Facemmo l'amore tra le morbide lenzuola delle principesse Disney, mentre una serie di pupazzi ci osservava dall'alto della mia credenza. Il sole entrava sereno dalle fessure che la tenda lasciava scoperte, illuminando i suoi capelli color rame.

«Non voglio che ci veda nessuno» fu l'unica cosa che disse prima di tirare su quelle coperte rosa, prima di sparire alla vista di quei pupazzi immobili.

Non mi disse nemmeno che mi amava - in realtà faceva fatica solo a dirmi che mi voleva bene - e la cosa non fece che rendere ancora più magico quel momento. Mi sembrava di essere tornata all'infanzia, lui era la mia infanzia perduta.

Era il mio primo gelato al cioccolato spalmato sul viso. Era il braccio forte di papà dopo essere caduta. Era la prima barbie con i capelli tagliati male e le guance rosee. Forse era in quella stanza anche lei, sul pavimento impolverato sotto il letto, o tra i libri colorati delle elementari.

Ricordo che non mi fece male; lui danzava in me e non parlava, non fece versi e nemmeno mi guardò. I suoi occhi verdi erano serrati - le ciglia che premevano dolcemente sulla pelle - e mi teneva stretta tra la morsa delle braccia, accarezzandomi le caviglie con le dita dei piedi.

Non parlai nemmeno io, disturbata dal pensiero che quei pupazzi avrebbero potuto prendere vita, e pensai a ogni cosa che poteva assomigliare al bianco, il colore delle lenzuola quando i raggi del sole l'attraversavano. O forse, forse era rosa pallido, il rosa candido della sua pelle.

Ricordo che era quasi mezzogiorno, che dalla finestra entrava il suono delle forchette sui piatti; mi faceva impazzire l'idea che nessuno sapesse di noi lì; non lo avevo detto a nessuno, e decisi che non lo avrei mai fatto. Ancora una volta avevo paura che quel briciolo di nuova infanzia sparisse oltre quel letto, oltre le sue gambe attorcigliate alle mie.

Urlai nella mia testa tutto il bene che gli volevo, pensai all'improvviso che lui era il mio migliore amico. Ora potevo esserne certa; scacciai via il «Ti amo» che lottava per diventare suono oltre le mie labbra. Non lo amavo per niente, ne ero sicura.

Forse mi mancava questa brezza fresca sulla pelle e vedere le nuvole grigie correre attraverso gli affluenti del cielo. Era solo un sogno, quello: vivere in una palla di vetro tra sole e mare, mare e sabbia.

Mi sdraiavo su di un telo coperta da due pezzi di stoffa troppo piccoli, mentre la mia pelle continuava a bruciare furente; e io ridevo ed ero felice. Passavano i ragazzi e mi guardavano mentre da dietro gli occhiali scuri li osservavo soddisfatta. Mi sentivo bella, ora che ci penso. L'acqua del mare aveva levigato le mie forme e caldi riflessi dorati si erano creati sui miei capelli. Amavo il non pensare e il non parlare, il mio cervello finalmente libero da qualsiasi cosa. Ma forse ero troppo libera, forse.

Ridevo di giorno, salutavo bambini sorridenti e coppiette con gli asciugamani in spalla. Mi ero creata la me stessa che volevo.

Non c'era più pioggia, non c'era più il cellulare vibrante nella mia tasca, o il pensiero costante dei compiti. Mi sentivo tanto spensierata che sarei rimasta lì per l'eternità, a osservare gli aerei riportare le anime nelle rispettive case, sentire le lacrime di amori estivi stroncati sul nascere, percepire i pensieri di chi non si sarebbe mai più rivisto.

Ma è toccato a me, ora; è doloroso, ingiusto.. Ma mi mancava la mia monotona e svampita vita in un'anonima casetta nel centro città.

Ritornerò a non pensare e a non parlare, il mio cervello sarà nuovamente libero, lo giuro.

Ditemelo voi che odore ha una lettera nella buca della posta sporca di terra, bagnata di caffè e cenere. Descrivetemi il suono di una stilografica troppo imbevuta che graffia sulla carta ruvida.

Spiegatemi l'attesa, svegliarsi la mattina e correre in giardino aspettando che il postino freni tenendo sotto braccio un'insieme di parole e frasi destinate a voi.

Vi immaginate una vecchia signora con il vestito troppo pesante e gli occhiali sulla punta del naso completamente immersa in un pezzo di carta? L'odore, l'odore dell'inchiostro sotto le dita.. Voglio provare tutto quello che il tempo ci ruberà, voglio essere giovane cinquanta anni fa, quando cellulari e computer non sarebbero mai esistiti.

Grazie per le belle parole, sono contenta che vi piaccia (:

Mi dimentico di tutto perchè ho il cervello troppo affollato di pensieri che mi fanno dormire male.

Sai qual è il problema? Il problema è che io riesco a dormire; non sono come tutte le persone normali che si ritrovano all'alba con gli occhi spalancati a fissare un punto ben definito dell'oscurità. I pensieri mi scendono così in profondità che quando risalgono io sono già immersa nel sonno; e lentamente si mischiano, trasformandosi in immagini confuse e spaventose che mi annodano il subconscio.

Io mi ricordo solo di me e di chi mi è rimasto incastrato nei pori della pelle; gioco con la gente invitandola a infilarsi nella mia pelle, poi chi rimane immobilizzato tra quelle cellule diventa un pensiero. Ne è piena la mia pelle, di pensieri e gente, gente e pensieri.

Vorrei essere il pensiero più spaventoso di qualcuno che vede le stesse sfumature che io vedo nella luna piena; perchè non ho mai bloccato il cuore a nessuno?

Mi sto logorando sempre più, in modo lento e superficiale.

Piccole piastrelle bianche si staccano dalla mia pelle scura, liberando lo strato chiaro e profondo che c'è sotto; è la pelle estiva, quella che il mare ha accarezzato e che il sole ha scaldato. E' la pelle che profuma di sale e cloro, quella che si è bagnata di alcol e lacrime di bambini nostalgici.

E' la pelle che quella sera in mezzo alla gente lui ha accarezzato, mentre i suoi occhi osservavano concentrati la partita alla tv; faceva scorrere il dito avanti e indietro, lento e delicato. Lei rimaneva immobile permettendo a quel dito di premere su di lei, facendosi sempre più vicina.

Oh, quanto invidiavo quella mia pelle; si lasciava beatamente toccare dalle sue mani delicate, e ora se ne sta andando via, in piccole morte scaglie.

E' il piccolo segreto che quelle scaglie nasconderanno; cadranno a terra trasformandosi in cenere, liberando il segno invisibile del suo tocco.

E quello è il momento in cui capisci che lui avrà sempre il permesso di guardarti con desiderio; quando capisci che i suoi occhi sono così vellutati e incantevoli che ti faresti accarezzare da quello sguardo per l'eternita, è finita.

Gli uomini sono così dannatamente belli; la ruvida morbidezza della barba appena tagliata e il suono scuro della loro voce. Perchè per quanto di brutta presenza possano essere, quando noi decidiamo che lui è quel lui, non c'è più niente che ci possa far cambiare idea. Non c'è più nessun Brad Pitt o Johnny Depp nei vostri pensieri. La vera bellezza è nascosta in quel naso ingobbito e in quella pancia decisamente troppo morbida.

Quanto belli sono quando ti guardano con il sorriso appena accennato e gli occhi da bambini impauriti? Quello, quello è il vero momento; quando sai che con loro faresti cose mai fatte prima.

Lasciate stare quelle lettere in più che rovinano le vostre poesie; non ostinatevi a correggere tutto, ogni cosa che può sembrare sbagliata. Quella virgola di troppo potrebbe essere frutto di una distratta emozione, un dito così bagnato di lacrime da scivolare sui tasti di nascosto.

Non dovete calcolare le frasi od ogni parola; se loro sono lì un motivo c'è di certo. Perchè in quel disperato istante loro sembravano perfette, dei combacianti pezzi di un puzzle.

Non c'è poesia più bella di uno scarabocchio sgrammaticato di un bimbo.

Non ci crederai, ma mi ricordo bene quella mattina di maggio.

I raggi incandescenti e i fili d'erba; tu e quel fastidioso odore di sigaretta e caffè amaro. Quando si parla di amore - se è di questo che si tratta - è sempre così complicato non dire cose banali, e le parole si nascondono nella tua testa; si mescolano tra di loro rendendo tutto incomprensibile.

E forse posso dire che mi ero innamorata, che credevo in noi sul serio, ma sono banale; appunto.

Dio quanto amo essere libera! Ma libera davvero, e poter sfiorare le gocce di rugiada e le piume di un incantevole cigno.

Sei solo ossessione mentale, tu.

Sentivo il tuo sguardo che cercava di alzare il mio, piano piano; lo sai quanto volevano illuminarsi di te, i miei occhi?

Ed è stato qualche capello fa quando potevo dire di amarti, Dio solo sa quanto avrei fatto passare quelle tue dita tra i miei capelli. Sì, le tue unghie spezzate dalla cattiveria di un sorriso nervoso;

Sul pavimento gelido giaciono ora quelle ciocche, ormai incapaci di innamorarsi delle tue dita danzanti.

Vorrei essere anche io uno di quei tanti capelli immobili, uno di quelli che scendono irregolari dalla tua fronte; quante volte fai passare le tue dita tra di loro?

Mi prometti che starai seduto lì, vero? Così con il viso a tre quarti, e le ciglia che riflettono quel poco di sole che entra dalla finestra.

Promettimi che non perderai mai quelle invisibili fossette che risalgono appena sorridi, e nemmeno quello splendido naso che permette ai tuoi polmoni di riempirsi di aria buona. Dimmi che i tuoi capelli non invecchieranno, giurami che continuerai a camminare in quel modo; che è solo il tuo.

Ti dispiace se rimango dietro, con gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse? Non ruberò l'ossigeno che fa battere il tuo cuore;

Voglio dipingerti così esattamente come ti ricorderò, perchè io potrei essere tutto, ma vorrei essere te.

E voglio essere quello sbuffo d'inchiostro che sei tanto bravo a imprimere sulla carta. Voglio essere ossessione, terribile frustazione che si insinua senza consenso nei tuoi pensieri.

Hai cinque minuti al giorno da dedicare a me? Ho bisogno di sapere che sai che respiro la stessa aria che riempe i tuoi polmoni, e che ogni sera i miei occhi si soffermano sulla stessa luna che fa risplendere il tuo sorriso.

Sei il tatuaggio che nasconderò sotto i capelli tra le pieghe della nuca, e ogni volta che il vento lo accarezzerà io penserò a te.

Il lento scorrere del ruscello rendeva l'atmosfera ancora più magica; era autunno inoltrato ormai, e i cappotti si indossavano anche nelle più splendide giornate. Sembrava quasi di vivere in una favola, tanto che lei cercava tra l'erba i fogli che la raccontavano, e ad ogni respiro l'aria la accarezzava come dolci fiocchi di neve. Non credeva possibile che il braccio che le cingeva i fianchi era lo stesso che da anni la cullava quando ne aveva bisogno, il braccio di colui che le aveva donato il più bel regalo avesse mai ricevuto; Amelié scostò lo sguardo da un ramo agitato dal vento e osservò il ventre gonfio. Non scalciava ancora e malgrado tutte le amiche le dicevano che era un bene, a lei un po' dispiaceva. Voleva sentire la sua piccola creatura muoversi dentro di lei, voleva percepire le sue emozioni. Spostò lo sguardo sul viso dell'uomo che le cingeva la schiena. Dio, quanto è bello, pensò osservando le lentiggini solcate da rughe appena nate; il cappello scuro schiacciava i suoi riccioli brizzolati, e gli occhi erano concentrati sul lento scorrere del ruscello a pochi metri da loro. Le sembrava tutto così dannatamente perfetto che si pizzicò la coscia, sperando con tutto il cuore di non risvegliarsi su un letto disordinato; non successe. Era davvero uno dei giorni più sereni della sua intera esistenza e sorrise a quel pensiero. I bambini si rincorrevano spensierati calpestando le foglie morte che giacevano a terra, mentre gli zaini sbattevano forte sulla loro schiena a ogni passo. C'era chi rideva seduto su panchine spoglie, chi sfogliava concentrato un vecchio libro sporco di caffè e chi lanciava briciole ai cigni perlati. Nessuno sembrava accorgersi della sua momentanea ma eterna felicità, del legame che la sua schiena aveva con quel braccio che le premeva dolcemente sulle costole; si sentiva la protagonista di quello straccio di vita preso a casaccio, partecipe invisibile dei sorrisi della gente. Sentiva di voler bene a tutti quelli che in quel momento erano in quel parco, che in quel momento camminavano sui sottili fili d'erba indifesi sotto i loro piedi. Si guardò intorno accennando un sorriso che cercava di donare a chiunque la guardasse negli occhi. Ma con sua grande tristezza, si accorse che era tutti troppo presi dai loro impegni da poter accorgersi del suo sguardo sorridente. Li osservò a uno a uno; la signora bionda che si lisciava le pieghe della gonna, il bambino che cercava di mangiare il suo cono al pistacchio senza farlo cadere sulle scarpe, il signore che avanzava lento verso di lei. Si soffermò su di lui con una curiosità non da lei, osservandolo in modo forse troppo intimo. Aveva lunghi calzini grigi che spuntavano fuori dall'orlo dei pantaloni troppo corti e stretti; le mani si agitavano frenetiche nelle tasche, appena sotto a una cintura scura che intrappolava gli ultimi bottoni della camicia. Sopra il collo acravattato ben bene, una leggera barbetta bionda circondava due labbra rosee e sottili; quello della barba era lo stesso biondo sfumato dei capelli ricci, che si confondeva con i primi segni di calvizia. Aveva accanto una signora poco più bassa di lui che le stringeva premurosa il braccio destro, mentre con la mano indicava il ramo di un pino selvatico. Lui non la badò affatto; Amelié spostò lo sguardo sugli occhi di quell'affascinante signore, e appena sotto il cuore un colpo sordo la fece sussultare. Si mise la mano sul ventre incredula, ma continuò a osservare i profondi occhi verdi dell'uomo a pochi metri da lei.

Improvvisamente, ricordò. Sentì profumo di evidenziatore, lo scricchiolio della penna che graffia un foglio, lo stridulo suono della campanella e quegli occhi le rammentarono ogni cosa. Provò a immaginarseli più spigliati e giovani, del colore della stanchezza dopo una notte insonne; erano gli occhi che aveva baciato per interi pomeriggi sotto quei rami, gli occhi per cui avrebbe potuto danzare in eterno tra le fiamme.

Quegli occhi li aveva sempre voluti vedere sul viso dei suoi figli, circondati da ribelli capelli biondi.

E, come ogni volta non riuscì a staccare lo sguardo da loro, esattamente come non riuscì a fare lui. Appena le passò accantò lei sentì una piacevole pressione dentro; aveva cominciato a scalciare, il suo bimbo.

Mi sento in dovere di spiegare (:

Questa volta ho deciso di fare qualcosa di diverso, e credo sia venuta fuori una cosa abbastanza carina. Era da un po' di giorni che mi frullava in testa l'idea di scrivere di qualcuno che rivede il suo primo amore dopo tanti anni, dopo che si è creato una famiglia. Solo che racchiuderlo come al solito in poche righe non mi sembrava sufficiente, volevo fare di più, ed è uscito questo.

Spero vi piaccia.. (Per Miharu: no non mi sono tatuata (: )

Un bacio,

Sevilla.

Sono la persona più possessiva del mondo, io. Sono gelosa di qualunque cosa sia stata mia, di qualsiasi cosa mi abbia lasciato un marchio dentro.

E mi innamoro decine di volte al giorno, di occhi, scarpe, ricci e sorrisi; mi innamoro così facilmente che non credo potrò mai amare sul serio. Succede ogni giorno, ogni stagione e ogni volta che apro la porta di casa.

...E sono così gelosa;

Perdonatemi, vi prego, ma fa parte della mia anima.

Sono terribilmente egoista, lo so, però forse ho amato anche te per un così lungo secondo della mia vita.

Non basta, vero?

Mi chiedo se si possa eliminare qualcosa che ti è rimasto sotto la pelle. Posso graffiarmi quanto voglio, morsicarmi fino a far uscire il caldo e denso sangue... Ma come far uscire voi?

Voi che come invisibili granelli di sabbia viaggiate nel mio corpo, sfiorando il cuore ogni qualvolta mi veniate in mente. E so che è tutto sbagliato, cavolo, ogni più insignificante dettaglio.

Mi si contrae lo stomaco ogni volta e l'aria non entra bene nei polmoni, quando penso a voi. Gente con cui non ho condiviso nulla, ma è comunque importante più dell'ossigeno che non vuole rinfrescarmi l'animo.

Mi mancate un sacco, tutti quanti.

Ricordi quella sera quando guardavamo la partita? Tu eri seduto vicino a me e con le dita mi accarezzavi le ginocchia nude.

E ricordi tutte le persone che ti parlavano, vero? Tu senza distogliere gli occhi da quello schermo rispondevi con voce piatta, muovendo impercettibilmente le dita sulla mia pelle.

Ricordi il mio sorriso sincero quando la tua squadra del cuore aveva segnato? Ricordi il mio naturale interessamento alla tua felicità?

Ricordi, non è vero?

Io detesto quella squadra, in realtà; e la detesto sul serio. Così tanto che mi sono stupita davvero percependo la tua felicità dentro di me.

E sai perchè? Perchè tu la ami, quella stupida squadra di calcio, come un bambino ama il profumo del gelato al cioccolato.

Si può voler bene a un paio di mani ruvide e rovinate dalla sabbia?

E' forse per questo che non leggo qualcosa per più di una volta; adoro ricordare con le emozioni dei primi momenti, senza doverle mescolare le sensazione del dopo.

E inciampo nei ricordi, nelle parole che mi frullano in testa nell'ordine sbagliato, ma in realtà non mi interessa. Le espressioni e i sorrisi, infilo gli ingredienti nella maniera che più mi piace, cercando di immaginare il tono di voce e i riflessi chiari tra le ciglia.

E so che quelle ciglia nascondevano sguardi che mai potrò ripetere, rappresentazioni uniche che facevano arrossare le orecchie; avrei voluto vedere anche io quegli sguardi, scrutarti nelle pieghe delle braccia e tra la barba appena tagliata.

Sai, spero che tu li tenga bene in testa i miei occhi, perchè sei uno dei pochi che ho guardato così.

Ringrazio davvero chi aggiunge questa Nonsense ai preferiti e alle seguite; aumentate di giorno in giorno e questo non può che farmi piacere. Però vi prego, recensite! Non vi costa nulla, e io mi sento molto più contenta (:

E ovviamente ringrazio la mia fedele lettrice, che mi rallegra i pomeriggi con le sue recensioni (: Grazie cara (:

P.s. Mi chiedo se tu sappia leggermi nel pensiero! Sì, quel "Ricordi, non è vero?" è effettivamente una richiesta disperata. Solo che non lo sapevo, finchè non me lo hai fatto notare tu, pensa un po'! XD Rileggendo ho percepito anche io quanto fosse disperata quella domanda, e me ne sono stupita parecchio.

Baci,

Sevilla.

Come potrei spiegare il brivido che sei?

E' giorni che mia sorella me lo chiede, osservando il raggio di sole che intravede sulle mie labbra.

Come posso classificarti? Se inizi all'altezza dello stomaco e concludi sulla nuca, facendomi inarcare la schiena.
E mi risucchi tutto per qualche secondo riducendo i polmoni in sottile carta velina; a cosa serve l'aria se sento le ali nascere dalle mie scapole?

A cosa serve il sole se a sciogliere la neve basti tu?

I know better, cause you said forever.

Che poi non dovremmo sputare così tanto sulle nuove tecnologie. Siamo fortunati noi a poter vedere il volto dell'amato sfidando la forza bruta della distanza.
Chi di voi sopravviverebbe a lungo ricevendo solo lettere come era usanza nell'800?

E l'odore dell'incavo del collo? La spina dorsale che si contrae al tocco dei polpastrelli?

Ti voglio troppo bene per dirti che ti amo-

Posso avere il tuo profumo, almeno?

Vorrei annusarti mentre sogno di graffiarti la nuca.
 

Il cambio automatico è stato pensato per chi ha voglia di stringersi le mani, anche quando guida.

Comunque andrà sarai sempre il mio primo amore, il mio primo tutto, e questo non potrà cambiarlo nessuno.

Un saluto sincero a Marco Simoncelli.