Step by Step

di Do_Not_Touch_My_Patria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I__Primo Appuntamento ***
Capitolo 2: *** Capitolo II__Prima Notte Insieme ***
Capitolo 3: *** Capitolo III__Primo ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV__Convivenza ***



Capitolo 1
*** Capitolo I__Primo Appuntamento ***


~Step by Step












Capitolo I_Primo Appuntamento







Quell’anno l’autunno aveva tardato a scendere su Parigi, cosicché a metà di Settembre gli alberi sul lungosenna erano ancora carichi di foglie verdi.
Al Musain ancora vendevano gelati all’Italiana e Enjolras era tutto preso dal manuale per l’esame di Filosofia del Diritto, il cui appello era fissato da lì a una settimana.
Combeferre aveva accolto l’idea di sprofondare nuovamente fra i libri con particolare entusiasmo, mentre Courfeyrac si lamentava degli scomodissimi orari dei corsi che gli impedivano di provare i nuovi videogiochi che aveva comprato nonappena erano tornati da Firenze.
Già, Firenze.
Erano passate poco più di due settimane da quando erano rimpatriati da quella vacanza che aveva spezzato tutti gli equilibri del gruppo creandone di nuovi: adesso i sorrisi di Eponine erano sinceri e luminosi, le poesie di Jehan traboccavano una gioia che contagiava anche i suoi amici e Marius… beh, Marius era rimasto sempre il solito romanticone con la testa fra le nuvole, ma la faccenda del matrimonio, sotto sotto, lo aveva reso un ragazzo più maturo, più consapevole: ovviamente Courfeyrac si adoperava ogni giorno per nullificare gli sforzi del povero Pontmercy…
Persino Joly, nonostante avesse incominciato a preparare la tesi, sembrava decisamente più rilassato del solito.
Insomma, tutti avevano trovato la loro pace.
Tutti tranne Enjolras.
Il giovane Leader, infatti, non aveva ancora avuto il coraggio di invitare Grantaire per un appuntamento come si deve.
Certo, i due si vedevano praticamente tutti i giorni al Musain e spesso uno accompagnava l’altro lungo la strada di casa, ma mai che si fossero dati un vero appuntamento, che si fossero ritagliati un po’ di tempo per loro soltanto.
La verità era che per Enjolras la novità della sua relazione con Grantaire aveva messo in luce le catastrofiche voragini che costituivano la sua scarsa se non nulla vita sociale.
Come ci si comporta ad un appuntamento? Dove si va? Cosa si fa?
Questi quesiti lo avevano attanagliato fin dalla sera del ritorno.
Avrebbe potuto domandare a Courfeyrac, a Bahorel, a Eponine o addirittura a Cosette, ma il suo orgoglio gli impediva di chiedere consiglio anche ai suoi più fidati amici.
Era così che si era ritrovato battuto sul tempo da quello che, lentamente e con molta fatica, stava iniziando ad abituarsi a chiamare “il suo ragazzo”.
- Sabato pomeriggio tieniti libero. E anche Sabato sera. – aveva ordinato a bruciapelo Grantaire, un grigio pomeriggio di volantinaggio.
Enjolras aveva strabuzzato gli occhi mentre consegnava un volantino a un passante.
- Perché? Cosa succede Sabato? Non dirmi che Courf ha di nuovo organizzato una maratona di film Disney, mi rifiuto di partecipare… - era stata la sua risposta seccata.
L’artista aveva ridacchiato fra sé e sé al ricordo dell’ultima volta che si erano visti da Courfeyrac per un evento simile.
- No, niente Bella e la Bestia, stavolta… Pensavo a qualcosa di meno… come dire… affollato? – e un altro ghigno gli aveva tirato le labbra all’espressione confusa del biondo.
- Non credo di seguirti… -
- Si chiama “appuntamento”, Apollo. Succede quando due persone che provano interesse reciproco decidono di passare un po’ di tempo in intimità. – quella frase tanto semplice quanto diretta aveva avuto il potere di far avvampare Enjolras in maniera vergognosa, lasciando che facesse cadere a terra il plico di volantini colorati che stava reggendo.
Mentre i fogli sbatacchiavano sul pavé al leggero venticello settembrino, il suo cervello macinava a velocità improponibili.
Un appuntamento.
Grantaire lo aveva appena invitato ad un appuntamento.
Sabato.
Pomeriggio e Sera.
Appuntamento.
- E do… dove dovremmo andare? – aveva balbettato dopo qualche secondo, rosso in viso e con gli occhi ancora sgranati dalla sorpresa.
Il ghigno sulle labbra dello scettico si era teso ancora di più, e Enjolras era così terrorizzato da non ribattere nemmeno quando quello aveva posato le labbra sulle sue in un rapido bacetto.
- E’ una sorpresa… - aveva sussurato.
Per quel giorno il volantinaggio poteva anche dichiararsi concluso.
Sabato arrivò ad una velocità impressionante.
Grantaire non aveva più fatto parola dell’appuntamento, e quasi Enjolras temeva se ne fosse dimenticato, o addirittura che fosse stato tutto uno scherzo.
Fu un sms Sabato mattina a fargli andare di traverso la colazione.
“Buongiorno Apollo! Alle tre di fronte all’Opéra!”
Allora era vero. Allora non se l’era sognato.
Di fronte all’Opéra? Dove diamine aveva intenzione di portarlo?
Era rimasto cinque minuti buoni a guardare il caffelatte con espressione ebete, prima di rispondere con uno scarno “Ok, vedi di non fare tardi.”
Sarebbe anche stato un saggio consiglio, se solo a manca venti alle tre non si fosse presentato Bahorel suonando insistentemente al suo campanello.
- Bahorel? Che diamine ci fai qui?! – sbraitò quando riconobbe la sua voce attraverso il citofono.
- Cioè, volevo dire… non ti aspettavo… - si corresse subito, rendendosi conto di aver usato un tono non proprio amichevole.
- Capo, fammi entrare e basta, ok? –
Cinque piani di scale dopo, il giovane Leader si ritrovò di fronte a qualcosa che assomigliava più a un grumo di sangue che al suo amico.
- Bahorel, che cosa hai combinato? – esclamò, facendolo entrare e mettendolo a sedere sul divano.
Il ragazzo sorrise e si passò una mano fra i capelli.
- Rissa! Credo di essermi rotto il naso! – spiegò con un’alzata di spalle.
Enjolras sentì le forze abbandonarlo. Avrebbe dovuto prendere la metro da lì a cinque minuti, e un Bahorel massacrato dalla testa ai piedi passeggiava invece tranquillamente per il suo salotto, toccando tutto quello che trovava.
- Figo! Cos’è questo? – domandò infatti il ragazzo, che era subito balzato in piedi, maneggiando un oggetto tubolare apparentemente di ottone che fino ad allora era rimasto placido sul suo supporto accanto alla libreria.
- Quello è un cannocchiale del tardo Settecento, mettilo a posto, per piacere… - fece il padrone di casa con una nota di apprensione nella voce.
Bahorel fece come ordinato e tirò su col naso, dimentico di averlo appena compromesso in una delle sue amate risse.
La bestemmia che ne seguì fece sospirare Enjolras.
- Bahorel, lavati la faccia e stai un attimo fermo. – fece prendendolo per un braccio e trascinandolo verso il bagno.
Una volta che ebbe messo la faccia sotto il getto del lavandino, i suoi lineamenti tornarono riconoscibili, nonostante il naso leggermente deviato dal suo asse.
- Si può sapere almeno con chi ti sei pestato questa volta? –
Bahorel roteò gli occhi e si piazzò di fronte al grande specchio che sovrastava il lavandino, esaminandosi il naso.
- Sbirri, sempre fra le palle nei momenti peggiori. – e con un gesto secco e un sonoro crick si rimise in sesto.
Indeciso se trasalire per quel suono decisamente raccapricciante o se gridargli di tutto per aver fatto a botte con la Polizia, Enjolras rimase a bocca spalancata ed emise una sorta di gemito acuto.
- Tutto bene, Capo? Sei bianco come un morto… - scherzò Bahorel battendogli una pacca sulla spalla e tornando in cucina.
- TU HAI FATTO A BOTTE CON LA POLIZIA?! – sbottò, quando finalmente riuscì a connettere come si deve.
- Ma sei pazzo? Ma sai che casino abbiamo fatto l’altra volta per mettere insieme i soldi della cauzione? Dimmi che almeno non… - ma l’espressione vagamente colpevole dell’amico gli gelò il sangue nelle vene.
- Ehm, sì… stavo facendo un po’ di propaganda al gruppo e mi sono preso con uno sbirro. –
- E poi? – incalzò il biondo, terrorizzato dal fatto che l’amico fosse riuscito a raggiungere casa sua senza particolari problemi.
- E poi niente, in realtà il casino l’ha scatenato un tizio che non c’entrava niente. Io e il poliziotto ci stavamo solo insultando un po’… Non so nemmeno da chi sia arrivata la botta… -  sorrise indicandosi il naso.
- Però non mi hanno seguito, quindi direi che per stavolta possiamo stare tranquilli! – terminò scoprendo i denti e facendo l’occhiolino nel tentativo di rilassare Enjolras, mentre questo gli passava una confezione di ghiaccio istantaneo.
Il biondo si lasciò sprofondare sulla sedia e lo sguardo gli cadde casualmente sulla camicia.
Una scia di sangue partiva dalla spalla sinistra e scendeva lungo tutta la manica, esattamente dove Bahorel gli aveva dato quella pacca amichevole poco prima.
- Ooops… - fu il commento del ragazzo.
Enjolras, quasi con le lacrime agli occhi, scosse la testa.
- Tranquillo, la metto in lavatrice. Vado un attimo a cambiarmi… - e così dicendo sparì in camera sua.
Nel frattempo erano le tre meno cinque.
Era in ritardo. Era in uno stramaledettissimo ritardo. Nemmeno volando sarebbe arrivato in tempo all’appuntamento!
- Ah, scusa! Ti faccio fare tardi per Grantaire! – la voce di Bahorel giunse dal corridoio allegra e squillante.
Un po’ meno squillante, e decisamente non allegra, replicò quella di Enjolras.
- Come sai di Grantaire? –
Forse il suo intento era quello di far finta di  niente, ma produsse l’effetto opposto: la testa di Bahorel fece capolino dalla porta mentre  Enjolras indossava una camicia pulita.
- Me l’hanno detto Bossuet e Joly. A loro l’ha detto Marius, che a sua volta l’ha saputo da Jehan, a cui credo l’abbia detto Ponine, che lo è venuta a sapere da Ferre a cui l’ha detto Courfeyrac. – sciorinò innocentemente.
Il viso di Enjolras si deformò in una smorfia che significava una cosa sola: desiderio di uccidere.
- E Courfeyrac….? – domandò cercando di trattenere le ire funeste.
Bahorel alzò una mano come a voler calmare l’amico.
- Ah, a lui l’ha detto Gavroche! Pensavamo tutti che se lo fosse inventato, ma… Hey, quindi hai davvero un appuntamento con R! Ah, era l’ora! – ma tacque nonappena incontrò lo sguardo glaciale del Leader.
- Ok, la pianto. –
Enjolras scosse il capo divertito. L’assenza di Bahorel si era davvero sentita a Firenze…
- Ora, se non ti dispiace, dovrei uscire… -
Cinque minuti e qualche imprecazione dopo, Enjolras si era finalmente liberato di Bahorel ed era riuscito a prendere la metropolitana.
Minuti di ritardo all’appuntamento… almeno dieci.
Fantastico, in ritardo al suo primo appuntamento! Poteva anche sotterrarsi, a questo punto.
L’espressione “primo appuntamento”, poi, lo fece arrossire come una ragazzina.
Dannazione, non poteva andare avanti così!
Fra un imprevisto e l’altro, arrivò di fronte all’Opéra che ormai erano le tre e un quarto: Grantaire era già lì.
- Per fortuna sono arrivato in anticipo! – scherzò quello camminando piano in sua direzione.
Enjolras avrebbe voluto sprofondare.
- Ho avuto dei contrattempi. – si limitò a spiegare, ficcando le mani nelle tasche della giacca.
Grantaire sorrise.
- Credo che Bahorel volesse semplicemente ficcanasare un po’. Non ci credeva al fatto che oggi saremmo usciti insieme… -
A quella replica il biondo sgranò gli occhi, ma non rispose.
Non era davvero sicuro di voler sapere come facesse Grantaire a sapere che si era visto con Bahorel.
- Dove andiamo? – chiese invece.
Grantaire gli fece cenno di seguirlo e Enjolras, troppo curioso, non replicò e obbedì.
Presero nuovamente la metro per un paio di fermate, poi camminarono in un dedalo di viuzze in salita prima che l’artista si fermasse di botto in mezzo alla strada.
Erano a Montmarte, a pochi minuti dal Moulin de la Galette, ma Enjolras non avrebbe saputo aggiungere altro su quel luogo.
- Siamo quasi arrivati, aspetta ancora un attimo… - sussurrò Grantaire prendendolo per mano.
Il Leader sentì il cuore accelerare vergognosamente a quel tocco inaspettato e si limitò ad annuire seguendo il ragazzo in un vicolo laterale.
Una piccola insegna al neon citava “Cinéma Lepic”. Quindi lo aveva portato al cinema?
Grantaire lo condusse silenzosamente oltre le vecchie porte del locale, introducendolo in quello che sembrava più che altro un vecchio teatro. Tutto lì dentro era in legno: i pavimenti, il soffitto, le colonne e il bancone. Sopra alla cassa svettava una locandina in bianco e nero che Enjolras riconobbe immediatamente.
- Ciao R! Due biglietti? – la voce roca e allegra di un uomo grassoccio sulla sessantina fece voltare l’artista.
- Ciao Legauffre! Aggiungi anche una birretta al conto! –
Quello che doveva essere il gestore del piccolo cinema si accucciò dietro il bancone e ne riemerse poco dopo con una bottiglia di birra fredda di frigo.
- E tu devi essere Apollo, giusto? – domandò poi rivolto ad Enjolras.
Questo annuì e strinse la mano che l’uomo gli tendeva.
- Ehm, sì… Alexandre Enjolras, piacere… -
- Martin Legauffre, benvenuto in famiglia! – esclamò l’altro con un’amichevole pacca sulla spalla e un sorrisone.
- Vuoi qualcosa da bere o da mangiare? – continuò.
- No, grazie… Sono a posto così… - replicò mettendo le mani in tasca, un poco imbarazzato dall’occhiolino che il signore aveva rivolto a Grantaire prima che si accingesse a pagare.
Quando entrarono in sala un gruppetto di persone li raggiunse.
Beh, in realtà vennero incontro a Grantaire, lo abbracciarono e si misero a chiacchierare.
Era gente di tutti i tipi, c’erano dei vecchietti sulla settantina, due ragazze molto giovani, probabilmente due universitarie, e un gruppetto sparuto di donne fra i quaranta e i cinquant’anni.
- Ciao, R! E’ un po’ che non ci si vede! – esclamò una di loro.
- Ti sei perso “La Corazzata Potëmkin, come hai potuto! – scherzò una delle due ragazze, mentre l’altra le dava una gomitata e con un cenno della testa le indicava Enjolras.
- Oh, Apollo, sei tu? – domandò uno dei vecchietti andandogli incontro e stringendogli la mano calorosamente.
- Sei devvero bello! Sembri proprio un angelo! – commentò un’anziana signora che era rimasta seduta tutto il tempo.
- Ehm, sì, ragazzi… Lasciatelo respirare! – ridacchiò Grantaire andando in suo soccorso e conducendolo verso due sedili lontani dal gruppone.
Le luci si spensero di colpo e Enjolras udì un bisbigliare sommesso dietro di loro, segno che gli altri stavano cercando di prendere posto al buio.
- Scusali, sono un po’ invadenti, ma ci tenevano davvero tanto a conoscerti… - spiegò Grantaire in un sussurro dopo qualche secondo.
- Nessun problema, mi sembrano simpatici… - si premurò di tranquillizzarlo, nonostante i momenti precedenti fossero stati un pochino imbarazzanti.
- Vengo qui tutte le settimane da un paio d’anni, ormai… Sono come una famiglia, per me… - sorrise l’artista alla tenue luce delle uscite di emergenza.
Ma il film incominciò e i discorsi vennero lasciati a dopo.
Due ore più tardi, quando le luci si riaccesero in sala, gli spettatori si ritrovarono di fronte ad uno spettacolo più unico che raro: Enjolras se ne stava in piedi, la mano sul cuore e le guance rigate di lacrime, mentre Grantaire lo guardava a metà fra lo sconvolto e il divertito.
- Apollo, tutto bene? – domandò soffocando una risata.
Il ragazzo tirò su col naso e si asciugò il viso.
- Questo è il più bel discorso che io abbia mai sentito… - mugolò mentre lo schermo pian piano si oscurava.
- E’ la potenza della semplicità, è la Libertà pura e disinteressata… Oh, Grantaire, ti rendi conto di cosa significhino queste parole? Ti rendi conto che questo film è stato realizzato in pieno conflitto mondiale? –
E ancora, quando ebbero salutato tutti e se ne furono andati, Enjolras non aveva smesso un attimo di commentare il film.
- Che potenza, che meraviglia! Come sapevi che “Il Grande Dittatore” è uno dei miei film preferiti? –
Grantaire rise, mentre prendevano posto a un tavolino riservato al Moulin de la Galette.
- Mah, chissà… L’avrò intuito… -
Enjolras abbassò lo sguardo e il tono di voce, mentre le mani sfogliavano distrattamente il menu.
- Grazie, è stato un bellissimo pomeriggio… - sussurrò.
L’artista non replicò, si limitò a predergli una mano e guardarlo negli occhi; fu sufficiente.
Trascorsero tutta la serata a chiacchierare, a scambiarsi opinioni sul film, a ridere, a volte ad arrossire in silenzio.
Grantaire raccontò al suo Apollo di come il Moulin de la Galette fosse un tempo frequentato da quelli che ora erano annoverati fra i migliori artisti di tutti i tempi, rievocò aneddoti su Van Gogh, che per un po’ aveva alloggiato a pochi passi da lì e su Renoir, che in quelle viuzze strette e ripide aveva lavorato per anni, e più raccontava, più Enjolras capiva che sarebbe stato ad ascoltarlo per ore, perché nulla era più meraviglioso della luce nei suoi occhi quando parlava d’Arte.
Quando si alzarono da tavola era ormai buio e le stelle brillavano silenziose sopra di loro.
Passeggiarono in silenzio fino alla metropolitana, dove rallentarono fino a fermarsi l’uno di fronte all’altro.
- Allora? Che ne dici del nostro primo appuntamento? – domandò Grantaire, ben consapevole di aver fatto avvampare il compagno.
Il biondo ficcò le mani nelle tasche della giacca e lasciò che quella domanda gli impregnasse il cuore.
- E’ stato… Strano. –
Lo scettico inclinò la testa di lato, incuriosito da quella definizione.
- Strano? –
- Diverso da come me l’ero immaginato. – si prese una piccola pausa, poi continuò.
- Migliore… - e sorrise imbarazzato, perché quelle erano cose che mai avrebbe creduto di poter dire a qualcuno, men che meno a Grantaire.
- Sono felice che ti sia piaciuto… - fece quello controllando l’ora sul cellulare.
Quando rialzò lo sguardo, quasi si spaventò nel trovarsi gli occhi azzurri del Leader a pochi centimentri dai suoi.
- Pensi che si potrebbe rifare? – domandò Enjolras.
Ma non gli diede il tempo di rispondere, impegnandolo in un bacio un po’ incerto, ma denso e carico di sentimento.
Sentì le le labbra di Grantaire tendersi contro le sue in un sorrisetto compiaciuto prima che gli portasse le mani fra i capelli, approfondendo il bacio.
- Quando vuoi, Apollo… - gli sussurrò nell’orecchio con voce bassa e leggermente roca, facendogli correre un bivido su per la schiena.
Si baciarono ancora, dolcemente, in silenzio, al riparo nel buio della notte, poi fu il momento di separarsi.
- Non è il caso che mi accompagni, davvero… - balbettò Enjolras.
Grantaire fece spallucce mentre la metropolitana frenava di fronte a lui, semideserta a causa dell’orario.
- Allora ci vediamo domani? – lo salutò camminando all’indietro verso l’uscita.
Il biondo annuì.
- A domani! – e sparì oltre le porte del vagone, sedendosi nel primo sedile vuoto.
Impresa a dir poco semplice, dal momento in cui gli unici viaggiatori oltre a lui si rivelarono essere un barbone addormentato a una decina di sedili di distanza e un ragazzino con un paio di gigantesche cuffie colorate.
Ispirato da quella visione, estrasse l’iPod dalla tasca della giacca e prese a districare le cuffiette tutte attorcigliate, ma un rumore al suo fianco lo distrasse.
Alzò lo sguardo svogliatamente, salvo incontrare una massa scompigliata di riccioli neri e due occhi azzurri dall’aria birichina.
- E’ libero? –
Enjolras scosse la testa divertito e rivolse a Grantaire il più luminoso dei suoi sorrisi.
- Sei testardo come un mulo. – commentò.
L’artista parve considerare quella frase per qualche secondo, prima di replicare.
- La mia dote migliore! -
Il giovane Leader degli Amis de l’ABC sospirò, pensando a come quella frase, applicata alla loro relazione, risultasse dannatamente vera.
Avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma alla luce di quel pensiero non trovò nulla di adeguato da dire e si limitò a sorridergli.
Dopotutto, erano testardi entrambi…














 
Note:

Buongiorno a tutti, Signore e Signori!
Ebbene, siamo le due persone più vergognose sulla faccia della terra.
No, bugia. Solo io sono vergognosa, Ame poveretta non c’entra niente.
Avevamo promesso che Stp by Step sarebbe uscita due settimane dopo la conclusione di TAUM e invece vi abbiamo fatto aspettare l’anno nuovo. La colpa? Quell’orrible condizione umana detta “blocco dello scrittore”.
Per fortuna il 2014 ha portato consiglio e sono riuscita a schiodarmi da quella maledetta pagina tre che mi fissava strafottente da Novembre… xD
Ma passiamo a parlare della nostra fanfiction, che è più importante delle centinaia di scuse che accampo tutte le volte che ritardo! V.V

“Sorrise e si infilò nel portone, chiudendosi alle spalle una Parigi che l’avrebbe visto nuovo, rinato, libero, una Parigi che avrebbe saputo accogliere quel nuovo Enjolras che stava finalmente imparando ad amare.
Il tutto senza fretta, dolcemente.
Un passo alla volta.”

Ecco, è così che finisce TAUM. In Step by Step vedremo come questa relazione fra Enjolras e Grantaire si evolverà pian piano attraverso le loro “prime volte”.
Qui, ad esempio, abbiamo visto il loro primo appuntamento, di quelli classici “cinema+cenetta” e beh… l’amore che non sono questi due…
Devo dire che in questo capitolo ho amato anche la ficcanasata di Bahorel a dieci minuti dall’appuntamento… quel ragazzo è un genio! XD
 
Ma adesso passiamo alle adorate INFORMAZIONI DI SERVIZIO
1) Lo sappiamo che il Lucca Comics&Games è stato tipo sei mesi fa, ma visto che abbiamo beccato un mucchio di gente che ci ha fatto foto e noi, da brave furbe, non ce ne siamo fatta manco mezza, non è che qualcuno che ci ha fotografate potrebbe mandarci le sue foto con noi? :3
In tal caso saremmo felicissime di sentirci via messaggio privato! :D
2) Se tutto va bene, questa fanfiction dovrebbe essere composta da quattro capitoli, che DOVREBBERO essere pubblicati una volta alla settimana.
Tuttavia, e lo sottolineo, purtroppo siamo sotto esami, e quindi il tempo a disposizione è davvero poco. Il che significa che anziché un capitolo alla settimana potremmo pubblicarne uno ogni due. Noi intanto facciamo del nostro meglio…
 
Ok, per questo capitolo dovremmo avere finito… xD
Come al solito grazie mille a chi legge, segue, preferisce e recensisce, un benvenuto gigante a chi è nuovo, e un grazie a chi ci segue ancora da TAUM, vi amiamo tutti quanti!
 
Ps: abbiamo iniziato una serie di cui “Trovami Almeno un Motivo per cui Dovrei Amare l’Italia” e “Step by Step ” sono le prime due fanfiction.
In cantiere ne abbiamo un sacco di altre, incentrate un po’ su tutti i personaggi, anche sui cari Feuilly e Bahorel che finora, per esigenze di copione, abbiamo bellamente ignorato… xD
Siamo elettrizzate e vi vogliamo bene. <3
 
Au revoir et Vive la France!
Ame&Koori

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Capitolo 2
*** Capitolo II__Prima Notte Insieme ***




Capitolo II__Prima Notte Insieme









Non avrebbe saputo dire come erano riusciti a convincere Enjolras.
Probabilmente erano stati gli occhioni di Prouvaire, o forse, ipotesi ancora più probabile, Courfeyrac aveva tirato a mezzo qualche vecchio debito che il biondo non aveva estinto nel corso degli anni facendo leva sul suo eccessivo senso dell’onore.
Mai e poi mai, dopotutto, Grantaire si sarebbe sognato di attribuire la riuscita dell’impresa a sé stesso e ai mille mille baci fra i quali gli aveva ripetutamente chiesto il permesso.
Fatto sta che, alla fine, Enjolras si era visto costretto a cedere e aveva passato tutto il Sabato mattina a pulire il suo appartamento in vista della cena con Taire, Courf e Jehan.
Era una fredda giornata di fine Gennnaio e il cielo terso e illuminato dal debole sole invernale entrava nei polmoni e usciva dalle labbra sottoforma di piccole nuvolette di vapore.
Grantaire era uscito alla mattina presto e, in sella alla sua inseparabile bicicletta, si era recato fino sul Lungosenna, dove si era sistemato a dipingere fino a mezzogiorno.
Uno degli ultimi giorni di Novembre, prima che quel coperchio grigio e pesante che gravava su Parigi decidesse di riversarsi a terra in un’interminabile pioggia scrosciante, Jehan gli aveva fatto notare che dal ritorno da Firenze aveva preso l’abitudine di dipingere a colori.
Lì per lì si era limitato a sorridere e fare spallucce, ma quell’osservazione l’aveva incuriosito, così, quando era tornato a casa, era andato subito a rovistare fra i vecchi album da disegno.
Era vero.
Agli schizzi a matita e ai ritratti a carboncino si erano andati lentamente a sostituire i pallidi acquerelli e i luminosi dipinti ad olio, e la gamma di colori era andata aumentando, divampando di gialli e di rossi, di verdi e di azzurri.
Jehan era sempre stato un ottimo osservatore, e ancora una volta aveva saputo cogliere il vento di cambiamento che lo aveva investito in quegli ultimi tempi.
Certo, la sua realzione con Enjolras non era perfetta e ogni tanto finivano per discutere, ma Grantaire sapeva che il Leader degli Amis, quel ragazzo che era entrato nella sua vita come un’onda di marea, un raggio di sole insinuatosi attraverso una fessura nel legno delle imposte sprangate della sua anima, quella certezza a cui la sua storia di espedienti e rinunce si era aggrappata con le ultime forze rimaste… ebbene, sapeva che quel ragazzo lo amava, e questo lo rendeva la persona più felice sulla faccia della terra.
Dopo aver disegnato per quattro ore buone aveva riposto le sue cose nella grande borsa di cuoio ed era rimontato in sella, pedalando fino al Quartiere Latino. Lì aveva legato la bici alle inferriate dei giardini dell’Abazia di Cluny, proprio di fronte a casa di Courf, e aveva attraversato la strada fino alla sua Creperie di fiducia, pochi metri oltre il McDonald’s.
Il fatto che in tutta la mattina non avesse ancora sentito Enjolras nemmeno tramite un misero sms poteva significare una cosa soltato: il ragazzo era nel panico più totale.
Grantaire era infatti venuto a conoscenza, in quei mesi, delle scarse se non nulle capacità culinarie del biondo, che aveva vissuto gli anni dopo il diploma nutrendosi esclusivamente di cibi pronti da scaldare in microonde o delle provvidenziali torte salate che la mamma di Courf si ricordava di preparargli ogni tanto.
Dopo pranzo aveva quindi deciso di andare a fare la spesa e organizzare mentalmente la cena di quella sera, che avrebbe preparato lui stesso per salvare la reputazione del suo ragazzo.
Ed ecco che si era ritrovato a bussare alla porta di quell’appartamento sacro che pian piano aveva imparato a conoscere come se fosse il proprio.
Enjolras gli aveva dato una copia delle chiavi, ma lo scettico non aveva mai osato presentarsi senza invito o non palesare la sua presenza tramite il campanello. Dopotutto, per quanto riguardava gli spazi abitativi, il biondo non aveva mai dato alcun segno di voler aprirsi a condivisione.
All’inizio Grantaire non vi aveva dato molto peso: conosceva Enjolras e sapeva quanto fosse una persona pudica e bisognosa dei suoi spazi; tuttavia, a ormai cinque mesi dall’inizio della loro relazione, il ragazzo aveva iniziato a percepire quella reticenza come un tentativo di tenerlo ad una certa distanza.
Non si era mai azzardato a intraprendere quel genere di discussione con Enjolras, ma ogni volta che, la sera, lo salutava chiudendo piano la porta alle sue spalle, sentiva dentro di sé l’amarezza del rifiuto.
Certo, era stato lui stesso a suggerirgli di prendersi il suo tempo, a godersi tutto senza fretta, un passo alla volta, eppure adesso temeva che quell’atteggiamento potesse significare un principio di allontanamento: Enjolras non voleva che rimanesse, non voleva che entrasse nella sua vita definitivamente, a tutti gli effetti.
E questo gli faceva male.
- Grantaire! Non ti aspettavo così presto… -
La voce di Enjolras lo raggiunse fin sul ballatoio, accompagnata da un paio d’occhi azzurri colmi di stupore infantile.
Quell’osservazione si insinuò sotto alla sua pelle e rimase incastrata fra il cuore e la trachea, dolorosa e pungente come una spina.
Ah, basta! Stava diventando paranoico…
- Ho pensato di darti una mano con le vettovaglie, o mio anfitrione! – scherzò con un occhiolino sollevando i sacchetti della spesa; aveva comprato così tante cose che delle semplici buste non sarebbero bastate…
Enjolras lo fece entrare e gli prese le sporte dalle mani, andandole a posare sul tavolo in cucina ed esaminandone il contenuto.
- Sei sicuro che riusciremo a mangiare tutta questa roba? – domandò inarcando un sopracciglio di fronte alla moltitudine di buste, scatole, pacchetti e cestelli di cibo di ogni sorta.
Grantaire rise e si appropriò di una bottiglia di birra che sporgeva da un sacchetto, cercando distrattamente l’apribottiglie nel cassetto.
- Devo forse ricordarti che avremo a cena Courfeyrac? –
Il Leader tacque un momento, per poi esibire un sorrisetto dalla sfumatura malinconica.
- Se penso che quando eravamo bambini spazzolava sempre i buffet alle feste di compleanno… - osservò, lasciandosi andare ai ricordi.
Lo scettico prese due grandi sorsate di birra e si asciugò le labbra con la manica.
- Non che le cose siano cambiate… Devo forse ricordarti il compleanno di Bossuet? –
Enjolras rabbrividì al solo menzionare quell’occasione.
- Ti prego, sto cercando di dimenticare quella festa. –
Grantaire ignorò quella replica colma di terrore e scivolò verso i fornelli. Analizzò rapidamente quanto acquistato e, presa una grande padella, iniziò a tagliare le verdure con cura e maestria.
- Dove hai imparato a cucinare così bene? – chiese il biondo a bruciapelo, facendo sì che l’artista interrompesse momentaneamente il suo lavoro.
Per qualche secondo il silenzio regnò sovrano nella piccola cucina, finchè il ragazzo non si voltò con un’espressione misteriosa in volto.
- Di necessità virtù, Apollo. Di necessità virtù… - spiegò, enigmatico come ogni volta che il discorso verteva sulle sue qualità o sul suo passato.
Anche se non aveva spiegato proprio un bel niente, Grantaire aveva detto la verità: non aveva imparato a cucinare per sfizio o per passione, ma piuttosto per necessità.
L’adolescenza era un periodo della sua vita di cui non parlava volentieri, e a dirla tutta nessuno degli Amis sapeva molto di chi fosse Grantaire prima di unirsi al gruppo. Gli unici a cui lo scettico si era sentito di confessare parte del suo passato erano Eponine, con cui condivideva il dolore della disillusione, e Jehan, la cui anima pura era stata in grado di capirlo e di scavare nei suoi ricordi senza che nemmeno dovesse parlarne. Non se n’erano accorti subito, ma il poeta e Grantaire avevano scoperto di conoscersi da molto più tempo di quanto non avessero inizialmente pensato.
Le abilità culinarie dell’artista erano venute a galla proprio quando la necessità gli aveva imposto di sfruttare ogni espediente e il ragazzo, allora alle prese con la novità del Liceo, aveva dovuto imparare a cavarsela da solo in qualsiasi occasione.
Nonostante tutto a Grantaire piaceva cucinare, e quando si prodigava in questa occupazione il suo viso si trasigurava, assumeva tratti più rilassati e linee più dolci, come se i profumi e i sapori lo avessero portato indietro ad un tempo felice, estraniandolo a quella realtà che tanto lo deprimeva.
Enjolras adorava guardarlo cucinare.
Sarebbe rimasto a contemplarlo per ore, le sue mani ferme abituate a maneggiare pennelli e a sporcarsi di colore adesso imprengate del profumo pungente delle spezie e attente nel rimescolare gli ingredienti.
Se c’era un lato segreto di lui che lo aveva fatto defnitivamente capitolare, era proprio il suo essere un cuoco eccellente.
Non sapeva perché, e il pensiero lo faceva sempre sentire un po’ stupido, ma non riusciva a evitare di pensare che Grantaire, preso dalla realizzazione di chissà quale ricetta complicata, fosse dannatamente attraente.
Il moro si sentì circondare i fianchi da un paio di braccia salde e dall’incarnato pallido, e non fece nemmeno in tempo a stupirsene che il naso di Enjolras già sfregava contro il suo collo in un abbraccio che gli fece dimenticare completamente la padella sul fuoco.
Voltò il capo quel tanto che bastava ad incontrare le labbra del suo rivoluzionario, abbandonandosi a quel contatto sincero e delicato.
- Niente da fare, non imparerò mai… - brontolò Enjolras appoggiando il mento sulla sua spalla, senza azzardarsi a sciogliere quell’abbraccio spontaneo e silenzioso.
Grantaire sorrise e mescolò il soffritto con un lungo cucchiaio di legno.
- Ma no, è solo questione di esercizio. Sai quante pentole ho bruciato prima di imparare a cucinare qualcosa di commestibile? Una volta sono riuscito persino a dare fuoco a un raviolo cinese… - confessò.
Enjolras scoppiò a ridere di una di quelle sue risate sincere e limpide che solo da qualche mese aveva iniziato a concedersi con maggiore frequenza.
- Non ci credo, come diamine hai fatto?! –
Il ragazzo fece spallucce.
- E che ne so? Fatto sta che da quel giorno il cibo cinese l’ho sempre solamente ordinato… - e risero, mentre insieme, per fare più in fretta, si dividevano le mansioni e decidevano il menu della serata.
Courfeyrac e Jehan arrivarono in serata, quando le luci della città ricevevano indietro i loro bagliori da strati di nuvole sfilacciate in arrivo da ovest.
- C’è odore di burrasca… - aveva commentato il poeta, ma nessuno aveva prestato particolare attenzione alla sua constatazione, il naso troppo distratto dal delizioso profumino proveniente dalla cucina per notare l’odore di polvere e umidità che si alzava dall’asfalto del Boulevard.
Inutile dire che i timori di Grantaire si rivelarono fondati: Courfeyrac spazzolò con la voracità di un piccolo ippopotamo tutto ciò che gli capitava a tiro, comprese le paste che lui e Jehan avevano portato per dolce.
- Mi sarebbe piaciuto assaggiare un bigné. – borbottò con freddezza Enjolras rivolgendo un’occhiataccia al suo migliore amico.
Courf deglutì e fece spallucce, regalandogli un sorriso a trentadue denti.
- Beh, ci sono ancora quelli con la glassa marrone! – replicò con un cenno al vassoio delle paste.
Il biondo sbuffò, domandandosi nel suo intimo se Courfeyrac lo stesse facendo apposta o meno.
- Courf, quelli sono alcolici. Mi fanno schifo. Io volevo i bigné bianchi.-
Jehan trattenne a stento un risolino, mentre al sentir nominare l’alcool Grantaire gli faceva segno di stare zitto e, non visto dal padrone di casa, si infilava in bocca tre bigné marroni in una volta sola.
- Oh, Enjy! Cresci un po’! Non puoi prenotarti le paste! – scherzò Courf, che a scanso di equivoci, all’apertura del pacchetto, se ne era messe una decina nel piatto senza badare alla foggia o al sapore.
- E poi dai, quelli bianchi? Ma lo sai che il bianco è il colore della monarchia? –
Questa considerazione mandò in tilt il giovane Leader, che probabilmente non ci aveva mai pensato e adesso prendeva con estrema serietà quella battuta.
La sua espressione sbigottita fece ridere tutti quanti, mentre Courf si alzava da tavola e si dirigeva verso il salotto, alla ricerca dell’enorme zaino che si era trascinato dietro quella sera.
- Si può sapere che cosa diamine ci hai infilato dentro? Cos’è, un cadavere? – domandò Enjolras alzando la voce per farsi sentire, Jehan che lo aiutava a sparecchiare e ne approfittava per impossessarsi dell’ultimo macaron.
Fu il ghigno divertito di Grantaire a rispondere.
Il biondo si sentì sbiancare.
- No. No, di questo non si era assolutamente parlato. – balbettò, facendo capolino dalla porta scorrevole della cucina.
Jehan gli batté una pacca sulla spalla.
- Dovevi aspettartelo… - fu il suo commento a metà fra lo sconsolato e il divertito.
- Vedrai che ti divertirai anche tu! – spiegò con un sorrisetto andando a prendere posto sul divano accanto a Grantaire, che ovviamente si era già avventato sui giochi senza nemmeno degnarsi di dare una mano a Courf a montare l’X-box.
- Uh! Partitone a CoD? – esclamò infatti, tutto elettrizzato.
- No, dai, ragazzi…. Vi prego… -
Enjolras odiava i videogiochi.
Non solo li aveva sempre ritenuti fautori dell’atrofia del libero pensiero e dell’intelligenza umana –insomma, con Courfeyrac aveva avuto un bell’esempio scientifico-, ma era anche completamente tagliato fuori da una qualsiasi discussione, essendo lui completamente ignorante in materia.
Lo scettico si alzò in piedi e lo raggiunse circumnavigando il divano.
- Su, si tratta solamente di un paio d’ore… Lasciati andare e goditi il divertimento! – gli sussurrò a for di labbra, distraendolo con un bacio e piazzandogli il joystick fra le mani.
Enjolras interruppe il bacio e strabuzzò gli occhi.
- Come, scusa?! –
Grantaire sorrise imbarazzato e si grattò la nuca.
- Ho scommesso una settimana di bevute che sotto alla mia guida avresti vinto contro Jehan… -
Il ragazzo lo guardò, atterrito, poi spostò lo sguardo su Courfeyrac che, seduto sul tappeto, già alzava indice e medio in segno di vittoria.
- Idiota, dovresti saperlo che nessuno ha mai vinto una scommessa contro quel bastardo! – sibilò a denti stretti, nella speranza di non farsi sentire dagli avversari.
Ma ormai era in ballo il suo onore, e non si sarebbe tirato indietro.
Oltrepassò Grantaire e andò a sedersi sul divano accanto a Jehan.
- Bene, adesso spiegatemi cosa devo schiacciare e vedremo chi è il migliore qui. – fece con un ghigno preoccupante stringendo la presa attorno al joystick.
Gli altri tre si scambiarono un divertito sguardo d’intesa: anche Enjolras era infine caduto nel vortice dei videogames.
Grantaire sapeva dell’immensa e inspegabile fortuna di Courfeyrac in fatto di scommesse. Lo sapeva, e avrebbe fatto bene a trarre insegnamento dalla tragica batosta che aveva subito quell’estate a Firenze, tuttavia la sua testardaggine lo aveva portato a ripetere l’errore più e più volte, facendo sì che quella sera i suoi due migliori amici lo fregassero su tutta la linea.
 Niente da fare, nonostante Enjolras si fosse dimostrato un giocatore discretamente abile, tutti sapevano che la sfida era persa in partenza: nessuno, nemmeno Courfeyrac, era in grado di eguagliare la precisione e la maestria che Jehan dimostrava nei giochi di guerra.
Il Leader aveva una buona tattica, ma l’esperienza del poeta aveva immediatamente fatto comprendere a tutti quale sarebbe stato l’esito della scommessa.
La serata trascorse fra risate, rivincite e imprecazioni, fino a quando Jehan non ritenne opportuno tornarsene a casa.
- Tu potrai anche passare la notte in bianco, ma domani riprendono i corsi e non posso permettermi di addormentarmi sul banco! – esclamò all’indirizzo di Courfeyrac, che era ben intenzionato a fare le ore piccole.
Questo finì di infilare l’X-box nello zaino e gli passò un braccio attorno alle spalle.
- Io invece credo proprio che stanotte passerai la notte in bianco pure tu! – gli sussurrò nell’orecchio con il solo risultato di farlo avvampare.
Grantaire gli rivolse un’occhiata indecifrabile e scosse la testa divertito.
- Quanto sei scemo, Courf… -
Il ragazzo, in tutta risposta, gli mostrò il dito medio e salutò Enjolras con un cenno della testa.
- Allora ci vediamo domani pomeriggio, Enj! Buon divertimento con i piatti! – esclamò per poi fiondarsi giù per le scale, onde evitare reazioni violente da parte dell’amico.
- Courf, inciampa su una baionetta! – gli gridò dietro quello mentre Jehan salutava con la mano.
Quando i due se ne furono andati, lo scettico tornò in cucina con un sospiro.
- Dai, che ti aiuto a lavarli… Ma non potresti comprarti una lavastoviglie? – si lamentò con un sorriso.
Enjolras fece spallucce.
- Per una persona soltanto? Non vale la spesa… -
Quella frase cadde nel silenzio. Nonostante si trattasse di una semplice constatazione, Grantaire si era sentito in qualche modo ferito, come se con quell’osservazione Enjolras l’avesse nuovamente escluso dalla sua vita, dai suoi progetti.
Un rumore sordo e un flash di luce biancastra annunciarono che le previsioni di Jehan si erano rivelate azzeccate: le nuvole avevano interamente coperto il cielo parigino, e adesso riversavano la loro noia sulla città in un violento temporale.
- Merda… - sibilò l’artista.
- Sono in bici. – aggiunse in spiegazione all’occhiata interrogativa del biondo.
Enjolras diede un’occhiata fuori dalla finestra e sospirò, sembrava proprio che il diluvio non avesse alcuna intenzione di smettere.
- Beh, puoi rimanere finchè non smette, mica ti caccio… -
Eppure a Grantaire, più che una cortesia, quel gesto parve una concessione.
Quel finché non smette lo immerse in un gelo ben peggiore di quanto non avrebbe potuto fare il temporale: era evidente, il suo Apollo non lo voleva tra i piedi.
Annuì distrattamente, e mormorando un “grazie” poco convinto andò a sedersi sul divano e prese a fare zapping.
Enjolras finì di asciugare i bicchieri e li ripose nella credenza, per poi andare a sistemarsi vicino a Grantaire.
Non dissero niente, nemmeno si sfiorarono. Rimasero seduti sul divano come statue di marmo, ognuno dei due immerso nelle proprie elucubrazioni mentre le parole senza senso del film in tv soffocavano i pensieri.
Dopo un’oretta di pesante e fastidioso silenzio il giovane Leader degli Amis sparì in camera sua, emergendone poco dopo con un plaid a strisce rosse, bianche e blu.
- Io vado a letto. Ci… Ci vediamo domani… - sussurrò lasciando la coperta sullo schienale del divano.
L’artista annuì e gli augurò la buonanotte con un grande sorriso ma, non appena la porta della camera da letto si chiuse alle spalle del biondo, si portò le mani al volto e si lasciò cadere sdraiato sul divano.
Era un idiota.
Uno stupido illuso senza speranze, nulla di più.
Come aveva potuto credere che Enjolras avrebbe voluto costruire qualcosa di solido assieme a lui? Come aveva potuto lasciarsi andare all’idilliaco scenario di una vita al suo fianco?
Era evidente: a Firenze le cose erano andate in quel modo perchè il biondo si era sentito in colpa per via dell’incidente. Forse ci aveva provato davvero, a farsi andare a genio Grantaire, ma alla fine i nodi erano venuti al pettine.
Enjolras era troppo bello, troppo retto, troppo perfetto per potersi accompagnare ad uno come lui, l’emblema della sregolatezza e del disordine.
Era solo questione di tempo, poi il castello di carte sarebbe crollato.
Fra questi pensieri angoscianti e il rumore squarciante dei tuoni, le immagini alla tv che si susseguivano senza preoccuparsi di ricevere attenzione, Grantaire si addormentò.
Nel frattempo, in camera sua, Enjolras rimuginava.
Era un cretino.
Un deficiente che non aveva nemmeno il coraggio di guardare in faccia la realtà.
Come aveva potuto comportarsi in quel modo, quando era evidente che chiunque si sarebbe aspettato un atteggiamento diverso in un frangente simile?
Dopotutto stava con Grantaire ormai da cinque mesi, e mai la sua vita gli era parsa così luminosa.
Eppure quel passo gli sembrava enorme, definitivo, come dire addio a tutto quello che c’era stato prima.
Ma che male c’era a lasciarsi la sua vecchia vita alle spalle? Che male c’era ad accettare una volta per tutte quel cambiamento che non gli aveva fatto che bene?
Si rigirò nel letto molte volte, quella notte, chiedendosi se anche Grantaire desiderasse un po’ di stabilità e qualche certezza in tutta quella faccenda, se anche lui in qualche modo avesse sperato in un epilogo diverso a quella serata.
Gli si formò un groppo in gola e si coprì il volto con il cuscino, disperato e in balia dei suoi sentimenti che proprio non volevano dargli tregua.
Dopotutto lui lo sapeva, lo sapeva già da un pezzo.
Era da molto che aveva capito cosa desiderava, solo non aveva il coraggio di chiederlo a Grantaire.
Era una cosa seria, quella, un passo decisivo.
Doveva rifletterci, ragionare, valutare i pro e i contro.
Avrebbe dovuto consultarsi con qualcuno, stilare una lista, fare qualcosa…
E invece le azioni erano state più veloci dei suoi pensieri, e lo avevano cacciato giù dal letto senza sciogliere quel nodo che gli impediva di respirare o deglutire.
- Grantaire… - si ritrovò a sussurrare, scuotendolo piano per svegliarlo.
- Mh… - fu la risposta del ragazzo addormentato.
- Grantaire… - ripeté con dolcezza, inginocchiandosi accanto a lui.
Lo scettico aprì un occhio, intontito dal sonno al quale era stato strappato.
- Che c’è? –
Enjolras sorrise timidamente, arrossì come un bambino, abbassò lo sguardo e lo prese per mano.
- Vieni a letto, fa freddo qui… - e senza aspettare una qualsiasi replica lo trascinò piano verso camera sua.
Grantaire non parlò, non disse niente, si limitò a sfilarsi i vestiti in silenzio e a prendere posto sotto le coperte.
Nessuno parlava, ma non era come prima, sul divano.
Quel silenzio non era pesante, faceva piacere.
In quel silenzio riuscivano di nuovo a parlarsi, a capirsi.
Enjolras appoggiò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi. Era tutto così perfetto…
Lo scettico non disse niente e, assonnato ma felice di quella concessione dai colori di un nuovo inizio, si limitò ad accarezzargli piano i riccioli finchè entrambi non sprofondarono di nuovo in un sonno tranquillo e sereno.
L’ultima cosa di cui Grantaire si rese conto prima di chiudere gli occhi e sorridere fu un suono, o meglio, l’assenza di un suono: aveva smesso di piovere.




















 
Note:

Eccoci qui, ritornate dopo una stressante e dolorosa sessione di esami!
Almeno sono andati bene ad entrambe, sennò avrei potuto uccidere/mi... xD
Sì, ci abbiamo messo una vita, facciamo schifo, lo sappiamo. Che poi sento che questo plurale mi verrà fatto pagare dalla cara dolce Ame, che come al solito è al di fuori della mia vergognosa lentezza.
Cooooomunque, passiamo al capitolo!
Questi due sono dannatamente diabetici, e anche se la fanfiction è etichettata come fluff ho dovuto metterci un po' di angst, sennò morivo sommersa dagli zuccheri. xD
Ma poi ve lo immaginate Grantaire che cuicina? =w= -Koori va in tilt-
A proposito di Taire, qui abbiamo avuto un piccolo e brevissimo scorcio sul suo passato. Che ci nasconde il nostro caro scettico? Lo scopriremo presto, abbiate fede! ~
Nel fratempo Enj e Jehan si sono sfidati a Call of Duty.
Non mi divertivo tanto a scrivere una scena dai tempi di Ferre & Just Dance e il motivo per cui Joly non guida... xD
Ma ecco che appena quei casinari di Courf e Jehan -si, lo so che l'unico vero casinaro è Courf- se ne vanno arriva la tensione.
Perchè dopo tutto questo tempo le cose fra i nostri eroi non hanno ancora assunto una forma definitiva, il piccolo Taire si sente in qualche modo respinto e si fa le paturnie e Enj non ha il coraggio di dirgli di restare.
Però diamine, mollarlo sul divano non è stato per niente carino!
Beh, ma il nostro biondino si è fatto perdonare, no?
Niente, non ce la faccio, questi due li amo in maniera troppo esagerata... <3

Ora piccola INFORMAZIONE DI SERVIZIO! :D
Con il secondo capitolo siamo giunti a metà di Step by Step. Siccome ho una shot pronta da mesi sull'infanzia del nostro Leader preferito che si ricollega in qualche modo con tutta la vicenda dei nostri Amis e spiega un paio di cosette pensavo di pubblicarla ora, prima del terzo capitolo di SbS.
Quindi stay tuned, gente! Ci si rivede presto! -imparate a non fidarvi troppo di questa frase, però, l'Uni si è rivelata più massacrante del previsto-

Un grazie immenso a tutte le favolose persone che ci recensiscono/seguono/peferiscono/leggono, non ci saremmo mai aspettate un simile riscontro a Step by Step.
Siete persone meravigliose e vi amiamo.
Oh. <3

Au revoir et Vive la France!
Ame&Koori

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Capitolo 3
*** Capitolo III__Primo ***





Capitolo III__Primo "Ti Amo"








Grantaire non apprezzava particolarmente la Primavera.
Certo, dal punto di vista artistico offriva una grande ispirazione, ma si dava il caso che Marzo, assieme ai primi boccioli, portasse con sé anche le prime allergie.
E fra gli Amis erano davvero in pochi a non soffrirne.
Ovviamente, colui che accusava maggiormente la stagione era Joly, che si era asserragliato in casa ai primi del mese e non si era più azzardato a mettere il naso fuori dalle coperte, terrorizzato dall’idea che l’infido polline potesse causargli un attacco d’asma capace di stroncarlo definitivamente.
Bossuet, unico immune alla catastrofe assieme a Bahorel, si era improvvisato infermiere ufficiale del gruppo, dispensando cerottini nasali, antistaminici e amenità varie ai ragazzi per conto di Joly.
Combeferre era scomparso da un paio di giorni, tuttavia si ipotizzava che in realtà fosse proprio lui lo strano animale rantolante che si nascondeva nella saletta posteriore del Musain fra pile di libri, fogli sparsi e mucchi di fazzolettini di carta.
Eponine, la cui stoica resistenza alle avversità era messa a dura prova dalle crisi di starnuti che la colpivano nei momenti meno opportuni, cercava di farsi forza e lavorava alla Locanda giorno e notte, per nulla facilitata dalle birichinate di suo fratello.
La reazione più improbabile, però, era stata quella di Courfeyrac e Jehan.
Non si sa come, infatti, il poeta era riuscito a convincere il suo ragazzo che indossare gli appositi cerottini nasali anche in luoghi pubblici lo avrebbe certamente aiutato a respirare meglio.
All’inizio, gli occhi gonfi come quelli di una rana e il naso tutto spellato, Courf aveva piantato un gran casino, lamentandosi del fatto che con uno schifoso e antiestetico cerotto spalmato sulla faccia la sua bellezza senza confini sarebbe stata sabotata e la sua immagine di assoluta perfezione ne avrebbe oltremodo risentito.
Chissà come mai, però, quando Prouvaire si presentò al Musain con una scatola di cerottini nasali degli Avangers, il Centro cambiò immediatamente opinione.
Cosette, a sole due settimane dal matrimonio, era in piena crisi isterica.
Non solo l’allergia le aveva rovinato brutalmente il viso angelico, rendendola più simile a una mucca stanca che a una giovane e fresca sposina, ma aveva anche scoperto che nell’ultimo mese aveva messo su ben tre chili, completamente trascurabili finchè non doveva chiudere la zip del suo abito nuziale.
Marius, giusto per non smentirsi, al primo starnuto aveva imitato Joly e si era infilato a letto, lamentando forti dolori in tutto il corpo e agitandosi più del dovuto nel terrore di non riuscire ad arrivare vivo al giorno del suo matrimonio.
Quell’atteggiamento, oltre ad aumentare il nervosismo della sua promessa sposa, aveva mandato in bestia Enjolras, che aveva passato gli ultimi venti giorni a buttare giù un dannato discorso che andasse bene anche a Courfeyrac: mentre il giovane Leader si dannava l’anima per scovare nella vita di Pontmercy episodi che potessero mettere in risalto il suo valore e la sua intelligenza, l’altro testimone insisteva affinchè si potesse citare almeno una volta una frase di Star Wars.
Per non parlare di quando aveva proposto come musica per il rinfresco la Marche Funèbre di Chopin.
- Courfeyrac, sii serio! – aveva sbraitato Enjolras per poi tirare su col naso, mentre tante piccole facce di Tony Stark lo fissavano strafottenti dallo sfondo giallo del cerottino di Courf.
- D’accordo, d’accordo, niente Chopin! Allora che ne dici di “The Rains of Castamere”? – aveva esclamato con un ghignetto.
Il biondo aveva alzato un sopracciglio, confuso, mentre Jehan ed Eponine si alzavano in piedi di scatto.
-Courfeyrac! – era stata la loro esclamazione, in viso un’aria sconvolta.
Il moro era scoppiato a ridere di gusto, ed Enjolras aveva rinunciato definitivamente ad avvalersi del suo aiuto nel dare una mano a Marius e Cosette a organizzare il ricevimento.
Quando quella sera aveva raccontato l’episodio a Grantaire, anche l’artista aveva sghignazzato divertito, ma il giovane Leader non era comunque stato capace di ottenere spiegazioni in merito, irritandosi ancora di più.
In conclusione, quell’inizio di Primavera non aveva fatto altro che portare scompiglio e isteria fra gli Amis de l’ABC.
L’unico che sembrava immune a cotanta sofferenza era Feuilly, che un giovedì sera aveva fatto irruzione al Musain inneggiando con gioia all’aumento di paga.
Tutto ciò che aveva ottenuo in cambio, però, era stato un grugnito sfinito da parte di Enjolras e uno strano mugolio proveniente dal cumulo di fazzoletti che nascondeva Combeferre.
Grantaire, intenerito, aveva deciso di dare corda all’amico, invitandolo fuori a pranzo il giorno dopo. Feuilly aveva accettato volentieri, ma una volta a tavola una vocina nella sua testa aveva iniziato a insultarlo per quella decisione.
- Credo che voglia lasciarmi. Onestamente c’era da aspettarselo, insomma… Lui è così… Così Enjorlas… Io non sono adatto per lui. Ha bisogno di qualcuno più… - si stava lamentando ormai da dieci minuti consecutivi.
L’operaio sospirò, fustigandosi mentalmente per avergli domandato come andassero le cose con il suo ragazzo.
- Grantaire, cerca di essere razionale… Il fatto che Enjolras non ti abbia ancora detto che ti ama non significa che voglia lasciarti! – tentò di farlo ragionare.
L’altro scosse la testa, buttando giù l’ennesima sorsata di vino.
- No, Feuilly, non capisci. – replicò, serissimo.
- Stiamo insieme da sette mesi, ormai. Il fatto che non me l’abbia detto nemmeno ancora una volta… Mai… - concluse, il tono di voce che si abbassava sempre di più fino a perdersi sul fondo del bicchiere.
Feuilly prese a giochicchiare distrattamente con il tovagliolo, piegandolo e ripiegandolo fino a trasformarlo in una piccola ranocchia di carta.
Quella discussione lo stava mettendo decisamente in imbarazzo: innanzitutto non è che lui fosse proprio un esperto in materia amorosa, insomma, il lavoro gli portava sempre un sacco di tempo e, quando non lavorava, trascorreva le sue giornate al Musain con gli altri. Per una frazione di secondo pensò che non gli sarebbe dispiaciuto conoscere una bella ragazza, una tipa tranquilla, innamorarsi, portarla al cinema…
Scosse la testa, consapevole che per un bel po’ ancora non avrebbe avuto alcun tempo da dedicare ad una fantomatica fidanzata, e tornò a concentrarsi sulle parole di Grantaire.
- Conosci Enjolras, esternare i suoi sentimenti lo terrifica. Non credo che si sarebbe mai permesso di darti speranze illusorie… - osservò, facendo appello a tutta la sua saggezza, ma specialmente a tutta la sua pazienza.
- Non disperare, vedrai che te lo dirà quando si sentirà pronto! – terminò con un grande sorriso.
Grantaire ricambiò con meno convinzione, ma per il momento si accontentò. Dopotutto erano le stesse parole che gli aveva dedicato Jehan quando, qualche giorno prima, avevano affrontato quell’argomento…
- Scusami, sto proprio diventando paranoico… - commentò con un ghigno amaro.
Feuilly fu abile a cambiare discorso, portando la conversazione sull’ultimo episodio di Supernatural che Courfeyrac gli aveva passato la settimana prima.
Il finale di stagione sarebbe uscito da lì a pochi giorni, e aveva un urgente bisogno di comunicare a qualcuno i suoi timori e le sue congetture. Inoltre aveva sentito dire che a Giugno ci sarebbe stato un mega raduno di fan di Doctor Who a Bastille ed era alla disperata ricerca di un’anima pia che lo accompagnasse: per quanto fosse una persona indipendente e bene organizzata, Feuilly odiava trascorrere il tempo libero da solo…
A quel punto, Grantaire aveva iniziato a sentirsi a disagio: non aveva mai avuto il coraggio di dirgli apertamente che a lui Doctor Who faceva proprio cagare; a suo avviso si salvava giusto l’episodio con Van Gogh, ma solo perché era Van Gogh…
Verso le due del pomeriggio i due amici si salutarono e l’incontro si concluse con un nulla di fatto: Feuilly non era di nuovo riuscito a trovare qualcuno che lo accompagnasse al raduno e Taire non aveva ottenuto nessun vero suggerimento in grado di sbloccare la situazione e togliergli quel fastidioso peso dal cuore.
Si rendeva conto di essere davvero esagerato, e sapeva perfettamente che, proprio come gli avevano detto Jehan e Feuilly, per Enjolras pronunciare le fatidiche parole era una vera impresa, tuttavia non riusciva a impedirsi di pensare che, se per il biondo manifestare il suo amore costituiva una tale fatica, forse il sentimento non era così profondo come lui avrebbe sperato.
Non che il suo Apollo fosse nei suoi confronti rigido e freddo, anzi! Quando voleva –e questa considerazione portò negli occhi dell’artista un guizzo malizioso- sapeva dimostrare tutto il suo ardore e la sua passione, ma la tenerezza… Quella era una cosa con cui Enjolras non riusciva proprio a relazionarsi.
Scosse la testa e tirò su col naso, l’infida allergia aveva alla fine colto anche lui…
Doveva smetterla. Quelle parole non dette non significavano niente.
Doveva dare fiducia ad Enjolras, e non forzarlo.
L’aveva detto lui, avrebbero fatto tutto con calma, e il suo ragazzo aveva bisogno di tempo.
Avrebbe dovuto avere ancora un po’ di pazienza, tutto qui…
Prima di tornare a casa si concesse una tranquilla passeggiata sul Lungosenna, alla ricerca di un po’ di ispirazione per i suoi lavori.
In facoltà stavano organizzando un’esposizione studentesca che si sarebbe tenuta a Luglio e lui, da bravo furbo, era riuscito a farsi incastrare. Adesso aveva poco più di quattro mesi di tempo per produrre dieci opere che rappresentassero la città, e non aveva assolutamente voglia di mettersi d’impegno.
Se non fosse stato per Jehan, l’unico a conoscenza della titanica impresa in cui era stato coinvolto, probabilmente non avrebbe nemmeno avuto idea di come, ma soprattutto da dove incominciare.
Il poeta gli aveva piazzato in mano un’edizione vecchia quanto il mondo dei Fleurs du Mal di Baudelaire aperta alla sezione “Tableaux Parisiens” e gli aveva sorriso radioso.
- Se non trovi ispirazione qui, non so dove altro potresti trovarla! – aveva esclamato, convinto di avergli offerto la soluzione a tutti i suoi problemi.
Grazie a Dio, in parte aveva avuto ragione, e Grantaire era riuscito a mettere insieme un vago progetto che potesse andare bene per l’esposizione.
Si era trovato così, sempre con l’aiuto di Prouvaire, a selezionare dieci poesie a cui abbinare le altrettante opere d’arte, a china, olio o acquerello. Finora ne aveva realizzate solamente tre e stava lavorando alla quarta, ma non era eccessivamente preoccupato. Dopotutto c’era ancora tempo…
Quel giorno il cielo era limpido e le prime rondini avevano iniziato a farsi vedere volteggiando grassocce e felici fra i rami degli alberi e i cartelloni pubblicitari.
Passando dal parvis di Notre Dame, come sempre affollato di turisti, si fermò una manciata di minuti ad osservare ammirato il lavoro degli artisti di strada, giocolieri, ballerini, musicisti e pittori all’opera per guadagnare qualche spicciolo.
Si ficcò una mano nelle profonde tasche dei pantaloni e ne cavò una manciata di euro che distribuì equamente fra i cappellini esposti.
Si sorprese a sorridere malinconico nel vedersi così, tranquillo e sereno mentre di fronte a lui giovani di ogni tipo davano il meglio per stupire i passanti.
Anche lui era stato uno di loro, un tempo. Anche lui aveva esposto un cappellino sudicio e sgualcito nella speranza di racimolare un po’ di denaro.
Ma era passato molto tempo, e a volte gli sembrava che quei giorni fossero solo il residuo di un incubo, sfumato e ovattato come quando alla mattina l’odore di caffè soffocava i rimasugli dei sogni più sbiaditi.
Tornò a casa in metropolitana, nonostante la bella giornata gli avrebbe concesso tranquillamente di rimanere all’aria aperta. Gli sarebbe piaciuto poter continuare la sua passeggiata, ma si era ripromesso di andare un po’ avanti con “Le Cygne”, la quarta tavola per l’esposizione, e più tardi sarebbe dovuto passare a fare la spesa, prima di andare a casa di Enjolras.
Fu così che, fra una pennellata e l’altra e il tempo di una doccia veloce, il sole prese a scendere quieto calandosi dai profili delle chiese che punteggiavano l’orizzonte, e Grantaire si ricordò che il Carrefour di Pigalle chiudeva alle sette e che se non si fosse sbrigato quella sera avrebbero tranquillamente potuto saltare pasto.
Quando arrivò a casa del suo Apollo, ormai, il tramonto stava lanciando i suoi ultimi bagliori prima di concedersi definitivamente agli abbracci della notte.
Infilò le chiavi nella toppa e annunciò il suo arrivo con un “sono a casa!” canzonatorio, sorridendo intenerito di fronte all’immagine del suo ragazzo sdraiato a faccia in giù sul tavolo in cucina.
Si avvicinò di soppiatto, poggiando le buste della spesa accanto al piano cottura.
Dormiva. Dormiva come un sasso.
Sotto le sue braccia incrociate se ne stava uno degli spessi e noiosi libri di scuola, accompagnato da una pila di fogli recanti schemi e appunti di varia natura.
Sapeva che prima o poi sarebbe crollato: fra l’allergia, gli esami e il matrimonio, nell’ultimo mese non aveva avuto un attimo di tregua.
Indeciso se svegliarlo o meno, rimase incantato ad osservare il suo viso sereno, le palpebre appena arrossate e le ciglia lunghe che sfioravano le guance. I riccioli biondi gli ricadevano morbidi sulla fronte e le labbra appena socchiuse ricordavano quelle degli angeli.
Grantaire sarebbe rimasto ad ammirarlo per sempre, ma improvvisamente le palpebre del giovane leader si sollevarono, mostrando un paio di stupiti e assonnati occhi azzurri.
- Ti prego, non dirmi che mi sono addormentato. – mugugnò, la voce ancora impastata dal sonno.
In tutta risposta l’artista andò a posare delicatamente le labbra sulle sue, svegliandolo una volta per tutte.
- Com’è andata oggi? – gli chiese invece, cercando di trattenere le risate di fronte alla sua espressione afflitta nel rendersi conto che sì, si era effettvamente addormentato sui libri.
Enjolras si strofinò gli occhi e si passò una mano fra i capelli, scuotendo la testa per scacciare il sonno.
- Come al solito. Pontmercy non da segni di guarigione, Eponine è scappata con Cosette prima che potesse esplodere e Courfeyrac non è d’aiuto. L’unico che si salva è Prouvaire. – esalò, impilando i suoi fogli e portando i libri in camera da letto, dove li abbandonò con un tonfo sulla scrivania.
-  Spero che la tua giornata sia stata migliore… Come sta Feuilly? – domandò poi, sperando di ricevere un resoconto più allegro della sua giornata.
Grantaire rise e incominciò a preparare la cena.
- Ha di nuovo cercato di invitarmi a uno di quei suoi raduni. – incominciò, il ghigno che si apriva sempre di più sul suo volto nel notare come Enjolras avesse fatto roteare gli occhi.
- Capirà mai che quel telefilm non piace a nessuno? –
Enjolras era stato l’unico, nel corso degli anni, che avesse osato accompagnare Feuilly ad un raduno di appassionati di Doctor Who. Dopotutto era un suo amico, e abbandonarlo gli sembrava una cosa oltremodo maleducata.
Quando però si era trovato a tu per tu con decine e decine di strani individui vestiti in modi improbabili ed era stato quasi attaccato da una ragazza che brandiva una sorta di cacciavite spaziale o come diamine si chiamava, aveva solennemente giurato a se stesso che non si sarebbe mai più fatto trascinare in una simile follia.
Grantaire si strinse nelle spalle.
- C’è chi ama Doctor Who, c’è chi ama la Francia… - buttò lì, pronto ad incassare l’occhiataccia del biondo.
Quello tentò di incenerirlo con lo sguardo, ma un poderoso starnuto lo colse a metà dell’impresa, rendendo la sue espressione dannatamente ridicola.
- Ti odio… - mugolò, mentre il suo ragazzo sghignazzava senza ritegno.
Dopo cena, troppo stanchi anche solo per pensare, si arenarono sul divano a guardare la tv. Fecero zapping per una mezz’ora buona, alla ricerca di qualcosa di passabile, poi Enjolras individuò un documentario su France Libre e non ci fu più verso di cambiare canale.
Solo quando si risvegliarono entrambi verso le due di notte, convennero che forse era giunto il momento di abbandonare il divano e spostarsi in camera da letto, dove pile di pacchetti di fazzoletti e scatole vuote di cerottini nasali spacciati da Joly li attendevano abbarbicati ai comodini.
Senza accennare a ridestrasi dal loro stato comatoso, quindi, scivolarono sotto le coperte e crollarono nuovamente, abbracciati l’uno all’altro alla ricerca di un po’ di calore.
Il mattino dopo, quando Grantaire si svegliò solleticato da un fastidiosissimo raggio di sole, la parte di letto accanto a lui era vuota.
Lanciò un’occhiata alla radiosveglia rigorosamente rossa pogiata sul comodino di Enjolras e sospirò: erano le nove, forse era il caso di alzarsi.
Infilò una maglietta a casaccio emersa dal suo cassetto e, ancora in boxer, apparve in cucina strascicando i piedi.
Enjolras se ne stava seduto a tavola, un’espressione accigliata e il tablet stretto fra le mani.
- Buongiorno, Apollo… - gli sussurrò all’orecchio abbracciandolo da dietro.
Il ragazzo voltò il capo quel tanto che bastava per posargli un leggero bacio a fior di labbra.
- Buono fino a un certo punto. Altri tagli all’istruzione… - commentò indicando la pagina web del giornale caricata sul suo tablet.
L’artista sbirciò da oltre la sua spalla e lesse rapidamente l’occhiello.
Storse il naso e fece spallucce.
- Lo sai come funziona, a quelli non frega niente delle nuove generazioni. E’ sempre stato così, l’ignoranza del popolo è la loro ricchezza. Ma tanto c’è poco da fare… -
Enjolras si alzò in piedi scuotendo la testa con veemenza e andò a controllare la caffettiera che aveva messo sul fuoco per Grantaire.
- Ci sarà sempre poco da fare finchè la gente non scenderà in piazza a pretendere ciò che le spetta di diritto! Bisogna che il popolo si renda conto del suo potenziale, bisogna che le persone trovino la forza di guardare oltre alle menzogne del Governo! – si infiammò, interrompendo il suo monologo subito dopo.
- Ah, ma che te lo dico a fare… - si arrese, sedendosi di fronte a lui.
- Intanto non cederai mai, tu. Non c’è modo di farti credere in qualcosa… - lo rimproverò lievemente, una nota di amarezza appena accennata nella voce.
Lo scettico sorrise e si versò il caffè in una tazzina, tornando a tavola e sbocconcellando un biscotto al cioccolato.
- Io credo in te, Apollo. – cantilenò come ogni mattina, come ogni giorno, come ogni singolo istante nella loro quotidianità.
Enjolras alzò gli occhi al cielo e si diresse verso il lavandino con l’intenzione di lavare la tazzina in cui aveva consumato il suo cappuccino.
Probabilmente il suo intento era stato quello di apparire seccato, ma Grantaire era riuscito a scorgere l’ombra di un sorriso sulle sue labbra: sapeva che, anche se non ne avrebbe mai colto appieno il significato, Enjolras era felice di sentirsi rivolgere quelle parole.
Seguirono alcuni momenti di religioso silenzio, interrotto solamente dal rumore dell’acqua che cadeva sulle stoviglie e dallo strofinio della spugnetta contro il bordo della tazza.
Era strana, la loro relazione.
Per certi versi non era cambiato nulla rispetto a quando ancora dovevano partire per Firenze.
Spesso non si capivano, e il fatto che adesso facessero coppia fissa non impediva loro di battibeccare in continuazione sui soliti argomenti. In più, Grantaire non aveva perso il vizio né il gusto di infastidire il suo Leader, punzecchiandolo ogniqualvolta se ne presentasse l’occasione.
Enjolras, dal canto suo, non aveva affatto sviluppato il suo scarso senso dell’umorismo, e impiegava sempre un’eternità per capire che dietro alle frecciatine del compagno si celavano in realtà semplici ed innocenti scherzetti.
Eppure, così diversi e dannatamente incompatibili, contro ogni previsione, avevano dimostrato di funzionare.
Erano agli antipodi, sì, ma si completavano. Si rispettavano. Si amavano.
E davvero non serviva altro.
- Grantaire? – lo chiamò Enjolras senza tuttavia interrompere quello che stavva facendo, giusto per essere sicuro di aver attirato la sua attenzione.
- Mh? – replicò quello, intento a sorseggiare quel che restava del suo caffè.
Fu rapido, semplice, indolore.
Così spontaneo, così naturale, che quasi passò inosservato.
- Ti amo. –
Grantaire annuì distrattamente, poi, in un secondo momento, recepì davvero il senso della frase.
Successe tutto nell’arco di un secondo: strabuzzò gli occhi, la gola gli si chiuse, il caffè gli andò di traverso.
Prese a tossire senza ritengno, sputando la colazione sul tavolo per non soffocare.
Enjolras, spaventato, si voltò di scatto e corse al suo capezzale, battendogli un paio di pacche sulla schiena.
- Hey, tutto bene?! – domandò, preoccupato.
Il ragazzo attese di essere tornato ad un colorito normale e ad una respirazione regolare, poi, sempre ad occhi sgranati, tentò di dargli una risposta.
- L’hai detto davvero? – domandò.
Enjolras aggrottò le sopracciglia.
- Come, scusa? –
- L’hai detto davvero o me lo sono sognato? Che cosa hai detto? – incalzò, ben deciso a capire se ormai aveva completamente perso il cervello o se quella non era stata un allucinazione e Enjolras aveva seriamente pronunicato le fatidiche parole.
- Ho… ho detto che ti amo… - balbettò, arrossendo appena di fronte all’obbligo di ripetere.
Il volto di Grantaire si trasfigurò.
Le labbra si tesero in uno dei suoi sorrisi più belli, gli occhi azzurri sempre così cupi erano ora più luminosi di un cielo d’estate.
Senza proferire parola, gettò le braccia al collo del suo ragazzo, con il solo risultato di piombare entrambi per terra.
- Grantaire, ma cosa diamine?! – esclamò Enjolras, sconvolto da quella reazione.
- Dio, Apollo, credevo che… Ah, oggi è una giornata bellissima! Ti amo, ti amo anche io, Apollo! Ti amo tantissimo! –
Il rivoluzionario divenne di un adorabile rosso accesso; questa volta fu il suo turno di sgranare gli occhi.
- Taire, ti… ti prego, non è il caso di… - ma commise il terribile errore di guardarlo in viso, e la gioia che riuscì a scorgervi lo fece arrossire ancora di più.
- Cos’è, non te l’avevo mai detto, forse? – tentò di scherzare, spiazzato da quella reazione.
Grantaire lo lasciò andare e si sedette sul pavimento, di fronte a lui.
- In effetti no… - commentò candidamente, il sorriso che non accennava ad andarsene.
Enjolras si fece serio di colpo, per poi assumere l’espressione stupita di un bambino che si rende conto di essersi dimenticato di una qualche festa importante.
- Davvero? – domandò, nel tono una sfumatura infantile che fece completamente impazzire Grantaire.
Quanto era stato stupido, quanto era stato paranoico. Come aveva potuto pensare anche per un solo momento che il suo Apollo avrebbe potuto lasciarlo?
Ah, Dio, quanto era bello, con gli occhi spalancati di stupore e la testa appena inclinata…
Senza pensare, lo prese per la nuca e avvicinò le labbra alle sue, in un bacio tutto fuorchè inibito.
- Davvero. – commentò con un ghignetto malizioso.
- Ma c’è sempre tempo per recuperare…. –
Enjolras non se lo fece ripetere due volte, appropriandosi delle sue labbra e infilandogli le mani sotto la maglietta, come se non avesse atteso altro per tutta la mattina.
Sorrise contro il respiro di Grantaire, scuotendo la testa divertito.
- Ti amo… - sussurrò di nuovo, nella sua voce un desiderio che li indusse ad abbandonare la cucina sposatandosi in camera, dove il letto ancora sfatto li accolse nel silenzio del sabato mattina.
E, presi com’erano dalla potenza del loro sentimento, dalla gioia di quella riscoperta, da quel turbinio di emozioni che non sembrava volergli dare tregua, non si accorsero nemmeno che in cucina avevano lasciato il rubinetto aperto...
 









 
Note:

Chissà perchè sento la mia vita in pericolo...

Salve a tutti! Inizio col dire che sono un pessimo essere umano -ormai sto iniziando ad essere ripetitiva, vero?-
Potrei addurre la scusa degli esami, o del lavoro, o di altri tre miliardi di cose, ma sarebbero tutte balle.
La vera verità(?) è che ho scoperto di soffrire della temibile Sindrome dei Tre Quarti: tutte le volte che raggiungo i tre quarti di una storia cado in crisi di ispirazione e non riesco a proseguire.
Sembrerà un'immensa bugia, ma mi era già successo con TAUM, e se anche questa volta non ci fosse stata Ame a rompermi i coglioni ricordarmi con adorabile solerzia i miei compiti, a quest'ora sarei ancora a fissare il foglio bianco di Word lamentandomi della vita.
Ma ora basta giustificazioni e passiamop al capitolo!
Boh, provo un'immensa pena poer Feuilly, piccino.
Perchè nessuno lo vuole mai accompagnare ai raduni?! Ma non disperate, per lui abbiamo in mente un futuro radioso e... Okay, è già considerato spoiler, sto zitta... xD
Ma Grantaire, oh, Grantaire, piccolo complessato...
Se ve lo state chiedendo no, non smetterà mai di farsi le paranoie riguardo alla sua relazione con Enjolras. Ma come dargli torto, in sette mesi mai un misero "ti amo"...
Il problema è che il nostro Leader è stordito, ecco cosa. Ma ve la immagionate la loro faccia da cuccioli mentre se ne stanno spalmati sul pavimento? Boh, basta, sto fangirlando troppo.
Bene, direi che per questo giro ho già sproloquiato a sufficienza... 
Il prossimo capitolo -per il quale a questo punto non mi azzardo a dare una data di pubblicazione ufficiale xD- sarà il capitolo conclusivo di Step by Step, ma non disperate! 
Le avventure degli Amis non finiscono certo qui! Abbiamo in mente per loro moooolte altre avventure! <3

Ps: per il prossimo capitolo vi consigliamo di dare una letta a Place de la Bastille, che abbiamo pubblicato qualche tempo fa: vi godrete molto meglio il finale! :D

Come sempre un grazie infinito a chi legge/recensisce/preferisce/segue/blabla...
Siete delle persone bellissime e vi amiamo e me ne frego se siamo ripetitive, non smetteremo mai di dirvelo! <3 

Au revoir et Vive la France!
Ame&Koori

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Capitolo 4
*** Capitolo IV__Convivenza ***






Capitolo IV__Convivenza








Se c’era una cosa di cui Alexandre Frédéric Enjolras era fermamente convinto, era l’estrema, sadica e vagamente diabolica crudeltà delle sessioni estive.
Quell’anno, accidenti a lui, aveva calcolato male i tempi, e per la prima volta nella sua vita si era ritrovato l’estate occupata dagli esami.
Addio ferie, addio relax, addio tutto.
Se solo pensava che l’anno prima, a quell’ora, si trovava probabilmente nella meravigliosa Biblioteca Laurenziana di Firenze, quasi gli veniva da piangere.
Adesso gli unici libri di cui poteva permettersi di circondarsi erano gli odiosi manuali scolastici, grigi e pieni di nozioni inutili che avrebbe volentieri ignorato.
Non che ad Enjolras non piacesse studiare, intendiamoci, ma dover piegare la schiena sui libri, sottolineare, riassumere e ripetere al dodici di Agosto, con la colonnina di mercurio che toccava i trentacinque gradi e il tasso di umidità al settantotto percento, non era proprio il massimo.
Se non altro, almeno, anche i suoi amici si erano visti costretti a rimanere a Parigi durante l’estate.
Joly, impegnato con la Tesi, passava più tempo in biblioteca che all’aria aperta, Bossuet aveva finalmente trovato un lavoro decente come cassiere part-time in un supermercato, e entrambi avevano deciso di rinunciare alle vacanze per mettere da parte un po’ di soldi.
Stessa cosa per Ferre e Ponine che, progettando di andare a San Pietroburgo nelle vacanze di Natale, avevano lasciato perdere quelle estive.
Marius e Cosette erano andati una settimana in Grecia, ma si era risolto tutto lì, ed erano rientrati ustionati e felici come da pronostico per dedicarsi alla loro casetta piena di fiori e piantine colorate: Cosette adorava il giardinaggio, e Jehan non disdegnava mai di darle una mano a curare il piccolo e rigoglioso cortiletto.
Gli unici che si erano goduti un po’ di meritata vacanza, alla fine, erano stati proprio il poeta e Courfeyrac, che erano fuggiti dalla canicola per rintanarsi un mese nella tenuta di Nonna Courf, sulle selvagge e decisamente più ventilate coste Bretoni.
Certo, il Centro aveva subito una batosta colossale nello scoprire che sua sorella gli aveva dato buca all’ultimo minuto fiondandosi a Ibiza con un’amica, ma aveva prontamente sopperito all’assenza invitando Bahorel e Feuilly, che si erano presentati per una decina di giorni.
Inutile dire che se l’amabile vecchina non avesse avuto la tempra indistruttibile e festaiola dei Courfeyrac avrebbe certamente cacciato di casa a calci nel sedere tutti e quattro già al secondo giorno di permanenza…
Insomma, a parte qualche caso isolato, si poteva dire che quell’estate non sarebbe certo passata alla storia come una delle estati più mirabolanti di sempre.
Dopotutto ci sarebbe voluto un vero cataclisma per superare in epicità ciò che era successo a Firenze…
Sopraffatto dal caldo, Enjolras allungò una mano fino al cartoccio di succo di mela, scoprendo con disappunto che vi aveva dato fondo verso la fine del capitolo sette.
Sbuffò infastidito e si alzò, strisciando verso il frigo alla ricerca di un po’ di frescura.
Aperta l’anta, però, si accorse con orrore che le riserve idriche erano finite.
Niente bottiglie d’acqua, niente cartocci di latte, niente brick di succhi o damigiane da litro di Coca Cola.
Niente di niente.
Avrebbe dovuto fare la spesa.
Fece dietrofront diretto al tavolo della cucina, ma la vista dei libri di Morale impilati uno sopra l’altro gli fece mancare il fiato, causandogli un pincipio di crisi isterica.
Faceva troppo caldo.
Troppo, dannato, schifossissimo e lurido caldo affinchè una persona umana potesse concepire di resistere sui libri –peraltro incomprensibili- con i capelli tutti appiccicati al collo e le mosche che ronzavano dispettose qua e là.
Dannazione, odiava l’estate!
Trasse un profondo sospiro  nel tentativo di calmarsi e rinunciò definitivamente a proseguire con lo studio.
Basta, per quella mattina aveva fatto anche troppo.
Si fiondò sotto la doccia, accogliendo con piacere indescrivibile il getto d’acqua ghiacciata che lo investì in pieno, raffreddando i bollori e portando un po’ di quiete nei suoi pensieri.
C’era effettivamente troppo caldo per continuare a studiare, e poi era avanti di tre capitoli sulla tabella di marcia, avrebbe potuto concedersi un pomeriggio di pausa. Come se non bastasse era quasi ora di pranzo, avrebbe dovuto organizzare qualcosa…
Ma sì, un po’ di sano riposo non gli avrebbe certo fatto male.
Sciacquatosi di dosso il sapone, uscì a malincuore dalla doccia, un asciugamano candido legato in vita alla bell’e meglio.
Fu così che accolse Grantaire di ritorno dal suo appartamento.
- Sono tornato! – lo sentì urlacchiare nell’ingresso.
Gli andò incontro e lo salutò con un sorriso sfiancato.
- Basta, Apollo… Tutta quella Filosofia Morale ti trasformerà in un maniaco omicida… - considerò.
- Ti ricordi in che condizioni aveva affrontato l’esame Ferre? – cercò di farlo ragionare riportandogli alla mente la settimana di totale nevrosi di cui la Guida era stato vittima alla vigilia dell’esame.
E se uno come Combeferre era andato in crisi, una qualsiasi persona normale avrebbe dovuto approcciarsi a quei libri con estrema cautela.
- Non me ne parlare. Nemmeno studiando sui suoi appunti riesco a venirne a capo. Il professore è un pazzo. Un pazzo! Non sono nemmeno sicuro che la lingua che parla sia Francese! – piagnucolò, terrorizzato dall’idea di ridursi come il suo migliore amico.
- Dai retta a me… - incominciò Grantaire, circondandogli il collo ancora bagnato con le braccia.
- Sospendi per un paio di giorni e riposati un po’… - e prima che il biondo potesse azzardarsi a replicare gli impegnò e labbra in un bacio lento e inebriante.
Quando però il suo Apollo lo prese per la vita nel tentativo di attirarlo più a sé, Grantaire emise un grido di dolore che fece fare al biondo un balzo indietro.
- Cosa c’è? Cosa succede? – domandò, terrorizzato.
Grantaire scoppiò a ridere, sollevando piano la maglietta per mostrare con orgoglio un gigantesco cerotto bianco.
Quella visione provocò in Enjolras una bizzara e divertente serie di reazioni: sgranò gli occhi, impallidì, aprì la bocca e la richiuse, poi allungò una mano in avanti e deglutì, per lasciare infine libero sfogo ai suoi timori.
- Santa Patria! Cosa ti è successo? Sei caduto in bici? Ti hanno investito? Non sarai mica finito in una rissa, vero? Cos’è, una coltellata? Dio, Grantaire, parla! Cosa è successo?! – snocciolò senza nemmeno prendere fiato fra una parola e l’altra, livido di terrore.
In tutta risposta lo scettico rise di nuovo, una risata così profonda e sentita da fargli venire le lacrime agli occhi.
- Calma, calma! Non mi è successo niente! Ho solo fatto un tatuaggio!– spiegò, in preda all’ilarità più totale.
Il viso di Enjolras si fece improvvisamente cupo.
- Un tatuaggio. – constatò, atono.
- Tu mi hai fatto venire un colpo per un semplice, misero, stupido tatuaggio. – continuò, questa volta decisamente lugubre.
- Non è un “semplice, misero, stupido tatuaggio”! – esclamò il ragazzo, offeso.
- E’ da quando ho quindici anni che me ne voglio fare uno, e adesso che ero riuscito a mettere da parte un discreto gruzzolo ho pensato di approfittarne… - spiegò poi, gettando un’occhiata oltre la sua spalla destra per sbirciare l’immenso cerotto.
Enjolras sbuffò, le braccia conserte.
- Mh, come vuoi. – borbottò, facendosi violenza per non limitare la libertà del compagno: tutti sapevano quanto il Leader degli Amis fosse contrario ai tatuaggi.
- E di grazia, cosa ti saresti fatto tatuare? – domandò, cercando di fingersi interessato.
Le labbra di Grantaire si tesero in un ghignetto birichino che lo fece sbuffare: quando si esibiva in espressioni simili non poteva significare nulla di buono.
L’artista solevò un poco il cerotto, trattenendo piccoli sbuffi di dolore.
- Vieni, dai, che fa un male cane! – lo esortò, voltandosi di schiena affinchè potesse vedere meglio l’opera d’arte impressa sulla sua pelle.
Enjolras si sporse in avanti e diede un’occhiata sotto al cerotto: vergate in un inchiostro scuro, eleganti nella loro calligrafia semplice ma scenica, se ne stavano intrecciate fra loro sei semplice lettere.
Una a, una p, una o, due l e un’altra o.

Apollo.


A p o l l o.


- Ti sei fatto tatuare il mio nome su una natica?! – sbraitò, paonazzo.
Grantaire rimise a posto il cerotto e abbassò la maglietta, alzando l’indice in un gesto vagamente saccente.
- Tecnicamente è ancora sulla schiena! E poi non è il tuo nome, Signor Sono-il-Centro-de-Mondo. Mai sentito parlare del dio greco delle Arti? – cinguettò, volutamente provocatorio, con il solo risultato di farlo avvampare ancora di più.
- Vabbè, si, è che credevo… - balbettò quello, imbarazzatissimo e ferito nell’orgoglio.
- Se vuoi però possiamo far finta che sia il tuo nome… - gli sussurrò poi nell’orecchio, lasciandolo di stucco e dirigendosi tranquillo verso la cucina.
Questa volta, però, fu il suo turno di fermarsi, bloccato da un urlo ancestrale.
- NO! – gridò Enjolras, uno scatto degno di un centometrista con il solo intento di precederlo e bloccargli l’accesso alla stanza.
- Come, scusa? – domandò Grantaire, composto nel suo stupore.
- Non puoi entrare. – replicò il padrone di casa, che aveva ricominciato a sudare in maniera imbarazzante.
- E perché mai? –
Quel comportamento era decisamente strano…
- Perché… Perché ci sono i libri. – balbettò, a corto di argomenti.
- Apollo, il tatutaggio ti ha sconvolto così tanto? – scherzò il suo ragazzo nel muovere qualche altro passo verso la cucina.
Enjolras fu più svelto di lui, e si insinuò nella stanza fiondandosi a coprire il tavolo con il suo corpo, mentre raccattava freneticamente libri, appunti e foglietti sparsi, piegando in due il giornale e infilandolo nel manuale per poi fuggire.
- Non guardare! Se guardi ti strozzo! NON GUARDARE! – sbraitò, chiudendosi alle spalle la porta di camera sua con un gran tonfo.
Grantaire rimase immobile sulla porta della cucina, sconvolto e vagamente interdetto da quel comportamento.
- Boh… - borbottò, incapace di darsi una spiegazione. Fece spallucce, poi aprì il frigo, ben deciso a preparare un pranzetto coi fiocchi.
Nel frattempo, nella penombra della camera da letto, Enjolras cercava di recuperare una respirazione regolare.
Quella volta aveva rischiato veramente grosso…
Si cambiò velocemente e ripose i libri nell’armadio.
Prese fra le mani il giornale e lasciò che il suo sguardo scivolasse sui cerchi rossi attorno agli annunci delle case in vendita, poi lo piegò di nuovo e lo nascose in un cassetto della scrivania che si premurò di chiudere a chiave.
Era passato quasi un mese da quando, il giorno della Presa della Bastiglia, ne aveva discusso con Combeferre e Courfeyrac.
Quel pomeriggio lo avevano passato a distribuire volantini e coccardine tricolore, perché, insomma, quale giorno migliore del 14 Luglio per portare avanti la Causa?
Stravolti, erano passati a casa di Ferre per cambiarsi e farsi una doccia prima di incontrare gli altri a Bastille e andare a vedere insieme i fuochi d’artificio.
Era stato quando anche Courfeyrac, dopo venti minuti contati, si era finalmente degnato di uscire dalla doccia, che al povero Enjolras era spettato il terzo grado.
- Allora? Si può sapere qual è il problema? – aveva chiesto Combeferre, le mani sui fianchi nel suo solito atteggiamento di mamma indagatrice.
- Cosa? Io non ho nessun problema! – aveva sbottato lui, negando come sempre l’evidenza.
A quel punto Courfeyrac si era seduto sulle sue ginocchia con aria da diva, prima che l’amico se lo scrollasse di dosso.
- Andiamo, Enjy! E’ da quando tuo padre ti ha impedito di venire al corteo in terza media che non sei così cupo il Giorno della Bastiglia! –
Il ragazzo si era alzato in piedi e, incrociando le braccia al petto, aveva preso a camminare verso la finestra del piccolo balconcino di Ferre.
- E se fossero affari di cui non voglio parlarvi? – solo quando il silenzio che aveva seguito la sua frase aveva iniziato a farsi preoccupantemente pesante si era voltato.
I suoi amici lo stavano guardando come se avessero dovuto saltargli addosso e prenderlo a sberle da un momento all’altro.
- Oh, d’accordo! Come volete voi! Si tratta di Grantaire! – aveva confessato, consapevole di non poter mantenere il segreto ancora a lungo.
- Grantaire?! – aveva esclamato Combeferre, preoccupato.
- Che succede? Le cose fra voi non vanno più? – era stato il turno di Courf, melodrammaticamente e sinceramente preoccupato.
Enjolras aveva scosso la testa, prorompendo in un profondo sospiro.
- No, affatto… E’ che… Non ditelo a nessuno, è solamente un’idea, ma… Stavo pensando di proporgli di andare a convivere. –
Le urla di giubilo che si erano alzate nel piccolo appartamento erano state sufficienti a fargli capire che aveva l’appoggio dei suoi amici.
Così, in quell’ultimo mese, aveva scartabellato decine e decine di giornali alla ricerca dell’appartamento giusto, senza tuttavia ottenere gran risultati.
Insomma, aveva trovato qualcosa di suo gusto, sì, ma se a Grantaire le scelte non fossero piaciute? Se non gli fosse piaciuta l’idea e basta?
Da quando aveva preso quella decisione, infatti, il Leader non si era azzardato a farne parola con il suo ragazzo, terrorizzato dall’eventualità di un rifiuto.
Adesso però era giunto il momento di smetterla di comportarsi come un bambino e affrontare la vita a testa alta.
Aveva preso una decisione? Bene, ora però doveva andare fino in fondo.
Trasse un profondo sospiro e uscì da camera sua, spalancando la porta della cucina con un’espressione così seria da sembrare quasi arrabbiato.
- Taire, dobbiamo parlare. – esordì.
Il moro sbiancò, lasciando i fornelli e barcollando fino a una sedia.
- D’accordo… Di-dimmi… - balbettò, senza immaginare nemmeno lontanamente dove quella conversazione li avrebbe condotti.
Nulla che incomincia per “dobbiamo parlare”, però, ha mai un risvolto positivo, e questa verità universalmente riconosciuta lo mandò in panico.
Enjolras rimase in piedi, cercando le parole.
- Questa casa è troppo piccola per due persone. Non… non si può più vivere così. – provò.
Grantaire si sentì svenire.
Lo stava scaricando.
Così, senza motivo, con la più assurda delle scuse.
Lo stava scaricando.
- Io… Enjolras, io… - esalò, avvinghiato al tavolo per contenere i sentimenti devastanti che si stavano impossessando di lui.
Non era pronto. Non era assolutamente pronto.
Deglutì, non voleva che lo vedesse piangere.
- Ed è assurdo che tu debba fare avanti e indietro fino a casa tua quando hai voglia di dipingere… e continuare a pagare l’affitto quando praticamente ormai sei sempre qui, e insomma… -
Il groppo in gola che si era formato a mano a mano che Enjolras parlava svanì lentamente.
Quello non sembrava esattamente un discorso architettato per mollarlo.
Anzi.
Assomigliava quasi al voler gettare le basi di qualcosa di più solido.
No. Un momento. Che avesse frainteso tutto?
- Apollo… Dove… dove vuoi andare a parare? – domandò in un soffio.
Il biondo buttò l’aria fuori dai polmoni e si passò una mano fra i riccioli, lo sguardo puntato a qualsiasi cosa non fossero gli occhi del suo ragazzo.
- Sto… sto cercando di proporti di andare a vivere insieme. Davvero. In una casa nostra. – si decise a proporre tutto d’un fiato.
- Non è vero. – replicò di getto Grantaire.
- Cosa?! –
- Non me lo stai chiedendo davvero. Sono io che me lo sogno. Non me lo stai chiedendo davvero. – spiegò, sulle labbra un sorrisetto ebete.
- Beh, sì, ormai è un anno che stiamo insieme e… Aspetta. Vuol dire che per te andrebbe bene? – si azzardò a domandare, teso come la corda di un violino.
In tutta risposta Grantaire si alzò in piedi e lo baciò con un trasporto tale che Enjolras ebbe quasi le vertigini.
- Portami dove vuoi, ti seguirei anche nella peggiore bettola di Saint Denis… - sussurrò contro le sue labbra, mentre il soffritto iniziava a sfrigolare nella padella.
Enjolras scoppiò a ridere, una di quelle sue risate spontanee, profonde e così rare da vedersi sul suo viso.
Abbracciò il compagno di slancio, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
Quanto si sentiva leggero, quanto si sentiva potente!
Con Grantaire al suo fianco avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, nulla ormai avrebbe più potuto fargli rimpiangere la vita aspra e solitaria che conduceva prima di tutto quello.
- Ti amo, Tristan Grantaire… - sussurrò, sentendo i suoi battiti accelerare al ritmo di quelli dell’artista.
D’ora in avanti nulla avrebbe potuto fermarli.
 














 
I mesi erano passati, il caldo torrido dell’estate spazzato via dal venticello frizzante dell’autunno e dalle pesanti nevicate invernali.
Dicembre aveva infine bussato alla porta, recando con sé un manto di neve candida che aveva come immerso la città in un’atmosfera fiabesca.
Grantaire e Enjolras si erano trasferiti nel loro nuovo appartamento da una decina di giorni, e avevano ancora scatoloni e scatoloni di cose da sistemare.
- Taire, aiuto! –
Il moro accorse al salvataggio, liberando Enjolras di una pila di scatoloni che minacciava di piombargli dritta in testa mentre sistemava uno degli armadi.
- Quelli potresti metterli nello studio, per favore? – domandò indicando con un cenno della testa i tre scatoloni in cima alla pila.
Grantaire annuì e li sistemò meglio fra le braccia, bilanciando il peso per non venirne sopraffatto.
- Una domanda sola, Apollo. Perché vuoi mettere degli scatoloni colmi di pietre nello studio? – fece, ironico.
- Non sono pietre! –
- Cadaveri? – ritentò, lasciandoli cadere pesantemente sulla scrivania.
- Sono agende! – gridò Enjolras per farsi sentire dalla stanza accanto.
Agende? Cosa se ne faceva di tre scatoloni colmi di agende rigorosamente rosse?
L’artista ne raccolse una e se la rigirò fra le mani, incuriosito da quella bizzarra scoperta.
- Le uso per annotare tutti i progressi che otteniamo con la Causa! – spiegò il biondo, facendo capolino dalla porta e muovendo qualche passo verso la scrivania.
- Ho incominciato in seconda media e, beh… Insomma, sappiamo tutti quanto io abbia bisogno di scrivere per fare ordine in testa… - fece, un poco imbarazzato, mentre l’altro apriva l’agenda alla prima pagina e spalancava gli occhi, come pietrificato da chissà quale visione.
Enjolras non fece caso al turbamento nel compagno, né alla sua respirazione ora leggermente affannata. Semplicemente gli prese l’agenda dalle mani e diede un’occhiata, sorridendo dolcemente nel riconoscere la prima di una lunga serie.
- Ricordo ancora la notte in cui la rubai dall’ufficio di mio padre… - sussurrò, rivolto più a sé stesso che a Grantaire.
A quel punto un cartoncino rettangolare appiccicato alla prima pagina si scollò e volò per terra, adagiandosi ai piedi del Leader.
Quello lo raccolse, guardando con affetto la riproduzione un po’ infantile di Place de la Bastille in una giornata di sole.
- L’ha fatta un ragazzino a Notre Dame. Era davvero bravo… - ricordò a mezza voce.
- Chiedeva l’elemosina. Lui, che aveva su per giù la mia età, era costretto per chissà quale motivo a chiedere l’elemosina, mentre io, Courf e Ferre stavamo andando al cinema! E’ grazie a quel ragazzo se ora esistono gli Amis de l’ABC, è lui che mi ha  fatto capire che bisognava fare qualcosa per cambiare il sistema… - continuò a raccontare nel silenzio dello studiolo, la luce biancastra del pomeriggio nevoso ad accarezzargli gli zigomi.
- Non so nemmeno come si chiama… - concluse con una punta di rammarico voltando il disegno e vagando con lo sguardo alla ricerca della sigla dell’autore.
- Forse io lo so… - sentì sussurrare Grantaire, la voce appena incrinata da un sentimento che non seppe riconoscere.
Fu in quel momento che la vide.
Era scarabocchiata nell’angolo in basso a destra, sbiadita dal tempo e dalla colla.
Piccola, tremolante, quasi non avesse avuto alcuna importanza.
R.
Alzò lo sguardo di scatto, e improvvisamente ricordò gli occhi azzurri di quel ragazzino, occhi così tanto abituati alla disperazione da rifulgere come il sole per la gioia scaturita da un semplice atto di carità, di giustizia.
Occhi che adesso lo stavano guardando increduli, adombrati ogni tanto da quei ricci scuri che ormai aveva imparato a conoscere.
- Se te lo stai chiedendo, no, non sono uno stalker, giuro! – scherzò Grantaire nel tentativo di sdrammatizzare.
- Non credevo che fossi tu, io… - sussurrò poi, salvo venire interrotto dall’abbraccio di Enjolras.
- Grazie. – disse solamente il biondo mentre le braccia dello scettico gli circondavano il busto.
E se entrambi avessero creduto nel Destino non avrebbero certamente potuto evitare di pensare che, da quel grigio giorno di primavera in cui i loro sguardi e le loro anime si erano incrociati per la prima volta, un qualcosa di più grande li avessi condotti per mano fino a incontrarsi di nuovo, finalmente liberi da qualsiasi restrizione, finalmente pronti a essere loro stessi senza più preoccupazioni.
Lentamente, senza fretta.
Un passo alla volta.






















 
Note:

Erano passati giorni, settimane, mesi... gli anni si erano avvicendati fino a mutarsi in secoli, e l'account di Do_Not_Touch_My_Patria era diventato un luogo malsano e cupo, pieno di ragnatele e spifferi di vento...
Ok, basta stronzate.
SIAMO TORNATE! ~ :DDDDD
Sì, va bene, sento già l'odio dei lettori  -e di Ame- riversarsi su di me...
Ebbene, Mesdames et Messieurs, questo è l'ultimo capitolo di Step by Step, pubblicato -giusto per fare un po' schifo- alla vigilia dell'anniversario della pubblicazione di TAUM.
Sì, sono una persona triste e ho tenuto il conto dei giorni.
Domani, l'anno scorso, il prologo di quella storia così dannatamente idiota faceva capolino su EFP catapultando me e Ame in un fandom stupenderrimo, quindi tenere il conto dei giorni e festeggiare un po' è cosa buona e giusta! V.V (?)
Comunque, torniamo alla storia.
Non c'è che dire, Enjolras e Grantaire sono due complessati e mi diverto tantissimo a scrivere su di loro.
Su Taire tatuato.
Su Enj che si ansia.
Su Ferre e Courf che, diamine, se non ci fossero loro io non so...
E poi beh, la casa.
Quello della convivenza è un grande passo per Enj, che ha sempre visto matrimonio et similia con leggero terrore.
Ma Grantaire è quello giusto, e ormai c'è più poco da rimuginarci su...
E poi il finale... Beh, il finale è un po' la ciliegina sulla torta, la fine di un percorso lungo e tortuoso per queste due povere anime disagiate. Nel caso vi fosse sfuggito qualcosa, vi consoglio caldamente di (ri)leggervi Place de la Bastille, che abbiamo pubblicato qualche decade fa, e raddoppiare la dose di feels~
Orbene, concludo queste note di fine capitolo con la lacrimuccia già pronta all'angolo dell'occhio ricordandovi che -purtroppo- le idee malsane partorite dalle nostre menti malate (da quella di Ame, per lo più) sono ben lungi dall'essersi esaurite, e che prima o poi ritorneremo con altre mirabolanti avventure degli Amis de l'ABC, perciò state all'occhio~
Si, lo so, suonava come una minaccia.
Volutamente. <3 xD
Adesso, dopo una terrificante sessione estiva -la prima parte del capitolo è stata brutalmente autobiografica, lo ammetto!-, la sottoscritta e Ame si concedono un mesetto di vacanza, ergo, se non decidiamo di restare a Parigi per sempre, intorno a Settembre/Ottobre dovreste vederci rispuntare fra le pagine di EFP.

Come sempre un grazie infinito a chi legge/recensisce/segue/ricorda/preferisce.
Senza di voi saremmo solo un mucchietto di feels rantolante e senza senso. <3

Au revoir et Vive la France!
Ame&Koori


P.s. Abbiamo creato questa paginina su Fb nella quale metteremo le varie novità dell'account. Se avete voglia di passare <3

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