Indaco

di Lost on Mars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sydney ***
Capitolo 2: *** Il caso Rockwood ***
Capitolo 3: *** Vittorie e sconfitte ***
Capitolo 4: *** Maschere ***
Capitolo 5: *** New boy downtown ***
Capitolo 6: *** Solo l'inizio ***
Capitolo 7: *** La confraternita - I ***
Capitolo 8: *** La confraternita - II ***
Capitolo 9: *** Ricordi ***
Capitolo 10: *** Autocontrollo ***
Capitolo 11: *** Calum ***
Capitolo 12: *** Complicazioni ***
Capitolo 13: *** Sbagli ***
Capitolo 14: *** Rapimento ***
Capitolo 15: *** Terrore ***
Capitolo 16: *** Futili speranze ***
Capitolo 17: *** Salvataggio ***
Capitolo 18: *** Normalità ***
Capitolo 19: *** 21 Pistole ***
Capitolo 20: *** Completamente nostri ***
Capitolo 21: *** Strano ***
Capitolo 22: *** Solo una notte ***
Capitolo 23: *** Bianco ***
Capitolo 24: *** Promesse ***
Capitolo 25: *** Inaspettato ***
Capitolo 26: *** Tutta la verità ***
Capitolo 27: *** Piano B ***
Capitolo 28: *** All'alba ***



Capitolo 1
*** Sydney ***


Indaco




 
1 – SYDNEY

 
Il sole sorgeva lentamente, tinteggiando il cielo di rosa e violetto, mentre l'aereo atterrava sulla pista. Già dal finestrino su cui tenevo la guancia appiccicata, capii che Sydney era una città grande, nuova, sempre sveglia. Sapevo già che sarebbe stato molto diverso vivere lì.
Avevo abbandonato la mia vecchia casa dopo mesi e mesi di esitazione, dopo averne parlato con la mia famiglia, e dopo essermi iscritta alla facoltà di scienze sociali grazie alla mia borsa di studio, avevo pian piano realizzato che avrei ricominciato totalmente da zero. Avevo un solo obbiettivo nella vita: essere qualcuno. Ero convinta del fatto che la vita andasse vissuta e andasse tramandata, avevo più volte giurato a me stessa che non sarei morta finché il mio nome non fosse apparso da qualche parte. Un libro, un giornale, uno show in TV... Avrei fatto di tutto pur di non essere solo un'altra grigia esistenza.
L'impatto dell'aereo con l'asfalto mi fece sobbalzare, dopo qualche manovra, l'aereo si arrestò del tutto, e quando la voce del pilota comunicò ora e meteo, mi slacciai la cintura e aspettai che la donna accanto a me si alzasse. Presi lo zaino dal portabagagli sopra la mia testa e aspettai pazientemente di scendere. Una navetta portò noi passeggeri fino all'edificio principale dell'aeroporto. Rimasi ad aspettare la mia valigia rossa per qualche minuto, carica di sogni e tante paure, per poi avviarmi verso l'uscita. E poi eccole, le porte automatiche, trecento metri a dividermi dall'uscita.
Ce l'avevo fatta: avevo ricominciato. Quando fui sul marciapiede, mi fermai per un attimo a guardare il cielo che pian piano diventava azzurro, senza traccia di nuvole, e a respirare quell'aria nuova che sapeva di smog e di storie non raccontate. Storie che morivano e nascevano sotto i passi della gente che mi camminava accanto e mi osservava; che si raccontavano nelle metropolitane sotto i miei piedi e nei grattacieli all'orizzonte. Sydney non era semplicemente un nuovo capitolo della mia vita, era la prima pagina di un altro libro. Bianca e immacolata, proprio come la mia pelle che al sole si scottava sempre, anche con la crema. Ritornai con i piedi per terra solo quando notai che un taxi si era finalmente accostato. Strinsi forte il manico della mia valigia e mi avvicinai alla vettura bianca. Dall'auto uscì un uomo con i capelli brizzolati neri e gli occhiali da sole. Mi aiutò a caricare la valigia nel portabagagli, mentre mi mettevo seduta sui sedili posteriori. Il tassista rientrò in macchina e, gentilmente, si rivolse a me. « Dove siamo diretti, signorina? » Allora tirai fuori un biglietto dalla tasca anteriore dello zaino e lessi il nome della mia università. « Alla USyd – che stava per University of Sydney –, per favore ».
Il tassista fece partire i tassametro e mise in moto. Passai i seguenti venticinque minuti a guardare fuori dal finestrino. Era molto presto, la città non era molto trafficata e il viaggio procedette senza intoppi. Una volta a destinazione, pagai il tassista e mi avviai verso la segreteria. Avevo avvertito telefonicamente che sarei arrivata di mattina presto, a causa del fatto che l'unico volo disponibile era di notte. Speravo comunque che ci fosse qualcuno anche a quell'ora. Entrati nell'edificio principale, la valigia faceva rumore dietro di me e mi metteva a disagio. Trovai una donna seduta dietro la scrivania, il cartellino di metallo poggiato sul legno diceva: Mrs. Carter.
« Salve, » iniziai con un filo di voce. La donna alzo lo sguardo su di me. « Sono appena arrivata e... mi dispiace per l'orario... qui ho tutte le carte che- »
 La segretaria si tolse gli occhiali e mi interruppe, ridacchiando. « Tu devi essere Amelia Hogan » disse. Io annuii energicamente. Storsi un po’ il naso quando sentii il mio nome pronunciato in quell’accento un po’ strano. Mi chiamò Ami-lia, prolungando la seconda i in un modo davvero sgradevole.
« Sì, ecco qui il foglio che mi avevate raccomandato di portare ». Porsi a Mrs. Carter un foglio già firmato fa me, lei ci mise un timbro sopra e poi lo archiviò. Si alzò e prese una chiave da un quadro reticolato alle sue spalle. C'erano molti buchi liberi, il che significava che quasi tutte le stanze erano occupate.
« La tua stanza è la numero 265, adesso la chiave è tua e la dovrai restituire solo alla fine del semestre, quando inizia la pausa estiva » disse, porgendomi la chiave. La presi e la ringraziai, chiedendole una mappa del campus. Dopodiché uscii e cominciai la ricerca della mia stanza. Avrei preferito arrivare quando erano tutti a lezione, in modo da non svegliare la mia compagna di stanza in questo modo. O compagno. Non ero sicura che all'università i dormitori fossero separati, ma lo sperai perché mi sarei sentita decisamente in imbarazzo a condividere la stanza con un ragazzo. Scoprii che la mia stanza si trovava al secondo piano dell'Edificio B, la trovai senza troppi problemi e infilai la chiave nella toppa entrando. Non appena aprii la porta, trovai una ragazza intenta ad infilarsi i jeans. Non potevo entrare in un momento migliore. « Luke, quante volte ti ho detto che non puoi entrare in camera mia alle sei e trenta del- » iniziò, voltandosi e facendo ondeggiare i suoi capelli neri. Mi guardò con le sopracciglia aggrottate, come se fossi un alieno. « Tu non sei Luke »  osservò.
« Sono Amelia, » dissi, le tesi la mano. Lei si avvicinò e me la strinse. « Sono la tua nuova compagna di stanza ».
« Oh, giusto me lo avevano detto che saresti arrivata, » disse lei con aria sognante. « Io sono Valerie ».
 Mi strinse la mano e si abbottonò i pantaloni. Io rimasi sotto lo stipite della porta per un po', poi entrai e posai la mia valigia sul letto rifatto, dato che l'altro aveva tutte le coperte a terra. « Scusa il disordine, non pensavo saresti arrivata così presto » disse.
« Sai, l'unico volo da Perth partiva alle tre del mattino, » le spiegai. « E poi non c'era traffico per strada ».
 Valerie si avvicinò al grande specchio accanto all'armadio e cominciò a truccarsi. Io cominciai a svuotare la mia valigia, cercando di spezzare il silenzio. « Allora, chi è Luke? » chiesi.
« Un mio amico... il mio migliore amico. Ha una copia delle chiavi ed entra nei momenti meno opportuni, dovrei dirgli di smetterla, dato che non sono più da sola » rispose Valerie.
« Oh, non ti preoccupare. Se vuoi passerò in stanza il meno tempo possibile e- ».
« Non dire cavolate, è anche la tua stanza, non mi piace stare da sola ».
Cercò di far sembrare quella frase scherzosa, ma da come lo disse, sembrava che avesse davvero paura di rimanere da sola, forse era per quello che Luke veniva sempre a trovarla. « Quando inizi le lezioni? » mi chiese.
« Domani » risposi, i miei vestiti ora erano tutti sul letto, cominciai a metterli nell'armadio.
« Ti farei fare un giro del campus e conoscere un po' di gente, ma devo vedermi al bar con Luke tra meno di mezz'ora e poi andare a lezione. Da mezzogiorno in poi sono libera, però » esclamò, riponendo pennelli e matite in un beauty-case.
 « Non ti preoccupare, credo che recupererò un po' di sonno perduto » risi e lei mi fece OKAY con la mano.
Dieci minuti dopo, Valerie uscì dalla stanza, augurandomi scherzosamente la buonanotte. Io però non avrei dormito. Non avevo sonno, anche se mi ero alzata praticamente all'una di notte per andare all'aeroporto. Mio fratello Josh per accompagnarmi non era andato proprio a dormire. Finii di mettere a posto i vestiti, misi il mio computer su una delle due scrivanie, tirai fuori la biancheria e i calzini e li misi nei cassetti del mio comodino. Posai i libri e il beauty-case sulla scrivania e mi misi sul letto. Il cellulare diceva che erano le sette e cinque. Sentii un rumore provenire dalla porta, poi questa si aprì, rivelando un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Intuii che quello fosse Luke.
Ci guardammo a lungo prima che lui mi chiese « E tu sei...? »
« Amelia Hogan,» risposi. « Sono appena arrivata. Se cerchi Valerie è già andata via »
« Cazzo, quella mi ammazza » si lamentò il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli.
« Sei in ritardo? » gli chiesi, alzandomi dal letto.
« Già, io sono Luke, comunque » mi strinse la mano frettolosamente.
« Luke come? » continuai io.
« Hemmings, ci si vede! » Detto questo, Luke si fiondò per il corridoio e io chiusi la porta, ridendo fra me e me. Sembravano tutti così simpatici lì dentro, non avrei fatto fatica ad abituarmi.

 
***
 
Il giorno dopo andai a lezione e vi rincontrai Luke e Valerie. Scoprii che frequentavamo tutti e tre sociologia alla stessa ora. Alla lezione dopo, ovvero antropologia, ero da sola. Mi piaceva un sacco stare lì, era tutto così bello e accogliente, le persone erano gentili, le cose da studiare mi piacevano e non erano quindi troppo pesanti. Iniziavo ad abituarmi, la prima settimana la passai a conoscere meglio Valerie, la mia compagna di stanza.
Aveva la mia età ed era la più grande di quattro sorelle, tutte femmine. Mi aveva detto che all’inizio non voleva andare all’università, ma poi aveva cambiato idea all’ultimo anno di liceo. Aveva conosciuto Luke ai tempi della scuola superiore, al secondo anno, e da allora erano amici. Mi aveva detto che Luke era un tipo a posto e mi aveva anche raccomandato di non chiamarlo Lucas, perché lui lo odiava, mentre io lo trovavo molto grazioso ed elegante.
Lei viveva a Sydney e quando io le avevo detto che venivo da una piccola città vicino Perth, lei quasi non mi aveva creduto – « Ma Perth è dall’altra parte dello stato! » –  eppure era così, Perth e Calum erano dall’altra parte dello stato e io volevo solo andarmene. La mia vita lì non era vita. Avevo una fantastica famiglia, vero, avevo però anche un cuore spezzato dopo due anni di fidanzamento. Non ce l’avevo troppo con Calum anche se era stato lui a lasciarmi, anche se era stato lui a farmi soffrire, dicendomi che una relazione a distanza non avrebbe funzionato. Forse eravamo giunti ad un punto in cui ci eravamo resi conto che due giocattoli rotti non possono aggiustarsi a vicenda. Forse, però, potevamo accorgercene prima di romperci ancora di più.
Ero fuggita dalla mia anonima cittadina, Nedlands, perché lì non succedeva mai niente. Andavamo tutti alla stessa scuola, tutti conoscevano tutti, un segreto non era mai tale e nel giro di pochi giorni si veniva a sapere sempre se due persone si erano lasciate, o messe insieme. Successe anche con me e Calum, in entrambi i casi. Ci eravamo messi insieme alla fine del penultimo anno di liceo, ci eravamo diplomati insieme e avevamo fatto tutti i passi più importanti mano nella mano. Poi un giorno mi ero svegliata e Calum non credeva più in noi. E adesso eccomi a Sydney, lontana da Nedlands, lontana da Calum e lontana dalla società opprimente che non mi permetteva di fare quello che volevo. Per quanto ne sapevo, nessuna persona di rilievo aveva mai abitato a Nedlands, i miei genitori avevano sempre vissuto lì e mi avevano chiesto perché non avessi voluto andare a studiare a Perth, che era molto più vicina. Non avevo mai saputo dare loro una vera risposta. Forse era proprio la troppa vicinanza che non volevo andarmene a Perth.
A pranzo, andai presi un panino al volo al bar del campus, dato che non avevo una macchina e non potevo spostarmi al di fuori dell’università. Fu allora che capii che forse dovevo trovarmi un lavoro, uno qualsiasi, per racimolare un po’ di soldi e comprarmi un’automobile. Ero al computer quando Valerie rientrò in stanza con una pila di libri che sembravano pesantissimi. Li posò con un tonfo sulla sua scrivania e sospirò.
« Questo semestre è iniziato da due giorni e io sono già distrutta, » disse, buttandosi sul letto. Io mi lasciai scappare una risata distratta. « Cosa stai facendo? »
« Cerco un lavoro. Mi serve una macchina » risposi, continuando a scorrere tra le pagine web.
« Non ci riuscirai mai così, » Valerie si alzò dal letto e venne vicino a me. « Aspetta qualche mese e dai qualche test. Se sei particolarmente brava i professori ti indirizzeranno a degli stage. Funziona così, qui. Poi si organizzano dei concorsi per diverse discipline e in genere il premio è in denaro, ciò non vuol dire che non siano tutti pretesti per far venire qualche manager a dare un’occhiata a potenziali talenti ».
Rimasi affascinata dalle parole di Valerie. Era proprio quello che avevo sempre sognato. Farmi notare, farmi valere, essere un potenziale talento.
« E sai se ne hanno indetto già uno? » chiesi, riferendomi ai concorsi.
« Ufficialmente no, ma Luke, che fa da assistente al prof. di letteratura, ha detto che tra poco metteranno al bando un concorso di scrittura creativa. Io e la penna non siamo mai andate d’accordo, ma se te la cavi... tentar non nuoce! » esclamò, dandomi una pacca sulla spalla. Sorrisi. « Oh, e se te lo stai chiedendo... Luke non è un leccaculo ».
Scoppiammo entrambe a ridere, chiusi il mio computer portatile e mi alzai dalla sedia. « È ancora valido il giro per il campus? » chiesi, incrociando le braccia al petto.
Valerie parve illuminarsi e gettar via tutta quella stanchezza di cui parlava pochi minuti prima. « Speravo me lo chiedessi ».
Poi mi afferrò per un polso, si accertò di avere la chiave della stanza con sé, e mi trascinò fuori in corridoio. Per prima cosa, scendemmo al piano di sotto, dove c’erano altre stanza, e raggiungemmo la numero 174. Valerie bussò e Luke venne ad aprire. Non riuscii a vedere chi altro ci fosse nella stanza, ma non c’erano rumori, per cui immaginai che stesse da solo. Forse non aveva ancora un compagno di stanza.
« Hey, che ci fate qui? » ci chiese, col suo solito sorriso divertito.
« Sto facendo fare ad Amelia un giro del campus, vuoi accompagnarci o eri impegnato a fare l’asociale? » gli domandò scherzosamente Valerie. Luke sospirò e alzò gli occhi al cielo.
« Sono con voi ».
Presele chiavi della stanza e si richiuse la porta alle spalle. Cominciai a parlare anche un po’ con Luke, e già il secondo giorno mi ero fatta due amici. Non era poi così male, avevo il terrore di non riuscire a rompere il ghiaccio con nessuno, una volta arrivata qui.
Luke e Valerie mi fecero vedere un angolo del cortile che era sempre all’ombra, sotto una grande quercia, lontano dai tavoli e le panchine frequentate da tutti. Mi fecero vedere l’edificio dove c’erano i dormitori dei senior, ovvero gli studenti dell’ultimo anno. Noi tre eravamo delle matricole, per cui ci trovavamo nello stesso dormitorio. A quanto avevo capito, vi erano tre dormitori, uno per ogni anno. Sorrisi tristemente tra me e me, alla fine, la gerarchia dell’università non era poi così diversa da quella del liceo. In seguito, mi fecero vedere il bar – ma io c’ero già stata per pranzo – e il teatro in cui a volte l’università ospitava concerti e rappresentazioni.
Infine, Valerie mi parlò delle confraternite che si trovavano dalla parte opposta del campus, raggiungibili solo con la macchina o con l’autobus. Comunque, Luke, dal canto suo, mi fece intendere che nelle confraternite vivevano tutti i figli di papà con la puzza sotto il naso, ragion per cui non mi avrebbe mai permesso di andarci.
Scoppiai a ridere a quel punto, forse perché Luke aveva un carattere che lo portava ad essere subito amico di tutti e a comportarsi con tutti come se li conoscesse da una vita. Era semplicemente carismatico, ma sapeva scegliere le persone più importanti, sapeva con esattezza chi far entrare e chi no. Poteva essere una cosa positiva quanto negativa, ma continuai a sorridere e a scherzare con lui per tutto il tempo, senza lasciar intendere le mie domande.
Stemmo in giro per il campus tutto il pomeriggio, poi Valerie si offrì di accompagnarmi a cena in città. Luke disse di avere da fare delle cose per il prof. di letteratura, ma quando tornammo in camera per prepararci, Valerie mi disse che, dato che Luke aveva balbettato, probabilmente aveva impegni con una ragazza e che sarebbero passate minimo tre ore prima che la chiamasse in preda al panico per farsi dire cosa fare e come comportarsi. Desiderai all’improvviso di avere un’amicizia bella come la loro, e non era perché ero appena arrivata a Sydney. Nemmeno a Nedlands avevo un rapporto del genere, tranne che con mio fratello Josh.
Valerie, nei suoi jeans neri e stretti, ed io, nei miei chiari, uscimmo dal dormitorio  e prendemmo la sua macchina, per uscire dal campus passammo davanti una delle confraternite, dove fuori c’era un gruppetto di ragazzi in abiti firmati, e lì davanti Valerie accelerò, cercando di passare il più inosservata possibile. Non feci domande.
Valerie parcheggiò la macchina proprio fuori il ristorante, come se non volesse fare nemmeno un po’ di strada a piedi. Era diventata incredibilmente taciturna, e dopo averla sentita parlare e scherzare con me e Luke per tutto il pomeriggio, vederla così era piuttosto strano. Comunque, non le avrei chiesto niente, mi sarei sentita in imbarazzo. L’unica cosa che notai, fu una macchina parcheggiare accanto a quella di Valerie e un ragazzo che ne uscì da solo, senza nessun amico. Grazie alla luce del lampione, riuscii a vedere che indossava una maglietta nera un po’ sgualcita e aveva i capelli biondo platino, resi più chiari dalla luce giallastra. Istintivamente, pensai che fosse strano venire da soli in un ristorante, poi pensai che forse lavorava lì come cameriere. Vidi che anche Valerie lo aveva notato e che aveva affrettato il passo, stavolta però, feci la mia domanda.
« Chi è quello? ».
Valerie deglutì e aspettò che entrammo nel locale per rispondermi. « Un tipo da cui devi stare alla larga ».


 
Marianne's corner
Salve! Come potevo non incasinarmi la vita con un'altra fan fiction? Fondamentalmente, non potevo, quindi sono di nuovo qui a rompere le balls. Time will heal giunge al termine e io ho bisogno di scrivere sui miei ragazzi, solo che questa storia sarà un po' particolare (la cosa che mi lascia sconvolta è che è una storia totalmente HET,prima di tutto O.o). Facendo le persone serie, lo sappiamo tutti che 5SOS sono brave persone che non farebbero mai del male ad una mosca e tutto il resto e questa storia non rispecchia minimamente la realtà e... ci siamo capiti, no? xD Se qualcuno ha mai letto altre mie storie (no, non ti si caga nessuno Marianne) saprà che preferisco la terza persona, ma per il genere di storia che voglio scrivere credo sia più adatta la prima, quindi nulla. Sto dicendo un sacco di cose inutili. E niente, questo primo capitolo è stato un po' introduttivo e mi dispiace se è un po' noioso, già dal prossimo le cose cominciano ad essere più interessanti. Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, anche piccolina. Non avete paura a scrivere qualsiasi cosa, non vi mangio mica c': Tanto avete già capito chi è il tipo misterioso, vero?
Grazie a chi ha avuto il coraggio di arrivare fin quaggiù e grazie a chi recensirà ♥ Alla prossima,
Marianne


 





 

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Capitolo 2
*** Il caso Rockwood ***





 
2 – IL CASO ROCKWOOD
 
 
Io e Valerie ordinammo entrambe una pizza margherita, mi guardai attorno, ma il ragazzo misterioso non lavorava come cameriere, né era venuto semplicemente a cenare. Forse aveva parcheggiato lì perché in strada non c’erano posti. Eppure, la voce nervosa di Valerie mi faceva pensare che lei lo conoscesse. Le avevo chiesto chi fosse e lei non mi aveva detto il suo vero nome, ma solo di starne alla larga. E dato che non lo vedevo da nessuna parte, cercai di informarmi meglio.
« Si può sapere chi era quel tipo? » chiesi di nuovo, mentre aspettavamo le nostre ordinazioni.
Valerie sbuffò e cercò in tutti modi di evitare la mia domanda, poi incrociò il mio sguardo indagatore e sospirò, rassegnata. Allungò la testa verso di me per sussurrarmi sotto voce un nome. « Michael Clifford, non ripeterlo »
Annuii lentamente, senza ripetere il nome che mi aveva detto. « E frequenta la nostra facoltà? Come fai a conoscerlo? Perché ti rende così nervosa? »
« Hey, frena con le domande, non sono un robot! » scherzò Valerie, riacquistando quell’allegria che le avevo visto in volto sin dal primo momento che l’avevo vista. « Comunque sì, vive nella confraternita, è una lunga storia ed è un’altra lunga storia » continuò, rispondendo in ordine alle mie domande.
Sbuffai, praticamente aveva evitato tutte le domande più interessanti, rispondendomi solo all’unica che potevo benissimo immaginare da sola.
« Come ti trovi qui a Sydney? » mi chiese, cambiando argomento. Lessi nei suoi occhi che voleva evitare di parlare di Michael Clifford. Avrei potuto chiederlo a Luke il giorno dopo.
« Bene. Anche se è tutto molto diverso da Nedlands, sembra un mondo nuovo » risposi scherzosamente, versando dell’acqua nel mio bicchiere.
« Cielo, perché da Nedlands sei venuta fin quaggiù? » mi domandò, spalancando gli occhi.
« Be’, avevo solo bisogno di cambiare tutto. Volevo stravolgere un po’ la mia vita. Sono sicura che la mia famiglia mi mancherà tantissimo, ma qui io voglio ricominciare, capisci? »
Valerie intanto annuiva. Arrivarono le nostre pizze e io mi armai subito di forchetta e coltello. In diciannove anni di vita non avevo mai imparato a tagliare una pizza decentemente, quindi sapevo che avrei fatto una delle mie solite figuracce. Io e Valerie continuammo a parlare di Sydney, di quanto fosse una splendida città, del mare, dell’università e io le chiesi se avesse mai avuto un cotta per Luke. Mi rispose che verso i sedici anni lui aveva provato a baciarla, ma la cosa era stata talmente imbarazzante che si erano resi conto di poter essere solo amici. Valerie mi parlò molto di Luke e del loro rapporto, per lei era come un fratello, e gli voleva bene dal profondo dell’anima. Capii che erano parole vere perché le vidi gli occhi brillare.
E subito dopo, la luce negli occhi di Valerie si spense, fissava un punto alle mie spalle, allora feci per girarmi, ma lei mi bloccò subito. « Non girarti » asserì, con un tono di voce molto serio. Annuii debolmente e rimasi seduta composta, continuando a tagliare la mia pizza in piccole fette.
« Perché? » chiesi, confusa.
« Ti spiego tutto dopo, in camera, okay? Continuiamo la nostra cena, ti prego » mi disse, fingendo un sorriso.
Mi arresi alla sua richiesta e continuammo a parlare come due normalissime amiche. Rifiutai il dolce perché non ero riuscita a finire nemmeno la mia pizza e mi sentivo completamente piena. Verso le dieci fummo fuori dal locale. Valerie mi disse che se non avessimo avuto lezione il giorno dopo mi avrebbe portato in un pub carino, e io mi limitai a ridere. Non volevo dirle che in realtà non mi trovavo a mio agio in quei posti.
Ritornammo in macchina e Valerie partì, andando via più velocemente di quando eravamo arrivate. Scommettevo che aveva a che fare con quel ragazzo di nome Michael. E fu in quel momento che vidi un’ombra dallo specchietto retrovisore. Una sagoma scura che si avvicinava ad una macchina accanto a quella di Valerie.
La ragazza accanto a me fece retromarcia bruscamente e inversione ancor più bruscamente. Partì velocemente e il ristorante sparì presto alle nostre spalle. Valerie sembrava inquieta e faceva dei respiri profondi.
« Che c’è? » le chiesi dolcemente.
« Dobbiamo tornare al dormitorio. Magari si fermerà prima... si fermerà alla confraternita... » cominciò a vaneggiare, superando di un po’ il limite di velocità.
« Valerie, calmati e rallenta » dissi io.
« No! Non posso rallentare, dobbiamo arrivare il più presto possibile. Se rallento... » ma la frase le morì in gola una seconda volta.
« Almeno rispetta il limite. Non voglio che ti multino! » continuai.
Valerie sospirò e rallentò un pochino, mantenendosi sui cinquanta chilometri orari. Vedevo i suoi occhi verdi viaggiare rapidamente dalla strada allo specchietto retrovisore. Vi lanciai uno sguardo anche io e vidi due fari in lontananza. Aggrottai le sopracciglia e mi rigirai sul posto per vedere meglio. Un’automobile era dietro di noi da quando avevamo lasciato il ristorante.
Okay, era una coincidenza. Doveva esserlo. Mi era sembrato di rivedere quel ragazzo quando eravamo uscite, ma era buio e non potevo dirlo con chiarezza. Quel Michael Clifford non poteva starci seguendo, o magari stava semplicemente tornando al campus come noi, Valerie aveva detto che frequentava la nostra stessa facoltà. Non dissi niente e lasciai che Valerie guidasse, svoltammo a sinistra e ci ritrovammo di nuovo ai cancelli del campus, superammo la confraternita e ci ritrovammo di nuovo nel parcheggio dove eravamo partite. Solo a quel punto Valerie parve rilassarsi, ma gettava ancora delle occhiate sulla strada per assicurarsi che non spuntasse qualcuno da un momento all’altro. La vidi completamente calma solo quando si chiuse la porta della nostra stanza alle spalle.
Gettai il mio cardigan nero sul letto e sospirai. Quando mi avvicinai allo specchio, presi le salviettine struccanti e ne tirai fuori una. « Vuoi parlarmene? »
Valerie annuì, posando la borsa sulla sua scrivania, accanto ai libri e a una pila di vestiti stirati, che aspettavano solo di essere messi a posto nell'armadio.
Non disse niente mentre ci preparavamo per andare a letto, io mi concentrai per togliere tutto il trucco dai miei occhi azzurri e legai i miei capelli castani in una coda veloce.
Aspettai che ci mettessimo il pigiama e scivolassimo nei nostri letti prima di invogliare Valerie a parlarmi di quello strano ragazzo.
« Hai mai sentito parlare del caso Rockwood? » mi chiese. Scossi la testa. « Certo, dimenticavo che sei qui da due giorni. Te ne avrebbero parlato, comunque. Si dice che due anni fa, non molto lontano da questo campus, il signor Rockwood, una figura importante che forniva fondi all’università, fu trovato morto nella sua cantina. Non si sa come, i medici hanno detto che era stato un infarto, ma la serratura era scassinata, la casa a soqquadro. Il signor Rockwood aveva piccoli tagli e abrasioni su tutto il corpo come se prima di morire fosse stato... ».
« Torturato? » provai io.
« Esatto. Non si è mai trovato il colpevole, perché per la polizia non c’è mai stato un colpevole. Uscì fuori che il signor Rockwood soffrisse di depressione, i medici dissero che si era procurato da solo le ferite e che in seguito fosse morto » continuò Valerie, con lo sguardo perso nel vuoto. « In casa non c’erano impronte, sembrava che nessuno fosse stato lì, eccetto il signor Rockwood. Anche se nessuno tuttora sa spiegarsi la serratura scassinata e i tutti gli oggetti a terra, i cassetti aperti, centinaia di documenti sul pavimento ».
« Sembra che qualcuno stesse cercando qualcosa di importante » osservai.
« Sì, ma non era un ladro normale. Non avrebbe ucciso il signor Rockwood e di sicuro non l’avrebbe torturato » disse Valerie.
« O forse sì, per farsi dire dove teneva la cosa che cercava e poi lo ha ucciso per non lasciare tracce, » continuai, poi mi morsi un labbro. « Be', cosa c'entra Michael in tutto questo? » chiesi ancora, aggrottando le sopracciglia. Valerie mi guardò, mordendosi nervosamente le labbra.
 « Vedi, Amelia, in tutto il campus si crede che sia stato Michael. Tutti hanno paura di lui, anche nella confraternita. È circondato da amici perché è lui a sceglierli e loro non possono sottrarsi al suo volere. Se Michael Clifford ti punta, non puoi far altro che assecondarlo » rispose lei, tirandosi su le coperte come se avessero potuto proteggerla. Ora sì che ero confusa.
« È ridicolo. Michael avrà la nostra età e il caso Rockwood è di due anni fa. Come faceva un diciassettenne ad uccidere un uomo adulto come un killer esperto? Per di più senza lasciare tracce? Non puoi semplicemente pensare che sia una persona con tanti amici? » continuai. La trovavo una paura infondata, assomigliava tanto a una leggenda metropolitana.
« È di un anno più grande di noi, » disse Valerie. « Comunque, un sacco di cose lo ricollegano a quel fatto, lasciando perdere la cerchia di amici ».
« Hai detto che non c'erano impronte o altro, » le feci notare. « E che il tizio è morto a causa di un infarto. Non vedo come la cosa possa essere ricollegata a Michael, insomma, nessuno può far passare un omicidio per infarto ».
 Non conoscevo quel ragazzo, eppure lo stavo difendendo. Non era fisicamente possibile una cosa del genere, a meno che i dottori non avessero mentito alla stampa.
« Lui si è comportato in modo strano da quel giorno in poi, si assentava a scuola ed è stato promosso per un pelo, e poi eccolo qui, nella nostra stessa università » disse Valerie.
« Non è una matricola, è una coincidenza che si sia iscritto prima di noi » ribattei.
« Oh, sì che è una matricola. È del primo anno, si è iscritto semplicemente un anno dopo. Casualmente dopo di me. E poi, spiegami perchè ci stava seguendo » disse nervosa la mia compagna di stanza.
« Ci stavi insieme o qualcosa del genere? Magari stava semplicemente tornando alla confraternita, frequentiamo la stessa università e c'è una strada sola per raggiungerla. Non è poi così strano » risposi, abbassando un po' il tono di voce per non fare troppo rumore.
« Non ci stavo insieme! Non starei mai con un delinquente... noi eravamo... amici, più o meno. Veniva a scuola con me e Luke » mi confessò Valerie, giocando con il lenzuolo bianco.
« Hai paura che ti faccia del male? » chiesi.
 « No... ».
« O hai paura delle voci che girano su di lui? » continuai, Valerie rimase in silenzio e abbassò lo sguardo: ci avevo preso.  « Dormire ti fará bene, Val, posso chiamarti così? ».
Valerie sorrise e annuì. « Hai ragione, meglio dormirci sopra, domani abbiamo lezione ».
Detto questo, lei spense la luce e io scivolai presto nel mondo dei sogni.

 
***

Il giorno dopo scoprii di condividere letteratura insieme a Luke, mentre Valerie aveva pedagogia. Colsi l'occasione di chiedergli del caso Rockwood e Luke mi raccontò la storia proprio come l'aveva raccontata Valerie, ma si era dimostrato piuttosto scettico sul fatto che un ragazzo della nostra età avrebbe potuto fare una cosa simile. Fortunatamente, non ero l'unica a ritenerla una cosa stupida.
In quella lezione, Luke mi disse che verso l’ora di pranzo il professore avrebbe affisso in bacheca le iscrizioni per il concorso di scrittura creativa e la mia giornata divenne improvvisamente una bella giornata. Dimenticai per una lunghissima ora tutto quello che mi aveva detto Valerie la sera prima. All’orizzonte c’era un’occasione e io non me la sarei fatta scappare.
A psicologia ero di nuovo da sola, perciò occupai un posto nella seconda fila, cercando di prestare attenzione a quello che diceva il professore. Dieci minuti dopo la porta dell'aula cigolò e si aprì, rivelando lo stesso ragazzo che avevo visto la sera prima fuori dal ristorante.
« Grazie per essersi unito a noi, Clifford » commentò sarcastico il professore. Il ragazzo sorrise e cominciò ad ispezionare l'aula alla ricerca di un posto vuoto.
« Mi chiami pure Michael » ribatté strafottente, causando le risatine di qualche studentessa. Dopo trenta secondi vidi che il posto accanto a me venne occupato. Alzai ingenuamente lo sguardo, per vedere gli occhi verdi e acquosi di Michael fissarmi curiosi. Avrei dovuto immaginarlo, dato che il posto vuoto più vicino alla porta era il mio.
All'improvviso, la penna con cui stavo prendendo appunti mi cadde dalle mani, rotolò sul tavolo e cadde per terra. Mi sentivo paralizzata. Michael si chinò a terra per raccoglierla e me la porse, sbattei le palpebre un paio di volte.
« Ti è caduta questa » sussurrò, senza staccare i suoi occhi dai miei.
« Grazie » dissi, mi ributtai col viso sul mio quaderno e ricominciai a scrivere ogni parola che sentivo. Quando il professore si avvicinò al computer per far partire alcune slide, non avevo più motivo di prendere appunti, e Michael mi rivolse di nuovo la parola.
« Credo di averti già vista da qualche parte, sai? » mi disse.
« Probabilmente mi confondi con un'altra persona » risposi io, cercando di comportarmi il più normalmente possibile. Non dovevo lasciarmi influenzare da Valerie e dalle sue assurde teorie. Era un ragazzo normalissimo, quello che mi stava accanto.
« Impossibile, ti ho già vista tempo fa » continuò.
« Mi sono trasferita da Nedlands due giorni fa, quindi non penso che tu mi abbia già vista » mormorai, ribadendo meglio il concetto.
« Nedlands? ».
« È un paesino vicino Perth ».
« Accidenti, Perth è lontana. Come mai sei qui? » mi chiese.
« Avevo bisogno di cambiare aria, ambiente... volare da un capo all'altro dello Stato, non so se capisci...» risposi.
« Oh, sì capisco benissimo ».
Dopodiché il professore ricominciò a spiegare e io ricominciai a prendere appunti. Quando la lezione finì, scappai via dall'aula. Non sapevo perché l'avessi fatto, ma Michael, per quanto mi sembrasse un normalissimo studente universitario, mi metteva un po' di inquietudine. Aveva quell'aria sognante e fastidiosamente calma, mentre parlava, che mi fece pensare al fatto che, se uno come lui avesse veramente commesso un omicidio, poi ci sarebbe passato sopra e l'avrebbe dimenticato come se niente fosse.
Il solo pensiero mi metteva i brividi.
A pranzo non mi vidi né con Valerie né con Luke, bensì presi di nuovo un panino al bar. Dovevo smetterla di mangiare panini su panini o sarei ingrassata nel giro di una settimana. Andai nell’atrio, per vedere se il professore di letteratura avesse già affisso il bando e le iscrizioni del concorso. Mi avvicinai e sorrisi, il foglio era lì.
Lessi il bando: le iscrizioni sarebbero state aperte per una settimana, dopodiché avremmo avuto due settimane di tempo per consegnare il nostro scritto, basandoci su tre incipit già forniti. Due settimane dopo ci sarebbe stata la classifica, il primo premio erano mille dollari. Comunque, un po’ di soldi non facevano mai male. Quella sera stessa avrei telefonato ai miei genitori per chiedergli i soldi necessari per comprare un’automobile, anche di seconda mano, così avrei potuto spostarmi in città e per il campus senza chiedere a Valerie.
Presi la penna, legata con uno spago alla bacheca, e scrissi il mio nome nello spazio apposito. Poi feci per uscire e tornare al mio dormitorio, ma proprio mentre io attraversavo la porta per uscire, Michael entrava.
Mi sorrise e io non seppi cosa fare, rimasi semplicemente ferma mentre lui continuava a camminare verso la bacheca. Mi voltai, aveva scritto il suo nome sotto al mio. Si era iscritto al concorso. Il mio cervello continuava ad urlare che anche quella avrebbe potuto essere una coincidenza, ma tre coincidenze in meno di ventiquattro ore erano decisamente troppe. Venne verso di me, che ero ancora ferma sotto lo stipite della porta.
« Che vinca il migliore, Amelia » disse, continuando a sorridere. E mentre si allontanava, io non potei far altro che chiedermi come facesse a conoscere il mio nome.

 
***

Passai i seguenti giorni prima a lezione, poi a pranzo con Valerie e Luke e poi chiusa in camera a scrivere. Avevo scritto fiumi di parole,  ma niente sembrava convincermi abbastanza. Valerie cominciò a pensare che stessi troppo tempo davanti al computer e io glielo lasciai fare. Ormai ero arrivata ad un punto in cui avevo riscritto la stessa cosa minimo tre volte e non riuscivo a scegliere la versione migliore.
A distanza di cinque giorni dalla consegna, ero arrivata a quattro stesure. Valerie mi trascinò letteralmente fuori dalla stanza per andare a prendere un gelato con lei e Luke. Mi assicurò che saremmo rimasti nel campus e che avrei potuto tornare a scrivere quando volevo.
Il racconto era da consegnare in segreteria, portai a far stampare l’ultima stesura due giorni prima della scadenza, poi andai a consegnarlo. Quando entrai, Mrs. Carter era di nuovo lì, dietro la scrivania, con gli occhiali colorati sul naso e un sorriso gentile sul volto. Solo che, di fronte a lei, c’era l’ultima persona che avrei voluto incontrare.
Michael Clifford le stava porgendo un mucchietto di fogli rilegato a mo’ di libro. Il suo racconto. Cercai di non scompormi, ma di nuovo la voce di Valerie mi ritornò in testa. La scacciai via, dovevo convincermi che Michael fosse una persona normalissima, che magari aveva letto il mio nome sul mio quaderno, o l’avesse sentito a lezione, oppure lo fosse andato a chiedere al professore soltanto perché voleva conoscermi.
Calcolai ogni ipotesi, ogni cosa che farebbe una persona normale, e mi sentii un po’ meglio. Mrs. Carter mise il racconto di Michael in una cartellina e poi spostò lo sguardo su di me. Io mi avvicinai dopo che Michael ebbe fatto un passo indietro. Mi sorrise ancora, e io divenni nervosa. Balbettai qualcosa a proposito del concorso e lasciai lì il mio racconto, scappando via dalla segreteria.


 

Marianne's corner
Ciao a tutte! Eccoci qua con il secondo capitolo, alloooora, l'avevo detto io che le cose si facevano interessanti. Il ragazzo misterioso era Michael, mi scuso se non si è capito bene AHAHAHA. Comunque, abbiamo un bel po' di informazioni non tanto belle sul nostro Mikey. Hey, io lo ripeto. Non aspettatevi i ragazzi dolci e coccolosi come nelle altre fan fiction ahahah, giusto per chiarire ;) Non esistate e farmi sapere le vostre impressioni, credete che sia Michael l'artefice del caso Rockwood? Credete che sia cattivo? Buono? Qualcos altro? Ahhh, non vedo l'ora di scoprire tutte le vostre teorie. Vi preannuncio già che in questo e nel prossimo capitolo i tempi saranno molto veloci, nell'arco di tempo del concorso non succede niente di speciale e nel prossimo capitolo usciranno già i risultati. Chi vincerà tra Michael e Amelia? Si accettano scommesse u.u Scusate le domande, ma mi diverto lol.
Ora passo alla mia parte preferita: i ringraziamenti. GRAZIE DI CUORE alle 6 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, wow! Sono rimasta piacevolmente sorpresa, quindi, grazie a Letizia25, animanonimy, jessiesmile, DarkAngel1, Hazel_ e ashton_irwin94
Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate ;) spero continuiate a seguire, perché deve succedere ancora tutto!
Bacioni,
Marianne

 





 

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Capitolo 3
*** Vittorie e sconfitte ***




 
 
3 – VITTORIE E SCONFITTE
 
Quando uscirono i risultati del concorso, non feci colazione per il nervosismo. A pranzo, invece, andai con Valerie e Luke nella cucina che offriva il dormitorio e mi strafogai. Luke mi disse qualcosa a proposito di rilassarmi, ma tutto quello che ottenne fu uno sguardo fulminante.
In seguito, Valerie si offrì di accompagnarmi a vedere i risultati.
« Amelia, sono sicura che hai vinto. Avanti... non fare così » mi disse mentre camminavamo.
« Ho scelto la versione peggiore, la quarta era venuta decisamente meglio! » mi lamentai, mettendo le mani nelle tasche dei miei jeans. I risultati erano già affissi, e un notevole gruppetto di studenti era già lì intorno. Valerie rimase fuori dal cerchio. « Buona fortuna » disse, e io mi feci spazio a spallate.
Puntai il dito sulla dicitura “Primo posto” e lo feci scorrere finché non incontrai il mio nome. Avevo vinto. Ero arrivata prima. Sorrisi e uscii velocemente dalla massa di persone che mi stavano soffocando.
Abbracciai Valerie con tutta la forza che avevo. « Allora, li hai vinti questi mille dollari? » mi chiese scherzosa.
« Sì! » squittii in risposta, come una ragazzina. Mi sentivo una bambina in un negozio di caramelle, in quel momento.
« Te l’avevo detto » mi canzonò ancora la mia amica. Era passato poco più di un mese dall’inizio dell’università, e io avevo ottenuto già una mia piccola vittoria. Mi sentii picchiettare la spalla e vidi il nostro professore di letteratura, il signor Turner.
« Congratulazioni, signorina Hogan » mi sorrise. Gli strinsi la mano e ricambiai il sorriso.
« La ringrazio, professore, è davvero un traguardo molto importante per me » dissi io.
« Devo ammettere che il suo racconto è stato uno dei migliori, insieme a quello della signorina Weber e del signor Clifford, che hanno vinto rispettivamente il secondo e il terzo premio » continuò a dire.
Io annuii, fingendo di capire quello che mi stava dicendo, ma l’unica cosa su cui si stesse concentrando la mia mente era Michael che aveva vinto il terzo posto. Si presentava tardi a lezione e non prendeva mai appunti, ma se aveva vinto un motivo c’era. Forse era una sorta di piccolo genio della letteratura.
« Ora scappo, ho dei test da preparare ».
« Arrivederci, professor Turner » dissi gentilmente. Valerie mi si avvicinò con circospezione.
« Lui ha avuto il terzo posto? » mi chiese a bassa voce, con le braccia incrociate al petto.
« A quanto pare, non che la cosa mi interessi... » mentii. Mi interessava eccome, a dire la verità. Avrei voluto tanta voglia di leggerlo, in quel momento, per vedere cosa ci avesse scritto di così brillante.
« Ho letto che la premiazione ci sarà venerdì sera, » mi disse Valerie, cambiando argomento. Sapevo che non le piaceva parlare di Michael. La premiazione ci sarebbe stata tra due giorni. « Ci andrai, vero? »
« Ovvio che ci andrò, ho anche una macchina adesso! » esclamai, ridendo. Dieci giorni fa, dopo diverse lotte con i miei genitori, ero riuscita a farmi dare i soldi necessari. Avevo comprato una macchina piccola e poco costosa di seconda mano, mi sarebbe andata bene per spostarmi nel campus e in città.
« Ti arrabbi se ti dico che io e Luke non possiamo? » mi chiese, rabbuiandosi un poco.
« Perché? ».
« È il finesettimana e andiamo entrambi a trovare la nostra famiglia. Sono qui a Sydney, quindi non ci vorrà molto » mi spiegò.
« Non c’è problema, casa manca a voi come manca a me » le risposi, e dopodiché Valerie mi abbracciò ancor più forte di prima.
« Vado a sceglierti i vestiti per venerdì, conoscendoti entrerai nel panico » mi lasciò un bacio amichevole sulla guancia e sparì verso i dormitori prima che potessi dire qualcosa. Mi voltai e vidi Michael appoggiato al muro. Non so se stesse guardando me o qualcosa dietro di me, ma poi capii che stava seguendo Valerie con lo sguardo e mi stupii che lei non se ne fosse accorta.
Quando notò che lo stavo guardando, fece di nuovo il suo solito sorriso sghembo e mi si avvicinò con passo lento. « Complimenti, Amelia, alla fine, abbiamo vinto entrambi, seppur in modo diverso ». Mi porse la mano e io la guardai per qualche secondo.
Alla fine, gliela strinsi, e contrariamente a come si potrebbe pensare, in me non successe niente di niente. Era come se stessi stringendo la mano ad un professore o ad uno sconosciuto. Tuttavia, non riuscivo a parlare. Non riuscivo mai a parlare quando Michael mi rivolgeva la parola o mi fissava con i suoi occhi acquosi.
« Spero di vederti alla premiazione, venerdì sera » continuò, lasciandomi la mano. Mi risvegliai dalla mia trance.
« Vale lo stesso per me » risposi, accennando un sorriso.
Michael sospirò e poi allungò la mano verso il mio viso, per un breve momento andai nel panico, e mi ritornarono in mente le parole di Valerie, temei che mi potesse fare del male. Invece si limitò solo a togliere il fermaglio dai miei capelli e a farli ricadere sulla spalle. Chiuse gli occhi e quando li riaprì, mi aveva messo il fermaglio in mano.
« Trovo che ti donino molto di più così » mi disse per giustificare la sua azione.
« Grazie ». Lasciai uscire fuori l’aria che avevo trattenuto. « Devo andare adesso, a venerdì, allora ».
« Certamente, Amelia. A venerdì ».

 
***
 
Venerdì arrivò ed io non ero psicologicamente pronta. Avrei dovuto salire su un palco di fronte a quasi tutti gli studenti e forse avrei dovuto parlare. Ma cercai di far pace con questa cosa, se volevo diventare qualcuno, avrei dovuto mostrarmi capace di relazionarmi con un pubblico.
Valerie mi aveva aiutata a scegliere i vestiti. Mi aveva consigliato qualcosa di non eccessivamente elegante, ma nemmeno eccessivamente sportivo. Allora avevamo entrambe deciso per dei pantaloni neri, un top colorato ma non troppo e una giacca nera a metà tra l’elegante e il casual, ovviamente, tutto accompagnato da un paio di tacchi vertiginosi provenienti direttamente dall’armadio di Valerie. Era una fortuna che portassimo lo stesso numero di scarpe.
« Allora, divertiti, sali su quel pacco, lascia tutti a bocca aperta, non bere e stai alla larga da Michael » mi ripeté Valerie per la quarta volta in quella sera. Io sbuffai, di nuovo.
« Val, Michael è un vincitore, non posso evitarlo » le feci notare.
« Be’, parla con Rebecca Weber anziché con lui, anche lei ha vinto, no? » continuò lei, aggiustandomi il colletto della giacca. « Bene, ora sei perfetta ».
« Grazie per avermi fatto da truccatrice e parrucchiera, » scoppiai a ridere, per poi aggiungere « E stilista! »
Valerie sorrise e poi mi squadrò per qualche secondo. « Come mai hai voluto lasciare i capelli sciolti? »
« Uhm... mi hanno detto che ci sto bene » risposi, mantenendomi sul vago. Non avevo detto a nessuno del piccolo episodio con Michael subito dopo l’annunciazione dei vincitori né avevo l’intenzione di farlo.
« Oh! Chi? Qualche bel ragazzo? » continuò ad indagare Valerie.
« Solo Luke, sono cose da amici, no? » inventai una bugia, sperando che ci cadesse.
« Se Luke non si stesse vedendo con la tipa della facoltà di chimica direi che ha una cotta per te, ma è già semi-impegnato, quindi niente, » sospirò sconfitta. Era un po’ delusa, si aspettava che le raccontassi di qualche ragazzo conosciuto a lezione, magari. « E già che ci sei, stasera vedi di conoscere qualcuno » continuò.
« Quando avrai finito di organizzarmi il matrimonio, avvertimi » scherzai.
Valerie rise. « Ora puoi andare. Domani mattina devi raccontarmi tutto, sono stata chiara? ».
« Sissignora! ».
Uscii dopo aver preso la borsetta nera e arrivai fino al parcheggio del dormitorio, salii in macchina e partii. La premiazione si sarebbe svolta in un locale non molto lontano dal campus, qualche chilometro. Arrivai in un quarto d’ora e vidi che c’erano già molte persone.
Per prima cosa andai a salutare il mio professore e poi tenni a mente le parole di Valerie: Rebecca Weber. Non avevo la minima idea di chi fosse, e intanto, per cercare lei, controllavo che non ci fosse Michael. Quando vidi una ragazza bionda, in un abito da sera bianco, parlare con quelli se sembravano gli organizzatori del concorso, non ebbi più dubbi.
Aspettai che finisse di parlare con loro e andai a presentarmi.
« Hey ciao! Tu devi essere Rebecca, io sono Amelia » le dissi gentilmente.
Lei posò il suo bicchiere di champagne, probabilmente, da qualche parte e mi strinse la mano, sfoggiando un sorriso raggiante. « Piacere mio, Amelia! Ho visto che sei stata a tu a vincere il primo premio, devi averlo assolutamente meritato ».
« Ti ringrazio, sai se i racconti verranno pubblicati da qualche parte? » le chiesi.
« Probabilmente sul sito dell’università, » mi rispose lei. « Scusami un attimo, sono arrivati i miei genitori ».
Detto questo si allontanò e tutte le occasioni di intrattenermi con Rebecca Weber per evitare Michael andarono in fumo. Avrei dovuto immaginare che sarebbero venuti i genitori dei vincitori, tranne i miei. Loro abitavano tutti qui a Sydney, io avevo solo fatto una telefonata per comunicargli la mia vittoria e loro mi avevano detto che erano fieri di me.
La premiazione si svolse nella calma più assoluta, quando salii sul palco a ritirare il premio – ovvero un assegno chiuso in una busta – le uniche cose che dissi furono i soliti ringraziamenti formali, nessun altro comunque aveva preparato un discorso. Michael non mi rivolse la parola finché la premiazione non fu conclusa e iniziò una sorta di after-party con alcolici e stuzzichini.
Dopo dieci minuti, vidi Michael venirmi incontro con due bicchieri in mano. « Posso offrirti un bicchiere di champagne? »
« Non bevo, grazie comunque » risposi educatamente.
Lui scrollò le spalle e bevve il suo, lasciando l’altro da qualche parte. « Ho sentito dire dal professor Turner che il tuo racconto era geniale. Hai trattato il genere romantico dando comunque più spazio al genere giallo, non ti sei soffermata su particolari inutili ».
« Diciamo che era il romanticismo lo sfondo, non il giallo » precisai io.
Michael annuì. « Interessante ».
Ebbi una disperata voglia di chiedergli del caso Rockwood, ma immaginai che lui fosse così gentile con me solo perché sapeva che io, non avendo mai vissuto a Sydney, non ero a conoscenza di quel fatto. Inoltre, se gliene avessi parlato, sarebbe venuto a sapere tutti i sospetti che Valerie mi aveva inculcato in testa.
Provai a chiedergli di cosa parlasse il suo, ma lui sviò sempre l’argomento. Poco male, lo avrei letto sul sito dell’università.
Quando Rebecca Weber e i suoi genitori se ne andarono, era da poco passata la mezzanotte. E di rimanere da sola con Michael non se ne parlava, perciò decisi di levare le tende anche io. Salutai discretamente il mio professore e gli altri organizzatori, li ringraziai un’ultima volta e poi mi fiondai in macchina. Accidenti, stavo diventando paranoica come Valerie.
Misi in moto, ma mi resi conto d’avere poca benzina, allora dopo aver fatto dieci volte il giro del quartiere alla ricerca di un benzinaio aperto, ne trovai uno, ma era stranamente vuoto. Non avevo mai usato il self-service, quindi andai alla ricerca di una qualsiasi persona che potesse aiutarmi.
Provai a vedere anche dietro il piccolo edificio che fungeva da cassa e dove si vendevano altri articoli, e allora vidi esattamente l’ultima cosa che avrei dovuto vedere.
C’erano due ragazzi e un uomo, l’uomo era appoggiato con la schiena al muro e i due in piedi di fronte a lui. Uno di loro, il più basso, conficcò la lama di un coltello appena sopra lo stomaco dell’uomo, quello si accasciò a terra con un gemito strozzato e il ragazzo si piegò ad estrarre il coltello, sporco ormai di sangue. L’altro si girò e puntò gli occhi nei miei. Michael. Mi mancò il respiro. Quand’è che se ne era andato? Era ancora lì quando io ero andata via. Deglutii, il ragazzo accanto a lui aveva ancora coltello in mano e dalla poca luce che proveniva dalla stazione di servizio notai che la lama era abbastanza lunga. Michael e quel tipo avevano ucciso un uomo. Io ero appena diventata la testimone di un omicidio.
Prima che potessi raccogliere tutto il mio fiato per urlare, la mia schiena andò a sbattere contro il muro e mi morsi le labbra per il dolore. Poi mi ritrovai gli occhi di Michael a pochi centimetri di distanza, la sua mano sulla mia bocca.
« Non dire una parola » sibilò minaccioso. Non aveva più il tono sognante e lento di quando mi parlava. Non era più il Michael che mi aveva parlato a lezione, e allora cominciai a pensare che tutte le voci su di lui fossero vere. « Adesso ti lascio andare, ma tu non fiatare, sono stato chiaro? »
Annuii con gli occhi spalancati e pieni di terrore. Lui si allontanò da me e io cominciai a respirare affannosamente. L’altro ragazzo aveva i capelli ricci e arruffati, indossava dei guanti come quelli dei dottori, probabilmente per coprire le impronte.
« Che ci dobbiamo fare con lei? La conosci? » chiese glaciale. I brividi mi percossero tutto il corpo.
« Frequenta psicologia con me- » iniziò Michael, ma il suo amico non lo fece finire.
« Ah, tu sei Amelia. Michael mi ha parlato di te, un piccolo prodigio della letteratura, » disse. Ma mi stava prendendo in giro o cosa? Avevo appena assistito alla morte di una persona – per mano sua –  e lui mi parlava del concorso? « Non è una bella mossa fare fuori una piccola celebrità come te, ora che sei sotto gli occhi di tutti, quindi ti lascerò due minuti per fare benzina e andartene di qui ».
Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e pulì la lama del coltello.
Avrei voluto tanto scappare, ma le mie gambe non si muovevano, in compenso, era il mio cervello a lavorare. « Siete completamente pazzi, voi... oh mio Dio! Avete ucciso un uomo, oh mio Dio! ».
« Invocare il tuo Dio non ti servirà proprio a niente se non a farmi perdere la pazienza, torna al campus, dimentica tutto questo e continua a vivere la tua vita, » disse bruscamente il ragazzo dai capelli ricci. Michael rimaneva in silenzio, lo guardai per cercare una sorta di aiuto, ma avrei dovuto aspettarmi che la sua gentilezza con me fosse tutta una farsa. « E bada a non dire niente a nessuno ».
« Denunciarti sarà la prima cosa che fa- ».
Non finii mai quella frase, sentii un fruscio accanto al mio orecchio sinistro. Il coltello si era conficcato nel muro a tre centimetri dalla mia testa. Cominciai a tremare.
« Farai meglio a stare zitta, o la prossima volta questo coltello non mancherà la tua gola, » mormorò. « Mi hai capito? ».
Annuii, senza dire una parola. Il ragazzo si avvicinò ed estrasse il coltello dal muro, sentivo il suo respiro sulle pelle. « Cosa farai adesso? »
« Farò benzina e me ne ritornerò al campus » risposi, con il cuore in gola.
« Bravissima. Oh, e congratulazioni per il tuo premio ».
Cominciai a muovere qualche passo, ma sentii qualcosa afferrarmi il braccio e mi morsi la lingua per non urlare. Mi voltai e vidi lo stesso ragazzo che aveva parlato prima. « Ho detto, congratulazioni per il tuo premio, Amelia ».
Notai che da quando ero arrivata a Sydney, lui era stata l’unica persona a pronunciare il mio nome correttamente, senza allungare l’ultima sillaba come facevano tutti, da quelle parti.
« G-grazie » balbettai. Aveva dei problemi. Dei serissimi problemi. Dopodiché mi lasciò il polso e io mi allontanai velocemente da lui. Riempii il serbatoio con mani tremanti e il cuore a mille. Pagai non so quanto e ripartii alla velocità della luce.
Quando tornai al dormitorio, parcheggiai nel posto adibito agli studenti, ma esitai prima di scendere dalla macchina. Rimasi seduta al posto di guida per qualche minuto, poi le immagini di quello che era successo mi assalirono e scoppiai a piangere nella mia macchina. Cercai di calmarmi prima di uscire: dubitavo che Valerie fosse ancora sveglia, ma non potevo farmi vedere in quello stato.

 
 

Marianne's corner
Salve! Aggiorno in questo orario parecchio improbabile - ho appena finito di mangiare - perchè questo pomeriggio non posso, so here I am. Allora, come vi avevo detto, le cose di fanno interessanti e...OPS, Amelia vede qualcosa che non doveva vedere, in cui è coinvolto anche Michael. E penso che per esclusione si sia capito chi è il "compagno" omicida di Michael, in caso contrario, aspetterete il 5 capitolo ewe
Ci dichiaro ufficialmente entrati nel vivo della storia! Il prossimo capitolo si concentrerà principalmente su Amelia e Michael, che si affrontano dopo questo macabro spettacolo. Per dire, ho tutta la scaletta delle storia scritta, quindi so esattamente cosa far succedere, anche se alcune scene non le ho ancora decise per bene. Per questo posso dirvi con assoluta sicurezza che la storia si aggirerà attorno ai 25/30 capitoli, me ne rimangono solo più di venti da scrivere, pfff.
Quindi niente, la smetto di blaterare e passo alle solite domande: come faranno Michael e il Tipo Misterioso ad assicurarsi che Amelia non vada a denunciarli? Credete anche voi che sia stato Michael l'autore del caso Rockwood? Pensavate che vincesse Michael... eh? Li ho fatti vincere entrambi, con un po' di distacco ;)
Prima che me ne dimentichi! Tempo fa ho fatto il trailer di questa storia, ma non ve l'ho mai lasciato, sbadata come sono, quindi ecco a voi: 
https://www.youtube.com/watch?v=aGEI3GG2JZI
Ora passo a ringraziare le cinque persone che hanno recensito lo scorso capitolo (wow, 5!): Letizia25, DarkAngel1, Hazel_, ashton_irwin94 e jessiesmile
Vi ricordo inoltre che per qualsiasi cosa mi trovate su Facebook :)
Ora sparisco, fatemi sapere cosa pensate del capitolo! :3
Bacioni,
Marianne

 





 

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Capitolo 4
*** Maschere ***




 
 
4 – MASCHERE
 
Rimasi a dormire fino alle undici del mattino. Valerie mi svegliò scuotendomi leggermente e io aprii gli occhi a fatica. Avevo ingenuamente pensato che il sonno potesse portar via i ricordi della notte precedente, ma mi sbagliavo.
« Fatto le ore piccole ieri sera? Non ti ho sentita rientrare » mi domandò, mettendosi seduta sul mio letto.
« Uhm, quella premiazione è durata un po’ » inventai. Volevo di nuovo scoppiare a piangere e raccontarle di Michael e di quello che avevo visto, poi mi ricordai del coltello volato a tre centimetri dalla mia testa e rimasi in silenzio. Michael era nel campus, non ci avrebbe messo molto a scoprire se l’avessi detto a qualcuno e poi riferirlo al suo amico.
« Senti, Val, non è che puoi raccontarmi di più su Michael e il caso Rockwood? » iniziai. Nessuno mi aveva proibito di cercare informazioni, no? Valerie rimase un po’ confusa per la mia domanda, ma scrollò le spalle e cominciò a parlare comunque.
« Sul caso Rockwood non c'è molto altro da dire. Su Michael... lui era una normalissima persona prima. Nessuno sa molto su di lui, non parla mai della sua vita. Si sa solo che non agisce da solo, è il braccio destro di qualcuno di molto più importante » mi rispose Valerie.
Feci due più due, doveva essere quello che mi aveva quasi ammazzata. Quello con i capelli arruffati e il tono strafottente, quello che aveva tolto del sangue da un coltello con un normale fazzoletto di stoffa. Quello che aveva agito come se cose del genere fossero all’ordine del giorno.
« E chi è? » chiesi.
« Nessuno sa la sua identità. Tra i due è la mente del gruppo, non può venire arrestato » mi spiegò Valerie. E avrei voluti dirle che non era solo la mente, era principalmente lui ad uccidere la gente, Michael era solo la sua spalla.
« Insomma, che è successo ieri alla fine? » Valerie cambiò discorso e io non feci ulteriori domande su Michael. Non volevo più saperne niente.
« Uhm, ci hanno consegnato i premi e poi c’è stata una specie di festicciola. Non appena Rebecca Weber se ne è andata, mi sono defilata anche io. Sai, altrimenti avrei dovuto rimanere con Michael e... » deglutii, non avevo voglia di finire la frase perché sapevo che sarei andata troppo in là.
« Entusiasmante, » commentò sarcastica Valerie. « Dai, preparati, io e Luke ti aspettiamo al bar, poi andiamo a mangiare tutti insieme ».
Annuii e mi trascinai fuori dal letto, non appena Valerie si chiuse la porta alle spalle, mi chiusi in bagno e mi feci una lunghissima doccia. In qualche strano modo, pensavo che l’acqua avrebbe portato via le immagini della notte precedente. Ma non appena chiudevo gli occhi rivivevo tutto: Michael che mi guardava, l’altro ragazzo che  mi lanciava quasi un coltello addosso, la sua presa sul polso, il benzinaio morto a terra. Perché lo avevano fatto? Che motivo avevano di uccidere un uomo? Perché erano così temuti e conosciuti che nessuno si dava la briga di denunciarli?
Uscita dalla doccia, mi asciugai i capelli e lasciai le punte leggermente umide. Mi infilai un paio di jeans, una felpa larga e misi appena un po’ di correttore sotto gli occhi per nascondere i segni di pianto della notte prima. Mi sorprendeva che Valerie non li avesse notati.
Presi la chiave della stanza e mi diressi verso il bar, dove Luke e Valerie mi stavano aspettando. Non appena uscii dal dormitorio, però, Michael era in piedi in messo al marciapiede e per poco non ci andai a finire addosso.
« Hey, Amelia » iniziò.
« Non rivolgermi mai più la parola » lo interruppi bruscamente, lo superai e continuai a camminare. Lui mi prese per un polso e mi venne in mente quando era stato l’altro ragazzo a farlo, un brivido mi percorse la schiena.
« Non così in fretta, sto cercando di essere gentile » borbottò, guardandomi negli occhi.
« Gentile? Stavi aiutando qualcuno a... » abbassai il tono di voce, per paura che qualcuno mi sentisse. « Lo stavi aiutando a compiere un cazzo di omicidio. Scusa se adesso mi terrorizzi e voglio solo stare il più lontano possibile da te, Mister voglio essere gentile ».
« Be’, io non voglio che tu mi stia lontana, okay? Non era necessario che quel tipo morisse, ma... A- » si bloccò, evidentemente stava per pronunciare il nome del suo amico. « Ma secondo il mio amico sapeva troppe cose che non avrebbe dovuto sapere e mi ha chiesto di accompagnarlo ».
« Sono comunque scioccata dal fatto che secondo te è una cosa normale e, per piacere, toglimi le mani di dosso » esclamai, Michael lasciò all’istante il mio braccio e si mise le mani in tasca.
« Non ti puoi tirare fuori da giri del genere una volta che ci sei dentro, okay? Non puoi. Non posso io e non puoi neanche tu » mi disse lui, abbassando lo sguardo.
« Io cosa c’entro? » esclamai, scandalizzata.
« Sei una testimone, hai visto tutto » mi rispose, aveva di nuovo il suo tono calmo, come se non fosse mai successo niente di tutto quello.
« E tu sei qui per controllarmi? ». Incrociai le braccia al petto e lo guardai con gli occhi ridotti a due fessure.
« Tu devi ringraziare che sia io a farlo, e ti consiglio di comportarti come si deve e di dimenticare tutto, va bene? Altrimenti le cose si complicheranno e sia io che te avremo dei problemi » sibilò minacciosamente, a voce bassa. « E tu non vuoi avere dei problemi, tantomeno con noi, vero? ».
Scossi lentamente la testa, con gli occhi spalancati. Lui sorrise. « Sai cos’è il caso Rockwood? » mi chiese, all’improvviso.
« I-io... » balbettai, che senso aveva nasconderglielo ora che l’avevo visto sulla scena di un omicidio?
« Sì che lo sai, Valerie te lo ha raccontato e ti ha detto un sacco di cose brutte su di me. Le ho messe in giro io stesso, anche se non sono stato io a creare quel macello » mi disse.
« Perché avresti dovuto farlo? Era per coprire quel coglione del tuo amico? » chiesi.
« Sei fortunata che non sia qui mentre lo insulti, sai? ».
« Rispondi ».
« No. Era lui che stava coprendo un’altra persona. Qualcuno di importante. Non so ancora chi fosse, ma stava rischiando troppo, per cui mi sono offerto io ».
« Perché mi stai raccontando tutto questo? » gli chiesi confusa. Se fossi stata un killer l’ultima cosa che avrei fatto sarebbe stato rivelare i miei segreti a qualcuno. O forse, lo farei apposta per terrorizzare quel qualcuno a morte, ma non è di Michael che credevo d’aver paura.
Era dell’altro ragazzo. Il solo pensiero dei suoi occhi su di me e della sua mano sulla mia pelle mi faceva venire i brividi.
« Puoi... puoi dire una cosa a Valerie da parte mia? Non credo che lei voglia parlarmi » mi chiese. Aggrottai le sopracciglia. Cosa c’entrava Valerie adesso? Oh, l’avevo capito subito che tra quei due c’era stato qualcosa, ma lei aveva sempre negato. Michael mi guardò negli occhi, e io non ci vidi altro che la verità. Sospirai sconsolata.
« Poi però mi lascerai in pace? » mi assicurai. Lui annuì. « Allora dimmi e io glielo riferirò ».
« Dille solo che mi dispiace e che non sono un mostro come crede ».

 
***

Non sapevo se Michael sarebbe mai venuto a sapere che non avevo ancora detto niente a Valerie, ma quando Luke si alzò per andare in bagno, decisi che era il momento di dirglielo. Ovviamente avrei inventato una situazione. Non esisteva che Valerie sapesse che Michael mi avesse parlato fuori dal dormitorio.
« Val, ieri sera, Michael Clifford mi ha detto una cosa » iniziai, giocando con una patatina. Eravamo andati in un fast-food a mangiare.
« Ti avevo detto di non parlarci » mi ammonì.
« Lo so, ma è stato lui a fare tutto. Dopodiché non gli ho rivolto la parola, però, credo che tu debba saperlo » continuai.
« Che cosa? ».
« Mi ha chiesto di dirti una cosa da parte sua, » risposi. Non le diedi nemmeno il tempo di fare altre domande. « Ha detto che gli dispiace e che non è un mostro come pensi tu ».
Valerie posò sul tavolo colorato il proprio bicchiere di coca-cola e abbassò lo sguardo. Rimanemmo in silenzio finché non tornò Luke, e onestamente non ci capii niente. Cos’era successo tra Valerie e Michael? E perché lei sembrava avere paura di lui? Forse erano amici, forse qualcosa di più, e forse lei aveva assistito alla stessa scena a cui avevo assistito io. Nel suo caso avrebbe fatto più male, indubbiamente. Michael per me era un conoscente e io non volevo più vederlo in vita mia, se Valerie e Michael erano anche solo amici, abbandonarlo in quel modo doveva aver fatto parecchio male.
Lei riprese un po’ di colore solo quando Luke cominciò a parlare a vanvera sulla tipa della facoltà di chimica, una certa Freya, e la nostra divenne una normale conversazione tra amici. Non feci ulteriori domande a Valerie su Michael, perché avevo capito che la facevano stare male e io mi sentivo incredibilmente egoista.
Forse avrei potuto chiedere a Luke, dato che erano migliori amici, ma mi sarei sentita ugualmente una persona orribile.
Una volta in camera, Valerie mi disse che sarebbe andata da Luke per cinque minuti. Io la lasciai fare. Credevo che ce l’avesse con me adesso e non le diedi torto. Volevo sapere perché si sentisse sempre così quando si nominava Michael, ma volevo che me lo dicesse lei. Dovevo smettere di essere così fastidiosa e pressante.
Però non potevo farci niente, era normale voler sapere qualcosa di più su di lui. Ancora non avevo realizzato bene quello che era successo. Ero a Sydney da poco più di un mese e la mia vita si era già incasinata più di quanto immaginassi. Avevo assistito ad un omicidio. Avevo visto una persona ucciderne un’altra.
No.
Non volevo crederci.
Se per un giorno intero avevo vissuto senza troppi problemi per la testa, ora mi stava piombando addosso tutto insieme. Ero andata a cacciarmi in un disastro più grande di me. Michael aveva ragione, ero entrata nel giro da cui non si usciva più. Ero una testimone. E se le parole di quel ragazzo mi avessero spaventata la sera precedente, nessuno gli assicurava che io avrei realmente tenuto la bocca chiusa. Mi avrebbe trovata. Mi avrebbe controllata. Avrei vissuto per sempre con quella consapevolezza sulle spalle, non mi sarei mai liberata di lui a meno che lui non mi avesse uccisa, proprio come aveva fatto con quell’uomo.
Ma perché la vita per alcune persone contava così poco? Perché non si facevano due domande prima di uccidere? Mi lasciai scivolare sul pavimento e mi presi la testa tra le mani. Cominciai a respirare affannosamente, sentii le lacrime agli occhi. Avrei solo voluto urlare.
Ero nel bel mezzo di un attacco di panico. Non mi era mai successo prima ed era così strano. Non riuscivo a respirare, mi sentivo svenire, ma avevo paura di non svegliarmi più. Ero incollata al pavimento, non riuscivo a muovermi, non potevo alzarmi. Ero paralizzata.
Passai un tempo interminabile seduta sul pavimento in quel modo. Non so quanto, ma sembrava non finire mai. Quando riuscii ad alzarmi, corsi in bagno a lavarmi il viso, presi la chiave della stanza e uscii fuori all’aria aperta. Respirare mi fece sentire leggermente meglio, anche se ero ancora scossa.
Non volevo che Michael rispuntasse di nuovo fuori dal dormitorio, perciò me ne andai in macchina. Mi imposi di non piangere e di non pensare a niente. Mi imposi anche di non chiudere gli occhi, perché ogni volta che lo facevo, le immagini non cambiavano. Accesi la radio e misi un po’ di musica rilassante che, però, fece tutto tranne che rilassarmi.
Pensai. Pensai forse troppo. Pensai che non avrei mai più avuto pace, che qualcosa sarebbe andato storto, che l’amico di Michael non lo giudicasse adatto per controllarmi e che venisse a farlo di persona, pensai che mi avrebbe uccisa, perché sapevo troppe cose, perché avevo visto qualcosa che non dovevo vedere.
Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentata e non distinsi il sogno che feci dalla realtà. C’era Michael, ma non diceva niente. C’era il ragazzo con il coltello in mano, c’era sangue ovunque, avevo un taglio alla gola, ero morta e vedevo il mio stesso corpo a terra.
Urlai.
Sentii bussare al finestrino. Mi raddrizzai sullo schienale, avevo paura che fosse Michael, guardai spaventata alla mia sinistra e vidi un paio d’occhi chiari, azzurri. Non era Michael, era Luke.
Spensi la radio e abbassai il finestrino.
« Che c’è? » chiesi.
« Dio, per fortuna ti ho trovata. Valerie è nella mia stanza, sta dando di matto. Sei sparita per tre ore! » esclamò lui preoccupato. Tre ore? Avevo dormito per tutto quel tempo?
« Io... devo essermi addormentata » mormorai, grattandomi la nuca. Luke aprì la portiera e mi aiutò ad uscire, mi prese le chiavi della macchia dalla tasca e mise l’antifurto. Io mi appoggiai alla sua spalla mentre camminavamo verso il dormitorio e su per le scale. Andammo in camera sua, dove c’era anche Valerie.
Non appena entrammo, lei si alzò dal letto e mi abbracciò. « Ci hai fatto prendere un colpo, Amelia, stai bene? » mi chiese lei, guardandomi negli occhi.
Annuii, ma con la mente era da tutt’altra parte.
« Era nella sua macchina, si era addormentata » spiegò Luke. Valerie sospirò.
« Che ci facevi in macchina? Non potevi dormire in camera? Per fortuna non ti è successo niente, ho pensato che dato che Michael ti aveva inquadrata, lui... ». Valerie non finì mai la frase perché io l’abbracciai prima. Ne stava parlando di sua spontanea volontà.
« Mi dispiace di averti chiesto di lui, non avevo capito quanto potesse essere difficile »  le sussurrai. « Non te lo chiederò mai più e aspetterò che sia tu a parlarmene ».
« Grazie ».
« Ragazze, possiamo rimandare le cose da film strappalacrime a dopo cena? Sto morendo di fame, accompagnatemi in cucina » disse Luke, mettendosi in mezzo a noi. Fece passare un braccio attorno alle mie spalle e l’altro attorno alle spalle di Valerie.
Io e lei ridemmo e poi accompagnammo Luke giù in cucina. Io non avevo fame, ma mangiucchiai comunque qualcosa. Nonostante ridessimo e tutto il resto, la mia inquietudine non sparì affatto. Anche se Luke e Valerie erano amici miei, era dalla notte prima che una pesante maschera mi era calata sul viso, e non avrei potuto toglierla mai, mai con nessuno. Con nessuno che non fosse Michael o il suo misterioso amico. E io con quei due non volevo più avere niente a che fare, ma dubitavo che i miei desideri si sarebbero esauriti.
Indossavo una maschera adesso, ed ero consapevole non l’avrei tolta mai più.

 
 

Marianne's corner
Hola! Siete fortunati che sia riuscita a finire il capitolo in tempo per oggi, perché domani parto e sarò senza pc fino a martedì. Proverò a scrivere da qualche parte il prossimo capitolo - quaderni, cellulare ecc. - ma non so se mercoledì riuscirò ad aggiornare çwç però potrei riuscirci, dato che so esattamente cosa far succedere.
Devi SOLO scriverlo... çwç
Comuunque, nel prossimo arriverà l'amico di Michael, e se avete letto con attenzione è ovvio che è chi pensate che sia (?). Anche perché c'è rimasto solo lui lol. Quindi pazientate ancora un pochino :3
Capitolo un po' di passaggio, lo so, ma dovevo "approfondire" il rapporto tra Michael e Amelia, dovevo mettervi qualche domanda in testa e dovevo far cadere addosso ad Amelia la consapevolezza d'aver visto ciò che ha visto u.u
Se il mio computer mi assiste, ora rispondo a tutte le vostre recensioni che sono ben DIECI wow, mi commuovo ç_ç e per questo vi ringrazio: Letizia25, Hazel_, Silversa, jessiesmile, DarkAngel1, cathlinnn, animanonimy, Aletta_JJ, ashton_irwin94 e xperfoned grazie infinite ♥
Ci risentiamo al prossimo aggiornamento! :3
Bacioni,
Marianne





 

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Capitolo 5
*** New boy downtown ***




 
 
5 – NEW BOY DOWNTOWN
 
Lunedì, a lezione, Michael si mise di nuovo seduto vicino a me, ma non mi rivolse la parola. Era stranamente taciturno ed era addirittura arrivato in orario. Forse, come gli avevo chiesto, mi stava lasciando in pace e gliene ero in parte grata.
Anche se mi sembrava decisamente strano che un tipo come Michael facesse quello che gli dicevo io. Evidentemente, qualcun altro doveva avergli detto di comportarsi così, perché le mie parole su di lui non avevano alcun effetto.
Alla fine dell’ora, sparii velocemente come facevo tutte le volte, ma non perché sentissi il bisogno di scappare da Michael, mi era sembrato così innocuo a differenza del solito.
Durante quelle notti non avevo dormito bene, avevo sempre avuto gli incubi in cui solitamente venivo accoltellata dal misterioso amico di Michael. Ed ero costretta a vedere la mia morte come una spettatrice esterna. La vedevo ripetersi e sentivo lui ridere, come se provasse piacere ad uccidermi.
Percorsi i soliti trecento metri che dividevano le aule dall’edificio dove si trovava la segreteria ed entrai, feci per aprire anche la porta della segreteria, ma mi bloccai non appena vidi chi c’era dentro.
Una figura girata di spalle, più alta di me, jeans neri, una canottiera bianca. Braccia muscolose e una massa informe di capelli biondicci. Era lui, il mio incubo peggiore. Ecco perchè Michael era così taciturno, aveva fallito nel suo compito. Non era sufficiente per controllarmi e farmi stare buona, era dovuto intervenire anche lui. E adesso era proprio lì, mentre spiegava qualcosa che non potevo sentire a Mrs. Carter.
Il panico si rimpossessò di me, ma decisi di entrare comunque. Almeno con Mrs. Carter davanti non mi avrebbe fatto niente, mentre in corridoio saremmo stati soli. Si girò verso di me, quando sentì la porta aprirsi. Vidi un lampo attraversargli gli occhi e poi mi sorrise: mi aveva riconosciuta. Io distolsi lo sguardo rapidamente.
« Grazie mille della disponibilità, » disse lui. La sua voce era diversa, più gentile di come la ricordavo, eppure profonda e glaciale allo stesso modo. « Per qualsiasi problema posso rivolgermi a lei? »
 « Certo caro » rispose gentile la donna.
« Mi chiami pure Ashton ». E mentre lo disse, mi guardò dritto negli occhi. In qualche parte profonda della mia anima, sapevo che lo stava dicendo a me e non a Mrs. Carter. Voleva che lo sapessi per qualche strana ragione, e la cosa mi mise i brividi.
Ashton uscì e io mi rivolsi alla segretaria con il cuore in gola, senza nemmeno riuscire a spiaccicare una parola.
« Sono qui per... ehm, io devo ritirare un pacco spedito da Nedlands » dissi, con la testa tra le nuvole.
« Certo, tu sei? » mi domando Mr. Carter.
« Amelia Hogan » risposi apatica. Dopo un po’, la donna mi porse un piccolo pacchetto incartato in una carta marrone.
Lo presi e ringraziai, dopodiché uscii dalla segreteria. Quando alzai lo sguardo sul muro di fronte a me quasi svenni. Ashton vi era appoggiato sopra e aveva le braccia incrociate al petto. Mi guardava, cercai di stabilizzare il respiro, ma fu tutto inutile. Lo ignorai e uscii rapidamente dall’edificio principale, raggiungendo il dormitorio quasi di corsa.
Entrai in camera e mi sentii al sicuro, Valerie non c’era. Posai il regalo dei miei genitori sulla scrivania e mi legai i capelli. Mi tolsi il cardigan per rimanere quindi in canottiera. Avevo caldo, nonostante l’autunno fosse ufficialmente iniziato. E avevo paura. Tremavo al solo pensiero di Ashton lì al campus. Non sapevo ancora se si sarebbe sistemato in dormitorio o alla confraternita, ma sperai con tutta me stessa che andasse a vivere sotto lo stesso tetto di Michael. Ovvero lontano da me.
Aprii il pacchetto per occupare la mente in qualcosa. Era una macchina fotografica, un biglietto allegato diceva di fotografare le cose più belle di Sydney e di spedirgliele per e-mail. Sorrisi. Mi era sempre piaciuta la fotografia, ma non avevo mai avuto la possibilità vera e propria di coltivare quella mia passione.
 Dieci minuti dopo, Valerie entrò in stanza trafelata e con una strana luce negli occhi.
« Non ci crederai mai! » esclamò, chiudendo la porta. Mi alzai dalla scrivania e aggrottai le sopracciglia.
« Cosa? » domandai.
« Luke ha un compagno di stanza. Quindi adesso noi scendiamo e lo andiamo a conoscere. È arrivato ora perché è stato qualcosa come un mese all’ospedale, ma ha seguito dei corsi e può benissimo continuare qui ».
« Oh, no » ribattei risoluta. Avevo già un terribile presentimento.
« Dai! Così venerdì sera andiamo a vedere quel film che ti piace tutti insieme » piagnucolò Valerie, tentando di corrompermi.
Dopo diverse suppliche, cedetti e mi lasciai trascinare al piano di sotto, fino alla camera 174. Dovevo stare calma. Nessuno sapeva di Ashton, nessuno tranne me, e nessuno doveva saperlo. Valerie bussò mentre io respiravo piano, venne ad aprirci Luke, sorridente come non mai.
« Te l’avevo detto che erano loro » disse rivolto a qualcuno nella stanza. Ashton era appoggiato al davanzale della finestra e sorrideva. Gli si formavano delle fossette ai lati delle guance e per un attimo, pensai che fosse carino. Poi mi ricordai che mi aveva quasi uccisa e cacciai via quel pensiero all’istante.
« Ashton, loro sono Valerie, la mia migliore amica, » Luke indicò Valerie con un cenno della mano e lei si avvicinò subito ad Ashton presentarsi con un “Piacere!” detto forse con troppa enfasi. Ah, se avesse saputo.
« E la sua compagna di stanza, Amelia » continuò Luke. Io non feci un passo. Al contrario, fu lui a staccarsi dal davanzale e venire accanto a me.
Mi tese la mano. « Piacere di conoscerti ». Sorrise beffardo, sostenni il suo sguardo curioso e risposi con naturalezza.
« Piacere mio » gli strinsi la mano e sentii una scossa di adrenalina pervadermi il corpo. Stavo stringendo la mano di un assassino, dovendo fingere che andasse tutto bene e che lui fosse una persona normale. Si rivelò più facile del previsto. Lo guardai negli occhi, cercando di convincere lui e me stessa che non mi faceva paura. C’era qualcosa in quel verde ambrato che mi trasmetteva tranquillità. Lui ricambiò lo sguardo e incurvò leggermente gli angoli della bocca in segno di sfida, per vedere fino a dove ero disposta a spingermi. Decisi di tirarmi indietro, per non finire in disastri ancora più grandi. Gli lasciai la mano e spostai lo sguardo su Luke.
« Amelia, ti senti bene? » mi chiese Valerie. La guardai con le fronte aggrottata. Non ebbi tempo di rispondere che ebbi un capogiro e fui costretta a sedermi sul letto. « Sei pallidissima ».
« Forse è solo stanchezza, meglio che vada in camera a riposarmi un po’ » dissi, evitando in tutti i modi lo sguardo di Ashton.
« Forse è meglio che non usciamo stasera » disse Valerie.
« Io non potevo comunque, » s’intromise Luke. Ashton teneva le mani in tasca e guardava tutti con aria curiosa. Nessuno si rendeva conto di quanto fosse pericoloso e fingere di non sapere niente era un peso assurdo, insostenibile. Fingere di stare bene quando si voleva solo scappare e gridare era impossibile. « Da qui fino a giovedì sera devo aiutare il professor Turner con delle cose... »
« Allora venerdì sera possiamo andare a cena tutti insieme e poi al cinema, che ne dite? » propose entusiasta la mia amica. Io non risposi, sapevo che mi ci avrebbe trascinata. E il pensiero di stare seduta allo stesso tavolo con quel tipo mi faceva venire il voltastomaco.
« Per me va bene, » disse Luke. « Ashton? »
« Potete contare su di me, » rispose lui. Mi guardò di nuovo e io provai un improvviso moto d’odio nei suoi confronti. Era tutta colpa sua quello che mi stava succedendo. Era colpa sua se dormivo poco e niente, era colpa sua se cominciavo a piangere senza nemmeno un motivo, era colpa sua se avevo paura di camminare per strada o di andare in qualsiasi posto da sola. « E tu, Amelia, ci sarai? »
Lo guardai di nuovo, solo che stavolta il mio sguardo trasudava paura da tutte le parti. Cercai inutilmente di mostrarmi spavalda. Non funzionò, ma almeno non balbettai. « Sì, ovvio che ci sarò. Devo sceglierlo io il film ».
Valerie scoppiò a ridere. « Giusto, le ho detto che se veniva a conoscere il tuo nuovo compagno di stanza le avremmo fatto scegliere il film venerdì sera, » disse, rivolta a Luke. « Non voleva uscire dalla stanza ».
Fulminai Valerie con lo sguardo e sentii Ashton ridere. Lui ovviamente sapeva o poteva benissimo immaginare perché.
« Sono semplicemente timida » mi giustificai. Mi alzai e mi avviai verso la porta. Ashton mi raggiunse e sembrò non curarsi della presenza di Valerie e Luke.
« La timidezza è una cosa talmente superflua, Amelia... non serve proprio a niente, » iniziò. Poi si chinò verso di me e a voce abbastanza bassa sussurrò: « Spero solo che questo tuo imbarazzo con me finisca presto, Amelia ».
Sospirai ed uscii, chiudendogli la porta in faccia.
 
***
 
Tornata in camera mia e di Valerie, feci una cosa che mi ero ripromessa di non fare quando ero partita da Perth: chiamai Calum. Anche se ci eravamo lasciati eravamo rimasti in buoni rapporti, dopotutto, a Nedlands non puoi fare diversamente. Non puoi odiare un tuo concittadino perchè in tutti paesi osservanti dell’Australia Occidentale si deve amare il prossimo e bla, bla, bla...
 Grazie comunque a questa convinzione, Calum era venuto a casa mia a scusarsi e a spiegarmi ogni cosa. Lo ascoltai e capii. Probabilmente al posto suo avrei fatto lo stesso. Insomma, stavo per partire e lo avrei lasciato lì. Non c’era bisogno di vivere in una grande città per capire che le relazioni a distanza non funzionavano. Così presi il cellulare e composi il suo numero, ero a Sydney da più di un mese e non l’avevo ancora chiamato.
« Pronto? ».
« Ciao Cal, sono io, Amelia » dissi piano, riscoprendo solo in quel momento quanto mi tremasse la voce. Mi chiesi se non fosse per Ashton.
« Amy! Che sorpresa, » esclamò lui dall’altra parte del telefono. Sorrisi perchè solo a casa mi chiamavano Amy, qui nessuno mi aveva dato soprannomi. Riscoprii che mi era mancato davvero sentire la sua voce. « Come stai ».
« Bene, grazie, » dissi, mentivo ad entrambi. Non stavo bene e lo sapevo, volevo solo convincermene. « E tu? Come vanno le cose a casa? ».
Calum sapeva che quando parlavo di casa mi riferivo a Nedlands in generale. « Come al solito, tuo fratello esce con Giselle Reiman, io lavoro al Ned’s Daily e tutti sanno che hai vinto un concorso e... oh, a proposito, congratulazioni » mi rispose Calum, pieno d’entusiasmo.
« Grazie, Cal » ribattei io.
« Come mai mi hai chiamato? Josh mi ha detto che sei sempre occupata tra lezioni e tutto il resto ».
« Sì, è vero. È solo che mi mancavi. Da quando sono qui ho chiamato praticamente tutti tranne te, quindi.. eccomi qui a rimediare ».
Calum scoppiò a ridere. Era una bella risata quella di Cal. Mi chiesi se ormai ci fossimo riparati abbastanza da tornare ad essere quelli di una volta, ma forse il nostro destino era proprio quello. Forse come amici avremmo funzionato di più.
« Hai conosciuto qualcuno? » mi chiese. Pensai che sarebbe stato troppo strano rispondere con qualcosa del tipo “sì, due ragazzi normali, un serial killer e il suo braccio destro incredibilmente lunatico, ah, uno di loro mi ha quasi ammazzata”, perciò sospirai.
« Uhm, sì... c’è la mia compagna di stanza che è una a posto, poi il suo migliore amico che è un tipo simpatico... i due ragazzi che hanno vinto il concorso con me e basta, credo, » risposi, rimanendo sul vago. Omisi Ashton, perchè l’ultima cosa che volevo era parlare di lui a Calum. « Andiamo in città tutti insieme a volte, ci aiuta a distrarci dalle cose da studiare che sono davvero un sacco e-»
« Sai che mi manchi, Amy? » mi disse all’improvvisi Calum, rimasi un po’ spiazzata dal suo tono di voce, che sembrava incredibilmente serio.
« Anche tu mi manchi, Cal, mi mancate tutti. Ma qui è un posto carino, sai? ».
« Lo immagino, » si lasciò sfuggire una risata divertita. « Okay, reggiti forte. Sto per darti una notizia grandiosa ».
« Cosa? » chiesi curiosa, mettendomi seduta sul letto.
« In redazione mi hanno offerto uno stage in una casa editrice a Perth-».
« Ma è fantastico! Oh, mio Dio, Calum! » esclamai. Ero contentissima per lui. Avrebbe potuto evadere da quel covo proprio come avevo fatto io.
« Frena, non è ancora arrivata la parte migliore, » mi disse, allora rimasi in silenzio. « Ho fatto alcune ricerche e ho scoperto che è una casa editrice abbastanza importante, ha sede a Perth, Melbourne e Sydney. Allora ho chiesto se si poteva fare una sorta di trasferimento. Ci vorranno due settimane per fare le pratiche, più una per fare non so cos’altro, ma va bene così, ho aspettato diciannove anni per andarmene da questo posto, posso aspettare altre tre settimane ».
« Quindi vieni a Sydney tra tre settimane? » chiesi incredula. Avere Calum a Sydney sarebbe stato fantastico. Niente più distanza, avremmo potuto riprovarci.
« Be’... sì » mi rispose, non lo vedevo, ma sapevo che stava sorridendo.
 « E quanto rimani? » chiesi.
« Lo stage dura un mese e mezzo, se va bene e mi assumono, rimango anche per sempre » mi rispose, reprimendo una risatina.
« Non vedo l’ora di vederti, Cal » dissi sinceramente.
« Anche io, Amy, la tua mancanza qui si sente più che mai. È strano andare al Daily senza prima aver fatto colazione a casa tua e tutto il resto ».
E allora capii che due giocattoli rotti come me e Calum non si sarebbero mai riparati a vicenda, ma erano gli unici disposti ad accettarsi l’un l’altro. Dopotutto, chi lo voleva un giocattolo rotto? Chi la voleva una persona a metà?

 
 

Marianne's corner
SORPRESA!
Durante la "vacanza" (quattro giorni in un paese sperduto) non ho avuto quasi per niente internet, almeno non dal pc, quiiindi ho scritto un casino. E sono riuscita a finire il capitolo, e ora che sono di nuovo a casetta mia lo pubblico. YEEEE, non ve l'aspettavate, eh? u.u Comunque, ecco qui il tanto atteso (???) capitolo 5 con il nostro Ashton. Okay, in questo capitolo succede un po' di roba, Ashton è il compagno di stanza di Luke e ovviamente Valerie vuole conoscerlo, mentre Amelia continua a fingere. Ed ecco che appare (al telefono, ma appare u.u) anche Calum! Ve l'avevo detto che non sarebbe rimasto fuori dalla storia, Calum lavora come giornalista nella redazione di Nedlands, ma gli hanno offerto uno stage in una grande città. Lo stage può essere spostato in diverse città importanti e Calum non ci pensa due volte a scegliere Sydney. Come andrà a finire? ouo Vi posso assicurare che ne vedremo davvero delle belle, soprattutto tra Amelia ed Ashton, gnaww.
Ora passo a ringraziare tutti voi, lettori di questa storia. Vi ringrazio perché finora abbiamo: 15 preferite, 1 ricordata e 22 seguite. E poi ringrazio di cu0re chi ha recensito lo scorso capitolo: Letizia25, Aletta_JJ, Hazel_,DarkAngel1, ashton_irwin94, FreeSpirit_,animanonimy e jessiesmile
Ho cominciato già a scrivere il sesto capitolo, e dato che sabato parto di nuovo proverò a finirlo per venerdì, see ya soon :3
Bacioni,
Marianne


,



 

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Capitolo 6
*** Solo l'inizio ***




 
 
6 – SOLO L’INIZIO

I due giorni che seguirono l’arrivo di Ashton al campus, li passai principalmente chiusa in camera. La mattina compravo un panino al bar e andavo a lezione, dopodiché mi chiudevo in camera, mangiavo il mio panino e accendevo il computer.
Avevo ricominciato a scrivere qualsiasi cosa mi passasse per la testa, scrivevo per avere meno paura e per scaricare la tensione. A Valerie dicevo di non sentirmi tanto bene e che preferivo rimanere in camera a studiare e ricopiare gli appunti piuttosto che uscire con lei e Luke.
Mi sentivo un po’ in colpa, a dire il vero, ma lei non poteva capire e non l’avrebbe mai fatto. Ashton Irwin aveva ucciso un uomo di fronte ai miei occhi e poi mi aveva quasi scagliato un coltello addosso, io ero terrorizzata anche solo dal suono del suo nome, e il fatto che Valerie lo considerasse una persona normale mi faceva venir voglia di urlare.
Tuttavia, la mia finta malattia finì giovedì mattina, tra la lezione di psicologia e quella di filosofia. Il corridoio era stranamente vuoto, sapevo di essere in ritardo perchè avevo aspettato che Michael uscisse dall’aula prima di alzarmi dal mio posto, eppure non credevo che fossero già tutti a lezione.
Be’ tutti tranne il mio incubo peggiore. Ashton camminava verso la direzione opposta alla mia con assoluta calma, mentre io ero leggermente di fretta. Mi sorrise di nuovo e io mi chiesi perchè cercasse di essere affascinante quando tutto quello che provocava in me era paura, nient’altro. Poteva essere bello quanto voleva, non sarei mai riuscita a pensare a lui in quel modo.
« Hey, Amelia, posso parlarti? » mi chiese, quando ci incrociammo. Sospirai e scossi la testa.
« Vado di fretta e non ho tempo da perdere con te » sibilai fredda.
Risposta sbagliata. Ashton mi afferrò per un polso e mi costrinse a volarmi verso di lui, mi guardò negli occhi e io sentii le gambe tremare, come fossero sul punto di cedere.
« Ti rifaccio la domanda, posso parlarti? » mi chiese di nuovo, con un tono di voce profondo, metteva i brividi.
« Ho detto di no » risposi, ancor più duramente di prima, e stavolta sostenni lo sguardo. Me ne pentii amaramente quando con un suo rapido movimento, mi ritrovai con la schiena premuta contro il muro del corridoio e il respiro caldo di Ashton sulla pelle, mi ritrovai con le braccia alzate e le sue mani che mi bloccavano i polsi ai lati della testa. Ebbi paura. Il suo viso era così poco distante che riuscivo a distinguere ogni particolare dei suoi occhi così indefinibili. Sembravano verdi, ma riuscivo a vedere e distinguere chiaramente ogni pagliuzza dorata che gli contornava l’iride. Non potei negare a me stessa la bellezza di quegli occhi pericolosi e pieni di mistero, forse sofferenza, probabilmente crudeltà.
Ritornai sulla terra quando sentii di nuovo la sua voce calda e profonda. « Mettiamo in chiaro le regole per andare d’accordo, Amelia, » iniziò, soffiando le parole sulla mia bocca. « Prima di tutto, quando ti chiedo una cosa, tu mi rispondi in modo gentile; poi mi porti rispetto e, ultima ma non meno importante, la smetti di essere così terribilmente scontrosa e impertinente. Sono una persona molto calma, ma quando perdo la pazienza tu non vorresti davvero avermi intorno. E spero che tu non mi faccia mai perdere la pazienza, Amelia. Mi sono spiegato? ».
 Avevo la gola secca, non riuscivo a pensare a niente, tantomeno ad articolare una frase. Perciò mi limitai ad annuire in preda al terrore, con gli occhi spalancati e il cuore a mille. Una sua mano mi lasciò il polso per andarsi a posare sulla mia guancia, che poi scivolò sulla mascella e sul collo.
« Non mi toccare » mormorai.
« Cosa ho appena detto? » disse Ashton con un tono piuttosto intimidatorio e minaccioso.
 Deglutii e riformulai la frase. « Per favore, non mi toccare e lasciami, » dissi, con tutto il coraggio che avevo. « Ti prego ».
Lui allentò la presa sull’altro polso, ma non me lo lasciò andare, in compenso tolse la mani dal mio viso. Ricominciai a respirare più lentamente, ma ero ancora inchiodata al muro con Ashton Irwin a cinque centimetri dal mio viso. Non potevo calmarmi. Volevo solo che se ne andasse. Eppure non lo fece, continuò a guardarmi negli occhi per quelli che sembrarono secoli, il suo sguardo era indecifrabile, mentre il mio doveva essere più che chiaro. Mi pizzicarono gli occhi, ma non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi in lacrime.
« Non piangere, » disse, infastidito. « Odio quando piangete ».
E per un istante smisi anche di respirare, ma il mio corpo sembrava obbedirgli e fare tutto quello che diceva. Deglutii, non sentii più le lacrime agli occhi. Ebbi però il tempo far lavorare il mio cervello. “Odio quando piangete”, si riferiva alle sue vittime o a tutte le ragazze che aveva inchiodato al muro in quel modo? O ad entrambe le cose? Forse, ad un certo punto, Ashton si sarebbe stancato di controllarmi e l’avrebbe semplicemente fatta finita. Forse si sarebbe divertito ad incasinarmi il cervello e a traumatizzarmi per il resto della mia vita. Nella migliore delle ipotesi, sarei impazzita e finita in un ospedale psichiatrico per sempre; nella peggiore, mi sarei ritrovata tre metri sotto terra e con una pallottola in testa, probabilmente.
« Bene, detto questo, posso dirti la cosa di cui volevo parlarti, » iniziò. Mi lasciò i polsi e fece un passo indietro. Non era ancora finita? Non ne aveva avuto abbastanza? « Sabato alla confraternita c’è una festa, Michael mi ha invitato e io vorrei che tu venissi con me ».
« Ho... ho da fare sabato sera, » mentii, abbassando lo sguardo, poi aggiunsi: « Mi dispiace ».
« Oh, io non credo che tu abbia da fare. Con Valerie e Luke usciremo domani, non ti chiederanno o non ti hanno già chiesto di uscire sabato. Non hai impegni, lo so » disse lui, con un tono gentile ma mostruosamente distaccato dal resto del mondo.
« Cosa vuoi da me, esattamente? » chiesi, sconfitta.
« Tante cose, Amelia. Ma in questo istante, vorrei che tu venissi alla festa con me » mi rispose lui.
« Va bene. Tanto è solo una festa, no? » provai. Vidi l’ombra di un sorriso compiaciuto sul suo volto. Avrei voluto prendermi a schiaffi. Avevo ceduto. « Ora, se non ti dispiace, devo andare a lezione ».
« Un ultima cosa, » disse, richiamando la mia attenzione. « Niente jeans e converse ».
Risi. « Ascolta, puoi minacciarmi, puoi inchiodarmi al muro, puoi obbligarmi a venire ad una stupida festa della confraternita, ma non credi di esagerare adesso? Mi vesto come mi pare » sbottai, poi mi morsi un labbro. Probabilmente avevo esagerato. Chiusi gli occhi e aspettai le conseguenze, ma Ashton non si mosse di un millimetro, piuttosto, mi guardava curioso.
« Semplicemente non voglio che la ragazza che porto si vesta male » rispose, tranquillo.
« Cosa dovrei fare, scusa? Mettermi uno di quei vestitini da puttana? » chiesi, incrociando le braccia al petto. Lui rise divertito, forse per la scelta delle mie parole. Non ero mai stata una troppo attenta al lessico, a dire la verità. Quando mi arrabbiavo, ero capace di tirar giù qualsiasi cosa.
« Non voglio nemmeno che gli altri ragazzi guardino in modo sbagliato la mia accompagnatrice, » continuò, a voce più bassa. Si avvicinò e io cercai con tutta me stessa di non tremare. « Saprai cosa metterti, comunque, non disperare ».
Mi sfiorò la guancia con una mano e poi « Ci vediamo domani sera, Amelia » mi sussurrò all’orecchio. Mi piaceva il mio nome detto da lui, stranamente, ma forse solo perché era l’unica persona lì a Sydney a non storpiarlo in nessun modo. Rimasi impassibile, avevo quasi dimenticato che il giorno seguente saremmo andati tutti al cinema. Sarei uscita con Ashton Irwin due sere di seguito, e la cosa non poteva che andare a finire male.

 
***
 
Dato che alla festa di sabato non avrei potuto mettere jeans e scarpe da ginnastica, lo feci quel venerdì sera. Forse lo feci appositamente, ma mentre Valerie mi urlava di vestirmi carina perché era palesemente ovvio che tra me ed Ashton ci fosse chimica, io misi i jeans scuri, le converse bianche e una felpa grigia extra-large, sciolsi i capelli e mi truccai pochissimo, giusto per non far vedere al mondo che non dormivo decentemente da almeno una settimana.
Valerie aveva ragione, tra me e Ashton c’era chimica. Peccato che lui volesse uccidermi la metà del tempo e io lo trovavo spaventoso.
Luke e Ashton ci aspettavano fuori dal dormitorio, saremmo andati con la macchina di Luke, e il pensiero mi rilassava parecchio, anche perché, conoscendo Ashton, se fossimo andati con lui sarebbe stato capace di mollarci tutti per strada. Non provai nemmeno a fingere un malore, Valerie mi ci avrebbe portata comunque al cinema. Non era colpa sua, si comportava solo da brava amica e cercava di farmi uscire con un ragazzo carino. Lei non poteva saperlo, e da una parte era meglio così. La vita in bilico era solo mia. Le mie scelte gravavano solo su di me, quelli a cui volevo bene erano al sicuro.
Come previsto, quando uscimmo, Luke e Ashton erano già lì fuori, parlavano normalmente, come facevano due amici. Onestamente, non credevo che Ashton avrebbe mai fatto del male a Luke o a Valerie, se non per ricattare me. Ma io finora mi stavo comportando bene, avevo addirittura accettato l’assurda proposta della festa, non avrebbe avuto motivo di ricattarmi. Eppure, me lo sentivo, era capace di qualsiasi cosa.
Ashton si girò a guardare me e Valerie, ma ero più che convinta che stesse guardando me. Notai che Luke gli disse qualcosa all’orecchio e poi Ashton sorrise e rispose, ero troppo lontana e loro parlavano a voce troppo bassa perché potessi capirli.
Quando ci avvicinammo, Luke ci salutò entrambe. « Finalmente, stavo cominciando a pensare che foste rimaste chiuse in bagno o qualcosa del genere » disse, scherzando. Ashton non disse niente e io nemmeno.
« Siamo donne, Luke, non ci basta infilarci una maglietta e mettere un cappello in testa per essere presentabili » ribatté Valerie, dandogli un piccolo schiaffo dietro la testa. Risi nel vederli comportarsi come due bambini, probabilmente quella era la cosa meno strana che sarebbe capitata quella sera.
Ci avviamo, e ovviamente Valerie si mise seduta al posto del passeggero, così Ashton e io dovemmo sederci di dietro. Io mi appiattii contro il finestrino il più possibile e Ashton rimase, stranamente, vicino al suo. Ma gli fui grata di quello. Se lo avessi avuto vicino per tutto il tragitto dal campus al cinema, avrei dato di matto,  mi conoscevo abbastanza bene da saperlo. E poi avrei dovuto dare delle spiegazioni a Luke e Valerie. Non potevo utilizzare di nuovo la storia della timidezza, perché tutta quella situazione sfociava nella paranoia. Ecco cos’ero, paranoica. Dovevo semplicemente calmarmi e pensare che quella sarebbe stata un’uscita normale, ma ero seduta nella stessa macchina con un assassino, come facevo a stare calma?
Mi concessi una rapida occhiata verso di Ashton e vidi che stava guardando fuori dal finestrino. Per un momento mi chiesi a cosa stesse pensando, cosa sentisse, cosa provasse, come facesse ad alzarsi ogni mattina e a guardarsi allo specchio. Mi chiesi come facesse ad avere sempre il pieno controllo sulle sue emozioni, come facesse a cambiare umore e tono di voce da un momento all’altro. Come faceva Ashton Irwin ad essere semplicemente quello che era? Come faceva a convivere con se stesso?
Non potei rispondere a tutte quelle domande semplicemente perché i pensieri di Ashton sarebbero rimasti per sempre un mistero agli occhi di chiunque, non li avrebbe mai rivelati a nessuno, e avevo il sospetto che li negasse perfino a se stesso. Altrimenti i sensi di colpa lo avrebbero pian piano distrutto. Forse era quello il segreto, spegnere il cuore e lasciarsi guidare dall’istinto.
Arrivammo al cinema e non ero mai stata più felice di scendere da una macchina in vita mia. Scelsi un film a caso, segno che non avevo voglia di essere lì, e che parlava di qualcosa come un ragazzo-zombie che era costretto a vivere emarginato dal resto del mondo insieme ai suoi simili, ma cercava in tutti i modi di mettersi in contatto con la ragazza che amava quand’era in vita. Alla fine erano morti entrambi, ma era stato un finale discutibile, l’avrei odiato se lui fosse ritornato in vita e tutto sarebbe finito bene.
Valerie insistette per fami sedere vicino ad Ashton e così fu, in compenso, però, alla mia destra avevo Luke. E, cosa ancor più strana, Ashton non mi rivolse la parola per tutto il film, l’intervallo lo passai a fare la fila per i pop-corn e condivisi i miei con Ashton. Non lo so se lo fece di proposito – e a quel punto sarebbe passato davvero per un ragazzino di secondo superiore – ma quasi sempre le nostre dita si scontrarono e io mi concentrai di più sul film.
Tant’è che quella fu la prima volta che seguii completamente un film spazzatura come quello.
L’uscita mi aveva comunque aiutato a distrarmi, e il viaggio di ritorno lo passai meno attaccata al finestrino e più a parlare con Valerie. Ashton era rimasto sempre in silenzio. Al cinema e subito dopo aveva scambiato qualche battuta con i miei amici, ma non si era mi rivolto personalmente a me. Forse era per quello che ero così calma.
Tornati al parcheggio del dormitorio, vidi Valerie confabulare con Luke e rimasi a guardarli per mezzo minuto buono, poi mi sentii sfiorare il braccio e non avevo alcun dubbio su chi potesse essere.
« Ashton » mormorai, fingendomi sorpresa. Mi girai e, non so come, finii nuovamente appoggiata contro qualcosa e lui di fronte a me. Solo che stavolta c’erano Luke e Valerie, non poteva trattarmi come il giorno precedente, quando eravamo soli in corridoio.
« Non pensavo ti piacesse quel genere di film » mi disse lui, continuando a percorrere il mio braccio con le dita.
« Era il più decente tra tutti quelli che c’erano » mi giustificai, incrociando le braccia al petto per evitare che continuasse ad accarezzarmi. Vidi qualcosa di strano nei suoi occhi quando feci quel gesto, qualcosa di indecifrabile, come tutte le cose che gli passavano per la testa.
« Personalmente, avrei scelto il thriller, sai? » mi disse. Scoppiai a ridere.
« Scusa, ma lo trovavo un incredibile cliché, data la situazione » risposi, serrando le labbra in un sorrisetto. Lui mi guardò per un momento e poi abbassò lo sguardo, ridendo.
« Domani sera ti aspetto qui alle nove, sii puntuale ».

 

 
 

Marianne's corner
Eccomi qui, come promesso ;) ho cercato di darvi due aggiornamenti molto vicini perché domani parto e non tornerò prima di sabato prossimo, quindi ci sarà una settimana di silenzio çç comunque, mi porto il pc dietro e spero di buttare giù qualcosa mentre i miei fanno il "sonnellino pomeridiano post-mare e pre-piscina (?)", dato che ho smesso di dormire di pomeriggio quando avevo sette anni :o
Comuuuunque, le cose si cominciano a fare davvero interessanti e sì, questo è davvero solo l'inizio. Come avete visto, Ashton non si fa alcuno scrupolo e sarebbe capace di tutto. Sarà capace di tutto, effettivamente ewe
Ho già una mezza idea per il prossimo capitolo, che molto probabilmente dovrà essere diviso in due parti: cercherò di scriverlo tutto insieme, ma poi lo separerò perché altrimenti diventa troppo lungo e perché sì, dai, un po' mi piace farvi soffrire ♥
Ci risentiamo appena torno, spero, in ogni caso se volete parlare della storia o dei 5sos o di qualsiasi altra cosa, io sono su Facebook e su Ask :3
Ringrazio particolarmente  chi ha recensito lo scorso capitolo: FreeSpirit_, Letizia25, DarkAngel1, Aletta_JJ, Hazel_, animanonimy e asthon_irwin94 ♥ 
Bacioni,
Marianne



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Capitolo 7
*** La confraternita - I ***




 
 
7 – LA CONFRATERNITA
Prima parte
 
Era sabato mattina, subito dopo essermi svegliata, quando dissi a Valerie che Ashton mi aveva invitata ad una festa. La sua reazione fu a dir poco esagerata. E se quella ragazza cominciava a farsi mille storie in testa quando osservavo un ragazzo per più di tre secondi, figuriamoci se uno di loro mi invitava ad una festa.
« Oh, Amelia, è una cosa a dir poco fantastica! Perché non sei felice? » mi chiese, saltando qua e là per la stanza.
Io, seduta sul mio letto, la guardai un po’ scettica. « Sono felice » mentii. Ero l’icona dell’ansia e della paura, a dire la verità, ma di nuovo, non potevo darlo a vedere con Valerie.
« E cosa ti metterai? » continuò a chiedermi.
« Non lo so... » borbottai, ricordando le parole di Ashton. Avrei saputo cosa mettermi, a detta sua, ma erano le dieci del mattino e io non lo sapevo ancora.
« Come non lo sai? Allora, ti ripresterò i miei tacchi se necessario, devi metterti una gonna o comunque qualcosa che possa fare colpo su di lui. Dove hai detto che è questa festa? » continuò lei, aprendo il mio armadio.
« Alla confraternita » risposi. Lo richiuse di scatto e si girò a guardarmi come avessi appena detto un’assurdità.
« Stai scherzando, » mi disse, era serissima in volto. Deglutii e scossi la testa. Lei sospirò, prima di rispondermi. « Be’, se ci sarà Ashton, sarai al sicuro ».
« Se è per Michael che ti preoccupi... be’, lui ha paura di Ashton, credo, quindi non penso che mi si avvicinerà » dissi. In un certo senso le avevo detto la verità.
« Perché mai Michael dovrebbe avere paura di Ashton? Di solito è il contrario » mi disse lei continuando a cercare nel mio armadio.
« Non so se te ne sei accorta, ma personalmente Ashton a me un po’ fa paura » dissi, sospirando. Lei scoppiò a ridere con la testa ancora nell’armadio. Ma rise così forte che la sentii benissimo.
« No, scusa. No! Come fai? Ashton è un ragazzo simpatico ed è pure un gentiluomo. È l’uomo perfetto, come può farti paura? » mi chiese incredula. Lasciò perdere i miei vestiti e si mise accanto a me. « Non sai quanto sei fortunata che un tipo come lui ti abbia chiesto di uscire, Amelia. Sul serio, sono cose che non capitano tante volte nella vita. È bello, affascinante, dolce, gentile e magari è anche ricco ».
Sull’ultimo punto non avevo dubbi. Sicuramente uccideva le persone per soldi, non per hobby. Anche perché se fosse stato solo per passare il tempo, sarebbe stato l’essere più schifoso della terra, e se già sopportavo a stento la sua presenza nella mia stessa stanza, a quel punto mi avrebbe fatto solo che ribrezzo.
« Sarà... e se lui non mi piacesse? » domandai.
« In questo caso hai una carissima amica, single » scherzò lei. Io sorrisi per la battuta, ma non avrei mai permesso ad Ashton di avvicinarsi a Valerie. Lei non doveva entrare nella sua vita e lui aveva già messo a soqquadro la mia. Nessuno doveva provare quello che provavo io in quel momento. Nessuno si meritava una cosa del genere.
« Possiamo pensare dopo ai vestiti? Mi sento morire soffocata dentro questa stanza » cominciai. Valerie non mi fece continuare e mi trascinò subito al piano di sotto a chiamare Luke, Ashton non era in stanza.

 
***

Ritornammo in camera alle sei, dopo aver pranzato in riva al fiume. Valerie era convinta che tre ore fossero sufficienti per prepararsi, anche se non avevamo ancora deciso cosa avrei indossato. Le avevo detto niente jeans e converse, ma sembrava che lei avesse escluso quei capi già a suo tempo.
Quando rientrammo, c’era una scatolare rettangolare sul mio letto, bianca. Sopra c’era un fiocco blu e un bigliettino scritto a mano. Solitamente gli unici regali o pacchi che ricevevo erano dalla mica famiglia e dovevo andarli a ritirare in segreteria, nessuno me li aveva mai portati in camera, anche perché nessuno tranne me e Valerie e Luke poteva entrare.
« Che cos’è? » mi chiese Valerie, guardando curiosa l’oggetto sul mio letto.
« Non ne ho idea » risposi. Presi il biglietto e lessi. Te l’avevo detto che avresti saputo cosa indossare.
Ashton. Il regalo era suo. Grugnii e lanciai il biglietto sul letto, per poi aprire la scatola. Valerie lo prese e « Chi è? »
« Prova ad indovinare, stasera devo andare ad una festa e casualmente mi ritrovo un vestito in camera » brontolai.
« Oh! » esclamò Valerie, dopo aver capito.
« È un maniaco » continuai a borbottare, mentre toglievo la carte protettiva da sopra la stoffa.
« È soltanto gentile, » mi rispose Valerie. « Fammi vedere il vestito ».
Lo tirai fuori, e con mia grandissima sorpresa notai che non era uno di quei soliti vestiti inguinali che potrebbero benissimo venir scambiati per magliettine. Ad occhio e croce, doveva arrivare più o meno poco sopra il ginocchio, era nero semplice, senza spalline e con la scollatura a cuore.
« È.... carino! » mi ritrovai ad esclama ere, tenendo il vestito tra le mani. A Valerie brillavano gli occhi e osservava quel capo come fosse stato oro.
« Su, indossalo » mi incitò. E così feci, dopo vari tentativi riuscii a capire il verso, perché io e i vestiti non eravamo mai andati troppo d’accordo. Non c’erano molte occasioni per mettere un vestito a Nedlands, se si esclude la domenica quando si andava in chiesa, ma io vi andavo sempre in jeans, quindi gli unici eventi in cui avevo mai indossato un vestito erano i matrimoni. Ma sinceramente, i matrimoni mi mettevano ansia, perché gli unici matrimoni che si vedono a Nedlands sono quelli tra due diciottenni costretti a sposarsi perché lei è incinta, o quelli tra due ventenni che hanno deciso di passare il resto della loro esistenza in quell’involucro provinciale. Ergo, non andavo mai ai matrimoni.
Così, quando ebbi il vestito addosso, quasi non mi riconobbi. Ero io, ma in versione decisamente più carina e più femminile.
« Posso truccarti? » mi chiese Valerie. Era più esaltata di me all’idea della festa, e come darle torto? Annuii e mi misi seduta sulla sedia, tenendo gli occhi chiusi mentre la mani di Valerie armeggiavano con ombretti e pennelli. Quando fui pronta, erano ancora le otto e un quarto, e mi chiesi cosa avrei fatto per altri tre quarti d’ora. Valerie mi consigliò di sciogliere i capelli, ma io continuai a tenerli legati.
« Ho un’idea! » iniziò, spostai lo sguardo su di lei.
« Cosa? »
« Aspetta qui, vado a chiamare Luke, così ho anche l’occasione per sbirciare Ashton e dirti cosa sta facendo » mi disse.
« Non mi interessa quello che fa... » borbottai, forse più rivolta a me stessa che a Valerie, perché lei si era già defilata.
Valerie rientrò in stanza con Luke che sembrava sbraitare qualcosa del tipo “Non lo so dov’è Ashton”, segno che probabilmente non era in stanza. Valerie gli lasciò il polso solo quando la porta si richiuse alle sue spalle e io mi alzai in piedi, cercando di non barcollare sui tacchi.
« Che ne pensi? » gli chiese, indicandomi. Luke mi squadrò dalla testa ai piedi con uno sguardo curioso. Mi sentii un po’ in imbarazzo, l’unico a guardarmi così a lungo era stato Calum.
« Tu non vorresti sapere a cosa sto pensando » disse alla fine il ragazzo, inizialmente scoppiai a ridere, mentre Valerie sembrava oltraggiata.
« Lucas! Ti ho chiesto un parere da uomo, non una frase da romanzo erotico pieno di cliché » esclamò. Io continuai a ridere. Luke era mio amico e so che probabilmente scherzava. O forse no, ma l’aveva comunque detto in buona fede.
« Posso tornare a giocare a D&D? » domandò lui, incrociando le braccia.
« Torna pure a fare l’asociale » sbuffò Valerie, cacciandolo praticamente dalla stanza.
« Be’, almeno abbiamo la prova che sono presentabile » sospirai, cercando di sdrammatizzare il tutto. Valerie rise.
« Ovvio che lo sei, adesso ti conviene andare però ». Guardai l’orologio, erano le nove meno cinque, Valerie aveva ragione. Presi la borsetta con il telefono e uscii.
Scesi le scale in assoluta calma, e cominciai a farmi prendere dal panico solo quando fui nell’androne principale, ma ormai non potevo tirarmi indietro. Non avevo mai potuto farlo. Arrivai nel parcheggio e Ashton era proprio lì, dove mi ricordavo d’averlo lasciato la sera prima. Solo che stavolta era appoggiato alla sua macchina.
« Un orologio svizzero » commentò quando mi vide, alludendo alla mia puntualità. Sorrisi compiaciuta.
« Per chi mi hai preso? » ribattei, avvicinandomi con cautela. Ashton mi guardò, poi mi prese la mano e mi attirò a sé.
« Sei bellissima, ho fatto davvero un’ottima scelta ».
Non capii se parlasse di me e del vestito, allora rasentai l’ovvio. « Non nascondo che hai dei buoni gusti in fatto di moda ».
 Lui non disse niente, mi aprii la portiera dell’auto come nei film ed io entrai, dopodiché anche lui si mise al suo posto e partimmo. Dal campus alla confraternita ci volevano cinque minuti di macchina, non parlammo molto. Lui mi fece solo notare di avere i capelli tirati su e continuò a farmi complimenti su complimenti, mentre io ringraziavo imbarazzata e sentivo di poter morire da un momento all’altro. Il che, trovandomi nella stessa macchina con Ashton Irwin, non era certo da escludere.
Quando arrivammo, tutte le luci della villa erano accese, il giardino completamente illuminato e la musica era talmente alta che si sentiva perfino dalla strada. Ashton parcheggiò alla bell’e meglio e io scesi dalla macchina. Cominciavo addirittura a prendere confidenza con i tacchi e non inciampare ad ogni passo.
La porta principale era aperta e nessuno sembrò fare caso a noi quando entrammo. Ashton mi poggiò gentilmente una mano sulla schiena e io cercai di ignorarla con tutte le mie forze. Mi guidò per il mare di persone che si trovava in quello che doveva essere il salotto. Per i primi dieci minuti non fece altro che salutare svariate persone e presentarmi puntualmente ad ognuna di esse semplicemente come Amelia, senza aggiungere imbarazzanti epiteti quali “la mia accompagnatrice”, ad esempio, o peggio: la mia ragazza.
Scacciai via quei pensieri e cominciai a sorridere a chiunque mi venisse presentato, dimenticando i loro nomi un secondo dopo averli sentiti. A quella festa sembravano tutti schifosamente ricchi. Ogni ragazzo indossava vestiti filmati e scarpe che dovevano costare una fortuna, le ragazze lo stesso, con abitini simili al mio e ai piedi quelle che, all’apparenza, sembravano delle Louboutin. Ora capivo perché Ashton mi avesse fatta vestire in quel modo.
Mi sentii un po’ a disagio. In quella casa tutti si conoscevano ed erano ricchi. Io ero venuta lì solo perché avevo paura di una persona e provenivo da un paesino di provincia che di ricco aveva poco e niente.
« Senti, » iniziai, trattenendolo per un braccio. Lui alzò gli occhi su di me e mi invitò a continuare. « Sono venuta qui come mi hai chiesto, ma non dovrò passare tutto il tempo con te, vero? ».
Non conoscevo nessuno lì, tranne Michael che probabilmente partecipava dato che vi abitava, lì dentro. Mi chiesi quanto fosse ricco, anche lui. Tuttavia, pur non vedendo alcun viso familiare, avrei potuto rompere il ghiaccio con qualcuno, servivano a quello le feste, no? Dopotutto, qualsiasi cosa era meglio che stare tutto il tempo appiccicata ad Ashton.
 Lui accennò un sorriso e io capii di non aver detto niente di sbagliato. « Lo gradirei, ma no. Fai quello che vuoi ».
« Okay, sai per caso dove sono gli alcolici? » chiesi.
« Sul tavolo della cucina, in fondo a destra ».
« Grazie ».
« Siamo qui da nemmeno mezz’ora e ti vuoi già ubriacare? ».
« Problemi? ».
« Assolutamente no ».
E detto questo, girai i tacchi ed entrai nell’ unica porta a destra in fondo al corridoio, dentro vi trovai Michael, intento a sorseggiare un drink. Quando mi vide per poco non sputò quello che aveva in bocca. Evidentemente era sorpreso che io fossi lì, il che era buffo, perché in quel momento credevo di avere la sua stessa identica espressione di incredulità stampata sul volto.
 
 

Marianne's corner
Saaalve! Sono tornata dalla mia vacanza, sono a casa da due ore, ma ho scritto davvero molto in assenza di internet, quindi eccomi ad aggiornare. Allora, inizialmente, questo capitolo doveva essere molto più lungo, quello che avete letto, infatti, è solo metà di un capitolo u.u Il prossimo arriverà a breve, dato che è quasi completamente scritto. Amatemi.
No okay.
Passando alle cose serie, scusatemi ancora se è di passaggio, ma nel prossimo accadrà il BOOM. E non so scherzando, preparatevi psicologicamente, anche perché arriverà mooolto presto. Il tempo di finirlo, aggiustarlo e ricontrollarlo. Secondo voi cosa succederà? Avanti, sono curiosa di leggere le vostre teorie strampalate, mi diverto tantissimo e mi fate sorridere (siete teneri ♥) anche su questioni precedenti, come il caso Rockwood eccetera. Ricordate che certi dettagli non vanno lasciati da parte e ringraziatemi, vi sto allenando per diventare piccoli detective (?)
Dopo questa sparisco e spero con tutto il cuore che il capitolo vi piaccia! Oh, e ovviamente vi ringrazio per le 28 seguite e le 18 preferite e  tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: Letizia25, Hazel_, FreeSpirit_, animanonimy, Flawsnov, jessiessmile, Silversa, DarkAngel1, Aletta_JJ, Onedsbrath_ e Ilovepizzand5sos

A presto (sul serio u.u) e un bacione grande!
Marianne




 

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Capitolo 8
*** La confraternita - II ***




 
 
8 – LA CONFRATERNITA
Seconda parte

 
« Amelia, che ci fai qui? » mi chiese Michael, poggiando il bicchiere sul bancone, io lo osservai curiosa, prima di rispondere. Chissà perché ora si interessava a me...
« Ashton mi ha invitata » risposi, aprendo il frigorifero. Mi sentii un po’ un’intrusa con Michael che mi guardava, dopotutto lui viveva lì e aveva aperto quel frigorifero chissà quante volte.
« E tu hai accettato? » continuò lui, sembrava sconcertato e io non potevo dargli torto. Se mi avessero detto che sarei andata ad una festa con Ashton Irwin, probabilmente sarei scoppiata a ridere come una scema, e invece...
« Sai, quando vieni sbattuta al muro da un serial killer non hai molta scelta » borbottai. Trovai una bottiglia di vodka. L’aprii e cominciai a bere senza pensarci due volte. Michael non mi fermò e continuò a bere il suo drink. Poi si passò una mano tra i capelli biondi platino – palesemente tinti – e sospirò.
« Lo sta facendo di nuovo » disse, sembrava sconfitto e deluso.
« Chi? » domandai. L’alcool mi bruciava la gola, ma mi aiutava a non pensare a niente oltre che la conversazione con Michael, ed ero abbastanza sicura che tra poco non sarei riuscita a pensare nemmeno a quella. Michael posò di nuovo il bicchiere sul bancone mentre sembrava che tutta la mia vita dipendesse da quella bottiglia.
« Ashton, » mi rispose. Era ovvio che parlasse di lui, « A volte non riesce a distinguere tra vita e lavoro. Be’, da una parte tu sei compresa nel lavoro perché sei una testimone e lui deve tenerti a bada, » iniziò lui, gesticolando nervosamente. Lo seguivo un po’ a fatica, ma io che potevo farci se Ashton aveva dei problemi di personalità? « E oggettivamente tu sei una ragazza molto carina ».
Non capivo dove volesse andare a parare, perciò dopo aver capito che nella bottiglia non c’era più un goccio di vodka, gli voltai le spalle e riaprii il frigorifero. Presi una bottiglia a caso e cominciai a bere anche da quella. Michael mi guardò preoccupato e cercò ti togliermi quello che avevo tra le mani, senza troppi risultati. Volevo bere così tanto da non ricordare nemmeno il mio nome, era toppo?
« Okay, tu sei una ragazza, lui è un ragazzo. Potrebbe accadere che lui si senta, uhm... fisicamente attratto da te, capito? Non so come dirtelo senza essere completamente indelicato, ma-»
« Glielo faccio venire duro anche solo guardandolo? » domandai, le parole mi uscirono di getto, non ci pensai nemmeno è sapevo che era tutta colpa dell’ alcool. Michael aveva finito il suo bicchiere nel tempo in cui io avevo svuotato due bottiglie, e ora avevo iniziato la terza.
« Il senso è quello » borbottò.
Io presi un altro sorso di qualcosa di indefinito prima di scoppiare a ridere di gusto. Risi sotto lo sguardo confuso di Michael, risi nervosamente e istericamente, risi solo come un’ubriaca può fare. Sentivo l’alcool in circolo nel mio corpo e da quel momento in poi fu lui è soltanto lui a controllare le mie azioni e le mie parole.
« Questa è la cosa più divertente ed assolutamente esilarante che io abbia mai sentito in vita mia! » esclamai, sbattendo un pugno sul tavolo. Poi ricomincia a ridere. Oh, era una cosa comica allo stato puro. Io che piacevo ad Ashton? Ma lui mi voleva morta! Risi ancor più forte.
« Forse dovresti tornare in dormitorio, ci parlo io con Ashton, andiamo, ti accompagno » mi disse Michael, facendomi alzare in piedi. 
« No, no, » protestai. « Ora ho un’arma contro di lui, ti rendi conto? Ma è fantastico, mi divertirò come non ho mai fatto in vita mia! Grazie per avermelo detto, Mikey ».
 Mi divincolai dalle sue braccia e, barcollando un po’, mi diressi verso la porta della cucina. « Dove vai? » mi chiese Michael.
« A far impazzire quel coglione » esclamai prima di uscire dalla stanza.
Le immagini attorno a me ruotavano un pochino, ma riuscivo a metterle a fuoco. La musica però mi perforava i timpani e pulsata violenta nella mia testa. Avrei voluto farla smettere, ma non potevo. Un sacco di gente intorno a me ballava e rideva isterica, proprio come me. Trovai Ashton appoggiato al muro, a parlare con un ragazzo. Aveva il viso arrossato e forse aveva bevuto anche lui. Tanto meglio. Mi avvicinai, non curandomi minimamente della persona con cui stava parlando.
Gli allacciai le braccia al collo e cominciai a baciarlo. Inizialmente, non sentii alcuna reazione da parte sua, forse per la sorpresa, poi però sentii le sua labbra appropriarsi delle mie con veemenza. Sentii le sue mani sulla schiena, sui fianchi. Scivolai ancor di più tra le sua braccia e ripresi fiato per un momento solo per baciarlo di nuovo, più a lungo e con più intensità e passione. Le mani di Ashton si spostarono sul mio viso e poi tra i miei capelli, mi sciolse la coda che avevo fatto, costringendomi a staccarmi dalla sua bocca e ad inclinare un po’ la testa. Le sue labbra sfiorarono il mio collo e lui cominciò a lasciare baci umidi e bollenti sulla mia pelle. Lo spinsi ancor di più contro il muro, premendo il mio bacino contro di lui.
Se avevo il potere di farlo impazzire lo avrei fatto senza ombra di dubbio. Voleva la guerra? E che guerra fosse. Trovai il modo di sottrarmi alla sua lingua che mi solleticava il collo e seppellii il viso nel suo. Presi più o meno delicatamente un lembo di pelle tra i denti e cominciai a succhiare. Sentii un verso uscirgli dalla bocca, ma non capii se fosse una risata o un gemito. Quando mi staccai dal suo collo, sulla sua pelle c’era un segno rosso scuro.
Ci guardammo negli occhi per un lunghissimo istante e io tornai quasi lucida. Mi pentii subito di quello che avevo fatto, ma quella sensazione non durò molto, ricominciai presto ad agire seguendo l’istinto e a baciare Ashton. Lui si staccò dal muro e mi strinse i fianchi. Non aveva ancora detto niente, o forse io ero troppo ubriaca per ricordarlo. Senza smettere di baciarmi, mi fece indietreggiare, passammo tra la gente finché non sbattei contro qualcosa. Era un tavolo. Ashton mi fece salire e lui rimase in piedi, portandosi le mie gambe attorno al suo bacino.
Gli morsi un labbro, oppure lui morse il mio. Grazie all’alcool non avevo la minima idea di quello che stavo facendo e sinceramente poco me ne importava. Non mi ero mai sentita meglio in vita mia, e mi dispiaceva quasi ammetterlo, ma Ashton baciava così bene che per la prima volta mi sembrò totalmente innocuo. Per la prima volta mi sembrò un normalissimo ragazzo ad una festa.
Non si facevano tante feste a Nedlands, ma non c’era mai così tanto alcool ed alcune erano addirittura supervisionate dai genitori. Io e Calum non avevamo mai fatto una cosa del genere in pubblico in due anni di fidanzamento, e adesso stavo amoreggiando con una persona che conoscevo sì e no da una settimana su un tavolo di una confraternita. Io e Calum facevamo l’amore, avevamo un’idea diversa da quella dei nostri genitori perché entrambi pensavamo che non ci saremmo mai sposati lì come facevano tutti, non ci saremmo vincolati a quel posto. Poi ci eravamo lasciati, quindi era stata una saggia decisione. Con Calum era amore, ma questo sarebbe diventato solo sesso e io non avrei permesso ad Ashton Irwin di portarmi a letto.
Ritornai sulla terra solo quando sentii la mano di Ashton sul ginocchio destro. Scivolava su e giù, e poi sempre più su. Mi sfiorò la pelle da sotto la gonna del vestito, e poi l’interno coscia. E la cosa peggiore era che non volevo staccarmi da lui, non ci riuscivo.
Poi tutto divenne incredibilmente confuso. Ashton si staccò da me. O meglio, fu costretto a farlo perché qualcuno lo aveva preso per le spalle, lo sentii urlare qualcosa, poi sentii una voce rispondergli bruscamente. Sembrava quella di Michael, ma non ero sicura. Rimasi semplicemente seduta sul tavolo ad osservare il nulla. Ashton scomparve dalla mia vista e la prima cosa che vidi subito dopo furono gli occhi grigio-verdi di Michael. Pensai che volesse baciarmi anche lui, invece mi fece scendere dal tavolo e mi sollevò da terra. Chiusi gli occhi e scivolai nel sonno tra le sue braccia.

 
***
 
Quando mi svegliai, l’unica cosa di cui ero cerca ero che avevo un mal di testa allucinante. La seconda cosa che realizzai era di non ritrovarmi nel mio dormitorio, in stanza con Valerie, c’era una lampada accesa sul comodino vicino alla mia testa, ero stesa su un letto con le coperte rosse. Mi girava la testa e avevo la vista un po’ appannata. Alla mia sinistra c’era una finestra e vidi che fuori era ancora buio. Per un attimo pensai di essere nella stanza di Ashton, poi mi venne in mente che lui non viveva alla confraternita.
Mi alzai a sedere sul letto e notai di avere ancora addosso il mio vestito nero, non indossavo le scarpe e avevo tutti i capelli davanti agli occhi. Non ricordavo assolutamente nulla di come ci ero finita su quel letto che non era il mio. Alzai lo sguardo e vidi un’altra luce accesa, accanto ad una poltrona. Un ragazzo dai capelli chiari stava leggendo un libro.
« Michael? » chiesi, con la voce impastata dal sonno. Lui alzò gli occhi su di me e chiuse di scatto il libro, poggiandolo sulla poltrona. Mi si avvicinò e si mise seduto sul letto.
« Sei sveglia » osservò, guardandomi.
« Dove siamo? » chiesi, massaggiandomi le tempie.« Dio, la testa! »
« Dopo tre bottiglie di vodka è già tanto che tu non abbia vomitato sul pavimento, » mi disse. Avevo bevuto così tanto?
« E che ore sono? ».
« Le quattro del mattino ».
« È tardissimo. Devo assolutamente rientrare prima che Valerie si svegli, io-». Feci per alzarmi, ma Michael mi costrinse a rimettermi sul letto.
« Non se ne parla, aspetteremo che se saranno andati tutti di qui, compreso Ashton. È domenica e non ci sono autobus. Non puoi tornare a casa a quest’ora » mi disse, io sbuffai. « Siamo nella mia stanza, comunque, Ashton non ti verrà mai a cercare qui ».
« Perché Ashton dovrebbe venire qui a cercarmi, scusa? » domandai, misi una mano sotto al mento per sorreggermi la testa, ma mi girava troppo, quindi mi ributtai sul cuscino.
« Forse perché te lo stavi per scopare sul tavolo della sala da pranzo » mi rispose, guardandomi negli occhi, io aggrottai le sopracciglia.
« Stavo per fare cosa? » esclamai.
« Quello che ho detto. E ti giuro che non c’è niente di più raccapricciante » continuò. Sembrava che mi stesse sgridando, ma lo ignorai.
« Non ricordo assolutamente nulla. Ero... ero ubriaca » mormorai.
« Da sobria non avresti mai fatto quello che hai fatto, d’altronde, » sospirò Michael. « E ora gli hai dato più libertà su di te, Amelia, non ti rendi conto del casino in cui ti sei cacciata? ».
« Vuoi spiegarmi cosa è successo, per favore? » sbottai, ignorando la testa che continuava a pulsare fastidiosamente.
« Sarò chiaro e lineare. Siete arrivati, tu sei venuta in cucina a prendere da bere, io ero lì. Ti sei sparata tre bottiglie di vodka una dopo l’altra e hai... scoperto, diciamo, che piaci ad Ashton. Niente sentimentalismi, gli piaci fisicamente. Allora hai ben pensato di sfruttare questo suo punto debole a tuo favore. E non ti nascondo che è stata una mossa intelligente, ma ad un certo punto la cosa andava troncata » mi spiegò.
Feci mente locale, avevo qualche immagine di quello che era successo. Ma non erano altro che flash accompagnati da sensazione.
« E io non l’ho troncata, vero? » chiesi.
Michael scosse la testa. « Senti, il bacio ci stava, il succhiotto pure, ma... stavate per andare davvero oltre ».
Spalancai gli occhi e mi toccai il collo, prima di sentire la voce di Michael di nuovo. « Sei tu che l’hai fatto a lui ».
« Io ho baciato Ashton? » domandai.
Michael annuì,
« E gli ho fatto un succhiotto? ».
Michael annuì di nuovo.
« Ho fatto una cazzata, » mormorai, in preda al panico. « Anzi, due! ».
« Poco ma sicuro. Adesso Ashton è convinto di poterti avere e credimi, quando si mette una cosa in testa, nessuno riesce a smuoverlo dalla sua intenzione ».
Sospirai e guardai Michael. Mi chiesi perché fosse così propenso a criticare Ashton. Non erano amici? Io non avrei mai parlato alle spalle di Valerie, ad esempio. Forse loro due erano diversi, forse erano semplicemente colleghi, e Michael riusciva a separare la vita dal lavoro, cosa che Ashton non faceva spesso. Mi chiesi se Ashton avesse una vita tutta sua o se la sua intera esistenza si basasse solo sull’uccidere persone, ricevere soldi e dare la caccia o perseguitare eventuali testimoni – cioè me.
Ashton ce l’aveva una famiglia? Gli interessava davvero studiare e laurearsi? Aveva un obiettivo o un’ambizione nella vita? Mentre pensavo a tutte queste cose, mentre pensavo che era lui il più forte, realizzai che non era vero. Ashton poteva mettere paura, poteva costringere le persone a fare quello che voleva minacciandole, ma era una persona vuota e debole.
Senza una passione o un obiettivo, vivere non ha senso, io lo sostenevo fermamente. Per questo per tutta la mia vita non avevo fatto altro che coltivare quello che mi piaceva fare e migliorarmi, per questo avevo sempre puntato più in alto delle mie capacità. Anche se non avessi raggiunto il massimo, avrei ottenuto comunque un buon risultato che mi avrebbe soddisfatta.
Io avevo un sogno, un’ambizione, delle passioni. Ashton che cosa aveva? Poteva avere me, ma non sarebbe stata una notte insieme a riempire il suo vuoto.
« Non andrò a letto con Ashton Irwin » asserii, guardando Michael.
Lui scrollò le spalle. « È fatta, ormai. Volente o nolente, lui ti ci porterà ».
Rimasi ancora a guardare Michael negli occhi. Lui era una persona buona. Almeno credevo. Relativamente buona, ecco. Michael aveva un sacco di segreti e preferiva tenerseli tutte sulle spalle.
« Posso chiederti una cosa? ».
« Certo ».
« Dato che sono le quattro, io sono sveglia ed è inutile che mi rimetta a dormire, » iniziai. « Puoi raccontarmi di te e Valerie? So che è successo qualcosa tra voi in passato, ma non voglio chiederlo a lei ».
Michael abbassò lo sguardo e sospirò. Proprio come aveva fatto Valerie tempo prima. Poi risollevò la testa, e disse una cosa che lei non aveva avuto il coraggio di dire: « Va bene ».
 

 

Marianne's corner
Ciao a tutti! Ecco il nostro BOOM. Che almeno per me è boom, poi per voi non so u.u Bene, Ashton e Amelia si sono "baciati" e stavano per andare oltre, ma il nostro Mike-Ro-Wave (ditemi che l'avete capita) è arrivato a salvare la situazione. Ho voluto inoltre sottolineare il fatto che l'attrazione di Ashton per Amelia - per ora- non è altro che una cosa fisica. Mi dispiace, ma perché sbocci qualcosa e il suo cuore di ghiaccio si sciolga bisognerà aspettare ancora.
E come potete vedere, il prossimo capitolo sarà tutto un grande flashback sui nostri Malerie (sì, ho deciso il nome della ship u.u) *w*
E niente, spero davvero che vi sia piaciuto e passo a ringraizare le persone che hanno recensito lo scorso capitolo: Silversa, animanonimy, Ilovepizzand5sos, Hazel_, Letizia25, Onedsbreath_, FreeSpirit_, ashton_irwin94 e Aletta_JJ, vi rispondo dopo, perché ora devo scappare a studiare çç ♥
Alla prossima, vi mando un bacione,
Marianne




 

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Capitolo 9
*** Ricordi ***




 
 
9 – RICORDI
 
Michael aspettò qualche minuto prima di iniziare a parlare e io aspettai pazientemente, giocando con l’orlo del mio abito nero. Mi ero messa seduta sul letto a gambe incrociate, Michael si era tolto le scarpe e si era messo di fronte a me.
« Io e Valerie ci conosciamo da cinque anni. Quando la incontrai la prima volta, io ero al secondo anno di liceo, lei al primo ».
 
Aprile 2011, Sydney, Australia.
Valerie Drynan era una ragazzina buffa. I capelli neri sempre legati in una coda di cavallo, il viso perennemente acqua e sapone e i vestiti stravaganti. Ogni volta che Michael la vedeva per i corridoi, non riusciva a fare a meno di notarla e reprimere un sorriso. Non aveva mai considerato Valerie prima del suo terzo anno di liceo. Durante l’estate, la ragazzina con la coda e i jeans larghi e sformati era sparita. Al suo posto c’era una ragazza fantastica, con dei lunghissimi capelli neri, le ciglia sempre appesantite dal mascara, e i jeans stretti, un paio di converse bianche sempre ai piedi. Si era completamente trasformata. Fu allora che Michael lasciò perdere tutti i suoi amici – soprattutto quelli della squadra di basket – e decise di andarle a parlare, durante il pranzo. Lei sedeva sempre con la solita persona, un ragazzo biondo con cui condivideva le lezioni. Era il suo migliore amico. Un giorno lui non c’era e Valerie era a pranzo da sola. Michael raccolse il suo coraggio e si mise seduto vicino a lei e Valerie lo guardò attentamente. Non gli  rivolse la parola e continuò a mangiare in pace il suo pezzo di pizza, allora, Michael decise di farsi avanti.
« Posso stare qui, vero? » le chiese Michael. Lei lo guardò in un modo strano, come se stesse pensando che quel ragazzo fosse matto. Poi scrollò le spalle.
« Fai come vuoi, oggi Luke non c’è » gli rispose.
« Chi è Luke? » le domandò ancora Michael.
« Il mio migliore amico. Piuttosto, la domanda giusta è: chi sei tu? » gli disse, posando il suo bicchiere di coca-cola sul tavolo di plastica. Michael rise e le tese la mano.
« Michael Clifford ».
Michael non credeva che da quella semplice conversazione sarebbe potuta nascere una fantastica amicizia. Forse non era grande e solida come quella che Valerie aveva con Luke, ma era profonda. Lui teneva tantissimo a Valerie, ed ogni giorno che passava si sentiva il ragazzo più fortunato della terra, perché aveva qualcuno come lei accanto.
Crebbero insieme, Michael e Valerie. Affrontarono tutto mano nella mano. Michael amava il rapporto di assoluta fiducia che c’era tra di loro, e andarono avanti così per due anni. Le cose iniziarono a cambiare durante l’ultimo anno di Michael. In quel periodo aveva cominciato a frequentare dei ragazzi strani, che la gente avrebbe potuto definire pericolosi, tra questi c’era Ashton Irwin.

Maggio 2013, Earlwood, Australia.
Ashton aveva un anno più di Michael, indossava delle giacche di pelle e aveva un sacco di amici. Una sera, Michael uscì con loro e Ashton ricevette una chiamata molto urgente. Michael era un attento osservatore e lo notò dallo sguardo preoccupato che aveva mentre rispondeva a monosillabi.
« Vai a casa, Michael, ho da fare una cosa importante, » disse Ashton. « Immediatamente ».
Michael annuì, ma rimase nascosto nella sua auto finché Ashton non lo credette ormai lontano. Lo seguì fino ad Earlwood, un sobborgo poco lontano da Sydney. Ashton entrò in un edificio abbandonato, ma Michael non ebbe il coraggio di addentrarsi. Era però curiosissimo di scoprire cosa stesse facendo Ashton. Quando quest’ultimo uscì, purtroppo colse Michael alla sprovvista e cominciò a riempirlo di domande.
E quando fu Michael a chiedergli « E tu che ci facevi qui? » pieno di superbia e di rabbia per non avergli detto niente, lui si lasciò scappare il suo segreto. Inizialmente gli  rispose dicendo solo che stava lavorando, ma  Michael non si diede per vinto e continuò ad inveirgli contro. Che razza di lavoro si faceva alle dieci di sera in un edificio abbandonato?
E le sue parole... quelle Michael non le dimenticò mai. « Io sono un sicario, Michael ». E a quel punto, il ragazzo tacque. Michael sapeva benissimo cosa voleva dire essere un sicario, e quella notte se ne tornò a casa con il suono di quella confessione nella testa.

Primavera 2013, Sydney, Australia.
Dopo quell’episodio, Michael non dormì per due notti intere, Ashton continuava a comportarsi normalmente, come se niente fosse, mentre lui realizzava star passando il proprio tempo con una persona che uccideva in cambio di denaro. Si ritrovò con un segreto più grande di lui tra le mani e allora fece l’unica cosa che poteva fare per non dover essere più una potenziale vittima. Divenne uno di loro.
Il suo rapporto con Ashton si solidificò e quello con Valerie cominciò a perdere colpi. Michael la vedeva solo a scuola, lei gli chiedeva perché avesse le occhiaie e lui le rispondeva dicendole che non riusciva a dormire, senza spiegarle il vero motivo, ovvero che tutta la sua vita era stata stravolta da quello che credeva essere un pazzo. Tuttavia, Ashton era stato l’unico ad aiutarlo in quel momenti in cui non aveva nessuno. Aiutò Michael ad andare avanti con lo studio anche se aveva gli incubi tutta la notte, lo aiutò durante la sua prima missione, e lo aiutò quando scappò di casa, offrendogli un posto dove stare.
L’unica cosa con cui non aveva mai potuto aiutarlo era Valerie. Lei si era accorta di tutti quei suoi piccoli cambiamenti, ma Michael non si era accorto della sua arguzia ed intelligenza. Una volta piombò a casa sua e non vi trovò nessuno. Lo chiamò al cellulare e lui risposi ingenuamente. Voleva vederlo, ma Michael non l’avrebbe mai fatta venire a casa di Ashton, lì era troppo pericoloso. Le chiese di vedersi al loro solito posto, appena fuori il parco vicino alla loro scuola.
Michael ricorda ancora il litigio che ebbero, ricorda ogni sua parola. Ricorda tutte le sillabe che lo ferirono, pur non essendo quella la loro vera intenzione.
Quando si videro, lei era seduta su una panchina con le braccia incrociate al petto. Si alzò e gli venne incontro. Dapprima lo abbracciò e lui la strinse forte, perché aveva il terribile presentimento che di lì a poco l’avrebbe persa per sempre.
« Michael, che ti sta succedendo? » gli chiese. Michael la guardò senza rispondere. « Dimmelo, ti prego. Sei una delle persone più importanti della mia vita e sono preoccupata ».
« Val, non credo che possiamo più essere amici » le disse lui, con il cuore che minacciava di uscirgli dal petto e il peso di quella bugia sulle spalle. Lo stava facendo solo per proteggerla e lei non l'avrebbe mai saputo. Ancora oggi Michael dubita che lo saprà mai.
Ricorda ancora i suoi occhi cambiare da un momento all’altro, perdere tutta la loro luce e chiudersi sotto il peso del mondo che cadeva all’improvviso. Quando li riaprì, lui si sentì perso e alla deriva.
« Che cosa stai dicendo? » disse solamente. Non suonava tanto come una domanda, quanto un convincersi che quello che aveva detto Michael facesse parte solo di un brutto sogno. Cominciò a scuotere la testa e lui l’abbracciò ancora.
« Dimmi che è uno scherzo. È uno scherzo, vero Michael? Non puoi abbandonarmi così, cosa farò io senza di te? » continuò, Michael sentiva la sua voce tremare, ma nonostante tutto, lei non pianse. Valerie era ed è ancora una persona molto forte.
« Hai Luke. È sempre stato lui il tuo migliore amico, e non lo dico per gelosia. È vero. Te la caverai benissimo senza di me » le rispose Michael. Valerie continuò a scuotere la testa come se stesse negando a lui e a se stessa tutto quello.
« No, no. Non me la caverò affatto. Luke è il mio migliore amico, è vero... ma è solo un amico. Michael, io- » iniziò, poi incespicò sulle sue stesse parole. Non continuò. Michael non seppe mai cosa volesse dirgli, ma forse lo capì.
Lei continuò a chiedergli di restare senza mai versare una lacrima. Michael l’ammirava molto per quel gesto. Provò a dirle qualcosa, si misero seduti sulla panchina,  Michael provò a calmarla, senza moltissimi risultati. Quando Valerie smise di vaneggiare, dire cose a caso e mordersi le labbra ogni volta che sembrava tirar fuori troppi pensieri, pensieri molto personali, Michael fece scivolare le mani dalle sue spalle sulle sue braccia, sapendo con certezza che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe sentito la sua pelle.
Michael era pronto a dirle addio, nel suo piccolo l’aveva fatto tempo prima. Quello a cui non era pronto affatto, era il suo, di addio. Valerie fece una cosa che non si era assolutamente aspettato, ma a cui ancora oggi Michael ripensa con una nota di rimpianto e amarezza. Il suo addio fu particolare, perché Michael ricorda benissimo che lo guardò negli occhi prima di baciarlo e ricorda che non voleva che finisse mai. Ricorda che dopo interminabili istanti finì la sua frase, quella che aveva lasciato a metà. Ricorda che gli disse che lo amava e che poi alzò dalla panchina, lasciandolo da solo a guardarla andarsene per sempre dalla sua vita.
Michael le aveva spezzato il cuore e non se ne era reso conto subito. Valerie non aveva mai più voluto parlargli o guardarlo in faccia dopo quello. Lei sembrava essersi dimenticata dell’esistenza di lui. Michael peggiorò. Passò sempre più tempo con Ashton. Valerie era l’unica cosa che lo teneva ancora in piedi, ma dopo che se n’era andata, non c’era più niente a frenarlo. Niente da proteggere e niente ad impedirgli di diventare un mostro. Seguì gli esempi di Ashton e diventò in breve tempo come lui. Ashton diventò il suo migliore amico e collega, l’unico con cui Michael poteva avere una conversazione sensata al di fuori degli incontri in cui commissionavano loro omicidi. Agivano sempre in coppia.
 
« Non voglio spaventarti, non voglio farlo con nessuno. Ashton usa questa cosa per far tacere la gente e so che con te si sta spingendo oltre al semplice fatto di non farti spifferare niente a nessuno. Io non sono un mostro, Amelia, voglio solo che Valerie lo capisca e torni a guardarmi come una persona normale.
Io le voglio ancora bene, tutto sommato, e sono sparito così bruscamente solo per il suo bene. Lei non lo sa e non voglio che lo sappia davvero. Alla fine, come tutti gli altri, crede solo che io sia l’artefice del caso Rockwood, non ha idea di tutto il resto ed è meglio così ».
Quando Michael finì di parlare, mi sentii vuota. Avevo lo sguardo fisso nel suo, ma mi sentivo completamente prosciugata. Aveva impiegato un sacco di tempo a dirmi tutto quello, un sacco di pause, un sacco di sospiro. Michael mi aveva rivelato il segreto che Valerie non voleva dirmi, un segreto che avevano in comune e io ammirai il suo coraggio. Io non sarei mai riuscita a fare una cosa del genere.
In quel momento, non potei far altro che notare l’abissale differenza tra Ashton e Michael. Erano accomunati dalla stessa cosa, il loro “lavoro”, ma erano due persone completamente diverse.
Ashton era calcolatore, estremamente freddo e sapeva sfruttare ogni capacità a suo piacimento. Manipolava le persone, faceva leva sulla paura e sulle minacce. Ashton non aveva una coscienza, perché all’idea che avesse un cuore o dei sentimenti avevo già rinunciato, per fare quello che faceva doveva aver spento le emozioni già da tempo.
Non ricordavo con esattezza quello che era successo quella notte. Sapevo di averlo baciato, ma non riuscivo a ricollegare quell’azione ad un bel niente. A nessuna sensazione, a nessuna emozione. Se Ashton avesse provato dei sentimenti, forse me lo sarei ricordata. Tutto quello che avevo innescato era solo un gigantesco errore che mi avrebbe risucchiata. Se Ashton avesse provato dei sentimenti, io avrei creduto ad ogni sua singola parola proprio come stavo facendo con Michael.
Michael che, invece, aveva degli occhi che trasudavano verità e una voce che raccontava di sofferenza vissuta realmente. Lui aveva parlato con me, una semplice conoscente, di una delle sue parti più profonde, del tassello mancante che mi serviva per ricollegare il tutto.
Si spiegava perché Michael ci avesse seguite il mio primo giorno lì a Sydney, si spiegava come mai mi avesse chiesto di dire quella cosa a Valerie per conto suo; si spiegava l’improvvisa tristezza che vedevo prender posto negli occhi della mia amica ogni volta che le nominavo Michael e si spiegava il fatto che lei non volesse mai parlare di lui. Era semplicemente innamorata. Lo era da due anni, dal suo penultimo anno di liceo, e forse non aveva mai smesso di esserlo.
E forse si odiava, perché credeva alle voci messe in giro sul caso Rockwood, e si sentiva in colpa ad amare un assassino. Eppure, faticavo a guardare Michael negli occhi e ad immaginarlo mentre uccideva qualcuno.
« Sai, Amelia, io... io ho messo in giro la voce del caso Rockwood per allontanare le persone da me ed impedire loro di farsi del male standomi accanto, ma la verità è che non ho mai avuto il coraggio di togliere la vita a qualcuno » mi confessò, mordendosi le labbra.
Aggrottai le sopracciglia. Ero confusa. Non aveva forse detto che era diventato anche lui un sicario?
« Non... non capisco » mormorai.
« Siamo sempre stati io e Ashton. Valerie lo sa che agisco con qualcuno, ma crede che sia io a fare il lavoro sporco. Io sono la mente, Ashton la mano. Io pianifico e lo copro, lui agisce, » mi spiegò. « Non sono un mostro. Ho fatto tutto questo solo per proteggerla ».
Sospirai e gattonai fino a raggiungerlo. Poi lo abbracciai. Ed eccola di nuovo lì, la differenza tra Michael e Ashton, io non avevo paura di abbracciarlo forte, non avevo paura della sua vicinanza. Non avevo paura di sentire battere il cuore di un innocente contro il mio.
« Lo so, Michael. Lo so » sussurrai dolcemente contro i suoi capelli. E probabilmente rimanemmo così finché non sorse il sole. Era domenica mattina, a casa mi sarei svegliata di buon ora, avrei fatto colazione assieme alla mia famiglia, ci saremmo vestiti a festa e poi avrei incontrato Calum nella piazza principale. Saremmo andati a sorbirci la liturgia con le nostre famiglia e poi avremmo passato la giornata insieme.
Ma non ero a casa, e per la seconda volta in meno di dieci ore, mi addormentai tra le braccia di Michael. 


 
 

Marianne's corner
Salve people! Eccomi dopo una settimana (çwç) con il tanto atteso (o forse no) capitolo sui Malerie! Ahhhw, come erano carini, ora devo impegnarmi e trovare un modo per fare tirarli fuori da questa situazione abbastanza scomoda, povero Mikey :( cosa ne pensate? u.u
Passiamo alle belle notizie: nel prossimo capitolo ci sarà tanto... Ashelia (?) ODDIO, dobbiamo decidere il loro nome u.u sono aperte le scommesse. Comunque, vedremo tante scintille tra quei due! :D E udite udite, tra poco arriverà anche Calum! contente? u.u
Non immaginate quanto io tenga a questa storia, stiamo pian piano entrando nel vivo e fdhgfhj non vedo l'ora di continuare, anche se con l'inizio della scuola (per me lunedì 15) sarò molto impegnata :(
Comunque, ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo: Ilovepizzaand5sos, Silversa, Letizia25, asthon_irwin94, Hazel_, Aletta_JJ, Flawsnow, Onedsbreath_ e FreeSpirit_

E grazie ovviamente a chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate ♥
Spero di postare prima di lunedì, a presto! :3
Baci,
Marianne




 

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Capitolo 10
*** Autocontrollo ***




 
 
10 – AUTOCONTROLLO
 
Lunedì la vita pareva essere tornata quella di tutti i giorni. Mi svegliai nella mia stanza, mi preparai, scesi a far colazione con Luke e Valerie. Andai a lezione, ed evitai Ashton. Le uniche cose che non quadrarono, furono che mi trattenni a parlare con Michael dopo psicologia ed Ashton non si decise ad evitare me.
Insomma, l’ultimo punto non era poi così fuori dal normale, se non per due cose: discussi con lui davanti a Valerie e poi mi ritrovai a fronteggiarlo in un corridoio pieno di gente. Solitamente, preferiva fare le sue battutine quando nessuno lo ascoltava o guardava, e il fatto che adesso non desse peso alla presenza d’altri, mi faceva sentire strana.
Forse Michael aveva ragione e io avevo incasinato le cose, portandole ad essere molto più grandi di me e assolutamente ingestibili. In parole povere, avevo fatto un disastro.
Stavo andando ad antropologia insieme a Valerie, quando lo incrociammo per i corridoi. Lui andava nella direzione opposta e mi sorrise raggiante, quando mi vide. Lo ignorai. Mi passò accanto e « Amelia! » esclamò, attirando la mia attenzione. « Possiamo parlare? »
« No ». Lo liquidai con un sorrisetto impertinente, proprio la cosa che odiava di più, e prevedibilmente lo sentii prendermi la mano. Ma la cosa strana era che fu una stretta gentile la sua.
« Dove sono finite le buone maniere? » mi chiese, sempre col sorriso sulla labbra. Con la coda dell’occhio riuscii a vedere Valerie che se la rideva, dietro di me, e che probabilmente ci fissava come fossimo stati i protagonisti di una serie televisiva.
« Nel cesso, insieme a tutti vaffanculo che non ti ho ancora detto, Irwin, » risposi, mi divincolai e indietreggiai. « Buona giornata ».
Detto questo, presi Valerie a braccetto e la trascinai con me verso l’aula di antropologia. Inevitabilmente, fui sommersa da un’esagerata mole di domande.
« Amelia, o mi dici cos’è successo alla festa o ti assicuro che lo scoprirò da sola. Cos’era quello? » mi chiese, non appena entrammo in aula. Il professore non era ancora arrivato e io temporeggiai il più possibile, ma Valerie era davvero molto pressante, quando voleva esserlo.
« È solo che ero ubriaca e l’ho... baciato. E ora lui crede che stiamo insieme e io devo allontanarlo il più possibile, capisci? Dimmi tutto quello che vuoi, ma non è davvero il mio tipo » mentii. Era difficile trovare le bugie da dire a Valerie. Dovevo far sembrare tutta quella cosa vera e normale, non farla passare la sceneggiatura di un thriller.
« Ma perché non me l’hai detto subito? » esclamò.
« Non ti ho detto subito quale delle tre cose? ».
« Che lo hai baciato, ma ora che ci penso, anche che lui non ti piace. Fai sul serio? ».
« Ero ubriaca. E sì, faccio sul serio. Non mi piace. Non mi importa che è bello, affascinante e simpatico, in realtà è uno stronzo » borbottai.
« Sarà, ma non è trattandolo male che lo allontanerai, così peggiori le cose. Forse è meglio parlarci con calma e dirgli che non vuoi stare insieme a lui perché, fondamentalmente, quel bacio non è stato poi così importante, non credi? » mi suggerì Valerie.
Feci spallucce e non replicai, perché il professore era entrato e la lezione era ufficialmente iniziata. L’ultima cosa che volevo era spiegare a Valerie che non si poteva parlare con calma con Ashton Irwin e pretendere di contraddirlo, perché in un modo o nell’altro, ci si sarebbe ritrovati spiaccicati contro un muro.
Quando la lezione finì, io avevo un’ora di pauSa, perciò rimasi in aula a riordinare le mie cose. Uscii solo quando il professore se ne era andato. Cominciò a squillarmi il telefono: Calum.
« Cal! » esclamai, portandomi il cellulare all’orecchio.
« Hey Amy, come stai? » mi chiese.
« Tutto bene, tu? »
« Alla grande! Mi hanno anticipato di una settimana la partenza per Sydney ».
« Davvero? Quindi quand’è che arrivi? »
« Venerdì della prossima settimana ».
« Non vedo l’ora di vederti. Sai già dove alloggerai? ».
« Un appartamento non molto lontano dalla casa editrice, credo si trovi in Roadcost Drive ».
« Non è molto lontano dal campus ».
« Allora posso venirti a trovare nel week-end? ».
« Certo! » esclamai. Ero felicissima che Calum venisse a Sydney, nonostante tutto gli volevo ancora bene e sarebbe stato bello avere un pezzo di casa qui con me. Qualcuno che mi ricordasse la mia vita di prima. Vidi Ashton in lontananza e pareva avanzare verso di me, sbuffai. « Ora devo andare, Cal, ti richiamo dopo ».
Mi salutò e io terminai la chiamata, riponendo il telefono nella borsa mentre Ashton si avvicinava sempre di più. Cominciavo a credere che mi seguisse, o che saltasse le lezioni per farlo. Dopotutto, si era iscritto per controllare me, non per studiare. Stavolta non c’era Valerie – ma comunque non avrei mai messo lei in pericolo per evitare Ashton – in compenso, però, c’era un corridoio pieno di gente. Quello servì a calmarmi un po’, ma non avrei immaginato che ad Ashton importasse poco e niente degli altri studenti.
« Amelia » mi richiamò. Provai un brivido nel sentire il mio nome detto con un tono così profondo e minaccioso. Non preannunciava niente di buono e sapevo di averlo fatto arrabbiare. Sapevo anche che era la mia paura a rendermi così debole, quindi avrei dovuto dimostrargli di non essere affatto intimorita da lui, la cosa non era facile, però.
Mi girai, consapevole del fatto che se avessi continuato a camminare, sarebbe stato capace di rincorrermi per tutto il campus. « Irwin ».
« Che problema hai con il mio nome? » continuò, avanzando lentamente verso di me.
« Mi fa solo schifo e non voglio darti troppa confidenza, quindi credo che il tuo cognome sia perfetto » ribattei, con il tono più spavaldo e irritante che avevo. Lo vidi sbuffare.
« Non mi sei piaciuta, questa mattina » disse, accorciando ancora di più la distanza che c’era tra di noi.
« E tu non mi piaci mai, non vedo dove sia il problema » sospirai tranquillamente, abbozzando un sorriso.
« Ti sei già dimenticata le nostre regole per andare d’accordo? » chiese.
« Il fatto è che io non voglio andare d’accordo con te, ve bene? Sono altamente stufa. Sei qui, mi hai terrorizzata, terrò la bocca chiusa e non dirò niente a nessuno. Esci dalla mia vita, non te lo chiederò per favore, » dissi acidamente. Lui mi toccò il braccio come se non avesse ascoltato niente di quello che avevo detto. « Non mi toccare ».
« Non mi pare di desse tanto fastidio l’altra sera, » mi rispose lui, salendo fino a sfiorarmi la spalla. « Oppure quella che mi ha baciato non eri tu? ».
« Ero ubriaca » tentai di giustificarmi.
« Oh, lo so. Ma vedi, anche gli ubriachi possono fermarsi se vogliono. Tu non l’hai fatto » continuò Ashton.
« Perché non ti sei fermato prima tu, allora? » chiesi io.
« Non volevo farlo » rispose.
« Non voglio più avere niente a che fare con te. Non ho paura, il tuo giochetto non funziona più » dissi io, distogliendo la sua attenzione dalla festa. Non volevo più parlare di quello. D’ora in poi non lo avrei più guardato in faccia, non lo volevo più nella mia vita. Ero stufa di giocare. « Ho capito i tuoi trucchetti, puoi portarmi alle feste, puoi pagarmi vestiti d’alta moda, puoi provare a terrorizzarmi con le tue frasi da serial killer, ma io non ci casco più » continuai. « E tanto per la cronaca, non verrei a letto con te nemmeno se mi pagassero ».
« Sai cosa mi sta trattenendo in questo momento dallo staccarti le labbra a morsi contro questo muro? » iniziò. Lo guardai in silenzio, in attesa che continuasse. « Autocontrollo, quando finisce io perdo la pazienza. E tu lo stai consumando davvero tanto, in questo momento ».
Scrollai le spalle e lo vidi sorridere. « Tu credi che io non sia capace di farlo davanti a tutta questa gente, non è vero? ».
« Esattamente ».
Risposta sbagliata.
Mi ritrovai per la seconda volta intrappolata tra Ashton e un muro, le sue mani sui fianchi e le sue labbra muoversi con prepotenza sulle mie. Gli misi le mani sulle spalle per allontanarlo, ma non riuscii a spostarlo di un millimetro e mi ritrovai a baciarlo di nuovo, contro il muro del corridoio del campus, in mezzo ad un mare di gente. Mi morse il labbro inferiore e sentii il sapore del sangue in bocca, poi si allontanò all’improvviso, lasciandomi col respiro affannato e l’incredulità negli occhi.
« Consideralo un assaggio di quello che posso farti » mi sussurrò all’orecchio, prima di fare dietrofront e sparire dalla mia vista. Rimasi ad osservarmi intorno spaesata per qualche secondo, poi mi portai un dito alle labbra, quando lo ritrassi, era sporco di rosso.

 
***
 
Passai tutto il pomeriggio in camera a studiare e a ricopiare gli appunti di letteratura che Luke mi aveva passato. Valerie aveva visto un film e poi si era chiusa in bagno per prepararsi. Usciva con un certo Thomas, quella sera, quindi io sarei rimasta in stanza da sola.
Non negavo a me stessa che mi avrebbe fatto bene passare un po’ di tempo con il mio computer e il mio letto, senza le occhiate assassine di Valerie che, dopo avergli detto che non ero minimamente interessata ad Ashton, aveva deciso di mettermi il broncio perché secondo lei non si poteva non concedere una chance a quel ragazzo.
Meglio sorvolare.
Erano all’incirca le otto quando finii di studiare, gli appunti di Luke non mi servivano più e inoltre morivo di fame, quindi decisi di andarglieli a restituire e poi di fare un salto giù in cucina a prendermi qualcosa da mettere sotto i denti.
Scesi le scale tranquillamente e arrivai di fronte alla stanza 174, bussai e aspettai che Luke venne ad aprirmi. Peccato che a farlo non fu lui. Quando mi ritrovai davanti Ashton, il mio cervello si spense completamente. Avrei voluto andarmene e scappare, perché io volevo evitarlo il più possibile e perché credevo che fosse ancora arrabbiato per quello che era successo quel giorno.
« Sono.... sono venuta a portare gli appunti a Luke » dissi, ancora in corridoio. Lui non spiaccicò parola e mi guardò, come sempre, con il suo solito sguardo indecifrabile. Era impossibile pensare a cosa stesse pensando anche guardandolo negli occhi. Sembravano spenti e vuoti. « Glieli puoi dare tu? ».
« Entra, » mi disse. Il suo tono non lasciava trapelare alcuna emozione. Di solito era sempre divertito, o minaccioso, o sembrava prendermi per il culo, ma stavolta era totalmente apatico. Ed era strano, perché non l’avevo mai visto così. « Luke tornerà a momenti ».
Sospirai ed entrai nella stanza, chiudendomi la porta alle spalle. Non vi avevo mai fatto molto caso, la loro stanza era molto simile a quella mia e di Valerie. Un letto addossato al muro, un comodino e poi subito un altro letto, alla cui sinistra c’era l’armadio. Non appena si entrava, a sinistra c’era un’altra porta, quella del bagno, a destra due scrivanie e un cassettone e dritto per dritto una finestra. La loro dava sul parcheggio posteriore mentre la nostra dava sul cortile.
Mi misi seduta su uno dei due letti e fissare un punto vuoto. Aspettare lì a far nulla con Ashton che camminava avanti e indietro per la stanza era parecchio snervante, ma non volevo parlare con lui.
« Sai che quello è il mio letto? » mi chiese, facendomi alzare lo sguardo su di lui.
« Non ho cinque anni e non mi sposterò su quello di Luke solo perché non mi sei simpatico » ribattei io, scocciata. Lui accennò un sorriso, fu il primo briciolo di emozione che gli vidi sul volto da quando ero entrata.
« Posso? » chiese ancora, indicando lo spazio accanto a me. Annuii, anche se molto confusa. Prima mi baciava contro la mia volontà e adesso si premurava addirittura di chiedermi se poteva sedersi accanto a me? Strano, quel ragazzo era strano.
« Non dirò niente. Te lo giuro, il tuo lavoro è al sicuro. Non ne farò mai parola con nessuno, solo... puoi lasciarmi in pace? » chiesi all’improvviso.
« Il punto, Amelia, è che ormai tu sei diventata una mia questione personale, il lavoro non c’entra più niente... quasi » mi rispose lui con assoluta tranquillità.
« Una tua questione personale? » ripetei, incredula.
« Sarebbe complicato da spiegare ».
« Ti posso chiedere una cosa? » iniziai con cautela, decisa a sviare l’argomento. Non volevo che si parlasse di me. Lui mi fece di sì col capo. « Perché lo fai? ».
« Perché faccio cosa? » mi domandò lui.
« So cosa sei. Un sicario, uccidi le persone per soldi, lavori per qualcuno. Ora, la mia domanda è: perché? Non ci credo che lo fai solo per il denaro » dissi. Parlare del “lavoro” di Ashton con lui non era una cosa che mi terrorizzava più. Pian piano avevo imparato a conviverci e avevo sempre saputo che dietro ogni azione c’è un motivo. Michael me lo aveva confermato raccontandomi la sua storia, dicendomi che il motivo di tutte le sue azioni era sempre stata solo Valerie e il volerla proteggere.
« I soldi sono molto utili » sbuffò lui.
« Ma non sono l’unico motivo. Cosa ne pensano le persone che ti vogliono bene, la tua famiglia? Tu... pensi davvero che i soldi siano più importanti dell’affetto di qualcuno? Tu vuoi bene a qualcuno, Ashton? »
Lui esitò per un momento, abbassò lo sguardo a terra e per un breve istante mi sembrò innocuo e indifeso. Quando rialzò il capo, l’ombra di quel sorrisetto divertito che gli avevo visto prima era sparita del tutto, e il suo volto adesso era di nuovo una pagina bianca, senza emozioni disegnate sopra. Nemmeno un velo di tristezza, nostalgia o ricordo. Niente di niente.
Ma dopotutto, cosa mi aspettavo? Che Ashton Irwin avesse dei sentimenti?
« Io non ce l’ho una famiglia ». Fu tutto quello che disse.
« Ma hai Michael, lui non... non è qualcosa tipo il tuo migliore amico? A lui non vuoi bene? » tentai ancora. Non sapevo ancora quanto quella missione in cui mi stavo cacciando potesse essere pericolosa. E non fisicamente. Era pericolosa per entrambi, ma io non me ero ancora resa conto.
« Io e Michael non siamo amici. Lavoriamo insieme e basta. Io non sono capace a voler bene, Amelia. A nessuno importa di me, quindi, perché a me dovrebbe importare qualcosa degli altri? ».
Rimasi in silenzio per quelli che sembrarono due minuti buoni. La verità era che non riuscivo a trovare una risposta abbastanza sensata per fargli cambiare idea. Forse mi sbagliavo, Ashton provava davvero qualcosa, solo che non se ne accorgeva nemmeno lui. Forse, i suoi sentimenti erano stati sepolti da qualche parte dentro di lui molto tempo prima e Ashton non aveva ma trovato il modo di disseppellirli e risvegliarli. Non dissi niente. Mi limitai ad alzarmi e feci per avvicinarmi alla scrivania per lasciarci sopra gli appunti di Luke, non volevo più stare lì.
Ashton mi trattenne e io mi voltai a guardarlo. « Non te ne andare » mi disse. Ma il modo in cui mi parlò mi fece aggrottare le sopracciglia. Era stato quasi... dolce?
« Mi dispiace ».
Posai i fogli colorai e mi avviai alla porta, ma nonostante tutto, non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi prima di andarmene.

 

 
 

Marianne's corner
Eccomi! Avevo detto che avrei cercato di aggiornare prima di lunedì, ovvero ieri, ma non ci sono riuscita. Mi dispiace çç comunque, è passata una settimana esatta, quindi non sono poi così orribilmente in ritardo ^^
Allora, questo capitolo è un pochino di passaggio, ma se siete bravi e attenti (e so che lo siete) avrete sicuramente colto un particolare su cui si è soffermata anche Amelia verso la fine del capitolo u.u Il capitolo in cui cominceremo ad intravedere il vero Ashton non è lontanno... in compenso, vi do un piccolo spoiler: nel prssimo capitolo arriva Calum! *O*
Okay, comunque... la scuola è ricominciata anche per me. E ovviamente tutte le idee più BOOM! mi stanno venendo adesso. Spero di continuare a mantenere questo ritmo, quindi per ora diciamo che fisso un giorno d'aggiornamento e che è il martedì. Poi a seconda dell'orario definitvio (aka a seconda dei compiti che devo fare durante la settimana) mi organizzerò un po' meglio e vedremo... :)
Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo: Hazel_, ashton_irwin94, Letzia25, Onedsbreath_, FreeSpirit_ e Aletta_JJ
Un bracione grande,
Marianne ♥



 

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Capitolo 11
*** Calum ***




 
 
11 – CALUM
 
Non parlai più della vita privata di Ashton con lui. Anzi, a dire la verità, non parlai proprio più con lui e basta. Successe solo una cosa molto strana che non seppi riuscire a spiegare a me stessa, qualche giorno dopo la nostra conversazione in camera sua.
Mi abbracciò.
Non so come successe, eravamo al bowling con Valerie e Luke, ennesima uscita organizzata da questi ultimi due che volevano far diventare Ashton parte integrante del loro gruppo. Prima di andarcene, mentre Luke era in bagno e Valerie al bar, Ashton si alzò dal divanetto e mi circondò con le braccia. Rimanemmo un po’ in quel modo, e riscoprii che era addirittura una cosa piacevole.
La testa appoggiata al suo petto, le sue braccia attorno alle spalle e il sentire il suo cuore battere da sotto la maglietta e da sotto la pelle. Entrargli nelle ossa e rimanere lì, ferma e immobile dentro il suo abbraccio. Stranamente, tutto quello mi fece sentire inspiegabilmente protetta. Mi chiesi come avrebbe potuto essere la mia vita se Ashton avesse tenuto veramente a me, invece di odiarmi. Probabilmente ne sarei uscita pazza comunque, ma avrei avuto decisamente meno paura ad incontrare quello sguardo brillante ma decisamente vuoto. Non avrei avuto paura di lui, non l’avrei ritenuto una persona senza cuore, non mi sarei comportata allo stesso modo.
Però, mi bastava ripensare a Valerie e a Michael, a lui che aveva fatto tutto per proteggerla e a lei che lo credeva un mostro. Ripensandoci, se Ashton avesse tenuto a me, le cose non sarebbero state poi così diverse. Almeno Michael era davvero una persona innocente, non costringeva Valerie ad accompagnarlo alle feste, non si fissava con un’unica idea, non diventava strano. Michael era semplicemente Michael e continuava a vivere nell’ombra, come aveva sempre fatto.
Guardavo Valerie e volevo poterle dire che Michael non meritava il suo odio perché era una persona buona, ma come avrei potuto spiegarle ogni cosa senza terrorizzarla a morte?
Più passavano i giorni, più mi sentivo una stupida. Non avrei dovuto lasciare che niente di quello accadesse. Non avrei dovuto mai rivolgere la parola a Michael, oppure, subito dopo aver visto l’omicidio, sarei dovuta filare in commissariato e denunciare entrambi. Ashton in prigione mi avrebbe dato sicuramente molti meno problemi. Ero stata una vera stupida, paralizzata dalla paura e dalle minacce. E se credevo che fosse tutto finito, mi sbagliavo. Faticavo ancora a realizzare, a volte, che Ashton aveva mollato qualsiasi fosse il posto in cui viveva prima per iscriversi all’università. A lui non interessava nemmeno, pagava una retta universitaria solo per controllare me. Aveva falsificato un certificato medico per potersi iscrivere un mese dopo. Solo perché era ossessionato dall’idea che io potessi aprir bocca.
Ma poi mi aveva detto che io, col suo lavoro, non c’entravo più niente. Sapeva che non ero abbastanza impavida da dire tutto alla polizia, e allora ero automaticamente diventata una sua “questione personale”. Mi ci arrovellai delle notti, su quella definizione.
Cosa voleva dire? Che adesso era rimasto lì, non per controllarmi, ma per passare del tempo con me? Mi sarei categoricamente rifiutata per tutta la vita di ammettere che uno come Ashton potesse provare qualcosa per me, o qualcosa in generale. Dentro di me, una fastidiosa vocina mi suggeriva che si trattava solo di sesso. E molto probabilmente aveva ragione... ma perché me? Se Ashton voleva soddisfare i suoi bisogni fisici poteva farlo con chiunque accettasse di farlo, ogni sabato sera c’era una festa alla confraternita, avrebbe potuto provare lì. Ma non con me, io non gliel’avrei permesso.
Davo un profondo significato ai gesti d’amore. Chiariamoci, non ero una sorta di puritana secondo cui il sesso andrebbe bandito da ogni conversazione pubblica, e non ero una di quelle che si prefissavano di arrivare vergini al matrimonio, credevo solo che si dovesse fare con qualcuno che si amava, o almeno, qualcuno a cui si teneva almeno un po’. Io l’avevo fatto con Calum, perché lo amavo e tenevo a lui. Ashton non avrebbe mai raggiunto il suo livello, perché in quel momento, per lui provavo solamente tanta confusione e ribrezzo.
Era sabato pomeriggio, il giorno prima io e Calum ci eravamo messi d’accordo per vederci direttamente fuori dal campus e andare a bere qualcosa insieme. Eravamo rimasti davvero in ottimi rapporti e quella sarebbe stata una semplice serata tra amici, nulla di diverso da quelle che passavo con Valerie o Luke.
Non vedevo Calum da ancor prima di partire, per questo mi mancava molto. Io e lui avevamo sempre avuto un legame speciale, non me lo ero mai spiegato, però quella sensazione di benessere era lì, costante, e spariva solo quando non ero assieme a lui.
Ero appoggiata al cancello dell’università quando una macchina grigia accostò, il finestrino si abbassò e scorsi il viso sorridendo di Calum guardarmi dal posto del guidatore. Calum era bello in modo particolare: aveva gli occhi caldi, color nocciola, e i capelli scuri, la pelle che sembrava costantemente abbozzata e per cui io lo invidiavo tantissimo, lamentandomi della mia carnagione lattea.  Da sempre ero affascinata dai suoi occhi scuri e dalla sua risata. Mi staccai dal cancello ed entrai in macchina, sedendomi a canto a lui. Lo abbracciai e solo allora capii quanto mi fosse mancato qualcosa che mi ricordasse casa, anche in minima parte. Qualcosa che mi ricordasse la mia vecchia vita, ma che non mi facesse sentire oppressa. E Calum era proprio quella cosa. Calum era il mio ritorno a casa, ma era anche il mio nuovo inizio. Era tante cose, era stato il mio compagno di vita, quello con cui avevo affrontato ogni avventura, non ero mai stata pronta a dirgli veramente addio e averlo lì con me mi faceva sentire bene.
« Dove la porto, miss Hogan? » disse scherzosamente. Io scoppiai a ridere mentre mi allacciavo la cintura di sicurezza.
« A lei la scelta, signor Hood » replicai io.
« Bene » disse Calum, ingranò la marcia e partì. Ci lasciammo il campus alle spalle, e mentre il vento autunnale entrava nell’auto e mi scompigliava a i capelli, mi dimenticai di tutto per un lungo istante: mi dimenticai di Michael, dei suoi problemi con Valerie, di Ashton, dei suoi improvvisi sbalzi d’umore, della festa a cui mi aveva portata. Niente di quello sembrava essere accaduto, nella mia testa.
Dopo venti minuti in macchina, circa, arriviamo di fronte un locale che dalla strada sembra molto carino. Lessi che era una pizzeria e un pub insieme. Conoscendo Calum, sapevo che avremmo mangiato una pizza e poi, forse, qualche drink. Calum era come me: semplice, con grandi aspettative, un sogno.
Calum voleva diventare un giornalista, io volevo fare qualcosa di memorabile. Per questo lui aveva ottenuto uno stage da un’importante casa editrice che avrebbe potuto indirizzarlo in qualche redazione e io ero scappata da Nedlands. Tra le mie ambizioni c’era quella di scrivere un libro, o diventare un personaggio importante nel mondo dello spettacolo. Ovviamente non un’attrice o simili, mi sarebbe bastato lavorare dietro le quinte, portare avanti progetti che avrebbero avuto il mio nome stampato sopra.
Calum parcheggiò e io balzai fuori dalla macchina. Era così diverso da Ashton. Lui non si comportava come se avesse il pieno controllo su di me, Calum mi faceva sentire decisamente più a mio agio, dopotutto, eravamo cresciuti insieme. Da piccoli mandavano i palloni nel giardino della signora Nicholson e ci nascondevamo nel retro della piccole libreria che gestiva suo padre, per non farci beccare. Alle scuole medie avevamo saltato scuola per andare in pasticceria a prendere le famose paste alla crema della signora Fisher, ma lei aveva raccontato tutto a mia madre, che aveva detto tutto ai genitori di Calum, ed eravamo finiti in punizione per due settimane. Avevamo passato così tante cose insieme, e mi sembrava che fosse passato pochissimo tempo, mentre in realtà erano stati anni.
Il locale era un posto carino, non troppo buio, non molto affollato, la musica era fantastica. Calum mi indicò un tavolo abbastanza appartato e io mi misi seduta di fronte a lui. Arrivò una cameriera a prendere le ordinazioni e parlammo per tutto il tempo.
Parlare con Calum di ogni mio problema mi era mancato, ma mi sentivo davvero uno schifo e mentirgli su alcune cose e a nascondergli il problema più importante della mia vita.
« Sei già andato a lavoro? » gli chiesi, mentre aspettavamo le nostre pizze.
Lui scosse la testa. « Inizio lunedì mattina, non vedo l’ora. Sarà una fantastica esperienza anche se non mi prendono ».
« Ma ti prenderanno, Calum. Sei eccezionale, li ho letti tutti gli articoli che scrivevi per il giornalino della scuola, sai? » ribattei io. Lui sorrise.
« Certo che li hai letti, me li correggevi tu » rise lui. Vero. Quando stavamo insieme leggevo gran parte delle cose di Calum prima che lui le presentasse a scuola, solo perché era convintissimo che avessi le capacità per farlo. Un’altra cosa che adoravo di Calum era che lui credeva in me e mi spronava a credere in me stessa. Era solo grazie a lui se avevo acquistato autostima negli ultimi anni e, paradossalmente, era stato grazie alle basi che mi aveva regalato giorno per giorno che avevo affrontato la rottura senza troppe tragedie. Avevo affrontato un cuore spezzato senza piangerci sopra e lo dovevo tutto a lui.
« E all’università come va? » mi chiese, cambiando argomento.
« Bene, » risposi io inizialmente. « Tra poco ci saranno i test di metà semestre e inizieranno ad indirizzare le persone più meritevoli per diversi stage, quindi devo mettermi sotto ».
« Ma mi pare che tu ti sia già fatta notare o sbaglio? » disse Calum, sorridendo. Abbassai lo sguardo, si riferiva al concorso che avevo vinto.
« Sì, » ammisi. « Ma non so quanto conti effettivamente. Luke ha detto che un concorso da queste parti non è mai un concorso, serve solo a... svelare talenti, quindi non so davvero che pensare ».
« Che ti hanno scovata e che sarò la prima persona a comprare il tuo primo romanzo. Oh, e voglio l’autografo » mi disse.
Risi. Calum era simpatico, dolce, divertente. Ci eravamo lasciati per colpa della distanza, lui mi aveva lasciato dicendo che non sarebbe riuscito a sopportare niente di tutto quello. Ma adesso era lì, e ci sarebbe rimasto per sempre se l’avessero assunto, dopo lo stage. Mi chiesi se ci fosse ancora un po’ di speranza, per noi due.
« Guarda che pubblicare un libro non è una passeggiata! » esclamai divertita. « Non saprei nemmeno da dove iniziare... ».
« Be’, prima di tutto deve venirti l’ispirazione. Poi pensaci, se mi prendono e se riesco a farmi strada nel mondo dell’editoria, potrei indirizzarti a qualcuno. È tutta una cosa molto ipotetica, lo so, ma sei stata tu a dirmi di credere nei sogni, e allora perché non lo facciamo? ».
Lo guardai, in cerca delle parole da dire. Calum mi lasciava sempre senza fiato, qualsiasi cosa dicesse o facesse. « Perché la vita non è un sogno, forse » risposi. Le mie ultime esperienze me lo avevano insegnato piuttosto bene.
« Ma si basa su di essi, » ribatté Calum. « Senza i nostri sogni non saremmo qui a Sydney, ci hai mai pensato? ».
Aveva ragione. Calum era sempre stato il più razionale, tra noi due. Quello che guardava in faccia la realtà e arrivava sempre alla giusta conclusione. « Già, » sospirai. « Senza di loro forse saremmo ancora a Nedlands a tirare palloni nel giardino della signora Nicholson ».
« Forse » rispose Calum, sorridendo divertito. « O forse saremmo già incastrati lì con una casa e un matrimonio organizzato nei minimi dettagli ».
Abbozzai un sorriso. « E probabilmente io avrei indossato il vestito di mia madre, che era di mia nonna, che lo aveva ricevuto della mia bis-nonna, che probabilmente l’aveva preso alla mia trisavola e... oh Dio, avrei indossato un vestito risalente alla colonizzazione dell’Australia! » esclamai. « Non posso immaginare niente di peggiore ».
Calum scoppiò a ridere e io lo seguii a ruota. Adoravo passare il tempo assieme a lui, anche quando non stavamo insieme, perché era l’unico ad avere la capacità di farmi sorridere con un nonnulla. Perché mi capiva al volo, perché sapeva sempre cosa mi passasse per la testa.
E in quel momento, capii che non mi era mancato un pezzo di casa, mi era mancato proprio lui. Semplicemente Calum.

 
***
 
Quando Calum mi riaccompagnò al campus, quasi non volevo scendere dalla macchina. Lui mi accompagnò fino alla porta principale del dormitorio e lo trovai un gesto estremamente carino. Un gesto da Calum.
« Senti, ho pensato ad una cosa ultimamente » iniziò, quando arrivammo sotto la grande porta.
« A cosa? » chiesi dolcemente.
« Io rimarrò qui per il prossimo mese, se mi prendono mi trasferirò definitivamente. Quindi ho pensato che... sai, noi potremmo... riprovarci, in qualche modo, » sospirò, abbassando lo sguardo a terra. Stranamente, tutta quella conversazione non mise in imbarazzo nessuno dei due. Conoscevamo entrambi il motivo della nostra separazione, e ora quel motivo sembrava essersi dissolto nel nulla. « Intendo, non da subito se non vuoi. Ma possiamo riabituarci all’idea di passare del tempo assieme, come una volta, che ne dici? »
Rimasi in silenzio per un attimo. « Sai, Cal, ho provato a pensare che partendo per Sydney e andando così lontano avrei dimenticato tutto, avrei ricominciato una nuova vita. Ma sai che c’è? Io non riesco a dimenticarti, almeno non come vorrei e... » mi fermai per un attimo. Cosa stavo dicendo? Volevo davvero tornare insieme a Calum o lo stavo facendo solo perché pensavo che avrebbe potuto proteggermi da Ashton? No, non avrei dovuto metterlo in mezzo a tutto quello. « Sei libero sabato sera? ».
Un largo sorriso si fece largo sul volto di Calum. « Sì! Cioè, certo che sì ».
« Bene, stesso posto e stessa ora? » chiesi, guardandolo negli occhi.
Calum annuì e mi abbracciò, strofinandomi la schiena. Oh, mi erano mancati così tanto gli abbracci di Calum. Mi era mancato il modo in cui i nostri corpi scivolavano l’uno sull’altro in modo perfetto, nonostante le loro imperfezioni. Mi era mancato sentire il suo mento sulla mia testa e il calore delle sue braccia attorno a me. Chiusi gli occhi e mi abbandonai completamente a quella sensazione di benessere che dopo tanto tempo era tornata. « Ti voglio bene, Amy ».
« Anche io, Cal, » sussurrai in risposta, contro il suo petto. « Anche io ».
Quando mi staccai da lui, Calum mi salutò e tornò in macchina. Aspettai che sparisse dal mio campo visivo prima di entrare nel dormitorio.
Alla base delle scale, trovai Ashton appoggiato al muro. Controllai l’ora, era quasi mezzanotte, che ci faceva lì in piedi? Lo osservai per un momento e mi feci coraggio. « Aspetti qualcuno? » gli chiesi.
Lui posò lo sguardo su di me, e di nuovo i suoi occhi erano vuoti. « Sì » mi rispose semplicemente.
« Bene » dissi, feci per salire il primo gradino, ma la sua voce richiamò la mia attenzione.
« Aspettavo te » disse.
« Cosa? ».
« Volevo sapere se... stavi bene. Luke mi ha detto che uscivi con un tipo ».
« Certo che sto bene. Con chiunque altro sono più al sicuro che con te » sibilai, cominciai a salire le scale, ma nessuna voce mi richiamò.

 

 
 

Marianne's corner
Hola girls! A scuola ho ancora l'orario provvisorio, quindi aggiorno ancora di martedì, poi si vedrà. Allooora, ho tantissime cosette belle da dirvi, ma andiamo con ordine: ecco a voi l'attesissimo capitolo con Calum! Finalmente è entrato in gioco anche lui, che ne pensate? Amy sta facendo bene a riprovarci? Dopotutto, si erano lasciati per via della distanza, e ora la distanza non c'è più u.u vedremo come andrà a finire..
Poi, se avete letto attentamente soprattutto la parte finale, avrete colto un altro vitale particolare su uno dei nostri personaggi u.u
E infine, una cosa che col capitolo non c'entra nulla, ma credo che potrebbe interessarvi un po': da qualche tempo, la mia mente malata ha plottato tutto il resto della storia, nel senso, ho deciso cosa far succedere e come, deve ovviamete essere tutto scritto, ma diciamo che almeno ho delle idee ben precise. Volevo far finire la storia in un certo modo, poi mi sono resa conto che così facendo liquiderei una cosa troppo importante in troppi pochi capitoli, quindi invece di fare un cosa lunghissima di 40 e passa capitoli, ho deciso che se mai riuscirò a finire questa *rullo di tamburi* scriverò un sequel!
Che non ha ancora un nome preciso, ma tralasciamo. L'idea base ce l'ho, devo solo arricchirla con più particolari (e un po' di nuovi personaggi ;)), ma ci sarà tempo! :D
Niente, era per dire che quando Indaco finirà, se la mia vita scolastica e non (ma quale?) me lo permetterà, non sarà ancora finita per davvero u.u
La smetto di blaterare e passo a ringraziare tutti voi che seguite/preferite/ricordate la storia, vi ringrazio perché siamo arrivati a 85 recensioni in dieci capitoli e ovviamente, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo:
ashton_irwin94, Hazel_, Letizia25, FreeSpirit_, jale90, Flawsnow, Onedsbreath_ e cliffordsjuliet vi prometto che stasera o al massimo domani rispondo a tutti, ora devo proprio andare ç_ç
Bacioni,
Marianne



 

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Capitolo 12
*** Complicazioni ***




 
 
12 – COMPLICAZIONI
 
Uscire con Calum mi fece parzialmente dimenticare tutti i problemi che avevo. Per tutta la settimana seguente, non feci altro che sorridere e non pensai minimamente ad Ashton. Fu meraviglioso perché per una sera ebbi di nuovo la mia vecchia vita, fui di nuovo la vecchia me e capii che stare con Calum mi faceva davvero bene.
Era passata una settimana esatta da quando l’avevo rivisto, studiare era diventato improvvisamente più leggero, addormentarsi era più facile, fingere di stare bene era una passeggiata perché non c’era più bisogno di mentire a nessuno.
L’unica cosa che, come al solito, mi turbava leggermente era Ashton e il suo essere incredibilmente taciturno, non mi rivolgeva la parola, e se da una parte mi sembrava una cosa positiva, dentro di me avevo un bruttissimo presentimento: stava tramando qualcosa. Avrei dovuto prepararmi ad un mare di guai, perché se Ashton Irwin tramava qualcosa, non sarebbe finita bene per nessuno.
Tuttavia, quel sabato sarei uscita di nuovo con Calum e la cosa non poteva che farmi piacere. Non sarebbe stato tanto difficile tenere Ashton fuori dalla mia testa per una sera, no? Era una fastidiosa sensazione, quella di pensare costantemente a lui e al suo essere così impenetrabile. Ripensai all’ultima volta che mi aveva parlato, ovvero sabato scorso, quando mi aveva chiesto se stessi bene, e ripensai alla mia risposta tagliente. Forse lo avevo ferito, una frase del genere avrebbe ferito chiunque. Ripensai a tanti giorni prima, quando ero nella sua stanza ad aspettare Luke, quando mi aveva chiesto di rimanere ed io me ne ero andata.
Ero stata piuttosto fredda con lui, negli ultimi tempi, e all’improvviso mi sentii in colpa. Come facevano le persone come Ashton a provare affetto per qualcuno se nessuno gliene dimostrava mai?
Smisi di pensarci quando l’auto di Calum fece capolino dietro il cancello del campus. Salii in macchina e i miei nervi si rilassarono tutti insieme. Lo salutai con un bacio sulla guancia e mi sembrò di essere tornata ai vecchi tempi, in cui tutto era facile, in cui tutto era normale. Come aveva fatto la mia vita a trasformarsi in quel modo? E dire che se non fossi andata a cercare nessuno, quella notte, non ci sarei mai finita in quel guaio. Poteva una semplicissima azione comportare tutte quelle cose? A fatica, dovetti ammettere che sì, era perfettamente possibile.
Quella sera, non andammo a mangiare una pizza, bensì Calum mi portò in un bar sul lungomare. Il Pacifico visto da Sydney era qualcosa di meraviglioso. Era guardare l’orizzonte e sapere che dall’altra parte c’era un altro continente, un altro Stato. Un mondo tutto nuovo. Le luci della città si riflettevano sull’acqua, e anche se faceva piuttosto freddo, era una vista fantastica. Non avevo mai visto un panorama così mozzafiato prima d’ora, e in quel momento mi sentii di nuovo come una bambina al suo primo giorno di scuola.
Ordinai un drink che era la specialità della casa, ma solo perché non volevo perdere nemmeno un minuto a leggere tutti i nomi sul cartoncino colorato e perdermi il volto di Calum e l’oceano. Era come se fossi ritornata al nostro primo appuntamento, mezz’ora passata a guardarlo di sfuggita e a sorridere di nascosto. Eravamo così impacciati e per un momento non desiderai altro che tornare a due anni e mezzo prima.
« Ci hai... ci hai pensato? » mi chiese, e in lui rividi il ragazzino timido che mi aveva chiesto se volevo andare al ballo di fine anno con lui.
Lo guardai, sapevo che si riferisse al fatto di ricominciare. Non a stare insieme, ma ad uscire e frequentarci. La verità era che non avevo avuto nemmeno bisogno di pensarci, era da una settimana esatta che avevo preso la mia decisione. Calum mi era mancato e niente l’avrebbe mai sostituito, forse perché non avrei mai trovato qualcuno che si adattasse così bene a me. Non avrei mai trovato qualcun altro disposto ad accettarmi con tutte le mie parti rotte.
Annuii. « Adorerei ricominciare qui a Sydney con te, Calum. Sarebbe perfetto » dissi, sorridendo. Allungai la mano sul tavolino grigio di metallo e trovai le sue dita. Le intrecciai subito con le mie, senza smettere di sorridergli e guardarlo negli occhi.
« Oh, Amy... mi dispiace di essermi comportato così da... da stupido! » esclamò, soffocando una risata. Aggrottai le sopracciglia, divertita dalla sua reazione.
« Per cosa? » chiesi.
« È stato stupido pensare che non potesse funzionare. Ho pensato ancora secondo logica e non ho visto cosa stavo perdendo. E mi sento davvero la persona più fortunata del mondo a riaverti qui con me, adesso. Sei una delle persone più importanti della mia vita, Amy » mi disse.
Sorrisi. Anche per me era più o meno lo stesso. Eccetto mio fratello Josh e i miei genitori, Calum costituiva un pezzo di me da cui non riuscivo a separarmi, come fosse stato un organo vitale.
Poi riprese a parlare, e io non potevo fare a meno di ascoltarlo. « Davvero, grazie per avermi dato una seconda occasione ».
« Cal, non hai mai avuto bisogno di una seconda occasione » sospirai io.
E allora, la consapevolezza di aver ricominciato con Calum, che qualcosa nella mia nuova vita stava andando finalmente per il verso giusto, che mi sentii una normalissima ragazza di diciannove anni che comincia a costruire la sua vita sulle basi di una qualche certezza, mentre il mondo fa di tutto per buttarla giù. Ed era una sensazione meravigliosa.
Io e Calum passeggiammo un po’ sul pontile, dopo, gli strinsi la mano e cominciammo a parlare delle prime cose che ci vennero in mente. Parlammo dell’università, del lavoro, dei progetti per il futuro. E per ultimo, parlammo dei sogni, perché realizzai che anche se la vita non era una di loro, erano l’unica cosa che ci mandava avanti.
Quando mi riaccompagnò, si fermò solo davanti al cancello, dato che gli avevo detto che da lì al mio dormitorio non era molto e non volevo che si desse così tanto pensiero. Non potei però impedirgli di scendere dalla macchina. Certe cose non sarebbero mai cambiate, e se cresci a Nedlands impari a comportarti come si deve e accompagni sempre una ragazza fino alla porta di casa sua. O al cancello del campus, dipendeva dalle situazioni.
« È stata una bellissima serata » dissi per spezzare il silenzio.
Calum annuì e fece un passo verso di me, io l’abbracciai come sabato scorso, però sentivo che mancava qualcosa. Quando ci staccammo, lui non fece il suo solito passo indietro e rimase con le mani appoggiate ai miei fianchi. Sospirò. « Che c’è? » gli chiesi.
« Posso baciarti adesso o il secondo appuntamento è ancora troppo presto? » mi chiese lui, sorridendo.
« Idiota » sibilai io, portai una mano dietro il suo collo e lo attirai a me.
Quando mi baciò, era esattamente come lo ricordavo. Dolce, delicato, semplicemente Calum. Avevo sempre creduto di morire nelle sue labbra e tra le sue braccia, perché Calum aveva un modo di fare calmo, con tutta la lentezza possibile. E lo odiavo a volte, proprio per questo, ma non negavo che in quel modo potessi assaporare ogni momento passato con lui. E dopotutto, c’era un motivo se mi ero innamorata di Calum tanto tempo prima e se ora quel sentimento si stava riaccendendo lentamente.

 
***
 
Mezz’ora dopo mi ritrovavo nella mia stanza, ma di Valerie non c’era traccia. Allora pensai che fosse giù da Luke, anche se era quasi mezzanotte. Era comunque sabato sera e non importava fare tardi, allora senza togliermi le scarpe, scesi e bussai alla porta 174. Mi aprì Luke, sorridente come non mai, Valerie era seduta a gambe incrociate sul suo letto e stava ridendo spensierata.
« Sei già di ritorno? » mi chiese Valerie. « Pensavo che... be’, saresti tornata domani ».
Credo che arrossii fino alla radice dei capelli, ma non vi diedi troppo peso perché una risata proveniente da un angolo della stanza catturò la mia attenzione. Ashton. Non avevo mai ascoltato la sua risata, e mi ritrovai a pensare che fosse bella. Scossi la testa.
« Ne parliamo dopo » dissi, rivolta a Valerie. Poi scoppiai a ridere anche io. E la cosa bella era che non mi importava. Non mi importava di Ashton e di quello che era successo tra di noi, tanto non aveva avuto importanza per nessuno dei due. Ero con i miei amici e volevo solo divertirmi.
Ma forse parlai troppo presto perché Ashton uscì dal suo angolino e mi si avvicinò. Accostò la bocca al mio orecchio e « Posso parlarti un secondo, Amy? » sussurrò. Trasalii quando mi chiamò in quel modo. Solo Calum e la mia famiglia lo facevano. Come lo aveva saputo? Impallidii tutto d’un tratto e annuii. Lo seguì fuori dalla porta senza dare nemmeno una spiegazione a Luke e Valerie.
Mi richiusi la porta alle spalle e vidi che Ashton era appoggiato al muro di fronte a me.
« Che c’è? » chiesi. Forse feci l’errore di guardarlo negli occhi, perché per la prima volta dopo una settimana, rividi di nuovo lo sguardo fiero e sicuro di sé che mi aveva rivolto la prima volta al campus. Uno sguardo che non presagiva nulla di buono e che non aveva niente a che fare con quello che mi aveva rivolto nella sua stanza tempo prima.
« Che nomignolo grazioso che hai, perché non me lo hai mai detto? » mi disse lui, ignorando la mia domanda.
Sospirai. « Solo la mia famiglia mi chiama così » risposi.
« Solo la tua famiglia? » mi chiese ancora lui. « Davvero? ».
Fu qui che cominciai ad avere un brutto presentimento, ma ritrovai quel poco di ottimismo che mi era rimasto e cercai di pensare positivo, cercai di pensare che Ashton mi stesse solo provocando. Eppure, una strana sensazione all’altezza dello stomaco mi diceva che c’era poco su cui essere ottimisti.
E ne ebbi la conferma quando Ashton incrociò le braccia al petto e ridacchiò divertito, guardando il pavimento. « Come sta Calum? ».
Sbiancai. Feci un grande respiro e chiusi gli occhi per un momento. « Sta benissimo » dissi, senza permettere alla mia inquietudine di farsi strada sul mio volto.
« Ne sei davvero sicura? ». Lo guardai male. Perché mi stava facendo tutte quelle domande? Su Calum poi... come faceva a conoscerlo? Nonostante tutto, quel suo modo di fare era troppo ben studiato per essere una cosa casuale e sapevo in qualche strano modo che voleva farmi sapere qualcosa, Ashton era fatto così. « Perché non glielo chiedi? ».
Tirai fuori il telefono dalla tasca e composi il numero di Calum, senza distogliere gli occhi da quelli verdi di Ashton. « Pronto? » mi rispose la sua voce dall’altra parte. Era molto strana però, quasi sofferente. Se non altro era vivo, avevo temuto il peggio.
« Calum sono io...» iniziai con il cuore in gola.  « Stai bene? ».
« No » mi rispose lui, sentivo un rumore in sottofondo, come delle sirene.
« Dove sei? » chiesi allarmata.
« In un lettino a bordo di un’ambulanza » rispose, come fosse una cosa da niente.
Barcollai e mi appoggiai al muro dietro di me. No. Non poteva essere. Cosa gli era successo? Se mi aveva risposto non era niente di troppo grave, ma se non fosse stato urgente non si sarebbe trovato in un’ambulanza.
« Cosa è successo, Calum? » gli chiesi, dopo aver deglutito il groppo che mi si era formato in gola.
« Amy, starò benissimo. Non ti-».
« Cosa è successo? » ripetei con più enfasi. Alzai lo sguardo, Ashton sorrideva soddisfatto.
« Stavo tornando a casa, ho sentito uno sparo. All’inizio sono solo caduto per terra, poi ha cominciato a farmi male la gamba e c’era sangue su tutto il marciapiede e-».
Non lo lasciai finire. C’era un solo nome in cima alla mia lista dei sospetti e si trovava proprio di fronte a me. « In che ospedale ti stanno portando? Cosa ti faranno? Perché ti hanno sparato, Cal? ». Non riuscii a trattenere tutte le mie domande.
« Al St. William, credo. Mi opereranno. Non ne ho idea, Amy, forse non miravano a me, mi sono semplicemente ritrovato in mezzo, non è un bel quartiere quello in cui mi trovo, il paramedico ha detto che è perfettamente plausibile» mi rispose.
« Va bene, io adesso...» iniziai.
« Fatti una dormita, okay? Ho chiamato subito il pronto soccorso, starò benissimo. Buonanotte, Amy ».
 Cadde la linea e poco dopo riposi il telefono in tasca. Avevo appena trascinato Calum nell’unica cosa da cui avrei dovuto proteggerlo. Non mi sarei mai perdonata per quello. Alzai la testa e in un attimo mi avventai su Ashton. Lo spinsi contro il muro con tutta la forza che avevo e gli diedi un ceffone sulla guancia destra, così forte che cominciò a farmi male il palmo della mano. Non importavano le conseguenze, nessuno faceva del male alle persone che amavo.
« Come hai potuto farlo? » urlai. Non mi importava nemmeno che fosse notte fonda, tanto tutto il dormitorio non era in stanza di sabato sera, c’erano solo Luke e Valerie, ma non mi importava nemmeno di loro. « Sei un grandissimo bastardo, Ashton Irwin, anzi no, sei uno stronzo! Hai dei problemi, mi hai capito? Lui non c’entrava niente! Io-». E poi cominciai a piangere, non sapevo se per rabbia o per tristezza. Ashton non si scompose, l’unica cosa che fece fu attirarmi gentilmente a sé e io mi irrigidii all’improvviso. Non volevo toccarlo, mi faceva venire la nausea.
« Io ti odio! » esclamai ancora, tra le lacrime, intrappolata tra le sue braccia.
« Oh, Amy, proprio non capisci? » sussurrò piano, soffiando le parole sulla mia bocca. « Dovevo pur fargli capire in qualche modo che tu sei solo mia ».
« Non toccarmi mai più, non parlarmi mai più » sibilai, divincolandomi da lui. Avevo smesso di piangere per un attimo. « Sei la persona più rivoltante che io abbia mai incontrato ».
Mi avviai verso le scale e le scesi di corsa, ignorando tutti i richiami di Ashton. Uscii dal dormitorio. Non sapevo nemmeno dove andare. Volevo solo urlare e sfogarmi, maledire il destino e le conseguenze. Volevo tornare indietro, rimanere a casa, andare in città con mio fratello, stare con Calum, volevo di nuovo la mia vecchia vita. Volevo essere una persona normale.
Camminai finché non scorsi la villa illuminata in cui Ashton mi aveva portata qualche sabato prima. C’era una festa, non sarebbe stato difficile entrare. Salii le scale della veranda ed entrai, ignorando tutti gli sguardi strani dovuti forse al mio abbigliamento – jeans neri, stivali dello stesso colore e una felpa grigia –, filai dritta nella cucina, ma la trovai stranamente vuota. Allora salii le scale e, facendo affidamento sulla mia memoria, raggiunsi la quarta porta a sinistra. Tirai giù la maniglia e vidi Michael seduto sulla poltrona a leggere. Alzò lo sguardo su di me e assunse un’espressione piuttosto confusa. Chiuse il libro di scatto.
 « Amelia, che ci fai qui? » mi chiese. Si alzò in piedi e mi fece entrare nella stanza, chiudendo la porta.
 Io non dissi niente per un momento. Poi mi misi seduta sul suo letto e « Ashton » mormorai. Non ci fu bisogno di aggiungere nient’altro, che ero già stretta nell’abbraccio di Michael.

 

 

 

Marianne's corner
Eccomi qui! Sono un pelino in ritardo ma mi perdonate perché oggi avevo il compito di arte e ieri dovevo studiare. Però domani ho il compito di greco, quindi questo sarà un angolo autrice leggermente flash. Okay, non uccidetemi. Calum non morirà, staranno tutti benissimo per ora, nessuno ci rimetterà qualche organo vitale e il massimo che posso fare ai miei personaggi è un po' di sofferenza fisica o psicologica, ma niente cose mortali (?). Almeno in questa storia... *si tappa la bocca*
Comunque, mi dispiace per Cal, comparirà ancora nel prossimo capitolo, poi non lo vedremo per un po', poi ricomparirà e poi risparirà e poi lo rivedremo alla fine. E' un po' altalenante la cosa, ma Calum ha la sua importanza nascosta e nel sequel si vedrà ancora di più (ma prima dovrei finire questa ahaha), quindi non temete u.u
Okay, ora il minimo di rapporto costruitosi tra Ashton e Amelia si è completamente sfaldato lol e nessuno sa come si ricreerà. SE si ricreerà. Oddio, mi sento crudele :c
Quindi meglio se me ne vado a studiare ahahaa, ringrazio le nove fantastiche persone che hanno recensito lo scorso capitolo: Letizia25, FreeSpirit_, Hazel_, cliffordsjuliet, trubel, Onedsbreath, MarieCecile, ashton_irwin94 e Aletta_JJ ♥ questa sera se Pindaro e Alceo e tutti gli altri 89178 autori non mi hanno fatto cadere le braccia risponderò per bene u.u
Un bacio,
Marianne





 

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Capitolo 13
*** Sbagli ***




 
 
13 – SBAGLI
 
Impiegai quasi mezz’ora per raccontare a Michael tutto quello che era successo per filo e per segno. Da quando ero ritornata in dormitorio a quando avevo mollato uno schiaffo ad Ashton, per poi andarmene senza una meta precisa. La mia testa mi aveva portata alla confraternita, da Michael, perché forse sapevo che lui era l’unica persona a cui avrei potuto dire tutto senza preoccuparmi delle conseguenze.
La sveglia sul comodino di Michael diceva che era quasi l’una di notte. Dopo avergli detto tutto avevo ricominciato a piangere silenziosamente.
« È tutta colpa mia, » cominciai a vaneggiare. « Solo colpa mia ».
« Autocommiserarti non ti aiuterà, Amelia. Non è colpa tua, stavolta è Ashton ad essersi comportato come un ragazzino. Non puoi precluderti di essere felice ».
« Mi ci puoi accompagnare? » chiesi piano, disegnando cerchi immaginari con le dita sulla stoffa che ricopriva le mie ginocchia.
« Dove? ». Michael si mise seduto accanto a me.
« All’ospedale, » risposi io. « Devo vedere Calum ».
« È notte fonda. Ci andremo domani mattina » mi rassicurò lui. Sospirai e mi alzai di scatto dal suo letto.
« Ci andrò da sola se non mi vuoi accompagnare » stabilii, incrociando le braccia al petto.
« Non essere ridicola, » disse lui, alzandosi. « L’orario delle visite è chiuso, aprirà domani mattina. Non puoi guidare in questo stato a quest’ora, ci finiresti anche tu in ospedale ». Mi prese la mano e mi fece risedere di nuovo sul letto.
« Ma io- » iniziai.
« Tu niente. Dormi, va bene? ». Annuii debolmente e mi tolsi controvoglia le scarpe stendendomi sul letto. Non sapevo dove avrebbe dormito Michael, forse sarebbe rimasto a leggere sulla sua poltrona per tutta la notte. Tuttavia, il suo letto era piuttosto grande e non fui poi così tanto sorpresa quando sentii il materasso alla mia destra abbassarsi.
« Buonanotte, Michael » sussurrai, prima che lui spegnesse la luce.
« Buonanotte, Amelia » mi rispose lui. Poi la stanza calò nell’oscurità e io sentii le palpebre appesantirsi sempre di più, finché non scivolai nel sonno.

 
***
 
La mattina dopo mi svegliai con la schiena appiccicata al corpo di Michael, il suo braccio sul fianco e la mia mano nella sua. Non sapevo come ci fossi finita così, allora mi scostai lentamente, cercando di non svegliarlo. Erano le otto del mattino, avevo dormito per sette ore filate senza nessun tipo di incubi.
« Mhmm, » mugugnò Michael, aprendo gli occhi. Non appena notò la nostra posizione si staccò immediatamente. « Scusa, non sono abituato a dormire con qualcuno ».
Scossi la testa. « Non ti preoccupare » dissi io. Mi rimisi le scarpe e andai a controllarmi davanti allo specchio sopra il cassettone. Avevo un aspetto orribile, il trucco colato della sera prima mi si era appiccicato sul viso e avevo i capelli arruffati in maniera improponibile.
« Michael, dov’è il bagno? » chiesi, avevo assolutamente bisogno di sciacquarmi la faccia.
« In fondo al corridoio, ma bussa tre volte prima. Non si sa mai, dopo una festa » mi rispose, accennando un sorriso. Provai a sorridere anche io, ma non ci riuscivo. Erano successe troppe cose e un sonno di sette ore non era riuscito a riparare niente. Probabilmente, una parte di me sarebbe rimasta profondamente segnata da tutto quello. Per sempre. Non mi sarei mai liberata di quel ricordo e tremavo al solo pensiero. Raggiunsi la porta in fondo al corridoio e bussai tre volte, come aveva detto Michael, non ricevetti alcuna risposta, allora entrai.
Fortunatamente, non mi imbattei in nessuno. Aprii la manopola dell’acqua fredda e la lasciai scorrere un po’ nel lavandino, evitando la mia immagine riflesse nello specchio che avevo davanti. Trasalii quando l’acqua gelata toccò il mio viso, ma almeno mi ripulii di tutto lo sporco.
Feci per ritornare in camera di Michael, ma lui era già fuori la porta, appoggiato al muro con le braccia incrociate. Controllai di avere un elastico insieme a tutti gli altri braccialetti che indossavo e raccolsi i capelli in una coda alta.
« Andiamo » mi disse lui. Annuii e scendemmo le scale. Il mio telefono nel frattempo si era completamente scaricato ed era meglio così: non volevo che Valerie o Luke mi chiamassero per chiedermi che fine avessi fatto, o se stessi bene, o perché mi fossi messa ad urlare in quel modo. Erano tutte domande a cui non potevo rispondere, tanto valeva non farlo.
Al piano di sotto regnava ancora il disordine più totale, c’erano delle persone addormentate sui divani e tutti i residui della festa erano ancora lì. Michael non vi fece caso e mi fece strada verso il parcheggio. Raggiungemmo un’automobile sportiva nera, che all’apparenza sembrava davvero molto costosa. Non feci domande e salii sul posto del passeggero.
Non avevo molta voglia di parlare, a dir la verità, nonostante Michael fosse l’unico che aveva potuto ascoltarmi e l’unico che mi stava accompagnando in ospedale. L’unico che poteva farlo, perché a Luke e Valerie non avrei mai potuto dire niente.
Furono quindici minuti di pura agonia. Passai tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, ogni tanto lanciavo uno sguardo a Michael, ma teneva gli occhi puntati sulla strada e le mani ben ferme sul volante. Non riuscivo a capire cosa gli stesse passando per la testa, avevo addirittura paura che fosse arrabbiato con me o che gli scocciasse dovermi accompagnare in ospedale. Dopotutto, avevo una macchina ed ero perfettamente capace di andarci da sola, ma credevo che avere qualcuno al mio fianco mi sarebbe stato d’aiuto.
Michael parcheggiò all’esterno, dato che c’erano ancora dei posti liberi, essendo mattina presto. Aspettai che scendesse dalla macchina prima di fiondarmi dentro l’edificio. Chiesi informazioni alla donna dietro il bancone della reception, con una certe urgenza nella voce, lei mi rispose che Calum si trovava al quarto piano, nel corridoio segnato dal percorso blu, stanza 045.
Mi allontanai velocemente dal bancone e mi diressi verso l’ascensore, poi sentii le dita di Michael stringersi attorno al mio braccio. « Non si corre negli ospedali » mi disse a bassa voce, con un mezzo sorriso sul volto. Io sbuffai e rallentai. Aveva ragione, ero troppo agitata. Calum mi aveva detto che sarebbe andato tutto bene e io ero ancora scettica a riguardo, ma perché?
Entrammo in ascensore e Michael pigiò il tasto con il numero quattro scritto sopra. Dopo una decina di secondi l’ascensore si fermò, le porte metalliche si aprirono e cominciai la ricerca del corridoio indicatomi dalla receptionist, ovvero quello segnato di blu.
« Senti, Michael, » iniziai, camminando al suo fianco. « Grazie per tutto quello che stai facendo ».
« Ashton ha fatto una cazzata, quindi sono dalla tua parte. E poi, un’amica si aiuta sempre, no? » mi rispose lui, sorridendo ancora. Era bello, il sorriso di Michael. Forse perché Michael non sorrideva spesso, per questo il suo sorriso era una cosa rara e a tratti preziosa.
« Noi siamo amici? » gli chiesi, evitando di proposito l’argomento “Ashton”. Non sapevo nemmeno cosa avrei fatto quando l’avrei rivisto, speravo che accadesse il più tardi possibile, ma prima o poi avrei dovuto affrontarlo sul serio. Era meglio focalizzarsi su quello che aveva appena detto Michael.
« Credo di sì... insomma, per te siamo amici? » domandò lui. Annuii senza nemmeno pensarci e gli rivolsi un sorriso.
Volevo essere amica di Michael e avere qualcuno a cui poter raccontare i miei problemi, qualcuno che avrebbe potuto aiutarmi a risolverli. Michael era una persona buona, dopotutto, gli erano solo capitate cose cattive e fingeva di essere qualcuno che non era solo per proteggere una persona a cui non aveva mai smesso di voler bene davvero.
Arrivammo davanti la stanza numero 045 e feci un grande sospiro. Michael mi strinse le spalle e « Avanti, ti aspetto qui fuori » mi sussurrò all’orecchio.
Aprii la porta e vidi Calum steso sul letto mentre armeggiava con il cellulare. Il mio cuore sembrò cadere nel vuoto a quella visione. Tuttavia, mi feci coraggio ed entrai completamente nella stanza, schiarendomi la voce con un colpo di tosse. « Hey, Cal... ».
Lui distolse lo sguardo dallo schermo e lo posò su di me. Un largo sorriso si fece strada sul suo volto e poi Calum posò il telefono sul comodino.
« Hey! ».
Mi avvicinai e lo abbracciai forte, anche se forse non era permesso, ma non me ne importava nulla. Calum stava bene, era quello l’importante. Quello che gli era successo era solo da dimenticare, anche se non ci sarei passata sopra troppo facilmente, dato che era stato in parte colpa mia.
L’avevo fatto avvicinare troppo a me e ai miei problemi, l’avevo fatto rientrare di nuovo nella mia vita ed ora era solo lui a pagarne le conseguenze. Era stato tutto uno sbaglio e io dovevo rimediare, il problema era che non avevo la più pallida idea di come fare.
Avrei dovuto di nuovo tagliare fuori Calum dalla mia vita. C’ero riuscita partendo e lasciando lui e tutti i miei ricordi a casa, a Nedlands, ma adesso lui era a Sydney, se l’avessero assunto dopo lo stage ci sarebbe rimasto per sempre, e allora dirgli di uscire dalla mia vita sarebbe stato più complicato del previsto, perché io non volevo ferirlo. Calum era una persona importantissima e volevo solo che stesse bene, volevo solo che stesse al sicuro.
Mi ritrovai improvvisamente nei panni di Michael, lui aveva fatto la stessa cosa con Valerie. L’aveva fatta soffrire solo per proteggerla da qualcosa troppo grande per entrambi, ma ci doveva essere un modo per riuscirci senza ferire troppo l’altra persona.
Nella mia testa, però, qualcosa mi diceva che se ci fosse stato un modo per non ferire e allontanare una persona a cui si voleva bene, Michael l’avrebbe cercato in lungo e in largo. Avrebbe fatto di tutto, pur di non perdere Valerie.
« Come ti senti? » chiesi, dopodiché mi morsi il labbro per la domanda stupida. Era ovvio che non stesse bene.
« Un po’ ammaccato, ma non c’è male. Sono riusciti ad estrarre la pallottola prima che facesse dei danni piuttosto gravi, come danneggiare un nervo » mi rispose, sempre col sorriso sulle labbra. Avrei voluto poter avere il suo stesso ottimismo, ma da qualche tempo pensare positivo non era una cosa che mi riusciva facilmente. Vivevo nel costante terrore di fare qualcosa di sbagliato e rimetterci seriamente. Ashton me ne aveva dato la prova la sera prima, facendo del male a qualcuno a cui volevo bene. Non avrei mai avuto pace, non riuscivo ad essere ottimista.
« Mi dispiace tanto, Cal » dissi, buttandomi sulla sedia accanto al suo letto. Puntai lo sguardo sulla finestra e sulle tende di un verde chiaro che coprivano i vetri e bloccavano i raggi del sole autunnale.
« E di cosa? Non è mica colpa tua... » mi rispose Calum. Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi: sapevo che se l’avessi fatto, poi gli avrei detto tutta la verità. Che era veramente tutta colpa mia se ora si trovava in un letto d’ospedale; che non avrei dovuto lasciare che entrasse nella mia vita una seconda volta; che non avrei dovuto ricominciare a sentire qualcosa per lui; che forse non avremmo mai dovuto riprovarci sul serio.
Sarei andata avanti, con tutte le mie ammaccature e i miei pezzi rotti, e avrei aspettato che Ashton si fosse stancato di me... poi chissà, forse avrei trovato davvero qualcuno disposto ad accettare una persona spezzata come me.
« Mi dispiace davvero, » ripetei, ignorando il suo commento. Mi dispiaceva perché stavo per dirgli una bugia, ma non avevo alternative. « Non credo di essere pronta a stare di nuovo con te ».
Calum si rabbuiò all’improvviso, poi sospirò. « Dovevo immaginarlo... ». Sentii qualcosa scheggiarsi dentro di me, forse era il mio cuore, non vi feci caso.
« Non è per te, » mi affrettai ad aggiungere. « Tu sei fantastico. Sono solo io. Il problema è tutto nella mia testa... ho bisogno di tempo ».
Cercai di mantenere un tono di voce normale, perché Calum riusciva sempre a capire se stessi mentendo o meno. Ora dovevo solo aspettare che lui si stancasse di darmi tempo e mi lasciasse semplicemente perdere. Forse sarebbe stato meglio per entrambi. Era la stessa cosa che mi ero detta prima di partire, e ora Calum mi scivolava via dalle dita una seconda volta. Capii che non avrei mai avuto un’altra occasione. Se lo lasciavo andare in quel momento, era finita per sempre. L’avrei perso di nuovo e non avrei avuto la possibilità di riaverlo.
La porta si aprì di scatto, mi girai e vidi i capelli chiarissimi di Michael fare capolino nella stanza. « Amelia, dobbiamo andare » mi disse con un tono dolce. Calum mi guardava confuso, io sospirai e mi alzai dalla sedia.
« Chiamami quando ti dimettono » dissi, rivolta al ragazzo moro. Lui annuì e mi sorrise tristemente, io non mi sforzai nemmeno di farlo. Quando uscimmo dalla stanza, Michael mi mise un braccio attorno alle spalle, salvandomi ancora una volta da un cuore spezzato.

 
***

Michael non tornò alla confraternita, bensì in dormitorio con me. Apprezzavo molto che mi stesse vicino in quel momento. Da sola probabilmente sarei crollata, anche se continuavo a ripetermi costantemente il contrario. Non passai nemmeno nella mia stanza, la mia meta era un’altra.
Primo piano, stanza 174. Speravo solo che Luke non ci fosse, perché non volevo che cominciasse a farmi domande. Eppure, quando bussai, quello ad aprirmi fu proprio Luke, entrai in stanza, ma Ashton non c’era da nessuna parte. Michael era rimasto fuori dalla stanza. Sapevo che dovevo affrontare Ashton ed evidentemente non voleva intromettersi.
« Lui dov’è? » chiesi a Luke.
« Se ti riferisci ad Ashton non lo so, è uscito presto questa mattina » mi rispose Luke, con le sopracciglia aggrottate. Doveva essere confuso, dopotutto, ero piombata in camera sua senza uno straccio di spiegazione. Mi scusai velocemente ed uscii dalla stanza, guardai Michael per dirgli che Ashton non c’era, lui mi capì al volo.
« Io torno alla confraternita, se hai bisogno di me, chiama, va bene? » mi disse. Io annuii e sospirai.
Salii le scale lentamente, cercando nella borsa che avevo ieri sera la chiave della mia stanza. Mi sentivo distrutta, tutta l’adrenalina che avevo in corpo era sparita all’improvviso. Avevo passato la notte a disperarmi, a piangere, a camminare e avevo dormito solo perché ero troppo stanca per fare altro. Adesso, però, dopo aver visto Calum e non aver trovato Ashton, tutto il peso degli eventi mi cadeva sulle spalle, e io non potevo far altro che cedere sotto di lui.
Aprii la porta e la prima cosa che feci fu togliermi le scarpe, posai la borsa e la chiave sulla scrivania e solo dopo mi accorsi che qualcuno era seduto sul mio letto. Ma non era Valerie. Era una figura alta, maschile, aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e osservava un punto nel vuoto. Non ci misi molto a riconoscerlo.
« Che ci fai qui? » chiesi sprezzante.
Silenzio.
Scrollai le spalle. Non volevo parlargli, e se lui non rispondeva alle mie domande, tanto meglio. Solo che non lo volevo nella mia stanza. Come aveva fatto ad entrare?
Continuai ad ignorarlo, mentre provavo a nascondere la mia agitazione. Il fatto che fosse entrato in camera mia e che ci stesse rimanendo nonostante non fossi troppo felice di vederlo mi inquietava. Lui era più forte di me, in tutti i sensi, e cominciai a pensare che mi avrebbe potuto fare del male, proprio come l’aveva fatto a Calum.
« Mi piace il verde » mormorò all’improvviso. Mi girai verso di lui. Ma che stava dicendo? « È il colore della speranza, è brillante, è davvero un bel colore ».
Mi soffermai a guardarlo, e per un lunghissimo istante mi parve di nuovo innocuo. Aveva lo sguardo perso, mi soffermai sul verde dei suoi occhi, così diverso da quello che aveva appena descritto. Gli occhi di Ashton non brillavano mai, non mi trasmettevano speranza, ma forse perché ero stata abituata a guardarli in momenti negativi.
Guardandoli in quel momento, mi sembrarono belli e tristi, pieni di un’emozione che non riuscii a definire. Forse perché mi era difficile pensare ad Ashton che provava emozioni.
« Cosa stai dicendo? » gli domandai d’istinto. Mi incuriosiva quel suo modo di fare così assente, con la testa fra le nuvole, così pensieroso. Capii che Ashton non poteva uscire allo scoperto più di così.
« Sto solo riflettendo su qualcosa che non avrò mai » mi rispose.
« Puoi andartene? » lo interruppi, sistemando le scarpe nell’armadio.
« In realtà, volevo parlarti » mi disse lui.
« Be’, io no. Vorrei poterti dire qualcosa come “grazie per aver sparato al mio ex in preda ad un attacco di gelosia”, ma non posso. Perché non sono tua, né di nessun altro, mi hai capito bene? » dissi acidamente.
« Quando hai detto di odiarmi non eri seria, vero? » cambiò di nuovo discorso, evitando il mio sguardo, continuando a fissare un punto indefinito dall’altra parte della stanza.
Mi presi qualche secondo per riflettere. Ero seria? Insomma, Ashton Irwin mi aveva praticamente rovinato la vita, terrorizzato a morte, era sgarbato, a tratti maleducato, credeva di poter avere tutto e subito, aveva fatto del male a Calum... « Mai stata più seria in vita mia ».
Ashton si alzò e io chiusi gli occhi, inspirando forte. Lo sentii avvicinarsi. Quando riaprii gli occhi, i suoi erano vicinissimi. « Allora suppongo di dover trovare un modo per ritornare nelle tue grazie » sussurrò, ora il suo sguardo non era più vuoto. Era acceso di determinazione, sicurezza. Gli vidi lo stesso lampo di bramosia negli occhi.
« Non sei mai stato nelle mie grazie, » sibilai. « Non ho affatto paura di te, e se credi che starò al tuo gioco perverso e malato di sbagli di grosso. Credici o no, Irwin, ma io sono che questo non è il tuo vero volto. Terrorizzare le persone, sparare qualche colpo solo per fare vedere che sei potente... avanti, togliti questa maschera e comportati da uomo ».
« Oh Amy, quanto fiato sprecato a cercare di cambiarmi. Non c’è via d’uscita per me, non c’è speranza, credo che tu lo sappia molto bene, » disse, si allontanò da me e andò verso la porta. L’aprì e si voltò di nuovo a guardarmi. « Io faccio quello che so fare. Non so comportarmi altrimenti ».



 

 

Marianne's corner
In ritardo di un giorno, come per le altre storie. È scalata una e sono scalate tutte ahaha
Comunque, oddio, se dovessi definire questo capitolo lo definirei PIENO. Abbiamo una buona parte in cui si parla del rapporto tra Michael e Amelia, poi ancora la parte con Calum, e poi un pezzo Ashelia che a me piace da morire ç__ç i miei bambini, aww.
E vi dico solo  una cosa "brace yourselves" perché dal prossimo capitolo le cose cominceranno ad andare ancor più a scatafascio di quanto non lo siano già, anche se allo stesso tempo avremo un piccolo barlume di speranza per i nostri protagonisti. Nel senso, le cose vanno male, ma c'è una luce in fondo al tunnel. È complicato da spiegare, lo scoprirete soltanto vivendo, lol.
Allora, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: FreeSpirit_, cliffordsjuliet, Hazel_, jale90, MarieCecile, Onedsbreath_, Letizia25, DarkAngel1,daisyssins, ashton_irwin94 e Aletta_JJ, mi rendete sempre felicissima! ♥
E ora ritorno a rompere le palle con le mie domande, che non dobbiamo assolutamente mettere da parte: riprendiamo il caso Roockwood, avete qualche altra teoria ora che siamo andati un po' avanti? (vi giuro che io AMO da morire le teorie che fate, anche se sono sbagliate, semplicemente sono curiosissima :D); poi, cosa credete che ne sarà di Calum?; e come finirà tra gli Ashelia? (Cioè, la domanda giusta sarebbe: cosa progetto di far accadere a quei due poverini capitati sotto le mie grinfie da strega cattiva? lol).
Okay, ora vi lascio veramente e stasera rispondo a tutte le vostre bellissime recensioni del capitolo 12 e ora vado a fare matematica che ancora non so se domani devo andare a scuola o no ahahah :)
Un bacio e buon fine settimana (siamo ancora a giovedì, capra!)  a tutti!

Marianne


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Capitolo 14
*** Rapimento ***




 
 
14 – RAPIMENTO
 
Ci sono dei momenti, durante la notte, in cui i nostri pensieri ci tengono fastidiosamente svegli. A me successe dopo aver parlato con Ashton, domenica mattina. Quando mi sembrò che, chiudendo la porta della mia stanza, avesse chiuso anche quella nella mia testa, sembrava essersene andato. E non nascondo che per un lunghissimo momento mi sentii bene, poi mi vennero in mente tutte le cose che aveva fatto e realizzai che lui poteva essersene andato davvero, ma i ricordi di lui, le sensazioni provate in sua presenza e tutte le sue azioni sarebbero rimasti per sempre e niente avrebbe potuto cancellarli dalla mia memoria.
Le mie giornate, dopo che Calum fu dimesso dall’ospedale, consistevano nel seguire le lezioni, studiare e uscire raramente con Valerie o con Luke. Ero diventata incredibilmente taciturna e cercavo di tenermi il più lontano possibile dal guai. Temevo che quello che fosse successo a Calum fosse solo una parte delle cose che Ashton era capace di fare, e anche se gli avevo detto di non avere paura di lui, la cosa non era veramente vera. Non avevo paura che mi avrebbe fatto del male, avevo paura che lo facesse alle persone a cui tenevo, persone di cui a lui non importava niente.
Tuttavia, dopo una settimana dall’incidente, ricominciarono un sacco di cose nella mia vita: io ricominciai ad andare a trovare Calum a casa sua per sapere come stava e Ashton ricominciò a parlarmi, o meglio, fui io a ricominciare a parlare con lui. In particolare, quest’ultima cosa successe durante uno dei miei soliti pranzi, ritornati ad essere un panino e una bottiglietta acqua.
Si mise seduto di fronte a me, aveva le occhiaie, un principio di barba sul mento e i capelli scompigliati. Non era al massimo della sua vitalità.
« Che ti è successo? » domandai. Notando il suo aspetto distrutto, cercai di essere un po’ gentile con lui. Era dal giorno dopo l’incidente che non ci parlavamo, soprattutto perché io non volevo che lo facesse e perché non l’avrei mai perdonato per aver fatto del male a Calum. C’erano tante cose che non avrei mai perdonato ad Ashton Irwin, avevo perso il conto. Però non riuscivo a non credere che non avesse dei sentimenti. Il mio problema era quello di sforzarmi a vedere sempre un po’ di buono in tutti, anche quando non c’era.
« Non riesco più a dormire » mi disse. Diedi un morso al mio panino. Quello giustificava le occhiaie.
« E l’insonnia ti impedisce di raderti e di uscire dalla stanza con un aspetto quantomeno decente? » continuai.
Lui alzò lo sguardo e rifletté prima di rispondere. « No, quello non è colpa dell’insonnia, » mormorò. « È colpa tua ».
Scoppiai a ridere rumorosamente, qualcuno si girò e mi guardò male. Mollai il mio panino sul tavolo e presi a guardare Ashton. « Colpa mia? Mi prendi in giro? » gli chiesi.
Lui scosse la testa. Sospirai, se uno dei due era stato o stava male per colpa dell’altro, quella ero io. Cosa gli avevo fatto di così brutale? Non l’avevo terrorizzato a morte, non l’avevo sbattuto contro il muro per baciarlo contro la sua volontà, non avevo sparato alla sua ex-ragazza. Era stato lui a fare tutto quello.
« Ho smesso di eseguire gli ordini » mi disse. Smisi di ridere all’istante, perché non appena mi guardò negli occhi, provai una cosa stranissima all’altezza dello stomaco. Sentii che mi stava dicendo la verità, aveva abbassato gli scudi, e mi ritrovai catapultata nella sua anima contorta e oscura. Uno come Ashton non avrebbe mai smesso di eseguire gli ordini per nessun motivo al mondo. A meno che...
« Che cosa? » domandai, seria. Non che non fossi sollevata a quella notizia, ma sapevo che una volta entrati in questi giri non ci si esce facilmente. Ashton poteva essere un membro importante, ma c’era qualcuno di più importante a capo di tutto quello, se si rifiutava, non osavo immaginare quello che avrebbero potuto fargli.
« Tu mi odi perché uccido la gente, allora ho smesso di farlo » mi disse tranquillamente, scrollando le spalle. Scossi la testa.
« Be’, qualcuno ucciderà te se smetti così di punto in bianco. Mi spieghi perché ci provi così tanto se sai che non potrò mai provare qualcosa per te? » gli chiesi. Subito dopo me ne pentii, perché avevo detto una cosa oggettivamente cattiva, lui però si mise a ridere.
« Le persone cambiano, Amelia, i sentimenti anche » mi rispose.
« Come fai tu a parlare di sentimenti? » borbottai.
« E come fai tu a giudicare le persone? » ribatté. Quando vide che non avevo parole per rispondere, continuò. « Tu credi che io sia una sorta di macchina da guerra, non è così? Credi che non abbia un cuore, che mi diverta addirittura fare quello che faccio. Non sei la prima che lo pensa, ma sei la prima che mi si oppone e cerca di cambiarmi ».
Diedi un altro morso al mio panino, riscoprendo all’improvviso che il prosciutto non aveva un sapore così buono. Mi era passata la fame.
« Non sarei stata l’unica » dissi io.
« Ti sottovaluti ».
« Oh, non credo proprio ».
Rimanemmo a guardarci per attimi che sembrarono infiniti. Il mio panino lasciato a metà sul tavolo di plastica del bar, le braccia incrociate. Verde nell’azzurro.
« Non valgo così tanto da rischiare la vita, Ashton, se vuoi tirarti fuori da tutto questo devi farlo per te stesso, non per me » dissi, non distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.
« Ma è questo il punto, » mormorò lui. « Se mi concentro su me stesso non vedo un motivo per uscirne perché io... io come persona non credo di meritarmela, una vita tranquilla ».
« Ashton Irwin con dei sensi di colpa, questa mi è nuova, » sospirai. « Be’, ti consiglio di provarci, perché se lo stai facendo per me non ne vale la pena. Sappiamo entrambi come andrà a finire ».
Detto questo, incartai il panino in un fazzoletto e lo misi nella borsa, il tutto mentre mi alzavo e me ne andavo di lì, volevo sfuggire al vero Ashton, da quello che mi diceva la verità, da quello che tutto ad un tratto sembrava aver perso ogni interesse per i soldi, per il suo lavoro. Perché ad essere sincera, non sapevo di quale sua versione avessi più paura.

 
***
 
Quella sera andai via da casa di Calum piuttosto tardi, rispetto ai soliti standard, ma lui mi aveva chiesto di rimanere a cena e io avevo accettato. Trovavo incredibile il modo in cui Calum fosse ancora gentile e carino con me, nonostante fosse stata praticamente tutta colpa mia.
Certo, lui non poteva saperlo, ma ogni volta che mi sorrideva, ogni volta che mi ringraziava per tenergli un po’ di compagnia in quell’immensa città, io sentivo una morsa allo stomaco e mi sforzavo di fingere un sorriso.
Nonostante non capissi davvero il comportamento di Calum nei miei confronti, mi faceva davvero piacere passare del tempo con lui. Sapevo che Ashton non gli avrebbe mai fatto del male di nuovo. Non potevo affermarlo con assoluta certezza, ma qualche giorno prima, al bar, mi era sembrato che se ne fosse pentito.
Non capivo perché avesse smesso all’improvviso di eseguire gli ordini che riceveva, forse perché mi rifiutavo di ammettere a me stessa che lo stesse facendo per me. Avevo provato a dimenticare tutte le sue parole, tutti i suoi sguardi, ma non ci ero riuscita. Non capivo se quel suo modo di fare, così incredibilmente gentile e calmo, fosse solamente tutta una farsa, una maschera per farmi cedere. Ricordavo alla perfezione anche tutte le parole di Michael: comportandomi in quel modo alla festa, gli avevo fatto credere di potermi avere ed ero diventata una sua questione personale. Davvero Ashton era disposto a fingere e a rischiare così tanto per fare sesso? E poi perchè me? Poteva avere tutte le ragazze che voleva.
Cercai di non pensarci più di tanto, e così, quella sera, dopo aver cenato insieme, io e Cal parlammo di noi, nonostante fosse diventato all’improvviso un discorso imbarazzante.
« Ti capisco, sai? » mi disse, comprensivo.
« Mi dispiace, Calum. Io vorrei davvero stare con te, ma...».
« Sei scappata da Nedlands senza pensarci due volte. Probabilmente con me ti sentiresti di nuovo legata a quel posto » mi interruppe, sorridendomi gentilmente.
« Non è questo il punto, » sospirai, abbassando lo sguardo sul divano di seconda mano su cui eravamo seduti.
« La mia vita è cambiata, Calum, io sono cambiata e non mi riconosco più. Non credo che possiamo funzionare come una volta ».
Lui annuì comprensibilmente e si alzò dal divano. Lo imitai. « Forse ci siamo incontrati troppo presto, » iniziò. « La vita è lunga e incontriamo un sacco di persone, forse quella giusta deve ancora arrivare ».
Sorrisi tristemente e recuperai la mia giacca e la mia sciarpa dall’appendiabiti in corridoio, Calum mi accompagnò fino alla porta. « Sappi che quando avrai semplicemente bisogno di un amico, io sono qui » mi sussurrò, prima di abbracciarmi. Lo strinsi forte e mi alzai sulle punte per scivolare meglio tra le sue braccia.
« Grazie ».
Sciolto l’abbraccio, Calum mi aprì la porta ed io uscii, sorridendogli un’ultima volta. Scesi velocemente le scale della palazzina, per poi ritrovarmi nell’aria fredda di fine autunno e affondai il viso nella sciarpa, misi le mani in tasca e mi avviai verso il parcheggio che distava circa tre isolati da casa di Calum.
Era piuttosto tardi e il giorno dopo avrei avuto lezione, quindi era meglio sbrigarsi. Le mie converse nere non producevano alcun rumore contro l’asfalto, sbuffai quando passai accanto all’ennesimo lampione mal funzionante, emettendo così una nuvoletta di vapore, dovuta al troppo freddo.
Dopo un isolato, cominciai a sentire un rumore, sembravano tacchi, ma non mi sembrava ci fosse nessuno dietro di me. Mi voltai giusto per dare un’occhiata discreta e confermai i miei dubbi, sul marciapiede non c’era anima viva. Scrollai le spalle e non appena girai di nuovo la testa e per poco non andai addosso a qualcuno. Era una donna e il rumore di scarpe col tacco proveniva proprio da lei.
« Scusami! » esclamò, facendo un passo indietro. « Ti sei fatta male? ».
« No, sono a posto, tranquilla » risposi gentilmente.
« Ascolta, potresti darmi una mano? Sono disperata » cominciò lei, passandosi una mano tra i capelli biondi.
 « Certo » dissi, non troppo convinta.
« Ho la macchina in parcheggio qui vicino, ma è praticamente morta ».
« Non me la cavo molto con le macchine... ».
« Ma di sicuro te la cavi più di me, io sono un caso perso! ».
« Okay » sospirai. Ero abbastanza di fretta, ma accettai perchè probabilmente il suo parcheggio e il mio erano lo stesso posto, e dirle di no e fare la strada insieme sarebbe risultato un po’ maleducato.
 Raggiungemmo il parcheggio e notai che per qualche strano scherzo del destino la sua auto era parcheggiata esattamente accanto a me. Ma ultimamente avevo smesso di credere nelle coincidenze, quella sera me ne accorsi troppo tardi.
« Chi sei? » le domandai a denti stretti.
Lei rise tra sé e sé.  « Jordan aveva ragione, faccio schifo a recitare ».
Cominciai ad indietreggiare, sarei stata disposta a farmela tutta a piedi fino al campus, poi realizzai che probabilmente la sua auto funzionava benissimo, quindi feci per entrare nella mia, ma qualcuno mi fece volare le chiavi sull’asfalto.
Un momento dopo fui afferrata per le spalle da due braccia forti e massicce, probabilmente quelle di un uomo. Quella ragazza doveva essere solo un diversivo, erano stati furbi, se fosse stato un ragazzo a fermarmi probabilmente l’avrei ignorato.
Cominciai a scalciare e ad urlare, dato che avevo le braccia immobilizzate. Il tipo che mi aveva presa parlò. « Clifford aveva ragione, è una tipa tosta ». Poi scoppiò a ridere e continuò a trattenermi solo con un braccio, era troppo forte anche così, e comunque, non credo che sarei stata più capace di scalciare e dimenarmi.
Clifford.
Michael non poteva aver detto loro di me, non poteva avermi tradita. Non stavo capendo nemmeno cosa stesse succedendo, mi stavano rapendo? Dove mi avrebbero portata? Ricominciai a far leva sul braccio dell’uomo. La ragazza bionda rimase ad osservarmi a braccia incrociate per tutto il tempo.
« Buonanotte, bambolina » sussurrò lui, poi sentii un fazzoletto bagnato premere sulle mie labbra. Aveva uno strano profumo, respirai quell’odore perché non potevo fare altrimenti e sentii gli occhi farsi sempre più pesanti, finché non persi totalmente conoscenza.
 

 
 

Marianne's corner
Eccomi in perfetto orario! :D
Allora, mh, non so davvero cosa dire. Non so quanti di voi si aspettavano qualcosa del genere, e quando nell'altro capitolo mi riferivo al "peggio" intendevo questo. E... oddio, mi sento una persona orribile ad aver fatto questo alla mia Amelia, ma andava fatto. Ora, sono un po' in pensiero per quanto riguarda una cosa che vorrei far accadere tra qualche capitolo (direi che sarebbe pure ora!), perché non sono del tutto convinta che sia plausibile ciò che ho in testa, ma vabbè... speriamo bene! xD
Quindi, cominciamo a notare qualche cosina nel comportamento di Ash o no? u.u
Vi preannuncio già che per almeno un paio di capitoli non vedremo tutti gli altri personaggi, se non Amelia. Saranno molto incentrati su di lei, perché alla fine, il suo punto di vista e le sue idee su Ashton ecc. sono quelle più confuse di tutti LOL, quindi devo un po' riordinarle.
Ora, passo a ringraziare tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo (dieci!): MarieCecile, Hazel_, Letizia25, jale90, DarkAngel1, Onedsbreath_, cliffordsjuliet, daisyssins, Aletta_JJ e ashton_irwin94 ♥
Come al solito vi rispondo stasera perchè come al solito devo andare a studiare, perché come al solito domani ho un'interrogazione :') 
Le gioie della vita.
Niente, scappo, ci sentiamo dopo (?) e ci rivediamo la prossima settimana! 
Bacioni,
Marianne


 

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Capitolo 15
*** Terrore ***




 
 
15 – TERRORE
 
Non riuscivo a capire dove mi trovavo. Sentivo di essere seduta su una sedia, ma non potevo alzarmi, qualcosa come delle corde mi tenevano le caviglie e i polsi legati. Provai a muovermi, ma fu tutto inutile. Dovevo stare calma.
La luce nella stanza si accese, non riuscii a captare i particolari, era come se fosse tutto offuscato da una leggera patina. Pensai di star piangendo, ma i miei occhi erano asciutti. Fu solo allora che mi resi conto che la stanza era vuota. C’ero solo io, legata ad una sedia, e una luce che proveniva da chissà dove, perché non c’erano lampade.
Si aprì una porta di fronte a me, entrarono due figura incappucciate. Dai vestiti che indossavano sembravano uomini. Uno di loro si tolse il cappuccio. Michael. Spalancai gli occhi. Avevo ragione, aveva fatto il doppiogioco. A lui non importava niente di me, di Valerie, non gli importava nemmeno di Ashton, forse. Si era solo finto mio amico.
Feci per urlare, ma poi qualcosa mi fece tenere la bocca chiusa. Michael non era più di fronte a me, era sparito all’improvviso ora era al mio fianco. L’altro ragazzo teneva sempre il cappuccio e non riuscivo a riconoscerlo. Sentii un dolore acuto al braccio e urlai. Non so dove trovai la forza di girarmi, ma lo feci. Incontrai gli occhi duri e freddi di Michael, un sorriso beffardo stampato in faccia.
Abbassai lo sguardo sul mio braccio, c’era un taglio abbastanza profondo da cui usciva una copiosa quantità di sangue, faceva male, bruciava. Michael aveva un coltello in mano
« Shh, Amelia. Non è niente » sussurrò Michael, facendo il giro della sedia, lo ritrovai alla mia sinistra.
« Lasciatemi, per favore ».
Nessuno dei due ripose, bensì sentii di nuovo la lama del coltello affondare nella mia pelle. Gridai di nuovo e al dolore per la ferita già aperte se ne venne ad aggiungere un altro. Michael scoppiò a ridere.
« Non dirò niente a nessuno, » iniziai, col fiatone. Una lacrima mi scivolò sul viso. « Lo giuro ».
« Ashton odia quando piangi » sibilò Michael.
Allora l’altro ragazzo si tolse il cappuccio, rivelando dei capelli ricci, degli occhi verdi ma inespressivi. Ashton. Michael si allontanò e Ashton si avvicinò. Sanguinavo da entrambe le ferite, cercavo di non piangere. Mi avrebbero uccisa. Sapevo troppe cose. Avrei fatto la stessa fine di quell’uomo. Era finita.
Ashton tirò fuori prima un pugnale e poi una pistola, tenendoli rispettivamente nella mano destra e in quella sinistra. « Come dovremmo ucciderla, Michel? ».
Deglutii, ma non chiusi gli occhi. Tutto quadrava, Michael pianificava e Ashton uccideva, era così che avevano sempre lavorato e così che stavano facendo anche adesso.
« Basta che ci muoviamo, Ashton ».
« Tempo fa ti ho detto che ti avrei tagliato la gola, ma così forse soffriresti troppo. E dato che mi sei simpatica, ti sparerò e basta. Come ho fatto con il tuo fidanzatino poco fa ».
Cosa? Avevano ucciso anche Calum? No! Non poteva essere vero. Perché mai avrebbero dovuto farlo? Sentii il bisogno di piangere, ma non lo feci. Non avrebbe avuto molto senso, come non avrebbe avuto senso pregarli per aver salva la vita, non mi avrebbero ascoltato.
Chiusi gli occhi, sentii la canna della pistola premere sulla mia fronte, era fredda. Strinsi i pugni e pensai che non meritavo tutto quello,  non meritavo di finire così. Pensai ai miei sogni, alle mie ambizioni, alla mia vita che sarebbe finita da un momento all’altro. Feci un ultimo respiro profondo e aspettai che Ashton premesse il grilletto e che il colpo arrivasse.
Ma il colpo non arrivò mai.

Mi svegliai di soprassalto. Avevo il respiro pesante e i capelli di fronte al viso. Mi toccai le braccia, non c’era nessuna ferita. Era stato solo un incubo. Mi ributtai sul letto dove ero sdraiata, ma capii immediatamente di non essere nella mia stanza.
Il letto era attaccato al muro, le pareti erano bianche. Alla mia destra c’era una porta e davanti a me una finestra. Mi alzai immediatamente e mi fiondai sulla porta. Chiusa a chiave.
Mi avvicinai alla finestra, non sembrava che fosse stata fatta per essere aperta, era solamente una lastra di vetro. Mi trovavo al primo piano di un edificio, solamente a tre metri da terra. Se avessi trovato un modo per aprire quella cosa senza distruggerla, avrei potuto saltare, ma non sarei andata lontano con una gamba rotta.
Allora mi ributtai sul letto e appoggiai la schiena al muro. La stanza era completamente vuota eccetto il letto e un tavolo addossato sulla parete accanto alla finestra. Non c’era niente sopra, non sapevo dove fosse la mia borsa, e quindi il mio cellulare e tutti i miei documenti.
Sospirai, facendo mente locale. La sera prima avevo incontrato una donna bionda, mi aveva teso una trappola, un uomo mi aveva rapito e addormentato e adesso mi trovavo in una stanza vuota, completamente sconosciuta.
Mi riavvicinai alla finestra, ma tutto quello che vidi accanto a me furono magazzini, probabilmente abbandonati. Era quasi giorno, le prima luci dell’alba si scorgevano all’orizzonte. Non avevo la minima idea di quale zona di Sydney mi trovassi, ma per quanto mi riguardava, potevo benissimo non trovarmi più a Sydney.
Poi mi ricordai che l’uomo che mi aveva presa aveva nominato Michael, e capii che forse facevano parte della stessa gang. Anche quei due erano dei sicari? Lavoravano per la stessa persona per cui lavoravano Ashton e Michael? Se fosse stato così, avevo la certezza di trovarmi ancora in città. Quello mi calmava un po’, anche se probabilmente non c’era niente per cui calmarsi.
Mi trovavo chiusa in una stanza in un covo di criminali che mi avevano rapita. Non so cosa c’entrassi io in tutto quello. Se non mi avevano già uccisa non avevano intenzione di farlo, non possedevo informazioni utili, non riuscivo a capire perché gli servissi.
Portai le ginocchia al petto e guardai ancora il cielo, che si tingeva lentamente d’azzurro. Quanto tempo era passato? Avevo dormito solo quella notte? Oppure mi trovavo lì da uno o più giorni? Pensai a Valerie, non ero tornata al dormitorio, non mi ero presentata o non mi sarei presentata a lezione. Lei e Luke dovevano essere preoccupati per me e io non potevo nemmeno dirgli che stavo bene.
Be’, relativamente bene. Non ero ferita, ma mi tenevano comunque prigioniera in un edificio probabilmente abbandonato.
Oh, santo cielo! Dei pazzi criminali mi tenevano prigioniera in un edificio abbandonato. Ma come ci ero finita? Perché io?
Avvertii di nuovo quella sensazione d’ansia allo stomaco. Cominciai a fare dei respiri profondi e strinsi ancor di più le ginocchia al petto, tenendole ben ferme con le braccia. Chiusi gli occhi e all’improvviso preferii non averlo fatto, perché tutte le immagini dell’incubo appena avuto mi si ripresentarono di nuovo. Avevo sognato Ashton e Michael perché erano gli unici volti che conoscevo, per quanto mi riguardava, quella scena sarebbe potuta succedere davvero, solo che non sarebbero stati loro ad uccidermi. Sarebbe stato qualcuno per cui contavo meno di zero, qualcuno che non si sarebbe fatto troppi problemi.
Qualcuno che non era buono come Michael o tormentato come Ashton.
Non riuscivo più a muovermi, sembravo paralizzata. Non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo, sarei stata capace di rimanere in quella posizione per ore e non accorgermene. Aprii gli occhi, nella speranza di ritrovarmi nella mia stanza, con Valerie a parlare di quanto il test fosse stato difficile, o con Luke a raccontarmi barzellette che non facevano ridere.
Non accadde.
Ero completamente sola e indifesa nelle mani di chissà quanti assassini. Da una parte ero persino felice di essere chiusa in una stanza, ma sapevo benissimo che sarebbe potuto entrare chiunque da un momento all’altro.
Cominciai a rallentare il ritmo dei miei respiri. Cosa mi aveva portato a tutto quello? Io volevo una vita relativamente calma, volevo diventare qualcuno, volevo vedere il mio nome scritto da qualche parte. Mi chiesi se forse fossi destinata a venir descritta su un giornale, su un articolo di cronaca nera. In quel caso avrei avuto esattamente quello che volevo, ma il mio nome sarebbe stato accompagnato dell’epiteto “vittima”, e io non volevo morire.
Avevo tutta la vita davanti, non volevo morire. Mi presi la testa tra le mani. Pensai ai miei genitori, che erano sempre stati un po’ apprensivi, ma che avevano capito cosa volevo dalla mia vita e avevano lasciato che partissi per Sydney; pensai a mio fratello Josh e al fatto che da bambini avevamo passato più tempo a litigare che a fare altro, ma che crescendo eravamo diventati inseparabili; pensai a Calum, e sperai che quando tutto questo sarebbe finito, lui dimenticasse quello che era successo in quelle settimane. Si dimenticasse di me e facesse strada come probabilmente io non ne avrei avuto l’occasione.
Pensai alle persone che conoscevo da poco, ma a cui volevo ugualmente bene. Pensai a Valerie e sperai che riuscisse a riavvicinarsi a Michael, perché lei non me lo aveva mai detto, ma sapevo che ci stava male; pensai a Luke che riusciva a far ridere chiunque in qualsiasi situazione, anche se in realtà era una persona molto riservata.
Non potevo lasciarli tutti, ecco qual era il punto. Io non potevo morire.
Cercai di calmarmi e di pensare positivo. Era tutta lì la chiave. Io non potevo morire, non volevo e non l’avrei fatto. Prima o poi mi avrebbero lasciato andare, si sarebbero stufati di me. Avrei giurato loro di non dire niente, dopotutto, non avevo detto niente su Ashton e Michael, non avevo raccontato a nessuno di quella notte.
Potevano chiedere a Michael, dato che l’avevano nominato. Potevano dirgli di controllarmi, avrei preferito vivere con loro due attaccati alle calcagna che essere rinchiusa in quella stanza. Non sapevo cosa fare, oltretutto, e io odiavo starmene con le mani in mano. Mi alzai dal letto e cercai qualsiasi cosa che potesse tenermi la mente impegnata.
Ma in quel stanzetta minuscola non c’era assolutamente nulla. Le pareti erano spoglie, il tavolo era vuoto. Scostai le coperte del letto, ma non trovai niente. Alzai il materasso, niente. Mi buttai a terra e controllai sotto il letto, c’era una scatola.
La tirai fuori e tossii per tutta la polvere che c’era sopra, non doveva venir aperta da un sacco di tempo. Ci soffiai sopra a poi l’aprii con cautela, dentro vi trovai un pacco di fogli. Strano chiudere dei fogli in una scatola, ma non ci pensai. Mi serviva una penna, una matita... qualsiasi cosa. Avrei potuto scrivere un messaggio per chiedere aiuto. Non so come l’avrei fatto recapitare, ma avrei trovato un modo.
Sentii all’improvviso un rumore provenire dalla porta, mi affrettai a rimettere la scatola sotto il letto e poi mi misi seduta sul materasso, girata verso la finestra.
La porta si aprì e rivelò un uomo abbastanza alto,  capelli scuri, occhi ugualmente scuri. Ad occhio e croce non aveva più di venticinque anni. Mi voltai a guardarlo e caricai il mio sguardo d’odio puro.
« Alzati » mi disse apatico. Probabilmente non aveva nemmeno voglia di rivolgermi la parola. Be’, la cosa era reciproca.
Mi alzai e lui mi prese per un braccio, il messaggio era evidente: non avrei potuto provare a scappare. Fuori dalla mia stanza, c’era un lungo corridoio, le pareti erano sempre bianche e spoglie, svoltammo a destra e ci ritrovammo in una stanza abbastanza grande, con una sedia in mezzo. Trasalii perché mi ricordava il mio incubo, solo che stavolta, nella stanza c’erano anche una telecamera, una scrivania con un computer e la donna bionda che avevo incontrato l’altra sera.
L’uomo mi fece cenno di sedermi e io lo feci, poi la donna si alzò e mi porse un foglio, la guardai interrogativa.
« Devi solamente dire ad alta voce quello che c’è scritto, guardando nella telecamera, » mi disse lei. Se ne ritornò dietro lo schermo del computer e si rivolse all’uomo. « Qui sono pronta. Quando vuoi, Jordan ».
Annotai mentalmente il suo nome e il suo volto, in caso fossi riuscita a contattare qualcuno che avrebbe potuto aiutarmi. Lui si posizionò dietro la telecamera, che era di fronte a me e mi intimò di partire.
Sospirai e abbassai lo sguardo sul foglio che mi era stato consegnato.
« Ashton, » iniziai a leggere, e il mio cuore perse un battito. Cosa c’entrava Ashton? Continuai a leggere. « Mi hanno rapita, non so dove mi trovo, ma tu puoi immaginarlo ».
Alzai gli occhi verso la telecamera e poi li riabbassai sul foglio. « Non dovevi smettere di eseguire gli ordini, il Capo non ne è molto contento e ha commissionato due di loro di tenermi in ostaggio, » dissi, col cuore in gola. Sentii gli occhi pizzicare, ma non lo feci. Non per orgoglio, sapevo che Ashton avrebbe visto quel video, e ricordavo le sue parole. « Ti conviene ricominciare a lavorare, altrimenti loro... ».
Feci una paura prima di leggere le ultime due parole. « ... mi uccideranno ».
A quel punto abbassai lo sguardo e mi morsi il labbro. Speravo che il video fosse finito, l’uomo di nome Jordan si allontanò dalla telecamera e la donna bionda rimase davanti al computer a battere le dita sulla tastiera. Sorrise soddisfatta. « Irwin avrà un bellissimo risveglio, questa mattina » commentò Jordan. Lei rise, ma non gli prestò molta attenzione. Si tolse le cuffie e le poggiò sulla scrivania.
« La riaccompagno io » disse, alzandosi. Jordan corrugò la fronte, ma poi scrollò le spalle. Io intanto ero immobile sulla sedia. Lei si avvicinò a me e mi tese la mano. La ignorai e mi alzai da sola.
 
 

 
 

Marianne's corner
Salve a tutti! Oggi è giovedì e oggi c'è Indaco (che nella prossima settimana potrebbe cambiare giorno, a causa di scuole ecc. perché fino a lunedì pomeriggio sarò molto impegnata, quindi non so se riesco a scrivere il prossimo per giovedì prossimo).
Comunque, abbiamo dato il via alla serie di capitoli dedicati esclusivamente ad Amelia (che poi, sono solo due capitoli, questo e il prossimo lol), poi ritorneranno tutti u.u insomma, Ashton ha smesso di eseguire gli ordini, ma in quel giro sono tutti criminali e la cosa non va a genio al grande Capo (sembra una tribù di indiani, ma ok) per questo hanno rapito Amelia ehehe... Capo che non sapete ancora chi è ehehe. Certo che io con "chi è l'assassino di Rockwood?" e "chi è il Capo?" vi sto mettendo davvero in crisi, mi sento quasi cattiva :c
Nahhh u.u
Anyway, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo (mi fate emozionare çwç ♥): MarieCecile, genesisandapocalypse, cliffordsjuliet, Letizia25, Hazel_, FreeSpirit_, Ilovepizzand5sos, DarkAngel1, ashton_irwin94, Onedsbreath_ e Aletta_JJ
Inoltre, se per caso qualcuno di voi sta aspettando una mia recensione, vi prego di essere pazienti con me, perchè oltre al fatto che io ho tempi lunghi già di mio, c'è anche il problema che ho tutti impegni incastrati (?), quindi recensisco quando ho appena un po' di tempo libero (solitamente il sabato pomeriggio ahaha), però prima o poi lo faccio :3
Spero vi sia piaciuto e alla prossima!
Baci,
Marianne



 

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Capitolo 16
*** Futili speranze ***




 
 
16 – FUTILI SPERANZE
 
Rientrata nella mia stanzetta, la donna non se ne andò, anzi. Chiuse la porta e rimase con me per almeno mezz’ora. Se non altro, ebbi qualcuno con cui parlare, nonostante non fosse la mia persona preferita.
Mi misi seduta sul letto, mentre lei con un balzo salì sul tavolo e accavallò le gambe, evitai di guardarla perché avevo troppe domande in testa e dubitavo che sarebbe stata propensa a rispondere.
« Io sono Evelyn, » iniziò. Continuai a fissare il muro di fronte a me, ignorandola. Non mi interessava affatto il suo nome, mi bastava avere quello di Jordan. « Mi dispiace per tutto questo ».
Aggrottai le sopracciglia, visibilmente confusa. Si stava scusando per avermi rapita? Che motivo aveva di farlo? Non credevo che le dispiacesse così tanto. Cose come quella erano all’ordine del giorno per lei e Jordan, no?
« Non otterrete niente da me, » sibilai io, girandomi a guardarla. « Non ho nessun tipo di informazione, ho solo assistito ad un omicidio mesi fa e vorrei non averlo fatto, mi ha portato solo guai ».
« Non vogliamo niente da te, stiamo eseguendo ordini, cosa che Irwin ha smesso di fare da almeno una settimana, » mi spiegò Evelyn. « Rapire una ragazza rientrava nell’ultimo dei miei interessi personali, o in quelli di Jordan. Ci è stato detto di farlo e di ricattare Irwin in questo modo ».
« Non funzionerà, » dissi amaramente. « A lui non importa niente di me ».
Abbassai tristemente lo sguardo. Non sapevo perché, ma dire quella cosa ad alta voce l’aveva resa in qualche modo più concreta. E riscoprii a mie spese che faceva male. Più male di quanto avrebbe dovuto. Ad Ashton non importava niente di me, ed io ero convinta che non mi importasse niente di lui. E allora perché tutto ad un  tratto sentivo quella morsa allo stomaco e quella sensazione strana al petto, come se il cuore fosse appena precipitato in un dirupo e si fosse rotto in mille pezzi?
Perché, se pensavo di contare meno di zero, per Ashton, sentivo tutte quelle cose negative? Perché mi sentivo triste e distrutta? Forse perché quel suo discorso tempo prima mi aveva fatto capire che non era così senza cuore come pensavo, ma era davvero serio quando aveva detto che la causa del suo repentino cambiamento fossi io?
Davvero era stato capace di affrontare una cosa simile?
« Ad Irwin non importa niente di nessuno, Amelia, » disse Evelyn, sospirando. Feci una smorfia quando pronunciò il mio nome, sbagliato, come lo pronunciavano tutti. « Ma con te è diverso ».
« Cosa te lo fa pensare? Ha minacciato di uccidermi » sbottai.
« Ho le mie fonti » rispose semplicemente Evelyn, facendo spallucce.
« Be’, continuo a ripeterti che non otterrai assolutamente niente in questo modo » sospirai, mi appoggiai con la schiena al muro.
« Conosco la gente con cui lavoro, » si limitò a dire lei. « Irwin ricomincerà a fare quello che gli viene detto prima o poi, lui ha paura di perderti ».
« Cazzate, » sibilai. « Se ha smesso di eseguire gli ordini l’ha fatto perché voleva semplicemente farlo, non gli interesso io, per quanto mi riguarda, dopo aver visto quel video si metterà semplicemente a ridere e lascerà che mi uccidiate. Anzi, perché non lo fate subito? ».
Evelyn scivolò giù dal tavolo e io mi morsi un labbro, per un momento, avevo pensavo che potesse davvero uccidermi seduta stante.
« Non abbiamo l’ordine di ucciderti, Amelia. Almeno, non ancora. Ci è stato detto di minacciare Irwin e basta, e se non gli mettiamo paura così troveremo altri metodi, te l’assicuro » mi disse, avvicinandosi al mio letto.
« Suppongo che io dovrò comunque far parte di questa storia? » ipotizzai. Evelyn sospirò, mi sembrava davvero dispiaciuta, la guardai e mi chiesi come ci fosse finita in quel giro di criminali. Come ci fosse finito Ashton. Mi chiesi addirittura come ci fosse finito Jordan.
« Sfortunatamente sì, » disse. Non c’era traccia di contentezza sul suo volto, probabilmente anche loro ritenevano una cosa inutile ricattare Ashton con me e non vedevano di liberarsi di quella situazione scomoda. Ancora non avevo capito dove ci trovassimo e che luogo fosse quello in origine. « Sarai affamata, vado a prenderti qualcosa ».
La fissai uscire dalla stanza e richiudere a chiave. Sospirai, per certi versi mi sembrava una barzelletta, ero perfino trattata relativamente bene dai miei rapitori da avere anche la colazione in camera. Il fatto era che non avevo fame. Mi si era chiuso lo stomaco e non volevo mangiare assolutamente. Una parte del mio cervello mi suggeriva che avrebbero potuto avvelenarmi, anche se dopo la conversazione con Evelyn non credevo che sarei morta presto. O almeno non subito. Ovviamente, se Ashton avesse continuato ad ignorarli, non avrebbero potuto lasciarmi andare per nessuna ragione al mondo, e a quel punto pensai che l’avrebbero semplicemente fatta finita.
Avevo esitato una volta, non mi sarei permessa di fallire ancora.
Evelyn tornò nella mia stanza con un bicchiere di succo di frutta e un pacchetto di biscotti. « È il massimo che sono riuscita a trovare, non abbiamo molta roba qui » disse, li poggiò entrambi sul tavolo, e quando vide che non le risposi, sospirò e uscì di nuovo. La serratura scattò.
Io guardai i biscotti impacchettati, pensai che in quelli non ci sarebbe stato del veleno allora li aprii e finii la confezione in meno di cinque minuti. In realtà il mio corpo necessitava di cibo, ma il mio cervello mi continuava a ripetere di non averne bisogno. Guardai il succo di frutta, che dal colore arancione sembrava pesca, oppure albicocca. Una volta avevo letto qualcosa a proposito di come scoprire se una bevanda fosse avvelenata o meno, ma in quel momento non riuscivo a ricordarlo con precisione. Allora ignorai tutte le mie paranoie e bevvi anche il succo. Dopo aver poggiato il bicchiere sul tavolo mi sentii quasi bene.
Parlai evidentemente troppo presto, però, perché di nuovo la sensazione d’ansia e terrore mi attanagliò lo stomaco e sentii l’impellente bisogno di vomitare. Fu allora che ebbi un’idea geniale: avrei detto ad Evelyn che dovevo andare in bagno e poi avrei cercato un modo per scappare. Ma avrei dovuto aspettare per metterla in atto, altrimenti sarebbe stato troppo poco credibile.
Allora mi ributtai sul letto e cercai di addormentarmi per ammazzare il tempo. Pensai a mille cose, alle frasi da dire, a come usare il poco tempo che avrei avuto in bagno, poi la mia mente cominciò a viaggiare completamente e ripensai ad Ashton.
Che forse per lui valevo qualcosa, che forse sarebbe venuto a salvarmi. Ma era decisamente meglio non illudersi troppo, a malincuore, sapevo che sarebbero state ben poche le possibilità di risvegliarmi di nuovo nella mia stanza, con Valerie che protestava per alzarsi, maledicendo la sveglia, con Luke che tardava al bar la mattina, con Michael a lezione che mi distraeva al punto giusto. Mi mancavano. Era passato meno di un giorno, ma sentivo già un vuoto aprirsi nel petto.
Mi mancava anche Ashton, per quanto strano potesse sembrare. Da una parte, avrei preferito mille volte le sue manieri rudi e i suoi baci rubati a tutto quello. Avrei preferito sentire di nuovo le sue mani su di me e sentirmi viva piuttosto che intrappolata in quelle mura bianche e insignificanti.
Avrei preferito di nuovo essere guardata da quegli occhi che non erano mai gli stessi, e di quel verde così spento che mi faceva venir voglia di piangere. Avrei preferito sentire di nuovo le sue parole, il modo in cui pronunciava il mio nome. Volevo andare via e pentirmi di tutte le cose sbagliate che gli avevo detto, pentirmi di essermi lamentata di quella vita apparentemente così tormentata, quando non mi ero ancora resa conto che Ashton era una persona sola e che aveva ragione, che le persone cambiavano e i sentimenti anche.
Lui poteva cambiare, forse lo stava già facendo, e io ero stata talmente stupida da non accorgermene e lo stavo perdendo. Avevo lasciato andare Calum perché gli volevo bene, ma proprio lì nacque la mia domanda. Io amavo Calum? Oppure lui era solamente quel qualcuno che mi faceva sentire bene, compresa e amata? Calum era stato il mio appiglio quando tutto sembrava precipitare e mi sentivo davvero in colpa per tutto quello che gli avevo fatto.
Mi ero comportata da vera stronza con lui e non lo mettevo in dubbio. Gli avevo fatto capire che volevo stare di nuovo con lui più di ogni altra cosa al mondo e poi gli avevo detto che non avrebbe mai funzionato. E nonostante tutto, lui continuava a comportarsi gentilmente con me e mi faceva sentire ancora più in colpa.
Ma almeno ebbi la mia risposta: Calum era e sarebbe sempre stato il mio primo amore e uno dei miei più cari amici. Non l’avrei dimenticato, ma non l’avrei amato di nuovo: eravamo arrivato ad un punto di non ritorno e ci eravamo spezzati e trascurati troppe volte per ritrovare la strada di casa.
Quando mi accorsi che il sole era abbastanza alto nel cielo, tirai fuori la scatola da sotto il mio letto e aprii il pacco di fogli. Ne presi uno e lo ripiegai con cura, sistemandolo nella tasca del jeans, poi rimisi tutto al suo posto e battei i pugni sulla porta. « Evelyn! »
Un minuto dopo sentii dei passi avvicinarsi e mi allontanai dalla porta, quest’ultima si aprì rivelando il viso di Evelyn. « Che c’è? » chiese, sembrava parecchio irritata. Strano, dato che nemmeno qualche ora fa era venuta a rassicurarmi.
« Devo andare in bagno » risposi semplicemente, avevo l’impressione di sembrare una bambina dell’asilo, ma onestamente poco mi importava.
Lei aprì del tutto la porta e mi trattenne per un braccio, come aveva fatto Jordan all’alba. Forse per impedirmi di scappare. Camminammo per il corridoio fino a raggiungere la stanza dove ero stata a registrare il video, la telecamera non c’era più. Evelyn mi portò di fronte ad una porta bianca ed io entrai, chiudendo poi a chiave.
La prima cosa che feci fu aprire la finestra, era molto piccola però, e non sarei passata. Dava dalla parte opposta dell’edificio, sulla parte anteriore, mentre la mia stanza doveva trovarsi sulla parte posteriore. Probabilmente mi trovavo in un vecchio ufficio.
Aprii i cassetti del mobile dove era impiantato il lavandino, evitando di guardare il mio riflesso nello specchio, dovevo sembrare piuttosto distrutta. Trovai una vecchia matita per gli occhi nera, mi chiesi se fosse di Evelyn, ma sinceramente non mi importava. Tirai fuori il foglio e vi scrissi sopra “Aiuto” a caratteri cubitali. Fuori non faceva molto freddo, e fortunatamente non tirava nemmeno troppo vento. Lasciai cadere il foglio fuori dalla finestra, nella speranza che qualcuno lo trovasse, poi la richiusi. Allora tirai lo sciacquone del water e riaprii la porta.
Evelyn era lì fuori e non sembrava aver capito che non fossi veramente andata in bagno, e mi ricondusse di nuovo nella mia stanza. A quel punto, con il cuore un po' più leggero, mi sdraiai sul letto e riuscii a dormire per un po’.
 
Fui svegliata da un fracassante rumore di vetri rotti. Mi misi a sedere sul letto e vidi che la finestra era stata mandata in frantumi. Fuori era buio, dovevo aver dormito tutto il pomeriggio.
Mi alzai rapidamente e andai a vedere cosa fosse successo. Sul pavimento c’erano tantissimi pezzi di vetro, in mezzo ad essi un grosso sasso, con un pezzo di carta attaccato sopra con dello... scotch? Scrollai le spalle e lo staccai.
Me lo rigirai tra le mani e vidi che sopra vi era scritto con un pennarello nero, in una scrittura leggermente frettolosa e disordinata.
“Stiamo arrivando”
Era qualcuno dalla mia parte? Chi stava arrivando, esattamente? Forse era Ashton, insieme a Michael. Forse alla fine contavo davvero qualcosa, forse Ashton teneva davvero a me. Forse, a respingerlo sempre ero stata davvero una stupida.
Era poco a cui aggrapparsi, certo, ma una flebile speranza si accese in me, nel profondo del cuore. Stavano venendo a salvarmi, e non gliene sarei mai stata grata abbastanza.
 

 
 

 
 

Marianne's corner
Ciao! Mi scuso per il ritardo, potevo aggiornare ieri ma ci sono stati dei problemi e mi è passata del tutto la voglia, scusate. Parlando del capitolo, ve l'avevo detto che la prigionia di Amelia sarebbe durata poco u.u, nel prossimo capitolo ci sarà una volta decisiva in tutti i sensi, ci saranno due cose molto importanti: una penso l'abbiate già capita, cioè Amelia verrà salvata, ma l'altra non ve la dico.. deve essere una sorpresa! u.u
Bene, mi dilungo poco così scappo subito a rispondere alle recensioni e poi mi metto a leggere e recensire tutto quello che ho in sospeso, spero di riuscire a farle tutte, mi basterà un pomeriggio? Zaaan zaaan zaaaan. Chi vivrà vedrà.
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero daisyssins, jale90, MarieCecile, Hazel_, Onedsbreath_, DarkAngel1, Ilovepizzand5sos, _D r e a m e r, ashton_irwin94,  FreeSpirit_ e Letizia25

Siete tutte dolcissime, aw ♥
Un bacio e alla prossima!
Marianne


 

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Capitolo 17
*** Salvataggio ***




 
 
17 – SALVATAGGIO
 
Ero inginocchiata sul pavimento della stanza e mi rigiravo il foglietto tra le mani, chiedendomi chi potesse avere una calligrafia del genere. Passai forse più di venti minuti in quel modo, come paralizzata da quella speranza che si era accesa in me.
Pensai al fatto che, se avessi avuto ragione e Ashton o qualcun altro stesse arrivando a prendermi, sarei stata libera e avrei potuto tornare al dormitorio. Era stata una questione di ventiquattro ore, ma a me erano sembrati secoli.
Ritornai sulla terra solo quando sentii dei passi avvicinarsi. Lanciai immediatamente il sasso sotto il letto. Se Evelyn o Jordan fossero entrati e avessero visto la finestra ridotta in quel modo avrebbero pensato che non fossi sola, avrei dovuto far credere loro che fossi stata io a romperla. Allora presi un pezzo di vetro dal pavimento, e dopo aver fatto un respiro profondo, mi incisi un taglio sul dorso della mano destra, sembrava che avessi dato un pugno alla finestra. Mi morsi le labbra e cominciai a sentire la ferita bruciare, il sangue scorrere sulla pelle e imbrattare il pavimento.
La porta venne aperta un momento dopo, ma non era Evelyn o Jordan. Era Michael. Mi alzai immediatamente in piedi e feci per abbracciarlo, ma lui mi afferrò immediatamente il braccio destro e osservò con attenzione la ferita sulla mano.
« Chi è stato? » domandò, con un tono molto serio.
« Me lo sono fatto da sola, » farfugliai. « Pensavo che fossi uno di loro e... e dovevo fargli credere che avessi rotto io la finestra...».
Michael mi superò, borbottando qualcosa che non riuscii a capire e tirò via le coperte del letto; strappò con estrema e quasi preoccupante facilità un lembo del lenzuolo bianco e con quello mi avvolse la mano. Il tessuto si colorò immediatamente di rosso.
« Non durerà molto, ma per adesso sarà sufficiente. Vieni! ». Michael mi prese per la mano non ferita e mi fece uscire dalla stanza. Ripercorremmo lo stesso corridoio che avevo fatto prima con Jordan e poi con Evelyn, solo che stavolta non ci fermammo nella grande stanza. La superammo, prendendo un altro corridoio. Non avevo la minima idea di dove stessimo andando, ma Michael sembrava conoscere quel luogo alla perfezione e io mi fidavo di lui.
« Dove stiamo andando? Dove sono Evelyn e Jordan? » chiesi, stringendo la sua mano ancor di più.
« Le scale antincendio, e quei due saranno fuori dai giochi per un po’» mi rispose Michael, continuando a trascinarmi. Le mie gambe si muovevano da sole: stava succedendo tutto così velocemente che non ci capivo molto, onestamente.
« Li hai uccisi? » domandai ancora, con la voce roca, controllata dal terrore.
« Ovvio che no, stanno solo... dormendo. Ma si sveglieranno nel giro di venti minuti al massimo, quindi dobbiamo sbrigarci ». Annuii senza dare una vera e propria risposta. Salimmo una rampa di scale e ci ritrovammo davanti una porta chiusa. Michael aggrottò le sopracciglia, evidentemente non rientrava tra i suoi piani.
Si avvicinò alla porta e tirò fuori una sorta di chiave dalla tasca, la porta non si aprì. « Merda, » imprecò, mordendosi un labbro. « Okay, dobbiamo correre ».
« Usciremo dall’uscita principale? » chiesi.
« Non è esattamente agibile » mi rispose lui. Il senso di panico si rimpossessò di me, cosa avremmo fatto allora? Le scale antincendio erano fuori portata, l’uscita principale non si poteva usare. Tremai al pensiero che Evelyn e Jordan si svegliassero con me e Michael ancora dentro l’edificio, avrebbero di sicuro chiamato rinforzi, e a quel punto, da soli non saremmo stati abbastanza forti.
Pensai ad Ashton. C’era anche lui da qualche parte? Anche se fosse, dubitavo che in tre contro chissà quanti delinquenti avremmo avuto molte possibilità di uscirne vivi. Volevo chiedere a Michael se Ashton fosse con lui, ma non mi sembrava il momento adatto.
Scendemmo di nuovo le scale e ci ritrovammo nella grande sala dove mi avevano fatto girare il video. Michael si avvicinò ad una finestra e si affacciò. « Perfetto » mormorò, l’aprì e si mise seduto sul davanzale. Voleva saltare? Era pazzo, ci saremmo fatti male.
« Michael, non puoi saltare da qui » gli dissi, cercando di tirarlo dentro.
« Qui sotto c’è un cassonetto, uno di quelli industriali, quelli alti almeno un metro e mezzo. Divideremo la discesa, » mi spiegò, con torno urgente. Non mi dimostrai molto convinta, allora lui continuò. « Vuoi uscire di qui o no? ».
Sospirai e lasciai la presa sulle sue spalle. Michael saltò e atterrò senza problemi sulla superficie metallica del cassonetto, verniciato di un verde acido. « Visto? Sono tutto intero. Male che vada, ti prendo io! » esclamò per incoraggiarmi. Mi misi seduta sul davanzale, e cercai di ricordarmi qualcosa su come non farsi male saltando, ma la mia mente era vuota, allora scivolai semplicemente giù. Quando i miei piedi toccarono la superficie, barcollai un po’ all’indietro, ma Michael mi impedì di cadere.
Facemmo la stessa cosa per scendere dal cassonetto sull’asfalto e, bene o male, riuscii ad atterrare senza farmi un graffio, in fondo sapevo che era tutto grazie a Michael. Mi chiedevo dove e come avesse imparato a muoversi così velocemente e con così tanta agilità, poi pensai che fosse semplicemente il frutto di due anni passati a condurre quella vita.
Mentre correvamo dall’altra parte dell’edificio, mi storsi una caviglia e fummo costretti a rallentare. Guardai Michael come per chiedergli scusa, ma lui mi offrì il braccio in modo che io mi ci potessi appoggiare. Ero grata a Michael, e non solo per quello che stava facendo, ma per tutto. Lui mi aveva portato via da Ashton quella sera alla confraternita, impedendomi di fare qualcosa di cui mi sarei pentita; lui mi aveva rassicurata, mi aveva raccontato il suo passato ed era rimasto mio amico mentre Ashton mi faceva arrabbiare e poi soffrire.
Michael era una persona fantastica e con tanti problemi alle spalle, eppure era lì, a tirarmi fuori dai guai. Non mi aveva tradito, non lo avrebbe mai fatto. Lo guardavo e non capivo come Valerie potesse averne paura. Avrei voluto che lei lo vedesse con i miei occhi per almeno un minuto, così da rendersi conto che il ragazzo che amava non era mai morto veramente come lei credeva.
Intanto, il pezzo di stoffa che mi fasciava la mano era praticamente zuppo di sangue e mi maledissi mentalmente per essermi tagliata, anche se l’avevo fatto per far credere che avessi rotto io la finestra, avrei potuto inventare una scusa diversa sul momento. Ultimamente, ero diventata così brava a mentire a tutti. Lo avevo fatto con Valerie e con Calum, due persone a cui volevo molto bene, con due sconosciuti sarebbe stato molto diverso?
Quando arrivammo davanti la parte anteriore dell’edificio, capii cosa intendesse Michael quando mi aveva detto che l’entrata principale era inagibile: era semplicemente murata, e non c’erano finestre al piano terra. Girai la testa e vidi la figura di un ragazzo, stava in piedi sul bordo del marciapiede. La luce del lampione lo illuminava abbastanza per capire chi fosse. Ashton. Lo avrei riconosciuto tra milioni.
Quando alzò lo sguardo su di me, nonostante fosse buio e io fossi parecchio distante, giurai d’aver visto i suoi occhi spenti illuminarsi di una luce nuova, che non riuscivo a definire completamente.
Allora lasciai il braccio di Michael all’istante. Ignorai la fasciatura ormai completamente tinta di rosso, ignorai quello che mi circondava e ignorai il dolore alla caviglia. Cominciai a correre verso di lui. Ashton mosse qualche passo incerto nelle mia direzione, ma io ero più veloce.
In meno di un secondo, mi gettai tra le sue braccia. Lui mi tenne stretta e mi sollevò un poco da terra. Girammo su noi stessi un paio di volte e io mi sentii infinita. Ero lì, ero viva, tra le braccia di una persona che aveva semplicemente fatto le scelte sbagliate, tra le braccia dell’uomo che avevo inconsapevolmente perdonato. E non seppi mai con precisione cosa mi spinse a guardarlo negli occhi per un breve ma fatale istante. Sapevo solamente che, in quel momento, non ero sotto l’effetto di nessun alcolico in particolare. Ero perfettamente lucida e padrona di me stessa, consapevole delle mie azioni. E per la prima volta in vita mia fui completamente sicura che non mi sarei affatto pentita d’aver fatto quello che stavo per fare.
Posai entrambe le mani ai lati del volto di Ashton, anche se la fasciatura improvvisata alla mano destra rendevo il tutto un po’ più goffo. Chiusi gli occhi e nel giro di un nanosecondo sentii le sue mani sui miei fianchi, il suo respiro sulle labbra, un istante dopo lo stavo baciando. Lui stava baciando me. Ed era la sensazione più bella del mondo.
Non c’era particolare ardore in quel bacio, non c’era violenza. Era semplicemente così diverso da tutti gli altri baci che ci eravamo scambiati fino a quel momento, che sentii di non poter fare altro per il resto della mia vita. Le labbra di Ashton sembravano essere il posto a cui appartenevano le mie, ed erano gentili, delicate, eppure bisognose allo stesso tempo. Mi lasciò insinuarmi in esse con assoluta facilità. Amavo tutto quello. Non mi ero resa conto di quanto potesse essere bello un bacio desiderato da entrambe le parti, era inaspettato e imprevedibile, ma allo stesso tempo voluto da sempre e perfetto come nient’altro al mondo. Non seppi contare il tempo in cui i nostri respiri si fusero, in cui i nostri cuori batterono violenti l’uno contro l’altro e in cui le nostra labbra si rincorsero veloci: fosse stato per me, il Sole avrebbe potuto spegnersi e il tempo per baciare Ashton non mi sarebbe mai sembrato abbastanza. Ogni secondo che passava ne volevo di più. Sentivo i polmoni scoppiare, ma non importava.
Ashton Irwin avrebbe finito comunque con l’uccidermi, e preferivo decisamente che lo facesse con un bacio e non con una pistola.
Mi staccai da lui, lo guardai ancora negli occhi, respirai e subito dopo mi ritrovai con le sue braccia forti attorno al corpo e la testa premuta contro il suo petto. Mi permisi di piangere, ma dalla gioia di essere scappata da quell’incubo, di averlo ritrovato, cambiato e forse migliore. E non me ne importava niente che lui odiasse vedere le persone piangere, perchè le mie non erano lacrime amare.
Prese ad accarezzarmi dolcemente la schiena, mentre io mi facevo piccola e infinita tra le sue braccia e nella mia felpa.
Mi lasciò un bacio sui capelli. « Va tutto bene, Amelia, va tutto bene » mi rassicurò.
E fu allora che capii che le nostre vite non sarebbero state affatto migliori se non ci fossimo mai incontrati. Sarebbero state semplicemente le stesse, vuote e oscure.
« Lo so, sei qui con me adesso » sussurrai io in risposta, con il viso seppellito ancora nella sua giacca. Sentii dei passi avvicinarsi e, voltandomi, vidi Michael venire verso di noi.
« Tutto ciò è stato molto romantico e commovente, ma io me ne andrei prima che quei due si sveglino e capiscano di aver miseramente fallito » disse, io repressi un sorriso e una risatina.
« Michael ha ragione, » mi disse Ashton scostandomi leggermente dal suo corpo. « Dobbiamo andarcene, e alla svelta ».
Annuii senza dire niente, e Ashton mi strinse la mano sinistra, quella illesa. Allora ci dirigemmo verso l’auto di Michael, parcheggiata dall’altra parte della strada. Aprii la portiera per sedermi sui sedili posteriori, dato che avevo immaginato che Ashton si sarebbe sistemato davanti, lui però si mise seduto accanto a me. Un po’ mi dispiacque per Michael, perché così, soprattutto dopo la scena di pochi minuti, sembrava che ci stesse facendo da autista, tuttavia, non disse niente e mise in moto.
Dopo qualche minuto di guida, Ashton notò che avevo la mano destra fasciata e me la prese delicatamente tra le sue mani grandi. « Che hai fatto? » mi chiese, cominciando a sciogliere la fasciatura improvvisata.
« Mi sono tagliata. Ho fatto finta di rompere una finestra » risposi, sconsolata.
« Mike, dov’è il kit di pronto soccorso? » domandò Ashton, rivolgendosi al suo amico.
« Nel cassetto » disse semplicemente, indicando con una mano lo scomparto che si trovava davanti al posto del passeggero. Ashton si chinò in avanti, mettendosi quasi in piedi, e appoggiandosi al poggiatesta del sedile riuscì ad aprire lo sportello e a prendere la valigetta bianca.
« Tenete un kit del pronto soccorso in macchina? » chiesi.
« È utile... in certe situazioni, » borbottò Michael. « E non sporcatemi i sedili ».
Non dissi niente, evitai di indagare ulteriormente sull’utilità di bende e cerotti durante le loro missioni.
Ashton tolse definitivamente il pezzo di stoffa dalla mia pelle, rivelando un taglio rosso e abbastanza profondo. « Con cosa diavolo ti sei fasciata la mano? »
« Michael me l’ha fasciata. Con un pezzo di lenzuolo. Non c’era altro nella stanza e non avevamo tempo di metterci a cercare cerotti » dissi.
Ashton non replicò e sistemò un fazzoletto sui sedili, per non farci colare sopra l’acqua ossigenata che mi aveva appena versato sulla mano. Mi morsi un labbro per il dolore, perché la ferita aveva cominciato a bruciare da morire. Nascosi il viso dietro i miei capelli, mentre Ashton continuava a tenermi la mano e dalla mia ferita usciva fuori una rivoltante schiuma bianca.
Dopodiché prese un rotolo di garza e mi fasciò di nuovo la mano, fece una fasciatura piuttosto stretta e la bloccò con del nastro telato. « Ora dovrebbe andare meglio » sospirò.
Rialzai il capo, scostandomi i capelli dagli occhi e lo guardai. « Grazie » mormorai. Lui mi rispose con un sorriso pieno e luminoso, e credetti di non aver visto niente di più bello. Cosa era successo ad Ashton? Era possibile cambiare in modo così repentino? Mi facevo quelle domande su di lui, perché avrei voluto porle anche su di me. Io stavo cambiando, mentre non capivo ancora cosa mi stava succedendo.
« Dove eravamo? » chiesi, con un filo di voce, mentre Ashton toglieva il fazzoletto leggermente bagnato dal sedile e lo posava insieme alla valigetta bianca alla sua destra.
« A mezz’ora da Sydney, in una zona industriale, » rispose Ashton. « Dovremmo essere al campus tra quaranta minuti, circa ».
Allora mi avvicinai un po’ a lui e poggiai la testa sulla sua spalla. « Posso? » domandai, non sentii alcune risposta, ma mi cinse le spalle con un braccio, quindi supposi che si trattasse di un sì. Allora chiusi gli occhi e cercai di dormire. Non ci riuscii, ma passai tutto il viaggio in macchina in silenzio, ad arrovellarmi su di me, Ashton, su cosa era appena nato quella sera, se per lui fosse contato veramente qualcosa. Mille domande vorticavano nella mia testa, ma io seppi rispondere solo a una.
Ashton era veramente cambiato? E la risposta era indiscutibilmente positiva.


 
 

Marianne's corner
Eccomi qui con il capitolo bomba u.u dovevo postare venerdì sera, poi ieri e... ehm, sono si nuovo un pelino in ritardo, lo so. Il 15 però ho un'interrogazione difficilissima e sto studiando dai primi di Novembre, quindi capitemi.
Ma basta parlare di quella cosa brutta brutta chiamata sucola u.u
SI BACIANO I MIEI ASHELIA SI BACIANO E SONO LA COSA PIU' BELLA DEL MONDO E ODDIO LO SO CHE SEMBRA UNA COSA CAMPATA PER ARIA e non so perché urlo, ma gfhjkgfdhkj

No, sul serio, nel prossimo capitolo si chiariranno e si delineeranno meglio le dinamiche del loro... uhm.. rapporto. Promised. Poi ho in mente un breve salto temporale perché a noi giustamente dei primi giorni felici non ce ne importa nulla u.u
E nulla, spero davvero che vi sia piaciuto perché ho fangirlato come una perfetta idiota scrivendolo.
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: Hazel_, MarieCecile, McPaola,wild_nirvana,daisyssins, DarkAngel1, Onedsbreath_, Letizia25, _D r e a m e r, Ilovepizzand5sos e FreeSpirit_
Un bacione e a presto!
Marianne

 

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Capitolo 18
*** Normalità ***




 
 
18 – NORMALITÀ
 
Fui riportata alla realtà dalla voce di Ashton che mi diceva che eravamo finalmente arrivati al dormitorio. Aprii lentamente gli occhi e vidi di avere addosso la sua giacca a mo’ di coperta, feci per ridargliela ma lui mi bloccò.
« Tienila, prima stavi tremando » mi disse.
Sbuffai, non volevo tenerla, ma avrei mentito a me stessa se avessi detto che non mi piaceva l’idea di avere qualcosa di suo. Michael scese assieme a noi, invece di ritornare alla confraternita, e ci seguì in silenzio. Avrei voluto almeno ringraziarlo, dato che era stato lui a tirarmi fuori da tutto quel casino. Però Ashton non mi lasciava la mano e io ero davvero troppo confusa: e se l’avessi baciato solo per l’adrenalina che mi scorreva nelle vene? Avrei ringraziato Michael più tardi, oppure l’indomani a lezione, avevo così tante occasioni per vederlo... probabilmente stringere la mano ad Ashton in quel modo non mi sarebbe ricapitato molte volte.
Percorremmo il corridoio parzialmente illuminato e cominciammo a dirigerci verso la stanza sua e di Luke, e prima che potessi dire qualcosa « Valerie è con Luke, devono fare un progetto e sono preoccupati per te » mi spiegò.
Abbassai lo sguardo e continuai a camminare. Arrivati di fronte alla camera 174, Ashton cercò qualcosa nelle tasche dei pantaloni, ma non riuscì a trovare niente.
« Cercavi queste? » gli chiesi, tirando fuori un paio di chiavi dalla sua giacca, dato che la indossavo io, erano molto simili a quelle della mia stanza, lui sorrise divertito e me le prese dalle mani. Michael continuava a stare dietro di noi. Mi girai a guardarlo mentre Ashton infilava le chiavi nella serratura e apriva la porta. Aveva uno sguardo strano, provai a sorridergli e lui fece lo stesso.
Quando la porta si aprì, Ashton tenne le chiavi in una mano, mentre l’altra cercò di nuovo la mia. La strinsi. Entrammo, Luke e Valerie erano seduti sul letto di Luke, circondati da libri, ma in realtà parlavano tra di loro. La sveglia sul comodino mi disse che erano quasi le undici di sera.
Ashton finse di tossire per attirare la loro attenzione, e quando Valerie si girò a guardarci e i suoi occhi si illuminarono, Ashton slacciò delicatamente le nostre dita e lasciò che venissi sommersa dall’abbraccio di Valerie.
Mi era mancata da morire anche se erano stati solo due giorni. Era come se avessi passato fuori il finesettimana, solo che non l’avevo avvertita e lei probabilmente aveva provato a mettersi in contatto con me, invano.
« Ma dove sei stata? » disse, sfregando le mani sulla mia schiena. Cercavo di non ricordare. « Eravamo preoccupati, non rispondevi al cellulare e dopo un po’ ha cominciato a risultare staccato! » esclamò ancora.
A volte avrei voluto che nessuno si preoccupasse per me, ma non potevo certo fargliene una colpa. Valerie era una bella persona e non meritava di entrare in quel mondo di ombre oscure. Fu proprio per proteggerla che dovetti mentirle per l’ennesima volta.
« Ero da Calum... e avevo il cellulare scarico » dissi, abbassando lo sguardo.
« E che hai fatto a casa di Calum per quasi due giorni, eh? » chiese. Forse era una mia impressione, ma Valerie aveva usato quella solita punta di malizia. Mi girai verso Ashton, lui guardava da un’altra parte e io sospirai.
« Niente, noi abbiamo parlato e... sono molto stanca » dissi. Ero troppo distrutta anche per mentire. Valerie vide che non volevo parlarne e lasciò perdere. Ma ormai la conoscevo abbastanza da capire che niente sfuggiva ai suoi occhi.
« E questa? È tua? » mi chiese, sfiorando la mia giacca, cioè, quella di Ashton.
« Ehm... non esattamente... io- » provai a dire, colta totalmente di sorpresa.
« È mia, » intervenne Michael, fu allora che Valerie si accorse della sua presenza e spalancò gli occhi verdi, incapace di dire una parola. « L’ho incontrata per strada e lei aveva dimenticato la sua da Calum ».
Lo guardai riconoscente, per non averlo fatto dire ad Ashton e poi annuii a Valerie.
« Michael è stato molto gentile » dissi ancora. Valerie però mi aveva totalmente ignorato e continuava a fissare Michael.
« Vi serve una mano col progetto della professoressa Nelson? Io l’ho già fatto....».
« Ci salveresti la vita! » s’intromise Luke. « Siamo ad un punto morto ».
Io sorrisi, ero felice per lui, avrebbe potuto passare un po’ di tempo assieme a Val.
« Io sono un po’ stanca, credo andrò in camera » sospirai.
« Ti accompagno » disse Ashton. Notai che era la prima cosa che aveva detto da quando eravamo entrati e lo lasciai fare. Quando fummo di nuovo in corridoio, buttai fuori un sospiro di sollievo e mi strinsi nella giacca di Ashton.
« Hai ancora freddo? » mi chiese, dopo essersi chiuso la porta alle spalle. Io scossi la testa, non avevo una gran voglia di parlare, quindi mi tolsi la sua giacca e gliela porsi, lui la prese, con uno sguardo molto confuso sul volto. Ero stanca, volevo dormire, ma avevo centinaia di domande e nemmeno una misera risposta. Mi scoppiava la testa e sentivo che avrei potuto mettermi a piangere da un momento all’altro, ma non volevo farlo davanti ad Ashton, quindi mi limitai solo ad avviarmi verso le scale, tenendo sempre lo sguardo rivolto a terra.
Ashton mi seguì in silenzio. Ora che eravamo soli non avevo idea di cosa fare. Nelle ultime due ore ero scampata a morte certa, l’avevo baciato, mi aveva medicato la ferita e mi ero addormentata sulla sua spalla. Era pur vero che nei giorni precedenti avevo avuto modo di riflettere su di lui, sul suo comportamento, su quello che ci legava e, soprattutto, sulle mie emozioni, ma non ero ancora del tutto sicura di quello che stavo facendo.
Arrivammo di fronte alla porta della mia stanza e io mi fermai di botto, osservai il legno della porta e sospirai, avevo le chiavi nella tasca dei jeans. Una parte di me voleva entrare in silenzio e lasciare Ashton in corridoio, l’altra parte, invece, voleva farlo entrare e baciarlo di nuovo fino a non sentire più la differenza tra le mie labbra e le sue. A mio malgrado, feci la prima cosa, ma non rimasi in silenzio perché Ashton cominciò a parlare.
« Ricomincerò » disse semplicemente. Lo osservai curiosa, non sapevo come replicare. Non ne ero di certo entusiasta, ma aveva scelta? Lui aveva smesso di farlo e mi avevano rapita, e questo mi fece di nuovo pensare ad una marea di cose. Non misi freni alla lingua.
« Mi hanno detto che ero l’unica persona che avrebbe potuto farti cambiare idea, » sussurrai, tenendo lo sguardo basso. Sentii subito dopo le dita di Ashton sul mento, la mia testa si sollevò e i miei occhi furono costretti a guardare i suoi. Mi dicevano di continuare. « Che con me è diverso. Che se ti avessero ricattato in questo modo avresti ceduto. E l’hai appena fatto. Ora, io voglio sapere solo una cosa ».
« Cosa? » mormorò lui. Era vicinissimo, troppo vicino, avrei potuto perdere ogni tipo di controllo e ribaciarlo ancora, perché sembrava strano, ma era stato il più bel bacio della mia vita.
« È tutto vero? » chiesi. Volevo finalmente delle risposte e solo lui poteva darmele. Mi ero fatta tante di quelle domande in quei giorni, e tutte riguardavano principalmente lui.
Ashton mi guardò per un tempo che non riuscii a definire, come non riuscii a definire nemmeno una delle emozioni che provai in quell’istante. Continuò lentamente ad avvicinarsi, appoggiò la fronte sulla mia e ancora non avevo ricevuto una risposta. « Perché non verifichi tu stessa? ».
Continuavo a non capire. Ashton mi baciò, ma fu ancora diverso da tutti gli altri baci. Stavolta fu un bacio dolce e lento, che all’inizio era appena uno sfiorarsi di labbra, ma non andò mai troppo oltre. Durò poco, e io ancora non avevo capito, ma cominciavo a farlo.
« Buonanotte, Ashton » mormorai, allontanandomi un po’ da lui.
« Allora, è vero? » mi chiese. Infilai la chiave nella toppa e sospirai. Sapevo che se mi fossi voltata in quel momento, non sarei stata capace di tenerlo fuori dalla stanza.
« Credo di sì, o almeno mi piace crederlo e sperarlo » risposi, girai la chiave e la porta si aprì.
« Buonanotte, Amelia ». Entrai e chiusi la porta.
Mi misi il pigiama e poi filai a letto, senza nemmeno guardarmi allo specchio. Avrei pensato domani alle mie disastrose condizioni. Valerie rientrò in stanza verso mezzanotte e mezza, mi finsi addormentata, ma lei continuò a messaggiare fino all’una passata. Quando spense il telefono io dormivo già, ma solamente perché ero talmente stanca da non riuscire nemmeno a pensare. Forse, se non fossi stata così distrutta, non avrei dormito perché Ashton e i suoi baci mi avrebbero tenuta in piedi tutta la notte.
E al mattino non me ne sarei pentita.

 
***
 
Il giorno dopo, durante la pausa pranzo, successero diverse cose strane: Valerie non venne a pranzo con me e Luke, e quando provai a chiedergli cose le fosse successo, lui si limitò a fare spallucce. Ma non fu quello a farmi capire che le cose fossero strane, bensì il fatto che Luke era stranamente taciturno. Lo osservai in silenzio mentre mangiavamo entrambi i nostri hamburger precotti, lo osservai attentamente e  mi resi conto di non conoscerlo poi così bene. Almeno, non come Valerie.
Di lei sapevo i nomi dei suoi famigliari, i suoi sogni, i suoi affetti e, grazie a Michael, anche parte del suo passato. Di Luke invece non sapevo assolutamente nulla. Né se avesse fratelli o sorelle, né i nomi dei suoi genitori, i suoi sogni e tantomeno il suo passato. Luke era poco più di un conoscente per me, anche perché guardandolo, non mi sentivo poi così a mio agio.
Continuai ad osservarlo finché lui non cominciò a guardare me e poi mi chiese: « Ho qualcosa sulla faccia? ».
In realtà, prestavo più attenzione all’azzurro dei suoi occhi, ma quando me lo chiese, distolsi lo sguardo e lo guardai nel complesso. Non aveva niente di strano in faccia, ma mi sembrava ugualmente buffo, così mi limitai a ridere e a scuotere la testa.
« Scusami, ero sovrappensiero » gli confessai.
« Uhm, non me ne intendo molto di relazioni, lo sai… insomma, ancora non sono riuscito a chiedere un appuntamento a Freya, ma se vuoi… uhm, puoi parlarne anche con me. Se ti va » mi disse, posando per un attimo le posate sul tavolo. Lo guardai e sorrisi.
« Grazie, Luke, ma per adesso i ragazzi non fanno parte della mia vita » gli dissi. Bugia.
Ashton continuava a ronzare fastidiosamente nella mia testa. Continuavo a pensare al bacio che mi aveva dato la sera prima. Quel bacio silenzioso, dolce, a fior di labbra. Tutte cose che non  ci si aspetterebbe mai nessuno da uno come Ashton. Non avevo la più pallida dea di cosa provassi per lui. Era tutto così difficile. Lui aveva smesso di uccidere per me, almeno così diceva, gliel’avevano fatta pagare e ora aveva ricominciato per paura. Paura che potessero fami del male.
Ma era veramente così? Gliel’avevo chiesto e lui mi aveva baciato, dicendomi di verificare personalmente. Poteva un bacio veramente confermare i miei dubbi? Come? Io non avevo capito, non ero riuscita a rispondermi, e non mi sarebbe bastato un bacio solo. Mi riscoprii a volerne molte di più.
« Sei sicura, Amelia? » mi chiese Luke, riportandomi alla realtà. « Sembri avere la testa sulle nuvole ».
Mi riconcentrai sul suo viso e notai di tenere la forchetta a mezz’aria.
« Sì. Sto pensando al test di antropologia… » continuai a mentire. Mi sentivo così in colpa a dire bugie su bugie, soprattutto a persone come Luke.
« Mh, quindi un certo Ashton Irwin non c’entra nulla, vero? » mi chiese ancora, con uno sguardo curioso.
« Valerie ti ha messo qualche idea strana in testa? » chiesi, soffocando una risatina.
« No, so riconoscere la giacca del mio compagno di stanza quando la vedo, soprattutto se la indossa una ragazza » disse lui, vago. Io avvampai ed evitai di rendermi ancora più ridicola perché Michael aveva detto che quella era la sua giacca. Mi chiesi perché Luke non avesse detto niente a riguardo.
« È una cosa complicata » mi giustificai, tagliando un altro pezzo del mio hamburger.
« Quale relazione non lo è? » domandò Luke.
« Non è una relazione, » borbottai. « Non è niente ».
« Hai detto che è complicato, » continuò Luke, il suo piatto era completamente vuoto. « Deve essere per forza un qualcosa ».
« Be’, non so cos’è, ma è complicato. E di certo non è una relazione » dissi, continuando a mangiare.
« Sai, forse non dovrei dirtelo. È un segreto tra uomini, ma penso proprio che tu gli sia piaciuta sin dal primo istante » disse ancora Luke, io rischiai di strozzarmi il mio stesso cibo.
Luke sembrava così ingenuo a volte, ma ovviamente non poteva sapere. Non poteva conoscere il motivo dell’iniziale interesse che Ashton aveva dimostrato nei miei confronti. Lo faceva perché ero una testimone, perché andavo tenuta buona, perché doveva terrorizzarmi in un modo o nell’altro, ma le cose erano cambiate.
Molto lentamente, erano iniziate a cambiare dopo l’incidente di Calum. Tutto quel disastro non avrebbe avuto molto senso se Ashton non avesse avuto un altro tipo di interesse nei miei confronti. Erano iniziate a cambiare nel peggiore dei modi: per gelosia. Eppure era stato un inizio. Calum non mi aveva più richiamato dopo che mi avevano rapita. Erano passati solo due giorni, ma forse avrei dovuto sentirlo. Avevo rischiato di rovinare il mio rapporto con lui per ben due volte, ma lui era rimasto in seguito ad entrambe le occasioni. Non avrei mai smesso di ripetermi che non lo meritavo affatto, che una persona così buona e senza risentimenti era semplicemente troppo per me.
Tuttavia, ancora non riuscivo a capire cosa passasse per la mente di Ashton. Qualcosa era scattato dopo che mi avevano rapita oppure era già iniziato da prima? Una parte di me voleva che risalisse tutto a prima del mio rapimento: lo desiderava quella piccola parte di me che non viveva senza il tocco di Ashton e senza i suoi innumerevoli e inspiegabili baci, lo voleva disperatamente; quella parte di me che credeva di essere innamorata di lui.
« Io devo ancora capire se lui mi piaccia o meno, Luke, è questo il problema » sospirai, forse rivolta più a me stessa che a lui. Lasciai il mio hamburger a metà, e dopo aver recuperato la mia borsa dalla sedia su cui solitamente sedeva Valerie, uscii dalla sala da pranzo del dormitorio.
La mia prossima lezione era psicologia, e l’avrei divisa con Michael. Mi avviai verso l’aula, nonostante la pausa pranzo non fosse ancora finita. Tirava proprio un’aria strana, quel giorno, perché mentre camminavo per i corridoi, notai una cosa che non mi sarei mai aspettata di vedere.
Michael e Valerie che parlavano normalmente, come una qualsiasi coppia di studenti, intenti a scambiarsi pensieri, oppure semplicemente pareri sui vari professori, o le risposte ai test di metà semestre. Mi accostai velocemente al muro, nascondendomi, e poi mi sporsi un poco con la testa per osservarli meglio. Non stavano litigando, anzi, camminavano semplicemente. Michael aveva un largo sorriso sul volto e Valerie sembrava molto più serena del solito. Fare quel progetto tutti insieme doveva averli aiutati parecchio, più di quanto pensassi. Ero assolutamente curiosa di sapere, ma non ero sicura che Valerie me l’avrebbe raccontato tanto facilmente, lei non mi parlava più di Michael da un sacco di tempo, e pensai di dover rispettare questo suo silenzio.
Ad un certo punto, lei svoltò a sinistra – se non ricordavo male, a quell’ora aveva letteratura – e Michael avanzò nella mia direzione.
Mi rimisi si nuovo al centro del corridoio e lo aspettai. Forse Michael me ne avrebbe parlato più volentieri.
« Hey, Amelia! » mi sentii chiamare, la sua voce era fin troppo familiare. Voltandomi, vidi il volto felice di Michael venirmi incontro.
« Hey! » lo salutai, lui mi passò un braccio attorno alle spalle e quel gesto non fece altro ricordarmi il modo in cui l’aveva fatto Ashton, quand’eravamo in macchina. Era diverso però, con Ashton mi ero sentita  estremamente leggera pur avendo una strana sensazione all’altezza dello stomaco. Con Michael invece tutto aveva una nota più amichevole, perché io e lui eravamo semplicemente amici.
Ashton era qualcosa di più. Non sapevo esattamente quanto, forse di una misura impercettibile, ma era più di un amico. Ora che ci pensavo, io e Ashton non eravamo mai stati amici sul serio, il nostro rapporto era iniziato con l’odio e la paura, per evolversi nell’indifferenza ed era diventato così tempestoso all’improvviso, in un battito di ciglia. Troppo velocemente perché me ne potessi accorgere gradualmente e rendermi conto di quello che stava accadendo.
« Oggi è una magnifica giornata, non trovi? » mi disse Michael. Continuammo a camminare insieme verso l’aula di psicologia.
« Mh, e a cosa dobbiamo tutta questa felicità? » chiesi io, ridendo. « Forse a Valerie che ha appena ricominciato a parlarne con te? ».
« Mi spii adesso? I ruoli si sono invertiti? » continuò Michael.
« Voglio ogni particolare » ribattei entrando in aula. Mancavano quindici minuti all’inizio della lezione, io e Michael ci mettemmo seduti nei nostri soliti posti in seconda fila e lui non si tolse mai dal volto quel sorriso. Mi faceva bene vederlo così, era la prima volta che lo vedevo veramente così raggiante.
« Non so  cosa è successo. Ieri siamo rimasti fino a mezzanotte a fare il progetto. Poi mentre stavo tornando alla confraternita mi è arrivato un messaggio da parte sua: non mi scriveva da due anni. Non ho chiuso occhio » disse lui, scarabocchiando sul proprio blocco degli appunti.
« Ecco con chi è rimasta a messaggiare fino a notte fonda! » esclamai.
Michael rise. « E a pranzo l’ho incrociata per i corridoi e siamo andati a mangiare fuori » continuò.
« Mikey, sono felicissima per te! Te lo meriti, sei una fantastica persona » esclamai.
« Dimentichi il problema “sicario”, Amelia. Non ho ucciso mai nessuno, ma… non sono una bella persona. Valerie che ritorna a parlarmi è una sorta di miracolo, ora ho paura di perderla di nuovo, ma non so se sono ancora abbastanza per lei » mi disse.
« Smettila di autocommiserarti, Michael. Ne uscirai, tu ed Ashton ne uscirete » lo rassicurai io.
« No, » lui scosse la testa e all’improvviso si rabbuiò. « Hai visto cosa sono stati capace di fare a te e ad Ashton. Non possiamo uscirne, l’unico modo è far crollare tutto, ma in quel caso dovrebbe entrare in gioco la polizia e finiremmo tutti in prigione ».
« C’è un modo per far crollare tutto senza farvi rischiare?  » chiesi, giocherellando con la mia penna.
« Dobbiamo far arrestare il Capo. Se lui crolla, crolla tutto. E noi saremo liberi » sospirò. L’aula intanto si era riempita lentamente e il professore aveva sistemato le proprie scartoffie sulla cattedra. Non ne parlammo più.
 
 
 
 


 
 

Marianne's corner
Dai, almeno con questa storia sono in orario... *si spara perché ha 484894 da scrivere e ancor più cose da studiare e... muore*
Ok, non so da dove partire... uhm, come dice il titolo stesso, questo capitolo parla di normalità. Niente uccisioni, rapimenti, missioni di salvataggio o altre stranezze simili, solo persone non ordinarie che pensano cose normali. Ed è eccessivamente lungo, lo so da me, ma avevo bisogno di far luce un po' su tutti i fronti: Amelia e Ashton, Amelia e Calum, il personaggio di Luke e il rapporto tra Valerie e Michael. E quindi ora mi sento in pari u.u
È un pochino di passaggio, ma spero mi perdonerete, da qui in poi in quasi ogni capitolo succederà qualcosa di eclatante: diciamo che con questo siamo entrati negli ultimi dieci, infatti, mi duole informarmi che la storia finirà al capitolo 28 (siano benedette le scalette e gli schemini nei secoli dei secoli amen), e dai, non è proprio pochissimo. Mi dovrete sopportare ancora per una decina di settimane ;)
Ringrazio moltissimo chi ha recensito lo scorso capitolo:  McPaola, Letizia25, MarieCecile, Hazel_, daisyssnis, jale_90, DarkAngel1, blu394, Onedsbreath_, _D r e a m e r
Al prossimo capitolo! :3 ♥
Marianne


 

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Capitolo 19
*** 21 Pistole ***




 
 
19 –21 PISTOLE
 
Passarono tre settimane, e le mie giornate si susseguivano tutte uguali e tutte stranamente calme e tranquille, tutte stranamente normali. Valerie passava sempre meno tempo in stanza e ritornava la sera tardi con un luce nuova negli occhi; Luke mi aiutava a studiare per i test di metà semestre, che passammo entrambi con ottimi voti, e dato che Valerie spariva magicamente assieme alla macchina di Michael quasi tutte le sere, io e Luke avevamo stretto un bel rapporto e mi ero più volte offerta di aiutarlo con quella ragazza della facoltà di chimica, Freya, ma lui continuava a dire che avrebbe aspettato il momento giusto.
Comunque, adesso che ci passavo così tanto tempo, avevo piacevolmente scoperto che Luke era semplicemente un ragazzo molto riservato, anche se quando lo avevo conosciuto mi era sembrato tutto il contrario, ovvero carismatico e affascinante. La verità era che Luke stava molto attento a mostrare il proprio volto solo alle persone a cui teneva davvero, e da qualche tempo io rientravo tra queste. Luke era gentile e sempre disponibile, e ogni volta che aveva da fare in quanto assistente del professore di letteratura, si scusava almeno dieci volte.
Ma in quelle occasioni c’era Ashton. In quelle tre settimane avevo avuto modo di osservarlo e di riflettere sui miei sentimenti, ma nonostante le sere in cui sgattaiolava nella mia stanza e rimanevamo semplicemente sdraiati sul mio letto a guardarci negli occhi, e i baci silenziosi senza un motivo apparente, non ero riuscita a capire né lui né me stessa.
Passarono tre settimane, Ashton continuava ad uscire la notte per poi tornare il mattino dopo, se non direttamente la sera seguente, talvolta Michael andava con lui; passarono tre settimane e io non gli chiesi più se mi avessero rapita perché ero importante per lui e Ashton continuò a dimostrarlo cercando la mia mano per i corridoi e tenendomi stretta a sé durante le prime sere invernali. Il suo corpo era sempre caldo, forse per quel fuoco che gli scorreva tra le vene e di cui non avevo ancora capito la natura, ma aspettavo che fosse lui a spiegarmelo, il problema era che Ashton preferiva baciarmi che parlare, e per quanto le sue labbra mi facessero star bene e dimenticare gran parte delle cose che erano accadute, io non potevo più aspettare. E lui non lo sapeva.
Era un sabato sera quando decisi che le cose sarebbero cambiate. Valerie era uscita e Michael non rispondeva al telefono, le due cose erano ovviamente collegate, eppure Valerie si ostinava a non dirmi nulla, nemmeno Michael però sembrava essere parecchio propenso a parlarne. Comunque, era sabato sera e Luke mi aveva detto che saremmo potuti andare a mangiare una pizza, ma io sentivo delle fitte allo stomaco ed era meglio che rimanessi a letto con una tisana e un buon film in streaming. Inutile dire che da qualche tempo tutti i miei piani erano stravolti da un’unica persona: Ashton Irwin. Ed è ugualmente inutile dire che quella sera non andò diversamente.
Erano le dieci e mi ero appena messa a letto, qualcuno bussò. Le uniche persone che bussavano erano Michael e Ashton, ma Michael era ovviamente uscito con Valerie... posai il portatile sul comodino e mi alzai per andare ad aprire. Ashton stava davanti la mia porta con le mani in tasca e le labbra serrate in un’espressione buffa.
« Posso? » chiese piano. Sospirai.
« Solo se ignori il fatto che io sia in pigiama e struccata » dissi, lui rise ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle, si guardò intorno: non sembrava troppo sorpreso di vedere che ero sola.
« È sabato sera e tu sei qui a guardare un film? » mi chiese, indicando il computer.
« Non mi sento bene, non ho voglia di uscire » borbottai, sedendomi sul letto. Spensi il computer, non avrei mai visto quel film. Un momento dopo Ashton era seduto accanto a me e mi aveva preso il viso tra le mani.
« Che hai? » chiese, preoccupato.
«  È solo un mal di stomaco, smettila di preoccuparti così tanto per me » esclamai, lo presi per il polsi e lo allontanai gentilmente da me.
« Devo ricordarti cosa è successo tre settimane fa? » ribatté lui brusco, aggrottando le sopracciglia.
« Che importa? È passato. Non succederà ancora » dissi io, alzando il tono di voce.
« Invece importa, Amelia. Importa eccome, dannazione! » esclamò Ashton. « Importa perché non permetterò ancora che ti facciano del male, se vogliono colpire me che lo facciano, tu non c’entri nulla in questa storia ».
 Si passò una mano tra i capelli e sospirò affranto. « Sì che c’entro, » mormorai piano, intimidita dal suo tono di voce. « C’entro da quando vi ho visti alla stazione di servizio ».
« Quella era una cosa tra di noi, tutta questa faccenda è qualcosa di molto più grosso, » disse Ashton. « Non si tratta solo di me o di Michael adesso, qualcun altro può farti del male, qualcuno di molto più forte e pericoloso di me ».
« Perchè ti preoccupi così tanto? Perchè ti assicuri che non mi facciano del male? Eri tu il primo a farmene e ora sei cambiato di punto in bianco! » gli gridai contro, con il viso infiammato di un sentimento strano, forse rabbia, forse frustrazione. Forse ero solo stanca di non capire.
« Non urlare con me, Amelia » disse calmo Ashton, guardandomi profondamente negli occhi.
« Altrimenti? Che farai, mi sbatterai di nuovo con la schiena al muro? Mi lancerai qualche posata addosso? Vuoi davvero farmi credere che sei cambiato? » continuai, ignorando le sue parole. Volevo che mi rispondesse di sì, dicendomi che era cambiato sul serio, e già calata in quel dolce dubbio, avevo sottovalutato la sua istintività: in un batter d’occhio la mia schiena cozzò delicatamente contro il materasso e Ashton si ritrovò a cavalcioni sopra di me, continuando a guardarmi colmo di confusione.
« Non urlare » sussurrò, stavolta, facendomi rabbrividire. Non eravamo mai stati così vicini prima d’ora, l’unica persona con cui ero stata in quel modo era stata Calum. Ma il ricordo di lui svanì non appena le labbra di Ashton si avvicinarono alle mie. Mi preparai ad un bacio che non arrivò mai.
« Ti prego, non urlare » mi ripeté piano, contro la guancia. Annuii piano, sapendo che lui l’avrebbe capito comunque.
« Aiutami a capire » gli dissi, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli, mentre lo sentivo appoggiarsi completamente sul mio corpo.
« A capire cosa? ».
« Cosa ci sta succedendo. A me, a te... perchè non riesco più a riconoscere nessuno dei due? ».
 Lui sospirò e scivolò sul fianco e ci guardammo negli occhi. Cercavo disperatamente delle risposte, senza mai trovarle veramente. « Ricordi cosa ti ho detto prima che... prima che ti rapissero? » mi domandò. Scossi la testa, ricordavo poco e niente di quel giorno infernale. « Ti ho detto che le persone cambiano, e con esse lo fanno anche i sentimenti » riprese lui.
« Ma Ashton, non posso essermi innamorata di un assassino all’improvviso » mormorai. Il mio naso sfiorava il suo.
« Continui a contraddirti, Amelia » sospirò lui. « Dici che è umanamente impossibile provare qualcosa per me, ma allo stesso tempo sei qui, sdraiata con me, allo stesso tempo lasci che io ti baci e che ti accarezzi. Se sei convinta di non provare niente, perchè continui a fare tutto questo? ».
 Rimasi ad osservarlo per un’infinità di tempo, mentre nella mia testa rimbombavano le sue parole e io le elaboravo a non finire. Oh, perchè doveva farmi tutto quello? Io non ce le avevo delle risposte e probabilmente non le avrei mai avute.
« Ash... io non so cosa provo per te, ma di certo non ho mai escluso categoricamente la possibilità di farlo » dissi, rannicchiata contro il suo corpo, con il suo respiro sulla pelle.
« Dillo ancora » mormorò Ashton, chiudendo gli occhi.
« Che cosa? » chiesi io, confusa.
« Chiamami di nuovo in quel modo... ».
« Ash, » sospirai, mi avvicinai poco e lo dissi quasi contro le sue labbra. « Ash. Ash. Ash... » continuai a ripetere finché quel bacio finalmente arrivò. Irruento, rumoroso come il mare in tempesta, infuocato come pochi erano stati fino a quel momento. Ne avevo strettamente bisogno, lui era la mia prima boccata d’aria dopo troppo tempo passato senza respirare: l’avrei presa pur essendo inquinata e poco salutare. Ashton era fumo, era aria sporca, eppure io ero li a respirarne ogni singolo centimetro cubo, ero lì a respirare quell’aria tossica che mi avrebbe lentamente ucciso.
« Sei una ragazza intelligente, Amelia, so che conosci la natura dei tuoi sentimenti » sussurrò Ashton, una volta interrotto il bacio.
« Ma sentiti, hai ventun anni e parli come un uomo vissuto ». Soffocai una risata contro il suo maglione nero.
« Ti sorprenderà sapere tutto ciò che ho passato...» disse Ashton, con una nota di tristezza.
« Perché non me parli? » azzardai, percorrendo con le dita il tessuto lanoso.
« Promettimi che rifletterai sui tuoi sentimenti » mi disse lui, abbozzando un sorriso.
« Lo prometto ».
 
Ottobre 2011, Hornsby, Australia.
Ashton uscì di corsa da casa, con la felpa arrotolata fino alle maniche, perché cominciava a fare leggermente caldo. Fuori era già buio e lui aveva litigato pesantemente con i suoi genitori, stavolta la causa era stata una sigaretta nascosta nel cassetto della biancheria e il permesso di andare ad una festa rifiutato. Andò sul molo a pensare e a rimanere un po’ da solo con se stesso. Pensare gli faceva bene e il rumore dell’oceano lo rilassava.
Aveva diciassette anni e amava vivere.
Quando tornò a casa, vi regnava uno strano silenzio, non era molto tardi, non potevano essere andati a dormire. L’unico rumore, era il brusio della TV davanti cui suo padre si addormentava. Sospirò, entrando in salotto. Suo padre era sul divano, con la testa rivolta all’indietro e gli occhi aperti a fissare il nulla. Un taglio alla gola.
Dapprima Ashton boccheggiò, poi tirò fuori tutto il fiato che aveva.
« Mamma! » gridò in preda al panico. « Mamma! ».
Ashton salì le scale e spalancò la camera dei suoi genitori: alla madre era stato rifilato lo stesso trattamento, gola tagliata. Allora andò in camera sua, intanto col cellulare compose il numero della polizia. Aprì la porta e la prima cosa che vide erano i suoi fratelli che dormivano placidamente, poi lo scintillio di una lama sotto la luce che proveniva dalla finestra. Lasciò cadere il telefono sul pavimento, producendo un tonfo. Una figura incappucciata si voltò rapidamente verso di lui e lo fulminò con lo sguardo.
« Loro no, ti prego! » esclamò Ashton.
« Li ucciderò dopo di te, se non vuoi vederli morire » sibilò l’uomo incappucciato.
« Non farlo. Ammazza me, ma non loro. Hanno otto e undici anni, non hanno fatto niente di male » continuò Ashton, quasi supplicando l’uomo incappucciato.
« Ho ordini precisi, giovanotto, non posso risparmiare né te né loro » ringhiò.
« Farò qualsiasi cosa » continuò Ashton.
« Allora scegli : vivi e seguimi, o muori insieme a loro ». L’uomo indicò i due bambini e Ashton deglutì, sull’orlo delle lacrime.
Era il 19 Ottobre 2011 quando la polizia fece irruzione in casa Irwin, trovando i due bambini spaventati tra le braccia della vicina, la signora Pamela Jackson, e quando estrasse i corpi dei genitori dall’abitazione. Secondo il medico legale, erano morti la sera del 18 Ottobre, tra le ventitré e le ventitré e trenta. Omicidio colposo. Non c’era traccia del figlio più grande, Ashton Irwin. Le indagini cominciarono da lui, la polizia non aveva altre piste se non quella che vedeva il ragazzo colpevole dell’uccisione dei genitori, ma dopo un anno il caso Irwin venne archiviato e Ashton dato per disperso. Di lui si disse che aveva diciassette anni e che la sua passione fosse vivere.

Agosto 2013, Sydney, Australia.
« Ashton, quante sigarette ti sono rimaste? ». Michael da qualche giorno aveva perso l’abitudine di salutare quando entrava in casa di Ashton.
« Due » rispose il più grande, mentre leggeva un articolo sul giornale.
« Dammene una » continuò Michael.
« Quando avrai smaltito la sbronza » disse Ashton con aria tranquilla. Lanciò un rapido sguardo all’orologio: era l’una e venticinque di notte, di sabato Michael usciva sempre e tornava puntualmente ubriaco.
« Non sono ubriaco! » protestò il ragazzo, ravvivandosi i capelli neri. Ashton non riusciva a ricordare il giorno in cui aveva visto Michael con il suo colore naturale, ma la cosa non gli interessava più di tanto. Passarono cinque minuti, l’orologio segnò l’una e trenta.
« Devi smettere di vederla » asserì Ashton, ripiegò il giornale e dopo essersi alzato dal divano malconcio, lo appoggiò sul piano della cucina.
« Chi? » chiese Michael.
« Quella ragazza, come si chiama? Vanessa? ».
« Valerie ».
« Ecco. Devi smetterla o farà una brutta fine. Scoprirà di te e con un po’ di fortuna non dovrai essere tu ad ucciderla ».
« Io non le direi mai niente ». Ashton si avvicinò a Michael e lo guardò negli occhi.
« Tu la ami, Michael, » sospirò. « Gli uomini impazziscono per amore. Per una donna saresti capace di morire e uccidere. Quindi il mio consiglio è questo: non innamorarti mai, l’amore è più letale di una pistola puntata alla testa ».
Michael tenne lo sguardo basso per alcuni minuti, ma Ashton vide e percepì tutte le ombre che attraversarono i suoi occhi cristallini.
« Adesso puoi darmi quella sigaretta? ».
« Certo, ma poi vai a dormire, ne hai bisogno ».
« Ashton ».
« Sì? ».
« Dirò che sono stato io ad uccidere Rockwood ».
 Ashton scoppiò a ridere e diede all’amico una pacca sulla spalla. « Non dire fesserie, Michael, hai quattro mesi di scuola davanti e sai che il Capo deve essere coperto in qualche modo » gli disse poi.
« E tu sei chiuso dentro questa merda di appartamento da tre settimane, leggi giornali su giornali per capire se la polizia è ancora sulle tue tracce, stai rischiando troppo » esclamò Michael.
« Hanno già appurato che non sono io l’assassino dei miei genitori ».
« Ma sei l’assassino di qualcun altro ».
« Quel bastardo ha ucciso la mia famiglia, mi ha separato per sempre dai miei fratelli... meritava qualcosa di ben peggiore della morte ».
Ci fu un lungo momento di silenzio prima che Michael parlasse di nuovo, sviando l’argomento. « Ancora non sai perché li ha uccisi? ».
« Mio padre si era messo nei casini con il Capo, Crow aveva il compito di uccidere tutti noi per fargliela pagare a dovere. Sembra quasi una barzelletta se si considera il fatto che ora sono uno dei suoi uomini migliori ». Ashton represse una risata malinconica.
« Ma si può sapere chi è questo tipo? E cosa voleva da tuo padre, lui non... non era come noi, vero? »chiese Michael.
« Nessuno sa chi è, solo i suoi collaboratori più stretti. Mio padre non era un sicario... lui faceva l’avvocato. Non so in quali casini si fosse cacciato prima di morire ».
Michael annuì e rimase in silenzio. Si accorse di avere ancora la giacca, allora se la tolse e la appoggiò su una sedia. « Dovremmo dormirci sopra » sospirò alla fine. Ashton non disse niente. Sparì nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle, mentre Michael sospirò e cominciò a preparare il divano per dormire.
 
Non volli più sentire altro. Ashton rimase in silenzio per un po’ e io lo pregai di non dire un’altra parola. Feci scorrere una mano sul suo viso, sentendolo leggermente ruvido per il sottile strato di barba sul mento. Lui non aveva mai scelto niente, se non tra la vita e la morte. Aveva accettato di farsi trascinare in quel mondo fatto di morte e corruzione per salvarsi la vita e per salvare quella dei suoi fratelli.
« Come si chiamano i tuoi fratelli? » chiesi all’improvviso, non staccando mai la mano dal suo viso.
« Harry e Lauren » mi rispose lui, sembrava sorpreso, tra tutte le domande che avrei potuto e dovuto fargli ero andata a scegliere proprio quella.
« E quanti anni hanno adesso? » continuai.
« Dodici e quindici, » disse Ashton. « Vivono qui a Sydney da mia zia. Non ho mai avuto il coraggio di andare da loro. Adesso potrei fare richiesta per la loro custodia perché sono maggiorenne, ma lo farò quando tutto questo sarà finito ».
« Finirà mai, Ashton? » gli chiesi io, intrecciai le gambe alle sue.
« Spero di sì. Ho ventun anni ed è come se avessi ventuno pistole puntate addosso, una per ogni anno della mia vita. Deve finire quanto prima » mi sussurrò.
« Ho riflettuto, » dissi all’improvviso. Lui accennò un sorriso e mi guardò.  « Non so ancora se sono innamorata te, ma... non è mai troppo tardi per provare ad esserlo, e sento di provare qualcosa, il problema è che non so definirlo ».
« Le definizioni sono un ammasso di inutili frasi che nessuno ricorda mai troppo a lungo. Sai descriverlo? È questo l’importante ».
« Sì, so descriverlo ».
« E com’è? ».
« Doloroso ma bello. Come il mare in tempesta, d’inverno, quando l’orizzonte non si vede e l’acqua si confonde con le nuvole. E tu sei lì a guardare quello spettacolo e rimani senza fiato, affascinato da quel panorama mortale. Con il desiderio di fare un passo nel vuoto e lasciarti cadere e trasportare dalle onde, così da diventare una piccola parte di tutto quello. Riesci a capire? ».
« Sì. Capisco alla perfezione ».


 
 
 


 
 

Marianne's corner
Scusate il lieve ritardo, ma eccomi qui! Questo è finalmente il tanto atteso (?) capitolo sul passato di Ash. Così, senza nemmeno un briciolo di avvertimento, muahahaha. Il titolo e i riferimenti nel testo sono spudoratamente presi da "21 guns" dei Green Day. Qui sappiamo finalmente cosa è successo ad Ashton, come mai si è infilato in quei giri, cosa è successo dopo, come ci si è ritrovato Michael, perché ha dovuto dire addio a Valerie e... gfdhjkfgdjk il mio cuore non regge.
Ora, dato che non vi ho preparati per questo impatto, vi preparo per il prossimo: tenetevi forte perché il capitolo 20 sarà COMPLETAMENTE Ashelia e sarà... diciamo, uno dei motivi per cui questa storia ha il rating arancione (oltre al sangue, ammazzamenti e roba varia)
Non aggiunto altro u.u
Ora scappo e ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, rispondo a tutti stasera o prima o dopo cena! :3 Grazie a Letizia25, McPaola, Hazel, daisyssins, jale90, DarkAngel1,ashton_irwin94 e FreeSpirit_



 

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Capitolo 20
*** Completamente nostri ***




 
 
20 –COMPLETAMENTE NOSTRI
 
Pensavo che l’aria, tra i quattro elementi conosciuti, fosse quello più bello per una serie di strampalati motivi che non ero mai stata capace di dimostrare a me stessa. Forse mi piaceva perché era il più inarrestabile, il più imprevedibile: l’aria può essere calma, violenta, può affievolire le calde giornate estive e può distruggere durante l’inverno. Oppure ne ero affascinata per il senso di libertà che mi trasmetteva: il poter volare, senza mai fermarsi o essere fermata da niente o nessuno.
Era una sera fredda e invernale quando capii che Ashton era più o meno la stessa cosa. Bastava solo scavare un po’ più a fondo e andare oltre quella patina dura e crudele, piena di grigia indifferenza contro il mondo che era solito mostrare, bastava solo andare oltre le apparenze e oltre la finta tristezza nel suo sguardo per capire che, dietro quegli occhi ambrati, vi era un cielo pieno d’aria pronto ad esplodere, scatenando tutta la sua potenza e mostrando quel lato di sé che era perennemente nascosto.
Quando ebbe finito di raccontarmi qualche altro piccolo particolare sulla sua vita, eravamo rimasti semplicemente sdraiati sul letto, lo guardai negli occhi almeno finché non fummo troppo vicini per farlo, allora Ashton cominciò a baciarmi e io non mi tirai indietro: mi piaceva davvero baciare Ashton. Mi piaceva la sensazione delle sue labbra sulle mie, del modo in cui si sfioravano, talvolta gentilmente, talvolta con più violenza; mi piaceva il loro sapore e la loro morbidezza. Mi piaceva il profumo della sua pelle e mi piaceva accarezzargli il viso leggermente ruvido e poi immergere le mani nei suoi capelli; mi piaceva chiudere gli occhi ed abbandonarmi a tutte quelle emozioni che riuscivano, in qualche modo, a staccarmi per qualche breve istante dalla terraferma e farmi volare lontano.
Il problema, quella sera, era che ad un tratto tutto quello non mi bastava più. Non bastava a me perché in un piccolo angolo del mio cuore e della mia anima sapevo che non bastava a lui, e in quel momento volevo solo alleviare il tormento che sentiva dentro, che ricordava ogni notte e che cercava di dimenticare di giorno. Volevo solo che stesse bene, almeno per un po’: non avrei potuto mai cancellare quei ricordi intrisi di sangue, fughe e bugie per sempre, ma avrei potuto cancellarli per una notte.
Cercai di spostarmi sopra di lui, mi aiutò posando gentilmente le mani sui miei fianchi, così mi ritrovai a cavalcioni sopra Ashton, senza mai staccare le labbra dalle sue. Le sue mani vagavano sul tessuto della canottiera che usavo per dormire, qualche volta giocava col bordo e sfiorava delicatamente la pelle della mia schiena. Lasciai perdere la sua bocca e scesi sul suo collo, baciavo la sua pelle e sentivo che non avrei potuto fare altro per il resto della mia vita. Era profumata, calda, dolce… era Ashton.
Lui sollevò la schiena per togliersi la felpa, per poi rimanere con una semplice maglietta nera. Gli tolsi anche quella e la gettai alla mia sinistra. Quando lo ributtai giù sul letto e ricominciai a baciargli il petto, capii che non mi sarei più fermata.
« Amelia » mormorò, in tono urgente, sembrava avere il respiro affannato e avrei dato tutto ciò che avevo pur di sentirglielo dire un’altra volta. Alzai la testa e lo guardai negli occhi.
« Cosa c’è? » gli domandai, inclinando la testa. Stavo forse facendo qualcosa di sbagliato? Non avevo poi così tanta esperienza, prima d’allora ero stata con un solo ragazzo, con quello che credevo il mio unico e grande amore, Calum. Ma Calum era quello razionale e intelligente e aveva ragione: ci eravamo incontrati troppo presto.
« Sei… sei sicura? » mi chiese, alzandosi di nuovo a sedere sul letto, mi circondò il volto con le mani e prese ad accarezzarmi i capelli.
« Non c’è nient’altro che vorrei, ora come ora » risposi, guardandolo negli occhi.
« E domani? » continuò lui. « Domani te ne pentirai? E tra una settimana penserai che sia stato solo un errore? ».
Riflettei prima di rispondere, senza distogliere lo sguardo dal suo. Scossi vigorosamente la testa. « No » mormorai. Un attimo dopo le sue labbra si muovevano contro le mie e il suo corpo era sopra di me. Sorrisi.
I miei capelli scuri erano sparsi sul cuscino e sentivo il calore delle labbra di Ashton ovunque, sulla bocca, sul viso, il collo, il petto… era fuoco ed era meraviglioso. Chiusi gli occhi, nonostante non volessi perdermi nemmeno un secondo di tutta la sua bellezza, dei suoi occhi finalmente comprensibili e veri. Era quello l’amore? Forse, ma ero pronta a definirlo? Ci avrei pensato l’indomani, in quel momento sapevo solo che dopo qualche tentativo eravamo riusciti a togliere di mezzo anche la mia canottiera, i miei pantaloni della tutta la seguirono subito dopo. Ashton spostò il peso sulle ginocchia e sui palmi delle mani, alzando il bacino. Feci scorrere le mani dal suo collo sul suo petto e poi sulla sua pancia, finché non raggiunsi il bottone dei suoi jeans neri. Quelli furono un po’ più complicati da togliere.
Scoppiai a ridere quando gli arrivarono fino alle ginocchia. « Siamo un vero disastro, Ash » dissi, accarezzandogli il volto.
« Oh, e che importa? ». Mi regalò un bellissimo sorriso e si mise seduto sul letto per togliersi completamente i jeans.
« E se entra Valerie? » chiesi.
« Troverà la porta chiusa e andrà da Luke. Al massimo, non trovandomi lì, potrà fare due più due » mi rispose, la sua mano raggiunse l’elastico dei boxer. Mi tirai su e lo fermai, afferrandogli il polso. Eccoci, non mancava molto. Ero nervosa, vero, ma appena incontravo i suoi occhi tutto svaniva.
Lo spinsi di nuovo giù sul letto, rimettendomi sopra di lui. Calai entrambe le bretelle del reggiseno e poi lo baciai, lasciai che fossero le sue dita a slacciare il gancetto metallico. Sentii poi le sue mani indugiare sul mio seno, smisi per un attimo di baciarlo per sussultare, poi ricominciai. Strofinai il bacino contro il suo e lo sentii emettere un mugolio, lo sentii sotto di me e sorrisi. Volevo sentirlo ancora, volevo avere la piena consapevolezza di potergli fare quell’effetto.
Lo feci ancora e lui sospirò più forte, cominciai ad accompagnare il movimento del mio bacino con quello della mia mano. Ashton che mugolava sotto di me era una visione a dir poco paradisiaca.
Dopodiché, le sue mani raggiunsero il cotone bianco dei miei slip. Sospirai e annuii, guardandolo negli occhi. Rimasi completamente nuda sopra di lui, dopodiché, mi armai di coraggio e gli tolsi i boxer.
Ashton prese ad accarezzarmi l’interno coscia lentamente, guardandomi negli occhi. Mi morsi un labbro per non impazzire e lo vidi sorridere soddisfatto: evidentemente, voleva farmela pagare con la stessa moneta. Salì, ancora e ancora, e poi cominciò a strofinare piano le sue dita contro di me. Chiusi gli occhi.
Continuò a farlo, aumentando progressivamente il ritmo, mentre io gettavo la testa all’indietro e mi lasciavo sfuggire mugoli di piacere sconnessi, che comunque sembravano fare un certo effetto anche a lui.
Smise all’improvviso ed io aprii gli occhi di scatto.
« Ti prego… » sussurrai, spingendomi contro le sue dita. « Continua ».
Mi avvicinai alle sue labbra e le baciai, lui ricominciò e la sensazione di piacere e benessere tornò di nuovo. Questa volta Ashton non si fermò e mi guardò negli occhi mentre il mio piacere si riversava su di lui.
« Sei bellissima » mi disse, ma mi sembrò come un eco lontano.
Mi chinai in avanti, verso il comodino che condividevo con Valerie. Avevo passato abbastanza tempo lì da sapere che la mia compagna di stanza teneva una scatola di preservativi in fondo al cassetto del calzini. Una volta l’avevo scoperta e lei si era giustificata dicendo che potevano sempre far comodo. Aveva ragione.
Ashton mi tolse la confezione argentata dalle mani mentre ridacchiava divertito, l’aprì, ma io gliela rubai di nuovo.
« Posso metterlo io? » chiesi, nascondendo il viso tra i capelli.
Lui rise ancora. « Non sarò io ad impedirtelo » disse, accarezzandomi.
Quando a dividerci non rimase altro che pelle, prima di sentirmi piena del suo amore, Ashton mi disse: « Adesso, Amelia, sono tuo ». Fu un sussurro, un bisbiglio nell’orecchio.
« E io? » gli chiesi, sospirando. « Io sono tua? ».
« Sì » mormorò dolcemente.
« Allora siamo completamente nostri » sussurrai, prima di baciarlo, prima di ritrovarmi con la schiena premuta contro il materasso e con le braccia intrecciate dietro il collo di Ashton, prima di sentirmi finalmente viva e libera come l’aria; prima che lui soffocasse ogni conseguenza con dei baci, prima di provare tutto ciò che poteva essere provato.
Non mi ero mai sentita così… bene. Il volto che Ashton mi stava mostrando in quel momento era il suo vero volto, quello che avevo voluto conoscere sin dal primo istante. Non mi stava negando niente, assecondava ogni mia richiesta, ogni mio desiderio e mi fece sentire la donna più fortunata del mondo, quella più amata, quella più rispettata. Non me lo sarei mai aspettato da uno come lui. Ma si sa, l’apparenza inganna e le persone cambiano, i sentimenti anche. E mi stupii del fatto che dovessero passar mesi prima di rendermene conto.
Continuammo ad amarci e ad essere un totale disastro per quella che mi sembrò tutta la notte, Valerie non bussò alla porta e nessuno ci interruppe. Quando il cielo divenne rosato, mi feci infinitamente piccola ma meravigliosamente grande tra le sue braccia, cuore contro cuore. La sua mano destra mi accarezzava lentamente la schiena e sentivo il suo respiro caldo sui miei capelli. Non dormivamo, stavamo semplicemente così, abbracciati sotto le coperte con un senso di pace nelle nostre anime.
« Ashton, » dissi piano. « Sei sveglio? »
« Mh, mh » mormorò lui, tenendo però gli occhi chiusi.
« Lo so che mi hai detto che le definizioni sono un ammasso di inutili informazioni, ma… forse ne ho trovata una giusta » dissi. Disegnando piccoli cerchi immaginari sul suo petto, sentendo una leggera e piacevole peluria sotto le dita.
« Per cosa? » mi domandò lui.
« Per quello che sento per te » risposi automaticamente, credevo fosse abbastanza scontato. L’avevo trovata tra un gemito e una risata, tra le stelle e le lenzuola.
« E sarebbe? » mi chiese ancora, stavolta aprì gli occhi e mi guardò, con un sorriso sul volto.
« Amore » dissi, guardandolo negli occhi. « E mi spaventa da morire, ma è quella che ci sta meglio ».
Ero terrorizzata. Io innamorata di Ashton? Lo ero davvero oppure era solo il mio costante cercare una risposta? In cuor mio speravo di sì, speravo di esserne innamorata, almeno un po’, perché capivo abbastanza del mondo per conoscere la differenza tra sesso e amore, e quello che avevamo fatto non era sesso, ne ero più che sicura.
Avevo fatto l’amore con Ashton ed era stato così meraviglioso, che nessun aggettivo avrebbe mai saputo rendergli veramente giustizia.
« Io non sono capace ad amare, Amelia » mi sussurrò lui, appoggiando la fronte contro la mia. Mi rabbuiai un po’, che razza di risposta era?
« Lo so, pe­– ».
« Ma ci proverò per te, okay? » continuò, non lasciandomi parlare, e forse, fu meglio così. Sorrisi e lo baciai all’angolo della bocca. « Ci riuscirò con te ».
« È una promessa o cosa? » gli chiesi, rigirandomi tra le sua braccia, per poi appoggiarmi sopra di lui.
Lui mi guardò il viso. Prima la bocca, poi il naso, mi scostò i capelli dalla fronte e infine mi guardò negli occhi, si morse il labbro inferiore mentre continuava a scrutarmi dentro, fin dentro l’anima. « È molto di più di una promessa,  » disse a bassa voce, quasi se ne vergognasse, ma in cuor mio, sapevo che quella era una cosa nostra e che se l’avesse urlato, le cose non sarebbero cambiate comunque. « È un giuramento ».
« Un giuramento? Amarmi è davvero così importante? ».
« Oh, Amy… » sospirò lui. Mi beai di quel suono. Amy, Amy… solo la mia famiglia e Calum mi chiamavano così, ma in quel momento, mi andava benissimo che lo stesse facendo anche Ashton. « Ogni singolo atomo di te è importante e indispensabile. Hai già visto cosa sono capaci di fare, cosa io sono capace di fare… ti proteggerò anche a costo della mia vita ».
« Non sono una bambola di porcellana, Ash. Non sono così fragile come sembra » gli dissi, soffocando una risatina. Avevo preso lezioni di judo per tre settimane, conoscevo le basi dell’autodifesa.
« Ma sei la mia cosa più importante, perché preferirei morire che non avere il tuo amore, perché per te farei di tutto,  non mi arrenderei mai a niente e sarei capace di sopportare qualsiasi peso, sarei capace di essere indistruttibile, se solo tu me lo chiedessi. Per te io rischierei tutto ciò che ho » disse, guardandomi negli occhi. Boccheggiai, colpita dalle sue parole. « Non lascerò che ti venga fatto di nuovo del male ».
« Non mi hanno fatto del male » cercai di dire. Mi avevano rapita, ma non mi avevano maltrattata.
« Fisico o psicologico che sia, » aggiunse lui, baciandomi la fronte. Allora rimasi in silenzio, perché nella mia testa riecheggiavano ancora le urla silenziose della paura di morire e le frasi lette su quel foglio, costretta di fronte ad una telecamera. « Dovremmo dormire adesso ».
« Ma è l’alba! » risi.
« Allora possiamo impiegare queste due ore in qualche modo alternativo…» disse lui, iniziando a baciarmi i collo.
« Avremo tutte le notti del mondo, vuoi rifarlo adesso? » domandai divertita.
« Allora vieni qui, » disse, stringendomi nelle sue braccia forti. « Buonanotte ».
« Io direi più buongiorno...»
« Oh, dormi Amelia » mi zittì lui, ridendo. Sorrisi e non replicai. Mi addormentai sul suo petto, ero stanchissima, ma non me ne ero accorta. La sveglia suonò puntuale alle sette, e solo allora mi venne in mente che Valerie quella notte non era tornata in stanza.

 
 

Marianne's corner
Punto uno: mi sto vergognando come una matta benché abbia scritto di peggio, ma in quel caso si tratta di roba slash che, strano a dirsi, lo scrivo con un più facilità.. xD oddio, non chiedemi perché.
Punto due: scusate immensamente il ritardo, ho difficoltà a gestire tutti i tempi ahaha
Punto tre: mi dispiace da morire per non aver risposto alle recensioni del capitolo 18. Davvero, io tengo tantissimo alle risposte soprattutto perché, essendo anche io lettrice, quando recensisco e non mi rispondono ci rimango un po' male, quindi scusatemi davvero, spero che non si ripeterà mai più una cosa del genere. Ma come ho detto il tempo che passo al computer si è drasticamente ridotto ultimamente e rispondere richiede un sacco di tempo. Perciò se mai dovesse ricapitare - e spero di no - sapete il motivo.
Tornando a noi, ok, questo capitolo è quello che tutti aspettavamo , credo e... io non sono capace e ringrazio il cielo d'aver messo il rating arancione altrimento mi sarei probabilmente suicidata scrivendo.
Non ho molto da dire, sapete? Sono pessima ahahah
Anyway, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo! Letizia25, Hazel_,  McPaola, Onedsbreath_, daisyssins, _D r e a m e r e Aletta_JJ
Buon fine settimana e a presto (spero)
Marianne




 

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Capitolo 21
*** Strano ***




 
 
21 –STRANO
 
Quando mi svegliai, il mio letto e la stanza erano entrambi vuoti. Mi ci volle qualche minuto per realizzare che Ashton se ne era probabilmente andato di soppiatto e venni improvvisamente colpita da un forte moto di delusione. Non sapevo perché mi aspettassi che rimanesse, di svegliarmi e trovare i suoi occhi intenti a guardarmi e le sue dita accarezzarmi la pelle. Non sapevo davvero perché lo avessi anche lontanamente immaginato: Ashton era fatto così, scappava da ciò che temeva. E anche io avevo paura dei miei sentimenti, ma li avevo affrontati quella notte stessa. Se fossi scappata, non avrei mai scoperto che erano veri. Scostai le coperte e sentii tutto il freddo delle giornate invernali, misi della biancheria pulita e recuperai i miei vestiti dal pavimento e fu solo allora che mi accorsi che i pantaloni, la maglietta e la felpa che Ashton indossava ieri sera erano stati accuratamente piegati e appoggiati sulla sedia. Allora, non se ne era andato. Un barlume di speranza si accese in me, insieme ad un piccolo sorriso. Pochi istanti dopo, la porta del bagno si aprì, rivelando Ashton con un asciugamano bianco legato in vita e i capelli bagnati. Che idiota che ero, mi ero fatta prendere dal panico e lui stava semplicemente facendo la doccia.
Mi sorrise e io feci lo stesso, dato che non avevo idea di cosa dire. Allora mi avvicinai e lo abbracciai, facendo aderire la sua pelle ancora umida alla mia. Era una bella sensazione anche se faceva freddo, e quando sentii le braccia di Ashton attorno a me, smisi di tremare. Alzai la testa e ritrovai i suoi occhi luminosi a poca distanza dai miei, lasciai cadere le braccia e posai le dita sul suo asciugamano. Le sue mani mi raggiunsero un momento dopo e mi strinsero delicatamente i polsi, portandomi ad incrociare le braccia dietro il suo collo.
« Non adesso » mormorò divertito.
« Stai rifiutando? » mi finsi offesa, con un sorrisetto stampato sulle labbra.
« Per una buona causa: faremo tardi a lezione se non ci sbrighiamo » mi spiegò.
« Odio il college e i suoi orari improponibili » borbottai, staccandomi da lui con riluttanza.
« Siamo noi che abbiamo orari strani ».
Lui rise e prese i suoi vestiti dalla sedia, mentre io mi trascinavo in bagno e chiudevo la porta dietro di me. L’aria in bagno era ancora calda a causa del vapore che invadeva tutto lo spazio e aveva appannato lo specchio. Mi tolsi gli indumenti che avevo messo in tutta fretta appena scesa dal letto ed entrai nella doccia.
Pensai alla notte appena trascorsa e mi resi conto che non era stato affatto un sogno, che era stato tutto maledettamente reale e tutto... bello. Sì, era stato bello e mi ero sentita bene e amata come non succedeva da tempo.
Quando uscii, Ashton era già vestito mentre io avevo solo un asciugamano. Raggiunsi il comodino e tirai fuori della biancheria pulita. Quando ebbi infilato dei vestiti abbastanza pesanti e preso tutto i libri che mi servivano quel giorno, io e Ashton uscimmo dalla mia stanza. Fu stranamente normale. Fu normale perché camminammo per i corridoi del campus parlando della giornata che avremmo vissuto, delle cose che ci passavano per la testa. Ma fu strano appunto perché ci comportammo come una normalissima coppia. Nelle ultime ventiquattro ore era successo ciò che credevo impossibile e irrealizzabile. Avevo visto Ashton per la prima volta. Lo avevo visto veramente, lo avevo visto dentro l’anima, dentro le ossa, sotto la pelle. Avevo visto quel posto che forse nessuno prima di me aveva mai conosciuto se non Ashton stesso, che ne era il geloso custode e colui che portava il peso di tutti gli angoli bui e nascosti che quel posto celava agli occhi degli altri. E mi ero sentita onorata, avevo avvertito una morsa allo stomaco che non mi aveva fatta respirare finché le labbra di Ashton non avevano incontrato le mie, e poi lui aveva annullato ogni mio dubbio e inquietudine perché mi aveva giurato di appartenermi, e io lo aveva giurato a lui. E per un breve istante mi era parso quasi inverosimile che stesse succedendo, ma poi avevo smesso di pensare, perché con Ashton non c’era bisogno di pensare.
Con lui spegnevo il cervello e mi facevo trasportare semplicemente dall’istinto, dai sentimenti, dai suoi occhi. Con lui non c’era bisogno di calcolare conseguenze e risposte, con lui tutto accadeva in maniera naturale. Trovavo semplice e istintivo il fatto che avessimo passato la notte insieme, trovavo normale il fatto che adesso mi stesse stringendo la mano per i corridoi.
« Ho psicologia » dissi quando, risvegliatami dal flusso di pensieri che mi aveva inghiottita, mi ritrovai di fronte l’aula di letteratura. Decisamente non la mia.
« Oh, » esclamò Ashton. « Ci vediamo a pranzo allora ».
Annuì e rimase per un attimo a fissare il vuoto. Poi mi ricordai che con Ashton non c’era bisogno di pensare, allora lo baciai sulle labbra e mi allontanai sorridendo, diretta verso la mia lezione. Non la seguii davvero, non ascoltai nemmeno Michael che mi chiedeva cosa avessi. L’unica cosa che feci fu chiedere gentilmente gli appunti a Luke a fine lezione, lui mi diede il quaderno con un sorriso sulle labbra e lo ringraziai. Pensai che ricopiare gli appunti durante l’ora libera che avevo dopo mi avrebbe tenuto la mente impegnata, in modo da non pensare a ciò che era successo. Ma fu abbastanza controproducente, tant’è che non appena le lezioni ripresero riconsegnai gli appunti a Luke e mi resi conto solo dopo di averne copiati solamente un quarto.
Era ufficiale: Ashton Irwin comprometteva la mia vita per l’ennesima volta e io non riuscivo a trovare un modo per contrastarlo, ma il punto era che, stavolta, avevo tutta l’intenzione di lasciarlo fare. Non mi sarei messa contro di lui, perché tutto quello mi faceva sentire bene. Avevo quasi dimenticato ciò che era successo, e anche se sapevo che non era altro che un momento di idillio che sarebbe finito prima di quanto avessi veramente voluto, a me stava bene così e mi sarei goduta i bei momenti che avevo a disposizione finché potevo.
L’ora di pranzo arrivò senza che me ne accorgessi, Ashton mi aspettava nell’androne principale dell’edificio in cui si svolgevano le lezioni. Ma prima che potessi andarlo a salutare, fui raggiunta dalla signora Torrance, che mi disse di essere attesa in segreteria: apparentemente, avevo visite.
Chiesi ad Ashton se volesse venire con me e la risposta fu inevitabilmente positiva, avrei dovuto immaginarlo.
« Mi chiedo chi possa essere, » dissi, un po’ sovrappensiero. Ashton camminava al mio fianco e lo sentivo calciare qualche sassolino di ghiaia, ogni tanto. « Insomma, la mia famiglia è a Nedlands, non penso che siano venuti fin qui. Per cosa, poi? ».
« Magari non è qualcuno della tua famiglia, ma qualcuno che adesso abita qua a Sydney » mi rispose Ashton, quasi apatico. Quasi strano, come se lo sapesse già. Non feci in tempo a replicare che lui diede di nuovo una risposta alle mie domande. « Ti giuro che non ho costretto nessuno a fare niente. Sto solo ipotizzando ».
Sorrisi e gli diedi un buffetto amichevole sulla spalla, dopodiché varcammo insieme la porta della segreteria, continuando a scherzare come due adolescenti. Mi chiesi come fosse Ashton prima che tutto cambiasse, come fosse quando aveva sedici anni. Si alzava svogliatamente la mattina? Aveva tanti amici? Una ragazza? Ogni tanto copiava i compiti in classe? Avrei voluto tanto chiederglielo, per sapere qualcosa di lui che non fosse il suo passato travagliato, per sapere qualcosa che mi facesse sentire parte di un qualcosa di normale.
Quando distolsi lo sguardo dal suo viso, ritrovai Calum appoggiato al muro, che si guardava attorno con aria assente. Allora la mia espressione tramutò in turbamento, non capivo perché Calum fosse lì, se voleva vedermi poteva semplicemente chiamarmi. Sentii Ashton irrigidirsi accanto a me e gli misi una mano sul braccio. « Resta qui » gli sussurrai, guardandolo rapidamente. Poi mi avvicinai a Calum.
« Calum... » dissi, per attirare la sua attenzione. Lui alzò la testa e mi guardò, accennando un sorriso, poi vidi il suo sguardo spostarsi su un punto dietro di me. Sapevo benissimo cosa – o meglio, chi –  stava osservando. Cercai di non dare peso al risentimento di cui fu carico quello sguardo. « Che... sorpresa! Come mai sei venuto fin qui? ».
Calum tornò a guardarmi. « Ho il volo per Perth tra tre ore » mi disse semplicemente, lasciandomi spiazzata. Calum se ne andava? E perché?
« Cosa? » domandai, aggrottando le sopracciglia. « Non ti hanno preso allo stage? Perché non me l’hai detto prima? ».
« In realtà sono ufficialmente dentro. Ho chiesto il trasferimento a Perth: sarò più vicino a casa » mi rispose, abbassando lo sguardo sul pavimento.
Riflettei per qualche lunghissimo istante, prima di rispondere. « Ma lontanissimo da me » mormorai.
« Non credo che tu abbia ancora bisogno di me, » disse piano. « Sei felice adesso, non è così? ».
« È più complicato di quanto si possa credere » gli risposi, dicendogli pur sempre la verità. Mentire a Calum era difficile, l’avevo fatto una volta, all’ospedale, e tutte le volte dopo quell’episodio. Ma adesso non riuscivo a guardarlo negli occhi e dirgli una vera bugia: c’era sempre un fondo di verità nelle cose che gli dicevo.
« Sai qual è il punto? È che pensavo che tra di noi ci fosse la fiducia più assoluta, che non avresti mai avuto il coraggio o il bisogno di mentirmi » continuò Calum. Sbiancai, e per un attimo pensai che avesse scoperto ogni cosa: il giro in cui si trovava Ashton, i sicari, chi gli aveva sparato e per quale motivo. Poi, dato che non avevo ancora detto nulla e poiché dovevo sembrare una statua di sale, Calum andò avanti. « Potevi semplicemente dirmi che stavi con un altro, invece di inventarti quei discorsi su te stessa ».
A quel punto, mi feci scappare un sospiro di sollievo, il che lasciò Calum un po’ interdetto. Avevo temuto il peggio per una quantità indefinibile di tempo. Ebbi l’impulso di girarmi perché ero curiosa della reazione di Ashton a quella frase detta forse un po’ troppo ad alta voce.
« Quando ci siamo... all’ospedale ti ho detto la verità, » sospirai. Bugia. « Ero io il problema, io che creavo problemi a te e sempre io che li creavo a me stessa. Se ora le cose sono diverse è successo tutto dopo. Non ti ho mai mentito, Cal. E mi dispiace te ne stia andando solo per questo ».
« Non è solo per questo... » ribatté lui.
Non indagai oltre e lo abbracciai, anche se forse non avrei dovuto farlo. Gli dissi che mi sarebbe mancato, e quella era la verità. Oh, era così difficile essere sinceri senza allontanare o ferire qualcuno. Con Ashton era perfetto perché qualsiasi cosa ci fossimo detti non avrebbe minimamente influito sul nostro rapporto. Con Calum era diverso, perché se gli mentivo lo facevo per proteggerlo, ma spiegarglielo sarebbe stato ugualmente troppo pericoloso, e avrebbe reso vana ogni azione precedente.
Quando ci staccammo, Calum mi guardò senza rancore e « Ci vediamo questa estate » mi disse. Io annuii e sorrisi. Poi Calum mi superò e si diresse verso l’uscita della segreteria.
Potei quasi vedere lo sguardo di Ashton scontrarsi violentemente con quello di Calum, prima che quest’ultimo varcasse la porta.
Mi avvicinai ad Ashton e lui mi cinse le spalle con un braccio, quando sospirai rumorosamente. Da una parte avrei dovuto aspettarmelo: Calum era una persona buona, vero, ma non era uno stupido. Credevo sul serio che avrei potuto continuare a far coesistere tutte quelle cose nella mia vita? Inconsapevolmente, scegliendo Ashton avevo perduto Calum, perché lui aveva capito che persona disonesta fossi diventata, aveva aperto gli occhi e aveva realizzato di meritare molto di più di quello che io potevo offrirgli: tutte le sue parole su di noi si erano annullate.
Non ci eravamo incontrati troppo presto, non dovevamo nemmeno darci un seconda possibilità, non eravamo felici con noi stessi. Perché la verità era che il nostro scivolare e incastrarsi alla perfezione era tutta una farsa. Io e Calum eravamo sbagliati pur sembrando perfetti, e me ne ero resa conto nel modo peggiore.
« Va tutto bene? » mi chiese Ashton strappandomi dai miei pensieri. No, non andava bene per niente, nonostante tutto, Calum rimaneva parte della mia vita e vederlo andar via mi aveva fatto male. Scossi la testa, perché non volevo ascoltare la mia voce che tante, e forse troppe volte, aveva detto menzogne.
« Ti accompagno in stanza » sospirò allora lui. Mi strinsi al suo corpo, sentendolo caldo e accogliente, mi lasciai stringere dalle sue braccia. Camminammo in silenzio e mi staccai da lui solo per tirare fuori le chiavi dalla borsa dei libri, perché credevo che Valerie non fosse in stanza: ultimamente, passava tutti i pomeriggi in biblioteca, ma sospettavo che quello fosse solamente un punto d’incontro.
Quando aprii la porta, vidi Valerie e Michael seduti sul letto di lei, uno accanto all’altra. Michael non parlava, ma teneva gentilmente una mano sulla spalla di Valerie, lei teneva lo sguardo basso, ma quando lo alzò verso di me, i suoi occhi erano umidi e carichi di rabbia. Non furono molte le parole che, quel giorno, se sommate all’addio di Calum, contribuirono a farmi crollare il mondo addosso.
« Credevo che ti fidassi di me, che fossimo amiche ».


 
 

Marianne's corner
Non uccidetemi, pls. Questo capitolo è abbastanza "normale", ma non nascondo di essermi odiata e poi compiaciuta per il finale di merda che gli ho dato. Forse non dovrei lasciarvi così per una settimana, ma che ci volete fare?, si avvicina il Natale e io divento sempre più cattiva muahaha. Inoltre, non so se il prossimo capitolo arriverà tra una settimana esatta perché venerdì prossimo è il mio compleanno e probabilmente non sarò a casa (oppure saranno così bastardi da mettermi un compito in classe sabato 20), ma sorvoliamo.
In conclusione, non odiatemi ♥
Non vi do anticipazioni per il prossimo capitolo, vi dico solo che sarà una sorta di... quiete prima delle tempesta (o era dopo? giuro che non lo ricordo mai!), insomma, non avete ancora visto niente ahaha
Come al solito, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: McPaola, wild_nirvana, Hazel_, Letizia25, Bullshjt e indikonx
A presto!
Marianne

 

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Capitolo 22
*** Solo una notte ***




 
 
22 –SOLO UNA NOTTE
 
Guardavo Valerie con gli occhi spalancati, ero incredula e allo stesso tempo non capivo cosa stesse succedendo realmente. Ashton mi affiancò, entrando nella stanza, non ci feci troppo caso, però, dato che continuavo a spostare il mio sguardo da Valerie a Michael.
« Non capisco... cosa ho fatto? » chiesi.
« Hai ancora il coraggio di mentire, Amelia? Complimenti, davvero! » esclamò Valerie, alzandosi dal letto. Ignorò la presa debole e gentile di Michael, che cercava di trattenerla. « Michael mi ha detto tutta la verità. Di quello che fanno lui e Ashton, del fatto che tu lo sapevi, che tutta questa storia malata tra voi due è nata dopo che lui ha cercato di ucciderti, cosa che è successa mesi fa! Quando avevi intenzione di dirmelo? ».
« Io... » boccheggiai, non sapendo come giustificarmi. « Non volevo metterti in pericolo ».
« La mia salvaguardia è stata anche il motivo per cui io e Michael ci siamo allontanati, vivendo per due anni senza renderci conto di cosa stavamo perdendo, ma immagino che tu sappia anche questo, no? ».
Il mio sguardo scattò rapido verso Michael, ancora seduto sul letto. « Avevamo un patto » sibilai, come se mi sentissi ferita nella fiducia: avevo tradito quella di Valerie, ma Michael aveva tradito la mia, dicendo a Valerie cose che io avevo confidato solo a lui.
« Non incolpare Michael, adesso, » Valerie si spostò sulla difensiva. « Gli ho chiesto di spiegarmi cosa fosse successo in questi ultimi due anni, e non è colpa sua se nell’ultima parte ci sei anche tu ».
« È un crimine fare amicizia con qualcuno? » ribattei.
« Uccidere è un crimine » disse Valerie, puntando lo sguardo dietro di me.
« Lascia Ashton fuori da questa storia » dissi a denti stretti.
 « Perché, ora che è il tuo ragazzo è improvvisamente diventato un santo? Devo ricordarti come l’hai conosciuto? ».
« Basta, » asserii. Tutte quelle parole mi ferivano, perché mettevano in dubbio i miei sentimenti per Ashton. « Smettila di impicciarti in cose che non ti riguardano ».
« Non mi riguarda forse il fatto che la mia compagna di stanza esca con un sicario? ».
« Non sei nella posizione giusta per giudicarmi » le dissi tagliente.
« Io e Michael non stiamo insieme » mi rispose. L’ambiente circostante si gelò per un momento.
« Cosa? » chiese Michael a quel punto, alzandosi in piedi. Valerie si voltò verso di lui e lo guardò, mordendosi nervosamente le labbra.
« Io... non intendevo... » boccheggiò, abbassando lo sguardo.
« Ti lascio risolvere i tuoi problemi di coppia, non aspettarmi sveglia » dissi freddamente. Poi uscii dalla stanza senza guardare in faccia nessuno, capii che Ashton mi stava seguendo solo quando sentii qualcuno afferrarmi il braccio e costringermi a voltarmi. Stranamente non piansi, perché nonostante avessi litigato con qualcuno che mi stava a cuore, nonostante qualcun altro fosse sparito dalla mia vita, ero così arrabbiata che tutto quello che volevo e che sarei stata in grado di fare era prendere a pugni qualcosa, ma guardando Ashton negli occhi il mio respiro rallentò e io lo abbracciai, aggrappandomi a lui come se fossi l’unica cosa che avevo al mondo.
« Non preoccuparti. Risolverete tutto » mi sussurrò. Gli credetti.
« Posso stare da te, stanotte? Non voglio tornare in stanza » dissi, con il viso premuto contro il tessuto morbido e profumato della sua felpa blu.
« Chiederò a Luke, dopo ».
« Grazie ».
Rimanemmo abbracciati in mezzo al corridoio per un paio di minuti, poi andammo nella stanza sua e di Luke, il biondo non c’era.
« Vuoi uscire a cena? » mi chiese Ashton. Scossi la testa, sedendomi sul suo letto, quello accanto all’armadio.
« Vuoi fare qualcosa in particolare? » mi chiese ancora.
« Voglio dormire » dissi, ma era una mezza bugia. In realtà, non avevo voglia di fare nulla, credevo impossibile poter litigare con qualcuno come Valerie, eppure era successo. Ma dopotutto, che ne sapeva lei di me ed Ashton, di quello che avevamo passato? Cosa ne sapeva lei dei nostri sentimenti? Lei che aveva vissuto con la paura di affrontare il mondo solo perché avrebbe potuto scontrarsi con Michael.
« Non puoi stare così solo per aver litigato con una tua amica » mi disse Ashton, con un tono abbastanza serio.
Sospirai. « È per tutto quello che è successo oggi: Calum, Valerie... forse nemmeno Michael vorrà parlarmi più adesso, » risposi, guardandolo negli occhi. « Ho fatto un casino. Mentire era diventato così facile... non ho mai tenuto conto di tutte le conseguenze ».
« Mentire è un’arte: servono anni e anni di pratica » disse Ashton, si mise seduto accanto a me. « Ne so qualcosa ».
Repressi un sorriso triste. « Avrei avuto bisogno di un maestro ».
« Non te ne serve più uno? Io sono disponibile, a patto che poi tu non menta a me » mi disse scherzosamente.
« Se queste sono le conseguenze, non voglio più dire bugie a nessuno » risposi.
« Mi dispiace corrompere le tue ambizioni, ma finché non risolviamo questo casino credo che sarà strettamente necessario » mormorò. Mi girai verso di lui e lo baciai, perché non volevo più ascoltare nessuno. Ashton mi faceva stare bene e non mi importava quello che pensavano su di lui, a mie spese avevo imparato che i libri non si giudicano dalla copertina. E in quel momento c’era lui con me, c’era lui mentre tutto andava per il verso sbagliato, solo lui e nessun altro.
« Ne usciremo, ti giuro che ne usciremo » sussurrai. Ashton sorrise e io mi persi in quel sorriso che ogni volta mi trasmetteva calma e serenità. Il suo sorriso che faceva fermare tutto ciò che lo circondava.
« Chiamo Luke e gli chiedo se può trovare un’altra sistemazione per stasera, tu riposati » mi disse. Quando si alzò dal letto, tirò fuori il cellulare dalla tasca e uscì in corridoio. Io mi tolsi le scarpe e mi distesi, sentendo tutta la stanchezza piombarmi addosso.

 
***
 
Quando mi svegliai, ricordai di essere nella stanza di Ashton e Luke, quest’ultimo stava mangiando un’insalata mentre scriveva qualcosa al computer. Girai la testa alla ricerca di un orologio, poi vidi il mio cellulare sul comodino e lo presi: erano le sette e cinque di sera.
« Non è un po’ presto per mangiare? » diedi voce ai miei pensieri, senza volerlo davvero. Luke si girò verso di me, di tolse gli occhiali da lettura e abbassò la finestra del documento che stava scrivendo.
« Finalmente ti sei svegliata, » osservò, abbozzando un sorriso. « Devo... ehm, uscire con Freya e finire la relazione di pedagogia prima delle otto e mezza. Se mi dedico solo a scrivere non faccio in tempo a mangiare e, onestamente, non voglio che il mio stomaco brontoli durante un appuntamento. Sarebbe imbarazzante ».
Annuii e mi alzai dal letto, notai che il cucino bianco era un po’ macchiato di mascara. Avevo pianto senza accorgermene. « Ashton dov’è? » chiesi.
« In bagno, penso. Se è uscito non me ne sono accorto » mi rispose Luke, tornando a scrivere la sua relazione.
« A te dispiace se rimango qui a dormire? » gli chiesi ancora.
« Affatto! Voglio dire, si suppone che io non dorma qui, stanotte ».
« E bravo Luke! » esclamai, dandogli una pacca sulla spalla. In quell’istante esatto la porta del bagno si aprì e io m voltai, vedendo Ashton. Mi sorrise ed io ricambiai.
« Se posso chiedere... perché rimani qui? » mi chiese Luke, riportando la mia attenzione su di sé. Ashton mi abbracciò da dietro e mi beai del calore delle sue mani su di me.
« Ho litigato con Valerie, » spiegai. « Spero si risolva tutto presto ».
« Sì, vedrai. Con Valerie un litigio non è mai una tragedia, non sai le volte che abbiamo litigato... una volta non ci siamo parlati per tre giorni, e sai qual era il motivo? Dovevo farmi interrogare in scienze, ma poi non l’ho più fatto e lei si è arrabbiata. Ti rendi conto? ».
Sul mio volto nacque un sorriso sincero e dolce. Luke prendeva ogni cosa alla leggera e sembrava essere la persona più ottimista del mondo. Avrei voluto essere come lui, senza pensieri, senza rischi da correre, senza la verità sulle spalle... lui non sapeva, e speravo che le cose rimanessero così. Valerie aveva scoperto tutto, ma era meglio che Luke ignorasse la verità. Non volevo trascinare anche lui in quel casino, lui che era una persona buona che non conosceva la cattiveria.
« Già... » sospirai alla fine.
« Vieni, lasciamo Luke a finire la relazione ». Ashton andò alla ricerca della mia mano, io gliela strinsi ed annuii, anche se non volevo davvero uscire dalla stanza. Salutai Luke a bassa voce e uscii in corridoio con Ashton.
Volevo evitare la cucina comune e il piano di sopra. Ashton, intanto, aveva preso il telefono e composto un numero.
« Hey, dove sei? » chiese, non appena chiunque avesse chiamato gli rispose. « Va bene, ci vediamo domani, ciao ».
« Chi era? » gli domandai.
« Michael, è in camera tua con Valerie  ».
« Ah » dissi solamente. Avevo fame, se lei e Michael erano in stanza, potevo scendere in cucina senza scontrarmi con loro. Sospirai e mi avviai verso le scale che portavano al piano di sotto. Nel frattempo, la mano di Ashton non aveva lasciato la mia. Mi piaceva da morire averlo vicino a me, mi sentivo tranquilla, protetta, mi sentivo bene. Speravo che anche lui si sentisse in questo modo con me, perché è giusto che l’amore vi sia da entrambe le parti, e anche io volevo che lui stesse bene accanto a me.
Dopo essere scesi, cucinammo qualcosa di precotto, aspettando semplicemente che il microonde lo riscaldasse. Cenammo e rimanemmo a parlare di cose futili fino alle otto e trenta, quando la sala cominciò a riempirsi di studenti. Quando ritornammo in camera, Luke non c’era più.
Io mi misi seduta sul letto di Ashton, sospirando sonoramente. Lui lo notò e si mise accanto a me. « Se rimani qui posso prestarti qualcosa con cui dormire » mi disse.
Alzai lo sguardo su di lui e « Grazie » gli dissi, rivolgendogli un sorriso sincero. Ashton si tolse le scarpe con i piedi, lanciandole verso la scrivania, lo imitai e un secondo dopo mi ritrovai stesa sul letto, intrappolata tra le sue braccia forti.
Occhi negli occhi, gambe intrecciate e cuore contro cuore.
Non avevo particolari dubbi nel dire che eravamo una cosa improbabile e meravigliosa. Se c’era qualcosa di Ashton che avrebbe mai potuto farmi del male, quella era la sua assenza. Il posto vuoto accanto a me mi avrebbe uccisa, e solo lui poteva porre fine a quel bisogno inarrestabile, solo e soltanto lui poteva colmare ogni pezzo di me.
Lui aveva la cura per le mie ferite e io avevo la cura per le sue. Ecco cos’era l’amore. Non era condividere gli stessi dolori, le stesse paure e rassicurarsi a vicenda, cercando invano di superarle; era saper curare ogni dolore dell’altro e spazzare via ogni paura con uno sguardo, senza alcuna rassicurazione ma, anzi, essendo l’uno la forza dell’altra.
Avevamo bisogno di stare insieme, di esistere e di sapere che ci saremmo sempre stati. E quando mi baciò divertito, col sorriso sulle labbra, mi sentii davvero completa e felice. Era bello sapere che, qualunque cosa fosse successa, avrei avuto delle braccia pronte ad accogliermi, della labbra da baciare e un posto dove stare al sicuro.
« Amelia... » sospirò dopo, senza che ci muovessimo di un millimetro.
« Sì? » domanda io.
« Io... » iniziò Ashton. Sembrava nervoso e mi chiesi cosa stesse succedendo. « Io ti... ».
Cosa stava cercando di dirmi? Lui... lui cosa? Gli posai delicatamente una mano sulla guancia e lo guardai negli occhi, perché era così difficile per lui svelarmi i propri pensieri?
« Ti devo dare le cose per dormire » inventò velocemente. Tolse la braccia dalla mia schiena e scivolò via da me, alzandosi rapidamente dal letto. Lo guardai avvicinarsi all’armadio e aprire le ante. Ne tirò fuori una maglietta rossa un po’ scolorita, abbastanza lunga.
« È sempre andata grande anche me, dovrebbe andare bene come pigiama ».
Mi porse la maglietta e io la presi, con lo sguardo perso nel vuoto. Dopo un po’ cominciai a togliermi i pantaloni e mi sfilai anche il maglione che indossavo. Dopo l’altra notte, la presenza di Ashton non era un fattore che mi imbarazzava. Infilai velocemente la sua maglietta e, alzandomi per posare i miei vestiti sulla sedia, notai che mi arrivava a metà coscia. Non appena mi girai, Ashton era ancora accanto all’armadio e mi fissava. Aveva uno sguardo strano, quasi malinconico.
Oh, ero così stanca di vedere i suoi occhi dipinti di tristezza. Di una tristezza che non sapevo spiegarmi e che, probabilmente, anche lui si spiegava difficilmente. Lo guardai a mia volta, poi lo raggiunsi e lo baciai dolcemente, lentamente, assaporando ogni momento come se fosse l’ultimo. Il suo viso era sotto le mie mani, mentre le sue mi stringevano delicatamente i fianchi. Fu estremamente bello, perché poi gli sorrisi con l’intento di far sorridere anche lui.
« Andiamo a dormire? » gli chiesi. Era davvero presto per addormentarsi sul serio, ma io intendevo semplicemente sdraiarmi accanto a lui e aspettare di essere troppo stanca per fare altro. Lui annuì e io mi misi sotto le coperte del suo letto, aspettai che si cambiasse e poi gli feci posto accanto a me. E allora ritornammo alla situazione di poco rima, solo che stavolta né io né lui dicemmo nulla. Rimanemmo a mescolare i nostri respiri finché il sonno non piombò tutto insieme.
Sperai di risvegliarmi con le sue braccia attorno al corpo. Sperai che almeno per una notte avremmo trovato il nostro momento di quiete. Non chiedevo tanto. Solo una notte.
 

 
 

Marianne's corner
Perdonatemi il ritardo, venerdì era il mio compleanno e ieri sono stata sul divano e sul letto per tutto il giorno dato che non mi sentivo bene ahaha, però eccomi qui con il nuovo capitolo. Anche questo relativamente pacifico, dal prossimo in poi sarà tutto in salita ehehe (credo d'averlo detto anche l'altra volta, ma non fa nulla :3) duuuunque, immagino si sia capito che questi due poverini non avranno nemmeno la loro notte di sonno tranquillo, anche perché ormai mi conoscete e sapete quanto so essere cattiva, ragion per cui sono aperte le scommesse su cosa potrebbe succedere nel prossimo capitolo. Sappiate che amo le vostre continue supposizioni su chi è il cattivo (e con mia grande sorpresa il più votato è stato Luke, un giorno mi spiegherete perché sospettate di lui ahahaha) e mi diverte un sacco leggere i vostri pareri :3
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: Hazel_, Letizia25, McPaola e DarkAngel1
A sabato/domenica prossima! Mi raccomando, mangiate tanto pandoro a Natale! u.u
Baci,
Marianne

 

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Capitolo 23
*** Bianco ***




 
 
23 –BIANCO
 
Mi svegliai di soprassalto a causa della suoneria del telefono di Ashton. Lui, accanto a me, scattò a sedere sul letto e rispose immediatamente; io, ancora frastornata, presi il mio telefono per vedere che ore fossero: le tre del mattino.
« Arrivo » disse semplicemente Ashton, si alzò velocemente dal letto e si tolse il pigiama. Mi tirai su e accesi l’abat-jour sul comodino, la stanza s’illuminò.
« Dove stai andando? » gli chiesi, si stava infilando la maglietta, la mia voce era ancora bassa e impastata di sonno.
« Da nessuna parte, torna a dormire, torno presto, » mi rispose lui. Mise la felpa e si avvicinò a me, dandomi un bacio veloce sulle labbra. « Quando ti sveglierai sarò ti nuovo qui con te ».
Rimasi interdetta per un attimo, ritornai alla realtà solo quando la porta si chiuse e io rimasi completamente sola. Fuori era buio pesto, io ero nella stanza di Ashton. Lui non era con me. Avrei tanto voluto credergli, avrei tanto voluto tornare a dormire con la certezza che ritrovarlo accanto a me una volta sorto il sole. Quello che stavo per fare era una cosa orribile nei confronti della fiducia che avevo in lui. Io lo amavo e l’amore è fondato sulla fiducia, lui di me si era fidato e stavo malissimo a non fidarmi allo stesso modo, eppure dovevo farlo, perché sapevo che si trattava di un’altra delle sue missioni.
Non mi tolsi nemmeno la sua maglietta, infilai direttamente i pantaloni e il cappotto, mi misi le scarpe, presi il cellulare, le chiavi della macchina e poi uscii velocemente dalla stanza. Corsi per le scale e per i corridoi, quando uscii il freddo pungente mi colpì il viso: avevo dimenticato la sciarpa. Mi abbottonai il cappotto fino al mento e mi infilai le mani in tasca.
Il parcheggio era deserto, i miei stivali neri facevano rumore contro l’asfalto, raggiunsi velocemente la mia  automobile e non appena entrai vidi quella di Ashton uscire dal campus. Misi le mani sul volante e sospirai, non volevo seguirlo perché non volevo sapere dove stesse andando, volevo seguirlo e accertarmi che non si facesse del male. Misi in moto e spensi i fari, dirigendomi verso l’uscita.
Guidai per un paio di chilometri, poi lui si fermò e io continuai spedita per un altro paio di isolati. Parcheggiai alla bell’e meglio e scesi dalla macchina. Camminai attaccata ai muri dei palazzi, raggiunsi la macchina di Ashton, ma di lui non c’era traccia. Guardandomi intorno, capii di trovarmi in una zona di periferia, nei pressi in una piazzola, proprio di fronte a dei giardini pubblici. Mi accostai alle auto parcheggiate, ma non c’era anima viva. L’unica cosa che mi rimaneva da fare era attraversare la piazza e cercare Ashton dall’altra parte della strada. Cominciai a camminare con nonchalance.
Andò tutto bene per i primi dieci metri, poi sentii un rumore assordante, un dolore fortissimo al fianco destro: mi fermai, caddi sulle ginocchia, sentivo improvvisamente caldo. Mi sbottonai il cappotto e mi toccai la parte che mi faceva male, era bagnata e appiccicosa e bruciava. Sangue. Lo guardai inorridita, poi la testa cominciò a girarmi e tutto cominciò a fare troppo male per pensare lucidamente.
Mi avevano appena sparato.
Dovevo andarmene di lì, cominciai a gattonare per la strada fino a raggiungere la fila di automobili parcheggiate. Mi appoggiai alle ruote e ripresi fiato, la ferita continuava a bruciare e sanguinare. Alzai lo sguardo e vidi una figura correre verso di me, allora spalancai gli occhi dal terrore. Mi alzai, trovando la forza di correre solo grazie all’adrenalina e all’istinto di sopravvivenza, non so come, ma riuscii ad avanzare per un po’, poi iniziò a mancarmi il fiato ed inciampai. La ferita era insopportabile, l’uomo mi raggiunse, cercai invano di alzarmi.
« Quello stronzo ha mandato una delle sue puttanelle ad una sparatoria? » chiese retorico, non lo ascoltai, le sue parole non avevano senso, era finita. « Perché non ci divertiamo un po’? »
Chiusi gli occhi per non vedere quello che di lì a poco mi avrebbe fatto, sarei comunque morta. Sentii la sua mani disgustosa sul fianco illeso, mi venne da vomitare.
Poi un altro sparo, l’uomo si immobilizzò e cadde sul fianco alla mia destra, io rimasi con gli occhi spalancati. Lo guardai per un momento, poi spostai lo sguardo davanti a me e vidi qualcun altro: cominciai a indietreggiare, ma mi tranquillizzai quando riconobbi il viso di Ashton. Lui si inginocchiò al mio fianco e guardò immediatamente la mia ferita.
« Oh, Amelia, cosa hai fatto? » mi chiese, scostandomi i capelli dal viso.
« Scusa, » boccheggiai. « Non volevo... ».
« Shh, risparmia le forze » mi sussurrò. Non riuscivo più a sentire molto. Mi accorsi a malapena che Ashton aveva fatto passare le braccia dietro la mia schiena e sotto le gambe e che mi aveva sollevata da terra con estrema facilità.
« Sto per morire » dissi, in preda al delirio.
« No, non morirai » mi rispose lui risoluto, anche se la voce gli tremava. Non aveva la certezza più totale.
« Sì, invece. Fa male, è insopportabile, morirò » continuai a vaneggiare. Ashton stavolta non mi rispose. Improvvisamente la temperatura cambiò, mi ritrovai su una superficie morbida: i sedili posteriori di un’auto. Ashton era davanti a me e guidava.
Poi tutto divenne troppo confuso e silenzioso perché potessi ancora distinguere la realtà.

 
***
 
Precipitavo in un guazzabuglio di colori. Mi facevano male gli occhi e mi sentivo tagliata a metà. Atterrai senza farmi male in un posto indefinito, circondato da buio perenne. Ero morta?
Mi rialzai in piedi e provai a camminare, ma non ci riuscivo. Sospirai, a quel punto aspettavo solamente che qualcuno mi portasse giù all’Inferno. Quel qualcuno arrivò, non mi portò da nessuna parte e aveva le sembianze di Michael.
Cosa faceva Michael durante la mia morte? Sperai che non fosse morto anche lui.
« Se avessi subito detto la verità a tutti... » sibilò tagliente. Aggrottai le sopracciglia. Michael mi stava facendo la paternale. Proprio lui? Proprio in quel momento? Eppure non trovavo nessun modo per rispondere. « Non saresti mai andata via, non avresti mai seguito Ashton... pensaci ».
« Vattene » mormorai. Mi faceva male la testa. Michael sorrise soddisfatto e un momento dopo non c’era più.
« Ne sono sempre stato fuori, » disse un’altra voce dietro di me. Luke. « Mi avete sempre mentito, soprattutto tu, non ti vergogni? ».
« Io... ».
« Non esistono giustificazioni. Ora paga le conseguenze » continuò Luke.
« Vattene » dissi ancora, sapevo che in qualche modo non erano veramente loro, solo che stavolta non funzionò.
« Le stai già pagando, e ti sta bene » disse, poi sparì nel nulla.
Cosa stava succedendo? Forse ero già all’Inferno e la mia punizione sarebbe stata questa: guardare in eterno le persone che mi volevano bene mentre inveivano contro di me e mi ricordavano tutte le cattive azioni della mia vita.
Quando alzai gli occhi, al posto di Luke c’era Calum.
« Mi hai lasciato, » iniziò lui. « Mi hai illuso, mi hai mentito, mi hai spezzato il cuore, per colpa tua sono stato ferito ».
Lo guardai, incapace di ribattere, con la voglia di piangere e scusarmi, ma senza la possibilità di farlo.
« E tutto per lui. Sono sempre stato un passatempo, hai sempre mirato a lui, » continuò sprezzante. « Come facevo ad essere innamorato di un mostro? »
Se possibile, quella frase fu come un calcio in pieno stomaco. Fu quasi peggiore dello sparo. Calum svanì nel nulla, proprio come era arrivato. Realizzai che dovevano “parlarmi” ancora Valerie e Ashton, e avevo paura di quello che mi avrebbero detto.
« Ti avevo detto di rimanere dov’eri, » una voce che conoscevo piuttosto bene proveniva da destra, non volevo voltarmi perché sapevo che avrei incontrato Ashton. « Ti avevo chiesto di darmi fiducia, almeno per una volta; ti avevo chiesto di credermi. Sono davvero cambiato, e l’ho fatto solo per te, Amelia, avresti dovuto saperlo, dopo tutto quello che è successo ».
« Ma io– ».
« No, » mi interruppe Ashton. « Sono tornato ad uccidere solo per te, perché il disappunto degli altri non si abbattesse su di te, perché non ti facessero del male, per tenerti al sicuro... ma tu non te ne sei mai accorta ».
« Non te ne andare » lo pregai, ma un momento dopo, Ashton era sparito.
Caddi per terra, completamente prosciugata dalle sue parole. Sapevo però che non era finita, mancava Valerie, e poi chissà se tutto quello sarebbe ricominciato e continuato all’infinito...
Quando rialzai lo sguardo, in piedi di fronte a me c’era Valerie, completamente vestita di bianco, l’unica di cui riuscivo a cogliere qualche altro particolare oltre al viso.
« Hai fatto del male a tutti noi, Amelia, » iniziò lei, al contrario di tutti gli altri, sembrava calma e non particolarmente arrabbiata. « Ashton è nei guai con il Capo, Luke è in costante pericolo e non se ne rende conto, Michael è costretto a tenere Ashton a bada, io sono stata ingannata da una persona che credevo fosse mia amica ».
Non replicai, perché aveva ragione.
« Non sarebbe meglio se fossi morta? » continuò Valerie. Aveva ragione, di nuovo.
« Ma... non sono già morta? ».
Non ricevetti mai una risposta. Quel posto e Valerie stessa cominciarono a svanire, a dissolversi lentamente. Il buio diventava luce, il silenzio diventava rumore, i sussurri diventavano grida. Sentivo cose sconnesse, che non avevano senso, una voce femminile parlava, ma non riuscivo a captare le parole. Aprii gli occhi e fui investita dolosamente da luce e colore, i suoni erano più amplificati.
« Michael! Vai a chiamare il dottore, fai presto! ».
Anche le immagini si fecero più definite e vivide: alla mia sinistra c’era una ragazza, il posto era molto illuminato. La ragazza si voltò verso di me e sorrise: era Valerie, e non ce l’aveva con me.
« Hey » disse piano.
« Hey, » risposi io, facendo una fatica immensa. Mi guardai attorno: dei tubicini di plastica trasparenti erano infilati nel mio braccio, e mi collegavano ad una macchina alla mia destra. Ero su un letto d’ospedale e mi sentivo tremendamente stanca. « Che è successo? »
Cercai di alzarmi, ma in quel momento la porta si aprì ed entrarono Michael e un uomo in camice bianco. Quest’ultimo, non appena vide che stavo cercando di poggiarmi sui gomiti, mi fermò immediatamente, costringendomi a rimanere giù.
« Non deve sforzarsi, signorina, » mi ammonì e io mi ributtai sui cuscini. « È già fortunata ad essersi svegliata ».
Rabbrividii per un attimo, non volevo assolutamente sapere in quale fortunata percentuale fossi rientrata. Valerie rimase in silenzio per tutto il tempo, cosa che non era da lei, tuttavia, appena il dottore uscì e io rimasi da sola con lei e Michael, cominciò a parlare senza mai interrompersi un momento.
« Sei completamente pazza. Metterti in mezzo ad una sparatoria... ma che ti è venuto in mente? » mi chiese.
« Non sapevo che fosse una sparatoria, » dissi, con un filo di voce. « Ho semplicemente seguito Ashton ».
« Be’, hai dormito per una settimana. I dottori dicevano che avevi il trenta percento di probabilità di sopravvivere. Il colpo era davvero ben mirato » mi disse Michael, appoggiato al davanzale della finestra.
« Una settimana? » domandai, sconcertata. « E che mi sono persa? ».
« Luke non è potuto venire. Non so se te l’ha mai detto, ma sua madre è... malata, e sta in un centro di ricerca speciale a Canberra. La va a trovare tutti i mesi » disse Michael, lo guardai e annuì. Non lo sapevo.
« Io e Michael usciamo insieme » disse Valerie. Inarcai le sopracciglia. Guardai Michael che sorrideva imbarazzato e che aveva occhi solo per Valerie, la quale sembrava serena e soddisfatta.
« Ma... è bellissimo! » dicci, cercando di metterci quanta più enfasi possibile. « Finalmente! ».
« Finalmente? » domandò Valerie, confusa.
« Oh, niente, » intervenne Michael, rivolgendomi uno sguardo complice, poi si avvicinò a Valerie e la prese per mano. « Andiamo, Val, c’è qualcun altro che vuole vederla ».
Valerie mi sorrise e uscì dalla stanza insieme a Michael. Quello che il mio amico disse fece accelerare il battito del mio cuore. C’era qualcun altro, e io sapevo benissimo chi era. Cercai di calmarmi, ma non riuscivo a stare ferma: sistemavo il lenzuolo, il grembiule, i capelli. Non sapevo cosa aspettarmi, avevo paura che avremmo litigato, perché non mi ero fidata di lui e l’avevo seguito comunque. La porta si aprì e come pensavo, era Ashton. Nonostante il sorriso sulle labbra sembrava distrutto. Aveva i capelli sconvolti, dei sogni sotto agli occhi e l’aria stanca. Due secondi dopo, ignorai le raccomandazioni del dottore e mi alzai a sedere sul letto.
« Ash, mi dispiace tanto » gli dissi, guardandolo negli occhi, lui intanto si era seduto sulla sedia di plastica accanto al letto, continuava a sorridere e io continuavo a non capire cosa stesse succedendo davvero? Non era arrabbiato con me?
« Saresti potuta morire » mi disse, sospirando. Io abbassai gli occhi, mi sentivo tremendamente in colpa. Ashton sembrava distrutto, aveva passato chissà quanto tempo lì... ed era tutto a causa mia e della mi impulsività, che sembrava venir fuori solo quando ero con lui.
« Lo so, » risposi. « Da quanto tempo sei qui? »
« Dalla notte in cui ti hanno sparato, poi Michael mi ha costretto a tornare al campus a farmi una doccia. Due notti fa ho dovuto... fare una cosa – e qui si bloccò un momento, io chiusi gli occhi: potevo benissimo immaginare cosa – ma poi sono tornato qui, » mi spiegò. « Se il caffè fosse una droga sarei già morto per overdose ».
« Vieni qui » mormorai. Spalancai le braccia e lui non ci pensò due volte a circondarmi con le sue. Sapevo di non dovermi sforzare, ma strinsi Ashton con tutte le forze che avevo, rimanemmo così per tanto tempo: lui aveva seppellito il viso nell’incavo del mio collo e amavo il suo respiro sulla pelle, io gli toccavo delicatamente i capelli.
« Non volevo ucciderlo, » mormorò, ancora abbracciato a me. Si riferiva all’uomo che mi aveva aggredita e che stava per farmi chissà cosa. « Mi dispiace ».
« Non avevi molta altra scelta... » dissi, gli presi il volto tra le mani e lo guardai negli occhi, lui mi guardò, gli mostrai il mio mondo, lui fece lo stesso.
« Ti amo » mi sussurrò, appoggiando la fronte alla mia. Spalancai gli occhi e il mio cuore perse qualche battito. Me l’aveva detto. Non me lo aspettavo, almeno non in quel momento, mi lasciò senza fiato per un po’.
Sentirlo fu strano e meraviglioso allo stesso tempo. Strano perché mi aveva sempre detto che per lui era difficile esternare i sentimenti ed era difficile riuscire a scovarli; meraviglioso perché i suoi occhi, guardandomi, lo dissero insieme alla sua voce e mi scaldarono il cuore. Sorrisi.
« Anche io ti amo, e morivo dalla voglia di dirtelo » gli dissi.
Non mi baciò e io non baciai lui, perché effettivamente la situazione non era delle più confortevoli. Ma non serviva, avevamo tutto il tempo del mondo per dimostrarci i nostri sentimenti, ora mi bastava guardarlo e avere la consapevolezza che, qualunque cosa fosse accaduta, insieme avremmo trovato un modo per essere felici.
 

 

 
 

Marianne's corner
Saaalve! :3 Com'è andato il Natale? Auguri un po' in ritardo!
Allora, sarò veloce perché ho il pomeriggio fatto di sveglie altrimenti non faccio quello che devo fare e non posso perdermi nemmeno un minuto. So, ho una mezz'oretta per aggiornare e rispondere alle recensioni.
La litigata con Valerie non è durata molto, I know, come facevo a farle rimanere così? Ma per rimediare a ciò, la nostra intelligentissima Amy si mette in mezzo ad una sparatoria e rimane ferita. Good job, girl! Ma fortunatamente Ash la trova in tempo e nessuno muore. Fiuu. E, cosa più importante, finalmente si sbloccano e si dicono quelle due paroline che stiamo (state) aspettando da ventitré capitoli! Ce ne hanno messo di tempo, eh?
Well, spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto. Ci avviciniamo sempre di più alla fine e lo ribadisco: d'ora in poi non ci sarà più alcun capitolo di passaggio, muahaha.
Vi ringrazio moltissimo perché abbiamo raggiunto le 200 recensioni! *^* *stappa spumante*
In particolare, grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo: principessanonima, Hazel_, Letizia25, FreeSpirit_ (che presto cambierà nome, again ♥), McPaola e DarkAngel1
Baci,
Marianne

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Capitolo 24
*** Promesse ***




 
 
24 –PROMESSE
 
 
Uscii dall’ospedale esattamente una settimana dopo. Tornata al campus, realizzai d’aver perso due settimane di lezione. Avrei dovuto recuperare appunti e argomenti nel minor tempo possibile, anche se un po’ lo studio e l’università erano passati leggermente in secondo piano rispetto a tutto il resto.
Non feci nemmeno in tempo a mettere piede nell’atrio che venni sommersa dall’abbraccio di Luke. Gli mentii per l’ennesima volta, dicendogli che avevo fatto un incidente in macchina, come avevo concordato con gli altri giorni prima. Mi sentii malissimo a dire di nuovo una bugia, ma era necessario per la sua incolumità, anche perché sapevo che se avessi fatto entrare anche lui nel mondo contorto in cui ci trovavamo, Valerie non mi avrebbe mai perdonato, stavolta.
« Mi dispiace non essere venuto a trovarti » mi disse Luke, mentre salivamo le scale, Michael e Valerie non c’erano, Ashton aveva preso l’ascensore.
« Michael mi ha detto di tua madre, a Canberra, » gli dissi io. « Non preoccuparti ».
« Cerco di andarci almeno qualche volta al mese, ma recentemente non ho potuto, quindi ho passato lì qualche giorno, » mi spiegò. « E poi, ci vogliono quattro ore per andare a Canberra, farlo tutti i giorni sarebbe stato stancante ».
« È un gesto carino da parte tua... » gli dissi. « Che cos’ha? »
« Alzheimer giovanile, si chiama così perché è raro che si manifesti prima dei sessant’anni » rispose Luke con un groppo in gola. « È in un centro di ricerca speciale. Ha detto lei stessa di voler far parte del progetto, ma non le fa bene stare lontana dalla famiglia... mio padre e i miei fratelli stanno pensando di trasferirsi lì, li seguirò una volta finita l’università ».
Annuii, perché non sapevo cosa dire con esattezza. Intanto eravamo arrivati di fronte alla mia stanza, la porta era aperta. « Ecco perché ti impegni così tanto ».
« Be’, sì. Non voglio andare fuori corso, quindi cerco di dare tutti gli esami il prima possibile » mi disse con un sorriso.
Entrai nella stanza e vidi Ashton posare il mio borsone sul letto, Luke ci rivolse un sorriso imbarazzato e ci salutò.
Sospirai e mi misi seduta sul mio letto, era stata una settimana lunghissima. In ospedale mi annoiavo da morire e ora ero felice di essere tornata alla vita normale, anche se avrei dovuto rincorrere tutto ciò che mi ero lasciata alle spalle. Guardai Ashton, sedutosi accanto a me, e poi chiusi gli occhi. Sarebbe stato bello mettersi a dormire per poi svegliarsi e rendersi conto che era stato tutto un brutto sogno.
Dal suo sguardo riuscivo a capire che non era arrabbiato, e nemmeno deluso: era semplicemente preoccupato e nervoso, e dentro di me temevo di sapere anche il motivo. Mi avevano fatto del male, e stavolta sul serio. Sapevo quanto fosse irascibile su queste cose e sperai che non avesse fatto niente di avventato, che non si fosse cacciato in ulteriori casini, anche perché questa volta me l’ero cercata da sola. Quello che era successo non era stata una conseguenza di una sua azione sbagliata, era solamente frutto della mia stupida impulsività. E mi sentivo così in colpa, perché non mi ero fidata di lui. Tutto quello che volevo era rimettere a posto le cose e continuare a vivere una vita normale, o almeno fingere e ingannare tutti, compresa me stessa, di avere una vita normale.
« Come stai? » mi chiese, per spezzare il silenzio. Io continuavo a fissare i suoi occhi e cercai le parole da dire. Come stavo? Male: ero stanca, impaurita, avevo solamente voglia di piangere perché tutto quello che mi stava succedendo era impossibile, eppure, fui capace per l’ennesima volta di mentire, anche alla persona che amavo.
« Bene » gli dissi.
Lui sospirò. « Non è vero ».
Effettivamente, potevo dirgli tutte le bugie che volevo, ma lui avrebbe sempre saputo che non stavo dicendo la verità.
« Hai ragione, non è vero, » sospirai allora, sconfitta. « Non è vero perché mi sembra un incubo. Non ho mai creduto che la mia vita potesse trasformarsi in qualcosa del genere e io... io non ce la faccio ».
Il respiro mi morì in gola, abbassai il capo e sentii il bisogno di piangere. Non di tristezza, non di rabbia: era un crollo psicologico. Era la consapevolezza di star vivendo una cosa troppo grande per me. Non misi alcun tipo di freno, le lacrime e i singhiozzi cominciarono a susseguirsi veloci. Non avevo mai pianto così davanti ad Ashton, avevo smesso di farlo mesi prima, quando io non amavo lui e lui non amava veramente me, quando voleva solo sbarazzarsi di un potenziale pericolo come me, eppure adesso non riuscivo a smettere. Più andavo avanti più sembrava che avessi lacrime da piangere.
Subito mi sentii avvolta da un abbraccio e io in quell’abbraccio mi ci persi, cercai di farmi piccola così da poter rimanere lì per sempre, perché in quel momento le sue braccia, la sua voce e semplicemente lui erano i miei unici appigli. Stavo crollando pezzo dopo pezzo e non me ne rendevo conto, perché la verità era che io non ero forte, non lo ero nemmeno per me stessa mentre avrei voluto esserlo per entrambi. Era frustrante e mi faceva arrabbiare. Avevo sempre pensato di poter riuscire a fare qualsiasi cosa con la mia sola forza di volontà. Quel giorno scoprii a mie spese che a volte solamente quella non bastava.
Cercai di seppellire il viso contro la sua maglietta, riuscii a rallentare le lacrime, ma i singhiozzi continuavano a scuotermi sempre più frequentemente. Ashton non diceva niente, credo sapesse che dovevo solamente sfogarmi e piangere finché non avessi più avuto la forza per farlo. Dopo un po’, l’unica cosa che fece fu passarmi un pacco di fazzoletti che si trovavano sul comodino. Provai a ringraziarlo, ma la mia voce non usciva, allora presi un fazzoletto e mi soffiai il naso, con un altro mi asciugai il viso e poi, non so come, trovai il coraggio di alzare la testa e guardarlo negli occhi.
Il suo sguardo adesso era più buio di prima. Odiavo farlo stare così.
« Va meglio adesso? » mi chiese piano, scostandomi una ciocca di capelli da davanti gli occhi.
Feci un respiro profondo prima di parlare. « Un po’ » dissi a voce bassissima, dubitavo perfino che mi avesse sentito.
« Vieni qui » sussurrò dolcemente. Ci sdraiammo sul mio letto e io poggiai la testa sul suo petto, la mia mano stringeva la coperta: non dovevo scoppiare un’altra volta. Non potevo farlo. Il suo braccio destro mi circondava la schiena e si poggiava sul mio fianco. Dopo un po’, ricominciai a respirare regolarmente e chiusi gli occhi, sentendomi leggermente rilassata. La mia mano lasciò la coperta e si posò sul suo sterno, riuscivo a sentire il suo cuore battere attraverso la maglietta e mi concentrai su quel battito regolare. Mi sentii meglio.
« Sai, » iniziò Ashton, un po’ titubante. « Stavolta ho preso una decisione ».
Alzai un po’ lo sguardo per guardarlo meglio e lo riscoprii a guardarmi. « Cosa? » gli chiesi allora.
« Ho capito diverse cose in queste settimane: la prima è che tu sei una testarda cronica, » disse, e io soffocai una risatina. « Ma che lo sei abbastanza da sopravvivere a tutto » continuò. E io avrei voluto contraddirlo: se ero sopravvissuta a lui era stato, paradossalmente, solo grazie al suo aiuto. Io non ero così forte come credevo.
« E so che mi odierò per questo, perché ho paura di metterti in pericolo, ma uno come me non merita qualcuno come te, Amelia, per questo ho deciso di provare ad essere migliore e—»
« No, non dire che non sei abbastanza » lo bloccai immediatamente. Perché doveva fare così e considerarsi inferiore a ciò che era veramente? Davvero non realizzava di essere fantastico?
Lui non era cattivo. Lui non era una brutta persona. Era semplicemente un ragazzo a cui erano capitate cose cattive, era un ragazzo che non aveva avuto scelta e che adesso aveva la brutta tendenza di addossarsi tutte le colpe anche quando non ne aveva.
« Sono un assassino » disse, calmo. Gli occhi placidi.
Io scossi la testa. « Non per tua scelta, » dissi subito. « Se non avessi accettato saresti morto ».
« E allora? Sarei morto solo io e non tante altre persone. Sarebbe stato meglio morire ».
Quella frase mi lasciò senza parole. Tutto quello che feci fu sospirare. Poi mi alzai a sedere sul letto e lo guardai: l’impulso di dargli uno schiaffo era forte, ma riuscii a tenerlo a bada. Chiusi gli occhi e pensai: io non l’avrei mai conosciuto, Michael non avrebbe avuto tutti quei problemi con Valerie e io avrei vissuto la mia vita in completa tranquillità insieme a Calum lì a Sydney. Nonostante tutto, non riuscivo ad immaginare una vita senza di lui, perciò, se possibile, dissi la cosa più egoista che potessi dire.
« Non mi importa. Io ho bisogno di te e se è tutto questo è il prezzo che devo pagare per averti, non mi tirerò indietro ».
Lui si alzò di scatto e un attimo dopo le sue labbra erano sulle mie. Gli accarezzai il viso con le mani, per nulla sorpresa da quel gesto. Era una cosa da Ashton finire in quel modo in discorso che sapeva di non poter portare avanti senza litigare. Né io né lui volevamo litigare, tutto quello era decisamente meglio. Ci separammo per un attimo.
« Io la mia promessa te la faccio comunque » mormorò, con la fronte contro la mia e il respiro un po’ affannato.
« Ovvero? ».
« Non ucciderò più, » disse. « Se non per proteggere te ».
« Proteggere me? ».
« Se quei bastardi provano ad alzare un dito su di te, si prenotano automaticamente un posto all’inferno ».
Non replicai, forse perché tutto quello stava succedendo troppo velocemente e mi lasciava spiazzata più di ogni altra cosa. Quindi non dissi niente e continuai a baciarlo, e lo spinsi giù sul letto. Lo vidi sorridere, e il luccichio nei suoi occhi mi suggerì che aveva capito le mie intenzioni ancor prima che le capissi io. Io e Ashton insieme avremmo potuto sconfiggere ogni cosa, mi piaceva sperarlo, e per essere forte come io volevo e come lui pensava avevo bisogno di sentirlo accanto a me, di averlo con me, di appartenergli e di avere la certezza che anche lui appartenesse a me.
Dopo tutto quello che avevamo passato, dall’odio all’amore, dal pericolo ad un equilibrio precario, che sarebbe caduto con un soffio, eravamo ancora lì: forse, eravamo a prova di tutto, così che tutto avrebbe potuto colpirci, ma noi saremmo stati capaci di respingere quel tutto che minacciava di buttarci giù.
E se quello non era amore, l’amore non era mai esistito.
« E io ti prometto che non mi caccerò nei guai, » gli dissi, abbassandomi su di lui. « E che qualsiasi cosa accada, rimarrò sempre con te ».
« Sei la miglior cosa che mi sia mai capitata » sospirò, prima di baciarmi ancora e ancora. Così a lungo che il tempo sembrava non scorrere mai, scandito solamente dai nostri vestiti che finivano a terra e delle coperte spostate troppo velocemente perché fuori faceva troppo freddo.
Amavo il suono dei nostri respiri che si mescolavano assieme, anche se riuscivo a concentrarmi davvero poco su di essi mentre io e Ashton facevamo l’amore. E quella volta non fu da meno, io lo amavo così tanto e avevo sempre pensato che fosse lo stesso per lui: non l’avrei mai saputo davvero con certezza perché mai mi sarei ritrovata nella sua testa, ma fu quello il momento in cui capii che la fiducia tra due persone che si amano non è quella di rimanere a dormire quando l’altro esce di notte. È fidarsi dell’amore che si dice di provare, io mi fidavo ciecamente di Ashton quando diceva di amarmi, e quello bastava ad entrambi. 


 

 
 

Marianne's corner
Mi ero completamente dimenticata di aggiornare. Scusate, scusate, scusate! Non ho proprio nessuna giustificazione se non il mio cervello bacato.
Allooooora, spero vi sia piaciuto! Vi ricordo che mancano solamente quattro capitoli alla fine e OMG non credo di essere pronta :o
Perdonatemi anche se sarà uno spazio autrice molto breve, ma dopodomani ricomincia la scuola e io devo ancora fare tutti i compiti eww, quindi credo che mi dissolverò a studiare un po'. Grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo: Hazel_, DarkAngel1. Letizia25, McPaola e S_V_A_G. Vi risponderò dopo pranzo! ♥
Bacioni,
Marianne

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Capitolo 25
*** Inaspettato ***




 
 
25 –INASPETTATO
 
 
Fui svegliata da un tocco leggero che partì dalla tempia fino ad arrivare sotto il mio mento, mi rifiutai di aprire gli occhi per una manciata di secondi, ma alla fine cedetti e il mio mondo s’illuminò tutto d’un tratto:  vidi il viso di Ashton vicinissimo al mio, a così poca distanza che mi era quasi possibile distinguere le mille sfumature dei suoi occhi e i pensieri che vi si nascondevano dentro. La sua mano era poggiata sul mio volto e il suo pollice mi accarezzava lo zigomo. Sorrise e istintivamente lo feci anche io.
« Buongiorno » sussurrò, con la voce roca.
Io gli posai un bacio sul mento e mi rannicchiai contro il suo petto. Quel letto era troppo piccolo per entrambi, ma sarebbe stato decisamente troppo grande per me e basta. Stavo benissimo, così potevo stare ancora più stretta a lui, potevo sentire le sue braccia circondarmi come se non volesse più lasciarmi andare, ed era una sensazione che avrei volentieri provato per il resto della mia vita senza mai stancarmi, senza mai rimpiangerla.
Era tutto perfetto. Ci ritrovavamo racchiusi in una bolla di pace e tranquillità, estrapolati per un po’ dal mondo reale.
Quell’idillio fu bruscamente spezzato un momento dopo, mentre dalla porta provenivano dei rumori strani, come se qualcuno stesse infilando la chiave nella serratura. I miei pensieri volarono immediatamente verso Valerie.
In meno di un secondo sgusciai fuori dal letto, buttando quasi le coperte per terra, e mi infilai una maglietta e della biancheria pulita, mentre Ashton mi guardava a metà tra il confuso e il divertito e rimaneva steso sul letto, con il lenzuolo tirato su fino allo sterno.
Mi ritrovai davanti la porta, ma quando questa  si aprì, non vidi Valerie come mi ero aspettata. Di fronte a me c’era Michael.
« Mike? » domandai, confusa.
Lui mi rivolse un sorrisetto ed entrò nella stanza, superandomi, lo seguii, mentre cercavo di capire cosa stesse succedendo e perché Michael avesse le chiavi della mia stanza e cercavo di attirare vanamente la sua attenzione.
« Alza il culo, Ash, abbiamo dei problemi molto grossi » disse Michael. Gli toccai il braccio per farlo voltare verso di me, mentre Ashton si vestiva.
« Che problemi? » gli chiesi, visibilmente preoccupata. La mia vita si era trasformata in un continuo problema, non c’era momento che trascorresse senza avere una qualche complicazione alle calcagna. Ne avevamo appena risolto uno, com’era possibile che ci fossimo già rimessi nei guai?
« Otto omicidi nel giro di due notti. Non sono stato io, non è stato Ashton. Dobbiamo capire chi è il colpevole e ho paura di avere una mezza idea in testa » mi spiegò Michael.
« Otto? » esclamò Ashton, abbottonandosi i pantaloni.
Michael annuì e Ashton sospirò. Io ci capivo sempre meno. « Non potrebbe essere qualcuno dei sicari? Non siete mica solo voi in tutta la città! ».
« Amelia, » iniziò Ashton. « Il Capo non ha mai ordinato otto omicidi in così poco tempo, e soprattutto, non tutti insieme. Non ha mai pensato a qualcosa di così avventato a meno che non fosse davvero sicuro di non correre alcun rischio. Una cosa del genere avrei dovuto saperla da settimana, ma otto morti nel giro di due giorni, senza nessun avvertimento... attirano troppa attenzione perfino per uno come lui ».
« O lei, » ridacchiò Michael. « Per quanto ne sappiamo potrebbe anche essere una donna ».
« E adesso? » chiesi io.
« Adesso indaghiamo. Valerie è andata a prendere il giornale, così da avere più informazioni a disposizione e riordinare meglio fatti e idee » mi rispose Michael.
« Vado a vestirmi » sospirai, dirigendomi verso l’armadio.
« Notte movimentata? » commentò Michael, facendo uno dei suoi soliti sorrisi sornioni.
Sia io che Ashton lo fulminammo con lo sguardo. « Che c’è? Anche le persone carine fanno sesso » disse per giustificarsi.
« Oh, stai zitto » lo rimbeccò Ashton.
« Non mi riferivo a te, tu non sei carino » replicò Michael.
« Fuori, » dissi io. « Tutti e due, aspettatemi in corridoio ».
Li spinsi fuori dalla porta e poi mi infilai le mani tra i capelli. Provai a pensare a come risolvere quell’ennesimo problema: otto omicidi in due notti, chi poteva essere così... così freddo e vuoto da riuscire a fare una cosa del genere?
Aprii l’armadio e mi infilai un paio di jeans scuri, misi un maglione nero sopra la maglietta e cercai di pettinarmi come meglio potevo, poi infilai le scarpe e mi precipitai in corridoio, dove Ashton e Michael confabulavano a bassa voce.
« Eccomi, » dissi. I due ragazzi alzarono lo sguardo su di me. « Dov’è Valerie? »
« Dovrebbe essere in camera di Luke » disse Michael.
« Luke non sa niente di tutto questo, dobbiamo lasciarlo fuori » constatai.
« Luke è a lezione, tranquilla » rispose Michael prontamente.
Annuii. Scendemmo al piano di sotto e, una volta in camera di Luke e Ashton, vi trovammo Valerie seduta davanti la scrivania, con il quotidiano aperto sotto il naso e la lampada puntata sulle pagine. Indossava degli occhiali da vita che non le avevo mai visto addosso.
« Cosa hai scoperto? » chiese Michael.
« Nulla. Ci sono solo i nomi delle vittime, sono stati uccisi tutto allo stesso modo... non so dirvi altro » sospirò Valerie, togliendosi gli occhiali.
« Come sono stati uccisi? » domandò Ashton, avvicinandosi alla scrivania.
« Soffocamento, a quanto dice il medico legale. Hanno tutti due lividi marcati sul collo, in corrispondenza della trachea » rispose Valerie a bassa voce.
« È orribile » mormorai, rimanendo immobile, in piedi davanti alla porta. Chiunque fosse stato, di certo non si faceva scrupoli, già uccidere era un’azione riprovevole, sbagliata secondo ogni morale e umanità, provavo ancora una strana inquietudine quando pensavo all’uomo a cui Ashton aveva sparato qualche settimana prima, nel vicolo... ma uccidere a mani nude, guardando la vita della propria vittima scivolarle via dagli occhi era una cosa che mi riusciva quasi impossibile da immaginare. Michael raggiunse Ashton e Valerie, allora decisi di fare lo stesso, con le gambe che tremavano.
« Dobbiamo organizzare gli indizi » disse Ashton, cominciò a cercare un foglio e una penna per la stanza, io presi l’altra sedia e mi misi accanto a Valerie per leggere l’articolo. Non diceva nulla che già non mi avessero detto gli altri: quatto persone erano morte la notte precedente e quattro quella prima ancora. Tutte le vittime erano state soffocate e presentavano dei lividi sul collo; morti tra mezzanotte e le due del mattino, tutti erano stati ritrovai in casa, tutti vivevano da soli, tutti erano benestanti. C’era sicuramente un nesso, chiunque li avesse uccisi aveva in mente proprio loro e non aveva agito casualmente.
Notai però una cosa che nessuno dei miei amici aveva fatto presente, forse perché non lo avevano trovato importante o perché non lo consideravano necessario: i nomi delle vittime.
« Ashton, dammi il foglio » sibilai. Nessuno fiatò o ebbe qualcosa in contrario e io cominciai a scrivere.
Miranda Ramirez, Ernest Oliver, Phoebe Carean, Tom Kingston, Gwen Walder, Richard O’Delly, Ivy Orell, Julian Duss.
Quattro uomini e quattro donne, uccisi nell’ordine in cui erano riportati sul giornale e in cui io li avevo scritti, eppure non capivo ancora il nesso.
« Amelia, che ci facciamo con dei nomi? » mi chiese Valerie.
« Non lo so, » sospirai. « Ma dobbiamo tenere tutto in considerazione, giusto? »
« Giustissimo » disse Michael.
« Non riesco a capire nulla » disse Ashton.
Rimanemmo un sacco di tempo ad arrovellarci su quel caso, neanche fossimo degli investigatori professionisti. Rileggemmo l’articolo una decina di volte e ogni volta aggiungevamo indizi e avanzavamo nuove ipotesi, ma nessuna di queste si reggeva veramente in piedi e si sfaldava subito, così le nostre illusioni si sgretolavano in mille pezzi come vetro.
Colta da un improvviso moto di noia, presi un foglio bianco e riscrissi i nomi delle vittime, stavolta però li scrissi in verticale, uno sotto l’altro. Fu allora che, osservando attentamente ciò che avevo scritto, cominciai a collegare qualche cosa.
« Ragazzi, » dissi. « Guardate ».
Coprii i nomi di battesimo, così che rimasero solamente i cognomi. « Se collegate le iniziali dei loro cognomi... guardate che parola esce » mormorai.
« Rockwood » disse Ashton.
« Chi ha ucciso Rockwood ha ucciso ancora loro » concluse Valerie, guardando Michael.
« Che senso ha? » chiese il ragazzo, infilandosi le mani tra i capelli tinti. « Per quale motivo? »
« Una cosa per volta, » dissi io, chiudendo improvvisamente il giornale. « Concentriamoci prima sul perché esca fuori la parola “Rockwood” ».
« Potrebbe essere la stessa persona che ha ucciso Rockwood, » avanzò Ashton, guardando tutti noi. « Oppure potrebbe essere un appello a chi ha ucciso Rockwood ».
« Di sicuro è una cosa fatta di proposito, sarebbe un caso troppo strano, altrimenti » disse Michael.
« Ammettiamo che non sia un caso e che non sia un appello, pensiamo che l’assassino sia lo stesso di Rockwood, » iniziò Valerie. « Tutto questo cosa starebbe a significare? ».
« Un avvertimento » risposi io, istintivamente, fissai la parete bianca di fronte a me, mentre lo stomaco si chiudeva in una morsa dolorosa.
Tutti mi guardarono. Forse avevo ragione, almeno credevo. Aveva senso, era una teoria plausibile e pericolosa per tutti noi. Se l’assassino di Rockwood era tornato avrebbe agito presto un’altra volta, e noi dovevamo fermarlo a tutti i costi. Otto persone erano morte per permettergli di lanciare un messaggio, il cui destinatario cominciava a farsi largo nella mia mente, mi rifiutavo però di ammetterlo.
« Siamo nei guai... » mormorò Michael.
« Sono quasi completamente sicuro che sia stato il Capo in persona ad uccidere Rockwood, me lo ricordo benissimo. A meno che non abbia incaricato qualche altra persona all’ultimo momento, » disse Ashton. Michael annuì, io e Valerie li guardavamo. « Ma Rockwood era una questione così importante che il Capo l’avrebbe affidato solo ad uno dei suoi collaboratori più stretti. Io ero uno dei migliori anche se ero giovane, ma non me l’ha mai chiesto esplicitamente ».
« Davvero? » disse lei.
« Anni fa, » iniziò Michael. « Quando avevo appena iniziato, aveva bisogno che qualcuno lo coprisse ».
« Si sarebbe offerto Michael, se io non l’avessi quasi preso a pugni una sera ».
Michael gli rivolse un’occhiataccia, ma Valerie sorrise leggermente divertita.
« Quindi il Capo ha ucciso Rockwood e adesso anche queste otto persone, » cominciai, ricapitolando ciò che avevamo scoperto. « E lo ha fatto per avvertire qualcuno in particolare del suo ritorno, il che non è affatto un buon segno ».
« Temo che quel qualcuno siamo proprio noi, Amelia. Stiamo indagando su di lui, stiamo cercando di incastrarlo e poi scappare » mi spiegò Ashton, confermando ciò che io non volevo ammettere in nessun modo, perché mi faceva troppa paura.
« E allora perché ci sta avvertendo? Perché non ci fa fuori e basta? » esclamai, alzandomi in piedi di scatto.
In quel momento la porta si aprì lentamente, cigolando, e tutti ci voltammo verso di essa. La prima cosa che scorsi furono le scarpe da ginnastica nere e un po’ rovinate, i jeans stretti ugualmente scuri con qualche strappo che lasciava scoperta la pelle chiarissima della gamba, il maglione bordò un po’ spiegazzato e il colletto candido della camicia bianca che spuntava da sotto il maglione; lo zaino nero sulla spalla sinistra, le mani in tasca, i capelli biondi fissati con un po’ troppo gel e gli occhi azzurri che brillavano, ma che sembravano stranamente glaciali, in quel momento, un sorrisetto soddisfatto, che non apparteneva a qualcuno che sentiva parlare di omicidi per la prima volta. Sgranai gli occhi ancor prima che Luke potesse parlare, e quello che disse un istante dopo confermò l’impensabile.
« Perché non glielo chiedete direttamente? ».

 

 
 

Marianne's corner
Eccomi, ci sono! Allora... per tutte voi che avevano scommesso su Luke... avevate dannatamente ragione! LOL. Siete avvertiti, questo è solo l'inizio della fine. Nel prossimo verrà a galla tutta la verità uwu
Allora, sucsate se è un po' corto, ma mi serviva a far uscire fuori Luke ed era un po' di passaggio, spero vi sia piaciuto comunque! Sarò breve perché non ho molto da aggiungere e credo di meritarmi un sonnellino perché sto dormendo in piedi nonostante il caffé.  Ringrazio Hazel_, McPaola, S_V_A_G, Letizia25 e DarkAngel1, siete dolcissime!
Baci,
Marianne

PS: Ricordo che se devo leggere e recensire qualcosa di vostro, non me ne sono dimenticata, è che non ho tempo e quando ce l'ho dormo perché sono extra-stanca, quindi scusate davvero, in qualche universo parallelo il mio clone mi sta mandando la forza necessaria per farlo.


 

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Capitolo 26
*** Tutta la verità ***




 
 
26 –TUTTA LA VERITÀ
 
 
Nella stanza era calato un silenzio quasi innaturale. Valerie aveva indietreggiato fino a ritrovare le braccia di Michael, mentre io ero rimasta immobile e Ashton si era parato davanti a me, quasi come avesse voluto proteggermi da Luke, che si era chiuso la porta alle spalle ed era rimasto appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate al petto e uno sguardo divertito sul volto. Il nostro stupore e timore sembravano renderlo felice e compiaciuto. Non riuscii a decifrare del tutto la sua espressione: trasudava soddisfazione, forse? Oppure non lasciava trapelare nulla e io mi stavo convincendo che fosse capace di provare delle emozioni?
Ancora non riuscivo a credere che Luke fosse veramente coinvolto in tutta quella faccenda, ma soprattutto, non riuscivo a realizzare che l’artefice di tutto ciò che ci era capitato fosse proprio lui.
Il Luke ingenuo e dolce, simpatico e disponibile che avevo conosciuto il mio primo giorno al campus era stato solo un’enorme bugia. Non era mai esistito. O forse sì, in un lontano passato. Credevo di essere l’unica a dover potare una maschera per nascondere agli altri ciò che sapevo e ciò in cui ero coinvolta. Ebbene, non ero mai stata la sola, anche Luke fingeva, lo aveva sempre fatto e forse da molto più tempo di me. Non riuscivo a crederci, insomma, era assurdo! Era sempre stato sotto i nostri occhi, ci vedeva abbattuti e sapeva perfettamente di essere la causa di tale abbattimento, cercava di rassicurarci mentre dentro di sé rideva malvagio. Ci aveva preso in giro sin dal primo giorno, e forse, anche da prima di esso. Aveva fatto dell'ipocrisia la sua arma preferita. Probabilmente non sapeva che in genere è un'arma a doppio taglio, ma in quel momento, lui mi sembrava intoccabile.
Inconcepibile. Luke aveva la mia età, non poteva aver fatto tutto quello. Non poteva aver scelto quella vita.
Però era ancora appoggiato allo stipite e continuava ad essere divertito dai nostri visi sconvolti. Luke era sempre stato il nostro nemico, oppure un complice di esso, noi avevamo cercato di tenerlo fuori e di proteggerlo da tutto quello che ci stava succedendo, mentre eravamo noi quelli che dovevano proteggersi da lui. Inconsapevolmente, gli avevamo anche semplificato tutto, lasciandolo in disparte ad agire e pianificare, non curandoci di lui.
A quel punto, tuttavia, in me nacque una domanda spontanea: se ci aveva avuti in pugno per tutto quel tempo, perché non aveva mai agito prima? Perché mi aveva fatta rapire per punire Ashton quando sia io che lui eravamo lì, a portata di mano, e avrebbe potuto farci del male di persona?
Credevo che Luke, però, non fosse stupido, ed esporsi in quel modo avrebbe potuto danneggiarlo gravemente.
Capii inoltre molte cose, in quel momento. Si spiegava come facesse Evelyn a sapere dell’interesse di Ashton per me; si spiegava come lui facesse a conoscere tutti i nostri spostamenti.
Effettivamente, ora molte domande trovavano finalmente una risposta.
La prima a parlare fu Valerie, che fissava Luke a dir poco sconvolta. « Non è vero, » disse semplicemente, attirando l’attenzione di tutti. « È uno scherzo, è uno dei tuoi scherzi, non è possibile... insomma, ti conosco da anni! »
Luke era impassibile, il suo sorriso si era improvvisamente spento. Guardava Valerie in modo indecifrabile, ma il suo sguardo mi spaventò.
« Non avrei motivo di scherzare su una cosa del genere, » rispose Luke. « Tu, Valerie, sei stata una cara amica in questi anni, ma conoscevi e volevi una versione di me che non mi appartiene davvero. Il consiglio più semplice che posso darti è quello di cominciare ad odiarmi ».
« Ma... io... » mormorò Valerie, poi si bloccò improvvisamente e volse il suo sguardo a terra. Era spento, illuso.
« Tu...» iniziò Ashton, aggrottando la fronte. « Non è possibile ».
« Al contrario, Ashton. Non ho mai dimostrato nulla a mia discolpa, » replicò Luke. La calma con cui parlava mi metteva inquietudine, mi innervosiva, ma era come se tutti i miei muscoli di fossero paralizzati all’istante. « È forse un caso che ti abbiano assegnato la stanza insieme a me? È forse un caso che Michael sia riuscito a partecipare all’evento del concorso di scrittura? Pensateci, è un caso che il tuo ragazzo, Amelia, abbia vinto lo stage qui a Sydney? »
Scossi la testa. Non volevo e non potevo crederci. Mi rifiutavo di farlo perché nonostante Luke ci stesse rivelando tutte le sue mosse, io ancora non riuscivo ad arrendermi di fronte all’evidenza.
« Lascia fuori Calum, ti prego » riuscii a dire, con la gola secca.
« Calum era solo una pedina, » mi spiegò Luke. « Pensavo che potesse riaccendersi qualcosa tra voi due, così nessuno dei miei sicari avrebbe deciso di intraprendere una rivolta per amore ».
E qui puntò gli occhi un po’ più in alto, verso Ashton. Lo sentii irrigidirsi e gli posai una mano sul braccio.
« Non è colpa sua » replicai.
« Oh, certo che no, » disse Luke. « Ma eliminare te sarebbe stato troppo rischioso, ho preferito prendere una via un po’ più... divertente, ecco ».
« Cosa vuoi da noi? » chiese direttamente Ashton.
« Non così in fretta, quella è la parte migliore, » rispose Luke. « Ora, sarebbe crudele se vi uccidessi senza prima avervi spiegato ogni cosa, no? Lasciare qualcuno con un dubbio in testa è una cosa che personalmente odio, quindi ve lo risparmierò ».
Ma che gentile concessione!
« Luke... » Valerie cominciò a singhiozzare, Michael la strinse immediatamente, ma il biondo la ignorò.
« Non sono davvero io il Capo... assoluto, diciamo così, ma mi occupo di Sydney, mentre mio padre regola cose molto più importanti. Lo faccio da un anno al massimo, quindi quando Valerie mi ha conosciuto ero solo un ragazzino che non si rendeva conto della potenza della sua famiglia.
Era tutto perfetto finché non sei arrivata tu, Amelia. All’inizio non rappresentavi una minaccia, eri solo una normalissima persona. Poi sono venuto a sapere che Ashton e Michael erano stati visti da una ragazza del campus, ma avrei difficilmente immaginato che fossi tu. Sei entrata in questo circolo vizioso. Allora ho detto ad Ashton di farti tacere con tutti i mezzi che sarebbero stati necessari, ma la situazione gli è evidentemente sfuggita di mano.
Ho cominciato ad assegnargli compiti su compiti per distrarlo da te, poi è arrivato Calum, quasi come un segno del destino. Gli ho fatto avere il lavoro e per un attimo ha funzionato, ma Ashton ha di nuovo rovinato i miei piani. Il modo in cui è determinato ad averti e a proteggerti è ammirevole, Amelia – e qui fece una piccola pausa, ma nella stanza non volò una mosca – poi è successo il peggio: ha smesso di svolgere i suoi compiti. Ho dovuto ricorrere alle maniere forti.
Sapevo quanto Ashton tenesse a te, Amelia, così ho ordinato il tuo rapimento, ma anche questo non è andato a buon fine, evidentemente, Evelyn e Jordan non erano le persone adatte... »
Avvertii un nodo allo stomaco, chissà cosa era successo a quei due dopo che ero riuscita a scappare... forse Luke li aveva puniti, improvvisamente mi sentii dispiaciuta per loro, nonostante tutto quello che mi avevamo fatto.
« E Michael... col tempo ho perso anche te. Ovviamente conoscevo la vostra storia, Valerie me ne ha inconsapevolmente parlato tantissime volte. Ma lei ti ha perdonato e anche tu hai cominciato a seguire le orme di Ashton.
Siamo arrivati ad un punto di non ritorno, purtroppo siete giunti addirittura ad osare mettervi sulle mie tracce e a cercare un modo per incastrarmi, ed è inammissibile. Avevate anche collegato bene gran parte dei fatti.
Mi rincresce molto, ma spero comprendiate che, per la mia incolumità e per quella di tutti gli affari che gestisco, non posso lasciarvi vivere ».
I singhiozzi di Valerie si fecero sempre più frequenti, provò ad avvicinarsi a Luke, ma Michael la bloccò, sussurrandole delle cose a voce talmente bassa che non riuscii a sentire la parole esatte. Allora fui io a muovere i miei passi verso di lui, Ashton nemmeno provò a fermarmi: sapeva che non ci sarebbe riuscito.
« Cosa ci guadagni? » gli chiesi, puntando gli occhi nei suoi. Luke era più alto di me, per questo mi sentii infinitamente impotente di fronte a lui, ma cercai di non darlo a vedere.
« Sicurezza » rispose Luke pacato. « Voi sapete delle cose che possono mettermi in pericolo, per questo devo uccidervi. Non è difficile da capire ».
« E allora perché non l’hai fatto subito? » sibilai a denti stretti.
«  Amelia » mi sentii richiamare da Michael, ma non l’ascoltai.
« Odio le persone incoerenti, più di quelle che si fingono qualcun altro. Tu appartieni ad entrambe le categorie... se volevi veramente ucciderci, l’avresti fatto subito, non avresti perso tempo a raccontarci tutti i trucchetti che hai usato per ingannarci » esclamai, avvicinandomi ancora di più. « Non hai le palle per farlo, non è vero? Non ce la faresti mai ad uccidere l’unica amica che tu abbia mai avuto, ad esempio » continuai, riferendomi a Valerie. Luke abbassò lo sguardo per un attimo.
Una frazione di secondo dopo mi sentii strattonare, sbattei la schiena contro il muro, la mano di Luke era semplicemente posata sul mio collo, ma non volevo pensare a cosa sarebbe successo se avesse stretto un po’ di più. Spalancai gli occhi e cominciai a farmi prendere dal panico.
« Tu non sai niente, » ringhiò. « Riprova a dire una cosa del genere e giuro che li ucciderò uno per uno e ti costringerò a guardarli morire, e tu, per ultima, morirai così lentamente che finirai per implorarmi di ucciderti una volta per tutte ».
In quel momento conobbi il significato della paura, la provai veramente per la prima volta in vita mia ed era disarmante. Non riuscivo a parlare, non riuscivo a muovere un muscolo, non riuscivo a pensare e a non credere alle parole di Luke. Sentii un rumore provenire da destra e ruotai gli occhi, Luke si voltò e assunse un’espressione sorpresa. Ashton impugnava una pistola, ed era puntata verso di noi. Ma dove l’aveva presa? Forse la teneva in camera?
« Lasciala andare, » disse con calma. Il suo braccio non tremava e nei suoi occhi non c’era traccia d’esitazione. « Subito ».
« Non lo farai, Ashton » rise Luke, non tolse la mano dal mio collo.
« Vuoi provare? Io non ne sarei così sicuro ».
Luke sospirò e mi lasciò andare. Tirai un sospiro di sollievo, e poi non ci pensai due volte ad allontanarmi da lui, per ritornare da Ashton e aggrapparmi al braccio libero.
« Gradirei che abbassassi la pistola, l’ho lasciata » disse Luke, seccato. Ashton lo guardò, poi abbassò l’arma.
Valerie mi diede una gomitata. « Dobbiamo trattenerlo per qualche minuto. Michael ha un piano » mi bisbigliò pianissimo.
« Gettala a terra » ordinò Luke, guardando Ashton.
« Come facciamo a sapere che tu non sei armato? » avanzai io. « Butta anche tu le tue armi ».
« Non ne hai ancora avuto abbastanza? » esclamò Luke.
« Sei tu quello che non ne avrà mai abbastanza. Se continui così ti ritroverai a guardare indietro, tra vent’anni, e non vedrai altro che deserto e desolazione. Nessuno ti amerà mai, perché dici che l’amore rovina irrimediabilmente le persone, mentre in realtà le migliora solamente, » iniziai. Non sapevo cosa stesse facendo Michael, ma aveva bisogno di tempo. « Perciò avanti, Luke, uccidici e siediti sul tuo trono di ossa e solitudine, se è questo che ti rende felice ».
Luke rimase impassibile per qualche secondo, poi il silenzio fu spezzato da Michael, che gli si stava avvicinando.
« Mi dispiace aver perso di vista i tuoi ordini, » iniziò. Aggrottai le sopracciglia, confusa, cosa diavolo stava facendo? Valerie mi guardò, era tranquilla e i suoi occhi sembravano volermi dire che era tutto sotto controllo. « Sono in tempo per passare di nuovo dalla tua parte? ».
Luke sorrise soddisfatto. « Certo, Michael » disse, poi fece una cosa che non mi sarei mai aspettata di vedere: lo abbracciò. Fu in quel momento che capii il piano di Michael.
Gli infilò quella che mi sembrò una siringa nel collo, iniettandogli non so cosa nel corpo. Luke s’irrigidì, non riuscì a dire nulla che perse conoscenza e cadde a terra. Michael si voltò verso di noi. « Ashton, prendi la tua roba. Amelia, vai in camera e infila tutto ciò che trovi in borse e zaini, anche le cose di Valerie. Io torno a prendere la mia roba alla confraternita. Val, tu sai cosa fare. Luke si sveglierà tra tre ore al massimo, per allora, dobbiamo essere lontani da qui. Ci vediamo al cancello del campus il più in fretta possibile ».
« Cosa avete intenzione di fare? » chiesi.
« Scappare ».
 

 
 
 
 
 

 
 

Marianne's corner
Ho un ritardo mostruoso, lo so. Non perdo tempo nemmeno a spiegarvi... sono state una lunga serie di motivazioni scolastiche, personali che sono confluite tutte insieme e mi hanno impedito di scrivere e dedicarmi a questa storia. Voglio davvero tanto portarla a termine, e ormai siamo quasi arrivati, quindi mollare mi pareva una cosa davvero stupida. Dopo 15 lunghissimi giorni ce l'ho fatta e vi chiedo ancora scusa per il ritardo. Se mi avete abbandonato vi capisco, se mi avete aspettato... be', vi ringrazio infinitamente per la vostra pazienza! ♥
In questo capitolo sappiamo tutta la verità dei fatti, com'è andata realmente, come la pensava Luke e COLPO DI SCENA, Michael salva il culo a tutti. Comunque, mancano ancora due capitoli. Il prossimo sarà relativamente tranquillo - anche se ci sarà un clima di tensione generale - e poi ci sarà l'ultimo. AHHHH, ommioddio!
Ho ancora in serbo una sorpresina per voi che vi rivelerò solo nel capitolo 28, quindi pazientate uwu
Grazie mille se siete arrivati fin quaggiù e grazie per non avermi abbandonata (almeno spero lol), ringrazio chi ha recensito la scorsa volta: Letizia25, S_V_A_G, Hazel_ e McPaola
Prometto che sarò puntuale e mercoledì prossimo arriverò con il nuovo capitolo ♥
Bacioni,
Marianne

 

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Capitolo 27
*** Piano B ***




 
 
27 –PIANO B
 
 
Il pomeriggio si era susseguito senza mai un momento di tregua: non avevo ancora capito cosa avesse fatto Michael a Luke, né perché avesse una siringa a portata di mano, o cosa gli avesse iniettato nel corpo, ma capii che ci sarebbe stato tempo per le domande e per le relative risposte. Il momento doveva ancora arrivare.
Ora come ora, la nostra era una corsa contro il tempo.
Salii le scale in pochissimi secondi, quasi mi buttai contro la porta della mia stanza, l’aprii in tutta fretta e la chiusi violentemente alle mie spalle. Mi legai i capelli e feci un respiro profondo. Non cercai di calmarmi perché non c’era tempo per essere calmi, andava fatto tutto e subito, il massimo a cui potevo aspirare era un po’ di lucidità, perché senza quella non sarei riuscita nemmeno a tirare fuori dall’armadio tutti i borsoni e gli zaini di cui io e Valerie disponevamo.
Michael era stato chiaro e conciso: prendere quanti più vestiti possibili, ogni oggetto di valore oppure particolarmente importante, tutti i soldi che avevamo: ce ne andavamo da Sydney. Non sapevo dove saremmo andati esattamente, né come, o per quanto saremmo stati lontano dalla città, le uniche cose che mi mandavano avanti erano la fiducia assoluta che riponevo in Michael, Ashton che lo assecondava, e l’istinto di sopravvivenza che continuava a suggerirmi che, se al risveglio di Luke noi fossimo stati ancora nei paraggi, saremmo morti con il novantanove percento delle probabilità. Vivere era l'opzione migliore, sapere le modalità erano un lusso che non potevamo permetterci.
Aprii ogni cassetto e tirai fuori maglie, pantaloni, tutto ciò che trovavo. Infilavo i vestiti nei due borsoni che ero riuscita a trovare, negli zaini avrei messo altri oggetti di valore come il mio computer, la macchina fotografica e le altre cose di Valerie.
Piansi due volte, ma ero da sola e potevo permettermi di farmi scivolare qualche lacrima, mentre cercavo di bloccarle, convincendomi di essere forte, di potercela fare, che si sarebbe trattato solamente di un periodo, sarebbe stata questione di qualche giorno, una settimana al massimo. Poi saremmo stati al sicuro.
Pensai a come fosse riuscito Luke ad ingannare tutti noi per tutto il tempo. Ci era sempre stato accanto, era il migliore amico di Valerie, si conoscevano da sempre. Era sempre stato disponibile con me... e la storia dell’assistente del professor Turner? E Freya, la ragazza con cui si frequentava? Sua madre a Canberra? Gli esami, le relazioni, gli articoli... era tutto finto? Forse, era tutta una messa in scena per coprire i suoi veri impegni, che evidentemente prevedevano sparare ordini ai suoi sicari e uccidere persone.
No, no! Era umanamente impossibile riuscire a sopportare un tale fardello. Così impossibile che per un momento dubitai che Luke fosse capace di provare dei sentimenti, delle sensazioni.
Michael ci aveva dato un massimo di tre ore, che si riducevano drasticamente a due ore e mezza, calcolando che non appena si fosse svegliato, noi avremmo dovuto essere già lontani e per raggiungere la stazione ci voleva circa mezz’ora. Impiegai un quarto d’ora per svuotare quasi tutta la nostra camera, mancavano solo i soldi. Dopo averli presi, trascinai tutti i bagagli al piano inferiore, sotto lo sguardo di un paio di studentesse. Ashton stava uscendo dalla stanza: non vedevo più Luke steso sul pavimento, quindi pensai che l’avesse sistemato da qualche altra parte.
Lui non disse niente, semplicemente si offrì di portare uno dei borsoni dato che aveva meno bagagli di me da portare. Ci incamminammo verso il cancello del campus, non passammo in segreteria a comunicare la nostra improvvisa partenza, e quando provai ad accennare ad una cosa simile, Ashton mi rispose prontamente che avremmo avvertito telefonicamente quando saremmo stati lontani da Sydney e da Luke. Annuii e continuai a camminare imperterrita, senza dire più niente.
Fu allora che cominciai a farmi prendere dall’ansia. Stavo abbandonando Sydney, la mia università e il mio futuro in preda ad un decisione presa in troppo poco tempo. Stavo abbandonando la mia vita, ma allo stesso tempo la stavo salvando da un pericolo mortale.
Quando raggiungemmo i cancelli, Michael era lì, appoggiato al cofano di una macchina grigia metallizzata che non avevo mai visto prima, probabilmente l’aveva rubata. Aiutò me ed Ashton a caricare le borse nel portabagagli, mentre nell’aria continuava ad aleggiare un silenzio strano e preoccupante. Eravamo tutti nervosi, l’unica cosa che mi disse Michael fu quella di aspettare in macchina finché non fosse arrivata Valerie, gli chiesi dove fosse andata, lui mi rispose che sul treno ci avrebbero spiegato tutto. Allora annuii mi misi sui sedili posteriori.
Ogni minuto era un’agonia, Michael entrava ed usciva dalla macchina, vidi Ashton fumare due sigarette di seguito per la prima volta in vita mia. Da quel che sapevo, aveva smesso mesi fa. Circa un’ora dopo Valerie arrivò. Era uscita dal campus, non sapevo dove fosse andata, avrei tanto voluto che me lo spiegassero. Ero stanca di non sapere. Entrò in macchina e si mise seduta accanto a me. La guardai per un lunghissimo istante.
« Mi dispiace » sussurrai, non sapendo cos’altro dire.
Lei mi strinse forte la mano, guardandomi con gli occhi verdi che minacciavano di piangere da un momento all’altro, poi passò a scuotere la testa. « Non è colpa di nessuno. Non scusarti » mi disse alla fine, quando sia Ashton che Michael entrarono e si misero seduti.
Anche il viaggio fu silenzioso. L’unica volta in cui parlammo fu quella in cui io chiesi: « Dove stiamo andando? ».
« Alla stazione » rispose ovvio, Ashton, guardando fuori dal finestrino.
« Intendo dopo, dove andremo? ».
« Perth, » rispose Michael. « Il treno ci porterà a Perth, prenderemo un pullman per Nedlands, oppure noleggeremo un’auto... non lo so, ma andiamo a Nedlands ».
« A casa mia? » domandai.
« È una cittadina piccola, a Luke non verrebbe mai in mente di cercarci lì » disse ancora Michael, senza distogliere gli occhi dalla strada.
« E come facciamo a saperlo? E se fosse il primo posto in cui verrà a cercarci? » chiesi ancora.
« Non succederà, » constatò Valerie, con voce ferma e chiara. Vidi Michael sorridere dallo specchietto retrovisore. « Te lo prometto, Amelia, saremo al sicuro ».
Non capivo come facesse la mia amica ad essere così tranquilla e sicura delle sue parole. Guardai l’orologio, riuscendo a pensare solo alla folle corsa contro il tempo che stavamo intraprendendo: tra un’ora Luke si sarebbe svegliato, sarebbe andato su tutte le furie e ci avrebbe cercato per tutto il Paese. Michael sembrava rilassato, forse guidare lo aiutava, Ashton invece era nervoso: probabilmente aveva i miei stessi dubbi e il mio stesso pessimismo nel pensare che quel piano non avrebbe affatto funzionato. A me veniva da vomitare, ma dal momento che non avevo mai sofferto di mal d’auto, pensai che fosse dovuto tutto all’agitazione.
Quando arrivammo alla stazione, infatti, la prima cosa che feci fu chiedere a Valerie di accompagnarmi in bagno, lì rimisi nel water sporco tutto il mio pranzo. Non era decisamente un bello spettacolo.
Il nostro treno partiva alle sei, saremmo arrivati a Perth all’alba di dopodomani. Tre giorni in treno erano tanti, forse troppi, ma non potevamo permetterci altrimenti. In aereo vi erano troppi controlli, Luke avrebbe potuto entrare nel sistema di qualsiasi compagnia aerea e scoprire che avevamo preso un volo per Perth in meno di dieci minuti. Sarebbe stato decisamente pericoloso.
Ashton mi chiese se volessi qualcosa da mangiare prima di partire, gli dissi che avevo vomitato e che mangiare non avrebbe migliorato le mie condizioni. Alle sei meno un quarto Michael ci diede i nostri biglietti e noi salimmo, depositammo le borse con i vestiti sul vagone apposito e tenemmo con noi quelle con tutti gli oggetti di valore.
Dopo un’ora di viaggio, Michael e Valerie mi spiegarono esattamente tutto quello che era successo da quando avevamo addormentato Luke.
« Tengo sempre una dose di sonnifero in camera, per sicurezza, sapete? Quando fai questo tipo di cose, le precauzioni non sono mai abbastanza. Valerie è corsa in commissariato: è l’unica di noi a non avere... problemi con la legge, diciamo. Avresti potuto farlo anche tu, » mi disse. « Ma non ho potuto spiegartelo con calma, Valerie invece sapeva già cosa fare. La polizia a quest’ora l’avrà già trovato steso sul pavimento, l’avranno portato in centrale. È per questo siamo sicuri: finché Luke è in prigione non può farci del male. Quello che non sappiamo è quanto ci rimarrà. Se siamo fortunati, forse passeranno anni, e a quel punto possiamo sperare solo che si sia dimenticato di noi ».
« Come hai fatto ad incastrarlo? » domandai, rivolta a Valerie.
« Ho registrato la conversazione. Ai poliziotti è bastato sentirlo mentre confessava l’omicidio di Rockwood. Ha diverse accuse per cui trascorrere un po’ di tempo al fresco » mi rispose lei.
« Nedlands è una sicurezza in più. Non sappiamo ancora dove staremo io e Valerie, ma abbiamo un po’ di soldi per prendere in affitto una casa e... » continuò Michael.
« Tu e Valerie? » lo interruppi.
« Ho pensato che tu saresti tornata a casa tua, e che... Ashton sarebbe venuto con te » mi spiegò.
Spostai lo sguardo sul mio ragazzo, aveva impercettibilmente sorriso. Diventai improvvisamente ansiosa a pensare di doverlo presentare ai miei genitori, che avevano sempre sognato Calum per me, ma i giochi erano fatti, non potevo tirarmi indietro. D’altra parte, negli ultimi tempi avevo affrontato cose ben peggiori di una cena fidanzato-famiglia.
« Ho capito, » sospirai. « Mi dispiace solo... avete dovuto lasciare le vostre vite per... »
« Per salvarle, Amelia, » mi bloccò Ashton. Io lo guardai, carica di tristezza. « In un momento del genere ogni sogno o ambizione svanisce del tutto, è la sopravvivenza a guidarci. Se fossimo rimasti, saremmo morti ».
« Lo so » dissi ancora, con la voce che tremava.
« E allora non dispiacerti. Non è colpa tua, è solo... siamo stati colti di sorpresa. Se il Capo fosse stato qualcun altro non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di lasciare Sydney, ma Luke sa troppe cose su di noi perché potessimo rimanere lì  » continuò, intrecciando la mano alla mia.
Non replicai, annuii solamente.
« Tra poco serviranno la cena, » annunciò Michael, per spezzare l’atmosfera tesa. « Dopotutto, tre giorni qui dentro non sono mica pochi ».
Da allora non parlammo più di quello che sarebbe successo a Luke, di quello che avremmo fatto una volta arrivati a Perth. Mi preparai a quel viaggio in treno che mi sarebbe sembrato interminabile quella stessa notte, mentre avrei probabilmente tentato di non impazzire, cercando Ashton al mio fianco e sperando di trovarlo a stringermi la mano quando ne avevo bisogno.
Tornare a Nedlands significava tornare a casa, rivedere tutti i miei conoscenti dopo aver mollato Calum e l’università, dopo essere tornata insieme a tre sconosciuti, probabilmente le prime tre persone della storia a scegliere di vivere lì senza esserci nati davvero. Mi sentivo terribilmente male al pensiero di intrappolarli in quella monotona città dimenticata da Dio: loro non la conoscevano, non sapevano quanto potesse essere soffocante e opprimente, non avevano mai parlato con nessuno degli abitanti, tempo due giorni e sarebbe scappati dalla disperazione. O almeno, avrebbero rimpianto di non scelto un altro posto. Nella nostra situazione non potevamo permetterci posti in cui saremmo stati facilmente rintracciabili.
E mentre una parte di me si costringeva ad incolpare me stessa per aver condannato i miei amici e la persona che amavo ad una vita simile, l’altra parte, la più ottimista, anche se debole e malconcia, mi diceva che almeno avremmo vissuto in pace.


 

 
 

Marianne's corner
Eccomi, stranamente puntuale!
Allora, sarò breve perché ora che è iniziato il secondo quadrimestre, devo mettermi a studiare sul serio, anche perché venerdì ho uan verifica di Filosofia, quindi devo correre a studiare. Questo è stato il penultimo capitolo (ODDEI, AIUTO), mercoledì prossimo posterò l'ultimo e ZAN, ZAN, vi rivelerò finalmente questa sorpresa che non vedete l'ora di sapere uwu
So perfettamente che come cosa, quello che è successo è un po' inverosimile, ma ehi, passatemela xD
Oh, e non credete che lascerò in pace questi poveracci nel prossimo capitolo, eheheh, succederà qualcosa che non vi aspetterete.
Bene, adesso sparisco e ringrazio Letizia25, Hazel, McPaola e S_V_A_G per aver recensito lo scorso capitolo. 
Fatemi sapere cosa ne pensate! :)
Baci,
Marianne

 

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Capitolo 28
*** All'alba ***




 
 
28 –ALL'ALBA
 
Era il 4 Maggio quando arrivammo a Perth, erano le sei e venti del mattino quando uscimmo dalla stazione. Decidemmo di noleggiare una macchina per un paio di giorni, avrei chiesto a mio fratello Josh di riportarla indietro. Dopo i due giorni e mezzo in treno non ne potevamo più di viaggi, ma da Perth a Nedlands ci voleva un’ora e mezza al massimo. Mi offrii di guidare: ero la più sveglia, dato che ero riuscita a dormire per tutta la notte, mentre Valerie e Michael si assopirono sul sedile posteriore, stretti l’uno all’altra, e Ashton mi raccontava degli aneddoti per non addormentarsi.
Verso le otto arrivammo a Nedlands, riconoscevo ogni negozio e ogni casa come se non me ne fossi mai andata. Era mercoledì, quindi la cittadina era già sveglia, quasi tutti erano pronti per andare a scuola o a lavoro. Parcheggiai fuori da Travis, l’amico di mio padre che gestiva un bar-pizzeria. L’unico bar-pizzeria di Nedlands, per essere precisi: c’era un grande spazio adibito a parcheggio e a quell’ora del mattino era vuoto. In più morivo di fame, saremmo andati a fare colazione, mentre speravo che Travis avesse assunto qualcuno in quei mesi in cui non ci ero stata, così non mi avrebbero riconosciuto.
Cosa che non accadde. Quando entrammo, distrutti per il viaggio, dietro al bancone c’era proprio Travis. Era un uomo di mezz’età sulla cinquantina, come mio padre, i capelli neri cominciavano a diventare bianchi e ad essere in netta minoranza. Indossava un pesante maglione blu e sopra un grembiule bianco. Non appena varcammo la soglia, lui mi riconobbe.
« Amelia? Quanto tempo! » mi voltai spaventata, negli ultimi mesi avevo imparato a non fidarmi più di nessuno, anche di chi pensavo di conoscere.
« Travis, » lo salutai. « Come va? ».
« Bene, bene. Tuo padre mi ha detto che studiavi a Sydney. Come mai qui? Loro sono i tuoi amici? » mi chiese. Chiusi gli occhi: troppe domande tutte insieme.
« Sì. Michael, Valerie, Ashton... lui è Travis. Siamo appena arrivati e moriamo di fame » spiegai.
« Vi porto subito qualcosa, allora. Avete preferenze? ».
« Per me il solito » dissi, sorridendo. Da quando ero bambina e mio padre mi portava da Travis tutti i sabato mattina, prendevo sempre un succo d’arancia rossa e un cornetto al cioccolato. Michael ordinò delle uova, Valerie una brioche e un cappuccino, mentre Ashton prese solo un caffè. Per un attimo non dicemmo nulla, poi Travis prese una sedia, dato che il locale era vuoto, e si mise a capotavola.
« Allora ragazzi, come mai qui a Nedlands? » chiese, sorridente. Travis era una persona buona e simpatica, l’avevo sempre visto come una sorta di zio speciale e gli ero molto legata.
« Mi... mancava casa, » inventai. « E... Michael e Valerie stanno cercando un posto tranquillo dove trasferirsi. Hanno appena finito il college e Ashton... lui è il mio ragazzo ».
Di tutto ciò che avevo detto, solo una cosa era vera. Guardai Ashton, anche lui mi guardava: non riuscivo a decifrare il suo volto, probabilmente c’era tristezza, ma anche sorpresa. Forse ero diventata così brava a mentire che avevo lasciato di stucco anche lui.
« Ah... ricordo che quando abitavi qui, stavi con quel bravo ragazzo, il figlio di David. Calum » disse ancora Travis. Avrei preferito che nessuno me lo ricordasse: se solo pensavo a tutto quello che Calum aveva passato per colpa mia mi si chiudeva lo stomaco e sentivo un irrefrenabile bisogno di scoppiare a piangere.
« Calum meritava molto di più, Travis. Adesso sono felice, e lo è anche lui » continuai a mentire. Ero felice io? Forse un po’. Ma Calum? Non potevo saperlo, non ci avevo più parlato da quando era venuto a salutarmi al campus. Mi aveva detto che ci saremmo rivisti a Nedlands d’estate, ma a quel punto non sapevo nemmeno se sarei sopravvissuta fino all’indomani.
Travis non mi parlò più di Calum, ma incominciò a parlare della mia famiglia. Mi ricordò che avrei dovuto mentire di nuovo anche a loro. « Tuo padre dice sempre di quanto è orgoglioso di te, ti ricordi di qualche anno fa, poi? Quando dicevi di voler scrivere un libro e David diceva che l’avrebbe tenuto in vetrina per sempre? Oh, tuo fratello Josh mi ha dato una mano qui quando mi sono slogato la caviglia, qualche mese fa, è davvero un ragazzo ammirevole, sono felice che ora lui abbia lasciato perdere la figlia dei Reiman e la mia piccola Caroline stia cominciando a frequentarlo, sai? Trovo che sia il ragazzo giusto per lei! E Joshua non potrebbe chiedere di meglio che Caroline, mi ha confidato lui stesso che l’altra ragazza di è solo presa gioco di lui. E tua madre! È così contenta di avere voi due come figli, dice che siete la miglior cosa che le è mai capitata. Non vede l’ora di rivederti, sono sicuro che la renderai molto felice con questa visita inaspettata, ma dimmi, cara, come mai non hai avvertito nessuno? ».
Un’altra cosa di Travis era che quando iniziava a parlare, nessuno lo fermava più. Era molto logorroico, ma era bravo a raccontare storie, e io gli volevo bene. Mi concentrai solo sull’ultima parte del suo discorso, cercai di trovare una risposta.
« Sorpresa! » esclamai. « Sai, credo che rimarremmo qui per un po’, l’università... non fa per me, ecco. Potrei aiutarti qui e accompagnare Caroline in città, qualche volta, e Valerie potrebbe aiutare David in libreria, lei ama leggere – la guardai e lei sorrise e annuì – mentre Michael se la cava con i motori, sono sicura che Francis avrà bisogno di una mano in officina. E mio padre vorrà sicuramente stare con Ashton il più tempo possibile per conoscerlo, sai com’è fatto. Ti dispiacerebbe lavorare in redazione con mio padre, Ash? ».
Ashton scosse la testa. « Al contrario » sospirò, e poi continuò a bere il suo caffè. I miei amici sembravano strani, evidentemente, raccontandogli la mia vecchia vita non avevo lasciato trasparire abbastanza bene il fatto che tutti conoscessero tutti, che tutti sparlassero di tutti e che dovevi comportarti assolutamente come tutti gli altri per poter essere visto di buon occhio.
Travis annuì. « Ne sono sicuro, voi siete il futuro di questo Paese! Tutti hanno bisogno di voi giovani, soprattutto in un piccolo centro come questo ».
Detto questo, io annuii e Travis si alzò per tornare dietro il bancone. Poi mi sospirai e mi lasciai scappare tutta l’aria che tenevo dentro.
« Amy... » iniziò Valerie. « Ma in questo paese sono tutti così svitati? ».
Repressi una risatina. « Più o meno. Ma Travis lo è in senso buono, ti auguro di non conoscere mai la signora Reiman, la madre dell’ex di mio fratello: è la parrucchiera di Nedlands e non perde occasione per parlar male degli altri ».
« Imparerò a tagliarmi i capelli da sola, allora » disse Valerie, scherzando. E per la prima volta in tre giorni mi trovai a ridere sul serio.
Finimmo la nostra colazione cercando di sciogliere il nervosismo, e quando il nostro tavolo fu pieno di piatti e tazze vuoti. Decidemmo di alzarci, pagai la colazione e salutai Travis con un caloroso abbraccio. Mi ritrovai velocemente alla porta del locale.
« Ragazzi, andiamo a conoscere la mia famiglia ».
***
 
Quando presentai Michael, Valerie e Ashton ai miei genitori e a mio fratello, non fu tragico come temevo. Certo, mio padre fissò un po’ troppo a lungo la testa di Michael, ora completamente di un turchese abbastanza scuro. Usai con loro la stessa versione data a Travis: Michael e Valeri stavano insieme e avevano finito il college, cercavano un posto tranquillo dove trasferirsi e mia madre cominciò a parlargli della vecchia casa che ci aveva lasciato la mia prozia Wanda che, da quando era morta, era praticamente disabitata. Disse che con un po’ di pulizie sarebbe stata presto agibile; quando poi gli dissi che Ashton era il mio fidanzato, mio padre tirò fuori Calum – di nuovo – e io gli spiegai che a volte certe cose non potevano funzionare come tutti avremmo voluto.
Tuttavia, Ashton mantenne un profilo abbastanza tranquillo. Si mostrò gentile ed educato, completamente diverso rispetto ai primi tempi, a quando lo avevo conosciuto. Non tirò fuori armi, non lanciò coltelli e non fissò nessuno in modo minaccioso. Mio fratello lo trovò immediatamente simpatico, dato che avevano su per giù la stessa età: Josh aveva solo ventitré anni.
Trascorremmo tre settimane in pura tranquillità e a tutti pareva l’alba di una nuova vita.
Michael e Valerie andarono davvero a vivere nella casa della mia prozia Wanda, promettendo a mio padre che appena avressero avuto un lavoro fisso avrebbero pagato l’affitto, lui gli disse di non preoccuparsi: erano giovani e dovevano avere i loro tempi per adattarsi (anche se mia madre storse il naso quando gli dissi che non avevano intenzione di sposarsi, anche se convivevano).
Ashton rimase a casa mia, per i primi giorni dormì sul divano, mentre Josh gli disse che avrebbero potuto portare giù il letto reclinabile che tenevamo in soffitta. Mio padre specificò che l’avremmo rigorosamente sistemato in camera di mio fratello, non nella mia. Trovai divertente quella cosa, soprattutto perché nessuno dei due poteva anche solamente immaginare quello che avevamo passato a Sydney, e tutte le conseguenze...
Era l’ultima domenica di Maggio, dopo essere andati in chiesa – con controvoglia da parte di Ashton, ma gli spiegai che doveva pur fare bella figura con i miei genitori – mia madre aveva invitato a pranzo anche Michael e Valerie, perciò ci ritrovammo a mangiare e a scherzare tutti insieme.
Io, in realtà, non avevo moltissima fame. Da quando ero tornata a casa avevo spesso la nausea e forti giramenti di testa, diedi sempre la colpa allo stress accumulato nei giorni di viaggio, che si stava pian piano affievolendo.
Iniziammo a mangiare rumorosamente, come piaceva a me, parlando tutti insieme. Ashton a mi sfiorava la mano da sotto il tavolo e io sorridevo di nascosto.
« Signora Hogan, deve assolutamente darmi la ricetta di queste lasagne! » esclamò Valerie, una volta finito di mangiare il primo. Le lasagne in bianco ai funghi e salsicce di mia madre erano la cosa più buona che io avessi mai mangiato.
« Cara, puoi chiamarmi Adele, oramai. Un giorno ti insegnerò a prepararle con molto piacere! » rispose mia madre togliendoci i piatti vuoti da sotto il naso.
Ero contentissima che i miei amici si trovassero bene, io non avrei sopportato mai di venir trascinata in un posto simile. Valerie aveva avvertito la sua famiglia che l’avevo invitata in vacanza da me per qualche mese, non sapevo poi quali altre scuse avesse usato.
« Sapete, Ashton ci sa fare con i giornali. Mi sta dando un grande aiuto in redazione » disse mio padre.
Io mi voltai sorpresa verso di lui. « Davvero? ».
« Modestamente, ho sempre prestato una grande attenzione ai giornali e agli articoli, soprattutto quelli di cronaca. Ho finito per appassionarmi » rispose Ashton.
Sapevo che quella era una verità a metà. Conoscevo il motivo per cui Ashton fosse stato sempre così attento ad ogni singola colonna di giornale, ma non sapevo quanto potesse essere vero che il giornalismo gli piacesse.
Durante il secondo, mio padre decise di accendere la televisione, dato che a quell’ora c’era il telegiornale nazionale e lui non se ne perdeva nemmeno uno.
Fummo colpiti da una notizia in particolare, che ci fece cadere il mondo intero addosso. I miei genitori e Josh ne rimasero solo profondamente colpiti, noi quattro, invece, eravamo terrorizzati, ma non dovevamo darlo a vedere.
Non avrei mai scordato le parole della giornalista: « A Sydney, un pericoloso boss mafioso è evaso dal carcere di Hillingam questa notte. La polizia sta indagando, » dietro di lei, sullo schermo, comparve il viso di Luke. « Vi abbiamo allegato un’immagine, chiunque lo abbia avvistato è pregato di chiamare urgentemente il numero in sovrimpressione ».
Io raggelai all’improvviso. Luke era evaso, eravamo di nuovo tutti in pericolo. La nostra pace era durata effettivamente troppo a lungo. Strinsi la mano ad Ashton più forte che potei e poi lo guardai. Dalla sua espressione – e da quella di Michael e Valerie – capii che non ero la sola ad avere paura. Lo lessi nei loro volti, ne ebbi la certezza guardandoli tutti negli occhi. Non ce l’avremmo fatta.
Lui sarebbe tornato e noi saremmo morti. 

 
 

Marianne's corner
TA-DAAAAAAAN.
Ve l'avevo detto che non li avrei lasciati in pace nemmeno nell'ultimo capitolo! In effetti, sarebbe stato un finale abbastanza carino: Luke in prigione, loro quattro a Nedlands, a vivere una vita normale. Poi mi sono detta che è la stessa vita da cui Amelia scappava all'inizio della storia, che c'erano molte cose in sospeso, come la famiglia di Ashton rimasta a Sydney, e il fatto che Luke fosse troppo intelligente per rimanere dietro le sbarre. Quindi...
Ma non temete, perché vi dirò finalmente la sorpresa che ho in serbo per voi: non è finita qui (diciamocelo, sarebbe una gran bastardata se la lasciassi finire così, no?). Ragion per cui a breve (non so quando, forse un paio di settimane, giusto il tempo di sistemare e organizzare il tutto) arriverà un'altra storia, seguito di questa!
Il titolo non è ancora ben chiaro (perdonatemi, ma faccio schifo con i titoli xD), ma per ora quello provvisorio è: "Black 'n white" dato che volevo continuare questa cosa dei colori. Oppure un titolo che c'entri con la monocromia, vedremo uwu
Ringrazio chiunque ci sia stato, dall'inizio alla fine, solo all'inizio, da metà alla fine, solo alla fine o chi ha semplicemente letto in silenzio. Grazie per avermi supportato. Ricordate, se volete essere avvisati del sequel ditemelo in una recensione o in un messaggio, oppure su Facebook (Marianne Efp), così non appena pubblicherò ve lo dirò :D
Bene, ora credo d'aver finito sul serio! Grazie per aver seguito la storia, ci risentiamo presto!
Bacioni,
Marianne ♥



 

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