Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso di Lilith_s (/viewuser.php?uid=616298)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The unquiet darkness ***
Capitolo 2: *** The night is only a shell ***
Capitolo 3: *** Fate is coming ***
Capitolo 4: *** All in your head ***
Capitolo 1 *** The unquiet darkness ***
Il getto fresco dell’acqua lavava via la stanchezza di un intenso pomeriggio di corsa tra gli infiniti sentieri del Parco Centrale della città.
Era stata una giornata impegnativa e stressante, e, come ero solita fintanto che ho abitato ad Helsinki, scaricavo ogni tensione concedendomi lunghe e piacevoli ore di corsa per i più bei parchi della città, riflettendo, ripassando mille idee, distratta solamente dalla quiete che incorniciava il verde attorno a me.
Ero tornata ad Helsinki da poco più di due settimane, eppure, sebbene un primo stranissimo impatto dovuto ai miei cinque anni di assenza, lei sembrava non essere cambiata affatto, mi accoglieva come sempre aveva fatto senza risentimenti nei miei confronti... io, che pur amando quel suo azzurro..quello del cielo, quello dei laghi, non ci avevo pensato due volte ad andare via.
A dire il vero quando ero più piccola e passeggiavo di sera con mio padre per le vie del centro, in inverno, m’immaginavo Helsinki ed i suoi abitanti come inconsapevoli protagonisti di quelle palle di vetro con la neve, sempre graziose, caratterizzate da una tranquillità sovrannaturale.
Ero legata a questa città con la stessa dolorosa e tenera malinconia con la quale si ricorda, flebilmente, un luogo dell’infanzia dai ricordi felici che ora non c’è più.
Terminata la doccia, mi fasciai il corpo con un asciugamano da bagno, e presi a spazzolare i lunghi capelli rossi per poi raccoglierli in un’unica treccia e andare in camera a rivestirmi.
Aprii la finestra della mia stanza, che si affacciava sul giardino, e fui colta da un’improvvisa ma piacevole brezza che prepotentemente si propagò in tutto l’ambiente, un piacevolissimo fresco di giugno.
Lanciai un’occhiata veloce alla stanza, lanciai un’occhiata veloce alla mia vita...mi sedetti di peso sul letto, vestita solo di indumenti intimi, la pelle ancora un po’ umida… volevo cambiare colore alle pareti, volevo ridipingere la mia vita.
Sì, avevo viaggiato e vissuto esperienze di ogni sorta, all’estero; ma ora mi ritrovavo di nuovo qui, con il dovere di trovare un motivo per restare, per non sprofondare nel languore che mi aveva spinto, di fatto, ad andare via.
In questo fiume di pensieri, porsi lo sguardo su una vecchia fotografia sul comodino che mi ritraeva sorridente con mio padre… ecco, ma dove era finito quel sorriso? Ad essere piccoli tutto il mondo ci appare come un gioco, ma da adulti perdiamo la spontaneità e la tendenza ad apprezzare la vita così come è perché siamo troppo presi da piccoli affanni quotidiani... un litigio, una bolletta da pagare, un esame da fare... mi alzai per indossare una maglietta e dei pantaloncini, quando il rumore delle chiavi nella serratura annunciava il ritorno a casa di papà.
“Sybil, ci sei? Sono a casa!” disse ad alta voce mentre chiudeva la porta dietro di sé.
Attraversai velocemente il largo corridoio che divideva la mia porta dall’ingresso “Ehy pà” gli sorrisi togliendoli le buste della spesa che stava portando “Sono tornata da pochissimo, sono andata a correre” aggiunsi “A te? Giornata tranquilla?” chiesi una volta arrivati in cucina e, aperte le buste, sistemavo le cose nella dispensa.
“No guarda” mi rispose con un sospiro “E’ stato un vero inferno oggi… oltre metà giugno e dobbiamo ancora sistemare delle cose per il Sonisphere!” si portò una mano alla fronte.
“Sonisphere?!” mi voltai a guardarlo sollevando un sopracciglio, con espressione compiaciuta “Ma lo sai che non ci sono mai stata?”
“Come? Nemmeno quando l’hanno fatto qui, in Finlandia?” farfugliò velocemente “Ah già, tu non c’eri…” concluse con un velo di mestizia.
“Papi..dai” mi avvicinai a lui “Ora sono qui” gli feci notare “Non scappo, non preoccuparti” gli dissi guardandolo con tanta tenerezza per poi dargli un bacio sulla guancia. “Su, nel forno ti ho lasciato il resto dei cannelloni...tanto lo so che non mangi mai a lavoro, non per altro hai quel viso super scavato” feci di no con la testa
“No no Syl. Ora non posso, in più..” si guardò l’orologio, che segnava le 18.30, “stasera ho una cena con i ragazzi, e per quanto stiamo nella merda… ora è meglio che mi rimetta al lavoro” concluse con tono serio e sbottonandosi i primi due bottoni della camicia.
Mi sedetti sul tavolo ad isola della cucina, facendo dondolare le gambe “Come preferisci, Mr. Vesterinen” alzi le mani in segno di pace.
“Piuttosto, mi prendo un caffè!”
“No no no!!” risposi freneticamente “Ti rende nervoso. E tu non hai più vent’anni” gli puntai l’indice sinistro contro
“Ah!” rimase a bocca aperta “Scusa, con chi credi di stare a parlare, signorina?” alzò un sopracciglio in segno di sfida... “Sai Syl, sei proprio uguale a tua madre” mi sorrise dolcemente “Bella e testarda come lei” aggiunse sorridendomi e abbracciandomi forte “Mi manca molto”
Non appena finì di pronunciare quelle parole, sentii tramontare lo splendido sole di quella giornata. Mia madre, Tanja, era morta già da molti a causa di una lunga malattia, sempre più lacerante..per lei e per chiunque le stesse accanto. Per quanto difficile, doloroso e disumano, papà non ha mai ceduto, mai mostrato, almeno con me, la debolezza che lo attanagliava subito dopo la sua scomparsa. Spesso però mi ricordava quanto e come le assomigliassi, ed io vedevo sempre, mentre mi parlava, come i suoi occhi si facessero lucidi per l’emozione... “lo so, manca anche a me a volte...” mi staccai da quell’abbraccio prima che uno dei due finisse per mettersi a singhiozzare come un bambino “Oh riprenditi” gli detti due schiaffetti sulle guance “piuttosto…” cambiai argomento “dove ve ne andate a cena?”
“Ho detto a Raija” la sua odiosa segretaria “di riservare un tavolo al Toscanini, al Klausk Hotel, per le 20,30”
“Cucina italiana!” improvvisamente i miei occhi si fecero a cuoricino, causa anche del brontolio del mio stomaco che non vedeva cibo da ore ormai “Non assaggio un piatto italiano da troppo..troppo tempo, dio...” commentai con un sospiro e benedissi la mia intensa attività fisica, senza la quale, a quest’ora, sarei stata un’enorme palla di grasso rotolante.
“Ti andrebbe di aggiungerti?” mi domandò all’improvviso
“Io?” ammetto che ero fortemente tentata “Beh, ma siete quanti? Sette uomini?” arrossii in modo incontrollato “Mi vergognerei” feci spallucce, poggiandomi sul braccio del divano
“Ma dai Sybil! Mica sono degli sconosciuti” rise “Sarebbe bello se venissi, non vedi i ragazzi da tantissimo tempo, sono certo che sarebbero felici di rivederti, ed io sarei felicissimo di mostrare loro quanto sia bella mia figlia” terminò così, facendomi arrossire ancora di più – pessimo, pessimo mio vizio-
“Beh, se ti fa piacere” abbassai lo sguardo “Vado a prepararmi allora” sentenziai felice dopo avergli dato un altro bacio.
Mio padre mi era mancato davvero tantissimo, una mancanza sopita durante la mia lunga assenza, ma che ora si era fatta viva più che mai...certo, non sempre abbiamo avuto un rapporto idilliaco, anzi, ricordo gli anni dell’adolescenza come un continuo litigare, ma si sa che quando si diventa grandi anche il rapporto con i genitori tende a stabilizzarsi, ad appianarsi.
E’ la persona che ammiro di più in assoluto, lui che si cade sempre in piedi, che porta orgogliosamente le sue cicatrici, e che è stato capace di crescere me, non proprio un marchio di obbedienza e compromesso.
L’idea di dover cenare con tutti i ragazzi mi stava mettendo non poco a disagio, specialmente per il loro leader idiota, il troppo osannato Ville Valo, un uomo che non poche volte in questi anni ha provocato esaurimenti a mio padre – e forse anche al resto del gruppo- che però ha goduto della mia stima solo per la sua furbizia: Ho sempre visto in Ville qualcosa di machiavellico, non in senso becero, anzi, ho sempre ammirato la sua ostentata – e falsissima- modestia – non per altro sa chi è, quanto valga e quanto sia bello- volta ad ottenere perpetui riconoscimenti dagli altri, compiacendosene sempre più.
Spesso, quando ero solita frequentare l’ufficio di mio padre, ho assistito alle loro riunioni alle quali sì presenziava, ma rompendo decisamente le palle a chiunque si trovasse nella stessa stanza. “Un caffè” oppure “No, devo fumare” o ancora “Andatevene a fanculo” o peggio “Ho un impegno, devo andare via”, non contando le innumerevoli ragazze che il sottoscritto ha fatto disperare, piangere come se non ci fosse un domani, il tutto sotto il suo perenne sguardo menefreghista.
Ecco perché penso che Ville Hermanni Valo sia un grandissimo stronzo. Che poi scriva da dio...beh, quella è un’altra storia.
Guardai l’orologio in camera e mi resi conto di dover fare in fretta, date le assurde fisime di mio padre sulla puntualità.
Ricordai subito di aver portato con me da Londra un abito carinissimo che però non avevo avuto ancora modo di indossare. Questa serata risultava ideale per sfoggiarlo, ed io non vedevo l’ora, data la mia ossessione per i vestiti, ed il mio armadio lì lì per esplodere, o peggio la continua sovrattassa per le valigie, ne erano esempi.
Il vestitino era di seta blu, smanicato e con lo scollo a barca, con una non troppo profonda scollatura sulla schiena. La cosa più carina era di certo il ricamo, appena sotto il seno, a mo’ di finta cintura, tra l’oro ed il nero.
Mi guardai soddisfatta allo specchio ed optai per un tacco non molto alto – essendolo già io- sempre oro e nero.
Sciolsi la treccia e rianimai i capelli con le dita, per conferir loro volume. Desideravo essere bella, bella per me stessa. Dopo l’ultima delusione che avevo avuto, la causa prima del mio ritorno in Finlandia, non ero propensa a cercare un nuovo amore, perché nutrivo già un amore infinito per un ragazzo, perché non riuscivo a guardare nessun altro con lo stesso ardore, lo stesso desiderio che mi prendeva quando incrociavo il suo sguardo. Mi stavo sempre più convincendo del fatto che si sarebbe dovuto manifestare un dio greco dinnanzi ai miei occhi, non foss’anche per dimenticare tutto il dolore che avevo ricevuto, e senza un perché. Avevo però l’intenzione di uscire da quella gabbia in cui i fatti mi avevano portato a rinchiudermi, e decisi che il primo passo sarebbe stato apprezzarmi, valorizzarmi, non per gli occhi di un uomo, ma per i miei.
Finito di truccarmi, inviai un messaggio su whatsapp al mio gruppo, informandoli della cena e che li avrei raggiunti appena finito, motivo per cui, una volta pronta, mi diressi al ristorante nella mia auto.
Parcheggiai dirimpetto all’hotel, contenta di essere riuscita a trovare un posto in centro; uscendo dall’abitacolo notai che erano già presenti tutti, tutti tranne uno: (il solito) Ville. L’antipatia per quell’uomo crebbe a dismisura in un solo istante.
“Sybil? Non ci credo che sei tu!!” mi accolse Migè, il mio “orsacchiotto”, stritolandomi letteralmente in un abbraccio e iniziando a farmi mille domande… tutti loro si avvicinarono a me, specialmente Linde che trovavo in splendida forma, lui ed i suoi capelli, altro che donne e maschere nutrienti!
“Syl sei diventata davvero bellissima” mi disse facendomi girare su me stessa “E’ strano vederti così, io che ti ho vista piccolissima!”
Notai lo sguardo orgoglioso di mio padre e, ancora una volta durante quella giornata, compresi non solo il valore, ma la semplicità...la bellezza di avere degli affetti, persone che ti vogliono bene e perché no, per cui lottare...ed io che fino a quel momento avevo lottato, strenuamente, per un vigliacco, un codardo...
Aspettammo Ville per almeno dieci minuti, quando decidemmo, anche per il freschetto, di accomodarci in sala ed iniziare la cena.
“Che vada al diavolo!” sentenziò mio padre, e nessuno avrebbe potuto obiettargli qualcosa.
La serata passava velocemente, tra una portata e qualche chiacchiera, risate varie e discorsi loro, di cui io, onestamente, capivo meno che mai. Era passata quasi un’ora e la sedia dinnanzi alla mia era ancora vuota “Ma perché?” era l’unica cosa che riuscivo a domandarmi, quando sentii il mio cellulare vibrare. Lo estrassi dalla pochette e il solo leggere il nome del mittente del messaggino mi mandò in pappa il cervello, sentii le guance infuocate, il cuore battere all’impazzata, e le mani sudate, tremendamente sudate. “Con permesso, devo rispondere al telefono” dissi nel modo più naturale possibile.
Dopodiché mi diressi fuori dall’hotel, avevo necessariamente bisogno di aria.
“Bastardo” era l’unico pensiero che avevo in mente “Ci risiamo. Lui mi scrive ed io impazzisco di nuovo” quasi dovetti trattenere le lacrime per lo sconforto. Dovevo riprendermi, o non avrei resistito tutta la serata.
Lessi più volte quel messaggio “ Syl, mi manchi. Tu sei l’amore, sei la passione, sei la dolcezza, il sesso, il desiderio...tu sei tutto il meglio…non posso accettare il fatto di non averti nella mia vita, in qualsiasi forma. Ho bisogno di te comunque, di parlare, di ridere. Tu ci devi essere sempre e comunque nella mia vita. Syl...tu sei la cosa più bella che mi sia capitata e non posso perderti, non posso immaginarti ad amare qualcun altro, non tu che sei mia, la piccola Sybil, non tu, non è naturale...ho le lacrime di un bambino. Tu, Syl, tu, tu sei l’essere più splendido del mondo. Puoi impedirmi di dirti che ti amo, ma non puoi impedirmi di dirti quanto sei bella...torna da me...”
Più lo leggevo più quel peso nel mio cuore si faceva grande, più le lacrime premevano forte per uscire, ma non potevo. NON DOVEVO ripiombare in quello sconforto, quell’inferno grigio in cui lui mi aveva tenuta per più di un anno, con le sue effimere promesse, con il suo amore mai dimostrato. In quel momento mi sentii più sola che mai.
Ero uno straccio. Mi rimbombava in testa la domanda che in modo ossessivo, a tratti maniacale mi ero posta per quell’intero anno “Perché mi fa così male se mi ama?”...quell’interrogativo tornava così a torturarmi, ed io di nuovo brancolavo nel buio.
Inspirai profondamente, mi guardai intorno, dovevo scacciare l’ansia...notai dall’altro lato della strada c’era un distributore automatico di sigarette, così corsi ad acquistarne un pacchetto. In tutto quell’affanno e pesantezza maledissi più volte le mie scarpe, assolutamente inadatte a situazioni come queste, girai l’angolo quando, impegnata a prendere le monetine dal portafogli, non vidi chi mi trovassi di fronte e finii per sbattere contro il petto di un uomo “Mi scusi” ci dicemmo contemporaneamente, mentre lui, istintivamente, mi prese una mano; alzai velocemente lo sguardo e “Questo ha già peggiorato la mia precaria serata” sbottai, nel vedere che ero andata a scontrarmi con chi? Con sua maestà Ville Valo!
Lui non capì bene cosa stesse succedendo, mi fissò con sguardo interrogatorio e, quando ormai avevo raccattato le monete dalla strada, urlò “Sybil! Sei tu!” con tono sorpreso.
“Sì, Ville, sono io e dentro ti aspettano da più di un’ora” risposi acidamente, fermandomi a prendere un pacco da dieci di Marlboro Light
“Ma che?” sollevò un sopracciglio “Sarai mica diventata stronza come tuo padre?” domandò con un ghigno al quale risposi con un espressione che diceva chiaramente VAFFANCULO.
Presi le sigarette e tornai da lui, che nel frattempo era rimasto fermo a guardarmi.
“Saranno passati anche cinque anni, ma tu non sei cambiato per niente eh” gli feci notare accendendomi la sigaretta
“Ci tengo a preservare me stesso” rispose in tono serafico “tu invece...” mi squadrò dalla testa ai piedi senza aggiungere altro
“Non iniziare Ville, davvero. Non è serata” mi posizionai davanti alla porta dell’albergo, intenta a finire di fumare. “E dimmi...” presi a guardarlo, a squadrarlo...era un po’ invecchiato, ma rimaneva sempre un bellissimo uomo “quale sarebbe la tua scusa per questo ritardo?”
“Ahah” si passò la lingua sul labbro superiore, pensando bene di accendersi una sigaretta “Sai, fino a qualche ora fa si credeva che io fossi...” aspettò qualche secondo “MORTO!” concluse con espressione divertita
“Morto?” ripetei sconcertata “Che cazzo...?”
“Qualche coglione ha pensato bene di spargere la voce su internet, ho dovuto fare un comunicato stampa, ti rendi conto?”
Per quanto assurda fosse quella storia, mi stava portando mentalmente lontana dal messaggio di Adrian di poco prima, e per questo gli fui grata.
“Sarà sfuggito a mio padre, anche se non capisco come possa essersi dimenticato questa fantastica notizia” risi mordendomi con gli incisivi il labbro inferiore.
“Tutta invidia” commentò lui, con la solita aria non curante. Trascorremmo un minuto abbondante nel più totale silenzio, disturbati solo dalla frenesia delle auto per il boulevardi ed i passanti.
“Come mai sei tornata?” chiese di punta in bianco
Oh no Ville, no, ti prego, no no no!
“Per la specialistica” dissi in modo distaccato, rivolgendo lo sguardo altrove. In quel momento ebbi come l’impressione che i suoi occhi mi stessero addosso, avrei dovuto mentire meglio.
“Mh, capisco” mi rispose con l’aria di chi non aveva abboccato assolutamente all’amo “Quindi hai intenzione di rimanere qui per un bel po’” concluse
Alzai le sopracciglia “beh, direi di sì, starò a vedere come evolvono le cose...” gettai la sigaretta e la spensi con la punta della scarpa “entriamo?”
“Oh sì, sì” lanciò la sigaretta che rotolò oltre il marciapiede e mi porse il braccio “prego” fece con aria da gentiluomo “che si dica tutto di me, ma mai che lasci una donna entrare da sola” sorrise
Infilai il mio braccio sotto il suo e ci dirigemmo verso la sala “Sì, Ville.” Mi voltai a guardarlo “lo sanno tutti che non lasci sfuggire mai nessuna donna” gli feci notare con un sorrisino rispondendo allo stesso modo. Passarono cinque secondi circa, ma quegli occhi, dio...sembravano lame nei miei, mi guardava come se fossimo le uniche due persone sulla terra. “Altro trucchetto” pensai, eppure dovetti ammettere nella mia testa che Ville aveva davvero fascino, ancora una volta sapeva bene come usare le sue carte.
“Vedete chi vi ho portato!” esclamai una volta entrata nella nostra saletta privata
“Oh, guarda! Chi non è morto si rivede” scherzò mio padre nel vederlo “Ma dove ti eri cacciato?”
“A rispondere ai mille messaggi di commiato” rispose Ville facendomi sedere ed occupando la sedia di fronte alla mia “Mi ha chiamato mia madre, stava per avere un attacco di cuore” raccontò, cosa che ci fece ridere tutti.
Il resto della serata continuò molto serenamente, salvo qualche mio viaggio mentale diretto a Londra, verso Adrian, e le continue occhiate di Ville mi aiutavano ben poco; fissava qualsiasi cosa facessi, che mangiassi, che mi pulissi con il tovagliolo, che bevessi, qualsiasi cosa, e questo mi stava dando davvero fastidio.
“Non hai altro a cui badare stasera?” gli dissi a bassa voce, dopo averlo scoperto per l’ennesima volta
“Beh” fece il suo sorriso da stronzo “Sei seduta di fronte a me, e si da il caso che soffra di torcicollo, è scomodo per me voltare la testa, no?” aggiunse con una smorfia.
Che Ville stesse flirtando con me? Con la figlia del suo manager? Con una ragazza tredici anni più piccola? Era un pensiero che mi dava il voltastomaco.
“Acciacchi dell’età.” Tzè. Bomba sganciata, Valo. Zitto ed incassa.
“Già, tu non puoi comprendere, sei ancora una bambina” rispose versandosi un goccio di vino nel bicchiere “posso?” fece gesto di riempire anche il mio
“No, io ci tengo al mio fegato” risposi davvero da stronza. Mi resi conto che forse avevo esagerato un po’ troppo...ma nemmeno il tempo di elaborare questo pensiero che sentii arrivare uno “stronza” con un sopracciglio sollevato e gli occhi piccoli piccoli, a mo’ di minaccia
“Papino lo sa che fumi, o no?” si sporse un po’ troppo verso il mio lato, ma gli altri erano così occupati a discutere che nessuno si rese conto di quello che stava succedendo. Gli riservai uno sguardo biasimevole “Non ci tieni ai tuoi polmoni eh?” aggiunse
“Ma stai zitto, ero nervosa e dovevo calmarmi. Ecco tutto”
“Oh” rise flebilmente “E come mai? Il ragazzo ti ha lasciato?”
Aspettai qualche secondo prima di elaborare quelle cinque paroline. Che pezzo di merda matricolato. “Vaffanculo” dissi con espressione contrita. Ora sì che stavo per esplodere. Avrei voluto tanto alzarmi ed andare via, ma non potevo permettermi questa figuraccia, oltretutto eravamo al dolce e di lì a poco saremmo andati via. “Ma quanto tempo vogliono ancora...” mi chiedevo nervosamente.
Finalmente fui accontentata e tempo quindici minuti, eravamo di nuovo fuori dall’hotel.
Salutai tutti forse un po’ troppo velocemente, ma non vedevo l’ora di raggiungere i miei amici, di scappare da quel demente, altro che scapolo d’oro di Finlandia.
Mi diressi verso l’auto quando una voce dietro di me “Mi daresti un passaggio?”
“Ma che?” mi voltai di scatto, notando per fortuna che tutti si erano già defilati “ Ma che cazzo vuoi da me?”
Ville si ritrasse con la testa “un...passaggio?”
“Ma dai, non lo avevo capito” lo avrei voluto uccidere “Una mezz’oretta fa ti ho mandato a fare in culo, non vorrei rifarlo ora” voltai i tacchi e arrivai all’auto
“Oh come sei permalosa! Si vede proprio di chi sei figlia eh!”
“Senti, Ville” feci con lo sportello già aperto “Io e te non abbiamo mai avuto un grande rapporto e questo lo sanno anche i muri, ma se permetti ho già troppo a cui pensare senza che tu sbuchi fuori dal nulla e ti metti a fare il cretino” mi portai istintivamente le mani sul volto, vergognandomi tantissimo di trovarmi per strada, e di essere ad un passo dal piangere.
“Sybil” deglutì la saliva “io...mi dispiace” disse con tono più pacato ora, in tono di scuse, avvicinandosi a me “Posso aiutarti? Dai” ora sembrava lui a vergognarsi... mi poggiai sul sedile, con il corpo nella direzione dello sportello, i piedi sulla strada “Non è colpa tua, almeno...non volontariamente”
Lui si inginocchiò per raggiungere la mia stessa altezza, provando a confortarmi per quanto possibile; mi accarezzò dolcemente il viso, mi vergognavo tantissimo, avevo la testa bassa, ma quel gesto mi parse così sincero e disinteressato che ne rimasi colpita. “Chiunque sia stato deve essere veramente un grande coglione” mi accarezzò un braccio “Eri già tanto carina da mocciosa, ora sei...sei mozzafiato” sorrise. “Sei sicura che ti va di guidare? Sennò chiamo un taxi così ci facciamo accompagnare, eh?”
Ville mi stava facendo da papà in quel momento, o forse da fratello maggiore, un fratello mai avuto e da sempre mancato. E’ stato il primo momento, in tanti anni, in cui sono riuscita a vedere oltre quella sua maschera da duro, e non sembrava poi così male.
“Oh, no dai” feci di sì con la testa “Se vuoi ti accompagno, dai.” Mi passai nervosamente la lingua sul labbro inferiore e mi sistemai meglio in auto.
Per tutto il tragitto non ci rivolgemmo la parola, non per imbarazzo o quant’altro, anzi, credo che comprese il mio bisogno di stare in silenzio, dopo tanto ed inutile chiasso. Decisi però di sciogliermi.
“Sono stata la sua” non riuscivo quasi più a parlare “amante” guardai in basso “per più di un anno. E con amante intendo vero amore, tanto, e pure troppo doloroso. Alla fine ho smesso di lottare, sono tornata qui perché non ne potevo più di vederlo con la sua ragazza...sai” mi voltai verso di lui “non si amano, non fanno l’amore, non si vogliono. Lei esce sì e no due volte alla settimana e lui non può lasciarla, perché...beh perché la madre ha un tumore, il padre sta perdendo il lavoro ed altre tragedie che ora non voglio ricordare. “Sybil sei la cosa più bella della mia vita” ripetei mentre mi avviavo al viale in cui abitava Ville “Ma sono un vile e questa è la mia colpa”.
Spensi il motore.
“Ho perso un anno della mia vita ad amare qualcuno che non potrò mai avere. Più ci penso e più mi fa male, è assurdo. E non c’è un perché. Questa è la cosa che mi sconvolge di più, non so nemmeno il vero perché.” Terminai di parlare e sentii subito la mano di Ville sulla mia “Retorico e banale e scontatissimo, ma credimi, so per certo che non meriti questa pena ineffabile” i suoi occhi verdi si fecero liquidi in quell’istante, volti anch’essi a volermi comunicare qualcosa.
“Non voglio fare pena a nessuno. Nessuno sa di questa storia, eccetto i miei amici naturalmente...e te”
“Allora posso considerarmi tale?” chiese ammiccando
“Ah, non ti allargare troppo, Valo” risposi. E la sua mano era ancora sulla mia.
“Ho paura di essere sbranato a chiedertelo ma, ti andrebbe di entrare dentro per una camomilla? Magari, se ti va, puoi sfogarti un po’, tenersi tutto dentro non fa bene...magari mi sfogo anche io”
Che Ville mi stesse proponendo una sorta di muto aiuto? Ville Valo? Sul serio?
Certo è che si era dimostrato davvero gentile con me, e mi sarebbe dispiaciuto dirgli di no.
Decisi dunque di non raggiungere i miei amici, presi unicamente le chiavi dell’auto lasciando il resto dentro e, una volta chiusa, ci avviammo verso la porta di quella torre maestosa.
Note dell'autrice
Bene! Mi ritrovo qui a scrivere una nuova ff su una delle band che amo di più in assoluto :)
L'idea di far nascere qualcosa tra Ville ed una presuna figlia di Seppo mi stuzzicava già da tempo ormai, infatti tempo fa avevo provato a pubblicare qualcosa del genere ma, non piacendomi, decisi di eliminare tutto.
Sybil esce da una situazione davvero tragica e, tutti gli scritti di questo "Adrian" sono tratti dalla realtà dato che per una sorta di catarsi ho deciso di caricare Sybil del MIO peso, della MIA storia, purtroppo/perfortuna reale. Inoltre il suo soprannome, "syl" richiama il mio.
Insomma, tristezze a parte, le vite di questi due personaggi si incrociano ancora e adesso in maniera definitiva -o quasi-.
Il mio Ville è l'incarnazione della stronzaggine, motivo per cui ho optato per oggi per qualcosa di più soft xD ma nei prossimi sarà assolutamente comabattivo e guerrigliero ;)
Spero vi sia piaciuta la storia, lasciate commenti-critiche se vi va :)
Ricordo inoltre che è il titolo è preso da una citazione di Franz Kafka, "Lettere a Milena" ed il titolo del capitolo è stralciato dal "Grande Gatsby"
La notizia sulla finta morte di ville è reale xD come potete vedere qui http://en.mediamass.net/people/ville-valo/deathhoax.html
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Capitolo 2 *** The night is only a shell ***
“Show me all you have got
And I will be so free from all that has been”
I will be the end of you-
Sarà stato lo stile gotico, sarà stato il limpido cielo notturno, ma quella torre provocava in me una strana fascinazione, come una specie di portale che risospingeva nel passato... chissà chi l’aveva abitata in tempi passati, mi chiesi.
La temperatura si era notevolmente abbassata, ed io mi rimproverai per non aver portato con me qualcosa di più pesante di uno scialletto di seta, ma ormai era troppo tardi per lamentarsi.
Ville aprì il cancelletto, così ci ritrovammo nel suo giardino; non c’erano chissà quanti fiori, ma tutto sommato era ben curato, mi sarei aspettata decisamente di peggio da un tipo come lui.
“Pollice verde?” domandai ironicamente mentre avanzavamo verso la porta. Sentii Ville ridere per qualche secondo “Oh no, decisamente. La mia ragazza” fece una breve pausa “sicuramente più di me” aggiunse.
Per i primi secondi credevo di aver capito male, e fui grata del fatto che lui si trovasse davanti a me così da non poter vedere l’espressione, divertita e meravigliata, che avevo dipinta in volto.
“Tu? Fidanzato?” chiesi con tono canzonatorio
“Beh?” si girò quasi di scatto, fulminandomi con lo sguardo. Aveva un piccolo ghigno in volto, ma non mi curai tanto di questo, quanto di quello sguardo...si erano come illuminati, due falene nel buio totale. “Non ne ho diritto?” chiese poi, fermandosi qualche istante di fronte a me, facendomi da muro tra lui e la porta.
“Oh, figurati” alzai leggermente gli occhi al cielo. “E’ solo che mi viene spontaneo pensare che lei o è una samaritana, oppure...è pazza” terminai, sorridendogli e sfilandogli di mano le chiavi “Su, levati, se aspettiamo te facciamo alba” lo sorpassai, aprendo la porta; ero davvero davvero curiosa di vedere come potesse essere casa sua, mi immaginavo un caos infernale, date anche alcuni scatti che ricordai di aver visto, e invece...
“E’ in ordine!” dissi ridendo, una volta dentro, con espressione ancora più meravigliata. Il salotto era davvero grande, a pianta circolare, data la forma della torre; certo, dominavano colori abbastanza scuri che appesantivano l’ambiente, ma ogni cosa pareva essere al suo posto...e quell’ambiente sapeva...beh, sapeva di Ville, riconobbi l’odore, ed era decisamente buono, fresco, maschile. Sì, era maschile, un misto tra menta, ghiaccio e tabacco, era la fine del mondo!
“Scusa sei delusa?” fece lui, chiudendo la porta e lasciando le chiavi su un mobiletto, distraendomi dalle mie considerazioni
“Te la prendi se dico di sì?” mi morsi leggermente il labbro inferiore, non volevo farlo arrabbiare, ma avevo immaginato un vero disastro per lui
“Te la prendi se ti caccio di casa?” mi fece il verso mordendosi anche lui il labbro ed imitando la voce di una bambina, trattenne a stento una risata “Accomodati pure” fece cenno con la mano, “vado un attimo di sopra” aggiunse sfilandosi di dosso la giacca
“Ah, Ville, il bagno?” chiesi “Me la sto facendo addosso!”
“In fondo a sinistra” rispose salendo le scale a chiocciola, facendomi un sorriso divertito.
“Grazie” lanciai un urlo mentre raggiungevo la porta del bagno abbastanza velocemente “Oh, che dolore questi tacchi, dio!” farfugliai camminando, pensai che sarei stata davvero più felice senza piedi in quell’istante.
Raggiunsi il bagno e mi tolsi le scarpe una volta dentro “Ah sì” sospirai di piacere, poggiandole a terra.
Ovviamente quello doveva essere il bagno di servizio, date le misure ridotte; anche il bagno era carino, con uno specchio davvero enorme sul lavandino “Narcisista” commentai lavandomi le mani dopo essermi liberata di tutta l’acqua bevuta durante la cena...presi le scarpe e, dopo aver spento la luce, uscii.
Ville doveva essere ancora sopra, così ne approfittai per dare un’occhiata migliore al salotto...era davvero un bell’ambientino, non c’è che dire.
Accanto alla porta c’era un’enorme libreria, e dire che fosse stracolma è dir poco...Poe,Mallarmè,Baudelaire,Lovecraft...Austen?
Rimasi un secondo di ghiaccio, dopodiché scoppiai a ridere..era più forte di me. Non potevo davvero pensare che uno come lui si perdesse tra le pagine di amori di campagna, rivalità tra nobili e cose simili.
Mi stavo ancora riprendendo da quello che avevo visto, quando sentii una presenza dietro di me, “Ehi, sei qui” gli feci cenno un po’ spaventata, non l’avevo sentito arrivare. Si era cambiato, ed ora al posto della camicia indossava una semplice maglietta grigio antrace.
“Come mai ridevi così tanto?” si passò la lingua sul labbro, prendendo posto – o meglio stravaccandosi- sul divano in pelle, al centro della stanza.
“E’ che non ti facevo accanito lettore di Jane Austen...come mai?” indicai i tanti volumi sullo scaffale “Ti fanno gola i gonnelloni dell’epoca eh?” domandai con finta malizia, alzando entrambe le sopracciglia e raggiungendolo sul divano “Magari se cerco meglio trovo qualcosa anche delle sorelle Brontë!” risi a crepapelle, sedendomi e lasciando ciondolare i piedi.
“ah-ah-ah” mi guardò fintamente rammaricato “se avessi saputo che ti bastava così poco per ammazzarti dalle risate…ce ne saremmo andati prima dalla cena” rise, puntandomi gli occhi addosso.
Ecco.
Ancora una volta quel tipo di sguardo.
Me lo sentivo addosso, e mi dava fastidio. Fastidio perché i suoi sguardi, così profondi ed indecifrabili mi spogliavano del tutto.
Ed era una cosa che mi faceva paura.
“Beh? Non dovevi offrirmi qualcosa?” cambiai repentinamente argomento
“Tsk, opportunista” fece di no con la testa “E...cosa gradirebbe sua maestà?” scattò in piedi porgendomi il braccio ed inchinandosi. E’ inutile, era davvero un buffone questo Valo “Una camomilla? Tè e pasticcini? Una secchiata di acqua fredda in testa?” alzò leggermente il capo, con una risatina sghemba.
“Stupido.” Stetti al gioco. Così ritrassi la mano e mi voltai di spalle “Mi sa che dovresti rileggere un’altra volta Orgoglio e Pregiudizio”
“La campionessa di pregiudizio qui sei tu, piccola Sybil” sganciò questa bomba freddamente. Il tempo di voltarmi che lo vidi trafficare al carrellino degli alcolici, accanto al giradischi da cui partì una melodia anni ’50 di cui non ricordo l’autore..ma era molto rilassante. “Che intendi?” aggrottai le sopracciglia, mettendomi accanto a lui e sfilandogli la bottiglia di mano “Questa è la seconda volta che mi levi dalle mani qualcosa, smamma!”, mi guardò come gli avessi rubato le caramelle “Tu, hai già bevuto” conclusi.
“Ah, riguardo il pregiudizio...dicevi?” aggiunsi, dopo aver riempito i due bicchieri e avergliene porto uno.
“Grazie eh” fece il finto acido afferrandolo prepotentemente “Beh, tu vieni qui...ti aspetti che io sia uno schifoso disordinato puzzone” rise sorseggiando il whiskey “Non ti aspetti che abbia una ragazza e...”
Lo interruppi. “Ma non è pregiudizio, Ville!” obiettai. “ Uno mi hai invitato tu, e poi non ho mai detto che puzzavi” non resistetti al ridere a crepapelle “Sennò non ti avrei fatto salire in auto!!!”
Raggiunsi lo sgabello del pianoforte, al muro, e mi sedetti “Vedi non so...è che tu adesso sei un’altra persona rispetto a quella che mostri ogni giorno. Ed io non sarò in intimità con te chissà quanto, ma tu dall’esterno sembri uno proprio stronzo” forse fui troppo sincera, o comunque parlai troppo in fretta, ma lui stette a sentirmi “Sei un bell’uomo eh, anche se tra un po’ ti ci vorrà il bastone” mi portai istintivamente un dito in mezzo ai denti, giusto per non ridergli ancora in faccia “ma hai indosso una maschera che è difficile da decifrare, figurati da togliere! Ciò che scrivi è bellissimo, ma non sembra appartenerti...le tue fan ti vedono come un depresso ad un passo dall’ospedale psichiatrico per quanto stai male, ma chi ti vede, anche se non da vicinissimo, come la sottoscritta, non ha quella percezione”
Ville stette zitto ad ascoltarmi.
Poi mi chiese “E che percezione hai di me, tu?”
“Io?” domandai retoricamente “Io dico che tu sei furbo” lo guardai maliziosa “E che fai trasparire una cosa al posto dell’altra. E se avessero ragione le tue fan, che probabilmente ti conoscono più di me a conti fatti, sarei curiosa di conoscerti meglio. Perché a quel punto mi chiederei chi tu sia davvero, chi sia davvero il personaggio, e chi l’uomo” bevvi un sorso “C’è chi dice che i poeti non si studino in base al loro passato, non compongano in base al loro vissuto...ma io non sono sicura che sia così. Certo, c’è il filtro della letteratura tra loro ed il foglio bianco, ma sono certa che non si possa non parlare di sé, specialmente se si parla di amore” tacqui dopo che pronunciai queste parole. “Amore”, pensai...quanti danni che fa...
“Sei gentile a dire questo” quasi sussurrò. Era ancora in piedi...vidi il suo sguardo perso nel vuoto, intento a pensare chissà cosa.
Alzai lo sguardo, lo fissai intensamente, e gli sorrisi. Anche se ero conscia del fatto che i miei occhi non sorridessero affatto. Ogni questione, ogni parola, ogni più piccolo affanno erano lì, pronti come lupi affamati, a far emergere dall’abisso del mio cuore il ricordo di Adrian.
Che poi, “ricordo” designa qualcosa di finito, passato, concluso. Ed io volevo fortemente che fosse così, ma poi, quel messaggio, quelle parole così pesanti, macigni...altri macigni sul mio cuore, altri notte insonni spese nell’oblio, confusione totale della mia mente, anch’essa stanca. “Amore, che senso ha l’amore?” pronunciai ad alta voce, non rendendomi conto di quello che avessi appena fatto.
“Lo chiedi a me o lo chiedi a te stessa?” si avvicinò lentamente “Sybil...che succede?” piegò leggermente il capo in cerca del mio sguardo.
Sospirai. Poggiai i piedi a terra.
“Okay, io te lo dico. Però porta qui la bottiglia” risposi con tono perentorio “Non ti scandalizzi se mi sbronzo, no?”
Ville rise fragorosamente “IO?” domandò retorico con gli occhi sbarrati.
Dio, Ville, contieniti. Sei da carcere con quello sguardo.
“Per me puoi fare quello che vuoi” appoggiò la bottiglia su un tavolino, mentre prendeva posto sul bracciolo del divano “Basta che non vomiti sul tappeto, sennò Sandra potrebbe avere qualche crisi isterica” gli partì una risatina sciocca.
“Sandra?” ripetei “E chi è? La tua donna di servizio?”
Ville incurvò lo sguardo.
Si fece improvvisamente serio...sì, per tre secondi all’incirca, dopodiché esplose in una risata mai vista, perdendo addirittura l’equilibrio e sprofondando sul divano.
“Ville?” mi alzai un tantino preoccupata “ma che ho detto?” mi sporsi oltre il bracciolo giusto per capire dove fosse finito. Uff, avrei voluto ridere anche io...
“Beh...beh…” prese fiato, ma inutile...continuò a ridere come un pazzo e solo dopo un minuto buono rinvenne da quell’attacco di ridarella improvviso “Sandra” si schiarì la voce “E’ la mia fidanzata, non la mia badante” strizzò gli occhi mentre rideva, portandosi entrambe le mani sul viso.
“Io ho detto donna di servizio, non badante” precisai con tono ironico “vedi che il tuo inconscio ammette la tua vecchiaia galoppante” lo guardai con un sorriso soddisfatto.
“Sono ancora in tempo per darti la bottiglia in testa” mi fece la linguaccia “Su vieni” indicò il divano “Sono curioso...” di colpo il suo tono si fece serio, e anche l’atmosfera scherzosa volò via. Odiavo la pesantezza di questa cosa, la pesantezza dell’aria al solo pensiero di essa, odiavo il fatto che lui potesse rovinare qualsiasi cosa.
Insomma, tra un bicchiere e l’altro, e non perché sia un’alcolizzata ma solo perché l’alcol, così come per tutte le ferite, rende più sopportabili anche quelle – più profonde dell’anima- invisibili, raccontai a Ville ogni cosa. Ogni dolore, ogni gioia. Ogni promessa da lui fatta. Ogni promessa da lui mai mantenuta.
E gli raccontai di quanto fosse bello, dei suoi occhi, molto simili a quelli di Ville, dei suoi capelli biondo-rossicci e della cresta “cresta politica” precisava Adrian, che portava. “Ha le gambe storte” ridacchiai, sebbene più raccontassi la storia più i miei occhi si facessero lucidi “ma per restano perfette così. Non cambierei niente di quel ragazzo...fuori almeno” conclusi, abbassando lo sguardo, giocherellando con le punte dei capelli. “La sua ragazza invece è brutta. E intendo davvero brutta! Davvero, è uno schifo, e non lo dico solo per gelosia e moooolta invidia, ma perché è così. Ha trent’anni ma ne dimostra almeno quaranta. Ed è stupida!” mi complimentai davvero per il bel ragionamento che feci, nemmeno avessi avuto cinque anni, quando sentii un braccio di Ville avvolgermi le spalle e portare, con l’altra mano, la mia testa sul suo petto, appena sotto il suo mento”
Fu un gesto così improvviso, ma carico di qualcosa che definirei...amore.
Sì, amore.
Disinteressato, senza fini, senza nulla in cambio.
Un abbraccio può offrirti molta più comprensione delle parole, e Ville aveva capito dalle mie, per quanto fossi ormai più di là che di qua, quanto dolore avessi nel mio cuore... nemmeno la più robusta gabbia toracica riesce a proteggerlo quando si ha un abisso nel petto.
Singhiozzai, e piansi e parlavo, parlavo, aggrappata al petto di Ville, sporcandogli la maglia del trucco nero che ero solita portare. “Mi vergogno con te” mormorai appena, quando le sue mani possenti mi presero le braccia e mi allontanarono via dal suo corpo caldo “Vergogni?” sorrise dolcemente “Hai aperto il tuo cuore a me, Syl” mi disse sussurrando, come intimorito che qualcuno potesse sentirci.
Era la prima volta che mi chiamava Syl in tutti quegli anni, ed io gli avrei chiesto come mai mi stesse chiamando così in quel momento, se non fosse che ero emotivamente distrutta, incapace di essere la solita “Sybil punto e virgola” come mi definiva Adrian “dai peso ad ogni parola” mi diceva sempre...ma Ville mi riportò alla realtà, “non vergognarti di guardarmi” mi sistemò una ciocca rossa che avevo davanti agli occhi “non devi fare così. Sei un essere umano...e hai il cuore spezzato” un muto silenzio cadde tra noi due, ora che ci guardavamo l’uno negli occhi dell’altra, i suoi verdi ed i miei grigi con piccole pagliuzze verdognole; tastai in quel momento, nella durezza dei suoi lineamenti, dalla sua bocca serrata con prepotenza, dalla smunta intensità dei suoi occhi che anche Ville, in quel preciso istante, stava soffrendo. Non potevo sapere per cosa, o a causa di chi, ma lui mi apparve semplicemente...triste.
“Mi dispiace” fu l’unica cosa che riuscii a sibilare, prima di abbracciarlo – e in modo incontrollato- “Avevo torto su di te, su tutto” nascosi il viso nell’incavo della spalla, cose che forse non sarei riuscita mai a fare da sobria. Ma non c’era malizia in tutto ciò che stavamo facendo, solo una muta complicità, forse per affinità di situazioni, che portava entrambi a comportarsi, improvvisamente, come vecchi amici.
Sentii Ville sospirare, e poi ridacchiare “Non ti devi preoccupare” mi rispose abbracciandomi a sua volta.
“A volte sento di non farcela” mi staccai dopo poco da lui, restandogli vicina.
E poi si fece cupo.
“Io vivo l’inferno ogni giorno. Qui. Questa torre...alzò la testa, guardandosi attorno...questa vita, la mia ragazza, tutto questo...è una protezione Sybil.” Mi disse “Siamo alla mercé del destino proprio come la sabbia è alla mercé del vento.”
Fece una pausa, lunga un secondo, lunga un’eternità.
“Devi proteggerti” mi disse afferrandomi ancora le braccia “Sei giovane, sei intelligente, sei bellissima, non ti posso veder piangere così disperatamente” scosse la testa e si alzò di scatto, lasciando me immobile e zittita.
“Questa persona di cui mi parli è un’autolesionista. Certo, lo siamo tutti...ma è totalmente abulico, non lo capisci? Ti amerà di certo, non lo metto in dubbio...ma non ha le palle, Sybil...non ha le palle di mandare al diavolo quella sua vita di merda. Tu l’avrai sconvolto così tanto, la sua vita...” girava per la stanza non perdendomi mai di vista “le sue MISERE certezze…capisci?” tornò dopo poco di nuovo accanto a me “Questo ragazzo, questo mezzo uomo che mi hai descritto era chiaramente abituato al nulla, ad avere ciò che ad uno come lui spettava...e quindi il minimo. Ma poi tu sei entrata di forza nella sua vita, tu... credo che tu per lui sia stata la luce” abbassò lo sguardo, rilassò le spalle poggiandosi allo schienale del divano.
“Una medicina” aggiunsi, ricordando, con sguardo vitreo, quante volte Adrian me lo avesse ripetuto “sei la mia medicina”.
“Sì.”
Annui Ville. “Ma adesso devi esserlo per te stessa” sorrise dolcemente, accarezzandomi una guancia, ed io notai l’ennesimo gesto carino, disinteressato e vagamente paterno che quell’uomo mi stava rivolgendo.
“Non è questione di tempo. E’ questione di coraggio. E il coraggio non nasce dal niente. Basta così. E se te lo dico io...” sorrise malinconicamente.
“Io sono laureata in medicina sai” schioccai la lingua contro il palato “Neuroscienze” aggiunsi, con sguardo un po’ divertito “E’ la branca più interessante del mondo secondo me”
“Sarebbe?”
“Beh, non è psichiatria, e nemmeno neurologia...è un’insieme di tutto ciò ma va molto più a fondo...ti permette di comprendere tutto dell’animo umano” indicai la testa “e sai, l’area del cervello che si attiva quando veniamo feriti...per qualcosa come un pugno o un qualsiasi dolore fisico, è la stessa che si attiva quando abbiamo il cuore spezzato”
Il suo sguardo, nonostante l’ora ormai tarda, era vivo ed interessato, e la cosa mi procurò un certo piacere.
“Tu” temporeggiò qualche istante, passandosi la lingua sulle labbra “non so...sei diversa Syl” espirò violentemente.
“Se non fossi la figlia del mio manager potrei rischiare di innamorarmi di te” si zittì poi.
Conscio del fatto che probabilmente era stato l’alcol a parlare per lui.
“E se fossi più grande, o magari tu più piccolo?” chiesi retoricamente, per stemperare la cosa “Ah, non dimenticando che sei fidanzato!!!” battei le mani “Ma, scusa eh, questa fidanzata...si prende cura del giardino, okay...e evidentemente ha uno speciale attaccamento ai tappeti” dissi poi cercando di non farmi sfuggire qualche risatina “ma...dove sta? Sei sicuro che esista?” aggrottai un sopracciglio.
“Naaaaaah” spalancò i suoi occhi “inizia a correre, Sybil, perché se ti prendo ti uccido!” disse con un ghigno in volto.
Okay, Ville Valo era ufficialmente ubriaco. E ora stava mostrando il suo lato esuberante.
“Uno...due...tre!” si alzò di scatto per rincorrermi, cosa che mi procurò un infarto cardiaco nonché cerebrale per qualche secondo. Balzò così velocemente che feci un capriolone al contrario andandomi a schiantare col sedere per terra in meno di cinque secondi. Ma non ebbi tempo nemmeno per lamentarmi che scattai anche io – probabilmente con un livido sulla chiappa- in cerca di una via di fuga.
Per quanto dovessi rispondere a questo meccanismo di attacco-fuga, per quanto fossi ubriaca e per quanto dovessi avere un aspetto da clown, fui particolarmente divertita da Ville che sì, era sbronzo...ma era ridiventato improvvisamente bambino! Ed era stupendo trovarsi in quella situazione, farsi guidare dall’istinto, prendere anche se per poco la vita come un gioco, sì, un gioco serissimo, proprio come stavamo facendo noi due!
“Attenta che ti prendo!” sfrecciò lui attorno al divano, mentre cercavo di divincolarmi e distrarlo, così gli lanciai un cuscino addosso, beccandolo in pieno volto.
“Seeeee Ville! Buonanotte ahahah!!” scappai subito verso le scale, percorrendo il più velocemente possibile la lunga scalinata a chiocciola e guardando dietro con la coda dell’occhio.
Mi ritrovai improvvisamente al piano di sopra... “Cazzo” mormorai...c’erano solo due stanze, una doveva essere il bagno, l’altra la sua camera da letto... “Ehi tu” ebbi il tempo di dire non appena intravidi un’ulteriore scalinata che mi avrebbe portato dio solo sa dove, e così non persi tempo ma la percorsi.
“Tanto non mi scappi!” sentii Ville sempre più vicino.
L’altra scalinata era meno lunga delle precedente, ma terminava dinnanzi ad una vecchia porta di ferro davvero difficile da aprire “suuuu, dai!” ansimavo, mentre cercavo di togliere il chiavistello, fin troppo arrugginito “Contaci Ville!” gli urlai di rimando, esultando dopo nemmeno un secondo per l’apertura della porta alla quale segui una del tutto inaspettata ondata di aria fredda che mi paralizzò per così tanto tempo che sentii improvvisamente il polso afferrato di botto, e mi ritrovai dopo poco con la spalle al muro, su un immenso terrazzo a pianta esagonale.
“Beccata” sussurrò lui, guardandosi poco dopo intorno, non lasciando andare la presa.
“Hai scoperto la mia terrazza segreta!” commentò fintamente meravigliato, con uno strano guizzo negli occhi, come se avesse voluto proprio condurmi fin lì.
Non ero affatto sicura del fatto che fosse il freddo della notte a procurare in me brividi lungo la schiena. Quel brivido che si concentra sul fondo della colonna vertebrale, che aspetta, aspetta...ed esplode, percorrendo ogni centimetro del corpo, dentro e fuori, te lo senti lungo le membra, lungo le gambe...dritto fino al cervello, agli occhi, paralizzandoti.
“Che stai facendo, Ville?”
Ruppi quel momento di tensione.
Ma era troppo.
Troppo il contrasto tra il vento freddo ed il suo respiro corto, caldo su di me.
Troppo vicino. Troppo ancorato al mio polso. Troppo inchiodato ai miei occhi.
Troppo alcol circolava nel nostro sangue.
Potevo percepire a pelle quanto entrambi i nostri corpi fossero bollenti.
“Come è, Sybil?” mi sussurrò in un orecchio, lentamente. Il vento fischiava ormai.
“Cosa?” domandai istintivamente, cercando lo sguardo di lui.
“Percorrere una spirale, velocemente, vorticosamente...ebbra ma non solo di alcol” tornò a guardarmi con uno strano ghigno dipinto in volto “intorpidita, sudaticcia...e poi finire spiattellata al freddo, al buio?” tese lo sguardo verso il cielo, stellato, e con un movimento rotatorio tornò a posare gli occhi su di me “E’ stato eccitante, vero?” alzò il sopracciglio destro, tenendo sempre stretto il mio polso nella sua mano “E’ stato spaventoso, vero? E’ piacevole restare chiusi, al protetto, seppure in una torre? Una fortezza? Sì, Sybil. Se non ci fosse il freddo tu non apprezzeresti il calore, se il calore fosse troppo però...” e si girò improvvisamente, lasciando la presa, dandomi le spalle.
Sbattei ripetutamente le ciglia, due o tre volte, non avendo chiaro (o non volendo capire) ciò che mi stava dicendo.
“Avrei bisogno di aria?” mi azzardai a chiedere
“Hai provato il freddo. L’hai sentito. Ti è entrato nelle ossa.” Si accese una sigaretta, ritornando nella mia direzione “Ora devi proteggerti, stare al caldo, ma non tanto da asfissiarti...sennò finisci come me” aggiunse con tono risoluto, rassegnato, seppur triste.
“Non sono né sano né malato” scosse la testa lentamente “e mi rinchiudo qui, ma poi fuggo. Poi ritorno per fuggire ancora.”
“Questo tuo Adrian ha beneficiato di una medicina che forse io non riuscirò mai a trovare”
Note dell'autrice!
zan zaaan!
Dunque, è notte ormai, ma dovevo assolutamente caricare il capitolo.
Il titolo è chiaramente estrapolato da "just for tonight", canzone che personalmente adoro.
Ho voluto qui approfondire i caratteri dei due, gettare luce su questo ville...che in effetti non è proprio ciò che mostra, per lo meno agli altri, agli "estranei".
Dunque, sono stanca morta, oggi ho fatto l'esame di stato *evviva* ma spero che il capitolo via sia piaciuto :)
Critiche/commenti sempre ben accetti :)
un bacio!
Silvia
P.S Viola ti amo, le tue copertine sono DIVINE *___*
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Capitolo 3 *** Fate is coming ***
Un sottile ma radioso raggio di luce filtrato attraverso la lunga tenda bianca colpì i miei occhi che, sebbene chiusi, percepirono all’istante il calore solare, suggerendo al mio organismo tutto che era ora di svegliarsi.
Aprii gli occhi lentamente, conscia di non trovarmi dove avrei dovuto.
Ero distesa sul fianco destro, due cuscini bianchi e profumati sotto la mia testa, dinnanzi a me la grande finestra irradiata dalla luce del giorno.
Rimasi immobilizzata, gli occhi piccoli ed infastiditi, un forte senso di nausea acuito da un bombardante mal di testa mi prendeva tutta, impedendo ai miei muscoli di compiere il più piccolo movimento.
“Ma come ci sono finita qui?” mi chiesi, roteando lentamente e meccanicamente le pupille degli occhi, cosa che mi fece balzare alla mente le innumerevoli volte in cui mi ero trovata, e me la ero anche cercata eh, nella stessa situazione.
“E che ore sono?” pensai, sbarrando gli occhi, fissando la finestra, sempre più infastidente, col battito del cuore accelerato “Dio,deve essere pieno giorno”.
Con movimenti lentissimi rotolai su me stessa, spalancando le iridi nel vedere che l’altra metà del grande letto, anch’esso coperto da setose lenzuola bianco ecru, fosse occupata da una figura maschile che mi dava le spalle, rannicchiata, come a non volermi dare fastidio e a lasciarmi l’intera (o quasi) piazza del letto “Ville...” sospirai, mandando giù la saliva.
Se il mio cuore batteva all’impazzata, ora mi trovavo (per la seconda volta in meno di ventiquattr’ore) a dover affrontare un infarto.
In quell’istante, nell’improbabile ipotesi in cui davvero me ne fossi dimenticata, ebbi un flash sull’episodio di poche ora prima della terrazza, le sue parole ancora nella mia testa, macigni che rotolavano, lasciando dietro di sé un’eco insostenibile...chiusi gli occhi, rivolgendomi alle sue spalle “devo andare via di qui” pensai tra me e me.
La sua camera da letto era splendida, anch’essa caratterizzata da quella magica atmosfera che aleggiava nella casa. L’avrei definita “antica”, non “vecchia”...la fascinazione della sera prima non si era esaurita, ogni ambiente era impregnato di qualcosa di più antico di noi, forse più antico della costruzione stessa.
Era...animata.
Tornai supina, occhi alla volta.
Sospirai.
“Sei una cogliona Sybil” mi disse l’altra Sybil, quella nella mia testolina – lei sì che ci capiva qualcosa- “Cadi sempre male, e sempre sulle stesse cose!” sì, lo so, ora come allora;
nel vuoto della volta circolare immaginai la scena di svariati mesi addietro, la nottata di Halloween, infinita, trascorsa in un locale di amici, praticamente asfittico nonché decisamente spartano – un divano alla ben’e meglio, un tavolaccio antico, qualche sedia dai cuscini sdruciti e, inaspettatamente, o quasi, un televisore lcd con tanto di sistema dolby surround, utilizzato tra l’altro per iniziare, e non terminare, la visione di un patetico film dell’orrore- terminata nella più totale ubriachezza.
Mi vennero in mente le troppe birre bevute la stessa sera al pub che ero solita frequentare a Londra, gli shots di rum e pera in serie, sempre di più, la ridicolissima scena della mia davvero poco elegante caduta di peso al locale, e... i pianti.
Sì.
Ricordai improvvisamente i pianti disperati con le mie amiche, appena fuori dal locale, poggiata al finestrino di un’auto...indossavo, nonostante la temperatura, un leggerissimo vestitino nero di cotone elasticizzato, a pois bianchi, calze e anfibi come al mio solito...percepii il freddo di quella serata, l’amarezza delle lacrime miste al mascara che finivano sulle mie labbra per poi essere ingoiate, le stesse labbra affannate dal raccontare, raccontare i miei dolori.
Tornai presto alla realtà, a me nel letto di Ville, al mio abito sgualcito, al mio mal di testa...tutto pur di fuggire da quel ricordo, dal ricordo mortale di Adrian quella sera, al pub, seduto con me al bancone come sempre, mano nella mano, complici le luci offuscate, che mi sussurrava parole d’amore...e la sua ragazza sull’uscio della porta, ignara di ciò che stesse accadendo all’interno.
Mi sentii morire.
Posai nuovamente gli occhi su Ville, il non riuscire a muovermi mi stava mandando letteralmente fuori di testa, ed il vederlo dormire serenamente, come un angioletto, finì col disturbarmi ancora di più.
“Non ho mai diviso il letto con Adrian e mi ritrovo a farlo con Ville Valo”...considerai nervosamente, aiutandomi con le braccia a sedermi sul letto.
“Avrei bisogno di lavarmi la faccia...e di un caffè... e poi, dove ho lasciato il telefono? E le chiavi?” pensieri convulsi abitavano la mia mente, distratti però dal risveglio del cantante al mio fianco.
“Ehi, sei ancora qui?” mi domandò ancora di spalle, muovendo alla cieca la mano destra, che incontrò il mio braccio sinistro, rilassato sul materasso.
“Sì, mi sono appena svegliata” dissi con la voce impastata dal sonno e dall’alcol.
Ville si girò lentamente, stropicciandosi l’occhio sinistro, i capelli raccolti nel cipollotto leggermente arruffati ed un sorriso ebete che gli incorniciava il viso “Buongiorno bambina” mi fece con tono greve, e dannatamente sexy.
“E’ questa la tua voce di prima mattina?” mi portai entrambe le braccia allo sterno dalle risate “Hanno ragione a dire che sei proprio un principe dark” poggiai la testa allo schienale.
“Ehi tu, guarda che sono già pronto e scattante per un altro inseguimento” scherzò mentre gli partì un immenso sbadiglio e, sedendosi sul materasso, prese posto più comodamente, con lo sguardo rivolto verso di me “Mal di testa vero?” chinò leggermente il volto a destra, cercando di incontrare i miei occhi “Sì, mi sento uno schifo” sbuffai portandomi le mani alle tempie.
“Ah, queste bambine che esagerano con l’alcol!” mi canzonò alzandosi dal letto e sistemandosi meglio la cintura, allentatasi nel corso della notte.
Sollevò leggermente la maglietta, la stessa grigio scuro della sera precedente, ed il tatuaggio di Klaus Kinski si mostrò timidamente ai miei occhi, provocando un leggero rossore sulle mie gote.
“Ehi, bella addormentata” mi riportò bruscamente alla realtà “Sei tutta rossa in viso” un ghignò gli si dipinse in volto...sempre meno sgamabile Syl, vai così.
“Ah...no...” farfugliai velocemente, tornando a guardare i suoi occhi, lasciando stare il suo ventre “io...è che ho visto il tatuaggio di Kinski, è…bello” risposi poco convinta. Ma quanto sono idiota? Quanto?
“Mh, grazie” si limitò a rispondere ghignando ancora, liberandosi i capelli dall’elastico per sistemarli. “Comunque puoi usare il mio bagno se ti serve, così ti dai una sistemata veloce prima di andare via. Io scendo giù a fare il caffè, ti va un caffè, vero?”
“Oh sì sì” annuii “grazie Ville, sei meno stronzo di quanto immaginassi” sorrisi divertita mentre mi alzavo lentamente dal letto e mi dirigevo scalza verso la porta del bagno.
“Di niente mia piccola sibilla, sei meno vecchia di quanto immaginassi” mi regalò un sorrisino sghembo, ma apprezzai la battuta ed il riferimento all’origine del mio nome –il mito infatti vuole che la sibilla chiese ad Apollo l’eternità, scordandosi però di chiedere anche la giovinezza, condannandosi quindi ad una lenta ed inesorabile vecchiaia- dopodiché scese verso la cucina.
°-°-°-°-°
Il mio riflesso allo specchio era dei più inquietanti.
Che vergogna.
I miei capelli rossicci erano diventati un ammasso informe e gonfio che mi rendeva senz’altro ridicola, non contando il trucco colato sotto gli occhi, e la mia espressione da addormentata.
“Ma come sei sexy quest’oggi Sybil” mi dissi allo specchio con voce suadente, giusto per prendermi in giro.
Naturalmente il bagno di Ville era decisamente più ampio di quello del piano di sotto, con pareti blu petrolio ricoperte da uno smalto satinato che conferiva loro più lucentezza.
Notai, sul sottolavabo, una quantità infinita di rossetti, trucchi di ogni sorte, smalti e pennellini alla rinfusa “Dimmi che non sono tuoi, Ville...” commentai ironica, capendo immediatamente che erano di proprietà di questa fantomatica Sandra “o è vanitosa o è un cesso” dissi con piglio sarcastico, lavando via la stanchezza della nottata trascorsa ed il trucco dal mio viso.
Per quanto tentata di immergermi nella larga vasca alla mia sinistra, resistetti e terminai di lavarmi i denti come ero solita fare in campeggio, una punta di dentifricio sull’indice sinistro e via.
Dopo una decina di minuti, finalmente sistemata e profumata, percorsi nuovamente quelle scale a chiocciola, ritrovandomi, già nel salone, investita dall’odore di caffè che stuzzicava le mie narici.
“Ah finalmente” commentai sorridendo, entrando nella cucina di Ville, il quale era intento a riempire le tazze con del caffè fumante.
“Prendi le tazze, andiamo a fare colazione fuori” mi fece cenno con la testa mentre portava il resto delle vettovaglie.
Lo seguii incuriosita “E’ così che conquisti tutte le tue prede, Valo?” domandai con tono sarcastico, quando, una volta usciti dalla porta sul retro, sentii i miei piedi solleticati dall’erba del giardino, fresca di rugiada.
“Ma è bellissimo qui Ville!” commentai con un pizzico di stupore.
Il giardino sul retro di Ville, grande abbastanza per ospitare un delizioso tavolino di legno intarsiato e due sedie abbinate, era recintato da una staccionata di legno, ai piedi della quale vi erano piccolissimi fiorellini gialli che spiccavano sul verde intenso.
“E se arriva una gelata?” chiesi poggiando le tazze sul tavolino, sul quale Ville aveva già steso una tovaglietta quadrata bianca e posato del latte, zucchero e cucchiaini.
“Beh” sorrise “tutti i fiori appassiscono” mi fece notare “Ed ogni anno arriva la primavera...non c’è motivo di preoccuparsi” sorrise
Chissà perché ma, come ero solita fare, andai oltre il significato letterale di quelle parole, cosa che mi provocò un intenso seppur brevissimo groviglio allo stomaco...
“Su siedi bimba” mi disse con aria gentile, e così feci.
Era davvero bellissimo di prima mattina, gli occhi stanchi della notte trascorsa quasi insonne, ma tutte le rughe che apparivano, erano non di vecchiaia ma unicamente d’espressione.
“Mi dispiace non avere niente da mettere sotto i denti ma...” fece spallucce sedendosi di fronte ed accendendosi una sigaretta “Vuoi?” mi porse il pacchetto aperto
“Oh, sì, ci vuole” alzai un sopracciglio, così, aspettando che il caffè si raffreddasse, fumammo silenziosamente. Attorno a noi solo il verde del giardino, qualche formichina qui e lì, ed il cielo di Helsinki più azzurro che mai.
“Ma che ore sono Vil?” chiesi ad un punto, essendomi ormai scordata chi fossi e dove abitassi
“Mh, saranno le undici e mezza” mugugnò a malapena, sorseggiando la sua bevanda
“Come?” domandai retorica sobbalzando “Mio padre mi avrà dato per morta ormai...” feci di no con la testa, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo
“Naaah” mi obiettò lui con il solito sorrisino mascalzone.
Rimasi interdetta per un secondo... “Che sai tu che io non so?” chiesi poi improvvisamente.
Ville ridacchiò battendosi le unghie sui denti, lo sguardo intenso ed intento a scrutarmi... “non credo che tuo padre si sia accorto della tua assenza, stanotte”
Che diavolo intendeva?... “Parla chiaro” dissi, accipigliata “Che intendi con questo? Non era in casa?” domandai a raffica
Sbuffò, mordendosi poi il labbro.
“Beh, non so se è giusto che te lo dica io ma...”
“Parla oh!” insistetti, interrompendolo
“Sybil, niente” recitò serenamente “Tuo padre si frequenta da un paio di mesi con una donna, tutto qui”
Probabilmente se avessi avuto uno specchio, o se mi fossi vista dall’esterno in ogni caso, avrei visto il mio già precario colorito in viso scomparire inesorabilmente. Mio padre? Una donna? Era impossibile! Lui amava mia madre, e l’avrebbe sempre amata! No, si sbagliava e di grosso.
“Non dici sul serio…?” chiesi dopo un pesante minuto di silenzio “Io non...mia madre...no dai” farfugliai nervosamente “e chi è?”
“Sybil” mi frenò con calma mettendosi dritto sulla sedia...”non agitarti, è...normale!” sorrise flebilmente.
“No, non è normale. Mio padre ama...”
“Sì ama tua madre. E l’amerà sempre. Ma è un uomo solo da tanti anni, che male c’è se ha deciso di frequentare qualcuno? Ha diritto anche lui ad avere qualcuno...accanto” allungò la mano in cerca della mia. “Capisco che tu possa essere...”
“Sconvolta” conclusi io, ritraendo la mano dal suo tocco.
“Forse è meglio che io vada, Ville” mormorai poco dopo, più nervosa e dolorante che mai. Non solo la notizia mi aveva procurato nuovamente grovigli allo stomaco, ma aveva risvegliato tutti i muscoli indolenziti della sera passata
“Oh dai...non avere fretta” mi fermò prontamente, alzandosi e venendo verso di me “Tuo padre te lo avrebbe detto sicuramente...”
“Ah sì e quando?” domandai inviperita, scattando in piedi e allontanandomi da lui “Sono qui da quindici giorni...e non potevo neanche minimamente immaginare tutto questo...” deglutii a fatica “Da quanto tempo va avanti, lo sai?” ritornai da lui, gli occhi quasi supplici.
“Beh...” non voleva parlare. “Senti, aspetta che lui…”
“Da quanto ho detto?!”
Ville sbuffò nuovamente, cercando di fuggire il mio sguardo, ormai tempestoso
“Allora?” domandai un’altra volta
“Un anno. Giorno più giorno meno”
La sua risposta mi lasciò di stucco, non fui più in grado di dire nulla.
Purtroppo la rabbia si era destata, assieme ad una dosa massiccia di risentimento e di delusione, così ringraziai frettolosamente Ville per l’ospitalità e, prese scarpe e chiavi, lasciai la torre.
Sentii il mio cuore come infuocato, pervaso da uno strano dolore, qualcosa di sfuggente ed identificabile, ma faceva male...alle ossa, allo sterno, bruciava tutto.
Entrata nell’abitacolo dell’auto rivolsi un’occhiata al telefono quasi scarico...diverse chiamate dei miei amici, la chat di whatsapp intasata per i messaggi del gruppo...e spiccava su tutti quello di Adrian.
Non gli avevo risposto, e non ero neppure certa che l’avrei fatto. Sarebbe servito a qualcosa? Ormai io ero andata via, avevo abbandonato Londra, che da piccolo angolo di paradiso era mutata in angoscioso tormento. Avevo abbandonato la pioggia per tornare ai cieli sereni di Helsinki. Sarebbe stato stupido.
Stupido e masochista.
Riposi il cellulare in borsa, e sfrecciai verso casa, naturalmente vuota... mio padre non aveva lasciato nessun messaggio, nessun biglietto. Niente.
Era assurdo quello che stava accadendo, ed io ebbi il desiderio – inesaudibile- di fuggire. Fuggire, mandare al diavolo tutte queste bugie, queste cose non dette, le schifose mezze verità che erano entrate di viva forza nella mia vita. Tutti quei “ti amo ma non posso”, lo sdegno che avevano procurato in me era straripante, ed io mi resi conto che sarei morta se non avessi reagito.
Schiacciata dalle menzogne, dalle forme, le forme che schiacciano la vita e la insteriliscono.
“No, io non sarò mai come loro” mi dissi quella mattina stessa, sotto il getto gelido della doccia.
“Io sono pura”
°-°-°-°-°
Prima di andar via Ville mi aveva avvisato della riunione che si sarebbe tenuta nel primo pomeriggio con la band per definire gli ultimi dettagli prima del Sonisphere Festival al quale avrebbero preso parte di lì a due giorni, cosa che avrebbe spiegato l’assenza di mio padre nonché determinato la sua salvezza. L’avrei ucciso se me lo fossi trovato davanti.
Digiuna, lavata e vestita, corsi a casa dell’unica persona che desideravo vedere in quel momento, il mio migliore amico, il mio vero fratello: Ari.
La nostra amicizia è eterna. Sì.
Questo perché già alle elementari andavamo nello stesso corso, ma in sezioni diverse; alle medie il caso ha voluto che stessimo insieme in classe, e così alle superiori.
Mi si stringe il cuore ogni volta che lo penso, perché è la persona più vera, più dolce che io abbia conosciuto, e sì abbiamo discusso qualche volta...ma in così tanti anni di amicizia mai una vera lite, niente.
Io e Ari ci capiamo tuttora con un solo sguardo, un’occhiata fugace; anzi, probabilmente ci capiamo ancor prima di scambiarci occhiatine, è un vero e proprio fratello gemello.
Ari viveva non lontano da casa mia, da ragazzini infatti veniva sempre sotto casa quando dovevamo uscire, e ogni volta che facevamo tardi mi riaccompagnava...quante volte l’ho scocciato “Dai Ari, mio padre poi inizia a scocciare se mi vede sola” gli dicevo, e lui dopo una buona dose di occhi al cielo, mi riaccompagnava, sempre.
Nel corso degli anni aveva scoperto la passione per la fotografia, una cosa nata così, senza preavviso, ma che ne aveva determinato poi tutta la sua vita.
Mi fa strano pensare che il ragazzino gracile, dagli scompigliati capelli neri ed il cocco all’orecchio destro ora fosse diventato un importante fotografo...segnava il passaggio all’età adulta e nel suo caso, ai sogni diventati realtà.
Raggiunsi in poco tempo casa sua, abitando lui nell’appartamento sopra quello dei genitori.
Lo stile di quella casa era unico, come unico è Ari...tende orientali, incensi, tappeti, tutto sui toni del rosso e dell’arancione. Era una casa che emanava calore ed empatia, cosa che facilitò la fuoriuscita di tutto lo schifo che gli raccontai.
“Tu non puoi nemmeno capire cosa mi sta succedendo” esordii sull’uscio della porta
“Buongiorno a te, Syl...” mi disse ironico, facendomi entrare “Perché non sei uscita più ieri?” chiese, chiudendosi la porta dietro.
Ah, bella domanda questa, Ari.
“Oh beh...calmo, fa parte di tutto il casino che sto per raccontarti” annunciai sedendomi di peso sul puff egiziano, marrone ed oro.
Ari mi guardò accigliato, tanto disorientato quanto preoccupato.
“Sybil...è successo qualcosa con Adrian, vero? Vi siete sentiti?” si sedette anche lui sul tappeto, rollando un drum.
“Non so da dove iniziare” ammisi con una risata amara, fregandogli il drummino appena fatto con un sorriso
“Sybiiiil” mi canzonò “strunz” ridacchiò, facendone un altro
“Dicevo...non so se partire dal fatto che ho passato la notte in casa di Ville Valo, sbronzandoci e ridendo e piangendo ed inseguendoci” raccontai con un tono di voce via via più intenso “ah, che poi Ville non lo ammetterà mai ma, alcol o meno, era così vicino da baciarmi” sbarrai gli occhi con una smorfia schifata “Sai che emozione ahahah” scoppiai a ridere
“Seee okay, come se ti facesse schifo” fece di no con la testa “Quando feci il servizio agli HIM..ho certi scatti del cantante, roba che te la sogni di notte” disse con tono provocatorio “Vuoi vedere?”
“NO GRAZIE.” Risposi puntuale. “seguimi eh, deve ancora arrivare il meglio!” allargai le braccia e le mani come a dire “calma, calma”
“Okay, mi cucio la bocca allora” fece gesto di chiudere la zip sulle labbra ed io continuai con il mio racconto.
“Dunque, dopo questo mi risveglio con lui nel letto, nel SUO letto...completamente frastornata, non so nemmeno come ci sia finita lì” scrollai le spalle “ah, ovviamente in tutto questo, c’è quel coglione di Adrian che ieri sera mi ha inviato un messaggio…tiè, leggi qui” presi il telefono e glielo porsi.
Passarono due minuti in totale silenzio, Ari era concentrato a leggere quelle paroline... “troppo comodo per messaggi” pensai
“Cazzo” commentò, restituendomi il cellulare “e...che hai intenzione di fare in merito?” domandò, portandosi una mano tra i capelli corvini
Sospirai, una risatina isterica partì dalle mie labbra “Che dovrei fare?” chiesi retorica, alzando gli occhi al cielo... “sono così, così indignata!!!” mi alzai improvvisamente, andando fuori, in terrazza.
“Dai Syl...” mi raggiunse lui prontamente, lanciando il drummino finito dalla ringhiera “Ignoralo. Cancella quel messaggio.” Mi consigliò, risoluto “Tu sei tornata ad Helsinki. Lui è a Londra. Fine.”
La dolce brezza di luglio cullava i miei capelli, solleticava il vello delle braccia, su quell’attico in cui parlavamo...dolce brezza che cozzava con il mio umore spento “Abbracciami Ari” spalancai le braccia, e lui fece lo stesso “Ti voglio bene Syl” mi strinse forte.
“Anche io...ma mi sento così fuori luogo qui...” aggiunsi, con un velo di mestizia “sai, oggi ho scoperto una cosa” sibilai appena, tono che preoccupò ancora di più il mio amico.
“Cos’altro è successo?”
“A raccontarlo mi viene il vomito” mi toccai istintivamente la pancia... “Stamattina” deglutii a fatica “beh, facevo colazione con Ville e insomma, mi ha detto che mio padre si vede con una donna”
“Cccccheee?” gli occhi di Ari uscirono letteralmente fuori dalle orbite “Nooo, non ci credo” rise di gusto “E non sei felice?” chiese, intrecciando le mie mani con le sue
“Felice? Scherzi!” felice. Felice di cosaaaaaa? Ma che... “Ti sei fatto una canna al posto del drum?” chiesi, cinica
“Sybil” si allontanò da me “perché reagisci così?” ecco, ora ci si mise anche lui, dopo Ville. “Penso che sia grandioso che tua padre abbia qualcuno! E’ stato solo per tanto tanto tempo...dovresti essere solo felice per lui.”
“Ari...” il ricordo di mia madre emerse più forte che mai, impedendo di fare uscire dalle labbra il più piccolo suono “quando mia madre stava morendo c’ero IO con lei, mio padre negli ultimi tempi rifiutò persino di guardarla” urlai, quasi piangendo “Io ricordo il suo dolore esacerbante...io ricordo mio padre che piangeva mentre mia madre moriva! Io ricordo il suo corpo grigio, freddo...esanime nella bara! Era mia madre...come può lui...io non lo capisco” le lacrime esplosero, mi portai entrambe le mani sul viso per coprirlo.
“Sybil...sorellina” Ari mi abbracciò nuovamente “Non stare così, ci rimetti solo in salute...Entrambi avete sofferto per una persona che non c’è più. Ma tuo padre ha diritto a frequentare qualcuno, e sono CERTO che lui ami tua madre, l’amerà sempre...ma è giusto che anch’egli possa sorridere di nuovo, con qualcuno che lo faccia stare bene...è una persona, come tutte, come te...”
Sì, mio padre aveva diritto.
Ma l’avermelo tenuto nascosto per un anno mi aveva spezzato il cuore.
“Ari, lui e questa...questa signora nessuno si vedono da un anno, capisci? Ville mi ha detto che va avanti da un anno...sì, sono tornata da poco qui, ma in dodici mesi, anche passando da Londra come è successo, non gli è mai venuto in mente di avvisarmi? Di dirmi qualcosa? Non ha mai pensato che forse avrei potuto saperlo da qualcun altro? Dai...l’ho saputo da Ville Valo, renditi conto...scavalcata dal cantante, lo sapeva lui, lo sapranno tutti! Tutti tranne me!!”
Ari stette zitto ad ascoltarmi. Percepì sicuramente la delusione che provavo.
Mi sentii così tradita, scavalcata, come se non contassi nulla.
“Syb hai ragione” decretò lui “MA...” continuò “Tuo padre l’ha fatto per proteggerti...vedi la reazione che stai avendo ora” mi guardò sotto sopra “l’avresti avuta in ogni caso, ne sono certo. Sei una figlia gelosa del proprio padre...” fece spallucce “ma non puoi reagire in questo modo. Ha sbagliato a fin di bene, perché, guarda caso, lui ti conosce. Ed io anche. Ora calmati, sembri pazzaaa!” fece un risolino, strattonandomi un po’ tra le sue braccia possenti “Manda a fanculo Adrian, Londra, lascia stare tuo padre...al massimo glielo dici, gli chiedi perché te l’abbia tenuto nascosto, ma senza dare di matto okay?”
“...okay Ari” annuii, convinta dalle sue parole “e se è brutta? O troppo giovane? Se vuole i suoi soldi?” squittii in preda ad un nuovo attacco
“uo uo uo Syb cazzo calmati! Tanto il compleanno di tuo padre è tra quanto? Due, tre settimane? La conoscerai di certo...su, calma ora! Vieni, andiamo dentro...che mangiamo, sei a dir poco pallida” notò “E pensare che fino a due secondi fa eri paonazza ahahah”
“oooh su, non prendere in giro! Vorrei vedere te!”
“Naaah” mi tirò verso di lui “Tu hai bisogno solo di taaaanto, taaaantissimo svago! Motivo per cui, mia cara donzella, stasera la invito…e non accetto rifiuti...al Tavastia, ci sarà una serata e quindi tante ragazze per me ed altrettanti giovani e bollenti finlandesi per te, che hai bisogno di RESPIRARE” sottolineò quest’ultimo verbo “l’aria di casa” ghignò malizioso... “Su andiamo”
*·~-.¸¸,.-~*
Dopo essermi rifocillata dell’ottima paella di pesce con zucchine e piselli, ricetta che Ari aveva conosciuto durante uno stage in Spagna, tornai a casa nel tardo pomeriggio, finalmente sazia e decisamente più tranquilla, ma l’incontro-scontro con mio padre era prossimo, e ciò mi procurava una buona dose di tensione.
Non potevo mentire anche io, fare finta di non sapere nulla...
Appena arrivata al cancello notai la sua auto posteggiata dietro la mia “Bene, è tornato” pensai, procedendo verso la porta “Come mi comporto ora? Fredda? Così si accorgerà lui e...” ma i miei pensieri furono interrotti dall’apertura improvvisa del portone di casa, da cui apparse un irriconoscibile padre “Papà” fui presa in contropiede. E nemmeno lui si aspettava di trovarmi lì “Ma perché tutto questo profumo?” domandai, tossendo, cercando di spazzare via con la mano quell’odore pungente che proveniva dal suo collo “Dove vai?” chiesi un secondo dopo, con tono indagatorio.
“Ho un incontro” mi liquidò così, senza aggiungere altro, superandomi, lasciandomi sui gradini di casa, raggiungendo l’auto.
“Okay, si sta fottendo il cervello” pensai subito “Evidentemente la persona che frequenta spaccia crack”
Entrata in casa, lasciai la mia consumatissima borsetta di cuoio sul tavolo della cucina per prepararmi per la serata al Tavastia con Ari.
Era da tanto tempo che non ritornavo lì, e pensare che da piccola, durante l’Helldone, ero l’unica minorenne a poter presenziare, o meglio, a rimanere nei camerini dei ragazzi e a farmi coccolare dalla loro musica.
Pensai distrattamente a tutto questo, cosa che mi fece sorridere...ricordai un episodio in particolare, avevo sedici, forse diciassette anni e mi ritrovai puntualmente ad addormentarmi sul divanetto verso la fine della serata.
Quella volta Ville, che all’epoca avrà avuto trent’anni, mi si avvicinò, coprendo un’assonnata ragazzina col suo lungo cappotto nero “Ville, puzza di fumo!” obiettai, con voce assonnata. Ricordai la sua risata, sempre stranissima alle mie orecchie “Dormi, ragazzina” mi disse, più dolcemente.
E ora, a distanza di otto anni, ci eravamo trovati nella stessa – o quasi- situazione...certo che il caso, a volte...
Terminai di prepararmi, optando alla fine per un look abbastanza aggressivo... Capelli tirati su fermati da uno spillone, mentre per il viso uno smokey agli occhi, nero e borgogna, per conferire più sfumature e profondità allo sguardo.
Indossai al collo due giri di perle nere, un giro più piccolo ed uno più grande e ci abbinai un abitino in jersey nero, semplicissimo e a bretelline, con ampio scollo sulla schiena, un paio di sandali alla spartana, anch’essi neri, e fui pronta.
“Wow Syl” mi dissi allo specchio, con tono compiaciuto “non sembri nemmeno quella di ieri sera” ridacchiai, scrutando il vestitino blu poggiato sulla poltrona-armadio nel bel mezzo della stanza.
Inviai un messaggio ad Ari, per avvisarlo, e dopo una mezz’ora ci trovammo al klubi.
Quella sera si esibivano i Kivesveto GoGo, una band dalle sonorità punk-rock dei Ramones all’underground dei Nirvana. Niente di speciale, tutto sommato...ma quella sera il locale era straripante di gente, tanto che ci dovemmo accontentare di sederci al bancone.
“Adocchiato qualcuno?” domandai al mio amico, tutto intento a scrutare ogni minigonna nell’arco di cento metri
“mmmh” mugugnò “aspetto il mio drink e mi darò da fare” mi lanciò un’occhiata assassina “piuttosto, cerca tu qualcuno...che hai bisogno di scioglierti, regina dei ghiacciai”
“Testa di cazzo.” Commentai, sorseggiando la mia Paulaner fredda “Io non posso rimorchiare” feci una smorfietta “sono i ragazzi che devono venire da me”
“E verranno, verranno...fidati, oggi non puoi passare inosservata” mi lanciò una breve occhiatina quando arrivò il suo drink, un semplice spritz, e si defilò tra la massa, alla ricerca di qualche ragazza da portarsi a letto.
“Sei il solito!!!” gli urlai ridendo, inutile...Ari diventa un toro scatenato quando sente odore di ragazze, e la cosa più assurda è che tutte cadono ai suoi piedi!!!
Ero amica del barman, motivo per cui passai una decina di minuti assieme a lui, parlando del più e del meno, offrendomi anche un shot di vodka “Questa è roba forte” mi disse il biondo, che, dopo aver versato la bevanda nei bicchierini mi fece segno di brindisi, trangugiando, un istante dopo, l’alcolico.
“aaaah, bruciaaa” ridacchiai, massaggiandomi leggermente la gola, infuocata
“Ancora?”
“Assolutamente no” allontanai il bicchiere da me “Vengo da una nottataccia...vai a corrompere qualche altra ragazza” gli feci l’occhiolino.
Ero abituata a stare sola al bancone, qui come altrove...e l’ho sempre preferito. Perché al bancone arriva tutta la gente, e c’è sempre più possibilità di conoscere qualcuno, proprio come quella sera.
Infatti notai distrattamente che lo sgabello di Ari era stato occupato da un altro ragazzo al quale stavo per dire “Ehi, è occupato quel posto!”, ma fui interdetta dal suo sguardo, freddo e profondo come pochi “E’ libero?” domandò, prendendo già posto
“Oh sì, certo...” cosa aveva detto Ari? Rimorchio?
“Grazie” poggiò il gomito destro sul legno del bancone, tamburellando le dita dell’altro mano.
Indossava un semplice jeans attillato, e se lo poteva permettere per quanto fosse secco, ed una maglia leggermente grigia, con la scritta in nero “KING OF WOLVES”, “un lupacchiotto”, pensai tra me.
Giocammo a scambiarci sguardi per cinque minuti abbondanti, aveva gli occhi chiari...sarà stata la magrezza eccessiva, i capi d’abbigliamento scuri, ma mi ricordava decisamente qualcuno...qualcuno dai tratti spigolosi come i suoi, solo senza i dilatatori ai lobi.
Ma chi?
“Ehi Jesse” fece Tommi, il barista biondo, allungando il braccio per salutarlo calorosamente.
Ah, quindi è conosciuto il ragazzo...
“Come sta tuo fratello?” domandò poi al misterioso ragazzo dai capelli biondo cenere
“Lo sto aspettando” ammise con un sorrisino, guardandomi per qualche secondo... “Così glielo potrai chiedere tu personalmente”aggiunse poi, girandosi completamente verso di me, continuando a squadrare ogni lembo della mia pelle.
Se fossi stata la solita, non ci avrei dato caso, l’avrei ignorato come sempre ho fatto in questi casi, ma era talmente bello, ed io talmente sfrontata quella sera, che alzai lo sguardo, acciaio, incontrando i suoi “Per quanto continuerai a guardarmi?” chiesi, con tono malizioso, mentre la musica continuava a risuonare per tutto il locale
“Oh beh” si portò dietro un ciuffo dei capelli, lisci, dietro l’orecchio “L’avrei fatto fin quando non te ne fossi accorta”
“Ed ora che me ne sono accorta cosa pensi di fare?” la mia attenzione era completamente rivolta a lui
“Provo a rimorchiarti” si passò la lingua sulle labbra, compiaciuto.
“Viva la sincerità!” sorrisi, stuzzicata dalla completa mancanza di inibizioni del bel ragazzo di fronte a me “E...come facciamo se arriva tuo fratello?” chiesi, riferendomi all’asserzione di prima
“Può aspettare.” Si limitò a dire “Tanto fa sempre ritardo, e questa volta sarà ben gradita la cosa” alzò un sopracciglio, in segno di sfida.
Dire che l’atmosfera si era fatta intrigante, è dir poco.
Le sue labbra rosse, carnose, il buon profumo che emanava, i capelli poco lunghi che gli incorniciavano il viso... notai dei cerotti colorati sulla mano sinistra “Sei un musicista...” sorrisi, tornando a guardarlo
“Opsss” ridacchiò “scoperto”
“Chitarrista?”
“Assolutamente no” fece una smorfia, schifato “Io suono il basso”, corrugò leggermente le labbra verso destra “Come ti chiami?” domandò subito dopo “il mio nome già lo sai”
“Sybil” sibilai, di proposito
“Sybil...” ripeté, schioccando la lingua contro il palato “è un bel nome” sorrise
“Oh, lo so, Jesse.”
Ma quanto era bello quel ragazzo?
E quanto era bello sentirsi di nuovo libera, desiderata da qualcuno?
“Hai un ragazzo che ti aspetta? Sai, non vorrei fare a botte...”
"Se lo avessi starei qui?" chiesi, ovvia
"Buon per me allora..." si avvicinò, giocherellando con una delle mie ciocche sfuggite allo spillone
"Sybil..." Ripeté "e tu che fai nella vita?” domandò poi incuriosito
"Sono in pausa estiva...con l'università, sono appena tornata da Londra, dopo cinque anni" gli spiegai brevemente "in autunno mi iscriverò alla specialistica...ah, sono un medico, o quasi"
"Un medico?" Mi fece eco, ridendo...la stessa risata che avevo sentito un milione di volte, un po' sincopata, singhiozzata, eppure contagiosa
"Sei piccolina. Quanti anni hai? 30? Forse meno..." Si portò una mano al mento
"Mi fai così vecchia!" Ridacchiai "mi offendo eh"
"ahahah no dai...facciamo, ventisei?"
Oscillai con la testa "c'eri quasi" feci spallucce "venticinque"
"Sembri più grande. E intendo più grande, non più vecchia" mi canzonò. Che voce sexy.
"Sì sì ma ormai hai toppato" gli feci notare con finto disdegno
"Posso recuperare in corner?" Chiese con le mani giunte, come a supplicarmi "dai, mi faccio perdonare con un cicchetto..."
"Ah no no" alcol, basta ti supplico "offrimi un analcolico, quello lo accetto...sennò mi dovrò far ricoverare d'urgenza"
"E analcolico sia!" mi regalò un sorrisone, dopodiché ordinò per entrambi.
Tommi ci servì le rispettive ordinazioni, con un enigmatico sorriso in viso..."ma che avrà da ridere?" mi chiesi...stavolta non ero ubriaca, né malconcia o altro...
Le luci si erano pian piano accese, data la pausa di venti minuti della band, ed era partita una rilassante musica dalle casse sparse per tutto il club, contribuendo innocentemente a rendere l’atmosfera più elettrica di prima.
La magia fu però interrotta quando vidi, mentre parlavamo, una figura maschile raggiungerci, o meglio, raggiungere Jesse, un uomo con tanto di coppola e camicia..."con questo caldo, è pazzo" pensai mentre lo vidi di sfuggita, e solo dopo qualche istante realizzai chi fosse davvero.
"Ehi fratellino" disse Ville, sì, proprio lui, quel Ville, al ragazzo.
Era lui suo fratello? Non potevo crederci.
Era una maledizione, qualcosa tipo "anatema Valo"?
Non appena Ville si staccò dal fratello, posò gli occhi su di me, non riconoscendomi per i primi istanti, dato il trucco pesante ed i capelli raccolti, diversamente dalla sera prima "Sybil" fu l'unica cosa che emisero le sue labbra.
Era decisamente...sorpreso.
"Me l'hai detto anche ieri sera" gli feci notare, riferendomi allo scontro per strada della sera precedente.
"Vi conoscete voi due?" Chiese poi, Jesse, incuriosito dalla reazione del fratello maggiore.
"Beh sì" ammisi io, tornando a guardare il più piccolo dei fratelli, sentendo però gli occhi di Ville puntati su di me.
"È la figlia di Seppo" continuò lui, monotono
"Bel colpo, fratellino..." Mormorò poi "attento, è una vipera" disse, sfidandomi con gli occhi improvvisamente non verde giada, ma verdi di invidia.
Sì, invidia, gelosia.
Era palpabile nell’aria...non potevo davvero credere che gli desse così tanto fastidio la cosa.
Gli riservai uno sguardo di biasimo "sei suo fratello" dissi a Jesse "saprai bene che dice stronzate" risi.
Scacco matto Ville.
Il cantante alzò gli occhi al cielo, Jesse invece rise "Ah" disse Ville con tono non curante "ci sono dei tuoi amici infondo, ti vanno cercando" fece cenno con la mano, indicando qualche ragazzo quasi sull'uscio della porta.
"Ah sì..." fece il fratello con tono rammaricato "torno subito Sybil, non scappare" mi fece l'occhiolino, alzandosi.
"Non ne ho intenzione" lo guardai maliziosa, restando da sola con Ville, che aveva preso il posto del fratellino al bancone.
"Se il mio timidissimo fratellino sta qui a parlare con te, devi avere fatto proprio colpo" indicò, sollevando il mento, la mia scollatura, decisamente profonda.
"Non si chiamano tutti Ville, Ville" risposi, con tono acido
Il cantante ghignò "però non legge Jane Austen, penso non ti divertirebbe quanto me" aggiunse, rivolgendomi uno sguardo carico di sesso "non trovi?"
"Trovo che puoi divertirti con Sandra." Feci stizzita "dove l'hai lasciata?" Risi "sei sicuro che esista?" Chiesi con tono da analista.
"Eccomi" Jesse tornò, così Ville non ebbe il tempo di rispondere "stanno riprendendo a suonare, vieni?" Mi dette la sua mano, che presto si unì alla mia "andiamo a ballare" sorrise dolcemente
"Certo" sorrisi felice, sfilandomi la borsa "me la mantieni tu, Ville?" Gliela misi tra le mani, con sguardo fortemente ironico e provocatorio.
Il cantante non ebbe il tempo di rispondere che Jesse mi trascinò via con lui, con passo andante, schioccando le dita e facendo gesto di avvicinarmi a lui.
Scorsi Ville guardarci, guardare ME per tutto il tempo.
Il corner
dell'autrice demente
Dunque dunque dunque...
Innanzitutto ringrazio tutte coloro che mi hanno recensito, qui e
privatamente, mi fate sentire davvero orgogliosa e felice per questa
storia *-*
Ringrazio Heaven_Tonight per i consigli sul font -senza la sua
illuminazione annaspavo ancora in cerca di programmi, titoli e font xD-
Quanto alla storia invece, spero di non avervi sconvolto troppo ahahah
Non so, stavo scrivendo ed ho avuto un'illuminazione su Seppo "mmmh,
mettiamo che ha un flirt?" ho pensato, così, dopo averci
riflettuto un po', ho pensato bene di farlo! Cosa che, vi
assicurò, avrà risvolti interessanti.
E poi c'è Ari <3 il mio cuoricino bello, in lui vi
è l'essenza del mio migliore amico a cui voglio un bene
pazzesco!
Quanto poi all'episodio di Sybil della sbronza di Halloween, ebbene
sì, è una cosa che ho vissuto io e i postumi sono
durati un bel po'!!!
Infine, come già avevo detto alla mia fedelissima Laura
tempo addietro, qui Villina92, avevo pensato all'entrata del piccolo
Jesse in scena :D E ci sarà da ridere, credetemi, questo
è SOLO l'inizio.
Ringrazio tutti coloro che leggono/recensiscono la storia :) Mi fate
davvero molto felice! :*
P.S. Laura grazie per la copertina, è BELLERRIMA :3
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