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di Ronismine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Per potervi raccontare tutto senza problemi  dobbiamo tornare indietro di qualche anno, ai miei 14 anni. A quei tempi il mio ingresso nel mondo adolescenziale aveva reso la mia mente, già contorta di suo, un vero e proprio nido di rondine, in tono con i miei capelli, per farla breve.
Siamo stati tutti adolescenti, molti lo sono ancora e spero che non me ne vorrete se ammetto un giudizio che mi sono tenuta dentro per troppo tempo: che periodo di merda. Il periodo in cui puoi andare a mare quando vuoi, ma i genitori e le mestruazioni te lo impediscono. Il periodo in cui ti innamori così bellamente ma la tua goffaggine e l’acne ti rendono facilmente evitabile. Il periodo in cui se litighi con un’amica sei tagliata fuori dal mondo.  E quello più o meno era il mio andazzo per i primi tempi “adolescenziali”. Escludendo il fatto che non avevo l’acne. Ma la goffaggine ci stava tutta.
Ero invaghita di un tipetto a quei tempi, ed ero riuscita ad apparire abbastanza interessante da poterci parlare la notte fonda  attraverso un cellulare, che alla fine non era poi un confine così grande. Peccato che oltre quelle intime conversazioni non riuscivo ad andare. E come quando un gancio non riesce più a sopportare il peso che tiene sospeso, mollai la presa. E scoprii subito uno dei tanti inconvenienti che quando ero piccola non avevo dipinto nel mio roseo futuro: le pene d’amore. Forse fu solo un mio problema, ma quella specie di rifiuto (o limitazione, come la vogliamo chiamare) da parte di quel ragazzino mi avevano seriamente abbassato l’autostima, rendendomi più timida e impacciata di prima.
E mi ritrovavo quasi tutti i pomeriggi ad ascoltare musica deprimente, stile Lana del Rey nel mio piccolo letto. Vivevo in un monolocale col mio papà e Tigro, un gatto nero, che di tigrato aveva ben poco (qualcosa tipo qualche striatura qua e là) ma mi piaceva quel nome su di lui. Infondo quando chiamano le bambine Viola non lo fanno perché la loro pelle richiama il violaceo.
Quella era la mia famigliola, dei poveri  sopravvissuti all’amore finito male. Papà riguardante il suo matrimonio, per Tigro l’amore materno che l’aveva lasciato sulla strada un freddo mattino d’inverno e per me l’amore puro e innocente che, come da prassi, non era ricambiato.
Mio padre lavorava in una ditta di nonsoche vicino Londra, e io frequentavo il liceo non molto lontano da casa. Ogni mattina percorrevo qualche isolato a passo svelto, sempre attenta a non far alzare la gonna della divisa e cercando di evitare le pozzanghere. Mi fermavo solitamente in un bar accanto alla scuola, per prendere il pranzo, che consisteva in un panino e una bottiglia d’acqua, nel migliore dei casi. Nel peggiore dei casi era un’insalata mista, decisamente priva di qualsiasi genere di sapore.
È stato proprio lì che una giornata primaverile ha illuminato una folta chioma rossa e disordinata, e un sorriso che umiliava quel pallido sole…

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ho sempre avuto una fissazione per i capelli rossi, ma ero anche dannatamente timida, quindi non gli rivolsi la parola. Ma lo fissavo in modo discreto. Anche se dubito che esista un modo per fissare discretamente una persona.
-Mia prendi il solito?- una voce grossa, priva di qualsiasi forma di gentilezza, mi riportò alla realtà.
E fu in quella occasione che il rosso si girò verso di me. Cercai di apparire disinvolta per quanto mi era concesso, e con un cenno della testa annuii. Bill era un signore sulla cinquantina, ex cuoco parigino fallito e attuale barista inglese senza alcun voglia di lavorare. Ma nonostante tutto, era una persona a modo, che dava importanza a noi ragazzi, clienti abituali. Non come i vecchi che, dopo aver vissuto una vita che non valeva la pena d’essere vissuta, si vendicano chiamandoci “gioventù bruciata” e buttarci i secchi d’acqua o le mollette del bucato dai loro luridi balconi.
A passo svelto e indeciso avanzai fino al bancone, pagai e presi di fretta il sacchetto.
Diedi un’ultima occhiata al rosso e uscii. Non mi attraeva niente di lui, sembrava sbadato e oltre i capelli, non era niente di che.
Arrivai a scuola poco prima del suono della campanella. Cherilyn era seduta su una panca e si alzò al mio arrivo.
-Alla buon’ora- disse con il suo tono gradevole e rassicurante. Cheilyn, per gli amici Cher, era una delle poche quattordicenni londinesi che si comportava perfettamente da quattordicenne londinese. Non credo di aver mai sentito una sola parolaccia fuoriuscita dalla sua bocca. Aveva i capelli castani sempre raccolti in una coda di cavallo, che non transigeva fuoriuscite di ciuffi o roba simile, degli occhi verdastri e una pelle chiarissima. Ogni cosa o gesto che faceva era così elegante che nemmeno la moglie del principe d’Inghilterra avrebbe potuto renderla più raffinata. Aveva charm, in poche parole.
Davanti alla sua figura slanciata e piatta io potevo benissimo scomparire. Non ero affatto un tipo elegante o sportivo, portavo sempre i capelli sciolti e spettinati, spesso mi finivano davanti agli occhi a mandorla, ma così a mandorla che potevo spacciarmi per indiana e nessuno ci avrebbe fatto caso. Okay forse è un po’ esagerato. Ero bassina e le parolacce con me erano all’ordine del giorno. Non ero volgare, ma avevo molta MOLTA poca pazienza.
-Scusa, non ho sentito la sveglia- mi sono scusata
-Non fa niente, vuoi un elastico per caso? Così stai più comoda!- lo diceva tutti i giorni, non lo faceva con cattiveria o per vanteria, era sinceramente preoccupata per la mia comodità. Un’altra delle sue qualità: altruismo a tutto gas!
-No Cher, non lo voglio oggi e non lo vorrò domani e nemmeno dopodomani. Lo sai, ho una specie di allergia verso gli elastici e fermagli-
-E si vede cara, vabbè te la farò passare io questa tua “allergia”, ora andiamo- aveva un accento forzatamente britannico, ma non era sgradevole, anzi, era il suo marchio di fabbrica.
Siamo arrivate in classe in perfetto orario, dopo qualche minuto è entrato anche Giulio, quel ragazzo di cui vi ho parlato nel capitolo scorso. L’ho salutato come con chiunque altro e niente, abbiamo parlato un po’, dopo si è affacciato dalla porta per vedere la sua… ehm… Amica. Bionda, occhioni azzurri, chili di mascara e un fisico modellato dalla natura in modo magnifico. Questo però non faceva di lei altro che un’oca senza precedenti.
Un bacetto sulla guancia e qualche occhiata dolce fu il massimo in quell’occasiona. Infondo si stavano solo sentendo.  Okay. 
Per la prima volta fui felice di vedere la professoressa di biologia arrivare.
Non era male come professoressa. Severa e scorbutica, ma sapeva spiegare.
-Bene ragazzi, oggi alle vostre poco sopportabili presenza, si aggiungerà una nuova aura in classe-
“Psss.” Mi girai. Era Giulio. -Sai che ho sentito? Che è cocainomane. Il ragazzo intendo. Tu lo conosci?-
-Mh. No. Perché dovrei conoscerlo? Sono già stupefacente di mio non ho bisogno di altri aiutanti-
Lo sento soffocare un gridolino sarcastico riguardo al mio ritenermi stupefacente. Lo spingo leggermente con il braccio.
Entrò il nuovo ragazzo. A testa bassa, quasi si vergognava di esistere. Riconobbi all’istante la chioma rossa.
Oddio. Era il rosso.
Credo che anche lui mi riconobbe, date che mi guardò per qualche secondo. Porco bue dov’era il mi compagno di banco quando serviva?
-Buongiorno. Sono Edward Sheeran-
-Qui dice anche un Cristpher, giusto Sheeran?- la prof era molto severa riguardo ai secondi nomi. Lei ne aveva quattro ed era sempre costretta a citarli tutti e quattro e si arrabbiava parecchio quando gli altri si vergognano a dirne solo due. Io mi chiamavo Marian Ros e forse ero l’unica che chiamava semplicemente Mia.
-Si, ehm, Edward Cristopher Sheeran- si corresse
Era così impacciato, quasi tenero. Non sembrava affatto un cocainomane. Dubito che lo fosse davvero.
-E quello si droga? Credo che mi abbiano detto una cazzata- di nuovo Giulio.
-Già. Lo credo anche io-
-Va a sederti accanto a Brown, Sheeran-  diamine.
Procedeva imbarazzato verso il mio posto, ero spaventata all’idea id avere un drogato accanto, ma non potevo certo dirlo apertamente.
-Piacere, Ed- la sua voce mi riporta alla realtà
-Oh, piacere Mia, ci siamo già visti al bar..- ho risposto
-Sì, ti ho riconosciuta dai capelli spettinati-
-Che hanno che non va?!- “Cher 2 la vendetta”
-Oh, no niente, sono carini…Naturali- ha detto, quasi per scusarsi.
-Cosa ci trovi di naturale?- ero meno sulle difensive e più sulla simpatica vicina di banco.
-Ricordi un albero- ha detto con un sorriso sincero, tenero e con aria di sfida allo stesso punto.
Ho riso leggermente e cercai di non entrare in paranoia col suo ultimo commento.
Però la frase di Giulio continuava a tornare nella mia mente “è cocainomane”
 


SPAZIO AUTRICE
Si mi sento forte ad autochiamarmi “autrice”. Bene la storia la sto inventando ora, quindi qualunque tipo di domande vi stiate facendo sappiate che me le sto ponendo anche io.
Dovete scusarmi ma i precedenti tentativi di pubblicare questo capitolo sono stati tragicamente falliti, devo ringraziare un recensore di cui ora non ricordo il nome, che mi ha fatto notare alcuni problemi nella pubblicazione del capitolo. Purtroppo la sua recensione è andata cancellata col capitolo, ma ne approfitto per esprimere la mia riconoscenza qui, grazie recensore! Mi auguro di aver soddisfatto le tue aspettative!
Spero davvero che vi piaccia. Se vi va, lasciatemi una recensione piccina piccina qui J
Ora devo andare alle giostre (yep!)
Tanti kiss!!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Non mi piace avere dei pregiudizi verso la gente. Quindi quando ‘Ed’ cercava di allacciare un discorso io tentavo sempre di sembrare tranquilla e aperta al dialogo. Ma come si fa ad essere rilassati quando hai davanti un ragazzo che fa uso di droghe? Vorresti aiutarlo, ma da una parte pensi che potrebbe trascinarti in un brutto giro, però non è solo colpa sua. Insomma, ero tesa e imbarazzata nel modo peggiore possibile.
Però era un tipo simpatico. Distratto, spontaneo, aveva l’aria da innocente. Avrei voluto essere un po’ più spontanea anche io.
-Tu stai capendo qualcosa?- dice. Si riferiva alla lezione della prof ma ero troppo assorta nei miei pensieri per sapere su quale argomento stava spiegando
-Non so nemmeno di cosa parla!- dico. Lui mi sorride, ha un sorriso così dolce. Ma voi ce lo vedete una persona con un sorriso così dolce mentre aspira droga? Io no.
Poteva essere una balla, ma quella teoria non mi convinceva.
-però è affascinante la biologia se ci pensi- rompe il silenzio.
-Ah sì? Come mai?-
-Prova a pensarci, tutto ciò che accade nella natura è un meccanismo chimico, non esiste magia o altro. Eppure questo meccanismo è motivato dalla sopravvivenza di tutti noi, una collaborazione che ci manda avanti. Lo facciamo automaticamente, ma non ci accorgiamo di quanto siamo fondamentali l’uno per l’altro. Senza una specie vivente non vivrebbe l’altra. La biologia lo spiega.- e finisce lì.
Ero rimasta in silenzio per alcuni secondi per formulare una risposta all’altezza di quell’affermazione. Cazzo se aveva ragione.
-Forse se non lo capiamo noi alunni è perché non l’hanno capito nemmeno i professori. Diamo per scontato che loro sappiano tutto, perché hanno un pezzo di  carta che testimonia anni di studio. E se l’uomo continua a sterminare tutto quello che trova senza rendersi conto che così distrugge anche se stesso, credo che la colpa vada anche ai professori di biologia.- lui fa una pausa, come se stesse pensando a quello che avevo detto, poi si alza in piedi.
-Qualche problema Sheeran?- La professoressa abbassa leggermente gli occhiali facendoli cadere più morbidamente sulle sue narici, per scrutare meglio Ed. lui senza timidezza mi guarda, e dopo qualche secondo dice: -Mi scusi professoressa ma, stavo pensando, per lei cosa è la biologia?-
-Una bella domanda Sheeran-  ammette la prof. –Tutti ci facciamo delle domande giusto? Molte sono più intelligenti di altre, ma sono sempre valide, non credete? È questo quello che fa la biologia. Si pone delle domande e cerca di dare loro una risposta. Rispondendo a queste domande ci siamo accorti che stavamo scoprendo tutti un fragile equilibrio, un equilibrio perfetto. Un equilibrio che stiamo distruggendo, continuiamo a farlo certamente, ma ora c’è più responsabilità da parte di alcune persone. Questo significa che i professori di biologia stanno migliorando, giusto Brown ?- sorride e mi fa l’occhiolino. Forse aveva sentito. Ma forse. Le ricambio il sorriso. E infine suona la campanella. Allora raccogliamo i libri e usciamo dall’aula, come al solito ero rimasta l’ultima in classe.
-Vedo che tu e Sheeran cominciate a fare amicizia, mi fa piacere- era la prima volta che la professoressa mi parlò dandomi del tu.
.Sì, bhe, è un ragazzo molto sveglio- rispondo, a metà tra l’imbarazzo e la sorpresa.
-Ho avuto il piacere di notarlo, ma è un ragazza con un passato difficile, cerca di stargli vicino e aiutalo ad ambientarsi – si tolse gli occhiali dal viso. –Te lo chiedo da amica.- aveva gli occhi lucidi. Ma perché? Non volevo farle altre domande, avevo la sensazione che non mi avrebbe risposto. –Farò del mio meglio professoressa. Promesso!—uscii dall’aula. C’era Giulio con quella all’uscita, quando mi vide la salutò e mi raggiunse con aria soddisfatta. Non avevo voglia di parlargli, sapevo dove sarebbe arrivato.
.Vedo che fai amicizia col drogato- aveva pochi peli sulla lingua, sì.
-è simpatico, non giudicare se non lo conosci- taglio corto. –Ma che fai? Lo difendi?-
-Dico quello che penso, come fai tu. Abbiamo latino, non ricordi?- la mia scuola aveva un sistema particolare: organizzava le classi che si dovevano spostare da una classe all’altra. Lui mi fece cenno di sì e non parlò più. Era la prima volta che mi permettevo di terminare io la conversazione. Di solito, ogni scusa era buona per parlarci, ma non mi andava proprio di farmi mettere i piedi in testa quel giorno.
All’entrata della classe trovai Ed, mi aveva riservato un posto e andai da lui senza troppe esitazioni. Se una persona con un passato difficile ha quel sorriso, io non occupo nessuna posizione per giudicarlo o evitarlo. L’ho promesso alla professoressa, e io mantengo le promesse. Fine della storia.
-AAAH ci vuole un po’ di lingua straniera per renderci la vita più facile non trovi?- mi dice sorridendo.
-Quando capirò a cosa serve parlerò latino pe il resto della mia vita.- dico.
-è servito alla Rowling per scrivere Harry Potter, le servirà ancora per scrivere l’ultimo libro. Quindi diciamo che siamo tutti debitori alla Rowling-
-NON CI CREDO!! Ti piace Harry Potter?-
-Perché? C’è ancora gente che non lo ama?- dice e con quella frase mi venne voglia di abbracciarlo. Se prima avevo dei dubbi in quel momento scomparvero tutti: qualsiasi persona ami Harry Potter merita la mia stima e la mia amicizia.
se l’ultimo libro fosse uscito qualche mese prima del previsto, avrei potuto commentarlo con Ed, ci saremmo comprati insieme la collanina dei Doni della Morte, a pensarci ora, mi sarebbe davvero piaciuto.
Arrivò il prof di Latino. Pelato, alto e scorbutico. Ed si divertì a commentare il “fantastico” look del prof, ammettendo che lui non fosse messo molto meglio, alludendo alla sua felpa di almeno 2 taglie in più e ai suoi jeans strappati.
Non faceva mai riferimento al suo passato. Ma io volevo saperlo.
Eccome se lo volevo sapere.
 
BUONAERA A EVERYBODY
Sono un po’ in ritardo, ma sono abbastanza soddisfatta del capitolo, mi stanno venendo in mente un sacco di idee e credo di sapere la strada da seguire. Ho voluto mettere in mezzo Harry Potter perché ci stava e anche perché io AMO Harry Potter. In questi giorni sto andando a mare e sono stanchissimissima, solo da me stanno 35 gradi all’ombra? Poi mi chiedono perché preferisco l’inverno!
Mi piace anche la biologia se non si è notato. Sono una vera sostenitrice della green life! Non a caso sono vegetariana.. okay credo di essermi presa abbastanza spazio. Se vi piace il capitolo lasciate una piccola recensione. Ditemi cosa ne pensate e se vi va parlatemi anche un po’ di voi!! Mi sembra di parlare da sola nello spazio autrice eheh.
Buona vita a tutti!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nonostante le aspettative. Sopravvivemmo a quella terribile lezione di latino, e anche a quella di Storia dell’Arte, guidata dal brillante artista fallito dott. Laumer. Anche in quell’ora mi sedetti acanto a Ed, e ci vollero parecchi minuti per insegarli a utilizzare un compasso e a spiegarli che le squadre vanno utilizzate in coppia
-Ma se sta la riga del foglio come riferimento non serve la seconda riga- diceva. –ma è più comodo con l’altra squadra dai-
-Non è giusto obbligare intere generazioni a dipendere da due squadre quando si può utilizzare solo una- fin quando non capii che in realtà lui aveva solo una squadra, e gli prestai la mia. Aveva un modo tutto suo di considerare le cose che gli accadevano intorno. Ed era divertente.
All’intervallo però non stetti con lui, perché ci conoscevamo da poche ore e anche se mi stava simpatico avevo bisogno di sentire i miei amici, quindi raggiunsi Cher e Fabio. Non vi ho ancora parlato di Fabio perché avevo bisogno che se ne presentasse l’occasione: è un ragazzo un po’ sfortunato, era affetto da una malattia che gli aveva causato un’altezza ridotta, ma non aveva mai perso la voglia di vivere, affrontava tutto anche se a volte era difficile, aveva un senso dell’umorismo assolutamente raro in Inghilterra ma in realtà anche lui veniva dall’Italia come me e lui è un persona che mi rende fiera del mio paese d’origine.
-Come va ragazzi?-dico. Cher aveva un’aria sprizzante, si sistemava il gonnellino della divisa (eravamo una delle poche scuole che aveva una gonna per la divisa delle ragazze) , era incantevole. Ma lei non se ne accorgeva nemmeno, anzi, perdeva tempo a rimproverarsi particolari inesistenti.
-Tutto bene, ho un nuovo compagno di Geografia- e mi fece l’occhiolino.
-Io anche, a parte che stiamo a scuola e vorrei essere da tutt’altra parte, e che non ci sono ragazze nel mio corso di pedagogia!!- risponde Fabio.
-Ma perché hai deciso di fare pedagogia? Non ti è mai interessato!- dico
-Per le ragazze ovviamente, ma credo che molti altri ragazzi abbiano avuto la mia stessa idea, tu che ci racconti?-
-Niente di che, c’è uno nuovo nella mia classe è simpatico sapete? Edward Cristopher Sheeran, per gli amici Ed- rispondo con molto entusiasmo, forse più di quello che avrei voluto trasmettere, nemmeno a farlo apposta arriva Giulio, non sembrava avere una passione per Ed e quelle parole non lo fecero certo rallegrare.
-Stai scherzando? Ora fai la carina con i drogati? Ah scusami, avevo dimenticato il tuo tentativo di diventare suora volontaria.- mi chiamava spesso suora, ma non l’aveva mai fatto in modo offensivo, abbassai la testa. Mi sentivo in colpa anche se infondo non era colpa mia. Non mi piaceva provocare in nessun modo, preferivo essere gentile con le persone con cui volevo esserlo e se non volevo esserlo con altre persone, non le calcolavo. Avevo alzato in rare occasioni e giurai che non l’avrei fatto più. E lui mi chiamava così, per ironizzare i miei sbagli, però ora non l’aveva fatto per questo. No. Non l’aveva fatto per questo.
Vidi Cher che abbassò la testa con me, aveva paura che esplodessi in lacrime. Non era un commento pesante per  gli altri, per me sì, ma non feci niente, mi bloccò Fabio.
-Ma ce la vedi suora lei? Farebbe impazzire il convento in poche ore! Traumatizzerebbe le altre sorelle con le sue parolacce inventate! Dai non facciamo i ridicoli adesso. Il mondo può diventare quadrato ma la nostra Mia non potrà mai essere suora- e mi sorrise. Io sorrisi e poi ritornare a guardare Giulio.
-Non è un drogato, se la gente ha la lingua lunga di certo non è colpa mia. Ah, a proposito di lingue lunghe arriva la tua ragazza- cercò di rispondere ma non c’era niente da dire. Soprattutto in presenza di quella cosa lì. Se ne andò e basta.
-cosa è questa storia della droga?- azzardò Cher, quando Giulio scomparve dalla sua visuale
-Niente.- dissi secca e poi suonò la campanella
-Ma..-
-NIENTE- concludo e me ne vado. Volevo davvero piangere, ma ingoiai il groppo che mi si era creato in gola e raggiunsi il corso di matematica, ma non mi sedetti vicino a Ed, che rimase un po’ male. Però non mi andava di dimostrare a Giulio che avevo troppa simpatia per lui. La prof di matematica era abbastanza gentile e distratta dai suoi ricci da non accorgersi della mia totale assenza.
Io non ero una “suora”, ma avevo solo capito che picchiare la gente non mi aiutava a risolvere niente.
Avevo picchiato un ragazzo un anno fa, prese in giro Fabio. E da quell’istante non capii più niente, lui finì al pronto soccorso e io in presidenza, mio padre stava divorziando da mia madre e stava passando un brutto momento. E io li resi la vita ancora più difficile. giurai di non farlo più, lo feci per lui, per me, e per le nostre povere vite. Ad un tratto sentii un debole colpetto sulla testa. Una gomma lanciata da qualche essere così asociale da non avere altro da fare. Sì. Un essere asociale con i capelli rossi che appena mi girai fissò il soffitto con aria così volutamente innocente da sembrare colpevole. Gliela rimandai colpendolo sul naso, per poi riceverla sulla guancia e rispedirla, ma mancando l’avversario che mi mimò con la bocca “schiappa”.
-Scusate, avete molto da fare?- una voce stridula, sgradevole e con l’accento americano ci richiamò. Vi è mai capitato quel genere di professoresse che si accorgono del vostro più piccolo sospiro fuori ritmo, ma non vede l’aeroplano di carta che gli vola dietro? Ecco lei era così. Mi odiava e la odiavo.
-Mi scusi prof, cercavamo di calcolare la distanza dei nostri banchi- dice Ed.
La professoressa lo scrutò severa. Ed si era appena aggiunto alla sua lista nera. Non che la cosa lo spaventasse.
Per il resto dell’ora comunicammo a sospiri, aveva un respiro prepotente ma dolce allo stesso tempo. Era armonico  e pulito ma pieno di una grinta rara. Come se volesse uscire a tutti i costi. Lo riconoscerei ancora se lo risentissi.
Pranzammo insieme, lo presentai a Fabio e a Cher. Giulio non si avvicinò nemmeno al nostro tavolo e mi dispiacque molto. Lui e Fabio erano amici da sempre e non mi andava di dividerli, così mi avvicinai io.
-Posso sedermi?- dico
-Se proprio vuoi- più che una risposta era un borbotto ma mi accontentai.
-Non voglio litigare con te, Ed è un tipo a posto, non faccio nulla di male-
-è che non mi va di essere la tua ruota di scorta, mi sto sentendo con Tina e tu non mi hai detto niente, ti parlo di lei e te ne vai. Poi ti vedo che col rosso hai tutta la voglia del mondo di parlare- alla parola “sentendo” trattenni l’impulso di vomitare. E decisi che forse era il caso di digli cosa pensavo, almeno così avrebbe smesso con queste gelosie assurde, che poi erano gelosie amichevoli.
-Non mi piace. Tina, intendo. Mi sta sul cazzo in poche parole. Non parlo con te proprio per non metterti in difficoltà. La odio. È un’oca. Ma se piace a te, me la farò piacere.- sorrisi e me ne andai.
Lo lasciai solo a pensare, ne ha sempre bisogno quando gli si dice qualcosa di brutto. Lo conoscevo bene. Troppo bene.
 
SALVEEE
Okay in questo capitolo non ho parlato molto di Ed quanto del contesto, volevo continuare ma non volevo fare un capitolo troppo lungo e ho messo da parte alcune idee. Voglio che tutti i personaggi abbiano un ruolo importante nella storia, quindi devo per forza togliere parti al nostro Ed. vi anticipo che la storia della droga non è al 100 per 100 falsa.
Tempo al tempo eheh.
Good life!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Tornai a casa per le due di pomeriggio.
Non ricordo niente delle ultime due ore, pensavo a quello che avevo detto a Giulio e se avevo fatto bene, insomma se i vostri migliori amici vi dicessero che la vostra ragazza fa schifo ai cani come la prendereste? Infondo era proprio il terrore di perdere la sua amicizia che non mi permetteva di dichiararmi e in quel momento, sentivo di averlo perso.
Ad ogni modo, era fatta. Entrai in casa e sentii mio padre singhiozzare. Lo faceva spesso, ma mai davanti a me, così per non imbarazzarlo urlavo –SONO A CASA-!!- così da farmi sentire e dargli il tempo di ricomporsi.
-Ciao tesoro, tutto bene a scuola?- esce dal bagno come se niente fosse. Aveva gli occhi tristi, il mio papà. Nel frattempo il mio micio ruffiano si era già presentato il più gattoso possibile. Voleva i croccantini.
-Stai scherzando vero?- risposi a papà mentre riempivo la ciotolina a Tigro. –Fa tutto meravigliosamente schifo, papà. Tutto MERAVIGLIOSAMENTE. SHIFO.- lo dicevo tutti i giorni, papà ci era abituato.
Il tempo di cambiarmi e mettere la mia comodissima e per nulla femminile tuta che mi arrivò un messaggio.
“Ciao, senti stavo pensando a quello che mi hai detto oggi e voglio parlarti, sei libera oggi pomeriggio?”
Era Giulio. Non mi aveva mai chiesto di uscire. Anche se non era un’uscita ma PORCA MISERIA saremmo usciti quel pomeriggio!!
ci accordammo per le cinque vicino scuola. E cercai di tenermi occupata per quelle tre interminabili ore, ma il pensiero mi stringeva lo stomaco.
Le cinque arrivarono con terribile ritardo e anche lui. Purtroppo.
-Ehi, scusami il ritardo, sono appena tornato da basket e gli allenamenti sono durati più del previsto….-
-Non fa niente, sono appena arrivata anche io- che immensa cazzata.
-Senti, ecco, ci ho pensato. Riguardo Tina, dico. E voglio provarci. Sì insomma mi piace. E credo che non sarebbe molto corretto avere la mia migliore amica che non la sopporta. Quindi beh…. Vorrei che ci prendessimo una pausa…-
Cazzo. Mi stava lasciando. Ma come poteva lasciarmi se non siamo mai stati insieme?! Vedete: ero così idiota da farmi lasciare senza nemmeno fidanzarmi. Ma, per la seconda volta nella mia vita, decisi di controbattere le sue parole:
-Senti, per me va bene qualunque cosa tu decida. Io non posso certo tenerti a forza. Ma sappi che non ho intenzione di prendere pause o cazzate così. Se quella finta bionda è più importante di me okay…-
-Ascolta Mia- mi interruppe.
-No, ascolta tu, Giulio: ti voglio un bene immenso, davvero. prenderei una pugnalata al posto tuo se ce ne fosse il bisogno. Ma la pugnalata me la stai dando proprio tu ora! Porca puttana, non è servito a nulla? Tutti questi mesi, tutte le risate, i litigi, le prese in giro, i soprannomi, non sono niente?  E va bene…. Cazzo se va bene. Ciao-
Sentivo del calore irradiarmi le guance. Piangevo. Ma non volevo affatto fermarmi. Gli diedi le spalle e me ne andai.  Furono solo 5 minuti. Ora sì, l’avevo perso.
E piangevo forte. Tornai a casa sbattendo le porte, mi chiusi in camera e urlai. Urlai il suo nome, tutto ciò che avevo dentro. Si, faceva molto male, sentivo quel dolore infiltrarsi fin dentro le ossa e spaccarle, arrivare fino allo stomaco e rivoltarlo come un sacchetto di plastica. Ricordo ancora il sapore acido e mio padre che mi reggeva mentre buttavo fuori tutto l’amore che avevo, con prepotenza e tanta, tanta rabbia. Sapete quando le vostre mamme dicono “un giorno ci riderai sopra?” bene, io ancora non riesco a riderci su, forse è solo un problema mio, ma non ho affatto dimenticato un solo momento di quel giorno. Che avevo fatto infondo? Lui voleva un parere e io l’ho dato.
Ad ogni modo, mi addormentai tremando, con tigro sul mio letto da  un lato, e papà dall’altro che mi accarezzava i capelli e le guance consumate dalle lacrime. Mi sentivo vuota, vecchia. E, decisi, che l’amore non faceva per me, che quelle farfalle nello stomaco erano finite nel water insieme alla bile. Era lì che mi aveva portato l’amore. E non ci sarei ricascata un’altra volta.
 
SPAZIO AUTRICE
Come prima cosa, vi chiedo umilmente scusa. Ho avuto alcuni problemi, come l’inizio della scuola e non avevo né il tempo né la voglia di continuare. E non volevo darvi dei capitoli inutili e stupidi. Anche se questo non è il massimo, ma sono le undici di notte e sono di pessimo umore. Indovinate un po’? La colpa è sempre di “”Giulio””
Vorrei davvero sapere cosa ne pensate di tutta la storia, altrimenti penso che la eliminerò, perché mi scoraggio molto facilmente e blabla.
Buon anno e good life!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il giorno dopo decisi di rimanere a casa e mio padre non oppose resistenza. Non so spiegarvi con certezza, ma ,secondo me, se l’aspettava questa situazione. Mi svegliai verso le nove, anche se fu una notte movimentata, quella. Mi alzai barcollando a causa del mio pigiama troppo lungo, andai in cucina a versarmi un po’ di tè e mentre bevevo facendo attenzione a non ustionarmi la lingua accesi il telefono. C’erano due messaggi di Cher che mi chiedevano dov’ero finita, ma non se la sarebbe presa, soprattutto quando le avrei spiegato la situazione. E vabbè. Uscii dalla chat con Cher ed eccola lì, terribile e inevitabile, un po’ come la morte, la mia morte. La chat con Giulio. Occupava tutta la memoria del telefono, ma non avevo il coraggio di cancellarla. La aprii. Era piena di cose stupide ma che mi facevano sorridere, alcune erano state inviate alle 3 del mattino. Avevo la pessima abitudine di non lasciar cicatrizzare le mie ferite, mi divertivo ad aprire la crosticine e vedere il sangue fresco uscire. Penso che lo stesso valeva in quella situazione.
Perché doveva finire sempre così? Non avevo nulla nella mia vita ma non facevo la finta depressa, non ero bella o quant’altro, ma amen, me ne facevo una ragione. Mi ero accontentata di tutto, perché togliermelo adesso?
Spensi il telefono tremando. E sentii un leggero peso sulle mie ginocchia. Tigro si era accoccolato su di me, quasi come conforto.
-Anche io vorrei essere un gatto sai? Come si fa a rifiutare una creaturina come te?- la sua risposta fu una leccata al dito.
Papà era andato a lavoro, così passai il resto della mattinata a sistemare un po’ la casa e mangiando schifezze fino a riempirmi prima di pranzo. Stavolta mio padre fece un po’ di storie, era molto devoto alla corretta alimentazione e ogni volta che rifiutavo i pasti nella sua mente si faceva spazio l’idea che sua figlia stesse avanzando in un’anoressia senza precedenti. Infondo eravamo italiani.
Saranno state le due e mezza, quando sentii il citofono suonare. Cher prendeva il pullman, non poteva essere lei. Cominciai a illudermi che fosse Giulio, ne ero quasi sicura, ma quando vidi tramite il videocitofono una chiazza rossa, caddero tutte le mie aspettative.
-Chi è?!- risposi quasi arrabbiata, anzi lo ero.
-Ehm… sì, sono Edward, Mia sei tu? Volevo solo lasciarti questi appunti, è stata la prof si biologia a dirmi di passare, non voglio dare fastidio davvero, gli lascio sulla buca delle lettere..-
Inutile dire che mi sentivo uno schifo, lui era stato capace a passare da casa dopo appena un giorno che ci conoscevamo, e quel deficiente non aveva nemmeno mandato un messaggio per chiedermi se stavo bene. Ero vestita più o meno decente, la casa era pulita e così mi venne in mente una piccola idea per farmi perdonare.
-No scusami Ed, pensavo fossi uno di quei testimoni di Geova, ehi sta cominciando a piovere, entra dai, ti raffredderai- avevo detto tutto con una velocità così allarmante da lasciarlo senza altro da dire.
Salì e basta.
Appena mi vide gli si illuminò il volto con un sorriso dolcissimo. Scioglieva anche me quel sorriso.
-scusami, non sono molto presentabile, ma… ecco, non è un bel giorno questo.-
-Oh non devi scusarti, anzi grazie per avermi fatto entrare, credo che mia sorella ci metterà un po’ per venire a prendermi.-
Finì di pulirsi le scarpe allo zerbino e entrò, accolto calorosamente da Tigro ovviamente. Ci sedemmo sul divano e bevemmo insieme una tazza di tè. C’era silenzio fra noi, ma non un silenzio imbarazzante, stavo bene in quel silenzio. Mi dava modo di pensare, di riposarmi. E nemmeno lui sembrava imbarazzato. Si era sistemato sulla poltrona che non usavamo mai in casa, una poltroncina normale, ma non piaceva né a me né a papà e nemmeno a Tigro. Ma lui sembrava starci bene e sembrava avere un’ottima affinità col gatto. Quante cose si scoprono in silenzio.
-Perché non sei venuta oggi?- iniziò il discorso lui, sapevo che prima o poi me l’avrebbe chiesto.
-Non sono stata molto bene ieri, diciamo che non è uno dei miei migliori periodi..-
-HAILITIGATOCONGIULIO?- disse tutto d’un fiato.
-come lo sai?-
-Oggi mi ha chiesto se stavi male o cose del genere e poi aveva la tua stessa espressione negli occhi, quella di chi ha troppe immagini in testa ma le vuole trattenere a tutti i costi.- aveva la capacità di capire tutto senza chiedere nulla, sapeva molto più di me in quel momento.
-Sì, ho litigato con lui, per colpa di quella puttana della ragazza. Lo vedi? Non mi sto mai zitta, non riesco a non dire quello che penso-. Sentii qualcosa di caldo accarezzarmi le guance, un’altra volta. Non piangevo mai in pubblico, chi è che lo fa? Ma quelle lacrime erano impregnate di amarezza e dovevano uscire, tanto peggio di così le cose non potevano andare.
Mi trovai avvolta improvvisamente da un altro tipo di calore, quello era piacevole almeno mille volte di più. Non faceva male, anzi, sembrava riuscire a tenermi intera per qualche secondo. Mi aveva abbracciata.
Penso che tutti sappiano quanto siano belli gli abbracci, però hanno tutto un altro sapore se vengono dati nei momenti più devastanti. Ti ricompongono, non so se mi spiego.
-Guarda, stamattina l’ho vista… sì sembra davvero una puttana- sorrise. Sorrisi anche io.
-Non la pensa come te lui- risposi amara.
Si impegnò a fissare le sue iridi nelle mie, anche se questo gli causava un violento rossore sulle guance
-Il fatto che le sta accanto non vuol dire che non lo pensa. Siamo strane creature, noi umani. Preferiamo il facile al bello. Ma nonostante tutto il bello non smetterà mai di essere bello, così come il facile non smetterà di esserlo. Dobbiamo solo trovare le persone con più buongusto, disposte a qualche formalità per avere qualcosa di migliore.- tornò a sorridermi e si alzò –Beh, ora devo davvero andare, grazie del thè Mia-
Lo accompagnai alla porta in silenzio, assorta a ciò che aveva detto. Dovevo per forza rispondergli vero? Vero.
-Ed..- si girò –Grazie, davvero, grazie mille-
Sorrise ancora una volta.
Forse, dopo quella conversazione, potevo prendere ago e filo e cominciare a ricucirmi..

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