso,
ho perso tutto.
Conservo ogni ricordo del mio passato eppure non mantengo di essi alcun
emozione. Sai cosa vuol dire questo, madre? Sai cosa vuol dire
ricordarsi delle tue carezze e non riuscire a sentirle?» Il
sorriso restò sulle sue labbra anche quando gli occhi si
fecero
lucidi. Fu solo l'orgoglio di un principe a impedire alle lacrime
di scivolare via. «Sento solo lui, solo dannatamente lui,
perché era questo che volevo. Volevo che potesse davvero
possedere quel cuore che diceva di amare.»
Frigga le avvolse le
braccia attorno e Sigyn poggiò la guancia sulla sua spalla.
«Non sento
neanche la vergogna che dovrei provare nel parlarti in maniera
così inopportuna, madre.»
«Shhh, fa'
silenzio
ora, bambina mia.» A quelle parole Sigyn la
guardò. Frigga
le accarezzò il viso e le sfiorò la punta del
naso con
l'indice. «Sei come ti avevo immaginata.»
Loki non comprese
ciò che
voleva dire, neanche Sigyn sembrò farlo ma tacque, lasciando
che
Frigga regalasse anche a lei la stessa dolcezza con cui aveva salutato
lui, la stessa forza e lo stesso amore che non avrebbe mai avuto
tramonto.
E Loki
restò lì,
nell'ombra, come aveva trascorso parte della sua vita, a udire il
battito nel suo petto che sembrava voler rompere, colpo dopo colpo, la
teca in cui aveva custodito ogni più piccola paura.
*
«Non devi
farlo.»
Sigyn sorrise verso il
viso di sua madre.
«Devo,
invece. Padre non
vorrà avermi qui e non voglio ferirlo più di
quanto non
abbia già fatto.»
«E dove
pensi di andare? Questa è la tua casa.»
Le aveva detto che
sarebbe andata
via, non le aveva detto che non sapeva dove andare, che non aveva idea
di cosa avrebbe fatto di lì al domani, perché si
sentiva
così sola da averne terrore.
«Andrò
a Vanaheim, da
Freyja» rispose con sicurezza sebbene provasse mille dubbi e
incertezze nella sua testa.
«Freyja non
può disfare questo incantesimo...»
«Lo so,
madre, e non era questo il mio intento» confidò
sincera.
Aveva deciso di
lasciare che quella
parte del suo cuore vivesse,
per non doverne più sentire il
peso, per far sì che Thor fosse liberò dai
rimorsi e
dalla vergogna, per far sì che Loki potesse essere amato
come
avrebbe meritato.
Non poteva tornare
indietro, neanche adesso che Loki aveva rinunciato a quell'amore ed era
lontano, chissà dove.
Sentì una
morsa allo stomaco ma cercò di celarla agli occhi di sua
madre.
«Starò
bene, abbi fiducia.»
«Due
figli... tre... e adesso vi ho perduti tutti. Potrò ancora
chiamarmi Madre?»
Provò una
fitta dolorosa di fronte alla sua malinconia, alla sua sofferenza.
Le afferrò
le mani e le strinse fra le proprie.
«Thor
tornerà, e anche
Loki. Se esiste una persona da cui non scapperà mai sei
tu.» La rassicurò assaporando sulla lingua la
pesantezza
di ogni singola parola. «E quando il cuore di Padre
sarà
libero dalla delusione che gli ho procurato, sarei felice anche io di
tornare qui... Nella nostra casa.»
Frigga
annuì solenne, con la
bellezza propria di una regina, con la tenerezza di una madre e la
gentilezza di una donna. E Sigyn avrebbe voluto imparare da lei,
imparare a camminare su quelle nuove gambe, a guardare il mondo
attraverso quei nuovi occhi, ad amare come un tempo aveva amato: con il
cuore di una donna.
«Ho solo una
richiesta da farti, madre, prima di andare e ti imploro di
esaudirla.»
«Certo,
tesoro. Dimmi pure.»
Prese un respiro.
«Enok, il
prigioniero delle
segrete. Ti prego di fare quanto in tuo potere per rendergli la
libertà. È un brav'uomo, e non parlo per via
dell'aiuto che mi ha dimostrato quando ero lì, ma
perché lo è davvero. Lascia che ritorni dalla sua
sposa,
non merita di trascorrere un altro giorno in quei luoghi... nessuno lo
merita, e vorrei che parlassi con Padre affinché abolisca i
metodi feroci con cui vengono trattati i prigionieri, perché
un
re giusto non può lasciare che simili barbarie accadano
sotto la
sua casa. E Odino è un re giusto come pochi, e Asgard deve
conoscere la sua clemenza come la conosco io.»
Frigga
ascoltò la sua richiesta e annuì.
«Farò
ciò che
mi sarà concesso.» Le promise e poi sorrise quasi
divertita. «Ho sempre pensato che una donna fosse dieci volte
più saggia di un uomo.»
Anche Sigyn sorrise
senza imbarazzo
e si lasciò accarezzare ancora una volta, si
lasciò
abbracciare ancora una volta prima che Frigga andasse via e Sigyn,
sapeva, era tempo di andare anche per lei.
Guardò
ancora un attimo la
sua vecchia stanza ora vuota, la porta dietro cui era sparita sua
madre, con i suoi occhi lucidi. Guardò l'armatura a terra,
l'armadio, i libri, le armi. Quel balcone tanto amato e odiato,
il letto e le sue lenzuola rosse, lo specchio al muro in cui si
rifletteva la sua immagine e quel viso di donna con cui avrebbe dovuto
imparare a convivere e vivere.
Sigyn, era questo
il suo nome adesso, come il nome di un'eroina delle antiche storie.
Un nome sentimentale,
per un cuore che forse lo era troppo.
Rise di sé
e lasciò andare l'ultima piuma di quella pelle che non
avrebbe più vestito.
Thor... un'altra vita,
un altro destino; adesso non le apparteneva più.
Si avvicinò
ad un pezzo di
armatura e lo raccolse, poggiandolo sulla scrivania; raccolse anche il
secondo, pronta a rimettere in sesto quel quadro di coraggio e forza e
dirgli definitivamente addio.
«Ti serve
aiuto?»
Lo spallaccio le cadde
dalle mani tintinnando sul pavimento quando si voltò a
quella voce.
Loki la guardava a
pochi metri, comparso dal niente, senza far alcun rumore.
Era lì...
lo era davvero?
«Pensavo te
ne fossi
andato» disse solo, governando a fatica il respiro.
Più
che la sorpresa era stata la sua stessa presenza a farle galoppare il
cuore nel petto.
«Vanaheim?»
le chiese lui senza sorrisi.
«Ah, ho
capito: mi
spiavi» notò alquanto infastidita.
«Immagino sarai
felice di riavere i tuoi poteri. Puoi di nuovo nuotare nel torbido,
come tanto ti piace fare» sbottò con troppa
rabbia, dovuta
più al ricordo del loro ultimo incontro che a
quell'effettiva incursione nella sua camera.
«Era solo
curiosità.»
«Così
adesso ti
interessa dove vado? Mi era parso di capire che non ne volevi sapere
niente di quello che avevo da dire, o da fare.»
«Volevo solo
sincerarmi che
le nostre strade non si sarebbero incrociate ancora»
ribatté lui con odiosa calma, disegnando perfino un sorriso
sulle labbra. «È sempre fastidioso rivedere i
propri ex.
Tu ne sai qualcosa.»
Non rispose
più di sé
e afferrò dalla scrivania il gambale che vi aveva posato
pocanzi
e glielo lanciò contro. Neanche si aspettasse il contrario,
Loki
lo evitò facilmente.
«Ti
odio!»
ringhiò in collera e Loki rispose ancora con soffocante
tranquillità. «Mi hai sentito? Ti odio con tutta
me
stessa!»
«Mi sembra
un sentimento comprensibile. In fondo ti ho rifiutato, e per una donna
è alquanto umiliante.»
«Vattene
prima che ti spezzi il collo. Adesso!»
Come poteva stare
lì a
ferirla in quel modo? Così lontano giungeva il suo astio?
Non
gli bastava averle tolto l'unica ragione per cui aveva preso
quella decisione? No, adesso infieriva anche con le sue parole
velenose. Sigyn pensava di non poter provare più rabbia di
così, più sofferenza, più male.
Loki fece un passo in
avanti e non mostrò intenzione di lasciare quella stanza.
«Ti avverto:
o te ne vai o-»
«O cosa?
Cosa hai intenzione
di fare? Uccidermi? Piantarmi una lama nello stomaco? Oppure pensi di
gettarmi su quel letto e dimostrare quanto una cortigiana abbia da
imparare da te?»
Lo raggiunse
afferrandolo per la
casacca e sbattendolo davvero su quel letto. Loki cadde spalle alle
lenzuola con le gambe piegate al di là del materasso.
Sigyn gli
saltò a cavalcioni addosso e poi gli appuntò i
polsi ai lati della testa.
Lo guardò
con rabbia, con cocente rabbia, con dolore... con affetto.
Non disse nulla, la
sua bocca
restò sigillata mentre Loki le restituiva lo sguardo con il
petto che si alzava lentamente a differenza sua, che invece non
riusciva a far rallentare i respiri.
«Questo
è quello che sono, Sigyn» disse poi privo di
irriverenza. «Non sono luce, sono ombra.»
«Non
è vero» rispose lei con un sospiro perdendo
rancore e trovando malinconia.
«Sì,
invece»
ribadì Loki. «E tu hai visto solo parte di
quell'ombra. Ce n'è ancora tanta, ed è
più tetra della notte eterna.»
«Smettila
adesso» lo
pregò incapace di udire ancora le sue parole.
Allentò la
sua presa e Loki fece scivolare via i polsi. Sigyn poggiò i
palmi ora vuoti contro le lenzuola fresche mentre Loki le spostava una
ciocca di capelli dal viso.
«Voglio che
tu la veda tutta,
voglio che tu guardi ogni cristallo di ombra e poi mi dica se sei
disposta a trascorrere l'eternità nel buio.»
«Loki...»
sospirò comprendendo solo in parte, ma poi lo vide. Vide la
sua
pelle cambiare sotto i suoi occhi, il pallido rosa lasciare il posto al
freddo cobalto, il verde dei suoi occhi sciogliersi nel sangue e
divenire uno sguardo denso come magma.
Ogni parola
morì nella gola,
mentre lo guardava nella sua vera pelle, senza più alcuna
menzogna né maschera, e Sigyn comprese che Loki le stava
mostrando anche la sua ultima fragilità, le stava dando
anche
quell'ultima parte di sé, quella che odiava di
più,
che più lo feriva: la sua ultima lacrima.
Avvicinò
una mano al suo viso e lo vide scostarsi.
Arretrò ma
poi tornò ad allungare le dita.
Guardò la
sua gola
sussultare mentre le faceva scorrere sulla sua guancia, sui marchi
sottili che segnavano il suo viso, mentre gli accarezzava le labbra che
erano morbide come sempre, e tremavano come ogni volta che ricordava di
averle sfiorate.
Quelle labbra si
schiusero e la sua
gola sussultò ancora con l'incertezza e la paura che
brillava nel suo sguardo cremisi, e non c'era nulla di davvero
diverso.
Sigyn sorrise e si
chinò lentamente finché non poggiò la
bocca sulla sua.
Lo baciò
dolcemente come fosse il primo, come fosse l'ultimo. Ma non lo sarebbe
stato.
Sentì le
sue mani salire con
leggero timore sulle sue gambe finché non le accarezzarono
la
schiena e Loki la strinse forte, così forte che quasi le si
smorzò il fiato in gola.
«È
caldo,»
sospirò poi e Loki la guardò, in silenzio, senza
farle
quella domanda. «Il tuo abbraccio... è
caldo.»
E lo baciò
ancora, si
lasciò stringere ancora mentre la stanza svaniva attorno a
loro,
mentre un nuovo letto li accoglieva, nuove lenzuola, nuovo profumo.
*
Il rumore delle spade
risuonava
nell'aria. I gemiti dei giovani che lottavano, il battere delle
suole sulla terra, la polvere che si alzava nell'arena.
Sif, poggiata alla
balaustra,
guardava i suoi allievi che cercavano di mostrarsi degni dei suoi
insegnamenti. E lo erano. Giovani pieni di coraggio e onore, pronti a
indossare un'armatura e combattere in nome del loro re, del
proprio regno.
Ne aveva visti cadere
molti, troppi, e il suo cuore nonostante tutto, non si sarebbe mai
abituato a tale dolore.
Quella guerra appena
conclusa aveva
portato via altri fieri giovani, altri amici e fratelli di armi. Era
stata in fine vinta e il loro coraggio li avrebbe accompagnati
nell'eteree stanze del Valhalla insieme ai loro avi, eppure
neanche un guerriero come lei poteva dirsi immune a quella sofferenza.
Udì un
suono morbido di passi e si voltò per incrociare il viso di
Hogun.
«Sembrano in
piena forma» affermò il compagno affiancandola.
Sif annuì.
«La guerra li motiva» rispose senza celare un'ombra
di amarezza in quella verità.
«Ho
accompagnato Freyja ai cancelli» la informò Hogun.
«Lei ha
saputo dirti qualcosa di Thor?»
Hogun tacque e Sif non
chiese oltre.
Thor non era tornato e
Odino non sembrava voler rispondere a quelle domande.
«Era
Mjolnir...» disse
la guerriera scuotendo il capo e ricordando le immagini di fiamme e
sangue, le immagini di un nemico che impugnava un'arma che non
gli apparteneva.
«Il Capitano
è andato
via e ha portato con sé ogni risposta»
mormorò
Hogun guardando l'orizzonte. «La pace regna ora su Asgard,
Sif. Ciò basta per il momento.»
«La pace di
Asgard non
giustifica la mancanza del suo principe, Hogun. Dov'è
Thor? Cos'è questo silenzio che segue il suo nominarlo?
C'è il riverbero forte di una verità non detta e
il
mio cuore teme.»
«Thor
è in salute e
questo lo sai. Il Padre degli Dèi non tacerebbe una simile
notizia.» Hogun provò a rassicurarla ma Sif aveva
troppi
dubbi nella sua testa, troppe domande che erano sorte in quei giorni
silenziosi e le cui risposte rischiavano di farla tremare.
«Dov'è
Sigyn?» chiese al compagno e al contempo a se stessa.
«Con Loki,
probabilmente» le rispose Hogun. «Entrambi lontani
da qui.»
Sif guardò
le nuvole bianche
in cielo che sembravano mutare forma così rapidamente che i
pensieri non riuscivano a tenerne il passo.
«Hogun, che
valore ha la verità per te?»
«Il valore
di una
verità è dato dal prezzo che sei disposto a
pagare per
conoscerla» rispose Hogun e Sif si volse a guardare il suo
profilo. «Ma più del prezzo, Sif, è
l'impronta che essa lascia nell'anima di un uomo ciò
che ne decreta il peso. Se ti chiedessi quale prezzo sei disposta a
pagare per conoscerla tu mi risponderesti
“qualsiasi”, e
questo ti fa onore, Sif, perché sei una donna di coraggio e
valore. Ma io ti chiedo, amica mia, quanta della tua anima sei disposta
a cedere per poterla udire?»
Sif restò
silente a osservare gli occhi bruni di Hogun e poi sorrise tristemente.
«Tu conosci
questa
verità, non è così?» Hogun
non rispose e
tornò a guardare lontano. «Adesso sono io a
chiederti
quanta anima devo sacrificare per far sì che tu la condivida
con
me.»
Hogun
spostò lo sguardo nel suo e Sif attese la sua risposta.
«La
divorerebbe tutta.»
Un brivido le
solcò la pelle e ci fu silenzio. Solo il vociare degli
allievi, solo l'incontro delle spade.
Poi Hogun si
scostò dalla balaustra di legno.
«Non te la
negherò se vorrai udirla ma mi permetto di dirti che essa
non vale davvero la tua pena, Sif.»
Sif lo
lasciò andare via senza trattenerlo oltre, senza fargli
quella domanda, senza pretendere la sua risposta.
Si chiese se sarebbe
mai stata pronta ad ascoltarla.
*
Odino accarezzava
lentamente il manto bruno di Sleipnir, carezza dopo carezza, udendo i
nitriti soddisfatti dell'animale.
Sentì i
passi di Frigga, morbidi ed eleganti.
Non si
voltò.
Il re non era solito
scendere nelle stalle, non era solito starsene in solitudine fra
l'odore di paglia umida e letame.
Ma quel mattino era un
mattino diverso dal solito.
«Sembra che
gli
piaccia.» Frigga lo accostò tenendo le mani
raccolte sul
ventre. Odino le dedicò una rapida occhiata e poi
tornò a
volgere le sue cure al caro animale. «Ricordi quando Loki
trascorse la notte in questa stalla per farlo nascere?»
Quella domanda
portò memorie
lontane che parevano fredde come il vento del nord, ma non potevano
esserlo, mai lo sarebbero state.
Sorrise, Odino, con un
sorriso di padre.
«Era
convinto di far nascere
un cavallo cremisi...» ricordò a voce alta e poi
lasciò andare una debole risata mentre carezzava con il
palmo
della mano il muso di Sleipnir. «Un cavallo
cremisi!»
Frigga
accompagnò la sua malinconica risata.
«Avrebbe
fatto di tutto per Thor.»
Quella
verità coprì il cuore del re di buio.
«E io non ho
saputo
comprenderlo» ammise rallentando le sue carezze.
«Avrei
dovuto unirli e invece li ho divisi.» La mano
scivolò via
cadendo stancamente contro il fianco del sovrano. «Che padre
sono
stato?» chiese poi con un sussurro appena udibile, fissando
il
terreno battuto sotto il rumore degli zoccoli del suo amato cavallo.
Rialzò poi lo sguardo e guardò il viso di sua
moglie che
porgeva sulla sua guancia stanca una tenera carezza. «Che
padre
sono stato, Frigga?»
«Uno che ha
amato, Odino» gli rispose lei. «E l'amore fa
commettere sbagli.»
Si sentiva
così vecchio in
quel momento che chiuse gli occhi, l'unico che ancora poteva
volgere alla vita e quello cieco, portatogli via da un nemico. E cosa
aveva portato via lui? Un bambino che sarebbe morto di freddo e fame,
dimenticato su un'ara gelida in una notte di guerra e sangue.
Un atto di clemenza o
il più spregevole di ogni inganno.
Eppure l'aveva amato,
quel
bambino dagli occhi verdi e il sorriso timido. Un bambino fatto di
troppe domande e troppe risposte, un bambino fragile e allo stesso
tempo in grado di distruggere l'intero cosmo se solo gli fosse
stato concesso.
D'amore si sbaglia,
diceva
Frigga, e Odino si chiese se aveva amato e sbagliato in egual misura, o
se in qualche modo l'uno aveva sopraffatto l'altro senza
che se ne accorgesse.
«Sono andati
via» disse
poi Frigga e lui la guardò, ed era dolce e bella, la stessa
fanciulla di cui si era innamorato ormai millenni lontani. Gli sorrise.
«Abbiamo fatto ciò che era in nostro potere,
adesso sta a
loro trovare la strada.»
«Qualsiasi
strada scelgano
non cercheranno mai quella che li riporterà qui»
affermò con dolore. «E Asgard non avrà
guida dopo
la mia morte. Ecco quale sarà il mito che
accompagnerà il
mio nome.»
«Asgard
avrà sempre
una guida, Odino» obiettò Frigga con tenera
fiducia.
«Ancora lungo è il tuo percorso, sposo mio, e
ancora i
tuoi figli avranno fame di consigli. E per quanto ostinati, orgogliosi
e ridicolmente infantili saranno, cercheranno quella via di casa, e la
troveranno. Di questo narrerà il tuo mito: di un condottiero
che
fu grande, di un re che fu giusto, e di un padre che amò
senza
mai dirsi stanco.»
Odino
assaporò ogni parola
che abbandonò le labbra della sua amata regina, si
lasciò
avvolgere da ognuna di esse, e ne fece un'ancora da gettare in
quel cuore ricolmo di affanni e rimorsi.
Le
accarezzò poi il viso e le poggiò un bacio sulla
fronte.
«Quale gesto
nobile compii
affinché nella notte dei tempi le Norne mi benedissero con
la
tua vicinanza, mia dolce Frigga...?» sospirò
sorridendo,
ricordando un tempo in cui farlo era facile.
Sleipnir
nitrì, come per
richiamarli di quella mancanza di attenzioni, e Frigga gli
riservò una carezza gentile sul manto.
«Portalo a
cavalcare per i
campi. Ha bisogno di respirare libertà»
consigliò e
Odino acconsentì con una semplice condizione.
«Cavalca con
me.»
Frigga rise armoniosa.
«Così che tutta Asgard possa sorridere di
me?» chiese.
«Così
che tutta Asgard possa ammirare la magnificenza della sua
regina.»
Odino le
baciò il dorso
della mano e attese la sua risposta, così come attese quel
giorno lontano quando glielo chiese per la prima volta.
Come allora Frigga
accettò,
come allora cavalcò con le spalle poggiate contro il suo
petto
non più giovane ma che nutriva lo stesso immutato amore.
E tutta Asgard
guardò la sua
regina, splendida, attraversare il verde dei campi stretta al suo re, e
Odino guardò Asgard come non faceva da tempo ed era
così
bella da togliere il fiato.
Torneranno, si
disse.
E il suo cuore
l'avrebbe creduto finché non fosse accaduto.
₪₪₪
Sigyn alzò
il capo guardandosi intorno.
Era su un letto, Loki
giaceva sotto
di lei, come pochi istanti prima, eppure il resto era cambiato: era
cambiato il colore delle lenzuola, quello delle pareti. Era cambiato
l'orizzonte che si intravedeva dalla balconata, e brulicava di
buio e argento.
«Conosco
questo posto» affermò tornando a guardare il viso
di Loki.
«È
dove ti ho condotta
quella volta. Ricordi?» le fece notare maliziosamente lui e
Sigyn
sì, ricordava adesso.
«Quando mi
hai usato come
contenitore per una maledetta sfera?!» chiese retorica
assottigliando lo sguardo e Loki sorrise, mentre la sua pelle
riacquistava il suo pallore. «No!»
Lo fermò
poggiando la mano sulla sua guancia. «Resta
così.»
«Perché?»
le chiese lui tornando a riprendere la sua vera natura Jotun.
Perché?
La domanda
sibilò anche
nella sua testa e l'eco riverberò sottilmente come uno
spago che si arrotolava su se stesso.
Sigyn fece scorrere lo
sguardo sul
suo viso, sul suo collo, sulle sue vesti e la risposta era
lì, nell'involucro confuso di quella matassa di emozioni.
Perché...
«Voglio fare
l'amore con la tua vera anima, con ogni tua ombra... Voglio sentirle
tutte dentro di me.»
Il respiro di Loki
sembrò accelerare.
«Sono
molte,» disse poi
mentre le accarezzava il viso e lei gli baciava le dita che sfioravano
le sue labbra. «Non basterà un secolo... Non ne
basteranno
mille.»
Sigyn sorrise facendo
scorrere le mani sul suo petto, sentendo il suo cuore come quella
notte, come ogni altra.
Poi si
chinò ancora, a un soffio dalla sua bocca, e vi
posò il più innocente dei baci.
«Allora fai
l'amore con
me per i prossimi secoli» sospirò.
«È tutto
ciò che chiedo.»
Vide il suo sorriso
scintillare fra
quelle labbra baciate dal blu del più intenso dei cieli, e i
suoi occhi, caldi come fiamme, rubarle ogni pensiero.
«Come
desideri, cuore mio.»
E poi il resto di quel
mondo, e di ogni altro, smise semplicemente di esistere.
*
***
*
NdA.
FINE!!!!
Piaciuta?
Ditemi di sì altrimenti piango >////<
Anche se il rischio di lacrima è comunque altissimo
perché devo partire immediatamente con i ringraziamenti di
rito,
e mai come questa volta sento di doverli fare davvero di cuore.
Grazie a chi mi ha fatto compagnia in questa nuova, splendida e anche
difficile avventura, grazie a chi è giunto qui dal prequel e
anche a chi è rimasto fermo lì (;P)
Grazie a chi mi ha dato fiducia anche quando ero io per prima ad averne
poca. Grazie per i consigli e i complimenti, per le parole di stima e
apprezzamento, e per le domande che mi spronavano a fare di
più
per poter dare una risposta degna.
Grazie a chi mi ha fatto sorridere e ridere, a chi mi ha
emozionato, a chi mi ha mosso dei dubbi e a chi mi ha aiutato a
dissiparli.
Grazie a chiunque abbia dedicato anche un solo minuto del suo tempo a
soffermarsi su queste pagine, a leggere un pezzetto della mia anima e
una fetta grande del mio cuore.
Grazie a chi, silenzioso, c'è sempre stato, e grazie a chi
ha urlato
la sua presenza in ogni singolo passo di questa storia.
Grazie agli scleri e alle pazzie, grazie ai momenti di fangirling
estremo e a quelli teneri, fatti di vera e tangibile amicizia.
Grazie per aver deciso di credere a una storia troppo romantica e
impossibile, e che per questo mi ha permesso di sognare tanto <3
Grazie a ognuno di voi per aver creduto in me ^^
E adesso, alla fine della sviolinata, vado via augurandomi che vi sia
arrivata almeno una briciola della sincera gratitudine che provo nel
mio cuore.
La storia è di per sé conclusa ma vi è
ancora un 36esimo capitolo che...
Nah, non ve lo dico.
Non voglio rovinarvi la sorpresa ^w*
E per l'ultima volta, appuntamento alla prossima <3
Kiss kiss Chiara
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Capitolo 36 *** ۞۞۞ ***
cap36(prologo Terza Parte)
CAPITOLO 0.3
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
[Sei mesi dopo...]
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
Steve ebbe l'istinto fisico di
rivoltare il divano sulla testa di Tony. Fece fatica a resistergli.
«Non
puoi farlo, Steve.
È una cazzata!» continuava a dire Tony, e Steve
continuava
a combattere la voglia di eliminarlo fisicamente.
«Stark,
con tutto il
rispetto, non vedo come queste possano essere faccende che ti
riguardano» ribatté con biasimo.
Aveva avuto la pessima idea di confidarsi con lui e ora ecco la
conseguenza.
Avrebbe
dovuto aspettare che
Thor tornasse dal suo appuntamento con Jane e parlare con lui, ma no,
era stato troppo istintivo, non aveva pensato e adesso... e adesso
doveva subirsi una sceneggiata di un incomprensibilmente isterico Stark.
«Hai
chiesto tu il mio giudizio!» affermò Tony
allargando le braccia.
«Un
momento, io te ne ho
parlato per avere un consiglio non un giudizio.» Lo corresse
Steve puntandogli contro l'indice.
«Appunto!
E io ti consiglio di non farlo.»
Sospirò,
o meglio, ringhiò sottovoce.
«Non
ti ho chiesto un consiglio sul farlo o meno, ma sul come
farlo.»
No, era
stata davvero l'idea più stupida del mondo.
«Manchi
il centro della questione, Rogers. Non puoi farlo. Tutto qui.»
«Per
amor del cielo,
spiegami per quale motivo non dovrei farlo?!» Non capiva per
nulla la sua riluttanza, la sua insistenza, neanche fosse lui a doversi
sposare!
«Steve,
da quando la
conosci? Una settimana? Due? Non basta. Ascolta uno che delle donne ne
sa qualcosa: non basta una vita per capire cosa gira nella loro testa.
Non puoi legarti a una di loro a vita solo perché
è
carina, ha un bel sedere e fa dei cocktail fantastici. Devi conoscerla
davvero, davvero bene.»
Steve si
umettò le labbra e si accarezzò stancamente gli
occhi con le dita.
«Ok,
a parte che sono
sei mesi e dodici giorni,» iniziò mentre Tony
sollevava
scenicamente le sopracciglia, «Io ho deciso di sposare Linn
perché la amo, lei ama me e so che è quella
giusta.
Chiaro? E poi se non la smetti di guardarle il sedere ti spezzo le
gambe» terminò serio mentre Stark gonfiava le
guance in
maniera infantile.
«È
la mia
assistente e di solito sono sempre chinato sul bancone del laboratorio
quando è nei paraggi. Non è colpa mia se i miei
occhi
sono all'altezza del suo sedere.»
«Beh,
la prossima volta tieni gli occhi incollati sul tavolo.»
«Ok,
come ti pare, ma
adesso non cambiare discorso, Rogie. Il matrimonio non è un
passo importante, è un passo sbagliato. A prescindere!
È
una catena che ti viene legata al collo e che stringe ogni giorno che
passa. È claustrofobico e avvilente e- Oh tesoro, sei
tornata?!»
Tony
disegnò un sorriso
intanto che Pepper entrava nella stanza. Pepper però non
rispose
al suo sorriso mentre lo guardava gettando una cartellina sul tavolo di
vetro.
«Firma
questi,» gli comandò e Tony recuperò
immediatamente una stilo dal portapenne.
«Come
desideri, amore
mio.» Steve lo guardò scuotendo il capo. Ecco chi
parlava
di catene... «A te.»
Tony le
porse nuovamente i documenti e Pepper glieli strappò
letteralmente dalle mani.
«Claustrofobico
e avvilente?» chiese palesemente infastidita.
Tony
strinse le labbra e annuì.
«Hai
sentito quello che stavo dicendo, giusto? Beh, io mi riferivo a
Rogers.»
Pepper lo
ignorò e guardò lui.
«Portala
in un luogo
dove si senta a suo agio, comprale un anello che rappresenti
ciò
che provi quando le sei accanto, ma nulla di troppo estroso che
potrebbe distogliere l'attenzione da ciò che è
davvero
importante in quel momento, e cioè il tuo amore. Poi ti
inginocchi e la guardi come fosse lei il gioiello più
prezioso
che esista. Le prendi la mano, le sorridi e semplicemente glielo
chiedi.»
Steve
sentì il cuore
battere sotto ogni parola che Pepper pronunciò riuscendo a
disegnare nella sua mente quell'esatto istante, poteva vedere gli occhi
di Linn, il loro luccichio, le labbra che avrebbero sorriso e
avrebbero sospirato quel sì.
Percepì
la gola secca per l'agitazione e l'attesa.
«Grazie,»
rispose
soltanto e Pepper gli strizzò un occhio con un sorriso
furbo,
poi guardò Tony prima di andare via e per lui non ci fu
altro
che un'occhiataccia dura.
*
«Il
capitano si sposa?» chiese incredulo Clint poggiando i piedi
sulla scrivania.
«Io
l'ho sempre detto
che l'ibernazione gli ha fregato le principali funzioni
neurologiche» mormorò Tony sorseggiando la sua
bibita.
«Le farà la proposta
venerdì.»
«Wow...»
sospirò Barton incrociando le braccia dietro la testa.
«Steve che si sposa. E tu che dicevi che sarebbe rimasto
vergine
a vita.»
«E
sarebbe stato meglio.
Adesso per colpa sua sono diventato il fidanzato brutto e cattivo che
non vuole impegnarsi...» Tony rise. «Che
idiozia!»
«Stark,
tu sei un
fidanzato di merda che non vuole impegnarsi. E non serviva il
matrimonio di Steve per dimostrarlo.»
Clint aveva
ragione, ma Tony non aveva poi troppa intenzione di confermarglielo.
«Sono
sicuramente meglio di Thor. Lui si è scopato
Loki!» affermò orgoglioso e Clint sorrise.
«Questo
è vero. Però si sta impegnando con la Foster.
Ieri l'ha portata al cinema.»
«Mh...
originale.»
Clint
ridacchiò divertito.
«Avanti,
quand'è
stata l'ultima volta che hai portato Pepper al cinema o a cena fuori?
Ammettilo, Tony: sei un fidanzato schifoso.»
Tony stava
per rispondergli quando la porta di vetro si aprì e Linn
entrò con un vassoio.
Fece a
Clint un cenno di stare zitto e l'accolse con un sorriso.
«Linn,
tesoro, mi hai portato un Manhattan?»
«Ne
ho preparati due. Sempre che anche Clint lo gradisca.»
«Oh,
non dico mai di no
a un po' di alcol gratis.» Sorrise Barton scendendo
finalmente
con i piedi dal tavolo e afferrando il bicchiere.
«Grazie.»
«È
solo un piacere.»
Linn
abbracciò il vassoio al petto e andò via.
La porta si
chiuse con uno sbuffo.
«Presto
avrai come
assistente la “signora Rogers”,»
mormorò Clint
sorseggiando il cocktail e tenendo lo sguardo ancora fisso sulla porta.
«Linn Rogers... mh, suona bene.»
Tony
svuotò il bicchiere con un solo sorso.
«La
porterò a
teatro» affermò sicuro. «E poi a
Venezia, o a teatro
a Venezia. O ancora meglio, noleggio tutte le gondole presenti e
organizzo un concerto di archi sul Canal
Grande. Che ne dici?» chiese euforico.
Clint
sollevò un sopracciglio e tornò a poggiare i
piedi sulla scrivania.
«Come
ti pare, Tony. Ma credo dovrai impegnarti di più.»
Tony
sospirò sbattendo la testa sul tavolo.
«Jarvis?» bofonchiò.
«Sì, signore?»
«Di'
a Linn di portarmi uno scotch, doppio...»
«Sarà fatto, signore.»
Barton,
sadico bastardo, ridacchiò ancora assestandogli qualche
pacca sulla schiena ricurva.
«Sei
fregato, Stark.»
Cavolo se
non era così.
Maledetto Rogers!
*
Thor
rientrò appagato
per il bel pomeriggio trascorso con Jane. Erano stati allo zoo, e aveva
visto quasi tutti gli animali esistenti su Midgard. Era incredibile
come dopo tutto quel tempo non avesse ancora avuto modo di vedere tali
esseri meravigliosi.
Fischiettò
sommessamente mentre l'ascensore saliva e le porte si aprivano. Quella
sera si sarebbero rivisti e Jane gli avrebbe mostrato gli studi su cui
stava lavorando, e anche se Thor era sicuro che non ci avrebbe compreso
molto, sarebbe stato bello vedere i suoi occhi illuminarsi mentre gli
raccontava di quella scienza che amava tanto.
Era stato
difficile
all'inizio, aveva provato timore e dubbio, si era chiesto se le cose
sarebbero mai tornate come un tempo. Ma stava funzionando, lentamente,
a piccoli passi. Si stavano conoscendo ancora, forse si stavano
conoscendo per la prima volta.
Gli
capitava sovente, nelle
sue notti solitarie, di pensare ad Asgard, alla sua casa. Di pensare a
sua madre e a suo padre, e si domandava quando sarebbe stato pronto a
tornare, quando sarebbe stato pronto a rivederli.
Pensava
anche a Loki, spesso, pensava a suo fratello e si chiedeva se stesse
bene.
Si
rispondeva di sì, era ottimista, perché sapeva
che non era più solo.
Le parole
di Linn erano state
stordenti appena udite, era stato strano e spaventoso sapere cosa era
accaduto, sapere che quella parte di sé che aveva provato a
soffocare e dimenticare era adesso reale, e che era al suo fianco.
Adesso
riusciva a ricordare
perfettamente quei giorni, ricordava perfino quella richiesta fatta a
Freyja su di un balcone, ricordava quando era stato lei. Ricordava
eppure non sentiva.
Sigyn...
Avrebbe
voluto vederla, ascoltarla, capire.
A volte
avvertiva un vuoto in fondo al petto, una mancanza di aria, una
mancanza di sé.
A volte la
sognava, sognava di averla di fronte e parlarle. Sognava che fossero
ancora un'unica entità, un unico cuore.
A volte
desiderava essere ancora un unico cuore.
Poi vedeva
Jane e il suo sorriso, e si diceva che c'era tempo, che adesso il tempo
era l'unica cosa che non gli sarebbe mancata.
Attraversò
ancora il
corridoio e si diresse verso la sua stanza. Fury gli aveva
concesso un alloggio nella struttura dello S.H.I.E.L.D.
Era un modo
per tenerlo
sottocchio, lo sapeva bene, però era comunque grato. Si
sentiva
meno solo, si sentiva meno in colpa quando incontrava lo sguardo degli
agenti e non leggeva più rimproveri o accuse.
Era una
vita diversa, nuova, ma che era deciso ad affrontare senza
più segreti o bugie.
Sarebbe
stato sempre onesto
per Jane, per i suoi amici, per la Terra che lo aveva accolto
nuovamente e gli aveva dato una seconda possibilità.
Quando
aprì la porta scoprì che c'era qualcuno, che
aveva un ospite.
«Steve?»
lo chiamò e l'amico si alzò dalla sedia su cui
era seduto.
«Ehi,
ti aspettavo. Spero non ti dispiaccia se sono entrato.»
Thor scosse
il capo con un sorriso mentre gettava la giacca sulla piccola branda.
«Non
c'è
problema» rispose e notò subito una strana
agitazione che
lo avvolgeva. Aggrottò la fronte e gli chiese se stesse
bene.
«È successo qualcosa, Steve?»
«No,
nulla...
cioè, sì.» Si strofinava le mani e
sospirava in
maniera insolita. Steve era sempre pieno di autocontrollo, anche
dinanzi alla situazione più drammatica o delicata, sapeva
cosa
dire e cosa fare.
Era uno
scudo, era il vero scudo di tutti.
«Cosa
agita i tuoi pensieri, amico mio?» chiese ancora preoccupato
e Steve sospirò nuovamente.
«Ok,
volevo parlartene,
anzi avrei dovuto farlo visto che ne ho parlato prima con Stark ed
è stata una pessima idea e poi credo che anche Nat lo sappia
quindi...» farfugliò e Thor iniziò
seriamente a
preoccuparsi.
«Steve?»
lo chiamò incerto e aspettò che in qualche
maniera si calmasse.
Alla fine
sembrò trovare una parvenza di controllo e lo
guardò dritto negli occhi.
«Voglio
chiedere a Linn di sposarmi.»
Thor non
seppe cosa dire per i successivi secondi, poi si aprì in un
sorriso e lo abbracciò con calore.
«È
meraviglioso, Steve. È una notizia felice!»
affermò stringendolo fra le braccia.
«Ancora
non mi ha detto
sì, però. Credo dovremmo lasciare a dopo gli
entusiasmi» mormorò Steve quando sciolse il suo
abbraccio.
I suoi occhi avevano una strana luce, una luce bellissima e Thor
provò tanta tenerezza nel vederla.
Sapeva
quanto Steve amasse Linn e quanto Linn ricambiasse quei sentimenti.
Provava un profondo affetto per quella che un tempo era stata una
fedele ancella ed era poi diventata la più sincera di ogni
amica.
Quando gli
era sembrato di
aver perso tutto, Thor aveva trovato in Linn la persona a cui confidare
i suoi timori e le sue incertezze, e Linn sapeva sempre cosa dire per
ridargli fiducia e speranza. Se non fosse stato per lei forse non
avrebbe mai avuto la forza necessaria per riprovarci con Jane.
«Sono
certo che
dirà di sì. Non esistono ragioni per cui non
debba
farlo.» Lo rassicurò e Steve sembrò
davvero
rincuorato.
«Sono
venuto
perché eri il primo a cui volevo dirlo e anche se le cose
sono
andate diversamente, beh, dovevo dirtelo. Ecco... Venerdì.
Glielo chiederò venerdì.» Steve sorrise
imbarazzato
e Thor gli poggiò la mano sulla spalla e la scosse
amichevolmente.
«Sii
sereno. Sarà un gaudio giorno.»
Steve gli
donò un altro sorriso meno incerto e rispose con un cenno
del capo.
«Ok,
allora vado prima
che Nick mi dia per disperso.» Si avvicinò poi
alla porta.
«Ah, se dovesse dire sì, cosa in cui spero
fortemente,
vorrei che tu fossi il mio testimone. Che ne pensi?»
Thor
sorrise intenerito dalla sua espressione.
«Sarebbe
solo un onore, capitano Rogers» rispose.
Steve era
tanto sicuro e
impavido sul campo quanto fragile nella sua vita privata. L'aveva
imparato con il tempo, l'aveva imparato dai suoi sguardi, dai suoi
silenzi.
E Thor non
mentiva quando
diceva che era un privilegio, la sua amicizia era un dono prezioso che
si sarebbe impegnato a far brillare ogni singolo giorno.
Steve gli
disse grazie,
come se ne avesse bisogno, e poi uscì.
E Thor,
rimasto solo, non poté che sorridere ancora.
₪₪₪
Il
corridoio era buio, troppo
buio. Il giorno in cui Loki avesse deciso di aggiungere qualche lumiera
sarebbe stato sempre troppo tardi.
Colpì
con lo stinco una statua e per poco non la fece cadere sul pavimento.
Brontolò
infastidita,
passandosi le dita sulla zona momentaneamente indolenzita, e
provò ad attraversare quel corridoio senza fracassare nulla.
Quando
arrivò alla cucina fu felice che almeno lì ci
fosse un bel fuoco a illuminarla.
Si
avvicinò alla grande
cesta con la frutta al centro del tavolo e mosse l'indice alla ricerca
di qualcosa da mangiare. La scelta fu come sempre semplice:
afferrò una grossa mela rossa e la portò al naso.
Ispirò a fondo e sorrise sentendone l'aroma dolce.
La fece
saltare nel palmo un
paio di volte mentre ritornava nella stanza, stavolta evitando
accuratamente la statua di quello strano serpente che sostava nel bel
mezzo del corridoio.
Non amava
particolarmente quel
posto, ma non aveva mai voluto renderlo troppo palese eppure era certa
che Loki lo avesse intuito. Era per questo che il più delle
volte se ne andavano in giro per i regni, in lande selvagge dove si
poteva cacciare alla vecchia maniera, con mezzi rudi e per questo
più interessanti, dove si poteva accendere un fuoco alto
come
una quercia e cucinare, dove si poteva fare l'amore sotto le stelle
senza celare alcun suono o richiesta.
Oppure
erano cerimonie, eventi
speciali, rituali così antichi che Sigyn rimaneva ogni volta
stupita dalla profonda conoscenza di Loki. Dovevano celare i loro nomi,
qualche volta Loki perfino il suo aspetto per evitare di imbattersi in
qualche avventuriero così sciocco da voler provocare il Dio
del
Caos. Ma era sempre intenso, ogni singolo giorno, ogni singola notte in
sua compagnia, e ne erano seguite tante seppure Sigyn non ne era ancora
sazia.
Voleva i
suoi sorrisi, la sua
voce, le sue carezze, perfino le urla e gli insulti, perché
Loki
non le aveva più nascosto nulla di sé, neanche
quei
riflessi bui che alle volte arrivavano a spaventarla, ma che mai
l'avrebbero allontanata.
Passò
dinanzi alla sala dove il grande trono ne governava l'ambiente.
Sollevò
un angolo delle labbra dando un morso al frutto che teneva nella mano.
“Che ci fai con quel trono?”
“È una seduta come
un'altra.”
“Una seduta alquanto
ingombrante...”
“Forse, ma sorprendentemente
comoda.”
Ricordava
le sue parole, il suo sorriso, ciò che ne era seguito.
Sigyn non
aveva cambiato idea: era una seduta ingombrante ma, Loki aveva poi
avuto ragione, particolarmente comoda.
Sorrise
ancora masticando
rumorosamente la mela, sapendo che non c'era nessuno da svegliare e che
Loki era già desto, ma che fingeva di dormire per
sottolineare
ancora una volta la sua mancanza di eleganza e buone maniere.
Ma Sigyn,
pur volendo, non
poteva cambiare ciò che era, ciò che era sempre
stata, e
sebbene Loki dicesse il contrario, sapeva che neanche lui voleva che
cambiasse. Altrimenti non l'avrebbe inseguita così a lungo.
A adesso,
finalmente, non
c'era più nulla da inseguire né rimpiangere.
Adesso
avevano tutto quello che avevano desiderato, anche se in maniera
diversa da come aveva creduto.
Non c'era
Asgard, non c'era
Thor, ma andava bene comunque. C'era Loki, e ci sarebbe sempre stato,
per lei e con lei, e questo era ciò che contava davvero.
Svoltò
l'angolo per tornare nelle loro stanze quando avvertì uno
strano brivido solcare la sua pelle nuda.
Si
voltò ma non vide
nulla. Le fiamme delle candele non vibravano, non c'era stato un soffio
di vento o altro. Era stata più che altro una sensazione.
Si
guardò attorno
un'ultima volta e poi decise di ignorare quella sciocca percezione. Era
il sonno, il freddo, forse la fame.
Mangiò
ancora la sua mela chiedendosi se non fosse il caso di recuperarne una
seconda.
Accadde
ancora: stavolta fu diverso, stavolta avvertì distintamente
una carezza sulla sua schiena.
Afferrò
velocemente lo stiletto tenuto nella mano di una statua e
scrutò con attenzione l'ambiente.
Non poteva
esserci nessuno, nessuno era in grado di varcare la soglia di quella
dimora.
Sigyn non
sapeva ancora oggi
dire dove fosse, in quale punto dell'universo si ergesse,
perché
Loki si era limitato a dire che era un luogo sicuro, un luogo
impossibile da trovare e violare, come una crepa nascosta fra i rami di
Yggdrasill.
Non
esisteva modo che alcuno, di qualsiasi razza o forma, potesse giungere
lì se non su volontà di Loki stesso.
C'erano
solo loro due e quindi quella sensazione poteva essere giustificata
solo con una risposta: illusioni.
Sigyn
abbassò l'arma con un sospiro rassegnato.
Loki aveva
voglia di giocare.
Poggiò
lo stiletto su
un piano di legno e continuò a mangiare la sua mela
finché non giunse al torso e poi la lasciò cadere
accanto
alla lama. Se Loki si divertiva a prendersi gioco di lei, si sarebbe
divertito anche a raccattare i rifiuti che avrebbe lasciato in giro.
Tornò
sorridente nella
loro stanza. Loki era sdraiato con lo sguardo chiuso e, palesemente,
fingeva di dormire. Il lenzuolo copriva appena le sue gambe e lasciava
scoperte le spalle e parte del fondoschiena.
Un invito
troppo allettante che Sigyn non poteva lasciarsi scappare.
Si
avvicinò al letto e
vi salì con passo felpato, si chinò poi e gli
lasciò un morso sul sedere sentendolo brontolare infastidito.
«Le
mele erano
finite?» Si sentì chiedere mentre si stendeva
accanto a
lui. Aveva ancora lo sguardo celato ma presto le palpebre si
sollevarono.
«Per
tua fortuna
no,» rispose con un sorriso divertito e Loki tornò
a
chiudere gli occhi. «Mh... Ti vedo stanco»
insinuò
ancora Sigyn piegando entrambe le braccia dietro la testa, ma Loki non
sembrò voler cedere alla sua provocazione.
Gonfiò
le guance e sospirò annoiata.
Non aveva
molto sonno e
continuava ad avere fame, ma non le andava di tornare in cucina,
soprattutto perché era quasi certa che stavolta si sarebbe
tirata addosso quella dannata statua.
«Loki?»
lo
chiamò sottovoce senza ricevere risposta. Si
piegò quindi
su un fianco, poggiando la fronte contro la sua e lo chiamò
ancora, facendo scorrere l'indice sulle sue labbra. «Andiamo,
svegliati...»
«Ci
aspetta un lungo
viaggio domani» affermò lui tornando a guardarla.
«Vanaheim non si raggiunge con un incantesimo, lo hai
dimenticato? Dovremo camminare, e camminare molto anche. Ed
è
tua l'idea di andare fin lì.»
«Lo
so bene e ti
lascerò dormire serenamente se solo mi materializzi quel bel
cesto di frutta che c'è in cucina... Per
favore...» Gli
chiese con una dolcezza che aveva imparato riusciva sempre a piegarlo
in qualche modo. Era uno dei tanti vantaggi dell'essere donna.
Loki
sospirò ma mosse
leggermente le dita finché, sul comodino accanto, Sigyn non
vide
apparire la stessa frutta che aveva visto poco prima nella cucina.
Sogghignò
soddisfatta e lo baciò.
«Grazie!»
«Non
è un
regalo...» sottolineò Loki mentre tentava di
chiudere
ancora gli occhi e Sigyn sapeva cosa volesse dire.
Sorrise
mentre afferrava stavolta qualche grappolo di uva.
«Ti
ha mai detto nessuno
che un rapporto fra due persone è fatto anche di azioni
prive di
tornaconti? Di gesti genuini compiuti al solo scopo di rendere felice
la persona che si ama?» chiese retorica mangiando un acino
bruno.
«E
a te ha mai detto
nessuno che non si sputano a terra i semi dell'uva?»
ribatté lui tenendo gli occhi chiusi e Sigyn rise colpevole
lanciandogli addosso un chicco e mangiandone un altro. «Stai
mettendo su peso, tesoro. Se fossi in te smetterei di abbuffarmi a
notte fonda.»
Stavolta
gli tirò addosso una grossa pesca che lo colpì
alla testa.
«Sei
tu che dovresti
mettere un po' di muscoli su quelle ossa!» Lo
provocò
continuando a colpirlo bonariamente con varia frutta finché
Loki
non alzò la mano e afferrò al volo una mela.
«Intendi
dire che devo
aggiungere massa muscolare in previsione del tuo aumento di peso? Non
ne vedo il motivo: di solito sei tu a stare sopra.»
Sorrise
guardandola con occhi assonnati ma divertiti e Sigyn si
umettò le labbra con aria di sfida.
«Ti
conviene tornare a
dormire. Credimi.» Lo minacciò e Loki
ridacchiò
poggiando ancora la guancia sul cuscino.
«Se
la smetti di far
piovere vegetali sulla mia testa, lo farei molto volentieri. Non ho
portato qui quella cesta affinché diventasse il tuo
arsenale...»
Sigyn
sorrise e lasciò
cadere la sfida. Gli accarezzò i capelli e lasciò
che le
sue carezze lo accompagnassero fin dentro i suoi sogni.
Mangiò
ancora un po' di uva, stavolta senza sputarne i semi.
La notte sembrò non
trascorrere mai. il silenzio, di solito dolce e rassicurante, la
inquietava. Quella notte sembrava diversa.
Provò
a stendersi, a chiudere gli occhi e trovare una posizione che
l'aiutasse a dormire ma fu tutto inutile.
Riaprì
le palpebre nella penombra della stanza, in cui la tenue luce di un
lume rendeva tutto di un caldo arancio.
Il mattino
seguente sarebbero
dovuti giungere da Freyja, o meglio, incamminarsi. Sigyn aveva bisogno
di parlare con la regina Vanr, voleva dirle ancora grazie, ma
soprattutto, voleva farle delle domande.
Aveva mille
ricordi, mille
immagini nella sua testa di quella vita in cui aveva vestito il nome e
il corpo di Thor, eppure non serbava un solo sentimento nel cuore.
Vedeva i
visi dei suoi
genitori, quello dei suoi compagni, quello degli amici di Midgard.
Vedeva i momenti che avevano trascorso l'uno accanto all'altro,
ricordava ognuno di quei momenti ma la loro essenza non le apparteneva.
Tutte
quelle emozioni, belle e
brutte che fossero, erano il bagaglio emotivo di Thor, erano nel suo
cuore e lei ormai non ne faceva più parte.
Faceva dei
sogni, che non erano sogni ma memorie. Loro da piccoli, due bambini,
due fratelli.
Sigyn
viveva quei sogni eppure non ne percepiva la consistenza.
Rivisse
quel giorno alle
colline di Yord, quando Odino insegnò loro a cavalcare,
quando
si ruppe il naso per la prima volta.
Ricordava
il dolore, la paura, l'umiliazione. Ricordava tutto eppure non sentiva.
A volte
sognava se stesso,
sognava di averlo di fronte e parlargli. Sognava che fossero ancora
un'unica entità, un unico cuore.
A volte
desiderava essere ancora un unico cuore.
Si
svegliava sempre con la pelle imperlata di sudore e Loki la stringeva a
sé senza chiederle nulla.
Loki non le
chiedeva dei suoi
sogni, dei suoi incubi. Non le chiedeva della malinconia che le copriva
gli occhi quando avvertiva quella mancanza. Loki non le aveva neanche
chiesto perché volesse giungere a Vanaheim,
perché forse
conosceva la risposta.
Voltò
il capo e guardò il suo viso assopito, le labbra schiuse e
il respiro calmo.
Allungò
una mano e gli
sfiorò una guancia. Lo faceva spesso, come per sincerarsi
che
fosse lì, che fosse reale e non un'illusione.
Forse Loki
faceva lo stesso quando lei dormiva. Le piaceva pensare che fosse
così.
Il suo
stomaco brontolò ancora e sospirò stanca,
costretta a sedersi e recuperare ancora qualcosa da mangiare.
Prese
un'altra mela.
Loki aveva
ragione. Doveva
smetterla di mangiare così spesso, ma non riusciva a
controllare
quella strana fame che l'aveva assalita nell'ultimo periodo. Aveva dato
colpa a quel particolare stato emotivo, in fondo era tutto
relativamente nuovo. Benché avesse già indossato
quel
corpo un tempo, mai le era appartenuto così a lungo, mai
aveva
dovuto accettare che sarebbe stato suo per sempre.
Sorrise fra
sé
ripensando alla prima volta che aveva sanguinato come una donna, quel
senso di disagio e imbarazzo di cui Loki aveva riso. Poi era stato
più facile il mese successivo e quello dopo ancora,
finché anche quella stranezza non era divenuta
normalità,
la sua nuova normalità.
Stava per
dare un altro morso alla mela quando, letteralmente, le cadde dalle
mani.
*
Loki non
sapeva dire se fosse
giunto prima lo schiaffo e poi il calcio. Fatto sta che si
ritrovò sveglio, e decisamente irritato.
«Loki!»
Ancora un
colpo sulla spalla nuda.
«Cosa
ti prende, adesso?» le chiese sedendosi stancamente, mentre
spostava indietro i capelli umidi.
Quando mise
a fuoco l'immagine
che aveva davanti, notò che Sigyn era alquanto pallida, i
suoi
occhi decisamente allarmati e lo stava scuotendo ancora.
«Quando
siamo stati ad Alfheim?»
«Che?»
mormorò assonnato stropicciandosi gli occhi.
«Quando
siamo stati alla festa dell'equinozio su Alfheim?»
Tenne per
sé un
sospiro. «Durante l'equinozio?!» ribatté
retorico,
ancora non comprendendo il perché di quella domanda e di
quello
stato. «Si può sapere perché me lo
chiedi?»
Ma Sigyn
spostò lo sguardo sulle lenzuola anche se sembrava guardasse
un punto ben più lontano.
«Due
mesi fa...» sospirò debolmente. «Era due
mesi fa...»
Adesso Loki
iniziava appena a
preoccuparsi. Sapeva che c'erano pensieri che Sigyn non condivideva con
lui, che le rabbuiavano lo sguardo, ma aveva sempre scelto di donarle
il suo spazio, perché non osava perdere ciò che
adesso
aveva: lei.
Ciò
che aveva fatto
Freyja, ciò che aveva scelto di fare Thor, Loki riusciva a
malapena ad accettarlo. Era sempre stato un uomo di conoscenza, un uomo
che aveva domande e pretendeva risposte, eppure di fronte a quella
realtà aveva preferito tacere, far tacere orgoglio e domande
e
limitarsi a viverla.
Ma adesso,
davanti agli occhi quasi smarriti di Sigyn, Loki non riusciva
più a tacere.
«Cosa
succede?» chiese sfiorandole la mano. «Cosa
è accaduto due mesi fa?»
Sigyn
finalmente lo guardò e Loki attese secondi che parvero ore.
«È
stata l'ultima
volta che io...» Si bagnò le labbra e scosse il
capo con
un sorriso stranamente dolce. «È
impossibile.»
«Cosa
è
impossibile, Sigyn?» chiese ancora, quasi più
agitato per
quel cambio di atteggiamento che per il suo sconclusionato discorso.
«L'ultima
volta che ho
sanguinato» rispose lei e a quel punto Loki ebbe timore di
aver
compreso. Il sorriso di Sigyn si allargò e le sue guance
presero
colore. «Sai cosa significa questo?»
A quella
domanda, a quella notizia, Loki non aveva risposta.
Il suo
cuore era appena salito fino alla gola strozzando perfino la
volontà di respirare.
Le diede le
spalle e si alzò dal letto passandosi una mano sul viso.
No, non
poteva essere.
«Loki?»
Si sentì chiamare e sapeva quale sentimento le stava
attraversando il cuore.
Si
voltò solo quando gli parve di aver raggiunto un certo
controllo del suo battito cardiaco.
Sul viso di
Sigyn una maschera di timore.
«Sei
incinta...»
disse lui con un sospiro, come a ribadire quel pensiero che sembrava
fare tanta paura, e lei sorrise, dolcemente, quasi con un'insolita
timidezza.
«E
non sei felice?»
Loki non
seppe rispondere
perché il sentimento che provava non aveva un nome. Era un
insieme di emozioni, intense come un incendio nella carne, e
altrettanto impossibili da domare.
Si sedette
nuovamente sul letto, poggiando il palmo contro le lenzuola e guardando
il pavimento di legno sotto i suoi piedi.
«Un
figlio...» sibilò appena udibile.
Sentì
la mano di Sigyn sulla sua, e la sua guancia posarsi contro la sua
spalla.
«Un
figlio a cui non dovremo rinunciare, un figlio che vivrà...
Un figlio nostro, Loki.»
Si accorse
di star tremando
solo quando Sigyn avvolse le braccia attorno al suo petto, si rese
conto di piangere solo quando gli asciugò le lacrime con le
labbra.
*
Sigyn lo
tenne stretto per interi minuti, ore, per tutta la notte.
Dalla
grande finestra della camera, la notte profonda iniziava a tingersi di
arancio.
Aveva
tenuto il capo poggiato
contro la sua schiena e le dita gli avevano accarezzato
ininterrottamente i lunghi capelli neri, mentre Loki aveva continuato a
essere avvolto dal più denso dei silenzi.
Sigyn
attese che fosse lui a
infrangerlo, che fosse lui a voltarsi e mostrarle il viso umido, i suoi
occhi arrossati e le labbra lucide.
Gli
accarezzò ancora i capelli, li scostò dalla
fronte madida di sudore e vi posò un bacio.
Loki non
infranse il silenzio con le parole ma ricambiando quel bacio.
«Ti
amo, sempre e per
sempre,» le sospirò poi baciandola ancora,
stringendola
lui forte fino a rubarle il fiato, nascondendo il viso fra i suoi
capelli biondi. «E lo amerò come amo te. Lo
difenderò con la vita, gli insegnerò tutto quello
che
vorrà conoscere e mai le mie labbra pronunzieranno parole
che
potranno ferirlo. La sua felicità sarà la mia, e
nei
secoli che verranno sarò un padre di cui potrà
dirsi
fiero.»
Le lacrime
lasciarono anche i
suoi occhi sotto quel giuramento che Sigyn, sapeva, Loki non avrebbe
mai tradito. In quelle promesse tutta una vita in ombra, una vita in
cerca di amore e accettazione che sembrava non essere mai davvero
giunta.
Conosceva
le sue colpe, le
colpe di Thor, di ogni parte del suo cuore, e le Norne sapevano quanto
avrebbe voluto cancellare ogni più piccola ferita che gli
aveva
causato, ogni ferita che Odino e Asgard avevano causato al suo amato
fratello.
«Lo
sarai»
affermò con voce malferma con le braccia avvolte attorno
alle
sue spalle e il cuore a battere forte contro il suo petto.
«Sarai
un buon padre.»
«E
tu una pessima madre, ma ti vorrà bene comunque.»
Sigyn gli
tirò affettuosamente i capelli. «Perché
devi sempre rovinare tutto?!»
«È
il mio straordinario talento» sospirò Loki con
quel piccolo sorriso dolce che tanto amava.
Gli
accarezzò il viso e lo baciò.
«No,
è solo uno dei tanti, fratello.»
A volte lo
chiamava ancora
così, a volte sentiva il bisogno di chiamarlo
così e mai
una di quelle volte Loki le aveva rimproverato quella parola. Le
sorrideva e lasciava al silenzio qualsiasi risposta.
Le sorrise
anche quell'alba
nuova eppure antica come la memoria, mentre quella piccola vita
germogliava forte e coraggiosa dentro di lei.
Nessun
peccato, nessuna colpa.
Ed era
perfetto così.
۞۞۞
La taverna era calda, l'odore
insopportabile.
Il vociare
degli uomini sfumò gradualmente mentre camminava a passo
deciso, facendo risuonare i tacchi sul pavimento.
Un passo
dopo l'altro, finché ogni occhio fu su di lei,
finché non giunse al bancone e la vide.
Aspettò
che si voltasse, che non mostrasse alcuna sorpresa, che le sorridesse
con le sue labbra rosse.
L'uomo che
le sedeva al fianco
la guardò duramente, ma bastò un gesto della mano
per
farlo accasciare al suolo senza ulteriori indugi.
La taverna
tacque.
«Non
credo fosse
necessario, Amora...» la richiamò lei con un
sospiro
stanco, osservando il corpo che giaceva ai suoi piedi. «Cosa
ti
porta da me, sorella mia?»
Amora si
avvicinò e si poggiò al bancone di legno.
«Ho
bisogno del tuo aiuto, Lorelei,» rispose. «E non
puoi dirmi di no.»
«Mi
erano giunte voci
della triste disavventura con il tuo ultimo alleato...»
mormorò sua sorella impertinente e Amora storse il naso.
«Mai
lasciar fare a un uomo il lavoro di una donna»
affermò. «Adesso l'ho capito.»
Lorelei la
guardò a lungo per poi sorridere maliziosa, facendo scorrere
fra le dita una ciocca di capelli vermigli.
«E
cosa hai in mente, cara sorella?» le chiese, e Amora non
poté che ricambiare quel sorriso.
«Niente
di complicato,» spiegò. «Solo una
piccola vendetta.»
Continua...
Note Finali
Andiamo, credevate davvero fosse finita così?!
(~ω^)
Questo capitolo altro non è che il prologo della terza e
ultima
parte della serie ma per chi non avesse la pazienza (o la voglia) di
aspettarla, può essere letto come una fine aperta.
Onestamente non so quando avrò il tempo per scriverla,
probabilmente se ne parlerà in autunno, perciò
buttate
pure i calendari. Ok? XP
Piccolo appunto:
Lorelei è un personaggio del canon ed è apparso
anche nella serie tv “Agents
of S.H.I.E.L.D.” rappresentando un nemico di
lunga data di Asgard.
C'è poco da dire: l'ho amata, e quindi eccola qui come new
entry del cast ;P
Bene, lascio qui l'ultimo saluto e l'ultima lacrima, come da titolo, e
vi auguro una buona estate e una meravigliosa vita <3
Un abbraccio e alla prossima avventura!
È tempo di matrimoni e culle... e di altri complotti.
Kiss kiss Chiara
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