Dr. Irving M.D.

di Serpentina
(/viewuser.php?uid=35806)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La cosa più bella di un viaggio è il ritorno a casa ... o forse no ***
Capitolo 2: *** Get to know him: a man who thrived on solitude ***
Capitolo 3: *** Get to know her: good girl gone med ***
Capitolo 4: *** This is a men's ward ***
Capitolo 5: *** New friends ***
Capitolo 6: *** La baraonda del venerdì sera ***
Capitolo 7: *** I don't need no decoration ***
Capitolo 8: *** Independent woman ***
Capitolo 9: *** Inviti inaspettati ***
Capitolo 10: *** Quattro personaggi in cerca di un costume ***
Capitolo 11: *** Tutti gli uomini di Faith ***
Capitolo 12: *** Ragione contro sentimento ***
Capitolo 13: *** Colpo di fulmine ***
Capitolo 14: *** Colazione da Melanie ***
Capitolo 15: *** Incontro tra titane ***
Capitolo 16: *** Simply the Best ***
Capitolo 17: *** Rose rosse per Faith ***
Capitolo 18: *** Indovina chi viene al congresso? ***
Capitolo 19: *** Camera con... divisa ***
Capitolo 20: *** Il giuramento ***
Capitolo 21: *** A magic first date ***
Capitolo 22: *** Caccia all'uomo ***
Capitolo 23: *** Love is like a roller coaster ***
Capitolo 24: *** Scoop ***
Capitolo 25: *** How to turn a date on ***
Capitolo 26: *** Vulnerable ***
Capitolo 27: *** La festa per farli litigare ***
Capitolo 28: *** Galeotto fu il pollo arrosto ***
Capitolo 29: *** Epilogo: New roads to follow ***



Capitolo 1
*** La cosa più bella di un viaggio è il ritorno a casa ... o forse no ***




Mi presento: sono Serpentina, scrittrice dilettante (e allo sbaraglio). Cronologicamente questa è la mia prima storia; l'avevo abbandonata per mancanza di ispirazione e di tempo, dedicandomi ad altro (non fate Medicina se volete avere una vita, non mi stancherò mai di ripeterlo!), finchè, un bel giorno, l'ispirazione e l'entusiasmo sono magicamente ricomparsi, e ho deciso di riprendere in mano la mia "creatura".
Non voglio annoiarvi oltre, non dico altro, se non: buona lettura!

 
Ad AryYuna, cla madrina di Faith, grazie per la "spintarella" a scrivere e condividere le mie storie
A Elev, Amelia S, Bijouttina, topoleone e RosaEmme93, che con il loro sostegno mi hanno spinta a continuare a scrivere




La cosa più bella di un viaggio è il ritorno a casa ... o forse no



“La persona che parte per un viaggio, non è la stessa persona che torna".
Proverbio cinese


 

Il mondo è bello perché vario, una tavolozza variopinta dei colori più svariati. Tra questi, un guazzabuglio di nome Faith Beatrice Irving. A una prima occhiata poteva apparire come l'emblema della normalità: non era particolarmente bella, non secondo i canoni moderni di bellezza femminile, né dotata di particolari talenti; possedeva tuttavia "celluline grigie" della migliore qualità, un'indole tendenzialmente altruista e (fin troppo) accomodante, una lingua biforcuta con chi non le andava a genio (il 99% dell'umanità), un temperamento incostante, la pretesa di avere sempre ragione e un ottimo intuito, che le era valso la reputazione di donna saggia e la convinzione di potersi immischiare impunemente negli affari altrui (in special modo negli affari di cuore).
Questo peculiare miscuglio di pregi e difetti, malamente mescolati a creare una vera e propria contraddizione vivente, era anche patologicamente incapace di prendere decisioni che la riguardassero in prima persona: navigava attraverso la vita secondo corrente, con placida passività.
A riprova della sua perenne indecisione (o incoerenza, che dir si voglia), Faith aveva faticato a trovare la propria strada: sin dalla tenera età, aveva evitato il più possibile di pensare al futuro, perché, si sa, "del doman non v'è certezza", e non accettava l'idea che nella vita il caso la facesse da padrone. Di una sola cosa era certa: la sua professione ideale prevedeva la pressoché totale assenza di turni notturni e festivi, un orario comodo, che le consentisse di mantenere un'attiva vita mondana e sociale, e - soprattutto - contatti umani ridotti all'osso.
Appesa quindi al chiodo l'idea di dedicarsi all'arte medica, seguendo le orme dei genitori, aveva cambiato risposta alla fatidica domanda "cosa vuoi fare da grande?" con cadenza triennale: a tre anni aveva dichiarato che avrebbe fatto la cubista (nella sua ingenuità infantile identificava le cubiste con le ballerine di danza classica); a sei, affascinata dalle figure di Indiana Jones e Sidney Fox, che sarebbe diventata un'archeologa; a nove, che si sarebbe unita a un circo come donna-cannone; a dodici che sarebbe diventata astronauta, e a quindici che avrebbe passato il resto della vita in un laboratorio (preferibilmente insieme alle sue migliori amiche, Abigail Venter e Bridget Mc Duff, le sue sorelle non consaguinee, le uniche che riuscissero a tollerare i suoi sbalzi d'umore). 
La svolta inaspettata era giunta in un'afosa giornata di giugno. La diciottenne Faith, neo-diplomata con lode, non aveva fatto in tempo a congratularsi con se stessa per l'eccellente risultato ottenuto, che il panico per il nebuloso futuro l'aveva attanagliata: che ne sarebbe stato della sua vita? Prendere decisioni non era mai stato il suo forte, ma quella volta non poteva esimersi dal prenderne una, per di più fondamentale. 
Il caso aveva voluto darle una mano, sotto forma di incontro casuale con colei che, un giorno, sarebbe divenuta il suo capo, la professoressa Astrid Eriksson.
"Segui il cervello, il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Poche, lapidarie parole, che avevano colpito profondamente Faith, al punto da spingerla verso una decisione prettamente razionale: rivalutare l'arte medica. Tutto ciò che desiderava da una professione erano sicurezza economica e stimoli intellettuali, e, sebbene il percorso per fregiarsi del titolo di dottoressa in Medicina fosse lungo e irto di ostacoli, le prospettive di carriera erano delle più rosee: le malattie sarebbero esistite fino a quando ci fosse stata vita sulla Terra, perciò il lavoro era assicurato; inoltre, era sicura che avrebbe guadagnato abbastanza da potersi permettere quello stile di vita senza privazioni al quale non voleva disabituarsi.
Dopo un lungo e faticoso percorso, non privo di intoppi come di soddisfazioni, era stata colta alla sprovvista da un'ennesima batosta; sfiancata da tante battaglie e col cuore spezzato, era fuggita da tutto e tutti per ritrovarsi.
–Casa dolce casa- sospirò, storcendo il naso al brulicante viavai della sua città natale. 
La vacanza aveva sortito l'effetto sperato: la "pausa dall'umanità", come l'aveva definita, le aveva dato il tempo di sanare le sue ferite e trovare la forza necessaria ad affrontare il ritorno in una casa allo stesso tempo troppo vuota e troppo piena (di ricordi).
–Buongiorno, dottoressa!
La destinataria del saluto si riscosse dalle proprie riflessioni e rispose, faticando a mantenere un tono inespressivo.
–Buongiorno a voi, signore! Vi ringrazio per il riguardo, ma al di fuori dell'ospedale sono Faith. Soltanto Faith.
"Per l'amor del cielo, ci manca che si sparga la voce e i vicini vengano a cercarmi a casa per consulti last minute!".
–Ooh, scusaci, cara, è la forza dell'abitudine- squittì Mrs. Wolf, una delle tre anziane signore che l'avevano salutata.
"Cara lo dici a tua sorella".
–Che bella abbronzatura!- trillò Mrs. Norris, la più anziana e pettegola del trio.  –Ma quel vestito ... niente da dire sul tessuto, ma, cara, non ti valorizza! Fidati, ho fatto la sarta per quasi trent'anni! Il colore ti fa sembrare anemica, e poi la forma … uh, che orrore! Per te ci vogliono forme strette sul seno e morbide sui fianchi. Qualcosa stile impero, ad esempio. Senza contare la lunghezza: assolutamente inappropriata per una brava ragazza come te! Se esponi tutta quella mercanzia, rischi di ricevere attenzioni non gradite! La cara Rose sa come ti conci?
"Quale donna sana di mente e autosufficiente si fa vestire dalla madre a ventisette anni suonati?"
Faith si limitò ad un pigolio imbarazzato: se era tipico dell'adolescenza il conflitto madre-figlia, allora lei non aveva ancora smesso di esserlo; voleva bene a sua madre e sapeva, nel profondo, che perseguiva unicamente il suo bene, ma non sopportava i continui tentativi di programmarle la vita, manco avesse cinque anni. I litigi erano all'ordine del giorno, spesso più volte al giorno, ed era sicura che, quando aveva deciso di cercarsi un nido tutto suo, la felicità di suo padre nel non dover più assistere - e fare da paciere - ai loro battibecchi aveva eguagliato il dispiacere che attanaglia quasi sempre un genitore quando i figli spiccano il volo.
–Griselda, la dottoressa è una donna adulta, non ha certo bisogno dell'aiuto di sua madre per vestirsi la mattina- la interruppe Mrs. Wolf.
Faith emise un sospiro di sollievo, ringraziando mentalmente il buon senso di Mrs. Wolf, che la smentì aggiungendo –Inoltre, per tua informazione, non poteva non mettersi questo abito, è un regalo di quel suo amico, quel tipo dissoluto che compare spesso sulle riviste scandalistiche. E' andato a prenderla all'aeroporto e le ha offerto il pranzo da "Titò" o qualcosa del genere...
"Non osare offendere il mio amico Brian, vecchia arpia pettegola!".
–L'ho saputo dalla nipote del padrino di mio figlio, che lavora all'aeroporto, la cui sorella, guarda caso, lavora proprio in quel ristorante- proseguì col suo monologo Mrs. Wolf.
"Non è possibile! Sono circondata! Peggio che in The Truman Show! Quasi quasi me ne torno in Grecia, oppure scappo in qualche remoto angolino del Nepal dove internet non è ancora arrivato!"
–Gentile da parte sua, non è vero?- aggiunse Mrs. Wolf, ignorando l'espressione allibita  comparsa sul volto della giovane, –Ma tu non cedere alle sue lusinghe; uno che va ogni sera con una donna diversa non ti merita! Chiaro?
La giovane donna sospirò una seconda volta, aggiustandosi lo zaino sulle spalle, e trattenne a stento una risata: in verità anche lei, in un impeto di follia adolescenziale, era caduta per un breve periodo nella rete di Brian. A sua difesa, all'epoca era (più) giovane e inesperta, e lui era stato il suo primo, bellissimo, ragazzo, che aveva inevitabilmente elevato su un piedistallo. Una storia destinata al fallimento: è decisamente pericoloso, per un'adolescente alle prime armi, operdere la testa per un ragazzo - per citare sua nonna Beatrice - "patologicamente incapace di tenerlo nei pantaloni". Come prevedibile, dopo qualche mese aveva scoperto di non avere l'esclusiva; quel che era peggio, aveva scoperto che Brian aveva dimenticato di informarla di un dettaglio insignificante: l'essere già impegnato. Fortunatamente, a lenire il suo senso di colpa per aver contribuito a porre un paio di corna sulla testa di una poveretta che sicuramente non lo meritava aveva provveduto la scoperta che il tradimento era reciproco. Dopo un periodo di catarsi, seguito alla scoperta che Brian negli affari di cuore era un "libero agente", assolutamente incapace di darle l'amore esclusivo e totalizzante che agognava, aveva realizzato di non volerlo escludere dalla sua vita; a dispetto dei pronostici, la loro amicizia si era rivelata salda e duratura: Brian aveva bisogno di una presenza femminile nella sua vita che non fosse sua parente e/o lo volesse portare a letto, e Faith aveva bisogno di una persona estroversa che la "svegliasse" un po'.
–Non sei andata in vacanza con lui, vero?
–Sono partita da sola- rispose stancamente.
Come previsto, le tre, che aveva soprannominato "le Parche", ispirandosi ai personaggi della mitologia greca, che da piccola aveva preferito alle fiabe, le rivolsero occhiate di comprensione mista a compassione.
E lei non sopportava di essere compatita.
–Ooh, povera cara! Partire da soli dev'essere così triste!- chiocciò Mrs. Wolf. –Spero che, almeno, tu abbia trovato compagnia sul posto. C'è qualche uomo di cui dovremmo venire a conoscenza?
"Credo che terrò la vagina incerottata per i prossimi dieci anni, e, comunque, non lo verrei a dire a voi comari!"
–No. Nessuno.
–Ooh, che peccato. Ma non buttarti giù: sei una ragazza graziosa e hai un ottimo lavoro, troverai presto la persona giusta per te.
"Dio, quanto le odio! So perchè mi stanno addosso: le altre due single del palazzo si sono sposate, l'ultima due mesi fa, perciò, secondo loro, adesso tocca a me. Col cazzo!"
–Ezra, hai dimenticato di chiederle dov'è andata! Dove sei stata, cara?
–In Grecia- rispose la più giovane con una scrollata di spalle: era stanca, il bagaglio pesante e bramava più che mai una doccia fredda e un sonnellino.
–Ooh, Grecia! L'ideale, per tre settimane di mare!- sentenziò Mrs. Fox, i cui lineamenti rendevano ragione del cognome: aveva, infatti, viso lungo, mento e naso appuntiti e occhi marroni piccoli e furbi.
–Nonchè per divertirsi- aggiunse Mrs. Norris. –Spero ti sia divertita, cara.
Si scambiò uno sguardo d'intesa con le altre due.
–Mi sono divertita a modo mio- replicò, mantenendosi vaga, quindi entrò nel palazzo e corse a casa.
Una volta lavato via il sudore e fatto un riposino, fece una telefonata, si cambiò e scese. Era in procinto di aprire il cancello d'ingresso, quando una voce stridula e, purtroppo, familiare, la bloccò.
–Di nuovo in giro, dottoressa? Sei appena tornata!
La giovane si voltò, faticando a celare una profonda irritazione, e, come previsto, vide, seduta alla solita postazione -una comoda poltroncina stile coloniale su un balcone al primo piano-, Mrs. Norris.
–Ci riposiamo tutti ... dopo morti- rispose col consueto umorismo macabro, salutò con la mano e se ne andò.

 
***

Golfschläger von Uther, periferia di Berlino

-Scheiße!- esclamò un uomo sulla trentina, strusciando furente i piedi sull'erba, mentre osservava la pallina bianca scivolare nella sabbia del bunker.
"Tiro di merda! Pallina di merda! Odio il golf! E odio mio padre: come gli è venuto in mente di portarmi qui?"
D'altronde, con che coraggio avrebbe potuto negare al proprio genitore un pomeriggio insieme, sapendo che non lo avrebbe visto per diversi mesi?
Per questo si trovava lì, in quel golf club pieno di snob tronfi e ragazzine che davano un significato tutto nuovo all'espressione "andare in buca". Non ricordava di essere mai stato così esplicito, a quell'età. In effetti, non ricordava di essere mai stato esplicito: erano sempre state le ragazze a provarci con lui, non viceversa, e la consapevolezza che il loro interesse era riservato pressochè esclusivamente al suo aspetto aveva ridotto di molto la sua considerazione del genere femminile.
"Avessi almeno fatto un tiro decente!", pensò: la sconfitta gli bruciava parecchio, essendo abituato ad essere il migliore in qualunque campo si applicasse.
-Che ti serva da lezione, lieber Sohn: mai sfidare il quattro volte campione del club; anche se ti impegni al massimo ti farà comunque mangiare il green.
–Non ridere, per favore!- gnaulò il figlio, aggrottando la fronte in un misto di frustrazione e concentrazione; non era abituato alla sconfitta, il che rendeva il fisiologico senso di frustrazione del perdente ancora più insopportabile.
Entschuldigung- replicò il padre, ridacchiando sotto i baffi, poi, non riuscendo a trattenersi, aggiunse –Credevo che qualcuno capace di tuffarsi dalla scogliera di Acapulco e dalla cascata del Salto Angel avrebbe ritenuto una partitella a golf una passeggiata.
–Perdonami se non amo il golf quanto te, papà. Preferisco gli sport estremi: avere regole da seguire mi impedisce di sfogarmi.
–E' incredibile che qualcuno con questa filosofia riesca a resistere otto ore al giorno dietro a un microscopio- asserì l'uomo di mezza età.
-E' incredibile che qualcuno abituato a viaggi scomodi e cibi ai limiti del commestibile possa amare uno sport noioso e statico come il golf.
–Forse è proprio per questo che mi piace: mi muovo troppo, è bello rilassarsi e pensare solo allo swing della mazza- ignorò il risolino del figlio alla parola "mazza" -A che ora hai detto che hai l'aereo?
–Domattina alle undici- rispose il figlio. –Dovrei atterrare intorno alle due a Gatwick. Verrà a prendermi Xandi.
–Bene.
–Puoi dirlo forte: i taxi a Londra costano un occhio della testa, e di occhi ne ho soltanto due!
–Strano che tua madre manchi all'evento, quando eravamo sposati non perdeva occasione per lamentarsi della mia magrezza e sciatteria, ogni volta che tornavo da un viaggio- commentò l'altro.
–Non mi dispiace più di tanto: voglio bene alla mamma, ma va presa a piccole dosi, altrimenti rischio di cedere alla furia omicida, e una condanna per matricidio nuocerebbe irrimediabilmente alla mia brillante carriera in ascesa!- sospirò il figlio.
–E' stata gentile la professoressa Eriksson a informarti del concorso per ricercatore al Queen's Hospital. Non molti avrebbero puntato su qualcuno così giovane, anche se promettente.
–La proffa sa riconoscere chi ha stoffa, e io, senza falsa modestia, ne ho da vendere! Non a caso, ho ottenuto il posto.
–Contento di tornare a casa? Scommetto quello che vuoi che quell'impicciona di tua madre sta già cospirando per sistemarti! E' ora che tu metta la testa a posto, Kind!- scherzò l'uomo in una perfetta imitazione della ex moglie.
–Dovreste chiarire, voi due, avete un rapporto che definirlo infantile è farvi un complimento. No, non guardarmi così, sai che ho ragione. Ho smesso da anni di coltivare l'illusione che tu e la mamma sareste tornati insieme - non funzionavate insieme, siete più felici adesso, è un dato di fatto - ma un faccia a faccia è d'obbligo: tu potresti scusarti per essere stato poco presente e averle tirato contro il suo servizio da tè Wedgewood preferito prima di tornare in Germania, e lei per essere stata dittatoriale e soffocante e per averti tirato contro il servizio di piatti che nonna Marthe aveva salvato dai bombardamenti, durante la guerra.
–Sai che non accadrà mai, vero?
Per tutta risposta, l'altro diede un colpo feroce alla pallina, che finì dritta nel laghetto.
-Qualcosa mi dice che vincerò la partita- soffiò sornione il padre.
"Scheiße!"

 
***

A centinaia di chilometri di distanza, nella vecchia, inossidabile Inghilterra, due amiche cercavano sollievo dal caldo nel fresco condizionato di un bar elegante, sorseggiando tè freddo.
Una di loro teneva in braccio una bambina di sedici mesi, mentre, con la mano libera, giocherellava con la cannuccia.
La bimba, irritata dalla mancanza di attenzioni, si agitava di continuo, esasperando sua madre, che si domandava cosa avesse bevuto quando aveva deciso di portarsela dietro.
L'amica della donna, non particolarmente amante dei bambini, si limitò a rivolgerle un'occhiata compassionevole, prima di controllarsi il trucco nella parete a specchio del locale.
–La tua telefonata mi ha molto sorpreso, Bridget- esordì la prima, curvando le labbra in un sorriso tirato. –Credevo che, nonostante il divorzio imminente, saresti rimasta in Spagna... dopotutto, l'estate inglese non è minimamente paragonabile a quella di Formentera.
–Dovevo staccare la spina- rispose l'altra. –Sai, nell'ultimo periodo l'avvocato del mio quasi ex marito mi è stato vicino... molto vicino... in pratica mi ha dato quello che, se l'avessi ottenuto da mio marito, avrebbe evitato il divorzio, ma stava diventando insistente, e sparire senza preavviso è il miglior modo per far capire al tuo ultimo "giocattolino" qual è il suo posto.
–Giocattolino?
–Ino!- trillò la bimba, immaginando stessero parlando di un giocattolo da regalarle.
–Uuh, qualcuno vuole che la mamma le compri una bambola nuova, magari parlante- cantilenò Bridget, sorridendo alla piccola, che ricambiò, annuendo vigorosamente.
–Non metterle in testa idee del genere, B, non voglio che venga su viziata- la rimproverò l'amica. 
–Non ti scaldare, Ab, o inizierai a sputare fuoco! Se avessi amato tutti gli uomini con cui sono andata a letto, Abby cara, ora avrei il cuore a pezzi. Ma non rinuncio alla speranza di trovare quello giusto, prima o poi, un marito con cui invecchiare. Deve esistere la mia anima gemella, da qualche parte là fuori!
–Non demordere, B, la quarta volta è quella buona- replicò Abby con evidente sarcasmo. Era una strenua sostenitrice della concezione tradizionale di famiglia, quindi disapprovava di tutto cuore la condotta spregiudicata, i matrimoni facili e gli ancor più facili divorzi dell'amica. Conosceva Bridget dai tempi del liceo, e la longevità della loro amicizia la faceva sentire legittimata ad immischiarsi nella sua vita privata, superando, a volte, i limiti dell'invadenza.
"Perchè si ostina a darsi via così? Ha tutte le carte in regola per trovare un buon marito, mettere su famiglia... perchè non pensa a sistemarsi?", pensava, digrignando i denti per non esprimere a voce alta i propri pensieri. "Abbiamo la stessa età ed è già stata sposata tre volte! Senza contare tutti i 'giocattolini'."
–Non sei divertente, Ab.
–Io sono sempre divertente- replica Abigail, poi aggiunge, solleticando la figlia –Vero, amore, che la mamma è divertente?
–Gnò- rispose la piccola.
–Oh, Kaori, se non avessi il rossetto ti darei un bacio!- esclamò Bridget, per poi chiederle  –Per inciso... senza offesa, ma... che razza di nome è Kaori?
–B, è dai tempi del liceo che ripeto che voglio almeno tre figli e avranno tutti nomi con la K!
–Esistono altri nomi con la K: Karen...
–Banale
–Kylie.
–Neanche per sogno!
–Kimberly, allora!
–Questo sì. Quando e se Kaori dovesse avere una sorellina, la chiamerò Kimberly. Grazie dell'idea.
–Hai avuto una figlia poco più di un anno fa, e già pensi di allargare ulteriormente la famiglia?  Tu estás  loca!- commentò Bridget. Secondo lei Abby, sposandosi e mettendo al mondo una figlia a venticinque anni, aveva rinunciato agli anni migliori della sua vita, anni che lei, invece, non avrebbe sprecato per nulla al mondo. Scrollò le spalle e aggiunse, con studiata nochalance, –A proposito di chicas locas, hai avuto notizie di... Tu-Sai-Chi?
–Dunque, vediamo... L'ultima che ho sentito è che ha lasciato questo mondo per mano di Harry Potter nella Battaglia di Hogwarts- rispose Abby con un sorrisetto sardonico.
–Molto spiritosa. Davvero. Seriamente, Ab...
–Non so dove si sia cacciata Faith, ok?- sbraitò l'altra punta sul vivo. –Sono preoccupata- aggiunse, fissando il fondo del bicchiere mezzo pieno.
Nada de nada?
–No, per questo sono preoccupata. Dopo ... tu-sai-cosa ... era talmente depressa che non ho battuto ciglio quando Demon le ha regalato un biglietto VIP per il Potterfest; ci sarebbe stato anche lui, l'avrebbe tenuta d'occhio.
–E l'ha fatto?
–Sì. Al ritorno, però, si è chiusa di nuovo in casa ad autocommiserarsi...
–Mami! Guadda!- strillò Kaori.
–Non adesso, Kaori.
–Ma mami!
–Niente ma, Kaori. Dopo.
La bambina, imbronciata, si rimise a sedere, a braccia conserte.
–Si sarà ritirata in eremitaggio per studiare. Non mi sorprenderebbe, è così tipico di lei!- esclamò Bridget, arricciando il naso.
–Faith è sempre stata una secchiona della peggior specie- commentò Abigail.
–Come non hai fatto che ripeterle dal primo anno di liceo. Al suo posto, ti avrei già mandata a quel paese o in qualche località più volgare!- le fece notare una sghignazzante Bridget. –Comunque non mi preoccuperei, Faith non è nuova a colpi di testa. Pensa a Cyril!
–Non pronunciare quel nome in mia presenza! E' tabù! Giuro, se lo avessi davanti lo torturerei fino a fargli invocare la morte, per aver fatto soffrire Faith! Anche lei, però, non scherza. Stavolta ha oltrepassato ogni limite! E' partita senza avvisare nessuno, nemmeno i suoi genitori. L'ho saputo dalle vicine, pensa!
–Quelle tre arzille vedove ficcanaso che giocano a bridge il venerdì sera? - chiese Bridget, sorridendo al ricordo delle anziane rompiscatole.
–Esatto- rispose Abby. –Quella sciroccata è praticamente fuggita senza lasciare traccia, se non  una cartolina inviata da Budapest a sua madre; la povera Rose ha quasi avuto un infarto. Quando mi ha telefonato era in lacrime, pensa! Faith sa essere veramente senza cuore!
–Avrai modo di riversarle addosso il tuo rancore non appena rimetterà piede su suolo inglese, il che dovrebbe accadere prima di quanto immagini.
Abigail, per lo shock, rovesciò il bicchiere.
–Come lo sai?- chiese, cullando la piccola, che piangeva per il vestitino bagnato.
–Diciamo che conosco un tizio...
–Con "conoscere", intendi che ci sei andata a letto, Bridget?- chiese Abigail, tappando le orecchie di Kaori.
–E' un dettaglio di nessuna importanza, Ab- rispose l'amica con una mezza smorfia che fece intuire ad Abigail che aveva indovinato. –Come stavo dicendo, prima che mi interrompessi con domande inutili, conosco questo tizio, che conosce un altro tizio, che conosce un investigatore privato. Ho qui un resoconto dettagliato degli spostamenti della nostra latitante- aggiunse, pavoneggiandosi. Lei, Faith e Abigail erano un trio estremamente competitivo; capaci di fare lavoro di squadra, se necessario, non rinunciavano al piacere di primeggiare alla prima occasione. –Faith ha lasciato Londra il tredici agosto, diretta a Firenze, dove è rimasta due giorni, prima di partire per l'Ungheria in compagnia di una cugina, Bianca. Una settimana più tardi, è volata, da sola, in Grecia, dove si trova attualmente. Credo. Purtroppo, da tre giorni a questa parte quell'incompetente ha perso le sue tracce. Le ultime foto che ho ricevuto la ritraggono in un locale di Skiàthos a bere Ouzo e ballare il Tresacchi.
–Sirtaki, Bridget- la corresse l'interessata, incenerendola con lo sguardo. –E grazie per avermi fatta pedinare.

Nota dell'autrice:
Spero vi sia piaciuta questa introduzione ai personaggi. Per entrare nel vivo della storia dovrete aspettare un po' (pochissimo, ve l'assicuro!): credo che i protagonisti vadano presentati al meglio, quindi ho riservato un capitolo a ognuno di loro.
Confesso: ho usato, e userò, Google translator per le traduzioni in tedesco. Perchè mi sono ostinata a scegliere una lingua che non conosco? Non lo so. So solo che, quando ho creato Lui, l'ho immaginato tedesco (o meglio, di origini tedesche) e non ho voluto cambiare idea. Ebbene sì: non ho voluto rivelare il suo nome, ma nella scena al golf club fa la sua comparsa il protagonista maschile, che conoscerete in tutto il suo germanico splendore nel prossimo capitolo.
Grazie per aver dedicato qualche minuto del vostro tempo alla mia "creatura". Se vi va, lasciate una recensione, i complimenti sono bene accetti quanto le critiche (costruttive). Non mordo, giuro! XD




 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Get to know him: a man who thrived on solitude ***


Vi lascio alla lettura del capitolo, interamente dedicato a Lui, voglio solo ringraziare i lettori silenziosi, e poi Bijouttina, che ha recensito,  _maryan84_, che segue la storia e Alyxandra, che l’ha inserita tra le ricordate. ^^
 



A man who thrived on solitude




E’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie.
Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen

–Cento sterline buttate nel cesso! Cento!- sbraitò, infuriato, Franz Friedrich Weil, brandendo il telefono cellulare come un’arma.
Aveva origini tedesche, come suggeriva il nome, ma era nato e cresciuto in Inghilterra, che aveva lasciato grazie a una borsa di studio. Nella vita, si sa, non è sempre possibile andare dove porta il cuore; spesso si va dove portano motivazioni più materiali: la sola e unica ragione per cui aveva deciso di tornare nel suo Paese natale era un posto al Queen Victoria Hospital. Non vedeva l'ora di dare il via a questo nuovo capitolo della sua vita, sperando si rivelasse migliore dell'appuntamento dal quale era reduce. Naturalmente, non si fece remore a sfogare la frustrazione sul fratello, avvezzo alle sue lamentazioni da primadonna.
–La tua tirchieria non finisce mai di sorprendermi- ridacchiò il suddetto fratello, Alexander.
I fratelli Weil erano un singolare miscuglio di geni: Alexander, il maggiore, aveva ereditato i capelli biondi del padre e gli occhi nocciola della madre; Franz, il minore, i capelli scuri della madre e gli occhi azzurri del padre. Anche caratterialmente erano agli antipodi: idealista ed estroverso Alexander, riservato e pragmatico ai limiti del materialismo Franz. Nonostante le differenze, però, andavano d’accordo … nella misura in cui possono andare d’accordo due fratelli.
–Lasciamo stare, guarda! Cena pessima, compagnia persino peggio ... avrei potuto passarci sopra, se non fossi pure andato in bianco. Se permetti, Xandi, ho tutto il diritto di lamentarmi!- gnaulò il reduce da un appuntamento che aveva brancolato nel buio dall’inizio alla fine.
–Ah! Ecco il vero motivo del tuo malumore! Sapevo che non potevi essere spilorcio fino a questo punto.
–Non vorrai farmi la paternale! Sono mesi che non faccio sesso - no, non ti dirò quanti, mi rideresti dietro fino a Pasqua- e stasera speravo di… insomma ... tornare in attività. Riaprire bottega.
–Oh, poverino! Spero che la prossima volta che entri in ospedale non sia perché ti sono scoppiati i co…
–Xandi! Non sei divertente!- ululò Franz.
–Mi permetto di dissentire- ribatté Xandi, che adorava prendersi gioco del “piccolo” Franz. –Comunque, nel caso non lo sapessi, per evitare che due organi che un giorno potrebbero servirti - sai a cosa mi riferisco- esplodano per il mancato uso, esistono delle pagine, molte gratuite, che si chiamano siti porno …
–Va’ a farti fottere!
–Contaci! Non appena la mia mogliettina sexy torna a casa- replicò l’altro senza imbarazzo alcuno.
–Ti sto odiando profondamente, Xandi, sappilo! E tua moglie non è sexy!- esclamò Franz, deciso a surclassare il fratello in quella gara di immaturità.
–Lo è eccome, ma per la volpe che rosica l'uva è acerba- replicò Alexander.
–Tornando a questioni serie: non capisco dove ho sbagliato: le ho fatto scegliere il ristorante, le ho offerto la cena anche se non ho mangiato quasi nulla, a differenza sua, le ho fatto i complimenti per il vestito, anche se mi faceva schifo, ho sorvolato sul fatto che non fosse proprio la mia donna ideale, ho rallentato il passo per non farla sentire una lumaca sui tacchi, l’ho accompagnata a casa …
–Un perfetto gentiluomo dei nostri tempi- ridacchiò l'altro.
–Esatto! Allora perché sono qui a parlare con te, invece che a scopare con … come si chiama?
–Già il fatto che non ricordi il suo nome dovrebbe spingerti a un esamino di coscienza- esalò stancamente Xandi, abituato agli sfoghi epici di Franz, egocentrico come pochi. A quanto pareva, il suo scopo nel mondo consisteva nell'essere il Mycroft Holmes per quell'(a volte) insopportabile Sherlock che era Franz (la lettura dell'opera omnia di Conan Doyle gli aveva messo sotto gli occhi le innegabili affinità tra i due: cervello sopraffino, modestia inesistente ... sperava solo non si desse anche lui alle droghe). –E poi scusa, ma non hai appena detto che non era la tua donna ideale?
–In tempi di magra non vado tanto per il sottile. Volevo farmela, non sposarmela!. sbuffò Franz.
–Conoscendo mamma, se non metterai la testa a posto presto, ti troverà lei una brava ragazza che si prenda cura di te e ti costringerà a portarla all'altare, a costo di costringerti con un fucile puntato alla schiena. Non ti ha organizzato l’appuntamento per la tua felicità, bensì per soddisfare il suo desiderio egoistico di avere due figli sposati e con famiglia- gli fece notare saggiamente Xandi.
Franz, dopo una breve riflessione, non potè che convenirne.
–Hai ragione. Devo analizzare i pro di questa serata: ho mangiato discretamente bene, ho potuto sfoggiare un cappotto nuovo che mi piace molto e, dulcis in fundo ... la mia libertà è salva. Almeno per il momento. Grazie per avermi riportato alla razionalità, Bruder.
Xandi lo salutò e Franz, emesso un sospiro di sollievo, aprì finalmente la porta di casa.
Dopo una doccia rilassante, era intenzionato a contattare gli amici di Berlino, o guardare la tv, ma lo squillare incessante del cellulare lo costrinse ad alzarsi; dalla suoneria ( “La Cavalcata delle Valchirie”) capì che a chiamarlo era sua madre, il che lo irritò profondamente: le voleva bene, e sapeva che agiva in buona fede, ma non sopportava il suo carattere dittatoriale, né tantomeno le ingerenze nella sua vita privata.
Non a caso, uno dei motivi che l’avevano spinto a concorrere per la borsa di studio per terminare gli studi in Germania era stato proprio il desiderio di fuggire dalle grinfie della sua soffocante genitrice.
Hallo, Mutti- esalò, chiudendo gli occhi come un condannato a morte in attesa del colpo di grazia.
Kind!- esclamò una voce che sarebbe stata gradevole, se avesse avuto un volume più basso. –Was passiert? Come mai sei già a casa? Non ti aspettavo prima di mezzanotte!
–Se mi credevi ancora in giro, perché hai chiamato?- le chiese, pensando che quella donna era la personificazione dell’incoerenza.
–Perché ho visto la cara Annie entrare a casa di sua madre, e volevo sapere cosa era successo, quando la rivedrai…
Annie era la figlia della dirimpettaia di sua madre, che non aveva perso tempo: il giorno successivo al ritorno del suo secondogenito nella natia Inghilterra, gli aveva combinato un appuntamento, nella speranza di vederlo presto sposato e con famiglia.
“Certe volte vorrei che il matricidio fosse legale…”
–Non è successo niente di rilevante e no, non la rivedrò- sentenziò in tono che non ammetteva repliche.
Warum nicht?
Weil... Weil nicht, Mutti! Questo appuntamento è stato il primo e ultimo! Kaput!- replicò.
–Perché? Annie è una così cara ragazza, sareste perfetti insieme!
“Perfetti un corno! Quella tizia è buona solamente orizzontale: era così intollerabilmente oca che il suo mononeurone è morto di solitudine!”
–Chiariamo un punto: tu vuoi che io… insomma: vuoi che… ehm, diciamo mi dia alla pazza gioia, stile Brian Cartridge, o vuoi che trovi una donna che mi piace?- sbottò.
–Voglio che tu sia felice, Kind- rispose la donna in tono lacrimoso. –Felice … e sistemato. Sei un uomo di una certa età, ormai, è il momento che ti sistemi.
“Se osa ripetere quella parola un’altra volta della stricnina scivolerà accidentalmente nella sua tisana della buonanotte!”.
–Bene. Allora ti chiarisco una cosa: io non cerco una moglie, né una compagna. Ok? Se dovessi incontrare chi fa al caso mio bene, altrimenti sto alla grande da solo! Non uscirò con la prima che tu metterai sulla mia strada al solo scopo di permetterti di vantarti con le tue amiche, mettitelo bene in testa!
Kind, hai frainteso- cinguettò la donna. –E sei troppo affrettato nei tuoi giudizi: Annie è perfetta per te, è il tipo…
–Tutto casa e famiglia? Se avessi visto la non lunghezza della gonna che indossava non saresti di questa idea. Comunque, non mi interessa: se proprio devo mettermi il cappio al collo, gradirei una compagna che non si limiti ad annuire quando parlo- ringhiò lui in risposta.
Amava la propria libertà, l'indipendenza e, perché no, la solitudine. Se proprio avesse dovuto immaginare una donna al suo fianco, sicuramente non sarebbe stata una “Annie”: non si era mai soffermato a immaginare la sua donna ideale, ma, se proprio avesse dovuto elencarne le caratteristiche, in primis l'avrebbe pretesa con una spiccata personalità, una che non pendesse dalle sue labbra, insomma; anzi, che gli tenesse testa e, perché no, fosse testarda almeno quanto lui. Era sicuro di sè e delle sue doti di casalingo abbastanza da non includere tra i requisiti della sua donna ideale l’abilità in cucina o nelle faccende domestiche. Rispettava la scelta di coloro che preferivano dedicarsi interamente alla famiglia, ma il solo pensiero di avere qualcuno che lo aspettava ogni giorno al ritorno dal lavoro gli provocava un attacco di panico.
Suo fratello e i suoi amici gli ripetevano - ormai Franz aveva rinunciato a capire se scherzassero o meno - che la sua donna ideale era un uomo con tette e vagina. A volte Franz si trovava a pensare che, forse, non avevano tutti i torti. –Finiscila con queste sciocche fantasie adolescenziali. Non fai un lavoro normale, hai bisogno di qualcuno che non ti mandi a quel paese per i tuoi turni assurdi e tolga la puzza di ospedale dai tuoi vestiti.
–I miei vestiti sono profumatissimi, grazie tante! Non sarebbero fatti tuoi, ma te lo dico lo stesso: me ne sono andato perché Annie ha cominciato a fare discorsi stupidi sul mio lavoro, e nessuno critica impunemente il mio lavoro.
–Questo perché non hai ascoltato il mio consiglio e sei rimasto sul vago. Se ti fossi limitato a dirle che sei un medico la serata avrebbe preso una piega diversa.
–Non sono in prima linea per salvare vite umane, ok, ma sono comunque orgoglioso di quello che faccio, e se a qualcuno non va bene può andarsene a…  lasciamo perdere.
Wie du willst. Mi arrendo- sospirò la donna. –Scartiamo Annie.
Vielen Dank, Mutti.
–Chiederò a Louise se Samara è ancora single. E’ un’artista, dovrebbe avere un temperamento "estroso", capace di reggere le tue, ehm, "stranezze".
–Ti prego, non farmi pentire di aver lasciato Berlino; ho i bagagli ancora mezzi pronti e sono pronto a spiccare di nuovo il volo, sappilo!
Pochi giorni dopo invitò i familiari a cena per festeggiare la fine dei lavoretti al piccolo appartamento che aveva preso in affitto, in attesa di una sistemazione più stabile.

Gli piaceva cucinare, senza falsa modestia se la cavava egregiamente ai fornelli, e gli era sembrato anche un modo carino di scusarsi con sua madre per la sfuriata seguita al disastroso appuntamento con Annie.
In attesa che gli ospiti arrivassero si guardò intorno compiaciuto: aveva trasformato la dimora di un’anziana nubile (spedita in ospizio dalla nipote, collega di sua madre) nella tana di uno scapolo ancora indeciso se e dove mettere radici. Col permesso della proprietaria, e grazie alla collaborazione di suo fratello, amante del bricolage, aveva cambiato colore alle pareti, prima tutte bianche ( non sopportava quel colore abbacinante, gli ricordava i muri degli ospedali), aveva dipinto di rosso, il suo colore preferito, la testiera in ferro battuto del letto e le inferriate del balcone, e aveva fatto mettere una penisola a chiudere l'angolo cottura per renderlo meno visibile dall'ingresso-soggiorno.
La cena procedette senza intoppi fino al dessert, una Schwarzwälder Kirschtorte, che venne accolto tra gli applausi: era nota, in famiglia, la bravura di Franz in cucina.
Il padrone di casa gustò il dolce insieme agli altri, sorridendo divertito a suo nipote Hans, che rubava le scaglie di cioccolato dal piatto del padre, e intenerito a sua cognata, che imboccava il recalcitrante figlio minore, Wilhelm, di un anno.
L’idillio venne spezzato da sua madre Gertrud, detta Gertie, ex Frau Weil, attualmente Mrs. Philips. Questo ciclone umano era quel che si dice “una donna di polso”, di quelle che non si arrendono mai, arrivando a negare l’evidenza pur di confermare le proprie teorie e raggiungere i propri scopi. Questa Wonder Woman sulla soglia della settantina, come la maggior parte delle madri, viveva un conflitto interiore tra la paura di perdere il suo pargolo e quella di doverselo sorbire vita natural durante; dato che il suddetto “Kind” somigliava in maniera impressionante al padre, aveva prevalso il desiderio di sbolognarlo, o meglio, affidarlo a una brava ragazza che se ne prendesse cura.
“ Ce la farò”, pensava. “ Sono riuscita a sistemare Alexander, e lui sì che è un osso duro! Accasare Franz sarà un gioco da bambini.”
Animata da tali propositi, brindò –A Franz, nella speranza che mantenga il posto e trovi in Samara la donna giusta con cui dividere casa e vita! Zum Wohl!
A quelle parole, all’interessato andò di traverso il vino; annaspò, rifiutò l'offerta di Hans di aiutarlo con la “manovra di Hamelin” (non fosse stato sul punto di soffocare l'avrebbe corretto: era la manovra di Heimlich!), bevve un altro sorso per calmarsi e (complimentandosi mentalmente con il nipotino, che alla sua tenera età conosceva una manovra salvavita) rispose –Samara? Non sarà l'ennesima figlia sbroccata dell'ennesima tua amica insulsa!
–Samara?- intervenne Alexander, dotato di una propensione al pettegolezzo più unica che rara nel genere maschile. –Esci con la bambina maledetta di “The Ring”?
–Ti sto odiando profondamente, Xandi, sappilo. E grazie, Mutti, ma sto bene da solo.
–Non dire sciocchezze! Nessuno sta bene da solo, per questo ho dato il tuo numero alla cara Louise. Sua figlia ti chiamerà in settimana. Ti conviene comportarti bene, con lei- ribattè Gertrud, che non tollerava di essere contraddetta. –Non mi stancherò mai di ripeterti che devi sistemarti, Kind, hai quasi trent'anni! Non mi vuoi dare qualche nipote?
Qualche?- boccheggiò Franz, rivolgendo un’occhiata disperata al patrigno, che, per sua fortuna, si decise a intervenire.
–Gertie, lascialo stare, è ancora giovane. Fallo ambientare al lavoro, riprendere confidenza con gli amici… il resto verrà da sé.
–Non lo conosci come lo conosco io, Martin- replicò Gertrud, –Con questo zuccone servono le maniere forti, o non mi farà mai diventare nonna!
–Mutti, Franz non ha la data di scadenza!- si intromise Alexander. –E poi Franz non può trovarsi la fidanzata, ne ha già una che ama alla follia, con una carrozzeria da urlo! Si chiama Harley...
–Harley?- trillò Gertrud, al settimo cielo dalla contentezza, prima di rendersi conto di essere stata presa in giro. –Un momento: Harley è la moto! Alex, mi stai prendendo in giro!
–Non proprio- rispose Alexander. –Franz è talmente innamorato di quella moto che se potesse se la porterebbe a letto!
–Sei still, Alexander, sei incapace di fare un discorso serio!- sbottò Gertrud. –Quanto a te, non capisco per quale motivo non voglia una donna accanto. Pensa che bello avere qualcuno che si prende amorevolmente cura di te, addormentarsi e svegliarsi accanto a chi ti ama...
–E mi ruba il mio già risicato spazio vitale? No, grazie!- replicò, sbuffando, Franz. –Non voglio una donna, punto!
–Preferisci gli uomini? Nessun problema! Mi basta che tu sia felice ... E accasato- ribattè Gertrud.
Franz, ripresosi dallo shock, rispose –Non sono gay! Non voglio nessuno accanto, né maschio, né femmina, né umano, né animale, è così difficile da capire? Voglio coricarmi e svegliarmi da solo in un letto matrimoniale!
Regnò il silenzio mentre finivano il dolce, dopodichè la madre e il patrigno di Franz fecero ritorno a casa.
Allora si volse al fratello e gli chiese –Ho esagerato, vero?
–Con la mamma non si esagera mai. E’ una tiranna, hai fatto benissimo a difendere il tuo diritto a vivere la tua vita come ti pare e piace. Però cerca di capirla: vuole la tua felicità, e per lei felicità significa non restare mai soli. Specialmente…
–Dopo che il suo matrimonio è andato a rotoli. Papà non c’era mai, lei c’era anche troppo. Una coppia decisamente male assortita- asserì Franz. –Spero abbia capito che, per il momento, voglio godermi la vita senza dover rendere conto a nessuno.
–Per una madre è più facile accettare un figlio gay che uno misantropo- osservò Alexander.
–Io. Non. Sono. Misantropo- ribattè l’altro, riducendo gli occhi a due fessure.
–No. Sei soltanto un... amante della libertà!
–Oh, sei still! Non capisco mai se sei serio o mi prendi in giro. Senti: sono appena stato assunto, sono giovane e libero, ho altro a cui pensare che non mettermi il cappio al collo. Che male c'è a non volersi impegnare?- domandò Franz, più a se stesso che al fratello.
–Franz, ti capisco, io ero come te!- esclamò Alexander. –Non hai idea di quante volte mi è toccato sorbirmi questa predica di mamma mentre eri in Germania!... Per non parlare degli esilaranti appuntamenti che mi organizzava… Sono scappato per sposarmi e non ha battuto ciglio, pensa quanto era disperata!
–Xandi, tu non sei scappato per sposarti, sei andato in vacanza e sei tornato con un sorprendente “souvenir”, è diverso- lo corresse il fratello.
–Il risultato non cambia. Ho conosciuto una persona speciale, e... ho capitolato. E il bello è che non me ne sono nemmeno reso conto! Non rimpiango nulla della mia vita prima di Serle, anzi, mi sembra pure un po' ridicola!
–Bleah! Chi sei tu, e che ne hai fatto del mio fratellone? Sparisci, prima che mi venga il diabete!- replicò schifato Franz, spingendo il fratello verso la porta.
–Vedrai se non ho ragione. Prima o poi troverai pane per i tuoi denti, e allora sì che ci sarà da ridere!- asserì Alexander prima di lasciare casa di Franz con moglie e figli.
–Impossibile, Xandi, e per un semplice motivo: non voglio sistemarmi, io voglio vivere!- sbuffò l’altro, salutandolo prima di chiudere la porta.
Innamorarsi, lui? Impossibile, era uno spirito troppo libero!
 
Nota autrice:
L’apoteosi del romanticismo il caro Franz, non c’è che dire! XD
Scherzo, naturalmente. Il suo problema è che non ha le stesse priorità di sua madre, che non vede l’ora di diventare nuovamente nonna. Il rifiuto di una storia seria non è dettato da incapacità di amare, quanto dall’idea che una relazione lo distoglierebbe dal suo obiettivo, fare carriera (e, nel tempo libero, godersi la vita senza limiti). Non è detto, però, che non trovi “pane per i suoi denti”, per dirla come Xandi…
Last, but not least: "sei still" = stai zitto in tedesco; la Schwarzwälder Kirschtorte, meglio nota come Torta Foresta Nera, è un delizioso dolce con pan di spagna al cacao, panna, maraschino e frutta candita ( ciliegie o amarene, a seconda della versione). Se non l’avete mai assaggiato fatelo, è ottimo!
Alla prossima!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Get to know her: good girl gone med ***



Welcome back! Stavolta il capitolo è interamente dedicato a lei: Faith. Buona lettura, e grazie per il tempo che dedicate alla mia storia. Un grazie speciale ad AryYuna, la "madrina" di DIMD, a Elev per lo stupendo banner, a Bijouttina e Lunastorta87, che hanno recensito, ad Aspasia96, polie e questosilenziomiuccide, che hanno inserito la storia tra le seguite, e a incase, che l'ha inserita tra le preferite! *lancia cioccolatini*
 



Good girl gone med




Chi si affida per aiuto all'improbo mentre cerca soccorso, trova la sua rovina.
Fedro

 
–Dammi tutto l'alcool che posso avere per cinquanta sterline!- ordinò imperiosa Faith Irving, accomodandosi su uno sgabello di "Ruffles”, locale trendy della Londra “bene”.
–Cinquanta?- esclamò il barista, sconcertato. –Bastano a mandarti in coma etilico, sorella.
Faith sospirò stancamente e rispose –E' proprio ciò che spero, fratello.
Si era sforzata di non crollare, ignorando i propri sentimenti, schiacciandoli per dedicarsi anima e corpo al lavoro, a cercare una via d’uscita da quella situazione di merda.
A quanto pareva, però, la vita stava cercando di ricordarle in tutti i modi che meritava di soffrire, riuscendo nell'intento.
Di tutti i posti che quel maledetto bastardo del suo ex mentore Samuel Solomon avrebbe potuto scegliere per ubriacarsi insieme a Charlotte Higgins, sua acerrima rivale, sfiga aveva voluto scegliesse proprio quello in cui lei aveva deciso di bere per dimenticarli.
Sin dal primo giorno di università, Charlotte aveva considerato Faith un’avversaria da battere, nonostante quest'ultima nutrisse nei suoi confronti la più totale indifferenza: secondo la Irving, Charlotte Higgins era la personificazione dello stereotipo della bella ochetta bionda, buona soltanto a ricoprire il ruolo di bella statuina; purtroppo per l'umanità, pensava Faith ogniqualvolta l'altra metteva in mostra la propria ignoranza, aveva deciso di ricoprire un ruolo ben oltre le sue - limitate - capacità cognitive: quello di medico.
Forte della sua superiorità intellettuale, non aveva mai sprecato tempo e/o energie ad odiare Charlotte, né si era sentita minacciata quando se l'era ritrovata come collega di specializzazione; aveva cominciato a detestarla solamente quando la bella statuina aveva iniziato ad intralciare la sua scalata al successo: Charlotte era una che poteva permettersi di non faticare, tanto si faceva strada nella vita a gambe aperte (per usare un espressione più raffinata: si sapeva vendere), al contrario di Faith, più di sostanza che di apparenza. Non riusciva a sopportare di essere surclassata da un volatile da cortile con un bel faccino, che non sapeva distinguere il fegato dal polmone.
In quel momento, tuttavia, grazie alla calma zen che solo cinque vodka lemon potevano donare, Faith comprese di non odiare la collega che le aveva immeritatamente rubato il posto: la compativa, perchè una persona con così poco rispetto per se stessa non meritava altro che pietà, la perdita della dignità era una punizione più che sufficiente.
Era invece sul punto di detestare cordialmente Brian e suo fratello Ben, marito di Abby, che l'avevano trascinata quasi di peso in quel posto chic pieno di gente snob per festeggiare il primo passo verso la sua rinascita: il trasferimento dal Charing Cross Hospital al Queen Victoria Hospital, trasferimento che non si sarebbe mai reso necessario se fosse stata meno ingenua, se non si fosse lasciata accecare dall'ambizione…
Serrò i pugni, trattenendosi a stento dallo scaricare la frustrazione sul legno del bancone.
Il caso, o il destino, a seconda dei punti di vista, aveva voluto che il suo (ormai ex) primario perdesse la testa per Charlotte. Nulla di male in questo, non era né sarebbe stato l'ultimo uomo di mezza età ad invaghirsi di una donna abbastanza giovane da poter essere sua figlia; il problema è che, come "prova d'amore" per la sua bella, aveva tolto i casi migliori a Faith per affidarli a quella incompetente priva di talento, che aveva inserito in lavori scientifici di portata internazionale e portato con sé a convegni all'estero, nonostante Charlotte conoscesse soltanto la sua lingua madre, l’inglese.
Ciliegina sulla torta, Charlotte, che era sì stupida, ma non al punto di ignorare che è bene affidarsi a un esperto, quando non si sa fare qualcosa, costrinse Faith a sobbarcarsi anche il suo carico di lavoro, sotto la minaccia di sfruttare il suo ascendente sul capo per renderle la vita un inferno.
Livida di rabbia e corrosa dalla frustrazione di vedere la sua carriera stroncata da un primario che non ragionava con il cervello, Faith si era sentita miracolata quando il braccio destro del capo, il dottor Solomon, aveva mostrato un’improvvisa predilezione nei suoi confronti, e aveva colto al volo l’occasione per dimostrare il suo valore e, perché no, vendicarsi di colei che aveva immeritatamente osato metterla in ombra.
Sua madre, scettica sin dall’inizio riguardo il suo sodalizio con Solomon, glielo aveva ripetuto ad nauseam: “nessuno fa mai niente per niente”. Avrebbe dovuto immaginare che quel maledetto maiale non le stava facilitando la carriera perché stregato dalle sue doti intellettive (comunque di tutto rispetto); voleva lei, e credeva che facendo leva sulla sua ambizione e sul suo desiderio di rivalsa avrebbe ottenuto ciò che bramava.
Avrebbe dovuto prevedere che il successo ha un prezzo, si sarebbe risparmiata dolori e umiliazione.
Ormai era tardi per le recriminazioni, poteva soltanto raccogliere i cocci della sua vita e cercare di ricomporla.
Averlo respinto aveva comportato un paio di lividi e la messa in atto di una vendetta crudele che l'aveva annientata psicologicamente: il bastardo le aveva fatto terra bruciata intorno, le aveva fatto perdere la stima dei colleghi, facendola passare per una puttana arrivista, ma, soprattutto... aveva mandato a monte il suo matrimonio; eh, già, ciliegina sulla torta, quel pezzo di merda aveva detto al suo fidanzato che era andata a letto con lui per ottenere quel fottutissimo posto, del quale non poteva importarle di meno.
“Anche se, forse, per questo dovrei ringraziarlo. Uno che crede al primo venuto, e non alla donna che sta per diventare sua moglie, è meglio perderlo che trovarlo”.
Messa alle strette, incapace di tornare in ospedale a testa alta, aveva messo da parte l'orgoglio e telefonato alla sua insegnante preferita, con la quale, all'università, era entrata in confidenza a tal punto da chiamarla per nome, al di fuori delle lezioni.
Astrid l'aveva lasciata sfogare, l'aveva consolata, le aveva offerto il suo appoggio e l'aveva aiutata a ottenere il trasferimento.
Unico neo, avrebbe avuto tutti colleghi maschi, ma Astrid le aveva assicurato che li avrebbe fatti rigare dritto, e Faith la conosceva abbastanza bene da crederle.
–Ehilà, doc! Ti diverti?- le domandò la sua migliore amica, Abigail Venter in Cartridge, sedendosi accanto a lei, che scosse il capo, scolando il suo cocktail in un sol sorso.
–Lui è qui, Ab.
Abigail strabuzzò gli occhi.
–Lui... lui? Il bastardissimo? Il dottor Uomodimerda? Con che coraggio osa respirare la tua stessa aria?
Faith sospirò: era talmente avvilita da non riuscire più ad arrabbiarsi.
–Sai cosa mi fa più rabbia, Ab? Che se la sia cavata. Io sono la troia, la cattiva, lui è solo un uomo che colto l'occasione. Nessuno mi crede, ti rendi conto? Perchè è normale che una donna faccia carriera in quel modo. Perchè non è normale preferire di farsi strada con le proprie capacità, faticando, e non aprendo le gambe. Beh, io non sono così. Charlotte lo è, non io! Nessuna dovrebbe esserlo.
Abigail la strinse in un affettuoso abbraccio, e rispose –Non abbatterti, F. Le parentesi negative capitano, ma, come tutte le parentesi, prima o poi si chiudono.
–Hai ragione: non posso dargli la soddisfazione di farmi soffrire oltre. Basta. Da domani ospedale nuovo, colleghi nuovi, vita nuova.
–E magari uomo nuovo...
–Abby, ti prego! Ne abbiamo già parlato: non sono pronta per una - che schifo di termine - relazione. Finchè non sarò in pace con me stessa mi dedicherò esclusivamente al lavoro, agli amici e ad Agatha- replicò Faith, irritata dall'insistenza dell'amica.
Non sapeva che, da un'attenta analisi - ai limiti dello stalking - dei profili Facebook e Instagram di Cyril, il suo ex fidanzato, nonché quasi-marito, Abigail aveva capito che questi aveva voltato pagina con una nuova donna; da quel momento, aveva preso a tartassare Faith perché trovasse un nuovo amore, arrivando addirittura a dare il suo numero ad alcuni amici di Brian. Inutile dire che nessuno di quegli appuntamenti ai limiti del grottesco aveva avuto un bis.
–Oh, insomma, voi due, non siamo in un salottino: qui non si chiacchiera, si balla!- esclamò Ben, comparso dal nulla, prima di baciare sua moglie.
–F, sei la mia migliore amica, ne abbiamo passate tante insieme- pigolò Abigail, prendendo una mano di Faith tra le sue –Le tue battaglie sono state le mie e viceversa; ho visto crollarti il mondo addosso, e non hai idea di quanto abbia sofferto. Sembra che adesso stia andando tutto per il meglio, e ne sono felice, ma sono convinta che proprio per questo motivo tu abbia bisogno di sentirti amata, non solo come amica. So che da qualche parte nel mondo esiste la tua anima gemella, qualcuno che non ti tratterà come quei grandissimi pezzi di merda rinsecchita di Solomon e Cyril ...
–Abby, comprendo il tuo punto di vista, ma ti ricordo che Cyril è uno dei miei più cari amici. Non ti permetto di parlare di lui in questo modo- la rimproverò Ben. Era rimasto anche lui sconvolto dal comportamento di Cyril, tuttavia, pur non giustificandolo, lo giudicava meno duramente della moglie: immaginava quanto potesse essere sofferta la decisione di mettere fine a una relazione alle soglie del matrimonio; restare intrappolati in un matrimonio infelice, però, lo sarebbe stato ancora di più. Sarebbero entrambi avvizziti lentamente, consumati dalla noia di una routine matrimoniale insoddisfacente.
–Parlo di lui come mi pare. Ti ricordo, Ben, che il tuo carissimo amico ha avuto la faccia tosta di abbandonare la mia migliore amica a una settimana dal matrimonio!- piagnucolò Abby. –Avesse avuto almeno la decenza di mollarla all'altare! Invece no, manco la soddisfazione di vedere Faith in abito da sposa ha voluto darmi!
–Io... ho bisogno d'aria- pigolò Faith, priva della forza necessaria a sopportare l’ennesimo battibecco coniugale tra i suoi amici, per poi precipitarsi fuori dal locale.
Pensare a Cyril le faceva ancora male; le provocava un dolore fisico, una pugnalata a quel povero cuore costretto a sopportare il peso di tante delusioni, oltre all'onere di pompare sangue nelle arterie.
Ironico come lei, che non era mai stata romantica, avesse vissuto una storia d'amore degna dei peggiori clichè da romanzo o film romantico: conosceva Cyril dalle medie, e si erano cordialmente detestati per anni. Il destino, o chi per lui, aveva voluto frequentassero la stessa università, finendo col vedersi spesso, dato che il campus non era infinito e avevano parecchi amici in comune. Dulcis in fundo, essendo entrambi fan sfegatati di Oscar Wilde, si erano iscritti ad un circolo studentesco a tema. Passare tanto tempo a stretto contatto li aveva obbligati ad una tregua, che si era trasformata in amicizia, che si era trasformata in qualcosa di più, qualcosa che, però, era ormai morto e sepolto, e a lei non restava che versare lacrime e portare fiori sulla tomba.
Quel pensiero le fece sollevare gli angoli della bocca: non era un sorriso in piena regola, ma ci andava vicino, e per qualcuno che non sorrideva da tempo, era già un passo avanti.
Brian la vide e, senza pensarci due volte, mollò la bionda provocante con cui stava flirtando per raggiungerla.
Nonostante i loro trascorsi erano buoni amici, e aveva cercato, a modo suo, di sostenerla in quel periodo buio, seppur con discrezione. Faith non voleva parlarne e lui, a differenza di Abigail, che la pressava affinchè esternasse i suoi sentimenti e voltasse definitivamente pagina trovando un nuovo uomo, non voleva metterle fretta. Faith era una donna adulta e molto sensibile che aveva subito un duro colpo, ne avrebbe parlato se e quando si fosse sentita pronta: nel frattempo le sarebbe rimasto accanto, come era sicuro lei avrebbe fatto con lui se si fosse trovato nella stessa situazione.
–La mia adorabile cognata ti ha fatto l'ennesima predica?- chiese, pur conoscendo la risposta.
–Sì- rispose Faith. –Le converrebbe registrarsi, tanto usa sempre le stesse parole, non le cambia di una virgola!
–Povera, povera, Faith.
–Sono messa così male che nemmeno attentare alla vita del mio povero fegato riesce più a darmi soddisfazione- si lamentò la Irving, imbronciata.
–Hai ragione: sei messa veramente male- scherzò Brian.
–Vaffanculo- replicò Faith.
–Bonjour finesse- commentò divertito Brian.
–Io direi bonne nuit, data l'ora- ribattè Faith. –Meglio che vada a casa, devo apparire fresca e riposata domattina. Ospedale nuovo, vita nuova!
Raggiunse la sua automobile, la Nissan usata (color verde prato) che sua nonna e la torma di zii e cugini le avevano regalato per la laurea, e che adorava al punto da chiamarla Nina (abbreviazione di Nissanina mia bellina). In realtà l’amore a prima vista era scoppiato con una spaziosa Ford viola, ma il fatto che il marito di sua cugina si chiamasse Ford l’aveva dissuasa dal comprarla: non avrebbe potuto fare a meno di associare la sua automobile all’ottuso omuncolo che aveva impalmato Hannah, e non era proprio il caso.
Tentò di mettere in moto, ma era talmente ubriaca da non riuscire a infilare le chiavi nell'accensione.
–Ehi,ehi,ehi! Dove credi di andare?- la fermò Ben, il quale, su ordine della sua dolce metà, l'aveva seguita fuori da “Ruffles”.
–A casa- rispose lei. –E tu non me lo impedirai. Sono una donna indipendente, non ho bisogno di un uomo che mi dica cosa devo fare.
–Hai bisogno di un uomo che si assicuri che tu non faccia incidenti, però- ribattè Ben tirandola fuori dall'abitacolo.
–Vaffanculo- biascicò, prima di addormentarsi sui sedili posteriori della Mercedes di Ben (che lui venerava e chiamava amorevolmente Mercy). –Vaffanculo a te e agli altri stronzi col cromosoma Y. Vi odio tutti.
Innamorarsi, lei? Impossibile, il suo cuore aveva chiuso i battenti!

Nota autrice:
La "mia" Faith non fa una bella figura in questo capitolo, lo so, ma è voluto: la mia intenzione era presentarla in uno dei suoi momenti no, in tutta la sua umanità (passatemi il termine). Non voglio lanciare pietre contro nessuno, ma ho creato la mia protagonista pensando alle classiche eroine da storiella romantica, tutte belle, buone e brave (e odiose), che dalla vita, dopo tante peripezie, avevano solo il meglio. Faith (se non volete immaginarla, cliccate: http://heyfatchick.tumblr.com/post/406434915) è la quintessenza della normalità: buona d'animo (se non si considera la sua "lingua biforcuta"), ma ambiziosa, e, come credo chiunque al suo posto, non ha tollerato che la sua bravura non ricevesse il giusto riconoscimento e ha agito d'impulso, mettendosi nei guai; non è perfetta, nè fisicamente, nè caratterialmente, l'unica dote che pensa di avere è un cervello funzionante. 
Ok, basta con il monologo pro-Faith. Se non vi siete ancora addormentati, e avete un altro po' di tempo a disposizione, visitate la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/francy.iann. 
Au revoir!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** This is a men's ward ***


Dopo i capitoli introduttivi, si entra nel vivo della storia.
Prima di lasciarvi alla lettura, un milione di grazie a Bijouttina e questosilenziomiuccide, che hanno recensito, a ciao89994 e _Wonderwall_, che seguono DIMD, e a t3s0r4, che l'ha inserita tra le ricordate. E, naturalmente, a tutti quelli che passano di qui e danno un'occhiata! ^^




This is a men's ward




Niente è più comune della reciproca antipatia, quando un’approvazione reciproca è particolarmente attesa.
Samuel Johnson


Faith, stremata da una notte costellata di incubi, la maggior parte dei quali aventi come protagonisti Charlotte e Solomon, era scivolata con estrema difficoltà in un sonno molto poco ristoratore.
Era sul punto di arrendersi alla stanchezza, quando venne destata da una sculacciata; intontita, aprì a metà un occhio per individuare il reo di risveglio precoce e biascicò –Che ore sono? Dove sono? Perché sono?
Il qualcuno che l’aveva svegliata, dopo una sonora risata che acuì la cefalea, rispose –Se vuoi posso rispondere alle prime due domande. Quanto alla terza… rivolgiti a un filosofo!
Faith, esasperata e con un mal di testa di proporzioni epiche, aprì a metà anche l’altro occhio, realizzando di trovarsi su un divano nel salone di casa Cartridge, e che colui che aveva scambiato il suo sedere per un bongo era il padrone di casa, Ben Cartridge.
Dopo un po’, vedendo che continuava a fissarla e non accennava a lasciarla in pace, si decise ad alzarsi, si grattò la testa, che versava in condizioni disastrose, e chiese –Che ore sono?
–E’ l’ora di andare al lavoro. Per entrambi.
–Beata Abby, che può dormire quanto vuole!- sbadigliò Faith, ancora intontita.
–Non ti credere. Kaori è piccola, ma molto risoluta: quando decide di alzarsi pretende che tutta la famiglia la imiti- rispose Ben. –Fortunatamente, si sveglia presto, ma non ad orari impossibili.
–Povera piccola, spero di non averla svegliata. Siamo rientrati a notte fonda e il sonno è dannatamente importante per i bambini!- esclamò Faith, sentendosi in colpa per l'eventualità di aver disturbato il sonno della sua figlioccia.
–Non preoccuparti, nemmeno l’Apocalisse riuscirebbe a svegliare la piccola di casa Cartridge, finché il suo orologio biologico non le dà la sveglia! Quanto a sonno pesante, ha preso da sua madre.
–Bene. Ippocrate e Paracelso, che mal di testa! Sembra che sia esplosa una bomba H nel mio cervello!- si lamentò la Irving.
–Così impari a esagerare! Otto Vodka Lemon è troppo anche per una bevitrice del tuo livello! Credevo che avremmo concluso la serata nella sala della lavanda gastrica!- la rimproverò Ben.
–Non mi ero mai sbronzata seriamente, prima d’ora … nemmeno ricordo perché l’ho fatto...
–Per annegare i tuoi tormenti amorosi e professionali nell'alcool, tesoro. A quanto pare ha funzionato. Avanti, in piedi! Vieni con me, ti darò qualcosa di forte per farti smaltire in fretta la sbornia- concluse Ben spingendola verso la cucina, dove Faith si sedette su uno sgabello sotto il suo sguardo affettuosamente apprensivo.
Ad un certo punto, mentre controllava che mangiasse tutta la colazione, intontendola ancora di più con la sua inarrestabile parlantina, Ben sospirò e le disse –Forse non è il momento adatto per parlarne, ma la tua abitudine di fuggire dai problemi mi ha impedito di discuterne prima. Odio fare prediche, Faith, ma voglio essere sincero, meriti che sia sincero: hai rotto col tuo atteggiamento autocommiserativo. Ok, hai avuto una cocente delusione, ok, Cyril si è comportato da stronzo patentato e ok, non è facile riprendersi da un trauma del genere, ma sei una donna adulta, affronta il problema da persona matura quale dovresti essere- Faith, che non aveva ancora recuperato del tutto le facoltà mentali, tacque, lasciando Ben libero di proseguire il discorso –Abby sbaglia a metterti pressione, ma agisce in buona fede, e, di base, ha ragione: chiodo scaccia chiodo; niente di meglio di un nuovo amore per restituirti fiducia nell'umanità! L'alternativa è che ti trasformi in un'acida zitella che vive per il suo lavoro. Non possiamo permettertelo!
Faith, irritata dal mal di testa e dal sapore amaro del caffè, rispose in malo modo.
–Mi scuserai, Ben, se non mi sono ancora ripresa dall'essere stata mollata senza tante cerimonie dall'uomo che amavo, ma che, a quanto pare, al solo pensiero di passare il resto della vita con me si è cagato sotto al punto da fargli mettere due continenti e due oceani di distanza tra noi!
–Passerà, F- asserì Ben, prima di versarle altro caffè. –Non può piovere per sempre.
–Niente citazioni cinematografiche di prima mattina, per favore. Non le reggo- pigolò Faith, sorseggiando il caffè.
In quel momento entrò Abby, che trillò allegramente –Allora, pronta a dare una svolta alla tua carriera?-
Ottenne in risposta un gemito depresso dell'amica, che appoggiò la testa al tavolo. Preoccupata, chiese a Ben –Le hai dato il caffè nero amaro come ti avevo chiesto?
–Si, Ab, Due tazze piene!
–Accidenti! La situazione è davvero disperata!- asserì, per poi arpionare Faith per un braccio e portarla quasi di peso in bagno, sperando che l’acqua gelata la svegliasse, come infatti fu.
Una volta rimessa in sesto, Faith pose la domanda che in precedenza non aveva avuto la forza di rivolgere a Ben.
–Dov'è Nina?
–Brian l'ha portata al garage dove la tieni di solito. Oh, e ha usato la tua copia di chiavi per andare a casa tua a dar da mangiare al gatto e prenderti un cambio di vestiti e, ehm, beh... biancheria- rispose Ben, arrossendo: si trattava della migliore amica di sua moglie, pensare alla sua lingerie era imbarazzante.
Le porse la busta con i vestiti di riserva che Brian aveva prelevato da casa sua, e Faith ne esaminò il contenuto. Arricciò il naso, storse le labbra in una smorfia sardonica(che le aveva procurato un accenno di rughe alle commessure interlabiali) e commentò –Brian ha visto troppi porno: un medico non va al lavoro conciato così!
–E' così terribile?- chiese Ben, sempre più imbarazzato; per suo fratello meno una donna era vestita, meglio era, ma Faith, tanto più alla luce dei pettegolezzi poco lusinghieri che circolavano sul suo conto, doveva avere un'aria professionale sul luogo di lavoro, o i nuovi colleghi avrebbero creduto alle voci di corridoio, bollandola come puttana arrivista.
–Guarda tu stesso- rispose lei mostrandogli una camicetta palesemente troppo stretta, una gonna non cortissima, ma dotata di uno spacco eccessivamente profondo, un paio di calze autoreggenti e, dulcis in fundo... un perizoma.
–Merda! Non so che dire. Mi offrirei di farti attingere dal guardaroba di Abby, ma non portate la stessa taglia. Mi spiace.
–Non fa niente- sospirò Faith, rassegnandosi al triste fato di andare al lavoro conciata in maniera indecente. –Coprirò il copribile con il cappotto e scapperò subito a mettermi il camice. Tu e Brian siete stati fin troppo gentili e pazienti con me; pochi, al vostro posto, avrebbero fatto altrettanto.
–Hai passato un periodaccio, che razza di amici saremmo se non fossimo d'aiuto?- asserì Ben, le carezzò la testa con fare paterno (Kaori aveva decisamente un'ottima influenza su di lui!) e, non appena si fu vestita, le passò la borsa, che Faith si ostinava ad usare, nonostante fosse tutto fuorché professionale.
La corsa verso il Queen Victoria Hospital fu da cardiopalmo. Ben si era rifiutato di lasciarle prendere la metropolitana, asserendo che per nulla al mondo si sarebbe perso il suo ingresso trionfale; risultato: rimasero imbottigliati nel traffico mattutino.
Appena realizzò che l'ingorgo non si sarebbe risolto in tempi sufficientemente brevi, Faith, sull'orlo di un attacco di panico, schizzò fuori dall'automobile e intraprese una folle corsa verso l'ospedale, zigzagando tra veicoli fermi e pedoni frettolosi quanto lei.
Neanche la luce rossa di un semaforo riuscì a fermarla, e per un pelo non venne investita da un motociclista, che rallentò il tempo necessario a consentirle di urlare –Sono sulle cazzo di strisce pedonali, pezzo di stronzo!
Indignata per aver ricevuto in risposta un inequivocabile –Fottiti!-, seguito da un'altrettanto inequivocabile alzata di dito medio, Faith si alzò e ringhiò ad una madre, che la stava rimproverando per il linguaggio scurrile, a suo dire inadatto alle orecchie del suo innocente pargolo –Non si illuda, a scuola imparerà anche di peggio.
Marciò a passo deciso verso la meta, bloccandosi di fronte all'entrata dell'ospedale vittoriano, ammodernato all'interno, ma non all'esterno. Era grande - enorme, per l'epoca in cui era stato costruito- situato in prossimità del Queen's Park e aveva una forma quasi semicircolare. Sua madre, che non rinunciava mai a fare sfoggio di cultura, le aveva spiegato che il progettista si era ispirato alla Basilica di San Pietro, a Roma: come la chiesa, l'ospedale era stato pensato per accogliere chi vi si fosse recato in un ideale abbraccio; la differenza era che, nel primo caso, si trattava di fedeli, nel secondo, di pazienti.
Pentendosi di non aver mai appreso tecniche di rilassamento - che sarebbero state utilissime in quel frangente - attraversò il cortile, dirigendosi verso l'ampia porta scorrevole, sopra la quale campeggiava il logo dell'ospedale.
Assorta nella contemplazione del luogo che -sperava- sarebbe stato teatro della sua rinascita umana e professionale, non si accorse di tre sconosciuti diretti a gran velocità proprio contro di lei. Il primo la spinse con violenza contro la porta, il secondo le pestò un piede e il terzo sbottò –Levati di mezzo!
Stordita, Faith lasciò che una sconosciuta la aiutasse ad alzarsi, quindi mormorò un flebile ringraziamento.
–Non c'è di che. Mi dispiace che quei tre pazzi ti abbiano quasi buttata per aria, ma se avessero tardato anche di un solo secondo il loro capo li avrebbe scuoiati vivi!- cinguettò la ragazza.
–Un inizio col botto, non c’è che dire- sbuffò la Irving, prima di ricordare i rudimenti di buone maniere inculcatile da sua madre. –Io sono Faith, comunque.
–Faith Irving? La nuova arrivata? Oh, che bello, sono la prima ad averti incontrato! Che figata! Potrò vantarmi tutto il giorno!- esclamò l’altra, saltellando gioiosa.
Faith pensò, pentendosi subito dopo della sua acrimonia, che quella lì avesse poco di cui vantarsi: bassina e piuttosto in carne, aveva una massa di indomabili ricci neri e crespi, e un paio di anonimi occhi castani nascosti da spesse lenti da miope, circondate da una montatura a goccia molto di moda, ma che non le donava affatto.
–Se lo dici tu… ehm… Cosa…
–Maggie. Chiamami Maggie. Margaret è un nome troppo altisonante, non trovi?
Faith annuì e la seguì nell’edificio. Mentre firmava varie scartoffie sulla privacy e altre amenità burocratiche, con la coda dell’occhio lesse l’identificativo di Maggie: “M. Bell, M.D.”.
–Non avevo capito fossi una collega. In che reparto lavori?- chiese, senza riflettere.
–Ginecologia. Sono una delle schiave di Harvey, il primario misogino ... una specializzanda, come te- rispose lei, giocherellando con le penne nel taschino.
–Dev'essere meraviglioso assistere al miracolo di una nuova vita che vede la luce- soffiò Faith, citando testualmente sua madre, la quale l’aveva (invano) tartassata affinchè diventasse una ginecologa, ma lei non aveva ceduto: tollerava con fastidio le donne incinte e i bambini, aveva una pazienza molto limitata e la prima e unica volta che aveva assistito a un parto aveva vomitato. Quella figuraccia aveva avuto, tuttavia, un risvolto positivo non di poco conto: Mrs. Irving si era rancorosamente arresa all’evidenza che sua figlia e la ginecologia erano due rette parallele distanti anni luce!
–Ehi, troietta, non si saluta?- disse una voce familiare.
Maggie trasalì, sconcertata da quell’epiteto, ma soprattutto dalla reazione di Faith, che sorrise, niente affatto scandalizzata, e si girò verso le sue amiche ed ex coinquiline Diane Berry, Erin Campbell, Evangeline Ferrey ed Helen Gardiner (le ultime due con in mano un cappuccino fumante).
–Ragazze!- gridò, correndo ad abbracciarle. –Che bello, d’ora in poi ci vedremo tutti i giorni, non solo il venerdì! Ciao anche a te, puttanella- aggiunse, strizzando l’occhio a Diane.
–Puttanella a chi?
–Tu mi hai chiamata troietta! Mai sentito parlare di par condicio?- replicò Faith.
Non si era offesa, naturalmente: Diane usava abitualmente un linguaggio scurrile, infarcito di imprecazioni e bestemmie, e aveva il vizio di dare della troietta a chiunque le stesse simpatica.
–Puttanella? Troietta? Non sono termini da conversazione tra persone civili. Dovreste vergognarvi!
–Meg, è una cosa che faccio da sempre con le mie amiche- spiegò Diane, passandosi una mano tra i capelli: erano ricci, per cui le dita rimanevano impigliate, ma era proprio per questo che le piaceva. –Non che tu non lo sia, ma temevo non l’avresti apprezzato.
–Sentirmi chiamare troietta in pubblico? No, non l’avrei apprezzato. Nemmeno un po'.
–Fatti abbracciare!- gridò Erin, stringendola in una morsa soffocante, sollevandola da terra: era alta un metro e ottantacinque, e, grazie ad anni di basket a livello agonistico, possedeva una muscolatura di tutto rispetto; non a caso, era l'unica persona capace di sollevare di peso Faith.
–Sono tanto, tanto contenta di rivederti, Faith. Sono venuta qui apposta, pensa! Scusa se non ti abbraccio- chiocciò la neo-specialista in pediatria Helen, commossa; la gravidanza la rendeva piuttosto incline agli eccessi emotivi.
–Hel, datti una calmata. Erin, lasciala andare, sta diventando blu!
–Grazie- esalò Faith, sorrise alle amiche ritrovate e scese in quello che sarebbe stato il suo regno nei mesi a seguire: i sotterranei.


***

Nel reparto di Patologia Medica del Queen Victoria Hospital vigevano rigore e serietà. O almeno, così era stato finchè non vi avevano messo piede tre specializzandi esuberanti (fin troppo, per gli standard del vice-direttore, il severo professore Julian King). Dal loro arrivo, il personale aveva dimenticato il significato della parola "tranquillità": a parte la musica di sottofondo, che dal loro arrivo era diventata una costante, i tre vulcani bisticciavano (amichevolmente) di frequente, e per i motivi più stupidi.
–Perchè indossi i guanti di lattice, Jeff?- chiese Rajiv Sandee al collega e amico Thomas Jefferson (che, per ovvie ragioni, si faceva chiamare Jeff; l'ennesima prova che a volte i genitori mostrano un insolito senso dell'umorismo, per non dire sadismo, nella scelta del nome dei figli).
–Non voglio rovinarmi la manicure- rispose l’interpellato, esibendo le mani perfettamente curate, con le unghie dipinte color rosso ciliegia.
–Jeff, senza offesa, ma le unghie smaltate sono troppo da checca persino per te!- commentò con espressione disgustata Joshua Elmond mentre controllava nello specchio lo stato della chioma scolpita dal gel.
–Ma se le ha sfoggiate anche David Beckham!- gnaulò Jeff, scandalizzato. –Siete proprio grezzi!
–E tu un...
–Scusate- pigolò una voce femminile, interrompendo quella che si preannunciava come una lite memorabile, –Sapreste indicarmi lo spogliatoio femminile? E’ il mio primo giorno, qui, non so ancora orientarmi…
Gli altri tre scoppiarono a ridere.
–Poche hanno la tua fortuna, cara mia- rispose Jeff, esibendosi in pose plastiche. –In questo reparto è tutto unisex. Potrai ammirare tanti bei maschietti mezzi nudi tutti i giorni!
–Dovrò... spogliarmi davanti a voi?- esalò Faith: aveva grossi problemi a spogliarsi davanti allo specchio, figurarsi davanti a dei perfetti estranei!
–Puoi sempre chiuderti in bagno!- intervenne Rajiv. –Tu devi essere quella nuova. Irving, giusto?
Faith annuì, stringendogli la mano.
–Faith. Lieta di conoscervi.
–Alleluia! Finalmente qualcuno con cui parlare di uomini e scarpe! Voi due grezzi potete andare al diavolo!- trillò Jeff, battendo le mani smaltate e agitando i piedi, che calzavano zoccoli rosa shocking. –Ti piacciono le scarpe, vero? Ma certo che ti piacciono, a quale donna non piacciono le scarpe? Io, personalmente, sono aperto a ogni possibilità, purché ultra-fashion. Tu, invece? A giudicare dai reperti archeologici che porti, scommetto che sei una fanatica del rasoterra e non sai nemmeno cosa sia un tacco cinque!- Faith, allibita, si limitò a strabuzzare gli occhi, strusciando nervosamente contro il pavimento le suole delle Converse consunte. –Tranquilla, cara mia, mi prenderò io cura di te. Se non ci si aiuta tra colleghi…
Rajiv, imbarazzato per l’uscita infelice dell’amico, scosse la testa, sconsolato: era sicuro che Faith li avesse bollati come matti da legare.
–Ti chiedo scusa per Jeff: non è pazzo, è solo una primadonna incastrata nel corpo di un uomo- disse Joshua senza staccare gli occhi dal suo riflesso: aveva avvistato una ciocca ribelle, doveva rimediare subito.
–Verissimo- concordò l’interessato.
–Ancora qui, lavativi? Devo privarvi di superfici specchianti per costringervi a lavorare?- tuonò all’improvviso una voce stentorea e monocorde.
–No, professor King. Stavamo giusto andando in laboratorio.
King li scrutò con sufficienza, quindi si rivolse a Faith.
–Faith Irving? La professoressa Eriksson vuole vederti nel suo studio. Seguimi.
Faith, abbandonata ogni speranza di riuscire a cambiarsi prima che in troppi la vedessero con quell’abbigliamento inappropriato, sospirò, rassegnata, e seguì il professor King lungo un asettico corridoio bianco.

***



Astrid Eriksson non era una persona facile. Secondo il suo ex-marito, era il genere di donna che, non appena si alzava, faceva esclamare al diavolo in persona “oh, cazzo, è sveglia”! Severa e intelligente, era anche molto esigente. Delusa dall’uomo per il quale aveva abbandonato la Svezia e tagliato i ponti con la sua famiglia, e dal figlio che aveva preferito il padre a lei, si era dedicata anima e corpo a quel lavoro che aveva imparato ad amare, riversando la dedizione che suo figlio non aveva voluto su studenti e specializzandi: come una mamma, curava attentamente la loro istruzione, sia teorica che pratica, premiava chi otteneva risultati soddisfacenti e, a seconda delle situazioni, aiutava o puniva chi, invece, faceva del lavoro scadente.
Quel giorno era particolarmente eccitata: due tra i suoi migliori allievi avrebbero lavorato con lei, desiderava accoglierli degnamente.
–Avanti.
–‘Giorno, Astrid! C-Cioè, volevo dire, professoressa Eriksson.
–Faith! Non puoi immaginare quanto sono felice di vederti! Come stai?- esclamò la più anziana, togliendosi gli occhiali.
–Bene, grazie. Lei?
–Alla grande!- rispose il primario, ravviandosi la folta chioma bionda. –Ho ricevuto la migliore notizia che potessi desiderare: abbiamo ottenuto i fondi per le ricerche sul nuovo marcatore immunoistochimico. Potremo contare su un promettente esperto in linfomi cerebrali, verrà fuori un lavoro di prim'ordine, non come quella schifezza firmata da Charlotte! Naturalmente, do per scontato il tuo coinvolgimento... metteremo un bel cetriolo in culo a lei e a Solomon!
–A Charlotte potrebbe piacere- sussurrò la Irving, prima di profondersi in ringraziamenti per la ghiotta occasione che le veniva servita quasi su un piatto d'argento. –Può contare su di me. Sa che non mi tiro mai indietro- ridacchiò, allargando le braccia.
In quel momento qualcuno bussò alla porta.
–Avanti.
–‘Giorno, Astrid! Cioè, volevo dire, professoressa Eriksson.
–Franz! Stavo giusto parlando di te a proposito di ...
–Tu?- ruggì Faith, interrompendo la Eriksson; aveva riconosciuto in lui il motociclista della mattina. –Si può sapere chi ti ha dato la patente? Mi hai quasi investita! Sulle strisce pedonali!
–E io potrei sapere chi ti ha dato il permesso di circolare? Hai attraversato col rosso!- replicò Franz, livido di rabbia.
Faith, reprimendo una serie di improperi troppo volgari per essere pronunciati in presenza del capo, indietreggiò di qualche passo, finendo con l’inciampare in uno sgabello. Cadde rovinosamente, suscitando le risate di Astrid e Franz, colto da un’improvvisa illuminazione.
–A vederti così ho una strana sensazione di deja-vu. Ci siamo già incontrati da qualche parte?
–Nei miei incubi, credo.
–Davvero spiritosa. Sto morendo dal ridere- sibilò, infastidito. –Sul serio: ti ho già vista da qualche parte, solo non ricordo dove … Ma certo: la brunetta disastrata! A quanto pare è destino che attenti alla tua vita!
Sorpresa da quell’affermazione, e irritata per essere stata definita “disastrata”, Faith osservò colui che le stava di fronte. Bello era bello, non poteva negarlo - la combinazione di capelli scuri e occhi chiari le faceva perdere la testa - il che avrebbe potuto causarle problemi, dato che avrebbero lavorato gomito a gomito; ciò che la colpì maggiormente, però, fu la sua dentatura: perfetta. Faith avrebbe potuto trovarsi davanti Mr. Universo, ma se avesse avuto dei brutti denti (e/o un cattivo odore) non l’avrebbe degnato di uno sguardo (se non dopo averlo lavato: era attenta all’igiene e una maniaca dell’igiene orale).
Un’occhiata più approfondita le riportò alla mente il ricordo della sera in cui, otto anni prima, al culmine di un litigio con Brian, era uscita dalla sua macchina sotto un temporale - senza ombrello - e uno sconosciuto l’aveva quasi investita con la moto.
"Mentre camminava, diretta in stazione, aveva cominciato a piovere, ma all'inizio non se ne era preoccupata, sicura di avere con sè l'ombrello.
–Merda!- esclamò, quando si rese conto di averlo messo in un'altra borsa - E adesso?
Sbuffando, certa di rimediare una bella influenza, se non una polmonite, affrettò il passo per raggiungere la stazione quanto prima. Fu un attimo: una luce bianca la abbagliò e perse l'equilibrio, cadendo all'indietro. Il rumore di un mezzo a motore in avvicinamento le fece temere di stare per essere investita. Tremante, si irrigidì, in attesa dell'impatto, che però non avvenne. Ancora timorosa, aprì lentamente gli occhi; vide una moto, di quelle enormi che mettevano tanta paura a sua madre, e, in piedi accanto ad essa, qualcuno con dei grossi anfibi e un orrendo impermeabile nero, simile a un sacco dell'immondizia.
Lo sconosciuto parlò, ma Faith faticava a comprenderlo, dato che non si era degnato di togliersi il casco. Lo pregò di alzare la voce, e lui, dopo aver borbottato qualcosa, probabilmente sul suo scarso udito, le chiese, in tono pratico –Sei consapevole di rischiare una polmonite? Sei forse senza ombrello?
–Complimenti per la deduzione, Sherlock- gli rispose Faith, irritata per come lo sconosciuto l'avesse fatta sentire stupida.
–Ti girava la testa, prima di cadere? E ora? Avverti nausea, cefalea? Sei mai svenuta, prima? Da quanto non mangi?
–Ti pare il momento di tempestarmi di domande? Sono stesa a terra, cazzo!
–Meno volgarità, più risposte, prego- replicò lui senza scomporsi.
–Sai che mi stai facendo incazzare?
–Meno incazzature, più risposte, prego.
Faith, inveendo mentalmente contro se stessa per aver lasciato a casa lo spray urticante, sibilò –Sono fatti miei, razza di squilibrato!
"Ok", pensò, "O la va, o la spacca: o mi lascia in pace, o mi ammazza. Dio, fa' che non sia un serial killer!"
Lo sconosciuto rimase immobile per qualche secondo, poi rispose –Adesso non più- si inginocchiò alla sua destra, le prese il polso e mise due dita all'attaccatura della mano, in corrispondenza del pollice.
Quel gesto fece sbuffare Faith, che prese a ridere istericamente.
–Ora è tutto chiaro: non sei uno squilibrato, sei un dottore!
–Le funzioni cognitive sono a posto- asserì lui, in tono che a Faith parve divertito- –Più che a posto. Hai quasi indovinato: sono uno studente di medicina. Ti gira la testa? No? Bene. Ce la fai a muoverti?
–Non lo sai che non bisogna muovere chi ha battuto la testa?- ribattè Faith, sperando in una replica pungente che facesse esplodere una lite: Brian l'aveva appena lasciata, voleva sfogarsi e non sarebbe andata per il sottile, andava bene anche un innocente a caso.
–Chi ha battuto la testa, ma tu hai avuto un morbido atterraggio sul sedere- sentenziò lui. –Avanti, in piedi!
–Cos'ha che non va il mio sedere?- esalò Faith, per poi aggiungere, sentendosi ridicola –Ehi! Chi ti credi di essere, il dottor House?
–Uno con undici decimi- rispose lo sconosciuto, poi, assicuratosi che il dolore era causato solamente dalla botta, le consigliò caldamente di farsi visitare l'indomani mattina, per poi aggiungere –Non posso farti rischiare una polmonite. Vuoi un passaggio?
Imbarazzata, Faith tentò di dissuaderlo –No, dai, non disturbarti, manca poco alla staz…
–Alla stazione? Vuoi viaggiare in treno, da sola, a quest'ora? Tu sei pazza!- esclamò lo sconosciuto in tono di rimprovero. –Dove devi arrivare? Ti ci porto io!
L'entusiasmo di Faith venne immediatamente ibernato dalla voce della ragione: "Un momento. Frena, frena, frena. Come mi viene di accettare un passaggio da uno sconosciuto? Potrebbe essere un pazzo criminale, un maniaco sessuale, un terrorista, un vampiro ... Ho finito le possibilità terrificanti. Però, credevo di avere più paure!"
–Allora?
–Oh, ehm … non vorrei dare disturbo … Londra è lontana …
–Sei fortunata: sono diretto proprio là, raggiungo degli amici a una festa- disse lui, porgendole un casco. Dovette accorgersi della sua espressione poco convinta, e aggiunse –Senti, anche mia madre mi ha educato a non accettare passaggi da sconosciuti, però mi sembri intelligente abbastanza da realizzare che le probabilità che io sia un pazzo criminale, un maniaco sessuale, un terrorista o un vampiro sono le stesse che ne becchi uno sul treno, perciò... Tanto vale rischiare, no?
Faith stiracchiò le labbra nella malriuscita imitazione di un sorriso, annuì e infilò il casco. Rimediata una magra figura salendo al contrario in sella alla moto, partì con lo sconosciuto nella notte, destinazione Londra.
Diffidente per natura, non volendo rischiare che un perfetto sconosciuto capisse il suo indirizzo, si fece lasciare nella strada parallela a quella dove abitava; scese, o, meglio, rotolò giù, dalla moto, restituì il casco al legittimo proprietario e lo salutò con un entusiasta –E' stato fichissimo! Non ero mai salita su niente che avesse due ruote e non fosse una bicicletta! Grazie del passaggio, e buonanotte. Divertiti alla festa.
Fu solo quando ebbe poggiato la testa sul cuscino che si rese conto di non aver chiesto al suo cavaliere dall'armatura anti-pioggia, simil sacco della spazzatura, quale fosse il suo nome".

–Il centauro dal cuore d'oro! Il mondo è davvero piccolo!- esclamò Faith, incredula. –Ti sei incattivito, in questi anni.
–O muori da soccorritore di brunette disastrate, o vivi abbastanza abbastanza a lungo da diventare il cattivo- rispose sarcastico Franz.
–Oh, bene, vi conoscete già, non devo fare le presentazioni. Meno male, è una cosa che odio. Spero, però, che questa sia l’ultima volta che vi vedo bisticciare come marmocchi dell’asilo nido: non tollero gazzarra nel mio reparto. Datemi un secondo e vi accompagno in laboratorio.
Il trillo del telefono interno cambiò i piani di Astrid, che sospirò –Mi tocca rispondere. Scusate. Pronto? Oh, ciao, Lee, un attimo che congedo i ragazzi e avrai tutta la mia attenzione- coprì la cornetta con una mano e sussurrò ai due –Percorrete il corridoio fino alla fine, passate il badge nella serratura della porta. Se non dovesse aprirsi digitate il codice sulla tastiera lì accanto. 7557.


***

Prima di recarsi in laboratorio andarono a cambiarsi.
Franz osservò l’abbigliamento di Faith tra il divertito e il sorpreso, si schiarì la voce e disse –E così sei diventata una mediconzola. Condoglianze, i medici sono una brutta razza, la peggiore! Nonostante abbia attentato alla tua vita due volte, ancora non so il tuo nome- si chinò per leggere l’identificativo –Dottoressa F. Irving.
Faith, che aveva istintivamente trattenuto il respiro quando si era avvicinato a lei, si riprese e domandò, sarcastica –Ti serve un paio di occhiali?
Franz la sconcertò replicando –No, grazie. In realtà ci vedo benissimo, era un pretesto per fare un esame obiettivo del tuo decolté- Faith rimase a bocca aperta, dandogli modo di aggiungere –Passabile, ma non abbastanza sexy da tentarmi. Meglio, così non mi distrarrò sul lavoro!
La vanità è donna, e Faith, sebbene fosse “a bassa manutenzione”, ne era dotata; non avrebbe lasciato impunito quell’affronto. Uscì dallo spogliatoio con gli occhi ridotti a fessure, e digrignò più volte i denti, pensando a una risposta arguta e sarcastica che mettesse a tacere quel maleducato.
La sua espressione pensierosa sembrò divertire parecchio Franz, il quale, giocherellando con il badge, le chiese –Toglimi una curiosità...
Faith colse al volo l’occasione; ringhiò, aggressiva –Spiacente, non sei il mio tipo. Meglio, così non mi distrarrò sul lavoro!
Lui, però, riuscì a sconvolgerla ancora una volta. Rimase impassibile e ribatté, glaciale –Non preoccuparti, neanche tu sei il mio tipo. Sai, a me piacciono le belle donne. Non stavo pensando a quello, comunque. In realtà mi domandavo: ti conci sempre così?
Faith chiese velenosa –Così come?
–Così come… ehm, una… beh, una… senza offesa, eh… prostituta?
Faith, facendo appello a tutto il suo autocontrollo, rispose perfida –E tu sei uno che se ne intende, vero?- sorridendo sadica quando osservò che aveva fatto centro: alle sue parole il collega si era irrigidito, per poi girarsi a fissarla, furente.
Dopo qualche secondo di silenzio tombale le chiese, ancor più glaciale –Guardami bene, brunetta non più disastrata. Sembro forse il tipo che ha bisogno di pagare per uscire con una donna?
–Per uscirci? Sicuramente no. Per andarci a letto? Probabilmente no- rispose Faith, godendosi ogni sillaba, –Ma sembri il tipo costretto a pagare perché una donna ti sopporti. Comunque siamo arrivati, a te l’onore di passare il badge nella serratura, collega- concluse, infondendo in quel "collega" tutto il suo disprezzo.

***

–Jeff, passami il Rosso Carminio.
–Non ho sentito le parole magiche, Josh.
Il biondo emise un ringhio sommesso, quindi cedette.
–E va bene. Jeff, mi passeresti il Rosso Carminio… per favore?
L’altro annuì e gli porse una fiala di colorante.
–Grazie- sibilò Joshua a denti stretti.
Il rumore della serratura elettronica che scattava li fece sobbalzare, e Joshua rovesciò il colorante sul camice fresco di lavanderia di Jeff, che prese a strillare come un ossesso.
–Silenzio!- ruggì King, fulminandoli con un’occhiata di rimprovero.
–Scusi, professor King- balbettarono i due in coro.
–Cos’era quel baccano?- chiese Franz, appena entrato insieme a Faith.
–Colpa mia- ammise Jeff, riservando a Joshua uno sguardo omicida. –Questo essere sgraziato ha sporcato il mio meraviglioso camice, appena lavato e profumato al patchouly, con questo orribile colore!- poi, prima che qualcuno potesse replicare, aggiunse, –Il verdino da chirurgo non è proprio il tuo colore, cara mia!
–E il rosso non è il tuo, caro mio- ribattè Faith con un sorriso: Jeff era stravagante, ma molto più simpatico di Franz o del professor King.
–Come avrete intuito, loro sono i nuovi arrivati. La dottoressa Irving già la conoscete, quindi permettetemi di presentarvi il dottor Francis Whale, vostro nuovo tutor.
–Due errori su due. Complimenti! Il nome è Franz e il cognome è tedesco, si scrive W-E-I-L e si pronuncia “Vail”- lo corresse Franz, per poi aggiungere, atterrito, –Un momento: dovrò fare loro da tutor? Sono appena arrivato!
–Dovrà farci da tutor?- esclamarono in coro Jeff, Josh, Rajiv e Faith.
–Per il bene della mia salute mentale. Ho troppi impegni per starvi dietro!- rispose King, ostentando un’irritante aria di superiorità. –Spero non abbia da obiettare dottor Franz Weil. In caso contrario, potrei avere io qualcosa da obiettare sulla sua partecipazione allo studio "BrainX".
Faith si girò verso Franz, che sollevò un sopracciglio, come a dirle: “sarai il mio capro espiatorio, baby!”.

***

All'uscita dall'ospedale Franz venne letteralmente placcato dagli amici storici. Erano tre rompiscatole di prima categoria, ma anche i migliori amici che potesse desiderare: avevano continuato a tenersi in contatto mentre era in Germania, e, adesso che era tornato, lo avevano immediatamente reintegrato nel gruppo.
Robert Patterson gnaulò –Cattivo, Husky! Non si salutano gli amici?
–Scusatemi, ho avuto da fare. Venerdì recupereremo il tempo perduto. Siete tutti invitati a casa mia- rispose Weil, massaggiandosi il collo.
–Venerdì? Non si può fare sabato?
–Sabato abbiamo la palestra, Chris, non ricordi?
–Ah, già. Devo ancora capire come ha fatto il qui presente Patty a convincermi.
–Non lo so, ma meriterebbe un monumento: schiodare il tuo sederone dal divano è un’impresa degna di nota- scherzò (ma non troppo) Frantz. –Seriamente: che dovete fare venerdì?
–Ecco… noi…. noi…
–Basta balbettii, Patty, Husky è un amico, merita che siamo onesti con lui. Venerdì è un giorno sacro per noi: ci riuniamo e guardiamo insieme la tv.
–Potete vederla da me!- osservò Franz.
–Non credo sia il caso.
–Perché?
–Perché no!Non ti basta, come risposta?
–No che non mi basta! Siete i miei migliori amici, e preferite un televisore a me!
–Non è questo, è… oh, e va bene, lo confessiamo: ci vergogniamo.
–Vi vergognate di me?- chiese Weil, sforzandosi di celare la delusione.
–Certo che no!- si affrettò a tranquillizzarlo Robert, scioccato dalla piega che stava prendendo quella conversazione. –Non di te, del… programma. Vedi, siamo appassionati di questo serial, e, beh… non vorremmo pensassi male di noi.
Franz si trattenne a stento dal ridere: a volte i suoi amici erano proprio paranoici! Era vero che ormai i serial erano quasi tutti “da femmine”, ma che male c’era a concedersi uno sfizio? Sfacchinavano da mattina a sera, se lo meritavano!
–Sentite: non so che cavolo volete guardare, né se mi piacerà, ma voglio essere dei vostri, anche a costo di addormentarmi a metà puntata! Basta che non sia ambientato in un ospedale, perchè non riesco a trattenermi dal commentare gli errori grossolani degli attori. Niente storie, venerdì cena e tv a casa mia, ok?
–A una condizione- disse Christopher Hale, urologo con un passato da giocatore di rugby. –Che tu risponda a una domanda.
–Spara.
–Sono vere le voci, Husky? Hai dato del cesso alla nuova arrivata?
–Non ti rispondo se continui ad affibbiarmi quel ridicolo soprannome- protestò Weil; va bene che aveva gli occhi molto chiari e che gli husky erano carini, ma non gli andava di essere paragonato a un cane!
–Uff! E va bene: sono vere le voci, Franz? Hai davvero dato della cessa inscopabile alla Irving?
–Dio, no! Innanzitutto perché non la trovo affatto inscopabile - anzi - e poi, anche se l’avessi fatto, non avrei usato un simile linguaggio. Sono un uomo di classe, io- rispose con sussiego Weil. –Le ho detto che non è il mio tipo, tutto qui.
–Ah, ecco! Volevo ben dire!- esclamò sollevato Chris Hale. –Patty, che stronzate vai raccontando?
–Me l'ha detto un’ostetrica, che l’aveva saputo da Maggie Bell, che l'aveva saputo da Diane Berry, e tutti sanno che lei e Faith sono buone amiche!- si difese Robert.
–Probabilmente l'avrà raccontata alla Berry in quei termini, in fondo sappiamo che Husky, anche se è un uomo di classe, sa essere molto offensivo- intervenne Harry James, la voce della ragione in quel gruppo folle.
–Ti sto odiando profondamente, Harry, sappilo!- esclamò Weil. –Sarei tentato di annullare l’invito per venerdì, ma, siccome sono magnanimo e munificente - qualunque cosa voglia dire -, ti includo lo stesso.
–Troppo onore, vostra grazia- rispose Harry. –Dobbiamo portare qualcosa?
–Se volete, sì. Sarebbe meglio tenere delle cibarie di emergenza, Chris potrebbe spazzolare via tutto!
–Ehi!- protestò l'interessato.
I quattro scoppiarono a ridere, dopodiché si separarono per tornare ognuno a casa propria.

***

Franz non fece in tempo a mettere piede in casa che squillò il telefono; rimandata la doccia serale rispose, contrariato –Hallo, Mutti.
–Kind! Wie geht's?
–Che vuoi?
–Chiederti com'è andato il tuo primo giorno- rispose Gertrud, ardente di curiosità.
"Com'è andato? Come vuoi che sia andato? Escluso il primario sono circondato da gente che è troppo terrorizzata per parlarmi o mi detesta perché la proffa mi ha incluso nello studio sui tumori cerebrali, e l'unica che pare non avere paura di me è un’insopportabile acida che ha le sue cose trenta giorni al mese. A parte questo..."
–Tutto ok. I colleghi sono gentili e socievoli, la mensa è meno spaventosa di quel che pensassi, e il lavoro ... beh, lo adorerei comunque, anche se fossi al Polo Sud!
–Mi raccomando, Kind, impegnati ... non farti cacciare...
–Mutti!
–E se puoi trovati una donna e sistemati- chiocciò Gertrud.
–Gute Nacht, Mutti!- ringhiò Franz, deciso a riattaccare, ma sua madre lo precedette sospirando –Prima che riattacchi sbuffando come tuo solito, volevo dirti che ci farebbe piacere se venissi venerdì sera a cena da noi, così potrai raccontarci della prima settimana!
–Ehm... veramente ... ho già preso un impegno per venerdì con Robert e gli altri. Possiamo fare sabato? Vengo a pranzo da te.
–Sabato, certo- trillò Gertrud, per poi commentare –Ma venerdì sarete tutti maschi? Mi sembra una cosa da gay, lieber Kind! Non che ci sia niente di male, eh, basta dirlo, che mi organizzo. I figli di un paio di amiche potrebbero piacerti…
–Non. Sono. Gay. Sono semplicemente un single felice della sua condizione.
–Non dire sciocchezze, Kind, nessuno sta bene da solo. Samara ti ha già chiamato?
–Fortunatamente no.
–So ein Pech! Al solito, devo pensare a tutto io: chiederò il suo numero a Louise, così potrai chiamarla tu, e, magari, invitarla a uscire venerdì, invece di passare la serata davanti alla tv! Nella vita non si può mai dire...
–Schlechte Nacht, Mutti!- ruggì Franz, per poi riattaccare sbattendo il telefono con ferocia.

***

Faith sperava, non appena rientrata a casa, di potersi rilassare, magari anche concedersi un bagno caldo (pazienza se avrebbe consumato più acqua rispetto alla doccia), invece fu costretta, dopo aver indossato il pigiama, a mettersi al computer: Weil, dopo averli interrogati approfonditamente in anatomia e farmacologia, aveva assegnato ad ognuno di loro un caso da studiare e presentare ai colleghi la settimana seguente. Come se non avesse abbastanza da fare con lo studio "BrainX".
Due telefonate le donarono pochi minuti di pausa, impedendole di impazzire. La prima fu di sua madre, che si informò accuratamente del lavoro, raccomandandole di non farsi distrarre, né tantomeno mettere i piedi in testa dai colleghi; la seconda di Abigail.
–Ciao, doc! Come va?
–Ab, ti supplico, non chiamarmi così, fuori dall'ospedale mi dà fastidio- la implorò Faith, grattando sotto il muso la sua gatta, Agatha.
–Ok... a patto, però, che mi racconti nei dettagli il tuo primo giorno!
"Il mio primo giorno. Che dire? Un inizio col botto: ho dei colleghi che definirli peculiari è un eufemismo ... materiale da reparto psichiatrico, ecco cosa sono! La proffa è l'unico essere umano decente lì dentro, e l’altro ultimo arrivato è il tutor più sadico che abbia avuto la sventura di incontrare. Oh, e ha avuto la faccia tosta di darmi dell’abominio e della puttana nella stessa conversazione! Bastardo! Ma io gli faccio bere soda caustica!”
–Ordinario. Non farti fuorviare dalle serie tv, Ab, la realtà è molto meno eccitante. Il lavoro mi piace, abbiamo addirittura il sottofondo musicale! I colleghi sembrano molto meglio di quelli vecchi ... non che ci voglia molto .... l'unica novità è l’altro nuovo arrivato, ma non è niente di che- rispose Faith.
–E' appetibile, almeno? Potresti flirtarci un pò senza impegno, giusto per riprendere confidenza con l'altro sesso...
–Abby- gemette Faith.
–E poi, chissà, potrebbe scoccare la scintilla. Dopotutto, il 75% delle persone conosce il partner sul luogo di lavoro, e ben l'85% lo tradisce con un/una collega!- concluse Abigail.
–Incoraggiante. Sapere che ho tre quarti di probabilità di mettermi con una persona che dovrei sopportare ventiquattr’ore al giorno e che tradirei -o mi tradirebbe- con qualcuno che conosco mi fa davvero venire voglia di "rimettermi sul mercato", per usare l'espressione prediletta di Bridget- ribattè Faith con sarcasmo.
–Non prendertela con me, ho solo riferito le testuali parole di Brian- rispose l'altra con semplicità.
Faith gemette nuovamente: l'idea del suo primo amore, adesso amico, e la sua migliore amica alleati per accasarla la terrorizzava... non avrebbe avuto scampo!
–Abby, non flirterò senza impegno con un collega- "Che non sopporto” –Punto e basta!
–Ho capito: è brutto. E' per questo, vero?- domandò Abigail, affamata di gossip.
–No, Ab, non è brutto- "E’ testosterone allo stato puro, maledetto lui! Dio, fa che mentre ci cambiavamo non si sia accorto che gli ho fissato il pacco!" –E'... un discreto esemplare di maschio umano- gridolino eccitato dall'altro capo del telefono. –Peccato gli basti aprir bocca per rendersi antipatico a tutti. Sa tutto lui perché ha studiato in Germania, solo lui fa bene le cose perché ha studiato in Germania ... perché non è rimasto in Germania? Dio, quanto lo odio! Lo odio perché ... è più bravo di me, Ab, e se non posso essere la migliore nel mio lavoro, cosa mi resta? Ecco, l'ho ammesso!- rispose l'altra con voce man mano più acuta.
–Vabbè, mica devi sposarlo- ribattè Abigail, sorda allo sfogo dell'amica. –Devi solo flirtarci un pochetto, giusto per rimpolparti l'autostima e dimostrare a te stessa che sai ancora come si scuote il testosterone... parole di Brian, eh!
–Ah, ecco, volevo ben dire.
–Ti lascio stare, vorrai rilassarti, dopo una giornata di lavoro. Quasi dimenticavo: venerdì sei ufficialmente invitata a cena a casa Cartridge, ci saranno anche Brian e... un suo amico.
–Dannazione, Abby, sei incorreggibile!- ruggì Faith. –Venerdì è il giorno sacro davanti alla tv, lo sai! Sabato. Sabato sarò a tua completa disposizione!
–Ma sabato non potrà esserci l'amico di Brian, parte la mattina...
–Tanto meglio- sibilò Faith.
–Non dire assurdità, è un ottimo partito. Idea!- trillò Abigail. –Gli chiederò se può fermarsi almeno per colazione, così potrete conoscervi davanti a una tazza di tè fumante!
–E va bene. Mi arrendo. Fammi conoscere questo tizio. Buonanotte- capitolò Faith, terminò parte del lavoro e si infilò sotto le coperte con un libro in mano, gli auricolari dell'I-pod nelle orecchie e il suo gatto sulla pancia.

Nota autrice:
Prima di venire accoltellata, avvelenata, fatta a pezzi, linciata o data alle fiamme, vorrei chiarire una cosa: questa è una storia. Fiction. Non è reale. Alcuni personaggi, lo ammetto, sono vagamente ispirati a persone reali, ma sono talmente estremizzati da essere quasi irriconoscibili. Dai protagonisti alla più insignificante delle comparse, sono tutti caricature, ideate per il mio e (spero) vostro divertimento, non per offendere o ridicolizzare.
Detto questo, sapere che la storia viene letta mi illumina la giornata, ma sarei ipocrita se negassi che le recensioni mi fanno brillare gli occhi e saltellare come un canguro, perciò, se volete, fatemi saltellare, l'attività fisica non è mai troppa! XD
Au revoir!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** New friends ***


Le (dis)avventure di Faith continuano, per la gioia di tutti voi! ^^
Pubblico in anticipo perché, ahimè, febbraio è mese di esami, e mi tocca concentrarmi esclusivamente sullo studio. Sorry.
As always, grazie di cuore a Bijouttina, che non manca mai di recensirmi, ad abracadabra, chariottina, Faith00, _FelixFelicis_, four, gnometta19, irmasidia e _believeinmagic_, che seguono DIMD, e a vallinda, che l’ha inserita tra le ricordate.



New friends




L’amicizia e l’amore non si chiedono come l’acqua, ma si offrono come il tè.
Detto zen

Solitamente, Faith adorava avere ragione, ricevere conferme della bontà del proprio intuito. Non in questo caso: come previsto, l'amico di Brian con cui Abigail sperava di accasarla (per usare un termine caro alla sua amica) si era rivelato un Brian che non ci aveva creduto abbastanza (ossia un playboy da strapazzo, ma del tutto privo dello charme di Brian), e Weil si era rivelato essere il collega più sadico che potesse incontrare.
Rigido all'inverosimile, pignolo, ipercritico, e sembrava determinato a farle scontare le rispostacce del primo giorno: più lei cercava di sfuggire dal suo radar e svolgere il suo lavoro in tranquillità, più lui la spingeva sotto i riflettori; non era gentile con nessuno, ma con lei toccava punte di perfidia ignote ai comuni mortali.
Poco importava che la sua severità fosse una (non proprio palese) dimostrazione di stima - la pungolava per spingerla a dare il meglio perchè vedeva in lei un talento da coltivare - i suoi modi le ricordavano dolorosamente Cyril, l'uomo che l'aveva abbandonata alla soglia delle nozze, rendendo le ore che trascorreva in ospedale una vera e propria tortura psicologica. Se non fosse stata totalmente assorbita dall’autocommiserazione, forse avrebbe avuto una diversa considerazione di lui, e, forse, avrebbe fatto caso alle occhiate che ogni tanto le rivolgeva, convinto che nessuno lo guardasse; forse avrebbe notato l’impercettibile sorriso che si formava sul suo viso ogni volta che rispondeva correttamente ai suoi quesiti e la smorfia delusa che compariva, invece, quando rispondeva alle sue invettive chinando la testa e fingendo indifferenza.
Era convinta che, in quanto ultima arrivata, il suo lavoro, per qualche mese, sarebbe consistito in scartoffie, caffè e fotocopie per i superiori, perciò rimase (piacevolmente) sorpresa quando Weil, sostenitore della superiorità di una formazione pratica, una volta acquisite le basi teoriche, le aveva ordinato di indossare il camice e le aveva consegnato il bisturi; per l’emozione, lo aveva fatto cadere sul pavimento tre volte, suscitando l’ilarità dei presenti, e uno sbuffo infastidito di Weil, che ebbe da obiettare anche sulla sua tempistica.
–Per l’amor del cielo, Irving, questo tizio è morto, non c'è bisogno di essere delicati! Avanti, su, un taglietto e via! Datti una mossa, non ho tutto il giorno.
–Posso farlo in fretta… oppure posso farlo bene.
–Bene e in fretta è chiedere troppo? Un bradipo sarebbe più rapido di te!
Faith non rispose, si limitò, come al solito, ad abbassare lo sguardo e far finta di niente.
–Potrei finire io- propose Rajiv, più per allentare la tensione che per reale desiderio di sostituire Faith.
–Perché no? Faremmo alla svelta, e non dovrei nausearmi vedendo come questa qui regge il bisturi: non so se te ne sei accorta, Irving, ma quello che hai in mano non è un aratro, va tenuto come…
–Una penna. Lo so.
–E tu una penna la reggi in quel modo barbaro? Chi ti ha insegnato a scrivere, un babbuino?
Faith scrollò le spalle, rispose a tono –Una balbettante, bambocciona banda di babbuini-, consegnò il bisturi a Weil e andò nella stanza medici a farsi un tè.
Mentre sorseggiava l’infuso, si chiese la ragione di una così forte animosità nei suoi confronti: non poteva essere misoginia, a parte la professoressa Eriksson, era l'unica donna in quel reparto, ma con i colleghi maschi non si comportava diversamente; non poteva essere invidia, cosa avrebbe potuto invidiarle? Lui era Franz Weil, brillante, affascinante ... Allora perchè ce l'aveva tanto con lei?
Fu solo quando Faith, irata, lo minacciò di rivolgersi alla professoressa Eriksson, che Franz le diede un po' di tregua. Purtroppo, la tregua era destinata a rompersi un giorno di inizio ottobre.
–Faith!- trillò Jeff, accorrendo da lei felice come una pasqua. –Non ho potuto fare a meno di ascoltare alcuni stralci della tua conversazione telefonica… tra parentesi, con chi hai parlato? Ha una voce così sexy! Dimmi che è single, ti prego!
–Conosci il significato di “fatti i cavolacci tuoi”?- rispose lei, seccata.
–Al momento mi sfugge- replicò lui con un sogghigno malizioso. –Allora, dov’è che vai domenica?
Faith sbuffò, spazientita, alzò gli occhi al cielo e sibilò –Sei peggio delle mie vicine, il che, credimi, è tutto dire.
–Motivo in più per vuotare il sacco, cara mia- asserì Jeff, arricciando le labbra, mentre controllava lo stato della manicure. –Non vuoi che ti dia il tormento tutto il giorno per scoprire il tuo segretuccio, vero?
–Ripeto: sei peggio delle mie vicine- sospirò Faith. –Per la cronaca, comare pettegola che non sei altro, sono stata invitata ad una festa ... a tema.
Le ultime due parole attirarono l’attenzione di Josh e Rajiv, che si avvicinarono trillando in coro –A tema! Che bello! Adoro le feste a tema! In quale universo ti catapulterai?
–Qualcosa di raffinato, sicuramente- sbottò Jeff. –Le feste a tema sono di due tipi: ben riuscite ed eleganti o ridicoli disastri… ma a quelle non va mai nessuno. Chi sprecherebbe il proprio tempo per un evento trash e insignificante? Tanto vale restare a casa a infornare biscotti!
–Non sai quanto lo vorrei davvero ... restare a casa a fare biscotti, intendo.
–Cosacosacosa? Non puoi! Nossignore!- esclamò uno scandalizzato Jeff. –Ti recherai al party, sorseggerai elegantemente champagne e socializzerai. Non ammetto repliche. Pensiamo, piuttosto, a cosa farti indossare.
–E’ una festa anni '20, in bianco e nero, perciò direi che l'ultimo dei miei problemi è la scelta del vestiario. Qualcosa di comodo, magari.
–Ma cosa mi dici mai? Sei impazzita? Mi hai appena detto che è un evento anni '20, e vorresti presentarti vestita da contadinella? Non posso permetterlo!
–Cosa c’è di male nel voler essere pratica?
–Zitta, zitta, zitta! Non voglio sentire quella parolaccia. Prenderai parte a una grande soirée, non ad una fiera agricola, devi rispettare il dress code! Vivi nel mondo civilizzato, cara mia, non dimenticarlo.
Faith era sul punto di replicare, quando arrivò King, che li rimproverò e li costrinse a rimettersi al lavoro, impedendo loro di riprendere la discussione.
Il giorno seguente, Faith si accorse, con grande inquietudine, che Jeff la osservava di continuo, confabulando con gli altri due pazzi. Non ebbe modo, però, di chiedergli cosa stesse tramando, perché arrivò un campione per un’estemporanea.
–Prostata, signori! Pezzo fresco di biopsia! Chi la vuole?
Desiderosa di mettersi in luce, senza pensarci due volte Faith balzò in piedi, facendo scattare la mano in aria, e rispose –Io! Io!
Calò un silenzio di tomba, rotto dal commento sarcastico di Weil –E’ tutta tua, Irving. A noi ne basta una!
Resasi conto della magra figura che aveva appena fatto, Faith artigliò il contenitore e si mise all’opera tutta impettita, cercando di ignorare le risate generali.
Non appena ebbe finito l'esame consegnò il campione a Weil perchè confermasse la diagnosi. Quel giorno doveva avere la glicemia a mille, perché le sorrise e disse che aveva fatto un ottimo lavoro; Faith, allibita, rimase letteralmente a bocca aperta, e fu l’estatica esclamazione di Jeff a destarla da quello stato di trance.
–Che classe! Che fascino! Che muscoli glutei!
–Oh, grazie, Jeff. Detto da te, che hai altre preferenze, dà ancora più soddisfazione!
–Che hai capito? Mi riferivo a quel gran pezzo di figo dagli occhi di ghiaccio! Cosa gli farei... se solo non fosse così palesemente etero. Oh, beh, almeno uno di noi potrà approfittarne. Sculaccia quelle chiappe da sogno anche per me, Faith.
–Ti sei frullato il cervello?- strillò la Irving, avvampando.
–Hai ragione. Weil non si farebbe mai sculacciare, il suo corpo urla “dominante” da tutti i pori! Oh, beh, vorrà dire che mi racconterai com’è farlo legata al letto!
–Ti sembro il tipo che si fa legare al letto?- strillò la Irving, che aveva assunto una decisa sfumatura violacea.
–Spero per te di sì.
–Non per polemizzare, ma la gente non ha scritto in fronte il proprio orientamento sessuale- si intromise Rajiv. –Per quanto ne sappiamo, e per quanto ci interessa, Weil potrebbe benissimo essere gay. Tra l’altro, lo sfondo del suo portatile sembrerebbe indicare che è della tua “parrocchia”, Jeff.
–Perché?- domandarono gli altri tre all’unisono, sgranando gli occhi.
–E’ una foto di lui abbracciato a un altro uomo, con tanto di tramonto sullo sfondo, e, beh … insomma ... tramonto uguale romanticismo, no?
–Caro mio, fidati: tramonto o non tramonto Weil è del genere che a me è proibito. Quando è al microscopio con un occhio guarda le cellule e con l’altro le mongolfiere di Faith!
L'indignazione dell'interessata non si fece attendere. Serrò i pugni e, al grido di “questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, corse da Weil per dirgliene quattro (ma anche otto).
–Jeff, perchè le hai detto che il Bastardo senza gloria le fissava le tette? Adesso scoppierà la terza guerra mondiale!- osservò Josh.
–Lo spero proprio! Questo posto è un mortorio!
–Tu sei pazzo- convenne Rajiv. –Ma ammetto di volermi godere anch'io lo spettacolo! Muoviamoci!
Raggiunsero lo scoppiettante duo al momento giusto: Faith teneva le mani strette intorno al collo del collega, e lo stava ricoprendo di insulti.
–Irving, sii ragionevole- esalò lui con voce strozzata, –Se volessi vedere un paio di tette al lavoro assisterei a una mammografia, non guarderei certo i tuoi dirigibili sgonfi!
La presa di Faith si fece più salda mentre urlava –Dirigibili sgonfi saranno i tuoi genitali! E, comunque, chi disprezza vuol comprare, non lo sapevi?
–Non io.
–Beh, che ti serva da lezione: finchè siamo dentro questo ospedale devi considerarmi un essere asessuato, chiaro?- sbraitò Faith.
Weil annuì, poi, una volta libero, si prese la sua rivincita.
–Sai, Irving, la tua sfuriata mi ha fornito l'ispirazione per il quesito del giorno - che non ti ho ancora posto, se non sbaglio - parliamo di asfissia. Vita -poca- morte -sicura- e miracoli. Mentre parli puoi seguirmi... prevedo per te una luuunga giornata.
–No.
–No?
–No. Non mi importa se sei un gradino sopra di me nella scala sociale del reparto, esigo rispetto, e fare commenti sul mio corpo non è rispettoso. Non sei il mio fidanzato.
–La gattina si è trasformata in una tigre- sussurrò Josh a Rajiv, che annuì: finalmente Faith aveva tirato fuori le unghie!
–Se non mi avesse dato dell'ignorante venti minuti fa proverei pena per Weil, la tigre sembra volergli staccare la testa a morsi!- commentò Jeff, infastidito dall'assenza di superfici riflettenti nel loro nascondiglio.
–E' una proposta, Irving?- chiese Franz, trattenendo a stento le risate.
–Una constatazione poco amichevole- rispose lei –Sentiamo cosa ne pensa la proffa.
–Non oserai!
–Mettimi alla prova.
Un minuto dopo, tallonati da Jeff, Josh e Rajiv, irruppero, senza bussare, nello studio della professoressa Eriksson, la quale, intuendo la ragione della loro presenza, alzò gli occhi al cielo: possibile che quei due non riuscissero ad andare d'accordo?
–Prof., Weil ha un inaccettabile atteggiamento sessista nei miei confronti. Prenda i provvedimenti che vuole, ma li prenda!
–Si può sapere che succede? Credevo fosse chiaro che non tollero gazzarra qui dentro!
–Succede che questa qui...
–"Questa qui" ha un nome!- latrò Faith, indignata.
–Se proprio non ti riesce chiamarla per nome, chiamala perlomeno dottoressa Irving, Franz.
–Questa qui- ripetè lui, ignorando gli sbuffi della collega, –Soffre di allucinazioni e manie di persecuzione. Crede che la fissi e sparli di lei alle sue spalle. Se non la esclude dallo studio, me ne andrò io!
–Allucinato sarai tu! Passino le ispezioni alla regione pettorale, non posso impedirti di guardare, ma come la mettiamo con i commenti, eh? Sì, li ho sentiti! Sono beneducata, non sorda!
–Che genere di commenti?- chiese Astrid: era dura per lei prendere posizione, trattandosi di due suoi pupilli, ma se fosse venuto fuori che Frantz discriminava Faith in quanto donna o, peggio, le riservava un trattamento poco professionale, lo avrebbe fatto pentire di essere nato.
–Il genere di commenti che mi induce a supplicarla di darmi uno spazio separato per cambiarmi- rispose Faith, esibendo un'espressione supplice da Oscar.
–Faith, credi davvero che con tutte le spese che l'ospedale deve sostenere possa accollarsi anche quella del tuo spogliatoio personale?
–Hanno assunto questo qui, possono permettersi di tutto- replicò Faith esibendo stavolta il suo sorriso più accattivante.
–Il dottor Weil è stato assunto perchè ha molto da dare, come te. Per l'amor del cielo, siete adulti, non bambini dell’asilo. Dovete imparare a convivere, ed è il motivo per cui non escluderò nessuno dei due dallo studio BrainX ... essere costretti a collaborare vi farà senz'altro bene!- sbottò Astrid, quindi si alzò e, con grande disappunto del trio che stava origliando, chiuse a chiave la porta. –Non so cosa è successo, né voglio saperlo, metteteci una pietra sopra e basta. Stringetevi la mano- i due si strinsero la mano scambiandosi occhiate velenose. –Visto? Non è stato difficile. Franz, d'ora in poi cerca di tenere gli apprezzamenti sulle curve della dottoressa Irving nei più profondi recessi del sistema limbico, e tu, Faith, cerca di ignorare chi ti guarda. Se proprio non dovessi riuscirci usa il mio metodo: pensa che se ti guardano un motivo c’è!
***

Più tardi, al bar, Franz festeggiava la fine di quel turno estenuante con un Mars.
Ben presto venne raggiunto dai suoi amici i quali, oltre a rubargli quel che rimaneva del Mars, lo tempestarono di domande.
–Husky, non posso crederci! Sei recidivo! Perchè diavolo l'hai fatto?- esclamò Chris, gli occhi che brillavano.
–'Tto ‘osha?- biascicò lui a bocca piena.
–Il nostro è un micromondo pettegolo, amico mio; si è già sparsa la voce della tua ultima "constatazione poco amichevole" con la Irving- rispose Harry.
–Oh, quello! Non è niente, davvero. Tutto risolto. Sapete, questi momenti tirano fuori il mio lato nostalgico: non posso non pensare che manca solo Axel e la vecchia banda di scalmanati sarebbe al completo.
–Eh, già. Peccato che Axellino abbia preferito esercitare dall’altro lato della Manica- sospirarono gli altre tre.
–E mettersi la fede al dito.
–E figliare come un coniglio. A quanto siamo arrivati? Figlio numero quattro, giusto?
–Triste pensare che, probabilmente, tra qualche anno anche noi saremo divisi tra mogli, figli e casini vari, e non avremo più tempo per cazzeggiare insieme- osservò Harry James.
–Parla per te! Io col cazzo che mi lascerò ingabbiare! Non senza lottare! Vi dispiacerebbe cambiare argomento?- propose Franz, che stava cominciando a deprimersi sul serio. –Allora, pronto per stasera, Chrissino?
–Oh, yes!- rispose lui senza entusiasmo, lisciandosi la camicia e sorridendo senza espressione. –Non vedo l’ora di spassarmela con… ehm… oddio, non mi ricordo come si chiama!
–Esci con una donna e non ti ricordi come si chiama? Primo: è imperdonabile. Secondo: è il modo più sicuro per andare in bianco- asserì Harry, scuotendo il capo.
–E’ quella tipa della palestra, Harry!- tentò di giustificarsi Chris. –In quel momento il suo nome era l’ultima cosa che mi interessava. E poi, onestamente, non volevo nemmeno uscirci, ma voi avete insistito talmente tanto che ho ceduto per non sentirvi più!
–Lo abbiamo fatto per te, Chrissino! Meriti un po' di svago senza impegno. Oh, andiamo, non fare quella faccia da moralmente superiore! Siamo giovani, possiamo ancora permetterci di uscire con qualcuno di cui non ci frega niente senza sembrare dei vecchi pervertiti!
–Husky ha ragione. Non sarà la donna della tua vita, ma che importa? Ciò che conta è divertirsi, perciòi… sfodera l’artiglieria pesante!
–Basta che non rovini tutto con qualche battuta cretina delle tue, come l’altra volta- intervenne Harry.
Chris, sospirando, si disse che non poteva confidarsi con i suoi amici: gli volevano bene, avevano buone intenzioni, ma sapevano essere degli incorreggibili idioti, per cui si alzò in piedi, fece una giravolta e sbuffò –Fidatevi di me, stavolta andrà bene.
***

In fatto di moda, Faith era un disastro: non seguiva le tendenze, si vestiva come più le piaceva, affidandosi esclusivamente al proprio gusto, preferendo capi senza tempoa trend effimeri, in modo da non essere obbligata a rifarsi il guardaroba ogni sei mesi.
La sua amica Abigail le aveva ripetuto ad nauseam che le avrebbe negato l'accesso alla festa se non si fosse presentata vestita in maniera adeguata, che per lei significava elegante e super femminile, quanto di più lontano dallo stile abituale di Faith.
–Andrò in rosso per una stupida festa! Questa Abby me la paga!- commentò tra sé e sé; da quando si era sganciata economicamente dai genitori era diventata molto più attenta alle spese (secondo Abigail rasentava la tirchieria, secondo Bridget vi sconfinava apertamente).
Come promesso dal meteo, pioggia e freddo avevano concesso al sud dell’Inghilterra un week-end di tregua, regalando un po’ di respiro dal primo assaggio d’inverno che aveva attanagliato il Paese nelle due settimane precedenti.
Beandosi del caldo sole Faith si avviò alla metropolitana, decidendo, all’ultimo secondo, di non rintanarsi nel sottosuolo, bensì di tornare a casa a piedi per godere della luce del giorno. Alla vicina fermata dell'autobus si imbattè in un volto familiare.
–Ciao. Lavoriamo nello stesso ospedale, forse mi conosci di vista, ma non ci siamo mai presentati. Piacere, Faith Irving- salutò, cercando di mostrarsi amichevole. –Sei amico di Weil, giusto? Vi ho visti spesso insieme.
–Faith Irving? Quella Faith Irving? E’ un onore conoscerti dal vivo! Husky ci ha parlato talmente tanto di te - parla sempre di te - che praticamente già ti conosco!
–Husky?- chiese Faith, perplessa.
–Franz. Per noi è Husky. Se isoli gli occhi dal resto del viso sembra di guardare uno di quegli adorabili cagnolini- rispose lui. –Provare per credere. Che stupido, quasi dimenticavo: Christopher Hale. Il piacere è tutto mio.
–Urologo, giusto? Ho visto il tuo nome su alcune richieste di esami estemporanei; erano ti pezzi uro-genitali, e ho fatto due più due. Carina la camicia, comunque. Molto "discoteca anni novanta"- mormorò Faith dopo un minuto di silenzio imbarazzato.
–Cosa? Ma io vado a cena in un ristorante messicano! Accidenti a Robert, l’ha scelta lui!
“Non posso crederci! Come minimo ha passato i trenta, e si fa vestire come un bambolotto?”
–Perdona la brutalità, ma … non sei abbastanza grande da vestirti da solo?
–E’ quel che dico anch’io; secondo Robert, fashion guru dell’ultim’ora, però, non ho gusto- ammise lui. –Forse non ha tutti i torti: avrei messo un paio di jeans e una maglietta.
–Come ti capisco! Anche io amo la comodità. Devo andare a fare shopping e il solo pensiero mi dà la nausea!- replicò Faith, incapace di credere che qualcuno tanto simpatico fosse amico di quel musone di Weil, finchè la sua parte razionale non le fece notare che, in compagnia dei suoi amici, Weil si trasformava in un essere umano: l’aveva persino visto ridere (non che lo avesse guardato con particolare attenzione, sia chiaro)!
In quel preciso istante, come per magia, si materializzò una decappottabile con la radio a tutto volume e tre facce sorridenti, appartenenti a Rajiv, Josh e Jeff; quest’ultimo, al posto di guida, suonò ripetutamente il clacson e gridò –Sali, sfigata, andiamo a fare shopping!
Imbarazzata, Faith pigolò –Terra, inghiottimi!
–Buon divertimento!- esclamò ironico Chris, le diede una pacca d’incoraggiamento sulla schiena e agitò un braccio per segnalare all’autobus che doveva salire.
Già scioccata dalla scenetta da film, Faith si sconvolse, se possibile, ulteriormente, quando ascoltò con più attenzione la musica.
–Funky? Senza offesa, ma è troppo persino per te!- commentò. –Questa roba andava quando eravamo bambini!
–Dobbiamo fare shopping, serve la giusta energia- replicò lui senza scomporsi.
Faith storse il naso alla vista di Josh che rimirava il nuovo taglio di capelli nello specchietto retrovisore e ribattè –Senza offesa, ma con gli S Club 7 l’unica energia che riusciremo a racimolare è quella per permettere ai nostri neuroni di suicidarsi!
–Miao! Se tu avessi le unghie affilate come la lingua, mi farei volentieri grattare la schiena da te, gattina- asserì Josh, sorridendo al proprio riflesso.
“Narciso dovrebbe prendere lezioni da lui”, pensò, sconcertata da quel concentrato di vanità ambulante di nome Joshua Elmond.
–Non conoscevo questo tuo lato zoofilo, Josh. Adesso taci, devo ritrovare la giusta concentrazione- sbottò Jeff, prima di rivolgersi a Faith. –Volente o nolente, cara mia, saremo i tuoi angeli custodi e ti guideremo nella scelta di una mise per un party in stile anni '20 che non lasci dubbi sul tuo essere un 46, XX. Un gran bel 46, XX, oserei dire.
–Sono abbastanza grande per scegliermi i vestiti da sola, grazie tante!
–A giudicare da come ti conci di solito, direi il contrario. Ora, se hai finito con le osservazioni inutili: pensa a te, ma in versione opera d’arte, perché è così che sarai, grazie a noi. Che l’impresa abbia inizio!
Ignorando le sue proteste, Jeff l’aveva trascinata in diversi negozi, in ognuno dei quali le aveva fatto provare decine di capi, costosi e/o scomodi, sciorinando senza sosta consigli di moda e bellezza.
Proprio quando era sul punto di cedere e supplicarlo di riportarla a casa, avevano trovato qualcosa che li aveva messi d’accordo: un abito nero con le frange, al ginocchio –come richiesto dal dress code- con le maniche -come richiesto da Faith, che si vergognava di mostrare le braccia, non proprio tonicissime, nude- e il corpetto scollato a V.
–Questo mi piace. Mi copre abbastanza.
–Non capisco questa tua smania di coprirti- asserì Joshua, scrutandola con occhio critico. –Hai avuto gratis ciò che molte donne pagano fior di sterline, e lo copri?
–Le donne pagano per avere smagliature e cellulite?- scherzò lei.
–Non so se ci sei o ci fai- sospirò stancamente Josh. –In ogni caso, quello a cui mi riferivo sono queste- le strizzò le guance paffute, ma sode –Queste- le strinse i seni, –E questo- concluse in bellezza con una pacca sul sedere.
–Non ti gonfio di botte perché altrimenti si sgualcirebbe il vestito, ma…- ringhiò Faith, che aggiunse, in risposta alle espressioni sconcertate sui volti degli amici, –Ho detto qualcosa di sbagliato?
–Affatto- esalarono in coro. –E’ il primo pensiero veramente da donna che ti sentiamo formulare da quando ti conosciamo.
–Perché non avete idea di come ragiona una donna- ribattè Faith, incerta se prendere il vestito della sua taglia o di una taglia in più. –Mi copro perché voglio apparire elegante, non un volgare ammasso di adipe che si illude di essere bello.
–Interessante scelta di parole- mormorò Rajiv, atteggiandosi a psicologo. –Si intuisce che identifichi la bellezza con la magrezza. Tipico. Il giorno che incontrerò una donna che si piace esattamente così com’è, senza complessi, non mi riavrò dallo shock.
–Non penso che magro sia sinonimo di bello- “Altrimenti non si spiegherebbero certi soggetti che si vedono in giro”. –Ammetto, però, che mi sentirei più a mio agio nel mio corpo se perdessi qualche chilo. Senza contare che ne guadagnerei in salute. Farei qualunque cosa per dimagrire… tranne dieta e movimento!
–Beh, Miss Pigrizia, non è infagottandoti che sembrerai più magra, anzi, e poi la bellezza è negli occhi di chi guarda… e sogna di poter toccare.
–Non me.
–Ascolta, carina: se pretendi l’approvazione universale non sarai mai felice. Pensa a Teer Wayde, a Candice Huffine, a Laura Welsh, alla sensuale Velvet d’Amour: donne stupende, modelle strapagate, eppure in molti storcono il naso e le definiscono “ciccione”. Smettila di frequentare club per ciechi, infonditi in vena un bolo di autostima e vedrai che troverai qualcuno in grado di apprezzarti- sbuffò Jeff, quindi si avvicinò a Faith, le ordinò di tenere sollevate le braccia e strinse i lati del corpetto, a dimostrazione che non lo riempiva del tutto. –Osa prenderlo di una taglia più grande -non negarlo, so che l’hai pensato- e verrò a casa tua a stringerlo!
–Toglietemi una curiosità: perché fate tutto questo per me?
–Te lo disse lui il primo giorno: tra colleghi ci si aiuta- asserì Rajiv. –In più mi sei simpatica, e io non sbaglio mai nel giudicare le persone.
–Ma… mi conoscete appena!
I tre scossero la testa, poi Jeff rispose –Dimentica i tuoi ex colleghi del CCH, mia procace D’Artagnan, noi siamo i Moschettieri della medicina: tutti per uno, uno per tutti!
Faith ridacchiò, li abbracciò e disse –Avete ragione, siete lontani anni luce dai miei ex-colleghi.
“Soprattutto la regina delle merde, Charlotte”.
***

Nonostante i numerosi impegni e il risicato tempo libero della vita adulta, Faith era riuscita a tenersi in contatto con gli altri componenti degli Shouts, la band di cui aveva fatto parte fino alla rottura Brian. Ogni qual volta era possibile, organizzavano volentieri allegre rimpatriate, perché era più unico che raro potersi riunire tutti insieme davanti a una birra.
–E’ in ritardo. Non tollero ritardi, dovrebbe saperlo- borbottò Jack Wilkinson.
–Datti una calmata, dieci minuti di ritardo non hanno mai ucciso nessuno- replicò Brandon Bailey, ex bassista dall’appetito insaziabile, prima di azzannare un succulento muffin (aver sposato una pasticciera aveva i suoi vantaggi). –Ah, la mia dolce Melly. Come farei senza di lei?
–Te la caveresti. Non di soli dolci vive l’uomo- scherzò Andrew Dixon, amico di lunga data di Ben (fratello minore di Brian e marito di Abigail), grazie al quale aveva conosciuto Faith (conoscenza, questa, che gli aveva permesso di incontrare la sua fidanzata, Evangeline).
–Io vivo di sola Melanie, però- ribattè Brandon.
–Brand, ti prego, sei melenso da far cariare i denti!- asserì una voce femminile.
I tre si voltarono, videro Faith in compagnia non di uno, bensì tre sconosciuti, e per un attimo credettero di avere le traveggole.
–Faith, credo che quando Brian ti ha consigliato di rimetterti in pista, non intendesse farti un harem!- commentò Andrew, facendo ridacchiare Brandon e Jack, alle sue spalle.
–Spiritoso, molto spiritoso. Non ti dispiace se i miei colleghi si uniscono a noi, vero?- rispose Faith, imbronciandosi.
–Dipende. Se fanno i bravi…
–Io faccio sempre il bravo- intervenne Jeff in un tono che trasudava doppi sensi.
Josh e Rajiv si coprirono gli occhi con le mani: possibile dovesse sempre rendersi ridicolo?
–Jeff, sta’ zitto. Non fateci caso, è solo…
–Una primadonna nel corpo di un uomo- concluse Faith al posto di Rajiv. –Ragazzi, loro sono Jack, per noi Jack O’Lantern, Brandon, Sheldon ed Andrew. Peccato che Devil sia all'estero! Cocchi miei, questi sono Josh, Jeff e Rajiv, vi ho parlato di loro, credo.
–Oh, sì, adesso ricordo. Simpatici come pochi, e altrettanto fuori di testa.
–E’ il nostro ritratto- replicò Josh, arricciandosi il ciuffo caduto sulla fronte.
–Non vorremmo disturbare, ma non riusciamo a dire di no a una birra!- gnaulò Jeff, ammiccando in direzione di Andrew. Rajiv gli diede una gomitata per farlo smettere.
–Sembrerà di essere tornati ai vecchi tempi: Andrew canta ruttando!- ridacchiò Brandon, che, nel frattempo, aveva spazzolato cinque muffin.
–Non ti mando dove meriti perché abbiamo pubblico- rispose Andrew. –Alla pinta!
Faith ridacchiò divertita –Ai prodi bevitori!
***

–Una pinta, per favore- esalò Chris, accomodandosi al bancone di un pub.
L’atmosfera era viva e vibrante, rumorosa come in ogni pub che si rispetti, decisamente diversa dal ristorante dal quale era uscito pochi minuti prima: bello, ma troppo “inamidato” per i suoi gusti. Non a caso, l’aveva scelto la ragazza della palestra, con la quale era uscito per la prima e ultima volta. Che esperienza!
Non appena gli venne servita la birra, la ingurgitò come se non bevesse da settimane, godendo della sensazione di sollievo che gli donava quel liquido fresco e amarognolo mentre scendeva lungo l’esofago.
La verità, pensò, mentre vuotava il boccale, era una sola: la compagnia aveva rovinato la serata.
Non l’avrebbe mai confessato ai suoi amici, ma non poteva negarlo a se stesso: nei suoi pensieri non c’era la ragazza dal nome ridicolo con la quale aveva cenato. Si vergognava di ammetterlo, all'inizio persino a se stesso, ma era innamorato perso. Non avendo mai provato nulla del genere, non sapeva come comportarsi e, come suo solito, si era tagliato le gambe da solo: era convinto, infatti, di non meritare la donna in questione, che fosse fuori dalla sua portata.
La porta del pub si spalancò e un’allegra comitiva fece il suo ingresso.
Chris si voltò, diede loro un’occhiata fugace e tornò a concentrarsi sul fondo del boccale vuoto, per poi ordinare una seconda pinta.
–Ciao, Christopher.
Sorpreso di sentire quella voce, si girò ed esclamò –Faith! Devo forse pensare che mi segui?
–Potrei pensare la stessa cosa, se non credessi alle coincidenze- rispose lei, sedendosi accanto a lui. –Sono venuta a bere qualcosa con alcuni amici- aggiunse, indicando un ciarliero gruppetto poco distante. –Mi sono allontanata quando hanno iniziato a discutere di calcio, materia nella quale, ahimè, sono estremamente ignorante: so soltanto che fa girare un sacco di soldi, che le partite durano novanta minuti e che si gioca con una palla e due squadre da undici. Fine.
–Non male, come base. Ti basterebbe buttare lì due nomi di calciatori famosi presi a caso, osannare il loro stile di gioco, imprecare contro gli arbitri e potresti passare per una intenditrice!
–Preferisco lasciare le disquisizioni ai veri esperti- ridacchiò Faith, levò in alto il suo boccale e bevve un lungo sorso di birra.
–Scura, eh? Ti facevo tipo da bionda- commentò senza pensare Chris.
–Dipende dal tipo di birra. In generale, mi piacciono corpose e dal gusto armonico. Adoro la birra d’abete, peccato costi troppo- rispose Faith.
–Non me ne parlare. Hai presente Charlie de ‘la Fabbrica di Cioccolato’? Lui riceve una tavoletta di cioccolato per il suo compleanno, io una bottiglia di birra d’abete!
Faith scoppiò a ridere, appoggiandosi al boccale, quindi, non senza esitazione, pose la domanda che le ronzava in testa da quando aveva riconosciuto Chris al bancone.
–Non prenderla male, ma… come mai sei da solo?
Non le rispose subito; si soffermò a soppesare le parole, poi gli venne il dubbio sul perché di quella domanda, infine si chiese come avrebbe reagito alla risposta, e fu quel pensiero a indurlo a rispondere. Aveva casualmente origliato la conversazione tra due infermiere e, da quel che aveva capito, Faith era reduce da una batosta sentimentale e professionale di tale portata, che sicuramente non avrebbe riso del suo tragicomico appuntamento, come invece avrebbero fatto i suoi amici.
–Non so se dovrei dirtelo, rovinerebbe la mia reputazione da maschio alfa ... Oh, a chi voglio darla a bere? Del maschio alfa ho soltanto i muscoli! Ho mandato a monte una conquista quasi sicura.
–Ah, già, alla fermata dell’autobus avevi detto che avresti cenato al messicano… spero che almeno la cena non abbia deluso le tue aspettative.
–La qualità no, la quantità… sì, mi ha molto deluso, ma non posso lamentarmi, ho deciso io di spiluccare, piuttosto che mangiare. Sai, sono una buona forchetta, non volevo passare per ingordo.
–Come ti capisco, anche io mi trattengo per non apparire una mangiona!- chiocciò Faith in tono comprensivo. –Però mi meraviglio di te, dottore: bere a stomaco vuoto! Non si fa!
–Hai un’idea migliore?
–Dipende. Ti spaventa camminare?
–Perché?
–Perché il posto è lontano, e io sono appiedata- spiegò Faith.
–Il mio fedele macinino è al vostro servizio, madamigella- scherzò Chris, che aveva compreso le sue intenzioni.
–Ottimo! Chiedo agli altri se vogliono unirsi a noi, poi andiamo!
***

Avevano cenato da soli, alla fine. Jack e Brandon avevano fatto ritorno dalle consorti, Andrew aveva balbettato qualcosa a proposito di Evangeline e un mazzo di fiori, e il diabolico trio si era limitato a declinare l’invito, lanciandole occhiate allusive.
“Idioti”, pensò, scuotendo la testa: Chris era divertente, alla mano, di gusti semplici, diretto e sincero. Senza sé, né ma. O meglio, un “ma” c’era: Chris andava bene solo come amico.
Beatrice Irving, la defunta nonna di Faith, era solita dire “ciò che a noi sembra spazzatura può essere un diamante per qualcun altro”. Non c’era frase migliore per descrivere cosa stava provando Faith. Non che considerasse spazzatura Christopher … ma nemmeno un diamante. Sì, era discretamente carino e aveva stampata in faccia la scritta “bravo ragazzo”, sarebbe stato un diamante perfetto per qualche fortunata donzella … però non era il suo diamante. Troppo esuberante, troppo accondiscendente. No. Dopo anni di estenuante ricerca dell’uomo ideale, segnati da una serie di relazioni apparentemente perfette, in realtà mandate avanti per inerzia, Faith aveva smesso di cercare qualcosa che non esisteva. Basta sognare un uomo senza difetti, dal quale farsi venerare come una dea e da coccolare come la perfetta fidanzata, chi faceva al caso suo era intellettualmente stimolante, ma imperfetto, in modo da avere, in mancanza di meglio, un sicuro argomento di conversazione… i rispettivi difetti.
Ringraziò per l’ennesima volta Chris, che l’aveva accompagnata fino al cancello, lo salutò, e si mise a frugare nella borsa per trovare le chiavi, maledicendo la legge non scritta secondo cui quel che serve finisce immancabilmente sul fondo di borsa, zaino, cassetto e quant’altro.
–Buonasera, dottoressa- celiò Mrs. Fox.
–Gentile, il tuo amico, ad averti accompagnata fino al cancello- intervenne Mrs. Norris. –Di questi tempi, non si sa mai…
–Buonasera, Mrs. Norris. Mrs. Fox- esalò Faith; non aveva immaginato che le Parche potessero essere in piedi a quell’ora. –Magnifica serata, vero?
–Splendida. L’aria è fresca, ma non fredda. L’ideale, per Rasputin e me- rispose Mrs. Norris, accarezzando il bisbetico chihuahua che adorava e viziava come un nipotino. Faith lo odiava, e sognava di fargli avere un corpo a corpo con la sua Agatha, nella speranza che lo facesse fuori a suon di graffi.
–L’ideale per fare due passi. Hai fatto due passi con il tuo amico?- chiese Mrs. Wolf: non appena sentiva odore di gossip, accorreva al balcone con la rapidità di una ventenne.
–Anche- rispose Faith, sforzandosi di celare il proprio fastidio. –Abbiamo cenato, prima.
–Cenato? Ooh, ma allora è una cosa seria!- celiò Mrs. Fox.
Faith per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
–Ma cosa dici, Ezra?- tuonò Mrs. Norris. –Mia cara, so che sei una donna adulta e la decisione spetta a te, ma ti consiglio caldamente di scoraggiare le attenzioni di quell’individuo. Non fa per te.
Faith rimase a bocca aperta, sconcertata. Non sapendo come replicare, rimase in silenzio, sperando che la lingua dell’anziana donna non galoppasse più veloce della sua pazienza.
–Griselda ha ragione, cara- fece eco Mrs. Wolf. –Sarà anche gentile, ma non ha un minimo di galanteria: non ti ha aperto la portiera, non ti ha aiutata a scendere dall’automobile, e scommetto persino che non ti ha offerto la cena!
Faith ridacchiò sommessamente, prima di ammettere –A dire il vero voleva offrirmela, ma ho rifiutato, preferendo che ognuno pagasse per sè.
Le Parche strabuzzarono gli occhi e impallidirono, al punto che Faith temette stessero per avere un infarto in contemporanea. Fortunatamente, la loro fu semplice indignazione.
–Ma… ma…
–Capisco che a voi sembri inconcepibile, ma non mi piace essere in debito, con nessuno. Ero perfettamente in grado di pagarmi la cena, quindi perché scroccarla a un amico?- sbottò Faith, giunta al limite di sopportazione. –Sì, avete sentito bene, amico. Un uomo e una donna posso essere amici.
Mrs. Norris attese che fosse entrata nel condominio, prima di sbuffare –Solo se sono entrambi felicemente fidanzati!

Nota autrice:
Sono curiosa: concordate o no con Mrs. Norris? Credete che un ragazzo e una ragazza possano essere solo amici? Personalmente… sì.
Passatemi la battuta di Faith sul fatto che Jeff si riferisse a lei; è vero che in italiano sfigata è chiaramente femminile, ma l’inglese “loser” no, e, come quasi sempre, ho immaginato la scena in inglese.
Piccolo anticipo sul prossimo capitolo: farete un tuffo nel venerdì sera di Faith&co!
Per i “facebookari”: https://www.facebook.com/francy.iann la mia pagina, se vi va passateci.
Au revoir!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La baraonda del venerdì sera ***


La baraonda del venerdì sera



 
La persona che rimane calma in ogni circostanza è invincibile.
Paramhansa Yogananda
 
Un venerdì sera come tanti Faith e Cyril, conviventi da poco, di ritorno da una festa, dopo aver inaugurato il materasso nuovo, avevano deciso di rilassarsi gironzolando tra i canali televisivi. Su insistenza della ragazza, Cyril si era lasciato persuadere a fermarsi su Canale Quattro; sorpresa delle sorprese, avevano sostituito il telefilm sugli zombie in programma con l’episodio pilota di un serial americano, il cui titolo li aveva sconcertati (e affascinati): ‘Genital Hospital’.
Con sua grande meraviglia i due avevano scoperto, il giorno seguente, che anche i loro amici (escluso Ben, cui Abigail mai e poi mai avrebbe permesso di guardare un programma del genere) l’avevano visto; da allora, ogni venerdì, dopo una cena etnica o una birra al pub, si riunivano per guardare questa serie tv dal folto seguito, trasmessa in seconda serata a causa del contenuto fortemente inadatto ai minori: la trama, infatti, era piuttosto scarna, e la maggior parte degli episodi era occupata da scene di sesso acrobatico.
Quel venerdì erano ospiti di Andrew ed Evangeline.
–Sono troppo curiosa di scoprire le novità della nuova stagione!- trillò allegramente Evangeline Ferrey, spalmata addosso al suo fidanzato, Andrew Dixon.
–Mi pare di aver letto che la trama si tingerà di giallo, ed entreranno in scena tre nuovi personaggi, uno dei quali metterà i bastoni tra le ruote al dottor Mc Kenzie- asserì Maggie Bell, titubante new entry del gruppo (battezzato dai componenti "Baraonda") del venerdì sera insieme a Jeff, Josh e Rajiv.
–Meg, osa spoilerarmi la nuova stagione e un flaconcino di barbiturici scivolerà accidentalmente nel tuo succo di mirtillo mattutino!- tuonò Erin Campbell, tappandosi le orecchie.
–A me basta che sopprimano l’infermiera Rooke. Diamond Fox è brava, ma non sopporto il personaggio.
–Chiudete il becco, sta per iniziare!- li zittì Faith, sprofondando nel morbido divano di casa Dixon- Ferrey.
 
***
 
–Cena deliziosa, Husky- esalò Robert Patterson, mollemente adagiato sul divano rosso, massaggiandosi lo stomaco. –Alla faccia di chi ci vuole male, del colesterolo e dei trigliceridi!
–Concordo- confermò Harry James. Non era particolarmente goloso di dolci, ma la Bakewell Tart era una delle eccezioni, tanto che ne aveva mangiate tre fette.
–Mi raccomando, amico mio, non sposarti- asserì Chris Hale.
–Chris, che cavolo c'entra il matrimonio con la cena?
–Se Husky si sposasse cucinerebbe sua moglie, e andrebbe fuori allenamento- rispose lui senza scomporsi, quindi, dopo aver controllato l'ora, aggiunse –Mano al telecomando, sta per cominciare!
Franz lo accontentò, ridacchiando: si vergognava ad ammetterlo, ma ‘Genital Hospital’ aveva appassionato anche lui, lo considerava una divertente trasgressione da condividere con gli amici. E dire che, la prima volta che l’aveva visto, ne era rimasto scioccato.
“–Ma… ma… ma… ma è… un porno!- aveva esalato, incapace di credere ai propri occhi.
–Secondo te perché lo danno a quest’ora? Perché è un porno! Un porno travestito da serie televisiva- aveva precisato Harry.
Franz li aveva fissati, esterrefatto, quindi aveva balbettato –Perciò, voi ogni venerdì... guardate un porno? Tutti insieme?
–In compagnia ci sentiamo meno maniaci pervertiti- aveva risposto Harry. Chris e Robert si erano limitati ad abbassare lo sguardo, rossi in viso.
–Ecco perché vi vergognavate a vederlo con me!- aveva esclamato Franz, sedendosi tra Robert e Chris. –Ok, sentite: siamo amici da tanto, non oserei mai giudicarvi, tanto più che 'sta roba non è male. Possiamo continuare a guardarlo insieme… a patto che non mi sporchiate il divano!”

 
***
 
–Eva, quella posizione mi era nuova, prendi appunti!- esclamò rapito Andrew alla prima pausa pubblicitaria.
–Vuoi che ti faccia un disegnino, o preferisci sperimentarla dopo?- gli sussurrò all’orecchio Evangeline, per poi alzarsi a prendere altro cibo e bevande per l'insaziabile comitiva.
–Come si fa a non amarla?- sospirò Andrew, ignorando i finti conati di vomito di Faith e Diane.
–Vi dirò, il dottor Faulkner non mi dispiace- asserì Erin Campbell, annuendo con convinzione.
–A chi non piace?- esclamò Diane Berry. –Se non ti attizza uno con così grandi doti, troietta, significa che non ami il genere maschile!
–Se conoscessi uno del genere, mi farei fare una “visita” a settimana… come minimo!- ammise Faith, stupendosi di come fosse facile, con un pò d'alcool in corpo, mettere da parte i brutti ricordi e apprezzare il bello intorno a sè.
–Credo che Faulkner ti prenderebbe volentieri- commentò Maggie Bell, per poi aggiungere, arrossendo –C-Come paziente, intendo. Sei il suo tipo... credo. Voglio dire, somigli abbastanza alla dottoressa Jordan ...
–Perchè sono bruna e ho i capelli corti e le tette grandi? Bastasse quello farmi diventare bona - e, soprattutto, snodata - come Kaja Rosebud!- sospirò Faith.
–Io, personalmente, non disdegnerei l'ispettore Stone... ha fascino da vendere, e delle doti che reggono bene il confronto con Faulkner- mormorò Helen Gardiner, la pediatra incinta da scoppiare, quindi diede un bacio al marito, a significare che tanto il suo preferito in assoluto sarebbe stato lui, sempre e comunque.
–Non so… è figo, ok, però… ha un che di losco, ed è totalmente privo di buon gusto- asserì Diane Berry.
–Perché dici questo, Diane?
–Perché ha scopato con l’infermiera Rooke, e nessuno che scopi con quella merita considerazione!

***
 
A casa di Franz l'atmosfera non era molto diversa; mentre si riprendeva dal fisiologico shock post-puntata gli altri tre commentavano con la pubblicità in sottofondo, troppo pigri per cambiare canale.
–Adesso capisco perché l’episodio è intitolato “Pompe funebri”! Quanta sfiga ci vuole per crepare dopo un pompino da urlo?
–Secondo me questa faccenda delle morti sospette rende il tutto più interessante, il porno fatto e finito alla lunga stufa- commentò Harry.
–Parla per te, Mr. Castità! Ehi, non vi insospettisce che le vittime fossero pazienti di Faulkner? Per me il serial killer è lui. Non mi è mai piaciuto, ha un che di losco- mugugnò Robert, imbronciato.
–Sì, losco! Dì piuttosto che sei invidioso perchè è chiaro come il sole che, nonostante gli sforzi di Mc Kenzie, finirà con lo sbattersi la tua amata dottoressa Jordan- replicò Chris. –A proposito della Jordan … non vi ricorda un po’ Faith Irving?
–Perché è bruna e ha i capelli corti e le tette grandi? Bastasse questo a farla diventare bona come Kaja Rosebud!- replicò Franz. –Comunque non temere per la tua beneamata, Robert, la Rooke si metterà in mezzo, vedrai. Quella non può vedere la Jordan con uno che subito vuole farselo! Basta pensare alle porcate che ha fatto col padre della sua amica Jessica dentro l’apparecchio per la TAC.
–TC. Si dice TC. Non è più una tomografia assiale, è spirale- li corresse Harry James, radiologo che si prendeva troppo sul serio.
–Sai che per noi non fa differenza, vero?- gli fece notare Chris. –Io a stento ricordo cosa vuol dire tomografia!
–Lasciamo perdere. Ah, Chris: presi dalla puntata ci siamo dimenticati di chiederti com’è andata ieri!
–Oh. Ieri. Un disastro su tutta la linea.
–Cosa hai combinato? Perché è colpa tua, ci metterei la mano sul fuoco!- sbottò Harry.
–Dopo i convenevoli è calato un silenzio imbarazzante, non sapevo di cosa parlare, non la conoscevo bene; ha rotto il ghiaccio lei, domandandomi se mi piace andare al cinema… colpito e affondato: non ho fatto una buona impressione quando ho confessato che l’ultima volta che ci sono andato è stato per vedere ‘Lego Movie’, e la situazione è peggiorata quando ha cominciato a ciarlare di questo Francis Tartufo, che non ho idea di chi sia…
–Non hai idea di chi sia François Truffaut?- ululò Franz, scandalizzato: si poteva non amare i suoi film, ma non si poteva non conoscerlo!
–Che volete da me? Ero in ipoglicemia perché avevo mangiato si e no mezza tortilla, dato che Miss Magrezza mi aveva fulminato per aver osato ordinare una quesadilla, a disagio per il colletto della camicia troppo stretto…
–Sento che il peggio deve ancora venire- gnaulò Robert.
–Le ho chiesto il nome con la scusa di controllare se l’avessi scritto bene, e… non ho potuto trattenermi, capite? Si chiama Chalece!
–Cialis? Come il farmaco per la disfunzione erettile?- domandò Robert, scosso da incontenibili risatine.
–Si scrive diversamente, ma la pronuncia è la stessa. Non ce l’ho fatta a trattenermi.
–Le hai detto che si chiama come un farmaco per l’erezione? Oddio, Christopher!- abbaiò Harry, rotolandosi dalle risate insieme agli altri due.
–Begli amici, siete! Faith non ha riso, quando gliel’ho raccontato!- ruggì Chris, offeso.
–Faith? Irving? Perché mai avresti raccontato a lei qualcosa di tanto personale?- gli chiese Franz.
–Perché avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno, e in questo si è rivelata migliore di voi!
–Quindi adesso siete amici?- domandò Franz, troncando sul nascere la replica di Harry.
–Come mai tanto interesse, Husky?
–Semplice curiosità- rispose con noncuranza Weil.
–Diciamo che… siamo in confidenza- ribatté Chris.
Weil scrollò le spalle e andò nel cucinino a rigovernare. Non aveva più voglia di ridere.
 
***
 
Il mattino successivo, sepolta la voglia di rimanere a letto a poltrire, Faith era andata alla famigerata colazione. In teoria avrebbero dovuto prendervi parte lei, Abigail, Ben, Brian e il suo amico, invece, come da copione, la tranquilla colazione si era trasformata in un tête a tête con l'amico di Brian, alias l'ennesimo tentativo di Abigail di raccattarle un uomo. Durante quegli interminabili trentasette minuti (sì, li aveva contati, tanta la noia) aveva trovato la sua compagnia talmente ripugnante da pensare che avrebbe preferito di gran lunga ci fosse Weil al suo posto, e non era fuggita a gambe levate esclusivamente per non fare la figura della bifolca, oltre che per timore che la sua amica sensale di matrimoni dilettante la inseguisse per tutta Londra armata di mannaia.
Tornò a casa fiaccata nel corpo e nello spirito; era stufa di dover combattere per la propria libertà. Cosa c'era di sbagliato nel desiderare tempo per se stessa e nessun altro? Sapeva che Abigail agiva in buona fede, convinta che una nuova fiamma potesse accrescere la sua autostima, ma Faith sapeva bene che la sua autostima, seppur bassa, non era il vero problema, solo una scusante. Il vero problema era che lei, nel suo bozzolo caldo e confortevole, stava benissimo: ora che aveva scoperto il potere catartico della solitudine, aveva cominciato a rassegnarsi all'idea che la sua vita sentimentale fosse più piatta dell'elettrocardiogramma di un cadavere.
Nelle settimane successive, con enorme sollievo e incredulità di Faith, il suo rapporto con Weil mutò: non le rivolgeva la parola, se non per questioni di lavoro. Niente più commenti sarcastici, battutine al vetriolo, critiche pignole. Poteva finalmente respirare.
Persa tra mille pensieri su quali potessero essere le ragioni di un cambiamento così radicale, Faith non si accorse che l'ascensore che aveva chiamato era arrivato, e che Robert Patterson le stava gentilmente tenendo le porte aperte.
Dopo un po', seccato, disse –Ehi, bell'addormentata!
–Cos... Oh, ciao Robert!- rispose, affrettandosi ad entrare in ascensore. –Dio, che sbadata! Se non fosse piantata sul collo credo che dimenticherei la testa a casa!
Robert ridacchiò e rispose al saluto.
–Ciao, Faith. A che piano vai?
–Indovina. Tu?
–Indovina. Ti faccio scendere per prima, ok? Uhm, ecco… volevo informarti, se non l'hai già saputo, che i miei danno una cena domani sera. Naturalmente, tu e i tuoi genitori siete compresi tra gli invitati- disse tutto d'un fiato Robert.
–Mia madre deve avermelo accennato... ma come al solito mi è passato di mente- mormorò lei, per poi tossicchiare: la gola era sempre stata il suo punto debole.
L'ascensore si fermò, le porte si spalancarono, Faith uscì e anche Patterson.
Faith, senza riflettere, esclamò –I tuoi mi stanno invitando spesso a cena... non vogliono farci accoppiare, vero?
–Certo che vogliono farci accoppiare! Guardiamoci le spalle, Faith!- rispose lui tra le risate. –Sto scherzando, ovviamente. Comunque, non sei obbligata a essere gentile con me solo perchè i nostri genitori sono amici.
–A dire il vero, anche se forse ho lasciato intendere il contrario, non mi dispiacerebbe- asserì Faith. –N-Non accoppiarci... cioè, fare coppia... sì, insomma, essere amici, più di quanto non lo siamo stati in questi anni. Fingevo mi stessi antipatico per fare dispetto ai miei, ma credo di aver passato la fase di immaturità in cui rifiutare un'amicizia è considerato atto di ribellione. E tu?
Robert smise di ridere.
–Lo credo anch'io. Mi piacerebbe molto esserti amico. Allora, dimmi, nuova amica... che combini stasera?
– E' venerdì, non posso che vedere "Genital Hospital"!
–Non posso crederci! Lo segui anche tu? Io per questa settimana passo. Avremmo dovuto vederlo da Harry, il mio amico radiologo, ma si rifiuta perchè vive con sua sorella e vuole tenere lontano da lei qualunque essere vivente di sesso maschile.
–Soffre di una grave forma di sindrome del fratello maggiore, o sbaglio?- scherzò Faith.
–Padre geloso e fratello maggiore messi insieme- rispose lui, alzando gli occhi al soffitto. –Da quando i loro genitori sono morti Harry ha tentato di essere per la sorella una sorta di fratello paterno, o padre fraterno. Non lo biasimo, se avessi una sorella forse mi comporterei come lui, ma dovrebbe rendersi conto che Harper non è più una ragazzina.
–Sembrerebbe che parli per esperienza personale- osservò Faith.
–Uscivo con la sorella di Harry, che mi ha preso a pugni quando l'ha scoperto. Per lei valeva la pena di farmi cambiare i connotati, non lo nego, ma …
–Harry è uno dei tuoi migliori amici, e l’amicizia viene al primo posto- concluse al suo posto Faith, annuendo comprensiva. In quel preciso istante venne colta da un'illuminazione: avrebbe preso due piccioncini con un serial a luci rosse! Si schiarì la voce e propose –Perché rischiare di incorrere nelle ire del fratello paterno? Venite a casa della mia amica! La conosci, è Maggie Bell.
–La dottoressa Bell, ma certo! Quella cessa... uhm... tanto simpatica!
–Proprio lei! Dai, su, vieni! … Venite! Ha un enorme televisore al plasma e l'Home Theatre!- mentì Faith nel tentativo di persuaderlo.
–Sei sicura che non le creerà problemi? Stai invitando gente a casa sua senza nemmeno consultarla!
Faith gli fece segno di tacere e rispose –Non preoccuparti, Meg adora avere ospiti.  "Uno in particolare", pensò fregandosi le mani in una perfetta imitazione di Monty Burns: Helen le aveva rivelato che Maggie Bell era cotta di Patterson da più di un anno anche se, purtroppo, l'estrema timidezza aveva fatto sì che non riuscisse a far altro che arrossire e iperventilare se lui le si avvicinava, per non parlare dei patetici balbettii emessi nelle rare occasioni in cui le rivolgeva la parola.
Per questo Faith aveva colto al volo quella ghiottissima opportunità: avrebbe scambiato il suo turno con quello di Maggie per aiutarla a fare colpo in territorio amico. Parlando a tu per tu con Robert senza boccheggiare o farsi venire un infarto lui avrebbe capito che meravigliosa creatura fosse, e non avrebbe potuto resistere alle frecce di Cupido, gettandosi definitivamente alle spalle la sorella di Harry James.
Altro che Emma Woodhouse, era lei la vera combina-matrimoni!
Mise su il suo sorriso più accattivante e attese la risposta di Robert, che, grazie al cielo, fu affermativa; gli diede l'indirizzo di Maggie e volò ad avvertire lei e il resto del gruppo del cambio di programma.
–Robert, che ci fai qui? Tu detesti i sotterranei!- chiese Weil, stupito.
–Io, ecco, io... ho.. sbagliato piano- rispose l'altro.
–Sbagliato piano? Robert, mi spieghi come si fa a confondere il piano 3 col -1?
–Non lo so, ma se l'ho fatto un modo ci deve essere, giusto?
–Per quanto assurdo il ragionamento non fa una piega- sentenziò Weil, domandandosi cosa avesse fumato/inalato/ingerito il suo amico.
–Prima che me ne dimentichi: nuntio tibi gaudium magnum. Habemus...
–Papam?
–Meglio! Abbiamo dove vedere Genital Hospital!- esclamò Robert.
Il volto di Franz si illuminò e chiese –Davvero? Dove?
–A casa di Maggie Bell, servizievole specializzanda che mi fa da schiavetta personale.
–Un bel vedere?- si informò Franz.
–Ehm ... è molto simpatica e ospitale- rispose Robert.
Franz storse il naso e sputò –Ho capito: panorama da incubo!
–Ma no, che dici?- ribatté Robert, per poi correggersi quando l'amico alzò un sopracciglio, scettico, –Ok, non è proprio una bellezza- Weil alzò il secondo sopracciglio. –Ad essere sincero credo che nessuno sano di mente la troverebbe attraente, ma che importa? Ha il televisore al plasma e l'impianto per l'Home Theatre!
–Quando sei così cinico capisco perché andiamo tanto d'accordo- sospirò Franz. –Va’ a dare la lieta novella a Chris e Harry, ci vediamo a fine turno!
 
***
 
Quando Faith arrivò trafelata a casa di Maggie, vi trovò il solito gruppo: Erin stava discutendo animatamente con Helen e suo marito mentre Diane ed Evangeline portavano sul tavolino davanti al divano le cibarie, prontamente ingurgitate da Andrew, Jeff, Josh, e Rajiv; Faith tolse loro di mano la ciotola delle patatine, quindi si voltò per annunciare la notizia alla padrona di casa.
–Non ti ringrazierò mai abbastanza per aver fatto a cambio con me. Con così breve preavviso, poi! La settimana prossima sarete tutti miei ospiti, promesso! Oh, quasi dimenticavo: ho invitato un paio di persone, è ok per te?
–Assolutamente! Più si è, più ci si diverte!- rispose la ragazza.
–Sono felice che lo pensi... visto che ho architettato tutto per far divertire te. Nel gruppo è compreso Robert Patterson: è la tua grande occasione!- ribatté Faith strizzando allusivamente l'occhio.
Solo al sentire il suo nome Maggie divenne color pomodoro e fece cadere la bottiglia di Coca  Cola che aveva in mano. Faith le si avvicinò, le mise un braccio intorno alle spalle e disse –Devi solo stare tranquilla, Maggie. Robert è un essere umano, non un dio dell'Olimpo, nonostante si atteggi a divinità in Terra, e sono sicura che, se riuscirai a non iperventilare giusto il tempo sufficiente a fargli vedere che persona meravigliosa sei, gli piacerai!
–Davvero?.
Faith, ignorando Diane ed Erin che scuotevano la testa alle spalle di Maggie, lanciandole chiari segni di avvertimento, rispose –Ma certo! Hai tutte le carte in regola per averlo ai tuoi piedi! Questo, però, soltanto se starai calma, ok?
–C-Ci p-proverò- rispose Maggie incerta, e Faith si ripromise che le sarebbe stata incollata tutta la sera per cercare di aiutarla a far colpo su Robert (le delusioni amorose non avevano intaccato il suo altruismo).
Non appena udì il campanello Faith sospinse Maggie fino alla porta per accogliere gli ospiti; rimase di stucco nel constatare che tra gli amici di Robert era compreso Weil, e a poco le servì notare che appariva imbarazzato quanto lei.
Harry James e Chris Hale salutarono con entusiasmo - forse troppo, visto che Chris, senza nemmeno ringraziare Maggie per l'invito, abbracciò Faith e si fiondò sui pop corn per consolarsi dell'assenza del tanto decantato televisore al plasma - ma la padrona di casa non ci fece caso, era troppo impegnata a cercare di salutare Robert senza balbettare; lui, dal canto suo, salutò distrattamente e frettolosamente Maggie, che gli riservò un sorriso a ottanta denti, quindi abbracciò Faith per salutarla, ringraziandola per l'invito, dopodiché tutti poterono prendere posto.
Faith si trovò incastrata tra Weil e Robert, e la sua unica consolazione fu che almeno era riuscita a far sedere Maggie vicino al suo amato, ora non le restava che aiutare quella timidona a fare conversazione.
Decise di partire da un argomento di comune interesse.
–Robert, Meg è convinta che il dottor Faulkner vada dietro alla dottoressa Jordan. Cosa ne pensi?-, sorridendo diabolica quando l'amica rispose con solo un lieve rossore delle gote a tradirne la timidezza.
Durante il telefilm non si udì volare una mosca, e nessuno fece caso a Helen Gardiner, sparita in bagno con dei forti dolori al basso ventre.
Diane Berry, annoiata da un lungo dialogo tra la dottoressa Jordan e il dottor Mc Kenzie, che la stava supplicando di tornare insieme, si dilettò ad analizzare le schermaglie tra i suoi amici: Jeff, Josh e Rajiv, i tre Moschettieri colleghi di Faith, stavano parlottando tra loro, Evangeline ed Andrew tubavano, isolati nella bolla immaginaria che avvolge gli innamorati, Faith chiacchierava a bassa voce con Chris, che lanciava occhiate fugaci ad Erin, intenta a flirtare in stile gallina con Weil, che osservava con la coda dell’occhio Faith, stringendo il pugno ad ogni contatto più o meno casuale tra lei e Chris.
“A quanto pare l’unica normale in questa gabbia di matti sono io”, pensò.
Alla fine della puntata Chris stupì tutti aiutando Faith ad alzarsi dal divano; Weil, per tutta risposta, si avvicinò a Erin e le passò un braccio intorno alle spalle.
–Lo dicevo io che, sotto sotto, non eri male. Sono una futura psichiatra, conosco bene le persone. Secondo me la tua aria da duro è solo una maschera che usi per evitare di essere ferito dalle persone. Dovresti toglierla più spesso, mi piace cosa c’è sotto- trillò Erin inarcando le sopracciglia in un’espressione allusiva. –Ne ho parlato giusto stamani con Helen. Vero, Helen? Helen? Dov'è finita?
–Sarà tornata a casa- rispose Diane Berry bevendo un sorso di birra.
–Senza di me?- obiettò suo marito, Alan Gardiner.
–Forse è uscita a prendere un po’ d’aria. Sai, nelle sue condizioni- rispose tentativamente Robert, ma la spiegazione non convinse Maggie, che la chiamò a gran voce finchè non udì una risposta.
–Sono in bagno, Maggie.
–Oh, grazie al cielo! Ci hai fatto prendere un colpo, Helen. Stai bene?
–No!- urlò istericamente, e quando Maggie chiese perchè urlò, ancora più isterica, –Perché si sono rotte le acque, cazzo!
Il fatto che avesse pronunciato la parola “cazzo” per la prima volta in sette anni che la conoscevano fece capire ai suoi amici che era davvero in travaglio, perciò, da bravi medici, si fecero prendere dal panico.
–Mi sento male!- gridò Helen, piegata in due, facendo sobbalzare i presenti.
Faith, racimolata tutta la forza interiore di cui disponeva, respirò profondamente e replicò, per smorzare la tensione –Lo credo bene, tesoro: un melone sta scendendo lungo un condottino largo come una noce!
–Così non aiuti, Faith!- la rimproverò Maggie.
–Qui non si può neppure fare dello spirito, che palle!
–Chiamate un esorcista!- ululò la partoriente.
Franz impallidì: la gravidanza e il parto lo nauseavano da che ne aveva memoria, e temeva di perdere i sensi da un momento all’altro.
Robert, anche lui scosso, tentò di calmarsi deridendo l’amico.
–Vedi di non avere la stessa reazione dell’ultima volta che sei stato in sala parto, Husky!
–Vorrei ricordarti, Patty, che hai avuto la stessa, identica reazione quando hai assistito a un’autopsia!
Harry James si fece carico dell'impresa di riportare la calma e impedire che quei due venissero alle mani. Si schiarì la voce e cominciò a impartire ordini.
–Tu! Prendi degli asciugamani per la pazza … la dottoressa Gardiner, e vai ad assistere la Bell!- urlò a Diane. –E tu- ringhiò, afferrando Robert per il colletto della camicia per poi schiaffeggiarlo –Torna in te, porca troia! Sei un ginecologo, fa’ qualcosa!
–COSA?- ruggì Robert, fuori di sè.
–Chiamare il pronto intervento sarebbe stato un buon punto di partenza- rispose Faith. –Tranquilli, ci ho pensato io.
–Ben fatto, Irving. Pollici in su per il tuo sangue freddo- esalò Franz. –Ora, saresti così’ gentile da portarmi del brandy? Sento che sto per svenire.
Faith, seppur controvoglia, cercò di soddisfare la richiesta. Setacciò casa Bell alla ricerca di un goccio di brandy, dopodichè tornò da Weil.
–Non c’è brandy in questa casa, fatti andare bene il cognac.
–Il cognac andrà benissimo.
–Hai ripreso a parlarmi! Miracolo!- sibilò Faith, a denti stretti, sbattendogli davanti la bottiglia e un bicchiere.
–Non ho mai smesso.
–Oh, per favore!- sbottò Faith. –Sono giorni che a stento mi saluti, e trovi ogni scusa per appiopparmi a Sullivan! Si può sapere che ti è preso?
–Sinceramente, credo che la domanda giusta sia cosa è preso a te. Avevo l’impressione di farti un favore, evitandoti come la peste- rispose, e il sorriso furbo che comparve sul suo viso fece ardere di rabbia Faith. Fortuna che armi da taglio e potenziali oggetti contundenti erano a distanza di sicurezza, altrimenti ci sarebbe scappato il morto.
“Come fa a restare calmo mentre io sto per esplodere? Dio, quanto lo odio!”
–Non mi piace essere ignorata, ok?- ringhiò lei, sbattendo il i pugni sul tavolo. –Comunque, non è vero che non ti posso soffrire. Non ho tempo da perdere a odiare le persone. Non posso soffrire il modo in cui mi tratti, è diverso. Mi fa rabbia che tu non conosca le mezze misure: o sei antipatico con chi ti sta intorno, o fingi che non esista, è … assurdo! E il tuo essere arrogante e sgradevole mi fa ancora più rabbia perchè … ti stimo. Da morire. So di avere ancora tanto da imparare, e so di non poter trovare un mentore migliore di te.
Franz bevve una lunga sorsata di cognac, poi rispose, mentre un sorriso faceva capolino sul suo volto –Probabilmente è l’alcool a parlare, Irving, e, se necessario, negherò di averlo mai detto: scusa. Credevo sinceramente che preferissi starmi lontano; dato che non è così, considerami nuovamente il tuo tutor a tempo pieno. Preparati, perché sarò più spietato che mai. Non so quanto effettivamente abbia da insegnarti, ma so che vale la pena di insegnarlo a te- senza smettere di sorridere, spinse la bottiglia verso di lei, e aggiunse –Prima lezione: come tracannare una bottiglia di cognac con stile!
La “lezione” venne interrotta sul nascere da Robert, più isterico che mai.
–Bravi, bravi, battete la fiacca, mentre noi medici veri fatichiamo!
Franz scoppiò a ridere, ed esclamò –Patty, se avessi voluto assistere una partoriente, avrei … uhm, no, non assisterei a un parto neanche se me lo ordinasse la Regina! Coraggio, su, è il tuo momento: mostraci che anni di studio non sono andati sprecati!
L’ambulanza arrivò a tempo di record; caricarono Helen e Alan, mentre Maggie e Robert (quest’ultimo sospinto da Faith) li seguirono in auto.  
–Mi raccomando, tirate la porta quando ve ne andate- pigolò Maggie, prima di venire inghiottita dal buio delle scale.
Chris, ancora sconvolto, si accasciò sul divano, bevve un po' di birra e disse –Ora non resta che aspettare.
–Aspetta tu se vuoi, io me ne torno a casa!- ribatté Diane, che lasciò casa Bell insieme al diabolico trio e Harry James.
Poco dopo, Faith si ricordò di un particolare non di poco conto.
–Oh, merda! Ero venuta qui con Maggie, come torno a casa? Non ce la faccio più ad aspettarla!
–Potrei darti un passaggio- le propose Franz, sconvolgendo ulteriormente Chris: di solito non permetteva a nessuno di avvicinarsi alla sua amata Harley, figurarsi di salirci!
–Grazie dell’offerta, ma no, grazie. Non sarei tranquilla, dopo averti visto tracannare mezza bottiglia di cognac- rispose lei, dura.
La replica venne interrotta dall’entusiastica esclamazione di Erin.
–Hai una moto? Mitico! Posso vederla? Anzi, posso salirci? Puoi dare a me quel passaggio! Anche io sono appiedata.
­–Ehm, ok, ma… che ne sarà di Irving? E’ a piedi anche lei.
–Servizio taxi Hale al vostro servizio!- esclamò Chris con tanto di inchino. –Vai pure tranquillo, Husky, ci sono io con Faith.
–Non avevo dubbi- sibilò Weil, sbuffò e se ne andò, tirandosi dietro Erin.
 
***
 
–Non so perché, ma ho l’impressione di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato- bofonchiò Chris.
–Come mai?- gli chiese Faith, lottando contro il sedile dell’automobile per disincastrare i pom-pon della borsa.
–Husky se n’è andato senza salutare. Non è da lui: è un tantino burbero, ma non dimentica mai le buone maniere.
–Gli avranno ficcato un manico di scopa su per il culo- scherzò Faith, liberò la decorazione della borsa, ringraziò Chris del passaggio e corse nell’atrio del palazzo prima che una delle Parche potesse vederla e/o fermarla.
Una volta a casa, come sua abitudine, si lavò le mani, dedicò dieci minuti allo yoga, si spogliò dei vestiti, si cosparse di crema idratante (e anti-cellulite) e infilò il pigiama.
L’insistente miagolare di Agatha attirò la sua attenzione su un pacco che aveva ricevuto nel tardo pomeriggio, e che non aveva ancora esaminato.
–Guarda, c’è anche una lettera! Conosco una sola persona che ancora scrive a mano nell'era delle tastiere- ridacchiò.
Aprì la busta e dispiegò un foglio di carta rosa, con su scritto, da mano inequivocabilmente femminile:
“Ciao, quasi moglie del fratello del mio defunto ex (sono sicura esista una parola tedesca per semplificare questo poema, ma non la conosco)! Spero che abbia smesso di tormentarti: chi non ti vuole, non ti merita. Punto. Visto quanta saggezza? Questi anni in California hanno fatto venire alla luce una forza interiore che mai avrei creduto di possedere. Ho elaborato il trauma dell’incidente e della morte di Vyvyan (ho smesso di prendere sonniferi, riesci a crederci?), ho buttato giù cinquanta chili, mi sono laureata e, rullo di tamburi … ho scoperto di possedere un certo talento per la narrativa. All'inizio era un semplice sfogo, un mettere nero su bianco le mie paure, poi l'inventiva mi ha preso la mano e, beh, credo di sfiorare la grafomania, ho sfornato tre libri da almeno 200 pagine! Mia sorella li ha proposti a mia insaputa a vari editori, e uno ha accettato di pubblicarli; di per sé la cosa non mi dispiacerebbe, se non fosse che l'editore è il padre di Keith. Ma dico, tra tutti proprio lui doveva accettare di pubblicarmi? Ebbene sì, presto sarò un'autrice pubblicata e vedrai il mio faccione in copertina. Non è meraviglioso?
Questa copia omaggio è un minuscolo ringraziamento per il tuo sostegno in questi anni difficili. Spero vorrai leggerlo e darmi la tua spassionata opinione. Anche per e-mail, ormai mi sto arrendendo alla modernità. So bene di essere una specie in via d'estinzione, ma che posso farci? Adoro le missive!
Baci.
Connie”
–Connie scrittrice pubblicata? Un bel passo avanti: sembra ieri che era una ragazzina timorosa della sua stessa ombra- esalò Faith, ripercorrendo il doloroso sentiero dei ricordi. Connie era stata, per un brevissimo periodo, la ragazza del fratello minore di Cyril; Faith si era rivista in quella ragazzina timida e impacciata, e l'aveva presa sotto la sua ala, nella speranza di aiutarla a sbocciare. Il senso di protezione, quasi da sorella maggiore, che aveva sempre nutrito nei suoi confronti era aumentato dopo il terribile incidente che aveva visto coinvolti lei e Vyvyan (il fratello di Cyril), nel quale lui aveva perso la vita e lei aveva riportato gravi ustioni, esitate in cicatrici solo parzialmente eliminate con la chirurgia estetica.
Emise uno sbuffo allo stesso tempo triste e divertito, e scartò il pacco: in fondo, aveva sempre saputo che dietro la timidezza di Connie si celava una brama di attenzioni che solo il plauso di un pubblico poteva appagare.
Passò una mano sulla copertina del tomo, prima di leggerne il titolo. Rimase sorpresa: conoscendo Connie, si aspettava uno smielato mattone tutto sole-cuore-amore, ma il titolo la dava a intendere tutt'altro genere letterario.
–‘Avvocati alla sbarra’- lesse. –Strano! Credevo che alla sbarra ci finissero gli imputati!
 
Nota autrice:
Chi sarà mai questa Connie? La conoscerete meglio nei prossimi capitoli, insieme ad altre new entries, compreso, vi anticipo, il cugino di Ben e Brian.
Quanto a ‘Genital Hospital’, è interamente frutto delle mie malsane cellule cerebrali. Il titolo, la pseudo-trama, i personaggi e i nomi di Diamond Fox e Kaja Rosebud sono inventati, e ogni eventuale riferimento a fatti e/o persone realmente esistenti è puramente casuale.
L’199 è davvero il numero di emergenza nel Regno Unito (come il 911 negli USA), ci tenevo a precisarlo.
Come sempre, grazie ai lettori silenziosi (e, fortunatamente, numerosi), a Bijouttina, Lia483 e soulscript, che hanno recensito, ad _aris_, che segue questa storia, a Bride29, che l’ha inserita tra le ricordate, e a Eli_17, Halle_Peppermint e Jasmin, che l’hanno inserita tra le preferite!
Infine, un consiglio gastronomico: provate la Bakewell Tart, se potete! E’ un tradizionale dolce inglese, che prende il nome dalla cittadina dove è stato creato. La leggenda lo attribuisce a una locandiera che, non avendo abbastanza marmellata per riempire la crostata, spalmò il poco rimasto sulla base della torta, e la ricoprì di crema frangipane (composta per metà da crema pasticcera, per metà da pasta di mandorle). Qualunque sia la verità, è molto buona! ^^
Au revoir!
Serpentina


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** I don't need no decoration ***


Festeggio un bel voto a un esame che non credevo avrei mai passato pubblicando un nuovo capitolo. Grazie, come sempre, a chi legge questa storia, a Bijouttina, che ha recensito, a elev, che ha recensito e la segue, a Grains e pepapig, che pure la seguono, e a isa_vale, che la “preferisce”. Enjoy! ^^
 



I don't need no decoration



 
Le donne sono un sesso decorativo. Non hanno nulla da dire, ma lo dicono con grazia.
Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde
 
La luce del sole che filtrava attraverso la tenda svegliò Erin Campbell, che gemette disperata. Mentre si massaggiava le tempie, in uno speranzoso quanto inutile tentativo di prevenire un'emicrania, venne travolta da una miriade di particolari, che le fecero capire di non trovarsi a casa sua. Tanto per cominciare, le pareti della sua camera erano tappezzate di poster degli Harlem Globetrotters e dei Chicago Bulls, che qui mancavano; in secondo luogo, lei non possedeva una X-Box, né uno scheletro finto, e, ultimo, ma non meno importante... a casa sua non avrebbe mai dormito sul divano, era talmente scomodo che sua madre lo usava come asse da stiro!
Stava per chiedersi dove diavolo fosse finita, quando le tornarono in mente gli eventi della notte precedente: dopo aver lasciato casa di Maggie insieme a quel moretto altezzoso che lavorava con Faith - Weil, se non andava errata - aveva acconsentito a fermarsi a casa sua per bere qualcosa; dopo le consuete chiacchiere disimpegnate tra quasi estranei, che avevano compreso i classici complimenti per l'appartamento, nonostante non fosse una gran bevitrice, aveva dato fondo alla riserva di alcolici, al punto di non sapere più cosa ingeriva, poi... buio assoluto.
Maledisse mentalmente prima se stessa, poi Chris, infine Faith, la quale, "alla faccia dell'amicizia", gli era stata appiccicata come una cozza allo scoglio tutta la sera.
Si coprì gli occhi con l'avambraccio e riprese a maledire il suo pessimo gusto in fatto di uomini: tra tutti gli esseri umani di sesso maschile sulla faccia della Terra, proprio di Chris doveva innamorarsi? Emise un sospiro melanconico, rassegnandosi alla triste prospettiva di vedere l'uomo che amava insieme ad un'altra, per di più sua amica; non aveva speranze: Faith era carina, intelligente, spiritosa ... migliore di lei, in tutto. Come poteva anche solo sperare di poter competere?
–Povero il mio fegato- biascicò, tastandosi il fianco destro, la bocca impastata e riarsa dalla sete. Si passò una mano tra i capelli e li sentì più scarmigliati del solito. Lo stato dei vestiti la lasciò basita: sia la maglia che la gonna erano stropicciate e arrotolate. Tentò di riportare alla mente gli avvenimenti successivi all'ubriacatura, ma senza successo, e le sovvenne un terribile pensiero troppo vergognoso da accettare: non era una bigotta contraria ai rapporti occasionali, ma si rifiutava di credere di aver passato la notte con qualcuno che conosceva appena, qualcuno che, oltretutto, aveva approfittato di lei mentre era ubriaca fradicia!
Il timore si tramutò in certezza non appena vide Weil fare uscire dalla sua camera da letto, coperto soltanto dai boxer.
"Fa che non l'abbia fatto con uno che mette boxer a fantasia di siringhe, ti prego!"
–Sei ancora qui- osservò lui, secco.
Erin, faticando a mettersi seduta, si puntellò sui gomiti e rispose –Le tratti sempre così quelle che ti porti a letto?
–Tecnicamente non ti ho portata a letto. Sei sul divano- puntualizzò lui, arricciando le labbra come se fare sesso con lei fosse un alternativa peggiore della morte.
Colpita dalla durezza di quelle parole, Erin ebbe un piccolo attacco d'ansia: non solo aveva fatto sesso con un semi-sconosciuto, addirittura non era riuscita ad arrivare al letto!
–Oddio. Oddio. Oddio! Non posso credere che.... con te! Perché non mi hai fermata?- guaì, scuotendo la testa come un cucciolo ferito.
–Aspetta- disse lui, interrompendo il flusso continuo di "oddio". –Credi che io e te ... Oh, andiamo!
Erin strabuzzò gli occhi, piegò da un lato la testa e chiese –Mi stai dicendo che... che non...?
–Dio, no!- sbottò lui, sbuffando una risata, per poi aggiungere, temendo di averla offesa –Non ci sarebbe stato nulla di male, eh!... Se fossi stata sobria. Hai avuto la fortuna di sbronzarti a casa di un uomo che considera approfittare di una donna ubriaca un'offesa alla sua virilità.
Erin, ancora incredula, chiese –Quindi noi non... non abbiamo fatto... niente?
–Niente di niente- la rassicurò Franz. –Non che tu non ci abbia provato, ma quando hai nominato Chris ho capito che il tuo, più che reale interesse per me, era desiderio di rivalsa, perciò ti ho dato il colpo di grazia con uno shot di ‘Infierno de fuego’, ti ho adagiata sul divano e sono andato a dormire.
Sconcertata dalla serafica calma con cui Weil le stava raccontando della figura barbina che aveva fatto, Erin esclamò –Sei andato a letto e mi hai lasciata sul divano,? Senza neanche una coperta? Sei un vero gentiluomo, non c'è che dire!
–Cosa ti aspettavi, che dormissi sul divano in casa mia?- replicò lui senza scomporsi, mettendo l'accento sul "mia".
Sbuffando, Erin si alzò, chiese ed ottenne un bicchiere d'acqua, si pettinò ed esalò, guardandosi intorno in cerca della borsa –Grazie per non avermi portata a letto. In tutti i sensi. Non mi va, né mi aspetto che mi inviti a fermarmi per colazione, perciò ... buona giornata.
Franz rispose –Prego. Se vuoi puoi fermarti a fare colazione, non ti mangio ... ho i miei muffin!
Alla parola muffin Erin si voltò, posò la borsa sul divano e raggiunse Franz a tavola. Afferrò il muffin che le porgeva, lo addentò, assaporò e, a bocca piena, esclamò –Da sballo! L'ha fatto tua madre?
–Magari!- replicò lui con un sorriso. –Mia madre è brava in cucina, ma i dolci sono il suo punto debole. Li compra in una pasticceria di Kerley Street con annessa saletta da tè, ‘Il dolce mondo di Mary’.
–Mary ha appena guadagnato una cliente- asserì Erin, che divorò un altro muffin e una fetta di Sachertorte.
Spazzolata via buona parte dei dolci in tavola, Franz accompagnò la sua ospite alla porta e la salutò con un divertito –E' stato un piacere ospitarti senza secondi fini. Se Chris dovesse perseverare nella sua coglionaggine, sai dove trovarmi ... basta che ti accontenti del divano e non tocchi la mia roba senza permesso.
Erin ridacchiò in risposta –Avevo visto giusto: c'è un tenero cuoricino sotto la scorza dura!
–Mai negato di avere un cuore- ribatté lui.
–Mostralo, allora, invece di spaventare tutti col tuo caratteraccio!- lo rimbeccò lei. –Sai a chi mi riferisco in particolare. Buon week-end.
Troppo assonnato per far fuoriuscire dalla propria bocca suoni articolati Franz annuì, quindi andò a ristorarsi con una doccia fredda.
A minare lo stato di completo benessere donatogli dalla doccia provvide il fastidioso trillo del telefono; rispose in tono aggressivo –Hallo, Mutti.
–Guten Morgen, Kind. Wie geht's?- squittì gaia sua madre.
–Fino a un secondo fa, bene. Cosa vuoi?- replicò, gelido.
–Avvisarti che tra dieci minuti sarò da te. Il tuo frigorifero langue, dobbiamo riempirlo- asserì Gertrud
–Mutti, è sabato!- uggiolò Franz. –Ci sarà una folla assurda, non conviene che vada in settimana al negozio a due isolati da qui?- ebbe un'illuminazione e decise di giocarsela. –C'è una commessa molto carina, potrei prov...
–Sei tremendo. Non mi freghi, l'unica donna che lavora in quel negozietto è la madre settantenne del proprietario!- abbaiò Gertrud. –Niente storie, ti voglio pronto e operativo tra dieci minuti esatti. Farai colazione per strada.
Se fosse stato più sveglio, forse avrebbe avuto la prontezza di controbattere che gli piacevano le donne stagionate - anzi "d'annata", per aumentare l'effetto comico- invece si limitò a sbuffare, vedendo dissolversi come neve al sole il sogno di un giorno di riposo, prima di affrettarsi a rendersi presentabile.
 
***
 
Anche Faith si era svegliata con la testa che le doleva, ma, a differenza di Franz, aveva avuto modo di prendere un'aspirina, prima che il telefono cominciasse a squillare.
Ancora assonnata, rispose –Pronto?
–Ciao, cucciola! Cos'è questa voce da oltretomba? Non mi dirai che eri ancora a poltrire, ghirotta!- ululò all'altro capo del telefono Rose Taylor in Irving.
–Cazzarola, mamma, è sabato! Cosa vuoi?- uggiolò, esasperata.
–Avvisarti che sto venendo da te per trascinarti - anche di peso, se servisse - a fare un pò di spesa, il tuo povero frigorifero piange!- asserì Rose con semplicità.
–Ma mamma, è sabato, ci sarà un casino da stadio al supermercato!- obiettò Faith.
–Non al discount sulla statale per Bristol. Tra l'altro, ha degli ottimi prezzi.
–Mami, ti prego, già mi tocca prendere l'auto per andare da nonna, non voglio prenderla anche per andare a fare la spesa! Odio guidare, lo sai!- uggiolò Faith.
–I soldi non crescono sugli alberi, cucciola, e i discount hanno prezzi più bassi del minimarket sotto casa tua, perciò smettila di mugugnare e vestiti, che tra dieci minuti si parte!- controbatté Rose, vincendo la partita.
 
***
 
Incazzato, con la testa stretta in una morsa di dolore Franz entrò in macchina, Franz storse il naso e allacciò la cintura di sicurezza. Appassionato di motori fin da piccolo, non aveva mai amato le quattro ruote; per lui esistevano soltanto le moto, per la precisione la sua Harley; gli amici lo prendevano in giro, dicendo che, più che un mezzo di trasporto, quella era una fidanzata, ma non gli importava: aveva sudato per potersi permettere quel gioiellino, e guai a chi glielo toccava.
–Sai, Kind, se avessi un'auto tutta tua...
–Ne abbiamo già discusso, Mutti. Non. La. Voglio. Ho la moto, mi basta e avanza!
–Ma Kind! Un'automobile significa spazio, e la possibilità di... ripararsi dalla pioggia, e...
Sei still!
–Avessi almeno la patente- sospirò mestamente Gertrud.
–Io ho la patente. Per la moto- osservò lui.
–E la chiami patente, quella cosa inutile?- obiettò Gertrud.
Franz incrociò le braccia e non proferì parola per il resto del viaggio.
 
***
 
Era ufficiale: odiava guidare. Con sua madre sul sedile del passeggero, poi, diventava un incubo da film di Hitchcock. Quella benedetta donna la faceva sobbalzare ogni due secondi con respiri mozzati o strilletti, e tutto per inezie quali aver superato il limite di velocità di dieci chilometri orari su un rettilineo pressoché deserto o avere sorpassato un carro funebre che viaggiava prossimo al limite minimo di velocità.
–Santo cielo, cucciola, come ti è venuto di giocare alla formula uno?- esalò Mrs. Irving massaggiandosi il petto.
–Punto primo: io guido benissimo, sei tu che sei una lumaca! Punto secondo: se avessi guidato come volevi tu, qui ci saremmo arrivate a Natale, e manco!- protestò Faith, dopodichè, afferrato un carrello, si inoltrò nella giungla umana che era un maxi discount di sabato mattina pentendosi di non avere un machete con sè.
–Ooh, guarda, c'è il salame in offertissima, prendiamone due!- trillò allegramente Mrs. Irving, felice come una pasqua, gettandosi nella mischia con entusiasmo.
"Mia madre e un carrello vuoto... si salvi chi può!" pensò Faith scuotendo la testa, avvilita dalla visione di sua madre che saltellava qua e là arraffando roba e gettandola nel carrello sempre più pieno.
–Ehm, mami- intervenne infine, titubante. –Secondo te io mangerò davvero tutta questa roba?
–Faith, non pensarci neanche, devi nutrirti non soltanto di yogurt e insalate, devi ingerire cibi sostanziosi- asserì Rose, severa. –Ricordi il valore dell'ultima sideremia? Ecco!
–Mamma, il ferro non sta solo nella carne, posso tranquillamente evitare di mangiarla... tanto più che non mi piace, e mai mi piacerà!- protestò Faith.
Rose la ignorò, e acquistò mezzo chilo di macinato.
 
***
 
Franz aveva compreso troppo tardi le macchinazioni di sua madre. Contro ogni logica, dato che non aveva animali domestici, lo aveva trascinato nella corsia del cibo per cani, dove, guarda caso, si erano imbattuti in una sua vecchia compagna di scuola, accompagnata dalla figlia.
La ragazza non era neanche male, di per sè, ma: uno, non avrebbe mai e poi mai dato a sua madre la soddisfazione di trovargli una donna; due, da un po' di tempo aveva in mente una certa persona, che non pareva intenzionata ad abbandonare i suoi pensieri. Scoraggiata ogni fantasia romantica delle due madri senza sembrare maleducato, se la svignò con la scusa di aver dimenticato di prendere il pesce.
Scherzo del destino o ironia della sorte, che dir si voglia, invece che in triglie e sardine, incappò... in Faith Irving.
"Quando si dice: dalla padella alla brace! Ok, se faccio finta di niente e mi allontano, forse... Troppo tardi, mi ha visto."
–Ehm, buongiorno, Irving... Faith. Come... come va?
–Oh, uhm... bene, grazie, Weil... Franz. Tu? Tutto bene?
–Non mi lamento. A parte la levataccia di stamattina, ovvio, ma non ho altre occasioni per fare la spesa, sai com'è..
–Lo so, lo so.
–Sei, qui da sola? Sì, insomma...
–No, sono venuta con mia madre.
–Tua... madre?- esalò lui, sentendosi inspiegabilmente sollevato per quella risposta.
–Sì, mia madre. Con chi altro sarei dovuta venire, scusa?- ribattè lei, che aveva notato la strana reazione di Weil, ma aveva deciso di non darvi peso.
–Nessuno... in particolare. Solo, credevo che... sì, insomma... saresti uscita con Chris.
–Con Chris?- sbuffò, incredula: come accidenti gli era saltata in mente un'idea simile? –Senza offesa, ma credevo lo conoscessi meglio di me. Ce lo vedi ad alzarsi prima di mezzogiorno… di sabato? A dire il vero nemmeno volevo mettere il naso fuori casa, oggi. Il mio programma prevedeva pulizie a suon di musica, un buon libro, un tè della mia collezione deluxe e coccole ad Agatha, la mia piccolina.
–Agatha?- balbettò, allibito, desideroso di chiederle chi fosse questa Agatha.
Invece di appagare la bruciante curiosità chiedendo informazioni, Franz si lasciò andare alle speculazioni più sfrenate.
"Agatha? Piccolina? Oh, merda, è una ragazza-madre! Forse il padre l'ha mollata, per questo è così acida. Forse aveva gli occhi azzurri... per questo mi odia. Cazzo, cazzo, cazzo! Ha una figlia! Figlia! F-I-G-L-I-A!", pensò, terrorizzato. –Devo andare- disse, e sparì prima che Faith potesse aprir bocca.
Gertrud non tardò a fargli presente il suo disappunto per come si era comportato con la figlia della sua amica, ma Franz non la ascoltava, era troppo preso da mille domande sulla presunta figlia di Faith.
–Kind, non mi stai ascoltando!- esclamò Gertrud.
–Dubito di aver perso un passaggio importante, sono quasi tre decenni che ascolto la stessa solfa!- ribattè lui.
–Potresti mostrarti un minimo partecipe, è la TUA spesa quella che stiamo facendo!- abbaiò Gertrud.
–E tu potresti evitare di infilare nel carrello roba che non mi piace- replicò Franz.
–Fosse per te questo carrello sarebbe pieno solamente di barrette Mars e noci di cocco, alla faccia dell'alimentazione sana e tutte quelle belle frasi che ripetete voi medici!- tuonò Gertrud.
–E va bene- si arrese. –Prendi cosa ti pare... però pretendo almeno tre confezioni formato famiglia di Mars!
 
***
 
Faith non amava svegliarsi presto la mattina. Tuttavia, se l'alternativa era più tempo per i pensieri negativi, preferiva di gran lunga andare al lavoro stordita.
Rivolse una fulminea occhiata alla gatta, che miagolava e muoveva la coda a ritmo di "Rivers of Avalon", osservò accigliata il suo riflesso, infine, in un impeto di rabbia, si spogliò con impazienza e scagliò i jeans e il dolcevita nel corridoio. Col viso arrossato e i lineamenti induriti dal precedente scatto d'ira, strinse i pugni, trattenendosi a stento dal fare a pezzi lo specchio.
A volte la sua figura le piaceva, ma per la maggior parte delle volte si girava dall'altra parte. Da quando la pubertà aveva irrimediabilmente modificato il suo corpo, non aveva provato altro che ribrezzo per quell'ammasso di carne imperfetto, poco tonico, eccessivamente rotondo, niente affatto corrispondente ai suoi desideri e ai moderni canoni estetici; le bastava stringere tra le dita gli insopportabili rotolini di grasso per avvertire un senso di nausea e costrizione toracica.
Si sedette ai piedi del letto con la testa sulle ginocchia, considerando, per qualche istante, la possibilità di recarsi in ospedale coperta da un sacco di juta; sentiva di non meritare di meglio, anzi, si sentiva in dovere di risparmiare agli altri la vista delle sue imperfezioni. Scartò quella possibilità esclusivamente perchè la vista di una persona malvestita avrebbe prcurato a Jeff un ictus, e non voleva averlo sulla coscienza.
Scosse la testa, si rivestì, accarezzò sulla testa Agatha, che ricambiò facendo le fusa, infine si voltò verso il suo Eden personale: la scarpiera. Se era vero ciò che diceva Coco Chanel, ossia “una donna  con ai piedi delle belle scarpe non può essere brutta”, Faith avrebbe dovuto avere un’autostima ipertrofica, perché adorava le scarpe quasi quanto i libri, il che, nel suo caso, era davvero tutto dire! Per lei, bibliofila "a bassa manutenzione", abituata a trovare di rado qualcosa che le piacesse, le stesse bene e fosse disponibile nella sua taglia, le scarpe erano una rivincita: non c'era modello che non le donasse, o che non arrivasse al suo numero, e non passava giorno senza che qualcuno, a volte persino sconosciuti, le facesse i complimenti per il buon gusto con cui le sceglieva e le abbinava. La sua collezione, in continua espansione, era decisamente eclettica: andava dalle sneakers alle cosiddette limo shoes, dai tacchi vertiginosi, che aggiungevano diversi centimetri al suo metro e settantacinque di altezza.
Esaminate accuratamente le varie opzioni, calzò un paio di stivali di pelle, con un teschio cucito sul lato esterno, che aveva acquistato per fare un dispetto a sua madre, si pettinò, infilò il cappotto, prese al volo la borsa e scappò in ospedale.
 
***
 
Per la prima volta in vita sua, Erin Campbell non aveva maledetto la sua altezza, che la obbligava a ordinare vestiti e scarpe su internet, perchè le aveva permesso di individuare Faith nel caos del bar, affollato di personale sanitario ed esterni.
–Ehi, Faith.
–Erin! Ciao! Ti vedo stanca. Vuoi un caffè, un tè, un cappuccino, una cioccolata calda? Offro io!
–No, grazie. Possiamo andare in un posto tranquillo?- le chiese Erin, che emanava più elettricità di un cavo dell'alta tensione.
–Certo- rispose Faith, convinta che l'amica volesse confidarle ciò che già sapeva, grazie al passaparola.
Mentre camminavano, Erin le fece notare che aveva il camice macchiato, al che Faith sbottò –Che c'è, vi siete messi d'accordo tu e Weil? Ho il camice sporco, sì. E allora?
–Nervosetta, eh, Faith?
–Lo saresti anche tu se quel bastardo ti avesse rimproverata come una bimbetta di due anni e avesse definito approssimativo il tuo lavoro- sputò Faith. –Approssimativo! Il MIO lavoro! Se c'è qualcosa di approssimativo, quello è il suo cervello!
–Non essere dura con lui, non è cattivo- tentò di difenderlo Erin. –Un tantino ossessivo, forse…
–E stronzo.
–Parli così perchè non lo conosci- replicò la Campbell.
Faith, inspiegabilmente irritata da quell'affermazione, ribattè –Non bene quanto te, questo è sicuro.
–Eh?
–Sveglia! Ti hanno vista entrare a casa di Weil nel cuore della notte, e uscirne soltanto il mattino dopo. Dato che è una faccenda privata, naturalmente... tutto l'ospedale lo sa!- esclamò la Irving.
Erin, rimasta a bocca aperta dallo stupore, arrossì e impallidì svariate volte in pochi secondi, esalò –Ecco spiegati gli sguardi ammiccanti e le risatine. Stavano sparlando di me. Un infermiere mi ha addirittura chiesto se mi fossi divertita nel week-end!
–Non abbatterti. C’è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé… il non far parlare di sé.
Erin non parve affatto rincuorata da quelle parole, forse non aveva riconosciuto la citazione. Scosse il capo e chiese –Chris lo… lo sa?
–E’ stato lui a dirmelo!- rispose Faith. –Lo ha saputo da Harry, che l’aveva saputo da Robert, che… ehm… a quel punto mi sono persa.
–Grandioso. Adesso sì che posso lasciare ogni speranza!- piagnucolò Erin e se ne andò, lasciando una perplessa Faith a domandarsi la ragione del suo strano comportamento.
Nell'atrio si scontrò con il dottor King, facendogli rovesciare il caffè sul camice.
Inceneritala con lo sguardo, sospirò –Irving, sei un pericolo pubblico!
–Numero uno, spero! I secondi sono i primi tra gli ultimi, dice mia madre.
–L'importante è essere primi in qualcosa- rispose lui, squadrandola dalla testa ai piedi. –Weil ha esagerato, ma non aveva tutti i torti, sai? Il tuo camice sembra un'opera di Pollock! Conosci Pollock, vero?
–Ovviamente. Per chi mi ha presa?- sbottò Faith, offesa.
–Non prendertela, la mia era un'innocua domanda. Dopotutto, fare il medico non richiede la conoscenza della storia dell'arte- asserì il dottor King.
–Con tutto il rispetto, non ho tempo per le conversazioni intellettuali con un mio superiore, anche se conosce Pollock. Ho del lavoro da ultimare e un libro di mille pagine da studiare- replicò Faith.
–Con tutto il rispetto, non ho tempo per le conversazioni intellettuali con una specializzanda, anche se conosce Pollock. Ho del lavoro da ultimare e la presentazione per un congresso da preparare- ribattè il dottor King con un sogghigno di superiorità. –A proposito del congresso… non è ancora ufficiale, quindi acqua in bocca, ma mi sento abbastanza sicuro da farti le congratulazioni.
–Non capisco…
–Lo capirai a tempo debito. Un’ultima cosa: in fondo, ti apprezza.
–Uh?
–Che resti tra noi: quando ero per Astrid, la professoressa Eriksson, ciò che tu sei per il dottor Weil, un giorno mi urlò contro che ero utile come un buco del culo sul gomito. Sue testuali parole. Chiaro cosa intendo?
Faith, esterrefatta, annuì. Aveva capito perfettamente.
 
***
 
Franz non era mai stato loquace, né socievole, il che, unito a una sincerità che sconfinava apertamente nella brutalità, lo aveva indotto ad abbandonare l’idea di dedicarsi alla medicina pura e semplice per rintanarsi in laboratorio ad analizzare cellule e campioni di tessuto, o corpi senza vita.
L’unico neo che poteva trovare nel suo lavoro era che i ringraziamenti dei pazienti e i cesti natalizi li ricevevano i “colleghi di superficie”, quando il lavoro sporco l’aveva svolto lui. Quello e…
–Madonna? Sul serio?
–Oggi è il mio turno, scelgo io la musica- rispose Jeff.
–Oggi Madonna, la settimana scorsa Britney Spears… a quando roba decente?
Jeff pestò i piedi e sbuffò –Sono circondato da zotici privi di gusto!
–Fila a raccattare la Irving, dobbiamo smaltire il lavoro, o avremo abbastanza corpi da chiamare Romero per un film. Vado a parlare con il Grande Capo, ci vediamo dopo- ordinò Franz, poi, non appena Jeff ebbe lasciato la stanza, sostituì Madonna con gli Iron Maiden.
 
***
 
Faith tollerava a fatica di essere interrotta mentre parlava al telefono, ma distoglierla dalla lettura… equivaleva a una condanna a morte! Quando leggeva, Faith entrava in un universo parallelo e dimenticava chi era, dove si trovava, cosa stava facendo prima di avventurarsi nel parto della fantasiosa mente dell’autore, e guai a riportarla alla realtà prima della fine della storia.
Non stupisce, quindi, che ruggì a Jeff, che aveva osato rovinare la magia di un buon libro –Maledetto! Spero sia importante, ero nel bel mezzo della soluzione del mistero!
Furente, chiuse il libro e marciò con passo deciso verso lo spogliatoio, dove si cambiò con tutto comodo. Che Weil la aspettasse, per una volta.
Non appena udì dei passi, afferrò la maglia e il camice e si rifugiò in bagno: la curiosità è donna, e Faith, da questo punto di vista, era una donna con la D maiuscola!
Chi era entrato occupò il cubicolo di fianco al suo, poi, uscito dalla toilette per lavarsi le mani, si imbattè in una seconda persona.
Faith riconobbe le loro voci.
–Ho avuto la conferma che King mi odia- sbuffò Weil. –Ha avuto la faccia tosta di dire alla prof. che non merito di essere preso in considerazione, nonostante sia il suo allievo migliore e un ottimo elemento!
–King è fatto così: si crede una spanna sopra gli altri- lo consolò il collega. –E poi, scusa, ma la decisione non spetta a te.
–Sono perfettamente consapevole del fatto che la decisione spetta a lei, grazie tante, ma mi piacerebbe tenesse conto della mia opinione, dato che l’ha chiesta!
–Immagino la faccia di King. Nessuno aveva mai osato contraddirlo!- esclamò Chester Sullivan. –Che ha risposto la prof?
–“Non sono solita dare peso a opinioni non motivate, Franz”.
–Mi pare giusto.
–Infatti le ho esposto le mie ragioni.
–Sarebbero?
–Non farmele ripetere, sai che non mi piace parlar male dei colleghi.
“Quanto la fa lunga”, pensò Faith.
–Cosa vuoi, una richiesta scritta?- sbottò Sullivan. –Non tenermi sulle spine: perché non vuoi che la Irving partecipi al congresso di Blackpool?
“Io? Congresso? Blackpool? Oh, cazzo, ma è meraviglioso!”
–L’immagine ha un peso importante in eventi del genere, e quella lì, ehm, la Irving è… come dire… poco… decorativa.
–Decorativa? Spiegati meglio- lo esortò Chester.
“Sì, infatti, spiegati meglio, grandissimo figlio di ... tua madre!”
–Ha cervello, preparazione, passione…. Peccato non sia attraente!
–Non sarà una top model, però non è da buttar via- obiettò Chester. –Personalmente, una bottarella gliela darei volentieri.
“Sullivan, ho appena scoperto di amarti! Fuggiamo a Las Vegas!”
–Oh, Chester, sei così facilmente ricattabile!- lo canzonò Weil.
–Ricattabile?
–Dubito salteresti di gioia se tua moglie sapesse che daresti volentieri una bottarella alla Irving.
“Oh, già, giusto, è sposato. Uffa, è proprio vero che i migliori sono tutti presi!”
–Razza di… Lascia perdere, tanto non c’è partita.
–Hai ragione: con me non c’è partita- replicò Weil.
–Secondo me ci sarebbe stata. Sai, con le voci che girano su di lei…
–Che voci?
–Come fai a non… Ah, già, eri in Germania. Corre voce che Faith se la facesse con il vice-primario del Charing Cross Hospital per facilitarsi la carriera e, quando la notizia è trapelata, si è fatta trasferire qui.
Seguì un silenzio talmente denso da poterlo fendere con un coltello; Faith riusciva quasi a sentire il movimento degli ingranaggi del cervello di Weil, che doveva, per qualche motivo a lei incomprensibile, essersi arrabbiato, perché rispose con voce dura.
–Stronzate. Faith ha tanti difetti, ma non è una troia da due pence, non ne ha bisogno.
“Ho bisogno di un esame dell'udito: non può avermi chiamata per nome!”
–Se lo dici tu. A me sembra verosimile: Faith si è accorta dell’ammirazione di Solomon e ne ha approfittato. E’ ambiziosa, e per una donna ambiziosa nessun prezzo è troppo alto per farsi strada.
–Stronzate! Non ci crederei nemmeno se me lo dicesse lei in persona!
“Rettifico: Weil, ho appena scoperto di amarti! Fuggiamo a Las Vegas!”
–Ne sei convinto?
–Convintissimo. Conosco Solomon di fama: è un maiale, non miope, potrebbe avere di meglio della Irving. “Ri-rettifico: Weil ... vaffanculo!”
–Adesso stai esagerando. –Ok, te lo concedo: Faith non sarebbe male, se solo volesse. Oramai l’immagine è tutto, serve a poco avere neuroni funzionanti, se poi sono racchiusi in un involucro poco attraente, e lei non lo è. Se poi ci aggiungi la sua insopportabile linguaccia…
–Veramente, risponde male solamente a te. Fatti due domande.
Weil non gradì la velata critica al modo in cui trattava i colleghi, specialmente la Irving, e sibilò, piccato –La risposta, in ogni caso, è che ha un carattere di merda! E se vorrà venire a Blackpool, dovrà passare sul mio cadavere!
–Non è che hai paura possa metterti in ombra?- insinuò maliziosamente Chester.
Faith lo sentì trattenere il respiro prima di rispondere, forse con voce più acuta del solito, –Io … messo in ombra da quella lì? Non scherziamo!
Chester ridacchiò, lieto di aver colpito un nervo scoperto –Non puoi negare che ha tutte le carte in regola per diventare pane per i tuoi denti.
–Appunto. Diventare. Ma non lo è; non ancora, almeno. Potrei divorarla, se volessi! Con tutta quella carne, avrei da mangiare per tre mesi!- sputò Weil, sbuffò e se andò sbattendo la porta.
 
***
 
–Sei in ritardo, Irving.
“Eccoli che cominciano”, pensò Jeff, voltandosi a turno verso l’uno e l’altra, come se stesse assistendo a una partita di ping-pong.
–Forse tu non ne hai bisogno, ma noi comuni mortali, quando la natura chiama, andiamo in bagno- ribattè Faith.
–Per mezz’ora?
–Per il tempo necessario- rispose in tono pratico. Indossò grembiule, guanti e mascherina e chiese –Cosa abbiamo qui?
–Encefalo fissato di Callum Corner, venticinque anni. Deceduto all’ingresso del Pronto Soccorso.
–E’ morto appena sceso dall’ambulanza?
–All’ingresso del PS.
–Causa del decesso?
–Se lo sapessimo non dovremmo esaminare il suo cervellino, Irving- sputò Weil, guardandola dritto negli occhi.
Gli piacevano gli occhi di Faith, avevano una bella forma e un colore particolare, eppure non poteva fare a meno di notarne i difetti: le ciglia avrebbero dovuto essere più lunghe e curve per enfatizzare lo sguardo, il verde oliva dell’iride avrebbe risaltato maggiormente senza quelle brutte screziature marroni, e il neo sulla palpebra inferiore sinistra rimpiccioliva l’occhio, dando l’impressione che fossero asimmetrici. Era più facile sostenere il suo sguardo, osservarlo con attenzione, ora che aveva la mascherina a coprire le labbra, rosse e carnose, spesso screpolate perché aveva il vizio di mordicchiarle, ma, secondo lui, ben più attraenti dei canotti gonfiati chirurgicamente.
–Non c’è bisogno di essere sarcastici, la mia era semplice curiosità- sibilò Faith, tentata dal pugnalarlo con un bisturi. –Vediamo di sbrigarci: non so voi, ma io ho una vita fuori dal reparto.
–In anamnesi c'è storia di episodi eteroaggressivi parotite in età infantile, ESA da rottura di aneurisma- pigolò Jeff, ma i due lo ignorarono.
–Come mai tanta fretta? Devi uscire con qualcuno?- disse Weil.
–Può darsi- rispose Faith. –Cosa te lo fa pensare?
–Stamattina ho visto che porti un reggiseno di pizzo- spiegò lui con semplicità.
–E allora?
–Beh, ecco, vedi... è una mia idea, eh, puoi tranquillamente distruggerla punto per punto- balbettò lui, sforzandosi di non arrossire. –Il pizzo non è proprio il massimo della comodità, e credevo voi donne non lo metteste spesso, specie a contatto diretto con la pelle, pensavo che al lavoro indossaste biancheria più comoda e il pizzo fosse riservato alle occasioni speciali. Avanti, ridi.
­–In caso vi interessasse, il paziente era un forte fumatore e da qualche mese soffriva di cefalea- tentò Jeff, prima di arrendersi. –Ma che parlo a fare?
–Perché dovrei ridere? In linea di massima è un discorso logico- asserì Faith. –Però, vedi, quegli impalpabili reggiseni di tulle e/o senza ferretto si disintegrerebbero se ci mettessi dentro Mary Lou e Mary Sue.
Abbandonato ogni tentativo di farsi ascoltare, Jeff si unì alla conversazione.
–Mary Lou e Mary Sue? Hai dato un nome alle tue tette? Fa così ... liceale! Comunque, conosco il posto perfetto per vestire al meglio le "ragazze". Domani stesso ti porterò da 'Hula Hip,' il paradiso dell'intimo curvy!
–Jeff, cosa ne sai tu di intimo femminile?
–Più di te sicuramente, cara mia, a giudicare dalle mutande della nonna a fantasia di orsacchiotti!
Weil scoppiò a ridere senza ritegno, finchè Jeff non lo redarguì a dovere.
–Chi è senza peccato di stile scagli la pima pietra ... e non è il tuo caso, Weil: gli slip col cobra sul cavallo sono stati i protagonisti dei miei incubi per una settimana!
Punto sul vivo, Franz avvampò, si schiarì la voce, intimò agli altri due di preparare le scafette per i prelievi istologici e iniziò la dissezione.
 
***
 
 
Franz ignorò a fatica le imprecazioni di Faith, la maggior parte delle quali diretta a lui, colpevole di aver stravolto la sua tabella di marcia.
–Non ce la farò mai! Ed è tutta colpa tua!- gnaulò, a testa bassa, mentre tentava di domare i capelli, scompigliati dalla cuffia. –Guarda cosa mi tocca fare per non mostrarmi in pubblico con la testa da scienziata pazza!
–Ma cos… Irving, non siamo dal parrucchiere!
–Pago le tasse, ho il diritto di usare come meglio credo le prese dell’ospedale- replicò Faith, che nel frattempo aveva riposto in un piccolo trolley una spazzola e un phon.
Franz scosse la testa, rassegnato, chiuse l’armadietto e uscì. Faith, rimasta finalmente sola, si dedicò al make-up, pregando di non combinare disastri e maledicendo Abigail e la sua mania di dare cene e feste per ostentare la sua bravura come padrona di casa. Amava la comodità e la semplicità, considerava un sacrificio doversi vestire elegante e doversi truccare, ma, soprattutto, dover recitare la parte della bella statuina per non scontentare l’amica.
Quando potè controllare il proprio aspetto nell’insieme, rimase piuttosto soddisfatta: discreto, ma d’effetto. Chiuse l’armadietto, prese la pochette verde (regalo di Bridget) e il trolley e salì nell’atrio.
 
***
 
 
Dopo una giornata faticosa, l’unico desiderio di Franz era accasciarsi sul divano e non muovere un muscolo fino all’indomani.
Qualcuno, in piedi all’ingrasso principale, attirò la sua attenzione; l’aveva conosciuto di persona pochi anni prima, ma, anche se così non fosse stato, l’avrebbe riconosciuto chiunque, perché era impossibile non conoscere Brian Cartridge.
Finse di ignorarlo e gli passò accanto senza guardarlo, ma Brian lo bloccò, esclamando –Aspetta un momento … tu sei l’amico di Axel! Quello tedesco! Ci siamo conosciuti qualcosa come ... sei anni fa? Può essere?
–Sì. Non posso credere che ti ricordi di me!
–Ho buona memoria- si limitò a rispondere Brian, scrollando le spalle.
–Non buona, ottima!
I due si salutarono con l'entusiasmo degli amici di lunga data; Franz gli diede una pacca sulla schiena e precisò –Il mio nome è Franz, comunque.
–Ho detto che ho buona memoria, non che ricordo tutto- ribatté Brian.
–Che ci fai qui? Confermi il detto “anche i ricchi si ammalano”?
–Fortunatamente no. Ho appuntamento con una persona- lo tranquillizzò lui, agitando una mano per una maggiore enfasi. –Eccola! Buonasera, bella ritardataria!
Weil aprì e chiuse le palpebre più volte, incapace di credere ai propri occhi: in abiti civili, Faith sembrava un’altra. Il look le si addiceva: dimesso, ma particolare, esattamente come lei. Il suol sguardo passò rapidamente dal vestito, che lasciava fin troppo all'immaginazione, alle gambe, fasciate dalle calze più improbabili che avesse mai visto (per non dire un pugno nell'occhio), eppure Faith le indossava con impareggiabile disinvoltura.
–Ciao, Brian. Noto con dispiacere che hai fatto la conoscenza del dottor Weil.
–A dire il vero ci conoscevamo già, ma è stato bello ritrovarsi. Gli amici di Axel sono miei amici- rispose Brian.
–Non vai troppo per il sottile, eh, Brian?- sibilò Faith con un sorriso tirato.
–Belle calze, Irving. Mirò?
–Esatto. Le ho comprate a New York, era uscita da Macy's la linea artistica. Ho anche 'La notte stellata' di Van Gogh, 'Overture musicale' di Kandinskij e 'Drowning Girl' di Roy Lichtenstein. Ho speso una fortuna, erano in edizione limitatissima, ma non ho potuto resistere!
–L'unico modo di resistere a una tentazione è cedervi. Aabbiamo tutti una sola vita da vivere, tanto vale godercela- asserì Weil.
–Stranamente, mi trovi d'accordo. Vedi di non abituartici. Muoviamoci, Brian, Abby non ama aspettare- aggiunse, arpionò l’amico per un braccio e lo trascinò via.
 
Nota autrice:
Non odiate Franz. E’ stato spregevole, acido, maschilista, ma non odiatelo, ha avuto le sue buone ragioni per comportarsi così… forse. Erin ha ragione: sotto sotto ha il cuore tenero, peccato che lo mostri poco.
Povera Erin: è convinta che a Chris piaccia Faith. Sarà davvero così? E Faith andrà a Blackpool? Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
Au revoir!
Serpentina
 ps: le opere citate nel capitolo esistono, e sono spettacolari (secondo me). Adoro l'arte moderna!
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Independent woman ***


Puntuale come (quasi) sempre, eccomi qui col nuovo capitolo! Ringrazio dal profondo del cuore tutti i lettori, dal primo all'ultimo, in particolare Bijouttina ed elev, che hanno recensito, e prettyvitto, che segue la storia. Thanks a lot! ^^ 
 



Independent woman




La solitudine è indipendenza. E’ fredda, sì, ma anche meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.
Herman Hesse


–Terra chiama Faith. Su quale pianeta hai la testa?- le domandò Brian per rompere il silenzio
All’udire quell'irritante storpiatura del suo nome, distolse lo sguardo dal finestrino e la mente da pensieri poco gentili su Weil; annuì sorridendo, infine rispose –Perdonami, non sono molto di compagnia stasera.
–Se ti va di parlare, ho due orecchie decisamente portate per l'ascolto, altrimenti, se preferisci, fingerò di sciropparmi la scusa patetica: "sono stanca per il lavoro"- replicò Brian rivolgendole un sorriso fraterno.
–Da uno a dieci quanto sono decorativa, secondo te?
–Che razza di domanda è?- sbraitò Brian. 
–Rispondi e basta!
–Domanda idiota, se vuoi il mio parere. Faith, non saresti decorativa neanche se ne andasse della tua stessa vita! Per fortuna, aggiungerei.
–Perché? Sono così orrenda?
–Orrenda? No. Incapace di stare al tuo posto, muta e sorridente come se avessi una paresi facciale? Sì.
–Addio Blackpool- sibilò Faith, incrociando le braccia, indignata. Non si sarebbe mai piegata al ruolo di accompagnatrice dalla gradevole presenza, il cui contributo alle discussioni non superava cenni di assenso e risolini da decerebrata. Mai. Piuttosto avrebbe rinunciato al congresso. Con chi credeva di avere a che fare, quel figlio di puttana? Se avesse voluto stare in un angolino a sorridere come una deficiente avrebbe fatto la valletta televisiva. 
“Siamo colleghi, cazzo, e se non è capace di riconoscermi come tale solo perché ho le tette, è un suo problema.”
Brian, una volta sganciata la bomba, pretese l'esplosione: non si accontentò di quella risposta enigmatica.
–Posso sapere il perchè di questa domanda?
–Niente- rispose Faith. –Curiosità.
–Sicuro- sbottò Brian. –Avanti, Faith, ti conosco bene… intimamente. Si vede lontano un miglio che è successo qualcosa.
–Ti conosco bene anche io, Brian, e te lo leggo in faccia che qualcosa ti preoccupa- ribatté Faith, esaminando apprensiva l'amico, che appariva smunto, spossato e teso, lontano anni luce dal Brian sinceramente gioviale che conosceva. –Perciò, o mi dici cosa ti ha ridotto in questo stato, o non aprirò bocca. Do ut des, caruccio, non sei l'unico con due orecchie ottime per ascoltare!
Brian, al vederla tanto determinata, si trattenne a stento dal riderle in faccia, e replicò –Intimidatoria, affettuosamente apprensiva... sicura di non voler procreare? Saresti un'ottima mamma!
–Più che sicura- sputò Faith. –Comunque, potrei rigirarti la domanda: sicuro di non voler procreare? Ci sai fare, coi marmocchi.
–Conosci un modo per avere figli senza il fastidio di una donna per casa? Se sì, allora ci sto!
–E’ una proposta, la tua? Mi vorresti come ricettacolo per la tua progenie?- scherzò Faith. 
–Stavo scherzando, non ti scaldare- ribatté Brian. –E non c'è niente che non vada in me, e... sono fatti miei, ok?
- Ho capito: sei "stanco per il lavoro"- asserì Faith per fargli capire di aver compreso che l'altro non se la sentiva di confidarsi.
Brian annuì e decise di cambiare argomento.
–E’ un tipo a posto, sai? Franz. 
–Si vede che lo conosci poco- sbuffò Faith.
–Forse sei tu a non conoscerlo. E’ antipatico con chiunque non ritenga degno di considerazione, ma sa essere divertente e alla mano con chi gli sta simpatico.
–E tu fai parte di questo circolo di eletti? Complimenti!- sputò Faith, affondando le unghie nel cappotto. Non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura, ma era convinta che Weil, sotto la superficie, celasse una personalità gradevole e interessante. Aveva scorto in lui uno spiraglio di luce che rendeva i loro bisticci infantili momenti imperdibili, addirittura da attendere con ansia, nella speranza che svelassero altri lati del suo carattere. –A me è precluso per principio: Weil non fraternizzerebbe mai con la concorrenza.
–Non ci giurerei. 

 
***


Abigail Cartridge, prima Abigail Venter, dopo il matrimonio aveva appeso la laurea al chiodo per occuparsi di casa e famiglia, dedicandosi con la massima dedizione a molteplici attività, dal corso di pittura a quello di ikebana, senza trascurare la cura del corpo e la vita in società. Aveva imparato a cucinare e, sotto l'attenta guida della suocera, Heather Miller Cartridge, era diventata una ospite di tutto rispetto, le cui cene godevano di ottima reputazione.
Sorrise al proprio riflesso: l’abito rosa cipria e la sottile tiara che aveva indossato la facevano sentire una principessa. Estatica, corse ad aprire; abbracciò Faith, indugiando con lo sguardo sulle calze, salutò il cognato, quindi li invitò ad accomodarsi in salotto in attesa degli altri ospiti.
Faith, atterrita dal luccichio eccitato negli occhi dell'amica, deglutì a vuoto, angosciata, e chiese – Q-Quanti altri ospiti, Ab?
–Pochi. Adam non ci sarà, oltre a me, Ben, te e Brian... e Kaori, naturalmente... una decina di persone, più o meno- rispose Abigail. 
Prima che Faith potesse ribattere, una voce infantile trillò –TIA FAT!
–Kaori! Fatti dare un bacio!- esclamò Faith, precipitandosi dalla figlioccia, che avanzava verso di lei a passettini, controllata a breve distanza dal padre. –Sei bellissima, bambolina! Ora, però, devi imparare a pronunciare correttamente il mio nome- aggiunse, una volta spupazzata a dovere la bimba.
–Perché? Fat è così... azzeccato, per te!- ironizzò Ben Cartridge.
Faith gli mostrò la lingua prima di salutarlo con due baci sulle guance. Ben ridacchiò e le pose le domande di rito; purtroppo, però, quella che avrebbe potuto essere una bella conversazione amichevole venne interrotta dall'arrivo di altri ospiti.
Abigail, col pretesto di riempirle il bicchiere, prese Faith da parte e disse –Avresti potuto evitare di metterti queste cose ridicole: penseranno tutti che sei fuori di testa, e nessuno vuole stare con una pazza!
–Tranquilla, io per prima non voglio stare con chi mi considera pazza soltanto perché adoro la pittura astratta- ribattè Faith con un sorriso, prima di precipitarsi da Bridget, occupata a flirtare con tre invitati.
Brian non riuscì a rilassarsi durante l’aperitivo: fu costretto a intervenire varie volte per salvare Faith dalle macchinazioni di Abigail, che la spingeva, sia fisicamente che a parole, verso tutti gli uomini celibi presenti alla cena, vale a dire metà degli ospiti.
A tavola la situazione non cambiò: Abigail, intercettato il cognato, che stava per sedersi di fronte a Faith, lo obbligò a sedersi lontano da lei, posizionando invece una riluttante Faith nella tana dei leoni, ehm, in mezzo ai suddetti invitati maschi e single.
In confronto all'amico di Brian con cui l'aveva obbligata a fare colazione fuori non erano male, però Faith non riuscì a trovare una ragione, anche stupida, per flirtare, quindi si sforzò di non alimentare le fantasie matrimoniali di Abigail.
Bridget, al contrario, cercava in tutti i modi di attirare l’attenzione, aiutata nell’intento dal trucco pesante e dal vestito, che lasciava molto poco all’immaginazione. Se avesse continuato a sedurre così sfacciatamente gli ospiti, avrebbe di sicuro rimediato compagnia per la notte, se non, addirittura, il suo quarto marito. Faith, trattenendosi dal deridere il pesce lesso seduto di fronte a lei, che da quando si erano seduti a tavola fissava con insistenza Bridget, si chiese se, sotto lo spesso strato di fondotinta, vi fosse ancora traccia della ragazzina dalle guance rosse e la risata incontrollabile che aveva conosciuto al liceo.
–Faith, Abby mi ha appena detto che sei un medico. Che genere di medico?- le domandò l’uomo seduto alla sua sinistra, un essere anonimo, col quale aveva scambiato sì e no due parole.
–Sono un pa…
–E’ un chirurgo- rispose per lei Abigail, dopodiché bevve un sorso di vino, scoccando all’amica un’occhiata di avvertimento.
Brian alzò gli occhi al cielo, imitato da Faith, che sorseggiò a sua volta del vino per non dare a vedere la propria irritazione. Come osava Abigail mentire sulla sua professione? 
Fulminata l’amica con un’occhiataccia, scherzò –Abby sa più cose di me di quante non ne sappia io.
–Che migliore amica sarei, altrimenti?- replicò Abigail, lievemente in imbarazzo.
–Ammirevole. Non conosco donne chirurgo… se escludo Meredith di ‘Gray’s Anatomy’.
–Adesso ne conosci una- rispose Faith con malcelata ostilità. –E non seguo quella serie. Ho visto le prime puntate, mi hanno annoiata a morte: sebbene fosse ambientato in un reparto di Chirurgia, c’erano troppo poco sangue e budella per i miei gusti.
Abigail sgranò gli occhi: come le era saltato in mente di dire una cosa del genere? Non andava bene! Per accalappiare un uomo bisognava mostrarsi docili e sentimentali, non potenziali serial killer!
–Beh, F, il pubblico televisivo comprende anche persone suscettibili, che…
–Parlo per me, Ab: personalmente, in un telefilm sui medici gradirei realismo, e in ‘Gray’s Anatomy’ ce n’è meno che in ‘Genital Hospital’, il che è tutto dire!- ribatté Faith.
–Tu… tu… ehm… segui… ‘Genital Hospital’?- boccheggiò, allibito, il tizio che Abigail stava spingendo a forza tra le sue braccia. 
Lieta di averlo scandalizzato (nonché di aver scandalizzato gli altri presenti) Faith gustò un boccone di roast beef con contorno di patate, chiudendo gli occhi mentre le papille gustative elaboravano il complesso miscuglio di sapori, prima di rispondere –Come la maggior parte dei miei amici e colleghi, e dopo ogni puntata ci chiediamo tutti perché negli ospedali veri non ci sono così tanti sgabuzzini e scrivanie per darci dentro come conigli!
A salvare Faith da morte certa per mano della sua migliore amica provvide una telefonata. La Irving, ben felice di abbandonare momentaneamente la tavola, corse a rispondere, e non fece ritorno prima di un quarto d’ora.
–Come mai ci hai messo tanto?- soffiò Abigail, contrariata.
–Sarò stata al telefono dieci minuti, non di più! Non potevo non rispondere, Ab, era Weil.
Abigail digrignò i denti, Bridget, stufa di giocare alla pantera seduttrice, le domandò –Weil? Il primario in seconda?
–Lo confondi con il dottor King, B. Weil è un collega un po’ più anziano di me.
–Quale? L’indiano, il vanesio, la primadonna o il bastardo?
–Bridge, non interessa a nes…
–Il bastardo- rispose Faith. –Non fa che lamentarsi di me, però, quando c’è qualche caso dubbio, mi rompe le scatole.
–Prendilo come un elogio- intervenne lo sconosciuto seduto di fronte a lei, il quale, fino a quel momento, era rimasto in silenzio. A conferma della totale mancanza di interesse nei suoi confronti, Faith ne ignorava il nome. –Chiama te perché è consapevole della tua bravura.
–Non me ne faccio niente degli elogi, se sono davvero brava voglio dei riconoscimenti ufficiali- replicò lei, sconvolgendo i presenti, che non si aspettavano che una donna all’apparenza tanto dolce possedesse artigli affilati.
Brian e Ben levarono i bicchieri nella sua direzione, in segno di approvazione, Abigail, invece, si schiaffò una mano sulla fronte.
–Per curiosità… com’è questo collega bastardo?
–Te lo faccio vedere- sospirò Faith, sperando che l’amica non lo inserisse nella lista di candidati al ruolo di quarto marito. –Perdonatemi, non è mia abitudine usare il cellulare a tavola, ma che amica sarei se non soddisfacessi la curiosità di Bridget?
–Hai una sua foto nel cellulare?- esclamò l’altra, ammiccando maliziosamente.
–Non ho memoria da sprecare per quello str… ehm, ho un amico di facebook che ha postato alcune foto in cui compare anche il bastardo.
–Interessante… e com’è questo amico di facebook?
Faith non rispose, si collegò a internet, andò sul profilo di Robert Patterson, scelse un’immagine in cui compariva anche Weil, la ingrandì e la mostrò a Bridget, che fischiò in segno di apprezzamento, ed esclamò –Adesso capisco tutto il tuo attaccamento al lavoro, F! Dà un’occhiata a questi gnocchi da paura, Ab!
Passò il telefonino all’amica, che mascherò il suo apprezzamento, limitandosi a commentare –Passabili… ma continuo a preferire il mio Ben.
Faith fu l’unica ad accorgersi dell’istantanea dilatazione pupillare di Mrs. Cartridge nel momento in cui aveva posato gli occhi su Weil e Patterson.
–Risposta politically correct, te lo concedo, ma poco credibile: non ci crede nemmeno Ben!- ribattè Bridget, suscitando l’ilarità degli altri convitati. –Gran bel bocconcino, questo Weil. Non so perché, ma a me i biondi ispirano subito sesso!
Il pesce lesso, che aveva i capelli biondi (e una stempiatura incipiente) a quelle parole si ringalluzzì parecchio, e gli sguardi da predatore che rivolse a Bridget rischiarono di far sputare il vino a Faith, scossa da irrefrenabili risatine.
–Ehm, no, B, il biondo è Robert Patterson, il bastardo che lavora con me è quello moro con gli occhi azzurri- spiegò, una volta riacquistato un contegno dignitoso.
Bridget esaminò accuratamente Weil, prima di commentare –Meno figo, ma più affascinante; peccato appartenga alla categoria “da evitare come la peste”: è il classico uomo in carriera, e, non so te, ma io a stento sopporto di essere seconda a sua madre, figurarsi al suo lavoro! 
–B, a differenza tua non sono in cerca di un marito.
–Allora ti autorizzo a “giocare al dottore” con almeno uno dei due. Meritano!- trillò lei con tanto di gomitata allusiva.
–A-Almeno u-uno?
–Beh, sì. Uno alla volta, possibilmente: a differenza mia, non sapresti reggerne due insieme!
–T-Tu… tu hai… sei andata con… due uomini… contemporaneamente?- sussurrò Faith, allibita.
–Perché sono troppo buona!- gnaulò Bridget. –Non riesco mai a dire di no!
–Su questo non ho dubbi- esalò la Irving, facendosi aria col tovagliolo. Non era una puritana, anzi, un ménage a trois con due sconosciuti era la sua fantasia preferita, ma non aveva mai osato pensare di trasformarla in realtà, per cui apprendere che Bridget prendeva tranquillamente “due uccelli con una patata” (simpatica versione del noto detto, imparata nientepopodimenoche in sala operatoria) la sconvolgeva. 
Bridget si sporse verso di lei e bisbigliò, con aria cospiratoria –Faith, ti prego, fallo. Ascoltami. Hai dannatamente bisogno di sesso: lo sapevi che, se non lo fai per più di un anno, ti si chiude la vagina? L’ho letto su ‘Vanity Fair’, eh, mica un giornaletto da mezzo penny!
–Bridge, non ci crederei neanche se lo vedessi pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’- replicò Faith, per poi lanciarsi in una discussione sul prossimo party di Halloween, che si sarebbe tenuto a casa di Brian.
–Sarà spettacolare, te lo garantisco!- esclamò Brian. –Infatti, il problema sarà poi organizzare un Capodanno altrettanto meraviglioso. Oh, beh, ci penserò da novembre. 
–A proposito di Halloween, Brian- disse Faith, tornando ad ignorare i candidati al posto di fidanzato per concentrarsi sull'amico. –Ti raggiungerò non prima delle dieci e mezza: i Patterson hanno invitato me e i miei genitori alla loro festa, e non ho potuto rifiutare. Scusa.
–Non scusarti, cherie, ascoltarti cantare val bene l’attesa. Tanto le mie feste, come ben sai, non finiscono prima delle tre del mattino- rispose Brian.
–Per la gioia degli altri condomini- scherzò Faith. 
–Per questo li invito sempre: così non possono lamentarsi! Ora, tornando alle questioni serie: da cosa pensi di travestirti? Io sono indeciso tra Thor e Capitan America, anche se devo ammettere che Casanova mi attira... come costume, naturalmente.
–Esiste il costume da Casanova?- esclamò Faith, sconvolta. –Non c'è davvero limite al peggio! Comunque spiacente, non rivelerò nulla, sarà una sorpresa.
“Anche perché non ho la minima idea di quale costume scegliere!”
Brian si finse mortalmente deluso e calò il silenzio, rotto solamente dal tintinnio delle forchette: era giunto il momento del dolce.
–La serata è stata un trionfo. Complimenti, Ab- commentò Faith, massaggiandosi lo stomaco: ora che gli altri se ne erano andati poteva concedersi comportamenti meno raffinati.
–Grazie- rispose Abigail. –Lo sarebbe stato su tutti i fronti se ti fossi degnata di comportarti in modo femminile, per una volta.
–Non capisco. Ho mangiato seduta composta, senza i gomiti sul tavolo, ho masticato silenziosamente piccoli bocconi, ho sorbito la zuppa senza rumori di risucchio … che altro avrei dovuto fare?
–La donna, Faith! Quando capirai che, sebbene viviamo nel ventunesimo secolo, mentalmente i maschi sono cavernicoli? 
–Ehi!- protestarono Ben e Brian.
–Zitti, voi!- li mise a tacere Abigail, prima di riprendere a inveire contro Faith. –Sei indipendente, sei tosta - il che è magnifico - ma devi per forza farlo sapere? Non ce la fai a fingerti una tenera donzella in difficoltà per accendere l’istinto di cavaliere di un buon partito? 
–No, perché non sono d’accordo con te. Da qualche parte esiste un uomo con la U maiuscola che non considera una donna di carattere una minaccia ai suoi attributi. Forse lo troverò, prima o poi, forse no, e in quel caso sarò felice di invecchiare zitella circondata da gatti! Meglio sola che male accompagnata!- ruggì Faith, regina della giungla (metropolitana). –Ah, un’ultima cosa: negare che parte del mio lavoro consiste nell’affettare cadaveri non aumenterà le tue chance di accasarmi. Sono un patologo, cazzo, e fottutamente fiera di esserlo!
Ben le posò una mano sulla spalla, nel tentativo di calmarla, quindi la pregò di moderare il linguaggio perché c’era una bambina in casa.
–Hai ragione. Scusa, Ben.
–Scuse accettate. La tua rabbia è comprensibile, ti chiedo solo di… manifestarla in altro modo che imprecando.
Abigail ingollò un bicchiere colmo di vino, poi diede di gomito a suo marito, rivolgendogli un'occhiata di intesa. Lui annuì e disse –Brian, per favore, accompagneresti mia moglie a controllare se Kaori si è addormentata?
–Di solito non lo fai tu?- domandò perplesso Brian.
–S-Sì, p-però...- balbettò Ben, per poi giocare la carta dell'affetto familiare. –Sai quanto Kaori è legata a te, sei il suo zio preferito. Per una volta che sei qui all'ora della nanna...
Vinto dall'affetto per la nipotina, Brian acconsentì a seguire la cognata al piano superiore.
Rimasto solo con Faith, Ben suggerì di aspettare il ritorno di Brian prima di bere qualcosa per mandare giù il pasto ottimo e abbondante.
Faith annuì e rispose –Concordo. Comincia a tirare fuori lo scotch, però!
Ben rise di cuore, quindi si sedette accanto a Faith e recitò a memoria il discorso che Abigail gli aveva insegnato.
–Faith, anche se siamo partiti col piede sbagliato…
–Puoi dirlo forte: all’inizio ti odiavo!
–Ricambiavo in pieno, sai? Ma in questi anni ho imparato ad apprezzarti, e ormai ti considero una buona amica. Mia moglie è la mia metà, colei che mi completa, ma, seppure in modo diverso, tengo molto anche a te. Senza il tuo aiuto non sarei mai riuscito a riconquistare la mia Abby e adesso non avrei la mia famiglia. Ti sarò debitore in eterno.
–E’ stato un piacere. 
–Sei una bella persona, dentro e fuori- "Fuori un po’ (tanto) meno, ma vabbè". –Per questo mi è dispiaciuto molto sentirmi riferire da Abby che, beh, che non hai più avuto, ehm... rapporti, diciamo così, da quando... è successo il "fattaccio"!
–Intendi da quando Cyril mi ha mollata a una settimana dal matrimonio? Puoi dirlo Ben, prometto che non ti allagherò il salotto di calde lacrime!
–Ah... Meglio per te!- replicò lui, a disagio. –Hai attraversato un periodo difficile: prima la rottura con Cyril, poi i casini in ospedale, il trasferimento… Però devi farti forza e voltare pagina. Mi fa sentire triste sapere che la sera, quando torni a casa dopo un turno faticoso, non trovi nessuno ad aspettarti, e se non è venerdì passi il tuo tempo davanti alla tv a consumare pasti precotti, tutta sola...
–Non consumo pasti precotti tutti i giorni. E Agatha non è nessuno!- soffiò Faith.
–E’ un gatto!- sbottò Ben. –Per quanto sia molto più intelligente e affettuoso della maggior parte dei discutibili soggetti che conosci, non potrà mai sostituire…
–Una presenza maschile? Cartridge, sei complice nel tentativo di tua moglie di sistemarmi?
Intuito che l'uso del cognome non faceva presagire niente di buono, Ben deglutì a vuoto e balbettò –N-No, n-no, c-che dici, non mi...
–Non offendere la mia intelligenza negando l’evidenza! Tu e Abby volete sistemarmi! Ma bravi! Già vi immagino a sparlare della mia vita sentimentale quando non fate sesso!- ringhiò Faith, sfogando la rabbia cumulata durante il giorno.
–Ehi, c’è mia figlia al piano di sopra, non urlare certe parole!
–Ha un anno e mezzo, Ben, non capisce di cosa parlo! E poi mica ho detto una brutta parola, ho detto sesso..
–FAITH!- urlò Ben a squarciagola.
Siccome sembrava davvero incazzato, Faith abbassò i toni, ma non rimase in silenzio.
–Tu ed Abby dovete stare fuori dalla mia vita di relazione, capito? FUORI!
–Faith, Abby e io vogliamo solo vederti felice- pigolò Ben. Non appena gli furono uscite di bocca  capì che avrebbe fatto meglio a tacere: gli occhi di Faith si ridussero a due fessure, respirò sibilando sommessamente, come un serpente in procinto di attaccare, infine sibilò con intensità crescente –Perché tutte le coppie sposate che conosco sono stra-convinte che, solo perché loro hanno un matrimonio felice, tutti debbano sentirsi felici con la fede al dito?
–Non devi necessariamente sposarti, solo... metterti con qualcuno ed essere felice!
–Toglimi una curiosità, Ben- gli chiese Faith, rimpiangendo di non aver insistito per bere senza aspettare Brian. –Anche tuo fratello è senza una donna fissa, perché le palle le rompi soltanto a me?
Ben non rispose, ma Faith gli lesse la risposta negli occhi: "Perché mia moglie è fissata con te, non con Brian!".
Emise uno sbuffo di rabbia, seguito dal minaccioso –Intromettetevi ancora nella mia vita privata e ve ne farò pentire, chiaro?.
Brian ebbe la decenza di tornare giù prima che Faith squartasse il marito della padrona di casa; lei, che ancora non aveva sbollito la rabbia, mandò giù due bicchieri di scotch in un sol sorso, salutò Abby frettolosamente e scappò via da casa Cartridge trascinandosi appresso un perplesso Brian. 
Non appena se ne furono andati, Abigail domandò al marito –Allora? Com’è andata?
–Il lato positivo è che non mi ha tirato addosso la cristalleria- rispose elusivamente.
–E quello negativo?- insistette Abigail
–Ci odia e ci ha intimato di restare fuori dalla sua vita sentimentale- esalò Ben.
–Caro, sai benissimo che non possiamo! Faith è nostra amica, vogliamo la sua felicità, giusto?
–Abby, comprendo il tuo desiderio di sentirti utile, ma credo che Faith non abbia ancora voltato pagina. Si sta leccando le ferite, e…
–Non sarebbe meglio se le leccasse con qualcuno?- suggerì allusivamente Abigail.
In un estremo tentativo di metterla a tacere, e concludere la serata in bellezza, Ben la attirò a sè, baciandole il collo, quindi le sussurrò all'orecchio –Amore, lascia perdere quella sfigata cronica di Faith… ti lascerò leccare le mie, di ferite…
Contrariamente alle sue aspettative, però, Abigail lo allontanò violentemente e rispose –Assolutamente no! Non prima di aver finito di mettere a punto una nuova strategia per aiutare Faith nella ricerca della felicità!
–Ma… Ma...
–Niente ma!- tuonò Abigail. 
–Nemmeno un po’ di coccole sexy?- la supplicò Ben.
–Niente di niente! Non mi darò pace finchè non vedrò Faith felice!
–Tesoro, credo che il nocciolo della questione sia proprio che Faith vuole trovare la sua felicità da sola!- asserì Ben conciliante
–Non possiamo lasciarla sola, altrimenti troverà la felicità nel suo lavoro, e resterà sola per il resto della vita!- piagnucolò Abigail sbattendo un piede a terra in stile bambina capricciosa
–Non ci riguarda. Le abbiamo fatto capire che la solitudine è brutta, adesso sta a lei uscire dal tunnel!
–Ben, caro, Faith è la madrina di Kaori- tentò allora di spiegargli Abigail. –Ora, forse per te questo non significa nulla, per me, invece, è importante: Faith sarà per lei un modello di donna alternativo a sua madre, e non mi va che nostra figlia abbia per modello una donna che vive per il suo lavoro!
–Abby, Faith è tua amica, non il tuo clone, non puoi pretendere che diventi come te!- la rimbeccò suo marito.
–Non voglio che diventi come me- gnaulò Abigail. –Solo... che mi somigli un po’!
–Abby, ti avevo espresso le mie perplessità quando mi chiedesti se ero d’accordo a che Faith facesse da madrina a Kaori, ma tu non mi hai dato ascolto, perciò adesso non lamentarti!- osservò Ben.
–Ma Ben!- obiettò sua moglie. –Te l'ho chiesto due volte: la prima non rispondesti, e la seconda dicesti subito di sì!
–Avevamo appena fatto l’amore, come avrei potuto dirti di no?- rispose lui.
Abigail alzò gli occhi al cielo, sbuffò esasperata e se ne andò, lasciando suo marito a contemplare i cubetti di ghiaccio nel bicchiere di whisky.

 
***

Mentre tornava a casa in compagnia di Brian, Faith rimuginò sulla discussione avuta con Ben. 
Non si pentì di aver reagito come aveva reagito: aveva il diritto di incazzarsi; va bene che erano i suoi migliori amici, ma esisteva un limite a tutto! Come facevano a non capire che Cyril le aveva inferto un colpo durissimo, e ne stava uscendo pian piano? Il fatto che avesse smesso di piangere per lui e avesse dato in beneficenza la roba che le aveva lasciato non significava fosse già pronta a “mettersi di nuovo sul mercato” (per usare una delle espressioni predilette di Bridget). Venire lasciata a sette giorni dalle nozze era stato per lei non soltanto umiliante, ma anche psicologicamente destabilizzante: l'amore era fiducia, e, ora come ora, non se la sentiva di fidarsi. Di nessuno.
Su una cosa, però, i suoi amici avevano ragione: le mancava un uomo. In senso fisico. Non le mancavano le discussioni, le frustrazioni… la tavoletta alzata in bagno… Sentiva la mancanza di un contrappeso all’altro lato del letto, pelle calda da accarezzare, sudore, sospiri, gemiti… sì, aveva dannatamente bisogno di sesso. Bridget non sbagliava. Era stanca di dover fare tutto da sola... e non si riferiva certo alle faccende domestiche!
Brian accostò e si fermò; solo in quel momento Faith realizzò che erano arrivati.
Lo ringraziò del passaggio e, prima di scendere dalla macchina, gli chiese –Ti va di...  uhm… salire? Posso offrirti un drink.
–Grazie, ma no, grazie- rispose lui. –Mi è bastato il “drink” del giorno in cui quell’essere immondo e innominabile ti ha piantata. E poi… credo di averne avuto abbastanza, per oggi. 
Faith annuì, scese, ma non si diresse immediatamente al portone, prima si trattenne a dare la buonanotte a Brian, al quale ripetè l’offerta.
–Sicuro di non voler salire?
Lui, che aveva compreso le sue intenzioni, scosse la testa e asserì, serio come poche volte in vita sua –Faith, ti voglio troppo bene per assecondarti: se proprio devi “rimetterti sul mercato”, per dirlo come la tua amica sciroccata, fallo per un motivo più valido di un calo di autostima. Buonanotte.
Non le aveva dato neanche il tempo di pensare a una replica che se n'era andato, inghiottito dalla luce dei lampioni. Faith emise un sospiro deluso: non era da Brian rifiutare del sesso facile e senza impegno, che gli era preso?
Salì a casa sua, si lavò le mani, si spogliò, si cosparse di crema, indossò il pigiama e si infilò sotto le coperte; Agatha, la sua gatta, la raggiunse poco dopo, le si strusciò contro e si acciambellò sul cuscino che una volta era di Cyril. Faith la accarezzò, sorridendo contenta quando la sentì fare le fusa, quindi mormorò –Brian ha ragione: non ho bisogno di fare sesso per sentirmi donna, questo è il momento di godere della mia indipendenza, dopo cinque anni di asfissiante routine della vita di coppia. Dopotutto non vivo nell'800, non sono costretta a sposarmi per non pesare sulla famiglia, vivo nel ventunesimo secolo, cazzo!- Agatha emise un miagolio di assenso. –Ho una famiglia e degli amici che mi vogliono bene, una gattona coccolosissima, una bella casa, faccio il lavoro che ho sempre sognato, riesco persino a comprarmi un paio di scarpe al mese... Chi ha bisogno di un uomo? Ora come ora, posso bastare a me stessa! Ok, basta monologhi amletici, è ora di leggere qualcosa- al suo segnale Agatha balzò giù dal letto e sparì nel buio del corridoio, per tornare stringendo tra i denti un libro. Faith lo prese ed esclamò –Sei proprio fissata! Guarda che esistono altri autori di gialli, oltre alla tua omonima Christie!- Agatha si limitò a leccarsi una zampa con fare aristocratico. –‘Il terrore viene per posta’. Uno dei tuoi preferiti, se non sbaglio. Può andare, stasera un pizzico di romanticismo ci vuole- Agatha mosse le orecchie e arricciò il naso, in un tacito invito a cominciare, accolto con gioia da Faith, che si schiarì la voce e lesse –“Ho ripensato spesso al mattino in cui arrivò la prima lettera anonima. Giunse all’ora di colazione. Me la rigirai pigramente tra le mani, come si usa fare quando il tempo trascorre lentamente, e ogni evento diventa un avvenimento….”
Era arrivata al punto in cui la frivola cameriera Agnes veniva trovata morta nello sgabuzzino, quando squillò il telefono. Seccata, come sempre quando qualcuno osava interrompere la sua lettura (in particolare, la lettura serale), rispose bruscamente.
–Pronto?
–Faith! Sei ancora sveglia, meno male!
–Abby? E’ successo qualcosa?- domandò la Irving, mettendosi a sedere, allarmata: l’ultima volta che Abigail le aveva telefonato a quell’ora il padre di Ben aveva avuto un infarto. 
–Rilassati, F, la mia è una telefonata di piacere- le assicurò Abigail con un risolino poco convincente. Faith non potè vederla torcere tra le dita il filo della cornetta, ma potè benissimo avvertire il suo nervosismo.
–Sicura che è tutto a posto? Sembri piuttosto in ansia- osservò.
–Sì, sì, è tutto ok. Voglio chiederti scusa per aver cercato di renderti felice contro la tua volontà- sciorinò Abigail tutto d’un fiato.
–Scuse accettate- esalò Faith. –Anche se fanno cagare. Ti ha costretto Ben a farmele?
–Vuoi la verità vera?
–Esiste forse la verità falsa? 
–Mi ha costretta Ben- ammise Abigail senza imbarazzo o rimorso. –Ma è un dettaglio trascurabile. L’importante è che… Roger mi ha chiesto di te!
–Chi?
–Roger! Quel così bravo ragazzo col conto in banca a sette zeri che era seduto vicino a te stasera!- trillò Abigail, eccitata come se avesse vinto alla lotteria. 
–Un tipo davvero memorabile… non me ne ricordo affatto!- replicò Faith.
–Tanto lo rivedrai da Brian. Mi ha telefonato per ringraziarmi e mi ha chiesto di intercedere per farsi invitare al party, e Brian ha accettato! Scusa ancora per l’ora, ma non ho resistito: dovevo informarti|
–Brian cosa? Non posso crederci!- piagnucolò Faith. –Non voglio crederci!
–Sì, beh, all’inizio non lo voleva, mi ha rifilato le solite scuse, sai, “spiacente, è solo per parenti e amici stretti”, “casa mia non può ospitare più di un determinato numero di persone”, eccetera, ma alla fine l’ho spuntata!- squittì compiaciuta Abigail.
–A me del conto in banca di questo tizio non frega niente. Non puoi appiopparmelo solo perché è ricco! E’ simpatico, almeno?- sbuffò Faith.
–Non saprei- rispose l’amica. –A tavola non ha quasi aperto bocca!
–Non apre bocca e ha il nome di un coniglio animato con le braghe rosse… Ab, li trovi per caso certi fenomeni da baraccone, o ti impegni?- sibilò l’altra in tono scocciato.
–Sono sicura che, conoscendovi meglio, nascerà qualcosa. Ne sono talmente convinta da aver scommesso con Brian che lascerai la festa insieme a Roger, e tu non vuoi che la tua migliore amica da dodici, ripeto dodici anni perda cento sterline, non è vero?
Faith, sebbene fremesse di rabbia, non si stupì che l’amica avesse osato scommettere su di lei: dei tanti luoghi comuni sugli inglesi, la passione viscerale per le scommesse era uno dei pochi ancora veri. Stava per ribattere di aver appena scommesso che lei avrebbe perso quella scommessa, quando un verso inequivocabile attirò l’attenzione di Abigail, che le chiese –Vivi sopra una squadra di canottaggio in allenamento, per caso?
–No. Sono i Beckham dei poveri- esalò Faith, consapevole che, tra la sua inopportuna amica e i rumorosi inquilini del piano di sopra, il suo momento di pace era sfumato.
I suddetti Beckham, come è facile intuire, non si chiamavano davvero Beckham, bensì Crowley; il nomignolo derivava dal fatto che lui, un bell’uomo, ma con più tatuaggi che buon senso, si chiamava David e lei, un’anemica brunetta piatta come un asse da stiro, Victoria. La coppia occupava l’appartamento direttamente sopra quello dove abitava Faith, ed erano fin troppo vistosi: quando litigavano le urla e il rumore degli oggetti che si infrangevano contro le pareti arrivavano fino a Manchester, e quando facevano pace Faith provava la sgradevole sensazione di assistere ad una puntata di ‘Genital Hospital’ senza video.
–Santo cielo! Non hanno un minimo di pudore!- sbottò Abigail, scandalizzata.
–A quanto pare no. E’ così quasi ogni sera e non c’è verso di silenziarli. La notte prima di Pediatria, incazzata nera, misi su un porno a tutto volume per farli smettere; devo averli traumatizzati, perché smisero… per due giorni. Non so se lo fanno per esibizionismo o perché hanno qualcosa che non va nel cervello.
–Tutte e due, probabilmente- sentenziò Abigail, condannando mentalmente la focosa coppietta. –Cerca di dormire, F, domani ti attende una giornata faticosa. 
–Vero. Weil mi ha…
–Chi se ne importa di Weil e delle cose disgustose che ti obbliga a fare, parlavo del party! Devi cominciare a pensare al tuo costume, non vorrai deludere Roger!
–Abby…
–Sexy. Oh, sì. Non troppo appariscente, ma maliziosamente provocante. Buonanotte!
Faith, sospirando stancamente, infilò nelle orecchie gli auricolari, nella speranza che i Metallica bastassero a coprire il rumore delle attività dei Beckham dei poveri, e si rannicchiò in posizione fetale.
–Cosa ho fatto di male per meritare questo?- guaì, cercando conforto in Agatha. –Abby deve capire una volta per tutte che non voglio un Roger qualunque, uno squallido rimpiazzo, voglio un uomo con la U maiuscola. In altre parole, "quello giusto". Sarò certa di averlo trovato quando smetterò di fare paragoni con Cyril. Non pretendo sia l'amore eterno cantato da poesie e romanzi, mi basta un degno compagno di viaggio per un tratto più o meno lungo del cammino della vita.
Sbadigliò, spense la luce e, finalmente, scivolò tra le braccia di Morfeo.

Nota autrice:
Bridget è un tantino folle, ma anche Abby non scherza! Tanta, tantissima stima per suo marito. C'è da dire, in sua difesa, che agisce in buona fede e che Faith non le rende la vita facile. Perchè non la accontenta e si sistema? XD 
Scherzi a parte, Brian non ama perdere, e giocherà un inaspettato asso nella manica per impedire alla cognata di spingere Faith verso Roger.
Infine, vi ricordo il mio profilo fb: https://www.facebook.com/francy.iann
Au revoir!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Inviti inaspettati ***


Bentrovati! In questo capitolo scoprirete finalmente cosa prova Chris, e per chi, e farete la conoscenza di un nuovo personaggio, che credo apprezzeranno molto gli appassionati di cruciverba (come me). Enjoy! ^^
 



Inviti inaspettati




Un codardo non è capace di dichiarare il proprio amore. Questa è una prerogativa del coraggioso.
Gandhi

Brian Cartridge non aveva paura di mettersi in gioco, negli affari come nella vita; per questo motivo si era deciso a dare il via alla scommessa con Abigail. Questa volta, però, c’era in palio ben più della soddisfazione di battere sua cognata: si sarebbe calato nei panni del prode cavaliere per salvare Faith dalla smania matrimonialista della moglie di suo fratello.
C’era soltanto un problema: come?
Aveva passato una settimana ad arrovellarsi, cercando invano un modo per impedire che Faith si buttasse via per l’ennesimo cretino indegno di lei, ed era sul punto di gettare la spugna.
Il continuo andirivieni stava disturbando Adam, suo cugino, che abitava con lui da sette anni. Ogni tanto sentiva la mancanza dei suoi genitori, George ed Elizabeth Cartridge, e della natia Scarborough, situata nel nord dello Yorkshire, ma la consapevolezza che a casa sua non avrebbe mai potuto godere della libertà e degli svaghi che Londra offriva, aveva reso - e rendeva tuttora - la lontananza decisamente più tollerabile.
Simili nell’aspetto, i due cugini non avrebbero potuto essere più diversi. Brian era… Brian: donnaiolo, festaiolo, lieto di apparire dare scandalo, mentre Adam era, sì, abituato, come ogni Cartridge che si rispetti, a godersi la vita e tutto ciò che un cospicuo patrimonio poteva comprare, ma con discrezione, e a una festa scatenata preferiva di gran lunga una birra al pub con gli amici o un solitario cruciverba; era un vero mago delle parole crociate, non a caso deteneva il titolo di campione nazionale ed era uno dei pochi che poteva permettersi di fare a penna il famoso e altrettanto difficile cruciverba del New York Times, che comprava appositamente.
–Se proprio devi consumare il tappeto fallo altrove, ho di meglio da fare che sentirti “sgruntare” e “snortare”!
–Zitto e studia, cugino, gli zii non ti mantengono per lagnarti di me- replicò Brian, continuando ad andare avanti e indietro per la stanza.
–Vorrei studiare, ma, sai, l’Habeas Corpus non è argomento che si possa imparare con un corvo che ti passeggia davanti- ribatté Adam, chiudendo il libro.
–Corvo sarai tu. E vigliacco- sputò Brian. –Quando ti deciderai a dire quelle tre fatidiche paroline a Monica?
Monica Hawthorne - per gli amici Nicky, per Adam (e nessun altro) Rossa - era figlia di un cugino di Axel Hawthorne, il migliore amico di Brian. Si era trasferita da Newcastle per seguire la tradizione di famiglia: frequentare la Elizabeth I e studiare Giurisprudenza. Forse perché era destino, o forse perché tra fuori sede ci si intende, aveva sin da subito legato con Adam, e i loro amici e parenti, persino l’iperprotettivo padre della ragazza, speravano segretamente che prima o poi la loro amicizia evolvesse in qualcosa di più.
–Prima i suoi fratelli, adesso tu! E’ una congiura!- sbottò Adam, sbattendo il libro sulla scrivania. –In che lingua devo dirlo per essere ascoltato? Io e la rossa siamo amici! A-M-I-C-I! Amici. Senza benefici. Amici. La adoro e tutto, ma...
–Non hai le palle di alzare il livello.
Adam si alzò di scatto, furente.
–Ho più palle di te!- ululò. –Cioè, no, ne ho due, come tutti, ma… oh, insomma, pensa ai tuoi problemi e lasciami in pace!
Soddisfatto della vittoria, Brian sorrise e cambiò argomento.
–Sai, ringrazio ogni mattina per il privilegio di non dovermi preoccupare di problemi più gravi che salvare Faith dalle trame di Abby- disse, fingendo noncuranza.
Adam, rassegnatosi ad interrompere una altrimenti produttiva sessione di studio, si risedette e sospirò –Quella donna sembra uscita da un romanzo vittoriano! Che accidenti ci trova Ben in lei.
–Per citare la tua rossa del cuore: l'amore è cieco, sordo e rincoglionito!
Adam, arrossito alla menzione della sua migliore amica, sbuffò –Provo a indovinare: Abby è ancora fissata con la malsana idea di sistemare Faith? Roba da romanzi vittoriano!
Brian scrollò le spalle e accese una sigaretta, inondando il cugino di denso fumo grigiastro. –L’idea in sé non è malvagia: se Faith si sentisse di nuovo amata potrebbe dimenticarsi definitivamente di Cyril e tornare a sorridere. Il problema è che Abby non tiene in considerazione i rispettivi gusti in fatto di uomini, e anche le differenze caratteriali: lei è la classica mogliettina devota, che ama stare al centro dell’attenzione e sentirsi utile, Faith è indipendente, ha bisogno dei suoi spazi, di qualcuno che non la soffochi, che la incoraggi a fare carriera…
–Qualcuno come te?- chiese Adam, lanciando occhiate maliziose al cugino.
Brian lo freddò con una raggelante occhiata di rimprovero.
–A differenza di te e Monica, che siete due testardi incapaci di farla finita con la commedia dei “migliori amici”, tra me e Faith esiste un vero e duraturo rapporto di amicizia: io non voglio il fastidio di una donna fissa e, oramai, la vedo come una sorella, lei, dopo essermi fatto perdonare per averle spezzato il cuore, mi vede come un fratello… l’incesto è illegale…
–Non capisco: se sei d’accordo con Abby, perché vuoi ostacolarla?
–Si è messa in testa di sistemare Faith con quel beota di Roger Bingham- ringhiò Brian. –Non lo conosci, ma posso assicurarti che coppia peggio assortita non potrebbe esistere.
–La soluzione è semplice e ovvia: offrile un’alternativa.
Brian guardò Adam come se lo vedesse per la prima volta, e si fiondò ad abbracciarlo e baciarlo.
–Cugino, sei un genio!
Adam si battè una mano sulla fronte ed esclamò, precipitandosi a recuperare il cruciverba –Genio! Quindici verticale! “Risiede nella lampada”! Grazi, Brian!

 
***

Franz non avrebbe mai smesso si stupirsi dell’effetto che una divisa aveva sulle persone. Quando era entrato in abiti civili non l’avevano calcolato, ma quando si era recato al bar in camice era stato letteralmente sommerso da cenni di saluto e riverenti “buongiorno, dottore”.
–Adoro gonfiare il mio ego già di prima mattina- sospirò tra un morso e l’altro di Mars annegato nel cappuccino. Non gli piaceva il caffè, lo tollerava solo e soltanto mescolato al latte. Tanto latte.
–Salute, Husky- sbadigliò Robert, prendendo posto di fronte a lui. Il sorriso smagliante fece intuire a Franz che avrebbe visitato pazienti giovani e carine. –Ti vedo pensieroso. Qualcosa non va?
–Stavo pensando al tuo lavoro- rispose lui, inespressivo. –Molti te lo invidiano, io lo trovo spoetizzante.
–Vuoi scherzare?- esclamò Robert, oltraggiato. –Cosa c’è di più poetico della… ehm, diciamo delle ‘parti anatomiche di mia competenza’?
–Sono il motivo per cui il tuo lavoro è spoetizzante. Sei abituato a vedere… certe cose, e l’abitudine soffoca sia i rimorsi che i piaceri- asserì Franz.
–Ti assicuro che non è il mio caso- ribatté Robert.
–Salute a voi, giovani!- trillò Harry, accomodandosi su una sedia.
Tanta allegria irritò profondamente Franz: prima che la caffeina facesse effetto aveva la vivacità di un orso in letargo.
–Salute, Harry. Come mai così allegro di prima mattina?
–Ho deciso di seguire un ottimo consiglio di mia sorella: godere delle piccole cose. Una giornata di sole, un’abbondante colazione, un nuovo taglio di capelli… un nuovo paio di occhiali- rispose, sfilandoseli per mostrarli agli amici. –Che ne dite?
–Era ora che ti liberassi di quel terribile taglio da scolaretto e dei tuoi orrendi occhialetti alla John Lennon- commentò Robert. –Adesso sì che riuscirai a rimorchiare!
–Cosa c’entrano capelli e occhiali col rimorchio?
–Amico mio, se fossi donna usciresti con la versione trentenne di Harry Potter?
–Io non somiglio a Harry Potter!- protestò Harry James.
–Adesso no. Prima sì.
In cerca di conforto, Harry si voltò verso Franz, assorto nell’esaminare gli occhiali con occhio critico: lenti rettangolari su una montatura semplice, senza fronzoli, un po’ futurista nei colori e nei materiali, palesemente costosa. Storse il naso: valeva davvero la pena dissanguarsi per un paio di occhiali?
–Belli- asserì inespressivo. –Molto… da radiologo. In senso buono, naturalmente. Ti saranno costati un occhio della testa!
–Un occhio no, ma una retina sì!- ridacchiò Harry, sollevato, inforcò nuovamente gli occhiali e salutò Christopher, che prese una sedia dal tavolo accanto e vi si accasciò sopra.
–Ragazzi, che nottata! Non la augurerei al mio peggior nemico! Il coglione che smontava ha dimenticato di passarmi le consegne, così ho dovuto improvvisare, poi, come da copione, tre pazienti si sono sentiti male contemporaneamente, uno ha rischiato di andarsene, i cateteri non si trovavano, l’infermiera si ostinava a portarmi due siringhe da cinque al posto di una da dieci… un delirio!
–Hai sperimentato in prima persona il cosiddetto ‘night shift effect’- asserì Harry. –Di notte, o nei week-end, cioè quando, per la legge di Murphy, è più probabile che la gente stia male, mettono di turno i più giovani e meno esperti. Risultato? La mortalità aumenta rispetto agli altri giorni della settimana, e rispetto ai turni diurni.
–Sì, beh, fortunatamente non ho ucciso nessuno, stanotte- ribatté Chris con sussiego: quando si trattava di lavoro diveniva incredibilmente serio e professionale.
–Allora perché quella faccia?- domandò Robert.
–Devo dirvi una cosa- mormorò Chris. –Faith mi ha dato la forza di sputare il rospo.
–Ma davvero?- sibilò Franz, imbronciandosi all’istante.
Robert gli mollò un calcio sotto il tavolo ed esortò Christopher a confidarsi con loro, i suoi migliori amici.
–Io… credo di essermi innamorato.
La notizia scatenò negli altri tre la medesima reazione: massimo stupore.
–Tu… cosa?- esalarono in coro Robert e Franz.
–Ne sei sicuro?- chiese Harry. –Perché non è amore svegliarsi una mattina e…
–E’ da un po’ che mi sento così, solo… mi vergognavo ad ammetterlo. Faith, però, mi ha fatto capire che non è un crimine provare… certe cose- lo interruppe Chris. –I sintomi ci sono tutti: calo dell’attenzione, pensieri monotematici, nessuna voglia di uscire con altre donne, palpitazioni, strani movimenti intestinali…
–Sicuro che è amore, Chrissino?- sibilò perfidamente Weil. –A me sembra più dissenteria.
Christopher gli lanciò in faccia il caffè bollente e se ne andò, seguito da Harry e Robert, quest’ultimo dopo aver ringhiato contro Weil –Stavolta hai esagerato!-.
–Giornata storta?- chiese una voce nota.
Franz si asciugò alla meglio, si voltò e rispose –Se il buongiorno si vede dal mattino…
–Posso sedermi, o è un brutto momento?
–Prego- disse Franz, scostando una sedia. Attese che il suo interlocutore si fosse seduto, prima di domandargli –Qual buon vento porta Brian Cartridge in ospedale a quest’ora? Non ti svegli a mezzogiorno dopo una notte di fuoco con la strafiga di turno, come è scritto sui giornali?
–Adoro le panzane che scribacchiano i giornalisti, conservo gli articoli per tirarmi su di morale nei momenti tristi!- replicò Brian.
–Ma certo: in realtà la sera vai a letto alle nove e porti la cintura di castità!
–Non esageriamo! Dico soltanto che non sono il demonio che mi si dipinge.
–Ripeto: qual buon vento ti porta qui? Hai deciso di darti alla filantropia? Se vuoi fare una donazione, gli uffici amministrativi sono nell’ala C, terzo piano- sibilò Franz.
–A dire il vero.. volevo parlare con te- rispose Brian senza imbarazzo. –Hai impegni per Halloween?
Franz stava per replicare che odiava Halloween con tutta l’anima, quando gli venne in mente una replica più sarcastica e meno acida.
–Cartridge, cosa sono queste proposte? Devo forse pensare che ‘The Mirror’ ci ha azzeccato, il mese scorso?
Brian avvampò al ricordo dell’articolo infamante che insinuava avesse una relazione con un modello.
–Il mio è un invito amichevole- esalò, rigirandosi tra le mani la busta contenente l’invito. –Spero vorrai venire. Sarà una festa informale, l’unica regola è…
–Niente regole?- scherzò Franz.
–No. Presentarsi in costume- lo corresse Brian con un sorrisetto perfido.
–Che cosa? Non se ne parla! Io non mi travesto!- si impuntò Franz, sbattendo un piede per terra.
–Invece lo farai. Sono riuscito a piegare Faith, persuadere te…
–Ci sarà anche la Irv… Faith?
–Ovviamente. Non si perderebbe mai una mia festa- rispose Brian con evidente compiacimento.
Franz socchiuse gli occhi, inspirò profondamente, quindi afferrò l’invito ringhiando –Dai qua!

 
***

Quando Robert udì bussare alla porta dell’ambulatorio trattenne a stento un urlo: credeva di aver finito, e non vedeva l’ora di correre al bar a fare il pieno. Da quando aveva detto addio alle sigarette aveva un costante buco allo stomaco, che tappava con caffè e snack ipocalorici.
Chi aveva bussato entrò senza invito, ma lui non se ne sorprese: si trattava di Imogen, la caposala, donna dalla zelante professionalità e integerrima moralità, che dirigeva il reparto col pugno di ferro. Il dottor Harvey era il primario, di nome, ma di fatto l’autorità era Imogen.
–Dottor Patterson, una donna ha chiesto di lei- sbuffò, fissandolo severa con i suoi occhietti scuri.
Robert si era chiesto spesso cosa avesse indotto quella donna a odiarlo: Imogen, non sapeva bene per quale ragione, era convinta fosse un libertino della peggior specie, e che approfittasse delle pazienti. Più di una volta Robert era stato costretto a ricorrere alle urla e al minaccioso “chi è il medico, qui?” per metterla a tacere. Era consapevole del fatto che le false dicerie rovinavano la reputazione più della verità, per questo non sopportava che si sparlasse di lui: non era un casto monachello, ma mai e poi mai avrebbe abusato del suo ruolo. Peccato che Imogen fosse ostinatamente arroccata nelle sue ferree opinioni.
–L’ambulatorio è chiuso, se non è urgente dille di ripassare domani- rispose. Aveva spento il colposcopio e riposto gli specula, non aveva voglia di rimettersi all’opera.
–Sicuro? Non preferisce che la mandi… nel suo studio?- ribatté Imogen, inarcando le sopracciglia in un’espressione di puro disprezzo.
–Se lo avessi, forse sì- rispose Robert, pensando che, un giorno, avrebbe avuto anche lui uno studio, magari quello del dottor Harvey. Il suo primo provvedimento da primario sarebbe stato una caldissima raccomandazione per il pre-pensionamento di Imogen, oh sì.
–Non sono nata ieri, dottor Patterson. Crede non sappia cosa fa a quelle poverette, a porte chiuse?
Con la rabbia che gli ribolliva dentro come la lava di un vulcano, Robert si alzò di scatto e ruggì –Ora basta! Esigo rispetto! Non ho mai, mai alzato un dito sulle pazienti, se non per ragioni professionali, e se…- avrebbe voluto minacciarla di farle causa, ma si bloccò: aveva avuto un’idea migliore. –Porti qui la paziente, la visiterò davanti a lei, così forse la finirà di calunniarmi.
Imogen tirò in su il naso e andò a recuperare la paziente. Robert, scocciato, accese l’ecografo, prese una confezione di gel e infilò i guanti.
Il rumore della porta che si chiudeva lo portò a voltarsi, e rimase di stucco non appena riconobbe la giovane donna che gli sorrideva dietro l’imponente figura di Imogen.
–Connie!- esalò. –Sei…. sei proprio tu?
–In carne e ossa, cugino. Un po’ più ossa e meno carne, grazie al “palloncino”- rispose lei, superando l’altra per abbracciarlo. –Ti avevo avvisato del mio arrivo.
–Chiamalo avviso!- sbottò Robert. –“Robi caro, torno a casa! Il Big Ben è ancora lì?”
–Tre anni di convivenza con Leonie lasciano il segno- replicò Connie con un sorriso, giocherellando con una ciocca dello stesso biondo del cugino. Le loro madri erano sorelle, e i due erano cresciuti insieme: forse a causa della minore differenza d’età, Connie era più legata a Robert che a sua sorella Leonie.
–Non posso crederci!- esclamò, togliendosi i guanti. –Zia Lindsay mi ha detto che sei una scrittrice pubblicata, ora. Voglio sapere tutto!
–Davanti a un’abbondante porzione di cibo cinese? Offro io!- rispose la ragazza.
–Non so come ti hanno abituata in America, cugina, ma qui in Inghilterra esiste ancora la galanteria. Offrirò io- obiettò Robert. –Se proprio vorrai sdebitarti, mi manderai una copia omaggio della tua opera prima.

 
***

Faith stava maledicendo Weil in tutte le lingue conosciute e non, battendo sulla tastiera del computer con violenza, immaginando che ogni tasto premuto fosse una dolorosa scossa elettrica provocata al tanto odiato tutor. Non soltanto era piombato in laboratorio all’ora di colazione con una faccia da funerale e l’aveva sommersa di lavoro con la scusa che gli doleva il polso (“Lo so io perché gli fa male il polso! Maiale!”, aveva pensato Faith), le aveva fatto anche perdere l’opportunità di partecipare al congresso a Blackpool: avrebbe presenziato Rajiv al suo posto. Pur essendo sinceramente felice per il collega e amico indiano, non poteva non provare una punta di amarezza al pensiero che, se non fosse stato per quel tedesco della malora, sarebbe toccato a lei andarci.
–Fico, questo posto, sembra il covo di Frankenstein!- esclamò qualcuno alle sue spalle, facendole rischiare di cancellare il referto.
–Chris! Sei impazzito? Non puoi piombare qua dentro come niente fosse, c’è gente che sta lavorando!- lo redarguì Faith.
–Husky mi ha detto che ti avrei trovata qui. Quanti campioni ti ha obbligata ad analizzare, per la Giornata della Prevenzione?
–Cinquanta- sospirò stancamente Faith. –“Dato che sei una donna, Irving, ho pensato fossi la più adatta ad occuparti al posto mio di poche decine di Pap Test. Spero vivamente li finisca prima di Natale”- aggiunse, in una crudele quanto accurata imitazione del collega.
–E, uhm, sei a buon punto?- domandò Chris, titubante. –Avrei bisogno di parlarti.
–Sono arrivata al punto in cui nulla potrebbe rendermi felice, se non acchiappare Weil e ficcargli i vetrini su per il… meglio che respiri un po’ d’aria fresca.
–Sì, forse è meglio- mormorò Chris, impaurito dallo scintillio omicida che lampeggiava negli occhi di Faith.
Una volta all’aperto, Faith, col volto semi-coperto dalla sciarpa, chiese a Chris in che modo potesse aiutarlo.
–Non puoi fare niente- rispose lui. –Ho capito che i miei migliori amici sono delle merde.
“Ce ne hai messo di tempo!”, pensò Faith.
–Si sono messi a ridere, non è vero? Lo sapevo! Quando si parla di argomenti più profondi del vincitore della Champions League voi maschi vi trasformate in caproni decerebrati!
–Grazie, eh!
–Naturalmente non mi riferivo a te, Christopher. Oh, mi dispiace tanto!- gnaulò.
–A me no. Mi hanno fatto capire che devo fare quello che devo fare per me, tanto qualcuno che riderà lo troverò sempre- asserì lui con convinzione. –E tu sarai al mio fianco, perché sei fantastica e…
–Aspetta un attimo- lo bloccò Faith. –Christopher, sei, uhm, fantastico anche tu, ma… ecco… io… tu… noi… siamo amici. Punto.
–Grandioso! Non devo sentirmi in colpa per aver ferito i tuoi sentimenti e tutta quella roba lì!- esclamò Chris, sollevato.
–I miei no. I tuoi, piuttosto!
–Non capisco.
–Non hai una cotta per me?
Chris scoppiò a ridere.
–Per te? Dio, no! Non sei il mio tipo- rispose, asciugandosi le lacrime. –Erin è la donna dei miei sogni!
Faith, scioccata, si portò le mani sotto il mento per impedire che le si lussasse la mandibola. Esterrefatta, esalò –Erin? Hai messo su questo gran casino per… Erin?
–Erin è bellissima, solare, intelligente e ama la birra d’abete e il cibo spazzatura. Certo, è una psichiatra- sputò storcendo il naso. –Ma non si può avere la perfezione in questo mondo, giusto? A conti fatti, ne vale la pena.
–Non se te ne stai qui a cianciare con me, invece di chiederle di uscire!- sbottò Faith. Dopo innumerevoli e altrettanto penosi tentativi di far scoccare la scintilla tra Robert e Maggie aveva gettato la spugna, e la sconfitta le bruciava ancora. Stavolta non avrebbe fallito. Controllò l’ora e disse –Hanno finito il giro delle visite, se ci sbrighiamo dovremmo beccarla prima che inizino i colloqui!
Arpionò Chris per un braccio e lo trascinò di corsa all’Ala A, per la precisione al terzo piano, dove si trovava il reparto psichiatrico.
–Questo posto mette i brividi, non sei d’accordo?- pigolò Faith. Si sentiva a disagio in quel reparto: porte chiuse a chiave, pareti di un verde orrendo e sbarre alle finestre davano la sensazione di essere in un carcere, piuttosto che in un ospedale.
–A me… mette piuttosto… affanno- ansimò Chris. –Cazzo, non ho più il fisico per queste cose!
–Non hai il fisico per tre piani di scale? La palestra ti fa bene, vedo!- lo rimbeccò Faith.
–Tre piani di scale di corsa- le fece notare Chris. –Non lo sai che chi va piano, va sano e va lontano? Me lo diceva sempre mia nonna.
–La mia, invece, diceva che in amore chi va piano non va da nessuna parte- ribatté Faith, prima di bussare alla porta.
Aprì un corpulento e accigliato infermiere, cui Faith sorrise e chiese –Dov’è la dottoressa Campbell?
–E’ impegnata con i colloqui. Ripassate tra mezz’ora.
–Non ho chiesto se fosse impegnata, ho chiesto dove fosse- replicò Faith, risoluta, afferrò il braccio di Chris e lo spinse fino alla stanza dei colloqui.
Entrarono senza bussare, sconvolgendo Erin, la collega che la affiancava e il paziente, un mite vecchietto dall’aria mesta.
–Come vi permettete di irrompere qui dentro senza bussare? Vergognatevi! Mr. Bones necessita di calma, non di due medici con qualche rotella fuori posto che turbano la sua tranquillità!- sbraitò una donnetta mingherlina con due vistosi orecchini multicolore.
Faith osservò Erin, che stava guardando attonita Chris, emise uno sbuffo scocciato e rispose a tono –Con tutto il rispetto, dottoressa, Mr. Bones sarà depresso, ipomaniacale, panicoso, schizoide o quel che è pure domani, lui, invece, non può più aspettare.
“E che Ippocrate e Paracelso gliela mandino buona!”
Diede di gomito a Chris, che esclamò –Ahio, Faith! E che ca… ah, giusto. Erin, una di queste sere… se ti va, naturalmente… vorresti…
–Era ora che ti decidessi!- rispose lei, raggiante. –Ti piacciono i tacos?
–Evvai! Così si fa, ragazzi!- trillò Faith, esibendosi in una ridicola danza della vittoria. –Ora, Christopher… ti sei calmato, o devo farti somministrare un ansiolitico?

 
***

Franz si sentiva come su una nuvola: aveva parlato al telefono con Samara, che gli era sembrata carina e disponibile (in tutti i sensi), e aveva rianimato le sue speranze di un appuntamento degno di questo nome, aveva discusso con la Irving, aveva fatto pace con Chris, aveva nuovamente discusso con la Irving, aveva conosciuto la cuginetta tutto pepe di Robert, aveva pranzato ed infine… aveva discusso una terza volta con la Irving.
La verità: si divertiva da morire. Faith metteva il cuore in qualsiasi cosa facesse, compreso bisticciare con lui. Aveva deciso, dopo una lunga riflessione, di non rivelarle che avrebbe preso parte alla festa di Halloween a casa di Brian, in modo da godersi l’espressione sconvolta e infastidita che sarebbe sicuramente comparsa sul suo viso. Aveva accettato l’invito allo scopo di irritarla e, perché no, conoscerla meglio: sospettava che la Faith con cui aveva a che fare in ospedale fosse diversa dalla Faith di tutti i giorni, desiderava scoprire quanto. Inoltre avrebbe conosciuto i suoi amici, ed era sua abitudine giudicare le persone in base alle loro amicizie, perché gli amici, a differenza dei parenti, si scelgono.
–Dimmi con chi vai d’accordo e ti dirò chi sei- ridacchiò, mentre riponeva il camice nell’armadietto.
Quando salì nell’atrio, vide che c’era qualcuno ad aspettarlo.
–Xandi! Cosa ci fai qui? L’appuntamento era sotto casa mia!- sbottò.
–Lo so- rispose l’altro, stringendolo in un abbraccio soffocante. –Sono imperdonabile, fratellino, ma non ho potuto resistere alla tentazione di vedere con i miei occhi dove lavori.
–Da quando ti interessa il mio noioso lavoro?- lo rimbeccò Franz con voce strozzata: gli abbracci dei Weil erano letali.
–Uff! E va bene, lo ammetto: me ne frego altamente del tuo barboso lavoro- replicò Xandi, scompigliandogli affettuosamente i capelli. –Sono qui per lei.
–Lei chi?
–Di chi ti sei lamentato ininterrottamente e accoratamente mentre facevamo parapendio, mentre facevamo bunjee jumping alla diga di Norwood e la settimana scorsa a cena da mamma?
Franz scorse Faith poco distante, assorbita dalla conversazione con Diane ed Evangeline. Atterrito, riportò subito lo sguardo su suo fratello: per qualche inconscio motivo, non voleva che Alexander la incontrasse.
“Accidenti a me e alla mia lingua lunga! Che gli dico, adesso?”
–Spiacente di deluderti, lei non c’è- mentì.
–Non ci credo.
–Xandi, facciamo dei turni, non siamo a disposizione dei pazienti tutto il santo giorno. Non è di turno, ergo non c’è.
Alexander si imbronciò, strappando un sorriso a Franz: quel broncio da bambino dispettoso era irresistibile.
–Non potresti chiamarla e chiederle di venire lo stesso? Per me!
–No. Primo: credo abbia una vita fuori dall’ospedale, e non voglio averci a che fare; secondo: non ti perdi granchè.
–Davvero?
–Davvero. Non è, per citare le tue parole, “pane per i miei denti”, non mastico nanerottole più larghe che alte e con i baffi!- disse, sperando che Alexander se la bevesse.
–E’ bassa, grassa e con i baffi?- esalò. Se l’era bevuta. –Oh, santo cielo: un tricheco umano!
–Precisamente- confermò Franz, annuendo distrattamente: Faith si era chinata a raccogliere un foglio, e, senza il camice a coprirla, lo spacco posteriore della gonna gli offriva un’ampia visuale delle sue gambe, tornite, non troppo muscolose, ben proporzionate al resto del corpo.
–Franz, fratellino, mi stai ascoltando?
–Eh? Uh? Oh, ehm, sì, certo che ti ascolto. Vogliamo andare?
 
***
 
–Faith, piantala di consumarlo con gli occhi- la rimproverò Diane, facendole tingere le guance di rosso e perdere la presa su alcuni documenti, che erano finiti sul pavimento.
Si chinò a raccoglierli, vergognandosi di aver fissato tanto palesemente Weil. Non era riuscita a resistere: era incuriosita dallo sconosciuto con cui stava parlando, e incantata dal modo in cui i jeans gli fasciavano il… posto in cui, quella stessa mattina, avrebbe voluto infilare i vetrini.
“Sono una schifosa maniaca!”
–Infatti- rincarò la dose Evangeline. –Con tutti i problemi che hai, ti manca solo la storia con un uomo sposato!
“Sposato? Weil non è… oh, merda: credono stessi fissando quel biondo! Ma come si può?”
–Ho due occhi funzionanti, avevo notato la fede- ribatté con sussiego, non appena ebbe elaborato una risposta decente, quindi diede voce a un’idea che le era balenata nella mente vedendo quei due tanto in confidenza. –Li osservavo per capire se Jeff potesse aver ragione o meno.
–Jeff? La primadonna nel corpo di un uomo? Quando mai ha ragione, quello lì?
–Appunto. Vedendo Weil e quel tizio così… intimi…. sto cominciando a pensare che Jeff abbia torto e che…
–Che?- domandarono in coro Diane ed Evangeline, affamate di gossip.
–Che Weil sia gay!

Nota autrice:
Innanzitutto grazie a chi legge le note finali, a chi ha letto il capitolo, a Bijouttina, elev e soulscript, che hanno recensito, a Faith00 (uno username, una garanzia J), che ha recensito e segue la storia, e a Toffee, che pure segue DIMD.
Piccole precisazioni: James, il padre di Brian, e George, padre di Adam, sono fratelli, quindi i due sono cugini di primo grado.
Robert è un ginecologo (colposcopio e speculum sono strumenti ginecologi), quindi è facile intuire quali sono le “parti anatomiche di sua competenza” XD.
Non ho niente contro gli psichiatri, il commento di Chris non mi appartiene.
Il Pap Test esiste davvero, è un esame che si fa per cercare eventuali anomalie delle cellule del collo dell’utero, e il reparto psichiatrico del Queen Victoria Hospital è realistico, ispirato a quello dove ho fatto tirocinio.
Detto questo… gioite, amanti della Chris/Erin, e disperatevi, amanti della Chris/Faith. La cara, fresca, dolce Irving questa volta ha fatto centro!
Non stupitevi dell’invito inaspettato (e apparentemente immotivato) di Brian, e non piangete per Faith: quando meno se lo aspetta parteciperà a un congresso… con una certa persona. ;-)
Au revoir!
Serpentina
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Quattro personaggi in cerca di un costume ***


Aloha! Anche se in ritardo, auguri a tutte le donne con la D maiuscola (tanto per non discriminare nessuno XD) e condoglianze ai poveri alberi di mimosa (non so come si chiamano… mimosi, forse?): un minuto di silenzio per i vegetali innocenti sacrificati alla vanità femminile, please.
Non passerà capitolo senza che ringrazi i sempre più numerosi lettori, e Bijouttina ed elev, che non mancano mai di recensire, e, last but not least, andry15 ed eppy, che “preferiscono” DIMD. Enjoy! ^^
 
 



Quattro personaggi in cerca di un costume



 
Le grandi aspettative sono il preludio delle grandi delusioni.
Cecilia Dart-Thornton
 
–Faith, per carità, piantala di ingozzarti! Faith! Dimmi cosa è successo- latrò Rose Taylor in Irving, affettuosamente soprannominata dalla figlia Führer Rose. Una volta tanto, aveva ragione: la sua unica figlia le era piombata in casa senza preavviso, interrompendo la stiratura del bucato settimanale, si era diretta nella sua vecchia camera da letto, aveva afferrato un grosso tomo nero, l’aveva sfogliato senza proferire parola, sempre più accigliata, dopodiché l’aveva chiuso con violenza, aveva prelevato dal frigorifero una confezione di carote e si era accasciata sul divano. Qualunque madre, di fronte ad un comportamento del genere, si sarebbe preoccupata.
Faith sospese la masticazione il tempo necessario a biascicare –Perché deve avere sempre ragione lui?
–Lui chi?
–Lui. Mr. Sotutto. Mr. “io sono un genio e tu sei scema, io ho ragione e tu torto, tu sei solo una specializzanda imbranata e io sono il magnifico, splendido Franz Weil”!- strillò Faith con voce man mano più acuta, fino a raggiungere una tonalità da mezzosoprano.
–Oh, per l’amor del cielo, ancora lui!- esclamò, seccata, Rose. –Da quando lavori al Queen’s è diventato il tuo unico argomento di conversazione. Dev’essere proprio un bell’uomo!
–Mamma!- ululò Faith, scandalizzata. Aveva sempre avuto un rapporto di totale fiducia e sincerità con sua madre: parlavano tranquillamente di sesso, contraccezione e altri argomenti ritenuti scottanti dalla maggior parte dei genitori, ma neanche sotto tortura avrebbe mai conversato con lei dell’avvenenza di Weil. Era pur sempre sua madre!
–Cucciola, non ci sarebbe nulla di male; è passato più di un anno dalla rottura con Cyril, non vorrai portare il lutto a vita! Oltretutto, se ho ben capito, questo Whale ha solo tre o quattro anni più di te, non è un vecchio sporcaccione come Solomon.
Faith la fissò a bocca aperta, allibita: era indecisa se ridere (“Chi cavolo usa la parola sporcaccione, al giorno d’oggi?”) o scandalizzarsi per l’implicito invito di sua madre a provarci con Weil. Tra tutti gli esseri umani di sesso maschile che camminavano sulla faccia della Terra… Weil!
“I vapori del ferro da stiro devono averle dato alla testa, non c’è altra spiegazione!”
–Ehm, mami, trascuri un piccolissimo particolare: non mi interessa, né io interesso a lui.
–Che ne sai?- replicò Rose. –I modi stupidi di attaccare bottone sono pertinenza esclusiva dei maschi. Pensa che tuo padre, come pretesto per parlarmi, usò il test di Biochimica: mi…
–Accusò di aver copiato da lui. Lo so, me lo avrai ripetuto qualcosa come centomila volte- mugugnò Faith.
Invidiava profondamente l’amore che legava i suoi genitori perché era convinta che non l’avrebbe mai provato. Dopo un’attenta riflessione, infatti, era giunta alla conclusione che il suo amore per Cyril si era, col tempo, tramutato in affetto: la relazione era andata avanti per inerzia, e un matrimonio tra loro sarebbe stato infelice, perché si sarebbe resa conto troppo tardi dell’errore.
Come soleva ripeterle sua nonna Beatrice: “si chiude una porta, si apre un portone”.
–Precisamente- sospirò Mrs. Irving. –Adesso, per favore, toglimi una curiosità: cosa cercavi su quel librone impolverato?
–Niente di importante. Oggi ho discusso con Mr. Patologo Perfetto perché, secondo me, la disposizione delle lesioni in un campione che avevo analizzato era tipica di una certa malattia, ma il signorino non era d’accordo- rispose Faith, smozzicando una carota in una perfetta imitazione di Bugs Bunny. –Ho controllato sulla bibbia della neuropatologia, e indovina chi si sbagliava? Io!
–Senza offesa per il tuo acume e la tua preparazione, cucciola, ma Whale ha più esperienza di te, è normale che commetta meno errori. Tra qualche anno sarai al suo posto, a rimbeccare poveri specializzandi impauriti, che compatisco sin da ora: sotto l’apparente dolcezza si nasconde una tipa tosta!- la consolò Rose.
–Come papà- asserì orgogliosa Faith. –Tenera fuori, granitica dentro. Ah, ehm, senti… te lo dico ora, così mi levo il pensiero: ricordi il congresso del quale ti avevo accennato? Non ci vado.
Negli occhi di Rose balenò un velo di delusione, soppiantato quasi subito da curiosità mista a rabbia.
–Come mai?
–Il Grande Capo non mi reputa ancora pronta ad affrontare Charlotte e Solomon in campo aperto. Parteciperà Rajiv al mio posto. Sono felice per lui, se lo merita- pigolò a testa bassa.
–Capisco. Beh, non ha tutti i torti: la ferita deve ancora cicatrizzare, e avrai altre occasioni- disse Rose, per poi aggiungere, indicando la scatola ormai vuota –Non capisco, invece, a che scopo abbuffarti di verdura.
–Avevo bisogno di conforto- rispose Faith, si alzò e corse in bagno.
–E l’hai ottenuto facendo fuori un chilo di carote?
–No, ma ho ottenuto un mal di pancia coi fiocchi che mi distrarrà temporaneamente dai miei problemi. Questo intendo per “conforto”- ribattè Faith, vincendo la guerriglia verbale.


 
***
 
 Franz Weil non conosceva la parola “istinto”: rifletteva a lungo, prima di pronunciarsi sulla benchè minima sciocchezza, allo scopo di non avere rimpianti.
L’eccezione che conferma la regola fu l’aver accettato l’invito al party di Brian Cartridge: forse per la prima volta in vita sua aveva agito d’impulso, spinto dal desiderio di infastidire la Irving oltre l’orario di lavoro. Se n’era pentito quasi subito: considerava Halloween una stupida festa commerciale, indegna erede dell’antica celebrazione di Samhain, senza contare che detestava mascherarsi.
Aveva chiesto consiglio a suo fratello, il quale, dopo aver riso lungamente, aveva risposto –Sei un dottore, no? Mettiti un camice e fingiti Greg House!
Robert si accorse del suo malumore, e interruppe il racconto del suo ultimo, mirabolante intervento per tendergli una mano amica.
–Sei preoccupato, Husky, lo sento. Cosa c’è? Sai che con me puoi confidarti.
–Oh, sì, magari davanti a una tazza di tè mentre ci mettiamo lo smalto a vicenda! Robert, porca miseria, sei uomo o cosa?- abbaiò Franz.
–Ancora questa stronzata anacronistica dell’ uomo che deve negare i propri sentimenti! Voglio aiutarti.
–Vuoi aiutarmi?- sbuffò Franz. –Dammi un'idea decente per un costume di Halloween!
–Husky, la festa dei miei non è in costume- rispose Robert. –L'avrei voluta con tutti mascherati, ma mia madre ha rotto le scatole dicendo che, data l'età media degli invitati, quasi tutti loro amici con famiglia, sarebbe stato inappropriato- ci pensò su e aggiunse –Effettivamente non ce la vedo la Eriksson travestita da fatina.... è più Jessica Rabbit!
–Il solito idiota!- ribattè Franz, dandogli un pugno alla spalla. –Comunque, scherzi a parte, Brian Cartridge… te lo ricordi, no? Era con te al liceo, se non erro- Robert annuì. –Mi ha invitato alla sua festa di Halloween, e ha tanto insistito, mi sembra brutto non farci un salto... dopo aver reso onore al party dei tuoi genitori, ovviamente.
–Ecco, bravo, altrimenti ti scuoio vivo- lo minacciò Robert. –Aveva invitato anche me, ma ho rifiutato, a differenza tua non posso mollare la festa che hanno organizzato i miei, ti pare?
–Già. Tornando al nocciolo del problema: Brian pretende che mi presenti in costume, e non ho idee...
Robert, messa su un'espressione seria e pensosa, gli girò intorno, esaminandolo come fosse una statua da museo, si grattò il mento, infine decretò –Classico, non troppo sgargiante. Niente Batman o Robin, per intenderci....
–Lo credo bene: morirei, piuttosto che mostrarmi in pubblico in calzamaglia!- sbuffò Franz.
–Houdini potrebbe andare, lo smoking ti dona.
–Ho lasciato il mio unico smoking a Berlino, e poi non voglio sembrare un pinguino- obiettò Franz.
–Allora opta per un personaggio famoso dalle movenze caratteristiche, nei cui panni ti sentiresti a tuo agio, che non ha un abbigliamento appariscente o un'anatomia particolare, ricordo bene la tua avversione per nasi e orecchie posticci!- sciorinò Robert.
–Quindi?
–Ti ho dato una consulenza stilistica di alto livello, che vuoi di più dalla vita? Ho ristretto, e parecchio, il campo, ma non posso sostituirmi a te, amico, sei tu che dovrai tenere addosso il costume tutta la sera!
–Grazie per l’aiuto prezioso- sibilò Francis con sarcasmo. –Torno nei sotterranei, non vorrei che mi dessero per disperso- e, detto questo, fece ritorno in laboratorio, scocciato: doveva assolutamente farsi venire un’idea!
 
***
 
Anche altri faticavano a trovare spunti per il proprio travestimento: Ben e Abigail Cartridge, ad esempio. A rendere la loro ricerca maggiormente difficoltosa era l'ordine tassativo di Abigail di trovare costumi coordinati.
Ben, convinto di avere la soluzione giusta, irruppe in salotto, dove Abigail stava discutendo animatamente con Adam, cugino di Ben, e la di lui amica Monica riguardo a cibarie e  decorazioni.
–Ehm... Scusate- pigolò Ben, imbarazzato.
–Non scusarti, anche io apro sempre la porta della mia stanza con un calcio, serve a rafforzare le ossa- asserì la rossa.
Adam, alla sua sinistra, alzò gli occhi al cielo, pensando: "E’ matta da legare, ma pur sempre la mia migliore amica!"
Prima che Ben potesse replicare a quella bizzarra affermazione, Adam gli chiese –Allora, cugino, chi sarai durante la magica notte di Samhain, per i profani Halloween?
–Ehm... ecco... non abbiamo ancora deciso. Abby vorrebbe costumi coordinati, ma finora ha bocciato tutte le mie proposte- rispose Ben scoccando un'occhiata risentita alla moglie.
Abigail sbuffò e replicò con sussiego –Mica è colpa mia se facevano tutte schifo! Non è male, invece, il suggerimento che mi ha dato Monica poco fa: Jack e Sally!
–Non si chiamano Harry e Sally?- domandò Ben, perplesso.
–La tua ignoranza, alle volte, è abissale- lo rimproverò Abigail. –E' lampante che sto parlando di Jack Skeletron e Sally!
–Che cosa?- protestò Ben. Tutto, ma non ‘Nightmare before Christmas! –Vorresti conciare me da ammasso di ossa e te da bambola coperta di stracci? Scordatelo!
Sentendo puzza di lite Adam e Monica decisero di lasciare soli moglie e marito. Furono però bloccati da una domanda indiscreta di Abigail –Adam, porterai Marie con te, vero? Non vediamo l’ora di conoscerla!
–Veramente... ci siamo lasciati- rispose lui, al che la rossa gli si gettò addosso con la consueta grazia elefantina ed esclamò –Tranquilla, Abby, ci penso io a farlo divertire!
Sgranando gli occhi al pensiero dei doppi e tripli sensi di quell'affermazione, Abigail rispose con un cenno della testa e uno della mano per salutare Monica e Adam mentre lasciavano casa Cartridge.
Una volta soli Ben, schiaritosi la voce, disse –Abby, sei la mia regina tutti i giorni...
–Oh, Ben, come sei dolce!- trillò lei, per poi baciarlo.
Lui si staccò e concluse la frase –Vorrei fossi una regina a tutti gli effetti, per una sera... vorresti essere la mia Marie Antoinette, cherie?
Prima che Abigail potesse dargli una risposta, tuttavia, entrò in salotto Nan, la quale, con in braccio una contrariata Kaori, esalò –Signora, sono finiti i biscotti che piacciono alla bambina ed è tardi per comprare gli ingredienti e farne degli altri, cosa le do?
Abigail la fissò per qualche secondo, trattenendo un sorriso, rispose –Che mangi le brioches!- si alzò tutta impettita e se ne andò, lasciando il marito soddisfatto e Nan preoccupata per la salute mentale della sua datrice di lavoro.
–Tranquilla, Nan, ha tutte le rotelle a posto- le assicurò Ben. –E non preoccuparti per i biscotti, meno ne mangia Kaori, meglio è. Lascia pure che strepiti, ne avrà altri domani.
 
***
 
Monica aspettò che fossero arrivati a casa di Brian, prima di domandare all’amico –Perché non me lo hai detto?
–Cosa?
–Non fare il finto tonto, Adam!- sbraitò, sferrandogli un potente calcio negli stinchi.
–Ow! Cazzo, Rossa, sei violenta!- si lamentò Adam, massaggiandosi la parte lesa.
–E tu un cretino!- ululò Monica. –Perché hai lasciato Marie? E’ fantastica, paragonata alle sgallettate che ti porti a letto di solito!
–Cosa ti fa presumere che sia stato io a lasciarla?
–Ti ha lasciato lei?- pigolò la ragazza, sconcertata: aveva visto Marie poche volte, ma le era parsa molto innamorata.
–Rossa, ti prego, non parliamone più, ok?
–Ok un corno! Cosa hai fatto?
–Perché credi sia colpa mia?- sbottò Adam.
–Perché Marie era pazza di te, solamente una cazzata enorme può averla indotta a mollarti!- rispose Monica.
A quel punto Adam perse la pazienza, e ruggì –Tu! Sei tu la mia più grande cazzata! E’ colpa tua, Monica, è sempre colpa tua! Marie mi ha lasciato perché non ti sopportava, era gelosa di te, e così pure le altre!
–Gelose di cosa? Non c’è mai stato niente!
–Non. Osare- sibilò Adam, mettendola con le spalle al muro. –Non osare mai più dire che non c’è niente. Restare amici è stata una tua decisione. Non la condivido, ma la rispetto. E non credere sia tanto difficile fraintendere il nostro rapporto: forse i deficienti che ti scegli non hanno abbastanza cervello per pensarci, ma non ti ha mai sfiorata l’idea che altri possano intuire che siamo stati a tanto così- avvicinò pollice e indice fin quasi a farli sfiorare –Dall’essere qualcos’altro?
–E’ stata la scelta migliore- asserì Monica. –Ho rinunciato a te per averti sempre al mio fianco. Ora lasciami andare.
Adam mollò la presa sul polso e si allontanò da lei, andò a sedersi sul divano e sospirò –Diventa ogni volta più difficile.
–Perché non riesci a importelo- replicò lei in tono di rimprovero. –Ah, senti, per la festa di tuo cugino avrei pensato a…
–Mandami un messaggio sul cellulare o su facebook, non sono dell’umore adatto a discutere di stronzate- ringhiò Adam, prese la pagina con le parole crociate che aveva lasciato sul tavolino prima di uscire e lesse –Uno orizzontale: “donna priva di coraggio”- per poi aggiungere, lo sguardo fisso sulla rivista –Vigliacca? No, troppe lettere. Ci sono: codarda!
Monica se ne andò sbattendo la porta.
 
***
 
Jeff saltellava e batteva le mani come un bambino in un negozio di caramelle. Josh, Rajiv e, soprattutto, Faith, non erano altrettanto entusiasti.
–Ricordatemi perché l’ho coinvolto- bisbigliò la Irving agli altri due, che stavano fissando l’amico tra il divertito e il terrorizzato.
–Non l’hai fatto. Si è autoeletto capo della spedizione “costume di Halloween cercasi”- rispose Josh, arricciandosi il ciuffo studiatamente ribelle che gli cadeva sulla fronte.
–Da come si è comportato finora, sembra più la spedizione “fidanzato nuovo cercasi”. Ci ha provato con i commessi di ogni singolo negozio che abbiamo visitato!- soffiò Faith.
In quel momento il lupus in fabula accorse da loro trillando –Devi assolutamente provarlo!
Faith strabuzzò gli occhi, e ribatté, risoluta –Non mi travestirò da infermiera!
–Su, Faith, non fare la difficile, hai bocciato tutte le mie proposte: gattina sexy, suora sexy, marinaretta sexy, poliziotta sexy, astronauta sexy…
–Quello era il peggiore: sopra scafandro da palombaro, sotto minigonna da battona. Manco morta!- sputò Faith.
–Certo che sei di gusti difficili!- si lagnò Jeff.
–Non sono di gusti difficili, è Abby l’incontentabile! Accidenti a lei e al suo divieto di riciclare la mia divisa del Potterfest!
–Hai partecipato al Potterfest? Come ci sei riuscita? I biglietti erano praticamente introvabili!- esclamarono in coro gli altri tre.
–Diciamo che ho degli agganci- rispose enigmatica Faith.
–Scommetto che eri Corvonero, secchiona!- disse Josh.
Faith scosse il capo in segno di diniego.
–Serpeverde.
–Ecco perché i tuoi amici della band ti chiamano Serpent!
–No, quello risale ai tempi del liceo- spiegò Faith. –Un “omaggio” alla mia lingua biforcuta.
–Mia procace rettile, volo a cercare altri costumi mentre provi questi- squittì Jeff, fiondandosi invece nel reparto uomo ad importunare uno sconosciuto.
Faith lo osservò allibita, e sospirò –Possibile non si renda conto di apparire ridicolo?
Uscì dal camerino di prova con la divisa da infermiera sexy, stroncata senza pietà da Josh e Rajiv, che aggiunse –Non essere dura con Jeff: è un uomo distrutto, da quando il suo cardiologo lo ha abbandonato.
Faith, scioccata, esalò –Jeff è cardiopatico?
–No.
–Allora a cosa gli serviva un cardiolog… ooh! Capito. Il suo cardiologo!
–Già- esalarono mestamente gli altri due. –Jeff era completamente diverso prima che quello stronzo lo convincesse che nessuno potrà mai amarlo così com’è.
–E’ terribile- pigolò Faith, commossa: sapeva bene cosa significava sentirsi senza speranza, e non avrebbe mai creduto possibile che dietro il sorriso smagliante e l’esagerata espansività di Jeff si celasse una tale tristezza. –Ho sempre pensato che i cardiologi fossero senza cuore!
L’interessato ricomparve con un abito che Faith mai si sarebbe aspettata, asserendo –Non vuoi fare colpo su nessuno, va bene, ma ti consiglio di metterti questo, e sotto quell’adorabile completo intimo che ho scelto per te da ‘Hula Hip’…. in caso incontrassi un principe travestito da rospo, invece del solito rospo malamente travestito da principe.
Faith sorrise: niente la appagava di più che deludere le aspettative del prossimo, specialmente se il prossimo in questione era Abigail Venter-Cartridge.
 
 
 
***
 
Faith stava pulendo la sua postazione; la professoressa Eriksson non transigeva sull’igiene: il laboratorio, come una cucina professionale, andava tenuto lindo e splendente, e tutti, nessuno escluso, dovevano contribuire.
Strofinava lo straccio imbevuto di candeggina sul tavolo da lavoro a testa bassa, rossa in viso al ricordo della figuraccia che aveva fatto quella mattina.
Su richiesta di Weil si era messa a trascrivere alcuni suoi referti, poi, disgraziatamente, aveva fatto cadere i fogli che aveva davanti sotto la scrivania. Si era chinata a raccoglierli, e in quel momento, con inopportuno tempismo, era arrivato Weil, che si era seduto sulla sedia girevole e le aveva inavvertitamente dato un calcio, prima di accorgersi della sua presenza.
–Irving, cosa credi di fare?- aveva esclamato.
Faith non l’aveva mai visto tanto sconvolto. Dalla sorpresa aveva battuto la testa contro la suddetta scrivania, e stava alzandosi facendo leva sulle ginocchia di un contrariato Weil quando il vice-primario, il dottor King, era entrato nella stanza. La sua faccia… Faith avrebbe pagato, pur di averla in fotografia per appenderla in casa! King aveva boccheggiato, avvampando –Io non ho visto niente!- aveva preso alcuni faldoni ed era fuggito alla velocità della luce.
Morale della storia? Non aveva fatto che fissarli per il resto del turno, li aveva perfino seguiti nella sala di consultazione, tossicchiando severo non appena si sfioravano.
“Che figura”, pensava Faith. “Che vergogna! E il peggio è che lo verranno a sapere tutti!”
–Irving, mi stai ascoltando?
–Ehm, io… certo che sì. Come puoi dubitarne?
–Allora non ti dispiacerà ripetermi cosa ho detto- sibilò Weil.
Faith, facendo mente locale, rispose –Mi stavi insultando per non aver notato le lievi tracce di caseosi nel nucleo necrotico del campione.
–Lo sapevo: non hai sentito mezza parola! Sei ancora scossa per l’episodio della scrivania?- esalò lui, scuotendo il capo divertito. Ridacchiò nel vederla arrossire e aggiunse –Ti ho chiesto un favore: è prevista pioggia, domani, e, dato che Harley teme l’umidità…
“Harley? Ma non è gay?”
–Harley?- ringhiò sommessamente Faith. –Robert non mi ha detto che hai racimolato un’accompagnatrice.
Franz scoppiò a ridere senza ritegno.
–Irving, non sarai gelosa!- replicò.
–Gelosa? Io? Di te? Ma fammi il piacere!
–Ne sono lieto, perché non hai motivo. Harley è la mia moto.
–Oh! Moto. Veicolo. Due ruote- pigolò, dandosi della stupida per aver pensato male e per il sollievo che aveva provato nello scoprire che Harley non era una persona. –Scusa, è che Chris mi aveva accennato qualcosa a proposito di un appuntamento, e…
–Con Samara non è andata- rispose Franz con una scrollata di spalle. In sé non era male, molto carina, ma lo inquietavano: il suo look total black, il cerone bianco in faccia, gli occhi bistrati di nero, le unghie della lunghezza di artigli, i lunghi capelli corvini e lisci che ricadevano ai lati del viso come panni di seta nera, per non parlare delle continue citazioni sulla brevità della vita e l’ineluttabilità della morte. Era scappato a gambe levate prima del dolce; lui, un goloso di prim’ordine.
“Meglio andare in bianco che andare a letto con una schizzata pseudo-filosofa esistenzialista”, si era detto, una volta al sicuro nel suo appartamento.
–Mi dispiace.
–A me no. Riprendendo il discorso, ti dispiacerebbe darmi un passaggio? Non voglio che Harley si bagni.
–Fammi capire: non ti preoccupa di bagnarti e beccarti una polmonite, ma che si bagni la moto?- esclamò Faith, incredula. –Tu non stai bene!
–Detto da una che ha dato un nome alla sua automobile…
–Ehi, lascia Nina fuori da questa conversazione!- latrò Faith, sbattendo lo straccio contro il microscopio. –Dammi l’indirizzo.
–Ventinove, Gracechurch Street.
–Numero ventinove, Gracechurch Street. Recepito. Ti farò uno squillo appena arrivo, così non aspetterai sotto la pioggia.
–Ti ringrazio della premura, Irving.
–Non c’è di che. Per ricambiare potresti spicciarti: siamo rimasti soltanto noi, la proffa e King Julian, che credo non aspettino altro che di restare soli...
–Irving, sei veramente malpensante. King è sposato, e il Grande Capo ha almeno dieci anni più di lui- esalò Weil, sconcertato.
–E allora? I toy boy vanno di moda!- ribatté Faith.
Gott, adesso non riuscirò a guardarli senza pensarci. Danke, Irving!- sputò Franz. Come sempre quando era arrabbiato, mescolava inglese e tedesco.
A rompere la cortina di freddo silenzio provvide la suoneria del cellulare di Weil, che sbuffò –Wunderbar! Ci mancava solo questa! Irving, rispondi tu, ho le mani occupate.
–Non sono la tua segretaria!- protestò lei, ma cedette di fronte all’espressione omicida del collega, che sembrava seriamente disposto a strangolarla. Frugò nelle tasche del camice. Niente.
–Non è lì.
–Oh, andiamo, non vorrai dirmi che è… no. No, no, no. Mi rifiuto di prestarmi a questo teatrino a luci rosse.
–Te lo chiedo per favore. Potrebbe essere importante.
–Se è importante, richiameranno- sbottò Faith, sperando che il maledetto cellulare smettesse di squillare, ma ciò non accadde, e si decise ad assecondare il collega per il bene delle proprie orecchie. –Cazzarola, Weil, non puoi tenere il telefono nella tasca del camice, come fanno tutti? Ti rendi conto che mi hai autorizzato a infilare una mano nei tuoi pantaloni?
–Nella tasca dei miei pantaloni, c’è differenza.
Quale?- gnaulò Faith. –Fortuna che non c’è nessuno.
Le ultime parole famose: Faith le aveva appena pronunciate quando sopraggiunse il dottor King, che li colse in quella posa imbarazzante; arrossì, aprì e chiuse la bocca come un pesce rosso, infine esclamò, tra il divertito e lo scandalizzato –Io non ho visto niente, ma fatevelo dire: prendete una camera!
Weil, arrossito a sua volta, tolse la mano di Faith dalla tasca dei suoi pantaloni, incurante del fatto che le sue fossero sporche di colorante, e prese il cellulare, che aveva smesso di squillare.
–Meno male che non ho risposto: era mia madre.
–Richiamala! Sarà preoccupata- lo esortò Faith.
–No, è semplicemente incazzata nera per via di Samara- rispose lui, seccato, mentre ripuliva il telefono. –E’ la figlia di una sua amica, e voleva…
Il trillo insistente del cellulare lo interruppe.
–Non rispondi?
–Rispondi tu, e dille che sei la mia… segretaria- suggerì Franz.
Faith vide il mittente della chiamata, e rispose col sorriso sulle labbra.
–Buonasera, cerca il dottor Weil? Può riferire a me, sono la sua segretaria. Spiacente, non prendo appunti, sono il genere di segretaria che indossa vestiti succinti e lavora sotto la scrivania!
Sconvolto, Franz le strappò di mano il telefono e balbettò –N-Non è c-come p-pensi, mam… Cartridge?- vide Faith che si rotolava dalle risate e capì che gli aveva fatto uno scherzo. –No, non hai la voce da donna, è che ho trovato otto chiamate perse di mia madre, e credevo… no che non è sotto la mia… ti pare che farei una cosa del genere? Con la Irv… Faith? Come sarebbe a dire “non sai che ti perdi”? No che non mi interessano i particolari! Grazie, ma ho già provveduto. Sì, con Faith. A domani. Ciao.
–E così prenderai parte anche tu alla festa del mio amico Brian. Sei stato gentile a dirmelo- mormorò sarcastica.
–Ho pensato fosse meglio farti una sorpresa. E la definizione “amico” mi pare inadatta, Irving. Tu e Brian siete stati insieme- sibilò Franz.
–Nulla vieta di restare amici dei propri ex- ribattè Faith.
Franz non rispose, prese lo straccio e iniziò a pulire la sua postazione. Accortosi che Faith non accennava ad andarsene, ringhiò –Otto in punto, domani sera. Non ammetto ritardi. Puoi andare.
 
***
 
Le ore scivolarono via, drammaticamente uguali, fino alla sera del trentuno.
Faith, munita di pochette e borsa da palestra - contenente un cambio d'abito e i trucchi per travestirsi  prima di andare da Brian - salì in macchina sbuffando e borbottando maledizioni e imprecazioni contro sua madre, che aveva avuto la faccia tosta di vestirla e pettinarla, manco fosse una bambina di due anni, contro le Parche, che le avevano fatto il terzo grado, liberandola dalle loro grinfie solamente dopo essersi assicurate che l’amico al quale avrebbe dato un passaggio fosse un “tipo raccomandabile”, contro la pioggia, che peggiorava la visuale e contro Franz Weil, reo di abitare lontano.
Sbuffò una seconda volta: non soltanto quello stronzo abitava lontano, era pure fuori strada, per cui, una volta raccattatolo, sarebbe stata costretta a tornare indietro e affrontare Grosvenor Street soffocata dal traffico, e tutto perché, dato che pioveva, il signorino si era rifiutato di raggiungere casa sua in moto, per non esporre inutilmente alle intemperie la sua preziosa Harley!
–Fanculo lui e la sua fottuta moto!- urlò, stringendo la presa sul volante, immaginando fosse il collo di Weil. –Fanculo, fanculo, fanculo!.
La litania terminò non appena arrivò sotto casa di Weil. Si fermò e, come promesso, gli fece uno squillo per fargli capire che doveva muoversi.
Dovette aver recepito il messaggio, perché fu fuori in meno di trenta secondi, sistemò nel bagagliaio la sua roba, sicuro come se avesse armeggiato con la sua automobile, infine si sedette sul sedile posteriore, e disse, tra le risate –A casa Patterson, autista, e vedi di fare in fretta.
–E tu vedi di andartene a fanculo- ringhiò Faith, già esasperata oltre misura dal suo atteggiamento derisorio.
–Non ci tengo, grazie- replicò Franz senza scomporsi. –Ma non direi di no a una sana scopata, non l’ho mai fatto in costume di Halloween.
Faith sbuffò, irritata dalla sua impertinenza e dal fatto che il “cervello inferiore” le stesse facendo notare come Weil fosse nato per stare in giacca e cravatta.
Esistono uomini che risaltano al meglio con un abbigliamento casual, e altri che emanano sensualità con un abbigliamento elegante. A dire il vero, Weil apparteneva a una terza categoria: uomini che appaiono al meglio in qualsiasi condizione, soprattutto “come mamma li ha fatti”.
“Ma cosa vado a pensare? Ormoni di merda! E neuroni ancor più di merda che gli danno retta!”, pensò Faith, pigiando sull’acceleratore.
–Posso farti una domanda, Irving?
–Me l’hai appena fatta, ma ti concedo di farmene un’altra- replicò ridacchiando.
–Ti sei fatta vestire da tua madre? Questo vestito…
–E’ orribile. Lo so. Il taglio è sbagliato, la lunghezza è sbagliata, queste cazzo di ruches sono sbagliate…. è un obbrobrio, ma mia madre me l’ha comprato con affetto e mi ha supplicata di indossarlo!
–Sul serio? L’avevo detto per scherzare, non avrei mai pensato che… - rispose Franz. –Non ti sta male, ma è troppo castigato, per questo… non volevo offenderti, giuro!
–Allora è meglio se tieni la bocca chiusa- ringhiò Faith, e accese la radio. –Lascio su questa stazione, vostra signoria, o cambio?
–Lascia pure, autista. Non so tu, ma io adoro i Guns ‘n Roses- rispose Franz, guardando fuori dal finestrino. –Speriamo che il tempo sia l’unico aspetto deludente della serata.
–E’ pericoloso crearsi delle aspettative: in un modo o nell’altro, vengono deluse. Sempre.
 
“Take me down to the Paradise City, where the grass is green and the girls are pretty. Oh, won’t you please take me home!”
 
Note autrice:
Sorry per chi non li ama, ma io stravedo per i mitici Guns e non potevo non inserirli nella storia.
Il capitolo è un po’ di passaggio, ma spero vi sia piaciuto ugualmente. In origine era unico, ho deciso di spezzarlo per rendere la lettura più agevole e, lo confesso, stimolare la curiosità: cosa succederà a casa Cartridge? Abby riuscirà a sistemare Faith col suo protetto Richard o sarà Brian a spuntarla? Che costumi hanno scelto Faith e Franz?
Stay tuned, lo scoprirete presto!
Au revoir!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Tutti gli uomini di Faith ***


Vi lascio subito al capitolo, lasciatemi solo ringraziare Bijouttina, elev e Faith00, che hanno recensito, e ChiccaGump, La ragazza delle arance e sunny93, che seguono questa storia. Hugs ‘n kisses!
 



Tutti gli uomini di Faith




“Non mi sembra un sacrificio partecipare, di tanto in tanto, a un intrattenimento serale. La società vanta diritti su tutti noi.”
Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen
 
Casa Patterson rifletteva alla perfezione il tenore di vita che conducevano i suoi abitanti: era grande, forse troppo, per tre sole persone e Faith, ogniqualvolta vi entrava, si sentiva oppressa dalla pomposità del mobilio. Quella sera fu piacevolmente sorpresa nell’osservare i cambiamenti apportati da Gloria, la madre di Robert, col benestare di suo marito John.
“C’è chi manifesta la crisi da pensionamento comprando un’automobile costosa, chi gioielli ancor più costosi… e chi ristrutturando casa”, pensò con un sorriso.
Gli orpelli che adornavano gli angoli dei soffitti erano spariti, i colori sgargianti delle pareti erano stati sostituiti da un più sobrio ed elegante color canna da zucchero, e i mobili opulenti con altri più sobri; il risultato complessivo era un moderno minimal chic (forse più chic che minimal, ma nessuno si sarebbe mai azzardato ad esprimere tale opinione al cospetto della padrona di casa).
–Faith! Franz!- squittì estasiata Gloria Patterson, trotterellando verso di loro su un costoso paio di scarpe dai tacchi a spillo talmente alti e sottili che ci sarebbe voluto un fisico per spiegare come riuscisse a mantenere l’equilibrio.
–Buonasera- mormorarono in coro i due, guardandosi intorno in cerca di facce amiche.
–Che ne dite?- sospirò, indicando il salotto, ora salone, ampliato e abbellito. –Tua madre ha fatto un lavoro meraviglioso, Franz. Non finirò mai di ringraziarla.
–Tua madre?- chiese Faith.
–Mia madre è un’arredatrice d’interni. Non aggiungo aggettivi perché peccherei di parzialità. Non sapevo, però, che si fosse occupata lei di casa vostra- rispose lui, grattandosi il dorso della mano, chiaro segno di nervosismo.
–E’ stato Robert a suggerire di rivolgerci a Gertie, e devo ammettere che ha fatto centro. Nemmeno quel brontolone di mio marito ha avuto qualcosa da ridire, un vero miracolo!- trillò Mrs. Patterson, facendo segno a suo figlio di raggiungerla. –Oh, Faith, ogni volta che ti vedo sei sempre più bella, e lo stesso vale per te, Franz! Tu e Robert dovete darvi da fare, ragazzi miei. Così belli, eppure ancora single!
Faith, vedendo Franz arrossire dall’imbarazzo, venne in suo soccorso.
–Probabilmente è per questo che sono single: per uscire con loro c’è la fila!- rispose, prima di andare a depositare borsone e cappotto in uno stanzino adibito a guardaroba. Non fece in tempo a rimettere piede in salotto che venne letteralmente placcata da Mrs. Patterson, foriera di complimenti su abbigliamento e trucco.
–Non prenderla come un’offesa, cara, ma sei l’eccezione che conferma la regola: le donne della mia generazione sapevano come apparire in tutto il loro splendore, voi giovani d’oggi tendete a esagerare; troppo colore sulle guance, sugli occhi, sulle labbra, tutto di fuori... un grave errore: puntare su pochi punti di forza è, secondo me, la maniera migliore per apparire femminili, ma eleganti, e non delle uova di Pasqua mezze scartate.
A salvare Faith dall’incombenza di una replica provvidero Franz e Robert, quest’ultimo come dispensatore di bevande dissetanti e alcoliche.
–Tieni, mamma. Faith.
–Avrei potuto prendere io da bere- bofonchiò Franz. 
–Ma non l’hai fatto- replicò Robert, per poi aggiungere –Ho visto i tuoi genitori, sono di là con mio padre.
Faith si mosse per raggiungerli, ma venne bloccata da Franz, che disse, con studiata naturalezza –Potrai parlare con i tuoi più tardi, Irving. Perché, invece, non andiamo a salutare il Grande Capo?
–E’ con loro! Stava sforzandosi di non sbadigliare per la soporifera filippica di mio padre contro la chirurgia laparoscopica- li informò Robert.
–Robert!- lo redarguì sua madre.
–Uffa, ma', non puoi negare che è una noia mortale!
Faith e Franz, sentendo puzza di lite madre-figlio, si affrettarono a recarsi nel salone, dove trovarono gli altri ospiti. I loro sguardi si posarono immediatamente su quattro persone in particolare: un uomo alto, dai capelli brizzolati, che ciarlava senza sosta, un altro uomo, bruno, con i capelli e i baffi striati di grigio e un paio di occhialetti tondi, che annuiva distrattamente, e due donne, una tarchiata, vestita in modo semplice, senza un filo di trucco, l’altra alta, bionda e formosa, con soltanto le rughe di espressione a rivelarne l’età, entrambe annoiate.
Franz ne riconobbe tre su quattro: il parlatore instancabile era John Patterson, chirurgo in pensione e padre del suo amico Robert, la bionda femme fatale era il suo primario, Astrid Eriksson, e la donna bassina dai lineamenti duri era Rose Irving, meglio conosciuta come “la granitica dottoressa Taylor”, la madre di Faith; il quarto uomo, dedusse, era suo marito, il padre di Faith.
“Si somigliano un sacco”, pensò, tirando le somme di una sommaria osservazione: oltre alla fronte e alle guance (naso, bocca e forma degli occhi, invece, erano eredità di mamma Rose) avevano le stesse mani nodose, le stesse espressioni, le stesse movenze, la stessa risata.
Si schiarì la voce, salutò tutti cordialmente, ringraziò il dottor Patterson per l’invito e si presentò ai signori Irving, premurandosi di stringere con presa particolarmente salda la mano del padre di Faith, che gli rivolse un’occhiata indagatrice e ridacchiò –Il famoso dottor Weil! O forse dovrei dire famigerato: ha distrutto la mia certezza che nessuno al mondo sapesse strapazzare la mia Tartarughina meglio di Rosie!
Faith avvampò, e si sentì svenire quando sua madre rincarò la dose –Se si rende necessario strapazzarla, la colpa è soltanto di Faith. Ma… non ci siamo già incontrati?
–Complimenti per la memoria. Sì, ci siamo visti di sfuggita al discount. Stava, tanto per restare in tema, strapazzando la qui presente Irving al banco del pesce.
Faith espresse il proprio malcontento pestandogli un piede, prima di sorridere e ribattere –Mami, se si rende necessario sgridarmi, la colpa è di questo qui- indicò Weil, che la fulminò con un’occhiataccia. Come osava metterlo in cattiva luce davanti al Grande Capo? –Dovrebbe insegnarmi il mestiere, quindi, se faccio schifo come patologo, lui fa schifo come tutor.
–Oppure sei troppo testarda per darmi retta, come dimostra il tuo errore da principiante su quel linfonodo.
–Errore? Nemmeno King ha visto la fantomatica invasione della paracorticale. Soffri di allucinazioni!
Contrariamente alle aspettative, Rose non si arrabbiò per il comportamento della figlia, sapeva che, come suo padre, difendeva le proprie convinzioni fino a schiaccianti prove contrarie; scoppiò in una fragorosa risata ed esclamò –Avevi proprio ragione, Astrid: sono peggio di cane e gatto!
–E il bello è che non si stancano mai! A cosa serve captare il canale di Comedy Central, quando posso guardare questi due?- scherzò la Eriksson.
Alle dieci e venti Faith si congedò e salì al piano superiore a cambiarsi. Avendo trovato occupato il bagno si vide obbligata a usare la stanza in cui erano ammassati i cappotti. Fece un profondo respiro e si contorse per cercare di tirare giù la zip, grugnendo il suo disappunto per le difficoltà incontrate.
Emise un sospiro di sollievo quando poté finalmente sfilarsi il vestito; dopo aver controllato che nessuno stesse per entrare, si fermò davanti allo specchio - messo in un angolino perché non si accordava al nuovo stile dei mobili- e rimirò, con una punta di orgoglio, il raffinato e sensuale coordinato di intimo che aveva scelto insieme a Jeff (che aveva scelto Jeff, più precisamente). Sbuffò una risatina: nessuno, a parte lei stessa, avrebbe mai saputo che, sotto il costume da educanda, si nascondeva dell’intimo di tutto rispetto. Che tutti pensassero avesse rinunciato alla propria femminilità; come asseriva saggiamente Margareth Tatcher, “la femminilità è come il potere: se senti il bisogno di ostentarla, vuol dire che non ce l’hai”.
Stava per mettersi il costume quando una voce trasudante sarcasmo la interruppe.
–A quanto pare è destino che ti veda in lingerie, Irving.
Faith, le cui guance avevano passato in rassegna tutte le possibili gradazioni di rosso, saltò in piedi come se avesse preso la scossa e lanciò il vestito addosso a Weil, che aveva osato rompere la magia di uno dei rari momenti in cui non provava disgusto per l’immagine che le mostrava lo specchio.
–In che discarica hai pescato questa atrocità? E' il genere di cosa polverosa con cui hanno seppellito la mia bisnonna!
–Vattene subito!- ruggì Faith.
–Oh, andiamo, ti ho già vista senza vestiti!- ribatté Franz, per poi aggiungere, scherzoso –No, aspetta… la biancheria non vale come vestito. Devi toglierti anche l’intimo, per caso?
–Esci immediatamente!- gli intimò Faith, determinata a non fargliela passare liscia. –Giuro che la prossima volta che ti permetti di sbirciare le mie mutande, slip o culottes che siano...
–E perizomi? Ne hai?- la interruppe Franz, determinato a darle fastidio. –Così, per sapere... Personalmente preferisco le culottes... specialmente su di te…
“Ippocrate e Paracelso, se Weil è gay perché fa certi commenti?”
–Stai. ZITTO!- strillò Faith, artigliò il suo costume e lo indossò sbuffando come una locomotiva, sostituì le scarpe eleganti con dei più comodi stivaletti neri, truccò il viso con fondotinta bianco, impallidendolo ulteriormente, e gli occhi con l’eyeliner, infine posizionò, stando attenta a non far fuoriuscire qualche capello ribelle, una parrucca corvina con due trecce.
–Mercoledì Addams?- esclamò esterrefatto Franz. –Sarebbe questo il tuo sensazionale costume?
–Sempre meglio di te, che praticamente non ce l'hai- ribattè Faith.
–Donna di poca fede- replicò lui senza scomporsi, appuntò una spilla da sceriffo alla giacca nera e calcò un cappello bianco da cowboy sulla testa.
–Scontato- commentò Faith, dandosi un’ultima passata di eyeliner.
–Perché manca il dettaglio finale, ma preferisco mostrartelo a casa di Brian- rispose Franz.
Faith dichiarò di essere pronta ad andare, gli chiese se lo fosse anche lui, quindi, ricevuto un cenno di assenso, tornarono dalla fedele Nina.
 
***
 
Non c’era un momento della sua vita di cui Faith non ricordasse il sottofondo musicale. Ogni attimo aveva la sua personale colonna sonora. Per il tragitto verso casa di Brian aveva scelto…
“’Welcome to the jungle’? Azzeccata, considerato dove siamo diretti!”, pensò Franz, tamburellando le dita a ritmo di musica. Stufo del silenzio, denso al punto da potersi tagliare col coltello, disse –Non ti ci vedo come Mercoledì, sai? Va bene che sei meno femminile di Jefferson, e che quando ti arrabbi hai una preoccupante espressione omicida, ma non sei poi così tanto psicopatica!
–Senti, pistola del West, ho scelto Mercoledì perché mi sta simpatica, e, soprattutto, perché è poco considerata: tutte si travestono da Morticia, probabilmente perché ha quell'aura di sensualità maledetta che il sesso “debole” crede abbia appeal sul sesso imbecille!
–Senza offesa, ma conciata così al massimo puoi sembrare la figlia segreta di zio Fester e Pamela Anderson- ribatté Franz. –Sesso imbecille?
–Tu come definiresti degli esseri che ragionano con i genitali?- sibilò Faith con una smorfia perfida.
–Si può sapere che problema hai col sesso maschile, Irving?
–Nessuno. Con te? Parecchi.
–Cosa ho fatto stavolta, sentiamo.
–Ci sei o ci fai? Mi hai offesa!
–Se ti aspetti complimenti da me caschi male, Irving: a costo di essere brutale dico sempre ciò che penso. Non sarà una tattica vincente, ma almeno non mi si potrà mai accusare di ingannare le persone.
–Un complimento dovrebbe essere sincero, altrimenti diventa adulazione, e quella non la sopporto... come non sopporto te- disse lei, accostando. –Siamo arrivati. Scendi, prendi la tua roba e sali, io intanto cerco parcheggio.
Franz annuì e, per una volta, obbedì: scese, prese i complementi del costume, poi, per non fare la figura dello zotico, aspettò Faith, prima di salire a casa di Brian.
 
“Welcome to the jungle, baby! You’re gonna die!”
 
***
 
Faith, in piedi sul pianerottolo rigida e impettita, rimase a bocca aperta: adesso che aveva completato il travestimento, era chiaro chi aveva deciso di essere per una sera Weil!
–Non posso crederci: il Ranger Solitario!- esalò, colpita.
–Finora sei stata l’unica a capirlo. Hai visto il film?
–Tre volte- rispose lei, mimando il numero con le dita. –Armie Hammer è così sexy!
Franz si accigliò, ma, prima che potesse replicare, Brian aprì la porta.
Faith lo abbracciò di slancio, si staccò e disse –Bonsoir, monsieur... Mozart?
–Ma quale Mozart d'Egitto!- ribattè lui, sbuffando. –Sono il signor Giacomo Casanova, re dell'alcova.
–E delle rime- commentò Franz ridacchiando sommessamente.
Brian rise a sua volta, gli strinse la mano, quindi esclamò –Faithie, sei fantastica! Abby probabilmente non approverà, ma... chi se ne frega!- esaminò Franz e aggiunse, deluso –Speravo in qualcosa di meno scontato, Billy the Kid.
–Ehi! Un po’ di rispetto per il Ranger Solitario!
–Chi?
–Casanova, sappi che ti stai dimostrando un perfetto sostituto della mia spalla… Tonto- replicò Weil con una smorfia divertita.
Faith lo spinse via, scomparendo tra la piccola folla per andare a salutare il Cappellaio Matto, alias il suo amico Demon Keynes.
Brian sospirò e disse –Tu che sei un dottore, sai come si cura un cuore infranto?
–La rottura spontanea di cuore è un evento molto raro, Cartridge- rispose Weil. –A meno che non parli in senso figurato. In quel caso, spiacente, non posso aiutarti: per me il cuore è soltanto un organo prevalentemente muscolare situato nel mediastino, coperto dal pericardio.
–Ho sbagliato i miei calcoli, allora- esalò Brian. –Vedi, devo confessarti una cosa: il mio invito non è del tutto disinteressato. Speravo che tra voi potesse esserci… qualcosa.
–Tra me e la Irving?- replicò Weil, scuotendo la testa per scacciare l’immagine di Faith coperta solo dalla biancheria intima. –Siete tutti matti!
–Non fraintendermi- si affrettò a precisare Brian. –Improvvisarsi Cupido è la sua specialità, non la mia, e non credo siate fatti l'uno per l'altra, anzi, penso sareste la coppia più improbabile della storia, però...- lanciò una fugace occhiata all'altro per decidere se fidarsi di lui o meno. Optò per il si. –Vedi la zucca pelata là in fondo? Mia cognata, la migliore amica di Faith, praticamente una sorella, sogna per loro due fiori d’arancio e una nidiata di bambini. Ora, ti pare che quello- storse la bocca, disgustato –Sia il tipo giusto per Faith?
Franz gli rivolse un’occhiata discreta, prima di commentare –Non conosco i gusti della Irving, ma sono d’accordo con te: chiunque sarebbe meglio di quel tizio… persino io! Ok, mi hai convinto: sarò la guardia del corpo di Mercoledì per scoraggiare qualunque avance del Lex Luthor dei poveri.
–Grazie. Spero che il compito non ti risulterà troppo spiacevole.
Franz osservò Faith, intenta a giocherellare con le trecce della parrucca mentre chiacchierava con alcuni amici, e rispose –Al contrario, credo proprio che mi divertirò un mondo.
 
***
 
Faith, intanto, si era diretta all'angolo bar, dove aveva ordinato un’acqua tonica al limone per tirarsi su il morale e impedirsi di accoltellare Weil.
–Allora, pronta a scatenarti?- domandò una voce impertinente. –Ho notato una postazione per il karaoke. Un duetto, in memoria dei bei vecchi tempi.
–Devil!- trillò, alzandosi per abbracciarlo. –Adoro la tua impertinenza, ma non su questo argomento. Io. Non. Canto. Punto! Cyril mi ha rubato la voce. Comunque, non dovresti essere a Copenaghen?
–Hai detto bene: dovrei!- rispose lui, sorridendole sibillino. –Scherzi a parte, avevo un paio di giorni liberi, e ho pensato bene di trascorrerli con gli amici. Rientro a Copenaghen dopodomani. Ma parliamo di cose importanti: chi è il gran pezzo di carne che hai scarrozzato?
–Devil!- lo redarguì Faith, dandogli un pugno delicato al braccio. –Sei un pettegolo tremendamente bene informato! Come diavolo…?
–Brian- sospirò Demon, tamburellando con le dita sul bancone. –I miei preferiti, però, sono i racconti di prima mano, perciò dimmi… esattamente, in che rapporti sei con quel bel figliolo?
–Si chiama Franz Weil, è il mio tutor, Brian l’ha invitato in quanto amico di vecchia data di Axel. Ho soddisfatto la tua curiosità?
Demon si voltò in direzione di Weil, che stava scherzando con Jack e Brandon, vecchi amici di Brian, e le rispettive mogli, Allison e Melanie.
–Non sono un'eroina austeniana, perciò no, la mia curiosità arde ancora: quello è Franz Weil? Il tedesco dagli occhi di ghiaccio?- esalò, esterrefatto. –Me l’avevi descritto come la reincarnazione di Hitler!
–Non farti ingannare dalla sua accattivante esteriorità, Devil: Weil è il male!- sibilò Faith.
–Non è male- ribatté lui, squadrandolo con l’occhio critico di chi è abituato a giudicare la bellezza maschile. –Personalmente, prediligo lineamenti meno marcati e muscoli più pompati, ma ha un bel culo e, a occhio e croce, sembra ben fornito, se capisci cosa intendo.
Contrariamente alle aspettative di Demon, Faith non si arrabbiò; gli sorrise sorniona e rispose –Allora non ti scoccerà aiutarmi.
–Conosco quello sguardo, Serp, e lo temo. Cosa vuoi?
–Nutro seri dubbi sul… come dire… sul fatto che Weil tifi per la “squadra V”, se capisci cosa intendo. Perché non ci flirti un pochettino, senza impegno, per testare la sua reazione? Se ci sta, il personale femminile del Queen’s dovrà mettersi l’animo in pace, altrimenti…
–Pensi che questo Weil sia gay?- esclamò Demon. –Come mai? Glielo hai letto in faccia?
–Certo che no!- sbuffò Faith. –Non si può dedurre l’orientamento sessuale di una persona semplicemente guardandola - a parte, forse, Jeff -  ma Rajiv Sandee ha insinuato questo atroce dubbio amletico dopo aver visto lo sfondo del desktop di Weil: una sua foto, in cui è abbracciato a un biondino bello quasi quanto lui, e, reggiti forte… qualche giorno fa lo stesso biondino è venuto a prenderlo in ospedale!
–Credi sia il suo fidanzato?- chiese Demon. –Come puoi, allora, chiedermi di provarci con lui? Se è etero, mi manderà a fanculo, se non lo è, ma è impegnato, mi sentirò in colpa a vita!
–Perché dovresti sentirti in colpa? Se cede alla tentazione, pur essendo già impegnato, la colpa è sua e di nessun altro; non gli punti la pistola alla tempia, può sempre dirti di no!- sbottò Faith, severa. Come tutte le persone che avevano subito un tradimento, era ipersensibile e spietata in proposito. –No. Che bella parola. Se venisse pronunciata più spesso, il mondo sarebbe un posto migliore.
 
***
 
Franz si sentiva stordito: aveva conosciuto troppe persone in poco tempo, e stava già dimenticando i loro nomi. In un estremo sforzo di ricordare, scandagliò la sala e tentò di associare un nome a tutti i volti a lui noti. Ridacchiò, ripensando all’espressione allibita apparsa sulle loro facce quando avevano scoperto chi fosse.
“Chissà cosa avrà detto di me la Irving. Niente di lusinghiero, poco ma sicuro!”
Aveva buttato giù qualche Jack&Coke (avrebbe venduto l’anima per una buona birra ghiacciata, ma sapeva che a un party elegante era tassativamente vietata una bevanda così “plebea”), e stava meditando sulla possibilità di prenderne un altro o cambiare cocktail, quando qualcuno picchiettò su una sua spalla.
Questo qualcuno, una provocante Regina di Cuori, sorrise sfarfallando le ciglia, e cinguettò –Mi offri da bere, o devo farti tagliare la testa?
–E’ un open bar, anche volendo non potrei offrirti niente- sbottò.
–Rilassati, cowboy, non mordo… a meno che non me lo chiedano- ribattè la donna, che Franz giudicò essere all’incirca coetanea di Faith; era alta più o meno come lei, ma con una matassa di capelli scuri ed elettrici invidiabile, ben diversa dalla chioma liscia e piatta della Irving.
–No, decapiti- replicò. –Devi essere Abby. Faith mi ha parlato di te.
–E tu prestavi più attenzione alle sue tette che alle sue parole, altrimenti sapresti che sono Bridget- sbuffò la Regina di Cuori, oltraggiata.
Franz avvampò, boccheggiando –Oh, ehm, beh, ecco, io ... scusa.
–Scuse accettate. Adesso che ci penso, può darsi che Faith non mi abbia neppure nominata: ha paura che mi faccia del male volando fiore in fiore, per così dire, e cerca di tenermi lontana dagli uomini. Non ha capito che è inutile. Troverò il mio quarto marito, che lei lo voglia o no. Se funzionerà, bene, altrimenti pazienza, tornerò a caccia.
–Quarto marito? Che morte hanno fatto gli altri tre?
–Rilassati, cowboy, sono una divorziata di professione, non una vedova allegra. E’ deludente che la notizia ti abbia sconvolto: in quanto dottore, dovresti essere abituato a vederne di cotte e di crude!- sbottò Bridget, seccata: si stava stancando di giocare. –Sono stata sposata tre volte. Non tutte siamo come Faith, che se ne sta in un angolino ad attendere che la manna cada dal cielo, alcune, come me, si danno da fare per trovare la persona con la quale passare il resto della vita, senza tante storie. Io mi faccio andare bene qualsiasi colore, purché a indossarlo sia un principe, anche sotto mentite spoglie; Faith, invece… non mi piace parlar male di un’amica, ma è veramente complicata: anche se fosse tanto fortunata da beccare un principe azzurro - e, col suo caratteraccio, la vedo dura - sarebbe capace di rifiutarlo perché non è della sfumatura giusta!
Franz riportò lo sguardo su Faith, e, istintivamente, sperò che la sfumatura che le piaceva non fosse quel punk con i capelli verde acqua, forato come un pizzo belga. Gli stava antipatico a pelle.
 
***
 
Bridget McDuff era come un Panzer: quando partiva all’attacco non ce n’era per nessuno. Faith lo sapeva bene, per questo vederla avvinghiata a Weil la fece fremere di rabbia: aveva a disposizione un sacco di uomini liberi e più che disposti a consolarla per il sempre meno recente divorzio, perché lui? Cinico com’era, l’avrebbe quasi sicuramente usata e scaricata, lasciandole l’ingrato compito di consolare l’amica affranta; se, invece, fosse stato lui ad essere sedotto e abbandonato, avrebbe dovuto sopportare i suoi piagnistei durante tutto l’orario di lavoro, compito altrettanto ingrato. Era necessario stroncare questo flirt sul nascere, per il bene della sua salute mentale.
Peccato che il fato, sotto forma di Monica Hawthorne, la pensasse diversamente.
–Monica! Ciao!
–Ciao, Faith! Come stai? E Agatha? Un giorno di questi devo assolutamente venire a trovarvi con Whiskers III, gli farebbe bene vedere sua sorella- chiocciò la rossa.
–Di sera ci sono quasi sempre, perciò scegli quando venire, sei la benvenuta. Siete i benvenuti. Ehi, carino il tuo costume, sei una Pippi Calzelunghe molto graziosa!
–Sono ‘secca’ e lentigginosa, parto avvantaggiata- rispose lei nel suo forte accento di Newcastle, accomodandosi su uno sgabello. Effettivamente, le curve di Monica erano quasi inesistenti: a parte un bel sedere sodo, era quasi piatta. –Comunque, anche se mi sta bene, è solo un riciclo di emergenza: l'idea era di travestirmi da Poison Ivy, per fare la coppia 'cattivi in verde', ma Whiskers III mi ha distrutto il vestito, e avergli urlato contro "Stramaledetto gattaccio del cazzo, aspetta che ti metta le mani addosso e vedrai!" tirandogli appresso le mie scarpe non è servito a niente...
–Se non a farlo rifugiare sotto il letto, terrorizzato- intervenne Adam, affascinante quasi quanto il cugino, nel suo costume da Loki. Si avvicinò all’amica e le cinse la vita, come se la discussione di pochi giorni prima non fosse mai avvenuta. –Per la cronaca: è ancora lì, non sono riuscito a tirarlo fuori- aggiunse mostrando una mano seriamente graffiata.
Monica la afferrò, la esaminò, infine rispose –Dovresti essere entusiasta, Adamino Loki, le femmine impazziscono per le ferite di guerra!- facendo ridere Faith e sospirare esasperato Adam.
Faith si alzò, e si stava dirigendo con passo marziale da Weil per dirgliene quattro, se non otto, sul comportamento da tenere in presenza delle sue amiche, quando Demon la rapì per coinvolgerla in una - a detta sua - tranquilla partita a poker.
–Devil, non potresti aspettare un altro paio di minuti?- gnaulò. –Giusto il tempo di salvare Bridget dalle grinfie di Weil!
Demon eruppe in una risata gutturale.
–Non credo alle mie orecchie: sei gelosa!
–Gelosa? Io? Di Weil? Ma fammi il piacere!- sbottò lei, dandogli le spalle. –Semplicemente, non mi va di mescolare lavoro e tempo libero, e una delle mie migliori amiche che se la fa col mio tutor… beh…
–Rilassati, F, Bridget ha già arpionato il suo scaldaletto per la notte- le assicurò Demon. –Le ho chiesto io di ‘civettare’ con il tuo amico.
–Ti sei bevuto il cervello? Weil è il male! È …
–Come Cyril? In effetti, ho notato una leggera somiglianza. Non ci starai cascando di nuovo, vero, Serp?
–Weil mi ricorda troppo di Cyril per poterci cascare, Devil. Ho imparato la lezione. Nel modo peggiore, ma l'ho imparata.
–Se lo dici tu- mormorò Demon con scarsa convinzione. –Comunque, da genio quale sono, ho pensato: se una reazione alle mie avances indica che è gay, può valere anche la prova contraria, e chi meglio di Bridget può assolvere un compito del genere?
Faith, fuori di sé, lo strattonò, sibilando –Ti rendi conto di cosa hai scatenato? E se poi… e se poi loro…?
–Non mi preoccuperei. Conosci Bridget: una botta e addio. Al massimo. Quel Weil non è il suo tipo.
Faith digrignò i denti, furibonda, ma l’arrivo di Jack e Brandon le impedirono di aggredire Demon.
Era ora di testare se il detto "fortunata al gioco, fortunata in amore" valesse anche al contrario.
 
 
***
 
Buttati giù un paio di cocktail (avrebbe preferito una birra, ma era una festa troppo elegante per azzardarsi a richiederla) per riaversi dall'eccesso di socialità, Faith si sedette su un divanetto lasciato libero dalle coppiette che oscillavano al ritmo di un romanticissimo lento, soddisfatta dell'esito della partita.
–Può concedermi udienza, dottoressa?
Faith alzò lo sguardo e rispose con cortesia –Ma certo. Ciao- “Oh, cazzarola, com’è che si chiama? Ah, sì” –Roger.
–Stasera sei inavvicinabile, Faith!- esclamò, passando subito a un tono confidenziale. –Ogni volta che tentavo di avvicinarmi qualcuno ti requisiva!
–Hanno messo una taglia sulla mia testa- replicò lei, per nulla sorpresa di constatare che Roger ignorava la sottile arte dell'ironia.
–A dire il vero, un paio di volte non sono riuscito a parlarti per via delle occhiate agghiaccianti che mi lanciava quello- indicò Weil, in piedi vicino al bar –Mi inquieta. Chi è?
Faith ripensò a Bridget in versione gattamorta a caccia e rispose –Nessuno di importante.
–Non sembra pensarla allo stesso modo: è tutta la sera che mi fissa, come se mi stesse studiando. Mi fa sentire una cavia di laboratorio!
–Forse perché lui è un topo di laboratorio- sbuffò Faith. –Come me.
Roger piegò la testa di lato, e le chiese –Non sei un chirurgo?
Faith scoppiò a ridere.
–Ma quale chirurgo! E’ un’insana idea di Abby. Vorrebbe fosse vero - come anche i miei genitori - perché i chirurghi sono medici "veri", super fighi, che salvano vite. Spiacente di deluderti, io svolgo un altro genere di lavoro sporco: analizzo cellule e pezzi di persone - vive o morte non fa differenza - anche se il mio sogno è di affettare cadaveri!
Roger sgranò gli occhi, ed esalò –Affettare… cadaveri?
–Oh, sì! Il patologo forense, hai presente? Il medico che nei telefilm polizieschi fa le autopsie e dispensa perle di ironica saggezza ai detective. E' così che immagino il mio futuro!- celiò Faith con un sorriso beffardo. Ora che aveva capito come farlo fuggire, non vedeva l’ora che Roger se ne andasse.
Roger aprì e chiuse la bocca, gli occhi spalancati che gli conferivano una esilarante espressione da baccalà, ma non ebbe modo di replicare, perché qualcuno si piazzò proprio di fronte a lui e pose fine alla conversazione.
 
***
 
Franz, infastidito dalla coda all’open bar, si morse il labbro, imprecando mentalmente contro la sua temporanea distrazione: dopo aver visto Faith stracciare a poker i suoi amici, aveva chiacchierato qualche minuto con Bridget, la quale gli aveva raccontato alcuni interessanti aneddoti che in futuro avrebbe sicuramente usato per ricattare la Irving. Era stato felice di scoprire che, smessi i panni della mangiauomini, Bridget era esattamente come l’aveva descritta la sua amica: simpatica e piuttosto folle.
Nel tentativo di rimediare al disastroso approccio di prima si era offerta di prendere da bere. Mentre attendeva, spazientito, qualcuno lo urtò, rovesciandogli addosso parte del drink. Questo qualcuno si scusò profusamente, ignaro della miriade di maledizioni che gli aveva lanciato Franz.
–Cose che capitano- ringhiò a denti stretti.
–Vero, ma questo non mi giustifica. Mi dispiace, davvero.
–Nulla che una lavanderia non possa sistemare- asserì Weil.
Lo sconosciuto, che gli arrivava al naso e aveva l’aspetto vigoroso di chi passa ore e ore in palestra, lo scrutò con evidente curiosità, quindi chiese –E’ terribile, vero?
–Cosa?
Lo sconosciuto non rispose, si limitò a indicargli il punto in cui Faith e Roger stavano parlando, seduti vicini sul divano biposto.
–Terribile. Sì, davvero terribile.
Franz si costrinse a replicare in maniera educata.
–Non sarà un Adone, ma i gusti sono gusti.
–Oh, ma io non mi riferivo a quello scialbo caso umano- chiarì l’altro. –Parlavo del costume di Faith: è osceno!
–Osceno? Ma se non le lascia neanche mezzo millimetro di pelle scoperta!
–Appunto: è scandaloso, un’offesa all’umanità! Io non le avrei mai permesso di mettersi un simile obbrobrio. Le cose belle vanno mostrate, e Faith ha un davanzale da competizione!
–Non solo quello- sibilò Franz, respirando lentamente per calmarsi. Che il deficiente guardasse pure, non poteva certo enucleargli i bulbi oculari, ma i commenti no, non li avrebbe tollerati, perchè sentire qualcun altro dare voce ai suoi pensieri su Faith rischiava di far vacillare i suoi proposito di considerare la collega come un essere asessuato.
Lo sconosciuto, all’anagrafe Kyle Riley, intuendo i pensieri dell’altro, ridacchiò –Tranquillo, non sono interessato all’articolo. Non più. Ho giocato e perso. Devi riconoscere la mia sportività: non mi sto lamentando, non manifesto rancore nei confronti di chi prese il mio posto…
–Aspetta- esalò, sorpreso, Franz. –Stai dicendo che… sì, insomma… sei stato con… Faith?
–Non sono l’unico!- trillò Kyle, eccitato come un collezionista che illustra la sua collezione. –Tolta qualche storiella estiva di poco conto, questa festa è un raduno di tutti gli uomini di Faith… o quasi. Il primo è stato Brian, poi io, c’è stato un breve flirt con Colin - Capitan America laggiù - poi una parentesi priva di importanza con uno spagnolo, un altro flirt-lampo con un certo Jake - eccolo lì - e poi lui, il grande amore, quello con la A maiuscola…. Cyril- concluse con un sospiro teatrale, per poi aggiungere, in risposta all’espressione interrogativa di Franz –Cyril è il "quasi".
–Intendi dire che è assente?
Kyle annuì, e in quel momento li raggiunse Bridget, che reggeva in equilibrio precario due bicchieri da cocktail pieni fino all’orlo. Franz la degnò di un’occhiata, prima di riportare lo sguardo su Faith e Roger. Non ci pensò due volte: prese i bicchieri e, incurante delle proteste della Regina di Cuori, li vuotò entrambi, prima di precipitarsi a spezzare quello che credeva un idillio tra futuri piccioncini.
 
***
 
Quando Faith vide Weil di fronte a lei, per la prima volta non le parve irritante; bastò la sua sola presenza (corredata di occhiataccia degna di un cattivo della migliore filmografia horror) a mettere in fuga Roger.
–Ti ho preso qualcosa da mangiare- disse, accomodandosi al posto ormai libero. Stavano stretti, ma non importava: Faith era così morbida che starle accanto era piacevole. –Con tutto l’alcool che hai ingerito a digiuno…
–Grazie. Per questo e per… beh, hai capito- rispose, prima di gustare la porzione di croquembouche. –Oddio! Melanie è insuperabile. Questo dolce è… non ho parole!
–Eh, no, adesso mi hai incuriosito: molla una pallina!
–Neanche per sogno!- sbottò Faith. –Se ne vuoi un pezzo, devi alzarti a prenderlo.
–Attenta, potrei sfoderare i miei irresistibili occhioni da cucciolo- replicò Franz. –Non avresti scampo.
–No.
–L’hai voluto tu. Occhioni cucciolosi meno tre… due… uno…
Faith gli diede un pugno al braccio e sbuffò –E va bene, cedo al ricatto. Tieni.
Franz spazzolò il delizioso dolce, emettendo sonori versi di apprezzamento, poi disse –Sai, mentre eri impegnata nella prova di sopravvivenza, Brian mi ha mostrato alcuni video tuoi. Tu canti! E bene! Perché hai fatto medicina, con una voce come la tua?
–Per poterti dare il tormento, ovviamente- rispose lei, strizzandogli l’occhio. –E perché ho... perso la voce.
–Te l'ha rubata una strega obesa coi tentacoli al posto delle gambe? Potrei essere il tuo coraggioso principe Eric e ridartela!
–Pensiero gentile, ma temo sia persa per sempre- sospirò mestamente Faith. –Ho notato che hai fatto amicizia con Kyle.
“Kyle. Pure il nome è stupido!”
–Amicizia, che parolona! Diciamo che mi ha edotto sulle meraviglie delle tue - per citare Jeff - "notevoli protuberanze toraciche"- replicò in tono piatto. Quando la vide arrossire, non riuscì più a trattenersi, e sbuffò –Come facevi a stare con quello scimmione?
Faith, quasi cianotica, mormorò –Mi piaceva. Era… divertente.
–Oh, immagino come ti facesse “divertire”!
–Sì, stavo con lui perché ha degli addominali che parlano, cantano e fanno magie, e non me ne pento! Purtroppo non puoi costruire niente fuori dal letto se lui ha la tartaruga sull’addome, ma un lombrico in prognosi riservata nella scatola cranica. Appena l’ho capito, è finita. Avanti, su, criticami, rinfacciami la mia superficialità!
–No, io… non mi permetterei mai di giudicarti, però... non mi sembri tipo “da Kyle” ecco.
–Se è per questo, tu non sembri tipo “da Bridget”, ma sei caduto nella sua rete!
–Non farti film mentali. Bridget è carina, simpatica, se vuole, ma sono un maschio di uomo, non di mantide, la prospettiva di farmi staccare la testa dopo l’orgasmo non mi alletta nemmeno un po’!
Faith scoppiò a ridere, sollevata.
–Quando l’ho conosciuta era divertente, spiritosa, sopra le righe - pensa, aveva il vizio di pedinare i ragazzi che le piacevano! Se ripenso a tutte le volte che l’ho accompagnata nei suoi pedinamenti mi viene da ridere - poi si è sposata - con un giocatore d'azzardo patologico - e la smania del suo primo marito per ostentare una moglie-trofeo ha segnato la sua trasformazione in Bridget ‘Panterona’ McDuff, ex signora Parker-Da Silva-Rodriguez ... e chissà cos'altro, visto che è ostinata a sposarsi ancora.
–Se lei è felice, perché dovrebbe interessarti?- asserì Franz.
Faith curvò le labbra in una smorfia triste.
–Ti sembra forse felice?
–Non saprei, ho poca esperienza di matrimoni e pressoché nulla di matrimoni felici- rispose, per poi cambiare subito argomento. –Nonostante detesti Halloween, è innegabile la sua magia: in quale altra notte dell’anno potresti mai assistere a una lite furiosa tra Legolas e Cappuccetto Rosso?
Faith cercò con lo sguardo i personaggi in questione, arcuò le sopracciglia in un’espressione pensierosa, distese le labbra in un sorriso e sospirò –Connie e Keith. Hanno parecchio di cui discutere. Non si chiariranno tanto presto. Non amo fare del pettegolezzo, ma è il caso che ti spieghi: Connie e Keith sono la classica coppietta cresciuta insieme; al liceo erano il paradigma dell'amore melenso, destinato a durare in eterno… prima che Vyvyan, il migliore amico di Keith, si mettesse in mezzo.
Franz serrò le mascelle, indignato, fece un respiro profondo e chiese –Ha fregato la ragazza al suo migliore amico?
–Oh, no- rispose lei, mesta. –Non era nel suo stile. Vyvyan era un abile manipolatore: ha convinto Keith a lasciarla, poi si è precipitato a consolarla.
–Che pezzo di stronzo! E' qui alla festa?
–No … è morto. Incidente stradale. Aveva diciotto anni- ebbe un tremito: non si azzardava a rivangare il ricordo dell’incidente con i suoi amici per non mostrarsi debole, ma la verità era che l’aveva scossa nel profondo. –Non dimenticherò mai quella notte. Connie era insieme a lui, al posto del passeggero, e fortunatamente si è salvata, ma…
–Non è riuscita a perdonarselo. Posso soltanto immaginare quanto sia terribile il senso di colpa del sopravvissuto- asserì Weil, annuendo.
–E’ scappata oltreoceano per rimettersi in sesto, e…- si bloccò: Connie aveva dato uno schiaffo a Keith ed era corsa via in lacrime.
–Una trama degna di un romanzo- asserì Franz, dopodichè presero a discutere di motori. Faith tentò invano di piegarlo al proprio punto di vista.
–Capisco che per un appassionato sia inconcepibile, ma la verità è che non me ne frega niente. Ho preso la patente a ventiquattro anni perché mi hanno costretta i miei, in vita mia sono salita una volta sola su una moto - la tua- tengo Nina come una reliquia perché non vorrei cambiare automobile tanto presto - mi ci sono affezionata - e l’ho scelta per il colore e il chilometraggio, non certo per i cerchi in lega o le cromature o altre stronzate. Mi sono domandata: può portarmi da un posto all’altro con la pioggia o con il sole, senza lasciarmi a metà strada? Sì? Ok, la prendo.
–No, no, no. Basta- piagnucolò Franz, tappandosi le orecchie. –Non voglio sentire! Non ti sento!
Riacquistò un contegno dignitoso quando vide avanzare verso di loro una donna, chiaramente un'amica di Faith, inghiottita da un sontuoso abito rosa e una parrucca impressionante, degna della Marie Antoinette di Sophia Coppola, seguita da un uomo conciato nello stesso stile.
“E mia madre si chiede perché non voglio una fidanzata: per non finire assoggettato alle manie dovute a ciclici sbalzi ormonali!”, pensò.
–Faith! Chi ti ha vestita, un barbone cieco? Sei tremenda! Inguardabile!- strillò la torta alla panna rosa.
–Ciao anche a te, Abby. Pardon, Maestà. Sei stupenda. Ehi, Ben- rispose Faith, che se la stava godendo un mondo.
–Ora capisco perché Roger è fuggito: si è spaventato! E non posso che dargli ragione: sembri uno spaventapasseri dark!- sospirò affranta. –Di questo passo non troverai mai un uomo! Devi metterti addosso roba decente, che valorizzi il tuo personale, non il genere di cosa polverosa con cui hanno seppellito la mia bisnonna!
–Su questo punto concordo pienamente, madame- asserì Weil, annuendo.
Abigail, accortasi della sua presenza, lo squadrò minuziosamente da capo a piedi, e lo riconobbe come il collega di cui si lamentava in continuazione.
–Faith, non mi presenti il tuo… amico?
In piedi accanto a Faith, Ben Cartridge tossicchiò sonoramente e replicò –Tecnicamente lo conosci già, Abby cara, lo hai visto in foto!
–Lo so, Ben. Stavo cercando di fare conversazione, si usa così tra persone civili- ribatté lei, seccata.
Faith, per stroncare sul nascere quel battibecco tra coniugi, intervenne prontamente.
–Franz, loro sono i miei amici Ben e Abigail Cartridge, i nostri anfitrioni per la serata. Ben, Abby...- ringhiò l'ultima parola, lanciando occhiate ammonitrici ad Abigail. –Lui è il mio tutor, Franz Weil.
Franz strinse la mano a Ben, che gli sorrise amichevole, poi ad Abigail, cui fu costretto a fare il baciamano, perché, come gli aveva fatto notare, così si usa a una regina (anche se finta).
La Regina Abigail emise un risolino eccitato, quindi trillò –Tutor, eh? Scommetto che Faith si fa dare un sacco di ripetizioni!
Ben alzò gli occhi al cielo, Faith divenne dello stesso colore del divano (prugna) e Weil balbettò qualcosa di incomprensibile, che somigliava a "Pessima battuta, trita e ritrita".
Per loro fortuna, il taglio della torta di compleanno di Jack - non a caso soprannominato Jack O’Lantern - risparmiò loro ulteriori imbarazzi.
Adducendo il pretesto del lavoro, salutarono l’allegra compagnia e fecero ritorno a casa sulle note di ‘Rock ‘n Roll nigger’.
 
Note autrice:
Come da copione, il capitolo non mi convince al 100%. E’ normale non essere mai del tutto soddisfatti di quello che si pubblica?
Faith se l’è spassata con la sua folle compagnia e Franz ha scoperto parecchie cosette su di lei, ha rinvigorito il suo ego flirtando con la sensuale Bridget e ha conosciuto il dottor Irving! Cosa penserà il dottor Irving del nuovo “amico” della sua Tartarughina? Chissà…
Abby è stata imbarazzante e inopportuna, ma se non lo fosse non sarebbe Abby, perciò perdonatela, non sa quello che fa. Fortuna che c’è Ben a tenerla a bada! XD
Demon è un genio. Davvero. Non dimenticatevi di lui, presto arriverà il suo momento di gloria.
Nota culinaria: il croquembouche esiste, è un dolce francese formato da una montagna di bignè, e chi, se non Melanie, la Cake Queen, poteva prepararlo?
Au revoir!
Serpentina
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Ragione contro sentimento ***


Sono imperdonabile, lo so! Basta il nuovo, lungo capitolo a evitarmi punizioni corporali? Ai lettori l’ardua sentenza! Enjoy! ^^
 



Ragione contro sentimento



 
La ragione e l’amore sono nemici giurati.
Pierre Corneille
 
–Pensi troppo, zio. Ti fa male- asserì una vocetta infantile.
Franz Weil alzò gli occhi sul maggiore dei suoi nipoti e non riuscì a trattenere una risatina: il contrasto tra l’espressione solenne del bambino e il labbro superiore macchiato di latte al cioccolato era veramente buffo!
–Hai ragione- rispose. –Purtroppo, lo zio è una di quelle persone che non mettono mai in pausa il cervello.
–Spegnilo, allora- replicò il piccolo con semplicità, scrollando le spalle.
–Parole sante, Hans- esalò Alexander, baciò sulla testa il figlio e lo lasciò libero di andare nella sua stanza ad accanirsi sul fratellino.
–Dovresti essere più severo con lui, Xandi- commentò Franz. –Non è giusto che maltratti Wilhelm solamente perché è più debole!
–Non gli fa nulla che non ti abbia fatto io quando eravamo piccoli- ribatté Alexander.
–Appunto- sibilò Franz, cupo. Adorava Hans senza riserve, ma, forte della solidarietà tra fratelli minori, parteggiava per Wilhelm.
Pungolato dal senso di colpa, Alexander si schiarì la voce e si affrettò a cambiare argomento.
–Allora, qual buon vento ti porta qui?
–Ho bisogno di una mano, Xandi- mormorò Franz. –Persuadimi che sto facendo la cosa giusta, perché non ne sono più tanto convinto.
Alexander stava per approfondire la questione, quando la porta d’ingresso si aprì e Serle Weil entrò, urlando –Alex, sono carica come un mulo, vieni ad aiutarmi!
–Serle, per favore! Sto parlando con Franz!
–E allora? Mica devi sollevare le buste con la lingua! Avanti, su, muovi il tuo bel sederino, o la cena stasera te la cucini da solo!
Di fronte a una minaccia del genere qualunque uomo privo di abilità culinaria avrebbe ceduto, e Alexander non fece eccezione: scattò sull’attenti come un soldatino e si precipitò ad alleggerire il carico di bustoni di sua moglie.
Poggiò la spesa sul tavolo della cucina e ridacchiò –Non sapevo avremmo avuto una squadra di calcio ospite da noi!
–Spiritoso! Ho fatto la spesa oggi perché conveniva, i prodotti biologici erano in offerta- sbuffò Serle, quindi aggiunse, sorridendo al cognato –E’ meraviglioso vederti, Franz. Quel bifolco di mio marito ti ha almeno offerto un caffè?
–Certo che sì!- replicò Alexander, offeso. –E non sono un bifolco!
–Se lo dici tu, caro- rispose la donna, sorridendo di nascosto mentre riempiva il frigorifero.
Alexander si sedette, a braccia conserte, in attesa di rimanere nuovamente solo con suo fratello, poi, compreso che sua moglie non aveva alcuna intenzione di sloggiare, sbottò –Serle, in caso non l’avessi capito, stiamo facendo un discorso da uomini! Potresti sloggiare?
–Io non mi muovo da qui, Alexander. Non lascerò scongelare del cibo per assecondare la tua immaturità- rispose lei, senza smettere di sistemare la spesa. –Continuate pure come se non ci fossi, non mi scandalizzo se fate una classifica delle tette più belle che avete visto finora…. A patto che le mie siano al primo posto, caro- aggiunse con tanto di maliziosa strizzata d’occhio.
Franz strabuzzò gli occhi: dopo sette anni, la franchezza di sua cognata riusciva ancora a sconvolgerlo.
Alexander, invece, che vi era abituato, si alzò, abbracciò da dietro Serle e la baciò, dopo un entusiastico –Ecco perché ti ho sposata, bella bionda!
Un sonoro tossicchiare riportò l’attenzione dei due piccioncini su Franz, che disse, cercando di nascondere un sorriso –Vorrei non assistere al concepimento di un terzo nipotino. Grazie.
–Sono questi commenti da zitello acido ad alimentare la smania matrimonialista di mamma- rispose Alexander. –Non ha ancora realizzato che saresti acido anche se avessi a disposizione un harem!
–Xandi, se avessi voluto divenire oggetto di derisione sarei andato al circo Morris, quello dove usano il pubblico come cavia per i numeri- sibilò Franz.
–Uffi, che noioso che sei! Comincio a pensare che ti abbiano adottato, non possiamo essere fratelli!- sbuffò Alexander, per poi ritrattare sotto lo sguardo minaccioso di sua moglie.
–Lascia perdere Alex, è più immaturo dei nostri figli- chiocciò Serle. –Sputa il rospo, Franz: cosa c’è che non va?
–Ecco, io…
–Ti bullizzano al lavoro?
–Si chiama mobbing, Serle- precisò Alexander.
–Per me può chiamarsi anche Supercalifragilistichespiralidoso, la sostanza non cambia- ribatté la donna.
–Ehm, ragazzi- intervenne Franz. –La sostanza è che… mi piace una… ecco.
Alexander si bloccò di colpo, come folgorato; si voltò, allibito, ed esalò –Tu. Provi. Interesse. Per. Una. Donna? tu? Ma è impossibile!
–Non dire sciocchezze, Alex. Chiunque può innamorarsi, basta avere un animo sensibile.
–Appunto per questo per Franz è impossibile!
–Ti sto odiando profondamente, Xandi, sappilo!
–Non fare l’offeso, sai benissimo che ho ragione- sbottò Alexander. –Non capisco, però, cosa vuoi da me.
–Non ti è chiaro, Alex? Vuole che lo aiuti a conquistarla: dopo tutte quelle psicopatiche, ha dimenticato come si corteggia una donna normale!- asserì Serle.
Franz, pensando a Faith, sorrise, e rispose –Non la definirei “normale”…
–Beh, ovviamente per te è speciale- si corresse subito Serle. –Intendevo normale rispetto alla pazza gotica o a quella vegan chic per niente chic e altri casi umani che preferisco non ricordare… una con le rotelle a posto, insomma.
–Il punto è un altro, cara la mia cognatina- sospirò stancamente Franz. –Voglio che Xandi mi dia la forza… per starle lontano.
I due coniugi rimasero letteralmente a bocca aperta.
–Fammi capire: lei ti piace, potrebbe ricambiare, però… vuoi rinunciare? E’ assurdo! Che problemi hai col sesso femminile, Franz?
–Nessuno. Con lei? Parecchi.
"Ulteriore prova a favore della laicità: una divinità perfetta non avrebbe mai creato la donna dalla costola di un substrato di così infima qualità!" pensò Serle, battendosi una mano sulla fronte, sconcertata dall'ottusità del "sesso forte" (in cosa, non si sa).
Alexander prese la parola, e la sua affermazione lasciò di stucco gli altri due.
–Ti dirò quattro parole, contate, cinque, includendo la congiunzione: Horst Schwarz e Peter Bullard.
Franz sgranò gli occhi, si alzò, abbracciò il fratello, esalò – Vielen Dank per avermi indicato la strada da percorrere, Xandi: evitare l’amore a tutti i costi- e se ne andò.
Sconcertata dalla piega che aveva preso la discussione, Serle, furibonda, inveì contro suo marito, brandendo un salame –Sei un coglione!
–Serle, trattieniti, ci sono i bambini in casa!
–Non me ne frega niente! Ti rendi conto di cosa hai fatto? Sei una merda!
–Amore, dai, pensa ai bambini…
–Forse hai rovinato la vita di Franz, e mi dici di pensare ai bambini? Vaff… mmm!
Emesso un sospiro di sollievo per essere riuscito a tappare la bocca alla sua battagliera metà, Alexander replicò –Non avrai creduto di farmi paura con quel salume in mano… oh, un salame tipo Milano, il mio preferito! Potremmo mangiarlo stasera come antip…- l’occhiata inceneritrice di Serle lo indusse a non divagare –Ehm, tralasciando la cena… ho avuto le mie buone ragioni per, come hai detto tu, comportarmi da coglione. Non conosci mio fratello come lo conosco io: per lui i sentimenti sono un campo minato delimitato da filo spinato elettrificato; ne ha una  paura tremenda. Deve liberarsi dei dubbi e iniziare questa storia senza rimpianti; manderà tutto a rotoli se non sarà pienamente convinto di aver fatto la scelta giusta.
–In pratica, hai fatto in modo che… gli eventi facciano il loro corso, ma con una spintarella?
–Precisamente. Franz farà un passo indietro, e, quando sarà pronto, un balzo in avanti.
Serle, rabbonita, abbandonò il salame sul tavolo e gettò le braccia al collo di Alexander, che rispose energicamente al bacio. Vennero interrotti da uno scocciato –Che fate?
Si separarono immediatamente, e Alexander rispose –Niente, Hans, la… ehm… mamma aveva… qualcosa tra i denti.
–Ah. Ok.
–Ti serve qualcosa, tesoro?- gli chiese Serle, passandosi un dito lungo il contorno delle labbra: naturalmente, il rossetto era sbavato.
–Altro latte- rispose il bambino, porgendole il bicchiere vuoto.
–Bianco, però, non al cioccolato.
–Ma mamma!
–O bianco, o niente- asserì categorica Serle.
Hans si arrese e acconsentì a bere il latte al naturale. Ingollò il contenuto del bicchiere tutto d’un fiato, poi chiese –Papà, mi spieghi una cosa?
–Qualunque cosa, campione.
–Cos’è un coglione?
Alexander, passate in rassegna tutte le tonalità di rosso esistenti, stava per spiegarglielo, quando il rumore di un bicchiere che si infrangeva sul pavimento distolse l’attenzione di Hans da lui. Con la scusa di tenerlo lontano dai frammenti di vetro, Alexander spedì il figlio a giocare in camera sua, quindi, pulito il pavimento, baciò sua moglie e ridacchiò –L’hai fatto apposta. Confessa!
Serle gli diede un altro bacio e rispose –L’ho giurato sette anni fa, caro: ti parerò il culo finché morte non ci separi.
–Ecco perché ti ho sposata, bella bionda!
 
 ***
 
Faith stessa non era esente da dubbi, ma, a differenza di Franz, aveva deciso di non esternarli e di lasciarsi trasportare dagli eventi.
“Se son rose, fioriranno”, si diceva.
Intanto, però, aveva comunque intrapreso l’ardua strada della rinascita; dopo la disastrosa fine della storia ultra seria con Cyril si era lasciata andare, abolendo la vanità e riducendo al minimo sindacale la “manutenzione”, arrivando a evitare gli specchi come un vampiro. Toccato il fondo, non poteva che risalire la china, e, grazie alle sue amiche, ci stava pian piano riuscendo: un filo di trucco al lavoro, non soltanto per uscire, maggiore cura nel vestirsi e, dulcis in fundo (sebbene non altrettanto dulcis per il portafoglio), aveva preso a frequentare con maggiore assiduità estetista e palestra (la seconda dietro minaccia delle suddette amiche di portarcela di peso). Avere un cervello funzionante non la autorizzava a non valorizzarsi: non voleva perdere la propria essenza, si accontentava di apparire un bel anatroccolo… nella speranza che un certo cigno di sua conoscenza aprisse gli occhi e si accorgesse di lei.
–Mi raccomando, ragazze, vi voglio in splendida forma alla mia festa, eleganti e, ovviamente, con un bel regalo per me- trillò Abigail, asciugandosi il sudore dalla fronte.
–Ab, ce lo avrai ripetuto un milione di volte- si lagnò Faith: va bene essere perfezionisti, ma c’è un limite a tutto! –Cosa credi, che ci presenteremo in salopette e con un rastrello in mano?
–Ne saresti capacissima, F- esalò Bridget, che si stava beando della conta delle calorie perse e degli sguardi di apprezzamento che un body builder lanciava al suo didietro.
–Fottiti, Bridget.
–Già fatto. Stamattina. Nelle docce. Volete i dettagli, o…?
–No, no, per carità!- la zittì Abigail.
–A me interessano, invece- la contraddisse Faith per il puro gusto di irritarla. –Sai, non l’ho mai fatto nella doccia, e…
–Mai?- esclamarono in coro le altre due. –Incredibile! Se non l’hai fatto nella doccia, non hai mai fatto davvero sesso!- aggiunse Bridget, allibita.
–Mi duole darle ragione, ma…. ha ragione- le fece eco Abigail.
–E’ che… mia madre mi ha strappato la promessa di farlo nella doccia soltanto dopo il matrimonio, o una lunga convivenza- confessò Faith, ansante e con i polpacci doloranti: aveva impostato il tapis roulant su ‘camminata veloce’, ma quel Kapo del trainer era piombato su di lei come un falco sulla preda e aveva impostato ‘corsa sostenuta’, oltretutto fissandole spudoratamente il davanzale.
“Maledizione a me che non ho messo una t-shirt!”
–Davvero? Adoro tua mamma, F, ma certe sue uscite non le capisco!- esclamarono in coro le altre due.
–Figuratevi io!
–Tornando alla mia inimitabile festa… vedete come dovete fare, ma presentatevi accompagnate, altrimenti mi arrabbio: non ho amici di Brian o Ben disponibili, purtroppo sono tutti impegnati, in un senso o nell’altro, e non voglio vedervi sole in un angolino a fare la calza- sciorinò Abigail tutto d’un fiato.
Bridget dichiarò che non sarebbe stato difficile, per lei, trovare compagnia per la serata, e Faith annuì: aveva già in mente a chi chiedere questo favore.
Abigail, lamentando una insostenibile pesantezza alle gambe, pensò bene di fare una pausa. Non appena fu fuori portata d’orecchie, Bridget sibilò –Non pensarci neanche, F.
–C-Come, s-scusa?
–Se ti vedo alla festa con lui, te ne farò pentire- proseguì, ignorandola. –Portati appresso chiunque, il primo imbecille raccattato per strada, tutti tranne lui. Non commettere lo stesso errore una seconda volta.
–Bridge, di cosa…?
–Non rovinare tutto, non gettare via la serenità che stai riacquistando con tanta fatica. ‘Solomon due: la vendetta’ è un film che non va girato, chiaro? Porta con te al party un amico, qualcuno di cui non ti importa nulla, e se hai le farfalle nello stomaco, sopprimile col DDT!
–Bridge, temo tu abbia l’impressione che provo qualcosa per… qualcuno, ma non è vero! O forse lo è, ma ti assicuro che non interferirà con la mia vita, anzi, sarà un’aggiunta che mi renderà felice- replicò Faith.
–Abby vive nel suo mondo fatato, dove le principesse si innamorano dei principi, si sposano e vivono per sempre felici e contenti- rispose l’altra. –Io vivo nel mondo reale, in cui, a volte, la principessa, delusa da principi vuoti e col cervello nella calzamaglia, si prende una cotta per il drago. Non va bene. Non è il finale giusto.
–N-Non c-capisco, B…
–Non fare la finta tonta, sai benissimo di chi sto parlando: sta alla larga da quel Weil.
Colpita e affondata, Faith perse l’equilibrio e scivolò giù dal tapis rulant, battendo violentemente la schiena sul duro pavimento della palestra.
 
***
 
–Oddio, le sta tenendo la mano!
–E lei gli ha pulito quella macchia di cioccolato col tovagliolo!
–E adesso… si baciano. Di nuovo.
–Certo che… slinguazzare così, davanti ai pazienti…
–Chi se ne frega dei pazienti! Li curiamo, la maggior parte delle volte alla grande, si facessero i cazzi loro!
–Giusto. Ti dirò, secondo me trasmettono un bel messaggio: i medici sono esseri umani. Voglio dire, veniamo visti quasi come degli alieni, va benissimo ricordare, ogni tanto, che sotto questi camici bianchi batte un cuore.
Gli oggetti dei commenti, Christopher Hale ed Erin Campbell, ignari di tutto, ridacchiavano tra un bacio e l’altro, felici come solo gli innamorati “freschi” sanno essere.
–Non posso smettere di guardarli, sono un amore!
–Tenerissimi!
–Sono nauseanti- sputò con acrimonia Franz Weil, prima di sedersi vicino agli amici Harry James e Robert Patterson.
–Gioioso come sempre, eh, Husky?- scherzò Harry.
–Niente battute idiote, non sono dell’umore giusto.
–Non sei mai dell’umore giusto, Husky, per questo prenderti in giro dà tanta soddisfazione- rincarò la dose Robert.
–Ah, sì? Beh, oggi è peggio del solito!- abbaiò Weil.
–Che è successo?
–Ho riflettuto sulla piega che sta prendendo la mia vita, ne ho parlato a Xandi e ho capito che stavo per commettere un errore imperdonabile. Mi arrendo alla ragione: l’obiettivo, in questo momento, è fare carriera, poi, un giorno, forse... se troverò la persona giusta…
Harry sorrise e allungò una mano verso Robert dicendo –Mi devi dieci sterline, amico.
–Fanculo!- sbottò Patterson, contrariato. –Avevo scommesso che ti saresti messo con Faith entro Natale!
–Tu cosa?
–Io, invece, che ti piace ma non ti saresti mai fatto avanti- sospirò Harry, sorridendo alla banconota mentre la infilava nel portafoglio.
–Tu cosa?
–Ehi, non è colpa nostra se tutti hanno capito che morite dalla voglia di saltarvi addosso!- si difesero i due in coro.
–Io non… muoio dalla voglia. Chiaro?- ringhiò Weil. –Faith è una collega. Kaput.
–Insomma- chiese conferma Harry –Hai deciso di alzare bandiera bianca prima ancora di essere sceso in battaglia.
–Non si alza nessuna bandiera!- ululò Franz. –A volte capita, tipo la mattina, oppure se mi vengono in mente pensieri sconci su F… non è questo il punto!
–Infatti. Il punto è: perché?
–Horst Schwarz e Peter Bullard.
–Eh?
Franz sospirò e si spiegò.
–Peter è incastrato in un lavoro inferiore alle sue capacità che non molla soltanto per non dare un dispiacere a sua moglie, Horst, invece, ha rinunciato a un’offerta allettante, di quelle che capitano una volta nella vita, per non lasciare la sua fidanzata, che non voleva una storia a distanza. Milioni di neuroni buttati nel cesso per amore. Non voglio fare la loro fine.
–In definitiva… getti la spugna- esalò Robert.
–Prima che sia troppo tardi- rispose Franz, terminò il suo cappuccino e se ne andò.
Harry scosse il capo e Robert sbraitò –Razza di zuccone! Ci penso io a smuoverlo un po’!
 
***
 
 La mattina del diciotto novembre, Robert chiuse l’ambulatorio trionfante: si era confermato un ottimo ecografista, aveva rimbeccato la perfida Imogen su un errore in una scheda di dimissione e, ciliegina sulla torta, Faith gli aveva chiesto di accompagnarla alla festa della sua amica Abigail (come amici, naturalmente).
Robert aveva accettato, e aveva elaborato all’istante un piano per sfruttare l’occasione a suo vantaggio.
Si diresse al bar, dove, come previsto, trovò Franz, impegnato in una difficile scelta: restare fedele ai Mars o sperimentare il Bounty? Questo era il problema!
Robert lo colse di sorpresa urlandogli nell'orecchio –BUONGIORNO!
–Aiuto! Ma chi…. ? Ah, sei tu. Robert.... Pattinson- rispose Franz, sapendo di toccare un nervo scoperto.
Robert, infatti, sentendo storpiare il suo cognome, si imbufalì, e abbaiò –E che cazzo! Sai benissimo che odio che mi si chiami così: da quando quella faccia da poster è diventato famoso non passa giorno senza che qualche mia paziente esaltata sbagli il mio cognome! Mettiamo le cose in chiaro: IO non sono stato ucciso da uno capace di trasformarsi in un topo, IO non sono diventato un succhia-sangue sbrilluccicoso e IO non ho mai visto elefanti in vita mia! Sono Robert PATTERSON!
Franz, ostentando superiorità, prese un Mars e gli chiese –Ti sei calmato?
–Sì.
–Bene. Che ci fai qui?
–Ho appena mandato via l’ultima paziente e volevo concedermi un caffè.
–Una camomilla è più indicata- asserì Franz.
Robert ridacchiò, quindi domandò all'altro –Husky, in via del tutto ipotetica... così, per curiosità... cosa pensi di Faith?
–La dottoressa Irving, dici?- gli chiese Weil di rimando, curioso di scoprire dove l'amico volesse andare a parare.
Robert annuì e ripetè –Cosa pensi di lei?
–Che, detesto ammetterlo, tra qualche anno mi supererà. Per questo la maltratto: da quei tre idioti di non mi aspetto altro che idiozie, da lei che è brava niente di meno della perfezione- rispose.
–No, Husky, non hai capito, intendevo cosa pensi di lei... come donna- chiarì Robert.
Il consueto pallore candido di Weil si tinse di rosa, e, senza spostare lo sguardo dal distributore, esalò –Beh... sai che mi piacciono le belle donne...
–Non è brutta!- ribatté Robert, contrariato, come se l'amico gli avesse fatto un'offesa personale. Non faceva di cognome Pattinson, ma possedeva doti di attore di tutto rispetto.
“Ho forse detto che è brutta? Ho detto che mi piacciono le belle donne, se hai tratto le conclusioni sbagliate... no, un momento, cosa vado a pensare? Ho bisogno di un altro Mars!” pensò Franz, e disse –Provavo un modesto interesse per lei, è vero, ma è passato. Faith è, uhm… fisicamente insignificante- bloccò con la mano Patterson che stava per ribattere e continuò il discorso –Taci. So cosa vorresti dire, e ti ripeto che la Irving è fisicamente insignificante, le sue uniche “particolarità” le può avere chiunque con una buona mastoplastica additiva!
Patterson gli riservò un'occhiata poco convinta, poi chiese –Quindi... non ti attira più? Nemmeno un pò? Sicurosicurosicuro?
“Mi attira troppo, è questo il problema! Non va bene!”
Il rosa di Weil divenne più intenso, ma rispose, sempre fissando la barretta Mars che aveva in mano –No che non mi attira! Ma dico, ti sei drogato? Non vedi che non facciamo che bisticciare come i bambini dell'asilo per ogni minuscola scemenza?
–Guarda che non lo pensavo solo io, tutto il tuo fan club è in subbuglio per le voci che girano su te e Faith!- replicò Robert.
“Ho un fan club? Fico!!” pensò Weil con notevole compiacimento, poi sbottò –Siamo un ospedale o la redazione di un tabloid?
Patterson ridacchiò sollevato –Un po’ tutti e due, temo-, prese un altro cappuccino, infine gli chiese –Quindi, visto che Faith non ti piace più, non ti dispiace se... ci esco, vero?
Weil, che nel frattempo aveva addentato il Mars, rischiò di soffocare, ma riuscì a riprendersi e a chiedere, sconvolto –Ti ha detto di sì?
–Veramente.. non gliel'ho ancora chiesto- mentì Robert.
Weil tornò improvvisamente suo consueto colorito, morse con ferocia il Mars e replicò, gelido –Ti compatisco: sei un ginecologo, circondato da donne, alcune niente male, eppure vuoi uscire proprio con quella palla al piede della Irving... dirò a Liam di visitarti, hai un disperato bisogno di un oculista!
–Si, beh... prima devo vedere se accetta- esalò lui, lievemente scoraggiato.
–Conoscendola ne dubito- rispose Franz. –Ma non preoccuparti, puoi sempre usare l’obitorio per piangere in privato!
A quelle parole Robert comprese di aver colpito nel segno: fulminò con lo sguardo Weil, sibilò minaccioso –Lo vedremo!- e se ne andò facendo bene attenzione a urtare l’amico, facendogli cadere il Mars a terra.
Colmo di soddisfazione per la propria performance recitativa, Robert corse da Faith, sfidando la fobia per i sotterranei e l’odore di formalina e disinfettante che vi aleggiava.
–Faith!- rispose lui. –Cercavo proprio te! Gioisci: l’operazione è perfettamente riuscita!
–Operazione? Oggi non eri all’ambulatorio ecografico?
Robert comprese di aver rivelato troppo: per la buona riuscita del piano, Faith doveva restare all’oscuro di tutto.
–Sì, sì, infatti… a stasera, allora. 9 p.m. in punto!
A conclusione di una performance da Oscar, andò a gongolare da Weil, che nel frattempo era tornato nella stanza medici del sotterraneo.
Entrò senza bussare, e intimò agli altri di uscire; Weil, pur consapevole della sua presenza, non distolse lo sguardo dalle carte che stava leggendo, al che Robert, con studiata noncuranza, disse –Volevo solo informarti che non avrò bisogno dell’obitorio per piangere, ma grazie lo stesso, sei un vero amico.
Weil, senza alzare gli occhi dalle carte, gli chiese acido –Hai deciso di versare le tue lacrime in sala parto?
–Niente lacrime per me: la bella Faith e io usciamo insieme stasera.
Weil alzò gli occhi dalle carte e domandò, incredulo –Voi cosa?
–Ho chiesto a Faith di uscire con me e ha accettato- ripetè Robert con lo stesso, fastidioso tono che si usa con i bambini.
–Tu cosa?
–Hai sentito benissimo, non farmelo ripetere. D'altronde, citando le sue testuali parole: ”quale donna si rifiuterebbe di uscire con me?”
–Una sana di mente. E adesso sparisci, devo lavorare!
–Povero, povero, Husky. Trovati un’amichetta alla svelta, così potremo uscire in quattro!
–Sei sordo per caso? Vaporizzati!- urlò Weil e Patterson, terrorizzato all'idea che gli tirasse contro qualcosa di affilato, obbedì.
Franz, gettati alle ortiche i propositi di calma, buttò per aria le carte, infine, graffiando la scrivania con ferocia, si ripeté qualche decina di volte che era stupido prendersela: lui e Faith erano colleghi, punto e basta, raffreddare i rapporti con lei era stata una sua (sofferta) decisione, perciò non poteva lamentarsi, doveva reagire; non poteva aspirare al titolo di Mr. Simpatia, però era bello e brillante, poteva averne mille come lei, se non meglio... dopotutto, a dirgli che, se non fosse stato il misantropo che era, gli avrebbe dato del filo da torcere era stato Brian Cartridge, mica l'ultimo degli sfigati!
Animato da un irrazionale desiderio di rivalsa, prese il telefono, selezionò una voce dalla rubrica, attese che il destinatario della chiamata gli rispondesse, infine disse, sogghignando –Ho deciso di uscire dal mio bozzolo e seguire il tuo consiglio. Hai qualche "amica" da farmi conoscere... mamma?
 
***
 
Faith, dopo una doccia veloce e rigenerante, si fece bella per il primo appuntamento da quando Cyril l'aveva lasciata. Non che si fosse improvvisamente trasformata in Miss Frivolezza, semplicemente ci teneva ad apparire al meglio, per se stessa: meritava di sentirsi bella e desiderata.
–E questo, Agatha?- domandò alla gatta, facendo una giravolta per mostrarle un abito corto e variopinto, fissandola come se si aspettasse davvero che le rispondesse. Agatha emise un miagolio di dissenso e agitò la coda da parte a parte, chiaro segno che l'abito non incontrava la sua approvazione. –Non è possibile: è il decimo che provo!- protestò, quindi sospirò, maledicendosi per non aver chiesto aiuto via web cam a Bridget… prima di ricordarsi della passione dell'amica per fantasie animalier e scollature da cardiopalmo che a lei, che aveva una terza, stavano bene, su Faith, che aveva una quinta abbondante, beh... –Oh, eccone uno che mi piace: nero e semplice, a parte le ruches... Ab ne sarà lieta, adora la roba ruchosa e fioccosa! Guarda, Agatha, c'è pure una cintura rossa coordinata, per dare un tocco di colore!- esclamò Faith, felice come una pasqua, indossandolo –Potrei rispolverare la pochette in tinta e le scarpe rosse che mi fanno venire un mal di piedi epico, ma sono stupende a vedersi... allora, lo approviamo?- Agatha balzò giù dal letto per andare a fare le fusa contro le gambe della padrona, che prese quel gesto come un segno di assenso. Annuì e disse –Vestito approvato! Passiamo al trucco: meglio puntare sugli occhi o sulla bocca?
Quando Robert bussò al citofono, Faith aveva appena affidato Agatha alla vicina, una studentessa di Belle Arti ben lieta di arrotondare come cat-sitter. Scese le scale quasi di corsa, pentendosi di non aver preso l'ascensore quando sentì l'alluce pulsare, dolente.
Trovò Robert ad aspettarla in macchina, e, sebbene non avesse gradito che lui non le avesse aperto la portiera come un gentiluomo degno di questo nome, gli sorrise raggiante.
Lui ricambiò, le chiese l'indirizzo del locale, infine commentò –Stai alla grande! Dovresti venire al lavoro vestita così... agli altri verrebbe un infarto!
–Escluso il dottor Weil... presupposto fondamentale per un infarto miocardico è, beh, un cuore!- replicò velenosa Faith, irata per la freddezza che Weil le riservava da Halloween.
Robert ebbe il buon senso di non ribattere, si limitò ad un sorrisetto tirato e un commento neutro sul tempo.
Arrivati al locale Patterson esclamò, impressionato –The Marquee? Accidenti! A saperlo mi sarei messo qualcosa di più elegante!
–Stai benissimo, tranquillo: la giacca ce l'hai, sei abbastanza elegante, e Abby non si formalizza!- lo rassicurò Faith.
“Anche perchè lo shock di vedermi con un uomo le farà perdere l'uso della parola!”.
Avendo notato che Robert era ancora nervoso, quasi fosse sotto esame, lo prese per mano sorridendogli, e varcarono insieme la soglia di uno dei locali più alla moda di Londra.
Ebbero giusto il tempo di consegnare le giacche all'entrata prima che una radiosa Abigail, vestita con un abito rosa “da brava mammina” che faceva sembrare un fazzoletto indecente il vestito di Faith, caracollasse verso di loro sui tacchi troppo alti.
Come previsto, stritolata Faith ed emesso un urletto di gioia alla vista del regalo, rimase a bocca aperta alla vista di Robert, per poi esclamare –Oh. Mio. Dio. Tu... sei un uomo!
Patterson, convinto che la donna fosse un po' svampita, ironicamente si guardò gli attributi e rispose –Un secondo che controllo… sì!
Faith scoppiò a ridere e, una volta esaurita l’ilarità, fece le dovute presentazioni –Robert, lei è la mia migliore amica, Abigail Venter.
–Cartridge- la corresse Abby.
Faith sbuffò e spiegò –Cartridge, come immagino saprai, è il cognome da sposata... Abby, lui è Robert Patterson, forse l'hai intravisto qualche volta in ospedale.
I due si strinsero la mano (Abigail quasi la stritolò, tanto l'entusiasmo), quindi Mrs. Cartridge  lo afferrò e lo trascinò dagli altri invitati come un cane da concorso.
Quando finalmente Abigail mollò Robert, distratta da Kaori che aveva fame, Faith, che aveva ingannato l'attesa bevendo qualcosa con Brian, saltò giù dallo sgabello con un'agilità inaspettata, dati i tacchi e i cocktail che aveva ingurgitato, gli mise le mani intorno alla vita e disse –Balliamo?
–Ehm... ok- rispose lui incerto, chiedendosi se l'improvvisa passione per il ballo di Faith derivava dai cocktail ingeriti o dalla consapevolezza che le voci sulla loro serata insieme sarebbero state sulla bocca di tutto l’ospedale entro ventiquattr’ore, ma non gli importò: la prese per mano e la trascinò in pista.
Il dj mise su un lento, e Robert, che cominciava a sentirsi a disagio, stava per chiedere a Faith una pausa, quando Kyle comparve accanto a loro e disse –Concedimi un ballo, dolcezza. In onore dei vecchi tempi.
A giudicare dalla sua espressione, Faith avrebbe preferito farsi estrarre un dente senza anestesia, ma non fece in tempo a replicare che Kyle l’aveva già trascinata in mezzo alla pista, facendo scivolare una mano lungo la schiena fino al limite col sedere.
–Quel mezzo damerino è indegno di te. Ti ha detto che sei splendida, almeno?
–Che ti importa?
–Te l’ho domandato per regolarmi su quante volte ripeterlo. Sei splendida.
–Kyle…
Non riuscì a finire la frase perché lui le fece segno di tacere, e le sussurrò all’orecchio –Sei venuta con lui perché ti piace, o perché avevi bisogno della zavorra per far contenta la festeggiata?
–Kyle…
–Dimmi soltanto questo. Se ti piace, ti lascerò in pace; se, come credo, è una semplice zavorra… ho una proposta per te.
–Una proposta che non potrò rifiutare, suppongo- ribatté Faith, senza tentare di divincolarsi: si era arresa al suo corpo, che le chiedeva il calore di quello di Kyle.
–Faith, ci conosciamo, siamo stati insieme… perché non unire le nostre solitudini?
–Essere soli… insieme? In un letto?- mormorò Faith, titubante. Una parte di lei non voleva mostrarsi disperata, l’altra, quella più istintiva, si chiedeva se gli addominali parlanti fossero ancora al loro posto.
–Letto, divano, tavolo, pavimento…- rispose Kyle. –La tartaruga magica è qui per servirti, dolcezza, quando vuoi e dove vuoi.
Faith si allontanò da lui, scosse il capo e replicò –Il fatto, Kyle, è che…. Non credo ai ritorni di fiamma. Spesso sono soltanto minestre riscaldate.
–La mia è sempre bollente, lo sai- ribatté lui, prima di metterle una mano sulla nuca e baciarla.
Faith si staccò poco dopo, senza fiato, ed esalò –A volte mi chiedo cosa vedevo in te, e la risposta è talmente avvilente che mi faccio schifo da sola.
Kyle, ferito nell’orgoglio, la strattonò per un polso e ringhiò –Anche io mi chiedo spesso cosa ci trovavo in te, e la risposta è… tre buchi per spassarmela.
Avvilita e vilipesa, Faith gli diede uno schiaffo e si rintanò in un angolino, dove rimase finché non la raggiunse Robert. Gli rivolse uno sguardo supplichevole e pigolò –Ti prego, portami a casa.
Andarono via subito dopo il taglio della torta, senza aspettare le foto di rito.
Faith recuperò Agatha, fece due chiacchiere con la vicina e offrì a Robert una tazza di tè con gelato e lo ascoltò ingiuriare “quel porco bastardo” di Kyle.
–Ehi, siamo in tempo per ‘Genital Hospital’!
–Ma non è finito?
–Su Afterhour replicano gli episodi dei serial di Canale Quattro sfasati di un’ora. Non lo sapevi?
–No! Porca miseria!- esclamò Robert, battendo un pugno sul tavolo. –Dici sul serio? Mitico! Sono troppo curioso di scoprire se finalmente la Jordan la darà a Faulkner!
–Non ti dispiace vederlo con me, invece che con i tuoi amici?- gli chiese Faith, accoccolandosi tra le sue braccia sul divano.
–Tra i miei amici sei compresa anche tu.
–Ottima risposta, è quella giusta- sbadigliò Faith, godendo la semplice felicità che poteva donare stare tranquillamente seduti sul divano a guardare la tv con un amico e la propria gatta che si stiracchiava.
–Come premio posso avere l’ultima cucchiaiata di gelato?
Faith lo colpì con un cuscino.
–Grazie per aver infranto la magia di questo momento, Robert!
 
Note autrice:
Parto dai ringraziamenti: first of all Bijouttina, elev e Faith00, che mi regalano un sorriso con le loro recensioni, e giulia9456 e Minelli, che seguono la storia.
Lo ripeto per l’ennesima volta: questo è un racconto politically incorrect, i personaggi sono caricaturali e i loro pensieri e parole non corrispondono al mio punto di vista. Potrà sembrare scontato, ma voglio che sia chiaro.
Nei prossimi capitoli, vi anticipo, Franz continuerà a lottare contro i suoi sentimenti, ma si avvicinerà comunque a Faith… quei due sono legati a filo doppio!
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Colpo di fulmine ***


Welcome back! Neanche stavolta sono stata puntuale, però vi è andata bene: capitolo anticipato! Ho pensato fosse meglio aggiornare prima, piuttosto che tenervi sulle spine. Ho fatto bene? Vi avverto: causa esami, ahimè, non so quando potrò aggiornare di nuovo.
Buona lettura! ^^
 



Colpo di fulmine



 
“Il colpo di fulmine è un secolo che dura un secondo.”
André Dussolier
 
Faith aveva pensato bene di unire l’utile - dare il bentornato a Demon, tornato definitivamente in patria dopo sei mesi di vagabondaggi - al dilettevole, ossia fare merenda con una tazza di tè e deliziosi pasticcini preparati dalle mani fatate di Melanie Bardon in Bailey (non a caso soprannominata Cake Queen).
–È incredibile come la gente riesca a vedere il peggio nei gesti più innocenti! Va bene che Robert ha una certa fama - si vocifera che si intrattenga con le pazienti più giovani e fighe dopo, e a volte durante, l’orario di lavoro - ma santo cielo, non si invita un uomo nella propria casa solo se si hanno secondi fini! Purtroppo, quella sottospecie di comare di Julia Adler l’ha visto lasciare casa mia nel cuore della notte, naturalmente ha tratto le conclusioni sbagliate e ha subito gridato ai quattro venti che noi …
Non riuscì a completare la frase: il solo pensiero di lei e Robert che facevano .... cose le dava la nausea. Rabbrividì, facendo roteare nel piattino la tazza di tè al mirtillo che aveva ordinato.
Demon Keynes scosse il capo e sospirò rumorosamente, irritato dall'inguaribile fiducia dell'amica nel genere umano, infine le dispensò una delle sue immancabili perle di saggezza da matematico impenitente.
–La cosa ti sorprende? Niente soddisfa la meschinità umana più di un buon pettegolezzo, specialmente se ne è oggetto qualcuno che tenta di comportarsi in maniera irreprensibile. Sei arrivata in quell'ospedale preceduta da una fama da Mata-Hari in camice bianco, disposta a tutto per fare carriera; ovvio si aspettassero tutti che dessi scandalo! Hanno compensato le aspettative deluse con un pettegolume di bassa lega su una stronzata che, di fatto, non è mai avvenuta. La Serpent che conosco, e adoro, si farebbe una risata di questo assurdo teatrino. Che ti frega di cosa pensano di te i pettegoli dell’ospedale? Hai dormito con Patterson? Se sì, buon per te, hai tolto le ragnatele dai piani bassi; se no …
–Quante volte devo ripeterlo? Non ho dormito con Robert!- ruggì indignata Faith, battendo i pugni sul tavolo con tale veemenza, da rischiare di rovesciare la tazza col tè. –Non in quel senso. Ci siamo addormentati sul divano, abbracciati. Kyle aveva inferto un duro colpo alla mia autostima, avevo bisogno di un amico, e lui mi è stato vicino. Punto. Non avrei mai … non con lui!
Demon si massaggiò le tempie; lo faceva sempre, quando aveva bisogno di riflettere. –Allora qual è il problema? Lascia che la bolla di sapone scoppi. Tempo due giorni, e qualcos’altro attirerà l’attenzione dei pettegoli.
–Il problema, Devil, è che da allora non mi guarda più negli occhi. Naturalmente, Bridge e Ab pensano sia meglio così.
–Perché è meglio se Robert non ti guarda?- chiese l’amico, perplesso, tra un boccone di crostata alle more e l’altro. –Non Robert, Weil!- lo corresse, stizzita, Faith. –Per essere un cervellone, ti fai sfuggire l'ovvio con incredibile facilità .
–Weil?- latrò Demon, sbigottito. –Quello della festa? Non dicevi che è l’incarnazione del male?- rispose al sorrisetto colpevole dell’amica con un mormorio gutturale, seguito dal severo –Oh, mio Dio: te lo vuoi fare! Porca di una miseriaccia infame, Serp, avevi promesso di non ricascarci!
–Magari fosse solo quello! Ci sono cascata con tutte le scarpe, Devil. A quanto pare, ci sono lezioni che non si possono imparare, neanche sulla propria pelle.
–Perciò … questo Weil ti piace. Perlomeno, hai buon gusto.
–Già- rispose mestamente Faith, mescolando nervosamente il tè. –Peccato che non mi degni più nemmeno di una misera occhiata.
–Forse crede che tu sia davvero andata con Patterson: è geloso!
–Devil, un uomo geloso non si comporta così!
–Ehi, mi conosci: potrei risolvere un’equazione di dodicesimo grado a occhi chiusi, ma gli intricati ingranaggi delle relazioni eterosessuali sono fuori dalla mia portata- replicò Demon con un sorriso beffardo.
Faith sgranò gli occhi ed esclamò, allibita –Esistono equazioni di dodicesimo grado?
Demon si piegò in due dal ridere, passandosi le mani tra i capelli tinti di fresco, poi rispose –Cielo, l’amore ti fa proprio male: era una battuta!
Faith gli mostrò la lingua, sorbì elegantemente il suo tè, infine ribatté con sussiego –Non è l’amore, è questa musica orrenda. Enya non giova alle mie celluline grigie.
Demon ordinò un’altra fetta di torta, stavolta una crostata alla marmellata di uva spina, e disse –Mi sono mancati questi momenti. Deriderti via Skype non è la stessa cosa.
Faith si finse offesa, obbligando il suo amico a offrirle metà della sua fetta di crostata per farsi perdonare. Mentre mangiava, colse l’occasione per osservarlo accuratamente. Demon Keynes, a dispetto del nome e dell’aspetto, era una delle persone più buone e gentili che avesse avuto la fortuna di conoscere. Il finto candore era comune, ma essere candidi senza ostentazioni e senza doppi fini era dote più unica che rara, e lui la possedeva. Da anni tingeva i capelli di un vistoso verde acqua, aveva diversi tatuaggi e piercing (che ancora facevano accapponare la pelle a quelle tradizionaliste di sua madre e Abigail); tolta la “ferraglia” (come la chiamava sua madre) era davvero bello, peccato fosse off limits per le donzelle. “Uno spreco di carne”, come non faceva che ripetere Bridget. Aveva, poi, acquisito un aura di fascino che non ricordava.
“Quasi quasi quest’estate faccio un salto a Copenaghen”.
–La trasferta danese ti ha infighito, Devil- commentò. –Hai fatto conquiste?
–No. In compenso, nella settimana che ho passato da mia sorella a Parigi, la mia nipotina cinquenne ha detto che da grande vuole sposare uno come me. Non proprio me, perchè sarò troppo vecchio.
–Ah- esalò Faith, sforzandosi di trattenere le risate. –Non perchè sei il fratello della loro mamma. Perchè sei vecchio. Lasciatelo dire, tua nipote deve seriamente rivedere le sue priorità. Comunque mi deludi: speravo in racconti hot che sopperissero alla mia volutamente inesistente vita sessuale!
–Dovrei buttarlo a tizi a caso perchè tu hai messo i sigilli alla tua vagina?
–Non un tipo a caso ... il tipo giusto- asserì Faith, attivando all’istante la modalità cupido: avrebbe trovato un uomo con la U maiuscola al suo amico, oh sì.
–Conosco quello sguardo, e lo temo. Ti prego, non ridurti a compensare la tua solitudine trovando l’anima gemella ai tuoi amici.
–Devil, per chi mi hai presa, una sensale di matrimoni?- esclamò Faith, ostentando innocenza. –Sono stata mollata a una settimana dal mio, sono la persona meno adatta a dare consigli in materia!
–Conosci il detto: chi sa fare, fa, chi non sa fare, insegna, e chi è spaiato … accoppia?- rispose Demon con un sogghigno. –Dammi retta, trovati un hobby meno dannoso del formare coppie, che so… collezionare francobolli!
Faith annuì, persa tra mille pensieri: aveva l’abitudine di ascoltare i consigli altrui, ma poi finiva sempre per agire secondo i propri desideri e la propria volontà. In altre parole: Demon non aveva scampo.

 
***
 
Robert raggiunse gli amici durante la pausa con il sorriso sulle labbra.
Chris, senza nemmeno salutarlo, smise di scambiarsi sguardi languidi e paroline dolci con Erin e gli chiese –Patty, dai, racconta, che in questi giorni non eri di turno e non ho potuto pressarti come si deve. Allora, ti sei divertito venerdì?
–Oltre ogni aspettativa- rispose lui, portandosi le mani dietro la nuca con fare teatrale.
–Deduco che la Irving ti ha soddisfatto- aggiunse Harry.
–Decisamente- sospirò Robert. –Sotto quel guscio d’ostrica si nasconde una vera perla. Scusate se non entro nei dettagli. Il gentiluomo gode e tace, e io ho intenzione di godermi Faith il più a lungo possibile.
–Parole sagge, Patty- asserì Chris. –Ragazzi… e ragazza… cosa prendete? Offro io!
Franz, che fino a quel momento era rimasto seduto, in silenzio, livido in volto, si alzò di scatto e andò via dicendo –Per me niente. Devo correre a vomitare.
Arrivò in reparto di umore nero, ma così nero, che chiunque incrociasse il suo sguardo restava pietrificato e si scansava per farlo passare.
Si sedette sullo sgabello e batté un pugno sul tavolo, facendo tintinnare le provette e i vetrini accatastati disordinatamente, quindi si prese la testa tra le mani e diminuì la frequenza respiratoria per calmarsi.
In quel momento qualcuno gli strattonò una manica del camice; si girò e vide che si trattava di Faith. Seccato, sibilò –Che c’è?
–Siccome sei sempre tu ad assegnarci i campioni da analizzare, vorrei, ecco… chiederti il permesso, no, il favore di… occuparmi delle paratiroidi di Miss Burns.
Franz spalancò gli occhi, basito: Faith era brava, ma non aveva sufficiente esperienza per avanzare simili pretese. Era l’ultima ruota del carro!
–Il sospetto carcinoma?- rispose, sforzandosi di mantenere un contegno distaccato e professionale.
–Esatto. Ti supplico, non negarmi questa opportunità!- gnaulò, sperando di muoverlo a compassione.
Franz le tolse di mano il contenitore con i pezzi operatori e sbuffò –Assolutamente no. Irving, devi capire che quelli non sono pezzi di una persona… sono oro puro! Il carcinoma delle paratiroidi è rarissimo, merita di essere studiato da un esperto.
–Ben detto, Weil- tuonò il dottor King, materializzatosi alle loro spalle; con sommo disappunto di Franz si appropriò delle paratiroidi contese e si piazzò alla sua postazione per analizzarle.
Furibondo, Franz spinse via Faith ringhiando –Grazie tante, Irving!
–M-Mi d-dispiace- pigolò lei.
–Hai molto di cui dispiacerti- sibilò lui, prima di accaparrarsi un pezzo di colon fresco di resezione.
 
***
 
Pochi giorni dopo, furioso per essere stato bidonato dalla figlia di una delle innumerevoli amiche di sua madre, Franz entrò nella stanza medici intirizzito: come pronosticato dai meteorologi, c’era stato un vertiginoso calo delle temperature, ben al di sotto delle medie stagionali. Desiderava un momento di relax a contatto col termosifone.
Trovò la sua sedia occupata. A dire il vero, tutte le sedie erano state occupate, da un numeroso e rumoroso gruppo.
–Che ne pensate di una festa a tema?
–Palloncini sì o no?
–Anni ’60? Non si può resistere agli anni ’60!
–Qualcuno ha già pensato a un regalo?
–Si occuperà Melanie della torta, vero?
–Il posto! Prima di prendere qualsiasi decisione dobbiamo scegliere un posto!
–Chiudi la bocca, Weil, non sei un merluzzo- lo rimbeccò Helen Gardiner con irritante aria di superiorità, attirando su di lui l’attenzione della combriccola.
–Cosa sta succedendo qui? Elmond! Jefferson! Sandee! Non tollero che battiate la fiacca, lavativi!- sbottò Franz.
–Datti una calmata, stiamo lavorando- intervenne Maggie Bell.
–Ora basta. Vado a chiamare il dottor King!- sbraitò Franz, fuori di sé.
–Tranquillo, Weil, ho dato io il permesso di fare una pausa extra per dedicarsi ad un lavoretto di altro genere- replicò l’interessato, facendo capolino da dietro un computer.
–Che genere di lavoretto?- sputò, sarcastico.
–Caro il mio tutor, mi meraviglio di te: credevo avessi spulciato i nostri curricula- asserì Josh. –Se l’avessi fatto, sapresti che il tredici compie gli anni Faith.
–I-Il t-tredici d-di… questo mese?
–No, di quello passato! Cazzo di logica di merda usi?- abbaiò Diane Berry.
–Diane, modera i toni- squittì Maggie Bell nel tentativo di contenere il linguaggio “colorito” dell’amica. –Comunque, ci siamo riunti per collaborare all’organizzazione di una festa a sorpresa per Faith.
–Avevamo chiamato anche le sue amiche “profane”, ma si sono rifiutate di venire perché gli ospedali le mettono a disagio- disse Erin, scrollando le spalle.
–Non preoccupatevi, le sto tenendo aggiornate via sms- assicurò Rajiv. –Bridget è contraria a tenere la festa a casa di Faith, secondo lei sarebbe troppo complicato allontanarla il tempo necessario a decorare e sistemare cibarie, bevande e musica.
–Ha ragione. Senza contare che avremmo quella peste di Agatha tra i piedi- esalò Erin, massaggiandosi le tempie. –Purtroppo, però, non abbiamo alternative.
–Idea!- esclamò Diane, saltando sulla sedia come se avesse preso la scosse. –Weil! Mettere a nostra disposizione casa sua sarà un buon modo per chiedere scusa a Faith per il suo essere uno stronzo di merda secca con lei! Certo, Faith gradirebbe scuse verbali, ma…
–Lo “stronzo di merda secca” sarebbe qui- fece loro notare Franz con sussiego. –E, per vostra informazione, ho i miei motivi per comportarmi così con lei.
–Motivi del cazzo, sicuramente- ribatté Diane con aria saputa.
–Non ha tutti i torti, sai?- le diede man forte il dottor King, distogliendo l’attenzione dal referto che stava battendo al computer.
–Dottor King, farsi i cavoli suoi no, eh?- sbottò Franz, seccato.
–Sono il vice-primario, farmi gli affari vostri e riferire a Sua Maestà Astrid è incluso nelle mie mansioni- replicò l’altro con semplicità, sorridendogli sornione.
Franz capì che non l’avrebbe mai spuntata; emise un sospiro di rassegnazione ed esalò –La Irving adora le sorprese, vada per la festa a sorpresa... ma casa mia pone un problema: che scusa inventerete per portarcela?
Diane faticò a non sorridergli, ma ci riuscì. Annuì, seria,  e rispose –Non ci avevo pensato. Faith ce l’ha a morte con te, scapperebbe più veloce di Flash Gordon nel momento stesso in cui scoprirebbe che è casa tua.
–Allora dove la faremo ‘sta cavolo di festa?- chiese Josh.
–Non ne ho idea, ma mi prenoto come personal shopper della festeggiata: non vogliamo venga male nelle foto, giusto?
–Le foto sono l’ultimo dei nostri problemi- osservò saggiamente Maggie.
–Intanto abbiamo deciso che non - ripeto, non- sarà una ridicola festicciola a tema- sentenziò Diane, e Jeff emise un mugolio deluso. –Questa… Melanie Bascombe o come cazzo si chiama farà la torta e gli altri dolci e il resto noi, ciascuno in base alla sua bravura in cucina. Intesi? Quanto al dove, ne discuterò con la suora monaca, cioè, la suora sposata… insomma, Abigail.
–In caso non l’avessi capito, tra loro non scorre buon sangue- gli sussurrò all’orecchio Erin.
–Ehm… perché, invece, non vi rivolgete a Brian? A giudicare dalla festa di Halloween, ci sa fare- suggerì Franz. –Non credo vi convenga usare casa sua come location perché Faith ci va spesso, potrebbe mangiare la foglia, però sono sicuro che saprà aiutarvi.
–Chiederò il suo numero alla suo… ad Abigail. Grazie del consiglio. Faith sarà contenta di sapere che ti sei interessato tanto a lei... potrebbe addirittura passare sopra al fatto che la tratti di merda da più di un mese!- esclamò Diane con tanto di allusiva strizzata d'occhio.
Franz impallidì (se possibile) e subito mise le mani avanti e disse –Faith non dovrà sapere che ho avuto io l'idea, chiaro? –Non vuoi mostrarle la parte migliore di te?- gli chiese Diane, esterrefatta. Scrollò le spalle e aggiunse –Come ti pare. Però devi partecipare… e farle un regalo, ovviamente.
–Le comprerò un regalo, se lo fate collettivo vi darò la mia quota, ma non verrò alla festa.
–E' la mia condizione. Prendere o lasciare. Scegli tu- asserì Diane guardandolo di sottecchi, divertita.
Franz era sul punto di ingaggiare una guerra verbale per convincere Diane a lasciarlo in pace, quando un sms inaspettato gli fece cambiare. Sorrise e rispose –E va bene. Mi arrendo. Verrò. Ora scusate, ho un paio di referti da finire.
Diane gli cedette la sedia e si allontanò con gli altri, lasciandolo finalmente libero di lavorare in pace.
 
***
 
 
Il tredici mattina Faith si svegliò piena di energia: si vestì canticchiando e accese il cellulare, pregustando i numerosi messaggi e telefonate di auguri che avrebbe ricevuto. I primi furono i suoi genitori.
–Buon compleanno, Tartarughina! Come ti senti?
–Vecchia- esalò lei mestamente. Aver superato il quarto di secolo l’aveva intristita.
–Non dire sciocchezze!- sbottò sua madre, che si era appropriata del telefono, impedendo al marito di parlare con la loro figlia. –Sei nel fiore degli anni, ragazza mia, simili discorsi deprimenti conservali per il quarantesimo compleanno.
–Come ti festeggi?- le domandò suo padre, che era riuscito, con fatica, a riprendersi il telefono.
–Studiando la mattina e lavorando il pomeriggio- rispose Faith. –Voglio impressionare Weil nella speranza che metta una buona parola per me per farmi partecipare a qualche convegno, ho bisogno di crediti!
–E dopo? Non avrai intenzione di lavorare anche di notte!- sbuffò Mrs. Irving. A quanto pare suo marito non era destinato a tenere il telefono in mano per più di dieci secondi.
–Dopo… tornerò a casa, mi farò la doccia, infilerò quel pigiamone di pile che tu detesti e io adoro e mi spiaggerò sul divano come una balena a guardare la tv con Agatha trangugiando gelato. Sai quanto mi piace il gelato d’inverno.
–Che assurdità. Capisco che sei adulta, cucciola, ma almeno una birretta al pub con gli amici devi concedertela, è il tuo compleanno!
–Credimi, mamma, per una pigrona del mio calibro stare in panciolle è il miglior regalo che si possa ricevere- ribatté Faith.
–Come vuoi tu… basta che non ti ingozzi come un maiale, a Natale saremo ospiti di tua zia Jo, e sai bene che se non fai il bis di ogni portata si offende- latrò Mrs. Irving, quindi pose fine alla telefonata.
 
***
 
L’atmosfera, al Queen Victoria Hospital, era quanto mai festosa: persino i pazienti trasudavano entusiasmo per il Natale ormai prossimo, e non si parlava d’altro che di regali e pranzi in famiglia.
Faith, ricevuti gli auguri dalle amiche, andò nello spogliatoio a cambiarsi sprizzando gioia da tutti i pori. Si imbatté in Franz, anche lui intento a mettersi in abiti da lavoro; sbuffò, si spogliò, infine, sentendosi osservata, sbraitò –Perché mi fissi? Vuoi dirmi qualcosa?
–Sì: buongiorno- rispose lui, ridendosela un mondo alla vista della sua espressione allibita.
–Oh, ehm… grazie.
L'altro, palesemente divertito, le voltò le spalle, quindi aggiunse –Eccitata per il Natale?
–Non sei obbligato a fingere di fregartene di me, non abbiamo pubblico- sputò Faith.
–La mia era una semplice domanda. Personalmente, adoro il Natale, mi permette di tornare bambino. Tra l’altro, quest’anno ho un regalo per te.
Faith, esterrefatta, rimase impietrita, poi pigolò –Un… regalo? Per me?
–Ho preso le ferie dal ventitré al due gennaio. Andrò a trovare mio padre in Germania, tornerò per Capodanno, pazienza se Brian mi strangolerà perché sarò assente al suo leggendario party! Al tuo rientro, il ventisei, non ci sarò a darti il tormento. Contenta?
–Oh, io… bene- mormorò Faith.
Provò una punta di tristezza al pensiero che Weil sarebbe stato via per così tanti giorni, ma la scacciò presto, ricordandosi della fredda indifferenza con cui la trattava; per quale ragione avrebbe dovuto sentire la mancanza di qualcuno che la detestava?
 
 
***
 
–Faith, ti abbiamo intontita di chiacchiere, mentre tu non hai detto mezza sillaba su cosa combinerai di bello dopo il turno!- esclamò Josh, aggiustandosi il ciuffo scolpito col gel.
–Oh, uhm, niente di che- rispose lei. –Il piano originale prevedeva una tranquilla serata “da vecchietta”, ma il mio amico Demon - il matematico pazzo- mi ha pregata in ginocchio di offrirgli la cena. Vi rendete conto? Ok essere moderni, ma lui che chiede a lei di mangiare a sbafo è un filino troppo!
I tre e Weil si scambiarono un’occhiata d’intesa: casa di Demon sarebbe stata la location della festa a sorpresa, e la cena era la scusa per costringere Faith a schiodarsi dal divano.
–Ottimo!- trillò Jeff col solito entusiasmo. –Sai già cosa metterti? Perché da H&M ho visto un abitino delizioso che ti starebbe splendidamente, pensavo…
–Grazie dell’offerta, ma non ho soldi da spendere, al momento, e poi ho già deciso cosa indossare. O meglio, l’ha deciso Demon per me: prima di terminare la chiamata mi ha ordinato di presentarmi con l’abito che indossavo al matrimonio di sua sorella. Accidenti a lui: quel vestito è stupendo, ma morirò assiderata!
–Animo, cara mia! Basteranno un cappotto, una sciarpa avvolgente e un paio di calze in fibra sintetica, di quelle che ti fanno sentire come in un altoforno- assicurò il modaiolo Jeff.
–Se lo dici tu…
Weil si schiarì la voce e recitò la sua parte.
–Basta oziare, scansafatiche, o vi tratterrò dopo il turno!
Faith, impegnata a maledirlo mentalmente, non si accorse che stava inviando messaggi a tutto spiano, tra cui uno a Brian.
"Ha abboccato. Date inizio ai preparativi".
 
***
 
Faith salì le scale della palazzina dove abitava Demon ansando per lo sforzo e sbuffando per la scocciatura: non solo aveva dovuto subire un interrogatorio degno dei più integerrimi funzionari del KGB da parte delle Parche, il suo amico, in preda alla paranoia, l’aveva pregata di raggiungerlo a casa sua, invece che direttamente al ristorante, perché non sapeva quale cravatta scegliere.
Subì uno shock memorabile quando aprì la porta e, oltre al padrone di casa, vestito di tutto punto, trovò ad accoglierla una piccola folla. C'erano i suoi genitori, Abigail e Ben, Brian, Bridget, Sheldon, Jack e Allison, Brandon e Melanie, Adam e Monica, Connie e Keith (che si fissavano in cagnesco), Andrew ed Evangeline, Erin e Chris, Diane col suo nuovo amore, Helen e suo marito, Maggie, Harry James (quest’ultimo con l’aria di non sapere bene cosa ci facesse lì), Robert, Rajiv, Josh e Jeff.
–Buon compleanno!- urlarono in coro, quasi assordandola.
–Oh, mio… non posso crederci!- strillò Faith, per poi correre ad abbracciarli. Ringraziò tutti per la bellissima sorpresa, dopodiché non ebbe più molto tempo per parlare: tra abbracci e auguri, e, naturalmente, una sua performance canora, il tempo scorse in fretta.
Stava ridendo per una battuta oscena di Josh, quando Jeff le si avvicinò con un’espressione di pura e assoluta adorazione. Accertato che non fosse rivolta alla torta, Faith si guardò intorno alla ricerca dell’oggetto di tanto interesse.
Jeff le risparmiò la fatica, chiedendole –Chi è quel dio greco?
–Chi, Ben?- rispose lei, sconcertata: non poteva certo definirlo brutto, ma da lì a paragonarlo a una bellezza classica…
–Non Ben, l’altro!- sospirò Jeff, rapito.
Dal respiro corto e frequente e dalla dilatazione pupillare, inequivocabile segno di apprezzamento, Faith comprese che il collega e amico era vittima di un colpo di fulmine in piena regola per…
–Demon? Ti piace… Demon?
–Demon- ripeté, estatico.
–Sì, è il suo nome. Sei fortunato, sai? Anche lui è gay- bisbigliò Faith per non farsi sentire da altri.
–Davvero?- esclamò Jeff. –Posso partire all’attacco, allora.
Faith non comprese la letteralità di quella frase finché non vide Jeff avanzare verso Demon, incurante delle sue suppliche di fermarsi, picchiettargli su una spalla e… baciarlo. Con passione. Molta passione.
Demon, se da un lato non rispose attivamente, dall’altro non si sottrasse, e la Cupido improvvisata, nonché festeggiata, ballò la samba, soddisfatta.
–Noi non ci conosciamo… ancora- disse Jeff, una volta finito il bacio. –Se vuoi, possiamo… approfondire la conoscenza. Faith ha il mio numero- e, detto ciò, salutò l’allegra compagnia e uscì trionfalmente di scena.
 
***
 
–Secondo te Diane ha un problema neurologico?- chiese Erin.
–Sarebbe paradossale- rispose Maggie. –E’ una neurologa!
–Cosa state complottando, voi due?- ridacchiò Faith.
–Niente complotti, stavamo semplicemente commentando il gusto per il grottesco di Diane- spiegò Erin. –Forse ha qualche lesione della corteccia visiva… o del cingolo.
–Non la metterei in questi termini, però, effettivamente, non l’ho mai vista con un uomo quantomeno decente. Se li sceglie tutti vecchi, volgari e con la pancia- bisbigliò Maggie.
–Il suo ex non aveva la pancia, ma una barba da fare invidia a Bin Laden e gli occhialoni.
–Disgustoso!- sputò Josh, unendosi alla discussione. –E’ una pazza masochista!
–Decisamente- annuì Erin. –Potrei capire se fossero almeno danarosi… invece no! Senza un soldo! L’amore non è soltanto cieco, ha pure un cortocircuito nella corteccia cerebrale, ve lo dico io!
In quel momento sopraggiunse l’oggetto della conversazione, che ingollò un bicchiere di birra e sbottò –Porco cazzo! Quando ha intenzione di arrivare, il coglione?
–Quale coglione?
–Il tuo Weil, ecco chi! Aveva promesso di portare il suo culo antipatico a questa festa strafica!
–Avete invitato Franz?
–Lo chiami Franz, adesso?- ridacchiò Diane.
–Non siamo in ospedale, credo di poterlo chiamare per nome- rispose Faith, avvampando.
In quel preciso istante sopraggiunse Robert, leggermente alticcio, che le prese sottobraccio e cantò –Cantate con me! “Because i’m happy! Clap along if you feel like a room without a roof. Because I’m happy! Clap along if you feel like happiness is the truth. Because I’m happy!”
Diane minacciò di sedarlo, se avesse perseverato nel rovinare una delle sue canzoni preferite, al che Robert aumentò il volume della voce, ma il bisticcio venne evitato grazie al campanello.
 
***
 
Faith aprì, e servì tutta la sua forza interiore per non svenire. Franz, bello come il sole, stava in piedi di fronte a lei, in attesa che lo invitasse ad entrare, e, avvinghiata “koalescamente” a lui… c’era una brunetta palesemente rifatta da capo a piedi.
–Buon compleanno, Irving. Non ti dispiace se ho portato con me…?
–Gladys, molto lieta.
Franz non era pienamente soddisfatto, ma non poteva lamentarsi; la sua accompagnatrice aveva suscitato in Faith la reazione desiderata. Aveva raggiunto il suo scopo.
Peccato che ogni proposito di starle lontano fosse messo in discussione dal voce interiore che gli ripeteva quanto fosse bella: il verde scuro della gonna e dei fiocchi che adornavano le maniche del vestito che indossava le donava particolarmente, il nuovo taglio, corto e sbarazzino, poneva in evidenza il viso e gli occhi, e irradiava una tale felicità che sembrava brillare di luce propria… prima di spegnersi non appena il suo sguardo si era posato su Gladys.
–Ehi, Husky, ce l’hai fatta!- esclamò Robert, rivolgendo un sorriso di incoraggiamento a Faith, che non aveva ancora aperto bocca.
La festeggiata si limitò a una mezza smorfia lontanamente simile a un sorriso, poi si allontanò in cerca di Demon. Non si sentiva più tanto “happy”.
 
***
 
–Devi perdonarmi, nella fretta ho dimenticato a casa il regalo- mormorò Franz, facendo sussultare Faith, intenta a fissare il buio oltre la finestra.
Aveva aspettato che Robert allentasse la presa, prima di provare a parlarle: le era stato incollato tutto il tempo come un cane da guardia, impedendogli di avvicinarsi. Vederli così in sintonia lo aveva spinto a una mossa disperata: a mali estremi, estremi rimedi.
–Non fa niente, sei comunque riuscito a sorprendermi- rispose Faith, con tanto di risolino sarcastico.
–Gladys è fantastica, non trovi?
Faith sbuffò –Più che altro è plastica, se capisci cosa intendo.
Franz trattenne a stento un sorriso: era gelosa, si vedeva chiaramente.
–Ti credevo di mente più aperta. Criticare un’altra donna solamente perché è più bella di te grazie a un bisturi e non a madre natura…
–Credi di ferirmi?- sibilò Faith, puntandogli contro l’indice. –Per tutta la vita mi sono trincerata dietro la mia superiorità intellettuale, rinfacciandola a chi mi sbatteva in faccia quanto sono lontana dall’essere bella, o quantomeno carina. Ho la scorza dura, Weil, e piacerti non rientra tra le mie priorità.
Franz si avvicinò, imprigionandola tra il suo corpo e la scrivania.
–Un vero peccato- mormorò, sollevando una mano per accarezzarle il viso. –Perché, nonostante sia consapevole dei tuoi chili di troppo, della tua “linguaccia”, del tuo fastidioso vizio di mangiarti le unghie, e dell’irritante abitudine di trasportarti con il pensiero in un altro universo mentre parlo… mi piaci.
–Non dire stronzate. Dovresti essere matto da legare per preferirmi a Gladys- replicò Faith, tentando, inutilmente, di liberarsi.
–Mi farò visitare dalla tua amica Erin… dopo- ridacchiò Franz, il suo viso a pochi millimetri da quello di Faith. –Adesso… voglio baciarti.
Faith represse a fatica la voce interiore (probabilmente proveniente dal “cervello inferiore”) che urlava di baciarlo senza perdere altro tempo e di spingerlo nella camera da letto di Demon, che di sicuro non l’avrebbe usata a breve; si scansò ringhiando –No.
–No?
–No- ripeté, fulminandolo con lo sguardo. –Come osi presentarti con quella sottospecie di… gallina, per poi provarci con me? Manchi di rispetto a me e a lei. Non lo meritiamo.
–F-Faith, i-io…
–Tu devi soltanto andartene. Subito.
Irato, Franz ribatté –Non è casa tua, non puoi cacciarmi.
–Vuoi che mi abbassi a questo? Potrei farlo, sai?
–Non ci credo.
–Non provocarmi, non hai idea di cosa sono capace.
–Faith…
–Vattene, Franz. Per favore.
 
***
 
–Lui COSA?- gridò Bridget, incredula.
A seguito dell’ennesimo bisticcio con Abigail, Bridget aveva chiesto un passaggio a Faith, che si era vista costretta a concederglielo: non si sa mai cosa può accadere a una bella donna in giro di notte, specialmente se coperta da un fazzoletto spacciato per abito, come la pluridivorziata.
–B, non farmelo ripetere, è umiliante- pigolò Faith, pigiando sull’acceleratore: sfogare la rabbia superando il limite di velocità era uno dei suoi tanti difetti.
–La mia era una domanda retorica- sbuffò l’altra. –Non riesco a credere che abbia avuto la faccia tosta di provare a baciarti con la sua amichetta nella stanza accanto. Gli uomini, tutti uguali: emeriti stronzi!
–Ora non esagerare- asserì Faith. –Tecnicamente, ha tenuto un comportamento impeccabile: non sappiamo in che rapporti è di preciso con quella Gladys, non mi ha baciata contro la mia volontà, quando l’ho rifiutato si è allontanato senza scatti d’ira…
–Lo dici come se avesse compiuto un’impresa straordinaria!- sbuffò Bridget, massaggiandosi i piedi, distrutti da un paio di scarpe tacco quindici. –Siamo abituate dai media ad aspettarci il peggio, ma questa, F, dovrebbe essere la norma. Chi reagisce con violenza a un rifiuto è un verme senza palle meritevole di castrazione chimica!
–B, per castrarli… devono avere le palle!
 
Nota autrice:
Che ne dite, Faith ha fatto bene ad allontanare Franz? Let me know! E Demon e Jeff? Vi piace la… *cerca un nome fangirloso* Deff? XD
Ho deciso: troverò nomi fangirlosi a tutte le coppie di DIMD! I suggerimenti sono bene accetti.
Un piccolo, insignificante particolare che vorrei evidenziare: questo è il capitolo numero tredici, e il tredici è anche il giorno del compleanno di Faith. Che coincidenza!
Secondo, insignificante particolare: in inglese “Mrs. Norris”, oltre che la moglie di Mr. Norris, è anche l’archetipo della pettegola impicciona. Non a caso, il nome originale di Mrs. Purr, la gatta di Gazza (aka Mr. Filch) è proprio Mrs. Norris.  
Lo so, sono ripetitiva e forse noiosa, ma voglio ringraziare chi legge perché regala alla mia storia (e, di conseguenza, a me) un po’ del suo tempo, e cosa c’è di più prezioso del proprio tempo? Perciò grazie a tutti, ma proprio tutti, i lettori silenziosi, a chi usa i bottoni social network e mette “mi piace” ai capitoli, a Bijouttina, elev e Faith00, che mi lasciano sempre un commento, e a chi segue questa storia, in particolare le “new entries” Cathy Wood, Frafry94, livefearless, sbir, Evanne991 e RiKa_Dhampir.
Au revoir!
Ps: il link della canzone rovinata da Robert. https://www.youtube.com/watch?v=2MJj2A1Kx20
Pps: per chi non lo sapesse, il carcinoma è un tipo di tumore maligno, e quello delle paratiroidi (ghiandolette attaccate alla faccia posteriore della tiroide) è veramente rarissimissimo. Franz voleva riservarsi il caso clinico interessante… ma il dottor King ha avuto la meglio!
Ppps: scusate se inserisco alcune note tecniche, ma la storia è ambientata in un ospedale, molti personaggi sono medici, devono lavorare… ogni tanto! XD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Colazione da Melanie ***


Con mia enorme sorpresa, sono riuscita ad aggiornare quasi puntuale. Forse perché l’ho scritto a stomaco vuoto, il capitolo si svolge essenzialmente durante un pasto. Non dico altro, il resto… sta a voi scoprirlo!
 



Colazione da Melanie




“Desiderare di osare non serve a nulla, se rimane un desiderio.”
Fausto Cercignani
 
Una volta a casa, Faith si infilò sotto le coperte furiosamente, litigando col piumone patchwork; mentre leggeva ‘Sento i pollici che prudono’, sentì le mani che le prudevano, quasi sicuramente dalla voglia di picchiare a sangue Weil. Non sapeva spiegarsi la ragione di quel repentino mutamento d’umore, sapeva soltanto che, come suggeritole dalla parte razionale del suo encefalo, avrebbe sfogato la rabbia nei giorni a seguire, per appagare la vena vendicativa del suo orgoglio ferito.
Il giorno seguente, Diane la affiancò e le chiese –Le cose sono due: o hai litigato con quel coglione di Weil, oppure… te lo sei fatto. Sinceramente, non so quale augurarmi.
–Grazie, eh!- rispose Faith. –Guarda che io e… ehm, non è il caso di parlarne qui- indicò con un cenno del capo Julia Adler, seduta poco distante. –Il nemico ci ascolta.
–Dammi almeno un indizio!- gnaulò Diane.
–Raduna le altre, vi spiegherò tutto nell’unico posto in cui non c’è rischio di essere uditi da orecchie indiscrete: l’obitorio- replicò Faith, finì il suo yogurt e si incamminò alla volta dei sotterranei.
 
***
 
Al termine del suo resoconto, Diane proruppe in esclamazioni al limite della bestemmia, al punto che Maggie non fu l’unica a rimbeccarla con un secco –Moderiamo i toni!
–Ooh, chiudete quelle fogne! Vi rendete conto di cosa ha combinato questa cogliona?
–Non ha fatto niente di male. Certo, è inconcepibile che l’abbia fatto, però… tecnicamente, non ha fatto niente di male. Perché l’hai respito, Faith?- chiese Helen.
–Perché ho una dignità, e non sono disposta a calpestarla, nemmeno per Fr.. Weil- rispose Faith con sussiego. Non l'avrebbe confessato neanche sotto tortura, ma la notte precedente aveva ripensato al bacio, e aveva avvertito uno strano formicolio alle labbra, quasi che volessero rimproverarle di non aver assecondato l’istinto. –Si era presentato avvinghiato a quella… quella… Gladys, non avrebbe dovuto neppure sognarsi di tentare di baciarmi! Avrebbe dovuto realizzare prima di provare qualcosa per me!
–Non essere dura con lui: i maschi ci mettono più tempo a connettere, hanno il corpo calloso piccolo- asserì Evangeline con un mezzo sorriso ironico.
–Spesso non solo quello- esclamò Erin, suscitando le risate generali. –Fortuna che Chris, il mio orsacchiottone, è “one” in tutti i sensi!
–Ma se fino a poco tempo fa dicevi che le dimensioni non contano!- osservò Faith, sconvolta: non sarebbe più stata capace di guardare in faccia Chris senza arrossire o scoppiare a ridere!
–Non contano… se non hai nulla da misurare- ribatté Erin strizzandole l’occhio con fare malizioso.
–Scusa tanto se non ci frega un emerito cazzo del c… ontenuto delle mutande di Chris, ma siamo qui per Faith- sputò Diane in tono pratico. –Senti, cocca, sei adulta e vaccinata, però proprio non capisco perché cazzo hai negato alla tua amica dei piani bassi un po’ di divertimento.
–Diane!- latrò Maggie, anima romantica.
–Tranquilla, Meg, è tutto ok. La verità, ragazze, è che non sono innocente come voglio apparire: avrei volentieri “dato aria” alla mia amica dei piani bassi, Gladys o non Gladys… solo che, prima del patetico tentativo di baciarmi, Weil mi ha raffreddato i bollenti spiriti rinfacciandomi la mia inferiorità rispetto a quel volatile da cortile che aveva rimorchiato- ringhiò Faith, stringendo i pugni. –Mi ha fatta incazzare da morire: sembrava che mi stesse facendo un favore! Non voglio la sua carità!
–Oh, andiamo, Faith, non puoi fargli tanto schifo: ha cercato di baciarti!- le fece notare Helen. –Non sarò un’esperta, però so che i maschi non vanno tanto per il sottile quando si tratta di fare sesso, mentre scelgono con attenzione una donna da baciare.
–Che baci quella sciacquetta, allora- sputò la Irving in un tono che non ammetteva repliche.
Infatti, nessuna replicò.
 
***
 
A tre piani di distanza Robert, Harry, Chris e Franz stavano affrontando una conversazione simile. Franz aveva sorpreso Robert a ridere di lui alle sue spalle: stava raccontando agli altri due di come fosse riuscito a fargli credere che andava a letto con Faith.
Franz non ci aveva visto più: aveva afferrato l’amico per il colletto del camice e l’aveva sbattuto contro il muro, sommergendolo di improperi.
–Guarda che se lo fai fuori poi dovrai fare gli straordinari per eseguire l’autopsia- scherzò Harry.
–E’ vero che l’amore ci spinge ad atti inconsulti, Husky, ma stai esagerando!- esclamò Chris.
–In parte è colpa mia, Chris: ho recitato talmente bene la mia parte, che ha creduto davvero fossi interessato a Faith- disse Robert.
–Esatto!- ruggì Franz, serrando la presa. –Se non ti fossi immischiato…
–Non ti saresti mai reso conto dei tuoi sentimenti!- ululò l’altro. –Ho agito animato dalle migliori intenzioni. Come potevo sapere che avresti reagito in quel modo infantile, presentandoti insieme a quell’agglomerato di silicone?
–Mi era sembrata una buona idea- pigolò Franz, assumendo l’espressione dello scolaretto. –Invece ho rovinato tutto.
–Non abbatterti, non tutto è perduto. Ripetimi, con assoluta precisione, cosa le hai detto prima del disastro- ordinò Harry.
–Non ricordo le esatte parole- mentì Franz.
–Non vogliamo giudicarti, ci mancherebbe- lo rassicurò Harry. –Vorremmo capire come mai Faith ti ha respinto: non ne aveva motivo!... O sì?
Franz si vide costretto a vuotare il sacco.
–Forse, sottolineo, forse, le ho detto che… mi piace nonostante i suoi numerosi difetti.
Tre identiche espressioni attonite accolsero la confessione, seguite dal corale –Sei veramente un coglione!
–Che avrei dovuto dirle? Sono pazzo di te, sei perfetta, ti amo alla follia così come sei?- ribatté Franz, infervorandosi. –Le bugie non sono nel mio stile.
–La bugie sono una cosa, le offese un’altra- asserì Robert.
–Patty ha ragione- sbraitò Chris. –Cosa ti aspettavi? Che si gettasse tra le tue braccia, ringraziandoti per la sincerità? E’ un miracolo che non ti abbia mollato una sberla!
–Anche due- rincarò la dose Harry. –Non la conosco bene, ma non ti perdonerà tanto presto.
–Non ho niente da farmi perdonare- sbottò Franz, imbronciandosi. –Non è colpa mia se Faith è… beh, Faith.
Chris avrebbe voluto replicare con la consueta energia, ma Robert lo anticipò.
–Sicuro? Prova a metterti nei suoi panni, Husky: come ti saresti sentito se Faith ti avesse detto che le piaci… anche se sei borioso e senza cuore?
Weil boccheggiò, prima di abbassare la testa e ammettere che sì, aveva decisamente qualcosa da farsi perdonare.
–Alleluia, c’è arrivato!- esclamò Chris. –Adesso possiamo aiutarti. Credo di parlare a nome di tutti esprimendoti la mia approvazione per la scelta: Faith è una donna con tutte le lettere maiuscole; se non fossi pazzo di Erin…
–Non ti conviene finire la frase, Chris- sibilò Franz a denti stretti.
Robert intervenne per evitare una lite: l’amico aveva un inquietante sguardo omicida.
–Apprezzamenti su Faith a parte… per prima cosa, dà il benservito a quella Ginny.
–Gladys.
–Siamo lì- sbuffò Harry, agitando una mano ad indicare che non era un particolare importante. –Secondo: tampina Faith, magari esibendo una convincente espressione da cane bastonato. Deve vedere che sei davvero pentito. Terzo: portale - comprale, se non l’hai già fatto- un regalo enorme, sei stato un cafone a non portarlo alla festa.
–Pentimento. Persecuzione. Regalo. Ricevuto- ripetè Franz, annuendo.
–Non mollare, Husky. Lei ti farà vedere i sorci verdi, ma tu non demordere, solo perseverando espugnerai la fortezza- asserì Robert.
–Sempre che tu sia seriamente interessato- mormorò Harry al solo scopo di motivare ulteriormente l’amico, che, infatti, si irrigidì e rispose –Certo che lo sono! Farò capitolare Faith, costi quel che costi!
 
***
 
Franz non sapeva che sarebbe stato veramente costretto a ricorrere a misure drastiche: Faith, infatti, nei giorni a seguire, fu inavvicinabile, lo evitava come la peste.
Stanco di braccarla, Weil decise di metterla con le spalle al muro: a mali estremi, estremi rimedi.
Aveva quasi raggiunto la meta, quando una voce querula gracchiò –Dove credi di andare, giovanotto?
Alzò lo sguardo e vide che a parlare era stata una donna piuttosto in là con gli anni, ma che non rinunciava alla civetteria, come dimostravano le pantofole coordinate alla cintura della vestaglia.
–Salve- rispose Franz, che non sapeva con chi aveva a che fare. –Dovrei entrare, se cortesemente volesse aprirmi… mi risparmierebbe la scocciatura di bussare.
–Non abiti qui. Conosco ogni singolo abitante di questo palazzo, e non ti ho mai visto prima.
–Perché, come ha detto, non abito qui.
–Allora perché mai vorresti entrare?- gli chiese una seconda vecchietta, squadrandolo da dietro un paio di spesse lenti da presbite.
–Devo vedere una persona- ammise lui, puntellandosi sui talloni: sperava che l’interrogatorio finisse presto.
Il cane che l’anziana donna al primo piano teneva in grembo, un chihuahua mezzo spelacchiato, si erse in tutta la sua bassezza e gli abbaiò contro; la padrona non si curò di placarlo, anzi, disse –Credi che sia nata ieri? Sono vecchia, non rimbambita. Non apro agli sconosciuti, in particolar modo quelli con una faccia così poco raccomandabile!
A quelle parole, Franz si imbestialì: quella vecchia rompiscatole gli stava dando del delinquente? Ma come osava? Lui era il dottor Franz Friedrich Weil!
–Senta, signora, non posso dirle perché sono qui, ma posso assicurarle- “Denk, Franz! Schnell!” –Che è questione di vita o di morte. Vede, sono un medico- rispose, dandosi un tono, quindi esibì il tesserino di riconoscimento.
Una terza vecchina, però, scosse la testa e replicò –Oggigiorno perfino uno stupido potrebbe falsificare un tesserino da medico. Non mi freghi.
–Ezra ha ragione. Vattene, o chiamo la polizia!
Franz, inviperito, ribatté –Chiamatela! Voglio proprio vedere cosa diranno, quando scopriranno che si sono scomodati inutilmente. Avanti, componga il numero, intanto io chiamo la Irving, che..
–Irving?- chiesero in coro le tre donne, smettendo di fissarlo arcigne. –Ti riferisci a Faith, la dottoressa che abita al terzo piano?
–Proprio lei- esalò Franz, sollevato. –La conoscete?
–Mi pare di averlo già detto: io conosco tutti, in questo palazzo. La dottoressa Irving è una cara ragazza, peccato esca così poco… sempre in casa a lavorare… di questo passo non troverà mai marito!
Franz si accigliò quando la sconosciuta sparì dentro casa, ma si ricredette quando udì il rumore del portone d’ingresso che si apriva. Mostrò la lingua al cane, che non aveva mai smesso di abbaiare, per tramutarla in un sorriso tirato non appena la padrona riapparve sul balcone. Prima di entrare si voltò verso di lei e la salutò con esagerata cortesia.
–Non so come ringraziarla, signora…
–Norris, caro. Loro, invece, sono Mrs. Fox e Mrs. Wolf.
 
***
 
La mattina del ventitré dicembre Faith si rigirò nel letto, esausta: aveva dormito poco e male, tesa com’era per il party dell’antivigilia, una tradizione dell’ospedale per augurare buone feste al personale, specializzandi compresi. Il luogo della festa cambiava di anno in anno: stavolta era il turno del ‘Topless’, ristorante chic di Mayfair dove era possibile consumare i pasti con una ragazza completamente nuda come tavolo.
Stava cercando di riaddormentarsi dopo un’estenuante telefonata di sua madre, che l’aveva stordita con un fiume in piena di consigli su come vestirsi, truccarsi, pettinarsi, comportarsi e chi più ne ha, più ne metta.
L’insistente trillare del campanello la fece mugolare di frustrazione: se il buongiorno si vedeva dal mattino, quella giornata si prospettava come pessima.
Si alzò e, convinta si trattasse di una visita a sorpresa di Führer Rose, imprecò a tutto spiano, con un repertorio di oscenità da far impallidire Diane; va bene essere iperattivi, ma non poteva romperle le scatole di prima mattina per un cavolo di vestito: avrebbe cenato con altri medici, non con la famiglia reale!
Non si curò di coprirsi con una vestaglia né di sistemare la chioma, prima di aprire, contravvenendo a una delle principali raccomandazioni di Rose Taylor in Irving: “mai aprire la porta con un aspetto trascurato, perché non sai mai chi ha bussato”.
Se ne pentì nell’esatto momento in cui si rese conto di chi aveva davanti.
–Buongiorno, Irving.
Faith, che aveva temporaneamente perso l’uso della parola, salutò con la mano, per poi tentare di coprirsi.
Weil (perché di lui si trattava) sbuffò –Cosa ti copri a fare? Non sei nuda! O lo fai per occultare quel ridicolo pigiama con la mucca in bikini? In tal caso... hai tutta la mia approvazione!
Faith, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi ostinatamente chiusi perché si rifiutava di credere alle proprie orecchie, e temeva che anche la vista la tradisse, fu costretta ad affrontare la realtà: il dottor Weil era sul pianerottolo di casa sua, di fronte a lei, con l’aria di chi non è disposto ad andarsene tanto presto.
Faith, ancora sotto shock, desiderò di essersi messa qualcosa di più femminile del pigiamone di pile con la mucca in bikini sotto l’ombrellone e la scritta ‘Non è grasso, è bellezza che mi avanza’, poi riuscì a balbettare, nonostante l'iperventilazione –C-Cosa c-ci f-fai qui?
–Ho una cosa per te. Due, per la precisione.
–M-Ma… l-le P-Parche… loro… non lasciano entrare estranei nel palazzo!
–Quelle tre arzille signore? Mi hanno messo sotto torchio, ma è bastato dire loro che sono tuo amico per conquistarle.
–Cosa? Sei impazzito? Adesso penseranno il peggio di me, e lo racconteranno a tutti!- sbraitò Faith, pestando i piedi. –E’ la fine. Morirò!
–Eh, beh, se sono le Parche…- scherzò Franz. –Lasciami indovinare: Mrs. Wolf fila, Mrs. Fox misura e Mrs. Norris taglia?
–Precisamente. Un triumvirato ipocrita che detta legge nel quartiere. Le odio- sibilò la Irving, poi, accortasi di stare facendo la figura della zoticona, si schiarì la voce e invitò Weil ad entrare; lo fece accomodare nel salotto-studio, dove lui, senza darle il tempo di allontanarsi, la fece sedere sulle sue ginocchia e le sussurrò –Stento a crederci, ma persino con questo obbrobrio addosso mi fai venire voglia di baciarti.
Faith, sebbene fosse stata attraversata da un brivido di puro piacere nel sentirlo così vicino, si alzò, arretrando di qualche passo, quindi sputò –Pretendi un ringraziamento per questo atto di carità? Risparmia la saliva per qualcun’altra.
Franz emise un sospiro di rassegnazione: era giunto il momento di scusarsi.
–So di averti ferita, alla tua festa di compleanno. Spero di rimediare chiedendoti scusa. Mi dispiace, davvero. Avrei dovuto pensare, prima di sparare quel mare di cazzate…
–Puoi dirlo forte- sibilò Faith, sollevando un sopracciglio: non gli avrebbe certo reso le cose facili, doveva sudarsi il suo perdono.
La replica di Franz venne interrotta sul nascere dalla comparsa di Agatha, che esaminò con cura certosina l’estraneo, annusandolo ovunque riuscisse ad arrivare col suo naso felino.
Franz, sebbene a disagio, commentò –Che carino! E’ tuo?
–No, è appena arrivato da un’altra dimensione. Ovvio che è mio! Anzi, mia, è una femmina- precisò la padrona, rivolgendo alla gatta un’occhiata amorevole.
–Domando scusa. Che carina- si corresse Franz, per poi grattare sotto il muso di Agatha, che fece le fusa, strusciandoglisi contro. Faith si sentì inspiegabilmente infastidita nell’osservare quanto in fretta avessero legato.
Per sua fortuna, poco dopo Weil commise un errore fatale: mentre accarezzava il felino, esclamò –E’ morbida come un peluche! Ma che bel mici.. oh, cazzo!
Faith, sebbene tentata di aiutarlo, rimase ferma a gustarsi la scena di Franz assalito dalla gatta inviperita: per ragioni a lei sconosciute, Agatha non sopportava la parola ‘micio’.
Soltanto quando l’animale si fu calmato, Faith lo prese in braccio e disse –Mai chiamare la mia Agatha mi… ehm, in quel modo- poi, mentre Franz era impegnato a lamentarsi, aggiunse, in un sussurro a malapena udibile –Brava, piccolina!
–A-Agatha?- esalò Weil, indicandola. –Lei è… Agatha?
–Sì. Chi credevi che fosse?
–Tua… figlia- rispose, sentendosi molto stupido.
–Figlia?- ridacchiò Faith. –Oh, santo cielo, no! Niente marmocchi, non fanno per me.
“Non ha figli! Non è una ragazza-madre!”
–Non so come mi sia venuto in mente. Scusa.
–Tutto qui quello che sai fare?- sputò Faith, abbassandosi per liberare Agatha sul pavimento.
–Non so cos’altro aggiungere: mi sono comportato da completo idiota- mormorò, gli occhi bassi. –Credimi, se potessi tornare indietro e impedirmi di uscire con Gladys….
–Non posso crederci! Hai la faccia tosta di nominare quella… quella… donna in casa mia!
Faith fece per andarsene, ma Franz la trattenne per un braccio, e soffiò –Scusa. Non riesco a tenere a freno la lingua: sono senza filtri, quello che mi passa per la mente esce dalla bocca.
Faith, di fronte a quell’affermazione disarmante, sbollì la rabbia, e sospirò –Apprezzo la sincerità. La preferirei espressa meno brutalmente, ma non si può avere tutto dalla vita, giusto?- Franz le sorrise, raggiante, e fece per avvicinarsi, ma lei si allontanò: il fatto che non fosse più arrabbiata non significava che gli avrebbe dato accesso alla sua cavità orale (né ad altre cavità del suo corpo). Per sviare la sua attenzione, indicò la busta ai piedi del divano e gli chiese scherzosa –E' un pacco-bomba?
–Spiritosa! E' un regalo. Due, in realtà. Per natale e compleanno.
Faith sgranò gli occhi, colpita, ed esalò –Allora me l’avevi comprato davvero un regalo!
–Perché questo tono sorpreso?- replicò Franz. –Te l’ho detto, mentire non è nella mia natura. Ho preferito darteli ora, piuttosto che in ospedale… con la Adler in giro, non si mai.
Faith scartò i regali quasi con ferocia: erano un libro e… una scultura di cioccolato a forma di scarpa, ripiena di brownies! pigolò –Grazie mille! Ora, ehm… non vorrei sembrarti inospitale, ma gradirei farmi la doccia..
–Brava! La doccia fa risparmiare acqua.
–Risparmia lo spirito. Ti sto velatamente chiedendo di sloggiare!
–Più tardi… forse. Da brava, fatti la doccia e poi mostrami un po' di buona educazione... offrendomi la colazione. Ho fatto anche rima, me la merito!
–Nemmeno per sogno! Sei stato gentilissimo a farmi un regalo per il compleanno e uno per Natale, soprattutto visto e considerato che io non ho pensato a fartene uno, ma ti voglio fuori di qui! Fuori, ho detto!- ululò Faith, isterica, strattonò Weil fino alla porta e gliela sbatté in faccia, prese i vestiti e andò in bagno.
Weil, che aveva afferrato di nascosto la chiave, attese di sentire il rumore dell'acqua che scorreva per rientrare in casa di Faith, andare in cucina e curiosare in giro.
Quando Faith uscì dal bagno con indosso la tuta sentì una voce provenire dalla cucina –Ora capisco perché non hai voluto offrirmi la colazione: hai il frigo più vuoto del cranio di Paris Hilton!
–Quale parte di “fuori di qui” non ti è chiara?- strillò.
–Smettila di sgolarti e vai a metterti qualcosa- rispose Franz.
–Sono già vestita, genio- gli fece notare Faith, indicando la tuta.
–Intendevo qualcosa di decente, non vorrai uscire conciata così, spero!- replicò lui. Faith gli lanciò uno sguardo educatamente perplesso, e spiegò –Ho deciso di offrirti io la colazione. Non te la meriteresti, per come mi hai trattato - senza contare il fatto che non hai pensato a farmi un regalo - ma se serve a recuperare un buon rapporto con te…
Faith, vinta da quel sorriso irresistibile, esalò, rassegnata –Aspettami, faccio in un attimo.
–Uno, due... tutti gli attimi che vuoi, basta che torni in condizioni tali da poterti mostrare in pubblico!- esclamò sarcastico Weil, ricevendo in risposta un’eloquente alzata di dito medio.
Faith, imprecando sottovoce, andò a cambiarsi. Tornò in cucina con addosso un abitino nero a vita bassa, con colletto e cintura bianchi, molto bon ton e tronchetti neri ( con un filo di tacco, per la gioia di sua madre), fece una giravolta e gli chiese –Allora? Come sto? No, aspetta, non dirmelo, credo di saperlo: passabile, ma non abbastanza sexy da tentarti!
–Cosa le fai a fare le domande, se credi di sapere le risposte?- rispose Franz, per poi sbuffare –Comunque no, conciata così ti ho promossa a discreta.. sei abbastanza sexy da tentarmi.
–Quale onore, sono commossa!- rispose ironicamente Faith  mentre infilava il cappotto, quindi uscì con Weil a fare colazione.
 
***
 
Contro ogni sua aspettativa, Weil non la portò a mangiare salsicce e crauti innaffiati di birra bavarese, bensì… in una saletta da tè.
Non appena riconobbe il locale, Faith ebbe un piccolo attacco di panico: non poteva entrare lì dentro, non insieme a lui!
Ovviamente, espresse il problema in altri termini.
–Non ti facevo tipo da sale da tè!
–Infatti non lo sono, credevo tu lo fossi- replicò Franz senza scomporsi. –E poi mia madre mi ha fatto una testa così su questo posto, sarà contenta di sapere che ci sono venuto per davvero.
–Te l'ha consigliata perché si mangia bene?- inquisì Faith, osservandolo di sottecchi.
–No, per l'alto numero di trentenni single che la frequentano- rispose lui, facendole rischiare il soffocamento per lo sbigottimento.
–Ah, sì? Allora ti sono d’intralcio. Ciao ciao!
–Dove scappi? Non ti lascerò andare finché non ti avrò offerto la colazione. Entra!
–P-Perché qui? Ci sono tanti altri posti… mi è stato riferito che il cibo fa schifo e… ci sono gli scarafaggi!- squittì Faith, la voce acuta che lasciava trasparire quanto fosse a disagio.
–Ma che dici? Mia madre compra qui i dolci, e sono superlativi! Non fare la difficile, entra!
–Weil.. Franz… non chiedermelo, ti prego. Non posso farmi vedere qui con te- pigolò Faith, avvampando, per poi aggiungere, in risposta all’espressione perplessa di lui –Conosco la proprietaria, non vorrei… si facesse strane idee.
Franz emise un “Oh” di comprensione, quindi sospirò –Sembriamo così tanto una coppia, visti dall’esterno?
–Non prenderla male- piagnucolò Faith, sperando di non averlo offeso. –Se mi facessi vedere in tua compagnia attirerei su di me l’invidia di tutte le donne presenti, e l’idea che pensino a noi come una coppia… mi mette a disagio. Niente di personale, credo di avertelo fatto capire che mi piaci, però….
Weil annuì, poi asserì – Un passo alla volta. Recepito. Rilassati, Irving, sono qui per te, non per il tè. Possiamo andare dove ci pare, non ci corre dietro nessuno.
Vuoi per il tono rassicurante della sua voce, vuoi perché la sua mano che le massaggiava la nuca aveva un che di calmante, Faith si tranquillizzò, e, finalmente, si decise a varcare la soglia di ‘Il magico mondo di Mary’.
 
***
 
Una volta nel locale, zeppo di clienti, tornò la paura; Faith, che aveva predicato bene, razzolò malissimo: trascinò frettolosamente Weil al primo tavolo disponibile, e si coprì il volto con il menu, impedendogli di consultarlo.
L’arrivo della cameriera la fece sobbalzare.
–Siete pronti per ordinare, cari?- chiese, zuccherosa.
Franz sbuffò –Appena la signorina molla il menu.
Colta in fallo, Faith abbassò il menu e, dopo un’occhiata circospetta al locale, fece la sua ordinazione –Per me un tè al mirtillo e una fetta di torta al triplo cioccolato, grazie.
–Scelta dietetica- commentò Franz.
–Pagarmi la colazione non ti autorizza a sputare sentenze su quanto e cosa mangio- ribatté Faith.
Weil rispose –Hai ragione. Ti porgo le mie più sentite scuse. Vediamo… uhm… credo proprio che prenderò un cappuccino e una fetta di crumble di mele.
–Scelta dietetica- soffiò Faith, suscitando le risate del suo accompagnatore.
La cameriera prese l'ordine e chiocciò –Benissimo, cari. Torno subito.
Consumarono la colazione in silenzio; quando anche l'ultima briciola di torta fu sparita, Faith si azzardò a chiedergli –Sbaglio, o stasera parti per Berlino?
–Non sbagli. Parto con l’ultimo volo. Arriverò a notte fonda, ma almeno potrò partecipare al party dell’antivigilia, il Grande Capo mi ha lasciato intendere che è un evento imperdibile.
–Secondo me sarà una noia mortale, ma chi si azzarda a contraddire il Grande Capo?- replicò Faith. –Anche io lascerò la festa in anticipo: vado da mia nonna, nel Kent, e le ho promesso di raggiungerla prima del ventiquattro, per cui pigerò a tavoletta sull’acceleratore e… speriamo di non incappare nella Stradale!
–Fa attenzione, sotto le feste diventano agguerriti. In bocca al lupo!- ridacchiò Franz. –Trascorrerai un tranquillo Natale in famiglia?
–In famiglia, sì, tranquillo… decisamente no: mia madre ha un mucchio di cugini, tutti parecchio prolifici. Ho legato solo con alcuni di loro, ma comunque alle riunioni di famiglia non siamo mai meno di trenta- rispose Faith, sorridendo con affetto al pensiero dei suoi numerosi parenti.
–Noi non siamo tanti: mio padre ha un fratello e tre cugini, di cui uno solo con famiglia. Oltretutto, sono pochi anni che passiamo le feste tutti insieme: prima i cugini di mio padre non ci parlavano, perché mio nonno aveva litigato con i suoi fratelli. Povero nonno, è morto con il rimpianto di non aver fatto pace con loro- disse Franz, poi aggiunse –Oddio, scusa, dovrei scegliere argomenti più allegri.
–Non scusarti, è bello l’affetto che mostri per la tua famiglia. Io ho perso tre dei miei nonni da piccola, e sento tantissimo la loro mancanza. Adoro mia nonna Mary, però…
–Ti chiedi come sarebbe stato crescere con tutti e quattro al tuo fianco- completò la frase Franz, e le prese la mano.
Faith arrossì, ma non si mosse, neppure quando la cameriera ricomparve con le ordinazioni: la mano di Franz era fredda, ma non in modo sgradevole, e il suo tocco morbido le trasmetteva una piacevole scossa elettrica lungo il braccio.
–Tua madre sarà indaffaratissima con i preparativi, immagino- sospirò, sperando per lui che Mrs. Weil reggesse la pressione dei preparativi meglio di sua madre, che dava di matto. –Deve essere difficile per te averla lontana. Ti manca molto?
Si accorse di aver detto qualcosa di sbagliato quando il volto di Francz venne attraversato da una fugace ombra di tristezza; durò un istante, dopodiché le rivolse un sorriso tirato e rispose –Mia madre festeggerà a Londra, con il mio... patrigno.
–Oh!- esclamò Faith, imbarazzata: aveva toccato un brutto tasto. –N-Non volevo… scusa.
–Non c’è bisogno che ti scusi. Non lo sapevi, e poi ho avuto quindici anni per metabolizzare il divorzio- la tranquillizzò lui.
–S-Se posso chiedere... anche tuo padre…?
–Si è risposato dieci anni fa con una tedesca.
Faith era sul punto di chiedergli ulteriori informazioni sulla sua famiglia, quando una voce familiare la chiamò a gran voce. Come se si fosse scottata, rimosse immediatamente la mano da quella di Franz e assunse una violenta tonalità violacea.
–Faith! Che bella sorpresa!
–Ciao, Mel- pigolò.
–Oh, ma sei in dolce compagnia!- esclamò l’altra, per poi sgranare gli occhi. –Ehi, ma tu sei quello della festa di Brian, il cowboy!
–Ero il Ranger Solitario, a dire il vero- precisò Franz.
–Lo sapevo! L’ho persino detto a Brandon e agli altri: “quei due si metteranno insieme, aspettate e vedrete”. Siete una coppia così affiatata!
–Mel…
–Un momento: lei è la proprietaria?- esclamò Franz. –La pasticceria si chiama ‘Il magico mondo di Mary’!
Melanie gli rivolse un sorriso radioso, quindi spiegò –Mary era la vecchia proprietaria. Mi ha insegnato il mestiere e lasciato il negozio, mantenere il suo nome sull’insegna mi sembra il minimo, non ti pare?
–Allora è a te che devo fare i complimenti: i tuoi dolci sono spettacolari.
–Eri già stato qui? Non ricordo di averti mai visto, prima di Halloween.
–Mia madre è una cliente abituale rispose Franz. –Mrs. Philips, non so se…
–La cara Gertrud! Ma certo che la conosco!- trillò Melanie. –Non sapevo fosse tua madre. Ogni volta che viene si ferma a fare quattro chiacchiere. Una signora nel vero senso della parola, tua madre. Devi esserne orgoglioso.
–Come no!- sibilò Franz a denti stretti.
–Portale i miei saluti, e avvisala che la torta di zucca che ha ordinato sarà pronta per domani- cinguettò la Cake Queen, alternando lo sguardo tra Franz e Faith. –Bene, vi lascio alle vostre “chiacchiere”.
–Mel- la fermò Faith. –Non farti strane idee, ok? Siamo solo amici.
–Ma certo- rispose l’altra, strizzandole l’occhio con fare complice. –Non preoccuparti, puoi contare sul mio silenzio: sarò muta come una tromba, ehm, una tomba. Tomba.
Faith, che aveva esperienza della discrezione di Melanie, alzò gli occhi al cielo: entro la fine della giornata, tutti i suoi amici avrebbero saputo che era uscita con Weil. Non le restava che sperare avessero sufficiente buon senso da impedire ad Abigail di annunciare le nozze imminenti.
Melanie si fermò con loro finché una decoratrice non la richiamò al lavoro. Una volta tornata nel retro del negozio, Franz e Faith poterono finire il tè e dopodiché andò a pagare e, aiutata Faith a infilarsi il cappotto, lasciò insieme a lei il tepore della sala da tè per il freddo umido della strada.
Percorsero in fretta la distanza che li separava da casa di Faith, e, una volta arrivati, lei lo ringraziò della colazione.
–E’ stato un piacere- rispose. –Comunque mi piace casa tua, credo che ci verrò qualche altra volta.
Faith sbuffò e, in barba al suo cervello superiore, rispose –Perché la prossima volta non avverti, prima?
–Toglierebbe tutto il divertimento. Il gusto sta nel coglierti di sorpresa, Irving- replicò Franz, facendole l’occhiolino. –Ci vediamo stasera!
Faith, dopo una riflessione-lampo, sussurrò –Forse anche prima.
 
Nota autrice:
E così, Franz si è (finalmente) deciso a chiedere scusa a Faith.
Offrirle la colazione è stata una mossa geniale: golosa com’è, Faith ha sicuramente apprezzato… bisogna solo sperare che Franz non ne combini un’altra delle sue!
Non so voi, ma mentre scrivevo i dialoghi me li immaginavo vestiti da samurai, a combattere con la katana, forse perché la colonna sonora di questo capitolo è ‘Don’t let me be misunderstood’, il sottofondo musicale di una delle mie parti preferite di ‘Kill Bill 1’.
Thanks a lot to Bijouttina, elev e Faith00, che hanno recensito, dafne25, sax77, sof13, Up_me_memories, valespx78, che hanno inserito questa storia tra le seguite, e Michelle Verace, che l’ha inserita tra le preferite. Love you all! ^^
Vi anticipo che nel prossimo capitolo Faith ne vedrà letteralmente delle belle… e farà venire un infarto a Franz.
Siccome non lo faccio da un po’, vi spammo la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/francy.iann
Au revoir!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Incontro tra titane ***


Pasqua si avvicina, ma non porto uova o colombe… delusi?
Dedico questo capitolo a chiunque abbia un partner incapace di ribellarsi a sua madre. XD
Grazie a Bijouttina, elev e Faith00, che mi lasciano sempre un commento, e a dindina89, elibocci e lore1307, che hanno inserito la storia tra le seguite.
Enjoy e (in anticipo) buona Pasqua!

 



Incontro tra titane




“Il bacio non è che un morso addomesticato.”
Antonio Castronuovo
 
Non appena mise piede in casa, Franz accese il cellulare, che aveva tenuto spento fino a quel momento per evitare interferenze durante il tentativo di scusarsi con la Irving. Trovò dieci chiamate perse; una di suo fratello, nove… di sua madre.
Decise di richiamare: conoscendola, per quell’ora doveva aver già allertato la polizia.
“E’ troppo apprensiva, gliel’ho sempre detto”.
–Mamma?
–Kind!- strillò una voce femminile all’altro capo del telefono. –Dove ti eri cacciato? Mi farai morire di crepacuore! Perché avevi il cellulare spento?
–Sono uscito. Sono vivo e vegeto, puoi rimandare il viaggio di sola andata per l’aldilà. Il cellulare era scarico- rispose Franz con assoluta calma.
–Facile parlare, per te. Non sei stato in ansia, tormentato da pensieri terribili su cosa potesse esserti capitato!- sbraitò Gertrud. –Ho disturbato tuo fratello al lavoro, pensa!
–Hai chiamato Xandi?- esclamò Franz, allibito. Ecco spiegata l’altrimenti inspiegabile telefonata di Alexander, allergico alla tecnologia. –Non sopporta che lo si chiami mentre lavora!
–Ero disperata, Kind! Temevo ti fosse accaduto qualcosa di brutto- piagnucolò Gertrud in tono lacrimoso. –Fortunatamente sei sano e salvo.
–Sai com’è, dopo ventinove anni ho imparato qualcosina su come badare a me stesso- sputò lui, sarcastico.
–Oh, Kind, te la sei forse presa?- chiocciò la donna. –Guarda che ho piena fiducia in te e nella tua capacità di badare a te stesso, è di questo mondo sempre più pazzo che ho paura. Sono tua madre, mi preoccupo per te! Sei a casa, ora?
–Sì, e ho intenzione di rimanerci. Devo finire la valigia e scegliere qualcosa di elegante per la cena- esalò Franz prima di gettarsi di peso sul letto, esausto.
A quel punto, Gertrud cambiò completamente atteggiamento; chiocciò, in tono materno –Oh, giusto, la cena con i colleghi! Stamani sei uscito a far compere, eh? Puoi dirlo alla tua mamma!
Franz colse al volo quella plausibile piccola bugia e annuì.
–Esatto. Non ho idea di cosa indossare. Non che sia particolarmente vanitoso, ma non voglio sfigurare, sai… con la Eriksson.
–Natürlich! Aber du musst dir keine Sorge machen, Kind: deine Mutter wird dir helfen!
–Was? Nein, nein, du musst still bleiben!- sbottò Franz.
–Entschuldigung, una madre non può restare indifferente a una richiesta d’aiuto- replicò Gertrud. –Prendo in mano le redini, Kind. Ti senti più tranquillo?
–A dire il vero… mi sento sull’orlo di una crisi di nervi- esalò Franz, ma sua madre lo ignorò e pose fine alla conversazione.

 
***
 
Tornata a casa, Faith vide i regali di Weil sul tavolo e l’attraversò un inspiegabile moto di stizza. Si sedette alla scrivania, portando gli occhi al livello di quelli di Agatha, beatamente acciambellata su un libro aperto, e sbuffò –Perché mi ha fatto dei regali? Perché? Io non gli ho preso niente, e ho fatto la figura della perfetta bifolca! Accidenti a lui! Non mi resta che una possibilità: prendergli un regalo e portarglielo oggi pomeriggio... fortuna che so dove abita!- Agatha emise un acuto miagolio di approvazione, Faith ricambiò grattandole la testolina e proseguì col monologo. –Ok, abbiamo chiarito che devo comprare un regalo a Weil, ma cosa? Sono abituata a fare spese per i miei amici maschi, però dubito che a Weil piacerebbero i regali che ho preso per loro… cosa faccio?- le fusa di Agatha la ispirarono; saltò in piedi ed esclamò –Devo chiedere un consiglio, giusto! Ma a chi? Certamente non a Robert o qualcuno dell’ospedale, mi dissuaderebbero. Forse Bridget… neppure, mi suggerirebbe di farmi trovare impacchettata sul suo letto, e non se ne parla. Abby! Abby è la soluzione! In fondo è sposata, saprà cosa si regala a un uomo… oh, no. No, no, no: conoscendola, impazzirebbe e comincerebbe a cianciare di nozze e probabili nomi per la nostra futura prole. Me misera, me tapina, sono sola in questa impresa- la gatta prese a rotolarsi sulle pagine aperte del libro, suscitando le risate di Faith, che si armò di pazienza e neuroni e continuò a pensare alla questione regalo. –Se soltanto lo conoscessi- piagnucolò, disperata. –Invece di lui non so un cavolo di niente, a parte che è un medico, amante degli sport estremi e proprietario di una moto che venera come una fidanzata in carne ed ossa.
Pensa che ci ripensa, arrivò ad una soluzione: a costo di dissanguarsi, gli avrebbe fatto un regalo di Natale degno di questo nome!
Animata da rinnovata energia, si precipitò in strada, sperando che l’istinto la guidasse verso la scelta giusta.
Scartò a priori libri, dvd e cd: film e canzoni erano facilmente scaricabili, e i libri, secondo lei, erano un regalo troppo personale. Nello scegliere un libro, per sé o da regalare, metteva l’anima, e non le andava di donare un pezzettino della sua anima a quell’antipatico.
Entrò in un negozio di abbigliamento maschile, dove diede un’occhiata generale, scartando cravatte - non in sintonia con lo stile studiatamente casual di Weil- e sciarpe - quelle tinte pastello le sembravano più adatte a Jeff-.
Era in procinto di riprendere la ricerca, quando una sconosciuta la fermò.
–Scusi, signorina, posso chiederle un favore?
–Se posso esserle utile- rispose Faith, disarmata dallo sguardo implorante della donna. Per un attimo, ebbe l’impressione che i suoi occhi avessero la stessa forma di quelli di Franz, ma si convinse che era un’illusione ottica.
–Grazie, è davvero gentile- squittì l’altra, deliziata. –Vede, sto cercando un completo elegante per mio figlio e, siccome mi sembra giovane…
“Sembro giovane? SEMBRO? Beh, tu sembri una brutta, vecchia tettona!... Ok, tettona no, non posso permettermi di pensarlo di nessuna, però… brutta vecchia! Ecco!”
–Non credo di essere la persona più adatta a dare consigli in materia di moda- replicò Faith, mettendosi sulla difensiva.
–Tranquilla, ho già scremato i due finalisti, deve solamente rispondere a una domanda: quale le sembra più.. sexy?
–Sexy?- esalò Faith, esterrefatta. Provò a immaginare Franz in quei due completi meravigliosi e rispose –Ehm… direi… il secondo, quello grigio chiaro.
–Perfetto- cinguettò la donna, per poi aggiungere –Allora prendo l’altro!
–Prende l’altro?- ringhiò Faith, sentendosi presa in giro. –E’ assurdo! Che motivo ha di acquistare un capo che non sta bene a suo figlio?
–Ha figli?
“Ma anche no!”
–No.
–Quando ne avrà, capirà. Il mio è un bel ragazzo, non voglio riceva troppe… attenzioni, se capisce cosa intendo. E’ ora che metta la testa a posto, si è divertito a sufficienza.
Faith, sconcertata da quel discorso così medievale, la osservò dirigersi alla cassa, quindi tornò a dedicarsi alla sua personale missione regalo.
 
***
 
Aveva da poco iniziato a prepararsi per la sera, dopo un’incursione di Führer Rose (“Può una madre non intromettersi nelle scelte estetiche di sua figlia?”), quando il campanello l’avvisò dell’arrivo di ospiti inattesi… e che ospiti!
–Bridge? Ab? Cosa ci fate qui?- esalò, sconvolta.
–Bridge ha avuto un’idea- rispose Abby, per poi correggersi a seguito di un’occhiataccia dell’amica. –Ok, io ho avuto un’idea, e l’ho coinvolta.
–E questa idea non poteva aspettare?
–No, altrimenti non saremmo qui.
–Io dovrei essere dal massaggiatore, infatti- ringhiò a denti stretti una malmostosa Bridget.
–Un massaggiatore è più importante della felicità di una delle tue migliori amiche?- la rimbeccò Abigail.
–Il mio sì- replicò Bridget, sistemandosi gli occhiali da sole, che teneva in bilico sulla testa; erano inutili a dicembre, ma li portava perché “fa fashion”.
Faith, stufa dei loro battibecchi, si schiarì la voce e chiese –Insomma, si può sapere il motivo per cui siete piombate qui all’ora del tè?
–E’ già l’ora del tè?- esclamò Bridget. –Io ho lasciato il letto due ore fa! Sapete, ieri ho rimorchiato uno studente...
–Universitario, vero?
–Liceale- ammise Bridget, e aggiunse prontamente, in risposta alle espressioni sconvolte comparse sulle facce di Faith e Abigail –Ehi, ha detto di essere maggiorenne, e a me, come a tutti, credo, piace la carne fresca.
–Ti ha detto di essere maggiorenne e tu gli hai creduto?- ululò Faith.
–Perché non avrei dovuto?- domandò Bridget.
–Perché non ci si può fidare delle persone!- ruggì Faith. –Secondo te, se chiedessi a un paziente pneumopatico quante sigarette fuma al giorno, ammetterebbe che supera il pacchetto, o negherebbe? Se chiedessi a un ventenne che ha avuto un’angina pectoris se assume cocaina confesserebbe, o negherebbe? Negherebbero, perché la gente ti dice solamente quello che le conviene o che crede tu voglia sentire! E’ lo stesso principio di: “sì, ci sono andato/a a letto, ma amo solo te”, una delle frasi più patetiche mai concepite da mente umana! Quello era minorenne, B, ci metterei la mano sul fuoco, e ha approfittato della tua buona fede per farsi “svezzare”!
–Mettiamo fosse minorenne, cosa cambia?- rispose Bridget. –Ormai la frittata è fatta, anche se non la chiamerei frittata: lui non era male, e gli ho dato qualcosa di cui vantarsi con gli amici!
–Sei irrecuperabile- sospirò mestamente Abigail, schiaffandosi una mano sulla faccia.
Faith sbottò –Tagliate corto, devo finire di prepararmi!
–Non sei un tantinello… in anticipo?- le fece notare Bridget.
–Meglio in anticipo che in ritardo. F, facci vedere cosa avresti intenzione di metterti stasera alla festa con i colleghi- le ordinò Abigail, che eruppe in un urlo strozzato quando si trovò davanti la mise scelta dall’amica: una corta gonna a pieghe a quadretti, con l'orlo di pizzo, una camicia nera con le ruches allo scollo, e una giacca color crema, in tinta con gli stivali.
–Oh, cavolo, è…
–Un amore?
–Terribile!
–L’ha scelto mia madre- la informò Faith, accigliandosi mentre fissava l’orlo in pizzo della gonna e le ruches della camicia, desiderando ardentemente di poter dare loro fuoco con la forza del pensiero.
–Dai, Ab, non è tanto male- la contraddisse Bridget.
–Non. E’. Male? B, capisco che sei miope, ma ritenere niente male… questo!- sbraitò Abigail. –Non va bene, F. Fortuna che ci siamo noi ad aiutarti: questa è la volta buona!
–Per una volta ti do ragione, Ab- asserì Faith. –Volta buona per cosa?
–Per trovarti un uomo, naturalmente!- squittì Mrs. Cartridge come se fosse ovvio. –Un bel dottorino! Che non sia quel Weil. Che ne dici?
–Dico che sei da interdire- rispose Faith con un filo di voce, poi aggiunse, ad un volume udibile –Come ti è venuta questa idea balorda?
–Brian mi ha fatto capire che hai bisogno di qualcuno che ti accetti così come sei, passione per l’orrido compresa, e chi altri può, se non un dottore?
–Un regista di film horror- osservò Bridget.
–Limitiamoci alle possibilità realistiche, B- sbottò l’altra. –Per fartela breve, F: ho deciso che questa sera rimorchierai alla grande!
–Weil non è male, ma non possiamo contare su di lui, almeno finchè non avremo capito da che parte sta. Sì, insomma… che gusto preferisce- asserì Bridget. –Non vorrai rischiare di beccarlo a letto con un uomo! Io ci sono passata, e posso assicurarti che è una delle esperienze più destabilizzanti che si possano vivere: sei mesi a pane e Prozac, come minimo!
Faith, incapace di proferire parola, rimase impalata a fissare le sue amiche, finché Abigail non le mostrò un involucro nero, che conteneva…. un vestito. Un vestito splendido. Bianco, corto ma accollato, con ampie maniche strette al fondo e una fantasia floreale stilizzata.
“Mia madre, e forse molti altri, direbbero che è orrendo, troppo vistoso, ma io… “
–Lo adoro!- trillò, battendo le mani. –Non dovevate!
–Ringraziami sistemandoti con un bel medico pieno di soldi- ribatté Abigail. –Provalo, su, voglio vedere come ti sta.
–Ti ricordo che ho un lavoro, non mi serve sposare un uomo ricco per avere dei soldi- disse Faith mentre infilava in fretta e furia l’abito, cercando di non soffocare nella stoffa. –Tra l’altro, i soldi non fanno la felicità.
–F, preferiresti sorridere su una bicicletta mezza rotta, o piangere in una limousine?- sibilò Abigail, nel tentativo di coglierla in fallo.
Faith, però, non ci cascò, e rispose –Il problema non si pone: non so andare in bicicletta!
 
***
 
Trovare parcheggio fu dannatamente difficile, ma ci riuscì, anche se comportò mandare a quel paese altri due automobilisti.
Si fiondò dentro il palazzo di Gracechurch Street dove abitava Franz ringraziando profusamente il signore che le aveva tenuto aperto il portone d’ingresso, risparmiandole l’imbarazzo di citofonare.
Tanta era l'adrenalina che non prese l'ascensore, salì di corsa le scale fino al secondo piano, dove vide il campanello con scritto ‘Weil’.
“Ci siamo, Faith. Ora o mai più. Un colpo secco, come con la ceretta”.
Si fece forza e bussò, infine attese, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore mentre spostava il peso da un piede all'altro.
Dopo quella che le parve un'eternità udì la serratura scattare, e la porta aprirsi, ma non vide il padrone di casa; abbassò lo sguardo quando sentì strattonare un lembo del cappotto, e si accorse soltanto allora che ad aprirle erano stati due bambini, di cinque e un anno, rispettivamente. Era stato il più piccolo, a cavalcioni sulle spalle del fratello, a richiamare la sua attenzione.
Esterrefatta, Faith sbiancò, deglutendo a vuoto: che Weil fosse un padre single?
"Questo spiegherebbe perché è così acido. Occuparsi di due bambini piccoli non è affatto facile. Da solo, poi! Poverino! Ecco, forse, perché ce l'ha con me: la madre ha lasciato lui e i figli, e odia l'intero genere femminile per questo".
Le sue elucubrazioni mentali vennero interrotte dal più grande dei due pargoli, che asserì, scrutandola torvo, in un modo che le ricordò in maniera impressionante Weil –Du bist nicht onkel Franz!.
–Non ho capito niente, piccolo. Parli inglese?
Il bambino emise uno sbuffo infastidito e tradusse –Tu non sei lo zio Franz.
"Zio Franz? ZIO? Grazie a tutti gli dèi, non è un padre single!" pensò, sospirando sollevata.
–Sono una... collega di tuo... tuo... zio- rispose.
–Was?- trillò il più piccolo.
–Noi...  lavoriamo insieme.
–Was?
–Ecco, noi... facciamo lo stesso lavoro.
–Was?- ripeté il bambino.
–Sono anche io un dottore- spiegò Faith, che cominciava a spazientirsi: non ci sapeva fare con i mocciosi, ne era consapevole, e temeva di perdere la pazienza da un momento all'altro.
Proprio quando le stava passando per la mente di imbavagliare quel piccolo rompiscatole, una voce femminile, di un’adulta, stavolta, echeggiò dall'interno dell'appartamento.
–Hans, quante volte ti ho detto di non aprire se non sono con te? Wer ist an der Tür? Ihr Vater?
Nein. Sie ist eine Fraülein- rispose Hans, il maggiore.
Fraülein? Mein Got!- esclamò la donna, prima di accorrere alla porta. Non appena vide chi aveva di fronte, esclamò –Ben arrivata … tu non sei Ronda.
A Faith bastò un’occhiata per riconoscerla come la bizzarra signora che cercava un completo per suo figlio.
–Perspicace. Salve, comunque. Cercavo Franz Weil, ma, ehm, a quanto pare questa è un'altra casa Weil. Scusi il disturbo- pigolò, intimidita dallo sguardo severo della sconosciuta, che la esaminò da capo a piedi, indugiando, in particolare, sulla lunghezza del cappotto e sul bottone che minacciava di saltare, sotto la spinta del seno abbondante.
Inaspettatamente, sorrise e rispose –Nessun disturbo, sei nel posto giusto- parve pensarci su un secondo, prima di chiederle –Posso darti del tu, vero?
–Certo- annuì Faith.
–Franz è uscito, ma puoi accomodarti, se non ti scoccia aspettare.
–Oh, no, non ce n'è bisogno, volevo solo...- tentò di replicare Faith, ma l'altra sembrava decisa a farla entrare in casa, e non ci fu verso di rifiutare.
La sconosciuta la fece accomodare in un soggiorno-cucina con un tavolo in un angolo; Faith non si intendeva di arredamento, però notò ugualmente alcuni tocchi originali, che rendevano il piccolo appartamento accogliente e 'vivo'. Apprezzò in particolare il divano, dato che era identico al suo, e una serie di cornici a muro.
–Perdonami, non mi sono presentata: Gertrud Philips. Sono la madre di Franz.
–E’ sua madre? Wow! E’ così… giovane! Ehm, ad ogni modo sono Faith Irving, lieta di conoscerla- rispose l'altra, stringendole la mano.
Gertrud, senza smettere di scrutare la giovane, le rivolse un sorriso bonario e le domandò –In che rapporti sei di preciso con mio figlio?
–Noi non abbiamo rapporti- rispose subito la Irving, agitandosi. –Siamo colleghi.
“Colleghi, eh? Peccato, è passabile come materia di fidanzamento!”
–Lavorate insieme? Mi aveva detto di avere tutti colleghi. Maschi. A parte il primario.
“Si vede che mi considera un maschio”, pensò Faith, ma non espresse questo pensiero perché una fotografia nella cornice a muro attrasse la sua attenzione. Spalancò gli occhi e la indicò, esalando –E’ lui! E’ lui che ho visto!
Gertrud si voltò per capire a chi si riferisse, quindi si avvicinò alla fotografia in questione e sospirò, in tono nostalgico –E’ stata scattata a Machu Picchu. Una vacanza di famiglia: io, Hans, Franz e Alex, mio figlio maggiore.
Sconvolta, Faith pigolò –E’ suo… fratello?
“Non è bisex! E’ suo fratello!”
–Esatto. Si adorano… per quanto possano adorarsi due fratelli.
–Ah, non saprei- rispose Faith. –Non ho esperienza in merito, sono figlia unica.
–Anche io, ma l’ho sperimentato con loro: un attimo prima se le davano di santa ragione, e quello dopo si abbracciavano- chiocciò Gertrud in tono lacrimoso.
–Uhm, senta, dovrei andare, le lascio…
–Non andare così presto. Franz sarà felice di vederti- “Non ci giurerei”, pensò Faith. –Gradisci del tè?
–Oh, ehm… sì, grazie. In realtà sono passata semplicemente per chiedergli se voleva un passaggio e per... dargli questo- esalò, mostrandole il pacchetto rosso.
–Oh, un regalo!- esclamò Gertrud, colpita. Aveva notato che non era incartato molto bene, e dedusse che era stata lei stessa a occuparsene. –Che gentile! Strano, però: non pensavo che tra colleghi ci si scambiasse regali.
–Si, beh..- balbettò Faith, avvampando. –N-Non con tutti, solo con quelli con cui si è più in confidenza, ecco.
–Quindi siete in confidenz... Hans! Smettila subito!- tuonò Gertrud, attirando l'attenzione di Faith sul bambino, che aveva infilato il fratellino nella lavatrice e stava facendo roteare il cestello. Estrasse Wilhelm dall’elettrodomestico e lo cullò per placare le sue strida.
–Dai, Groẞmutter, era un gioco!- si giustificò il piccolo, oscillando sul posto con aria innocente.
–Un gioco? Stavi per rompere l'osso del collo a tuo fratello! Comportati bene almeno quando abbiamo ospiti!- lo rimproverò Gertrud.
Faith deglutì, a disagio: quella donna le sarebbe stata simpatica... se fosse stata meno simile a sua madre!
Per rompere il ghiaccio, e togliere il bambino dall’imbarazzo, disse –Hans, ti va di farmi vedere i tuoi giocattoli?
–Na ja!- esclamò il piccolo, immediatamente più allegro.
Faith sorrise, sollevata, e si mostrò interessata, specialmente a uno: i suoi genitori non le avevano mai permesso di giocare a ’L'allegro chirurgo’.
Hans, scoprì, era un bambino intelligentissimo, ma con l’argento vivo addosso: non era iperattivo a livelli patologici, solo estremamente vivace. Mentre sistemava un osso con precisione incredibile per la sua età, disse –Mi piaci.
–Oh. Ehm.. grazie.
–Ce l'hai il fidanzato, Faith?- chiese poi Hans, facendola arrossire.
“Oh, porca miseria! Avrà cinque anni al massimo, e pensa a certe cose? Perché i bambini di oggi non rimangono bambini più a lungo?”
–No.
–Bene!- esclamò Hans, illuminandosi.–Così puoi prenderti lo zio Franz. Mi piaci, e la nonna non vede l'ora che lui si… come dice? Ah, sì: sistema. Non fa che ripeterlo!
–Si, beh- ribatté Faith, sperando di suonare naturale e non insospettirlo –Credo che tua nonna voglia vederlo sistemato con una donna che ama, e noi, tuo zio e io... noi non proviamo... niente... l'uno per l'altra. Siamo due persone che lavorano insieme e vanno d'accordo.
Il bambino le rivolse un'occhiata poco convinta, rispose –Se lo zio non ti vuole ci sono io- la abbracciò e raggiunse Wilhelm. Contravvenendo alle aspettative di Faith, convinta che gli avrebbe rovesciato i Lego sulla testa, Hans si sedette accanto al fratellino e lo aiutò a impilare i mattoncini. Sotto sotto, aveva il cuore tenero… come un altro Weil di sua conoscenza.
Gertrud fece capolino dall’angolo cottura e le chiese –A che gusto preferisci il tè?
–Va bene tutto.
–Vaniglia?
–Perfetto- rispose, per poi alzarsi e curiosare in giro per la stanza. Sui mobili e alle pareti c’era una incredibile quantità di fotografie, dalle quali traspariva che Franz e suo fratello condividevano l’amore per il pericolo e per i viaggi avventurosi. Dovevano aver visitato tutti i continenti… ad eccezione dell’Europa, che Faith, invece, conosceva bene. C’erano piccole statuette di Buddha, stampe giapponesi che Abigail avrebbe sicuramente apprezzato, strumenti musicali sudamericani, un boomerang, un papiro egiziano, una fiala dal contenuto sconosciuto corredata di biglietto ‘Contro il mal d’Africa’ e altre cianfrusaglie che si inframezzavano ai libri e a tutto il resto. Più libri che altro, e molti titoli figuravano anche nella sua libreria.
“Un punto a favore per Weil. Non prenderei mai in considerazione un pantofolaio illetterato”.
Uno degli inspiegabili misteri di Faith era proprio il mutamento che avveniva non appena decideva di intraprendere un viaggio di piacere: da pigra e indolente si trasformava in un vulcano di energia. Programmava ogni aspetto della vacanza nei minimi dettagli, e non si fermava mai: di giorno camminava senza sosta per vie cittadine, siti archeologici, parchi naturalistici, di sera ampliava i propri orizzonti culinari assaggiando i piatti tipici (“Compatisco con tutto il cuore quelli che pretendono l’hamburger nel cuore dell’Amazzonia”) e scatenandosi al ritmo delle danze folkloristiche. Ritornava a casa distrutta, ma appagata e piena di ricordi.
–Quella è la sua preferita- disse Gertrud, ricomparsa con due tazze fumanti di tè.
–Lo immaginavo- rispose Faith, tenendo lo sguardo fisso sul volto sorridente di Franz, a malapena visibile sotto il cappuccio del parka e la sciarpa di lana. –E’ lo sfondo del desktop del suo portatile.
–Se non erro, è stata scattata a Usio… no, Ushyna.. in Patagonia. Franz si era appena laureato, è stato il nostro regalo.
–Accidenti! Se penso che a me hanno regalato un’automobile usata…
La risposta di Getrud venne stroncata dal campanello; emesso un sospiro di sollievo, esclamò –Deve essere lui- e si precipitò ad aprire.
Faith cominciò a tremare: cosa avrebbe detto Weil nel trovarla lì? Si sarebbe arrabbiato? L’avrebbe ferita con parole oltraggiose? Il flusso mentale di possibili scenari si interruppe quando si accorse che erano arrivate due persone, nessuna delle quali era Franz: un uomo e una donna, entrambi biondi,  somiglianti ad Hans e Wilhelm.
Senza riflettere, Faith esclamò –Ciao. Sei Alexander, giusto? Il fratello di Franz.
–Esatto!- rispose lui, sorpreso, poi strabuzzò gli occhi e, puntandole l’indice contro, aggiunse –Io lo so chi sei: il tricheco umano!
–Alexander!- lo ripresero le altre due, indignate.
–Che c’è? Franz la chiama così- si difese lui, per poi aggiungere, preoccupato –Sei tu, vero? Non ho fatto una gaffe, vero?
–N-Non s-saprei.. non avevo idea che Fr… Weil mi chiamasse tricheco- pigolò Faith, delusa: come aveva potuto illudersi di piacergli sul serio? La considerava un essere pingue e sgraziato con i dentoni!
Gertrud batté il pugno sulla fronte, mentre Serle ringhiò –Essere sposata con te è come avere un figlio in più, Alexander!
–Ah, sì? Allora sei una mammina incestuosa!- scherzò l’interessato.
–Oh, per favore!- sbottò lei. –Grazie, Gertie, per aver badato a queste due pesti.
–E’ stato un piacere. Li ho portati qui perché Martin aveva ospiti, e poi dovevo lasciare a Franz il suo nuovo completo elegante… per stasera!
–Ah, già, quella barbosa cena- sbuffò Alexander.
–La dottoressa Irving è venuta fin qui per offrire un passaggio a Franz- trillò Gertrud, spingendo sotto i riflettori una reticente Faith, che si limitò a un sorriso tirato. –Peccato sia inutile. Ho già provveduto.
–Ah, sì?- esclamò Alexander, passando la giovane ai raggi X con i penetranti occhi castani. –Strano, Franz non ti ha mai permesso di intrometterti nella sua vita privata.
–Infatti non me l’ha chiesto, ma una madre intuisce al volo se un figlio ha bisogno di lei. Gli ho dato una mano, che lo volesse o no.
Faith aprì bocca per replicare, indignata, però la porta si spalancò per lasciar passare Franz, subito assalito dai nipoti. Carezzò la testa di Hans, prese in braccio Wilhelm e ringhiò –Che sta succedendo?
–Ciao- lo salutò Faith, e per poco Franz non ebbe un infarto: cosa ci faceva la Irving sul suo divano? O meglio, cosa ci faceva sul suo divano… vestita in quel modo? Non era propriamente provocante, ma l’abito era abbastanza corto da costringerla ad tirare giù l’orlo a intervalli regolari, e le labbra evidenziate dal rossetto rosso fuoco gli facevano l’effetto che il fazzoletto sventolato dal torero faceva al toro.
“Oh, merda. Credo che impazzirò.”
–Ciao. Posso sapere cosa…?
–Vai in camera tua, kind, c’è una sorpresa per te!- squittì Gertrud. –E sbrigati a prepararti, sei in un ritardo spaventoso!
–Vergogna, fratellino, non si fa attendere una signora- lo irrise Alexander.
Faith sorrise e spiegò a un perplesso Franz –Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere raggiungere il ‘Topless’ senza assiderarti in sella alla Harley.
–Oh. Giusto. Sì. Ehm, grazie.
–Ringraziala doppiamente: Faith ti ha anche portato un regalino!- cinguettò allegramente Gertrud, porgendogli il pacchetto. –Avanti, su, aprilo!
–Ehm… magari più tardi- mormorò Franz. Era curioso, questo sì, ma anche determinato a proteggere la propria privacy dall’ingerenza materna.
–Kind, è maleducazione non aprire un regalo in presenza di chi te l’ha donato- lo redarguì Gertrud.
Faith scosse il capo e assicurò a Franz che non importava che aprisse il regalo.
–E’ un regalo di Natale, è normale che tu voglia scartarlo a tempo debito. Io non ho aperto il mio.
–Sentito, mamma? Ora scusatemi, vado a prepararmi. Come mi ha fatto gentilmente notare Xandi, non si fa attendere una donna, specie se è lei a consumare la benzina- asserì seccamente Franz.
–Oh, ma non sarà Faith ad accompagnarti. Devi essere pronto quando arriverà Ronda. Ti ricordi di lei? E’ la figlia di Tess, da piccoli avete giocato insieme un paio di volte…
–Ronda?- esclamarono in coro Franz, Faith, Alexander e Serle, esibendo quattro identiche espressioni sconcertate.
–Ti avevo promesso di occuparmi di tutto, kind, e ho mantenuto la promessa: ti ho preso qualcosa di carino da indossare e… ti ho combinato un appuntamento!
Franz rivolse un’occhiata mortificata a Faith, che sembrava aver assunto una dose massiccia di tossina tetanica, tanto era rigida. Sperò non stesse per essere protagonista di ‘Gladys due, il ritorno’, si voltò nuovamente verso sua madre e ringhiò –Ti avevo pregata di non immischiarti!
–Mi avevi raccontato dei tuoi problemi, questa per me equivale a una richiesta d’aiuto, perciò mi sono attivata- replicò Gertrud senza scomporsi. Era ignara del disastro che aveva generato.
–Non ti ha sfiorata il pensiero che, in quanto adulto, potessi aver risolto da solo i miei problemi?- latrò Franz, sbuffando con una tale rabbia che gli altri temettero potesse sputare fuoco da un momento all’altro.
–Ero sicura che, lasciato a te stesso, saresti affogato in un bicchier d’acqua. Come potevo immaginare che ti saresti organizzato altrimenti?- uggiolò Gertrud.
–Mamma- ruggì Franz, minaccioso. –Adesso chiami questa Rosa o come diamine si chiama…
–Ronda, kind. Non è un nome adorabile? Ed è davvero una bella ragazza! Se non ricordo male lavora come modella!
–Fosse anche Tyra Banks tu adesso la chiami e le dici che non sono disponibile. Chiaro?
–Ma kind! Che figura ci farei? E’ pur sempre la figlia di una mia amica!- gnaulò Gertrud. –Faith capirà. Vero, Faith?
–Capisco benissimo- asserì Faith. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, di Franz non sarebbe rimasto che il ricordo. Gertrud aveva sbagliato, ma stava a lui spiegarle perché non doveva più combinargli appuntamenti. –Tua madre si è impegnata a cercarti un’accompagnatrice per stasera, non è corretto nei suoi confronti costringerla a mandare tutto a monte. Ci vediamo al ristorante.
 
***
 
–Irving! Irving, aspetta!
Faith si girò, scocciata, e sbottò –Se stai per chiedermi di dare un passaggio anche alla tua nuova oca da esposizione spiacente, la risposta è NO!
Franz alzò le mani e rispose –Non mi permetterei mai! Anzi, scusa per prima, mia madre…
–Tua madre ha agito in buona fede, non provare a scaricare la colpa su di lei, stronzo!- ribatté, prima di entrare in macchina, sbattendo la portiera.
Franz la seguì, ignorando le proteste e gli insulti, e tentò di arginare la tragedia.
–Irving, lasciami spiegare. Non ho chiesto a mia madre di… è stata una sua iniziativa. Non comprende che al momento ho altre priorità.
Faith sbuffò –Sì, sì, vabbè. Ora scendi, non vorrai far aspettare Ronda!
–Oh, sì, quella lì… le ho spiegato che avremmo preso parte a una cena di lavoro, non una festa, e questo ha smorzato il suo entusiasmo, ergo… sono tutto per te- Faith curvò le labbra in un sorriso, che si tramutò in un’espressione furente quando Franz aggiunse –Certo, mia madre mi ha fatto promettere di uscire con lei almeno una volta, però…
–Però un corno!- ululò Faith. –Come hai potuto accettare?
–Conosci un altro modo per tenere buona mia madre?- ringhiò Franz, infuriandosi a sua volta. –Desidera per me una storia seria, addirittura che mi sposi, tutte cose che non sono comprese nella mia lista di priorità, per ora. E poi, se proprio vogliamo mettere i puntini sulle i, ho detto che mi piaci, non ti ho dichiarato amore eterno, perciò non hai nulla di cui lamentarti!
Non pensava neanche mezza sillaba, aveva semplicemente bisogno di sfogare la frustrazione di non essere riuscito a ribellarsi alla sua tirannica madre, e sperava di usare Faith come punchingball. Con sua enorme sorpresa, però, lei non replicò, si limitò ad accendere l’autoradio mentre lo fulminava con lo sguardo, prima di immettersi nel traffico cittadino.
“Never was and never will be. Have you no shame? Don’t you see me? You know you’ve got everybody fooled!”
 
***
 
Una volta davanti all’ingresso del ‘Topless’, Faith parcheggiò in uno spiazzo apposito e scese dalla vettura senza dire una parola.
Franz, seccato e intristito dal suo atteggiamento, la bloccò per un braccio sulla soglia, e sibilò –Credi che per me sia facile?
–Credo- rispose Faith, scegliendo con cura i vocaboli –Che l’idea di uscire con le belle figlie delle amiche di tua madre non ti dispiaccia quanto vorresti farmi credere. Lo capisco: puoi avere una modella, perché accontentarti di un tricheco?
–Non lo definirei “accontentarmi”. E non sei un tricheco.
–Mi lusinga che lo pensi, e spero che qualcun altro in questo mondo condivida il tuo pensiero- asserì freddamente Faith.
–Non hai bisogno di qualcun altro- osservò Franz.
–Forse neppure di te- replicò lei, sforzandosi di mantenere un contegno di dignitoso sdegno. –Comprendo le tue ragioni, Franz- Weil trattenne il respiro: era la prima volta che lo chiamava per nome. –Sei giovane, hai una promettente carriera davanti a te, e non vuoi ostacoli- alzò lo sguardo fino a incontrare quello di Weil, che trasalì. –Sai perché non riesci ad accettare i tuoi sentimenti per me? Perché una parte di te non mi ritiene alla tua altezza. Non sono abbastanza bella da attirare su di te l’invidia di nessuno. Probabilmente nemmeno ti piaccio, vuoi solo toglierti lo sfizio di portarmi a letto.
–Non dire assurdità, non sono quel genere…
–Lo sei. Sei ambizioso, e questo mi sta bene, è il tuo egoismo che non posso tollerare. Nemmeno per un nanosecondo hai pensato che sono anche io un giovane medico di belle speranze? Che ho anche io dei sogni? Pensi che non abbia soppesato i pro e i contro dell’innamorarmi di te? Avrei compiuto volentieri dei sacrifici, senza mai pensare a te come a una zavorra. Tu no. Questione chiusa.
Franz, superato lo shock del momento, sospirò –Consolati, Irving: secondo me il tuo non è amore… soffri della Sindrome di Cameron.
–Sindrome di Cameron?- ridacchiò Faith, perplessa. –Secondo te sono gelosa al punto di farmi venire un’ulcera peptica?
–L’altra Cameron!- sbottò Franz. –La collaboratrice di House. Quella che si illudeva di cambiarlo. Non sei innamorata di me, ma dell’idea di me che hai in mente.
Faith, sull’orlo delle lacrime, si passò un dito sulla palpebra inferiore per assicurarsi che non fosse rovinato il trucco, quindi pigolò –Se è questa l’opinione che hai di me… non abbiamo più niente da dirci. Un Cyril mi basta e avanza, non ho intenzione di fare il bis.
Franz si sentì dilaniato dal sollievo per la fine della discussione e l’impulso di sbattere Faith contro la porta del ristorante e obbligarla a rimangiarsi ogni lettera. La Irving gli risparmiò l’onere di una decisione: si avvicinò e gli tappò la bocca con la sua. Weil impiegò diversi secondi per realizzare cosa stava accadendo, poi, accertatosi di non stare sognando, poggiò una mano sulla sua nuca per trattenerla e approfondire quella che era nata come un’effusione timida e casta, quasi infantile, e si stava trasformando in un bacio appassionato. Non sapeva spiegarsi perché, ma non riusciva a lasciarla andare: oltre all’inebriante morbidezza delle sue labbra, avvertiva un retrogusto di rimpianto, e non voleva che la magia si spezzasse.
Si staccò da lei solo quando ebbe terminato la scorta di ossigeno: non gli andava di respirarle in faccia o di sfiorarla con la punta del naso, le reputava azioni degne di un adolescente alla prima cotta.
Si leccò le labbra nel vederla mordicchiare le proprie, e non si trattenne dal commentare –Sai di yogurt.
–Tu di dentifricio alla menta- rispose lei in tono pratico, come se stesse conversando del tempo.
Ferito dall’indifferenza dimostrata da Faith riguardo al loro primo e (cominciava a temere unico) bacio, Franz, che aveva notato del vischio appeso alla porta, sbuffò –Toh! Vischio. Hai voluto rispettare la tradizione?
–Ho voluto darti un assaggio di quello a cui hai rinunciato- ribatté lei con tutta l’alterigia possibile, prima di entrare a testa alta nel locale… naturalmente, assicurandosi di sbattergli la porta sul naso.

Without your mask, where will you hide? Can’t find yourself, lost in your lie! I know the truth, now. I know who are, and I don’t love you anymore!”

Nota autrice:
Pro e contro di questo capitolo.
Pro: si sono baciati! (era ora, no?)
Contro: Franz si è comportato da vero stronzo con la povera Faith e dovrà fare una lunga penitenza, prima di ottenerne il perdono.
Note di servizio: come forse avete intuito, la mia canzone ispiratrice per questo capitolo è stata ‘Everybody’s foll’ degli Evanescence.
Numero due: Ushuaya è veramente il capoluogo della Patagonia, oltre che la città più australe del mondo.
Numero tre: la sindrome di Cameron non esiste, esistono le lesioni di Cameron, un tipo di ulcera gastrica (non scendo nei dettagli). Passatemi questa “licenza medica”.
Au revoir!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Simply the Best ***


Bentrovati! Com’è stata la vostra Pasqua? Serena e cioccolatosa, spero. Pubblico oggi perché domani è festa e mi concedo una scampagnata con gli amici.
Come da copione il capitolo non mi convince fino in fondo, ma spero vi piaccia tanto da muovere le dita sulla tastiera e dirmi cosa ne pensate.
Enjoy!

 



Simply the Best




“L’amore a prima vista spesso non è che una svista.”
Roberto Gervaso

Nonostante la giovane età, nella sua vita Franz Weil si era trovato davanti a situazioni sgradevoli di ogni genere, e le aveva sempre affrontate di petto, con coraggio, pensando ai pro derivanti dall’osare e relegando i contro in un angolo remoto della mente.
Non era preparato, però, ad affrontare questa prova: riallacciare i rapporti con Faith.
Le sue precedenti relazioni non erano finite, erano semplicemente scivolate nel nulla: la ragazza di turno si rendeva conto di venire dopo lo studio, prima, il lavoro, poi, lui confessava che era vero e tanti saluti. Una rottura incruenta.
E’, quindi, comprensibile che fosse del tutto impreparato a gestire le emozioni che si dibattevano nel suo animo; era sempre stato convinto che le grandi passioni tormentate fossero appannaggio esclusivo del gentil sesso, invece aveva scoperto che un uomo innamorato entrava in possesso di un’ampia sfera emotiva, inimmaginabile a chi non aveva mai provato un simile sentimento.
All’inizio aveva negato, adducendo i pretesti più stupidi per giustificare il continuo pensare a Faith, anche al di fuori dell’ospedale, il nodo allo stomaco quando lei lo trattava con indifferenza o lo ignorava (il che, ultimamente, accadeva spesso), il senso di rabbia che lo pervadeva quando qualcuno la sfiorava, o la abbracciava, il fatto che, nonostante lo detestasse, non avesse avuto il coraggio di riciclare il suo regalo di Natale, un orrendo paio di “touch gloves”, guanti che consentivano di usare il touch screen senza doversi congelare le mani.
Aveva chiesto aiuto ai suoi amici: doveva venirne fuori, il suo rendimento ne stava risentendo, così come la sua salute mentale. Robert l’aveva esortato a “non fare lo struzzo, mettere la testa sotto terra non serve a niente”, Chris aveva sproloquiato sul potere dell’amore di rendere le persone migliori (argomentazione convincente, visto che, da quando frequentava Erin, aveva improvvisamente dimostrato una profonda conoscenza del galateo e un impensabile animo romantico), Harry, più pratico, aveva usato un esempio a lui congeniale.
–Husky, l’amore è come la deglutizione: la fase cefalica è volontaria, puoi fermarla, ma appena il bolo raggiunge la faringe… game over, va giù nell’esofago! Se avessi voluto avresti dovuto agire all’inizio, allo stadio di semplice interesse, ormai è tutto inutile.
–Non ci credo! Deve esserci un modo!- aveva risposto lui. –Non posso andare avanti così: io che cerco il suo perdono e lei che si diverte a tormentarmi!
–Dubito si stia divertendo- aveva asserito Robert. –Ti sei comportato malissimo con lei, è ovvio che tenti, come te, di “farsela passare” e, allo stesso tempo, di farti mettere nei suoi panni.
–Ma ci sto male, cazzo!- aveva protestato Franz.
Gli altri tre si erano scambiati occhiate d’intesa e avevano risposto come un solo uomo –Avresti dovuto pensarci prima!

 
***

Faith non se la passava meglio: sembrava che forze oscure congiurassero contro di lei. Aveva studiato gli orari di Weil e obbligato il Grande Capo a cambiarle i turni al solo scopo di evitarlo come la peste polmonare (la precisazione era d’obbligo: la forma bubbonica aveva solo l’ottantacinque per cento di letalità), eppure i suoi sforzi risultavano vani: la perseguitava con la sua presenza, quell’irritante espressione da bimbo beccato con le mani nel vasetto della marmellata e il profluvio di scuse, scuse che avrebbe accettato, se lui non l’avesse ripetutamente ferita nell’orgoglio.
Quel pomeriggio, nonostante la pioggia battente e l’umore tetro, si era ritrovata nel salotto di casa Cartridge a sorseggiare tè insieme ad Abigail, Bridget e un manipolo di insipide dame dell’alta società. Detestava con tutto il cuore quegli eventi frivoli e vani, ma se presenziando avrebbe potuto evitare che Abigail si concentrasse di nuovo sulle sue manie matrimonialiste, si sarebbe votata al martirio. La sorreggeva il pensiero che tra qualche ora sarebbe stata spaparanzata sul divano di Diane a guardare ‘Genital Hospital’.
“Mi sento sola tra i gambi di sedano”, aveva pensato, quando le apparentemente adorabili signore l’avevano letteralmente assalita. Faith aveva impiegato meno di dieci secondi per intuire la ragione di tale ingiustificata simpatia nei suoi confronti: era l’alternativa più consona. Bridget, con il rossetto scarlatto, l’abito vedo-non-vedo e la linea spessa di eyeliner alla Cleopatra esprimeva una sensualità e una personalità effervescente che le spaventava, mentre lei, col suo sorriso di circostanza perfezionato negli anni, la timidezza e il pugno di ferro abilmente camuffato da guanto di velluto, dava l’idea di essere dimessa e rispettabile.
“Chissà, forse temono di trovare Bridge a letto con uno dei loro mariti... spero di no per lei: ha troppo buon gusto!”
Tra le varie ospiti illustri spiccava per sgradevolezza Mrs. Ryan, un’avvenente ventisettenne dai natali sconosciuti, divenuta la terza donna più ricca del regno in seguito al matrimonio con Carter Ryan, noto uomo d’affari e, da un paio d’anni, socio di Brian e suo padre. Stando ai commenti malevoli delle altre, Mrs. Ryan aveva accalappiato il danaroso marito con la sua abilità di contorcersi intorno a un palo…. non che le importasse: non giudicava le persone in base al mestiere che svolgevano (purché fosse legale), e sarebbe stata ben felice di fare amicizia con lei, se avesse avuto un carattere amabile; invece era ignorante e maleducata, e né il matrimonio, né la gravidanza, che ostentava con sfacciata superiorità, l’avevano resa più trattabile.
Stava servandosi una seconda tazza di tè, quando si trovò davanti agli occhi una tazza; non si stupì di scoprire che apparteneva a Mrs. Ryan, che aveva mandato la sua schiavetta personale Olivia Ashford a riempirla.
–Incinta o no, non è giusto che schiavizzi chi le sta intorno- sibilò Faith mentre riempiva la tazza di liquido ambrato.
–Ecco cosa succede se sposi un uomo che ha l’età di tuo nonno: diventi una stronza viziata- rispose Olivia arricciando il naso lungo e puntuto.
–Mi duole contraddirti, ma, considerato il livello di stronzaggine, mi sa che è congenita- replicò Faith, per poi aggiungere –L’hai tollerata anche troppo. Lascia che metta io la testa tra le fauci della tigre.
–A tuo rischio e pericolo.
Faith le sorrise e si avviò verso la gestante, che si era sdraiata su una chaise longue. Faith adorava le chaise longue, sebbene non avesse mai considerato seriamente l’idea di acquistarne una. Porse all’altra il tè e attese un ringraziamento che non venne.
Irritata da quel modo di fare insolente, sputò –Prego, è stato un piacere.
Non seppe mai se Mrs. Ryan avesse scelto di ignorare la provocazione, oppure se non avesse colto l’ironia, fatto sta che rispose –Sei amica di Brian Cartridge, vero?
–Sì, e con ciò?
–E’ un bel tipo, vero?
–Dipende dai punti di vista- sibilò Faith, domandandosi dove volesse andare a parare quella donna.
Mrs. Ryan le rivolse un’occhiata di sufficienza e sospirò –Ci sei andata a letto.
Faith, appellatasi al proprio sangue freddo, ringhiò –Non sono la prima e non sarò l’ultima. Non capisco, però, il motivo di tanto interesse.
–Semplice curiosità. Brian è socio di mio marito e, in un certo senso, anche mio… non so come avrei fatto senza di lui.
Faith deglutì a vuoto: il tono che aveva usato le diede i brividi, e le rotelle del suo cervello cominciarono a muoversi per decifrare il mistero che si celava dietro quelle parole.
Il mistero, l’intrigo l’avevano affascinata sin da neonata; crescendo, aveva semplicemente alzato il livello, passando da ‘Basil l’investigatopo’ a gialli di spessore, che le permettevano di esercitare la propria perspicacia. Aveva intrapreso la carriera medica, tra i vari motivi, perché ritrovava nel suo lavoro gli stessi elementi di un giallo: una vittima (il malato), degli indizi (segni e sintomi) e un colpevole da scovare (la malattia) con l’ausilio delle celluline grigie e della tecnologia (esame obiettivo, esami di laboratorio e strumentali).
–Brian sa essere molto generoso- disse, sperando che una replica neutra avrebbe invogliato l’altra ad abbassare la guardia e spiegarsi meglio.
–Molto. Diciamo pure che sì dà senza riserve- ridacchiò Mrs. Ryan, per poi aggiungere, osservando accigliata il ventre appena pronunciato, che sarebbe diventato sempre più prominente. –Che palle! Non vedo l’ora di scodellarlo, così potrò riprendere la mia vita!
Faith non rispose, abbozzò un mezzo sorriso e si allontanò con mille domande che le frullavano nella testa.

 
***

Nel frattempo, in un ufficio nei sotterranei del Queen Victoria Hospital, Astrid Eriksson stava tirando le somme della settimana insieme al suo vice e braccio destro, il dottor King.
–Nessun progresso, Julian?
–Nessuno- rispose lui, scuotendo il capo sconsolato. –Se proprio volessimo essere ottimisti, potremmo dire che sono in fase di stallo. Nessuna nuova, buona nuova.
–Spiegati meglio.
–Sono giunti a un tacito accordo di non belligeranza: tollerano di stare nella stessa stanza, a patto di non essere soli.
–Conosci la mia politica, Julian: vivi e lascia vivere. Per me puoi pure essere un serial killer, basta che svolga alla perfezione i tuoi compiti- asserì Astrid, ergendosi in tutta la sua ragguardevole altezza, accresciuta dai tacchi, l’unico vezzo femminile che si concedeva sul lavoro. –Normalmente lascerei correre, ma la tensione che aleggia in reparto sta contagiando tutti come un miasma infettivo. Dobbiamo intervenire!
Il dottor King, perplesso, chiese –Dobbiamo?
Dobbiamo- ripeté decisa Astrid. –Useremo una tattica a tenaglia: tu acchiappi al lazo lui, io lei. Questa storia deve finire!

 
***

–Weil! Posso parlarti un secondo?
–Ehm… certamente, dottor King- esalò Franz, terrorizzato, pensando “Fa che non mi licenzi!”
–Non qui, nel mio ufficio- rispose l’altro, lo condusse nella stanza attigua a quella occupata dal primario, chiuse la porta e disse –Credo concorderai con me che i preamboli sono inutili e fastidiosi- “Oh, cazzo, vuole davvero licenziarmi!”, pensò Franz, sbiancando. –Solamente un cieco sarebbe rimasto all’oscuro delle… chiamiamole dinamiche… tra te e la dottoressa Irving.
–Dottor King…
–Lasciami finire. Non devi giustificarti: spesso ce ne dimentichiamo, ma siamo esseri umani…
–Mi perdoni se la interrompo, dottor King, ma non credo di aver capito bene: non mi sta licenziando?
–Licenziando?- esclamò l’altro tra le risate. –Santo cielo, no! Sarei pazzo a mandarti via! Qualche défaillance può capitare, a tutti, in qualsiasi, ehm, occasione, l’importante è rialzarsi da uomo. Non c’è nulla di male nel sentirsi abbattuti se una storia va a rotoli, ma fatti questa domanda: credi che oggi sarei vice-primario, se mi fossi lasciato distogliere dalle mie aspirazioni a ogni delusione amorosa?
–Io… credo di no, signore- sospirò Franz, chinando il capo.
–Esatto- confermò King. –Hai la stoffa per diventare qualcuno, Weil, non perdere di vista i tuoi obiettivi. Parafrasando Astrid: segui il cervello, perché il cuore… può portare fuori strada.
–Lo terrò a mente- asserì Franz, immensamente più allegro, ora che aveva la certezza di conservare il posto.
–Questa è l’espressione che voglio vederti in viso, d’ora in poi!- esclamò King, facendogli segno di andare. –Anche perché… la Irving non mi pare un’amante delle facce da cane bastonato!

 
***

–Ciao, Faith- trillò Astrid, intrufolatasi nello spogliatoio a fine turno, quando era sicura di trovarla da sola. –Devo assolutamente chiedertelo: dove hai preso quelle scarpe? Sono stupende!
–Questi?- domandò Faith, indicando gli stivaletti di pelle decorati. Secondo lei non avevano nulla di speciale, erano comodi e discretamente carini, ma non avrebbe mai osato contraddire il Grande Capo. –Li ho presi in Italia, l’ultima volta che sono andata a trovare mia cugina Bianca.
–Peccato, speravo di potermeli procurare- gnaulò Astrid, fingendosi dispiaciuta.
–Se le capitasse di andare a Firenze…
–Purtroppo no. C’è un congresso, la settimana prossima, però si terrà a Milano- sospirò Astrid. –Non mi piace Milano, mi ricorda troppo Londra.
–A me non dispiace- replicò Faith. –Ma non ci vivrei.
A quel punto, la Eriksson decise che l’introduzione era durata abbastanza: Faith aveva abbassato la guardia. Era il momento giusto per colpire.
–Sai, avevo pensato di portare te e Franz, ma un uccellino mi ha detto che non vi sopportate- cinguettò.
–Dov’è la novità?
–Mi era parso che, nelle scorse settimane, aveste appianato le vostre divergenze- celiò Astrid.
–Spazzare la polvere sotto il tappeto non equivale a pulire il pavimento- ribatté Faith. –Dubito seriamente che riusciremo a…. trovare un punto d’incontro.
–Non dire così, Faith! Un congresso internazionale non vale forse un piccolo sacrificio?
–Non ce la faccio. Mi ha offesa troppo gravemente. Scusi, prof, proprio non ci riesco, se gli sto troppo vicino io…- mormorò Faith, e lacrime silenziose solcarono le sue guance. Le asciugò, ma altre presero il loro posto, scivolando sul suo volto: aveva giurato a se stessa di non piangere, ma le sue ghiandole lacrimarie non erano d’accordo. –Scusi. Sono proprio stupida. La prego, non mi butti fuori!
Vedendola per la prima volta piccola e fragile, Astrid sospirò, le mise un braccio sulle spalle e si adoperò per tranquillizzarla.
–Faith, se avessi buttato fuori tutti quelli che sono scoppiati a piangere davanti a me, a quest’ora il reparto sarebbe deserto!
–V-Vuol dire c-che è riuscita a far piangere… il dottor King?
–Oh, sì! Gli dissi che mi era utile quanto un buco del culo sul gomito, e lui scappò in bagno a piangere e non mi rivolse la parola per una settimana- ridacchiò la svedese. Faith, pur continuando a versare lacrime, curvò le labbra nella pallida imitazione di un sorriso, al che le disse –E’ lui a perderci. Stimo parimenti te e Franz, siete i miei migliori allievi, ma ti rivelo un segreto: possiedi una dote di cui è privo. Franz è intelligente e talentuoso, ma pecca di presunzione. Tra due o tre anni avrai un avvenire luminoso avanti a te, Faith, poco importa se non ne farà parte. Vai per la tua strada; se vorrà, ti raggiungerà.
–Ha ragione. Sono stata stupida.
–Amare non è una stupidaggine, se non ti impedisce di perseguire i tuoi obiettivi. Cosa ti dissi, quando ci siamo conosciute?
Faith sbuffò una risatina, e rispose –Segui il cervello, perché il cuore non ti porterà da nessuna parte.
–Esatto- abbaiò Astrid, scattando in piedi. –Adesso asciugati le lacrime e sorridi. Fingerò che questa conversazione non abbia mai avuto luogo… se tornerai quella di sempre.
Stava per andarsene, soddisfatta, quando Faith la bloccò con una domanda.
–Prof, questo fantomatico congresso… è una sua invenzione, vero?
–Purtroppo sì. Avevo bisogno di spingere allo scoperto i tuoi veri sentimenti- rispose lei, le fece l’occhiolino e la lasciò illusa e delusa.

 
***

Quando Faith non era di turno, a meno che non avesse di meglio da fare, passava il tempo sui libri, di piacere o di studio.
Era immersa nella lettura quando udì il rumore del campanello. Aprì la porta e venne assalita da una sovreccitata Bridget, che le mise in mano un sacchetto della pasticceria di Melanie e si fiondò in cucina, prendendo alla lettera la formula di cortesia “fa come fossi a casa tua”.
–Buonasera anche a te, Bridget. Io sto benissimo, grazie dell’interessamento- sibilò Faith, contrariata, assumendo il cipiglio di un comandante sul campo di battaglia.
–Ne sono lieta- disse sbrigativamente Bridget. –Avanti, siediti, ho una notizia bomba!
Faith si morse la lingua: l’aveva invitata a sedersi in casa sua?
–B, a differenza tua e di Abby io ho del lavoro da sbrigare…
–Lo so, infatti è della dottoressa Irving che ho bisogno- la interruppe Bridget, quindi controllò il proprio aspetto in uno specchietto da borsa e si passò il rossetto sulle labbra.
–Ti serve un medico?- le chiese Faith, preoccupandosi all’istante. –Ti senti male? Vuoi che ti porti al Pronto Soccorso?
–Non è un male fisico, F, è più … un malessere dell’anima- sospirò l’altra, gettando la testa all’indietro con fare teatrale.
–Roba da colloquio psichiatrico, insomma. Che c’è?
–Come saprai, a Natale ho ricevuto gli alimenti arretrati dal mio secondo ex marito- trillò allegra Bridget. –Grazie a questi bei soldini, potrò finalmente ottenere ciò che Madre Natura mi ha negato: un lato B degno di me!
Faith, che stava masticando un boccone di rotolo alla cannella, rischiò di restarci secca dallo shock.
–Spero di aver capito male, B: vuoi rifarti il culo?
–Bingo! Il chirurgo che trasformò le mie noccioline in tette è all’estero, ma la sua segretaria mi ha raccomandato un certo dottor Marcus Best. Lo conosci?
–No, B- esalò Faith. –La chirurgia plastica non è il mio campo. Infatti mi domando: a cosa ti servo?
–Domani ho la visita preliminare e, per quanto sia elettrizzata, ho anche paura: è il mio corpo, non posso metterlo a cuor leggero nelle mani di chicchessia! Non sarai un chirurgo, ma sei comunque un medico, dunque decisamente più qualificata di me per giudicare un tuo collega. Vorrei mi accompagnassi, e, una volta fuori dallo studio, mi dicessi spassionatamente se questo Best ti sembra un professionista o un macellaio laureato. Ti dispiace?
Faith le strinse la mano e, sorridendo, rispose –E’ la prima richiesta sensata che mi fai in dodici anni di amicizia. Potrei mai rifiutare?

 
***

Franz avvertiva l’ansia crescere, tramutarsi in panico. Aveva una montagna di lavoro da ultimare e doveva darsi una mossa, se non voleva tardare all’appuntamento con Ronda; non ce l’avrebbe mai fatta senza aiuto, e di chi altri poteva fidarsi, se non della Irving?
Il problema era che chiederle un favore lo metteva in agitazione: era indeciso sulle parole e il tono di voce da usare, e temeva una risposta negativa.
“No”, pensò, “Devo calmarmi, rimanere lucido, con lei non si scherza.”
–Irving?
–Sì?
–Ehm, senti… so che il turno è finito e vorresti andare a casa, ma vorrei chiederti di fermarti per un’ora o due.
–Non posso- rispose Faith tenendo lo sguardo fisso sull’armadietto.
–Non puoi… o non vuoi?
“Entrambe. Non voglio darti la soddisfazione di sapermi qui a lavorare mentre ti diverti e non posso rovinare i piani di Bridget!”
–Entrambe- sbuffò lei. Non era nei suoi piani che Franz lo venisse a sapere. “Pazienza: ormai sono in pista, devo ballare”. –La nota implorante nella tua voce mi ha intenerita, mi sarei anche trattenuta oltre l’orario… se non avessi un impegno, e, altrettanto importante, non avessi saputo da un uccellino che stasera ti vedi con la famosa Ronda.
–Che genere di impegno? Esci con qualcuno?- le chiese, sperando in una risposta negativa.
–Se anche fosse? Sono una donna libera- rispose, sibillina, scoccandogli un’occhiata maliziosa.
–Lo so- mormorò Franz, tracciando con le dita il profilo delle lettere sulla targhetta. –Credevo ci avresti messo più tempo a mettermi da parte.
–Ti credi insostituibile, eh? E’ un difetto comune a voi maschietti- ridacchiò Faith. –Comunque il tuo ego infantile può stare tranquillo: non è una serata romantica … almeno, non per me. Bridget è ossessionata dalla costante ricerca della perfezione, così mi ha chiesto di accompagnarla a visita da un chirurgo plastico e si è ripetuta una scena trita e ritrita: il deficiente non mi ha minimamente considerata, è rimasto folgorato dall’ammiccante semi-nudità della mia amica, l’ha sommariamente visitata, ha usato il pretesto del precedente intervento per guardarle e palparle le tette…
Da uomo, Franz si soffermò su quel particolare, che per Faith era di secondaria importanza.
–La tua amica pazza si è rifatta le tette?
“Non posso crederci”, pensò Faith, sconcertata. “Di tutte le cose che ho detto, gli è rimasta in mente questa!”
–Credevo avessi più occhio, Weil. La terza abbondante di B. è artificiale, così come naso e labbra.
–Non sono un grande osservatore- rispose lui con sincerità. –A dire il vero, non ho guardato le tette della tua amica pazza con molta attenzione. Preferisco le tue … anche se non ho ancora avuto l’onore di un incontro ravvicinato.
–Sono lusingata- sibilò Faith. –Potrei persino crederci, se non ti avessi sentito urlare, poche settimane fa, che ti faccio schifo e sono il genere di donna che si innamora di qualcuno solamente per trasformarlo nel suo bambolotto.
–Faith, credimi, se potessi tornare indietro ...
–Il punto, Franz, è che non puoi- lo interruppe lei, sforzandosi di conservare un atteggiamento freddo e distaccato. –Che le pensassi o meno, quelle parole sono uscite dalla tua bocca e mi hanno ferita. Fine della storia. Ti sia di lezione per la prossima malcapitata con cui uscirai: conta fino a cento, prima di trasformare i tuoi pensieri in parole.
–E’ per questo che esci con Bridget e il suo amico? Per ripicca?- ringhiò Franz.
–Se anche fosse? Non ti riguarda- rispose Faith. –Per tua informazione, comunque, Bridget è stata colta da un attacco di ‘Abbite’: quando il dottor Best l’ha invitata a cena, ha suggerito un’uscita a quattro. L’avrei impedito, ma, sfortunatamente, in quel momento mi trovavo in bagno- sibilò Faith, tirando con uno strattone la cerniera del tubino. –Prega che l’amico del dottor Best sia simpatico, perché non ho il dente avvelenato, ho tutti i denti avvelenati e una voglia matta di staccare la testa a morsi a lui e Bridget!
–Perdonami, ma voglio essere egoista ancora una volta: pregherò che questo tizio ti faccia pensare a me come all’uomo migliore sulla faccia dell’intero sistema solare!- replicò Franz, la aiutò ad allacciare il bracciale e azzardò un baciamano, prima di congedarsi con un inchino ironico, sorridendo nel constatare che Faith appariva accaldata, di sicuro non a causa del termosifone.

 
***

Faith scrutava sospettosa l’uomo seduto di fronte a lei, domandandosi se Marcus Best soffrisse del disturbo da personalità multiple, oppure se avesse mandato all’appuntamento il suo gemello buono. In ogni caso, questa versione non le dispiaceva affatto.
Innanzitutto, contrariamente alle sue aspettative, non era entrato avvinghiato a Bridget, né avvolto dall’aura di presunzione tipica dei chirurghi. All’inizio non l’aveva riconosciuta, commettendo una gaffe epica, e Faith aveva colto la ghiotta occasione per deriderlo, poi, dopo una interminabile litania di scuse, si era complimentato con lei per la metamorfosi.
–I miracoli di un vestito decente e un filo di trucco- gli aveva risposto, arrossendo leggermente: si sentiva colpevole a ricevere complimenti dall’appuntamento della sua amica, specialmente perché Bridget era tirata a lucido, mentre lei si era limitata al minimo sindacale di eleganza: impeccabile, ma non da far girare la testa.
Marcus le aveva rivolto un’altra occhiata indagatrice, quasi che non credesse ai propri occhi, poi, di fronte alla timidezza di Faith e al mutismo del suo amico, si era impegnato a intavolare una conversazione, riuscendo, alla fine, a far sciogliere lo spesso strato di ghiaccio in cui era intrappolata la verve di Faith.
Il suddetto amico, Gavin, si rivelò la risposta alle preghiere di Weil. Era piuttosto carino, sebbene non ai livelli di Marcus (che era semplicemente il meglio), o di Franz, e Faith non aveva saputo a cosa attribuire la sensazione di pericolo che aveva provato non appena lo aveva visto…. finché non aveva aperto bocca.
Era peggio che antipatico… era una lagna continua! Non gli andava bene niente: la posizione del tavolo lo faceva sentire esposto in vetrina, il volume della musica era troppo alto, il fumo delle candele gli dava fastidio, la sedia era scomoda, il cibo troppo caldo, i condimenti troppo speziati, l’acqua non era abbastanza frizzante…
–E poi, senza offesa, Marc, passi lei- indicò Bridget –Ma dove l’hai pescata questa qui?- sbottò, indicando Faith, che lasciò cadere la forchetta sul piatto. –Non è un belvedere e ha una voce talmente fastidiosa che le rare volte che ha parlato mi ha fatto desiderare di essere sordo!
Fu la goccia che fece traboccare la Irving.
Incazzata come una iena, si voltò verso Gavin e sibilò, faticando a contenere il tono della voce per non trasformare il discorso in scenata –Senti, coso, ho sopportato la tua irritante presenza solo e soltanto per dare a Bridget la cena romantica che meritava, ma non sono disposta a tollerare insulti alla mia persona. Nessuno ti sta puntando la pistola alla tempia per costringerti a restare; se non ti piaccio, alza quel culo odioso e vattene, faresti un favore a entrambi.
Gavin non soltanto non si mosse di un millimetro, ma ringhiò –Pure stronza! Complimenti! Chi ti credi di essere?
Faith, raccolta tutta la faccia tosta di cui disponeva, sorrise e replicò velenosa –Non credo, so di essere colei che ti manderà a quel paese tra tre… due… uno… Vaffanculo!
Uscì dal locale, riempì i polmoni di fredda aria metropolitana, estrasse il cellulare dalla borsa e compose il numero di Demon; non fece in tempo a premere il tasto di chiamata, però, che qualcuno la fermò abbassandole la mano.
–Non dovresti essere dentro a fare il cascamorto con Bridget?- non gli consentì di rispondere, perché sbuffò –Già che sei qui, ne approfitto per scusarmi.
–Scusarti?- esclamò Marcus. –Semmai sono io a doverti delle scuse. Mi dispiace di averti sottoposta a una simile tortura, ma Gavin è il mio unico amico single…
–Chissà come mai!- sputò Faith sarcastica.
Marcus rise, avvampò e concordò almeno in parte.
–Effettivamente non ha un carattere facile….
–No! Davvero?- ribatté Faith, alzando gli occhi al cielo. –Ho incontrato alligatori più socievoli!
–Parola d’onore, esprimi le tue opinioni con una forza eccezionale!- commentò lui, ammirato. –Che fai domani?
–Non la balia di Gavin, poco ma sicuro- ringhiò la Irving, aggiustandosi la sciarpa.
–E… fare da “balia” a me ti sembra una prospettiva allettante?
–Mi vorresti come reggi-moccolo?- ululò, indignata.
–Mi sono espresso male. La tua presenza… escluderebbe quella di Bridget- spiegò Marcus.
–Non esco con i chirurghi, siete tutti uguali: insopportabilmente egocentrici, presuntuosi e perversi. Niente di personale, sono solo… un tantinello prevenuta.
–Un tantinello?- ridacchiò lui, per poi aggiungere –Adesso sì che mi sento offeso! Devi farti perdonare… uscendo con me domani.
–Levati quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia, non prenderò in considerazione questa proposta- sbuffò Faith, mordicchiandosi le labbra.
Non ci voleva un genio per capire che si sentiva colpevole verso Bridget, appunto per questo Marcus si affrettò ad assicurarle che aveva la coscienza a posto.
–La lealtà è una qualità che apprezzo, tranne nel caso in cui mi impedisce di portarti a cena fuori. Hai indovinato, sono il tipico chirurgo presuntuoso: mi ritengo capace di incantarti almeno un po’ col mio bell’aspetto e il mio perfetto uso della lingua inglese. Perché? Perché sei diversa.
Il dottor Best non avrebbe potuto esprimersi peggio. Invece di mostrarsi lusingata, come si aspettava, Faith gli ruggì contro –Cos’è? Speri di includermi nel tuo libro paga? Non sarò perfetta, ma non mi farò tagliare e cucire a tuo piacimento! E poi vergognati: sei uscito con una mia amica! Tutti uguali, voi maghi del bisturi!
–Sai che mi stai fornendo ulteriori motivi per insistere?- ribattè. –Giochiamo a carte scoperte. Se Bridget mi ha attratto quando l’ho vista nel mio studio? Sì. Se mi attrae ancora adesso? No. Me l’aspettavo diversa.
–Ti piace parecchio questa parola- ringhiò Faith. –Cosa ha Bridge che non va?
Marcus si concesse una risatina, prima di appagare la crescente curiosità della combattiva Irving.
–Sono un chirurgo plastico che ha il vizio di mescolare lavoro e piacere; potrei essere la versione col camice di Brian Cartridge- Faith lo fulminò con lo sguardo per il riferimento al suo caro amico Brian. –Quello che mi manca, e che raramente trovo, è… compagnia, nel senso letterale del termine. L’altroieri, non mi vergogno ad ammetterlo, sono uscito con una delle mie pazienti, e… ho dovuto spiegarle il menu! Non è questo che voglio. Vorrei… non so spiegarlo, ma so che questo qualcosa non è Bridget. Può capitare a tutti una svista.
Faith rispose –Spero non te ne capitino al tavolo operatorio!
La lupa in fabula apparve in quel momento, e latrò –Ecco dov’eri finito!
–Colpa mia, B. Gli ho, ehm, chiesto di tenermi compagnia in attesa di Demon- mentì Faith, digitando in tutta fretta un sms in cui supplicava l’amico di venire a raccattarla.
–Oh, bene, così può dare un passaggio anche a me!- trillò l’altra. –Ormai l’atmosfera è rovinata, tanto vale tornare a casa.
Il fido Demon arrivò in un attimo, insieme all’inseparabile Jeff; prima che salisse in auto, però, Marcus salutò Faith e le bisbigliò all’orecchio, affinché nessun altro udisse –Pensaci, ok?
Mentre guardava la sua ombra farsi sempre più piccola man mano che si allontanava, Faith si disse che sì, ci avrebbe pensato.

Note autrice:
Milanesi e chirurghi (o aspiranti tali), non prendetevela, si scherza; Milano è una città stupenda e non tutti i chirurghi sono perversi (un po’ egocentrici e presuntuosi sì… altrimenti non riuscirebbero a reggere alla pressione!) e insopportabili.
Fatti i dovuti chiarimenti, lasciatemi dire che Franz ha un rivale, ma non temete, non se ne starà con le mani in mano. E Faith? Ha davvero messo una pietra sopra il capitolo Weil o sta semplicemente applicando il principio “chiodo scaccia chiodo”?
Toglietemi una curiosità: vi siete mai trovati in una situazione analoga a quella di Faith o di Marcus? In parole povere… siete mai usciti con qualcuno, per poi scoprire che non era la persona che credevate? Oppure, come in questo caso, avete notato un/a suo/a amico/a? Let me know, anche sulla mia pagina facebook.
https://www.facebook.com/francy.iann?ref=tn_tnmn
Grazie, come sempre, a chi legge, a Bijouttina ed elev, che hanno recensito il capitolo precedente, a demetriadevonne92, Piperilla, shekkosa e soffsnix, che seguono la storia, e a ilarya e NatalieGjoka, che la preferiscono. ^^
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Rose rosse per Faith ***


Aggiornamento super anticipato! Contenti?
Un nuovo capitolo delle (dis)avventure di Faith vi aspetta, ma prima un milione di grazie ai lettori “nell’ombra”, a Bijouttina, Calliope Austen, elev, eli888 e NatalieGjoka, che hanno recensito, a bimbic, cino nero, I_love_Taylor and Robert, piccolacinci e Stella Polare, che seguono la storia, e a Gabrilisa, che la preferisce. Buona lettura!                 
 



Rose rosse per Faith



 
“Resta dubbio, dopo tanto discorrere, se le donne preferiscono essere prese, comprese o sorprese.”
Gesualdo Bufalino
 
Prima dell’incidente, Connie Bishop associava l’espressione “sindrome da stress post traumatico” a pellicole come ‘Apocalypse now’ e ‘Taxi driver’; dopo l’incidente, aveva imparato ad associarla alle crisi d’ansia e agli incubi che l’avevano perseguitata per tre anni. O meglio, l’incubo, dato che si ripeteva sempre uguale ogni notte: Vyvyan che insisteva per guidare, nonostante avesse ingerito una cospicua dose di alcool, “perché non sia mai detto che una femmina scarrozzi me”, lei che, ironia della sorte, lo seguiva per assicurarsi che arrivasse a casa sano e salvo, la stradina a senso unico imboccata contromano, i fari del furgone in avvicinamento e poi… l’impatto.
L’ultimo ricordo di Connie, prima di perdere conoscenza, era stato la vista dei suoi capelli biondi intrisi di sangue. Si era risvegliata tre giorni dopo in ospedale con un tubo in gola, e quando aveva appreso della morte di Vyvyan aveva provato un misto di paura e sollievo: sollievo perché era viva, paura per la consapevolezza che avrebbe potuto perdere la vita anche lei. Era partita per San Francisco il giorno successivo alla consegna dei diplomi, senza salutare nessuno.
–Grazie di avermi accompagnata, Faith- pigolò.
L’altra le strinse la mano e rispose –Non ti avrei mai lasciata sola in un momento tanto delicato. Stai bene?
–Meno peggio di quanto pensassi- asserì Connie. –Sai che non saresti obbligata a venire, vero? Voglio dire, si tratta comunque del fratello dell’essere immondo che ti ha mollata sette giorni prima del matrimonio!
–Cyril è in Australia, e Henry e Catherine a Gretna Green- sospirò Faith, aggiustando i fiori che aveva portato. –Qualcuno deve pur occuparsi della tomba. Per mia fortuna, Monica e Adam mi danno una mano.
Connie si passò la lingua tra i denti, nervosamente, prima di domandarle –Non hai mai pensato che la morte di Vyvyan possa aver posto le basi per il disastro?
Faith scosse la testa ed esalò –Sarebbe successo comunque. L’unica accusa che posso muovere a Cyril è di aver usato i preparativi del matrimonio come scusa per non affrontare la perdita di suo fratello, se escludo la causa finale: ha creduto a quel bastardo di Solomon e non a me.
–L’idiozia è di famiglia- commentò Connie, pensando tristemente a Vyvyan, ai suoi ricci ribelli, alla sua energia, alla sua gioia di vivere, ai sogni nel cassetto che non avrebbe mai realizzato, e tutto perché non si fidava delle donne al volante. Aveva voglia di piangere, ma non voleva rovinare la giornata a Faith, per cui aggiunse –Se non ti dispiace, mi piacerebbe restare ancora un po’. Va pure al lavoro, non tardare per colpa mia.
Faith le sorrise riconoscente, la abbracciò e corse via: se fosse arrivata in ritardo, King l’avrebbe scuoiata viva!

 
***

–Sei una veggente, oltre che un’insuperabile patologa!- esclamò Julian King entrando nell’ufficio del primario, Astrid Eriksson.
La donna gli rivolse uno sguardo di educata perplessità, per poi chiedergli –Come, prego?
Julian sorrise e le porse un foglio.
–La prossima volta che scegli di raccontare frottole pondera bene la scelta, perché si avverano- ridacchiò.
–Oh, porca miseria!- esalò Astrid, dopo una lettura sommaria. –Un congresso! A febbraio! UN CONGRESSO!
–Esatto- la interruppe Julian. –Per caso hai qualche altra predizione? Che so… una mia vincita alla lotteria?
–Stupido!- gnaulò lei, dandogli un pugno amichevole sul braccio. –Piuttosto, sarà un problema trovare due anime pie che partecipino insieme a me.
–Non dire sciocchezze!- tuonò Julian, agitando una mano per enfatizzare la frase. –Semmai, sarà un problema scegliere un’anima pia… perché, cascasse il mondo, verrò con te. Siamo una squadra.
Astrid sbuffò una risatina: come al solito, il suo fidato vice non aveva letto il programma fino in fondo.
–Julian, a giudicare dal tuo entusiasmo deduco che non hai letto le date…
Il dottor King, sbuffando, le tolse di mano il programma del congresso e lo rilesse nei dettagli, poi impallidì e soffiò –Merda!
–Non avrei saputo esprimermi meglio- sibilò Astrid. –Mi sa che dovrò fare a meno della tua compagnia, stavolta. Ma non preoccuparti, ho già in mente due ottimi sostituti.

 
***

Per metabolizzare il trauma, siccome le piaceva scrivere (passione trasmessale dalla madre, autrice di libri per bambini), Connie aveva pensato di utilizzare carta e penna ( o tastiera e foglio di Word) come strumenti di catarsi; dopotutto, esistevano musicoterapia, aromaterapia e pet therapy, perché non sperimentare la writing therapy?
All’inizio aveva pensato a un’autobiografia, ma l’idea era stata immediatamente accantonata: mettere a nudo la sua anima la spaventava, così aveva optato per un romanzo; il progetto originale prevedeva una rivisitazione della sua storia con Keith: lei ama lui, lui sembra ricambiare, invece la scarica all’improvviso, lasciando campo libero al suo migliore amico di lui, che si mette con lei. Tuttavia, dopo numerosi quanto infruttuosi tentativi di non far scadere la storia nel banale, aveva cambiato rotta, addentrandosi nelle sconosciute acque del giallo. Addio tormentata storia d’amore, benvenuto omicidio misterioso. Era ufficialmente nato ‘Avvocati alla sbarra’.
Sua sorella Leonie l’aveva letto, e, a sua insaputa, l’aveva spedito a vari editori, tra cui, con enorme sconcerto di Connie, il padre di Keith. Risultato? Di punto in bianco, da giornalista free lance disoccupata si era ritrovata ad essere un’autrice (quasi) pubblicata.
–Vorrei fossi qui, Vyv- piagnucolò, asciugandosi le lacrime. I suoi amici storici, Monica e Adam, l’avevano praticamente costretta a recarsi al cimitero: era vergognoso, secondo loro, che in tre anni non avesse mai fatto visita alla tomba di Vyvyan. –Forse ci saresti, se…
–“Se” e “ma” sono i genitori delle seghe mentali, l’ultima cosa di cui hai bisogno, Ciambellina- disse qualcuno alle sue spalle.
Connie si girò a occhi chiusi: avrebbe riconosciuto quella voce tra miliardi!
–Keith!- esclamò. –Cosa...?
–Quello che stai facendo tu- rispose lui. –Vedo che non hai rinunciato al look floreale.
–Mi piace, perché cambiare?- pigolò Connie, allontanandosi. –E non chiamarmi in quel modo! Forse… è meglio che…
–Non andartene a causa mia- la bloccò. –E, soprattutto, non sentirti in colpa. Nessuno può sapere con certezza se non sarebbe successo comunque.
–La fai facile tu! Non eri lì, non hai idea… non puoi capire come mi sento! Non puoi capire che ho evitato voi e questo posto perché mi fa male ricordare quella notte, e ancor di più pensare che Vyv è qui sotto, sepolto, quando io me la sono cavata con questa!- sbottò, mostrandogli una vistosa cicatrice, che le deturpava l’intero avambraccio.
–Non è colpa tua- ripeté Keith, la abbracciò e la baciò sulla tempia. –Andiamo, hai pianto abbastanza.
–Perché sei carino con me?- chiese all’improvviso Connie, mentre camminavano. –Mi hai fatto capire molto chiaramente che avresti preferito non fossi tornata.
–E’ successo a ottobre- rispose Keith, mettendosi al volante. –Siamo a gennaio. Anzi, visto che hai tirato in ballo il nostro, ehm, diverbio…
Diverbio? Mi hai dato della puttana!- ruggì Connie, oltraggiata. Normalmente era timida e incapace di imporsi, ma quella lite le bruciava ancora, non gli avrebbe fatto sconti. –Diverbio. Tsk! Te lo do io il diverbio!
–Ok, lo ammetto: ho esagerato- concesse lui, alzando una mano in segno di resa. –Ma devi capirmi: dopo giorni a vegliarti mi sono assentato un’oretta per andare a casa a farmi una doccia, e al mio ritorno... puff! Eri sparita! Poi, dopo tre anni di buio totale, sei ricomparsa come niente fosse. Mi sono girate, non so se mi spiego: niente e-mail, niente messaggi, nemmeno una cartolina, dovevo mendicare tue notizie da Monica, e sai che ce l’ha ancora con me per averti mollata in modo, ehm, poco gentile…
–Poco gentile?- strillò Connie, arrossendo di rabbia. –Mi desti il benservito davanti a tutta la scuola, oltretutto mettendo in piazza che facevo dei pompini da schifo! Poco gentile! Il calcio nelle terga che ti darò appena parcheggi sarà poco gentile!
–Avevamo sedici anni, e poi Vyvyan credeva fosse la mossa migliore!- si giustificò Keith.
–Mi hai lasciata perché te l’ha suggerito Vyvyan? Cos’è, avevate un cervello in due?- sputò Connie.
–Ho sbagliato, ok?- latrò Keith. –Tutti sbagliano. Sto provando a rimediare: chi credi che abbia convinto mio padre a dare una possibilità al tuo libro?
Punta sul vivo, Connie ribatté –Tuo padre ha accettato il mio libro perché è ben scritto, con una trama avvincente e personaggi ben caratterizzati!
–Dì piuttosto… reali- replicò Keith, per poi aggiungere, in risposta all’espressione sgomenta di Connie –Tranquilla, credo di essere l’unico ad aver notato che gli avvocati del romanzo sono la versione quarantenne di Nicky e Adam, per non parlare della protagonista: Cassie Bloom, C.B., professione… giornalista. Comunque, in caso non lo sapessi, nessun editore accorto prende in considerazione l’opera prima di una Miss Nessuno.
–Miss Nessuno a me?- abbaiò Connie a braccia conserte, pentendosi di aver accettato un passaggio da lui.
–Non voglio sminuire la tua bravura, Ciambellina. Hai scritto un giallo di alto livello - ho cominciato a leggerlo prima di addormentarmi e mi sono ritrovato alle tre del mattino con gli occhi gonfi di sonno perché non riuscivo a chiuderlo prima del finale - ma l’editoria è come la moda: più del prodotto, conta la firma. Se la Duchessa di Cambridge scrivesse un libro di ricette potrebbero far vomitare, andrebbe lo stesso a ruba, perché l’autrice è la Duchessa di Cambridge.
Inaspettatamente, Connie scoppiò a ridere, ed esclamò –Non ce la vedo la Kate nazionale a scrivere un libro di ricette!
–Nemmeno io, ma non so fino a che punto sia un male- ridacchiò Keith, lieto che si fosse allentata la tensione. –Ora che credo di non rischiare più la morte per mano tua, posso confessarti che…
–Hai estorto a Nicky i miei impegni giornalieri e sei venuto a prelevarmi per condurmi a una colazione “di lavoro” con l’editore, pardon, il fastidioso figlio dell’editore, prima, e al servizio per le foto di copertina più programmazione del lancio del libro, poi. Correggimi se sbaglio.
–Io… io… ma come…?
–Nicky è la mia migliore amica, senza contare che, come hai giustamente affermato poco fa… ce l’ha ancora a morte con te per la figura di merda che mi facesti fare cinque anni fa- cinguettò amabilmente Connie, sorridendo dell’espressione esterrefatta dipinta sul volto di Keith. –Ah, naturalmente la colazione la offri tu.

 
***

Che piovesse o splendesse il sole, che fosse in atto una tempesta di neve o di sabbia, che fosse un processo spontaneo o indotto dall’apparecchio apposito, la sveglia di Franz Weil seguiva un rituale ben preciso: si girava su un fianco, poi sull’altro, apriva un occhio, poi l’altro, li richiudeva e infine li riapriva entrambi, si metteva a sedere e si stiracchiava.
Quella mattina il rituale venne interrotto a metà dal fastidioso squillare del telefono.
–Pronto?
–Franz? Sono Ronda. Ho sentito il messaggio e ti ho richiamato il prima possibile.
“Alle sette di mattina? Da quando le modelle lavorano di notte? O ha cambiato mestiere?”
–Oh, ehm, ciao, Ronda. Come va?- esalò stancamente.
–Diciamo bene- rispose lei in tono scocciato. –Senti, ti ho chiamato per disdire qualunque cosa abbia architettato mia madre.
–Mi stai prendendo in giro?- sbuffò Franz, storcendo il naso. –Mia madre mi ha detto - urlato sarebbe più corretto- che tua madre era estasiata all’idea che uscissimo insieme!
–Appunto. Lei è contenta, io no- replicò Ronda. –E nemmeno il mio fidanzato.
Franz rimase interdetto: fidanzato?
“Quella là ha un uomo? Ma se ho sbirciato delle foto su internet e, più che fare la modella, sembra aver mangiato una modella!...  O due”, pensò, prima che gli venissero in mente le parole di Faith. “No, no, no. Basta pensieri malevoli da vecchia comare. Devo smetterla di pensare da persona vuota e superficiale, devo dimostrare a me stesso e a Faith che sono meglio di così”.
–F-Fidanzato? Wow, questo sì che cambia le carte in tavola! Se l’avessi saputo…
–Credo alla tua buona fede, tranquillo- soffiò Ronda. –E mi dispiace che mia madre ti abbia incasinato.
–Io, ehm… davvero non me l’aspettavo.
–Neppure io, credimi. Sto con Dave da sei mesi, e mia madre sta cercando con ogni mezzo di separarci; non le piace perché… non l’ho ben capito, onestamente. Il succo, comunque, è che mi tartassa, organizzando appuntamenti al buio a mia insaputa.
–Mi trovo nella stessa situazione- sospirò Franz. –Mia madre mi sfianca con appuntamenti su appuntamenti, tutti disastrosi, al solo scopo di trovarmi una fidanzata.
–Buona fortuna, allora- sbottò Ronda, chiaramente poco incline alle chiacchiere di prima mattina. –Scusa ancora e ciao.
Franz riattaccò e disse –Se il buongiorno si vede dal mattino, questa giornata promette di essere memorabile!
Le ultime parole famose.

 
***

Se c’era qualcosa che Astrid Eriksson non tollerava, era il disordine. Nel suo reparto tutto doveva filare liscio come in una catena di montaggio. Perciò quando, entrando nella stanza medici, si trovò davanti un capannello di persone intente a bisbigliare e indicare qualcosa sul tavolo, si infuriò.
–Si può sapere il perché di tanto baccano? I vostri deretani dovrebbero essere sugli sgabelli, in laboratorio! Quanto a voi sparite, non sopporto estranei nel mio reparto!
–Calmati, Astrid, ho dato io il permesso di prendersi una pausa- rispose dall’altro capo della stanza il suo vice.
Le parole e il tono rassicuranti del dottor King sortirono l’effetto contrario. Furibonda, Astrid urlò –Quoque tu, Julian! A momenti dovrebbe arrivare la biopsia che ti ho affidato, e te ne stai in panciolle insieme a questi sfaccendati?
–Oh, andiamo, Astrid, non puoi rimproverarci una curiosità lecita- ribatté il dottor King.
–E cosa avrebbe scatenato tale curiosità? Sentiamo- sbottò la Eriksson, assumendo la classica posa da massaia con un diavolo per capello.
Jeff, facendosi coraggio, con la consueta teatralità indicò un enorme mazzo di rose rosse sul tavolo e disse –Lo meriterebbe davvero, prof, ma non è per lei: è per Faith!
–Avete letto il biglietto?- ruggì Astrid. –E’ violazione della privacy!
–Tranquilla, abbiamo solamente sbirciato l’esterno- le assicurò Julian. –Una volta appurata l’identità del destinatario, non abbiamo avuto dubbi su quella del mittente.
–Ah, sì? Chi sarebbe, secondo voi?
I presenti si scambiarono occhiate maliziose, prima di rispondere in coro –Weil!

 
***

Ansante, Faith attraversò di corsa l’atrio del Queen Victoria Hospital, maledicendo il traffico cittadino, che l’aveva fatta tardare al lavoro per la prima volta in vita sua.
Ebbe l’impressione di essere oggetto di occhiatine e commenti, ma si disse che era una sua paranoia, e decise di non darvi peso.
Non fece in tempo a mettere piede nello spogliatoio che Jeff la afferrò per un braccio e la trascinò nella stanza medici, blaterando qualcosa su quanto fosse fortunata ad aver incrociato la sua strada con quella di un uomo dolce come Weil.
Allibita, esalò –Jeff, sei sotto l’effetto di droghe, per caso?
–Non dire assurdità- sbuffò lui, per poi farsi strada nella piccola folla assiepata intorno al tavolo. Faith rivolse ai colleghi un’occhiata rapida, mentre concentrò l’attenzione su Jeff, che avvampò e squittì –E non fissarmi in quel modo!
–Hai, ehm, qualcosa sul… collo- rispose Faith, facendogli l’occhiolino.
Jeff divenne, se possibile, ancora più rosso, e balbettò –E-Ecco, v-vedi, D-Demon ha l’abitudine di darmi il bacio del buongiorno…
–Chi l’avrebbe mai detto? Mi amigo es un hombre caliente!- scherzò Faith, poi sbiancò e chiese, indicando le rose –E’ uno scherzo?

 
***

“Dove sono finiti tutti?”
Questa fu la domanda che si pose Franz quando entrò in laboratorio: era arrivato con un ritardo mostruoso, e si era cambiato alla velocità della luce, mentre gli scorrevano davanti agli occhi le immagini delle torture da Inquisizione che avrebbe subito non appena King si fosse accorto della sua presenza.
Invece, incredibilmente, in laboratorio non c’era anima viva.
Il brusio lo guidò verso la stanza medici, dove venne accolto da fischi, pacche sulle spalle e pollici alzati. Confuso, chiese –Cosa… ma che…?
–Sei cotto perso, eh!- gridò Chester Sullivan.
–Così si fa!- trillò Josh.
–Rose rosse, un evergreen- sentenziò Rajiv Sandee.
–Sapevo che sotto sotto sei un romanticone!- asserì il dottor Connors.
–Ammettilo, speri che ti trascini nel deposito dei coloranti per “ringraziarti”! -sghignazzò Jeff.
–Ma che state dicendo? Quali rose?- esclamò Franz, bloccando sul nascere altri commenti.
–Queste- rispose Faith, accarezzando un morbido petalo tra le dita. –Ho creduto… cioè, mi hanno fatto credere... non le hai mandate tu?
–Se l’avessi fatto me ne ricorderei, non ti pare?- sputò Weil, rabbioso: chi aveva osato mandare dei fiori alla Irving? Stava cercando di riconquistarla, nessuno doveva permettersi di ostacolarlo!
–Io.. credo di sì- pigolò lei, poi, su richiesta del folto pubblico, aprì il biglietto e sospirò –Sono da parte di Marcus.
Risolto il mistero, calò un silenzio imbarazzato, rotto da Astrid, che tuonò –Ok, vi siete divertiti abbastanza. Avanti, sgomberare! Voi no- aggiunse ai suoi, che rimasero pietrificati: quando la professoressa Eriksson indiva una riunione, anche se estemporanea, c’era da preoccuparsi. –Voi restate fermi dove siete.
–Cosa c’è, prof?- chiesero in coro.
–Stamattina il dottor King mi ha informata che a febbraio si terrà un congresso internazionale sulle nuove frontiere della tossicologia… a Miami!- trillò, eccitata come una ragazzina alla gita scolastica.
–Naturalmente, la professoressa Eriksson vi prenderà parte… insieme a due di voi- aggiunse il dottor King, risentito.
Si diffuse un mormorio eccitato, sovrastato dal commento pratico (o da tirchio, a seconda dei punti di vista) di Franz.
–Gli Stati Uniti non sono a buon mercato. Rimborsano qualcosa?
–Oh, giusto, dimenticavo: è tutto spesato!
–Tutto?- esclamarono all’unisono i presenti, compreso il dottor King, che, come al solito, non leggeva mai brochure e volantini fino alla fine. –Grandioso!
Le manifestazioni di giubilo divennero sempre più rumorose, finché la Eriksson non ritenne opportuno riportare la calma e comunicare un dettaglio che aveva volutamente tralasciato: niente l’avrebbe divertita maggiormente che vedere le espressioni dei suoi sottoposti tramutarsi da gaie a deluse in un nanosecondo. –Frenate l’entusiasmo!- gridò. –C’è un “ma”. Anzi, due.

 
***

–Fammi… capire….- ansimò Chris, stremato da un lungo e faticoso allenamento in palestra. –Congresso internazionale… in una cornice da urlo come Miami… tutto spesato… e si sono tirati indietro?
–Tutti tranne me. rispose Franz. –E… Faith.
–Aha!- esclamò Robert Patterson, battendo un pugno sulla panca dello spogliatoio della palestra. –Ecco spiegato il tuo buonumore!
–Eh, beh, Husky non è mica scemo- asserì Harry James, impegnato ad allacciarsi le scarpe. –Accettando, avrà la Irving a sua completa disposizione per cinque giorni… senza terzi incomodi. Un’occasione irripetibile!
–Tranquillo, Husky bello, penseremo a tutto noi- gli assicurò Chris, annuendo vigorosamente. –Abbigliamento da rimorchio, profumo feromonale, intimo sexy, i migliori amici dell’uomo che rifugge la paternità… li preferisci al cioccolato, oppure alla fragola?
–Frenate i bollenti spiriti, la Irving è in forse: ha chiesto al Grande Capo ventiquattr’ore per pensarci. Probabilmente vuole chiedere il permesso al bamboccio delle rose- ringhiò Franz.
–Non sei tu?- chiese Chris.
–Chrissino, a volte la tua ingenuità sconfina nella stupidità: ti pare che Husky si sarebbe auto-offeso, definendosi un “bamboccio”?- lo rimbeccò Harry.
–Oltretutto, è ormai noto che Faith si vede - senza impegno, stando a quanto mi ha detto Maggie Bell- con quel chirurgo plastico, Best- dichiarò Robert con aria di superiorità.
A quel punto Chris rise e commentò –Senza impegno, come no! Chi sprecherebbe soldi per una che non gliel’ha data? Deve avergli fatto almeno un “servizietto”, se capite cosa intendo, altrimenti non avrebbe mosso un dito, quello!
–Chris!- lo rimproverarono Harry e Robert, indicando Franz, che a quell’insinuazione aveva appallottolato la t-shirt e l’aveva sbattuta contro il muro.
–Primo: Faith non lo farebbe mai…
–Con te- scherzò Chris.
Franz, trattenendosi a stento dallo scagliarsi contro di lui, digrignò i denti e sbottò –Secondo: io non le avrei mai preso quel verdurame fetente. Si vedeva lontano un miglio che erano rose da autogrill. Terzo: premesso che i soldi spesi per Faith non sono mai sprecati, li avrei spesi in libri, perché ho imparato a conoscerla, io, e lei è una di quelle strane creature che non amano i fiori!
–Esiste una donna che non ama i fiori?- esalarono in contemporanea gli altri tre.
–Mi sono espresso male: detesta i fiori recisi, perché, cito testualmente, “il vegetalicidio immotivato mi fa ribrezzo. Vedo già abbastanza cadaveri al lavoro”- spiegò Weil, sorridendo al ricordo di una delle ultime conversazioni amichevoli che aveva avuto con Faith. –Quelli in vaso le piacciono.
–Non sono sorpreso, sebbene dovrei- ridacchiò Robert. –Dopotutto, paragonata a quella tua ex inquietante che ti regalò una boccetta con dentro il suo sangue, Faith è la quintessenza della normalità!

 
***

–Fammi capire- biascicò Connie, la bocca piena di delizioso cibo spagnolo. –Congresso internazionale, in una città meravigliosa come Miami, tutto spesato… e hai rifiutato?
–Ho chiesto di poterci pensare fino a domani- precisò Faith. –Se per te è sinonimo di rifiutare…
–Uffa! Odio quando hai ragione!- gnaulò Connie, pestando un piede sul pavimento. –Perdonami, però, se non capisco come mai non hai accettato al volo.
–Il direttore amministrativo, maledetto coglione, vuole scalare i giorni dalle ferie e, ciliegina sulla torta, sarei allietata dalla presenza di Weil- sbuffò Faith, consapevole di stare mentendo: al suo “cervello inferiore” sapere che Franz sarebbe venuto faceva piacere, eccome. Era questo il problema: temeva di non rispondere delle proprie azioni. Nulla era più semplice che rintanarsi in un angolino appartato durante un intervento noioso, oppure salire in camera dopo cena…
“No, no, ancora no! Non lo permetterò!”, pensò, ingollando un bicchiere di sangria.
–Tutto qui? Getteresti nel cesso - passami il “francesismo”- un’occasione d’oro per quello lì?
–Tu accetteresti a scatola chiusa un viaggio di cinque giorni con Keith?
–Ti ricordo che non sarete soli, ci sarà il tuo capo, la Kapò svedese. Aperta e chiusa parentesi. Per rispondere alla tua domanda: dipende dalla posta in gioco- disse Connie, scrollando le spalle. –Keith è di ottima compagnia, e poi è dolce e sensibile, decisamente diverso dal tuo Franz!- ignorò lo stizzito “Non è il mio Franz!” dell’amica e proseguì col monologo. –Comunque, tanto per mettere le cose in chiaro, sei stata tu a consigliarmi di tenere Keith sulle spine e lasciare che sia lui a riconquistarmi; sto seguendo il tuo consiglio perché ti reputo intelligente e affidabile, altrimenti sarei già a casa sua a…
–Va bene, ho capito, risparmiami i dettagli erotici- esalò Faith, coprendosi il viso con le mani. –Oggi Marcus mi ha fatto trovare un mazzo di rose in reparto.
–Oddio, che dolce!- trillò Connie con gli occhi a cuoricino. –Anche Keith mi ha dato delle rose, alla fine del servizio fotografico… per la foto sulla quarta di copertina, sai…
–Dolce? Volevo sprofondare dalla vergogna!- ululò Faith, aggredendo con la forchetta un malcapitato crostaceo nella sua paella. –Non mi vanno a genio i gesti eclatanti, sono di gusti semplici.
–Marcus è un chirurgo plastico, per lui accontentarsi di poco equivale ad accontentarsi delle briciole, vuole dimostrare che può darti molto di più- asserì saggiamente Connie.
–Ulteriore prova che non mi ascolta quando parlo: se conoscesse qualcosa di me oltre ai dati anagrafici saprebbe che non sono il genere di donna che si fa incantare dalle smancerie, e… che mi dà fastidio che dei poveri fiori muoiano per colpa mia!
–Cavolo- commentò Connie. –In un colpo solo hai ucciso il romanticismo!
–Romanticismo e smancerie sono diversissimi- obiettò Faith. –Il primo è spontaneo e gradevole, le seconde studiate e stucchevoli. Ad ogni modo, allegato ai fiori c’era un biglietto: mi ha invitata a cena a casa sua. Per San Valentino- pigolò Faith, arrossendo furiosamente.
–Accidenti! Al dottorino piace bruciare le tappe!– esclamò Connie, con tanto di fischio di apprezzamento, ma Faith raffreddò subito il suo entusiasmo.
–Il congresso va dal dodici al sedici febbraio.
–Oh. Wow. Beh… non vedo il problema- replicò l’altra. –Portalo con te. Potrà prendersi cinque giorni di pausa, no?
–Le spese sono coperte per i partecipanti, non per gli accompagnatori. Ecco la ragione per cui hanno rinunciato quasi tutti: sarebbero lontani dalle loro più o meno dolci metà nel giorno più melenso dell’anno. Il povero Chester non ha fatto in tempo a spiegarle che era per lavoro che sua moglie ha minacciato di divorziare! Questa fissazione per San Valentino non la capirò mai: per me ci si dovrebbe festeggiare ogni santo giorno!
–Di nuovo: hai ucciso il romanticismo. Comunque non vedo il problema. Hai idea di quanto guadagna un “taglia e cuci” estetico? Può permettersi un volo andata e ritorno e quattro notti in hotel!
Faith curvò le labbra in un sorrisetto sardonico, e osservò –Secondo te perché adesso mi trovo qui con te col morale a terra? Abbiamo litigato. Il signorino pretende che ceda il mio posto perché sotto San Valentino c’è il pienone, e lui vuole passarlo con me senza rinunciare ai lauti guadagni. Come se il mio lavoro non contasse.  
–Non ha pensato a Weil? Al suo posto mi roderei dalla gelosia, sapendo che la donna che frequento - senza impegno, ok, ma comunque uscite insieme, pomiciate come due adolescenti e, prima o poi… insomma, vi frequentate- sta dall’altro lato dell’Atlantico con un grandissimo pezzo di figo che se la farebbe volentieri! La carne è debole, e quella di Weil, a giudicare dalle foto, è sesso puro!- esclamò Connie, brandendo la forchetta , spedendo così un pezzo di pollo con avellanas nella paella di Faith. Realizzato cosa aveva appena pronunciato, Connie si tappò la bocca con le mani e pigolò –Oddio! Non dire a Keith che ho fatto apprezzamenti su un altro, ti prego!
–Rilassati, il tuo segreto è al sicuro- la tranquillizzò Faith.
–Meno male. Non ti sei offesa, vero?
–Per quale motivo? Il bello si ammira sempre, se dovessi essere gelosa di chiunque posa lo sguardo su Franz farei la fine di Otello- asserì Faith. –Per carità! “Il mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre” non ingrasserà a mie spese.
–Ingrasserà a spese del dottor Best, allora- dichiarò solennemente Connie. –Poco fa ti ho raccomandato di non gettare nel cesso un’occasione d’oro per Weil. Beh, ora ti ordino di non farlo per Marcus. Se ne stia pure a rimpolpare i canotti al botulino e a piallare le rughe delle povere illuse che credono di poter fermare l’orologio del tempo. Tu andrai a Miami, amica mia, e se dovessi perdere la testa per un Mojito di troppo e finire a letto, o sul divano, o in piscina, o dove ti pare con Weil…. ben venga!
Faith rimase a bocca aperta, domandandosi che fine avesse fatto la timida adolescente con le trecce che ricordava, ma si riprese in fretta e, animata da puro spirito vendicativo “alla Serpent”, sibilò –Hai perfettamente ragione.

Nota autrice:
Ho inserito persino la citazione shakespeariana. Me happy! ^^
Scusate lo sclero, ma adoro Otello, è una delle opere del Bardo che preferisco.
Faith ha lasciato emergere la “serpe” che è in lei e ha deciso di partecipare al congresso… cosa succederà tra lei e Franz? Berrà, per usare le parole di Connie, un mojito di troppo e darà finalmente aria ai piani bassi? Oppure l’ennesimo ostacolo si frapporrà tra loro? Lo scoprirete nei prossimi capitoli, perciò stay tuned!
Precisazione culinaria: il pollo con avellanas è il pollo alle mandorle, l’ho gustato due estati fa nel nord della Spagna. Olé!
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Indovina chi viene al congresso? ***


Scusatemi per il ritardo, ma gli esami sono esami. Spero che il capitolo basti a farmi perdonare. Le fan di Franz avranno di che divertirsi e farete la conoscenza di un nuovo personaggio.
Btw, grazie a Bijouttina, Calliope Austen, elev e Faith00 per le fantastiche recensioni, e ad allymissy, buzzicozz, milra, myllyje e Stefi_hope, che hanno inserito la storia tra le seguite.
Buona lettura!

 



Indovina chi viene al congresso?




“Un progetto che promette felicità assoluta non potrà mai avere successo; e una totale delusione può essere respinta solo difendendosi con qualche piccolo, peculiare dispiacere”.
Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen

Harry James considerava una debolezza mostrare i propri vizi agli altri, amici e parenti compresi; per questo, mentre malediceva Chris e armeggiava col cursore su un’immagine da modificare con Photoshop, deglutì sonoramente, tendendo l’orecchio al fine di cogliere qualsiasi rumore potesse indicare la presenza in casa di sua sorella.
La suddetta sorella, però, riuscì comunque a coglierlo di sorpresa.
–Ho un fratello normale! Alleluia!- esclamò.
–Ne dubitavi, forse?
–Leva il “forse”- ammise lei con una scrollata di spalle. –Oh, non guardarmi così, non è colpa mia se sembri un automa, invece che un essere umano. Non fumi, bevi con moderazione, segui una dieta equilibrata, ti sei laureato in regolissima col massimo dei voti, sgobbi peggio di un mulo, gli unici svaghi che ti concedi sono la palestra e l’uscita del venerdì per vedere quel serial osceno. Sono sicura che chi ha asserito “preferisco il paradiso per il clima, l’inferno per la compagnia” pensasse a te. Non sai quanto ho desiderato beccare Mr. Perfezione con le mani nel vasetto della marmellata, o meglio, a smanettare su foto porno!
–Harp- sospirò stancamente Harry. –Non è come credi. Sto ... ecco ... facendo un favore a un amico.
–Si dice così, adesso?- scherzò Harper, issandosi sulla scrivania. –Ho sentito scuse più originali. Il mio ex -per inciso, avevi perfettamente ragione, è un cretino matricolato - diceva che di esercitarsi guardando film in giapponese!
–Harp, tu non hai fatto… cosacce con quel decerebrato, vero?- esalò il radiologo, scrutandola con la vista a raggi X.
–Harry, cosa credi faccia con gli uomini con cui esco, partite di bridge?- sbottò sua sorella. –Ho ventotto anni e, a differenza tua, una sana vita sessuale!
–La, la, la, non ti sento!- cantilenò il suo iperprotettivo fratellone, tappandosi le orecchie: aveva promesso ai loro genitori che si sarebbe preso cura di lei, e prendeva questo compito molto seriamente. Quando una seccata Harper gli tolse le mani da sopra le orecchie, aggiunse –Non ti riguarderebbe, ma sono sincero: il “lavoretto” è per Franz.
–Franz? Il tuo gemello diverso separato alla nascita?- chiese Harper, incredula. –Condoglianze alla povera martire che ha deciso di dargliela volontariamente!
–La “martire” non gli ha ancora dato niente, ed è la ragazza nelle foto- spiegò con sussiego Harry.
Harper si sporse per esaminare le fotografie non ancora ritoccate e commentò –Da quando al tuo amico snob “o strafiga o niente” piacciono cicciottelle? Comunque è carina. Mi piacciono i suoi occhi e la bocca… per non parlare delle guance: con degli zigomi del genere, non avrà mai bisogno del chirurgo plastico!- Harry ridacchiò, pensando alla nuova fiamma di Faith, Marcus Best, e Harper ne approfittò per perorare la causa che da anni a quella parte aveva eletto a propria crociata. –Prima Chris, poi Franz… è ora che anche tu ti sistemi. Non vuoi darmi una cognata con cui lamentarmi di te?
Harry preferì cambiare argomento.
–Sbaglio, o hai tralasciato Robert?
–Sbaglio, o hai evitato di rispondere?- lo schernì Harper.
–E’ un vero peccato che tra voi non abbia funzionato- disse poi, sicuro di colpire nel segno. Adorava far arrabbiare la sua sorellina. –Di tutti i deficienti che camminano su questo pianeta, Robert è tra i pochi che tollererei come cognato!
Come previsto, Harper si irrigidì, saltò giù dalla scrivania, gli mostrò il dito medio e se ne andò sbattendo la porta.

 
***

Quando ricevette la lieta novella, Mrs. Irving impiegò parecchi minuti per recuperare l’uso della parola (per la gioia di suo marito, che poté finalmente chiacchierare con la figlia senza essere disturbato). Non appena si riprese dallo shock, però, riacquistò il consueto piglio da Führer. Si collegò a internet per alcune ricerche, poi arpionò la cornetta dell’inossidabile telefono anni ’90 e trillò –Cucciola, siamo così fieri di te! Tu, una specializzanda, praticamente il fango sotto l’ultima ruota del carro alias reparto…
–Grazie, mamma- sibilò, risentita, Faith.
–A un congresso!- concluse la donna, ignorandola. –A Miami! Certo, la Florida non sarà culturalmente stimolante come New York o Boston, ma almeno starai al caldo! Ho già controllato il meteo, troverai cielo sereno, giusto qualche nuvola il quindici e il sedici mattina, e temperature superiori alla media stagionale, perciò vedi di non conciarti da montanara in vacanza…- mugolio esasperato di Faith. –Ho dato anche un’occhiata all’hotel in cui alloggerai, il Coconut Hotel, quattro stelle, a Coconut Grove; dà su Biscayne Bay ed è a pochi minuti da Coral Gables. Stando ai commenti raccolti in vari blog e siti specializzati, la zona dovrebbe essere residenziale e tranquilla, comunque occhio al portafogli, mi raccomando! Sai, sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla quantità di attrattive turistiche: ero convinta che Miami non offrisse nulla più di spiagge e divertimenti notturni, invece, oltre al Parco delle Everglades, che ti vieto tassativamente di visitare, perché non voglio ritrovarmi una figlia mezza mangiucchiata da un alligatore bongustaio- “Parco delle Everglades, eh? Grazie dell’informazione, ci andrò subito dopo aver disfatto la valigia!”, pensò Faith con un sorrisetto furbo (fortuna che sua madre non poteva vederla). –Ci sono alcuni edifici storici, un orto botanico favoloso, El Jardin, vicino all’albergo, e diversi siti archeologici!
–Mamma!- strillò Faith, riuscendo finalmente a zittirla. –In caso ti fosse sfuggito, vado lì per lavoro. L’unico aspetto eccitante di Miami è che potrò finalmente ripercorrere i passi di Horatio Caine e della dottoressa Woods, i miei miti!
–Cucciola, hai ventisei anni, non sei un po’ grandicella per ossessionarti con le serie tv?- sospirò Mrs. Irving.
–Mai!- ululò Faith. –Sognerò le scene del crimine e gli addominali di Adam Rodriguez anche a ottant’anni!

 
***

Altra casa, altra conversazione, stavolta via Skype.
Hola, Rafa!
–Francisco!- esclamò Rafael Jimenez, agitandosi vivacemente. –Quanto tempo! Que tal, amigo?
–E’ Franz, quante volte devo ripetertelo perché entri in quella zucca?- replicò Weil.
Si erano conosciuti su un sito di “couch sharing”: in pratica, si offriva a prezzi modici un posto sul divano di casa propria a turisti che volevano viaggiare al risparmio, e che, naturalmente, avrebbero avuto l’obbligo di ricambiare. Con la benedizione di suo padre e della sua matrigna, Franz lo aveva ospitato a Berlino, e in seguito i due, diventati amici, erano rimasti in contatto.
Rafael, intuendo che il ritorno all’inglese indicava che l’amico stava perdendo la pazienza, si corresse.
Va bien, va bien. Allora… Frans.. a cosa devo questo piacere?
–Verrò a Miami!
Que? Dici sul serio?- esalò Rafael. –Magnifico! Mi casa es tu casa, amigo… basta che ti accontenti del divano e non rompi se do feste e passo la notte in compagnia.
–Apprezzo l’offerta, ma è un viaggio di lavoro, ho già dove alloggiare: il Coconut Hotel.
–Vi hanno piazzati a Coconut Grove?- abbaiò. –Ma es scandaloso! Quel quartiere è un mortorio!
–Probabilmente è il motivo per cui l’hanno scelto: zona residenziale, pochi alberghi, poco casino… l’ideale per un congresso!- spiegò Franz.
–I congressi, che noia mortale- sbadigliò Rafael. –Fortuna che avrai a tua disposizione la miglior guida turistica sulla piazza: io!
–Rafa, in caso ti fosse sfuggito, verrò per lavoro- sbuffò Franz. –Sarà un’occasione per rivederci, punto.
–Ti farò cambiare idea. Posso giurarci- asserì l’altro e, dopo qualche reminiscenza dei bei tempi andati, si salutarono.
***

Gli amici di Faith furono altrettanto entusiasti.
–Brava, Serp, te lo meriti- chiocciò orgogliosamente Demon, prima di stritolarla in un abbraccio soffocante.
–Certo che se lo merita!- celiò Jeff. –Dai, cantiamo in coro: perché è una brava ragazza, perché è una brava ragazza, perché è una brava ragazza….
–Qualcuno sopprima Jeff!- concluse scherzosamente Faith; Demon, ridendo sotto i baffi (che non aveva) prese due piccioni con un bacio: mise a tacere Jeff e assaporò le labbra del suo casinista preferito.
Erano seduti nella pasticceria di Melanie, e, nonostante fosse circondata da delizie, Faith non aveva toccato cibo, limitandosi a guardare gli altri, che si stavano rifacendo le papille gustative con quelle bontà, e ad annusare l’aroma proveniente dal laboratorio sul retro.
–Se non sbaglio, Brand, sei stato in Florida con Brian, Jack e Axel- osservò Melanie Bardon in Bailey, ricomparsa con i rifornimenti dolciari e un tè per Faith.
–Vero- sospirò Brian. –Una vacanza indimenticabile: il sole, il mare…
–Le belle polla…- esordì Brandon, per poi bloccarsi, fulminato dall’occhiataccia di sua moglie. –Palme.
–Eh, sì, le “palme” di Miami sono incredibili- sibilò Melanie, per poi accostarsi al suo orecchio e sussurrargli –Stasera, a casa…
–F-Faremo i conti?
–No- rispose con un sogghigno perfido. –Cambierai il pannolino a Ethel!
–Cosa?- esclamò lui, alzandosi di scatto per seguirla sul retro. –Non puoi essere così crudele! Tutto, ma non i pannolini! Melly!
Faith rise insieme agli altri, diede uno scappellotto a Brian quando pronunciò la massima “Ah, le donne, croce e delizia! Per Brandon, che è un deficiente, solo croce!” e andò in palestra.
Tra uno squat e una flessione raccontò alle amiche delle rose, della lite e della scelta di prendere parte al congresso, e confessò i suoi dubbi su Marcus. Per una volta, Abigail e Bridget furono subito d'accordo su qualcosa.
–Hai preso la decisione giusta- asserirono in coro.
–Senza offesa, ma a me questo Best non piace- rincarò la dose Abigail. –Prima illude e delude B, poi comincia a uscire con te, ma non ti dà nulla di concreto, a parte un mazzetto di rose… perché non vi siete messi insieme, vero? O sì?
–Ab, gli ho detto di Franz- esalò Faith. –Per questo non stiamo insieme… per ora. Quando sarò sicura di aver voltato pagina, io e Marcus diventeremo ufficialmente una coppia.
–Nel frattempo, però, può farsela impunemente con chi gli pare- le fece notare Abigail.
–Pure io, se è per questo- obiettò Faith.
–Tu non lo faresti mai, sei troppo onorevole!- soffiò Bridget.
–B, sono fatta di carne anche io: so resistere a tutto, tranne che alle tentazioni- ribatté Faith.
–Infatti- confermò Abigail. –Ha solamente avuto la fortuna di non esservi sottoposta, ma se, mettiamo caso, dovesse entrare nella camera di un certo patologo di nostra conoscenza e dovesse trovarlo che si è appena fatto la doccia… coperto soltanto da un misero asciugamano di spugna… tutto gocciolante… coi pettorali in bella mostra… magari con un pezzettino galeotto di inguine che spunta dall’asciugamano…
Faith, che era arrossita e aveva cominciato a iperventilare, per farsi aria con la mano perse l'equilibrio e finì con la faccia sul pavimento. Si sollevò da terra massaggiandosi il naso e le altre zone doloranti, e decise che aveva faticato a sufficienza.
–Dove vai?- le urlò dietro Abigail.
–A raffreddare i bollenti spiriti!- rispose lei.
Le altre due si scambiarono un cenno d’intesa, certe che a Miami la loro amica si sarebbe divertita in modi che nemmeno credeva possibili.

 
***

Franz era sempre stato metodico, caratteristica, questa, conveniente sia nel suo lavoro che nella vita.
Aveva stilato un elenco di oggetti utili da inserire in valigia o nel bagaglio a mano, e li aveva suddivisi meticolosamente in base al peso e alle norme sulla sicurezza in aereo.
Stava ricontrollando di non aver dimenticato niente, cantando (o rovinando, a seconda dei punti di vista) ‘I want to break free’ dei Queen, quando udì bussare alla porta. Aprì e venne letteralmente travolto dal ciclone Gertrud.
La donna, senza proferire parola, ma, soprattutto, senza invito, si diresse con passo deciso verso la camera da letto del figlio e disfece i bagagli, sbottando –Assolutamente nein!
Franz dovette mordersi una mano per impedirsi di macchiarsi di matricidio. Raccolta tutta la (poca) pazienza di cui disponeva, domandò –Perché ca… volo l’hai fatto?
–Perché non permetterò che il mio bellissimo raggio di sole vada in giro conciato come l’ospite di una casa di riposo!- rispose Getrud.
–Mamma, vado a un congresso, non…
–Kind, so che non avrai tempo per esplorare Calle Ocho e simili… per fortuna, aggiungerei. E’ un postaccio- “Calle Ocho, eh? Grazie dell’informazione, ci andrò subito dopo aver disfatto la valigia!”, pensò Franz, sopprimendo a fatica un sogghigno. –Un conto è apparire professionali, un altro sembrare dei vecchi pisquani- ribattè Gertrud. –Ci saranno tanti colleghi da tutto il mondo, devi fare bella figura, inoltre il tuo capo è una donna, sfrutta il tuo bell’aspetto a tuo vantaggio!
Franz, arresosi all’evidenza, ossia che era inutile discutere con sua madre, emesso un sospiro di rassegnazione si sedette nell’unico angolino libero del letto e la lasciò fare.
Era appena riuscito a liberarsi dell’opprimente presenza della sua invadente genitrice, quando il campanello suonò di nuovo. Aprì sbraitando –Questa è una casa, non un porto di mare!- e si sentì rispondere, da quegli scapestrati dei suoi amici, –Pronto Soccorso Rimorchio a tua disposizione! Se Faith non ti dà accesso al “tunnel dell’amore” con questi, allora puoi scordarti il suo parco giochi!
–C’è per caso Gertrud?- chiese Chris, avvampando (ai tempi, quando era ancora un giovincello di belle speranze, aveva avuto una discreta cotta per la mamma di Franz).
–E’ andata via da poco- esalò lui, sollevato.
Chris annuì, deluso, poi Robert gli sventolò una busta sotto il naso, cianciando –Dato che siamo degli amici con la A maiuscola ti abbiamo portato, come promesso, l’occorrente per garantirti, al termine di giornate utili, notti dilettevoli.
Franz, incuriosito da tanto entusiasmo, li invitò ad accomodarsi e, mentre i suoi amici bevevano le loro birre, esaminò minuziosamente il contenuto della busta: una camicia (di dubbio gusto), una boccetta di profumo (buono), slip colorati (e attillati) con stampe che rasentavano l’osceno, una busta sigillata con la scritta “aprire in caso Faith non apra le gambe”, un flacone di gel per massaggi al mango e, dulcis in fundo…
–Profilattici… alla banana?
–Gli altri gusti erano finiti- spiegò Harry. –E poi, in un certo senso, sono propiziatori.
Allibito, Franz rispose –Ehm… wow. Non so cosa dire.
–Prometti solo che ne farai buon uso, non sono palloncini dalla forma strana- scherzò Christopher.
–Ti sto odiando profondamente, Christopher, sappilo- sibilò il padrone di casa. –Cosa c’è in questa busta? E perché mai dovrei aprirla soltanto se non…?
–La tua tirchieria ci è nota- disse Chris senza nemmeno l’ombra di imbarazzo. –Non osare ribattere, uno che non ha mai comprato ‘Playboy’ perché costa mentre i video in rete sono gratis non si può che definire tirchio. Al massimo, spilorcio. Taccagno, toh-
–Ti sto odiando ancor più profondamente, Christopher!
Chris non se ne curò, e concluse –Perciò, da amici generosi e ingegnosi quali siamo, abbiamo escogitato un sistema per farti vedere delle parti di Faith che altrimenti non vedresti manco a un miglio di distanza, non so se mi spiego...
Incuriosito, nonché perplesso, Franz aprì la busta e ne estrasse il contenuto. Non ci sono parole per descrivere la sua reazione.
–M-Ma… m-ma…. questa… questa… non può essere Faith! Non lo farebbe mai!- sbottò. Sapeva bene che su internet fioccavano siti in cui ex fidanzati rancorosi e/o fidanzati in carica niente affatto gelosi (e un tantino perversi) postavano foto osé, però il pensiero che lei potesse… non riusciva a concepirlo!
–Rilassati, Husky, le abbondanti grazie della tua Irving non sono di dominio pubblico. Il nostro personale genio informatico ha spippolato con i programmi di fotomontaggio per fornirti materiale per… ehm, diciamo il tuo piacere personale. Il corpo è di Kaja Rosebud, la dottoressa Jordan di ‘Genital Hospital’.
Franz, emesso un sospiro di sollievo (già pensare che Faith potesse essere andata a letto con quel verme schifoso di Best lo mandava in bestia, figurarsi l’idea di milioni di occhi lussuriosi che osservavano le sue nudità!) ringhiò –Sentite, apprezzo il pensiero e vi ringrazio, ma non siamo più adolescenti. Siamo adulti, voi avete passato i trenta, io li compirò tra poco più di un mese… cosa vi è saltato in testa?
–Vogliamo evitarti l’atrofia da disuso delle gonadi- rispose Robert. –Se, però, preferisci…
–Non preferisco niente!- sbraitò Franz. –La Irving è occupata. Non ufficialmente, però con quel “gonfia-tette” della malora ci esce, forse hanno persino…- “Oddio, no! Non può averlo fatto, non con quell’essere!” –Quel che intendo è: aspetterò che sia lei a fare il primo passo, altrimenti il senso di colpa mi impedirebbe di godermi la sco.. il momento.
–Sempre che questo momento arrivi- replicò Harry. –Non pensi che Faith ragioni allo stesso modo, solo alla rovescia? Se vuoi dei risultati dovresti lasciarti andare e provarci; se ci sta, bene, altrimenti…. è lei a perderci, e potrai metterti il cuore in pace.
–Cuore in pace?- ribatté Robert con un risolino di scherno. –Si vede che in materia di sentimenti sei arrugginito! Franz non si metterà il cuore in pace, non stavolta: se dovesse combinare qualcosa a Miami tanto di guadagnato, sennò… ci riproverà a Londra.

 
***

La preparazione dei bagagli era avvenuta a tempo di musica. Aveva cantato mentre compilava una lista di cosa portare con sé, mentre ammassava detti oggetti sul letto, mentre li piegava, mentre li sistemava in valigia, mentre si faceva venire una crisi isterica perché sua madre le aveva instillato mille dubbi sui vestiti e le scarpe da indossare, e mentre, dopo essersi calmata, ricontrollava che tutto fosse a posto.
Colonna sonora prescelta? ‘Points of authority’, dei Linkin Park. Sì un singolo brano. Quando aveva bisogno di concentrarsi, Faith ascoltava alcuni pezzi, poi, una volta scelto quello che reputava più adatto all’occasione, lo metteva in ripetizione continua fino a che non aveva finito quello che doveva fare… o le sanguinavano le orecchie.
–Se ci pensi bene, Agatha, ritrae abbastanza la situazione: Weil mi ha ferita, eppure… sarei disposta a calpestare il mio orgoglio, se soltanto me lo chiedesse. Stupidi sentimenti di merda, sono diventata una di quelle donnicciole masochiste da mezzo penny! Fortuna che, oltre ad essere bello e intelligente, è pure sano di mente, altrimenti sembrerei la protagonista di un romanzo delle sorelle Brönte!
La gatta, desiderosa di dare una zampa, aveva contribuito alla scelta dei capi da includere nel bagaglio zampettando su quelli che prediligeva mentre erano assiepati sul letto. Certo, Faith era stata costretta a ripulirli dai peli prima di piegarli, ma almeno si era resa utile.
L’emozione le aveva impedito di dormire, donandole una carnagione pallida e smorta, uno sguardo assonnato e un set completo di valigie sotto gli occhi. L’aspetto che ogni donna sogna di avere il giorno della partenza per un congresso, insomma. Fortuna che, grazie all’abnegazione di suo padre, che si era alzato all’alba per portarla in aeroporto, aveva evitato lo stress di dover guidare e pagare il parcheggio dell’aeroporto.
Dovevano esistere i ricordi premonitori, oltre ai sogni, altrimenti non si spiegava come mai la sua mente fosse tornata al giorno in cui aveva assistito per la prima volta a un’autopsia: la professoressa Eriksson aveva annunciato che le esercitazioni, obbligatorie ai fini dell’esame, si sarebbero svolte a coppie; stava già mettendosi d’accordo con Evangeline, quando il Grande Capo li aveva informati di aver già provveduto, appaiandoli secondo l’ordine alfabetico, il che, per lei, era equivalso a far coppia con Charlotte, cognome Higgins. Quella idiota, invece di tenere la bocca chiusa e respirare profondamente col naso, come suggerito dalla prof, si era lamentata incessantemente dell’odore e del freddo che regnavano nella sala settoria, e, all’acme della stupidità, aveva aperto una boccetta di profumo allo zucchero filato; come da copione, l’aroma dolciastro si era mescolato a quello acre e sgradevole del cadavere, creando un odore nauseabondo. Incapace di trattenersi, Faith aveva vomitato, scoprendo poi che era normale le prime volte, specie se si era affiancati da un animale da cortile che non seguiva le indicazioni, mentre Charlotte, sconvolta per essersi rotta un’unghia nel tentativo di estrarre lo stomaco, era fuggita via starnazzando.
Ad interrompere quel ricordo spiacevole provvide Marcus, che le telefonò per augurarle buon viaggio, nonostante l’ora antelucana.

 
***

Mai Franz si sarebbe aspettato di rivederla dopo otto anni, invece eccola lì, i capelli -un tempo castani, ora biondi- lisci e dritti come spaghetti che ricadevano nello spazio tra le scapole, in volto l’espressione rapace di chi ottiene sempre ciò che vuole, avvinghiata a un uomo che avrebbe potuto tranquillamente essere suo padre.
Conservava un ricordo sfocato della loro effimera relazione, se così si poteva definire, mentre era nitido quello della prima volta che l’aveva vista in facoltà, bella come una bambola e non più intelligente. Non aveva potuto fare a meno di osservarla - naturalmente con l’occhio critico che lo contraddistingueva- giungendo alla conclusione che lo ispirava abbastanza e, soprattutto, era il genere di ragazza che tutti i ragazzi avrebbero voluto avere e tutte le altre avrebbero voluto essere. Animato dal desiderio di generare invidia in chiunque incontrasse, l’aveva avvicinata con lo scopo di ottenere almeno un appuntamento.
Strano come una donna potesse turbare a tal punto un uomo finché teneva la bocca chiusa e poi, quando parlava, la magia potesse infrangersi di colpo: la sua voce era piatta, incolore, decisamente umana, e a un tratto colei che gli era parsa una dea era diventata semplicemente una ragazza bella, alta e in buona salute.
Avendo scoperto che necessitava di ripetizioni di Anatomia, si era offerto di aiutarla, raggiungendo l’obiettivo: per cinque mesi aveva goduto del suo corpo e della soddisfazione infantile che si provava pavoneggiandosi al fianco di una bellezza quasi soprannaturale.
Conoscendola meglio, il suo fascino si era attenuato, fino a scomparire: non si poteva pretendere da una sublime idiota come lei una grande conversazione, nè possedeva la capacità di ascoltare con intelligenza, e Franz non aveva mai potuto soffrire gli imbecilli… nemmeno quelli di sesso femminile dotati di un bel faccino e maniere lascive.
Quando, come previsto, si era stufato di lei, l’aveva mollata senza tante cerimonie, sparendo nel nulla; dopotutto, il suo non era amore o un’infatuazione, soltanto la possibilità di divertirsi un po’.
Pochi mesi più tardi era partito alla volta di Berlino, dimenticandosi completamente di lei… fino a quel momento.
A giudicare dal suo evidente imbarazzo, e dalla fredda cattiveria nell’espressione di Faith, le due si conoscevano, e Franz si sentì un moderno Romeo che assisteva a un faccia a faccia tra Rosalina e Giulietta; quando si accorse che “Rosalina” stava dirigendosi verso di lui, impallidì e iniziò a sudare freddo: non aveva scampo.

 
***

–Non posso crederci! TU!- ruggì Faith, improvvisamente sveglia e vigile.
–Potrei dire lo stesso- replicò la destinataria dell’esclamazione, ravviandosi la chioma bionda, che recava, come la vista acuta di Faith non mancò di notare, tracce della ricrescita. –Sam sarà felice di sapere che partecipi al congresso.
–Sam? Solomon viene a Miami?- esalò Faith, sforzandosi di celare il disgusto per quel nomignolo ridicolo.
–Certo, sciocchina- trillò l’altra, e Faith non poté esimersi dal pensare “Il bue che chiama cornuto l’asino”. –E’ uno dei relatori! C’è anche il tuo ex capo, il mio Ciccino. E non hai ancora sentito la notizia bomba: ci sposiamo! A luglio diventerò Mrs. Corrigan!
Faith strinse i pugni, incazzata nera: se infuriarsi perché chi l’aveva tormentata e, insieme a quel bastardo di Solomon, l’aveva costretta a lasciare il Charing Cross Hospital era felice e realizzata significava essere una persona cattiva, allora era pessima! Inspirò fin quasi a farsi esplodere il polmone, e venne colta da un’illuminazione: il suo rancore non avrebbe modificato il passato, né assicurato a Charlotte e Solomon le sofferenze che meritavano, quindi a che pro avvelenarsi l’anima? L’odio era come l’invidia: danneggiava maggiormente chi lo provava. Sbuffò un risolino e aggiunse –Non so per quale motivo hai voluto cominciassimo col piede sbagliato. Non avrei avuto nulla contro di te, se non avessi profuso tanto impegno per danneggiarmi, e, per quanto possa suonarti falso, ti devo un ringraziamento. Ciò che non ti uccide, ti fortifica. Tentiamo di avere un rapporto civile in questi cinque giorni, dopodiché ognuna per la sua strada, ok?
–Ok un corno!- ululò Charlotte. –Tu mi odi! Devi odiarmi!
–Spiacente di deluderti, non ti odio- rispose la Irving con un sorriso perfido. –Non fosse altro… per toglierti questa soddisfazione.
Charlotte era sul punto di replicare, o di assecondare l’istinto di aggredire la sua acerrima rivale, quando, con la coda dell’occhio, si rese conto che Faith non era l’unica sua vecchia conoscenza meritevole di lesioni personali gravissime.

 
***

Franz, pur essendo in grado di difendersi, aveva scelto di porgere la guancia all’ira di Charlotte, in modo da pareggiare i conti: lui l’aveva usata e abbandonata, lei aveva ricambiato procurandogli un’ecchimosi. Erano pari.
In realtà il dolore era pressoché impercettibile, quello che gli bruciava era la delusione negli occhi di Faith quando, dopo aver assistito alla scenata di Charlotte, gli aveva chiesto spiegazioni, spiegazioni che non aveva potuto negarle.
Una volta superati i controlli la portò in disparte e vuotò il sacco. Lei lo lasciò parlare, poi asserì –Charlotte è una stronza, ma non meritava di essere tratta alla stregua di una bambola gonfiabile. Nessuno lo merita.
–Lo giuro, mi pento amaramente di…
–Averlo fatto? Ne dubito. Ti dispiace soltanto che l’abbia scoperto, perché conferma la mia ipotesi: a te di me non è mai fregato niente, vuoi solo scoparmi!
–Non è vero!- latrò Franz.
–Sì, invece!- ribatté Faith. –Mi vuoi perché non mi puoi avere! Allora sai che ti dico?
Franz avrebbe dovuto aspettare due giorni per scoprire cosa voleva dirgli, perché Astrid si materializzò davanti a loro per avvisarli che il loro volo era stato annunciato, quindi dovevano seguirla al gate.
Individuati i rispettivi posti nella calca di passeggeri intenti a sistemare il bagaglio a mano, Franz e Faith scoprirono che avrebbero trascorso le ore di viaggio seduti vicini.
Franz allacciò le cinture guardandola si sfuggita, timoroso che i loro sguardi si incrociassero, attento a non sfiorarla, sebbene il contatto non gli sarebbe dispiaciuto affatto. Si sentiva un idiota: aveva rovinato tutto, riducendo le possibilità di conquista a meno di zero. Si sarebbe preso a schiaffi! Perché non l’aveva zittita, magari con un bacio? Le avrebbe mostrato con i fatti quello che non riusciva ad esprimere con le parole.
Faith sbuffò, infastidita, sfogliando distrattamente il libro che aveva tirato fuori dallo zaino; non vedeva l’ora che l’aereo decollasse per poter accendere l’i-pod e addormentarsi cullata da buona musica. Si sentiva un’idiota: non solo si era illusa che l’interesse di Franz fosse sincero, che avesse visto al di là della goffaggine e del consistente pannicolo adiposo, aveva anche sperato, come un’adolescente da serial televisivo, che smentisse le sue supposizioni con un bacio mozzafiato. Si sarebbe presa a schiaffi!
“Stupida, stupida, stupida!”, pensò. “I Franz non finiscono con le Faith, oppure, se ci finiscono, le cornificano con le Charlotte. Ritieniti fortunata ad avere Marcus e guarda il lato positivo della situazione: non hai dovuto scegliere, ha già provveduto Weil”.

 
***

Il Coconut Hotel, più che un albergo, sembrava un villaggio vacanze: oltre alla prevedibile piscina era dotato di palestra, centro benessere, negozi vari; inoltre organizzava visite guidate per i principali siti turistici, compreso Disneyworld e il parco a tema di Harry Potter (a Orlando).
Faith, tamburellando con le dita sul bancone, in attesa che qualcuno alla reception la degnasse di attenzione, distratta dal design eccessivamente sfarzoso della hall non si accorse di una presenza al suo fianco, finendo col prestargli un piede.
–Capisco che sei arrabbiata con me, Irving, ma rompermi il metatarso non aggiusterà le cose!- uggiolò Franz, agitando la parte lesa.
–Scusa, non ti avevo visto, ero…
–Presa dall’arredamento trash di questo posto?- terminò la frase, per poi aggiungere –Comprensibile, direi: ero convinto che nulla potesse eguagliare il non-stile del Cesar Palace di Las Vegas, invece…
–Sei stato a Las Vegas?
–Ci è andato Xandi, per lavoro.
–Lavoro, come no!- sbuffò Faith, pensando “Scommetto che Alexander ha fatto lì l’addio al celibato e si vergogna di ammetterlo!”
–Puoi non crederci, ma è la verità- ribatté Franz, giocherellando con una ciocca bruna e ribelle. Durante il volo, vinta dal sonno, Faith era crollata con la testa sulla sua spalla. Repressa la voce interiore che gli suggeriva di scrollarsela di dosso, aveva posato il mento sui capelli scuri della Irving e le aveva dato un bacio sulla fronte: l’espressione imbronciata da bambina capricciosa che aveva mentre dormiva era irresistibile. Non aveva mai provato una sensazione del genere, prima: Faith era morbida, profumava di buono naturalmente, senza bisogno di profumo artificiale, e il solo averla vicina gli aveva dato la tachicardia.
Il receptionist li raggiunse, controllò i loro documenti, e propose un tour del centro città a Franz e un giro di shopping a Faith, che declinò cortesemente, preferendo visitare Miami Circle, a Brickell, un’antica area sepolcrale degli indiani Tequesta.
L’uomo scorse più volte l’elenco dei partecipanti al congresso, quindi esclamò –Deve esserci un errore: qui è segnato un Fred Irving!
–Guardi, si sbaglia, è Faith. Ok?
–Mi scuso sentitamente per questo deplorevole errore, dottoressa Irving…. Jill, correggi immediatamente: è Faith Irving, non Fred!
Jill, alla notizia, arrossì e boccheggiò –F-Faith? N-Non Fred?
–E’ quanto ho appena detto, benedetta ragazza!- esalò l’uomo, tergendosi la pelata madida di sudore. Jill gli indicò qualcosa sullo schermo del computer, che lo fece impallidire, ed esalare –Sono terribilmente desolato, dottoressa Irving, e le chiedo umilmente scusa per questo disguido…
–Quale disguido?- sibilò Faith. –L’insignificante errore di battitura?
–Ehm, ecco, diciamo il…. cambio di sesso. Con tutte le conseguenze del caso. Vede, essendo stata prenotata come Fred Irving, l’abbiamo… uhm…. messa in camera con… il dottor Weil- pigolò, schermendosi con le braccia.
–Mi faccia capire- abbaiò un’irata Irving, indicando un palesemente compiaciuto Franz. –Sta dicendo che dovrò dormire con… lui?

Nota autrice:
Ancora scusa per avervi fatto attendere, ma ne è valsa la pena, no?
Precisazione di servizio: il Coconut Hotel è di mia invenzione (se dovesse esistere davvero fatemelo sapere), mentre Coconut Grove e tutti gli altri luoghi nominati sono reali.
Per chi non si ricordasse di Charlotte, compare nel capitolo 3. Cosa pensate di lei?
I sostenitori della Faith/Franz possono esultare: nonostante le incomprensioni siano il loro pane quotidiano, quei due non potranno dividere la camera senza che succeda qualcosa…
Au revoir!
Serpentina
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Camera con... divisa ***


L’avventura americana di Faith ha inizio: facciamo il tifo per lei! XD
Buona lettura, e grazie a Bijouttina, Calliope Austen, elev e Faith00, che lasciano sempre un commento, a Babron, Camionista_99, Clu_11, deb21, gaya91, gioppi JA, Jasmine Blaise e monicamonicamonica, che hanno inserito la storia tra le seguite, e a Rara_chan, che l’ha inserita tra le preferite. Love you all, girls (and boys, se ce ne sono!)!!

 



Camera con... divisa




Gli uomini vorrebbero essere sempre il primo amore di una donna. Questa è la loro sciocca vanità. Le donne hanno un istinto più sottile: a loro piace essere l’ultimo amore di un uomo.
Oscar Wilde

–Tracce di arte pittorica su ceramica testimoniano che insediamenti Tequesta erano presenti in quella che oggi è Brickell sin dal 700 a.C.. Miami Circle, costruito, secondo la datazione al carbonio delle pietre, intorno al 730 a.C., non è che una delle poche vestigia di quella che, prima dell’arrivo degli europei, era una fiorente civiltà- sciorinò la guida, rivolgendo un’occhiataccia agli europei del gruppo, ossia Franz, Faith e Astrid Eriksson, che sussurrò all’orecchio dei due allievi –La signorina ha dimenticato che la maggior parte degli odierni americani discende proprio dagli europei incivili che hanno quasi sterminato gli indigeni.
Franz e Faith ridacchiarono, dopodiché si affrettarono a seguire la guida, che li riempì di chiacchiere più o meno interessanti, prima di lasciarli alla calcolata tappa del negozio di souvenir. Faith, affascinata dalla cultura dei nativi americani, acquistò l’ennesima tartaruga da aggiungere alla cospicua collezione, un acchiappasogni che avrebbe fatto la gioia della sua figlioccia e quello che la pittoresca venditrice le aveva presentato come “l’amuleto del guerriero: dona a chi lo indossa chiarezza d’intenti e determinazione”.
“Chissà che non mi aiuti davvero a capire cosa, anzi, chi voglio… magari per effetto placebo”, pensò sulla via del ritorno, lanciando occhiate furtive a Franz, che, a sua insaputa, faceva lo stesso.
Una volta in camera, calò un silenzio imbarazzante, rotto dal trillare del telefono interno: Jill, la receptionist, informò Faith che, come risarcimento per il disguido che l’aveva costretta a una camera condivisa con Weil, le era stato offerto un trattamento vip al centro benessere dell’hotel. Faith emise un urletto eccitato, salutò frettolosamente Franz, che stava andando a incontrare Rafael, e si fiondò nella hall, dove Jill le consegnò un coupon da presentare a un certo…
–Mike. Detto tra noi, qui lo chiamiamo “Magic Mike”.
–Perché? E’ uno spogliarellista?- domandò Faith tra il perplesso e l’eccitato (aveva visto quel film svariate volte, era un toccasana nei periodi di “magra”).
–Magari!- esclamò Jill. –No, lo chiamiamo così semplicemente perché fa magie con le mani.
Faith annuì, mordendosi la lingua per restare in silenzio e sopprimere qualche replica pungente, oppure mettere l’accento sul doppio senso di quell’affermazione, ringraziò la solerte Jill e si diresse a passo deciso verso l’area benessere, dove si lasciò coccolare dalle sapienti mani di Magic Mike poi, per appagare la sua curiosità, provò un trattamento con pietre calde e la maschera di bellezza alle mandorle dolci (che le lasciò l’amaro in bocca).

 
***

–Ti sei divertita?- le chiese Franz non appena rimise piede in camera. Si stava preparando per la cena di apertura, un evento elegante, e sperò che Faith, entrando, avesse mancato di notare gli slip col cobra sul cavallo che avevano procurato una settimana di incubi a Jeff.
“Accidenti a mia madre, e a me che mi faccio ancora comprare le mutande da lei!”, pensò mentre abbottonava la camicia; sua madre non l’approvava, ma l’aveva inserita lo stesso nel bagaglio perché una volta Faith aveva elogiato come il modello e il colore ponessero in evidenza i suoi occhi.
–Per quanto ci si possa divertire a stare due ore stesa su un lettino a fissare il soffitto- rispose lei. Magic Mike era veramente bono e sapeva come usare le mani, ma aveva il temperamento di una teenager mestruata: durante la seduta era tassativamente vietato muoversi o parlare, per non arrestare il flusso di energia. –Mi ha rimessa al mondo, questo sì. Nonostante la comodità del cuscino- gli rivolse un’occhiata penetrante –Dormire in aereo è una tortura per i muscoli cervicali.
Franz annuì, poi scattò a sedere, a bocca aperta: Faith, come niente fosse, si era spogliata dei vestiti, restando in intimo, il genere di intimo che molti avrebbero etichettato come “da adolescente che fa shopping con mamma”, ma che a lui provocava ben altre sensazioni in sede pubica.
“Non è possibile! Non posso avere certe… reazioni, per un completino così castigato, poi! Stupido cervello inferiore, che ragionamenti del cazzo fai? Potrei capire se ti mettessi sull’attenti per qualcosa di sexy, in pizzo, vedo-non-vedo con più vedo che non vedo, ma questo… andiamo!”
–S-Senti, uhm- balbettò, allentandosi la cravatta. –P-Perché n-non v-vai a cambiarti…. in bagno?
–Ti senti a disagio? Per quale motivo?- replicò Faith mentre fissava accigliata le alternative di vestiario per la serata. –Non è niente di più di quel che vedresti se fossi sulla spiaggia in bikini.
–G-Giusto, p-però non siamo in spiaggia, siamo in una stanza d’albergo… da soli- ribatté Weil, che colse la volo l’occasione per imprimere nella memoria la figura curvilinea della Irving.
Faith, colpita da quella constatazione, decise di giocare un po’ con lui; si girò, si avvicinò al suo letto, gli poggiò le mani sulle spalle e gli sussurrò all’orecchio, sforzandosi di suonare seducente ed evitando di ridergli in faccia –Dottor Weil, stai forse cercando di sedurmi?
Come previsto, Franz avvampò, deglutì a vuoto ed esalò –C-Ci s-sto riuscendo?
Il giochino di Faith le si ritorse contro: il suo cervello inferiore prese il sopravvento, impedendole di staccarsi e pronunciare una battuta sarcastica; invece annuì e si avventò famelica sulle labbra di Franz, che, vuoi per la sorpresa, vuoi per il peso, finì disteso sul letto, incredulo di un tale colpo di fortuna. Quando avvertì le sue mani sul torace le morse il labbro inferiore, una piccola punizione per avergli stropicciato la camicia, quindi scese a baciarle il collo, e, in un impeto di audacia.. le slacciò il reggiseno. Si sentì sollevato nel constatare che, sebbene non si fosse mosse, Faith non l’avesse riagganciato, lasciava intendere che lo voleva anche lei.
“Meno male, non l’avrei mai fatto se non avesse voluto. Desidero che sia piacevole per lei quanto, se non più, di quanto lo sarà per me”, pensò mentre le massaggiava la schiena e il fondoschiena, chiedendosi se i suoi sogni più spinti stessero per diventare realtà, oppure se Faith si sarebbe rivelata l’ennesimo fiasco. Purtroppo, non aveva avuto esperienze particolarmente piacevoli; le sue ex ragazze, tutte sbalorditive, l’avevano deluso all’atto pratico: ricordava con orrore Milly, la ballerina classica che aveva rimorchiato sperando che la sua flessibilità gli avrebbe consentito di assumere le posizioni più strane del Kamasutra… peccato che, al solo vedere i suoi piedi, l’attrezzatura dei piani bassi si fosse rifiutata di funzionare. Era al corrente delle voci sui piedi delle etoile, ma non avrebbe mai creduto fossero messi così male! E Karen? Una bella statuina nel vero senso della parola: perfetta da esibire come trofeo, più legnosa di Pinocchio a letto. E Chloe? Fanatica della cura del corpo, si concedeva solo e soltanto se era perfettamente acconciata e depilata, obbligandolo a inaspettati e spiacevoli periodi di astinenza. Ma il meglio era Grace: le (poche) volte in cui avevano fatto sesso, lo aveva fermato sul più bello per domandargli se i capelli e il trucco si fossero rovinati e, ricevuta una risposta affermativa, si era allontanata da lui per andare a ricomporsi.
“No, la mia Faith non è così. Se proprio dovessi paragonarla a qualcosa, dire che è come…. un vino d’annata. Sì, decisamente. Una di quelle bottiglie polverose, apparentemente modeste, che nessuno nota a primo acchito, ma che, al palato fine dell’intenditore capace di amarle, schiudono un universo di sapore. Ecco, secondo me Faith è esattamente così: dietro quel visino pulito e innocente si cela una belva!”
Il morso alla spalla che lo fece gemere di dolore e piacere in uguale misura confermò il suo pensiero. Era in procinto di vendicarsi, e magari di toccare con mano quelle che considerava l’ottava e la nona meraviglia del mondo, quando qualcuno bussò alla porta: la professoressa Eriksson.
–Ragazzi, si cena tra cinque minuti. Siete pronti?- abbaiò. –Dico soprattutto a te, Faith, so bene quanto tempo impiega una donna per farsi bella!
L’interessata si alzò di scatto, dimenticandosi di allacciare il reggiseno, ma Franz, colto di sorpresa quanto lei, non vi badò, e rispose –Siamo pronti, prof. La Irving sta, ehm, finendo di imbellettarsi.
Faith, che nel frattempo aveva infilato alla svelta un attillato tubino nero lungo fino al ginocchio, con le maniche a tre quarti e uno scollo a cuore molto sensuale, gli sorrise, mimando un “grazie” mentre stendeva un velo di trucco sul viso e pettinava i capelli, scompigliatisi nella foga del precedente momento di passione.
–Vi aspetto al ristorante- gridò la Eriksson attraverso la porta. –Mi raccomando la puntualità. Non facciamoci riconoscere.

 
***

–Cavolo, prof., è uno schianto!- esclamò Franz con tanto d’occhi, facendo ridacchiare Astrid, che si schermì il viso, arrossendo come una ragazzina: nessuna donna, di qualsiasi età, può restare indifferente di fronte a un complimento, specie se proveniente da un uomo fascinoso come il suo giovane allievo.
Faith, soppressa con la forza della razionalità la puntina di gelosia che aveva provato nel notare che a lei non aveva rivolto nessun complimento, curvò le labbra, coperte di rossetto scarlatto, in un sorriso, e dovette ammettere la superiorità del suo capo; oltre ad essere una gran bella donna (e altrettanto intelligente), possedeva una dote più unica che rara... il coraggio di invecchiare: invece di crogiolarsi nell’effimera speranza di conservare in eterno una giovinezza irrimediabilmente passata, mostrava senza vergogna la propria età, risultando ben più attraente delle sue coetanee che perseveravano nel conciarsi da ragazzine. In quel momento, avvolta in un abito formale color pesca, la folta chioma bionda sciolta sulle spalle, con soltanto un piccolo fermaglio laterale - più decorativo che pratico - ricordava Anita Ekberg; Faith sbuffò una risatina, immaginandola nella fontana dell’albergo mentre invitava un “Marcello” a godersi la dolce vita.
 –Franz ha ragione, proffa, ehm, volevo dire, professoressa Eriksson. Sembra una stella del cinema! Maledetta me, che non ho capito che la cena sarebbe stata così tanto elegante.
–Oh, non preoccuparti, Faith, la tua mise è adatta all’occasione- rispose la donna, giocherellando con la collana che indossava. Avendo scelto un abito lungo dal profondo spacco anteriore e maniche lunghe, altri gioielli sarebbero stati fuori luogo. –Meno è sempre meglio. Citando l’iconica Coco Chanel “una dama elegante veste con la semplicità della propria cameriera”. Vogliamo andare?
Entrarono nell’ampio salone ristorante, con una splendida vista su Biscayne Bay; una volta individuato il loro tavolo, Faith si sentì immediatamente un pesce fuor d’acqua, seduta, come si suol dire, tra due fuochi: da un lato c’erano i colleghi tedeschi, tra cui il mentore di Franz, Herr Huober (ribattezzato dalla Irving “Babbo Natale” per via della barba e della pancia), dall’altro la delegazione svedese, tutte vecchie conoscenze del Grande Capo. A parte qualche risposta monosillabica alle domande che le rivolgevano di tanto in tanto, il suo mutismo perdurò per l’intera durata della cena: Herr Huober e la sua cricca avevano un’aria simpatica, ma si ostinavano a parlare nella loro lingua, e gli svedesi…
“Con tutto il rispetto, sono depressogeni! Cazzarola, che hanno, le mascelle incollate col mastice, che aprono a stento la bocca per mangiare? Sono pallidi come fantasmi e mi fissano, sono inquietanti. L’unico che pare dotato dell’uso della parola è questo Sven, che sta flirtando spudoratamente con la proffa. Alla faccia della professionalità!”, pensò, servendosi un altro bicchiere di vino. “Provenienza: Napa Valley. Non sarà Chianti, ma non è malaccio. E bravi i californiani!”
Per non restare con le mani in mano, Faith consultò il menu, che suscitò la sua perplessità: da quando i biscuits si servivano con salsa alla salsiccia? Quando li vide, apprese che, in Florida, i biscuits erano una sorta di vol-au-vent compatti, non cavi al centro, letteralmente ricoperti di salsa alla salsiccia. Una volta superato lo sbalordimento iniziale, li assaggiò, per la precisione li divorò: erano squisiti. La portata principale, se possibile, la lasciò ancor più esterrefatta: si trattava di… Gator Tail accompagnata con Mango Chutney; nonostante le reticenze, il piatto la colpì favorevolmente, sia per la presentazione, sia per il sapore: mai si sarebbe aspettata che la coda di alligatore potesse essere buona.
“Molto buona. Sa di pollo. E’ questa sottospecie di poltiglia che fa schifo! E hanno la faccia tosta di chiamarla marmellata di mango. Marmellata un fico secco!”, pensò, allontanando la disgustosa salsina con la lama del coltello.
Fu, però, il dessert a conquistarla definitivamente; Faith non amava i dolci eccessivamente dolci, preferendo un sapore agrodolce, o comunque una nota asprigna che le stimolasse il palato, e il dessert ufficiale della Florida, perfetta chiusura di un pasto tipico del “Sunshine State”, rispondeva a tale requisito. La Key Lime Pie, preparata con un particolare tipo di lime che si poteva trovare esclusivamente a Key West Bay, era, a parere di molti, deliziosa, e pochi anni prima uno studio aveva dimostrato le sue proprietà antidiabetiche. La Irving fece onore a questo dolce tradizionale consumandone tre porzioni.
“Alla faccia della dieta e di tutte le Charlotte del mondo!”

 
***

Il mattino seguente venne destata dall’insistente servizio di sveglia dell’hotel. Grugnì un ringraziamento, poi, non appena ebbe posato la cornetta del telefono, aggiunse –Grazie a tua sorella! Fanculo la sveglia e chi l’ha inventata!
Franz, riemerso dal groviglio di coperte nel quale l’aveva invischiato una notte di sonno agitato, sbadigliò –Mein Got, che sonno! Che ore sono?
–L’ora di alzarci e mettere in moto le celluline grigie- rispose Faith, per poi afferrare l’intimo da giorno e chiudersi in bagno prima che l’altro potesse replicare o vederla in pigiama appena sveglia, da un lato perché si vergognava del proprio aspetto a prima mattina, dall’altro perché, secondo lei, svegliarsi nella stessa stanza e darsi il buongiorno era un rituale intimo, da condividere soltanto con la persona amata; non che fosse inconsapevole dei propri sentimenti per Franz, ma era ancora convinta che lui da lei volesse solamente quella cosa.
Quando uscì, trovò ad aspettarla il suo compagno di stanza, munito di espressione seccata, asciugamano, cambio di biancheria e pantaloni.
–Alla buon’ora!- sputò. –Tu puoi pure far tardi, io devo presentare la ricerca insieme al Grande Capo. Dai, su, spostati!
Faith, sbadigliando sonoramente, si vestì in fretta per dedicare più tempo al trucco: dopo cena, alcuni colleghi li avevano invitati a fare quattro salti in discoteca; Faith e Franz, pur odiando quel genere di posti, avevano accettato… ed erano tornati in camera alle tre del mattino! Non stupisce, quindi, che la Irving necessitasse di tempo extra per coprire le occhiaie e donare alla pelle un colorito sano.

 
***

Contrariamente alle loro speranze e aspettative, l’assonnato duo trovò la sala della colazione gremita degli altri partecipanti al congresso. Dopo aver ottenuto due agognati posti, si avventurarono al buffet.
Siccome la fortuna è cieca, ma la sfiga ha undici decimi, Faith, mentre si avvicinava, ebbe un incontro ravvicinato del quarto tipo con un francese che ricordava di aver sorpreso a dare libero sfogo agli ormoni nel bagno del discoteca; il suddetto, che aveva il vizio di muoversi come se intorno a lui ci fosse il vuoto assoluto, la urtò violentemente, rovesciandole addosso l’acqua calda per il tè.
Oh, pardon, mademoiselle! Je suis désolée!
–Puoi essere cosa ti pare, non asciugherà la camicia!- sbottò Faith, arrabbiata per l’inconveniente e dolorante per l’impatto del liquido caldo con la cute. Mentre borbottava un torrente di imprecazioni, si accorse che il francese molesto non si era mosso di un millimetro, e che il suo sguardo si era fissato su una parte anatomica in particolare. Inviperita, sibilò –La mia faccia è quassù!
L’altro arrossì furiosamente, e balbettò qualcosa sul farsi perdonare e sull’accompagnarla in camera, ma Faith non riuscì a rifiutare perché in quel momento sopraggiunse Franz, che le circondò le spalle col braccio e le chiese se stava bene.
–Insomma… devo cambiarmi e la pelle mi pizzica- gnaulò lei, mettendo il broncio.
–Ho con me una crema magnifique per eritemi e scottature- intervenne il francese. –Se vuoi…
–Grazie, ma credo abbia già fatto abbastanza, Lefevbre- ringhiò Franz, prima di allontanarsi insieme alla Irving.
Stavano attraversando la hall, diretti all’ascensore, quando Faith si bloccò di colpo, e disse –Franz, vai pure nella sala conferenze, posso cavarmela da sola.
–E rischiare che quel maiale antropomorfo venga a importunarti? L’ho visto, ieri sera, ci provava con qualunque femmina che respirava! No, no, meglio tenerti d’occhio.
Faith ridacchiò, divertita e, allo stesso tempo lusingata da quella manifestazione di gelosia, finché non si rese conto che anche gli occhi di Franz mostravano una certa predilezione per quella parte resa visibile dalla camicia bianca bagnata. Tossicchiò severamente e sbuffò –La mia faccia è più in alto. Ripassa l’anatomia umana!
–Scusa- pigolò lui, avendo la decenza di sentirsi in imbarazzo. –E’ solo che… resistere è impossibile! Non si può non ammirare le meraviglie di Miss Camicetta Bagnata!
Faith replicò –Spiritoso. Davvero spiritoso. Sembra quasi che sia colpa mia se quel “mangialumache” mi ha guardato le tette!
–Non intendevo questo- ribatté Weil. –Lungi da me pensare che se una donna attira attenzioni maschili se l’è cercata. Siamo dotati di libero arbitrio, no? Si può sempre scegliere: se non ti piace non guardare, se non puoi non toccare, se sei impegnato rifiuta. Sarà una filosofia fuori moda, ma è così che sono stato educato.
Sul volto di Faith apparve un’espressione radiosa, e trillò –Tua madre sarà pure invadente e petulante, ma ha fatto un ottimo lavoro con te… sotto tutti i punti di vista- concluse maliziosamente, lasciando correre lo sguardo sul corpo di Franz, che non perse tempo e la baciò.
Dopo un po’, sospirò –Perché non andiamo nella nostra stanza e mi fai vedere il meraviglioso lavoro che ha fatto con te tua madre?
Faith, in risposta, riprese a baciarlo, ma ancora una volta Astrid Eriksson dimostrò un tempismo perfetto.
–Ecco dove vi eravate cacciati!- esalò sollevata, ignara (o incurante) di cosa aveva interrotto. –Faith, non puoi presentarti al workshop in queste condizioni. Fila a cambiarti! E tu, Franz, seguimi, dobbiamo fare il connection check!
–Il conne-cosa?
–Dobbiamo controllare che il computer sia compatibile col cavo del proiettore, altrimenti saranno ca… voli amari. Voglio che sia tutto perfetto per cancellare il sorriso dall’antipatico faccione di Corrigan!
Franz rivolse a Faith un’occhiata dispiaciuta, che lei ricambiò, e seguì Astrid in sala conferenze.

 
***

Il desiderio di Astrid si avverò: la loro presentazione fu un successo, a differenza di quella di Charlotte, che prese a litigare col portatile davanti alla platea ridacchiante; tanto per non smentire la sua lingua al vetriolo, la Eriksson salì sul palco per aiutarla, dicendo –Lascia che ti dia una mano, cara, non vorrei ti si spezzasse un’unghia!
Al termine della sessione giornaliera, Franz, dato che mancavano tre ore alla cena, propose a Faith un tour della vera Miami. Erano tornati in camera, dove aveva sostituito il completo elegante con jeans e maglietta.
–Ho un amico che vive qui, conosce la città come le sue tasche- assicurò. –Ci mostrerà posti che neanche immagini!
–Ah, beh, se la metti così…- rispose Faith. –Dammi un paio di minuti per cambiarmi e si va!
–No, non cambiarti- le soffiò in un orecchio, abbracciandola da dietro. –Mi piace questo vestito… rende più facile…
–Dottor Weil!- esclamò Faith, fingendosi allibita. –Prima mi fissa il seno, poi infila le mani sotto il vestito. Non gliel’ha detto la mamma che non si fa?
–Probabilmente non ero attento- replicò, tracciando dei cerchi intorno all’ombelico mentre le lasciava una scia di baci lungo il collo. La spinse sul letto e le fu subito sopra, pregustando del fantastico sesso pomeridiano, quando, come al solito, rovinò tutto con una frase inopportuna. –Lasciati andare, Faith, voglio gustarti tutta… quel fortunato bastardo di Best ha avuto il suo turno.
–Cosa hai detto?- ruggì lei, scostandolo con violenza.
–I-Io… n-non intendevo…
–Con quello che esce dalla tua bocca senza volerlo si riempirebbe una biblioteca- sputò lei, infilò un paio di ballerine col cinturino, si alzò, prese giacca e borsa e aggiunse –Muoviamoci, non facciamo aspettare il tuo amico.
Sulla soglia della stanza, Franz la bloccò, sbraitando –Che aspetti. Non uscirò di qui finché non mi avrai spiegato la ragione di questo improvviso cambiamento d’umore!
–Non ti sei reso conto del significato della tue parole? Sul serio?- ululò Faith, livida di rabbia. –Mi hai fatto capire che quello che vuoi non è fare l’amore, è marcare il territorio!
Weil non ebbe il coraggio di negare, sarebbe stato ipocrita. Facendo suo il motto “la miglior difesa è l’attacco”, controbatté –Sì, beh, scusa tanto se mi manda in bestia l’idea che quel “gonfia-tette” ti abbia toccata e…. il resto. A te non dà fastidio pensare che ho avuto altre donne?
–No!- rispose veementemente Faith. –A meno che non abbia qualche scheletro nell’armadio. Non mi frega niente del passato, non ho la mentalità da cavernicolo che pretende di essere il primo e l’unico! Santo cielo, poco ci mancava che mi chiedessi di vedere la prova della mia illibatezza! Fortuna che oggi chi ha i soldi può rifarsi persino l’imene!
–Ora non esagerare- tentò di calmarla Franz. Aveva compreso l’errore, e desiderava rimediare. –Lo ammetto, come tutti i maschi ho la… mentalità da cavernicolo. Sottosviluppata, sepolta sotto sei strati di corteccia cerebrale e una ferrea educazione, ma ce l’ho.
–Non ti sforzi nemmeno di negarlo- pigolò Faith. –Chiudiamola qui, ok? Diamoci alla pazza gioia in questi tre giorni e mezzo che ci rimangono, poi… si vedrà.

 
***

Rafael Jimenez era, innanzitutto, un gentiluomo cubano-americano, per cui si presentò all’amica del suo amico Franz con inchino e baciamano, prima di commentare –Hola, Frans! Vedo con piacere che ti sei convertito alla “Rafasofia”! E’ la tua ragazza?
–No- sospirò sinceramente Franz, omettendo “purtroppo”.
Es tua moglie?
–No!- latrò Faith, avvampando.
–Gli inglesi non hanno gusto, l’ho sempre detto. Las gorditas son mas hermosas!
–Un secondo… ah, sì: le donne in carne sono più belle!- trillò Faith, compiaciuta del proprio spagnolo.
–Precisamente, señorita- rispose lui, scrutandola avidamente, sotto lo sguardo contrariato di Franz, conscio del fatto che Faith incarnava l’ideale di donna di Rafael. –Mi amigo, qui, non concorda, preferisce gli stecchini da esposizione. Pobre idiota, non ha capito che los huesos se dejan a los perros!
Faith diede sfoggio della sua conoscenza della lingua una seconda volta.
–Povero idiota, non ha capito che le… ossa si… lasciano…. ai cani. Che signi… oh! Capito! Lo prendo per un complimento, ma è offensivo nei confronti delle magre.
Querida, voi donzelle non siete gentili come apparite, state sempre a farvi la guerra, quindi ho deciso di essere gentile solo con chi se lo merita. Una flor de mujer como ti, por ejemplo- replicò Rafa, cercando l’appoggio di Franz, che si limitò a fulminarlo con lo sguardo.  
–Sì, sì, certo- sbuffò Franz, a braccia conserte, battendo un piede a terra con fare impaziente. –Se voi due avete finito di fare i piccioncini, possiamo darci una mossa? Miami non si visita da sola!
Faith gli scoccò un’occhiataccia e lo superò, mentre Rafael, passandogli accanto, ridacchiò –Uuh! Qualcuno es geloso!
–Sta zitto, Rafa!- sbottò Franz, prima di capitolare. –E’ così palese?
–No, figurati!- rispose l’altro con evidente sarcasmo. –Sei cresciuto, finalmente. Il piccolo Frans ci ha messo un bel po’, ma ha capito che è bello ciò che piace. Como dico sempre…
–Chiedi a cento persone di descriverti il paradiso, e otterrai cento paradisi diversi- terminò Weil. –Hai ragione. Faith non è la donna giusta per tutti, è la donna giusta per me, e tanto basta. Peccato che il “gonfia-tette” mi abbia battuto sul tempo.
Que? Te la sei lasciata scappare?- sbottò Rafael, scandalizzato. –No es posible! Perché?
–Perché non volevo accettarlo- ammise. –Mi ero ripromesso di non distrarmi, di pensare esclusivamente al lavoro, poi arriva lei e…
La replica di Rafael venne stroncata sul nascere dal seccato –Avete finito di ciarlare, vecchie comari che non siete altro? Vamonos!- di Faith, che, non contenta, si mise pure a strombazzare col clacson.

 
***

–Sono… stupefatta. Mi sono divertita come non mai! Grazie mille, Rafa!- esclamò Faith, al termine del tour più atipico al quale avesse mai preso parte.
–Grazie davvero- ripeté Franz.
–Prego. Ne sono felice: gli amici di Frans sono miei amici. Sicuri che non potete cenare fuori? Dai, vi farò assaggiare…
–Se si tratta della coda di coccodrillo, allora no- sputò Weil, storcendo il naso.
Hombre di poca fede, volevo farti provare un’esperienza sensoriale unica!- replicò Rafael. –La cucina cubana es… non ci sono parole!
–Ci piacerebbe molto- rispose Faith, dando di gomito a Franz, che annuì. –Purtroppo, siamo tenuti a cenare in hotel.
–Mi dispiace, ma vedo già un lato positivo: avete un motivo per tornare a Miami!- trillò lui, soddisfatto. –Ehi! Ho avuto un’idea strepitosa! Dovete cenare in albergo, ok, ma dopo potete uscire, giusto? Bueno, allora domani sera sarete miei ospiti. Do una piccola fiesta, niente di che, un raduno per pochi intimi… non accetto un no come risposta!
–M-Ma d-domani… è San Valentino!- esalarono in coro gli altri due.
–Motivo in più per festeggiare, no? Soltanto gli sciocchi associano il 14 febbraio a fiori e cioccolatini, in realtà è una celebrazione dell’amore in sé, perciò si festeggia selvaggiamente: siamo tutti innamorati, in un modo o nell’altro.
Di fronte a un’argomentazione tanto persuasiva e ben esposta non fu possibile ribattere; dopo essersi scambiati un’occhiata dubbiosa (cercando di capire quanto la presenza di uno sarebbe stata gradita all’altro), sospirarono –Ci arrendiamo. Va bene, ci saremo.
Bueno!- strillò Rafael. –Non ve ne pentirete!
Mentre lo guardavano sgommare verso casa, Faith e Franz si domandarono se, invece, non se ne sarebbero pentiti.

Nota autrice:
Ehehe... Faith ha sbollito in fretta la rabbia per essere finita in stanza con Weil. Non le si può dare torto: chi non vorrebbe svegliarsi e vedere come prima cosa un gran figo in boxer e t-shirt (o, magari, solo boxer)?
Forse non è il capitolo scoppiettante che vi aspettavate, ma la tempesta è preceduta dalla calma, e vi prometto che presto si abbatterà su più di un personaggio.

Avrei voluto inserire più momenti intimi tra Faith e Franz, ma li ho limitati perché mi sento sempre sui carboni ardenti mentre li scrivo, sono quasi paralizzata dal terrore di scadere nel ridicolo o nel volgare. Spero non sia accaduto; nel caso, ditemelo, e provvederò a correggere.
Cercate anche, se possibile, di non far fuori Astrid. Poveretta, non l’ha fatto apposta ad infrangere i momenti magici dei due patologi in amore!
Informazione di servizio: le notizie sugli indiani Tequesta e i piatti tipici della Florida non sono un parto della mia mente, mi sono documentata.
Au revoir!
Serpentina
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Il giuramento ***


Aloha! Aggiorno puntualissima, contenti?
Credo che questo capitolo vi stupirà… spero in positivo. Un consiglio: se potete, leggetelo con ‘Church’ di T-Pain e/o ‘Moving’ dei Secret Garden in sottofondo (i brani che mi hanno ispirata).
Buona lettura! ^^

 



AIl giuramento




“L’altruismo è il rimorso dell’egoismo”.
Roberto Gervaso

Forse per la prima volta in vita sua, Franz non si stava lamentando della proverbiale lentezza femminile: al termine di una giornata faticosa, giaceva mollemente adagiato sul letto ad osservare accigliato una indaffarata e seminuda Faith, intenta a vagliare le (poche) opzioni di vestiario per la serata.
–Uffa! Perché non ho portato più roba?- sbottò.
–Se qualcuno avesse messo in valigia meno scarpe e più capi d’abbigliamento…- sibilò, nascondendo a fatica il proprio malumore: ad abbattergli il morale avevano provveduto l’insistente raccomandazione di Rafa a non osare presentarsi a casa sua “senza quella flor de mujer que me gusta muchisimo”, e una conversazione tra la Irving e quel dannatissimo “gonfia-tette” di Best, che le aveva telefonato per avere sue notizie e augurarle buon San Valentino.
“Buon San Valentino un corno! Puoi fare il melenso quanto vuoi, pezzo di merda, a me non la dai a bere! Se ti fosse importato davvero di lei, avresti chiamato prima”, pensò, stringendo il lenzuolo con la stessa forza che avrebbe usato sul collo del chirurgo plastico. L’unica nota meno negativa (dire positiva sarebbe esagerato) era stata l’espressione della Irving mentre gli parlava: pareva più un’adolescente beccata dal padre a pomiciare col suo ragazzo che una donna adulta che conversa con l’uomo con cui esce al momento.
–Le scarpe sono importantissime, anzi, fondamentali. Personalmente, giudico una persona in base alle scarpe: dato che i piedi vengono ritenuti un’appendice di seconda classe le scarpe si scelgono con più spontaneità dei vestiti, quindi forniscono più indizi sul carattere della persona- rispose la brunetta, scrutando con titubanza un paio di decolté rosse. –Uffa! Cosa mi metto? Non voglio fare brutta figura col tuo amico!
–Rafa non si formalizza- sbuffò Franz, senza nemmeno sforzarsi di nascondere la bruciante gelosia che provava. –Potresti presentarti in un sacco della spazzatura, gli piaceresti comunque.
–Hai ingoiato soda caustica, per caso?- ridacchiò Faith, rimirando un abito che Führer Rose aveva messo in valigia a sua insaputa; era nero, con pois rossi e grigi, lungo fin quasi al ginocchio, con la gonna a ruota e il corpetto aderente dallo scollo a V, stile anni ’50. Una volta tanto, non se la prese: sua madre aveva fatto centro. –Non sei mai stato Mr. Simpatia, ma stasera hai proprio una faccia da funerale. Altro che fiesta!
–Sono solo stanco- replicò Weil ostentando noncuranza.
–E io sono Miss Universo- soffiò lei, sarcastica. Ignorando la voce interiore che le suggeriva di non dar retta a sua madre indossò il vestito a pois, convenendo che esaltava le curve giuste, poi, dopo un’attenta riflessione, infilò un paio di decolté nere col cinturino e il tacco basso: le reputava il complemento adatto ad equilibrare un abito particolare, inoltre era certa che Rafael l’avrebbe obbligata a ballare, anche a costo di trasportarla di peso in pista, perciò meglio calzare scarpe comode.
Franz sorrise nel vederla fare una giravolta, e commentò –Sei un incanto. Altro che i maglioni informi in cui ti infagotti di solito! “Fa che i tuoi abiti siano abbastanza stretti da far capire che sei una donna, ma abbastanza larghi da far capire che sei una signora”. Lo ha detto Marylin Monroe, eh, mica l’ultima delle sfigate!
–Tralasciando la Monroe… si può sapere cos’hai?- chiese lei, guardandolo apprensiva. –Non ti ho mai visto tanto scuro in volto, neppure il giorno in cui dimenticai un cadavere in ascensore!
–La facesti veramente grossa. Per un attimo fui tentato di farti fuori con un cocktail di acidi! Comunque… ti devo delle scuse- sospirò, fissando il pavimento. Se avesse incrociato gli occhi di Faith, non ce l’avrebbe fatta a finire la frase. –La telefonata di prima mi ha ricordato che… c’è Marcus. Capisco che è facile dimenticarlo, però questo non giustifica quello che stavamo per fare e che avremmo fatto, se il Grande Capo non ci avesse interrotti. Il tango si balla in due, perciò ti chiedo scusa per la mia parte di colpa. Avrei dovuto lasciarti la calma necessaria a riflettere su chi vuoi, non approfittare della sua assenza. Giocare sporco non è nel mio stile.
–Il tuo non è senso di colpa, è paura. Hai paura che abbia agito d’impulso?- pigolò lei, sedendosi al suo fianco. –Hai paura che provi qualcosa per Marcus, e stessi per fare sesso con te soltanto per sapere cos’avrei perso? Credevo avessi una più alta opinione di me.
–Onestamente non so cosa rispondere, è tutto così nuovo per me- ammise. –Con le altre non mi ero mai posto il problema: più provocanti erano, meglio era, volevo che le guardassero quando uscivamo, volevo che invidiassero la mia fortuna- Faith emise un ringhio sommesso. –Con te è diverso. Non che mi permetterei mai di fare scenate o importi come vestirti, dove andare e con chi; la mia non è gelosia cieca e possessiva, non ti considero una mia proprietà, però… non so come spiegarlo. Non è tanto il pensiero che tu possa aver fatto chissà cosa con chiunque che mi tormenta… mi dà fastidio, sì, ma poco… sono le esperienze che avete vissuto insieme. Ti conosco, so quanto grande è il tuo cuore, e mi dispiace essere tanto egoista da rodermi perché lì c’è posto per tutti, persino quell’odioso “gonfia-tette”!
La Irving scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con una mano.
–Piantala di chiamarlo “gonfia- tette”!
–E’ il suo lavoro, se non vado errato.
–Oh, Franz, sei incorreggibile!- esclamò Faith, prima di baciarlo delicatamente sulla bocca. –Ascolta: sei riuscito in un’impresa che io per prima credevo impossibile… farmi riscoprire l’amore- lo zittì posandogli un dito sulla bocca e aggiunse –Taci. Nemmeno tu sei un santo, e nella lotta ai tuoi sentimenti mi hai ferita, quindi non osare giudicarmi. So di aver commesso un terribile errore, un errore di nome Marcus, ma credevo non mi volessi ed ero stufa di aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Sì, hai sentito bene, non avevo intenzione di usarlo per ingelosirti - anche se ammetto che esserci riuscita mi dà molta soddisfazione- il mio scopo era unicamente voltare pagina, ma ho scoperto sulla mia pelle che non sei un capitolo cancellabile dall’oggi al domani. Ora, vorrei capissi che non reggerei un’altra delusione, se mi spezzassi il cuore non di rimarginerebbe più.
–Ti giuro che sono perfettamente consapevole….
–Non lo sei. Fidati- lo interruppe lei, scuotendo la testa. –Dici di provare qualcosa, ma non sai di preciso cosa, né se sarai veramente capace di antepormi al tuo lavoro. Dici di conoscermi, quando in realtà sai poco e niente di me. Non considerarla un’accusa, ma credo sia meglio rallentare, non voglio che un rapporto fisico influenzi la nostra capacità di giudizio.
–Non nego che mi peserà non poter avverare il sogno di soffocare tra le tue tette…- lei lo fissò allibita e Franz arrossì. –Ma tranquilla, farò il bravo.
–Sii serio, cazzarola!- sbottò Faith, coprendosi con un cuscino. –Mi riferisco esattamente a questo: immagini il nostro rapporto come un susseguirsi di situazioni potenzialmente erotiche, senza prendere in considerazione i momenti brutti, quelli in cui saremo intrattabili e ci scanneremo, oppure ci chiuderemo in un rancoroso silenzio, oppure avremo bisogno l’uno dell’altra per qualcosa di diverso dal saltarci addosso su qualunque superficie disponibile. Saresti disposto a starmi accanto, o vuoi soltanto… toglierti uno sfizio?
Franz gettò sul letto il cuscino, le prese le mani, la guardò dritto negli occhi e rispose –Se avessi avuto l’intenzione di portarti a letto e basta questa discussione non sarebbe mai cominciata. Desideri procedere con calma? Andremo a passo di lumaca. Però devi promettermi che non civetterai con Rafa e che, appena tornati a Londra, mollerai il gonfia… cioè, Best.
–Promesso.
–Ora posso baciarti, prima che inizi l’opera di trucco, o mi è negato anche questo piacere?
Faith gli rivolse un sorrisetto sornione, si alzò, estrasse il rossetto dalla trousse, ne stese una generosa passata, dopodiché si avventò sul viso di Weil, che protestò con versacci disgustati mentre si ripuliva con un fazzoletto.
–Un assaggio del guaio in cui ti sei cacciato- cinguettò, facendogli l’occhiolino, prese la borsa e lo precedette fuori dalla camera.

 
***

Hola! Bienvenidos en mi casa!- trillò Rafael, scoccando un’occhiata di apprezzamento a Faith e una maliziosa a Franz, che le cingeva la vita con un braccio. Era diviso tra la gioia di aver convertito il suo amico alla “Rafasofia” e il disappunto per essersi fatto fregare la donna dei suoi sogni. –Sapete, quando vi ho invitati dubitavo sareste venuti.
–Scherzi? Non mi sarei persa la fiesta dell’anno per nulla al mondo!- asserì Faith. –Oltretutto, il capo ci ha ordinato di portarle i dolci recuperati dalla piñata.
Que ignoranza! Questa es una fiesta cubana, la piñata es messicana- sbuffò Rafa, contrariato, salvo poi aggiungere, in tutt’altro tono –Mi sa che devo ripeterti la domanda, amigo: è la tua ragazza?
Franz avvampò e rispose senza esitazioni –Sì.
–In realtà è in prova- precisò la Irving con un sogghigno sadico, simile a quelli che il suo tutor le affibbiava compiti particolarmente gravosi.
–Com’è giusto che sia- confermò Rafael con sussiego. –Una mujer como ti va corteggiata, altrimenti… uno schiocco di dita e troverai un altro spasimante!
Faith scoppiò a ridere, Franz esalò –Non metterle in testa strane idee, per favore. Mi sono quasi liberato del “gonfia-tette”, ci manca solo un altro rivale!
–Non sia mai!- scherzò Rafael. –Guarda, per rimediare ti faccio subito pubblicità. Faith, il qui presente Frans es un hombre de oro: non so se nel frattempo ha cambiato abitudini, ma quando l’ho conosciuto trattava quella tavola da surf con un manico di scopa su por el culo che era la sua ragazza come una regina. La ascoltava, prestava attenzione alle sue esigenze - e ti posso assicurare che quella bruja era più viziata del chihuahua di Paris Hilton - cucinava, lavava… credo stiri, anche, ma solo se gli dai qualcosa in cambio, non so se mi spiego…
–Rafa! Che dici? Non dargli retta!
–Mi hai appena confermato che il tuo amico non mente, lo sai, sì?- replicò Faith. –Continua, Rafa.
–Meglio de no, vorrei arrivare vivo a domani- rispose il padrone di casa, indicando Franz, fumante di rabbia. Prima di fiondarsi ad accogliere altri invitati, esclamò –Bueno. Y ahora, se non hai nulla in contrario, ti ruberei questa chica caliente per un giro di dansa!
–Nessuna obiezione- concesse Franz. –Scatenatevi pure… ma non abbastanza da dimenticarti il nome dell’albergo dove alloggiamo, Faith!
–Tranquillo, amigo, è in buone mani- gli assicurò Rafael, per poi aggiungere, con una strizzata d’occhio –Oh, e Frans? Tu hermano ha veramente un gusto estraordinario!
Faith, per scoprire a cosa si riferiva Rafael, dovette aspettare che cessasse la musica; solo allora, infatti, poté osservare con attenzione Franz e… ridere fino alle lacrime: sotto l’effetto di quale droga si trovava Alexander Weil quando aveva comprato al fratello una t-shirt con l’immagine di un gattino che si vedeva riflesso allo specchio come un leone, e sotto la scritta “self esteem is power”?

 
***

Nonostante i festeggiamenti minacciassero di protrarsi a lungo, Faith e Franz, novelli Cenerentoli, rientrarono in albergo a mezzanotte.
–Non posso credere che tu stia ancora ridendo della mia t-shirt!- sbottò lui. –E’ un regalo di mio fratello, ci tengo!
–Il valore sentimentale non la rende meno ridicola- ribatté lei, soffocando le risatine nella piega del gomito.
–Fossi in te eviterei di sbellicarmi, potrei rinfacciarti la performance leggermente da maniaca sessuale che dominerà i sogni di Rafa almeno fino all’estate.
–Ho agito in buona fede!- si difese Faith. –Ti era caduta della caipirinha sui pantaloni!
–Sul cavallo dei pantaloni- precisò Weil.
–Lì per lì non ci ho pensato, ho solamente preso un tovagliolo e…
–Mi hai palpeggiato.
–Non ti ho palpeggiato! Ho forse la faccia della palpeggiatrice?- sbraitò la Irving, oltraggiata.
–La faccia no… ma le mani sì!- replicò Franz, e Faith, anche se a malincuore, si lasciò contagiare dalle sue risate (dopo avergli dato una serie di dolorosi pizzicotti).
Stavano dirigendosi all’ascensore, quando Herr Huober, palesemente brillo, si alzò dal suo sgabello e gli barcollò incontro, proponendogli di unirsi al “sesso forte” e bere in memoria dei bei vecchi tempi. Era tentato di rifiutare, perché nel gruppo erano inclusi Solomon e Corrigan, ma, su insistenza di Faith, accettò.

 
***

“Ho il bagno tutto per me! E posso anche guardare quel che mi pare alla tv! Quel Huober è stato una manna dal cielo!”
Faith uscì dall’ascensore col sorriso sulle labbra, pregustando attimi di libertà… destinati a non divenire realtà: rannicchiata davanti alla porta della sua camera, infatti, c’era una donna.
Charlotte.
Colta da un improvviso moto di stizza, Faith la strattonò sibilando –Alza il culo e va a fare a rompere le palle da un’altra parte!
Charlotte, però, non si mosse, limitandosi a piangere mentre stringeva le ginocchia al petto, tremante, poi piagnucolò –Aiutami.
Faith sbuffò una risatina di scherno: Charlotte Higgins, la collega bastarda per antonomasia, pretendeva che proprio lei la soccorresse?
“Certo che ne ha di faccia tosta!”, pensò. “Ma se crede che metterò una pietra sopra le cattiverie passate si sbaglia: non esiste un macigno grande a sufficienza da coprirle!”
Charlotte dovette intuire i pensieri che passavano nella mente dell’altra, perché richiamò la sua attenzione ed esalò –Giuro di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno, indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano…
Faith riconobbe all’istante quelle parole: erano tratte dal Giuramento di Ippocrate. Si riscosse immediatamente, sentendosi sporca: come aveva potuto permettere che l’odio offuscasse la sua etica professionale? Charlotte non si era rivolta a Faith, bensì alla dottoressa Irving, perciò, che le piacesse o meno, avrebbe dovuto “prestare la propria opera con diligenza, prudenza e perizia, secondo scienza e coscienza”.
–Appoggiati a me- disse, una volta aperta la porta, la aiutò ad alzarsi e la trascinò sul suo letto, dove Charlotte riprese a tremare e contorcersi. “Deve soffrire molto”, dedusse la Irving. “E scotta, ha la febbre. Non posso misurarla, però. Cazzo!”
–Aiutami- ripeté la (finta) bionda.
–Chiamo immediatamente il 911.
–NO!- ruggì Charlotte, afferrandole il polso.
–E’ per il tuo bene- le assicurò Faith. –In una stanza d’albergo posso fare ben poco, in ospedale si prenderanno cura di te con la competenza e la gentilezza riservata a chi ha i soldi.
–No, ti supplico, non voglio andare in ospedale! Gli americani… fanno tanto i fighi… ma… non sanno una beata minchia di medicina- ansimò la Higgins.
–Almeno su questo concordiamo. Incredibile! E va bene, niente ospedale… finché non avrò formulato una diagnosi di presunzione. Non posso, però, se non mi spieghi cos’hai- asserì freddamente Faith. Se voleva impedire al proprio lato umano di prendere il sopravvento, doveva mantenere un contegno distaccato. –Quando è comparso il dolore?
–Non lo so… avevo un po’ di mal di stomaco a cena…
–Hai vomitato?- chiese Faith, poi, ricevuta una risposta affermativa, soffiò –Immagino non ricordi se era vomito alimentare o biliare.
–Ti sembra fossi in condizione di notare una cazzata del genere?
–Hai ragione. Domanda idiota. Il dolore dove si localizza? Com’è?
Charlotte indicò la parte inferiore del fianco destro e la fossa iliaca destra, e rispose –Qui. Forte.
–Chiariamo un punto: Faith apprezza le battute di spirito - per inciso, non me lo sarei mai aspettata da te- la dottoressa Irving no, e, dato che ti sta visitando lei…
–Cercavo di sdrammatizzare. Dio, che nausea! Se non avessi avuto il ciclo la settimana scorsa, penserei di essere incinta!
–Io, invece, se non sapessi che i romanzi gialli differiscono dalla realtà, penserei che ti hanno avvelenata. La lista dei sospettati sarebbe lunga quanto l’elenco telefonico, credimi- replicò Faith, avvertendo il senso di rivalsa riscaldarle le viscere. –Che tipo di dolore provi?
–All’inizio era una puntina, tipo gastrite, poi è diventato sempre più forte, e adesso… è insopportabile! Non puoi imbottirmi di farmaci?
–Il dolore è un importante elemento semeiologico, modificarlo potrebbe compromettere la diagnosi. Dopo l’esame obiettivo, se lo riterrò opportuno, ti somministrerò del paracetamolo.
Sebbene consapevole dell’eventualità di essere in errore, Faith misurò la frequenza cardiaca e respiratoria della paziente, quindi passò alla palpazione dell’addome (la percussione sarebbe stata inutile, se non dannosa: avrebbe potuto indurre una contrattura da difesa); iniziò dal lato opposto a quello dolente, procedendo gradualmente con tocco lieve, ma deciso. Una volta ultimato l’esame obiettivo dell’addome, che confermò i suoi sospetti, prese il telefono e, ignorando le proteste di Charlotte, chiamò il 911.
–911, qual è l’emergenza?
–Mandate un’ambulanza al Coconut Hotel, a Coconut Grove. Con urgenza: ho qui un addome acuto.

 
***

La tensione era tale che neanche i pezzi rilassanti della ‘Zen Seelction’ dell’i-Pod riuscivano a tranquillizzarla. Poteva quasi sentire i surreni spremersi come arance per immettere in circolo l’adrenalina di cui aveva bisogno per non svenire.
L’ambulanza aveva impiegato pochissimo tempo a raggiungere l’hotel; i problemi erano sorti al Pronto Soccorso, dove si era scontrata prima con un energumeno più simile a un buttafuori che a una guardia giurata, il quale aveva impedito l’accesso a lei e alla barella finchè non aveva strisciato la carta di credito nell’apposito lettore, poi con la megera, ehm, l’infermiera dell’accettazione, che l’aveva trattata da deficiente megalomane finché, violando ogni fibra morale del proprio corpo, Faith non le aveva mostrato l’identificativo, sputando, con aria di superiorità che non le apparteneva –Sì, cara, sono un medico, non una psicopatica, così come la signorina in barella. Se non le fa fare immediatamente un’ecografia, le faccio causa. L’omissione di soccorso è reato pure in questo Paese, spero.
Se aveva imparato qualcosa dalla tv era che gli americani tremavano alla menzione degli avvocati, e l’infermiera del Miami General non fece eccezione: corse a chiamare un chirurgo, mezzo addormentato e palesemente misogino, il quale, dopo aver borbottato commenti volgari sulle donne medico e l’abilità clinica dei patologi, confermò la diagnosi… appendicite.
Charlotte era stata inviata all’intervento, e Faith era rimasta in corridoio ad aspettare, seduta su una scomoda sedia, col viso tra le mani e gli auricolari dell’i-Pod nelle orecchie.
Avvertì la pesantezza tipica di chi ha il cervello affaticato, sul punto di scioperare, ma non fu capace di mettere i neuroni in stand-by. Mille domande le frullavano nella testa: perché Charlotte aveva inizialmente rifiutato di andare in ospedale? Perché si era rivolta a lei? Era fidanzata, in procinto di sposarsi con il suo capo, un medico con molta più esperienza, cosa l’aveva spinta a chiedere il suo intervento? Che Corrigan avesse perso il “naso clinico”? Che avesse sbagliato, liquidando l’appendicite come semplice reazione gastro-intestinale al cambiamento di alimentazione? Non poteva crederci: normalmente l’appendicite era difficilmente diagnosticabile al primo colpo, a causa della varietà della sintomatologia e del gran numero di diagnosi differenziali, ma la sua acerrima nemica presentava un quadro così tipico da risultare lampante.
Intanto che aspettava, venne assalita da un senso di panico, misto a rimorso: Charlotte era la classica collega carogna, l’ape regina cui va sempre tutto dritto, la prima della classe, il capitano delle cheerleaders, quella che pur di mettersi in luce avrebbe ucciso sua madre, quella che faceva dei meriti altrui uno specchio dei propri. Quante volte, anche a parole, aveva desiderato che le capitasse qualcosa di brutto, che restasse vittima di una tragica fatalità? Tante, forse troppe, e, ora che i suoi sembravano essere divenuti realtà, si sentiva triste, vuota… colpevole. Ad accrescere il senso di colpa, una vocina dal subconscio le stava ripetendo che Charlotte lo meritava, che una misera appendicite non era abbastanza…
“Basta! Non ce la faccio più! Basta!”, pensò, affondando le unghie corte e mangiucchiate nel ginocchio; la loro scarsa lunghezza fu comunque sufficiente a lasciare delle unghiature rosso-bluastre, dolorose.
La suoneria del cellulare interruppe il momento deprimente. Faith non fece in tempo a rispondere, che un torrente di chiacchiere la investì.
–Si può sapere che diavolo è successo? Sono salito in camera e non c’eri! Hai idea di quanto mi sono preoccupato? Finché non hai risposto ho temuto fossi… sì, insomma, che avessi avuto un incidente, ma sei viva e cosciente, ed è questo che conta. Dove sei? Stai bene? Vuoi che venga a prenderti?
“L’apprensione e la parlantina le ha decisamente ereditate da Gertrud”.
–Calma, o ti verrà una sincope- rispose Faith, dandosi della stupida per aver dimenticato di avvisare Franz. –Sono in ospedale, al Miami General. Raggiungimi, se puoi.

 
***

–Sei stata brava- soffiò Franz col naso affondato tra i suoi capelli.
Erano a letto, nella loro stanza, abbracciati. Non appena avevano appreso che l’intervento era stato eseguito con successo, avevano ringraziato il chirurgo ed erano rientrati in albergo. Istintivamente Franz, una volta infilati i pigiami, aveva proposto a Faith di dormire insieme; lei non aveva opposto resistenza, anzi, si era subito accoccolata tra le sue braccia, senza però riuscire a prendere sonno.
–Non è stato difficile. Charlotte era una “paziente Harrison”.
–Non sminuirti, Faith- la rimbeccò. –Sei stata brava, punto e basta. Specialmente se si considera che non visiti un paziente da anni.
–A un certo punto stavo per rifiutarmi di farlo, sai?- ammise, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. –L’ha capito, e… mi ha rammentato i miei obblighi. Ho prestato giuramento col cuore, credendo in ogni singola parola, non posso credere che stavo per infrangerlo.
–Guardami- le ordinò lui, facendo leva sul mento per alzarle il capo. –Hai fatto il tuo dovere. Il nostro è un mestiere ingrato: perfino un avvocato - imbecille, aggiungerei- può cacciare un cliente che non gli va a genio, noi no; siamo tenuti a curare chiunque, ma questo non significa che non proviamo emozioni come tutti gli esseri umani. Hai avuto un attimo di esitazione, e allora? L’hai superato e hai agito in scienza e coscienza per il bene di Charlotte; questo fa di te un buon medico. Un altro, nella stessa situazione, probabilmente si sarebbe limitato a chiamare il 911, abbandonandola in ospedale. Tu no.
–Secondo te dovrei andare a trovarla, domani?- gli chiese, titubante.
–Oggi, vorrai dire- ridacchiò Franz. –Sono quasi le quattro!
–Oh, cazzarola, è tardissimo! Spegni la luce, dai, cerchiamo di dormire!
Weil la strinse, la baciò sulla guancia e sussurrò, facendo scivolare lentamente una mano verso le natiche –Con te nel letto, la vedo dura… molto dura…
–Franz!- lo rimproverò Faith, allontanando la mano, lieta che al buio lui non potesse accorgersi del suo sorriso divertito.
–Ok, farò il bravo… forse.
–Mmm.. il mio maschio alfa pieno di testosterone- chiocciò la Irving in tono fintamente tenero. –Metti le mani nel posto sbagliato e domani sapranno tutti che quando hai visto che stavo bene mi hai abbracciata singhiozzando come una femminuccia!
–Sai, Faith, a volte sei veramente una… Charlotte!

 
***

La stanza, di per sé piccola, era rimpicciolita ulteriormente dall’ingombrante presenza di un donnone gioviale ed espansivo, bersaglio della lingua biforcuta di Charlotte, la quale, oltre alla salute, aveva recuperato il consueto atteggiamento sprezzante, tanto che accolse Faith con un acido –Questi jeans ti ingrassano terribilmente, sai?
–Dovrei offendermi, ma sono contenta di ritrovare la solita Charlotte. Si sentiva la tua mancanza al congresso, stamani- rispose, per poi infilare in un vaso i fiori che le aveva portato.
–Fiori finti?- sbottò la Higgins. –A me?
–Sarai pure bella, ma non vale la pena di uccidere vegetali innocenti per te- replicò la Irving con una smorfia, pensando “Maledizione a me e alla mia coscienza! Perché mi sono presa questo disturbo?”
–Mi sento molto meglio, ma gli adorabili colleghi preferiscono tenermi in osservazione- sospirò l’altra stiracchiandosi. –Osservazione approfondita, se capisci cosa intendo… tre ci hanno provato!
–Ma non mi dire- sibilò Faith, dandole le spalle. Non sopportava la vista di Charlotte, che, persino nel camicione dell’ospedale, era splendida e sontuosa come una cattedrale barocca. Una cattedrale, ecco il paragone perfetto per descrivere come la approcciava l’altro sesso: ingresso, più o meno breve visita, e uscita. Fine. –Il tuo caro Corry non è geloso? Se avessi metà della tua bellezza e il mio uomo non fosse geloso, mi offenderei!
–Corry è abbastanza sicuro di sé da non aver bisogno di soffocarmi- replicò Charlotte con forzata allegria.
Faith, che fiutava una bugia come un cane da caccia la selvaggina, tra una tattica morbida e un approccio diretto scelse il secondo. Si girò e le pose una domanda a dir poco impertinente.
–Capisco il non volerti soffocare e i tanti impegni, ma se il mio uomo non solo non si facesse vivo, ma neppure mandasse qualche regalino mentre sono in un letto d’ospedale, mi offenderei. Tu no?
–Noto che hai conservato l’abitudine di giocare alla detective- ribatté la Higgins, fulminandola con lo sguardo. –Vuoi la verità? Da quando te ne sei andata la mia carriera è crollata, e la mia vita… fa schifo! Sono venuta da te perché so quanto vali e… per evitare Corry. Al lavoro mi sbologna le stronzate, e mi ha piantata per una stupida neo-laureata! Il presunto anello di fidanzamento, in realtà, è un ricordo di mia nonna. Avanti, ridi.
–Non rido delle disgrazie altrui, lascio a te questo piacere- sibilò Faith, gelida. In tutta onestà, avrebbe voluto pronunciare una brillante battuta sul karma, ma la razionalità aveva prevalso, convincendola che mostrarsi superiore le avrebbe dato più soddisfazione.
–Non fare la santarellina, Irving, sai benissimo che, se non ti avessi supplicata, mi avresti lasciata in corridoio a soffrire!
–Prima di sputare sentenze, chiediti: al mio posto, cosa avresti fatto?- soffiò Faith, per poi girare sui tacchi e andarsene. Sul ciglio della porta, però, la voce di Charlotte la fermò. –Hai detto qualcosa, Higgins? Vuoi che chiami un infermiere?
–Ho detto grazie- abbaiò l’altra. –Hai sentito? Bene, perché non lo ripeterò.
–Tranquilla, non ti darò motivo di farlo- concluse la Irving, prima di lasciare definitivamente la stanza.

 
***

–Allora, come…?
–E’ di nuovo la stronza che ho imparato a detestare- rispose Faith prima che Franz avesse finito di parlare.
–Volevo sapere come stai tu.
Faith lo abbracciò di slancio, dondolandosi sul posto come una bambina, poi sospirò –Alla grande. Mi sento… leggera!
–Avete chiarito, quindi?
–Non proprio. Io ho chiuso il capitolo, e lo archivierò appena atterreremo a Londra. Lei… no; il fatto che l’abbia visitata e abbia indovinato la diagnosi, semmai, ha accresciuto l’avversione nei miei confronti.
–Lo credo bene: chi vorrebbe essere in debito con qualcuno che odia?- esclamò Franz, scostandole una ciocca bruna dal viso. –La tua buona azione quotidiana ti è valsa un premio. Chiedi, e ti sarà dato.
–Stai prendendo seriamente questa storia del corteggiamento. Ottimo!- trillò Faith, entusiasta. –Voglio andare in quella gelateria di Coral Gables che ci ha consigliato Rafa, e poi al Parco delle Everglades.
Franz strofinò il naso contro quello di Faith, un delizioso nasino all’insù, e le baciò le guance paffute e la bocca carnosa, prima di acconsentire alla richiesta.
–Gelato e alligatori, eh? Questa combinazione me gusta!

Nota autrice:
Hola! Mi siento un po’ cubana anche io, dopo questo capitolo! Peccato non avere qui Rafa che mi prepara un cocktail rinfrescante e Franz che mi fa aria con un enorme ventaglio mentre mangio le delizie di Melanie, sarebbe il massimo! ;-)
A proposito di Rafa… bruja, in spagnolo, è la Befana, o megera, a seconda dei casi. Comunque, non è un complimento.
E’ stato facile scrivere la parte del malore di Charlotte, eppure difficile: destreggiarsi tra linguaggio comune e medichese non è stato semplice, ho scritto e riscritto la seconda metà del capitolo forse dieci volte, spero che il risultato sia almeno decente.
Spiegazione di eventuali punti oscuri: la visita medica standard si compone di anamnesi (il colloquio col paziente) ed esame obiettivo, a sua volta diviso (non necessariamente in quest’ordine) in ispezione, palpazione, percussione e auscultazione. L’addome acuto è un insieme di patologie (non soltanto l’appendicite) che provocano un dolore acuto e intenso all’addome, e possono mettere in pericolo la vita (pensate a un infarto intestinale). Il “paziente Harrison” è il sogno di ogni medico; l’Harrison è la Bibbia della medicina, ma, purtroppo, non sempre i quadri clinici che vi sono descritti vengono riscontrati nella pratica: il paziente Harrison è quello che sembra uscito dalle pagine del libro, il paziente da manuale.
Lasciando perdere Charlotte, siete contenti della piega che ha preso la Faith/Franz? Don’t worry, non diventeranno improvvisamente dei romanticoni, ma almeno hanno capito che è inutile continuare a negare i loro sentimenti. Durerà? Chi lo sa! ;-)
Au revoir!
Serpentina
Ps: muchas gracias ai lettori silenziosi, a Bijouttina, Calliope Austen, elev e Faith00, che mi lasciano sempre una recensione, e a fidiven_, che segue la storia.
Per i facebookari, ecco il link al mio profilo: http://www.facebook.com/?_rdr#!/francy.iann
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** A magic first date ***


Welcome back! Scusate la lunga assenza, ma quando stacco la spina tronco ogni rapporto con la tecnologia, compreso il computer. Comunque, eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo che farà la gioia delle fan dei fratelli Weil… sì, c’è anche Alex!
Prima di lasciarvi alla lettura, millemila grazie ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, elev e Faith00 per le recensioni, a Erica_Writer, madewithasmile, roncatella, StellaC e SugarKane, che seguono la storia, e a Marty_0202 e francesca01, che la preferiscono. *lancia caramelle*

 



A magic first date




“Le sciocchezze smettono di essere tali se compiute da persone di giudizio.”
Jane Austen, Emma

Astrid Eriksson, oltre ad essere una donna perspicace, era la discrezione personificata: negli ultimi due giorni di congresso si era accorta delle occhiate di fuoco e dei sorrisetti maliziosi che si scambiavano i suoi due pupilli, ma aveva deciso di fare la finta tonta e non immischiarsi, limitandosi a comunicare al suo fidato vice, il dottor King, la buona riuscita del piano.
“Quell’uomo ne sa una più del diavolo”, pensava, osservando divertita Franz e Faith che si punzecchiavano come di consueto al duty-free dell’aeroporto, ma con un linguaggio del corpo inequivocabile e una luce diversa nello sguardo; conosceva bene quella luce, era tipica degli innamorati. Avrebbe dato qualunque cosa per poterla recuperare, anche solo per un istante. Sven si era dimostrato un piacevole imprevisto, ma non era il suo tipo, senza contare che un uomo dell’età di suo figlio l’avrebbe fatta sentire vecchia.
Anche Faith era dotata di un acuto spirito di osservazione, difatti notò la lieve nota di tristezza nell’espressione del primario, e si affrettò a informare Franz.
–Guarda, ha gli angoli della bocca leggermente piegati verso il basso e le palpebre semichiuse. Secondo te cos’ha?
–Boh- rispose lui, facendo sfoggio della tipica cecità maschile ai dettagli. –Forse sonno.
–Non capisci proprio niente!- lo rimbeccò lei, roteando gli occhi. –E’ triste! E dobbiamo scoprire perché!
Dobbiamo?- esalò Franz, preoccupato dalle implicazioni poste dall’uso della prima persona plurale.
–Dobbiamo- ripeté Faith, agitando un pugno con aria imperiosa. Giulio Cesare che passava il Rubicone le faceva un baffo, quanto a determinazione. –Ti ha assunto, Franz, schiudendoti una brillante carriera, a me ha offerto la salvezza da Solomon. Le dimostreremo la nostra riconoscenza restituendole il sorriso.
–Hai ragione- annuì, convinto. –Se lo merita. Però non ho idea di cosa possa averla rattristata o preoccupata… il figlio?
–Non credo, da quando il padre ha divorziato dall’amante, poi seconda moglie, si è riavvicinato alla madre.
–Ah, sì?- chiese, stupito. Era stata sua insegnante, adesso era il suo capo, e non sapeva nulla della sua vita privata, a parte che aveva un figlio idiota. Bella figura di merda! –Beh, allora… l’ex marito?
–E’ sempre il primo sospettato e spesso il colpevole - motivo in più per non sposarsi, tra parentesi- ma in questo caso lo assolverei- asserì la Irving.
–Perché?- ribatté Weil. –Hai appena detto che sta divorziando per la seconda volta… forse vuole tornare sui suoi passi e la proffa non sa se dargli o meno una seconda possibilità.
–Dopo quello che le ha fatto l’unica cosa che il Grande Capo dovrebbe dargli è un calcio nelle palle da spedirlo su Plutone, anche se non è più un pianeta- soffiò. –Sarebbe una stupida a riprendersi merce avariata.
Merce avariata? Non sei un po’ dura? Voglio dire, ha commesso un errore…
–Un errore?- sibilò Faith, irrigidendosi. –Dimenticare gli occhiali a casa è un errore, tentare di aprire l’armadietto con la chiave sbagliata è un errore, mandare un messaggio idiota a uno sconosciuto perché hai digitato male il numero del destinatario è un errore. Tradire non è un errore. I vostri gingilli penzolanti, per quanto dotati di una certa indipendenza, non vanno a spasso da soli e non si infilano in buchi a caso senza il consenso del proprietario!
–Sono pienamente d’accordo, ma da come ne parli sembra che vorresti punirlo con la castrazione!
–Hai mai tradito, Franz?- gli chiese Faith, nei suoi occhi un misto di timore e speranza.
–No- rispose senza esitazione. –Credo nel dialogo e ho il coraggio di troncare un rapporto che non funziona.
–Sei mai stato tradito?- incalzò la Irving, con una strana smorfia.
–Spero di no!- esclamò lui ridacchiando.
–Lo spero anch’io per te- rispose Faith, tremendamente seria, e si allontanò.
In quel momento Franz si rese conto che essere un “fidanzato in prova” si sarebbe rivelato un’impresa più ardua del previsto.

 
***

Sapeva che ignorandolo sarebbe passata dalla parte del torto, ma questo non la fece desistere: non gli rivolse la parola per tutto il viaggio in aereo, girandosi verso il finestrino quando accennava a voler aprire bocca. A costo di passare per stronza, avrebbe seguito l’istinto di farlo penare, stare sulla graticola gli avrebbe fatto bene.
Dal canto suo, Weil aveva intuito di averla fatta arrabbiare, ma non ne capiva il motivo; non aveva detto niente di male, l’aveva contraddetta, non offesa…
“Valla a capire!”, pensò, sorseggiando della Coca-Cola, una fonte di caffeina più appetibile della brodaglia che gli americani spacciavano per caffè. “Il bello, poi, è che ha la capacità di farmi sentire in colpa senza sapere perché… ma se crede che le chiederò scusa, casca male! Sono un uomo, io, non un cagnolino da mettere al guinzaglio! Se vuole chiarire, dovrà fare lei il primo passo!”
Una volta atterrati a Londra, recuperate le valigie, Faith salutò educatamente Astrid e Franz e si sedette su una panchina in attesa di Marcus. Dato che aveva concordato con suo fratello di incontrarsi nello stesso punto, Franz si sedette accanto a lei, fissandola insistentemente mentre borbottava sommessamente e armeggiava col cellulare.
–Non è raggiungibile?
–Non risponde- ringhiò Faith, seccata, aggiustandosi la sciarpa; a differenza di Miami, a Londra si sentiva che era febbraio.
–Forse è impegnato- concesse lui, sforzandosi di mantenere un tono neutro.
–E’ stato lui a insistere per venirmi a prendere, altrimenti sarei già in metropolitana!- sbraitò la Irving, infervorandosi. In quel momento, a conferma del detto “parli del diavolo e spuntano le corna”, il telefono squillò. Faith rispose col sorriso sulle labbra, poi mutò espressione, assumendone una da far gelare il sangue. Dopo aver annuito e sibilato vari “Capisco”, chiuse la conversazione con un freddo –Dica al dottor Best che lo ringrazio dell’offerta, ma stasera sono impegnata. Arrivederci.
–Dottor Best? Non è un tantinello formale per uno con cui vai a letto?- le fece notare Franz, guadagnandosi un’occhiataccia.
–Uno: chi ti dice che ci sono andata a letto? Due: quel… mollusco, quella… ameba ha osato farmi chiamare dalla sua segretaria per comunicarmi che ha un intervento in corso, per cui non può venire a raccattarmi, ma può mandarmi un taxi, se voglio! Un taxi!
–Non capisco quale sia il problema- osservò Franz, stringendosi nel cappotto. –Tanto devi mollarlo. O hai cambiato idea?
–Non ho cambiato idea, ma detesto chi non mantiene le promesse- asserì Faith, risentita. –Bell’opinione hai di me, comunque, se pensi che cambi idea con la stessa frequenza con cui mi cambio le mutande!
–Non intendevo questo- esalò Franz, pensando subito a un modo per sfruttare a suo vantaggio il “bidone” di Best. –E non intendevo mancarti di rispetto, prima. Non so cosa ho detto che ti ha fatta alterare, ma so che è colpa mia, quindi… scusa.
–Sono io a doverti delle scuse- pigolò Faith, intenerita nel vederlo sinceramente dispiaciuto. –Sono troppo permalosa. Se penso al tempo che ho sprecato a mandarti mentalmente a fanculo, invece di baciarti…
Weil non se lo fece ripetere due volte: si fiondò sulle sue labbra e, nelle pause tra un bacio e l’altro, disse –Possiamo recuperare adesso…
–Mmm… grazie di non esserti presentato, Marcus- sussurrò scherzosamente Faith, mentre Franz lasciava una scia di baci delicati lungo la linea della mandibola fino al lobo dell’orecchio.
Il rumore di un clacson li destò da quel meraviglioso sogno ad occhi aperti. I due sobbalzarono, imbarazzati e sorpresi, suscitando l’ilarità del guidatore, che esclamò –Piano, piccioncini, ci sono dei minorenni qui!
Franz strinse i pugni e replicò –Ti sto odiando profondamente, Xandi, sappilo!
–Se l’odio potesse uccidere sarei un miracolo della medicina: mi odi profondamente almeno una volta al giorno!- rispose Alexander Weil, la strafottenza fatta persona, per poi scendere dall’automobile e aiutare Franz a caricare i bagagli. –Hai chi ti porta a casa, Faith?
–La metropolitana.
–Ma quale metropolitana e metropolitana!- sbottò Alexander. –Vieni con noi!
–Faith viene con noi? Che bello!- trillò Hans dall’abitacolo.
–Non posso crederci!- sbraitò Franz, dandosi una manata sulla faccia. –Perché cavolo te li sei portati dietro?
–Perché Serle è stata chiamata d’urgenza e questi demonietti non volevano saperne di aspettarti a casa.
Hans annuì e chiese, dimostrandosi materialista come lo zio –Mi hai portato un regalo grande, vero? Fa niente se non l’hai preso a Wilhelm, lui ha solo un anno, ma a me devi averlo preso!
–Ho comprato due regali giganteschi- rispose Franz, mimando con le mani l’enormità dei regali. –Uno per Wilhelm, e uno per te.
–Ah, sì? E com’è?
–Fichissimo!- gli assicurò Faith, che aveva deciso, dopo molte insistenze, di accettare il passaggio. –Niente robetta da mocciosi, garantisco io.
Hans si dimenò in una sorta di danza della gioia, poi, appena valigia e borsone della Irving ebbero preso posto nel bagagliaio si sporse ad abbracciarla e disse –Faith vicino a me!
Franz, tra il divertito e lo sconcertato, prese posto sul sedile anteriore, e sbuffò, fingendosi offeso –Ma come? Preferisci lei allo zio?
Hans arrossì e si rimise a sedere composto, ma Faith, che godeva nel punzecchiare Franz, lo agguantò e gli schioccò un bacio sulla guancia, cinguettando –Sono io che preferisco tuo nipote a te. E’ così adorabile!
Il bambino, compiaciuto, assunse un’aria di superiorità ed esclamò –Ti ho fregato, zio!
Alexander ridacchiò, quindi si girò verso il figlio e gli diede il cinque asserendo –Questo è lo spirito giusto!
Imbronciato, Franz incrociò le braccia e sbuffò –Vi siete coalizzati contro di me. Bravi. Vorrà dire che i regali fichissimi resteranno in valigia.
–Hai portato un regalino anche a me?- esalò Alexander, illuminandosi (forse sua moglie non aveva torto nell’affermare che essere sposata con lui equivaleva ad avere tre figli e nessun marito). –Questo cambia tutto! Grazie, grazie, grazie! Posso darti un bacio?
–Preferisco quelli di Faith, ma… fa pure- rispose il fratello, pentendosene nel momento in cui venne investito dalle travolgenti manifestazioni d’affetto di Xandi.
–Ecco, a questo proposito… com’è successo?- domandò Alexander, aggrottando le sopracciglia. –Botta in testa? Minacce? Droghe? Ipnosi?
–C-Cosa?
–Come ti ha convinta?- riprese il maggiore dei fratelli Weil. –E’ impossibile che una donna sana di mente voglia stare con Franz, perciò illuminami… come ha fatto?
Franz, indignato, espresse il suo disappunto per l’uscita infelice di Alexander e le risate incontrollabili di Faith e Hans (Wilhelm era abbastanza piccolo da preferire un giochino alle chiacchiere degli adulti). La Irving si sbellicò, prima di ritrovare il fiato per rispondere –Dai, Alex - posso chiamarti Alex, vero?- sai che non si può resistere al fascino tormentato del qui presente Franz. Quale donna non sogna al suo fianco un uomo apparentemente freddo e scostante, che le dimostra il proprio affetto subissandola di parole oltraggiose?
–E quale uomo non sogna una donna apparentemente bisbetica che lo contraddice in continuazione?- replicò l’interessato con un sorrisetto. Cogliere le occasioni al volo era la sua specialità, e questa era ghiottissima. –Infatti… stavo giusto pensando di chiedere a questa apparentemente insopportabile creatura se vuole uscire con me.
Faith trattenne a stento un sorriso, si rivolse al bambino alla sua sinistra e gli chiese –Che dici, Hans, tuo zio merita una possibilità?
–Ma sì, dai- asserì lui scrollando le spalle. –Anche perché io sono troppo piccolo!

 
***

I colleghi di Faith e Franz, Grande Capo in testa, rimasero parecchio delusi nel constatare che le rose che tanto avevano sperato di veder fiorire erano rimaste boccioli: i due, a parte essere un po’ più gentili l’uno verso l’altra, si comportavano esattamente come prima, con tanto di battibecchi e competizioni serrate per stabilire chi, a dispetto dell’anzianità, fosse il migliore patologo. Quello che la congregazione di pettegoli nota come Dipartimento di Patologia ‘A. Reid’ non sapeva era che, non appena lontani da sguardi e orecchie indiscrete, Faith e Franz si abbandonavano a effusioni tutt’altro che caste. Se solo il deposito dei coloranti avesse avuto il dono della parola…
Il “bello” è che, tecnicamente, lei stava ancora con Marcus: si era recata diverse volte al suo studio per parlargli, ma non l’aveva mai trovato. Logorata dall’incertezza e dalla frustrazione - Franz aveva deciso che non sarebbero usciti insieme finché non lo avesse mollato- si sentì miracolata quando il dottor Best si presentò a casa sua, interrompendo il rito del venerdì sera, suscitando quindi l’avversione degli amici di Faith e, soprattutto, di Agatha, che rizzò il pelo e gli soffiò contro, impedendogli di sedersi sul divano, obbligandolo a prendere posto su una scomodissima poltrona di design ( regalo di Bridget).
Una volta accomodatosi in cucina, Marcus si passò una mano tra i capelli (chiaro sintomo di nervosismo) e disse –Faith, ho molto di cui scusarmi…
–Comincia da quando mi hai bidonata all’aeroporto- sibilò lei, calcando volutamente la mano: desiderava che si lasciassero senza rimpianti e, pensava, mostrarsi scontrosa avrebbe aiutato in tal senso.
–Ti ho avvertita!- si difese lui, alzandosi in piedi. –Non hai ricevuto la telefonata della mia segretaria? Ero in sala operatoria, non a ballare!
–Te lo concedo. E il resto?
–Quale resto?
–Hai appena detto di avere molto per cui scusarti. Capisco che voi “taglia e cuci” parlate col bisturi, ma credevo aveste consapevolezza di cosa esce dalla vostra bocca.
–Sì, cioè, no, cioè… Faith, ti giuro che non è successo niente di male, però… spero non la considererai una mancanza di rispetto…
–Taglia corto- sbuffò la Irving, supportata da Agatha, che agitò la coda in segno di avvertimento.
–Beh, ecco, ricordi cosa dissi la sera della cena con la tua amica? Quella in cui mandasti a quel paese il mio amico Gavin e te ne andasti? Ecco, è successo esattamente questo.
–Hai insultato Gavin anche tu? Era ora!
–Ehm… no. Solo che - e spero non te la prenderai- ecco… mentre ci, ehm, frequentavamo, ho… continuato a, uhm… uscire con le mie pazienti. Niente di che, eh, semplici cene, niente dopo, lo giuro,, e soltanto per non perdere le mie fedelissime, ma… ci tenevo a dirtelo, ecco, perché mi ha fatto capire che io e te…
–Ti ringrazio della sincerità, Marcus- asserì Faith, voltandosi verso la libreria, poi nuovamente verso Best, nervoso come non mai, che le rivolse un mezzo sorriso accattivante. –Le tue parole mi hanno liberato dall’onere di soppesare le mie. Non sono arrabbiata con te, e sai perché? Perché ho scoperto che non mi importa. Potrei mentire, potrei usare questa mancanza di riguardo nei miei confronti come pretesto per darti il benservito, magari condendo la scenetta patetica con un mare di lacrime - tanto per aggiungere un tocco di melodramma- ma non sono il genere di donna che di diverte a prendere in giro un uomo… diciamo perbene- concluse storcendo il naso.
–Non capisco.
–Te lo spiego, caro: ho lottato invano contro l’evidenza. Sin dal primo momento che ti ho visto l’intuito mi ha suggerito ciò che i fatti hanno dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio, ossia che il tuo egocentrismo, la tua smania di protagonismo e la tua incredibile faccia tosta ti rendono l’ultimo uomo sulla Terra con cui potrei mai stare!
–Ancora non capisco…
–Ti sto mollando! Chiaro il concetto?
Marcus rimase a bocca aperta, rigido come uno stoccafisso per più di un minuto, quindi, incassato il colpo (aveva segretamente sperato di essere lui a lasciare Faith), se ne andò senza una parola.
Faith si accasciò sul divano accanto a Diane, emise un sospiro di sollievo ed esalò, dopo un lungo sorso di birra –Almeno questa è fatta!

 
***

Alexander era un idealista, non un illuso, e sapeva - perché suo fratello, non a caso da lui ribattezzato “Erode junior”, glielo ripeteva in continuazione- quanto i figli modificassero irrimediabilmente la vita di una coppia, arricchendola, sì, ma anche sottraendole momenti di svago la cui mancanza, a volte, portava alla fine del rapporto. Eppure, nonostante i funesti presagi di Franz, Alexander non avrebbe saputo immaginare la propria quotidianità senza quelle piccole pesti.
–C’è troppo silenzio. Cosa sta architettando Hans?- chiese con voce pastosa Serle, girandosi sul fianco per dargli il bacio del buongiorno.
–Niente. Dorme. I regali dello zio li hanno sovreccitati, sono crollati appena hanno toccato il materasso.
–Alex, stai dicendo che… abbiamo del tempo tutto per noi?- sussurrò Serle, avvinghiandosi koalescamente al marito. –E’ un miracolo!
Carpemus opportunitatem, bella bionda!- rispose Alexander, attirò a sé la sua dolce metà e prese a baciarla con tutta la foga possibile, dato il parziale intontimento del risveglio. Si tolse la t-shirt dei Clash con cui dormiva d’inverno, spogliò Serle del pezzo di sopra del pigiama e riprese a ricoprirla di baci, mormorando, tra un bacio e l’altro –Ora ricordo perché ti ho sposata!
–Alex- esalò lei poco dopo, cercando di scostarlo. –Alex, il telefono!
–Al diavolo il telefono, tu sei più importante- rispose lui, la privò dell’intimo e si premurò di coprirli col lenzuolo; Hans aveva il vizio di entrare senza bussare, perciò meglio evitare di rendere una eventuale situazione imbarazzante ancora più imbarazzante.
Si vide, però, costretto a sospendere la piacevole “ginnastica” mattutina quando attaccò la segreteria, e la voce di Franz ululò –Fratello degenere! Io ho bisogno di aiuto e tu non rispondi per fare porcherie con tua moglie! E non provare a negare, ti conosco troppo bene! Ti chiamerò incessantemente finché non..
–Ecco, ho risposto! Contento?- ruggì Alexander, con le risatine di Serle in sottofondo. –Si può sapere che vuoi?
–Oh, Xandi, mia unica salvezza… ho bisogno di un posto per lo spettacolo di stasera.
–Sicuro! E magari vuoi pure che ti procuri un invito per un tè con la regina! Per chi mi hai preso, mago Merlino? E’ tutto esaurito, ergo… niente posti. Semplice, no?
–Xandi, porca miseria, non prendermi in giro! Sono nel panico: esco con Faith, stasera, e voglio sorprenderla!
–Aha! Panico da primo appuntamento!- esclamò Alexander. –Rilassati, fratellino, sono sicuro che Faith è di gusti semplici, con pizza e cinema te la cavi.
–Non mi accontento di cavarmela!- sbottò Franz. –Voglio stupirla, voglio…
–Che te la dia? Non ti sapevo tanto materialista. Mi deludi- concluse per lui Alexander, per poi uggiolare di dolore, colpito da una gomitata della moglie, che gli mise davanti agli occhi il biglietto in suo possesso. –Ok, la smetto di deriderti e pongo fine alle tue sofferenze: Serle ha rinunciato al suo, tanto, sta dicendo, ormai ha visto abbastanza. A posto così?
–Oh, sì, sì. Ringraziala di cuore da parte mia, mi sdebiterò appena possibile! E vergognati, mia cognata mi vuole più bene di te!

 
***

Faith adorava le sorprese, l’aspettativa e l’adrenalina che le davano l’ignoto e il mettersi nelle mani di un’altra persona. Franz non le aveva fornito istruzioni su come vestirsi, a parte un laconico “normale”, aggettivo abusato e dai molteplici significati. La Irving, con la collaborazione di Abigail, Bridget e Agatha, aveva interpretato quel “normale” come “comoda, ma con gusto”: scartati un’infinità di gonne e vestiti (proposti, manco a dirlo, da Abigail), aveva optato, in barba al freddo, per un semplice paio di leggins, scarpe col tacco per un tocco elegante e un vivace mini-kimono rosso a fiori, teoricamente della sua taglia, ma che in realtà (come non aveva mancato di osservare Abigail) le copriva a malapena il sedere.
–In compenso mette in mostra il davanzale- asserì Bridget, scrutandola con precisione certosina alla fine della lunga preparazione. –Se non dovesse sbavare entro la fine della serata, preoccupati.
–B, il punto è proprio questo: non deve sbavarle dietro, deve corteggiarla!- obiettò Mrs. Cartridge, scuotendo il capo. –Non vai bene, F, comunichi troppa disponibilità! Non stai cercando una botta e via, sei una donna al primo appuntamento con qualcuno che ti piace e che vuoi conoscere meglio. Conciata così al massimo scoprirai se è capace di slacciare il reggiseno con una mano sola.
–Ne è capace- rispose Faith senza riflettere, poi si coprì la bocca con le mani e arrossì furiosamente.
Le altre due, invece, impallidirono, strabuzzarono gli occhi e strillarono –Oh. Mio. Dio. L’avete fatto! Quando? Dove? Come? Perché?
–Non l’abbiamo fatto!- gridò Faith di rimando. –Diciamo che… ecco… a Miami ci siamo fatti un po’, ehm, prendere la mano, ma non è successo niente!
–E niente succederà per un bel pezzo- sentenziò Bridget con sussiego. –Ho letto su ‘Vanity Fair’ che, secondo una recente ricerca, una coppia per durare dovrebbe rimanere in astinenza per sei mesi, in modo che le endorfine non offuschino i centri cerebrali del pensiero critico. Nel tuo caso, se si considera come inizio quando l’hai baciato prima di Natale, dovreste trattenervi fino a… giugno.
Faith, superato l’iniziale sbigottimento, rivolta una smorfia ironica ad Abby, che ancora boccheggiava come un pesce rosso, replicò –Giugno? Tu sei fuori di testa!
–So che può sembrarti assurdo, ma se ci pensi B non ha sparato una cavolata enorme come al solito- intervenne Abigail, che aveva recuperato l’uso della parola. –Con Kyle hai prima fatto sesso, poi tentato di essere una coppia, e guarda com’è andata a finire, o meglio, dove sei andata a finire… dritta dritta tra le braccia di Cyril, che non mi pare ti abbia trattata benissimo. O sbaglio?
–Beh, no, ma… giugno!- pigolò Faith. –Siamo a febbraio, è praticamente impossibile che resista altri tre mesi senza farlo, Franz è così… Franz!
–Posso darti qualche consiglio, se vuoi: ho resistito a Ben per anni!- si offrì gentilmente Abigail.
Bridget sbuffò una risatina perfida e ribatté –Sì, certo, così alla povera Faith si tapperà il buco! F, te lo dico da amica: anche io ho passato dei periodi di carestia, e posso assicurarti che la necessità aguzza l’ingegno; troverai dei metodi alternativi per divertirvi insieme, qualcosa che non sia docce fredde e fumetti per bambini.
–I manga non sono per bambini!
Faith, sforzandosi di ignorarle, approfittò del battibecco tra le sue migliori amiche per cambiarsi, e sostituire i leggins con dei jeans e il kimono con una maglia accollata, ma semi-trasparente.
–Mi spiace dover porre fine a questo match di boxe verbale, ma devo andare a raccattare il mio bel mezzo tedesco.
–Che cosa? Vai tu da lui?- esclamarono in coro Abigail e Bridget, entrambe esterrefatte.
–Siamo nel ventunesimo secolo, ragazze, aggiornatevi- ridacchiò Faith, prima di chiudere a chiave la porta di casa. –Il galateo moderno prevede che chi ha la patente scarrozzi chi non ce l’ha, a prescindere dal sesso. E poi sono un’ottima guidatrice, alla faccia del detto “donna al volante, pericolo costante”!

 
***

–Complimenti per la scelta, Franz. Molto originale. Non ho mai assistito a uno spettacolo di magia dal vivo!
–Mai? Ho fatto centro, allora!- trillò Weil compiaciuto.
–Oltretutto ho sentito un sacco di commenti positivi su Lord Xandor. Si dice sia abilissimo, sebbene i suoi spettacoli siano un tantino, ehm, macabri, ma a me non dispiace, anzi!
–Buono a sapersi, perché ha l’abitudine di coinvolgere il pubblico nei numeri, e alcuni sono, beh, un po’ inquietanti.
In quel momento le luci si spensero, si accesero i riflettori sul palcoscenico e Lord Xandor apparve in una nuvola di fumo viola, coperto dalla testa ai piedi dal costume di scena.
Faith soffocò le risate nella mano: sembrava il Dracula di Stoker!
Le risate cessarono quando, per il numero di chiusura, Lord Xandor annunciò che si sarebbe avvalso dell’aiuto del pubblico.
–Tu!- tuonò, indicandola. –Sì, tu, bella bruna. Vieni.
La Irving si alzò tremante e raggiunse il mago, che chiese al pubblico di incoraggiarla con un applauso e la chiamò per nome.
–C-Come s-sa il mio nome?
–Ci crederesti se ti dicessi che l’ho visto con l’occhio della mente?- rispose con la voce camuffata da un trasformatore. –No, non rispondermi. Ho sentito il tuo fidanzato chiamarti Faith. Ora, Faith, vedi quella bottiglia? Spaccala!- lei obbedì e il mago annuì in segno di approvazione. Prese i cocci e li coprì con un sacchetto di carta, fece lo stesso con due cuscinetti in gommapiuma della stessa dimensione, li mescolò e ordinò a Faith di fare altrettanto.
–D-Devo indovinare dov’è la bottiglia rotta?- domandò Faith, sollevata: rispetto ai numeri precedenti, tutti lamette, sangue, fuoco, questo era una bazzecola! “Forse si rammollisce sul finale”, pensò.
–In un certo senso- sibilò Lord Xandor. Se non avesse avuto il volto coperto, lo si sarebbe visto sogghignare. –Dammi la mano, da brava. Bene, e adesso… dov’è la gommapiuma?
–Qui- rispose lei senza esitare, salvo poi pentirsene quando il mago, stringendole il polso, tentò di schiaffare la mano sul sacchetto. Faith, ovviamente, oppose resistenza, ma lui non volle sentire ragioni, e ridacchiò –Di cosa hai paura? Se hai indovinato, non ti farai nulla!
–E s-se avessi sbagliato?- squittì Faith, ma, con sua enorme sorpresa, scoprì che aveva visto giusto; giocherellò con la gommapiuma mentre si godeva l’applauso del pubblico, e il sorriso radioso di Franz, prima che il mago le imponesse di scegliere una seconda volta.
“Oh, merda, ho il cinquanta per cento di probabilità di finire al Pronto Soccorso con la mano rotta! Cazzo, cazzo, cazzo, perché capitano tutte a me?”
–So cosa stai pensando. Vedi il bicchiere mezzo vuoto, come tutti. Perché, invece, non ti concentri sul cinquanta per cento di probabilità di colpire il sacchetto giusto?

 
***

–E’ stato emozionante, non è vero?- esclamò Franz, saltellando sul posto come un bambino. Lo spettacolo era terminato, ed erano in fila per ottenere un autografo di Lord Xandor.
–Traumatizzante, piuttosto- sibilò Faith a denti stretti: non avrebbe dimenticato facilmente quella sera. –Dopo quello che mi ha fatto passare, pretendo l’autografo con dedica e una foto!
Franz assunse una strana espressione, ma lei non vi badò, perché l’assistente del mago (una simpatica signora sulla sessantina, al posto delle classiche ragazze semi-svestite) li invitò ad entrare, salutando Franz con particolare entusiasmo, come se già lo conoscesse.
–Mi hai scoperto. Sono un fan sfegatato- si giustificò.
–Oh, Franz, sai fare tante cose, ma mentire non è tra queste- rispose Faith, prima di avvinghiarsi al mago per una foto ricordo.
–Ehi, ehi, ehi! Piano con le mani!
–Oh, andiamo, Franz, non sarai geloso!- ridacchiò la Irving.
–Non di lui- le assicurò. –Sono decisamente più sexy.
–Non è affatto vero!- abbaiò il mago, togliendosi la maschera.
Franz allargò il ghigno, Faith rimase a bocca aperta: Lord Xandor era…
–Alexander? Tu… tu… sei un mago?
–Beh, sì. L’ho scoperto all’età di undici anni, quando un Mezzogigante mi ha prelevato per farmi frequentare una scuola di magia e salvare il mondo con lo pseudonimo di Harry Potter. Poi mi sono arricchito vendendo i diritti della storia a J.K. Rowling.
–Davvero spiritoso- borbottò Faith, intollerante alle prese in giro alla sua saga del cuore. –Sai, non mi ero mai chiesta che lavoro facessi, ma devo dire che è adatto a te.
–Concordo. Comunque, ora che hai sperimentato l’entità dei miei poteri, un avvertimento: fai soffrire mio fratello, e ti userò per il numero della donna segata in pezzi… senza pannelli di sicurezza.
Faith sostenne il suo sguardo e asserì –Tranquillo, grande mago, ho intenzione di fare molte cose a tuo fratello, e soffrire non è sul menu.

 
***

Sulla via del ritorno iniziò a piovere; la tipica pioggia inglese: non abbastanza copiosa da potersi definire un temporale, ma da costringere ad aprire l’ombrello sì.
–Mi dispiace da morire, finora era andato tutto alla grande- gnaulò Franz. Una sua ex lo aveva accusato di non aver previsto che il meteo avrebbe sbagliato.
–Tranquillo, ho sufficiente intelligenza da non incolparti per questo inconveniente meteorologico- lo tranquillizzò Faith. –Inoltre mi piace la pioggia, una volta ho fatto il bagno sotto la pioggia, insieme ai miei cugini, Donnie e Mike.
–Donnie e Mike che vivono nel Kent?
–Te ne ho parlato? Non lo ricordo… d’altronde, parlo talmente tanto quando mi trovo a mio agio con qualcuno, che questi desidererebbe non avermi mai incontrata.
–Se è un modo per scoraggiarmi, ti informo che è inutile, non basterà la tua parlantina a spaventarmi!- replicò Franz.
I due scoppiarono a ridere e continuarono a parlare del più e del meno, mentre la pioggia battente si infrangeva su Nina, immediatamente rimossa dal tergicristallo. Il traffico diede loro occasione di discorrere a lungo, toccando, tra i vari argomenti, l’incredibile abilità di Faith come creatrice di coppie.
–Non pavoneggiarti, la tua è semplicemente fortuna- osservò Franz.
Faith sbuffò e scosse il capo.
–Abby e Ben, Evangeline e Andrew, Helen e Alan, Diane e Oliver, l’unico dei suoi fidanzati che non sembrasse un fenomeno da baraccone - e forse è proprio il motivo per cui l’ha lasciato, le piacciono i tipi grotteschi- Erin e Chris… fortuna, dici? La fortuna può aiutarti una volta, poi basta. Ti costa tanto ammettere che possiedo un dono?
–Rimango della mia opinione: la tua è soltanto fortuna. Volendo essere generosi, fortuna mista a un pizzico di spirito di osservazione. Comunque, spero che la pianterai con questa stupidaggine di voler accoppiare tutti i nostri amici… purtroppo, le tue predizioni hanno il brutto vizio di avverarsi.
–Non tutte- ribatté mestamente Faith, per poi animarsi. –Ma bando alla tristezza, devo concentrarmi sul prossimo obiettivo.
–Ti prego, dimmi che non è chi penso che sia- esalò Franz, coprendosi il volto con le mani. –Stanne fuori, o finirà male.
Faith, sperando non nominasse Maggie o Harry James, che aveva temporaneamente accantonato, piegò le labbra in un sorrisetto di superiorità e cinguettò –Perché mai? Le sono affezionata quanto te, e desidero la sua felicità.
–Il Grande Capo non è una ragazzina ingenua, se avesse voluto un uomo l’avrebbe già trovato. Senza il tuo aiuto- ringhiò Franz.
–Sciocchezze- obiettò Faith. –Il Grande Capo non ha un uomo perché il divorzio l’ha distrutta e ha preferito dedicarsi al lavoro. Ora, però, ha riacquistato la serenità, è professionalmente realizzata e può rimettersi sul mercato. In fondo l’hai detto anche tu che è uno schianto!
–Beh, sì, però…
–Sapevo che non avresti obiettato- sospirò lei, prima di inondare di imprecazioni un malcapitato autista, reo di averle tagliato la strada.
–Al contrario, ho molte obiezioni al riguardo. Non stiamo parlando di una bambola, non sei più la bambina che si divertiva a far sposare Barbie e Ken, devi capire che sono persone in carne e ossa, e non è giusto che tu li ferisca per autocompiacerti della tua perspicacia.
–La tua è soltanto invidia: invidi il mio cervello e la maniera in cui lo uso per far felici gli altri!
–Fammi il piacere!- sputò Weil. –Meglio non avere un briciolo di cervello, che usarlo come fai tu!
Rimasero in religioso silenzio per il resto del tragitto, perfino mentre Faith lo accompagnava al portone.
Ruppero il silenzio in contemporanea.
–Senti, volevo… prima tu!
–Scusa se ho offeso la tua intelligenza. La ammiro e ammiro l’uso che ne fai… quasi sempre- disse Franz con una luce divertita nello sguardo.
–E tu scusami per aver rovinato questa serata. Hai ragione, la proffa non è un soggetto adatto a testare la mia abilità nel creare coppie- pigolò Faith, lo baciò per sancire la riappacificazione e aggiunse –Ciò, però, non mi impedirà di guidare altri sulla via della felicità… il tuo amico Harry ha dannatamente bisogno di una donna, non trovi?
Franz scrollò le spalle, rassegnato, Faith ridacchiò e, dopo un altro, lungo, passionale bacio si allontanò pensando “Se sarà sempre così facile averla vinta con lui, credo che diventerò la donna più viziata d’Inghilterra!”.
La ricerca dell’anima gemella della professoressa Eriksson era soltanto rimandata.

Nota autrice:
Che dite, avrei fatto meglio ad accorciare il capitolo, oppure la lunghezza compensa in qualche modo l’attesa?
Spero mi farete sapere il vostro parere sul primo appuntamento dei due patologi in amore e sul lavoro di Alexander. Dite la verità, non ve l’aspettavate, eh?
Chissà cosa riserva il destino a Faith… emulerà con successo la Emma letteraria, o combinerà pasticci?
Au revoir.
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Caccia all'uomo ***


Questo capitolo è sfuggito al mio controllo, col risultato che è più lungo del previsto, ma questo non vi scoraggia, vero? *occhioni cucciolosi*
Un mare di grazie a Bijouttina, Calliope Austen ed elev per esserci sempre (vi adoro!), a Chiarap, cola23, Gennyyy, Justine, mary_zabini, scheggia_94 e trigrotta81, che seguono la storia, e a bibi_cristallnight e Marargol, che l’hanno inserita tra le preferite.
Enjoy! ^^

 



Caccia all'uomo




“Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze.”
Oscar Wilde

–Mi raccomando, Mrs. Corbin, si ricordi di disinfettare la ferita due volte al giorno- ordinò Maggie Bell in tono professionale. –E se dovesse notare che i margini hanno assunto un colore diverso dalla pelle circostante, mi chiami. Ci rivediamo tra una settimana!
Aveva appena salutato la paziente, quando un medico biondo ed estremamente avvenente (per non dire da capogiro) sbucò da dietro una rientranza della parete, ed esalò –Non potrò mai ringraziarti abbastanza per avermi salvato da quella piaga.
–F-Figurati. S-Se n-non c-ci s-si a-aiuta t-tra c-colleghi- balbettò lei in risposta, la sicurezza di prima svanita in un istante… come sempre, quando si trovava vicino a Robert Patterson.
–Sei una vera perla, Meg. Non so come farei senza di te- le sussurrò all’orecchio, facendola arrossire e rischiare il collasso, le strizzò l’occhio e si allontanò lungo il corridoio, seguito dallo sguardo adorante della giovane, che sospirò sognante.
Il suo personale film mentale, in cui il bel ginecologo ritornava sui suoi passi, la baciava come solo un vero uomo sa fare e le dichiarava amore eterno in ginocchio venne interrotto da uno sbuffo derisorio e il cinico –Non accadrà mai.
–Oh! Harry! Ehm, dottor James. Non ti… scusa, ero…
–Per il bene della mia salute mentale, riserva il balbettio a Patty- sibilò. –E per l’amor del cielo, datti una svegliata!
–Non so di cosa tu stia parlando, perciò, se vuoi scusarmi…
–Puoi ignorare me, Bell, ma non puoi ignorare la verità: sappiamo entrambi che il tuo resterà soltanto un sogno sdolcinato; Patty è uno dei miei migliori amici, ma devo ammettere che ha il difetto di non raschiare sotto la superficie - se capisci cosa intendo - e con te c’è da raschiare parecchio per trovare qualcosa di buono. Senza volerti offendere!
Indignata, Maggie serrò la presa su una rigida e stracolma cartella clinica e la sbatté violentemente in faccia al radiologo, quindi celiò, con voce falsamente zuccherosa –Senza volerti colpire!

 
***

Faith, cullata dalle note dei Nightwish, stava assaporando un succulento muffin - coronamento di una pausa caffè trascorsa a baciarsi furiosamente con Franz nell’abusato deposito dei coloranti - quando una persona a lei non molto gradita le si parò davanti.
–Zitto! Non aprire bocca finché non termina- sbuffò, muovendo l’indice a tempo, nella speranza che l'attesa inducesse Harry ad andarsene; era costretta a tollerarlo in quanto amico di Franz, ma in realtà non lo sopportava.
Il dottor James arricciò le labbra, sottrasse una sedia dalla vicina scrivania e, con sommo disappunto della Irving, si sedette di fronte a lei e attese pazientemente la fine del brano. Si schiarì la voce e asserì senza preamboli o mezzi termini –La cotta della Bell per Robert sta sfociando nel ridicolo. Una dodicenne avrebbe più dignità!
–Non osare giudicarla: Maggie ha la dignità di chi è innamorato, qualcosa fuori dalla tua comprensione.
–Stai dicendo che mi credi incapace di amare?- sputò risentito Harry.
–Non avrei saputo esprimermi meglio- rispose Faith, prima di addentare il muffin e masticarlo con vistosi versi di apprezzamento. –Mmm… delizioso.
–Sai che sei veramente stronza?
–Sai che, detto da te, lo considero un complimento?
Harry emise un sospiro rassegnato: non l’avrebbe mai spuntata con lei. Adesso capiva cosa avesse fatto capitolare Franz: con una del genere non ci poteva di certo annoiare.
–Senti, non sono qui per litigare; facciamo tabula rasa e lasciami formulare il concetto in altri termini: Robert si è accorto che la tua amica spasima per lui, ma si finge stupido per non ferire i suoi sentimenti…
–Sicuro che si finga stupido?- sibilò Faith con evidente sarcasmo.
–Davvero divertente, Irving. Mi sto sbellicando dalle risate- ringhiò Harry, protendendosi verso di lei. –Sul serio: la situazione rischia di degenerare. Conosco Robert meglio di te, posso assicurarti che è sul punto di esplodere e dire in faccia alla Bell cosa pensa di lei usando parole che la traumatizzerebbero a vita. Un conto è venire rifiutata con un cortese “sei una bella persona, ma ti vedo come semplice amica”, un altro con un rude “sei talmente brutta che, se restassimo da soli sulla faccia della Terra, piuttosto che toccarti farei estinguere la razza umana”. Non sei d’accordo?
–Robert ha pronunciato una tale cattiveria?- esalò Faith, esterrefatta. Lo conosceva da una vita, eppure non aveva mai notato questo lato del suo carattere. –Ma… Maggie non è brutta!
–Non è all’altezza dei suoi standard- sentenziò Harry.
–Tua sorella sì, invece?
–Harper è un capitolo chiuso. Sta a loro due decidere se riaprirlo o meno.
–Ok, glissiamo su tua sorella. Maggie sarà pure più… abbondante delle donne con cui Robert esce di solito, ma non si mai, potrebbe cambiare gusti. Franz l’ha fatto.
–Franz ha sempre avuto un debole per le maggiorate, solo che era tanto imbecille da ostinarsi a mettersi con degli stecchini per adeguarsi alla massa. Scommetto che il suo primo pensiero, quando ti ha vista, è stato che sarebbe morto felice soffocato dalle tue tette. Hai avuto la strada spianata, Irving, sei il suo tipo, sotto ogni aspetto. La Bell non è il tipo di Robert, sotto nessun aspetto. Fine della storia. Ora, per favore, potresti ascoltare la mia richiesta?
–Prego, parla pure.
–Trovale un uomo, così si toglierà dai piedi.
Faith si pulì la bocca con un tovagliolino di carta, lo appallottolò e, mentre lo tirava nel cestino, ridacchiò –Vuoi proporti come volontario? No? Peccato, avrei sistemato due piccioncini con una fava.
–Non pensarci neanche, Irving- soffiò Harry, alzandosi di scatto. –Sono al corrente della tua discreta abilità nel formare coppie, ma nel mio caso non serve. Non ho bisogno di una donna.
Au contraire, James, hai disperatamente bisogno di una donna- ribatté Faith con un sorriso malandrino. –E ho anche capito come dev’essere.

 
***

Quello stesso pomeriggio, in palestra, Faith chiese aiuto alle sue più fidate consigliere: Abigail e Bridget, la prima in quanto moglie (ergo capace di persuadere un uomo a compiere un passo notoriamente temuto dai maschietti), la seconda in quanto più mantide che donna. Insomma, l’ideale per pianificare la caccia all’uomo perfetto per Maggie. Sebbene non credesse nella reincarnazione, Faith era convinta di essere stata uno stratega in un’altra vita.
–Fammi capire- ansimò Bridget, tra un piegamento e l’altro. –Vuoi cercare un passatempo per la tua amica?
–Non un passatempo, B, una… distrazione, qualcuno che le faccia pian piano dimenticare la cotta per quel biondastro Il fatto che Robert non la voglia non implica che non possa volerla nessuno- la corresse Faith.
–Tsk, tsk. F, la prima regola per catturare la preda, in una caccia all’uomo, è chiedersi quali sono i propri difetti... nel caso in questione, i difetti di Maggie. Robert non sarà un genio, ma non è un imbecille, se non ha voluto nemmeno scoparsela avrà avuto i suoi buoni motivi, ed è soltanto scoprendoli e ponendo loro rimedio che compirai la missione.
Faith e Abigail rimasero sconcertate dal rigore quasi scientifico con cui l’amica aveva esposto la sua tesi, e, incapaci di replicare, si limitarono a fissarla.
–Ehm… ecco… credo che… Oh, B, Meg è mia amica, non posso essere obiettiva, per questo ho richiesto il vostro aiuto. L’avete conosciuta, quindi ditemi quali, secondo voi, sono i suoi punti di forza e quali i suoi talloni d’Achille.
–Beh… è indubbiamente molto dolce- pigolò Abigail, soppesando con cura le parole. –Però è troppo timida. Capisco che quel Patterson le piace, ma non ha più dieci anni, non può rischiare un infarto ogni volta che lo vede!
–E poi l’involucro non aiuta, se capisci cosa intendo. Al suo posto, farei qualcosa per i segni dell’acne, perderei almeno una ventina di chili, non mi ostinerei a mettere i leggins con quelle cosce della misura di una colonna greca e mi sbarazzerei di quegli occhialoni all’ultimo grido che su di lei fanno l’effetto “nonna di Cappuccetto Rosso”- rincarò Bridget.
Faith per tutta risposta aumentò l’intensità dell’esercizio, sussultando quando il trainer dalla palpata facile, col pretesto di testare la corretta contrazione degli addominali superiori, lasciò scivolare la mano troppo in alto.
–Riprovaci e ti farò diventare una voce bianca senza nemmeno scomodare Franz!
–Arrenditi, Kurt, Faith è innamorata fresca, il suo mezzo tedesco monopolizza i suoi pensieri. Potresti dirottare le tue attenzioni su Abby- lo esortò Bridget.
–La signora è sposata!- esalò l’uomo, sconvolto dalla disinvoltura della pluridivorziata.
–Appunto per questo! Quando il marito non c’è…- replicò lei con una maliziosa strizzata d’occhio.
–Bridget!- la rimproverò aspramente l’interessata. –Non darle retta, Kurt, apprezzo molto la tua cortesia platonica. Tornando all’argomento principale… F, sei sicura di volerti impegolare in questa avventura?
–Io non mi impegolo, Ab, io mi lancio nell’avventura; non spengo il cervello, sono troppo razionale, lo uso per distinguere le missioni suicide dalle situazioni da prendere di petto.
–Tanto il petto non ti manca- scherzò Bridget, guadagnandosi due identiche occhiatacce (sia Abigail che Faith erano, infatti, dotate di notevoli “protuberanze toraciche”).
–B, non fai ridere- sbuffò Abigail. –Ora passiamo a temi importanti… verrà anche Weil alla presentazione del libro di Connie?
–Non saprei- esalò l’interpellata, che non aveva pensato alla possibilità di presentarsi all’evento accompagnata. –Dopotutto, è ancora in prova.
–Fallo diventare fidanzato a tutti gli effetti, allora!- sbottò Bridget, che nel frattempo era passata alla cyclette per riprendersi dalla dura sessione di addominali. –Si vede lontano mille miglia che ti ama: passate ogni secondo libero a sbaciucchiarvi, ti ha portata allo spettacolo di suo fratello, non ti sta pressando per fare sesso, non ti ha fatto il terzo grado su Solomon e Cyril… il minimo che tu possa fare è presentarlo ufficialmente a tutti i tuoi amici, e quale occasione migliore di quello che si preannuncia come l’ultimo evento degno di nota della stagione invernale?
–Per una volta concordo con Bridge- asserì Abigail, per poi aggiungere con un mezzo sorriso –Non farci l’abitudine, però, B. A proposito della presentazione… avete già in mente cosa indossare?
–Ab, secondo te non ho di meglio a cui pensare?
–Faith ha ragione, Ab- la sostenne Bridget. –A cosa le serve scervellarsi per i vestiti, se tanto quello lì non pensa che a cosa c’è sotto?

 
***

–A cosa devo questo trattamento?- domandò Franz, infastidito dallo spigolo del tavolo piantato nella schiena e dall’odore acre di disinfettante che aleggiava in obitorio. Faith l’aveva messo alle strette e baciato a lungo, prima che si mettessero all’opera e il romanticismo lasciasse il posto alla serietà.
–Niente. Devo per forza avere un secondo fine? Non posso augurarti buon lavoro a modo mio?- rispose lei, fingendosi risentita.
–Quando il diavolo ti accarezza, vuole la tua anima- ribatté Franz. –Me lo diceva mio padre quando ero piccolo.
–A me mia nonna Beatrice, quando le facevo un complimento… ci azzeccava quasi sempre- ridacchiò Faith, infilandosi un grembiule. –Uff! E va bene, lo confesso: ho un favore da chiederti.
–Tua nonna era una donna saggia. Avanti, spara.
–Domani c’è la presentazione del libro di Connie, e so che siamo una coppia in prova, che abbiamo a stento il tempo per dei baci rubati, che ti scoccia stare tra la folla e chiacchierare con chi non conosci bene, però… speravo potessi venire con me.
–Perché no? Venire insieme a te rientra nei miei progetti a breve termine- sussurrò Franz con voce sensuale mentre le allacciava il grembiule.
–Alla presentazione!- latrò Faith, colpendolo scherzosamente con i guanti in lattice. –Allora, ci sarai?
–Sì. Adesso, però, olio di gomito, gli allievi del corso di Anatomia hanno bisogno di uno scheletro nuovo!
La risposta affermativa del suo fidanzato in prova la procurò una ventata di buonumore, destinato ad essere scalfito durante la pausa pranzo da Robert, l’unico a non essersi mostrato entusiasta all’idea di partecipare alla presentazione di un libro.
–Tra gli “altri” che vorresti invitare, è compresa… Maggie Bell?- mormorò guardandosi intorno con circospezione, quasi temesse che pronunciarne il nome potesse farla materializzare accanto a lui.
–Beh, sì… perché?
–No, niente… è solo che… sarò sincero, Faith: speravo di liberarmi di lei per qualche ora. Non prenderla male, Maggie è la persona più dolce del mondo, ma non quella adatta a me, e il suo continuo ronzarmi intorno, oltre che fastidioso, sta cominciando a danneggiare le mie possibilità di rimorchiare!
Harry James le rivolse prima un’eloquente alzata di sopracciglia, un “te l’avevo detto” non verbale, poi fissò un punto alle sue spalle e sbiancò, dando di gomito a Chris.
–Se non ha speranze perché non disilluderla?- domandò Faith. –Soffrirà, ma si metterà il cuore in pace.
–E rinunciare alla mia schiavetta personale?- sbottò lui, ignorando le occhiate di avvertimento di Harry e Chris. –Sei matta? Dove la trovo un’altra che visita le pazienti che mi stanno sulle palle, redige le scartoffie che mi scoccio di scrivere e mi porta pure il caffè? Spiacente, illuderò la Bell finché mi farà comodo. Piantatela, voi due! Si può sapere perché quelle facce?
Fu con sommo divertimento di Faith, e altrettanto disappunto di Robert, che rispose la lupa in fabula, alias Maggie –Prova a indovinare!- poi, con gli occhi lucidi, gli gettò in faccia il caffè bollente e fuggì in lacrime.
–Esattamente ciò che volevo evitare- esalò Harry, scuotendo il capo.

 
***

“Era calata la notte da diverse ore. Una notte di luna nuova, perfetta per chi necessitava della protezione dell’oscurità.
Un’ombra furtiva penetrò silenziosamente nel padiglione del Castello di Edimburgo che avrebbe ospitato l’International Baking Contest, l’evento che era riuscito nell’impresa di eclissare persino il celeberrimo Festival, e avanzò con passo felpato fin dentro le cucine, dove le postazioni dei partecipanti erano già state predisposte per la prova del giorno seguente.
Individuato l’obiettivo, aprì il frigorifero contenente gli ingredienti, li esaminò con attenzione, aprì la confezione di pasta di pistacchi e vi sputò dentro con acrimonia, quindi aprì quella di panna e la contaminò col contenuto di una fiala che aveva tenuto in serbo per anni, con l’intenzione di farne buon uso.
Ridendo compiaciuto, l’intruso si allontanò; una volta al sicuro, si tolse il passamontagna, levò lo sguardo al cielo e disse, agitando un pugno verso la luna, muta complice nell’impresa –Jacques Dupont preparerà il miglior bignè del mondo… ma sarà anche l’ultimo!”
–Adesso sì che ci siamo! Un prologo è esattamente quel che ci vuole per tenere sulle spine il lettore!- esclamò Connie Bishop, sorridendo allo schermo del portatile, mentre con la mano libera accarezzava distrattamente Cloud, un pingue persiano bianco. Aggiustò gli occhiali, scivolati sul naso, bevve un sorso di tisana, sgranchì le dita e riprese a scrivere; il romanzo era completo da ben quattro anni, tuttavia necessitava di un’accurata revisione per correggere eventuali errori di battitura o incongruenze nella trama e rendere lo stile meno adolescenziale.
L’arrivo di Nellie mandò in frantumi il progetto. Connie, salvato il file, alzò gli occhi sulla figura snella e rigida della governante di casa Bishop - che non avrebbe mai sostituito nel suo cuore l’anziana Verity, che l’aveva praticamente cresciuta - e le sorrise, ad indicare che poteva parlare.
–Mr. Allen per lei, Miss.
Allontanata dal viso una ciocca ribelle, la scrittrice sbuffò –Quello non è un signore, è una piattola!- “Una piattola molto sexy” –Più cerco di evitarlo, più me lo trovo davanti ovunque vada: alla cena con i compagni di liceo, e lì posso anche capire, a teatro, al circolo del tennis, al cinema, da Harrods, in libreria… e adesso perfino in casa! E ogni dannatissima volta mi prega di perdonare il suo errore di gioventù - neanche fossimo due Matusalemme - e concedergli una seconda possibilità. Non ne posso più!- per poi aggiungere, assumendo un contegno impeccabile –Ad ogni modo fallo accomodare, non sia mai detto che tre anni in America mi sono costati le mie buone maniere.
Keith entrò nel salotto vittoriano con aria titubante, che svanì non appena posò lo sguardo su Connie; a quel punto esclamò –Non farai sul serio!
–Un editore che si lamenta di uno scrittore baciato dall’ispirazione… adesso sì che le ho viste proprio tutte!- sputò la ragazza.
–Ti sei già rimessa all’opera? Accidenti, che velocità! E di cosa… no, meglio discuterne dopo. Ora va a cambiarti.
–Come osi piombare qui all’improvviso, interrompendo il mio lavoro, e ordinarmi di cambiarmi d’abito? E’ casa mia, posso conciarmi come più mi aggrada.
–A parte che questa casa è dei tuoi genitori - tra parentesi, mi dispiace siano usciti, li avrei salutati volentieri - non vorrai farmi credere di aver dimenticato che oggi pomeriggio c’è il lancio di ‘Avvocati alla sbarra’!
Connie sventolò una mano come a scacciare quel pensiero, e sbottò –Non dire sciocchezze, l’incontro promozionale è domani!- poi, assalita dal dubbio, prese l’agenda e… scoprì di avere torto.
–Merda! Hai ragione tu.
–Ma va?- rispose Keith, sarcastico. –Ora, se non ti è di troppo disturbo, gradirei che andassi a farti una doccia e metterti addosso qualcosa che non sia una tuta sformata. Se poi volessi essere così gentile da pettinarti, truccarti leggermente e abbandonare gli occhiali per le lenti a contatto, poi, mi renderesti l’uomo più felice della Terra.
Connie gli mostrò la lingua, ma obbedì. Irritato dall’attesa, dopo venti minuti Keith salì in camera sua… per ritrovarsi in testa la vestaglia della minore delle sorelle Bishop, che ululò –Non si usa più bussare?
–Roba già vista.
La bionda sorrise, perfida, e sibilò –Non è del tutto esatto: i pezzi forti li ha visti per primo Vyvyan, che non aveva paura di restare schiacciato dal mio peso quando facevamo sesso.
Keith assunse l’espressione tipica di chi ha ingerito acido muriatico, e replicò –Vorrei ricordarti che all’epoca avevamo…
–Sedici anni- completò per lui Connie. –Non sei. A sedici anni in America prendono la patente, perciò non usare l’età come scusante. Ti sei lasciato condizionare da qualcuno più stronzo di te, ammettilo.
–Avercela con un morto è stupido e irrispettoso nei confronti della sua memoria. Perché non ci mettiamo una pietra sopra? Voglio una seconda occasione, nient’altro.
Connie decise che l’aveva fatto soffrire abbastanza. Strinse la mano che le porgeva e mormorò –A proposito di stare sopra… sei ancora convinto che potrei schiacciarti?
–Non l’ho mai pensato, lo dicevo per stuzzicarti. Perché?
Per tutta risposta, Connie ridacchiò e chiuse a chiave la porta.

 
***

–Oh, Meg, sei proprio sicura che non puoi venire? Sarà divertente!- gnaulò Faith, che persisteva nel suo proposito di accasare l’amica: aveva, infatti, pensato di sfruttare la presenza di Maggie alla presentazione del libro di Connie per presentarla agli scrittori presenti.
“Esisterà qualcuno che apprezzi il contenuto più del contenitore! Dopotutto non deve affascinare il mondo intero, ma una sola persona.”
Purtroppo per lei, l’inconsapevole oggetto delle sua mire aveva deciso di non partecipare, accampando quella che, secondo Faith, era una banale scusa: una tremenda influenza.
–Faith, nonostante sia venuta in ospedale imbottita di farmaci ho lo stomaco sottosopra, il naso tappato, la gola infiammata- tossì e starnutì –E tra poco chiederò se in paradiso hanno smarrito un’aureola, perché pare sia finita stretta intorno alla mia testa! Ti pare sia in condizioni di starmene seduta in una libreria chic a sentir parlare di omicidi?
–Non abbatterti, tesoro, non sei messa poi tanto male- chiocciò l’altra, incoraggiante. –Un’aspirinetta e tornerai come nuova.
–Oppure finirò al Pronto Soccorso con un’ulcera gastrica perforata- obiettò Maggie. –Per favore, non insistere, voglio portare il computer dal tecnico amico tuo e tornare a casa.
Faith fu costretta ad alzare bandiera bianca e, con un sorriso tirato, seguì la Bell nell’angusto tempio dell’informatica altrimenti conosciuto come ‘Love me, hardware’, del quale era venuta a conoscenza tramite Allison (moglie del suo tastierista, Jack Wilkinson), amica del proprietario, che le riservava prezzi di favore.
Dia duit, cailíní álainn- le salutò cordialmente Patrick, irlandese fino al midollo.
Maggie, non sapendo cosa rispondere, si limitò a ricambiare il saluto con un timido movimento della mano, a differenza di Faith, che ricambiò con particolare entusiasmo: la dolce dottoressa Bell era una timidona, e Patrick, oltre ad essere discretamente carino, possedeva la rara dote di mettere chiunque a proprio agio. Sarebbero stati perfetti insieme.
Congratulandosi con se stessa per la brillante idea, esclamò –Visto, Paddy? Ho mantenuto la promessa: ti ho fatto un sacco di pubblicità, e ho portato con me una nuova cliente. Meg, lui è Patrick, il mago dei computer. Paddy, Maggie.
Assorta in mille elucubrazioni su quali trame ordire per aiutare un nuovo amore a sbocciare, non si accorse di un particolare non di poco conto: un cerchietto d’oro all’anulare sinistro di Patrick.
–Cosa posso fare per te, Maggie?- chiese lui nel consueto modo affabile, si prese cura del portatile rosa come lei avrebbe fatto con una paziente, infine glielo restituì con un sorriso. –Niente di grave, sei stata solamente un po’… distratta. Usalo “a corrente” ogni tanto, controlla regolarmente l’autonomia residua e vedrai che non succederà più. Comunque spero non la riterrai un’offesa se ti consiglio di dare un’occhiata a questo volantino.
Maggie lo afferrò e lo esaminò, dopodiché, ridendo come una pazza, lo passò a Faith, che lo lesse fremente di curiosità.
 –Informatica di base per casi persi. Sei stufo di sentire i tuoi amici che si vantano delle loro mirabolanti imprese virtuali? Questo è il corso che fa per te!- abbassò il foglio e trillò –Meg, è l’occasione che aspettavi! Devi iscriverti! Sono certa che ti piacerà!- la esortò.
“Come potrebbero piacerti l’insegnante o uno dei compagni di corso… se guardabili e single! Faith Irving, sei un genio del male! Altro che Emma Woodhouse!”

 
***

–Faith, ti prego, non ti arrabbiare!- la supplicò Franz, maledicendo Gertrud, che l’aveva chiamato mentre stava attraversando il cortile del condominio dove lei abitava; le Parche avevano origliato l’intera conversazione, e non avevano mancato di riferirgliela, facendo scoppiare una litigata tremenda ( che le tre ficcanaso avevano guardato come un film, con tanto di pop corn, attraverso le tapparelle). Inutilmente le aveva assicurato di aver rifiutato tutti gli appuntamenti al buio che gli aveva combinato sua madre. –Ti giuro che non me la sono “spassata alle tue spalle”, come hai insinuato. E’ mia madre…
–Tua madre non è scema!- sbraitò Faith. –Se ti ha proposto degli appuntamenti, significa che ti crede ancora disponibile, perché non le hai detto che stai con me!
–Sì, beh, sai com’è… sono in prova..
–Non pretendevo certo che affiggessi manifesti, però avresti potuto dirle che ti stai vedendo con una persona, cazzo! Almeno questo! Io ai miei genitori e ai miei amici ho detto che sto uscendo con qualcuno!- Franz si sentì terribilmente in colpa, soprattutto quando Faith aggiunse –Forse ti vergogni di me… in questo caso, è meglio che vada a osannare Connie da sola.
–Ancora con questa storia?- sbottò. –Faith, sono pazzo di te! Se non ti volessi ti avrei già scaricata, credimi! Amo passare del tempo con te, non solo perché baci bene e spero che ogni volta sia quella buona per… ehm, sì, insomma… ai miei occhi sprizzi sesso da tutti i pori, ma mi piace anche quando discutiamo, ridiamo, ci facciamo gli scherzi a vicenda…
Faith si rilassò, la rabbia scomparve.
–Scusa, a volte esagero. Non avrei dovuto dubitare di te, è che, come ti ho accennato senza scendere nei dettagli, quando ci siamo conosciuti venivo fuori da un periodo di merda che mi ha reso difficile fidarmi…
Franz l’abbracciò, posandole un bacio delicato sui capelli, e sospirò –Lo so. Tranquilla. Non so cosa ti abbia fatto quel Cyril, né voglio saperlo - a meno che non decida di rivelarmelo - ma sono abbastanza sicuro di me da prometterti che sarò un uomo mille volte migliore, e abbastanza egoista da ringraziarlo. Esatto. Grazie, Cyril, re dei decerebrati, per avermi lasciato una perla più unica che rara di nome Faith!
La magia del momento venne rovinata dall’abbaiare insistente di Raspuntin, il vecchio chihuahua scheletrico di Mrs. Norris, che richiamò la padrona.
–Capisco che non c’è nessuno, ma le effusioni esplicite sono vietate negli spazi comuni. Se proprio non riuscite a trattenervi, cercate quantomeno di essere discreti!- sentenziò. –Quanto a te, giovanotto, un gentiluomo tiene la mano sulla schiena della sua dama, non sul fondoschiena.
I due si separarono, scoppiarono a ridere, si baciarono lungo tutto il breve tragitto verso la stazione della metropolitana, e risero di nuovo mentre aspettavano la corsa, salivano sul vagone e si sedevano.
Annoiata dal silenzio, Faith commentò –Quella donna deve aver lavorato per i servizi segreti. Darebbe del filo da torcere a James Bond!
–E’ una cariatide rompipalle- ringhiò Franz, che nutriva un profondo odio per le Parche, specialmente Mrs. Norris.
–Eppure hai mantenuto una calma invidiabile- rispose lei. –Cyril andava su tutte le furie e mi trascinava via di peso, borbottando commenti velenosi.
In quel momento Franz realizzò una sconvolgente verità.
–C-Cyril… v-viveva… con te?- esalò, avvertendo un senso di nausea quando Faith annuì, arrossendo come una bambina sorpresa con le mani nel vasetto di marmellata. Divenne livido: sapeva che la loro era stata una storia seria, ma non pensava fino al punto di condividere casa e vita! Si mordicchiò nervosamente un’unghia e non proferì parola per tutte le fermate successive.

 
***

Franz non poté negare che la libreria scelta da Keith per il lancio promozionale del libro, sebbene grande, grazie agli scaffali in legno, il soppalco e gli arredi vintage trasmetteva un senso di pace e intimità. Poco a poco cominciarono ad arrivare amici e conoscenti di Faith, alcuni dei quali si ricordarono di lui come “il cowboy alla festa dei Cartridge”. Desideroso di eclissare il ricordo dell’ultimo fidanzato della sua Irving, si armò del suo miglior sorriso e accantonò momentaneamente la vena misantropica.
Sebbene nel complesso fossero una compagnia gradevole Weil si sentì un pesce fuor d’acqua quando, inevitabilmente, la conversazione toccò le reminiscenze di un passato del quale non faceva parte. Fu lieto di scorgere una faccia amica e si precipitò da Brian, che cercò di rassicurarlo.
–Se può consolarti, dietro questo sorriso seducente si cela un uomo terribilmente annoiato. Detesto simili eventi, questa gente, essere sulla bocca di tutti qualunque cosa faccia…. Faith può capire, prima di mettersi con Cyril aveva una vita sociale quasi inesistente. Fu lui a introdurla alla mondanità, e credo sia stato una delle cause della rottura: pretendeva che Faith fosse una sua creatura, che brillasse di luce riflessa, non di luce propria.
Mein Got! Sono stufo di Cyril! Il prossimo che osa nominarlo finirà decapitato!”
–Dividere equamente la scena è il prezzo che si paga per avere al proprio fianco una vera donna, e rinunciare alla spontaneità è il prezzo che si paga per essere Brian Cartridge- asserì saggiamente Franz, dandogli una simpatetica pacca sulla spalla. –In ogni caso, vedo poco di cui lamentarsi. Grazie al cielo i giornalisti stanno prendendo posto, dovrebbero cominciare a breve.
–Sì, ma… dov’è l’autrice?

 
***

Connie e Keith arrivarono in ritardo, trafelati e rossi in viso, dettaglio che i presenti attribuirono alla corsa. La scrittrice non ebbe modo di esprimere la sua approvazione riguardo il luogo perché Monica, meglio nota come Nicky (futuro veterinario nonché sua migliore amica), le si avventò addosso, trillando –Ciambellina! Sei una visione!
–G-Grazie- esalò l’altra con voce strozzata, stretta nella morsa che la rossa aveva il coraggio di definire “abbraccio”.
–Eh, sì, Connie è davvero stupenda- sospirò Keith, cingendole la vita con un braccio. La allontanò dalla esuberante giovane Hawthorne - mentre Adam (cugino di Brian) si occupava della rossa- e aggiunse –Il pubblico è più numeroso del previsto. Oh, ecco Faith, insieme ad Abby e Bridget. E quel tipo pallido dev’essere Franz. Andiamo a salutarli!- porse il braccio a Connie, Adam a Monica, e insieme si diressero verso un capannello di curiosi che avevano accerchiato la Irving e un imbarazzato Weil.
–Che mi combini, Ciambellina!- ridacchiò Monica, indicando con uno sgraziato cenno del capo il giovane Allen. –Non dovresti farti scappare chi riesce ad essere educato e virile allo stesso tempo.
L’altra riuscì con fatica a camuffare il sorriso che le stava spuntando con un’espressione altezzosa, e replicò –Tranquilla, ho già provveduto a catturarlo al lazo. Piuttosto, quanto ti ha pagata per perorare la sua causa?
–Esclusa una piccola donazione ad un’associazione animalista di sua scelta, nulla- rispose l’interessato. –Le ho semplicemente giurato sulla mia vita di trattarti bene, stavolta.
–Farai bene ad essere di parola, o aizzerò contro di te i miei fratelli- ringhiò Monica.
Dato che i suddetti fratelli - Charles e Leonard, di diciotto e quindici anni, rispettivamente - erano alti più di un metro e ottanta e altrettanto massicci, la minaccia sortì l’effetto sperato: Keith impallidì, deglutì a vuoto ed esalò –Le intimidazioni non sono necessarie. Sai bene che, se non fosse stato per Vyvyan, non avrei mai lasciato Connie.
A un tratto Connie si fermò di colpo, irrigidendosi come un cane da caccia che ha fiutato della selvaggina. Socchiuse le palpebre e ringhiò –Perché l’hai invitata?
Monica assunse un’espressione perplessa, cui Keith rispose indicando con un cenno del capo una sconosciuta sulla quarantina dall’aspetto singolare: magra come un grissino, aveva un lungo naso affilato, mento appuntito, occhietti piccoli e vispi, labbra sottili strette in una smorfia di perenne disappunto e la chioma scolpita in un rigido ‘bob’ vecchio stile, indossava un vistoso abito a fantasia che non avrebbe sfigurato in una pellicola Bollywoodiana e ostentava un’irritante aria di superiorità.
–Miss Vetriol è il più influente critico letterario della città- spiegò alla Hawthorne, per poi rivolgere all’antipatica donna un saluto amichevole. –Non ci conviene inimicarcela.
–La Vetriol è di un’acidità che rende onore al suo cognome- ribatté Connie. –Credo fermamente che il sesso maschile sia grato sia rimasta Miss.
–Eppure ha scritto una recensione favorevole sul tuo libro- osservò Keith. –Leggi.
La bionda afferrò con mano rapace la copia del giornale.
–“Se avete soldi da buttare vi suggerisco di non sprecarli in inutile chincaglieria. Spendeteli, invece, per acquistare ‘Avvocati alla sbarra’, opera prima della Frangetta d’oro d’Inghilterra. In tutta franchezza, ho letto di peggio.”- lesse. –E questa la chiami recensione favorevole?
–Stiamo parlando di Honoria Vetriol- bisbigliò Keith, trattenendosi dal ridere. –Che ti aspettavi?

 
***

Nell’istante in cui vide chi lo stava chiamando, Brian ringraziò di essere a casa, lontano da occhi e orecchie indiscreti. Rispose seccato e tollerò con incredibile forza d’animo le strida e le minacce provenienti dall’altro capo del telefono.
Quando non ne poté più, soffiò –Hai finito? Grazie! Non mi fai paura. Da egoista e egoista: non mi è mai importato di te, né di cosa ti accadrebbe se il nostro sporco segreto trapelasse. Non me ne frega niente. Una cosa, però, è certa: terrai la bocca chiusa, altrimenti un uccellino spiffererà ai quattro venti che hai trascorso cinque anni in galera, e tu non lo vuoi, vero?
–Sei un bastardo!
–Sono un uomo d’affari- rispose lui, e mise fine alla telefonata.
 
Note dell’autrice:
Piaciuto il finale misterioso? Dite la verità, siete curiose di conoscere l’identità dell’autore della telefonata… eeeh, dovrete aspettare.
A differenza di Robert (siete autorizzati a bersagliarlo con la verdura), Franz è sempre più adorabile: fa da cavaliere a Faith anche se si scoccia e non le mostra che è geloso marcio del ricordo di Cyril. Chi non lo sarebbe? Faith dovrà impegnarsi parecchio per fidarsi completamente di lui e dimostrargli che non lo considera un sostituto del suo ex… ci riuscirà? Ma, soprattutto.. riuscirà ad avere successo nell’ennesima missione da Emma moderna?
E ora… un applauso alla coppia più dolce del capitolo: Connie e Keith, di nuovo insieme!
Se la quantità di personaggi che compaiono e scompaiono vi spaventa tranquilli, ho già pronta l’idea di un sequel (non svelo il titolo perché si capirebbe subito la trama) di DIMD, dove ritroverete tutti i personaggi e conoscerete meglio quelli soltanto accennati in questa storia.
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Love is like a roller coaster ***


Hola! L’estate è finalmente arrivata, anche se dalla pioggia non si direbbe, e con lei la temutissima (per me) prova costume… ma non voglio pensarci, preferisco inondare di ringraziamenti Bijouttina, Calliope Austen, elev e madewithasmile, che hanno recensito lo scorso capitolo, DarkViolet92, che ha recensito e segue la storia, ed emanuelapezzella, Killerz, Shiho93, SweetCherry e Yukari87, che pure la seguono. Godetevi questo tuffo nelle atmosfere irlandesi (trapiantate a Londra), magari con un vivace reel in sottofondo, e chissà che alla fine del capitolo non vi venga voglia di ballare! ;-)
 



Love is like a roller coaster




“L’amore comporta un’insondabile combinazione di comprensioni ed equivoci”.
Diane Arbus

–Un brindisi a noi tre!- urlò stridulamente Bridget, decisamente brilla dopo diversi Martini. In un altro locale l’avrebbero quasi certamente buttata fuori, ma il bello e il brutto dei pub irlandesi era proprio questo: l’assoluta libertà. Volevi far baldoria con un bicchiere in mano? Bene! Volevi stare in un angolo a deprimerti? Benissimo! Volevi dissertare di economia, politica, sociologia, letteratura, storia e scienze? Fantastico! Volevi cimentarti in una gara di rutti? Meraviglioso! Insomma, l’unica regola era l’assenza di regole.
Faith levò in alto il boccale di birra e lo vuotò senza entusiasmo. Aveva accolto con piacere la proposta delle sue pazze migliori amiche di organizzare un’uscita al femminile, suggerendo di bere qualcosa all’Irish Stallion Pub - dove abitualmente si ritrovava con gli amici il venerdì sera, prima di ‘Genital Hospital’ - peccato che la serata non si stesse rivelando pari alle aspettative. Adorava Franz, ma da quando avevano presenziato al lancio del libro di Connie era stato così sfuggente che non voleva pensare a lui per una sera. Il problema era che, come la quasi totalità delle donne, Faith, per quanto razionale, possedeva una vena latente di auto-colpevolizzazione che la spingeva, nei momenti di crisi, a domandarsi di continuo dove potesse aver sbagliato; il pensiero che ad essere in torto in quella particolare occasione fosse Franz non l’aveva neppure sfiorata.
–Stai bene, F?- le chiese Abigail, occhieggiando con disapprovazione l’altra amica, che ci stava provando spudoratamente col barista. Aver notato che questi sembrava trovare più divertenti che seducenti le avances di Bridget fece sospirare entrambe di sollievo.
–Franz mi evita e non so perché. Secondo te come sto?- piagnucolò, per poi ordinare un’altra pinta. Non era nei suoi piani ubriacarsi, però, ora che Melanie, Allison, Monica e Connie se n’erano andate, poteva concedersi un’ultima pinta. Il barista rossiccio e lentigginoso da lei ribattezzato “Sam” ( per via della straordinaria somiglianza con l’attore che interpretava la spalla di Frodo nella trasposizione cinematografica de ‘Il Signore degli Anelli’), gliela porse con un sorriso che le parve vagamente familiare, sebbene non sapesse spiegarne la ragione, dato che conosceva l’uomo soltanto di vista e non sapeva neanche il suo vero nome. A dire il vero credeva addirittura fosse muto, finché non le rivolse la parola, ponendole una domanda inaspettata.
–Come mai la tua amica simpatica non è qui?
–Ti tocca specificare, le mie amiche sono tutte simpatiche- replicò lei con un sorrisetto da dietro il boccale ancora piuttosto pieno: che il destino le stesse dando una mano a formare un’altra coppietta felice?
–Quella brunetta riccia, con gli occhiali… che ordina sempre irish coffee… Damnaigh, com’è che si chiama? Ah, sì: Margareth!
Alla Irving andò di traverso la birra. Si coprì la bocca con la mano per impedire che preziose gocce di Guinness andassero perdute, dopodiché si ricompose ed esalò –C-Conosci Maggie?
–A volte scambiamo quattro chiacchiere quando venite qui il venerdì- rispose lui, specchiandosi in un bicchiere lindo a dovere.
–Che genere di chiacchiere?- inquisì Faith, scioccata: che le fosse sfuggito un flirt che avveniva proprio sotto il suo naso? “Impossibile”, si disse, “Meg è troppo timida per conversare con chicchessia. Saranno state quattro chiacchiere di numero. Sì, dev’essere così. Non c’è bisogno di preoccuparsi: Meg seguirà i miei consigli, si metterà con Paddy e vivranno felici e contenti bevendo irish coffee.”
–Chiacchiere- bofonchiò evasivo.
–Per definirla simpatica devono essere state chiacchiere divertenti- incalzò Faith, decisa ad andare in fondo alla questione.
–Non necessariamente- ribatté “Sam”. –Stiamo dando aria alla bocca inutilmente, eppure ho già intuito che sei cocciuta e troppo curiosa per il tuo stesso bene. Ora, se vuoi scusarmi, corro a salvare due ingenue fanciulle dai cocktail all’ultima moda. Ah, i giovani d’oggi!- sospirò scuotendo il capo. –Cos’ha che non va il buon vecchio whiskey?
–Non finisce qui!- gli urlò dietro Faith, ricevendo come risposta un ilare –Che avevo detto? Testarda come un mulo!
La replica della Irving venne stroncata sul nascere da una scatenata Abigail, che la trascinò a ballare, convinta che nulla curasse il mal d’amore meglio di un reel.

 
***

Alexander, pur facendo il prestigiatore di mestiere, non credeva a stupidaggini quali la telepatia tra fratelli. Franz era un libro aperto per lui semplicemente perché, dopo tanti anni, aveva imparato ad associare ai suoi stati d’animo determinati comportamenti; per esempio, in quel momento, seduto fin troppo comodamente, il sorriso spensierato in netta contraddizione con l’ombra che gli incupiva lo sguardo, non bisognava essere psicologi per capire che qualcosa lo tormentava e non aspettava altro che confidarsi. Conscio che il suo orgoglioso fratello non avrebbe mai affrontato l’argomento spinoso per primo, messo a letto Wilhelm e spedito Hans ad “ampliare i propri orizzonti con giochi educativi”, si schiarì la voce e disse –Allora, la presentazione è stata una noia mortale come avevi predetto?
–No- rispose Franz, mostrandogli il lavoro di Connie. –E’ stata breve, e il libro non era male. Ne ho acquistata una copia.
Alexander se la rigirò tra le mani, quindi esclamò –Ehi, è quello consigliato da Miss Vetriol! Una carogna, quella donna, ma nessuno ha più fiuto di lei in campo letterario. Ti autorizzo a regalarmelo per il mio compleanno. Ok, basta girarci intorno: cos’è successo tra te e Faith?
–Chi ti dice che riguarda Faith?- sbuffò Franz, girandosi di spalle. Non credeva nella lettura del pensiero, ma Xandi era pur sempre un mago, e che mago!
–Me l’hai appena confermato- asserì il maggiore dei fratelli Weil con aria saputa. –Avanti, sputa il rospo.
–Non sopporto quel Cyril- sibilò Franz, stringendo i pugni. –E’ così… perfetto! Lo odio con tutto me stesso!
–Ehm… chi diavolo è Cyril? Un deficiente che ci prova con Faith? Pestalo e falla finita!
–Peggio- gnaulò mestamente Franz, abbandonandosi contro lo schienale del divano. –E’ il suo ex. Non ho saputo molto, ma a quanto mi è stato dato capire l’ha lasciata lui, spezzandole il cuore.
–Bene!- rispose Alexander con fare incoraggiante. –Ehm, mi dispiace che quella poverina abbia sofferto, ma almeno sei sicuro che il cattivo ricordo di lui basterà a raffreddare eventuali ritorni di fiamma!
–E’ questo il punto, Xandi: non so se conserva i brutti ricordi della rottura, oppure li ha rimossi. Non parla quasi mai di lui, e le rare volte in cui ha toccato l’argomento si è limitata a darmi informazioni futili che al massimo potrebbero interessare a un funzionario dell’anagrafe. Oltretutto, ha conservato le fotografie di quando stavano insieme. E se… e se provasse ancora qualcosa? Se fossi solamente un sostituto, il rimpiazzo del perfetto Cyril?- sbraitò, per poi calmarsi e aggiungere, con falsa giovialità –Ora sì che posso donare le mie palle alla scienza… sempre che non si siano atrofizzate, dopo questa ventata di sentimentalismo da soap opera!
Franz, du kannst nichts dafür- asserì Alexander, usando il tedesco per enfatizzare il concetto. –L’amore è come un giro sulle montagne russe: vertiginoso ed eccitante. E’ normale sentirsi insicuri quando si tiene veramente a qualcuno. Credi mi sia privato della mia dose di paranoie amorose quando ho chiesto a Serle di sposarmi?
–Tu non hai avuto tempo di diventare paranoico, Xandi: vi siete sposati dopo una settimana!- obiettò Franz.
–Dieci giorni- precisò Alexander con sussiego. –E a distanza di sette anni la amo come la prima volta che l’ho vista, se non di più.
–Lo spero bene! La prima volta che ti ho visto eri sbronzo, hai fischiato, hai urlato “Ehi, bambola, il tuo culo mi ama e io ricambio” e hai cercato di mettermi le mani sotto la gonna!- ridacchiò Serle, di ritorno da un turno di lavoro sfiancante. Dietro la facciata ironica, però, era sinceramente commossa dalle parole di suo marito.
–Adesso sì che posso dubitare della tua sanità mentale, cognata cara: cosa ti ha spinto a sposare chi ti ha abbordata in modo tanto volgare?
–Semplice: mi ha corteggiata da sobrio- rispose lei con una scrollata di spalle
Alexander, arrossito per l’imbarazzo, pigolò –Non ricordavo di averti vista alla gara di bevute… dovevo essere sbronzo perso! Ah, ti ho tenuto in caldo la cena. E’ nel forno.
–Ecco perché ti ho sposato, bel biondo!- ridacchiò Serle, baciò suo marito sulla guancia e andò a cambiarsi.
Non appena fu fuori portata d’orecchie, Alexander sbuffò, tentando di riacquistare un contegno virile –Ehi, alla fine l’ho conquistata. E’ questo che conta, no? Torniamo a te, Faith e il fantasma di Cyril: le tue sono supposizioni, oppure le hai parlato?
–No. Non ne ho il coraggio- confessò Franz a testa bassa. –Temo che il mio incubo si avveri, che mi dica che lo ama ancora.
–Parlale, allora, e non solo per fare sesso al telefono!- tuonò Alexander.
–Sì, sì, tutto quello che vuoi, basta che abbandoniamo questi discorsi da femmine, ho paura che mi spuntino le tette da un momento all’altro!

 
***

Non appena si scontrò con la sobria semplicità delle altre allieve del corso di informatica, Maggie capì di essere ridicola: avrebbe tanto desiderato potersi coprire con un sacco di patate, ma non poteva. Accidenti a lei e alla sua decisione di seguire le indicazioni di Faith! L’amica, dopo aver infamato in tutti i modi Robert, le aveva consigliato di vestirsi e truccarsi come ad un appuntamento del venerdì sera, di sorridere il più possibile e mostrarsi sempre imbranata per attirare l’attenzione di Paddy.
“Onestamente non capisco perché mai dovrei voler attirare la sua attenzione. Certo, è discretoccio, gentile, beneducato, ma non ho intenzione di farmi prendere in giro da qualcun altro. Spiacente, approfittatori di questo mondo, trovatevi un’altra schiavetta!”.
La tensione scemò quando riconobbe una faccia conosciuta; agitò una mano ed esclamò, forse a voce eccessivamente alta –Sam!
Il destinatario rispose, manifestando educata perplessità –Veramente mi chiamo Ian.
Maggie, coloratasi di una violenta tonalità di rosso, balbettò –L-Lo s-so c-che n-non ti c-chiami S-Sam, p-però… ecco… la mia amica ti chiama così perché dice che sei uguale al Sam del film, sai, l’amico di Frodo, e credo abbia ragione, anche se ammetto di averlo cercato su Google perché mi sono rifiutata di vedere quei film, anche se tutti i miei amici stravedono per la saga, ma non fa proprio per me: tra gli orchi e l’occhio di fuoco avrei avuto incubi per mesi! Cos’hanno che non va i drammoni strappalacrime?
Damnaigh, come riesci a parlare tanto velocemente senza riprendere fiato?- esalò Ian, travolto da quel fiume in piena di parole.
–N-Non l-lo s-so. Buona coordinazione neuromuscolare?- rispose tentativamente Maggie, per poi aggiungere –Cosa ci fai qui, comunque?
–Cosa potrei mai fare a un corso d’informatica?- replicò Ian. –Imparare a cucinare biscotti?
–Non sarebbe una cattiva idea- ribatté lei, sedendosi alla postazione accanto alla sua. –Potresti servire biscotti a forma di trifoglio o arpa irlandese come accompagnamento agli alcolici.
–Biscotti… in un pub?- sbuffò scettico, anche se una piccola parte di lui non la riteneva un’idea tanto strampalata.
–Nessuno dice di no a un biscotto- asserì Maggie con convinzione. I biscotti, più che torte e pasticcini, erano la sua rovina: le bastava sentirne l’odore per trasformarsi in un pozzo senza fondo, e a cosa serviva comprare prodotti light, se ne ingurgitava quantità industriali?
–Ci penserò- le assicurò, quindi le chiese, bisbigliando per non farsi udire da Patrick –Venerdì tornerai con i tuoi amici? Siete tra i miei clienti più spassosi; un gruppetto così… originale!
–Di’ pure che siamo pazzi, non mi offendo- sussurrò la Bell di rimando, alternando lo sguardo dalla lavagna - su cui Patrick stava annotando le principali componenti dell’hardware - a Ian, che scarabocchiava su un quaderno, e che rispose, dopo un lungo silenzio carico di aspettativa –Ho detto che siete originali. Se avessi voluto definirvi pazzi avrei detto “strani”.
–Perché non “pazzi”?
–Perché è politicamente scorretto- rispose lui con un mezzo sorriso, prima di tornare a disegnare quelli che da scarabocchi si stavano tramutando in un paesaggio stilizzato.
Pensando a come avrebbe commentato un’affermazione del genere Erin, Maggie promise che non sarebbero mancati all’appuntamento del venerdì e aggiunse, prima di riprendere a scrivere appunti nella sua grafia stretta e appuntita col sorriso sulle labbra –Potrei farci un salto stasera stessa, un irish coffee è quel che ci vuole per riprendersi dalla prima lezione di informatica per imbranati!

 
***

Il mattino seguente, nella caffetteria dell’ospedale, Faith marciò con passo deciso verso le sue amiche per ascoltare di prima mano, e in presenza di testimoni, i progressi di Maggie nell’operazione “dimentica lo sfruttatore e accalappia l’amore”. Con suo grande rammarico, però, l’amica era assente ( in seguito apprese che aveva modificato le proprie turnazioni per ridurre al minimo i contatti con Robert).
Sbuffando, Faith si sedette con le altre e chiese –A cosa si deve tanta concitazione? E’ morto qualcuno?
–Io ci sono andata vicino, stamani- rispose Evangeline Ferrey mettendosi le mani nei capelli, talmente crespi che faticò a liberarle. –Stavo cercando degli asciugamani puliti, quando l’ho trovato.
–Oh, tesoro, sarà stato uno shock!- chiocciò Helen Gardiner, pediatra, rientrata da poco al lavoro dopo un periodo di assenza per maternità.
–All’inizio sì, poi, però, ho realizzato che non era un miraggio e ho saltellato per casa in estasi!- sospirò Evangeline in tono sognante. –Naturalmente acqua in bocca, eh! Andrew non deve assolutamente sapere che io so.
–Cosa?- sbottò Faith, che non aveva capito un’acca di quell’assurda conversazione.
–Ieri sera Andy ha accennato a una sorpresa per me, e guarda cosa ho trovato nella cassettiera del bagno!- trillò Evangeline, estraendo dalla tasca uno scatolino rivestito in velluto che conteneva… un anello. O meglio, l’anello. –E’ chiaro, no? Vuole chiedermi di sposarlo!
–Grande, troietta!- ruggì Diane, dandole il cinque. –Ti regalerò una scorta di slip commestibili alla fragola per la luna di miele!
–Adoro i matrimoni!- intervenne Jeff, smettendo di sorseggiare il suo drink ipocalorico. –Cibo e alcolici gratis, pettegolezzi a gogò, bei maschioni… oops, questa mi conviene toglierla: ora ho Demon, basta e avanza!
Faith impiegò più tempo degli altri a prendere nota della notizia; impallidì, rimase a bocca aperta, la richiuse, sgranò gli occhi, infine si alzò ad abbracciarla, chiocciando, orgogliosa –Oh, Eva, sono tanto felice per te! Tu e Drew siete fatti l’uno per l’altra, ho scommesso su di voi dal primo istante!
–Letteralmente- bisbigliò Erin, smaniosa di spettegolare, a un allibito Jeff. –E vinse cinquanta sterline!

 
***

Purtroppo Faith poté comunicare il succoso scoop a Maggie ( e interrogarla sul corso di informatica, naturalmente) soltanto il venerdì successivo, a causa dei turni incompatibili e dell’improvviso mutamento d’umore di Franz, passato dall’evitarla come la peste al trascinarla nel primo posto appartato disponibile per baciarsi col trasporto e la spensieratezza di due adolescenti in astinenza da mesi. Inutile dire che la Irving aveva messo immediatamente a tacere la voce interiore che si domandava il motivo di questo repentino risveglio degli ormoni per godere senza pensieri di questa piacevole svolta nel rapporto. Avrebbe indagato in seguito, seguendo uno dei tanti aforismi di sua nonna Beatrice, “Se un uomo fa qualcosa di carino senza motivo, un motivo c’è”, e se avesse scoperto che questo motivo aveva nome e cognome gliel’avrebbe fatta pagare cara.
–Non posso crederci! Le ha davvero fatto la proposta?- domandò una incredula Maggie, rovesciando sul tavolo parte della crema di liquore alle noci.
–Non gliel’ha ancora fatta, ma è questione di giorni- asserì Faith. Le due, come al solito, erano le uniche puntuali della comitiva, per cui aveva colto l’opportunità di aggiornare l’altra senza fare la figura della Mrs. Norris. –Ha comprato l’anello… e che anello! Semplice, ma d’effetto. A dire il vero gli zaffiri non mi piacciono molto, preferisco gli smeraldi, ma non sarò io ad indossarlo, quindi…
–Immagino stia gongolando- rispose Maggie. –Dopotutto, sei stata tu a farli conoscere.
–Non nego di provare un caldo senso di auto-compiacimento- ammise la Irving, sbracciandosi per palesare la propria presenza a Helen e suo marito, che avevano appena varcato la soglia dell’Irish Stallion. –Ma ad essere precisi si sono conosciuti per caso, io li ho soltanto incoraggiati. Eva, se ben ricordi, non voleva storie per non distrarsi dallo studio, finché quella vipera di Charlotte non insinuò che in realtà non si interessava ai ragazzi perché sapeva che avrebbe ricevuto esclusivamente rifiuti. Allora mi ordinò di portarla in discoteca, dove, guarda caso, si trovava Andrew, depresso per essere stato mollato senza tante cerimonie.
–Strano, non mi sembra un discotecaro- commentò Alan, marito di Helen, sedendosi accanto alla consorte.
–Non lo è, infatti- annuì Faith. –I suoi genitori l’avevano costretto a tenere d’occhio sua sorella, che era uscita con alcune amiche. Si è imbattuto in Eva per caso… nella toilette. Lui si annoiava a morte e lei tentava di sfuggire all’ennesimo psicopatico ubriaco che aveva provato a rimorchiarla. Quando li ho trovati stavano chiacchierando come vecchi amici, tant’è che la invitò a non ricordo che gara dove ci saremmo esibiti. Eva venne a sentirci, da cosa nasce cosa…. e adesso si sposano!
–Certo che ne hai di intuito per gli affari di cuore!- esclamò Alan. –Se non fossi profondamente fiducioso nel prossimo potrei quasi pensare che quel giorno, in biblioteca, abbia spinto Helen addosso a me.
–Santo cielo, no! Con chi credi di avere a che fare?- sbottò sdegnosamente Faith. –Mi sono limitata a suggerire alla cara Helen di frequentare più assiduamente quella particolare ala della biblioteca... e devi riconoscere che ha funzionato. Ora basta parlare di me. Meg, non ci hai detto niente del corso di informatica!
L’interessata avvampò, poggiò il bicchiere sul tavolo per evitare di rovesciarlo di nuovo, e squittì –Bene. Mi aiuta a non pensare a Robert, a migliorare il mio rapporto con la tecnologia e a conoscere gente.
–E Paddy? Si fa vedere ogni tanto durante il corso?
–Si fa vedere parecchio… è l’insegnante! Davvero bravo: preparato, disponibile e alla mano; alla fine della prima lezione ci ha offerto una birra qui, pensa! A quanto pare ha un conto aperto perché il proprietario del pub è suo cugino.
–Non a caso sono anni che non salda quel conto- confermò Ian, materializzatosi da loro col taccuino per le ordinazioni. –Buonasera ai nuovi arrivati. Cosa bevete? O preferite mettere qualcosa sotto i denti?
Maggie si illuminò con un sorriso radioso e, dopo che i Gardiner ebbero ordinato da bere, gnaulò –Potrei avere un altro po’ di questa deliziosa crema di liquore alle noci e sentire quel brano che mi piace tanto?
–Crema alcolica alle noci e ‘Duelling Violins’. Ricevuto- ridacchiò, mimò il saluto militare e tornò dietro il bancone.
Faith non ci aveva mai badato, ma in quel momento si accorse che era sempre stato il sosia di Sam a prendere i loro ordini, e si domandò il perché: non poteva mandare una cameriera come agli altri tavoli?
“Indagherò anche su questo… cazzarola, di questo passo avrò più casi di Hercule Poirot!”
L’arrivo inaspettato di Patrick la distolse da quei pensieri. Decisa a mettere in ottima luce Maggie, con la discrezione che la contraddistingueva esaltò i suoi pregi e la spronò a conversare. Fu lieta di notare quanto lui fosse amabile e premuroso nel rammentarle che la lezione successiva era stata spostata al mercoledì. Non appena le ebbe lasciate per raggiungere Ian al bar, Faith commentò –E’ un uomo d’oro. Sono felice di averti spinta a iscriverti a quel corso, sei entrata in contatto con persone amichevoli. Non sei d’accordo, Meg?
–Oh, sì, assolutamente- rispose lei con entusiasmo, e se Faith fosse stata attenta a vedere ciò che avrebbe dovuto, invece di ciò che voleva, si sarebbe accorta che Patrick portava la fede e che lo sguardo della Bell non si era affatto posato su di lui.

 
***

Andrew Dixon rientrò a casa stanco, sudato e col camice graffiato da un paziente felino particolarmente isterico. I muscoli gli dolevano e la sua unica aspirazione, in quel momento, sarebbe stata un bagno caldo, magari in compagnia della sua fidanzata. Peccato che non avesse una vasca e che i suoi rumorosi amici sarebbero arrivati tra mezz’ora, troppo poco per chi, come lui, amava trascorrere lunghi minuti sotto la doccia. Maledicendosi per il ritardo e per aver accettato di ospitare la baraonda del venerdì sera a casa sua, ripose la borsa da lavoro e controllò che il regalo che un amico gli aveva affidato fosse al suo posto.
Non trovandolo, chiese, in preda al panico –Eva, amore, scusa se ho tardato. Spero non sia arrabbiata. Senti, non è che per caso hai visto un anell… oh. Mio. Dio!
Decisamente, Evangeline non era arrabbiata. Una donna arrabbiata si farebbe trovare con le mani sui fianchi, o con un mattarello, non sdraiata sul letto seminuda!
–Tranquillo, l’anello è in buone mani- mormorò mentre lo trascinava sul letto, spogliandolo dei vestiti.
–E pensare che… credevo di essere io a farti… una sorpres… ah, Eva, sei… fantastica!
–Lo so. Sbrighiamoci, non abbiamo molto tempo!
–V-Voglio p-prima d-dirti una cosa… m-ma… l’anello?
–Ce l’ha chi era destinato ad averlo.
–Oh, bene. Chissà se a Claire è piaciuto.
Evangeline, che stava abbassandogli i boxer con i denti, si irrigidì, scattò a sedere e strillò –Claire? CLAIRE?
–Beh… sì. L’anello è per lei, e…
Il poveretto non riuscì a finire la frase perché la sua fidanzata iniziò a picchiarlo, ululando –Bastardo! Traditore! Stronzo! Volevi farmi una sorpresa, eh? Te la do io la sorpresa! Su per il culo ti ficco quel cazzo di anello, lo faccio arrivare al colon trasverso!
–Amore, stai delirando…
–Come hai potuto?- piagnucolò, rannicchiandosi ai piedi del letto. –Cosa ho fatto per meritarlo? Non mi ami più?
–M-Ma… ma io… volevo solo farti una sorpresa…
–Così hai pensato bene di mandarmi a fanculo e rimpiazzarmi con questa Claire! Gran bella sorpresa, complimenti!
Prima che Andrew potesse riprendersi dallo sconcerto, Evangeline si vestì, riempì un trolley e minacciò di andarsene. Stava lottando per trattenerla, quando bussarono alla porta; incazzato nero andò ad aprire e, incurante di apparire maleducato, ruggì –Non è un buon momento. Ripassate più tardi!
Poco dopo la scena si ripeté, solo che stavolta fu Evangeline ad aprire e urlare –Non è un buon momento. Ripassa più tardi!- ma Andrew accorse per impedirle di sbattere la porta in faccia al suo amico Garreth.
–Gar, scusa, ci hai beccati nel bel mezzo di una litigata e…
–Ah, non preoccuparti, capisco benissimo. L’amore non è bello se non è litigarello. Prendo il mio anello e vi lascio scannarvi in pace.
Evangeline si bloccò col braccio a mezz’aria, strabuzzò gli occhi e sibilò –Il tuo anello?
–Sì. Sai, voglio fare una proposta in grande stile alla mia Claire…
–Claire…
–Purtroppo, però, insieme a tanti pregi ha un difettuccio: è una ficcanaso. Per evitare che lo trovasse, o che lo ingoiasse il nostro cane, rovinando la sorpresa, l’ho affidato a Drew. Geniale, no?
–Geniale…
–Qualcosa mi dice che hai equivocato, Eva.
–Hai meritato comunque quei pugni: mi tenuto nascosto qualcosa di importante. P-Però… se l’anello non è per me- pigolò lei, consegnandolo a Garreth, –A-Allora… l-la sorpresa di cui mi hai parlato… non esiste.
–Certo che esiste!- esclamò Andrew, tirando fuori dalla borsa professionale una busta. –Questa estate non abbiamo potuto fare un viaggio degno di questo nome, perciò, senza offesa per le nostre famiglie, trascorreremo le vacanze pasquali a...
–Malta!- trillò Evangeline, per poi saltargli addosso. –Oh, Andy, è meraviglioso! Sei il migliore!
–Ah, sì? Non sono più un “traditore, bastardo e stronzo”?
Non seppe mai la risposta, perché in quel preciso momento la baraonda del venerdì sera ricomparve sulla soglia, Faith bussò e sbuffò sarcastica –E’ ancora un brutto momento, o possiamo finalmente vedere se l’infermiera Rooke ha convinto la moglie del paziente in coma a fare una cosa a tre col dottor Mc Kenzie?

 
***

Ogni tanto persino Brian Cartridge si sentiva stanco; in queste rare eccezioni alla sua proverbiale vita sregolata si concedeva un tè (al naturale o corretto), buona musica e un libro o un film.
Quella sera aveva scelto di rilassarsi aiutando suo cugino ad allenarsi per la gara cittadina di cruciverba. Adam era il campione uscente, ma non aveva alcuna intenzione di “uscire”; come ogni Cartridge che si rispetti era estremamente competitivo, viveva per vincere.
Squillò il telefono e, come al solito, Adam non si mosse di un millimetro, impegnato nel tentativo di battere il suo precedente record di tempo.
Sbuffando, rispose Brian, e una voce femminile piagnucolò –Grazie al cielo sei tu! E’ successa una disgrazia!
–Ok, respira e spiegami tutto con calma. Non agitarti, una donna in dolce attesa non deve agitarsi- esalò Brian, consapevole che quella frase aveva segnato la fine della sua tranquillità.
–E’ morto! Carter è morto! C’è il… medico con lui- squittì la donna con voce tremolante.
–Carter… morto? Non è possibile! Abbiamo cenato insieme ieri, e stava bene!- esclamò Brian, sconvolto. A parte i fisiologici acciacchi dovuti all’età, Carter Ryan godeva di ottima salute.
–E’ s-successo q-qualche o-ora fa. Non ha mangiato perché diceva di avere male allo stomaco, è andato a stendersi sul letto, ma poi si è sentito male, si contorceva dal dolore, ho chiamato l’ambulanza, stava malissimo, e quando sono arrivati… era già morto!
Inizialmente Brian pensò all’infarto ( suo padre ne aveva avuto uno due anni prima, e se non fosse stato per la prontezza di spirito di sua madre non sarebbe sopravvissuto), poi, però, ripensando al racconto della terza Mrs. Ryan, lo assalì un atroce dubbio: che una delle donne di casa avesse affrettato la dipartita del vecchio? Era plausibile: Carter era un eccellente uomo d’affari, ma aveva la presunzione di non ascoltare i consigli altrui; contro il suo parere, per non parlare del comune buon senso, aveva accolto in casa propria le sue due ex mogli e i rispettivi nuovi compagni, e aveva nominato lui, Brian Cartridge, donnaiolo e casinista, futuro padrino e tutore legale del nascituro. Sorrise al pensiero che Faith, se avesse ascoltato la telefonata, avrebbe cominciato subito a snocciolare congetture più o meno plausibili camminando su e giù per la stanza come una giovane Miss Marple del ventunesimo secolo. “Cazzarola, Agatha Christie venderebbe l’anima per essere qui adesso: i moventi bastano per una decina di romanzi gialli”, avrebbe commentato.
–Senti, so che è difficile mantenere la calma, però devi farcela. Non hai niente da temere, se non hai niente da nascondere- asserì, stringendo convulsamente la cornetta del cordless.
–Ma io ho qualcosa da nascondere, lo sai perfettamente!- replicò Mrs. Ryan tra i singhiozzi.
–Qualcosa collegato alla morte!
–Oh. Oh, no, quello no. Non sospetterai che Carter… oh, no, no, no! Non può essere!
–Datti un contegno, Crystal! Capisco che stai recitando la parte della vedova afflitta a beneficio della comunità, ma non c’è bisogno di fingere con me. Non avresti fatto quello che hai fatto se avessi provato anche solo un briciolo di affetto per tuo marito.
–Non sei nella posizione di potermi giudicare- sibilò Mrs. Ryan. –Puoi semplicemente scegliere se aiutarmi o metterti contro di me. Vedi, l’assicurazione ha qualche, ehm, dubbio sulla diagnosi di causa della morte, e la tua influenza potrebbe farmi comodo: voglio i miei soldi, e li voglio prima possibile!
–I soldi che Carter ti ha destinato, vorrai dire- la corresse Brian, poi, intenerito dal pensiero della creatura vittima della cupidigia materna ancor prima di nascere, aggiunse, prima di riattaccare –Le briciole. Per quanto riguarda quelli di tuo figlio… sta’ sicura che ti impedirò di artigliarli con le tue manacce rapaci, fosse l’ultima cosa che faccio!

 
***

–Dai, Franz, devi indovinare! E’ facile!- ridacchiò Faith, agitando il cucchiaino che aveva pulito dal budino al cioccolato.
–Ovvio che è facile… sai la risposta!- osservò Weil, infilzando il suo budino quasi volesse ucciderlo: da vero gentiluomo aveva ceduto l’ultimo al cioccolato a Faith, ritrovandosi a doverne mangiare uno alla vaniglia, che non gli piaceva. Ciliegina sulla torta (o meglio, sul budino), si sentiva dilaniato dalla tensione: invano si era sforzato di abbandonare la competizione col fantasma di Cyril, tornava continuamente a tormentarlo; all’inizio aveva pensato che evitarla avrebbe giovato, invece aveva peggiorato la situazione, così aveva invertito la rotta e cercato di oscurare il ricordo di Mr. Perfettino dimostrando fisicamente a Faith quanto la desiderasse.
–Pensaci, su: cosa c’è in profumeria?
–I profumi… no, troppo scontato- mormorò Franz. –Non lo so. Mi arrendo.
–Non puoi arrenderti! So che puoi arrivarci, impegnati!- lo pungolò Faith, rubandogli un po’ di budino alla vaniglia.
–Scusa, non sono dell’umore, ho altro per la testa.
–Qualcosa che spieghi come mai, tutto a un tratto, sei diventato assatanato?- chiese la Irving, che possedeva un intuito di prima classe.
–Sì. La verità è… che ti bacio per dimenticare- ammise.
–Dimenticare? Stai dicendo che sono la sostituta di qualche sgualdrina che ti sei portato a letto?- soffiò, tirandogli in testa il cucchiaino.
–Ahio! Fa male!
–Bene! Meriti di soffrire!
–Allora dovresti auto-punirti, perché mi stai facendo stare da cani!
–Per un cucchiaino? Mamma mia, come sei delicato!- sbottò Faith a braccia conserte.
–E’ Cyril il problema!- ringhiò Franz, incapace di trattenersi. –Mi dici che è storia passata, però non ne vuoi parlare, e questo mi fa credere che non è un capitolo chiuso. Anche perché, diciamocelo, chi conserva le foto del proprio ex nella cornice?
–Una persona matura, che riesce a ricordare i momenti belli di una relazione senza perdere di vista quelli brutti. Cos’avrei dovuto fare, secondo te? Buttare i suoi regali? Eliminarlo dagli album di nozze di Abby e Bridge e dal mio album di ricordi? Capisco che possa essere geloso, e mi dispiace che non me ne abbia parlato prima, ma non capisco perché dovrei cancellare ogni traccia di Cyril: sono stata felice con lui…. fino a un certo punto. Se potessi rivivere la mia vita daccapo ne farebbe parte, e se non riesci ad accettarlo…
–Ehi, ehi, ehi! Frena, frena, frena!- la interruppe. –Ecco cosa volevo sentire. Cioè, non esattamente - avrei preferito che lo mandassi al diavolo - ma ne stiamo discutendo civilmente, mettendo al centro i tuoi sentimenti, non la biografia di Cyril. Mi importa di te, non di lui.
–Sono contenta che abbiamo chiarito.
–Non ancora. Un’ultima domanda: nelle fotografie a casa tua sembrate una coppia affiatata, cosa vi ha fatto scoppiare?
Faith impallidì: non era pronta a rivelargli del matrimonio mancato, e della campagna diffamatoria di Solomon. Si fidava di Franz, sapeva che non l’avrebbe lasciata, ma la ferita era cicatrizzata solo parzialmente, in più temeva che l’avrebbe giudicata, e non l’avrebbe sopportato.
Decise quindi di giocare d’astuzia.
–Uhm… te lo dirò… se risolverai l’indovinello! Aguzza l’ingegno, Franz: cosa c’è in profumeria?

Nota dell’autrice:
Avanti, su, provate anche voi a indovinare: cosa c’è in profumeria?
Solo, fatemi il favore di inviare la risposta in PM, non sia mai che qualcuno indovini e spoileri la soluzione! XD
E ora… tiriamo un sospiro di sollievo: Franz ha sputato il rospo, alias Cyril! Era ora che si confidasse con Faith: l’amore è fiducia, e chissà che questo chiarimento non porti altre evoluzioni nel loro rapporto… ;-)
Il piano per sistemare Maggie prosegue; forse, però, la cara Faith farà la fine di Emma, e i suoi progetti non si realizzeranno interamente come previsti… dopotutto, Harriet trova la felicità con Mr. Martin, non col reverendo Elton (meno male, aggiungerei, e aggiungo anche di leggere questo classico della letteratura inglese, se non l’avete ancora fatto)!
Un applauso a Evangeline e Andrew! *applauso* Hanno fornito l’intermezzo comico, se lo meritano… senza contare che sono davvero una bella coppia (creata da Faith).
Fine degli scleri.
Serpentina
Ps: se volete ascoltare il brano richiesto da Maggie andate su Youtube e cercate “Lord of the dance, Duelling violins”, oppure visitate il mio profilo ( 
https://www.facebook.com/francy.iann ).
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Scoop ***


Aloha! Puntualissima, eccomi qui a pubblicare. Immagino (spero) siate curiosi di scoprire se Faith e Franz riusciranno a portare avanti un discorso serio senza saltarsi addosso e se Maggie e Ian combineranno qualcosa, perciò vi lascio al capitolo! ;-)
 



Scoop




“Lo scandalo è un pettegolezzo reso noioso dalla moralità.”
Oscar Wilde
 
Harry James era sempre stato metodico, e questo aspetto della sua personalità si era acuito al punto da diventare una vera mania dopo la morte dei genitori; investito da un improvviso e pesante carico di responsabilità, aveva fondato la propria condotta di vita su ordine e metodo.
Harper James era sempre stata vivace, e questo aspetto della sua personalità si era acuito al punto di farle ricevere una multa per taccheggio dopo la morte dei genitori; avviluppata in una prigione di autocommiserazione, e oppressa da un fratello che si era assunto l’onere non richiesto di sostituire suo padre e sua madre, aveva scelto di vivere alla giornata.
Si potrebbe pensare che due persone tanto diverse non si potessero soffrire, invece i fratelli erano legati da profondo affetto e dalla triste consapevolezza di essere per ognuno la sola famiglia rimasta.
Quella mattina Harry si svegliò con tutta calma, essendo di turno pomeriggio e notte, fece una doccia rigenerante e preparò la colazione per sé e per Harper.
Bussò alla porta della sua camera. Nessuna risposta. Bussò una seconda volta. Di nuovo, nessuna risposta. Dopo un terzo, infruttuoso tentativo, insospettito dal silenzio (al posto del solito “Ancora cinque minuti!”), spalancò la porta e rimase a bocca aperta: sua sorella lo fissava terrorizzata, coperta fino al naso, e, nel poco spazio libero accanto a lei..
–C’è qualcuno, qui- osservò Harry, attivando la modalità “fratello maggiore”.
–No, nessuno- pigolò Harper con una voce tremula che da sola bastava a comprovarne la colpevolezza.
Harry sospirò e, pensando che avrebbe dovuto aspettarselo, sospirò –Puoi uscire, Patty, prometto di non farti del male.
La testa bionda di Robert Patterson fece capolino da sotto le coperte, e una voce intrisa di sonno borbottò –Come hai fatto a capire che ero io?
–Sei l’unico che mia sorella non butterebbe fuori di casa dopo… dopo- rispose, avvampando: in fondo si trattava di sua sorella, beccarla a letto con uno dei suoi migliori amici lo aveva messo terribilmente a disagio. –E poi ho riconosciuto i vestiti sparsi sul pavimento. Com’è successo?
–Non lo so- ammise Harper con invidiabile candore. –Ci siamo incrociati qualche giorno fa e… si è riaccesa la passione!
Ignorando la reazione imbarazzata di Robert, Harry esalò –Q-Qualche g-giorno fa? Cioè… avrei potuto sorprendervi altre volte?
–Esatto- replicò con naturalezza sua sorella. –Anzi, ringrazia di non essere entrato due minuti prima, credo che i tuoi pudichi occhi e orecchie si sarebbero suicidati per la vergogna!
–Porca miseria, non sapete chiudere a chiave?
–Harp, ti prego, taci, non voglio ripetere l’esperienza di tre anni fa!- la pregò Robert, facendosi scudo col copriletto color pesca. I due si erano frequentati per un periodo all’insaputa del fratello di lei, e quando Harry l’aveva scoperto aveva dato un pugno a Robert, il cui naso non era più stato lo stesso.
–Rilassati, Patty, ormai ho capito che la persona poco seria in questa storia è mia sorella- lo tranquillizzò Harry. –Che intenzioni hai, Harp? Il mio amico ha il cuore tenero… tranne che con la povera Maggie Bell.
Robert non ebbe la decenza di mostrarsi dispiaciuto, anzi, sbuffò una risatina di scherno, Harper sbadigliò ed esclamò, stizzita –Maggie Bell? La balenottera bruna? Ti sbava ancora dietro? Credevo avesse un briciolo di dignità!
–Ahimè, sì- le rispose Robert, sogghignando. –Mi seguiva ovunque ed esaudiva qualunque mia richiesta come un cagnolino!
–Si rendeva utile… almeno quello!- commentò acidamente Harper.
I due continuarono a deriderla finché un esasperato Harry non sbottò –Vi rendete conto di cosa sta uscendo dalle vostre bocche?
–Uhm… parole?- rispose scherzosamente Harper, facendo ridacchiare Robert.
–State parlando di una persona, Harp, un essere umano, in carne e ossa, con un cuore, dei sentimenti…- ribatté suo fratello, prima di arrendersi alla triste verità: dietro gli occhioni da cerbiatta e l’apparenza angelica si celava una vera stronza. –Sai che ti dico? Fingi che non abbia detto niente. Sono felice che tu e Patty siate tornati insieme… vi meritate a vicenda!
–Dove stai andando?- gnaulò Harper.
–Fuori- ringhiò Harry prima di uscire di scena in grande stile, sbattendo la porta.

 
***

Brian si stava sforzando di mantenere un contegno adeguatamente mesto mentre sentiva senza troppa attenzione i vari discorsi di commiato di parenti e amici del fu Carter Ryan. Avrebbe voluto avere al suo fianco Faith, ma presenziare a un funerale illustre in compagnia di un’amica (nonché ex ragazza) avrebbe scatenato fastidiose illazioni, e non era il caso. Un vero peccato, perché - forse per deformazione professionale - aveva una visione tutta sua della morte, e non si poteva ascoltarla senza almeno sorridere: secondo la patologa i funerali erano comunemente ritenuti eventi sgradevoli non tanto perché celebravano la dipartita di un essere umano, quanto piuttosto perché rammentavano ai vivi che un giorno sarebbe toccato a loro. Sempre più a disagio, si guardò intorno: l’elegia di uno dei tanti conoscenti del defunto stava venendo offuscata dal mormorio di sottofondo misto ai singhiozzi da Oscar delle tre Mrs. Ryan, una delle quali, la prima, si tergeva elegantemente gli occhi con un fazzoletto ricamato.
“Che pagliacciata!”, pensò Brian, sbuffando mentre allentava il nodo della cravatta quel tanto che bastava a non soffocare. “Probabilmente, esclusi me e mio padre, nessuno è veramente triste che il vecchio se ne sia andato, e come dar loro torto? Carter ha pestato i piedi a troppe persone per costruire il suo impero, e le tre imperatrici non vedono l’ora di spenderlo penny dopo penny.”
Al termine della funzione lasciò il cimitero con suo padre James, che aveva colto l’occasione per visitare le tombe dei genitori; stava per salire in macchina, quando scorse l’inconfondibile sagoma del suo avvocato, Jack Wilkinson. L’uomo, noto nell’ambiente giuridico col soprannome di “The Guardian” ( in relazione sia al suo essere un fedele lettore della testata omonima, sia alla fredda ferocia con cui difendeva gli interessi del suo amico e facoltoso cliente, Brian), gli fece segno di raggiungerlo, Brian annuì e si precipitò da lui trepidante di curiosità.
–Cosa ci fai qui, Jack O’Lantern?- scherzò, chiamandolo col buffo nomignolo che gli aveva affibbiato all’università.
–Ho urgente bisogno di parlarti.
–Questo- gli fece notare il giovane Cartridge, –Mi sembra ovvio. Perché non sei venuto al funerale? Chiacchieravano tutti, qualche bisbiglio in più non avrebbe fatto differenza!
–Sarebbe parso sospetto se ti fossi presentato col tuo avvocato, non ti pare?- osservò Jack, per poi aggiungere –Senti, una fonte al ‘Mirror’ mi ha informato che domani uscirà un servizio-bomba in prima pagina… tieniti pronto.
–Tutto qui? Avresti potuto tranquillamente informarmi per telefono. L’ennesima panzana di uno scribacchino in cerca dei suoi quindici minuti di celebrità non merita tanto onore- ridacchiò Brian, sollevato. –Sarà il classico fuoco di paglia: un mese al massimo e si estinguerà da solo.
–Ne dubito- replicò Jack, esibendo un sorriso sibillino, quindi gli chiese –Sapevi che Carter Ryan… era sterile?

 
***

Il mattino seguente, nei sotterranei del Queen Victoria Hospital, una piccola folla ciarliera stava discutendo della felice soluzione dell’equivoco che aveva rischiato di mandare in ospedale ( o all’altro mondo) Andrew Dixon, fidanzato di Evangeline Ferrey, per impedire che Maggie Bell venisse a conoscenza di una notizia che l’avrebbe rattristata enormemente: la sua cotta storica, Robert Patterson, era stato visto passeggiare mano nella mano e scambiarsi tenere effusioni con la sorella del dottor James. Incurante di tre pazienti che attendevano con ansia di liberarsi delle tonsille, la dottoressa Ferrey teneva banco raccontando delle grasse risate e della riappacificazione a luci rosse che avevano seguito la visione di ‘Genital Hospital’.
–Perciò.. a Pasqua andrai a Malta- affermò con un pizzico d’invidia Joshua Elmond, che invece avrebbe trascorso le vacanze pasquali in ospedale, essendo di turno.
–Malta è stupenda, l’ideale per due innamorati- asserì Erin. –Quando ci andai col mio ragazzo, lasciammo la camera sì e no un paio di volte! Non so se mi spiego…
Il fidanzato di Erin, Chris Hale, la fulminò con lo sguardo, facendo tremare i maschi presenti, certi che se l’ex della dottoressa Campbell fosse stato lì in quel momento le avrebbe prese, per giunta da un ex rugbista!
–Fortunella!- trillò Thomas Jefferson, meglio noto come Jeff. –Il tuo ragazzo ha le due qualità dell’uomo da sposare: cuore d’oro e culo di marmo!
–Jeff!- lo rimproverò Maggie Bell, le cui guance si imporporarono immediatamente ( al contrario di quelle di colui che aveva provocato il rossore, che non mutarono di colore).
–Sorvolerò sull’apprezzamento al lato B del mio Andy e mi limiterò a darti ragione: di uomini così non se ne trovano molti… ancora a piede libero. Non sarà un anello di fidanzamento, ma direi che posso accontentarmi- sospirò Evangeline. –Sposarci sarebbe meraviglioso, ma, ora come ora, non possiamo permettercelo. Ne riparleremo più in là… sempre che non ci lasciamo, nel frattempo.
–Sciocchezze: voi due siete la coppia perfetta!- sbottò Diane Berry. –Vero, Faith? Faith?
Sentendosi chiamata in causa, l’interpellata alzò lo sguardo dalla copia del ‘Daily Mirror’ che stava leggendo.
–Scusate, ero distratta. Dicevate?
–Forse hai bisogno che il medico dei pazzi ti prescriva qualche pilloletta- rispose Diane, puntando il pollice verso Erin. –Nessuno sano di mente preferisce il Mirror all’Evening Standard.
–No davvero!- replicò con sussiego la Irving, per poi aggiungere, riportando gli occhi sulla pagina –Si dà il caso, però, che oggi abbia pubblicato una notizia interessante.
–L’ennesimo politico beccato a rubare i nostri soldi?- domandarono tutti in coro.
–No, solo lo scoop che Carter Ryan era sterile.
–Stracazzo! Dai qua!- esclamò Diane, strappandole di mano il giornale.
Erin, grazie alla considerevole altezza, riuscì a leggere da sopra una sua spalla.
–“Lo ha rivelato l’esame sul corpo effettuato per volere della compagnia di assicurazioni”. Furbi, eh? Cosa non farebbero pur di non sganciare la grana! Oho, sentite qui: “Crystal, terza ed ultima moglie del defunto, non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Più disponibili, invece, sono state le due ex mogli del famoso affarista, che hanno così commentato: Avevamo sospettato qualcosa - voglio dire, invecchiando si comincia a perdere colpi, non aveva avuto figli da noi quando era giovane, figurarsi adesso! - era impossibile che questa sgualdrina di bassa lega fosse rimasta incinta come per magia! Non mi stupirei se saltasse fuori che è dell’idraulico… sa cosa si dice degli idraulici, no?”
–La raffinatezza in persona le due ex mogli, non c’è che dire- sputò Jeff.
–Non mi stupisce- asserì Josh. –E’ solo la dimostrazione che quella è una…
–Niente moralismi del cazzo, le due arpie hanno ragione: il vecchio era un coglione e lei una furbacchiona, fine della storia!- sbraitò Diane nel consueto linguaggio volgare (che risparmiava esclusivamente ai pazienti).
–Parole sante, Diane- annuì Evangeline. –E’ una becera dimostrazione del maschilismo imperante. Scommetto che se Mr. Ryan fosse stato Mrs. Ryan e avesse sposato un uomo di trent’anni più giovane vi sareste messi a sghignazzare, invece no, un uomo può fare quel che gli pare, la troia è lei! Ma fatemi il piacere!
–Non è una questione di sessismo, ma di stupidità- ribatté Erin. –Se sposi qualcuno che per età potrebbe esserti figlia o addirittura nipote devi essere consapevole: uno, che è attratta dal tuo conto in banca, non dai tuoi occhi, dalla tua gentilezza o quel che è, e due, che ti metterà le corna. Non invecchiano soltanto le donne, carini, se a noi si afflosciano tette e culo a voi cresce la pancia e si spompa il piffero!
–C’è un’altra possibilità: lo sapeva, e l’aveva sposata apposta- osservò saggiamente Faith. –Ma temo non lo sapremo mai.

 
***

–Husky!- urlò Chris prima di sedersi accanto a Franz, assorto nella lettura dell’ultimo numero di ‘Pathology’. –Quanto tempo! Un altro po’ e per riconoscerti saremmo stati costretti ad affidarci alla foto sul tesserino!
–Davvero spiritoso, Chrissino.
–Non lo è- rincarò Robert. –Capisco che adesso hai occupazioni più piacevoli, ma non possiamo arrivare al punto di dover indossare un reggiseno e riempirlo con due meloni per ottenere la tua attenzione!
–Se è un velato tentativo per estorcermi dettagli privati sul sesso con Faith, cascate male- “Perché il massimo che ci possiamo concedere sono pomiciate spinte” –Il gentiluomo gode e tace, come disse una volta il nostro Patty.
–Come puoi pensare che oseremmo chiedertelo?- mentì Harry. –Il nostro unico scopo è comunicarti una lieta novella: la moglie del nostro vecchio amico e collega Axel è incinta! Figlio numero quattro in arrivo a casa Hawthorne! Speriamo in un fiocco azzurro, le sue figlie mi hanno fatto comprendere perché si dice “auguri e figli maschi”… tre pesti del genere non si vedevano dai tempi di Attila!
–Parla per te, io i dettagli piccanti li pretendo!- gnaulò Chris.
–Erin non si arrabbierà con te per aver sparlato di una sua amica? Sai quanto le femmine tengano a queste inezie!- ribatté Franz nel tentativo di scampare all’interrogatorio.
–Mi ucciderà comunque: ho mancato di notare che ha cambiato colore di capelli. Ora canta per noi, fringuello: Faith è vivace di notte come lo è di giorno? Fonti affidabili hanno rivelato che vi date da fare nel ripostiglio dei coloranti.
–Galeotto fu il Blu di metilene- sghignazzò Harry James dando di gomito all’amico.
Franz, il cui viso era si era tinto di rosso pomodoro, borbottò –Jefferson me la pagherà.
–Hai sbagliato persona, amico, è stato il dottor King a informarci dei tuoi intrallazzi con la Irving- spiegò Robert. –Ha anche aggiunto: “Non gli ho affibbiato una sanzione disciplinare perché lo ammiro, al suo posto non sarei stato capace di ragionare sempre col cervello di sopra e non riservare trattamenti di favore alla mia donna!”
A quel punto Franz perse il controllo; si alzò di scatto e sbraitò –Ok, è poco professionale saltarci addosso nelle stanze vuote del reparto, ma cazzo, sono un essere umano, impazzirei se dovessi lavorare gomito a gomito con Faith senza poterla toccare, baciare.. lei è così… ma non pecco di parzialità, oh no. Ho tanti difetti, ma non mi lascio guidare dalle parti basse!- prese fiato e proseguì –Mai confondere lavoro e piacere. Mi sto impegnando a mantenere un atteggiamento di assoluta imparzialità nei confronti di Faith perché la amo. Non è raro che una donna faccia carriera sfruttando doti diverse da quelle intellettuali - un esempio lampante è Charlotte Higgins-, ma paga tale ingiusta ascesa a caro prezzo. E’ innegabile che i medici, dietro l’alone di scientifica serietà, non sono che un pettegoli pronti a criticare tutto e tutti, e una buona reputazione vale più dei gioielli della Corona. Se fosse stupida non avrei remore, ma Faith è preparata, non sopporterei che venisse additata come una specie di prostituta solamente perché abbiamo una relazione! Niente dovrà mai gettare ombre sul suo lavoro, e nessuno dovrà mai dubitare che i suoi successi sono meritati.
–Tutto ciò è molto nobile, Husky- mormorò Chris, tormentandosi le mani, –Ma ti sei, uhm, accorto di aver detto che, ehm…. la ami?
Franz scoppiò a ridere, inizialmente, poi, realizzata la portata delle parole di Chris, impallidì a sua volta, esalò –Merda!- e corse via. Aveva bisogno di riflettere, da solo.

 
***

L’esperienza aveva insegnato a Ian Dunne che le persone sono generalmente abitudinarie, e soltanto uno sconvolgimento fisico o emotivo le spinge a modificare le loro abitudini. Perciò, quando l’affezionata cliente Maggie Bell ordinò uno scotch doppio, al posto dell’usuale irish coffee, le chiese, sbigottito –Sicura di stare bene?
–Starò alla grande dopo aver bevuto quello scotch.
–Scotch in un pub irlandese? Così mi offendi!- scherzò, e le preparò il solito.
–Ho bisogno di roba forte- rispose Maggie, per poi guardarsi intorno nella speranza che il resto della baraonda del venerdì sera arrivasse presto.
–L’alcool non ti asciugherà le lacrime, né ti impedirà di versarne altre. Perché, invece, non ti accomodi- batté la mano su uno sgabello –E ti sfoghi? Prometto di custodire il segreto, se vuoi che resti segreto.
–Segreto? Praticamente lo sa mezza Londra! Soltanto io non ne ero a conoscenza, come al solito. I miei cosiddetti amici lo sapevano e me l’hanno tenuto nascosto.
–Volevano proteggerti.
–Da cosa? Non sono una bambina! Avrei continuato a vivere nell’ignoranza se non avessi sentito due ostetriche dire “Speriamo che la Bell la prenda bene, non la reggerei in versione annaffiatoio umano”! Ovviamente quella frase mi ha messa in allarme, ho fatto qualche domanda e... mi sono trasformata in un annaffiatoio umano, con ‘Let me love you’ per colonna sonora.
–Spero non allagherai il locale, stasera… se proprio dovessero uscirti fiumi di lacrime dimmelo, così ti porto a casa mia e ti uso per innaffiare le piante!- replicò Ian con una strizzata d’occhio. A Maggie scappò un mezzo sorriso che lo fece esclamare, soddisfatto –Visto? Sono riuscito a farti sorridere, e senza farti bere! Ecco il tuo irish coffee, comunque.
–Grazie- pigolò lei. –I miei amici non sono ancora arrivati, vero?
–No. Direi che hai tempo di goderti il caffè in pace…
–E raccontarti cosa mi ha ridotta a uno straccio- concluse per lui. –Va bene, tanto più che credo mi aiuterà a risollevarmi il morale. Mi piace... cioè, piaceva - non lo so, sono così confusa! - un collega che purtroppo è bello quanto stronzo. Anzi, chiamarlo stronzo è un’offesa per gli stronzi. Speravo che aiutandolo al lavoro ed essendo gentile con lui prima o poi mi avrebbe notata, invece… ho scoperto che mi ha presa in giro tutto il tempo. Oggi ho appreso che è tornato con la sua ex, la sorella di un suo amico.
–Non ho parole- abbaiò Ian. –Ti ha illusa e delusa per i suoi porci comodi! Se mi fossi trovato nei tuoi panni, lo avrei polverizzato!
–Gli ho gettato in faccia una tazza di caffè bollente, secondo te è sufficiente?- chiese Maggie, decisamente più serena.
–No, ma è il massimo della vendetta attuabile senza finire dietro le sbarre- rispose lui, prima di lasciarla per dedicarsi ad altri clienti, –Cambiando argomento… visto che ho seguito il tuo consiglio? I biscotti sono un successone!

 
***

–E’ una… tragedia… ragazze, una vera… tragedia- si lagnò Abigail Venter in Cartridge, ansante per l’allenamento in palestra.
Faith, sebbene la corsa sul tapis roulant la privasse del fiato, asciugò il sudore dalla fronte e rispose –La morte è un triste evento, ma fisiologico.
–Chi se ne frega della morte di quel vecchio noioso! Mi riferisco allo scandalo della paternità del figlio di Mrs. Ryan!- replicò Abigail, aumentando la velocità per sfogare la frustrazione.
–Come sta Brian?- chiese Bridget, per una volta senza secondi fini: il cognato di Mrs. Cartridge le somigliava troppo perché desiderasse rendere il loro rapporto più intimo.
–Benissimo, lui! Si divide tra casa, ufficio e studio di Jack.
–Brian Cartridge ha smesso di folleggiare?- esclamò Bridget, esterrefatta. –A quando la fine del mondo?
–B, il punto non è il cambiamento dello stile di vita di Brian, ma del nostro!- piagnucolò Abigail. –Io e Ben quasi non usciamo più di casa, e le rare volte in cui andiamo a trovare amici e conoscenti - oppure loro vengono da noi - la conversazione è dominata da questa vicenda scabrosa. Ieri, al tè di Mrs. Reilly, ero talmente esasperata da andarmene prima che venissero serviti i pasticcini!
–Una grave perdita, indubbiamente- sibilò Faith.
–Davvero!- annuì Abigail, che non aveva colto il sarcasmo. –L’unica nota positiva di questa situazione è che forse mio cognato imparerà a condurre una vita più sana.
Faith si morse un labbro per tenere a freno la lingua. Non appena si fu calmata, soffiò –Non ti ha sfiorata il pensiero che Brian è soddisfatto della sua vita e non ha alcuna intenzione di modificarla? Al posto tuo, mi preoccuperei: se un casinista festaiolo comincia a uscire di casa soltanto per andare al lavoro o dal suo avvocato significa che qualcosa non va… controversie legali?
–Se ti riferisci al fatto che Carter ha lasciato in eredità alle mogli, le uniche parenti in vita, la percentuale minima prevista per legge…
–Cosa? Il pupo… piglia tutto?
–Oh, no, non avrei dovuto dirlo! Bocca cucita, mi raccomando!- sussurrò Abigail in tono cospiratorio. –Ad ogni modo, non c’è da preoccuparsi. Jack è ottimista: se quelle megere sono avide come le si dipinge si accontenteranno dell’uovo oggi, piuttosto che rischiare di spiumare la gallina un domani per pagare la parcella dell’avvocato.
Faith e Bridget si scambiarono uno sguardo d’intesa e asserirono all’unisono –Data la consistenza della gallina, non ne sarei così sicura.

 
***

Fedele ai propri principi, Franz non mancava di riprendere Faith quando commetteva errori imperdonabili.
–Irving, perché la colorazione che stai per eseguire si chiama E&E?
–Perché si usano ematossilina ed eosina- rispose prontamente Faith, scrollando le spalle.
–Esatto. Cos’hai in mano?
–Ematos… nitroprussiato. Scusa, non so dove ho la testa- pigolò a testa bassa: sin da piccola prendeva le critiche molto seriamente, non era capace di farsele scivolare addosso, ne faceva una questione personale.
–Nemmeno io, ma so dove non ce l’hai: sul collo!- sbottò Franz. –Non accetto le tue scuse, come credo non le avrebbe accettate la paziente che avremmo dovuto biopsare di nuovo, se non ti avessi fermata.
Non dovette aspettare molto per scoprire cosa la turbava: in città non si parlava d’altro. Guy Fawkes avrebbe potuto resuscitare e far saltare in aria il Parlamento, Sua Maestà avrebbe potuto girare per le strade in bikini e nessuno vi avrebbe dato peso, tanto morbosa era la curiosità nei confronti dello scottante “caso Ryan”.
Faith lo esortò a prendere la situazione con filosofia.
–Passerà, vedrai- disse in tono conciliante. Era stesa sul divano di Franz, il mento poggiato sulla sua spalla, satolla e felice. Il suo favoloso fidanzato in prova aveva cucinato una cena deliziosa, consumata in un’atmosfera casalinga e rilassante; niente lume di candela o petali di rosa sparsi sul pavimento, il suo Franz non aveva bisogno di melensaggini per fare colpo. –L’opinione pubblica è come un cane stupido: fai vedere un pezzo di legno, rincorre il pezzo di legno; fai vedere una pallina, rincorre la pallina. Era inevitabile che una storia simile calamitasse l’attenzione generale: un uomo ricco e anziano, una moglie bella e giovane, l’adulterio…
–Il vero scandalo è che il fatto che ci sia di mezzo un marmocchio accresca l’accanimento- sbottò lui, abbassando la testa per sfiorarle il collo col naso e poi le labbra. L’aveva invitata a cena nella speranza che un pasto luculliano e una buona dose di vino la “sciogliessero” quel tanto che bastava a trasformare in realtà le fantasie che gli tenevano compagnia la notte, il mattino appena sveglio e sotto la doccia. Per assicurarsi il già probabile trionfo aveva deciso di farle una sorpresa: regalarle i biglietti per lo spettacolo di canti e balli tradizionali irlandesi che si sarebbe tenuto il diciassette marzo a Hyde Park. Per sfortuna (e con sommo disappunto dei suoi genitali), però, a differenza di Faith, non era assorbito dalla pseudo soap opera in cui era invischiato il caro Brian al punto da dimenticarsi del fantasma di Cyril. Prima avrebbe risolto quell’indovinello, meglio era. Una volta rassegnatosi alla triste prospettiva dell’ennesima notte in solitudine (e dire che qualche mese prima avrebbe tremato di raccapriccio all’idea di condividere “il suo già ristretto spazio vitale”) si era tuffato nella conversazione; a un certo punto, domandò, fremente di curiosità –E’ vero che il bambino eredita tutto? Si vocifera che le signore vogliano impugnare il testamento!
–Ah, non ne ho idea, me ne frego altamente di faccende legali- mentì. Si fidava di Franz, ma non era nel suo carattere tradire una confidenza. 
Weil intuì il suo disagio e si affrettò a tranquillizzarla, stringendola tra le braccia. L’equilibrio precario della posizione che avevano assunto lo spaventava, ma non osava proporle di spostarsi sul letto per timore che potesse fraintendere le sue intenzioni.
–Rilassati, non sei costretta a dirmi niente, se non vuoi- le assicurò, tracciando cerchi con l’indice intorno a una tripletta di nei sull’avambraccio di Faith.
Gli piacevano i nei della Irving, perfino più della sua abitudine di fare le fusa quando era soddisfatta. Adorava il modo in cui quegli accumuli di melanina perfettamente circolari risaltavano sulla pelle chiara; non c’era parte del corpo che ne fosse priva, neppure il palmo delle mani, anche se i più eccitanti erano senza dubbio quelli che gli aveva confessato di avere intorno alle areole e sul Monte di Venere.
–Ti prego, dimmi che non è il pensiero di Brian la causa di questa reazione!- ridacchiò a un certo punto Faith, strusciandosi contro di lui.
–No, la pistola che ho in tasca- scherzò Franz, per poi baciarla, ritrovandosi a sorridere contro le sue labbra: le precedenti esperienze non gli avevano mai fatto apprezzare il lato giocoso dell’intimità; forse era colpa sua, sceglieva ragazze troppo piene di sé, che ne facevano una questione di stato, privando il sesso di quella spontaneità e complicità che lo rendevano divertente, oltre che piacevole.
–Il Winchester che hai in tasca, vorrai dire!- replicò lei, rivolgendogli un sorriso ammiccante.
–Un fucile? Addirittura? Grazie del complimento…. anche se dubito entrerebbe nelle mie mutande- rispose Franz, sforzandosi di non scoppiare a ridere. –La tua conoscenza delle armi da fuoco mi spaventa, sai?
–Perché non hai idea di quanto è vasta quella di armi bianche e veleni!- replicò Faith con un sorriso poco rassicurante che raffreddò definitivamente i bollenti spiriti del povero Franz.

 
***

Jack Wilkinson rivolse un’occhiata omicida all’uomo seduto di fronte a lui. L’aspetto pallido e teso conferiva a Brian un’aria innocente che lo ringiovaniva di parecchi anni, controbilanciata dal velo di barba incolta che gli incorniciava la parte inferiore del viso.
“I’m tearing away. Pieces are falling, I can’t seem to make them stay.”
–Se non erro, ti avevo dato istruzioni precise- disse Jack a denti stretti.
–Comportati normalmente, non tradire lo stress, affidati completamente a me- cantilenò Brian come se stesse recitando una poesia.
–L’hai forse fatto? No!- sbraitò Jack, battendo un pugno sulla scrivania. –Sfido io che anche i maiali sparlano, ehm, grugniscono di te! Capisco ti senta in colpa, è normale, ma non puoi soccombere, devi reagire! Analizza la questione con un minimo di logica: quanti spermatozoi servono a fecondare un ovulo? Uno. Con quanti uomini andava a letto la adesso vedova allegra, escluso te? Vari. Quindi non c’è motivo di ritenere che il padre del pargolo possa essere tu.
–Eppure mi hai consigliato di sottopormi al test del DNA.
–Per smentire le voci di corridoio! Rifiutarsi equivarrebbe a un’ammissione di colpevolezza; sai come sono le persone: credono che chi è innocente non abbia mai paura.
Brian sospirò, guardando fuori dalla finestra –Non hai preso in considerazione la possibilità che il test risulti positivo?
Jack si accorse dell’ombra di sorriso apparsa sul volto dell’amico e sbuffò –Se non ti conoscessi, potrei pensare che lo speri.
–Non sarebbe conveniente: le tre arpie potrebbero usarlo come arma contro di me, in caso impugnassero il testamento; quella povera creatura rischia già di perdere i suoi soldi, dato che Carter li ha lasciati a suo figlio, non complichiamo le cose.
–Se avessi prestato più attenzione alla lettura del testamento e meno al decolté di Mrs. Ryan, sapresti che il documento recita “il bambino che darà alla luce mia moglie”, senza specificarne la paternità. Chissà, forse il vecchio aveva intuito qualcosa, ma bramava a tal punto un erede da fingersi cieco. Sarebbe una conclusione auspicabile da più punti di vista: il bambino riceverebbe certamente più cure e attenzioni da te che dalla madre, a giudicare dal modo in cui ne parlava le poche volte che ci siamo incontrati, e tu, in quanto padre, avresti molto più potere nella gestione dell’eredità… non che stia insinuando che deruberesti un neonato, sia chiaro!
–Non accadrà mai, Jack O’Lantern- asserì Brian con voce ferma e sicura –Innanzitutto, perché non sono io il padre, e poi perché nessun giudice con le rotelle a posto affiderebbe un poppante a me. E’ risaputo che non sono uno stinco di santo.
–Vero. Occupiamoci delle beghe patrimoniali, decisamente più facili da risolvere: dubito ti verrà negata l’amministrazione dell’eredità; sei un donnaiolo, non un ladro, negli affari hai sempre dimostrato una specchiata onestà.
–Diciamo… tutta l’onestà che si può permettere un uomo d’affari- precisò Brian, ora più tranquillo. –Ad ogni modo non potrei mai essere un padre, sono troppo ancorato alle mie cattive abitudini per cambiare. Curerò gli interessi del pargolo, di chiunque sia figlio, non perché provo dell’affetto per lui, bensì per espiare la mia colpa: ho scopato con la moglie di un altro, merito una punizione.
“I don’t care about anyone else but me. I don’t care about anyone.”
–Puoi ingannare te stesso, Brian, ma non riuscirai a ingannare me: sei migliore di come vuoi apparire, e saresti un buon genitore… se te ne fosse data la possibilità.
 
Nota autrice:
Perdono, non ho rivelato la soluzione dell’indovinello. Cosa c’è in profumeria? ;-)
Forse è implicito, ma ci tengo a ribadire che questa storia non ha intenti polemici, propagandistici e così via, le opinioni espresse dai personaggi non mi appartengono e se alcuni loro discorsi dovessero offendere qualcuno me ne scuso, ma credo non siano peggio di tanti che si sentono in giro.
Maggie, per la gioia di Ian, sta finalmente iniziando a disamorarsi di Robert, che si è ri-innamorato di Harper. Chissà se Harry è contento per la sua sorellina…
Se volete ascoltare la canzone che fa da sottofondo al pianto della dolce Maggie, eccovi il link: https://www.youtube.com/watch?v=VFHdFb0eqio
Se invece volete ascoltare la canzone che fa da sottofondo alla discussione tra Jack e Brian: https://www.youtube.com/watch?v=GmnPZQWyI8k
So che non potrò sfuggire in eterno a parti più “spinte”, ma finché riesco a inserire elementi divertenti anche nei momenti cucciolosi (per citare Bijouttina) di F&F, lo farò. Le scene arancione/rosse sono difficili da scrivere e dubito seriamente di possedere l’abilità per farlo senza cadere negli eccessi da porno scadente o trattato di Anatomia.
Sarà Brian il papà del piccolo? Credo lo abbiate già capito… quello che vi stupirà (forse) è la fine che farà la madre. Non dico altro.
Prima che vi annoiate troppo per leggere oltre, una vagonata di grazie di cuore ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 e madewithasmile, che hanno recensito, a Jane Gray, che ha recensito e segue la storia, e a eagle93, Holl99, jle11, pinkprincess, Roxanne90 e so91bi, che pure la seguono. <3 <3 <3
Chiudo con una domanda: che aspettative avete sul finale della storia e sul seguito? Così, per curiosità..
Au revoir!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** How to turn a date on ***


Un capitolo di passaggio. Avevo voglia di mettere gli eventi in secondo piano per concentrarmi sulle interazioni tra i personaggi e tentare per la prima volta di descrivere più nel dettaglio una scena non dico caliente… a bagnomaria. XD Ho ripetuto molte volte che ritengo difficile scriverle, e confermo, ma ho raccolto la sfida e mi sono impegnata. Spero che il risultato vi piaccia. Consiglio di leggere ascoltando: https://www.youtube.com/watch?v=XH1V4ZOrCPU ;-)
 



How to turn a date on



 
“Due persone si attraggono per le qualità che vedono. Due persone si amano per le qualità che possiedono!”
Antonia Gravina


–Ti ha chiesto di uscire alla fine della lezione di informatica? E’ meraviglioso!- trillò Faith Irving, in fila a mensa.
–In realtà è un’uscita a quattro, ma non mi dispiace: se dovesse funzionare possiamo sempre restare soli con una scusa, in caso contrario almeno avremo qualcuno per riempire i silenzi imbarazzanti.
–Ottimo ragionamento. D’ora in poi considererò gli appuntamenti in doppia coppia in una luce tutta nuova. A quando il lieto evento?
–Faith, per favore, sembra debba partorire!- rispose Maggie, sforzandosi di celare un sorriso radioso. –Giovedì prossimo. Ha preso i biglietti per quello spettacolo… come si chiama… oh, insomma, quello a Hyde Park.
–Ma dai! Allora forse ci vedremo, ci saremo anche io e Franz!
–Davvero? Spero proprio che riusciremo a trovarci in mezzo alla folla- chiocciò Maggie, allargando ulteriormente il sorriso. –Devo ancora capacitarmi che sta succedendo veramente. Non credevo di interessargli, tanto che la mia prima risposta al suo invito è stata “Guarda che mancano tredici giorni al primo aprile!”, invece…
–Cosa? Non ti eri accorta di piacergli? Ormai l’avevamo capito tutti, Meg!- sbottò Faith, infiorettando la verità: in realtà soltanto lei sperava che la gentilezza di Paddy fosse segno dell’amore che stava cominciando a provare per Maggie, mentre i suoi amici avevano bocciato questa ipotesi e sostenuto la tesi secondo cui Paddy era semplicemente gentile per natura. “Baggianate!”, si era detta, “Non capiscono un accidenti degli oscuri meandri del cuore!” –Sono contenta per te. Meriti tutta la felicità di questo mondo, e sono sicura che, ehm, l’uomo in questione, del quale non faremo il nome- aggiunse, scoccando un’occhiataccia a Julia Adler, la pettegola numero uno dell’ospedale, in fila dietro di loro –Ti farà sentire una regina, a differenza di qualcun altro, che neppure nomineremo, che ti trattava da sguattera. Che l’orchite lo colga!
–Queste maledizioni da medici…
–Siamo medici, Meg, abbiamo sudato per diventarlo - perlomeno, io sì - quindi abbiamo il diritto sacrosanto di vantarci. Avanti, su, pavoneggiamoci!- esclamò Faith, picchiettando sul tesserino identificativo e ballando la samba con lo stetoscopio dell’amica avvolto intorno al collo a mo’ di boa.
–Ti hanno mai detto che sei fuori di testa?
–Sì, ma preferisco i colori della follia al grigiore della normalità- asserì la Irving in tono melodrammatico, prima di restituire all’altra il maltolto.
Si sedettero affamate al tavolo di Diane, Erin ed Evangeline. Franz, purtroppo, non era di turno.
–Maggie!- urlò entusiasta Erin, stritolandola in uno dei suoi famigerati abbracci. –Racconta, dai, vogliamo sapere tutto: come, quando, perché e cosa… indosserai al primo appuntamento.
–Qualcosa di cazzuto, possibilmente- suggerì Diane.
–Si vede che sei già un po’ cotta- commentò Evangeline. –Hai modificato il tuo look: chioma ravvivata, nuova montatura di occhiali… trucco!
–Fammi capire- intervenne Erin, –Secondo te l’amore è direttamente proporzionale alla vanità?
–Le femmine danno il meglio nella fase della “cattura”, i maschi all’inizio della storia, forse perché vogliono dimostrare alla donna che ha fatto la scelta giusta- rispose Evangeline. –Si lasciano un po’ andare nel lungo termine, ma appaiono al meglio nei primi anni di relazione. Prendi Chris: sta una favola coi capelli un po’ più lunghi ed è dimagrito un sacco! Sta cacciando certi muscoli!
–Segati la lingua, i muscoli di Chris posso ammirarli soltanto io!- replicò Erin. –Comunque hai ragione, l’amore aumenta la quota di vanità che ci portiamo dietro dalla nascita… purché il partner sappia valorizzarla.
–Spiegati meglio.
La psichiatra ridacchiò, prima di esaudire la richiesta.
–Da quando ha lasciato il rugby Chris si è impigrito, ma è bastato usare un pizzico di psicologia per fargli ritrovare l’entusiasmo perduto. Una sera, mentre ci coccolavamo guardando ‘Thor’, gli ho detto, con aria volutamente noncurante, che con qualche chiletto in meno sarebbe stato più figo di Chris Hemsworth, che lui sa benissimo essere il mio attore preferito. “Parti avvantaggiato, avete lo stesso nome e le stesse iniziali!”, ho aggiunto; per la cronaca, Chris di cognome fa Hale. Per avvalorare la tesi, mi sono anche “sacrificata” e abbiamo fatto l’amore, nonostante il giorno dopo dovessi alzarmi all’alba. Incredibile ma vero, adesso il mio orsacchiottone va più spesso in palestra, viene a correre insieme a me nel week-end e mangia cibo spazzatura solo una volta a settimana!
–In pratica, hai usato i messaggi subliminali per plasmare il tuo uomo secondo i tuoi desideri- puntualizzò Diane, per poi aggiungere, battendo le mani –Sei il mio idolo! Un esempio per tutte le donne!
–Senza offesa, ma più che a te questo cambiamento fa onore a lui, oltre che la felicità del suo apparato cardiocircolatorio- osservò Faith. –E’ tanto innamorato di te da desiderare di diventare come tu lo vuoi, che tenero!

 
***

–Che mollaccione che sei, Chrissino- sbuffò tra le risate Robert Patterson, annoiato da un turno serale piatto come l’ECG di un cadavere.
–Se per “mollaccione” intendi innamorato al punto che se la sua donna gli chiedesse la luna diventerebbe astronauta allora sì, sono il re dei mollaccioni!- ribatté con sussiego Christopher Hale, distogliendo momentaneamente lo sguardo dalla cartella clinica che stava studiando.
–Ma sentitelo, Lord Byron!- lo schernì Robert. –Impara da lui, Husky, qualche frase smielata potrebbe tornarti utile.
–Franz è un caso particolare: non cercava l’amore, cercava un degno avversario, e l’ha trovato in Faith- obiettò Chris.
–Saggia considerazione, amico. Il nostro Chrissino… un sentimentale. Chi l’avrebbe mai detto?- scherzò Harry James.
–Non sono sentimentale, sono innamorato, è diverso, ma dubito tu possa capire- lo corresse Chris.
–Eccone un altro convinto che non abbia un cuore- sospirò in tono scocciato Harry.
–Un altro?- chiese Franz.
–Anche la tua ragazza mi ritiene incapace di amare- rispose l’altro.
–Hai parlato con Faith? Perché?
–E’ venuta a, ehm, chiedermi se erano vere le voci su Harp e Patty- mentì; la verità avrebbe affossato la sua reputazione e umiliato Maggie. –Le ho confermato che sì, sono tornati insieme, la discussione è degenerata e... ha detto che non posso capire sentimenti che non posso provare. Difetto che tu, Husky, hai dimostrato di non possedere: in nostra presenza hai affermato che ami Faith. Glielo hai detto?
–Sei pazzo? Non finché non sarò sicuro al duecento per cento che ha dimenticato Cyril- sbottò Weil, per poi vuotare il sacco sull’apparentemente perfetto ex fidanzato di Faith. Alla fine del resoconto, alzò la testa per osservare le espressioni dei suoi amici: erano sbigottiti, dal primo all’ultimo.
Il primo a recuperare l’uso della parola fu Chris, che esalò –Stai tenendo alla larga Faith… per degli stupidi dubbi sul suo ex? Cazzo, Husky, ti credevo intelligente!
–Cosa dovrei fare? Legarla a una sedia finché non sputa il rospo su cosa li ha fatti mollare?
–Beh, no, non è carino legare una donna… a meno che non sia lei a chiedertelo- rispose Chris; gli altri tre notarono, con loro enorme sconcerto, che era serio. –Potresti farla ubriacare per estorcerle le informazioni da sbronza!
–E’ un’idea!- esclamò Harry, annuendo in segno di approvazione.
–Non dite stronzate!- li rimbeccò Robert, e per un momento Franz sperò che quella conversazione potesse recuperare una parvenza di normalità, ma il suo sogno si infranse quando l’amico aggiunse –Con il solo etanolo non si ottiene nulla, Husky: devi sedurla alla grande. Ti consiglio un bagno caldo, candele, massaggio sensuale… vedrai che: uno, te la darà, e due, ti dirà vita, morte e miracoli di Cyril, alias “putto troppo cresciuto”.
–In effetti nelle foto dà quell’impressione.
–E’ il soprannome che gli ha dato il padre di Faith- spiegò Robert. –Ora sai da chi la Irving ha ereditato la sua linguaccia.
–A proposito di Irving, devo avvisarla che giovedì andrò a prenderla con Harley, il meteo ha dato tempo sereno o poco nuvoloso fino alla prossima settimana. Sarà una serata fantastica, me lo sento!

 
***

–Me lo sentivo che sarebbe stato un disastro!- ruggì Faith, bagnata da capo a piedi, spaventando Agatha, che rizzò il pelo e corse miagolando a rifugiarsi nel cesto della biancheria da lavare.
–Disastro! Non esagerare, poteva andare peggio!- sbottò Franz, anche lui grondante acqua. Posò il chiodo in pelle sullo schienale di una sedia e chiese alla padrona di casa il permesso di servirsi un whiskey per scaldarsi le membra intirizzite dal freddo umido e di accendere lo stereo.
–Esagerare? Franz, sono zuppa come un pulcino, ho le scarpe griffate sporche di fango e ho visto il mio piano geniale per sistemare Maggie andare in frantumi! Se non è un disastro questo, non so cos’altro potrebbe rispondere a tale definizione.
Franz rise sotto i baffi (che non aveva) e scorse l’indice sui libri di fronte a lui: genetica, entomologia, tossicologia, tanatologia, balistica… un arsenale di testi sulle scienze forensi veramente notevole. “Non scherzava, ne sa davvero una più del diavolo su armi e veleni!”, pensò con una punta di preoccupazione, che si tramutò in stizza alla vista delle solite fotografie che la ritraevano insieme a Cyril. Una in particolare attirò la sua attenzione.
“Tell me: what do you see when you’re looking back at me? Am I as perfect as you are to me?”
–E’ Agatha, questa?- chiese, indicando la minuscola palla di pelo che Faith reggeva tra le braccia, mentre Cyril le circondava le spalle.
–Cos… oh, sì. E’ stata scattata davanti casa di mia nonna, nel Kent.
“Lo aveva presentato alla famiglia…”
–Bella casa. Noto con piacere che tua nonna ha un orto nel giardino sul retro.
–Se ti sentisse ti mangerebbe di baci: stravede per l’orto e chiunque lo complimenti. Trovammo Agatha una sera che stavamo andando alla festa di primavera; era in uno scatolone abbandonato sul ciglio di una strada interpoderale. Cyril, maniaco della puntualità - peggio di te, il che è tutto dire - non voleva fermarsi perché eravamo in ritardo, ma lo persuasi e, attirata dai miagolii, ribaltai la scatola di cartone. Naturalmente, portammo subito i gatti dal veterinario del villaggio che fece il possibile per curarli; purtroppo mamma gatta e due gattini non ce la fecero- gli raccontò Faith, bloccandosi di colpo al ricordo di quei poveri animali. –Invece gli altri due cuccioli sopravvissero e, contro il parere di quell’insensibile, decisi di tenerli con me finché non avessi trovato loro una casa. Il “fratello” di Agatha adesso ce l’ha Monica, l’ha chiamato Whiskers III.
–Terzo?- esalò Franz, esultando internamente: si era accorto che Faith aveva criticato il suo ex, chiaro segnale che se provava ancora qualcosa per lui di sicuro non era amore.. –Che fine hanno fatto gli altri due?
–Nicky adora gli animali - infatti studia Veterinaria - ma ha una sfiga pazzesca con i gatti: Whiskers I è morto investito da suo padre e il secondo mi pare annegato nella vasca da bagno, credo che i suoi fratelli avessero tentato di lavarlo.
–Hai affidato la vita di una bestiola innocente a questa sciroccata? Sei da denunciare alla protezione animali!- esclamò Franz, allibito.
–Se può tranquillizzarti, Whiskers III è ancora vivo e vegeto… e asciutto, al contrario di noi. Cazzarola, il temporale non poteva aspettare che fossimo al coperto, prima di scatenarsi? Mannaggia a te che mi hai assicurato che l’ombrello non sarebbe servito!
–Non puoi incolparmi per la pioggia: come avrei potuto prevedere che il meteorologo si era sbagliato? Quanto al tuo piano per accoppiare Maggie… primo, non lo definirei geniale, e secondo, ti dispiace solamente perché, per una volta, non hai ragione tu.
–Paddy è sposato, ti rendi conto? Sposato! E Ian - che, tra parentesi, è il famoso cugino - è pazzo di Maggie! Ecco perché ci serve sempre, nonostante sia il proprietario del pub! Come ho potuto essere così dannatamente cieca? Io, che Madre Natura ha dotato di un intelletto sopraffino!- fu la secca risposta di Faith, palesemente irritata.
–Invece di roderti per essere stata miope, potresti essere felice per la tua amica: stando con Ian avrà tutti gli irish coffee che vuole!
–Potrei, se non avessi insistito tanto sulle qualità di Paddy e sui motivi per cui è l’uomo perfetto per Meg, tentando di sminuire Ian- sibilò la Irving, prima di ingollare anche lei una sana dose di whiskey. Borbottando imprecazioni, fu costretta ad ammettere che Maggie, le numerose volte che l’aveva osservata, era intenta a chiacchierare animatamente col simpatico irlandese, che aveva raramente distolto lo sguardo da lei e le aveva sistemato una ciocca ribelle dietro l’orecchio con tanta dolcezza da intenerire persino Mr. Scrooge di ‘A Christmas carol’; aveva misurato a occhio la distanza che li separava, e da essa aveva dedotto che l’amica era in via di guarigione dalla “Pattersonite” e sul punto di provare ben più di un semplice interesse per Ian.
–Se può consolarti- disse Franz, deciso a restituirle il buonumore, –In un certo senso è grazie a te se si sono incontrati: tu hai dato il via alla baraonda del venerdì sera e hai scelto quel posto come ritrovo perché equidistante dalle diverse abitazioni. Senza di te quei due non si sarebbero mai trovati.
“How do you make me feel this way? Like I can take on everything!”
–Hai ragione!- trillò la Irving, chiaramente soddisfatta. –Faith Asso di Cuori ha fatto centro un’altra volta!
–Giusto- convenne Franz. –Ehm, senti, so che è poco educato, però… potrei togliermi le scarpe? Ho i calzini fradici!
–Non solo quelli, temo- ridacchiò Faith, per poi proporre, in un impeto di sfacciataggine –Secondo me dovresti toglierti tutto.
–Cos’è, una proposta indecente?- chiese, speranzoso, attirandola a sé.
–Perché no? Balliamo, baby?- mormorò lei, accarezzandogli il torace da sopra la camicia, asciutta grazie al giubbotto di pelle.  Franz annuì, ma il verbo “ballare”, in quel caso, era usato impropriamente, a meno di comprendere nella definizione di ballo “lenta oscillazione sul posto accompagnata da scambi di saliva e palpatine reciproche”. –Strizzarmi le chiappe? E’ questo che intendi con “indecente”?- chiese poi, sforzandosi di non ridere.
–Una palpatina da fidanzato in prova non è indecente. Questo lo è- rispose Franz e, tenendo una mano premuta sulla sua schiena, tirò giù la zip anteriore del vestito quel tanto che bastava a scoprire il reggiseno. Baciò uno ad uno i nei sparsi sul decolté, in una lenta discesa che a Faith parve una tortura, infine… passò la punta della lingua sulla pelle nuda, lungo il bordo in pizzo delle coppe, sorprendendola piacevolmente . –Ferma- ringhiò a denti stretti quando avvertì una mano di lei armeggiare con la cintura. –A me piace giocare col cibo, prima di mangiarlo.
–Giochiamo, allora- sibilò Faith, riprendendo ad ondeggiare seguendo il ritmo della canzone. –Mi aspettavo qualcosa di più romantico- commentò, fingendo di non approvare la scelta.
“You’re over my head, you make me feel like more than, more than I am! This hell in my head, i swear this feelings are running me over. You’re over my head!”
–Credo che romantico non sia sinonimo di deprimente: le melensaggini fanno fare al povero Kaiser Franz la fine dei soufflé di mia madre, non so se mi spiego.. - ribatté Weil, serrando la presa per approfondire il contatto tra loro.  
“Oh, no!”, pensò Faith, “Eccone un altro che ha dato un nome al suo pene! Cos’è, una pandemia?”
Sapevano di stare commettendo una stupidaggine, che rischiavano di beccarsi un raffreddore o peggio stuzzicandosi invece di indossare vestiti asciutti, ma la sensazione delle curve di Faith premute contro il suo corpo era sufficiente a tenere Franz al caldo e a risvegliare “l’inquilino dei piani inferiori”.
–Dio, adoro questa canzone!
–Idem.
–Questo è di troppo- sospirò Franz mentre baciava ogni centimetro di pelle scoperta di Faith. Non era necessario un quoziente intellettivo da genio per capire che si riferiva all’abito.
–Non potrei essere più d’accordo.
Abbassò la cerniera dell’abito con una lentezza che Franz giudicò esasperante, e lo lasciò cadere sul pavimento.
Faith, forse complici l’educazione liberale di Rose e la scarsa autostima, era uno strano miscuglio di sensualità e pudicizia: le piaceva il sesso, ma non sopportava etichette e imposizioni; se aveva sentore che il partner potesse bollarla come poco di buono per qualcosa che intendeva provare, si limitava al minimo sindacale per portare a termine il rapporto, dopodiché adios amigos; se, invece, sapeva coinvolgerla e farla sentire amata, non giudicata, mostrava un impagabile spirito d’iniziativa.
Normalmente si sarebbe vergognata a morte di mostrare il proprio corpo imperfetto con tanta disinvoltura, appunto per paura di un giudizio negativo, ma Franz era riuscito ad abbattere tutte le sue insicurezze: seppur consapevole di essere bella soltanto ai suoi occhi, trovava comunque piacevole sentirsi desiderata, e avrebbe dato il massimo per fargli capire quanto lo desiderava a sua volta.
Du bist wunderschön- esalò lui, sbattendo ripetutamente le palpebre: abituato all’intimo comodo e anonimo che la Irving sfoggiava al lavoro, non si aspettava un completino sexy e raffinato al tempo stesso.
–Immagino sia un complimento- replicò lei, giocherellando con le spalline del reggiseno. –Lo so, anche io mi salterei addosso.
–Allora taci- la zittì Franz, il quale, pur apprezzando l’impegno profuso nella scelta della lingerie, non vedeva l’ora di mandarla a fare compagnia al vestito. –Di’ soltanto una parola: letto o divano?
–A te la scelta.
Franz sogghignò e tentò di sollevarla… invano: il corpo burroso della Irving era troppo pesante per lui!
–Mi dispiace, è tutta colpa mia. Non ti sei fatta male, vero? No? Bene. Stupido io a provarci, non ho abbastanza muscoli… sì, sono i miei muscoli ipotrofici il problema. Non osare pensare di essere grassa, altrimenti mi incazzo!
–Non lo penso… lo so- sospirò Faith. –Ma sei dolce a non farmelo pesare. Andiamo a letto?

 
***

Dopo che suo marito aveva gradualmente ceduto lo scettro di comando al figlio Brian, Heather Miller in Cartridge aveva deciso di trasferirsi in una casa più piccola e con giardino, lasciando l’appartamento in centro al secondogenito, Ben.
Ora che l’uragano Crystal si era abbattuto su di lui, Brian si recava con maggiore frequenza dai suoi genitori, che gli offrivano aria meno inquinata, conforto e una tregua da quelle iene dei mass media.
–Gli hai detto di venire qui?- chiese Heather, servendogli una tisana rilassante.
–Sì- esalò Brian, steso sul divano con l’avambraccio sugli occhi: lo stress cominciava ad avere la meglio su di lui; dormiva poco e male, aveva perso l’appetito e soffriva di cefalee ricorrenti.
–Potresti andare di sopra a dormire, e aspettare domattina per sapere…
–No- negò recisamente. –L’ansia mi impedirebbe di addormentarmi. E’ un mio problema, devo sbrigarmela da solo.
–Sai, fratello- rispose Ben, –Il tuo problema è che sei affetto dal complesso di Atlante. Beh, sappi che il peso del mondo non grava unicamente sulle tue spalle, puoi contare sull’appoggio della famiglia. Vero, Ab?
–Certamente! Ti saremo vicini sempre e comunque!- squittì Abigail, curvando le labbra in un sorriso tirato, che tradiva il desiderio represso di prenderlo a randellate.
Il comportamento di Brian era stato oggetto di una lite furibonda tra lei, che accusava il cognato di essere un playboy da strapazzo che meritava il linciaggio mediatico, e Ben, che lo difendeva a spada tratta.
–Non nego che hai sbagliato ad infilarti nel letto di una donna sposata- asserì James Cartridge, –Ma esistono colpe peggiori: non sei un ladro, né un assassino, e anche se dovesse saltar fuori che… no, meglio non pensarci adesso.
Il trillo del campanello annunciò l’arrivo di Jack, che accettò con piacere un bicchiere di sherry, rispose con garbo alle domande sulla salute sua, di sua moglie e dei suoi figli, informò orgogliosamente i presenti che la maggiore, Meaghan, si sarebbe esibita in un saggio di danza a giugno, infine si schiarì la voce e comunicò una notizia sconvolgente.
–Mrs. Ryan ha vuotato il sacco. Mossa poco saggia, a mio parere: chiunque sia il padre del bambino, è chiaro che il suo interesse va ai soldi, non a lei, né al nascituro.
–Cosa intendi con “vuotato il sacco”?- domandò Ben, appollaiato sul bracciolo della poltrona occupata da Abigail.
–Teneva un diario, praticamente un resoconto dettagliato di tutte le sue relazioni, e lo ha consegnato alla commissione che si occupa del caso. Prima che me lo chieda è riportato anche il tuo nome, più volte, ma spero ti sia di parziale consolazione sapere che sei in buona compagnia. In base alle date è stato ristretto il campo a sei candidati.
–Sei?- esclamò Abigail, sconvolta, per poi coprirsi la bocca con le mani.
Heather, temendo fosse in procinto di svenire, si precipitò a offrirle del tè; le avrebbe dato qualcosa di più forte, ma sua nuora era astemia.
–Bene- disse Brian, che stava sforzandosi di mantenere l’autocontrollo: non avrebbe dato a quella donna la soddisfazione di averlo fatto arrabbiare. –Sentito, mamma e papà? Avete un sesto di probabilità di diventare nonni per la seconda volta!
–Sei impreciso- commentò Abigail, una volta riavutasi dallo shock. –Non tieni conto di variabili quali la densità spermatica del tuo liquido seminale, la frequenza dei rapporti e la percentuale di questi avvenuta nel periodo fertile di Mrs. Ryan.
–Grazie, cognatina cara- ringhiò Brian in un tono che lasciava intuire quanto avrebbe voluto farla fuori seduta stante. –E complimenti per le tue conoscenze matematiche. Ad ogni modo, dovremo aspettare che nasca il pargolo per scoprire di chi è.
–Ehm, ecco… a questo proposito…
–Taglia corto, Jack O’Lantern: che c’è?
–La Commissione di Controllo, data la natura incresciosa del caso e la cospicuità del patrimonio, ha predisposto l’esame del DNA prenatale.
–Prenatale? Si può fare?
–Si sono espressi in tal senso, perciò… direi di sì. Non chiedermi dettagli tecnici, però, sono solo un avvocato.
–Li chiederò a Faith- rispose Brian scrollando le spalle.
–Tu non chiederai niente a nessuno!- tuonò Jack. –Questa faccenda ha già suscitato sufficiente scalpore. Passi la tua famiglia, è comprensibile che li voglia accanto in questo momento difficile, ma non dimenticare che la situazione è seria: rischi di ritrovarti a badare a un neonato!
–Spero di no per lui, povera creatura!- sbuffò Abigail in un sussurro chiaramente udibile, che le fece guadagnare un’occhiataccia di suo marito e suo cognato.
–So che hai una pessima opinione di me, Abby, e francamente non me ne può fregare di meno, ma mi ferisce che mi reputi alla stregua di… Barbablù!
–Barbablù ammazzava le mogli, non i bambini- lo corresse Abigail con un sorrisetto di superiorità.
–Sì, sì, va bene, il punto è un altro: mi piacciono le donne e queste ricambiano, non ci vedo niente di male nell’esaudire i loro desideri. Chiamami come ti pare, anche puttaniere, se credi…
–Brian!- lo rimproverò sua madre.
–Scusa, mamma. Insomma, fai cosa ti pare, ma non osare giudicarmi solamente perché ho fatto una diversa scelta di vita. Le scelte si possono cambiare, e sono pronto a farlo se dovesse rendersi necessario. Oltretutto non mi pare che un’attiva vita mondana e… ehm, di letto, diciamo, sia incompatibile con l’essere genitore, altrimenti le coppie vivrebbero in clausura e farebbero un solo figlio!
–Touché- ridacchiò Jack.
Abigail, incapace di ammettere la sconfitta, si alzò indignata e andò in cucina a servirsi dell’altro tè.

 
***

Faith si era accostata al sesso orale senza pregiudizi: per lei non c’erano pratiche più o meno immorali, soltanto uomini degni o indegni di riceverle. Con Kyle e Cyril, le uniche relazioni abbastanza lunghe da meritare tale nome, non si era mai sentita apprezzata: tutto era dovuto, e questo atteggiamento aveva fatto avvizzire il suo spirito d’iniziativa.
Era incredibile, invece, come con Franz fosse stato naturale. Nessuna tentazione di morderlo, nessuna voce interiore che squittiva schifata, (quasi) nessun timore, soltanto voglia di dargli tutto il piacere di cui era capace. Il suo bel patologo dagli occhi di ghiaccio dimostrò anche in questa occasione di essere una perla di uomo: le mostrò rispetto, non forzandola e assecondando i suoi tempi, e Faith pensò, con un brivido di eccitazione e aspettativa, che, a giudicare dai presupposti, sarebbe filato tutto liscio tra le lenzuola. La parte della sua coscienza che parlava con la voce di Abigail era stata messa a tacere ricordandole che una donna ha le sue esigenze, e solamente una sciocca prende il pacchetto, cioè, l’uomo a scatola chiusa, senza prima provare la merce, ehm, le doti del suddetto uomo.
Fu con un misto di disappunto e stupore che esclamò, giocherellando maliziosamente con il Kaiser –Avrei preferito una cena completa all’antipasto, ma non posso negare che è stato divertente!
–A chi lo dici!- rispose lui, tirandola su per abbracciarla. –Promossa all’orale a pieni voti, dottoressa Irving! Vuoi che ricambi il favore?
–Magari dopo… per ora mi bastano le coccole- pigolò, accoccolandosi tra le braccia di un soddisfatto Weil, che le lasciò un bacio sui capelli.
–La prossima volta riuscirò ad espugnare la fortezza laggiù- asserì Franz, annuendo convinto, facendo scivolare una mano sotto il tessuto leggero delle culottes di Faith, che sbuffò –Guarda che sei stato tu a vietarti l’accesso, io ne sarei stata ben felice.
–Faith, siamo pratici: non prendi la pillola, io non ho preservativi con me e la tua amica squinternata si è portata via la tua scorta perché ha un nuovo amore, sarebbe stato da incoscienti rischiare. Conosci il detto “lascia l’ombrello a casa e pioverà senza posa”? Se l’avessimo fatto, con ogni probabilità tra nove mesi ci saremmo ritrovati con tre gemelli!
–Tre gemelli!- ripeté Faith, scossa da un incontrollabile accesso di risatine. –Oddio, Franz, che scenario apocalittico! Però hai ragione: meglio andare sul sicuro.
–Tutta colpa di Bridget!- ringhiò lui. –Spero che il suo amico le passi la Candida!
–Franz!- echeggiò il severo rimprovero della Irving. –Siamo medici, non possiamo augurare alla gente di ammalarsi!
–Al contrario, mein liebe, proprio perché siamo medici dobbiamo augurare alla gente di ammalarsi… altrimenti perderemmo il lavoro!
–Abbiamo giurato…
–Rileggi il giuramento- ridacchiò Franz. –Il caro, vecchio Ippocrate la sapeva lunga: siamo obbligati a curare, non a prevenire!

 
***

Nel frattempo, in una villetta a schiera a Battersea, Gertrud Philips, ex Mrs. Weil, stava ricevendo notizie sconvolgenti.
–Sei sicura, Cora?- esalò.
–Sicurissima, Gertie! Li ho visti con questi occhi!
–I tuoi occhi hanno qualche diottria mancante, Cora cara. Sicura si trattasse del mio Franz?
–Ci metterei la mano sul fuoco!- squittì Cora. –Naturalmente, all’inizio ho pensato di essermi sbagliata, in fondo i giovani d’oggi sono molto… fisici, due persone possono tenersi per mano e abbracciarsi ed essere semplici amici, ma poi si sono baciati e… beh, due amici non si baciano in quel modo, te l’assicuro!
–Il mio Franz baciava una ragazza… in pubblico?- ansimò Gertrud, in ambasce per le compagnie frequentate dal suo kind.
–Oh, sì. Non angosciarti, però: l’apparenza non inganna, e quella è una brava ragazza, te lo assicuro. Non una bellezza, se capisci cosa intendo, un tipo acqua e sapone, ma non aveva occhi che per lui!
–E il mio Franz le ha preso dei regali, hai detto?
–Oh, sì! Un gesto dolcissimo, a mio parere- esclamò Cora, deliziata di poter essere lei, una volta tanto, a propinare all’amica pettegolezzi di prima mano. –Ci siamo incontrati al chioschetto dei gadget e, dopo avermi salutata e chiacchierato un paio di minuti, mi ha mostrato una buffa cravatta e il cd del gruppo folkloristico che si era esibito, dicendomi che erano una sorpresa per la sua fidanzata.
–Fidanzata?- strillò Gertrud, tirando un calcio alla gamba di una vicina sedia. –Non è possibile! Non può essersi fidanzato così, all’improvviso… sotto il mio naso!
–Capisco possa sentirti presa in giro, Gertie…
–Presa in giro? Presa in giro?- ruggì Gertrud. Le sue grida erano leggenda: Alexander sosteneva che erano state la causa del divorzio! –Come ti sentiresti se, dopo mesi di sforzi inutili per trovare una ragazza a tuo figlio, un testone di prim’ordine che non fa che ripeterti che sta bene da solo, scoprissi che ha già provveduto?
–Presa in giro- rispose Cora con semplicità.
–Esatto. E nessuno può osare prendermi in giro impunemente- sibilò.
–Ti prego, non commettere sciocchezze, Franz sembrava molto preso, erano una coppietta così dolce!
–Nessuna sciocchezza, Cora- cinguettò Gertrud fregandosi le mani, un sorrisetto diabolico stampato in faccia. –Mi limiterò… a invitarli a cena!
 
Nota autrice:
Non so se quel che ho scritto sia “digeribile”, quindi grazie per essere arrivati fin qui. In particolare grazie ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, elev, DarkViolet92, madewithasmile e soulscript, che hanno recensito il capitolo precedente, ad aithusa87, Hermione08092001, kiwime, meryi e Minerva McGonagall, che seguono la storia, ad alehandra e Hanna Lewis, che l’hanno inserita tra le ricordate, e a Purple_3 e tyttyxy, che la preferiscono! <3 <3 <3
A un certo punto mi sono fermata perché non volevo sconfinare nel rating rosso (mi sembrava stupido etichettare come rossa l’intera storia per un solo capitolo!) e perché appena provavo a scrivere qualcosa di erotico scoppiavo a ridere, mi dicevo che sembrava il copione di un porno (incredibile ma vero, alcuni hanno il copione! O.O) e cancellavo tutto. Sono un caso disperato! XD
Il fatto che Faith affidi la sua valutazione dell’affinità tra Maggie e Ian alla distanza che li separa non è casuale: filosofi e neurofisiologi concordano nell’affermare che spesso spazio emotivo e fisico coincidono, ossia che tendiamo a lasciare che ci avvicinino solamente le persone/animali/cose verso cui proviamo trasporto. Si parla di spazio personale (quello occupato dal nostro corpo), peripersonale (quello raggiungibile estendendo un braccio) ed extrapersonale. Non a caso dà fastidio trovarsi pressati dalla folla, viene considerata un’intrusione nel nostro spazio peripersonale, riservato ai pochi eletti con i quali siamo in confidenza.
Chissà cosa combinerà la diabolica Gertrud…. Guardatevi le spalle, Franz e Faith! XD
Spero di riuscire a sfornare un altro capitolo prima degli esami e delle vacanze. Fate il tifo per me! ;-)
Serpentina
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Vulnerable ***


Ho un’ottima notizia: sono ufficialmente in vacanza! Sistemate alcune noie burocratiche con l’università (la prossima segretaria che si lima le unghie mentre le parlo riceverà un buono per una vivisezione gratis) potrò riposarmi e isolarmi nell’eremo, ehm, volevo dire, godere della pace e della tranquillità di casa. Buone vacanze a chi è già in ferie, e un bacio e un abbraccio virtuali a chi non lo è. Buona lettura!
 



Vulnerable




“A volte è meglio rimanere così, nel proprio guscio, chiusi in sé stessi. Perché basta uno sguardo per vacillare, basta che qualcuno tenda la mano perché immediatamente si avverta quanto si è fragili e vulnerabili, perché tutto crolli come una piramide di fiammiferi.”
Delphine de Vigan, Gli effetti secondari dei sogni

Faith era rimasta sorpresa quando Franz aveva accettato di restare a dormire a casa sua. In realtà, una piccola parte di lei aveva sperato rifiutasse: da troppo tempo la sola compagnia che aveva nel letto era Agatha, abituata a ronfare acciambellata sul cuscino una volta appartenente a Cyril. Fortuna che Franz non era appiccicoso: dopo qualche minuto di baci si era girato dall’altra parte, emettendo versi indistinti, e l’aveva lasciata dormire in pace.
Sbadigliando vistosamente si mise a sedere, piena di buonumore ed energia, che si spensero non appena si rese conto che l’altra metà del letto era vuota. Sbuffando, inveì mentalmente contro Weil, che avrebbe almeno potuto avere la decenza di fare colazione insieme a lei, prima di andarsene. Provò una punta di fastidio nel sentirsi come creta nelle sue mani, vulnerabile come forse non era stata neppure con Cyril, che aveva indubbiamente amato.
Si riscosse quando udì dei rumori provenire dalla cucina; con Agatha alle calcagna irruppe nella stanza, trovandosi di fronte a una visione tale da animare il suo “cervello inferiore” nonostante l’intontimento mattutino: Franz, in mutande, chino con la testa nella credenza, intento a rovistare borbottando imprecazioni.
Divertita, si acquattò alle sue spalle e gli palpò spudoratamente il sedere, esclamando –Il buon giorno si vede dal mattino!
–Per rendere buono il mio dovremmo… avremmo potuto stanotte, se non… maledetta Bridget!- sbottò lui, serrando la presa su un innocente vasetto di marmellata.
La Irving sorrise e replicò –Trattalo bene, contiene la migliore marmellata di more del mondo… quella di mia nonna.
Weil si scusò, posò il vasetto sul pavimento e sospirò –La famosa nonna Mary! Da quanto e come ne parli si direbbe un essere mitologico!
–E’ un modo carino per esortarmi a fartela conoscere?- ridacchiò Faith, per poi aggiungere, alzandosi, imitata da Franz –Se non hai da fare questo fine settimana, sarei felice di mostrarti il pittoresco villaggio di Hangton. Ora andiamo a vestirci, non si sa mai…
–Sì, sì, subito… dopo un bacetto- mugolò Franz, infilando senza indugio una mano sotto la culottes della Irving per ricambiare il palpeggiamento.
Dopo una flebile protesta, Faith cedette, abbandonandosi a un lungo bacio, migliore di qualunque colazione.
–Franz, basta. Franz. Franz, cazzarola, fermati!- sbraitò Faith. –Di solito mi do al pomicio super flash turbo, ma non davanti a una finestra! Potrebbero vederci!
–Chi? Faith, la gente a quest’ora o dorme o sta al lavoro. Non ci vedrà nessuno.
–Buongiorno, dottoressa!- squittì una vocetta ai due fin troppo familiare. –Oh, ma è in dolce compagnia! Buongiorno anche a lei, dottor… Weil, giusto?
–G-Giusto- rispose Franz, stupefatto che la donna ricordasse il suo nome.
–Mi mancavano queste scene; da quando Cyril è emigrato nell’altro emisfero gli unici esseri di sesso maschile a varcare la soglia di casa sua sono stati quei suoi amici rumorosi e tutti impegnati, eccetto quel poco di buono di Brian Cartridge, che ha tenuto a bada, per fortuna sua… si è cacciato in un brutto guaio! Non ne verrà fuori facilmente, ma credo se lo meriti, quelli come lui fanno sempre una brutta fine. Io, Griselda e Dora eravamo così preoccupate per lei, cara, ma adesso c’è il caro Weil, un tipo a posto, a prendersi cura di questo fiore nel migliore nei modi, per cui possiamo stare tranquille!- “Santo cielo, ma non riprende mai fiato?”, pensò Franz, quando Mrs. Fox proseguì col monologo, passandoli ai raggi X con i suoi occhietti vispi –Sebbene la sua indipendenza sia ammirevole, dottoressa, concorderà con me che un uomo in casa ci vuole.
Faith si coprì gli occhi con una mano e avvampò.
–Sapevo che sarebbe successo- esalò, pensando che se quell’odiosa megera fosse stata sua nonna, e lei Cappuccetto Rosso, invece di chiamare il cacciatore avrebbe dato al lupo un digestivo per mandarla giù meglio. Raccolta sufficiente calma, la salutò con un cordiale quanto falso –Salve, Mrs. Fox! Splendida giornata, vero?
–Magnifica- rispose l’anziana donna con apparente bonomia. –Anche se un tantinello fredda. O forse sono l’unica a sentir freddo, dato che la vecchiaia mi ha raffreddato i bollenti spiriti.
Faith boccheggiò; aveva colto l’allusione alla quasi completa nudità sua e di Franz, che non tradì alcuna emozione, anzi, alle parole dell’insopportabile ficcanaso sorrise sardonico e, a testa alta, replicò –Per essere marzo fa piuttosto caldo, secondo me... oppure, chissà, potrebbe essere febbre. Se vuole scusarci, andiamo in una stanza senza vista, io e la qui presente Irving dobbiamo visitarci a vicenda.
Lo shock di Faith fu tale da non permetterle di dire nulla di sensato; si limitò a impallidire e visualizzare con l’occhio della mente le tre Parche mentre sparlavano di lei e della sua vita peccaminosa. Non appena ebbe recuperato l’uso della parola, sbottò –Ti ha dato di volta il cervello? Adesso quella vecchiaccia penserà che sono una pervertita!
–Che ti frega di cosa pensa quella strega?
–Non voglio che spargano per tutta Londra la voce che sono una... una… hai capito.
Franz ridacchiò, la gettò di peso sul letto, si sdraiò al suo fianco e sospirò –Non capisco perché ti preoccupi, l’importante è che io non pensi che sei quel genere di donna. Non che potrei mai pensarlo: non ho l’abitudine di giudicare le mie partner, per me potresti aver avuto mille uomini, non farebbe differenza… a patto che mi conceda l’esclusiva.
–Tranquillo- mormorò Faith tra un bacio e l’altro, –Sei capitato con una monogama seriale.
–Nonché dottoressa perversa- ridacchiò lui, abbassandosi per baciarle l’ombelico; aveva scoperto che era un punto particolarmente erogeno di Faith, e intendeva approfittarne.
–Franz, Franz, ricorda che non abbiamo… ah! Precauzioni, perciò non… oddio!
–Ti fidi di me?
–Sì- rispose lei, –Ma fossi in te sceglierei un’altra frase topica: l’ultimo che l’ha detto è morto guardando la sua bella allontanarsi sana e salva!
Weil scoppiò a ridere, solleticando la pelle della giovane donna col suo respiro caldo. Incurante dei brontolii del proprio stomaco, scostò una gamba di Faith per sistemarsi più comodamente e, mentre le baciava e mordicchiava l’interno coscia, pose fine alla conversazione con un malizioso –Rilassati, dottoressa Irving, stai per ricevere una visita molto, molto approfondita.

 
***

Quando Robert Patterson e Harry James videro il loro massiccio amico Chris con l’aria affranta e un occhio nero, credettero di avere le traveggole. Dimentichi dei propri problemi, gli si avvicinarono titubanti e gli chiesero –Chi ti ha ridotto così, Chrissino?
In quel momento passò loro accanto una raggiante Maggie Bell, la quale si avvicinò all’urologo e gli diede una simpatetica pacca sulla spalla, prima di chiocciare –Certo che la ragazza picchia duro! Mi dispiace ti abbia dato un pugno, però te la sei cercata.
Sconcertati dalle parole della ragazza, i due esalarono –Ti ha pestato una femmina?
–Lo ammetto: è stata una donna a farmi nero.
–E tu non le hai reso il favore?- sbottò Harry, per poi aggiungere, in risposta alle occhiate scandalizzate rivoltegli dagli altri due –Sono il primo a disapprovare la violenza sulle donne, ma se è stata lei a cominciare…
–Non farei del male a una mosca- replicò Chris ( detto da un omone grande e grosso come lui suonava quasi comico). –Men che mai a Erin.
–Ti ha menato la tua ragazza?- esclamarono in coro Harry e Robert, esibendo due identiche espressioni allibite.
–Esatto- sospirò stancamente Chris. –Eravamo andati a fare quattro salti. L’ho lasciata sola cinque minuti per andare in bagno e al mio ritorno ho beccato un verme a importunarla; mi sono incazzato e sono intervenuto subito: nessuno può ronzare intorno alla mia Erin. L’ameba se n’è andata ed Erin ha cominciato a inondarmi di insulti incomprensibili, data la velocità con cui parlava, mi ha tirato un pugno dritto in faccia e se n’è andata.
–Non hai raccontato tutta la storia- soffiò la diretta interessata, sbattendo una pila di cartelle cliniche sul tavolo. –Hai omesso la frase da barbaro con cui ti sei liberato di quel mollusco: “Giù le zampe da lei, è proprietà privata”. Proprietà! Ti rendi conto? Mancava solo che grugnissi “Io Tarzan, tu Jane” battendoti il petto, poi eravamo a posto. E osi lamentarti di un misero occhio nero. E’ persino troppo poco!
–M-Ma… io…
–Tu adesso taci e mediti sul tuo atteggiamento da troglodita- sibilò la psichiatra. –Quando avrò deciso se perdonarti, te lo farò sapere.
Chris non perse tempo: sbiancò e le corse dietro, urlando –Come sarebbe a dire se perdonarmi? Perdonarmi di cosa? Erin!
–Come mandare a puttane un rapporto con una sola frase: Chris lo sta facendo nel modo giusto- ridacchiò Harry mentre li guardava allontanarsi.
–Sempre meglio di te, che non hai nessuna relazione- osservò Robert. –Oppure ce la tieni nascosta?
–Spiacente di deluderti, nell’armadio ho solamente scheletri. Niente donnine- scherzò il radiologo, stropicciandosi le palpebre da sotto gli occhiali. –Esclusa qualche “botta e via”, praticamente le uniche con cui mi rapporto sono quelle che lavorano qui e mia sorella.
–Che tristezza!- esclamò Robert, arricciando il naso. –Perché non ti rivolgi alla Irving? E’ un portento negli affari di cuore!
Per tutta risposta Harry si alzò, gli mostrò il medio, sbuffò e se ne andò senza proferire parola.

 
***

Da più di cinque minuti Maggie, impalata di fronte alla porta del pub ‘The Irish Stallion’ ripeteva una precisa sequenza di gesti: si mangiucchiava le unghie, chiudeva gli occhi, avvicinava il pugno alla porta per bussare, ci ripensava e faceva scivolare il palmo aperto sul legno lucido.
“E se fosse impegnato? No, l’apertura è tra mezz’ora. Allora perché non è qui a pulire e a litigare con sua sorella o qualche altro dipendente? E se non volesse vedermi? Lo capirei, se avessi potuto mi sarei sputata nell’occhio! No, no, no, così non va. Calma e sangue freddo, Maggie. Forza e coraggio e bussa. Sei riuscita a fare tre conizzazioni e a mandare a fan.. a quel paese Patterson, puoi farcela!”
–Margareth?
Maggie trasalì, si voltò e pigolò –Ciao! Credevo fosse aperto. Io… volevo… vederti.
–Se lo dici tu. Scusa se non mi sono fatto sentire, sono stato impegnato a mandare avanti il pub e a quel paese i fornitori idioti- rispose Ian (perché di lui si trattava) esibendo un’espressione colpevole poco convincente.
–Guarda che ho capito che mi eviti, per questo sono qui… ti devo una spiegazione.
Ian scrollò le spalle, la fece accomodare nello stanzino sul retro che aveva adibito a ufficio e sospirò –Sono felice che sia passata, ma non mi devi spiegazioni; sono adulto, capisco da me cosa significa se una ragazza si scosta quando tenti di baciarla.
–Non mi sono scostata, mi sono semplicemente girata!- precisò Maggie.
–Il risultato è lo stesso. Messaggio recepito- ringhiò lui, dandole le spalle. –Ora, se vuoi scusarmi ho un pub da…
La Bell sbatté violentemente un piede sul pavimento e ululò –Hai recepito il messaggio sbagliato, coglione!
–Cosa?
–Scusa, eh, ma per chi mi hai presa?- ruggì Maggie con una tale rabbia da far sobbalzare Ian, che mai avrebbe sospettato che qualcuno tanto dolce potesse infuriarsi così. –Pensi che baci la gente così, alla cazzo di cane?- si coprì la bocca con le mani. –Oddio, scusa, di solito non parlo come Diane, ma mi hai fatto veramente salire l’istinto omicida!
–Me ne sono accorto- sussurrò a mezza voce, sperando che lei non l’avesse udito.
–Quel che intendo dire- proseguì Maggie, che non aveva sentito (o aveva scelto di ignorare) il commento ironico dell’irlandese, –E’ che avrei avuto la coscienza sporca se ti avessi baciato; mi sembrava ingiusto, oltre che poco serio, dopo che ti ho rotto l’anima per settimane con la mia cotta per Robert. Però mi piaci, e vorrei uscire di nuovo con te… se ti va.
Ian finse di riflettere, quindi le si avvicinò, la baciò sulla guancia e rispose –Domani sera? Ah, naturalmente il posto lo scegli tu. Una volta ciascuno non fa male a nessuno!

 
***

Quando si imbatté in - o meglio, si scontrò con - Faith Irving, il primo pensiero di Harry James fu: “Parli del diavolo e spuntano le corna”; aveva infatti trascorso l’intera durata del turno a tentare di ficcare in quelle zucche di marmo dei suoi amici che non aveva bisogno di una consulente sentimentale, né tantomeno di una wing girl, sinonimo moderno di “ruffiano”. Purtroppo il suo piano di evitarla venne stroncato sul nascere dal gioviale saluto della Irving.
–Guarda un po’ chi si vede. Anche tu cliente di Freddie?
–Nemmeno per sogno!- sbottò lui con evidente imbarazzo. –Per quel che vale ci va mia sorella, dice che ha le mani d’oro.
–Non sei suo cliente perché è una donna?
–Ehm… ecco, io non… cioè…. e va bene, lo confesso: per certi versi sono all’antica, una donna meccanico non mi ispira fiducia. Per carità, può essere bravissima, però non le lascerei quel rottame della mia auto.
–Rilassati, cazzarola! Non ti ho messo sotto processo, la mia era una semplice domanda- ridacchiò Faith, cui non era sfuggito il rossore che aveva tinto per pochi istanti le guance dell’altro. –Possibile che prenda tutto sul serio?
–Scusa, sono sempre teso dopo un turno- replicò Harry.
–Sei sempre teso e basta- ribatté Faith. –Abiti da queste parti?
–Cos’è, un interrogatorio?
–Dalle mie parti la chiamiamo “civile conversazione”. Se ti senti particolarmente orso, però, possiamo finirla qui.
–Ti hanno mandato loro, vero?
–Non ho bisogno di essere mandata a far riparare la mia Nina, so fare da sola. Sappi, però, che ti manderò io in quel posto, se non mi dici perché ce l’hai con me- soffiò Faith.
Harry sbuffò –Rob e Chris - grazie al cielo Franz ha abbastanza cervello da lasciarmi in pace - si sono fissati con la malsana idea di trovarmi una donna, e hanno minacciato di rivolgersi a te, se non avessi provveduto da solo. Per questo ero sospettoso.
–Onestamente non condivido la minaccia, ma concordo sull’urgenza di sistemarti. A dirla tutta, non mi capacito che tu sia single!
–Se ti sentisse Franz…
–Franz è geloso di chiunque, uno in più non farebbe differenza. Tornando a cose serie, è incredibile che certi stronzi abbiano la ragazza e tu no: hai un buon lavoro, sei carino, il classico bravo ragazzo ad alta fedeltà… dovresti avere un codazzo di fans!
–Chi ti dice non ce l’abbia?
–Non prendiamoci in giro, James- sputò la Irving, prima di decidere di giocare a carte scoperte. –Se lo avessi, lo saprei. Non mi chiamano Asso di Cuori per niente. Infatti, ulteriore conferma della mia abilità, ho capito una cosuccia… no, non te la dirò; agirò direttamente, così non potrai mettermi i bastoni tra le ruote. Meriti anche tu la possibilità di farti beccare da tua sorella dopo una notte di sesso selvaggio!
–Cosa ne sai di… aah, lascia perdere!
–Ecco, bravo, arrenditi alla realtà: io sono onnisciente. O quasi. Posso farti una domanda?
–Tecnicamente l’avresti già fatta, ma te ne concedo una seconda- rispose scocciato Harry.
–Mi frulla in testa da un pezzo: perché sei venuto da me? Per Meg, intendo. Perché ti importava che smettesse di buttarsi via per Robert?
–Non sarebbero fatti tuoi, ma te lo dirò ugualmente: mi dispiaceva che quella poveretta soffrisse perché…. una volta mi sono trovato nei suoi panni. Lei aveva qualche anno più di me e un fidanzato distante. Quando ho realizzato che mi stava soltanto usando sono stato malissimo. Non lo augurerei al mio peggior nemico, figuriamoci alla Bell, che è la dolcezza fatta persona!- sbuffò una risata priva di allegria e mormorò –Sono riuscito a sconvolgerti, Irving? Strano, hai appena dichiarato di essere onnisciente!
Faith aprì bocca per rispondere, ma non ne uscì alcun suono, era troppo scioccata dalla rivelazione del radiologo amico di Franz.
–Io… ti ho mal giudicato. Mi dispiace. Ero convinta fossi freddo e scostante, invece sei scottato da una brutta esperienza.
–Lieto che abbia afferrato il concetto, Irving- esalò Harry, sperando che la conversazione finisse presto: aveva una fame da lupo e sua sorella si rifiutava di cucinare se non era in casa per paura tardasse e, di conseguenza, il cibo si freddasse. –Quindi mi lascerai in pace?
–Vuoi scherzare?- rispose lei, mollandogli una poderosa pacca sulla schiena. –Sono ancora più determinata! Non hai scampo, dottor James!

 
***

Heather accolse Brian con tutto l’amore di una madre per un figlio in difficoltà. Anche se si celava dietro una maschera di sarcastica indifferenza, sapeva che il fango che i media gli stavano gettando addosso iniziava ad avere la meglio su di lui.
–Vieni, ti preparo qualcosa di sostanzioso. Da quanto non mangi?
–Mangio, mamma, altrimenti sarei già morto- obiettò Brian, sedendosi controvoglia al tavolino della cucina.
–Non abbastanza- rispose lei, prima di mettersi a preparare un sandwich. –Sei visibilmente dimagrito, pallido, smunto… l’ombra di te stesso.
–O l’ombra di un assassino- replicò lui. –Hai letto cosa si dice di me? Fanno a gara per infamarmi, addirittura addossandomi colpe non mie! Perché? Cosa ho fatto di male?
–A parte andare a letto con una donna sposata e ingravidarla?- sputò acida Abigail, poi salutò sua suocera, ringraziandola per aver accettato di badare a Kaori mentre lei e Ben si concedevano un week-end romantico per sfuggire al clima di tensione che si respirava in città.
–Ho già ammesso pubblicamente la mia colpa e domandato perdono in ginocchio sui ceci, che altro dovrei fare?- gnaulò Brian.
–Mangiare cibo nutriente e rilassarti- ordinò imperiosa Heather. –Di questo passo ti verrà un infarto, e tuo padre basta e avanza! So che è difficile sopportare le accuse so sono vere, impossibile se sono false, ma devi resistere! Quando dovrai sottoporti al test?
–Chiamalo test! E’ un misero prelievo di saliva e cellule… come le hanno chiamate? Ah, sì: cellule epiteliali orali.
–Dovresti gioire del fatto che non ti bucheranno una vena- sbuffò Heather. –Ad ogni modo, voglio starti accanto in questa guerra, a cominciare dal “misero prelievo di saliva”.
–Lunedì prossimo-bofonchiò Brian a bocca piena, troppo affamato per preoccuparsi del galateo. –Verrà anche Jack.
–Digli di portare un machete- ridacchiò la donna, versò del succo d’arancia in un bicchiere e lo porse al figlio, dopodiché lo abbracciò ed eseguì l’incantesimo del bacio di mamma, che scaccia le paure dal figlio trasferendole alla genitrice.

 
***

–Gertrud- chiese Martin Philips, pregando che sua moglie non gli urlasse contro. –Ho visto che hai annullato la cena di sabato. Credevo volessi conoscere la misteriosa fidanzata di Franz.
–Quella donna è tutto tranne che misteriosa, e poi la conoscerò il sabato successivo: ho in mente un evento grandioso per il mio compleanno.
–Il tuo compleanno è venerdì.
–Ma lo festeggerò sabato, in modo da non creare problemi agli invitati- cinguettò amabilmente la donna, sfogliando una rivista di ricette. –Naturalmente sono stata costretta a optare per un buffet, mi sono lasciata prendere la mano con gli inviti e… beh, siamo quasi cinquanta persone.
Quanti?- ruggì Martin, che aborriva la folla e ancora caldeggiava, al posto della festa, una cenetta intima o con i familiari. Invano. Gertrud si era messa in testa di festeggiare alla grande, e qualsiasi cosa Gertrud desiderasse, la otteneva.
–Beh, se conti la famiglia arriviamo alla ventina, poi ci sono Cora e le altre socie del club del libro, le poche colleghe di lavoro senza geni di vipera nel DNA, i nostri amici con i rispettivi consorti, vari ed eventuali … in totale fanno quarantacinque persone, caro.
–Q-Quarantacinque?- esalò Martin, appoggiandosi al bracciolo della poltrona per non svenire. Dove avrebbero messo tanta gente? Cosa avrebbero servito per sfamarli e dissetarli? –Abbiamo così tanti amici?
A quel punto Gertrud arrossì, arricciò il naso, curvò le labbra nel sorriso furbo che lo aveva fatto innamorare e spiegò –Esatto, quarantacinque. Sai com’è, nei “vari ed eventuali” rientrano i colleghi di Franz.
Martin boccheggiò –I c-colleghi di Franz? Perché li hai invitati? Non li conosciamo!
–Appunto. La festa sarà un’occasione per conoscerli… in particolare una.
–Continuo a non capire- sospirò Martin, sedendosi in poltrona.
–Mio ingenuo marito, quando Cora mi ha descritto la cosiddetta fidanzata di Franz mi si è accesa in testa una lampadina: avevo già incontrato una ragazza che corrispondeva alla descrizione.
–Perdonami, ma gli intricati meandri della tua mente sono inaccessibili a noi comuni mortali- scherzò Martin alzando le mani in segno di resa.
–Puoi dirlo forte!- tuonò Gertrud. –Comunque, per spiegarti brevemente la faccenda: so chi è la fidanzata di Franz - tra l’altro la sua scelta mi ha piuttosto sorpresa: credevo gli piacessero gli scheletri ricoperti di pelle, invece… ma non divaghiamo - lavora con lui.
–Perché invitare tutti, allora? Perché non lei e basta?
–Ma è ovvio: per non destare sospetti!- sbottò Gertrud, riprendendo in mano il ricettario e un bloc notes, su cui iniziò a trascrivere la ricetta del pollo ripieno. –Non credo ai pettegolezzi, se non sono io la fonte primaria, per cui studierò le loro dinamiche nel corso della festa e trarrò le mie conclusioni. Affinché la mia osservazione riesca non devono assolutamente sapere che io so, altrimenti non si comporterebbero con naturalezza! Hai capito il mio piano geniale, adesso?
–Vediamo se ho inteso bene- disse Martin. –Hai invitato perfetti sconosciuti al tuo compleanno per osservare come si comporta Franz con la sua presunta fidanzata come si fa con gli uccelli durante il bird watching?
–Esatto!- trillò sua moglie. –Chiamalo pure… son watching!

 
***

Harry era l’unico della baraonda del venerdì sera a non frequentare l’Irish Stallion. Si recava direttamente a casa dell’ospite designato per guardare ‘Genital Hospital’. All’inizio il diabolico trio (alias Robert, Chris e Franz) se n’era chiesto la ragione, poi, seccati dalle risposte evasive e monosillabiche di Harry, avevano smesso di porsi domande, accettando l’ennesima stranezza dell’amico.
Come ogni venerdì Harry entrò nell’angusto ristorante sotto casa, un posticino intimo e tranquillo, l’ideale per consumare un pasto senza essere soverchiati dal rumore.
Abitudinario di ferro, salutò come sempre la proprietaria e alcuni avventori abituali con i quali, negli anni, era entrato in confidenza, infine sedette al solito tavolo e attese.
Avvertì la sua presenza, o forse il suo profumo, si voltò e sorrise nel constatare che non si era sbagliato: era lì, come ogni venerdì. Si diresse senza esitazione al tavolo accanto al suo, si sedette al posto opposto al suo e consultò il menu nonostante fosse ormai cliente da tempo.
Harry, come da copione, ne osservò l’abbigliamento, semplice, ma di gusto, i capelli, castani e ondulati, che rispetto alla settimana precedente mostravano dei colpi di sole, il trucco leggero, la bocca carnosa (che sua sorella avrebbe senz’altro definito “da rana”) e altri piccoli particolari che non sfuggirono all’occhio attento di chi per mestiere ricercava le più minime anomalie nei corpi dei pazienti.
Qualcosa, però, deviò dal consueto corso della cena: la donna che affascinava Harry James al punto da spingerlo a cenare tutte le settimane in quel posto non si limitò a consumare la propria cena in silenziosa solitudine. Forse perché anche lei l’aveva notato, o forse perché si era sentita osservata, alzò lo sguardo dal menu, lo guardò dritto in faccia e… gli sorrise.
Harry rimase completamente spiazzato da quel gesto fuori dall’ordinario: la novità lo faceva sentire vulnerabile, inerme. Avvampò, ricambiò con un sorriso timido e tuffò la testa nel menu. Mentre fingeva di leggere, si ritrovò a pensare alle parole della Irving e a domandarsi se non avesse ragione.
“In effetti non ho nulla da invidiare a Chris, Franz e Patty. Non sarò una statua greca, ma ho un bel fisico e, rullo di tamburi, un cervello nella scatola cranica. Quello che mi frega è la timidezza: se al posto mio ci fosse stato Patty, ormai ci avrebbe fatto le peggiori porcherie, altro che sorrisini da bambinetto delle medie! Ok, Irving, lo farò per dimostrarti che non sei indispensabile: ora mi alzo e vado a parlarle; male che vada, mi manderà a fanculo.”
Si mosse lentamente, e la lentezza gli fu fatale: in quel momento comparve il cameriere, che prese le ordinazioni e se ne andò in tutta fretta, ma non abbastanza da non mandare in frantumi la determinazione di Harry, che sospirò e si disse, dispiegando il tovagliolo: “Sarà per un’altra volta… e quella volta non fallirò.”
Previsione azzeccata.
 
Note dell’autrice:
First of all, let me thank Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, elev e madewithasmile, per il tempo extra dedicato a lasciarmi una recensione ( <3 <3 ), e Occhi di fuoco e AmaZa1n, che seguono la storia.
Certo che Franz ha portato sfiga: mai dire mai! Certo, però, che alla vecchia Mrs. Fox è andata bene: ha visto il bel patologo in mutande… è un miracolo che non le sia partito un embolo! XD
Erin e Chris risolveranno i loro problemi? Chissà… quel che è certo, è che lui se l’è cercata! Se invece pensate che sia stato figo a difendere la sua donna, fatemelo sapere.
Gertrud trama nell’ombra… adesso ha avuto la folle idea di dare una mega-festa al solo scopo di studiare Franz e Faith insieme e decidere se le piace la nuova “nuora”. Povera Faith, non sarà facile passare l’esame! XD
Vogliamo parlare di Maggie e Ian? Quei due sono la tenerezza! Mi vengono gli occhi a cuoricino quando scrivo di loro! *^*
Chiudo con un augurio e una notizia: spero di aver reso Harry meno antipatico con questo capitolo, e vi annuncio che la storia è agli sgoccioli, perciò, se continuo a questo ritmo, forse potrei finirla prima di andare in vacanza! ^^
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** La festa per farli litigare ***


Ciao ciaoino! Ok, spengo la modalità stupido Flanders e torno alla normalità. Non ho molto da dire, se non che la fine della storia si avvicina, but don’t worry, ho già in mente un seguito… non vi libererete mai di me! *risata malvagia*
Grazie a Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, elev e madewithasmile, che hanno recensito, e a Crocchi e sunshine_mellark, che ha inserito la storia tre le preferite! ^^
Colonna sonora del capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=m0AKJMGxwpE e https://www.youtube.com/watch?v=C_HAgFs6I4o 



La festa per farli litigare




“La comunicazione perfetta esiste. Ed è un litigio.”
Stefano Benni
 
Si dice che le ore liete scorrano veloci, al contrario di quelle spiacevoli, che sembrano non passare mai; eppure anche loro passano, e ci si trova a domandarsi che fine abbiano fatto i giorni che ci separavano da un evento temuto.
Brian affrontò l’ordalia con incredibile forza d’animo; fiancheggiato da due guardie del corpo d’eccezione, sua madre e il suo avvocato e amico Jack, varcò la soglia del laboratorio di analisi genetiche con una serenità che sconcertò i presenti: che fine aveva fatto il Brian teso e depresso dei giorni precedenti?
Fu lo stesso Brian a rispondere a quella muta domanda che aleggiava nell’aria. Con sommo stupore dei giornalisti, si fermò, si voltò verso di loro e dichiarò, con serafica calma –Se nei giorni scorsi sono stato intrattabile me ne scuso. La colpa, però, è soltanto vostra: vi siete ritenuti senza peccato, e avete scagliato contro di me una montagna di pietre. Sono forse più colpevole della vedova del mio compianto socio? O di tanti altri, mariti, mogli, fidanzati, che si giurano eterno amore e poi di notte cambiano faccia? La mia unica colpa è di essere me stesso, senza maschere: non ho una donna fissa perché ho preferito non impegnarmi per convenienza e diventare adultero per passione. Questo, credo, mi pone al di sopra di molto gentiluomini di questo Paese, che con le loro donne non sono né gentili, né tantomeno uomini. Buona giornata. 
Non appena ebbero varcato la soglia Heather esclamò –Sono fiera di te, tesoro!
–Sai che questa uscita infelice ti costerà l’appoggio di una bella fetta di opinione pubblica, sì?- gli fece notare Jack.
–Credano ciò che vogliono, ho di meglio a cui pensare- rispose Brian, dopodiché non poté dire altro, perché un’addetta gli prelevò un campione di DNA per l’analisi. Il vecchio Brian avrebbe ricambiato le occhiatine maliziose, e avrebbe replicato brillantemente all’allusivo “Apra la bocca, Mr. Cartridge”, ma quella disavventura lo aveva cambiato, insegnandogli ad assegnare a ogni aspetto della vita la giusta priorità, e l’ennesima scopata priva di significato, in quel momento, era di gran lunga meno importante che scoprire se il bambino di Mrs. Ryan fosse suo.
–I risultati tra una settimana- li informò uno sconosciuto in camice, che li congedò con una stretta di mano e il confortante –Uno su sei è una probabilità piuttosto bassa, Mr. Cartridge. Non perda la speranza.

 –Il problema- esalò Brian,  –E' che non so più in cosa sperare

***

–Allora, F, pronta a disputare un match di boxe con la tua dolce suocera?- ridacchiò Abigail, impegnata a passare in rassegna ogni singolo capo d’abbigliamento contenuto nello straripante guardaroba della Irving.
Lei e Bridget si erano precipitate in soccorso dell’amica, sull’orlo di una crisi di nervi: pur non essendo vanitosa, era ossessionata dall’obiettivo di far colpo su Gertrud. Da ormai due ore le tre stavano sperimentando svariati look, ma nessuno sembrava incontrare l’approvazione del severissimo giudice Faith.
–Non si è mai pronti ad affrontare la famigerata suocera- sospirò. –Spero solo che la presenza di testimoni la persuada a trattenere l’istinto omicida!
–Parole sante- confermò Bridget annuendo con convinzione. –Le suocere sono una punizione divina. Ricordo ancora con orrore gli insulti che mi rivolse la madre di Tony! Terribile! E la megera alias madre di Paulo? Non lo mollava un istante, tanto da obbligarmi a divorziare per mancanza di intimità!
–Secondo me il problema è lo stesso che affligge le relazioni genitori-figli- asserì saggiamente la Irving scuotendo il capo. –Dimenticano cosa provarono a loro tempo dall’altra parte della barricata.
–Sii te stessa- suggerì Abigail, per poi aggiungere, storcendo il naso alla vista dei poster di gruppi metal, degli anfibi con la punta in metallo e dei vari gioielli ornati di borchie, teschi, croci e chi più ne ha, più ne metta, che Faith ancora sfoggiava di tanto in tanto –Ehm, magari non troppo te stessa… una te stessa un filino più femminile.
–Ab, non si può fingere di essere ciò che non si è. Non sono mai stata e non sarò mai la classica donna casa e famiglia. Mi dispiace, non è nelle mie corde: fin da piccola mi sono vista in carriera, al massimo con un uomo accanto, e dubito cambierò idea a ventisei anni.
–Evita di farlo sapere alla mamma di Franz, altrimenti lascerai la festa con qualche pezzo in meno- commentò Abigail scuotendo melodrammaticamente il capo.
–So già che mi odierà, infatti!- gnaulò Faith, coprendosi il viso con una canotta stropicciata. –Quale madre vorrebbe al fianco di suo figlio una donna che ha l’orticaria se deve fare le faccende domestiche, che sa suturare, ma non cucire, che non riesce a stirare niente di più complicato di un fazzoletto senza bruciare gli orli?
–Effettivamente…
–Visto? Faccio schifo!
–Ab, chiudi il becco. Faith, non abbatterti, sei una persona fantastica!- asserì Bridget in tono consolatorio, cingendole le spalle. –E’ a Franz che devi piacere, non a sua madre, e a lui piaci, perché sei sincera, generosa, intelligente, sarcastica, riesci a capire lui e il suo lavoro, che poi è anche il tuo, hai altre priorità che non rimirarti allo specchio come la matrigna di Biancaneve e abbrustolirti sotto il sole come una lucertola… Franz è un vero uomo, non ha bisogno di una mezza donnetta per sentirsi virile; cercava un degno avversario, e l’ha trovato in te.
–Da dove salta fuori tanta saggezza, B?- domandò acida Abigail. –Hai cambiato cereali per la colazione?
–Spiritosa!- sbuffò l’altra, proponendo all’amica che le aveva chiesto aiuto un abito decisamente troppo corto e scollato per una tranquilla festa casalinga.
–Tiro a indovinare, B- ridacchiò Faith, –Non sei piaciuta a nessuna delle tue suocere!
–Già!- gnaulò lei, mettendo il broncio. –Non capisco perché! Sono una ragazza così posata!
Le altre due si scambiarono uno sguardo d’intesa e riuscirono a camuffare in tosse le risatine che avevano tentato prepotentemente di uscire dalle loro bocche.
–Lascia che per una volta ti dia io una lezione, B- sciorinò in tono da maestrina Abigail. –Per far colpo sulla suocera devi mostrarti l’opposto di quello che piace al tuo uomo. Dimentica vestiti succinti, tacchi vertiginosi e gioielli vistosi e fai spazio a modestia, eleganza, discrezione. Ti assicuro che funziona.
–Buono a sapersi- intervenne Faith, dopodiché espose alle amiche il suo piano geniale, che incontrò dapprima la loro perplessità, poi la loro approvazione. Felice di poter contare sull’appoggio di due alleate fidate, esaminò fischiettando un vestito dimenticato in fondo all’armadio; non era affatto brutto (forse un po’ retrò), ma, siccome glielo aveva comprato Führer Rose a sua insaputa, si era rifiutata di indossarlo per principio. Non sopportava le imposizioni.
–Uuuh! Carino!- squittì Bridget, battendo le mani per l’eccitazione. –Potresti abbinarlo alle decolté color cuoio che mettesti al mio terzo addio al nubilato!
–Frena l’entusiasmo, B, non ha ancora ricevuto la mia approvazione- sentenziò Abigail con aria da gran dama. –Uhm… Bordeaux, colore che ti dona, a pois, che io adoro, con una cintura sottile per allontanare l’attenzione dal seno, lungo al ginocchio, così non mostrerai più coscia del necessario, in chiffon, che fa tanto brava ragazza… sì, dire che può andare.
Prima che potesse anche solo formulare una riposta, la povera Irving si vide assalire dalle due pazze scatenate, che le infilarono a forza abito e scarpe per poi trascinarla in bagno, dove, tra un battibecco e l’altro, la truccarono e fecero il possibile per addolcire il taglio “da maschiaccio”.
Completata l’opera, trillarono estasiate –Perfetta! Se avessi un figlio te lo farei sposare domani!
Faith sorrise e, con tanto di strizzatina d’occhio, cantilenò –Auguratemi buona fortuna, ragazze. “I’m on the highway to hell, and I’m going down!”

 
***

–Secondo me stai esagerando, Gertrud- asserì in tono severo Martin Philips, scrutandola torvo dallo specchio della loro camera da letto, dove stavano preparandosi in attesa dei primi ospiti.
La donna, che aveva da poco ultimato il maquillage e si stava agganciando gli unici gioielli che si era concessa, un vistoso paio di orecchini in stile indiano, rispose –Dici che sono pacchiani?
–Non fare la finta tonta, sai benissimo che non parlo degli orecchini!- sbottò suo marito, reso ancor più irritabile dalla cravatta: detestava sentire il collo stretto in un cappio, per quanto elegante fosse, ma sua moglie teneva molto alle formalità, per cui si era visto obbligato a indossare la sua preferita.
–Di cosa, allora?
–Del tuo folle progetto. Metterai a disagio tuo figlio e la sua fidanzata soltanto per toglierti lo sfizio di vederli crollare e confessare davanti agli altri invitati, come se avessero commesso chissà quale crimine!- tuonò Martin. –Mi pare crudele e incoerente: non eri tu a caldeggiare che Franz, per usare le tue parole, “si sistemasse”?
–Sì, ma avrei gradito avere peso nella scelta! Sarei stata sicura che finisse con una ragazza normale!- ululò Gertrud, rivelando il reale motivo alla base del suo malcontento: si era rassegnata al matrimonio-lampo di Alexander, che tuttavia aveva accresciuto la sua determinazione a seguire passo passo Franz nella scelta della compagna.
–Gertie cara, quando entrerà in quella bella testolina che non esiste la normalità in amore?- osservò saggiamente Martin. –Preferisci che Franz sia follemente felice, oppure che si roda il fegato con una donna che rispetta i tuoi criteri di normalità, ma che non considera alla sua altezza?
Gertrud aprì un secondo la bocca per ribattere, ci ripensò, contrasse i lineamenti in un’espressione corrucciata, infine sospirò –Suppongo tu abbia ragione. Tuttavia, considerato che in un certo senso mi ha mentito, tenendomi nascosto che ha una fidanzata, credo che Franz meriti una piccola punizione. Vedrai, sarà uno spasso!

 
***

“Words like violence, break the silence. Come crashing in, into my little world. Painful to me, pierce right through me. Can’t you understand, oh my little girl?”
–Che musica figa, zio!- trillò Hans, agitandosi sul sedile posteriore. –Come si chiama la canzone? Chi canta?
–Ehi, ehi, ehi! Chi ti ha insegnato quella parola?- lo redarguì Alexander. –E’ da maleducati parlare così, Hans. Se proprio vuoi esprimere il tuo entusiasmo, di’ “Che pezzo da urlo”, o “Che canzone mitica”.
–Tuo padre ha ragione. E’ infantile e ridicolo sforzarsi di apparire grandi usando un linguaggio inadatto alla propria età. Comunque, per tua informazione, questi sono i Depeche Mode e il brano è ‘Enjoy the silence’- lo appoggiò Franz. –Grazie, Xandi, per avermi dato un passaggio. Ti devo un favore.
–Riscuoterò quando più mi converrà. Certo che siete strani, tu e Faith: arrivare separatamente per non destare sospetti. Avete pensato a come resistere tutta la sera senza sco…
–Alexander!
–Scusa, amore. Ce la farete a non dimostrarvi il vostro amore? Sinceramente non capisco perché escogitare tutti questi sotterfugi- biascicò Alexander, ruminando un chewing gum. –Di’ semplicemente alla mamma che hai trovato di meglio delle sciacquette che ti propinava, non mi pare tanto difficile!
–Alexander!
–Cos’è una sciacquetta?- chiese Hans con fervente curiosità. –E’ una cosa per lavarsi? Una saponetta?
–Complimenti- sibilò Serle, fulminandolo con un’occhiataccia. –Adesso sbrigatela da solo. Avanti, su, nostro figlio aspetta una risposta!
Alexander indugiò: come poteva spiegare a un bambino di sei anni cos’era una sciacquetta senza finire dalla padella nella brace?
–Ehm… ecco, Hans, la sciacquetta è una persona- “Buon inizio. Continua così”. –Una… ragazza che, ecco… non ha molto cervello.
–Non è una stupida, quella?
–Sciacquetta è peggio. E’ una brutta parola, offensiva, e non voglio mai sentirla uscire dalla tua bocca. Chiaro?
Scioccato dall’espressione severa dipinta sul viso di suo padre, Hans annuì e Franz, dopo avergli scompigliato affettuosamente i capelli per restituirgli il sorriso, riportò la conversazione sul tema originario.
–Da che pulpito, Xandi. Se non ricordo male, quando stavo da papà in Germania mi sommergevi di e-mail strappalacrime, lamentandoti degli appuntamenti da incubo che ti organizzava mamma. Ti sei sposato lontano da casa apposta per evitare che passasse al setaccio Serle!
Alexander provò a replicare, ma sua moglie, cullando il piccolo Wilhelm, glielo impedì.
–Tuo fratello ha ragione, Alex: hai subito il suo stesso trattamento, dovresti appoggiarlo, non dargli addosso!
–Non gli sto dando addosso, lo sto mettendo di fronte alla realtà: mamma si inca… volerà da morire quando scoprirà che sta con Faith, non tanto perché non le piacerà - è talmente ossessionata dalla mania di vederci con la fede al dito e due o tre marmocchi a testa che le andrebbe bene chiunque - quanto perché non ha avuto un ruolo nella scelta!
–Senti- propose Franz, –Facciamo così: se mamma dovesse scoprire che Faith è la mia fidanzata lo ammetterò, altrimenti aspetterò il momento che riterrò opportuno.
–Lo capirà, fratellino- asserì Alexander. –Per certe cose le parole non sono necessarie.
“All I wanted, all I needed is here, in my arms. Words are very unnecessary, they can only do harm. Enjoy the silence!”

 
***


Poco dopo il suo arrivo Franz era stato trascinato da Gertrud - iperattiva e favolosa nel completo formato da tunica e pantalone color canna da zucchero con graziosi fiorellini azzurri ricamati - in un giro di saluti e presentazioni. A lei, che non conosceva nessuno, esclusi Alexander, Serle e i suoi colleghi, e non voleva apparire appiccicosa, non era rimasto che ritirarsi in un angolino a sorseggiare sangria ghiacciata.
“That’s me in the corner, that’s me in the spotlight. I’m losing my religion, trying to keep up with you, and I don’t know if I can do it!”
Decisamente una canzone poco adatta alla situazione, dato che aveva bisogno di un’infusione di coraggio, non di depressione in note.
Nonostante le rassicurazioni dei colleghi si sentiva un pesce fuor d’acqua; lei, Jeff, Josh e Rajiv erano di gran lunga i meno eleganti, ma, mentre ai maschi erano concesse vaste deroghe in materia di stile, per le femmine era diverso: più di una volta le era parso di scorgere alcune delle invitate più giovani sghignazzare nella sua direzione, ma la sua parte razionale l’aveva persuasa di soffrire di allucinazioni. Oltretutto, molte di loro erano uscite con Franz negli appuntamenti al buio organizzati da Gertrud, che sembrava prestare attenzione solo e soltanto a chi giudicava materiale da fidanzamento.
Li aveva tenuti d’occhio per qualche minuto, dopodiché, pervasa da ribollente ira, si liberò del bicchiere e si diresse verso Franz e gli lanciò un’occhiata fugace ma inequivocabile mentre si serviva altra sangria. Una volta assicuratasi che avesse ricevuto il messaggio, si avviò al piano superiore.
Proprio quando stava perdendo le speranze, si sentì afferrare dalle mani di Franz, che le sussurrò all’orecchio –Grazie per avermi salvato da quelle galline!
–Avresti potuto salvarti da solo, invece di atteggiarti a galletto e scaricarmi in un angolino.
–Mia madre non è scema, lo hai detto tu stessa, non potevamo rischiare…
–Cosa? Ti ho assecondato, Franz, però inizio a pormi delle domande: tua madre sarà severa, ma non è Cerbero. Pretende di indirizzarti verso le galline figlie delle galline sue amiche, ok, ma non credo che mi pugnalerebbe, una volta constatato che ti rendo felice. Allora perché non vuoi affrontarla? Ti vergogni di me?- ringhiò Faith.
–Finora no, ma sono in tempo per cominciare! Ne ho abbastanza delle tue paranoie!- sbottò lui.
–Ah, sì? Beh, io ne ho abbastanza di uomini senza palle!
–Senza palle io? Io? Ti sto dietro da novembre e ancora non abbiamo scopato! Un uomo normale si sarebbe già stancato, ma io no, sono masochista e so aspettare... anche se comincio a dubitare che ne valga la pena.
–Sapevo che avresti toccato questo tasto!- ululò, lieta che la musica e il chiacchiericcio impedissero che la loro discussione divenisse di dominio pubblico. –Ho sperato fossi davvero diverso, invece sei uguale agli altri… col cervello nelle mutande. Grazie di avermi fatto capire che stai solo giocando alla caccia, e una volta ottenuto quello che vuoi mi scaricherai!
–A proposito di cervello, sicura di averlo connesso alla bocca?- ruggì Franz, ormai fuori controllo. –Perché stai sparando un mucchio di cazzate! Se volessi scopare e basta mi rivolgerei altrove! Posso avere di meglio!
–Oh, grazie!- latrò Faith, trattenendo a stento le lacrime. –Fa miracoli per l'autostima sentirsi sbattere in faccia che sei una mezza schifezza!
–Non mi pare di averti mai illuso in tal senso- rincarò Franz, deciso a vincere la guerra verbale. –O vuoi che ti elenchi adesso le ragioni per cui non sei una bellezza mozzafiato?
–Chiudi quel cesso di bocca! Ne ho abbastanza di te!- barrì, asciugandosi le prime lacrime apparse all’angolo degli occhi. –Saluta tua madre da parte mia e scordati che esisto!
Repressa la voce della ragione, che gli stava suggerendo di fermarla e chiederle scusa in ginocchio o con un atto plateale quanto imbarazzante, pur di non perderla, sbraitò –Benissimo! Non ho bisogno di te! Torna a casa a piagnucolare abbracciata al gatto! Vattene! E’ quello che ti riesce meglio, no?
“Consider this. Consider this, the hint of the century. Consider this: the slip that brought me to my knees failed. What if all these fantasies come flailing around? Now I’ve said too much!”

 
***

Il rumore fastidioso del cercapersone interruppe per la sesta volta il riposo di Harry James, e confermò la teoria secondo cui i turni di notte non hanno mezze misure: o sono un susseguirsi di tempi morti, oppure un susseguirsi di casi difficili che sarebbe meglio affrontare con la mente lucida dopo otto ore di sonno ristoratore.
Era passata da poco l’alba, aveva intravisto i primi raggi di sole attraverso le persiane. La chiamata era partita dal Pronto Soccorso, per cui immaginò di trattasse di un incidente stradale - con ogni probabilità qualche ubriaco di ritorno dalla discoteca - e che avessero bisogno di lui per eseguire TC a eventuali vittime con gravi traumi multipli.
Errore.
–Un ultimo sforzo, manca poco alla fine- sbadigliò al collega della Medicina d’Urgenza, col quale aveva in comune le occhiaie e l’aria sbattuta. –Cosa abbiamo?
–Una donna è caduta dalle scale. Lamenta dolori diffusi, in particolare alla spalla destra. Probabile frattura.
–Radiografia, allora.
Nello scoprire l’identità della paziente, Harry non poté non emettere un risolino divertito: la sorte beffarda aveva anticipato il suo incontro settimanale con la donna del ristorante. Anche lei parve averlo riconosciuto perché, sebbene i lineamenti fossero distorti dal dolore, gli rivolse un debole sorriso.
In un patetico tentativo di sdrammatizzare, le domandò in tono scherzoso –E’ caduta dai tacchi, per caso?
–Anche se fosse, non ci sarebbe niente da ridere- rispose sdegnosamente.
“Ha una voce da sirena. Bella quasi quanto lei” pensò, si diede uno schiaffo per riprendersi e si scusò –Scusi, eh, ma a fine turno la stanchezza si sente. Certo che non c’è nulla da ridere, è solo che, ehm, giusto ieri abbiamo avuto un caso del genere…
–Nessuna offesa. Spero solo che la sua bravura come radiologo non sia pari al suo spirito di osservazione- commentò sarcastica la donna. –Non vede che sono in tuta e scarpe da ginnastica? Stavo andando a correre, come tutte le mattine.
–Va a correre? Anche io... quando non sono di turno, ovvio. E’ un’attività molto salutare.
–Più che altro uno sfogo, e poi i classici tipi da palestra mi disgustano: voglio fare esercizio, non rimorchiare- ammise, per poi aggiungere, con una smorfia –Quando si deciderà a fare effetto l’antidolorifico?- Harry alzò gli occhi al cielo e la aiutò a prepararsi per la radiografia. Molti suoi colleghi erano ben felici di lasciare questo compito agli infermieri, ma lui preferiva avere tutto sotto controllo. Stava per entrare nel bunker, quando la paziente parlò di nuovo. –Si chiama tubo di Roentgen, giusto? Simile al tubo catodico dei vecchi televisori.
–Esatto. Ulteriori dettagli dopo l’irradiazione- concluse, chiuse la porta del bunker, regolò il campo e l’intensità dell’irradiazione, infine premette un tasto e attese che il tubo radiogeno (o tubo di Roentgen) facesse il suo dovere.
Sbrigati esami e scartoffie si mise a chiacchierare con lei, e trovò la sua compagnia davvero piacevole. Apprese che la bella del ristorante altri non era che Freddie il meccanico con un misto di sorpresa e imbarazzo per le volte in cui l’aveva derisa con sua sorella.
–Ebbene sì, sono un raro esemplare di meccanico con le tette. Il venerdì sera, smessa la tuta, mi concedo una lauta cena e la frivolezza di un abbigliamento più femminile. Bisogna godersi la vita, no?
Appurato che non c’era traccia di frattura né di emartro - perciò, quasi sicuramente, il dolore alla spalla era causato da un ematoma - dopo un’occhiata veloce al fondo oculare, d’accordo col collega che l’aveva visitata in precedenza la dimise, raccomandandole caldamente di tornare se si fosse accorta di problemi alla vista o capogiri.
Prima di salutarsi, Freddie gli diede appuntamento per il venerdì successivo al solito posto e aggiunse, con un sogghigno furbo –Dopotutto, qualcosa di buono è venuto dalla caduta: venerdì non avrai scuse per non sederti al mio tavolo!

 
***

Nei giorni seguenti Franz fu a dir poco intrattabile: sfogava su chiunque gli capitasse a tiro la frustrazione per il fatto che Faith lo teneva alla larga, impedendogli di chiederle perdono strisciando; a tutto ciò si sommava la nauseante gaiezza di Chris, che aveva ripreso a tubare con Erin, di Harry, cotto a puntino del “meccanico con le tette”, e di Patty, innamorato e felice con la sua Harper. In breve, il suo malumore cresceva di giorno in giorno.
Inaspettatamente, fu sua madre a dargli la spinta che gli serviva per rimediare al danno da lui combinato.
Kind, non indovinerai mai chi ho incontrato al mercato!- trillò allegramente nel bel mezzo di un pranzo in famiglia.
Sia figli di Gertrud, sia quelli di Martin, alzarono gli occhi al cielo e chiesero, in tono scocciato –Chi hai incontrato?
–Quella ragazza pienotta che lavora con te…. Faith!- rispose lei, e a Franz andò di traverso un boccone di roast beef. –Era con sua madre, una donna così alla mano!
–Faith o sua madre?
–Taci, Alexander, non capisci mai niente!- sbuffò Gertrud, che non sopportava le interruzioni. –Parlavo della madre di Faith. Lei è stata molto educata, mi ha salutato, mi ha pregato di dare un bacio a Hans e Wilhelm da parte sua, però nel complesso non è stata particolarmente loquace.
–Tra le sue qualità non è inclusa la parlantina- asserì Franz, giocherellando nervosamente con la forchetta.
–Era strana, comunque, e aveva un’aria afflitta. Fatto ancora più strano, mi ha chiesto se ti avessi visto e come stavi. Non vi vedete in ospedale?
–Non molto… ha cambiato turnazione.
–Capisco. Ad ogni modo, le ho risposto che stavi benissimo e che stai frequentando una ragazza conosciuta alla mia festa. Ho fatto male?
–Tu… tu hai… sei impazzita?- abbaiò Franz, alzandosi di botto. –Come ti sei permessa di mentire sulla mia vita privata?
–Scusa. Non credevo ti stesse tanto a cuore!
Svuotati lentamente i polmoni, Franz serrò i pugni e ringhiò –Conoscendoti, credo invece che lo sapessi. E va bene, lo ammetto: io e Faith stavamo insieme. Stavo aspettando il momento giusto per dirtelo… e, onestamente, ero tentato di negarti la soddisfazione di sapere che sei riuscita nel tuo intento. Peccato abbia rovinato tutto!
–Vacci piano con le accuse: se qui c’è qualcuno che ha rovinato tutto, sei tu!- sbottò Alexander. –Mamma ha sbagliato in buona fede.
–Mamma non ha sbagliato- intervenne Gertrud. –Mamma non sbaglia mai. Per principio. Rilassati, Franz, e siediti. Ti ho giocato uno scherzetto: non ho incontrato Faith, non la vedo dalla festa. Ho visto lei andarsene sconvolta e tu ritrasformarti nell’acido musone di ritorno dalla Germania; inoltre, da che era il principale argomento di conversazione quando si toccava l’argomento lavoro è diventata improvvisamente tabù. Ho impiegato pochissimo a fare due più due.
–Ti sto odiando profondamente, mamma, sappilo!- sputò Franz, riprese posto a tavola e le scoccò un’occhiata truce.
–L’ho fatto per te, kind. Superato l’ostacolo di confessare che Faith è la tua ragazza, rimediare ai tuoi errori sarà una bazzecola.
–Vuoi dei ringraziamenti? Grazie! Ora prometti di non interferire mai più?
–Spiacente- cinguettò Gertrud, sfarfallando le ciglia, –Non è mia abitudine fare promesse che non posso mantenere!

 
***

Assorta in mille pensieri, Faith avvertì a malapena il sapore del delizioso dolce marca Melanie che stava masticando.
In barba al divieto di Jack di festeggiare prima che i risultati del test di paternità fossero resi pubblici, si stavano dando alla pazza gioia, mangiando, bevendo, ridendo, ballando e, nel caso di Faith, cantando.
Venne riportata alla realtà da Connie, la quale, avvicinatasi a lei incollata all’onnipresente Keith, domandò –Meglio sordo o cieco?
–Ehm… possibilmente nessuna delle due.
–Connie è fissata con l’idea di voler dare un difetto fisico a uno dei protagonisti del suo nuovo giallo- sbuffò Keith.
–Non è un protagonista, è la vittima principale- precisò Connie. –Un insigne Maestro pasticciere che, nonostante la cecità - o sordità, non ho ancora deciso - svolge la sua professione ad alto livello e partecipa a una gara internazionale di pasticceria. Non a caso il romanzo si intitola: ‘Io sono merenda. Verrà la morte, e avrà la forma di un bignè’.
–Titolo evocativo- esclamò l’altra, incerta se ridere o piangere.
–Ometti un dettaglio, Ciambellina- sibilò Keith. –Faith, la nostra Agatha Christie ha creato una macchia nel passato del pasticciere… un incidente stradale.
Alla Irving andò di traverso l’éclaire. Tossicchiò, si batté il petto, infine, cercando di ricacciare nell’oblio le immagini del corpo esanime di Vyvyan e della stessa Connie in coma, commentò –Non è, ehm, di cattivo gusto che proprio tu inserisca un incidente stradale nel libro?
–E’ fondamentale ai fini della trama!- gnaulò la bionda, arricciando le labbra. –Nell’incidente lui perde la vista, o l’udito, e una bambina la vita. La madre cova il proprio rancore per anni, poi si vendica facendo fuori colui che considera l’assassino della figlia. Fine degli spoiler.
–Stavo per dirlo io- ridacchiò Faith. –Gusterò, tanto per restare in tema, il tuo prossimo libro non appena verrà pubblicato. Comunque, se vuoi il mio modesto parere di medico, sia cecità che sordità sono plausibili come postumi di un incidente stradale: l’impatto potrebbe aver danneggiato il nervo ottico o l’acustico, oppure la corteccia visiva o uditiva.
–Grazie, mi hai tolto un grosso dubbio- sospirò Connie. –Forse, però, pensando al mestiere di questo tizio, la sordità è più verosimile. Cosa ne pensi, consulente editoriale?
–Penso che Faith abbia ragione- rispose in tono deciso. –Leva questa assurdità dell’incidente stradale e sostituiscila con un movente passionale. Il sesso vende!
–Alla grande!- annuì la scrittrice. –Mai vista tanta gente leggere il giornale come da quando è scoppiato lo scandalo Ryan!
La porta dell’appartamento di Brian si aprì e il lupus in fabula apparve in tutto il suo splendore. Calò un silenzio carico di attesa e tensione; tutti gli sguardi si concentrarono sul padrone di casa, che andò a sedersi a capo chino. Al termine di una pausa di pochi secondi, che però ai presenti parve infinita, si erse in tutta la sua altezza e appagò la curiosità generale.
–E’ mio figlio.
 
Note dell’autrice:
Please, ditemi che non fa schifo! L’ho scritto di getto, senza pensare, correggerò dopo eventuali errori che mi segnalerete.
Spero che le vostre aspettative non siano rimaste troppo deluse: F&F avevano bisogno di litigare. Lui cominciava a darla per scontata e lei (scusa, Faith, ti adoro, ma devo dirlo) a considerarlo una sorta di Cyril due. Ora, invece, potranno chiarirsi e ripartire col piede giusto… forse. XD
Alzi la mano chi si aspettava che anche Harry, alla fine, avrebbe trovato l’amore. Lui e Freddie sono una bella coppia, e chissà che, conoscendola meglio, non cambi idea sulle donne meccanico! ;-)
E ora… vai col conto alla rovescia: meno un capitolo e l’epilogo alla fine!
Serpentina
Ps: ruzzolare per le scale e finire al Pronto Soccorso è un buon modo per rompersi qualche osso, non per rimorchiare. Non tutte possiamo avere la fortuna di Freddie! XD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Galeotto fu il pollo arrosto ***


Ragazze (vado a colpo sicuro, eventuali maschietti non me ne vogliano), ci siamo. E’ giunto il momento. Il momento che stavamo aspettando. Qui si deciderà il destino dei nostri eroi. Troppo epico, forse? Può darsi, ma non sono forse imprese epiche mettere da parte l’orgoglio per la persona amata e sacrificare in parte la propria indipendenza per un figlio? Su questa nota filosofica vi lascio alla lettura! ^^
 



Galeotto fu il pollo arrosto




“Non si può pensare benedormire bene, amare bene, se non si ha mangiato bene.”
Virginia Woolf 

Harry si girò sul fianco e coprì col lenzuolo la schiena nuda della donna pacificamente addormentata al suo fianco, stando attento a non interrompere il suo sonno. Nonostante le accortezze, però, questa si svegliò, si issò goffamente sui gomiti e gli diede un bacio esageratamente casto, considerate le attività alle quali avevano dedicato buona parte della notte.
–La lingua dopo che mi sarò lavata i denti- disse per giustificarsi.
–Va bene- sussurrò Harry a fior di labbra. –Ma prima… colazione!
–Potrei prepararla io e portartela a letto- si offrì lei, ricevendo in risposta un sorriso luminoso: dato che i fornelli per Harper erano come la kriptonite per Superman, l’onere culinario ricadeva esclusivamente sulle spalle di Harry. Stare comodamente seduto ad ammirare una bella donna mentre cucinava era un piacere a lui sconosciuto.
–Dubito la mangerei… sei troppo bella perché possa pensare ad altro quando ti ho vicino- mormorò mentre le ricopriva di baci una spalla.
–L’adulazione ti frutterà tante coccole sexy- rispose Freddie, distendendosi nuovamente a pancia in giù. –Sono stata bene con te. Sento di potermi fidare.
–E’ una bella sensazione?
–Meravigliosa- sospirò, fissandolo con i suoi grandi occhi castani. –Ti va di farlo ancora? Come si dice: “sesso la mattina, giornata sopraffina!”
–Questo proverbio mi è nuovo- disse Harry, assumendo un’espressione pensosa.
–Per forza: l’ho inventato io!- ridacchiò la donna. –Allora? Riesco a indurti in tentazione? Dai! Dammi qualcosa di sconcio per tenermi su di morale mentre lavoro!
–Ehm… mi piacerebbe, ma è l’ora in cui di solito rincasa mia sorella, non vorrei sentisse….
Una voce squillante fece sobbalzare e arrossire i due piccioncini.
–La sorella è già rientrata e ha già sentito, porconi!

 
***

Faith era frastornata: da quando aveva raccontato della lite con Franz aveva ricevuto decine di pareri, molti dei quali non richiesti, alcuni contrastanti tra loro. Neanche le sue migliori amiche, Abigail e Bridget, che la conoscevano da dodici anni, le avevano dato buoni consigli.
Trovò sollievo all’arrivo di Maggie, subito circondata da un branco di belve affamate di gossip; la sera prima, infatti, era uscita con Ian, e l’intero ospedale, pazienti compresi, fremeva di curiosità.
–Ecco la bella del ballo!- trillò Helen, ignorò il derisorio “Che cazzo dici?” di Diane e la invitò a sedersi accanto a lei.
–Dicci tutto!
La Bell, che di rado era al centro dell’attenzione, arrossì furiosamente e pigolò –Mi sono divertita. Tanto.
–Eh, lo immagino come ti sei divertita! Ian dà l’impressione di saperci fare!- esclamò Diane, sollevando allusivamente le sopracciglia.
–Oh, no!- si affrettò a smentirla l’interessata. –No, no, no! Non abbiamo… non… Ian è stato…
–Un povero fesso, se non ti ha nemmeno baciata!- concluse Erin, la testa poggiata sull’addome di Chris, che la teneva per mano. L’imbarazzo di Maggie confermò i suoi sospetti. –Vi siete baciati! Evvai! Orsacchiottone mio, mi devi dieci sterline o due super menu da Burger King!
–Devi proprio chiamarmi orsacchiottone in pubblico?- gnaulò.
–Fa parte della punizione per avermi definita una tua proprietà. Quando sarò convinta che hai imparato la lezione, la smetterò- asserì con sussiego la psichiatra. –Ora lascia parlare Meg.
–E’ stato il coronamento di una serata favolosa- cinguettò Maggie, stringendosi nelle spalle, talmente estatica da non sconvolgersi per essere stata oggetto di un giro di scommesse. –Non so se l’appuntamento perfetto esiste, ma quello di ieri ci si avvicina parecchio! Ian sa che adoro ‘Grease’, così mi ha portata in un locale anni ’50 a Elephant&Castle, e poi a vedere il musical. Una meraviglia!
–E il bacio?- chiese Evangeline.
–Oh, è stato molto naturale- chiocciò, e Faith si trattenne a stento dal domandarle se esistessero baci artificiali. –Nel senso che è stato spontaneo, al momento giusto… mi ha detto che ero bellissima e che voleva baciarmi; gli ho risposto: “Permesso accordato”, e lui non ha perso tempo. Oh, non avete idea di quanto sono felice! Vorrei che tutti provassero almeno metà della mia felicità!
Erin si alzò e disse –E su questa nota sdolcinata, vi saluto. Vado a spiegare al povero Fitz che gli alieni che gli avevano promesso di farlo re di Marte se avesse accoppato la madre sono solo frutto della sua fantasia psicotica.
Gli altri la imitarono, e gradualmente la caffetteria del Queen Victoria Hospital si svuotò. Faith stava per andarsene a sua volta, ma Maggie la bloccò.
–So che non ho abbastanza esperienza dell’amore per darti consigli - voglio dire, Ian è il mio secondo ragazzo! - però vorrei ci pensassi cento volte prima di allontanare Franz. Ha sbagliato, ti ha ferita, ma involontariamente. Non è Cyril. Dagli una seconda possibilità… datti una seconda possibilità.

 
***

–Perlomeno non ha visto- pigolò Freddie, vestitasi in un lampo alla minaccia di Harper di entrare e fotografarli.
–Fareste un figurone nella mia collezione di scatti compromettenti- aveva aggiunto deliberatamente, al solo scopo di aumentare il loro imbarazzo. –Primo posto pari merito con la foto di Robert che dorme abbracciato al suo orsacchiotto!
Esasperati, i due si erano andati in cucina, dove Harper ronzò loro intorno tartassandoli di domande, la maggior parte delle quali impertinente , resistendo a ogni tentativo di Freddie di condurre la conversazione su temi neutri.
–Harp, non credo tu voglia sapere davvero cosa combino in camera da letto- sbottò Harry, raggiunto il limite di sopportazione.
–Sì, invece! Potresti fornirmi spunti interessanti!- replicò sua sorella, per poi ritrattare. –Uhm… no, è più probabile il contrario.
–Le tue frecciatine non mi toccano- asserì il fratello con sussiego, osservando con la coda dell’occhio la reazione di Freddie, sperando che la schiettezza di Harper non la scandalizzasse.
–Tu invece tocchi, eccome se tocchi!- ribatté Harper, gettandosi alle spalle la lunga chioma castano chiaro. Diede di gomito alla nuova fiamma del suo fratellone e aggiunse, con incredibile faccia tosta (e un filino di scostumatezza) –Dì la verità: hai fatto finta? Mio fratello non può essere così bravo! O avete usato dei giocattoli?
Pur essendo spigliata e disinibita, Freddie boccheggiò: aveva anche lei una sorella, ma non le raccontava per filo e per segno la sua vita sessuale, né aveva mai posto domande in proposito!
–Noi… io… lui…
–Solo “giocattoli” in carne ed ossa. Adesso mangia in silenzio e alla svelta, o farai tardi al lavoro- intervenne Harry, allibito dall’atteggiamento ostile di sua sorella. A volte si atteggiava a stronzetta, ma non aveva mai mostrato tanto accanimento nei confronti di qualcuno.
Harper sbuffò, spazzolò la colazione, si alzò e si pavoneggiò assumendo pose da pin-up che mettevano in risalto la sua figura esile, molto diversa da quella di Freddie - muscolosa, ma non mascolina - infine rincarò la dose con un commento apparentemente casuale –E’ una vera fortuna per me potermi vestire come mi pare al lavoro… non sopporterei di nascondere questo bendidio in una squallida divisa! Non sei d’accordo, Freddie?
Allora Harry capì che sua sorella non era semplicemente ostile: era sul piede di guerra! Non riuscì, tuttavia, a comprenderne il motivo: da tempo immemore lo supplicava di darle una cognata con cui lagnarsi di lui, inoltre era cliente fissa dell’officina ed era persino uscita qualche volta con Freddie per un aperitivo. Quando Harper lo baciò sulla guancia prima di correre al lavoro, e gli chiese se sarebbero stati in tre anche a cena, venne assalito da un atroce dubbio: che reputasse Freddie un’intrusa? L’ipotesi non era da scartare: dalla morte dei genitori era stata la donna di casa e lui, che considerava la propria abitazione come un luogo intimo, non aveva permesso a nessuna di varcare la soglia dell’appartamento.
–Tua sorella mi adora!- sputò sarcastica Freddie.
–Ti sei bevuta il cervello? Hai visto come ti ha trattata?
–Non mi ha decapitata, è già qualcosa!
–Beata te che hai voglia di scherzare- sospirò Harry, prese una mano tra le sue e ne accarezzò il dorso coi pollici. –Sono esterrefatto. Non l’ho mai vista comportarsi così.
–Io, invece, mi sarei stupita del contrario- disse Freddie scrollando le spalle. – Finora è stata la signora del maniero e tu sei la sola famiglia che ha, sarà dura per lei dividerti con me. Inoltre, ciliegina sulla torta, mi ha raccontato quanto fossi severo con lei, specialmente riguardo i ragazzi, il che ha alimentato una certa vena vendicativa. Senza offesa, Harry, tua sorella mi è simpatica, ma è una primadonna gelosa e dispettosa, aspetti che spero il suo ragazzo possa smussare.
–Non succederà: Patty… Robert sa che, se dovessi anche solo provarci, Harp gli darebbe il benservito. E’ fatta così: ti spezza, ma non si piega.

 
***

–E io che mi disperavo perché Erin si ostina a chiamarmi orsacchiottone!- esclamò Chris Hale in un dei rari momenti in cui non impiegava la lingua nell’esplorazione speleologica della cavità orale della sua fidanzata. –Questi sono veri problemi!
–Situazione disperata? E’ un lavoro per Super Pat! Su, su, sputa il rospo!- lo esortò Robert Patterson.
–Un rospone! Stanotte Freddie ha dormito da me, e…
–Hai fatto cilecca- concluse l’amico al suo posto, annuendo con l’aria di chi la sa lunga. –Imbarazzante, penoso, un duro colpo all’autostima, però… il tuo meccanico con le tette non è una verginella, sono sicuro che ti darà occasione di rifarti!
–Che hai capito, imbecille?- sbraitò indignato il radiologo. –Per tua informazione ci abbiamo dato dentro alla grande! I problemi sono sorti a colazione…
–Provo a indovinare- intervenne Franz. –Tua sorella è stata sgradevolmente stronza?
–Sì!- gnaulò Harry col mento poggiato sugli avambracci. –Freddie crede sia gelosa perché finora non avevo portato donne a casa, per cui si sentiva… com’è che ha detto? Ah, sì: la signora del maniero! Aggiungeteci il fatto che sono il suo unico parente prossimo in vita…
–Il ragionamento fila: amo Harp, però soffre di manie di protagonismo ed è estremamente possessiva- commentò Robert. –Forse non te n’eri accorto perché vivevi le tue relazioni con discrezione, quindi lei non si era sentita minacciata.
–Freddie ha minimizzato, ma so che l’ostilità di mia sorella l’ha ferita- sospirò sconsolato Harry. –Mi sento imprigionato tra due fuochi: non voglio che Harp si senta messa da parte, ma non voglio nemmeno rinunciare alla mia vita!
Gli altri tre si scambiarono occhiate pensose, dopodiché Franz riprese la parola.
–So che, da uomo, ti scoccerà parecchio, ma se c’è qualcosa su cui l’altro sesso ha pienamente ragione è che l’intelligenza si dimostra riconoscendo i propri limiti e rivolgendosi a un esperto. Nel tuo caso, qualcuno che si intenda di psicologia in generale e di psicologia femminile in particolare.
–Qualcuno come Erin- suggerì l’urologo. –E’ una donna e una psichiatra, saprà aiutarti.
–Ehm… non so se è il caso…
–Lo è, invece. Gli attriti relazionali sono come le malattie: se non curati si aggravano, cronicizzano e non te ne liberi più- asserì Franz, appoggiato dai cenni di assenso di Chris e Robert. –Appiana i dissidi, altrimenti ti ritroverai con l’emicrania perpetua perché quelle due non faranno che punzecchiarsi, coinvolgendoti nei loro battibecchi. Un inferno!
–Visto che sei tanto bravo perché non riconquisti Faith, invece di preoccuparti per me?

 
***

“You’d better think (think)! Think about what you’re trying to do to me. Yeah think (think, think), let your mind go, let yourself be free!”
Faith, ancheggiando per casa con un bicchiere di vino in mano ( imitata Agatha, che muoveva testa e coda a ritmo di musica), duettava virtualmente con Aretha Franklin mentre un succulento pollo cuoceva in forno; che non fosse una cuoca sopraffina lo dimostravano il fatto che non muovesse un dito senza ricettario e il suo seguire pedissequamente le istruzioni, senza tentare esperimenti che avrebbero di sicuro avuto esito fallimentare.
“People walkin’ around everyday, playin’ games and takin’ scores. Tryin’ to make other people lose their minds, well, be careful you don’t lose yours!”
Mrs. Norris era venuta due volte ad intimarle di occupare la serata con passatempi meno rumorosi, ma non se n’era curata, continuando imperterrita a cantare a squarciagola. Ne aveva bisogno per distrarsi e dimenticare, almeno temporaneamente, l’ultima, cocente delusione, sommatasi alla ferita ancora aperta delle offese rivoltele da Franz alla festa: il Grande Capo aveva ricevuto la visita inaspettata del collega e amico Ned Noyce, patologo del C.I.D. di Londra, molto noto nell’ambiente (Faith stessa aveva studiato su alcuni suoi libri); l’uomo, severo quanto la Eriksson e più puntiglioso del dotto King e di Weil messi insieme, aveva esaminato accuratamente il reparto e chi ci lavorava, prestando particolare attenzione a Franz, finché lei non lo aveva contraddetto, scatenando un’accesa discussione. Era stata convocata nell’ufficio del Grande Capo, dove, invece di rimproverarla, come si aspettava, Noyce le aveva detto che sarebbe stata la benvenuta al suo corso estivo.
–Sempre che possa permetterselo- aveva aggiunto con un sogghigno irritante.
Faith aveva in seguito scoperto che quel corso sarebbe stato un eccellente trampolino di lancio per la sua carriera, ma che salirci le sarebbe costato troppo; purtroppo i suoi genitori, anche volendo, non avrebbero potuto aiutarla: avevano dovuto sborsare un sacco di soldi - come gli altri condomini - per rifondere i debiti contratti dall’amministratore, un truffatore della peggior specie.
Stava meditando sulle ingiustizie della vita, quando bussarono alla porta. Seccata, andò ad aprire (Agatha, come al solito, era filata a nascondersi nel cesto dei panni da lavare), restando a bocca aperta di fronte all’ospite, sorridente e bello più che mai.
“You need me, and I need you. Without each other, there is nothing either can do! Yeah, think about it, baby!”
–Sai cosa c’è in profumeria, Faith? Tutte le vocali!

 
***

–Stai uscendo?
–Robert mi porta a mangiare giapponese. Credo seguirà dopo cena vietato ai minori da lui. Contento, fratellone? Tu e la tua ragazza avrete la casa a vostra disposizione. Dille solo di non mettere in disordine il bagno, di non usare il mio accappatoio e la mia tazza per la colazione, di non usurpare il mio posto… a tavola…
–Harp- la interruppe Harry, facendole segno di sedersi un attimo. –Sei mia sorella e ti voglio un mondo di bene, ma ti prego di piantarla con questo atteggiamento infantile.
–Vorrei solo evitarti di soffrire un’altra volta- gnaulò lei, dondolando i piedi come una bambina. –E fartela un po’ pagare per tutti i ragazzi che hai fatto scappare.
–Touché! Credo di essermelo meritato- ammise lui. –Però ammetterai che il gancio che diedi a Patty fu mitico!
–Degno di Rocky!- ridacchiò. –Freddie è mia amica, è perfetta per te e so che non ti userebbe per poi gettarti via. Ecco, l’ho ammesso. Contento? In questi giorni ho esagerato e mi dispiace, ma mettiti nei miei panni: dopo anni di sporadici rapporti occasionali porti a casa una donna, è normale che mi sia sentita minacciata!
–Minacciata? Cosa sei, un animale che marca il territorio?
–Sono tua sorella e, fino a poco tempo fa, l’unica donna nella tua vita, è logico che marchi il territorio!
Harry, seguendo i consigli di Erin, la assecondò.
–Hai ragione. Ho sbagliato a farla piombare all’improvviso nella tua vita con un nuovo ruolo, ho dato per scontato sapessi che verrai sempre al primo posto, per me- asserì, pensando: “La ragazza di Chris è un fottuto genio!” quando sua sorella chinò il capo e pigolò –Mi sei rimasto solamente tu, sei l’unico punto fermo nella mia vita. Non voglio perderti, ma neppure vederti infelice. Chiederò scusa a Freddie e la tratterò da amica.
–Grazie- le sussurrò all’orecchio dopo averle dato un bacio sulla fronte, come quando erano piccoli. –Non ti chiedo la luna, soltanto un piccolo sforzo. Ora basta sentimentalismi; fiondati da Patty, che mi serve casa per fare porcherie con la mia donna!
–Così non aiuti, Harry!

 
***

Consapevole che, se non si fosse dato una mossa, avrebbe perso irrimediabilmente Faith, Franz aveva arruolato ogni singolo neurone del suo cervello per risolvere l’enigma, la cui soluzione, una volta trovata, gli era parsa talmente semplice da risultare ridicola.
Era corso (letteralmente) ai ripari: si era recato dalla Irving in sella a Harley per infondersi coraggio, le aveva impedito di chiudergli la porta in faccia e le aveva comunicato la soluzione di quella sottospecie di indovinello.
Seppure con riluttanza, l’aveva fatto accomodare e gli aveva offerto del vino, al che, in un vano tentativo di smorzare la tensione, aveva scherzato –Non hai bisogno di ubriacarmi, baby!
–Dovrei ridere?- gli aveva risposto, prima di domandargli l’ovvio, ossia il motivo della visita.
A quel punto, reprimendo l’istinto di replicare con una battuta sarcastica, l’aveva inondata di un profluvio di scuse, che lei quasi certamente aveva accettato solamente per farlo tacere, e ora, mentre accarezzava Agatha - che l’aveva confuso con un cuscino - sperando non fosse finita, fissava il profilo di Faith, in piedi accanto alla finestra.
Esalò –Hai ragione, sai? In parte. Tendo a sragionare quando mi arrabbio, e, scusa, ma mi hai fatto veramente incazzare: ti pare che mi lascerei scappare una donna come te? Avrei dovuto avere il coraggio di affrontare mia madre, però… ho avuto paura. Paura che fosse troppo presto, che ti saresti spaventata, che non ricambiassi… insomma, non sei l’unica piena di paranoie.
–All’inizio lo odiavo, sai? Cyril- sospirò Faith, girandosi a guardarlo. –Ci siamo detestati dal primo incontro. Non saprei dire il luogo o l’ora, ma qualcosa cambiò, gradualmente, senza che potessi accorgermene per porvi rimedio. Forse è anche per questo che ho faticato a fidarmi di te: mi pareva di rivivere quella storia. All’epoca stavo con Kyle, Cy era uno dei suoi migliori amici, e anche tutto quello che Kyle non era: affidabile, attento, gentile. Scoprimmo di avere molti interessi in comune, e Kyle fu talmente stupido da incoraggiarci a uscire insieme, felice che avessimo finalmente smesso di bisticciare in continuazione.
–Da cosa nasce cosa, e…
–Oh, no! Ci inseguimmo per un paio d’anni: quando lasciai Kyle lui frequentava un’altra ragazza, e non me la sentii di rovinare il loro rapporto. Ebbi un paio di storielle effimere, dato che sembrava non fossimo destinati a stare insieme. Nessuno dei due poté crederci quando ci ritrovammo entrambi single. Non perdemmo tempo, anzi, recuperammo quello perduto in precedenza! Lo amavo tanto.
Sebbene l’intensità con cui erano state pronunciate quelle parole l’avesse ferito, Franz non tradì alcuna emozione. Si grattò il dorso di una mano e chiese –Ricambiava?
–Non posso sapere cosa gli passasse per la testa. Credo di sì. Spero di sì, anche se, a volte, avevo la sensazione che non mi ritenesse al suo livello. Poi ci fu l’incidente: Vyvyan, il fratello minore di Cy, morì. Aveva diciotto anni. Fu un periodo molto triste, ovviamente, e per me un incubo: Cyril aveva degli sbalzi d’umore spaventosi; un secondo prima mi stringeva forte quello dopo mi inveiva contro, oppure mi scacciava e si rintanava in un angolino. Mi sentivo sola, stremata, impotente: mi dava fastidio essere trattata alla stregua di un punching-ball, ma non potevo certo rimproverare una persona in lutto per la morte di suo fratello!- Franz, non sapendo cosa dire, si limitò ad annuire e ad esortarla a proseguire. –Pian piano, a fatica, si riprese. La perdita di Vyvyan aveva lasciato un vuoto in lui, ma sembrava fosse tornato quello di prima, solo meno sorridente.
–Vi siete lasciati per colpa dell’ennesimo sbalzo d’umore di Cyril?
–Per colpa del bastardo più ignobile che si sia mai visto… Samuel Solomon- ringhiò la Irving a denti stretti.
Franz, che non aveva mai distolto lo sguardo da lei, ne ebbe paura: la furia fredda e determinata che ardeva nei suoi occhi ricordava il personaggio shakespeariano di Lady Macbeth. “Fortuna che ho più spina dorsale di quello smidollato!”, pensò.
–So… mi hanno riferito… ehm, gira voce che lui ti… abbia diffamata.
–Diffuse il pettegolezzo che gli avevo offerto il mio corpo in cambio di un posto da assistente- ammise Faith, con una dignità che gentaglia come Solomon, il dottor Corrigan o Charlotte Higgins non avrebbero mai potuto neppure sognare. –Ma quello fu il meno. Andò da Cyril e glielo disse, aggiungendo anche di averlo informato per aprirgli gli occhi su chi fosse davvero la sua fidanzata. Cy si arrabbiò, ne nacque una lite furibonda, al confronto le nostre sono scaramucce di bambini, e… mi lasciò. Fine della storia. È allora che persi la voce: sentivo di non aver più motivo di cantare, avevo perso completamente la passione... mi sentivo svuotata di ogni gioia, e credevo che non sarei più stata capace di provarne.
–Hai avuto molte prove del contrario, credo. Se c'è qualcuno che meriterebbe l'infelicità eterna, è lui. Ha creduto a quello stronzo e non a te? Che coglione!- sbottò Franz.
Faith, che aveva deciso di omettere che la menzogna di Solomon le aveva mandato a monte il matrimonio, scrollò le spalle e replicò –Col senno di poi, è stato meglio così. Ho sofferto, ma la fortuna è girata e… ho incontrato te. Perdonami se ti ho mandato fuori di testa con le mie insicurezze…
Effettivamente l’aveva fatto ammattire, ma, ora che gli aveva aperto il suo cuore, Franz non se la sentiva di biasimarla per essere stata sulla difensiva tutti quei mesi.
–Non scusarti, è comprensibile fossi diffidente. Al tuo posto, avrei fatto lo stesso. Avevi ragione, e io torto.
–Avevamo entrambi ragione e, contemporaneamente, torto- asserì Faith, prendendogli le mani. –E’ così che va quando si litiga. L’importante è fare pace.
–Sento che è il momento giusto per dirtelo, Faith- mormorò dopo averle baciato le mani. Alla Irving mancò un battito, sicura che le avrebbe detto le fatidiche cinque lettere… cascò male. –Hai ucciso qualcuno, stasera? Questo odore…
–Oh, cazzo! Il pollo!- ululò, precipitandosi in cucina. Arrivò troppo tardi: la carne era ormai carbonizzata. Mentre guardava con occhi lucidi quello che avrebbe dovuto essere un pollo arrosto, piagnucolò –Non sono fatta per cucinare! Ha ragione mia mamma, sono un disastro! E non ho più la cena!
–Cucino io per te. Dopotutto, è colpa mia se hai fatto bruciare il pollo.
“Oh, cazzarola, ha sfoderato gli irresistibili occhioni cucciolosi…. sono fritta!”
–Giusto! E’ colpa tua!- abbaiò Faith per non fare la figura della mollacciona che cedeva subito. –Ma non voglio che cucini per me… non adesso. Ho altro in mente.
Appena Franz si rese conto di cosa aveva in mente Faith, ridacchiò –La tua vicina ha ragione: sei una dottoressa perversa! Mi piace-, la baciò con l’intenzione di passare presto alla “portata principale”, ma qualcosa glielo impedì: lo stomaco di Faith. O meglio, il brontolio del suddetto stomaco. –Mein Got! Sembra mio zio Kurt all’Oktoberfest!- esclamò, guadagnandosi altri pugni da parte dell’indignata Irving.
–Il mio stomaco è più educato di un bevitore di birra!
Ripresero a baciarsi furiosamente, finché un mugolio di Faith non indusse Weil a chiederle –Stai scomoda?
–Il pavimento non è il massimo del comfort- ammise. –Ma se è qui che mi vuoi…
Franz sorrise e tirò fuori il preservativo che, memore della precedente (mancata) esperienza, aveva portato con sé, ma lo stomaco di Faith protestò con rinnovato vigore, obbligandolo a fermarsi per via delle risate. –Ma come? Le donne non sono esseri esteticamente piacevoli e delicati che fanno solo la pipì? 
–Piantala, Franz, è già abbastanza imbarazzante!- uggiolò Faith, premendo con entrambe le mani in corrispondenza dell’organo incriminato.
L’altro, dopo aver tossicchiato per dissimulare le ultime risatine, annuì e la baciò alla piega del collo, poi risalì fino all’orecchio, dove si fermò e bisbigliò –Sazia l’appetito alimentare, per saziare l’altro abbiamo tutta la notte.
Faith annuì, si appollaiò sul tavolo e osservò il suo bel patologo destreggiarsi ai fornelli e tramutare in delizia una confezione di uova e due zucchine. Divorò la frittata e ricoprì il cuoco di complimenti, imitata dal suo stomaco, che si produsse in gorgoglii di apprezzamento.
Franz la ringraziò dei complimenti e ridacchiò –Ti amo, Faith, amo tutto di te… compreso il tuo stomaco!
Allibita dalla sua faccia tosta, sbraitò, scostandolo con violenza –Deficiente!
–Ho detto che ti amo, che vuoi di più dalla vita?
–Una dichiarazione romantica, non una pagliacciata!
–Ritento, forse sarò più fortunato. Ehm, ehm… Faith Irving, ti amo. Credo non ci sia altro da aggiungere perché queste parole riassumono alla perfezione la complessità dei sentimenti che provo per te, tra i quali, in questo momento, spicca il desiderio di prenderti sulla prima superficie utile e…
–Romantico, ho detto!
–Ti amo. Punto. Va bene?
–Sarà meglio che mi accontenti, o resteremo qui fino a domattina- sospirò mestamente la Irving, si alzò e lisciò la pettorina della comoda salopette che indossava in casa.
–Non posso farci nulla se sono l’anti-romantico per eccellenza. Sono sincero, non ti basta?
Faith scosse il capo divertita, si accomodò sulle sue gambe e gli rese pan per focaccia.
–Ti amo, Franz, amo tutto di te… cinismo spoetizzante compreso. Onestamente, la prima dichiarazione andava bene, mi è piaciuto il tocco comico… però alle ragazze rifilerò una versione più convenzionale. Ti dispiace?
–No, basta che adesso andiamo dove vuoi a farlo. Sto scoppiando!
–Accidenti, che finezza!- commentò Faith, facendogli la linguaccia
–Spiacente, la sola finezza che mi rimane la userò per spogliarti senza strapparti i vestiti di dosso!

 
***

Passò aprile, tiepido e soleggiato, e cedette il posto a maggio, un vero e proprio assaggio d’estate, per la gioia di molti e il disappunto di chi, come Faith, grondava sudore e aveva la pressione arteriosa tendenzialmente bassa, per cui, col caldo, era costretto a girare con le liquirizie in tasca.
–Hai deciso come chiamarlo?- chiese a Brian mentre cullava un tenero fagottino coperto da una tutina azzurra.
Lui sospirò, massaggiandosi le tempie. Sapeva che era assurdo che suo figlio non avesse ancora un nome, ma gli eventi degli ultimi giorni lo avevano sopraffatto: un frettoloso parto indotto - al posto del cesareo programmato . a causa di una caduta di Mrs. Ryan che aveva provocato sofferenza fetale, l’assalto dei mass media, l’arrivo dei suoi familiari e di Jack, il quale, con un ruggito degno di Mufasa, aveva messo in fuga le iene, ehm, i giornalisti, la notizia che il bambino era nato sano e senza complicazioni, seguita dalla frustrazione nel constatare che a sua madre non importava. Crystal aveva rifiutato di vedere suo figlio e di allattarlo al seno, preferendo farsi tirare il latte e lasciare che Heather, sotto la supervisione di una puericultrice, lo somministrasse col biberon. Non appena l’avevano dimessa, si era presentata a casa sua col neonato nel carrozzino e un borsone con l’occorrente per occuparsene. Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma aveva pianto, spaventato dalla prospettiva di crescere un figlio praticamente da solo, e soltanto un forte senso del dovere, unito all’inspiegabile senso di leggerezza che aveva provato tenendolo tra le braccia, gli aveva impedito di crollare.
–Brian?- lo scosse Ben per riportarlo alla realtà.
–Oh, sì, scusa. Uhm, il nome…. beh, avevo pensato di chiamarlo Carter, come Mr. Ryan- rispose, dando loro le spalle per non lasciar trasparire i propri pensieri ed emozioni. –Avrebbe riconosciuto e cresciuto mio figlio come suo, è il minimo che possa fare.
–Un bel gesto, da parte tua- disse Faith, –Però… pensa all’aspetto fonetico: Carter Cartridge non è un nome, è uno scioglilingua!
–Mi costa ammetterlo, ma ha ragione- confermò Ben. –Stai già ricompensando Mr. Ryan curando i suoi affari e le vedove, nonostante vogliano impugnare il testamento e Crystal ti abbia sbolognato questo povero esserino per fare la bella vita.
–Va bene, scartiamo Carter- convenne Brian. –Come seconda opzione ho pensato a James. Papà mi è stato accanto, sarebbe un bel modo per ringraziarlo.
–James è indubbiamente un bel nome: classico, ma non pomposo, suona bene col cognome…
–Papà ne sarebbe felice- commentò Ben, accarezzando una guancia paffuta di suo nipote, che aveva conquistato a prima vista tutta la famiglia, compresa Kaori, che non vedeva l’ora di giocare col cuginetto. –Tuttavia, non sono convinto. Da grande dovrà farsi strada nel mondo e liberarsi dell’etichetta di “figlio di Brian Cartridge”, sei sicuro di volerlo mettere all’ombra anche del nonno?
–Ci terrei a dargli il nome di nostro padre…
–Puoi sempre lasciarlo come secondo nome- suggerì Heather, tornata in salotto con un paio di babbucce. Prese in braccio il piccolo: a giudicare dagli strilletti entusiastici che emetteva al solo vederla, adorava la nonna. –Ecco qua! Un neonato non deve stare coi piedi nudi. Faresti felice una vecchia signora, Brian, se gli dessi il nome che avresti avuto tu, se mia suocera non mi avesse supplicata di chiamarti come suo padre.
–Ti prego, dimmi che non è obsoleto, effeminato, equivoco…
–E’ Aidan.
Jack, che fino a quel momento era rimasto immobile in religioso silenzio, annuì in segno di approvazione, alzando i pollici.
–Aidan?
–E’ la versione inglese di Ahodàn, nome scozzese che significa “piccolo fuoco”.
–Aidan- ripeté Brian, soppesandone il suono. Gli piacque. –Aidan James. Aidan James Cartridge. Vada per Aidan James. Quanto a voi tre, ecco, avrei una richiesta: quando verrà il momento… vorreste essere i padrini?
–Tutti e tre?- esclamarono in coro. –Si può fare?
–Mi sono informato e si può, perciò, se non avete altre obiezioni…
–Cazzarola, certo che no!- rispose Faith con voce rotta dall’emozione.
–Obiezioni? Sarà un onore!- tuonò Ben, per poi precipitarsi ad abbracciare suo fratello.
Heather restituì Aidan a Faith, prese una bottiglia di champagne, lo versò nei calici e trillò –Direi che un brindisi è d’obbligo! Ad Aidan James Cartridge!
–Con l’augurio di una vita lunga e felice- aggiunse Ben.
–Piena di affetto, soddisfazioni…
–E amanti- concluse Brian con una strizzata d’occhio in direzione del pargolo, poi, in risposta al rimprovero di sua madre, si giustificò con un innocente –E’ mio figlio! Mi somiglierà in qualcosa, no?

Nota dell’autrice:
Innanzitutto, grazie a tutti i lettori, uno ad uno, poi ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, elev, madewithasmile e Natalie Gjoka per le recensioni, a BokuraFamily, che segue la storia, e a ele_nora e kikka­_67, che la preferiscono.
Vi piace il nome del bimbo? Ho accorciato un po’ questa parte, eliminando la scena del parto (parafrasando LA Jane per eccellenza, che altri narrino la tristezza e la disperazione di una madre che si disinteressa del proprio figlio, io preferisco esaltare gli eventi positivi) per concentrarmi su Brian che, messo di fronte alle sue responsabilità, non si tira indietro. E’ cresciuto, maturato, e, anche se ha molto da imparare, non parte svantaggiato rispetto agli altri papà: il mestiere del genitore si impara sul campo. Un po’ del vecchio Brian, però, è rimasto, come dimostra l’augurio che il piccolo Aidan un giorno segua le sue orme (magari evitando di ingravidare una donna sposata). XD
Faith e Franz hanno fatto pace e si sono dichiarati il loro amore (e hanno pure fatto tanto, tanto amore). La dichiarazione non sarà il massimo della poesia, però credo rispecchi la loro personalità: sono F&F, si amano, ma non sono, né saranno mai, dei romanticoni, sarebbe stato forzato il classico “ti amo” coi cuoricini e gli uccellini cinguettanti.
Faith ha imparato a fidarsi di Franz, e ha definitivamente mandato Cyril dove merita: nel cassetto dei brutti ricordi. Tenete a mente il fatto che ha omesso di dirgli che stava per sposarlo, perché salterà fuori nel sequel! ;-)
Chiudo con una mezza lacrima: il prossimo capitolo sarà l’epilogo, lo posterò tra mercoledì e giovedì perché poi parto, mi ritiro nell’eremo, ehm, vado a trovare la nonna. ^^
Au revoir!
Serpentina
Ps: non linciatemi per la schifosa soluzione dell’indovinello, vi prego!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Epilogo: New roads to follow ***


L’epilogo di una storia, secondo me, è come il cioccolato fondente: dolceamaro.
Per comprendere meglio la scelta di questo paragone, vi rimando a fine capitolo. Buona lettura! ^^

 



New roads to follow




“Bene, mia cara, non ho null’altro da dire. Se le cose stanno così, lui ti merita. Non mi sarei potuto separare da te per qualcuno di meno meritevole.”
Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio.

Il segreto di un matrimonio felice - a parere dei coniugi Irving - era un’equa suddivisione dei compiti, secondo inclinazioni e carattere di ciascuno.
Rose e suo marito, ad esempio, avevano stabilito a tavolino, seppur con una certa flessibilità, la ripartizione delle faccende domestiche e dei doveri genitoriali: a lei toccavano lavaggio dei piatti, bucato e pulizia dei pavimenti, alla sua dolce metà asciugatura dei piatti, stiratura e pulizia dei balconi; per quanto riguardava l’educazione della loro unica figlia, Faith, avevano deciso, di comune accordo, che il genitore “buono” sarebbe stato il padre, incapace di negare alcunché alla sua Tartarughina, quello “cattivo” la madre, che si accollò pure il discorsetto sulla sessualità responsabile. A dire il vero il dottor Irving, forse perché medico, non si vergognava di discutere apertamente di argomenti prettamente femminili, ma aveva lasciato l’onere alla sua dinamica moglie per evitare anche solo di avvicinarsi al campo minato dei rapporti con l’altro sesso; Faith ai suoi occhi sarebbe sempre rimasta la bambina sorridente che allevava lucertole, non ci teneva a sapere quali ragazzi le piacevano e/o cosa faceva in loro compagnia.
La sua cecità intenzionale si era infranta quando sua figlia aveva portato a casa Cyril Wollestonecraft. Inutile dire che aveva provato un’istantanea e immotivata avversione nei suoi confronti, affievolitasi soltanto dopo aver appurato che rendeva felice la sua Tartarughina. Quando “quella sottospecie di putto troppo cresciuto” l’aveva abbandonata a una settimana dalle nozze, la disperazione di Faith aveva risvegliato un lato sanguinario che non sapeva di possedere: nulla gli avrebbe procurato maggior piacere che torcere il collo a quel galletto, l’unica ragione che lo aveva trattenuto dal farlo, oltre alla prospettiva di trascorrere la vecchiaia in carcere, fu la consapevolezza che avrebbe potuto ucciderlo una volta sola.
Da allora aveva giurato a se stesso di vegliare da lontano sulla sua bambina, naturalmente senza farle sospettare interferenze da parte sua: indipendente com’era si sarebbe senza dubbio arrabbiata, e nessuno sano di mente avrebbe rischiato volontariamente di incorrere nelle ire di Faith Irving.
A ottobre, al cocktail party dei Patterson, aveva notato le schermaglie tra Faith e il suo nuovo tutor, e aveva espresso a sua moglie i propri timori. Rose gli aveva confidato di ritenere Franz Weil un giovanotto promettente dal punto di vista professionale, e un fuoco di paglia da quello sentimentale: Faith non era ancora pronta a innamorarsi di nuovo, però aveva bisogno di rimettersi in pista, e…
–Si sa, niente accresce l’autostima di una donna come un innocente flirt”.
Il dottor Irving aveva risposto –Spero, Rosie, che questo sia l’unico argomento sul quale ci troviamo in disaccordo: è mia opinione che Franz Weil sia estremamente pericoloso. Nostra figlia ha un caratteraccio ed è molto esigente, e questo tizio ha tutte le carte in regola per farle perdere la testa: è bello, e lo dico da uomo - di una bellezza virile e “terrena”, non come quelle effeminate facce da poster che piacciono alle ragazzine di oggi - intelligente, con la battuta pronta e la lingua affilata come un bisturi.
–Se anche fosse?
–Se anche fosse, non voglio che le si spezzi il cuore ancora una volta. Ha sofferto abbastanza.
–Questo lascialo decidere a lei, caro- aveva a quel punto sbuffato Rose, scrutandolo al di sopra degli occhiali. –Non è più una bambina. Per quanto mi riguarda, Faith è preda di una infatuazione adolescenziale tardiva, ma se sei così convinto che possa evolvere in qualcosa di più serio, imitami: resta in disparte a osservare se e in che modo cambierà il loro rapporto. Faith ha le stesse possibilità di essere felice con lui come con chiunque altro.
I mesi passarono, e i timori del padre di Faith si fecero man mano più reali: sua figlia non aveva argomenti di conversazione all’infuori del suo lavoro e, di conseguenza, di Weil; non spendeva nemmeno mezza sillaba buona per lui, certo, ma ne parlava in continuazione, sottolineando quanto fossero insopportabili il suo sarcasmo e il fatto che le tenesse testa. Al contrario di Rose, convinta che il risentimento di Faith derivasse semplicemente dalla sua incapacità di accettare che qualcun altro fosse il primo della classe, era sicuro che quei battibecchi nascondessero il germe di un sentimento ben diverso, pronto a sbocciare alla prima occasione.
Ne ebbe la conferma quando, una mattina, si recò insieme alla moglie a trovare Faith, che aveva fatto loro intuire di avere grandi notizie.
–Lo so io qual è la grande notizia: lei e quel Weil!- abbaiò il padre (impostando la modalità “mastino”).
–Se anche fosse, dimostrerebbe solo una cosa: che nostra figlia ha buon gusto- rispose Mrs. Irving. –Come sua madre, del resto.
–Rosie!
–Siamo sposati da ventotto anni, caro, troppo per pretendere che io non abbia occhi che per te!- scherzò Rose, divertita dal malriuscito tentativo di suo marito di mascherare l’irritazione che provava nel sentirla elogiare qualcun altro. –Comunque, il complimento era indirettamente riferito a te: se ho buon gusto e ti ho scelto, significa che sei un uomo con la U maiuscola!
Il dottor Irving, sbuffando, premette il tasto del citofono sotto il nome “Irving” e spinse il portone d’ingresso non appena scattò la serratura. Mentre teneva aperta la porta dell’ascensore a beneficio di Rose (un atto di galanteria da vero gentiluomo), borbottò –Quel Weil non mi convince.
–Ma se l’hai incontrato una volta sola!
–Una volta basta e avanza.
–Non dire sciocchezze!- lo rimbeccò la sua (non tanto) dolce metà. –Sei risentito perché l’ha presentato in anteprima a mia madre, invece che a noi.
–Non la trovi una mancanza di rispetto? Noi siamo i suoi genitori, veniamo al primo posto nella scala parentale!- latrò. –Tua madre è solamente sua nonna.
–Una nonna molto amata. Ora smettila di fare il bambino e bussa- ordinò sua moglie in tono imperioso, una volta raggiunto il terzo piano.
Fu il lupus in fabula di nome Franz Weil ad aprire ai signori Irving, che accolse con un sorriso esitante. Faith lo raggiunse con Agatha in braccio e stampata in faccia l’espressione di chi ha visto realizzarsi tutti i suoi sogni.
–Mamma! Papo!- trillò, lasciandosi stritolare, ehm, abbracciare (alla povera Agatha, schiacciata a sandwich tra la padrona e i di lei genitori, non rimase che miagolare di dolore).
–Se la forza dell’abbraccio è proporzionale all’affetto odiami, ti prego!- commentò ironico Franz.
Il dottor Irving dovette rendergli merito di aver saputo stemperare la tensione, rendendo la conversazione più agevole. Approfittando del clima disteso che si era venuto a creare lo tempestò di domande, scoprendo che dietro il patologo tutto d’un pezzo si celava un universo e, soprattutto, che avevano una passione in comune: il cinema e la letteratura horror. Non l’avrebbe mai ammesso, ma gli stava simpatico, il che, considerato che un padre geloso della sua unica figlia parte prevenuto nei confronti di qualunque maschio la circondi, era tutto dire!
–Papo, mi aiuteresti a portare il vassoio?- gli chiese tutto a un tratto Faith, chiaramente un pretesto per parlargli a quattr’occhi.
–Certamente- rispose, la seguì in cucina e si divertì a tenerla sulle spine per un po’, prima di ridacchiare –Sputa il rospo, Tartarughina: vuoi la mia benedizione?
–La tua opinione. E’ diverso- sbottò Faith.
–Domando scusa, signorina- replicò lui in tono scherzoso, con tanto di inchino. –Vuoi sapere se mi piace? La risposta è… preferisco tua madre!
–Papà!
–Uh, siamo passati a “papà”! Si contano sulle dita di una mano le volte in cui mi hai chiamato papà, perciò la faccenda è seria. Va bene, ti darò il mio spassionato parere: è un tipo un po’ chiuso, non è il massimo della simpatia…. ma non ha importanza, se ti piace, e credo ti piaccia molto.
–Lo amo.
–Ehi, ehi, ehi! Piano con questo amore! Ho fiducia nel tuo giudizio, ma avanza coi piedi di piombo: deve meritarlo.
–Lo merita, papo. Se soltanto sapessi cosa ha fatto…
–Perché, cosa ha fatto?

 
***

–Ha pagato di tasca sua per farle frequentare il corso estivo di Noyce?- strillò con gli occhi a forma di cuoricino Rose Taylor in Irving, dirottando l’attenzione dal libro che stava leggendo al marito.
–Sì- rispose lui, infilandosi sotto le coperte. –Ecco spiegato perché l’ho strapazzato meno del “putto troppo cresciuto”.
–In effetti pareva strano ti fossi limitato alle minacce di evirazione, senza neppure un accenno di minaccia di morte. Oh, signore, non posso crederci!- trillò Rose, la cui giovialità non si sapeva se attribuire alla notizia o al sidro che aveva bevuto a cena. –Un gesto dolcissimo! Sembra che dopo tanti rospi Faith abbia finalmente trovato il suo principe!
–Non dire assurdità- obiettò suo marito. –Il principe azzurro non esiste! Faith ha semplicemente beccato uno apparentemente decente, ma giuro che se osa farla soffrire come quell’essere innominabile…
–Ecco, appunto, non lo nominiamo- lo interruppe Rose. –Nostra figlia si è rimessa in gioco e ha gettato il passato alle sue spalle; se riesce a pensare positivo, perché noi non dovremmo? Sembrano fatti l’uno per l’altra, il che mi preoccupa leggermente: questa passione viscerale per l’horror, i gialli, il fatto che l’abbia coinvolta in sport estremi… ma, contenta lei… Piuttosto, pensa a come restituirgli il denaro: non possiamo permettergli di rimetterci!
–Credi che non l’abbia fatto?- replicò lui. –Ha risposto che se avesse regalato a Faith un gioiello, un paio di scarpe o un abito non ci saremmo mai sognati di ridargli i soldi spesi, perché un corso dovrebbe essere diverso?
–Ha davvero usato queste parole?- chiese Rose, esterrefatta: sua figlia aveva più volte denigrato Weil definendolo tirchio, ma un tirchio non si sarebbe comportato in questo modo.
–Ha pure aggiunto che qualsiasi donna può avere dei gioielli, ma pochissime hanno il cervello di Faith, quindi tanto vale investire su quello. Oltretutto è a prova di furto!
Mrs. Irving sgranò gli occhi, favorevolmente impressionata dalla pungente ironia e dall’amore sincero di Franz e boccheggiò, prima di riuscire a esprimere una frase di senso compiuto –Se non lo sposa lei, lo faccio io!
–E rinunceresti a dividere il letto con questo baldo giovane?- scherzò, esibendosi in pose da macho.
–Sai che scherzo, caro- gli assicurò Rose, sporgendosi per baciarlo sulla guancia. –Sarai il mio toyboy giovane dentro finché morte non ci separi!

 
***

–Muoviti, Faith, rischiamo di fare tardi!- abbaiò Franz, camminando avanti e indietro lungo il corridoio.
Erano attesi a casa di sua madre, e stavolta la Irving non sarebbe finita in un angolo a fare da tappezzeria, anche se forse avrebbe finito col desiderarlo, dopo l’interrogatorio di Gertrud.
–Zitto, tu! Sono in crisi!- gnaulò lei.
–Calmati, è solo un pranzo con la mia famiglia. Sono strani, ma non mordono!
“Oddio, mia madre forse sì, ma è meglio che non lo sappia!”
–Non capisci… non ho niente da mettermi!- ululò la Irving prendendo a pugni una parete.
Comprese allora che il problema era serio: se non fosse intervenuto, Faith avrebbe rivoltato l’intero guardaroba, e sarebbero sicuramente arrivati tardi, indispettendo sua madre.
–Senti, secondo me la tensione ti offusca la mente; hai tanti bei vestiti, ma ti sembrano brutti perché hai paura che mia madre li bocci. Che ne dici se scelgo io?
Attese qualche secondo, immobile, temendo che al minimo movimento lei potesse dare in escandescenze; non accadde, anzi, acconsentì a che selezionasse lui i capi da indossare, ossia un abito corto con la parte superiore bianca - dalle maniche ampie che si stringevano al gomito - e la gonna gialla a fiori, un paio di scarpe rosse col tacco basso e una cintura di cuoio da inserire nei passanti del vestito.
–Non male- disse, prima di sbatterlo fuori dalla sua stanza per prepararsi alla svelta. –Hai gusto… per essere un maschio!
Franz avrebbe protestato per quel commento sessista al contrario fino a casa di sua madre, se il casco non glielo avesse impedito. Era stato costretto, infatti, a scomodare la Harley, dato che Nina, l’automobile di Faith, giaceva immobile nell’officina di Freddie.
–Avrei potuto chiedere ai miei di prestarmi la loro auto, ma sono andati a trovare mia nonna.
–Non preoccuparti, la tua presenza la tratterrà dal tormentarmi perché non ho la patente.
–Ma tu hai la patente!- osservò Faith.
–Non quella che vuole mia madre- esalò Franz, la prese per mano e pigiò sul campanello.
Come previsto, Gertrud arpionò Faith - che ricevette occhiate solidali da Martin, Alexander e Serle, e un abbraccio da Hans e Wilhelm - e la sottopose a un vero e proprio terzo grado: dal racconto della comica dichiarazione d’amore passò al suo lavoro, i suoi amici e la sua famiglia, risalendo tanto indietro nell’albero genealogico che a un certo punto temette sarebbe arrivata ad Adamo ed Eva. Tuttavia dovette rendersi conto di aver esagerato, perché, dopo averla ringraziata per l’aiuto offertole in cucina, chiocciò –Perdonami se ci sono andata giù pesante, ma è la prima e, spero, l’ultima volta che potrò torchiare una fidanzata di Franz: sei la sola che mi abbia presentato di sua spontanea volontà!
–Non c’è problema. Spero solo di aver superato l’esame- rispose la Irving.
–Se non ti sposa lui, lo faccio io!- esclamò Gertrud, mettendosi poi a ciarlare degli abiti più brutti che avesse mai visto e dei ricevimenti peggiori ai quali aveva partecipato.
Il rumore dei piatti sbattuti sul tavolo dagli uomini affamati suonò alle orecchie di Faith come una melodia salvifica, perché pose fine alla conversazione. Scambiandosi un sorriso tra il divertito e l’esasperato con Gertrud, la aiutò a portare a tavola gli antipasti, invece Serle assecondò il moto di indipendenza di Wilhelm, che voleva provare a mangiare da solo, limitandosi a ripulirlo quando si sbrodolava.
Spazzolato il dolce, una torta al triplo cioccolato che Faith riconobbe come opera di Melanie, Franz si piazzò davanti alla tv insieme al fratello e al patrigno per guardare la partita; le signore, invece, sorseggiarono caffè osservando i bambini giocare.
Wilhelm si avvicinò a Faith passettini, le consegnò il suo peluche e gridò, orgoglioso di se stesso –TIA FAI!
–Gliel’ho insegnato io- dichiarò solennemente Hans, senza sforzarsi di celare il suo auto-compiacimento. –Gli ho spiegato che sei zia Faith perché sei la fidanzata di zio Franz, cioè come mamma e papà, ma senza anello al dito.
–Oh! Ehm…wow. Io… non so cosa dire…
–Tu e lo zio starete insieme per sempre?
–E-Ecco, n-noi…
–Sempre sempre, o il sempre dei miei nonni?- incalzò Hans, un po’ triste.
Faith si stupì nel sentirlo parlare con tanta naturalezza del divorzio, e si complimentò mentalmente con i genitori per avergli fatto capire che Martin, per quanto affettuoso e sposato con Gertrud, non era suo nonno. Si chiese se il padre di Alex e Franz avesse mai incontrato i nipoti.
–Sempre sempre sarebbe un bel traguardo, però non posso sapere in anticipo se un “sempre” si perderà per strada- rispose, scegliendo con cura le parole. –E’ il bello e il brutto dell’amore: l’unica certezza è che non filerà mai tutto liscio, per il resto… puoi soltanto impegnarti affinché duri.
Hans annuì e le sussurrò in gran segreto all’orecchio, prima di precipitarsi a spintonare il fratellino –Se non dura, ci sono io!
Ridacchiando, Faith andò in cucina a servirsi un bicchier d’acqua. Stava bevendo, quando si sentì afferrare per i fianchi; era Franz, che la baciò.
–Mi mancavano le tue labbra. Non sai che fatica vederle muoversi mentre parlavi e mangiavi e non poterti baciare.
–E la partita?
–Intervallo. Inoltre stiamo perdendo, quindi sono particolarmente bisognoso di coccole.
Quello che era nato come un bacetto tenero e dolce si trasformò presto in uno molto più sensuale, interrotto, con un misto di disappunto e imbarazzo dei due piccioncini… da Hans.
–Che fate?- chiese, fissandoli da sotto in su con un sorriso poco raccomandabile, eredità dello zio.
Faith rimase di stucco, i neuroni che lavoravano febbrilmente per elaborare una risposta decente priva di fantascientifici varchi spazio-temporali e incantesimi, ma Franz la precedette; si abbassò, portando la sua testa all’incirca al livello di quella del piccolo, gli strinse una spalla e disse, serio –Prometti sulle teste dei tuoi robot che non lo dirai a nessuno, nemmeno alla nonna?
–Promesso!
–Io e Faith ci stavamo baciando.
La Irving avvampò, boccheggiò e rischiò di svenire quando Hans scosse il capo e sbuffò –Così non va!-, per poi farle cenno di abbassarsi e… posarle un bacino sulla guancia. –Impara, zio: questo è un bacio!
Consapevole che ridendo avrebbe ferito i sentimenti di suo nipote, Franz si limitò a sorridere, piegò leggermente la testa di lato e replicò –Lo terrò a mente. Grazie della preziosa lezione.

 
***

–Adam, vai tu, sono impegnato!- gridò Brian.
Il cugino obbedì, e aprì la porta sorridendo alla visitatrice: la sua migliore amica, Monica Hawthorne.
–Devi obbligare tuo cugino ad assumere una governante- disse la ragazza mentre lo abbracciava. –Vuoi mettere la soddisfazione di venire annunciati? “Mr. Cartridge, una visita per lei”. Fa così età vittoriana! Una figata!
–Riferirò- rispose Adam, per poi aggiungere, lievemente imbarazzato –Ehm, Rossa, scusa se te lo chiedo… ti sono cresciute le tette? Ho avvertito una pressione sospetta contro il torace…
–Ho messo un reggiseno imbottito- ammise. –Così, riguardando le fotografie, potrò illudermi di avere un paio di airbag decenti.
–A me non dispiacciono- replicò Adam. –Sono della grandezza ideale: a misura di mano!
Monica gli diede uno scappellotto e sbuffò –Sfido che John mi ha mollata perché geloso di te! Ti pare una frase da migliore amico? Avanti, su, rimedia con un complimento neutro.
L’altro alzò gli occhi al cielo e scrutò la figura slanciata dell’amica: avvolta in un semplice tubino bianco col collo alto ornato da un grosso fiocco, i lunghi capelli rossi raccolti in un’acconciatura alla Audrey Hepburn e un trucco leggero, Monica sembrava una stella del cinema.
–Sì, beh, non mi aiuti parlandomi di reggiseni! Comunque è stata una tua decisione relegarmi nella “friendzone”, fosse per me..
–Adamino, ti prego, non oggi. Ce la fai a tenermi sottobraccio, ballare e dirmi che sono bellissima senza rimpiangere quello che avrebbe potuto essere?
–Ci proverò- asserì lui. –Sei uno splendore, e già so che dovrò tenere a bada diversi invitati. Oppure vuoi rimorchiare?
–Cuccare a un battesimo?- sbottò oltraggiata la rossa. –Per chi mi hai presa? E adesso portami dal festeggiato, sono venuta apposta per spupazzarmelo!
Si udirono il pianto di un neonato e i lamenti di un padre stremato.
Adam curvò le labbra in un mezzo sorriso ed esalò –Segui le urla. Io resto qui, per il bene della mia sanità uditiva.
Monica gli fece la linguaccia, salì al piano superiore e percorse il corridoio fino alla stanza del bambino, dove vide Brian, in pantaloni eleganti e torso nudo, intento a placare le strida di Aidan, che non gradiva gli si cambiasse il pannolino.
La goccia che fece traboccare Brian fu uno zampillo ribelle di pipì, che lo colpì all’altezza dello sterno. Furibondo, ruggì –Stammi a sentire, piccolo demonio: io non ti piaccio e tu non piaci a me- il pargolo gli afferrò un dito, emettendo un urletto eccitato, al che Brian, espressione tirata e profonde occhiaie a testimonianza di una notte insonne, sospirò e si corresse. –Ok: io ti piaccio… ma tu non mi piaci!- Aidan si portò il dito alla bocca e lo usò come ciucciotto. –Oh, come faccio a essere arrabbiato con te? Sei una spina nel fianco, marmocchietto… ma sei la mia spina preferita.
Monica intuì di poter palesare la propria presenza; bussò alla porta, nonostante fosse aperta, quindi trillò –Ehilà, paparino! Come va?
–Vediamo- rispose Brian, in lotta col neonato recalcitrante. –Non dormo otto ore di fila da mesi, la mia vita mondana si è quasi azzerata, ho delle occhiaie schifose e mio figlio mi ha appena battezzato con un po’ della sua urina. Sto alla grande!
–Oh, andiamo, non può essere tanto terribile!
Brian, le voltò le spalle, ripulì Aidan, applicò il talco e, distraendolo con buffe smorfie, riuscì finalmente a chiudere il pannolino pulito. Trionfante, gli infilò la tutina comprata per l’occasione e sospirò –Adam dice che è colpa mia: un uomo nella mia posizione non dovrebbe abbassarsi a fare il mammo. “Secondo te Donald Trump faceva il bagnetto a Ivanka”? Beh, io non sono Donald Trump - sono molto più figo - e voglio godermi il mio piccolino: giocare con lui, fargli il bagnetto, farlo mangiare… cambiargli il pannolino… non sarà tutto rose e fiori, però ne vale la pena. Poi la mia famiglia mi dà una grossa mano, persino Abby! Ci crederesti?
–Eccome!- replicò la rossa, che prese in braccio il piccolo per consentire a Brian di vestirsi. –E’ impossibile resistere a questo bel faccino!
–Meno male che non ho perso il mio fascino!- ridacchiò l’uomo, ammiccando nella sua direzione.
–Parlavo del pargoletto.
–Oh. Oh!- esclamò, deluso: la nipote del suo amico Axel era maggiorenne e molto carina, visto che suo cugino non si decideva a darsi una mossa sperava di fare lui gli onori di casa. –Beh, almeno ci ho provato!
–Tu ci provi sempre, è questo il problema- ribatté Monica.
–Problema? Un problema non dà una simile ricompensa- obiettò Brian facendo il solletico ad Aidan, che era riuscito a spettinarsi e perdere una scarpa, e gli posò un bacio sulla testolina.

 
***

–Sei stupenda- esalò Franz, lasciando vagare la mano sulla coscia di Faith, seduta al posto del guidatore.
–Lo dici perché vuoi che mi fermi nel primo angolino appartato per fare sesso- soffiò la Irving, arrossendo.
–Lo dico perché è la verità- protestò Franz. –Se non lo fosse… non avrei tutta questa voglia di fare sesso con te ora e subito.
–In caso non te ne fossi accorto, stiamo andando a un battesimo!
–E allora? Aidan nemmeno se ne accorgerebbe!
–Suo padre sì, però!
–Se Brian fosse qui, mi darebbe ragione. Dai, tesorino, amoruccio mio bello, zuccherino del mio cuore…
–Franz, piantala!
–Accosta, e la pianto… poi ti pianto il… hai capito, no? Accontentami, stamattina eri talmente presa dalla scelta delle scarpe che ho smaltito da solo l’alzabandiera!
Per la gioia di Weil, la Irving sorrise sorniona, gli chiese –Vuoi del sesso… sesso? Violento, sudato, magari in piedi, contro un albero?- gli chiese sorniona, per poi aggiungere –Dovrai accontentarti di qualcosa di più tradizionale: abbiamo poco tempo!
Felice come se Natale fosse arrivato in anticipo, Franz si tolse la cintura di sicurezza, slacciò quella di  Faith e la fece sedere a cavalcioni su di lui, la posizione più comoda per una sveltina: purtroppo il tempo a loro disposizione era poco, prima che gli invitati al battesimo si chiedessero che fine avevano fatto la madrina e il di lei fidanzato.
–Passami la borsa, ho messo lì dentro i preservativi- esalò lui quando intuì che i preliminari erano durati anche troppo, il naso tra i suoi seni, il respiro affannoso.
–Avvertirmi no, eh? E se l’avessi aperta davanti ad Abby? O a uno dei bambini?- sibilò lei, e lo morse per punirlo.
–Audace e mordace: la donna dei miei sogni!
Faith ridacchiò, e rispose –Osa scompigliarmi i capelli e ti ammazzo! E sai che so come farlo apparire un incidente!
Franz non replicò, si limitò ad accarezzarle l’interno coscia con lentezza esasperante, mentre tacciava con la lingua il contorno dei nei. Adesso capiva perché le avesse consigliato quel vestito verde salvia: il corpetto, rivestito di pizzo, scopriva un’ampia porzione di decolté, offrendogli un gran bel panorama.
–Ora , però, non sprechiamo il nostro amichetto di lattice. Diamoci dentro, sto…
Faith si scostò le mutandine quel tanto che bastava a consentire la penetrazione, emise un risolino e finì la frase al suo posto.
–Fammi indovinare… scoppiando?

 
***

Appena misero piede in chiesa, ansanti e in clamoroso ritardo, Abigail accorse per investirli con una litania di rimproveri e lagnanze, perché, essendo stata costretta a sostituirli nell’accogliere gli invitati insieme agli altri due padrini, aveva dovuto spiegare che lei era soltanto la zia di Aidan, non la madrina, dato che, giustamente, ci si aspettava avesse quel ruolo.
Weil ingoiò gli insulti che avrebbe tanto voluto riversarle addosso mordendosi la lingua e concentrò la propria attenzione su Ben, più trattabile della moglie.
Si sedette accanto a Faith in seconda fila e sibilò –La tua amica nelle vene ha succo di limone! Mamma mia!
–Abby è melodrammatica e maniaca del controllo- bisbigliò lei di rimando. –Quando le feci da damigella d’onore mi trattò talmente uno schifo che mi vendicai scopando con Cyril nella suite dove avrebbe trascorso la prima notte di nozze!
–Uuh! Perfida!- commentò Franz, scoccandole un’occhiata maliziosa. –Mi piace!
Fuori dalla chiesa sobbalzò quando Brian lo colse di sorpresa con una domanda indiscreta.
–Vi siete fermati lungo la strada a fare sesso? E’ questo il motivo del ritardo?
–Certo che no! Abbiamo trovato traffico, tutto qui- mentì, allentandosi la cravatta, diventata improvvisamente strettissima. –Ti pare che farei mai qualcosa di così… così…
–Eccitante?- concluse Brian. –Franz, ti si legge in faccia che ti sei divertito. Non mentire: non hai trovato traffico, hai imboccato la galleria di Faith per raggiungere l’autostrada del piacere!
–Ehm… hai bevuto, per caso?
–No, ma da quando è nato Aidan non posso più spassarmela come prima, per cui passo parecchio tempo su internet, non so se mi spiego. Vagando tra i vari siti, mi sono imbattuto in uno dove pubblicano scritti erotici- confessò. –Le gentili donzelle ne combinano di cotte e di crude in quei racconti! Peccato non mettano in pratica neanche la metà di quelle porcherie nella vita reale.
–Ehm, ad ogni modo scusa se…
–Rilassati- lo tranquillizzò Brian, per poi aggiungere, assumendo la tipica posa di Fonzie, –Un altro si sarebbe scandalizzato, oppure offeso, ma - ehi! - io sono Brian Cartridge!

 
***

Incoraggiata dal tocco gentile di Franz, Faith si accoccolò tra le sue braccia, agitando i piedi dolenti a causa dei tacchi alti.
–Grazie di avere accettato di dormire da me. Cazzarola! Maledetti arnesi di tortura!- mugugnò. –Scommetto che li ha inventati un uomo!
–Avevi dubbi in proposito? Una volta mio padre mi disse che le scarpe col tacco erano state ideate per i macellai, in modo da non far poggiare tutta la pianta del piede sul pavimento insanguinato dei mattatoi.
–Che schifo!- esclamò Faith. –Non credo li indosserò mai più!
–Esagerata! Sei un patologo o no?
–Un patologo non cammina su pavimenti insanguinati!
–Il patologo forense sì- obiettò Franz. –Immagina quel pazzoide di Noyce mentre si muove intorno al morto, cercando di carpirne i segreti…
–Sono stesa sul letto accanto all’uomo più sexy del mondo, che qualche ora fa mi ha regalato una sveltina letteralmente da urlo, ti pare voglia pensare a Noyce su una scena del crimine?- sbottò Faith.
–Ci sarà un motivo, se lo chiamano “l’uomo che sussurra ai cadaveri”- asserì lui, per poi cambiare argomento. –Comunque bel discorso, mi è piaciuto.
–So che non si usa tenerne uno ai battesimi, però… erano parole che venivano dal cuore- mormorò lei, rinserrandosi nell’abbraccio.
–Credimi, traspariva da ogni sillaba. Davvero Brian ti disse: “Conosci un modo per avere figli senza il fastidio di una donna per casa? Se sì, allora ci sto”?
–Naturalmente scherzava, intendeva anzi evidenziare quanto fosse lontano dal comune ideale di papà, diviso com’era tra affari… di vario genere- rispose. –Curiosa la vita, eh? Sembra che esaudisca i nostri desideri soltanto quando vuole farci del male.
–Ha fatto male a farci incontrare?- le chiese Franz, sforzandosi di celare la preoccupazione: era sicuro dei propri sentimenti, quelli di lei…. restavano un mistero.
–No- mormorò Faith, sollevandosi per baciarlo. –Ma ha fatto malissimo a farci rincorrere per mesi.
Franz la baciò sul naso e sospirò –Non saprei. Credo che questi mesi ci siano serviti per liberarci delle nostre insicurezze; però è stata dura non saltarti addosso, sprizzi sesso da tutti i pori!
–Ma va’!- sbuffò Faith, dandogli una spallata. –Mi lusinga che ti ispiri fantasie porche, ma dubito di sprizzare sesso da tutti i pori! Non sono una gran gnocca.
Dopo averci riflettuto, Franz pose una domanda apparentemente banale.
–Ti piace il cioccolato?
–Da morire!
–Ti piace tutto allo stesso modo, oppure hai delle preferenze?
–Detesto il cioccolato bianco - privo di cacao, che razza di cioccolato è? - tollero a fatica quello al latte, adoro il fondente.
–Perciò, se dovessi metterti davanti una tavoletta di cioccolato bianco, al latte e fondente, mangeresti soltanto la terza?
–Sì- rispose Faith, perplessa: dove voleva andare a parare il suo fidanzato?
–Non ti stancheresti mai di mangiarlo?
–Mai. A volte un’intera tavoletta, altre un quadratino solo, ma non posso farne a meno. C’è qualcosa che mi attira verso il fondente e mi fa disdegnare il resto; forse il retrogusto amarognolo, forse la sensazione voluttuosa di quando si scioglie sulla lingua…
Franz ridacchiò e la interruppe, prima che gli venisse di nuovo fame.
–E’ così che mi sento con te: sei il mio personale cioccolatino fondente. C’è qualcosa che mi attira irrimediabilmente verso di te e mi fa disdegnare le altre; forse l’organo che hai tra le orecchie, forse la tua linguaccia, forse, ehm, le “gemelle”. Certo, mi guardo intorno, ma non vedo, perché so cosa perderei se uscissi dalla mia vita.
Faith allungò una gamba ad avvolgere le sue, gli si avvinghiò koalescamente e pigolò –Si chiama amore. Comunque tranquillo, ho intenzione di non uscire di scena tanto presto. Abbiamo una lunga strada davanti, e voglio percorrerla al tuo fianco.
Negli occhi di Weil passò uno sfavillio malizioso e, mentre le accarezzava un braccio, rispose –Oppure avanti a me, così potrei palpeggiarti più comodamente.
–Tu sì che sai come rovinare un momento magico, Franz!

 
FINE

Nota dell’autrice:
E’ finita.
Al solito, scrivere quelle quattro lettere mi ha commossa, ma sapere che ogni fine è un nuovo inizio mi fa sentire meno triste.
Forse il finale è banale, ma volevo chiudere con uno scenario normale, come normale è la storia d’amore tra Franz e Faith, due persone che hanno imparato ad amarsi, godendo dei rispettivi pregi e ridendo dei rispettivi difetti. Spero non siate deluse.
Non so che altro dire, ogni parola mi sembra superflua, perciò passo ai ringraziamenti: grazie, grazie, grazie, innanzitutto ai lettori silenziosi (ma numerosi ;-) ), poi ad abracadabra, Bijouttina, DarkViolet92, elev, madewithasmile e soulscript per aver recensito, a Natalie Gjoka e Calliope Austen per le belle parole sul capitolo precedente, e a tutti quelli che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, incluse le new entries boobear26, monnie, pippicalzelunghe e Ripped Jeans. Vorrei abbracciarvi una ad una! ^^
Un mare di baci, spero passerete una bella estate! (se si decide ad arrivare -_-)
Serpentina
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2390258