Olicity

di smolderhalderlover_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You've failed this city. ***
Capitolo 2: *** Sollievo ***
Capitolo 3: *** Assassino ***
Capitolo 4: *** Una strana pace ***
Capitolo 5: *** Il terremoto ***
Capitolo 6: *** Un altro modo ***
Capitolo 7: *** Perla affilata ***
Capitolo 8: *** Imprevisto ***
Capitolo 9: *** Vertigini ***
Capitolo 10: *** Paradiso e Inferno. ***
Capitolo 11: *** Coincidenze ***
Capitolo 12: *** Broome ***
Capitolo 13: *** Compleanno ***
Capitolo 14: *** Chaos ***
Capitolo 15: *** Compromesso ***
Capitolo 16: *** Incubi ***
Capitolo 17: *** Piano ***
Capitolo 18: *** Tocca e fuggi ***
Capitolo 19: *** Al sicuro. ***
Capitolo 20: *** Contrattacco ***
Capitolo 21: *** Separazione ***



Capitolo 1
*** You've failed this city. ***


1.YOU'VE FAILED THIS CITY
Oliver.
"Moira Queen: Tu hai tradito questa città!”. Il mio arco è teso proprio contro il cuore di mia madre. Dentro di me mi dico che lo sto facendo solo per dimostrare a Dig che è in torto. Ma invece anche io voglio sapere la verità. E l'unico modo è guardare lo sguardo impaurito di mia madre che implora pietà senza nemmeno sapere che chi la minaccia sono io.
Ma adesso sono il Vigilante e devo comportarmi come tale, non come Oliver Queen. Già. Ci sono arrivato troppo tardi. Mentre sono perso nei miei pensieri lei estrae una pistola dallo stivale. E spara. Dritto contro il petto di suo figlio.
Non so se vede lo sguardo allucinato dei miei occhi azzurri, ma spero non li riconosca. L'unica cosa che vedo è che lei fugge. Mia madre fugge da me. Per alcuni secondi lo choc è così forte che non sento il dolore. Ma poi arriva tutto e riesco a collegare la fitta lancinante alla mia spalla al calore liquido che invade la mia tuta verde. E gocciola.
 
Strano anche da pensare, ho bisogno di aiuto. C'è persiono qualche probabilità che il proiettile mi abbia forato il polmone. Ma a chi posso chiedere aiuto? Diggle non è al Verdant. E io non posso andare in un ospedale con la tuta verde e una ferita da arma da fuoco. Già immagino cosa potrei dire a mia sorella: "Thea, dopo cinque anni su un isola deserta mi sono dimenticato quand'è Carnevale, così mi sono vestito da Viglante e sono andato ad attaccare briga con il prossimo. Ah si, anche l'arco fa parte del costume. Aspetta un attimo, arco? Quale arco? Dev'essere di qualcun altro"
 
Forse dovrei trovare delle scuse anche per il detective Lance. Lui non mi crederebbe così facilmente. Ma perché diavolo ci sto pensando ora? Sto delirando. Tra la mia coscienza offuscata, mi sono tirato fuori dall'ufficio di mia madre, e sono appoggiato a un vetro, cercando di ragionare, di fare il punto della situazione. Il mio respiro affannato sta appannando il vetro. Intravedo un nome. Il nome di chi lavora in quell'ufficio. Pulisco il vetro per vedere di chi si tratta -non so perché- e capisco che il mio corpo da sopravvissuto mi sta mandando un segnale. Il nome sul vetro dell' ufficio è Felicity Smoak.
 
Il mio vecchio cervello da playboy mi comunica Ah, la biondina. Mentre l'altro cervello, quello nato da cinque anni, mi dice che Felicity è quella piccola ragazza a cui ho fatto hackerare i dati dell' Fbi. Quella che sembra piccola e intollerante al pericolo ma che ha commesso reati federali in rete senza nemmeno fingere di bersi le mie scuse. Quella di cui in effetti ora come ora ho bisogno. Che ora non può non sapere la verità. La ragazza che potrebbe essere l'unica possibilità..
Entro nell'ufficio, e lei non c’è. Per un secondo mi perdo d’animo. La tazza di tè nella scrivania è ancora fumante. La mia mente ragiona. Potrebbe non essere ancora in macchina: spesso va al Take Away affianco al Queen Consolidated Building prima di tornare a casa. Come faccio a saperlo? Non ne ho idea. Devo averla osservata molto. Basta. Di nuovo mi sfuggono i pensieri. Devo essere veloce.
 
Non so come, mi trascino giù sino ai parcheggi aziendali. Riconosco la sua auto, con un colpo secco riesco a disattivare antifurto e chiusura. Mi lascio cadere, ansimante nel sedile posteriore. E aspetto. So di non avere molto tempo prima di perdere conoscenza. Dopo pochi secondi, che però mi sembrano secoli sento dei passi avvicinarsi all'auto. Entra dalla parte opposta da cui sono entrato io perciò non si accorge della macchina scassata. Per lei è tutto normale. Sta per inforcare le chiavi, quando sente i miei ansimi: prima che lo spavento si sparga sul suo viso, io le parlo cautamente: "Felicity, mi devi aiutare."
Ora lo spavento è sul suo viso. Il Giustiziere di Starling in persona è davanti a lei. So che vorrebbe urlare, oppure scappare a gambe levate, ma tutto quello che riesce a dire è : "Come sai il mio nome?"
Un piccolo lampo di lucidità mi fa ricordare che il cappuccio verde è ancora abbassato a nascondermi. Me lo levo con le mani tremanti. "Perché tu sai il mio."
 
 
 
 
 
 
Felicity.
La paura improvvisa sta svanendo e in quell'istante ancora non riesco a capire come e perché.
Poi capisco: i suoi occhi azzurri brillano di strane sfumature anche al buio e il grasso verde a mò di trucco ne accentua forma e profondità. Le sue labbra e le sue mascelle sono familiari anche se contratte in una smorfia di dolore. È Oliver. Il mio capo. Però è vestito di verde. Con un cappuccio, forse di grandezza anormale per finire nelle sfilate Armani. La mano che mi stringe il braccio sporca di rosso la camicetta. Nonostante la mia abilità innata con computer e database vari, ci metto un po' a fare il collegamento. Un grido di sorpresa sta per uscire dalle mie labbra quando noto un arco con una freccia già incrociata nei sedili posteriori. Oliver. Il Vigilante di Starling. Oliver.
Il Giustiziere.
Oliver è il Giustiziere.

Ma c'è un altra urgenza. Ciò che prima sporcava la camicia è sangue, caldo. Senza rendermene conto inizio ad ansimare senza motivo. Sento qualcosa dietro lo spavento: il nervosismo. La sua voce roca mi riporta alla realtà.
"Ti devi fidare. Come io mi sono fidato di te. Mi devi aiutare."
"Cosa posso fare io?", rispondo isterica. "Ho un proiettile nella spalla. Mi devi portare al Verdant". Oliver riesce a malapena a finire la frase e so per certo che questo non è il momento delle conversazioni. Sento il suo sguardo su di me per tutto il tragitto. Ma quando mi volto a guardarlo i suoi occhi sono irrimediabilmente chiusi. Cosa faccio adesso? Innanzitutto apro lo sportello. Fortunatamente il rumore lo riporta con me. Il suo sguardo sofferente mi trafigge al buio e capisco che non posso perdere tempo. È poggiato sulla mia spalla ma in realtà si regge da solo. È incredibilmente forte. Questo non mi dovrebbe sorprendere dato che ho sognato spesso a occhi aperti il suo fisico. L'unica consolazione è che tutte le ragazze fanno questo genere di sogni almeno una volta nella vita. La cosa buona in questa situazione surreale è il silenzio, perché se non ci fosse tutti i miei pensieri imbarazzanti e fuori luogo uscirebbero spietati e senza controllo dalla mia bocca.
Siamo arrivati in uno strano posto e a quel punto Oliver, accasciato in un tavolo di acciaio, mi indica delle pinze. Solo a vederle rabbrividisco. Seriamente il mio capo mi sta chiedendo di estrargli un proiettile dal petto con delle pinze abnormi?
La nausea offusca tutto. Piccolo appunto mentale: devo aprirgli la giacca. Ommiodio. Questo si che è imbarazzante. Con delicatezza apro la cerniera e lascio il suo petto nudo. È pieno di cicatrici.
Rimando con insistenza il momento in cui devo guardare la ferita. Ma Oliver sta male e si vede. Il sudore gli imperla la fronte e le clavicola. La bocca contratta in una smorfia di dolore. Gli occhi ormai quasi chiusi.
Ok, la ferita. Avanti Felicity...
 
Il foro è rosso e viscido, ma il proiettile non è in profondità. Riesco a vederlo! Prendo le pinze e lo estraggo con facilità. Per me è facile, ma per Oliver no. Urla e si dibatte per qualche secondo. Sono in preda al panico, non volevo fargli del male, adesso mi odierà, come minimo. Faccio la cosa più stupida che mi possa venire in mente: gli poggio una mano sul petto nudo, come per rassicurarlo. So immediatamente di aver fatto una cazzata, che non ho tutta quella confidenza, ma evidentemente la temperatura fredda della mia mano lo riporta in se, e riesce pure a calmarlo. ''Felicity", dice, si impegna per pronunciare il mio nome. Fissa il suo sguardo nel mio e mi fa un cenno. A dire, "Grazie", anche se lui non dice. E poi i suoi occhi blu si chiudono come se dopo una lunga giornata, stesse iniziando una meritata dormita.

All'inizio mi sono preoccupata un po'; come mai ha chiuso gli occhi così? È successo qualcosa di grave? Che faccio?
Gli controllo il polso. Il polso, perché se si svegliasse di nuovo mentre gli tocco il collo sarebbe decisamente imbarazzante. Tiro un sospiro di sollievo quando percepisco il suo battito regolare. Wow. Deve davvero averne passate tante per aver sorpassato in questo modo una ferita da proiettile. Questo pensiero mi fa tornare alle sue cicatrici sul petto. Tante. Troppe; lunghe, che dovevano venire da tagli profondi. Altre hanno forme particolari, come striate, forme di stelle. Come un ferro messo a bruciare e poi schiacciato sulla sua carne. All'improvviso so che quelle non sono le cicatrici del giovane playboy che tutte vogliono. Queste sono le cicatrici dell' Isola. Su quell'isola gli hanno fatto del male. Lo hanno torturato. Sento crescere la compassione, cosa che non succederebbe se i suoi occhi fossero aperti e freddi come al solito.
 
Il sangue che scorre lento dalla ferita spegne la mia compassione e accende ancora una volta l'ansia. Corro frenetica in mezzo alla "base" se così vogliamo chiamarla. Io la chiamerei "covo di lusso". Al centro della stanza c'è una fila enorme di schermi e computer (il mio paradiso personale), al lato sinistro una serie di attrezzi per fare esercizi. Dalla parte opposta ai computer c'è una specie di tappeto, penso sia per i combattimenti corpo a corpo. La teca/vetro sarebbe sicuramente la parte più affascinante di tutta la stanza, se non fosse vuota. Adesso c'è un manichino, ma qualcosa mi fa capire che quando Oliver non è il Giustiziere, quel manichino è addobbato di verde. Alla fine trovo delle bende in una sorta di cassetto vicino al tavolo dove Oliver dorme-è-s venuto.
La ferita non sanguina così copiosamente vista da vicino (ormai mi sono abituata alla nausea), così decido di tamponare un po' sangue e poi pulirlo. Pulita, nemmeno la ferita sembra tanto grave. Forse se la caverà senza aver bisogno di punti. Dato che non so creare cerotti mi avvio per arrotolargli le bende per tutto il torace. Sperando che nessuno in giro sia una sorta di missionario che rinfaccia il fatto che i bambini in Africa non hanno bende. Be, in ogni caso non so come non sprecare bende utili e qua non c’è nessuno. Appoggio Oliver al muro e gli tolgo la giacca, tentando di non svegliarlo. Anche se non si sveglia, il suo sonno sembra piuttosto leggero, al minimo tocco emette una sorta di grugnito. Diciamo che questo non è l'aspetto più affascinante di Oliver Queen. Noto che anche le sue braccia non sono da meno, quanto a cicatrici; anche se qua sono  di forma più seghettata, come se fossero guarite grazie a dei punti. Rabbrividisco: il massimo del dolore fisico che io abbia  mai provato in vita mia è stato l'altro giorno, quando mi sono piastrata un orecchio al posto dei capelli. E anche stamattina ho controllato che non ci fosse una qualche strana infezione che possa portarmi alla morte entro pochi giorni.
Prendo il braccio sinistro di Oliver e lo sollevo, facendo passare la garza dalla spalla, poi facendo più giri per tutto il torace. Quando finisco sembra una di quelle magliette corte e con una sola spallina che spesso  lasciavano scoperto l'ombelico di certe ochette a scuola. A pensarci mi viene da ridere. Che schifo ridere in questa situazione, ma forse è una risata isterica. Le mie risa fanno l'eco in tutta la stanza. E anche un'altra voce, più profonda. Che mi minaccia.
Mi giro e mi trovo davanti l'autista di Oliver che mi punta una pistola addosso.
 

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Capitolo 2
*** Sollievo ***


"Perché sei qui?", mi chiede con freddezza. Io non riesco a parlare, perché sicuramente avere una pistola puntata contro non contribuisce a tenere calma la tempesta emotiva che minaccia di esplodere da almeno mezz' ora.
Mi avvicina ancora di più la pistola; d'istinto faccio più passi indietro, sbattendo contro uno schermo, e sollevo le mani in avanti, come se potessi sperare di parare un proiettile con le mani. Tutto in lui urla "pericoloso". Mi immagino una sorta di combattimento corpo a corpo in cui cerco eroicamente di strappargli la pistola dalle mani e riesco a puntargliela contro, trionfando. Forse in un mondo parallelo. Chissà quanto è alto, quanto pesa. Probabilmente meglio non saperlo.
Sono talmente allucinata che mi sembra che qualcuno, con voce sicura e ferma, risponda al posto mio.
"Oliver è stato ferito. Mi ha chiesto aiuto.", mi sento dire. La voce che mi risponde  sembra non fidarsi, ma il suo sguardo si inclina leggermente. "Dimmi qualcosa per cui crederti."
 
A quanto pare la persona sicura che ha risposto prima al posto mio se n'è andata, e io sono rimasta sola con il mio terrore. Per reggermi in piedi devo poggiarmi allo schermo su cui stavo inciampando. Adesso, quando parlo, quasi balbetto
"O- Oliver era alla Queen Consolidated. Q-quando l'ho trovato, o forse dovrei dire quando si è fatto trovare, vabbè, adesso non importa, comunque, lui era ferito. È ferito, solo che aveva un proiettile nella spalla e mi ha chiesto aiuto. Credo. In ogni caso mi ha detto di portarlo qui e gli ho tolto il proiettile. L'ho bendato. Be, si ho provato a bendarlo ma sembra..."
 
Mentre sto finendo le mie farneticazioni senza senso, l'uomo abbassa la pistola, i suoi tratti si distendono. Sembra quasi un altra persona, senza quella maschera distruttiva in faccia. Una persona tranquilla, anche una persona piacevole e simpatica.
Sento gli echi del mio sospiro di sollievo correre per la stanza. "M-mi credi?"
"Si, ti credo. Sapevo che Oliver sarebbe stato alla Queen Consolidated stanotte. E in effetti tu sei la più conveniente a cui mostrare chi è." Adesso l'uomo mi sorride: "Penso che d'ora in poi tu starai con noi. Io sono John. Diggle."
Mi porge la mano, ma non so se sia buona educazione, o una sorta di aiuto per sollevarmi dallo schermo sotto di me. Nel dubbio, sfrutto la sua stretta per alzarmi. L'espressione di questo Diggle ora è calma e pacifica. “Puoi chiamarmi Dig, se vuoi.”
Riesco a immaginare il motivo per cui Oliver si sia fidato di lui. Ora mi domando se anche io ho un' espressione così calma e determinata. So che non è così. Allora perché si è fidato di me a tal punto? Non me lo so spiegare, ma in ogni caso..
"Io sono Felicity."
 
Sto iniziando a spiegare a Diggle che ho iniziato a fasciare Oliver ma quando mi giro, con mio grande orrore la benda è quasi completamente rossa.  L’uomo affianco a me sgrana gli occhi, e inizialmente penso che sia impietrito dal terrore quanto me, ma inizia subito a muoversi. L’ansia blocca solo me. Si dirige verso un cassetto, che alla fine si rivela una sorta di frigorifero e ne estrae una borsa di sangue. Capisco cosa vuole fare e non posso più trattenermi dall’urlare.
“Cosa diavolo hai intenzione di fare? Sei matto? Dobbiamo portarlo in ospedale! Subito!”
La mia voce sale di qualche ottava. Lui mi risponde a tono.
“E come diavolo lo spieghiamo a Lance? Adesso tutti sanno che Moira Queen ha sparato al Giustiziere! Te le inventi tu le storie di copertura? Perché questa volta dovrai essere davvero brava!”
Con la sua logica mi fa sentire una bambina di 12 anni. Se Diggle non fosse qui e avessi seguito il mio istinto Oliver sarebbe in ospedale, sano e salvo. E poi in prigione, a scontare le decine di omicidi commessi sotto un cappuccio verde. Forse 12 anni ce li ho veramente. Per non parlare di prima, quando pensavo che Oliver stesse bene e invece stava perdendo qualche litro di sangue. Sono sempre attenta ai più piccoli dettagli ma lo stress dell’ultima ora mi ha fatto perdere non un piccolo dettaglio, ma qualche milione di globuli rossi, con annessi globuli bianchi e piastrine, ovviamente.


 
In pochi secondi Dig allestisce un vero e proprio ospedale. Inizia la trasfusione e ferma l’emorragia. Fa dei punti a Oliver anche se io prima pensavo non gli servissero. La sua cucitura è dritta, pulita e perfetta. Adesso sospira di sollievo. Pure se non so il motivo sospiro anche io, perché lui mi ispira fiducia. A sentire il battito regolare dallo schermo, il mio corpo si rilassa, viene pervaso da un sollievo che forse non ho mai provato in vita mia. Forse quando ho passato il test di latino. Il sollievo dura non più di dieci minuti.
Dig mi vede osservare affascinata la sua opera. Imbarazzata distolgo lo sguardo. "È per via del servizio militare", mi spiega. "Ero soldato e medico in servizio in Afghanistan", mi racconta.
Capisce che ho bisogno di fare conversazione. E io m'incuriosisco: "..Eri? Quanto tempo fa?"
"Quasi cinque anni fa. Ho mollato.", esita un po', e poi: "Mio fratello è morto e il mio capo non voleva dar la caccia al tizio che l'ha ucciso. Così ho capito che dovevo farlo da solo"
Quindi immagino abbia disertato, o qualcosa del genere. Sto per chiederglielo, ma poi mi rendo conto che forse non lo conosco abbastanza per certe domande. Perché mi sta dicendo queste cose? Sono una sconosciuta per lui. Vede la confusione nella mia faccia e anticipa i miei pensieri: "Be, dovremmo iniziare subito a fidarci in questi casi."
Quali casi? Anche prima ha detto qualcosa tipo forse d’ora in poi starai con noi. Questa cosa mi piace più di quanto dovrebbe. Insomma, sono una più comunemente definita nerd, non esattamente una che passa le giornate nel covo di un Giustiziere assassino.
 "In effetti.", dico, e cala di nuovo il silenzio. Lo rompo quasi immediatamente, spinta ormai da un’altra curiosità, più morbosa.
"Dove ha imparato Oliver a essere il Giustiziere? Sull' Isola? Insomma, tutte quelle acrobazie, appare e sparisce dal nulla…”
"Secondo me ha imparato sull' Isola… Secondo me. Gliel'ho chiesto innumerevoli volte ma lui non mi ha mai parlato di quelle che gli è successo. Che ha imparato. Si limita a voltarsi, o a cambiare discorso."
"Ma... l'hanno torturato.."
"Perciò sei già caduta nel fascino delle sue cicatrici, eh?", sorride, "a parte gli scherzi, sono proprio dei brutti segni. Ma di nuovo, non ha mai parlato nemmeno di quelli. Non penso lo farà. È una personcina piuttosto orgogliosa.”
 
Sentir chiamare Oliver "personcina" mi strappa un sorriso. Insomma, lui è un miliardario di giorno, e salva la città di notte. Se lui fosse una personcina io sarei l'infinitesimo di un atomo. O forse dovrei avere più autostima. O forse no. Sto iniziando a essere stanca. Sbadiglio, e quasi dimentico di mettere la mano a coprire la bocca.
"Per quanto pensi che dovrei restare?", chiedo.
"Almeno sino a che non si sveglia, potrebbe allarmarsi se tu non ci sei. "
"Allarmarsi!? Perché, ha paura che potrei spifferare tutto in giro? Gli basterebbe una freccia per farmi stare zitta, e intendo per sempre." Mi rendo conto che quello che sto dicendo lo penso veramente. Una parte di me aveva già accettato di far parte di quella che si potrebbe chiamare squadra, senza aver calcolato i danni collaterali. Gli omicidi. Il numero di vittime. Colpevoli, si, ma pur sempre esseri umani. Da quando il Giustiziere è in città gli articoli dei giornali parlano solo del calo della percentuale di reati, certo, ma anche del numero di pregiudicati assassinati a sangue freddo, trovati con la solita freccia verde nel cuore.
 
Guardo Dig allarmata, sa a cosa sto pensando.
"Oliver non è così. Ha un buon motivo per fare quello che fa. Non prende mai niente alla leggera. Non hai idea di come tutti gli omicidi che commette si ripercuotano su di lui. Presto te ne accorgerai."
“Il fine giustifica tutti i mezzi?”
“Si, Felicity.”
Allarmata, annuisco, ma non dico niente. Questa volta voglio avere un po’ di silenzio per me. Mi ricordo la prima volta che gli occhi blu di Oliver Queen hanno incrociato i miei. Non avevo mai visto niente di più limpido. E ora, sapere che quegli occhi sono l’ultima cosa che hanno visto decine di persone negli ultimi mesi, è come scoprire che Albus Silente era innamorato di Grindelwald. Mi sento tradita dal mondo.
Per avere qualcosa da fare, accendo il computer. Almeno questo sì, che mi distrae. Passa una mezz'oretta. Spengo il computer. Giro di nuovo per la stanza. Prendo l’arco di Oliver e provo a tenderlo. Ci rinuncio. Torno ai computer. Diggle ha iniziato ad allenarsi da un po', ma adesso ha smesso. A questo punto sarà quasi giorno.
 
 I suoi occhi si aprono di scatto, subito vigili, e corrono su Dig. Non mi vedono, sono seduta e nascosta in buona parte da uno schermo. Oliver fa: "Sono sopravvissuto.", senza nemmeno prendersi tempo per respirare. Poi fa un respiro, profondo, soffocato dal dolore al torace che l’avrebbe ucciso. Se non fosse stato per Dig. Sorride. “Ancora”.
 
Solo qualche secondo dopo un lampo passa tra i suoi occhi, come se un particolare gli fosse sfuggito, e poi tornato a galla tra la memoria. "Dov'è Felicity?".

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Capitolo 3
*** Assassino ***


Oliver.
Ora che sono lucido la prima cosa che mi viene in mente è che avevo torto. Mia madre è dentro a qualcosa di grosso. Perché diavolo si porta una pistola appresso?
"Dig, avevi ragione. Mia madre sta nascondendo qualcosa."
Mi alzo velocemente, è triste da dire che ormai mi sono abituato a questo genere di ferite. Tutti usano la pistola. Nessuno usa l'arco. Chissà come reagirebbe il mio corpo a una freccia. Più che altro sarebbe sorpreso, forse.
All'improvviso mi ricordo qualcosa di molto più importante. Felicity. Dov'è? È rimasta?
Si è fidata abbastanza da aspettare che rinvenissi? Perché se così non fosse, sarei costretto a ucciderla. E non voglio. "Dov'è Felicity?", chiedo a Dig, secco, conciso. La mia mente è sempre piena di pensieri, confusi, mescolati e sovrapposti tra loro, ma il mio soggiorno non esattamente a cinque stelle sull' Isola ha contribuito a creare la mia maschera. Non è solo il cappuccio verde a farmi sentire al sicuro, o tanto meno il grasso intorno agli occhi, ma il fatto che le emozioni umane non intaccano più il mio viso. Quando sono il Giustiziere sono una macchina da guerra. Sono una Freccia.
O almeno ci provo.
"Sono qui". La sua voce arriva incerta e inaspettata. Non credo di aver mai veramente pensato che rimanesse. Tirare un sospiro di sollievo non mi sembra esattamente cauto di fronte a una che ha appena scoperto la mia identità segreta, perciò mi limito a dire "Bene. Felicity, quei computer sono tuoi." Dig mi guarda storto. Lei pure.
Forse sto dando troppo per scontato...Infatti: "Aspetta!", mi ferma, " Non ti ho ancora detto che giocherò a fare l'eroina con voi due" e indica anche Dig. "Soprattutto perché... gli eroi non ammazzano le persone".
Ai. Questo fa male, non so se la maschera riuscirà a trattenere la rabbia adesso. O il dolore. "Non ho mai detto di essere un eroe". Lei deglutisce rumorosamente, e tace. Decido che le devo dare una spiegazione: "Felicity, tu non sai chi sono queste persone, e sono le stesse persone che comandano in questa città. Chi pensi sia stato a spararmi prima? Era mia madre! E non pensa..."
Le mi interrompe, con gli occhi sgranati. "Tu... sei andato da tua madre... a minacciarla con arco e frecce!? Che cosa sei, Oliver Queen?".
Sento la mia mascella serrarsi, la carotide pulsare sotto la pelle del collo. Sono costretto a parlare lentamente per non perdere il controllo. La ragazzina, a quanto pare, non è amante dei giri di parole. "Non... avrei...mai...ammazzato mia madre. Sono un essere umano, per quanto ti possa essere difficile vederlo."
 Mi avvicino e le metto una mano sulla spalla "…Felicity Smoak". Pronuncio il suo nome per intero come ha fatto prima con il mio e sussulta. Si è resa conto di aver esagerato e ora i suoi occhi chiedono scusa; lei no. Forse è orgogliosa. Capisco dal suo sguardo che non intendeva quello che ha detto. Conosco abbastanza bene quella parte del suo carattere, non riesce mai a controllare quello che poi diventa un fiume di parole sconnesse. Allora, siccome so cosa vuol dire sbagliare e non riuscire ad ammetterlo, lascio perdere. Sembra indecisa se parlare o no, ma quando parla la sua voce è ferma. “Voglio trovare Walter”.
Quasi mi viene da sorridere. Fantastico! Siamo sulla stessa lunghezza d’onda. “E poi me ne andrò.”
Non se ne andrà.  Nessuno passa da queste parti senza vedere la feccia della città. Ma per adesso la assecondo: “Come vuoi”. Senza nemmeno rendermene conto prendo un grande respiro e… “Grazie.”
Lei resta interdetta, come se non si aspettasse nessun grazie da me. Poi sorride, il primo sorriso da quando sono sveglio.
“Figurati”.

Io e Dig passiamo la mattina a spiegare a Felicity tutto ciò che sappiamo: il libretto che Walter aveva uguale al mio, la registrazione di mia madre e Malcom Merlyn, il naufragio della Gambit e del coinvolgimento di mia mamma anche in quello. A denti stretti le racconto le parole di mio padre prima che si ammazzasse per farmi sopravvivere. Le parlo di mia mamma e di quel poco che so di Malcom. Di Walter. Ogni minimo particolare è importante.
Felicity si mette subito a lavoro. Sembra determinata.
Dig è uscito. Io provo a fare qualche esercizio, ma con questa ferita non è proprio piacevole. Alla minima contrattura sento fitte dolorose spandersi per tutto il corpo. Non ci voleva una ferita proprio adesso. 
Decido che non posso fare nulla di produttivo qui. Felicity sta facendo il possibile. E se conosco mia madre, casa mia sarà piena di poliziotti. Incluso Lance, che sarebbe il primo a insospettirsi se non mi facessi vedere per molto tempo. E il suo concetto di molto tempo è qualche ora. Meglio non giocare con il fuoco. 

Esco dal Verdant e mi ritrovo sul paesaggio desolante di The Glades. Si sente il vociare di gente che rissa tra i vicoli. L’odore un po’ strano dei palazzi alti e affollati. Cinque anni fa il quartiere non era certo in queste condizioni. Forse mio padre ha fatto bene a vendere quasi tutte le proprietà che aveva qui. Ma questa vendita è stato un caso fortunato, oppure una mossa consapevole? Non sono la persona che pensi che io sia… le ultime parole di mio padre mi hanno fatto capire che, quando era ancora vivo, ogni cosa che faceva aveva un secondo fine. Ora sono troppo diffidente per attribuire la vendita delle proprietà a The Glades a un caso fortunato.
 
Quando arrivo a casa, non è molto affollata come pensavo. C’è solo mia madre e il detective Lance. E sua figlia. Laurel mi sorride, ma adesso è il momento di sfoderare la mia adorabile faccia sorpresa/preoccupata.
“Mamma, che succede?”
“Oddio Oliver, dove sei stato? Ero così preoccupata..”
“Scusa, sono stato per un po’ al club a ripulire un po’. C’era un casino. Ciao a tutti comunque.” Laurel mi fa uno dei suoi soliti sguardi interrogativi. Mi rivolgo al detective Lance: “Che succede qui?” .Lui invece ha uno sguardo abbastanza minaccioso e diffidente:
“Mentre tu…pulivi, al Verdant… Bè, tua madre ha avuto il piacere di conoscere l’Incappucciato che ha salvato te. Ora…perché salvarti e poi andare a minacciare tua mamma?!”

Ma che cazzo di ragionamento è? Pensa ancora che il Vigilante sia io dopo che ha minacciato mia mamma? Non avrei mai torto un capello a mia mamma! Tu... sei andato da tua madre... a minacciarla con arco e frecce!? Che cosa sei, Oliver Queen? Le parole di Felicity mi rimbombano nel cervello. Sembro davvero questo tipo di persona? Wow, forse lo sono.
Mi ricompongo. “Ommioddio mamma…” vado ad abbracciarla. “Com’è successo?”
Passo la mattinata ad ascoltare il suo racconto, il suo spavento, la sua paura di essere portata via da me e Thea, senza riuscire a trattenere il pensiero che sto consolando una bugiarda. Lei ha fatto naufragare la Queen’s Gambit, diamine! E ora sta organizzando non oso immaginare cosa…

Il detective Lance se n’è andato, ma Laurel è rimasta, seppur senza dire una parola.
A metà mattinata arriva una visita a sorpresa per mia madre. Malcom Merlyn. Decido di concedere loro un po’ di privacy così taglio la corda e me ne vado. Chissà se la bugiarda sta già rimpiazzando Walter, penso in un accesso di rabbia.
Mentre sto salendo sulla moto, sento qualcuno chiamarmi dal portone di casa. Laurel. In effetti immaginavo che fosse a casa per poter parlare con me. Per parlare di Tommy, del loro amore tormentato, del mi hai rovinato l’esistenza Oliver sei la rovina della mia vita, bla bla bla. E io me ne sono andato senza quasi nemmeno salutare… Che classe.
“Ollie..”
“Laurel”. Sorrido.
“Devo parlarti…Di Tommy.” Prevedibile.
“Immaginavo. Dimmi, ti ascolto.”
“Bè… ho saputo che avete litigato, quindi se non te lo dice lui non lo saprai mai se io non parlo e…”
“Laurel, taglia corto”. Ok, forse sono un po’ brusco oggi.
“Okay, okay. Ci siamo lasciati. Lui mi ha lasciata.”
“Come, ti ha lasciata? Lui ti ama” Alle mie parole sussulta, quasi compiaciuta. Anche lei lo ama.
 “Si. Cioè… Oliver, Tommy mi ha parlato di te. Ha detto… che sei ancora innamorato…di me.” D’istinto mi irrigidisco, sono sulla difensiva. La prima cosa che provo non è la paura che lei potrebbe non ricambiare. E’ rabbia. Sono arrabbiato con Tommy. Come si permette? Sta facendo la parte dell’uomo quando invece è un codardo che non sa fronteggiare il fatto di essere serio una volta con qualcuno. E ci passo io.
“Ah, quindi ora è colpa mia!?”
“No…Non è…Senti, non intendevo dire questo. Ma quello che provi dovresti dirlo a me, non a Tommy.” Lei guarda in basso.
“Non ho detto un bel niente a Tommy”. Adesso Laurel alza lo sguardo e punta i suoi occhi nei miei. Sembra ferita. L’ho ferita. Avrei dovuto controllarmi ed essere meno brusco, me e rendo conto subito. Ma quando si tratta di lei, quasi mai riesco a controllarmi come si deve. Non riesco a reggere il suo sguardo. “Scusami”. Lei annuisce e mi volta le spalle. Sta per andarsene, ma la trattengo per un braccio. Resta girata. “Sei stata tu a scegliere lui”. Okay, forse anche quello non lo dovevo dire. Prima che Laurel scegliesse Tommy io mi sono portato a letto sua sorella Sara più volte e l’ho portata in una barca in cui siamo morti per cinque anni. Certi dettagli non sono tralasciabili, così lei strappa violentemente il braccio dalla mia stretta e se ne va.
Non ho voglia di tornare a casa, così vado all’ufficio di Tommy per parlargli, o per fargli un casino piuttosto. Non esiste che debba pagare io per la sua codardia. Non esiste che debba vedere il suo sguardo schifato, contro di me, come se stesse guardando un mostro, dopo che mi sono esposto solo per salvare suo padre. Perché è da quando ha scoperto chi c’è sotto il cappuccio verde che si comporta così con me, come se ci conoscessimo da pochi giorni anziché da una vita.

“Che onore, l’eroe di Starling City..!” Tommy ha stampato in faccia una sorta di sorriso finto.
Iniziamo bene.  La carotide inizia a pulsare, ma bene o male riesco a mantenere il controllo. A sarcasmo si risponde con sarcasmo. “Mi devo forse inchinare, di fronte a colui che molla la ragazza per… lealtà? Onore, forse?”
Il suo sorriso si raffredda. I suoi occhi sono lame affilate. Come mi devo comportare con Tommy?
“Cosa vuoi Oliver? Sai, a differenza di te ora ho un lavoro vero, non faccio il donnaiolo di professione in un club a The Glades” Ogni parola che esce dalla sua bocca potrebbe essere veleno puro.
“Pensi davvero che sia un donnaiolo? Perché…bè, è decisamente in contrasto con quello che hai detto a Laurel, come scusa per scaricarla.” Che lite inutile.
“No Oliver, non penso che tu sia un donnaiolo. Io penso che tu sia un assassino.”
Non nascondo il mio stordimento. Guardo nei suoi occhi e sembra che stia guardando verso un mostro. A questo non posso ribattere, questo non posso negarlo, perché è vero, sono un assassino.
Giro i tacchi e me ne vado, senza dire una parola.

Non ho voglia di andare a casa, perciò torno al Verdant, tanto Dig non ci sarà, a quest’ora. Forse potrebbe esserci Felicity, ma penso sia tornata a casa. Forse no, perché magari è troppo impaurita dall’assassino per fare dieci passi. Quando arrivo sento silenzio, perciò forse, con un po’ di fortuna riuscirò a stare un po’ da solo.
Invece Felicity è seduta, con la testa tra le braccia sulla scrivania. Dorme. Io non sento sonno, perché ho passato la nottata svenuto, mentre lei è stata sveglia, in ansia e stressata per molte ore.
Mentre prima, quando mi stava attaccando, avrebbe potuto dimostrare anche la mia età, circa 25 anni, adesso, nel sonno, potrebbe anche essere una studentessa del liceo. La cosa più particolare che noto sono le ciglia; senza gli occhiali fanno un giro perfetto sino a quasi toccare l’altra parte della palpebra. Mentre dorme irradia un senso di delicatezza, come se fosse fragile come il vetro, ma anche di pace, un senso di pace che non provo da tanto, troppo tempo, per cui pagherei con tutto ciò che ho per poterla avere di nuovo.   







Ciao a tutti! Scusate se ho aspettato un po’ a pubblicare questo capitolo, ma ho dovuto scremare molto perché non volevo fosse troppo pesante, e infine a scuola sta finendo il quadrimestre e ci stanno riempiendo di verifiche. Comunque, ecco qua il capitolo! Buona letturaJ

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Capitolo 4
*** Una strana pace ***


4. UNA STRANA PACE
Oliver.
Vengo attirato e nello stesso tempo respinto da quella strana pace. E’ una sensazione che mi manca e allo stesso tempo mi fa paura. Essere in pace è rilassarsi. Rilassarsi è cadere in trappola.
Così, senza rendermene conto, perdo tempo a analizzare quella sensazione, valutarla, osservarla, e ancora una volta la paura prevale sulla mancanza. Distolgo lo sguardo dal viso di Felicity, e per distrarmi salgo sulla salmon ladder. In questo modo allenandomi farò un tale casino che si sveglierà e non sarò costretto a far finta di niente. E tanti saluti alla voglia di solitudine.
Come previsto, Felicity si sveglia di soprassalto, e come se fosse un cartone animato si riaggiusta gli occhiali e si guarda intorno, come se non sapesse come è arrivata in questo posto.
I suoi occhi fanno il giro di tutta la stanza e poi mi trovano, in cima alla salmon ladder.
“Cazzo. Mi sono addormentata.” Sembra seccata.
“Che intuito”. Mi guarda storto. Non sembra divertirsi. Con un balzo scendo dall’ultima sbarra e Felicity perde tre battiti per lo spavento.
“Non sei divertente, avevo appena trovato una pista.. E poi sono crollata evidentemente.”
“Su Walter?”
“Si. Ho trovato un traccia, il fondo bancario di un noto criminale, evaso da poco da un prigione a Central City, su cui è stato versato del denaro, e qualcosa mi dice che con quel denaro è stato pagato il tizio che ha rapito Walter fisicamente.”
“E non fa a capire chi è il versante?” Mi sto agitando e forse sono anche un po’ sgarbato.
“Il versante è criptato. Stavo cercando di decodificarlo, ma le muffe in questa stanza mi hanno messa KO. Ehi, non pensi che questo posto sia un po’ troppo buio e umido? Si okay, so che è il covo del Vigilante” accompagna l’ultima parola con due virgolette, con le mani, “ma è un po’ troppo lugubre…No?”
“Non so di cosa stai parlando”.
“Infatti parlo troppo, è la tensione. Quando sono stressata, o parlo o mangio, e non vedo molto cibo qui in giro.”
Le sue reazioni mi fanno sorridere. E’ proprio uscita da un cartone animato. “Più che altro mi sorprende che tu voglia cambiare un posto che non hai intenzione di frequentare per molto tempo.”
“Ci vorrà un po’ prima che riesca a decodificare il nostro versante.”, risponde dopo aver esitato qualche secondo.
“Hai capito benissimo ciò che intendo.” Non penso abbia intenzione di rispondermi a questo, e fortunatamente per lei entra Diggle.
Diggle ultimamente ha la faccia da bastardo, quel sorriso soddisfatto da “avevo ragione io”.
Esordisce con un :“Non siete ansiosi di sapere dove si è fatta accompagnare la signora Queen dall’autista nero, un’altra volta!?
Io non sto al gioco, e sinceramente non vedo l’ora di fargli fare una figura di merda.
“Non dirmi da Malcom Merlyn, era a casa mia un paio d’ore fa.”
“E infatti il caro Malcom se l’è portato appresso. Da quanto ha capito l’ingenuo autista nero dovevano fare un versamento alla banca, l’ennesimo, questo mese.”
“Cosa stai dicendo Dig? Mia mamma manda sempre qualcuno a far queste commissioni alla banca.”
In tutta risposta ricevo uno sguardo alla che vuoi che ti dica?.
Felicity, dalla sua postazione guarda prima me, poi Dig.
“Questo potrebbe essere strano”.


 
“Che cosa vuol dire strano!? Siete un po’ paranoici”. Mi sto un po’ scaldando.
“Paranoica quanto vuoi, ma non esco la notte con una tuta verde attillata.” La guardo in cagnesco. In realtà cerco con tutte le forze di fulminarla con lo sguardo ma lei mi fissa impassibile. Forse non ha capito che non è il momento per il suo adorato sarcasmo. Per farglielo capire resto zitto.
E quando torna a parlare è un po’ più pacata. Mi ha capito. “Oliver, vuoi la mia personalissima opinione? Okay, so che non la vuoi, ma tua mamma non avrebbe nessun motivo di tenere una pistola con se. Da quali eventualità si dovrebbe proteggere? Secondo me, quando ha visto alcune persone molto vicine a lei e a quello che forse sta facendo, con una freccia verde nel cuore, ha pensato bene di prendere precauzioni. E penso anche che Moira Queen non è nella tua lista perché chi l’ha compilata, era suo marito.”
“Il suo ragionamento ha una logica, Oliver”, si aggiunge Dig.
“Lo so”, rispondo, voce e sguardo basso.
“Pensaci: tuo padre ha il libretto, la Gambit naufraga. Walter trova il libretto, viene rapito..”
“LO SO!! HO CAPITO, VA BENE?!?!” Il mio respiro si è fatto affannato e il mio sguardo è offuscato dalla rabbia. Che mi succede? Sono incazzato perché quei due hanno ragione e io no? No. Sono incazzato perché non riesco più a fidarmi di mia madre. Da quando sono tornato non riesco più a fidarmi di quelli a cui tengo. Mia madre, Laurel. Tommy.
Dopo questa sbottata non ho la faccia tosta per guardare in faccia o Dig o Felicity. Così decido di andarmene da là e lo faccio senza nemmeno salutare.
Felicity.
C’è bisogno di esplodere così? Vorrei provare a capire Oliver ma sinceramente non ci riesco. Moira Queen non solo è sua madre –così come Robert Queen non era solo suo padre- ma anche la donna che ha complottato per far naufragare la nave dove suo figlio avrebbe dovuto passare le vacanze. Come fa a non capirlo? Per me è un idea inconcepibile, ma poi realizzo che non tutti hanno un brutto rapporto con la loro madre. Oliver ha passato 20 della sua vita a contare su di lei, mentre io non ho mai contato sulla mia. Fredda e manipolatrice, mia mamma ha sempre dimenticato quanto potessi avere bisogno di lei, data la mancanza di mio padre.
Di mio padre non so il nome, né il cognome –Smoak è il cognome di mamma- mi è sempre stato nascosto tutto. Un giorno, in un comodino ho trovato una serie di foto strappate a metà che ritraevano mia madre che abbracciava il vuoto, perché logicamente l’altra metà della foto mancava. L’unica foto intera ritraeva un uomo in divisa, che guarda in lontananza verso Hanging Rock*, verso l’orizzonte, di spalle. Penso sia l’unica foto che mia madre non ha avuto il cuore di eliminare, sempre se ce l’ha, un cuore. Ed è anche il mio unico indizio. Così, tutto quello che so, è che mio padre faceva parte dell’esercito. Mamma dice che ci ha abbandonate, ma io ho pensato più volte che forse, potrebbe essere morto in missione. Ma ormai è tanto tempo che ho smesso di rimuginarci su.
Il rapporto tra Oliver e Moira mi ha costretto a ripensare a una cosa che ormai non mi preoccupava da tanto tempo. Il rapporto che abbiamo con i nostri genitori è un qualcosa che abbiamo in comune, e invece che capirlo e cercare di aiutarlo in questa situazione ho fatto la stronza. Certo che poi si riscalda e scoppia…
E’ Dig a distogliermi dai miei pensieri. “Ha bisogno di sentire la verità, non sentirti in colpa.”
“Non è da questo che sono preoccupata ora.”
Fa una strana faccia sorpreso/preoccupata. “Wow. Da cosa?”
“Dig, ieri notte ho trovato una pista. Qualcuno ha pagato una grossa cifra a un noto criminale per rapire Walter. Ho provato a decriptare il versante e per ora combacia per filo e per segno con…”
“Malcom Merlyn.”
“Si. Come mai lo sai?”
“Ho forti sospetti su Moira, ma i suoi conti sono controllati, perché li aveva in comunione con Robert. Così per qualunque cosa usano il conto di Merlyn.”
“Anche secondo me. E…Dig. Io già ieri ho trovato il versamento per pagare il rapitore. Se mi dici che anche oggi quei due erano in banca…Cos’hanno comprato questa volta!?”
“Esatto. Cosa porca puttana hanno in mente!?”

Oliver.
Non posso negare che qualche parte di me, forse la più meschina, si fida di Dig e Felicity, anche questa volta. Perciò prendo la decisione più masochista che potessi prendere: vado a spiare Malcom e mia madre, che tra l’altro dovrebbero essere ancora a casa. Bene, così colgo anche l’occasione per controllare in che stato è il tetto dopo la tempesta di qualche tempo fa.
Mi sono infiltrato in una buona postazione, che mi permette una visuale ottima di quello che succede tra quei due. Ma non mi interessa vedere, quanto sentire. Qua, l’unica cosa che noto è che mia madre non è esattamente a suo agio. Anzi, sembra spaventata. Devo trovarmi un posto in cui riesco anche a sentire, e non è difficile farlo. In questa nuova postazione sono un po’ più scoperto, ma tutto sommato è un buon compromesso.
“Sai benissimo che se non fosse per Oliver e Thea ti avrei mollato da subito in questo progetto…”
“E io che pensavo credessi in quello che stai facendo, Moira…!”
“TU! Quello che stai facendo tu, Malcom!”
“Questo è esattamente quello che le autorità chiamano concorso in reato.”
“Che è pur sempre meglio di reato, no? E poi mica è un reato se non viene scoperto.”
“Non sarà così per sempre.”
“Ti garantisco che se non lo sarà, il per sempre riguarderà solo la prigionia del tuo adorato Walter.”
“Io sto collaborando con te e non ricevo nulla in cambio! A che gioco stai giocando?!”
“In cambio ricevi il benessere dei tuoi cari.”
“WALTER E’ UN MIO CARO!!!”
“Si, ma aveva la lista. E comunque è al sicuro. Nessuno gli torcerà un capello.”
“Dimmi dove. E non sentirai più una parola da me.”
“Va bene. E’ nello stesso posto dove teniamo il generatore.”
“Tieni mio marito in una prigione!?”


Faccio in tempo solo ad allontanarmi da casa mia, uando il telefono squilla. E’ Dig, ma quando rispondo è Felicity a parlare.
“Oliver, ho trovato Walter, è ad Iron Heighs, il versante è Merlyn…”
“Lo so, Felicity. L’ho sentito parlare con mia madre, sto andando lì.”
“Oliver, aspetta. Non c’è solo Walter in quella prigione. C’è un..”
“Si, ho sentito parlare di un generatore..”
“E’ un generatore di terremoti sviluppato dalla Queen Consolidated. Vogliono far saltar in aria The Glades, Oliver!”
“Dalla Queen Consolidated!? Ma..?”
“Sì Oliver. Devi sbrigarti, stanno arrivando degli uomini di Merlyn alla prigione adesso. Hanno visto che qualcuno ha hackerato il loro sistema. Se sei fortunato riesci a evitarli.”
“Va bene. Dì a Dig di raggiungermi.”

Sono già penetrato e uscito da una prigione prima, ma adesso sono per così dire in borghese. L’unica cosa a proteggere la mia identità ora è solo il cappuccio della mia felpa. Mi muovo furtivo tra i muri e le guardie e atterro qualche uomo avanzando. Non ho nemmeno il mio arco con me. Ad un certo punto, senza preavviso, sento un colpo arrivare da dietro. Il dolore non è forte, ma mi stordisce. Sento che sta per arrivare una seconda botta, ma la guardia cade a terra. E’ Dig. Mi passa pure il mio arco. Dopo dovrò veramente ringraziarlo. “Walter è qualche cella più indietro. L’ho visto. Vado a prenderlo, ma tu cerca il generatore.”
Ringraziarlo? Dovrò venerarlo. Ci scambiamo un cenno e poi prendiamo direzioni opposte. Mentre corro sento il telefono vibrare. Questa volta è Felicity. Mi spiega in che modo posso trovare il generatore. “Devi andare verso l’uscita della prigione. A destra, in basso ci sono delle scale. Scendi, e lo trovi. Non lo puoi prendere, lo devi distruggere, e fuggire il prima possibile. Dig ha già portato via Walter.” E’ fredda e composta nonostante sia a The Glades, il posto che dovrebbe saltare in aria, e nonostante io e Dig siamo in pericolo di morte. Tutto ciò è in totale contrasto con la strana pace che mi ha suscitato solo stamattina.
“Va bene.”
“Oliver, attento. Gli uomini di Merlyn sono arrivati.”
“Sì.”
 Sono all’ingresso della prigione, proprio come mi è stato spiegato. Giro a destra, col fiatone, e cerco le scale. Ma c’ qualcosa che non va: quella che dovrebbe essere la scala è in fumo. C’è del fuoco. Vedo gli uomini di Merlyn. Ma non vengono verso di me, non possono. Io sono nascosto. Li vedo tornare alle loro auto e praticamente battono in ritirata. Vedo il furgone mettersi in marcia e tutto quello che posso fare è correre con tutte le mie forze e scoccare frecce per cercare di fermarlo. Ma non ce la faccio.
“E’ andato.”
“Stai tranquillo Oliver, risolverai.Torna qui.”
E nonostante mi sia fatto scappare tra le mani una cosa così pericolosa, per un attimo provo pace.



Come vedete la storia la sto cambiando rispetto alla serie tv, anche perchè vorrei farla andare un po' più veloce. Il mio modo di scrivere è molto più "da libro" che da "fanfiction" e rischia di diventare noioso, ma sto seguendo una storia ben precisa nella mia testa. In questo capitolo si può intravedere la storyline che ho in mente per Felicity (Hanging Rock è un panorama australiano) che corrisponde infatti a certi rumors che girano per il web riguardo al papà di Felicity. Sono davvero convinta che questa parte della storia la ritroveremo anche nella serie. Vediamo se riuscite a capire di cosa sto parlando. Dal prossimo capitolo le cose andranno più veloci, il rapporto Olicity più definito. Buona lettura, aspetto le vostre recensioni, i vostri commenti e le vostre critiche:)

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Capitolo 5
*** Il terremoto ***


5.IL TERREMOTO.
Oliver.
“Walter sta facendo qualche controllo in ospedale ma la sua cartella medica dice che è tutto apposto. Presto sarà a casa, e tu dovrai farti trovare lì. Ci penseremo dopo al generatore, e ricordati che io sono qui a cercarlo”.
“Va bene, Felicity”
Con poche parole è riuscita a farmi smettere di pensare al casino che ho combinato lasciando scappare quei criminali con il generatore che potrebbe uccidere migliaia di persone.
Così, vado a casa senza neanche pensarci troppo.
Quando arrivo, non c’è nessuno, ma presto mia madre arriva, reggendo un Walter sconvolto e scosso. Non sembra essere felice della donna che gli fa compagnia. Secondo me preferirebbe stare da solo, a riflettere su quello che ha passato, e, da solo, trovare un modo per superarlo. E’ quello che vorrei per me stesso. Così, gli dico solo qualche parola di bentornato, prima di andarmene. Non mi giro nemmeno ai ripetuti richiami di mia madre. Ci vorrà qualche giorno prima che io riesca a guardarla in faccia.
E qualche giorno passa. Passano giorni e settimane.
Io, Felicity e Diggle restiamo al covo sino a tardi, a cercare di rintracciare quei figli di puttana e il loro generatore. Passiamo le serate a cercare di scoprire che uso ne faranno. Sappiamo che vogliono far scoppiare The Glades, ma non sappiamo con certezza se lo faranno davvero, dopo essere stati scoperti. Non sappiamo quando, non sappiamo come. Dig e Felicity sono scettici: come fa un dispositivo a generare un terremoto? Ma io, che sull’isola ho visto cose quasi soprannaturali, mi fido ciecamente della cattiveria dell’uomo. The Glades andrà in pezzi, solo non so quando. Secondo Felicity solo Merlyn sa dov’è il dispositivo. Ed è stato attento a non far trapelare niente in rete, a non dire niente a mia madre.
Ogni notte, Dig va a dormire da Lyla, ma Felicity resta qua, la maggior parte delle volte. La cosa bella è che nonostante Walter sia a casa, lei è ancora nella squadra. Ne abbiamo parlato, lei fa finta di niente, ma io so che resterà. Come avevo previsto.
E così imparo a conoscerla. Ha 21 anni, è nata ad Adelaide, ma a 7 anni si è trasferita in America, dove ha studiato, sino alla sua laurea al MIT, cosa che, tra l’altro, è impressionante per una ragazza di 21 anni. Si è trasferita a Starling City da nemmeno un anno, poco prima che io tornassi. Mi ha raccontato scocciata che, quando io sono tornato, tutti ne parlavano. Mentre lei non sapeva nemmeno chi io fossi dato che non viveva qui prima del famoso naufragio. L’unica cosa che notavo è stata che appena il famoso Oliver Queen è tornato, i criminali hanno cominciato a cadere a terra con delle frecce verdi. Forse sono stata l’unica a vederci un collegamento,  sono state le sue testuali parole.
E’ una persona molto intelligente, inoltre sta seguendo uno strano corso di medicina e in poco tempo è riuscita a cucirmi una ferita senza vomitare. Ha una forza di volontà notevole. In questi giorni in cui abbiamo cercato con tutte le nostre forze quel dannato dispositivo, lei ha contribuito a eliminare buona parte della lista. E’ una fortuna averla con noi, ma non solo per la parte pratica. Quando eravamo solo io e Dig, il covo era solo un luogo segreto, ma da quando c’è lei, non è raro sentire risate, chiacchere. Il covo sta diventando quasi una casa per tutti e tre.

In queste due settimane, mia mamma si è segregata in camera sua, senza uscire, senza far entrare nessuno. Thea entra occasionalmente a parlarle, ma per lei è tutto normale. Chissà quante volte l’avrà fatto quando io ero sull’isola. Per quanto mi riguarda, non ho voglia di parlarle, tanto non sa nulla di utile. Però entro anche io, qualche volta con Thea, giusto per salvare le apparenze.

Ho fatto pace con Laurel, ma non con Tommy. Tommy continua ostinatamente a comportarsi da indifferente, cosa che non riesce certo a fare bene. Si ammazza di lavoro e non ha più una vita sociale, o almeno non con me.

Ho uno strano presentimento riguardo a questa sera. E’ presto, non sono nemmeno le 5 e al covo non c’è nessuno, così decido di andare da Laurel. Tommy ha detto che sono innamorato di lei e forse è vero. Quello che so è che per cinque anni, tutte le notti, prima di addormentarmi ho guardato la sua foto, per ricordarmela in caso morissi. Quella non è una cosa che fa una persona che non prova niente. Quando sono tornato e l’ho rivista per la prima volta, ho perso due battiti. La stessa cosa mi succede quando lei apre la porta del suo appartamento e me la trovo davanti.  All’inizio parliamo del più e del meno, ma poi cala un silenzio imbarazzante e l’argomento si sposta su Tommy.
"Con Tommy come va?", spezzo il silenzio. Laurel ha appena preso dello champagne e si gira verso di me. Quest’appartamento è così piccolo che tra di noi ci sono massimo tre passi
"Non va"
"Come mai?"
"Non lo so...Ogni volta che sono con lui c'è qualcosa che mi blocca. Sento che c'è qualcosa di sbagliato. Non te lo so spiegare."
La stanza sta diventando calda.
"Io sì. Io te lo so spiegare.." Si è fatta ancora più vicina. La stanza sta diventando molto calda.
"Lo so Ollie. È tutto quello che non provo quando invece sono con te."
Quelle parole ci mettono due secondi buoni a farmi breccia nel cervello. E adesso non ne usciranno più, penso. Quando sollevo lo sguardo lei è davanti a me, così bella. La stessa immagine che ha popolato sogni e incubi per cinque anni. Come se non potessi farne a meno, poggio la mia mano sulla sua guancia, e la bacio.


 La bacio delicatamente, all'inizio ho paura che mi respinga. Ma ancora non è arrivato nessuno schiaffo, quindi magari lo aspettava anche lei.
Poi comincio a baciarla con più forza, e lei, inaspettatamente ricambia. Pensavo mi odiasse, mi ha esplicitamente detto che avrebbe preferito la mia morte al posto di quella di Sara. Eppure, contro ogni logica, lei è qui, fra le mie braccia, smette di respingermi, e mi bacia come se anche lei da tanto tempo non aspettasse altro. Per lei è sicuramente stato diverso: io ero morto. Ma io per cinque anni ho avuto la consapevolezza che lei esistesse ancora, in un posto che non si chiamava Purgatorio.
Le mie mani, prima delicate, ora sono feroci tra i suoi capelli. Le sue mi stringono con forza. Una marea di vecchie sensazioni e ricordi affiora alla mia mente. Le sue labbra e il suo corpo sempre più vicino al mio sono familiari. Il modo in cui incarica il collo quando glielo bacio. Il modo in cui stringe le ginocchia al mio bacino quando la prendo in braccio. L'affannarsi dei nostri respiri mentre la stretta si fa sempre più profonda. Ho paura di fare un passo falso, perciò continuo a baciarla. Se vuole qualcosa di più sarà lei a fare il primo passo.
E lo fa; lentamente, molla la stretta e mi guida verso il tavolo. Si siede e di nuovo stringe le gambe sul mio bacino. È un invito: la vera domanda è se io lo voglio veramente. Non faccio in tempo a darmi una risposta, perché lei sta iniziando a aprire i bottoni della sua camicia. Della mia giacca, che vola subito via. Ora lei ha solo il reggiseno addosso...Ho mai visto qualcosa di più bello? Di nuovo, non riesco a rispondermi. Cautamente, lentamente, slega la cravatta e slaccia i bottoni della camicia. Già al terzo bottone si intravede la mia prima cicatrice. E finalmente riesco a rispondermi: non penso di volere tutto questo. Il suo sguardo si è fatto già compassionevole e non posso sopportarlo. "Oliver...come ti sei fatto tutte queste cicatrici?...Sull'Isola?" riesce a chiedermi, la voce già roca, gli occhi già lucidi. All'improvviso realizzo che non mi fido abbastanza da raccontarle la storia di tutte quelle cicatrici. Istintivamente le mie mani vanno a rinchiudere i bottoni slacciati della camicia. Che mi succede? Ho aspettato un sacco di tempo per questi momenti con Laurei e ora non li voglio più. Lei mi guarda ferita.
"Ollie... che fai? Pensavo che...andasse bene? Che fossi d'accordo..."
Siccome non so nemmeno io cosa mi succede, dico la cosa più stupida che mi possa venire in mente "Non possiamo. Non posso...voglio dire... Tommy, lo sai... lui mi ha detto che siete insieme, e non voglio rovinare niente. " "Cinque anni su un Isola e tu ti giustifichi con Tommy?! Io prima sono stata sincera con te Oliver!" I suoi occhi luccicano. So di averla ferita. Sarebbe bello se ne conoscessi anche il motivo...
In pochi secondi mi spinge via e si riveste completamente. Sa che non ho niente da dirle e si dirige verso la porta. Ma all'ultimo le fermo un braccio, la giro verso di me, e senza un motivo particolare la bacio. Nemmeno questa volta mi respinge.
Ci dirigiamo verso la camera da letto e riprendiamo da dove avevamo finito.


E’ tutto sbagliato. Mi sono comportato da coglione, come al solito. Nella mia testa c'è confusione. È successo come quando vuoi così tanto la morte di qualcuno, per vendetta, o per ripicca. E ti impegni tanto per mettere fine alla vita di quel qualcuno, così tanto che quando ci riesci non ti rimane nulla se non un senso di vuoto. Così mi sento adesso; ho messo tutto me stesso in quello che pensavo di provare per Laurel e adesso mi sento vuoto. Capisco di esserlo sempre stato. Mi ricordo di nuovo una un’altra sensazione che non ricordavo di aver mai provato: quella che mi ha spinto a portare Sara sulla Gambit. Le cose con Laurel si stavano facendo serie. Stavamo insieme da un paio d'anni, e lei già iniziava a parlare di case e abiti bianchi. Così, ogni giorno, ero sotto pressione, dalle sue aspettative, da quelle della mia e della sua famiglia. Ho deciso di rovinare tutto di proposito in fondo, questo lo ricordo bene. Ricordo Laurel che prima che partissi venne a salutarmi e mi lasciò una sua foto. Da guardare quando mi sarebbe mancata, nei tre mesi in mezzo al mare. E lei non sapeva che in mezzo al mare con me ci sarebbe stata sua sorella. Tutto questo mi fa sentire così meschino che vorrei strapparmi i ricordi e il senso di colpa dalla corteccia cerebrale.

Ecco cos'è; il senso di colpa. Quello che mi ha guidato negli ultimi cinque anni, quello che mi ha guidato stasera. Non sopporto di veder Laurel soffrire, ma non per il motivo che pensavo. Il senso di colpa che provo nei suoi confronti. Ricordo come, nei primi giorni sull’isola, avevo pensato che quel naufragio fosse opera del Karma: avevo fatto una cosa così meschina e orribile che qualcuno aveva deciso di punirmi. E così, da allora, ho lottato per sopravvivere e per fare ammenda. L’ho fatto, e ora non ho più debiti nei confronti di nessuno. Ma ora ho sbagliato di nuovo: ho illuso una delle mie poche amiche (mi fa sentire strano anche solo il pensiero di Laurel come amica, ora che ho capito cosa provo veramente) e Tommy.
Appena il respiro di Laurel si fa pesante, me ne vado da quell’appartamento senza fare un rumore.
 
Sono piuttosto agitato quando, dirigendomi verso casa, il mio telefono squilla: è Felicity. In queste due settimane ho sperimentato più volte lo strano potere della sua voce di riuscire a calmarmi. Sento i muscoli del mio corpo distendersi e la mia mente diventare lucida. Ma questa volta è lei a essere agitata. Non dice nemmeno ciao, o il suo solito Oliver.
Solo “Telegiornale, adesso.”
E la linea cade.

Su ogni canale la stessa identica cosa: una conferenza stampa di mia madre. E’ davanti alle telecamere in lacrime e capisco subito cosa sta facendo. Si sta confessando. Forse potrei veramente tornare a parlarle.
“…Sono stata complice di Malcom Merlyn per un orribile scopo: distruggere The Glades e tutti quelli che ci abitano. A tutti coloro che si trovano lì in quel momento: SCAPPATE!!!”
E’ in quel momento che scoppia il caos, e lo schermo della tv diventa buio.

Sono appena salito sulla mia moto quando avverto un leggerissimo tremolio. Nella mia testa passano diversi pensieri: penso a Laurel che sicuramente sarà tornata al suo ufficio e a Tommy, preoccupato, che sarà andato a controllare se sta bene. Ma il pensiero più bruciante è quello di Felicity, sola, al covo, che è a The Glades. Senza nemmeno pensarci vado da lei. Il terreno si muove pericolosamente ma scendo in quello che si potrebbe chiamare scantinato senza problemi. Quando entro nel covo, c’è anche Diggle, e sembra che lui e Felicity stiano bene. Che cosa mi è preso? Mi sono dimenticato forse che c’è anche Dig a proteggere Felicity? Mi sono dimenticato che le pareti del covo difficilmente possono essere distrutte da delle scosse provocate da un dispositivo? Mi sono dimenticato che a essere in pericolo non è Felicity ma Laurel? Ma adesso non importa, e non riesco a trattenere un profondissimo sospiro di sollievo.
“Oliver, stiamo bene.”, dice Dig.
“Ormai il dispositivo è partito, non c’è modo di fermarlo. Le scosse non dureranno a lungo, e ho scoperto che il generatore può essere usato solo una volta. Non possiamo fare niente, possiamo soltanto resistere.”, mi informa Felicity.
Non riesco a guardarla. Che mi succede? Mi giro di scatto verso la teca con il cappuccio.
“Va bene. Vado a vedere cosa posso fare. Restate qui.”

Faccio in tempo soltanto a vedere Laurel, barcollante, uscire fuori da un palazzo che 10 secondi contati dopo crolla. Mi immagino cosa è successo, e spero con tutte le forze di sbagliarmi, di non avere ragione. Nonostante il palazzo stia perdendo pezzi, mi ci infilo senza esitare. Lo trovo quasi subito. Tommy, mio fratello è lì, agonizzante, coperto dalle macerie, riesce a malapena a respirare. Sa di non potercela fare. E infatti riesce a chiedere/mormorare qualcosa su Laurel. “L’hai salvata Tommy” riesco a dire. Lacrime calde iniziano a cadermi sulle guance.
Le sue ultime parole sono “Scusa Oliver. Ti voglio bene.”
E Tommy muore.
 
Le scosse terminano pochi minuti dopo. Centinaia di persone sono morte e nessuno bada a un uomo con arco e cappuccio che cammina in mezzo a quella desolazione. L’unica cosa che sono riuscito a fare è stata portare fuori il corpo di Tommy, in modo che almeno possa essere sepolto. Già temo il giorno del funerale.



Ma anche il funerale arriva. Mi sono chiuso in camera mia per i tre giorni successivi al terremoto, senza voler vedere nessuno, e adesso all’improvviso sono tornato in mezzo alle persone. E’ pieno di sconosciuti che piangono, gente che non ha mai conosciuto Tommy e che mai lo conoscerà, e l’unica cosa che riesco a provare è una rabbia cieca, la rabbia cieca che provo da giorni e che mi sta consumando. In quei tre giorni chiuso in camera ho rivisto le immagini del terremoto in continuazione nella mia testa. Il modo in cui, per salvare una persona che non era nemmeno in pericolo, io mi sia dimenticato delle due persone con cui ho vissuto la mia vita.  E per colpa mia Tommy è morto. Sapevo, sapevo, che sarebbe andato a cercare Laurel, eppure io ho lasciato perdere. Porca puttana!!.
Così, quando vedo Dig e Felicity davanti a me, lì per farmi sentire meno solo, abbasso lo sguardo e mi giro. Adesso solo un abbraccio può confortarmi, dell’unica persona che ha conosciuto mio fratello quanto me: Laurel. E quando la vedo, sfoghiamo insieme le ultime lacrime che ci restano.

Sono stufo di questa città. Nonostante io mi sia impegnato per eliminare i criminali dalla mia lista, è stata distrutta lo stesso. E’ un male irrecuperabile, e non voglio più cercare di salvarla. E in ogni caso, non ucciderò più: dopo la morte di Tommy, le vittime della mia giustizia sanguinaria sono venute a farmi visita ogni notte durante il sonno. Non ucciderò più. Lo giuro. Voglio solo andarmene da questo posto…



Come vedete Oliver si sta affezionando sempre più a Felicity e scopre di non provare nulla per Laurel. E' così che doveva andare cavolo!
Comunque, ci sarà una grande ellissi su tutta la storia di Oliver che torna nell'isola e di Dig e Felicity che se lo vanno a riprendere. Riprenderò la storia da quando Oliver torna a Starling e purtroppo per noi Olicity incontrerà Isabel Rochev. 
E con questo vi saluto.
Al prossimo capitolo!:*

*Ringrazio tutti quelli che recensiscono e che mi seguono ma anche tutti quelli che stanno leggendo! Grazie:)"

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Capitolo 6
*** Un altro modo ***


6. UN ALTRO MODO.
Credo che una parte di Oliver incolpi me per quello è successo a Tommy. Le notti che abbiamo passato a fianco a fianco, sono bastate a farci conoscere e avvicinare, e ormai capisco ogni sfaccettatura del suo carattere.
Per questo, il sospiro di sollievo che ha emesso solo dopo avermi vista sana e salva quella notte, e, successivamente, il modo in cui ha abbassato lo sguardo e se ne è andato, riesco a vedere un pesante senso di colpa, che fa sentire in colpa anche me.
Se la notte del terremoto me ne fossi andata da The Glades, Oliver mi avrebbe saputo al sicuro e sarebbe potuto andare dritto a occuparsi dei suoi cari. Di Tommy.
Sicuramente una parte di lui la pensa così, altrimenti non si spiegherebbe lo sguardo fulminante che mi ha rivolto al funerale prima di ritrovarsi tra le braccia di Laurel. Dig mi ha detto che forse me lo sono immaginata.
Una cosa che invece non riesco a spiegarmi è perché continuo a pensarci dopo settimane. Oliver aveva detto di voler stare da solo ma poi è scomparso. E mi sono talmente abituata a passare le notti a cercare di capire il suo carattere che, quando se n’è andato, non ci ho capito più niente. Così a un certo punto non ho più resistito e mi sono imposta di trovarlo.
E dopo che sono andata a riprenderlo su quella fottutissima isola lui, lui invece si comporta come se niente fosse, come se fosse ostinato a farmi credere che non è successo nulla, che Tommy e altre 502 persone sono ancora vive. E questo mi fa sentire ancora più strana: è stato tutto un film mentale? Aveva ragione Dig? Oliver è vuoto e senza sentimenti come vuole far credere a tutti? Mi rifiuto di crederci. Io non ci riesco, non a comportarmi come se niente fosse. Ma ci provo lo stesso, così, mentre siamo in macchina, gli spiego brevemente tutto quello che sta accadendo alla sua Queen Consolidated.
"In poche parole Isabel Rochev vuole prendere il controllo della tua compagnia..” gli passo il fascicolo che la riguarda, "e in teoria se tu fossi rimasto a Lian Yu altri due giorni, probabilmente la Queen Consolidated sarebbe già stata fatta a pezzi"
Ma lui non mi sta ascoltando: è troppo impegnato a guardare il fascicolo della Rochev. Appena vede una sua foto le sue labbra si schiudono.
"Wow"
Da davanti si sente un accenno di risata di Dig. Incontro il suo sguardo divertito nello specchietto retrovisore. Iniziamo bene.
Bè cos’altro possono dire dei ragazzi su una donna così? Alta, carnagione chiara con capelli lunghi, scuri e sensuali. Emette fascino da ogni poro, pure da una foto. Tutto ciò che riesco a dire di sensato è che ha una faccia incazzata in tutte le foto. Che palle essere in una squadra di soli maschi. Squadra… Siamo ancora una squadra?
"In effetti hai ragione" dice Oliver. Sta ancora parlando della Rochev e mi distrae dai miei pensieri. Sembra divertito.
Sono l'unica che non si diverte qui?
"Secondo me, se te la portassi a letto ci sarebbero più probabilità di salvare l'azienda, Oliver", sbotto freddamente, ma mi sono già maledetta sette volte. Oliver mi guarda interrogativo. Forse mi sto comportando come una fidanzatina gelosa. Evidentemente stamattina mi sono svegliata male.


Assisto al primo colloquio di Oliver e Isabel in disparte, affianco a Dig. Ovviamente Isabel la faccia incazzata ce l’ha veramente, sempre e comunque. In mezzo a quella riunione complicata, la segretaria e l’autista nero possono però permettersi di fare una chiacchierata.
"Cos'era quell’ uscita di portarsi a letto la Rochev?"
"Pensi veramente che Oliver riuscirà a salvare l’azienda? Andiamo, lo sai che ha fatto un casino."
“Mi vuoi spiegare cos’hai? Perché siamo andati a riprenderlo se poi dovevi sputare tutto questo veleno su di lui?”
Perché, Dig, io avevo una vita prima del Team Arrow o come lo vuoi chiamare! Ho lavorato duro per il mio posto alla sezione informatica, mi sono laureata all’MIT e sono dovuta scappare dalla mia pseudo famiglia. Ti sei dimenticato che se la Queen Consolidated fallisce io perdo il posto? Ti sei dimenticato che non sono ricca quanto lui?”
“E’ per questo, allora, Felicity?! Dopo tutto quello che abbiamo passato negli ultimi sei/sette mesi, tu sei preoccupata per questo?”
“…Non sono l’unica ad aver avuto problemi con la doppia vita però, vero?”
“Non cambiare discorso, Carly non c’entra niente. Tu stai mettendo in mezzo cose che non c’entrano niente.”
“Sto dicendo che abbiamo sacrificato tutto il sacrificabile per lui, e lui se ne è fregato altamente.” Mi rendo conto di aver alzato la voce soltanto adesso. Dig mi guarda come per rimproverarmi.
"Ho un messaggio di sicurezza dal primo piano. Avvisa Oliver, non dovrebbe essere nulla di grave. Parliamo dopo."
Non senza un certo imbarazzo mi faccio strada tra tutti quegli investitori per avvisare Oliver. Ma proprio quando sto iniziando a parlare i vetri si rompono, tutte le persone nella stanza iniziano a urlare contemporaneamente.


"Oliver Queen: TU HAI TRADITO QUESTA CITTÀ!"
Un gruppo di uomini incappucciati e armati irrompono nella grande sala.
Oliver è impietrito: cosa gli succede? Sembra che non riesca nemmeno a muoversi. Con uno strattone lo spingo a ripararsi sotto il tavolo. Gli incappucciati hanno iniziato a sparare. Questo sembra riportarlo alla realtà. Ma il suo sguardo trabocca ancora di paura. A cosa cazzo sta pensando? Il tempo sembra essersi dilatato e io non posso fare altro che fissare terrorizzata i suoi occhi blu, aspettando una risposta che non arriva. Sento Dig: "OLIVER, DOVE SEI!?” Grida in mezzo alle urla delle altre persone. Al contrario di Oliver, sta facendo il possibile per metterle in salvo.
Tutta la mia paura passa quando senza preavviso, sento mano di Oliver stringere la mia: il suo sguardo indecifrabile incontra il mio e mi tira per scappare. Cosa sta facendo? Non aiuta Dig? E tutte le altre persone? Trova una catena, prende una rincorsa assurda e si butta nel vuoto. Piccolo dettaglio: con me. Mi dovrei sentire come quando sono stata costretta da Dig a buttarmi da quell'aereo indefinibile tale, ma in realtà, e contro ogni aspettativa mi sento al sicuro. Per un millesimo di secondo nel vuoto, le sue braccia si avvolgono intorno al mio corpo e la sua mano stringe ancora una volta, più forte, la mia. Io riesco ad accorgermi solo di quello e non che siamo sospesi nel vuoto a 60 metri da terra, sorretti da una misera catena e che stiamo che stiamo sfondando il vetro del piano di sotto.
L'atterraggio è un po' burrascoso: lui rotola sopra di me. Il suo corpo mi dovrebbe essere familiare: tutte le notti passate a curare le sue ferite o a guardarlo allenare, eppure è la prima volta che lo sento snello e muscoloso, contro il mio. Con una mano tremante mi scosta i capelli dal viso.
"Stai bene?". Di nuovo, lo sguardo indecifrabile di prima.
Sono ancora ansimante per l'adrenalina; dico solamente: "Tu?"

"COME AVETE FATTO AD ARRIVARE QUA!?" E’ la voce lontana di Dig. Quando arriva nella stanza in cui siamo entrati sfondando il vetro, Oliver si discosta subito da me e si tira bruscamente in piedi, quasi fosse stato colto a commettere un reato. "Mi sono buttato." Per la prima volta Oliver Queen non regge lo sguardo di Dig.
Dig, al contrario, ha uno sguardo di rimprovero, duro e forte. Sembra proprio incazzato.
“Sei scappato, Oliver! Potevi fermarli..!”
“Non senza dargli una chiara idea di quello che so fare.”
I due si stanno fronteggiando, come se da un momento all’altro dovessero iniziare a picchiarsi.
Vorrei vedere Dig darle per bene a Oliver, ma sono costretta a avvisarli che sta arrivando la polizia.
“Finitela, adesso.”

Non passa molto tempo prima che il Team Arrow si ritrovi di nuovo senza compagnie scomode, tipo poliziotti, detective, e compagnie rivoltanti, come la Rochev. Proprio non mi scende, quella donna.
Ci sono buone notizie da Dig. Dice di esser riuscito a mettere un localizzatore a un incappucciato che scappava, ma siccome lo teneva nel giubbotto da molto tempo, per casi come questi, poteva essere difettoso. I detective stanno ancora interrogando Dig, perché è lui, che ha messo in salvo le persone e secondo loro, potrebbe aver visto gli attentatori abbastanza da poterne riconoscere uno. In anni di carriera, evidentemente non hanno ancora capito il termine “incappucciato.”
Invece hanno rilasciato subito Oliver, dopo aver saputo (e anche dopo qualche risata di scherno) che è fuggito subito, pensando soltanto al suo culo e a quello della segretaria. Non sono certo delle belle voci da far girare.
Perciò, io e Oliver siamo soli, al covo.

Io sto cercando di aggiustare il rilevatore di Dig, difettoso, come lui stesso aveva immaginato, e Oliver, sicuramente sta sfogando la rabbia per qualche cosa, su un manichino che poi mi chiederà (senza il per favore) di comprarlo nuovo.
Il silenzio regna sovrano, se tralasciamo i pugni di Oliver su quel pezzo di plastica. Quando la vita del manichino giunge al termine, Oliver si decide a dire qualcosa.
“Ti ho sentito, prima.”
“Prima quando?” Risposta stupida, dato che ho capito benissimo cosa intende.
“Prima che arrivassero gli incappucciati. Lo pensi veramente?”
Prendo un grosso respiro. Sto per avere una freccia conficcata in un occhio. “…Si, Oliver.” Mi costringo a sostenere il suo sguardo. Ma lui abbassa il suo. Non risponde. Forse mi devo giustificare. Lo faccio.
“Non intendevo…No, penso solo alcune di quelle cose. Mi sono svegliata male stamattina e ho caricato un po’ quello che ho detto.”
“Pensi davvero che se non mi importasse di te mi sarei comportato in quel modo, là dentro?”
“Cosa intendi?”
Quando Oliver alza di nuovo il suo sguardo ha lo stesso sguardo indecifrabile di stamattina.
“Se non mi importa di te, perché il primo pensiero che ho avuto quando ho visto gli incappucciati non è stato per tutte quelle persone in pericolo, ma per te!?”. Sembra quasi che la domanda non la stia facendo a me. “Pensi davvero che Tommy sarebbe morto!?”
“Non usarmi come scusa”. Sento a malapena la mia voce.
“Usarti per cosa!?”. Al contrario, la sua voce sale di qualche ottava.
“Là dentro sei stato incapace di comportarti perché vuoi fuggire. Sei fuggito a Lian Yu, Oliver! Non sei in grado di stare in questa città perché ciò vuol dire essere il giustiziere. E… guardati! Ti vengono i brividi solo a vedere una freccia…”
“Hai ragione”
Wow. Non è mai successo che mi desse ragione così in fretta. Così non ho niente da dire, e parla di nuovo lui.
“E’ per Tommy…”
“Parlami, ti ascolto, Oliver”
“Lui… pensava fossi un assassino… E provo ribrezzo al solo pensiero di uccidere di nuovo, dopo che è morto.”
Sino a questo momento non ho mai davvero capito la sofferenza di Oliver, un ragazzo che è stato costretto bruscamente a diventare un uomo, ma non solo, a diventare qualcuno che uccide per sopravvivere. Per sopravvivere, non per piacere, divertimento, affari, denaro. Sino a questo momento non ho mai capito quanto gli assassinii che ha compiuto gli si siano ripercossi addosso. Vedere questo dolore anche solo per un istante mi fa venire voglia di rannicchiarmi in me stessa e piangere per una settimana. Come fa lui?
I miei occhi sono lucidi quando gli dico: “Possiamo provare con un altro metodo, Oliver.”
Il suo sorriso un po’ malinconico mi dice che ci sta, che ci proverà.
 
4 ore più tardi.
Oliver.
Il panorama dall’ultimo piano della Queen Consolidated è mozzafiato. Mi sono sempre piaciute le altezze. Ricordo quando avevo promesso a Tommy di fare bungee jumping dal ponte di Brooklin un giorno. Saremmo andati insieme a New York, e quella sarebbe stata solo la prima tappa del nostro viaggio. Los Angeles, Chicago, e poi l’Europa: Roma, Parigi, Praga. In viaggio, noi due e basta, a divertirci come solo dei ventenni milionari possono come noi. E invece no…
Io penso che tu sia un assassino!
E’ inutile, quelle parole mi colpiscono come la prima volta, e peggio ancora, come se lui fosse ancora davanti a me. Ma, in tutta onestà, darei di tutto per averlo davanti, chiamandomi “assassino”, ma ancora vivo e vegeto. E direi pure grazie.
E’ morto per salvare Laurel. Lui è riuscito a salvare una persona senza fare una strage. E’ stato l’ultimo suo atto, ed è riuscito meglio di me a essere il Giustiziere.
Possiamo provare con un altro metodo, Oliver.
Di fronte a questa finestra panoramica mi sento come quello che sono: piccolo. Sì, ci devo provare, come ha detto Felicity. E’ la mia ultima promessa a Tommy.

Il telefono squilla. Un messaggio. E’ Roy Harper, lo scippatore. Anche se è il ragazzo ufficiale di mia sorella da qualche mese non riesco a chiamarlo in altro modo. Dice di andare al Verdant, e velocemente. Ma chi si crede di essere? Ma in ogni caso non ho niente da fare in ufficio, perciò posso pure andare.
Quando arrivo, c’è un caos assurdo: almeno quattro auto della polizia. Il detective Lance viene incontro assieme a Roy. Che cazzo è successo? Dov’è diavolo è Thea? Come se non potesse aspettare un attimo di più, Roy risponde alla domanda che non ho ancora fatto a voce alta.
“Gli incappucciati sono venuti al Verdant, ho cercato di fare qualcosa ma non sono riuscito a…”
“Hanno preso Thea, Oliver.”, taglia corto Lance.
Non guardo in faccia il detective, guardo Roy. I suoi occhi…C’è talmente tanta paura nei suoi occhi, che mi fa più paura lui che ogni altra cosa appena successa.
Questa volta non perdo tempo a mascherare il mio panico. E’ mia sorella. Hanno preso mia sorella. L’unica persona al mondo che sono certo di amare. Quale altro metodo posso provare!?
“Scusatemi un attimo. Devo andare a controllare una cosa nello scantinato.”
 
“Sono riuscita in parte ad aggiustare il localizzatore di Dig. Purtroppo resta entro il range di 500 metri quadri, ma sono riuscita a restringere il campo. In questi 500 metri c’è un abbazia, l’unica ancora in piedi di The Glades. Eppure sembra che nessuno ci vada più; la gente preferisce andare nelle altre costruzioni diroccate a pregare. Così ho controllato: dalle immagini esterne sembra che vengano trasportati settimanalmente carichi di armi. Là, è là che tengono Thea”
“Sono vicino”
“Stai attento Oliver”
Sorrido. Nonostante le mie mani tremino solo a sfiorare una freccia, e non per il freddo, mi sento bene. Ma sono in missione, a salvare mia sorella, e non posso essere distratto. Entro di soppiatto nell’abbazia e sento le loro voci. Stanno parlando di mia madre: l’hanno presa per fare del male a Moira e Oliver Queen, i veri responsabili del terremoto. Ancora una volta il dolore delle persone è colpa mia.
“Abbassate le armi”. La mia voce è ingrossata dal dispositivo per mascherarla, ma gli incappucciati non hanno paura. Quando si girano, per accertarsi che sia io, immagino, sembrano quasi emozionati. Poi ricordo che sono i miei emulatori, quindi in un certo senso è logico che mi adulino.
“Noi…Noi, pensavamo che tu fossi morto!” Stanno sventolando Thea come un trofeo.
LASCIATELA ANDARE!”
No, stiamo facendo giustizia e non sarai certo tu a impedircelo”. Adesso sta parlando quello che forse è il loro leader. Potrei ucciderlo. Devo ucciderlo, adesso. Thea sta morendo dallo spavento. Ha lo stesso sguardo che prima ho visto addosso a Roy. Il mio arco è teso, la freccia incoccata, la mira è presa, verso il leader, impietrito dalla paura. Potrei ucciderlo e non potrebbe fare niente per fermarmi. Voglio farlo.
“Oliver.” La voce nel mio orecchio mi dà lucidità, e all’ultimo istante cambio mira e punto alla spalla. Faccio la stessa cosa con gli altri tre uomini. Cadono a terra, svenuti. Ma non morti. Per ultima, scocco la freccia che taglia le corde tra cui sono strette le mani di Thea. Sento le sirene della polizia avvicinarsi al caseggiato. Gli uomini che non ho ucciso finiranno comunque in prigione. Ho fatto giustizia senza ammazzare nessuno.
Mi dileguo in pochi secondi.
Con me non c’è più nessuno, ma so di non essere solo.
“Grazie, Felicity.”
“Di niente, Oliver.”
Sorrido.
 
Felicity.
E’ stata un giornata veramente lunga, ma contro ogni aspettativa, sono sopravvissuta allo stress. Anche oggi.
Prima di chiudere gli occhi sento di nuovo quelle parole.
Se non mi importa di te, perché il primo pensiero che ho avuto quando ho visto gli incappucciati non è stato per tutte quelle persone in pericolo, ma per te!?
Sorrido.






Scusate per la lunga assenza (anche una settimana è lunga per me), per lo stesso motivo: scuola, sport, ecc. 
Sono davvero in ansia per la puntata che uscirà mercoledì e che purtroppo io vedrò Giovedì, come se già due settimane non fossero abbastanza :(
Per di più so già che ho aspettato per poi alla fine vedere Oliver e Sara insieme, che rabbia.!
Comunque in effetti sto divagando, buona lettura e fatemi sapere il vostro parere, come sempre. Baci:)

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Capitolo 7
*** Perla affilata ***


Per la backstory di Felicity, mi sono documentata per un po’ di tempo: volevo fosse australiana, ma non nata in una grande città tipo Sidney o Adelaide, piuttosto volevo un piccolo paesino con delle caratteristiche particolari. E poi ho trovato: Broome, 11.000 abitanti, famosissimo per la pesca delle perle. Ogni anno vengono pescate tonnellate di perle. E ho trovato un piccolissimo spunto per la sua backstory, che ci vorranno in ogni caso diversi capitoli per approfondire. Dopo questa piccola introduzione, non prendetemi per scema!
Buona lettura :)
 
 
 
 
7. PERLA AFFILATA.
Oliver.
In mano ho le mie solite dieci palline da tennis, arco e faretra nella schiena.
Scaglio le palle al muro. Ed entro nel mio elemento: mi rilasso, sento ogni singola cellula nel mio corpo ricevere il proprio ossigeno. Sento il mio battito del cuore rallentare e il silenzio diventa assoluto. Nello spazio di un respiro, sento il braccio destro piegarsi all’indietro per tendere l’arco, le dita centrali della mano rilasciare la freccia. Zac. Una, pallina gialla è infilzata al muro. Zac, zac, zac, zac. Cinque. Zac, zac, zac, zac. Nove. Tendo la corda un’ altra volta, concentrato solo sul rimbalzo della pallina.
“Oliver.”
La freccia si scontra contro il muro. La pallina continua a rimbalzare. A questo punto mi rendo conto che qualcuno mi sta chiamando.
“Dig! Già sveglio?”
“Te lo stavo per chiedere anche io”
“Troppi pensieri”
Mi fa un sorriso sghembo. “Immagino.” Nel frattempo va a prendere una borsa vuota dal cassetto sotto la scrivania e inizia a riempirla con le sue armi.
“Cosa stai facendo?”
“Mi prendo un paio di giorni di ferie, se non ti dispiace.” La sua solita faccia da poker non mi permette di capire cosa sta succedendo.
“Dato che non è una domanda, puoi dirmi almeno che succede?”
Dig distoglie lo sguardo. Nello stesso momento arriva Felicity, passo veloce e deciso, con il tablet sotto gli occhi. Non saluta nemmeno “Se non glielo dici tu, glielo dico io Dig.”
Lui, in tutta risposta sgrana gli occhi. “Come fai a..?”
“Ho hackerato la bacheca di Iron Heighs. Deadshot è fuggito, insieme ad altri sette criminali.”
“Fuggito? Da quando!?”. Io non ho ancora realizzato la notizia.
“Non è questo il problema, Oliver. Iron Heighs sa esattamente dove si trovano. Ha continui aggiornamenti sulla loro posizione, in questo modo anche io, tra parentesi.”
Sai dove è Deadshot!?”
“Dig, fammi parlare!!! Sapete cosa cazzo significa? Che li stanno controllando? Che sanno esattamente dove sono i loro fuggitivi? E che non fanno niente per andare a prenderli?”
La risposta esce dalle mie labbra senza nemmeno passare per la mia testa.
“Sono stati commissionati da qualcuno.”
Dig è fuori di se.
DA CHI?”
C’è un solo modo per scoprirlo. “Andiamo, e troviamolo. Costringeremo Deadshot a dircelo. O troveremo qualche indizio. Andiamo.”
“Ho hackerato solo il fascicolo di Deadshot sinora. Lui è in Russia, ma gli altri non lo so, ci vorrà tempo.”
Bene, almeno potremo usare l’aereo aziendale. “Avremo la scusa di visitare le aziende affiliate alla Queen Consolidated in Russia.”
“Non vi posso chiedere questo.”
“Non lo stai facendo.”
Un sorriso fraterno basta per tranquillizzarlo.
 
Stiamo per salire tutti e tre sul piccolo aereo dell’azienda che mi ricorda tanto quelli che ogni tanto passavano nei cieli dell’Isola. Nessun aereo di linea passava, perciò per cinque anni ho visto solo aerei piccoli così.
Ma un’auto nera si avvicina. Avrei dovuto immaginarlo. La socia della Queen Consolidated, Isabel Rochev. Dig mi fa uno sguardo storto, per non parlare di Felicity.
“Dato che state usando l’aereo della Queen Consolidated, ne deduco che state andando a visitare le affiliate. In Russia…Oh no, quello non l’ho dedotto, ho controllato.” Sul suo viso c’è un ghigno strano. Continua. “Anche se non capisco che cosa te ne fai dell’autista nero e della segretaria con le gonne corte.”
Possibile che abbia una faccia sempre incazzata? L’unico modo per gestire la situazione è assecondarla.
Sfodero uno dei miei sorrisi più affascinanti, risalente ai vecchi tempi da playboy. “Puoi sempre venire con noi, se vuoi.”
“Sarei venuta anche senza il tuo permesso, grazie.” Appena entra nell’aereo i miei occhi salgono al cielo. Ci voleva soltanto questa.
Dig è incazzato nero. “Come cazzo la gestiamo adesso!?” Il mio sguardo va a Felicity. E’ appoggiata alla macchina, i piedi incrociati e lo sguardo basso. Nemmeno lei sembra troppo contenta della nostra nuova compagna di viaggio.
“Secondo me, se te la portassi a letto ci sarebbero più probabilità di salvare l'azienda, Oliver.”
Che stronzata. “Ci penso io”.
 
Atterriamo a Mosca, e prendiamo le stanze in una pensione completa. L’albergo in centro, a pochi passi dal centro amministrativo dell’azienda. Dig è impaziente, ma acconsente a dedicare un giorno a salvare le aspettative per Isabel. Perciò, un intera mattinata è dedicata all’interno di quel grande palazzo, a fare saluti e convenevoli tra gli affilati, insomma, un’enorme grandissima perdita di tempo.
Lui e Felicity restano nelle loro stanze tutto il giorno, Felicity costantemente con il suo tablet davanti, ad analizzare gli spostamenti di DeadShot, Dig, a scaricare la sua rabbia mista ad adrenalina su qualche muro. Sappiamo dalla bacheca di Iron Heighs che a Dead Shot è stato commissionato un omicidio di un componente della mafia russa alle cinque del mattino. Ma lui sarà appostato nel luogo da molte ore prima, perciò anche noi. Così noi tre, abbiamo appuntamento alle due. La mia giornata, la mia perdita di tempo, passa lentamente. Isabel, invece, passa tutto il suo tempo a punzecchiarmi sulle gonne corte della segretaria. E’ così che vedono l’amicizia mia e di Felicity a Starling? Così non mi resta che passare da accettare passivamente i suoi flirt, a flirtare con lei…Che noia.
Ma alla fine vengo ricompensato.
“Comunque parto stanotte con un volo di linea. A quanto pare tu e i tuoi amici non volete essere disturbati, e io ho fatto il mio dovere…Perciò, mi farò i fatti miei”. Mi fa un sorriso non incazzato. Wow. E io cerco di non mostrarmi sollevato, anzi, devo addirittura mostrarmi dispiaciuto.
“Non fare il finto dispiaciuto, ho già fatto le valigie.”
Il suo sguardo adesso è allusivo e malizioso. A quanto pare devo darci dentro con la mia recita sino alla fine.
“La camera Queen è libera…”
“Sbrighiamoci”.
Mi tira per un braccio sino alla porta della mia camera, dove inizia a baciarmi e a toccarmi da ogni parte. Sembrava una signorina così controllata e altolocata, e invece…
Le dò la chiave per aprire la porta e lei lo fa in fretta e furia. Il vecchio Oliver Queen a questo punto avrebbe preso in mano le rendini del divertimento, non avrebbe certo accettato passivamente gli avvenimenti come sto facendo io. Perciò mi costringo ad agire come lui. Isabel stringe le gambe sul mio bacino, e, prendendola in braccio, la scarico nel letto, e cerco di godermi la cosa: le mani tra i suoi capelli scuri e ondulati, i suoi occhi scuri socchiusi, il suo fare provocante. E’ troppo tempo che non mi comporto così, che non mi lascio andare. E mi piace.
Ma poi chiudo gli occhi. E i capelli tra le mie dita non sono scuri: sono biondi, e lisci. Gli occhi socchiusi sono grandi e verdi chiaro, con degli strani riflessi azzurri. Conosco bene quegli occhi. Le labbra che sto baciando sono morbide e carnose, la pelle sulla mia è bianca e vellutata. I miei battiti cardiaci aumentano come se fossi sotto tortura. Qualcosa inizia a volare nel mio stomaco. Sento un vero sorriso aprirsi sulle mie labbra.
Apro gli occhi. E realizzo. Niente di tutto questo è vero, niente di tutto questo sarà mai vero. Non mi sono mai sentito così vuoto.
 
 
Felicity.
E’ l’una e mezzo di notte. Tempo fa avrei considerato un record restare sveglia sino a quest’ora, ma ora ci sono abituata. Più o meno, le mie palpebre si chiudono da sole. Cazzo. Ho dimenticato il caffè alla cena. Colpa di Dig. Non era di compagnia come al solito. A proposito, ho un brutto presentimento riguardo a stanotte. Oliver sarà già in camera? Non posso ancora rompere i coglioni a Dig con questa storia. E poi, Oliver sarà già pronto. Lo spero, perché è sempre in ritardo. Forse penso troppo. E’ il nervoso. E’ l’ansia.
Così decido. Vado in camera di Oliver, a quest’ora si sarà già sbarazzato della Rochev. Sono davanti alla sua porta. Prendo due respiri e busso. O meglio, sto per bussare, ma la porta si apre. La apre Oliver, per far passare Isabel. Che ha il trucco sbavato e la solita piega perfetta scompigliata. Ha due valige, ma non ci bado, il tempo si è fermato. Oliver ha la camicia aperta… Si affretta a richiudersela.
Cerco di respirare, ma non ce la faccio. Non ce la faccio. Oliver ha lo stesso sguardo indecifrabile di pochi giorni prima, ma non riesco a guardarlo negli occhi. Sto per avere una crisi. Cosa mi succede? Il mio amico è andato a letto con Isabel Rochev. E allora!? E’ lei che mi sta sul cazzo. Punto. E’ lei il problema. E’ lei. Parlo senza rendermene conto. La mia voce, a sorpresa, non trema, il mio respiro è regolare. E’ solo il battito del cuore ad essersi fermato.
“Dove sta andando con le valige?”
“Prende un volo di linea per tornare a Starling. Stanotte.” La sua voce è spenta.
“Wow. Come l’hai convinta?” Dove ho imparato a recitare così bene?
Non attendo la sua risposta. Mi giro dall’altra parte. “Andiamo in macchina, è quasi ora.” Una lacrima calda solca il mio viso, ma per fortuna sono girata.
“Arrivo.”


Passano dieci minuti penosi in macchina, sino a che non arriva Dig.
Appena si siede manda uno sguardo in cielo.
“Che faccia hai…” dice Dig.
“Ho solo un brutto presentimento per dopo.” Rispondo in fretta.
Mi fa un sorriso sghembo dallo specchietto. “Dicevo a Oliver, comunque.”
Cazzo. Io pensavo che Dig mi stesse guardando dallo specchietto retrovisore, non che stesse guardando Oliver. Comunque non ho tempo per chiedere cosa rattrista il carissimo Oliver.
“Il posto è a cinque isolati dal palazzo dell’azienda. Muovetevi, voglio andarmene da qui.”
Oliver si sporge dal suo posto, verso dietro. Verso di me. “Che cazzo ti prende?”
Guardo fuori dal finestrino. “Te l’ho detto. Ho un brutto presentimento.”
Oliver torna al suo posto. Dig non ha il suo solito sorriso sghembo da so-tutto-io. Guarda anche lui verso la strada.
“Allora andiamo via da questo posto.”

Faccio per scendere dalla macchina ma un braccio mi stringe il mio, secco. Mi trovo davanti gli occhi blu di Oliver, più scuri del solito.
“Non se ne parla. Tu resti in macchina. Prenditi un auricolare.”
Mi ributto nel sedile posteriore della macchina, tanto non ha senso discutere. E poi sto di nuovo per mettermi a piangere, quindi meglio farlo senza spettatori.
“Va bene”, dico freddamente, “Andate.”
E adesso viene quello a cui sono abituata già da un pezzo. La preoccupazione per Dig e Oliver, la paura che gli possa succedere qualcosa di veramente grave. Cerco di non pensarci e accedo al fascicolo di DeadShot dal tablet. Come prima, c’è una mappa con la sua posizione lampeggiante, e quella del suo target. Attraverso l’aricolare dò precise istruzioni a Oliver per orientarsi tra i cunicoli.
“Dovresti trovare il gruppo di mafiosi già allo scoperto. Stai attento.”
“Felicity, non c’è nessuno qui.”
“Cos..!?” Lo schermo del tablet diventa improvvisamente nero, poi rosso scuro. Passano alcuni secondi di shock prima che ricompaia la schermata di prima. Sono cambiati pochi particolari, ma capisco.
Non c’è nessun gruppo di mafia russa.
Il target sono io.


“Felicity, che succede?”
“Io…non capisco…”
FELICITY!”
“E’ cambiato il target.” Prendo un bel respiro per l’assurdità che sto per dire. “Sono io.”
“Resta in macchina. Stiamo arrivando.” L’ansia della sua voce arriva anche dall’altra parte dell’auricolare.
Non rispondo, non voglio fargli percepire la mia paura. Ma Deadshot si sta avvicinando al suo target. Passano i peggiori minuti della mia vita, quando li vedo. Sono in due. Faccio appena in tempo a nascondermi sotto il sedile quando mi rendo conto di essermi sbagliata. Sono in tre. Qualcuno mi strattona via dalla macchina, il mio porto sicuro, il mio rifugio. Sono allo scoperto.
L’uomo più pauroso del mondo mi strattona dal collo per girarmi verso di lui. Sembra quasi che abbia gli occhi rosso sangue.
Sei tu?
Cerco di fare la spavalda, ma come al solito, con pochi risultati. “Chi diavolo sei tu… mollami!
Fortunatamente in quel momento una freccia verde sfiora il mio orecchio e colpisce la mano destra di Deadshot, disarmandolo.
Gli altri due uomini si girano si scatto, pronti al combattimento.
Oliver e Dig si sono buttati anima e corpo nel combattimento, come al solito. Non esiste nient’altro.
Deadshot è agonizzante, in un angolo. Sembra anche piuttosto inquietante. I cattivi non hanno una super-soglia del dolore? Io, nel frattempo sono riuscita ad allontanarmi. Il mio obbiettivo è tornare nel mio porto sicuro. Ma poi vedo il nemico mortale di Dig fissarlo, come se fosse un pazzo che aveva trovato la via del paradiso, o se vogliamo come un innamorato che guarda la sua amata. E’ disarmato, non ha più la sua pistola. Anzi, no, non è disarmato. Tira fuori dalla tasca qualcosa: una di quelle cose che usavano sempre i ninja in Naruto, però di colore chiaro. I bei tempi in cui i ninja esistevano solo nei cartoni...
DIG!”
La stella prende il volo. Esatto.. E’ una stella. Ha la forma affilata di quelli specie di shuriken di Naruto. Ma è bianca, no, non bianca, più color crema. Manda strani riflessi. Sembra incredibilmente liscia.
“Papà…cos’è quella?” “E’ una stella, caduta dal cielo per te. Ti farà compagnia al posto mio”
Il flash che ho appena avuto mi rende lucida.
DIG! DIG, SPOSTATI!!!”
E senza rendermene conto sono lì, davanti a Dig. La faccia di Deadshot è sconvolta. Per un momento mi chiedo perché una stella così bianca debba sporcarmi di rosso.

“Fermatevi. ADESSO!” è la voce di DeadShot. Tutti i guerrieri si voltano nello stesso momento. Da quando è che li chiamo guerrieri? Ah, ah, ah. I cattivi tornano indietro lasciando Oliver e Dig impietriti. Si sono accorti di me. Io, invece, non mi sono accorta di me. Sento solo un caldo quasi piacevole scivolare via da sotto il collo.
“Se quella è Felicity Smoak, e lei è Felicity Smoak…”
“COSA VUOI DA LEI?!”
Oliver sta urlando come un pazzo. Dig è corso verso di me.
Non capisco niente, ma quello che mi sorprende è la particolare risposta di Deadshot.
“Se lei muore, io sono morto!”
CHE CAZZO STAI DICENDO!?”
Salvate Felicity Smoak.” Fa un sorriso strano. “E voi sarete salvi.” C’è uno scoppio. Il nemico è fuggito. Ma abbiamo vinto? Non ho capito bene l’ultima parte.
Il mondo ruota per due secondi. L’ultima cosa che vedo sono quei bellissimi occhi blu.
“Papà…cos’è quella?” “E’ una stella, caduta dal cielo per te. Ti farà compagnia al posto mio”. Un’enorme uomo con una kefia attorno al collo non sarebbe dolce in nessun mondo. Tranne in questo.
“Cosa le stai dando? DOVE STAI ANDANDO!?” Una donna con gli occhi verdi appanna i suoi occhiali con dei lacrimoni. “Non puoi lasciarmi… Non puoi lasciarci.”



“Felicity.”

“Non vi sto lasciando. VI STO PROTEGGENDO!!!”

“Apri gli occhi.”

“Cancellami. Butta le mie foto, cambiale nome, cognome. Devi cancellarmi.
Lei…Lei ha due anni. Non mi ricorderà.”


“Apri gli occhi. Apri gli occhi, ti prego.”
E’ poco più che un sussurro. Apri gli occhi. Vorrei farlo. Ma mi sento come sepolta sotto terra. Vorrei aprire gli occhi, vorrei farlo per quella voce disperata. Ma se lo facessi, non sentirei più l’altra voce.
Questa stella è caduta solo per te”
Qualcosa di caldo mi sfiora la guancia. Una lacrima?
“Felicity, diamine!”
E adesso viene da piangere a me, immaginandomi quegli occhi blu che lacrimano. Non piangere. Non piangere.

Addio”
Una porta si chiude. Una donna si butta a terra piangendo. La bimba dagli occhi verdi continua a giocare con la sua stella. Sente un dolore acuto alla mano. “Ai…”
La bimba inizia a piangere. Si è ferita con la stella caduta dal cielo.
Passano gli anni.


Una mano morbida mi asciuga quella lacrima calda. “Felicity. Svegliati”

“Mamma, ma questa stella come si chiamava quando era in cielo?”
La donna si irrigidisce. “Ma no, sciocchina
. Quella non è una stella. E’ fatta di perla. Non lo sapevi? Il nostro è il paese delle perle.”
“Broome è il paese delle perle?”
“Si. Coltivano delle enormi perle per poi farci di tutto. Gioielli, pettini, piatti pregiati, tazzine. Armi.”
“Non lo sapevo”
“Stai attenta alla tua stella. Ti sei ferita un sacco di volte”
“Allora perché me l’hai fatta tenere?”
“Per te è una cosa preziosa.”
“Per te?”


Le dita di una mano si incrociano alle mie. E’ un bel contatto. Spingo verso l’alto, come se volessi tornare in superfice dopo un grande tuffo. Un giorno nella piscina del paese delle perle mi sono buttata dalla piattaforma più alta. Non riuscivo a tornare in superfice, e quando ci sono riuscita, l’aria sembrava zucchero filato, da quanto era buona. Quasi come adesso.
Riesco a sgranare gli occhi. E’ tutto sfuocato, ma è già qualcosa. Oliver fa pressione con una camicia sotto la mia clavicola. La sua mano ancora nella mia guancia. “O-oliver…”
I suoi occhi blu sono sorpresi. Sorride. “Sono qui.”
Anche le  mie labbra si tendono in un sorriso stanco.
“Ti portiamo in ospedale.”
“Si, ma portami tu. Voglio dormire.”
“Tranquilla.” Oliver mi fa un regalo: un bacio sulla fronte. “Puoi dormire.”
Il mondo ondeggia un po’ prima di spegnersi di nuovo.




Nota: sono piccola, non so scrivere scene spinte quindi chiedo venia :)

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Capitolo 8
*** Imprevisto ***


8. IMPREVISTO.
Felicity
La prima cosa di cui sono consapevole è un dolore lancinante alla parte più alta del torace. La seconda è un bip continuo proveniente dalla mia destra. Sbatto più volte le palpebre per abituarmi alla luce bianca. Metto a fuoco una figura: Dig. Le sue labbra si aprono in un sorriso sincero e gentile.
“Ben svegliata!”
Rispondo al suo sorriso, e mi immagino come una persona sotto sbronza che sorride per non so quale motivo.
“Ehi…”
Provo a muovermi, ma tutto il mio corpo si comporta come se fossi alla fase successiva, alla sbronza. Perdo le speranze di riuscire a fare qualche movimento senza causare danni, così mi abbandono di nuovo sul letto.
“Come ti senti?”
Delusa. Dov’è Oliver? “Bene, se non consideriamo…”
Cerco di indicare il punto dove mi fa male, ma non posso muovermi senza far suonare le macchine.
“Capisco, ti hanno dovuta ricucire. Sette punti…”
Senza nessuna ragione precisa sono veramente contenta. “Fico. Scommetto che tu non hai una cicatrice di sette punti.”
“No, hai ragione. Il mio massimo è sei”
“Lo so che lo dici per farmi contenta… Okay, non dirmi sì o no”
“…Però se mi cucissi la bocca sarebbero otto punti”
“Ah, ah, ah, allora stai zitto e basta. Anzi, no, dimmi dov’è Oliver”
“Lui… sta facendo una chiamata.” Cerco di mascherare la mia delusione per la sua assenza al mio risveglio. E non ci riesco.
L’espressione di Dig cambia e si fa interrogatoria. “Che succede?”
Nella mia mente si fa spazio un flash. Il sorriso malizioso della Rochev. Oliver con la camicia aperta. E il sarcasmo esce velenoso dalla mia bocca. “Chi sta chiamando? La Rochev?”
“Tecnicamente sì. Sta spiegando perché siamo ancora in Russia.”
“Oh. Sì, giusto, perché sono finita in ospedale. Mi dispiace aver rovinato la vostra giornata con un avvenimento spiacevole come la mia quasi morte.”
Dig mi guarda preoccupato. Non riesce a capire che cosa sta succedendo. E io glielo vorrei spiegare ma non so esprimere a voce il mio risentimento. Per cosa, poi? Dig vede la mia indecisione e cambia discorso. Sa che quando vorrò parlargli, gli parlerò. Come tutte le volte che ci siamo fatti forza a vicenda quest’estate.
“Bè, fortunatamente, ti dimetteranno stasera. Hai già passato abbastanza tempo qua dentro.”
“Davvero? Quanto tempo è passato?”
“Un giorno. Adesso è mattina presto. Hai perso molto sangue, quella…cosa ti ha danneggiato la clavicola e la carotide.”
“La carotide!? Wow.”
“A proposito…” L’espressione di Dig si fa seria, e rispettosa. “Grazie, Felicity.”
Mi esce spontaneo un sorriso. “Di niente, Dig.”
Qualcos’altro mi passa per la testa. “Aspetta. Quella…cosa. Fammela vedere.”
“Ce l’ha Oliver. Perché?”
“Io ho che cosa?” Oliver fa il suo ingresso nella mia minuscola camera d’ospedale. Direi che in tre consumiamo troppo ossigeno.
Dig si volta verso di lui. “Felicity voleva vedere con che cosa era stata colpita.”
Oliver senza scomporsi la tira fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni. L’espressione nel suo viso è fredda e distante. I suoi occhi esprimono frustrazione. “Non ho mai visto un arma come questa. E’ un materiale strano”
A vederla mi vengono in mente tutti i ricordi avevo cancellato e che mi sono tornati in mente nel mio dormiveglia. Sento una voce familiare chiamarla stella, e un’altra voce, che non sento da mesi, dire che è fatta di perla. La voce di mia mamma. Ma siccome non credo alla coincidenze, devo accertarmene. “Dammela, Oliver.”
“Basta che non ti ferisci a morte un’altra volta. Ci puoi riuscire?”
Ai. Allora non me l’ero immaginata, quell’espressione fredda.
Ma decido di ignorarlo, non ho voglia di litigare l’ennesima volta con lui. “Direi di si.” Lo ripago con la stessa moneta. Se gli sguardi potessero uccidere, il mio sarebbe uno delle sue frecce verdi. Posso vedere l’impatto con la sua carne e la ferita. Pure Dig lo nota.
 “Oliver, dalle quella fottuta cosa di plastica.”
Quando finalmente mi trovo la stella nelle mani sembra veramente di plastica. Nei miei ricordi è più piccola. Quando me la avvicino alla bocca Oliver e Dig mi guardano quasi shockati. La voce di Oliver sale di qualche ottava. “Vuoi stare attenta, porca puttana?”
Quando abitavo a Broome mi hanno insegnato che per verificare se una perla era vera, basta guardare l’attrito con i denti. Se dava molto fastidio era una perla.
“E’ perla.”
“Non sapevo fossi passata da esperta informatica a esperta di armi”
“Oliver, ha ragione Felicity. Ho sentito parlare di armi come quelle prima. I nativi nordaustraliani se ne servivano per rispondere agli attacchi degli animali, ma poi si sono evoluti, e anche gli scopi di queste perle.”
Oliver mi guarda pensieroso. “E tu come lo sapevi?”
Giro la stella. C’è un iscrizione. 2ndBB111. Mi stuzzica la memoria, ma non saprei dire a cosa è collegata di preciso. C’è un’ unica soluzione: questa “stella”, come nella mia infanzia, non è mai stata programmata per essere un’arma. Ma un indizio. Deadshot mi stava cercando. E sono due. Deadshot ha concesso, anzi ha obbligato Oliver e Dig a salvarmi la vita. Perché? Perché chi gli ha ordinato di cercarmi mi vuole sicuramente viva. E tre indizi fanno una prova. Qualcuno dal mio passato sta venendo a cercarmi. Questo riguarda soltanto me: non riguarda Oliver, non riguarda Dig, non riguarda il Team. Riguarda me. E me la devo cavare da sola.
“Non lo sapevo, Oliver”, dico nel modo più naturale possibile.
“Che cosa stai fissando?”, chiede, ancora brusco. Mi rendo conto che sto ancora fissando quell’incisione.
“C’è una scritta.”
“Avevo visto. Ti dice qualcosa?”
“No, ricordi? Hai appena detto che sono un’esperta informatica. Non un Pagine Gialle.”
“Come fai a sapere che è un indirizzo?”
Non riesco a mascherare la mia faccia sorpresa. Un indirizzo! Però non c’è niente che indichi che sia un indirizzo. Non c’è scritto ave, street, boulevard. C’è qualcosa che la mia mente ha rimosso, riguardo al mio passato, e io non riesco a venirne a capo. Mio padre mi ha lasciata quando avevo due anni. Potrebbe riguardare lui, ma come? Mia mamma lo ha sempre dato per morto. Anni fa scoppiò una bomba nel posto dove lui avrebbe dovuto essere, ed erano usciti i nomi dei sopravvissuti. Il suo nome non c’era. Da quel momento era iniziata la pazzia di mia madre, quella che mi aveva spinta ad andarmene, a scappare per sempre da quel piccolo paese nel Nord Australia. Il paese delle perle.
Decido che nessuno ne deve sapere niente.
“Possibile che riesci a inventarti anche la pseudo-traduzione di Pagine Gialle? Cosa ne so se è un indirizzo? Cosa ne dovrei sapere io di questa storia?”
“Va bene. Mi fido. Ora puoi anche smetterla di urlare come se ti sentissi sotto pressione.”
“Come faccio a non sentirmi sotto pressione se mi tratti così? Che diamine ti prende?”
In tutta risposta, Oliver abbassa lo sguardo e se ne va. Certo, la sua tipica uscita di scena.
Mi bruciano gli occhi e ho un nodo in gola.
Dig mi stringe il braccio e mi sorride. Come a dirmi… sono qui. Ma fa di più. “Avete uno strano modo di dimostrarmi quello che provate.”
Mi irrigidisco subito. “Che cosa intendi per quello che proviamo?”
“Ti conosco bene, Felicity. E conosco lui. E riesco a vedere cose che voi non vedete, semplicemente perché non ci sono dentro. Ma se le riconosco è perché ci sono stato dentro anche io… e ti garantisco che so come andrà a finire.”
Dopo questo discorso criptico mi lascia pure lui.
Ancora frustrata per il comportamento di Oliver, mi costringo ad alzarmi. Preparo tutti i miei vestiti e conservo con particolare cura la stella.
Voglio tornare immediatamente a Starling City e compiere le adeguate ricerche.
 
 
Oliver.
Il viaggio passa veloce e silenzioso. Felicity sta bene, a quanto pare, o probabilmente sta solo fingendo perché non vuole essere di peso a nessuno. Tipico. Dig ha parlato con Lila al telefono per tutto il viaggio, nonostante tutti i rimproveri delle hostess. Gli ha raccontato di Deadshot, di come fosse vicinissimo a finirlo una volta per tutte. E scopro che non è mai stato calmo in tutto questo tempo, non importa quanto lo sembrasse. Ma lei riesce comunque a calmarlo. Le ultime parole che sento Dig pronunciare al telefono sono ti amo.
In qualche modo, questo mi rende invidioso. Non sono mai stato invidioso per queste cose prima.
Ordino a Dig di accompagnare a casa Felicity. Io vado subito al Verdant. Mi sta nascondendo qualcosa e forse è questa la causa del buco che sento allo stomaco. Bruscamente, cerco di accendere i computer. Accedo al mio account della QC, e non devo hackerare niente per farlo, dato che sono amministratore delegato. Cerco il fascicolo di Felicity Megan Smoak.
Non c’è niente di interessante, perciò mi soffermo sui soliti dati.
Nata a: Alice Springs, MiracleHospital
Residente a: Starling City, 1stColumbiaAve, 37
Passate residenze: Broome, 2ndBroomeBoulevard, 111
.
Oddio. L’iscrizione su quella che lei chiama stella è 2ndBB111. Aveva ragione. E’ un indirizzo. Il suo…
Figlia di: Martha Megan Smoak - ?
Le informazioni personali finiscono qui. Quel punto di domanda al posto del nome di suo padre? Ci sono troppi buchi nel passato di Felicity.
“Che cosa stai facendo?” Mi giro di soprassalto. Chiudo velocemente tutte le schede, non voglio che Dig chieda più di quello che deve chiedere.
“Niente. Perché?”
“Non mentirmi.”
“Guardavo il fascicolo di Felicity.”, dico sbuffando.
“E… non fai prima a chiedergliele, le cose?”
“Si fida di me. E io mi fido di lei. Magari certe cose le ha rimosse pure lei. Tipo… il nome del padre. O il suo indirizzo prima di venire a Starling! 2ndBroomeBoulevard, 111. Ti ricorda qualcosa? Perché, a me personalmente ha ricordato tanto l’incisione sulla sua stella.”
“Allora ne parleremo domani… con lei.”
“Non lo so, Dig. E’ quasi morta per colpa mia. Forse non è più il caso di esporla così tanto.”
Il mio telefono inizia a squillare. E’ Felicity.
“Ti senti talmente in colpa da non rispondere?”
Non rispondo, né a Dig, né a Felicity. Sì, mi sento in colpa. Ma è normale, no? Voglio dire, sono io ad averla portata dentro a questa storia. Mi sentirei allo stesso modo se fosse capitata una cosa del genere a Dig.
Il telefono continua a squillare, ma ho una strana paura di sentire quella voce. Decido che non ci faccio niente al covo: Dig ha rinunciato a farmi parlare e si sta allenando da solo.
E’ da tanto tempo che esco da solo di notte, o almeno, senza la voce di Felicity nel mio orecchio. Ripenso alle sue tre chiamate perse. Forse era qualcosa di importante. Ripenso anche al fatto che lei stava lavorando ai fascicoli degli evasi. Magari ha trovato qualcosa e mi stava semplicemente avvisando. Certo, cos’altro vorrebbe dirmi, dopo che l’ho trattata come una bambina indifesa? Ma è indifesa. Non sono riuscito a proteggerla.
Nella notte, sento dei passi dietro di me. Per pochi secondi non sento niente, solo vento. Poi, il ricordo lontano di una voce affascinante e particolare. Il suo strano accento ha fatto tremare Starling City. In un nulla di fatto, due braccia forti stringono il mio collo. Lui continua a parlare, imperterrito. “Il Giustiziere…sapevo che ti avrei trovato da solo. Solo, nella notte, al buio. Bè, spero che la solitudine ti faccia impazzire tanto quanto tu hai fatto impazzire me con la mia stessa arma.”
Mi ha colto alla sprovvista, e non riesco a liberarmi. Sono senza forze.
Anzi, è arrivato il momento che sia tu, a provare la mia arma.”
L’ago freddo di una siringa si avvicina sotto il mento. Vertigo. L’ultima cosa che vedo è la mano del Conte premere lo stantuffo.
Ho solo pochi secondi per prepararmi a ciò che so che mi aspetta, ma le mie palpebre calano.
Tutto è buio pesto. 





Ciao a tutti
come avrete notato è passato un po' di tempo da quando ho pubblicato lo scorso capitolo, e c'è un motivo ben preciso: mi sono rotta una mano!
Comunque ho anche dovuto affrontare una crisi da pagina bianca, e penso si noti. Questo è un capitolo di transizione, che porta al capitolo che mi è piaciuto scrivere più di tutti. Quello che succede nel prossimo capitolo è secondo me due volte meglio di un bacio, e mi sono quasi commossa a scriverlo. E' quello che vorrei per Oliver e Felicity, è in questo modo che vorrei scoprissero di amarsi.
Ecco uno spoiler: "C’era qualcosa che non capivo su di te. Non sapevo cosa. Avevo un amico sull’ Isola. Si chiamava Slade, e amava Shado. lo ho ucciso Shado. Così lui ha ucciso te. E ho capito."
Perdonatemi per la lunga assenza, il capitolo 9 sta arrivando:)
 

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Capitolo 9
*** Vertigini ***


9. VERTIGINI.
Oliver.
Appena apro gli occhi, mi affretto a stringere i denti, in attesa di un dolore che ho già provato in passato. Ma, a sorpresa, non provo niente. Sono seduto, ma non sono legato. La stanza dove sono è buia, ma intravedo una porta che sembra aperta. Davanti a me, uno schermo. Si accende così all’improvviso che mi fa sobbalzare sulla sedia.
Va in onda un filmato del Conte. Nonostante sia agitato, mi costringo a guardarlo attentamente.
Oliver Queen, Il Giustiziere… Chi l’avrebbe mai detto?
Avrei voluto farti provare la vecchia Vertigo, credimi, ma poi… ho pensato. Cinque anni su un isola, sicuramente non troppo deserta, dato il 20% di tessuto cicatriziale sul tuo corpo. Se non sei già impazzito per il dolore, perché dovresti farlo ora? C’è, un altro modo per far impazzire Oliver Queen? C’è!? CERTO CHE C’E’!!!
E che cosa potrebbe farlo impazzire?
Ecco… vedi, questo mio nuovo giocattolino, colpisce i centri emotivi del cervello, in particolare i centri della paura.
Che altro dire? Goditi lo spettacolo, mio caro. Sei libero di andare.

Il filmato non è nemmeno finito, che inizio a sudare talmente tanto che riempirei una piscina. Non so come, riesco a uscire da lì.
Un coltellino, nero e familiare mi sfiora, e si conficca nel muro. Infilza una piccola foto. Mi avvicino, e la osservo. E’ la foto di Laurel che avevo nell’isola. Quella che avevo lasciato a Sara… Sara, che è morta.
Improvvisamente, non riesco a respirare. Acqua, gelata e salata, riempie i miei polmoni, occupa la mia gola e fuoriesce da naso e bocca.
Sara, dove sei!? I miei piedi non toccano più terra, bensì, qualcosa di molto più instabile. Sono nell’oceano, ancora una volta, ad affogare, a soffocare, a provare ancora una volta quel freddo pungente che entra in ogni parte di me. L’acqua salata è dappertutto. Sto per affogare di nuovo, ma la scena cambia. Tutto si fa più tranquillo. Estraggo la foto di Laurel da sotto il coltellino. Significa che Sara è in città? No, tutto questo non è reale.
Una figura con un cappuccio si avvicina. E’ il mio cappuccio. La figura si smaschera. Shado.  Il suo sguardo è cordiale e pacato, come al solito. Corro da lei, non posso sprecare quest’occasione.
“Shado…”
“Oliver?”. La sua mano si posa sul mio viso.
“C’è una cosa che ti devo dire, Shado.”
Lei sorride. “Lo so, la stavo aspettando.”
Sorrido anche io. “Ti am…”
E invece qualcosa mi blocca. La sua espressione felice si fa triste, poi minacciosa. Non riesco a dire altro che “Io ti amavo.”
“E’ per questo che hai scelto lei?”
“Perdonami. Ti prego, perdonami.”
TU HAI SCELTO LEI AL POSTO MIO!!!”
Mi porto le mani alle orecchie. Non voglio sentire. Prima o poi passerà. E’ solo un allucinazione, è solo un allucinazione…
“TU MI HAI UCCISO!”.

La mia preghiera ormai è una litania, quasi cantilenata.
Vedo Shado piangere, urlare, imprecare, chiedendomi qualcosa a cui non posso rispondere nemmeno io. Perdonami, perdonami, ti prego. Ti prego perdonami, perdonami. Le mani alle orecchie rendono ogni suono ovattato. Tranne uno, alle mie spalle. “Come puoi implorare il perdono per una cosa per cui non ti sei mai perdonato?”
Mi volto, cautamente. Lei è li, con gli stessi colori degli angeli. Capelli lisci e biondi, e quegli occhi azzurro-verdi mi guardano come se stessero soffrendo assieme a me. Vado verso di lei, lei è la fine delle allucinazioni. Lei è la fine di tutto, e l’inizio della realtà. Ma, appena voltato, sento un sibilo alle mie spalle. La donna col cappuccio ha appena scoccato la sua freccia. Il viso di Felicity è prima sorpreso, poi terrorizzato. Le sue labbra sono dischiuse per la sorpresa. Le sue mani vanno al petto. Da lì, spunta una lunga freccia verde, epicentro di una grande macchia rossa. Ancora prima che possa cadere a terra, nello spazio di un respiro, anche io scocco la mia freccia. E rifaccio di nuovo la scelta che non avrei mai voluto fare. Shado muore di nuovo a causa mia, la donna che ho amato, per Felicity. E non mi sembra comunque uno scambio equo. Tutto questo terrore punge più dell’acqua salata e fredda. Preferirei affogare cento volte, che vedere il dolore di Felicity, farei cento volte uno scambio del genere e direi grazie. Urlo tutta la mia paura, e la scena cambia di nuovo.
Tutto è tranquillo. Nella realtà piove. Ma sono nella realtà? Ti prego dimmi di sì. Dimmi che tutto questo è finito. Dimmi che non dovrò mai più sopportare una cosa simile.
Rimango solo per pochi secondi, e poi sento dei passi pesanti dietro di me. Fa che sia Dig. Non è Dig. E’ Slade. Mio fratello.
“Sono qui per mantenere la mia promessa, fratello.”
No, no. Ti prego, no. Fa che finisca. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sto pregando.
“Tu hai ucciso la donna che amavo. Perciò…forse dovrei uccidere colei che ami.”
Sollevo lo sguardo, e vedo Slade per la prima volta dopo tre anni.
“Io non amo nessuno.”
“Bè, staremo a vedere, no? D’altronde, siamo dentro la tua testa. E ciò, rende tutto ciò più reale di quanto sembri.”
La scena cambia in un secondo. La voce di Slade Wilson è nelle mie orecchie, nitida, e forte.
“Perciò, Oliver…SCEGLI!!!”
Sara compare alla sua sinistra. Chiudo gli occhi, non voglio vedere chi c’è alla sua destra. Perché so già chi c’è. Sento le urla isteriche di Sara, proprio come quella sera. Invece Felicity ha gli occhi chiusi, proprio come Shado, quando stava per morire. La sua è un espressione serena. Quindi è questa la verità? Prima che io possa rispondermi, passano i trenta secondi peggiori della mia vita, i trenta secondi peggiori di sette vite.
Non sento nemmeno le mie urla. La scena cambia un’ennesima volta. E’ tutto come prima, solo che Slade non c’è, Sara non c’è. Ci sono solo io e il cadavere di Felicity. Gli occhi chiusi e la sua espressione serena non mascherano comunque il suo terrore. Si vede dai particolari che ho imparato a conoscere. Le sopracciglia leggermente inarcate. Le mani strette in una morsa, l’una con l’altra. Vengo sommerso e affogato un’altra volta dall’acqua salata. Ma questa volta non è il mare. Resto ore e ore a piangere, piangere dopo anni per un allucinazione.
Prego di nuovo: che le allucinazioni finiscano qui. Cosa può essere peggio di questo? Ma non finiscono qui. La scena cambia e ricambia innumerevoli volte.
Alla fine, quasi incosciente, mi dirigo verso l’unica meta possibile.

Felicity.
Sento la finestra aprirsi: qualcuno sta entrando in casa. Senza pensarci prendo il coltello più pesante che ho, dal cassetto dalla cucina. Ma non mi sento in pericolo. Infatti, quando arrivo in camera, lui, con ancora il cappuccio addosso, è lì, rannicchiato sotto la finestra, la testa sulle ginocchia, quasi in posizione fetale. Non è mai venuto a casa.
"Oliver?"
A sentire la mia voce, la sua testa si solleva di scatto, quasi fosse sorpreso di trovarmi in casa. Appoggio il coltello alla mensola. Mi accorgo subito che c’è qualcosa che non va. Il suo sguardo è spento e allo stesso tempo sollevato. Le sue braccia stringono le ginocchia. Qualcosa di grave è successo, non l’ho mai visto così.
"Felicity?"
Perché mi sta chiedendo se sono io? Mi vede meglio, alla luce fioca della lampada.
"Felicity...", questa volta non è una domanda, è sollievo. Come sempre non riesco a fare a meno di rabbrividire al suono del mio nome pronunciato da lui. Lo osservo meglio: il suo sguardo è un misto tra accigliato e stralunato e i suoi occhi sono lucidi, il grasso verde attorno agli occhi è colato. Ora mi spavento veramente.
"Oliver? Cosa diavolo è successo!?".
La mia voce sale di qualche ottava. Lui torna alla posizione di prima, accovacciato sotto la finestra. Inizia a singhiozzare senza però versare una lacrima. A sentirlo così mi sale il panico e mi avvicino. Comincio a singhiozzare anche io. Non mi risponde, perciò inizio a scuoterlo per le spalle. "Oliver? OLIVER!? Parlami cazzo, parlami!"
Le mie lacrime sono iniziate a scendere, e questo sembra quasi riportarlo in sé.
"Perché stai piangendo?" mi fa con voce roca e bagnata.
Questa domanda stupida mi rende isterica e le lacrime scendono sempre più calde.
"Perché piango!? Oliver, non ti ho mai visto così! Oliver, CHE SUCCEDE?" Siccome ha abbassato lo sguardo lo riprendo per le spalle. E’ totalmente fuori di sé.
Cerca di riprendere il controllo, fa diversi respiri profondi. Mi vede piangere, e lentamente, avvicina le mani (che mai avevo visto tremare così forte) al mio viso. Vanno a coprire le mie guance, dove stanno sgorgando le lacrime calde. Si avvicina a me sino a che quasi le nostre fronti non si toccano. Il mio respiro accelera. I suoi occhi blu sono tra i miei, lucidi, elettrici. La sua voce sembra quasi pregarmi: "Non...piangere". Delicatamente, poso le mie mani sulle sue, che sono ancora sulle mie guance. "Parlami Oliver". A quella distanza posso notare diversi particolari anche senza occhiali. Le ciglia bagnate. L'Iride che pensavo fosse azzurra ha diverse sfumature, dal blu, al verde, al giallo. Un’unica lacrima solitaria scende per la sua guancia. E a quel punto si allontana di nuovo. Prendiamo in contemporanea tutti e due un gran respiro, come se dovessimo riempire altre due paia di polmoni oltre ai nostri. Fa un sorriso triste. Nello stesso momento mi fa vedere una puntura sotto il suo collo e una siringa. Vuota.
Non riesco a mantenere la voce ferma. Mi inginocchio vicino a lui.
"Cosa c’era qui dentro?"
Con lo stesso sorriso triste di prima, riesce a rispondermi, finalmente. Anche se con un filo di voce. "Ecco a te la prima cavia della nuova Vertigo". Sta cercando di sdrammatizzare, ma è come se un macigno mi sprofondasse giù nello stomaco. So quali sono gli effetti della Vertigo. Se non mi sbaglio Oliver sta soffrendo al limite del dolore fisico. Voglio urlare. Lui lo capisce e mi anticipa: poggia l'indice sulle mie labbra e scuote la testa. "È diversa", sussurra. È quasi tutta la conversazione che parliamo come se fossimo in biblioteca. Sarà l’ansia. "Provoca allucinazioni, non dolore, penso. È già passato, è tutto passato.."
Ma di nuovo torna a nascondersi la testa tra le ginocchia, come un bambino piccolo. Devo aiutarlo. Mi metto davanti a lui, nella sua stessa posizione, gli prendo le mani e gliele tiro giù. Solleva la testa e mi guarda, sembra talmente sofferente che dubito del fatto che mi stia dicendo la verità. Che la Vertigo sia cambiata.
"C’era qualcosa che non capivo su di te. Non sapevo cosa. Avevo un amico sull’ Isola. Si chiamava Slade, e amava Shado. Io ho ucciso Shado. Così lui ha ucciso te. E ho capito."
Sembra che stia parlando come se la sua voce non gli appartenesse. Ma io sono viva, penso. Sono qui, sei ancora sotto allucinazioni. Ma non faccio in tempo a parlare.
"Ti ha ucciso in tutti i modi con cui può essere uccisa una persona. Torturata in tutti i modi con cui può essere torturata. E io... non potevo fare niente. Mai. Ti ho guardata mille volte soffrire senza fare niente.”
I miei respiri si sono fatti più veloci, e anche i suoi. Sta tremando, forte, nonostante ci siano almeno venti gradi in casa. I suoi occhi sono imploranti, ma non capisco cosa mi stanno chiedendo. "Anche io amavo Shado. Un pazzo...un pazzo nell’Isola mi ha fatto scegliere fra la sua vita e quella di Sara. Shado è morta..."
Nella mia testa sento Diggle. Non racconta mai ciò che gli è accaduto sull’isola. E all'improvviso non voglio più sapere nulla. Ma ascolto lo stesso, per lui. Perché lui sta soffrendo. "...E ogni notte dopo quella, ho desiderato di tornare indietro nel tempo per scegliere Shado. Per salvarla. Non amavo Sara… Ma stanotte, quando finalmente sono riuscito, a tornare indietro nel tempo, quando finalmente ce l'ho fatta!,... Io ho scelto te." Mette le mani tra i capelli. "Dopo tutto ciò che ho visto nell'Isola, ero sicuro, sicuro, che ci sarebbe stato un modo per salvarla. Ma poi quando mi sono trovato tra te e lei... ho preso l'arco e ho scoccato una freccia nel suo cuore. La donna che amavo... per te."
Con le mani torna a stringersi i capelli. Con un filo di voce, infine, fa: "Che cosa significa?... che cosa mi succede? Perché, sotto una droga, che colpisce i centri della paura, io VEDO TE!? La tua morte..." Mollo le sue mani di scatto, con gli occhi sgranati. Non permetterò al mio cervello di elaborare le parole che ho appena sentito. Ma lui sta delirando, il vero Oliver non pensa veramente le parole che probabilmente sentirò di nuovo ogni notte prima di andare a dormire. "Non c’era niente di vero." La mia voce fatica a rimanere ferma. "Niente di tutto questo è successo" Non so se sto dicendo a me o a lui. In ogni caso non convinco ne lui ne me.
Mi stringe il braccio, forte. Cerco qualcosa da dire, ma non ce n’è bisogno. Nel frattempo una smorfia dolorosa è comparsa sul viso di Oliver, i denti stretti, gli occhi chiusi. Il tempo si ferma per un secondo.
E poi inizia a urlare.
La fase del dolore è iniziata. A quanto pare la nuova Vertigo è doppia, ha una fase della paura, e una del dolore. Mi ci vuole qualche secondo per realizzarlo, e la mia stanza non è più silenziosa.
"OLIVER! OLIVER!"
Le mie grida sono coperte dalle sue. Assurde. Inumane.
Si contorce, e urla, urla, urla. Tra le lacrime gli chiedo cosa posso fare. Cosa posso fare? Cosa? Lo stringo forte, come se potessi prendere il suo dolore e farlo mio. Passano secondi infiniti. Le urla cessano. E lui è inerme, tra le mie braccia, in faccia ancora lo spavento.

“DIG, DIG!!!”
Non so come, sono riuscita a portare il corpo inerme e pesante di Oliver al covo. Ho bisogno di Dig.
Anche lui è spaventato, sicuramente si chiede perché sto urlando.
Non gli do nemmeno il tempo di formulare una domanda.
“Il Conte… Dig, gli ha iniettato la Vertigo!”
Lui, in tutta risposta sgrana gli occhi. In un decimo di secondo ha preso quelle strane erbe dal cassetto di Oliver e mi spiega in che modo posso aiutarlo. Mi fa preparare uno strano miscuglio sul quale ho troppi dubbi sul fatto che funzioni. Ma decido di fidarmi, sennò sarà un inferno. Reggo la testa di Oliver mentre Dig gli fa bere a forza quel miscuglio verde.
Dig mi fa un regalo: vede quanto sono agitata, e preoccupata, probabilmente vede il mascara colare dagli occhi. Allora collega il cuore di Oliver a una macchina, in questo modo posso vedere come sta. E vedere il suo cuore rallentare e diventare regolare, calma il mio. Il mio respiro diventa più leggero, e non singhiozzo più.
Ma non per molto: quando Dig mi abbraccia, torno a piangere, e piango tutte le mie lacrime.
E’ strano: ci siamo già trovati in questa situazione. Io che porto Oliver morente al covo, e Dig che lo cura. L’inizio di tutto… E questa non deve essere la fine. Come allora, Dig rompe il silenzio.
“Felicity… Oliver mi ha detto che sarebbe uscito, non pensavo fosse andato da te.”
“Non è venuto da me.” Mi viene un po’ da ridere a sentire la mia voce da fumatrice.
“E allora? Che cosa è successo?” Dig vuole sapere, e io voglio sfogarmi. Voglio liberare tutti i miei punti interrogativi che sin ora non ho nemmeno avuto il coraggio di esporre a me stessa.
Inizio a raccontare. Gli racconto quello che mi ha detto Oliver, prima di tutto. Che la nuova Vertigo colpisce i centri della paura. Che mi ha detto di aver avuto allucinazioni. Che mi ha visto morire. Che ha ucciso Shado per me. E poi… C’era qualcosa che non capivo su di te. Non sapevo cosa. Avevo un amico sull’ Isola. Si chiamava Slade, e amava Shado. Io ho ucciso Shado. Così lui ha ucciso te. E ho capito.
Solo il ripetere queste cose mi fa venire da ridere e piangere insieme.
“Non si ricorderà di niente quando si sveglierà. Vero Dig?”
Lui mi stringe la mano. “Invece no. Avrà quei momenti impressi a fuoco sulla sua corteccia cerebrale. Per il resto della vita, Felicity.”
Il mio cuore si fa più leggero per qualche secondo, quando vedo qualcosa di metallico sporgere dalla tasca dei pantaloni di Oliver.
E’ un coltellino, e c’è anche una foto stropicciata. Laurel. Sento Dig dietro di me sospirare. Certo, loro due si apparterranno sempre. Si vorranno sempre. Chiunque sia in mezzo a loro, come Tommy, si dovrà togliere di torno. Non c’è spazio per me. Il mio cuore sprofonda. Sento i tratti del mio viso distendersi e la mia espressione raffreddarsi. Prima eliminiamo i cattivi e prima me ne andrò per sempre da questo posto.
“Se vuoi ti lascio sola.”, dice alle mie spalle Dig.
“Grazie.”
Mi dirigo al mio computer. Devo trovare il Conte, e in un modo o nell’altro fargliela pagare. Non solo per Oliver…
Ottengo un indirizzo: 361DarlinStreet. Lo conosco, è in periferia, nei dintorni del magazzino della Tempest dove era rinchiuso il Queen’s Gambit. Prendo mezz’ora del mio tempo. In questa mezz’ora cerco di valutare i pro e i contro di quell’azione, ma in realtà la mia mente è da un’altra parte. Ad un certo punto, nella mia mano sinistra c’è la foto di Laurel, nell’altra il coltello. Lancio in aria la foto di Laurel. Nello spazio di un secondo, la foto è attaccata al muro, conficcata dal coltello. Niente male, no? Dopo dieci minuti passati a contemplare la mia opera, stacco il coltello dal muro ed esco.
Il buio e il freddo della notte mi fanno sentire sola.
Cerco di non ascoltare le voci che mi parlano di quanto io sia irrazionale in questo momento.


Oliver.
E’ il bip continuo alla mia sinistra a svegliarmi, anche perché al covo non c’è nessuno.
Ma nell’esatto momento in cui mi sollevo dal tavolo, Dig entra nella mia visuale.
“Sei sopravvissuto?”
Sorrido. “A quanto pare…”
Mi arriva una pesante pacca sulla spalla. Ai.
“Meglio così. Dobbiamo parlare, amico.”
“Tutto quello che vuoi, va bene, però prima dimmi dove è Felicity.”
“Penso che volesse stare un po’ da sola, in realtà.”
“Perché? Che ti ha…”
“Mi ha raccontato di quello che ti è successo. Mi è sembrata piuttosto scossa…”
A ricordare le allucinazioni, mi sale un brivido su per la schiena. Ne ricordo ogni minimo particolare, ricordo ogni minimo dettaglio come se ogni cosa fosse accaduta veramente. Mi volto. Non voglio parlarne, non ora.
“Non dovevi andare da lei. Lo so che non eri in te e che…”
Lo interrompo. “Ero perfettamente in me.”
“Che cosa hai intenzione di fare? Perché sono stanco di voi due che fingete. Ma sai cosa succederà, non appena tu smetti di fingere? Starete insieme, sarete felici, oltre l’immaginabile. Saranno i momenti più belli di tutta la vostra vita. Ma poi qualcuno se la prenderà con lei. Tu ti sentirai in colpa, anzi ti prenderai la colpa per ogni cosa che non potrai controllare della sua vita. La allontanerai, e ti sentirai male. Si sentirà male anche lei, e saranno i momenti peggiori della vostra vita. Non proverete mai niente di più doloroso. E a quel punto…? Cosa sarà cambiato? Perciò, dimmi cosa hai intenzione di fare.”
Questo discorso fa male quanto la mia prima tortura sull’isola. Ma ha ragione… Ha ragione.
Il mio occhio cade su una foto stropicciata, per terra. Perfettamente perpendicolare, un taglio nel muro. Non tutto quello che ho visto poche ore fa era un’allucinazione. Controllo la mia tasca: il coltello non c’è. Dov’è Felicity?
Corro al computer. Felicity ha cercato di localizzare il Conte grazie al fascicolo di Iron Heighs. E ce l’ha fatta.
“Dig, ti prego muoviti. Dobbiamo andare.”


361DarlinStreet.
Il caseggiato è davanti a me, e sembra innocuo.
Il mio telefono squilla. Rispondo: è il Conte. Mi sta ordinando di andare a prendere Felicity. Non sa che io sono già qui.
Io e Dig ci dividiamo, lui entra dall’ingresso secondario.
Davanti a me vedo una strisciata di sangue. Ho voglia di vomitare: da quando sono così debole di stomaco? Da quando sono così agitato?
Sento dei rumori dal corridoio alla mia destra, e mi ci dirigo.
Felicity è li: le mani legate, l’espressione, a sorpresa, per niente spaventata. Le corro incontro senza nemmeno pensarci, ma il Conte si mette in mezzo a noi.
CHE COSA LE HAI FATTO!?”
L’espressione del Conte è come sempre, cordiale e gentile.
“Con calma, ragazzo. Non le ho fatto proprio niente. Vedi, non posso farle niente…”
Perché l’hai legata!?”
“Oh, sì, giusto. Ecco, vedi, la tua ragazza è piuttosto combattiva.”
Lancia un coltello verso il pavimento, per mostrarmelo. Il coltello di Sara. Sporco di sangue.
I respiri di Felicity sono sempre più frequenti.
“Infatti, mi ha ferito. E’ una guerriera provetta ormai. Ma io voglio te. Dovrai venire con me.”
“Sei impazzito?”
“Non prendermi per uno che scherza. Non posso ammazzare la tua fidanzata, ma posso sempre iniettarle il mio nuovo elisir. A proposito, com’è? Fa abbastanza paura? Oh… direi di sì, ma tremo al solo pensiero di provarla.”
Anche Felicity ora trema. Ha gli occhi sgranati alla vista del Conte che estrae una siringa. Con del liquido giallo. In un secondo succedono molte cose: dimentico la promessa fatta a Tommy, scocco tre frecce dritte nel cuore del Conte. Lui cade morto a terra. Libero Felicity dalle corde che la imprigionavano.
Nel momento stesso in cui lei si alza dalla sedia, una voce potentissima rimbomba nelle nostre orecchie. Viene dagli altoparlanti.
“Grazie a Dio, io e il carissimo Conte Vertigo non condividiamo lo stesso capo. Io posso uccidere il braccio come la mente. E ora che la mente morirà assieme al braccio, niente mi impedirà di fare il mio dovere a Starling City. Permettetemi di presentarmi. Il mio nome è Shrapanel. Nei cinque anni in cui Oliver Queen era via, mi conoscevano come… il dinamitardo.”
Felicity chiude gli occhi, come rassegnata. Le stringo forte la mano.
“L’intero caseggiato è pieno di dinamite, che scoppierà tra sessanta, cinquantanove, cinquantotto… oh avete capito. E non provate a uscire dalla stanza, perché saltereste in aria senza godervi gli ultimi cinquanta secondi della vostra vita.
In ogni caso, questo è il posto dove finirà. Godetevela fino in fondo, però.”



Come promesso, non avete aspettato nemmeno un giorno per il capitolo 9. In parte ce l’avevo già pronto: è stato scritto per la maggior parte di notte, il momento per me migliore per scrivere.
La parte di cui mi è piaciuto di più scrivere sono state le allucinazioni, ho immaginato tutto nei minimi dettagli, e forse per questo, non sono riuscita a renderli a dovere.
Spero veramente che vi piaccia, perché ci tengo particolarmente a questo capitolo.
Bè, che dire, al prossimo!! Baci.

 
 




 

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Capitolo 10
*** Paradiso e Inferno. ***


10. PARADISO E INFERNO.
Oliver.
Mi ci vuole un po’ di tempo per capire a pieno ciò che ho appena sentito, e ciò non è un bene, dato che me ne resta veramente poco.
Le parole di Shrapanel mi rimbombano nelle orecchie e mi sottolineano qualcosa che ancora non sono disposto ad accettare.
Nell’esatto momento in cui lo faccio, sento il tempo dilatarsi. Felicity, inginocchiata e con lo sguardo perso, si rianima improvvisamente. Guardarla mi fa paura; ha una furia negli occhi che non le ho mai visto addosso.
Mi strattona la giacca.
“Dobbiamo cercare di…” Non fa in tempo a finire la sua stessa frase, che sta già correndo verso la porta, l’unica uscita della stanza, che, a detta di Shrapanel, la farà saltare in aria nel momento stesso in cui la varcherà.
NO!!!” Le grida escono innaturali dalla mia bocca. All’ultimo secondo riesco a fermarla per un braccio. Per poco non cade in avanti.
La tiro tra le mie braccia “Non muoverti.”
Controllo il segnale dell’auricolare al mio orecchio destro. Niente. Sento solo una leggera vibrazione, segno che l’auricolare è rotto. Dig non c’è, non sa niente, non può fare niente. Anche la mia ultima speranza cade. Moriremo qui dentro. E’ strano, in cinque anni l’avrò pensato centinaia di volte. Eppure quelle parole non hanno mai avuto un senso così definitivo. Quelle parole non mi hanno mai tolto il respiro e riempito lo stomaco con un peso duro e ingombrante. Quelle parole non mi hanno mai fatto bruciare gli occhi.
Felicity si divincola e corre verso l’altra possibile uscita della stanza: la finestra. Possibile che il dinamitardo l’abbia tralasciata? Possibile che abbia evitato di riempirla di esplosivo, dato l’altezza non indifferente che la separa dal terreno? No. Riesco a vedere i fili gialli e blu, e una lucina rossa che compare a intermittenza, probabilmente collegata a un bip continuo e insistente che in ogni caso non riesco a sentire.
Anche adesso riesco a fermare Felicity giusto in tempo.
“Non vedi l’esplosivo fuori dalla finestra? Stai impazzendo?
“Cosa pretendi che faccia!? Come troviamo una via di fuga se non la cerchiamo?”
Vede qualcosa nel mio sguardo che la lascia senza respiro. Abbassa gli occhi per non farmi vedere che sono lucidi.
Cos…”
“Non c’è una via di fuga” sussurro infine.
Alle mie parole smette di nascondersi: le lacrime sgorgano calde dai suoi occhi. “NO!”.
Prevedo la sua prossima  mossa, e un’altra volta si lancia contro la porta, un’altra volta la afferro appena prima di varcare la soglia.
“Non starò qua ad aspettare di morire, Oliver”, sussurra.
“Lo so.”
La mia mano stringe il suo braccio, e i suoi occhi sono dritti dentro i miei. Sento il suo respiro sul mio viso, e senza pensarci troppo giungo a una conclusione. Posso rinunciare alla mia vita senza combattere. Ho combattuto per tanto tempo. Ma non alla sua. Non posso rinunciare a lei.
Ripenso alle parole di Dig questa sera. Ma che cosa ho da perdere ora? Sono già stato al Purgatorio, ma per questo casino mi merito l’Inferno.
“…E se devo andare all’ Inferno, tanto vale andarci in grande stile.” Continuo il filo dei miei pensieri ad alta voce.
In un nulla di fatto, le mie labbra, per la prima e ultima volta, sono sulle sue, calde e morbide. E assurdamente, non m’importa più della mia morte, non m’importerebbe nemmeno se finisse il mondo, perché se questo è il modo in cui il mio mondo finirà, allora morirei cento volte.
La mia mano ha lasciato il suo braccio e risale il suo fianco sino al collo. I nostri corpi si scontrano violentemente, togliendomi il respiro.
Le mie mani sono sui suoi capelli, sul suo corpo, e la attirano a me.
I respiri si fanno irregolari, e il cuore sembra deciso a battere tante volte quanto l’avrebbe fatto in una vita lunga e piena. Un miliardo di battiti in trenta secondi. Il mio viso è bagnato dalle sue lacrime.
Il sospiro leggero di Felicity quando le mie mani scendono giù per la sua schiena mi fanno venire i brividi.
Il tempo sembra essersi dilatato, fermato.
Ma non è così.


Felicity.
Ero al paradiso, ma al centro esatto dell’inferno.

La prima volta che ho sentito questa frase l’ho giudicata abbastanza stupida, infantile e tremendamente troppo poetica. Non ho mai creduto all’Inferno, e tanto meno al Paradiso.
E soprattutto non ho mai avuto un bacio così. In tutta la mia vita mi sono sempre accontentata del ragazzo trofeo, del ragazzo bello e divertente. Non ho mai cercato nulla di più. Non ne sentivo il bisogno. Non ho mai avuto un bacio che mi facesse venire le farfalle nello stomaco. Non ho mai avuto un bacio che me ne facesse volere altri.
Ma ora, il mondo sta finendo. No, non il mondo. E’ solo la mia fine, e quella di Oliver. Non cambierà niente.
Non cambierà il fatto che adesso, sono effettivamente in paradiso, al centro esatto dell’inferno. Posso vedere quella luce straziante descritta da Dante, direttamente dalle malebolge.
Non cambierà il fatto che le labbra di Oliver sono sulle mie, sul mio collo, e certamente non il fatto che per la prima volta sento quella strana fame che mi fa volere di più.
Il mio cuore, che già batteva forte, impazzisce frenetico.
La bocca di Oliver non è delicata: i suoi movimenti sono tormentati, disperati. Gli stringo le braccia al collo, e sento il contatto con la sua pelle surriscaldata. Contro la logica –diamine, dobbiamo cercare di salvarci!- e soprattutto contro il tempo, mi ritrovo a baciarlo in un modo che mi è nuovo e sconosciuto, ma allo stesso tempo vecchio e familiare. Tutto ciò che ho provato per lui e che ho provato a sopprimere, ora è davanti a me, immenso come una montagna e ormai impossibile da seppellire.
 
Il tempo sembra essersi dilatato, sì, ma non può essersi fermato. Ho uno strano, inappropriato flash della mia vecchia professoressa di fisica. Perché metti il segno meno davanti ai secondi? COME PUÒ ESSERE IL TEMPO NEGATIVO!?
Ha ragione. Niente può portare indietro il tempo, niente può fermarlo, nemmeno un bacio, ma quellaè tecnicamente è solo un’assurda concezione romantica. Per questo, esattamente il secondo prima di uno scoppio assordante, mi immobilizzo. Credevo di essere pronta alla mia morte e invece sono terrorizzata.
 Con mia grande sorpresa, le orecchie mi fischiano. Nella stanza arriva il bagliore di un incendio in lontananza. Sono qui, Oliver è qui. Siamo vivi. 
Lui si scosta leggermente da me. Ha un respiro affannato, gli occhi lucidi e le labbra dischiuse. Mi guarda incredulo. Si fa la stessa domanda che mi faccio io. Cosa è successo? Cosa ci ha salvati?
La risposta non tarda ad arrivare: una figura scura salta con agilità sopra le bombe fuori dalla porta, che evidentemente sono state disinnescate. La figura, anche se non ho una completa visuale su di lei, è bellissima.
Mi ricorda tanto ciò a cui pensavo quando da piccola mi descrivevano una dea guerriera. I suoi vestiti, aderenti e probabilmente in pelle, fasciano le sue forme perfette senza esagerazioni. La testa è ornata da una cascata di capelli biondi, ma non come i miei; è un biondo diverso, chiarissimo, in completo contrasto con i suoi vestiti. La pelle è diafana, compatta. Può benissimo essere una bambola di porcellana. Ha una maschera sul viso, che comunque non nasconde il suo aspetto. È posata su degli occhi grandi, e di un azzurro incredibile, quasi innaturale, quasi ghiaccio. Le ciglia si scontrano con la pelle della maschera, nera come i vestiti. Il resto del viso è scoperto: si vedono poche lentiggini attorno a un naso piccolo e delicato. Le labbra sono sconvolgenti: della grandezza giusta, ma piene e carnose, e con una gradevole forma a cuore. La prima cosa che penso quando la vedo è che lei è l'emblema di tutto ciò che vorrei essere. E non ho nemmeno idea di chi sia.
Anche Oliver sembra non conoscerla, eppure lei inizia a parlargli come se si conoscessero da sempre. La sua voce, come del resto il suo corpo, è forte e sensuale.
"Pensavi veramente che ti avrei lasciato qui a morire?" dice divertita.
"Chi s...?"
"Fai le domande sbagliate, Ollie."
Ollie? Conosco solo altre due persone che lo chiamano in questo modo. Thea...e Laurel.
La ragazza posa gli occhi per terra e nota il pugnale insanguinato con cui, per pura fortuna (o distrazione di lui) sono riuscita a ferire il Conte. Si avvicina e lo prende.
Un lampo di consapevolezza si intravede negli occhi blu di Oliver.
La ragazza ci mostra il coltello con fare disinvolto. "Questo dovrebbe essere mio” dice, infilandoselo dietro lo stivale.
"Ollie, ti sei mangiato la lingua per caso?"
E questa volta riceve una risposta che regala un po’ di consapevolezza anche a me.
"Tu... Tu sei morta." Ha la voce rotta e secca.
"Sì. Be, tecnicamente anche tu."
Lei è Sara, inutile negarlo. La ragazza che Oliver ha portato sul Gambit e che è morta affogata. Ma forse è naufragata su un'isola vicino a Lian Yu. Insomma, ho controllato. Ci sono un sacco di isole su quell'arcipelago, questa Sara potrebbe essersi salvata senza che Ollie lo sapesse.
Oliver si avvicina e mette le mani sulla maschera. Sono ferme e controllate.
"Sei sicuro?" chiede lei.
In tutta risposta, lui toglie la maschera e sgrana gli occhi. Vedo la confusione nei suoi occhi, i denti serrati.
La ragazza si gira verso di me, e con un sorriso a trentadue denti mi saluta.
"Ciao. Io sono Sara."
La mia intuizione non sbaglia mai.
L'unica cosa sensata che mi viene in testa quando mi stringe la mano è, che anche senza la maschera, è proprio una ragazza da portare in barca anche se si è fidanzati con sua sorella.
 
 
"Che diavolo succede qui?"
Dig entra affannato nella stanza, puntando la pistola contro Sara, che mi sta stringendo la mano. Oliver è ancora fermo e impassibile a pochi metri da noi. È lui, però a dirgli di abbassare la pistola.
"È tutto apposto, Dig. Ci potete lasciare un momento da soli?" Inizialmente penso che stia parlando di me. Che cosa gli dovrei dire? Vuole dirmi perché mi ha baciata? Oddio. Mi ha baciata. Se prima il mio cuore sembrava volesse uscire dal petto, ora sembra immobile. Mi ha baciata.
Assurdo anche solo da pensare. Cosa gli dovrei dire?
Niente, perché non sta parlando di me, sta parlando di Sara. Vuole stare da solo con Sara per parlare di quello che è successo negli ultimi cinque anni.
Fantastico. Sono io ad abbassare la pistola a Dig e a trascinarlo via di lì.
 
 
"Cosa diavolo è successo? Ho sentito la voce di Shrapanel e poi...ho cercato un modo per farvi uscire da lì vivi. E poi sento la bomba scoppiare da un altra parte?! Come avete fatto?"
All'ultima domanda arrossisco. Cosa abbiamo fatto per salvarci? Niente.
"Ho provato a...Niente. Oliver mi ha impedito categoricamente di uscire dalla stanza. Pensava che sarebbe scoppiata qualche bomba."
Ci mette un po’ a capire quello che ho detto.
"E lui, non ha fatto niente?" dice scettico. "Avete passato trenta secondi ad aspettare di morire senza fare niente!?"
Come posso dire di no? In fondo, è quello che è successo. Non abbiamo fatto niente per salvarci. Oliver si è arreso. Non è da lui. Però qualcosa abbiamo fatto. E io, per quello ho ancora i battiti irregolari.
"Non...abbiamo cercato, io ho cercato..." dico incerta. Sto balbettando. Sto balbettando! Non che non capiti mai. Alla fine sputo il rospo.
"Mi ha baciata".
Dig non è sorpreso. Solleva un po’ gli angoli della bocca. E’ la faccia che fa quando parlo di Oliver e quando litighiamo. Solo, molto più marcata.
Questa volta non mi fa venire i nervi. So cosa intende.
“Felicity, tu stai bene? Chi è quella ragazza la?”
“Lei è Sara. Un’altra non morta. E ti potrò rispondere che sto bene solo quando capiremo se c’è ancora qualcosa tra loro due.”
Dig sembra allarmato. Come me, non se l’aspettava. Oliver ha parlato della sua morte di fronte a un giudice.
“Lo sai come è fatto…”



 
Oliver.
Sara è viva, di fronte a me. L’ultima volta che l’ho vista, mi è stata strappata violentemente dalle mani, da Slade Wilson. Ho veramente pensato che fosse morta. Invece no. Sento una strana sensazione di sollievo. D’ora in poi i miei incubi avranno un personaggio in meno. Ma anche diffidenza. Cosa le è successo nei restanti tre anni? Cosa è diventata? Anche solo guardandola in faccia si nota il cambiamento. I suoi occhi azzurri sono diventati pozzi di ghiaccio. Cosa le è successo? Uno dei miei primi istinti è di correre ad abbracciarla. Ma potrebbe non essere la stessa Sara che ho perso quel giorno sul mercantile.
“Perché sei qui?”
“Non puoi semplicemente dirmi grazie?”
I suoi cambiamenti iniziano a notarsi anche nei suoi movimenti: non più goffi, ma aggraziati ed eleganti.
“Non so se ti devo ringraziare” dico sincero.
“Ti spiegherò tutto.” mi sussurra prendendomi la mano.
Mi scosto impercettibilmente. Lo nota, e sembra ferita. “Sono ancora io, Ollie.”
A sentire quelle parole, mi butto tra le sue braccia. E la riconosco. E’ ancora lei, con le mie stesse cicatrici, le mie stesse e i miei stessi incubi.
“Bentornata a casa, Sara”.
 
Felicity.
E’ tardi, sono quasi le cinque del mattino. Me ne sono andata dal covo mezz’ora fa, e adesso sono sul balcone di casa mia. Sembrano passati anni, ma a pochi metri da qui, stanotte Oliver è venuto raccontarmi i suoi incubi. Poche ore dopo, in punto di morte, mi ha baciata.
Ciò che ho imparato dalla scomparsa di mio padre è stato disilludermi. Da qualunque cosa. Mi hanno ripetuto mille volte quanto grande fosse il suo amore per me, ma non è mai tornato. Non sono abituata a pensare positivo.
Il cielo è sempre più chiaro. Mi piacciono quei colori. Quando l’arancione del sole si mischia al blu della notte. Oscurità e luce nello stesso paesaggio. All’alba trionfa la luce. Ma al tramonto trionfa il buio. Ho sempre analizzato le persone così. Alba o tramonto.
Dei rumori dietro di me, mi distraggono, per l’ennesima volta questa notte.
“A che pensi?”
Dico le prime parole che mi vengono in mente. “Con questo miscuglio di colori, in città il verde non centra proprio niente, Oliver.”
“Mi aspettavo qualcosa di più profondo.”
Mi giro verso di lui, perdendo la visuale sull’alba. “Perché sei qui? Non penso che ti saresti aspettato una conversazione, dopo quello che è successo.”
“Perché stai dicendo così?” fa una strana smorfia.
“Perché sennò non lo avresti mai fatto.” Sento la mia voce, come il mio sguardo, calare.
“Perché pensi questo?” Anche la sua voce prende diverse sfumature, prima baritonale, poi sempre più bassa.
“Oliver, stavamo morendo. E’ normale che non ti aspettassi una conversazione così. Non penso che ti aspettassi una conversazione al Paradiso.”
“Non me l’aspettavo infatti. Se esiste un Paradiso, non è per me.”
“Allora dovresti stare con qualcuno che capisca il tuo Inferno.”
Ecco, sto rovinando tutto. Sto distruggendo tutto. Ho paura, semplicemente. Ho paura di dover competere con qualcun altro per le sue attenzioni, ho paura delle sue sfuriate. Ho paura dei suoi comportamenti, ho paura dei suoi incubi che non riuscirò mai a capire, a sentire. Ho paura dei suoi vuoti che non riuscirò mai a colmare. Ho paura delle sue cicatrici, che non saranno mai completamente chiuse… non da me. E allora rovino tutto. La mia voce sembra appartenere a qualcun altro.
“Non siamo costretti a parlarne. Non sei costretto. Non sei costretto a rendermi conto di un bacio. Tu… sei tu. Ti piacciono le donne, ti piace pensarti rotto per poter stare con le donne rotte come te. Tu… sei il ragazzo che ha tradito la fidanzata con sua sorella.”
Lo sguardo di Oliver è indecifrabile.
“Lo pensi veramente?”
Non lo penso veramente. Non farebbe mai più certi errori. Ma non posso spiegargli il mio esatto cruccio.
“Non è importante.”
Gli occhi mi pungono. E’ una situazione assurdamente surreale.
“Lo è”. Sento a malapena quelle due parole. E voglio dirgli come mi sono sentita quando mi ha parlato delle allucinazioni, di come mi sono sentita per la prima volta intera dopo quel bacio, di come mi sono sentita sconvolta e irritata dall’arrivo di Sara, ma parlerei al vuoto.
Con un fruscio impercettibile, è scomparso al buio-luce dell’alba.




Ero indecisa su molte cose, riguardo a questo capitolo, ma alla fine eccoci qua! Finalmente al decimo capitolo ce l’ho fatta, ma la mia passione è fare un passo avanti e due indietro. Abituatevi, sarà sempre così!
Comunque, vi prego, ditemi che vi siete immaginati Sara come ve l’ho descritta e non con le labbra a culo di gallina. Vi prego!
A parte gli scherzi, spero che vi sia piaciuto! A prossimo capitolo!
Baci.



 

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Capitolo 11
*** Coincidenze ***


11. COINCIDENZE
1 giorno dopo.
Oliver.
E’ cambiata un sacco, troppo. I suoi movimenti goffi, impacciati e rumorosi, hanno lasciato il posto a un corpo sinuoso, leggero, delicato e silenzioso. Infatti, è arrivata al covo senza che nemmeno me ne accorgessi. Cosa le è successo in questi tre anni? Già sull’Isola era cambiata: i suoi occhi avevano perso quella sfumatura rassicurante e divertente, lasciando il posto a un vuoto senza speranza. Lei era senza speranza. Ma adesso c’è dell’altro. I suoi occhi stanno gradualmente tornando quelli di prima; quelli che, prima del naufragio stavano sempre sorridendo. Ricordo i sorrisi maliziosi quando uscivamo alle spalle di Laurel, ricordo gli occhi storti alle lagne della sorella, e gli occhi storti a me quando non mi decidevo a lasciarla con lei.
Perché nell’isola non aveva la speranza di sopravvivere altri tre anni. Nell’Isola non aveva la speranza di, un giorno, tornare a casa. Tutto quello che faceva, lo faceva per paura. Aveva paura della sua stessa ombra.
“Pensavo che tu fossi morta.” Senza nemmeno girarmi, pronuncio le parole che rimbombano in tutto il covo, vuoto. Siamo solo io e lei.
“Anche io… ad un certo punto.” La sua voce indica quanto dolore provi a ricordare quello che ha passato. Se gli ultimi tre anni sono stati duri per me, figuriamoci per lei.
Mi giro verso di lei, e un sorriso sghembo maschera il tremolio leggero della sua voce.
“Perché sei qui?” chiedo bruscamente.
Il suo sorriso sghembo si accentua ancor di più. “Ti è molto difficile pensare che mi mancassi?”
Fa sorridere anche me. “Dove ti hanno imparato a giocare così?”
Si stringe le spalle. “Magari, un giorno… te lo dirò.”
Colgo un significato sottinteso alle sue parole. “Hai intenzione di restare per molto a Starling?”
“Come, non mi dici quanto io ti sia mancata?” dice, facendo la finta offesa.
“Non me la dai a bere, Sara. Perché sei qui?”. La mia voce si fa sempre più dura. Sto avendo problemi a controllare il nervosismo ultimamente, e quello successo poche ore fa, sicuramente non aiuta.
Mentre mi volto per mettere il cappuccio sopra il manichino, si decide a parlare.
“Hai presente la lista che avevi tu l’anno scorso?”
Torno a fissarla, insistentemente “Continua.”
“Dove lavoro, o meglio, dove lavoravo io, ne abbiamo una simile. Solo che i target sono in giro per il mondo. Io ne ho scelto uno, un tizio abbastanza noto. Questione di vendetta.”
“Sì, ma hai detto che non lavori più per chiunque lavorassi prima”
I suoi occhi, ormai gelidi mi fissano, come a dire, possibile che tu non capisca?
“La mia vendetta brucia ancora, Ollie.”
In poco tempo mi avvicino a lei, le prendo una mano e gliela stringo forte. “Lo so bene.”
Mi sorride. Questa volta è uno dei suoi vecchi sorrisi. Fa sorridere anche me.
“Potrei aiutarti a compiere la tua vendetta, se me lo chiedessi. Potresti dirmi il tuo target.”
“Non ti dirò adesso il nome.” Di nuovo, si richiude a riccio. L’ho turbata. “E’ una persona pericolosa”. La sua voce è fredda.
Faccio il suo stesso sorriso sghembo di prima. “Anche io lo sono.”
“Stai tranquillo. Non ci vorrà molto perché tu lo possa scoprire. Ma per allora sarai preparato. Non voglio che tu cada a pezzi.”
Ma queste parole, così enigmatiche, così distanti, minacciose, mi mettono in testa una domanda insistente che presto, e sicuramente, mi farà a pezzi un po’ per volta.
 
 
Felicity.
E’ tutto offuscato, però distinguo chiaramente un uomo di occhi e capelli scuri, i tratti del viso marcati. Mi fa paura. Chi è quell’uomo?
Sento qualcosa vibrare nella tasca. L’uomo davanti a me mi sta parlando, ma non riesco a sentire cosa mi dice. Cerco di leggergli il labiale, ma non ci capisco niente. Un pensiero remoto passa nella mia testa: che se lo sentissi non avrebbe un accento americano. Infatti, come se gradualmente sollevassi il volume di una radio, inizio a sentire cosa mi dice. “RISPONDI!”
Faccio il collegamento con la vibrazione nella mia tasca e tutt’a un tratto sono nel mio letto, le lenzuola sudate. Perché un sogno così banale mi ha fatto agitare così tanto? Forse perché ne ricordo solo gli ultimi dieci secondi. Un rumore irritante viene dal comodino; è il telefono, che con quella luce bianca al buio è piuttosto fastidioso. Sono talmente assonnata che non basterebbe una doccia fredda per svegliarmi completamente. A fatica, riesco ad arrivare al comodino e ad afferrare il cellulare, che ha appena smesso di vibrare.
Mi ci vuole solo la vista dello schermo per uscire completamente dal mio dormiveglia: in segreteria sono registrati diciassette messaggi. Non è quella la cosa inquietante. Sono di mia mamma. Tutti. Non sento quella donna da almeno un paio d’anni, e l’ultima volta ce ne siamo detti di tutti i colori.
Normalmente non lo farei, ma spinta da uno strano impulso, premo il tasto della chiamata. Gli squilli sembrano infiniti e l’attesa è snervante.
Pensavo che avrei tirato un sospiro di sollievo , invece il suono della sua voce mi fa accapponare la pelle; la donna dall’altra parte del telefono è terrorizzata.
“Lui…LUI E’ TORNATO! E’ tornato per te…”
“Ma, che stai farneticando!?”
Lui…ha il Miracolo nel suo sistema…E’ venuto, ti troverà…”
“Che hai fatto delle tue medicine, mamma?”
“NON MI STAI ASCOLTANDO! Ti devi nascondere!”
Nella mia schiena non sento altro che brividi.
“Mamma, dimmi dove sei. A Broome? Ti posso raggiungere…”
NO! Non mi devi cercare. Non sono a Broome, lui mi ha trovata, è andato la...”
In che senso non ti devo cercare?” chiedo, anche se ho già capito quello che intende.
Non mi devi trovare. Lui non mi deve trovare. Dimenticami.”
Ma… mamma! Io posso aiutarti, conosco qualcuno, ti posso mettere in salvo!”
NON CHIAMARMI MAMMA!”
Non le darò la soddisfazione di sentirmi piangere, perciò, shockata, schiaccio il tasto di chiusura. Non ho mai avuto un padre, e ora non ho nemmeno una mamma.
Quello che provo, a mia sorpresa, non è tristezza, o paura. E’ rabbia.
Perché ha aspettato tanto a darmi l’ultimatum? E’ da anni che continua così. Perché inventarsi questa scenetta per abbandonarmi definitivamente?
Poi, sento sollievo.  
Finalmente. Finalmente non devo più preoccuparmi per un fantasma. Finalmente posso preoccuparmi di me stessa senza ricevere giudizi da lei. Finalmente sono libera psicologicamente. Mi sento stranamente euforica, perciò ne approfitto per prepararmi una buona colazione. Mi sono svegliata in anticipo, perciò finalmente ho tempo per un pasto completo prima del mio odioso lavoro ufficiale.
Le uova sono sulla padella, quando il mio telefono riprende a squillare insistentemente.
E’ un numero che non ho memorizzato in rubrica.
Abbastanza scocciata, rispondo. “Pronto, chi parla?”
“Sono Barry Allen, detective e specialista forense di Central City. C’è appena stato un furto al dipartimento di Scienze Applicate della Queen Consolidated. Non riesco a contattare il suo capo. Può farlo lei? E, per favore, venite qui appena possibile. E’ un caso molto strano.”
Se non fosse che i casi strani della gente normale ormai mi annoiano, forse sarei eccitata, preoccupata, qualcosa.
Invece sbuffo: “Agli ordini, detective.”
 
Dig è andato a prendere Oliver e ci siamo incontrati tutti e tre nel parcheggio. Oliver mi saluta amichevolmente. Sembra deciso a far finta di niente. Dig ci guarda di sottecchi.
“Dov’è Sara?” chiede poi.
Senza guardare nessuno in particolare, Oliver dice le parole che mi tolgono il respiro. “E’ stata con me al covo.”
Mentre io ero da sola a casa, a pensare alla mia codardia e a mangiare cioccolato, ad ascoltare terrorizzata e affranta le parole di mia madre, Oliver e Sara hanno passato la notte insieme. E non ho tanta voglia di sapere se hanno giocato al gioco dell’oca o meno.
“Ci muoviamo?” chiedo acida. “Ci stanno aspettando, il detective mi ha fatto capire che è una cosa piuttosto grave.”
Oliver e Dig annuiscono. “Giusto.”

Anche il Detective Lance è presente nella scena del crimine.
Ci sono decine di persone che non ho mai visto. Ma c’è un ragazzo in particolare che mi colpisce: è seduto dentro il perimetro invalicabile che armeggia con dei bastoncini cotonati e delle luci azzurre che mettono in evidenza tracce dalle varie forme. Lance lo guarda perplesso, di conseguenza pure io. E’ l’unica persona di quella famiglia di cui finora mi fido, e che stimo. Osservo il lavoro del ragazzo per qualche minuto. Lavora anche al computer. Questo mi porta a essere diffidente di lui, chiunque sia. Ma appena si volta, e nota il mio sguardo, il primo pensiero che riesco ad associare al lui è quello di una persona candida. Non solo per la carnagione chiara, i tratti dolci e gli occhi chiari, ma qualcosa nella sua espressione mi convince della sua bontà. Mi affretto a distogliere lo sguardo da lui, ma si avvicina a me. O meglio, a me, Oliver, e Dig. Dovrei saperlo ormai, che sono insignificante.
Il ragazzo inizia a parlare.
“La polizia di Starling crede che un gruppo di persone abbia distrutto la porta e i muri in cemento armato. Ma ci sono vari indizi (sono solo i vostri poliziotti che li chiamano indizi, io li chiamo prove) che indicano che invece, è stato solo un uomo.”
“Detective…?” dico incerta. Non voglio espormi troppo.
“Barry. Allen. Sono io che ti ho chiamato prima. Tu sei Felicity.”
Sento un rossore invadermi le guance.
Oliver interviene brusco. “Perché mai hai dovuto chiamare la segretaria e non l’amministratore delegato?”
Il Detective, o meglio, Barry Allen, scrolla le spalle, disinvolto. Come se non avesse appena irritato Oliver Queen. Forse nemmeno lo sa, chi è Oliver, e forse è proprio questo che lo sta infastidendo. Tutti lo conoscono.
“Oliver, Barry ci stava giusto spiegando cosa è successo. Fallo continuare, per favore.”
Lo sguardo freddo di Oliver si sposta da Barry a me, ma il ragazzo mi lancia uno sguardo d’intesa come per ringraziarmi. Rispondo con un sorriso timido, e si crea un momento d’imbarazzo.
Rompo il silenzio con il primo argomento che mi viene in mente.
“Così, puoi mostrarci una di quelle che tu chiami prove, no?”
Fa per porgermi il suo tablet, ma a metà strada si ricorda che io sono la segretaria. Tocca prima a Oliver. Vedo comunque la foto che voleva mostrarmi. E vedo Oliver irrigidirsi. La foto mostra un cadavere, con dei lividi sul collo che hanno l’esatta impronta di una mano. Il suo collo è stato rotto dalla morsa di una sola mano, di una sola persona. Nel frattempo Barry ci indirizza verso il posto dove stava lavorando prima, sotto le luci azzurrine si possono vedere le impronte consecutive di una coppia di piedi. Una sola persona.
Tre bulloni saltati, si vedono chiaramente. Qualunque cosa fosse, era saldata a terra con il ferro, e questa persona è comunque riuscita a farla saltare, e a portarsela via senza strisciarla per terra. Sollevandola.
Guardo Oliver e Dig. Non sono solo io quella impressionata.
Barry riceve una chiamata. “Scusatemi un attimo.”
E’ il momento giusto per chiedere a Oliver che diavolo sta succedendo. Ma sembra che non ci sia con la testa. Dig lo riporta alla realtà. “Hai già visto persone con queste capacità?”
Nei suoi occhi c’è qualcosa di indecifrabile. Paura? Ricordi dolorosi?
“Pregate che mi stia sbagliando.”

Barry torna dopo nemmeno due minuti. Ha uno sguardo piuttosto serio. “Hanno rubato all’ospedale di Starling City” ci annuncia. “Sangue. Stesso modus operandi.”
“Senti, Barry… Allen, non sono ancora pronto per parlare di vampiri.”, ironizza Dig.
“Stai andando là adesso?” chiede Oliver, brusco quanto prima.
Barry non si rende conto che è un invito a evaporare, oppure si, ma in ogni caso risponde come se nulla fosse. “No. Ci può andare la vostra polizia. Io resterò qui.”
Scocciato, Oliver annuisce. Mi guarda. “Felicity, tu puoi recuperare i video di sorveglianza.”
“Sì, e io potrei aiutarti!” si intromette Barry.
Oliver è sconcertato. Sdegnato, se ne va senza nemmeno salutare. Dig lo segue a ruota, ma non prima di lanciarmi uno sguardo esasperato e di salutare educatamente.
Io, invece, sono piuttosto soddisfatta.
“Certo, Barry. Grazie”.

Passa un’ora intera prima di trovare qualcosa di significativo. Quando io e Barry troviamo il filmato, siamo sconcertati. Lui ha le prove di quello che è realmente successo, ma non credo che ci credesse veramente. Un uomo, senza maschera e dal volto ben scoperto, scoperchia con un pugno la parete di cemento armato. Uccide un uomo stringendogli il collo con una mano. Entra, e pochi secondi dopo se ne  va via con un’enorme centrifuga a tre colonne, che sembra pesare quanto una bottiglietta d’acqua.
Sono sconcertata. Come può essere possibile una cosa del genere?
Barry, invece, sembra soddisfatto. A quanto pare, ci credeva veramente.
Lo fisso per qualche secondo, a bocca aperta.
“Che c’è?”
“Come che c’è? Hai per caso visto quel filmato? Non hai battuto ciglio.”
Barry distoglie un attimo lo sguardo.
“Sai, a volte mi confondo tra le persone di cui senti di poterti fidare a prima vista, da quelle di cui mi posso veramente fidare.”
Arrossisco. Di nuovo. Si sta riferendo a me? Certo, che si sta riferendo a me. Anche lui è piuttosto imbarazzato.
“Ma, da queste parti mi hanno detto che la Signorina Smoak è più che affidabile” continua, cercando di diminuire la tensione.
Sto al gioco. “Quindi, Signor Allen. Cos’è che vorrebbe dirmi?”
Abbassa di nuovo lo sguardo. La sua voce si è abbassata di qualche tono. “Diciamo che sono piuttosto incline a credere nel soprannaturale. Da piccolo, una persona che conoscevo è stata colpita dalle radiazioni dell’acceleratore di particelle di Central City. Aveva sviluppato delle strane abilità.”
Qualunque cosa sia successa, lo tocca da vicino. Si vede dalle mascelle contratte, lo sguardo basso. Non è decisamente il momento in cui far prevalere la mia curiosità.
“Dopo aver visto questo filmato, ci credo anche io, qualunque cosa sia.” Gli metto una mano sulla spalla e gli sorrido. “Comunque anche tu hai una faccia piuttosto affidabile”, continuo. Questo lo fa sorridere.  
Prima che possa dire qualcosa di imbarazzante, faccio per andarmene.
“Ciao Barry.”
“Arrivederci, Signorina Smoak.”



Per tutta la durata del filmato, Oliver resta rigido e con gli occhi sbarrati, e anche Sara. Si stanno stringendo la mano, forte.
“Hai visto qualcosa del genere prima, Oliver?” provo a chiedere. Senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo, annuisce.
“Dove!?”
Inaspettatamente, è Sara a rispondermi. “Sull’Isola.”
La guardo interrogativa. “Pensavo che fossi affogata.”
Oliver solleva lo sguardo verso di me, freddo. “Eppure, nonostante la tua perspicacia, respira ancora.”
“Che cosa significa? Tu hai detto...”
“Qualunque cosa ti abbia detto, eravamo sull’Isola insieme, Felicity.”, interviene Sara.
Non lo avevo realizzato. Non lo avevo capito. Oliver ha detto di fronte a una macchina della verità di essere stato solo sull’Isola.
Cerco di riprendere il controllo su me stessa. “In ogni caso, abbiamo cose più importanti di cui discutere.”
Oliver si alza in piedi, e si volta. “Era un soldato dei servizi segreti australiani. Si chiamava Slade Wilson.”
“Era un nostro amico sull’Isola”, continua Sara.
“Perché state usando l’indicativo imperfetto?” domando.
Domanda sbagliata. Anche Sara abbassa lo sguardo. “Oliver l’ha ucciso.”
Nello stesso momento, Oliver scaglia la prima cosa che trova contro il muro. E’ la mia stella.
Slade Wilson. E’ un nome familiare, ma forse solo perché sono nomi e cognomi abbastanza comuni. Comunque, sentire quel nome e vedere quella strana arma scagliata nel muro, stuzzica qualcosa nella mia mente di cui non sono del tutto certa.
2ndBB111
Anche Sara sta guardando perplessa l’incisione.
2ndBroomeBoulevard, 111”, sussurra sovrappensiero.
Oliver si gira di scatto verso Sara. “Come lo sapevi?
Sara si mette subito sulla difensiva. “C’era una scheda aperta sul portatile. No?”
Si vede lontano un miglio che sta mentendo, ma a quanto pare Oliver si sta fidando di lei.
Soltanto pochi secondi dopo mi rendo conto che quello è il mio indirizzo di casa di una decina di anni fa. Oliver lo sa da prima di me. Come? Ha forse indagato alle mie spalle?
“Come mai era così forte? Era una mutazione naturale o magari delle radiazioni…?, chiedo, ricordando le parole di Barry.
La voce di Sara è bassissima. La ragazza deve essere in preda ai ricordi; sembra quasi in trance. “No, un siero, sviluppato durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli scienziati volevano creare delle armi umane. Si chiama Mirakuru.”
Un pensiero mi fulmina, e mi toglie il fiato. “Miracolo.” Sussurro, all’unisono con Oliver.
Lui mi guarda perplesso. “Non sapevo che avessi studiato italiano.”
Adesso anche io sono in trance. “Stanotte mi ha chiamata mia mamma. Sembrava disperata. Ha detto che lui è tornato, e che ha il Miracolo  nel suo sistema…”
“LUI CHI?” sbraita Oliver.
“Non lo so, io pensavo delirasse…”. Sono spaventata.
Troppe cose stanno girando intorno a me ultimamente. Deadshot che lascia andare Oliver e Dig per salvarmi. Sulla sua arma c’è il mio vecchio indirizzo di Broome. La chiamata di mia madre, il Mirakuru. Quest’assassino in città non può essere una coincidenza. Slade Wilson. Era un soldato australiano. Sono sicura che anche il ritorno di Sara centra qualcosa, anche se non so che cosa. Che storia è?
Sovrappensiero, sollevo la borsa e faccio per andarmene.
Dove stai andando?”,  mi chiede Oliver esasperato.
“Devo tornare a casa.”
Capisce immediatamente che non sto parlando del mio appartamento in centro. Sa che intendo Broome. Mi conosce abbastanza da sapere quanto sono curiosa. Ma questa non è solo una curiosità, è una necessità. Devo risolvere questo dilemma.
Per un attimo Oliver sembra combattuto; cosa vuole fare? Rinchiudermi nel covo, o pagare qualcuno per rinchiudermi ad Iron Heigths e non farmi uscire dalla città?
Poi dopo un respiro profondo, mi prende la mano. Sento l’elettricità scorrere dal punto esatto del suo tocco sino al cervello.
“Vengo con te.”









Miei cari, oltre ad avere ancora la mano mezza rotta, ci mancavano soltanto i 39 gradi di febbre a completare il tutto!
In ogni caso, ecco il capitolo: ci stiamo avvicinando sempre di più a capire la backstory di Felicity che contribuirà certamente allo slow burn con Oliver. 
Non so se vi interessa saperlo ma ho già scritto una bozza della loro prima volta...Aa, non vedo l'ora di poterla pubblicare! Comunque, la febbre mi sta facendo delirare, al prossimo capitolo, baci :)

 

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Capitolo 12
*** Broome ***


12. BROOME

Felicity
“La tua cara Isabel andrà di matto” sospiro, buttandomi sulla comodissima poltrona dell’aereo privato della Queen Consolidated.
“Perché dai per scontato che lo venga a sapere?”
Oliver sembra a proprio agio quando si siede vicino a me, ma la sua mano è stretta in un pugno e le vene del braccio sono in evidenza.
Dopo essermi soffermata su quei particolari, lo guardo in faccia, scocciata.
“Ora che ci penso, non ho tanta voglia di parlare di Isabel Rochev con te.”
Sposta lo sguardo da me a davanti a sé, incrocia le braccia. “Tanto ormai ti stai abituando a decidere di cosa dobbiamo e non dobbiamo parlare.”
Colpita e affondata. L’atmosfera è decisamente tesa. Probabilmente non lo sarebbe se non fossimo soli, ma in un normalissimo aereo di linea pieno di persone.
Sara non poteva venire con noi perché ci avrebbe messo troppo a falsificare un passaporto, per non pensare a chi avrebbe potuto vederla mentre si imbarca. E Dig, su decisione presa da Oliver, sarebbe rimasto a controllare Sara, e perché no, far fuori qualche criminale e controllare la situazione dell’uomo che è entrato alla Queen Consolidated e che ha fatto danni e rubato per milioni di dollari. Chissà che cosa ne pensa Sara.
“Parliamo del fatto che avevo ragione”, dico alla fine.
Mi guarda interrogativo. “Su cosa?”
Il fatto che stia fingendo di non sapere di che cosa parlo mi irrita, per cui decido di restare zitta.
“Stai parlando di me e di Sara?”
Cercando di mascherare quanto mi infastidisca il suono di quel di me e di Sara, annuisco lievemente.
“Pensavo veramente che fosse morta.”
Lo guardo interrogativa. “Come mai?” mi sfugge.
Domanda sbagliata. Oliver distoglie lo sguardo e resta zitto. La sua mascella è lievemente contratta. Dovrei essere abituata al fatto che non parla mai di ciò che è successo sull’Isola, tranne quando è strettamente necessario.  “Scusa”, sussurro.
A questo punto il mio telefono squilla. Il numero non è salvato in rubrica, ma comunque è familiare, così come la voce che mi saluta.
“Barry…Tutto bene? Che succede?”
Certo, grazie! Io… ti stavo solo cercando a lavoro ma in realtà non ti ho trovata.”
Posso percepire l’imbarazzo aldilà della linea telefonica e mi figuro Barry che balbetta e sposta lo sguardo da una parte all’altra intimorito dal mio. Quest’immagine mi fa un po’ sorridere.
“Sono qualche giorno fuori, tutto qui” Cala un silenzio imbarazzante, dopo il suo ok  di assenso.
“Bè, quindi, perché mi stavi cercando?” Cerco di trasmettergli un po’ di entusiasmo.
Oh beh, hai detto che sei fuori quindi…Senti, lasciamo perdere dai.”
Barry, torno dopodomani!”
Sembra rianimarsi. “Perfetto! Umh, mi hanno detto che c’è la festa del Filantropo dell’anno qui a Starling City e mi hanno invitato…Cioè, sicuramente avranno invitato anche te, ma…”
“Per me va bene”
Perf…Aspetta, cosa?”
“Mi stavi invitando a venire alla festa con te, giusto?”
Emh…esatto! Quindi? Ti vengo a prendere io. Ci si vede” risponde Barry tutto d’un fiato.
Resto alcuni secondi sorridente e imbambolata per realizzare ciò che è appena successo. Un ragazzo bello e intelligente mi ha invitata a un ballo e io ho detto di sì. Sto finalmente riprendendo in mano la mia misera vita sentimentale? Però sono anche turbata. Sento di fuggire da qualcosa che mi terrorizza e mi fa paura; allo stesso tempo mi terrorizza andarmene. E’ una sensazione nuova, sono abituata alla logica, sono abituata a ragionare. E la logica mi dice che qualcosa o è bianca o è nera. Non c’è il grigio e soprattutto non ci sono sentimenti grigi. Sino ad adesso. Questi sentimenti grigi mi scombussolano.
“…Terra chiama Felicity!?” La voce di Oliver mi riporta bruscamente alla realtà, grigia anch’essa.
Ha un sorriso contrito in faccia. “Che c’è?” dico perplessa.
“Ti fa un certo effetto questo Barry Allen, no?”
Mi prendo un po’ di tempo per rispondere.
“E’ un ragazzo carino” è tutto quello che mi viene da dire.
“Bè, allora spero per te che non abbia scheletri nell’armadio, o tute da eroe.”
Sorrido inconsapevolmente. Un sorriso a trentadue denti che non riesco a spiegarmi. Solo quando Oliver mi chiede spiegazioni, e rispondo, mi rendo conto di quello che mi rende contenta
“Ti sei quasi definito eroe, per la prima volta. Dopotutto non sei senza speranza.”
Cento emozioni sembrano passare nel viso di Oliver, interdetto, tutte in una volta. Sembra che voglia sbraitarmi contro, dirmi di non permettermi assolutamente di mettergli parole in bocca, e sembra che voglia abbracciarmi e non lasciarmi mai più, sembra che voglia ignorarmi per il resto della vita, oppure continuare a guardarmi, interrogativo, con uno strano sorriso da ebete che non gli ho mai visto in faccia. Ed è quello che fa. Sembra che stia per dire qualcosa, ma poi distoglie lo sguardo e cerca di controllarsi. Sento la sua mano sulla mia solo quando la stringe fortissimo. La sua gamba destra inizia a tremare. E’ questo l’effetto delle parole che ho appena detto? E’ questo l’effetto che ho di lui? Poi, sento il mio battito cardiaco, lo percepisco nelle orecchie, e percepisco il movimento violento della carotide contro il colletto della camicia.
No. Questo è l’effetto che lui  ha su di me.


Abbiamo passato da pochi minuti l’ingresso di Broome. Nonostante il cielo sia cupo e nuvoloso, c’è abbastanza caldo da sudare nel maglioncino leggero con cui sono partita.
Dall’ultima volta che ho visto questo posto sono cambiate tante cose: ad esempio il parco, che ho lasciato verde e sempre affollato, ora è logoro e vuoto. Sembra abbastanza lugubre. In compenso, il numero di abitazioni è aumentato parecchio; dove in passato c’erano prati e aiuole, ora ci sono palazzi alti e villette a schiera. Per questo all’inizio mi è complicato orientarmi. Ma in una sola mezz’ora da quando abbiamo varcato le porte di Broome, siamo davanti a casa mia. Resto seduta in macchina a contemplare la mia vecchia casa sino a che Oliver mi apre la portiera e mi invita a scendere. Sembra impaziente.
“Hai fretta?” gli chiedo perplessa. Sono le prime parole da qualche ora, da quando siamo scesi dall’aereo e abbiamo deciso quale macchina noleggiare. A quel punto, forse gli è sembrato giusto lasciarmi ai miei pensieri.
Nervoso, Oliver scuote la testa, e si volta verso la facciata della piccola casa. Guardandola si potrebbe pensare che nessuno ci abita da anni. Lo spazio per le aiuole è vuoto, il vialetto sporco e pieno di ciuffi d’erba che si sono staccati dal giardino. Gli alberi sono spogli, e l’altalena rudimentale che sfruttava il ramo dell’albero più grande, ha una corda staccata, e dondola al vento.
Ma non è così: da quello che ho capito mamma se n’è andata da poco tempo. Il fatto è che non solo si è sempre comportata male con me, ma pure con sé stessa. Perciò chi se ne importa di curare la casa? Chi se importa di curarsi? Sono sempre stata io a spronarla a vivere. Quando ho iniziato a voler vivere io, ho scoperto di non essere compatibile con quel suo modo di essere. Me ne sono andata, giurando a me stessa che non sarei mai tornata. Ed ora eccomi qui.
Quando mi trovo di fronte alla porta, apparentemente chiusa, mi ricordo di non avere le chiavi. Istintivamente mi chino verso lo zerbino, per prendere la copia. Esattamente dove ci dovrebbe essere lo zerbino, c’è l’oggetto in assoluto più inquietante, ma anche affascinante di tutto il contesto. Una maschera; è bianca, e nera. I due colori la dividono a metà. Una freccia rudimentale è conficcata nella fessura per l’occhio destro.  Una mano di Oliver mi ferma. “Guarda che è aperto” dice. Afferra la maschera, con uno sguardo indecifrabile. Le sue mani tremano impercettibilmente. Quando i nostri occhi si incontrano, percepisco qualcosa che mi fa drizzare i capelli. La paura.
In ogni caso, non è aperto. Il mio sguardo scettico cerca di comunicare questo ad Oliver. Quando spingo la maniglia lo guardo come a dimostrargli che ho ragione.
“Guarda sotto la maniglia.”
Sta indicando una forma rotonda che si intravede sotto la fessura per aprire. Nel momento in cui lo dice, spinge quella forma, che cade dall’altra parte della porta. Qualcuno è entrato in casa, e ha cercato di non farsi notare. Ha creato una fessura nella porta per poter aprire dall’interno.
E non ho idea di chi possa essere. Sicuramente c’entra qualcosa con chi ha scagionato i sette di Iron Heighs. Con la persona di cui ha parlato mia mamma al telefono. Non ci ho pensato, ma ora che trovo le due cose nello stesso contesto, nella mia mente,  le vedo in qualche modo collegate.
Oliver apre la porta con cautela, cercando di fare silenzio. Teme che ci possa essere qualcuno in casa? In ogni caso, fa bene ad essere prudente. Entra prima di me, con fare protettivo, e si guarda intorno, sconcertato.
E’ il caos a regnare. E io che mi aspettavo un po’ di polvere! Qua è tutto distrutto. Vasi con la loro terra sul pavimento, piatti tolti dal loro posto e fracassati a terra. Le dispense aperte, alcune ante sono penzolanti. I quadri hanno le tele squarciate, nel pavimento sono sparsi tutti i miei vecchi oggetti. Riconosco da qualche parte in quel caos i colori delle mie vecchie vernici, spruzzati per terra, che danno un’impressione da Street Art all’angolino. Solo un punto della casa è ordinato. Il tavolo della cucina: da una parte ci sono le foto di mia madre, quelle strappate a metà, che ritraevano lei che abbracciava il vuoto, ovvero la persona che ci sarebbe dovuta essere nell’altra metà. Nel centro del tavolo c’è la foto dell’uomo di spalle, in divisa, volto verso Hanging Rock. Quella che mi ha fatto capire che, mio padre, chiunque sia, è o è stato un militare.
Dall’altra parte del tavolo, ci sono altre foto strappate, che non ho mai visto.
Combaciano perfettamente con le altre.
Sento Oliver soffocare un gemito.
 
Nelle nuove foto c’è l’uomo che ho sognato, che ho visto nei miei ricordi. L’uomo di cui ho sentito la voce.
Le mie gambe tremano. A malapena sento la mia voce, quando dico “Penso sia mio padre.”
Sono le mie parole a far scoppiare l’Oliver impietrito che sta di fronte a me.
“No, Felicity.” dice. La sua voce ha un suono basso e pauroso. Il suo sguardo è verso le mie mani. Non riesce a guardarmi in faccia. Quando finalmente riesce ad alzare gli occhi vero di me, urla.
“Quello è Slade Wilson.”
Vedo Sara abbassare lo sguardo. Oliver l’ha ucciso.
Oliver ha ucciso mio padre.
 
Oliver
Ho pensato spesso al destino. Ci ho pensato quando una nave ha dovuto naufragare per separarmi da Laurel. Quando la stessa nave ha dovuto naufragare per poter incontrare Shado. Ci ho pensato quando ho visto Sara nella prigione di Ivo. Quando sono tornato in città per essere il vigilante. Ci ho pensato e non ci ho mai creduto veramente. Ma forse sono destinato a essere il giustiziere spietato che non può avere nessuno attorno a se. A donare se stesso agli altri, completamente.
Perché, in qualche modo, sono destinato a Felicity da prima che la vedessi per la prima volta. Sì, ero destinato già da prima, a rovinarla, a rovinarle l’infanzia, e a rovinarla in tutti i sensi anche ora. Ero destinato a uccidere il padre della mia futura dipendente? Della mia futura amica? Partner? Qualunque cosa Felicity sia per me?
Qualsiasi cosa fosse, mi correggo.
Perché qualsiasi cosa fosse, non lo può più essere. Io ho ucciso suo padre.
Io ho ucciso suo padre. L’enormità di queste parole mi sta cadendo addosso, lentamente.
Vorrei smetterla di fissare il soffitto al semi-buio di questa stanza. Vorrei smetterla di sentire il respiro regolare di Felicity dall’altra parte della stanza. Smetterla, e andarmene, smetterla di rovinarla. In che modo mi guarderà domani mattina?
La mia mente mi ordina di lasciare questo letto ora. Il mio corpo mi tiene arpionato qui, incapace di fare qualunque cosa. Di andarmene, di dormire, o di smetterla di tormentarmi.
Nel secondo prima di sollevare le coperte, la voce di Felicity, proveniente dall’altro lettino della stanza, mi fa spaventare. Eppure non ha un tono tagliente, non ha il tono di una persona che mi odia. Ha il suo solito tono. “A cosa pensi?” chiede con voce roca.
Per un attimo prendo in considerazione l’idea di far finta di dormire. Ma se me l’ha chiesto significa che ha voglia di parlare con me.
“Non riesci a dormire a casa, figuriamoci qui.” dice. In nemmeno un secondo ha intuito cosa stavo pensando di fare. E io che sto cercando di non pensare a quanto sia l’unica a conoscermi in questo modo.
Prendo un respiro profondo. “Ho ucciso tuo padre.” dico guardando il soffitto. Cerco di dirlo con freddezza, secco, ma invece sento la mia stessa disperazione. Sento la mia voce rotta, come se avessi pianto. Prendo un altro respiro per calmarmi, aspettando la risposta di Felicity.
“Smettila di pensarci.” risponde.
“Tu l’hai fatto?” replico.
Ci pensa un po’ su. “In realtà stavo pensando al destino.”
Sembra quasi divertita. So che in realtà si sta chiedendo cosa mi sono chiesto io. Esiste il destino? C’è un destino che potrebbe accomunarci. So quanto questo quesito possa tormentarla, spaventarla. La sua mente è una mente logica e razionale. Ma forse una parte di lei vorrebbe crederci. Solo… non così.
“Anche io ci stavo pensando” sospiro.
Prendo il più grosso respiro di tutta la mia vita.
Mi volto verso di lei. Riesco a vedere il suo viso, grazie alla luce della luna che filtra dalla finestra. E’ rivolta verso il soffitto, come me prima di lei. Ha gli occhi lucidi.
“So che non ti posso chiedere il mio perdono, ma ne ho bisogno” dico tutto d’un fiato.”
Si volta verso di me. “Non penso che… Slade  sia morto, Oliver”
“Tu non capisci, io gli ho…”
Stringe gli occhi prima di interrompermi. Forse non è una buona idea descriverle in che modo ho ucciso suo padre. “Qualunque cosa tu gli abbia fatto, aveva il Mirakuru in circolo. Ce l’ha ancora. Riflettici…Rifletti Oliver. E’ ancora vivo. E mi sta cercando. Deadshot avrebbe dovuto consegnarmi a lui, viva.”
Non so cosa rispondere. Così continua. “Non te l’ho detto, ma io conoscevo già quell’arma con sopra il mio indirizzo sopra. L’ho dovuta consegnare all’aeroporto tanto tempo fa. Me l’aveva regalata lui. Non può essere una semplice coincidenza.”
Quello che dice ha sempre più senso. Il mio stomaco comincia ad alleggerirsi ancora di più quando penso a Sara e alla sua missione, al suo target. Deve essere Slade e non me l’ha voluto dire.
“Hai ragione”. Fa un sorriso leggero.
“Dormi, adesso” sussurra.



Ma non posso dormire. Ho un nuovo peso sullo stomaco. Slade è tornato. Ha sete di vendetta. Mi ha giurato che mi avrebbe fatto soffrire.
La domanda che mi manda in tilt è: come faccio a difendermi dalla sua furia, sapendo che è il padre di Felicity?



Inizio con lo salutarvi tutte e lo scusarmi! Ci ho messo un po’ di tempo a riprendere a scrivere, perché ovviamente dopo essermi rotta la mano mi sono rotta il braccio, che sfiga! In realtà è colpa mia, perché continuavo ad andare agli allenamenti convinta che sarebbe bastato un antidolorifico! Inoltre prima di fracassarmi sono diventata titolare della mia squadra di pallavolo *orgogliosa* e sono stata piena di partite! So che non ve ne frega niente ma volevo rendervi partecipi.
Anyway, questo è il capitolo, provvederò a mettere tra gli avvertimenti OOC, perché, anche se sono partita dai caratteri del telefilm, la storia sta prendendo una strada diversissima piega, e sono contenta che lo stia facendo perché non voglio che la mia prima storia sia uguale all’originale.
Comunque, buona lettura e come sempre fatemi sapere cosa ne pensate!:*
 



 

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Capitolo 13
*** Compleanno ***


13. COMPLEANNO
Oliver.
“Lasciarti morire sarebbe una liberazione per te. Voglio farti soffrire, voglio farti conoscere la completa disperazione. E lo farò. Lo prometto.”

Sono queste le uniche parole che sento da 12 ore a questa parte, che continuo a sentire quando entro nel covo, e che annebbiano ogni altro suono. Come i rumori violenti di Dig che si allena.
Non mi saluta nemmeno. “Dov’è Felicity?” chiede, guardandosi intorno.
Mi blocco, cercando di ignorare il groppo in gola.
“Le ho suggerito che sarebbe potuta restare a casa per qualche giorno” dico, cautamente.
E Dig diventa subito diffidente, nemmeno avesse un radar per i problemi. “Cosa è successo a Broome?”
Non so proprio come dargli le ultime cento notizie tutte in una volta senza provocargli l’infarto che per poco non è venuto a me.
“Abbiamo scoperto che Slade Wilson potrebbe essere vivo” butto, tutto d’un fiato.
“Potrebbe? E cosa dovrebbe centrare questo con Felicity?”
Prendo un grosso respiro. Due. Tre. “E’ suo padre.”
Dig indietreggia inconsapevolmente. “Come fate a sapere che non è morto?”
“Io pensavo fosse morto quando l’ho scoperto.”
Mi guarda comprensivo. Sta cercando di capire cosa ho provato quando ho scoperto di aver ucciso il papà di Felicity? In realtà non lo so nemmeno io. Potrebbe essere un misto tra sorpresa, dolore, rabbia, ingiustizia…pazzia. Avrei potuto diventare pazzo.
“Ma ci sono troppe coincidenze: l’arma di Deadshot con l’indirizzo di Felicity, tra l’altro lei mi ha spiegato di averla avuta da piccola e di aver dovuta lasciare al check-in quando ha lasciato l’Australia. Deadshot stesso sembrava terrorizzato all’idea che potesse morire. E Sara… lei ha detto di essere venuta qui con un target. Sono sicuro che sia lui. Ed è a Starling City.”
Finisco il mio discorso tutto d’un fiato.
“Ed è qui… per lei? Per Felicity?” chiede.
“Dig, tu non capisci!” urlo quasi, nascondendomi il viso con la faccia. “Lui mi ha fatto una promessa, è qui per mantenerla. Lui non vuole sua figlia. Tu non l’hai visto…dopo che gli è stato iniettato il Mirakuru. Lui… non era più lui” dico, fremendo al ricordo. “Riusciva a pensare solo a Shado. A come fosse giusto onorare la sua morte… a volte, sembrava quasi ci fosse il suo fantasma a controllarlo.”
L’uomo davanti a me è terrorizzato dalla mia reazione.
“Qual è questa promessa?” chiede, titubante.
Allora, a bassa voce, recito il mantra che non ho smesso di ascoltare per ore.
“Lasciarmi morire sarebbe stata una liberazione per me. Voleva farmi soffrire, farmi conoscere la completa disperazione.” Mi siedo, quasi cercando un appoggio. “E lo farà. L’ha promesso.” dico, quasi in trance.
“Non ti ho mai visto così, Oliver” dice silenzioso.
Lo guardo torvo. “Non ho paura per me.”
Prima che lui possa guardarmi con il suo solito sguardo interrogativo, punto gli occhi per terra. “C’è solo un modo per farmi provare la completa disperazione”
E come al solito Dig capisce. “Nessun uomo sano di mente ucciderebbe la propria figlia per vendetta.”
Alzo lo sguardo, pieno di rabbia. “E’ questo il problema. Lui è pazzo.”
Passa qualche secondo in silenzio. “E’ per questo che hai fatto restare Felicity a casa?” mi chiede.
La superintelligenza di quest’uomo inizia a irritarmi. Cerca di farmi dire cose che non ho nemmeno ammesso a me stesso. Ma è così. Come posso tenermi vicino Felicity, sapendo che l’unico modo di sopravvivere al prossimo mese è uccidere di nuovo suo padre? O sapendo che, se Slade avesse notato questa vicinanza, lei potrebbe essere la prossima a morire? Non posso, semplicemente.
“Sì” sussurro.
Ricevo uno sguardo torvo. “Stai sbagliando.” Poi Dig si alza e se ne va, lasciandomi da solo.
Mentre fisso insistentemente il cappuccio di Shado, un angolo remoto della mia mente si chiede dove diavolo è finita Sara.


due giorni dopo.


Felicity.
Sono due giorni interi che non vedo Oliver. O il covo. Ho pensato che fosse meglio lasciarlo un po’ senza la presenza costante di colei che gli ricorda tutte le cose sbagliate che ha fatto. Cioè io.
La figlia di Slade Wilson. Che a sua volta, gli ricorda la morte di Shado, o tutte le morti avvenute pur di difendersi da lui.
Ho passato così tanto tempo a convincerlo ad accettarsi, senza accorgermi di essere il promemoria del suo lato oscuro. E’ ovvio che non voglia starmi vicino.

Ma oggi è anche il giorno del Filantropo dell’anno, che, questa volta sarà una sorpresa. E ci andrò con Barry. E, ancora, oggi è il giorno del mio compleanno. Non che conti più di tanto. Mia mamma non me l’ha mai fatto festeggiare da piccola, e io l’ho sempre vissuto come un giorno normale. Ma oggi no. Perché non sono più piccola e spensierata, e detesto ammetterlo, ma sto male. Non mi sono mai sentita così: è come se il mio stomaco si fosse riempito di piombo. O peggio, come se fossi in un posto chiuso, le cui pareti si restringono sempre di più verso di me. Schiacciandomi. E ho bisogno di qualcosa che mi faccia sentire meglio. Un regalo, qualcosa di bello. E mi fido abbastanza di Barry per sapere che stasera mi farà sorridere.
Sento la vibrazione del mio cellulare: è lui. Mi avvisa che è appena uscito da Central City. Guardo l’orologio: è leggermente in ritardo. Almeno avremo un’entrata con stile. E io, che sono già pronta. Forse alla fine non aveva tanta voglia di uscire con me. Appoggio il telefono al letto, e scorgo la mia immagine allo specchio.
Un po’di trucco e il vestito mi fanno sembrare un’altra persona. Il colore del vestito, verde, in qualche modo valorizza il verde dei miei occhi, mentre il trucco ne valorizza l’azzurro. Non ho mai notato i miei occhi senza occhiali. Mi fa uno strano effetto.
Non ci vuole molto per iniziare a farmi paranoie su come mi sta il vestito, o sulle gambe troppo scoperte.
Fortunatamente, c’è qualcosa a distrarmi. Mi giro verso la finestra, ma mi trovo Oliver davanti.
Cerco di mascherare lo spavento: per un momento ho pensato che fosse Slade… mio padre. “Non si bussa?” chiedo nervosa.
Mi fa quel sorriso malizioso che spesso mi ha messo in crisi.
“Non è il bagno delle donne.” Mi risponde.
Rido nervosamente, ricordando quando, dopo quella stessa battuta, mi aveva promesso una bottiglia di quel vino pregiatissimo. Ripenso alla mia immagine allo specchio, e quanto io sia cambiata in nemmeno un anno. Il mio cambiamento non mi dispiace, fortunatamente. Penso anche a quanto sia cambiato Oliver, e soprattutto mi chiedo perché sia qui. Pensavo mi volesse lontana da lui. Sembra leggermi nei pensieri.
“Un uccellino mi ha detto che oggi è il tuo compleanno.” dice, mostrandomi un pacchetto.
Sento le guance andarmi in fiamme. “Già” sussurro.
Le sue labbra si aprono in un sorriso. “Aprilo, dai.”
Titubante, prendo il pacchetto. Cerco di aprirlo senza rovinare la carta, ma dopo un po’, Oliver impaziente, mi strappa il pacchetto dalle mani e rompe la carta in un secondo. Apre la scatoletta nera.
Dentro c’è forse il ciondolo più bello che abbia mai visto.
Non so che materiale sia, se cristallo, o qualcosa di molto più caro, ma è verde smeraldo. La parte superiore è liscia e compatta, mentre l’altra parte sembra avere milioni di sfaccettature. Sembra captare tutta la luce della stanza e moltiplicarla. La forma è familiare: una freccia.
Sorrido come un’imbecille, ma a quanto pare non sono l’unica.
“Sembra che faccia pendant con il tuo vestito.”
“Già” dico, per la seconda volta. Sono due giorni che non lo vedo. Questo potrebbe essere una visita di compleanno come un addio. E posso comprendere entrambe le ragioni, ma in ogni caso mi sento triste ed euforica allo stesso tempo.
Delicatamente, posa una mano sul mio fianco, esortandomi a girarmi verso lo specchio. Prende la collana dalla scatoletta e l’avvicina al mio collo. Dovrei sentire il freddo del metallo, ma sto andando a fuoco. Tutto ciò a cui riesco a pensare è il fatto che le sue mani, calde mi stanno sfiorando. Non sento più il piombo nello stomaco. Le gambe mi tremano e non riesco a controllarle.
Ogni particolare di questo istante si fissa nella mia mente: le sue labbra leggermente dischiuse, le pupille dilatate fino a quasi coprire il blu dell’iride, i suoi respiri leggeri contro la mia pelle. Il suo smoking, e il fatto che sia più alto di me. Il modo in cui le sue ciglia lunghe si aggrovigliano.
Quando termina il suo lavoro, e alza lo sguardo, è esattamente nelle mie stesse condizioni. Insieme, guardiamo la nostra immagine allo specchio, e so per certo che siamo la cosa più bella che io abbia mai visto. Al suo fianco, vedo la bellezza anche in me.
“Sei bellissima” sussurra.
E’ la prima volta che me lo dice. Per quanto sia una cosa stupida, è questo il mio regalo di compleanno, il mio primo regalo di compleanno. Accenno un sorriso, e non riesco a smettere di guardarci.
Il suono del citofono spezza la tensione. Guardo fuori dalla finestra: è Barry. Esprimo il mio dubbio ad alta voce. “Ha detto di essere partito da Central City dieci minuti fa”
Oliver mi guarda interrogativo. “Ci vogliono due ore di macchina per arrivare da Central City.”
Si allontana di qualche passo. “Devo andare anche io, divertiti.”
Io scendo le scale, e lui scompare. Chissà da dove è passato.
Quando apro la porta, davanti a me c’è un Barry elegantissimo. Non sembra nemmeno lui.
“Buona sera” mi saluta, offrendomi una rosa rossa. Quanto romanticismo il giorno del mio compleanno.
Guardo meglio il ragazzo di fronte a me. Lo prendo in giro sulla acconciatura spettinata: non sembra sia stata fatta apposta.
“Sembra che ti sia fatto la strada correndo” dico ridendo.
All’improvviso si mette sulla difensiva, imbarazzato. “Certo, che non mi sono fatto la strada correndo.”
Da piccolo, una persona che conoscevo è stata colpita dalle radiazioni dell’acceleratore di particelle di Central City. Aveva sviluppato delle strane abilità.
Resto interdetta per qualche secondo. “Stavo solo scherzando” dico, sorridente.





Salve! Questo capitolo è abbastanza corto per due motivi:
1. Perché ciò che segue è veramente complicato, inizialmente dovevano essere un capitolo, che poi ho diviso e questa è la prima parte.
2. Perché volevo fare un regalino di Pasqua a chi segue questa storia con qualcosa di più romantico!
Al prossimo capitolo, spero vi sia piaciuto :*


 

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Capitolo 14
*** Chaos ***


14. CHAOS

Felicity.
“Hai per caso idea di chi sarà il Filantropo dell’anno?”
La domanda di Barry mi distrae dalla magnificenza della sala: a quanto pare, fortunatamente ho azzeccato il vestito. Temevo di essere troppo elegante, o troppo poco. Ci sono metà delle dipendenti della Queen Consolidated, perse nella convinzione che il filantropo dell’anno sarà proprio Moira Queen. In effetti questa voce correva tra i corridoi da qualche mese. Ma probabilmente Oliver ce lo avrebbe accennato. Probabilmente tutti gli imprenditori della città sono qui, in questa sala incredibilmente addobbata, ambendo per un altro premio da aggiungere nella loro Hall of Fame. Anche Oliver ne ha una, a casa sua, stipata di riconoscimenti che suo padre si è guadagnato insieme ad altri amichetti che poi ha messo in una simpatica lista di proscrizione privata.
Sicuramente Barry capisce dalla mia faccia quanto mi dia fastidio stare in mezzo a questa gente, che fa del bene alla città solo per scopi personali.
“Ci sono voci sul fatto che possa essere Moira” dico, sorridendo. Incrocio il suo sguardo: Barry è bello. Il colore neutro della giacca risalta gli occhi e il colore della sua carnagione. Inoltre sembra contento di essere qui, ed è ciò a risaltare il suo sorriso, puro. E’ bello: un dato di fatto semplice quanto inutile.
Si guarda intorno. “Ci sono altre voci a Central City, si parlava di un certo…”
“Signorina Smoak!.” Qualcuno lo interrompe: il detective Lance.
“Sera, detective” rispondo senza pensarci. Dimentico sempre il fatto che ora non è nient’altro che un agente di pattuglia, ma questa volta non me lo fa notare.
Il detective guarda Barry. “Oh, sei accompagnata. Pensavo che… bè, niente. Posso scambiare due parole in privato con la signorina?”
Barry sembra interdetto. Perché il detective è rimasto sorpreso al fatto che io fossi accompagnata? Forse se lo sta chiedendo lui adesso. “Ma certo” mi stringe delicatamente la mano. “Vado a prendere da bere.”
Ora che Barry ci ha lasciati, il viso del detective Lance sembra piuttosto spaventato. “Arrow è qui, vero? Dopo quello che è successo l’anno scorso, è certo che sia qui.”
Il mio sguardo va verso Oliver. Lo trovo subito, spicca tra la folla. Sta parlando con sua mamma e Thea, e dietro, come al solito c’è Dig, anche lui in smoking. Lui almeno ha un motivo ufficiale per stare vicino a Oliver, per poter comunicare facilmente in situazioni di pericolo. Dig mi sta guardando, interrogativo. Io sono costretta a distogliere lo sguardo, per evitare qualche inconveniente.
“Certo che è qui.”
Alle mie parole, il detective spalanca gli occhi e si passa le mani sui capelli, nervoso. “Se ne deve andare. E’ arrivata una soffiata alla centrale, gli ufficiali hanno circondato l’edificio.”
Il mio sguardo corre di nuovo spaventato verso Oliver, incontrando quello di Dig. “Perché me lo sta dicendo? Potrebbe finire in carcere.”
Non c’è nessuna replica. “Deve dirmi cosa diceva questa soffiata, detective.”
“Non so le parole esatte, se l’avessi ascoltata la polizia non ne sarebbe mai stata informata, lo sai! Era un collega del filantropo dell’anno, penso, almeno, è la cosa più logica!” spiega velocemente, agitato.
“Come? Non è Moira il Filantropo dell’anno?” rispondo a mia volta con una domanda. Non che mi aspettassi che fosse lei.
“No, non è un uomo di Starling City, ma ha recente donato più di un miliardo di dollari per la ricostruzione di The Glades. Per quanto possa aver donato Moira Queen, lei è anche il volto della distruzione del quartiere. Non l’avrebbero mai eletta Filantropo dell’anno.”
Logico.
“Se ha intenzione di sequestrarmela per un secondo di più, avrà bisogno di un mandato, detective.” Avvicinandosi, Barry posa la mano calda sul mio fianco.
Visibilmente scocciato di essere stato interrotto, il detective lo corregge: “Agente”.
Infine, prima di voltarsi, si avvicina al mio orecchio. “So che la stanno cercando, la polizia è tenuta al corrente delle evasioni da The Glades. Gli uomini fuggiti erano assoldati da un unico uomo, che da quanto ho capito è a Starling City. I servizi segreti australiani lo chiamano Deathstroke. Ha il potere di distruggere un’intera città, e il distintivo è la prima cosa che darei per proteggerla.”
Senza aver mosso un muscolo ho il fiatone. Slade Wilson, mio padre, faceva parte dei servizi segreti australiani, prima di diventare qualcos’altro. Deathstroke dev’essere il suo nome. Dove ha trovato il detective tutte queste informazioni? Ci ha seguito? Forse, e più probabilmente ha seguito gli evasori, e da loro ha ricavato ogni informazione. Allora non sa del mio recente viaggio in Australia?
“Felicity? Mi vuoi dire che diamine sta succedendo oggi?”
Barry stringe ancora il mio fianco, voltandomi verso di lui.
“Perché la guardia del corpo del signor Queen ci sta guardando con aria truce?” continua.
“Forse è geloso di te” dico, quasi ridendo. Non sono mai stata brava a mentire, ma Barry fa finta di bersela, stando al gioco.
“Vuoi farmi credere che nemmeno l’agente poteva resisterti?” risponde con un’aria maliziosa che mi fa sorridere sinceramente e spontaneamente.
“Esattamente” sussurro, avvicinandomi. La carta della seduzione è l’unica che può aiutarmi a eludere domande che non voglio ricevere e alle quali non posso rispondere.
La musica, prima in sottofondo, si alza di volume, annunciando l’inizio del primo ballo.
Mi porge la mano. “Saranno ancora più gelosi se mi concedessi questo ballo.”
Mi sento come una sedicenne che non può avere il ragazzo che vuole e cerca di farsi piacere un ragazzo che farebbe innamorare a prima vista chiunque altra. Totalmente irrazionale. Molte volte capita l’impossibile, lo so: che il ragazzo-ripiego diventi il ragazzo che fa venire le farfalle nello stomaco. Con questa speranza, stringo la sua mano, e ci avviamo sulla pista da ballo.

Circa venti minuti più tardi la musica inizia a scemare, e gruppi di persone cominciano a spostarsi da una parte all’altra della sala.
Sicuramente per assistere meglio alla scena, all’elezione. Non ho mai assistito a una cosa del genere e sicuramente non fremo adesso per farlo. Barry è della stessa idea. Perciò ci sistemiamo vicino al bar, dove stiamo consumando probabilmente il nostro quarto drink, quando una persona che dovrebbe fungere da presentatore si avvicina al microfono.  Nonostante la lontananza ho una perfetta vista sul palco, e, meglio ancora, su Oliver e Dig. Vedo il detective Lance vicino a loro, che li guarda sospettoso. Una voce piuttosto irritante riempie la sala.
“Nonostante buona parte di loro non ha ancora avuto modo di conoscere la bontà di quest’uomo, sono sicuro che non si riserverà di far conoscere la sua bellissima persona a tutta la città. Signore e signori, il Filantropo dell’Anno! Il signor Salde Wilson!”
Sento qualcosa di pesante riempire il mio stomaco e togliermi l’aria. Non riesco a respirare, e tanto meno a nascondere lo sgomento. Tutto ciò che riesco a fare è cercare Oliver con lo sguardo. I nostri occhi si incontrano: anche lui mi sta cercando. E’ nelle mie stesse condizioni. La mano di Dig è scesa silenziosa sulla pistola, così come quella del detective a pochi metri da loro. Non riesco a nascondere lo sgomento. Non riuscirò a nasconderlo a Barry. Detective Lance incrocia il mio sguardo e si avvicina a me con un espressione protettiva sul volto.
Le mie gambe tremano. Non ho intenzione di guardare verso il palco. “Uh, inquietante!” esclama Barry affianco a me. Ciò mi costringe a sollevare lo sguardo verso il palco.
Riconosco vagamente l’uomo dei miei ricordi e della foto. L’uomo di fronte a me è visibilmente più vecchio. La cosa inquietante a cui si riferiva Barry è senz’altro la benda che copre l’occhio destro, ma si poteva benissimo riferire al suo portamento, sicuramente contrastante con la sua corporatura. Tutto in lui esprime grandezza. Tutto in lui fa paura. Non è questo l’uomo che mi ha abbandonata, me , e mia madre. Non è lui. Non è lui.
Barry si accorge di quanto sto stringendo la sua mano. Quando mi guarda perplesso, cerco di respirare e rilassarmi.
“Che cosa ti succede?” mi chiede preoccupato.
In tutta risposta, distolgo lo sguardo. Non sono sicura di riuscire a spiccicare parola.
Slade Wilson inizia a parlare. La sua voce è roca e profonda. Quella non è cambiata. “Voglio dire grazie, un enorme grazie, a questa città, che mi ha accolto con gentilezza e affetto. Vedete, sono una persona molto legata ai legami familiari e di amicizia. E in onore di quelli voglio ringraziare il mio vecchio amico Oliver Queen…”
Mi volto di scatto verso di lui: dal suo volto non traspaiono emozioni se non cordialità. I suoi pugni sono chiusi nella tasca della giacca.
“…Non sarei arrivato sino a qui se non fosse stato per la nostra promessa” continua Slade, con lo stesso sorriso innaturale di Oliver. A differenza sua, appare molto più naturalmente a suo agio. Cosa lo rende così sicuro di se? Il Mirakuru? Il fatto che non può succedere nessuna delle cose che ha architettato in passato tra il pubblico?
“Prego, sali qui con me, amico.”
Mentre Oliver sale, tutte le persone che prima apparivano disinteressate, hanno gli occhi puntati su di lui. Starling City consoce meglio Oliver di Slade, su questo non c’è dubbio.
Dig si comporta come la sua ombra: lo segue senza lasciarsi più di cinquanta centimetri indietro.
Dal canto mio, mi rendo conto troppo tardi di starmi aggrappando a Barry con tutte le mie forze. Le mie gambe non mi reggono e non sono sicura di riuscire a mascherare le mie espressioni quanto lo sa fare Oliver.
“Che diavolo ti prende? Stai male?” mi fa infatti lui. Le sue sopracciglia incurvate verso il basso rendono l’idea della sua preoccupazione, e gli occhi innaturalmente aperti ancora di più.
Riporto il peso sulle mie gambe insicure e, senza guardarlo negli occhi rispondo, titubante : “Tutto bene.”
Mi afferra per un braccio. “Ti porto a casa.”
Lo guardo interrogativa e spaventata. Il solo pensiero di andarmene da questo posto è un sollievo e una tortura. “Non posso lasciare…”
“Chi Felicity?” mi interrompe. “Chi stai cercando di proteggere? Cosa sta succedendo?”
Questa raffica di domande mi fa capire che forse ha capito di questa serata più di me.
Per un attimo la mia mente si annebbia. Non capisco più niente. Le voci nella sala si fanno ovattate.
Mi guardo intorno, stralunata. “Io…”
“Ti porto via di qui” afferma, e nel frattempo, mi volta verso l’ingresso con il braccio.
Le voci della stanza si alzano di volume quando sento il mio nome dagli altoparlanti, forte e chiaro.
“I miei ringraziamenti vanno anche a Felicity Smoak, la segretaria della Queen Consolidated. Ti prego, sali sul palco.”
Guardo in basso. “Tu…? Lo conosci?” mi chiede Barry incredulo.
Indecisa, scuoto la testa.
“Sono vecchie conoscenze” esordisce una voce affianco a me.
Mi volto verso il detective Lance. “Venga signorina, la accompagno sul palco.”
Mi accorgo della mano di Barry stretta alla mia solo quando la lascio andare.
 
 
 
“Cosa vuole quell’uomo da Oliver?” sussurra il detective mentre passiamo in mezzo alle persone.
“Quell’uomo è Deathstroke” dico, senza nemmeno sentirmi.
“Oliver è Arrow”. Guardo sbigottita l’uomo affianco a me.
“Non importa. L’ho sempre saputo” continua lui.
“Lei… lo odia, odia Oliver. Odia Arrow.”
“Non è più così” risponde secco. “Ma il punto non è questo. Cosa vuole da voi!?
Tremante, cerco di spiegarglielo in poche parole. “E’ mio padre biologico. Era insieme a Oliver sull’ Isola. Oliver l’ha ucciso, ma lui ha una sostanza in corpo che lo rende praticamente immortale. E’ qui per lui.”
Quando finisco di parlare, mi ritrovo davanti all’ultimo scalino del palco. Da qui vicino, Slade Wilson è ancora più spaventoso. E’ alto almeno quanto l’armadio di casa mia. Si può intuire la forma dei suoi muscoli anche dallo smoking. Tra i suoi capelli neri, ce ne sono anche di bianchi. Nel momento in cui mi stringe la mano penso: mio padre.
Mi tornano in mente tutte le volte che ho pensato a come sarebbe stato averne uno. Tutte le volte in cui sono stata invidiosa di un’amica. Nei suoi occhi, però, non c’è niente di quello che sto provando io. Solo, divertimento, a stento nascosto.
Dig, dall’altra parte del palco, è pallido nonostante la sua carnagione. Oliver è pallido e basta.
Sento la presenza protettiva del detective Lance dietro di me.
Non so se si fosse preparato un discorso, se avesse intenzione di parlare al pubblico, oppure semplicemente doveva andare così.
Le sirene, forti e assordanti iniziando a urlare, annebbiandomi non solo l’udito, ma tutti i sensi.
Vedo le persone del pubblico spaventate correre in ogni direzione. Il mio sguardo incrocia quello spaventato di Barry, che viene trasportato verso l’ingresso dalla folla. Quando ormai tutti sono usciti, guardo Oliver, già pronta a  correre per uscire, ma c’è una persona in passamontagna che gli punta un fucile.
Spaventata, sposto lo sguardo altrove, verso Slade, interrogativa, prima di notare il fucile puntato su di me. Su Dig. Sul detective.
Siamo circondati.
Il primo pensiero che riesco a generare è: saremo fortunati a uscire di qua tutti vivi.


COSA HAI INTENZIONE DI FARE?!” urla Oliver.
E’ piuttosto difficile descrivere tutto quello che si dicono. Io riesco solo a sentire il pulsare della mia pelle della nuca, dove c’è poggiato il ferro freddo dell’arma che potrebbe mettere fine alla mia vita. Inoltre, c’è ancora il suono delle sirene, ormai diventato flebile.
“Il tuo problema è con me! PRENDITELA CON ME!”
Slade risponde con voce fredda e incolore. Come se non avesse mai provato sentimenti, a dispetto di quello che dice. “Tu hai ucciso Shado, non me, signor Queen.”
Slade ammicca verso di me. Oliver se ne accorge, e smette di nascondere la sua paura. Il suo volto si contrae in una smorfia di dolore che sembra essere quasi fisico.
LORO NON CENTRANO NIENTE! PERCHE’ NON MI UCCIDI E BASTA!?”
Le risate di Slade echeggiano per la sala vuota. Dalle finestre si vedono le luci blu e rosse delle volanti della polizia.
“Oh, ti sto uccidendo eccome. Solo in un modo un po’ più lento.”
Il su sorriso appare naturale, ma sfigura il suo viso, che forse un tempo era bello, senza quella strana benda e l’odio che gli distorce le membra. Cosa ho di lui? La forma degli occhi, forse. La forma della mascella, magari. Non mi vedo in nessuna parte di lui, forse perché io ho così paura, e lui ha controllo diretto sulla mia vita, in questo momento.
“Ucciderò tutte le persone che hanno confidato in te. Tutte le persone che hanno sperato su di te. Che si sono fidate. Che ti hanno amato. Che ami. E poi, scoccherò una freccia nel tuo occhio” continua, tra le urla di Oliver. Con la coda dell’occhio vedo le mani di Dig scivolare sulla pistola: il suo aguzzino è troppo occupato a osservare la scena. Vedo fare lo stesso al detective Lance.
“Ma non stanotte. Nessuno morirà oggi. Volevo solo passare per dare l’inizio ai giochi.”
Al suono delle ultime parole di Slade, il fucile si allontana dalla mia nuca, e la stessa cosa succede a tutti gli altri.
Fa per voltarsi, sembra voglia uscire di scena con eleganza.
Ma Dig e il detective atterrano in due secondi tutti e quattro gli uomini in quattro secondi.
Slade si gira, le sue mani sembrano tremare per la rabbia. E’ pazzo? Qual è la persona normale che esce di senno in questo modo?
“Avete sbagliato a farmi cambiare idea” dice poi, calmo.
Sento il detective Lance dietro di me caricare le sue due pistole. Il suo sguardo è acceso e determinato. Con quello sguardo è capace di far paura a ogni criminale, ma non a Slade Wilson, che prende un fucile da uno dei suoi uomini, e me lo punta contro.
Indietreggio, spaventata. “NO!” urla Oliver. “COSA STAI FACENDO?!”
Ma Slade non sta guardando né me, né Oliver. Sta guardando sotto i gradini, dove è nascosto Barry. Cosa ha intenzione di fare?  I nostri sguardi si incontrano, il mio interrogativo. Fuggi, cerco di dirgli. Corri, scappa.
“Eddai, ragazzo, qual è la persona sana di mente che si priva del suo stesso sangue?” Lo sa, penso. Sa che sono suo
“TU SEI PAZZO!”
“No” sussurra poi Slade.
Ma poi, spara verso il mio cuore.
 
 
“NOO! TI UCCIDO!” sento, le urla che provengono da Oliver.
Tutto ciò che vedo, invece, è una macchia rossa che si precipita verso di me, e mi porta lontano dalla traiettoria del proiettile.
Vedo lo sguardo determinato del detective prima che anche lui prema la mano sul grilletto. E infine, vedo il proiettile destinato a me, finire su di lui. La macchia rossa a cui mi sono aggrappata mi stringe mentre corro verso di lui. “NO!”
Slade Wilson scompare prima che i molteplici proiettili sparati da Dig gli finiscano in testa. Oliver si precipita su di me, ma io mi precipito sul detective Lance.
Il luccichio non ancora spento nel suo sguardo determinato è prova del suo coraggio, molto più che il suo distintivo nel petto.
Ma poi, quello stesso sguardo si spegne.







 
Eccoci qua! Avevo programmato una morte d’impatto in occasione del primo incontro con Slade, ma i produttori mi hanno fregato Moira, e siccome volevo essere originale, ho pensato a una morte che nel telefilm sarebbe ancora più d’impatto. Ora iniziano i veri casini, e d’ora in poi sarò davvero crudele, siete avvisate! Spero che comunque la storia vi piaccia, ci si vede al prossimo capitolo, baci!




 

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Capitolo 15
*** Compromesso ***


15. COMPROMESSO

Oliver.
Non sto correndo, ma sto comunque scappando. Prima che qualcuno mi veda, che qualcuno si renda conto che un qualche pazzo voleva uccidermi, o prima che qualcuno si chieda per quale fottuta ragione quel pazzo vuole uccidermi? Prima che qualcuno possa fare due più due, prima che mia mamma possa addirittura chiedermi come mai Slade Wilson mi conosceva, perché non è in nessun modo possibile che Oliver e Slade si siano conosciuti su un'isola in mezzo al nulla. Perché Oliver Queen ha dichiarato di aver passato cinque anni da solo, su quell'isola: non ha mai amato, su quell'isola, mai vinto, mai perso. Mai ucciso. L'ha dichiarato di fronte a una macchina della verità.
Ma non è la verità, non lo è, e io non sono più Oliver Queen, non so più esserlo da 5 anni.
E quel pazzo è veramente tornato per uccidermi, per mantenere la sua promessa.
Non c'è niente che possa fare, appartene nascondermi nel covo. Cerco di ignorare l'assenza del costante ticchettio al computer, e lancio bruscamente le chiavi della moto sul tavolo di ferro. Mi trovo davanti al fantoccio che uso per allenarmi, ma adesso non si tratta di allenarmi, adesso si tratta di urlare tutta la mia rabbia, la mia paura, la mia angoscia, e la mia disperazione, il mio desiderio di essere morto sul Gambit o meglio, il mio desiderio di non esserci mai salito. Avrei preferito restare tutta la mia vita a tradire Laurel e la sua idea dell'amore vero, piuttosto che rischiare di perdere tutto ciò che ho da perdere.
Prendo a pugni il fantoccio con tutta la mia forza, sino a sentire le nocche pulsare, e a vederle livide. Urlo sino a consumarmi le corde vocali, e a vedere sfocato.
"Ollie, fermati!". Sento delle mani delicate che mi vogliono costringere a smetterla. Ancora tremante, mi giro verso Sara.
"DOVE DIAVOLO ERI TU?" Urlo, con tutto il fiato che mi rimane nei polmoni.
Lei mi rende uno sguardo triste, uno sguardo che non riesco nemmeno a reggere, che mi porta troppi ricordi. Rivedo il suo sguardo pietoso mentre cerco di estrarmi un proiettile dall'addome, attraverso delle sbarre, e lo ricordo in ogni singola notte su quell'isola a consolarci, a consolarmi con quei suoi occhi pieni di un misto di pena e pietà. E questo mi fa venire voglia di urlare, ancora.
"Non ti dirò dove sono stata." risponde, con voce flebile.
"Bene." Tiro un altro pugno al fantoccio. Le sue sopracciglia si incurvano, così come le sue labbra. Pensavo fosse cambiata in quei tre anni, invece è ancora la solita Sary.
“Ha sofferto?” chiede poi. All’inizio non capisco, ma poi ricordo il detective, e il mondo mi crolla addosso. Come diavolo ho fatto a non pensarci? Come diavolo ho fatto a essere così egoista ancora una volta?
“No.”
Un altro pugno, e un altro ancora.
"Ti stai facendo male inutilmente." Si avvicina e allontana i miei pugni dal fantoccio. "Basta così."
La guardo, senza dire niente. Cerco solo di calmarmi. Ma le immagini di Slade che spara a Felicity, la sua vita stave per finire, e poi? Cosa è successo? So soltanto che non dovrei sentire questo sollievo al solo pensiero. Una persona è morta, non una persona qualunque, ma il padre di Sarah, di Laurel, e io sono contento, perchè il proiettile ha mancato Felicity. Che razza di persona sono?
Non riesco a togliermi quelle immagini dalla testa. Non posso.
"Ollie, lo so cosa è successo."
Strappo le mie mani dalle sue. "Certo che lo sapevi. È il tuo target."
Sgrana leggermente gli occhi e le sue labbra a cuore si dischiudono; per un estraneo potrebbe sembrare perfettamente a suo agio, ma capisco che non voleva lo sapessi. Si passa una mano tra i capelli, nervosa, e poi mi guarda. "Sì" .
"Perché non me l'hai detto?" sussurro "un indizio, un avvertimento, qualcosa..."
"Non lo avresti voluto credere " sussurra di rimando. Solleva un sopracciglio, un tic che ho imparato a conoscere bene. Poi solleva la voce. "Ma è così Ollie. Devi ammetterlo a te stesso. E devi credere che puoi fermarlo. Dimmi che ci credi..." dice, mentre posa una mano sul mio viso.
Cerco di riempirmi i polmoni, e cerco di crederci, ma dalla mia bocca non esce nulla di simile. "Cosa volevi vendicare?" chiedo, ricordando la prima conversazione da quando è tornata.
I suoi occhi si fanno lucidi. "La tua morte".
Allora forse sono morto davvero. Ollie, è morto davvero. E una parte di me vuole avere la vita senza problemi di quel surrogato di me stesso che aveva la normalità, e la banalità. Ma non il pericolo, non la paura. Una parte di me vuole tornare il vecchio Ollie, che non avrebbe esitato un attimo a tuffarsi tra le braccia di una ragazza che potrebbe capire il suo dolore. Avrebbe accettato la mano d'aiuto di Sara, l'avrebbe baciata e se la sarebbe portata a letto.
 
E così, è quello che faccio.
 
Felicity.
"Senta, cosa vuole che le dica? Che ho visto sparare all'agente? non ho visto niente. Ero svenuta, dannazione."
Dopo almeno una quindicina di domande tutte uguali, riesco ad alzare la voce con il detective che mi sta interrogando. Le nuvole grige che si stanno accumulando nel cielo contrastano con le luci rosse intermittenti delle volanti della polizia. Forse tra un po’ inizierà a piovere. Incrocio lo sguardo di Dig, anche lui con lo sguardo esasperato. In un tacito accordo, abbiamo deciso di far finta di essere svenuti, per non raccontare ciò che veramente abbiamo visto, e cioè che Slade Wilson...mio padre, ha ucciso il detective davanti a me. Mio padre, ha ucciso una persona davanti a me. Lo so, lo so che quel proiettile non era per me. In qualche modo lui era a conoscenza delle abilità di Barry.
Barry… dove è finito? Senza fare caso al detective che mi interroga, schiaccio per l’ennesima volta il tasto di chiamata.
“Signorina, la sto interrogando, si rende conto che non può chiamare le persone mentre la interrogano, giusto?” mi richiama irritato il detective. Il modo in cui si rimette a posto gli occhiali mi distrae, e mi fa venire la nausea.
“Mi scusi, ha per caso capito cosa ho ripetuto negli ultimi tre quarti d’ora?” dico, cercando di sembrare gentile.
“Sì, era sv…”
“Sì, ERO SVENUTA! E’ un concetto così complicate, Dio!?”
“Allora dovrebbe andare all’ospedale, no?”
No. Sto bene. E non ho bisogno…” boccheggio, buttando per terra quella pesantissima coperta che mi hanno messo addosso “di questa fottuta coperta!
“Felicity, calmati.” la voce calda di Dig mi arriva alle orecchie, e così la sua mano si posa nella mia spalla, leggera, come a calmarmi. Mi sfugge un sospiro di sollievo. “Dimmi che ce ne stiamo andando…”
In tutta risposta, Dig si rivolge al detective, dandogli un foglio con una firma enorme, e con una scrittura orribile, ma sto divagando. “Questo foglio dice che ce ne possiamo andare.”
“Ma qua…” inizia il detective.
Dig mi tira per la mano, e con il suo solito sorriso sghembo, mi porta via da lì, senza ascoltare le sue ultime parole.
“Arrivederci.”


Ormai lo stress mi occupa la gola con un nodo così stretto che non mi lascia respirare.
“Felicity! Felicity! Respira, concentrati. Dov’è Oliver?”
“Barry, devo parlare con Barry! Sicuramente vuole parlare con me, sa che voglio delle spiegazioni, lui sa, mi conosce, si fida di me, devo parlargli, devo trovarlo…”
Sto completamente delirando, e diventando isterica, in mezzo alla strada. E per di più sta per piovere.
Dig mi prende per le spalle, cercando di farmi calmare.
“Felicity, hai appena visto morire una persona. Respira.”
Vorrei piangere, e so che se guardassi Dig negli occhi probabilmente inizierei a piangere e potrei non fermarmi.
“E ora dimmi come fai a non pensare a Oliver adesso. Felicity, c’è un uomo con i superpoteri là fuori, che lo sta cercando, e tu pensi a Barry Allen?”
Sollevo lo sguardo su di lui, senza capire. “Io penso a Oliver sempre. In ogni istante.”
Lo sguardo di Dig si intenerisce, ma continuo a parlare prima che possa dirmi qualcosa.
“Ma Barry è indifeso, e non capisce cosa gli stia succedendo. Lo so”
“Guardami. Barry Allen, ha appena avuto la lucidità di salvare te e condannare un’altra persona. Il detective Lance è morto, e si sente in colpa.”
L’impatto con quelle parole è forte e inaspettato. Nel momento in cui sbatto gli occhi, mi sento le ciglia bagnate.
“Sapeva di Oliver.”
Dig mi guarda interrogativo.
“Il detective Lance sapeva di Oliver e mi ha avvisata di quello che stava succedendo. E ora Oliver non saprà mai che l’aveva perdonato da tempo.”
Prendo un bel respiro, e parlo, ad alta voce. Dì la verità ad alta voce, e poi riparti da lì, avevo letto, in un libro.
“Per colpa mia” affermo con voce rotta. “Perchè, a causa mia, il detective era la persona sacrificabile.”
Dig contrae le sopracciglia, come se stessi dicendo qualcosa di impossibile.
“Non dire niente”, gli intimo. “Vado a vedere se Oliver è al covo.”

Il rumore dei tacchi sugli scalini mi permette di concentrarmi sul mio obiettivo: non piangere.
Ma appena vedo Oliver non freno l’impulso di corrergli incontro e di stringerlo forte.
Il contatto con il suo corpo mi calma, e mi permette di chiudere gli occhi e rilassarmi. Dopo un attimo di esitazione, mi stringe anche lui, e sento i suoi muscoli distendersi per pochi secondi, sino a che non mi allontano da lui.
Vedo qualcosa di strano sul suo viso.
“Vi hanno interrogato?”
E ora sento qualcosa anche nella sua voce, come se volesse liberarsi di me.
Lo guardo dubbiosa. “Che…che cosa stavamo facendo secondo te, io e Dig, nelle ultime tre ore?”
“Giusto” annuisce, abbassando lo sguardo sulle mia mani, che stanno allisciando il tessuto verde del vestito.
Dove eri tu?”
Oliver scuote la testa, come se non volesse capire le mie parole.
“Quando io ho bisogno di te, non perchè sto perchè morire ammazzata da qualcuno, ma perchè ho semplicemente bisogno che tu sia vicino a me, tu non ci sei…”
Felicity, stai di nuovo urlando. Controllati.

“Perciò, Oliver, dove eri?”
Lui alza un sopracciglio, e apre la bocca, come a iniziare un discorso di scuse, o magari…
“Ehi.”
Una voce delicata arriva dale spalle di Oliver.
Sarah. Ha il solito top che usava negli ultimi giorni, ma sta raccogliendo una maglietta da terra. Oliver è a petto nudo, anche se non ci faccio caso, perchè lui lo è sempre.
Istintivamente faccio un passo indietro, come se una folata di vento troppo forte mi volesse allontanare dalla verità.
Cercando di non deglutire troppo rumorosamente, mi rivolgo a Sarah. “Mi dispiace tanto per tuo padre.”
“Sai, colpa del mio.”dico poi, con voce piatta.
Oliver fa per allungare un braccio verso di me. “Felicity…”
Lo guardo, lo implore con lo sguardo, cercando di fargli capire quanto ho bisogno che stia zitto in quell momento, quanto ho bisogno che mi lasci andare via.
“Stai zitto.”
 Nel momento in cui gli volto le spalle, le lacrime iniziano a solcare il mio viso, calde e violente.


Il rumore dei miei tacchi attraverso il Verdant attutisce il rumore dei miei respire affannati. Appena apro la porta del club, sento il vento asciugarmi le guance. Cerco con lo sguardo la mia macchina. Il mio telefono vibra. E’ Dig… non ho voglia di rispondergli. Mentre cerco la mia auto, intravedo una figura familiare. Appena anche lui incrocia il mio sguardo, me lo ritrovo a 20 cm di distanza, seguito da una scia rosso fuoco.
“Barry!”
Mi tuffo immediatamente tra le sue braccia. “Ero così preoccupata per te…”
Fa un sorriso buffo. “Ho notato” dice, indicando il telefono.
“Perchè non mi hai risposto!?” Il sollievo si trasforma in un sorriso, e e il sorriso si trasforma improvvisamente in una risata così fragorosa che si potrebbe sentire per decine di metri.
Lo stringo forte tra le braccia come se non volessi più lasciarlo andare.
La risata forte e spontanea, si trasforma in un fiume di lacrime vero e proprio. Piango tutto il mio senso di colpa, piango perchè mio padre mi ha abbandonata, ed è un assassino. Perchè oggi ha ucciso una persona davanti a me, perchè il detective Lance se n’è andato, e sì, perchè Oliver è andato a letto con Sara, e perchè mi sento egoista a soffrire per questo mentre così tante cose sono successe.
Lentamente, le parole dolci e silenziose di Barry mi tranquillizzano, sino a che le lacrime non finiscono.
 
Una persona che conoscevo aveva sviluppato delle strane abilità, eh?” lo prendo in giro, con un sorriso stampato sulle labbra.
Lo sguardo divertito di Barry si avilisce un po’. “Non sono mai riuscito a controllarlo.”
Scuoto la testa, come per scacciare un brutto pensiero. “Come, no!? Pensavo fossi venuto a prendermi correndo” scherzo poi, cercando di alleggerire la tensione.
“Dai, non ero così spettinato!” si difende.
“Ah, questo lo dici tu!”
Ridere con Barry non è faticoso, anzi, è semplice come naturale. Siamo due persone perfettamente corrispondenti, sulla stessa linea d’onda.
“Vuoi parlarne?” gli chiedo, con una punta di paura, guardandolo negli occhi.
Lui, abbassa lo sguardo.
“So soltanto che, anche se non avevo mai usato i miei poteri consapevolmente, ho visto te in pericolo, e ho saputo immediatamente cosa fare.”
Anche dopo essersi sfogato, lo sguardo di Barry è vuoto. So che sta pensando quello che mi ha detto Dig. Come se lo avessi fatto cento volte prima, gli stringo la mano.
“E’ un bene, no?”. Gli sorrido, cercando di infondergli un pizzico di allegria.
“Decidi tu”
Improvvisamente la sua stretta nella mano si fa più forte,  mi ritrovo stretta alla sua schiena. Inizialmente tutto ciò che vedo è una sfocatura rossa. Mi sento sbalzata all’indietro e nel frattempo trattenuta al suo petto. Mi manca il respiro, e tutto ciò che vedo inizialmente è una scia rossa. Cercando di trattenere gli occhi aperti, invece, distinguo più chiaramente gli oggetti che mi circondano: le scie dei lampioni, le strade, i semafori in cui sfrecciamo senza ovviamente attendere il verde. Il respiro, e il battito di Barry sono regolari, nonostante la velocità inumana. La sfocatura infinita della città illuminata è una delle cose più belle che abbia mai visto. Una cosa del genere dovrebbe essere normale sono nei libri fantasy, ma invece lui l’ha creato per me.
Improvvisamente, mi ritrovo su un ponte, nient’altra luce che quella fioca di un lampione che sta per fulminarsi definitivamente.
Il mio corpo reagisce all’adrenalina ridendo, ancora, e ancora.
“Dì la verità ad alta voce, e poi riparti da lì” ripeto ad alta voce, con lo sguardo verso l’acqua.
Mi rendo conto che la mano di Barry è ancora stretta alla mia qualndo la pressione aumenta leggermente. C’è qualcosa che non mi fa sentire completamente a mio agio.
“Avevo la possibilità di scegliere tra la tua vita e la vita del detective Lance. Ho scelto te”, sospira. “E lui è morto. Per colpa mia.” Il suo sguardo vacuo e triste è davanti a me.
“Non dovr…”
E non faccio in tempo a finire la frase perchè mi bacia. Le sue labbra fredde sono sulle mie e io mi abbandono completamente, cercando di non pensare a quanto la cosa giusta, e cioè stare con lui, che mi fa sentire così bene, sia così sbagliata.





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Capitolo 16
*** Incubi ***


16. INCUBI

Felicity.
Apro gli occhi alla luce del sole. Un trillo continuo mi ha fatta svegliare: una chiamata. Cercando di non fare movimenti bruschi mi avvicino al comodino  per prendere il telefono. Oltre alla chiamata ora in arrivo ce ne sono altre sette perse.
“Oliver? Dimmi”
Dove sei?” urla al telefono.
“Shh! Sei impazzito? Sono a casa, mi sono appena svegliata”
Sei impazzita tu? Come ti viene in mente di sparire con Slade in circolazione e non rispondere alle chiamate, per di più quando sei da sola a casa tua?”
Sola a casa mia.
Il mio sguardo cade alla mia sinistra, il corpo di Barry avvolto nelle lenzuola, e la sua mano che sfiora la mia. Mi tornano in mente le scene di ieri notte, e le mie guance avvampano. Una piccola parte di me non pensava certo che sarebbe rimasto tutta la notte. Invece è qui, non certo una costante degli uomini della mia vita.  
“Sì, hai…”
Dig ha detto che stavi cercando Barry. L’hai trovato?” mi interrompe, brusco.
“Sì…sì, è qui con me” balbetto.
Hai detto che ti sei appena sv…
“Oliver! Stiamo arrivando” dico, chiudendogli il telefono in faccia.
Stringo la mano di Barry affianco alla mia, sperando che si svegli subito. Sbatte le palpebre; alla luce del sole le sue ciglia sembrano bionde e più lunghe del solito.
Ripenso a quanto tempo sono rimasta sveglia stanotte, a guardare il soffitto, senza veramente riuscire a rilassarmi, senza nemmeno rendermi conto di quanto stanca e distrutta fossi.
Non appena Barry mi sussurra il buongiorno, un sorriso si apre sulle sue labbra e, a vederlo così rilassato, mi calmo anche io.
“Preparati. Dobbiamo andare” gli sussurro in risposta.
Ma Barry si avvicina lentamente sino a quando non sento le sue labbra sulle mie, senza nessun’ombra di cautela. Sono così sorpresa (anche se non dovrei, dopo stanotte) che mi irrigidisco e appoggio una mano al comodino per reggermi. Ma non lo respingo, e Barry mi fa scivolare le mani dietro la testa e mi bacia ancora più a fondo, aprendo le mie labbra con le sue e tirandomi il braccio per farmi salire sul letto. Il suo tocco è caldo e gentile. Mi sento stordita. Concedo a me stessa di chiudere gli occhi e vivermi il momento.  
Ma quando il telefono torna a vibrare faccio un salto all’indietro come se Barry mi avesse spinta, anche se in realtà mi stava tenendo stretta.
Mi fissa un istante cercando di decifrare il mio sguardo. Poi, si avvicina e mi da un delicato bacio a stampo sulle labbra.
“Dobbiamo andare”, mi dice poi.

Oliver.
Chi altro c’è con te nell’isola?”
L’uomo ha uno sguardo truce e una pistola in mano. Non penso che la userà.
Io mantengo lo sguardo basso. “Quante armi avete? Avete trovato le tombe?” continua a incalzarmi lui con le sue domande. Continuo a guardare per terra, ancora convinto che non userà quella pistola. Ha bisogno di risposte e io sono l’unico che può dargliele, perciò non morirò oggi.
Lentamente, punto il mio sguardo sul suo, strafottente. “Vai all’inferno.”
“Non posso, ci sono già.”
Il suono potente dello sparo perfora i miei timpani prima che possa percepire il dolore. Ma poi arriva
tutto.
AAAARGH” Non riesco a far altro che ansimare, e urlare. Il liquido rosso rende le mie mani appiccicose e inizia a riempirle. Le mie palpebre diventano pesanti, e alzo lo sguardo sull’uomo, ma lui non c’è più. Al suo posto c’è una donna dai capelli dorati e gli occhi verdi. Nonostante le sue sembianze angeliche, sembra totalmente a suo agio con le mani sulla pistola. La sua espressione è neutra, ma le sue parole sono di ghiaccio.
“Tu non mi priverai di mio padre”
Riesco a sentirla nonostante le mie urla rimbombino dappertutto.
Poi tutto diventa buio.


Quando riapro gli occhi, le mie urla echeggiano per tutto il covo. Il mio battito cardiaco non accenna a rallentare e la mia respirazione è ancora irregolare. In mezzo alle mie urla riesco a distinguere le parole di Sara che cerca di calmarmi. Con le sue mani che mi strattonano violentemente mi rendo conto della realtà.
“Sei a casa Ollie! Non è reale! Sei al sicuro!”
Ancora ansimante e bagnato di sudore, crollo nell’incavo del suo collo, cercando di respirare regolarmente. Sono al sicuro, mi ripeto. Sono a casa.
Sara cerca di tranquillizzarmi avvolgendomi con le sue braccia, ma ormai ci sono abituato. Nelle ultime notti, questo è successo in continuazione. Succedeva anche appena tornato dall’isola, ma più raramente, sino a che via via, gli incubi non sono dileguati. Sono tornati quando è tornata Sara, ma so bene che non è l’unica cosa che è successa quel giorno. Quel giorno ho baciato Felicity, e quello stesso giorno lei si è allontanata da me. Ho incominciato a percepire sempre di più che mi stava nascondendo qualcosa, ed era così, mi stava nascondendo il collegamento che mi avrebbe fatto capire che Slade è suo padre, e che lei non potrà mai essere mia. Quella notte a Broome mi sentivo rassicurato dalla sua presenza e l’incubo non si è trasformato in un vero e proprio attacco da sindrome post-traumatica. Ma da quando siamo tornati a Starling la situazione è precipitata.
Gli incubi sono tornati, più forti e più inquietanti di prima. E il tema è sempre lo stesso. Felicity vuole proteggere Slade.
Pensavo sinceramente che la presenza di Sara, che è riuscita a calmarmi per mesi su quell’isola, avrebbe cambiato la situazione.
Per questo non l’ho respinta. Forse è questa la vera definizione di egoismo. Tutto quello che ho fatto con Sara l’ho fatto per me. E lo sguardo di Felicity ieri prima che se ne andasse dal covo, conferma che è quello che anche lei pensa di me. Cerco lo sguardo di Sara e istintivamente chiudo gli occhi, quando le sue labbra sfiorano delicatamente le mie. Dentro di me cresce un desiderio potente e improvviso di farmi abbracciare, stringere, baciare, così da poter dimenticare ogni cosa. Sollevo le braccia e le allaccio dietro il collo di Sara per attirarla a me. I capelli di Sara non sono dello stesso biondo di quelli di Felicity, penso, mentre le mie dita sono tra le ciocche dorate, e Dio, non dovrei pensare a lei in questo momento. Cerco di reprimere ogni pensiero, ma invano. L’intenso desiderio cresciuto improvvisamente, tutto d’un tratto si attenua. Non sento più niente, tranne una gelida sensazione di inadeguatezza.
Con cautela mi allontano da lei, mascherando un sorriso.
“C’è già luce, che ore sono?”
“Sono le nove” mi risponde sorridente.
“Allora chiamo gli altri.” affermo, mentre digito il numero di Dig e Felicity. “Abbiamo molto da fare.”

Quando Diggle entra dalla porta sul retro e mi vede con Sara, alza gli occhi al cielo nel secondo dopo avermi dato il buongiorno. Quell’uomo sembra sempre capire tutto.
“Felicity non è ancora qui?” chiede, sorpreso. “In genere è qui anche da prima di te.”
“L’ho chiamata venti minuti fa, e ha detto che stava per arrivare. Poi le ho mandato un altro messaggio, cinque minuti fa.”
“Dovrebbe essere già qui” mi anticipa Dig, aggrottando le sopracciglia.
“Potrebbe centrare qualcosa Slade?” interviene Sara, avvicinandosi al mio fianco e stringendo leggermente la mia mano.
“Non penso” dice Dig.
“Sembrava tranquilla” dico, dubbioso.
Dig guarda verso il basso, cercando di nascondere un ghigno.
Lo guardo interrogativo. “Ha detto che era con Barry. Forse è andata a prenderlo al suo albergo,  per questo sta ritardando.” Guardo l’uomo imponente di fronte a me. “Giusto?”
In tutta risposta lui scrolla le spalle.
“Stai tranquillo, Ollie, non ce li ha Slade.”, sussurra Sara.
“Dig, sai per caso dov’è l’albergo di Barry?”
Lui guarda in basso, prima di guardarmi di nuovo in faccia. Sembra che voglia mandarmi un messaggio tramite gli occhi, ma proprio non lo capisco.
“Sarebbe dovuto venire solo per il ballo, Oliver, e poi avrebbe dovuto passare la notte a casa sua, a Central City. Non penso abbia fatto in tempo a prenotare un albergo”
“Ah” Ah. Ha dormito a casa sua. Mi costringo a chiudere la bocca.
Mi volto immediatamente verso le scale quando sento il suono dei suoi tacchi.
“Buongiorno a tutti” saluta, con voce smagliante. Tra il fatto che oggi non porta gli occhiali, e che il vestito è di un azzurro quasi bianco, i suoi occhi sembrano più grandi e accesi del solito. La mano di Barry è pericolosamente vicina alla sua, ma cerco di distoglierne lo sguardo. Prendiamo un po’ di tempo per presentare Barry e Sara. Barry è interamente preso dall’osservare il covo: le frecce, l’arco, e la teca di vetro dove è custodito il cappuccio verde. Seguo Felicity con lo sguardo mentre va ad accendere i suoi computer. Dopo qualche secondo, si volta verso di me e mi sento colto in flagrante.   
“Quindi?” mi chiede. La guardo interrogativa per un secondo.
“Qual è la nostra prossima mossa?” mi chiede Barry, dall’altro lato della stanza. Io sono ancora disorientato, e Sara interviene al posto mio.
“Innanzi tutto, ognuno deve fare qualcosa. Felicity può cercare informazioni su Slade in rete, qualunque cosa, ogni minimo dettaglio. I suoi spostamenti, i suoi mezzi, i suoi conti. Anche le tue abilità di tecnico forense ci serviranno” dice, rivolgendosi a Barry “Iniziamo da qui.”
Barry si avvicina agli schermi di Felicity, già al lavoro. Sara mi lancia uno sguardo interrogativo: tutto bene? E io distolgo lo sguardo.
Felicity inizia a spiegarci la situazione. “Ho trovato un archivio che pesa parecchio, dovrebbe contenere parecchie informazioni. Potrei tentare di accedere, ma il sistema è offline.”
“Dobbiamo andare ad accenderlo come abbiamo fatto con Dollmaker” interviene Dig.
“Esatto” Felicity gli lancia uno sguardo complice “è una sede staccata della Argus di minima importanza. A mio parere, è stato situato lì perché è l’ultimo posto in cui qualcuno cercherebbe delle informazioni così importanti. La sicurezza è minima. Dig, potresti coprirci grazie ai tuoi contatti alla Argus. Purtroppo il sistema è complicato da accendere, perciò dovrò andarci io, e qualcuno dovrà essere in grado di riceve il segnale qui.”
“Felicity, non pensare di andare da ness…” inizio ad accendermi.
“Verrà con me” mi interrompe Sara. “Andremo insieme a Diggle, che ci coprirà le spalle, fuori dall’edificio. Tu non puoi uscire, perché probabilmente tu e Felicity siete i più controllati da Slade. Con la differenza che Felicity ci serve per le informazioni” mi zittisce.
Si rivolge a Barry “E tu sei senz’altro in grado di aprire la via nel nostro sistema per le informazioni che ti invierà Felicity dalla Argus, giusto?”
Barry incrocia il mio sguardo scocciato. “Sì, certo.”
Felicity si alza dalla sua scrivania. “E’ deciso, allora?” chiede, guardandomi speranzosa.
Annuisco, sapendo che non c’è altro modo, e vedo i tre uscire frettolosamente dal covo.
 
Questa sarebbe l’occasione perfetta per soddisfare il mio impulso di prendere Barry a pugni senza che nessuno lo sappia, ma non penso sia una buona idea. Potrebbe schivare i miei colpi con la sua supervelocità e a quel punto potrebbe abbrustolirmi la mano. Nemmeno lui sembra essere molto a suo agio con solo la mia presenza nella stanza. Ma non voglio incongruenze nel Team, perciò qualcosa mi spinge a prendere la parola.
“Grazie” dico a voce alta, dopo un respiro profondo. Barry, alle prese con il computer, si gira verso di me, lo sguardo sorpreso, e interrogativo.
“Per aver salvato Felicity quando io non ne avevo la possibilità” spiego brevemente. Lo sguardo di Barry si incupisce prima di rispondermi. “Ti riferisci a  quando il detective Lance è morto nel processo?”
“Sì” rispondo con fermezza. “Perché, avresti fatto un'altra scelta?”
Non c’era nessuna scelta da fare, penso tra me e me. Ma vedo dal suo sguardo che non è così. Passano altri minuti silenziosi, rotti solo dal rumore della tastiera. Ma io ho bisogno di una risposta.
“Perciò, non ti ha distrutto la schiena il divano?” chiedo simpaticamente.”
Barry aggrotta le sopracciglia “Quale divano?”
Senza rendermene conto, indietreggio di qualche passo, perdendo il respiro. Non pensavo che l’impatto con la risposta che volevo sarebbe stato così orribile. Sino all’ultimo ho sperato che Barry avesse dormito nel divano. Lui sembra capire, ora. “Oh…Oh. Forse ho detto qualcosa che non dovevo dire” dice, iniziando a scusarsi.
Nella mia mente passano le immagini di lei, lei tra le braccia di qualcun altro, lei tra le braccia di Barry, lei che sussurra il suo nome, lei che accarezza la sua pelle. E tuttavia cerco di controllare l’ondata di emozioni che mi pervade, cercando di apparire indifferente. “Cosa? No, scusami tu, pensavo davvero che… Niente.”
“Quindi davvero siete stati insieme?” mi incalza.
“Perché, chi te lo ha detto?” chiedo, di getto.
“Nessuno, ma non è sicuramente questa la risposta che speravo”
“No, Barry. Non siamo mai stati insieme. Non fare conclusioni affrettate.”
Mi guarda scettico. “Mai? Mai un bacio, mai niente?”
Mi torna in mente la sensazione delle sue labbra sulle mie, violente, affamate, le mie mani tra i suoi capelli biondi.
“Guarda lo schermo, Felicity sta accedendo al nostro sistema in questo momento. Tieniti pronto.”
Felicity.
“Dig, aspettaci qui, farò il più in fretta possibile.”
“Se non sei qui tra venti minuti accendo l’auricolare, va bene?”
“No Dig, è troppo facilmente rintracciabile. Resta qui. La sicurezza e minima.”
“Posso gestirla senza problemi” interviene Sara.
Dig annuisce e gli voltiamo le spalle. All’inizio è tutto tranquillo: con il mio tablet riesco a hackerare gli antifurti e disinstallarli, ma presto le poche guardie che ci sono si accorgono di noi. Vedere Sara in azione è così affascinante che smetto di chiedermi cosa ci trovi Oliver in lei. I suoi movimenti sono veloci e precisi, flessuosi ed eleganti, forti e potenti. La guardo totalmente presa e affascinata. Davanti a Sara ci sono quattro guardie che la attaccano e tre stese a terra. Sette. Ma nel piano di sicurezza erano illustrate le posizioni di otto guardie. Sara riesce a stordire tutte le guardie attorno a lei. Il mio istinto mi fa accorgere subito della posizione dell’ottava guardia: tra me e Sara, appena sbucato la corridoio a destra. Sara gli punta la sua pistola in testa, e toglie la sicura. “Mi dispiace, non puoi sapere che siamo state qui.” Nel momento in cui sta per mettere fine alla vita di un uomo che sta solo facendo il suo lavoro, sbatto con tutta la mia forza la pistola sulla nuca della guardia davanti a me, facendolo svenire. “Non uccideremo nessuno stasera.”
Ricevo in risposta un sorriso sghembo piuttosto soddisfatto. Raccolgo il tablet da terra per controllare la mappa. “E’ la stanza davanti a noi” dico raggiungendola. Gli archivi per la memoria in questa stanza sono immensi: le torrette di metallo occupano tutta la stanza tranne il centro, occupato da uno schermo. Mi avvicino e inizio a fare il possibile per accedere al sistema, mentre Sara mi copre le spalle. Dopo numerosi tentativi finalmente riesco ad accedere. Ma il lavoro non è finito. “Scrivi un messaggio a Oliver, digli che tocca a loro” la chiamo, passandole il telefono. “Io devo avviare l’upload, ora possiamo solo aspettare.”
“Quanto dovrebbe mettere?”
“Sette minuti da ora.”
Considerando il fatto che ci sono tante cose di cui dovremmo parlare, il silenzio che segue è piuttosto imbarazzante.
“Volete uccidere Slade?” chiedo alla fine.
“Che domande sono? Certo che lo uccideremo, o lui ucciderà noi, te compresa”
Scuoto violentemente la testa. “Tu non capisci. Da quando Oliver è tornato non ha ucciso nessuno, per onorare la memoria di…”
“Sì, nessuno. Perciò il corpo a terra con tre frecce nel petto, quando vi ho trovati, è stata opera divina? Lui ha ucciso, è ancora in grado di farlo”
Resto bloccata, e non ho idea di che cosa dire. “Noi non uccidiamo. C’è un altro modo. Barry può sviluppare una cura, ha già fatto queste cose in passato.”
“Felicity, è importante che tu capisca una cosa. Il fatto che Slade possa venire curato non diminuisce il suo desiderio di vendetta. Già senza Mirakuru lui era pericoloso. Non c’è veramente altro modo. Noi dovremo ucciderlo!” Sara si  avvicinata ha alzato la voce. I suoi occhi sono pieni di urgenza e paura. So che ha ragione. Ma… “E’ mio padre. Troveremo un altro modo.”
“Felicity, tuo padre non c’è più.”
“Sì, è stato ucciso” sussurro in risposta. Oliver l’ha ucciso…
“Stavate insieme?” mi chiede. Il cambiamento di discorso mi fa girare un attimo la testa. “Cosa?”
“Bè, quando vi ho trovati vi stavate baciando. E che bacio.” Aggiunge poi, guardando in basso.
Il mio telefono vibra. “Barry ha finito. Andiamo.”
Meno male. Non c’era modo di rispondere sinceramente a quella domanda.
 
La luce del covo è soffusa e rilassante. Non c’è nessuno: Barry è a casa mia, e Sara ha accettato a dire alla sorella che è viva. Perciò sia lei che Oliver sono da Laurel.
Cerco tra i nuovi documenti in mio possesso, registrando luoghi, oggetti in possesso di Slade. Davanti agli occhi mi capita una vecchia foto: Slade con una bimba dai riccioli d’oro. Il fascicolo successivo è intitolato Felicity Meghan Smoak. C’è tutto su di me: il mio indirizzo, i miei curricula,  i miei ex ragazzi… Assurdo. Taglio la cartella per incollarla nella mia pennina, e torno a guardare la foto. Sto ancora guardando la foto quando Oliver entra nel covo senza preoccuparsi di fare silenzio.
“Tutto apposto con Sara?” chiedo, senza staccare gli occhi dalla foto.
“Sì” risponde, freddo e distaccato. “Trovato niente di interessante?”
“Sì. Qua dice che quando è stato trovato in fin di vita sull’isola, la materia grigia dietro il bulbo oculare si stava ancora riformando. Durante il processo il cuore è andato più volte in arresto, sono state ritrovate diverse tachicardie: le cellule pacemaker non ricevevano più stimoli dalla parte del cervello danneggiata. Perciò gli hanno installato un dispositivo pacemaker artificiale” spiego.
“Non è niente che possa aiutarci a trovarlo.”


Oliver.
“Non è niente che possa aiutarci a trovarlo” dico, bruscamente senza rendermene conto.
Felicity stringe le labbra come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa, come se l’avessi ferita, e resta in silenzio.
“Prima ho fatto una brutta figura con Barry…” inizio.
“Perché?” chiede, prima che possa continuare.
“Gli ho chiesto se il divano l’avesse distrutto”
Cerco di evitare il suo sguardo, e scuoto la testa con l’imitazione mal riuscita di un sorriso in faccia.
Lei solleva lo sguardo su di me, all’inizio come a dire perché te ne preoccupi?  Ma poi mi guarda e basta, e io mi sento nudo per cinque secondi. Non sono in grado di dire niente, solo guardarla, guardare le sue labbra e rivivere la sensazione di quelle stesse labbra sulle mie.  Un rumore sopra di noi rompe il momento. Strano: il club dovrebbe essere vuoto oggi.
Felicity sale per le scale prima di me, e io la seguo. Ci avviciniamo al bancone, e troviamo una lettera e una rosa nera. Felicity apre bruscamente la lettera. C’è solo un grande cartoncino bianco, con una dedica, scritta con un inchiostro rosso.
To my beautiful Telemachus.
“Telemaco. E’…”
“E’ il figlio di Ulisse. L’ha mandata Slade, e io sono Telemaco.”
Quando Felicity prende in mano la rosa, per un momento mi sento di nuovo nei miei incubi,  vedo il viso di Felicity appena dopo avermi sparato. Faccio istintivamente un passo indietro, ma poi lei riappoggia la rosa sul bancone. Lo sguardo le si illumina e indica il francobollo.
“Adesso possiamo trovarlo.”


SPOILER---->HANNO TAGLIATO LA SCENA DEL BACIO! Scusate ma dovevo condividere la cosa con qualcuno ahah

 

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Capitolo 17
*** Piano ***


17.Piano

Oliver.
“Cosa intendi dire?” interrompo Felicity, spaesato. Lo sguardo di Felicity è ancora acceso, come se avesse appena avuto un illuminazione.
“Non lo vedi?” dice indicando il francobollo.
Aggrotto leggermente le sopracciglia, facendole segno di andare avanti.
“Questo non è un normale francobollo, infatti ha fatto consegnare la lettera a qualcuno dei suoi, o magari è venuto lui. Nessuna posta avrebbe consegnato della posta con un francobollo come questo” mi spiga tutto d’un fiato, le parole che come al solito si rincorrono velocemente in questi casi. “Guarda l’illustrazione; la croce, il simbolo della religione.”
Annuisco, ancora non capendo. “Ma, guarda la data, in basso: 1191. La terza crociata. La croce nel 1191 non era simbolo della religione.”
Quello che prima non vedevo ora mi  chiaro. “Era il simbolo della guerra. Lui sta…”
“Ci sta dichiarando guerra, sì.” Il silenzio seguente enfatizza la gravità della situazione.
“ Ma nel farlo non ha tenuto conto di un paio di cose. Dobbiamo chiamare Barry.”
Prendo il mio telefono e mando un messaggio al ragazzino. “Sta arrivando, vai avanti.”
Dopo aver mandato gli occhi al cielo, continua a spiegare. “Questo genere di oggetti così vecchi vengono tenuti in musei, o comunque tenuti da persone ricche che li dotano di un dispositivo GPS.”
“Non penserai mica che Slade non l’abbia rimosso.”
“No, certo, ma posso risalire al luogo dove il dispositivo è stato rimosso.”
“Hai ragione…”
“Sì, non può mica aver fatto un’azione così delicata in mezzo alla strada. E se fosse andato in uno studio, potremmo sempre minacciare l’esperto di cui si è servito per delle informazioni”
“Che cosa hai fatto di Felicity?” esclama una voce femminile vicino all’entrata del Verdant.
Sara si avvicina a me per darmi un leggero bacio sulle labbra, e Felicity inizia a fissare insistentemente il pavimento.
“Voglio solo mettere fine a questa storia” dice con voce flebile.
“In che modo?”, chiede Sara.
Felicity alza lo sguardo verso Sara, ed è una delle prime volte che vedo una tale rabbia nei suoi occhi. “Dobbiamo seriamente riaprire il discorso?”
Guardo spaesato le due ragazze affianco a me. “Che cosa sta succedendo?” chiedo.
“Niente!” esclama Felicity.
“Felicity!” esclama in rimando Sara. Dopo essersi accorta di essere troppo sgarbata, continua più gentilmente. “Oliver deve sapere cosa sta succedendo…”
Per qualche secondo vedo l’indecisione nel viso di Felicity, poi punta e gli occhi nei miei e dopo un profondo respiro, dice: “Io non voglio che voi uccidiate Slade.”
Perché!?” vedo le mie dita iniziare a tremare leggermente. Una rabbia cieca mi pervade senza motivo, prima che mi ricordi gli incubi.
Tu non mi priverai di mio padre.
Sento passare sul mio viso cento emozioni diverse tra lo sdegno e la paura.
“Le ho già spiegato che non c’è altro modo di porre fine a questa storia…” interviene Sara, stringendomi la mano.
“No, Oliver, fammi spiegare.” La interrompe Felicity, facendo un passo avanti.
“No, ho capito. E’ tuo padre, e tutto il resto.”
“NO! Vedi che non hai cap…”
“E ALLORA COSA, FELICITY? NON CAPISCI CHE NON È IL MOMENTO DI FARE I BUONI?” sbotto senza potermi fermare.
“Oliver, non è il caso di…” sento Sara mettersi tra me e Felicity.
“STANNE FUORI” sbottiamo in coro.
“Non è assolutamente per mio padre, Oliver!” inizia.
“E cosa è allora? Spiegamelo, perché non riesco a vederlo!”
“È PER TOMMY!” urla infine lei, mentre la sua espressione mi chiede come non ho fatto a capire prima. Il fatto che io non trovi niente da dire non basta a farla smettere di infierire. “Pensi davvero che io sia così egoista? Che non abbia pensato a come ti possa essere sentito tu prima di aver pensato a cosa questa persona possa veramente significare per me? Pensi veramente che lo lascerei portarti via tutto solo per il mio benessere personale? Pensavo che mi conoscessi!”
“Ehi, che sta succedendo qui?” Barry è appena arrivato, e Sara gli dice qualcosa tipo lascia perdere.
Ma tutti i miei pensieri sono ancorati a Felicity, che si è avvicinata ancora di più mentre mi urlava in faccia. Ho lo strano impulso di annullare completamente la distanza tra me e lei, ma in qualche modo riesco a stare al mio posto, forse pensando a Barry e Sara che ci guardano increduli. Il mio sguardo cade dai suoi occhi alle sue labbra, leggermente dischiuse. “Posso pensarci” sussurro poi. In teoria dovremmo aver risolto, ma lei non accenna a tornare indietro. La tensione potrebbe tagliarsi con un coltello. A fatica riporto il mio sguardo sui suoi occhi, più scuri del solito e leggermente lucidi.
“Va bene” risponde con un filo di voce, facendo un passo indietro.
“Va bene? Ollie, se ti avessi detto va bene  cinque anni fa, forse non saremmo in questa situazione adesso!” il viso di Sara è sconvolto. Probabilmente pure io sono sconvolto dall’essermi fatto quasi convincere così in fretta, ma ho ancora il calore della vicinanza di Felicity addosso.
“Bè, forse non avevate un Barry Allen pronto a creare una cura tutta per voi” cerca di sdrammatizzare Barry.
“Avevamo la cura.” Risponde Sara, fredda.
Felicity e Barry ci guardano con gli occhi sgranati.
“E tu l’hai ucciso lo stesso?” chiede Barry.
“Sì” dico infine io. “Sì, ho scelto di ucciderlo”
Negli occhi di Barry compare lo sdegno più totale.
“Non guardarlo in quel modo” si mette in mezzo Felicity.
Barry aggrotta le sopracciglia prima di guardare Feliciy. La sua espressione dice chiaramente che si sente tradito.
“In ogni caso non possiamo né uccidere, né curare Slade, se prima non lo troviamo” afferma lui.
“Hai ragione” dice Felicity, sollevandosi sulle punte dei piedi per abbracciarlo. È il mio turno di guardare il pavimento, ora.
“Barry, tu potresti analizzare la rosa, la lettera e il francobollo” dico tranquillo per alleggerire la tensione.
“Cos…? Ah, sì certo” risponde, vagamente disinteressato, con ancora il braccio destro attorno a Felicity.
Per qualche secondo il bar del Verdant rimane buio e silenzioso.
“Scendiamo giù” dice Sara infine.


Già a metà delle scale sento che qualcosa non è al proprio posto.
Sara lo avverte quanto me, sento la sua voce preoccupata sussurrare: “Felicity, Barry, state indietro.”
Barry, con uno sguardo preoccupato, prende una mano di Felicity e si sistema dietro di lei, pronto a correre e portarsela via al minimo pericolo. Avverto la presenza di Felicity dietro di me; sento i suoi respiri agitati e il suo fiato sul collo.
La luce nella stanza è spenta, e si accende senza che nessuno di noi prema qualche tasto. Intravedo due figure massicce nel buio completo del covo. Essendo sottoterra, la luce del panorama non filtra. Ma con un piccolo movimento, la luce si accende. Anzi no, non la luce; i computer. I computer emettono un suono penetrante prima di scoppiare in luci multicolori, quasi come fuochi d’artifici, e le una delle figure davanti a me diventa chiarissima.
“Dig!” sento il grido soffocato di Felicity dietro di me.

Felicity.
“DIG!” grido, alla vista del mio amico tra le mani di un enorme uomo mascherato. E’ enorme perfino in confronto a lui. Faccio per superare Oliver, ma mi stringe un braccio. L’altra mano me la stringe Barry. Cos’è questa cosa che tutti devono proteggermi?
Stai ferma mi mima con le labbra Diggle. Sgrana leggermente gli occhi quando una pesante lama di metallo gli si avvicina al collo, ma cerca di non agitarsi. Io no, non cerco di non agitarmi. Posso sentire il mio battito cardiaco nelle orecchie. Sento il pulsare costante e violento nel mio braccio dove Oliver mi stringe, intimandomi di non fare un altro passo.
“Slade” lo saluta Sara tranquilla.
Sgrano gli occhi. Cosa?
“Direi che puoi toglierti la maschera” dice Oliver, con voce alta e ferma. Senza allontanare la spada dal collo di Dig, l’uomo si toglie la maschera. Ed è lui: è veramente Slade, e non mi degna di uno sguardo. Perché dovrebbe, poi? Non sono nemmeno veramente sua figlia, mi dico, perché dovrebbe considerarmi.
“Peccato” dice, con un pesante accento straniero. Strascica le parole, e il che è irritante. È buffo pensare a quanto sia irritante il suo modo di parlare mentre potrebbe prendersi la vita di Dig da un momento all’altro. “Mi stavo divertendo.”
Slade si prende un po’ di tempo per guardarsi intorno, come se nulla fosse. Come se Sara non si fosse appena inchinata leggermente sul suo stivale per estrarre una pistola e puntargliela contro. Quando il suo sguardo incontra il cappuccio verde, centinaia di sfumature di dolore vero e puro compaiono sul suo viso. Ancora come se nulla fosse, il suo sguardo passa sulla salmon ladder, sul fantoccio per gli allenamenti, sull’arsenale di frecce e altre armi nel lato del muro. Dopo aver studiato divertito i miei schermi, punta il suo sguardo verso di me. È lo sguardo divertito di un folle. Istintivamente faccio un passo indietro, scontrandomi con il calore di Barry. Slade passa svariati secondi a studiarmi, e nel frattempo devo essere impallidita. Non riesco a muovermi, o a dire una parola. Il mio sguardo si sofferma sulla benda. Penso ai miei ricordi di lui prima che ce l’avesse e penso a Oliver che gli conficca una freccia proprio in quel punto. Abbandono gradualmente la stretta di Oliver e cerco di ricompormi. Molto probabilmente Slade Wilson è diventato questo personaggio per colpa di quella freccia. Molto probabilmente, sotto questo Slade Wilson, c’è l’uomo che fu mio padre. Le mie gambe iniziano a tremare così tanto che ho bisogno di reggermi.
“Cosa vuoi” sibila Sara, con la pistola puntata alla sua testa.
Slade si comporta come se l’avesse appena notata.
“Sara! Che piacere vederti! E così, sei sopravvissuta pure tu, non è vero? L’hai detto a tua sorella vero? Laurel… Stamattina era più entusiasta del solito quando ci siamo incontrati al bar” dice, sorridente. E’ una velata minaccia. Ci sta dicendo che sa dove è Laurel, e che gli basterebbe uno schiocco di dita per strapparle la testa. La presa di Sara sulla pistola trema leggermente e lei impallidisce.
“Cosa vuoi” ripete Oliver. La sua voce è quella di un automa. Fredda e distaccata. Vorrebbe far credere di avere il controllo della situazione, ma la sua mano tesa verso la mia trema convulsamente. Una parte di me sa esattamente cosa vuole, forse perché lo voglio anche io. Lo so, e posso dargli quello che vuole trasformando il tutto in un enorme vantaggio per la mia squadra. Cautamente, cercando di non farmi vedere da Slade che è occupato a minacciare, prendo il telefono della mia tasca. Cerca dispositivi GSP remoti/offline. Il programma che ho installato l’altro ieri nel telefono trova subito quello che volevo. Il francobollo. Devo soltanto accendere. Premo un tasto; il gioco è fatto.
Senza dare spiegazioni a Barry, stacco il francobollo dalla busta, cercando di fare il minimo rumore possibile per attaccarmelo nel lato interno dei pantaloni. Blocco il telefono in modo che una volta sbloccato porti direttamente ai parametri GPS del francobollo.
“È molto semplice, in realtà” afferma Slade divertito, riportandomi alla disastrosa situazione del covo. “Sono qui per uno scambio. All’inizio avevo optato per la signorina Lance, per questo scambio”
Sara fa un passo avanti, decisa. Slade sbuffa. “Intendevo quella bruna” precisa, riferendosi a Laurel. “Ma poi…mi sono imbattuto in questo signor Diggle, e ho pensato che avrei fatto prima.”
Non ci hai ancora detto cosa vuoi” sibila Oliver, infuriato come non mai.
“Voglio mia figlia” sbotta infine Slade, finalmente serio.
La mano di Oliver corre di nuovo verso la mia. Ne approfitto per mettergli tra le mani il telefono. Non ha tempo per girarmi e chiedermi cosa significa; lo capirà dopo. Oliver riesce a malapena a parlare. “È fuori discussione.”
“Se Felicity verrà con me, non  le farò del male. Cosa un po’ più improbabile per il vostro amico se questo non succederà” dice Slade, guardando Oliver negli occhi mentre avvicina ancora di più la spada al collo di Dig. Dig non si muove: sa perfettamente che al primo passo falso potrebbe finire male.
“Smettila!” urlo, quando vedo la prima strisciolina di sangue colare dal collo di Diggle. “Ferma” sibila Dig, guardandomi intensamente per enfatizzare il suo ordine. Si sente il rumore di Sara che sblocca la sicura. “E se non stessimo al tuo gioco?”
In qualche modo il suono della sicura mi fa impallidire. Non voglio che Slade muoia, quante altre volte lo dovrò ripetere?
“Sara, stai ferma. Slade, lascia andare Dig” dico, mentre faccio due passi avanti, mettendomi al centro delle due parti.  Mentre mi muovo lascio cadere la lettera che avevo in mano a terra, in modo che qualcuno del Team la noti e veda che non c’è il francobollo.
Un sorriso folle si apre nel viso di Slade.
“E’ stato più facile del previsto” ghigna lui, abbassando la lama e lasciando andare Dig. Dig ha la faccia decisamente sconvolta. Cerco di fargli un occhiolino, senza farmi notare.
“Non posso permettere che ti accada nulla di male” dico a voce alta a Slade. La mia recita deve essere realistica. Nessuno in questo momento può intuire il mio piano. Mi avvicino a Barry con uno sguardo sconsolato per schioccargli un bacio sulle labbra.
Lo sguardo di Oliver è sconvolto, terrorizzato, tradito. Fortunatamente ha ancora il mio cellulare in mano. Forse pensa che gliel’abbia lasciato perché non voglia essere contattato. Meglio che lo pensi in questo momento. Tutti devono pensare che sia un addio. “Mi dispiace” mimo con le labbra nella sua direzione.   
I miei schermi fanno di nuovo qualche strana scintilla e Slade Wilson mi porta via con  sé.



Oliver.
Tiro un calcio alla prima cosa che trovo a tiro. Sento il vetro del costume infrangersi in mille pezzi. Urlo sino a che non mi fa male la gola. Barry e Dig sono sconvolti, ma non quanto me. L’unica tranquilla è Sara, che cerca di calmarmi.
“Certo che devo calmarmi, vero!? Non te ne sbatte un cazzo di lei!
Non so come mi sento. Incazzato o tradito? Spezzato, forse, rotto. La sensazione è simile agli incubi. Già mi fanno paura ad occhi chiusi, figuriamoci alla luce. Questo non doveva succedere. Questo non sarebbe mai dovuto succedere. Ha preferito un padre che la abbandonata a me. Quindi sì, è piuttosto normale che io continui a urlare imperterrito insulti a caso a Sara. Insulti al mondo, a me stesso.
“Ollie, hai bisogno di calmarti. TUTTI VOI DOVETE CALMARVI!”
Con l’ultimo grido ottiene l’attenzione di tutti.
“Mi dovete ascoltare attentamente. Non avete capito cosa ha fatto Felicity. Dovete fidarvi di lei. Lei non vi tradirebbe.”
Guardo insistentemente il pavimento.
“Ascoltatemi. Guardatemi” dice, porgendoci la lettera di cui stavamo parlando poco prima.
“E allora?” dico. Dig non può sapere cosa è perché non c’era. Ma non ho proprio voglia di spiegarmi niente.
“Non c’è il francobollo”
Lo sguardo di Barry si illumina, e salta dalla sedia. “Se l’è messo in tasca.”
“Cosa!?” chiedo spaesato.
“Felicity! Si è messa il francobollo dentro la tasca.”
Un sorriso sghembo colora il viso di Barry e Sara.
“Ollie, dammi il telefono che hai in mano”
Mi stavo pure dimenticando di averlo. “Aspetta.”
Lo sblocco e mi ritrovo in una schermata simile in quella che vedo spesso negli schermi quando Felicity mi indica dove devo andare.
Il cuore mi diventa più leggero mentre inizio a capire.
“E’ riuscita a riattivare il segnale del francobollo” dico, con voce roca.
Sara annuisce soddisfatta.
“Si è messa in pericolo da sola, soltanto per mostrarci dove si nasconde Slade?” chiede Dig, sconvolto.
“Sì” dice Barry, e sembra quasi un esulto.
Sotto la paura per quello che potrebbe accaderle si accende in me una punta di puro orgoglio.
“Sa esattamente quello che fa” dico. “Ora è il nostro turno”.



 


C’è una sola parola per descrivere il discorso diretto tra più di tre persone: ESTENUANTE. Finalmente riesco a postare questo capitolo, era scritto da molto ma non ho avuto il tempo di niente. Nell'ultimo periodo, e penso si sia notato. Spero di essere tornata ufficialmente, e spero vi piaccia. Un bacio.

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Capitolo 18
*** Tocca e fuggi ***


18. TOCCA E FUGGI
Felicity
Mi risveglio di soprassalto, sbattendo su un muro alla mia destra. Sento qualcosa che non va nel mio stomaco, e sento la mia testa ondeggiare pericolosamente. Come mi sono addormentata? Come sono arrivata qui? C’è una sola risposta logica: mi hanno addormentata in qualche modo, forse drogata. Interrogo il mio corpo. Sento un dolore acuto nella parte sinistra della nuca. Forse mi hanno colpito talmente forte da farmi svenire. Una punta di panico mi stringe l’addome. Quanto tempo è passato? Per capirlo, ho bisogno di capire dove sono. Ma è buio. So a malapena di essere sdraiata su un materasso troppo piccolo per me, appoggiato al muro dove ho sbattuto appena svegliata. Il dolore nuovo e pulsante si aggiunge a quello già bruciante alla nuca. Strizzo più volte gli occhi per cercare di adeguarmi e abituarmi al buio. Per cercare di vedere qualcosa. C’è qualcos’altro che attira la mia attenzione. Sento di dondolare, ecco spiegato cosa non va nel mio stomaco. Un suono curioso attira la mia attenzione. Sembra uno di quegli irritanti pendoli che segnalano la tua entrata in negozio, solo con un ritmo regolare e cadenzato. Inizio a intravedere un sottile filo di luce che mi indica la presenza di una stretta finestra. Senza nemmeno pensarci, mi alzo per andare ad aprirla, inciampando per terra: il mio corpo non risponde come dovrebbe: segno che sono stata addormentata per molte ore, oppure che sono stata effettivamente drogata. Reggendomi al muro, apro la finestra cercando di fare meno rumore possibile e un fascio di luce entra nella piccola stanza, ferendomi le pupille. Senza riflettere penso che ci sia qualcosa che non va nei miei occhi ancora estranei alla luce: il terreno emette strane scintille e continua a muoversi. Strizzo un’altra volta le palpebre e il panorama di fronte a me diventa improvvisamente chiaro. Una vasta distesa d’acqua spiega il dondolio continuo e quello che a quanto pare è mal di mare, che mi mette in subbuglio lo stomaco e mi stringe la gola.
Un senso di inquietudine mi mozza il respiro. Sono in mare aperto? E se lo sono, come faccio ad andarmene? Come fa Oliver ad arrivare?
Poi vedo delle alte ombre sull’acqua. Ombre di palazzi. Sono in un porto, quindi? Il rumore che sentivo prima si fa più forte, man mano che i miei sensi si abituano, e me lo conferma. Sento il mio respiro accelerarsi e mi impongo di calmarmi.
Fortunatamente ho ancora i miei vestiti addosso, una cosa che, pensandoci, non avevo sperato. Le mie dita sfiorano il francobollo attaccato all’interno della tasca e mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo.
Alla luce fioca del sole, vedo la maniglia di una porta. Senza pensare alle conseguenze mi ci fiondo. Non è bloccata: posso uscire tranquillamente. Ma appena apro la porta mi scontro con qualcuno.
Quella benda sul viso mi è decisamente troppo familiare.
“Andiamo da qualche parte?” fa la sua voce roca.


Oliver.
“Oliver, si sono fermati” dice Dig.
Questo basta a distrarmi e a farmi arrivare il bastone di metallo di Sara dritto sullo zigomo.
Con un cenno dico a Sara di far silenzio e di non preoccuparsi.
Anche Barry si allontana dal telefono di Felicity senza pensarci.
“Si sono fermati anche sei ore fa, ma poi hanno ripreso a muoversi dopo un quarto d’ora”. La voce di Barry è sempre più tesa con il passare delle ore. E ne sono passate trentacinque esatte, da quando abbiamo visto Felicity l’ultima volta, che si autoconsegnava a un pazzo che forse una volta si poteva spacciare per mio padre, con un siero micidiale in corpo e che ha sparato una persona esattamente dietro di lei, uccidendolo solo perché gli andava.
In queste trentacinque ore Barry si è fatto sempre più pallido e irritabile. Né io né lui abbiamo chiuso occhio, cosa che può essere normale per me ma non per lui. Chissà, forse prova veramente qualcosa di forte per lei. Per Felicity. Forse può essere la persona che fa per lei. Chiudo gli occhi e mi costringo a non pensarci.
“Sono fermi da un’ora” ci informa Dig, portandomi via dai miei pensieri.
“Dove sono?” interviene Sara.
“Sono al porto di Central City”
Barry aggrotta le sopracciglia. “Intendi dire che è su una barca?”
Dig annuisce.
“Se dovessero partire, per noi sarebbe molto più difficile tracciarli e raggiungerli” dico sconvolto.  “Non possiamo perderla in mare aperto” tuona di fronte a me Barry. I suoi occhi sgranati probabilmente rappresentano al meglio come mi sento io.
Mi premo le mani sulla fronte. “Dobbiamo agire adesso.”
“Abbiamo bisogno di un piano un po’ più complesso se Felicity si trova su una barca” si limita a commentare Sara.
Diggle scuote la testa. “No, dobbiamo agire subito.”
“Se quello è il posto di Slade dobbiamo distruggerlo. E dobbiamo esserci tutti” dico esasperato.
“Ci saremo tutti” annuisce Barry.
“Ma non abbiamo tempo!” ribatto. “Quella barca potrebbe partire in qualsiasi minuto”
“E’ piuttosto grande per sparire da un secondo all’altro” ci comunica Dig.
“Ma comunque tra dieci minuti potrebbe non esserci più!” osservo, con la voce sempre più alta.
“E’ una possibilità” annuisce Sara.
“E allora posso andare io! Arriverei in 10 minuti. Potrei prendere Felicity e tornare!” esclama Barry esausto.
Sara lo guarda un po’ storto. “C’è bisogno di tutti e quattro per distruggere la nave.”
“Ma se non ci dovesse essere tempo? Cosa facciamo, lasciamo Felicity nelle grinfie di Slade?” chiede il ragazzino, esasperato. Ha ragione.
Ma è un occasione che non possiamo perdere. Ci dev’essere un altro modo.
“Barry, potresti andare e aspettare noi, nascosto, nel porto. Se vedessi che succede qualcosa di troppo, entri e prendi Felicity. Sennò ci aspetti” dico alla fine.
Ricevo un bel po’ di occhiatacce. Ma quando chiedo di proporre qualcosa di più logico nessuno risponde.
“In ogni caso, non possiamo lasciar andare il ragazzino da solo” commenta Sara.
Probabilmente Barry si è offeso a sentirsi chiamare ragazzino. “Ho la vostra età” ribatte stizzito. “Comunque potrei prenderti in braccio. Sei la più leggera e sei anche piuttosto letale, mi hanno detto.”
Sara ci pensa un attimo. “Per me va bene” annuisce. Poi si rivolge a me e Dig. “Voi quanto ci mettete?”
Lancio a Dig uno sguardo divertito. Lui ha un’idea piuttosto completa del mio garage. “Non più di mezz’ora” risponde, al posto mio.
Non faccio in tempo a dire “Andate” che Barry afferra Sara per un braccio e tutti e due scompaiono in un’immensa scia rosso fuoco.
Inarco le sopracciglia. “Figo”, mi fa eco Dig.
“Prendi le bombe plug&play” ordino.
“Aspetta, Oliver!” mi chiama Dig. Sembra turbato. Poi fa un sorriso d’intesa. “Prendi la Aston Martin”
La risata appena accennata che mi provoca mi distrae dal nervoso, dalla paura, dal terrore per qualunque cosa possa accadere a Felicity. Mi da’ la concentrazione di cui ho bisogno.



Felicity
Slade chiude delicatamente la porta dietro di sé, come se non volesse essere sentito da nessuno. Sposta il suo sguardo perennemente a metà tra il divertito e il minaccioso, da me, alla finestra aperta.
“Vedo che ti sei già goduta il panorama” commenta.
Cerco di stare al gioco. “E io che mi sono immaginata un’immensa villa con quattro guardie a ogni angolo o punto buio” dico sarcastica.
“Bè, direi che potresti conoscermi meglio, con il tempo”
Adesso non riesco più a fare la sarcastica. Non fingo nemmeno più di sentirmi a mio agio. Mi giro verso la finestra e una scintilla rossa mi arriva alla vista. Dopo un piccolissimo attimo di esultanza svanisce. Probabilmente era solo un miraggio provocato dall’ansia.
“Mi avete drogata?” cambio discorso.
“Diciamo solo che non c’era bisogno che tu sapessi il percorso per arrivare sino a qui.”
Scuoto la testa. “Qui? Dov’è qui?” chiedo, cautamente. Non posso rischiare di fare domande troppo esplicitamente, o troppo sfacciata. Chissà come potrebbe reagire. Per un po’ prima di oggi ho pensato di avere a che fare con un uomo normale, ma invece mi rendo conto che non c’è niente di lontanamente sano in lui. Ulteriore motivo per non ucciderlo, per dargli la cura.
Mi sorride. Ed è strano, perché in genere le persone che sorridono sembrano più felici, più belle, più buone. E in lui è tutto al contrario.
“Non c’è bisogno che te ne preoccupi. Tra un’ ora non saremo più qui”
C’è qualcosa che mi fa rabbrividire nel modo in cui lo dice.
Sollevo un sopracciglio. “E dove saremo, tra un’ora?”
“Bè, in mare aperto presumo. Per… non so, dove vorresti andare. Saremo in continuo movimento. Non saremo mai fermi.”
“Perché?” tutte le mie parole ormai assomigliano a rantoli. Se questa barca, o nave, o qualunque cosa sia, dovesse partire, non potranno mai trovarmi. Dovrò stare tutta la vita con Slade, cercando di scappare, e alla fine mi rassegnerò, perché so di cosa è capace, mi minaccerà, con i mie cari, con Oliver…
“Perché ho intenzione di vedere Oliver Queen cercarti per tutta la sua vita, facendogli trovare ogni tanto foto di te che subisci torture, video con la tua voce che implora, qualunque cosa, ma mai spegnendogli la speranza che tu sia ancora viva, da qualche parte nel mondo” dice, dalla sua voce sembra che mi stia raccontando la lista della spesa. Cerco di non far notare che ho bisogno di asciugare le mani nei pantaloni. “E poi, quando saranno passati anni e anni di profonda, completa disperazione, ti troverà.”
Sollevo il suo sguardo, cercando una traccia di bontà del suo sguardo, di pietà dopo il modo in cui ha concluso la frase.
“…Troverà il tuo corpo. E io sarò lì a vedere il suo sguardo perdersi quando capirà che mentre lui sprecava la sua vita a cercare una persona che non avrebbe mai potuto avere, tu stavi subendo le peggiori tor....”
Vai via, VATTENE!” grido disperata. “VATTENE!”
Il suo sguardo non sembra turbato. Si guarda il telefono. “Bè, in ogni caso mi chiamavano in sala comando”.
Chiude la porta come se nulla fosse.



Oliver.
“Come diavolo fate a essere già qui?” ci chiede incredulo Barry. Mi limito a mostrargli il mio portachiavi. Barry spalanca la bocca, e Dig gli da’ una grossa pacca sulla spalla, che avrebbe potuto capovolgere una persona normale. “Non è il momento” diciamo quasi in coro io e Sara.
“Dig, è questa la barca?” chiedo incredulo.
“Bè, sì” risponde, alzando lo sguardo sull’enorme nave spoglia che oscura buona metà del piccolo porto di Central City.
“Felicity è ancora là dentro?” chiede Sara, andando verso un argomento più consono.
Barry si fruga le tasche per qualche secondo prima di trovare il telefono di Felicity, stranamente ancora intatto.
“Sì” annuisce. “Dovrebbe essere nel piano più basso, nella prima ala a destra.”
Dig consegna a Sara e Barry le bombe plug&play. A Barry na da almeno una decina, da spargere in un area più vasta che quella assegnata a me, per esempio. Mi sto stringendo la faretra quando Barry ci ferma. “Aspettate!”
Mi volto, e sta guardando lo schermo del telefono di Felicity, spaventato. Dannazione. “Felicity si sta muovendo”.  
“Le schermate termiche indicano che è da sola. Slade è dall’altra parte della nave, in sala comando. Ci sono pochi uomini” ci informa Diggle, con lo sguardo fisso sul tablet.
Sta tentando di scappare… “Speriamo che non faccia casini prima che la troviamo” dico sconsolato. “Muoviamoci”, ordino agli altri
Però sono il primo che si mette a correre.
 


Felicity
Non riesco più a reggermi in piedi, e cado nel letto. Sento i miei occhi che bruciano, e un nodo in gola non mi permette di respirare. Sto male al solo pensiero di non aver visto Oliver per 35 ore consecutive. Cosa dev’essere non vederlo mai più in tutta la vita? Al solo farmi questa domanda delle fitte feroci partono dal petto per irradiarsi in ogni angolo del mio corpo. Vorrei gridare ma riesco a malapena a far arrivare l’ossigeno ai polmoni. Disperata, mi porto le gambe al petto e mi avvolgo con le mie stesse braccia, cercando di calmarmi.
Non è ancora finita, mi dico. C’è ancora tempo. Ma se non dovesse arrivare nessuno? E se non dovessero fare in tempo? Non posso sempre dipendere dagli altri per la mia salvezza. Non posso permettere a cose stupide come il tempismo, di farmi passare una vita d’inferno. Devo cercare di salvarmi da sola. Cercando di fare più silenzio possibile, giro la maniglia improvvisata della porta. Il corridoio di fronte a me è vuoto, grigio e pieno di altre porte. Ho bisogno di entrare in una stanza, e osservare il panorama da un altro punto di vista. Non posso avvicinarmi alla sala comando, devo andare nell’altra direzione. Furtivamente, un passo silenzioso dopo l’altro vado dall’altra parte del corridoio. Sento il mio battito cardiaco a mille e ho paura che anche gli uomini qua vicino possano sentirlo, da quanto è forte. Sento le mie giunture scricchiolare a ogni passo nonostante mi stia sforzando di essere silenziosa. Cerco di ripetermi che è solo una mia impressione, che nessuno mi sentirà. Apro la porta. Tiro un sospiro di sollievo quando la trovo vuota, e quando vedo la finestra che dà sulla città. Molto probabilmente sono a Central City.
Ordino a me stessa di tornare nel corridoio e continuare in quella direzione, ma sono quasi impietrita. Muoviti, Felicity mi ordino. Ti scopriranno.
Il mio cuore si ferma per un secondo quando dalla porta socchiusa intravedo del movimento. Una guardia forse? Mi appiattisco al muro, cercando di nascondermi alla vista di chiunque stia passando. Cerco anche di non respirare, non si sa mai. Continuo comunque ad aver paura che qualcuno possa sentire il mio battito. Quando sono abbastanza sicura che nessuno sia più nei dintorni, mi azzardo a mettere un piede, poi l’altro, fuori dalla porta. Sono scoperta, ma sono abbastanza certa di essere al sicuro.
Quando all’improvviso sento un braccio stringermi forte al fianco e vengo sbalzata al muro, perdendo il fiato che avevo trattenuto.
A questo punto più niente mi impedisce di gridare e lasciar andar fuori tutto il mio terrore, tranne una mano che mi tappa la bocca.



Non penso di aver reso al meglio questo capitolo, ma comunque, eccolo qui!
Buona lettura, e fatemi sapere cosa ne pensate, ricordate che critiche e commenti mi aiutano a scrivere meglio.
Inoltre volevo dire un grosso Grazie a tutte le persone che seguono la mia storia. Un bacio, al prossimo capitolo:) :*





 

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Capitolo 19
*** Al sicuro. ***


Questa volta vi saluto all'inizio, giusto per dirvi buona lettura. Il titolo vi rimanda a una scena importante che spero vi piaccia.  Questo capitolo mi entusiasma assai. Perciò, BUONA LETTURA! 

19. AL SICURO
Felicity.
Sono scoperta, ma sono abbastanza certa di essere al sicuro.
Quando all’improvviso sento un braccio stringermi forte al fianco e vengo sbalzata al muro, perdendo il fiato che avevo trattenuto.
A questo punto più niente mi impedisce di gridare e lasciar andar fuori tutto il mio terrore, tranne una mano che mi tappa la bocca.
“Shh!”
Prima di mettere a fuoco sento il la sua voce familiare e il suo odore che sa di foresta. Nel momento in cui incrocio i suoi occhi blu un senso di sollievo mi pervade in ogni fibra nel mio corpo.
Vedo i miei occhi riflessi in quelli di Oliver: umidi, le pupille ancora dilatate dall’angoscia. Appena ho di nuovo il controllo di me stessa, mi abbandono tra le sue braccia. “Sei arrivato…” sussurro tra l’affanno causato dalla paura.
Lui mi stringe ancora di più. “Sono qui…”
Per un momento mi guarda come se volesse stare per sempre allacciato a me in questo modo e forse non sono poi così in disaccordo.
Ma poi mi prende deciso la mano e mi strattona per andare via. “Dobbiamo muoverci” dice silenzioso, dopo aver attaccato una plug&play nel posto dove ero nemmeno dieci secondi fa. Non appena molla la presa su quell’aggeggio, quello inizia a lampeggiare, segno che adesso basta un clic per far saltare in aria questo posto almeno in parte.
“Cosa volete fare?” sussurro.
Il suo sguardo è eloquente. “Vogliamo far saltare in aria la casetta di Slade” mi informa cinico. “Potrebbe non essere la sua casetta” commento.
“Sicuramente lo rallenterà. Adesso fai gli stessi movimenti che faccio io.”
Non potrò mai uguagliare la sua camminata flessuosa, o i suoi passi felpati, o i suoi movimenti agili. Ma lui continua a stringermi la mano ugualmente. Continuo ad osservarlo affascinata per una decina di metri. Ogni movimento che compie è preciso e misurato, e non fa spostamenti in più di quegli che gli servono.  Prima di svoltare a destra piazza un’altra bomba. All’improvviso si blocca: deve aver sentito lo stesso rumore che ho sentito io. Di passi. Quando mi lascia la mano per incoccare la freccia sento una sensazione strana di freddo. Tende l’arco e si sporge dal muro, pronto a tirare. In realtà tutti i muscoli del suo corpo si tendono; l’arco sembra un’estensione naturale delle sue braccia. Di nuovo ho la sensazione che il mio cuore si possa sentire a distanza di metri. Ma adesso non è per me che temo. Inaspettatamente Oliver abbassa l’arco. “E’ pulito, vieni” dice sollevato, e poi torna a stringermi la mano. Mi lascia una freccia nell’altra mano, ma non mi dice perché. Dobbiamo essere veramente vicini all’uscita perché adesso si può vedere bene il porto della città. Il sole sta tramontando. Forse è qualcosa a nostro vantaggio.
Sono così distratta che non sento Oliver che mi spinge al muro di nuovo, e non sento il suono silenziato di uno sparo che va dritto a finire nella sua spalla. Se Oliver non mi avesse protetto con il suo stesso corpo, probabilmente non starei più respirando adesso. Davanti a me ci sono gli occhi sgranati e sofferenti di Oliver. Un terrore cieco monta dentro di me.
“Fermi dove siete!” urla una voce maschile, ma me ne accorgo a malapena.
Tutto ciò che sento è il rantolo di dolore di Oliver e l’angoscia nei suoi occhi. Quello che più mi impietrisce è la tosse: sta tossendo sangue. Il proiettile l’ha colpito al polmone… Questo non gli impedisce comunque di fare un velocissimo movimento e colpire quell’uomo massiccio alla spalla. Avrebbe potuto benissimo colpirlo in testa, ma pure dopo essere stato sparato, Oliver non ha intenzione di ucciderlo. Per un istante provo un flebile moto d’orgoglio.
L’uomo cade a terra, sanguinante. Il respiro di Oliver si è fatto affannato, ma comunque corre. Sempre più lentamente, ma corre. Sempre più lentamente… Non ho intenzione di chiedergli “Stai bene?” perché tutto ciò che dice il suo viso è che non è un essere soprannaturale, non può fare altra strada con un proiettile nei polmoni. Quando si accascia a terra con la bocca sporca di sangue e il tessuto della spalla zuppo i miei occhi si riempiono di lacrime. “Oliver…forza” sussurro. “Puoi farlo”.
Sembra rianimarsi alle mie parole. Ma per uno strano scherzo del fato avverso che mi perseguita, ecco un altro uomo massiccio con la pistola puntata verso di me. Ha una radio accesa in mano. Se avvisa Slade è finita. Con le mie ultime speranze e le mie poche forze, mi avvento sull’uomo con la freccia in mano, cercando di ferirlo, in modo che almeno Oliver possa mettersi in salvo. La stretta ancora più leggera di Oliver scivola dalla mia mano ed è esattamente in quel momento che mi pento della mia impulsività.
La freccia vola via dalla mia mano e colpisce l’uomo, ma talmente di striscio che serve solo a farlo incazzare ulteriormente. In poco tempo mi ritrovo strattonata tra le sue enormi braccia e penso basti un solo movimento per rompermi il collo.
“Vediamo di stare fermi” ordina minaccioso mentre si avvicina la radio alla faccia.
“Che cosa c’è?” grida dal dispositivo la voce gracchiante di Slade.
Vedo Oliver alzarsi barcollante in piedi. Io mi muovo convulsamente per ritardare anche solo di un secondo l’avviso a Slade. Ed è nel momento in cui l’uomo apre la bocca che una scia rosso fuoco attraversa il corridoio e lo sbatte al muro, facendolo svenire.
Le mani di Barry mi accarezzano dolcemente il viso adesso. “Stai bene?” chiede preoccupato. I suoi occhi corrono angosciati al sangue fresco nelle mie mani.
“Oliver…” imploro. “Porta via Oliver da qui, subito.”
Barry si gira immediatamente verso di lui e probabilmente resta sconvolto per l’assurda perdita di sangue. “Ha un proiettile nel polmone” spiego, disperata, la mia voce si sta trasformando in un grido di dolore e paura. Nonostante ciò Oliver continua a sprecare energie per parlare.
“Non azzardarti a lasciare questo posto senza Felicity” tuona con voce roca. Vedo l’indecisione sul volto di Barry ma qualcosa sul mio volto sembra convincerlo. Oppure il fatto che Oliver tossisce di nuovo sporcandomi il viso di sangue.
Esasperato, Barry si porta Oliver in spalla, tra le sue urla di disapprovazione. “Devi correre più veloce che puoi verso la stessa direzione. L’ancora è già stata sollevata” mi indica Barry, tutt’altro che calmo.
Mi schiocca un bacio sulle labbra. “Non farmene pentire”.
Dopo di ciò, si trasforma di nuovo in una scia rosso fuoco che mi sbalza all’indietro, e io inizio a correre come non ho mai corso in tutta la mia vita. Più volte nel mio percorso incontro l’illuminarsi intermittente delle bombe, e rabbrividisco quando sento un potente rombo. E sento l’enorme barca muoversi leggermente nella direzione opposta alla mia corsa, il che mi dà la bizzarra impressione che non mi stia muovendo. Slade avrà capito cosa sta succedendo e avrà deciso di tagliare la corda in anticipo. Merda. Le gambe mi fanno male e a momenti non le sento, non ho più fiato nei polmoni da sfruttare e tutti i muscoli del mio corpo mi urlano di fermarmi, mi chiedono un po’ di tregua. Solo le parole uscite minacciose dalla bocca di Slade mi fanno più paura di fare un altro passo.
Così, un piede dietro l’altro, continuo a correre. Il mio cuore si riempie un po’ quando mi ritrovo all’aria aperta e vedo il molo di fronte a me. Certo, prima di vedere una decina di metri che lo separano dalla barca. E la distanza aumenta ogni due secondi. Il terrore e l’angoscia mi immobilizzano. Barry non verrà, capisco.
Quando vedo tre, o quattro, non lo so (!) uomini armati di tutto punto, dietro di me, continuo a correre verso il ponte lasciando la mia giacca in strada. Quando arrivo alla ringhiera gli uomini sono troppo vicini. Così osservo un’ultima volta l’altezza che mi separa dall’acqua gelida e compio l’ultima mossa possibile, il gesto più disperato che possa fare.
Scavalco la ringhiera e mi butto.
Sento l’aria fredda scompigliarmi i capelli e il panorama del porto trasformarsi in una sfocatura indistinta.
Però poi delle braccia forti e sicure mi stringono a sé e quell’ ammasso di sfocature diventa una scia rossa e calda e mi ritrovo al sicuro.

“Barry, spegniti i vestiti per favore” dice fredda e cinica Sara, prima di accendere un telecomando minuto. “Chi vuole l’onore?” ironizza poi, allungando verso di noi il telecomando.
È Dig a schiacciare il pulsante. Non passa nemmeno un secondo, e un rombo assordante ci arriva alle spalle. Mi giro e vedo soltanto un’enorme nuvola grigia a tratti arancione.
“Sarà morto? Slade intendo” chiedo, ancora con il fiatone.
“Non esultare per la vittoria sino a che non vedi il cadavere” commenta Dig.
“Bè, in ogni caso dovrà comprarsi una barca nuova” sospira Sara.
Dopodiché nessuno ha più tanta voglia di parlare e cala il silenzio. Sara aumenta la pressione sull’acceleratore.
Barry è impegnato a premere quella che un tempo era la sua camicia sulla ferita di Oliver, incosciente. Al solo pensiero vorrei mettermi a guidare al posto di Sara, ma probabilmente fonderei il motore prima di arrivare a Starling City. “Dig, andiamo all’ospedale?” chiedo, cercando di calmarmi.
“Non ce n’è bisogno, Barry ha già tolto il proiettile”
Mi giro verso di lui, guardandolo interrogativa. Lui invece non mi rivolge nemmeno uno sguardo. Non mi ha nemmeno chiesto come sto. Una leggera pressione alla mano mi ricorda che Oliver me la sta stringendo. E nemmeno il fatto che Barry stia cercando di bloccargli l’emorragia davanti a me, per me, mi fa sentire crudele, o in colpa per questo. Ma forse lo sono, crudele. Perché quando ero sola, sola in quella barca, non ho rivolto nemmeno un pensiero a Barry. Tutto ciò a cui sono riuscita a pensare era…
“Mi prestate un’altra camicia?” sbotta Barry, distraendomi dai pensieri che mi affollavano la testa.
“Arriveremo in tempo, Barry” dice subito Sara. A conferma di ciò, preme ancora di più il piede sull’acceleratore. Il motore fa un suono che è tutto tranne che rassicurante. La cosa davvero rassicurante è vedere il vecchio e logoro cartello Benvenuti a Starling City.
Vedo il dolore nei tratti di Barry e istintivamente allungo la mia mano verso la sua. Se c’è qualcosa di cui sono certa riguardo ai miei sentimenti per lui, è che non voglio che soffra, non voglio che stia male, non per me. I suoi tratti si distendono e finalmente mi guarda.
“Avevo paura di aver fatto la scelta sbagliata…” sussurra. E capisco che questa è una conversazione tra me e lui, nonostante Dig e Sara siano nel nostro stesso metro quadrato e Oliver potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento.
Gli stringo più forte la mano. Mi da quasi una sensazione di sicurezza. Ed è questo che è Barry, una sicurezza. “Grazie per non aver fatto di testa tua. Grazie per… avermi ascoltato”
Mi sorride teneramente. “Solo… non capisco perché me l’hai chiesto.”
“Non avrei mai potuto reggere un tale senso di colpa” gli spiego. So di star mentendo. Certo, mi sarei sentita in colpa in caso Oliver fosse stato preso da Slade. Ma non è il senso di colpa che mi avrebbe distrutta.
Lo sguardo dolce di Barry si fa un po’ scettico.
In quello stesso momento Sara inchioda violentemente e Barry apre velocemente la portiera. Nel giro di mezzo secondo lui e Oliver non ci sono più e io decido che devo rivedere le mie facce da poker.
 
So di esserci già passata, di esser già stata seduta e in ansia dopo che Oliver è stato sparato. Questo non cambia come mi sento. Oliver sta bene, e non è in pericolo di vita, e questo è confermato dal bip regolare segnalato dalla macchinetta improvvisata al suo fianco. Quello che non è regolare è sicuramente il mio cuore. Sara è la prima a tagliare la corda. Ora che ci penso non è la prima volta che sparisce senza motivo, e la cosa mi incuriosisce. Solo che ora non è la mia priorità. Per questo quando Dig se ne va dieci secondi dopo di lei, non mi preoccupo. So che la vuole spiare. Ma perché? È forse successo qualcosa quando io non c’ero?
“Tieni molto a lui, vero?” esordisce Barry, spiazzandomi.
“Sì”, rispondo subito, sorpresa.
“Sai, una volta gli ho chiesto se fosse mai successo qualcosa tra di voi” mi racconta, quasi evitando il mio sguardo.
“E perché non chiederlo a me…?” chiedo.
“Non è questo il punto” sbotta. “Dimmi qual è?”
Barry si passa le mani tra i capelli, nervoso. E inizia a contarsi le dita.
“Posso chiederlo adesso a te, Felicity? C’è mai stato qualcosa?”
“Mi ha baciata” rispondo, dopo qualche secondo. E mi vengono i brividi soltanto a ricordarlo. “Lui?” chiede Barry un po’ più rilassato.
Annuisco. “E non ne avete mai parlato? Non siete mai stati insieme?”
“Sì che ne abbiamo parlato, e no, non siamo mai stati insieme”
Per qualche ragione inizio a fissarmi le scarpe. Quando poso di nuovo il mio sguardo sul viso di Barry, lui non è sollevato quanto pochi secondi fa, anzi. Lo fisso, interrogativa.
Lui mi spiega, senza che faccia alcuna domanda. “Sarebbe stato meglio per me se voi due fosse stati insieme. Perché a quel punto ci avreste già provato, no? Ma così… Così avete un sacco di conti in sospeso. E ti posso giurare che si vede, tanto.”
Il suo tono di voce, così come le sue espressioni, mi fanno figurare abbastanza bene il suo livello di tristezza e delusione. Gli dico la prima cosa che mi viene in mente, che non sia una bugia, e che possa alleviare il dolore. “Sono stata io ad allontanarmi.” Le sue sopracciglia guizzano e so di aver detto almeno in parte la cosa giusta.
Gli stringo la mano. “Guardami”, gli faccio. Lui mi guarda e lo vedo più rilassato. Poi guarda la macchinetta che emette ancora quel bip forte e regolare. “Se vuoi restare un po’ da sola, ci vediamo dopo”
Si avvicina e mi da un bacio. Il contatto con le sue labbra mi fa sentire così crudele. Non vorrei mai spezzargli il cuore, spezzerei pure il mio.
“A dopo” dico.
Conosco abbastanza bene Barry per dire che sapeva esattamente quando Oliver si sarebbe svegliato: adesso. E anche per dire che voleva lasciarmi sola con lui.
Oliver si sveglia di soprassalto e si solleva dal lettino sgranando gli occhi, agitato.
“Stai calmo, fermo!” gli grido contro. Si rilassa non appena entro nel suo campo visivo e mi sorride. “Ho passato di peggio” dice.
Sollevo un sopracciglio. “Spaccone”, lo accuso. In qualche modo scoppiamo a ridere, sollevati dalla situazione, finalmente a nostro vantaggio. Solo che poi lui inizia a tossire e sono costretta a dirgli di calmarsi di nuovo. Si guarda in giro, frastornato. “Non c’è nessuno?”
mi chiede, i tratti del viso incuriositi.
“No” confermo. Per qualche motivo, sento che sto arrossendo. Siamo soli.
Si fa improvvisamente serio. “Cosa ti ha detto Slade?”
La sua mano fa un movimento strano. Si avvicina a me, ma poi torna al suo posto, come se qualcosa l’avesse tirata indietro. Senza guardarlo negli occhi, mi costringo a ripetere tutte le parole orribili che ho sentito dalla bocca di mio padre. Vedo Oliver stringere i denti e contrarre la mascella. Avvicino la mia mano al suo pugno, che si rilascia subito e me la stringe.
“E perché hai detto a Barry di portare via prima me?” mi interrompe, dubbioso.
Esito. Perché? So bene perché. “Eri ferito…” inizio. La sua mano stringe ancora più forte la mia. Lui mi guarda scettico. “Slade è crudele” cedo. “Non si sa mai cosa avrebbe potuto farti”.
“Aveva appena giurato di farti passare una vita di tortura solo per ferire me” sussurra. C’è il dubbio nel suo viso, di nuovo. Annuisco.
Sento di nuovo quella strana tensione che si accumula nell’aria quando siamo meno distanti di cento metri quadrati. Così prendo un grosso respiro e mi allontano. “Devo andare... Barry mi aspetta.” Il nominare Barry dovrebbe essere il confine chiaro tra noi due.
Faccio in tempo a fare appena una decina di passi. Ma improvvisamente la mano di Oliver afferra il mio polso e mi strattona per girarmi verso di lui. Siamo così vicini… troppo vicini. Intreccia le dita alle mie e continua a guardarmi negli occhi per qualche secondo.  
Poi, con le dita dell’altra mano, traccia il profilo del mio zigomo sino ad arrivare alle labbra. Oliver fa un sorriso triste. “Sei ancora in tempo per dirmi che non dovremmo…”
Ma non lo faccio. Anzi, stringo ancora di più la sua mano alla mia. A quel punto, lui posa le labbra sulle mie con delicatezza, con attenzione. Anche se all’inizio è solo una cosa leggera, sento una violenta scossa in tutte le terminazioni nervose del mio corpo. Mai avrei pensato che Oliver Queen potesse essere dolce. Invece è così; io, al contrario, lo voglio ancora più vicino. Stringo i pugni sulla sua maglia e lo attiro a me. Lui geme piano, dalla gola, e le sue braccia mi stringono, mi avvolgono. Senza rendercene conto sbattiamo sul muro. In questo momento non esiste nient’altro che lui: Oliver è tutto ciò che sento, che vedo, che respiro. Riesco a sentire il suo calore bruciare attraverso la stoffa.
Oliver mi accarezza il viso dolcemente, un’ultima volta, prima di allontanarsi. Gli occhi scuri lo rendono in qualche modo più bello. È una fortuna che io sia appoggiata al muro, perché le gambe mi tremano come se avessi quindici anni. Mi fa un sorriso triste, di nuovo.  “Puoi anche fingere che io fossi sotto gli effetti della medicina, adesso.”
Deglutisco, ancora sconvolta per quello che è successo. Annuisco. “Buonanotte” dico, con voce roca.
Non so come, riesco veramente a far muovere le mie gambe e riesco ad allontanarmi da lui. Una parte remota della mia mente si chiede se farò in tempo a organizzarmi una buona faccia da poker prima di vedere Barry. Ma la parte più importante del mio cervello pensa che probabilmente erano mesi che non mi sentivo così... al sicuro.


Aaa ce l'ho fatta finalmente!Anche se questo capitolo è solo dal punto di vista di Felicity, spero vi sia piaciuto. Non preoccupatevi, sto progettando altre occasioni in cui sarà Oliver a raccontare! Ci sentiamo nelle recensioni. Un bacio:*



 

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Capitolo 20
*** Contrattacco ***


20. CONTRATTACCO
Felicity.
Incontro il mio viso nello specchietto della macchina. Ho le guance e arrossate. Gli occhi un po’ lucidi, e turbati. Ma nonostante ciò, le mie labbra sono curve in un sorriso. Non appena lo noto, mi ricompongo. Non dovrei essere felice di quello che è appena successo.
Perché Oliver mi ha in sostanza detto di far finta che non sia successo niente. Oppure? Quello che ha detto può essere interpretato. Sbatto lo specchietto verso l’alto, per evitare di incontrare il mio sorriso, un’altra volta, e ci penso un po’ su.
Puoi anche fingere che io fossi sotto gli effetti della medicina, adesso.
Cosa mi ha detto, cosa voleva dirmi? C’è una parte di me, la parte arrabbiata, la parte che odia Oliver per voler uccidere Slade, la parte che lo odia per essere andato a letto con Isabel, con Sara, che pensa che si sia pentito del bacio un secondo dopo esserci allontanati. Questa parte mi dice che Oliver pensa di volermi, senza volermi davvero. Che Oliver è abituato a piacere a tutte, e che sia infastidito dal fatto che io stia con Barry, proprio per questo motivo.
Mi dice che Barry è un ragazzo d’oro e che sono l’unica donna della sua vita, che mi ama incondizionatamente, e mi vuole, e me lo dimostra sempre e senza condizioni. Barry, che ha voluto concedermi di stare da sola con Oliver pur sapendo quello che c’è in sospeso tra di noi, pur sapendo che sarebbe stato lui a soffrirne.
Ma c’è un'altra parte, un’altra me che la pensa diversamente. Che si ricorda del “Se non mi importa di te, perché il primo pensiero che ho avuto quando ho visto gli incappucciati non è stato per tutte quelle persone in pericolo, ma per te!?” e delle sensazioni che quella frase mi ha provocato. Dell’Oliver che, in punto di morte, ha voluto baciarmi. Di quella persona che mi ha accompagnato dall’altra parte del mondo solo per indizi e sensazioni e che è restato a guardare il soffitto tutta la notte, dopo aver saputo di avere ucciso il mio pseudo-padre.
Riesco a sentire chiaramente le sue mani forti intorno a me nel bel mezzo di un conto alla rovescia, e quelle dolci e delicate appoggiati a un muro del covo. Vedo il suo sguardo dolce e triste.
E all’improvviso, quelle parole, quelle con cui mi ha dato la buonanotte, hanno un altro significato.
Oliver mi ha dato una scelta. E mi ha dato tempo per pensarci. Mi ha detto: so che non potrò mai essere giusto per te quanto Barry, e mi ha detto, baciandomi, ma ho comunque bisogno di te nella mia vita.
Il mio cuore riprende il battito irregolare di poco prima. E’ possibile che Oliver tenga a me a questo punto? E’ possibile che mi voglia veramente, veramente, e che comunque accetterebbe che io stia con Barry.
Con la nascita di questa consapevolezza, ne nasce un’altra. Più forte, più potente, più devastante, che scuote tutto il mio corpo e mi fa tremare. Sono innamorata di Oliver Queen. Non è una semplice cotta, o qualunque cosa mi ripetevo che fosse.
E non c’è più niente ormai che io possa fare, per smettere di provare una cosa del genere, o per evitare di ammetterlo a me stessa.
Con le mani che tremano, riesco a guidare sino a casa mia.
Le luci sono spente: forse Barry è andato già a dormire. Strano.
Sembra tutto tranquillo, ma percepisco una strana vibrazione nell’aria, come un brutto presentimento.
Così, mi avvicino al portone con cautela, e apro di scatto.
Accendo la luce e faccio un passo indietro, sconvolta.
La luce vibra come se stesse per fulminarsi. Tutto intorno nel soggiorno ci sono bruciature, per non contare il disordine. Vasi rotti in mille schegge e terra sparsa sul tappeto. Una crepa nella TV.
Il tavolo, invece, è inquietantemente in ordine. Di più: sembra addobbato come un altare. Affianco, dalla libreria in perfette condizioni si nota una fessura tra la fila dei libri. So già che libro manca. È il mio libro preferito.
Mi avvicino sul tavolo. Ci sono delle rose rosse e un segnalibro. Affianco al segnalibro c’è il libro. Cime Tempestose. Aperto, capovolto all’ingiù, una cosa che odio, perché ho sempre pensato che i libri si rovinino in quella posizione. Il segnalibro che c’è sul tavolo è sempre stato nella stessa posizione da anni. Sempre quella stessa pagina, che probabilmente ricordo a memoria. Così, quando prendo il libro in mano, so per certo a che pagina è aperto.
Ma metà pagina in basso  è strappata. Non abbastanza da nascondere la confessione di Cathy:
 
“Le mie grandi pene in questo mondo sono state le
pene di Heathcliff, e io le ho conosciute e le ho sentite tutte una a una dal
principio; la sola ragione di vivere per me è lui. Se tutto il resto perisse, e
lui rimanesse, io continuerei a esistere; e, se tutto il resto rimanesse e lui
fosse annientato, l'universo diventerebbe per me in un'immensa cosa
estranea.”


Queste parole in questo momento, mi fanno sentire come se tutto il mondo guardasse cosa ho fatto, come se tutti avessero visto che e come Oliver mi ha baciata.
Una parte di me ha paura di dove è finita l’altra parte della pagina. L’altra ha paura per Barry. Barry.
“BARRY?”
urlo con tutta l’aria nei miei polmoni.
Sento dei rumori di sopra.
Dei respiri affannati nel bagno. Corro facendo un caos del diavolo, ma non m’importa. Apro la porta con la paura di vedere cosa mi aspetta.
“Sono qui” Barry mi chiama, con un sussurro così flebile.
Mi butto in ginocchio verso di lui. “Stai bene?” chiedo senza pensarci. Domanda stupida. Me lo fa notare con un sorrisino storto che mi fa respirare di nuovo.  C’è così tanto sangue in giro… Ma il ragazzo di fronte a me sembra avere un colorito decente, per uno che ha perso tutto quel sangue. Si mette seduto, appoggiandosi al tavolino.
“Sto già guarendo” mi spiega, prendendo un bel respiro.
“Slade…?”
“E’ stato qui”, mi interrompe.
“Che cosa è successo?” chiedo con una specie di suono stridulo che non sembra nemmeno la mia voce.
“Non lo so. Abbiamo preso bei colpi entrambi. Ma avrebbe potuto uccidermi, invece mi ha lasciato svenuto. Immagino che volesse farci sapere che è ancora vivo e vegeto”.
“Oh mio dio…” sussurro accarezzandogli la guancia ferita. Lui fa un movimento impercettibile come per scostarsi, ma alla fine non lo fa. Tira fuori qualcosa dalla tasca.
“Quando mi sono svegliato avevo questo tra le mani” mi spiega.
Metà pagina arrotolata.
Me la porge con un sorriso, che non ha niente di un vero e proprio sorriso. Non gli ho mai visto uno sguardo così triste in faccia.
Deglutisco.
“Ehi, tranquilla, penso che stia solo cercando di incasinarti la vita” dice, accennando una risata.
“L’hai letta?” chiedo piano, cercando di non guardarlo.
Il mio amore per Linton è simile al fogliame del bosco; il tempo lo muterà, ne sono sicura, come l'inverno muta gli alberi; il mio amore per Heathcliff somiglia alle eterne rocce che stanno sottoterra: una sorgente di gioia poco visibile, ma
necessaria. Nelly, io sono Heathcliff!” recita, in tutta risposta.
Mi sento come smascherata, come se la metafora “Heathcliff uguale Oliver e Linton uguale Barry” fosse scontata.
“Barry, questo non c’entra niente con…”
“Noi?” mi interrompe.
“Esatto” annuisco. “Noi”
“E allora perché hai pensato subito a questo?”
Aggrotto le sopracciglia, scuotendo velocemente la testa.
“Senti, non dobbiamo parlarne per fo…”
“No, hai ragione” annuisco.
Mi alzo e prendo il telefono. “Dobbiamo prendere questo figlio di puttana.”  




Oliver.
Che diavolo ho fatto? Chiudo gli occhi e mi passo la mano sulla fronte. In qualche modo, sotto gli effetti della medicina che mi appesantiscono, riesco ancora a sentire il cuore nelle vene del collo che pulsano violentemente, e la gola terribilmente secca. Mi appoggio sul lettino dove sarei dovuto restare e cerco di riordinare i pensieri.
“Gli effetti della medicina, eh?”
Istintivamente afferro il bisturi al mio fianco, prima di rendermi conto che è soltanto Sara. Mi giro, ma non ho tanta voglia di guardarla in faccia. Quante volte ancora dovrò tradire le sorelle Lance in ogni modo possibile? Questa volta però, non mi sento in colpa. Mi sento stranamente bene. Mi costringo a pensare che sia l’antidolorifico. Quando passerà l’effetto sentirò le mie emozioni amplificate, e allora forse mi sentirò in colpa.
“Hai visto…”
“Che hai baciato Felicity?”
Deglutisco. Studio l’espressione imperturbabile sul viso da bambina di Sara. Inutile, perché ha imparato a mascherare le emozioni quanto e meglio di me.
Annuisco, guardandola dritta in faccia.  “Non mi vuoi dire niente?”
“No, è una cosa che ho visto arrivare” dice.
Il mio corpo sta assorbendo l’impatto con una sensazione nuova. Non so come spiegarla, o chiamarla. Serenità, forse. Qualcosa del genere. Mi riempie pienamente i polmoni. L’ultima volta che ho provato qualcosa di lontanamente simile, un mercantile ha iniziato a sparare cannonate verso me e Slade. Così, qualunque sensazione sia e in qualunque quantità mi faccia sentire felice di essere vivo, mi impongo di non provarla.
“Lo rifaresti?” mi chiede, poi.
Lo rifarei? Sì. Senza dubbio. Ma vorrei davvero provare di nuovo l’angoscia di un giorno fa? L’angoscia di saperla nelle mani del mio nemico, soltanto perché sa che provo qualcosa per lei?
“Non succederà più”
“Perché, Oliver?!” mi chiede, alzando la voce. “Perché vuoi negarti una cosa del genere?”
Perché mi dice così? Cioè, in teoria Sara ed io dovremmo stare insieme.
“Senti, non avrei mai dovuto farlo, okay? Hai visto tu stessa quanto la metto in pericolo ogni giorno. Ci manca soltanto che…”
“Che cosa, Oliver? Che stiate insieme? Non riesci nemmeno a dirlo ad alta voce perché pensi di non meritarlo, sono tutte stronzate!”
“Perché mi stai parlando in questo modo?”
“Perché ti conosco, Oliver. So cosa stai facendo con me. Volevi convincerti di amare me, perché io so difendermi, sono in grado di salvarmi da sola, e per te sarebbe più semplice perché non dovresti addossarti le colpe di tutto quello che mi succede. E mi va bene, perché l’ho fatto pure io. E’ questo che siamo noi, il nostro porto sicuro, perché veniamo dallo stesso mondo, dalla stessa oscurità. Ci amiamo, ma non nel modo che fingiamo. Non è me che vuoi. E ti posso capire, perché ci sono passata anche io, e so cosa vuol dire accettare di essere felice, per una volta. Accettalo Oliver…”
“Non posso. Non lo farò” la interrompo, guardando in basso. “Non sono più la persona egoista di un tempo.”
“Essere egoista adesso sarebbe la cosa più giusta che tu possa fare!” suggerisce, piano.
VA BENE. Vuoi che sia egoista? Okay. Sai tutto quello che riesco a pensare, da egoista?”
Sara, intimorita, aggrotta le sopracciglia. “Cos…”
HO PAURA! Del dolore che potrebbe causarmi lei ferita, lei che mi lascia, lei che muore! Lo sai cosa diavolo ho sognato negli ultimi giorni? LEI CHE MI UCCIDE PER SALVARE SUO PADRE!” sbotto. Negli occhi di Sara c’è un misto di pietà e compassione che non voglio guardare.
Lo squillo del cellulare spezza la tensione e la rabbia.
Sullo schermo appare la foto di Felicity e il mio stomaco fa una capriola.
“Dimmi”
Chiama Dig e Sara e venite a casa mia. Slade è stato qui” mi riferisce stoicamente.
Riesco a vedere la mia paura riflessa negli occhi di Sara, adesso.
Sono paralizzato, praticamente.
Sara mi afferra la mano. “Muoviamoci.”


 
Quando arrivo, Dig è già lì e la sta abbracciando. Affianco a loro, Barry è ferito. Sembra in qualche modo sollevato che io sia arrivato insieme a Sara. Immagino che non ci sia stato tempo perché Felicity potesse parlare con lui e darle qualche idea di come sia andata la nostra chiaccherata. Mi guardo intorno, preoccupato. Le bruciature devono essere opera di Barry. Il resto del casino, di Slade. Non sono stato qua tante volte, soprattutto non con tutta questa gente.
Con il cuore in gola, corro verso Felicity, preoccupato. Dig si allontana e va a parlare con Sara e mi permette di vedere che sta bene. Il sollievo mi permette di respirare. E di fare un movimento strano che sarebbe potuto essere un abbraccio, ma poi mi tiro indietro.
“Dimmi cosa è successo” le ordino, il più freddamente possibile. Barry mi lancia uno sguardo infuocato, qualcosa del tipo calmati adesso.
Poi mi lascia perdere, senza dire una parola, tornando a tamponarsi la ferita nel fianco.
Felicity sembra ferita dal mio comportamento. Indietreggia di qualche passo, e Dig e Sara si uniscono a noi tre formando un cerchio.
“Slade è stato qui” dice Felicity con una voce così ferma che quasi non gli appartiene.
“Perché?” interviene Dig.
“Probabilmente per farci sapere che è vivo e vegeto” risponde Barry, abbattuto.
“Perché non aspettare Felicity? L’ha rapita per un motivo, credo, perché non prenderla di nuovo?” chiede Sara, nervosa.  
Giusto. Perché?
Felicity inizia a spiegare cosa Slade le ha detto di voler fare, incrociando per un momento il mio sguardo.
“Voleva portarmi via da…”
“Ma ora non ne ha più i mezzi” la interrompo.
“Non hai detto che era dei servizi segreti australiani?” esordisce Dig, scuotendo la testa.
“Secondo me sta soltanto giocando con noi” sospira poi Sara.
“È una persona malata. Dobbiamo mettere fine a questa cosa” dico, guardando uno per uno tutti i membri della mia squadra.
“Lo troviamo, e lo uccidiamo” afferma Sara.
No.”
Felicity sembra quasi un automa. Nessuno le ha mai visto quella determinazione in faccia, credo.
“Barry ha detto che Slade è arrivato con una macchina. Nel vicinato ci sono delle telecamere. Posso accedervi e tracciare quella macchina. Posso trovare Slade, è braccato, e probabilmente privo di uomini addestrati a dovere, e Barry può creare la cura” ci spiega, sempre con la stessa voce. Per un momento, lei è il leader di questo gruppo.
“Fra due giorni andiamo da lui e lo curiamo. E poi lo riportiamo a Lian Yu. Può anche morire di fame là. Ma non saremo noi ad ucciderlo. NOI NON SIAMO ASSASSINI.
Sara solleva un sopracciglio e mi manda un sorriso sghembo. Sembra… fiera. Anche io lo sono.
“Questo è il piano?” chiede Sara, guardando gli altri. So cosa intende. Questa deve essere una decisione unanime.
“Questo è il piano” annuisce Barry.
“Questo è il piano” concorda Dig, con uno sguardo compiaciuto in faccia.
Deglutisco. “Ci sto” dico, guardando finalmente dritto verso Felicity.
Lei cerca di nascondere la soddisfazione dal suo viso.
“Basta giochi. E’ il momento di contrattaccare”. Vedo gli sguardi carichi dei miei compagni, e so per certo che Slade dovrà temere il nostro contrattacco.


Ciao a tutte! Scusate per la lunga assenza causa-vacanze!
Comunque! Stiamo per giungere a una fine in questa lunga storia, anche se ho già una mezza idea di scriverne un’ altra correlata a questa, per fare, insomma, una serie.
Cosa ne pensate? Riusciranno a curare Slade? E sopravvivranno tutti i membri del team?
Secondo voi, i ragazzi hanno già scoperto tutti i segreti di Slade?
Fatemi sapere che ne pensate:)
Al prossimo capitolo, che arriverà prima!


 
 
 

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Capitolo 21
*** Separazione ***


21. SEPARAZIONE.
Felicity.
Prima di andarcene da casa mia, Barry prende campioni di sangue un po’ ovunque. Bisogna avere il sangue di Slade con il Mirakuru per creare la cura. Quando chiudo la porta dietro di me, sembra quasi un addio. Qualcosa, dentro di me, mi avvisa insistentemente che potrebbe essere l’ultima volta che varco quella soglia. Nonostante ciò, non sento paura, per adesso. Sono più che mai determinata a ottenere ciò che ci siamo prefissati. Voglio che Slade, mio padre, sia curato. Non voglio che nessuno dei miei amici, della mia famiglia, diventi un assassino per causa sua.
Una volta arrivati nelle mura sicuramente più sicure del covo, speculiamo per una ventina di minuti sul da farsi. Durante questi venti minuti, Barry è chino e zitto su un microscopio, cercando tra tutti i campioni di sangue, uno che non sia il suo. Mi sento tremendamente in colpa e il bello è che quella pagina di Cime Tempestose non dovrebbe significare niente. Mi sento in colpa per sentirmi in colpa. Se non mi sentissi in colpa forse Barry, non avrebbe dato peso ai giochetti di Slade. E invece è così. Mi sento anche tremendamente egoista.
“Trovato”, esclama a un certo punto, quasi sbattendo sul microscopio. È ancora sporco di sangue. Lo guardo come se soffrisse, ma in realtà è già guarito: senza dubbio essere colpito da un fulmine causato da un acceleratore di particelle ha i suoi vantaggi.
“Adesso che si fa?” chiede Oliver, dubbioso.
“Gli ingredienti per la cura sono agli Star Labs. Potrei entrare in quelli di Starling City, ma non sono sicuro che ci siano. A Central City, invece, sono sicuro al cento per cento”.
“Quindi, che vogliamo fare? Proviamo prima qui?” interviene Dig.
“Secondo me sarebbe una perdita di tempo.” Sara sembra piuttosto annoiata. Però le do ragione. “Se Slade è qua vicino sentirebbe la notizia della rapina e gli puzzerebbe.”
Barry mi guarda sofferente. “Anche se partissi adesso dovrei trascorrere la notte lì, domani.”
“Bè, verrei con…”
“Devi restare e cercare Slade con i tuoi sistemi, Felicity” mi interrompe Dig, che caso strano non mi guarda in faccia, ma guarda Oliver. Sembra che gli stia mandando un messaggio telepaticamente.
Poi si volta verso di me. “Vado io con lui”. E poi mi sorride.
Cala il silenzio. Anche se siamo determinati, siamo tutti tesi.
Abbiamo tutti paura di perdere qualcuno. La vittoria non è scontata, e anche se lo fosse? Qualcuno potrebbe farsi male. Qualcuno potrebbe morire. Vinceremo, ma perderemo. Chi perderemo? Mi guardo intorno, chiedendo scusa tra me a tutte le persone davanti a me. Non mi potrei mai perdonare la morte di uno di loro. Il senso di colpa mi inseguirebbe per sempre. Barry, Dig, anche Sara.
Mi rifiuto di pensarci, ma tra le possibilità c’è anche la morte di Oliver.
Che mi ucciderebbe.

Dig e Barry partono con due miseri zaini. Le rotaie sono quasi tutte vuote: i treni sono già tutti partiti, tranne l’ultimo per Central City. Nessuno lo aspetta: ci siamo soltanto noi. Tra di me penso che se qualcuno volesse spiarci, sarebbe sin troppo semplice.
Anche i saluti con Barry mi sembrano una specie di addio. Ho questo presentimento che mi fa venire i brividi. Forse ho paura e basta di perderlo, non mi importa il modo. In ogni caso, quando mi abbraccia, ricambio come se fosse l’ultima volta.
“Hai paura?” mi chiede.
“Un po’”, rispondo. Mi accarezza la guancia, dolcemente. Gli poso un bacio sulla guancia, ma alla fine lui si gira e le nostre labbra si sfiorano di nuovo.
“Stai attento” lo avviso.
Sorride. “Stai attenta.”
Si potrebbe dire che l’amicizia tra me è Dig è così profonda che basta uno sguardo per dirci tutto quello che dobbiamo dire. Ma non si sa mai che cosa potrebbe succedere, e io non voglio andarmene da questo mondo senza prima averlo abbracciato e senza prima avergli detto che gli voglio bene. E che lo ringrazio per ogni cosa che fa e soprattutto che esiste.
Il suo abbraccio alla fine mi tranquillizza, un po’. “Grazie Dig”
“Cosa hai intenzione di fare con Barry quando sarà tutto finito?”
Cerco di elaborare un’espressione confusa, ma so di cosa sta parlando.
“Non fare la finta tonta”, mi dice infatti.
Sollevo gli occhi al cielo. “Troverò un modo per non far soffrire né me né lui”
“Lo sai che questo modo non esiste, vero?”
Annuisco. “Non posso chiedergli di stare con me quando…” gli spiego, lasciando in sospeso la frase.
“Quando sei innamorata di Oliver.”
Non lo lascio nemmeno finire che lo abbraccio.
“Ci vediamo tra due giorni. Prenditi cura di Barry.”


Dopo che io, Oliver e Sara (per niente imbarazzante) restiamo fermi con lo sguardo spiritato a osservare il treno allontanarsi dalla stazione, torniamo al covo. Corro subito verso i miei computer, mentre osservo Oliver e Sara provare le tecniche di combattimento. Forse ne esistono di specifiche per difendersi da un uomo con il Mirakuru, ma in ogni caso, si nota quanto si stiano impegnando maggiormente rispetto alle altre volte.
Non appena il sistema è pronto, sulla schermata principale mi si apre un avviso di pericolo. Ci mancava solo questo. Per un momento infinitesimale, sono tentata di lasciar perdere. Ma questa non sono io.
“Oliver, Sara, c’è una rapina alla Starling National. Ci sono 17 ostaggi…”
“Non ti lasciamo da sola qui, è fuori discussione” mi interrompe Oliver.
“Non possiamo nemmeno abbandonare 17 persone al loro destino” gli rispondo irritata.
Oliver prende un gran respiro e chiude gli occhi per un secondo. Poi torna a guardarmi. “Non ho intenzione di lasciarti sola.”
“Dammi l’indirizzo” interviene Sara. “Vado io.”
Oliver si volta verso di lei. “Sei sicura?” Ma Sara se ne sta già andando.
“Bè, io non ho niente da fare, qui.”
In tutta risposta Oliver alza gli occhi al cielo, stringendo i pugni. Sono sicura che era questo che voleva evitare. Si capisce benissimo anche dal modo in cui Sara ha sottolineato io. Me. Vuole evitare di stare solo con me.
L’ultima volta che siamo stati sola in una stanza, in questa stanza, ci siamo baciati, o meglio, lui  mi ha baciata. E poi mi ha ignorata. Anche adesso mi sta ignorando. Eppure ha insistito per non lasciarmi sola. Non l’ha fatto con Sara. L’ha lasciata andare da sola.
Nonostante questo non trovo nessun motivo per rallegrarmi. L’ha fatto esclusivamente perché si fida di lei, forse più di me, ed è a conoscenza del suo livello in fatto di combattimenti. Sa bene che Sara è in grado di difendersi da chiunque, e anche che se dovesse incrociare Slade, in un modo o nell’altro riuscirebbe a mettersi al sicuro. Invece io sono la damigella in pericolo. Quella da salvare, la spina nel fianco.
Ma mi ha baciata… Qualcosa dovrà pur contare.
Faccio un paio di giri sulla sedia, prima di riuscire a spiccicare parola.
“Non…Non credi che dovremmo parlare di…”
“No.”
Il modo in cui mi interrompe è così brusco che per un attimo credo di cadere dalla sedia. Per un attimo il mio unico desiderio è di sparire dalla sua vista. Oliver è voltato di fianco rispetto a me, ha i pugni e la mascella contratta.
Così mi alzo dalla sedia e mi metto di fronte a lui, con le braccia incrociate.
“Bè, invece io credo di sì”.
Non ho intenzione di lasciarlo fuggire adesso. Continuo a ripetermi che ci deve essere un motivo se mi ha baciata, due volte.
“La prima volta che ti ho baciata sei stata tu a non volerne parlare.”
Deglutisco. In effetti è vero. Proprio adesso il karma deve fare la sua parte?
“Sì. Perché pensavo che il ritorno di Sara avrebbe influito su di te. E infatti te la sei portato subito a letto!” esclamo, fuori di me.
“Mi sembrava di aver baciato te, non Sara” dice infastidito.
“Certo, non sapevi che fosse viva! Di certo hai recuperato in seguito!”
Oliver aggrotta le sopracciglia. “Che cosa è tutto questo astio nei confronti di Sara?”
“Ma quanto sei bravo a cambiare discorso?” mi avvicino, puntandogli un dito contro.
Fa un sorrisino acido. “Un abilità utile, in effetti.”
“Oliver…”
“Felicity.”
Quando dice il mio nome in quel modo, dolce, e sofferente e caldo, faccio un passo indietro.
“Non avrei dovuto farlo” continua con un orribile faccia da poker.
Sento un dolore acuto farsi strada nel torace, e diramarsi tra le vene sino agli arti. Stringo i denti. Deglutisco.
“Di cosa stai parlando?” chiedo con voce roca.
“Del …bacio.”
Fantastico. Riesce a malapena a dirlo.
Emetto un rantolo che sa di dolore, e i suoi occhi corrono preoccupati verso i miei. In questo momento, forse, mi rendo conto che non mi stava nemmeno guardando in faccia.
I suoi occhi blu sanno di bagnato. Mi fissa, come se volesse imprimersi la mia smorfia di dolore nella mente.
“Di quale?” dico poi sarcastica. “Perché se lo consideri un errore, nei hai fatti ben due.”
Oliver fa un leggero movimento in avanti, verso di me, quasi impercettibile. Poi torna indietro.
“Ti prego, non… complicare ulteriormente le cose.”
I suoi occhi mi stanno veramente supplicando. Sembrano un mare, così profondo e pieno di segreti, in cui temo di affogare e allo stesso tempo lo voglio disperatamente.
Mi si secca la bocca e lo stomaco mi si stringe in uno nodo.
“Tu non capisci…” continua poi. “Tu non hai idea! Di cosa sia il pensiero di te, bianca, fredda, accasciata nel pavimento pieno del tuo sangue, per colpa mia.” Sta urlando, adesso. “Tu non sai quanto mi pesi il fatto che per quello che faccio, per la vita che conduco, tu potresti morirmi davanti in un solo secondo!”
“Quindi è questo che sono per te, un peso!?” sbotto, mentre ancora la sua voce rimbomba tra le pareti.
“Non ho mai detto questo!” sbraita lui.
“Certo, come n…”
Uno squillo interrompe il nostro litigio. La tensione scompare tutta in una volta e mi sembra quasi di essermi appena svegliata da un incubo molto realistico.
“È il cellulare di Sara” osserva Oliver.
“L’ha dimenticato”.
Dato che gli squilli continuano a ripetersi per alcuni minuti, ci avviciniamo al tavolo dove è poggiato.
Non appena Oliver posa lo sguardo sulla schermata principale, spalanca gli occhi.
Guardo anche io. Nyssa. “La conosci?” gli chiedo allarmata.
“Prega di no” risponde freddamente.
“Dai, quante Nyssa esistono al mondo?”
Oliver guarda verso le scale.
“È arrivata. Fai finta di niente.”
Oliver si apposta dietro di me, al computer, appoggiando una mano sulla mia spalla. La sento così calda eppure mi causa brividi in tutta la schiena. Mi viene veramente difficile far finta di niente.
“Eccomi ragazzi” dice Sara scendendo le scale.
Non appena sente lo squillo, si precipita verso il telefono.
“Sta squillando da molto?” chiede allarmata.
Oliver si gira verso di lei, senza abbandonare la mia spalla. Mi giro pure io.
“Non ci abbiamo fatto caso” risponde lui.
Sara prende il telefono in mano, guardandoci diffidente, per poi chiudere la chiamata. “Va bene” dice con un sorriso.
“Ora che sei tornata posso iniziare le ricerche su Slade” dico, a nessuno in particolare.
“Felicity. Sono le due del mattino e stai crollando. Dovresti dormire” mi consiglia Oliver. Ma sembra più un ordine.
“E tu non dovresti allenarti, dato che sei stato sparato stamattina.”
“Ti ho detto già che sono abituato al dolore fisico.”
Sbatto una mano sul tavolo. “Bè, è interessante il fatto che tu ti ricorda ciò che mi dici mentre sei sotto l’effetto dei farmaci!” sbotto.
Sara emette una leggera risata e cerca di nasconderla. “Felicity, dovresti veramente riposare”. Ah, fa la spalla a Oliver?
Bene. Mi giro verso i miei computer senza nemmeno rispondere e inizio a lavorare.
Solo per accedere alle telecamere del vicinato ci vogliono venti minuti, e adesso devo osservare almeno un’ora di filmato.
Dopo cinque minuti che guardo sempre la stessa immagine, inizio a maledire Oliver e Sara che si allenano dietro di me. Avevano ragione, sono praticamente morta. Proprio mentre un’auto sospetta che ha tutto l’aspetto di una batmobile passa affianco al vialetto di casa mia, i miei occhi si chiudono.

Oliver.
Nel secondo esatto in cui Sara mi chiede una pausa mi accorgo che c’è troppo silenzio. Il ticchettio familiare delle dita di Felicity sulla tastiera non c’è più. Mi giro verso di lei allarmato solo per capire che avevo ragione. È crollata, ignorando la sua testardaggine.
Ha la testa poggiata di lato sulla scrivania. Sono sicuro che volesse lavorare per fare un dispetto a qualcuno. Forse a me, forse a Sara.
è stata una dura giornata per lei: il rapimento, la nave, le minacce di Slade, la fuga, l’esplosione, la sua casa semidistrutta, Barry che se ne va…
La paura, la rabbia, l’angoscia.
Lo so, perché ho provato anche io tutte quelle cose.
Ma quando l’ho baciata ho spento tutto ciò che non fosse serenità.
Sara si sistema nel suo sacco dall’altra parte del covo e guarda il soffitto.
Io mi avvicino a Felicity, facendo piano, e la osservo.
Ha le sopracciglia leggermente inarcate, e le mani strette in una morsa sotto la guancia destra. Mi ricorda tanto le mie allucinazioni da Vertigo… Quando era morta. Solo a pensarci un’angoscia pesante mi monta nel petto. Anche il mio corpo se lo ricorda: non riesco a fermare il tremito delle mie mani.
Le sollevo il viso dalla scrivania posandole una mano sulla guancia.
Resto così per qualche secondo, e la sua espressione si distende. Torna ad avere l’aspetto di una bambola, di una diciasettenne. In questo momento, Felicity è la figura perfetta della calma, della serenità. Le tolgo gli occhiali e mi ritrovo avvinto in un déjà-vu.
Della sua prima notte al covo. Le sue ciglia, come allora, fanno un giro perfetto sino a toccare l’altra parte della palpebra. Qualcosa è diverso, però. Non irradia più quel senso di delicatezza. Forse allora non lo sapevo, ma Felicity non si rompe mai.
Faccio passare un braccio sotto le sue gambe e la prendo in braccio; la sua testa si posa naturalmente nell’incavo del mio collo. Cammino per qualche passo il più delicatamente possibile, cercando di non svegliarla, e l’adagio nel mio sacco a pelo. Le sollevo la coperta sino al petto.
Senza nemmeno accorgermene, le nostre dita si sono intrecciate.
Mi avvicino al suo viso sino a distinguere ogni lentiggine e ciglia, talmente tante e lunghe che mi chiedo come facciano a non intrecciarsi.
Le poso un leggero bacio sulla fronte.
E le lascio la mano.



Ciao a tutti! Un capitolo in meno verso la fine!
Aspetto i vostri consigli e i vostri pareri:)




 

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