Scrivi il tuo destino

di Stellalontana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Terra d'Incontro ***
Capitolo 3: *** La fuga ***
Capitolo 4: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 5: *** Complicazioni ***
Capitolo 6: *** Prigioniera! ***
Capitolo 7: *** L'accordo ***
Capitolo 8: *** Sulla strada per Desra ***
Capitolo 9: *** Il Re ***
Capitolo 10: *** Astuzia, coraggio o semplice stupidità? ***
Capitolo 11: *** Veleno ***
Capitolo 12: *** Libera! ***
Capitolo 13: *** Ricominciare ***
Capitolo 14: *** Da una parte l'amore, dall'altra... ***
Capitolo 15: *** Il lieto fine... ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***



Salve a tutti! Qui di seguito trovate la mia prima fanficton originale.

Dopo molti giorni d'assensa passati tra l'esame di maturità e le vacanze ho deciso di sottoporvi questa piccola storia, senza nessuna pretesa.

Voglio chiedervi soltanto di essere clementi, perchè è la prima volta che scrivo una cosa del genere.

Spero che vi piaccia e che usiate le recensioni per farmelo sapere o per criticarmi e aiutarmi a migliorare.

Un bacio grande dalla vostra affezionata

Stellalontana




Capitolo Uno


L’alba dorata illuminò il bosco tingendo di giallo le foglie dei faggi. Will sospirò. L’aria andava riscaldandosi e una brezza ancora fresca contribuì ad asciugare le ultime chiazze bagnate sui suoi vestiti. Non aveva dormito quella notte. Non ne aveva bisogno. Eppure il suo corpo, teso come un elastico, reclamava il riposo che lui gli negava, ormai da giorni, ancor più della sua mente. Si alzò, spazzolandosi i calzoni pieni di foglie. Si avvicinò allo specchio d’acqua, dove la sera prima aveva rimediato la cena. Guardò la sua immagine. La ferita sul collo andava guarendo. Ben presto avrebbe avuto una lunga cicatrice bianca in quel punto. Gli era andata bene, la freccia lo aveva preso di striscio, ma per quanto ancora? Era pur sempre un fuggitivo. La guerra gli aveva indurito il carattere e zittito la coscienza. Quando era partito con l’esercito, aveva quindici anni e sarebbe dovuto rimanere sotto le armi per almeno altri venti, se non avesse disertato dopo quattro, per diventare un fuorilegge. Sorrise. Tutti i suoi sogni si erano infranti quando aveva sentito per la prima volta la spada urtare contro il petto di un uomo, la resistenza del costato che si frantumava e gli schizzi del sangue che gli avevano appannato la vista, con la loro disgustosa viscosità. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter riportare in vita tutti gli uomini che aveva ucciso durante quei quattro anni d’inferno. Ma la guerra non era ancora finita. Con un sospiro lavò la ferita, che gli bruciava ancora a tal punto da strappargli gemiti sordi e da fargli pulsare il sangue nelle tempie. Riempì le borracce e strigliò l’asino. Il suo vecchio amico era stanco per il lungo cammino cui lo aveva costretto il giorno prima, ma dovevano continuare a spostarsi, cercando di portarsi sempre più vicini alla costa. Controllò la bisaccia legata alla meno peggio sul suo dorso. Conteneva ancora un po’ del cibo che gli aveva regalato un mugnaio, dei pezzi di carta ingialliti, piume e inchiostro per scrivere. Si accertò che non fosse evaporato e che la carta fosse ancora asciutta abbastanza per scriverci sopra.  Spuntò i giorni sul suo taccuino. Ne erano passati ben cento da quando era in fuga. Ormai si saranno scordati di me, si disse alzando le spalle. La speranza che lo lasciassero in pace era la sola cosa che gli era rimasta. Si tirò su a fatica, le gambe stanche che cedevano sotto il suo peso. Era snello, proporzionato, la guerra aveva forzato la crescita dei suoi muscoli, e adesso li sentiva tesi e affaticati. Si ricordò della notte in cui era fuggito. I suoi compagni lo avevano aiutato a fuggire, ma non potevano certo rimanere a bocca chiusa, altrimenti li avrebbero uccisi tutti. Era loro molto grato, ma il suo carattere duro e taciturno non lo faceva avvicinare tanto agli altri, e lo avevano sempre trattato come un conoscente, uno di cui ci si possa a malapena fidare. Non poteva dar torto a nessuno di loro. Non parlava molto, rideva meno e non sorrideva quasi mai. Scribacchiava sul suo taccuino e nessuno gli aveva mai chiesto che cosa pensasse. Un ghigno affiorò alle sue labbra, ricordando quando un ragazzetto appena in grado di reggere la spada, aveva tentato di rubargli la bisaccia al campo. Aveva preso così tante botte da non poter più camminare senza barcollare. Will si era pentito di quanto dolore avesse provocato a quel ragazzino, ma la sua bisaccia era la cosa più preziosa che aveva e a nessuno aveva mai dato il permesso anche solo di toccarla. Figuriamoci di rubarla. Uno scricchiolio dal folto lo fece voltare. Il collo gli pulsava e la ferita bruciava. Un altro movimento brusco e si sarebbe riaperta di sicuro. Dai cespugli spuntò uno scoiattolo. Will tirò un sospiro di sollievo. La foresta vicino alla città di Ponte Bruciato era meta non solo di fuorilegge, ma anche di soldati e ladri. Decise che sarebbe sceso in città per fare provviste. Cercò il borsellino sotto il mantello. Aveva ancora poche monete d’argento, ma sarebbero bastate per un letto e per qualche giorno di scorte. Prese le redini improvvisate dell’asino e lo fece muovere, facendo attenzione a non calpestare le tane delle formiche rosse e delle vespe, dure come calce. Uscito dalla foresta tirò su il cappuccio del mantello, nascondendo i folti capelli neri e gli occhi di un azzurro glaciale. Si chiuse il laccio al collo, provando una fitta di dolore quando la tela grezza sfiorò la ferita. Il sole era appena sorto e tingeva le nuvole, ancora grasse di pioggia, di rosa e arancione. Un tempo avrebbe trovato l’alba estremamente romantica. Adesso la trovava quasi fastidiosa. S’incamminò verso il fondo del villaggio. La caviglia rotta gli dava ancora qualche fitta di tanto in tanto, ma il cerusico l’aveva rimessa a posto senza fare troppe domande, e gli aveva raccomandato il riposo più assoluto. Will se n’era andato ridendo.
Nascosto dal mantello scrutò la gente che si affacciava dalle casupole. Uno straniero ammantato di nero era sempre qualcosa di imprevisto. Dei bambini gli saltellarono intorno. La gente di Ponte Bruciato era ospitale ma curiosa e lui odiava le lunghe occhiate che gli uomini gli lanciavano. Passò accanto alla fucina del fabbro appena aperta. L’uomo dalla pelle ustionata gli lanciò una lunga occhiata da sotto la zazzera bionda. Gli occhi color castagna lo seguirono anche quando fu lontano. Odiava esser guardato, odiava vedere la curiosità sui volti delle persone, e odiava ancora di più il fatto di essere diverso da loro. I suoi colori strani, i capelli neri e la pelle ambra, suscitavano timore nella gente di quella regione così distante dalla sua patria. Addirittura al di là del mare. Ma la cosa che temeva di più era l’espressione di sorpresa per i suoi occhi gelidi. La guerra aveva indurito il suo carattere, ghiacciato il fiume della sua coscienza e risvegliato lo spirito di sopravvivenza sopito.
Inciampò in una buca della strada e la spada gli picchiò sul fianco. Imprecò a bassa voce, cercando di nascondere il sibilo della sua lingua madre. Tastò la pietra incastonata nell’elsa, un piccolo ma prezioso, diamante, trovato un giorno da suo padre. Probabilmente caduto dalla borsa di un ricco mercante. L’aveva fatto incastonare nell’elsa, ma un buon fabbro avrebbe potuto toglierla. Quando gliel’aveva data gli aveva fatto giurare che non si sarebbe fatto scrupoli, e che, per quanto quella spada senza il diamante non avrebbe avuto nessun valore, avrebbe venduto la pietra se si fosse trovato nei guai. Per il momento non aveva avuto bisogno di venderla. E non l’avrebbe fatto, a costo di morire di fame. Era l’unica cosa che ancora lo legava alla sua terra, al di là del mare.
La guerra lo aveva fatto diventare sospettoso e irrequieto e da tempo non dormiva come si doveva, perciò aveva bisogno di almeno un giorno di tranquillità. Alla fine della città trovò una locanda a basso costo, anche se questo la diceva lunga sulle condizioni delle camere. Legò l’asino dentro la stalla, lasciando una moneta d’argento al ragazzino che si occupava dei cavalli, ed entrò nella locanda. Lo colpì il puzzo di marcio delle assi, l’odore prepotente della birra stantia e un olezzo di fogna a cielo aperto. Peggio di così, pensò. Gli venne l’idea di andarsene subito, ma aveva bisogno di dormire un paio d’ore e non aveva altra scelta. Si avvicinò al bancone. Il locandiere lo squadrò.
-Che cosa vuoi straniero?- chiese. Will non alzò la testa, ma parlò con voce forte, così che tutti potessero distinguere il suo accento marcato.
-Una camera. E un bicchiere di acquavite- posò sul bancone quattro monete d’argento, sentendo il borsellino alleggerirsi. Il locandiere guardò le monete, poi lo servì. Aprì un registro e gli diede penna e calamaio.
-Il tuo nome straniero- intimò. Will finì con calma il bicchiere, poi intinse la penna nel calamaio e scrisse un nome non suo sul registro. Il locandiere lesse con stupore il nome svolazzante. -Dove hai imparato a scrivere così?- chiese. Will alzò le spalle da sotto il mantello, asciugandosi le labbra con il dorso della mano guantata.
-Da solo- rispose. Poggiò il bicchiere sul bancone. -Dove sono le camere?-
-Sali le scale e gira a destra. La numero otto è libera- sogghignò -Sei stato fortunato. È l’ultima che mi è rimasta-
-Io non direi tanto fortunato- Will sentì una sedia muoversi. Il proprietario della voce gli toccò la spalla. Si voltò e lo guardò da sotto il mantello. Non era molto più alto di lui, forse un paio di dita, ma era robusto e sicuramente senza ferite quasi riaperte. Portava un coltellino alla cintura. Will passò la mano guantata sopra l’elsa della spalla. Non doveva combattere. Non doveva mostrare a tutti la sua eccezionale abilità con la spada. Non doveva. Cercò di calmarsi. Il collo gli doleva e voleva stendersi in un posto asciutto. L’uomo non poteva avere più di vent’anni. Gli occhi nocciola erano cattivi e i capelli rossicci erano appiccicati sulla fronte come la criniera bagnata di uno stallone.
-Che cosa vuoi?- chiese a bassa voce. L’altro lo guardò inclinando la testa.
-Da dove vieni? Non sei di queste parti, vero?- chiese -Da dove arrivi?-
-Da un posto che non conosci- non riuscì a dissimulare il sibilo della lingua fra i denti. La sua lingua natale aveva suoni sibilanti e dolci, non come quella lingua tagliente e gelida.
-Questo posto deve essere molto lontano dal modo in cui parli- osservò il rosso. Will trattenne a stento un gemito. La presa sulla sua spalla si era fatta una morsa e il collo gli bruciava sempre di più.
-E con questo?- si limitò a borbottare. L’altro lo lasciò. Gli scappò un sospiro di sollievo. Non avrebbe potuto affrontare uno scontro. Doveva evitare di innervosire l’avversario e doveva stendersi. Non ce la faceva più. Il suo corpo reclamava il riposo e i suoi occhi bruciavano. Cominciava a sentire la stanchezza scorrergli nelle vene fino ad appannargli il cervello. Deglutì. Doveva calmarsi e respirare come gli avevano insegnato i soldati, prima di affrontare una battaglia.
-Gli stranieri non sono i benvenuti a Ponte Bruciato- lo sentì dire -E di solito qui le persone si guardano negli occhi quando gli si parla- Will si scansò, ma l’altro riuscì ad afferrare il cappuccio. I capelli ancora lunghi gli piovvero sul volto, accecandolo per un attimo. Se li scostò con la mano guantata e sollevò lo sguardo sull’altro. Il volto del rosso trasfigurò. La sorpresa e lo spavento si mescolavano nei suoi occhi nocciola. Will gli rivolse uno sguardo di compatimento. Si appoggiò al bancone.
-Adesso che mi hai visto... posso andare?- chiese ansimando -Ho bisogno di riposo. Ho fatto un lungo viaggio-
Il locandiere prese infine le sue difese. -Sei solo un ragazzo. Che cosa ci fai qui?-
-Affari miei, oste. Scusate se non sono si compagnia-
-Da dove vieni?- chiese prima che sparisse su per le scale. Will tornò indietro.
-Da un posto che tu non conosci- rispose malinconico. Sentiva così tanta nostalgia della sua terra che sentiva il cuore duro come il ferro di cui era forgiata la sua spada.
-Vieni dal mare vero?- chiese il locandiere -Dove ti sei fatto quella brutta ferita?-
Will non rispose. L’oste gli diede un bricco sbeccato e un bacile di coccio. -Lavala e mettici della tela- gli porse un pezzo di tela che gli parve abbastanza pulita -Mia figlia Contessa verrà a fasciarla tra poco-
-Non ho bisogno di compassione, oste- ribatté glaciale Will.
-La mia non è compassione, ragazzo. Mio figlio è morto in guerra, e tu sembri uno dei pochi sopravvissuti. Mio figlio aveva la tua età. Forse tu sei ancora più giovane di come appari- alzò le spalle strette -Curati quella ferita, e non fare movimenti bruschi altrimenti si riaprirà e s’infetterà- aprì una porta dietro il bancone e chiamò la figlia. Will salì le scale, la stanchezza accumulata lo faceva barcollare. Entrò in camera e poggiò il bacile e la brocca a terra. Si tolse il mantello, i guanti, la spada, il piccolo tascapane e buona parte dei vestiti. Si sdraiò sotto il lenzuolo. La camera era piccola, ma sembrava in buone condizioni. Il materasso scricchiolava, ma non c’erano pulci o scarafaggi. Appoggiò la testa sul cuscino. La ferita pulsava terribilmente e lui si lasciò scappare un gemito di dolore. Non seppe se era scivolato nell’incoscienza per via del dolore o per la stanchezza, fatto sta che quando qualcuno bussò alla porta ebbe appena la forza di dire “avanti!”. Una ragazzina dai capelli biondo cenere legati in una lunga treccia che oscillava sulla sua schiena eretta, avanzò fino al suo letto. Lo osservò a lungo con i grandi occhi ambra chiara. Will non la guardò negli occhi. Aveva paura di leggere compassione e pietà dentro il suo sguardo curioso. Doveva avere più o meno quattordici o quindici anni. Grande abbastanza per sposarsi e avere dei figli. Lei affondò le mani nel bacile, che aveva riempito d’acqua, e ci tuffò dentro delle pezze di quella che sembrava seta poco lavorata. Aveva una voce stridula, forse per una malattia alla gola non guarita bene. Parlò poco, ma Will non rispose mai. Gli pulì la ferita e la fasciò alla bell’e meglio, passandogli la fascia intinta nell’acqua oleata, sotto i capelli neri. Quando uscì, Will era di nuovo scivolato nell’incoscienza.
Quando si svegliò dal torpore era ormai sera. Non capì se lo avesse svegliato il dolore al collo o il brontolio dello stomaco. Si alzò temendo un capogiro, che però lo risparmiò. Si vestì, la fascia che gli pizzicava la nuca, si rimise i guanti e la spada alla cintura, ma lasciò il mantello accasciato al letto. Prese lo specchio che era su una piccola madia e lo appoggiò al letto. S’inginocchiò, estrasse un coltellino di corno dalla fodera del mantello e cominciò a tagliare i capelli, ormai troppo lunghi, che gli incorniciavano il volto e scendevano sulla nuca. Quando si ritenne soddisfatto rimise tutto in ordine e uscì dalla stanza. Ormai tutti sapevano che uno straniero dagli strani colori e il corpo temprato dalla guerra era arrivato in città. Sebbene avesse paura dei soldati del re, non poteva vivere per sempre nascosto, perciò si fece coraggio e scese le scale. Il sonno gli aveva fatto bene e i suoi occhi non bruciavano più. Solo la ferita gli faceva vedere le stelle. La locanda era più affollata di quando era arrivato. Gli avventori si erano riuniti al bancone e attorno ai tavoli. Si sentiva l’odore di uno stufato, forse non particolarmente buono, ma che fece brontolare ulteriormente lo stomaco di Will. Si sedette ad un tavolo. Contessa, la figlia dell’oste si avvicinò.
-Vi posso portare qualcosa?- chiese. Will annuì. -C’è dello stufato. Posso portarvi anche del pane nero e la birra di mio padre-
-Va bene- le mise in mano una moneta d’argento e lei lo guardò con gratitudine. Forse suo padre non le aveva mai dato dei soldi da spendere in ciò che voleva. La vide far scivolare la moneta nell’incavo dei seni. Quel gesto gli ricordò sua madre, che usava nascondere uno spillo tra le pieghe del corpetto.  Sua madre era bellissima, da lei aveva ereditato gli occhi azzurri, e molti usavano corteggiarla. Contessa gli portò una dose generosa di stufato e un tozzo di pane abbastanza morbido. Appoggiò al tavolo il boccale. -Se ne volete ancora chiamatemi- gli sussurrò all’orecchio. Will non ribatté, ma cercò di sorridere. Lo sguardo della ragazzina era sincero e lui la guardò andare via. Suo padre le chiese qualcosa e lei chinò il capo, scuotendolo lievemente. Lui guardò verso Will, che fece finta di niente, intingendo il cucchiaio nello stufato, poi si rivolse di nuovo a Contessa. La voce era stizzita e Will ci ritrovò a concentrarsi per carpire cose le diceva. -Sei proprio una sciocca-
-Mi dispiace papà- sentì la flebile risposta di Contessa.
-Vedi di dargli questo. Se sarai brava ti darà un’altra moneta- la voce di Tiberio era suadente. Will lasciò cadere l’attenzione e guardò Contessa che rispondeva e che, il volto rosso e gli occhi bassi, tornava in cucina.
Era il primo pasto vero da ben sessanta giorni, si ricordò Will, annotando una lettera nella sua lingua sotto il segno del giorno. Si asciugò le labbra con il dorso della mano guantata. Non vide sopraggiungere il rosso, ma lo sentì sedersi. Alzò lo sguardo dal piatto. -Oggi non mi sono presentato- disse -Mi chiamo Karen, ma tutti mi chiamano Spirito, e tu?-
Will grugnì. Perché in quella città dovevano essere tutti così curiosi? -Lyon- rispose. Era il nome di un soldato che aveva ucciso durante la guerra. Gli era rimasto impresso per la dolcezza della pronuncia.
-Lyon e poi?- chiese ancora Spirito.
-Lyon e basta- rispose spazientito Will. Fece un gesto a Contessa, che sparì in cucina e tornò con un altro piatto di stufato. Portò via quello vuoto. Will affondò il cucchiaio nello stufato, sperando che quel gesto facesse capire a Spirito che la conversazione era finita. Ma lui era di un altro avviso.
-Come ti sei fatto quella ferita?- chiese curioso. Will alzò la testa e lo guardò negli occhi. Sapeva che il loro colore incuteva, in quasi tutti gli uomini, una sorta di malcelata inquietudine nei suoi confronti, ma la curiosità di Spirito non si acquietò.
-A caccia- rispose laconico. Non poteva certo dire che la preda era proprio lui.
-Che cosa ci fai a Ponte Bruciato?- chiese ancora Spirito, appoggiandosi alla sedia e incrociando le braccia. Will spezzò il tozzo di pane con le mani guantate. -E perché quei guanti?-
-Affari miei- rispose. Il sibilo della sua lingua probabilmente fece venire i brividi a Spirito, che lo guardò quasi impaurito.
-È strano il modo in cui parli, Lyon- osservò. Will si scostò i capelli dalla fronte con un gesto seccato.
-La mia lingua è molto più antica della tua- commentò distaccato. Aveva fatto fatica ad imparare la lingua di quella regione e a volte faticava ancora a tradurre i propri pensieri.
Spirito sembrò soddisfatto della risposta. Non si alzò subito, ma aspettò che lui avesse finito il boccale della birra. Will lo guardò di nuovo, solo allora Spirito si alzò.
-Beh, stammi bene, Lyon- balbettò. Will non rispose. Sapeva che anche se era grosso e alto più di lui, Spirito aveva paura di lui. Uno straniero scuro di capelli, con una spada e un strano accento incuteva timore reverenziale in quella gente semplice. Perfino l’oste aveva paura di lui, anche se gli ricordava suo figlio. Chiamò di nuovo Contessa.
-Come si chiama tuo padre?- le chiese mentre sparecchiava.
-Tiberio- rispose lei. Will notò che lasciò cadere sulla tavola un foglio spiegazzato e con su una calligrafia storta. Non poteva essere quella della ragazzina, perché ricordava che mentre gli fasciava la ferita gli aveva detto che sapeva a malapena scrivere il suo nome. Perciò quella doveva essere la grafia del padre. Will spiegò il foglietto, facendo in modo che Contessa lo vedesse e lo riferisse a Tiberio. Un ghigno gli affiorò alle labbra. Se hai bisogno di qualcosa, mia figlia provvederà. La parola “qualcosa” era sottolineata due volte. La scrittura sghemba era a malapena decifrabile, ma Will ebbe la sensazione che l’oste non si facesse scrupoli quando si trattava di sua figlia. Aveva scoperto la moneta che Will le aveva dato. Si infilò il foglio in tasca e si alzò. Il collo gli pulsava, ma gli faceva meno male ed era una buona cosa. Salì le scale e tornò in camera. Si tolse la cintura, e appoggiò la spada alla testata del letto. Pochi minuti dopo sentì bussare alla porta. Sapeva chi era dietro la porta. Aprì e si ritrovò davanti Contessa. Si spostò e la fece entrare. Non indossava più il grembiule sudicio. Il vestito grigio non le donava e non rendeva giustizia al suo corpicino già ben formato. -Che cosa c’è?- chiese Will, anche se già sapeva la risposta.
-Mi ha mandato mio padre- rispose lei con la solita voce stridula -Come va la ferita?-
-Passerà- commentò laconico lui. -Vattene Contessa-
La ragazzina lo guardò dal basso in alto, cercando di capire che cosa volesse da lei. Visto che non se ne andava Will glielo ripeté. -Vattene. Non ho bisogno di nulla-
-Mio padre credeva che...-
-Non m’interessa un accidente di che cosa pensava tuo padre. Non mi diverto con delle ragazzine- al sibilo della sua lingua fra i denti vide Contessa rabbrividire istintivamente. -Tieni- le mise in mano una moneta di bronzo. -Dì a tuo padre quello che ti pare, basta che mi lasci in pace-
-Grazie- mormorò lei -Posso farvi una domanda?- chiese impacciata. Will annuì, mentre si sfilava gli stivali, seduto sul letto. -Perché portate quei guanti?-
Will alzò gli occhi su di lei. Teneva la mano che stringeva la moneta stretta al petto prospero. -Lo vuoi sapere davvero?- chiese. Lei annuì senza quasi respirare. Lui ridacchiò senza allegria. Si tolse un guanto e allungò la mano verso di lei. Le cicatrici biancastre sul dorso e il palmo tremarono come fossero vive alla luce fioca delle tre candele.
-Come ve le siete fatte?- chiese Contessa, piena di stupore. Will si guardò le dita, lunghe e affusolate.
-È una lunga storia, Contessa. Forse se passerò di nuovo da qui te la racconterò- rispose -Adesso vai. Sei stata abbastanza- la congedò gelido. Contessa si voltò. Poi sembrò ripensarci. Tornò da lui e si chinò, schioccandogli un bacio sulla guancia. -Nessuno era mai stato gentile con me, vi ringrazio dal profondo del mio cuore- disse al suo orecchio. Will la guardò andare via, la lunga treccia che oscillava sulla sua schiena. Si toccò la guancia con le dita. Sorrise senza allegria. L’ultima volta che aveva ricevuto un bacio era stato quando era partito da casa. Si ricordava ancora il profumo di farina di sua madre, mentre lo abbracciava, le lacrime che le rigavano il bel volto, dalla pelle bianca come i bucaneve. Si sdraiò, sfilandosi anche l’altro guanto. Si guardò le dita affusolate. Le mosse, intrecciandole. Le sue mani grondavano sangue, e quelle cicatrici erano solo uno dei tanti ricordi della guerra. Passò le mani sotto la testa. Il collo pizzicava, ma cercò di non pensarci e poco dopo si addormentò.

Il vascello rollava e il vento spazzava il ponte di comando. L’acqua salmastra gli riempiva le orecchie e gli faceva bruciare come fuoco gli occhi stanchi. I vestiti erano appiccicati al corpo, il freddo e la paura gli attanagliavano lo stomaco come una morsa di ferro. Mentre scivolava, portato via da un’onda, la sua mano afferrò una cima che si srotolò finché non s’incastrò in una tavola malmessa. Si aggrappò alla cima con tutta la forza della disperazione. Il vascello si piegò vertiginosamente e lui sentì le urla del capitano e dei marinai. Lui e gli altri soldati se ne stavano aggrappati, angosciati dalla paura, mentre il mare precipitava e saliva tutto intorno a loro. Le onde altissime sballottavano la nave come fosse un guscio di noce. Urla di terrore gli affollavano la gola, ma era incapace anche si parlare, la sorda paura di morire si era impossessata di lui e non sentiva altro che il mare che urlava intorno a lui. Quando il vento smise per un solo momento di soffiare, sentì un dolore atroce alle mani. Cercò di aprire gli occhi, ma l’acqua salmastra bruciava e non riuscì a vedere nulla, attraverso la patina di lacrime, vento e paura. Sentì la presenza di un altro uomo accanto a lui. Si sentì afferrare per la vita. Gridò. Un urlo che gli fece dolere le corde vocali. Sentì le sue mani scorrere lungo la cima. Un dolore immane s’impossessò di lui. Altre mani sopra le sue lo staccarono dalla cima. Sarebbe morto. La Dama con la falce era venuto a prenderlo e non avrebbe mai più rivisto casa sua. Tutto intorno era paura, nebbia, vento, urla. Il dolore gli abbuiò la ragione. Urlò. Ancora, ancora e ancora, finché non ebbe più fiato e finché l’incoscienza non sopraggiunse a lenire la sofferenza.

Will si svegliò di soprassalto, sudato e con il fiatone. Si alzò a sedere sul materasso scricchiolante. Ancora... pensò, passandosi la mano sul volto. La luce dell’alba filtrò fra le tende accostate. Aveva dormito tutta la notte. Si guardò le mani. Al ricordo le ferite rimarginate pulsavano ancora. Ricordava il dolore cocente delle erbe dei cerusici. Le ferite c’avevano messo sei mesi per cicatrizzarsi. E intanto lui doveva brandire la spada. E ogni volta le mani gli facevano male, un dolore bruciante che risaliva per le braccia e gli offuscava i sensi. Aveva imparato ad escluderlo, concentrandosi solo sul peso enorme della spada contro le sue braccia ancora deboli. Suo padre era mugnaio, ma aveva voluto che lui studiasse e che lavorasse con lui soltanto alcuni giorni a settimana, per imparare il mestiere se non avesse trovato di meglio. Ma quando era giunta la notizia della guerra in quella terra lontana, di cui Will conosceva a malapena l’esistenza suo padre aveva cominciato a tenerlo in casa e lui aveva smesso di uscire per conto suo. Usciva di notte e il chiarore della luna rendeva la sua pelle ancora più bianca, nella luce lattiginosa. Poi lo avevano arruolato e tutto era finito. Aveva dovuto apprendere come difendersi, come uccidere, come saccheggiare. Per un anno era stato una recluta, ma mano a mano che cresceva il suo corpo imparava a sopportare il dolore e la mancanza di riposo. La guerra l’aveva temprato con un fabbro fa con il ferro caldo, dandogli la forma che ritiene più adeguata. La forma che Will aveva preso era quella di un soldato, la coscienza seppellita sotto il senso del dovere, il cuore ridotto ad un seme di papavero, gli occhi duri e la lingua tagliente.
Si alzò, si rivestì e si allacciò il mantello al collo. Trasalì sentendo la fasciatura premere sulla ferita. Scese dabbasso. Trovò Contessa e suo padre che parlavano. La ragazzina lo guardò.
-Partite?- chiese. Lui annuì.
-Quanto ti devo?- chiese a Tiberio. L’oste scosse la testa.
-Hai pagato ieri sera. Tieni- gli porse un fagotto di tela non troppo pulita. -Dentro c’è un po’ di cibo e qualcosa che potrà tornarti utile finché rimani nei paraggi delle città- indicò i suoi guanti sdruciti -E un nuovo paio di guanti- si chinò sul bancone -Quelle ferite non devi farle vedere in giro. Molti sanno che la guerra non è ancora finita e quelle... beh, sono molto strane- alzò le spalle e tacque, eloquente. Will non ribatté, ma fece un cenno all’oste e si allontanò, il mantello che lo seguiva come la sua ombra. Si calò il cappuccio del mantello sul volto e riprese l’asino dalla stalla. Lo portò di nuovo in direzione della foresta e quando furono abbastanza lontani dalla città, si sedette su un tronco marcio a lato della strada e sfece il fagotto. Trovò del pane nero, del formaggio e della carne essiccata. Dentro un pacchetto in carta lucida c’erano i guanti di cui gli aveva parlato l’oste. Non erano nuovi, ma erano in pelle, cuciti con maestria a filo doppio. Si tolse i suoi e se li infilò. Con quelli aveva più libertà di movimento, poteva muovere le dita senza che le cuciture gli torturassero le vene e le cicatrici. La pelle rimarginata, con il freddo dell’autunno in arrivo, si faceva ogni giorno più sensibile e lui ogni giorno più nervoso. Si rimise in cammino. La strada per la costa era ancora lunga, e lui non aveva nessuna intenzione di girovagare ancora. Voleva tornare a casa. Forse sarebbe morto prima di arrivarci, ma non gli importava. Sarebbe arrivato alla costa, avrebbe preso una nave e sarebbe tornato a casa. Vivo o morto.






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Capitolo 2
*** Terra d'Incontro ***


capitolo due
Capitolo Due




Will si tirò via il sangue dalle mani, strofinandole a lungo dentro l’acqua che scorreva dalla piccola polla tra i massi. Le cicatrici rilucevano al sole come a ricordargli che sarebbero rimaste sempre con lui per quanto potesse nasconderle. Si passò la mano bagnata sulla ferita al collo. Era ormai rimarginata, ma doleva ancora. Piegò il capo, chiudendo per un attimo gli occhi stanchi.
L’asino brucava l’erba già un po’ ingiallita della radura in cui Will si era fermato la sera prima. Aveva catturato delle lepri, le aveva spellate e aveva affumicato la loro carne, così che si conservasse. Si sedette su un masso e spezzò il pane bianco che aveva comprato in un mercato poco lontano da quel boschetto di pioppi. L’aria era fresca e lui si strinse nel mantello. Più si avvicinava alla costa più l’aria diventava umida e per questo più fredda. Guardò l’asino brucare soddisfatto. Bevve dalla borraccia che poi riempì di nuovo. La birra scadente che aveva comprato al mercato era finita da un pezzo e lui ne era stato alquanto felice. Rimise la bisaccia sulla groppa dell’asino e gli infilò di nuovo le redini riparate alla bell’e meglio. Lui soffiò dalle grosse narici, dimenando le orecchie.
"Anche io sono stanco, sapientone!" lo redarguì Will "Ma non voglio essere spellato vivo dai soldati del governatore"

L’asino lo guardò con gli occhi neri e lui credette che sotto sotto pure quella bestia ridesse di lui. Sbuffò, scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte. Prese le redini e condusse l’asino fuori dal boschetto. Era pericoloso per lui seguire la strada battuta, ma ancora più pericoloso era andare per boschi. Vi sarebbe tornato solo a sera inoltrata. Camminò di buon passo per un paio d’ore. La ferita gli dava delle fitte, e di tanto in tanto la caviglia lo costringeva a fermarsi, ma d’un tratto dovette far rallentare l’asino e calarsi il cappuccio sugli occhi. Una fila di persone si muoveva lenta lungo la strada. Will si avvicinò ad un uomo con la faccia devastata dal vaiolo.
"Che cosa succede?" chiese. L’uomo lo guardò.
"C’è la fiera a Terra d’Incontro" sussurrò. Will sapeva che Terra d’Incontro era formata da due città, che si erano fuse insieme quasi cinquant’anni prima. Le fiere erano l’occasione per scambiare e per esercitare l’arte che aveva faticosamente imparato. Nelle fiere faceva lo scrivano e raccattava qualche soldo. La sua grafia ordinata, pulita e svolazzante piaceva ai signorotti e se non sprecava molto inchiostro questi lo pagavano bene. Decise di entrare in città senza l’asino. Lo legò ad un albero poco prima dei cancelli della città. Due soldati era appostati all’entrata, ma non lo notarono, avevano altro a cui pensare. Un gruppo di giocolieri gli stavano dando del filo da torcere e Will riuscì a passare inosservato. Si strinse di più nel mantello, la bisaccia che pesava sulla spalla. I banchetti erano pieni di cianfrusaglie. Comprò un dolce che emanava un odore di vaniglia e che gli imbrattò i guanti. Dovette lavarli e aspettare che si fossero asciugati, prima di rimetterli. Però almeno aveva attenuato il senso di disagio. Si guardò intorno. Notò alcuni signorotti ben vestiti e le loro dame. Si sedette sullo scalino di una casa abbandonata accanto ad un banchetto che vendeva giocattoli. Aprì il piccolo banco che si portava appresso e vi dispose sopra fogli bianchi, calamai e penne appena appuntante. Si passò una mano sulla fronte. D’un tratto sentì qualcuno chiamarlo.
"Ehi tu" alzò lo sguardo, il volto celato dal cappuccio. "Sei uno scrivano?"
"Si mio signore" rispose cercando di adeguare il suo tono a quello di un servitore. Il signorotto che lo aveva interpellato era poco più alto di lui, vestiva di un abito damascato, rosso ricamato d’oro. Aveva un copricapo elaborato e costoso, con piume di pavone. Gli diede una pergamena.
"Scrivi nel migliore dei modi e veloce" ordinò il signore "Ti pagherò dieci pezzi d’argento"
Will intinse la penna nell’inchiostro e poggiò il pennino sulla carta. Cominciò a scrivere con gesti leggeri e sapienti. Amava scrivere in quel modo, gli veniva così naturale adesso. Il signore lo guardava. Dal suo volto non traspariva nessuna emozione. Dieci minuti dopo Will consegnò la carta e la pergamena al signore. Questi lesse e rilesse la carta per trovare un minimo errore, poi, con una smorfia lanciò un sacchetto a Will che lo prese con entrambe le mani, coperte dai guanti.
"Scrivi con la mano sinistra, scrivano" osservò il signore "Eppure i tuoi gesti sono sapienti"
"Vi ringrazio enormemente mio signore" replicò Will con un sorrisetto di compiacimento. Il signore gli lanciò uno sguardo irritato, poi se ne andò. Will soppesò il sacchetto. Lo infilò dentro il tascapane, al sicuro a contatto con la pelle. La spada gli pungeva il fianco. Aveva voglia di andare un po’ in giro per la fiera, ma se voleva raccattare ancora qualche soldo doveva aspettare il tramonto. Venne avvicinato da altri tre signori molto facoltosi. Due lo pagarono molto bene, mentre il terzo gli allungò due monete d’argento e un calamaio pieno di inchiostro di bassa qualità. Will non protestò, ma digrignò i denti. Se tutti fossero come te, i soldi non mi basterebbero per un pezzo di pane, pensò. Era il momento di chiudere il banchetto. Aveva racimolato abbastanza argento.
"Posso chiederti un attimo di pazienza?" una voce flautata lo fermò, mentre riponeva i calamai. Alzò lo sguardo dalla bisaccia. Una ragazza di circa la sua età, forse più giovane, vestita di un semplice abito blu scuro e un velo sui capelli rossi, lo guardava con un sorriso dolce.
"Ditemi, mia signora" replicò Will. Lei gli mostrò un pezzetto di carta, con della scrittura fitta. Era una scrittura piccola e appuntita, poco decifrabile.
"Puoi riscriverlo?" chiese. Will annuì.
"Mi ci vorrà un po’ mia signora" rispose attento a non far sibilare la lingua "Dovrete attendere"
"Ho molto tempo, scrivano" ribatté lei. Si sedette accanto a lui, sul gradino della casa. "Non sei di questa città, vero?" chiese con voce vellutata. Will intinse il pennino nel calamaio e scosse la testa. Probabilmente non le piacque la risposta, perché tornò all’attacco. "Da dove vieni?"
"Da molto lontano" la scrittura che c’era sulla carta era a malapena riconoscibile e Will dovette aguzzare la vista per poter ricopiare.
"Sì, d’accordo, ma molto lontano, dove?" continuò lei. Will sospirò.
"Perché vi interessa mia signora?" chiese soffiando sopra l’inchiostro. "Sono solo uno scrivano"
Lei lo fissò. "Tu non sei solo uno scrivano" ribatté "Porti un lungo mantello con un cappuccio che ti copre il volto, hai dei guanti e scrivi con la sinistra" si avvicinò di più a lui "Non sei un semplice scrivano"
"Ho finito" ribatté gelido Will porgendole la carta. Lei la rimirò.
"È bella, bravo" si congratulò "Ma adesso rispondi. Chi sei veramente?"
"Mia signora..."
"Scrivano!" una voce da sopra la sua testa lo fece sobbalzare. Alzò gli occhi. Era un soldato. "Tutti i tuoi simili stanno chiudendo. È ora che te ne vada"
"Subito mio signore" sollevato, Will, depose tutto nella bisaccia e si alzò. La ragazza gli prese una angolo del mantello.
"Dimmi chi sei"
"Voi siete troppo curiosa" disse Will abbandonando il tono reverenziale. Lei lo notò.
"Non mi chiami più “mia signora”?" chiese quasi scherzosa. Will sorrise condiscendente.
"Adesso basta" si divincolò "Addio"
Si voltò, ma andò a sbattere contro qualcuno. "Fatti da parte!" ringhiò l’altro. Will alzò gli occhi. Ebbe un tuffo al cuore. Guy di Monte Argento. Il soldato lo squadrò.
"Io ti conosco" sussurrò. Will sentì il sangue ribollire nelle vene, e il vecchio odio sepolto tornare a galla. Sfiorò la spada sotto il mantello. Guy era più grosso di lui, ma Will era più svelto e più agile. Sentì la ragazza che lo strattonava.
"Vogliate scusarlo mio signore" s’intromise "ma il mio servitore non ci vede molto bene"
"Ho notato" Guy sorrise discretamente alla ragazza. Will la vide sorridere sorniona.
"Scusatemi ancora" gli rivolse un’occhiataccia "Andiamo, sciocco. Riportami a casa" Will piegò le spalle per sembrare più basso. Sotto il mantello sudava. Guy era da mesi il suo peggior nemico. Lo cercava in lungo e in largo e lui non avrebbe mai dormito tranquillo, finché Guy di Monte Argento era sulle sue tracce.
La ragazza lo portò dentro una locanda. Parlò con l’oste e lo spinse di forza in una camera. "Ma sei pazzo?" urlò non appena si fu richiusa la porta alle spalle "Lo sai chi è quello?"
"Guy di Monte Argento, signora" rispose tranquillo Will. "Lo so"
"Bene, vedo che hai un po’ di sale in zucca" ribatté irritata "Lo sai che sta dando la caccia per tutto il regno ad un ragazzino? Perde e riprende le sue tracce da mesi. È un diavolo. Sembra che quel ragazzino sia importantissimo per il governatore di Salazard, che ha avuto l’ordine di cercarlo direttamente dal fratello, il re"
"Già" Will scoppiò a ridere. Importantissimo un disertore?, pensò. Non sapeva di essere così famoso. Guardò la ragazza, che se ne stava in piedi davanti a lui con le braccia incrociate. "Sapete il suo nome?"
"No" rispose lei "Ma se il governatore lo vuole catturare con così tanto accanimento, deve trovarsi in una montagna di guai" sospirò e si sedette sul letto "Dicono che sia bellissimo e che parli un’altra lingua, che venga da oltre il mare, da una terra lontana"
Will ridacchiò senza allegria. "Sono davvero queste le voci che girano?"
"Sì" sospirò di nuovo "Ma cosa ne vuoi sapere tu, sei solo uno scrivano, no?" Will sapeva di aver destato in lei la curiosità tipica delle donne. Si guardò i guanti. In fondo lei lo aveva salvato da Guy. Le avrebbe fatto promettere che non avrebbe raccontato a nessuno che lo aveva visto.
"Volete sapere a chi sta dando la caccia Guy?" chiese. La ragazza lo squadrò.
"Solo se non corro pericoli" bisbigliò sospettosa alzandosi. Lui si voltò, si sganciò il mantello e lo tolse, rivelando i capelli neri, la ferita al collo e i vestiti appena comprati. Il suo corpo snello si tese quando la ragazza esclamò di stupore.
"Il mio nome è William" si presentò con un breve inchino "William di Monte Argento. Guy è uno dei miei fratellastri"
La ragazza rimase paralizzata. La notizia pareva averla scioccata a tal punto da non poter parlare.
"Che c’è, mia signora, avete perso la lingua?" chiese ridacchiando Will, togliendosi i guanti. Le sue mani finalmente potevano respirare. Lei le guardò. "Un ricordo della guerra" commentò distaccato Will.
"Non vi assomigliate molto" notò lei "Insomma, Guy è biondo... ha gli occhi neri. Tu... tu sei nero di capelli" si avvicinò "Hai gli occhi azzurri" sussurrò "La tua... la tua pelle. Le dicerie su di te sono tutte vere, dunque"
"Quali dicerie mia signora?" chiese Will scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte.
"Che sei bellissimo" rispose lei. Will si sentì lusingato. Ma durò solo un istante.
"Non potete stare qui con me, signora" la redarguì "se vi trovano in mia compagnia non vi riserveranno un trattamento di favore" indicò la porta "Perciò andate"
"Nemmeno per idea! Sei ricercato per tutta la regione... ma che cosa dico... tutto il paese" camminò avanti e indietro per qualche momento. "Devi scappare"
"Sì, certo. Lo farò... domattina" sbadigliò "ho bisogno di riposo"
"Ma Guy è in città. Insomma... lui, lui ti cercherà. E ti troverà" sospirò "Lo conosco. Quando deve inseguire qualcuno non si dà pace finché non lo ha trovato"
"Lo so, signora" ridacchiò Will senza allegria. Si passò le mani fra i capelli e si sbottonò il giustacuore nero. Gli abiti scuri che aveva comprato ad una bancarella con i soldi del primo signorotto, gli calzavano a pennello e lui si sentiva libero. Gli stivali erano costati un occhio, ma il morbidissimo cuoio conciato gli fasciava la caviglia non ancora guarita del tutto, e la manteneva ferma. I calzoni marrone scuro avevano una fascia di cuoio all’altezza dei fianchi e lui vi aveva cucito dentro il coltellino di corno. La ragazza lo guardava con una strana espressione sul volto.
"Oh, andiamo mia signora, Guy sarà anche molto intelligente, ma io lo sono più di lui" si rimise i guanti. D’un tratto dal basso gli giunse una voce anche troppo conosciuta. Imprecò violentemente nella sua lingua. Si riallacciò il mantello al collo, e sguainò la spada, la guaina foderata ancora in vita.
"Che cosa fai?" chiese lei. Will le fece segno di tacere.
"Guy è qui" disse "Non è stato molto saggio andarvene in giro con un ricercato" lei non notò la nota sarcastica. Will impugnò la spada con entrambe le mani. Sentiva ogni muscolo del suo corpo teso e il suo cervello che cercava di escogitare un piano di fuga. Sentì numerosi piedi che salivano le scale e un attimo dopo la porta fu fatta saltare dai cardini.
"È qui!" il grido irruppe nella stanza accompagnato dai passi pesanti di Guy. "Bene, bene, bene" lo sentì ridacchiare. La sua voce gli dava ogni volta i brividi. L’ultima volta che si erano affrontati Will ci aveva rimesso, oltre a una ciocca di capelli, anche la caviglia. Guy se l’era cavata con qualche livido e una grossa arrabbiatura. "Che cosa abbiamo qui? Il nostro carissimo William. Da quanto tempo non ci vediamo?"
"Troppo poco" sibilò Will innervosito. Sentiva il cuore martellargli nel petto come se volesse frantumargli la cassa toracica. Guy sembrava così tranquillo da mettergli il voltastomaco. Avrebbe tanto voluto infrangergli quel sorrisetto che aveva sul volto. Sentì la ragazza al suo fianco scostarsi.
"Guy..." la sentì sussurrare "Forse potresti..."
"Zitta, Briseide!" le intimò Guy afferrandola per un braccio e trascinandola accanto a sé "Con te farò i conti dopo"
"Adesso trovi gusto a importunare anche le ragazze, Guy?" chiese sarcastico Will. Il soldato gli lanciò un’occhiata irritata.
"Con te farò i conti adesso, William. Che cosa direbbe il tuo amato padre se ti vedesse adesso? Sei un fuorilegge. Un fuggitivo" increspò le labbra "Un disertore. E i disertori devono morire"
"Grazie tante per aver riassunto la mia condizione, Guy" sibilò Will "ma non ho nessuna intenzione di morire, né oggi né nelle prossime settimane"
"Se il governatore sarà magnanimo ti concederà di rivedere la tua famiglia" sogghignò Guy "Dipende se sarà magnanimo. Farò personalmente il mio rapporto. William di Monte Argento è considerato un uomo molto pericoloso..."
"Sei ancora più bastardo di quanto mi ricordassi, Guy" Will impugnò la spada più saldamente, facendo un passi indietro "non che avessi dei dubbi, è ovvio..."
"La tua lingua è sempre stata troppo lunga, William. Provvederò personalmente a tagliarla a dovere" ghignò Guy. Will sentì scendergli per la schiena un brivido. Che fosse freddo o paura doveva trovare al più presto una soluzione a quell’impiccio. Briseide si mosse verso Guy.
"Non lo uccidere" la sentì sussurrare.
"E invece sarà un vero piacere" Guy scoppiò in una risata acuta "Sarà il risultato di mesi di inseguimenti" Will indietreggiò ancora. Finché Guy parlava non avrebbe sguainato la spada. Lo conosceva fin troppo bene. Anche quando era più giovane amava in modo quasi melodrammatico il suono della propria voce, e avrebbe continuato a parlare fino a che qualcuno non gli avesse ricordato per che cosa era lì. Will sapeva che la finestra che si affacciava sulla strada era a pochi passi da lui. Sarebbe bastato così poco per saltare oltre e guadagnare la libertà. Fece un altro piccolo passo indietro. Alzò gli occhi su Briseide. Il suo sguardo era terrorizzato. Will fece solo in tempo ad accorgersi dell’occhiata preoccupata che la ragazza lanciò oltre le sue spalle, poi un dolore improvviso lo colpì alla nuca. Cadde. Sentì il rimbombo del ferro che si infrangeva sul pavimento dalle assi marce. L’ultima cosa che vide prima di perdere conoscenza fu il volto compiaciuto di Guy e la sua risata stridula fu l’ultima cosa che sentì. Poi il suo mondo diventò buio.

Il vento gli scompigliava i capelli, legati da un laccio al lato della testa. Si appoggiò al bastone che aveva fatto con il ramo che aveva trovato nel bosco. Era perfetto per andare in cerca di funghi. Si coprì gli occhi con la mano, quando si voltò verso il sole ormai alto sull’orizzonte. Suo padre lo chiamò. "Andiamo Will, abbiamo molta strada da fare". Il ragazzo si voltò verso la foresta. Poi in lontananza sentì un rumore nuovo. Oltre al sibilo del vento tra gli alberi, lo stormire degli uccelli e l’abbaiare dei cani, c’era qualcos’altro. Tese le orecchie verso quel rumore. Suo padre sapeva che quando il figlio si concentrava su un rumore nulla poteva distogliere la sua attenzione.
"Cavalli" disse il ragazzo socchiudendo gli occhi "Tanti cavalli. E vengono qui" guardò il padre. "Perché?"
"Non lo so Will" rispose l’uomo scostandosi un ciuffo di capelli grigi dalla fronte. "Ma credo che presto lo scopriremo"
Il ragazzo rimase immobile per qualche secondo, prima di voltarsi di nuovo verso il sole. Vide sua madre accanto al mulino, intenta a lavare i vestiti nell’acqua limpida. Sorrise. Amava sua madre, più della sua stessa vita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Improvvisamente sentì un gran dolore alla base del cranio, come se qualcuno avesse sferrato un colpo sulla sua nuca. Cadde, sbattendo a terra violentemente. Intorno a lui tutto era sfocato, come in un sogno. Il dolore scemò così com’era venuto e lui si ritrovò ansimante e coperto di polvere. Suo padre lo prese per le ascelle e lo riportò in piedi.
"Will, che cosa... che cosa succede?" gli chiese preoccupato. Will scrutò le iridi cupe di suo padre.
"È solo... il caldo" ansimò appoggiandosi al bastone "Solo il caldo". Nei suoi quindici anni non aveva mai provato dolore più acuto. Si tastò la nuca. Non trovò nulla, naturalmente. Vide suo padre alzare la testa verso lo scalpiccio dei cavalli ormai vicini. Will si voltò, incontrando la colonna di soldati. D’improvviso l’aria gli mancò, come se fosse stata risucchiata dai suoi polmoni. Sapeva che cosa erano venuti a fare quei soldati. Un nodo alla gola lo fece tossire. Si portò le mani al petto, come per proteggersi. Pregò che non fossero lì per lui. Pregò che la guerra fosse soltanto una fantasia. Pregò per non morire.


Il lento sgocciolio dell’acqua dalle rocce della stanza lo svegliò con il suo battere ritmico. Aprì le palpebre, e tante stelline colorate gli danzarono davanti agli occhi. Li richiuse. Poteva sentire il proprio cuore battere all’impazzata. Si portò una mano al petto, ma scoprì che ogni movimento gli causava un dolore acuto e palpitante. Sotto le dita sentiva la pietra fredda e umida di una prigione. Si chiese dove fossero i suoi guanti. Sapeva di non avere più il suo mantello, né la sua spada. Probabilmente lo avevano perquisito e avevano trovato il coltellino di corno cucino nella fodera di pelle dei calzoni. Era appoggiato alla parete di pietra di una cella, di questo era sicuro. Intorno a lui poteva percepire il movimento dei topi e l’acqua che sgocciolava dalla roccia. Sentiva la lingua impastata, incollata al palato. Cercò di muovere la testa, ma il dolore esplose di nuovo. Si lasciò scappare un gemito sommesso. Tanto nessuno poteva sentirlo. Cercò di rimanere il più immobile possibile, così il dolore scemò piano piano. Aprì di nuovo gli occhi. Vedeva appannato, ma riusciva a distinguere le pareti della cella. Era stretta e lunga. Proprio davanti a lui c’era una porta. D’un tratto questa si aprì. La lama di luce che filtrò dentro la cella lo accecò e fu costretto a chiudere di nuovo gli occhi. Percepì la presenza di almeno tre persone. Passi pesanti precedettero quattro robuste braccia, che lo sollevarono. Il dolore aumentò quando venne trascinato a forza fuori dalla cella. Intorno a lui sentiva frasi spezzate, il movimento di uomini, passi concitati. Un terzo uomo gli sollevò le gambe da terra. Il tragitto fu breve, ma a Will parve eterno. Alla fine si ritrovò sdraiato su una scomoda tavola di legno. Aprì gli occhi. Cercò di tirarsi a sedere. Appoggiò i piedi sul pavimento di pietra umida. Sentiva lo sgocciolio dell’acqua, passi lontani, lo scricchiolio del legno sopra la sua testa. Altri passi. Un rimbombo di tuono in lontananza. Pioveva? Non lo sapeva e non credeva che qualcuno glielo avrebbe detto. Poi la porta da cui l’avevano trascinato si aprì di nuovo. Will alzò la testa. I suoi occhi si abituarono lentamente alla luce. Davanti a lui c’era un omino basso e calvo. Masticava frasi sconnesse e Will pensò che non avesse tutte le rotelle a posto. Quando si accorse che lo guardava, venne avanti e gli passò una scodella e un boccale pieno d’acqua. Lo guardò bere con avidità, poi fece un cenno verso la scodella. Will sentiva lo stomaco sotto sopra e il puzzo della brodaglia lo fece gemere. Scosse la testa. Il nano alzò le spalle strette e masticò altre frasi confuse. Will non ce la faceva a parlare. Gli sembrava che anche le corde vocali gli bruciassero.
"Vattene Rufo!" una voce intimò al nano di andarsene. Si riprese la scodella e la portò via. Will si appoggiò alla parete della cella. "Il nostro ospite non ha mangiato?" chiese la voce. Will non rispose.
"Non è educato non rispondere, William di Monte Argento" replicò l’altro "Ti conosco. Eri un buon soldato, uno di quelli che uccide a sangue freddo. Perché te ne sei andato?"
Will alzò piano la testa. I suoi occhi incontrarono quelli grigi dell’altro. Trasalì.
"Llen" sibilò "Che cosa ci fai qui?" chiese con un enorme sforzo. Il soldato sorrise senza allegria.
"Guy mi ha arruolato" rispose "Ma tu... Will, ti sei fatto prendere in trappola da lui. Eri molto più sveglio quando eri sotto le armi" sedette sui talloni davanti a lui. Will se lo ricordava Llen. Era poco più grande di lui. Aveva una circa venticinque anni, ed era stato portato al campo di Will perché aveva fatto a botte con un ufficiale. Lo avevano assegnato alle retrovie, ma poi, quando la battaglia era entrata nel vivo, era stato spedito nelle prime file. Era stato allora che lui e Will si erano conosciuti. Will gli aveva salvato la vita. Llen era ancora in debito con lui.
"Sei caduto in basso" osservò Will dando un cenno alla cella. Llen rise.
"Beh, almeno io non sono un fuggitivo" replicò senza allegria "Tu, invece. Sei scappato dalla prima linea, Will. Credevi che non ti avrebbero più cercato?"
"Pensavo di non essere così importante per il governatore, e per il re oltretutto" alzò le spalle "in effetti sono soltanto un disertore. Di solito di queste faccende se ne occupano gli amministratori dell’esercito, non il re"
"Il re ha molte cose a cui pensare, ma ti do ragione. Forse è per questo che ti hanno portato qui a Salazard e non nelle segrete del castello del re" aggiunse pensieroso Llen "Il re non ti vuole morto. Ma Guy sì"
"Guy me la pagherà" scosse la testa "Da quanto sono qui?"
"Tre giorni. Hai dormito tutto il tempo" rispose il soldato "Eri completamente incosciente. Deliravi. Guy non ti ha trattato bene"
"Infierire su un uomo privo di sensi è una cosa da Guy" replicò Will cinico.
"Forse" ribatté Llen contrariato "Ma Guy è un buon soldato. Se non sbaglio siete anche imparentati"
"Uno dei figli di primo letto di mio padre" rispose Will. Il dolore stava lasciando il suo corpo martoriato. Sentiva i muscoli tesi negli spasimi, e brividi di freddo gli percorrevano la schiena rigida. Sospirò, cercando di non farsi male alle costole. Ma quando prese una boccata d’aria più forte, un dolore sordo lo fece boccheggiare. Si portò la mano al costato.
"Devi avere qualche costola rotta, Will" ipotizzò Llen "Comunque non posso restare oltre. Guy mi starà già cercando" si alzò "A proposito forse non lo sai, ma la ragazza a cui hai fatto gli occhi dolci è Briseide di Salazard. È la nipote del re che si da tanto pensiero per te. E da ieri la futura moglie di Guy di Monte Argento" Llen se ne andò, lasciando che la porta si richiudesse alle proprie spalle. Perfetto... pensò Will. Davvero perfetto. Prima mi salva e poi mi consegna al suo futuro sposo. Se mai uscirò di qui intero... ridacchiò. Che cosa avrebbe fatto? Niente. Non avrebbe mai alzato le mani su una donna. Nemmeno se questa l’avesse tradito. Cercò di calmarsi, il cuore che batteva come un tamburo. Suo padre gli diceva sempre che quando tutto sembra perduto, non ci si deve scoraggiare, perché la speranza è l’ultima a morire. Will sentì le lacrime premergli agli angoli degli occhi. Deglutì e le ricacciò indietro. Non doveva piangere. Non sarebbe caduto così in basso. Strinse la tavola tra le dita. Era in trappola. In trappola come un topo. Sarebbe uscito da lì soltanto per venire giustiziato. Guy aspettava quel giorno da quando l’aveva messo in ridicolo davanti agli altri soldati. Avevano litigato e Will l’aveva chiamato “femminuccia” e quando Guy si era scagliato su di lui, l’aveva battuto senza nemmeno farsi un graffio. Da quel giorno Guy aveva promesso vendetta. Il giorno era finalmente arrivato, per lui. Guy aveva venticinque anni ed era nell’esercito da otto anni. Da molto prima che Will fosse arruolato. Quando aveva saputo che era figlio di suo padre, Guy gli aveva dato parecchio filo da torcere. Will sospirò, e il dolore alle costole tornò. Se fosse uscito da lì Guy avrebbe pagato, fino all’ultimo livido che gli aveva procurato, fino all’ultima notte insonne. Avrebbe pagato per tutto il male che gli aveva fatto. Avrebbe assaggiato l’ira di William di Monte Argento.


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Nella sala del trono, Briseide passeggiava avanti e indietro, cercando di far sbollire la rabbia. Le scarpe di raso si sarebbero consumate a furia di strisciare sulla roccia del pavimento. Si scostò un ricciolo dagli occhi. Si era tolta il sottile diadema dalla testa e i capelli fluivano liberi sulle sue spalle. Non poteva non pensare a quel povero ragazzo che giaceva svenuto nelle segrete. William. Si fermò, ripensando a quando le aveva sorriso. Si sentì arrossire. Scosse la testa e riprese a camminare. Era più che decisa a farlo scarcerare e soprattutto a non sposare Guy. Il solo pensiero di dover condividere la sua vita con quell’uomo orribile le dava i brividi. Secondo suo padre era il miglior soldato che avesse mai avuto ai suoi ordini. Era disciplinato, senza beghe per la testa, e soprattutto senza famiglia. Ancora. Briseide rabbrividì. Non aveva assolutamente intenzione di rinunciare alla propria libertà e di vendere la sua vita a Guy. Avrebbe lottato con tutte le sue forze per convincere suo padre a ritornare sulle sue decisioni. D’un tratto la porta si aprì con uno stridulo cigolio. Briseide pensò che fosse ora di oliare quei cardini. Suo padre si muoveva lentamente, come se portasse un peso enorme sulle spalle. Briseide si rimise il diadema, domando i capelli all’interno del velo. Suo padre ci teneva a mostrare la loro regalità e lei amava suo padre, perciò doveva assecondarlo.
"Figlia mia" la chiamò sedendosi sul trono "Adesso spiegami" ordinò. Briseide deglutì. Suo padre aveva il potere di farla sentire a disagio. Desiderò che fosse ancora in vita sua madre. Lei era l’unica persona che poteva tenergli testa.
"Che cosa dovrei spiegarvi, padre?" chiese avvicinandosi. Lui le fece segno di sedersi. Briseide allargò la gonna sugli scalini di pietra del trono.
"Che cosa ci facevi con un ricercato in una camera di un’osteria?" chiese di rimando il governatore con un tono che poco si confaceva con la sua abituale flemma. Briseide abbassò gli occhi, ma li rialzò subito, in modo che suo padre potesse vedere che non c’era colpa in lei.
"Padre, io non sapevo chi fosse. Ho mentito a Guy, è vero, ma soltanto per salvargli la vita" scosse la testa e sospirò "Non è certo servito a molto"
"Quel ragazzo è un disertore" sospirò suo padre "e per questo deve essere punito"
"Ma voi non vi siete mai dato pena per dei disertori. Chi è lui? Perché così tanto accanimento per un ragazzo? Padre" lo guardò "ha la mia età. Non merita di morire"
"Davvero pensi questo?" chiese Pericle alzandosi "Cento giorni Guy e gli altri soldati lo hanno cercato in lungo e in largo. Dimmi, sai che lingua parla? Sai dirmi da che paese viene? Sai chi è davvero? Nessuno lo sa. Nessuno sa chi sia né con precisione da dove venga. L’hanno arruolato quando aveva quindici anni, soltanto perché avevamo bisogno di reclute per la guerra" passeggiò avanti e indietro. "Suo padre, è anche il padre di Guy, ma la madre di questo ragazzo, nessuno sa chi sia, né se provenga dalle terre al di là de mare o dai nostri nemici"
"Nemici?" Briseide si alzò "Ma padre, i nostri nemici vengono da nord. Scendono dalle montagne... come possono provenire anche dal mare?"
"Non ho detto questo, figlia mia. Ho solo detto che nessuno sa chi sia quel ragazzo. Parla una lingua sconosciuta, è diverso da ogni membro di questa terra"
"Adesso è diventata una colpa essere diversi?" chiese Briseide inalberandosi. Pericle passeggiò per la stanza con nervosismo.
"Se la mia stessa figlia mi si ritorce contro, che cosa ne sarà di me?" chiese, più a se stesso che a chiunque altro. Briseide corrugò la fronte, irritata.
"Io non sono contro di voi, padre, vorrei soltanto che foste ragionevole" si avvicinò, appoggiandogli la mano sulla spada "Vorrei che risparmiaste la vita di quel ragazzo"
"Perché?" una voce che Briseide non avrebbe voluto sentire irruppe nella stanza.
"Oh, Guy, proprio voi... capitate nel momento giusto" Pericle si avvicinò al soldato con un largo sorriso. Briseide soffocò una protesta a mezza voce. Odiava Guy ed era costretta a sposarlo.
Il soldato arcuò un sopracciglio biondo. "Vorrei sapere perché vostra figlia è così decisa a salvare la vita di un disertore"
"Un disertore? Un fuggitivo, un fuorilegge! In quanto modi l’hai chiamato, Guy?" scattò Briseide con ira "Che cosa ti ha fatto quel ragazzo? Lo odi forse perché è molto più bello di te?"
"Briseide!" la richiamò suo padre.
"Sono abbastanza grande per esprimermi, padre" protestò Briseide alzando la voce "Che cosa vuoi da lui?" aggiunse rivolgendosi di nuovo a Guy.
"La sua vita è nelle mie mani, Briseide. Non lo lascerò andare e soprattutto lo ucciderò con la mia spada... sarà il tuo regalo di nozze" Guy scoppiò a ridere e se ne andò a grandi passi.
Briseide non sapeva se scoppiare a piangere o rincorrere Guy e cercare di ucciderlo a mani nude. Si ritirò nelle sue stanze e scrisse una lunga lettera.





PER CATEROZZA: GRAZIE PER LA TUA RECENSIONE, MI HA FATTO MOLTO PIACERE. NON PREOCCUPARTI SE NON CE LA FAI A RECENSIRE, L'IMPORTANTE E' CHE LA STORIA TI PIACCIA. QUANDO HAI TEMPO FAMMI SAPERE CHE NE PENSI! UN BACIONE
Stellalontana

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Capitolo 3
*** La fuga ***


capitolo tre

Capitolo Tre



Will passeggiava nella cella avanti e indietro ormai da ore. Il tempo non pareva scorrere tra quelle quattro mura. Odiava dover rimanere rinchiuso e non sapere che cosa accadeva attorno a lui. Sentiva i passi pesanti dei soldati sopra la sua testa, le voci concitate di altri che stavano di guardia fuori dalla sua porta. Trattenne uno scoppio di risa. Credevano forse che avrebbe tentato di fuggire? Lo ritenevano molto più pazzo di quanto in realtà era. Si sedette sulla scomoda tavola di legno, ma si alzò subito dopo. Estrasse dalla camicia il medaglione che gli aveva regalato suo padre poco prima di essere arruolato. L’argento di cui era fatto brillava alla fioca luce del sole che filtrava dall’unica finestra. Il fabbro aveva inciso sul davanti il suo nome, la sua data di nascita, e il luogo dove abitava, mentre sul retro suo padre vi aveva fatto incidere il nome di sua madre, Lavinia. Suo padre, Aleck, gli aveva fatto promettere che lo avrebbe protetto. Ancora Will non capiva perché quel medaglione era tanto importante per suo padre. Non l’aveva mai aperto, anche perché Aleck non glielo aveva mai permesso e lui aveva smesso di portarlo dalla prima battaglia a cui aveva partecipato dalle prime file. Tentò di aprirlo, ma invano. Staccò una scheggia dalla tavola di legno e la incastrò fra le due metà. Il medaglione si aprì con sonoro tock. Una delle due parti scivolò a terra con un lieve rimbombo di metallo. Quando Will la riprese vide che all’interno era incastrato un sottile strato di carta, ricoperto da una fitta scrittura. Quando lo tolse questo si spiegò. Avvicinò il foglio alla lamina di luce che filtrava dalla finestra. Era la scrittura di suo padre. piccola, appuntita e un po’ storta.
William, tua madre ed io siamo molto orgogliosi di te, ma abbiamo paura per te. Ti vogliamo bene, e speriamo vivamente che tu possa trovare la tua strada. I tuo destino, amor nostro, è gia scritto, come del resto anche il nostro. Ti preghiamo di fare attenzione. Ti preghiamo di tornare a casa quando la guerra sarà finita, perchè abbiamo delle cose molto importanti che dobbiamo dirti. Una riguarda tua madre, mentre l'altra riguarda solamente te, figlio mio. Voglio anche che tu sappia che la guerra
La pergamena si interrompeva. Era strappata e Will strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella carne. Richiuse il medaglione e se lo rimise al collo. Forse suo padre non fatto in tempo a scrivere il resto, oppure qualcuno aveva aperto il suo medaglione e aveva strappato la pergamena. Ma chi? Will si alzò. Nei tre giorni che era rimasto incosciente, Guy avrebbe potuto aprire il medaglione e farne ciò che voleva. Ma perché non se l’era tenuto, se aveva scoperto che cosa diceva la pergamena? Forse c’era scritto qualcosa a cui soltanto lui poteva arrivare. Guy non avrebbe mai preso qualcosa se non fosse stato sicuro del profitto che poteva trarne. Ricordava ancora quando l’aveva visto per la prima volta.
Aveva sei anni, e Guy si divertiva a fargli lo sgambetto e dargli spintoni per farlo cadere nella polvere. La madre di Guy, una donna alta e austera, dal volto scuro e una piega arcigna sulle labbra, rimproverava Aleck di non aver bene educato il figlio minore, di non dargli abbastanza botte e di non affibbiargli abbastanza lavori pesanti. Ricordava che gli aveva esaminato le mani, per accertarsi se vi fossero piaghe o vesciche, per il duro lavoro nei campi o al mulino. Non trovandovene era scoppiata a ridere e aveva detto che quelle mani non avrebbero mai portato a nulla di buono. Will avvicinò i palmi al fascio di luce. Le cicatrici parvero sorridere sinistre. Avrebbe voluto che scomparissero, che lo lasciassero in pace, ma quelle non se ne sarebbero mai andate, avrebbero continuato a ricordargli tutti i soldati che aveva ucciso, tutte le ingiustizie che aveva perpetrato, tutte le notti di caccia e di appostamenti.
Ripensò a quando aveva perso la spada nel fiume. Il suo comandante era andato su tutte le furie e lo aveva lasciato sulla riva, accucciato su una roccia. Un soldato senza spada non vale nulla, gli aveva gridato da lontano. Will ricordava di essere entrato nel torrente gelido e aver cercato la spada, invano. Poi ad un tratto dall’altro lato del torrente aveva visto un soldato, un soldato nemico. Aveva pensato che la sua vita fosse finita, che avrebbe ben presto trovato la morte, ma quel soldato si era tolto l’elmo, era sceso dal suo cavallo e aveva attraversato il torrente. Aveva i capelli biondi e due occhi azzurri come il cielo. Gentili, eppure così distanti. Gli aveva allungato la sua spada.
“Non è vero che un soldato senza spada non vale nulla. Vale ciò che ha nel cuore” gli aveva detto con voce cortese.
Si era voltato e aveva riattraversato il fiume. Will sapeva che avrebbe dovuto ucciderlo, perché era il nemico, ma si era limitato a legarsi la spada al fianco e a rincorrere la colonna di soldati ormai lontana. Una settimana dopo, con il favore del novilunio era scappato e si era dato alla macchia.  Non aveva più visto quel soldato. Forse era morto. Forse era tornato dalla sua famiglia o forse combatteva ancora. Scosse la testa.
Ripensare a quello che era stato non lo avrebbe aiutato a uscire di lì. I ricordi gli affollavano la mente. Chiuse gli occhi. Il suo udito era ancora acuto come prima, e riusciva a distinguere i passi lenti delle serve, quelli leggeri degli animali da compagnia e quelli più pesanti dei soldati. Un boccale cadde frantumandosi in mille pezzi, un uomo gridò, probabilmente una serva raccolse i cocci e se ne andò prima che lui potesse picchiarla. Will strinse i pugni. Per quando avesse mai fatto arrabbiare i suoi genitori, loro non gli avevano mai torto un capello. Non l’avevano mai picchiato.
Si ricordò di quando era tornato talmente tardi dal villaggio vicino alla sua casa, da essere quasi presto. Suo padre l’aveva aspettato alzato. Aveva tredici anni, e aveva appena ricevuto il permesso di stare fuori fino a tardi. Non così tardi però. Aleck lo aveva sgridato pesantemente, ma non aveva alzato la voce, e non lo aveva toccato con un dito. Il giorno era tornato tutto come prima, ma il silenzio, quell’acuto silenzio e gli occhi di suo padre che lo avevano accolto, avevano fatto passare a Will la voglia di fare ancora così tardi, di notte. I ricordi non ti porteranno per magia fuori dalla cella, Will, gli ricordò la sua coscienza. La zittì, seppellendola sotto i vari rumori che provenivano da fuori.

D’un tratto la porta della cella si spalancò. Un soldato che Will non aveva mai visto entrò e s’inchinò verso la porta. Will rimase immobile. La figlia del governatore, Briseide di Salazard, entrò nella cella a passo spedito. Lui cercò di non scoppiare a ridere.
"Qual buon vento vi porta qui, mia signora?" chiese cercando di essere gentile. Briseide aveva un’aria tutt’altro che allegra.
"Smettila!" ringhiò. Will arretrò, fino a sedersi sulla scomoda tavola di legno. Accavallò le lunghe gambe.
"Avete qualcosa da dirmi, prima che Guy venga a prendermi?" chiese di nuovo. Il giorno volgeva al termine e lui sarebbe stato giustiziato al tramonto. Aveva ormai perso ogni speranza di essere rilasciato. Per un momento aveva quasi sperato che Llen tentasse di farlo scarcerare o almeno lo aiutasse ad evadere, ma quando aveva bussato alla porta della cella era stato soltanto per comunicargli il giorno e l’ora dell’esecuzione. Aveva sperato che il governatore avesse cambiato idea, ma non era stato così. In fondo era la giusta punizione per tutte le morti che aveva provocato, ma non certo per aver disertato.
Briseide lo guardò a lungo, prima di aprire bocca. Sembrava estremamente seccata.
"Ho cercato di farti scarcerare, William, ma evidentemente mio padre ci tiene che tu venga fatto fuori il più presto possibile" commentò passeggiando avanti e indietro nella cella angusta. Will alzò le spalle.
"Dovevate aspettarvelo, mia signora. Si da il caso che io sia molto importante" osservò con sarcasmo.
"Come fai ad essere così allegro? Verrai giustiziato al tramonto" esclamò indignata Briseide.
"Mia signora, vivo la vita con filosofia" la rimbeccò lui, sorridendo tristemente "Ho avuto diciannove anni da vivere, non importa se adesso muoio. Per quanto mi riguarda" tirò un sospiro, appoggiandosi alle pietre della parete "la mia è la giusta punizione per tutte le morti che ho provocato in guerra"
"Ma non per un disertore!" esclamò la ragazza. Aveva le guance rosse per l’indignazione e la rabbia. Will alzò di nuovo le spalle con rassegnazione.
"Che cosa potete fare, voi?" chiese alzandosi "Vostro padre decide chi muore e chi vive. Voi vivrete, io morirò"
"Non lo permetterò" rispose lei scuotendo la bella testa. I suoi occhi ambra chiara lo fissavano con insistenza, quasi volessero scavargli l’anima. Will scoppiò a ridere, senza nessuna traccia di allegria.
"E come farete? Convincerete Guy a non uccidermi, come avete fatto alla locanda?" si alzò e si avvicinò a lei "Non potete fare niente per me"
"Ma se tu muori..." sussurrò lei "se tu muori chi mi salverà da Guy?" chiese. Will rimase immobile per un momento. Salvarla? Salvarla da Guy? Che cosa significava? Che cosa voleva dire?
"Che cosa intendete?" chiese.
"Guy... Guy ha fatto un accordo con mio padre. Ha promesso di catturarti e di giustiziarti. In cambio dovrò sposarlo e lui un giorno diventerà governatore. Non è per me, Will" scosse la testa "Io odio Guy, ma amo mio padre e non posso costringerlo a cambiare idea. Guy non è l’uomo giusto per fare il governatore" si allontanò da Will, passeggiando, toccando le pietre umide d’acqua, e asciugandosi le dita sulla veste azzurra. "Ti chiederai che cosa potresti fare. Beh, ho scoperto un paio di cose su di te, Will. Tuo padre è Aleck di Monte Argento, non è vero?"
Vedendo che Will non rispondeva, tanto era confuso in quel momento, continuò con un sospiro pesante: "Beh, lo prenderò per un sì. In effetti tuo padre è un mugnaio, un lavoratore dei campi... ma tua madre? Chi è tua madre? E chi era la madre di Guy? So che tua madre si chiama Lavinia"
Will si sedette di nuovo. Si chiese dove la ragazza volesse arrivare. Non capiva che cosa c’entrasse la sua famiglia. Sapeva solamente che fra pochi minuti Guy sarebbe venuto per portarlo al patibolo. Si chiese perché Briseide, che tra l’altro, lo conosceva appena, si accanisse così tanto. In fondo non era altro che un assassino e un disertore. La sua punizione, per quanto ripugnante potesse essere agli occhi delicati di una ragazzina, era la giusta conseguenza. Non tanto giusta per un disertore. In quel momento sentì che la morte era davvero troppo vicina, per tirarsi indietro.
"Sì" replicò stancamente "Mia madre si chiama Lavinia" guardò Briseide "O si chiamava. Non ho notizie della mia famiglia da quattro anni"
"Lo so" lo interruppe lei "Ma io sì"
"Che cosa volete dire? Che cosa sapete voi che io non so?" si sentiva confuso, stanco, abbattuto. Avrebbe voluto mettersi a dormire e risvegliarsi un anno dopo, e scoprire che era tutto finito, che la guerra era stata soltanto un brutto sogno e che la cella in cui si trovava, un labile ricordo.
"Se mi fai continuare senza interrompermi forse te lo posso dire" ribatté seccata Briseide "Non ho molto tempo e tu mi devi ascoltare" si fermò davanti a lui e si accucciò "Tua madre proviene dal nord. Da una delle terre che adesso combattono contro la nostra... la mia. Dal nemico, Will. Ho trovato... ho trovato un uomo che la conosceva, che l’ha vista nascere. È un monaco, che forse saprà dirti qualcosa di più. L’importante è che tu hai sangue nobile nelle vene, William. Non sei solo il figlio di un mugnaio"
A Will girava la testa. Aveva troppe cose a cui pensare. La cella, la ragazza che lo guardava ostinata, sua madre, l’esecuzione. L’esecuzione si avvicinava e d’un tratto lui seppe che non voleva morire. Che voleva vivere, vivere e andarsene da quel luogo, da quella regione sconfinata e ostile.
"Che cosa dovrei fare?" chiese "Dovrei scappare?"
Briseide parve scegliere con cura le parole. "Credi che sia uno scherzo uscire da qui? Ci sono guardie dappertutto. Però... però io un’idea ce l’avrei" si alzò e si rimise a passeggiare.
"Vostra grazia, mi fate venire il mal di mare" sussurrò Will guardandola.
"Oh, stai zitto!" scosse la testa "Lasciami pensare" si fermò e guardò la porta. "Guy verrà presto" soggiunse "Ascoltami bene, Will. Io posso far ritardare l’esecuzione di qualche secondo, ma tu dovrai fare la tua padre. Una guardia molto fedele a me, più che a mio padre, ti passerà il coltello mentre ti portano al patibolo, ma dovrai fare alla svelta. Dovrai essere più veloce di Guy. Dovrai farti bastare i secondi che precedono l’esecuzione"
"Ne siete certa?"
"No" rispose sincera lei "Ma può funzionare. Ti chiedo soltanto una cosa. Quando avrai scoperto chi sei, torna qui e salvami da Guy" si avvicinò e gli prese le mani "So che ti sembrerà strano, ma io ho bisogno di sapere che mi aiuterai"
"Se questa fuga riesce, sarò in debito con voi" Will la guardò negli occhi ambra, così vicini e disperati "Tornerò. Ve lo prometto"
"Bene" guardò fuori dalla finestrella "è quasi il tramonto. Guy sarà qui tra poco. Darò istruzioni alla guardia. Mi raccomando Will, sii prudente, e non ti fermare finché il cavallo avrà forze, o ti prenderanno"
Will la guardò voltarsi e fare un passo, poi ci ripensò e si voltò di nuovo. "Questo" si tolse la collana che aveva al collo, e ne estrasse il ciondolo, che era un semplice anello d’oro senza nessuna pietra o nessun fregio "era di mio padre. Me lo dette quando morì mia madre. Prendilo tu, così ti ricorderai che lo rivoglio indietro" glielo mise sul palmo sfregiato, accarezzando per un attimo una delle cicatrici. Lo guardò per un ultimo istante, poi lasciò la cella. Will, si sedette, e si passò l’anello da una mano all’altra. Se lo infilò al medio, dove gli andava leggermente stretto. Era così semplice che non avrebbe attirato l’attenzione dei ladri. Fuori dalla cella si udì uno scalpiccio. Era arrivata l’ora. Per fortuna Briseide aveva calcolato bene i tempi. Guardò per un’ultima volta l’anello, e un brivido di freddo gli percorse la schiena. Alzandosi, Will si accorse che tutto intorno, d’improvviso, era calato il gelo.
 
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Briseide cercò di ricacciare indietro le lacrime. Doveva funzionare. Tutto il gioco dipendeva da Llen. Sapeva che conosceva bene Will, sapeva che le era fedele più di qualsiasi altro soldato. Will sarebbe riuscito a liberarsi? Sarebbe bastato? Doveva bastare, si disse mentre usciva dalle segrete. Quel posto le metteva i brividi e cercò di calmarsi. Aveva voglia di nascondersi da qualche parte e aspettare che tutto fosse finito. Forse era proprio quello che doveva fare. Si fermò. E poi perché darsi tanto da fare per quel ragazzo?
Perché ti sei innamorata di lui, Briseide, le disse una vocina fastidiosa. Briseide scosse la testa. No, si disse, soltanto perché devo liberarmi di Guy. Ma non era sicura che quella fosse la risposta giusta. Ad ogni modo salì i pochi gradini che la portarono fuori. Si guardò intorno mentre cercava il soldato. Lo trovò seduto all’esterno del chiostro. Puliva la sua spada, incrostata di fango, ruggine e non volle sapere cos’altro. il suo volto era cupo e gli occhi grigi fissi sul suo lavoro. Gli si avvicinò. Lui si alzò e s’inchinò, deponendo la spada accanto a sè, ma prima che potesse dire qualcosa Briseide lo fermò. "Ho bisogno di te, Llen" si guardò intorno "Ho bisogno che tu faccia fuggire William"
"Che cosa?" sussurrò il soldato, sbarrando gli occhi grigi "Che cosa volete che io faccia? Ma siete completamente pazza? Non posso" scosse la testa e si rimise a sedere, prendendo di nuovo la spada. Se la rimise in grembo, ricominciando a sfregare con lena. "Guy mi ucciderà. Mi odia. Ho già fatto un favore a William, quando eravamo nell’esercito. Non posso"
"Sì che puoi" lo pregò Briseide "Devi. Llen, la vita di Will è nelle tue mani. Ti prego, ho bisogno che tu faccia in modo che lui trovi un cavallo veloce, la sua spada e il suo mantello fuori dalle mura del castello" abbassò la voce ad un sussurro "E voglio anche che tu gli passi questo" dalla fodera della gonna, Briseide estrasse il coltellino di corno che Guy aveva tolto dalla fusciacca di pelle di Will. Llen lo guardò per un momento. 
"Vostra grazia, non posso" la guardò negli occhi colpevole "Sono soltanto un soldato. Ho fatto la mia parte durante a guerra" sospirò "Will mi ha salvato la vita migliaia di volte in battaglia, ma non posso. Ho bisogno di vivere. Devo sposarmi con una ragazza..." arrossì per la vergogna "o sarà ripudiata dal padre".
"Se riesci a far fuggire William" sussurrò Briseide "ti giuro che Guy non ti toccherà nemmeno con la punta delle dita" gli passò il coltello dalla parte del manico "Farò in modo che il vostro matrimonio avvenga al più presto, Llen, ma tu devi aiutarmi!" lo pregò. Llen sembrò soppesare la proposta.
"Filomena... si chiama Filomena. Se... se Guy lo sapesse, che ho aiutato Will e decidesse di punirmi, vi prego, aiutatela"
"Te lo prometto" bisbigliò Briseide. Llen prese titubante il coltello che lei gli offriva, e si affrettò a nasconderlo tra le pieghe delle vesti, sotto la cotta di maglia. Briseide lo guardò.
"Llen, mi dispiace doverti coinvolgere, ma non voglio che Will muoia"
"Nemmeno io, voglio che muoia, vostra grazia, Dio solo sa quante volte Will mi ha difeso da Guy. Spero soltanto che Guy non venga a saperlo"
"Non verrà a saperlo, Llen, te lo prometto" Ma perché non ti mordi la lingua di tanto in tanto?, le chiese la sua coscienza. Lei la zittì. Non c’era tempo per i ripensamenti. Le trombe squillarono, sulla torre. "NO!" esclamò lei. Aveva pochissimo tempo. Guardò Llen. Lui annuì.
"Farò ciò che volete" s’inchinò "Per Will"
Lei gli sorrise, tristemente, e corse via, verso le mura. Sapeva che Guy stava scendendo nelle segrete, per prendere Will. Sapeva che gli avrebbe legato le mani dietro la schiena con una corda, nemmeno troppo robusta, perché intorno al patibolo ci sarebbero state una decina di guardie. Alcune di esse le erano fedeli, ma non poteva chiedere loro di rifiutare un ordine del loro comandante. Salì, in preda al panico le scale, tirandosi il vestito sopra le ginocchia. Se l’avesse vista suo padre le avrebbe dato tanti di quei schiaffi che l’avrebbero fatta piangere per giorni. Cercò di smorzare il fiatone e di non farsi prendere dall’agitazione. Sarebbe andato tutto bene, Will sarebbe scappato e lei non avrebbe sposato Guy. Forse Will sarebbe riuscito a scoprire quale legame c’era tra il suo sangue e il sangue dei re di Solea. Questo non glielo aveva detto, ma quel monaco le aveva raccontato che un giorno la figlia del re di Solea era fuggita, senza lasciare alcuna traccia di sé. Si raccontava ancora, come una leggenda, che fosse stata rapita per la sua bellezza e portata nelle terre sconosciute oltre il mare. Briseide sapeva che quelle terre non erano poi molto diverse da quelle dove lei era cresciuta, ma le storie che i vecchi e i menestrelli raccontavano, narravano di bestie grandi come case e di streghe e maghi, di incantesimi e altro ancora, di terrificante e insieme eccitante. Briseide sapeva che maghi e streghe non esistevano, ma non era sicura se lo volesse davvero scoprire. Aprì la porta che l’avrebbe condotta al camminatoio che di solito usavano le guardie. Lì trovò suo padre.
"Dove ti eri cacciata, figlia mia?" chiese. Lei si avvicinò. Il patibolo era circondato dalle guardie. Poche persone del castello era venute ad assistere all’esecuzione.
"Ero nelle segrete, padre, a parlare con il prigioniero. Adesso il governatore della città assiste ad una banale esecuzione?" era inutile mentire, suo padre l’avrebbe scoperto immediatamente, ma voleva sapere perché suo padre voleva vedere Will morto.
"Perché?" suo padre eluse volutamente la domanda, voltandosi a guardarla. Briseide lo fissò. Aveva gli occhi ambra proprio come i suoi.
"Perché volevo chiedergli alcune cose. Ma lui non mi ha risposto, proprio come te" era soltanto una mezza bugia, in realtà era stata lei a parlare, per quasi tutto il tempo.
"Molto bene" il governatore indicò la strada "eccolo il tuo prigioniero. Con Guy. Quando sarai più grande Briseide, capirai che un governatore ha molte responsabilità. Se all’esecuzione partecipa il governatore vuol dire che ciò che ha fatto il condannato non deve essere più rifatto. Capisci?"
Ma Briseide non stava ascoltando. Vide Will seguire Guy a testa alta. Il vento gli scompigliava i capelli neri. I suoi occhi azzurri erano puntati sul patibolo. Briseide avrebbe voluto sapere che cosa stava pensando in quel momento. Al suo fianco sinistro c’era Troy, un ragazzo di poco più di sedici anni, arruolato da Guy pochi giorni prima, basso di statura e un po’ ritardato, mentre dall’altro aveva Llen. Briseide sperò che tutto filasse liscio. D’un tratto vide un movimento dietro la schiena di Will, ma il suo bel volto rimase impassibile e quando Guy gli ingiunse di inginocchiarsi davanti al tronco per le esecuzioni, il suo sguardo rimase fisso davanti a sé. Briseide strattonò la manica del padre.
"E il boia?" chiese. Non aveva visto nessun uomo con il cappuccio, e non credeva che Guy potesse uccidere così.

Suo padre non rispose. Non ce n’era bisogno.
D’un tratto tutte le speranze di Briseide furono portate via, come da una folata di vento. Will, con un coltello di corno, non aveva nessuna possibilità contro l’ascia di Guy. Il ragazzo poggiò il collo sul tronco. Briseide si voltò dall’altra parte. Non voleva vedere. Era la cosa più crudele che potesse mai immaginare. Aveva voglia di scoppiare a piangere, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla. Poi d’improvviso un grido lacerò il silenzio.
Si voltò. Vide Guy a terra, un taglio profondo sulla gamba destra. Will in piedi, le mani libere dalle corde, saltò giù dal patibolo, con una agilità che Briseide non aveva mai visto in nessun uomo prima di allora. Abbatté due delle guardie che gli paravano la fuga e stese anche Llen. Vide il soldato sorridere e lanciare in aria le corde che avevano tenuto legato Will. Briseide lo vide combattere con un altro soldato. Will lanciò un imprecazione quando la spada del soldato gli ferì il braccio. Gli diede un calcio nel costato e lo spedì a terra. Fuggì, verso le porte della città. Briseide sapeva che avrebbe trovato il suo mantello, la sua spada e il miglior cavallo delle proprie stalle.

Guardò verso Guy. Era pallido e si teneva la gamba con una mano. Le venne da sorridere. Suo padre stava dando istruzioni circa la cattura del fuggitivo. Era stato tutto troppo perfetto, si disse Briseide, ma in quel momento non poteva fare altro che provare sollievo. Will sarebbe tornato da lei, e l’avrebbe portata via da quel luogo orribile. Guardò suo padre.
"Tu non sai niente di niente, vero, Briseide?" chiese guardandola con cipiglio severo.
"No di certo, padre. Non volevo che morisse, ma certo non sono stata io a farlo fuggire. Ero, e sono, qui con voi, no?"
"Lo so" osservò lui serio "Ma niente e nessuno mi potrà mai dare la sicurezza che tu non hai convinto quella guardia a passargli il coltello"
Briseide rimase in silenzio. Era convinta che lui non avesse visto nulla. Invece l’aveva scoperto ancora prima di lei
"Briseide, io so che che non vuoi sposare Guy, ma questo non ti aiuterà. Non farò nulla. Non farò arrestare quella guardia, e non prenderò provvedimenti, tranne inseguire William di Monte Argento" aggiunse con un sospiro. "Promettimi che mi parlerai sempre"
"Ve lo prometto" si sentiva un po’ colpevole, ma non certo tanto da confessare ciò che aveva fatto. Forse, se Will fosse tornato avrebbe detto tutto. Forse.
Quella sera, quando Briseide si affacciò alla sua finestra, pettinandosi i lunghi capelli rossi, vide un cavaliere con un lungo mantello, la spada sguainata che riluceva ai raggi della luna. Il cavaliere alzò la spada verso la finestra, il cavallo che si impennava. Spronò il destriero e scomparve nella nebbia.



Ringraziamenti:

Araluna:
grazie per esserci sempre! Senza le tue recensioni non saprei proprio come fare... Hai ragione, l'inizio dello scorso cap non era un gran che, ma questa storia l'ho scritta tempo fa e l'università mi impegna molto, perciò non ho tempo di riguardare bene i capitoli che posto. Spero che questo ti sia piaciuto! Un bacione!



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Capitolo 4
*** Un incontro inaspettato ***


Capitolo Quattro


La pioggia scrosciava forte sopra la città di Chiaravalle. Pioveva ormai da ore, e le strade si erano trasformate in fiumi, le piazzette in piccoli laghi. I vicoli stretti celavano ancora qualcuno che non aveva casa, o che semplicemente non poteva tornarci. Molte donne senza uomini, se ne stavano rintanate in casa, con i propri bambini, piangenti sotto il temporale. La vita di Chiaravalle era stata quasi interrotta, tre anni prima, quando gli uomini e i ragazzi al di sopra dei quattordici anni erano stati arruolati per la guerra. Qualcuno era tornato a casa, ferito, mutilato, ma vivo, mentre di altri, le mogli non avevano avuto altro che una spada, o un elmo, o uno scudo ammaccato. I bambini giocavano alla guerra per le strade, senza sapere che era proprio il loro gioco, un gioco da grandi, che aveva portato via i loro padri. Nessuno poteva lenire il dolore delle donne, costrette a tutto pur di dar da mangiare ai propri figli. Chiaravalle era diventata una città spettrale, non solo nei giorni di pioggia.
E fu proprio in un giorno di temporale che Will arrivò in città. Dopo una settimana passata a cavalcare, fermandosi soltanto per dormire qualche ora, per mettere più strada possibile fra sé e i soldati di Guy, aveva bisogno di un posto dove dormire, riposarsi, possibilmente che fosse asciutto. Fece scendere il cavallo per le briglie dal poggio su cui era salito per vedere la città, e quando decise che era abbastanza isolata per i suoi gusti, scese a sua volta. Bussò alla prima locanda. Aveva soltanto poco argento, per altro nemmeno suo, ma di un vagabondo che aveva trovato sul ciglio della strada, con cui aveva diviso la selvaggina, e poi aveva derubato. Si sentiva sporco, per quell’azione, ma non poteva fare altrimenti. Lui sarebbe vissuto, Will non poteva ancora considerarsi in salvo. Entrò. C’era puzzo di muffa, ma l’ambiante era caldo. Lasciò scivolare il cappuccio sulla schiena. Aveva i capelli quasi bagnati, arruffati, e il volto sporco di polvere. Si sentì addosso tutti gli occhi dei presenti. Si avvicinò cercando di non farsi prendere dalla rabbia, al bancone. L’oste lo guardò con occhi truci. -Che cosa vuoi straniero?-
-Soltanto un letto asciutto- rispose Will. Era talmente stanco che non cercò nemmeno di dissimulare il suo accento. L’oste lo guardò ancora più diffidente.
-Sali se scale, le camere sono al piano di sopra. Se sai leggere quella libera è la numero 9, mentre se non lo sai fare arrangiati- sbatté sul ripiano un boccale di legno vuoto. Will lo fissò per un momento.
-Posso avere qualcosa da mangiare?- chiese.
-Non c’è rimasto molto. Solo del montone e del pane- lo informò l’oste, scortesemente.
-Andrà bene- si limitò a rispondere Will, allontanandosi.
-Ehi straniero!- lo richiamò l’oste -Pagamento anticipato. Tre pezzi d’argento per la camera. E devi dirmi il tuo nome-
Will rabbrividì. Si riavvicinò. Posò sul bancone quattro pezzi d’argento. -Facciamo quattro monete, e scordiamoci il nome- sussurrò. L’oste lo guardò di sbieco.
-Sei un assassino?- chiese. Will sfoderò il suo miglior sorriso e sfiorò la spada, così che l’oste potesse vederla.
-Una specie- rispose sarcastico -Ma non ti conviene scoprirlo- l’oste prese i pezzi d’argento e chiamò un ragazzino, che arrivò trotterellando.
-Servi il cavaliere, Ranocchio- ordinò. Il ragazzino scortò Will ad un tavolo vuoto, poi pochi minuti dopo gli portò il montone e il pane. Will lo guardò per un momento. Aveva il viso sporco e i vestiti logori. Doveva avere più o meno dieci anni, ma era talmente magro che Will faticava a riconoscere un ragazzino. Aveva la faccia sveglia, ma nei suoi occhi c’era tristezza.
-Perché ti chiama Ranocchio?- chiese mentre spezzava il pane. Il ragazzino alzò le spalle.
-Perché sono piccolo...- ipotizzò biascicando le parole. Lo guardò negli occhi. Una delle due iridi nere come pozzi, era strabica. Will fu colto dalla pietà. Il ragazzino sorrise tristemente, e Will vide che gli mancavano i due denti davanti. Se ne andò, lasciandogli una sensazione di gelo in fondo allo stomaco. Mangiò lentamente, aspettando che i molti avventori si ritirassero nelle loro camere. Quando furono rimasti soltanto un paio di ubriaconi si avvicinò di nuovo al bancone.
-Ho bisogno di un’informazione, oste- disse. L’altro lo guardò mentre riponeva brocche ancora piene sotto il banco. -Ho bisogno di sapere quanto dista il confine con la Solea-
-Sei impazzito?- sibilò l’oste -Devi essere completamente senza cervello, straniero, se vuoi andare in Solea. C’è la guerra, non lo sai?-
-È per questo che devo andarci- replicò Will, cercando di apparire convincente -Allora, quanto dista?-
-Due settimane a cavallo, con il tempo buono- rispose l’altro alzando le spalle -Se vuoi morire-
-Sono scampato a cose ben peggiori, oste- lo rimbeccò Will -Posso sopravvivere ad un temporale-
-Ma non alla neve- il locandiere lo squadrò da capo a piedi, gli abiti neri, il mantello fradicio, i capelli neri -Da dove vieni?-
-Da molto lontano- ribatté Will. Non aveva nemmeno la forza per mentire, perciò decise che era meglio chiudere la conversazione -Grazie dell’informazione- fece per andarsene ma l’oste lo richiamò.
-Senti, straniero, io non so da dove tu venga e dove tu voglia andare, ma Chiaravalle non è un buon posto dove stare per te- lo raggiunse aggirando il bancone -Domattina svegliati all’alba e vattene- fece una smorfia -Non lo dico per te, ma per me. Non so chi tu sia, ma non somigli a nessuno dei girovaghi che ho visto in quarant’anni, perciò è meglio che tu sparisca il più presto possibile, mi sono spiegato?-
-Perfettamente- sibilò Will, la voce carica di rabbia. Salì le scale, cercando di non cadere per la stanchezza. S’infilò dentro la stanza, si tolse gli stivali, il mantello e gli abiti, appendendoli al camino spento. Non aveva la forza di accenderlo, perciò si sdraiò sotto il lenzuolo ruvido, fissando il soffitto appena riconoscibile alla fioca luce che proveniva da fuori, dove il temporale si stava calmando. Tre settimane prima era stato in una locanda simile, a Ponte Bruciato, prima che s’imbattesse in Briseide e prima che Guy tentasse di ucciderlo. Briseide aveva mantenuto la parola, Will aveva trovato un cavallo, la spada e il suo mantello fuori dalle mura del castello. Non si era fermato finché il cavallo non aveva dato segni di cedimento. Le costole avevano cominciato a fare male, e lui si era dovuto stendere, con la testa appoggiata alla sella. Il cavallo l’aveva svegliato il giorno dopo, all’alba. Si era sentito meglio, ma le costole gli facevano ancora vedere le stelle. Era stato allora che aveva incontrato il girovago. Era un menestrello, un giocoliere. Era accasciato sul ciglio della strada, probabilmente troppo ubriaco per proseguire. Lo aveva fatto rialzare e aveva diviso con lui quel poco che era riuscito a cacciare. Il girovago gli aveva raccontato che proveniva da una città lungo il confine, Valletetra, e che era incappato in una colonna di soldati. Aveva fatto qualche giochetto per loro, e i soldati, in cambio, lo avevano pagato con del vino straniero. Will non era riuscito a strappargli altro dalla bocca, perché questo aveva ricominciato a farfugliare e dopo poco si era addormentato. Will allora aveva preso la sua sacca e se ne era andato. Probabilmente a quell’ora il girovago stava imprecando contro di lui. Scivolò nel sonno, ma durò soltanto qualche ora, perché d’improvviso Will si svegliò, rabbrividendo di freddo. Guardò verso la finestra. La pioggia scendeva ancora, ma non doveva mancare ancora molto all’alba.
Si mise a sedere. La locanda era silenziosa, troppo silenziosa. Si alzò, si rimise i calzoni e frugò nella sacca del girovago. C’erano una corda robusta e qualche trucco da giullare. La corda probabilmente gli sarebbe servita. Si rimise a letto, fingendo di dormire. I rumori soffocati che provenivano dalle scale non lasciavano presagire nulla di buono. Aguzzò le orecchie, cercando di distinguere i rumori dentro e fuori la locanda. Un lupo ululò in lontananza. La pioggia scrosciava ancora, ma meno violentemente sulle imposte di legno. Sentì il chiavistello della porta vibrare, girare su se stesso e poi aprirsi con un lieve tock. Sfiorò il coltello che teneva sotto il cuscino. Dei passi lievi sul pavimento si avvicinarono al letto. Will non fece nemmeno in tempo a tirare fuori il coltello che la lama fredda di una spada gli si appoggiò sulla gola.
-Non sono qui per ucciderti- sibilò una voce. Will deglutì. -Alzati- si girò, e vide che, chiunque egli fosse, stava accendendo le candele. Portava un lungo mantello scuro, che lo nascondeva da capo a piedi. Will si mise a sedere sul letto. -Chi sei?-
-Una cosa alla volta- bisbigliò lui. Aveva una voce delicata, più da donna che da uomo. Poggiò le candele sul comò e fece scivolare via il cappuccio. Portava i capelli raccolti in una stretta crocchia alla base della testa, biondo oro, gli occhi di un intenso blu scuro, e il volto giovane e delicato di una ragazza. Era molto giovane, di certo più di Will.
-Puoi chiamarmi Astro- sussurrò avvicinandosi, gli stivali bagnati che lasciavano impronte sul pavimento -Sono la figlia del locandiere- si guardò intorno -Devi andartene subito, mio padre si è preoccupato di far avvertire da Lik le guardie-
-Lik?- chiese Will leggermente frastornato.
-Ranocchio- soggiunse lei -Il piccolo mostriciattolo che ti ha servito-
-Quanti anni hai?- chiese di nuovo Will, alzandosi e infilandosi gli stivali. Anche per quella notte aveva dormito così poco da essersi perfino scordato di come si faceva -E perché mi avverti?-
-Ho sedici anni, straniero, e ti aiuto per il semplice fatto che voglio che tu mi porti con te-
-Che cosa?- Will si sentiva girare la testa. Non aveva ancora digerito il fatto di essere scappato così fortunatamente dall’ascia di Guy, che già un’altra psicopatica esigeva il suo aiuto.
Già, perché aveva promesso alla figlia del governatore che sarebbe tornato a salvarla da Guy. Che stupido! Si era messo nei guai per l’ennesima volta. come se non vi fosse abbastanza abituato. Sembrava che tutto il mondo si fosse coalizzato contro di lui. Si rimise la camicia, passando la cintura di pelle della spada sui fianchi. Sentì subito la pesantezza che di solito non lo affaticava. Quella mattina, invece, avrebbe voluto non dover portarla continuamente. Nascose il coltello nella fodera di pelle dei calzoni, si agganciò il mantello al collo e tornò a fissare la ragazza. -Perché?-
-Perché Chiaravalle non è più un posto sicuro, per me- rispose lei imbarazzata. Will poggiò le mani sui fianchi.
-Che cosa intendi dire?-
-Quello che ho detto- Astro evitò il suo sguardo, eludendo la domanda. -Andiamo?-
-Non prima che tu mi abbia detto perché vuoi andartene- ribatté Will scocciato. Non gli andava di dover far da balia ad una ragazzina, ma se poteva farlo uscire incolume da Chiaravalle, allora avrebbe fatto uno strappo alla regola. In fondo, un po’ di compagnia non avrebbe guastato, e se non fosse stata al passo poteva sempre lasciarla indietro. Si stupì di se stesso. Una volta non avrebbe ragionato in quel modo. Una volta non avevi fatto la guerra, pensò leggermente innervosito. La vide esitare, spostando il peso del corpo da un piede all’altro.
-Ho... ho fatto una cosa che non dovevo- rispose alla fine.
-Che tipo di cosa?- chiese Will incalzandola. Astro gli voltò le spalle.
-Avevo un... fidanzato. Era il figlio del fabbro. Ma è partito per la guerra due anni fa e da allora non ho più avuto pace. C’era gente che diceva che non sarebbe più tornato. C’era chi sosteneva che fosse già morto- sospirò e le spalle magre si strinsero -Di partire per cercarlo non ne avevo l’intenzione, immaginati una ragazzina sola in mezzo alle truppe impegnate nella guerra- si voltò. Will non disse nulla. Visto che non proferiva parola Astro continuò. -Sono stupida e ingenua. Mi sono lasciata sedurre da un mercante, un uomo molto ricco che mi ha promesso di portarmi con sé per il mondo. Beh, puoi indovinare come è andata a finire. Lui è partito senza di me, ed io sono rimasta qui, senza un uomo, senza un futuro, e senza innocenza- il volto di Astro era indurito dalla rabbia e dall’odio. I suoi occhi scrutavano il volto di Will come per accertarsi che non stesse parlando da sola. -Adesso possiamo andare?-
-No- rispose Will -Tu non vieni, Astro. Io sono un ricercato. Sono fuggito dal palazzo del governatore di Salazard-
-Sai che cosa m’importa!- inveì contro di lui Astro -Io voglio soltanto andarmene!-
-Ma...-
-Ti consegnerò ai soldati, se non mi porti con te- sguainò la spada -Mio padre mi ha insegnato come usarla e non ho paura- la puntò contro di lui. Will non aveva il minimo dubbio di poterla battere, ma non voleva combattere contro una ragazzina. Scosse la testa. Tutte a me devono capitare, pensò.
-D’accordo, Astro, ti porterò con me, ma devi promettere una serie di cose-
-Che cosa?- chiese lei abbassando la spada.
-Che seguirai ciò che ti dico. Che non farai niente di avventato, che non ti lamenterai- si tirò il cappuccio sui capelli -Non andiamo a fare una passeggiata. Fuggiamo. Perciò dovremo essere invisibili, veloci e prudenti-
-Come si può essere veloci e prudenti allo stesso tempo?- chiese Astro calandosi il cappuccio del mantello sugli occhi. Will non rispose, ma lo sguardo che mandò ad Astro pareva dire tutto. Legò la corda ad una delle imposte della finestra, pregando che fossero abbastanza robuste da reggere il suo peso. Era magro, certo, ma era anche molto alto. Fece scendere prima Astro e quando ebbe toccato terra scese a sua volta, imprecando contro il muro fradicio di pioggia. Lasciò la corda ad ondeggiare sul muro, mentre l’acqua la impregnava facendola diventare del colore del sangue rappreso. Corsero verso le stalle, recuperando il cavallo di Will. Astro sellò una puledrina da pelo fulvo, dai dolci occhi neri. Will non aveva mai visto una donna cavalcare come faceva Astro, e dovette ammettere che se la cavava bene. Incontrarono alcune persone per strada, ma esse non diedero nemmeno uno sguardo a due cavalieri che lasciavano Chiaravalle. Tutti lasciavano quella città prima o poi. quando furono giunti ad una collina poco distante, Astro si guardò indietro.
-Mi mancherà mio padre- sussurrò. Will non fu certo di aver capito bene, ma scosse le spalle.
-Andiamo, Astro, abbiamo molta strada da fare- la strada battuta era da evitare, ma con quel tempo le altre strade erano diventate un lago, e all’interno del bosco non si poteva cavalcare veloci. Astro non parlò mai, e Will non fece nessun tentativo di conversazione. Continuava a ripensare alla pergamena strappata che aveva trovato dentro il medaglione, a Briseide, che era così fiduciosa del fatto che, prima o poi, lui sarebbe tornato e avrebbe ucciso Guy, allo stesso Guy, suo fratellastro, sangue del suo sangue, che era così preoccupato di ucciderlo e di diventare re. Non aveva nessuna intenzione di sfidarlo a duello, ma se ce ne fosse stata l’occasione avrebbe tanto voluto strangolarlo con le proprie mani. Guardò davanti a sé. La pioggia cessò lentamente, e lui si guardò le mani, su cui scorrevano ancora alcuni rivoli d’acqua. Quelle mani avevano ucciso tante persone, soldati, soprattutto, ma anche gente comune. Sentiva la stanchezza consumargli la ragione. Aveva bisogno di riposo, meritato riposo, anche su una roccia avrebbe dormito, di questo era sicuro. Guardò verso Astro. Il cappuccio le copriva gli occhi, e non poteva vedere la sua espressione. Il sole fece capolino attraverso le nubi ancora grasse di pioggia, ma l’aria rimase fredda e umida. Will aumentò il passo del cavallo, lasciando un po’ indietro Astro.
-Muoviti, dobbiamo lasciare questo posto il più presto possibile- la rimproverò voltandosi verso di lei. Astro alzò la testa e si tolse il cappuccio. I suoi occhi blu erano carichi di amarezza.
-Si da il caso che questo posto fosse la mia casa-
-E allora perché te ne sei andata?- la provocò Will mettendosi di fianco a lei.
-Se non mi sbaglio te l’ho già detto perché me ne sono andata- sospirò -Chiaravalle non è più un posto sicuro per nessuno, figuriamoci per me-
-Beh, non è certo una cosa così grave- commentò Will. Astro lo guardò negli occhi, stupefatta.
-Non è una cosa grave?- chiese -Ma da dove vieni? Da che mondo e mondo adesso nessuno mi sposerà più. Nessuno vorrà avere a che fare con una ragazza che è stata violata prima del matrimonio- Astro alzava progressivamente la voce e non si era accorta di stare urlando. Will la zittì.
-Shh. Non devi urlare così, Astro- la rimbeccò. Lei strinse le spalle.
-Scusa- sussurrò. Cavalcarono in silenzio per qualche tempo, poi Astro si avvicinò nuovamente al cavallo di Will.
-Senti, non so nemmeno il tuo nome. Non posso chiamarti straniero, non trovi?- chiese con un sorrisetto amareggiato. Will le sorrise condiscendente. In fondo era solo una ragazzina, non poteva certo ucciderlo durante il sonno. Il suo poi era particolarmente leggero.
-Mi chiamo Will- rispose.
-Will e poi?- chiese Astro accarezzando la criniera della puledrina.
-Will e basta- ribatté Will senza scomporsi. -William-
-Oh- fece lei. -Io mi chiamo Andrea, ma tutti mi chiamano Astro-
-Perché non ti fai chiamare con il tuo nome?- chiese Will stupito.
-Perché era il nome di mio nonno- ringhiò lei -e mio nonno era un assassino. Ha ucciso il vecchio governatore di Chiaravalle, per poter comandare per conto suo, e poi è stato ucciso a sua volta- sospirò -Chiaravalle è senza un governatore da dieci anni, e nessuno amministra più la giustizia- fece un sorrisetto sarcastico -Meno male, aggiungerei, altrimenti sarei già stata impiccata-
Will non rispose. Ripresero a cavalcare in silenzio. Quando il sole fu alto nel cielo Will decise che si sarebbero fermati. Entrarono nel bosco, il sottobosco ancora umido per la pioggia, e s’inoltrarono tra gli alberi finché non incontrarono una radura.
-Perché ci fermiamo?- chiese Astro guardando Will scendere dal cavallo.
-Perché ho bisogno di dormire- rispose lui. Aveva i muscoli rigidi e la mente appannata. Aveva bisogno di riposarsi per qualche ora. Gli sarebbe bastato.
-Ma se hai detto che dobbiamo allontanarci il più presto possibile?-
-L’ho detto- convenne Will legando il cavallo ad un albero e liberandolo della sella -Ma io ho bisogno di riposo. Non andrò lontano in queste condizioni- si portò una mano al costato, dove le costole incrinate gli facevano ancora vedere le stelle.
-Che cosa ti è successo?- chiese Astro scendendo da cavallo. Will non rispose subito. Stese la coperta che aveva trovato nella bisaccia attaccata alla sella del cavallo e ne trasse anche il suo taccuino. Sorrise. Briseide l’aveva probabilmente estorto a Guy. E Guy era talmente stupido, quando si trattava di un paio di occhi dolci, che glielo aveva dato senza sospettare nulla. Spuntò i giorni, lo rimise al suo posto e si sedette sopra la coperta. -Ho avuto un diverbio abbastanza acceso- rispose alla fine alzando gli occhi su Astro. Si tolse il cappuccio. Quando guardò di nuovo Astro lei trasalì.
-Ma tu hai gli occhi azzurri- sussurrò.
-Perché non ci vedi?- chiese Will sarcastico. Astro scosse la testa.
-Al buio... mi erano sembrati scuri- si scusò -Da dove vieni? Sei così diverso dagli altri-
Will non rispose. Non gli andava di fare conversazione, ma Astro era di un'altra opinione.
-Da dove vieni, Will?- si accucciò accanto a lui. Will la guardò. Non ci aveva fatto molto caso, mentre cavalcavano. Astro portava abiti maschili, calzoni infilati negli alti stivali di pelle, molto simili ai suoi, una camicia di lana grezza e un giustacuore dai bottoni usurati. Il mantello le stava troppo grande e le cadeva male sulle spalle.
-Da molto lontano, Astro- sospirò dopo un po’ -Un luogo che tu non conosci-
La ragazza si sedette sulla coperta di Will. Guardò altrove, eludendo il suo sguardo. -Avrei voluto davvero vedere il mondo, sai Will? Avrei voluto davvero fuggire prima da Chiaravalle e forse adesso, non mi troverei in questo pasticcio-
-Pasticcio?- Will scoppiò a ridere -Tu ti trovi in un pasticcio? Beh, allora io sono proprio senza speranza- si sdraiò, appoggiando il capo sulla sella. Chiuse gli occhi, e un attimo dopo già dormiva.

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Astro non si fidava di nessuno, di norma. Restò immobile a fissare il volto addormentato di Will, chiedendosi perché fosse lì insieme a lui. Non ne aveva avuto già abbastanza di uomini? Non aveva per caso imparato la lezione? Si chiese se non fosse il caso di tornare indietro. Magari suo padre la stava cercando, era preoccupato per lei, e suo fratello stava già cavalcando per cercarla. Scosse la testa, era troppo bello per poter essere vero, purtroppo. Incrociò le gambe e tornò a guardare il volto di Will. Aveva una lunga cicatrice sul collo, forse il ricordo di una freccia, ancora fresca. Astro era rimasta stupita di fronte alla strana bellezza di quello straniero. L’aveva guardato a lungo, cercando di capire da dove potesse venire. L’aveva chiesto a suo padre, ma lui le aveva soltanto risposto che non doveva chiederselo. Le aveva messo in mano un vassoio e l’aveva spedita a servire i clienti, lontano da quel ragazzo misterioso. Più lo guardava e più non capiva. I suoi occhi azzurri, alla fioca luce delle candele le erano sembrati scuri, e non vi aveva fatto caso, ma poco prima, quando si era tolto il cappuccio era rimasta paralizzata dalla freddezza con la quale quegli occhi la guardavano. Avrebbe dovuto dar retta a suo padre e rimanere alla taverna, ma non poteva più restare a Chiaravalle. Tutti sapevano che cosa era successo. Ripensandoci le venivano le lacrime agli occhi. Come era potuto succedere? Era stata così ingenua e così infantile, nel credere alle moine di quel mercante. Lui, in fondo, aveva il doppio dei suoi anni, e lei non aveva nessuna esperienza degli uomini. Quando le aveva proposto di partire con lui, non se l’era fatto ripetere due volte, ma quando l’aveva portata nella sua camera, lei aveva capito che qualcosa non andava. Aveva lottato con tutte le sue forze, ma lui era molto più forte. Il giorno dopo era partito, per non fare mai più ritorno. Astro aveva quindici anni, e per un anno intero era riuscita a mantenere il segreto di ciò che era successo, ma quando l’erborista aveva voluto visitarla per le febbri che l’avevano colpita, aveva scoperto tutto, e l’aveva detto a suo padre. Non le aveva rivolto la parola per giorni, poi quando finalmente le aveva parlato era stato soltanto per rimproverarla di non aver fatto bene il suo lavoro, e di non aver pulito a dovere le camere della taverna. Era stato allora che Astro aveva deciso di andarsene.
Sospirò, ripensando alla sera prima. Era entrata senza fare rumore, e lo aveva convinto. Doveva avere molta paura delle guardie del re e anche del governatore che nominava di quando in quando. Astro rivolse di nuovo l’attenzione a Will. Dormiva profondamente, e forse poteva dormire un po’ anche lei. Si sciolse la crocchia, insilando nella fodera del mantello la forcina d’osso. Si stese sulla coperta di Will, rabbrividendo. L’inverno stava arrivando e già le piogge si erano fatte più violente. Non si chiese se fosse giusto o sbagliato, ma avvicinò il corpo a quello di Will, in cerca del suo calore. Appoggiò la testa sulla sua spalla, e chiuse gli occhi. Scivolò nel sonno, ma non durò molto. Un rumore improvviso la fece sobbalzare. Will dormiva ancora. Astro si alzò a sedere, con la testa che girava leggermente. Era tardo pomeriggio, e lei si stese di nuovo, appoggiando nuovamente la testa alla spalla di Will.
-Ben svegliata- una voce familiare le fece riaprire gli occhi (non si ricordava di averli chiusi). Si alzò leggermente e vide gli occhi azzurri di Will guardarla. Arrossì, e i capelli le piovvero sul volto quando chinò il capo.
-Dormito bene?- chiese Will stirandosi. Astro lo guardò. Sembrava più rilassato e sicuramente più incline alla conversazione.
-Sì- sussurrò.
-Bene, perché abbiamo molta strada da fare- si alzò, afferrando il mantello che riposava sulla sella. Se lo agganciò al collo, e per un momento i suoi occhi si posarono su di lei. Le tese la mano.
-Andiamo- disse. Astro prese la mano che Will le porgeva. La trattenne fra le sue.
-Come ti sei fatto queste cicatrici?- chiese seguendo con la punta delle dita i segni indelebili. Will alzò le spalle.
-Un ricordo della guerra- rispose lui. Astro alzò di scatto la testa. Guerra? Aveva sentito bene.
-Tu... tu sei andato in guerra?- chiese. Will alzò di nuovo le spalle.
-Sì, ho combattuto quattro anni-
-Allora... allora tu conosci il mio fidanzato...- balbettò Astro -Si chiama Fedric-
Vide l’espressione di Will cambiare. Eluse il suo sguardo e raccolse da terra la coperta. Non la guardò più.
-Che cosa significa?- chiese ancora Astro -Will!- lo prese per una spalla -Dimmi che lo hai visto! Dimmi che è vivo!-
Will la guardò con quegli occhi azzurri, così freddi, freddi come il ghiaccio che Astro sentiva nel cuore. Lui distolse lo sguardo.
-Non lo so- rispose -Era con me, l’ultima volta che ho combattuto. Ma poi... non lo so dove sia adesso. Ho saputo che l’hanno catturato. Non so se sia ancora vivo-
Astro si appoggiò ad un albero. Fedric non poteva essere morto. Non poteva! Sentì le lacrime premerle ai lati degli occhi, cercò di ricacciarle indietro, ma non vi riuscì e le sentì scivolare lungo le proprie guance. Il freddo s’impossessò di lei. Sentì Will andare e venire dalla radura, ma non le importava. Se Fedric era morto non c’era alcuna ragione di scappare da Chiaravalle. Nessuno sarebbe andato a cercarla, nessuno avrebbe mai potuto toglierle la macchia che aveva sul cuore. All’improvviso le mani di Will le presero le spalle.
-Astro- sussurrò -Non so se Fedric sia vivo o meno- le alzò il volto e la guardò negli occhi -Ma adesso dobbiamo andare. Probabilmente Fedric è ancora vivo-
-Lo dici- tirò su col naso, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia -Lo dici soltanto per consolarmi- lo accusò.
-Può darsi. Odio vedere le donne piangere- rimontò a cavallo e aspettò che anche lei avesse preso delle redini della puledrina. Astro si calò il cappuccio sugli occhi.
-Possiamo andare- disse. Il suo cuore era pesante, ma adesso un po’ meno. Will la guardò per un momento, poi spronò il cavallo. Astro lo seguì.

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Molte miglia più a nord Briseide si alzò dalla poltroncina su cui era seduta e passeggiò irritata su e giù per la stanza, cercando di contenere la rabbia. La sua dama di compagnia, Loretta, la guardò passeggiare freneticamente ed emise un lungo sibilato sospiro. Chinò di nuovo il capo e riprese a ricamare al tombolo. Il complicato disegno sarebbe dovuto apparire sulla tavola di nozze della principessina, ma a lei non importava un gran che. Se continuava di questo passo le sarebbe venuto un colpo al cuore, pensò la dama, cercando di soffocare un sorriso. Briseide si appoggiò alla finestra. Era una bella giornata, il sole splendeva in alto nel cielo e anche se il vento freddo non invitava ad uscire, la ragazza stette vari minuti al balcone, lasciando che le folate di vento le sferzassero il viso. Riusciva a ricordare perfettamente la litigata tremenda che aveva avuto poche ore prima con suo padre, contro cui aveva sputato tutto il proprio veleno. Sei soltanto una piccola impudente, Briseide! Proprio come tua madre!
Perché? Perché ho il coraggio di sfidare le vostre decisioni? aveva ribattuto, già rossa in volto.
Suo padre era rimasto per un momento in silenzio, poi si era avvicinato e l’aveva schiaffeggiata con forza inaudita. Briseide aveva sentito il sapore del sangue in bocca. Suo padre l’aveva guardata a lungo, senza parlare. Poi le aveva voltato le spalle. “Un giorno, Briseide, quando sarai più grande e più assennata troverai sagge queste mie decisioni che oggi ti appaiono così ingiuste. Per il momento, visto che sei mia figlia, dovrai ubbidirmi. Che le mie decisioni ti piacciano o meno, tu sposerai Guy, che l’idea ti alletti oppure ti disgusti. E adesso vai. Non ho più voglia di discutere con te”. L’aveva liquidata come se fosse una serva e lei era corsa via, nelle sue stanze, cercando di trattenere le lacrime. Si era sfogata con Loretta, che si era limitata ad ascoltarla per interminabili minuti. Il monologo di Briseide si era concluso con un “non sposerò mai Guy, fosse l’ultima cosa che faccio”. Come ogni giorno, ormai, Briseide si sentiva sempre più costretta in quel castello fortificato, che la imprigionava e non la faceva respirare. Non aveva più visto Guy da due settimane a quella parte, da quando William era fuggito e non aveva più avuto notizie di lui. Tornò alla finestra, stringendo i pugni. Non avrebbe mai permesso che Guy ereditasse i feudi di suo padre. lui non era un uomo di cui potersi fidare. Era scaltro, anche stupidamente vanesio. Era convinto che ogni donna del reame cadesse a suoi piedi. Briseide sorrise, ricordando quando, qualche mese prima, in Yule, il giorno in cui suo padre credeva fosse nata, Guy aveva ballato goffamente con qualcuna delle serve. Quando aveva pestato l’ennesimo piede nessuna ragazza aveva più voluto ballare con lui. Certo, probabilmente molte lo consideravano molto bello, e anche coraggioso, ma di certo non incantava lei, la figlia del governatore di Salazard, nonché diretta discendente del re dell’Aschart. D’un tratto si udì bussare alla porta. Briseide si scostò dalla finestra e la chiuse. Chiunque fosse era uno scocciatore. Loretta ripose il suo lavoro e andò ad aprire. Sulla porta stava un monaco. Il saio di sacco e i piedi calzati in scomodi sandali di sparto e cuoio mal conciato. Briseide lo squadrò con occhio critico. Aveva si e no venticinque anni, era giovane, ma il suo viso era attraversato dalla fatica della vita monacale. Loretta la guardò.
-Fallo entrare- disse allora Briseide. Il monaco s’inchinò, sorridendo lievemente.
-Vi porto gli omaggi dell’abate, mia signora- aveva la voce calda, ma affaticata. Loretta lo pregò di sedersi e lui accettò, anche se malvolentieri.
-Offri da bere al nostro ospite, Loretta- la invitò Briseide, avvicinandosi al monaco  che la guardava fisso -oggi è un giorno molto freddo e lui avrà fatto un lungo viaggio-
-Vi ringrazio, mia signora. In effetti sono qui da più di un’ora- aggiunse quando vide che l’espressione della ragazza non cambiava. -Ho incontrato il governatore, ma non voleva che vi vedessi- si fece il segno della croce e poi sorrise, colpevole -In effetti, non sarei dovuto venire, infrangendo gli ordini del mio signore, il governatore, ma vedete, ho cose urgenti da dirvi-
-Dite, allora- lo spronò Briseide -Ma prima ditemi come vi chiamate-
-Il mio nome è Fedric, mia signora- rispose lui con un filo di voce. -Vengo dalla Solea, ho fatto un lungo viaggio, per arrivare qui, ma non è importante questo. Voi avete mandato una lettera all’abate del convento di Erana, la città in cui vivo per il momento- si schiarì la voce -E lui ha mandato me, per avvertirvi-
-Avvertirmi?- esclamò Briseide -Di che cosa dovete avvertirmi?-
-Beh...- Fedric parve esitare -le esatte parole dell’abate sono state di pregarvi di farvi i fatti vostri, mia signora- arrossì leggermente, mentre gli occhi di Briseide lo trafiggevano.
-Ah è così dunque?- s’infervorò -E le informazioni che avevo chiesto? Non può certo essere un segreto!-
-Oh, beh, mia signora, io sono soltanto un monaco, ma...- le fece segno di tacere -Ma posso dirvi che al convento da qualche giorno ci sono dei fermenti. Non so che cosa possano voler dire, ma sono certo che c’entra qualcosa l’erede del re della Solea-
-Il piccolo Elias?- chiese Briseide -E che cosa c’entrerebbe lui? Ha solo due anni-
Fedric esitò di nuovo, accarezzandosi il mento con le dita -Beh, non so di preciso, ma qualcuno all’interno del monastero vocifera che ci sarebbe già un’erede, un’erede maschio al trono di Solea, nato dal ramo femminile della famiglia, dalla principessa Lavinia-. D’un tratto il mondo di Briseide si fermò. Non esisteva più nulla, a parte il viso colpevole del monaco e le sue parole che le rimbombarono in testa come un’eco. Un’erede maschio al trono di Solea... dalla principessa Lavinia. Lavinia. Era il nome della madre di William. Poteva essere soltanto una coincidenza. Si schiarì la voce, per non tradire l’emozione. -E ditemi Fedric, che cosa si sa di questa Lavinia-
-Non molto purtroppo- Fedric ricevette un boccale colmo di vino caldo dalle mani di Loretta -Dio vi benedica. Comunque- ricominciò solerte -Si sa soltanto che era molto bella e molto triste. Fuggì dopo che suo padre l’aveva promessa in sposa ad un lontano parente. Di lei si persero le tracce, ma...- si fermò, come se avesse paura di quello che stava per dire. Briseide versò un calice di vino anche per se stessa.
-Non fermatevi, Fedric, per favore. Nessuno verrà mai a sapere quello che ci siamo detti oggi-
-Lo spero, mia signora- sorrise -Comunque- bevve un sorso di vino -si sa che scappò, al di là del mare con dei pescatori-
-E nessuno andò a cercarla?- chiese Briseide, l’emozione che le stringeva la gola.
-E per fare che cosa, mia signora?- ribatté saggiamente Fedric alzando le spalle -La principessa era importante, certo, ma sul trono era comunque salito suo fratello, Lyone, più giovane di lei, ma già sposato-
-Quanti anni aveva Lavinia?-. Fedric alzò di nuovo le spalle, bevendo un altro sorso di vino.
-Non lo so con certezza, quattordici o quindici- sembrò fare un calcolo mentale -Adesso dovrebbe avere più o meno trentacinque anni-
-Sì!- Briseide soffocò il suo compiacimento. Gli occhi le brillavano. Sì, c’era ancora speranza, per lei di non dover sposare Guy. -E dimmi, Fedric- lo incalzò -Se l’erede di Lavinia si facesse avanti, il figlio di Lyone...-
-Oh, ma Elias non è il figlio di Lyone- la interruppe Fedric -Ma il nipote. Lyone non ha mai avuto figli suoi, ha adottato un giovane di sangue nobile, che ha avuto in seguito, un figlio illegittimo da una contadina. Lo ha riconosciuto e ripudiato la donna. Elias è il nipote di Lyone, perciò se il figlio di Lavinia- storse il naso - se esistesse davvero, e si facesse avanti sorpasserebbe di sicuro Elias-
-E voi come fate a sapere tutte queste cose? Non avevate detto di essere soltanto un monaco?- chiese Briseide. Fedric arrossì.
-Prima di essere monaco ero soldato, mia signora e di voci per le retrovie ne giravano molte... ho conosciuto molti uomini valorosi, tra cui un amico, che mi manca molto più della spada o della lancia- sussurrò malinconico.
Briseide sorrise. -E chi è questo vostro amico, così importante?-

-Un amico di cui vado molto fiero, mia signora. Il suo nome è William, William di Monte Argento-



Ringraziamenti:
Araluna: Ciao piccola! Grazie del tuo sostegno! Sì, in effetti anche io sono perdutamente innamorata di Will <3. Il fatto è che mi ci voleva qualcuno che gli desse del filo da torcere e, anche se un inetto, Guy si dimostrerà astuto, in seguito. Mi raccomando continua a seguirmi e non dimenticare di aggioranre "Benzoino", sono ansiosa di sapere che cosa succederà! Un bacione!




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Capitolo 5
*** Complicazioni ***



Capitolo Cinque


Il sole stava tramontando quando Will e Astro arrivarono al Lago Salato, una grossa conca, formata da un vulcano ormai spento da millenni. Avevano cavalcato per giorni, senza incontrare anima viva. Will aveva provveduto a cacciare e Astro aveva affumicato la carne degli animali e raccolto quello che poteva nel bosco. Will rimpiangeva quasi il rancio dei soldati. Almeno quello, se non morivi prima, era assicurato. Aveva riempito la sacca dove di solito raccoglieva l’acqua, il giorno prima, e aveva dato l’altra ad Astro. Ma la ragazza non pareva aver bisogno di bere molto. Will in genere preferiva stare solo, soprattutto mentre viaggiava, e la compagnia della fanciulla, a volte, lo faceva irritare. Aveva imparato che Astro non era quella che sembrava. Sotto l’aspetto da ragazzina era una donna fatta, dura e fredda quasi quanto lui. Spesso si faceva prendere dalla nostalgia e allora diventava loquace. Will non parlava molto a lungo, ma stava ad ascoltare ciò che lei aveva da dire, finché Astro non si stancava di parlare da sola. La mattina presto era dura farla montare in sella, ma quando si era svegliata del tutto il sorriso non abbandonava mai il suo viso, anche se non era certo un sorriso di gioia. La sua espressione non cambiava quasi mai, e Will non riusciva a scoprire cosa pesasse davvero. Era una ragazza molto strana, certamente doveva aver sofferto, ma non parlava volentieri di quel periodo. Del resto a Will non importava granché. Lui non le aveva rivelato perché il governatore di Salazard volevo ucciderlo, per conto del re, né perché aveva quelle cicatrici, né tantomeno quello che andava a fare in Solea, e lei non glielo aveva chiesto. Will sapeva che i Soleani non erano molto amichevoli, soprattutto in quel periodo. Il solo pensiero di incappare in una battaglia in territorio Soleano gli faceva venire i brividi. Un giorno avevano incontrato una colonna di soldati, e Astro si era alzata sulle staffe, cercando di vedere se Fedric fosse con loro, ma la delusione non l’aveva risparmiata. Will l’aveva sorpresa a piangere, quella notte. Odiava veder piangere una donna, e soprattutto non sopportava i singhiozzi isterici. Proprio come quelli di Astro. La ragazza si era calmata solo dopo un lungo momento di silenzio. Will era sicuro che fosse stata sveglia tutta la notte, perché la mattina seguente aveva lunghe ombre sotto gli occhi, e il suo umore era esageratamente scostante. Viaggiare con una ragazza di sedici anni era un problema. Solitamente Will amava la compagnia per brevi periodi di tempo e, in quel momento, avrebbe volentieri fatto a meno di Astro. Quando arrivarono alla riva del lago la ragazza scese dalla puledrina. Will la richiamò.
-Non abbiamo smesso di viaggiare, Astro- commentò irritato. La ragazza gli rivolse un’occhiata carica di risentimento.
-Come sarebbe a dire?- chiese -C’è il Lago. Dovremo fare il giro per attraversarlo-
Will sospirò rassegnato. -Ragazza di poca fede- allungò la mano indicando una casupola diroccata poco lontano -Lì abita il traghettatore. Dovremo soltanto montare sul traghetto e aspettare che lui ci porti dall’altra parte-
Astro non rispose, ma si limitò a rimanere in quello che, forse, riteneva essere un dignitoso silenzio. Will ridacchiò. Gli piaceva punzecchiare Astro, perché era molto permalosa, e il suo visetto da bambina si contraeva in una espressione dura e austera. In quei momenti Will la trovava veramente graziosa. E glielo disse, sarcastico, mentre smontava di sella e s’incamminavano verso il traghetto.
-Sai che quando ti arrabbi sei proprio graziosa Astro?- lei lo guardò storto.
-Ma davvero?-
-Oh, sì- confermò Will con un sorrisetto -Dovrei farti arrabbiare più spesso-
Astro si limitò a guardarlo di sottecchi. Will bussò alla porta della casupola. L’ometto che gli aprì, doveva avere una cinquantina d’anni, era curvo, ma muscoloso, il volto abbronzato e i capelli neri che erano macchiati sia dal sale che dagli anni. -Sì?-
-Lei è il traghettatore?- chiese Will.
-Sì, sono io. Volete andare dall’altra parte?- uscì dalla casa e chiuse la porta. Indossava dei vestiti logori, ma puliti. Will annuì.
-Dipende, però, da quanto ti fai pagare- l’ometto scoppiò a ridere.
-Tranquillo giovanotto! Mi potrai pagare sicuramente- lo guardò, gli occhi come puntaspilli -Quando saremo arrivati dall’altra parte-
-Perfetto- commentò Will. Astro lo seguiva come un’ombra e prima di montare sul traghetto gli bisbigliò all’orecchio: -Non mi fido di questo qui-
-Nemmeno io, Astro, come non mi fido di te- Will le mostrò il coltellino che le aveva sottratto la notte prima, mentre lei dormiva. Lo teneva nascosto nello stivale. Astro arrossì. Will le aveva già requisito la spada che adesso ondeggiava sulla sella del cavallo di Will.
-Mi dovrò pur difendere, no?- chiese lei a bassa voce, mentre il traghetto, ondeggiando, si muoveva, sulla liscia superficie del lago. Will sorrise condiscendente.
-Certo, ma credo che tu sappia farlo anche senza questo- fece scivolare il coltello nella fodera di pelle dei pantaloni, insieme al suo. Astro si aggrappò alla corda che oscillava sopra di loro.
-Odio questo tipo di viaggiare- ringhiò.
-Dovrai abituarti, la Solea è strapiena di laghi- sussurrò Will -Molti sono meno grandi di questo, ma abbastanza lunghi da percorrere-
-Non possiamo semplicemente aggirarli?- chiese Astro. Era pallida e l’ondeggio del traghetto, sicuramente le dava la nausea.
-Ci vorrebbe troppo tempo, Astro- Will le mise una mano sulla spalla -Cerca di non guardare l’acqua, guarda davanti a te-
-Ma davanti a me, c’è l’acqua- mormorò lei, sempre più pallida.
-Non parlare, allora, e chiudi gli occhi- le prese le spalle e le fece appoggiare la testa al suo torace. Ricordava perfettamente quella sensazione orribile. Aveva combattuto contro il mal di mare per giorni e giorni, prima di poter provare un po’ di sollievo. Il viaggio in traghetto non lo spaventava, ma capiva che per Astro, che aveva sempre tenuto i piedi ben piantati per terra, non doveva essere particolarmente bello. Si era alzato il vento e il traghetto ondeggiava.
-Quando ci vuole ancora?- chiese Will al traghettatore. Lui sbuffò.
-Un po’- rispose tranquillo.
-Quanto è un po’? La ragazza sta male- protestò veemente. Il traghettatore scoppiò a ridere.
-Non è colpa mia se soffre il mal di lago!- gli pareva anche di essere spiritoso, si disse Will mentre lo guardava con odio. -Non c’è molto alla riva- riprese l’uomo, distogliendo lo sguardo da Will, e tornando a fissare l’acqua. Astro era ancora pallida, ma sembrava che stesse leggermente meglio.
Finalmente il traghettatore attraccò alla riva opposta del lago. Will scese, sostenendo Astro che barcollava. Aspettò che si sedesse e pagò l’uomo, che per tutta risposta gli voltò le spalle e tornò indietro, il vento che sbatteva la corda del traghetto.
-Come stai?- chiese Will sedendosi accanto alla ragazza. I capelli scuri le scendevano sul viso e lui non poteva vedere la sua espressione.
-Come se una carica di cavalli mi fosse passata sullo stomaco- rispose laconica lei, una mano premuta sullo stomaco. Will ridacchiò. Astro alzò la testa verso di lui, gli occhi leggermente appannati.
-Non mi sembra che ci sia qualcosa da ridere- bisbigliò.
-Perdonami- sorrise Will -Ho viaggiato dieci giorni in nave, so come ti senti-
-Davvero?- chiese Astro -Beh, allora potresti smetterla di guardarmi come fossi un fantasma-
-Il colore è quello- Will sfiorò i capelli della ragazza. -Andiamo- si alzò -abbiamo ancora molta strada da fare-
-Ma...-
-Niente ma! Dobbiamo andare. Vuoi ritrovare Fedric oppure no?- le tese la mano, che lei prese senza entusiasmo, e rimontò a cavallo. Conosceva appena quelle terre, per esservi passato in ranghi serrati mentre percorreva la strada verso la Solea, ma certi viaggi non si scordano facilmente e tutto era impresso bene nella sua mente. S’inoltrarono nel bosco, costeggiando un fiume. Will non ne sapeva il nome, ma i suoi commilitoni lo chiamavano il Fiume della Morte. Circa cinque miglia più a nord si trovava una cascata, non molto alta, ma incastrata tra le pietre appuntite e massi che sporgevano dall’acqua. Due pietre levigate sembravano formare due corna ai lati del salto e quella cascata era da tutti conosciuta come il Salto del Diavolo. A Will aveva fatto parecchia impressione costeggiare quella cascata, non per la paura di caderci dentro, ma per le storie che i guerrieri più anziani raccontavano accanto al fuoco, di notte, per tenersi svegli nel gelo della Solea. Ripensando ai tutti i suoi compagni Will non poté che provare un moto di nostalgia. Aveva avuto pochi amici, ma lo avevano aiutato molto nei giorni più difficili. Avevano preso a cuore la sua storia. La storia di un ragazzino quindicenne che era stato sbattuto a fare la guerra, una cosa di gran lunga più grande di lui, che sapeva a malapena tenere in mano una spada, figuriamoci sopravvivere nelle lande gelate della Solea. Ripensando a quello che era stato Will non si accorse che era rimasto solo. Si voltò indietro, cercando tracce di Astro. Non la vide.
-Astro!- gridò. Il suo grido incontrò il silenzio più assoluto. Tornò indietro per un breve tratto, svoltò a destra verso una radura. Tornò ancora indietro, cercando la ragazza. Si maledisse internamente per la sua stupidaggine. Mentre ricominciava ad imprecare nella sua lingua uno scalpiccio provenne dal folto. La cavallina di Astro fece capolino. La ragazza stava allegramente mangiando delle fragole e delle more di bosco, le mani impiastricciate di succo e la faccia soddisfatta. Will voltò il cavallo verso di lei. Astro lo guardò.
-Oh, ho sentito che mi chiamavi- commentò serafica, stringendo le briglie della cavallina, cercando di rimontare in sella -C’è qualcosa che non va?- la sua espressione angelica fece venire il voltastomaco a Will. Cercò di non trafiggerla con la spada. Il sorriso che fece assomigliava decisamente ad una smorfia diavolesca.
-Certo che no. Va tutto bene, se tu non fossi così sprovveduta ed incapace!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Astro abbassò lo sguardo. -Ti rendi conto dello spavento che mi hai fatto prendere? Siamo quasi in Solea, Astro e non c’è tempo per passeggiare nei boschi cogliendo more!-
-Scusami- mormorò lei, colpevole.
-Scusami?- ripeté esasperato Will. -Credi che io mi diverta ad esaudire i desideri di una ragazzina viziata e pusillanime?- scoppiò a ridere, senza alcuna traccia d’allegria -Il mondo non gira attorno a te, Astro. E adesso rimonta in sella, abbiamo già perso troppo tempo-
Aspettò che Astro fosse tornata a stringere le briglie sulla sella della cavallina e spronò il suo cavallo, irritato come non si ricordava di essere stato nell’ultimo anno. Si sentiva preso in giro e sfruttato. Sentiva gli zoccoli della cavallina dietro di lui, marciare lenti. Uscì dal bosco, per evitare che Astro avesse altre brillanti idee e prese la strada battuta. Probabilmente sarebbe andato in contro ad altri rischi, ma non poteva permettersi che Astro avesse nuovamente la tentazione di fermarsi a giocare. Quello che stavano facendo non era un gioco. Non lo era mai stato, ma la sedicenne sembrava non capirlo. Si ricordò com’era lui a sedici anni. Dopo più di un anno di guerra il suo carattere ciarliero ed emotivo era stato completamente stravolto. Era diventato freddo, scostante, taciturno e irritabile. Ogni scusa era buona per attaccar briga, se qualcuno lo stuzzicava. La lingua dura dell’Aschart era stata difficile da imparare e lui ancora, a volte, faticava a ricordarsi il significato di molti verbi. La sua lingua era molto più sciolta e musicale, aveva suoni sibilanti e dolci, e molte volte cercava di trovarli anche della lingua dell’Aschart.
La rabbia tornò più prepotente di prima, quando, circa un’ora più tardi, Astro chiese se potevano fare una pausa. Will voltò il cavallo e si affiancò a lei.
-Adesso ascoltami bene, Astro- le puntò un dito guantato contro -non siamo qui in gita di piacere. Non siamo qui per fare una passeggiata. Non è un gioco. Non posso continuare a fermarmi per esaudire i tuoi desideri, comprendi?- sciorinò irritato. Astro abbassò gli occhi.
-Perdonami Will, ma...-
-Ti ho già dato la mia risposta. E la mia risposta è no!-  spronò il cavallo e proseguì. Dopo qualche secondo Astro lo richiamò.
-Ho bisogno di una pausa Will!- gridò con voce roca -Per favore-
-Perché?- esclamò Will esasperato -Per raccogliere violette?- si voltò. Astro non lo guardava, ma scese dalla cavallina e la legò ad un albero.
-Se tu non vuoi aspettarmi, va pure, ti raggiungerò- si voltò, per inoltrarsi nel bosco.
-Astro!- Will la raggiunse. Stavolta era leggermente preoccupato oltre che estremamente irritato. Le afferrò il braccio, cercando di stringere il più possibile. Astro fece una smorfia, ma non disse nulla. -Che cosa succede?-
-Niente che ti riguardi- si divincolò dalla sua stretta e Will, per non finire lungo disteso sulla strada battuta la lasciò. -Mi servono due minuti di pausa- si voltò, si tolse il mantello e lo appoggiò sul dorso della cavallina. Le accarezzò il muso e s’inoltrò nel bosco. Will fu tentato di andarle dietro, ma non aveva nessuna intenzione di litigare di nuovo. Si limitò ad aspettare, maledicendo il giorno in cui era arrivato a Chiaravalle. Anzi, più precisamente, maledicendo il giorno in cui era stato arruolato nell’esercito del re dell’Aschart. Dopo pochi minuti Astro tornò, un po’ meno irritata e un po’ più incline alla sottomissione.
-Adesso puoi spiegarmi?- chiese Will mentre lei rimontava in sella.
-Spiacente, cocco- si limitò a dire Astro con un mezzo sorriso sul volto stanco -Non ci penso nemmeno-
Will scosse la testa. Non sarebbe mai riuscito a capire le donne. Astro lo seguiva, senza parlare. Aggirarono la cascata. Astro si fermò, incantata dallo spettacolo dell’arcobaleno. Will la guardò. In quel momento sembrava molto più vecchia dei suoi sedici anni. Poteva capire la sua voglia di andarsene da quella valle, ma non capiva il suo odio per il padre. Cercava di non farlo vedere, ma la delusione che l’aveva presa quando aveva scoperto che suo padre non l’avrebbe mai cercata, era cocente. Sorrideva poco, ma quando lo faceva il suo volto s’illuminava e i suoi occhi splendevano. Will aveva cominciato a tollerare la sua inesauribile voglia di chiacchierare, quando, nel mezzo del giorno si fermavano per riposarsi e per mangiare qualcosa. Will diede un’occhiata alle bisacce. Erano ormai quasi vuote, e avrebbero dovuto presto fare una sosta in un villaggio vicino. Non esistevamo mappe di quel territorio, così a nord dell’Aschart, perciò era quantomeno pericoloso viaggiare di notte su per quelle aspre colline. Will si alzò sulle staffe. Fumo proveniva da nord e decise che avrebbero proseguito in quella direzione. Aveva bisogno di fare una sosta per riposare. Le costole non erano ancora guarite del tutto e cavalcare non faceva che peggiorare la situazione. Astro gli si avvicinò, mentre lui spronava il cavallo. Gli sorrise. Lui la guardò per un momento, poi rispose al sorriso, anche se lievemente sconcertato. Proseguirono fino a che non incontrarono una stazione di posta e una locanda, con un recinto per i cavalli e un canale artificiale dal vicino fiume, che prendeva acqua direttamente dal Salto del Diavolo. Will scese dal cavallo. Fece segno ad Astro di rimanere fuori, poi entrò nella locanda. Vicino a lui correva un muro a secco, dove era stata ricavata una porta che conduceva nella stazione di posta. Vi entrò, facendo attenzione a calarsi il cappuccio sugli occhi. Dietro un lustro bancone di legno stavano una giovane donna e un bambino. Will calcolò che potesse avere più o meno tre anni. Giocava con un pezzo di corda a cui la madre aveva legato uno straccetto colorato. Will si avvicinò. Lei alzò gli occhi dal figlio e lo guardò. Aveva gli occhi neri e i capelli erano già solcati da ciocche bianche sulla fronte. Eppure il volto era fresco e gli occhi attenti e splendenti.
-Salve straniero- lo salutò dolcemente -Dovete inviare una lettera?- chiese.
-Sì, in effetti- rispose Will, gettando indietro il cappuccio. Di una donna e di un bambino piccolo non doveva preoccuparsi. Lei si tirò un attimo indietro.
-Venite da lontano non è vero?- chiese leggermente spaventata.
-Sì, ma non preoccupatevi, non porto sventure- Will sorrise, cercando di rassicurarla -Sono qui in dolce compagnia- tirò fuori alcune monete -Vorrei scrivere una lettera-
-Sì, certo- la donna trasse da sotto il bancone un foglio di pergamena, una penna e l’inchiostro. Will scrisse velocemente un appunto per la figlia del governatore.
-Quanto ci mette il messo ad arrivare a Salazard?- chiese Will accettando la ceralacca che la donna gli porgeva. La sciolse sulla carta e ci premette sopra l’anello. Un segno circolare che forse Briseide avrebbe riconosciuto. La donna lo squadrò.
-Dieci giorni- rispose. Will scrisse il nome della figlia del governatore. -A chi deve essere recapitata?-
-Briseide di Salazard, la figlia del governatore di Salazard- rispose Will. La donna prese la lettera.
-Il messo partirà subito-
-Oh- la interruppe Will -Non c’è alcuna fretta. Giorno più giorno meno non cambia poi molto-
-Lo farò partire domani all’alba- disse allora la donna. Will la ringraziò e la pagò. Si diresse verso la locanda. Era affollata ma rimanevano ancora tavoli e sedie senza padrone. Si avvicinò a quello che pareva l’oste. Era un uomo robusto, alto più di Will, che se ne stava ad esaminare gli avventori, con le mani sui fianchi e le gambe ben piantate sul pavimento. Appena lo vide si fece avanti e gli si parò di fronte.
-Buonasera, straniero. Che cosa volete?- chiese. Will lo guardò, con fare annoiato.
-Cerco una camera per la notte e un pasto caldo, per me e la mia compagna- rispose disinvolto. Non aveva mai viaggiato accompagnato prima e adesso non doveva dare sospetti. Se avesse chiesto due camere separate, per lui e una bella ragazza che aveva al seguito sarebbero certo nate molte domande, e Will sapeva che le domande erano molto pericolose. L’oste lo guardò con fare circospetto.
-Ho visto che avete chiesto il servizio di posta. È urgente?-
-Non più di tanto- replicò Will -Ma se volete posso fermarmi in un’altra locanda- Will fece per voltarsi, ma l’oste lo trattenne.
-L’ultima locanda prima del confine con la Solea è stata chiusa- disse con voce potente. Will lo fissò.
-Per quale motivo?- chiese. l’oste alzò le possenti spalle.
-E che ne so? So solo che i proprietari sono spariti nel nulla un giorno, senza lasciare traccia- si avvicinò al banco e prese una chiave, attaccata ad una cordicella. -Tenete, questa è la chiave della camera. È la prima che trovate a destra salendo le scale. È un po’ piccola, ma non credo che avrete problemi di spazio, se siete in dolce compagnia- sogghignò ammiccando -fate pure accomodare la vostra donna, mia figlia vi servirà la cena-. Will intascò la chiave e andò a chiamare Astro. La ragazza aspettava impaziente, accarezzando la sua cavallina, che non voleva entrare nel recinto con gli altri cavalli.
-Era ora!- disse legandola alla staccionata -Ci hai messo un’eternità-
-Oh non ti ci mettere anche tu adesso!- cominciò impaziente -Ho dovuto mentire. E non mi piace farlo- Astro lo guardò alzando un sopracciglio, poi sorrise sorniona.
-Scommetto che fino a domattina mi chiamerai amore- gli si avvicinò così tanto che i loro nasi si sfiorarono. Will si ritrasse come se si fosse scottato. Non aveva la forza di litigare. Astro sbuffò. -Va bbene, va bene, ho capito. Non ti tocco!- ridacchiò -Hai forse paura di una ragazzina?-

Will aprì e chiuse la bocca un paio di volte. La guardò negli occhi, poi incrociò le braccia. -Non ho paura di dividere il mio letto con una... donna!- brontolò irritato -Se è questo che credi...- Astro sorrise di nuovo, e uno scintillio nei suoi occhi ingiunse a Will di terminare la conversazione. Sentiva il sangue corrergli violentemente alle guance, perciò si voltò e fece un passo avanti. -Ne discuteremo dopo!-
Quando entrarono la figlia dell’oste li guidò ad un tavolo vuoto e servì loro la cena, composta da pezzi di carne, di cui Will non si azzardò a chiedere la provenienza e un boccale di birra scura, poi salirono le scale ed entrarono in camera. Will la chiuse a chiave a doppia mandata e finalmente si prese il tempo per tirare un sospiro di sollievo. Almeno fino all’indomani erano al sicuro. Astro accese il fuoco. Si tolse il mantello, lo appoggiò sulla sedia e vi si sedette, togliendosi gli alti stivali. Mormorò qualcosa, imprecando contro la suola dura. Will si accasciò sul letto, slacciandosi il mantello e il giustacuore di pelle. Aveva bisogno di dormire, ma non aveva voglia di starsene sul letto a guardare il soffitto. Il letto era abbastanza grande per entrambi loro e questo gli fece salire un grosso nodo alla gola. Will si distese, senza guardare Astro, che stava piegando con cura il suo mantello.

-Allora- cominciò lei con un tono fintamente distratto -com’è che ti preoccupi tanto, cavaliere?- lo stuzzicò. Will non rispose. In effetti stava cercando una risposta abbastanza tagliente da dare alla ragazza, ma non gli venne in mente nulla. Aveva decisamente la mente appannata e non aveva voglia di litigare con Astro. Lei stette in silenzio qualche minuto, poi si alzò e si sedette per terra, le braccia incrociate sopra il materasso e il mento sopra le mani. Will non la guardò. Aveva un brutto ricordo delle donne. Arrossì lievemente al ricordo delle uniche volte che era stato tanto vicino ad una donna. Le ore più umilianti della sua seppur giovane vita.
-Deduco che tu abbia brutti ricordi delle donne, non è così?- suggerì Astro con una lieve nota di rammarico nella voce. Will si voltò a guardarla. I suoi capelli rilucevano come oro colato alla luce tremolante del fuoco. Gli occhi blu erano fissi su di lui. In quel momento sembrava molto giovane, troppo, per tutto quello che aveva passato.
-Non fare troppe congetture Astro- le disse Will, incrociando le mani dietro la testa -non ne vale la pena-
-Andiamo- lo incoraggiò lei -non sei il solo che ha delle difficoltà qui- distolse lo sguardo dai suoi occhi -Siamo entrambi stati costretti a fare cose che non volevamo... tu alla guerra. Io... beh, lo sai- si alzò e camminò per un po’ su e giù per la camera. I suoi piedi nudi non facevano alcun rumore sulle assi di legno. Si appoggiò al davanzale della finestra. Will si rialzò, si tolse gli stivali e la camicia, appoggiandoli sopra la sedia.
-Quella è un ricordo della guerra?- la voce di Astro era leggermente insonnolita adesso. Will si voltò. Astro lo guardava, appoggiata alla finestra.
-Sì- rispose -Un cavaliere mi ha preso di striscio con la spada. Se mi avesse centrato non sarei qui-
Astro annuì. In silenzio la ragazza si sciacquò il viso con l’acqua che c’era in una brocca un po’ sbeccata, poi si sedette sul letto. Will fece altrettanto. Gli dolevano le spalle e la schiena, dove ancora, alcuni lividi non se n’erano andati. Graffi e contusioni sarebbero rimasti ancora per qualche giorno. Le costole non andavano male, a parte il fatto che quando montava in sella gli facevano vedere le stelle. Si sdraiò, abbracciando il cuscino di ruvido cotone grezzo. Il materasso cigolò quando anche Astro si sdraiò al suo fianco.
-Hai molti lividi- la sentì sussurrare. Will ridacchiò.
-Dovevo regolare dei conti- rispose. Ad un tratto sentì la mano fredda della ragazza appoggiarsi sulla sua spalla. Si voltò di scatto afferrandole un polso. Lei fece una smorfia.
-Quanto sei sospettoso!- esclamò -Non ti uccido mica nel sonno. Il mio coltello ce l’hai tu e la mia spada è legata alla tua sella-
-C’è sempre la mia spada- suo mal grado Will sorrise. Astro si liberò dalla sua stretta. Gli venne vicino, tanto che Will poteva contare tutte le sue lunghe ciglia.
-Di quella dovresti preoccuparti, in verità- ridacchiò lei con fare sardonico. La mano fredda di Astro si posò lieve sulla guancia di Will -So come maneggiarla, mio malgrado- sussurrò poi, con un sorriso triste sulle labbra, che prima che Will potesse aggiungere altro, si posarono sul suo zigomo. Lui chiuse gli occhi. Non ricordava di aver mai ricevuto un bacio tanto lieve. La bocca di Astro si spostò sulla sua fronte, poi di nuovo sullo zigomo. Lo baciò sulle labbra, appoggiando il peso del suo corpo contro di lui. Will si ritrovò di nuovo disteso, ma stavolta, la nuca a contatto con il duro cuscino, e il corpo di Astro proteso contro il suo. Era una sensazione che aveva ormai dimenticato, seppellita sotto il peso degli orrori della guerra. Aveva dimenticato quanto potessero essere calde le mani di una donna, quanto potessero alleviare il dolore. Ogni pensiero che non fosse quel fragile corpo di ragazza, non lo interessò più. Per una notte, una notte soltanto poteva tornare ad essere soltanto un ragazzo di diciannove anni, la cui vita era sempre stata la stessa. Quella notte, si disse, mentre le dita lievi di Astro gli facevano dimenticare il dolore dei lividi e il ricordo delle percosse, nulla più.



Ta da! Son tornata con un nuovo aggiornamento a tempo di record! Tutto perchè mi devo far perdonare le lunghe assenze!
Un bacione a tutti e fatemi sapere che cosa ne pensate!


Ringraziamenti:
Araluna: *shy* ma così mi fai arrossire. Non ho mai sentito una sviolinata così intonata! Dì la verità, volevi subito un altro capitolo eh?? Beh, sei stata accontentata, spero che questo capitolo ti sia piaciuto anche se era solo un capitolo di transizione. Come vedi le cose si sono complicate e anche si molto... Beh, non mi resta che mandarti un grosso bacio e non preoccuparti per il ritardo, l'università affligge anche me *sigh*. Kiss ^___*



Stella*


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Capitolo 6
*** Prigioniera! ***


cap 6
Capitolo sei


Briseide ascoltava distratta i commenti delle donne che erano riunite nella sala delle udienze di suo padre, il governatore di Salazard. Molte di loro denunciavano violenze, o aggressioni, o altro ancora a cui suo padre doveva porre rimedio. C’erano molti contadini, che, chi per una ragione, chi per l’altra, volevano ottenere un’udienza con il governatore. Ad un tratto la porta della lunga sala si spalancò, ed entrarono gli intendenti di suo padre. Briseide sapeva che quegli uomini altro non erano che mercenari. Avevano giurato fedeltà a suo padre, richiedendo in cambio dei propri servigi denaro o utili, dimore o terreni coltivabili. Suo padre aveva accordato tale scambio e adesso quei due rapaci ottenevano mille denari d’argento e la rendita dei propri feudi, coltivati da contadini che vivevano sulla soglia della miseria. Briseide sentì un moto di disgusto per quei due petulanti uomini che seguivano suo padre come un’ombra distorta. Riabbassò la testa, fissandola sulle proprie mani, strette in grembo. Era pomeriggio inoltrato, e l’ora delle udienze era ormai scattata. Suo padre, Pericle, entrò, il passo calmo e la veste color porpora che ondeggiava leggera. Briseide guardò gli intendenti di suo padre e poi lui. Le ricche vesti dei due avvoltoi parevano rivaleggiare con quella del governatore, per finezza, ma di certo suo padre non esponeva la sua ricchezza tramite gioielli e vesti impreziosite da pietre preziose. D’un tratto la porta laterale della lunga stanza si aprì. Entrò un giovane, Briseide si disse che doveva avere più o meno la sua età, che portava in spalla una sacca di pelle mal conciata. In mano teneva una pergamena un po’ sgualcita con della ceralacca come chiusura. Briseide sbuffò. Di messaggi come quelli suo padre ne riceveva almeno mille ogni giorno. il ragazzo bisbigliò qualcosa ad uno dei servi della casa, e lui indicò Briseide, seduta in disparte su una poltrona. Quando lei vide il messaggero arrivare si riscosse dal torpore. Era per lei il messaggio, dunque. Il ragazzo s’inchinò lievemente.
-Questo è per voi, vostra grazia-
-Da dove vieni?- chiese Briseide alzandosi e prendendo il rotolo che lui le porgeva. Era piccolo e leggero. Sulla ceralacca c’era un segno circolare, nessun simbolo, di nessun genere.
-Circa trenta miglia dal confine, mia signora- spostò la sacca da una spalla all’altra. Briseide guardò di nuovo la pergamena. S’infilò la mano in tasca, distratta e diede una moneta di rame al messaggero. Il giovane sorrise e le voltò le spalle.

-Aspetta!- lo richiamò lei -Chi te lo ha dato?- chiese.
-Non lo so, mia signora, so soltanto che due stranieri sono giunti alla locanda e che se ne sono andati proprio mentre partivo per venire da voi-
-E dimmi, uno di questi stranieri era un ragazzo alto quanto te, dai capelli neri e i guanti alle mani?- chiese. Lui annuì.
-E l’altro?- chiese la ragazza sospettosa. Il ragazzo sorrise, sornione.
-Beh, era davvero in dolce compagnia, mia signora. Una graziosa ragazza di circa sedici anni dai capelli biondi- si scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. -Hanno preso una camera alla locanda per la notte, poi se ne sono andati verso il confine, la mattina presto. Lui sembrava un po’ irritato, per la verità-
-Va bene, va bene. Adesso vattene!- Briseide si rimise a sedere. Dolce compagnia eh?, pensò. Una camera per la notte, eh? Strappò con violenza la ceralacca. La pergamena era scritta con la grafia armoniosa di Will.

Vi scrivo per farvi sapere che tra pochi giorni raggiungerò il confine con la Solea. Entrerò in Solea tra non molto, e non so se mi sarà più possibile spedirvi messaggi. Spero che godiate di buona salute.
Il vostro debitore,
William di Monte Argento.

Nessun riferimento alla sua dolce compagnia, pensò Briseide con un nodo di rabbia che le stringeva la gola. Bene, bene, si disse con un sorriso sornione. Glielo avrebbe fatto scontare. Lui aveva trovato una buona compagnia per attraversare la Solea, eh? Bene, avrebbe trovato quello che si meritava quando e se sarebbe tornato. In fondo che cosa le faceva credere che Will sarebbe tornato da lei? Nessuno le aveva detto che un fuggitivo, anche se bello e gentile manteneva la parola data. Si afflosciò sulla poltrona. Era veramente stata una stupida. Aveva messo la sua vita nelle mani di un cavaliere che era scappato dall’esercito, era stato catturato dal governatore, veniva ricercato in lungo e in largo da Guy e i suoi soldati, e che, per giunta, aveva anche una compagna. Briseide appallottolò la lettera e la gettò a terra con un gesto rabbioso. Inoltre suo padre era terrorizzato dal fatto che fossero arrivate molte minacce da quando aveva ottenuto alcuni feudi a nord di Salazard, e aveva paura che si sarebbero ritorte contro di lei. Quando glielo aveva detto Briseide era scoppiata a ridere. Qualunque cosa fosse successa nel palazzo lei era al sicuro. Almeno così credeva. Salendo le scale fino alle sue stanze incontrò qualche guardia e alcuni servitori. Era giorno fatto e nessuno avrebbe mai cercato di farle del male. All’improvviso venne raggiunta da Loretta, che aveva il fiatone e la faccia di chi aveva visto un fantasma.
-Loretta, che succede?- chiese preoccupata Briseide. Loretta riprese fiato poi la fissò preoccupata.
-Vostro padre ha deciso... ha deciso che lascerete il castello. Tra poche ore, con il favore della sera ve ne andrete, nella tenuta che era di vostra madre-
-Che cosa?- urlò Briseide. Si affrettò a tornare indietro, saltando le scale a due a due. Si precipitò nel salone, dove suo padre stava ancora tenendo udienza. Gli si avvicinò, il fiatone e le guance infiammate dalla rabbia.
-Che cosa credete di fare?- sibilò con stizza -Io non me ne vado da qui!- suo padre la guardò, gli occhi ambra chiara che la fissavano con compassione.
-Tu farai ciò che io ti dico- sibilò di rimando. -E adesso- chiamò una delle sue guardie -Scortala fino al cancello. Là ci penseranno le guardie di Guy a portarla indenne fino alla tenuta- la guardò compassionevole -E a cercare di tenerle a freno la lingua-
-Padre... voi...- balbettò Briseide, ma la guardia la trattenne per un braccio e quasi la sollevò fino alla sua stanza. Loretta stava impacchettando con furia i vestiti di Briseide e qualche effetto personale. Briseide guardò la sua camera sfatta.
-Loretta!- esclamò -Io non ho intenzione di andare da nessuna parte!-
-Voi no, ma io sì- replicò la guardia. Briseide gli scoccò un’occhiataccia. Era giovane, poteva avere si e no venticinque anni. -Vostro padre mi farà impiccare se non vi porto alla tenuta di vostra madre-
-Guido ha ragione- Loretta si alzò dalla posizione accoccolata e raggiunse Briseide. -Vostro padre può risultare molto più cocciuto di voi-
Briseide abbassò la testa. Conosceva suo padre, e sapeva che non c’era modo di fargli cambiare idea. Lascò che Loretta terminasse i bagagli. Si allacciò il mantello al collo, digrignando i denti dalla rabbia, si tirò su il cappuccio e lasciò che fosse Guido a scortarle fuori dal castello, nelle stalle. Era già tutto pronto, cinque delle migliori guardie di Guy erano pronte per partire. Guido aiutò Briseide e Loretta a montare sui cavalli, e dieci minuti dopo erano sulla via che avrebbe condotto la ragazza alla tenuta di sua madre. A Briseide non andava a genio quella situazione. Conosceva le guardie di Guy e molte erano lì soltanto per quei pochi denari che ricevevano di paga. Erano mercenari, persone di cui soltanto Guy si fidava, e che avrebbero fatto di tutto per una borsa tintinnante d’oro e d’argento. Lei stessa sapeva che molte guardie avevano disertato per unirsi ai banditi che indugiavano spesso nelle foreste che attorniavano Salazard. Sapeva che Guy le aveva fatte cercare senza sosta, nel tentativo di trovare i gruppi di fuorilegge che imperversavano nelle pianure, distruggendo gli orti e danneggiando i pascoli, ma senza alcun successo. Sogghignò. Aveva trovato William soltanto per caso, quel giorno, e forse se non fosse stato per lei stessa, non avrebbe mai conosciuto William e non avrebbe mai fatto di tutto per lasciarlo scappare. Sentì un moto di stizza. Era ancora arrabbiata con se stessa per aver messo a repentaglio il proprio futuro per un fuggitivo, quando dal lato della strada comparve un uomo, vestito da giullare che suonava delle nacchere di legno. Briseide sorrise. Lungo la strada ne vedeva a migliaia di quei giullari che racimolavano un paio di soldi facendo divertire il loro pubblico. Gli passarono a fianco. L’uomo la guardò per qualche istante, sembrò riconoscerla, fece un sorrisetto astuto e lanciò un lungo e acuto fischio, dal fischietto che teneva legato al collo. I cavalli s’impennarono per il suono acuto. Guido calmò il cavallo della ragazza, riportandolo sulla strada. Le lanciò un’occhiata.
-Andiamocene alla svelta- bisbigliò agli altri. Le altre guardie si guardarono per un momento, poi dai lati della strada sbucarono altri uomini, vestiti di stracci e vecchi abiti malandati. Uno di loro, il più alto e robusto, portava un lungo mantello e teneva un arco a tracolla. Si avvicinò alla ragazza. Briseide sentiva la paura percorrerle le vene, ma cercò di sembrare tranquilla. In cuor suo moriva.
-Ben trovata, mia cara fanciulla- le porse la mano -vi prego, prendete la mia mano. Vi aiuterò a scendere da questa cavalcatura-.
Briseide inorridì. Briganti. Osservò l’uomo che la guardava da sotto in su, con un’espressione indecifrabile sul bel volto. Aveva i capelli biondi, che scendevano indisciplinati sugli occhi cupi, furbi e penetranti. Il corpo robusto e gli abiti vecchi, ma puliti. Portava un paio di alti stivali appena sotto il ginocchio. Il brigante la guardò compassionevole per la sua indecisione.
-Mia cara fanciulla- ripeté, la voce roca e profonda -Ve ne prego, non fatemi usare la forza, contro di voi- scostò il mantello rivelando una lunga spada ricurva. Briseide afferrò la mano che lui le porgeva e scese da cavallo. Il brigante sorrise.
-Molto bene. Vedete, non voglio farvi del male- tolse dalla cintola una robusta corda di cuoio -ma non voglio nemmeno che scappiate- si guardò intorno -i miei uomini condurranno le guardie e la vostra dama di compagnia lontano da qui, in modo che percorrano molta strada per tornare ad avvisare vostro padre- la forza inaudita del brigante terrorizzava Briseide. Le legò i polsi, non troppo strettamente, ma la ragazza sentì subito il cuoio ruvido ferirle la pelle. L’uomo fece un segno agli altri briganti e quattro o cinque di loro presero a strattonare le guardie, Guido e Loretta verso la foresta. Loretta urlò più volte, ma quando uno dei briganti accennò a schiaffeggiarla lei chiuse la bocca, le lacrime che cominciavano a scendere sulle sue guance. Briseide la guardò a lungo, cercando di farle capire che non le sarebbe successo niente. Il peccato era che non ne era affatto sicura. Il brigante la teneva ancora per i polsi. Fece un altro segno ad un uomo vicino a lui, che gli portò un cavallo roano.
-Le belle dame vanno a cavallo, mia dolce fanciulla- la blandì sollevandola di peso e facendola sedere sulla sella. Briseide odiava cavalcare all’amazzone, e cercò di divincolarsi dalla presa del brigante. Si alzò sulla prima staffa, passando l’altra gamba al di là della sella. Fino a quel momento non aveva proferito parola, nel timore di incorrere nell’ira del brigante.
-E di grazia- commentò allora, dopo essere riuscita a raggiungere l’altra staffa -dove mi condurrete?-
-In un luogo appartato, mia bella fanciulla- il sorriso che si delineò sul viso dell’uomo fece venire a Briseide i brividi. -In modo che nessuno vi trovi prima del tempo stabilito- si chinò verso il cavallo, togliendo il piedino di Briseide dalla staffa. Montò dietro di lei, il mantello che volteggiava dietro di lui.
-E di grazia- ripeté tramortita Briseide -che cosa avete in serbo per me?-
-Siete una prigioniera, mia cara- lo sentì ridacchiare -Ma non vi preoccupate, sarete trattata con tutti i riguardi possibili, dalla mia banda- accennò agli uomini che scortavano il cavallo -e soprattutto da me- spronò il cavallo, mentre la notte scendeva lenta su di loro. Briseide sentì un nodo stretto alla gola. Era prigioniera, prigioniera di briganti.
-E un’ultima cosa. Il mio nome è Seth- disse il brigante -Potete chiamarmi così-
-Molto gentile da parte vostra- digrignò i denti Briseide -Avete intenzione di chiedere un riscatto a mio padre?-
-Oh, lo scoprirete presto, mia dolce fanciulla- rise di nuovo lui -Lo scoprirete presto-

*

Era pomeriggio quando Will scorse il profilo delle montagne della Solea. Deglutì. Aveva sempre odiato la Solea, soprattutto quando pioveva e le strade si trasformavano in un pantano privo di vie d’uscita. Cercò di non dimostrare la rabbia che sentiva crescere dentro di sé. Astro cavalcava tranquillamente al suo fianco. Smontò da cavallo, mentre si apprestavano ad entrare in città. Si guardò intorno, mentre la luce del sole a picco illuminava le mura e le torri della città fortificata. Si voltò a guardare la salita che avrebbero dovuto percorrere per entrare nel centro della cittadella. Era già passato da Colletetro, e ricordava perfettamente come Oscura brulicasse di soldati Soleani. Colletetro in realtà, era un lungo e stretto altopiano, su cui, centinaia di anni prima era stata fondata Oscura. Will ricordava bene che la città fortificata meritava davvero quel nome. Le strade dopo l’imbrunire, erano deserte, non un rumore o uno scalpiccio. Le taverne e le locande chiudevano i battenti e le case sembravano abitate soltanto da ombre scure. Will sentì Astro stringersi contro di lui, mentre venivano spinti dalla folla che rientrava in città. Dall’ultima volta che si erano fermati in una locanda, e Will ricordava bene, suo malgrado, che cos’era successo, Astro non era cambiata affatto, continuava a cavalcare accanto a lui come se nulla fosse successo e come se nulla potesse scalfirla. Non avevano parlato né di ciò che era accaduto né del messaggio che Will aveva spedito. In un certo senso lui stesso si pentiva di ciò che aveva fatto, sia per un discorso di coscienza, sia per un certo timore che si era insinuato in lui la mattina successiva. Aveva trattato male Astro e lei l’aveva schiaffeggiato con tutta la forza che aveva. Da quel momento erano di nuovo andati d’accordo. Se da una parte il suo orgoglio gli imponeva di togliersi certi pensieri dalla testa, il suo cuore lo spingeva a desiderare che quella notte si ripetesse.
-È davvero necessario passare da qui?- chiese ad un tratto Astro. Will annuì, tetro.
-Abbiamo bisogno di denaro Soleano e qui ne scorre in abbondanza- sussurrò, mentre si toglieva il cappuccio , oltrepassando una delle grandi arcate, sovrastate da un grifone, il simbolo della città.
-Ma non potevamo scegliere un’altra città?- chiese ancora Astro, cercando di evitare le buche della strada. Will rise.
-Stai tranquilla. Oscura pullula di criminali e persone come noi. Fuggitivi, in cerca del lasciapassare per la Solea-
-Lasciapassare?-
-Già- annuì Will, mentre entravano in città. Will si guardò intorno. Non era cambiata dall’ultima volta che c’era stato. Le strade erano ancora abbastanza pulite da poterci camminare senza inzaccherarsi troppo gli stivali, e le locande erano ancora aperte a chiunque. -Il lasciapassare per la frontiera Soleana- guardò Astro -Essendo stato in guerra il mio è ancora valido-
-Ma tu combattevi contro la Solea- ribatté Astro senza capire. Will ridacchiò e alzò le spalle.
-Politici- sussurrò -La Solea non è un così grande stato. Quando sono arrivato qui il mio generale mi ha dato il lasciapassare e io non ho chiesto niente. Avevo quindici anni, e per me non importava essere in Aschart o in Solea. Non conoscevo la lingua né le usanze, perciò, ti lascio capire che cosa me ne importava- si strinse di nuovo nelle spalle, mentre legava i cavalli ad una staccionata fuori da una locanda.
-Ci fermiamo qui per la notte?- chiese Astro. Will annuì.
-Non è prudente entrare in Solea di notte- sorrise -e nemmeno girare per le strade di Oscura quando fa buio- tornati sui loro passi imboccarono un vicolo dietro una chiesa.
-Dove andiamo?-
-Da un vecchio amico- rispose Will -Quando scappai dal fronte dovetti passare di nuovo da Oscura, e lui mi salvò la pelle. Avevo una freccia conficcata nel fianco- le guardò -Come hai potuto appurare-. Astro arrossì lievemente, ma non disse nulla. -Mi curò e lasciò che passassi qualche giorno nella sua bottega. I Soleani sono famosi per i loro gusti stravaganti. Le armature dei soldati erano completamente ricoperte di pitture preziose. Usavano oro e argento per dipingere- raccontò mentre s’inoltravano sempre di più nel cuore della città -Perciò dovremo acquistare degli abiti che non ci identifichino troppo come stranieri-
-Quali abiti?- chiese Astro sospettosa. Will sorrise.
-Ci faremo consigliare da Arden- bussò forte ad una porta seminascosta da un pesante tenda di broccato ed entrò. Il locale era piccolo e ingombro di oggetti. Era proprio come Will ricordava. Il piccolo banco da lavoro era pieno di pezzi di stoffe, chiodi, aghi, e fettucce. Will sorrise. ricordava Arden al lavoro durante l’orario di chiusura.
-Chi c’è? Se siete soldati deponete le armi, ma se siete pezzenti allora andatevene, non voglio perdere il mio tempo con voi, lo sapete che...- la testa pelata di Arden fece capolino da sotto il banco. Appena vide Will gli occhi verdeazzurro, si spalancarono dalla sorpresa. Non era cambiato, dall’ultima volta che Will l’aveva visto. Portava un pastrano di broccato sui pantaloni a sbuffo e le scarpette dorate e ricurve. La pancia rotonda era ancora al suo posto e il medaglione d’oro oscillava al suo collo taurino. Aveva il volto rubicondo e gli occhi piccoli e ravvicinati. Aveva una moglie e un figlio, Yasser, che, per quanto ricordava Will, era molto maleducato.
-William...- sussurrò Arden -Sei proprio tu?- Will spalancò le braccia.
-In carne ed ossa, vecchio mio- sorrise -Come ti va la vita?-
-Oh- Arden sorrise tirato -Gli affari vanno bene, ma ho perduto mia moglie- il volto arrossato dal caldo si rattristò. Anche Will divenne all’improvviso triste.
-Mi dispiace- disse sincero -Quanto tempo fa è accaduto?-
-Un mese fa, all’incirca- rispose Arden -Sono entrati dei ladri per rubare, Jasmine è scesa qui in negozio e quelli me l’hanno uccisa- sospirò -Da quando non c’è più Jasmine, Yasser è sempre più distratto e taciturno. Adorava sua madre-
-Lo so- Will si avvicinò ad Arden e gli pose una mano sulla spalla. L’uomo lo guardò con un lieve sorriso. -Ma basta recriminare- disse. -Tu piuttosto... credevo che a quest’ora tu fossi molto lontano da qui-
-Lo ero in effetti, ma la storia è andata diversamente- Will gli raccontò in breve ciò che gli era successo, come aveva conosciuto Briseide di Salazard e poi Astro. Arden si chinò oltre il banco cercando di afferrare una scatola. Quando finalmente ci riuscì tirò fuori un pacco di fogli di pergamena ingialliti.
-Questi sono alcuni dei lasciapassare che i soldati feriti hanno lasciato indietro, quando se ne sono andati. La guerra è ancora furiosa lassù al nord, Will, fossi in te cambierei idea- lo ammonì asciugandosi la fronte con la manica del pastrano -Comunque credo che questo- tirò via un foglio dal fascio di pergamene -faccia al caso tuo- lo tese alla ragazza -Con qualche piccola modifica, che sono certo tu potrai tranquillamente fare, passerete inosservati in Solea-
-Ti ringrazio, vecchio mio- Will sorrise -Ma ho bisogno di qualcos’altro-
-Dimmi pure- rispose lui appoggiandosi al banco.
-Mi servirebbero degli abiti Soleani. Non voglio che qualcuno capisca che non siamo della Solea. Astro può essere facilmente scambiata per Soleana, ma io no. Ho bisogno di abiti che riflettano la nobiltà Soleana-
-Molto bene- si rintanò per qualche minuto dentro uno sgabuzzino, rovistando e imprecando a gran voce. Astro si avvicinò a Will.
-Sei certo di poterti fidare di lui?- chiese sottovoce. Will la guardò.
-Mi ha salvato la vita e io ho salvato quella di suo figlio- Will alzò le spalle -Mi fido di lui come della mia ombra-
-Contento tu- Astro si strinse nelle spalle, tenendo stretta in mano la pergamena. Arden tornò indietro con un mucchio di vestiti in braccio.
-Potete cambiarvi là dietro- accennò a delle tende accanto alla porta che dava sul retro. Will prese i suoi vestiti e si cambiò. Si sentiva ridicolo, ma non poteva fare altrimenti. Si guardò nel piccolo specchio. Indossava una camicia bianco sporco, di seta, un gilet di broccato tenuto in vita da una fascia dorata e una paio di pantaloni simili a quelli di Arden blu. Gli stivali avevano la punta arrotondata, bianchi. Quando uscì trovo Astro già pronta. Indossava un lungo vestito color porpora, con un’alta fusciacca di seta che le cingeva la vita fina. Portava un velo sui capelli legati strettamente in una crocchia con un nastro nero. Ai piedi aveva delle scarpette di seta ricamate. Lo guardò. -Mi sento ridicola- disse arrossendo.
Will ridacchiò. -Però sembri una vera Soleana- rispose. Arden sorrise distrattamente.
-Vi conviene portarvi anche gli altri vostri vestiti- commentò. Will annuì. Tolse dalla cintura a cui aveva agganciato la spada un sacchetto di monete.
-Il cambio è sempre a mio favore, Arden?- chiese. il commerciante non disse nulla e gli allungò un sacchetto colmo di monete.
-Non fare atti eroici, in Solea, Will- scosse la testa -Il governatore di Salazard non ti ha tagliato la testa, ma qui il tuo sangue potrebbe scorrere non appena passata la frontiera-
-Starò attento- promise Will.
-Lo spero proprio-
Quando lasciarono la bottega di Arden, il sole stava tramontando al di là delle montagne. Ripresero i cavalli e andarono in cerca di una locanda. Astro gli chiese se fosse davvero necessario tenere quei vestiti. -Non possiamo toglierli?- chiese piagnucolante -In fondo ci sono tanti fuggitivi come noi. Entreremo domani in Solea....-
-Non discutere, Astro, te ne prego- sospirò Will stanco -Non ho voglia di litigare- la guardò -e poi questi abiti sono più femminili, dovrebbero piacerti-
-Non sono abituata a portare una gonna- protestò Astro mettendo il broncio. Will rise. Vagarono per qualche minuto, fino ad una locanda leggermente più diroccata di altre. Astro non protestò, ma Will sapeva che non aveva nessuna intenzione di starsene buona e subire le sue decisioni. Mangiarono velocemente e salirono nella camera di cui l’oste aveva dato loro le chiavi. Will accese il camino e un lieve tepore gli scaldò le ossa. Fuori era calato il buio e gli ultimi abitanti di Oscura ancora in giro. Si affrettavano a tornare al riparo. L’aria sapeva di pioggia e Will sapeva che di lì a poco sarebbe scoppiato uno dei tanti temporali che aveva visto in Solea. Era così vicini al confine che a Will pareva di poter sentire i clangori della battaglia, il tintinnio delle spade e i passi pesanti dei soldati. Un brivido gli percorse la schiena. Era passato molto tempo da quando era un soldato destinato alle retrovie. Quella vita era durata poco. Per quel periodo era stato quasi felice di essere uno dei soldati che combattevano per la libertà, non incontrando nemmeno un nemico, perché a loro, erano destinate le prime file. Ma quando l’avevano spedito nella prima fila aveva capito che nessuno combatteva per la libertà o l’onore, ma per i terreni, il denaro, i favori del signore. E tutto questo lo aveva privato degli scrupoli per i nemici, facendolo diventare ancora peggiore di molti altri soldati. Quando, un giorno, aveva dovuto uccidere un’intera famiglia, sentendo il pianto disperato dei bambini ormai condannati alla morte, tutto quello che aveva visto, tutto quello che aveva fatto, gli era piombato addosso, e aveva sentito il sapore della bile sulla lingua. Allora aveva rinfoderato la spada, si era gettato il mantello sugli occhi e se n’era andato. Aveva lasciato la madre ferita e i bambini, che, forse avrebbero avuto una speranza di vita. Quella notte, era fuggito, senza lasciare alcuna traccia di sé. Ma poi avevano scoperto l’inganno e l’avevano braccato come si caccia un cervo sulle montagne. Will sorrise fra sé, protendendo le mani sul fuoco. Si tolse la casacca damascata, e l’appoggiò ad un gancio accanto al camino. Sapeva che i vestiti di Astro erano stati gettati a terra senza troppa attenzione. Non le piacevano quei vestiti... beh, si sarebbe dovuta abituare. Si voltò. La ragazza era sdraiata nel letto, le coperte ruvide tirate fino alle spalle coperte da una camicia di tela grezza. Will sorrise. Dormiva già?, si chiese. Si tolse gli stivali, la camicia e si sedette sul letto. Si protese verso di lei. I capelli sciolti le ricadevano sul volto, sereno. Glieli scostò. Lei aprì gli occhi di scatto, afferrandogli il polso con la mano.
-Will- sussurrò -Potresti fare a meno di spaventarmi?-
-Credevo tu dormissi- mormorò Will, avvicinandosi a lei. L’espressione di Astro si ammorbidì. Si voltò verso di lui e allargò le coperte. Aspettò finché non si fu accomodato, poi si strinse contro il suo corpo. Appoggiò il capo sul suo torace. Lui la circondò con le braccia.
-Will?- lo chiamò.
-Dimmi-
-Che cosa siamo noi?- chiese Astro sollevando gli occhi su di lui. Will la guardò. Non rispose subito, perché non sapeva che cosa risponderle.
-Non lo so, Astro- alzò le spalle. -Non lo so-
-Nemmeno io- sorrise Astro -Perciò, va bene, non trovi?-. Will rise.
-Beh, se va bene a te...-
-Posso chiederti una cosa?-
-Certo- la ragazza riappoggiò il capo sul suo petto.
-Che cos’è quell’anello che porti al dito?- Will s’irrigidì.
-Non è niente- rispose.
-Non è vero- sentì Astro divincolarsi dalla sua stretta -È di una donna, vero?-
-Che c’è?- la punzecchiò lui -Facciamo la gelosa?- la vide arrossire e un moto di piacere lo invase.
-Io non sono gelosa- sillabò lei riabbassando lo sguardo. -È solo che...-
-È solo che cosa, Astro?- chiese Will. Non sapeva che cosa provasse lei, ma sapeva che cosa provava lui in quel momento. Era in debito con Briseide e doveva tornare da lei, in qualsiasi modo possibile.
-Lascia perdere Will. Sono solo una stupida- rispose lei, la voce rotta. Lui le mise due dita sotto il mento.
-Qualunque cosa io sia per te, Astro- cominciò -Io non potrò mai portarti con me. Nemmeno se dovessi scoprire che Fedric è morto. Sai che cosa sono, sai da dove vengo. Io devo tornare, capisci?-
-Lo so- lei distolse lo sguardo -Ma io ti amo- sussurrò. Will sentì uno strappo all’altezza del cuore. Abbracciò Astro, molto più stretto di quanto avrebbe voluto. Non dissero più nulla. Lui rimase sveglio fino a che Astro non si addormentò. La guardò, mentre dormiva. Era bella. Ma il suo viso si sommò improvvisamente a quello di Briseide, e subito dopo a quello di sua madre e di suo padre. Sentiva un doloroso nodo alla gola, e per molto tempo rimase sveglio, cercando di rimettere in ordine i propri sentimenti, anche se, era sicuro, non ci sarebbe mai riuscito.



*


Ciao a tutti!
Come vi è sembrato questo capitolo? Spero che vi sia piaciuto quanto a me è piaciuto scriverlo....
Briseide è stata rapita e adesso?
Beh, per togliervi la curiosità dovete soltanto leggere!!
Un bacio a tutti!!

RINGRAZIAMENTI
Araluna:  mi hai sgamato anche tu eh? ^_____^, in effetti non me n'ero accorta, ma sai dopo otto ore passate tra tedesco, inglese e storia medievale non capivo più un tubo e non ho riguardato il cap.... Xdono! Spero che altre battute "alla Verdone" in questo non ci siano... e tu segnala segnala, vuol dire che leggi attentamente e che, insomma, un pochino riesco a catturare la tua attenzione!  Baci baci

Luxu2: benvenuta, e grazie per la recensione!




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Capitolo 7
*** L'accordo ***


capitolo sette
Premessa: prima di lasciarvi a questo nuovo capitolo volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia storia, anche se non hanno recensito o non l'hanno messa tra i preferiti. Per me è molto importante che la leggiate, perchè è la prima volta che mi cimento in una storia del genere. In particolare devo ringraziare Araluna, la mia lettrice più fedele. Cara, grazie, grazie infinite, senza i tuoi importantissimi consigli non saprei proprio come fare. Grazie per le tue recensioni entusiaste e grazie per leggere così attentamente.

Stellalontana



Capitolo sette

...Questo capitolo è dedicato ad Araluna...

Nella grotta faceva freddo. La pietra gocciolava d’acqua, e il rimbombo delle gocce, immerso in tutto quel silenzio era straziante. Silenzio rotto solamente da passi radi, o un respiro che si avvicinava e che poi si allontanava di nuovo nella direzione opposta.
Briseide si appoggiò alla parete. Aveva il vestito fradicio d’acqua, i capelli coperti dal velo strappato erano un groviglio informe di rametti e foglie, soltanto i piedi erano all’asciutto. Espirò profondamente, chiedendosi per quanto ancora avrebbe aspettato la propria sorte. Le mani legate in grembo non le consentivano libertà di movimento e Seth, il bandito, le aveva legato le caviglie. Briseide fece una smorfia. Non che avesse l’intenzione di scappare. Non sapeva nemmeno dove si trovava. Avevano camminato per giorni verso ovest, evitando qualsiasi strada battuta, qualsiasi sentiero, qualsiasi villaggio. Si sentiva stanca, spossata e avrebbe volentieri dormito per giorni interi, ma l’acqua che sgocciolava lenta dalla roccia non le faceva chiudere occhio. I pochi movimenti che i suoi occhi riuscivano a percepire nell’oscurità, erano quelli dei briganti che facevano la spola per controllarla. Alcuni parlavano pochi minuti, davanti a lei, in una lingua che non aveva mai sentito, ma nessuno le rivolgeva mai la parola. Nessuno tranne Seth. Lui era il solo che le parlava, di quando in quando, ma sempre per darle ordini o per controllare le corde di cuoio. Briseide si guardò i polsi. Il cuoio ruvido aveva escoriato la pelle e aveva lividi e segni rossi su entrambi i polsi. Si scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. A dispetto delle maniere ruvide e le parole severe, Seth non era un uomo brusco. Si faceva rispettare grazie alla sua persona possente, e la forza era certamente la sua qualità più spiccata. Era il tipico uomo che era abituato a farsi ubbidire con un solo gesto. Parlava poco, con una voce roca e severa, quasi quanto i suoi occhi blu cobalto. Cupi e penetranti, Briseide se li sentiva addosso ovunque, ogni cosa lei facesse e ogni parola lei dicesse. E c’erano state poche occasioni per dire qualcosa, perché qualunque cosa lei dicesse veniva subito zittita dalla voce rauca di Seth, che le diceva bruscamente di risparmiare il fiato. In quei giorni Briseide aveva viaggiato parecchio tempo sul cavallo di Seth, e soltanto di rado aveva camminato accanto ad esso, le mani legate dal cuoio e tenute saldamente ancorate da un laccio al polso del brigante. La prima volta che aveva cercato di liberarsi dalla stretta era stata trascinata di peso ad un centimetro dal suo volto. Lui non aveva detto nulla, si era limitato a issarla sulla sella e a legarle i polsi al pomello. Non era scesa da cavallo se non a notte fonda, quando lo stesso Seth l’aveva slegata e deposta sull’erba. Era semi addormentata e aveva sentito il suo mantello coprirla. Poi si era addormentata.
-State bene, mia bella prigioniera?- la voce rauca di Seth la distolse dai propri pensieri. Briseide voltò la testa verso l’entrata della grotta. Il sole al tramonto entrava in fasci aranciati. La figura del brigante si stagliava controluce in tutta la sua austerità. Briseide non rispose. Si limitò a voltare il capo dall’altra parte, senza guardarlo. Lo sentì avanzare lento, i passi calcolati, fino a lei. Con un movimento fluido si sedette, le lunghe gambe incrociate.
-Suvvia, non fate così- Briseide sentì le sue mani che le afferravano le braccia e la costringevano a voltarsi dalla sua parte. -Vi ho chiesto se state bene- gli occhi cobalto di lui la fissavano severi.
-Sì- disse allora Briseide, cercando di infondere in quel sì tutto l’odio che provava verso di lui.
-Bene- commentò lui annuendo -Perché questa notte dovremo viaggiare-
-Verso dove?- chiese la ragazza, cercando di divincolarsi nella stretta possente delle mani del brigante. Lo vide scuotere dolcemente la testa. I capelli biondi danzarono davanti ai suoi occhi.
-Lo vedrete quando arriveremo- rispose -Avete dormito?-
Briseide distolse lo sguardo dai suoi occhi cupi. -No-
-Perché no?- chiese allora lui, apparentemente stupito -I miei uomini vi hanno dato fastidio?-
-No- ripeté lei tornando a guardarlo -No, affatto. Ho paura. E quando ho paura non riesco a dormire- spiegò lei. Perché spiegare poi? non doveva nessuna spiegazione a nessun brigante.
-Peccato- disse lui, alzando le spalle -Non dovete avere paura. Non serve a niente, e soprattutto vi stanca. Non vi uccideremo, se è questo quello che temete-
Briseide rimase in silenzio, fissandolo con le sopracciglia leggermente inarcate, chiaro segno della sua diffidenza. Lo sentì ridacchiare e lo vide scuotere la testa bionda.
-Non siate così diffidente. Sono un brigante ma non dico bugie- disse con un mezzo sorriso sulle labbra, come se parlasse ad un bambino. Le prese il mento fra le dita e la obbligò a guardarla. Briseide rabbrividì. La mano del brigante era gelida come il marmo. -Non vi uccideremo. Siete troppo preziosa per perdervi- sussurrò.
Briseide deglutì, ancora più impaurita. -Che cosa volete da me?-
-Da voi?- chiese divertito lui -Nulla. Vostro padre, al contrario, può fare molto per noi, per me. A quest’ora i miei uomini avranno già avvertito Pericle di Salazard. Mia cara fanciulla, se vostro padre vorrà rivedervi dovrà stare alle nostre condizioni-
Briseide si divincolò dalla sua stretta. -Siete... siete...-
-Un brigante, mia dolce fanciulla- la canzonò lui. -È la mia natura- ridacchiò, in un modo che fece venire i brividi a Briseide. -Siamo così diversi, io e voi. Voi siete la figlia del Governatore, io sono un rinnegato. Voi vivete in un palazzo, io dormo sotto gli alberi. Voi cavalcate dei purosangue, io un cavallo che potrebbe essere paragonabile ad un mulo qualsiasi- rise, una risata rauca e secca, senza la minima traccia di allegria -Io sono un brigante mentre voi un’adorabile creatura. Così bella e fragile...- le passò la mano dal mento alla guancia, fino ai capelli. Fece cadere il velo ormai strappato, togliendo qualche foglia secca rimasta impigliata fra le ciocche disordinate. Si rigirò una ciocca rossa su un dito. -Così delicata- sussurrò -Ho quasi paura di rompervi-
-Non sono fatta di terracotta- scattò allora Briseide, stanca di sentirsi trattare come una cosa. Si divincolò, ma Seth le tirò i capelli, e lei si fermò. Sapeva che poteva farle del male. Non doveva dargli occasioni per farlo.
-No- lui la fissò negli occhi -no, per niente. Ed è un bene, sapete?- domandò, senza peraltro volere una risposta, perché continuò subito dopo -Perché i miei uomini sanno essere estremamente violenti a volte- scosse la testa bionda -ma non dovete temere, perché chiunque avesse il coraggio anche solo di avvicinarvi, sarà punito molto duramente-
-Che fortuna- ribatté ironica Briseide, un velo di terrore che le attraversava la voce. Lui annuì così lievemente che Briseide si chiese se non se lo fosse immaginato. Si schiarì la gola. -E se... per caso mio padre non dovesse darvi ciò che volete? Che cosa avete intenzione di fare di me?-
-Oh- lui sembrò ridestarsi da un pensiero non troppo piacevole -Non ci sarà questa eventualità-
-Ma se ci fosse- ringhiò Briseide raccogliendo tutto il coraggio che le era rimasto.
-Se ci fosse questa, impossibile, eventualità...- cominciò lui, sempre stringendo la ciocca di capelli, fissandola negli occhi -non credo che per voi si metterebbe al meglio-
-E ciò significa...-
-Non fate congetture, mia bella fanciulla... sono un brigante...- rispose lui, passandosi la lingua sulle labbra. 
Briseide rabbrividì. Non gli piaceva per niente il modo in cui Seth la guardava. -Che cosa... che cosa avreste... che cosa...-
-Lasciate andare la vostra fantasia, mia dolce fanciulla...- liberò la ciocca di capelli, per poi passarle le dita sotto la cascata vermiglia, districando dolcemente i nodi. Briseide sentiva il cuore martellarle nel petto, come se volesse romperle le costole.
-Non... non siete così crudele...- cercò di allontanarsi leggermente, ma la mano di Seth si ancorò ai suoi capelli e la trattenne. La guardò negli occhi, mentre i suoi assumevano il colore della tempesta.
-No, ma potrei diventarlo- sogghignò per un momento, ma poi tornò serio, il bel volto contratto in una smorfia spiacevole -Ma vostro padre pagherà... prima o dopo- è di quel dopo che ho paura, pensò Briseide, distogliendo lo sguardo dagli occhi blu di Seth.
-Che cosa vi ha fatto mio padre?- chiese allora Briseide, sentendo che la presa sui suoi capelli si allentava leggermente. Lui posò lo sguardo sulle mano di Briseide strette sul suo grembo.
-Una cosa spiacevole- sussurrò -Mi ha portato via qualcosa che doveva essere mio, ma che non ho mai avuto- tornò a guardarla, con un misto di crudele compassione e sadico cinismo negli occhi cupi -Adesso gli ho reso il favore. Gli ho rubato ciò che per lui c’è di più prezioso. Voi-
Briseide rimase in silenzio. Che cosa poteva dire, di fronte alla freddezza di quell’uomo così severo e cinico? La mano nei suoi capelli riprese a pettinarli, stancamente, sciogliendo i nodi che incontravano le sue dita. 
-Che cosa vi ha portato via, mio padre?- chiese dopo qualche minuto di silenzio. Seth la guardò.
-Non sono affari vostri- rispose acido -Adesso dovete dormire- tolse la mano dai suoi capelli e si rialzò dalla posizione accovacciata, un ginocchio piegato e l’altro a terra. Briseide scosse la testa.
-Non ce la farò a dormire- disse -Io ho paura. Non sono così forte come credete-
-Mai creduto- la rimproverò lui, scuotendo la bella testa -che una donna possa essere forte, ma voi lo siete- alzò le spalle -Avete diciott’anni, non siete più una bambina-
-Lo dite come se fosse una colpa- si difese Briseide appoggiandosi alla roccia dietro di lei. Seth ridacchiò. Allungò la mano per sfiorarle la guancia, ma lei si ritrasse.
-Tutt’altro- rispose, sorridendo divertito -Tutt’altro-
-E voi?- chiese allora Briseide -Voi quanti anni avete?-
-Perché lo volete sapere?- replicò lui, mentre la sua mano le scivolava sulla gola. Deglutì, il cuore che le balzava in gola. Scosse le spalle, senza rispondere.
-Ho venticinque anni- rispose allora Seth, la voce rauca era tornata quella di sempre, di quando dava gli ordini ai suoi uomini. Si chinò su di lei, la mano che sfiorava il vestito. -Non voglio farvi del male, Briseide, ma nemmeno sedurmi basterà a farvi liberare...- sussurrò al suo orecchio, mentre la sua mano scendeva su quelle di Briseide.
-Se...- cominciò lei tremando.
-Se nulla- sbottò allora lui, rialzandosi. La sua espressione era fredda come il ghiaccio -Voi siete mia prigioniera. Aspettate che vostro padre paghi. Perché lo farà. E se non lo farà... allora preparatevi a sfoderare tutte le vostre armi- la lasciò ridendo.

*

Il sole declinava dietro le montagne della Solea Meridionale. Will si alzò sulle staffe, aggrottando la fronte. Erano entrati in Solea da un paio di giorni e ancora non si erano imbattuti nelle colonne di soldati che marciavano attraverso le pianure. Sbuffò, stringendosi nel mantello. L’unico vantaggio di quegli scomodi drappeggi era che lo tenevano al caldo. Guardò Astro, da sopra la spalla. Cavalcava tranquillamente dietro di lui, ogni tanto voltava la testa all’indietro, ma la sua espressione era serena. Gli sbalzi d’umore che rappresentavano il suo carattere adesso erano diminuiti, forse per il tempo leggermente migliore, anche se più freddo, o forse per il fatto che aveva messo da parte ogni speranza di riuscire a conquistare il cuore di Will.
Will sentì una fitta all’altezza del cuore. Astro era molto graziosa, e forse, se tutto fosse finito l’indomani, avrebbe anche potuto pensare all’eventualità di portarla con sé, a casa sua. Ammesso e non concesso che avesse ancora una casa, al di là del mare. Ma quel “tutto” non sarebbe finito l’indomani. La sua vita non poteva essere legata ad una donna, non ancora. Anche se ci sono già due donne nella mia vita, pensò tristemente, mentre ripensava all'ultima volta che aveva visto Briseide. Chissà come stava, che cosa stava facendo...
Will si alzò sulle staffe, reprimendo un sospiro. Il bavero del vestito da Soleano gli faceva prudere il collo, ma ignorò il prurito, stringendo tra le dita le redini del cavallo. All’orizzonte, alla sua sinistra, non si scorgeva nulla, soltanto la lunghissima pianura dell’Altopiano dei Monti Ammar. L’altopiano si estendeva per miglia a perdita d’occhio. A ovest verso Desra, la capitale politica della Solea, si estendeva la catena dei monti Ammar, mentre a est, verso Hemra la capitale religiosa, una lunga fila di ordinate colline coltivate faceva credere di essere arrivati in paradiso. Tutto della Solea era sole e colore, ma Will sapeva che gli abitanti non erano così cordiali. La guerra tra la Solea e l’Aschart era scoppiata repentina, come un fuoco di paglia, una decina d'anni prima, ma era stata alimentata dall’odio feroce che i Soleani provavano nei confronti degli abitanti dell’Aschart. Will sapeva bene che spacciarsi per mercanti non sarebbe bastato, ma in compenso sarebbero passati inosservati per un po’. Fino al primo centro abitato, almeno. Il ragazzo tornò a sedersi sulla sella, voltò il cavallo e lo spronò verso Astro, che lo aspettava all’ombra di un faggio.
-Tra un paio di giorni dovremmo raggiungere Teti- la informò Will, affiancandosi a lei. Astro annuì.
-Vuoi dire che potremo dormire in una locanda?- chiese.
-È probabile- Will diede una pacca con la mano sul collo della cavallina di Astro e insieme proseguirono. Astro si passò una mano fra i lunghi capelli biondi.
-Meno male. Ho proprio bisogno di un bagno- Astro si guardò il vestito rosso scuro, sotto cui, Will era sicuro, indossava i suoi soliti pantaloni grigi. Sapeva che Astro odiava cavalcare all’amazzone e la gonna non era l’indumento più comodo per cavalcare come un uomo. -Non essere schizzinosa- la prese in giro lui -Non devi andare a palazzo-
-Lo spero proprio!- esclamò Astro lasciando per un momento le redini e sistemando i lacci del mantello. -Non entrerei nel palazzo di Desra per niente al mondo. Tutti quelli che l’hanno fatto, si dice non ne siano più usciti-
-Menzogne- rispose Will scuotendo il capo -Lyone, il re, non è poi così male-
-E tu come lo sai?- chiese Astro lanciandogli un’occhiataccia.
-Storie- rispose vago Will, distogliendo lo sguardo dagli occhi indagatori di Astro e rivolgendosi a nord, la strada che stavano percorrendo.
-Ma...-
-Zitta- intimò il giovane alla ragazza, alzando una mano guantata. Tirò le redini del cavallo e quello si fermò bruscamente. Si posò un dito sulle labbra facendo segno ad Astro di tacere.
Scrutò nervoso lo spazio aperto intorno a loro, mordendosi il labbro inferiore. Era stata un’imprudenza lasciare così presto l’ombra protettiva del bosco.
Sentiva Astro immobile al proprio fianco. Il suo udito sviluppato lo mise in allerta. La prima cosa che sentì fu il silenzio degli uccelli. Uno stormo di rondini si alzò con uno scroscio di ali dagli alberi alla loro destra. Sentì Astro trasalire. Sapeva che avrebbe voluto chiedergli che cosa sentiva, ma non doveva parlare. Will socchiuse gli occhi, ascoltando il rumore degli zoccoli che si faceva sempre più vicino. Cavalieri in armi, una dozzina, forse di più.
Che il cielo ti danni, Guy, pensò distrattamente Will. Sapeva che quella compagnia apparteneva a Guy. Lui e i suoi armigeri avevano aspettato che uscissero dal bosco, che si avventurassero in terra straniera, senza possibilità di aiuto, prima di attaccarli. Era stato uno stupido a credere che Guy non l'avrebbe più inseguito. Era stato uno stupido ad uscire dal bosco. E adesso entrambi ne avrebbero pagato le conseguenze.
-Sono sulle nostre tracce- la sua voce ruppe il silenzio di Astro. La ragazza lo guardò spalancando gli occhi.
-Chi?-
-Le guardie del governatore- rispose Will, spronando il cavallo -Dobbiamo fuggire- tirò il cavallo al galoppo, pregando che non fosse troppo tardi. Astro lo raggiunse dopo un minuto di trotto.
-Che cosa facciamo se ci raggiungono?- urlò. Will non rispose. Non lo sapeva. Erano in troppi, più di una dozzina e lui... lui era solo con una ragazzina. Ma ormai le speranze nutrite da Will non avevano alcun senso. All’improvviso sentì sibilare una freccia proprio accanto all’orecchio. Si accucciò sul cavallo.
-Will!- il grido di Astro lo costrinse a frenare il cavallo. Si voltò indietro. Vide Astro a terra, la mano premuta sulla spalla, e una freccia conficcata nel terreno a poca distanza da lei. La cavallina nitrendo spaventata scappò galoppando in direzione delle colline. Maledizione!, pensò Will, mentre raggiungeva Astro. Scese da cavallo e si accucciò accanto a lei.
-Ti fa male?-
-Non tanto- rispose Astro. Will alzò gli occhi verso il punto in cui c’erano loro non più di dieci minuti prima. Un gruppo di cavalieri si stava avvicinando ad incredibile velocità. Will strinse i denti.
-Ce la fai a salire sul mio cavallo?- chiese. Astro scosse la testa.
-Non ti lascio qui da solo- esclamò risoluta. Will le prese entrambe le mani. La destra sporca di sangue gli macchiò i guanti.
-Non vogliono te, Astro. Vogliono me- sospirò -Ti prego...-
-Scordatelo!- gridò allora Astro -Io ti amo- sussurrò poi, distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri di Will -Non voglio che ti uccidano. E se lo faranno... allora morirò con te-
-Astro...- Will le prese il viso tra le mani e la baciò, violentemente, premendo con forza le proprie labbra su quelle di lei -Non ti lascerò morire- le promise. L’aiutò a rialzarsi e sfoderò la spada dalla sella del proprio cavallo. La passò ad Astro e snudò la propria. Un attimo dopo le guardie del governatore li accerchiarono. Per un momento Will osservò con gli occhi socchiusi le tuniche verdi delle guardie. I soldati del governatore erano vestiti tutti allo stesso modo: la cotta di maglia sotto una corta tunica verde con un albero dorato, il simbolo del governatore, le braghe marroni e gli stivali di cuoio alti fino al ginocchio. Portavano un cappello floscio dalla piuma verde smeraldo.
-Bene, bene, bene- Will rabbrividì. Voltò la testa verso la voce. Suo fratellastro Guy si sporgeva dal cavallo per osservarli, con un sorrisetto soddisfatto sul volto abbronzato. La tunica di un verde più scuro e il capello dalla piuma rossa lo identificavano come generale. Will abbassò la spada fino a toccare il terreno, in attesa. Aspettò che Guy fosse sceso da cavallo, si fosse tolto i guanti ed ebbe sguainato la spada. Finché non parlò Will continuò ad osservarlo, gli occhi azzurri fissi in quelli scuri di Guy.
-Ma chi abbiamo qui?- ridacchiò Guy girando loro intorno -Un ricercato e una ragazzina-
-Attento a come parli, soldato!- esclamò Astro, punta sul vivo -Ho sedici anni, io!- Will alzò una mano, facendole segno di tacere. Astro lo guardò contrariata dal gesto, ma lui non disse nulla, e lasciò che Guy continuasse il suo discorsetto di vittoria, ignorando il commento della ragazza.
-Sai, fratellino, avevo perso le speranze di rintracciarti. Ti sto dietro da giorni ormai, settimane, e non sapevo che cosa pensare... insomma, dove potevi essere andato?- Guy passeggiava avanti e indietro davanti a loro, accarezzandosi distrattamente il mento, ispido di barba non fatta -E mi chiedevo come poteva essere che avevo perso le tue tracce. E poi- si toccò la tempia -ho capito. Fuggendo per il bosco, favorito dalle piogge... avevi attraversato il lago ed eri passato in Solea- rise, sguaiato -Oh, William, quando ho capito che dovevi essere diretto in Solea mi è persino venuto da ridere. Che splendida opportunità per catturarti... e in questi giorni il tuo finissimo udito non ti ha detto niente- si avvicinò così tanto che Will poté sentire il puzzo di birra del suo fiato -perché tu eri nel bosco e noi indietro, vi tenevamo in pugno- gli voltò le spalle, scoppiando nuovamente nella sua risata sguaiata.
-Maledetto- ringhiò Will tra i denti. Guy si voltò di nuovo, lo guardò per un momento, poi la sua mano calò di piatto sulla guancia di Will, mandandolo lungo disteso a terra. Per un momento Will sentì la testa girare furiosamente, mentre si appoggiava al terreno. Si morse la guancia, sentendo il sapore del sangue sulla lingua. Non era un sapore che amava. Si asiugò le labbra rosse di sangue con la manica della camicia e si rialzò. Astro gli afferrò il braccio, ma lui si svincolò, senza guardarla. Guy l’osservava, serio.
-William- cominciò -comincia ad essere alquanto noioso doverti inseguire. Mi hai già dato troppo filo da torcere, sia quando eri sotto il mio comando in guerra, che nell’ultimo mese. Nostro padre...-
-Non parlare di mio padre- sibilò Will, stizzito -Non tirare in ballo la mia famiglia, né tantomeno mio padre. Speravo che crescendo gli saresti assomigliato, ma mi sbagliavo-
-Nostro padre era un debole, Will- sputò Guy -Un debole e un vigliacco. Ha lasciato che il generale del re ti arruolasse anche se avevi solo quindici anni... e adesso guardati. Sei un ricercato, un disertore a cui spetta la morte- sorrise -Ma io posso rimediare, sai?- chiese avvicinandosi.
Will lo squadrò. Il suo corpo era leggermente più appesantito dall’ultima volta che lo aveva visto, forse per il fatto di aver passato giorni senza potersi liberamente muovere. Scorse la sua figura. La gamba a cui l’aveva colpito pareva non aver subito complicazioni. Per un momento quasi aveva sperato di avergli rotto il femore, ma la fortuna di Guy aveva voluto che recidesse soltanto le vene meno importanti. Guy sorrise ancora più apertamente.
-Che cosa vuoi da me?- chiese appoggiandosi alla spada, con fare noncurante. Guy fece un segno ad un soldato, che, sceso da cavallo gli porse una pergamena. Guy la gettò verso Will che la prese al volo. Era una mappa della Solea. Will alzò un sopracciglio.
-E allora?- chiese sorpreso e sospettoso. Guy alzò le spalle possenti.
-Un piccolo lavoretto che ti porterà via qualche giorno in più di marcia- si sentì rispondere Will. Il giovane incrociò le braccia sul petto. -Che genere di lavoretto?-
-Desra- rispose Guy alzando un braccio in direzione nord -Re Lyone è in conflitto con il Governatore. Tu sei stato a Desra, sai com’è la situazione lassù- puntò il dito verso nord -sai come arrivare al re- lo squadrò, osservando gli abiti soleani -e hai abiti soleani. Perciò quello che ti chiedo è questo: porta il messaggio che ti darò a re Lyone, cerca di essere convincente come ambasciatore e potrai tornare...- Will stava per interromperlo ma Guy continuò, tronfio -... ad essere un soldato-
Will lo fissò per un breve momento. Di tornare sotto le armi proprio non ne aveva l’intenzione, né tantomeno di essere al servizio di Guy. Dopo aver rimuginato per alcuni minuti tese la mappa a Guy. Questi non la prese.
-Se ti rifiuti ti ucciderò seduta stante, William. Tu e la tua piccola sgualdrina- lo sfidò Guy, perfettamente calmo. Will sentì Astro muoversi al suo fianco. La fermò un momento prima che si lanciasse contro Guy.
-Brutto stronzo!- urlò la ragazza mentre Will la prendeva per le spalle -Ripetilo e vedrai che cosa ti succede!-
Guy, per tutta risposta scoppiò a ridere. -Selvaggia la bambina eh?-. Il piccolo manipolo di guardie ridacchiò alla battuta di Guy. Will si voltò verso Astro.
-Stai buona- le ordinò in un orecchio. Astro puntò i piedi a terra e impugnò la spada con entrambe le mani.
-Dammi solo un’occasione, Will- sibilò -e io lo uccido-
-E poi loro uccideranno te- ribatté scocciato Will -Lascia fare a me- si voltò di nuovo verso Guy.
-Diciamo che accetto- propose allargando leggermente le braccia -Quali sono le tue garanzie?-
-Non sei nella posizione giusta per patteggiare, William- obiettò Guy con un sorrisetto. Will alzò spalle.
-Hai ragione- convenne -Ma vorrei essere sicuro che se farò ciò che mi chiedi avrò salva la vita- disse. Guy si prese il mento fra le dita accarezzando il corto pizzetto.
-Avrai salva la vita- rispose -E sarai rispedito nelle retrovie-
-Nessuna obiezione-
-Ma dovrai rimanere al campo militare di Donvart per almeno sei mesi- Will rabbrividì. -Ti ricordi Donvart eh?- chiese Guy prendendolo in giro.
-Mi ha quasi ucciso- rammentò Will con un brivido. -È un uomo quasi peggiore di te... il che è tutto dire-
-Bada a come parli- Will si ritrovò la punta della spada di Guy puntata alla gola. Con due dita l’abbassò leggermente.
-Scusa- sibilò sarcastico -Allora... stavamo parlando di garanzie. Io vado da Lyone- disse -ma tu lasci andare Astro-
-La ragazza?- chiese Guy indicando Astro, che se ne stava con la spada appoggiata al terreno, in attesa, la spada di uno dei soldati puntata alla schiena.
-Sì- ribatté Will -Lasciala andare. Lasciala tornare a casa-
-No- rispose Guy, sorridendo lievemente -no, verrà con te. Insieme a due dei miei soldati. L’ambasciatore e sua moglie saranno ben più credibili di un ambasciatore solo, che ne dici?-
-Ma io...-
-Non protestare- ringhiò Guy puntandogli di nuovo la spada alla gola. Will alzò entrambe le mani con un sorrisetto di sufficienza, e non ribatté. Conosceva Guy, sapeva che era meglio non contraddirlo e soprattutto che era meglio fare ciò che diceva, se voleva ancora avere la testa sulle spalle l’indomani mattina. Will guardò Astro.
-Non ci pensare- sibilò lei -Non ho nessuna intenzione di sottostare alle leggi di questo prepotente- obiettò distogliendo lo sguardo da lui. Will sospirò. Con la mano sul piatto della spada del soldato che teneva sotto tiro Astro, la tirò giù. -Ti prego- le sussurrò all’orecchio -Non voglio morire, ho fatto una promessa e devo mantenerla. Credo che anche tu non sia così ansiosa di morire-
Astro lo guardò. Sbuffò, incrociando le braccia. -Va bene- puntò il dito contro Guy -Ma sia chiara una cosa: una volta che avremo portato a termine questo piccolo “lavoretto”, voglio tornare a casa-
-Acconsentito- promise Guy. Will sapeva che non avrebbe mantenuto nessuna delle promesse che aveva fatto loro, ma per il momento non poteva fare diversamente. Piegò la mappa della Solea e la infilò nella tasca del mantello blu. La situazione era contro di loro, doveva fare in modo di volgerla a suo favore e una volta arrivato a Desra l’avrebbe fatto.



*


Araluna: allora cara.... che mi dici, piaciuto il capitolo? Spero di sì.
Beh, in realtà la Solea l’ho immaginata come un paese molto grande e perciò che riunisce tanti aspetti. C’è quello buio della guerra (per questo la città si chiama Oscura, che non è ancora Solea ma una via di transito), quello dorato  del re e quello un po’ meno bello dei contadini.
I briganti non sono degli scagnozzi di Guy, non preoccuparti, ancora non sono così sadica!
Astro è una ragazza strana, crede di aver perduto Fedric ed è per questo che s’innamora di Will, ma non temere, le cose si aggiusteranno presto, devi solo avere un po’ di pazienza e continuare a leggere!
Briseide come hai visto è una ragazza coraggiosa, ma che ha paura (come tutti) di morire.
Seth è il personaggio che credo, dopo Will, mi sia riuscito meglio. E' bello proprio come Will (si lo so, la sto facendo un po' troppo lunga con questi belli e impossibili, ma che ci posso fare, sono una romanticona... ^^') e i due hanno molti aspetti in comune. Spero che ti piaccia tanto quando a me piace descriverlo.
Un bacione!

TVB: ciao, grazie per aver recensito, spero che questo capitolo ti sia piaciuto, e spero anche che continuerai a leggere. Un bacio.

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Capitolo 8
*** Sulla strada per Desra ***


capitolo oot
Premessa: Saaaaalve... Siamo arrivati all'ottavo capitolo e siamo a più della metà della storia. Visto che ho terminato di scrivere i capitoli finali la pubblicazione sarà un po' più veloce, diciamo una volta a settimana, così ho il tempo di riguardarli. Può darsi che pubblichi anche due capitoli in una settimana, ma mi pare improbabile visto la mole di studio che incombe sulla mia povera testa... I capitoli saranno 14, perciò ne mancano ancora sei alla fine. Spero che resisterete fino all'ultimo. Grazie a chi leggerà e commenterà, e anche a chi darà soltanto un'occhiata.
Stellalontana


Capitolo otto



Briseide si tolse un ciuffo di capelli dagli occhi. Il sole faceva capolino da uno strato lattiginoso di foschia, che si era levata quella mattina presto, senza dare tregua. La nebbia avvolgeva il sentiero e gli alberi intorno. Briseide sentiva il braccio destro in fiamme, come se l’avesse immerso in una bacinella di acqua bollente. I lacci di cuoio che le cingevano il polso grattavano la sua pelle, e ogni volta che Seth spronava il cavallo lei veniva sospinta in avanti, rischiando ogni volta di perdere l’equilibrio. In cammino da quella mattina, da molto prima che il sole sorgesse dietro le colline, la colonna di briganti si snodava dietro il cavallo di Seth come tante ombre brumose. Briseide si guardò in torno, cercando di scorgere qualcosa nella nebbia che li avvolgeva. Ogni cavallo era stato munito di un sonaglio che tintinnava ogni volta che spostavano il capo. Il che accadeva molto spesso e tutto intorno si sentiva lo scampanellio dei sonagli. Chiunque li avesse visti li avrebbe presi per una comitiva di saltimbanchi e girovaghi. Seth aveva fornito spiegazioni ai primi Soldati della Polizia del Confine, che, avventurandosi oltre la loro giurisdizione si erano imbattuti nella comitiva. Aveva spiegato come sua sorella, Briseide stessa, fosse completamente matta, e che dovesse essere tenuta al guinzaglio notte e giorno, per non correre il pericolo che facesse del male agli altri oltre che a se stessa. Briseide non aveva mai sollevato la testa, osservando il terreno ai propri piedi, per tutto il tempo che si erano trovati davanti ai Soldati.
All’improvviso uno strattone più forte degli altri le fece perdere l’equilibro e, inciampando in una radice sporgente, cadde, trascinata all’istante in alto dallo strattone della corda di cuoio. Un rivolo di sangue caldo le colò dal polso fino al gomito, imbrattandole la veste strappata. Si lasciò scappare un mugolio di dolore. Sopra di lei sentì una risata sprezzante. Conosceva quella risata, era l’unica risata che sentiva ormai da due lunghissime settimane. Quindici maledettissimi giorni in compagnia di quei briganti, senza poter avvertire il padre che stava bene, senza notizie di Loretta e gli altri soldati di scorta, e soprattutto senza la speranza di poter mai rivedere Will. Briseide si rimise in piedi, mentre il sangue le imbrattava ancora la manica della veste. Una profonda ferita le solcava il dorso della mano e il polso. Pulsava e bruciava, e Briseide si sentiva le lacrime pungerle gli occhi. Vide Seth scendere da cavallo e sciogliere il nodo della corda dalla sella e strattonarla verso una roccia piatta depositata da chissà quanto tempo al limite del sentiero. I briganti scesero da cavallo, chi sbadigliando, chi massaggiandosi la schiena, chi bevendo dalle botticelle la birra scura. Briseide si sedette sulla roccia.
-Dovete stare più attenta- la rimproverò bonariamente Seth. -O vi farete male-
-Affari miei- sibilò Briseide. Seth non rispose al commento, ma sciolse il nodo che recideva la pelle della ragazza, tendendole il braccio nella presa forte della sua mano. Prese il coltello dalla cintura e strappò un pezzo del vestito di Briseide. Lei tentò di protestare, ma Seth la zittì con un sguardo gelido negli occhi cobalto. Pulì la ferita e la fasciò, gettando a terra la corda di cuoio.
-Adesso ascoltatemi bene- disse, fissandola -Non voglio legarvi di nuovo, ma voi dovete promettermi che non tenterete di scappare-
Briseide squadrò Seth, seduta ancora sulla roccia. Non rispose, ma distolse lo sguardo, imbronciata.
-Mia bella fanciulla,- cominciò allora Seth, prendendole il volto con la mano e costringendola a guardarlo negli occhi -non è un piacere per me tenervi legata- sospirò -e non credo che lo sia per voi camminare accanto al mio cavallo-
Briseide non rispose, mantenendo quello che credeva essere un dignitoso silenzio. Seth l’osservò per un lungo momento.
-Mia dolce fanciulla- sospirò alla fine -so che non è una passeggiata per voi, so che è molto tempo che vi tengo prigioniera, ma dobbiamo arrivare molto più a nord-
-E dove?- chiese Briseide, scostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi. Il brigante si inginocchiò davanti a lei. I suoi occhi cobalto vagarono sui suoi capelli spettinati, e sul suo vestito strappato. Briseide si sentì come se fosse nuda, davanti allo sguardo di quell’uomo. Si sentiva così a disagio quando la guardava in quel modo...
Seth si rialzò all’improvviso, come se qualcosa lo avesse morso. Briseide fece per alzarsi ma il braccio del brigante le intimò di rimanere seduta. Dalla sua posizione poteva vedere soltanto una striscia della strada, che si snodava dietro di loro, la parte di strada battuta che avevano appena percorso. La nebbia cominciava in quel momento a diradarsi. Il corpo di Seth era teso come la corda di un liuto (*), il suo volto una maschera di pietra. All’improvviso si rilassò, abbassando il braccio. Dalla strana provenne un vocio concitato.
-Girovaghi- lo sentì sussurrare, Briseide. La ragazza si alzò. Il brigante le tese un mantello che lei si allacciò al collo.
Lui le prese un braccio, stringendoglielo. -Non azzardatevi a fuggire. Non vi muovete o sarà peggio per voi- il brigante accennò al pugnale che teneva legato alla cintola. Briseide deglutì. Aveva già assaggiato quella lama, giorni addietro, quando Seth gliela aveva puntata alla gola, minacciandola. Sapeva che non l’avrebbe uccisa, ma tutto il coraggio che aveva cercato di trattenere se n’era andato immediatamente, alla vista della lama luccicante. Seth le strinse il braccio.

-Mi fate male- ringhiò Briseide. La stretta non diminuì.
-Fate silenzio- sillabò Seth senza guardarla. Briseide rivolse lo sguardo verso la strada. Adesso poteva vedere un carro, dalla copertura di tela bianca rattoppata in molti punti, tanto che sembrava un’accozzaglia di stoffe messe a caso, con due ronzini di color piombo che lo tiravano, ciondolando le teste dalle criniere spelacchiate. A cassetta viaggiavano tre figure vestite di rosso. Al centro un uomo con un gran cappello floscio da cui partivano due lunghe trecce di panno che gli scendevano fino alla cintola. Portava una lunga casacca rosso scuro, e sotto ad essa un paio di calzamaglie, infilate in ciabatte di cuoio. Ai due lati si trovavano due bambini di circa sei anni, vestiti di rosso chiaro, con due cappelli a punta, dalla lunga coda rosa che scendeva ad avvolgere le loro gole. Erano vestiti come l’adulto che cantava a squarciagola una canzone da osteria.
-... e l’hai voluta te la bella te-e-ela, il piatto tutto adorno e il pane ne-e-ro,
adesso te lo mangi e non fa’ sto-o-rie, sennò io te le suono quant’è ve-e-ro...- (*). Briseide storse il naso. La voce gracchiante dell’uomo faceva ridere i bambini, che fischiettavano lo stonato motivetto con gusto. Appena si trovarono davanti a Seth il cocchiere frenò i cavalli, smettendo di cantare.
-Ben trovati, amici- sorrise. Seth alzò un mano in segno di saluto.
-Salve- rispose -da che parte andate?- chiese. L’uomo alzò le spalle.
-Verso Teti, per portare la nostra arte- rispose. Squadrò Seth per un attimo, poi rivolse uno sguardo a Briseide. La ragazza cercò di non apparire troppo dismessa. Il mantello che le aveva dato Seth copriva il vestito strappato.
-Salve bella fanciulla- la salutò con un sorriso storto.
-A voi- rispose Briseide, cercando di non far tremare la propria voce. L’uomo si rivolse di nuovo a Seth.
-Siete sposati?- chiese. Il brigante sorrise in un modo che fece gelare il sangue nelle vene di Briseide.
-Sì- rispose, e nella sua voce la ragazza cole una nota di soddisfazione. Il cocchiere schioccò le labbra.
-Allora vi auguro tutta la felicità del mondo. E tanti figli!- aggiunse stringendo l’occhio a Seth. L’uomo rise, divertito, mentre alzava la mano verso l’altro. Questi spronò i cavalli e il carro ricominciò a muoversi. Briseide lo sentì continuare la stonata canzone.

*

Will si scostò un ciuffo di capelli dalla fronte sudata. Guardò Astro, che cavalcava all’amazzone accanto a lui. Aveva la fronte aggrottata e la linea delle labbra era tesa e austera. Will sapeva che era arrabbiata con lui, ma non poteva farci nulla in quel momento. Avrebbe voluto sguainare la spada e stendere quelle due guardie che li seguivano come ombre, ma l’inconveniente era che proprio quelle ombre avevano le loro spade. Avevano requisito loro armi e vestiti oltre alle provviste che adesso erano agganciate alla sella dell’asino che li seguiva. Will sospirò. Fosse stato per lui avrebbe tentato di scappare, ma non voleva morire, non ancora almeno. Sapeva che entrare nel palazzo di Lyone avrebbe messo a dura prova la pazienza di Ashat, il primo ministro. Sorrise, al ricordo del suo passaggio dal palazzo un anno e mezzo prima. Ashat lo aveva beccato mentre manometteva i carrelli dei tunnel che portavano rifornimenti all’interno del palazzo e lo aveva portato al cospetto di re Lyone. Il re lo aveva guardato per un po’, poi senza ascoltare i consigli maligni di Ashat l’aveva liberato. Will sapeva che c’era qualcosa sotto, e che gatta ci covava, ma non aveva fatto certo storie quando Ashat aveva dovuto, suo malgrado, riconsegnargli spada e cavallo. Il pensiero di incontrare di nuovo Lyone lo metteva in agitazione. In quelli uomo c’era qualcosa che lo metteva in soggezione. Non aveva ancora capito dove aveva già visto quell’ uomo, ma sapeva di aver guai visto i suoi occhi di ghiaccio.
-Ehi, ragazzo!-  lo chiamò una delle due guardie. Will lo guardò da sopra la spalla.
-Che cosa vuoi?- chiese.
-Quanto tempo ci vuole per raggiungere Desra?- Will ridacchiò, accarezzandosi per un attimo il mento.
-Temo ancora un po’, miei signori- sospirò, -Non avendo avvertito il Re del mostro arrivo temo che.... -
-Chi ha detto che non l’abbiamo avvertito, ragazzo?- abbaio l’altra guardia. Astro si voltò verso Will, con l’espressione di che non ha capito una parola. Lui frenò il cavallo che si arrestò con un nitrito.
-Avete mandato un messaggero a Re Lyone?- chiese sconcertato Will. La guardia lo squadrò con area di sufficienza.
-Come è ovvio- replicò. Will alzò gli occhi al cielo. Non avrebbero certo trovato se fanfare ad aspettarli.
-È stato Guy ad inviarlo?- chiese. La guardia annuì. -Maledetto- sibilò Will.
Astro lo chiamò. -Che cosa c’è che non va nell’aver mandato un messaggio al re?-
Will aggrottò le sopracciglia. -Niente, se non mi conoscesse- rispose -Il problema è che Ashat, il primo ministro, prova un odio feroce nei miei confronti-
-E perché mai? Mi hai detto che è la prima volta che vai al palazzo- lo incalzò Astro con un espressione scettica. Will arrossì. Non voleva mentire ad Astro.
-Beh, io non...-
-Mi hai mentito- suppose allora la ragazza accigliandosi. Will sbuffò.
-Non ti ho mentito!- sbraitò, conficcando i talloni nei fianchi del cavallo, che nitrì con dolore. -Io... credo solo di aver omesso di metterti al corrente di certe... faccende del mio passato-
-Beh, credo che questo sia il momento più opportuno, no?- fece allora Astro, la voce intrisa di veleno. Will alzò di nuovo gli occhi al cielo. Le donne... pensò.
-Sono stato al palazzo di Desra, è vero. Quasi due anni fa, quando ancora ero un soldato che obbediva ciecamente ai comandi altrui. Ero stato incaricato di manomettere i carrelli che portavano il cibo all’interno della fortezza, con dei condotti sotterranei- sospirò, divertito al ricordo -Il mio buon udito mi avvertiva dei pericoli, ma preso com’ero dal mio compito, non sentii che le guardie mi avevano circondato. Ashat mi scovò nel cunicolo principale, mentre cercavo di fuggire e mi portò da Lyone-
-E come fai ad essere ancora qui, visto che Lyone ha la fama di essere spietato con i soldati dell’Aschart?- chiese ovvia Astro. Will non rispose subito, ma quando lo fece la ragazza sgranò gli occhi blu, e poi scoppiò a ridere.
-Oh, Will, hai una fortuna sfacciata!-
-Meno male qualcuno si diverte- ringhiò Will corrucciando le labbra. -Lyone mi lasciò andare perché riteneva che non fossi un pericolo. Era uno solo... non potevo certo manomettere tutti i carrelli. Guy mi aveva mandato là perché sperava che Lyone mi uccidesse. Ma gli è andata male, più di una volta- il volto di Will tornò serio.
Aveva una voglia matta di torcere il collo di Guy con le sue stesse mani, ma avrebbe dovuto aspettare ancora. Almeno finché non fosse tornato in Aschart. Si guardò intorno. Fumo saliva da ovest, dove il sole declinava dolcemente verso la sera. Si guardò indietro. Le due guardie confabulavano tra loro, ed ogni tanto ridacchiavano, guardando alternativamente lui o Astro. Will dentro di sé ringhiò di rabbia. Si morse la lingua per non parlare contro i due. Quando avrò finito questa pazza spedizione, pensò, vi toglierò la voglia di ridere tanto.
Quando tornò a guardare in avanti, aguzzando lo sguardo, vide tra la bruma della sera imminente una colonna di figure che avanzava velocemente verso di loro. Ci siamo, pensò. Si rivolse ad Astro e alle due guardie.
-Quella deve essere una colonna di soldati soleani- deglutì, sentendo l’ansia che lo prendeva alla bocca dello stomaco -Siate naturali- sibilò. Astro avvicinò il cavallo al suo.
-Siamo marito e moglie, vero, Will?- chiese ansiosa. Will annuì.
-Will?- lo chiamò, mentre guardavano la colonna avanzare.
-Dimmi-
-Ti amo- sospirò Astro, senza guardarlo. Will sentì il suo stomaco protestare.
-Lo so Astro- sussurrò. Lei lo guardò. I suoi occhi blu avevano un velo di tristezza.
-Bene, mi piace ricordartelo qualche volta-
-Astro io...-
-Non dire nulla- la sua voce era intrisi di pianto -Va bene così, Will... va bene così-
Will tornò a rivolgere lo sguardo alla colonna di soldati. Erano sempre più vicini. Quando arrivarono a circa un quarto di miglio da loro, si arrestarono. Will deglutì. Le guardie borbottarono qualcosa fra di loro, ma lui non le ascoltò. Dalla colonna si staccò in soldato che avanzando lentamente, coprì metà della distanza che li separava. Will copri l’altra metà, raggiungendo il soldato. La sua armatura riluceva come oro colato alla luce arancio del sole. II pennacchio sul suo elmo era del colore delle prugne mature. Un Generale, pensò Will. Lui alzò una mano in segno di saluto, e il generale gli rispose, chinando leggermente il capo.
-Chi siete? - chiese con voce tonante. Will prese un respiro.
-Il mio nome è William di Monte Argento. La donna- indicò con un cenno del capo Astro, -è mia moglie Andrea di Chiaravalle e i due soldati che vedi sono la mia scorta. Sono un ambasciatore in viaggio per conto del Governatore di Salazard- estrasse dal mantello la pergamena che gli aveva dato Guy -e porto un messaggio per Re Lyone I-
Il soldato rimase in silenzio per un lungo momento. -Sei molto giovane per essere un ambasciatore- osservò -e non sei Soleano, né dell’Aschart. Vieni dalle montagne dell’Ammar?- chiese scettico.
Will si morse un labbro. Doveva dire la verità, doveva, quella volta, a tutti i costi.
-No, non dalle montagne. Dal mare. Attraversato il Mare Oceano, dalla terra di Erden- rispose tetro. Il soldato lo guardò per un lungo momento. Lo sguardo che aveva non piacque per niente a Will.
-E come sei finito a fare l’ambasciatore del Governatore di Salazard?-
-Conoscenze altolocate- mentì Will con disinvoltura. Non poteva certo dire che era stato costretto con la spada alla gola. Non sarebbe stato simpatico. Il generale rimase in silenzio ancora per qualche minuto. L’ansia che stringeva lo stomaco di Will si faceva più intensa mano a mano che il tempo passava.
-Posso vedere i vostri lasciapassare?- chiese. Will frugò all’interno della sacca attaccata alla sella del proprio cavallo e ne estrasse i lasciapassare accuratamente falsificati. Il generale li osservò per un tempo che a Will parve infinito, poi annuì lievemente. Li ripiegò e affiancò il cavallo a quello di Will.
Si chinò al suo orecchio. -Ti è andata bene, in guerra, mio caro- sussurrò.
Will trasalì, colpito dall’affermazione. -Non... capisco- cercò di divagare -che cosa...-
-Non fare finta di non capire, William. C’ero anche io nella piana, quel giorno. Hai ucciso il mio comandante, ricordi? Avevi solo sedici anni, ed è per questo che io ti risparmiai- bisbigliò, quasi ringhiando. Will chiuse per un momento gli occhi e il ricordo della sua prima battaglia nelle prime righe si affacciò alla sua memoria. Nella piana di Mistra aveva ucciso il generale della guarnigione proveniente da Teti, e aveva combattuto contro il soldato che ora gli stava di fronte. Non l’aveva riconosciuto, perché portava l’elmo che gli copriva il volto, quel giorno, tre anni e mezzo prima. Non disse nulla.
-Sei in regola, William, ma non pensare che ti accoglieranno a braccia aperte. Io sono contrario alla guerra. Ho perso mio figlio in queste maledette battaglie, ma non per questo mi stai simpatico- ringhiò -vedi di filare dritto a casa tua quando questa maledetta faccenda sarà finita-
-Che cosa vuoi dire?- chiese Will incuriosito. Il generale si umettò le labbra.
-Ci sono tumulti a palazzo, a Desra. Il Re ha cercato di abdicare a favore di Elias, ma la legge parla chiaro, solo se il Re muore e l’erede raggiunge la maggiore età prima di tre anni, può regnare. Regnerebbe il padre, Sirio, ma a Lyone non va molto a genio-
-Perché mi dici tutto questo?- chiese allora Will, sconcertato. Il soldato alzò le spalle.
-Ci sono cose che i soldati non sanno, ma sono stato alcuni anni al servizio di Lyone. In quel palazzo ci sono molte cose che non vanno. Una di queste è la successione. Si mormora di un altro erede. Si mormora che Lavinia sia ancora viva-
-Lavinia?- Will ansimò, al nome della madre. No, ci deve essere un errore, pensò. Il soldato alzò un sopracciglio.
-La sorella di Lyone, scappata vent’anni fa la vigilia del suo matrimonio. Lei doveva essere la legittima erede al trono, ma scappò, perché non voleva sposarsi con un lontano parente, trent’anni più vecchio di lei. Aveva soltanto quindici anni- spiegò il generale. Alzò le spalle. -Da allora niente si è più saputo di lei. C’è chi dice che è fuggita nella terra di Erden. Chi invece che è morta nella traversata- lo scrutò con occhio critico -Perché, la conosci?-
-A Erden ci saranno milioni di Lavinia- divagò Will -ne... conoscevo una- disse.
Il generale si fece più vicino. -Hai i capelli neri, ragazzo. Proprio come i suoi-
-Tantissimi uomini a Erden hanno i capelli neri- deglutì, ansioso. Il soldato scoppiò a ridere.
-Conoscevo Lavinia. Ero la sua guardia del corpo. E tu- gli puntò il dito contro, prima di spronare il cavallo -sei il suo ritratto!-
Di generale richiamò se guardie. Will rimase immobile dove si trovava. Che situazione strana la sua. Era ricercato per aver disertato, era quasi stato ucciso dal proprio fratello, e adesso un generale veniva a dirgli che sua madre era la legittima erede al trono di Solea. Scosse la testa. Quel soldato doveva aver bevuto troppa birra. Voltò il cavallo, tornando dagli altri che lo aspettavano, impazienti. Astro lo guardò per un lungo momento. -Che cosa ti ha detto?- chiese. Will alzò se spara.
-Nulla che già non sapessi- mentì. Astro si sporse dal cavallo.
-Sei sicuro che vada tutto bene?-
-Certo- sorrise Will, anche se il nodo che gli teneva stretta la gola non si allentava. -Tutto bene, ci hanno lasciato passare ed è già un buon passo in avanti- si tolse i guanti, per consultare la mappa. -Fra un paio di giorni dovremmo arrivare a Desra-
-Solo due giorni?- chiese delusa Astro. Will annuì.
-L’idea non entusiasma nemmeno me, Astro- convenne, -ma dobbiamo ubbidire a Guy, per il momento-.
La ragazza annuì, seguendo Will, che si rimise in testa alla comitiva. Per un momento avrebbe voluto gettarsi sulle guardie e combattere, riguadagnare la libertà, ma temeva per la vita di Astro. Era già stata ferita, e non voleva che soffrisse ancora. D’altronde non poteva nemmeno continuare così. Appena arrivato al castello di Lyone, Ashat l’avrebbe riconosciuto, e l’avrebbe condannato a morte. Strana la vita, pensò Will, sorridendo amaramente. Era scampato per un soffio ad una esecuzione sulla pubblica piazza come disertore, accusato inoltre di tradimento e fra meno di due giorni sarebbe stato di nuovo accusato per chissà quale reato contro la corona soleana.

Ne valeva davvero la pena di rischiare la vita per questo? Will guardò Astro. I capelli biondi rilucevano alla luce del tramonto. Quando si rese conto che la stava osservando voltò la testa verso di lui. I suoi occhi blu lo fissarono. Poi sorrise.
Forse non valeva la pena di morire per portare un messaggio, ma valeva la pena di rischiare e di andare in contro al proprio destino, se serviva a vedere qualcuno sorridere.




*********************************** Spazio autrice************************************

(*) piccola licenza: il violino naturalmente non può esistere, visto che l’epoca è quella dei cavalieri e dei re, perciò il liuto, che è il progenitore del violino, mi pareva ci stesse bene.
(*) il testo l’ho inventato io, ma la musica che mi sono immaginata è quella di un famoso stornello senese, suonato con la chitarra classica e cantato a più voci.

Ringraziamenti:
Araluna: Cara, non ti preoccupare per il ritardo, ti capisco perfettamente, *sigh* sopra di me incombe Letteratura Tedesca... Ma bando alle ciance! Seth_ sono molto contenta della mia ultima creazione, in effetti, perchè è venuto proprio bene *gongola*: sono un po' stupita del mio talento per i caratteri, in verità, non pensavo che suscitasse tante emozioni, ma era proprio quello che volevo, insomma, Seth è in personaggio ambiguo e per questo affascinante!
Astro_ è un personaggio che "ho dovuto" inserire: francamente non mi piace molto il suo personaggio, ma questo dipende dal fatto che la vera eroina dovrebbe essere Briseide, anche se non lo è veramente, se hai capito cosa intendo. Comunque, non sono così sadica, come qualcuno che conosco, vero????
Beh, allora per il punto terzo.... spero di non aver fatto errori in questo capitolo ^^' !!
Un abbraccione!!

TVB: grazie per i complimenti, sono contenta che ti piaccia la storia! Un bacio!



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Capitolo 9
*** Il Re ***


capitolo 9


Capitolo nove


Desra era nata un millennio prima della Guerra, dall’unione di paesi agricoli e confederazioni di artigiani. Le sue mura, alte ottanta piedi, avevano il pregio di essere perfettamente il linea con gli affluenti del Fiume Iride, perciò ben difendibili, anche se, di contro, ben attaccabili dal fiume.
La cosa che più sconcertava Will, mentre lo strano quartetto si avvicinava alla piana di Desra, era come il popolo della Solea fosse completamente diverso dal suo e da quello dell’Aschart. Non riusciva a comprendere un tale dispendio di beni preziosi per le armature dei guerrieri o per i ferri dorati dei cavalli. Oro e argento abbondavano in Solea, ma non era certo un buon motivo per sprecarli. Will era vissuto in una terra fertilissima, e si era sempre ritenuto soddisfatto di quello che poteva trarre da essa, come suo padre gli aveva insegnato, ma in Solea la coltivazione della terra sembrava non affascinare troppo i suoi abitanti. La catena dei Monti dell’Ammar manteneva il clima temperato, almeno in quella porzione di Solea, e i campi potevano crescere e prosperare. Essendo isolata dall’Aschart dalle montagne, la Solea non poteva contare sul commercio, né terrestre né tanto meno marittimo. Will non sarebbe mai riuscito a capire come in una terra così fertile esistesse ancora la schiavitù legata alla coltivazione. Durante il viaggio verso Desra avevano incontrato numerosi contadini, curvi sui propri aratri, che si affaccendavano intorno ai mulini o ai frantoi. Molti di loro avevano offerto ai viaggiatori il primo olio estratto dalle olive, piene e mature che caricavano gli ulivi, altri il pane bianco, croccante e senza sale, che i fornai cuocevano all’interno di forni a legna, protetti dal vento da grosse cupole in pietra. Avevano visto asini che trainavano le ruote di pietra per poter frantumare i chicchi di grano, che avrebbero dato una farina profumata e bianca come la neve. Ma non tutti in Solea avevano lavoro. Molti minatori avevano ormai esaurito le proprie miniere, e non rimaneva loro altro da fare che andare in città in cerca di lavoro.
-Will?-
Il ragazzo si voltò. Astro stava indicando una colonna di fumo proveniente da ovest. Will aggrottò le sopracciglia.
-Che cosa c’è da quella parte?- chiese Dann, una delle due guardie. Will rivolse alle guardie uno sguardo sarcastico.
-Le steppe. Terre incolte e prive di vegetazione. A circa venti miglia da qui cominciano le steppe, e poi il Grande Deserto. Non consiglierei a nessuno di andare in quella direzione. A meno che non voglia uccidersi- rispose alzando le spalle.
Le guardie si scambiarono un’occhiata preoccupata. Will ridacchiò.
-Oh, niente di cui preoccuparsi. In quelle steppe girano soltanto predoni, ma non si avventurano mai oltre il confine di colline- indicò alcune curve che si distinguevano nella bruma dell’alba. -Non c’è nessun motivo di averne paura-
-Sarà così- lo interruppe Saen, l’altro soldato, -ma sarà meglio entrare a Desra prima che faccia buio-
Will arcuò un sopracciglio. -Questo è poco ma sicuro- commentò -chi tenta di entrare dopo il tramonto viene ucciso seduta stante-
-Davvero?- chiese Astro, preoccupata. Will le rivolse un sorriso.
-Arriveremo a Desra prima del tramonto,- voltò il cavallo, incitando gli altri a seguirlo -se non perdiamo altro tempo-
Will ricordava bene le possenti mura della città. I maschi si ergevano imponenti a ogni porta, e ve ne erano ben sedici. La città risultava così simile ad una grandiosa palizzata, con picchi acuminati, sgraziata, certo, ma inattaccabile. Essendo Desra la capitale politica e sede del Re, doveva essere una città protetta e inespugnabile. Fino a quel momento niente e nessuno era riuscito a conquistare Desra, sebbene molti generali ci avessero provato. Will aveva un brutto ricordo delle celle di Desra, anche se vi aveva trascorso soltanto una notte. Lo zampettio dei topi e lo sgocciolare dell’acqua dalle pareti, lo avevano quasi fatto impazzire. Le sue orecchie erano state martoriate per dieci lunghissime ore, fino a che non lo avevano scarcerato, portandolo al cospetto del Re. Will aveva diciassette anni, e non aveva nessuna intenzione di morire. Aveva tentato di ribellarsi, ma le guardie lo avevano trattenuto come se si trattasse di un bambino capriccioso. Ricordava ancora perfettamente il sogghigno malvagio che si era allargato sul volto scarno di Ashat mentre veniva costretto a prostrarsi di fronte al Re. Un gesto al cui ricordo, l’orgoglio di Will ruggiva violentemente. L’umiliazione che aveva subito era di gran lunga più forte dell’odio che provava nei confronti del Primo Ministro.
Arrivarono in vista delle mura a giorno fatto. Le sentinelle che perlustravano le mura avvisarono coloro che, dalla porta principale li avrebbero fatti entrare in città. Will dovette mostrare i lasciapassare, pregando che la sua falsificazione fosse sufficiente. Quando, finalmente, furono ammessi all’interno della città, le guardie li perquisirono e tolsero le armi a Dann e Saen. I due soldati avrebbero voluto protestare, ma Will da buon “padrone”, li zittì. Furono scortati all’interno del palazzo da ben quattro soldati, e lasciati in attesa in una sala quadrata, dove vennero praticamente obbligati a sedersi in alte poltrone di broccato. Will si sedette accanto ad Astro, che sedeva, torcendosi le mani, su una poltrona blu scuro. Will le pose una mano sul braccio: -Andrà tutto bene, vedrai-
-Lo spero- sospirò lei -Non voglio che qualcosa vado storto- i suoi occhi blu lo fissarono con ansia.
Will stava per replicare ma un momento dopo al di là di una porta color ocra scoppiò il finimondo. Il ragazzo si alzò, mentre Dann e Saen accorrevano accanto a lui. Will sogghignò. Almeno erano bravi a salvare le apparenze. La porta si aprì con un tonfo sordo e una figura avvolta in una lunga tunica bianca irruppe nella sala. L’espressione di Will s’inasprì. Conosceva quella tunica bianca.
Ashat non era cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto. Portava, come suo solito, i capelli grigi raccolti in una treccia, strettamente legata da un nastro dorato, dello stesso colore del mantello che svolazzava dietro di lui. La tunica avorio era legata in vita da un’alta fascia dorata.
Il volto scarno era acceso dal furore. -TU!- urlò indicandolo con un lungo dito scheletrico -Tu, piccolo bastardo! Tu, traditore, bugiardo, sabotatore...-
-... fuggitivo e irresponsabile ragazzino... sì, Ashat questa solfa l’ho già sentita un anno fa- completò seccato Will, appoggiando le mani sui fianchi. -Ma come vedi adesso non porto più l’armatura- allargò le braccia, mostrando il gilet di broccato. Ashat ansimava. Sembrava che non avesse più veleno da sputare.
-Tu... quando ti vidi andartene pregai perché tu potessi cadere da un precipizio!- abbaiò -Ma la sorte mi ha deriso. Che cosa vieni a fare qui? Proprio tu, che sei già stato graziato una volta dal nostro eccellentissimo...-
-Calma, Ashat, calma- una voce roca sopraggiunse da dietro il Primo Ministro -Una cosa alla volta-
Will conosceva quella voce, l’aveva già sentita. Chinò il capo, invitando Astro e i due soldati a fare lo stesso. -I miei omaggi sire- mormorò.
Re Lyone I avanzò fino a lui. -Alza la testa, ragazzo, così che io possa riconoscerti-
Will lo guardò negli occhi. Lyone appariva invecchiato. Il suo volto abbronzato aveva più rughe intorno ai penetranti occhi neri, mentre i capelli erano neri come l’ultima volta che l’aveva visto. Indossava la tunica purpurea dei re, legata in vita dalla cintura con spadone e pugnale, i pantaloni neri e gli stivali di cuoio alti fino al ginocchio. Non indossava il mantello.
-William di Monte Argento, ci incontriamo di nuovo- inaspettatamente il re sorrise. Will ricambiò un po’ sconcertato il sorriso. -Vieni con me, dobbiamo parlare-
-Sire mia...-
-Sì, la tua compagna può venire con noi, ma le tue guardie dovranno rimanere qui- rispose Lyone eludendo la domanda di Will. Il ragazzo deglutì, stringendo la mano di Astro.
Si sentiva stranamente a disagio, in quel momento, come se ci fosse qualcosa di più che non riusciva ad afferrare. Vide Ashat tentare una protesta, ma Lyone alzò un braccio, mettendolo a tacere con uno sguardo. Il Primo Ministro se ne andò, borbottando.
Quando il terzetto entrò all’interno della sala del trono la pesante porta venne chiusa con un tonfo. Lyone li condusse attraverso la sala, più vicini possibile al camino acceso.
-Sarete stanchi, avete fatto un lungo viaggio- mormorò, ravvivando le fiamme. Will annuì, voltandosi verso Astro. La ragazza sfoggiava un’espressione del tutto sconcertata, e non sembrava capace di proferire parola. Will internamente sorrise. Di certo non aveva mai conosciuto un re.
-Bene, William, che cosa ti porta una seconda volta al mio cospetto?- chiese Lyone voltandosi verso di loro. Will si schiarì la voce, estraendo per la seconda volta la pergamena che gli aveva dato Guy, dal mantello.
-Ho un messaggio dal Governatore di Salazard- rispose. Vide Lyone aggrottare la fronte e un espressione indecifrabile gli si dipinse sul volto. Prese il messaggio e lo spiegò. Will vide i suoi occhi muoversi veloci sulla pergamena. La richiuse con un gesto violento, e tornò a fissare Will. I suoi occhi neri lo scrutavano con ansia.
-Chi ti ha dato questo messaggio?- chiese.
-Il... Governatore, sire- mentì Will, cercando di non distogliere gli occhi da quelli del Re. Lyone si avvicinò a lui.
-Chi te lo ha dato?- chiese di nuovo -Non mentirmi, William-
-Io...- Will abbassò il capo. Astro gli poggiò una mano sul braccio. -Io... Guy, mio sire, il mio... fratellastro...- sospirò. -È una lunga storia, sire- riprese.
Lyone fece loro segno di sedersi accanto al fuoco. Lui rimase in piedi, passeggiando irrequieto mentre Will raccontava la sua storia. Ripercorrere le tappe del viaggio non fu difficile. Tutto era ben stampato nella memoria. Sentì Astro gemere al nome di Briseide, ma per tutto il tempo non fece altro che fissare il pavimento.
-... ed è per questo che sono qui, sire- concluse Will con un sospiro. -Non certo per mia volontà-
-Sì, ho capito perfettamente la tua posizione, William- commentò Lyone, accarezzandosi il corto pizzetto nero -Non ti farò uccidere come vuole Guy. Se non mi sbaglio non è la prima volta che ti ordina una missione suicida- sorrise, tirato.
Will scosse la testa. -No, sire, vi ricordate bene- rispose.
-Mmm- fece allora Lyone -Credo che tu debba sapere qualcosa. Una cosa che dovevo farti sapere la priva volta che ti vidi. Ma in quel momento non ne ebbi il coraggio e tu non avevi ancora diciotto anni- disse enigmatico Lyone allontanandosi. Aggirò il trono e dopo un paio di minuti, che a Will parvero un’eternità, tornò vicino a loro, con in mano un paio di pergamene ingiallite. -Queste sono due lettere che ho ricevuto tempo fa, una diciotto anni fa, l’altra è più recente, circa quattro anni fa- sospirò -vorrei che tu le leggessi entrambe, anche per la tua compagna-
Will le prese dalle mani di Lyone. In gola aveva un nodo fastidioso. Spiegò quella che riportava la data di diciotto anni prima, e cominciò a leggere.
-Amato fratello, ti scrivo per dirti che sono viva, e che sono felice. Sono approdata ad Erden per una causa fortuita. In realtà avrei dovuto salpare per il Mare dei Gorghi, ma all’ultimo la nave non è partita. In realtà sono più di due anni che abito qui, in un piccolo agglomerato di case di nome Monte Argento. Il villaggio è circondato da dolci colline e splendide valli, verdi e fiorite in primavera, e innevate in inverno, ma non tanto da isolarci dal più grande centro, Serena, la capitale. Mi sono sposata con un mugnaio, si chiama Aleck, e da lui, fratello mio, ho avuto un figlio. Un figlio, Lyone! Un maschio, un bambino bellissimo che abbiamo chiamato William. William di Monte Argento è la creatura più bella che io abbia mai potuto immaginare. Sa dire “mamma” e ha imparato anche i nomi degli animali! Oh, Lyone, sapessi come sono felice. Aleck è un uomo stupendo ed un padre esemplare. Adora Will e farebbe di tutto per lui- Will s’interruppe. Sentiva gli occhi colmarsi di lacrime, mentre la lettera continuava per altre poche righe -Fratello mio, vorrei che tu fossi qui, insieme a noi. Sono davvero triste per il modo in cui ti ho lasciato, e per il peso che le tue giovani spalle devono portare. Ma un giorno, William tornerà in Solea e prenderà il suo posto. Ma è troppo presto, per il momento. Aspetta. Aspetta, mio amato fratello, quando William avrà compiuto diciotto anni allora gli dirò tutto. Spetterà a lui la scelta. E a te. Tua sorella, Lavinia-
William ripiegò la lettera. Un fastidioso senso di oppressione lo prese alla gola. Gli sembrò di soffocare. Tese la lettera a Lyone.
-Leggi anche l’altra- ordinò il Re. Will scosse la testa.
-Ho letto fin troppo- rispose, prendendosi la testa fra mani.
-Vuol dire che la leggerò io- Will sentì la carta che sfrusciava fra le mani di Lyone. -Amato fratello. Sono passati molti anni dalla mia prima lettera, ma spero che tu non ti sia dimenticato di tua sorella. Oggi è un giorno molto triste per me. Una colonna di soldati è venuta questa mattina, e il generale ha ordinato a mio marino Aleck di andare in guerra. Aleck non può combattere, perché un anno e mezzo fa un tronco d’albero gli cadde addosso e adesso ha quasi perso l’uso della mano sinistra e zoppica dalla gamba. Quando il generale ha decretato che lui non poteva combattere e ha guardato mio figlio mi sono sentita morire, fratello. Will ha solo quindici anni, fratello, e non ha mai conosciuto altro che la sua patria. La ama come ama i suoi genitori e credo che più che la guerra ad ucciderlo sarà il dolore per aver lasciato la sua terra. Will è partito questa mattina. Il mio cuore sanguina, fratello! Ho finito tutte le mie lacrime e Aleck non parla più da quando ha visto suo figlio andarsene. Vorrei non essere mai scappata dalla Solea, fratello mio, per aver potuto evitare che mio figlio combattesse una guerra non sua. Ti prego, se dovessi vederlo, se dovessi conoscerlo, ti prego fratello mio, digli che lo amo, digli che mi manca da morire, e digli anche chi è, ti prego. Salvalo, fratello mio, ti scongiuro salvalo! Tua sorella, Lavinia-
Lyone ripiegò con cura la lettera. Will non rialzò la testa. Sentiva le lacrime scendergli lungo le guance, non voleva che Lyone, suo zio, suo zio!, lo vedesse in quello stato. Sentì la mano di Astro che gli si posava sulla spalla. Si alzò di scatto, e corse via, attraverso un corridoio che portava ai piani superiori. Percorse gradini su gradini, nemmeno guardando dove stava andando finché non si ritrovò su uno dei maschi. Si affacciò. Da quell’altezza poteva vedere la piana di Desra, le case dai tetti rossi, le stalle, i campi coltivati, i frutteti. La luce forte del sole inondava tutto di giallo dorato. Si accasciò, scivolando a terra. Come era possibile tutto ciò? Come poteva essere, lui, il figlio di un mugnaio, il nipote di Lyone I, Re di Solea, legittimo erede a quel trono. No, doveva essere un errore, tutto un grandioso errore.
Will si asciugò le guance con la manica della camicia ricamata. Si guardò le mani. Le cicatrici svettavano maligne, bianche, sulla pelle abbronzata. Si coprì il volto. Non poteva essere. Doveva esserci un’altra spiegazione.
Al rumore di passi alzò la testa. Suo zio avanzò verso di lui, e si sedette, appoggiando la schiena contro le pietre.
-Come può essere?- mormorò Will. -Che cosa mi succederà adesso?-
Lyone lo guardò, l’abbozzo di un sorriso sulle labbra -Sei mio nipote, Will. Capisci adesso perché non ti uccisi, due anni fa?- chiese. Will annuì, incapace di parlare. -Tua madre, mia sorella, era la donna più forte che avessi mai visto. Era determinata a far valere le sue idee- ridacchiò, intristito -Aveva solo quindici anni quando decise di fuggire. Io ne avevo tredici e mi ero appena sposato. Mia moglie morì l’anno dopo, ed io, aspettai otto anni prima di risposarmi. Volevo aspettare fino a che tu non fossi arrivato, ma non potevo aspettare in eterno- sospirò -Mia moglie era sterile. Adottai un ragazzo, che poi, due anni fa, ebbe un figlio da una contadina. Un erede, anche se illegittimo, è pur sempre un erede-
Will non riusciva a comprendere veramente quello che suo zio gli stava dicendo, ma si limitava ad ascoltare, fissando il vuoto.
-Quattro anni fa arrivò quella lettera. Me la portò un uomo, un uomo che aveva sfidato il mare, pur di farmi avere quella pergamena. Quando la lessi, pensai subito al peggio. Recava la data di due mesi prima, perciò tu eri già arrivato in Aschart. Non potevo fare altro che aspettare- lo guardò, ma Will non ricambiò lo sguardo, rimanendo in silenzio -Poi, quando ti vidi, capii subito che eri mio nipote. Dovevo salvarti, dovevo salvarti a tutti i costi. Sei mio nipote, Will. Sei il legittimo re- gli prese la mano, e la strinse.
Will lo guardò. Poi guardò le loro mani. Quella di suo zio, grande, forte, perfetta. La sua, coperta di cicatrici, magra, le lunghe dita affusolate, macchiata di inchiostro tra il pollice e l’indice. La ritirò.
-Questa- fletté le dita -è la mano di un assassino- sospirò -non di un re-
Lyone lo afferrò per le spalle. -Will, non è stata colpa tua. Questa guerra... questa guerra è nata per un futile motivo. Il mio protetto, il padre di Elias ha sfidato il Governatore. Troppo a lungo l’Aschart ha subito le rappresaglie dei briganti e adesso anche quelle di un ragazzino senza cervello- sospirò, mentre i suoi occhi si facevano più cupi che mai -Adesso vogliono uccidere sia lui che Elias. Ma se tu prendi in mano le redini del paese Will, allora forse abbiamo una speranza-
Lo fece alzare. -William, sei il solo che adesso può decidere- disse Lyone. Will lo guardò. Si accorse soltanto allora di quanto vedeva il suo viso in quello dello zio. Lyone lo abbracciò. E per la prima volta dopo quattro anni Will si sentì di nuovo a casa.



SPAZIO AUTRICE

Araluna: Eh, cara, solo quattordici a me sembrano anche troppi, e sai perché? Perchè in fondo la storia è questa e non c'è, alla fine, molto altro da dire... Spero con questo capitolo di non averti deluso, ma dovevo inserirne uno di "transito" per spiegare le origini di Will. Oh, beh, IO adoro Seth, forse meno di Will, ma lo adoro. Povera Briseide eh? Beh, la mia eroina deve pur farsi salvare no? Ma non preoccuparti saprà riscattarsi! Astro in questo capitolo è quasi un automa a dire il vero, ma dovevo far spazio a Will. Il nostro eroe deve sottostare al ricatto di Guy e poi il suo adesso è più un cruccio interiore: Astro o Briseide? Eheheh... non sei l'unica ad essere sadica! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacione!
ps: se continui così mi fai arrossssssssire..........


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Capitolo 10
*** Astuzia, coraggio o semplice stupidità? ***


capitolo 10


Capitolo dieci



Quando Briseide aprì gli occhi la luna era già alta. Il cielo era coperto di stelle, molte più di quanto era abituata a vederne a Salazard. Sospirò. Aveva freddo, anche se il mantello che le aveva dato Seth era di lana. A giudicare dai movimenti del gruppetto di briganti doveva essere passata da poco la mezzanotte. Le guardie non si erano ancora date il cambio e Seth dormiva profondamente al suo fianco. Briseide si guardò il braccio. La corda di cuoio era saldamente assicurata al polso di Seth. Lo maledisse tra sé e sé, mentre si voltava di schiena, osservando il cielo. Erano ormai troppi giorni che viaggiavano e secondo i suoi calcoli l’indomani sarebbero arrivati al confine con la Solea. Rabbrividì. Non aveva nessuna intenzione di entrare in Solea, ma se qualcuno non fosse venuto a salvarla... un brivido freddo le scese lungo la schiena. Che cosa aveva intenzione di fare Seth appena entrati in Solea? Purtroppo non lo sapeva e lui non glielo avrebbe detto nemmeno sotto tortura. Sorrise tristemente. Nessuno fino ad ora, che lei sapesse, era venuto a cercarla. Nessuno si era preoccupato di dove lei potesse essere? E suo padre? Suo padre aveva ricevuto il messaggio che Seth le aveva detto di avergli inviato? Non seppe se si fosse riaddormentata, o se fosse stato soltanto un fastidioso dormiveglia, ma quando la corda di cuoio venne tirata con violenza Briseide si svegliò del tutto.
-Alzatevi- le ordinò Seth, in un tono che non gli aveva mai sentito usare -Dobbiamo andare-
-Che cosa c’è?- chiese lei spolverandosi il vestito -I cani hanno fiutato il nostro odore?-
Seth ghignò in un modo che fece venire i brividi a Briseide -Non fate del sarcasmo con me, Briseide- mormorò -non ne vale la pena-
La strattonò fino al suo cavallo dove la aiutò a montare. Briseide rimase in silenzio per qualche minuto. Seth camminava di fianco al cavallo, dietro due dei suoi briganti. -Dove siamo diretti?- chiese alla fine Briseide. Seth non rispose subito. Si strinse il mantello al collo, appoggiando la mano legata sul collo del cavallo. Solo allora Briseide vide le piaghe che la corda aveva causato sulla sua pelle abbronzata. E si sentì un po’ in colpa.
-In Solea- ribatté alla fine Seth in tono lugubre. Briseide trasse un respiro.
-E cosa ci andiamo a fare in Solea?-
-Potrete essere al sicuro, finché vostro padre non pagherà- rispose quasi ringhiando Seth.
-Se pagherà- replicò Briseide -Non siete nemmeno sicuro che il vostro messaggio sia arrivato-
Seth la guardò. I suoi occhi blu erano più cupi che mai. -Il messaggero non è tornato indietro, mia bella principessa. E ciò vuol dire...- la guardò come se parlasse con una bambina. Quell’atteggiamento mandava in bestia Briseide. Ricambiò lo sguardo, ma non rispose.
-... ciò vuol dire- continuò Seth alzando le spalle -che vostro padre l’ha giustiziato-
-No!- strillò Briseide -Mio padre non farebbe mai una cosa del genere!-
-Ne siete sicura, Briseide?- chiese Seth sorridendo. -Vostro padre è un uomo saggio e onesto- la schernì -Pagherà-
-Che cosa vi ha portato via?- domandò Briseide, forse per la centesima volta. Questa volta Seth sospirò, scocciato.
-Ne ho abbastanza delle vostre domande, Briseide. Dateci un taglio- le ordinò. Briseide si zittì. Sapeva che era meglio non farlo irritare. Continuò a guardare davanti a sé, scrutando con la fronte aggrottata le nubi che si addensavano all’orizzonte.
Chissà che cosa stava facendo suo padre? E Will, dov’era? Stava bene, che cosa gli era accaduto dopo che si erano lasciati? Briseide tolse da sotto il vestito la catenina che portava al collo. Una volta c’era attaccato l’anello che adesso portava al dito Will. L’avrebbe mai rivisto? L’avrebbe mai riabbracciato? Avrebbe mai potuto di nuovo guardarlo nei suoi bellissimi occhi azzurri? La pensava come lei pensava lui? Si domandava mai che cosa stesse facendo, a cosa stesse pensando, se stesse bene?
Briseide sentì le lacrime pungerle gli occhi, ma non doveva piangere. Era abbastanza forte da non permettere altri motivi di scherno a Seth. Se solo avesse avuto notizie di Will, se solo avesse potuto sapere qualcosa di lui. Se solo non fosse mai partita dal suo castello. Briseide aggrottò le sopracciglia. Era tutta colpa di suo padre. Lui aveva voluto che lei lasciasse il castello ed era stato sulla strada che avrebbe dovuto condurla in un luogo sicuro, che era stata catturata da Seth.
Sarebbe mai riuscita a fuggire? Sarebbe mai riuscita a rivedere Will? Che cosa stava facendo, che cosa stava pensando?

*

Will si svegliò di soprassalto. Non mise subito a fuoco l’interno della camera, né il baldacchino di broccato verde sopra di lui. Si passò una mano sul volto, scoprendosi sudato. Si districò dalle coperte e si mise seduto sul materasso. Passò in rassegna la stanza, grande quanto una delle locande in cui aveva dormito per tutto il viaggio, le pareti di pietra grigia, lo scrittoio di legno, i fogli di pergamena, i suoi vestiti gettati con malagrazia su una poltrona. Si alzò e si vestì.
Lusso, pensò, mentre si agganciava al collo il mantello, pregi e difetti. Lisciò le pieghe della tunica blu-verde di velluto, gettando un'occhiata  ai pantaloni bianchi e gli stivali. Principe, si disse, chi l’avrebbe mai detto?, rise, sommesso, mentre apriva le tende che coprivano l’unica finestra. Il cielo era coperto da grasse nubi scure, che preannunciavano un temporale. Will non sapeva che cosa suo zio avesse in mente, quando, la sera prima, gli aveva annunciato un grande giorno. Sembrava improvvisamente ringiovanito di dieci anni, un sorriso radioso si allargava sul suo viso gioviale. Ashat era stato informato del piccolo “cambiamento di programma” che aveva interessato il re e il futuro re della Solea. Il Primo Ministro era rimasto letteralmente scioccato quando Lyone gli aveva comunicato che a breve non sarebbe stato più il suo Primo Ministro, ma quello di Will. Certo, Will non ci teneva proprio per niente ad avere quel serpente a sonagli pronto a sputare tutto il suo veleno, vicino a sé, ma prima dell’incoronazione non poteva fare diversamente. Ed era proprio quello che preoccupava di più Will. La cerimonia era stata descritta da Ashat come grandiosa, sfarzosa, elegante e principesca. Will non aveva la più pallida idea di che cosa avrebbe dovuto fare. Insomma, era cresciuto come il figlio di un mugnaio, tra le galline e i maiali, farina e chicchi di grano duro, nessuno poteva pretendere che sapesse in che cosa consiste un incoronazione. A Erden poi, non c’era nemmeno un re, ma un Consiglio di Anziani, con sede a Serena.
Qualcuno bussò alla porta, distogliendolo dai suoi pensieri. -Avanti-
-Ciao- la voce bassa di Astro non prometteva nulla di buono, quando varcò la soglia della camera di Will. La ragazza indossava una tunica di broccato ocra e un paio di pantaloni marrone scuro, infilati negli stivali di cuoio. Una lunga fascia le cingeva la vita fina e scendeva come una coda dietro di lei. Sembrava contrariata.
-Buongiorno- la salutò Will -Dormito bene?- chiese. -Il materasso è troppo morbido- replicò Astro aggrottando la fronte -E poi...- si morse un labbro, abbassando lo sguardo -dormo meglio con te-
Will scoppiò a ridere. -Non discuto- disse -ma le regole sono regole- -Chi se ne frega delle regole- sbottò Astro -Comunque c’è tuo zio che vuole vederti, di sotto- indicò la porta ancora aperta -Subito-
-D’accordo- sospirò Will. Insieme ad Astro scese nella sala del trono dove suo zio lo stava aspettando. Accanto a lui c’erano due persone che Will non aveva mai visto, nei tre giorni che era rimasto al palazzo. La prima era una donna, bionda, dai capelli raccolti in una crocchia austera, e le rughe marcate attorno agli occhi. La seconda un uomo molto più giovane di Lyone, sulla ventina, che teneva in braccio un bambino, di due, forse tre anni. Il bambino aveva i capelli castani, e stringeva morbosamente il bavero della camicia ricamata d’oro dell’uomo.
-Oh, Will- lo salutò Lyone con il solito tono radioso che gli aveva sentito usare nei tre giorni precedenti -Vorrei presentarti alcune persone- si voltò -Lei- indicò la donna che s’inchinò -è mia moglie Oriana, e loro- indicò l’uomo con il bambino -sono mio figlio adottivo Sirio e suo figlio Elias-. Will fece un cenno con la testa, mentre Sirio gli rivolgeva uno sguardo diffidente. La donna si avvicinò a Will, osservandolo con attenzione. -Assomigli molto a tua madre- disse con un tono grave -per quanto ho potuto vedere nell’unico ritratto che abbiamo di lei-
-Vi ringrazio- Will chinò leggermente il capo.
-Non c’è bisogno che tu mi dia del voi, Will. Non sono nemmeno la regina, non posso esserlo essendo incapace di generare figli- nel tono di Oriana Will riconobbe una nota di rammarico. Non rispose, limitandosi ad abbozzare un sospiro. Lyone prese dalle braccia di Sirio il bambino.
-Lui avrebbe dovuto succedermi, come erede- gli sfiorò il naso con la punta delle dita -ma visto che sei tornato posso ritenermi in pace con la mia coscienza-
-Chi è la madre?- chiese Will, accarezzando per un attimo la testa castana del bimbo. Elias rimase immobile, guardandolo con un espressione tra il risentito e il divertito.
-Una contadina- si sentì rispondere dal padre, Sirio. -Una contadina del villaggio qui accanto. Perché lo chiedete, principe?-
Will storse il naso udendo quella parola. Principe, non la sentiva nemmeno lontanamente sua.
-Dovrebbe essere qui anche lei, o sbaglio?- chiese. Sirio atteggiò le labbra in un modo che Will odiò subito.
-Sua madre era solo una contadina. Io sono stato adottato dal i>re- alzò lentamente la voce -per questo lei non è qui-
-Adesso- sbottò Will, esasperato -non c’è più bisogno di te, però-
-Calmi- Lyone passò di nuovo Elias al padre -Calmi. Non siamo qui per discutere. Will devo chiederti una cosa molto importante- gli fece cenno di venire con lui.

Astro, che per tutto il tempo era rimasta immobile si mosse. Will però la fermò. -Ti dirò tutto- le assicurò quando lei tentò di protestare. Will seguì suo zio fuori dal castello, nelle stalle. Presero due meravigliosi cavalli nero inchiostro, e uscirono dal ponte levatoio.
-Vedi Will- cominciò ad un tratto Lyone indicando la campagna che si estendeva a perdita d’occhio alla loro sinistra -la Solea è un bellissimo paese, ma non è sempre stato così. Quando mio padre, tuo nonno, salì al trono, la Solea era divisa da una tremenda guerra civile. Padre contro figlio, fratello contro fratello. Tutto era governato dalla vendetta. Mio padre riuscì a cancellare l’odio dai cuori della gente- sospirò -ma ci rimise la vita. Avrebbe regnato ancora per molti anni, almeno fino a quando io o tua madre non avessimo compiuto i diciotto anni- guardò Will, che osservava con occhio critico il fumo levarsi dalla loro destra, verso le steppe.
-Quello- disse Lyone -è il fuoco degli ultimi villaggi del confine con Grande Deserto, incendiati dai soldati dell’Aschart. Anche tu hai combattuto, nipote- sospirò di nuovo, più a fondo -sai com’è la guerra-
-La guerra è tremenda, zio- lo interruppe Will -E mi auguro che finisca presto-
-Solo re e governatore possono deciderlo, Will- Lyone scosse la testa -Ci vorrebbe un miracolo-
-O un qualcosa di celebrativo- commentò il ragazzo, mentre osservava preoccupato una colonna di soldati proveniente da sud. -Un qualcosa che facesse incontrare i due regni, che portasse un solido accordo tra i due governi-
-Un accordo?- chiese Lyone -Che cosa vuoi dire?-
-Non lo so- ammise Will leggermente imbarazzato -Qualcosa di simbolico, che non pregiudichi la libertà di ogni popolo, ma che ne valorizzi l’unione. In fondo Aschart e Solea non sono poi così diversi. Ho vissuto in Aschart. Ho conosciuto persone buone- sorrise -non solo soldati assetati di terre e vendetta-
-Capisco cosa vuoi dire- riprese Lyone accarezzandosi il corto pizzetto moro -ma che cosa hai intenzione di fare? Ho provato qualsiasi tentativo di accordo, tra noi e l’Aschart, ma per adesso nessuno nei miei dispacci è tornato indietro firmato dal Governatore-
Will rimase in silenzio. Alla sua sinistra i campi di grano si trasformavano pian piano in campi di riso o farro, e alla sua destra le Steppe avanzavano inesorabilmente. Fermò il cavallo, e scese, quando furono arrivati ad un’altura. Il palazzo di Desra svettava tra le nubi. Uno spicchio di cielo si era aperto proprio sopra di loro e un vento fresco faceva frusciare le foglie dei rari alberi. Will si scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. Tra poco avrebbe dovuto tagliarli di nuovo, o sarebbero stati troppo lunghi, per un principe. Sorrise fra sé e sé, accorgendosi soltanto in quel momento di quanto la sua vita fosse cambiata da quando aveva disertato. Dio, pensò, sembra un secolo fa.
-Volevo chiederti anche un'altra cosa, Will- cominciò Lyone.
-Dimmi pure zio- rispose Will, voltando la testa verso di lui.
-Quella ragazza, Astro... che cosa provi per lei?- chiese, rigirandosi tra le mani un sasso. Will arrossì. Aveva temuto quella domanda.
Sospirò cercando le parole giuste. -Non lo so- rispose sincero -Non potrei dirti che la amo. No, è qualcosa a metà. Affetto credo-
-Capisco- borbottò Lyone -e lei?-
-Le mi ama- ribattè Will desolato -Ma non posso fare nulla per lei- aggrottò la fronte -C'è qualcosa di molto più importante di Astro a qui pensare per il momento, non trovi? Per esempio un tentativo di pace con l'Aschart-
-Qualsiasi tentativo, Will- cominciò Lyone guardando l’orizzonte -è andato a vuoto. E in più, da un paio di settimane si vocifera che qualcosa di brutto stia accadendo a Salazard-
Will s’irrigidì. -Che cosa vuoi dire?- chiese.
-Si dice che la figlia del Governatore sia molto malata- azzardò Lyone -ma secondo me la faccenda è un’altra- si sedette su un masso -Il fatto è che ho paura che qualcuno all’interno della corte voglia impedire la tregua per cui sto lavorando da mesi, evitando le incursioni di briganti in Aschart- si prese la testa tra le mani -Ho l’impressione che qualcuno stia architettando qualcosa alle mie spalle-
-Dubiti di qualcuno in particolare?- chiese Will, sedendosi accanto allo zio. Lyone abbozzò un sorriso.
-E chi altri se non Ashat?- scosse la testa -Era il Primo Ministro di mio padre, e mi ricordo di come lo manovrava. Manovra anche me se è per questo- ridacchiò, tristemente -Il mio consigliere più fidato è dedito a pratiche... dubbie, da molti anni a questa parte, e non so se sia del tutto colpa di mio padre, o anche di mia madre. Lei... Ashat era il suo amante- rivelò tetro. Will trasalì.
-Ma...-
-No, stammi a sentire Will- si voltò verso di lui, con uno sguardo determinato -qualunque cosa stia succedendo non è una buona cosa. Né per la Solea né per te. Erediti un mondo in fiamme, nipote, un mondo diviso dalla guerra. E la guerra è terribile- la sua voce divenne un sussurro. -Ho tentato di convincermi che tutto sarebbe stato migliore quando saresti arrivato, ma non è servito a molto-
Will non rispose nemmeno in quel momento. Pensava a Briseide. Briseide che l’aveva aiutato a scappare, che l’aveva soccorso. Aveva un debito con lei. Come stava? Dov’era? Era vero che era malata? E che cosa sarebbe successo se... Will scosse la testa, scacciando quel pensiero. Avrebbe voluto correre di nuovo in Aschart, ma a cosa sarebbe servito adesso? Adesso aveva un altro compito da svolgere. Ma il suo cuore era diviso. Una parte, era rimasto in Aschart, accanto agli occhi ambra di Briseide, mentre l’altro batteva furioso quando quelli cobalto di Astro lo guardavano sorridendo. Possibile che la mia vita sia costellata di guai?, si chiese.
Non era certo la prima volta che si trovava in una situazione poco felice. Ed era sicuro che non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Ma il problema rimaneva. Briseide lo stava pensando in quel momento? Sentiva la sua mancanza quanto lui la sentiva della ragazza? O forse si era ormai rassegnata a sposare Guy? No, Will questo non l’avrebbe mai permesso. Improvvisamente un'idea, sebbene fosse completamente pazza e irrazionale, illuminò la sua mente come un fulmine a ciel sereno. Si alzò di scatto.
-Andiamo, zio- lo incalzò, correndo verso i cavalli -Mi è venuta un’idea- montò in sella, e spronò il cavallo.
-Che genere di idea?- chiese Lyone avvicinando il suo cavallo a quello del nipote.
-Un’idea pazzesca, ma forse è l’unica che mi permetterà di porre fine a questa stupida guerra- sorrise -ho conosciuto la figlia del Governatore. Ho un debito con lei. Torniamo al castello, questa volta sarò io a scrivere al Governatore-
Lyone lo guardò. I suoi occhi neri parvero brillare, quando capì le sue intenzioni. Scosse lievemente la testa.
-Sei proprio figlio di tua madre, ragazzo mio- disse.
Will in quel momento si sentì orgoglio di se stesso, per la prima volta nella sua giovane vita.

*

Quando Briseide scese dal cavallo era ormai notte inoltrata. Oscura le faceva venire i brividi e Seth aveva deciso che soltanto loro avrebbero alloggiato in una locanda. Spacciandosi per fratelli avrebbero dormito in camere separate, ma una guardia sarebbe arrivata nel mezzo della notte per sorvegliare la porta di Briseide.
Seth passeggiava irrequieto su e giù per la camera di Briseide mentre lei, protetta dal suo mantello, teso da una parte all’altra della camera, entrava in una vasca colma d’acqua calda.
Finalmente, pensò, mentre s’immergeva. Era il primo vero bagno che faceva da tre lunghissime settimane.
-Fate presto!- sbottò Seth dall’altro lato della barriera. Briseide sbuffò.
-Se avete qualcosa in contrario al mio bagno- cominciò sprezzante -andatevene nella vostra stanza!- sentì il brigante commentare con aggettivi poco lusinghieri il “suo bagno”, poi lo stridore dell’unica sedia e Seth che si sedeva. Briseide ridacchiò.
-Anche voi dovreste farvi un bagno, Seth- disse sardonica. -Vi farebbe bene-
-Volete che venga?- la voce del brigante si alzò un tono, sprezzante. Briseide arrossì.
-Non ho detto questo-
-Allora state zitta e non mi scocciate!- brontolò Seth. Briseide poteva quasi vederlo: la figura imponente seduta su quella seggiolina, come un orso su uno sgabello pericolante, le braccia incrociate e la fronte aggrottata, in un’espressione di rabbia trattenuta.
Aveva imparato a conoscerlo, perciò sapeva perfettamente che la guardia che che avrebbe messo davanti alla sua porta sarebbe stata l’unica in grado di non addormentarsi. Briseide aggrottò la fronte, pensierosa. Doveva scappare. E l’avrebbe fatto quella sera, altrimenti sarebbe rimasta con Seth e i suoi briganti per tutta la vita. Suo padre non avrebbe mai pagato e se nessun messo con notizie era più tornato... allora voleva dire che la vita di Briseide era appesa solamente al suo coraggio e alla sua volontà. Si alzò, e si rivestì. Il vestito verde scuro di velluto, era semplicissimo e una fascia rosa antico le cingeva i fianchi snelli. Non sapeva perché Seth le aveva comprato quel vestito, ma non poteva certo entrare in Solea con quello che era rimasto del suo vecchio vestito. Uscì dalla barriera, e lo vide seduto sulla seggiola. Seth la guardò, compiaciuto.
-State bene, adesso?- ringhiò.
-Sì, grazie- sbottò Briseide sedendosi sul letto. -Buonanotte-
-Rimarrò finché non vi sarete addormentata- rispose truce Seth -Non ho nessuna intenzione di lasciarvi da sola per più di dieci minuti-
-Siete un uomo di poca fede- lo accusò Briseide -dove potrei andare? Non conosco questo posto, non posso uscire perché c’è una guardia là fuori e non posso saltare dalla finestra, perché correrei il rischio di rompermi una gamba-
Seth parve soppesare le parole di Briseide, che sperando di essere stata convincente, lo guardava.
-Non avete tutti i torti, Briseide- disse alla fine Seth -ma non mi avete convinto- sorrise in un modo che Briseide trovava molto irritante e accavallò le gambe -Ora dormite. Domattina dovremo alzarci all’alba-
Briseide non sopportava di essere liquidata in quel modo, ma voltò le spalle al brigante e si sdraiò sul duro letto. Almeno non era costretta ancora a dormire per terra. Non voleva ancora sottostare alle sevizie di Seth, perciò doveva trovare il modo di scappare. Quando se ne fosse andato avrebbe inventato qualcosa. Per il momento, con lui lì, non poteva fare nulla, se non fingere di dormire. Ma che cosa avrebbe fatto dopo essere scappata dalla locanda? Dove sarebbe andata? Si morse un labbro nell’oscurità della camera. Sentiva il respiro di Seth, non troppo vicino, per fortuna, regolare e forte. Era quasi in Solea. Avrebbe potuto cercare tracce del passaggio di Will. Chissà dov’era in quel momento?
Quando Briseide si risvegliò si accorse che l’unico rumore nella camera era il proprio respiro. Si alzò, furtiva, improvvisamente sveglissima, e accese la candela. Alla fioca luce strappò ciò che rimaneva del suo abito e tolse dal letto le lenzuola ruvide. Le annodò e le fissò ad una delle imposte. Avrebbero retto il suo peso? Briseide non se lo chiese nemmeno. Afferrò il tessuto e uscì dalla finestra. Le sue scarpe sbatterono contro il muro. Fino a quel punto non si era fatta male e una gioiosa euforia s’impadronì di lei. Il primo passo era fatto. Scese con cautela i pochi metri che la dividevano dal suolo. Sarebbe stata di nuovo libera, libera di andare a cercare Will, libera di dirgli quanto lo amava, libera finalmente di poter rimanere insieme a lui, oltre che di dargli una lezione per quella graziosa ragazza con cui viaggiava ormai da giorni... no, settimane... e per quanto riguardava...
Briseide si sentì afferrare per la vita. Scivolò dalla presa sul lenzuolo e cadde all’indietro con un grido strozzato. Sentì delle braccia che la cingevano con forza.

-Sei molto coraggiosa per essere una donna, Briseide, ma anche tremendamente sciocca- una voce familiare la fece rabbrividire, mentre una mano le afferrava i polsi -credevi che non ti avrei tenuto d’occhio?- la voce sospirò e la stretta sui fianchi di Briseide si trasformò in una morsa. Briseide strinse gli occhi, cercando di non urlare.
-Avevo pensato di darti un “premio” perché ti eri comportata bene- ridacchiò -il vestito, la locanda... ma adesso- la voce di Seth era ormai un basso ringhio -adesso non ci sarà più alcun premio, per te-




SPAZIO AUTRICE

Araluna: Ciao cara! Posto un po' in ritardo per motivi di tempo e connessione ad internet.... *me sbuffaaaaaaa*
Comunque, grazie per la tua recensione, non pensavo che ti piacesse il capitolo, devo confessarti che ero piuttosto scettica... Ma per fortuna l'hai apprezzato!! Ti ringrazio. Già, Ashat è proprio buffo, invidioso di Will perchè vorrebbe essere lui a tenere la corona sulla testa, come di solito succede con i consiglieri! Spero che tu apprezzi questo capitoletto senza nessuna pretesa.... Un bacione.
ps: non ho potuto riguardarlo, perciò ci sta che siano degli errori. Spero di no! Baci baci,
Stellalontana*




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Capitolo 11
*** Veleno ***


capitolo 11

Capitolo undici




Seth lanciò un sasso contro la parete della stanza. Quello cadde con un piccolo tonfo a terra, e lì rimase, inerme. Dei passi dietro di lui gli fecero tendere le orecchie, anche se sapeva perfettamente chi era.
-Quando vuoi puoi portarle la cena, Seth-
-Grazie-
Il brigante si voltò verso la donna che aveva parlato. Poco più alta della sua bella prigioniera, indossava una veste di lana grezza sotto un grembiule bianco, un po’ macchiato. Era ancora un bella donna, i capelli biondi legati strettamente in una crocchia alla base della testa e il volto pulito, anche se aveva più rughe di quanto si ricordava.
-Che cosa hai intenzione di fare?- chiese. Seth si alzò dalla sedia, sistemandosi la tunica.
-Niente- rispose laconico.
-Seth- la donna gli prese un braccio -So che è difficile per te. So che hai aspettato tanto per questo... ma ti prego... lei non ha colpa-
-Quell’uomo- ringhiò Seth, svincolandosi dalla sua presa -ha ucciso tuo marito!-
-Tanti anni fa, Seth- sospirò lei -Sono passati quindici anni, come puoi non capire? Io non voglio vendetta-
-Ma io sì- replicò Seth. Aggrottò la fronte, irritato. Come poteva non capire? Proprio lei che era stata privata del suo uomo? Dell’unico uomo che avesse mai amato?
-Era mio padre- continuò -era mio padre. Per quindici anni ho aspettato, ho pregato perché potessi avere la mia vendetta- guardò sua madre negli occhi -non posso fermarmi adesso-
-Dove andrai?-
-Lei aspetterà qui, insieme ad alcuni dei miei. Io non posso restare a lungo. Sono ricercato qui come in Aschart. Non fare così- sua madre aveva gli occhi pieni di lacrime.
-Erano cinque anni che non avevo più tue notizie Seth. Da quando anche Marian è morta io sono sola, qui- si sedette al piccolo tavolo rotondo. Seth strinse i denti quando sua madre pronunciò il nome di sua sorella. Aveva fatto fatica a non urlare quando aveva visto la sua tomba al cimitero del paese.
-Cinque anni...- ripeté sua madre.
-Yvana, io...-
-Perché te ne sei andato, Seth? Che cosa c’era che non andava qui?- chiese allora sua madre -Che cosa stavi cercando fuori dalla Solea? Avevi solo sedici anni quando te ne sei andato...-
-Lo so- ribatté seccato Seth -Non sono più un ragazzino, Yvana. Ho venticinque anni. E sono un ricercato- sospirò -non posso rischiare che i soldati ti trovino e ti arrestino. Per questo non posso restare-
Prese il vassoio di legno che sua madre aveva portato e uscì dalla stanza. Lo stufato e il pane nero avrebbero fatto bene alla ragazza. Non stava bene, in quei giorni, e Seth aveva dovuto cambiare i suoi piani per non vedersela morire fra le braccia. Aveva la febbre e l’unico modo per curarla era portarla da un erborista e l’unica persona che Seth conosceva e di cui si fidava era sua madre. Aveva dovuto fare una deviazione verso il villaggio dove viveva, sperando che non avesse deciso di partire anche lei per un altro villaggio. Niente in quella parte di Solea era cambiata, a parte il fatto che anche in quel villaggio non c’erano uomini dai sedici ai trent’anni, soltanto vecchi, donne e bambini. Seth ne era partito quando aveva sedici anni per poi farne ritorno qualche anno dopo. Cinque anni prima se ne era andato con l’intenzione di non mettervi più piede ma le cose erano andate diversamente. Aprì la porta della camera dove stava la ragazza e la trovò a letto, sotto le coperte che dormiva profondamente. Dormiva di lato, un braccio nudo sopra il lenzuolo. Accanto a lei, per terra giaceva un bacile colmo d’acqua, con delle pezze di stoffa intinte nell’olio di semi. Seth si avvicinò, posando a terra il vassoio. Le pose una mano sulla fronte. La febbre era scesa, ma il suo respiro rimaneva alterato. Lei borbottò qualcosa di indecifrabile, ma non si svegliò. Seth si sedette su una sedia, aspettando che si svegliasse. I suoi vestiti erano stati lasciati in fondo al letto, in modo che potesse vestirsi senza scoprirsi troppo. Seth era sicuro che avrebbe protestato perché lui era entrato senza chiedere il permesso, ma non gliene importava. Quella ragazza gli aveva dato già abbastanza filo da torcere. Una settimana prima aveva perfino tentato di scappare. Scappare, da lui! Quella ragazza era una calamità naturale, e pareva essere troppo temeraria oltre che sciocca. Ma la cosa che più lo irritava era che era bella, molto bella. Seth voltò lo sguardo alla finestra. Il tramonto tingeva di rosso la valle. Se non fosse stato quello che era avrebbe pensato che era meraviglioso, ma era un brigante, non era fatto per quel genere di cose.
Sentì Briseide svegliarsi e si alzò. La ragazza si voltò sulla schiena, aprendo lentamente gli occhi.
-Ben svegliata- mormorò Seth, accanto al letto. Briseide spalancò gli occhi ambra e afferrò le lenzuola, stringendosele attorno al corpo.
-Tu... tu...-
-Sì, sì, va bene- la schernì lui, prendendo il vassoio da terra -adesso mangia qualcosa-
-Voglio che tu esca- disse lei, ignorando il suo ordine -immediatamente-
-Non accetto nessun ordine da parte tua- brontolò Seth porgendole con l’altra mano la sottoveste. Briseide lo squadrò con l’ira negli occhi. Seth alzò le mani in segno di resa e si voltò. Dopo qualche minuto Briseide brontolò che poteva voltarsi. Indossava la sottoveste e sembrava piuttosto contrariata.
-Vedo che ti senti meglio- commentò Seth portando la sedia accanto a letto e sedendosi. Briseide affondò il cucchiaio nello stufato.
-Mi gira la testa- rispose. Spezzò il pane, e prese a mangiare piano. Seth la guardava.
-Non siamo a palazzo, Briseide, puoi mangiare con le mani- la schernì.
-Se non lo vedi- la ragazza alzò una mano irritata -è quello che sto facendo. Soltanto perché è stata tua madre a farlo... fosse per me...-
-Fosse per te che cosa?- scattò Seth sporgendosi sul letto -Cosa? Ti fare mangiare a forza anche se ti rifiutassi. Per quanto io odi tuo padre, non voglio che tu muoia. Sei la sola cosa che mi garantisce la sua parola-
Briseide non rispose, e continuò a mangiare, abbassando gli occhi. Seth rimase in silenzio per parecchi minuti, fino a che lei non scostò il piatto. -Ho finito. Va bene, mio signore?- chiese sarcastica. Seth abbozzò un ghigno.
-Non ti azzardare- disse calmo. Prese il vassoio e lo appoggiò a terra. -Come ti senti?-
-Meglio- replicò lei stizzita. Seth alzò un sopracciglio indispettito.
-Non rispondere con quel tono, Briseide. Non sei niente qui-
-Sono il tuo lasciapassare per ciò che vuoi, Seth- lo interruppe lei, incrociando le braccia sul petto con fare autoritario -è per questo che non mi hai ancora uccisa. È per questo che non mi hai punita l’altra notte, quando ho cercato di scappare-
-Ero molto tentato di farlo- replicò Seth a denti stretti. -E avrei dovuto farlo. Forse adesso mi dimostreresti un po’ di rispetto-
-Rispetto?- Briseide ridacchiò -Ma se nemmeno tua madre ti porta rispetto? Mi chiedo che cosa ha fatto di male per meritarsi un figlio come te-
Seth la guardò. Aveva il volto arrossato, non sapeva se per la febbre o la rabbia. Tremava, ma non sembrava accorgersene. Trattenne la rispostaccia che stava per darle e si morse la lingua nel tentativo di trovare qualcosa di carino da dire. -Ora dormi-
-Ho dormito tutto il pomeriggio- ribatté Briseide.
-Beh, e allora fa quello che vuoi- sbottò Seth -Ascoltami bene- si chinò su di lei e afferrò lo scollo della sua sottoveste -perché non mi ripeterò ancora. Stai bene attenta a ciò che dici, e a ciò che fai. Non ti ho mai fatto del male- sogghignò -male fisico, Briseide. Non ti ho mai messo le mani addosso, non ho mai dato libero sfogo ai miei briganti, ma se tenti ancora di scappare, se mi insulti ancora, se non farai ciò che ti dico...- allentò leggermente la presa sulla sottoveste e strappò con forza il nodo. Briseide gemette a denti stretti e si strinse le mani sul petto. Ma non fiatò. -Vedo che hai capito che cosa ti accadrà- Seth si avvicinò al suo orecchio -e io scommetto che non vuoi che ciò accada, vero?-
La ragazza scosse con forza la testa. -Scusa?- chiese Seth strattonando ancora la sottoveste verso il basso -Non credo di aver sentito bene. Vuoi che questo accada?-
-No- gemette Briseide. La sua voce era molto vicina al pianto. Seth si disse che poteva essere compiaciuto. Briseide lo temeva, ma non abbastanza. Doveva trovare il modo di ricordarle quanto potesse essere pericoloso e quanto lei dovesse temerlo.


*


Will camminava a grandi passi, misurando il giardino del palazzo, pietra dopo pietra, cespuglio dopo cespuglio, albero dopo albero. Irritato dalla presenza di Sirio e di un paggetto che si ostinava a non dargli tregua, si sedette all’ombra di un melo. Il sole intiepidiva quelle giornate di inizio autunno e ancora gli alberi non avevano perduto le loro foglie. Will alzò gli occhi verso le fronde. Un fringuello cantava su di un ramo.
Fortunato, pensò Will. Abbassò lo sguardo sui due che non lo perdevano di vista un momento. Il paggetto, che avrà avuto si e no tredici anni era stato mandato dalla cucina per cercare di convincerlo a fare colazione. Will non aveva nessuna intenzione di mangiare quella mattina, lo stomaco chiuso strettamente in una morsa. Era passata una settimana da quando era arrivato al palazzo di Desra e aveva avuto poche occasioni per visitare la città o il palazzo stesso. La cosa che più lo irritava era il fatto di dover girare per i corridoi assieme ad un soldato. Odiava quel genere di protezioni, e si sapeva benissimo proteggere da solo. Ma suo zio temeva Ashat e non lo lasciava solo nemmeno per un momento.
Astro era rimasta contrariata della sua permanenza forzata all’interno della fortezza, ma non si era opposta. Will la vide arrivare dall’altra parte del giardino. Quando gli fu più vicina vide che indossava un lungo abito blu. Il suo volto era la maschera della rabbia.
Si sedete sbuffando accanto a Will, sollevandosi la gonna fino alle ginocchia per poter incrociare le gambe. -Odio questi abiti!- ringhiò.
-E allora perché li metti?- chiese Will stupito. Astro si voltò verso di lui.
-Perché nella mia cassapanca non c’è altro- spiegò -Oriana pretende che mi vesta “come una ragazza della mia età merita”... non ci trovo nulla da ridere!-
Will ridacchiava. -Scusami- disse, quando l’accatto di ilarità fu passato -è la tua espressione che mi fa ridere-
-Meno male- borbottò lei. -Volevo andare a fare un giro in città- commentò Astro cambiando argomento -ma Lyone dice che è meglio se restiamo ancora chiusi qui dentro-
-Non posso dargli torto- la interruppe Will, sfiorando con le dita una foglia, caduta sul proprio grembo -è preoccupato che Ashat possa farmi del male- sbuffò -e finché sono qui dentro non può farmi nulla-
-Potrebbe ucciderti nel sonno- obiettò Astro, portandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
-Ma falla finita!- sbottò Will -Sai che il mio sonno è leggero- la guardò e Astro arrossì.
-Sì, lo so- rispose. Rimasero in silenzio per qualche minuto finché un dei paggetti non li chiamò a gran voce. Will si alzò, mentre Astro rimase a sedere, mentre Will faceva il suo dovere di principe.
-Signore- il paggetto s’inchinò, riprendendo fiato -C’è un... c’è un uomo che desidera vedervi-
-Dov’è?- chiese Will.
-In fondo al giardino- rispose il paggetto, gettando uno sguardo oltre la propria spalla.
-D’accordo, fallo venire qui- guardò il ragazzino correre di nuovo verso il fondo del giardino e poi tornare, scortando quello che, dalla distanza sembrava un monaco. Will avanzò di qualche passo, poi si fermò. Il monaco aveva un’aria familiare, un sorriso che Will aveva già visto da qualche parte. Anche i suoi capelli ricci gli erano familiari. Deglutì.
-Oh, mio dio- sussurrò mentre questo lasciava cadere il bastone. Lo abbracciò talmente stretto che Will si sentì soffocare.
-William- Fedric lo staccò dall’abbraccio -quanto tempo-
-Troppo amico mio- rispose istupidito Will. -Troppo tempo, davvero-
-Ho sentito che sei diventato principe- lo schernì Fedric -davvero un bel passo avanti!-
-Fedric...-
Il monaco guardò oltre la spalla di Will e il suo viso mutò improvvisamente espressione. Will si voltò. Astro si era alzata e teneva una mano premuta contro la bocca. I suoi occhi erano colmi di lacrime.
-Andrea- sussurrò Fedric, andandole in contro -che cosa ci fai qui?- chiese. Lei non rispose ma gli gettò le braccia al collo, singhiozzando. Will si ritrasse di qualche passo, ma quando Fedric se ne accorse gli fece segno di tornare indietro. Quando Astro si fu calmata i tre si sedettero di nuovo.
-Andrea- Fedric le accarezzò piano i capelli -cosa ti ha portato in Solea?-
-Io- rispose Will, leggermente in imbarazzo -ci siamo incontrati a Chiaravalle e...- prese a raccontare in breve che cosa ci facevano lassù. Il volto di Fedric s’incupì, mentre Will raccontava.
-Capisco- si voltò verso Astro. -Stai bene?-
-Pensavo tu fossi morto- disse lei ignorando la domanda. -Pensavo che non ti avrei mai più rivisto- i suoi occhi continuavano ad essere lucidi, ma non piangeva più.
-Sono stato sul punto di morire- rispose Fedric -ma sono qui adesso-
-Oh, Fedric- Astro lo abbracciò di nuovo -perdonami-
-No- Fedric la staccò da sé -non c’è niente che io debba perdonarti. Io... ero venuto qui soltanto per vedere Will, poi sarei tornato a Teti, ma...-
-Ma...?- chiese Astro, e nella sua voce Will riconobbe una nota di speranza. Vide Fedric mordersi un labbro prima di sospirare.
-Credo che la cosa migliore da fare per me sia rimanere qui- posò le mani sulle spalle della ragazza, con un sorriso -Credo che tu abbia molte cosa da raccontarmi-  
Astro abbassò lo sguardo, triste. Un fastidioso senso di disagio prese Will allo stomaco. Non sapeva che cosa dire in quel frangente, né che cosa fare. Si alzò, spolverandosi i pantaloni.
-Dove vai?- chiese Fedric.
-Io... devo andare- rispose Will -Devo... sai, il palazzo, gli ordini... insomma, ho molto da fare- alzò una mano in segno di saluto e si avviò verso l’ingresso secondario che lo avrebbe portato dritto nella sala del trono. Si allentò il bavero della camicia, rimpiangendo i suoi vecchi abiti. Spalancò la porta delle cucine, mentre due o tre ragazzine correvano via dalla porta ridendo. Will si sedette ad una tavola rotonda, dopo aver spillato un boccale di birra dalla botte. Si appoggiò alla sedia, sospirando. Le cose stavano cambiando. Ma troppo velocemente, pensò, mentre beveva un sorso della birra. Troppo...
Un mese e mezzo prima stava seguendo la strada per il porto di Lea, e subito dopo si era ritrovato invischiato con la figlia del Governatore dell’Aschart, e il giorno dopo in viaggio con una ragazzina, e il giorno dopo ancora re.
Re... io un re?, rise fra sé, chi l’avrebbe mai detto... pensò. Forse un giorno aveva sognato di essere ricco, potersi permettere una bella casa per i suoi genitori, un medico serio per la gamba di suo padre e tante altre cose, ma adesso che c’era dentro fino al collo, la cosa non lo entusiasmava come prima. A complicare le cose c’era la guerra. Avrebbe voluto poter schioccare le dita e dichiarare finita la guerra, ma le cose non erano così semplici. Aveva scritto una lettera Governatore di Salazard, nonché padre di Briseide in cui chiedeva un incontro, se non a Desra almeno a metà strada, in una città neutrale, e in cui chiedeva inoltre la mano della ragazza.
Will appoggiò con un tonfo sordo il bicchiere sul tavolo. La birra debordò. Un matrimonio. Era davvero quello l’unico modo per far finire la guerra? Non erano valse a nulla le scuse, le umiliazioni, le preghiere di suo zio. Non erano valse a niente le spedizioni di pace che aveva inviato a Salazard. sarebbe bastata la richiesta di un principe, un ex-soldato disertore? Will scosse la testa. Suo zio aveva insistito perché lasciasse crescere i capelli neri. Si scostò un ciuffo dagli occhi. Non avrebbe dovuto dargli ascolto. Si appoggiò con i gomiti sul tavolo, poi scivolò con la testa sopra il legno, e chiuse gli occhi. Matrimonio... quella parola pesava su di lui come un macigno. Avrebbe dovuto far sfoggio di buon gusto, eleganza, padronanza di se stesso. Avrebbe dovuto mandare un messaggio ai suoi genitori, avrebbero dovuto aspettare che arrivassero, ma il viaggio era lungo da Erden fino in Solea, e come potevano arrivare? Per mare magari sarebbero incappati in qualche tempesta vista la stagione. E il Mare dei Gorghi era famoso per la sua imprevedibilità. Dio, che vita... pensò Will, tamburellando le dita sul tavolo. Guardò il boccale ancora mezzo pieno. Non aveva bevuto tutta la birra, perché aveva un sapore strano, qualcosa di rancido. Quella mattina non aveva mangiato. Il suo stomaco brontolò, ma non per la fame. La birra di prima mattina non gli faceva bene. Ma c’era qualcos’altro. Si alzò dalla sedia e uscì di nuovo fuori. In un angolo del giardino, dove nessuno poteva vederlo si ficcò due dita in gola e vomitò la birra. Dopo qualche minuto, ripresosi dai conati, si sentì meglio. Dio...
Alzò la testa, verso il fondo del giardino. Una figura scura si allungava come un serpente di fumo al di là dell’ombra di un pesco. Forse quando si accorse che Will lo stava guardando si affrettò ad andarsene.
Will si precipitò da suo zio. Era insieme ad Elias e lo faceva giocare con delle formine di legno.
-Zio- lo chiamò -devo parlarti-
Lyone si alzò e lo seguì in cucina dove Will gli fece assaggiare la birra. Lyone fece una smorfia.
-Quanta ne hai bevuta?- chiese.
-Non molta, per mia fortuna- indicò la botte -Ieri non c’era lì- ricordò, accarezzando il mento con le dita -E non è una coincidenza. È stato Erin a dirmi che qualcuno l’aveva riempita- sorrise, ingenuamente -tutti sanno che mi piace. Anche perché voi, tutti voi, compresa Oriana bevete vino. Sono l’unico a bere la birra-
-Lo so, Will- rispose Lyone -sono stato io a dire a Erin di andare al mercato per comprarla- rivelò colpevole -ma sicuramente è andata a male-
-No- lo interruppe Will -so riconoscere una birra andata a male. Mio padre mi ha insegnato come distillarla dal malto d’orzo. Vivevamo di quello che producevamo, non potevamo farla andare a male- Will aggirò la tavola e versò dell’altra birra dentro il boccale. -È fresca. Vuol dire che la botte è buona. Il legno non mi sembra danneggiato. E la birra è chiara, non è torbida e- agitò il boccale -non si vede nessuna fondata- scosse la testa -non è andata a male. Qualcuno c’ha messo qualcosa dentro- bevve un sorso della birra, ma la sputò subito -Questa- fece -è ancora peggio-
-La botte era mezza piena- gli disse Lyone -avevo ordinato che fosse riempita a metà, l’altra metà la tenevo per qualche nostra cena... sai, tra zio e nipote-
-Bella idea- rispose Will -portami l’altra... voglio assaggiarla-
Quando Will assaggiò l’altra birra sorrise. -Questa è buona- disse -Assaggia- la fece bere anche a Lyone che alzò le spalle.
-Mi sembra buona-
-Lo è, infatti. Ed è anche di ottima qualità- indicò le due botti, una, quella della cucina, più piccola dell’altra -ma se non è la botte e non è andata a male allora c’è qualcosa dentro- fece segno a suo zio di aiutarlo. Portarono fuori la botte dalla cucina e la svuotarono, poi Will la ruppe, scivolare via le doghe della parte che non era stata a contatto con la birra. Sul fondo vi era rimasta attaccata della poltiglia.
-Questa- osservò Lyone -non sembra nemmeno fondata-
-No, hai ragione- Will la prese con le dita e se la portò al naso -Ho già sentito quest’odore. Al campo usavamo questa pianta come unguento per le ferite. Era un odore che odiavo. Non so come si chiami- aggiunse prima che Lyone potesse chiederglielo -ma so che è velenosa se ingerita. Forse non mi avrebbe ucciso, ma mi avrebbe tenuto a letto per molte settimane-
-Ma chi?- chiese Lyone guardando prima Will poi la botte -Soltanto io ed Erin sapevamo della botte... e poi chiunque poteva entrare in cucina-
Will lo guardò di sottecchi. Lyone sospirò.
-Ashat-
Will annuì, distratto. -Che cosa facciamo?- chiese.
-Non lo so- replicò sospirando Lyone. -Non lo so. Non ho prove contro di lui-
Will rimase per un momento in silenzio. Se Ashat avesse confessato non ci sarebbero stati altri Ministri corrotti, ma non era quello che voleva. Poteva volgere la corruzione di Ashat in suo favore, se solo avesse aspettato qualche altro giorno e un momento più favorevole. D’altronde doveva attendere la risposta di Pericle di Salazard. Aveva tutto il tempo per escogitare qualcosa.
-Non voglio che tu lo cacci- disse allora Will -Ho un’idea migliore-
Lyone lo guardò. Will sorrise, ironico. Lyone sapeva bene che cosa voleva dire quel sorrisetto sulla bocca del nipote, ormai.
-Le tue idee mi fanno paura- scherzò.




SPAZIO AUTRICE

Araluna: Ciao cara. Aggiorno un po' in ritardo perchè in questi giorni non sono praticamente mai a casa......
Comunque, Seth si sta evolvendo è un personaggio che doveva rimanere marginale ma che poi ha praticamente usurpato il posto di altri personaggi che non ho aggiunto.... Eh, cosa vuoi fare, le creazioni a volte sono ribelli..... A parte gli scherzi, in questo capitolo entra in scena un altro personaggio: la mamma di Seth. Non ti dico altro, perchè voglio tenerti sulle spine, ma non preoccuparti tutto si risolverà...
Bacioni!

ps: quasi dimenticavo, ho aggiunto un capitolo, così adesso sono 15. Avevo lasciato un paio di cose in sospeso, perciò ho deciso di rimediare aggiungendo un cap prima della vera e propria fine. Contenta?????

baci baci baci baci Stella*





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Capitolo 12
*** Libera! ***


capitolo 12

Capitolo dodici



-Una settimana, capisci? Una settimana!- strillò Oriana contro Will mentre camminavano nel prato.
Will alzò gli occhi al cielo. Odiava le sfuriate di Oriana. Non sapeva mai come comportarsi con lei. Era sicuro che suo zio l’amasse molto più di quanto dava a vedere anche se non gli aveva mai dato eredi.
-Calmati Oriana. Andrà tutto bene- disse infine mentre rientravano dentro il castello. Oriana lo guardò storto, gli occhi leggermente allungati che brillavano di rabbia.
-Sirio non se ne andrà fino a che tu non sarai incoronato- scosse la testa -e non capisco perché tuo zio voglia aspettare ancora-
-Te lo dico io perché- Will entrò nella sala del trono -non posso rischiare che qualcuno mi metta i bastoni fra le ruote- alzò la voce mentre Ashat passava loro accanto. Il Ministro ringhiò alcune parole incomprensibili nella loro direzione.
-Ti sei fatto un nemico potente- disse Oriana. Will alzò le spalle.
-Io sono più coriaceo di lui... e comunque devo aspettare, perché devo ancora ricevere notizie da Salazard-
-Oh- fece allora Oriana, come se si fosse ridestata da un sogno -a proposito- frugò all’interno della tasca della tunica che portava sopra il vestito di velluto -è arrivata questa, stamattina presto-
Will la guardò incredulo. -E non mi hai detto nulla?-
-Dormivi- fu la serafica risposta di Oriana. Will si morse la lingua per non risponderle. Aprì la lettera e sentì il cuore fare un balzo. Era proprio del Governatore di Salazard. Un po’ di speranza si affacciò all’interno della sua giornata.
-A William di Monte Argento, principe di Solea, i miei più sentiti saluti e le mie più sentite scuse per il ritardo di questo messo. Ho da comunicarvi una notizia: mia figlia è stata rapita. Non so chi siano né da dove siano arrivati. Il mio generale Guy di Monte Argento non ha trovato alcuna traccia, né i miei soldati. Vi invio la mia richiesta di aiuto. Pericle di Salazard, Governatore-
Will lasciò cadere la pergamena. Si sedette sui gradini del trono. Rapita! Rapita!, come poteva essere? Che cosa era successo? Chi aveva fatto una cosa del genere?
-Will?- la voce di Oriana lo infastidì.
-Zitta!- intimò secco, raccogliendo la pergamena -Dovrai aspettare ancora prima di vedermi sul trono- ringhiò fra i denti. Oriana lo guardò per un momento senza capire.
Il cuore di Will martellava nel suo petto come un tamburo, sembrava volesse frantumargli le costole. Dio mio... accartocciò la missiva e la scagliò il più lontano possibile. Prima che Oriana potesse fermarlo corse via, rifugiandosi su una delle torri, la prima su cui avesse messo piede. Si lasciò scivolare a terra, prendendosi la testa fra le mani. Com’è potuto succedere? Nessuno era lì quando è stata rapita? E chi? Chi?
Will si rialzò, appoggiandosi ai merli della torre. Era primo pomeriggio e il sole appena tiepido lasciava una luce bianca sulla valle. Strinse le pietre fino a farsi male. Non era il momento di rimanere a guardare il paesaggio. Non era davvero il momento per piangersi addosso o aspettare che qualcuno facesse qualcosa al suo posto. Questa era la sua battaglia. Si lanciò di nuovo giù per le scale, scendendole a tre a tre e si precipitò da suo zio. Lyone sedeva tranquillamente su una sedia.
-Lo so già- alzò la mano mentre Will apriva bocca, ansimante -Me l’ha detto Oriana- chiuse il libro che stava leggendo e si alzò, lasciandolo sulla sedia. -Che cosa hai intenzione di fare?-
-Andrò a cercarla- disse.
-Con chi?-
-Da solo- Will sapeva che suo zio non sarebbe stato d’accordo. Sapeva che cosa avrebbe detto. Sapeva perfettamente che non poteva andarsene in quel momento, ma non poteva lasciare Briseide in mano a loro chiunque fossero questi loro.
-Ho capito- replicò Lyone -Sai dove sono?- chiese poi, accarezzandosi il mento. Will rimase immobile. Non se l’aspettava quella domanda. Non rispose.
-Mmm- fece suo zio -Sai dove sono diretti?-
Will rimase in silenzio, mentre la rabbia montava dentro di lui come un fiume in piena.
-Sai chi sono? Da che parte dell’Aschart si trovano? A quanti giorni di distanza da qui possono essere? In che...-
-Basta!- urlò allora Will -Basta!- si voltò, ricacciando indietro le lacrime -Non sai niente di come mi sento, non sai nulla di quello che provo e mi vieni a chiedere quanti sono, che cosa vogliono... non lo so, va bene?- si voltò di nuovo, e il volto impassibile di suo zio gli fece ancora più male. Come poteva rimanere così insensibile a quello che provava. Will non sapeva dove fosse Briseide, quanti la tenevano in ostaggio, se fosse stata maltrattata, se fosse ancora... Deve essere viva!, si costrinse a pensare Will. Deve esserlo...
-Will- Lyone si avvicinò a lui e gli mise le mani sulle spalle -ragazzo mio... non decidere affrettatamente. Non sappiamo dove siano, e se lei sia ancora...-
-È viva- ribatté Will -è viva. Lo so. Deve essere viva, altrimenti non... non è giusto, zio- disse all’improvviso, mentre una lacrima silenziosa gli rigava il volto -Io... devo andare a cercarla, capisci?-
-Capisco, Will, anche se non approvo- scosse lentamente la testa, mentre sospirava -Non voglio che tu...-
-Non mi succederà nulla- disse alla fine Will. Si voltò. -Devo andare. E devo partire subito-
-Lascia che uno dei miei soldati parta con te- ribatté Lyone.
-No- Will scosse la testa. -No. Non è giusto. Questa è la mia battaglia, zio... io non posso rischiare la vita di altri-
-D’accordo- capitolò allora Lyone -Ma stai molto attento- abbracciò così stretto che Will credette di soffocare.
-Grazie-
Salito nella sua camera, si tolse gli abiti che aveva indossato per tutti quei giorni e si vestì con abiti da viaggio, lisciando le pieghe della camicia grezza. Scese nelle cucine, e recuperò delle provviste per il viaggio. Non sapeva a cosa andava in contro ma per i primi giorni preferiva non dover cacciare. Avrebbe viaggiato a ritmo serrato, anche di notte, se fosse stato necessario, avrebbe dormito sul cavallo se ne avesse avuto il bisogno. Si strinse il mantello al collo e tirò su il cappuccio, poi s’infilò i suoi preziosi guanti e scese nelle stalle. Strigliò il cavallo e lo caricò della sacca.
-Stiamo per partire di nuovo, bello mio- gli sussurrò. Quello nitrì, come se avesse capito quello che stava succedendo. Will montò in sella, di nuovo a suo agio dopo tutte le volte che era stato costretto a girare in carrozza in quell’ultima settimana.
-Credi di lasciarmi qui?- una voce lo fece voltare. Fedric stava appoggiato al muro. Will lo guardò per un momento.
-E tu che cosa ci fai qui?- chiese stupito. Fedric alzò le spalle.
-Tumulti- rispose -Voglio venire con te- disse poi prendendo le briglie di un altro cavallo. Era vestito con abiti da viaggio, i pantaloni infilati negli stivali al ginocchio, la camicia sotto il giustacuore marrone e il mantello di lana allacciato strettamente al collo.
-Fedric hai...-
-... appena ritrovato la donna della mia vita- scherzò lui montando in sella -mi aspetterà. Tu hai bisogno di aiuto, Will. Ammettilo. Non sai da che parte andare-
Will non rispose ma abbassò la testa.
-Non è un male lasciarsi aiutare qualche volta- disse Fedric mentre uscivano dalla stalla. Aggirarono il castello e uscirono proprio in mezzo a Desra. L’attraversarono e uscirono dalla porta sud, che mostrava la parte meglio di fesa di Desra, quella in faccia ai monti dell’Ammar.
-Sai Fedric- cominciò Will -mio zio pensa che non sia in grado di salvare Briseide- sorrise amaramente -e comincio a dubitarlo anche io-
Fedric non rispose subito, gli occhi scuri che scrutavano l’orizzonte. Will si voltò verso Desra. Lasciava un’altra volta un posto in cui si sentiva a casa. Ci sarebbe mai tornato? Non sapeva nemmeno se avrebbe mai trovato Briseide. Il solo fatto di poterla perdere per sempre gli faceva diventare lo stomaco un pezzo di piombo. Deglutì, cercando di calmarsi. Il cuore gli martellava nel petto.  Non c’era un attimo in cui non pensasse a dove adesso Briseide potesse essere.
-Pensare al peggio non ti servirà- commentò ad un tratto Fedric. Will lo guardò. Procedeva al suo fianco, il volto tranquillo, gli occhi scuri che scrutavano l’orizzonte. Will non rispose. -E nemmeno compiangerti, servirà-
-Non siamo più in guerra, Fedric- gli ricordò sprezzante Will -Non mi servono le parole-
-Non ti serve amareggiarti- rispose l’altro voltando lo sguardo verso di lui. -Non serve a niente pensare a che cosa accadrà, Will- sospirò -Al monastero ho imparato che il caso non esiste, che le cose succedono perché devono succedere. Ti preoccupi troppo di quello che sarà-
Will alzò la testa verso il sole. Scendeva lentamente dietro le colline, gettando una luce aranciata intorno alla valle, coprendo con un cappuccio rosso le chiome degli alberi.
-Lei mi ha salvato dalla morte, Fedric- disse -è ora che saldi il mio debito-
-Raccontami-
Will non ricordava di aver mai parlato tanto e tanto a lungo. Forse soltanto il primo giorno con suo zio, raccontandogli di sua madre, di suo padre, del luogo in cui viveva prima della guerra. I ricordi del suo mondo erano dolorosi, resi più brucianti dalla consapevolezza di non poter più tornare a Erden, di non poter rivedere la sua terra natale. Avrebbe voluto che qualcuno andasse ad avvertire i suoi genitori, ma era un viaggio pericoloso e ci voleva un mese soltanto per raggiungere la costa dell’Aschart. Ma aveva comunque incaricato un messaggero. Will non sapeva se quella lettera sarebbe mai arrivata, né se i suoi genitori avrebbero intrapreso il viaggio fino alla Solea, ma la speranza era l’ultima a morire, e in quel momento ne aveva bisogno, più di tutto. E aveva bisogno di tempo, per poter pensare a dove andare. Insieme a Fedric cavalcarono quattro giorni, fino ad arrivare ai primi villaggi poco distanti dalla frontiera. Will avrebbe voluto chiedere loro se avevano visto la ragazza, ma non se la sentiva, che cosa gli avrebbero risposto? Magari molti di loro non sapevano nemmeno leggere, né scrivere, né riconoscere un cittadino libero da un soldato. Soldati. Le colonne che Fedric e Will avevano incrociato sarebbero andate a ingrossare le fila di entrambi gli eserciti.
Che crudeltà, pensava Will, mentre si avvicinavano ad un paesino incastrato fra due colline rocciose, ultimo baluardo prima della strada per i Monti Ammar, condannare migliaia di uomini a morte...
Ma presto, la guerra sarebbe finita, in un modo o nell’altro. Fedric scese da cavallo, e Will lo imitò. Non era più il soldato spaventato che aveva incontrato nelle retrovie. Sapeva il fatto suo e la vita monastica l’aveva indurito. Gli aveva raccontato del lavoro nei campi, della cura dei malati. Non doveva essere stata uno scherzo nemmeno per lui, la vita dopo la guerra.
Si fermarono vicino ad una fontana, per bere. Di là da questa una donna attingeva l’acqua. Alzò il viso e incrociò lo sguardo con quello di Will. La brocca colma d’acqua fino all’orlo le scivolò di mano rotolando nell’acqua con un tonfo. Will aggirò la fontana, cercando di aiutarla. Questa continuava a guardarlo come fosse incantata.
-Tutto bene?- chiese lui. La donna dimostrava una quarantina d’anni, scura di capelli, gli occhi blu scuro.
-Sì...- esalò quando lui le porse l’anfora.
-Posso fare qualcosa per voi?- Will si allacciò il mantello più stretto al collo. Lo sguardo della donna lo metteva a disagio.
-Io... io vi conosco- disse lei -ma voi... voi no... io... venite con me- aggiunse alla fine. Will alzò le spalle quando Fedric gli chiese che volesse.
La donna li accompagnò dentro la sua casa, essenziale e con tre misere stanze. Forse la guerra si era portata via suo marito, rifletté Will.
-Mi chiamo Yvana- disse mentre faceva loro segno di sedersi al piccolo tavolo di legno. -Ho... mio figlio... credo che abbia qualcosa che vi appartiene- aggiunse guardando Will. Il ragazzo ricambiò lo sguardo senza capire.
-Che cosa?- chiese.
-Una donna- rispose allora lei -Una ragazza. Lei mi ha... mi ha descritto un cavaliere che... voi assomigliate molto al cavaliere che lei mi ha descritto prima di... di partire di nuovo. Io ho dovuto nasconderla, capite?- proseguì ansiosa la donna -E questo- trasse fuori dalla tasca del grembiule bianco un foglio di pergamena -penso che dovreste leggerlo- lo passò a Will che lo prese e lo spiegò.

William, se mai leggerai questo messaggio, sappi che ti amo. Dei briganti mi hanno rapita. Non ho molto tempo, posso solo dirti che siamo diretti verso Teti. Ti prego aiutami. Tua Briseide.


*


Briseide si guardò alle spalle, ansiosa. Se mai fosse riuscita a fuggire, ma soprattutto a rivedere Will, sarebbe stata pronta a fare qualsiasi cosa. Si guardò le mani legate al pomello della sella. Seth le camminava al fianco, tenendo le briglie del cavallo, una mano sulla spada e il cappuccio che gli nascondeva il volto. Briseide non sapeva che cosa stesse pensando. Sperava solamente che non stesse architettando una punizione per lei. Da quando aveva tentato di scappare Seth era diventato molto più crudele con lei. Freddo e impassibile aveva deciso di tenerla legata tutto il giorno oltre che la notte. Briseide guardò il polso dell’uomo. Aveva profondi segni rossi, dove la corda gli tagliava la pelle. Ma come poteva sentirsi anche solo un po’ in colpa dopo quello che le aveva fatto? Se ci ripensava le venivano ancora i brividi e le lacrime agli occhi. Non sarebbe più stata la stessa. Sorrise amaramente, e chissà se Will l’avrebbe voluta ancora, ammesso e non concesso che riuscisse a trovarla. Da quando aveva scritto il messaggio, era ormai passata un’altra settimana che si andava a sommare a tutte le altre che aveva passato con quei briganti. Avrebbe tanto voluto non essere mai uscita dal palazzo di suo padre. Forse sarebbe stato tutto diverso. Lo sarebbe stato... pensò, mentre osservava il sole calare.
-Ci fermiamo!- ordinò Seth alzando una mano e arrestando il cavallo. Erano in mezzo ad una radura, con intorno un fitto bosco di castagni e aceri che li avrebbe protetti. Seth la prese per la vita e la fece scendere, per poi farla sedere a terra, legando la corda ad un picchetto che aveva conficcato nel terreno. Briseide cercò di trovare una posizione comoda, mentre i briganti accendevano dei piccoli fuochi e montavano di guardia. Dopo qualche minuto nella radura si sentì lo scoppiettare del fuoco e un lieve profumo della carne affumicata. Briseide, distante dal fuoco, rabbrividì. Abbassò la testa, cercando di non piangere di nuovo. Non sarebbe stato facile per Will trovarla, ammesso che avesse letto il biglietto e ammesso ancora che avesse saputo che lei era prigioniera. Forse se ne stava con la sua bella “compagna” in qualche camera di una locanda adesso. Cercò di ricacciare indietro le lacrime. Doveva essere forte, non doveva piangere.
Un movimento vicino a lei le fece alzare la testa. Era Seth. Si sedette accanto a lei, poi si sdraiò, un filo d’erba in bocca. Briseide voltò la testa dall’altra parte.
-Come ti senti?- le chiese il brigante.
-Come vuoi che mi senta?- replicò lei caustica -triste-
Lo vide alzarsi sui gomiti, e guardarla. Lei non ricambiò lo sguardo. Sapeva che cosa avrebbe letto nei suoi occhi blu. Sapeva anche che Seth avrebbe letto nei suoi tutto l’odio che provava per lui. Dopo quello che mi hai fatto... pensò Briseide mordendosi un labbro. Seth continuò a guardarla per un tempo che le parve infinito.
-Che cosa c’è?- chiese alla fine Briseide. Lui sfoderò un ghigno che non le piacque per niente.
-Sei arrabbiata con me?- Seth si allungò di nuovo sul prato.
Briseide scoppiò a ridere. -Io, arrabbiata con te?- replicò -Ma come può mai succedere una cosa del genere? Non hai fatto nulla per farmi arrabbiare-
Seth la guardò di nuovo, poi si tolse il filo d’erba dalla bocca. -Sai da quanto era che non facevo una cosa del genere?- le chiese avvicinandosi al suo orecchio. Briseide si scostò per quanto la corda le permettesse. Non rispose. Aveva paura.
-Tanto- aggiunse allora lui -tantissimo tempo- sospirò.
-Beh, e chi ti ha detto di farlo con me?- chiese Briseide sull’orlo delle lacrime. -Se fossimo in Aschart...-
-Ma non ci siamo- ridacchiò lui -e poi... non credo che avrebbe fatto molta differenza- alzò una mano per accarezzarle i capelli. Briseide non poteva più scostarsi, perciò rimase immobile. Il tocco di Seth la fece rabbrividire.
-Sei un... sei un bastardo- riuscì ad articolare. Sentì Seth scoppiare a ridere. I suoi occhi blu la guardarono con attenzione per un momento.
-Hai tentato di scappare per ben due volte, Briseide- sospirò -Avrei dovuto lasciarti fuggire?- ridacchiò -Beh, certo che avrei dovuto se non fossi un brigante... se non volessi che tuo padre paghi per ciò che ha fatto...-. Si alzò, lasciandola finalmente libera. -Adesso dormi- le ordinò, di nuovo burbero.
Briseide si sdraiò sull’erba. Aveva così tanta voglia di piangere. Si chiedeva se mai avrebbe rivisto suo padre, o la sua balia, o Will.
Will... scivolò in un sonno agitato, e, poco prima dell’alba si svegliò, cercando di capire che tipo di rumore l’aveva tolta dal sonno. I fuochi erano ridotti a braci. I briganti dormivano quieti, mentre le due guardie ciondolavano in attesa del cambio. Cercò di cambiare posizione, ma le corde le laceravano la pelle, perciò se ne stette buona, aspettando che il sonno tornasse. Poi, un nuovo rumore la scosse. Un passo, poi un altro, si avvicinavano alla radura velocemente. Briseide non era brava a dividere i rumori, ma le sembrò di sentire due diversi passi, procedere veloci verso di loro. Deglutì. Pregò che i briganti si svegliassero, che Seth si svegliasse. Ma non osò muoversi, facendo finta di dormire. Chiuse gli occhi, cercando di rendere il respiro regolare. I passi l’aggirarono. E una mano guantata le premette sulla bocca.
-Shhh- le intimò una voce vicinissima al suo orecchio. Lei voltò la testa e nell’oscurità, gli occhi di Will le provocarono una gioia talmente grande e improvvisa che si sentì svenire. -Resta ferma. Cerca di prendere il coltello-
Briseide sentì la lama del coltello che le accarezzava le dita, poi le dita coperte da guanti di pelle di Will. -Cerca di liberarti. Non vogliamo dare nell’occhio. Quando ci sarai riuscita, fuggi verso il bosco, sarò io a trovarti- proseguì il suo sussurro. Briseide lo sentì allontanarsi e poi il fruscio dei cespugli. Doveva essere tornato al riparo delle fronde.
Ok, Bri, tranquilla... si disse deglutendo. Armeggiò per un momento con il coltello, e si ferì il palmo della mano. Si morse le labbra talmente forte per non gridare, che sentì il sapore del sangue sulla lingua. Alla fine, dopo molti tentativi riuscì a liberarsi le mani. Sentiva il sangue caldo sul palmo, ma decise di ignorare il dolore. Ci avrebbe pensato dopo, adesso doveva trovare Will. Si voltò supina, senza alzarsi. Si alzò sulle ginocchia e si tirò su la gonna del vestito. Per un momento pensò di tornare indietro, cercando di trovare le sue scarpe, ma non poteva rischiare di svegliare Seth, che dormiva beato a pochi passi da lei. Lo guardò per un momento, incerta sul da farsi, poi prese a scivolare lentamente verso il bosco. Arrivata alla fine della radura, si alzò e s’infilò in mezzo a due enormi aceri. Si sedette tra le radici di una di queste e nascose il volto tra le braccia. Cercò di calmarsi, era salva, per il momento, il resto sarebbe stato una sciocchezza. Alzò la testa verso i rami degli alberi. Tra poco sarebbe sorto il sole. Tra poco si sarebbero accorti che lei non c’era più. Estrasse il coltello dalla fascia che teneva legata in vita. Era uno stiletto, a doppio taglio, e al centro c’erano incise delle rune. L’impugnatura era di avorio decorato. Lo ripose tra le pieghe della fascia.
-Sei stata brava- Briseide alzò di scatto la testa. Accanto ad un albero, in piedi, una mano sul pomolo della spada e una appoggiata al tronco stava Will, bellissimo, il volto leggermente in ombra, ma tanto le bastava. Era Will, era lui. Briseide si alzò e gli gettò le braccia al collo, stringendolo fino a togliergli il respiro. Will le cinse la vita con le braccia, appoggiando il mento sui suoi capelli.
-Sono qui adesso- lo sentì sussurrare.
-Come hai fatto a trovarmi?- chiese Briseide alzando la testa per guardarlo negli occhi. Oh, i suoi bellissimi occhi azzurri, quante volte li aveva sognati, e finalmente erano lì, davanti a lei.
-Ho trovato il tuo messaggio. È stata tutta questione di fortuna- Briseide lo guardò. Non era lo stesso Will. Sembrava più vecchio, anche se era passato solo poco più di un mese, un’eternità, da quando si erano lasciati a Salazard. Aveva i capelli leggermente più lunghi, la barba non fatta che gli conferiva un’aria tetra, e il volto scuro, senza la minima traccia di un sorriso. Indossava vestiti da viaggio, ma non quelli che aveva indosso quando si erano conosciuti. Portava una camicia di lana grezza ma ricamata d’oro e d’argento ai polsini e al colletto con dei lacci fatti di cuoio, quasi un doppiopetto, e sopra un giustacuore rosso porpora con lo stemma della Solea. I pantaloni erano marroni, infilati all’interno degli alti stivali di cuoio fino al ginocchio. La spada era legata ad un’alta cintura che riportava lo stemma della Solea.
-Che cosa è successo da quando sei riuscito a fuggire?- chiese. Le labbra di lui s’incresparono per un attimo.
-Niente di speciale. Ti racconterò tutto quando saremo fuori da questo pasticcio- la guardò con aria critica per un momento. Passò in rassegna il vestito di velluto lacero al collo e all’orlo della gonna e i suoi piedi nudi. Improvvisamente Briseide si rese conto di avere un gran freddo e rabbrividì. Will si voltò e fece un cenno nell’oscurità. Briseide vide avanzare due cavalli e un uomo.
-Fedric!- esclamò sorpresa. Il monaco le sorrise apertamente.
-Ben trovata, Briseide. State bene?-
-Adesso sì, grazie, ma come...-
-Basta- la zittì Will, prendendo il mantello che Fedric gli porgeva. Glielo avvolse sulle spalle e la guardò. -Mi potrai fare tutte le domande che vorrai quando ti avrò portato via da questo enorme macello, intesi?-
-Sì- sibilò lei, leggermente irritata dal tono di Will. Ma troppa era la felicità per averlo ritrovato. D’un tratto lo vide alzare la testa, gli occhi ridotti a fessure.
-Perfetto- ringhiò tra i denti -Si stanno svegliando- la guardò di nuovo -Come si chiama il capo? Descrivimelo-
-Seth- rispose Briseide -È quello con la camicia rossa e i capelli biondi. Porta un mantello verde scuro-
-Tu rimani qui, intesi?- la lasciò, prima che lei potesse dire qualcosa. Si voltò appena in tempo per vedere Will irrompere nella radura. Briseide avrebbe voluto correre da lui, ma la mano di Fedric le afferrò il braccio. Lo vide scuotere lentamente la testa, senza dire nulla. Briseide guardò verso la radura. Will stava davanti a Seth, e ai suoi briganti perfettamente svegli. Li vide discutere, Seth scoppiò a ridere, ma poi, quando Will sguainò la spada, tornò serio, rivolgendosi al ragazzo. Briseide non poteva vedere l’espressione di Will, ma poteva scommettere che stava sorridendo. A quel punto, vide Seth togliersi il mantello e gettarlo a terra. Will fece lo stesso, e i briganti si disposero a semicerchio dietro Seth, come un ventaglio. Briseide cercò di divincolarsi dalla presa di Fedric, ma fu inutile. Vide Seth sguainare la spada e cominciare a girare in tondo assieme a Will. Poi Seth si lanciò verso Will. Briseide gridò, ma Fedric le tappò la bocca con l’altra mano.
-Vi prego, non mi costringete a bendarvi- sussurrò -per favore, William sa che cosa fare-
Briseide annuì, e rivolse lo sguardo verso i due. Will era a terra, la spada alta sopra la testa per parare il colpo di Seth. Il brigante rotolò sul fianco mentre Will si rialzava e faceva calare la spada sulla sua schiena. Seth parò il colpo con l’elsa della spada. Si separarono di nuovo, poi il brigante partì all’attacco, calando la spada sul fianco di Will. Briseide sentì un grido. Will si accasciò in ginocchio, portandosi la mano al fianco. Briseide si coprì il volto con le mani. Ma poi si costrinse a guardare di nuovo la scena. Seth stava correndo di nuovo verso Will, ma il ragazzo si spostò, mandando il brigante lungo disteso sul terreno con un calcio. Will calcò lo stivale sul polso dell’uomo che urlò di dolore, lasciando andare la spada. Il ragazzo gli puntò la lama alla gola. Briseide non poteva sentire quello che si stavano dicendo, ma ad un tratto Will si rialzò leggermente e li chiamò. Briseide corse verso di lui, fermandosi quando Will allungò il braccio. Si avvicinò e lo schiaffeggiò.
-Mi hai fatto prendere un colpo!- gridò, sentendo le lacrime premere contro i suoi occhi. Will la guardò per un attimo, aggrottando la fronte, poi scoppiò a ridere e l’attirò a sé. Seth se ne stava seduto, una mano a sorreggere il polso fratturato. I suoi occhi blu la scrutarono per un momento, poi si rivolsero verso Will.

-Pericle di Salazard ha ucciso mio padre, quindici anni fa. Mi ha portato via ciò che avevo di più importante al mondo. Volevo che soffrisse- ringhiò. Briseide aprì la bocca un paio di volte.
-Mio padre non ha ucciso nessuno!- esclamò indignata. -Lui non... lui non farebbe mai una cosa del genere-
-Ne sei così sicura?- chiese allora Seth rialzandosi. La lama di Will scattò puntata alla sua gola. -Ho un polso rotto, cavaliere- sogghignò, sconfitto -non ti ucciderò-
-Sempre meglio partire prevenuti- sibilò Will, riducendo gli occhi a fessure. Seth alzò le spalle.
-Lui ha fatto soffrire me, io volevo far soffrire lui-
-E così hai rapito Briseide. Ma hai fatto soffrire anche lei- replicò Will, senza abbassare la lama. Seth aggrottò la fronte. -Non è un mio problema. Sono un brigante. È la mia natura-
-Ma non lo eri prima, non è vero? Non sei sempre stato un fuorilegge. Sarai stato bambino anche tu- obiettò Will, abbassando la voce di un tono.
-Che cosa ne sai di che cosa ho passato, ragazzo?- sibilò allora Seth -Hai vinto- alzò le spalle -prenditi la tua bella e vattene. Erano questi i patti, niente manfrine-
-Hai ragione, ma non è del tutto così che stanno le cose- Will sogghignò, mentre lasciava Briseide. Lei si scostò, mentre il ragazzo estraeva dalla tasca interna del mantello un medaglione. Una stella d’oro, al cui centro spiccava una quercia smaltata in rosso, il simbolo della Solea. Solo ai re e alle regine di Solea era permesso portare e mostrare quel ciondolo. Seth indietreggiò di un passo.
-Allora era vero quello che si vociferava- borbottò contrariato, le labbra tese in un maligno sorriso di scherno -Il vero re della Solea si è finalmente fatto avanti- sospirò -E va bene, mio signore- il brigante s’inginocchiò, insieme a tutti gli altri briganti. Briseide guardò Will. I suoi occhi azzurri la scrutarono per un momento, poi il suo volto si distese in un timido sorriso.
-Niente di speciale eh?- chiese Briseide -Sei soltanto diventato re-




SPAZIO AUTRICE

Araluna: è un onore scrivere per te, l'unica lettrice così appassionata!
Cmq spero di aver rimesso a posto alcune cose. Il quadro d'insieme è delineato, mancano solo pochi capitoli alla fine, perciò credo di aver fatto, fin qui, un lavoretto discreto. Hai ragione, Ashat, oltre ad essere un buffone (^^) è anche un idiota, ma mi sono divertita troppo a renderlo così ottuso... spero che la sorte di Seth ti abbia lasciato di che pensare perchè ancora per lui non è finita!
Un bacione!

Stellalontana




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Capitolo 13
*** Ricominciare ***


capitolo 13

Capitolo tredici



Will si svegliò all’alba, quando il primo raggio del sole gli piovve sul volto. Aprì gli occhi, ritrovando con sollievo la familiare disposizione dei mobili della sua camera a Desra. Non avrebbe mai pensato di dirlo, ma ogni volta che apriva gli occhi e si trovava in quella camera si sentiva a casa. Si alzò e si vestì, allacciandosi il mantello al collo. Aprì la finestra e uscì sul piccolo terrazzo. Il cielo era tinto di rosa e azzurro pallido all’orizzonte, alla sua destra, mentre alla sua sinistra le tenebre ancora dominavano la terra silenziosa. Abbassò lo sguardo verso il cortile. Due figure ammantate di scuro camminavano tranquillamente. Will sorrise. Astro e Fedric avevano molto di cui parlare e lui si sentiva un po’ geloso, ma come non essere felice quando ogni giorno poteva stare in compagnia di Briseide? Il suo sorriso si fece più largo, pensando che aveva molto tempo per poter parlare con lei, per poter di nuovo essere felice. Tutto era andato per il meglio, Guy era stato spedito nelle Steppe, Seth era stato catturato al fronte con l’Aschart da una colonna di soldati, il Governatore di Salazard sarebbe arrivato tra circa un mese a Desra. Tutto andava bene. Tutto tranne Ashat. Will s’incupì. Doveva trovare il modo per toglierselo di torno, ma finché non fosse stato incoronato, il soleano rimaneva il Primo Ministro di suo zio. Tornò nella camera chiudendosi la finestra alle spalle. L’autunno era ormai alle porte e i campi cominciavano ad ingiallire. La guerra sarebbe finita, Lyone aveva ordinato alle truppe di ritirarsi e i generali non avevano aspettato un solo minuto di più a dichiarare la tregua. Sembrava che tutto si stesse facendo più calmo e ricominciasse il lento scorrere delle cose. E non era una cattiva notizia. Will scese dabbasso. Mentre percorreva il corridoio, una porta si aprì e ne uscì Briseide, sbadigliando. Will sorrise. -Buongiorno-
La ragazza si guardò un momento intorno, poi lo vide e il suo volto si aprì in un sorriso.
-Buongiorno, Will- gli si avvicinò -Dormito bene?-
-Benissimo, grazie. Tu?- si avviarono sulla strada per le cucine insieme. Briseide alzò le spalle.
-Bene. Non è il mio letto, ma è sempre meglio della dura terra- sorrise amara. Will aggrottò la fronte.
-Mi dispiace per tutto quello che hai passato Briseide-
-Non devi- la ragazza scosse la testa, i capelli intrecciati che le cadevano sulla spalla -Non ne vale la pena. È stato un... brutto periodo- sospirò -ma è passato e ciò che è meglio- lo guardò, sorridendo -è che sono insieme a te adesso-
Will le prese la mano e la baciò. -Bene-
Uscirono in giardino, mentre una delle cuoche li rimproverava per non aver aspettato che portassero loro la colazione. Will non si era mai sentito così bene come quel giorno. Sembrava che tutto andasse per il meglio, non c’era niente che non andava. Niente, a parte Ashat naturalmente.
-Ci sono dei colori bellissimi- la voce di Briseide lo distolse per un momento dai suoi pensieri. Stava guardando un nocciolo, con i suoi frutti non ancora maturi, che stendeva i suoi rami verso un cespuglio di rose, ormai sfiorite.
-Sì, hai ragione- Will le prese le mani, attirandola a sé. -Ho avuto paura... di non rivederti mai più-
La sentì sospirare sul proprio petto, mentre gli cingeva la vita con le braccia. -Anche io. Ho avuto paura di morire. Ho passato così tanto tempo chiedendomi che cosa stessi facendo, dove fossi... con chi fossi-
Will la sentì irrigidirsi nel suo abbraccio. La scostò così da poterla guardare negli occhi. -Ti riferisci ad Astro?- chiese, abbassando la voce ad un sussurro, come se non volesse che nemmeno gli alberi sentissero. Briseide annuì, distogliendo lo sguardo da quello di Will. Lui sospirò.
-Astro è una ragazza forte- cominciò, accarezzando la treccia di Briseide -ma non la amo- sorrise, vedendo la sua espressione -perché era questo, quello che volevi sapere non è vero?-
Briseide distolse di nuovo lo sguardo dai suoi occhi. -Io... credevo che tu mi avessi salvata soltanto per il nostro debito... e adesso noi...-
-Siamo pari?- chiese Will ridacchiando -No, non siamo pari. Hai ragione, tu hai salvato la mia vita, ed io ho salvato la tua. Ma c’è una cosa che non ti ho detto. Una cosa che ho chiesto a tuo padre e che lui mi ha concesso se ti avessi salvato-
-Che cosa?- Briseide lo guardò sospettosa, fermando la sua mano, che era scesa sopra il proprio braccio. Will sorrise.
-La tua mano- sentì la ragazza trattenere il respiro.
-La mia... vuoi dire... io... Will...- balbettò lei, senza sapere che cosa dire.
-Oh, finiscila!- la schernì lui -Quando tuo padre arriverà dall’Aschart, sarà già tutto pronto per il nostro matrimonio- Will l’abbracciò di nuovo, tenendola stretta contro di sé. I suoi capelli avevano il profumo dei fiori, e riusciva a sentire il suo cuore battere contro il proprio. Era una bella sensazione. Briseide sospirò, sul suo petto.
-C’è qualcosa che non va?- chiese Will, scostandosi da lei. Le alzò il mento con le dita e vide i suoi occhi pieni di lacrime. Will la lasciò andare, tenendola per le spalle. -Che cosa c’è? Perché piangi?-
-Io... io... oh Will...- le sue parole divennero un singhiozzo, e lei si coprì il volto con le mani. -Io... non me lo merito!- singhiozzò.
-Ma che cosa stai dicendo?- chiese lui, prendendole le mani e scostandogliele dal viso. Lei voltò la testa, per non essere costretta a guardarlo negli occhi. -Non piangere... ti prego... dimmi che cosa c’è che non va- la prese di nuovo per le spalle, facendola voltare verso di lui. Gli occhi ambra della ragazza lo guardarono.
-Io ti amo! Will, io ti amo...- replicò lei, la voce contratta dal pianto -ma io... Seth lui ha...-
-Seth?- s’infervorò Will, il ricordo dello sprezzante del brigante ancora impresso nella memoria. Lasciò andare le braccia di Briseide, come se si fosse scottato -Che cosa ha a che fare questa storia con quel brigante?-
La vide sollevare con cautela le maniche del vestito. Sugli avambracci portava i segni inconfutabili di una violenza. I lividi erano diventati ombre giallognole sulla sua pelle candida.
-Ti ha picchiato?- chiese Will, quasi soffocato dalla rabbia e dall’ansia. Briseide non rispose. Annuì, dopo un minuto che a Will parve interminabile. -E tu hai anche avuto il coraggio di dirmi che non meritava di morire?- gridò dandole le spalle. -Ho rischiato la mia vita, quella di Fedric, per liberarti. Avrei dovuto ucciderlo per quello che ha fatto... ma tu, proprio tu hai fermato la mia spada-
Il silenzio che seguì fu rotto solamente dai loro respiri. Quello alterato dalla rabbia di Will e quello intermittente, di Briseide. La ragazza scivolò a terra, coprendosi il volto con le mani. Will fremeva dalla rabbia. Come poteva un uomo anche solo poter pensare di picchiare una donna? Anche solo pensare di fare del male a quella creatura? Dio, quanto avrebbe voluto trovare quel brigante e ucciderlo con le sue stesse mani. Avrebbe voluto strappargli quel sorrisetto beffardo dalle labbra, e guardarlo chiedere scusa, implorare il perdono. Ma a cosa sarebbe servito? La vendetta adesso non sarebbe servita a niente. Si voltò ancora tremando dalla rabbia, per tornare a guardare Briseide. Si abbracciava il corpo, come cercando protezione. Il vestito rosso porpora metteva in risalto la sua figura snella. Will si accucciò davanti a lei. Non sapeva che cosa dire, perciò la tirò verso di sé, abbracciandola. La sentì irrigidirsi nel suo abbraccio, poi divincolarsi, per poi guardarlo negli occhi. L’ambra liquida delle sue iridi gli fece male al cuore. Una fitta di dolore, come se gli avessero conficcato una lama incandescente nel petto. Tutto il dolore rinchiuso in quegli occhi sembrava non avere tregua.
-Perdonami, Will- sussurrò Briseide -perdonami. Avrei dovuto lasciarti fare. Avresti dovuto ucciderlo. Ma non è la mia vendetta che è importante. Non pensavo a quello in quel momento. Pensavo alla tua coscienza- chiuse per un attimo gli occhi, poi tornò a fissarlo -non volevo che tu avessi anche la sua squallida vita sulla coscienza-
-È tanto tempo ormai, che la mia coscienza ha smesso di parlarmi, Briseide- ribatté lui, duro.
-Non sei un assassino, Will. Nemmeno in guerra lo eri o sbaglio?- chiese allora Briseide, appoggiando una mano sul suo torace. Lui la prese e se la portò alle labbra.
-Vedi questa mano?- le chiese, facendo combaciare le loro dita. La mano di Briseide era piccola in confronto alla sua, e bianca. Le cicatrici sorridevano maligne sulla pelle abbronzata di Will e sembravano ricordargli ogni singolo giorno passato sotto le armi. -Questa è la mano di un assassino, un disertore, un ricercato, un...-
-Re- lo interruppe Briseide -sei re, Will, il futuro re della Solea- abbassò la testa -E un re non può permettersi di seguire la propria vendetta-
Will incrociò le dita con quelle della ragazza, cercando il suo sguardo. Rimase in silenzio, finché non fu lei a parlare di nuovo, la voce bassa.
-E questa mano- proseguì, facendosi rossa in volto, evitando accuratamente di guardarlo -mi metterà l’anello al dito, e mi condurrà verso le nostre notti, Will- sorrise imbarazza da quello che stava dicendo -e saranno queste mani- prese anche l’altra mano di Will fra le sue -che mi abbracceranno, che mi scalderanno, e che stringeranno i nostri figli-
-Briseide io...-, ma Will fu interrotto da uno dei numerosi ciambellani, consiglieri o paggetti che lo chiamavano in continuazione. Il paggetto in questione poteva avere sì e no dodici anni, e vestiva di un corpetto giallo sopra la camicia vermiglia, in coordinazione con i pantaloni a sbuffo e il gilet lungo fino alle ginocchia. Le scarpette dorate con la punta arrotondata battevano impazienti sulle lastre del vialetto.
-Il Primo Ministro Ashat vuole vedervi, principe- ripeté per la seconda volta.
-Va bene, adesso arrivo- si rivolse di nuovo a Briseide, alzandosi -Stavo...-
-Immediatamente, principe- lo interruppe di nuovo il ragazzino, impaziente. -Ha detto che dovete andare subito nella sala del trono-
-Uff!- esclamò Will, prendendo per mano Briseide -D’accordo, eccomi-
Tornarono dentro, e s’incamminarono verso la sala del trono. Quando il paggetto li ebbe annunciati, cosa che infastidiva enormemente Will, entrarono nella sala. Suo zio era seduto sul trono, e sul suo volto c’era un’ombra di rabbia, mentre Ashat sembrava estremamente compiaciuto.
-C’è qualcosa che non va?- chiese Will, alzando un sopracciglio. Ashat si avvicinò. Indossava la solita tunica che gli nascondeva perfino gli stivali, e un’alta fascia nera in vita. Quella veste lo faceva sembrare ancora più magro di quanto già non fosse.
-Mio principe, ho saputo soltanto oggi che siete intenzionato a sposare questa fanciulla- cominciò Ashat, la voce stridula impregnata di autocompiacimento -E in quanto consigliere reale devo avvertirvi degli inconvenienti del caso-
-Quali inconvenienti, Ashat?- Will incrociò le braccia sul petto. Il Ministro si sfregò le mani in un gesto compiaciuto.
-Beh, mio principe, la legge della Solea è chiara su questo punto: la sposa del principe deve avere nobili natali sia di padre sia di madre, ma non deve essere superiore in grado al principe, deve esprimersi correttamente in entrambi i dialetti della Solea, e...-
-E... e che cosa Ashat? Ancora “deve” e “deve”?- chiese infastidito Will -Ho letto anche io la legge. Briseide è la nipote del re dell’Aschart, figlia del governatore di Salazard e della Contessa di Oscura. Non mi è superiore in grado poiché esclusa dalla corona del proprio paese. Può imparare il secondo dialetto dopo il matrimonio e...-
-Beh, sire, ovviamente non deve essere stata sposata prima di sposare voi-
-Infatti- ringhiò Will, spostando il peso da un piede all’altro con risentimento. Prese la mano di Briseide.
-So dove volete arrivare, Primo Ministro- disse la ragazza, cogliendo per un momento Ashat in contropiede. -Voi volete sapere se io sia vergine o meno. Perché nella legge della Solea vi è scritto che solo una sposa vergine potrà salire al trono- la voce di Briseide vibrava di rabbia repressa. -Ebbene, Primo Ministro, lo sono. Siete contento adesso?-
-Come potete dimostrarlo, mia signora?- chiese mellifluo Ashat -In tempi più antichi era il Primo Ministro a scegliere la sposa per il re...-
-Ashat- il ringhio di Lyone scosse l’uomo, che si allontanò di un passo da Will -la tua fedeltà non ha vacillato un solo giorno- scese dal trono, lisciando piano le pieghe della tunica rossa -sei stato un uomo di talento, un uomo molto dotato...-
-Voi mi lusingate sire- sorrise compiaciuto il Ministro.
-... nel perseguire i tuoi affari. Crudele e spietato quando si trattava di “nemici della corona”. Ma non erano i miei nemici a preoccuparti, bensì i tuoi. Perché tu sapevi chi era William, non è vero? Sei stato tu il primo a riconoscere mia sorella nei tratti di mio nipote, non è così? E hai cercato di ucciderlo, di convincermi a mandarlo al patibolo- Lyone sospirò -Ma sfortunatamente per te, io sapevo già tutto, dalle lettere di mia sorella. Oh- esclamò compiaciuto -vedo che questo tassello ti mancava. Beh, come vedi non sono uno sprovveduto come può sembrare. Ho trovato il tuo messaggero cioè- schioccò le dita e due guardie entrarono trascinando un soldato ferito lievemente ad una gamba -lo hanno trovato le mie guardie, che tentava di consegnare un falso messaggio ai miei generali. E indovina un po’ di chi è la firma?-
Will vide il volto di Ashat trasformarsi in una smorfia irritata. -Mio sire, io credo...-
-Tu credi che cosa, Ashat?- Lyone si avvicinò al Primo Ministro, le mani intrecciate dietro la schiena -Sono stato fin troppo indulgente nei tuoi confronti, come lo è stato mio padre-
-Vostro padre era un uomo migliore di quanto crediate- balbettò Ashat, rosso in volto. -Lui non mi avrebbe condannato per un messaggio, per quanto...- Ashat chiuse la bocca un secondo dopo essersi reso conto di ciò che aveva detto. Lyone scoppiò in una risata stridula.
-Certo! Ti riferisci forse al fatto che tollerava le tue incursioni nel suo letto?- alzò una mano frenando le deboli proteste di Ashat -Ad ogni modo, da adesso in poi i tuoi servigi non sono più richiesti-
Ashat si guardò intorno, cercando un appiglio. Quando il suo sguardo di fermò su Will, e lui sorrise, sprezzante. -Sei stato tu... piccolo impudente... è stato tutto un...-
-Silenzio!- tuonò suo zio, facendo un segno alle guardie. -Portatelo via-
Ashat continuò a gridare improperi diretti a Will, che rimasero tutti senza risposta.
-Finalmente- sussurrò Lyone, passandosi una mano sul volto -è finita-
-Già- convenne Will, aggrottando la fronte -è stato un miracolo-
-No- lo interruppe suo zio, con un lieve sorriso -è stato un inganno- il sorriso si aprì -E se non sbaglio è stata una tua idea, quella del messaggero-
-Ashat mi è sempre stato antipatico- borbottò Will arrossendo. Briseide, che per tutto il colloquio era rimasta in silenzio, scoppiò in una risata. -Che c’è?-
-Oh, Will, sei proprio crudele!- il ragazzo le cinse la vita con un braccio.
-Sì- convenne con un sorrisetto -ed è per questo che mi ami-




SPAZIO AUTRICE
^^capitoletto corto, ma spero carino^^

Araluna: Ciao carissima! Grazie per la tua bella recensione! Hai proprio ragione, sul duello. Prima avevo l'intenzione di farli sfidare davanti a tutta Desra, ma la poi non so... Insomma, mi piaceva di più così! In quanto alla sorte di Briseide, sìsì, puoi stare tranquilla. Ti anticipo soltanto che le cose per Seth non si mettono molto bene^^ (si lo so, per sadicismo ho preso da TE!!)
Un bacione e alla prossima
Stellalontana*






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Capitolo 14
*** Da una parte l'amore, dall'altra... ***


capitolo quattordici
Siamo arrivati al penultimo capitolo di questa storia.
Voglio ringraziare chi ha letto anche senza commentare e chi ha messo questa storia fra i preferiti.
Un bacio e godetevi il 14^ capitolo
Bacio bacio^^



Capitolo quattordici


William si scostò ancora una volta i capelli dagli occhi. L’agitazione gli faceva battere il cuore come un tamburo, e sudare le mani. Sentiva gli sguardi dei passanti mentre cavalcava per le strade di Desra, seguito da un corteo di una ventina di soldati in alte uniformi, dallo zio e sua moglie, e da Briseide, che cavalcava tranquillamente al suo fianco, avvolta in un morbido abito verde scuro. I capelli intrecciati formavano una lunga cascata vermiglia sulla sua spalla destra, coperta dal mantello scuro. I fili d’argento che le avevano intrecciato fra i capelli cadevano ai lati della sua testa. Il suo volto era radioso. Will non ricordava di averla mai vista così felice prima. Forse solamente quando l’aveva portava via da Seth. Già, Seth. Chissà dov’era in quel momento? Forse stava setacciando i villaggi o forse era sparito nel nulla, cosa assai probabile. Quando suo zio aveva saputo del suo accordo con quel brigante aveva storto il naso e suggerito a Will di mandargli dietro un paio di soldati. Ma Will era stato perentorio: Seth non era uno sprovveduto, ed era un buono schermidore, perciò avrebbe potuto batterli entrambi e ucciderli, perfino. No, aveva deciso di fidarsi, anche se non nutriva tutte quelle speranze sulla riuscita del suo piano. In effetti aveva perso l’unico responsabile delle sofferenze di Briseide, e quella ferita era ancora aperta, si sarebbe rimarginata soltanto quando e se Seth fosse tornato con Guy. Will sogghignò. Suo fratello avrebbe avuto tanto da dire e fare, ma Will tra meno di un mese sarebbe stato incoronato Re della Solea, perciò sarebbe salito nella scala del potere, da semplice soldato disertore al gradino più alto della scalinata. E ciò a Guy non sarebbe andato molto a genio.
-Pagherei per sapere quello che ti rende così allegro-
Will voltò la testa verso Briseide. Le sue iridi ambra brillarono quando un sorriso apparve sulle sue labbra.
-Pensavo a mio fratello- rispose. Briseide si accigliò, corrugando la fronte.
-Che cosa c’entra Guy, adesso?-
-Niente di importante- mentì Will con un gesto annoiato. -Goditi la giornata. Ti dirò tutto stasera-
-Me lo prometti?- chiese Briseide allungano una mano verso di lui. Will gliela accarezzò per un breve momento, le mani inguainate nei guanti di pelle.
La gente si accalcava lungo le strade, cercando di vedere i futuri sovrani, alzando i bambini che volevano toccare i cavalli bianchi. Will era agitato oltre ogni dire, sotto gli sguardi della folla. Scorse alcuni giovani uomini che si reggevano sui bastoni, a cui mancava una gamba o un braccio o un occhio, tutti brutti ricordi della guerra. L’unica nota positiva era il ritiro delle truppe dell’Aschart. La guerra era ormai agli sgoccioli, i soldati tornavano a casa, le donne riavevano finalmente i loro mariti, e i bimbi i loro padri. Will si scostò nervosamente un ciuffo di capelli dagli occhi. Sentì Briseide ridacchiare al suo fianco.
-Sei incredibile- mormorò. Will si allentò il colletto della camicia.
-Ricordati di chi sono figlio- ringhiò Will. Briseide inarcò un sopracciglio, senza capire -Mio padre- sospirò Will -era un mugnaio non un re. Sono stato soldato... ero un fuggitivo... non sono certo uno che ama l’etichetta e le parate!- protestò.
-No- convenne Briseide -ma dovrai farci l’abitudine. Ti darò una mano se vuoi- propose. Will sorrise, guardandola per un lungo momento.
-Solo una mano?- chiese mentre entravano nella piazza principale di Desra. Briseide arrossì, chiudendosi in un dignitoso silenzio e drizzando la testa. Will ridacchiò, mentre frenava il cavallo.
Davanti a lui stava un piccolo gruppo di persone, una decina di soldati dalle tuniche dorate e gli elmi dai pennacchi rosso sangue e due persone, leggermente intimorite, con due leggere borse di sacco e abiti da viaggio.
Will sentì le lacrime pungergli gli occhi. Balzò giù dal cavallo, lasciando che un soldato dietro di lui prendesse le redini. Gli sembrava così assurdo essere lì in quel momento. Sapeva che tutto intorno a lui la gente si accalcava, scalpitava, vociava, ma pur essendone cosciente non riusciva a focalizzarli. In realtà non voleva pensare ad altro che alla donna che aveva davanti.
Era bellissima, come la ricordava, anzi, forse ancora più bella. I capelli erano sciolti, ma tenuti all’indietro da un nastro di cuoio. Aveva qualche ruga che Will non ricordava, attorno agli occhi color oro e alla bocca, dischiusa in un sorriso. Portava un mantello di lana grezza, e sotto vestiti da viaggio, una camicia bianca, con sopra una tunica legata in vita da una cintura di pelle e pantaloni da uomo, infilati negli stivali. Sua madre era esattamente la donna che aveva sognato per tutti i mesi che aveva dovuto starle lontano.
Will spostò lo sguardo su suo padre. Aveva più capelli grigi di quanto si ricordasse ma gli occhi azzurri brillavano come quattro anni prima. Il volto leggermente squadrato era più magro di quando Will se n’era andato, ma sembravano entrambi in buona salute. Anche suo padre portava una mantello di lana, giustacuore, camicia di lana e pantaloni infilati negli alti stivali. Alla cintura portava una corta spada a doppio taglio. L’unica arma che Will gli avesse mai visto brandire, oltre al bastone con cui camminava, sopperendo alla gamba leggermente più debole dell’altra.
-Mamma... papà...- sentì una lacrima che gli sfiorava la guancia, ma non perse tempo per asciugarla. Li abbracciò entrambi. I suoi genitori profumavano di pane. E di casa.
Si asciugò le guancie.
-Mi siete mancati- disse. Lavinia gli passò una mano sul volto. Ora era più alto di lei, quasi più alto di suo padre.
-Anche tu ci sei mancato Will. Come sei cresciuto- replicò lei -E come sei bello-
Will arrossì. Le prese le mani fra le proprie. Suo padre gli afferrò un polso, socchiudendo gli occhi, osservando i guanti.
-Perché porti questi guanti? Li hai sempre odiati quando avevi quindici anni-
-Sono cambiate tante cose, da quando sono partito, papà- mormorò Will. Si tolse i guanti e mostrò le cicatrici -L’attraversata non è stata tranquilla. Ma ora sto bene. La guerra è finita-
-Sì- commentò lui -E tutto grazie a te. Io... sapevo chi era tua madre, ovviamente. Sapevo tutto, fin da quando piombò in casa mia, senza un soldo e un posto dove andare. Ma dovevo mantenere il segreto, capisci?-
-Certo che capisco- rispose Will sorridendo -Adesso però voglio che veniate con me al castello. Ah- si voltò facendo un cenno a Briseide -vorrei presentarvi una persona-
La ragazza si fermò, un po’ incerta, al suo fianco. Chinò leggermente il capo verso Lavinia.
-Lei è Briseide, la figlia del Governatore di Salazard. Fra meno di un mese ci sposeremo- annunciò orgoglioso. Lavinia prese entrambe le mani della ragazza, senza dire nulla. Aleck sogghignò.
-Non sapevo che ti fossi dato tanto da fare, ragazzo mio- Will scoppiò a ridere.
-Più di quanto tu non immagini, papà!- gli strizzò l’occhio -Ho tante cose da raccontarti-
-Non vedo l’ora... davvero non vedo l’ora- ridacchiò Aleck. Lavinia gli scoccò uno sguardo al veleno, e Briseide scosse la testa. Poi all’unisono esclamarono: -Uomini!-
Will si voltò verso la ragazza. -Tu dovresti stare dalla mia parte- sibilò. Briseide alzò le spalle, sorridendo.
-E questo chi te l’ha detto?-
Will non ricordava di essere stato più felice in vita sua. Aveva ritrovato i suoi genitori, e questa era di gran lunga la cosa più importante. Non vedeva l’ora di raccontare tutto ciò che gli era successo, tutto quello che aveva fatto, tutto quello che aveva dovuto fare. Aveva aspettato quattro lunghissimi anni per poterli riabbracciare e adesso che finalmente li aveva lì, si sentiva felice come non lo era mai stato. Sentiva il sangue scorrere furioso nelle vene, agitato e nervoso, ma al tempo stesso euforico e gioioso come un bambino. Non riusciva a smettere di sorridere e rideva per un nonnulla. Al castello non ebbe la forza nemmeno di starsene seduto buono al suo posto. Si alzava e camminava, parlando, gesticolando e ridendo, tornava a sedersi, poi di nuovo si alzava e ricominciava la stessa storia. A cena fu quasi incapace di mangiare, ascoltando suo padre e sua madre che parlavano di Erden, della fioritura dei peschi e dei raccolti dei campi. Gli raccontarono della traversata tranquilla che avevano avuto, senza intoppi. I soldati mandati da Lyone li avevano aspettati a metà strada e condotti sani e salvi tra i forti dell’Aschart e della Solea. Briseide fu costretta a mettergli una mano davanti alla bocca, per riuscire ad ascoltare quello che diceva Lavinia, continuamente interrotta dai commenti di Will. Era una giornata di festa quella, musici e cantastorie affollavano il salone, dove tutti erano stati invitati a festeggiare. Si fece spazio per le danze, e per i racconti, mentre il sole tramontava al di là delle colline, lasciando il cielo ammantato di stelle.
-Portami a ballare- ordinò Briseide con un sospiro esasperato, quando Will si sedette accanto al camino con suo padre. Il giovane tentò di protestare, un’occhiataccia da parte di Briseide lo convinse a lasciarsi trascinare.
-Io non so ballare- cercò di mentire. Briseide scoppiò in una lunga risata.
-Come se non sapessi il contrario!- esclamò.
Will si sorprese a ricordarsi i vecchi passi che gli avevano insegnato i suoi compagni di fanteria. Era piacevole e divertente ballare. Si girava e si cambiava coppia, e lui finì per ballare con ogni dama della sala. Poi fra le sue braccia trovò Astro. La ragazza appariva molto felice in quel momento. Portava i capelli biondi sciolti e un abito color paglia.
-Sono contenta che tu abbia ritrovato i tuoi genitori, Will- gli disse. Will sorrise.
-Sì, anche io- le lasciò fare un giro per poi tornare a tenerla saldamente per la vita -Tu come stai?-
Astro sorride. -Benissimo, Will. Mi sembra di vivere un sogno. Finalmente ho Fedric al mio fianco... non sai quanto io sia felice-
-Un po’ mi manchi, Astro- le confidò all’orecchio. Astro lo guardò negli occhi.
-Anche tu mi manchi, Will, ma hai una cosa molto più importante di me da tenerti stretto- replicò lei mentre la musica finiva. Will voleva chiederle che cosa intendesse, ma fu trascinato via da Briseide che lo prese per un braccio, e lo portò via dalla folla. In un angolo poco illuminato dal braciere, lo fissò per un minuto che a Will parve un’eternità. Proprio mentre Will apriva bocca, la mano di Briseide si abbatté sulla sua guancia. Il ragazzo si passò la mano sul viso, reprimendo un gemito.
-Per cosa, si può sapere?- chiese. Briseide era rossa in volto.
-Hai anche il coraggio di chiedermelo?- sibilò Briseide. Will la guardò per un momento, poi scoppiò a ridere.
-Ah, la cosa ti fa ridere?- ruggì lei, cercando di mollargli un altro ceffone. Ma Will fu rapido e le afferrò il polso.
-Non ti permetterò di farlo un’altra volta- mormorò perentorio -E non ti permetto nemmeno di farmi scenate di gelosia. Sono stato chiaro?-
Briseide si morse un labbro, evitando il suo sguardo. -Non sono gelosa-
-No, affatto- convenne schernendola lui -Odio la gelosia, Briseide. La odio con tutto me stesso, e farai bene a ricordartelo-
-Che cosa c’è fra te e Astro?- sibilò allora lei. Will le tappò la bocca con la mano.
-Non ti permetto di alzare la voce, Briseide, non con me- sibilò -Non ti azzardare a continuata questa scenata. Non ne voglio più sapere, capito? Farai bene a toglierti dalla testa Astro e le tue congetture. Non sono affari che ti riguardano-
-Non sono affari che mi riguardano?- gemette lei -Io ti sposerò- sillabò -Voglio sapere chi è mio marito-
-Lo sai chi sono. Sono un ex guerriero. Sono il re della Solea. Fatti bastare questo. E adesso torniamo di là. Non voglio che qualcuno ci veda litigare e- alzò la mano alle proteste di Briseide -basta così!-
-Posso ancora rifiutarmi di sposarti!- borbottò lei imbronciando le labbra. Will scoppiò in una lunga risata.
-Tu mi ami- sussurrò malignamente -e comunque se io non ti sposassi, chi altri lo farebbe? Hai forse dimenticato il mio caro fratello?-
Briseide aprì e chiuse la bocca per un paio di volte, mentre le sue guance diventavano rosse di rabbia. -Sei crudele-
-No- replicò Will scuotendo la testa -Sono concreto. Io per te ho scelto- ringhiò -adesso sei tu che devi fare una scelta-
Frustrato dal comportamento infantile di Briseide Will se ne andò, lasciandola da sola. Oltrepassò i suoi genitori e corse fuori. Si tolse il mantello, gettandolo a terra in un moto di rabbia. La luna era piena quella notte, una notte con un sacco di stelle, che guardavano indifferenti il suo destino.
Si può essere più ottusi e infantili?, si chiese. Odiava la gelosia, era illogica e forniva soltanto argomenti per litigare. E lui non voleva litigare con Briseide. Si poteva discutere, parlare, ma non sopportava dover sopprimere le idee degli altri con le proprie. E poi, sapeva che chi l’avesse spuntata fra i due, lui e Briseide, non sarebbe certo stato lui. Strappò un ciuffo d'erba e lasciò che i fili verdi fossero trascinati via dalla brezza leggera. Detestava litigare. Era una cosa che proprio non gli andava a genio.
Dietro di lui sentì dei passi avvicinarsi. Si voltò. Suo padre si sedette sull’erba accanto a lui.
-Cosa c’è che ti turba, ragazzo mio?-Will sospirò, tornando a fissare le stelle.
-Ho avuto uno scambio di opinioni con Briseide- rispose. Suo padre sorrise lievemente annuendo con la testa.
-Avete litigato-  disse dopo un po’.

Will sbuffò piano. -Diciamo che non abbiamo le stesse idee-
-Fa bene a volte litigare, Will. Quando due persone stanno insieme è normale che abbiano delle divergenze-
-Tu e la mamma non litigavate mai- obiettò Will, piccato.
-Tu non ci vedevi Will- ridacchiò Aleck -Io e tua madre litighiamo come tutte le altre coppie che si amano, figliolo. Amare non vuol dire andare sempre d’accordo-
Will non rispose. Si portò le gambe al petto, intrecciando le mani. Erano passati quattro anni da quando aveva salutato i suoi genitori. Eppure adesso erano lì con lui, pronti a dispensare consigli.
Non che la cosa gli dispiacesse, anzi, non onera più avuto nessuno con cui parlare delle  proprie parte o desideri, da quando era partito per la guerra. Aveva sempre sbagliato da solo, scelto da solo, da quando era partito da Erden. Era dovuto crescere in fretta, per non permettere agli orrori della guerra di penetrare nel suo cuore, e non aveva certo avuto il tempo di provare affetto. La nostalgia per la sua terra e i suoi genitori si era pian piano attenuata, ma non era mai svanita del tutto. Adesso che i suoi genitori erano lì, sapeva che non sarebbe mai potuto tornare a Erden; aveva dei doveri verso la Solea e non poteva certo abdicare. Anche se non gli sarebbe dispiaciuto affatto...
-A cosa pensi?- suo padre gli posò una mano sulla spalla. Will alzò lo sguardo verso di lui. Il suo volto era in ombra, perciò non poteva distinguere la sua espressione.
-A niente di importante- mentì lui, grato che suo padre non potesse vedere il rossore sulle sue guance. Sorrise lievemente. Ogni volta che mentiva a suo padre o a sua madre, loro lo capivano sempre. Non era un bravo bugiardo, in effetti.
-Rientriamo allora- gli propose Aleck alzandosi. Will si alzò a sua volta.
-Papà?- lo chiamò mentre l’uomo si incamminava verso il castello. Lui si voltò.
-Dimmi, figliolo-
Will si morse un labbro, prima di rispondere -Dimmi com’è Erden, adesso. È quasi primavera, là, non è vero?-
-Sì, William, è quasi primavera. Nei campi ci sono i prossimi raccolti, le piante sono fiorite e si comincia a portare le bestie sulle montagne- sospirò Aleck -Ma non crucciarti, Will. Erden è solo una terra-
-Ma è la mia- protestò Will appoggiandosi una mano sul petto -E mi manca-
-Lo so- annuì Aleck, allargando le braccia, come per arrendersi -Manca anche a me, ma sapevo che questo giorno sarebbe arrivato... Will, essere re non è così terribile come pensi. Molti uomini pagherebbero per essere te-
-Già- convenne sarcastico Will, sogghignando -ma non io-
-Sei il figlio di tua madre. Sangue del nostro sangue, e noi ti vogliamo bene, adesso come quando sei partito. Sono orgoglioso di te- Aleck sorrise, uno dei rari sorrisi che Will gli aveva visto fare da quando si era ferito alla gamba -Non dimenticarlo mai-


*


Seth scrutò le tenebre intorno a lui, socchiudendo gli occhi. Allargò leggermente le braccia per non cadere lungo disteso a terra, dalla posizione accovacciata. Gli facevano male le gambe, ma non poteva muoversi, non ancora. La tenda nella quale si trovava non era più larga di dieci passi. Non sapeva quanto fosse lunga, ma non aveva nessuna intenzione di attraversarla. Alla sua destra dormiva un fuocherello di sterpi, mentre alla sua sinistra giacevano un involto di abiti e delle armi. C’era odore di fumo e di carne arrosto. Respirando piano, Seth si avvicinò carponi all’angolo da cui proveniva il respiro pesante di Guy di Monte Argento. Il brigante ringraziò le tenebre che lo tenevano nascosto. Era sempre stato un mago ad intrufolarsi nelle case altrui, ma in una tenda era un po’ diverso. Un movimento brusco, uno scricchiolio e l’uomo si sarebbe svegliato. Represse il desiderio di sospirare.
Accidenti a me e a quando ho accettato questo incarico, pensò, mentre cercava di non calpestare i vari strati di sterpi, abiti, pezzi di armatura disseminati sul terreno. Non si sarebbe mai immaginato di dover dare la caccia al fratellastro del re della Solea. E pensare che non era nemmeno stato difficile trovarlo. Aveva incrociato per un caso fortuito la colonna di soldati che si ritirava dagli accampamenti soleani, e aveva chiesto al Capitano, Guy per l'appunto, di potersi unire a loro. Non era stato difficile farsi passare per un Ambasciatore. Non era nemmeno stato difficile fingere di essere contro il re della Solea. Aveva scoperto che Guy era totalmente allo scuro di ciò che era successo nel mese precedente a Briseide o a Will, e Seth lo trovava piuttosto ignorante. Era un uomo la cui compagnia era se non orribile, alquanto tediosa. Guy non faceva altro che parlare di se stesso, delle sue imprese ed era talmente pedante e noioso da risultare terribilmente antipatico. Seth capiva adesso l’odio che William nutriva per il suo fratellastro, e il perché ci teneva a ricordare di essere imparentato con lui solo da parte di padre. Guy era opportunista ed egocentrico. Tutti i suoi soldati dovevano osservare ciecamente i suoi ordini, e naturalmente essere d’accordo con lui. Chi tentava di protestare veniva giustiziato seduta stante.
Seth sorrise. Guy gli aveva parlato di William, grazie al vino che aveva trangugiato durante la cena. Lo odiava quanto William odiava lui, ma non solo. Era convinto di essere notevolmente più intelligente del fratello, e anche molto più affascinante. Era sicuro che Briseide, molto presto, sarebbe diventata sua moglie, come voleva il Governatore di Salazard, suo padre. Seth si era tenuto per sé tutto ciò che sapeva, sia su Briseide, sia su William.
Seth drizzò le orecchie quando un nuovo rumore attraversò la tenda. Guy si voltò sulla branda, russando come un mantice. Il brigante trasse un breve sospiro di sollievo. All’esterno alcuni soldati stavano ancora facendo baldoria, ma tutto il vino che Guy aveva trangugiato lo teneva ben addormentato. Seth si spostò ancora più vicino alla branda del soldato, mentre la sua spada cozzava contro il legno. Guy non si mosse, continuando a dormire. Seth sudava freddo, ma si alzò, tastando avanti in cerca della testata della branda. Si accovacciò accanto alla testa del soldato.
-Sogni d’oro dolcezza- sussurrò, mentre lo tramortiva. Guy smise all’istante di russare e la sua testa ciondolò di lato. Seth accese una torcia e illuminò la tenda. La conficcò nel terreno, poi tagliò la tela della tenda con il coltello, cercando di non fare rumore, anche se era convinto che nessuno si sarebbe mai sognato di andare a vedere quello che faceva il Capitano. Avrebbero scoperto soltanto in seguito che l’uomo non dormiva più nel suo letto. Il brigante legò una corda attorno il costato di Guy e lo trascinò fuori. Questo continuò a dormire, anche quando Seth, con enorme fatica, lo issò sopra il mulo. L’animale ragliò scontento, ma Seth tirò le briglie, salendo sul suo cavallo. Uscirono dall’accampamento ancora illuminato dai falò. La luna alta nel cielo, e non c’era una nuvola a coprire le stelle. Un fiume argentato scorreva proprio sulla testa di Seth, ma il brigante non vi fece caso, continuando la sua marcia lungo la pista battuta dai carri diretti a Teti. Non aveva il tempo per guardare il panorama, o soffermarsi sulle stelle sopra la propria testa. Appena arrivato al castello avrebbe cercato di chiedere perdono a Briseide. Chissà, forse non sarebbe stato poi così difficile.
Guy riprese i sensi fin troppo presto, ma non fu un problema farlo tacere per Seth. Gli legò un pezzo di stoffa sulla bocca, e le mani al pomello della sella del mulo. Seth sogghignò. Un asino in groppa ad un mulo, e rise mentre gli occhi scuri di Guy mandavano scintille.
Gli ci vollero ben dieci giorni a raggiungere Desra, fermato dalle violenti piogge che ingrossarono il fiume e che resero la strada una palude continua. I pochi giorni di sole che videro furono quando si trovarono in prossimità di Desra. Seth riusciva a vedere i torrioni del castello. Tirò un sospiro di sollievo. La compagnia di Guy era finalmente finita. Il soldato, quando gli aveva tolto il bavaglio, non gli aveva dato tregua. Aveva continuato a borbottare come una pentola di fagioli, e a straparlare di vendette e risarcimenti.
-... e quando sarò di nuovo in possesso delle mie armi, vedrai che cosa ti succederà damerino da quattro soldi. E vedrai... oh se vedrai, ti farò giustiziare. I miei soldati ti infilzeranno con le frecce fino a farti diventare un puntaspilli. Anzi no, accenderò un fuoco sotto i tuoi piedi e ti farò arrostire come un maiale. E insieme a te metterò allo spiedo anche quell’insolente ragazzino di mio fratello e...-
-Fa silenzio dannazione!- urlò a quel punto Seth. Dio, non ce la faceva più ad ascoltare quegli spropositi. -L’unico che sarà arrostito come un maialino sarai tu!-
Guy chiuse la bocca, digrignando i denti. Seth si passò una mano sulla fronte. E pensare che lui e Guy avevano la stessa età. Inoltre nel sangue di Guy scorreva il sangue di Will. Non poteva crederci, non sembrava assolutamente possibile. Erano talmente diversi da non sembrare nemmeno imparentati.
-I miei soldati mi verranno a cercare- sentì Guy sibilare.
-I tuoi soldati se ne sono andati, Capitano- lo rimbeccò sarcastico Seth -E io ti porterò al cospetto del re della Solea- fermò il mulo e il cavallo davanti ai cancelli di Desra. Un soldato lo scrutò per un momento, ma poi, quando vide lo stemma del re impresso del gilet di Seth lo fece passare.
Il brigante e il soldato legato entrarono all’interno delle mura. Dopo qualche minuto un paggetto venne loro incontro. Quando Seth gli ebbe detto di andare a chiamare il re il paggetto rimase per un attimo interdetto.
-Quello giovane?- chiese abbassando la voce. Seth ridacchiò, ma annuì lievemente. Il paggetto corse via, e dopo pochi minuti fu di ritorno. Dietro di lui William camminava lento, quasi non avesse nessuna fretta. Era vestito in modo semplice, ma elegante. Indossava un paio di stivali bianchi, sotto il ginocchio, dentro i quali erano infilati un paio di pantaloni color miele. Portava un mantello rosso ruggine, e sotto di questo un gilet dello stesso rosso e una camicia di lana bianca ricamata sulle maniche di rosso e oro. Sembrava molto austero, in quel momento. Seth scese da cavallo e chinò il capo. Will alzò una mano.
-Vedo che sei tornato- disse sottovoce. -E mi hai portato ciò che ti ho chiesto-
-Sì- rispose Seth -non è stato difficile-
Will annuì leggermente. I capelli neri erano leggermente più lunghi di quando Seth se n’era andato, e lui se li scostò dagli occhi con un gesto seccato della mano guantata.
-TU!-
William alzò la testa verso il fratellastro, legato alla sella del mulo. Un ghigno apparve sulle sue labbra.
-Ben trovato, fratello- ridacchiò. Chiamò con un gesto due soldati di guardia e ordinò di farlo scendere. Guy non parlava, ma la rabbia nei suoi occhi pareva dire tutto. -Non c’è bisogno di fargli del male. Rinchiudetelo in modo che non possa parlare con nessuno e soprattutto uscire-
I soldati portarono via il Capitano, che si dimenava come un ossesso. Will rilassò le spalle, chiudendo per un momento gli occhi.
-Pagherà?- chiese Seth con uno stretto nodo alla gola. Sapeva che era arrivato il momento della verità, e non era sicuro di volerla sapere. Vide William riaprire lentamente gli occhi e fissarlo. Il sole rendeva più chiare le iridi azzurre, ma la sua espressione era tutt’altro che tranquilla.
-Pagherà- confermò con voce roca -ma non nel modo che pensi tu. Il lavoro della terra non lo ha mai interessato. Se vorrà sopravvivere dovrà lavorare. Sarà una punizione sufficiente- voltò lo sguardo verso uno dei torrioni -In quanto a te- tornò a guardare Seth, che deglutì -ti darò ciò che ti spetta-
Seth represse un brivido. Il tono della voce di Will non era affatto quello che si aspettava.
-Quanto manca al matrimonio?- chiese per non lasciare che il silenzio s’insinuasse tra loro mentre salivano le scale. William appoggiò una mano sulla parete di pietre e voltò lentamente la testa.
-Due settimane- rispose laconico -meno di quanto vorrei-
-Ma non avevi detto che eri felice di sposare Briseide?- domandò allora Seth corrugando le sopracciglia. La bocca di Will formò una linea affilata.
-Certo che lo sono- disse -ma non so se lo è lei-
-Oh, andiamo!- lo rimbeccò Seth scoppiando a ridere -Sei il re della Solea, William! Tutte le donne vorrebbero essere al posto di Briseide. Lei ti ama-
-Come fai a saperlo?- scattò allora William voltandosi verso di lui. Gli occhi celesti lo fissarono con astio -Che cosa te lo fa credere?-
Seth aprì e chiuse la bocca un paio di volte. Non poteva certo dire a William quello che era successo dopo che Briseide aveva tentato di scappare per la seconda volta. Era deplorevole quello che aveva fatto. Non solo, lei aveva lottato, ma lui non l’aveva lasciata andare. Era un verme, e non poteva dirglielo.
-Si vede- disse alla fine chinando lo sguardo. Passarono lenti alcuni minuti di silenzio, poi la voce di Will risuonò atona sulle scale.
-So che le hai fatto qualcosa, Seth- il brigante alzò lo sguardo, scontrandosi con la schiena del ragazzo -so che l’hai picchiata, e legata e maltrattata... volevo ucciderti- lo vide serrare i pugni -come un cane. Volevo ucciderti con queste mani- si voltò. La rabbia trasfigurava il suo volto in una maschera deforme -Ma non l’ho fatto. Briseide ha fermato per ben due volte la mia spada. Quando sono sceso in quella stanza, volevo ucciderti. Avevo il mio coltello nello stivale. Avrei detto che avevi tentato di scappare- scoppiò a ridere, una risata del tutto priva di allegria, che fece venire i brividi a Seth. Il ragazzo si voltò di nuovo, appoggiandosi alla parete. Seth aspettava. Sapeva di meritarsi la rabbia e l’odio di William, ma non pensava certo che fossero così violenti i suoi sentimenti.
-E poi- continuò Will, la voce che si alzava di un tono -ho dovuto trovare il modo di farti andare via. Dovevi andartene dal castello, così che lei non potesse vederti. Così che io non potessi farti del male- voltò la testa verso Seth. -Ho sperato che Guy ti uccidesse, ma non lo ha fatto-
-Che cosa farai?- ebbe il coraggio di chiedere Seth -Ora che sono tornato, mi ucciderai?-
-Per cosa?- replicò William, sarcastico -Per cosa? Vendetta? Rabbia? No. Non servirebbe a niente- si passò una mano sul viso con un gesto stanco. -Sono il re e devo dare il buon esempio. Un patto è un patto. Avrai il tuo lasciapassare-
Seth rilassò le spalle. Per un momento aveva avuto il timore che William volesse davvero ucciderlo. Non voleva morire, almeno non ancora. Salirono le scale fino ad una sala. William chiamò degli uomini che Seth non aveva mai visto prima, notai probabilmente. Fece redigere il lasciapassare per Seth, e glielo porse. Seth lo prese e lo lesse.
-Sembra tutto in regola- commentò schiarendosi la voce. William annuì.
-Sì lo è. Adesso puoi...- ma chiuse la bocca prima di finire il discorso. Socchiuse gli occhi, gettando lo sguardo oltre le spalle di Seth. Dalle scale venne un trambusto degno di un mercato. Seth sentì qualcosa gridare il nome di William. Il giovane fece un passo verso le scale ma si bloccò, gli occhi che si spalancavano dalla sorpresa. Seth si voltò, e ad alcuni passi da lui vide Guy, che doveva essere imprigionato. Ai polsi aveva ancora le corde, ma erano tagliate, strappate via da una lama. Aveva la mano destra sporca di sangue che colava attraverso la manica della camicia, e brandiva una spada corta, a doppio filo. Il suo volto era la maschera di un delirio.
-Fratellino- ansimò -alla resa dei conti-
Seth vide William indietreggiare, mentre il fratello avanzava. Strinse la pergamena tra le mani. Doveva fare qualcosa. Ma non aveva armi. Le aveva lasciate nelle stalle. Che cosa aveva? Solo se stesso. Guy gridò, scagliandosi contro il fratello.
Avvenne tutto in un attimo e Seth non seppe nemmeno come si ritrovò ad un centimetro dal volto di Guy. Gli occhi scuri dell’altro lo fissarono per un momento, poi un sorriso sadico si disegnò sul suo volto. L’unica cosa che vide dopo Seth, fu solo la patina rossa del dolore che scese sui suoi occhi come un manto.
La dura pietra impattò contro la sua spalla. Emise un gemito, mentre il sangue caldo gli scorreva fra le dita. Non riusciva ad udire più nulla. L’unica cosa che riusciva a sentire era il tonfo sordo del suo cuore irregolare nelle tempie. Tutto era sfocato, impreciso. Vide degli stivali aggirarsi attorno a lui, urla che sembravano sussurri si agitarono nelle sue orecchie.
Poi due mani forti gli presero le spalle. adesso poteva vedere un volto conosciuto. I capelli neri ricadevano eleganti sul suo volto abbronzato. E Seth pensò che aveva davvero dei bellissimi occhi azzurri.
-Seth! Seth!- la sua voce lo stava scuotendo.
-W... Will- si sentiva la lingua impastata, attaccata al palato. -Ho... freddo- era vero, stava battendo i denti. Erano tornati fuori? Perché ricordava che c’era vento, una brezze leggera ma tagliente.
Vide Will sganciarsi il mantello. E pensò che lo avrebbe imbrattato di sangue. Voleva dirgli che non importava, che stava bene. Anzi, non sentiva più nemmeno il dolore. Si guardò le mani.
Erano rosse, rosse del suo sangue. Colava a terra. C’era una piccola pozza che si allargava sotto di lui. Che cosa...
-Will- ebbe la forza di sussurrare.
-Non parlare- gli ordinò l’altro -andrà tutto bene-
-Io... sto... morendo- gemette. Sentì le lacrime premergli contro i lati degli occhi. Non voleva morire, no non voleva.
-Non morirai- gli arrivò la voce sempre più lontana di Will.
-Dì a... Briseide... io non volevo- afferrò il colletto della camicia di Will -diglielo- sentì il sapore del sangue sulla lingua -Dillo a... Briseide... io non volevo...-
-Glielo dirò...-
-Grazie-
Appoggiò il capo sulla pietra dura. Si sentiva così stanco. Abbandonò il corpo contro il pavimento. Sentiva ancora le braccia di William che lo sorreggevano. Avrebbe voluto dirgli che sarebbe stato un grande re. Ma non gli venivano le parole.
Che strano... mi sento così stanco... così stanco...

Will vide Seth chiudere gli occhi blu. Il suo corpo si rilassò contro il proprio, e la mano che teneva aggrappata alla sua camicia si allentò. La mano di Will passò sul volto del brigante. Gli aveva salvato la vita. A lui, che lo voleva uccidere. A volte com’è strana la vita, pensò.
All’improvviso la tristezza lo avvolse come un’onda di marea. Adesso che il corpo senza vita del brigante giaceva ai suoi piedi non sentiva altro che un immenso vuoto. In un modo o nell’altro aveva avuto la sua vendetta, ma adesso che cosa rimaneva? Accanto a Seth giaceva il lasciapassare, imbrattato di sangue.
-Mio signore?- una guardia lo scosse. William alzò la testa dal volto senza espressione di Seth. -Mio signore, il fuggitivo è stato catturato- lo informò.
-Rinchiudetelo. E fate in modo che non possa scappare stavolta- rispose con un filo di voce Will.
-Diteci...-
-Dannazione fate come volete!- urlò Will alzandosi -Legatelo, storditelo, dategli una botta in testa, ammazzatelo, fate quello che volete! Non m’interessa-
-Sì signore- il soldato chinò il capo e corse via. William si accovacciò di nuovo accanto a Seth.
Era morto, non c’era più nulla che lui potesse fare.



SPAZIO AUTRICE

Ciao Ara^^
Felicissima che il tredicesimo capitolo ti sia piaciuto!
Eh, siamo arrivati al penultimo capitolo, *sigh*, un po' mi dispiace per il mio bimbo che tanto bimbo adesso non è ^^eh eh eh^^...
Spero di non averti delusa con la storia di Seth...

Un bacione enorme!
Stellalontana*

ps: sai, forse sono io la paranoica, ma voglio farti capire perchè ho scelto il nome Erden, è molto importante per me: "Erden" è il verbo reden in tedesco (parlare), oltre ad essere la parola tedesca per "terra madre", ma soprattutto se togli la "r" viene Eden.
Scusa, per questo, ma ci tenevo che tu lo sapessi... lo so che è infantile, ma sentivo il bisogno di dirlo... T_T

bacio^^




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Capitolo 15
*** Il lieto fine... ***


capitolo quindici



Capitolo quindici



Quando Briseide si alzò dalla poltrona il sole era ancora alto nel cielo. Doveva essere ancora presto. Depose sulla poltrona il libro che stava leggendo e uscì dalla stanza. Percorse il corridoio centrale del castello e uscì fuori, all’aria aperta. Non era molto caldo quel giorno, ma ancora, alcuni dei raggi autunnali del sole riscaldavano l’aria, che andava via via raffreddandosi. Si stava avvicinando l’inverno, e gli alberi erano quasi del tutto privi delle loro foglie. Briseide passeggiò per il parco per alcuni minuti. Ormai il giorno del suo matrimonio era vicino, ma ancora Will non la degnava della sua compagnia. Le sfuggì un sospiro, mentre si appoggiava ad un albero. Avrebbe voluto che lui fosse lì, in quel momento. Dopo la morte di Seth, Will si era fatto ancora, se possibile, più taciturno. Aveva imprigionato Guy e ben presto lo avrebbe esiliato nel Grande Deserto. Briseide non sapeva quanto a lungo sarebbe sopravvissuto. Per quanto Will odiava il fratellastro, non avrebbe mai pensato che potesse mandarlo a morte certa. Ripensandoci, però, Guy sapeva badare a se stesso, e Will non voleva certo averlo fra i piedi, ora che era diventato re. Suo zio avrebbe deposto sulla sua testa la corona, il giorno delle nozze, perciò era probabile che Will volesse eliminare qualunque ostacolo. Briseide non conosceva quella parte calcolatrice del ragazzo, ma non le piaceva molto la piega che aveva preso il suo carattere. Sorrideva poco, anche se adesso i suoi genitori erano lì con loro, e rideva molto di rado. Era più ostile nei confronti di tutti, oltre che in quelli di Astro. La ragazza passava moltissimo tempo assieme a Fedric, perciò non aveva nessuna intenzione di trovarsi da sola con Will. Briseide non sapeva quale fosse il motivo, ma sperava che la coppietta se ne andasse al più presto da Desra.
-Che cosa ci fai qui da sola?-
Briseide alzò la testa. Will si avvicinò a lei a grandi passi, fino a fermarsi a circa un passo da lei. Il suo volto sembrava calmo, ma Briseide sapeva che bastava un niente per irritarlo in quei giorni.
-Niente, volevo solo fare due passi- rispose staccandosi dall’albero. Will la fissò per un tempo che le parve infinito.
-Mancano cinque giorni al matrimonio- disse -sei pronta?-
Briseide si morse il labbro inferiore. No, non era pronta. -Se solo tu mi dimostrassi un po’ di affetto- sussurrò, così piano che pregò che Will non avesse sentito. Ma evidentemente il suo udito era ben sviluppato, perché ridacchiò.
-Affetto?- chiese. Si avvicinò a lei e le alzò di forza la testa, per costringerla a guardarlo. -È ben strano detto da te. Vorrei sapere se è davvero questo quello che vuoi. Sposarmi, vivere con me per sempre... se non mi avessi incontrato sarebbe stato tutto molto diverso, non credi?-
-Già- Briseide si divincolò dalla stretta di Will e si allontanò da lui, la rabbia che le arrossava le guance -Avrei sposato Guy, e non sarei mai diventata regina, ma forse Seth mi avrebbe rapita ugualmente- ringhiò -E forse sarebbe stato Guy a salvarmi, ma- si voltò di nuovo verso Will, che la ascoltava con le braccia incrociate sul gilet di velluto rosso -questo non è successo. Siamo qui-
-Non hai risposto alla mia domanda: vuoi davvero sposarmi?-
-Non sarei qui se non lo volessi- sibilò alzando il mento -quello che mi chiedo io è se tu vuoi veramente sposarmi. O preferisci qualcun altro a me-
Questo non avrei dovuto dirlo, si accorse immediatamente dopo, quando lo sguardo di Will si caricò di rabbia.
-Credo di avertelo già spiegato a dovere, Briseide. Io non amo Astro- sillabò le ultime parole, sputando fuori il nome della ragazza come fosse veleno -Vedi di ricordartelo-
Briseide abbassò la testa. -Non volevo dire questo. È solo... io vorrei passare del tempo con te, Will- sospirò, -ma sembra che tu voglia tenermi fuori dalla tua vita-
Sentì i passi leggeri di lui avvicinarsi. Si scostò e lui si fermò, vicino a lei. Passarono alcuni minuti in silenzio, rotti soltanto dal fruscio del vento.
-Non voglio tenerti fuori dalla mia vita, Briseide, ma non ci siamo soltanto noi in questo momento-
-No, certo, ma si direbbe che tieni di più ai tuoi affari... Will, la guerra è finita, Guy è in prigione, Seth è morto, Ashat è in esilio...- esclamò lei -è finita-
-Sono re- replicò lui -Ho i miei doveri-
-Sarò tua moglie- sospirò allora Briseide, sfiorandogli una spalla -hai dei doveri anche verso di me-
Will si allontanò da lei con uno scatto, come se lo avesse bruciato. La guardò per un momento, poi le prese le braccia con forza e la baciò. Briseide vide gli occhi celesti di lui chiudersi per un momento, ma subito dopo riaprirsi, dopo che l’ebbe lasciata. Will fece scivolare la mano fino al polso di Briseide, trattenendola quando lei tentò di divincolarsi.
-Anche questi sono doveri, Briseide- sussurrò al suo orecchio. Le appoggiò la mano sulla guancia, accarezzandole la pelle con il pollice. Non aveva mai fatto un gesto così dolce, prima. Briseide non rispose. Aveva paura di quello che poteva uscire fuori dalla sua bocca. Will le baciò una tempia.
-Non sei mia moglie... ma non posso stare lontano da te nemmeno un minuto. Devo, comunque. Vorrei non allontanarmi mai da te, ma devo. Capisci?- la obbligò a guardarlo negli occhi. Occhi più belli dei suoi Briseide non credeva di averli mai visti. -Capisci perché devo starti lontano?-
Will tolse la mano dalla guancia di Briseide, ma non si allontanò. Fu lei a farlo. Indietreggiò fino a sbattere contro l’albero dietro di lei. Appoggiò la testa al tronco, e osservò Will. Era taciturno, ma era sempre lo stesso. Non rideva tanto spesso, ma era lo stesso simpatico con i bambini di corte e i paggetti. Briseide aveva riconosciuto molti tratti di Will in Aleck e Lavinia. Si assomigliavano molto. Lavinia era molto bella, e Aleck da giovane doveva essere la copia esatta di Will.
-Sì, capisco- sussurrò. Will non diede segno di averla sentita, perché si voltò e rientrò nel castello. Briseide sospirò, passeggiò ancora per il giardino fino a quando il tramonto non la obbligò a tornare dentro. Non era ancora passata l’ora del vespro e le campane della chiesa di Desra suonavano richiamando la gente dalle campagne e i bambini in casa. Briseide si chiuse nella sua camera, sedendosi alla finestra. Poco dopo sentì bussare alla porta.
-Avanti-
Lavinia entrò nella stanza di Briseide. Vide la donna sorridere benevola. Indossava un lungo vestito verde scuro, e aveva i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle magre.
-Come mai sei così taciturna oggi, bambina?- chiese. Briseide la fissò per un momento.
-Sono un po’ triste- rispose.
-Per l’inverno che viene o per qualche altra cosa?- Lavinia si sedette accanto a lei, sorridendo. Briseide non sapeva che cosa dirle. Alla fine sospirò e decise di dirle la verità.
-Will mi evita. Cerca di starmi il più lontano possibile. E per me è uno strazio. Ho così tanto voluto questo momento-
-Avrai Will per tutta la vita, Briseide-
-Per caso state parlando male di me?-
Briseide voltò la testa verso la porta. Will indossava la tunica rosso sangue che una volta era stata di Lyone. Andò incontro alle due donne e sorrise. -Devo uscire con mio zio- disse rivolgendosi a Briseide -vuoi venire?-
La ragazza sgranò gli occhi. -I tuoi cambiamenti d’umore mi fanno girare la testa*- sussurrò. Will scoppiò in una lunga risata.
-Dovrai abituartici- rispose tendendole le mani -Allora?-
Briseide prese la mano che lui le porgeva, senza chiedere altro.

*

Will si sedette sull’erba, mentre osservava Fedric e Astro camminare lentamente attorno al giardino. Increspò le labbra, tentando di essere felice per loro. Ma non era semplice. Astro era una ragazza strana, forte, ma al contempo fragile. Erano rimasti più di un mese a stretto, strettissimo, contatto, e Will, per un momento era stato quasi convinto di amarla, ma quando aveva visto gli occhi ambra di Briseide, il suo viso contratto dalla rabbia e dal dolore, non aveva potuto fare a meno che ricredersi. E così era stato anche per Astro. Fedric era troppo importante, occupava un posto d’onore nel suo cuore e così adesso erano di nuovo insieme. Will sentiva spezzoni delle loro frasi, ma non vi si soffermò, lasciandoli alla loro intimità. Fedric non indossava più il saio dell’ordine, segno evidente che aveva deciso di lasciare l’ordine monastico, ma una semplice tunica di velluto azzurro e pantaloni chiari, dentro gli stivali di cuoio. Sorrideva, i ricci capelli castani che si muovevano con lui quando si voltava verso Astro. Sembrava molto più giovane della prima volta che Will l’aveva visto, serio, austero nel saio dell’ordine. Briseide gli aveva raccontato che aveva affrontato il viaggio dalla Solea all’Aschart, e viceversa. Will capiva perché Astro si era innamorata di Fedric. La sua espressione saggia, il suo volto calmo e la sua voce pacata ispiravano in tutti fiducia e protezione. I suoi ventiquattro anni erano la sicurezza di un uomo adulto e per Astro che aveva solo sedici anni, era un bene. Li vide abbracciarsi. Poi si diressero verso di lui. Will si alzò, spolverandosi i vestiti.
-Ce ne andiamo- gli rivelò Astro, con un mezzo sorriso. Will arcuò le sopracciglia.
-Tornate in Aschart?- chiese. Fedric scosse la testa.
-No, abbiamo deciso di andare a Hemra- sorrise -là i laici come me sono visti di buon occhio, e potrei anche rimediare un posto nella società come interprete. E Astro potrà studiare. Ci sposeremo- aggrottò la fronte -così potrò riabilitare il suo nome-
Will vide Astro arrossire. Ne aveva passate tante, aveva il diritto ad un po’ di felicità.
-Sono contento- ebbe la forza dire -quando partirete?-
-Dopo il matrimonio- rispose Fedric -Non voglio perdermelo- gli strizzò l’occhio.
-Già- proruppe Astro -nemmeno io- fissò Will per un minuto, poi lo abbracciò, e lo tenne stretto a sé per un tempo infinito. Will ricambiò l’abbraccio. -Vado dentro- disse poi Astro. Will sapeva che anche lei era triste. Fedric e Will rimasero in silenzio per qualche minuto, poi cominciarono a camminare.
-Astro è forte- cominciò Will -se la caverà dovunque andrete- sentì Fedric sospirare.
-Sì, lo so- ridacchiò appena -Quando partii per la guerra credevo di veder il suo cuore andare in frantumi, invece non pianse nemmeno. Mi salutò da lontano, senza volermi nemmeno abbracciare. Dovevamo sposarci un mese dopo, e io... beh, l’amavo- scrollò le spalle -ma la guerra cambia tante cose, e tu lo sai meglio di me. Mi ferirono, e dei monaci mi soccorsero. Rimasi al loro convento e presi i voti-
-Fu una decisione coraggiosa- commentò Will appoggiando la mano sul tronco di un ciliegio.
-Non volevo tornare in guerra, Will. Tu disertasti, io decisi di farmi monaco- rise, con la sua risata roca e calda -volevo smettere di farmi problemi. Ma poi, quando seppi che avevi disertato... dovevo fare qualcosa. E poi arrivò la lettera di Briseide- Fedric squadrò Will -e tutto coincideva. Andai da lei. Per fortuna ero in Aschart quando il messaggero del mio monastero mi venne a cercare, altrimenti non sarei mai arrivato in tempo- alzò le spalle -il resto lo sai, suppongo-
-Supponi bene- sorrise Will. Ma il suo sorriso si spense, vedendo l’espressione seria di Fedric.
-Tu ami Briseide?- chiese -Perché lei è molto innamorata di te. Credo che solo questo le abbia concesso di andare avanti per tutto il tempo che è stata prigioniera di quei briganti-
-Sì, lo so- rispose Will a denti stretti -avrei dovuto ucciderlo prima, ma Briseide...-
-Rispondi alla mia domanda, senza divagare, Will- la mano di Fedric si posò sulla sua spalla -So che è difficile amare, e te lo dice un uomo che l’ha imparato a sue spese-
-Io...- Will distolse lo sguardo dagli occhi castani di Fedric -credo di sì. Ma... dovrei... vorrei passare del tempo con lei prima del matrimonio, anche se non posso-
-Lo so- Fedric rilassò il volto in un espressione di comprensione -è un passo difficile per te. Me ne rendo conto. Sei il re e devi comportanti come si comporterebbe un re-
-Già, ma a volte è difficile-
Will passò gli ultimi due giorni prima del matrimonio cercando di sopperire al tempo che aveva passato lontano da Briseide. Voleva chiederle che cosa le piaceva, che cosa odiava, di sua madre, della sua famiglia, del tempo che aveva passato con i briganti, ma tutto quello che poté fare fu sempre troppo poco per lui. Le passeggiate nel giardino del palazzo non gli davano altro che poche occasioni di conversazione, perché c’era sempre qualcuno che disturbava, sempre qualcuno che gli chiedeva di firmare delle carte, di ricevere degli uomini. E lui non poteva far altro che congedarsi da Briseide e andarsene. E i suoi occhi bellissimi lo seguivano in mezzo alla sala, mentre lui sedeva sul trono e lei se ne stava in piedi dall’altra parte, immobile come una statua aspettando che venisse la sera, per potergli parlare anche solo per qualche minuto.
E mentre Will si allacciava il mantello rosso porpora al collo, lisciando le pieghe della tunica bianca, si chiedeva se mai avrebbe potuto vederla felice. Scese nella sala del trono, dove aveva insistito per far celebrare il matrimonio e la seguente incoronazione di Briseide. Non voleva che nessun monaco o prete posassero la corona sulla testa di sua moglie o officiassero il matrimonio. Senza offesa per Fedric, lui la religione proprio non la sopportava. La porta venne aperta con uno stridore ormai familiare. All’interno due ali di folla riempivano la sala. Al centro era stato sistemato un tappeto di broccato che si fermava davanti ai troni. Will avanzò in mezzo alla folla. Riconobbe Ashat, la cui espressione era tutt’altro che felice, Oriana la moglie di suo zio, Sirio ed il piccolo Elias, sua madre e suo padre che si tenevano per mano, Astro e Fedric, che sorridevano. Si avvicinò a suo zio, che gli sorrise.
-Sei nervoso?- chiese. Will prese un respiro.
-Emozionato- rispose -più che altro-
-E fai bene. Briseide è bellissima- commentò Lyone. Will non rispose. All’improvviso gli sembrava di aver inghiottito una manciata di sabbia. Spostò lo sguardo sulla folla, finché, dal portone non entrò Briseide. Non portava nessun velo sui capelli, nessuna stoffa che le nascondeva il volto. I suoi capelli rossi erano stati lasciati sciolti, liberi sulle spalle, salvo per due ciocche a cui erano intrecciati nastri dorati e fiori. Indossava un semplice vestito di una tonalità azzurra, ricamato a grandi volute da un blu intenso, dalle maniche lunghe, ma che le lasciavano libere le mani, che reggevano un bouquet di fiori. Era davvero bellissima, bellissima e felice, come Will non aveva pensato di vederla.
Lyone sorrise ai due, mentre entrambi s’inginocchiavano dinanzi ai troni.
-Siamo qui- cominciò solenne -riuniti oggi, per sancire l’unione di due giovani, mio nipote William di Monte Argento e Briseide di Salazard, figlia del Governatore Pericle di Salazard. Si voglia in questo modo porre fine a questa guerra che devasta i nostri paesi e mina le basi di amicizia reciproca. In questo giorno due anime si uniscono per sempre e che le nostre due terre possano essere per sempre in armonia- su un cuscino offrì a Will l’anello d’oro che lui stesso aveva commissionato al miglior orafo di Desra: un cerchio di foglie di quercia scolpite nell’oro bianco, che mise al dito di Briseide.
-Io, William di Monte Argento, principe ereditario del Regno di Solea, figlio della principessa Lavinia di Desra e di Aleck di Monte Argento, prendo te, Briseide di Salazard, figlia del Governatore Pericle di Salazard e di Danae di Oscura, come mia sposa, in questo giorno. Possa la nostra unione restituire pace alle nostre terre- si alzò -Giuro sul mio onore e sulla corona del mio paese di amarti e rispettarti per ogni giorno della mia vita. Finché morte non ci separi-
-Finché morte non ci separi- ripeté a voce alta Briseide, rialzandosi dalla posizione accoccolata.
-Chiunque voglia impedire l’unione di queste due anime parli ora, o taccia per sempre- Lyone guardò oltre la folla. Nessuno parlava. Will non percepiva nemmeno un rumore. Fai in fretta, zio, ti prego, fai in fretta, pensò, sudando freddo.
-Quando è così... io , Lyone I, dichiaro William di Monte Argento e Briseide di Salazard marito e moglie- allargò le braccia con un sorriso -Adesso puoi baciare la sposa- disse rivolgendosi a Will.
Will vide Briseide arrossire. Si chinò su di lei e al suo orecchio esplosero le urla di giubilo della folla. Era sua moglie, per sempre. Will prese la corona dalle mani dello zio e l’appoggiò sul capo di Briseide. Lyone fece lo stesso con lui. Il peso della corona lo fece sentire un po’ meno felice. Voleva dire che era Re, Re della Solea.
Tutto quello che accadde dopo per Will non fu altro che un quadro un po’ sbiadito. Ballò con un sacco di donne di cui si scordò appena dopo nome e titolo, con Briseide, con Astro, con Oriana, e poi di nuovo con Briseide. Danze, balli, canti, storie, si protrassero fino a tarda sera. Will era stanco, i suoi piedi pulsavano dolorosamente quando si sedette sul trono, accanto a Briseide. La ragazza sembrava completamente a suo agio, radiosa, e sul suo viso apparve un sorriso raggiante quando Will le prese la mano.
-Ti amo, William- gli sussurrò all’orecchio. Will la guardò. Aveva gli occhi lucidi di felicità e sembrava ancora più bella di come l’aveva sempre ricordata.
-Anche io ti amo, Briseide- le rispose, abbassando la voce ad un sussurro. -Mi dispiace... io...-
-Sta’ zitto- lo interruppe Briseide, stringendogli la mano -non voglio sentire scuse. Il passato è passato, adesso pensiamo soltanto a noi-
-D’accordo- sospirò Will. Si alzò di nuovo invitando Briseide a fare lo stesso. L’orchestra si fermò, e un silenzio carico di brusii si intromise nella sala.
-Amici miei- cominciò Will con un sorriso -vorrei restare ancora con voi, qui a festeggiare, ma io e mia moglie adesso ci ritiriamo- spostò lo sguardo su suo zio, che teneva per mano sua moglie Oriana, -buonanotte e grazie-
Scesero dai gradini dei troni accompagnati dagli applausi. Will non ce la faceva più, dopo tutto il giorno in piedi aveva bisogno di sedersi e di togliersi mantello e baveri. Non appena entrò nella loro camera si slacciò il mantello dal collo e lo lanciò in un angolo, ringhiando frustrato contro i nodi del bavero che gli imprigionavano la gola. Sentì la risata di Briseide mentre lo guardava.
-Non c’è niente da ridere!- sbottò lui -Odio questi baveri- si massaggiò il collo, guardandosi dentro uno piccolo specchio. La cicatrice che gli percorreva il lato della gola svettava bianca sulla pelle abbronzata. Si rabbuiò. L’ultimo degli interminabili segni della guerra. Si guardò le mani. Le cicatrici lo guardavano maligne. Sospirò. La guerra l’aveva cambiato, aveva capovolto tutto il suo mondo. Probabilmente sarebbe divenuto re ugualmente, ma cosa sarebbe successo se fosse morto in guerra? La Solea e l’Aschart avrebbero continuato a combattere fino a che uno dei due non fosse stato sottomesso dall’altro? O fino a che non avessero trovato un accordo? Forse la guerra sarebbe durata molto più di sei anni.
-Hai intenzione di stare lì impalato per tutta la notte?- la voce divertita di Briseide lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò. Sua moglie, stava togliendo i fiori e i nastri dai propri capelli. Will non si era nemmeno accorto del vestito che giaceva inerme ai suoi piedi. Briseide era vestita soltanto di una sottoveste bianca. Will deglutì, prima di poter parlare.
-Sei bellissima-
Briseide si voltò. -Grazie- sorrise, arrossendo -Sai, una volta pensavo che non mi sarei mai sposata. A diciotto anni... mio padre era un uomo che non voleva che lasciassi la famiglia- rise -beh, se ne farà una ragione- scrollò le spalle, ravvivandosi i capelli ormai liberi dai nastri e dalla corona. Si avvicinò a Will e gli tolse la corona dalla testa. -Domani avrai tutto il tempo per indossarla- disse, sorridendo.
-Hai ragione- sospirò Will -anche se...- s’interruppe, vedendo il volto di Briseide rabbuiarsi.
-Anche se...- lo spronò lei -avanti, cosa stavi per dire?-
-... se non avrei voluto diventare Re- concluse Will sedendosi sul letto. Briseide incrociò le braccia sul petto.
-Sei il figlio di quella che doveva essere la legittima erede al trono- cominciò -è logico che tu ora sia re- sospirò, avvicinandosi a Will. Gli prese le mani, mentre lui alzava gli occhi su di lei. Era bellissima, come nessuna delle donne che aveva visto, molto più di Astro, quasi quanto sua madre.
-Ma voglio farti una domanda- riprese la ragazza -e voglio che tu mi risponda con sincerità- sospirò, quando Will annuì -Mi ami davvero? O è stato tutto dettato dal dovere verso il tuo popolo?-
Will s’irrigidì. Non aveva una risposta vera a quella domanda, e l’aveva temuta per tutto il giorno, gravava su di lui come un macigno. Sospirò.
-Non lo so- rispose. Briseide lo guardò arcuando le sopracciglia -Non... ho una risposta, Briseide. Io ti amo, ma forse non quanto mi ami tu... cioè, io...- non trovava proprio le parole. Forse aveva bevuto troppo vino, forse era la luce delle candele, forse il caldo del camino acceso, ma all’improvviso si accorse di avere mal di testa e di non riuscire ad articolare bene le parole. -Sono il re- riuscì a dire -dovevo comportarmi da re. Era quello che ci sia aspettava che facessi, ma io ti amo-
-Come amavi Astro?- chiese allora Briseide.
-Ti stai approfittando del fatto che io non sia così lucido- l’accusò allora Will.
Briseide sorrise maliziosa. -Allora mi rispondi o no?-
-No, non come Astro. Lei... non amavo Astro. Era... una cosa diversa, totalmente diversa. È stato tutto un enorme errore-
-Capisco- replicò Briseide. Will sentì le sue piccole mani fra i capelli. Una accarezzò per un momento la cicatrice che aveva sul collo. Scesero sui nodi della camicia, sciogliendoli uno per uno. Will non aveva la forza per fermarla, e forse nemmeno la voglia. -Allora è meglio se per questa volta sono io ad occuparmi di te- ridacchiò lei, baciandogli la fronte -sei d’accordo?-
-Come potrei non esserlo?- chiese allora Will, cercando di non perdere la presa sulla realtà.
Ma poi, non riuscendoci, la lasciò andare, e scoprì che in quel momento non importava poi così tanto.


FINE

SPAZIO AUTRICE
*  per tutti coloro che hanno letto Twilight, lo dice Bella nel film ad Edward nella scena della mensa quando a lei cade la mela. Non ricordo se lo dice anche nel libro.
^^baci

Araluna: Ciao carissima!
Spero che l'utlimo capitolo ti sia piaciuto! Forse l'ho fatta un po' sbrigativa ma davvero avevo tante cose da dire e un solo capitolo a portata di mano. Spero di non averti deluso. Grazie per il tuo sostegno, per la tua pazienza e per i tuoi complimenti, e soprattutto per tutto il tempo che mi hai dedicato. Ti voglio bene.
ps: Ho già in programma un'altra fic originale, un po' diversa da questa, ma ancora devo definire i dettagli, magari ti manderò la bozza per sentire la tua opinione!^^ Un bacione e grazie ancora.

Caterozza: Ciao! Grazie per la tua bella recensione. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. E spero anche che tutta la fic ti sia piaciuta. Will ormai è un uomo, ma come dice Mamma Row (La Rowling, di Harry Potter^^) lui sarà il mio bambino di carta e inchiostro.
Grazie per essere passata di qua!


E a tutti gli altri un enorme GRAZIE per il tempo che hanno dedicato a questo piccolo lavoro.
Grazie a: ELPOTTER, TVB, luxu2 e niacara07 che hanno messo la mia storia tra i preferiti.
Oltre a: Eilinn, Mana_chan, Quasiverde, Vale_Tvb che l'hanno messa tra le seguite.

GRAZIE A TUTTI


Vostra
Stellalontana*







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