Snake's Heart

di Manny_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Mammaaaaaa!”
Sophie sobbalzò, allarmata. Abbandonò il bollitore per correre fuori dalla casa. “Raven! Cosa…?”, si interruppe di colpo notando nel cortile un ammasso di fango e sterpaglia che non poteva assolutamente essere suo figlio. “Raven?”
Il bambino si strofinò gli occhi, schizzando fango ovunque. “Maaaamma!”, si lagnò. “Gareth mi ha spinto nell’acquitrino!”
La donna sospirò, prendendolo per mano e portandolo sul retro della casa, dove ruotò il rubinetto della pompa esterna per  riesumare suo figlio da quel blocco di fango. “Perché non fate dei giochi più tranquilli?”
“Non era un gioco!”, protestò Raven. “Io l’ho spinto nel roveto e lui per vendetta mi ha lanciato nel canale!”
Sophie sospirò, ficcandolo sotto il getto della pompa idraulica. “Va bene, ricominciamo”, disse paziente. “Per quale motivo hai spinto Gareth nel roveto?”
“Per via della pietra.”
“La pietra?”
Raven annuì serio. “Il padre di Gareth è tornato da Amastra ieri e gli ha portato una pietra strabellissima! Al buio si illumina come se fosse stellata! E Gareth non fa che vantarsi, e ha detto che suo padre è coraggiosissimo perché va sempre nei reami oscuri per lavoro. E che non è vero che anche il mio papà lo fa perché lui non mi ha mai portato nulla dai suoi viaggi. Perché papà non mi porta dei regali?”
La donna sospirò, come faceva a spiegargli che l’uomo che aveva sposato spendeva tutti i soldi che non erano necessari al loro sostentamento, esclusivamente per sé stesso?
“Perché papà sta cercando un regalo super”, mentì. “Quando lo troverà vedrai che invidia i tuoi amici.”
Raven sembrò prendere quella spiegazione per buona. “Ah! Non vedo l’ora, quel brutto rospo di Gareth diventerà verde d’invidia.”
“Senti, Raven, visto che sei così arrabbiato con Gareth, perché non passi un po’ i tempo con Aramis?”, domandò. Ciò gioverebbe anche alla mia tranquillità, aggiunse mentalmente. Quel Gareth era un piccolo teppista.
“Ma mamma, Aramis è una noia!”, brontolò Raven. “Se ne sta tutto il giorno in biblioteca a leggere.”
“Prova a chiedergli se potete leggere insieme allora, non vuoi fare ingelosire Gareth?”
Raven parve rifletterci, poi annuì, scrollandosi come un cane dall’acqua che gli gocciolava dai capelli e dai vestiti. “Credo che tu abbia ragione”, disse, pragmatico.
Sophie sorrise, portandolo in casa per asciugarlo, era un po’ impulsivo, ma nonostante la figura paterna presente solo a intervalli irregolari, Raven era un bravo bambino. Lo avvolse in un telo, sistemandosi avanti al caminetto tenendolo in braccio, come quando era più piccolo.
“Mamma?”, la voce assonnata di Raven si fece sentire dopo qualche minuto, non era in grado di stare zitto troppo a lungo. “Un giorno potrò andare ad Amastra, vero?”
“Quando sarai più grande, non è un posto adatto ai bambini”
“Perché?”
“Perché i reami mistici sono pericolosi per chi non è preparato, lì albergano streghe, vampiri e altre creature orribili come gli striscianti. E’ meglio che resti al sicuro con la tua mamma qui. Non mi dicevi che volevi diventare capotreno?”
Raven mugolò un assenso, imitando il fischio degli sferraglianti convogli a vapore. “Sarò il migliore dei reami illuminati”; miagolò soddisfatto, prima di crollare definitivamente.
Sophie sorrise, accarezzandogli i capelli. Sperò davvero che quella dei reami mistici fosse solo una fissazione infantile. Non le piacevano affatto quei posti...

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Era decisamente uno spettacolo che non si vedeva tutti i giorni.
Raven si mordicchiò il labbro inferiore, mentre  scendeva con un balzo dal convoglio che lo aveva portato fino al limitare di una vallata, oltre la quale si innalzava una città dalle alte torri scure.
“Che noia!”, sbottò Gareth, balzando giù accanto a lui. Si passò una mano tra i capelli, sbuffando. “Che razza di gente anormale, perché diavolo far finire la ferrovia qui e non a ridosso della città?”
“Ga-aareth”, cantilenò Aramis, mentre allungava una mano per farsi tirare giù a sua volta dal carrozzone. “Non mi dire che ti spaventa fare quattro passi.”
Raven si affrettò ad aiutarlo a scendere, fragile com’era Aramis non era da escludere che si accoppasse nel tentativo di saltare giù.
“Non è quello!”, brontolò Gareth, scrollando le spalle. “Dico solo che è da anormali vietare una cosa del genere, avrebbero dovuto imporglielo, perché mai…?”
“Semplicemente non amiamo la tecnologia, giovanotto, se questa invade le nostre città.”
Una voce aspra e roca li fece sobbalzare tutti e tre; nel voltarsi si trovarono di fronte un uomo alto, allampanato, vestito elegantemente che teneva per mano una giovane donna, anche lei vestita di pizzi e velluto viola, nonostante la temperatura estiva. Era pallida, emaciata, come se stesse poco bene. Vene bluastre le solcavano le tempie ed il collo.
Dovevano essere scesi dal convoglio dopo di loro.
Gareth borbottò qualcosa, impappinato. Raven capì di dover prendere lui in mano la situazione e fece un leggero inchino. “Non intendevamo mancarvi di rispetto”, sospirò, lanciando all’amico un’occhiataccia.
L’uomo scrollò le spalle, sostenendo la sua compagna per la vita. “Risponderò comunque alla curiosità del tuo amico dalla lingua lunga. Tra le creature che coesistono nelle terre ovest, ce ne sono alcune che mal sopportano la tecnologia. I metalli pesanti, i miasmi del carbone, per alcuni di noi sono deleteri, se non tossici. Tenetelo a mente, stranieri, quando varcate le porte della città.”
Detto quello prese tra le braccia la giovane, che sembrava stare decisamente meglio rispetto a poco prima, e si incamminò, senza più degnarli di attenzione.
Raven diede una gomitata a Gareth. “Tieni a freno la lingua, ci manca solo di fare arrabbiare qualche stregone!”, sibilò.
Il giovane si massaggiò le costole, sbuffando. “Va bene, d’accordo. Chiedo scusa…”, disse. Poi guardò la figura allampanata da lontano. “Dici che è un vampiro con la sua bella e cagionevole amante?”
Aramis gli diede una pacca sulla nuca. “E’ giorno, animale, collega il cervello”, lo sgridò, scuotendo la testa. “Secondo me appartengono al popolo fatato. Non hai visto come lei ha ripreso colore non appena si è allontanata dal convoglio?”
Raven non poté che dargli ragione. Aramis, da topo di biblioteca qual’era, raramente era in torto. “Su, in marcia”, disse infine, spronando i due. Prese la sacca che si era portato dietro, mettendosela in spalla ed incamminandosi nell’erba. Non vedeva l’ora di arrivare ad Amastra.
“Attento a non fartela nei pantaloni, mi raccomando”, sghignazzò Gareth, raggiungendolo. Raven per tutta risposta gli tirò un calcio alla rotula. “Smettila, come se tu non fossi eccitato al pensiero di vedere finalmente la capitale della magia.”
“Oh, sono eccitato eccome. Talmente eccitato che qualcuno ne farà le spese, stanotte”, ribatté divertito, lanciando un’occhiata ad Aramis che  avvampò, diventando dello stesso colore dei ricci color borgogna che gli incorniciavano il viso. “Scemo!”, sibilò, allungandogli un calcio sull’altra rotula.
Gareth ululò, fermandosi per massaggiarsi le ginocchia. “La volete finire?! Mi azzopperete prima o poi!”, brontolò.
Aramis lo oltrepassò sdegnosamente, camminando qualche passo avanti a loro.
Raven sorrise, divertito. “L’hai fatto arrabbiare”, disse.
“Ah, capita spesso, ma so farmi perdonare…”, il tono dell’amico aveva un che di malizioso che gli fece scuotere la testa, rassegnato. Non avrebbe mai capito cosa fosse scattato tra quei due. Aramis era grazioso, certo,  il viso a forma di cuore spruzzato di lentiggini, le labbra carnose e gli occhi di uno sconcertante blu oltremare. Ma era anche esile, quasi spigoloso, e sembrava potersi rompere da un momento all’altro. Inoltre il suo passatempo preferito era seppellirsi nella biblioteca di Marestre a divorare tomi su tomi; tutto il contrario di Gareth, alto, muscoloso e dedito alle osterie, alla birra e alle donne formose di cui era sempre circondato.  Ed Aramis non era certo una donna formosa. Eppure tra i due era sbocciato qualcosa di inaspettato che Raven non comprendeva, ma che accettava così com’era. Forse un giorno avrebbe indagato.
Mano a mano che si avvicinavano le torri si facevano via via più nitide.
Amastra, la capitale della magia. Era da quando aveva sei anni, quando aveva sentito i racconti dei ragazzi che l'avevano vista anche solo da lontano, che moriva dalla voglia di visitarla.
Da vicino ci si rendeva conto che le torri non erano semplicemente di pietra nera, come poteva sembrare, ma erano ricoperte i una miriade di cristalli color ebano che, alla luce morente del tramonto, si erano come accesi, emanando una tenue fluorescenza violacea. Già da fuori Amastra toglieva il fiato; era sempre più impaziente di vederne l’interno…
 
                                                                        *   *   *

Non ci misero molto ad arrivare alle porte della città. Le due guardie all’ingresso controllarono che non avessero con loro niente di potenzialmente pericoloso per la salute degli abitanti. Niente metalli pesanti, niente diabolica tecnologia, niente armi d’argento. Fecero giusto qualche osservazione sugli anellini argentati che ornavano l’orecchio ed il labbro inferiore di Raven, ma era semplice routine; di certo non credevano realmente che ci potessero torturare un vampiro con quegli affarini. Perquisirono i borsoni per controllare che non avessero armi nascoste, eccetto un pugnale a lama corta a testa, per autodifesa, unica eccezione consentita dai trattati tra i due reami, poi li lasciarono passare raccomandando loro di non fare casino. Guardando in particolar modo Gareth. L’avevano inquadrato subito a quanto sembrava.
Raven trattenne il fiato mentre varcavano i cancelli di cristallo scintillante, per poi espirare bruscamente con un sibilo strozzato. Il primo impatto con la città era stato decisamente deludente. Oltre i cancelli infatti le strade erano semi-deserte, poco illuminate e i radi passanti non sembravano avere nulla di particolare.
“Beh?”, esclamò Gareth. “Tutto qui?”
“Se ti fossi degnato di leggere il libro che ti ho raccomandato non faresti queste domande”, sospirò Aramis. “Amastra è una città prevalentemente notturna, la vita comincia dopo il tramonto.”
Gareth gli mise un braccio attorno alla vita tirandolo a sé e schioccandogli un bacio sulla fronte. “Perché sprecare tempo a leggere un libro quando a fianco ho un enciclopedia vivente?”
Aramis arrossì, cercando di scollare senza successo la mano che il biondo aveva attaccato a ventosa al suo didietro. Alla fine si arrese, lasciandolo fare. “Andiamo a cercare un albergo dove alloggiare, così possiamo cambiarci e riposare un po’, prima di uscire di nuovo.”
“Vaaaa bene, forza, andiamo a prepararci a fare strage di cuori!”, esclamò Garet, dando di gomito a  Raven che annuì. Era una buona idea. Il viaggio in treno era stato pesante, il caldo delle carrozze era opprimente e a metà viaggio, quando si era alzato per sgranchirsi le gambe, si era reso conto di essere talmente sudato che la sua maglia gocciolava.
Non fu difficile trovare un alloggio. Scoprirono che gli albergatori erano più che contenti di avere degli ospiti umani. Raven non poteva biasimarli. L’idea iniziale era stata di prendere una camera sola in tre, ma visto il modo in cui Gareth stava guardando Aramis, decise che era meglio se lasciava loro un po’ di privacy.
Gareth gli lanciò un’occhiata riconoscente mentre, ignorando gli strilli di protesta del fulvo, se lo caricava sulla spalla a mo’ di bagaglio, sparendo su per le scale.
Raven scosse la testa, soffocando una risatina e prendendo il suo borsone. Con più calma raggiunse la sua camera e vi entrò, tirando un sospiro di sollievo.
Spogliarsi fu come togliersi una seconda pelle, gli abiti gli si erano praticamente appiccicati addosso. Fortuna che lì ad Amastra la calura estiva sembrava dare un po’ di tregua.
Individuò una brocca ed un bacile, posati su un tavolo. L’acqua era gelida.
Raven non poté fare a meno di sentire la mancanza delle pompe idrauliche e delle caldaie dei reami illuminati. Passare dal caldo torrido a lavarsi con l’acqua gelata era una sofferenza terrificante. Il rimpianto tuttavia sparì  quando individuò quello che doveva essere il sapone. Un affare tondeggiante, dal colore lilla. Raven decise all’istante che i saponi di Amastra sarebbero stati tra i suoi acquisti. Assolutamente. Se ne sarebbe fregato delle probabili prese in giro di Gareth. Quel sapone non aveva niente a che vedere con quei blocchi giallastri dall’odore pungente con cui si lavava fin da quando era piccolo e che facevano pizzicare la pelle per ore dopo il bagno. Quell’affarino profumava i mandorle e fragole ed aveva una consistenza cremosa che avrebbe mandato in brodo di giuggiole anche il marinaio più rude dei reami. Ne consumò più i metà, fregandosene dell’acqua gelata.
Alla fine sfilò dei vestiti puliti dal borsone,  Una canotta bianca,  un paio di pantaloni di cuoio nero e, vista la brezza notturna che entrava dalle finestre, anche una giacca, anch’essa di cuoio nero, mettendo al sicuro il denaro in una tasca interna, ben nascosta.
Lasciò sciolti i folti capelli castani che gli sfioravano le spalle, ad eccezione di un paio di ciuffi più lunghi ai lati del viso, e li fermò con una bandana nera.
Beh, come aveva detto Gareth, poco prima, era pronto a fare strage di cuori. Sperando di non attrarre qualche strega piena di verruche. Pregò la dea di lasciarlo solo come un cane, piuttosto.
Nell’uscire dalla stanza incrociò Aramis che indicò con un cenno del capo ed un sospiro, Gareth, in fondo alle scale che ridacchiava malizioso con una cameriera.
Raven sentì l’impulso di schiaffarsi una mano in faccia, era sempre il solito. Con due balzi lo raggiunse, prendendolo per un orecchio e tirandolo verso l’esterno. “Andiamo Gareth, non perdiamo tempo”, lo spronò, uscendo.
Le strade si erano riempite come per magia, le botteghe erano aperte, c’erano bancarelle lungo la strada che vendevano cose strane e a volte inquietanti. L’aria era densa di profumi speziati e da alcuni locali usciva una musica quasi ipnotica. Dea, era da quando aveva quindici anni che metteva a parte tutto il denaro che poteva per riuscire un giorno ad arrivare fino a lì e fare compere come uno di quei nobili che vedeva ogni tanto sostare nel suo villaggio, per rinfrancarsi dopo un viaggio in treno. Quanto aveva invidiato a quei tempi i loro bagagli ricolmi di gioielli elfici, di leccornie provenienti dalle corti dei Fey e di profumi esotici.
Adesso toccava a lui. Dopo dieci anni a sgobbare come un mulo, a rosicchiare ogni corona che non fosse necessaria al sostentamento suo o di sua madre. Dieci anni a sputare sangue nelle miniere di carbone di Lera, la capitale dei reami illuminati. Dieci anni.
Amastra li valeva tutti.
Si impose di non spendere nulla, quella sera. Voleva vedere tutto, prima di decidere cosa e quanto comprare. Si immerse in quel marasma di gente e bancarelle seguito dai suoi amici e, per la prima volta, si sentì davvero libero…

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Raven si appoggiò pesantemente al bancone del pub, ordinando una birra. Avevano girato in lungo ed in largo la via principale, adocchiando un paio di stradine secondarie dall’aria interessante, che avevano deciso di esplorare la sera successiva. La scarpinata tra i negozi principali era bastata a sfiancarli.
Prese il grosso boccale, ricolmo di liquido ambrato e si voltò per cercare i suoi compagni. Adocchiò immediatamente Aramis, impossibile da non notare, con quei capelli  scarlatti. Aveva un aria decisamente triste. Strano, quando erano entrati era più che euforico…
Ci mise poco a capirne il motivo, seguendo il suo sguardo individuò Gareth, con le mani impegnate l’una a reggere un boccale  di birra, l’altra a tastare il posteriore di una delle sensuali cameriere.
Scosse la testa, raggiungendo il fulvo e sedendosi accanto a lui. “Ehi…”, disse, battendogli un colpetto su una spalla.
Aramis si riscosse. “Ehi…”, rispose con poco entusiasmo. “Qualcosa non va?”
Raven accennò un sorriso comprensivo. “Dimmelo tu, non sono io quello con la faccia da funerale”, disse, indicando poi Gareth con un cenno della testa. “Se ti da fastidio dovresti dirglielo. Se state insieme non dovrebbe fare il galletto con ogni esemplare di sesso femminile che vede.”
Una scrollata di spalle fu il massimo della reazione che suscitò. “Non voglio essere soffocante”, sospirò Aramis. “Mi basta che poi torni da me…”
“Sicuro?”
“Sicuro”, altro sospiro.
“I tuoi sospiri dicono un’altra cosa”, ribatté Raven. “Lo vuoi un consiglio? Fa la stessa cosa. Trovati una ragazza carina….”, osservò la struttura fisica di Aramis, scuotendo poi la testa. “No, meglio un bel ragazzo interessante. Civettaci un po', vedrai come la pianta di fare il cretino", lo incoraggiò, dandogli una gomitata in un fianco.
Aramis mugolò debolmente, alzandosi. “Se lo dici tu…”, mugugnò, allontanandosi.
Raven lo lasciò perdere, non erano affari suoi del resto. Raggiunse Gareth, che era molto più di compagnia e si sedette al tavolo con lui, lasciando volentieri che la giovane cameriera con quel fare da ochetta che piaceva tanto al biondo, civettasse anche con lui. Quella sì che era vita…
 
                                                                       *   *   *

Erano alla terza birra quando Gareth si incupì di colpo, stringendo il boccale.
Raven  non poté non notarlo. “Ehi, che c’è?”, chiese.
Non ricevendo risposta seguì il suo sguardo, fu facile intuire motivo di quell'espressione scura. Aramis sembrava aver deciso di seguire il suo consiglio. O forse era solo un caso. Fattostà che l’attenzione del fulvo non era più rivolta a loro, ma alla persona che gli si era seduta di fronte. Sembrava completamente affascinato da lei. O da lui.
Non si capiva se fosse maschio o femmina; la figura esile avvolta nel mantello poteva appartenere sia ad una ragazza, che ad un ragazzo non molto prestante, tuttavia, conoscendo la timidezza congenita di Aramis verso il gentil sesso, era chiaro che la persona che aveva di fronte non vi apparteneva.
Doveva averlo capito anche Gareth che sembrava sul punto di iniziare a sbavare come un cane idrofobo.
 “Aramis!”, sbraitò alzandosi ed avvicinandosi a passo di carica, facendo sobbalzare il fulvo, che sollevò lo sguardo, perplesso.
Gareth lo raggiunse, afferrandolo per un polso e tirandolo in piedi. “Che stai combinando?”
Aramis barcollò, rischiando di perdere l’equilibrio, poi scrollò il polso per liberarsi. “Faccio quello che fai tu ogni volta che andiamo a bere qualcosa”, disse tranquillamente, accigliandosi appena.
Raven li raggiunse, pronto a sedare qualsiasi discussione. Conosceva il caratteraccio di Gareth e voleva evitare spargimenti di sangue.
A sorpresa però il ragazzo non sembrava aver intenzione di alzare le mani “ Senti, non so che diavolo ti è preso tutto ad un tratto e proprio qui ad Amastra, ma  forse è meglio parlarne in privato, Missy, che ne dici?”
Aramis avvampò a quel nomignolo e annuì, ancora scuro in viso, lasciandosi condurre in un angolo del locale.
“Certo che voi umani siete davvero bizzarri.”
Raven riportò l’attenzione sulla causa scatenante di quell’attrito. Decisamente non era umano. I capelli avevano il colore del rame. E non quel rosso ramato comune anche tra gli umani. I suoi capelli sembravano tanti sottili fili di rame, raccolti in un elaborato chignon fermato da alcuni spilloni d’onice sulla sommità della nuca, con qualche morbido boccolo lasciato libero ad incorniciare il viso delicato ed androgino. Gli occhi dalla forma allungata sembravano contenere nell’iride tutto lo spettro di colori dell’arcobaleno.
“Può darsi”, rispose circospetto. “Tu saresti?”
“Fiörl” Fu la monosillabica risposta. “Cavaliere del popolo fatato”, aggiunse dopo un attimo di pausa.
Raven si rese conto che quello che aveva scambiato per un mantello erano in realtà due ali, di un bianco opalescente, che la fata aveva ripiegato con grazia sulla schiena.
Oh beh….
Non c’era da stupirsi che Aramis ne fosse rimasto affascinato.
La fata osservò per un attimo Aramis e Gareth, sfiorandosi il labro inferiore con la punta dell’indice, pensieroso. “Non credevo che la mia presenza avrebbe provocato una conseguenza del genere”, disse infine.
“Nah, non è quello”, lo rassicurò Raven, scrollando le spalle. “Era una cosa che bolliva a un po’.”
Si sedette di fronte a lui, cercando di sfuggire a quello sguardo multicolore; si sentiva stranamente attratto da quel tipo così ambiguo al punto da rimanerne turbato. Probabilmente era una qualche magia, si disse, ordinando una birra per avere qualcosa da fare mentre i due piccioncini chiarivano.
Ci misero meno del previsto, pochi minuti dopo erano di ritorno. Si sedettero a loro volta, scusandosi per il piccolo teatro. O meglio, Aramis si scusò, Gareth si limitò a scuotere le spalle e a grugnire. Cosa che fece per un’altra ora circa visto l’interesse di Aramis per ciò che la fata aveva da raccontare. Non capitava tutti i giorni di incontrarne una così socievole e loquace.
“Sentite, non sono entrato in questo locale solo per fare conversazione.” Disse Fiörl ad un tratto, guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno li sesse ascoltando. “Mi sembrate ragazzi in gamba ed ambiziosi, vi piacerebbe fare un sacco di soldi?”
Raven drizzò le orecchie. Soldi.
Un sacco di soldi.
Che domande faceva quello? Certo che gli sarebbe piaciuto. Si scambiò uno sguardo d’intesa con Gareth. “Certame….”
“No!”
Raven ammutolì, voltandosi a guardare Aramis, quell’imperiosa negazione, quasi gridata, non era certo nel suo stile.
“No, non siamo interessati”, riprese il fulvo, più pacato, ma senza riuscire a nascondere l’agitazione.
Fiörl scrollò le spalle. “Peccato”, disse alzandosi. “Pazienza, grazie per l’interessante chiacchierata, troverò qualcun altro”, disse senza scomporsi, per poi allontanarsi.
Gareth si voltò verso Aramis, sconcertato. “Ma sei impazzito? Quel tipo ci stava offrendo un sacco di soldi!”
Il fulvo scosse la testa. “Quel tipo è una fata. Mai fare accordi con le fate, sono pericolose. Ti strappano promesse che poi rigirano contro di te.”, mormorò, cupo e inquieto.
Raven li osservò pensieroso. Forse Aramis aveva ragione. Tuttavia aveva la sensazione di essersi appena lasciato sfuggire un occasione che non si sarebbe ripetuta…

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***



Raven si rigirò nel letto, fissando il soffitto. Non riusciva a prendere sonno, le parole della fata continuavano a pungolargli il cervello.
Soldi. Un sacco di soldi.
Aramis era stato perentorio e irremovibile, si era persino irritato quando Gareth aveva provato a convincerlo a stare almeno a sentire cosa proponeva la fata. Non c’era stato verso di persuaderlo.
Eppure, si disse, ascoltare la proposta non sarebbe stato pericoloso in sé. Era vero che Aramis raramente si sbagliava, ma era anche vero che a volte era eccessivamente prudente.
Un bussare sommesso lo distrasse da quel rimuginare.
La voce dell’amico era attutita, poco più che un bisbiglio. “Raven, psssst, sono Gareth.”
Si alzò, andando ad aprire. Bastò uno sguardo per capire che entrambi avevano rimuginato fino a quel momento sulla stessa cosa.
Gareth sogghignò. “Lo sapevo”, disse. “Ascolta, io vado a cercare la fata, giusto per sapere qual è la proposta che vuole farci. Solo per sapere. Se la cosa mi puzza appena di bruciato me la filo. Sei con me?”
Raven si affrettò ad annuire, infilando al volo i pantaloni e gli stivali. “Aramis dov’è?”, chiese.
“Oh, dorme”, rispose Gareth. “E dormirà per un bel pezzo, l’ho stremato a dovere”, aggiunse, con una punta d’orgoglio.
Raven sospirò. “Non entrare nei dettagli, ti prego. Non è necessario”, lo fermò, prima che cominciasse a vantarsi delle sue prodezze sessuali. Non sarebbe stata la prima volta.
 “Andiamo”, sibilò, prendendo la giacca e chiudendosi la porta alle spalle. Dovevano fare presto, mancava poco al sorgere del sole e di conseguenza al termine della movimentata notte di Amastra…

*   *   *

Fu abbastanza facile ritrovare la fata, non si nascondeva di certo, anzi. Sembrava che avesse fatto di tutto per farsi notare, quasi a voler lasciare loro una pista. Come se sapesse che sarebbero tornati.
Lo trovarono elegantemente seduto sotto ad un gazebo, a sorseggiare qualcosa che sembrava emanare una tenue fluorescenza. “Ce ne avete esso di tempo”, commentò, posando il bicchiere e facendo loro segno di accomodarsi.
“Come sapevi che saremmo tornati”, chiese Raven, sedendosi accanto a Gareth, che si era già accomodato.
“Intuizione.”
“Allora”, lo interruppe Gareth, senza troppi preamboli. “mi pare che tu abbia parlato di soldi, prima”
“Vai subito al sodo eh?” Fiörl rise, divertito. “Mi piace. Comunque, la proposta è semplice. Si tratta i un furto.”
Raven, che si era allungato verso di lui per ascoltare meglio, si tirò subito indietro. “No.”, disse secco, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Gareth. Non erano ladri.
Fiörl sollevò un dito, come a pregarli di aspettare. “Non è come pensate, lasciatemi partire dall’inizio”, sospirò. “Sapete che poco lontano da qui c’è il territorio dei naga, no?” 
Cenni d’assenso. 
“Bene. Quello una volta era il territorio delle fate, finché quelle orride creature non ce l’hanno portato via con la forza. Hanno un grande tesoro, che apparteneva a noi, in uno dei palazzi secondari. A loro non importa del suo valore, infatti non lo sorvegliano, per loro conta solo l’averlo sottratto a qualcuno. A noi. La proposta è questa, io vi faccio vedere come arrivare velocemente al palazzo senza essere visti e voi portate via quanti più gioielli potete. Il ricavato sarà completamente vostro, a me basterà solo la soddisfazione di vederli beffati.”
“Se è così semplice, perché non puoi farlo tu?”
Fiörl distolse lo sguardo. “Ferro”, disse. “Leghe alchemiche, metalli pesanti. Il territorio dei naga ne è pieno. Inoltre il passaggio per arrivarci è sotto terra. Prima che venisse edificata Amastra, questo posto era un sito di estrazione mineraria, i vecchi cunicoli delle miniere sono dotati di carrelli e rotaie. E’ una ferrovia sotterranea. Ma ahimè, troppo colma di metallo perché abbia poi le forze per riuscire nell’impresa.” Gli occhi multicolore della fata si erano fatto lucidi, come se solo rievocare quei ricordi gli procurasse un dolore immenso.
Raven scambiò uno sguardo con Gareth. L’idea non lo faceva impazzire. Un fremito di disgusto gli attraversò a colonna vertebrale. 
Naga.
Disgustosi ibridi metà uomo e metà serpente. Non ne aveva mai visto uno, ma le descrizioni di chi l’aveva fatto erano sufficientemente spaventose. 
“Potremmo essere interessati”, disse infine, dopo aver ricevuto un cenno d’assenso dall’amico. Ad entrambi faceva gola quel tesoro e, per lo meno a lui, dava una forte motivazione l’idea di riparare ad un torto.  
La fata sembrò rilassarsi, la tensione abbandonò le sue spalle mentre si abbandonava contro o schienale della sedia.
“Domani notte, allora, tre ore dopo il tramonto”, disse, “Liberatevi del vostro amichetto fulvo e raggiungetemi alle porte della città, vi mostrerò la via.”
“Come fai a sapere…”, cominciò Gareth, ma la risata di Fiörl lo interruppe. 
“Come faccio a sapere che non sa nulla della vostra scappatella al mio inseguimento? Andiamo. Basta un’occhiata per capire chi è la ragazzina, nel vostro gruppo”, disse, scrollando le spalle con sufficienza. “E’ un bel visino, ma poco altro. Voi invece avete cuore, e un gran coraggio. Siete persone che sanno capire qual è la cosa giusta da fare. Voi siete come coloro che in passato sono stati chiamati eroi…”
Gareth si era accigliato, forse per via del commento poco carino su Aramis, ma le lusinghe successive furono sufficienti a ringalluzzirlo. “A domani allora”, disse, alzandosi. “Sarà meglio farci una bella dormita.”
 Raven annuì, seguendo il suo esempio. Per quanto quel pensiero gli procurasse una fitta di senso di colpa, non poté fare a meno di constatare che sarebbe stato estremamente facile ingannare Aramis ed allontanarsi da lui con una scusa…

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


“Stai dicendo sul serio?”, Aramis sgranò gli occhi, incredulo. “Dev’essere un sogno, aspetta che provo a pizzicarmi”, aggiunse.
Gareth sbuffò, divertito, dandogli una pacca sul didietro. “ Ehi! Potrei offendermi, nano. Cerca di non mostrarti così sorpreso!”
Aramis guaì debolmente, massaggiandosi la parte colpita. “Ehi, vacci piano…”, brontolò. Poi sorrise e lo raggiunse, sollevandosi sulle punte dei piedi per agganciargli le braccia al collo. “Grazie…”, sussurrò dolcemente.
Gareth scrollò le spalle. “Dovevo farmi perdonare, no? Ora va a metterti qualcosa di carino, ti aspetto giù”
Il fulvo non se lo fece ripetere due volte, schizzò a prepararsi, mentre Gareth scendeva al piano di sotto.
Raven lo aspettava appoggiato al muro della hall. 
“Allora?” chiese.
“Tutto a posto, credo che abbia smesso di ascoltare dopo la parola biblioteca, ovviamente, ma quel che importa è che è tutto esaltato perché lo portiamo alla grande biblioteca di Amastra. Appena sarà immerso nella lettura di qualche tomo ce la fileremo e saremo di ritorno prima che si accorga della nostra scomparsa. Modestamente ho avuto un idea geniale”, gongolò. “Quando è in una biblioteca Aramis non si accorgerebbe nemmeno della fine del mondo.”
“Mhmh…”, Raven inarcò un sopracciglio. “Sai, riguardo ad Aramis, se gli vuoi bene non dovresti…”
“No”, lo interruppe Gareth. “So cosa stai per dire. Te lo leggo in faccia adesso come ogni volta che ci guardi. Io amo Aramis, mettitelo in testa. Smettila di cominciare questi discorsi ogni santa volta.”
Raven sbuffò, scettico. “Hai un bel modo di dimostrarlo”
Gareth si accigliò. “Ehi!”, esclamò. “Se ti riferisci a ieri sera guarda che…”
“Mi riferisco al fatto che non dovresti mostrarti così spensierato dopo aver appena ingannato persona che dici i amare.”
“Non lo sto ingannando, lo sto proteggendo…”
Raven inarcò un sopracciglio. “Ah si?”
Gareth, scrollò le spalle. “Senti, Fiörl ci ha assicurato che sarà facile come bere un bicchier d’acqua, ma stiamo pur sempre facendo qualcosa di illegale. Qualcosa in cui non voglio che Aramis, venga coinvolto”, brontolò.
A quella risposta Raven non trovò nulla con cui ribattere, anche perché Aramis apparve proprio in quel momento, scendendo le scale  di corsa e fiondandosi addosso a Gareth. “Eccomi, dai, andiamo!” esclamò, cercando di spingerlo fuori. 
Gareth lo prese tranquillamente per mano e si lasciò tirare, strizzando un occhio a Raven che  scosse la testa e li seguì, sospirando.
Sperava con tutto il cuore che filasse tutto liscio, iniziava a sentirsi poco tranquillo.

*   *   *

La biblioteca di Amastra somigliava ad un castello in miniatura; oltrepassato il portone si ritrovarono in un enorme sala, piena di scaffali che salivano fino alla volta del soffitto e che sembravano traboccare di libri. 
Uno stregone, seduto ad una scrivania all’ingresso, li osservò con occhi vacui, prima di far loro cenno di passare. “I tomi sono protetti da incantesimi che li preservano dall’usura, cercate però di non maltrattarli troppo”, li ammonì, facendo poi loro segno di passare. 
Raven rabbrividì, l’ambiente era freddo ed austero; non esattamente il tipo di posti che amava lui.
Come previsto, comunque, non appena recuperato uno dei preziosi tomi, Aramis smise di considerarli. “Ah, Missy, mi sto annoiando, vado a controllare se c’è una sezione sconcia in questa biblioteca.” Disse ad un tratto Gareth, in tono casuale.
Il fulvo rispose con un “Mh…”, distratto. Era il momento perfetto.
Sgattaiolarono fuori senza problemi e raggiunsero Fiörl alle porte ella città. La fata, una volta allontanati dalle mura, dispiegò le ali, stiracchiandosi. “Ah, per quanto piena di magia, Amastra non è proprio fatta per le fate”, sospirò. Raven non stentava a crederlo. Sottili come garza le ali di Fiörl erano decisamente grandi. Doveva essere snervante tenerle ripiegate, ma allo stesso tempo era necessario, immaginava, vista la folla che popolava costantemente le vie.
Dopo aver scrollato le spalle per sgranchirsi la fata vece loro un cenno con il capo. “Venite, non è lontano”, disse, inoltrandosi tra gli alberi ed imboccando il sentiero che portava nel cuore della foresta, alle spalle della città.
           
*   *   *

Non ci misero molto, effettivamente. Fiörl aveva detto la verità.
Dopo una mezz’ora la vegetazione sembrò diradarsi, per lascare spazio all’entrata di una miniera. La fata si fermò, aggrappandosi ad un albero, con una smorfia di fastidio. “Non posso proseguire”, disse. Sembrava persino più pallido del solito.
Raven annuì. “E’ una miniera di ferro?”, chiese. Anche se vista l’espressione della fata era una domanda superflua.
Fiörl fece un profondo respiro, quasi stesse reprimendo un conato di vomito. “ Si… Entrate, ci sono ancora i vecchi binari dei carrelli. Quando è sorta Amastra è stata chiusa da un giorno all’altro, ma è ancora agibile. Sarà sufficiente metterne in funzione uno e in poco tempo vi porterà dall’altra parte, nel territorio dei naga.”
Gareth si avvicinò all’entrata. “E' buio là dentro”, constatò.
“E’ solo un impressione. Vedrete”, li rassicurò la fata con un sorriso. “Dentro sarà molto meno scuro, fidatevi.”
Raven esitò, quel sorriso, aveva qualcosa di strano. Qualcosa che gli aveva fatto correre un brivido lungo la schiena.
“Raven, vuoi muoverti?”, sibilò Gareth, dall’entrata della miniera.
A quel richiamo si riscosse, seguendolo e dimenticando subito dopo quella strana sensazione. Sentì lo sguardo di Fiörl puntato su di lui finché non sparirono all’interno. 
Anche quella volta, la fata non aveva mentito; il tenue chiarore della luna che filtrava dall’ingresso sembrava riflettersi su una miriade di cristalli appesi al soffitto. Avendo lavorato nelle miniere lo riconobbe come un antico sistema di illuminazione. Prima che i reami illuminati la sostituissero con l’elettricità, quella era la tecnologia più avanzata che ci fosse…
“Eccolo”, esclamò ad un tratto Gareth, indicando un vagone di ferro. “Visto, Fiörl sapeva quel che diceva.”
“Sei sicuro che  sia ancora funzionante?” 
Raven si avvicinò per esaminarlo, gli sembrava tanto vecchio da meravigliarsi che fosse ancora integro. La struttura metallica cigolò in maniera inquietante quando Gareth vi salì sopra, ma resse egregiamente il peso del ragazzo. “Ti fai troppe paranoie anche tu Raven, Sali, avanti.”
Con un sospiro Raven ubbidì, sedendosi cautamente sul fondo del carrello e cercando a tastoni un qualche interruttore. Non lo trovò, le sue dita incontrarono invece una manovella circolare. “Oh, fantastico”, bofonchiò. “Avanti Gareth, c’è da sfacchinare, questi sono i carrelli manuali di cent’anni fa.”
Gareth soffocò un gemito a metà tra il divertito ed il disperato, prima di chinarsi a sua volta. 
Il meccanismo era arrugginito, dovettero faticare non poco per sbloccarlo.
Quando alla fine, con un cigolio mostruoso, la manovella cominciò a girare agevolmente, entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Contemporaneamente il carrello si mosse di qualche centimetro sulle rotaie, dando loro conferma che era tutto ancora perfettamente funzionante. 
“Andiamo”, mormorò Raven. Afferrò la manovella saldamente e cominciò a girarla, aiutato da Gareth  inoltrandosi nelle profondità della miniera.

    *   *   *

“Gareth?”
“Che c’è?”
“Non ti sembra che stiamo andando un po’ troppo veloce?”
Raven sbirciò oltre il bordo del carrello, la luce si era fatta più fievole e faticava a distinguere  le cose attorno a lui.
Era passato del tempo, forse dieci o quindici minuti, ma non poteva dirlo con precisione. Quel posto faceva perdere la cognizione di tutto. 
“Dici che dovremmo rallentare?”
“Direi di si, prima di schiantarci.”
Gareth sbuffò, rallentando l’andatura.
“Così va ben…”
Raven non finì la frase perché all’improvviso la luce riflessa sui cristalli sembrò aumentare d’intensità. “Ehi!”, esclamò. “Ci siamo, l’uscita della miniera dovrebbe essere vicina, fermati, proseguiamo a piedi.”
“Agli ordini!”
Gareth ridusse ulteriormente la velocità, fino a fermarsi, poi balzò giù impaziente incamminandosi tanto in fretta che Raven per poco non si ribaltò fuori dal carrello per stargli dietro. 
L’uscita era proprio là davanti a loro.
Si ritrovarono nuovamente nella foresta, ma gli alberi erano più fitti, salvo poi diradarsi completamente qualche metro più avanti per lasciare spazio ad un palazzo dalle mura di pietra bianca. Attorno ad esso sorgevano altre abitazioni dalla forma simile a quella di un alveare. “Dev’essere quello”, disse Gareth, afferrandolo per un braccio e costeggiando il limitare della foresta. “Là, guarda. È pieno di finestre aperte… Una vale l’altra, muoviamoci.”
“Gareth…”
“Cosa?”
“Sei… insomma, sei davvero convinto?”
Gareth ridacchiò. “Cos’è, non vorrai mica fare il coniglio e tirarti indietro ora!Cinque minuti e saremo di ritorno, forza!”
Raven si morse il labbro inferiore e scosse la testa, prima di seguirlo. Scavalcò una delle finestre più basse, atterrando su un morbido tappeto di velluto che ne attutì il rumore. Si trovavano proprio al centro di un lungo corridoio ricoperto di arazzi.
Il silenzio era irreale; non si sentiva nemmeno il verso di un qualsiasi animale notturno.
“Non mi piace…”, sussurrò, guardando oltre l’angolo. Quel posto sembrava disabitato. 
“Vieni, forza!”,  lo spronò Gareth. “Fiörl  lo ha detto che sarebbe stato facile.”
Raven lo seguì riluttante, continuava ad esserci qualcosa che non gli quadrava. Era troppo facile…
“Ehi, abbiamo fatto centro... e non ci sono nemmeno guardie in vista!”, mormorò Gareth, sbirciando in una delle stanze che si aprivano sul corridoio. Prese Raven per una manica, trascinandolo dentro.
Raven rimase pietrificato, trattenendo il respiro. L’intera sala sembrava essere interamente ricoperta di pietre preziose e ordinatamente disposte su alcuni piedistalli diverse scatole chiuse. Tuttavia, dall’eleganza dell’esterno si poteva facilmente intuire che fossero piene di preziosi.
Preso da un’irresistibile smania di aprirle allungò una mano verso la più vicina. L’aveva appena sfiorata però che un sibilo basso e minaccioso, sopra la sua testa, gli fece accapponare la pelle.
Non c'erano guardie in vista, aveva detto Gateth, ma avevano entrambi fatto il grosso errore di pensarecome esseri umani...
 “Gareth… via!”, gemette, prima di mettersi a correre a sua volta. Due pesanti tonfi alle sue spalle gli fecero annodare lo stomaco. 
Gareth fece l'errore di voltarsi e quel che vide gli fece mancare il fiato. Due naga armati fino ai denti e dalle fauci spalancate stavano loro alle calcagna senza difficoltà, anzi, sembravano guadagnare terreno. Emettevano sibilii gutturali terrificanti. “Sono veloci…”, ansimò atterrito.
Raven non si voltò, se l’avesse fatto probabilmente si sarebbe paralizzato dal terrore; afferrò invece il biondo per la manica e, non appena svoltato un angolo, lo tirò dietro un pesante arazzo tappandogli la bocca con una mano. Sentì lo strisciare delle creature che li oltrepassavano, per poi allontanarsi.
Lasciò Gareth, che era diventato paonazzo per lo sforzo di trattenere il respiro, e inspirò profondamente a sua volta. “Dobbiamo andarcene subito…” ansimò a bassa voce.
“Non avrei saputo dirlo meglio…. Ma dove?” sussurrò Gareth in risposta, i suoi occhi chiari erano spalancati per l’ansia. “Non ho idea di dove siamo ora…”
Raven si morse il labbro inferiore con forza, per cercare di schiarirsi le idee e non farsi prendere dal panico. Il dolore migliorò un poco la situazione.
Avevano perso l’orientamento quando erano scappati.
“Dividiamoci” disse infine.
“Non mi sembra una buona idea” sibilò Gareth, guardandolo storto.
“E’ la migliore che abbiamo al momento, Gareth! Tu vai a destra, io a sinistra, non si aspetteranno che ci dividiamo, senza contare che non abbiamo idea di dove sia l’uscita, se dovessimo imboccare un vicolo cieco entrambi sarebbe finita. Se uno dei due venisse preso invece, l’altro potrebbe scappare a cercare aiuto…”
Gareth scosse la testa, con un sospiro, “D’accordo… hai ragione” ammise infine, dopo una lunga esitazione. Scostò appena l’arazzo per guardare fuori. “Il corridoio è libero. “disse.
Raven annuì. “Allora andiamo…”
“D’accordo”
“Ah, Gareth…”
“Che c’è”
Raven accennò un sorriso, “Cerca di tornare sano e salvo da Aramis, o mi scuoierà vivo”, disse, prima di abbandonare il rifugio dell’arazzo e schizzare via lungo il corridoio. Forse era un pazzo con manie suicide, ma non era un caso ce si fosse offerto lui di andare proprio dalla parte in cui aveva visto sparire le due guardie. Gareth aveva qualcuno da cui tornare, era meglio quindi attirare l’attenzione su di lui…
Il suo piano sembrò funzionare effettivamente svoltando un angolo si ritrovò davanti le due creature che gli erano piombate addosso poco prima.
Fece dietro front, imboccando un corridoio laterale, e schizzando via più veloce che poteva.
Nonostante avesse fatto il sostenuto con Gareth, era terrorizzato. Sentiva alle sue spalle lo strisciare raccapricciante di quelle creature che sembravano essersi moltiplicati.
Gemette di orrore quando si accorse di essersi infilato in un vicolo cieco, il corridoio che aveva imboccato terminava con una porta, che non assomigliava affatto ad un portone d’uscita..
Con la forza della disperazione ci si lanciò contro, spalancandola e richiudendola dietro di sé. Una rapida occhiata attorno a sé gli rivelò che era una camera da letto, vista la mobilia.
Non stette ad ammirarla più di tanto, afferrò una poltrona e la spinse contro la porta proprio nel momento in cui i naga cercarono di aprirla. La pesante porta vibrò per il colpo violento, ma per il momento sembrava resistere…
Estrasse il pugnale che portava alla cintura, stringendolo tra le dita tremanti mentre si guadava in giro cercando una finestra, un apertura, qualsiasi cosa….
“Mettilo giù.”
Raven trasalì, la voce bassa e roca che aveva parlato era proprio alle sue spalle, vicinissima, senza che lui se fosse accorto di non essere solo. Fece per girasi e colpire, ma l’altro fu più veloce, gli afferrò il polso, torcendogli il braccio dietro la schiena.
“Te lo ripeto, mettilo giù. Sei già abbastanza nei guai, se ferisci uno di noi ti condannerai a morte da solo. Vuoi morire?”
Raven chiuse gli occhi, ansante. Era nel panico più totale. Il terrore, tenuto a bada dall’adrenalina, sembrava aver vinto, diffondendosi in ogni fibra del suo corpo. “No…”, mormorò.
“Allora lascialo. O non potrò aiutarti.”
Lentamente Raven dischiuse le dita, lasciando la presa. Il pugnale cadde sul pavimento con un suono che risuonò innaturalmente forte nel silenzio di tomba del palazzo.
“Molto meglio”, convenne la voce alle sue spalle, allentando a sua volta la presa.
Raven si voltò di scatto, per vedere chi fosse la persona che lo stava aiutando, o almeno così sperava, ma l’unica cosa che riuscì a registrare, prima che qualcosa lo colpisse con una forza disumana allo stomaco, furono due occhi di un sorprendente color ametista, dalla pupilla verticale, che sembravano ardere nella penombra della stanza.
Poi perse conoscenza.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***



C’era un gocciolare costante e fastidioso che  non gli dava pace…
Raven aprì gli occhi, mugolando di dolore. La testa sembrava scoppiargli, aveva le labbra secche e screpolate e le ossa gli dolevano. Mise a fuoco l’ambiente che lo circondava. Spoglio,  freddo ed umido. Sul pavimento di pietra l’acqua che gocciolava dal soffitto si raccoglieva in piccole pozze. Rabbrividì, era fradicio…
Sussultò spaventato quando, con un forte cigolio, la porta di quella cella sotterranea si aprì e mezza dozzina di naga entrarono in silenzio, circondandolo, quasi temessero di vederselo scappare da sotto il naso. 
Dalla vita in giù erano molto simili, con quella coda da serpente che cambiava solo di colore, al di sopra della vita invece la Dea sembrava essersi divertita a spaziare con l’immaginazione. Pelle squamosa o simile a quella degli umani, occhi  da serpente o mono colori senza pupilla. Nasi adunchi e prominenti, o semplici fessure verticali nel bel mezzo del viso. L’insieme era ripugnante.
Due delle creature, armate di inquietanti tridenti dall’aria decisamente affilata, si avvicinarono, afferrandolo per le braccia.
Raven gemette per il ribrezzo, scalciando per farsi lasciare. Dea, salvami, pensò.
Una delle due creature sibilò, spazientita e gli mollò un manrovescio con una forza spropositata, al punto che Raven vide una miriade di puntini neri offuscargli la vista e temette di svenire di nuovo. Ma evidentemente era un opzione non contemplata dalle due guardie che lo tirarono su di peso, trascinandolo fuori dalla cella, lungo i corridoi, fino ad arrivare ad un salone. 
A quel punto Raven sperò seriamente di svenire. C’erano decine di quelle creature lungo i lati della passeggiata  centrale, forse anche un centinaio.
Stava per morire, se lo sentiva.
“L’abbiamo portato, mio principe”, disse una delle due guardie, nella lingua di Amastra, ma piuttosto grezza, dalla pronuncia scorretta. Poi sguainò una sciabola, guardandolo. Voleva che capisse. “Vuole che lo decapitiamo qua o preferisce che lo facciamo all’aperto?”
Raven, sentì le gambe cedergli a quelle parole e si accasciò sul pavimento. Respirando affannosamente cercò di ignorare le risatine sibilanti che lo circondavano e cominciò a formulare mentalmente ogni sorta di preghiera alla Dea che conosceva. 
“Non ti ho chiesto di portarlo qui per giustiziarlo”
Oh Dea, ti ringrazio…
Un mormorio di delusione percorse la sala, e la guardia fece un verso deluso. “Come sarebbe a dire?”, esclamò la guardia, frustrata.
Raven sollevò lo sguardo, tremando. Colui che aveva parlato, con una pronuncia impeccabile, al contrario delle guardie, sedeva su un elegante divanetto, qualche metro davanti a lui. La speranza che fosse umano sfumò in fretta, doveva essere il principe…
Aveva per gran parte l’aspetto di un adolescente, constatò Raven. Folti ricci neri incorniciavano un bel viso giovane, dai lineamenti delicati ma con un qualcosa di crudele nella piega delle labbra sottili. Le spalle strette, il torace minuto e i fianchi sottili da adolescente. Ma la normalità si fermava lì. La pelle di un pallore quasi innaturale, era serica e senza imperfezioni fino a poco sotto i pettorali, poi iniziava ad essere percorsa da venature bluastre che si scurivano man mano che scendevano verso il basso, fino a diventare vere e proprie squame poco sotto le anche, snodandosi in una lunga coda da serpente di un sorprendente blu cobalto. Era rivoltante….
"Non credo che tu sia nella posizione di esternare il tuo disgusto, umano"
La voce aspra del giovane lo colpì come una frustata, facendolo trasalire non si era reso conto di aver lasciato trasparire i suoi pensieri. Si guardò intorno nervosamente, era il caso di scusarsi? E se fossero suonate false avrebbe forse peggiorato la sua situazione?
L'ansia che lo attanagliava confondeva anche i pensieri più semplici, ed il naga alla sua destra che faceva saettare la lingua biforcuta ed accarezzava languidamente la lama della sciabola, non contribuivano certo a calmarlo.
Il principe sospirò, avvicinandosi. "La situazione è troppo complicata per pronunciare un verdetto immediato", ammise.
“Complicata?", la guardia non sembrava contenta. "Che c'è di complicato?! E' un ladro, la legge è chiara..."
"Conosco la nostra legge, Shobe", lo interruppe Yaksha, visibilmente irritato. "Ma lui è un umano."
"E quindi?"
"Mi sembra che tu sia troppo insolente. Ma per stavolta lascerò correre e proverò a spiegarti qualche semplice concetto, cerca di farlo entrare in quel cervello da lucertola che ti ritrovi."
Raven trasalì, spostando lo sguardo dal principe alla guardia che era diventata livida di rabbia, stringendo le dita attorno all'elsa ella sciabola.
Sarebbe morto, se lo sentiva, si sarebbe trovato nel bel mezzo di un regicidio e lo avrebbero fatto fuori.
Invece, sebbene a fatica, Shobe chinò il capo. "Si, mio signore, ci proverò", sibilò tra i denti.
Yaksha sembrò soddisfatto. "E' umano, ed abbiamo stipulato un trattato di pace con gli umani. Ucciderlo o mutilarlo secondo le nostre leggi equivarrebbe a una violazione degli accordi..."
"Ma sono stati loro a violarli per primi!"
"Lo so, ma la diplomazia è una questione spinosa. Sinceramente non ho la minima intenzione di buttare alle ortiche anni di faticose contrattazioni per uno stupido ladruncolo che non è nemmeno riuscito a superare le prime difese."
"E allora cosa facciamo, lo lasciamo andare come se nulla fosse?"
"Assolutamente no. Sarà punito, ma prima occorre una accurata valutazione. Samea!" chiamò, voltandosi.
Una nagini si fece largo tra le guardie. Il viso spigoloso era circondato da soffici ricci color muschio che le scendevano fino alla vita, nascondendo in pare il seno prosperoso. "Mio signore?", mormorò ossequiosa, scrutando il prigioniero con i suoi occhi argentei. Il suo corpo era completamente ricoperto di squame del colore di alcuni serpenti albini che a Raven era capitato i vedere tra i boschi. 
"Va a convocare l'ambasciatore di Amastra, mi consulterò con lui prima di decidere. Nel frattempo portate il prigioniero nelle segrete.”
“Mio principe!”, Shobe era furente e lo si  capiva dal modo in cui brandiva la spada. “Lo prenderanno per un atto di debolezza! Il re…”
"Mio padre ha lasciato a me la responsabilità di questa zona. Se hai problemi puoi sempre andartene." Lo interruppe Yaksha bruscamente. Poi sospirò, e continuò con un tono più calmo.
“Portatelo nelle segrete, cercherò di contrattare con l’ambasciatore una condanna a morte. Tuttavia non insisterò se questo volesse dire un incidente diplomatico, e opterò per una  punizione alternativa, sono stato chiaro?”
“Chiarissimo, principe Yaksha”, mormorò Shobe , strattonando Raven per farsi seguire.
Il ragazzo sollevò lo sguardo, lanciando un’occhiata al principe, un’occhiata disperata ed implorante. Restò sorpreso quando i suoi occhi incontrarono quelli del naga. Occhi che aveva già visto, color ametista e dalla pupilla verticale da serpente.
Si lasciò trascinare via, sconcertato, senza sapere se essere sollevato o meno da quella scoperta e angosciato per il destino incerto che lo aspettava….

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Gareth diede un calcio ad una sedia, frustrato.
La sala d’attesa dell’edificio della sede diplomatica era snervante. Completamente bianca e circolare, arredamento spartano, sedie scomode. Nulla che distraesse la mente dal motivo per cui erano lì; non un rumore che coprisse il nervoso battere delle unghie di Aramis sopra alla superficie liscia di un tavolino.
Era stata sua l’idea di venire lì. 
Non sapeva come era riuscito  fuggire. Era stato come un lungo incubo. Sapeva solo che quando aveva trovato Aramis, furioso per essere stato piantato in asso, la sua espressione rabbiosa gli era sembrata la cosa più bella del mondo. Era crollato in ginocchio e gli aveva abbracciato la vita sottile ed era rimasto lì, tremando, con la guancia premuta contro lo stomaco del fulvo come se non fosse più in grado di fare altro.
Solo quando aveva sentito le braccia di Aramis circondargli il capo e stringerlo a sé, era riuscito a calmarsi abbastanza da riuscire a raccontargli quello che era successo. 
Una volta terminato il resoconto però, era scoppiato il finimondo. Non pensava che il piccoletto fosse capace si una tale collera…
Lo osservò mordicchiarsi nervosamente un unghia mentre lanciava occhiate ansiose alla porta della sala. Sentiva il bisogno quasi doloroso di andare ad abbracciarlo per rassicurarlo, ma era certo che  se solo ci avesse provato, Aramis gli avrebbe cavato un occhio. Erano ore che non gli parlava, se si escludevano gli insulti a mezza voce.
Quando alla fine la porta si aprì si alzarono entrambi. L’ambasciatore, un uomo secco e allampanato, sembrava soddisfatto. Il viso di Aramis si illuminò di speranza. “Allora?” chiese, andandogli incontro.”
“Abbiamo raggiunto un accordo ragionevole.”, rispose l’uomo. “I naga non uccideranno il vostro amico, ma lo terranno recluso finché non riterranno ripagata l’offesa loro recata.”
La speranza sfumò in un attimo dall’espressione del fulvo. “Cosa…?”, mormorò. “Cosa…cosa dovremmo fare quindi?”
“Tornarvene a casa e sperate che non decidano di tenerlo recluso a vita.”
Aramis serrò i pugni, tremando di rabbia. “Aveva detto che l’avrebbe riportato a casa!”
L’uomo scrollò le spalle. “Ho detto che avrei fatto il possibile. Il mio lavoro consiste nel mediare e soprattutto nel mantenere saldi i trattati, non nel fare da balia a giovani scriteriati che decidono di andare ad importunare i naga che tra tutte le creature sono verso la cima della classifica delle più intrattabili”, sospirò, scuotendo la testa “Il vostro amico è già stato fortunato a salvare la pelle. Detto tra noi, è una fortuna che l’attuale principe dei naga sia una creatura ragionevole e che lui stesso abbia aperto la trattativa con l’idea di graziare il vostro irresponsabile amico. Se avesse preteso la messa a morte minacciando, in caso contrario, di far saltare i trattati, avrei dovuto concederglielo.”
Aramis impallidì più del solito, al punto che Gareth, temendo di vederselo svenire, si avvicinò, mettendogli un braccio attorno alla vita. 
il fulvo però si scostò bruscamente, voltandogli le spalle ed allontanandosi.
Gareth lo lasciò andare, tornando a guardare l’ambasciatore. “Grazie tante…”, sospirò sarcastico, prima di correre dietro ad Aramis, che per tutto il tragitto fino all’albergo rimase due passi avanti a lui, senza voltarsi mai indietro.
Oltre alla sofferenza e al senso di colpa stava iniziando a montargli dentro una gran rabbia per il modo in cui lo stava trattando.
Quando alla fine  gli sbatté la porta della camera in faccia, gli ribollì il sangue. Entrò come una furia, sbattendola a sua volta. “Adesso basta, Aramis, falla finita con questo atteggiamento!”, ringhiò.
Il fulvo si voltò, il viso arrossato e gli occhi lucidi per l’irritazione. “Il mio atteggiamento?” esclamò, incredulo. “Il mio atteggiamento?! Parliamo del tuo atteggiamento, razza di stupido bestione irresponsabile. Credevo che un briciolo d’intelligenza l’avessi. Ma a quanto pare persino arrivare a capire che non parlo a vanvera quando dico di non fidarsi delle fate, è troppo per te!”
“Ti fa stare meglio aggredirmi?”, gridò Gareth, di rimando. “Bene, fa pure, continua! Fregatene di come mi sento io!”, esclamò, allargando le braccia. Forza colpisci, sembrava dire.
Aramis si avvicinò, dandogli una spinta, che non lo spostò di un millimetro. “Ah, e come ti senti?” Chiese sarcastico. “Non mi sembra tu sia così affranto! Il mio migliore amico ha rischiato di morire ed ora è prigioniero dei naga per colpa tua! Sei grande e grosso, ma hai il cervello di una gallina a quanto pare!” 
Gareth serrò le labbra furente. Se a parlargli fosse stato qualcun altro non ci avrebbe pensato due volte a chiudergli la bocca con un ceffone, Ma per quanto arrabbiato, mai avrebbe alzato un dito sul piccoletto. Si limitò a restituirgli lo spintone. “No”, disse rabbioso. “Non è tutta colpa mia. Raven è adulto e senziente. Non l’ho obbligato, era d’accordo tanto quanto me. Forse potresti mostrare un po’ di sollievo contando che io, il tuo ragazzo, sia qui e non prigioniero chissà dove, assieme a Raven!” esclamò, ansioso di restituirgli tutti i colpi incassati fino a quel momento. “O forse saresti stato più felice se fosse accaduto il contrario. Io sperduto chissà dove e Raven qui a confortarti. Ma non ti preoccupare, non è una tragedia per me, dato che sei solo un ripiego per quando le ragazze mi mandano in bianco…”
Aramis  sgranò gli occhi. “Ma cosa… Che diavolo stai dicendo?”, mormorò esterrefatto. “Stai vaneggiando?”
“Forse”,  ribatté Gareth. Non sapeva nemmeno lui in realtà quello che  stava dicendo, voleva solo colpire e ferire a sua volta. “Ma sei ancora in tempo, puoi sempre raggiungerlo e buttarti tra le sue braccia. Da solo, perché io me ne torno a casa”, concluse, uscendo e sbattendo la porta. 
L’attimo dopo si diede dell’idiota. Era uscito senza bagagli ed il denaro lo teneva Aramis, perché era il più responsabile. Rientrare subito avrebbe rovinato l’effetto della sua sfuriata…
Percorse il corridoio aventi ed indietro un paio di volte prima di decidersi a rientrare.
Aramis si era avvicinato alla finestra e gli dava le spalle, ma nel riflesso sul vetro poteva scorgere il modo con cui si stava mordendo il labbro inferiore quasi a sangue per non crollare.
Gareth fece del suo meglio per ignorarlo,rimestando nelle borse, finché un singhiozzo soffocato non gli andò a trafiggere il cuore, facendolo sentire un mostro.
Si raddrizzò con un sospiro Raggiungendolo.
“Aramis…”
“Idiota..:”
Gareth si accigliò, ricominciava? “Stammi a sentire”
Il fulvo si voltò di scatto, fronteggiandolo. “Perché credi che sia così arrabbiato, eh?”, tirò su col naso, strofinandosi un occhio. “Mi sento morire al pensiero del rischio che hai corso. Non… oh, Dea, se non fossi riuscito a tornare…”, si morse di nuovo il labbro, abbassando la testa ed allungando una mano per afferrargli la camicia. “Non so cosa avrei fatto..”
Gareth sospirò, circondandogli le spalle con un braccio. “Ehi…tranquillo. Hai ragione, sono stato imprudente” ammise. “Ma sono qui...”
Si guardò intorno. Forse l’ambasciatore aveva ragione. Non avevano nulla da fare lì, forse era meglio tornarsene a casa sul serio…

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Che freddo insopportabile…
Raven si raggomitolò nella lacera coperta che aveva scovato in un angolo della cella. Non che servisse a molto, tra il gelo fuori dal normale di quella prigione sotterranea e l’angoscia per il suo destino, non riusciva a smettere di battere i denti.
Sussultò bruscamente quando la grata di metallo si aprì con un cigolio infernale.
Il principe fece la sua comparsa assieme ad altre due guardie, che, dopo essersi guadato intorno, congedò, con un sibilo secco. Incrociò le braccia mentre i due naga si ritiravano, scrutandolo in silenzio.
Raven deglutì nervosamente, provò a sostenere quello sguardo severo, ma dovette abbassare il proprio, qualche secondo dopo, conscio di essere uno spettacolo pietoso.
Doveva pensarlo anche Yaksha, perché sospirò esasperato. “Alzati”, disse. “E allunga le mani.”
Raven si alzò guardingo. “Per quale motivo…?”
“Tu fallo e basta o le conseguenze non saranno piacevoli.”
Non appena lo ebbe fatto, il naga gliele afferrò, stringendole con forza per impedirgli di ritrarle.”Ora sta fermo”, sibilò.
Raven non ci pensava nemmeno a starsene buono. Provò a divincolarsi, cosa che peggiorò la situazione perché Yaksha, poco incline alla pazienza, gli avvolse la coda attorno alle gambe ed alla vita, per tenerlo fermo.
“Non ti mangio, resta fermo, per la Dea!”, esclamò esasperato, poi chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo e mormorando qualcosa di incomprensibile.
Raven sent rizzarsi i capelli sulla nuca mentre sentiva la pelle formicolare e la stanza saturarsi di magia.. “Dea, Ti prego…”, mormorò, atterrito, nel vedere i bracciali dorati che Yaksha portava ai polsi –nemmeno a dirlo, a forma di serpente- fremere e strisciare lungo le loro mani fino ad avvolgersi ai propri.
Una volta tornati immobili Yaksha gli lasciò le mani, allentando le spire ed arretrando, mentre Raven, finalmente libero, arretrava fino al muro, guardandosi i polsi inorridito. “Cosa…”
“E’ la tua punizione”, rispose il naga “O meglio, una parte. Non verrai giustiziato, immagino che ti premesse saperlo. Diciamo che è un assicurazione. Non puoi scappare; se ti allontani dal nostro territorio quei bracciali si sveglieranno e ti inietteranno una quantità veleno tale da uccidere un orso delle montagne. Ergo, ti conviene rimanere nel castello ed ubbidire ai nostri ordini. E' una fortuna per te che tu abbia deciso di far funzionare il cervello, per quanto piccolo sia, e mi abbia dato retta. Se avessi ferito un a delle guardie, o peggio, me", disse teatrale, appoggiandosi una mano al petto. "Non avrei potuto fare nulla per aiutarti. Probabilmente saresti stato squartato all'istante.”
Raven, che si era afflosciato contro al muro per il sollievo ascoltano a malapena il resto del discorso, si riscosse.
"Avevo ragione allora, eri tu"! esclamò. Poi aggrottò la fronte "Perché mi hai aiutato?"
Yaksha roteò gli occhi. "Non amo ripetermi, l'ho già detto. Ma visto il tuo scarso intelletto per stavolta farò un eccezione. La diplomazia. Hai idea della fatica che è stata fatta per raggiungere gli accordi che tu, razza di disgraziato, stavi per far saltare? Molti dei naga, come Shobe, sono rimasti alla vecchia mentalità Uccidi e domina. Dando loro un pretesto ti avrebbero eliminato”, si mosse, strisciandogli più vicino e strisciando avanti ed indietro, gesticolando mentre parlava. “E prova ad immaginare qual è la cosa che noi naga odiamo di più.”
Raven si ritrasse contro il muro, quello strisciare gli faceva venire i brividi.
“Mh, i ladri?”, chiese con un filo di sarcasmo.
“Oh, ma guarda, allora non sei totalmente stupido.”, ribatté Yaksha, avvicinandosi.
Raven si morse il labbro inferiore, sarebbe sprofondato nel muro se avesse potuto.
“Ma sai”, continuò il naga, “La cosa che odiamo più di tutti sono quelli che oltrepassano i nostri confini. Gli invasori, ci fanno ribollire il sangue”.
A quello Raven non poté trattenere un verso i sarcasmo. Quasi uno sbuffo divertito.
“Qualcosa ti diverte?”, ringhiò Yaksha, assottigliando lo sguardo.
“Non proprio. Trovo solo paradossale che ce l’abbiate così tanto con gi invasori quando siete stati i primi a farlo.”
Yaksha lo guardò, visibilmente perplesso. “Scusa?”
“Non fare il finto tonto”, continuò Raven, stizzito da quell’atteggiamento. “Parlo delle fate. Di come avete usurpato il loro territorio.”
Il sapere che non l’avrebbero ucciso per nessun motivo aveva contribuito a fargli ritrovare coraggio. “Le avete attaccate, depredate ed usurpato i loro tesori.”
Il naga aveva l‘espressione più sconcertata che si potesse assumere. Sembrava confuso. “Ti ripeto. Non so di cosa tu stia parlano, datti una calmata”, disse. “Questo territorio è sempre stato dei naga, così come le reliquie che custodiamo”
“Stai mentendo. Fiörl…”
Yaksha parve capire in quel momento cosa era successo, perché scoppiò a ridere di gusto. “Aspetta! Aspetta… ti sei fatto fregare a una fata?!” disse, scuotendo la testa, senza riuscire a frenare le risate. “Oh Dea misericordiosa, ritiro tutto quello che ho detto sulla tua intelligenza. Diamine… Anche un bambino avrebbe capito che quel tizio lo stava prendendo in giro, quale fata sana di mente sceglierebbe come territorio un posto che si trova sopra una miniera di ferro?!”
Raven era rimasto a guardarlo, a bocca aperta per lo sconcerto.
“Non è….”
“Possibile?”, lo interruppe Yaksha, ricomponendosi, ed asciugandosi gli occhi umidi dal tanto ridere, “Oh, si che lo è. Le fate ci odiano, e sarebbero più che felici se gli umani ci dichiarassero guerra assieme al resto dell’alleanza. Probabilmente speravano che ti giustiziassi così su due piedi e scatenassi una faida diplomatica. Per loro sfortuna sono molto più furbo di loro.”
Raven non rispose, guardava fisso davanti a sé, completamene annientato dall’umiliazione e dalla vergogna. Si era fatto fregare come un’idiota. Non aveva nemmeno riflettuto. Aramis lo aveva messo in guardia, se solo l’avesse ascoltato….
Yaksha sospirò, chinandosi ed afferrandolo per un polso, tirandolo in piedi e spingendolo verso la porta della cella. “Su, forza, muoviti. Ti ho risparmiato la vita ma non sei in villeggiatura. Considerati nostro schiavo fino a che non riterrò che tu abbia ripagato l’offesa arrecataci.”
Raven deglutì seguendolo silenzioso. Ancora non si capacitava della piega che stava prendendo quella che, a conti fatti, avrebbe dovuto essere la vacanza più bella della sua vita…
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Nel dedalo dei corridoi del palazzo oltre all’orientamento si perdeva anche la cognizione del tempo.
Raven si rannicchio dentro uno sgabuzzino, chiudendo gli occhi per un secondo. Un attimo di pace, ne aveva bisogno.
Inspirò ed espirò lentamente, più volte. Non aveva idea di quanti giorni fossero passati da quando il principe lo aveva liberato. Le ore che trascorreva sveglio erano un continuo spolverare, sfregare, lucidare. Era stato relegato al ruolo di domestico. Ma la cosa più sfibrante era l’essere circondato da quelle creature che lo ripugnavano. E che lo detestavano, a giudicare dalle occhiate e dai sibili irati che gli rivolgevano. Sibili, esatto. Non aveva più sentito una sola parola nella sua lingua, era tutto un sottofondo di quella lingua sfuggente che lui non capiva.
Era sveglio da prima dell’alba, si sentiva le ossa a pezzi e la schiena ancora dolorante per le frustate che il naga a capo della servitù gli aveva riservato il giorno prima perché, a suo parere, era troppo lento…
Sussultò quando la porta dello sgabuzzino si aprì e sollevò le braccia di scatto, per proteggersi, convinto che fosse ancora il capo della servitù. Fortunatamente non era così. Si trovò davanti Mashe, la cameriera personale del principe che invece di frustarlo per averlo trovato a riposarsi, si limitò ad un occhiata seccata, afferrandolo per un polso e tirandolo fuori con malagrazia.
Sibilò qualcosa ficcandogli in mano un vassoio e spintonandolo verso la porta della cucina.
“C.. Come?”, balbettò Raven, “Non capisco…”
Mashe sibilò alcune parole incomprensibili, ma che a giudicare dall’intonazione e dall’occhiata torva dovevano essere insulti, poi cambiò lingua. “Porta la colazione a sua altezza. Sbrigati, non ho tempo di farlo io.”
Strascicava le S e le Z in un modo che faceva venire i brividi
Raven annuì, defilandosi alla svelta. Erano tutti ansiosi quel giorno, probabilmente si stavano preparano a qualcosa di importante e lui non aveva la minima voglia di fare il capro espiatorio della loro frustrazione.
Bussò alla porta con delicatezza, tenendo il vassoio in bilico con una mano. Non ricevendo risposta entrò cautamente. A stanza era decisamente enorme, con tanto di letto a baldacchino, enormi tappeti ricamati argento e blu cobalto e persino un grosso caminetto in marmo nel quale ardevano i resti di un fuoco. Strano, non poté fare a meno di pensare, non gli sembrava che facesse così freddo da giustificarlo.
Un sospiro lo riscosse dalla contemplazione di quel tripudio di lusso blu e argento - ogni cosa aveva le sfumature di una o dell’altra tonalità - e gli ricordò qual’era il suo compito. Si avvicinò al letto, poggiando il vassoio su uno dei comodini, e scostò le tende con un gesto deciso. Yaksha sembrava dormire ancora profondamente, rannicchiato in mezzo ad un nido di spire e coperte. La lunga coda era acciambellata e il principe vi aveva appoggiato la testa come fosse un cuscino.
Ora veniva il difficile, ovvero svegliarlo. Come si svegliava un principe?
Tenendo in bilico il vassoio con una mano bussò energicamente su una delle colonne del baldacchino, ma non sembrò funzionare. Scuoterlo lievemente forse?
Osservò la schiena del principe, lasciando scivolare lo sguardo lungo la colonna vertebrale fino al punto in cui i disegni geometrici delle scaglie bluastre si facevano tridimensionali. Venne attraversato da un fremito di disgusto, gli dava l’idea di qualcosa di freddo e viscido, neanche morto lo avrebbe toccato di sua volontà!
Scosse la testa e si schiarì la voce. Rumorosamente.
Dopo la terza volta che lo faceva senza ottenere reazioni sospirò affranto. Ma che razza di sonno aveva?
Be, poteva sempre lasciargli la colazione ed andarsene, pensò.
Appoggiò Il vassoio sul comodino e lo scoperchiò. Si pentì immediatamente di averlo fatto. Lasciò cadere il coperchio che fece un rumore terrificante. Tutto si era aspettato di vedere, ma non quelle che sembravano uova opalescenti. Dal guscio, semi-trasparente, si intravedevano delle ombre scure. Che diavolo erano?!
“Ti sembra il modo di svegliare un principe, questo?
Yaksha sembrava essersi deciso a riemergere dal suo letargo, a quanto pareva.
“Um… ecco…”, borbottò Raven, chinandosi a raccogliere il coperchio d’argento. Non ti svegliavi…”
Yaksha si stiracchiò, srotolando la coda e facendo un sorriso sornione. “Ero sveglio da quando hai bussato”, disse, con un luccichio divertito nello sguardo. “Ma è stato divertente vederti affannare a quel modo…”, si interruppe, accigliandosi bruscamente. “Un po’ meno divertente è stato notare lo schifo con cui mi guardavi”.
Afferrò una delle grosse uova e snudò le zanne, affondandole nel guscio e succhiandone avidamente il contenuto.
Raven ritenne saggio distogliere lo sguardo, ma non poté impedirsi di rabbrividire. “Come mi hai visto se stavi fingendo di dormire?”
Yaksha deglutì rumorosamente, attaccando il secondo uovo. “Eri talmente preso a non guardarmi che non ti sei nemmeno accorto che ti stavo fissando”, rispose, leccandosi poi le labbra.
Aveva un tono talmente offeso che Raven trovò saggio non ribattere e attese che finisse quell’inquietante colazione.
Alla fine il naga si pulì la bocca col dorso della mano, stiracchiandosi e stravaccandosi  di nuovo sul materasso. “Porta via tutto, poi torna qui. Se Mashe ti ha spedito da me è perché non ti vuole tra le spire.”
Raven si avvicinò, prendendo il vassoio e rimettendoci sopra il coperchio alla svelta, senza guardarci dentro. “Sono tutti molto nervosi effettivamente”, constatò, tirando un sospiro di  sollievo al pensiero di non dover stare tutto il giorno in mezzo a naga iperattivi.
“E’ per mio padre”, sospirò Yaksha allungandosi completamente e stirando ogni muscolo dalla punta delle dita a quella della coda. “Arriverà a giorni per fare una visitina di controllo. Qui comando io, ma ogni tanto lui viene ad incutere un po’ di terrore.”
Oh, fantastico…
Raven si morse il labbro inferiore, nervoso e sgattaiolò via in fretta.
In cucina Mashe gli strappò il vassoio di mano, degnandolo a malapena di un’ occhiata, gridando qualcosa contro un’altra nagini.
Decisamente era molto più saggio tornare da Yaksha.
Ritrovò il naga nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciato, sembrava essersi riaddormentato. Rimase in piedi, guardandosi intorno. “Se speri di fregarmi un’altra volta stai fresco”, mugugnò.
Le labbra di Yaksha si incurvarono appena. “Ma che razza di linguaggio è? Ti sembra il modo di rivolerti ad un principe?”, chiese, palesemente divertito.
“Comunque no, non volevo fregarti, stavo semplicemente poltrendo”, disse, aprendo gli occhi e rigirandosi per  guardarlo. “Cosa che tu non puoi fare. Forza c’è tanta di quella roba da pulire e lucidare in questa camera che ti terrò lontano, come vuole Mashe, per una settimana intera.”
Raven aprì la bocca per ribattere, ma si rese conto che non poteva. Ingoiò la risposta ed annuì, guardandosi intorno.
La stanza, ad un’occhiata più approfondita, si rivelava molto più disordinata di come appariva. Spazzole, cuscini sparsi in giro… persino bracciali e gioielli abbandonati con noncuranza su divanetti o mobili.
Silenzioso si mise a sistemare le cose più evidenti, sentendo lo sguardo del naga puntato addosso, masticando tra i denti commenti sarcastici sul disordine che non avrebbe potuto esternare…
 
*   *   *
 
Raven a aveva finito di riordinare ed il naga lo aveva messo a pulire e lucidare gli specchi da quasi un’ora. Accaldato si era tolto la maglietta, appoggiandola su un mobile, rimanendo a petto nudo. Quel maledetto camino cacciava un caldo assurdo…
“Ehi, fermati un attimo”
Raven si voltò guardandolo interrogativo
“Che c’è?”, chiese stranito. Aveva fatto qualcosa di male?
Il naga si era spostato su un divanetto, senza perderlo di vista. Scrollò le spalle. “Vieni qui e spogliati”, disse.
Raven si bloccò con lo straccio a mezz’aria. “Che?!”, esclamò. “Non ci penso nemmeno!”, si rifiutò. Che razza di ordini gli dava?
Yaksha scivolò giù dal divanetto , strisciandogli attorno con aria critica. “Spogliati. Ho letto un sacco di libri su voi umani e sulla vostra anatomia, ma è la prima volta che ho la possibilità di vedervi dal vivo.” Si fermò davanti a lui, allungando una mano ed infilandogli due dita sotto la cintura dei pantaloni.
“Ehi!”, esclamò Raven, afferrandogli il polso ed allontanandolo con un gesto deciso. “Puoi scordartelo!”
Yaksha lo guardò, sorpreso, probabilmente non era abituato a sentirsi dire di no. “Di cosa hai paura?”, chiese, allungando l’altra mano che venne fermata allo stesso modo.
“Di nulla”, borbottò Raven. “Mi infastidisce questo interesse morboso nel vedermi nudo. Non sono una cavia.”
Il naga lo fissò, intensamente, poi accennò un sorriso divertito. “E’ così repellente toccarmi? Oppure non è terribile come pensavi?”
Raven sbatté le palpebre , confuso, poi si rese conto che sì,  lo stava toccando. Contrariamente a quello che immaginava  la pelle del naga non era né fredda, né viscida, Era tiepida e morbida e l’ossatura, sotto di essa, aveva un che di fragile, molto più di quella degli umani. Poteva sentire i battiti del suo cuore dalle vene dei polsi, tre battiti veloci, una lunga pausa, altri tre battiti. Aveva qualcosa di ipnotico.
Yaksha, spazientito, scosse le braccia per liberarsi dalla sua presa. “Sappi che sei un guastafeste.” Brontolò, andando a stendersi di nuovo sul letto.
Raven sospirò sollevato, riprendendo lo straccio per rimettersi al lavoro, sperando che al principe non venissero altre strane idee.
Fortunatamente il naga sembrava aver perso interesse. Passò tutta la giornata a farlo sgobbare, congedandolo all’ora di cena. Raven raggiunse lo sgabuzzino dove dormiva e vi crollò, esausto.
A parte la stanchezza però, si sentiva meno angosciato. Forse perché subire le angherie di un solo naga non troppo ostile era molto meno stressante che essere circondato da creature che lo fissavano come uno spuntino…
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


“Stai cercando di uccidermi?”
Yaksha, morbidamente acciambellato davanti al caminetto, sollevò lo sguardo dal libro che aveva in grembo. Lanciò a Raven una lunga e penetrante occhiata, silenziosa. “Di cosa stai parlando?”
“Non è umanamente sopportabile tutto quel lavoro che mi stai facendo fare. Tu stai cercando di uccidermi e farlo sembrare un incidente.”
“Ovviamente no, anche una tua morte accidentale sarebbe un bel problema. E poi sei grande e grosso, un po’ di lavori manuali non hanno mai ucciso nessuno.”
Raven  digrignò i denti spazientito. “Disse quello che non muove mai un dito.”
Non aveva ancora finito di pronunciare la ultima sillaba che si ritrovò il viso del naga a pochi centimetri dal suo. “Io non lo ripeterei”, sibilò, socchiudendo gli occhi. “Sei tu stesso la causa dei tuoi mali, ma se sei stanco vattene a dormire, per quel che mi interessa”, aggiunse irritato,.
Raven deglutì rumorosamente ed indietreggiò fino alla porta. Si fece un appunto mentale di mordersi la lingua, la prossima volta, mentre la spalancava e si fiondava fuori. Ah, permaloso il principino…
Del resto era la verità, lo svegliava in tarda mattinata con la colazione, lo vedeva leggere o poltrire fino all’ora di pranzo in cui spariva per impegni di routine, come diceva lui. Poi lo vedeva riapparire nel tardo pomeriggio e poltrire ancora finché non lo congedava per andarsene a dormire.
Si fermò di colpo, rabbrividendo. Aveva lasciato la giacca il camera di Yaksha. Non se n’era accorto subito, ma ora lo sbalzo di temperatura iniziava a farsi sentire. L’estate stava finendo ed il caldo intenso della camera del principino non era più tanto spiacevole…
Imprecando tra i denti tornò sui suoi passi, per recuperala.
Non moriva dalla voglia di affrontare di nuovo il principino furente, ma non aveva scelta.
Si fermò di colpo quando, a metà corridoio circa, intravide Yaksha  fermo davanti ad una delle finestre.
Stava per avvicinarsi, quando, dopo esseri guardato furtivamente intorno, il naga si sporse dalla finestra, scivolando all’esterno.
Raven sbatté le palpebre, stupito. Si supponeva che un principe potesse fare tutto, quindi perché uscire di nascosto?
Si mordicchiò il labbro, poi raggiunse la finestra e guardò fuori. L’erba dove Yaksha era passato era più schiacciata e disegnava una serpeggiante scia che si inoltrava tra gli alberi. Forse stava per fare qualcosa di proibito. Qualcosa per cui poteva finire in grossi guai…
Senza pensarci troppo scivolò a sua volta fuori dalla finestra e lo seguì silenzioso, fantasticando su terribili segreti con cui avrebbe potuto ricattarlo per farsi ridare la libertà.
Indugiò su quei dolci pensieri finché il fogliame degli alberi non iniziò a diradarsi, lasciando intravedere una radura.
Si morse il labbro inferiore per trattenere un moto di delusione. Yaksha non si stava dedicando a nulla che poteva sfruttare. Stava semplicemente facendo un bagno in un piccolo laghetto.
Sospirò lentamente, chiedendosi il perché di tutta quella segretezza.
Immerso nell’acqua, Yaksha, avrebbe potuto sembrare umano, se non fosse stato per l’ombra scura della coda che si snodava sotto il pelo dell’acqua. Sembrava pensieroso, quasi malinconico, spoglio dell’arroganza e del potere che mostrava di giorno. Forse nemmeno lui, in fondo, era poi così libero di fare quel che voleva…
Raven si mosse per avvicinarsi ed osservarlo meglio, incuriosito.
Ad un tratto un guizzo nell’erba attirò l’attenzione di entrambi. Un topo del sottobosco era emerso dal sottosuolo, probabilmente in cerca di cibo. Raven notò l’improvvisa immobilità di Yaksha, il corpo teso, le pupille ridotte a due fessure. Capì con orrore quello che stava per accadere una frazione di secondo prima che succedesse.
Yaksha scattò fuori dall’acqua e affondò le zanne nel piccolo mammifero, con la ferocia di un cobra.
Raven si coprì la bocca con entrambe le mani per trattenere un gemito di orrore. Sfortunatamente non ebbe la prontezza di spirito di chiudere anche gli occhi per risparmiarsi lo spettacolo del naga che divorava il piccolo animaletto in due bocconi.
Inorridito arretrò lentamente, per scappare, ma evidentemente era più rumoroso di quanto pensasse perché Yaksha voltò il viso nella sua direzione: Aveva lo stesso sguardo di poco prima, quando aveva aggredito il topo. Non fu una delle sue mosse più intelligenti, ma si voltò per scappare, completamente in preda al panico.
Non aveva fatto che pochi metri quando qualcosa lo colpì alla schiena, buttandolo a terra. Si ritrovò steso sull’erba con Yaksha sopra di lui, pronto a colpire.
Non riuscì a pensare a nulla, tranne che era uno spettacolo bellissimo e terrificante allo stesso tempo. La schiena inarcata di un predatore pronto a colpire, il bel viso contorto in una sorta di ringhio e le zanne completamente snudate che stillavano un liquido lattiginoso.
Qualche goccia gli cade sul collo, spingendolo a contorcersi per il bruciore improvviso. Ecco, pensò, stava per morire. Ora lo avrebbe morso, iniettandogli quel letale veleno, e sarebbe morto tra atroci sofferenze.
Yaksha però sembrava avere una reattività migliore della sua, perché si fermò, un attimo prima di azzannarlo, riconoscendolo. "Stai tentando d farti uccidere?", chiese freddamente, ritraendo le zanne e spostandosi da lui.
Raven sospirò sollevato. C’era mancato poco. “No io... A dire il vero ero solo curioso di sapere dove stessi andando così furtivo…”
“La curiosità uccide”, lo interruppe Yaksha, scivolando con grazia sull’erba e sparendo di nuovo tra il fogliame. “Cerca di non dare pretesti alle mie guardie per farti fuori, dovrei dare un mucchio di spiegazioni poi.”
“Aspetta!” Raven si rialzò, seguendolo. “Aspetta, Yaksha…”
Un sibilò furente alla sua sinistra lo fece voltare di scatto, un gemito stridulo gli sfuggì dalle labbra ritrovandosi a fissare gli occhi color ametista del giovane principe, che lo fissava, a testa in giù, appollaiato su un ramo, la coda attorcigliata ad esso ed il busto inarcato per avere il viso all’altezza del suo. “Nessuno può permettersi di pronunciare il mio nome con tanta confidenza eccetto la mia famiglia, come ti permetti?”
Raven deglutì, indietreggiando appena e sollevando le mani in segno di resa. “Ascoltami. So che mi merito tutto questo. Ho fatto un’idiozia senza pensarci e sono consapevole di essere fortunato a cavarmela con una semplice detenzione, nemmeno troppo restrittiva. Ma è dura essere circondato tutto il giorno da…”, si interruppe, non era certo di che termine usare senza offendere il naga.
“Creature?”, lo imbeccò Yaksha in tono ironico. Nonostante il sottile sarcasmo però non sembrava più furibondo e quello era un bene.
Raven annuì. “Creature che non fanno che sibilare e guardarmi storto. Anche per quello ti ho seguito, perché almeno tu… beh, mi insulti in una lingua che comprendo”, sospirò, facendo un timido sorriso.
“Già, li ho obbligati ad imparare la lingua comune di Amastra, in modo che potessero comunicare con le altre creature, ma non ne sono felici. Preferiscono parlare la nostra.” Yaksha srotolò la coda, atterrando pesantemente sull’erba, scivolando attorno a lui con la grazia di un cobra. “Penso di aver capito, comunque”, concesse. “Resta vicino a me, d’ora in poi. Mi eviterai un sacco di noie in caso di una tua prematura morte.”
Si fermò, tornando ad laghetto e scivolandovi di nuovo dentro, rabbrividendo appena. Di riflesso rabbrividì anche Raven, l’acqua doveva essere gelida. Si sedette su una roccia, osservandolo nuotare. “Perché tutta questa segretezza?”, chiese. “Sei scivolato fuori dal palazzo furtivo come un ladro.”
Yaksha si scostò una ciocca bagnata dal viso. “Perché nessuno sa di questo posto. Eccetto un umano ficcanaso”, disse, sarcastico. “Mi serve che resti così. Ci sono dei momenti in cui ho  bisogno di staccare. Di sapere che per quella mezz’ora che mi prendo per me nessuno piomberà qui a cercarmi per questa o quella questione”, sbuffò, stancamente. “Inoltre a Mashe  non piace che nuoti nell’acqua gelata”, aggiunse, divertito. “Ma mi schiarisce le idee.”
Un attimo di silenzio.
“Mashe è… tua madre?”
Yaksha lo guardò, stranito. “Per la Dea, no!”, esclamò. Poi però sorrise, dolcemente, forse perso in un pensiero particolarmente tenero. “Però in effetti è come se lo fosse. Mi ha cresciuto lei, dopo la morte della regina.”
“Ah”, Raven si morse la lingua. “Mi dispiace, non volevo toccare un argomento spinoso”.
Il naga scrollò le spalle, appoggiando i gomiti alla riva ed incrociando le braccia. “Non l’ho nemmeno conosciuta”, disse tranquillamente. “Comunque, è per quello che gestisco io questa zona. Dopo la sua morte mio padre è diventato un pochino… troppo aggressivo, per condurre le trattative. Così appena possibile gli sono subentrato.”
Raven inarcò un sopracciglio. Si stava confidando con lui?
Stranamente, gli sembrava quasi un'altra persona rispetto a quello che era a palazzo. “Senti. Non ti ho ancora ringraziato”
“Per cosa?”
“La mia vita. Per avermi salvato. Grazie.”
Yaksha accennò un sorriso, uscendo dall’acqua. “Beh, che dire, finalmente.”, disse, facendogli segno di  seguirlo. “Forse adesso questa nostra convivenza si farà meno pesante, no?”
Raven si strinse nella giacca, seguendolo. Non ne aveva idea, ma lo sperava…
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Restarsene con Yaksha si stava rivelando meglio del previsto.
Raven si sgranchì la schiena, si ogni tanto lo faceva sgobbare ed era molto arrogante e pretenzioso. Però Parlava la sua lingua e non gli sibilava contro ogni volta che ne aveva l’occasione.
Amava molto, forse troppo, il suono della sua stessa voce, ma era di buona compagnia, ed era  molto curioso riguardo al mondo al di fuori del loro territorio, che non aveva mai visto e, per ricambiare, gli permetteva di leggere i libri della grande biblioteca del palazzo.
Era capitato addirittura che li leggessero insieme, anche se Raven mal sopportava la vicinanza della coda di Yaksha, non riusciva a farsene una ragione. Per la Dea quanto gli dava i brividi!
Passavano molto tempo assieme; in quel momento però, Yaksha sembrava sparito. Non era nelle sue stanze e non lo aveva visto lungo i corridoio. Anzi, non aveva visto nessuno nei corridoi, dove diavolo erano tutti?
Incrociò Mashe, fuori dalla sala del trono. La cameriera lo guardò storto, poi accennò alla stanza con un brusco cenno del capo. Erra furiosa con lui e si vedeva, cosa aveva fatto quella volta?
Entrò quatto quatto nella sala, che si rivelò piena di naga. Al centro Yaksha stava fronteggiando un naga adulto. I capelli scuri e ricci e la colorazione delle squame, così simile a quello del giovane principe faceva pensare che fosse il tanto atteso padre, che era arrivato ad incutere terrore.
Più che spaventato però il giovane principe sembrava furioso. Le zanne completamente snudate si erano conficcate nel labbro inferiore, ferendolo. Yaksa però non sembrava curarsi del sangue e del veleno opalescente che gli colavano sul mento. Fremeva di rabbia repressa, riusciva a vederlo anche da lì.
Non riusciva a capire cosa stava succedendo, si avvicinò ancora. Il re sembrava ancora più furioso. I suoi sibili rabbiosi gli facevano venire la pelle d’oca. Alcuni dei presenti sembravano soddisfatti. Una delle guardie accanto a lui si lasciò sfuggire una risata soffocata. “Smettila”, lo riprese un suo collega. “Oh, andiamo”, gli sussurrò in risposta. “Non dirmi che non stai godendo anche tu nel vedere il principino in difficoltà.  Col sovrano deve abbassare la testa anche lui.”
L’altra guardia scrollò le spalle, mentre Yaksha decideva di averne abbastanza e cominciava, a mezze sillabe, a cercare di farsi valere. “Non particolarmente. Nonostante le sue decisioni siano in contrasto con quelle del re, non si può dire che non sia un buon…”
Il violento schiocco di uno schiaffone li fece trasalire, interrompendoli. Raven riportò lo sguardo sui reali. A quanto pareva il sovrano non aveva gradito quel tentativo di imporsi, ed aveva schiaffeggiato con violenza il giovane principe, che si era ammutolito di colpo.
“Di cosa stanno parlando?”, sussurrò, incapace di trattenere la sua curiosità.
La guardia nemmeno si voltò. “Di te”, disse solo.
Raven sbatté le palpebre. Di lui?
La cosa gli fu confermata dall’occhiata rovente che Yaksha gli lanciò, mentre furente ed indignato, attraversava la sala, per uscire dal salone. Qualunque cosa fosse, doveva essere importante…
Sgattaiolò fuori anche lui, per seguirlo, ma il principe sembrava essere già sparito.
Raggiunse la camera di Yaksha , bussando.
Stava chiedendosi se non fosse fuggito al laghetto quando Yaksha rispose; "Andate via!" gridò irato.
Raven si guardò intorno. Per quanto decisamente intrattabile, Yaksha era l'unico in quel posto con cui non si sentiva a disagio. Nonostante il pessimo carattere.... Be, gli dispiaceva sapere che era lì dentro da solo, a rimuginare.
Aprì lentamente la porta, sbirciando dentro.
Gli si strinse il cuore nell'individuare la sagoma del giovane principe, rannicchiato sul letto con un cuscino stretto al petto, in cui aveva seppellito il viso.
Era una reazione così umana da lasciarlo spiazzato.
"Cosa sei, sordo o scemo? Vattene via!"
La voce aspra di Yaksha gli giunse attutita dal cuscino. Invece che farlo esistere quell'invettiva lo spinse a entrare, chiudendosi la porta alle spalle. "Va tutto bene?", domandò cautamente.
Yaksha si rizzò di scatto, fulminandolo con un occhiataccia. "Ti sembra che vada tutto bene?!" sibilò. Il viso era congestionato, contorto dalla rabbia. La stessa rabbia i cui sfavillavano gli occhi lucidi. Le zanne non si erano ancora ritratte e continuavano a torturare il labbro inferiore. "No, dimmelo, ti sembra che vada tutto bene?!"
Raven sospirò. "No", ammise.
Yaksha sospirò. “Bell’intuito… Immagino che se non ti prendo di peso e non ti scaravento fuori da qui non te ne andrai, vero?"
Raven accennò un sorriso divertito, raggiungendolo. "Esatto", disse, Facendogli sollevare il viso per dare un’occhiata al labbro. Il giovane naga voltò la testa di lato. "Vattene, seriamente", disse, debolmente. Meno convinto.
Raven sospirò, prendendogli il mento con una mano e facendoglielo voltare di nuovo. "Ti capisco, credimi", disse, e sorrise ancora alla sua espressione scettica.
 "Anche mio padre era decisamente prevaricatore ed esigente. Io desideravo la sua approvazione, ma a lui non andava mai bene nulla. E' qualcosa che ti ferisce profondamente."
Yaksha sibilò, infastidito. "Non hai capito nulla. Ovvio che mi interessa avere la sua approvazione, ma non ne faccio un dramma se non è così", gli allontanò la mano con un colpo secco. “Quello che brucia è l'umiliazione, non perde occasione i riprendermi avanti alla servitù, alle guardie, a chiunque! Mi umilia pubblicamente ogni volta che qualcosa non gli va a genio."
Si divincolò dalla sua presa, spingendolo via. "Mi fa sentire un moscerino, un ragazzino stupido, e lo fa davanti a tutti! Tu sei un poveraccio, cosa ne vuoi sapere di autorità e giochi i potere?!"
Sibilò, ansante e rabbioso.
Raven indietreggiò appena, guardandolo in silenzio. Guardando quegli occhi color ametista, sgranati per la rabbia. Per un lungo minuto nessuno dei due parlò o si mosse.
Alla fine, stranamente, fu Yaksha a distogliere lo sguardo, alzandosi dal letto
"Ho voglia di un bagno.", disse, seccato.
Raven sospirò. Era chiaro che lo stava congedando. "Vado a chiamare Mashe?", chiese.
“No...", la voce di Yaksha lo fermò sulla porta. “Occupatene tu"
"Io?" chiese Raven, sconcertato. "Ma...:"
"Non ho voglia i vedere nessuno... per favore", mormorò Yaksha stancamente, scuotendo la testa.
Quel per favore, più unico che raro sulle labbra del principe, convinse Raven che doveva essere proprio distrutto.
Annuì, attraversando la stanza e mettendo piede per la prima volta nella stanza da bagno.
Era una profusione di marmo scuro e venature d'argento. Guardandosi intorno individuò il bacile per riempire a vasca scavata direttamente nel marmo. In un angolo sgorgava, come una piccola fontana, un flusso ininterrotto di acqua termale che veniva dalle profondità del palazzo.
Dea, non aveva mai visto nulla di così bello...
Si diede da fare, silenzioso.
Dalla camera non arrivava più nessun rumore, sperava che Yaksha si fosse calmato.
Prese un piccolo asciugamano e lo immerse nell’acqua, tornando di là.
Yaksha era ancora accucciato sul letto, lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava calmo, anche se ancora rimuginante. Si avvicinò con cautela per pulirgli il sangue dal mento e dal collo. Quando alla fine il naga sollevò lo guardo, accennò un sorriso. “Non volevi fare un bagno?”
Yaksha annuì, sospirando.
Si alzò e lo oltrepassò, facendogli segno di seguirlo.
Raven ubbidì, lo osservò scivolare pesantemente nell’acqua. Sembrava esausto.
Per non restare con le mani in mano prese una spazzola e si avvicinò, con cautela, per spazzolargli i folti ricci.
Il naga non protestò. Si limitò ad un aspro sospiro infelice.
“Allora…”, azzardò dopo un po’, continuando a spazzolare. “Il problema sono io, a quanto ho capito.”
“Già”
“Tuo padre non è contento della tua decisione di lasciarmi vivere?”
“Per niente.”
“Sai che questo tuo rispondere a monosillabi mi fa pensare che tu sia infuriato con me?”
Yaksha abbandonò la testa all’indietro con un sospiro. “No, tranquillo. E’ mio padre il problema… mi ha detto che sono ancora in tempo a scuoiarti e a farmi un paio di guanti con la tua pelle.”
Raven deglutì, nervosamente, mentre la spazzola gli scivolava dalle dita cadendo rumorosamente sul pavimento. “C…cosa?”
La labbra del naga si incurvarono appena, in un sorriso stanco. “Rilassati. L’idea non mi ha mai sfiorato. Gliel’ho detto chiaro e tondo”, lo tranquillizzò. “Lo schiaffone era per quello”, aggiunse amaramente dopo un attimo di silenzio.
Raven avvertì una fitta di senso di colpa per aver dubitato, seppure per un secondo, di lui. Si dimostrava insopportabile, alle volte, ma mai inutilmente feroce. “Grazie.”
Il naga lo guardò di sbieco. “Solo grazie? Niente giuramenti di eterna devozione con annesso strisciare al mio cospetto?”
Raven sbuffò, roteando gli occhi esasperato. “Cerca di non esagerare.”
Yaksha si rigirò nella vasca, appoggiando le braccia al bordo. Senza dire nulla, limitandosi ad osservarlo. Non sembrava irritato però, anzi. Appariva vagamente compiaciuto. “Sai, Raven”, disse infine, indicando una pila di morbidi teli appoggiati su uno sgabello. “Mi piace averti attorno. Sei l’unico che abbia il coraggio  di sbuffare o sollevare lo sguardo al cielo quando gli parlo. E’ divertente.”
Raven, suo malgrado, rise sommessamente, prendendo uno dei teli per poi porgerlo al naga, che vi si avvolse con un movimento sinuoso
“Vorrei restare solo, ora”
Solo in quel momento Raven si rese conto che per qualche secondo si era fermato , quasi imbambolato, ad osservare le gocce d’acqua che gli scivolavano sul collo, sparendo sotto il telo. “Sicuro?” chiese, osservandogli le labbra che poco prima erano state brutalmente dilaniate dalle zanne. Sembravano essersi gonfiate e non avevano per niente un bell’aspetto. “Non dovremmo fare qualcosa per quelle?
Yaksha se le sfiorò delicatamente, con una smorfia di dolore. “No”, disse alla fine, scrollando le spalle.
“Ma… te le sei morse!”
“Lo so, non farti prendere dal panico”, sibilò Yaksha, con un sorriso di sufficienza. “La Dea non è stupida, quando ci ha creati ci ha reso immuni al nostro veleno.”
“Questo lo immaginavo, ma…”
“Raven, Basta.”, quella volta il tono del naga suonò secco ed irritato. “Va fuori di qui!”
Raven ammutolì all’istante ed indietreggiò fino alla porta. “Come vuoi…”, disse altrettanto bruscamente. “Immagino sia troppo sperare in un po’ di riconoscenza…”, sibilò a mezza voce, chiudendosi la porta alle spalle…
 
                                                                       *   *   *
 
Rimasto solo Yaksha si prese il viso tra le mani, respirando lentamente. Attese qualche minuto, poi andò a spalancare l porta, per chiamare Mashe.
La nagini però l’aveva anticipato, era già fuori dalla stanza, in attesa. Gli sorrise, dolcemente, entrando. “Ha aspettato più del solito a chiamarmi”, disse, scivolando dentro ed appoggiando sul mobile un vassoio pieno di medicazioni. “Finirete per staccarvele  quelle labbra se continuate a morderle così quando siete furioso.”
Yaksha si sistemò sul letto, con un sospiro. “ O mordo me, o azzanno mio padre, i casi sono due.”
Mashe scosse la testa, divertita. “Lo immagino…”, disse, tamponandogli le labbra con una garza imbevuta di un liquido bluastro.  “Sbaglio o era il giovane umano quello che è uscito dalla vostra camera poco fa? Ha qualcosa di straordinario il fatto che se ne sia uscito sulle sue gambe dopo avervi avvicinato in questo stato.”
Yaksha scrollò le spalle, sibilando di dolore. “Mi piace”, borbottò
“Vi piace?”, la nagini aggrottò la fronte. “In che senso vi piace?!”
Il principe fece un segno noncurante con la mano.  “E’ di buona compagnia. Tutto qui.”
“Un umano?”
“Si, Mashe, un umano. Non ho mica detto che mi piace una mucca! Non siamo così diversi.”
“Se lo dite voi…” La nagini scrollò le spalle, finendo di medicarlo e raccogliendo poi le sue cose. “Buonanotte, principe Yaksha”, lo salutò dolcemente, prima di uscire.
 
                                                                       *   *   *
 
Raven stava cercando di addormentarsi. Ma il nervoso preso poco prima gli impediva di prendere sonno.
Quando finalmente sembrò raggiungere quella calma che gli avrebbe permesso di dormire, la porta dello sgabuzzino si spalancò di colpo, facendolo sobbalzare.
“Cosa…”, biascicò.
Yaksha si guardò intorno, con le mani sui fianchi. “Tu dormi qui?”, chiese. In tono leggermente disgustato.
Raven sentì il sangue ribollire. “Cosa vuoi? Ti serve qualcuno che ti faccia da anti stress?”, ringhiò, voltandogli le spalle e rigirandosi sul mucchio di vecchie lenzuola che gli faceva da giaciglio.
“No. Alzati e seguimi, forza”, disse, senza aspettare di vedere se ubbidiva. Gli voltò le spalle allontanandosi lungo il corridoio.
Raven sbuffò, infastidito, alzandosi con un mugolio di disappunto e seguendolo lungo i corridoi, finché il naga non si fermò davanti ad una porta. La aprì e gli fece segno di entrare. “Non mi sono mai preoccupato di dove ti avessero sistemato, ma mi sembra fin troppo indecoroso anche per un ladro starsene su un mucchio di coperte in uno sgabuzzino.”
La stanza non era certo bellissima. Ma raven fu più che felice di entrarvi. C’era un letto. Un letto vero!
“Potrei commuovermi”, ammise, voltandosi verso il naga. “ E a cosa devo questa improvvisa generosità, quando poco prima mi hai buttato fuori a calci, per così dire, dalla tua camera?”
Il Yaksha accennò un sorriso.
“Ero arrabbiato”, disse, mentre si chiudeva la porta alle spalle. “Ma al contrario di qualcuno, so dimostrare gratitudine”, aggiunse, lanciandogli un ultima frecciatina, prima di allontanarsi, lasciandolo solo…
 
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Era una routine consolidate ormai. Uscire da camera sua, andare a prendere la colazione per Yaksha e portarla al principino, cercando di svegliarlo senza scatenare il suo malumore mattutino. Non era poi così male.
Raven prese il vassoio che Mashe gli aveva indicato. Gli sembrò più pesante degli altri giorni, ma non ci fece troppo caso.
Non era ancora riuscito ad identificare la provenienza di quelle orride uova di cui i naga sembravano ghiotti. Yaksha gli aveva accennato qualcosa su delle creature metà anfibi e metà volatili che popolavano le paludi dietro il castello; ma non era sicuro che parlasse sul serio. “Yaksha?”, lo chiamò entrando .
“Nh… lasciami dormire, ho sonno…”, brontolò in tutta risposta il naga.
“Non hai fame?”
“Nh… ti odio…”
Raven ridacchiò, appoggiando il vassoio sul comodino e andando a spalancare le finestre, prima di tornare dal naga che nel frattempo si era alzato controvoglia. “Su, fai colazione e poi…” si fermò, ammutolendo di colpo quando, nel togliere il coperchio colse un movimento e, per un attimo, il suo cervello si rifiutò di mettere a fuoco quello che aveva davanti. “Cosa..?”
Accucciati l’uno contro l’altro stavano dei piccoli roditori. Ed erano tutti indubbiamente vivi.
“Che cosa significa?” , balbettò. Doveva esserci un errore. “Che cosa sono quelli?”
“Sono Lemming”, rispose il naga, stiracchiandosi. “Non ne hai mai visto uno?”
“N…non intendevo… Hai intensione di fare colazione con quelli?!”
Yaksha aggrottò le sopracciglia, sembrava incupirsi ad ogni secondo che passava.
“Esattamente”, sibilò sollevando una delle bestiole che, svegliata così bruscamente, iniziò ad agitarsi e squittire, terrorizzata.
Era straziante al punto che Raven indietreggiò fino alla porta. “B… bene… Posso andare allora?”, chiese, con lo stomaco contratto.
“No.”
“C… Come sarebbe?”
Gli occhi di Yaksha erano due pozze di collera. “Ho detto no. E se solo provi a disubbidirmi mi occuperò personalmente di frustarti fino a levarti la pelle.”
Raven sbatté le palpebre, sbigottito. Era la prima volta che lo sentiva rivolgersi a lui con quella ferocia. Tale era lo sbalordimento che quando Yaksha diede sfoggio di quanto potesse essere ferino, spalancando le mascelle staccando con un morso la testa alla bestiola che aveva tra le mani, non riuscì a chiudere gli occhi. Il suo intero corpo reagì con qualche secondo  di ritardo, dandogli modo di vedere lo spettacolo raccapricciante che gli veniva offerto.
Il suo stomaco, già contratto, si rovesciò completamente. Ignorando del tutto le parole del naga di poco prima, girò i tacchi e corse fuori dalla camera con entrambe le mani premute sulla bocca. Corse fino alla prima finestra che trovò, spalancandola e sporgendosi oltre il davanzale per liberare lo stomaco. Dea, pensò, non si sarebbe più ripreso…
Quasi in trance percorse il corridoio fino alla propria camera, per stendersi poi sul letto.
Faticava ancora a capacitarsi di quello che aveva appena visto.
Dopo l’episodio con il padre sembrava che i suoi rapporti con Yaksha fossero migliorato molto, e invece, tutto ad un tratto..
Si raggomitolò, stringendo il cuscino, cercando di scacciare quell’immagine orripilante…
 
                                                                       *   *   *
 
Si svegliò di soprassalto quando la porta della camera venne sbattuta con forza. Per un attimo temette di trovarsi davanti Yaksha ancora furente e pronto a tenere fede alle sue minacce. Invece era Mashe che si guardava intorno, accigliata. “Che succede?”
La nagini sibilò rabbiosa. “Dov’è il principe Yaksha?”
Raven si alzò dal letto, massggiandosi la fronte. “Non ne ho idea, nelle sue stanze forse”
“No, non c’è. Avrebbe dovuto rimanerci tutto il giorno ed invece non c’è e non riesco a trovarlo!”
“Ehi, sta calma, perché tutta questa agitazione?”
“Yaksha deve riposare!”
“Non mi sembrava poi così stanco”.
Mashe lo fulminò con lo guardo. “Lo sarà domani. E lo sarà parecchio. Ha un incontro con gli striscianti.”
Raven boccheggiò, colto alla sprovvista. “Co..cosa?!”, balbettò, mentre lo stomaco gli si contraeva per il terrore.
Gli striscianti. Esseri amorfi dalla pelle pallida e deboli occhi iniettati di sangue che vivevano sotto terra. Dotate di bocca esclusivamente per dilaniare i loro nemici e le loro prede. Incapaci di parlare, ma in compenso dotate della facoltà di poter trasmettere telepaticamente  tutto ciò che pensavano. Ed il più delle volte pensavano solamente a torturare ed uccidere la  persona che avevano davanti. “Per quale motivo avete a che fare con loro?”
Mashe scrollò le spalle. “Perché noi naga siamo gli unici che loro temono. E di conseguenza gli unici che riescano a gestire le trattative di pace con loro. E’ per questo che, dietro pressioni di tutti i popoli che hanno aderito ai trattati di pace, Yaksha ha deciso di occuparsene.”
Il suo sguardo si velò di tristezza. “E’ dura per lui. Non è per niente facile condurre una trattativa quando le creature che hai di fronte stanno immaginando come torturarti e farti a pezzi se solo ne avessero la possibilità. Ogni volta ne esce a pezzi…”
Raven rabbrividì. Dea, non lo invidiava per nulla. E quello spiegava anche il perché della reazione di Yaksha di quella mattina. Il suo nervosismo doveva sfiorare livelli stratosferici…
“Non posso aiutarti… Mi dispiace. L’ultima volta che l’ho visto è stato questa mattina. Abbiamo avuto un piccolo diverbio su… la colazione.”
Mashe inarcò un sopracciglio. “La colazione?”
“Si. La colazione di stamattina, i roditori o quello che erano, al posto delle solite uova. Non sono abituato a vederli squartare così, come se niente fosse.”
“Capisco”, sospirò la nagini. “E’ comunque necessario. Yaksha ha bisogno di tutte le energie che riesce ad immagazzinare. E deve riposare, soprattutto. Se dovesse crollare durante l’incontro sarebbe come sbandierare agli striscianti che siamo deboli, manderebbe in fumo anni di trattative e ci potrebbe persino portare sull’orlo di una guerra.” Sul suo volto si alternavano preoccupazione e ansia. “Qualsiasi cosa tu gli abbia detto, deve averlo turbato parecchio. Trovalo, e riportalo nelle sue stanze. Muoviti”, concluse imperiosa, prima di andarsene.
Raven sospirò, prendendo la giacca ed uscendo dalla stanza. Se nemmeno Mashe era riuscita a trovarlo dopo aver setacciato il palazzo, che speranze poteva avere lui?
Quel pensiero lo bloccò lì sul posto. Si invece. Lui sapeva dell’esistenza di un posto che tutti gli altri ignoravano…
 
                                                                       *   *   *
 
Come sospettava, Yaksha era al laghetto. Un’ombra scura sotto il pelo dell’acqua.
“Sapevo che eri qui”, disse, quando il naga riemerse per riprendere fiato.
Yaksha gli lanciò un occhiata torva. “Che vuoi?”, sibilò, issandosi su una roccia ed uscendo dall’acqua.
“Mashe ha detto di riportarti in camere. Non è saggio che tu stia in giro, visto quello che ti aspetta domani.”
Il naga sembrò trasalire, ma non rispose. Gli rivolse solamente un occhiata sprezzante.
Raven sospirò, avvicinandosi. “Senti… Perché non  mi hai detto dell’incontro di domani, invece che … che comportarti così?”
Yaksha si strizzò i capelli, buttandoseli dietro una spalla. “Sarebbe cambiato qualcosa?” chiese serio. “Avresti detto -Oh, povero Yaksha, fa pure colazione con dei graziosi roditori vivi, hai bisogno di essere in forze-?  Io credo di no, avresti reagito nella stessa identica maniera!”
Raven deglutì, scacciando con forza l’immagine che gli era tornata alla mente. “Stammi a sentire. Non ho nulla in contrario al fatto che ti piaccia mangiare animaletti vivi. Ma non è stato per niente corretto obbligarmi a guardare mentre lo facevi.”
“Non ti ho obbligato a guardare un bel niente Sei scappato dopo due secondi,.”
”Chiediti il perché.”
Yaksha scrollò elegantemente le spalle, poi il suo sguardo si fece malinconico. “Posso anche capire che mi trovi repellente, ma  vorrei solo che la smettessi di guardarmi come se lo fossi…”
“Io non ho mai detto che…”
“Tu no!”, lo interruppe il naga, stizzito. “Tu non lo hai mai detto. Ma lo vedo nei tuoi occhi, quando mi guardi! Il modo in cui mi guardavi, stamattina,  mi ha fatto ribollire il sangue!”
Avvicinandosi al bordo del laghetto Raven si rese conto che aveva ragione. Doveva averlo guardato proprio in quel modo. “Ascolta, sei arrabbiato ora, e lo capisco. Ma non è te che trovo repellente, è quello che hai fatto. Il gesto in sè che mi ha nauseato.”
“Cambia qualcosa?”
“Cambia che non ti trovo repellente. Non so come fartelo capire… Guardami negli occhi  Guardami ora e dimmi se ti sto mentendo.”
Aveva reagito male quella mattina, ma in quel momento Yaksha gli ispirava un sacco di aggettivi e, di certo, repellente non era tra quelli. Triste, malinconico, vulnerabile. Delicato. Bello…
Si rese conto che lo pensava sul serio, che davvero lo trovava bello. Su quella roccia, statuario con la sua ossatura delicata e i capelli corvini che sembravano costellati di piccoli diamanti, era la cosa più bella che avesse mai visto. “Sei meraviglioso”, disse.
Yaksha aggrottò la fronte e strisciò giù dalla roccia, per avvicinarsi. “Nonostante quello che ho fatto?”, chiese, guardingo, pronto a cogliere anche un minimo segnale che gli confermasse che in realtà quelle erano solo menzogne.
Raven si morse l’interno delle guance, ma non vacillò. “Penso anche che tu sia uno stronzo, e che non è leale continuare a tirare in ballo questa storia”, disse, accennando un sorriso. Era come avere a che fare con un bambino alle volte.
Yaksha sembrò rilassarsi, sorridendo appena. “Ti adoro, non che mi piaccia essere insultato, sia chiaro, ma è davvero soddisfacente trovarsi davanti qualcuno che dice le cose come stanno.”
Si avvicinò ancora, annullando quella distanza che aveva lasciato tra loro. “Sei perdonato.”
Raven inarcò un sopracciglio, Non era lui quello in torto! Tuttavia non stette a questionare ed allungò una mano, per dimostrargli che non gli serbava rancore. Gli accarezzò la guancia, lentamente, ritraendo però la mano con un gemito. “Per la Dea, Yaksha!” esclamò “Sei gelato!”
Yaksha fece un sorriso mesto, scrollando le spalle. “Siamo creature a sangue freddo, che vuoi farci?” Il suo tentativo di apparire noncurante però venne reso vano da un brivido che si rifletté nelle se parole, che suonarono deboli e tremanti.
“Da quel che so alle creature a sangue freddo non fa per niente bene sguazzare con questo clima”, brontolò Raven, sfilandosi la giacca ed avvicinandosi per mettergliela sulle spalle. “Da quanto diavolo è che sei qui fuori?”
Yaksha sospirò, quasi divertito. “Mi stai sgridando?”, chiese, inarcando un sopracciglio.
“Puoi giurarci che lo sto facendo”, sospirò esasperato, nel sentirlo rannicchiarsi in quel misero riparo che era la sua giacca. “Forza, vieni dentro.”
Il naga non oppose resistenza, lasciandosi condurre all’interno del palazzo, fino alle sue stanze, accoccolandosi poi su una poltrona, senza accennare a smettere di tremare.
Raven gli ravvivò il fuoco del caminetto e poi andò a prendergli alcune coperte. Mashe non fece domande, si limitò a consegnargliele.
Tornato in camera trovò Yaksha davanti al caminetto, le mani che quasi lambivano le fiamme, nel tentativo di scaldarsi.
“Finirai per bruciarti”, lo riprese dolcemente, prendendogli le mani per allontanargliele.
Yaksha mugugnò qualcosa, poi sospirò. “Vorrei essere certo che continuerai a comportarti così nei miei confronti, senza più guardarmi come questa mattina.”
“Lo farò”
“Posso esserne sicuro? Dimostramelo, Raven. Dimostrami che  è così!”
Raven sbuffò, esasperato. Poi lo prese per le spalle e lo baciò. Non era premeditato, non lo era affatto. Era l’unica cosa che gli era venuto in mente i fare, ma, riflettendoci, si rese conto che forse voleva farlo da un po’.
Allontanandosi qualche attimo dopo, poté assistere ad uno spettacolo più unico che raro. Yaksha lo fissava, le labbra dischiuse come se volesse ribattere qualcosa, ma non ci riuscisse. Lui, il principino dalla lingua tagliente come una lama –come era apostrofato dalle guardie- era rimasto senza parole.
Alla fine il naga parve riprendersi. “Suppongo che possa andare bene, come prova”, borbottò, strisciando ad accucciandosi sul letto.” Ho freddo, dammi una coperta”, mugolò rabbrividendo. Raven non ne era sicuro, ma poteva giurare di averlo visto arrossire.
“Sai”, sospirò. “Non avresti cos freddo se non te ne fossi andato a nuotare in pieno inverno.” Disse, gettandogli una delle coperta addosso.
“Sai”, lo rimbeccò il naga.“A voler ben vedere è colpa tua…”
Raven socchiuse gli occhi, indispettito. “Ah, davvero? Non sono io quello a essere stato meschino, Yaksha”, disse, rabbioso. “Sei stato tu. Io forse non sarò un esempio di tolleranza, e forse la storia delle squame e delle code mi disturba, ma vederti decapitare un roditore vivo con le zanne non aiuta!”
Quella volta non distolse lo sguardo da quello ametista del principe. Non era tutta colpa sua, e ne era convinto.
Alla fine Yaksha sospirò. “Cosa vuoi che ti dica? Ero arrabbiato, volevo…”, mugugnò senza finire la frase.
Raven capì che quelle erano ciò che si avvicinava di più a delle scuse che avrebbe potuto ottenere. “Volevi farmi male? Ferirmi? Ci sei riuscito”
“Mi dispiace”
Le sopracciglia di Raven schizzarono verso l’altro. “Come hai detto?”
Yaksha soffocò un ringhio. “Vuoi farmelo ripetere? Ho detto che mi dispiace, m-i d-i-s-p-i-a-c-e! Contento?!” sibilò, rannicchiandosi ancora di più tra le sue spire.
Raven boccheggiò come un idiota per qualche secondo, prima di riprendersi “No… Te lo assicuro, è solo che…. Non mi aspettavo delle scuse, tutto qui…”
Yaksha scrollò le spalle “Non voglio allontanarti…” Sospirò “Ci tengo a te, non … non voglio che torni ad essere distante come tutti gli altri…”
Raven inarcò un sopracciglio. “Non vuoi allontanarmi? Be, minacciarmi, inveirmi contro e darmi dimostrazione di come tu possa staccare la testa ad un lemming non è esattamente il metodo migliore per farlo.”
Yaksha si morse il labbro fino a farlo sanguinare. “Lo so! Maledizione!”, sbottò. Fece un lungo sospiro dolente. “Ho reagito male perché sono spaventato, Raven, davvero tanto. Odio questi incontri, mi uccidono. Ma sono costretto a farli perché una guerra contro gli striscianti ci costerebbe troppo in termini di vite. Tu non ai idea di cosa quelle creature possono arrivare a pensare. Ti ha sconcertato vedermi divorare un animaletto morto? Quello che dovrò passare io sarà cento volte peggio!”
Smise di parlare perché la voce gli si era incrinata, aveva le pupille dilatate e il respiro ansante. “Resta con me…”, mormorò infine.
Raven poteva essere arrabbiato, ferito, offeso…
Ma non lo era al punto di infierire ulteriormente. “Diciamo che abbiamo sbagliato entrambi”, disse, per farlo contento, anche se in cuor suo pensava che Yaksha fosse comunque in torto marcio e che avrebbe potuto agire in un altro modo. “Posso passarci sopra… Non sono una ragazzina…”, aggiunse, cercando di auto convincersi.
Yaksha accennò un pallido sorriso. “Lo spero”. Disse, avvicinandosi e raggomitolandosi sul materasso. “Resta con me, questa notte, ti spiace?”, mormorò, stringendosi nella coperta. “Sei… Be, può suonare teatrale, ma sei l’unico con cui posso permettermi di apparire debole. E non è una cosa da poco…”, fece una pausa, prima di concludere. “Perché sei l’unico a cui posso chiedere conforto…”, sussurrò, spazzando via di colpo tutta la corazza di arroganza e sicurezza che aveva fino ad un attimo prima. Allungò una mano per cercare quella del ragazzo, sperando che non la allontanasse.
Raven accennò un sorriso, lasciandogliela trovare ed intrecciando le dita alle sue. Sorprendendosi un poco nel notare quanto gli venne naturale farlo. “Sono qui”, sussurrò,  sfiorando dolcemente i ricci neri del naga.
“Grazie.”
Quel ringraziamento, al pari delle scuse e di tutto il resto, gli rivelò che Yaksha ormai lo considerava al suo livello, non più solo un ladro ed uno schiavo. Quella consapevolezza gli smosse qualcosa, dentro. Un moto di affetto, un affetto che non si era reso conto, era cresciuto parecchio, verso quel principe insospettabilmente umano…

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


“Ah! Basta…”, Raven mugolò, stiracchiandosi. Era da prima dell’alba che Yaksha era in riunione con…

Ah, rabbrividiva solo al pensarlo.

Mashe, stanca di vederselo ronzare intorno gli aveva dato da fare ogni lavoro possibile ed immaginabile per tenerlo fuori dai piedi, ma ormai era quasi ora di pranzo e ancora non aveva notizie, iniziava a trascendere l’ansia ormai.

Oltre ad essere stanco morto.

Raggiunse la nagini, di guardia fuori dalla sala riunioni. “Allora?”, chiese.

Mashe lo guardò, “Se ne sono andati”, disse poi indicò la porta con un cenno del capo. “Dorme. E’ crollato poco dopo che quelle creature se ne sono andate. Prova a portarlo in camera sua… sempre che tu riesca a svegliarlo.”

Cautamente Raven sbirciò nella sala; vi aleggiava un odore dolciastro e nauseante che gli chiuse lo stomaco. Lasciò aperta la porta per far entrare un po’ d’aria e si guardò attorno. Non vi erano tavoli o sedie – anche perché, si disse, non aveva mai visto un naga seduto. Doveva essere impossibile per loro -  ma un largo tappeto di pelliccia bianco su cui erano deposti grandi cuscini ricamati. Su uno di questi Yaksha dormiva profondamente.

Raven accennò un sorriso, sedendosi accanto a lui e scostandogli un ricciolo al viso. “Yaksha?”, lo chiamò a bassa voce, appoggiandogli una mano alla spalla.

Il naga mugolò con una smorfia e voltò la testa dall’altra parte. Era evidente che non aveva intenzione di svegliarsi…

Raven lasciò scivolare la mano lungo la colonna vertebrale del giovane principe, lievemente, fermandosi poco al disopra del punto in cui le squame bluastre iniziavano a farsi in rilievo. Non era più ribrezzo che provava… anzi. Spinto da un’irrefrenabile curiosità lasciò scivolare la mano ancora più in basso, incontrando non delle fredde e viscide squame da rettile, ma una consistenza quasi setosa, e tiepida.

“Io mi fermerei dove sei, a meno che tu non stia tentando di cominciare un rituale di corteggiamento”

Raven sobbalzò, ritirando la mano. Gli occhi colo ametista di Yaksha erano due gemme brillanti seminascoste dai capelli. “Chiedo scusa”, mugugnò, temendo di aver fatto la figura del maniaco.

Yaksha però gli afferrò il polso, fermandolo. “Aspetta”, sussurrò mellifluo, “Non ho detto che mi dispiacerebbe se fosse così”. Gli sorrise enigmatico, stiracchiandosi ed inarcando la schiena.

Raven sentì la bocca improvvisamente secca , deglutì a vuoto mentre si rendeva conto che le parole del naga sembravano aver risvegliato in lui i più bassi desideri carnali.

Persino Yaksha sembrò rendersene conto. “E’ forse così?” chiese,  inclinando la testa di lato. “Vorresti… avermi, Raven?”

“Non ne sono sicuro”.

Raven deglutì nuovamente, con scarsi risultati. Sapeva però per certo che quel senso iniziale di repulsione che lo portava a scostarsi ogni volta che il naga gli stava vicino sembrava scomparso.  

“Cosa stai facnendo… Ipnotizzi la tua preda prima di divorarla?” mormorò, confuso.

Yaksha ridacchiò, divertito. “No, nessun trucchetto, sei completamente padrone dei tuoi istinti”, sussurrò, sfiorandogli uno zigomo con le labbra. “Ma non è detto che non voglia mangiarti… più tardi.”

Raven si morse il labbro inferiore. Era sconvolgente l’erotismo che il naga era riuscito a mettere in una manciata di parole. E lo desiderava. Dea, quanto lo desiderava!

“Ah…” balbettò come un idiota. “Quindi vorresti…”

Yaksha inarcò un sopracciglio, malizioso, poi sospirò. "Ne riparliamo dopo che mi sarò fatto un riposino", disse. "Sono esausto... e anche un poco nauseato..."

“E’ stato tanto brutto?”

“Nah, tutto a posto”, la sua voce tremava appena,

“Yaksha”, Raven allungò una mano, sfiorandogli il viso “Ti ricordi quello che hai detto ieri? Non devi per forza mostrarti inscalfibile, quando sei solo con me” sussurrò, dolcemente,

Yaksha sollevò lo sguardo, cercando il suo. Poi allungò le braccia, afferrandogli il bavero della giacca e tirandolo verso di sé, affondando il viso contro il suo petto, rannicchiandosi su di esso, come un ragazzino spaventato.

“Dea, Raven….” Sussurrò. “Non puoi nemmeno immaginare quanto è stato terribile…” mormorò.

Raven lo circondò con le braccia, sentendolo cedere docilmente a quell'abbraccio.

Non si era reso conto di aver iniziato a sentire per il naga quel profondo affetto finché non si era trovato in quella situazione.

“Dai, forza, ti accompagno in camera”, disse, a bassa voce.

Yaksha annuì, rimanendo aggrappato a lui, fino alla porta del salone, poi si staccò. “So rimanere dritto da solo”, disse. “Grazie…”, aggiunse poi, prima di uscire. Salutò Mashe con un cenno del capo, regalandole pure un sorriso.

Raven lo seguiva a pochi passi, capiva quanto fosse importante per il naga mostrarsi forte, anche quando era a pezzi.

Una volta in camera Yaksha si  raggomitolò sul letto. “Hai la giornata libera, Raven, va dove ti pare”, sopirò.

Poi il suo sguardo ebbe un guizzo malizioso. “Ma dopo cena, ricordati che sei mio…”

Raven scosse la testa, divertito, chiudendosi la porta alle spalle, per lasciarlo riposare.

Non appena la vaga eccitazione che gli avevano provocato le parole del naga, svanì, si rese però conto di non avere la minima idea di come si accoppiassero i naga. Insomma, non avevano… Oppure si?

Era una cosa che non si era mai chiesto, iniziava a capire la curiosità morbosa che Yaksha aveva all’inizio…

Visto che aveva la giornata libera si diresse in biblioteca. Chissamai che riuscisse a trovarvi qualche risposta.

 

                                                                      *   *   *

 

Raven chiuse di scatto il libro che aveva avanti. Aveva trovato un tomo molto esauriente sui rituali di corteggiamento e accoppiamento e ora stava maledicendo la sua curiosità. Girando una delle ultime pagine si era trovato davanti una miniatura molto dettagliata di quello che era un organo riproduttivo dotato di qualcosa simile a degli uncini, retrattile e situato all’estremità della coda. No. Una cosa di quel genere non era mai apparsa nemmeno nei suoi incubi peggiori. E ora Yaksha si aspettava forse di… Dea,solo l’ipotesi lo riempiva di terrore. Certo, Yaksha gli piaceva, e anche parecchio. E se fosse stato umano non ci avrebbe pensato due volte a portarselo a letto…

Ma così…

Deglutì, riponendo il libro e guardando fuori dalla finestra della biblioteca. Il sole iniziava a calare, presumibilmente, Yaksha doveva essersi destato dal suo riposo –aveva dormito all’incirca sei ore, ad occhio- e recato a cena. Quindi con tutta probabilità si aspettava di trovarlo, al suo ritorno, per terminare quello che avevano accennato quella mattina…

Poteva sperare che fosse ancora troppo sconvolto per indugiare in passatempi del genere, si disse, cercano di auto convincersi.

Anzi, anche se non fosse stato così gli avrebbe semplicemente detto di no. Non poteva certo costringerlo… Vero?

Percorse nervosamente i corridoi, per andare da lui. Gli avrebbe semplicemente detto che aveva cambiato idea. Gli era concesso. O almeno sperava.

Silenzioso entrò nella camera del principe, illuminata soltanto dalle fiamme del camino.

“Yaksha”, chiamò a bassa voce, sperando che dormisse ancora. Un movimento rapido alla sua destra lo fece trasalire.

Non fu abbastanza lesto da spostarsi. Yaksha gli circondò la vita con le braccia. “Ehi… Aspetta.. non correre..”, disse, divincolandosi ed afferrandolo per le spalle, per tenerlo a distanza.

Lo sguardo di Yaksha passò dall’eccitazione alla perplessità, per poi velarsi di dolore. “Cosa ho fatto stavolta?”, domandò, la voce era un lamento rabbioso.

“C-come?”

“Che cosa ho fatto stavolta! Cosa?! Per quale motivo hai ripreso a guardarmi così? Come se fossi un qualcosa di repellente?!”, sbraitò gesticolando.

Oh, ecco…

Raven si diede uno schiaffo mentale, doveva ricordarsi che il naga era piuttosto sensibile su certe cose.

“E’ che… L’accoppiamento, insomma, gli uncini, non credo… non credo che sia il caso. Non voglio, insomma…….”, balbettò come un idiota. Quelle immagini lo avevano traumatizzato.

Era rimato profondamente scosso da quella cosa.

Lo sguardo di Yaksha si fece perplesso. Inarcò un sopracciglio, sconcertato. “Ehi, rallenta!” esclamò. “Non sei una femmina e sono troppo giovane per vere figli, che razza di idee ti sei fatto?!” esclamò. “A meno che… Sono per caso i maschi a procreare tra gli umani?”

“N… No!”, esclamò Raven. “Cosa….”, aggrottò la fronte. “Mi sono perso”, ammise. Non capiva più quale fosse il senso del discorso.

Yaksha sospirò, accondiscendente. “Sta zitto un secondo e fa solo sì o no con la testa”, disse, esasperato.

“Ehi!”

“Shhht! Allora, hai pensato che le mie allusioni di prima fossero il preludio di un accoppiamento?”

Raven roteò gli occhi, esasperato, ed annuì.

“Allora è così che funziona tra gli umani? Qualche allusione, qualche strusciatina e poi accoppiamento?”

Altro cenno di assenso.

“Quindi vi accoppiate spesso?”

“Esatto”

“Vi piace il dolore e avete molti figli?”

“Cosa? No!”, Raven scosse la testa con vigore. “No, anzi, è molto piacevole. E non necessariamente abbiamo figli ogni volta che lo facciamo.”

“Capisco”, concluse Yaksha. “Evidentemente hai erroneamente pensato che volessi accoppiarmi con te e hai fatto un gran caos per niente. Ogni volta che la mia considerazione per te sale trovi il modo di distruggerla.”

Raven aggrottò la fonte. “Ehi! Guarda che sei stato tu a dire..:”

“Ho detto corteggiamento, non accoppiamento”, lo interruppe Yaksha ridendo sommessamente. “C’è un enorme differenza”, disse andando ad accoccolarsi sul letto.

Raven sbuffò, incrociando le braccia. “Beh, non potevo saperlo”. si giustificò.

Yaksha a quel punto sorrise accondiscendente. “ Noi ci accoppiamo una, massimo due volte nella nostra vita”, spiegò. “Non c’è nulla di romantico o piacevole. Vorrei davvero conoscere il motivo per cui siamo stati creati così; senza la possibilità di perpetrare la nostra specie senza far del male, ferire e torturare le nostre compagne.”

Per un attimo i suoi occhi si velarono di tristezza, ma parve riprendersi subito, con un sorriso malizioso. “In compenso il corteggiamento è assai piacevole… Certo, potevi mettermi al corrente prima dei tuoi dubbi ed evitare di irritarmi.”, aggiunse sdegnoso, voltandogli le spalle offeso.

Raven si avvicinò, appoggiandogli le mani sui fianchi. “Quindi sei così arrabbiato che tutta quella storia di corteggiamento e altro è stata messa da parte?”

Yaksha rise sommessamente. “Non ho mai detto questo” disse e, con uno scatto fulmineo, lo afferrò per la giacca, tirandolo sul letto. “Anzi… ho proprio voglia di divertirmi un po’…”, sussurrò.

Raven si era fatto cogliere alla sprovvista, ma durò meno di un attimo. Afferrò i polsi sottili del naga  e lo spinse con la schiena contro il materasso, salendogli a cavalcioni.

Un guizzo sorpreso nello sguardo del giovane gli rivelò che era la prima volta che si trovava in una posizione così sottomessa. E che non ne era del tutto dispiaciuto…

Yaksha sorrise, “Sei intraprendente”, sussurrò, socchiudendo gli occhi. “Ma ti potrei sbalzare via in un attimo”, aggiunse inarcando la coda contro il suo bassoventre, premendo leggermente, come a volergli dimostrare che non stava scherzando. “Potrei…”

Raven sibilò tra i denti, trattenendo un ansito. Quello strusciare – perché il naga, non intenzionalmente, era andato ad appoggiarsi con la coda proprio là - stava iniziando a suscitare in lui reazioni non del tutto controllabili. Prese il viso del principe con entrambe le manie lo baciò.

“Per la dea, Yaksha,…”, ansimò, sentendolo rispondere con la stessa passione.

“Cosa?”

“Se continui a strusciarti a quel modo finirai per farmi venire…”

Yaksha lo guardò perplesso. “Non credo di aver capito”, ammise.

Raven si morse il labbro inferiore, trattenendo un ansito di frustrazione nel ricordarsi che il principe non sapeva nulla su… beh, sull’accoppiamento degli umani. Gli prese una mano, guidandogliela fino al cavallo dei suoi pantaloni, là dove era spuntato un rigonfiamento anomalo.

“Cosa…”, esclamò il Yaksha, sorpreso, sorpreso, armeggiando poi con l’allacciatura dei jeans.

Ci fu un piccolo ed imbarazzante momento in cui la sua curiosità ebbe la meglio sulla voglia che aveva di strusciarsi addosso a Raven e passò qualche minuto ad osservane l’anatomia.

Raven voleva morire. “Yaksha… ti prego…”, mugugnò, imbarazzato. “Hai finito di studiarmi?”

Il naga rise sommessamente. “Scusa, hai ragione…”, sussurrò, allungando una mano per sfiorarlo. “Fammi vedere”, mormorò

“Fammi vedere cosa?!”.

“Rilassati…”; Yaksha gli sorrise dolcemente. “Fammi vedere cose devo fare…”

Raven  deglutì ed allungò la mano, prendendo quella di Yaksha e facendogli avvolgere le dita attorno alla propria erezione, mostrandogli il movimento che doveva fare “Con le mani… e con la bocca se..”

Il resto delle parole si perse perché il naga, pur non avendo idea di come funzionassero quelle cose, non era un ragazzino timido alla sua prima volta.

Sembrava non essere per nulla imbarazzato, mentre metteva il pratica i suoi insegnamenti, anzi. Si rivelò piuttosto intraprendente…

Ed era molto più eccitante delle ragazze e dei ragazzi con cui era stato in passato, dovette ammetterlo, mentre le ondate di piacere trascinavano via la sua coscienza…

 

                                                                      *   *   *

 

“Sto iniziando ad invidiare gli umani”

Raven aprì gli occhi, stiracchiandosi languidamente e liberandosi delle lenzuola che gli si erano aggrovigliate alle gambe. “Come?”

Yaksha lo osservava, acciambellato si piedi del letto. “Ho detto che inizio ad invidiarti, sembrava davvero piacevole…”, ripeté con un sorriso difficile da decifrare.

Raven si allungò e lo prese per mano. “Lo è”, ammise, baciandogli le dita. “Ma ci sono modi altrettanto piacevoli con cui posso ricambiare”, aggiunse malizioso, depositando una scia di piccoli baci fino all’incavo del gomito dove si soffermò, accarezzandolo con la punta della lingua.

Yaksha mugolò appena, tentando di ritirare istintivamente il braccio, scosso da un brivido piacevole, ma Raven lo trattenne. “”Ehi…  è solo l’inizio”, disse, malizioso, tirando il naga verso di sè e circondandolo con le braccia, mordendogli piano il collo. “E’ solo l’inizio…”

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Raven aprì lentamente gli occhi, trovandosi – come ogni mattina- amorevolmente soffocato dai folti ricci di Yaksha, che placidamente dormiva con la testa appoggiata al suo petto.  “Allora, cosa stavamo dicendo ieri sera sul tornare qualche volta in camera mia per evitare sospetti?”

Le labbra di Yaksha si incurvarono appena, segno che era sveglio. “Nah”, disse, sollevando il viso per guardarlo. “Ho cambiato idea, se nessuno si è accorto in quattro mesi che tu dividi con me il mio meraviglioso e comodo giaciglio, non se ne accorgeranno più”, disse, circondandogli la vita con le braccia e stringendosi a lui.

Raven sorrise, accarezzandogli i capelli. Stava per chiedergli se voleva la colazione, quando un bussare insolito alla porta li mise sull’attenti, entrambi.

Facendogli segno di fare silenzio, Yaksha gli indicò il bagno, alzandosi poi per andare ad aprire.

Silenzioso Raven ubbidì,  appoggiandosi al muro della stanza accanto, curioso a sua volta si sentire chi e perché disturbava il principe a quell’ora insolita.

“Mashe?”, Yaksha sbatté le palpebre, sorpreso nel trovarsi la domestica di fronte. Lei più di tutti sapeva quanto gli piacesse dormire fino a tardi e quindi si guardava bene dal venire a disturbarlo prima del sorgere del sole. “Che succede?”

“Mi dispiace disturbarvi”, sospirò la nagini. “Ma si tratta di vostro padre.”

“Che ha combinato stavolta?”

“Iashin è qui, al palazzo. Sembra che finalmente entrambi i vostri padri abbiano trovato un accordo. Il re mi ha dato l’ordine di prepararvi, stasera ci sarà la celebrazione.”

Yaksha impallidì di colpo. “Che?! Cosa?! Come… Hanno temporeggiato per due anni. DUE! E adesso, tutto ad un tratto decide di fare le cose in fretta e furia? Ma cosa crede?”

Mashe sospirò, lasciandolo sfogare. “Principe Yaksha”, disse infine. “Ho degli ordini… Sembra inoltre che anche il padre e la madre di Iashin siano d’accordo a velocizzare le cose. Il loro potere politico sembra diminuito e temono un colpo di stato. Per quello premono per fare tutto e subito.”

Yaksha ispirò lentamente. “Va bene”; disse infine. “Porta quello che serve”, concluse, chiudendo la porta.

Raven fece capolino dal bagno. “Chi è Iashin?”, domandò. “Di cosa stava parlando?”

Yaksha scrollò le spalle, prendendo la spazzola dal comodino  e porgendogliela. “La donna che stasera diventerà la mia sposa. Ora se non ti spiace dammi una mano a prepararmi.”

Raven prese la spazzola, bloccandosi però alla successiva precisazione. “La tua futura sposa?”, chiese.

Il naga nemmeno si voltò a guardarlo “Qualche problema?”, chiese freddamente. “Ti ho dato un ordine.”

“Qual…?”, Raven soffocò un’imprecazione tra i denti. “Qualche problema? Tu hai qualcosa che non va nella testa, caro mio. Quando pensavi i dirmi che sei fidanzato?” Si sentiva… tradito. E maledizione, era la prima volta che gli capitava. “Quando, Yaksha?”

“Non ritenevo importante che tu o sapessi”

“Non ritenevi….? Dea misericordiosa, Yaksha! Non ti è mai passato per l’anticamera del cervello che era un informazione che fosse opportuno darmi, tra una scopata e l’altra?”

Yaksha arricciò il naso, infastidito.”Penso di aver imparato abbastanza di gergo e accoppiamenti umani, per poter affermare che quelle non si possano definire scopate”, commentò, pacato.

A Raven tutta quella calma faceva ribollire il sangue. D’accordo, tecnicamente aveva ragione, ma…

“Credo che sia opportuno che tu te ne vada, Raven, Puoi tornartene a casa, non mi servi più”, aggiunse il naga, dandogli le spalle.

Quel gesto spazzò via tutta la calma che Raven stava cercando di racimolare. Lanciò la spazzola dall’altra parte della stanza, con un moto di stizza. “Non puoi farlo! Tu… razza di infida serpe!”, sibilò, alzando la voce.

Yaksha si pietrificò voltandosi di scatto. “Tieni a freno la lingua, io posso fare quello che voglio!”

Raven strinse i pugni, furente. “No invece, questo non puoi farmelo. Non puoi scaricarmi così e tanti saluti, mi devi qualcosa di meglio di un congedo del genere!”

“E cosa cambierebbe? Cosa?!”

“Non sembreresti uno stronzo senza cuore.”

Yaksha scosse la testa il suo viso si contrasse in una smorfia. “Tu già lo pensi. Andiamo, negalo. Sono quello che sapeva già di doversi sposare e che ti ha coinvolto ugualmente in una relazione senza futuro. Mi stai già odiando, cosa cambierebbe?” ripeté.

Raven si avvicinò, sfiorandogli lievemente un fianco con la punta delle dita. “No, non è vero”, disse. “Io penso che tu sia quello che ha iniziato questa cosa come un gioco, una distrazione, ma che si sia lasciato coinvolgere più di quanto intendeva fare, e che ora sta soffrendo tanto quanto me. Che non mentiva quando diceva –Credo di amarti- Che non fingeva quando si addormentava tra le mie braccia…”

L’indifferenza di Yaksha si rivelò essere solo una facciata. A quelle parole si infranse come cristallo, lasciando il posto ad un’ombra di dolore nel suo sguardo. Il naga bbassò lo sguardo, avvicinandosi ed aggrappandosi alla sua camicia, affondandovi il viso. “Non sai quanto hai ragione…”, mormorò. “Non mentivo… non fingevo…”, mormorò, allentando la stretta e lasciandolo andare. “Ma sii onesto, Raven. Cosa credevi? Che sarebbe durata per sempre, che avresti regnato al mio fianco? Sei un’ umano, oltre che un maschio.”

Raven si morse il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo. “Io…”, il naga aveva ragione. “La verità è che ho evitato di pensarci. Credo… credo di essermi lasciato prendere così tanto da te a non aver voluto pensare ad un eventuale futuro per non rovinare ogni attimo del presente.”

Yaksha fece un verso a metà tra una risata e un lamento. “Allora siamo i due”, mormorò, voltandosi e raggiungendo la finestra, senza più dire una parola.

Raven lo raggiunse, appoggiandogli le mano sui fianchi, il naga lo allontanò in malo modo. “Non rendermela più difficile, Raven…”, sussurrò, dolente.

“Mi stai davvero cacciando?”

“Sì”, nel voltarsi Yaksha cercò di allontanarsi da lui il più possibile. “Pensavi forse di rimanere ancora? Seriamente… Non farmi venire dubbi sulla tua bistrattata intelligenza.”

“Yaksha…”

Il naga smise di arretrare, trovandosi contro la parete. “Raven. Ti prego”, sospirò, stancamente. Non puoi restare, non riuscirei più a lasciarti andare, se ti permettessi di restare solo un altro giorno ancora. Hai la tua vita, no? E’ tempo che ci ritorni…”

”Ma…”

Ogni altro tentativo di dialogo venne interrotto da Mashe che rientrò, spingendo un piccolo tavolino dotato di ruote, su cui erano posati diversi oggetti. Parve sorpresa di trovare l’umano lì, ma non fece commenti. “Principe Yaksha…”, mormorò.

“Va pure Mashe… Ci pensa Raven”, fu la lapidaria risposta del naga.

La nagini, sempre più confusa, fece un inchino e si ritirò, lasciandoli soli.

Yaksha sospirò. Un sospiro dolente, poi si andò a sistemare su uno dei divanetti. “Forza… dammi una mano prima di andartene.”

Raven capì che Yaksha non gli avrebbe permesso di avvicinarsi più di così. Che quello era davvero un congedo. Che quel distacco, quella distanza, era un modo come un altro per soffrire meno, al momento del distacco definitivo…

Annuì, prese dal carrello una spazzola ed incominciò pettinare i capelli del naga, con cura, fissandoli in un raccolto dal quale sfuggivano alcuni ricci che andavano a posarsi con eleganza sul suo collo. Erano mesi ormai che si occupava di quelle mansioni, aveva imparato ormai.

Fissò tutto con un elegante spillone d’argento, tempestato di piccole pietre blu. Era già bellissimo così, pensò, cogliendo il riflesso del naga nello specchio. Era doloroso, indugiare su quei pensieri.

Yaksha indicò una ciotola, accanto allo scrigno. “Spero che tu sia bravo a disegnare”, disse, accennando un sorriso. “Non ha una reale importanza che cosa ci disegni, verrà completato durante la cerimonia”, poi accennò un sorriso “Potresti anche scriverci –siete degli imbecilli- per quello che importa”

Raven sbuffò divertito. “Non farmi venire tentazioni”, disse.

Lentamente, con molta cura, iniziò a tracciare un delicato motivo fatto di arabeschi, là dove il naga gli indicava. Dea, pensò, sembrava un ragazzino, non qualcuno che doveva sposarsi.

“Lei com’è?” chiese ad un tratto, stanco di quel silenzio pesante.

“E’ l’ennesimo trattato.”

“Come?”

Yaksha sospirò. “E’ molto bella. Ma non la conosco nemmeno. Ci avrò parla due volte per qualche minuto. E’ solo l’ennesimo contratto. Mio pare ha dei vantaggi in tutto questo, il suo idem. Sono giochi di potere che cominciano non appena nasci, in qualche famiglia nobile.”

Raven annuì, “Capisco… Questo spiega anche la tua mancanza di entusiasmo”

“E’ così”, Yaksha voltò la mano, per permettergli di continuare il suo lavoro anche sul polso ed il palmo. “Forse, se fosse un matrimonio normale, sarei anche più entusiasta. Ma una cerimonia rabattata alla meglio per evitare un colpo di stato… No, non è esattamente la cosa che avrei scelto di fare..:”

“Direi che sei pronto ad andare”, sospirò Raven, alla fine, posando il pennello.

Yaksha si specchiò, malinconico. “Non ancora”, mormorò, voltandosi verso di lui e spingendolo sul letto.

Raven perse l’equilibrio, cadendo poco elegantemente sul materasso. “Ehi… cosa..:?”

Yaksha non rispose, gli slacciò con un gesto sicuro i pantaloni, infilandovi una mano e cominciando ad accarezzarlo languidamente.

Raven strabuzzò gli occhi. “Y… Yaksha, che… ?”

“Hai ragione”, sussurrò il naga, “Hai maledettamente ragione, ti devo qualcosa di più che un congedo del genere…”, mormorò, chinando la testa ed accogliendo l’erezione del giovane tra le labbra.

“Ah!Ma…”, Raven boccheggiò, inarcando la schiena. “S…se ti tocco tutto il lavoro che abbiamo fato andrà in fumo…” ansimò. Voleva allontanarlo, ma seriamente non sapeva dove mettere le mani.

“E tu non toccarmi…”, sussurrò il naga, direttamente sulla sua pelle umida, costringendolo a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani dalla smania di toccarlo.

“Sei sleale…”, mugolò”

Yaksha rispose con una risata sommessa. Non lo trovava umiliante, per niente. Non l’aveva mai trovato tale. In quel momento poi, era come suggellare un addio. Accolse docilmente il piacere di Raven per l’ultima volta, prima di ritrarsi ed allontanarsi di nuovo emotivamente. Definitivamente quella volta, si disse.

Raven ci mise qualche minuto a riprendersi e rivestirsi. Quando l’ebbe fatto si rialzò. Yaksha. che aveva continuato a scivolare nervosamente da una parte all’altra della stanza, si fermò di fronte a lui. “Un’ultima cosa”, mormorò prendendogli le mani. Mormorò qualcosa e quasi all’istante i bracciali ai polsi di Raven fremettero, allentandosi e scivolando sinuosamente sul pavimento, per poi immobilizzarsi di nuovo.

“Dea, che liberazione”, mormorò Raven, strofinandosi i polsi. Ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma era un gran sollievo non averli più addosso. “Grazie.”

Yaksha scrollò le spalle. “Ora raccogli le tue cose…. E poi vattene”, disse, tornando ad assumere un atteggiamento freddo e spietato. Uscì dalla stanza, lasciandolo solo.

Raven sentì le mai formicolare dalla gran voglia di prenderlo e scrollarlo con violenza. Ma ormai aveva imparato a riconoscere quando Yaksha fingeva, o quando era arrogante sul serio. Ed in quel momento, ne era certo, sotto le sue parole sprezzanti il suo cuore sanguinava…

 

                                                                      *   *   *

 

Alla fine, non aveva poi molto da raccogliere.

I suoi vecchi vestiti, la giacca e nient’altro. Si chiese se dovesse lasciare lì o meno gli abiti che, caritatevolmente, Mashe gli aveva cucio per sostituire i suoi quando avevano iniziato ad appestare l’aria circostante. Alla fine li prese con sé, mettendo tutto in una sacca. Non ne avrebbero certo sentito la mancanza…

“Raven?”

Nel girarsi di scatto per poco non perse l’equilibrio. Sulla porta c’era Yaksha. “Non mi aspettavo di rivederti ancora”, mormorò

Il naga scrollò le spalle. “Sei lento. Muoviti ad andartene”, disse. Poi gli lanciò un sacchetto di pelle che tintinnò gradevolmente quando Raven lo prese al volo “Contiene qualche vecchio monile che non uso più… Per quanto sia esiguo sono certo che riuscirà a migliorare la tua vita da poveraccio, una volta fuori dal nostro territorio”, disse, indicando il sacchetto.

In un'altra situazione Raven se la sarebbe presa non poco. Ma ormai aveva capito che il naga diventava meschino per non soffrire più di quanto già non stesse facendo. E sapeva anche che se uno dei due avesse ceduto in quel momento, il distacco sarebbe diventato straziante.

Ma forse lui non era il più forte dei due. Non riusciva a lasciarlo così…

“Yaksha.”

Il naga si fermò, senza voltarsi, guardandolo da sopra una spalla. “Cosa c’è?”

Raven si avvicinò allungando una mano per sfiorargli una guancia. “Non ti dimenticherò tanto facilmente…”, mormorò.

Yaksha sollevò la mano di scatto, afferrandogli il polso; il ragazzo si aspettava che lo scostasse, invece se lo portò alle labbra, sfiorandole appena con esse. “Vale lo stesso per me….”, mormorò. “Grazie.. Un po’ di tutto”; aggiunse con un mezzo sorriso, prima di accigliarsi. “Ora però vai… Non voglio trovarti quando torno…”, concluse freddamente, voltandosi e sparendo lungo il corridoio.

Raven fece un respiro profondo, poi afferrò le sue cose e uscì dalla parte opposta, attraversando i corridoi che aveva imparato a conoscere e raggiungendo la porta principale.

Le due guardie all’ingresso lo degnarono appena i un occhiata, lasciandolo passare.

Col cuore che batteva all’impazzata attraversò la foresta di corsa fino a raggiungere la miniera. L’odore del ferro e del carbone non gli era mai sembrato tanto buono.

La sofferenza sembrava essere stata ampiamente soppiantata dal sollievo. Era libero. Libero!

Saltò in uno dei carrelli azionandolo e lanciandolo alla massima velocità. Solo allora il suo cervello sembrò ritrovare la capacità di pensare…

Il modo brusco con cui Yaksha lo aveva congedato era stato doloroso. Avrebbe voluto un po’ più i calore…

Tuttavia aveva imparato a conoscere il naga in quel periodo. Sapeva cosa si celava dietro la sua apparente compostezza; aveva sentito il dolore nelle sue parole, celato dal quell’apparente freddezza. Quel distacco aspro e netto era stato necessario…

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Raven balzò giù dal treno, quasi rotolando sull’erba.

Non si era ancora fermato a riposare. Era distrutto, non mangiava da quasi ventiquattro ore e non dormiva da altrettante, ma era a casa…

Arrancò fino alla casa di Gareth, bussando con forza.

Gareth aprì la porta, e lo guardò.

Ci mise ad un attimo a realizzare chi si trovava davanti. “Oh cielo, Raven!” esclamò abbracciandolo con tanta forza che Raven temette ti essersi incrinato qualche osso. “Ehi… non uccidermi!”, biascicò.

“Ah, scusa! Ma… Per la dea! Avevo perso le speranze di vederti vivo amico! Non hai idea di quanto tu ci abbia fatto penare…Come… Comehai fatto, sei scappato o…?”

“Ho scontato la mia punizione”, lo interruppe Raven, scrollando le spalle con non curanza. “Dov’è Aramis? Ho una cosa da mostrarvi.”

L’espressione i Gareth si incupì di colpo. “Non ne ho idea…”, mugugnò.

“Come sarebbe a dire? Che fine ha fato il Gareth iper-possessivo che controllava tutti i suoi spostamenti?”

“Quello Gareth è morto quando il furetto mi ha mollato”, rispose bruscamente, ficcano le mani in tasca.

“Ti ha mollato.. che?! Stiamo parlando di Aramis?”

Gareth annuì. “Quando…. Quando abbiamo fallito nel riportarti a casa, abbiamo avuto una brutta discussione. Gli ho rinfacciato di essere solo un ripiego per quando le ragazze mi davano buca. Non era vero ovviamente, volevo solo fargli del male. Ma non me l’ha perdonata…”, concluse mogio, per poi rianimarsi di colpo. “Però ora sei qui! Potresti parlargli, a te ha sempre dato retta.”

“Gareth.”

“Insomma, convincerlo a darmi una seconda possibilità.”

Raven gli toccò gentilmente un braccio. “Gareth. Sono appena tornato, ti prego. Non dormo e non mangio da quasi un giorno intero”, disse, accennando un sorriso. “Lo farò, ma non ora”

“Ah, certo… Hai ragione scusa…Forza, vieni, Entra e mangia qualcosa, poi andiamo a cercare il piccoletto. Era angosciato quanto me…”

 

                                                                      *   *   *

 

La reazione di Aramis fu ancora più entusiasta.

“Raven! Dea, ti ringrazio…”, miagolò, saltandogli praticamente in braccio.

Raven sorrise, dandogli una pacca sulla schiena. “Ehi, non uccidermi anche tu “, disse, mettendolo giù.

Aramis ubbidì. Parve accorgersi solo in quel momento della presenza di Gareth e l’atmosfera si fece improvvisamente pesante.

Per cercare di alleggerirla Raven tirò fuori il sacchetto di pelle e lo appoggiò sul tavolo. “Ehi, non me ne sono venuto via a mani vuote, ho sgraffignato qualche ricordino prima di andarmene”, mentì.

Aveva pensato a lungo al dire o non dire loro la verità su quel che era successo, su Yaksha e su tutto il resto. Ma era stato colto da una sorta di gelosia e, si era detto, forse non avrebbero nemmeno creduto alle sue parole. Un naga piacevole? Non poteva esistere, avrebbero detto, ne era certo. Afferrò il sacchetto per il fondo, scacciando quei pensieri, e ne rovesciò il contenuto sul tavolo.

Calò improvvisamente un silenzio assoluto, lui stesso non  poté rare a meno di trattenere il fiato. Il qualche monile di Yaksha si era rivelato in realtà un tripudio di gemme multicolori.

Dea… ci si poteva vivere di rendita per sette vite, con il ricavato di quelle, pensò, sfiorandole. “Belle vero?”, chiese recuperando la baldanza. “Perché non le dividete in tre parti, mi sento generoso… Io vado un attimo fuori”, aggiunse.

Sentiva le gambe molli, aveva bisogno di una boccata d’aria…

 

 

                                                                      *   *   *

 

Si allontanò di poco dalla casa, poi si fermò. Respirò a pieni polmoni l’aria fredda della sera, per quanto poco salutare gli era mancato il sentore acre del fumo dei convogli.

Era a casa.

Ed era come se non l’avesse mai lasciata. Tutto il tempo trascorso come prigioniero, i naga, Yaksha, sembravano già appartenere ad un sogno, che lentamente svaniva. Il giovane principe aveva ragione, era stata una bella storia, ma senza futuro…

Si voltò sentendo dei passi. Aramis l’aveva raggiunto e lo osservava, con un espressione indecifrabile sul viso.

“Non l’hai rubato, vero?”, chiese in fine.

Raven accennò un sorriso. Era impossibile farlo fesso, a quanto pareva. “Come hai fatto a capirlo?”

Il fulvo si avvicinò, allungandogli qualcosa. “Questa.”

Era una pietra trasparente, dalla forma ovale. All’interno di essa però si diramava quello che sembrava oro liquido. Formava una sorta di serpente, racchiuso nel cristallo.

Raven aggrottò la fronte, confuso. “Era tra quelle che vi ho dato?”

Aramis annuì. “Non è una pietra qualsiasi, è magica. E’ la pietra sacra dei naga, se la scambiano tra di loro amanti, fratelli, sposi o chiunque abbia un legame molto forte. Quando viene benedetta ha l’aspetto di un sasso qualunque… Come lo aveva questa, quando l’hai rovesciata sul tavolo. L’ho vista trasformarsi nello stesso istante in cui l’hai toccata.”

Raven aggrottò la fronte, prendendo la pietra e rigirandosela tra le dita. “E quindi, cosa significa?”

Il fulvo allungò la mano, per appoggiargliela sul braccio. “Che quella pietra è un dono, non il frutto di un furto. Il dono di una persona che ha con te un legame molto speciale. Non sarebbe mutata, altrimenti.”

Si mordicchiò il labbro inferiore, temendo di aver parlato troppo. “So che non sono affari miei. E forse a ragione Gareth quando mi rimprovera di fare troppo il saputello. Ma era una cosa che dovevi sapere, a mio parere.”

Raven accennò un sorriso. “No, anzi, hai fatto bene, grazie”, mormorò. Quella pietra era la prova che lui e Yaksha avevano vissuto in quel breve periodo, era stato qualcosa di intenso e reale. Per quanto le fitte di nostalgia iniziavano a farsi sentire, era felice, di averne avuto la conferma…

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


“Papaaa!”

Raven sollevò lo sguardo dalle casse che stava controllando giusto in tempo per placcare un razzo in gonnella dell’età di sei anni. “Per la dea, Maya, che cosa succede?”

La bambina si strofinò gli occhi, tirando su con il naso in maniera decisamente teatrale. “Lo zio Gareth m ha detto che sono brutta e cattiva e che non troverò mai nessuno che mi sposerà!”, pigolò, con un espressione che chiedeva vendetta per l’offesa subita.

Raven sbuffò divertito, sollevando gli occhi al cielo. “Ok, d’accordo, cosa gli hai fatto stavolta?”

“Io? Niente!”

“Maya?”

Dopo una breve sfida di sguardi Maya sbuffò, calciando un sassolino. “Gli ho messo il sale nella birra”

“Ancora?!”, Raven scosse la testa, più divertito che arrabbiato in realtà. “Sarà la ventesima volta che glielo fai, si può sapere perché?”

“Perché fa delle facce buffissime quando la beve”, confessò la bambina con un sorriso furbetto. “E poi lo Zio Aramis dice sempre che dovrebbe bere un po’ meno, volevo aiutarlo”, aggiunse seria.

Raven sospirò, avvicinandosi. “Daccordo, facciamo così”, disse. “Ora tu vai da Gareth e gli chiedi scusa…”

“Ma!”

“Niente ma, signorina. Poi vai dalla mamma ad avvisarla che vieni a fare un giro con me”

Maya si zittì di colpo, spalancando gli occhi. “Sul treno?!”, pigolò emozionata.

Raven annuì, non fece in tempo ad aggiungere altro, però. In un attimo Maya era già corsa via, troppo entusiasta per il viaggio promesso per indugiare oltre.

Era davvero fin troppo piene di energia, quella bambina…

Si sedette su una cassa con un sospiro, tirando fuori da sotto la giacca la pietra che portava al collo, per osservarla.

Di ciò che Yaksha gli aveva donato quel giorno gli era rimasto solo quello. Aveva diviso le gemme tra lui, Aramis e Gareth e le proprie le aveva vendute ed aveva usato il ricavato per avviare una piccola attività di importazione, direttamente da Amastra, verso i reami illuminati, che stava andando piuttosto bene...

Aramis gli aveva detto che secondo fonti non verificate, quando la spirale dorata all’interno del cristallo sembrava liquefarsi e vorticare, era segno che la persona che glielo aveva donato stava pensando a lui. Ma visto che era riportata solo da un paio di libri sull’argomento non su tutti, poteva benissimo essere una leggenda infondata.

Raven non lo sapeva, ma se fosse stato vero significava che Yaksha lo pensava spesso. Almeno tanto quanto lui.

Accennò un sorriso, mentre tornava ad infilare la pietra sotto la camicia, attendendo il ritorno di Maya.

 

 

 

 

Fine.

 

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