La caffetteria di Londra

di La Nuit du Chasseur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caffè nero bollente ***
Capitolo 2: *** Latte scremato tiepido ***
Capitolo 3: *** Thé con latte ***
Capitolo 4: *** Latte caldo con miele ***
Capitolo 5: *** Ice tea ***
Capitolo 6: *** Cioccolata calda ***
Capitolo 7: *** Latte freddo e cannella ***
Capitolo 8: *** Caffè forte non zuccherato ***
Capitolo 9: *** Cioccolata fondente al rhum ***
Capitolo 10: *** Irish Coffee ***
Capitolo 11: *** Thè freddo al limone ***
Capitolo 12: *** Caffè corretto al miele caldo ***
Capitolo 13: *** Epilogo - A volte la semplicità è la carta migliore ***



Capitolo 1
*** Caffè nero bollente ***


DECLAIMER: questa storia è frutto della fantasia e non è scritta a scopo di lucro. I personaggi citati, se reali, non mi appartengono e le loro azioni, così come i luoghi in cui vengono collocati sono totalmente inventati. Il personaggio di Julia, così come l'ambientazione della storia sono invece di mia proprietà. 


Per spoiler, anticipazioni, informazioni e per conoscermi meglio vi aspetto QUI, nella pagina ufficiale de La Nuit du Chasseur! 



Julia si tolse le scarpe al volo e corse verso il bagno. Era stata una giornata pesante, accentuata da quel leggero mal di testa che non la lasciava dalla mattina e dai tacchi alti che no, non erano così comodi come la commessa si era affrettata a spiegarle giorni prima.
Arrivò in bagno e aprì l’acqua calda, si immerse nella doccia e ne uscì solamente quando le dita le diventarono rugose: pensò a sua mamma. Le diceva sempre di controllare le sue dita, al mare, da piccola, e per lei era rimasta una dolce abitudine da conservare. Si buttò l’accappatoio addosso, raccolse i capelli in un asciugamano di lino caldo e andò verso la cucina a decidere le sorti della sua cena. Nel frigorifero c’erano parecchie cose, ma nessuna attirava la sua attenzione: quella era una serata da schifezze, giusto per tirarsi su. Ordinò cinese e decise di aspettarlo sul divano, ancora avvolta nell’accappatoio bianco, con la tv accesa.
Il giorno dopo si alzò rigenerata: si era addormentata molto presto, ben prima di finire la sua cena, i cui avanzi giacevano senza aver avuto molta fortuna ancora sul tavolino davanti al divano. Si preparò con cura, evitando di indossare le scarpe del giorno precedente e si precipitò in ufficio. Passò come al solito alla sua caffetteria preferita e prese un cappuccino caldo con molta schiuma e del cacao, da portar via. Mentre aspettava che la ragazza lo preparasse prese il suo smartphone e iniziò a controllare le mail: benché fossero solamente le 8 aveva l’abitudine di arrivare in studio con già la giornata organizzata e per questo benediceva la tecnologia ogni giorno di più. Era lì, in piedi, totalmente immersa nello schermo del suo cellulare, quando sentì una risata e alzò la testa di scatto, come se fosse stata impaurita da qualcosa, da qualcuno. Si girò per vedere da chi provenisse il suono e vide un uomo sulla quarantina, accuratamente vestito che sorseggiava un thè seduto ad un tavolo e parlava al cellulare in una maniera che sembrava molto intima, ma in una lingua che non consentiva a Julia di capire il carattere della conversazione. La sua posizione era molto sexy: era totalmente poggiato allo schienale della poltrona, la caviglia poggiata sul ginocchio opposto, la mano a reggersi la tempia e l’altra a sostenere il cellulare sull’orecchio, un po’ scostato, come se scottasse. Avevo il viso rivolto verso l’ampia vetrata, gli occhi verso il cielo e la bocca aperta in un sorriso. La persona che era dall’altra parte o era molto spiritosa o doveva farlo sognare alla grande. Dopo qualche minuto il suo cappuccino fu pronto e la ragazza del bancone la chiamò per farla tornare alla realtà. Julia prese la sua bevanda calda ed uscì dalla caffetteria in tutta fretta, diretta verso la sua giornata. In quel momento squillò il suo cellulare e vide il nome di Robert sullo schermo: non seppe neanche perché, ma tornando a girarsi verso la caffetteria non rispose. 

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Capitolo 2
*** Latte scremato tiepido ***


Robert era seduto alla scrivania del suo importante ufficio: 24esimo piano di un grattacielo tutto vetro nel cuore della City. Era un manager molto stimato, tutto sorrisi e sicurezza fuori, pieno di crisi e domande dentro. Vestiva in modo impeccabile, giacca perfettamente stirata, camicie di ottima fattura e con iniziali cucite a mano, scarpe italiane e cravatte francesi. Sempre la barba fatta, i capelli sistemati e della lunghezza giusta. A guardarlo bene c’era da chiedersi se avesse un sarto e un barbiere nascosto nell’armadio!
Viveva a Londra da circa dieci anni, e aveva una relazione, molto poco vivace. Era arrivato presto al successo, che con bravura e un pizzico di fortuna era riuscito a tenersi, e a coltivare negli anni, tanto da diventare il pupillo dell’amministratore delegato dell’azienda in cui era entrato anni prima come stagista. Aveva una famiglia molto in vista ad Edimburgo, città dove era nato e cresciuto fino ai tempi del college, un fratello Ingegnere a Parigi ed una sorella stilista a New York. Aveva tutte le carte in regola per essere una persona abile e sicura di se, eppure ancora non aveva molto chiaro quanto fosse fortunato.
Era fidanzato non ufficialmente con Julia da più o meno sette anni. Si erano conosciuti ad una festa universitaria e per lungo tempo le aveva fatto una corte spietata. Lei non si era mai tirata indietro, ma non aveva mai neanche manifestato chissà quale interessamento. Si era semplicemente lasciata andare ad un ragazzo d’oro, che sarebbe piaciuto a sua mamma, che la proteggeva sempre e le rimboccava le coperte quando si addormentava sui libri. Robert era un uomo da sposare, assolutamente. E per non correre il rischio di lasciarselo scappare, Julia aveva iniziato ad uscirci. Qualche tempo dopo si erano presentati alle famiglie e avevano iniziato a fare sul serio. I sette anni successivi erano passati tranquillamente: vacanze insieme ad agosto, settimana bianca in Svizzera a Capodanno, cene dalle rispettive famiglie, che si adoravano e che progettavano i fiori di arancio da tempo. I fiori d’arancio… Robert fremeva, non si capiva bene se fosse perché aveva paura di perderla un giorno, o se perché realmente credeva che fosse la donna della sua vita. Julia si lasciava semplicemente trasportare, senza mai prendere una decisione vera. Non che non fosse innamorata di Robert: quello che provava per lui andava oltre qualsiasi confine, gli era grata, gli voleva bene, si sentiva bene in sua compagnia. Mancava la passione da tempo, non sentiva fuoco dentro quando erano in intimità, ma credeva che quello fosse solo il passare del tempo, che aveva spento qualcosa e acceso la quotidianità. Quindi le andava bene così, anche se ancora non aveva dato il via ai preparativi per una convivenza, figuriamoci per le nozze. Cosa che forse avrebbe dovuto accenderle una lampadina in testa.
Quella mattina Robert non aveva molta voglia di lavorare, era entrato in ufficio alle 9, con la tazza di caffè nero bollente in mano e gli occhiali da sole ancora sul naso, come a volersi difendere da possibili scocciatori sulla sua strada. Martha, la sua segretaria, lo aveva immediatamente capito, e aveva fatto si che nessuno potesse disturbarlo, lasciandolo rintanarsi nella sua stanza, da dove si godeva una bellissima vista della città e dalla quale Robert provò, invano, a chiamare Julia almeno tre volte. La terza volta che il telefono squillò a vuoto, lo ripose sulla scrivania con troppa violenza, facendo saltare la cover che copriva la batteria. Il nervosismo era alle stelle e Robert si sentiva frustrato nel non sapere cosa diavolo stesse succedendo alla sua relazione. Certamente non erano mai stati tutto fuoco, ma lui e Julia si amavano ed erano felici, cosa accadeva ora? Era tempo che la vedeva distante, e aveva pensato che fosse colpa del lavoro, sempre onnipresente nelle loro vite, ma iniziava a credere che quella fosse una scusa. Stanco, irritato, e deciso a farsi valere una volta tanto, prese la giacca, aprì la porta ed uscì correndo, senza avvertire nessuno. Martha prese il telefono ed iniziò a rinviare gli appuntamenti della mattinata, afflitta dai continui cambiamenti di programma del suo capo.
Corse quasi fino allo studio legale dove lavorava Julia, uno dei più in vista di Londra. Ci lavorava da due anni ed era decisa a farsi strada dimostrando quel che valeva. Per questo molto spesso Robert lasciava andare i suoi continui ritardi, il suo continuo essere attaccata allo smartphone, le cene rinviate e le domeniche passate in casa mentre lei lavorava. Capiva il suo bisogno di fare carriera, capiva che per lei fosse importante e credeva che fosse il suo turno di aspettare, di avere pazienza, dopo quella che lei aveva dimostrato quando era lui ad essere ai primi passi in azienda. Solo che diventava sempre più pesante, e quella mattina per lui era stato l’apice.
Entrò quasi con il fiato corto, salutò le segretarie e chiese se poteva entrare nell’ufficio dell’avv. Leighton. Le ragazze dissero che era sola, poteva andare, così lui aprendosi in un sorriso tirato, attraversò a lunghi passi l’accoglienza dello studio ed entrò nella stanza della sua fidanzata, la quale era girata verso la finestra a pensare ad un causa. O forse ad un thè.
La prese di sprovvista e saltò quasi sulla poltrona. Quando si girò e lo vidi lì, elegante come sempre, conosceva già il suo sguardo e già sapeva perché si era precipitato alle 10 del mattino lì. Sicuramente non era morto nessuno e non c’erano emergenze in atto: solo che Robert non era certo un idiota. Lo salutò alzandosi e andandogli incontro per baciarlo: lui voleva respingerla, per farle capire come stavano le cose, ma come sempre era debole di fronte a quella chioma biondo scuro che si avvicinava e al suo profumo. Così si lasciò baciare e a chiarire le posizioni fu lei, con un sorriso.
“Che ci fa qui, Rob?”
“Perché non hai risposto al telefono?” scelta sbagliata: Julia poteva trovare mille scuse, cosa che fece o che forse aveva già fatto quando aveva spento il telefono un paio d’ore prima, e poteva facilmente girarsi la frittata a suo vantaggio.
“Perché ero impegnata, sai che entro presto in ufficio e a quell’ora ero in ritardo pazzesco. Poi sono arrivata, la causa, le pratiche e mi è passato di mente. Non mi sembra il caso di farne una tragedia” chiuse Julia secca, andando a sedersi di nuovo e perdendo il sorriso che si era sforzata di fare. Poi pensò di essere stata troppo secca e si pentì.
Robert si sentì un cretino e andò a sedersi sul divano di pelle, rilassando le gambe e chiudendo gli occhi, con la testa fra le mani.
“Julia, che diavolo sta succedendo? Io non ci capisco più niente”
“Niente Robert, sono solo stanca…vedrai che questa estate, alle Bahamas riusciremo a tornare alla normalità” non era convintissima, ma tanto valeva continuare a crederci e non far preoccupare Robert. Non se lo meritava.
Lui si illuminò subito e tornò a guardarla. “Quindi vuoi partire?”. Quella frase era stata un balsamo sul cuore per lui. “Certo che voglio partire, amore… come ti viene in mente?” sorrise e lo abbracciò. Poi le venne un’idea, quella che poteva cambiarle la vita. Ci pensava da un po’ di tempo e non sapeva mai decidersi. Forse quello era il momento giusto. Se non lo fosse stato, lo avrebbe saputo solo dopo.
“Senti, devo dirti una cosa…” lui si irrigidì ma lasciò che lei continuasse “… è un po’ che ci penso. Pago un affitto stratosferico, stiamo lontani e lavoriamo tutto il giorno. La sera sono così stanca che non riesco neanche ad entrare in doccia senza addormentarmi e ti vedo sempre di meno. Perché non ci sposiamo? Sarebbe tutto più semplice…”. Disse quella frase con un fil di voce, e non era certa che il problema fosse la risposta di Robert. Aspettò ed aspettò e alla fine Robert disse: “Non è la dichiarazione d’amore più bella del secolo ma è sincera… ed è sempre stato il mio sogno sposarti. Ti amo” la stritolò in un abbraccio e poi si sciolse a baciarla con passione, o almeno con quel poco che era rimasta. Rimasero ancora una mezz’oretta a ridere della stramberia di quella decisione, presa così dopo una mezza litigata, senza un anello, senza fiori e senza ginocchia a terra. Ma entrambi, segretamente, si convinsero che forse era quello il modo per essere felici: essere anticonvenzionali. 


Ed ecco a voi il secondo capitolo, con qualche giorno di anticipo. Spero che vi piaccia e non deluda... presto arriveremo al cuore della storia, siate pazienti! Per suggerimenti e critiche (ma anche per dirmi se vi piace) aspetto le vostre recensioni! Buona lettura, 
Hr

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Capitolo 3
*** Thé con latte ***


Un’altra giornata, sempre di corsa. La cosa che però peggiorava l’umore di Julia era il fatto che erano giorni che il suo cellulare squillava senza sosta. Nessun cliente particolarmente ansioso: sua madre, la madre di Robert e varie zie chiedevano le informazioni più disparate riguardo l’imminente matrimonio.

Il sabato successivo all’insolita decisione, lei e Robert si erano recati ad Edimburgo per dare la lieta notizia alla famiglia di lui. Avevano passato un weekend molto poco rilassante, fra domande e gridolini di gioia, il che aveva aumentato l’irritazione già altissima di Julia. Di ritorno dalla Scozia avevano cenato con i genitori di Julia, i quali erano stati contenti ma sorpresi di tanta fretta e di non vedere nessun anello alla mano della figlia. Erano di altri tempi: il matrimonio lo decide l’uomo, che porta in dono un vistoso (e costoso) anello alla futura moglie. Sull’anulare destro di Julia nessun diamante scintillava. In ogni caso decisero di non rovinare nulla e si mostrarono molto felici. D’altronde Robert era davvero il marito che ogni genitore sogna per la propria bambina. Fu così che la domenica notte tornarono esausti da un tour de force fatto solo di parenti e di spiegazioni sempre uguali. Entrarono nell’appartamento di Robert all’una passata, e lui mostrò subito interessi particolari per Julia, che di tutto aveva voglia tranne che di perdere altro tempo a fare l’amore con il suo uomo. A quel pensiero si sentì male: lo stava per sposare, aveva 29 anni e invece di voler passare la vita sotto le lenzuola con lui pensava che fosse una “perdita di tempo”. Questo la rabbuiò, ma decise di non peggiorare le cose e finse di essere molto eccitata e molto felice. Questo fece addormentare Robert sereno, e fece passare a lei la notte in bianco.

Così quel lunedì mattina fece una cosa che non faceva mai: spense il Blackberry, uscì prima del previsto, lasciando a Robert solo un bigliettino sul tavolo del salotto, e si concesse un’ora di letture leggere alla sua caffetteria. Quando arrivò aveva appena aperto e l’odore di caffè era già in tutto l’ambiente. Scelse il tavolo più riservato possibile, un angolino dove sprofondare in una poltrona morbida e dimenticare il mondo. Prese un cappuccino caldo con molta schiuma e del cacao, come al solito, e si immerse nel giornale che aveva preso appositamente per quell’occasione. Ad un tratto nella caffetteria entro quell’uomo. Julia riconobbe il profumo, che si mischiava a quello di caffè: un profumo forte, non smielato ma neanche secco, una mistura di sensazioni che le fecero andare l’adrenalina al cervello. Piano alzò gli occhi dal suo giornale e lo vide al bancone che ordinava, con la ragazza che improvvisamente aveva preso colore e cercava di sistemarsi come poteva i capelli. Si accomodò alla solita postazione, con un’eleganza mascolina aprì un fascicolo e si immerse nella lettura. Aveva occhi attenti e la bocca serrata come a volersi forzare per non leggere ad alta voce. Era affascinante, molto, Julia lo guardava senza riuscire a smettere e facendo finta di essere attratta dalla lieve pioggerellina che stava iniziando a bagnare Londra. Rimase così per un tempo che non seppe definire, fino a quando suonò la sveglia del suo secondo cellulare, quello che usava per le emergenze e il cui numero non era noto quasi a nessuno. Erano le dieci passate, aveva mancato un appuntamento, era rimasta lì a guardare lo straniero leggere, mentre lui neanche si era accorto della sua presenza ed ora era nei guai. Afferrando al volo la borsa e la tazza ormai vuota corse verso la porta. Passò proprio davanti al tavolo dello straniero, e urtò il suo ombrello, poggiato alla poltrona. Si girò di scatto per chiedere scusa, ma quando quegli occhi si incollarono ai suoi le fu difficile persino respirare.

“Julia, diavolo, si può sapere dove era finita? La signora Dover la aspetta da un’ora ed è imbestialita” esordì uno dei soci dello studio. Quello più insopportabile: ma proprio quella mattina doveva essere in ufficio così presto? Di solito arrivava a mezzogiorno passato!
“Ha ragione, avvocato, mi scusi. E’ che stamattina non mi sono sentita bene e quindi…quindi…”
“Si, quindi corra a riparare come può ai danni e che non si ripeta più”.
Julia pensò che dopo anni di servizio eccellente e senza bisogno di una sola ramanzina, per una mattina che aveva fatto tardi si poteva pure evitare tutto quel baccano. Ma preferì accettare ad occhi bassi la lavata di testa e andarsene, per evitare ulteriori guai. La giornata corse lenta e difficile, la signora Dover le riversò addosso tutta la sua rabbia per essere stata lì ad aspettarla per quasi un’ora e la causa che Julia seguiva per lei aveva perso totalmente interesse. Si trattava di una banale questione di DNA che la signora voleva che si eseguisse sul nipote di circa tre anni, convinta che la mamma del piccolo si fosse approfittata di suo figlio, povero ragazzo. Una noia mortale. Lo studio la seguiva solamente perché la signora Dover era molto importante ed era amica di lunga data della moglie di uno dei soci, ma tutti si erano dileguati quando si era trattato di capire chi realmente avrebbe seguito la causa, e così era toccato alla più giovane del club: Julia.
Verso le 14 chiamò Robert, il quale era totalmente tranquillo. Da quando gli aveva proposto di sposarsi, meno di una settimana prima, si era rasserenato, lasciando perdere le sue paranoie e smettendo di starle addosso. Julia era così grata a quel matrimonio: le aveva salvato la vita! Anche se non nel senso che una futura sposa dovrebbe pensare. Chiacchierarono qualche minuto e poi Julia tagliò corto, con una scusa, come al solito. Solo che stavolta Robert non se ne accorse.

Continuò a lavorare, più o meno, ma presto si rese conto che lo sguardo dello straniero le era rimasto addosso e le ritornava in mente qualsiasi cosa facesse, qualsiasi cosa pensasse, ovunque poggiasse gli occhi. Si sentiva stupida: non aveva più quindici anni, non poteva prendersi una cotta per un uomo che neanche conosceva e che aveva visto due o tre volte in una caffetteria. Poteva essere un turista, poteva essere sposato, poteva avere dei figli o essere gay. O essere un maniaco e un assassino, per quel che ne sapeva. Beh in quel caso avrebbe potuto difenderlo… ecco quel pensiero finì per preoccuparla e convincersi che doveva tornare in lei. Ma tutto quello che fece fu decidere di tornare alla caffetteria il giorno dopo, tenendo però ben saldo lo sguardo sull’orologio: un altro ritardo le sarebbe valso il linciaggio in studio.
Si sorprese ad aspettare con moltissima ansia la mattina seguente. Corse a casa dopo l’ufficio, si fece una doccia, trovò una scusa per non vedere Robert e si mise a letto molto presto. Non prese sonno prima delle tre del mattino, continuava a girarsi nel letto stranamente ansiosa che venisse mattina e si sentì un’adolescente fatta e finita. Alle sei scattò come una molla e si preparò in neanche un’ora. Si preparò accuratamente, più accuratamente di come faceva ogni mattina e uscì di corsa con un sorriso strano sul volto. Arrivò alla caffetteria alle 7,30 e lui non c’era. Si sentì un pochino depressa, prese il suo solito cappuccino caldo con molta schiuma e del cacao e si sedette al suo angoletto. Ogni volta che si apriva la porta, Julia alzava lo sguardo speranzosa, cosa che accadeva spesso, visto il viavai che c’era nel locale a quell’ora. Alle 8 iniziò a disperare e a pensare di andarsene, ma decise di darsi un altro quarto d’ora, con la scusa di volersi rilassare un po’ e pensando che comunque il primo appuntamento non l’aveva che alle 9. Dalla caffetteria al suo studio ci avrebbe impiegato al massimo venti minuti con la metro. Lo straniero non si vedeva e Julia sapeva che doveva andare via e lasciare quella strana fantasia appena accennata per continuare la sua vita. Insomma, stava per sposarsi, e quell’uomo non lo conosceva neanche, aveva solo urtato il suo ombrello e  incrociato il suo sguardo una mattina. Non sapeva nulla di lui. Eppure non riusciva a staccarsi da quella poltrona, ad uscire da quel locale, a lasciare la speranza di rivederlo. Alle 8.15 decise che si sarebbe concessa un ultimo quarto d’ora. Ma dello straniero nessuna traccia. 8.30, 8.40… era al limite, doveva andare via e tornare ad essere una donna adulta.

Prese la borsa, si forzò per alzarsi dalla poltrona e ad occhi bassi si diresse verso l’uscita. Non appena fu vicino la porta la sentì aprirsi e una ventata gelida la accolse: odiava quella città quando la frustava con il suo vento. Insieme a quel vento però risentì il suo profumo. Non poteva crederci, sorrise e alzò lo sguardo di scatto: era lì, chiuso in un impermeabile di ottima fattura e con un paio di occhiali da sole totalmente ingiustificabili in quella mattina londinese. Si era scansato per farla passare, ma lei aveva fatto lo stesso, così entrambi avevano imboccato la porta finendo per scontrarsi leggermente. Il tocco fu elettrizzante: Julia sentì una scarica di adrenalina terribile, come forse non le era mai capitato. Lo straniero si girò e le sorrise in maniera calda, come a voler eliminare il gelo di quella mattina, e ci riuscì totalmente. Julia ricambiò il sorriso e rimasero lì per qualche minuto, occhi negli occhi, a cercare chissà cosa, a sentire chissà quali sensazioni. Una signora di fretta li riportò alla realtà, infilandosi fra loro per uscire dalla caffetteria e rompendo l’incantesimo. Julia si accorse che era in ritardo, per la seconda mattina di seguito e tornò alla realtà. Ma lasciare quello sguardo fu una tortura immensa, come non poteva neanche immaginare. Aveva 29 anni e aveva iniziato a flirtare con lo sguardo con uno sconosciuto che probabilmente era in quella città per turismo o lavoro. Bene, molto bene si disse correndo verso lo studio, girandosi in maniera continua verso la caffetteria e scoprendo lo straniero incollato al vetro a guardarla. Era lì, in piedi, con una mano in tasca e l’altra che sosteneva la tazza vicino alla bocca. Aveva tolto il soprabito e gli occhiali, era così poco innocentemente sexy e la guardava, aveva gli occhi su di lei. Julia investì un passante e rischiò di cadere a causa dei tacchi, si sentì ancora più stupida e decise che non era il caso di fare figuracce in quel modo, così respirò, lo guardò ancora, poi si voltò decisa e con passo veloce ma sicuro andò via. Si violentò per non girarsi ancora, ma dentro di se aveva un’eccitazione che non provava da anni. 

I nostri protagonisti si scontrano ancora... ancora un pò di pazienza: stiamo arrivando ad un momento clou! Per ora spero che vi piaccia e che continuate a seguire la mia storia. Come al solito, attento le vostre recensioni per commenti, critiche e suggerimenti! :) 
Hr

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Capitolo 4
*** Latte caldo con miele ***


Erano passati circa dieci giorni dal primo incontro con lo straniero, alla caffetteria. Si erano rivisti tutte le mattine, alla solita ora, al solito locale, come se si fossero dati un appuntamento in silenzio. Nessuno dei due faceva un passo per cambiare le cose, semplicemente entravano nella caffetteria, prendevano la colazione, si sedevano e si scrutavano in maniera discreta. Julia spesso era costretta a non fermarsi: diventava sempre più difficile spiegare a Robert le uscite così mattutine. Lei era sempre stata una persona puntuale e ci teneva ad arrivare in studio presto per prepararsi prima di vedere i clienti, ma uscire di casa alle 6,40 era inspiegabile. Così a volte si accontentava di prendere il suo cappuccino caldo con molta schiuma e del cacao in piedi, solo che aveva perso l’abitudine di guardare le mail sul Blackberry, in favore dello straniero, che ormai rapiva tutte le sue attenzioni, sempre più sfacciatamente. Se all’inizio erano stati attenti a non farsi notare dall’altro, ormai erano entrambi a carte scoperte, senza indugi e senza far finta di guardare altrove: si guardavano e basta, senza andare oltre. Quelle mattine iniziate così regalavano a Julia un’eccitazione mai vista prima: si scopriva a voler correre durante il giorno solo per arrivare alla mattina successiva, si preparava con molta più cura, sceglieva abiti particolarmente attraenti e si truccava con più precisione. Non che non si fosse mai applicata per sembrare elegante ed adeguata, anzi ci teneva molto, ma in quei dieci giorni ci aveva messo più cura. E aveva smesso di fingere che fosse solo per se stessa: ormai aveva ammesso dentro di se che lo faceva per lo straniero. Robert era felice: finalmente la sua Julia era tornata ad essere la stessa di sempre, solare, allegra, spontanea e dolce. La mattina gli mandava sempre un sms, come ai primissimi tempi della loro relazione e durante la giornata spesso lo chiamava senza un vero motivo. Lui era convinto fosse tutto merito del matrimonio, finalmente deciso. Se solo avesse saputo la verità. Se solo avesse saputo che Julia usava quello stratagemma per non farlo insospettire.
Quella mattina Londra era stranamente assolata. Ottobre aveva portato un’aria sempre più rigida, solo che quella mattina non c’era la consueta pioggerellina ma un sole tenue e vagamente caldo. Julia si strinse nel suo trench color cacao e con un sorriso felice si diresse verso la caffetteria. Erano le 7, avrebbe avuto il tempo di sedersi un’oretta, cosa che rendeva i suoi passi sempre più veloci: non voleva perdere tempo. Entrò nel locale e si diresse al bancone, una volta lì si girò a guardare, con finta nonchalance, gli avventori. Lo straniero era già lì, seduto come sempre a leggere il suo fascicolo, avvolto da un pullover color vaniglia che lo rendeva particolarmente sexy. Julia rimase a guardarlo e non si accorse che era arrivato il suo momento, la signorina la chiamò e lei si girò di scatto, andando ad urtare una ragazzina che aveva appena preso la sua tazza di thè. La tazza finì per terra, spargendo il contenuto ovunque, scarpe di Julia e della ragazzina comprese. Rimase immobile a contemplare l’immensa figuraccia fatta, e il trambusto che si era creato, il quale aveva indotto lo straniero a girarsi, finalmente. Istintivamente incrociarono gli sguardi, mentre Julia era intenta ad asciugare come meglio poteva il pavimento con delle salviette. Rimase a guardarlo, e lui, impercettibilmente le sorrise. In quel momento arrivò dalla cucina una donna con uno straccio per pulire per terra, e Julia si tolse di mezzo, evitando di fare ancora più danni. Si scusò con la ragazzina, alla quale pagò una nuova tazza di thè, prese il suo solito cappuccino ed uscì di corsa dal locale. Una volta fuori si poggiò al muro per riprendere fiato. Le aveva sorriso e l’aveva anche vista chinata per terra, con le scarpe totalmente inzuppate di thè bollente, mentre si scusava con tutti per il disastro. Lei era un disastro. In quel momento, con la testa poggiata al muro e gli occhi chiusi, maledicendo la sua disattenzione, sentì un profumo vicinissimo a lei. Ora iniziava anche a sognare quel profumo, la cosa si stava facendo grave, doveva smetterla e pensare al suo abito di nozze. Si decise a muoversi, cercando mentalmente un’altra caffetteria dove fare colazione dalla mattina successiva, ma neanche a farlo apposto urtò un’altra persona. Dentro di se maledisse quella mattinata, ma poi alzò lo sguardo per scusarsi e trovò di fronte a sé il pullover color vaniglia, coperto da un impermeabile nero, e poco sopra un mezzo sorriso. Era lo straniero. Sorrise imbarazzata, rendendosi solo ora conto di quanto fosse alto e di che fisico atletico e asciutto avesse. Non sapeva che dire, lui la inchiodava con lo sguardo senza proferire parola, non andava via, non parlare, rimaneva solo lì, con il suo mezzo sorriso a guardarla negli occhi. Julia per un momento pensò che fosse uscito solo perché lei era scappata via, ma subito si disse di smetterla di fare la bambina: doveva semplicemente andare via in quel momento. Ma allora perché non andava via davvero? Perché rimaneva lì a fissarla? Si fece coraggio:
“Scusi… mi dispiace”. Ancora silenzio, ancora quello sguardo così azzurro su di lei. Stava iniziando a sentirsi inadeguata, e voleva scappare. Ma allo stesso tempo era come se le avessero messo della colla sotto ai tacchi.
“Non c’è problema, Londra è una città così caotica. Cosa bevi?”. Si rivolse a lei come se fossero amici da lungo tempo, dandole del tu, parlando in inglese perfetto e dando una sorsata alla sua tazza da asporto.
“Cappuccino caldo con molta schiuma e del cacao”. Si sentiva così idiota: stava davanti ad uno sconosciuto, che parlava almeno due lingue perfettamente, bello come il sole, e gli stava elencando la sua fissa in fatto di colazione. Era forse un film!?
“Beh, gusti difficili, …” aspettava il suo nome, lo sapeva.
“… Julia”, disse lei e si aprì in un sorriso timido e impacciato. Lo sconosciuto le prese la mano e gliela baciò dolcemente, sussurrando “Piacere, Michael”. Lei ebbe un colpo al cuore e lo riconobbe: l’uomo che l’aveva fatta piangere in “Dodici anni schiavo” ed eccitare in “Shame”. Si sentì le ginocchia vacillare, però decise il low profile: non avrebbe fatto una figura da fan incallita. Avrebbe fatto finta di niente, sicuramente lui era stanco di donne che cadevano ai suoi piedi. Anche se era più facile a dirsi che a farsi!
“Mi scusi ancora, ora devo andare… sono in perenne ritardo!”. Cercò di scherzare e darsi un tono. Michael si scostò per farla passare con un sorriso e la guardò allontanarsi. Julia era al settimo cielo: sapeva il suo nome, poco importava che fosse un attore famoso, quello che la rendeva euforica era il fatto che le aveva rivolto la parola. Dopo qualche passò sentì la sua voce: “Ehi, domani stesso posto stessa ora?”
Le stava dando un appuntamento per caso? O la stava solo prendendo in giro? Poco importava: aveva già smesso di pensare ad una caffetteria alternativa. Si girò lievemente, fermandosi. Sorrise verso Michael, che era fermo lì ad aspettare una risposta e a guardarla con la testa leggermente piegata. “Fanno il cappuccino migliore della città” rispose solamente.
“Caldo, con molta schiuma e del cacao.” Aggiunse lui, ridendo di gusto. Era incredibilmente bello e affascinante. La lasciò andare, ma quella giornata fu molto difficile da vivere per Julia.

I giorni che seguirono furono concitati. Julia, per una serie di catastrofici eventi, fra i quali tenere a bada sua madre e la madre di Robert in spedizione londinese per il matrimonio, non riuscì a tornare alla caffetteria. Dopo quattro giorni in cui ci provava disperatamente, perse le speranze e decise di non pensarci più: Michael sicuramente non sarebbe più stato lì, magari non era stato lì neanche il giorno dopo il loro ultimo incontro. Questo la rendeva triste, anche se si sforzava di non sembrarlo, perché non voleva dare adito a sospetti, ma soprattutto perché si sentiva sempre più bambina alla prima cotta. Odiava non avere il controllo delle cose e delle situazioni, e non riusciva proprio a capire come si potesse essere così infantili da pensare di provare qualcosa per un uomo mai visto prima, con il quale c’erano stati un paio di sguardi e qualche battuta.
Un mercoledì mattina, complice la sveglia anticipata e un giorno di ferie, uscì di casa di buon’ora, in leggings e felpa, con le cuffie alle orecchie, pronta a farsi una corsetta al parco, per scaricare lo stress degli ultimi giorni. Prese a camminare e si ritrovò davanti la caffetteria. Appena svoltò l’angolo si disse che la forza dell’abitudine era dura a morire, ma sapeva benissimo che non era l’abitudine di fare quella strada tutti i giorni ad averla portata lì. Ma la speranza che lui ci fosse ancora. Si guardò attraverso una vetrina per essere sicura di non sembrare malata, pazza o clandestina e la figura che vide la soddisfò abbastanza: in realtà non era mai sicura di essere bella, però quella mattina decise che poteva andare. Salvo poi dirsi, subito dopo, di smetterla, che tanto non ci sarebbe stato e anche se ci fosse stato, non sarebbe stato importante.
Continuò a camminare, pensando che ormai avrebbe preso il suo cappuccino e poi sarebbe andata a correre. Entrò nel locale, ancora quasi deserto e non guardò neanche la sala, andando diretta verso il bancone. Ordinò il suo cappuccino, e rivolse lo sguardo all’iPod, scegliendo la canzone adatta al suo umore.
“Hai un concetto molto strano del domani” all’improvviso quella voce, alle sue spalle, che emanava gentilezza e scherno, che le fece aumentare i battiti cardiaci. Si girò con finta sorpresa: voleva che lui credesse che si era totalmente dimenticata di chi fosse, ma quella era una sfida troppo difficile. Non aveva fatto la barba per qualche giorno, e questo gli conferiva un’aria ancora più sexy, il che uccideva tutti i buoni propositi di Julia, compresi quelli di pensare al suo abito di nozze.
“Si, scusa… sono stata occupata, sai il lavoro. Poi mi sto per sposare, quindi…”. Lasciò cadere lì quell’affermazione, che era una difesa per se stessa, ma anche una prova per lui. Julia sperò di vedere il suo sguardo cambiare e rattristarsi, ma l’unica cosa che ottenne fu che Michael annuì sorridendo appena, senza dare adito a nessun dispiacere o delusione particolare. Julia si diede, ancora una volta, della cretina e tornò a voltarsi verso il bancone, sperando che il suo cappuccino arrivasse in fretta.
“E oggi niente lavoro?”
“Ma tu come…!?” lui la interruppe subito indicandole con la mano il suo abbigliamento: l’aveva sempre vista impeccabile in tailleur e tacchi ed oggi aveva dei leggings, una felpa enorme e delle scarpe da ginnastica. Anche un idiota avrebbe fatto due più due.
“Ah si, scusa… no oggi ho una giornata libera” sorrise lei, cercando di darsi un contegno. Era in palese imbarazzo, e non sapeva neanche perché. Continuava a girarsi verso il banco della caffetteria, con un piede poggiato che, su uno sgabello, dondolava continuamente, e l’iPod stretto nella mano. Lei non sapeva che Michael era attratto da lei come poche altre volte nella sua vita. Era stato ossessionato da lei per tutti i giorni seguenti, e aveva meditato di chiedere al gestore della caffetteria se per caso la conoscesse, preso dal panico di non rivederla. Poi quella mattina l’aveva vista entrare e aveva ringraziato il destino di averla di nuovo portata lì. Ora però che gli aveva detto che stava per sposarsi era deluso, anche se si stava chiedendo come mai lei avesse voluto mettere le mani avanti e dirgli una cosa molto personale e non richiesta. Qualcosa gli suggeriva che era un modo per chiarire le cose, per mettere i puntini sulle così dette i. Michael decise di infierire e giocare le sue carte.
“Ti siedi con me? Stavo per fare colazione” disse lui infine. Julia sentì il pavimento mancarle sotto i piedi, ma decise di scappare. Era senza dubbio più facile scappare.
“No, grazie. Devo andare a correre, e poi a scegliere l’abito con mia madre”. Buttò di nuovo lì il matrimonio, più per se stessa che per lui.
“Ah l’abito…capisco. Beh una colazione dura al massimo mezz’ora, non puoi concederti mezz’ora?” disse ancora Michael, deciso di convincerla.
“Beh mezz’ora…” lei finse di guardare l’orario al polso, anche se era già più che convinta. Poi sorrise e alzò gli occhi a guardarlo. “Signorina, il cappuccino lo prendo qui. Sono seduta al quel tavolo”. La ragazza sorrise e le disse che glielo avrebbe portato lei stessa.
Julia seguì Michael al tavolo. Quando furono arrivati lui scansò la sedia per farla sedere, come se fossero ad una cena elegante o ad un primo appuntamento. Julia rimase stupita da tanta galanteria, si sedette e sperò che nel cappuccino ci fosse dell’insetticida per uccidere tutte le farfalle che si stavano scatenando nel suo stomaco.
“Allora, tutte le mattine qui. Lavori qui vicino?”
“Si, il mio studio è a pochi passi da qui e questa caffetteria mi piace molto.”
“Studio? Cosa fai di preciso?”
“Sono un avvocato, specializzata in diritto internazionale”
“Wow, roba seria!”.
L’atmosfera era strana: sembrava che non ci fossero altro che loro, c’era una nuvola che li avvolgeva e che aveva eliminato tutte le persone presenti nel locale. Quella strana complicità che c’era quando si guardavano, quelle poche battute fatte e che volevano in realtà svelare molto di più. Lunghi silenzi e timidi sorrisi occupavano entrambi, e solo la cameriera riuscì ad entrare nella bolla magica, per portare a Julia il suo cappuccino. Insieme aveva portato dei biscotti al cioccolato, che avevano un aspetto talmente buono da far dimenticare a Julia tutti i buoni propositi fatti in vista del matrimonio.
Rimasero a parlare per altri due cappuccini e altrettante porzioni di biscotti. Parlano di tutto e di niente, risero moltissimo e scoprirono entrambi di essere a loro agio con l’altro: stranamente non si accorsero del temporale che si stava abbattendo su Londra, e neanche dell’orario che passava velocemente. Alle 10.30 Julia si riscosse dal suo sogno con il cellulare che squillava. Era sua madre, infuriata per il suo ritardo. Julia si alzò dal tavolo scusandosi e sperando che non si sentisse il trambusto della caffetteria.
“Mamma, si scusami tantissimo, non ho avuto neanche modo di avvertirti. Ma non posso venire. No, ascoltami… non è colpa mia, è che mi hanno chiamato da studio e sono dovuta correre. Si nel giorno di ferie, che posso farci!? Lo so che dovevamo vedere l’abito e che c’è anche la mamma di Robert, mamma, ma davvero non ce la faccio. Fa così: fate un giro voi e selezionate i più belli. Poi nei giorni prossimi ci organizziamo di nuovo ok? Dai, non essere arrabbiata… ma si che ci tengo a questo matrimonio, mamma. Su, ora devo andare”. Chiuse la comunicazione e insieme anche gli occhi: aveva mentito a sua madre. Aveva mentito su quello che avrebbe dovuto essere uno dei giorni più felici della sua vita. Non riuscì a sentirsi in colpa, quando aprendo di nuovo gli occhi, vide Michael che sorseggiava il suo thè e la aspettava.
“Scusami, problemi di lavoro…” disse, tornando al tavolo e sedendosi di nuovo. Michael si accorse che si era rabbuiata, ma non voleva essere invadente o scortese, così si fece bastare quella scusa e cercò di andare oltre. Stava per dire qualcosa, quando lei riprese fiato e gli disse, senza appello: “Ora però devo andare, la mia corsa mi attende e l’ho già tardata di tantissimo. Ci vediamo, ciao”. Si alzò di corsa, voleva scappare, non sapeva perché ma voleva stare da sola. Corse verso l’uscita, aprì la porta ed inspirò a larghi polmoni l’aria umida del temporale appena finito. Si sentiva sempre più stupida, una bambina che si stava rovinando la sua vita perfetta per uno straniero.
Prese la direzione del parco, quando sentì una mano sul braccio. Si girò di scatto, impaurita, e vide il sorriso di Michael.
“Ehi, come corri ragazzina!” esordì lui.
“Che ci fai qui? Ho dimenticato qualcosa per caso?” disse Julia, davvero convinta che fosse quello il motivo per il quale lui le era corso dietro.
“No, no… volevo farti una proposta, ma sei scappata troppo in fretta e ho deciso di venirti dietro per non dover aspettare chissà quanti giorni prima di rivederti”. Michael sembrava in imbarazzo, disse tutto d’un fiato sperando che lei non si arrabbiasse: in fin dei conti glielo aveva detto, chiaramente e più volte, che stava per sposarsi. Il silenzio di Julia lo convinse che non lo avrebbe preso a sberle, così continuò.
“La mia proposta era passare la giornata insieme, magari in un parco, anche se forse il tempo non è dei migliori.” Aggiunse, guardando il cielo.
Julia era a bocca aperta: non poteva più negare che ci fosse qualcosa, non sapeva cosa ma nessuno sconosciuto ti invita a prendere un caffè per poi inseguirti quando vai via con la proposta di passare la giornata insieme. Si può essere innocenti quanto si vuole, e Julia lo era parecchio, ma quella era una chiara proposta di un uomo interessato. Si sentì mancare il terreno sotto i piedi, e non perché non sapeva cosa rispondere, ma perché voleva con tutta se stessa dirgli di sì, ma sapeva che quel si avrebbe probabilmente aperto qualcosa di molto pericoloso. 

Ciao a tutti! Nuovo capitolo, nuove sorprese... spero che la storia continui a piacervi, ancora ci sono molte cose che dovranno succedere! :) Buona lettura a tutti, e aspetto sempre vostre recensioni! 
Hr

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Capitolo 5
*** Ice tea ***


Julia, in dieci minuti aveva deciso di mettersi nei guai e aveva sorriso a Michael dicendogli che era una bella proposta e sarebbe stata felice di accettare.
Andarono in un piccolo parco lì vicino, più un giardino che altro. Iniziarono a camminare e l’imbarazzo dell’inizio passava sempre più in fretta. Dopo un paio di ore sembravano conoscersi da una vita ed era completamente presi l’uno dall’altra.
“Mi sono laureata in Giurisprudenza ad Oxford, e poi ho fatto un master ad Harvard. L’America mi piaceva molto ma ho deciso di tornare qui perché sono inglese dentro. Gli americani sono così sguaiati, così poco british” disse con una punta di disgusto nella voce, tanto che Michael iniziò a scimmiottarla ridendo come un pazzo.
“Ah mi scusi signorina british, gli irlandesi le vanno bene o preferirebbe un londinese doc di origine britannica da 12 o 15 generazioni? Che so, un parente di Enrico VIII potrebbe essere di suo gusto?”
“Dai, non fare il cretino! Piuttosto, signor attore, perché non mi parli di te?!” finse di offendersi lei, anche se dentro se stessa sapeva che si stava divertendo più quel giorno che in sette anni con Robert. E per questo si sentiva in colpa, davvero, ma decise di non pensarci e continuare la sua passeggiata con Michael.
“Mmm… dunque vediamo, sono famoso per aver interpretato un film in cui si vedeva tutto di me e un altro in cui facevo lo schiavista. Nel mezzo ci sono stati i supereroi. Detta così la mia carriera è totalmente da buttare!”. Julia rise: quell’uomo era un vulcano di simpatia, autoironia e bellezza. Sarebbe rimasta a guardarlo per ore, a sentirlo per anni, comunicava ottimismo e ilarità.
“Detto ciò, sono irlandese, ma sono nato in Germania e… si va bene, le cose che trovi su Wikipedia insomma!”.
“Ah beh, ottima descrizione di te stesso, poi dici di me! Ora vediamo…”. Julia si fermò e prese dalla tasca della felpa il suo Blackberry. Aprì Google e digitò il nome di Michael, collegandosi alla pagina a lui dedicata su Wikipedia.
Julia analizzò parola per parola la biografia su internet, chiedendo conferma o smentita dei fatti direttamente a Michael, il quale dopo un primo tentativo di farla smettere in quel giochino, decise di arrendersi, mise le mani in tasca e accettò di rispondere, ridendo di come lei conduceva la folle intervista.
“Dai, non ci credo che per anni non hai recitato, nessuno ti filava, poi dopo la grande occasione di Shame hai deciso di farti un giro in moto per l’Europa, invece di cavalcare la cresta dell’onda!”
“Si, l’ho fatto. Ed è stato un gran bel viaggio! Dice niente del viaggio?”
“No, in effetti… ehi aspetta, non hai mai letto la tua pagina Wikipedia?” disse Julia incredula.
“Una volta, distrattamente… me l’ha fatta leggere la mia agente, convinta che ci fossero scritte delle cose assurde e false. Era tutto vero, quindi non me ne sono più preoccupato.”
“Ecco questo è un comportamento British, Fassbender. Bravo, inizi ad imparare!” sorrise lei, tornando a guardare lo schermo del Blackberry.
“Wow, quindi ho speranze che Miss… a proposito, non è giusto che tu sappia tutto di me ed io neanche il tuo cognome.”
Julia glielo disse distrattamente, ma sapeva che ogni frammento svelato era un modo per farlo entrare ancora di più nella sua vita. Sapeva che si stava mettendo nei guai, lo sapeva fin dall’inizio, ma chissà perché non riusciva ad imporsi a questa cosa.
“Ok, ho speranze che Miss Leighton accetti un mio invito a cena, una sera di queste?”
Julia alzò gli occhi a guardarlo, dimenticando lo smartphone, Wikipedia, e tutto quello che aveva intorno. La aveva invitata a cena. Non sapeva se era più nel panico o più felice. E scoprì poco dopo che il panico che sentiva dentro era solamente riferito a quale scusa dare a Robert, a sua madre e alla sua futura suocera. Scoprì che ormai non era più nei guai: ormai ci sguazzava dentro fino al collo.
“Un tuono, sta iniziando di nuovo a piovere…”. Cambiò discorso in fretta, e ringraziò quella città grigia e dall’aria piovosa. Tempo che decisero di muoversi, il temporale era tornato e li aveva colti sul fatto. Iniziarono a correre a perdifiato, fermandosi solamente sotto una galleria poco distante dal giardino. Erano zuppi. Ma ridevano come due bambini.
“Nelle mie scarpe c’è una colonia di pesciolini rossi!” si lamentò Julia, ancora ridendo. Non aveva dimenticato la proposta di Michael, non gli aveva risposto, ma ci pensava da quando lui aveva detto la parola cena. Decise di andare a casa, almeno ad asciugarsi, e Michael le chiese se poteva accompagnarla. Julia non avrebbe voluto, ma fece una rapida riflessione che la convinse ad accettare: sua madre e sua suocera non c’erano, e comunque nessuna delle due era sua ospite, non avevano le chiavi di casa quindi non avrebbero potuto entrare in casa senza che lei lo sapesse. Per quanto riguardava Robert, sicuramente era in ufficio e comunque era talmente ordinario che non avrebbe mai deciso di farle una sorpresa e farsi trovare in casa sua. Effettivamente, pensandoci, non le aveva mai fatto una sorpresa, di nessun genere.
Fecero la strada che li separava da casa di Julia piano, decisero di andare a piedi, nonostante la distanza e il meteo ballerino. Sicuramente prendere la metro sarebbe stato più veloce e semplice, ma li avrebbe separati prima e di comune e tacito accordo, decisero che non volevano essere separati. Camminarono piano, parlando meno, godendosi uno strano silenzio e guardandosi di tanto in tanto.
Arrivarono sotto al portone, in un palazzo di quattro piani in tipico stile inglese. Julia salì qualche gradino, sapendo di averlo alle spalle, poi si girò a guardarlo. Era di una bellezza imbarazzante, con i capelli ancora bagnati e il sorriso di un ragazzino alle prime cotte.
“Allora ciao… grazie per la giornata, sono stata molto bene.”
“Anche io… passo a prenderti per le 19 mercoledì, va bene?”
“Michael io…” si pentì subito ma doveva dare un taglio alla cosa: lei stava per sposarsi. Abbassò lo sguardo, e quando lo alzò di nuovo lo vide ancora lì, ancora sorridente, ancora bello e per niente disposto a lasciare perdere. Michael non disse una parola e Julia si perse nell’azzurro dei suoi occhi. Aveva passato davvero una splendida giornata, e sapeva che era solamente merito di quell’uomo precipitato nella sua vita in maniera così strana. Voleva essere leale nei confronti di Robert, ma voleva anche sentirsi ancora come si era sentita in quelle ore, quel giorno. Si disse che una cena non è niente, che anche due amici possono andare a cena, che in fin dei conti avrebbe potuto fermare la cosa più avanti, che non stava facendo niente di male, che non lo faceva per un tornaconto o per un motivo speciale. Si disse un sacco di cazzate, respirò a fondo e disse:
“… mercoledì non posso. Devo lavorare fino a tardi. Facciamo martedì? E’ un problema per te?”
Michael sorrise. Sapeva benissimo che Julia non aveva un problema organizzativo ma di tutt’altro genere, ma fu felice che lei avesse deciso così.
“Nessun problema, Miss Leighton. Anzi, sono felice di dover aspettare ventiquattro ore in meno per rivederti.” Detto ciò, le prese la mano, gliela sfiorò con le labbra e si allontanò guardandola negli occhi.
Julia rimase a guardarlo fino a che lui non svoltò l’angolo. Solo dopo si chiese: ed io, ora, che scusa invento!? 


Ci scopriamo poco a poco diceva qualcuno... come vi sembra questa coppia? A me piace molto e vi assicuro che il meglio deve ancora venire! Stay tuned! 
Hr

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Capitolo 6
*** Cioccolata calda ***


Il martedì Julia uscì dallo studio alle diciassette. Era rarissimo che uscisse così presto: inventò una visita medica e andò via. Quello era ufficialmente l’orario in cui finiva la giornata, anche se effettivamente non veniva mai rispettato, e questo non avrebbe comportato problemi né certificati medici da portare.
Volò a casa nel giro di mezz’ora. Mentre camminava pensò alla sua sfacciata ed immensa fortuna: sua madre e la mamma di Robert erano andate via da Londra. La domenica precedente, dopo quasi una settimana di missione matrimoniale, avevano deciso che era ora di tornare ognuna alle proprie case, lontano dalla capitale, visto che ancora la data non era certa e avrebbero potuto organizzarsi anche via telefono, prima di fare tutte le commissioni più in là. Per Julia fu un sollievo sentirselo dire, un po’ perché le due donne l’avevano martoriata ogni giorno su mille questioni che lei avrebbe voluto risolvere con un “Fate come vi pare”, un po’ perché questo le consentiva di avere due persone in meno da gestire la sera della sua cena con Michael.
Stava cercando una giusta scusa per Robert, quando, il lunedì sera precedente lui entrò in salotto scontroso e rabbuiato.
“Che hai?”
“Finalmente Madrid ci ha concesso un incontro, ti avevo accennato un paio di giorni fa. Io speravo di fare una banale call conference dall’ufficio, invece il capo insiste per andare personalmente. Così domani ho un volo per Madrid”.
Julia non poteva credere alle sue orecchie: il destino le stava dando una mano o aveva deciso di buttarla ancora più in pasto ai leoni? Doveva sapere i dettagli, ma senza insospettire Robert.
“Ah, mannaggia. A che ora parti?”. Cercò di essere il più vaga possibile.
“Ho il volo alle 11. Ma la riunione è alle 17, quindi dubito fortemente di riuscire a tornare per un’ora decente a Londra, tesoro”. Sembrava triste e sinceramente dispiaciuto, ma Julia non capiva il motivo, visto che di viaggi di lavoro ce ne erano in abbondanza durante l’anno. Cercò di pensare al giorno successivo: forse era una ricorrenza importante e la stava dimenticando? Decise di essere prudente.
“Non ti preoccupare, Rob… capita di dover andare via. Io ti aspetto e magari nel weekend andiamo a teatro, che ne dici?”. Fu il più dolce e delicata possibile e sperò che nessuna bomba si abbattesse su di lei.
“Che bella idea, d’accordo. Mi dispiace molto lasciarti sola, volevo passare del tempo con te. Che poi conoscendo i clienti di Madrid è altamente probabile che alla fine torneremo direttamente mercoledì mattina.”
“Nessun problema, davvero. Prendo dei biglietti per l’Opera allora?”
“No, amore, ci penso io. Almeno questo direi che te lo meriti” le rispose dolcemente, chinandosi a darle un bacio. Robert era di nuovo sorridente e tranquillo, segno che Julia non aveva dimenticato niente e aveva colto nel segno con l’idea del teatro.
Julia si sentì molto in colpa, ricevendo quel bacio così complice e abitudinario, ma davvero eccitata all’idea di avere tutta Londra per se, la sera dopo.
Così quel martedì pomeriggio, mentre entrava in casa, felice ed euforica ripensò a quella conversazione e davvero non riuscì a credere alla sua fortuna: Londra era libera da intralci, e lei poteva godersela con Michael. Sperava di non incontrare amici, colleghi suoi o di Robert, ma decise di non pensarci e lasciarsi totalmente andare a quella sensazione meravigliosa di essere di nuovo adolescente.
Per la serata optò per un abito corto al ginocchio, che si stringeva sulla vita e lasciava la gonna a pieghe molto morbida sulle gambe. Era di un rosa cipria tenue, che le donava particolarmente. Ci abbinò delle scarpe spuntate nere lucide e una pochette uguale. Infine mise uno spolverino nero e una pashmina dello stesso colore del vestito. Fece dei grandi boccoli sui capelli e lasciò che le cadessero sulle spalle, e non mise gioielli. Un po’ perché credeva che la appesantissero, un po’ perché i più belli che aveva le erano stati donati da Robert, e non le sembrava il caso. Mise solamente l’anello che la sua nonna le aveva lasciato quando era morta, anni prima: nell’infilarselo pensò che sua quella donna così d’altri tempi e moderna, a dispetto dell’epoca in cui era nata, le sarebbe stata accanto e l’avrebbe incoraggiata a lanciarsi a trecentoventi all’ora in quell’appuntamento. Sua nonna era così diversa dalla rigidità di sua madre e quando Julia l’aveva persa, aveva pensato di essere rimasta davvero sola. Pensò a lei, guardando lo splendido anello al dito e poi sorrise, sperando che la nonna la aiutasse davvero. Sapeva che ovunque lei fosse, se la stava ridendo alla grande!
Michael le citofonò puntuale alle 19. Si sentiva davvero bene, euforica, come una quindicenne al primo appuntamento, e questa cosa la spaventò ed eccitò: non si sentiva così da anni. Diede un’ultima occhiata allo specchio e si convinse di essere molto bella. Lo sguardo che le rimandò Michael non appena la vide la convinse definitivamente.
Julia lo salutò con un ampio sorriso, non credendo a quanto fosse attraente lui quella sera: aveva un completo con giacca nero e la camicia bianca leggermente sbottonata. Un impermeabile grigio topo completava la sua figura, che davvero le toglieva il fiato.
“Miss Leighton, che onore! Andiamo?” nel dire ciò le porse il braccio e la accompagnò fino alla sua auto parcheggiata poco distante. Le aprì la portiera e aspettò che lei prendesse posto sul sedile prima di chiuderla e andare al posto di guida.
“Dove andiamo?” chiese lei, come una bambina.
“E’ una sorpresa. Spero che tu abbia fame.”
“Sto morendo…” e rise di gusto. Sua madre le aveva insegnato che non sta bene rispondere così ad un uomo che ti invita ad uscire, ma lei con Michael si sentiva se stessa e le piaceva.
Poco dopo arrivarono vicino al Tamigi. Michael le offrì nuovamente il braccio e lei vi intrecciò la sua mano con molto piacere. Era una serata mite, nonostante fosse ottobre inoltrato, e Londra era bellissima. Arrivarono ad un imbarco sul fiume e lì Julia iniziò a capire qualcosa. Michael scambiò un paio di parole con un maitre e poi si rivolse a lei:
“Prego, prima le signore.” Le fece un ampio gesto con il braccio, per farla passare e si accodò a lei. La sua galanteria le faceva venire i brividi: Robert anche aveva gesti carini, ma erano dettati dalla quotidianità e dalle buone maniera. Michael invece lo faceva in maniera strana, totalmente avulsa dall’educazione impartita, quasi come se volesse solo essere perfetto per lei.
Salirono a bordo di uno yacht illuminato, dove non c’era nessuno se non uomini in livrea che sorridevano composti.
“Spero che gli altri arrivino presto, perché ora ho davvero fame” disse fra se e se Julia. Ma mentre pensava questa cosa sentì lo yacht muoversi e girandosi verso la passerella di entrata vide che si stavano staccando dalla banchina. Michael aveva prenotato tutto lo yacht per lei, per loro. Si sentì ancora una volta tremare il terreno sotto ai piedi: le succedeva sempre più spesso quando era con lui. Era un gesto bellissimo, e nessuno aveva mai pensato una cosa così romantica per lei. Questo toglieva ogni dubbio alle intenzioni della serata, ma onestamente se mai un dubbio c’era stato, era stato solo frutto della mente di Julia, che voleva difendersi e dirsi che era una cena fra amici. Ma due amici vanno a mangiare un hamburger in qualsiasi pub, non su uno yacht su Tamigi completamente da soli. Ormai era chiaro. Si sentì in colpa, ma poi lo vide andare verso di lei e tutto le passò di mente: era più forte di lei, voleva viversi quella cosa, qualsiasi cosa si sarebbe rivelata in futuro.
“Io spero che tu non soffra il mal di mare…”
“No, non soffro il mal di mare e sono davvero a bocca aperta per tutto questo. E’ magnifico.” Disse con un fil di voce, era davvero grata ed emozionata.
Il maitre li fece accomodare e iniziò con le portate. Michael aveva scelto una cena a base di cucina italiana, i piatti tipici del Bel Paese erano la sua passione e aveva deciso di condividerla con Julia, sperando che lei apprezzasse. Ma doveva rischiare: sapeva così poco di lei.
Gustarono antipasti vari, spaghetti al nero di seppia e risotto ai frutti di mare. Per secondo una filetto di spigola al sale e qualche gambero fritto. Infine un tiramisù buonissimo che chiudeva in bellezza una cena davvero squisita. Julia non aveva mai mangiato cibi italiani così buoni, anche se il suo sogno era fare un viaggio in Italia.
“Tutto davvero buonissimo, Michael.”
“Sono felice… l’Italia e la sua cucina mi è rimasta nel cuore.”
“Ah il famoso viaggio di cui Wikipedia non dice niente… capisco. Anche a me piacerebbe andare in Italia.” Rivolse lo sguardo al fiume, pensando a quante volte l’aveva proposto a Robert, il quale aveva sempre declinato l’idea con garbo e fermezza.
“Potremmo andarci insieme…” Michael buttò lì la provocazione e le sfiorò la mano attraverso il tavolo. Julia chiuse gli occhi ma non ritrasse la mano. Voleva ricordargli che doveva sposarsi, che non era lì per secondi fini, che in Italia avrebbe dovuto andarci con suo marito, tutt’al più con un’amica o sua madre, ma decisamente non con lui. Ma poi pensò che stava ancora raccontando frottole: non aveva neanche un anello di fidanzamento.
Michael capì qualcosa, se non tutto, e decise di lasciar cadere il discorso e tornare ad essere leggero. La invitò a ballare, sulle note dell’orchestrina che suonava da vivo delle musiche molto piacevoli.
Julia si lasciò guidare fino al centro del ponte coperto, poco distante dal loro tavolo, lì dove eccezionalmente non c’erano altri tavoli ad accogliere altre persone. Quando Michael le posò la mano sulla schiena sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale e capì di aver perso la battaglia. Allontanò ogni remora e definitivamente capì quanto quell’uomo le interessava, le prendeva l’anima. Ballarono in silenzio per un tempo che sembrò infinito, vicinissimi e stretti l’uno all’altra. Sembravano una coppia perfetta e collaudata, erano in realtà poco più che amanti incompleti.
“E’ una serata magnifica, non trovo le parole per dirti grazie.”
“Non devi ringraziarmi… pagherai profumatamente questa serata.”
Julia rise e mentalmente fu felice che Michael avesse alleggerito l’aria. Decise di stare al gioco, e lasciarsi alle spalle i discorsi difficili.
“Ah si!? La galanteria dove è andata a finire? Vorrà dire che prossimamente organizzerò io una sorpresa.” senza rendersi conto aveva aperto la possibilità di un nuovo appuntamento, e l’aveva fatto istintivamente e candidamente. Michael ne fu felice e sorpreso: era convinto che lei stesse per dirgli che non avrebbero più dovuto vedersi, ed invece eccola sorprenderlo. Che meravigliosa donna, pensò.
“Se la metti così… dimmi luogo ed ora e ci sarò. Dubito che tu riesca a superare tutto questo però.” Fece un gesto plateale con la mano, ad indicare la maestosità di ciò che stavano vivendo. Julia sapeva che aveva ragione.
“Aspetta a vedrai, Fassbender.”
Si diressero verso la balaustra del ponte per ammirare Londra dietro di loro. Julia si strinse nel suo soprabito, il vento iniziava ad essere freddo. Michael istintivamente le cinse le spalle per darle calore, e forse non solo per quello. Julia provò a ritrarsi, ma la sua stretta era così calda che rimase lì a godersi quel tepore.
“Voglio bene al mio fidanzato, ma non riesco più ad emozionarmi con lui.” Michael fu sorpreso da quella frase, detta dopo un silenzio durato parecchi minuti. Capì che Julia voleva dirlo a se stessa e la assecondò.
“State insieme da molto?”
“Sette anni… sette lunghi, insormontabili, pesanti anni. All’inizio era facile: lui è un brav’uomo, gentile, buono, un buon partito, i miei erano felici e lui era, è, sinceramente innamorato di me. Credo di essermi convinta, dopo una prima infatuazione, che lui fosse la scelta giusta. Non dovrei dire queste cose, non dovrei dirle ad uno sconosciuto che prenota uno yacht solo per me. Sono una persona orrenda…”. Julia si divincolò dalla stretta e fece qualche passo per allontanarsi, finendo per poggiarsi alla balaustra più in là, dando la schiena a Michael.
Lui di contro non sapeva cosa dire. Era convinto che non ci fosse grande stabilità nel rapporto di Julia con il suo fidanzato, perché ovviamente aveva sempre accettato i suoi inviti, ma non voleva approfittarsi della situazione. Julia gli piaceva davvero e voleva qualcosa di reale con lei. Fece qualche passo per raggiungerla, e le cinse la vita da dietro, lasciando che lei si sentisse avvolta dalle sue braccia.
“Vuoi andare a casa?”. Le disse solamente. Non era lui che doveva convincerla di quale fosse la verità.
Julia ci pensò un attimo ed istintivamente rispose: “No.” Quella risposta diceva tutto. Girò la testa quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi e trovò il bellissimo sorriso di Michael ad accogliere il suo sguardo. Quell’uomo le creava un terremoto interiore ogni volta che lo guardava. Niente a che vedere con il senso di rassicurazione che le dava Robert: con Michael si sentiva viva, in alto mare, emozionata e in perenne avventura.
Verso le ventitre approdarono di nuovo sulla terraferma. Michael la guidò verso la macchina e la riportò a casa. Il tragitto fu poco silenzioso: trovavano sempre qualcosa di cui parlare, e ridere. Era una sintonia perfetta.
Appena arrivati sotto casa di Julia, Michael scese per accompagnarla al portone e lì rimasero esattamente come qualche giorno prima: lei vicino alla porta, lui qualche gradino più in basso. La voglia di baciarla era moltissima, anche di andare oltre, ma Michael decise che forse per quella sera bastava così: Julia non era libera e lui doveva comunque rispettare questa situazione. Non voleva precipitare le cose e rischiare di rovinare tutto. Le accarezzò la guancia e le disse: “Grazie per la bellissima serata.”
Julia apprezzò il suo non tentativo di baciarla. Già quando erano sul ponte dello yacht era preoccupata di quel gesto, anche se sapeva che avrebbe risposto e sapeva anche che lo voleva da morire. Però era grata a Michael per aver capito.
“Stessa caffetteria, stesso orario?”. Chiese quasi disperata all’idea di non rivederlo. Michael annuì solamente, Julia sorrise e lo salutò. Aspettò che lei entrasse in casa prima di sospirare e andare via. 
 

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Capitolo 7
*** Latte freddo e cannella ***


I giorni che seguirono Julia li passò sulle nuvole. Il lavoro era tanto e doveva forzarsi per portarlo avanti, mentalmente presa dal pensiero di Michael e allo stesso tempo dal senso di colpa. Robert sarebbe tornato a Londra solamente il giovedì in serata, a causa di problemi a Madrid che avevano richiesto un prolungamento del soggiorno. Questo consentì a Julia di elaborare la situazione senza troppo stress e farla arrivare alla conclusione che ormai era in gioco e doveva giocare. Voleva giocare.
Non sentì ne vide Michael per un paio di giorni, perché una causa stava diventando complicata e non aveva avuto modo di tornare alla caffetteria. Sperò che lui la aspettasse comunque: se non li non avrebbe saputo come trovarlo e non voleva fargli credere che aveva deciso di non rivederlo.
Solo il venerdì mattina entrò nella caffetteria, e con grande sollievo lo trovò lì.
“Insomma, ormai sappiamo che la puntualità non è il tuo forte: sono tre giorni che ti aspetto!”. Sembrava divertito, ma in realtà aveva avuto più di qualche timore e stava quasi decidendo di andare a casa sua.
Julia cadde su una poltrona, stanca, e gli rispose: “Fassbender, dimmi come si fa l’attrice visto che hai tutto questo tempo libero!”
“Devi fingere, sorridere ed essere bella. Su due di queste qualità non ho dubbi, sulla terza possiamo lavorarci ma non so…”. Era chiaro che aveva dato per scontata la sua bellezza e Julia lo intuì, ma non lo disse a chiara voce. Era un gioco delicato e incredibile il loro. Continuarono a parlare per un po’, poi Julia dovette scappare a lavoro. Lo salutò con un veloce bacio sulla guancia, gesto che fece senza neanche accorgersi di averlo fatto, e si girò per andare via. Una volta fuori lo salutò di nuovo ridendo: Michael avrebbe voluto seguirla e portarla a casa sua.
Quel periodo si videro spesso. Julia inventava sempre scuse con Robert per poter fuggire e si vedevano sempre in luoghi affollati, che avrebbero dato poco adito a chiacchiere. La caffetteria era quasi sempre il loro punto di partenza, e molto spesso rimanevano solamente lì a parlare. Parlavano tantissimo, si raccontavano tutto, si scambiavano opinioni e finivano per ridere su cose stupide. Julia si sentiva bene: con Robert non c’era mai stato un tale rapporto. Lui odiava scambiare chiacchiere inutili, il più delle volte parlare serviva solo a decidere e non capiva l’utilità di sedersi e parlare per ore. A Julia questa cosa aveva sempre pesato, ma si era lasciata convincere che fosse lei quella sbagliata.
Dopo un po’ di tempo, Julia propose di ricambiare la sorpresa che le aveva fatto Michael tempo prima, per il loro primo vero appuntamento e gli disse di farsi trovare pronto, lì alla loro caffetteria, quel venerdì alle 12.
Il venerdì mattina era tutto pronto. Julia andò a lavoro felice. Fortunatamente Londra si era svegliata con un immenso sole e lei si sentiva radiosa e pimpante.
Lavorò le sue solite quattro ore, ma sembravano non passare mai, e finiva sempre per guardare l’orologio come una liceale all’ultima ora di matematica. Non era stata così distratta neanche quando era liceale davvero, e forse per quello che ora aveva deciso di lanciarsi: nella sua vita era sempre stata brava. Una brava figlia, una brava studentessa, una brava amica, una brava fidanzata. Mai una riga fuori posto, mai una punizione, mai una delusione a genitori o amici. Semplicemente faceva la cosa giusta al momento giusto, sempre e non aveva mai cercato di ribellarsi. Questa volta le era capitata una cosa straordinaria nella vita, e aveva deciso che era ora di riprendersi quella dose di follia che non aveva vissuto a quindici anni. Era assurdo, a pensarci, ma sentiva di non poter più essere brava in tutto, voleva solamente essere felice e sentirsi bene. Sorridere mentre lavorava, senza un perché, non le capitava da molto tempo.
Alle 12 esatte uscì dallo studio e si avviò verso la caffetteria, che quel giorno era stranamente semi deserta. Si affacciò dalla vetrata e lo vide: era seduto al suo solito tavolino, quello che aveva ospitato anche lei nel loro primo incontro vero. Stava leggendo, come sempre, quel libro rilegato male, sembrava concentrato, ma guardava spesso l’orologio. Julia rise e si sentì al settimo cielo: era chiaro che Michael aveva notato il suo ritardo.
Entrò e gli andò incontro: “Ciao, straniero.”
“Ciao, straniera.” Sorrise lui, e quel sorriso fu la conferma che poteva andare tutto al diavolo.
“Anche se sei in ritardo, questo è per te.” Le porse un bicchiere, dove c’era, ovviamente, un cappuccino caldo con molta schiuma e del cacao. Si era ricordato la sua bevanda mattutina preferita.
“Ok, ho imparato che la tua è una memoria di ferro. Complimenti.” Lo schernì lei.
“Ricordo solo quello che davvero mi interessa.” Rispose lui ad un tono di voce leggermente suadente. Lo disse alzandosi e poggiandole una mano sul braccio, dolcemente ed in modo da avvicinarsi con il viso a quello di Julia. Lei rimase in attesa di un gesto che non arrivò, perché subito dopo lui cambiò tono e chiese dove sarebbero andati. Questa sua caratteristica di lanciare il sasso e tirare indietro la mano, di fare una mossa e poi fare come se niente fosse, la faceva impazzire, in tutti i sensi possibili.
“E’ una sorpresa… dovrai fidarti di me!”
Julia lo portò in giro per la città in maniera anticonvenzionale. Il primo posto che veniva in mente sarebbe stata la prossima meta, senza orari, senza cartine né decisioni preventive. Unica regola: comprare almeno una cosa in qualsiasi meta. Che fosse un cappello, una calamita, un bicchiere non importava: dovevano prendere almeno una cosa.
Così si ritrovarono a Westminster, dove visitarono l’Abbazia, non senza ridere come due bambini e comprarono una bruttissima calamita per turisti. Risero così tanto che la signorina dello shop se la prese quasi, fino a quando Michael non le spiegò che Julia aveva una malattia gravissima e stava vivendo gli ultimi giorni di vita. La signorina parve crederci e sorrise compiacente, quasi sentendosi in colpa per essersi risentita poco prima. Julia era strabiliata di come in un secondo Michael avesse cambiato non solo espressione, ma atteggiamento per dare credito alla sua storiella di quarta categoria. Quando uscirono lo prese a pugni urlandogli contro che lei sarebbe vissuta più di tutta Londra messa insieme. Lui la prese per la vita sollevandola quasi da terra e le fece fare una piroetta, cosa che incrementò ancora le risa. Quando Julia si girò vide la signorina dello shop guardarli con un’espressione commossa: pensò che davvero Michael era un attore fenomenale.
La seconda tappa fu Portobello Road, dove il mercato era animato ma mai come nelle mattine presto. Girarono a vuoto per mezz’ora, poi Michael trovò un cappello con delle penne di aquila sopra, color albicocca, di una bruttezza senza precedenti e decise di prenderlo a Julia. Lei era intenta a guardare una collana e si sentì mettere qualcosa in testa da qualcuno che era alle sue spalle. Lo toccò e sentì le piume: “Sono diventata una delle famiglia reale senza accorgermene?”
“Si ma non l’hai visto bene…” la schernì lui. Chiese al venditore se poteva prendere in prestito uno specchio lì poggiato e glielo mise davanti. Julia per poco urlò e chiese pietà: “Non voglio andare in giro per tutta Londra così, ti prego!”
“Un patto è un patto, signorina odio gli americani perché non sono british!”
“Ma io avevo detto che avremmo dovuto comprare delle cose, non comprarle e indossarle”
“Ok, questa è una nuova regola, l’ho messa io e l’ho messa ora”
“Ti odio…” concluse lei, dandosi un tono e iniziando a camminare.
Per le quindici, affamati e con i crampi allo stomaco per le tante risate si trovarono all’ultima tappa, leggermente pilotata da Julia: St Jame’s Park. Julia aveva preparato un pic nic, lasciando tutte le leccornie in un apposito frigorifero portatile nella sua macchina, parcheggiata quella macchina prestissimo proprio davanti l’entrata del parco.
Lo prese, mandando avanti Michael a cercare una fantomatica cosa da comprare, anche se lui continuava a dirle che in un parco non c’era proprio niente da comprare.
Poco dopo lui si fermò, lei gli andò alle spalle e gli chiuse gli occhi con le mani. Avvicinandosi al suo orecchio il più possibile, data la sua statura, gli disse: “Meta raggiunta. Non è minimamente bellissimo come la tua serata, ma mi sono impegnata parecchio, quindi fa finta che tu sia estasiato. Tieni gli occhi chiusi fino a che non ti dirò di aprirli.” Lui sorrise e non rispose nulla, aspettando la prossima mossa di Julia, che fu quella di sistemare una deliziosa tovaglia a quadratoni rossi su una collinetta con la vista del laghetto e sistemare tutte le scatoline contenenti le leccornie da lei preparate. In quei giorni aveva cucinato quasi tutte le sere per rendere la sua idea perfetta. Al telefono con Robert diceva che aveva fretta perché doveva lavorare, poi fuggiva in cucina e si metteva all’opera fino a tardi. Sistemata l’ultima scatola, disse a Michael di aprire gli occhi…
Rostbeef di manzo, patate arrosto, tartine al salmone con erba cipollina, mini hamburger di carne e di tonno con salsa tartara, e mille altre delizie lo aspettavano sul prato, insieme a Julia, che si era seduta su un telo accanto e stava per aprire una bottiglia di champagne. Michael era senza parole: come poteva una sola donna arrivare ad essere tanto? Si sedette a fianco a lei, e le mise un braccio intorno alle spalle, affondando il suo viso fra i capelli di lei. La ringraziò e le disse che effettivamente a conti fatti la sua sorpresa era più bella. Julia non era così sicura, ma averlo così vicino le provocava emozioni e sensazioni che mettevano in secondo piano la bellezza delle cose esterne.
Per qualche momento rimasero così, stretti l’uno all’altra in silenzio. Poi Julia prese dei flute e la bottiglia, chiedendo a Michael di aprirla. Versarono lo champagne e Julia fece un brindisi: “Al nostro incontro… sperando che di giornate come questa ce ne siano molte altre ancora.” Lo disse con un fil di voce: era un’ammissione in piena regola, questa, ed entrambi lo sapevano. Dopo un sorso di champagne, Julia, senza farlo apposta si passò la lingua sulle labbra come per asciugarle. Michael dovette distogliere lo sguardo da lei per non cedere alla voglia di baciarla.
Iniziarono a mangiare e risultò tutto buonissimo. Michael la prese in giro dicendo che non era possibile che avesse cucinato tutto da sola, perché solo sua madre cucinava così bene. Julia parve offendersi e gli fece la linguaccia, mentre continuava a sorseggiare champagne e sperava che l’orologio si fermasse: quella sera doveva andare a cena fuori con Robert, maledette le sue idee stupide. La verità era che ultimamente era euforica e felice e Robert stava iniziando a chiedersi perché. Credeva fosse per via del matrimonio, ma non ne parlavano quasi mai, quindi era strana tutta questa sua eccitazione per una cosa decisa, ma poi accantonata lì in un angolo. Così Julia decise di fare una mossa per prendersi tregua: portando avanti scuse di lavoro, gli disse che voleva discutere con lui i dettagli e decidere la data definitiva, anche se avevano deciso di sposarsi in primavera nella cittadina del Nord dove i genitori di lui avevano una bellissima tenuta. Robert felice aveva accettato e si era tranquillizzato subito: ci voleva poco a fugare i sospetti e le paure di Robert e Julia lo sapeva. Giocava molto sporco proprio per quello.
Questo faceva si che massimo alle diciotto avrebbe dovuto essere a casa, ma non voleva dirlo a Michael: come fai a dire ad un uomo per il quale hai organizzato un meraviglioso pic nic e al quale piaci da morire “Scusa, sai io stasera vado a cena con il mio fidanzato ufficiale, quindi leviamo le tende che è tardi!?”. Sospirò e decise di non pensarci.
Dopo aver mangiato si stesero sull’erba a contemplare il cielo. L’aria era meravigliosa ma decisamente più fresca ora: l’inverno stava inesorabilmente arrivando. Julia si strinse nel cappottino che aveva indosso, e come la sera sul battello, Michael le offrì le sue braccia per scaldarla. Solo che questa volta i loro visi si scontrarono. Rimasero a guardarsi per un tempo infinito, poi Michael non ce la fece più e si avvicinò a baciarla. Fu un bacio tenero, le sfiorò le labbra appena, lasciandola quasi insoddisfatta ma elettrizzata. Poi girò la testa e lei rimase lì a guardarlo: perché aveva fatto così? Perché non l’aveva baciata davvero, perché ora era girato come se gli desse fastidio la sua presenza? Michael si divincolò dall’abbraccio e si tirò su a sedere. Poi parlò.
“Devi lasciarlo.” Julia non poteva credere alle sue orecchie. Lasciarlo? Il soggetto era fin troppo chiaro.
“Cosa?”
“Ho detto che devi lasciarlo, devi scegliere, devi decidere in qualche scarpa stare.” Sembrava irritato e alterato.
“Michael stai scherzando? Non posso lasciarlo. Fra pochi mesi lo sposo!”
“E allora cosa ci fai qui con me? Dimmi perché tutto questo e l’altra sera e la volta ancora prima al parco, e tutte le nostre chiacchiere nella caffetteria. Dimmelo!” ora stava quasi gridando.
“Non lo so! Perché mi piaci, perché sto bene, perché, perché… tu non puoi chiedermi una cosa del genere. Io neanche ti conosco!”
“Ah ora non mi conosci. Bella questa… è un mese che non facciamo altro che uscire, vederci, sfiorarci, parlare e ridere. Ho passato più tempo con te che con me stesso in questo mese e non mi pare di aver mai sentito la parola amicizia fra noi.”
Michael era arrabbiato e Julia sapeva che aveva ragione: aveva giocato troppo sporco, forse. Avrebbe dovuto mantenere le distanze o almeno non lamentarsi ora. Era palese che non aveva mai posto un freno alla situazione, mai un no, mai un gesto che potesse fermare un po’ le cose. Dopo essersi conosciuti e aver passeggiato al parco, aveva accettato un invito a cena, e aveva passato le due settimane successive a correre in caffetteria per vederlo, fino ad arrivare ad organizzare quel pic nic. Aveva lasciato che lui guidasse la situazione, si era fatta sfiorare e toccare ed ora questo tocco faceva male come il fuoco, ma non poteva recriminare nulla a Michael. Si sentì persa e cercò una frase adatta.
“Michael io non posso lasciarlo.” Ripetè solamente con un fil di voce. Lui respirò pesantemente e le prese il viso costringendola a guardarlo: “Non puoi o non vuoi lasciarlo? Perché c’è differenza, e quella differenza è esattamente la direzione dove andremo io e te.”
Julia si divincolò dalle mani di lui e si alzò: aveva bisogno di mettere una distanza fisica fra loro. Dall’alto aprì le braccia e alterata gli disse tutto quello che pensava. Quello che pensava davvero. O forse quello che credeva di pensare.
“Ma cosa vuoi da me? Ti vedo in una caffetteria, inizi a flirtare, io te l’ho detto da subito che dovevo sposarmi, non ti ho mentito, non ti ho nascosto nulla. Per essere amici non serve un contratto scritto, hai capito? Non c’è bisogno che io ti dica Ehi, ciao, vuoi essere mio amico, però niente di più sai!”. Disse quell’ultima frase con enfasi e calcando il tono, quasi in maniera volgare. Era paonazza ma non smise di parlare alla velocità della luce. “Tu ti sei fatto un film tutto tuo ed ora vieni da me a dirmi che devo lasciare il mio fidanzato, ti pare normale? Io e Robert stiamo insieme da sette anni, ci amiamo, dobbiamo sposarci, le nostre famiglie si vogliono bene, tu chi sei?! Cosa vuoi?”. Stava quasi piangendo e Michael voleva alzarsi e prenderla fra le braccia. Le faceva male vederla così, ma non era disposto a fare l’amante e poi ad essere scaricato un giorno. Non era disposto a continuare quella storia per poi vederle la fede al dito. La fede di un altro uomo.
Le disse solamente: “Vedi qual è il problema, Julia: tu hai detto dobbiamo sposarci. Nessuno deve niente in questa vita, renditene conto. E renditi conto anche che ti piaccio e che con me stai bene e che se davvero volessi sposare quel Robert, il cui nome tra l’altro mi era ignoto fino ad ora, non saresti qui con me, né ora né nel mese precedente.” Julia sapeva che aveva ragione, ma la verità era dura, così lo guardò sprezzante e lo lasciò lì, con le tovaglie a terra, i cestini e tutto il resto. Michael non la fermò, sarebbe stato inutile. Spero solo di non averla persa. 

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Capitolo 8
*** Caffè forte non zuccherato ***


Julia era turbata dalla litigata che aveva avuto con Michael, e aveva perso la sua euforia. Per fortuna Robert era così preso dalle bomboniere da non accorgersi di nulla. Era passata una settimana, non l’aveva più sentito e si era rifiutata di andare alla caffetteria per paura di rivederlo. Sapeva benissimo che le cose ormai erano andate così, e che avrebbe dovuto accantonare quell’uomo. Forse era la cosa giusta da fare e doveva solamente concentrarsi sul matrimonio: la scelta migliore, per la sua vita.

Era sabato pomeriggio, e Robert l’aveva trascinata in giro per negozi. Dovevano scegliere finalmente le bomboniere, ordinarle, prendere accordi con qualche catering per provarli e decidere la lista degli invitati e le partecipazioni da spedire. Era un mucchio di roba da fare, loro lavoravano tutta la settimana e il tempo scarseggiava se si contava che erano a Novembre inoltrato e volevano sposarsi a Marzo. Julia spazientita da tutta quella folle macchina dell’organizzazione, la settimana precedente aveva tentato di dire che si poteva benissimo rimandare di qualche settimana, portando il matrimonio ad Aprile, non sarebbe successo niente in fin dei conti. Forse lo disse con troppa enfasi, perché sia Robert, sia le mamme, tornate a Londra per sfinirla, la guardarono perplesse. Julia respirò e chiese scusa, dicendo che era molto stanca e sarebbe andata a letto, ma che loro potevano rimanere nel suo salotto a parlare.

Quella sera si chiuse dentro la stanza chiudendo gli occhi e sentì le lacrime scenderle sulle guance. Perché era stata così stupida? Iniziò a pensare che Michael avesse ragione sul suo matrimonio, in fin dei conti quale donna davvero innamorata si sente soffocare a decidere bomboniere e partecipazioni? Non lo sapeva più. Non sapeva più niente, voleva solo piangere. Si accasciò su se stessa, con le spalle alla porta e affondò il viso fra le braccia, soffocando i singhiozzi per non farsi sentire. Sentiva un’aria pesante attorno a se: tutti erano eccitati e felici e a lei non importava un fico secco né della tazzina di argento con le iniziali, né tantomeno del filetto in crosta. Lei voleva tornare a mangiare italiano con Michael, a comprare cose improponibili, a ridere. Ridere davvero. Dopo un po’ sentì di aver finito le lacrime e decise di mettersi a letto. Nel salotto le discussioni continuavano: era felice che nessuno fosse andato a disturbarla in realtà, ma si sentiva anche un po’ abbandonata. Almeno sua madre, dopo la sua scenata, poteva andare a vedere come stava, cosa avesse. Invece avevano tutti liquidato con un “E’ stanca, tutte le spose reagiscono così” e avevano continuato a discutere di cose inutili. Tutto ciò le dava l’impressione che a nessuno interessasse davvero come si sentiva e cosa voleva lei: aspettavano che lei dicesse si al matrimonio da almeno quattro anni ed ora sembravano volerlo portare avanti con le unghie e con i denti. A qualsiasi costo. Si sentì ancora più giù e andò a cercare un fazzolettino per asciugarsi il viso. Non lo trovava e iniziò a guardare dentro ogni borsa. Mentre cercava, la sua mano incappò in qualcosa di metallico, di duro. Lo prese incuriosita e si ritrovò fra le mani la calamita orrenda di Westminster. La tenne fra le mani sorridendo triste e pensò che le era rimasta in borsa per tutta la settimana senza che se ne rendesse conto. Questo la fece sentire ancora più depressa e ripensò a quella giornata con Michael, al suo sorriso, ai suoi gesti, a quel bacio appena accennato. Si sfiorò le labbra con le dita e chiuse gli occhi. Solo fare questo le fece capire quanto avrebbe voluto Michael in quella camera da letto in quell’istante: provava per quell’uomo un’attrazione fisica, prima ancora che mentale, così forte da sentirsi male.

Il giorno dopo decise di dare una svolta alla situazione e accettò che Robert la portasse in giro per negozi. Così quel sabato camminarono per ore alla ricerca del dettaglio perfetto. Ogni volta che Julia sentiva che stava per perdere le staffe, entrava in una caffetteria e prendeva un thè. Non aveva mai amato i thè, ma era ciò che prendeva sempre Michael ed inconsciamente iniziò a prenderlo anche lei. Giustificò a Robert la scelta dicendo che se avesse preso tutti quei caffè sarebbe morta di tachicardia, ma sapevano entrambi che era una scusa: Julia poteva bere anche dodici caffè, era abituata fin dai tempi dell’università. Ma Robert pensò che non c’era niente di male a cambiare gusti, e lasciò cadere la cosa.
Mentre Robert discuteva con un commesso della grandezza della partecipazione, cosa che Julia trovava irrilevante, con una scusa uscì dal negozio per prendere aria. Il commesso pensò che fosse incinta, Robert neanche si accorse che non l’aveva più a fianco, tanto era preso dalla discussione. Lì fuori, respirando a pieni polmoni la fredda aria di novembre e guardando gli operai iniziare a montare le lucine di Natale con largo anticipo, iniziò a camminare avanti ed indietro, con la testa bassa. Si scontrò su un uomo, alzò lo sguardo per chiedere scusa e si trovo di fronte Michael. Correva quasi, con gli occhiali da sole, la barba di qualche giorno ed i capelli quasi rasati. Si guardarono restando a bocca aperta, entrambi non sapevano cosa dire. Fu lei ad iniziare.
“Ciao… stai bene?”
“Si, tu? Che ci fa qui?”
“Sto… si insomma, sono con il mio fidanzato. Stiamo scegliendo le partecipazioni”. Disse quella frase con imbarazzo, indicando il negozio di fianco a loro. Michael istintivamente si girò per sbirciare dentro: voleva vedere questo Robert. Voleva dare un volto alla persona che aveva iniziato a detestare tempo prima. Trovò un uomo con un soprabito nero che discuteva animatamente con un povero commesso disperato e seduto su uno sgabello al di là del bancone.
“Perfezionista ed egocentrico?”. Chiese Michael, indicando Robert dal marciapiede e ridendo appena. Voleva smorzare la tensione, ma era dannatamente difficile.
Julia fu colta di sorpresa, e per un minuto non capì. Poi fece un mezzo sorriso e guardò il suo futuro sposo: era davvero perfezionista ed egocentrico, ma quel matrimonio gli stava dando alla testa. Sembrava una donna sull’orlo di una crisi di nervi e con il ciclo mestruale alle porte. Che differenza potevano fare due centimetri su una partecipazione? Se lo standard era quello, voleva dire che andava bene, diamine!
“Si, un pochino… credo che ci cacceranno dalla copisteria tra un po’.” Rispose lei.
“Se è più importante la forma di una partecipazione che avere la sua sposa a fianco mentre la sceglie, la questione è grave, Leighton.” Le lanciò la frecciatina a bassa voce, avvicinandosi al suo orecchio e guardando altrove. Poi prese a camminare e la salutò mentre già era di spalle, alzando una mano, senza dire niente.
Julia rimase a guardarlo, girandosi e non credendo alla sua sfacciataggine. Che razza di prepotente era! Non sapeva niente di niente e giudicava, andandosene senza darle la possibilità di controbattere. Era su tutte le furie, e rientrò nel negozio particolarmente accigliata.
“Tesoro, guarda siamo arrivati ad un compromesso: più stretta ma più alta e rosa confetto con le scritte dorate.”
“Si, va benissimo, bravo Rob. Ora andiamo che mi sta venendo mal di testa.” Fu molto scortese e si scusò dentro di se, ma non ce la poteva fare. Robert rimase male del suo pochissimo interesse sulla questione, ed anche al commesso parve una reazione molto strana, ma fu felice che la coppia andasse via, dopo un’ora di discussioni.

Tornarono a casa in silenzio, Julia ogni tanto sbuffava e guardava lontano, senza mai avvicinarsi troppo a lui o rivolgergli la parola. Robert iniziava a stancarsi di questo atteggiamento e arrivati a casa di lei la affrontò duramente.
“Sembra che mi stia per sposare da solo.”
“Scusa!?”
“No dico, sembra che ti stiano portando al patibolo, Julia. Sei scontrosa, irritata, non ti interessa nulla. Abbiamo passato quattro ore a decidere cose che dovrebbero riguardare il giorno più bello della tua vita e tu niente, muta come un pesce, scocciata.”
“Appunto, Robert: quattro ore! Diamine, quattro ore a parlare di tazzine, roast beef, confetti e altre diavolerie. Quando ti ho chiesto di sposarmi intendevo una cosa intima, io e te, per suggellare questi sette anni, non per fare invidia a William e Kate!”
Stava urlando e se ne rendeva conto, ma non poteva farne a meno. Robert non fu da meno: in genere tendeva a smorzare le discussioni, era remissivo e cercava l’accordo, ma quella volta no. Il mutismo di Julia in metro era stato troppo.
“Julia, cresci: sto cercando di regalarti un bel giorno, sto cercando di farlo per te, e non venirmi a dire la cazzata dello sfarzo perché non ti credo. Chi era quell’uomo che hai salutato fuori dal negozio?”.
Bingo. Julia si sentì mancare il respiro, credeva che Robert non si fosse accorto di nulla, ma forse aveva tirato troppo la corda e sottovalutato il suo fidanzato. Capì che era il momento di fingere. E avrebbe dovuto farlo ad arte.
“Ma chi? Robert cosa stai dicendo?”
“Su Julia, sai di chi parlo. Chi era?”
“Ora la butti sulla gelosia? Quello era un cliente per il quale stiamo seguendo una causa in studio. La sta seguendo Brian, ma l’ho visto entrare in studio spesso questo periodo. L’ho incontrato e l’ho salutato. Che avrei dovuto fare? Nascondermi?!”. Era una scusa plausibile. Robert non ci credeva molto, ma non aveva appigli per dirle che non era vero.
“Senti, io non voglio litigare, ma davvero Julia sei strana da tempo. Quando abbiamo deciso di sposarci eri felice, ora sono giorni che non ti si può dire nulla. Cosa hai?”
“Niente Robert, davvero niente. Solo che questo continuo parlare di cose futili mi sta snervando.” Forse la parola futile avrebbe dovuto evitarla.
“Futile… il giorno più bello della tua vita futile.” Ribattè Robert, dispiaciuto più che arrabbiato. Discutere con lei era diventato impossibile: trovava sempre il modo per ferirlo, in quegli ultimi giorni.
“Rob, sai cosa intendevo dire dai, non pesare ogni parola.” Si avvicinò all’uomo per cercare un contatto che sistemasse un po’ le cose: pensò che era tanto che non facevano l’amore e questo non faceva che aumentare i dubbi che Julia aveva. Nell’ultimo periodo si era scoperta spesso a desiderare Michael, nel letto, sotto la doccia, persino in ufficio.
Robert accettò l’abbraccio ma si divincolò subito dopo. Julia fu sollevata me decise di girare la situazione e prendere il coltello dalla parte del manico.
“Ecco, vedi!? Poi sono io… cerco di avvicinarmi a te e mi rifiuti. Io vado a letto, se vuoi dormire qui fa pure, altrimenti ci sentiamo domani”. Detto ciò, fiera della sua mossa e convinta di aver la vittoria in pugno, si avviò verso la camera da letto. Quando era sulla porta sentì due mani poggiarsi sui suoi fianchi e un respiro affannato alitarle sul collo.
“La metti così? Davvero vuoi questo? Sarai subito accontentata, ragazzina.” Robert non sembrava essere in lui, iniziò a toccarla con mani pesanti, a baciarle il collo da dietro. Arrivò al suo seno e lo prese in entrambe le mani stringendolo, per poi aprirle la camicetta con poca grazia. Robert non era un tipo da sesso rude, anzi, era fin troppo gentile anche nel toglierle i vestiti: mai una parola fuori posto, mai un gesto avventato. Ci mancava poco che si mettesse a piegare i vestiti dopo averli tolti!
La alzò di peso e la portò sul divano. Le tolse i pantaloni e gli slip velocemente e le aprì le gambe in maniera forte. Julia non sapeva come reagire: forse se lo era meritato, ma certo non conosceva quella vena del suo fidanzato. Mai in sette anni era stato così.
“Vuoi essere scopata per darmi il contentino e farmi stare buono. E se mi rifiuto, perché non sono un cagnolino, Julia, tu mi lanci recriminazioni che neanche una bambina di cinque anni. E allora eccoti accontentata, ragazzina”. Le disse quelle cose con sprezzo e rabbia, e non l’aveva mai fatto. La penetrò con la stessa rabbia, senza la solita dolcezza, senza i soliti baci gentili. Julia non era una donna facile, e a letto non le piacevano troppo le buone maniere, ma quell’atto ebbe il sapore di qualcosa di davvero brutto, non c’era amore, non c’era la passione che può far scaturire gesti più rudi, meno delicati. C’era solo tanta rabbia. Robert portò la sua opera a compimento senza dirle una parola, poi si alzò, andò in bagno con ancora la camicia addosso e chiuse violentemente la porta, lasciandola con un tonfo che difficilmente avrebbe dimenticato. 
Julia si rannicchiò sul divano e inizio a piangere. Aveva ragione lui, era stata cattiva e maleducata. Il suo senso di colpa era a livelli estremi, ed era tornata ad essere la brava ragazza che tutti conoscevano: quella educata, che sceglieva sempre il meglio, quel meglio che non era mai per se stessa ma sempre per gli altri, per non deludere. Si punì per tutta quella situazione, che era solamente colpa sua e decise di asciugarsi le lacrime e riparare. Andò verso il bagno, sentì l’acqua della doccia scorrere, ed entrò piano, Robert si lasciava scorrere l’acqua addosso, le mani poggiate al muro, la testa bassa. Julia entrò, scosto l’anta scorrevole e gli fece una carezza. Robert alzò la testa e disse piano: “Scusami, sono uno stronzo.”
“No, amore, è tutta colpa mia… non so cosa mi stia succedendo”. Disse piangendo, sinceramente dispiaciuta. L’uomo si girò e la guardò pieno di amore e disperazione. Julia non seppe resistere ed entro nella doccia così, mezza vestita, sperando che lui non la rifiutasse. Robert invece, era tornato l’uomo gentile e dolce di sempre, e la accolse in un abbraccio. Un abbraccio che non le dava neanche lontanamente le sensazioni di quelli che le dava Michael, ma scacciò quel pensiero sgridandosi e ripetendosi che la sua vita era quella, e tutto il resto era semplicemente sbagliato. Rimasero così sotto l’acqua per un tempo infinito, in silenzio. Poi si asciugarono, e andarono in salotto. Julia provò a parlare, ma Robert la zittì subito dicendole solamente: “Basta, non ne parliamo più… posso rimanere qui?”. Era tornato: non si parlava più del necessario, non era utile discutere di ciò che si provava, bisognava parlare solo per organizzare e anche lì lo stretto necessario. Julia avrebbe voluto rimanere sveglia a sviscerare il problema che evidentemente c’era fra loro, ma non le fu concesso. Respirò e continuò a dire che stava inutilmente complicando la situazione: per setti anni le era andato bene, avrebbe continuato ad andare bene così. Accettò che lui rimanesse e videro un film. Poi andarono a letto: nessuno dei due dormì. Julia cercava di tornare nei ranghi, Robert pensava che forse quello non era un cliente. D’altronde, uno stupido non era.

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Capitolo 9
*** Cioccolata fondente al rhum ***


 
Halooooooo! 
Dunque, per la prima volta mi sento di iniziare il capitolo con una nota personale...
GRAZIE! 
Ho letto con moltissimo piacere tutte le recensioni che mi avete lasciato, 
e sono rimasta davvero a bocca aperta! 
Avete avuto per me tutti parole bellissime e complimenti che onestamente non pensavo di meritare! 
Davvero, grazie e continuate così! 
Detto ciò... ALERT: capitolo ad alto contenuto calorico (chi vuol capire capisca!), 
quindi armatevi di ghiaccio sul collo e acqua freddissima in mano! 

Buona lettura! 
Hr



Michael si alzò presto e andò alla caffetteria. Ormai quella caffetteria non vedeva Julia da più di dieci giorni. Non si erano più visti davvero dal pic nic, fatta eccezione per l’incontro davanti al negozio. La ricordava meno bella di come fosse, e averla così vicino gli aveva provocato un colpo al cuore: avrebbe solo voluto uccidere quell’uomo e averla tutta per se. Ma purtroppo non poteva decidere lui per la vita di Julia. Nonostante ciò, tutte le mattine andava alla caffetteria, sperando di vederla, sperando di ricevere un segno da lei. Doveva leggere una sceneggiatura e decise che quello era il luogo adatto: falso, non andava lì certo perché la luce era buona per leggere e l’atmosfera perfetta per decidere se accettare o no quella parte. Però continuò a farlo tutti i giorni. Dopo altri cinque giorni erano passate ormai due settimane dalla loro litigata. Julia gli mancava. Quella mattina era particolarmente giù di corda, e dopo altre due ore passate ad aspettarla, decise che doveva agire, doveva fare qualcosa. Prese il cellulare ed iniziò ad organizzare il tutto per il venerdì successivo, quando sapeva che Julia avrebbe avuto il pomeriggio libero. Solo quarantotto ore e l’avrebbe vista di nuovo. Finalmente il cattivo umore andò via, lasciando spazio all’eccitazione, anche se formalmente lei avrebbe potuto mandarlo a quel paese e andarsene, ma almeno doveva provarci. Michael passò i due giorni successivi ad organizzare qualcosa che credeva assurdo lui stesso, e a fare telefonate per essere sicuro che fosse tutto perfetto, niente doveva andare storto. Finalmente il venerdì arrivò, e lui alle 12 in punto si mise sotto lo studio di Julia con un girasole in mano. Per fortuna, pensò, in una delle loro passeggiate, erano passati proprio davanti il palazzo dove lavorava Julia. Si poggiò paziente ad una macchina lì parcheggiata, sperando che proprio quel venerdì Julia non dovesse protrarre la sua giornata di lavoro. E sperando soprattutto di riuscire a convincerla a seguirlo. Doveva almeno provarci, si disse ancora, come un mantra. Alle 12.30 Julia uscì. Dapprima non lo vide: il marciapiede era largo e affollato. Poi la gente andò via e se lo trovò davanti: era bello come non mai e aveva uno sguardo follemente sexy. Le era mancato più di quanto volesse ammettere. E tutte le cose che si era detta per auto convincersi caddero in un minuto davanti a quel girasole. “Cosa ci fai qui? Vuoi ancora dirmi cosa dovrei fare nella mia vita?”. Disse algida lei. Non era disposta a cadergli ai piedi. “Sono venuto a chiederti scusa.” “D’accordo, scuse accettate.” Dicendo ciò si incamminò, ma lui la raggiunse e le chiese di fermarsi. “Senti, Julia, tu mi piaci e questo non è più un mistero, ma sono stato uno stronzo a dire certe cose, non avrei dovuto. Ti chiedo un pomeriggio, poi potrai mandarmi al diavolo e ti giuro che non mi rivedrai mai più”. A quelle parole Julia si sentì mancare: l’idea di non rivederlo più la faceva stare male, come era stata male nelle ultime due settimane, anche se alla fine aveva deciso di essere forte e smetterla di fare l’adolescente innamorata. Respirò a fondo e decise che un pomeriggio non avrebbe fatto male a nessuno. Era una bugia, l’ennesima, e sapeva che avrebbe dovuto allontanarlo subito, prima di cadere di nuovo nella rete e rischiare di non uscirne più, ma preferì mentire a se stessa. Pur di averlo ancora vicino. “Aspetta.” Gli disse, poi prese il telefono e si girò dandogli le spalle. “Rob, ciao si sono io… senti, ho chiamato Tilly e mi ha chiesto se potevamo passare il pomeriggio insieme. Forse rimango anche a cena, tanto tu devi lavorare, ok? Si d’accordo, ti chiamo più tardi. A dopo, baci”. Poi senza rivolgere uno sguardo a Michael compose un sms per Tilly, la sua migliore amica: “Tilly, salvami, io oggi sto con te fino a stasera. Nessuna domanda, poi ti spiego in settimana. Un abbraccio”. Solo dopo chiuse il telefono, lo buttò in borsa, respirò a fondo, e si voltò verso Michael, il cui sorriso sembrava quello di un bambino a cui era stato dato il suo giocattolo. Julia era consapevole che aver mentito, di nuovo, davanti a Michael gli dava una sicurezza che decisamente non le dava nessun vantaggio, ma momentaneamente non se ne interessò e si disse che era solamente curiosa di vedere cosa lui aveva in mente, solo quello. Un’altra, pietosa, bugia. “Tilly, mi è sempre piaciuto come nome…”. Era tornato e lei non seppe resistere a farsi una risata. “Un pomeriggio, Fassbender. Sfruttalo bene.” Non sapeva quanto bene l’avrebbe sfruttato lui. Chiamò un taxi e gli diede un indirizzo scritto su un foglietto. Poi si sistemò sul sedile e guardò Julia. “Il viaggio non sarà breve, mettiti comoda.” In effetti rimasero in quel taxi poco meno di quarantacinque minuti, un’eternità praticamente, nei quali cercarono di trovare di nuovo la loro sintonia. Non era facile, dopo quello che si erano detti: ormai giocavano a carte scoperte e nessuno dei due aveva dimenticato un solo particolare del loro ultimo incontro. Però piano sembrarono essere tornati quelli di qualche tempo prima. Arrivarono ad un eliporto poco fuori Londra, e Julia si insospettì: dove voleva portarla? Michael sembrava essere di casa da quelle parti, le aprì la portiera dopo aver parlottato con un uomo in una strana divisa. Appena uscì, l’uomo le sorrise e disse alla coppia di seguirlo. Arrivarono di fronte ad un elicottero, fecero indossare ad entrambi un giubbino di sicurezza e li fecero salire a bordo, dando loro anche delle cuffie. Julia era incredula: “Fassbender, una visita al Museo di Storia era troppo banale, vero!?” “Mi hai detto tu di sfruttare bene il nostro ultimo pomeriggio insieme!” e rise. Quella risata provocò quasi un infarto a Julia, che dovette distogliere lo sguardo con una scusa per non buttargli le braccia al collo. Si guardò distrattamente la mano, dove fra qualche mese avrebbe troneggiato la sua fede nuziale e si sentì in colpa: solo un pomeriggio con un amico, Julia, si disse, cercando di calmarsi. Un’altra bugia. L’elicottero si alzò rapidamente in volo, facendo andare lo stomaco di Julia sotto sopra. Istintivamente si strinse al braccio di Michael, che si girò ad osservarla: era bellissima, un’espressione di sorpresa e felicità si era dipinta sul suo volto. Sentire il suo corpo così vicino lo eccitò fisicamente e mentalmente e sperò vivamente che quel pomeriggio avrebbe convinto Julia che lui era la scelta non razionale ma passionale da fare. Il viaggio durò parecchio, e Julia non faceva altro che guardare il panorama e indicare con le dita il mare, la costa, e qualsiasi altro dettaglio, urlando per la sorpresa e guardandolo con entusiasmo ed incredulità. Ma questo era niente: Julia era convinta che fosse solo una gita in elicottero, non sapeva che non sarebbero atterrati a Londra. Iniziò a rendersene conto quando vide il verde d’Irlanda. Era riconoscibile lontano un miglio, e lì si ammutolì non capendo le vere intenzioni di Michael. Atterrarono in un eliporto ventoso e in mezzo al nulla. C’era solo un hangar e poco altro, non si vedeva nessun paesaggio, nessuna casa, niente di niente. Julia scese, consegnando giubbino e cuffie al pilota, poi si girò verso Michael e chiese: “Dove siamo?” “Aspetta e vedrai, vieni.” Le porse la mano, lei la prese e sentì di nuovo le farfalle nello stomaco, lo stress passò, il malumore anche, la depressione era come se non fosse mai esistita. Fecero svariati metri a piedi, su un sentiero sterrato: ringraziò l’abbigliamento abbastanza casual di quel venerdì, anche se risultava ancora particolarmente elegante per l’ambiente. Ad un certo punto, presa a guardare il terreno per non inciampare, non si accorse che Michael si era fermato, così lo urtò, alzando gli occhi per chiedergli perché avesse frenato così bruscamente e… l’Irlanda precipitava nel mare davanti a lei. Michael l’aveva portata sulle più belle scogliere della Nazione, quelle che lui amava e che per lui rappresentavano uno degli spettacoli più sensazionali della terra. Era a bocca aperta, non sapeva cosa dire, sentiva le lacrime salirle agli occhi: lacrime di felicità, molto diverse da quelle che aveva versato nelle settimane precedenti chiusa in bagno. Michael era lì a gustarsi quella donna così bella che era rimasta senza parole: lei guardava solo di fronte a se, per lui invece lo spettacolo era di lato, era lei. “Tu… tu sei… un… folle!” urlò quasi, in preda ad un strana energia che sentiva di avere dentro. Si girò di scatto e decise di lanciarsi davvero: gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Michael fu colto di sorpresa, la prese fra le braccia, stringendola, e rispose al bacio, finalmente un bacio vero, pieno di passione, poco romantico, poco gentile, pieno di tutta l’eccitazione che entrambi sentivano di avere da tempo. Quando ad entrambi mancò il fiato si guardarono negli occhi, con ancora l’eccitazione in circolo. “Julia, io sono innamorato di te. Sono stato male senza di te, e vorrei davvero che non ci fosse nessun Robert. Ma non sono nessuno per dirti cosa fare, quindi scusami. E da ora in poi non dirò più una parola: accetto la sfida e non pretendo nulla. Solo devi giurarmi che non ti farai del male.” Julia annuì, quel discorso era bellissimo, e non perché le dava la possibilità di fare quel che voleva, ma perché dimostrava che Michael la rispettava. “Facciamo due passi?” “Vieni…” la guidò attraverso i sentieri che conosceva bene, mano nella mano, fecero un giro lunghissimo, fermandosi di tanto in tanto a contemplare l’orizzonte, il mare sotto di loro e scattando foto con i cellulari. In mezzo a tutto ciò c’erano baci sempre più infuocati, sempre più maliziosi. Quando ormai erano le diciotto passate, Michael le disse che avrebbero dovuto tornare a Londra. Julia si fermò e gli fece una proposta che non si sarebbe mai aspettata di sentire uscire dalla sua stessa bocca: “Possiamo fermarci questa notte? Ci sarà un hotel da queste parti.” Disse timida, abbassando gli occhi. Michael la prese fra le braccia, la baciò e disse: “Sei sicura?” “Si, voglio fermarmi… voglio passare più tempo con te” “Allora non ci servirà nessun hotel, vieni con me”. Andarono a dire al pilota dell’elicottero che non sarebbero tornati a Londra con lui. Il ragazzo rise, salutò e salì per andare via. Poi andarono verso il paese vicino e noleggiarono una macchina. Quando Julia si sedette sul sedile aveva i piedi distrutti: erano le diciannove e camminavano da circa quattro ore. Però era felice, ed eccitata… tanto che mentre Michael guidava verso la loro meta, a lei sconosciuta, iniziò a baciargli il lobo dell’orecchio, e a giocarci con la lingua. Scese verso il collo, dandogli dei piccoli baci con la bocca un po’ aperta, e annusandolo. Era pazzesco: lei non aveva mai fatto una cosa così, e con un uomo con cui c’era stato si e no un bacio. Cosa le aveva fatto quell’uomo? Michael si eccitò all’istante, non credeva che quella donna potesse essere tanto erotica. Premette sull’acceleratore per arrivare prima: quelle strade gli erano più note del corridoio della sua casa londinese. Julia non sapeva dove stavano andando, ma per una volta non voleva pensare, voleva solo vivere. Continuò a stuzzicarlo, notando un rigonfiamento sulla patta dei pantaloni con la coda dell’occhio. Arrossì leggermente, ma fu felice: voleva quell’uomo dal primo giorno che l’aveva visto, e lo voleva ancora di più da quando l’aveva conosciuto. Passarono un altro paesino e arrivarono ad una piccola tenuta, con un cancello di legno basso. C’era un giardino incolto ma tenuto bene e subito dopo una villetta bassa e larga. Julia scese e notò che la posizione della casa era spettacolare: era su una scogliera, si poteva vedere tutto il mare oltre la costruzione. Il paese era non troppo lontano: ci si poteva arrivare comodamente a piedi, ma non era in pieno centro e questo garantiva privacy e tranquillità. Rimase ferma a guardare quello splendore, quando sentì Michael dietro di lei. Le mise le mani intorno alla vita, poggiò il suo corpo al suo, facendole sentire il risultato del suo giochino, e iniziò a baciarla sul collo. Intorno a loro non c’era niente e nessuno, erano soli nel mondo ed era tutto quello che avevano, inconsciamente, sempre voluto. Michael la prese in braccio per trascinarla in casa. Julia lo lasciò fare, intrecciò le gambe alla sua vita e lo baciò. Lui aprì il cancello con il piede e camminò sicuro, solo davanti la porta di casa la lasciò per aprire con le chiavi. Lei si strusciò a lui senza sosta, mentre Michael cercava di trovare la chiave giusta, totalmente distratto e rapito da quella donna. Appena entrati in casa fu un attimo: si trovarono con passione e voracità. Julia tolse la maglia a Michael, passando le sue mani su quel petto che aveva tanto sognato. In un attimo si trovò semi nuda stesa sul divano. “Dio, ti ho sognato così a lungo…” disse lui, fra un bacio e un gemito. Iniziò a toccarla ovunque, con mani salde ma non violente. Michael sembrava capirla anche nel sesso: non era delicato, non era gentile, era rude, sapeva fare l’uomo, la faceva sentire dominata e totalmente sua. Julia stava per esplodere. Fecero l’amore a lungo, senza fermarsi, continuando a stuzzicarsi e ad accarezzarsi senza tregua. Solo quando furono senza forze si fermarono. Erano nudi, abbracciati sul divano, accaldati in quella casa che Julia neanche conosceva. Michael la strinse a se, poi allungò una mano fino alla poltrona lì accanto e prese una coperta. La spiegò su di loro e mise un braccio dietro la testa. Era in paradiso. Julia era poggiata al suo petto e respirava appagata pensando che quello era stato il miglior sesso della sua vita: come era possibile che quell’uomo fosse perfetto? “A chi hai rubato questa casa?” gli chiese, passando distrattamente il dito sul suo petto e guardando l’orizzonte. “E’ mia. L’ho comprata anni fa. Vivo a Londra da una vita, ma l’Irlanda è tutto ciò che sono, così a volte ho bisogno di tornarci, ma odio gli hotel e stare dai miei è un trauma ogni volta. Quando vengo qui ho bisogno di disintossicarmi, così ho preso questa villetta, isolata quando basta per ritrovare le forze necessarie.” “E’ bellissima, Michael. Questa vetrata sulla scogliera riesce a metterti in pace con il mondo. E anche l’arredamento è accogliente e caldo.” Dove caldo era la parola poco adatta: era dicembre, faceva un freddo becco e la casa era chiusa da tempo. I riscaldamenti partivano automaticamente di tanto in tanto, ma comunque faceva freddo. Julia si accorse che appena entrati in casa era stata tanta l’eccitazione che nessuno dei due aveva sentito freddo. Ora sotto la coperta iniziava a tremare, così Michael si alzò, ancora nudo, accese i riscaldamenti e il camino, che era interamente in pietra e posizionato lateralmente rispetto al divano. Julia si avvolse nella coperta e gli andò vicino, mentre era accovacciato ad armeggiare con la legna. Si abbassò anche lei sulle ginocchia e gli mise un pezzo di plaid sulle spalle, poggiandoci anche la sua guancia. Michael sorrise sentendo il contatto del suo corpo. “E’ una manovra per chiedere un altro round?” disse malizioso, ridendo appena. “Idiota, ho sfidato il gelo perché sei nudo e non vorrei che ti ibernassi!” disse, fintamente risentita. Ma era pur vero che avrebbe volentieri fatto di nuovo sesso con lui. In realtà avrebbe fatto sesso con lui continuamente. Così aggiunse, suadente: “… anche se… insomma, se proprio insisti…”. Michael non se lo fece ripetere sue volte e si girò. Erano entrambi in ginocchio e presto caddero sull’enorme tappeto di fronte al divano. Il freddo era passato, Michael aveva iniziato di nuovo a torturarla per farla sua. Solo dopo un paio d’ore, di sesso e chiacchiere, decisero di mangiare qualcosa. Michael prese due accappatoi dal bagno e ne porse uno a Julia. Lei lo mise e sentì che era pieno del profumo inebriante dell’uomo. Rimase seduta sul divano e le cadde l’occhio sull’orologio: le 22.30! Cavolo, si era dimenticata di chiamare Robert! Ma in verità non sapeva neanche dove fosse il suo cellulare. Si vestì in fretta e corse alla macchina a prendere la sua borsa, lasciata lì quando erano arrivati in preda alla voglia dell’altro. Prese il cellulare e vide che c’erano 3 chiamate senza risposta: Robert, sua madre, Robert. La realtà che tornava. Decise di non affrontarla, non fino a lunedì. Rimase lì a guardare la scogliera: era follemente felice ed innamorata di Michael, ma affrontare il tutto sarebbe stato difficile e doloroso. Compose un sms e lo mandò a Robert: “Robert, io e Tilly andiamo nella sua casa di campagna. Ho bisogno di stare un po’ con la mia amica a scaricare la tensione. Non cercarmi, ti prego. Credo che spegnerò il cellulare. Sarò di ritorno a Londra lunedì. Ti chiamo. Ciao.” Inviò e spense davvero il cellulare. “Non pensarci… non ora, dai”. Lui sapeva sempre cosa dire, e lei sentì di nuovo avvamparsi le guance. Rientrarono in casa, mangiarono toast e salsicce alla brace, ringraziando le provviste surgelate che erano lì per scorta. Decisero di mangiare per terra, davanti al divano, guardando fuori attraverso l’enorme vetrata. L’Irlanda era così maestosa e bella. Dicembre però non era il mese più clemente, e di lì a poco si scatenò un feroce temporale, con lampi e tuoni pazzeschi. Rimasero accoccolati sul divano a parlare per tutta la notte, con i piatti e i bicchieri di vino rosso ancora per terra, con il camino che scoppiettava e il silenzio rotto solamente dalle risate e dalla pioggia. Julia si sentiva davvero a casa, avrebbe potuto chiudere tutti i ponti con il mondo e vivere lì per sempre con Michael. Per la prima volta il suo lavoro non era tutto, anzi era diventato quasi niente. Si addormentarono a tarda notte, e quando si svegliarono e le nubi erano ancora nere nel cielo, fecero di nuovo l’amore, con passione e voglia: “Io farei l’amore con te tutti i minuti, Michael Fassbender!” disse Julia con la voce roca e la fronte imperlata di sudore, stringendosi di più a lui, che ancora era dentro di lei. “Bambina, così mi ecciti di nuovo… non possiamo andare avanti in questo modo!” “E perché no!? Chi ce lo vieta, scusa?!” rispose lei, maliziosa. Iniziò di nuovo a muoversi sopra di lui, gettando i lunghi capelli indietro con la testa. Michael sospirò e dimostrò di non essere ancora stanco, anzi tutt’altro e ripresero la loro danza. Rimasero chiusi nella casa per tutto il weekend, mangiando, facendo l’amore e vedendo strani programmi in tv. Praticamente non si vestirono mai, le uniche cose che misero addosso furono coperte e accappatoi. La domenica sera però arrivò fin troppo presto a portare di nuovo la realtà fra quelle mura. “Michael, io voglio stare con te, per un milione di motivi. Anche perché non potrei seriamente più rinunciare al sesso con te…” disse ridendo e baciandolo. Poi continuò seria: “Però devo qualcosa a Robert e alle nostre famiglie. Non posso tornare a Londra lunedì, dopo avergli detto che ero con la mia amica, e mollarlo su due piedi. Capisci?” Michael, ancora avvolto nell’accappatoio sul divano, con il calice di vino rosso in mano, sospirò pensieroso: aveva ragione lei e lui doveva dargliene atto. “Il patto è questo: mettici il meno tempo possibile. E permettimi di vederti, anche di nascosto, in questo periodo” propose. Julia acconsentì ad entrambe le cose, anche se sapeva che sarebbe stato tutt’altro che un gioco. Il lunedì mattina fecero ritorno a Londra con un volo privato che Michael prenotò la sera prima. Consegnarono la macchina presa a noleggio, che era servita a ben poco, e fecero un viaggio un po’ silenzioso. Entrambi avevano ombre negli occhi, e appena l’aereo toccò terra in territorio inglese, si baciarono per l’ultima volta tranquilli: da ora in poi avrebbero dovuto avere mille occhi.

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Capitolo 10
*** Irish Coffee ***


Ciao a tutti! 
Sono tornata, puntuale più o meno, con un capitolo pronto per voi.
Chiedo scusa fin da ora, perchè è abbastanza corto,
ma soprattutto poco denso di avvenimenti importanti.
In realtà è un capitolo transitorio, 
per fissare la situazione e procedere per gradi: si, voglio lasciarvi sulle spine!!! 
Comunque, grazie ancora a chi ha continuato a recensire
e anche a chi ha solamente letto in silenzio: siete tantissimi e questo mi rende davvero felice!
Detto ciò vi lascio alla lettura,
sperando che riesca a darvi cinque minuti di astrazione dalla realtà! 
:) 

Hr

 


Il periodo che seguì fu enormemente faticoso ma elettrizzante. Julia aveva chiesto a Robert di parlare, ma lui si era dimostrato irremovibile: le perdonava qualsiasi cosa, ma non voleva sapere niente di niente, se non il colore che preferiva per le tovaglie.

Questa ostinazione era dura da mandare giù, e Julia decise di prendere altro tempo: conosceva Robert, e sapeva quali erano i suoi tempi. Erano sempre più distanti, ma lui si dimostrava solerte ad andare a cene di amici sfoderando un sorriso invidiabile e tenendola stretta a se. Salvo poi lasciarla subito appena si ritrovavano soli. Julia non capiva che senso avesse questo continuare a intestardirsi sulla questione, quando era chiaro che si era rotto qualcosa.

Nel frattempo lei ritagliava scampoli di tempo da passare con Michael. Spesso dopo il lavoro, o durante la pausa pranzo, prendeva la metro e correva a casa sua per stare un po’ insieme: non potevano certo sfogarsi alla luce del giorno, ed era chiaro ad entrambi che non toccarsi o baciarsi era una tortura, quando erano insieme. Così si prendeva un’ora o poco più e andava a farsi coccolare. Lui la accoglieva sempre felice e su di giri, e a volte non le dava neanche il tempo di riprendere fiato che la prendeva in braccio e la accompagnava in camera da letto. Aveva un appartamento bellissimo, luminoso e pieno di buon gusto: lei lo amava.
A volte riuscivano anche a vedersi fuori. In caffetteria quasi ogni mattina per esempio, anche se ultimamente lui era stato impegnato con un progetto ambizioso e spesso non era a Londra. Erano due amanti clandestini a tutti gli effetti, ma questo non poteva fermarli: era difficile non farsi scoprire, ma Julia e Michael non riuscivano a stare separati.

Le famiglie inoltre, iniziavano a preoccuparsi: si avvicinava Natale e non c’era nessuna partecipazione in vista. Così un giorno di dicembre inoltrato, la madre di Julia piombò a casa della figlia per parlarle.

“Julia, cosa stai combinando?”. Ecco: era chiaro che il problema l’avesse creato lei. La madre non era stata sfiorata neanche per un minuto dall’idea che potesse essere Robert ad averci ripensato, o ad averla ferita.
“Mamma… ma niente, perché?” mentì lei.
“Julia io ti conosco. Dimmi cosa c’è” disse dura. A quel punto Julia pensò che aveva 29 anni e sua madre non avrebbe più potuto dirle cosa fare e non fare. Era stanca di essere una brava ragazza: quella cosa le aveva rovinato l’adolescenze. Prese coraggio e disse:
“Mamma, ho conosciuto una persona”
“Ecco, lo sapevo. Tu non sai mai restare fuori dai guai, devi sempre creare problemi”
“Io?! Mamma ma sei impazzita? Ma se è da quando sono nata che faccio quello che ci si aspetta da me! Ottima studentessa, ottime amicizie, mai una sbronza, mai una vacanza a Ibiza con le amiche, che Ibiza non sta bene, mai un colpo di testa, mai una figuraccia con nessuno. Ed ora mi vieni a dire che creo problemi?!” Julia era fuori di se. Sua madre stava davvero esagerando.
“Tutto quello che hai fatto lo hai fatto tu per la tua stessa vita, Julia. Non puntare il dito verso me: io ti ho sempre lasciata libera”
“Libera… mamma, ma a chi vuoi mentire? Tu mi hai sempre condotto a scegliere le cose con razionalità, non mi hai permesso di vivere i miei errori, di sbattere la testa sulle cose per capire, di innamorarmi di cose assurde e folli. Tu mi hai tenuto nei ranghi della nostra bella famiglia benestante, che non poteva permettersi una figlia ribelle. Sempre il vestito pulito, mai un jeans stropicciato. Sai che c’è? Che io mi sono stufata, e non voglio sposare Robert, perché lui è un brav’uomo ma non mi eccita, non mi fa vedere le stelle, non mi fa sentire le farfalle nello stomaco.” Stava urlando a sua madre molte più cose in quel momento che in tutta la sua vita.

La donna era paonazza in volto: non riconosceva più sua figlia. Da quando in qua un uomo deve eccitarti? Robert era un partito ottimo, non buono, era destinato a grandi cose, aveva una famiglia perfetta, le voleva bene. Cosa c’entravano quelle frottole dell’eccitamento e le farfalle?
“E sentiamo, chi vorresti sposare?” la sfidò.
“Proprio nessuno, mamma. Ho 29 anni, lavoro, posso vivere da sola. Il punto non è con chi voglio stare o non stare. Il punto sono io.”
“Vuoi stare da sola? Vuoi davvero che tutti credano che ti sei lasciata sfuggire Robert ed ora sei sola come un cane?”
“Si, voglio essere sola come un cane. Sempre meglio che sposare un uomo che so di non amare più, e con il quale sto da sette anni solo per compiacere voi, ancora una volta.” Non riusciva più a fermarsi.
“Io non so chi è questa persona che ti ha messo in testa queste cose, Julia, ma so che te ne pentirai amaramente. E non dovrà passare troppo tempo.”
“Mamma, ma perché non mi chiedi se sono felice, invece di dire che me ne pentirò? Non mi hai mai detto di essere felice…” ora era triste. Sua madre doveva essere la sua alleata, e invece era sempre pronta a puntarle il dito contro.
“La felicità non esiste, Julia. Esiste la stabilità, il pane in tavola tutte le sere, la quotidianità. E Robert è tutto questo.”
“Va bene, mamma… Ora ti prego, lasciami sola.”
“Risolvi questo dannato casino, Julia.”
“Si, si mamma… ciao” e la accompagnò alla porta. Poi mandò un sms a Michael dicendo che avrebbe voluto vederlo e che le dispiaceva che lui non fosse a Londra. Chiuse il cervello e si mise sul divano.

Verso mezzanotte sentì il campanello suonare. Chi poteva essere? Si era addormentata sul divano alle diciannove, poco dopo che sua madre era andata via. Guardò allo spioncino e vide il sorriso di Michael. Aprì felice e gli si gettò addosso, coprendolo di baci e carezza.
“Che ci fai qui!!!”
“Shh, zitta che svegli mezzo palazzo! Sono venuto a portarti un regalo”
“Ma non eri a Parigi?!”
“Sono tornato prima… avevo finito di lavorare e non mi andava di dormire solo in un hotel, sai che li odio” dicendo ciò prese una grande scatola con un fiocco rosso e gliela porse.
“Michael, ma mi hai portato una quantità sconfinata di macarons?!” disse ridendo a crepapelle. Quale uomo normale avrebbe portato in dono dei dolcetti invece che souvenir preziosi? Michael. Esattamente lui.

Julia mise in bocca metà macarons, continuando a guardare la scatola per leggere i gusti che conteneva. Michael si abbassò e prese fra i denti la restante metà del dolcetto che aveva in bocca Julia. Si trovarono a mangiare lo stesso macarons, in una versione rivisitata e corretta di Lilly e il Vagabondo. Quello che successe poi però era totalmente fuori dal cartone animato. Julia iniziò a stringersi a lui, e Michael la liberò della vestaglia che portava. Sotto aveva solo un babydoll nero, che lo fece eccitare all’istante.
La spinse contro il muro poco distante e si gettò famelico su di lei. Julia lo spogliò velocemente, e passò le sue mani sulla schiena possente di Michael.Fu un attimo: era nuda ed era sua.

Michael si muoveva deciso, con foga e passione, mentre Julia ansimava sempre di più. Esplosero insieme, ancora poggiati al muro, mentre i respiri tornavano regolari.
“Vuoi rimanere a dormire?”
“Certo che voglio… voglio fare colazione con te” nel dirlo la abbracciò e le diede una leggera ma maliziosa pacca sul sedere. Julia rise e pensò che davvero valeva la pena litigare con il mondo intero per quell’uomo.

Andarono a dormire sereni. Michael le raccontò che era iniziata di nuovo la promozione di un film che sperava si rivelasse davvero buono. Parlarono a lungo di questa cosa, e Julia sentì che finalmente c’era qualcuno che reputava importante parlare con lei, raccontarle le cose, avere un dialogo vero. 

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Capitolo 11
*** Thè freddo al limone ***


Questo capitolo è dedicato a Warrant1998, 
per il suo compleanno! 
Tantissimi auguri!!!

Detto ciò, ancora mille grazie a chi mi segue e spero di non deludervi mai! 

Buona lettura! 

Bibi

 

Natale era davvero alle porte. Londra era magnifica e romantica e Julia stava acquistando gli ultimi regali. Mancavano tre giorni e poi sarebbe andata nella tenuta dei genitori di Robert a passare le festività, dove l’avrebbero raggiunta anche i suoi genitori e sua sorella con la sua famiglia. Tutto era normale, come sempre, e Julia era sempre più insofferente: ormai stava bene solamente quando era con Michael, il quale non faceva nessun tipo di obiezione alla situazione. Julia gli aveva spiegato dinamiche famigliari e raccontato vent’anni di vita e lui si era mostrato molto comprensivo. Voleva solo continuare a vederla, anche perché una volta risolto con Robert avrebbero dovuto fare i conti con il gossip, e anche lì non sarebbe stato semplice.

Si videro l’ultima volta prima di Natale il 22 dicembre, a notte fonda, mentre Robert ignaro di tutto dormiva nel suo letto. Julia aveva cenato con lui, poi l’aveva riportata a casa ed era salito con l’intenzione di avere un po’ di intimità, ma lei aveva garbatamente rifiutato, così lui si era rassegnato ed era andato via. Credeva che fosse un momento, che doveva darle tempo, aveva capito che c’era stato un altro uomo di mezzo, anche se non sapeva fino a dove Julia si fosse spinta. Era convinto che c’entrasse il weekend fuori, ma aveva parlato con Tilly e lei aveva confermato che erano insieme e che Julia voleva sfogarsi con lei quei giorni. Robert aveva creduto all’amica e aveva cercato di accantonare quel pensiero, anche se il tarlo che aveva in mente non accennava a volerlo lasciare. Solo non aveva appigli per scoprire la realtà e forse la realtà neanche lo interessava più di tanto: qualsiasi cosa fosse successa in quel weekend, o in altri momenti, fra poco più di tre mesi Julia sarebbe stata sua moglie e tutto sarebbe passato. Su questo sentiva di essere irremovibile. Quella sera avevano persino deciso la data: avrebbe dovuto pazientare solamente fino al 3 Marzo.

Julia dal canto suo, anche quella sera a cena, aveva provato a dirgli che dovevano parlare seriamente del loro futuro, ma Robert era diventato quasi autoritario in quel periodo: non c’era niente da discutere, qualsiasi cosa fosse sarebbe passata col tempo. Troncava qualsiasi discussione sul nascere, senza ascoltarla, senza captare segnali abbastanza eloquenti. 

Lei si sentiva in trappola, e aveva deciso di far passare Natale, per rispetto degli anni che avevano passato insieme, e poi l’avrebbe lasciato senza appello. Non le importava di quel che diceva lui o di cosa volesse lui: Julia era convinta di non voler più sentirsi intrappolata in un rapporto non sereno, dove non si poteva parlare e dove Robert non si creava neanche il disturbo di capire se lei stesse realmente bene o no. Michael in qualche modo le aveva aperto gli occhi su qualcosa che lei si rifiutava di accettare da tempo, ed ora non se la sentiva più di fingere. Natale, pensò togliendosi i tacchi alti dopo l'ennesima inutile cena con Robert, e poi tutto sarebbe finito. 

Si mise un paio di jeans, una camicia e un pullover e si coprì bene con il piumino e il cappello di lana. Ringraziò il cielo che Robert non avesse insistito per rimanere lì con lei e guardò fuori: stava iniziando a nevicare! Infilò degli stivali adatti, prese una busta ed uscì. A mezzanotte e mezza, infreddolita, suonò al portone del palazzo di Michael. Si allontanò un po’ sul marciapiede per farsi vedere quando la tenda si scostò leggermente: era un’abitudine di Michael guardare prima di rispondere al citofono. La vide sbracciarsi, un po’ buffa e corse ad aprire. Lei salì le scale in tutta fretta e si rifugiò nel caldo appartamento di Michael. Prima di togliersi il cappotto lo baciò con trasporto, e poi si spogliò e accettò una camomilla calda.

“Volevo salutarti prima di Natale… domani parti.” Disse triste. Si guardò intorno e vide valigie ovunque, pronte per il viaggio.
“Potevi chiamarmi, sarei venuto io da te”
“Ma no, volevo fuggire un po’ da casa mia, nessuno sa dove abiti e ho anche lasciato il cellulare a casa: siamo soli io e te Fassbender!” disse abbracciandolo da dietro, mentre lui preparava le camomille.
“Stai diventando indecente, Leighton: e pensare che quando ti ho conosciuto eri così timida e composta”
“Ero una persona molto infelice… poi sei arrivato tu!”

Si misero a sedere sul divano e Julia, incapace di aspettare oltre, gli porse una busta chiusa. Dentro c’era una lettera di qualche riga che annunciava il suo regalo:
 
Perché me lo avevi promesso.
E perché è sempre stato il mio sogno, ma sono felice di non averlo sprecato prima con qualcun altro.
Buon Natale, J.

 
Michael aprì la busta e dentro c’erano due prenotazioni per un volo Londra – Palermo per Giugno. Poi una prenotazione per una macchina a noleggio e varie prenotazioni di alberghi qui e lì in giro per il Bel Paese. Il biglietto di ritorno diceva che sarebbero stati via due settimane.
 
“Ho pensato che fosse un modo carino per chiederti di stare con me, insomma per ufficializzare la cosa… so che ci saranno molte cose da tenere presenti, e immagino che non sia facile per te farti fotografare in giro con una donna, ma insomma, mi piacerebbe partire con te, per iniziare davvero... insieme. Spero che tu non sia impegnato..." disse impacciata, tutto d'un fiato. Poi, dopo una pausa, riprese e disse la cosa più importante: "Ho deciso di lasciare Robert dopo Natale”.

In realtà quel regalo era molto di più: significava che lei aveva davvero deciso con chi stare e che voleva viversi Michael alla luce del sole. Michael guardò quelle carte preziose e poi guardò lei, decise di non commentare, ma di dimostrarle quanto fosse felice. Ai problemi, al gossip, ai giornali e a tutto il resto avrebbero pensato con il tempo: l’importante è che lei fosse finalmente sua.
“Impegnato? Si certo, a fare l’amore con te, in Italia. Grazie” e la baciò dolcemente, sentendosi davvero appagato. Poi la spinse dolcemente giù per ringraziarla davvero e le disse: “Iniziamo a fare pratica, che dici?!” Julia scoppiò a ridere e non tornò più a casa.

Il Natale era arrivato, e Julia era più depressa che mai. Aveva litigato, ancora, con Robert, cosa che ormai la snervava. Inoltre ci si era messa sua madre, che per darle una mano, aveva iniziato a chiamarla ossessivamente per sapere come avrebbe risolto il problema, come lo chiamava lei. Quel giorno, mentre caricavano la macchina per partire arrivò addirittura a dirle “Julia, te lo dico in maniera molto serena: non farmi fare figuracce davanti ai Wilson, o te ne pentirai”. Sembravano tornate a quando aveva dieci anni e doveva andare a fare merenda ad un’amichetta. Julia evitò di risponderle come avrebbe voluto, anche perché vicino a lei c’era Robert: glissò il discorso e sperò che le festività passassero presto. Natale, pensò mentre finiva di impacchettare tutto, e poi tutto sarebbe finito. 

Mentre chiudeva il portone incontrò l’avvocato anziano dello studio, che passava di lì con la moglie, intenta a cercare gli ultimi regali. L’uomo fu gentile e premuroso come al solito, salutando anche Robert e informandosi di quale affascinante viaggio stessero per fare. Conversarono qualche minuto, poi Robert si allontanò per rispondere al cellulare, scusandosi con l’anziana coppia. L’avvocato prese la palla al balzo e agguantò Julia per un braccio, allontanandola un pochino. La ragazza non si aspettava un gesto simile e si preoccupò: forse l’avvocato voleva rimproverarle qualcosa, d’altronde ultimamente Julia si era impegnata come al solito in ufficio, ma aveva cercato anche di ritagliarsi più tempo per se, cosa che in passato non era quasi mai capitata. Invece l’uomo la spiazzò dicendole: “Julia, cara, è tempo che volevo dirti questa cosa: sono felice che ultimamente hai deciso di tagliare qualche ora per te stessa, ti farà bene alla salute e anche il tuo lavoro sarà migliore. Ora, credo di sapere quale sia il motivo… sai ogni tanto dalla finestra dello studio mi affaccio anche io, Julia. Non lasciartelo scappare: nessuna donna dovrebbe abbandonare chi riesce a farla sentire tale. Sono un impiccione, non dovrei ficcare il naso: ma prendi questa conversazione come un regalo di Natale da parte di un vecchio romantico.”
Julia rimase a bocca aperta: sua madre la ostacolava, mentre l’uomo che dirigeva il suo studio e per il quale lei avrebbe dovuto essere niente più che una dipendente, non solo aveva colto tutto, ma la esortava a non lasciarsi scappare niente. O meglio, nessuno. Annuì sinceramente commossa, sentendosi per un attimo più leggera e meno in colpa. Poi tornarono verso i rispettivi partner, si salutarono e ognuno andò per la propria strada. Julia seguì con lo sguardo l’avvocato e si disse che qualsiasi cosa fosse successa, forse avrebbe dovuto fidarsi di più di quell’uomo in futuro.

Arrivarono alla tenuta dei Wilson verso le diciassette. Il tempo non era dei migliori, faceva molto freddo e l’aria minacciava pioggia a dirotto. Erano arrivati per ultimi, dopo un viaggio durato poco più di ore in assoluto silenzio, se non per chiedere quanto mancasse all’arrivo e proporre qualche caramella.

Julia salutò tutti e poi andò nella loro stanza, con la scusa di un forte mal di testa: aveva bisogno di rilassarsi. E di chiamare Michael. Parlarono qualche secondo, con Julia chiusa nel bagno della stanza per paura di essere sentita. Michael era in America per lavoro e ci sarebbe rimasto almeno fino a gennaio, anche se ancora non sapeva precisamente quando sarebbe tornato a Londra. Era così bello sentire la sua voce, che Julia si perse nel tempo, senza guardare più l'orologio: seduta per terra, davanti la finestra, continuò ad ascoltarlo per quelle che sembrarono ore. Ma la porta della stanza che si apriva fu il segnale che il loro tempo era finito, si salutarono in fretta e Julia promise di chiamarlo più spesso possibile. 

La cena passò lentamente, fra i soliti discorsi e il matrimonio che usciva fuori ogni tre parole. Robert ad un certo punto si alzò in piedi e, levando il bicchiere in aria, disse: “Volevamo dirvi che finalmente abbiamo deciso la data: ci sposeremo il 3 Marzo”. Julia si sentì in dovere di alzarsi vicino a lui e accennò ad un timido sorriso, che però forse avrebbe dovuto essere un po’ più solare per essere credibile. Fortunatamente il suppliziò finì velocemente e Julia andò nella veranda della casa a leggere. Fu lì che la raggiunse sua sorella.

“Ehilà, così il 3 Marzo diventi una Wilson: un sogno che si avvera”. Julia non sapeva come reagire, ma era stanca di fingere.
“Judith, ho conosciuto un’altra persona.”
“Julia stai scherzando? Mi stai prendendo in giro?”
“Ma che avete la risposta incorporata te e la mamma!? Diavolo…”
“Quindi vuol dire che la mamma lo sa? E come l’ha presa?”
“Oh sta tranquilla: mi ha subito fatto capire che sono una pazza e che non vuole assolutamente che la nostra famiglia sia coperta di vergogna a causa mia. Figuriamoci…”
La sorella sospirò, cercando una risposta adatta da dare.
“Ma tu ami Robert, insomma…”. Julia non ne poteva più e sbottò, alzandosi in piedi ed iniziando nervosamente a camminare su e giù.
“Insomma cosa?! Chi ve lo dice che io amo Robert, scusate? Ma ci siete voi dentro la mia testa? La verità è che Robert è il porto sicuro, quello che so benissimo che non mi farà mai del male, che mi sta vicino e mi assicura una vita tranquilla, senza problemi, senza niente. Ma è tutto così piatto da tempo, ormai. E’ tutto così ordinario, io non sto più bene, mi chiudo nel lavoro perché è l’unica cosa che mi tiene viva. E Michael, invece…”, si accorse di averlo nominato e si fermò un secondo. Sentì un sorriso nascerle sul volto e un’energia dentro, così continuò: “… beh lui è straordinario, con lui niente è normale, non so mai cosa succederà domani, ma c’è un’intesa pazzesca, c’è qualcosa che non riesco a spiegare. Io mi sento come se tutto il mondo fosse meraviglioso, quando sto con lui”. Smise di parlare e si rese conto di aver detto tutto d’un fiato. Sua sorella la guardava come se fosse un’aliena e disse solamente:
“Fa quello che credi, ma posso dirti che la vita non è solo euforia: ad un certo punto devi fermarti e diventare grande, Julia. Buonanotte.”
Perfetto, aveva anche sua sorella contro. Scoppiò a piangere, uscì all’aria aperta e sperò che tutto finisse al più presto.

Il giorno dopo, vigilia di Natale, si alzarono tutti con un ottimo umore. Julia aveva calato una maschera sul suo viso e si convinse che fra qualche giorno sarebbe tornata a Londra, a casa sua. Fu tutto molto concitato e come al solito pesante: pranzi sfarzosi tutti insieme, cene altrettanto, thè delle cinque discutendo di bomboniere e abiti adeguati. La signora Wilson fu molto gentile nel dire loro che il catering lo avrebbe scelto personalmente, per essere sicura che potessero affrontare un matrimonio in grande stile. Pregando, ovviamente, Julia di non prendersela.

Julia affrontava le cose con diplomazia e facendo lunghe passeggiate nel paese, che le era sempre piaciuto molto e la rilassava. In realtà quelle uscite in solitaria, che tutti avevano leggermente sottovalutato, erano un modo per sentire Michael. Passavano al telefono tantissimo tempo, il più possibile: lui le raccontava come andava negli States, e lei evitava di dirgli quanto le cose lì fossero particolarmente sgradevoli. In realtà un giorno gli disse che erano sempre state così, ma lei era sempre stata molto disattenta per accorgersene, mentre ora aveva un motivo per rendersene conto: lui.
Natale passò e Julia era sempre più allegra: il 27 dicembre sarebbe tornata a Londra! Quello che successe però il giorno di Natale cambiò i suoi piani.

Quel giorno, dopo l'ennesima passeggiata in solitaria, che ormai non stupiva più nessuno, Julia si era rintanata sotto la doccia, cercando di scaricare la tensione del pranzo di Natale, che tutto era stato tranne che una bella festa di famiglia. Il pensiero che se non fosse arrivato Michael avrebbe passato tutta la vita così la atterriva: doveva tenere a mente di ringraziarlo, anche per quello. Alla radio parlavano dei Coldplay, che sarebbero usciti con un nuovo album in primavera e dissero che probabilmente avrebbero incluso l’Italia nel tour promozionale. Julia rise d’istinto, pensando all’Italia: il suo sogno che diventata realtà, per di più con Michael. Non smise di sorridere passandosi la spugna sul corpo e pensando che erano giorni che non facevano l'amore e lei iniziava a sentire la mancanza del suo tocco, delle sue labbra e dei suoi baci. Iniziò a toccarsi con più audacia, chiudendo gli occhi e pensando solamente a Michael. 

Quando uscì dal bagno, rilassata e rigenerata, ed entrò nella camera, vide Robert seduto sul letto che guardava un giornale. Sulle prime non notò niente di particolare e decise di andare verso l’armadio per prendere i suoi vestiti, ma appena mosse un passo, l’uomo la fulminò con lo sguardo e le disse, con il tono più gelido possibile: “Sei una puttana.”

Julia rimase immobile, non sapeva cosa fare e cosa dire, ma soprattutto non sapeva da cosa emergeva quella rabbia. Certo, lui sapeva che fra loro le cose erano cambiate, anche se si ostinava a non volerlo accettare. Julia, date anche tutte le pressioni della famiglia, aveva deciso di parlargli solo dopo Natale, in modo da non dover affrontare l’astio di tutti tutto insieme. Ma ora che succedeva? Provò ad avvicinarsi a lui, ma quello che ottenne fu che Robert le scaraventò addosso la rivista che stava leggendo. Le si coprì il volto istintivamente, ma poi si chinò a raccoglierla: quando vide la copertine le si gelò il sangue. C’era un Michael preso di striscio con vicino una donna che rideva. Non si vedeva bene, la foto era sfocata e la donna era girata per metà, ma un uomo che sta con te sette anni sa riconoscerti ovunque, anche da un capello. Quella donna era lei.

Dentro c’era un articolo fin troppo sospettoso su chi fosse e che ruolo ricoprisse la misteriosa donna al fianco di Michael Fassbender, e si accennava alla possibilità che fosse con lui nella sera del Golden Globe, così da chiarire il mistero a tutti. Julia sentì improvvisamente un nodo alla gola e le parole morirle prima di uscire dalla sua bocca, ma non poteva fare finta di niente. Quello che la stupì più di tutto fu che i suoi pensieri fossero completamente diretti a Michael: che impatto avrebbe avuto tutto quello su di lui e sulla sua carriera? Doveva avvertirlo, o forse lui già sapeva. 

“Un cliente eh. Ed io cretino che ci sono cascato.” Disse Robert, infervorandosi e riportandola bruscamente alla realtà. 
“Robert, ascoltami, io non voglio ferirti, davvero, però…” rispose, tentando di tenere la voce il più calma possibile. 
“Stai zitta. Non parlare, non ne hai diritto. Mi hai tradito con uno qualunque. Cos’era la fama che ti faceva gola? I suoi soldi? Cosa?”, stava diventando antipatico e ingiusto.
“Smettila di fare lo stupido, non ti si addice” aveva perso anche lei la sua gentilezza. Posò il giornale e decise che non poteva più attendere.
“Robert, fra noi le cose non vanno da tempo, lui non c’entra niente. E tu lo sai benissimo: sono mesi che provo a dirti che vorrei parlare, che vorrei fare un viaggio con te, che vorrei qualcosa di più, che mi sento spenta e tu liquidi tutto con frasi fatte e stupidi regali. Ora vieni a dirmi che ti senti tradito? Avresti dovuto ascoltarmi”.
“Ah, pure. Ora la colpa è mia. Interessante come tu riesca a girare le cose, è ovvio che tu sia un avvocato, sei molto brava. Tu hai detto di amarmi, hai detto che volevi sposarmi, mi hai mentito, mi hai messo in ridicolo, ti rendi conto?” ora urlava. Sicuramente non era difficile che qualcuno li sentisse, ma non gli importava molto.
“Io non ti ho mentito, sono settimane che ti dico che dobbiamo parlare e la tua risposta è sempre il 3 Marzo! Diavolo, Robert: un uomo innamorato si interessa se la sua fidanzata vuole dirgli qualcosa. Tu volevi solo mettermi l’anello al dito per poi ricattarmi, perché rompere un matrimonio è molto più difficile che lasciarsi e ciao. Mi sembra strano che tu non abbia voluto scegliere una data più vicina.”
“Tu non hai nessun diritto di parlarmi così. Sei una puttana, mi hai messo le corna con quello là, quell’attoruncolo da quattro soldi. E quando lui ti lascerà in mutande per un’altra che farai? Tornerai strisciando?”
“Io non tornerò. Sono fortunata a volermene andare" sibilò lei astiosa e con i nervi a pezzi. Non ne poteva più di lui, del suo non voler ascoltare, della sua boria e dei suoi insulti. 
“Sei un’ingrata. Almeno ti scopa bene?! Sicuramente avrà avuto più chance di me in questo campo… sono mesi che non facciamo l’amore.”
“Non certo per colpa sua. Fatti un esame di coscienza, ogni tanto.” E dicendo quello lo sentì pericolosamente vicino.
“Vai subito fuori da casa mia, troia. E non farti più vedere.” Le disse in un sibilo, vicinissimo al suo viso.

Julia prese la valigia, gettò le sue cose dentro velocemente, si vestì prendendo abiti a caso, si legò i capelli e scese. La videro tutti, ma non disse niente, ci pensò Robert dalla cima delle scale:
“Sentite qua, gente: la signorina ha un amichetto con cui le piace divertirsi mentre io lavoro per garantirle una vita splendida. Fantastico, no!?” e gettò il giornale al piano di sotto. Sua madre corse a raccoglierlo per vederlo, mentre la madre di Julia era impietrita e la guardava con odio. Julia osservò quella che doveva essere la sua famiglia, poi mise il cappotto ed uscì. Solo allora, all’aria aperta del pomeriggio di Natale, scoppiò a piangere e si sentì distrutta. Era libera, ma le era costato parecchio.

Prese il cellulare tremando e provò a chiamare Michael: era staccato. Non si perse d’animo e andò alla stazione dei pullman per tornare a Londra. In meno di tre ore era nella Capitale. Dopo mezz’ora era a casa, ma trovò un’amara sorpresa: le sue chiavi non aprivano più. Robert aveva sicuramente chiamato qualcuno, pagandolo profumatamente, per cambiare la serratura. D’altronde la casa era intestata alla sua società, che un anno prima gliel’aveva concessa come bonus di fine anno. Ora sapeva che non avrebbe dovuto accettare di andarci a vivere, ma lei pagava un affitto altissimo, e quella casa era deliziosa, gratis e in posizione ottima per andare allo studio. Lo odiò con tutta se stessa, uscì di nuovo per andare in un albergo quando il cellulare squillò: “Ju, tesoro, come stai?” la sua voce. Scoppiò di nuovo a piangere, non riusciva a parlare, a dire nulla. “Ehi, che succede, Julia, parlami: che hai?”
“E’ finita, Michael. E’ tutto finito.” Dall’altro capo del filo ci fu il gelo.
“No aspetta Julia, ti prego aspetta che io torni a Londra, parliamone almeno.”
“Ma no, Michael: è finita con Robert. Sono tutta tua, non ho più una famiglia, una madre, un padre, forse neanche una sorella, ma sono tutta tua. Ah dimenticavo: non ho più neanche una casa.”
“Piccola, come non hai una casa?”
“Robert ha fatto cambiare la serratura, tempo che io sono tornata a Londra con un pullman. La casa era della sua società. Chissà quanto avrà pagato, il giorno di Natale, per farmi questa cattiveria. Vado in albergo per qualche giorno.”
“Ma no aspetta. Prendi un aereo, vai in Irlanda, a casa mia. Le chiavi potrai trovarle dalla signora Ginny, in paese. La avverto io.”
Julia ci pensò qualche secondo. In realtà voleva solo mettersi a letto e dormire, aveva freddo ed era stanca, però l’idea di non starsene in hotel, ma in quella casa meravigliosa, dove nessuno avrebbe potuto trovarla, le sembrava un toccasana. Al pensiero si sentiva già meglio. Accettò e prendendo un taxi per l’aeroporto, si fece spiegare da Michael tutto il necessario.

In tarda serata entrò nella villetta di Michael, sulla scogliera. La signora Ginny era stata gentilissima e si era offerta anche di accompagnarla personalmente alla casa, ma Julia rifiutò cortesemente. Prese le chiavi, ringraziò la signora per averla aspettata a quell’ora della sera e andò via.

La casa fortunatamente non era gelida: la signora Ginny, non appena ricevuta la telefonata di avvertimento di Michael, era cosa alla villetta per accendere i riscaldamenti. Julia pensò che quella donna meritava un regalo enorme! Si fece una tazza di thè e solo quando fu sul divano, avvolta dalla coperta, chiamo Michael.
“Sono arrivata, sono sana e salva e sono a casa tua. La signora Ginny è stata davvero splendida.”
“Bene, ora puoi spiegarmi cosa è successo? Stamattina era tutto tranquillo.”
Julia fece un sospiro e iniziò a raccontare tutto a Michael, foto sul giornale comprese. Pensò che forse lei non era l’unica a doversene preoccupare. Lui non disse niente e ascoltò pazientemente il racconto fino alla fine, poi disse solo: “Che stronzo. Mi dispiace, tesoro… davvero, mi dispiace tanto.”
“Ora sto bene. Questa casa è davvero capace di azioni terapeutiche!” riuscì a sorridere. Michael ebbe giudizi altrettanto coloriti sulla sua famiglia, che non le era stata accanto, ma parve non preoccuparsi del giornale e delle foto, cosa che Julia notò con stupore.

Il giorno dopo Julia si alzò ritemprata, ancora scossa ma molto più tranquilla. Guardò il cellulare e vide come nessuno l’aveva cercata: era chiaro da che parte la sua famiglia si fosse schierata. Sapevano benissimo che non era potuta entrare in casa, quindi per quanto ne sapevano loro poteva essere per strada, e non si erano neanche degnati di mandarle un messaggio, di informarsi se stesse bene. Quella che la deluse di più fu sua sorella: Judith le aveva promesso di starle sempre vicina, invece si era imborghesita anche lei, appresso a tutta una serie di lavaggi del cervello che le avevano troncato la capacità di sognare e decidere per se stessa. Pensò che tanto valeva spegnere il cellulare e rilassarsi davvero. Decise di pensare alla sua vita a Gennaio, quando sarebbe tornata a Londra e avrebbe risolto anche il problema casa: sicuramente avrebbe dovuto riprendere le sue cose, ma ora non era un problema. Aveva bisogno di tempo. Prima di spegnere il cellulare, mandò un sms al socio anziano dello studio: “Avvocato, scusi l’orario e il modo ma devo chiederle qualche giorno di ferie in più. Mi dispiace avvertirla così, ma spero che capirà. La ringrazio e la chiamo domani. Ps. Ho seguito l’istinto. Julia.” Aspettò la conferma, che arrivò dopo qualche minuto: “Julia, lo studio è chiuso, le cause sospese, non c’è fretta. Ci vediamo a gennaio. Ps. Sono dalla tua parte”. Sorrise e spense il cellulare.

Passò i giorni seguenti a pensare a se stessa. Fece spesa, andò a salutare più di qualche volta la signora Ginny, che fu sempre molto gentile, e comprò qualche vestito. La vita era molto rilassata, quasi rallentata, rispetto a ciò a cui lei era abituata, ma dopo un paio di giorni capì perché Michael aveva voluto una casa proprio lì. Sperava che il paese non vociferasse troppo su una donna straniera arrivata all’improvviso a casa di Michael, mentre lui era via. Ma decise di non farci caso, comunque. Pensò solo se voleva passare la sua vecchiaia lì. 

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Capitolo 12
*** Caffè corretto al miele caldo ***


Cari lettori, 
eccoci all'ultimo capitolo! Siete tristi? 
Io un pò, perchè mi mancherà la routine settimanale e mi mancheranno Julia e Michael! 
Però credo che ogni storia degna di questo nome debba avere una fine, 
bella o brutta che sia!  
Vi avviso fin da ora che ci sarà un epilogo,
che chiarirà qualcosa rimasta in sospeso e metterà la parola fine definitivamente.

Voglio salutarvi ora: 
siete stati tantissimi e la cosa mi lusinga. 
Era la mia prima storia pubblicata e non credevo ad un tale successo! 
GRAZIE di cuore! 
Sto lavorando ad altro (ho già pubblicato una seconda storia, sui Mars)
e spero che continuiate a seguirmi, dandomi suggerimenti o consigli,
sempre ben accetti! 

E' stato un piacere scrivere per voi, davvero! 

A presto, buona lettura, 
Bibi! 

 

Il 31 dicembre era alle porte, il paese preparava i festeggiamenti di Capodanno, e ormai quando Julia passava sulla via principale tutti le sorridevano: sapevano chi fosse. Lei era intenta a fare provviste per la sua serata in solitaria. Affittò un film, e comprò solo cose iper caloriche, seguendo un criterio tutto suo: salsicce da fare alla brace, pop corn, patatine, patate, dolci di vario genere, vino rosso, formaggi e qualche scatola di biscotti croccanti. Sarebbe stato il primo San Silvestro da sola. Nei programmi c’era un party a casa di un collega di Robert, per il quale avrebbe dovuto indossare un abito elegante, tacchi a spillo, e rimanere tutta la serata a sorridere a sconosciuti: molto meglio il suo party privato a base di cibo spazzatura, divano, film e felpa pensante.

Non aveva avuto più contatti con la sua famiglia da quando era stata cacciata dalla casa dei Wilson e la cosa la rendeva inquieta: come potevano aver chiuso con lei? Nonostante tutto, anche ammesso che lei avesse sbagliato o che loro non approvassero le sue scelte, rimaneva una figlia, e una sorella. O forse no, iniziò a pensare in quei giorni. 
Aveva spesso preso il cellulare in mano e aperto la rubrica, trovandosi davanti il numero di Judith: aveva indugiato a lungo su quel contatto, sfiorando piano il display, sperando quasi di avviare la chiamata per errore, per essere costretta poi a rispondere. Non aveva il coraggio volontariamente di chiamare, ma più di qualsiasi altra cosa avrebbe voluto sentire la sua voce e forse anche chiederle scusa. Non perchè si fosse pentita delle sue scelte, ma perchè sentiva di essersi comportata male con lei, e con gli altri. Era vero, voleva cambiare le cose, voleva lasciare Robert, con il quale non stava più bene da tempo ed era vero, si era innamorata di un'altra persona, ma avrebbe dovuto essere più attenta, non farsi sbattere in prima pagina, non farlo venire fuori in quel modo, il giorno di Natale. Tuttavia, non trovava mai davvero il coraggio per chiamarla, e finiva sempre per spegnere il cellulare e lasciarlo da qualche parte, convinta che non le sarebbe servito a molto: tolto Michael, e qualche amico che mandava sms di auguri, nessuno aveva pensato di chiamarla, cosa che le faceva ribollire comunque il sangue.

Con Michael tutto proceva a gonfie vele: aveva parlato moltissimo in quei giorni e a Julia sembrava davvero di essergli accanto da una vita intera, era convinta di essersi rifugiata in Irlanda da secoli e non solo da una manciata di giorni. Era sempre più convinta di voler stare con lui per sempre, anche se a volte aveva una paura folle che tutto andasse storto e che Michael si rendesse conto che lei non era la donna adatta a lui. Erano momenti di irrazionalità che cercava di scacciare in tutti i modi, in primis chiamandolo. E fu così che fece quella sera, la penultima dell'anno, rannicchiata sul divano, mentre nel cielo d'Irlanda imperversava la tempesta. 

"Ehi, disturbo?" disse non appena vide apparire il sorriso di Michael sul display dello smartphone. 
"Piccola, come stai?"
"Bene, molto bene. Qui fa un freddo cane, ma ci si difende. E tu?"
"Io lavoro, stiamo cercando di chiudere la promozione qui in America, ma è molto più complicato del previsto"
"Mi dispiace, vuoi raccontarmi?"
"Abbiamo dovuto fare più interviste di quelle che credevamo, l'organizzazione statunitense ha fatto acqua da tutte le parti e abbiamo dovuto arrabbattarci in qualche modo, un caos infinito! Fortunatamente sono in ottima compagnia e lo stress vola via fra risate e cene" 
"Ehi, Fassebender, ti stronco la carriera sfavillante che hai!" 
"Avresti potuto dirmelo prima, almeno mi sarei evitato questo tour de force"
"Simpatico, davvero molto simpatico. Senti, nevica? Fa freddo? Ti copri abbastanza?"
"Si mamma, si mamma, e si mamma" 
"La smetti di prendermi in giro? Mi preoccupo per te!"
"Ed è una cosa bellissima, amore". Il suo tono si era addolcito, come se fosse stato cosparso di miele caldo e Julia si sentì immensamente fortunata e incredibilmente felice. 
"Lo farò per il resto dei tuoi giorni, quindi inizia ad abituarti" gli rispose ridendo. 
"Julia, senti volevo dirti una cosa" iniziò grave, tanto che Julia tornò seria e si chiese cosa mai fosse successo, nel vederlo con quell'espressione poco rassicurante sul viso. Poi continuò: "Proprio a causa di questi problemi, non ce la faccio a tornare in Europa entro domani sera, mi dispiace" 
"Oh..." disse solamente Julia, sentendosi stranamente delusa. In realtà non avevano parlato di stare insieme la notte del 31 Dicembre, perchè lei sapeva benissimo che Michael sarebbe stato ancora negli States, ma inconsciamente ci aveva sperato. Si costrinse a non sembrare tanto triste, perchè lo amava e doveva aver rispetto del suo lavoro e gli disse: "Non fa niente, Michael, festeggeremo insieme quando tornerai". Sorrise dolcemente, sperando che lui la sentisse vicina. 
"Davvero sei così buona con me? Qualsiasi donna avrebbe fatto una guerra a questa affermazione!"
"Io non sono qualsiasi donna... io ti amo e capisco che il tuo lavoro ha dei ritmi strani e che non conosce festività comandante e non"
"Ti amo" 
"Non approfittartene. Senti, volevo chiederti una cosa..."
"Dimmi..."
"Le foto... insomma, quelle foto, hai capito no!? Come le stai gestendo? Come va?"
"Mi hanno fatto parecchie domande, sono sincero, ma ho sorriso e cambiato argomento" 
"Ah..."
"Julia, ascoltami: ci sono delle regole da rispettare, non ne parlo perchè non posso e non voglio darti in pasto alla stampa, non perchè io non sia convinto di noi, intesi?"
"Devi smetterla..."
"Non ti sto prendendo in giro!"
"Devi smetterla di leggermi dentro e capire i miei pensieri con un solo sguardo"
"Non credo smetterò mai"
"Stiamo apposto, non avrò più una privacy" 
"Senti, devo scappare, mi chiamano. Ti chiamo non appena torno in stanza, ok?"
"Ok, buon lavoro... Michael?!"
"Si?!"
"Mi manchi"
"Anche tu, piccola, tanto. Torno presto, promesso". Julia lo guardò farle ciao con la mano e sorriderle come solo lui sapeva fare, poi Michael chiuse la chiamata e lo schermo diventò nero in un attimo. Rimase ancora un pò lì, a farsi cullare dai tuoni e dal mare in tempesta, sentendo una profonda pace impossersi di lei: se la felicità si sarebbe potuta sentire nella pancia, nelle viscere, nel cuore e nell'anima, lei era sicura di averla ovunque. 
Si prese una coperta e un libro e si mise a leggere, sorseggiando una cioccolata calda e sperando che non smettesse di piovere. 

La mattina dopo, l'Irlanda si svegliò con un leggero sole, che scaldava molto poco, ma stava asciugando l'aria umida dal temporale del giorno prima. Era finalmente il 31 dicembre. Julia si stiracchiò nel letto, sotto le pesanti coperte che amava sentire addosso e guardò l'orologio: le otto del mattino. Era prestissimo e fu felice di constatare che avrebbe potuto rimanere a letto ancora per molto. Il programma del giorno era semplicemente di fare due passi come al solito, e poi tornare in casa a leggere e preparare la sua cena. Non aveva bisogno di fare la spesa, perchè ci aveva pensato il giorno prima, rimpinzando la dispensa di cibi assolutamente poco salutari, ma sicuramente molto soddisfacenti: non avrebbe avuto un cenone pieno di organizzazione, ma avrebbe mangiato senza un vero senso logico le cose che preferiva. Ed era felice così. 

La giornata passò lenta, tranquilla e placida come qualsiasi giorno in quel pezzetto verde d'Irlanda. Si attardò alla sala da thè del paesino, dove prese una bevanda calda e si tuffò nel suo libro, quando alzò gli occhi, rapita da un tuono, l'ennesimo, si accorse che era abbastanza tardi e decise di tornare verso casa. 
Rientrò che era già buio da un pezzo e fu grata al calore che sentì non appena si chiuse la porta alle spalle. Andò verso la cucina, per accendere il forno e pensò di fare una doccia calda nel frattempo, ma mentre iniziava a salre le scale che portavano al piano superiore, sentì bussare: pensò che fosse qualche paesano e ridiscese le scale. 
In effetti, nei giorni precedenti era capitato più di qualche volte che le bussassero per portarle doni o solo per curiosare. Erano una comunità molto cordiale, e nonostante qualcuno volesse solamente sapere cose che non rientravano effettivamente nella sfera della propria competenza, Julia si sentiva accettata e non faceva fatica ad essere sorridente e gentile con tutti. 

Con il sorriso sulle labbra, arrivò all'ingresso, ma quando la porta si spalancò, per poco le venne un colpo: Michael era lì. Era tornato.

Gli saltò al collo e iniziò a baciarlo, scoppiando in lacrime.
“Ehi, sta buona! Mi fai male, Julia!”
“Ma cosa ci fai qui?!” scese e lo fece entrare in casa, con la sua pesante valigia al seguito.
“Sono tornato. E’ stata un’impresa incastrare tutto, ma volevo vederti.”
“Non avresti dovuto, io sto bene.”
“Nessuno può stare male da queste parti, ma volevo accertarmi che tu fossi riuscita ad accendere il camino!” scherzò lui, prendendola fra le braccia.
“Ah se è per questo puoi stare tranquillo: il paese mi adora e tutti sarebbero disposti a venirmi a dare una mano anche in piena notte!”
“La smetti di infrangere cuori, Leighton?!”
“Spiritoso… senti io stavo preparando una cena a base di schifezze, ma se vuoi mi metto ai fornelli davvero? Hai fame?”
“Stai scherzando? Io adoro le schifezze! Ti aiuto”. E si diressero in cucina, punzecchiandosi e ridendo. Quell’atmosfera era bellissima ed era tutto quello che voleva riuscire a spiegare a sua mamma e sua sorella quando parlava della sua vita con Robert. Ma smise di pensarci: non era più importante.

Passarono la serata a ridere come due bambini davanti ad un programma di discutibile gusto alla tv. Mangiarono il più possibile, bevvero molto vino, tanto che a mezzanotte, brindando al nuovo anno, erano entrambi brilli. Uscirono dalla casa per guardare i fuochi d’artificio del paese e Michael le disse: “Avrei dovuto passare il Capodanno ad un noiosa riunione di lavoro, con un party a seguire. Caviale, salmone e papillon. Sono scappato con una scusa discutibile e ho promesso che tornerò lì entro ventiquattro ore, il che vuol dire che domani pomeriggio ho di nuovo l'aereo per New York. Mi verranno le rughe e le occhiaie: venti ore di aereo in poco più di due giorni, ma tutto sommato... Sto decisamente meglio qui con te.”
Julia rise a quel discorso: lui era visibilmente brillo, almeno quanto lei che non riusciva a smettere di ridere.
“Anche io Michael. E per le rughe e le occhiaie troveremo un rimedio" gli rispose. Poi riuscì a tornare seria, e lo guardò negli occhi sentendo di amarlo come non mai. 

"Passeremo la nostra vita ad abbrutirci così in Irlanda?” gli chiese emozionata, con la paura finalmente volata via.
Lui la strinse a sé e le rispose: “Magari si… questi giorni di abbrutimento ti hanno fatto bene!”. 

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Capitolo 13
*** Epilogo - A volte la semplicità è la carta migliore ***


Ci siamo, ecco a voi l'epilogo per Julia e Michael! 
Io lo vorrei dedicare a tutti voi,
che avete seguito la storia silenziosamente,
che avete commentato con puntualità,
che avete messo La Caffetteria di Londra fra le storie da seguire,
o fra le storie preferite. 
A voi che passo dopo passo mi avete dato il coraggio di andare avanti, 
vi assicuro che ogni persona che sia entrata a leggere le mie righe, 
non solo mi ha dato soddisfazione, 
ma anche voglia di continuare a scrivere.
GRAZIE, davvero di cuore. 

Ho altri progetti in mente, forse tornerò presto con altri protagonisti,
una storia parallela è già in corso (The Convergence, sui Mars),
altre idee frullano in mente. 
Ma questa resterà per sempre la mia preferita, sappiatelo. 

Non fatevi mai rubare l'arte di sognare. 

A prestissimo,
Bibi
 
 




Epilogo - A volte la semplicità è la carta migliore

Erano passati quasi tre mesi da Capodanno. Dopo essere tornati a Londra insieme, Michael aveva proposto a Julia di fermarsi a casa sua, visto che era momentaneamente senza un tetto sopra la testa. Julia era molto diffidente: non voleva correre troppo, ma decise di rischiare e accettò. Una settimana erano diventate due, poi tre, finendo per decidere di rimanere lì stabilmente. Era una decisione affrettata, però sentivano entrambi che era la cosa giusta e comunque nei giorni precedenti la ricerca di Julia di una casa in affitto era sempre stata molto blanda. Era molto felice, in ogni caso, e questo le bastava.

Era tornata in studio e l’avvocato anziano le aveva chiesto se andava tutto bene. Aveva deciso di confidarsi, evitando i particolari, più che altro perché le sarebbe piaciuto sentire da qualcuno che la sua scelta non era stata totalmente assurda. L’uomo la ascoltò pazientemente e poi le disse solamente: “Ben fatto, Julia.” Sorridendo. Il lavoro era comunque migliorato, da quando Julia aveva cambiato vita, e la cosa la faceva sentire bene, soddisfatta, serena. E tornare a casa trovando Michael ogni giorno, la rendeva felice più di ogni altra cosa. Michael ormai era la sua famiglia.

La sua famiglia. Non aveva sentito sua madre per settimane. Alla fine di gennaio, convinta da Judith e parzialmente dal padre, che si era ammorbidito sulla situazione, andò a trovarla un weekend. L’atmosfera non era delle migliori, ma Julia tentò di fare il possibile, anche se sua madre non l’aiutava per niente. Cercò di spiegarle come stavano le cose, di informarla sulle sue scelte, di dirle che ora era davvero felice, come non lo era da tempo. Le disse che non era stato un colpo di testa, e che anche se così si fosse rivelato nel tempo, sarebbe stato il migliore colpo della sua vita. Le disse anche che a volte nella vita non ci si deve accontentare, che è giusto rischiare per provare a migliorare le cose e che lei era troppo giovane per accettare compromessi, specialmente se non amava più l’uomo per cui sarebbe dovuta scendere a patti così duramente. Provò a convincerla che forse lo status sociale non è così importante come lei credeva, che comunque lei era sempre stata una figlia che non voleva dare problemi, e che questo suo lato remissivo aveva finito per metterla in una relazione che non voleva più, aveva finito per farle fare scelte che andavano bene solo ad altri, ma non a lei. Infine le disse che le dispiaceva per Natale, per averli messi in ridicolo, ma che davvero non era colpa sua, non voleva e aveva cercato di gestire la cosa in maniera diversa. Scelse di non dire niente su Michael, di non metterlo in mezzo, per ora, perchè quella questione riguardava prima lei e solamente dopo l'uomo con cui aveva scelto di condividere la vita. 

Sua madre ascoltò tutto, in silenzio, guardandola in volto, senza tradire il minimo pensiero. Respirò, ponderò la risposta e disse solamente: “Era la tua occasione per una vita migliore, Julia.” Poi si alzò, pose la tazza del suo thè nel lavandino e uscì dalla cucina.
Lei si sentì spezzata di nuovo, ma decise di arrendersi: non poteva continuare a cercare l’approvazione perenne di chi vuole solamente che tu faccia scelte che non ti appartengono. Rise, sentendo finalmente il suo cuore libero da ogni pressione, sentendosi libera come forse non era mai stata, prese il cellulare e, dalla cucina di sua madre, chiamò Michael. Non le interessava che avrebbero potuto sentirla: erano due giorni che era lì e aveva cercato di farlo di nascosto, per non agitare le cose, per dare il tempo alla sua famiglia di digerire tutto. Il tempo per fargli accettare Michael, e magari di farglielo conoscere, sarebbe venuto, aveva pensato. Ma in quel momento capì che tutto quel tatto che lei metteva non lo meritavano. Lo chiamò e basta, chiacchierarono normalmente e gli disse che sarebbe tornata a casa, si proprio a casa, calcando un po’ sulla parola, quella sera stessa. Il tempo delle trattative era finito. Almeno per lei.

La vita scorreva tranquilla, erano una coppia affiatata, come se stessero insieme da una vita, e non si facevano più problemi ad apparire insieme in giro per Londra, mano nella mano, mentre sorridevano, facevano spesa, andavano al cinema o ad una mostra. Erano liberi di stare insieme, e a nessuno dei due interessavano i flash dei paparazzi che ogni tanto cercavano lo scoop. Michael non aveva rilasciato dichiarazioni, e aveva chiesto al suo agente e al suo ufficio stampa di non fare caso a quelle foto: quella era la sua vita, la sua normalità, e il resto non contava, non più. 

Dopo qualche giorno arrivò una strana lettera per Michael. Julia la prese e gliela mise sulla scrivania, andando a cucinare qualcosa per cena. Lo sentì entrare nella stanza come una furia, si girò e lo vide semplicemente sulla soglia, con la lettera in mano, incredulo e senza parole: era stato candidato all’Oscar.

Il 3 Marzo, Julia e Michael erano in una macchina dai vetri oscurati, insieme. Julia era bellissima: portava un abito rosso fuoco, lungo. Era di una semplicità incredibile: due leggere spalline le passavano sul corpo fasciandole le spalle, per finire a collegarsi con la gonna dell’abito. La schiena era scoperta. Portava degli orecchini che Michael le aveva regalato per l’occasione, e aveva i capelli raccolti in una coda bassa e laterale. Era bellissima, riusciva a ipnotizzare, nonostante il tuo abbigliamento non fosse troppo ricercato o troppo bizzarro. A volte la semplicità è la carta migliore.

Scesero dall’auto, e Julia si ritrovò investita dai fotografi: il red carpet del Dolby Theatre era molto diverso da come lo aveva sempre immaginato o visto alla tv. Michael la teneva stretta e le sussurrava quanto fosse felice all’orecchio: i flash erano scatenati, lo scoop assicurato e l’Oscar per un momento messo in secondo piano. Finalmente quella donna che per mesi era stata silenziosamente accanto all'attore, facendo impazzire il gossip, aveva una ragione d'essere, un'ufficialità importante. 

Michael e Julia erano raggianti, si sorridevano sempre, si guardavano negli occhi e si sfioravano con eleganza. Si vedeva che erano felici, si vedeva che l’attore aveva una carica incredibile quella sera. Michael non avrebbe vinto l’Oscar, ma i presenti avrebbero giurato che poco gli sarebbe importato.

Dall’altra parte dell’oceano, Robert era a letto con una ragazza conosciuta la sera prima. Da quando Julia l’aveva lasciato era entrato in un limbo fatto di serate alcoliche con amici e ragazze occasionali che si portava senza troppe remore in casa. L’esperienza gli aveva insegnato che non conta quanto sei buono: se qualcuno vuole ucciderti, lo fa senza troppi scrupoli. Ma non gli importava granché di nulla in quel periodo. Quella domenica era stato ubriaco tutto il tempo: era il 3 Marzo. Era ormai notte e lui era deciso di concedere un ennesimo round a quella bellezza rossa che aveva nel letto dalla notte precedente, quando lei accese la tv. Si sintonizzo sulla cerimonia degli Oscar proprio mentre l’inquadratura era tutta per Michael Fassebender, che aveva portato con se una bellissima donna in rosso. Robert sentì il sangue gelarsi nelle vene e si accorse che non conta nulla nella vita, se non scegli di avere e dare amore. Cacciò di casa la ragazza, prese una birra e guardando quella che era davvero la donna della sua vita, pianse fino a notte fonda. 

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