Winter is Coming

di Fenio394Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Consiglio di Elrond ***
Capitolo 2: *** Partenza. ***
Capitolo 3: *** Sogni ***
Capitolo 4: *** Winter is Coming ***
Capitolo 5: *** L'inverno è arrivato ***
Capitolo 6: *** Am I wrong? ***



Capitolo 1
*** Il Consiglio di Elrond ***


A Lil, perché deve ancora iniziare la saga,
a Marty, perché Gimli mangerà il phon
A Renny, grazie per il banner

 
Un’avventura è soltanto un fastidio considerato nel modo giusto.
Un fastidio è soltanto un’avventura considerata nel modo sbagliato.
-Gilbert Keith Chesterton

 
La ragazza si agitò a disagio sulla sedia, artigliando nervosamente i braccioli in legno, e si passò la lingua sulle labbra in un gesto inconscio. Si sporse leggermente verso lo Stregone. «Non ho ben capito cosa devo fare, Gandalf.» Aveva parlato in inglese, che loro chiamavano “Comune”. Fortuna che aveva vissuto per un anno con persone che parlavano solo ed esclusivamente quella lingua.
Lo stregone ridacchiò, evidentemente trovava divertente la situazione. «Mia cara, ricordati solo di presentarti come Arya Sparrow, e il resto verrà da sé.»

Qualcosa di importante, ecco cosa stava succedendo. Marina lo capiva: le espressioni erano gravi, l’aria satura di preoccupazione, il luogo dove si trovavano era piuttosto isolato, i brusii sommessi. E le occhiate che le lanciavano. Era l’unica donna dentro a quel gruppo di persone. O forse era il maglione di Topolino che indossava? Fatto sta che non le piacevano le occhiate che riceveva. Specie da parte di quell’uomo laggiù, terribilmente simile a Ned Stark. Doveva per forza essere un uomo. Non possedeva né l’aura di assoluta perfezione degli elfi né la stazza dei nani. Non era etereo, non era particolarmente bello. Non era basso o barbuto, ma non appariva ordinario. La osservava con curiosità, certo, ma c’era anche qualcos’altro nei suoi occhi verdi. Disprezzo? O ostilità?

Marina sperava ardentemente la seconda: perché avrebbe dovuto disprezzarla? Neppure la conosceva! E poi la rabbia montò in lei. Perché in quel posto tutti erano così diffidenti? Non era giusto, diamine! Aveva mostrato la sua buona fede più di una volta, nessuno poteva negarlo. Un moto di fastidio verso quell’uomo la colse e gli lanciò un’occhiataccia per poi girare il capo stizzita. Tsk. Marina, cioè, Arya Sparrow, si era meritata un posto in quella riunione, e Gandalf lo sapeva. Tanto le bastava. A dirla tutta, si sentiva felice di essere tornata lì, nella Terra di Mezzo, anche se non capiva come ci fosse arrivata, come del resto era successo la prima volta. Aveva un vuoto di memoria: ricordava sé stessa che ritornava a casa dopo una passeggiata, poi il nulla. Aveva aperto gli occhi e Gandalf l’aveva salutata sorridendo, e a quel punto aveva capito: era di nuovo ad Arda! Per cui, si era imposta, per il momento, di non fare domande. Anche se non aveva ben capito cosa effettivamente avrebbe dovuto fare.

Quindi gli sussurrò all’orecchio: «Il presentarmi come Arya Sparrow mi sarà in qualche modo utile?»

«Sarà l’unico modo che ti permetterà di venire con noi, mia cara. Sei ancora in cerca di un’avventura?»
Arya non rispose, ma dal ghigno divertito che le spuntò in faccia Gandalf seppe trarre le sue conclusioni. Si sentì solo in dovere di dirle che avrebbe fatto meglio a parlare quando le avrebbe fatto un cenno lui.
«Perché?»
« Bè, vedi .. Non tutti sono molto tolleranti con le donne dalla lingua lunga.»
«Oh.»

La cosa le diede fastidio, ma annuì, e prese ad osservare i presenti, giusto per avere qualcosa da fare. Gli elfi si somigliavano tutti: bellissimi, eterei e preoccupati. Uno le era familiare: sentiva un qualcosa alla bocca dello stomaco, qualcosa molto simile al rancore, anche se non capiva perché provasse tale sentimento. Ma anche qualcos’altro. Ammirazione? Provava la stessa sensazione che si prova a scuola, quando si conosce vita morte e miracoli di una domanda e nonostante tutto la risposta è lì  sulla punta della lingua, senza la possibilità di uscire. Lei lo conosceva. Anche se non riusciva a metterlo bene a fuoco. Sbuffò e continuò la sua ispezione. Gli elfi guardavano torvi in direzione dei nani, occhiatacce che venivano ripagate dai loro borbottii. Arya si stava divertendo un sacco a decidere quale delle due fazioni avrebbe vinto la gara di occhiatacce – e questo la dice lunga sulla infantilità- e stava per decretare un vincitore quan-
“Gloin!”
Era lì! Gloin figlio di Groin, davanti a lei! Chioma fulva, ascia corta e pericolosa e cipiglio guardingo. Ma sapeva che era colpadella situazione, perché Gloin era di natura assai gentile. Un po’ tirchio, forse, ma gentile. Non poté mai sapere chi vinse la gara, perché il flusso dei suoi – stupidi- pensieri fu interrotto da una voce seria e maschile:
«Stranieri di remoti paesi e amici di vecchia data, siete stati convocati per rispondere alla minaccia di Mordor. La Terra di Mezzo è sull'orlo della distruzione, nessuno può sfuggire. O vi unirete o crollerete.»
Simpatico, pensò Arya. Tuttavia non poté fare a meno di notare come sguardi preoccupati dardeggiassero fra i presenti, occhiate sospettose e sfiduciate. Decisamente era qualcosa di pericoloso. E di serio.

«Ogni razza è obbligata a questo fato, a questa sorte drammatica. Porta qui l'Anello, Frodo.»

L’hobbit alla destra di Gandalf si alzò, titubante, e posò l’anello su un basamento di pietra, proprio al centro del consiglio, visibile a tutti. I brusii aumentarono di intensità, senza tuttavia andare troppo oltre. Intanto, il piccino era già tornato a posto, l’espressione contrita sul volto giovanile e terribilmente familiare anch’esso. Ma che diamine, quella cos’era, la giornata dei vecchi fantasmi del passato?
«Allora è vero!» sussurrò l’uomo simile ad Eddard Stark. La ragazza era terribilmente tentata di alzarsi e urlare “ No,non è vero! Sei su Candit Camera!”  Ma non era una buona idea e restò buona al suo posto osservandolo con un leggero sorriso sulle labbra.

«Questo è un dono! Un dono ai nemici di Mordor!» Riprese lui, alzandosi in piedi e iniziando a parlare. «Perché non usare l’Anello? A lungo mio padre, sovrintendente di Gondor, ha tenuto le forze di Mordor a bada! Grazie al sangue del nostro popolo, tutte le vostre terre sono rimaste al sicuro.»

 Aveva un che di arrogante, e questo infastidì Arya, ma da come parlava, dalla passione e dall’orgoglio che metteva nelle parole, la ragazza capì che teneva davvero alla sua casa, a questa Gondor.
«Date a Gondor l’arma del nemico! Usiamola contro di lui!»
Ciò non implicava che i discorsi che faceva fossero sensati. Una voce, infatti, proveniente da un uomo dai lineamenti regali e gli occhi trasparenti, confermò i sospetti della ragazza: «Non potete servirvene, nessuno può. L’Unico Anello risponde soltanto a Sauron, non ha altri padroni.»
L’altro sembrava colpito, vagamente offeso: « E cosa ne sa, un Ramingo, di questa faccenda?»
Arya avrebbe tanto voluto andare lì e dirgli “Senti coso, intanto ti calmi” ma non lo fece. Al suo posto parlò l’elfo che le pareva familiare: « Non è un semplice Ramingo. Lui è Aragorn, figlio di Arathorn. Si deve a lui la vostra alleanza.»
Quella voce! Arya capì subito chi fosse, e questo bastò a giustificare l’ammirazione – lui era Legolas Verdefoglia, Principe di Bosco Atro e Figlio di Thranduil, divino arciere e combattente - ma anche a spiegare il rancore. Lui li aveva imprigionati nelle celle a Bosco Atro.

Lui li  aveva guardati come se meritassero ogni punizione terrena solo per il fatto di essere nani. O meglio, aveva guardato loro così, a lei aveva riservato solo sguardi curiosi e increduli. Ma sbatterla in cella le era bastato per farle provare quel rancore.
Comunque, Ned Stark pareva colpito, così come molti del consiglio: «A-Aragorn?»
«Questo è l’erede di Isildur?» Lo guardava come se fosse stato un insetto schifoso, un usurpatore. Forse, ragionò Arya, non era Aragorn stesso che odiava, ma ciò che lui rappresentava. La ragazza decise che l’erede di Isildur le stava simpatico.
«Ed erede al Trono di Gondor.» Continuò Legolas.

Per un folle istante, Arya era stata sicura che avrebbe detto Trono di Spade. Non avrebbe mai dovuto comprarsi i libri della saga tutti insieme, era andata in fissa anche per la serie tv.
«Gondor non ha un Re. A Gondor non serve un Re.» Sibilò Ned Stark dei poveri, sedendosi.
«Ha ragione Aragorn, non possiamo servircene.» Disse Gandalf lì accanto a lei.
Elrond si alzò: « Non abbiamo altra scelta. L’Anello deve essere distrutto.»
« E cosa aspettiamo allora?» Sbottò Glòin – Gimli- caricando la sua ascia sul gioiello, evidentemente intenzionato a distruggerlo. Peccato che fu l’ascia a fracassarsi.

«L’Anello non può essere distrutto, Gimli figlio di Glòin, qualunque sia l’arte che possediamo. L’Anello fu forgiato fra le fiamme del Monte Fato, solo lì può essere annientato. Deve essere condotto nel paese di Mordor e va ributtato nel baratro infuocato da cui è venuto.»
«Uno di voi deve farlo.»
Silenzio di tomba.
«Non si entra con facilità a Mordor.» Disse quasi esasperato Voi-Sapete-Chi.
«I suoi cancelli neri sono sorvegliati da più che meri orchi. Lì c’è il male che non dorme mai, e il Grande Occhio è sempre allerta. E’ una landa desolata, squassata da fiamme, cenere e polvere. L’aria stessa che si respira è un’esalazione velenosa. Neanche con diecimila uomini sarebbe possibile: è una follia!»
«Non avete sentito Re Elrond?» Scattò Legolas «L’Anello deve essere distrutto!»
«E suppongo che pensi che sarai tu a farlo!» ringhiò Gimli.
«E se falliamo, cosa accadrà? Cosa accadrà se Sauron si riprenderà ciò che è suo?»
«Sarò morto, prima di vedere l’Anello nelle mani di un elfo! Nessuno si fida di un elfo!»
Scoppiò il finimondo. Voci rabbiose che si sovrapponevano l’un l’altra, gli interlocutori accaniti e gesticolanti, perfino Gandalf si unì al litigio di massa sotto gli sguardi attoniti di Arya.
Era incredula. Si alzò in piedi e urlò : «BASTA!» nello stesso istante in cui Frodo si fece avanti dicendo: « Lo porterò io! Lo porterò io!» Ci vollero un paio   di tentativi perché tutti si calmassero, ma alla fine ottennero l’attenzione dei presenti. Arya gli fece un occhiolino e si sedette, ascoltando.

«Solo … non conosco la strada.» Mormorò lui sconsolato. La ragazza sentì un moto di tenerezza verso quell’hobbit e provò lo strano impulso di accompagnarlo, ovunque sarebbe dovuto andare. Sembrava Bilbo: così piccolo eppure così coraggioso. Non che lei fosse una gigantessa, sia chiaro, però … Era molto nobile da parte sua.
Gandalf si avvicinò a Frodo posandogli una mano sulla spalla e mettendosi dietro a lui: « Ti aiuterò a portare questo fardello, Frodo Baggins, finchè dovrai portarlo.»
Baggins! Ecco a chi somigliava! A Bilbo!
Aragorn si avvicinò a Frodo, inginocchiandosi: « Se con la mia vita o la mia morte riuscirò a proteggerti, io lo farò. Hai la mia spada.»
«E il mio arco.»
« E la mia ascia.» Per la gioia di Legolas, pensò Arya ridacchiando sottobaffi.
Anche Boromir si fece avanti: «Reggi il destino di tutti noi, piccoletto. Se questa è la volontà del consiglio, allora Gondor la seguirà.»
«Ehi!» Strillò un altro hobbit apparendo da un cespuglio: «Padron Frodo non si muoverà senza di me!» disse deciso, incrociando le braccia.

«No, certo, è quasi impossibile separavi, anche quando lui è invitato ad un consiglio segreto e tu non lo sei.»
«Ehi, veniamo anche noi!» due hobbit ricciuti – ma che stupida, tutti gli Hobbit erano ricciuti- apparvero dal nulla: « Dovrete mandarci a casa legati in un sacco, per fermarci!»
«Comunque, ci vogliono persone intelligenti per questo genere di missione. Ricerca. Cosa.»
«Ma così ti autoescludi, Pipino.»
Arya ridacchiò: gli Hobbit. Che persone straordinarie che erano.
«Nove compag-»
«Dieci.»

Tutti si voltarono verso di lei, e si maledì per quel maglione di Topolino che indossava.
«Chiedo scusa, Re Elrond, per averti interrotto.» quello liquidò il fatto chinando il capo, in segno conciliante.  Lei sorrise imbarazzata, prima di continuare: « E’ una nobile causa quella per cui combattete. Hai la mia fedeltà e tutto l’aiuto che possa darti, Frodo Baggins.»
Qualcuno, dalla parte degli uomini, si oppose, dicendo in tono di scherno: «E in quale modo potrà mai aiutare il portatore dell’Anello una donna?»

Aveva dimenticato quanto fossero sessisti e all’antica, in quel posto. Arya si girò di scatto verso la voce, lanciandogli uno sguardo truce. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, di quel’uomo non sarebbe rimasta nemmeno la tomba. Risultava sorprendente come i suoi occhi, gentili e sorridenti, potessero mutare così repentinamente trasformandosi in oscuri fuochi ardenti.
«Io sono Arya Sparrow.» pronunciò con freddezza e superiorità tali le parole: « Non sarò abile quanto voi nel maneggiare una spada o nel tendere un arco, ma io ho un arma migliore dalla mia. Io ho un cervello con cui pensare e una bocca per parlare. Ero un membro della Compagnia di Thorin Scudodiquercia. Ho combattuto nella Battaglia dei Cinque Eserciti e ho vinto.  Perciò, dimmi, uomo, in che modo potrai tu esserci utile? Che cos’hai fatto tu per aiutare il Portatore?» Non ottenne risposta e sorrise, anzi, ghignò, quasi a sfidarlo. Poco contava ora la sua bassa statura o il suo maglione di Topolino. Lei era orgogliosa, orgogliosa e fiera, sapeva che questo le avrebbe provocato dei guai – era già successo- ma non le importava.

« Io ho avuto il coraggio di offrirmi volontaria per lui, e sarò fedele a questa causa fino alla fine.» Pronunciando queste parole aveva indietreggiato, avvicinandosi al gruppo, ed ora era accanto a Gandalf, che le posò una mano sulla spalla con fare divertito.
Re Elrond la guardava in modo strano, sembrava sforzarsi di non ridere, ma comunque disse con voce solenne: «  E sia. Voi sarete la Compagnia Dell’Anello!»
«Grandioso!» Disse Pipino: «Dov’è che andiamo?»


 


Ciao a tutti *^*
Spero che non sia venuto un pasticcio e che la storia vi piaccia. So che di storie di ragazze che finiscono nella Terra di Mezzo ce en sono tante, ma spero di renderla il più originale possibile.
Marina, o Arya Sparrow. Che ne pensate? Ho voluto darle qualche cosa di mio, tipo il nome, la fissa per Game of Thrones e per la Disney :3
Abbiamo un carattere simile, ma ci distacchiamo su molte cose, che spunteranno a galla presto.
Vi ringrazio in anticipo e vi chiedo umilmente di donare l'8% del vostro tempo per una rencensione

Ringrazio Ilaria per aver letto la prima bozza del capitolo e mi duole dire che avremo aggiornamenti non regolari. Io tenterò di fare il prima possibile, sarò sincera con voi, e di non far passare un mese.

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Capitolo 2
*** Partenza. ***






Pochi giorni dividevano la partenza dal Consiglio di Elrond, troppo pochi per poter permettere ad Arya di fare la conoscenza dei suoi futuri compagni. Tuttavia si mantenne in buoni rapporti, presentandosi a loro e pronunciando le parole di rito e sorridendo ogni volta che li vedeva; sorrisi sinceri e gentili – le piacevano i suoi compagni- e a volte irriverenti, ma questi ultimi erano dedicati soltanto al caro gondoriano, a cui Arya si ostinava a pensare come “Stark” o “Lord Stark”.

Nonostante ciò, Arya riuscì a trovare il modo di ingannare l’attesa, unendo l’utile al dilettevole. Fanyel, la sua graziosa ancella, le aveva portato un meraviglioso abito scuro, dai ricami dorati, con una morbida gonna verde.
«Il tuo abbigliamento è piuttosto inusuale, mia signora» Così esordì l’elfa. Intenzionata a continuare aprì bocca, ma Arya fu più rapida e sorrise: «L’intenzione era quella, tesoro»
L’elfa la guardò stranita, non arrabbiata, solo curiosa, ma liquidò in fretta la faccenda: «Quest’abito ti starà d’incanto.»  Era molto bella, si riscoprì a pensare la ragazza, come tutti gli elfi del resto: più alta di lei – tutti erano più alti di lei- gli occhi nocciola e i capelli color del grano, un’espressione gentile dipinta in viso.
«No, Fanyel, ti ringrazio.» Rispose Arya con un sorriso: « Gradirei avere delle brache, per cortesia. Ho intenzione di esercitarmi con la spada, in quest’ultimi giorni che ci separano dalla partenza. Allenarmi con le gonne sarebbe alquanto ridicolo e controproducente. Sai,» disse poi, usando un tono confidenziale: «Non sono così aggraziata come sembro.» Non che lo sembrasse così tanto.
L’ancella annuì ma posò l’abito nel baule ai piedi del letto, e ritornò poco dopo con dei pantaloni scuri e una camicia chiara, entrambi di un tessuto comodo e caldo. Le portò anche un .. corpetto?
«Ehm .. » disse la ragazza, vedendo che Fanyel non se ne andava. « Puoi andare, grazie.»
L’elfa ridacchiò: «No, mia signora, devo aiutarti a vestirti. E’ questo il mio compito. Sono piuttosto complicati da stringere, quei lacci, specie se si trovano sul retro»
«Ah.» Con un filo d’imbarazzo, Arya si spogliò, posando con delicatezza il suo maglione sul letto e sbarazzandosi dei jeans senza tanti complimenti. Le scarpe, invece, furono una questione un po’ più complicata – i lacci troppo stretti- ma alla fine riuscì anche a togliersele e a disfarsi delle calze di lana.
Fanyel la guardava come se le fossero spuntate le antenne e fosse diventata verde: «Cosa … cosa sono questi strani capi d’abbigliamento?»  Chiese, indicando il reggiseno e gli slip.
«Ehm ..» Già. Le cose che a lei sembravano assolutamente normali per loro rasentavano la fantascienza. Quindi continuò, soppesando le parole: «Sono i capi intimi che le donne usano portare dalle mie parti.» L’ancella pareva davvero sconvolta e Arya ci restò un po’ male: insomma, era un sobrio completo viola, mica uno struzzo in technicolor!
Indossò i pantaloni un po’ abbattuta e si fece aiutare dall’ancella: aveva ragione, era dannatamente stretto, quel coso, quasi non riusciva a respirare! Non se li ricordava così malefici … Asfissianti ..
« .. Fanyel ... » rantolò Arya seria, aggrappandosi alla testata del letto: « Mai più questa storia del corpetto. Intesi?»
Fanyel ridacchiò e annuì: « Come desideri, mia signora.»
« E non chiamarmi mia signora!»
 
 
Dopo essersi vestita e aver litigato con l’elfa per l’acconciatura –battaglia vinta dalla ragazza-  Arya riuscì ad uscire dalla stanza e a dirigersi verso i giardini.
Varion era lì, mentre dava lezione di scherma ai poveri malcapitati la ragazza si prese qualche minuto per osservarlo: non era cambiato affatto. Sempre perfetto e sempre maniacale per le posizioni corrette da adottare. Un ottimo insegnante, certo, ma troppo severo ed esigente, o almeno con lei. I bambini che stava istruendo sembravano divertirsi un mondo e la cosa infastidì Arya: quei marmocchi urlanti erano persino più disciplinati di lei e graziosi nella solita maniera che solo gli elfi sanno far propria. Restò semi-nascosta dietro un albero ad osservare, buttando l’occhio anche sulle piante dei cortili.

Uscì allo scoperto una ventina di minuti dopo, i bimbi elfi si erano dispersi qua e là, alcuni che maneggiavano spade di legno e altri che si rincorrevano a vicenda ridendo; Varion era chinato accanto ad uno di loro e gli stava sussurrando qualcosa all’orecchio.
Arya si schiarì la gola: « Buon giorno.»
L’elfo parve stupito, disse qualcosa al bimbo che si allontanò in tutta fretta, poi si alzò e ricambiò il sorriso e il saluto: « Buon giorno lo sarà per te, Arya Sparrow. Qual buon vento ti porta qui nella Valle di Imladris?»
« Anche io sono felice di rivederti. Sto bene, grazie per avermelo chiesto.» rispose lei acida, anche se sorrideva.
«Perché mai dovrei essere felice di rivedere un disastro come te alle mie lezioni?» la canzonò lui. Varion era bello, gli occhi grigi e lunghi capelli corvini, un volto senza età, che tuttavia pareva più terreno rispetto agli altri elfi che Arya aveva conosciuto. Inoltre era un ottimo spadaccino e un esigente maestro. La sovrastava di parecchi centimetri, tant’è che poteva vedere le treccine alla moda elfica che trattenevano le fluenti ciocche di capelli.
«Tutti soffrono la mia mancanza, Varion. Chi non lo farebbe?» chiese le con finta innocenza esaminando un fiori bianco lì vicino.
«Vuoi altre lezioni di scherma» disse lui sornione.
«Beccata.» Arya sorrise.
Lui sospirò scuotendo la testa, ma le allungò una spada corta che ben si adattava alla sua portata.
« Fammi vedere una prima posizione» ordinò secco.

Arya lo fece: divaricò le gambe, piegò le ginocchia e stabilizzò il baricentro, mettendosi di tre quarti con la lama sguainata. Varion le girò intorno, cercando difetti di postura che non trovò. Si mise davanti a lei, canzonatorio: « Cominciamo.»
E iniziò l’allenamento.

Ogni mattina e ogni pomeriggio, Arya si recava da lui per esercitarsi e perfezionare le sue mosse.
«Su quel braccio! Rapida con gli affondi! Usa le gambe!» erano gli avvertimenti più frequenti. Arya non aveva neanche tentato di protestare che anche se non era perfetta l’importante era che sapesse difendersi, perchè aveva uno spiacevole ricordo di quattro anni prima comprendente una serie da cento piegamenti sulle gambe e altri cento sulle braccia che l’aveva lasciata senza forze per un paio di giorni.

Ogni allenamento finiva con un bagno di sudore e in muscoli dolenti: non ricordava che combattere fosse così faticoso, per la miseria, ma ormai c’era dentro e non avrebbe sopportato l’onta di rinunciare, davanti a Varion per giunta.
Quasi sempre erano in una situazione di stallo: in completa parità, anche se Arya sospettava fosse perché Varion si trattenesse; una sola volta lei era riuscita a disarmarlo, con sua somma gioia, somma gioia che venne fatta pagare cara  da una lama puntata alla gola.
Dopo di che, Arya si rifiutò di partecipare alle lezioni, ma visto che dopo due giorni sarebbero partiti l'elfo non fece tante storie. Ritornando in camera, scoprì Fanyel le aveva preparato un bagno ristoratore e Arya avrebbe urlato a squarciagola la sua idea di farsi suora per la benedizione ricevuta non fosse stato per l'espressione impaurita che sicuramente sarebbe comparsa sul viso dell'elfa. Dopodiché l'ancella le  aveva massaggiato i muscoli doloranti e Arya trovò solo la forza di darle un bacio sulla guancia come ringraziamento prima di crollare a letto, beata.

L’ultimo giorno fu davvero una sorpresa per Arya. Aveva deciso di passeggiare per i cortili, beandosi della vista mozzafiato che la Valle di Imladris offriva, quando era inciampata sui suoi piedi, stramazzando a terra. Indossava, quell’ultimo giorno, l’abito che Fanyel le aveva portato la prima volta – sembrava ci tenesse davvero a vederglielo indosso e Arya non aveva avuto il cuore di dirle di no-  quindi risultava più goffa del solito. Stava tentando di rimettersi in piedi quando una mano gentile l’aveva raggiunta: «Permettete che vi aiuti, mia signora.»

Quella voce …

Alzò la testa, incontrando due iridi castane familiari e amiche: « Bilbo!»

«Arya!» aveva esultato lui, abbracciandola lì sul posto. La ragazza rispose felice all’abbraccio, un po’ incredula, forse. “Ma che diavolo ci fa Bilbo, qui?”

L’aiutò ad alzarsi e la guardo felice. Arya non potè non notare quanto fosse invecchiato, visto che i capelli non erano più castani ma grigi tendenti al bianco e le rughe avevano iniziato a prendere possesso del suo viso. Però gli occhi erano rimasti gli stessi di sempre: vitali e gentili, sembravano incuranti del tempo che passava, cosa di cui Arya fu davvero grata. Fu davvero grata anche del fatto che fosse sopravvissuto così tanto: lui era stato un’ancora di salvezza dopo la battaglia. Anche se tentava di non darlo a vedere, aveva ricevuto una ferita psicologica tremenda che si manifestava talvolta in incubi terribili e realistici.
«Quanti anni hai?» Chiese le con un sorriso: «Centoundici?»
Bilbo  annuì e la prese per mano: « Sei meravigliosa, Arya, dico davvero. E quanto sono felice di rivederti! Non sei invecchiata di un giorno!»
Lei si fece condurre placidamente dallo hobbit verso un gazebo di pietra che dava proprio sulla Valle, un sorriso amorevole in volto: «Sembrerà folle a dirsi, ma da me sono passati solo quattro anni»
«Oh, allora adesso ne hai ventidue!»
«Già. Sono maggiorenne da un po’» disse lei fiera. Non avevano mai creduto che avesse diciotto anni, tutta colpa della sua bassa statura.
«Non fra gli hobbit, mia cara. Ma dimmi, come va la vita dalle tue parti? Sei riuscita a .. com’era quella parola? Diplemarti?»
«Diplomarmi, Bilbo. Diplomarmi. Ci sono riuscita con ottimi voti, grazie per l’interessamento. Ora sto studiando Lingue all’Università»
«Che cos’è l’Università?»
«Non te l’aveva già detto?» chiese Arya pensierosa, ma al diniego di Bilbo rispose. «E’ la scuola che si segue dopo il liceo. Per specializzarti, ecco.» concluse lei, sperando di aver esaurito la sua curiosità con queste semplici parole.
«Ah.» Anche se credeva di aver fallito.
«Mi sei mancato, piccolo hobbit.» disse, stringendolo e posando la sua testa sul suo capo.
«Anche tu, Arya. Anche tu.»

Passarono un po’ di tempo in silenzio, osservando il panorama dal quella sorta di balcone-gazebo in cui si trovavano. Arya stava rimpiangendo di non avere una macchina fotografica a portata di mano quando la curiosità prese il sopravvento. « Hai trovato una fortunata hobbit con cui sistemarti?»

Bilbo parve stupirsi di quella domanda, però non gli diede fastidio, perché Arya era sempre stata curiosa e se ne usciva con le domande più strane nei momenti meno opportuni, a volte.
«No. Sono uno scapolo felice che ha vissuto il resto della sua vita nella Contea. Vorrei poter rivedere la Montagna, però. Ma, ahimè, la vecchiaia mi ha raggiunto alla fine e non credo che ce la potrò fare.» le disse un po’ triste.

«Io non voglio tornare.» commentò cupa la ragazza.  Troppi brutti ricordi, troppa morte e troppa ingiustizia intridevano quel luogo. Un po’ come ne Il Trono di Spade – il paragone fu automatico- chi merita di sopravvivere muore, e chi merita di morire vive.
«Mi piacerebbe vedere il mare» continuò Bilbo. Aveva notato la tristezza dell’amica e aveva sviato il discorso, memore dell’amore della ragazza per le grandi distese salate.

«Il mare? Perché, c’è il mare nella Terra di Mezzo?» chiese stupita e affascinata, gli occhi sgranati dalla curiosità.
«Certo che c’è, mia cara! I Porti Grigi sono meravigliosi, o almeno così i canti e le leggende dicono.»
« Il mare .. » disse sognante la ragazza. « Noi purtroppo abbiamo inquinato il mare. Abbiamo molte specie marine a rischio d’estinzione ma sembra non interessare ai potenti.»
Sospirò: « Vorrei poter fare qualcosa per evitarlo, perché il nostro pianeta sta andando allo scatafascio.»
Chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe messa a parlare di ecologia con un hobbit. Vestita da elfa, per giunta. In una Valle incantata in un luogo magico.
«Il mare sarà bellissimo, sicuro come il thè delle cinque!» Affermò Bilbo, convinto.
Così, passarono le ore, chiacchierando del più e del meno. Cenarono insieme – mangiavano dannatamente presto, in quei posti- e la conversazione si proiettò verso l’imminente partenza: «Sei preoccupata?»

Arya bevve un sorso d’acqua prima di rispondere, pensandoci su. Era preoccupata? Per lei no. L’ultima esperienza era stata meravigliosa, non considerando l’epilogo, e la sua vita, ritornata normale, le era parse talmente vuota e inutile  e noiosa … Senza contare il fatto che il dolore per le perdite a volta la colpiva come una sferza, piegandola su sé stessa e faticando a respirare.
«Spero solo che non muoia nessuno. Mi affeziono troppo alla gente» rispose, cercando di non far trapelare la sua preoccupazione.
« Sei una brava ragazza, Arya. Anche loro si affezioneranno a te.» Bilbo sorrise con affetto, anche se le parve un sorriso un po’ forzato. Sembrava essere sul punto di chiederle qualcosa, ma che ci ripensasse di continuo. Alla fine, parlò.
«Arya .. io ti devo chiedere una cosa. Una cosa importante.»

Lei aggrottò la fronte – poche volte aveva visto Bilbo così agitato- ma annuì: «Tutto quello che vuoi.»
«Veglia su Frodo, sul mio ragazzo. Prenditi cura di lui, ti prego. E’ una persona davvero molto a me cara. E io gli ho scaricato addosso quel pesante fardello … Un grosso torto …»
Sembrava sul punto di piangere, Arya provò una fitta di pena verso di lui. «Non era tua intenzione, Bilbo. Io .. Io veglierò su di lui, certo che lo farò. »
«Ti ringrazio ..»
Arya sorrise e gli lasciò un bacio sulla fronte: « Buonanotte, amico mio. Domani, sarà una lunga giornata.»
«Buonanotte, Arya.»

Con il cuore pesante, Arya si diresse verso la sua stanza, dove Fanyel aspettava le sue direttive. La ragazza sperava solo di poter mantenere quel giuramento.
«Fanyel» disse con solennità: «Preparami un bagno, per favore.»
L’ancella si inchinò e glielo preparò, chiedendole quale aroma desiderasse.
«Stupiscimi.»
 
 
Lo specchio le rimandò l’immagine di una ragazza minuta, dai tratti del viso infantili e delicati. Gli occhi bruni, troppo scuri per essere definiti nocciola e troppo chiari per esser chiamati neri, erano brillanti e vivaci.
Il corpo, dalle tipiche forme mediterranee – vita stretta e fianchi larghi- era di una delicata tonalità rosata. Un po’ d’adipe in eccesso sulle cosce tradiva la sua passione per il cioccolato, ma, tutto sommato, aveva curve armoniose.
I capelli erano di un comunissimo castano scuro, belli di certo, ma banali. Nel complesso, aveva un aspetto piuttosto anonimo, comune e scialbo.
Sospirò, preparandosi per la notte e sistemando gli abiti per il giorno dopo.
«Buona notte, Fanyel.»
«Buona notte, mia signora.»
Arya sospirò: era senza speranza.
 
 
La partenza fu molto solenne, accompagnata dal discorso di arrivederci – che pareva un addio- di Sire Elrond. Ringraziò con un inchino e un sorriso il sovrano, aspettando gli altri che avevano gente da salutare. Legolas pareva avere mezza corte appresso, così come Gimli tutta la sua famiglia meno che Glòin, Boromir i suoi familiari e amici e gli hobbit avevano Bilbo; Gandalf si intrattenne con Re Elrond e Arya era intenzionata a salutare l’anziano hobbit forse per l’ultima volta. Non sapeva se sarebbe ritornata, non sapeva se lui sarebbe sopravvissuto abbastanza da rivederla – o andare al suo funerale. Dopo che gli hobbit si furono congedati Arya si inginocchiò davanti al suo vecchio amico, in modo da avere gli occhi alla stessa altezza: «Arrivederci, Bilbo Baggins. Sono felice di essere tua amica e proverò con tutte le mie forze di mantenere fede alla tua promessa.»
Bilbo sorrise e l’abbracciò stretta, abbraccio che venne ricambiato dalla ragazza. Trattenne un singhiozzo, asciugandosi una lacrimuccia che aveva minacciato di scivolare giù e si staccò da lui, notando che invece piangeva silenziosamente un sorriso triste. Si alzò, e le persone che vide furono una grande sorpresa per lei: Varion e Fanyel, vicini.
Si guardò intorno, magari dovevano salutare Legolas, però a giudicare dalle occhiate che riceveva dovevano essere lì per lei. Fanyel parlò per prima, stringendole una mano: «Addio, mia signora – Arya non si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo e Fanyel rise- spero che le nostre strade si rincontreranno, un giorno.» Le porse un fagotto che emanva un delizioso odore di cioccolato e le disse di non aprirlo fino al giorno successivo. La ragazza trovò l'indicazione un pò strana, ma annuì. L'elfa se ne andò molto dignitosamente e a schiena dritta, anche se si fermò pochi metri più in là sorridendo dolcemente.
Varion le relegò un ghigno sarcastico assieme ad una spada. Sorpresa, Arya la sguainò e notò con un risolino che era perfetta per lei, leggera e maneggevole, affilata come un rasoio. Non era molto lunga e nemmeno troppo corta, adatta alla sua portata e bellissima: rifulgeva d’azzurro e violetto alla luce dell’alba, grigio acciaio argenteo contro l’aria frizzante dell’aurora. L’elsa era decorata da motivi di fiamme e uccelli in volo, la lama brillante.
«Grazie!» sussurrò estasiata alla volta dell’elfo. Lui sogghignò: «L’ho fatta fare appositamente per te: non potevi partire con una spada imprecisa. Sei già goffa di tuo, non voglio che tu muoia prima del tempo.»
Arya sbuffò: «La tua fiducia in me mi commuove» Lui rise e le scompigliò i capelli – gesto che Arya odiava- e se ne andò senza una parola.

La ragazza si accodò alla Compagnia, il sole e la Valle di Imladris alle loro spalle.

Era una Compagnia stravagante, la loro: ad aprire c’era Gandalf, concentrato sulla via da intraprendere; di seguito veniva Legolas, che osservava i paesaggio; Gimli con la sua ascia; seguivano gli hobbit con Sam che portava Bill il pony; Lord Stark e Arya appresso e nella retroguardia Aragorn. Per un po’ si udì solo il chiacchiericcio  degli hobbit e il fischio del vento e i cinguettii degli uccelli; poi ad Arya venne in mente una cosa.

«Poffarbacco!»
Esclamò, portandosi le mani sulle guance alla Makuria Colkin di “Mamma ho perso l’aereo”.
«Ma oggi è il venticinque dicembre! E’ Natale!» iniziò a saltellare sul posto, per poi iniziare a girovagare per la Compagnia schioccando baci sulle guance a augurando “Buon Natale” a delle persone che del Natale non ne conoscevano neppure l’esistenza.
Gli hobbit- in particolare Sam- arrossirono velatamente, però a Pipino non parve dispiacere, anzi, chiese pure il bis e sotto lo sguardo sorpreso di tutti venne accontentato di buon grado.
Dovette far chinare Gandalf, Stark, Legolas e Aragorn per poter baciarli sulle guance, ma l’imbarazzo venne più per il fatto che arrossì quando posò le labbra sulla guancia di Boromir e ancora di più quando toccò all’elfo; tuttavia la voce di Sam giunse desiderata alle orecchie della ragazza, tant’è che l’avrebbe baciato di nuovo: «Ma .. che cos’è il Natale?»

«Vedi, mio caro Hobbit, il Natale è la più bella delle feste che si celebrano da me. Devi sapere ..»

E si lanciò in un’accurata descrizione del Natale, offrendo un passatempo alla Compagnia per tutto il giorno a seguire: alle domande che ponevano, Arya rispondeva quanto più dettagliatamente possibile, anche se, sul piano religioso, era un tantino complicato, visto che loro erano fermamente politeisti e lei doveva parlare di un Dio in cui forse neanche credeva.
Il Natale passò, e venne Santo Stefano,e la Compagnia procedeva, lesta e accompagnata dai canti natalizi di Arya.





Ehilà gente! Spero che il capitolo non vi abbia annoiate, ma è un capitolo di passaggio. Ho aggiornato dopo OTTO GIORNI, ma vi rendete conto?! OTTO GIORNI! Non ho mai, dico mai, aggiornato così presto in vita mia. Spero che comunque non sia risultato uno schifo. Sapete l'ho scritto in vacanza, a Mirabilandia, mentre facevo la fila per il Katun e l'Ispeed xD che ho fatto due volte <3
Ringrazio vivamente Chibi_Hunter - che è stata la prima a recensire <3 - evelyn80 perchè adoro la tua recensione e Jade_Horan perchè è stata la tua migliore recensione di sempre <3 Ringrazio anche chi solo ha letto, chi ha messo la storia fra le seguite, le preferite e le ricordate! Ragazzi, le vostre recensioni, i vostri gesti mi danno la carica, sul serio!
Spero che passiate in tanti e ricordate che le recensioni sono più che gradite!
Fenio

 

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Capitolo 3
*** Sogni ***



Boromir perse la pazienza quando partì l’acuto: «Valar, tappatele la bocca, ve ne prego!»
« That’s the Jingle Bell Roooooooooock!»
«Ma proprio non ce la fai a stare zitta, donna?»

Ancora col fiatone per l’acuto che era riuscita a quasi-non-stonare Arya rispose, un po’ abbattuta: « Ma è Natale, chi canta se non canto io?»
«Avevi detto che il Natale era due giorni fa. Oggi è ventisette!»
Sbuffò: «Ma .. Il Natale .. Uffa! Il Natale è inteso come periodo natalizio; il periodo natalizio va da Dicembre al sei gennaio! Sono assolutamente autorizzata a cantare. E poi, basta chiedere. Voi volete che smetta?»

La Compagnia si chiuse in un muto silenzio interrotto dalla risata sommessa di Gandalf e il verso di strafottenza di Lord Stark. Arya se la prese un po’, ma smise di cantare. E procedettero per un altro paio d’ore con lei che fischiettava un motivo terribilmente simile a “All I want for Christamas is you”.
Si appostarono in un posticino riparato dal vento e accesero un fuoco, gli hobbit si diedero da fare per la cena: Arya li sentiva borbottare riguardo tuberi e spezie e ridacchiò, continuando a far vagare la mente verso approdi che sapevano di casa.
Così, la voce di Boromir le giunse un po’ indesiderata alle orecchie: «Non dovresti discutere di cucina con loro, Arya?» appariva terribilmente saccente, e stava dando un fastidio tremendo alla ragazza che tuttavia sembrò cadere dalle nuvole:« Come, scusa?»
«Sai cucinare?» chiese il gondoriano paziente, quasi stesse parlando con una bambina.
«Veramente io cucino i dolci ..» fece lei, vaga.
«Dolci!?» Esclamarono tutti e quattro gli hobbit, partendo all’assalto: «Che tipo di dolci?»
«Torte, crostate?»
«Bignè, biscotti?»

Sembravano esagitati, oddio. Tuttavia, quelle attenzioni le facevano un sacco piacere: adorava gli hobbit ed essere al centro dell’attenzione non le aveva mai dato fastidio, almeno con persone con cui si sentiva a suo agio. «Torte, crostate .. Tutto! Anche se i Cup-Cake sono quelli che mi vengono meglio, specie con le gocce di cioccolato ..» emise un verso deliziato, i pensieri tutti rivolti ai suoi dolci. Quanto avrebbe voluto averne a portata di mano … Poi si ricordò che aveva dei dolci, ma scacciò il pensiero: a Santo Stefano aveva condiviso i dolci al cioccolato di Fanyel con la Compagnia e gliene restavano solo tre, e li avrebbe tenuti tutti per sé, il suo tessoro.
«Come mai io non ero a conoscenza di questa tua grande passione per la pasticceria, Arya?» ridacchiò lo Stregone, fumando la sua pipa.
«Perché l’interesse è nato dopo … dopo che tornassi a casa, sì. Nessuno si è mai lamentato, anzi!» Principalmente aveva iniziato perché si era sentita terribilmente triste, e il cucinare l’aveva in qualche modo aiutata. Principalmente.

«Allora non vedo l’ora di assaggiare un tuo dolce, Arya.» disse Aragorn, cosa che riempì di felicità la ragazza, che arrossì leggermente sulla punta del naso.
«Io dico che vai dal fornaio e poi li spacci per tuoi» affermò Boromir, sporgendosi verso il fuoco per vedere a che punto era la cena; al che Arya alzò gli occhi al cielo.

«Suvvia, Boromir, non essere così prevenuto: magari la nostra Arya è davvero così brava come dice.» Legolas aveva sorriso in sua direzione, a sorpresa, e la ragazza si era sentita andare in fiamme le orecchie e le guance; fortuna che era calato il sole, altrimenti tutti avrebbero visto la sua pelle sfumare in una delicata tonalità cremisi. Sorrise imbarazzata: «S-sì, esattamente. S-sono buoni, come no. Cup-Cake per tutti!»
Fortuna che Sam scelse proprio quell’istante per annunciare che «La cena è pronta!»
E così gustarono un bello stufato di conigli e spezie che riempì il loro stomaco e le mise un po’ di sonnolenza. Arya si avvicinò di più al fuoco, scaldandosi le mani –era di gran lunga la più freddolosa di tutta la Compagnia- e borbottando qualcosa a proposito di termosifoni e caldaie.
«Non so perché ma mi sembra di ricordare il Falò dell’anno scorso per Mezza Estate, vero padron Frodo?» chiese Sam, dando una leggerissima gomitata a Frodo. Lui storse un po’ il naso: «Come mai, Sam?»

Bè, Arya parla tantissimo riguardo al suo Natale e guardando nel fuoco mi è venuto  in mente, tutto qui. E poi Arya è simile a Rosie quando … Quando ..
le sue parole si persero, sostituite dagli schiamazzi di Merry e Pipino: «Rosie Cotton? Quella Rosie, Sam?»
 Pipino era piegato in due dalle risate: «Rosie Cotton .. Ahahah»
«Ma insomma!» Esclamò Arya, vagamente lusingata dallo pseudo complimento di Sam: «Voi non siete mai stati innamorati? Non dar loro retta, Sam» gli sorrise: «Quando tornerai nella Contea, lei non potrà fare a meno di cadere ai tuoi piedi e vi sposerete, te lo dico io.»

«Io una volta ho avuto una ragazza» iniziò Boromir «Una ragazza che ci sapeva fare. Aveva i capelli baciati dal fuoco e una voce meravigliosa, non come te, Arya»
«Ehi!» protestò lei, anche se era interessata alla storia.
«Lei non la dimenticai ..» disse lui, lo sguardo che vagava fra le fiamme, assente.
«Lei .. lei non l’hai dimenticata?» gli fece eco Arya, incredula.
«Sì, sei sorda o cosa?» ribattè acidamente lui.
«Ma .. ma… » sembrava senza parole. «Ma.. esattamente .. quante donne .. ecco .. hai dimenticato?»
«Se le ho dimenticate, come faccio a dirtelo? E meno male che dici di essere intelligente.»
«Bè, io mi sono innamorato una volta, sapete.» s’intromise Pipino tutto allegro.
«Davvero?» Fecero Legolas e Aragorn in coro.
«Le-le hai dimenticate?» domandò shockata Arya di nuovo.
«Sì, Arya, sì! Dimenticate, cosa non capisci di questa parola?» Boromir invece le rivolse uno sguardo scocciato restituito da quello di … disgusto? Di Arya, che puntò le iridi scure sulla figura di Pipino.
«Sì sì, una Hobbit davvero carina, con le margherite fra i capelli e gli occhi verdi ..»

Ho sposato una donna con l’estate fra i capelli .. Ad Arya venne in mente una vecchia canzone che aveva sentito da qualche parte e piegò la testa di lato. Chissà quanti anni aveva Pipino. Sapeva che gli hobbit percepivano l’età in modo diverso dagli uomini – come nani ed elfi- però scacciò il pensiero dalla mente perché, fu Aragorn a prendere parola:
«L’amore può essere un tormento, a volte. Ma quando l’hai trovato, ti domandi come facevi prima a vivere senza di esso e ti riscopri a credere che non ci sia niente di più forte. Che nonostante tutto, l’amore va sopra ogni cosa, l’amore resta, in un modo o nell’altro. Ma vale la pena combattere e perdere tutto, anche se si ama e si è amati?»

Il silenzio calò sulla Compagnia. Arya guardò pensierosa Aragorn: doveva essere per forza innamorato per dire quelle parole. Lei non si era mai sentita così, neppure con Leo. Mai. Si era posta quei quesiti, certo, molte volte, e neppure lei era riuscita a trovare risposta. Si era anche chiesta se sarebbe mai riuscita ad innamorarsi di qualcuno, se qualcuno sarebbe mai riuscita ad innamorarsi di lei. Se mai il suo cuore potesse battere per qualcuno che non fosse sé stessa o gli inarrivabili eroi che la sostenevano e che tanto le avevano dato. C’erano volte in cui si chiedeva se davvero l’amore esistesse, o se era lei che non meritava di amare.

Pensava di aver trovato l’amore con Leo; pensava che lui l’avrebbe accompagnata fino alla fine dei suoi giorni, fianco a fianco, sul loro affetto basato su sguardi e sorrisi e pomeriggi passati accoccolati sul divano. Ma se era amore, quello, perché quando tutto finì si sentì come se si fosse liberata da un peso? Perché sentiva che era stato una parentesi della sua vita, eppure non così importante? Aveva sofferto, sì, ma tuttavia se l’era aspettato, seppellendo il dispiacere fra montagne di dolci.
Non aveva mai saputo il colore dei suoi occhi.
«Credo sia ora di andare a dormire.» disse Gandalf sbuffando l’ultimo anello di fumo e scuotendo Arya da quei pensieri.
«Buonanotte» sussurrò, prima di raggomitolarsi accanto al fuoco, le iridi che osservavano Aragorn montare il primo turno di guardia. Si appisolò poco dopo, il gusto dei cup-cakes al cioccolato in bocca.
 
Quando riapre gli occhi, il mondo brilla di luce vivida e artificiale, fredda.
Si guarda intorno disorientata, quando i suoi occhi incontrano una figura familiare, il cui volto le è noto quanto il suo.
Sua sorella parla al cellulare, tutta presa dalla conversazione. Gli occhi azzurri sono accesi da una gioia febbrile, le labbra rosee curve in un bellissimo sorriso. Sorride di rimando anche Marina, muovendo un passo verso di lei: «Marty!»
Ma la sorella non la sente. Tutti le scambiano per gemelle, e quando rispondo di no credono che sia lei la più grande, perché è più alta e i modi, all’apparenza, più signorili.
Non capiscono che la più grande è lei, e che la poca fantasia dei genitori – due nomi così simili, Marina e Martina- celino due personalità diverse quanto la Luna e il Sole, un satellite naturale e una stella viva.
Non la sopporta, sua sorella, quando sono insieme: troppo invadente, troppo chiaccherona, troppo frivola. Ma quando non c’è, la sua mancanza è opprimente quanto il silenzio, l’assenza impossibile da non notare.
Nessuno nota le loro sottili ma indelebili differenze: le lentiggini sul viso di Martina – vistosamente assenti in Marina- e i capelli chiari, i suoi occhi azzurri.
Martina è l’unica di cui Marina conosca davvero il colore degli occhi, perché è così che li definisce: innocenti.
“Qual è il colore degli occhi di tua sorella?” “Innocenti”
E a quelli che rispondono che non esiste il colore innocenza lei dice di sì, perché sua sorella ce li ha.
Ed ora che la chiamata è finita sembra guardarla dal letto, il braccio stranamente teso verso di lei. Marina allunga il suo per toccarla, ma le sue dita incontrano il vuoto e si sente ondeggiare  e apre gli occhi.
 
«Arya .. Arya è il tuo turno, ora.» Legolas la scosse dolcemente e lei gli rispose con un sonoro sbadiglio: «Ma … che ore so-sono?» Si stropicciò gli occhi, gesto infantile.
«E’ passata un’ora da mezzanotte» sussurrò.
«Quindi è l’una» sbuffò lei.
Si stiracchiò e accettò senza pensarci troppo la mano di Legolas, il tocco dell’elfo era delicato ma forte al contempo, strano che Arya ci facesse caso appena sveglia.

Si sistemò accanto al fuoco, le braci basse, e si mise ad osservare con scarso interesse il paesaggio, evitando accuratamente Gandalf. Insomma, le aìfaceva un po’ impressione vedere lo Stregone dormire, con gli occhi spalancati che ti fissavano ciechi. Non fosse stato per l’abbassarsi e l’alzarsi del petto, avrebbe detto che era morto. Si diede un pizzicotto sulla guancia per non ricadere nelle braccia di Morfeo; lei odiava fare la guardia: non c’era mai nessuno ad importunarli – cosa che in realtà doveva essere positiva- e il giorno dopo aveva occhiate violacee sotto gli occhi, ma se lo facevano gli altri .. chi era lei per tirarsi indietro? Oltretutto in quel mondo sessista doveva sfatare il mito della donna debole e da difendere. Oltre a ciò, si sarebbe sentita in colpa se non avesse aiutato i ragazzi. Ed era bellissimo tormentare Boromir prima di svegliarlo. Perciò la voce di Legolas le giunse inaspettata: «Posso farti una domanda?»
«Certo che puoi» sorrise lei, felice che qualcuno le facesse compagnia e ancora mezza addormentata.
«Chi è Marty?»

La domanda la spiazzò parecchio, tant’è che si risvegliò del tutto: « Come conosci il suo nome?»
«Parli e ti agiti molto, anche quando dormi.»
In effetti, Boromir si era lamentato anche su quel punto, ma l’aveva ignorato con una bella pacca sulla spalla e una linguaccia.
«Lei è mia sorella» ammise, con una punta di nostalgia.
«Che nome strano» commentò Legolas, sempre sussurrando per non svegliare gli altri.
«E’ un soprannome. In realtà si chiama Sansa» snocciolò tutto d’un fiato, dicendo il primo nome che le venne in mente. Dopotutto era vero: Arya e Sansa Stark erano sorelle, ed erano molto simili, caratterialmente e fisicamente, a lei e Martina.
«Che soprannome è Marty?»
Sorrise blanda: «Un gioco di parole intraducibile nel Comune, mi dispiace»
«In effetti avevo notato il tuo accento straniero. Però è meno forte rispetto a sessant’anni fa.» L’elfo le sorrise di rimando, una piccola morsa allo stomaco per la ragazza.
Ciò non le impedì di rispondergli male: «Mi auguro che ti sia passata la voglia di sbattere in cella la gente per sport»
Anche lui si rabbuiò: «Eravate entrati senza permesso nel nostro reame.»
«No, i ragni ci avevano attaccati.» ribattè testarda lei.
«Mi sono sempre chiesto cosa ci facesse un’umana in quella banda di nani» commentò lui aspro.
«Buonanotte, principino.» Gli volse le spalle e guardò fiera davanti a sé.
La sua risposta la stupì, la stupiva troppo, lui: «Io non dormo»
Si voltò verso di lui, tutta la testardaggine svanita dal volto, i lineamenti infantili erano intrisi di curiosità: «No?»
«Non conosco i sogni» rispose sottovoce lui, triste. Arya si sporse un po’ verso di lui, voleva allungare una mano per confortarlo ..
Ma si costrinse a bloccare la mano e a sussurrare: «Posso descriverteli io»
 



Taooo
Non ho molto da dirvi, se non che ringrazio tutti per le recensioni e in particolare Giada per il suo parere e Francesca perchè mi va.
Non mi convince molto, ma è di passaggio, al prossimo si arriva a Moria!
Vi auguro un felice Ferragosto e tanti dolciumi (?) !
Fenio

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Capitolo 4
*** Winter is Coming ***



L’inverno Sta Arrivando
-Game of Thrones
«Seguiremo questa direzione ad ovest delle Montagne Nebbiose per quaranta giorni – il gemito di Arya venne bellamente ignorato- se la fortuna ci assiste, la breccia di Rohan sarà ancora aperta, e da lì svolteremo verso est, per Mordor.»
«Yuppi» commentò Arya, fra l’ilarità generale.
Seduta accanto a Frodo osservava sorridente gli hobbit che si allenavano con Boromir, che aveva scoperto essere un insegnante mooolto più paziente di Varion.
«Muovi i piedi» consigliò Aragorn, fumando una pipa.

Arya, invece, era molto meno sportiva: «Portate in alto l’onore della Contea! Dimostrate di che pasta sono fatti gli Hobbit!»
Sam e Frodo si lanciarono uno sguardo divertito, il primo scosse la testa come a dire “Vatti a fidare di un  Tuc e di un Brandibuck”
La ragazza stava osservando l’accampamento momentaneo in cui si erano organizzati, e fra un incitamento e l’altro aveva colto la posizione di tutti quanti, notando che chi in un modo, chi in un altro, avevano trovato il modo di riposarsi, o almeno passare il tempo. Tutti tranne Legolas, che se ne stava da tre quarti d’ora in piedi su una roccia ad osservare il cielo e fare osservazioni sottovoce assolutamente senza senso. “Benedetto Elfo” pensò Arya. Era anche andata a chiedergli se avesse qualcosa che non andava, ma lui le aveva sorriso – e lei era arrossita, arrossiva sempre quando le sorrideva- e le aveva detto di non preoccuparsi. Al che, lei aveva alzato le spalle e fatto ciò che le aveva chiesto.
Quasi a strapparla dai sui pensieri, le sue orecchie captarono delle parole molto interessanti, dicesi “Miniere, Moria e Balin”.
«No, Gimli», stava dicendo Gandalf «non prenderei la strada per Moria a meno che non avessi scelta»

«Perché no?» chiese Arya, arrivata accanto al nano «Balin è nostro amico, potremmo tagliare sotto le Montagne!»
Qualcosa, però, le diceva che doveva esserci una valida motivazione se Gandalf non voleva passare sotto le Montagne, e lo Stregone pareva d’accordo con lei, perché aprì bocca per spiegarle, ma venne interrotto dal lamento di Pipino e dalle scuse di Boromir.
“Se mi ha fatto male a quell’hobbit giuro che lo ammazzo” Pensieri molto gentili, quelli della ragazza, sì.
E poi udì il suono di risate e si girò verso i tre, che erano avvinghiati in una sorta di lotta di solletico.
«Prendilo!» «Per la Contea!» le risa di Merry, Pipino e Boromir risuonavano nell’aria, anche Arya vi si unì, pensando che se avessero proceduto per quaranta giorni così non le sarebbe dispiaciuto affatto. Poi quella pace venne infranta.
«Che cos’è?» chiese Sam guardando davanti a sé, curioso.

«Niente, solo una nuvoletta» rispose Gimli tranquillo. Ma non era una nuvola. Arya e Boromir ci arrivarono insieme: «Non è una nuvola»
«Si sposta velocemente. E contro vento.»
Legolas urlò qualcosa in una lingua sconosciuta- elfico probabilmente- e anche Aragorn urlò: «Via!»
Arya corse verso Sam, aiutandolo a raccattare le loro cose e a spegnere il fuoco, si allungò verso il suo sacco a pelo e lo acciuffò, fece leva sul ginocchio per salire sulla roccia e con un ringhio frustrato andò a sbattere la gamba. Aveva gli occhi appannati per il dolore, ma si costrinse a buttarsi sotto una sporgenza rocciosa lì vicino, cozzando contro qualcosa di morbido che l’aveva presa con delicatezza.
Alzò lo sguardo ed incontrò le iridi azzurre di Legolas. Riuscì a non perdersi nel colore degli occhi, che la distraevano troppo, diamine! Lei e quella sua mani per i colori degli occhi ella gente. Frastornata, mimò la parola “scusa” con le labbra e lui le fece cenno con il capo, che Arya interpretò come un “non preoccuparti”. Lui mise il dito indice sulle labbra, silenzio, e osservò i corvi che volarono rapidi sopra di loro gracchiando assordantemente.

Ora. Arya sarà pure stata chiacchierona, ma non era stupida. Certo che stava in silenzio! Se ne accorgeva da sola che non doveva parlare, perché c’era un che di inquietante e malvagio in quei maledetti corvi gracchianti! Grazie, Legolas, non ci sarei mai arrivata da sola!
Non fosse stato per la situazione pericolosa – lo sapeva che erano in pericolo!- si sarebbe messa a parlare apposta. A macchinetta. Per ripicca.
Gli uccelli passarono e volarono via, permettendo alla Compagnia di uscire dai loro nascondigli; Arya scattò fuori dal loro nascondiglio imbronciata, ignorando il leggero dolore alla gamba- e aiutò Merry ad issarsi sul sasso su cui era capitato.
«Spie di Saruman» constatò Gandalf, «dobbiamo attraversare il passo di Caradhras »
Arya si girò nella stessa direzione dell’Istari e le salì un groppo in gola. Fantastico, pensò stizzita, anche il Monte Bianco dobbiamo scalare.
«Yuppi.» Stavolta, la sua gioia era condivisa dalla Compagnia.
 
 
Crucerò Gandalf, crucerò questa maledetta montagna e crucerò me stessa per aver accettato questa maledetta impresa!
Una tramontana gelida le sferzava il viso, minuscoli fiocchi di neve e glaciali stilettate di vento le trapassavano gli occhi, arrossati per la bassa temperatura e le condizioni impervie e sfavorevoli in cui la Compagnia versava. La treccia, ormai, era andata a farsi benedire. Aragorn e Boromir portavano gli hobbit in braccio, poverini, sia gli uomini con tutto quel peso addosso – scudi, spade, gli hobbit- e i mezz’uomini che non riuscivano a camminare, tanto era forte il vento. Perfino lei doveva puntare bene i piedi per poter avanzare, con più di un metro di neve ad ostacolarle il passo. Boromir si era addirittura offerto di portarla in braccio – e lì Arya si era trovata divisa a metà fra la possibile insinuazione che lei fosse debole e avesse bisogno di aiuto  per andare avanti e la gratitudine per il gesto e il guadagno in fatto di energie spese. Le era parso un gesto fatto senza malizia, gentilmente, da amici, come se volesse davvero aiutarla, ma Arya aveva un orgoglio e continuava a mantenere un’aria leggermente altezzosa con lui perché Boromir era arrogante e lei infantile. Quindi, con cortesia, aveva risposto no e ceduto il posto agli hobbit – a cui si era affezionata troppo, ma lei si era già affezionata a tutti- e i piccini le avevano sorrisi grati, troppo educati per non cedere il posto ad una signora. Ora, però, si stava pentendo della scelta fatta.

E fanculo pure a Legolas che cammina come se niente fosse.
Quel periodo lì del mese? Può darsi.
«C’è un’empia voce nell’aria» disse grave, scrutando un punto indeciso oltre il precipizio- perché sì, erano anche sull’orlo di un burrone!
Arya aprì bocca per dirgli che l’empia voce gliela dava lei, quando Gandalf urlò: «E’ Saruman!»
Dei massi si staccarono dalla vetta, piovendo a pochi passa da loro e Arya non riuscì a reprimere un urlo spaventato.
«Vuole buttare giù la montagna!» urlò Aragorn verso lo Stregone: «Dobbiamo tornare indietro!»
«No!»

Iniziò ad urlare parole incomprensibili, frustrato, verso una voce ignota ma tangibile che anche Arya, ora, percepiva: d’improvviso, si sentì in colpa con l’Elfo, e faceva con tutta sé stessa il tifo per Gandalf, perché sebbene avesse potuto vantare una bella vita, era stata una vita breve e non aveva ancora conosciuto l’amore vero. Non voleva morire oggi.
Le sue preghiere non vennero esaudite, perché un fulmine cadde esattamente sulla cima del monte, staccando una parte del ghiacciaio.
Neve candida e fredda piovve loro addosso come una cascata, e Arya non vide più nulla, solo bianco, percepiva solo il peso della neve sopra di sé.

Non. Riusciva. A muoversi.
Due mani forti l’afferrarono per le spalle, tirandola su –doveva essersi piegata sulle ginocchia sotto il peso della neve- e riemerse sputacchiando saliva e roba bianca, poggiandosi sul corpo del salvatore per riprendere fiato. Legolas.
«Dobbiamo abbandonare la Montagna! –Finalmente dici qualcosa di sensato!- Prendete la Via Ovest per la mia città!» Niente, più di una giusta andava contro i suoi geni.
«La Breccia di Rohan ci porta troppo vicini ad Isengard!»
«Non possiamo passare sotto le Montagne, passiamoci sotto! Attraverso le Miniere di Moria» il nano aveva la barba interamente incrostata di ghiaccio.

«Sì!» Urlò Arya, dando manforte a Gimli: «Passiamo sotto!»
Gandalf parve davvero turbato, silenzioso per alcuni secondi, poi, disse, grave: «Colui che porta l’Anello, decida»
Se ne lava le mani!
Frodo osservò gli hobbit, sorpreso, poi guardò lei, ancora fra le braccia di Legolas.
 «Attraverseremo le Miniere.»
«Così sia.»
Arya sentì una morsa allo stomaco. Fino ad un minuto fa era assolutamente certa della sua scelta, ma ora iniziava a dubitare.
 
Arrancavano per salire, il sole splendente pareva farsi beffa della loro fatica, non lasciando presupporre niente riguardo all’imminente bufera di neve e scaldandoli con i suoi raggi prepotenti. Imbronciata, Arya mise il piede male, cadendo in avanti. L’atterraggio fu morbido, ma si coprì di neve:  ciglia, sopracciglia, capelli- la sua meravigliosa treccia, come gliela aveva insegnata Fili!- e aveva imprecato fra i denti, in italiano. Riemerse con uno sbuffo, facendo leva sulle ginocchia, carponi. Boromir le allungò la mano, sorridendole: «Ti aiuto io» La ragazza lo guardò dubbiosa per un istante prima di allungare la sua e farsi tirare su dal gondoriano. «Grazie» si spolverò gli abiti dalla neve in eccesso, sospirando per la treccia ormai bagnata, guardandosi prima esasperata. Poi si rivolse a Boromir: «Secondo te la dovrei rifare oppure sta bene così?» l’uomo la guardò come se fosse pazza, ma non le rispose, il suo sguardo fu calamitato da quello che stava accadendo pochi metri più giù. Arya, provando un modo di altruismo, fece un passo verso Frodo, caduto anche lui a terra, ma Boromir la precedette, arrivando poco lontano da lui. Aragorn aveva aiutato Frodo a rialzarsi, l’hobbit sembrava stare bene, ma si stava agitando, cercando qualcosa. L’Anello.

Arya capì subito chi l’avrebbe raccolto. «Boromir …» L’uomo non la parve udire, preso nell’osservare il monile. Il desiderio era l’unica cosa che il suo viso lasciasse trasparire, un desiderio malsano, che ad Arya ricordò spaventosamente Thorin e il suo tesoro. Boromir non poteva finire come lui. Lo avrebbe impedito. Si avviò spedita verso Aragorn, Frodo e Boromir, attenta a non cadere.
«Che strano destino dobbiamo provare tanti timori e dubbi .. per una cosa così piccola … Un oggettino ..»
«Boromir! Dà l’Anello a Frodo.»

 Scosse la testa, quasi a schiarirsi le idee. Bormir allungò il monile  verso i due: «Come desideri. Non mi interessa» Frodo quasi glielo strappò dalle mani – troppo velocemente per i gusti di Arya- e Boromir gli scompigliò i capelli. L’uomo si girò, trovando la figura minuta della ragazza davanti a sé. Lei lo scrutò indecifrabile, prima di sciogliersi in un sorriso gaio: «Suvvia, uomo forte e valoroso! Aiuta una giovane fanciulla a scalare questa maledetta montagna!» e senza aspettare risposta, lo prese sottobraccio, quasi trascinandolo su per la salita. Qualche risatina si levò dagli hobbit e Gimli, spezzando così la tensione creatasi, ma ad Arya non sfuggì la mano di Aragorn sull’elsa della spada.


Era pomeriggio, ancora camminavano, ostruiti dai cumuli di neve e da un venticello freddo molto insistente. Il caldo della mattina pareva essersi dissipato, ma non si poteva dire lo stesso riguardo la tensione. Sebbene si fosse sciolta in precedenza, era di nuovo tornata a farsi sentire con il suo peso opprimente. Arya, stanca di quella situazione di stallo, era ricorsa al più semplice degli espedienti per capovolgere gli eventi.
«Borooomiiir!» cinguettò alla volta dell’uomo, qualche metro avanti a lei.
 «Mh?» L’uomo si era girato, ignaro.
SPAFF!

La palla di neve lo aveva  colpito in pieno sulla guancia, dei cristalli di ghiaccio erano rimasti impigliati nel pizzetto, spruzzandone di bianco il colore fulvo. E Arya si stava piegando in due dalle risate. Non era una risata signorile: era sguaiata, allegra e molto contagiosa, tant’è che anche Gandalf e Gimli stavano ridendo. Perfino Legolas si era sciolto in un sorriso.
«Allora è così, eh?» sibilò Boromir, un ghigno stampato in faccia e le mani intente ad armeggiare con la neve. Un’altra palla partì all’attacco, centrandolo di nuovo: «Non mi avrai mai!»
Non fece neanche in tempo a dirlo  che un proiettile – perché quella non era una palla di neve- la colpì sulla spalla: «Ahia!» ridacchiò: «Pipino! Vieni qui, razza di hobbit! Non si attaccano alle spalle le signorine!»
Ed iniziò la battaglia a palle di neve. Arya si divertì un mondo – che mira perfetta!- attaccando chiunque le capitasse sotto tiro, nessuna distinzione: uomo, stregone, elfo, hobbit o nano. Dire che fosse una battaglia “tutti contro tutti” sarebbe riduttivo. Quella fu una mischia. Una vera e propria guerra, e dovevano anche impegnarsi di più perché il vento forte disintegrava le loro “armi” nella traiettoria di tiro. Quindi, erano colpi ravvicinati. I più pericolosi. 

« Fermi!» Gridò Arya, alzando le mani in segno di pace: le ultime palle di neve andarono a schiantarsi – e una finì sul suo didietro- e tutti la guardarono, i respiri affannosi e le espressioni radiose.
«Perché .. anf … non facciamo .. una gara .. a squadre?» si sentiva accaldata ed era rossa in faccia, come tutti del resto. O quasi. Legolas pareva più rosato del solito ed aveva anche lui un leggero fiatone, ma era raggiante come tutti.
«No no che dobbiamo salire! E’ stata un pausa divertente e ci voleva proprio, lo ammetto, ma dobbiamo incamminarci. Oh, povero me, sono troppo vecchio per queste cose!» disse Gandalf, avanzando.
Così finì la loro battaglia a colpi di palle di neve, la bufera imminente pronta a spazzare via il loro buonumore.
 
«Certo che voi nani non avete molta fantasia per quanto riguarda l’architettura» disse Arya osservando con fare critico le “Mura .. di Moria ..!” come le aveva chiamate Gimli in tono profetico. A lei non erano sembrate nulla di nuovo, solo pietra scabra che si innalzava a vista d’occhio. Certo, sapeva che la sua precedente affermazione era falsa perché aveva visto le meraviglie architettoniche costruite dai nani, però .. insomma, per quanto riguardava la decorazione degli esterni, erano abbastanza deludenti.

«Giovane donna, non sai quel che dici!» affermò stizzito Gimli «Questa .. è la terra dei nostri padri, la punta di diamante delle sette stirpi naniche, la nostra ..»
«So cos’è Moria, grazie Gimli.» ribattè lei stizzita. Era stato Balin stesso ad istruirla. «Stavo solo facendo una constatazione. Per così tanta magnificenza, però, mi sarei aspettata un’entrata più .. regale. Sì, insomma, più d’effetto» concluse lei con un’alzata di spalle.
In quello stesso istante, la luna uscì dal su nascondiglio di nuvole e una porta, che fino a quel momento era rimasta celata agli sguardi di tutti, risplendette, rivelando un ‘immagine di due colonne unite da una sorta di arco scritto in caratteri elfici. Elfici?
«C’è scritto» iniziò Gandalf, picchiettando il bastone sulla superficie di pietra: «Le porte di Durin, Signore di Moria. Dite amici, ed entrate.»
Merry diede voce alle sue domande: «E che cosa vorrebbe dire?»
«Oh, è semplice» rispose lo Stregone gioviale: « Se uno è amico dice la parola magica e le porte di aprono»
Ed iniziò a pronunciare con voce tonante paroloni che Arya non afferrò, evidentemente incantesimi. Restò lì ad aspettare che le porte si aprissero, carica di aspettativa. Perché se Moria somigliava anche vagamente alle meraviglie della Montagna Solitaria, se anche avesse avuto un decimo del suo splendore, della sua magnificenza, della sua ostentata opulenza, Moria sarebbe stata non solo uno splendore per gli occhi, ma un luogo da scoprire ed apprezzare in tutti i suoi aspetti.
Ma erano lì da un po’, e Gandalf non ottenne alcun risultato.

Arya sospirò: «Sarà una lunga notte.»
Si sedette sgraziatamente accanto all’elfo, disfacendosi la treccia: «Mannaggia la pupazza, è tutta rovinata»
Sì, sì, lo so cosa penserete ora Voi lettori: ma come si fa ad essere sulle porte di Moria e pensare all’acconciatura? Ebbene, io vi rispondo: Arya era una donna, e in quanto tale nei primi posti delle sue priorità  vi era non l’aspetto fisico, bensì lo stato dei capelli. Lei non era una persona che si potesse definire bella, o meglio, sì, poteva essere definita così visto che non era di brutto aspetto, ma era scialba e comune, di quelle persone che si posso incrociare per strada tutti i giorni. Oltretutto, i capelli castani e gli occhi scuri non le lasciavano via di scampo: doveva trovare degli escamotage per non passare inosservata. E quella treccia lo era, perché era stato Fili in persona a fargliela per la prima volta – c’era voluto un bel po’ di tempo e molto dolore e tante lacrime- ma una volta finita l’opera era rimasta così estasiata che per la prima volta in vita sua si era sentita bellissima e aveva passato molto tempo a rimirarsi tutta contenta allo specchio. Oltretutto, per i nani, il gesto di farsi i capelli a vicenda era qualcosa di davvero intimo e familiare, che non si concedeva al primo pinco pallino che passava. No, era estremamente importante ed unico, e lei aveva acconsentito a farsi fare la prima treccia da Fili e Kili e un po’ tutta la Compagnia, visto che avevano dato tutti, chi più chi meno, una mano. Ed ora che erano sulle porte di Moria le sembrava giusto provare ad essere bella. Non era solo giusto, era doveroso essere bella. Specie per Balin, magari avrebbe smesso di chiamarla bambina una buona volta. Poi scosse la testa: non avrebbe mai smesso di farlo.

Scoprì con piacere che dopotutto non le dava fastidio.
«Perché ti acconci alla maniera nanica?» le chiese Legolas.
Finì di sciogliere i capelli prima di rispondere: «Bellissimi ricordi. E poi sono .. diversa, originale, con quell’acconciatura.»
Legolas aprì bocca per dire qualcosa ma venne interrotto dalla voce di Gimli: «Ma tu non avevi i capelli lisci?»
La ragazza ridacchiò, passando la mano fra i nodi della chioma e tentando di scioglierli: «Chissà perché dagli elfi sono rimasti lisci. Però se non li asciugo col phon rimangono mossi»
«Phon?» le fece eco: «Cos’è, si mangia?»
« … No. E’ .. » sbuffò. Come poteva spiegarglielo? «Un aggeggio elettrico che spara aria calda se lo infili nella presa elettrica ..»
«Cos’è la presa eclettica? Si mangia?»
«No. Serve per passare l’elettricità .. Uff, lascia stare. Anima le cose.»
«Magia oscura!» esclamò il nano.
«Ma non dire sciocchezze! Nel mio mondo esistono cose ben peggiori della magia oscura, e comunque no, non è né magia né qualcosa che si mangia» si affrettò a dire, vedendo che aveva riaperto la bocca.
«Sarà» commentò lui poco convinto, prima di tornare dov’era prima.
Arya ridacchiò scuotendo la testa e prendendo a rifare la treccia sibilando qua e là quando si tirava le ciocche.
«Ecco qui una parte nascosta della nostra Arya» sghignazzò bonariamente Boromir: «Allora anche a te interessano quei fronzoli che tanto piacciono alle donne»
«Certo che mi interessano» replicò lei, punta nel vivo: « Ma non sono la mia priorità. Bisogna andare oltre l’aspetto fisico, mio caro Boromir, perché non serve a nulla una ragazza bella e scema quando ne hai una intelligente a portata di mano»
«Brava Arya!» Esclamarono Merry e Pipino in coro, cogliendola di sorpresa. Lei guardò Boromir con un sorriso di scherno in viso, facendogli una linguaccia. «Guarda e impara»
Si alzò, andando vicino a Gandalf: «Posso provare  io?» lui nemmeno le rispose, gettò a terra bastone e cappello, facendosi da parte.
Si schiarì la gola, si posizionò davanti alla porta con le mani sui fianchi e lo sguardo concentrato. Allargò le braccia, le mani aperte e la voce tonante: « Apriti, Sesamo!»

Ovviamente, non accadde nulla.
Ovviamente, fece la figura della scema.
Ovviamente, non demorse.

Osservò con aria pensosa la porta di pietra, borbottando qualcosa qua e là.
«Allora?» fece Boromir, ridacchiando apertamente. Lei nemmeno si degnò di rispondergli o di guardarlo: si diresse decisa verso un albero lì vicino, recuperando un rametto da terra. Lo agitò un per aria, borbottando cose tipo: agitare e colpire!, che fece guardare i membri della compagnia l’un l’atro, perplessi.
Sì, sapeva che quello non era l’incantesimo giusto, ma doveva fare qualche prova, no?
«Ehm ehm» si schiarì la voce alla Umbridge, puntando la “bacchetta” verso la porta di pietra: «Alohomora!»  
La porta non si aprì, ovviamente.

«Cosa .. cosa stai facendo?» domandò Legolas confuso. Si confuse ancor di più quando lei gli rivolse uno sguardo di fuoco: «E’ colpa vostra se l’incantesimo non viene!»
«Nostra?» fece Pipino.
«Incantesimo?» ripetè Sam.
«Perché, ora sei anche una strega?» la schernì Boromir, sorridendo apertamente.
«Credi nella magia, Babbano!»
Tornò alla porta, scrutandola con attenzione, le mani sui fianchi e la testa leggermente piegata di lato. «Gandalf, cosa dice l’ultima parte dell’indovinello?»

«Eh? .. Oh, “dite amici, ed entrate”» rispose lui.
«Uhm.. »
“Ragiona” si disse “Amici … Dice di dire amici, non la parola magica, come dice Gandalf. Amici … ma in quale lingua?”
«Amici!» disse in inglese. La Porta non si aprì.
Tentò di nuovo, in italiano: «Amici» Nulla.
«Amis?» nemmeno in francese. E partì a macchinetta, dicendo la medesima parola in tutte le lingue che aveva imparato: «Amigos? Freunde? Druz’ya? Amicus?» No, la porta non si apriva.
«Che cosa .. che cosa stai dicendo?» chiese timido Frodo da qualche parte dietro a lei.
«Hm? Ah, sto dicendo la parola “amici” nelle lingue che conosco .. Ehi!» Il viso s’illuminò di gioia e mandò un bacio all’hobbit, sopreso: «Ma sei un genio, Frodo! Grazie! Gandalf » si rivolse allo Stregone, certa di aver ragione: «Dì amico in elfico»
Gandalf, leggermente perplesso, l’accontentò: «Mellon»

Le porte si aprirono, rivelando una cieca oscurità all’interno della roccia. «Sì!» esultò Arya, saltellando sul posto: «Sono un genio! Sono un maledetto genio! Ah-ah! Hai visto?» si rivolse a Boromir, che la spintonò da dietro per farla entrare,  grave in volto. Lì per lì Aya si sarebbe fermata a protestare, però qualcosa nell’espressione grave su viso degli uomini e degli hobbit la fece tacere. Di nuovo, sentiva quell’odiosa morsa alla bocca dello stomaco.
Gandalf li precedette. Gimli era tutto contento: «Presto, mastro elfo, gusterai la leggendaria ospitalità dei nani: grandi falò .. birra di malto! Carne stagionata con l’osso –Arya arricciò il naso- Questa, amico mio, è la casa di mio cugino Balin e la chiamano una miniera. Una Miniera!»

Ma non era una miniera. Arya lo sapeva da prima che fossero entrati lì dentro, ma ora ne aveva la certezza. In negativo.
Corpi. Corpi ovunque. Scheletri di nani riversi al suolo, con frecce, lance, spade conficcate nelle costole, le armi abbandonate e inutili.

Morti.

Arya rantolò, portandosi una mano alla bocca a coprire il suo muto urlo di sorpresa. Non era la vista dei cadaveri a disturbarla, no. Erano i ricordi: memorie prepotenti che si scatenavano davanti ai suoi stessi occhi, l’ orrore che si dipingeva in gesti orrendi, atroci. Non vedeva più la grigia pietra mineraria, no, vedeva i campi sterili della Desolazione di Smaug, l’oscurità che lasciava spazio alla penombra mattutina, la neve- o  era cenere? - che si posava lenta sul suo volto rigato di lacrime. Udiva indistinte delle voci molto lontane, sbraitavano qualcosa riguardo all’uscire. Ma uscire da dove?

«Arya» qualcuno la stava chiamando. Fili? Non riusciva a girarsi!
«Arya!» Forse era Kili? Quello stupidone, non vedeva che era bloccata?
«Arya sbrigati!» No, guardò in basso, gli occhi vispi di Pipino incontrarono i suoi, confusi e spaventati: «Cosa ..?»
«Dobbiamo andare via!»
 «Via? E perché?» cosa si era persa? La Battaglia era lì! «E’ una tomba! Un’imboscata! Arya, dobbiamo scappare!» le tirava la manica insistentemente, la ragazza leggeva l’urgenza nei suoi occhi. Poi qualcosa, qualcuno, accanto a lei, scivolò.

«Frodo!» 
Un qualcosa, un tentacolo, lo stava trascinando via, verso l’acqua, lontano. Arya non pensò, si buttò si avanti, artigliando le braccia di Frodo in un disperato tentativo di tenerlo a terra: « Non mollare! Resisti!»
Era tutto un inferno  quello che infuriava lì: schizzi, grida, i movimenti del mostro che agitava il tentacolo. Stava stringendo l’hobbit con quanta più forza aveva, non l’avrebbe lasciato, mai, aveva promesso a Bilbo che avrebbe protetto suo nipote e l’avrebbe fatto, a costo di morire. Poi si sentì senza peso, un tuffo allo stomaco e si ritrovò a diversi metri sopra l’acqua, la bocca del mostro aperta sotto si loro. Il panico subentrò allora: «Aiuto! Aragorn! Boromir! Aiuto! Legolas!» stava stritolando le braccia dell’hobbit, ma adesso non era per mantenere fede al voto di Bilbo, no, se avesse mollato la presa sarebbe caduta fra le fauci del mostro, non voleva.

Caddero entrambi, Arya non riuscì a mantenere la presa, precipitò. Il cuore sembrava volesse scapparle via dal petto tanto batteva forte, strillava terrorizzata, l’aria le scappò via dai polmoni quando finì fra le braccia di qualcuno, Aragorn.
«Corri!» La prese per il polso, spronandola ad uscire, la spada della ragazza abbandonata nel fodero, completamente dimenticata. Scapparono all’interno, seguiti a ruota da Boromir e Frodo , tallonati dal mostro.
Una pioggia di pietre precipitò su di loro ostruendo l’entrata nelle Miniere. Arya inciampò e crollò al suolo, il fiatone irrefrenabile, poi piombò l’oscurità su di loro. E quello fu il momento in cui ebbe più paura, quando il buio li avvolse in un baratro oscuro intangibile e senza fine.

«Non abbiamo altra scelta» disse Gandalf da qualche parte dietro di lei: «Dobbiamo addentrarci nelle miniere»
La luce rischiarò loro il cammino e Arya sospirò nervosa prima di riprendere fiato. Qualcuno si piegò accanto a lei, aiutandola ad alzarsi: «Ti senti bene?» Legolas la guardava preoccupato, sfiorandole con le dita un taglio sulla guancia. Lei annuì, poggiandosi a lui per rialzarsi: si era tagliata anche i palmi delle mani nella caduta, mannaggia. Un lieve bruciore le importunava le mani, ma era sopportabile. Sconvolgente fu l’abbraccio stritolaossa che ricevette da parte di Boromir, subito emulato dagli hobbit e da Gandalf.
Arya sorrideva nel vedere tutto quell’affetto solo per lei: «Sto bene! Davvero!»
 «Perfetto allora. State vicini e in silenzio. E’ un viaggio di quattro giorni fino all’altra parte, speriamo che la nostra presenza passi inosservata.»
Arya gemette- quattro giorno di silenzio, come avrebbe fatto?
Si concesse un’ultima frase, sospirando: «Bè, signori, buon Capodanno»
 
Hi there! Sì, sono viva, non sono morta! Che ne pensate? Troppo lungo? Pesante? Chiedo venia per il ritardo e vi faccio le mie condoglianze: domani scuola ç.ç
Noticine:
Il phon era per te, Marty <3; Sì, nelle miniere Arya ha avuto un mini-attacco di panico, tutta colpa dell'orrore che ha passato nella Battaglia dei Cinque Eserciti per le morti di Voi-Sapete-Chi. Non fate spoiler nelle recensioni, perfavore che ci sono lettori -Martina!- che non lo sanno :3 ; il fatto della treccia .. spero che non vi risulti banale. Ma ho avuto modo di sperimentare quel tipo di emozione, suppongo che voi ragazze comprendiate xD
Uff .. non mi ricordo cosa volevo dirvi se non che ringrazio tutti i recensori e le anime pie che hanno preferito/seguito/recensito/ricordato WiC - è la sigla della mia ff u.u - davvero, grazie!
Condoglianze a tutti quelli che come me preferirebbero partecipare agli Hunger Games piuttosto che tornare a scuola :/ (domani sveglia alle sei :'/ )
Bacioni <3
PS:
L'acconciatura di Arya è la treccia di Elsa - Frozen - <3



 
 
 

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Capitolo 5
*** L'inverno è arrivato ***



 
Allora, dov'eravamo rimasti?

Erano tre giorni che camminavano. Tre giorni che ad Arya erano parsi tre anni.

Non solo le grotte erano buie e sinistre, ma anche fetide e difficili da attraversare – più di una volta lei e gli hobbit erano inciampati e i tagli alle mani bruciavano ferocemente ad ogni contatto col terreno. Non avevano bende con cui medicarla, quindi avevano usato delle strisce di tessuto strappate dal suo mantello.
Nella sua mente il pensiero che Balin fosse morto là sotto stava assumendo sfumature sempre più concrete e ciò l’aveva chiusa in un mutismo che faceva male. Tuttavia quel che vedeva – corpi spezzati e decomposti da anni, frecce malefiche infilzate fra le costole, espressioni di terrore sugli scheletri scomposti – non poteva significare altro che qualcosa era andato profondamente storto in quell’avventura, e lei non era sicura di voler scoprire la verità.
Meglio il dubbio. Meglio continuare a macerare quella flebile speranza piuttosto che ucciderla con la verità schiacciante.

A questo pensava mentre Gandalf li conduceva verso una galleria identica alle altre, istruendo Merry su come fidarsi  del proprio naso fosse sempre la scelta più saggia. Arya ridacchiò e accettò la mano di Boromir per scendere da una roccia particolarmente scoscesa. Il contatto con la sua pelle bruciò di meno della pietra scabra e lo ringraziò con un piccolo sorriso.
Gandalf osò un po’ più di luce col proprio bastone ed illuminò le immensità della città dei Nani, Nanosterro.
E che meraviglia, davvero.
Era la seconda volta nella sua vita che Arya ammirava i resti di un antichissimo Regno dei Nani, e nonostante fossero solo ruderi e macerie, era rimasta ancora una volta senza fiato.
Non aveva mai dimenticato i saloni di Erebor. Le immense sale rilucenti di verde smeraldo, blu notte, oro tenue. Eccole lì, davanti a lei, senza gioielli, denaro o piccoli bagliori luminosi. Mille miglia la separavano dalla Montagna, ma poteva davvero dire che c’era differenza fra Moria ed Erebor?
Non si trovava nella Sala più ampia che avesse mai visto?
Non erano i pilastri più solidi e sicuri del mondo, quelli?
Non era metri e metri sottoterra, in un abisso senza fondo?
Non riusciva, forse, a vedere gli spettri dei tempi passati persistere nonostante la distruzione?
Non si vedeva la fine di quell’immensità.
«Ti fa spalancare gli occhi, certo» mormorò Sam.
Tutti quanti si aggiravano con il naso all’aria, gli occhi spalancati e la bocca aperta, nell’osservare le meraviglie – distrutte, dimenticate, profanate, ma pur sempre meraviglie – che si stagliavano davanti a loro.
Avanzando, individuarono una porta nella parete, aperta su una tetra sala di pietra. Un sentiero di cadaveri portava all’entrata. Gimli si lanciò all’interno animato da un terribile presentimento e Arya corse dietro di lui, spinta dalla stessa sensazione.

No no no no no no no ti prego ti prego ti prego

Inutile dire che le sue preghiere non furono ascoltate. I corpi dei nani caduti facevano scudo ad una tomba semplice, una singola lastra di pietra con una breve incisione per lei illeggibile. Gimli si accasciò su di essa, gemendo in preda al dolore. Il cuore di Arya batteva all’impazzata. «Che c’è scritto? Gimli, che c’è scritto?»
Il resto della Compagnia entrò nella stanza, preceduti da Gandalf che si tolse il cappello con aria grave. Fu lui a risponderle, percependo il lutto troppo forte per parlare di Gimli. «Qui giace Balin, figlio di Fundin, signore di Moria.»
Arya sentì il respiro mancarle. Un singulto abbandonò le sue labbra prima che le ginocchia cedessero e lei crollasse sotto il peso del dolore che aveva sperato di evitare.
Respirava affannosamente, cercando di recuperare aria e di stare calma, di non farsi sommergere dai ricordi maledetti che la perseguitavano da anni ed ora erano diventati realtà per una seconda volta, strappandole non solo un amico, una guida, un’anima gentile, ma anche una famiglia. Non aveva già sofferto abbastanza per Fili, Kili e Thorin?
Ora li vedeva davanti a sé, esanimi, bianchi e freddi come neve, quasi pacifici nella morte, e si domandava se anche Balin – Balin, dalla barba bianca e il sorriso caloroso, Balin, che aveva sempre un parola gentile, Balin, che la chiamava sempre bambina – si domandava se anche lui avesse avuto quell’aspetto sereno, una volta morto. Ma si può essere davvero pacifici, da morti?
La sua famiglia era stata decimata. Ancora una volta.
Nessuno mi chiamerà mai più bambina.
Inginocchiata davanti alla spoglia tomba di Balin, ascoltava passivamente le parole di Gandalf. Percepì qualcuno posarle la mano sulla spalla e stringergliela con delicatezza, ma non ricavò alcun conforto da quel contatto.
«Dovrebbe essere la scrittura di Ori» mormorò Gimli fra i singhiozzi. Questo ebbe il potere di catturare l’attenzione della ragazza.
Si voltò verso Gandalf, che raccoglieva un enorme libro dalle braccia di un cadavere ai piedi della tomba. «Quello è Ori?» domandò Arya, che nel teschio non vedeva nulla dell’innocenza dell’amico.
Lo sguardo che lo Stregone e il nano le rivolsero fu una risposta sufficiente. Gimli singhiozzava ancora e Arya si rialzò a fatica per andare da lui.

Gli avvolse un braccio attorno alle spalle, asciugandosi le lacrime. Gimli condivideva il suo dolore, o addirittura lo percepiva più vividamente di lei: non sapeva da quanto tempo non lo vedesse, ma era certa che avesse passato diverse decadi con lui, nelle Montagne Blu o nella Montagna Solitaria; era cresciuto con il saggio Balin e il dolce Ori. Arya soffocò un altro singhiozzo.
Anche Boromir aveva poggiato una mano sulla spalla di Gimli e lo guardava con dispiacere.
Gandalf leggeva con voce grave le ultime parole di Ori, membro della Compagnia di Thorin Scudodiquercia.
«Hanno preso il ponte, e il secondo Salone. Abbiamo sbarrato i cancelli … ma non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi. Tamburi negli abissi. Non possiamo più uscire. Un’ombra nel buio. Non possiamo più uscire … Arrivano.»
Così si era sentito Ori negli ultimi istanti di vita? Intrappolato, senza via di scampo, il cuore in gola e la paura appollaiata sulla spalla come un avvoltoio? Eppure la mano era rimasta ferma abbastanza per scrivere con estrema chiarezza ciò che accadeva, per esprimere ciò che provava, per dare una voce al male che li attanagliava.
Può un uomo essere coraggioso anche quando ha paura?
Quello è l’unico momento in cui un uomo può dimostrare coraggio.             

Un improvviso clangore li fece saltare.

Pipino, con un’espressione terribilmente mortificata in volto, teneva in mano il bastone e il cappello di Gandalf, mentre accanto a lui il corpo di un nano, decapitato, crollava dentro il pozzo, seguendo la testa nelle profondità di Moria.
Il frastuono era assordante.
Per ogni pietra o ostacolo che incontrava nella caduta, il suono si propagava amplificato di mille volte e per ogni tonfo Pipino sussultava, conscio di aver appena rivelato la posizione a qualsiasi creatura ostile nelle vicinanze.
E di creature ostili, quel posto ne era pieno.
Una catena e un secchio seguirono a ruota il cadavere. Tacquero solo dopo un'infinità di secondi. Quanto era profondo quel pozzo?
«Idiota di un Tuc! Gettati tu la prossima volta e liberaci dalla tua stupidità!»

Un tamburo.
Gli hobbit si lanciarono occhiate spaventate.
Un altro tamburo, poi altri due.
Venivano dal pozzo. Arya lanciò uno sguardo d’allarme a Boromir, conscia che Legolas e Aragorn avevano fatto lo stesso.
I tamburi continuavano a risuonare sempre più potenti, sempre più frequenti, sempre più vicini.
Sam chiamò Frodo che sguainò Pungolo, illuminata di azzurro. Gli orchi erano vicini.
Boromir si affrettò a controllare uscendo dalla sala.
Fu il sibilo ad avvertirlo. Scartò all’indietro appena in tempo per evitare che due frecce gli si conficcassero in testa. Richiuse il portale di legno marcio grazie all’aiuto di Aragorn.
«E’ un Troll di caverna» li informò in seguito al ruggito bestiale che udirono.
Mentre si affrettavano a sbarrare il portone con tutte le asce che Legolas riusciva a lanciare loro, Gandalf sguainò la propria spada e Gimgli saltò sulla tomba di Balin, inferocito.
«Che vengano pure! Troveranno che a Moria c’è ancora un nano che respira!»
Due, pensò Arya, estraendo a sua volta la spada. Se avesse affermato di non aver paura, avrebbe mentito. Ma aveva preso lezioni apposta a Gran Burrone, aveva imparato qualcosa ai tempi dell’impresa per Erebor, ed ora la sua vita dipendeva dalla lama che stringeva in mano. I palmi bruciavano a contatto col metallo, ma l’adrenalina faceva passare in secondo piano tutto ciò che non fossero i colpi battenti dei nemici sulla porta. Tutti erano pronti a combattere, nessuno escluso. E poi ... e poi quei bastardi dovevano pagare per quello che avevano fatto.

Le prime asce che riuscirono a penetrare il legno fecero saltare Arya. Legolas, con l’arco puntato sull’obiettivo, aspettò che la bestia allargasse il buco, prima di centrarlo con una freccia precisa. Aragorn fece lo stesso, ma prima che potessero incoccare di nuovo, il portone cedette.
Un fiume di orchi e goblin si riversò all’interno della sala.
Uno squittio spaventato le sfuggì di bocca prima di dover parare una stoccata di un orco.
In seguito avrebbe voluto dire che aveva combattuto valorosamente, ma avrebbe mentito.
Combatteva pateticamente. Perfino gli hobbit si erano buttati nella mischia, invece lei rimase lì ad aspettare che venissero da lei, parando fendenti e menando colpi alla cieca, guidata dal puro istinto di sopravvivenza. Uccise con molta fatica diversi assalitori, prima di buttarsi con un urlo verso un orco che stava per colpire Merry alle spalle. Mulinò la lama gridando e la testa del mostro cadde a terra, il suo sangue nero che imbrattò le loro vesti.
Un ruggito improvviso li fece voltare.
Parte del soffitto crollò non appena il troll entrò nella Sala.
Arya sgranò gli occhi e schizzò indietro evitando per un pelo una freccia, andò a sbattere contro un altro orco e lo infilzò senza esitazione, mentre Boromir uccideva l’arciere che aveva attentato alla sua vita.
Legolas scoccò una freccia e colpì al petto il troll che, imbufalito, menò un fendente che quasi schiacciò Sam.
«Scappa!» gridò Arya parando l’ennesima lama, le gambe che tremavano sotto il peso del goblin che la stava spingendo contro il muro.
Costretta alla parete dal peso dell’assalitore opponeva una strenua resistenza all’assalto della lama, ma diventava sempre più difficile, con lui che le ringhiava addosso e le braccia che tremavano sotto il suo peso.
Un gemito strozzato le sfuggì non appena alzò il ginocchio sul basso ventre del goblin e in preda al panico acchiappò un sasso lì vicino e glielo calò sulla testa una, due, tre volte, senza sapere nemmeno lei da dove prendesse la forza. Il suono orribile del cranio che si sfaldava era oscurato dal clangore della battaglia, il sangue nero che le schizzava addosso era viscido e le imbrattava i vestiti.
Quello schifo stramazzò al suolo nello stesso istante in cui il troll distrusse la tomba di Balin.
Arya restò lì, schiacciata al muro, completamente dimentica della battaglia per due secondi, il tempo che ci impiegò il suo cervello a realizzare ciò che era appena successo.
Aveva violato la tomba di Balin.
Aveva violato la tomba di Balin e aveva appena tentato di uccidere Gimli che per pura fortuna era riuscito ad evitare la scure che più volte era calata su di lui.

Arya si avventò su di lui urlando nello stesso istante in cui Legolas scoccava due frecce e lo feriva al petto: crollato a terra, nell’unico secondo di vulnerabilità in cui lo colse, Arya calò la spada sul suo collo e  aprì uno squarcio sulla sua pelle lercia, ottenendo un ringhio ferito come ricompensa. La ragazza provò un moto di selvaggia soddisfazione – non ti azzardare mai più a toccare i miei amici  - ma quell’istante passò, e il troll reagì.
Mosse il braccio con una tale rapidità che Arya non se ne accorse: semplicemente, venne sbalzata via dal suo corpo e rovinò a terra sbattendo la testa, i polmoni completamente svuotati d’aria.
Forse perse la coscienza per un paio di secondi, non avrebbe saputo dirlo. Quando si rialzò, il mondo girava vorticosamente e lei faticava a restare in piedi, i suoni arrivavano confusi alle orecchie e la spada non c’era più, lasciandola praticamente indifesa in mezzo alla mischia.
Una mano piccola la trascinò dietro un pilastro – Pipino? – e le mise una padella in mano. Una padella in mano?
Udì un rumore di pietra che crollava alla sua destra e si sporse appena per capire cosa stava succedendo: sembrava che fossero rimasti pochissimi orchi e che Frodo fosse rimasto isolato dal resto degli hobbit.
Arya uscì allo scoperto e corse verso di lui: «No!»
Ho fatto una promessa, devo proteggerlo, Bilbo, devo proteggerlo …
Il troll si frappose fra lei e lo hobbit, e per sua fortuna, era di spalle.

«Arya, fermati!» la voce di Boromir le giunse inconfondibile all’orecchio e fece esattamente ciò che le era stato ordinato, mentre un coltello che volava talmente vicino a lei da sentirne il sibilo si conficcava in un goblin apparso dal nulla, pronto ad ucciderla.
Facendosi strada fra le creature schifose a colpi di lama, l’uomo la raggiunse e le urlò qualcosa – Arya non capì che cosa – e la spinse dietro di sé quando un altro orco si avventò su di loro.
Non avendo il tempo né la forza di ringraziarlo Arya cercò Frodo, meno confusa di prima, e  voltò la testa verso di lui nello stesso istante in cui il troll gli conficcava una lancia nello stomaco.
Lo hobbit sgranò gli occhi ed esalò un verso sofferente, un gemito soffocato.
Arya boccheggiò come se la lancia avesse trafitto anche lei.
Merry e Pipino si lanciarono sulla bestia trafiggendolo dall’alto, e tutti, nessuno escluso, attaccarono la bestia con fendenti, colpi e grida inumane. Mentre gli ultimi orchi cadevano sotto i colpi implacabili di Boromir e Aragorn, l’unione degli hobbit, la ragazza, Gandalf e Gimli schiacciò la bestia, definitivamente uccisa da Legolas con una freccia ben assestata.
Il troll boccheggiò appena, quasi perplesso, prima di rivoltare gli occhi e crollare con un ultimo verso al suolo, sollevando un nugolo di polvere.
Arya fissò sotto shock il cadavere. Si domandava vagamente quand’è che Merry e Pipino fossero scesi dalla sua schiena e quand’è che la mano avesse iniziato a sanguinarle così tanto …
Aragorn strisciò verso Frodo chiamandolo per nome.
Frodo! Oh no, è morto, è morto anche lui …
L’uomo lo rivoltò sul fianco, in una vana speranza …
Frodo gemette qualcosa, mettendosi faticosamente a sedere. Arya sgranò gli occhi, appannati di lacrime, mentre Sam esclamava: «E’ vivo!»
Tuttavia nessun coro di giubilo si levò dalla Compagnia, troppo provata ed incredula per poter esternare la propria gioia.
«Dovresti essere morto» mormorò Aragorn «Quella lancia avrebbe trafitto un cinghiale …»
«In questo hobbit c’è molto più di quanto non colpisca la vista» Commentò Gandalf ammiccando in sua direzione.
Frodo abbassò lo sguardo ed aprì la camicia, rivelando …
«Mithril» sussurrarono in coro Arya e Gimli, in totale reverenza.
Il nano sorrise con calore. «Tu sei pieno di sorprese, Frodo Baggins»

Arya, invece, allungò la mano tremante verso di lui, senza davvero rendersene conto, perché erano anni che non vedeva quella cotta di maglia. Quando le dita insanguinate toccarono il prezioso materiale lo sporcarono di sangue rosso e nero; solo allora parve riscuotersi dall’improvvisa trance in cui era caduta.
«Scusa … è che … che io c’ero, quando Thorin l’ha donata a Bilbo. La … la malattia del Drago già aveva fatto breccia in lui, eppure gli regalò lo stesso una cosa tanto preziosa …» 
Una cacofonia di voci interruppe il momento: voltandosi videro l’ombra di altre viscide creature in arrivo.
«Al ponte di Khazad- Dum!»

Uscirono di corsa dalla sala, affrettandosi nell’immensità dei saloni di Nanosterro, ma i versi degli orchi crescevano, e più correvano, più distanza mettevano fra loro e la tomba di Balin, più le grida si avvicinavano. Sembrava che spuntassero dal pavimento, e alla fine li accerchiarono.
Uno spazio di due metri li separava dalle immonde creature: sbavavano, grugnivano, ringhiavano e agitavano le armi in loro direzione, pronti ad ucciderli.
Arya si strinse a Boromir ringhiando a sua volta, perché col cavolo che se ne sarebbe andata con tranquillità. Avrebbe venduto cara la pelle – ci sarebbe voluto poco per strappargliela di dosso, certo -  ma avrebbe reso Balin e Ori fieri di lei.
 Questo posto era perso da secoli, pensò Arya cercando di contare tutti gli orchi e goblin che li circondavano e uscivano da ogni antro della città, perché hanno riprovato a conquistarlo? Hanno gettato via la loro vita invano.
Un ruggito li ridusse al silenzio.
Tutti si girarono verso la fonte del suono, all’estremità opposta della Sala, dove un’enorme luce arancione illuminava i cunicoli.
Ma non era una luce amica.
Tutti gli orchi strillarono come impazziti: correvano, saltavano, si calpestavano l’un l’altro strisciando nei loro buchi per mettersi al sicuro – ma al sicuro da cosa?
Boromir diede voce ai suoi pensieri. «Cos’è questa nuova diavoleria?»
Arya fece scattare lo sguardo su Gandalf, che aveva chiuso gli occhi, incredibilmente stanco. Non le era mai parso tanto vecchio quanto in quel momento. Un altro ruggito scosse l’aria.
«Un Balrog» rispose infine lo Stregone. «Un demone del mondo antico. E’ un nemico aldilà delle nostre forze. Fuggiamo!»
E ti pareva.

Scattarono in avanti, le gambe di nuovo pronte e reattive come mai lo erano state nella vita. Arya non aveva la più pallida idea di cosa fosse un Balrog, ma non aveva nessuna intenzione di scoprirlo.
Seguì Aragorn e Gandalf attraverso dei corridoi, con Boromir ad aprire la fila: scesero lungo una scala ripida e scoscesa, ma il gondoriano si era spinto con fin troppa foga e  sarebbe caduto, non fosse corso Legolas a soccorrerlo. Arya soffocò un grido non appena una freccia rischiò di colpirle il collo.
Altri maledettissimi orchi sui bastioni alla loro destra. Seguì Boromir verso il ponte, attraversando altre pericolosissime scale – inciampando più volte – evitando le frecce e spingendo gli hobbit a correre davanti a loro per poterli tenere al sicuro.
Infine, giunsero al ponte. Una piccola striscia di terra rossa in bilico su uno strapiombo senza fondo. Per un istante, per un solo e brevissimo istante, Arya contemplò l’idea di sporgersi un po’ di più, senza sapere il perché, poi Gimli la strattonò per un braccio e la trascinò verso l’altro capo del ponte, relativamente al sicuro. «Un disturbo così grande per un ponte così piccolo.»
Stava per darsela a gambe verso la sicurezza vera, quando con il Balrog si palesò davanti a loro. Arya ringraziò tutti i santi nei quali non credeva per essere dall’altro capo del ponte, lei e i suoi amici … tranne Gandalf. Anche Frodo se ne accorse.

Diede una gomitata a Boromir e indicò lo stregone che affrontava da solo la bestia. Era così alta, grossa, spaventosa: bruciava intensamente, e nelle fiamme sembrava rigenerarsi senza mai crollare, le corna ricurve come quelle di un ariete e le fauci ruggenti spalancate, pronte ad avventarsi sullo stregone che, minuscolo, si stagliava contro di lui.
Arya voleva fare qualcosa, voleva aiutarlo, voleva correre in suo aiuto, ma le gambe sembravano ancorate al terreno e lei, da  brava codarda, stava tremando come una foglia. Ho paura.
«Tu non puoi passare!»
Il Balrog si accese di fiamme più vivide, avanzò ignorando l’avvertimento di Gandalf.
«SCAPPA GANDALF!» Urlò la ragazza, ma il suo grido venne ignorato tanto dal demone quanto dallo stregone.
«Sono un custode del fuoco segreto, e reggo la Fiamma di Anor. Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla, FIAMMA DI UDUN!»
Il Balrog spalancò le ali e calò dall’alto la spada infuocata che si disintegrò sullo scudo di luce evocato da Gandalf. Evocò una frusta e avanzò verso di lui, il ponte che minacciava di crollare sotto il suo peso.       «TU! NON PUOI! PASSARE!»
Infilzò il bastone nel terreno e il ponte crollò sotto il peso del demone che aveva tentato di avanzare verso di lui. Per un attimo, la battaglia sembrò vinta. Per un attimo, Gandalf si erse solitario sul ponte, esausto e sollevato, prendendosi un istante per respirare. Per un attimo, Arya si concesse di sorridere, la paralisi improvvisamente svanita.

Poi dall’abisso la frusta si avvolse attorno alla caviglia dello stregone, tirandolo sul ciglio del ponte. Ad Arya restò impresso quanto vibrasse luminosa e nitida nell’oscurità, quanto sembrasse stranamente aggraziata nella sua malvagità. Gandalf tentò con tutti i modi di aggrapparsi al ciglio dello strapiombo, ma le mani scivolavano sulla polvere e gli appigli si sgretolavano nell’aria, ogni aiuto o mano amica troppo lontana per fare la differenza. Boromir bloccò Frodo che si era lanciato verso l’amico urlando il suo nome.
Gandalf risuonava nella mente di Arya come un pensiero ossessivo, un pensiero che in quei due istanti venne ripetuto più di mille volte, Frodo che esprimeva a voce ciò che per lei era troppo doloroso da esternare.
Assistette ad occhi sgranati come la consapevolezza fece breccia nello sguardo dello stregone, come la paura rivelasse gli occhi azzurri dello stregone, tanto abituati a sorridere e ad avere il controllo della situazione, per quello che erano veramente: gli occhi spaventati di chi non sa cosa lo aspetta nell’abisso, ed Arya capì in quell’istante cosa avesse deciso di fare. «No, Gandalf. Ti prego.»
«Fuggite, sciocchi!» e si lasciò andare.
«NOOOOOO»
Gandalf …

Arya percepì distintamente il suo cuore andare in pezzi. Non fosse stato per Aragorn alle sue spalle sarebbe caduta e lì sarebbe morta, tanto per quel che le importava non avrebbe fatto differenza. Le frecce arrivavano da ogni dove e all’improvviso smisero di piombarle addosso e Arya non capì il perché: solo quando la luce del mondo esterno l’accecò capì di essere finalmente fuori da quella tomba maledetta. Capì di star urlando, invece, solo quando la gola iniziò a bruciarle. A bruciarle così tanto che le lacrime che solcavano il viso lercio di sangue e fuliggine le facevano il solletico. Anche qualcun altro stava urlando – Gimli, le pareva – ma alla fine dei conti che importanza aveva? Gandalf era morto, Balin era morto, Ori era morto, Fili, Kili e Thorin erano morti e metà della sua famiglia era stata spazzata via come insetti da schiacciare. In quel momento, in quel preciso momento, Arya si sentì più sola che mai, e forse singhiozzò il nome di Bofur e Dwalin fra i singhiozzi, non avrebbe saputo dirlo.

Le parole che Aragorn pronunciava erano senza senso per lei, non lo sentiva e non aveva intenzione di farlo – sarebbe dovuto morire lui al posto suo, lui o Boromir o Legolas o chiunque altro, non Gandalf  - poi qualcuno la prese per le spalle e la rimise in posizione eretta – quand’è che era caduta in ginocchio?
«Arya, Arya smettila»
Non fu tanto per l’ordine, quanto per la persona che pronunciò quelle parole. Gimli la guardava dritta negli occhi, lo sguardo appannato di lacrime esattamente come il suo.
«A che serve?» chiese Arya con voce roca. Neanche quando andava allo stadio si riduceva così. «A che serve, è morto, è morto, sono tutti morti …»
«Moriremo anche noi, se non ci mettiamo in marcia. Dobbiamo onorarli tutti: Gandalf, Balin e Ori. Se resteremo qui, saranno morti invano.»
Al che Arya scoppiò un’altra volta in lacrime e lo abbracciò di slancio, perché anche lui aveva perso parte della famiglia, una famiglia troppo ottimista morta per un sogno condannato in partenza. Gimli aveva ricambiato la stretta e non aveva detto niente, ma non c’era bisogno di parole. Una consapevolezza si era fatta strada in lei, e non aveva il coraggio di esprimerlo ad alta voce.

L’inverno è arrivato.








NdA
Ma salve. Quanto sarà passato? Tre anni? Wow. Posso solo dire ... wow. Questa storia, questa serie, ha un posto speciale nel mio cuore. Arya e la compagnia, entrambe, hanno davvero un'importanza madornale per me. Ci penso sempre, anche se non scrivo quasi mai lol.
Ragazzi, quanto tempo. E che persona diversa ero, tre anni fa.
Alcuni capitoli erano dedicati ad una delle persone che amavo - e probabilmente amo ancora - di più al mondo, e che ora è quasi un'estranea, se non addirittura una nemica, per me. Eppure quanto vorrei poter agitare una bacchetta magica e tornare a come eravamo prima. Poterle dedicare i capitoli, ridere, scherzare con lei, parlarle di questa storia. Ma non è questo ciò che conta. Ciò che conta è il capitolo, dedicato alla mia amica Lina, che non ha MAI smesso di credere in me e in Arya.
Vi piace? Ne è valsa la pena? xD
Non sono molto brava a scrivere scene d'azione, e questo ha davvero poca introspezione, ma ho fatto del mio meglio  e ne sono soddisfatta. Voi?
Un abbraccio,
Feniah

 

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Capitolo 6
*** Am I wrong? ***



What do we say to the god of death?
Not today.
-G.R.R. Martin

«TU! TU CI HAI TRADITI!»
«Non è vero, non è vero ..»
«TRADITRICE! Tu e il tuo amichetto Scassinatore! Finchè avrò vita, non metterete mai piede ad Erebor!»
«No ..» il gemito si disperse nell’oscurità, incurante delle lacrime che le rigavano il volto.
Finalmente il tutto assunse una forma.
Vide se stessa come in uno specchio, con i dettagli ribaltati rispetto a come si è soliti vederli. Curioso, visto quanto fosse ordinario e simmetrico il suo viso, eppure quelle piccole differenze, microscopiche, le saltarono tutte all’occhio, le saltarono all’occhio molto prima della posizione innaturale che il suo braccio aveva assunto, degli abiti eleganti che indossava, dell’espressione del viso.
Disperazione.
Riconobbe con orrore l’abito da lutto coperto di rubini scarlatti, la fasciatura nera in tinta con l’abito, sarebbe irrispettoso andare ad un funerale con delle stoffe chiare, non credi, mia cara?
Dìs …
Non si accorse subito che lei la stava guardando. Le si avvicinò strusciando i piedi, lo sguardo in qualche modo stupito, gli occhi rossi e gonfi di pianto. Voltò di scatto la testa verso la porta della stanza e uscì fuori come una furia. Arya ricordò troppo tardi dove stesse andando, provò a puntare i piedi, non voleva andare, non voleva riviverlo di nuovo, era in un sogno, perché la costringeva così?
«Avevi detto che ero qui per un motivo! Avevi detto se sono piombata quaggiù era perché avrei cambiato qualcosa! Che avrei alterato il corso degli eventi!»
«Arya …»
«Invece no! Io mi ricordo!»
«Arya …»
«Io l’ho letto! L’ho letto, Gandalf! Lo sapevo che sarebbero morti e non ho mosso un dito per aiutarli!»
«Arya!»
 
 
Si raddrizzò di scatto, il fiato ansante. Gli occhi impiegarono pochi secondi per abituarsi alla perenne oscurità, ci volle ancora meno per riconoscere la figura di Aragorn china su di lei.
Sembrava preoccupato. «Ti agitavi nel sonno, Arya. E’ tutto a posto?»
No, non lo era affatto, ma lei si affrettò ad annuire, eliminando le lacrime in eccesso, scoprendo di non  averne versate molte. «E’ che … è colpa di questo maledetto posto. Mi ricorda la Desolazione di Smaug. Tutti quei corpi …» un sospiro si perse nell’oscurità mentre si tirò su a sedere.

Riuscì a non pensare ai corpi che le interessavano di più, ai loro corpi, ai loro visi. Era tutto a posto. Tutto okay. Erano passati quattro – o sessanta?- anni dalla battaglia, li aveva lasciati andare, aveva accettato la loro morte. Magari avrebbe chiesto a Balin come scorresse la vita sotto la Montagna, come stessere gli altri e sarebbe bastata qualche moina con Ori per farsi disegnare qualcosa solo per lei. Era brava a disegnare, ma davanti al talento artistico del nano aveva dovuto alzare le mani; una volta gli aveva chiesto di insegnarle a scrivere in Khuzdul. Quella era stata una delle rarissime volte in cui aveva visto la timidezza scivolare via dal nano e lasciar posto ad un fiero orgoglio, spiegandole che no, non poteva insegnarle il Khuzdul perché era un onore  riservato solo ai nani e par quanto Arya potesse essere bassa, decisamente lei non era una di loro. Ci era rimasta un po’ male – molto in effetti- ma Ori era Ori, e lei non aveva neanche fatto finta di mettere su il muso. Anche perché qualche parolina gliel’aveva detta (ma proprio ina ina!) e l’aveva in parte accontentata. Cosa si poteva chiedere di più ad un Nano?
Una pinta di birra, si rispose, e l’avrebbe chiesta, oh sì. Si sarebbe ubriacata e Balin l’avrebbe sgridata aspramente: “Arya, tu non lo reggi l’alcool!” e lei avrebbe risposto che nell’Antico Egitto i bambini li tiravano su a scarabei stercorari e birra, e poi, troppo sbronza- perché era vero, l’alcool non lo reggeva!- avrebbe  dato un bacio a qualcuno. L’altra volta era toccato a Thorin, magari questa volta sarebbe toccato a Legolas. O a Boromir, chissà. Di sicuro sarebbe piaciuto anche a loro.

La voce di Aragorn la riportò sulla terra, strappandola da quelli che erano diventati lieti pensieri: «Arya, mi stai ascoltando?»
«Ehm .. in realtà no, scusa» fece lei leggermente dispiaciuta, passandosi nervosamente la mano sul collo. Anche nell’oscurità riuscì a vedere che l’uomo aveva alzato gli occhi al cielo e non potè fare a meno di ridacchiare, stringendogli la mano. «Grazie per non avermi fatto sfracellare al suolo, ieri. Avevo davvero tanta paura.»
L’uomo esitò prima di ricambiarla brevemente: «Non posso permettere che uno di noi muoia. Lo avrebbero fatto tutti»
Arya sorrise: era vero, anche lei lo avrebbe fatto. Solo che non l’avrebbe fatto per motivi di affetto. O meglio, sì, certo che lo avrebbe fatto per affetto, ma ci sono cose che non possono essere spiegate a parole e questa è una di quelle. Se lo avesse fatto, il senso del dovere avrebbe superato di gran lunga l’affetto, cosa che invece non sarebbe accaduta con i nani. Ma si possono mettere a confronto poche settimane di viaggi contro un anno e mezzo di vicinanza?
 «Quindi ora tocca a me fare la guardia?» chiese. Il cenno negativo dell’uomo fu motivo di curiosità in lei –tutto era motivo di curiosità per lei.

«La curiosità uccise il gatto!» la canzonava Dwalin. E c’era mancato poco che morisse. Dopo, Dwalin non le sorrise più. La curiosità uccise il gatto, Arya.
Lla soddisfazione lo riportò in vita.
«Come mai mi hai svegliata se non è il mio turno di guardia? Sempre ammesso che si possa guardiare  qualcosa qui.» borbottò lei.
«Te l’ho detto, eri davvero molto inquieta. Ti agiti e parli anche da addormentata. Ma tu non stai mai zitta?» eccolo qui il tono canzonatorio e il sorriso sghembo che percepiva nell’ombra.
Se fosse stata in vena di essere Marina, gli avrebbe fatto una linguaccia e, offesa, si sarebbe ritirata a dormire. Ma Marina era stanca, tanto stanca, tanto triste. Deglutì prima di rispondere: «Vorrei riportarli in vita, ma non posso. Tu sai cos’ho fatto, cos’abbiamo fatto, e nonostante ci abbiano perdonati, io non riesco ancora a guardarli in faccia. Tutti gli altri. Loro ..» la sua voce si spense, prese un respiro per non farla incrinare. Inspira, espira. Ancora non riusciva ad ammetterlo ad alta voce. «Loro sono morti e io non ho mosso un dito per salvarli. Non dovrei essere odiata per questo? Non dovresti guardarmi con disprezzo? Rancore? Sono una persona orribile.»

Non sapeva di preciso perché stesse dicendo quelle cose ad Aragorn. Non sapeva perché stessa parlando. Forse perché lui le infondeva davvero tanta sicurezza, come quella sensazione che provava quando sua madre l’abbracciava e si ricordò che sua madre era davvero tanto lontana.
«Non ho mai pensato questo su di te, Arya.» Queste parole le fecero alzare la testa, come un faro di speranza, i vaneggiamenti di una redenzione agognata che non avrebbe mai avuto. Un illusione. Ma lei aveva capito che le illusione sono meglio della verità quando si è disperati.
«Credo che non si debbano mai giudicare le persone fino a che non si conoscano le motivazioni che l’abbiano spinta a fare ciò che ha fatto. Io condivido le tue scelte, Arya, avrei fatto la stessa cosa. Perciò non giudicare te stessa con troppa severità: le tue azioni hanno salvato più persone di quante ne abbiano uccise.» Le poggiò le labbra sulla guancia e le sorrise rassicurante; Arya era commossa dalle sue parole.
«Puoi dormire, Aragorn. Io ho perso il sonno e tu sei stanco. Sogna tante torte anche per me» gli disse con un sorriso. Probabilmente l’uomo si chiese perché avrebbe dovuto sognare delle torte, ma non parlò e si adagiò vicino a Gandalf. Pochi minuti dopo le giunsero i respiri regolari alle orecchie, informandola che Aragorn era piombato fra le braccia di Morfeo.

La torcia illuminava di una luce fredda e luminosa le grotte di Moria, creando ombre di mostri e ricordi passati sui muri. Non voleva pensarci, necessitava di un appiglio, un ritorno alla realtà – la sua realtà. Non era casa sua, quel posto lì, però quello della sua famiglia era un pensiero confortante. Così estrasse dal mantello il suo portafoglio. Arrivando lì – accidenti a quel vuoto di memoria!- aveva portato con sé tutti gli aggeggi che normalmente le persone hanno con sé: portafogli, tessera della biblioteca e cellulare. Già, il cellulare. Ovviamente non c’era campo né wifi né connessione dati ed essendo alquanto inutile lo aveva abbandonato – nascosto- a Granburrone, portando con sé il portafogli. Si prese de tempo per guardare i soldi – solo lei poteva andare in giro con dieci euro di monetine da venti centesimi- e poi passò alla piega del borsellino, estraendo la propria fototessera. La mise da parte e prese la foto tutta spiegazzata che custodiva gelosamente. Ritraeva lei, sua sorella e i loro genitori abbracciati, una grande torta con sopra disegnato un enorme 18 e le candeline mezze sciolte. Ridevano tutti quanti, la festeggiata –lei stessa!- con le guance arrossate per le risate. Sua sorella aveva ancora i capelli lunghi! Passò dolcemente il dito sulla sua figura, come se con quel tocco potesse raggiungerla, carezzarla e dirle che le voleva bene. Non le mancava  e non voleva vederla dal vivo. Arya era pronta da molto tempo, ormai, a lasciare il nido e spiccare il volo. Ma sua sorella no. Soltanto il saperlo al sicuro la tranquillizzava: Martina non era fatta per la Terra di Mezzo, mondo di morte e desolazione; lei era perfetta per il pianeta Terra e la loro casa ad Acilia, con Mirko. Era un bene che lei fosse ancora così piccola, così bambina, innocente. Arya sapeva quando aveva perso la propria innocenza e sapeva che Martina non l’avrebbe mai perduta. Non in modo convenzionale, per lo meno.

«Chi è lei?» quella voce la fece trasalire, spiegazzandole la foto tra le mani. Si trattenne dal ringhiare solo perché non voleva svegliare gli altri: «Taci e fatti gli affari tuoi, Boromir!»
Lui non l’ascoltò e si sedette accanto a lei, piegandosi per osservare bene e oscurandole la visuale: «Sembrate felici. Chi sono, la tua famiglia?»
Annuì, all’improvviso non più reticente, qualcosa nel tono morbido dell’uomo l’aveva indotta ad abbassare la guardia e ad aprirsi un po’: «Lei è mia sorella»
«Anche io ho un fratello, si chiama Faramir.» la sua voce risultava morbida e gentile alle orecchie della ragazza; calda contro tutto quel gelo.
«Mart-Sansa. Si chiama Sansa. E’ più piccola di me e litighiamo sempre»
«Davvero?» fece lui curioso: «Strano, non vedo perché mai uno dovrebbe litigare con te» e l’ironia nella sua voce contagiò anche Arya che ridacchiò con lui.
«Vuoi parlarmi un po’ di lei?» le chiese dopo, quando le risate si spensero ed entrambi si ritrovarono a guardare il vuoto, il silenzio a coprirli come una cappa di gelo.
«No» sussurrò lei, spostandosi da lui. «Vuoi parlare tu di Faramir?»
«No» e tacquero entrambi per un po’, ognuno immerso nei propri pensieri.

Alla fine fu Boromir a spezzare il silenzio, forse perché lo spaventava non sentire Arya parlare, vederla così quieta e … abbattuta lo infastidiva. Triste. Ecco come si sentiva non vedendo il solito brio sul viso della giovane. «Io e Faramir siamo come un sol uomo. Io sono il braccio e lui è la mente. Dove lui non riesce ad arrivare io mi adopero per aiutarlo e viceversa. Siamo così uniti … Io non volevo venire a Granburrone. Io sono venuto per uno scopo» tacque, ricordando per quale motivo avesse intrapreso quel viaggio. Suo padre voleva prendere l’Anello per loro, per Gondor. «Mio padre ha sempre sottovalutato Faramir. Ma lui è un bravo ragazzo, è valoroso, onorevole, leale. Cos’ha di sbagliato lui? Cos’ho di sbagliato io per non essere in grado di impedirlo?» Arya lo ascoltava interessata, gli occhi fissi su di lui.

«Io sono il primogenito, io manderò avanti il nostro casato. Tuttavia non è anche Faramir sangue del suo sangue? Perché tutta questa differenza fra noi? Lo sai cosa mi ha chiesto quando eravamo piccoli?» Arya si affrettò a scuotere la testa. Lo interpretò come un buon segno. «Mi ha chiesto perché nostro padre non lo amasse. Aveva cinque anni, Arya. Un bambino di cinque anni queste domande non dovrebbe porsele» sospirò pesantemente, corrugando la fronte. Suo fratello non meritava tutto quello che loro padre gli aveva fatto subire. Boromir sperava ardentemente che questi mesi di lontananza aprissero la mente e il cuore a suo padre. Quando sentì la mano piccola e fredda di Arya sulla propria sussultò leggermente, perché non si aspettava quel contatto così improvviso e gradito. Sollevò la testa incrociando gli occhi scuri di lei, increspati in un leggero sorriso. Ma non era un sorriso dei suoi, un ghigno birichino o un sorrisino irreverente, non era neppure uno di quelli smielati e angelici che ogni tanto tirava fuori per prendere in giro qualcuno – molto spesso lui stesso. Era un sorriso triste ma coraggioso, uno di quei sorrisi che valgono più di mille parole. Gli parlò dolcemente, come una madre parla con il proprio figlio: «Un mio carissimo amico una volta mi chiese cosa ci fosse di sbagliato in lui. Amava un’elfa, sai? Eppure, gli dissi, non c’era niente di sbagliato nel suo amore, o in lui. Non poteva reprimerlo e non poteva uscire allo scoperto perché le loro razze si odiano. E’ un problema loro se si odiano. Ed è un problema di tuo padre se non ama tuo fratello. Basta che tu lo ami, e un giorno, quando tuo padre sarà alla fine dei suoi giorni, capirà l’errore madornale che ha commesso nel sottovalutare tuo fratello. E morirà nel rimpianto, perché avrà tirato su un figliolo diligente e onorevole e un altro zuccone e arrogante» gli sorrise, stringendogli la mano. Boromir le sorrise di rimando, ricambiando la stretta.
 

 

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