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Rea dette
un calcio fortissimo al comodino, facendosi male all’alluce. Gridò dal dolore e
si tirò su di botto, senza rendersi conto di ciò che stava succedendo.
Si guardò
intorno e poi si stropicciò gli occhi, stanca.
“Ancora” sussurrò.
Era messa
con la testa al posto dei piedi, arrotolata come un salame nelle coperte e con un
braccio incastrato nel lenzuolo. Provò a girare su se stessa per liberarsi, con
il solo risultato di finire con la faccia a terra.
“Maledizione,
fa male!” si lamentò, toccandosi il naso.
Sospirò
sconsolata e si stese con le braccia aperte sul tappeto steso sul pavimento.
“Sono due
settimane che non riesco a dormire tranquilla, si può fare una vita peggiore di
così?” si chiese.
Faceva
sempre il solito sogno, ormai: era bloccata in una specie di limbo oscuro pieno
di piattaforme rotonde e galleggianti in aria, dove una voce le parlava. Ogni
volta che provava a fare qualsiasi cosa, però, apparivano dei piccoli esseri
neri simili a scarafaggi troppo cresciuti e la rincorrevano.
Ci provava
a scappare, ma i ponti che collegavano le piattaforme scomparivano e lei
rimaneva bloccata sempre nel solito punto. “Lotta, trova la forza” si sentiva
dire, ma non sapeva cosa diavolo significasse. Trova la forza? Sembrava la frase
di un film.
Si passò
una mano sulla fronte imperlata di sudore, sfinita. In pratica in quattordici
giorni aveva dormito in totale trenta ore. Non riusciva mai a prendere di nuovo
sonno dopo un incubo simile, quindi si metteva a fare altro. Tipo studiare.
Si era
fatta una cultura enorme in quelle settimane, questo c’era da dirlo, e le sue
prestazioni scolastiche erano decisamente migliorate, però il poco sonno la
portava ad essere ipertesa. Era sicura di aver visto qualcuno seguirla, quella
mattina, ma quando ne aveva parlato con sua sorella (con la quale faceva il
percorso per andare a scuola) lei aveva riso dicendole che era troppo
stressata. Probabile, aveva pensato, ma era comunque convinta che un signore
molto piccolo e vestito di nero le andasse dietro.
Si mise a
sedere e decise di tornare a dormire: magari non ce l’avrebbe fatta, ma almeno
si sarebbe riposata!
Il mattino
seguente, con due occhiaie pesanti e scure, Rea si avviò verso la scuola con
sua sorella minore.
“Ti sei
riposata stanotte?” le chiese.
“Macché,
sono caduta mille volte dal letto, alla fine mi sono messa a leggere” rispose
lei, sospirando sconsolata. Era talmente debole che anche portare la cartellina
marrone le faceva fatica.
Si guardò
intorno: le vacanze estive erano appena finite a Twilight Town e i ragazzi
correvano qua e là ancora carichi dal mese di riposo appena passato. Tranne
lei, ovviamente.
Salutò
debolmente con la mano il gruppo di Hayner, che le passò davanti sorridendo.
“Mi
raccomando, Rea, stamani ti vogliamo carica! Dobbiamo vincere al progetto di
scienze!” la salutò. Lei ricambiò il sorriso.
“Ho tutto
nei quaderni!” gli assicurò.
Alexis
indicò una ragazza un po’ più avanti.
“Io vado,
sorellona. Ci vediamo dopo!” le disse, correndo dall’amica.
Rea rimase
sola, stanca e con la testa pesante. Aveva bisogno di riposarsi, si sentiva
decisamente distrutta.
Fece un
paio di passi in avanti, ma le gambe non riuscivano a sorreggerla.
“Tutto
bene, cara?” le chiese la signora del chiosco dei gelati. Le sorrise.
“S-sì, non
si preoccupi, io… io…”
Cadde a
terra, in ginocchio, ma continuò a sorridere.
“Ora vado
a scuola” balbettò. L’attimo dopo era sdraiata a terra.
Quando
riaprì gli occhi si ritrovò di nuovo nel suo incubo.
Si tirò su
con un po’ di fatica.
“Ancora”
sussurrò. Si sentiva stranamente sveglia, per essere un sogno.
Si
spolverò i vestiti e si guardò intorno: stessa locazione di sempre.
Nell’oscurità più completa tre piattaforme rotonde collegate tra loro da ponti
di quello che sembrava vetro galleggiavano silenziosamente. Era tutto molto
tetro e, nonostante la tranquillità, inquieto.
Rea
rabbrividì pensando che quell’incubo la stava seriamente distruggendo e fece un
paio di passi in avanti, guardando attorno con circospezione. Ormai sapeva che
appena si muoveva quei piccoli scarafaggi neri le apparivano davanti e
l’attaccavano, quindi aspettava con una certa calma la loro comparsa.
Si rese
conto poco dopo che non sarebbero arrivati, quando una luce abbagliante
l’accecò per un secondo.
“Ma che…?”
si coprì gli occhi con le mani, infastidita da quel raggio luminoso, e dentro
di sé si domandò se, magari, questa fosse l’ultima volta che sognava. Gli
psicologi non dicevano che nel momento in cui cambia tutto allora significa che
tutto sta finendo?
La luce
scomparve poco dopo e Rea si domandò se poteva togliere le mani dal viso. Aveva
una lieve paura a scoprire cosa stava succedendo, ma non poteva certo rimanere
così per sempre.
Aprì gli
occhi e vide davanti a sé tre piccoli altari bianchi, ognuno con sopra un
oggetto luccicante: una spada; uno scudo; una sottospecie di scettro con la
cima a forma di testa di topo.
Stava per
decidere di non considerare quei cosi, quando una voce rimbombò intorno a lei.
“Con
uno sarai più forte; con uno sarai protetta; con uno potrai salvare i tuoi amici.
Scegli, portatrice di luce”
Si guardò
intorno per capire da dove provenisse la voce o a chi appartenesse, ma c’era
solo lei su quelle piattaforme.
Fece un
passo in avanti, decisa a prendere lo scudo: meglio proteggersi, anche se era
un sogno.
Arrivò davanti
al piccolo altare, pronta a prendere l’oggetto, ma poi sentì dietro di sé un
rumore sordo, come qualcosa che strisciava. Lo capì prima ancora di voltarsi
cos’era, ma la paura l’assalì comunque quando vide un essere nero alto quanto
le sue ginocchia apparire davanti ai suoi occhi dal nulla.
Arretrò
senza riuscire a dire nulla mentre quello si avvicinava, inciampando nei suoi
stessi piedi.
“Stammi
lontano!” gridò impaurita, ma lo scarafaggio sembrava non sentirla, continuava
ad avanzare verso di lei con una calma e una velocità inquietanti.
Rea quasi
si mise a piangere quando sentì le spalle sbattere contro qualcosa di duro e si
bloccò, impossibilitata a muoversi ancora.
“Svegliati,
Rea… svegliati!” si gridò, dandosi un pizzicotto sul braccio. Sentì dolore, ma
non si ritrovò nel suo letto come sempre.
Le venne
il terribile dubbio di essere già sveglia, e quel pensiero la paralizzò per
davvero: se era così, allora quel posto immerso nell’oscurità esisteva sul
serio. E lei ne era prigioniera!
Lo
scarafaggio le saltò addosso un secondo dopo, all’improvviso, e la ragazza
gridò, rotolando da una parte per scansarlo. Alzò lo sguardo e vide sopra di sé
quella sottospecie di scettro con la testa di topo, afferrandolo senza pensarci
quando l’essere nero strisciò di nuovo verso di lei.
“Stammi
lontano, ti ho detto!” gli urlò contro, picchiandogli lo scettro in testa.
Quello
scomparve con un *puff*, lasciandola sola.
Rea non
ebbe il tempo di accasciarsi al suolo, sfinita, che i tre altari iniziarono a
scomparire, risucchiati dal pavimento colorato della piattaforma.
“La
magia, protettrice degli amici e della famiglia, tu hai scelto questo potere.
Da ora in poi, la tua missione sarà quella di aiutare tutti quelli che
incontrerai” le disse la voce di prima.
“La magia?
Che stai dicendo? Chi sei?” gridò la ragazza, cercando di capire da dove
venisse la voce, senza risultato. Lo scettro, che aveva stretto fino a quel
momento, scomparve dalle sue mani in una nuvola.
Davanti a
lei comparve una porta bianca.
“Attraversala
per iniziare il tuo cammino”
Una luce
intensa la investì quando quella stessa porta si aprì da sola, facendole
perdere di nuovo i sensi.
Quando si
risvegliò si trovava a casa, nel suo letto.
Si
stropicciò gli occhi e si guardò intorno: ma allora era stato tutto un sogno?
Tutto quanto, anche lei che si svegliava e andava a scuola con Alexis?
Sospirò:
per fortuna ora era tutto passato.
Decise di
andare a prepararsi per quella nuova giornata, ma quando si alzò capì subito
che qualcosa non andava: la sua sveglia segnava le sette di mattina ma fuori
era tutto buio. Dense nubi nere si stagliavano su Twilight Town, oscurando la
luce arancione che illuminava sempre la cittadina.
“Ma che
succede?” chiese preoccupata.
Corse
fuori dalla sua camera per raggiungere la sua famiglia, ma in casa non c’era
nessuno.
“Mamma?
Papà? Alexis?” chiamò nel panico. Non ricevette nessuna risposta.
Si
precipitò ancora in pigiama fuori in strada, cercando qualsiasi persona:
Hayner, Pence, Olette, la signora del gelato, un insegnante…
Sin da
subito comprese che non avrebbe trovato nessuno nei dintorni, che Twilight Town
al momento era una città fantasma.
Rea si
immobilizzò in mezzo al Corso della Stazione, paralizzata dalla paura.
“Dove
siete tutti?” gridò impaurita.
Per tutta
risposta un attimo dopo fu circondata da quegli esserini neri ancora una volta,
ma adesso era sveglia.
“N-no…”
sussurrò quando iniziarono ad avvicinarsi a lei, creando una specie di cerchio
chiuso da cui non poteva scappare.
“NO!”
urlò, raggomitolandosi su sé stessa non appena gli scarafaggi si scagliarono su
di lei.
Non vide
cosa stava succedendo, aveva troppa paura per muoversi, ma non sentì alcun
dolore pervaderla. Gli scarafaggi non l’avevano attaccata.
“Uff,
sempre la stessa noia” commentò qualcuno sopra la sua testa.
Rea voleva
alzarsi, ma non ce la faceva, era immobilizzata.
“Ehi, tu,
tutto bene?” domandò la stessa persona che aveva parlato.
La
ragazza, ancora tremante, tolse le braccia da sopra la testa e, con gli occhi
pieni di lacrime, si permise di sbirciare chi c’era.
Partendo
dai piedi per arrivare alla testa, le si parò davanti un ragazzo alto almeno
uno e ottanta, vestito di nero con una specie di lungo impermeabile chiuso
addosso, la faccia sorridente e sfacciata e i capelli rossi, sparati sulla
testa.
“Sto
parlando con te” specificò sorridendo.
Lei annuì
leggermente, sentendosi sfinita.
“S-sì, io
sto bene…” rispose a mezza voce.
Il ragazzo
le si inginocchiò vicino e le tese una mano per aiutarla.
“Andiamocene,
ti hanno già trovata, dobbiamo fuggire prima possibile” le disse serio.
Rea
deglutì.
“Fu-fuggire?”
chiese.
“Sì”
confermò lui.
Lei si
alzò ignorando la mano che le stava porgendo e rimase in piedi appoggiandosi a
una parete.
“Non
voglio andarmene” rifiutò sicura.
“Sei in
pericolo, qui” la informò.
“M-ma la
mia famiglia e… e i miei amici…”
“Ascoltami,
ragazzina, non abbiamo molto tempo. Ti spiego tutto una volta al castello, ma
possiamo andare?” la bloccò il ragazzo, irritato. Rea scosse la testa.
“Non mi
muovo da qui!” esclamò.
Lui
sospirò e si scompigliò i capelli rossi, guardandola di sottecchi.
“Tutti
uguali, voi detentori, eh?” commentò. La ragazza non ebbe il tempo di chiedersi
cosa significasse quella frase: un attimo dopo il ragazzo le fu dietro e le
dette un colpo sulla nuca, facendole perdere i sensi.
“È
successo tutto dodici anni fa, quando Maestra Aqua si
è sacrificata per la salvezza di Terra”
“Prima
che lui si fondesse con Xehanort, dici?”
“No,
in realtà…”
“Oooh…” Rea aprì un occhio con un mal di testa feroce e si
chiese chi avesse ucciso in una vita precedente per meritarsi tutto ciò. Era la
quarta volta che si svegliava in malo modo, ne aveva abbastanza. Sentì un
rumore di porta che si chiudeva, poi il silenzio.
Si
guardò intorno abbastanza intontita e non riuscì a capire dove si trovasse: era
una stanza circolare, con le pareti altissime e bianche.
“Tutto
bene?” le domandò qualcuno. Si voltò verso la voce, scuotendo nel frattempo la
testa.
“No,
ho la nausea” rispose.
Lo
notò dopo, il particolare sbagliato in quella discussione: colui che aveva
parlato era… un topo! Sgranò gli occhi, mettendosi una mano davanti alla bocca
per non urlare.
Il
topo le sorrise.
“Almeno
sei salva” le disse. Aveva un sorriso dolce e rassicurante, ma era pur sempre
un topo!
“Sa-salva?”
chiese titubante. L’animale annuì e si fece serio.
“Sì,
qui al castello gli heartless non verranno
sicuramente a cercarti. O, almeno, potrebbero anche venire, ma qua ci sono i
nostri che lottano” le spiegò.
Rea
non sapeva se prenderlo sul serio o no; nella sua testa aveva rinunciato
all’idea di chiedere come mai un topo parlasse, tanto sapeva già che la
risposta non le sarebbe piaciuta.
Deglutì.
“Va
bene… ma… ehm… c-chi sei tu?” domandò, trattenendosi dal chiedere “Cosa sei
tu?”. Il topo la guardò e poi rise imbarazzato.
“Hai
ragione, scusami, non mi sono presentato. Io sono Re Topolino, piacere”
Re?!
“Re…
Topolino?”
“Sì,
sono il Re del castello Disney” spiegò.
La
ragazza si buttò di nuovo sul materasso e sospirò: rinunciava ufficialmente a
capire qualcosa in tutto quel marasma.
Sentì
aprirsi una porta e qualcuno entrò nella camera.
“Vostra
Maestà, ci sono gli heartless nella sala da ballo,
avremmo bisogno di aiuto” annunciò qualcuno. Rea non volle vedere chi era, così
ignorò la cosa.
“Heartless? Nel castello?” esclamò il sovrano, preoccupato.
“Sì,
signore” confermò l’altro.
Si
sentì un rumore di piedi che correvano, poi il silenzio completo.
La
ragazza non aveva le forze per muoversi di lì, ma era comunque incuriosita:
davvero quel topo alto un metro era un re? Ma soprattutto, lei perché doveva
essere salvata? E da cosa?
Scattò
a sedere col cuore a mille: Twilight Town! Cos’era
successo alla sua città? Dov’erano tutti quanti?
“Aspetta!
Re Topolino, aspetta!” gridò, scendendo di corsa dal letto.
Aveva
il cuore in tumulto al ricordo della sparizione di tutti quanti e di quella
nube nera nel cielo e un brutto presentimento si stava impossessando di lei.
Uscì
velocemente dalla camera, avviandosi in corridoio. Si guardò intorno per
decidere se andare a destra o sinistra, poi chiuse gli occhi cercando di
calmarsi.
“Ragiona,
Rea, ragiona: è meglio stare ferma ad aspettare che siano loro a tornare o
correre come una matta in un luogo enorme dove probabilmente ti perderesti?” si
chiese.
Ovviamente
la seconda possibilità, decise.
Topolino
trovò la situazione nella sala da ballo abbastanza calma: Sora era fermo da una
parte che rideva con Paperino, mentre Riku li
guardava severo.
“Ma…
e gli heartless?” domandò il Re, incredulo.
“Erano
meno del previsto, Vostra Altezza” rispose il castano con il suo solito sorriso
luminoso. Lui sospirò sollevato e poi li guardò.
“Meglio
così. L’ospite è appena arrivata, se volete venire con me a conoscerla...” li
informò. Il ragazzo esultò.
“Ehm,
Sora, ti chiedo di contenerti, se puoi. Non le ho ancora spiegato nulla di ciò
che sta succedendo, dobbiamo essere più gentili possibile” gli disse Topolino.
Sora fece segno di sì col pollice.
“Si
fidi di me, Sua Altezza! Andrà tutto bene!” promise.
“Fidarsi
di te sicuramente vuol dire far andare tutto male” commentò Paperino col suo
solito sarcasmo.
“Cosa
vorresti insinuare?” chiese il castano, arrabbiandosi.
“Tu
che ne dici?” ribatté il papero, facendogli la linguaccia.
Riku sospirò e
si avvicinò al Re, serio.
“Vostra
Maestà, la situazione… quanto è grave?” domandò. Il Re divenne scuro in volto.
“Temo
molto. Dopo l’ultima battaglia abbiamo scoperto cose molto interessanti per
riuscire a sconfiggere quello che, per come ho capito, è tornato ad essere Xehanort, però senza l’ultima chiave sarà impossibile
liberare finalmente i mondi dall’oscurità” gli rispose.
“Me
lo immaginavo. E la ragazza?”
“Dobbiamo
informarla del motivo per il quale è qui, proprio per questo dovremmo tornare
nella camera reale”
Rea,
nel frattempo, stava girando per il castello senza una meta ben precisa. La
preoccupazione si alternava a momenti di completo stupore per quel posto
gigantesco. Era stupendo.
Alla
fine si fermò davanti a una porta enorme e bianca (quel colore iniziava ad
infastidirla).
“In
teoria dovrei tornare indietro; in pratica non so dove sono o come trovare di
nuovo la camera. Tanto vale entrare qui” si disse, facendo un passo in avanti
per tirare la maniglia.
“Fossi
in te non lo farei” le consigliò una voce alle sue spalle. La ragazza si voltò
preoccupata.
Lo
stesso ragazzo con i capelli rossi dritti che l’aveva recuperata a Twilight Town stava appoggiato al muro e la osservava
incuriosito. Quando lei si girò le sorrise e agitò una mano in segno di saluto.
“Ehilà,
ben svegliata”
Rea
arretrò più che poteva, spaventata: lui l’aveva colpita l’ultima volta che si
erano visti.
“Tranquilla,
non ti farò svenire di nuovo. Anzi, scusami se prima ti ho dato quel colpo alla
nuca, ma non volevi seguirmi” le disse per calmarla. Sortì l’effetto
completamente opposto.
“No
che non volevo, i miei amici sono ancora là e anche la mia famiglia!” esclamò
la ragazza. Lui scosse la testa divertito.
“Ormai
pensavo di essermi abituato ai vostri discorsi da possessori di Keyblade, ma devo dire che sono un po’ fuori forma. È
passato un po’ dall’ultimo detentore a cui ho fatto da baby sitter”
commentò.
Rea
si arrabbiò.
“Discorsi?
La mia città è stata completamente assediata da esseri neri e striscianti e,
come se non bastasse, gli abitanti sono scomparsi!” gridò istericamente. Il
ragazzo sospirò.
“Non
è scomparso nessuno” la informò. Lei rimase ferma.
“Ma…”
“Erano
protetti in sottospecie di bolle da noi create. Non volevamo che gli heartless rubassero i loro cuori, sarebbe stato spiacevole”
le spiegò.
“Heartless?” domandò la ragazza. Lui annuì.
“Quegli
esseri striscianti e neri” specificò.
“Oh”
disse semplicemente.
Per
tutta riposta, uno di quei cosi comparve strisciando verso di loro. Rea arretrò
fino a sbattere con le spalle contro il portone bianco, spaventata.
“Ecco,
questo è un heartless” commentò il ragazzo, facendo
comparire nelle sue mani una specie di strana spada.
Fu
un attimo: saltò verso l’heartless e con un colpo
secco lo divise in due, facendolo scomparire con un sonoro *puff*.
Si
poggiò la spada sulle spalle e guardò soddisfatto la ragazza.
“Non
mi vanterò della mia bravura, sarebbe troppo facile” promise con un ghigno.
“Q-quello…
quel… coso, io me lo sogno!” esclamò lei.
“Non
esagerare, non era così terribile!”
“No,
non capisci! Io lo sogno da due settimane, ormai!” spiegò. Lui inclinò la testa
da un lato, incuriosito.
“Sì,
avevo sentito dire di questa vostra peculiarità, però non so darti nessun tipo
di spiegazione sul perché. Il Re, al contrario, può, quindi torniamo nella
camera reale, sicuramente ti starà cercando” le disse.
Rea
si appiattì se possibile ancora di più al muro e scosse la testa.
“Tu
mi hai rapita” gli ricordò.
“Non
ti ho assolutamente rapita, ho eseguito gli ordini e l’ho fatto per il tuo
bene!” esclamò il ragazzo.
“Non
importa, mi hai portata qui controvoglia e, soprattutto, mi hai tramortita! Io
di te non mi fido!”
“Il
che può essere un problema visto che sono io a doverti fare da guida” la
informò lui, scompigliandosi i capelli con un gesto che, sicuramente, faceva
spesso.
Sospirò
e fece un passo verso di lei.
“Io
sono Axel, capito? A-X-E-L, memorizzalo e ricordati
che sono dalla tua parte” le disse. La ragazza era ancora titubante, ma si
avvicinò a sua volta.
“Rea”
rispose. Lui le sorrise.
“Ora
torniamo in camera, non mi va di dover spiegare a Topolino come mai siamo
scomparsi” la pregò.
“Re
Topolino, quando dovremmo essere da Yen Sid?” domandò Sora mentre tornavano
tutti nella camera reale.
“Kairi è
già là che ci aspetta. Purtroppo non abbiamo più tutto il tempo che speravo per
spiegare a Rea il suo compito, dovremo scortarla alla Torre prima di tutto”
rispose il sovrano, scuro in volto.
Il castano
incrociò le braccia dietro la testa e sorrise, con la sua solita ingenuità
disarmante.
“Non
importa, l’importante è che abbiamo un’altra alleata. Adesso dobbiamo solo
sconfiggere Xehanort!” commentò.
“Solo?”
gli chiese Paperino.
“Beh, il
più è fatto, no? Noi siamo più forti e più uniti, non c’è possibilità di
perdere!” spiegò il ragazzo, bello pimpante. Pippo sospirò.
“Sora, sei
troppo positivo. Non è così facile e lo sai benissimo”
“È vero,
ma dobbiamo crederci. Se non ci crediamo nemmeno noi che dobbiamo combattere,
non riusciremo mai a farcela” spiegò lui.
Scese il
silenzio tra loro, ma Sora non se ne rese minimamente conto.
Nel
frattempo, Rea e Axel stavano rientrando in camera. Nessuno dei due apriva
bocca.
Nella
testa della ragazza vorticavano una marea di pensieri confusi: come mai un Re
topo, un personaggio dai capelli rossi e ritti e piccoli esseri neri e
striscianti avevano incrociato la sua via? Come stavano i suoi genitori? E i
suoi amici? Perché era stata portata in un castello? Ma soprattutto, quanto era
lontana da casa?
“Smettila”
disse a un certo punto il ragazzo. Lei sobbalzò.
“Come?”
“Smettila
di riflettere, non ne caverai un ragno dal buco. Che tu ti faccia domande a cui
non sai dare una risposta o che tu smetta di pensare è la stessa cosa” le
consigliò.
“Ma io…”
Axel si
inchiodò, per poi voltarsi e fissarla con i suoi occhi smeraldini.
“Senti, lo
so che cosa provi, però fidati di me: andrà tutto bene. Adesso andiamo da Re
Topolino e poi tutto ti sarà chiaro” le promise.
Rea storse
la bocca.
“Ho
l’impressione che non sarà così facile” commentò. Il ragazzo inclinò
leggermente la testa da un lato.
“Perché?”
Lei indicò
un punto dietro le sue spalle: altri cosi neri (heartless?) erano appena
apparsi. Però…
“Quelli
non sono semplici shadows” considerò Axel, facendo apparire nelle sue mani la
stessa spada strana di prima.
“Non sono
cosa?”
Lui si era
scurito in volto e aveva un’espressione terribilmente seria.
“Shadows.
Il tipo di heartless che abbiamo visto prima, quelli più deboli. Questi sono
più forti” le spiegò.
Rea
deglutì spaventata e si nascose dietro la sua schiena mentre il ragazzo saltava
in avanti e si lanciava all’attacco dei nemici.
“Non ci
sono?” chiese Topolino, incredulo. La camera reale era completamente vuota:
della portatrice nemmeno l’ombra.
“Come no?
Ne è sicuro?” domandò Sora, affacciandosi.
“Certo!
Qui non c’è nessuno, né Rea né Axel” assicurò. Riku strinse le labbra.
“Siamo
sicuri di poterci fidare di quel tipo? Non è che magari l’ha rapita e l’ha
portata da Xehanort?” suppose.
“Riku, ti
assicuro che Axel è affidabile. Il suo scopo è nobile tanto quanto il nostro,
non tornerebbe mai dalla parte dell’Organizzazione XIII” lo tranquillizzò il
Re.
Pippo si
mise una mano sulla fronte, riflettendo.
“Ma allora
dove sono finiti?”
La ragazza
osservava gli heartless che si muovevano sinuosi e veloci verso di lui,
sentendo le gambe tremare. Dovevano essere molto forti, considerò tra sé e sé.
Percepì
alle proprie spalle un rumore lieve, attutito, e si voltò impaurita: ne aveva
uno davanti. Era altissimo e tremendamente largo.
“A-Axel”
chiamò rabbrividendo. Non ebbe nessuna risposta.
“Axel”
ripeté facendo un paio di passi indietro.
In
quell’istante l’essere si scagliò su di lei, preciso e veloce.
“NO!” gridò
con la voce acuta. Cadde, inciampando sui suoi stessi piedi e finendo
rovinosamente a terra. Chiuse gli occhi, aspettando l’impatto col mostro. “Non
voglio, non voglio! Aiuto!” urlò dentro di sé. “Usa la forza, Rea… è il
momento” le rispose una voce lontana. Sembrava il ricordo di qualcuno…
“Attenta!”
le disse Axel, rendendosi conto solo in quel momento del pericolo.
Fece per
avvicinarsi, ma un fascio di luce inondò il corridoio, accecandolo. Si mise una
mano davanti agli occhi, disturbato dall’intensità della luce, e sentì il cuore
rimbombare nel petto per la paura. Si era quasi dimenticato come fosse
percepire il suo cuore.
Quando
tutto fu finito e riuscì a vedere di nuovo, l’heartless era sparito.
“Ma che…?”
A terra,
Rea reggeva tra le mani, messo a mo’ di scudo davanti a sé, un lungo e lucente
Keyblade bianco. Uno simile, Axel non l’aveva mai visto.
“C-che è
successo?” domandò la ragazza, tremante. Quando aprì gli occhi e vide la spada
tra le sue dita, si spaventò.
“Cos’è
questo?” squittì.
Lui si avvicinò
e, dopo essersi inginocchiato davanti a lei, allungò la mano.
“Posso?”
chiese gentilmente. Felice di potersene liberare, Rea gli cedette volentieri
l’arma.
“Che
strano” commentò il ragazzo, studiando il Keyblade.
Era
diverso da tutti quelli che aveva visto fino a quel momento, e sì che ne aveva
visti parecchi!
Sembrava
brillasse di luce propria, come se una lampadina fosse sempre accesa al suo
interno. Inoltre la lama era argentata con piccole rifiniture dorate. Non
sembrava nemmeno lontanamente un Keyblade. Quello di Sora, il suo, quello di
Riku, avevano la forma del loro potere: Sora, che era un ragazzo puro e
candido, aveva la forma base della spada, la semplice chiave gigante; lui,
dentro il quale ardeva la fiamma della forza, aveva il Keyblade creato con i
suoi vecchi Chakram; Riku, dopo essere finito nell’oscurità, aveva ottenuto il
Keyblade oscuro, che col tempo era stato purificato.
Ma questo…
sembrava il Keyblade di una regina. “O di una principessa della luce” gli
suggerì il suo cervello.
“Siete
qui!” esclamò Topolino, arrivando di corsa. Lui alzò la testa e vide davanti a
sé tutta la delegazione reale.
“Sì,
abbiamo avuto qualche… problema tecnico” rispose sorridendo. Restituì l’arma a
Rea, che la prese diffidente.
“Devo
proprio tenerla io?” domandò infatti la ragazza.
“Se ti è
apparsa tra le mani direi di sì” gli spiegò lui, facendo sparire la sua spada.
Sora corse
da loro e le sorrise.
“Tu sei
Rea?” domandò.
“Io?”
chiese lei.
“Sì, tu!”
“S-sì, io
sono Rea” rispose titubante. Il castano le prese la mano, stringendola con
vigore.
“Che bello
che sei arrivata!” esclamò felice. La ragazza guardò di soppiatto Axel, che se
la rideva sotto ai baffi.
“P-piacere
mio” balbettò imbarazzata.
“Ti
stavamo aspettando tutti, non puoi capire che gioia che tu sia finalmente qui!”
“Sora, non
mettere sotto pressione la nuova arrivata” lo riprese Paperino, avvicinandosi.
“Già,
Sora, contieniti!” lo prese in giro Pippo.
Lui li
guardò imbarazzato.
“Forse
avete ragione, scusate!” disse ridendo.
Topolino
si avvicinò ad Axel, serio.
“È quello
che penso?” chiese, indicando il Keyblade che la ragazza continuava a stringere
tra le mani.
“Sì”
confermò il rosso, incrociando le braccia.
“Dobbiamo
andare da Yen Sid. Ora” decise il sovrano, preoccupato.
Ci
furono dieci minuti ininterrotti di presentazioni varie e Rea si chiese se
sarebbe riuscita a tenere a mente tutti quei nomi. Probabilmente no.
Alla
fine fu il Re ad avvicinarsi a lei con un sorriso gentile sulle labbra.
“Adesso
devo chiederti di pazientare ancora un po’. So che ti avevamo promesso che ti
avremmo spiegato tutto, ma purtroppo non c’è tempo, adesso. Cip e Ciop sono nella sala macchine che aspettano noi per partire
con la Gummyship, dobbiamo partire il prima possibile”
le disse. La ragazza decise di non chiedere chi fossero Cip e Ciop né cosa fosse una Gummyship.
“A
me non importa sapere nulla, voglio solo avere la sicurezza che i miei amici
stiano bene” rispose sorridendo a sua volta. Topolino annuì.
“Twilight Town è tornata la cittadina di sempre” la
rassicurò. Lei non si rese conto della vaghezza della risposta e si accontentò.
Fu Axel a capire che quella non era tutta la verità e
lanciò un’occhiataccia verso il sovrano, che però evitò il suo sguardo.
“Sora,
voi sei precedetemi, io arriverò dopo aver sbrigato alcune faccende importanti.
Mi raccomando, prendetevi cura di Rea” disse, scomparendo lungo il corridoio.
Il
castano si voltò verso di lei.
“Vieni,
la sala macchine è per di qua” la istruì, uscendo in cortile. “Cortile” che era
più grande di tutta casa sua, considerò Rea: era un piccolo parco pieno di
sculture di erba meravigliose.
Si
vedeva proprio che erano in un castello.
Era
veramente stupendo, doveva ammetterlo, anche se era stata portata lì
controvoglia. Era tutto meraviglioso e la sensazione di disagio che aveva
provato poco prima con quella sottospecie di spada tra le mani era sparita. Ora
che ci pensava, a un certo punto l’arma era scomparsa senza spiegazione, a mala
pena se n’era resa conto. Sapeva solo che l’attimo prima la stava stringendo e
l’attimo dopo non c’era più.
“Keyblade” le disse Axel. Rea
sobbalzò: ma possibile che sapesse sempre cosa risponderle prima ancora che lei
facesse la domanda? Era un mago, forse?
“Cosa?”
“La
spada di prima si chiama Keyblade. Con tutto il caos
di poco fa mi ero quasi dimenticato di spiegarti cosa fosse” specificò.
La
ragazza sospirò sconsolata.
“Questo
non mi schiarisce le idee” gli fece presente.
“Sapere
almeno il suo nome ti aiuterà più tardi, con Yen Sid”
le assicurò.
Lesse
nei suoi occhi lo sconforto più completo mentre annuiva e si chiese se i
possessori del Keyblade fossero seguiti da quella
malinconia perenne. Tutti quelli che aveva avuto il piacere di conoscere erano
sempre tristi, segnati da un destino che non avevano chiesto e costretti a
ritrovarsi in situazioni in cui non si volevano ritrovare. In verità, ora che
ci faceva caso, lui era l’unico dei detentori ad aver combattuto affinché il Keyblade si materializzasse nelle sue mani.
“Eccoci,
questo è l’hangar dove sono le Gummyship!” annunciò
Sora, tutto sorridente, portando Rea all’interno di una delle navicelle per i
viaggi interdimensionali.
Non
era enorme, considerò la ragazza, però era comoda: le poltroncine erano morbide
e carine e c’erano in totale dieci posti.
“Ciao
a tutti! Siete già pronti per partire?” si sentì chiedere da qualche parte.
Prima di riuscire a capire che la voce che aveva sentito era quella di due
scoiattoli saltellanti, in piedi sulla barra dei comandi, Rea ci mise un po’.
Strabuzzò gli occhi sperando che non fossero loro i piloti. Anche se, a ben
pensare, quella sarebbe stata la cosa meno strana in assoluto.
“Cip,
Ciop, il Re ha detto di andare senza di lui. Dobbiamo
recarci alla Torre di Yen Sid” li istruì Paperino,
sedendosi al posto di controllo. I due animaletti si fissarono un po’
preoccupati.
“Come
mai?” domandarono all’unisono.
“Faccende
da sbrigare, parole sue. Forza, andiamo!” rispose il papero.
“Come
sei nervoso, Paperino. Secondo me dovresti essere meno rigido!” lo prese in
giro Sora, sedendosi scompostamente su una delle poltroncine. Quello lo fissò
male.
“Se
almeno uno di noi non rimane con la testa sulle spalle chi manderà avanti
questa spedizione?”
Rea
si sedette su una di quelle poltrone comodissime e li osservò divertita: erano
una coppia simpatica, dopo tutto. Per lei era un sollievo trovare persone
divertenti in un momento come quello, nel quale non riusciva neanche a capire
cosa stesse succedendo intorno a lei. Ormai aveva capito che non erano nemici,
altrimenti l’avrebbero già uccisa, quindi tanto valeva godersi quell’allegria.
La
testa iniziò a girarle poco dopo, facendola sentire tremendamente debole e
stanca. Non si rese nemmeno conto di essersi addormentata.
“Quando i cuori delle Sette Principesse si riuniranno e
la chiave sarà presente, la porta dell’oscurità, Kingdom Hearts,
si aprirà lasciando fluire le tenebre nella luce”
“Chi si occuperà di Ventus,
adesso?”
“Nel cuore di Sora ci sono persone che stanno
soffrendo. Vi prego, aiutatele a vivere di nuovo”
“Trova la forza, solo tu puoi farcela”
“Siamo
arrivati, attenti all’atterraggio!”
Rea
sobbalzò quando la navicella si posò a terra in malo modo, con un grande
scossone e un rumore assordante.
“Ma
che…?”
“Siamo
arrivati, Bella Addormentata” le spiegò Axel,
annoiato, indicando un punto dietro di lei.
La
ragazza si voltò e rimase a bocca aperta: una torre enorme, alta almeno
centodieci metri, si stagliava nel bel mezzo di una specie di isola sospesa a
mezz’aria.
“Ma
che posto è questo?” domandò Rea, impaurita. Non era un luogo che avrebbe
scelto per la sicurezza, questo era certo.
“La
Torre di Yen Sid. Sulla cima c’è il maestro che ci
aspetta con Kairi” le spiegò il ragazzo, alzandosi e
andando verso l’uscita. Lei lo seguì, piuttosto in soggezione.
“Chissà
stavolta dove ci manderà Yen Sid. Riku,
tu che sei Maestro Keyblade non sai nulla?” chiese
Sora, guardando l’amico. Quello scosse la testa.
“No,
io ho solo portato qua Kairi e poi sono tornato a
prendere voi al Castello Disney” rispose.
“Non
vedo l’ora di cominciare questo nuovo viaggio” commentò il castano. Si fermò
all’entrata del palazzo e guardò il cielo.
“Forse
stavolta riusciremo finalmente a tornare a casa” aggiunse pieno di speranza.
In
quelle parole Rea lesse un’enorme malinconia che non si riusciva a vedere sotto
a quel sorriso perenne che Sora aveva in volto. Sentì una tristezza enorme
pervaderla pensando a casa sua: era come se il suo cuore stesse per esplodere
dal dolore.
“Ehi,
che succede?” le domandò Axel. Lei scosse la testa e
si asciugò le guance bagnate.
“Niente,
scusami” rispose. Subito dopo lo guardò.
“Perché
tu mi sei sempre accanto?” gli chiese, un po’ irritata. Ogni volta che capitava
qualcosa c’era lui vicino che la controllava: si sentiva come un animale
braccato.
“Ordini
superiori” disse piatto.
“Ordini
superiori? Ti è stato ordinato di seguirmi?”
“Precisamente.
Memorizzalo, perché non ti mollerò un attimo”
“Suona
un po’ come una minaccia”
“Perché
lo è”
“Mi
sa che tu ed io non potremo andare d’accordo, lo sai? Sei troppo borioso”
decise Rea, superandolo e iniziando a salire le infinite scale che si
allungavano verso l’altro. Axel fece un mezzo sorriso
e la osservò.
“Chissà”
commentò divertito.
Yen Sid, come comprese la ragazza quando entrò nel suo studio,
doveva essere parecchio più vecchio e saggio di ciò che sembrava: dal suo volto
traspariva quella conoscenza millenaria che Rea non aveva mai visto in nessun
altro e si vedeva che quello che diceva era solo un decimo di ciò che sapeva.
“Benvenuti
a tutti, detentori del Keyblade” li accolse serio.
Tutti gli altri si inchinarono e lei li imitò un po’ impacciata.
“Tranquilli,
non importano tante cerimonie. Il motivo per cui siamo qui lo sapete tutti, per
cui non starò a perdermi nei dettagli sul…”
Rea,
rossa in viso e con il cuore a mille, aveva alzato la mano, come faceva a
scuola, per interrompere l’anziano mago mentre parlava. Sapeva che
probabilmente era fuori luogo, però aveva una cosa da dire.
“Sì?”
la spronò l’uomo, sotto lo sguardo confuso degli altri.
“I-io
non ho idea del motivo per cui sono qui. Non so nemmeno dove sia, qui!”
sussurrò la ragazza, imbarazzata.
Sentì
il peso degli sguardi di sei persone su di sé e si chiese se non avrebbe fatto
meglio a stare zitta invece di fare domande sceme.
“Tu
ti chiami Rea, vero?” s’informò Yen Sid. Lei annuì.
“Allora
lascia che ti spieghi cosa è Kingdom Hearts” le disse
dolcemente, sorridendole.
“Molti
anni or sono, più di quelli che possiamo ricordare, c'è stata una guerra,
conosciuta come guerra dei Keyblade. Durante questa
guerra, due fazioni, quella della luce e quella dell'oscurità, combatterono per
il predominio su Kingdom Hearts, la fonte di luce
primaria dell'intero creato. Possedere Kingdom Hearts
significa essere l’uomo più potente del mondo e le persone, che nel principio
erano create di sola luce, così come tutti i mondi dispersi nel cosmo,
combatterono per conquistarla. Fu una guerra cruenta e durante il periodo di
lotte e odio fu perso il senso della luce e della purezza. L'oscurità vinse e
con essa Kingdom Hearts scomparve, inghiottita dalle
tenebre.
“Dodici
anni fa un uomo, chiamato Maestro Xehanort, cercò con
tutto se stesso di riuscire a creare l’arma più potente del mondo, l’X-Blade. Tramite essa, ovvero l'antitesi di Kingdom Hearts, pensava di poter recuperare la luce dall'oscurità e
usarla come meglio credeva. I tre possessori del Keyblade
dell’epoca, Terra, Aqua e Ventus,
combatterono con quanta più forza avevano per impedirlo ma questo portò Aqua alla morte, Ventus alla
perdita del proprio cuore e Terra alla perdita di sé stesso. Il vero scopo di
Mastro Xehanort era di impossessarsi di Kingdom Hearts”
Yen Sid fece un gesto con la mano verso di loro e si
materializzò al centro della stanza una specie di cuore fatto come la Luna. Rea
sobbalzò spaventata.
“Cos’è?”
squittì istericamente.
“Dieci
anni dopo, il nostro Sora si è trovato a scontrarsi con un nemico che cercava
Kingdom Hearts per trasformarlo in oscurità. La porta
che si trova tra il nostro mondo e il mondo oscuro fu sigillata per sempre e
pensavamo che con essa fosse scomparsa anche la possibilità per i nemici di
tornare qui, ma ci sbagliavamo: un'organizzazione malvagia, l'Organizzazione
XIII, in mancanza della vera fonte di luce tentò di recuperare i cuori perduti
da chi era caduto nell'oblio per creare un surrogato di Kingdom Hearts”
Con
un altro gesto fece scomparire la luna-cuore e al suo posto apparvero una
figura incappucciata con un mantello nero e subito accanto uno di quegli esseri
striscianti.
“L’Organizzazione
XIII era un gruppo di persone, chiamate Nessuno, che avevano perso il proprio
cuore. Quando una persona perde il proprio cuore, di essa non rimane che un
involucro vuoto, come gli appartenenti a questa… chiamiamola associazione”
“E
il cuore dove va a finire?”
“Finisce
negli Heartless. Come dice il nome, sono esseri che
un cuore non ce l’hanno, anche se ciò non è del tutto vero: gli Hertless hanno un cuore, ma è impregnato del potere
dell’oscurità. Sono dispersi nelle tenebre e non hanno più il controllo di ciò
che succede. Ogni Heartless ha il suo Nessuno e ogni
Nessuno ha il suo Heartless” spiegò il mago.
Rea
cercò di stare dietro a tutte quelle informazioni, anche se la testa iniziava a
farle male. Gli altri sembravano tutti tranquilli e pacati, l’unica a stare
male era lei. Li guardò uno a uno con gli occhi e notò un’impercettibile
freddezza nello sguardo di Axel.
“Comunque,
un uomo chiamato Xehanort, molto più giovane di
quello che aveva già tentato di impadronirsi di Kingdom Hearts,cedette il suo cuore all’oscurità,
scindendosi: il suo Heartless, sconfitto da Sora due
anni fa, si chiamava Ansem; il suo Nessuno si
chiamava Xemnas, colui che era a capo
dell’Organizzazione XIII”
“Un
simpaticone” commentò il rosso, con un sorriso ironico.
“Lo
conoscevi?” chiese la ragazza. Quello sospirò.
“Certo,
io ero il numero Otto dell’Organizzazione” confessò.
“Eh?”
“Rea,
vedi, i Nessuno che appartenevano all’Organizzazione XIII erano esseri uguali a
noi: senzienti e con una coscienza, la loro unica pecca era stata il cedere
all’oscurità. Quando sono stati sconfitti dal Keyblade
sono rinati come esseri completi, tornando alla loro forma iniziale” spiegò Yen
Sid.
Fece
sparire le due immagini comparse al centro della stanza per sostituirle con
quella di Xemnas.
“Lui
è Xehanort, o Xemnas,
chiamalo come vuoi. È colui dal quale dobbiamo aspettarci il peggio. A causa
delle sue mire di conquista adesso è scoppiata una guerra tra la luce e
l’oscurità, il bene e il male. Il vostro compito in quanto possessori del Keyblade è quello di riunire le sette principesse dal cuore
puro e combattere contro di lui” concluse il saggio.
La
ragazza ci mise un po’ per capire cos’era a non andare in quel discorso.
“Possessori
del Keyblade?” chiese. Lei non aveva nessun Keyblade, a quanto ne sapeva. Quello che aveva usato poco
prima era sparito.
“Sì.
Tu hai il potere di utilizzare un Keyblade” le rispose.
“Ma
io non ho nessun tipo di arma! Prima è apparso qualcosa, però poi è scomparso!”
esclamò lei. Sora ridacchiò.
“Guarda,
Rea” le disse.
Parò
davanti a sé la mano aperta e una chiave gigante si materializzò da sola nelle
sue mani. Le sorrise.
“Vedi?”
Chiuse
gli occhi e la chiave scomparve di nuovo.
“Il Keyblade compare quando lo evochi o, in alternativa, in
caso di pericolo. Subito dopo scompare” le spiegò tranquillamente.
“E…
e tutti voi avete il… il Keyblade?” domandò
balbettando.
Kairi, Sora, Riku e Axel annuirono, mentre
Paperino e Pippo scossero la testa.
Rea
si voltò di nuovo verso Yen Sid.
“Perché
io?” chiese.
Il
saggio sospirò.
“Nessuno
sa come il Keyblade scelga il suo possessore. Ha una
sua coscienza e decide da solo quali sono le persone più meritevoli” le
rispose.
Poi
ignorò la sua faccia scioccata e fissò tutti quanti.
“Adesso
la cosa più importante è radunare le sette principesse. Riku,
tu come Maestro Keyblade dovrai viaggiare col Re,
quindi aspetterai qui fin quando Topolino non sarà arrivato. Tutti gli altri
devono partire subito” ordinò.
Fece
un cenno verso una porta alla sua sinistra.
“Prima
di andare passate dalle Fate, loro vi vestiranno come si deve, poi tornate qui”
li istruì.
Annuirono
tutti e sei, mentre Rea era abbastanza titubante.
“Ma…”
“Andiamo,
ragazzina, muoviti” le disse Axel, spingendola nella
stanza accanto. La ragazza provò a ribellarsi ma lui era più forte e riuscì a
chiuderla in quello che sembrava uno spogliatoio gigante prima che riuscisse a
liberarsi.
Tre
donne anziane stavano parlando da una parte della stanza e si voltarono quando
tutti loro entrarono.
“Oh,
ci rivediamo! Quanto tempo, ragazzi miei, quanto tempo!” esclamò quella vestita
di verde.
“Un
anno quasi, vero?” chiese Sora, sorridendo e salutando.
“Dovreste
venire più spesso e non solo quando vi serviamo!” si lamentò quella vestita di
blu.
“Scusaci!”
disse il ragazzo.
“Non
importa. Di cosa avete bisogno, cari?” chiese l’ultima, vestita di rosa.
“Fate,
abbiamo bisogno di vestiti nuovi per la prossima missione. Si spera l’ultima
missione” rispose Riku, avvicinandosi.
“Ma
certo! Siete venuti nel posto giusto! Avvicinatevi, su! Le donne a sinistra e
gli altri a destra!” li istruì la rosa.
Rea
non capiva quasi cosa stesse succedendo ma si lasciò trascinare dietro ad un
separé rosso con l’altra ragazza, che le pareva si chiamasse Kairi.
“Oh,
bene, bene, bene, vediamo un po’! Ma che giovani e carine fanciulle abbiamo
qui! Direi che per voi andrà bene un abito sobrio!” decise la fata rosa.
Con
un colpo della bacchetta le cambiò entrambe (con somma gioia di Rea, che era
ancora in pigiama, anche se quello era l’ultimo dei suoi problemi) e, tutto
sommato, le nuove tute erano proprio carine: Kairi si
ritrovò addosso una specie di completo con pantaloncini celesti e camicetta
bianca; Rea, con un po’ di scorno, fu vestita con una gonna plissettata bianca
e una maglia rosa.
“Non
sono sicura che sia il mio genere” provò a dire, ma la fata la fulminò.
“Non
dire sciocchezze, vai benissimo!” la sgridò. Lei si zittì, messa in soggezione.
Il tutto,
considerò la ragazza, era durato meno di un minuto e mezzo e lei si ritrovò di
nuovo fuori dal separé prima di rendersi conto di essere già pronta.
Perché
tutto stava andando così velocemente? Non riusciva a stare dietro a quel caos
immenso in cui si era ritrovata suo malgrado.
“M-ma…”
Tutti
quanti erano già pronti per partire, ognuno con la propria e personalissima
uniforme. Axel la fissò con un sopracciglio alzato in
un modo che la fece vagamente rabbrividire.
“Ce
la fai a muoverti con quella gonna? Non vorrei che ti facessi male in missione”
le disse. Rea non comprese se il suo tono di voce fosse più preoccupato o
ironico, così sbuffò.
“Spero
di non dover venire con te” esclamò irritata. Il ragazzo sorrise.
“Invece
saremo in squadra insieme. Non possiamo rimanere tutti uniti, sarebbe
un’inutile perdita di tempo, così ci divideremo a coppie” la informò.
Lei
sospirò sconsolata e si chiese se quello non fosse per caso solo un lungo e
bruttissimo sogno.
Una
volta tornati davanti a Yen Sid, questo li guardò
soddisfatto.
“Bene,
adesso che siete pronti desidero che voi andiate a compiere il vostro destino.
Siate prudenti, mi raccomando” li salutò.
Kairi, Sora, Riku, Paperino, Pippo e Axel
fecero un piccolo inchino e Rea li imitò per sicurezza, poi uscirono tutti
fuori.
“Avete
sentito gli ordini, io devo aspettare Topolino. Voi ve la caverete da soli?”
chiese Riku, guardando divertito Sora. Lui si
arrabbiò.
“Ehi,
ho viaggiato per una miriade di mondi, lo so come si fa! E poi non sarà così
difficile trovare le principesse, una ce l’abbiamo già, no?” fece presente,
indicando Kairi. La ragazza arrossì.
“Già,
credo che sarà piuttosto semplice. Stai tranquillo, Riku,
questa volta combatteremo insieme” assicurò lei, sorridendo dolcemente.
“Chi
guida?” domandò Axel, interrompendo quel momento.
Paperino e Pippo si guardarono.
“Noi
useremo due Gummiship. Mentre Cip e Ciop si occuperanno della navicella del Re, noi verremo con
voi, anche se non lasceremo mai la postazione di controllo” risposero.
“Bene,
allora andiamo?” chiese il ragazzo, superandoli. Rea si chiese cosa lo
spingesse a essere così freddo e distaccato, ma non chiese nulla. Invece
arrossì e guardò gli altri.
“Ah,
ehm… i-io quindi sono con lui?” s’informò imbarazzata. Kairi
le sorrise gentilmente.
“Sì,
voi dovrete controllare solo due mondi. Ti spiegherà tutto Axel
durante il viaggio” le rispose.
“Ammesso
e non concesso che non si addormenti di nuovo!” gridò lui dalla Gummiship.
Rea prese un bel respiro. “Calmati,
appena riuscirai a sopportarlo” si disse. Entrò nella navicella e si beccò
un sorriso sarcastico da parte del suo compagno di viaggio. “Vuoi il cuscino?”
le offrì.
“Mi
racconti di queste principesse? Chi sono?” chiese Rea ad Axel
mentre Paperino comandava la Gummiship. Lui la guardò
e poi sospirò.
“Sono
sette ragazze il cui cuore è completamente privo di oscurità. Solitamente non
dovrebbero incontrarsi, soprattutto perché i passaggi che legano i mondi fino a
un paio d’anni fa erano chiusi, però a causa della guerra questa è la seconda
volta che devono riunirsi”
“Come
si chiamano e dove si trovano?” continuò ad indagare lei. Quella storia
iniziava a prendere una piega carina, tutto sommato, e l’idea di viaggiare e
conoscere nuove persone era allettante. E poi, tanto, era tutto solo un sogno.
“A
noi interessano solo due di loro, comunque sono Belle, Jasmine, Aurora, Cenerentola,
Alice e Biancaneve. Più Kairi, ovviamente” rispose il
ragazzo.
“Deve
essere bello” commentò Rea senza pensare. Axel la
guardò.
“Cosa?”
“Non
avere oscurità. Significa che sai che non puoi perderti nelle tenebre” spiegò
con una nota malinconica nella voce. Lui scrollò le spalle.
“Non
è così male, dopo tutto. Certo, un po’ tetro forse, però non è così differente
dall’essere nella luce” le assicurò.
La
ragazza strinse le labbra.
“Com’era
non avere un cuore?” domandò, nonostante il suo buonsenso le dicesse di farsi
gli affari propri. Lui la fulminò.
“Non
penso di conoscerti abbastanza per darti certe informazioni sul mio conto, ma
grazie dell’interessamento” rispose in malo modo.
“Scusa”
disse lei, mesta.
Scese
il silenzio nella Gummiship e Rea si sentì a disagio.
Tutta quella situazione era assurda e, soprattutto, ciò che era più assurdo era
la sua reazione: non stava urlando, sbraitando o piangendo, era stranamente
tranquilla. Quasi le sembrava di aver sempre saputo che la sua missione era più
importante di quella che aveva a casa.
Casa.
Quella
parola la fece sentire triste. Chissà come stavano tutti. Si stavano chiedendo
che fine avesse fatto? Oppure nessuno si era reso conto della sua assenza?
“Da dove vieni, Rea?”
Sobbalzò
e si guardò intorno: né Axel né Paperino avevano
parlato. Si era immaginata quella voce? O era stata reale?
“Qualche
problema?” le domandò il ragazzo, vedendola sudare. Lei scosse la testa e
deglutì.
“Tutto
ok” rispose poco sicura. Lui la fissò intensamente, capendo subito che qualcosa
non andava.
“Sicura?”
“Sì”
Sospirò
irritato: tutti i detentori del Keyblade si
comportavano sempre come se fosse tutto a posto, come se gli altri non
potessero capire i problemi che li affliggevano.
Aveva
amato sul serio Roxas e Xion, se così non fosse stato
non si sarebbe trovato lì in quel momento, però aveva sempre odiato i loro
comportamenti da “Posso farcela da solo”.
“Stiamo
arrivando” disse Paperino, riportando entrambi alla realtà.
Rea
si avvicinò al finestrino e rimase un po’ scioccata nel vedere una specie di
sfera tonda e colorata galleggiare nello spazio.
“Cos’è?”
domandò.
“Un
mondo” rispose il comandante.
“Un
mondo?!”
“Sì,
un mondo. È un mondo a sé, diverso a quello a cui sei abituata tu. Lì troveremo
la prima principessa” le spiegò il papero. “Un mondo diverso a quello a cui
sono abituata?” ripeté, chiedendosi di che cosa stessero parlando.
Fu
solo quando scese dalla Gummiship che comprese.
La
grossa stanza circolare e rossa in cui atterrarono era formata da piccoli
mattoncini refrattari e si chiudeva in un corridoio corto con una grossa porta
bianca.
“Vediamo
di recuperare Alice prima che quel gatto irritante ci trovi” disse Axel, passandosi una mano tra i capelli.
“Gatto?”
chiese Rea. Il ragazzo le sorrise.
“Poi
capirai” le assicurò trattenendo una risata divertita.
Paperino
li salutò mentre si incamminavano lungo il corridoio bianco e rosa.
“Dobbiamo
stare attenti soprattutto agli Heartless. Se non mi
ricordo male qui sono piuttosto aggressivi”
“Ogni
mondo ha il proprio Heartless?” domandò Rea.
“Sì,
diciamo di sì. Gli Heartless sono globali, ce ne sono
ovunque, però alcuni preferiscono determinati mondi piuttosto che altri” le
spiegò, aprendo la porta bianca.
Dietro
ad essa, ce n’era un’altra più piccola.
“Ah,
già, me n’ero dimenticato” sussurrò scocciato.
Sbuffò
e poi iniziò ad aprire una serie che parve infinita di porte, sempre più
piccole, fino a terminare con una alta quanto Rea, la quale, questo va
specificato, era rimasta ferma a fissarlo incredula. Aveva ormai rinunciato a
chiedere qualsiasi cosa, tanto le sembrava che per una domanda a cui dava
risposta ne nascevano dieci che rimanevano irrisolte.
Alla
fine riuscirono ad entrare in una specie di salotto con camino.
“Dovrebbe
essere da queste parti” si disse il ragazzo, guardandosi intorno.
“Cosa?”
“Questa!”
esclamò soddisfatto, reggendo in mano una bottiglietta. Vide il suo sguardo
confuso e sorrise.
“Se
la beviamo potremo passare di lì” le spiegò, indicando una minuscola apertura
nel pavimento. Era a grandezza topo, più o meno.
“Di
lì?” ripeté confusa.
“Esattamente.
Memorizzalo: questo posto è un concentrato di stranezze e assurdità. Cerca di
non impressionarti per niente, sarebbe inutile” le suggerì.
“M-ma…”
Axel non
la fece finire e prese un lungo sorso dalla boccetta, poi le fece l’occhiolino.
“Ci
vediamo giù” la salutò.
Ci
fu un piccolo “puff” e il ragazzo sparì in una
nuvoletta bianca. Rea strabuzzò gli occhi.
“Axel? AXEL!” chiamò nel panico.
“Quaggiù!”
rispose il ragazzo. Lei si guardò intorno e poi abbassò lo sguardo. Non
l’avesse mai fatto!
Lanciò
un urlo e si allontanò da lì, impaurita.
“T-t-t-t-t-t-t-t-tu…” balbettò.
C’era,
Axel, era sempre stato lì, solo che dall’alto del suo
metro e ottanta era rimpicciolito a circa quindici centimetri di altezza.
Sbuffò.
“Bevi
da quella bottiglietta, te ne prego!” la implorò innervosito.
“M-ma
come… tu come…” la ragazza non riusciva nemmeno a formulare la domanda, tanto
era sotto shock.
“BEVI!”
le ordinò, arrabbiandosi.
Rea
prese tra le mani la boccetta e la guardò, tremando. Chiuse gli occhi e si fece
forza, prendendo un lungo sorso del liquido trasparente che c’era dentro.
Attese
dieci secondi prima di riuscire a trovare il coraggio per controllare intorno a
sé.
La
prima cosa che vide fu il ragazzo abbastanza annoiato.
“È
stato così traumatico?” le domandò sarcastico. Lei scosse la testa, ancora un
po’ incredula.
“Sono
alta dieci centimetri” sussurrò, guardandosi le mani.
Era
stranissimo: la stanza era la solita, ma invece che osservarla dall’altezza di
un metro e mezzo (era molto piccola nonostante tutto) adesso la stava vedendo
da sotto. Il camino era enorme e il tavolo sembrava gigantesco.
“Andiamo,
dobbiamo trovare Alice e stare alla larga dagli Heartless”
la istruì Axel, precedendola.
Rea
rimase ferma un secondo, poi emise una specie di basso ringhio di frustrazione.
“Non
andare così veloce, non riesco a starti dietro!” lo sgridò, correndo per stare
al suo passo.
“Basta
che tu muova le gambe un po’ più velocemente”
“Detto
da uno altissimo come te sembra semplice! Anche se ora siamo entrambi alti
quanto il palmo di una mano le mie gambe sono più corte!”
“Roxas
non si lamentava tanto quando avevamo qualche missione” considerò lui,
attraversando il buco nel muro alla base del pavimento. La ragazza gli andò
dietro.
“Chi
diavolo è Roxas?” chiese esasperata. C’erano troppe cose che non sapeva e
questo la stava mandando fuori di testa.
Axel si
bloccò di botto nel bel mezzo di un giardino di siepi, improvvisamente cupo.
“È…
era… il mio migliore amico” rispose.
Rea
notò la sua tristezza e la sentìvicina,
come un pugno nello stomaco. Percepiva le lacrime che lui stava cercando di
trattenere e il suo cuore si colmò di sofferenza, una sofferenza tale che non riusciva
quasi a sopportarla. Per qualche motivo in quel momento le fu chiaro come il
sole che il comportamento del suo compagno aveva nascoste molte più cose di
quante poteva immaginarsi.
“Scusami”
sentì dire da sé stessa senza nemmeno rendersene conto.
“Non
ha importanza. Ora troviamo la principessina bionda, forza” rispose lui,
ricominciando a camminare. La ragazza gli andò dietro in silenzio, sentendosi
terribilmente a disagio.
Secondo
ciò che si ricordava Axel, dopo il giardino di siepi
avrebbe dovuto trovarsi il tribunale della regina rossa, anche se era da quando
erano atterrati con la Gummiship che qualcosa non gli
tornava.
Quando
faceva le missioni per l’organizzazione c’erano sempre sentinelle ovunque che
proteggevano i roseti e i possedimenti della Regina, ma ancora non avevano
intravisto nemmeno un essere vivente (chiamarli esseri umani era troppo, metà
di loro erano carte da gioco), nemmeno il Bianconiglio
col panciotto. Era tutto diverso da come se lo ricordava e sentiva che qualcosa
non quadrava.
“Questo
posto è tetro” commentò Rea, tremando lievemente.
Invece
di trovarsi al tribunale erano finiti in quella che una volta era la Foresta di
Loto e adesso si era ridotta ad un cumulo di macerie infinite.
Gli
alberi erano ormai spogli e la vecchia fioritura di fiori di loto era sparita
del tutto.
“Prima
non era così” le assicurò Axel, guardandosi attorno.
Aveva un brutto presentimento.
“In
che senso?” chiese lei, avvicinandosi un po’ al ragazzo. Quel posto era seriamente
da brividi, per non parlare del fatto che faceva anche freddo.
“Quando
venivo io qua, le cose erano molto più colorate e divertenti. Come l’entrata,
hai presente? Tutto dipinto in mille colori diversi, non… così tetro e buio” le
spiegò.
Superò
un ramo rinsecchito e proseguì senza preoccuparsi della ragazza, che inciampò e
cadde a terra.
“E-ehi!
Aspettami!” lo richiamò Rea, sentendosi una stupida.
Quando
provò a rialzarsi, però, qualcosa la bloccò a terra. Si guardò le caviglie.
“Ma
che… WAAAAAAAAAAAAAA!” lanciò un gridò spaventato quando una corda le si
strinse attorno ai piedi e fu tirata su di peso, rimanendo ciondolante legata
ad un albero.
Iniziò
a divincolarsi.
“Aiuto!
Aiuto!” si mise a gridare.
Axel tornò
indietro di corsa.
“Che
diavolo hai combinato?” l’aggredì arrabbiato.
“Io
niente! Sono solo inciampata! Liberami, ti prego!” lo implorò Rea, sull’orlo
delle lacrime.
Il
ragazzo le si avvicinò, ma poi sentì un rumore dietro di sé e si voltò di
scatto, sfoderando il Keyblade.
“Chi
va là?” domandò.
Ci
fu un fruscio, poi da un cespuglio apparve un uomo con un grosso cappello in
testa.
“Abbasso
la MapoccionaCaledetta”
esclamò questi, sorridendo.
Il
ragazzo rimase con la spada in mano e lo trapassò con i suoi occhi smeraldini.
“Chi
sei tu?” lo aggredì.
“La
domanda più giusta è chi sei tu. Questo è il mio parco giochi, non dovresti
stare qui” rispose l’uomo, ridendo.
Axel si rese
conto che somigliava a qualcuno, anche se non avrebbe saputo dire a chi.
“Mi
chiamo Axel, sono un amico” si presentò alla fine, abbassando
l’arma. Non la fece scomparire per paura che potesse arrivare qualche Heartless.
“E
io sono il Cappellaio Matto, al vostro servizio” ricambiò lui, togliendosi il
cappello e facendo un grosso inchino.
“Posso
sapere cosa state facendo qui?” domandò poi.
“Stiamo
cercando Alice” rispose il ragazzo, serio. Subito dopo guardò Rea con la coda
dell’occhio.
“E
tentiamo di liberare il salame appeso lì dietro” aggiunse ridendo sotto ai
baffi. La ragazza si dimenò.
“Non
chiamarmi salame!” esclamò infuriata.
Il
Cappellaio divenne serio.
“Alice,
dite? Beh, per quanto ne so io è alla corte della Regina Bianca, ma per
arrivarci… non so se sopravvivrete” li informò.
“Sappiamo
cavarcela” assicurò Axel. L’uomo lanciò un’occhiata a
Rea, che stava cercando di piegarsi verso le corde per liberarsi, poi alzò un
sopracciglio in un più che eloquente gesto di incredulità.
“È
più forte di come sembra” disse il ragazzo.
“Va
bene, se ne siete sicuri. Signorina salame, attenta!” le gridò, slegando con un
gesto della mano il nodo che teneva Rea legata all’albero.
Lei
cadde rovinosamente a terra, sbattendo il sedere sui rami secchi.
“Ahia!”
si lamentò.
Axel la fece
alzare, poi guardò il Cappellaio.
“Dov’è
la corte della Regina Bianca?” domandò.
“Sempre
dritto per di là, poi girate a destra e infine fate un giro su voi stessi”
rispose l’uomo ridendo istericamente.
Il
ragazzo sospirò, senza capire se quello che aveva detto era solo uno scherzo.
“Non
penso che questo matto ci sarà utile” commentò Rea, infuriata per la “Signorina
Salame”. Il Cappellaio mosse la mani in modo disordinato.
“Tecnicamente,
non sono proprio matto. Sono un Cappellaio Matto” precisò.
“Quale
dovrebbe essere la differenza?”
“Che
un Cappellaio Matto non è solo matto. Comunque io sto andando verso il castello
della Regina Bianca, se volete posso accompagnarvi” propose.
Axel stava per
rispondere di sì, ma la ragazza lo zittì con uno sguardo e gli si avvicinò
sussurrando.
“Siamo
sicuri di poterci fidare?”
“Abbiamo
altra scelta?”
“Io
propongo di abbandonarlo qui”
“Signorina
Salame, io ti posso sentire, lo sai? E comunque anche io mi abbandonerei qui,
di me solitamente non ci si può fidare” disse il Cappellaio, avvicinandosi di
soppiatto e infilandosi nel discorso. Rea sobbalzò.
“Va
bene, per me puoi venire con noi” decise Axel per
tutti.
“Ma…”
“Ti
ho detto che andiamo con lui” la zittì il ragazzo prima che potesse dire
qualsiasi cosa. Lei sbuffò e li seguì arrabbiata.
Effettivamente
il percorso non era dei migliori. Non per Rea, almeno, la quale aveva la triste
abitudine di cadere e farsi male anche in condizioni normali.
Non
c’era un pezzo di sentiero lungo più di dieci centimetri privo di ostacoli:
quando un ramo gigante, quando una pietra, quando si doveva arrampicare su un
albero e scendere dall’altro lato… era impossibile!
“Basta,
non ce la faccio più!” esclamò alla fine, appoggiandosi a un tronco per
riprendere fiato.
Si
guardò i vestiti, stupita del fatto che fossero ancora integri: probabilmente
le fate li avevano stregati per far sì che non si strappassero.
Axel le si
avvicinò, controllando che stesse bene.
“Dai,
fatti forza, non penso manchi molto. Cappellaio, quanto dobbiamo ancora
camminare?” domandò all’uomo. Quello si guardò intorno, valutando una
tempistica.
“In
fondo al sentiero a destra, direi. Cinque minuti di marcia, non di più”
rispose.
“Sentito?
Andiamo” le ordinò, tirandola per un braccio. Rea si lamentò con un gemito.
“Peggio
di così non potrebbe andare” disse stanca.
Come
se quelle parole avessero attratto chissà quale sfortuna, dal nulla apparvero
davanti a loro degli Heartless piccoli e colorati:
blu, rosso e giallo.
“Ancora?”
si chiese la ragazza, arretrando.
Axel fece
comparire il Keyblade nella sua mano e la fissò.
“Questi
attaccano con la magia, sta’ attenta!” esclamò. L’attimo dopo si era lanciato
verso i nemici a spada sguainata, menando fendenti a destra e a manca e
sconfiggendone uno dopo l’altro.
Rea
non riuscì a fare in tempo a capire cosa stesse succedendo che vide una serie
di cuori volare verso il cielo via, via che il ragazzo uccideva Heartless e sentì un dolore acuto al petto.
Si
portò le mani alla testa, sentendola scoppiare di pensieri e ricordi che non le
appartenevano.
“Voglio che lui soffra più di me,
voglio farlo stare male!”
“Non riesco ad alzarmi, mi sento soffocare!”
“Vi prego, aiutatemi a smettere
di piangere!”
“Basta!
BASTA!” gridò in preda al dolore.
Come
la prima volta il Keyblade le si materializzò in
mano, mandando lampi di luce in ogni direzione.
“Basta,
uscite dalla mia testa! Andate via!” urlò, fendendo l’aria con la lama della
spada.
Axel, che aveva
tolto di mezzo quasi tutti gli Heartless, la vide
accasciarsi al suolo piangendo e si preoccupò.
“Scusami,
ragazzo con i capelli per aria, la Signorina Salame si sente male” gli disse il
Cappellaio, indicandola.
“L’ho
vista!” rispose lui, acidamente.
Fece
sparire un ultimo nemico e poi si precipitò da lei, cercando di farla
riprendere.
“Rea?
Rea mi senti? Calmati!” provò a tranquillizzarla, ma la ragazza continuava a
piangere.
“Soffrono,
non li percepisci? Soffrono tutti quanti, è come un dolore infinito, non ha né
un inizio né una fine… soffrono e non so cosa fare per aiutarli” sussurrò,
tremando.
Il
cuore dell’ultimo Notturno Rosso scomparve in aria e Rea cadde svenuta tra le
braccia di Axel, che prontamente la sorresse.
Provò
a svegliarla ma inutilmente, così se la caricò in braccio e si alzò in piedi.
“Cappellaio,
quanto manca al castello?” domandò. L’uomo sorrise e indicò dietro di sé.
Axel la
guardò con le braccia incrociate, preoccupato. Quei nomi… avrebbe dovuto
conoscerne solo uno, quello che lui stesso aveva pronunciato qualche ora prima,
non tutti. Non era un caso che fossero proprio quei quattro che andava
ripetendo, non poteva esserlo.
Iniziava
seriamente a chiedersi chi fosse quella ragazza. Topolino aveva solo detto che
poteva usare il Keyblade, senza dare altre
spiegazioni. Sospirò.
“Scusami
se ti disturbo, volevo sapere come sta la tua amica” gli chiese la Regina
Bianca, entrando nella camera e sorridendo dolcemente.
Erano
arrivati lì con Rea stretta tra le sue braccia e il Cappellaio che parlava,
parlava e parlava. Senza quasi chiedere il loro nome aveva fatto portare dentro
la ragazza, prontamente visitata dai medici di corte.
“Sapevo
che sareste arrivati” gli aveva solo detto, per poi scomparire nei meandri del
castello.
“Sì,
tutto bene. Ancora non si è svegliata, ma almeno si muove” rispose lui,
passandosi una mano tra i capelli. La donna gli sorrise gentilmente.
“Starà
bene. Il suo cuore emana un’energia infinita, la sua missione la richiamerà
alla realtà” gli assicurò.
“Speriamo”
commentò il ragazzo, preoccupato.
La
Regina Bianca gli si avvicinò comprensiva.
“Va’
a riposarti, ci penso io a lei” gli disse. Più che un consiglio era un ordine a
cui, anche se detto nel modo più gentile possibile, non si poteva disubbidire. Axel annuì e uscì dalla stanza, ancora pensieroso, per
raggiungere la sua camera.
Rea
sentiva la testa pesante e non riusciva a capire cosa fosse successo.
Ricordava… no, in verità non ricordava niente, nemmeno la più piccola scemenza.
“Ben
svegliata, Rea” la salutò una voce, dolcemente. Lei aprì un occhio con molta
fatica e si guardò intorno: vicino al suo letto, seduta a terra, c’era una
donna col viso gentile e un sorriso tranquillizzante.
“C-chi
sei?” le domandò.
“Io
sono la Regina Bianca. Sei stata portata qui svenuta, ti abbiamo curata e messa
a letto. Come ti senti?”
La
ragazza ci pensò.
“Solo
un po’ stordita” rispose.
“È
normale. Un potere come il tuo porta a grande sofferenza, quando non si sa come
usarlo” commentò la donna, alzandosi con un gesto veloce.
“Un
potere… come il mio?” chiese Rea, sussurrando. La Regina annuì per poi
sorriderle.
“So
che vorresti saperne di più, scusami se ho parlato troppo, ma non è compito mio
spiegarti cos’è successo. Sono convinta, però, che capirai tutto a breve.
Adesso scusami, ma devo andare a vedere se tutto è pronto per il giorno Gioiglorioso, tu riguardati” si congedò. Lei si mise a
sedere sperando di fermarla, ma era già scomparsa.
“Simpatica.
No, sul serio, davvero tanto gentile” commentò acidamente.
Odiava
quando le persone dicevano qualcosa e poi ritiravano tutto o, peggio, le davano
un indizio per capire qualcosa e poi non spiegavano niente: era da sadici! Lei,
poi, era curiosa come un gatto e ogni volta ci cascava!
Sbuffò
e si alzò per sgranchirsi un po’ le gambe, poi le venne un dubbio: ma Axel dov’era?
Si
affacciò in corridoio per controllare se per caso non fosse lì, ma non c’era
nessuno in giro se non lei.
“Non
dovrei allontanarmi di qui” si disse riflessiva.
Tutti
i suoi buoni propositi, però, furono mandati in fumo quando vide un coniglio
bianco col panciotto attraversare il corridoio. Sgranò gli occhi e si chiese se
non fosse quello il famoso Bianconiglio che le aveva
nominato Axel qualche ora prima.
“Ovviamente
la cosa più saggia sarebbe stare qui. Ovviamente io non sono una persona
saggia” commentò, correndo dietro all’animale.
Svoltò
l’angolo e lo vide sparire dietro ad una porta, così lo seguì incuriosita: quel
posto era sì tetro, però pieno di cose da scoprire!
“Aspettami!”
gli gridò, andando più veloce che riusciva.
Quello
si fermò un attimo, mosse la coda e poi ripartì di corsa, sparendo alla sua
vista poco dopo.
Rea
si fermò col fiatone e si guardò intorno: dov’era? Possibile che fosse
scomparso così?
Si
appoggiò sulle gambe, stanchissima.
“Maledizione,
sono poco allenata per questo” osservò.
“E
adesso dove vado?” si chiese.
Notò
che era finita in una specie di grosso stanzone circolare dal quale si
diramavano quattro strade diverse e storse la bocca: si era persa.
Ne
imboccò una, sperando in bene.
“Io
non lo so più che cosa dovrei fare. Tutti si aspettano che io sconfigga questo Ciciarampa, ma non ne sono in grado”
“Alice,
la scelta è solo tua. Non si vive per accontentare gli altri”
Rea
uscì da una delle porte trovate in fondo a un corridoio e trovò la Regina
Bianca a parlare con una ragazza bionda. Si bloccò, temendo di aver interrotto
qualcosa, ma poi si rese conto che nessuno si era accorto di lei e si nascose
dietro ad una pianta.
La
bionda si girò leggermente, rivelandole il suo volto, e Rea sentì una
sensazione stranissima pervaderla, come se un ricordo lontano stesse cercando
di tornare alla sua mente e lei non riuscisse a focalizzarlo. Sentì girare la
testa e si portò una mano alla fronte, tentando di capire cosa stesse
succedendo.
Si
sentiva come se qualcosa le si stesse smuovendo dentro, un richiamo ancestrale
vecchio come lo stesso universo: era il richiamo di qualcosa di familiare, che
le apparteneva.
Si
appoggiò alla pianta.
“Ehi,
stai male?” le chiese qualcuno.
Alzò
lo sguardo e si trovò davanti la ragazza bionda, che la guardava preoccupata.
Sorrise con fatica.
“N-no,
tutto ok” rispose.
“Sicura?
Ti vedo pallida. Vieni, ti aiuto a metterti a sedere” le disse, allungando una
mano.
Quando
Rea la strinse fu come se un fiume in piena si riversasse nella sua mente,
facendola inginocchiare dal dolore.
“Grazie, Sora, per aver chiuso la serratura oscura. Tu
sei il prescelto del Keyblade”
“Come
hai detto scusa?”
Aveva
parlato ad alta voce?
“Nulla,
io… sono solo un po’ stanca” spiegò alla ragazza. “Alice… lei è Alice” le
suggerì una vocina in testa.
“Se
ti siedi è meglio, fidati”
“Grazie
Alice” disse lei, mettendosi su una panchina di pietra. La bionda la guardò.
“Ci
conosciamo noi due?” le chiese. La ragazza arrossì imbarazzata e poi scosse la
testa.
“No,
non credo” negò. Era vero, anche se era convinta di conoscerla non si erano mai
viste.
Quella
le si sedette accanto e poi sospirò.
“Meno
male. Insomma, non penderla male, ma in tutto questo caos se avessi anche
iniziato a dimenticare le persone sarebbe un guaio” disse guardando il cielo.
Rea la osservò.
“Qualche
problema?” domandò sinceramente interessata. Lei annuì.
“Sì,
diciamo che sono… un po’ confusa, tutto qui. Le persone si aspettano da me
qualcosa che io non posso proprio fare” le spiegò. La ragazza sorrise
comprensiva.
“Come
uccidere il Ciciarampa?” indagò. Un attimo dopo si
chiese da dove quella domanda le fosse venuta fuori e, soprattutto, cosa fosse
il Ciciarampa.
Alice
sospirò.
“Non
voglio farlo, tutto qui” rispose.
Rea
si chiese come dirle che doveva seguirla. Quello non le pareva proprio il
momento adatto per spiegarle la situazione. O no?
“Te
lo ricordi Sora?” esordì. La bionda si voltò di scatto.
“L’eroe
del Keyblade?”
“Esatto”
confermò.
“Ovvio
che me lo ricordo. Senza di lui due anni fa non saremmo stati in grado di
chiudere il sigillo sulla serratura oscura” rispose Alice.
La
ragazza sospirò e poi parò una mano davanti a sé. “Come aveva fatto? Ci aveva
solo pensato?” cercò di ricordare il modo in cui Sora aveva evocato il Keyblade.
Sentì
un lieve peso tra le dita della mano e aprì gli occhi: era comparso.
Alice
trattenne il fiato.
“Sei
una prescelta?” chiese incredula. Rea annuì contrariata.
“Così
pare. Non ho ancora ben capito cosa sia una prescelta, cosa sia un Keyblade o cosa significhi e, soprattutto, non ho capito
cosa io stia facendo, però sì, posso evocare una di queste spade strane”
confermò. La appoggiò sulla panchina e sospirò.
“Pensa,
sono dovuta partire con persone che a mala pena conosco e che mi hanno parlato,
dopo nemmeno cinque minuti di conoscenza, di viaggi interdimensionali
e principesse di luce, di oscurità, di serrature, di cattivi e organizzazioni,
di Nessuno e di Heartless. Non ho la più pallida idea
di cosa significhi tutto questo e, personalmente, vorrei solo tornarmene a casa
e svegliarmi domattina con mamma che grida che è tardi” le raccontò.
Vide
in cielo la Luna e sorrise.
“Però…
non so, sento che la cosa giusta da fare è rimanere qui, con Axel, anche se tutta la situazione non mi è chiara. Non importa
se io penso di non essere all’altezza della cosa, basta sapere che qualcuno
crede in me” le assicurò. Poi la guardò sorridendo.
“Vada
come vada andrà bene, penso”
“Perché
sei qui? Intendo dire, come mai gli eroi del Keyblade
sono tornati?”
“C’è
una guerra in atto, credo, e abbiamo bisogno di riunire le principesse.
Compresa te, temo” le spiegò.
Alice
rimase in silenzio per un po’.
“Il
destino alcune volte è strano. Chissà se davvero è già stato tutto scritto” si
chiese.
Si
alzò rimanendo zitta, poi si voltò verso Rea.
“Domani,
dopo la battaglia, verrò con voi. Voglio aiutarvi” decise. La ragazza la guardò
dolcemente.
Axel aveva
seguito tutto quel discorso nascosto da una parte, con le braccia incrociate, e
non gli piaceva per niente il modo in cui Rea aveva reagito alla vista di
Alice. Iniziava a comprendere chi… COSA fosse, ma questo non andava bene
affatto.
Aspettò
che la bionda se ne fosse andata e poi si avvicinò con l’agilità di un felino,
silenziosamente, alle spalle della ragazza, che stava guardando il cielo con
occhi persi.
Si
stampò sul viso un sorriso irriverente (come suo solito) e poi le si sedette
accanto.
“Ehilà!”
la salutò. Rea sobbalzò impaurita.
“Non
ti ho sentito arrivare!” esclamò.
“La
prossima volta farò squillare le fanfare, promesso” la prese in giro. La
ragazza sospirò e si rimise a fissare le stelle.
Axel rimase un
po’ zitto, rispettando i suoi pensieri, poi la sua indole chiacchierona ebbe la
meglio.
“Cosa
osservi con tanta concentrazione?” le chiese. Lei scrollò le spalle.
“Non
lo so, avevo bisogno di un po’ di pace. Stavo solo riflettendo sul fatto che io
non so per cosa sono qui” rispose tristemente.
“In
che senso?”
Rea
ci pensò.
“Vedi,
Alice prima mi stava dicendo che non riesce a sopportare questa situazione
nella quale tutti si aspettano da lei che uccida… qualcosa, non so cosa sia un Ciciarampa sinceramente. Comunque più parlava e più mi
rendevo conto del fatto che io sono partita con voi senza un motivo reale. Voi
vi conoscete da due anni, avete uno scopo, state cercando di raggiungere
qualcosa, ma io… io perché posso usare il Keyblade?”
spiegò.
Lo
fece apparire un’altra volta ancora e lo osservò.
“Ne
abbiamo di tutti i tipi, vero? Sora ha una chiave, tu quella specie di fiamma…
e io questo! Come mai cambiano in base alla persona?” domandò.
Axel fece
comparire il suo e lo fissò incuriosito.
“Non
ti so dire, mi spiace. Credo che si tratti di qualcosa che abbiamo nel cuore,
tipo uno specchio di ciò che siamo. Come membro dell’Organizzazione XIII potevo
comandare dei Chackram, che sono armi infuocate, per
cui il mio Keyblade è un Keyblade
di fuoco. Penso sia solo questo” le rispose.
Rea
mosse un po’ i piedi, sbattendoli tra loro e sorridendo.
“Che
fai?” le chiese il ragazzo. Lei rise imbarazzata.
“Niente,
una volta mi hanno raccontato una storia: se batti tre volte i talloni dei
piedi tra di loro e poi esprimi un desiderio, questo si avvererà” disse
arrossendo.
“E
tu che desiderio hai espresso?”
La
ragazza sorrise.
“Io
voglio solo tornare alla mia vita”
Axel sospirò e
si appoggiò alle mani, fissando il cielo.
“Com’è?
Intendo dire… cadere nell’oscurità senza sapere se mai ne uscirai. Cosa si
prova?” indagò Rea, incapace di tenere a freno la lingua. Lui abbassò gli occhi
color smeraldo e glieli piantò addosso, facendole provare la sensazione di
inadeguatezza più totale.
Stava
per scusarsi quando Axel prese un grosso respiro.
“Da
quando sono tornato ad essere Lea non lo so più” rispose.
“Lea?
Non sei Axel?”
Il
ragazzo rise, poi scosse la testa.
“Scusami,
mi dimentico sempre che tu sei nuova. Io sono Lea, anche se tutti continuano a
chiamarmi Axel. Prima di diventare un Nessuno il mio
nome era Lea, dopo esserlo diventato Axel, ma
nonostante io sia di nuovo un essere umano il nome da membro
dell’Organizzazione continua a seguirmi. A dire la verità, nessuno di quelli
che erano legati al nome di Lea esiste più, per cui anche Axel
non mi dispiace” le spiegò. Rea annuì.
“Ok,
penso di aver capito” disse.
“Comunque
non lo so com’è finire nell’oscurità. Per un tempo infinito sono stato convinto
del fatto che essere un Nessuno significasse non avere un cuore, ma nonostante
questo io provavo dei sentimenti per gli altri. Riesco a capirlo solo oggi, ma
come Nessuno ero quasi meglio che come persona” osservò contrariato.
La
ragazza aspettò un po’, poi la curiosità vinse sul buonsenso.
“Come
è successo che sei stato uomo-Nessuno-uomo?” domandò. Lui ci pensò.
“Non
ricordo quasi per niente quale fosse la mia vita prima di far parte
dell’Organizzazione. Sono stato per talmente tanto tempo nell’oscurità che le
cose accadute precedentemente sono state quasi del tutto rimosse dalla mia
mente. All'epoca in cui ero Lea, mi sono fatto accecare dal senso di potere che
mi davano le parole di Xehanort e ho ceduto
all'oscurità, convincendomi di non poter provare emozioni o sentimenti di alcun
genere. Eravamo tutti quanti dei gusci vuoti, in cerca di un cuore, anche
fittizio, pur di tornare a sentire ciò che sentivamo da umani. Anni dopo ho
conosciuto Roxas, il ragazzo che ho nominato prima” raccontò.
Rea
sapeva che era una cosa assurda, ma quei nomi gli suonavano familiari. Rimase
in ascolto.
“Ero
già parte dell’Organizzazione ed eravamo entrambi Nessuno, solo che, nonostante
questo, ci siamo affezionati l’uno all’altro. Siamo diventati amici quasi
subito e mi ricordava incredibilmente qualcuno. Solo molto tempo dopo, quando
ormai avevo perso Roxas, mi sono ricordato di quel ragazzino conosciuto a Radiant Garden, un tipo di nome Ventus,
che era uguale identico a lui. Stesso sguardo, stessomodo di combattere.”
Axel fissò le
stelle, ricordando quei momenti.
“La
verità è che un Nessuno ha un cuore, è solo convinto di non averlo. Durante
l’anno passato con Roxas e con Xion, un'altra ragazza
dell'Organizzazione, mi sono accorto di provare sentimenti quasi dimenticati,
di provare per loro affetto e istinto protettivo. Loro erano i miei migliori
amici ed io ho fatto loro una promessa” raccontò serio. Per un fugace istante
il pensiero che tutto quello che stava facendo fosse inutile lo sfiorò, ma lo
scacciò con forza.
Rea
attese.
“Cosa
c’entra Ventus con Roxas? E chi è Xion?”
chiese infine. Odiava le pause lunghe e ad effetto, le stuzzicavano la
curiosità e poi non riusciva a non fare domande.
“Ventus, Roxas e Xion dici?” Axel fece una risatina.
“Loro
sono tutti quanti Sora” rispose. Vide negli occhi della ragazza l’incredulità
più completa e scosse la testa.
“Ti dico
solo di Roxas: è il nessuno di Sora”
“Quindi
Sora è tornato umano?”
“Affatto,
Sora non è mai stato trasformato. O almeno, lo è stato ma è tornato subito sé
stesso” le spiegò.
Rea
si grattò una tempia.
“Non
farò altre domande, per ora, il mio cervello sta fondendo già così” decise. Lui
rise e poi sospirò.
“Te
la senti di rimanere con noi?” le domandò. Lei fece spallucce.
“Non
ho altra scelta. Dentro di me sento che è la cosa più giusta anche se sono
confusa” rispose.
“Siamo
tutti un po’ confusi, nessuno si è scelto questa missione, dobbiamo solo andare
avanti e credere in ciò che facciamo” le disse.
“Sì,
quello che dici è vero, però… non so, sento che c’è qualcosa di più” commentò
lei. Si mise una mano sul cuore e la strinse a pugno.
“So
che tutto questo mi porterà a capire qualcosa in più su di me. È come se
sapessi che questa strada è quella che mi sono scelta io da molto tempo, come
se fosse parte di me, capisci? È strano, lo so, ed è un discorso totalmente
delirante ma… nel mio cuore so che sto dicendo la verità” gli spiegò seria.
Axel vide quello
scintillio nei suoi occhi che aveva già visto molte altre volte negli sguardi
di coloro che possedevano un Keyblade e fu pervaso da
un’immensa sensazione di tristezza: quando le persone a cui teneva dicevano
così, finivano per scomparire. Roxas. Xion. Erano
tutti andati, spariti nel nulla, per finire tutti quanti nello stesso posto: il
cuore di Sora. Li aveva a pochissima distanza ma, nonostante questo, erano
tutti lontani anni luce da lui.
Proprio
come Rea in quel momento, mentre guardava le stelle con un misto di nostalgia e
solitudine negli occhi. In un attimo lui seppe che anche lei rischiava di
scomparire prima o poi, e questo non gli andava bene, affatto. Strinse i pugni
per evitare di dire qualcosa di inopportuno e fissò i suoi piedi.
“Che
ne dici di andare a dormire? Domani dovremo ripartire con Alice e tornare da
Yen Sid, sarà una lunghissima giornata” le propose,
alzandosi in piedi. La ragazza annuì sorridendo.
“Sì,
direi che ho proprio bisogno di riposarmi” ammise imbarazzata.
Si
alzò a sua volta stiracchiandosi un po’.
“Ci
vediamo domattina!” lo salutò, correndo nella sua camera.
Axel la guardò
sparire in fondo al corridoio e si scompigliò i capelli: quella storia del
poter provare sensazioni ed emozioni iniziava ad essere snervante. Quando era
convinto di non avere sentimenti era quasi meglio.
Una
volta a letto, si chiese quanto fosse già affezionato a Rea per avere così
presto la paura di perderla. La conosceva da trentasei ore, dopo tutto, anche
se se ne fosse andata per il momento non sarebbe
stato un problema. No?
Rea
aprì gli occhi e si trovò su una spiaggia. Era tutto buio e nel cielo non c’era
nemmeno una stella.
“Chi
sei tu?”
Si
alzò con un po’ di fatica, le mani tremanti che non riuscivano quasi a reggere
il suo peso. Qualcuno la stava guardando incuriosita.
“Chi
sei tu?” le ripeté.
“M-mi
chiamo Rea” balbettò mettendosi in piedi. Possibile che il suo corpo fosse
tanto opprimente?
Si
guardò intorno confusa: quando era arrivata lì? Ma soprattutto, cos’era lì?
Dove si trovava?
“Io
non ti ho chiesto come ti chiami, ti ho chiesto chi sei” le fece presente
l’altra ragazza che si trovava sulla spiaggia.
La
fissò confusa.
“I-io…
io sono… sono Rea…” rispose poco sicura. Al momento quella ragazzina che andava
a scuola con sua sorella e litigava con i suoi genitori le pareva mille miglia
lontana da ciò che realmente era.
“Hai
bisogno di una mano?” le domandò quella ragazza. Lei rifiutò la mano che le
stava porgendo, portandosi le dita sulle tempie e sentendo la testa scoppiare.
“Stammi
lontana, io non… non… AH!”
Gridò
dal dolore: immagini confuse e ricordi che non le appartenevano si riversavano
nella sua mente, facendola soffrire.
“Da qualche parte c’è un’isola
sulla quale nascono dei frutti a forma di stella che segnano un legame
indissolubile. Ho fatto questi portafortuna pensando a quei frutti”
Finì
tutto in un attimo, lasciandola ansimante e stesa a terra.
Si
appoggiò ai palmi delle mani, tirandosi un po’ su e puntando gli occhi sulla
ragazza, che la stava osservando preoccupata.
La
mattina dopo Rea era uno zombie. Aveva le occhiaie e durante la notte si era
agitata talmente tanto che aveva finito per sbattere contro la tastiera del
letto, facendosi male.
Vide
Axel arrivare in sala da pranzo con un sorriso a
trentadue denti stampato in faccia e lo odiò con tutta se stessa.
“Buongiorno!”
la salutò, sedendosi per fare colazione.
“Magari”
rispose lei, bevendo lentamente il suo caffè forte. Lui la squadrò.
“Dormito
male?”
“In
modo pessimo, sì. Tu, invece, sembri bello fresco e riposato” osservò con una
punta di acidità. Il ragazzo rise divertito.
“Si,
quando mi addormento niente può disturbarmi” confermò soddisfatto.
Mangiarono
in silenzio (con grande gioia da parte dell’emicrania di Rea) e poi raggiunsero
il gruppo dei guerrieri fuori dal palazzo.
Erano
in sette o otto e loro riconobbero solo la Regina Bianca e il Cappellaio Matto.
In verità, la ragazza aveva già visto un’altra volta anche il coniglio col
panciotto, ma non sapeva come si chiamasse.
“Dov’è
Alice?” domandarono alla reggente. Lei scosse la testa, desolata.
“Non
si è ancora vista e mia sorella sta arrivando. Temo che non verrà” rispose
gravemente.
Rea
e Axel si scambiarono uno sguardo confuso: ma non
aveva detto che avrebbe combattuto?
“Sono
qua!” annunciò una voce.
Si
voltarono tutti verso l’ingresso, dal quale apparve un’Alice in armatura e
spada scintillante.
Si
avvicinò a loro e sorrise a Rea.
“Grazie”
le disse semplicemente. Lei ricambiò il sorriso e poi annuì.
“È
la cosa giusta da fare” le assicurò.
La
Regina Bianca si alzò sul cavallo e poi guardò tutti i presenti.
“Oggi
è il giorno Gioiglorioso! Combattiamo per la liberazione
di Sottomondo!” esclamò.
Dalla
folla (poco numerosa) si levò un grido di gioia.
I
campi di battaglia non erano decisamente fatti per Rea, che, non appena
arrivarono davanti all’esercito della Regina Rossa, si sentì subito
terrorizzata.
Axel, che le
stava accanto, la vide impaurita e le sorrise.
“Tranquilla,
noi ci togliamo di qui appena iniziano a combattere. Non c’entriamo niente con
questa lotta e non ci immischieremo” la tranquillizzò. La ragazza si sentiva
strana, tutto quello che voleva era semplicemente fuggire, ma sapere che quelle
persone avrebbero iniziato una guerra la faceva sentire in colpa per la sua
codardia.
“Non
è questo” sussurrò in direzione del compagno, sentendosi invadere da una
tristezza enorme.
“Allora
che succede?” le domandò.
“Non
lo so, è come… come se ci fosse qualcosa di più, dietro alla lotta di queste
persone. Loro non vogliono combattere, non vogliono rischiare la morte, io lo
sento” spiegò bisbigliando.
In
quell’istante le due fazioni si scagliarono l’una contro l’altra ad armi
sfoderate, in mezzo a grida di incoraggiamento.
Rea
era rimasta immobile al centro del campo, incapace di camminare, di spostarsi
di lì.
Si
sentiva colma di disperazione: perché fare così? A che serviva?
Tutti
quelli che si stavano sfidando non volevano questo, non volevano dover
combattere, loro volevano la pace.
“Muoviti
di lì!” le gridò Axel, prendendola per un braccio e
trascinandola via velocemente.
Si
nascose dietro ad una roccia gigante, lontano da tutto quel baccano. Controllò
che nessuno li avesse seguiti, poi la fissò truce.
“Ma
che diavolo stavi facendo?” l’aggredì.
Rea
si accorse di star piangendo solo quando il ragazzo cambiò sguardo e nei suoi
occhi comparve la preoccupazione. Si mise una mano su una guancia sentendola
bagnata e si strofinò il viso cercando di asciugarsi.
“Scusami”
disse imbarazzata.
Lontana
da tutta quella gente si sentiva meno disperata. Quell’emozione distruttiva di
poco prima non era sua, lei poteva solo percepirla ma non proveniva dal suo
cuore: erano tutti loro a provarla.
“Mi
dici che ti succede?” s’informò lui.
Non
fece in tempo a rispondergli che una serie di Heartless
si materializzarono al loro fianco, pronti ad attaccare. Axel
sfoderò il Keyblade.
“Maledizione”
imprecò.
Anche
Rea decise di far comparire la sua spada: stavolta non voleva essere un peso
per nessuno.
Lo
affiancò con sicurezza.
“Io
sono pronta!” esclamò.
Il
ragazzo annuì e si lanciarono entrambi verso i nemici, fendendo l’aria con le
loro lame.
Fortunatamente,
considerò lui, quelli erano Heartless purosangue e il
loro cuore non era più nei loro corpi. Con gli emblema avevano avuto qualche
problema, il pomeriggio precedente, e questo non era un bene: non poter
sconfiggere gli Heartless più forti perché Rea si
sentiva male era decisamente un impedimento.
Lei,
dal canto suo, stava provando a colpire gli esserini neri ma non ci riusciva,
erano troppo veloci.
Uno
le si avvicinò alle spalle e, quando lei si voltò, lo vide saltarle addosso. Si
parò con le mani.
“AH!”
gridò impaurita.
Axel la protesse
col proprio Keyblade, distruggendo lo Shadow ed evitandole l’attacco.
La
guardò arrabbiato.
“Tu
non hai idea di come si utilizzi un Keyblade, vero?”
le domandò acidamente. La ragazza scosse la testa.
“Non
ne ho idea” confermò.
Sentirono
delle grida venire dal campo di battaglia e i due si sporsero a controllare,
preoccupati per Alice.
“Sei
cose impossibili, contale Alice: uno, c’è una pozione che fa rimpicciolire;
due, c’è una torta che fa ingrandire; tre, gli animali parlano; quattro, i
gatti evaporano; cinque, esiste un paese delle meraviglie; sei, posso uccidere
il Ciciarampa!” esclamò la bionda, saltando.
Si
mosse quasi automaticamente, fendendo l’aria con la spada e decapitando quella
specie di mostruoso drago.
Atterrò
di botto sulla roccia, sentendo una pietra sbatterle contro il braccio e fu
accecata dal dolore per un istante. La prima cosa che vide quando riuscì a
riaprire gli occhi fu la testa del Ciciarampa
rotolare a terra e sorrise: avevano vinto! Lei aveva vinto, ce l’aveva fatta!
Si
mise a ridere per scaricare la tensione.
Rea
e Axel attesero seduti in giardino. Avevano visto
Alice che veniva portata in una specie di trionfale parata improvvisata e
avevano tirato un sospiro di sollievo: era finita.
Al
momento la stavano aspettando per tornare al castello di Yen Sid e lasciarla lì fino a che tutte e sei le principesse
non fossero riunite. Era questo il piano.
Paperino
(che aveva portato la Gummiship nel piazzale del
giardino del castello della Regina Bianca) si avvicinò a loro.
“Ho
chiamato Re Topolino, ha detto che anche loro sono riusciti a recuperare una
Principessa, mentre Sora ci sta già aspettando da Yen Sid
per ripartire domattina” li avvertì.
“Domattina?”
chiese la ragazza, sfinita. Sbadigliò.
“Sì,
oggi rimarremo a riposarci al castello e ripartiremo domani” spiegò il papero.
“Bene,
almeno possiamo stare tranquilli per un po’” commentò soddisfatta.
“Io
non credo proprio” la smontò Axel, sorridendo. Lei
gli lanciò un’occhiataccia.
“Che
intendi dire?”
“Devi
imparare a usare il Keyblade, non posso vederti
menare colpi a caso come se stessi cercando di scacciare le mosche! Ti farò
allenare nel combattimento!” la informò. Rea si accasciò al suolo, distrutta.
“Ma
io voglio riposarmi!” si lamentò.
Paperino
fece un cenno col braccio, interrompendoli, e salutò Alice, che si avvicinò
tranquilla. Ora portava di nuovo il suo vestito azzurro e bianco e sembrava sé
stessa, non più una ragazza triste e disperata.
“Sono
pronta a partire, quando volete possiamo andare” disse sorridendo.
Il
ragazzo si alzò e tese una mano alla sua compagna, che l’afferrò controvoglia e
si tirò su.
“Tu
mi vuoi morta, vero?” gli chiese. Lui rise divertito e poi l’accompagnò alla Gummiship.
“No,
il mio compito è proteggerti” la corresse.
Rea
guardò con la coda dell’occhio le loro mani ancora unite e arrossì: ora avrebbe
anche potuto lasciarla, no? Però era un contatto piacevole, tutto sommato.
Si
sedettero tutti e quattro sulle poltroncine della navicella e, con suo grande
dispiacere, le loro mani si staccarono.
“Ok,
tutti pronti? Si parte!” annunciò Paperino, accendendo i motori.
La
ragazza deglutì e provò a calmare il battito accelerato del suo cuore, ma non
ci riuscì: quella sensazione di emozione allo stato puro le rimase dentro senza
che potesse fare niente per cancellarla.
Quando
Sora e Kairi arrivarono al Castello della Bestia, il
ragazzo notò subito il cambiamento.
“Wow!”
esclamò sorridente.
Per
come si ricordava lui, tutto quanto era cupo e tetro e le pareti erano scure e
spaventose. Invece ora il palazzo risplendeva di una luce splendente, le nuvole
che stavano perennemente nel cielo erano sparite e il sole illuminava il grosso
portone una volta nero e ora bianco.
“Cavolo,
la Bestia deve essere riuscito a rompere l’incantesimo! Andiamo Kairi, non vedo l’ora di rincontrarlo!” la spronò, correndo
a bussare all’ingresso.
Dette
un paio di forti pugni al legno e attese.
“Sì?
Chi è?” chiese un uomo basso e tarchiato, aprendogli.
Si
guardarono per un attimo, squadrandosi, poi il maggiordomo si illuminò.
“Sora!”
esclamò felice. Il ragazzo incrociò le braccia e inclinò la testa da un lato,
cercando di riconoscerlo.
“Vediamo,
tu sei…” fece un resoconto mentale di tutta la servitù della Bestia e poi
schioccò le dita.
“Tockins!” esultò. Lui annuì e si spostò per far entrare
entrambi.
“Qual
buon vento ti porta di nuovo da noi, Sora? Hai ritrovato poi i tuoi amici?”
chiese l’uomo, chiudendosi la porta alle spalle. Il castano fece segno di sì
con la testa.
“Questa
è Kairi, la mia migliore amica. Kairi,
lui è Tockins l’orologio” li presentò. Quello
tossicchiò imbarazzato e ritrovò il suo classico comportamento da maggiordomo.
Si aggiustò il gilet e lo guardò.
“Solo
Tockins, prego. Come vedi, l’incantesimo è stato
spezzato” precisò. Poi prese la mano della ragazza e la strinse.
“Incantato”
le disse. Lei rise imbarazzata.
“Altrettanto”
rispose.
In
quel momento un cane passò tra le gambe di Sora, che quasi cadde all’indietro.
“Ma
che…”
“Fermo!
Torna qui!” gridò un bambino, correndogli dietro e dando un colpo al ragazzo,
che inciampò e si schiantò a terra.
“Ehi!”
si lamentò, massaggiandosi il sedere.
“Stai
un po’ attento!” gli gridò. Quello si fermò e poi si voltò a guardarlo.
“Sora?”
domandò incredulo.
“Sora!”
esclamò lanciandosi tra le sua braccia. Lui rimase un po’ stranito e cercò di
capire chi fosse.
“Ehm…
Chicco?” chiese. Il bambino annuì felice.
“Proprio
io!” confermò.
“Chicco!
Quante volte ti devo dire di non disturbare gli ospiti?” lo sgridò una signora,
arrivando dal salone. Il castano si voltò sorridente.
“Mrs.
Bric?” indovinò. La donna sobbalzò, piacevolmente
stupita.
“Ma
guarda! Sora! Qual buon vento?”
Il
ragazzo si alzò con ancora Chicco attaccato al collo che lo stringeva.
“Avevo
bisogno di parlare con Belle. Vive ancora qui, vero?” s’informò. Mrs. Bric annuì eccitata.
“Oh,
sì, sì, sì! Ormai lei e il padrone si sono sposati!” rispose.
“Davvero?
La Bestia e Belle si sono sposati?” domandò Sora, sorridendo felice. La donna
annuì.
“Qualcuno
mi chiama?” chiese una voce alle loro spalle.
Dall’ala
ovest, con in mano un libro, si stava avvicinando un ragazzo alto e con i
capelli lunghi e castani. Osservò tutto il gruppo riunito nell’ingresso,
incuriosito.
“Che
succede?” indagò.
Tockins si
schiarì la voce e poi indicò i due ospiti.
“Abbiamo
visite” annunciò.
Il
castano lo guardò incredulo, spalancando la bocca.
“Bestia?”
esclamò. L’uomo rise divertito.
“Era
da un pezzo che nessuno mi chiamava più così” commentò. Poi guardò meglio i nuovi
arrivati e sorrise.
“Kairi! Sora!” esultò felice, avvicinandosi.
Un
po’ dopo, davanti a una tavola imbandita a festa per l’occasione, Sora e Kairi si stavano rilassando e mangiavano per riprendere le
forza.
“Quindi
come mai siete tornati a trovarci?” domandò il principe, pulendosi la bocca con
un tovagliolo. I due ragazzi si guardarono e poi cambiarono espressione,
diventando un po’ preoccupati.
“Beh,
ci sono dei problemi con… con…”
“Con
Xehanort. Ha attaccato nuovamente e noi siamo partiti
per recuperare le principesse” spiegò Kairi,
guardando l’uomo.
Quello
sospirò.
“Siete
qui per Belle, ho capito” rispose gravemente. Si alzò poggiando le mani sul
tavolo, cupo.
“Vado
a chiamarla per voi” decise tristemente.
Sora
percepì la sua malinconia e si sentì strano: era cambiato. La Bestia era
cambiato, tremendamente: all’epoca dell’ultima battaglia che avevano combattuto
fianco a fianco non avrebbe mai lasciato che Belle andasse con loro. Ben
sapendo che la sua condizione di Principessa dal cuore puro le imponeva alcune
cose, si sarebbe battuto per tenerla al castello e proteggerla, mentre ora,
invece…
“Com’è
possibile che abbia accettato di farci vedere Belle così velocemente?” domandò Kairi, impensierita.
“Ci
stavo riflettendo anche io” disse il ragazzo.
La
Principessa arrivò in quel momento, col suo classico vestito lungo e celeste e
un sorriso dolce sul volto.
“Ciao
ragazzi! Quanto tempo! Sono così felice di rivedervi!” esclamò avvicinandosi
per abbracciarli.
Loro
ricambiarono con gioia, ma poi notarono che la Bestia non era tornata indietro
e si scambiarono un’occhiata preoccupata.
Sora
ricordava bene dov’era la stanza della Bestia: ala ovest. Era lì che l’avevano
trovata l’ultima volta, quando Xaldin aveva preso il
possesso della sua mente, convincendolo che Belle avrebbe rubato la rosa.
Bussò
alla porta e attese, ma nessuno andò ad aprirgli.
“Si
può?” chiese, entrando comunque.
La
camera era del tutto cambiata: prima era cupa, con i mobili graffiati, le tende
rotte e il tavolo che sosteneva la rosa incantata; ora, invece, tutte le pareti
erano stati dipinte di bianco e la mobilia era stata sostituita.
“Cavolo!”
esclamò il ragazzo, dimenticandosi per un momento del motivo per cui si trovava
lì e mettendosi a controllare tutto quanto, incredulo.
“Vedo
che tu, al contrario di questo posto, non sei cambiato per niente” commentò il
principe, seduto su una sedia davanti alla finestra.
Guardava
il parco, ormai tornato al suo originale splendore, e si teneva la testa con
una mano.
Voltò
lo sguardo verso di lui e sorrise stancamente.
“Lo
sapevo che portavate guai anche stavolta” disse.
Sora
incrociò le braccia, imbarazzato.
“Mi
spiace di dovervi chiedere di nuovo uno sforzo simile, ma non possiamo fare
altrimenti, noi…”
“Non
mi interessa. Qualsiasi cosa sia, mettete di nuovo in pericolo Belle. La mia
Belle” lo interruppe. Forse non era così cambiato, in fin dei conti.
“Ascoltami
Bestia, io…”
“Adam”
“Come?”
“Io
non sono più la Bestia, io sono Adam! Adam, capito?” disse il principe, quasi
ringhiando.
“Scusami,
non conoscevo il tuo nome prima dell’incantesimo, non volevo farti arrabbiare!”
esclamò il ragazzo, iniziando a sentire odore di guai.
L’uomo
si prese la testa tra le mani, scuotendola.
“Perché
ogni volta che vieni al mio castello mi porti solo guai? Heartless…
i membri dell’Organizzazione… con te non riesco mai ad essere tranquillo” gli
fece presente, serio.
Si
alzò barcollando e gli puntò addosso i suoi occhi celesti.
“Voglio
che ve ne andiate, Sora. Prendi Kairi e vattene e,
per favore, in nome della nostra amicizia, non tornate. Lasciate in pace Belle,
non mettetela in pericolo, hai capito?” lo minacciò.
Nel
tono della sua voce, nel timbro che stava usando… Sora ce la rivide: ci rivide
la vecchia Bestia che per più di una volta aveva combattuto con lui, preda dell’ira
e della collera, incapace di sconfiggere i propri demoni e le proprie paure.
Capì
che era meglio tornare dagli altri e dargli un po’ di tempo per riflettere,
così uscì dalla stanza e si recò da Belle.
Kairi era
rimasta nella sala da pranzo con Belle a parlare.
La
donna era molto preoccupata e si portò una mano al viso.
“Adam
sicuramente non sarà d’accordo con questa cosa, anche se io sono solo felice di
potervi essere d’aiuto. Qui le cose ormai vanno bene, gli Heartless
non si vedono più da dopo che Sora, Paperino e Pippo ci hanno aiutati l’ultima
volta e l’incantesimo della strega è stato spezzato. Io non servo, però…”
“Però
non sai se Adam sarà felice del tuo compito, vero?” le chiese la ragazza. Lei
annuì.
“Purtroppo
è sempre molto apprensivo e benché ormai lui sappia che non corriamo più alcun
pericolo continua costantemente a controllare ogni angolo del castello per
assicurarsi che gli Heartless non tornino. Anche
quando lo rassicuro non mi ascolta. Non so più cosa fare, questa per lui è
diventata un’ossessione” spiegò tristemente.
Kairi
mise una mano sulla sua sorridendole dolcemente.
“Sono
sicura che andrò tutto bene. Sora è andato a parlarci, risolverà tutto lui” le
disse.
Come
evocato da quelle parole il castano apparve alla porta della sala da pranzo,
con la testa bassa e sospirando.
“Mi
dispiace, ma non ha voluto ascoltarmi” commentò tristemente.
Belle
chiuse gli occhi, preoccupata.
“Sta
tornando ad avere lo stesso carattere aggressivo di prima e questo mi spaventa.
Non riesce a combattere da solo la sua oscurità, lo sappiamo bene tutti e tre,
e io non posso lasciarlo ora. Mi spiace, davvero” decise, alzandosi e uscendo
dalla stanza e lasciandoli soli.
Sora
si abbandonò su una sedia e poi appoggiò la testa tra le braccia che aveva
incrociato sul tavolo, depresso.
“Non
sono nemmeno in grado di convincere Adam che Belle con noi è al sicuro. Sono
una frana” commentò.
Kairi gli
si avvicinò.
“Non
buttarti giù, Sora. Non hai mai fatto così, tu di solito combatti fin quando le
persone non cedono! Che ti succede?” gli chiese. Il ragazzo la guardò.
“Non
lo so” ammise.
Era
da un po’ che si era accorto di essere cambiato: dopo che Riku
aveva avuto la nomina come mastro Keyblade lui si era
sentito tremendamente triste. Non voleva dare a vedere la tristezza che provava
nel capire che, nonostante il suo impegno, Riku era
il meglio anche in quello, ma non poteva però cancellarla. Lui la provava e questo
era un dato di fatto che non si poteva discutere. Si sentiva semplicemente un
inetto.
“Ascoltami,
come ho detto prima a Belle, andrà tutto bene! La minaccia Heartless,
almeno in questo mondo, è stata sconfitta, quindi non dobbiamo preoccuparci di
questo, sono sicura che…”
Ci
fu un rimbombo che fece tremare le stoviglie sul tavolo e poi una specie di
ringhio.
“Oh
no” esclamò il castano, alzandosi di scatto e correndo fuori da lì. Kairi lo seguì.
Nell’ingresso
c’era Tockins con in braccio il piccolo Chicco
tremante, accerchiati dagli Heartless.
“Maledizione!”
sussurrò Sora, evocando il Keyblade.
Si
lanciò verso i nemici, ma una volta davanti a loro il suo cuore fu assalito dai
dubbi.
“Potresti
non esserne all’altezza, no? In fin dei conti hanno scelto un altro mastro Keyblade, non tu. Magari non sei nemmeno un vero eroe, sei
solo una specie di pedina, ci hai mai pensato?” sussurrò una voce nella sua
testa.
Cadde
in ginocchio con le lacrime agli occhi e un peso sul petto.
“Sora
no!” esclamò Kairi, saltando davanti a lui e
brandendo la sua spada.
Iniziò
a fendere l’aria, colpendo gli Heartless e facendoli
sparire in piccole nuvole di fumo nere e proteggendo anche Tockins
e Chicco.
Da
quando aveva il Keyblade si sentiva più forte e
sicura di sé, era come se tramite quello potesse finalmente dimostrare ai suoi
amici di essere alla loro altezza, di non dover essere tenuta da una parte per
paura di farle del male.
Sentì
un boato dietro di sé e si voltò spaventata.
Adam,
munito di una spada argentata, era arrivato di corsa, infuriato.
“ANDATEVENE
DAL MIO CASTELLO!” gridò in direzione dei nemici, uccidendoli.
Aveva
uno sguardo spaventoso, era come se nei suoi occhi ci fosse ancora quella
Bestia che era stato un tempo.
Si
girò verso Sora, ancora inginocchiato a terra, ed emise un respiro strozzato.
“Ti
avevo detto di lasciare questo posto, mi pare. Ogni volta porti solo guai! Sono
tornati gli Heartless non appena avete messo piede
nella mia tenuta e inizio a pensare che siate voi a farli materializzare qua!
Andatevene. Ora!” intimò.
Kairi si
mise davanti all’amico, infuriata.
“Non
trattarlo così!” esclamò. L’uomo la fulminò.
“Quando
arriva al mio castello puntualmente saltano di nuovo fuori quegli stupidi Heartless! Non voglio sentire ragioni, dovete andare via di
qui prima che mi arrabbi sul serio!”
“Ma
noi abbiamo bisogno di Belle!” urlò la ragazza, sostenendo il suo sguardo.
“BELLE
NON VERRA’ CON VOI! NON E’ AL SICURO AL DI FUORI DI QUESTE MURA!” le gridò Adam
addosso.
“E a
te chi lo dice?” gli domandò lei, arretrando un po’ per coprire ancor di più
Sora.
L’uomo
non riuscì a trovare una giusta risposta e si zittì, ancora col fiatone.
“Chi
ti dice che noi non la proteggeremo? Che non ci metteremo in mezzo per salvarle
la vita in caso di bisogno? L’abbiamo già fatto, c’eri anche tu alla Fortezza
Oscura, ti ricordi? Belle non corre nessun rischio con noi, siamo tutti
insieme!” cercò di rassicurarlo. Mise davanti a sé il Keyblade
e glielo fece vedere.
“E
poi noi Principesse siamo in grado di proteggerci da sole, lo sai benissimo.
Belle te lo ha già dimostrato, dico bene? Lei è forte, non serve che tu le stia
addosso. Io sono una Principessa e, per quanto i miei amici abbiano cercato di
starmi vicino, solo io posso decidere cosa fare” gli disse. Abbassò il Keyblade.
“Ti
prego, non farti sottomettere dall’oscurità anche questa volta. Combattila,
Adam” gli chiese.
L’uomo
arretrò di un paio di passi, poi si voltò.
“Andatevene”
sussurrò semplicemente, per poi salire le scale e sparire nell’ala ovest.
Kairi
sospirò tremante: che paura! Poi si ricordò di Sora e si voltò verso di lui,
preoccupata. Gli si inginocchiò accanto.
“Sora,
tutto bene?” chiese. Il ragazza annuì, ancora con le mani a terra.
“Scusami,
non… non ho potuto usare il Keyblade” commentò
tristemente, tirandosi su.
Si
sentiva pesante e affaticato, come se un macigno stesse sulle sue spalle.
“Ma
cos’è successo? Ti hanno per caso colpito?”
Lui
scosse la testa e poi cercò di sorriderle per tranquillizzarla.
“No,
figurati! Nessun Heartless può colpirmi, mi è solo
girata la testa!” minimizzò. Kairi gli accarezzò un
braccio.
“Sora,
se ci fosse un problema… tu me lo diresti, vero?” gli chiese seria. Il ragazzo
annuì.
“Certo.
Fidati di me” assicurò. Lei strinse le labbra e poi sorrise.
“Va
bene, l’importante è che ora tu ti senta meglio” commentò.
“Ascoltami,
ti prego!”
“Belle,
non c’è modo di farmi cambiare idea! Non va bene che tu ti esponga tutte le
volte per salvare l’universo! È pericoloso!”
“Ma
è la cosa giusta da fare, Adam, e tu lo sai! Hanno bisogno di me! Io non ho
chiesto di essere una delle Principesse e anche io vorrei vivere una vita
tranquilla qui al castello, ma non posso assolutamente rifiutare ciò che sono!”
“Belle,
ma non capisci? Se ti perdessi un’altra volta io…”
L’uomo
aveva preso Belle per le spalle e l’aveva guardata dritta negli occhi,
disperato.
Abbassò
la testa mestamente.
“Io
non sono così forte” disse semplicemente.
Lei
gli mise una mano sulla guancia, accarezzandolo.
“Lascia
che io ti aiuti a sconfiggere queste tue paure, Adam. Lasciami dimostrare che
anche io so proteggermi da sola. Fidati di me, per una volta” gli chiese
dolcemente.
Lui
le prese le mani.
“Scusami,
ma non posso, non posso proprio” rispose.
Senza
che Belle se ne rendesse conto le aveva stretto attorno ai polsi un paio di
manette. Le guardò stupita.
Sora e Kairi erano nell’ingresso che stavano parlando con Lumière quando Tockins arrivò correndo. “Aiuto! Aiuto!” gridò, fermandosi davanti a loro. Il castano lo guardò impensierito. “Che succede? Altri Heartless?” domandò. L’uomo scosse la testa. “No, peggio! Il padrone!!! Oh, il padrone!” balbettò il maggiordomo in risposta, prendendosi la testa tra le mani. “Adam? Che gli è capitato?” “Ha… lui ha chiuso Belle nei sotterranei!”
Tornato nella sua camera, Adam iniziò a sentire di nuovo quel peso sul petto.
Ormai pensava di non poterlo sentire più: dopo che si era trasformato di nuovo in sé stesso e che l’incantesimo era stato spezzato era convinto che la maledizione che lo aveva colpito quando era Bestia non potesse ripresentarsi. Invece adesso stava per tornare ad essere di nuovo preda dell’oscurità, di quella paura che lo attanagliava all’epoca, di quel terrore di rimanere solo, di non essere all’altezza di riuscire a proteggere le persone che amava. Si appoggiò barcollante al tavolo, dando involontariamente un colpo alla coppa che c’era sopra e facendola cadere rovinosamente a terra. “La testa… mi fa male” sussurrò, aggrappandosi al bordo con una mano e inginocchiandosi. “Lei ti lascerà… ma non lo vedi? Ha già cominciato a volersi allontanare da te… e tu non sarai lì… non potrai proteggerla” “Chi è che parla?!” ringhiò guardandosi intorno. Ma lo sapeva da solo. “Io sono te, chi altri? Lo sai che pensi queste cose, che sei sicuro che lei ti lascerà solo, e di chi è la colpa? Di quel ragazzino col Keyblade” “No… no” balbettò, stringendosi la testa con le mani, provando a far uscire quella voce. “L’unico modo sarebbe quello di eliminarlo, non credi?” “Uccidere… uccidere Sora…” disse. “Adam, no!” esclamò Kairi, entrando di corsa nella sua stanza. Lo trovò inginocchiato a terra, nella stessa posizione in cui aveva visto Sora poco prima nell’ingresso. Fu assalita da un dubbio, ma lo scacciò con forza: era impossibile che il suo amico fosse preda dell’oscurità. Il principe alzò lo sguardo su di lei, quasi senza vederla. “È colpa sua… è colpa di Sora…” ripeté. “Adam, no, non farti di nuovo impossessare dalla paura! Ti prego!” gli gridò preoccupata. Lui si premette le dita sulle tempie, respirando affannosamente dal dolore. “Belle… non voglio… non posso…” “Adam te ne prego, combattila! Combatti questa tua insicurezza e sconfiggila! Io so che puoi farcela!” “M-ma lei mi lascerà di nuovo…” “Belle ti ama, ma il suo compito è anche quello di proteggere tutto l’universo. Non ti lascerà mai, e tu lo sai! Ti prego, torna in te!”
Sora, nel frattempo, stava correndo alle segrete. Ci era già stato una volta, quando aveva dovuto liberare la servitù aiutato da Pippo e Paperino. Tockins, che gli stava dietro con molta fatica, era nel panico più completo. “Oh cielo, oh cielo! Povera Belle, chissà come sarà spaventata!” andava ripetendo. “Tranquillo, ci penso io!” rispose il castano. Quando arrivarono alla porta e provarono ad aprirla, però, questa si rivelò chiusa. “Non si apre!” esclamò il ragazzo, continuando a tirare e spingere. Tockins iniziò a muovere le dita convulsamente sul panciotto, guardandosi attorno nervoso. “Come facciamo adesso?” chiese. Non gli veniva in mente niente, aveva la testa completamente svuotata. Provò ad evocare il Keyblade e lo guardò. “Speriamo che funzioni nonostante il mio tentennamento di prima” sussurrò preoccupato. Lo alzò davanti a sé per far scattare la serratura; la punta della chiave si illuminò, aprendo la porta senza che ci fosse bisogno di altro sforzo. Sora esultò. “Funziona!” esclamò. Spinse le pesanti ante di pietra verso l’interno ed entrò nella piccola segreta. Belle era legata al muro, con i polsi fissati a delle manette. Quando li vide alzò la testa, speranzosa. “Siete venuti a liberarmi! Grazie!” disse sull’orlo delle lacrime. “Ovvio che siamo venuti! Dobbiamo far tornare Adam in sé, non possiamo lasciarlo in queste condizioni” ripose il ragazzo, rompendo le catene con un colpo preciso del Keyblade. La principessa annuì e poi si alzò, negli occhi la scintilla di chi voleva aiutare colui che amava. “Deve riuscire a combattere la sua paura e io lo aiuterò” decise. Sora le sorrise felice
Adam si sentiva strano, era come se il suo corpo non fosse più suo. “Belle ti ama, ma il suo compito è anche quello di proteggere tutto l’universo. Non ti lascerà mai, e tu lo sai! Ti prego, torna in te!” Kairi aveva ragione… non poteva non fidarsi così di sua moglie, della donna che aveva sposato. Si prese la testa tra le mani, iniziando a barcollare dal dolore. “Lei… l-lei…” “Adam, attento!” Non fece in tempo a voltarsi che la ragazza si era già lanciata in avanti col Keyblade alla mano e aveva fatto fuori due Heartless. La guardò un attimo, colpito da un pensiero tremendo: non era colpa di Sora se gli Heartless erano apparsi di nuovo; non era colpa di Belle se aveva paura di perderla. Era colpa sua, sua solamente. Quando aveva visto la Gummiship arrivare si era sentito perduto: Sora e i suoi amici gli mostravano una realtà che lui ancora non riusciva a comprendere, una realtà nella quale la fiducia reciproca e il bisogno di proteggere le persone amate erano quasi più importanti della propria vita. Loro gli mettevano paura perché loro sapevano come si ama, mentre lui… lui cosa ne sapeva dell’amore? Si bloccò. “Mi dispiace…” sussurrò. Si accasciò al suolo, inginocchiato nella posizione di un uomo disperato. “Mi dispiace” ripeté. Kairi si voltò verso di lui, senza capire. “Perché?” domandò. “Scusatemi, io vi ho causato un sacco di guai, è colpa mia se…” “Shh, non voglio che tu lo dica” lo interruppe una voce. Alzò lo sguardo sulla porta, dove Belle lo stava guardando dolcemente. Gli si avvicinò, sedendoglisi accanto. “Non è colpa tua, Adam, non lo è mai stata. Ti prego, ti scongiuro, fidati di me e combatti la tua paura. Abbandonala proprio come hai abbandonato il corpo della Bestia” lo implorò. Gli accarezzò una guancia sorridendogli. “Te lo ricordi com’eri prima di riuscire ad amarmi? Ti ricordi quella sensazione? Per favore, fa’ in modo che rimanga nel passato” gli chiese. L’uomo abbassò gli occhi, fissando il pavimento. “Scusami, Belle. Scusami davvero” sussurrò in risposta.
“Allora io torno presto! Farò in modo di stare lontana dai guai, te lo prometto” “Tranquillo, Adam, la proteggeremo noi!” sorrise Sora, alzando il pugno in segno di vittoria. Il principe si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. Lo fissò serio. “Mi raccomando, prenditi cura di lei” disse. Il ragazzo annuì. “Lo farò te lo prometto” rispose. Tese la mano. “Scusami per tutto” L’uomo la guardò, poi scosse la testa. “No, scusami tu” lo corresse, abbracciandolo con slancio. Sora sorrise e poi si staccò. “Grazie per tutto, Adam. Ci rivedremo presto, è una promessa!” lo salutò, salendo sulla Gummiship. Pippo mise in moto e ripartì con la navicella. “Ha chiamato Paperino, loro stanno tornando da Yen Sid con Alice. Stiamo andando anche noi alla Torre, poi ci riposeremo e domattina ci metteremo di nuovo in viaggio. È andato tutto bene?” domandò. Kairi annuì e guardò l’amico, mettendogli una mano sul ginocchio. “Sì, è andato tutto bene” confermò.