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di AshenReverie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Il patto ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Capitolo 1

L’inizio.

« Pronto? »

La voce graffiò le corde vocali quando rispose al telefono, Adam cercò di orientarsi nella stanza con gli occhi ancora velati dal sonno. “ Che diavolo di ore sono?”

Scalciò le coperte in cerca di un orologio mentre dall’altro capo del telefono provenivano strani rumori.

Nel buio più totale, il display luminoso della sveglia digitale lo informava ad intermittenza con un verde sgargiante che erano le 03:00 in punto.

« Pronto? » Ripeté con una nota di irritazione.

Rumori.

Mentre era in procinto di attaccare infastidito, per tuffarsi di nuovo tra i cuscini, sentì un lamento soffocato seguito da un’imprecazione.

« Ho bisogno di te. »

« Cos...- »

«-Adam, ho ucciso un uomo. »

Si mise a sedere di scatto, riconosceva quella voce.

« Thia? »

« No, tua madre. »

Sì, era proprio lei.

« Allora, lo muovi il culo o devo inviarti un fax con la mia carta d’identità? »

« Arrivo subito. » Rispose prontamente, già saltellando per la stanza con una gamba nei jeans.

« Muoviti. » Detto questo, concluse la chiamata.

Adam rimase interdetto con il telefono tra la testa e la spalla, in equilibrio su una gamba mentre si infilava i pantaloni.

Si vestì, scorse le chiamate ricevute in rubrica e chiamò l’ultimo numero.

« Cosa c’è? »

« Non ho ancora ricevuto la licenza di veggente, potresti dirmi gentilmente dove ti trovi o devo setacciare tutta la città? »

°°°

La vettura svoltò con eleganza, entrando in una stradina poco illuminata, il motore silenzioso si spense docilmente quando Adam giunse al posto prestabilito. Scese dall’auto guardandosi attorno e scorse un altro veicolo lì vicino, anche se “rottame” era più appropriato, una massa di ferraglia arrugginita su quattro ruote afflosciate.

L’auto di Thia.

Fece qualche passo scorgendo la figura minuta che usciva tremante dal macinino, quasi fosse spaventata a morte. Aveva davvero ucciso un uomo o era un altro dei suoi giochetti macabri?

« Sei lento. » lo rimproverò, quando chiuse la portiera facendo scricchiolare l’intera struttura della vettura.

La sua voce, la sua espressione irritata nascosta da uno sguardo apatico, quelle erano rimaste immutate nonostante gli anni che li avevano separati. Quella liscia cascata di capelli neri era cresciuta fino alla base della schiena e il viso era diventato più elegante, smussando i lineamenti morbidi da adolescente che aveva avuto un tempo.

Ritrovava però, la ragazza di un tempo in quegli occhi grigi, che lo guardavano come se non fossero passati cinque anni dall’ultima volta che si erano incontrati.

« Traffico. » Riuscì a dire, con voce roca. L’emozione di rivederla dopo tanto tempo lo travolse e i sentimenti ruppero gli argini che aveva costruito con fatica durante gli anni.

« Mh. » Thia lo osservò come se anche lei si fosse accorta che qualcosa era cambiato ma non aveva poi così tanta rilevanza, si avvicinò allo sportello posteriore. « Ho bisogno di liberarmi di questo. »

Detto ciò aprì lo sportello e una gamba balzò fuori, come se l’abitacolo fosse troppo piccolo per la persona incastratavi dentro.

Era un uomo, alto e muscoloso. Sembrava quasi dormisse.

« È... » Adam non riuscì a finire la frase, rimanendo incantato a guardare quel corpo stretto tra i sedili.

« Non so cos’è successo... io ero ubriaca, lui era ubriaco... ho tentato di fermarlo con una Beck’s. »

« Beck’s eh? Pensavo avessi gusti decenti. » Cercò di alleggerire l’aria ma Thia non la pensò come lui, guardandolo truce.

« Ce la fai a guidare? » Chiese arrendendosi, chiuse lo sportello. Chissà se quel rottame avrebbe resistito per un altro paio di chilometri.

Annuì posando lo sguardo sull’auto, come se ne fosse intimorita. « Cos’hai in mente? »

« Tu stammi dietro, al resto penso tutto io. »

« È ciò che mi preoccupa. »

°°°

Le luci dei lampioni sfrecciavano via come tante piccole stelle cadenti, come se non fosse l’auto a muoversi ma tutto il resto a spostarsi intorno. Le mani, ghiacciate, sul volante tremavano mentre attraversava la strada.

Non riusciva a crederci, stava aiutando qualcuno a nascondere un cadavere, senza nemmeno troppi scrupoli. Era una di quelle cose che si domandava a sé stessi, domande assurde come “se incontrassi Angelina Jolie che faresti?” oppure “se avessi una Ferrari per un giorno?” ecco, “se un amico ti chiedesse di nascondere un cadavere?” non rientrava nei comuni standard.

Anche perché chi gliel’aveva chiesto non era un amico. Non sarebbe riuscito a reputarla un’amica nemmeno se non l’avesse amata così schifosamente tanto.

Il bello della loro relazione e che i normali sentimenti come amore e amicizia le erano del tutto estranei, il che lo riportava cinque anni indietro, quando era stato suggellato quel fatidico patto.

Sterzò in un sentiero naturale e si fermò, appena uscì dall’auto anche se non si voltò sentì chiudere l’inconfondibile sportello dell’auto di Thia.

« Dove ci troviamo? »

« In un posto abbastanza isolato, tranquilla. »

Aprì il portabagagli e prese la vanga.

« Ti sei attrezzato. » Commentò Thia con un velo d’ironia cupa.

Adam non aggiunse nulla, iniziò solo a scavare in un punto impreciso, ad ogni vangata un pezzo del passato veniva a galla, fino ad assorbirlo completamente, quando Thia lo chiamò, preoccupata per la sua salute mentale, si accorse che era quasi l’alba.

Trascinò il corpo fuori dall’auto e fu allora che la ragazza crollò, si accasciò a terra, accanto al ragazzo disteso sul terriccio umido. « Non volevo accadesse, io... io lo amavo. Non doveva morire. »

Il ragazzo si inginocchiò affianco a lei, mettendo da parte il proprio cuore che stava cercando un modo per suicidarsi senza l’ausilio del padrone, per via di quella confessione.

« Forse è meglio che tu vada a casa, sei stanca e scossa. Ci penso io qui. »

Thia tirò su col naso, anche con gli occhi rossi e il viso devastato dalla disperazione rimaneva la ragazza più bella che avesse mai incontrato. « Ma io... -»

« -Non serve a niente che tu stia a guardare, ti farà soffrire di più. Vai, ti chiamerò appena ho finito. Ricordi come tornare, vero? »

Lei annuì, anche se ancora dubbiosa.

« Ti chiamo. » continuò Adam, per convincerla.

« E come farai per tornare a casa? »

« Chiamerò un taxi, verrò a prenderla domani. »

Prima di rialzarsi, sconfitta, Thia lasciò una breve carezza sulla guancia cinerea del ragazzo, lasciandosi sfuggire una lacrima, poi senza voltarsi o proferire parola, salì in auto e andò via.

Adam scosse la testa, tornando al suo divertentissimo compito. Spinse il corpo verso la buca e fu allora che sentì un lamento.

Il ragazzo si mosse socchiudendo gli occhi. « ... dove mi trovo... ahi, la testa... » sbiascicò qualcos’altro ma Adam non lo seguì, colto dal panico, non doveva esser morto?

Afferrò la vanga stringendola tra le mani e prima che potesse voltarsi verso di lui la lasciò cadere sulla testa dell’uomo.

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Capitolo 2
*** Il patto ***


Capitolo 2

Il patto.

Cinque anni prima.

Adam salì le scale velocemente, scavalcando il cartello di divieto con noncuranza e aprì la porta arrugginita che si affacciava cigolante sul terrazzo del tetto.

Non che odiasse particolarmente biologia, ma in quella precisa ora di quel giorno poteva starsene tranquillo in quel posto. Ormai era diventata un’abitudine.

Oltre al fatto che lei avesse educazione fisica; Thia inventava sempre qualche scusa con l’insegnante, dopo averlo convinto si sedeva sotto la grande quercia secolare che ricopriva il piccolo giardino all’esterno e iniziava a leggere uno dei suoi libri. Il fatto che lui potesse osservarla da lassù indisturbato era solo una mera coincidenza.

Sì. Una coincidenza.

Quel giorno era particolarmente caldo, ma il vento era fresco e piacevole, quando aprì la porta una leggera brezza gli andò in contro come un cane fedele.

Rimase paralizzato sull’uscio senza fiatare.

Un’allucinazione?

La ragazza a cui aveva appena pensato, se ne stava tranquilla facendo l’equilibrista sulla ringhiera arrugginita. Il suo viso era scolpito dall’apatia, come sempre.

Thia alzò lo sguardo, i capelli ricaddero a ciocche sul volto mentre il suo sguardo adocchiava l’oggetto del suo interesse, intercettando quello del ragazzo. Invece di interrompere il contatto, rimase a fissarla incapace di fare altro.

Di rimando lei alzò un sopracciglio, ma non tornò al suo libro, rimasero occhi negli occhi fino a quando non decise di interrompere quello strano duello di sguardi.

« Ciao. »

« Thia... » Il suo nome gli uscì dalle labbra quasi come fosse un sospiro.

« Adam. » rispose lei, con una sorprendente nota di divertimento che non trasparì dal suo sguardo indolente. « Non amo molto essere osservata. Quindi verrò subito al dunque: sei uno stalker? »

« N-no... non è così... » Il ragazzo rispose balbettando sopraffatto da tutte le notizie che stava assimilando. Non l’aveva mai sentita parlare così tanto, né sapeva che in qualche modo lei era venuta a conoscenza del fatto che la osservava segretamente quando poteva.

Lei abbassò gli occhi verso il libro, con uno strano sorriso, sfiorando le pagine. « Si sta così bene qui, capisco perché è il tuo posto. »

« Scendi di lì, è pericoloso. » disse, nervoso e preoccupato.

Thia alzò lo sguardo sorpresa, un’emozione si affacciava sul volto finalmente, ma non poteva godersela pienamente data la situazione.

« Nessuno mi ha mai dato ordini. » Iniziò a dondolarsi facendo scricchiolare pericolosamente la ringhiera che protestò sotto quel gesto audace.

Adam fece un passo in avanti involontariamente, osservandola spaventato. « Non ti sto dando ordini, ti sto pregando. »

La ragazza alzò un sopracciglio, come prima. Sembrava prendesse vita quando era con lui.

« Mi stai pregando? »

« Sì. »

« Allora fallo come si deve. » disse, fermandosi. La ringhiera sospirò di sollievo per quel momento di calma.

Il ragazzo inspirò profondamente prima di fiatare « Ti prego, scendi di lì. »

Thia fece una smorfia di disappunto. « Continua a sembrare un ordine nonostante il “ti prego”. »

« Non so che altro fare. »

« Diventa il mio cane. »

Di nuovo i loro sguardi si incrociarono, l’uno scavando nell’anima dell’altro.

« Cosa? »

« Ti piace così tanto osservarmi e pregarmi. Diventa il mio cane e potrai farlo ogni volta che vuoi. Ma dovrai eseguire ogni mio ordine. »

Il silenzio che seguì, fu tutt’altro che tranquillo e pacifico.

« Hai un accendino? Ho voglia di fumare. »

Il ragazzo scosse la testa. « Non fumo. »

« Peccato. » commentò, continuando ad osservarlo. « Allora, ti avvicini o no? »

Il ragazzo si avvicinò cauto, non è che avesse paura delle altezze, né che avesse paura di lei, ma in qualche modo quella situazione lo intimoriva.

« Più vicino. » continuò lei, facendogli il gesto di sedersi di fianco a lui.

Era stranamente loquace e lui stranamente silenzioso.

« Con i tuoi amici parli parecchio, ti hanno tagliato la lingua? » disse come a far eco ai suoi pensieri, e mentre lui cercava di sedersi senza gravare troppo su quel vecchio ammasso di ferro rugginoso, lei gli tirò giù il mento con indice e pollice, facendogli aprire leggermente la bocca, più per lo shock che per altro.

Con una dose straordinaria di imprudenza si avvicinò decisa e lo baciò, accarezzando la lingua con la sua, mordendola, giocandoci. Adam non si ritrasse, non poteva anche volendo, rischiava di rompere l’equilibrio tra i due e farli cadere. Il suo sapore, dolce e delicato entrò in contatto con la sua lingua e nel suo cuore, come un’intrusione. Del resto tutto di quel bacio era un’intrusione, era come se volesse rivendicare il suo possesso, come se il patto tra loro si fosse già concluso senza nemmeno aspettare la sua risposta.

Quando la ragazza si allontanò, per la prima volta lui vide un sorriso farsi strada sulle sue labbra, si stava divertendo un mondo, come se avesse appena trovato un giocattolo interessante.

« No, la lingua è al suo posto. » disse, si leccò le labbra e riaprì il libro delicatamente.

Il patto si era concluso.

Alla fine lei scese dal cornicione, stiracchiandosi. Adam era maledettamente eccitato. Era un masochista per caso?

« Qual è il tuo cognome, Adam? » chiese.

« Hartfield. » Rispose dubbioso

« Sai qual è il mio? » Continuò, prendendo la borsa che aveva gettato vicino alla porta.

« Melèen. » Rispose lui, forse anche troppo in fretta.

Thia scosse la testa. « Lo è perché mia madre ha voluto cambiarmelo quando si è risposata con quell’ubriacone buono a nulla. In realtà non so nemmeno che cognome avesse avuto il mio primo padre. »

« È morto? »

« Sì, qualche anno fa, acqua passata. I tuoi invece? Scommetto che sono felici di avere un figlio così perfetto. »

La ragazza chinò leggermente la testa di lato osservando i suoi occhi indaco, i suoi capelli biondi così luminosi, così perfetti. Ottimi voti a scuola, educato, pieno di amici, sempre allegro. Gli dava quasi il voltastomaco quanto fosse lo stereotipo del ragazzo perfetto.

E lei? Pallida come un fantasma, occhi grigi freddi come il ghiaccio, capelli scuri come il carbone, senza alcun amico, senza l’interesse per lo studio, senza alcun attaccamento alla famiglia, senza alcuna voglia di vivere.

Sembravano quasi l’uno la metà mancante dell’altro, quasi uno strano puzzle vivente composto da soli due pezzi.

« Non so se siano felici, spero di sì. » Commentò lui senza il minimo timore, continuava a parlarle normalmente, nonostante avesse appena accettato di diventare il suo cane.

Il suo cane... ma che diavolo le passava per la testa?

« Cosa intendi? » Chiese curiosa, voleva sapere di più, scoprire molte più cose sul suo conto.

« Sono morti entrambi, pochi giorni dopo la mia nascita. Acqua passata anche questa. »

« Mi dispiace. »

« No, non è vero. » replicò lui, non era un’accusa, semplicemente sapeva chi era lei.

« Già, non è vero, ma fa sempre piacere sentirselo dire, no? »

« Non più di tanto. »

« Allora diciamo che mi sento sollevata nel sentire che non sei così perfetto come ti dipingono. Preferisci? »

« Sì. Preferisco che tu sia sincera. »

« Ecco un altro ordine camuffato. »

« Mi dispiace. »

« No, non è vero. » disse lei, questa volta.

« Già, non è vero. » rispose lui con un sorriso.

Per la prima volta, Thia aveva davvero voglia di ridere.

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