L'altra parte di me

di Luxie_Lisbon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *Prima parte* ***
Capitolo 2: *** *Seconda parte* ***
Capitolo 3: *** *Terza Parte* ***
Capitolo 4: *** *Quarta Parte* ***



Capitolo 1
*** *Prima parte* ***


http://www.youtube.com/watch?v=DlJCwGaa-lA 
 
questa è la canzone che ho ascoltato scrivendo ** spero vi piaccia **   
 
 L’altra parte di me
 
 
 
Chiudi gli occhi e mi vedrai qui, disegnandomi,
tra la polvere le stanze io trascinandomi, come anime gemelle
sopravvivere alla nuda verità.
Tu riflessa dentro me, io lontana ormai da te,
tu riflessa dentro me.
Prima parte
:” va tutto bene?”
Sono stati in molti a rivolgermi quella semplice domanda. Io ho sempre risposto con una bugia, per non dover poi spiegare a loro quello che non riuscivo a spiegare nemmeno a me stesso.
  Ho sempre voluto dire la verità, perché è più semplice che mentire, richiede uno sforzo minore, ma so anche che a loro fa comodo ricevere una bugia piuttosto che la verità, perché il dolore altrui pesa.
Questa volta però voglio essere onesto.
 
 :” no” rispondo mantenendo lo sguardo sulle mie scarpe, cercando di non far tremare la mia voce ma è un’impresa praticamente impossibile.
 
 La sento sospirare con forza, e so che il suo è davvero un sospiro di dolore e non di esasperazione.
 
 :” guardarmi” mi implora ancora una volta, cercando i miei occhi.
Faccio quello che mi dice dopo un’eternità, guardandola e provando un dolore allucinante allo stomaco. Mi sorride,  trasmettendomi il suo affetto, ed è proprio questo di cui ho bisogno adesso, soltanto del suo sostegno, non chiedo altro.
 
 :” sei proprio sicuro che non vuoi nulla?” mi chiede stringendo tra le mani il suo bicchiere di caffè amaro ma io scuoto la testa per l’ennesima volta.
 
 :” ti prego”
 
:” no, non preoccuparti. Abbracciami e basta ti prego” le chiedo avvertendo le lacrime bagnarmi le guance e lei fa quello che le chiedo senza esitare, appoggiando il bicchiere di carta sul pavimento e avvolgendo il mio corpo tra le sue braccia.
Restiamo immobili stretti l’uno all’altra per un po’, fino a che non odo una voce che credevo di aver dimenticato da tempo, da quando quella valanga mi ha travolto con forza.
 
 :” ciao ragazzi”
 
 Io e Midori alziamo lo sguardo e nel visualizzare il volto di Yuu tremo senza essere in grado di evitarlo. Il ragazzo ci sorride, poi si siede sulla sedia libera accanto alla mia, appoggiando una mano sulla mia gamba.
 
 :” l’avete visto?” chiede ad entrambi anche se guarda me, e Midori scuote la testa.
 
 :” no, i medici non ci hanno ancora detto nulla. Siamo qui da un bel po’ a dire il vero, dovrebbero uscire a breve” risponde lei accennando ad un lieve sorriso che mi fa scivolare nel nulla ancora di più. Lei sa che non c’è più alcuna speranza così come lo so io, ed è strano che tutti continuino a credere nella sua rinascita quando è proprio lui stesso a non crederci più.
 
 :” bene, speriamo in notizie positive allora” dice Yuu con lo sguardo spento, senza smettere di guardarmi ed io torno ad annuire. Ho perso il conto ormai di quante volte ho detto di si con il corpo quando invece il mio cuore continua a dire no.
 
 :” Yutaka e Kouyou?” chiede Midori a Yuu e lui sorride.
 
 :” Yutaka è impegnato con un’intervista e Kouyou sta cercando di calmare i fans  scrivendo sul suo profilo Twitter”
 
 :” non l’aveva chiuso?” chiede la ragazza stringendomi la mano.
 
 :” si ma l’abbiamo riaperto per poter essere ancora in contatto con le persone. Non possiamo abbandonarli” dice Yuu aumentando a dismisura la mia rabbia. Vorrei dirgli che dei fans ormai non ci deve più importare nulla, perché non c’è più niente che possono fare, non c’è più niente da ammirare ne canzoni da ascoltare, ma non posso certo mettermi ad urlare nel luogo in cui mi trovo adesso.
 
 :” oh, bene” dice Midori senza aggiungere altro, appoggiando poi la testa sulla mia spalla. Io faccio lo stesso facendolo scivolare la testa pesante sulla sua, e Yuu resta in silenzio, le dita incrociate, a fissare l’incessante via via di medici.
Vorrei morire, vorrei davvero chiudere gli occhi ed essere in grado di non riaprirli mai più, ma ho promesso a Midori che continuerò a lottare, perché lei non ha altri che me ed io non ho altri che lei, e non posso arrecarle altro male.
Ma non posso più restare in vita se lui ha deciso di porre fine alla sua.
 
 :” Signor Suzuki?”
 
 Alzo di nuovo lo sguardo ed incontro quello di un medico. L’uomo dai capelli neri a spazzola, il camice bianco è in piedi proprio difronte a me, sorride cordiale. Midori mi lascia andare e si alza, così come Yuu, io invece resto seduto, sbattendo più volte le palpebre.
 
 :” sono io” dico, la voce roca.
 
 :” bene, sono lieto di fare la sua conoscenza. Sono qui per dirle che abbiamo terminato le ultime analisi, ma che il paziente non vuole ricevere visite, a parte la sua. Mi ha chiesto espressamente di poter vedere lei, soltanto lei” dice con serietà, stringendo tra le mani una cartella clinica.
 
  :” e che dicono le analisi?” sento dire da Yuu.
 
 :” non sono positive, per niente. Tentiamo in tutti i modi di farlo ragionare ma non c’è verso. L’unica persona che potrebbe cambiare qualcosa è lei, signor Suzuki”
 
 :” e perché proprio io?” chiedo furioso. Furioso con lui, con me stesso, con tutti noi per non essercene accorti in tempo.
Midori iniziai a piangere con forza e vedo Yuu andare verso di lei e appoggiare le mani sulle sue spalle.
 
 :” perché il paziente mi ha chiesto di poter vedere lei. È molto debole ma si è messo ad urlare non appena gli ho annunciato che aveva visite, chiedendo se c’era lei, signor Suzuki. La prego di collaborare, almeno lei” mi dice il medico implorandomi con lo sguardo.
Abbasso gli occhi, stanco e spossato, cercando di reagire ma non ne ho più alcuna voglia così mi limito ad annuire e ad alzarmi.
 
 :” d’accordo” dico guardandolo e l’uomo mi sorride.
 
 :” molto bene. Adesso mi segua, la porto direttamente alla sua stanza” mi dice poi sorridendo, ed io mi volto verso Midori, portandole entrambe le mani al volto.
 
 :” torno presto tesoro mio” le dico appoggiando la fronte sulla sua. La ragazza annuisce tra le lacrime, poi mi lascia un leggero bacio sulle labbra.
 
 :” salutamelo ti prego, e digli che gli voglio tanto bene” dice guardandomi negli occhi.
 
 :” certo piccola”
 
 Yuu mi sorride, poi accompagna Midori sulla sedia e lei mi lascia andare piano la mano, abbassando subito dopo lo sguardo.
Quando mi volto per seguire il medico quello mi sorride un’altra volta, facendomi girare la testa e sperare che quella giornata passi in fretta.
Io lo so perché lui vuole vedere me, solo e soltanto me.
Non vuole vedere sua sorella Midori perché non sopporta che qualcuno pianga davanti a lui e lei è troppo debole.
Non vuole vedere Yuu perché lui se ne starebbe completamente in silenzio a guardarlo e lui ha bisogno di qualcuno che gli dica quanto è bello il sole là fuori.
Non vuole vedere Yutaka perché sa che il leader potrebbe sgridarlo, dicendogli che ha rovinato ogni cosa. Lui non l’ha presa bene.
E non vuole vedere Kouyou perché non se la sente di guardarlo negli occhi, quell’unica persona che gli ha sempre fatto notare quanto le cose stessero andando male.
Vuole vedere me perché io sono riuscito a farlo parlare, sono riuscito a farmi dire quello che gli passava per la testa, a fargli dire “ti amo” per la prima volta senza tremare.
Vuole vedere me perché io non piangerò nel vederlo, non piangerò nel sorridergli e stringendolo tra le mie braccia.
Non piangerò perché non ho più nessuna forza per farlo.
***
Il giardino che circonda la clinica è fin troppo rigoglioso e stona con tutto quello che c’è all’interno. Quando lancio uno sguardo fuori dalla finestra e noto un cespuglio di quelle che sembrano essere more inizio a sentirmi la terra mancarmi sotto ai piedi.
Il medico mi conduce lungo un corridoio pieno zeppo di stanze numerate. I pazienti escono dalla stanze guardandomi, chi ridendo, chi piangendo, chi indicandomi senza riuscire a smettere di balbettare, chi di urlare a squarcia gola.
 
 :” mi scusi signor Suzuki, ma questa è l’ora in cui i pazienti hanno le attività ricreative e alcuni di loro si rifiutano di partecipare e siamo costretti a lasciarli nelle stanze” mi dice voltandosi prima di entrare nella stanza numero 33.
Annuisco senza dire una parola, continuando a camminare, perché non mi importa nulla degli altri pazienti. Quando entro nella stanza noto con rammarico e profonda frustrazione gli almeno cento peluche e palloncini appesi alla porta, al muro, lasciati sul pavimento.
Il medico intercetta la mia sofferenza e si scusa con me.
 
 :” sono da parte dei vostri fans. Non potevo gettarli. Le creano disagio?”
 
 :” no” mento guardandolo e lui annuisce a disagio, dandomi le spalle.
 
 :” mi aspetti qui per favore, vedo se ce la fa” e detto questo si allontana da me  per sparire dietro a una tenda bianca che deve nascondere il suo letto.
Non riesco a muovermi e attendo il ritorno del medico spostando il peso del corpo da un piede all’altro, socchiudendo gli occhi. C’è davvero troppo caldo in questa stanza, i termosifoni sono accesi al massimo tanto che sono costretto a sfilarmi la sciarpa di lana per non soffocare, poi comprendo che lo fanno per cercare in tutti i modi di tenerlo al caldo.
Tremo mentre guardo il dottore scostare lentamente la tenda bianca e tornare verso di me.
 
:” gli ho detto che lei è qui. Non riesce ad alzarsi dal letto ma riesce a parlare. Vi lascio soli”  mi dice appoggiando una mano sulla mia spalla e allontanandosi da me, facendomi rabbrividire.
Appoggio la sciarpa su una sedia, cercando di muovere anche il resto del corpo, le gambe, ma non ci riesco, resto immobile.
 
 :” Akira”
 
 Quando odo il mio nome per poco non mi metto a gridare, a piangere, a dare pugni al muro. Quello che mi limito a fare in realtà è muovere un piede e poi un altro nella direzione da cui proviene la sua voce, tremando, e quando scosto la tenda bianca che copre il letto inizio a respirare in modo sconnesso.
 
 :” ciao” mi sorride a fatica, spostandosi un po’ per farmi spazio sul letto.
 
 :” siediti” mi dice poi, le dita scheletriche che si appoggiano sulla mia gamba.
Faccio quello che mi dice, appoggiando il corpo sul suo letto e Takanori mi sorride, allungando l’altra mano verso di me, quella con l’ago infilzato in una vena.
 
 :” guarda” mi dice alzando piano le braccia :” sto bene, sto benissimo”
Scuoto la testa, avvertendo una pesante emicrania che rischia di farmi cadere sul pavimento.
 
 :” davvero Taka?” gli chiedo sfiorandogli le braccia e lui sorride.
 
 :” certo. Ho fatto un sogno bellissimo questa notte” dice.
 
 :” vuoi raccontarmelo?” gli chiedo cercando di sorridere ma quello che esce è soltanto un debole sbattere delle palpebre.
 
 :” ero sul palco, credo quello del Tokyo Dome. Tutti i fan urlavano, cantavano con me, era bellissimo. Poi ricordo di essere sceso in mezzo loro ma poi mi sono svegliato. Buffo non trovi, ricordo ancora come si fa a cantare” dice guardandomi negli occhi per poi aggiungere :” soltanto che non ho forza di farlo”
 
 :” è un sogno bellissimo Taka” gli dico cercando di trattenere le lacrime dentro agli occhi perché odia quando piango davanti a lui. Non voglio che accada la stessa cosa che è successa quando l’ho costretto a fare quello che non avrebbe mai voluto fare davanti a me, quello che continuava a fare in assoluta solitudine nel suo bagno, ogni singolo giorno. Ricordo che tutti noi gli facevano notare i suoi continui ritardi e lui si giustificava sempre dicendo che aveva dormito troppo.
 
 :” già, davvero. I medici mi hanno detto che se mi comporto bene posso anche passare a bere il the. Mi manca così tanto bere the Akira” dice Takanori mordendosi il labbro e stringendo il mio cuore in una morsa dolorosa.
 
 :” davvero? E’ una notizia splendida” dico accarezzandogli il viso e facendolo tremare. Non c’è rimasto poi nulla da accarezzare ma lo faccio lo stesso.
 
 :” fuori ci sono tua sorella Midori e Yuu. Ti volevano vedere anche loro sai” gli dico e lui trema non appena ode il nome di sua sorella.
 
 :” lo so, ma io volevo soltanto vedere te Akira. Devo dirti una cosa importante, e posso dirla soltanto a te” dice mettendosi più comodo e sollevando la schiena. Porto d’istinto le braccia alle sue spalle per reggerlo perché so per certo che stare seduto gli costa uno sforzo immane.
 
 :” dimmi Taka” gli dico reggendo il suo piccolo corpo.
 
 :” sto morendo Akira. I medici non vogliono dirmelo ma io so che è così. Sto morendo” dice stringendo con forza la mia mano tra le sue, così piccole, così magre, così gelide.
Ed è proprio in quel momento che inizio a piangere, perché lo sapevo prima di entrare in quella stanza, prima di sedermi sul suo letto, prima di chiudere gli occhi e lasciare che lui mi conduca all’inferno.
 
 :” non piangere, odio quando lo fai” mi ammonisce ed io scoppio a ridere disperato.
 
 :” mi hanno pesato questa mattina, non lo facevano da mesi sai” dice freddo, glaciale, e quando torno a guardarlo i suoi occhi neri si sono anneriti  ancora di più, rivelando la sua anima tormentata.
Ho paura di parlare, ho paura di fare qualunque cosa e mi limito a stringerlo di più.
 
 :” e vuoi sapere quanto peso oggi, quanto peso da quando mi hanno permesso di bere?” dice furioso.
 
 :” si” sussurro anche se non voglio più sapere nulla, anche se non voglio sentire più nulla, soltanto morire e no svegliarmi mai più.
 
 :” peso 38 chili Akira. Ci credi? Ci sono riuscito! Non sei contento per me?” e prima di riuscire ad impedire che avvenga Takanori si mette a saltare sul letto battendo con forza le mani, dopo averle tolte con uno scatto dalle mie, ma non ha alcuna forza per farlo, il sondino che gli hanno posizionato sotto il naso è l’unica cosa che lo tiene ancora in piedi e quando si lascia andare troppo all’euforia il suo corpo scheletrico non regge.
Sviene tra le mie braccia, il sorriso ancora impresso sul suo volto, facendomi sussultare con forza.
Si Takanori, ci sei riuscito, ci sei riuscito a morire di fame e a far finire ogni cosa, a far finire noi, a far finire me.
Ci sei riuscito ma non vuoi ancora dirmi perché l’hai fatto, forse non lo sai nemmeno tu.
Un palloncino accanto a me esplode per il troppo caldo nella stanza, facendomi sussultare e quando la mia fronte crolla sulla sua schiena, quando il mio naso non più protetto dalla fascetta sfiora le sue scapole sporgenti inizio a tremare con forza, mentre tante piccole scariche elettriche che mi corrono lungo la spina dorsale mi fanno perdere i sensi. 
  
 
***note***
Oh..bene ^^ ci siamo :) devo dire che in questo periodo ci sto dando davvero dentro con le storie tristi ;) scusate DX ma questa storia dovevo proprio scriverla.. è da parecchio tempo che non scrivo una ReitaxRuki, una ReitaxRuki triste, malinconica e piena di dolore... la prima è stata scritta nel 2009.. quanto tempo DX beh, prima di lasciarvi vi dico che l'idea per questa storia mi è venuta all'improvviso, senza pensarci troppo... 
Un futuro in cui i Gaze non ci sono più.. ah non voglio nemmeno pensarci DX
La storia sarà divisa in un massimo di tre parti, speriamo di non farla troppo lunga perchè va bene così corta **
spero che la canzone vi sia piaciuta, fa da colonna sonora a tutta la storia **
detto questo me ne vado :) e spero di ricevere delle recensioni **
alla prossima
Effy         

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Capitolo 2
*** *Seconda parte* ***


vi lascio i link delle canzoni che ho ascoltato scrivendo alcune parti ** se volete ascoltarle se no fa lo stesso ** Credo che ci stiano bene comunque **
Ritroveremo i nostri sogni, quando il buio passerà.
Nella notte degli angeli ci riscopriremo fragili,
un sorriso inespressivo nel riflesso di quest'anima non mia.
Seconda parte

Nuotavo da quelle che mi sembravano ore nel buio, la testa del tutto leggera e libera da ogni pensiero. Era bello sentirsi così leggeri per un attimo, ma come tutti gli attimi felici della mia vita, anche quello si dissolve un po’ alla volta, e la nebbia dolce e delicata che mi avvolge svanisce.
Mi ritrovo poco a poco in piedi sopra ad un palco, sembra essere quello del Tokyo Dome, ed è proprio in quell’istante che comprendo di essere dentro ad un sogno.
La realtà che sto vivendo ormai appartiene al passato, un passato che è ancora in grado di divorarmi le viscere, e sono costretto a guardare me stesso suonare lo strumento che ho lasciato chiuso nell’armadio, di cui ho quasi dimenticato il suono, come si suona, uno strumento che non toccherò mai più.
Avrei dovuto impegnarmi a riprovare a suonare tempo fa, ma  la voglia di farlo è volata via, volata via come una farfalla.
Una farfalla, proprio quello che ha sempre voluto essere Ruki. Leggero, puro, libero di volare senza peso.
Scuoto la testa con forza e mi siedo sull’amplificatore, accanto a Kai che continua a suonare come se niente fosse, lui non può vedermi, nessuno può vedermi a dire il vero, e devo rivivere quei momenti come un fantasma.
Stiamo suonando Miseinen, manca ormai poco alla fine di tutto il nostro sogno. Sorrido nel vedere i fans urlare, saltare e cantare, e per un attimo abbandono il dolore, concentrandomi soltanto sui loro sorrisi. Era bello, era bello davvero, un tempo.
:” grazie”
Alzo lo sguardo e lo vedo.
Ruki, che mi stringe la mano, facendomi sussultare con forza. Il vecchio me sta piangendo, io invece resto completamente immobile, a guardare, per cercare di capire cosa diavolo è successo, perché tutto è iniziato proprio da lì.
Lentamente ci vedo correre lungo il palco per ringraziare, Ruki stringe tra le mani dei festoni argentati ed è allora che mi alzo in piedi, seguendolo. Lui non può vedermi, nessuno può farlo.
Sta sorridendo, piange, è così bello, vorrei toccarlo, vorrei averlo stretto più forte, ma ho fallito, abbiamo fallito tutti.
Il sogno si modifica non appena saltiamo con forza dopo aver ringraziato tutti i fans che sono venuti a vederci, che stanno piangendo con noi e sbatto contro la nuova realtà che la mia mente vuole farmi rivivere.
 
***
” Akira-san, ti presento mia sorella Midori” disse Takanori  ad Akira , presentando sua sorella maggiore Midori al suo amico. La ragazza si alzò dalla sedia dove aveva passato quasi tutto il pomeriggio concentrata nei compiti per sorridere ad Akira.
 
 “piacere, io sono Midori” disse stringendo la sua mano e il ragazzo fece un piccolo inchino.
 
 “ piacere mio Midori. Mi chiamo Akira” e detto questo le sorrise, facendole tremare leggermente il cuore. Midori sorrise, annuendo lentamente per poi tornare alla scrivania, poco dopo il suo ragazzo Yutaka la chiamò al cellulare e la ragazza sparì in camera da letto.
 
 “ oh, lo sapevo, adesso staranno al telefono ore” disse Takanori facendo ridere il ragazzo accanto a lui, e quando anche loro si chiusero in camera per giocare a carte Akira disse
 
 “ è una bella ragazza tua sorella. Stanno insieme da tanto lei e Yutaka?”
 
 “ non ti azzardare a corteggiare mia sorella” disse Takanori diventando subito rosso e Akira capì che era molto geloso della sorella. In realtà il piccoletto cercava in tutti i modi di convincere se stesso che non si stava innamorando di Akira, ma era tutto inutile.
Lui e il ragazzo si erano conosciuti a scuola, Akira era in compagnia di un altro ragazzo, Kouyou, giocavano a pallone nella squadra di calcio della scuola e quando Takanori era passato accanto alla palestra per puro caso, lui detesta qualsiasi tipo di sport, aveva visto questo bellissimo ragazzo correre dietro ad un pallone come una scimmietta impazzita.
Era rimasto immobile a guardarlo senza riuscire a staccarsi da lì poi aveva notato con gioia che il ragazzo parlava con Kouyou, un compagno di classe di Takanori. Il piccoletto si era messo subito sulle sue tracce e aveva scoperto che si chiamava Akira Suzuki.
 
 “ non la sto corteggiando Takanori, non preoccuparti. Lo sai che io ho occhi solo per te” disse Akira ridendo, scherzando e Takanori scoppiò a ridere anche se dentro di lui stava urlando di gioia. Akira mescolò le carte guardandosi con morbosa attenzione le mani e arrossendo, perché anche lui era innamorato perso di Takanori.
Tutto era iniziato proprio in mensa, quando Takanori si era seduto accanto a Kouyou con una scusa, una scusa banale, quella di rivedere insieme i compiti per il giorno dopo. Akira ricordò di aver provato curiosità nei confronti di quel ragazzo dai capelli tinti di biondo e  poco dopo, con il passare dei mesi Takanori era entrato nella compagnia formata da lui e Kouyou.
 
 “ ok bene, perché in quel caso lo voglio sapere” disse Takanori ridendo e mordendosi il labbro subito dopo.
Akira lo guardò poi scosse la testa, e in quell’istante la sorella del suo amico entrò nella camera.
 
 “Taka, la mamma mi ha detto di dirti che devi assolutamente farti la doccia perché fra un’ora dobbiamo essere dalla nonna” disse la ragazza per poi sorridere ad Akira che ricambiò.
 
 “ che palle, sto giocando con lui” si lamentò Takanori gettando la testa all’indietro e Midori disse che non avevano scelta, che la madre aveva appena smesso di sgridare lei e che dovevano fare quello che volevano i suoi. Sarebbero rimasti a mangiare dai loro nonni, Takanori adorava pranzare in compagnia della nonna, perché l’anziana donna raccontava sempre a lui e a Midori tutto quello che le veniva in mente, aneddoti del suo passato, di quando era bambina, e Takanori amava stare a sentirla ore e ore mentre gli accarezzava i capelli. Suo padre e sua madre però sbuffavano sempre quando dovevano andare dalla nonna, e il viaggio si rivelava sempre problematico e ricco d’ansia per lui.
 
 “va bene Taka, stai tranquillo, io torno a casa” disse Akira cordiale come sempre, alzandosi e guardando il piccoletto che annuì, triste.
 
 “ Midori, accompagni tu alla porta Akira?” chiese poi Takanori parlando alla sorella che annuì con gioia.
 
 “certo” rispose tornando a guardare Akira, e fu proprio in quel momento che la ragazza si innamorò di lui. Akira le sorrise facendole battere forte il cuore, e lentamente lo vide stringere tra le braccia il fratello. Sentì che quel ragazzo biondo e con una felpa più grande di lui addosso le era definitivamente entrato nel cuore, e non sarebbe uscito mai più.
 
 “fa il bravo Taka” disse Akira scompigliando i capelli di Takanori che arrossì.
 
 “certo. Pure tu” rispose poi, per dirigersi al bagno subito dopo.
 
 Takanori odiava arrossire davanti ad Akira ma ogni volta che l’amico lo sfiorava avvertiva la presenza di tante farfalle nello stomaco che lo portavano a sospirare con forza. Soltanto sua sorella era a conoscenza della sua omosessualità, non osava neppure pensare a cosa avrebbe potuto fare suo padre venendolo a scoprire e tremando nascose il piccolo corpo nella vasca.
Akira e Midori uscirono di casa, il ragazzo ringraziò la sorella di Takanori e lei senza pensare gli diede un leggero bacio sulla guancia.
Akira, sulla strada del ritorno, pensò che quella ragazza era carina, carina davvero, e che non provava altro che affetto nei suoi confronti, poi la tristezza venne a fargli visita non appena capì che avrebbe dovuto aspettare il giorno successivo per poter stare con Takanori.
 
***
Seguo con lo sguardo il me stesso di qualche anno fa lasciare la casa di Ruki con un lieve sorriso triste sulle labbra. Ricordo di aver provato interesse per la prima volta per Midori in quell’istante e il sogno mi mostra lei, affacciata alla finestra che continua a guardarmi, senza distogliere lo sguardo anche quando ormai ho svoltato l’angolo.
Lei era la ragazza di Kai, almeno mezzo secolo fa, poi semplicemente l’ha lasciato perché ha capito di amare me. Io l’ho sempre amata, un amore viscerale, lei è e sempre sarà la mia migliore amica, ma è del fratello che sono follemente innamorato.
Lei lo sa e mi ha sempre detto che per lei non c’è problema, che si farà anche da parte per lasciarmi vivere la mia storia con Ruki, e così è stato, per un po’ almeno.
Scuoto la testa seguendo con lo sguardo la figura di Midori, poi la vedo rientrare in casa e chiudere la porta. Vorrei correre in casa di Ruki ma sono costretto a rivivere un altro piccolo flash back. Voltandomi a destra rivedo me stesso, di nuovo in camera di Ruki.
La strada è svanita, così come le case, gli alberi, e ci siamo soltanto io e lui.
Io indosso già la mia immancabile fascetta bianca, credo sia il 2005, Ruki porta i capelli tinti di nero e rosso, Dio mio, era così piccolo, e nel vederci insieme, quando tutto era più stabile e sicuro ho un tuffo al cuore. Mi siedo a terra e sorrido, lentamente.
 
 
***
http://www.youtube.com/watch?v=5anLPw0Efmo
“come sarebbe a dire che con questi pantaloni sembro gay?” urla Ruki a Reita che lo sta guardando in lacrime. Hanno terminato da poco il tour e sono appena tornati a casa, ma Ruki non si è cambiato, gli piacciono i suoi pantaloni dorati, anche se Reita continua a dirgli di sembrare un po’ gay quando gli indossa.
Dovrebbe offendersi ma non riesce a trattenere una risata, perché in realtà lui è davvero attratto dai ragazzi.
 
 “ dai Taka, sto scherzando” si giustifica Reita cercando di trattenere alla meno peggio una risata, poi lentamente si siede sul pavimento, come quando erano più piccoli e Ruki estraeva  dallo zaino le carte per giocare.
 
 “ dai, vieni qui adesso, giochiamo proprio come ai vecchi tempi, che ne dici?” gli propone poi e Ruki sorride, annuendo e prendendo le sue vecchie carte da gioco che ha portato con se. La sua nuova casa è molto grande, ama vivere da solo, ma delle volte sua sorella gli manca e quando lo dice a Reita lui sorride, ripensando all’istante in cui la ragazza gli ha confessato di essere profondamente innamorata di lui.
 
 “ come ai vecchi tempi” disse Ruki con un pizzico di malinconia nella voce, sedendosi sul pavimento difronte a Reita che annuì, mescolando per primo le carte.
Giocarono in assoluto silenzio per un po’ poi Ruki stracciò l’amico senza ritegno, vincendo almeno tre volte di fila, tanto che Reita, furioso, si avventò su di lui, facendolo sbattere con forza sul pavimento.
Quando il corpo del bassista si stese sopra a quello di Ruki, al ragazzo per un attimo mancò il fiato e nel guardarlo negli occhi provò una dolorosa fitta al petto, il suo cuore batteva troppo, troppo veloce.
A Reita stava succedendo la stessa cosa, adorava guardare Ruki così intensamente, stare sopra di lui, e lentamente portò le dita ai suoi capelli neri. Il ciuffo rosso di Ruki gli coprì gli occhi e quello rise, spostando la testa per scostargli il ciuffo dagli occhi.
 
 “dai, alzati” disse Ruki, anche se non lo voleva davvero e Reita scoppiò a ridere, ma restò dov’era. Ruki lentamente lo vide scuotere la testa e i due ragazzi tornarono a guardarsi intensamente, poi lentamente Ruki allungò il viso verso quello di Reita e il biondo lo baciò senza pensarci due volte.
Si staccarono subito dopo, in totale imbarazzo e quando Ruki si morse il labbro a disagio, Reita portò il pollice sul suo viso, liberando il labbro dalla morsa dei suoi denti e lentamente tornò a baciarlo con più sicurezza, le loro lingue si incontrarono, i respiri si fecero sempre più sconnessi, Ruki strinse a se con forza il corpo di Reita, e lentamente il biondo lo liberò dagli abiti.
 
 “che stiamo facendo?” chiese Ruki guardandolo negli occhi, la schiena adagiata tra le lenzuola. Reita non aveva risposto a parole, si era limitato a baciarlo tremando, e per la prima volta gli aveva confidato di amarlo. Ruki era scoppiato in un pianto disperato, dicendogli che anche lui lo amava, da sempre, da quando lo aveva visto la prima volta in palestra, mentre giocava a pallone assieme ad Uruha e che aveva atteso quel momento con ansia e gioia.
 
 “sei la mia vita Takanori, lo sai?” disse Reita usando il vero nome di Ruki e quello tremò tra le sue braccia, annuendo, poi lentamente si voltò, stringendo tra le mani quelle di Reita e chiudendo gli occhi.
Si amarono in silenzio, senza dire una parola, piangendo,  poi lentamente scivolarono nel sonno e al loro risveglio la realtà di quello che era successo gli avvolse lentamente.
 
 “ cosa diremo ai ragazzi?” chiese Reita a Ruki, le labbra appoggiate alla sua spalla nivea.
 
 “la verità, loro capiranno” disse Ruki lanciando la testa all’indietro per guardarlo, poi lentamente tornò sotto di lui e si amarono un’altra volta.
Per Ruki era la prima volta, per Reita era la prima volta e lentamente si giurarono amore eterno.
Quando lo dissero ai ragazzi, a Midori, i primi la presero bene, lei pianse per un giorno intero, rinchiusa nella sua camera, ma si dimostrò ugualmente felice per loro, dicendo poi a Reita che lo lasciava al fratello perché sapeva benissimo che lui amava Ruki.
Reita la strinse forte a se, promettendole che sarebbe rimasto sempre al suo fianco, sempre e comunque e Midori sorride, felice e triste allo stesso tempo.
 
 ***
 
 Il dolore che sto provando mi toglie il fiato, costringendomi ad alzarmi e a chiudere gli occhi. Come ha potuto farmi questo, come ha potuto distruggere tutto quello che avevamo creato, non soltanto il nostro rapporto, ma anche i The GazettE, Midori, i nostri sogni, le nostre speranze.
Non ho mai provato rabbia nei suoi confronti, non ho mai permesso che accadesse, ma ora sento di doverlo a me stesso, devo pensare un attimo a me, a quello che provo ed inizio a piangere.
Nel vedere il fantasma di Ruki sorridere al mio riflesso, stringersi con amore a me, sento nel cuore una punta d’odio, e anche se so per certo che in quel momento lui mi amava davvero, come probabilmente mi ama adesso, non riesco a non pensare che ha agito per puro egoismo, nascondendomi la verità quando doveva soltanto chiudere gli occhi e dirmi ogni cosa.
Io l’avrei ascoltato, come ho sempre fatto.
Dopo il concerto al Tokyo Dome tutto il benessere è svanito, il nostro mondo è crollato e non ho potuto fare altro che restarmene a guardare.
Quando quel ricordo prende forma nella mia mente, il vecchio me sparisce, si dissolve, e un Ruki dai capelli castani sostituisce il mio Ruki dai capelli neri e rossi.
Chiudo gli occhi e sono costretto a guardare un ricordo che non mi appartiene, un ricordo che non ho vissuto personalmente ma che mi ha raccontato Midori, tanto tempo fa.
Ruki è in piedi davanti ai suoi genitori, le braccia conserte, Midori è seduta sul divano della casa di Ruki. Scuoto la testa e avverto la punta di veleno macchiarmi il cuore e tutto quello che posso fare è guardare Ruki iniziare la sua lenta discesa verso il suo maledetto disturbo alimentare.
 
 
http://www.youtube.com/watch?v=Uv5wF-E9D8Y 2010
Ruki si prese del tempo per se, per cercare di calmarsi, restando immobile davanti ai suoi genitori.
Sua sorella Midori era seduta sul divano accanto alla madre, una donna provata e costretta a stare agli ordini di un marito freddo ed egoista, che non riusciva più ad amarla come un tempo.
 
 “Quello che ho visto mi ha profondamente disgustato” disse il padre a Ruki, il quale prese a divorare il pavimento camminando avanti e indietro. Ruki sapeva benissimo quello che intendeva dirgli il padre, sapeva benissimo quello che aveva visto, anche se mai avrebbe pensato che gli si sarebbe rivoltato contro. Il padre aveva visto suo figlio stringere con forza la mano del suo bassista al palco del Tokyo Dome, un gesto abituale, a cui era abituato, ma dopo aver parlato con la moglie aveva capito perfettamente che quella stretta di mano in particolare nascondeva e celava molte cose allo stesso tempo.
Ruki era furioso sia con il padre che con se stesso, si sentiva perso, e non riusciva a capire che cosa diavolo avesse sbagliato. Era stato sincero, sua madre gli aveva sempre detto che poteva farlo, che poteva confidarsi con lei, ma mai avrebbe pensato che potesse tradirlo.
Ruki aveva confidato a sua madre di essere omosessuale, di amare disperatamente il suo bassista, di avere con lui una relazione, che era finalmente felice  e sua madre aveva ascoltato e basta, dicendogli che era contenta  per lui. La donna aveva nascosto al figlio i suoi veri sentimenti, mentendogli nel dirgli che era contenta di questo, quando invece tutto quello che provava era paura. Sentiva che in quel ragazzo c’era qualcosa che non andava, l’aveva sempre sospettato, non era mai stato alle regole sue e del marito e quest’ultima rivelazione le aveva fatto provare un senso di fallimento.
 Ruki ci aveva creduto, ci aveva creduto davvero, poi la madre aveva fallito, rivelando il segreto del figlio anche al marito, e tutta la fiducia che Ruki aveva in lei era svanita.
 
 
 “non mi interessa” disse Ruki, guardando il pavimento, mentre suo padre stava cercando in tutti i modi di calmare la sua ira. L’uomo lanciò uno sguardo alla figlia seduta sul divano dicendo
 
 “tu non dici niente? Non ti fa schifo?” le urlò contro.
 
 “ papà, a dire il vero qui l’unica persona che mi fa schifo sei tu” disse Midori e Ruki alzò lo sguardo per guardarla, ma poi il padre si avventò sulla ragazza, dandole uno schiaffo che la fece cadere sul pavimento. Tutti si immobilizzarono, la madre si portò una mano alla bocca, Midori fissò con morbosa attenzione le sue mani, il padre si prese un attimo per riprendere fiato, Ruki scosse la testa per poi crollare sul pavimento difronte alla sorella.
 
 “non fa nulla” lo ammonì lei, sollevando una mano per fargli capire che non c’era bisogno che lui l’ aiutasse, ma il fratello voleva farlo, e cercò di aiutarla ad alzarsi facendo di conseguenza urlare il padre.
 
 “ mi fai schifo. Mio figlio assieme ad un ragazzo. Mi fa dannatamente schifo” urlò l’uomo in preda all’ira, prendendo Ruki per le spalle ed iniziando a riempierlo di sberle. La moglie scoppiò in lacrime, sapeva che se avesse anche solo provato a separarli se le sarebbe prese anche lei e l’unica ad agire fu Midori, la quale si alzò in piedi, si scagliò con forza contro il padre separandolo dal fratello, poi il primo iniziò ad inveire contro di lei, tirandole i capelli e facendo urlare Ruki con tutto il fiato che aveva in gola.
 
 “lasciala, lei non c’entra nulla” disse urlando e il padre spinse con forza Midori in un’altra stanza, chiudendo con uno scatto la porta. Ruki si avventò su quella barriera, prendendo a pugni il muro, invano, mentre le urla della sorella lo stavano lentamente uccidendo.
 
 “è tutta colpa tua” urlò alla madre voltandosi e la donna presa dai singhiozzi crollò sul pavimento, senza dire una parola.
 
 “ non dovevi, mi hai ferito, sei una  traditrice. Come hai potuto tradirmi così?” urlò suo figlio facendola tremare con forza, poi lentamente la donna implorò il suo perdono, un perdono che non sarebbe mai arrivato.
Lei aveva sbagliato, lo sapeva, credeva di trovare conforto ma il marito era malato, pazzo, iracondo, il loro rapporto ormai si era incrinato, e tutto quello che restava erano soltanto le ceneri.
 
 “Midori”urlò Ruki alla porta chiusa, invano, per poi crollare sul pavimento.
Giurò a se stesso che l’avrebbe fatta pagare a suo padre . Aveva rovinato ogni cosa. Ruki era così felice per aver appena suonato all’arena del Tokyo Dome con l’amore della sua vita, con i suoi migliori amici, e ancora una volta i suoi genitori erano riusciti a rovinare ogni cosa. Ricordò con morbosa cura dei dettagli il momento in cui il padre gli aveva telefonato, pochi giorni dopo le interviste, dicendogli che aveva bisogno di parlare con lui. Ruki, ingenuamente, aveva pensato che l’uomo volesse congratularsi con lui per il bellissimo live, a dire la verità ci aveva sperato ma quando lui e la madre si erano fatti vedere davanti alla sua porta di casa, lei in lacrime e lui con lo sguardo furioso, Ruki aveva capito.
Era bastato lanciare uno semplice sguardo alla donna per comprendere. In quel momento avrebbe voluto ucciderla con le sue stesse mani.
Suo padre gli aveva sempre detto che la sua nascita era stata un fatale errore , lui non avrebbe mai dovuto venire al mondo. Il pensiero l’aveva attraversato molte volte ma mai così forte come in quel momento e lentamente provò disgusto verso la sua persona, giurando a se stesso che avrebbe annientato il suo stesso essere riducendosi al nulla, perché sapeva che suo padre non aveva mai voluto che lui venisse al mondo.
Quando i suoi genitori se ne andarono, Midori uscì dal bagno dove aveva passato almeno due delle tre ore a vomitare, a piangere e disse al fratello che lei se la sarebbe cavata, che lui doveva soltanto pensare alla sua band, a Reita. Ruki la lasciò andare, perché non aveva più forze di fare nulla e quella sera, per la prima volta non cenò.
Non si preparò nulla, si limitò a fumare una sigaretta dietro l’altra e la mattina dopò si stupì nel pensare che sentire la sua pancia vuota brontolare a causa della fame gli piaceva, gli piaceva davvero.
Non fece neppure colazione, bevve soltanto un bicchiere di acqua e si concordò con i ragazzi per preparare una nuova intervista, tutto pur di non restare chiuso in casa, a contatto con la cucina.
Ruki non aveva mai avuto problemi con suo corpo, non si era mai visto grasso, il suo rifiuto verso il cibo nacque senza che lui fosse in grado di impedirlo, non se ne rese nemmeno conto.
Quando sorrise a Reita, seduto sul divanetto dello studio di registrazione, Ruki si lasciò cullare dalle carezze del suo bassista, lentamente chiuse gli occhi e ascoltò il battito del suo cuore, ma aveva fame, una fame nera.
 
 “ragazzi, che ne dite di mangiare italiano?” propose Kai, indossando la sua mascherina bianca, dopo aver superato la porta d’ingresso degli studi.
Tutti gli altri avevano annuito, Reita aveva sorriso a Ruki, un Reita che non conosceva ancora la verità ma Ruki disse che doveva assolutamente accompagnare la sorella dal medico, perché Midori non si sentiva bene e così gli altri annuirono, lasciandolo andare.
 
 “ti chiamo dopo scricciolo” disse Reita dandogli un veloce bacio sulla guancia a Ruki e il piccoletto arrossì violentemente, aggrappandosi al suo braccio.
 
 “salutami Midori” aggiunse poi il bassista prima di allontanarsi e Ruki annuì con serietà, aspettando che i suoi compagni si allontanassero per iniziare a camminare nella direzione opposta con passo spedito.
Una volta a casa distrusse i morsi della fame facendo qualche addominale, si fece una doccia e poi si coricò, cercando di non pensare all’enorme quantità di cibo che custodiva il suo frigorifero.
La prima volta che si abbuffò fu proprio in quella circostanza.
Lasciò cadere il cuscino sul pavimento e si catapultò in cucina, aprendo la credenza e iniziando a mangiare tutto quello che gli capitò tra le mani, biscotti, del pane, alcuni ramen freddi, delle fragole che Reita gli aveva comprato per farlo arrabbiare, sapendo quanto Ruki lo odiasse.
Poi con uno scatto si fiondò in bagno, conficcandosi due dita in gola e vomitò tutto quello che aveva mangiato, crollando sul pavimento subito dopo.
Provò disgusto verso se stesso e giurò che non avrebbe fallito ancora una volta.
La sera stessa non cenò, aumentando la dose di addominali e quando Reita lo chiamò per proporgli una cena lui disse che era stanco, che andava a dormire e che si sarebbero visti la mattina seguente, dopo colazione, per continuare la stesura delle canzoni nuove che stavano programmando da mesi.
 
***
Ruki arrivò a mentirmi ogni volta che gli chiedevo di uscire a mangiare qualcosa insieme, sostenendo che stava male, che aveva un impegno, e quando lo chiesi a Midori, la ragazza mi disse che il fratello diceva le stesse cose anche a lei.
Quando chiudo gli occhi, dopo aver visto Ruki ammazzarsi di esercizi alle tre di notte, sto tremando e avverto nel cuore un senso di colpa viscerale che uccide all’istante.
 
 “sto bene” mi disse quando gli chiesi come mai fosse sempre così debole, e tutto quello che ottenni in seguito furono tante tante bugie.
Muovo le gambe e ad occhi chiusi mi sposto lungo le pareti del sogno, di quel sogno infinito e vado a sbattere con forza contro una barriera invisibile. Sono costretto a riguardare un Ruki del passato nascondere il suo corpo magro dentro strati e strati di abiti, mentre rientra in casa dopo un photoshoot.
Mi porto una mano alle labbra, riconosco perfettamente quel look, quell’anno. Pochi mesi , sono bastati pochi mesi per far scendere la mia vita nell’inferno, per far raggiungere a Ruki il suo primo obbiettivo, i 50 chili.
Con orrore sono costretto ad assistere alla sua odissea, impotente.
 
 
***note***
Oh *ç* finalmente!! Finalmente ho scritto la seconda parte **
Lo sapevo, non riuscirò a farne un’ultima terza parte, credo proprio che ce ne saranno altre due, perché altrimenti questo capitolo diventava troppo lungo, già mi sembra troppo lungo adesso Dx
Ditemi se è troppo troppo troppo lungo, ho provato a restringere ma Ruki e Reita hanno preso il soprravento e ho dovuto accontentarli e farli parlare ;)
Per le canzoni ho ascoltato sempre “L’altra parte di me” di Chiara ** Zombie dei Cranberries (nella parte di Ruki) e My immortal degli Evanescence **
Spero vi sia piaciuta questa seconda parte, l’idea del lungo sogno del mio bassista mi è venuta mentre finivo la prima parte, perché l’unico modo per fargli rivivere tutti i momenti era soltanto grazie ad un sogno ^^
Questa seconda parte è sia dolce che triste allo stesso tempo, si capisce perché Ruki abbia deciso di non mangiare più, le origini della loro storia, l’inizio dell’incubo per in gaze DX
Pubblicherò la penultima parte a breve, è già in fase di scrittura **
Basta, adesso me ne vado, queste note sono noiose :D
GRAZIE!! GRAZIE a tutte le dolci donzelle che hanno letto la mia storia e l’hanno commentata **
Grazie davvero **
Fatemi sapere cosa ne pensate, è un piacere per me ricevere commenti, anche negativi! Mi aiutano **
Vi voglio bene
Effy 
 

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Capitolo 3
*** *Terza Parte* ***


   No, non do nomi alle farfalle. Ma anche senza nomi, le distinguo l’una dall’altra dal disegno e dalla forma. Inoltre, quando si dà loro un nome, chissà perché muoiono subito. Queste creature non hanno nome e vivono per un tempo molto breve. […]
Ma quando il tempo è giunto, le farfalle scompaiono da qualche parte, in silenzio. Penso siano morte, ma sebbene cerchi, non ne trovo mai i resti. Svaniscono senza lasciare traccia, come se si fossero dissolte nell’aria. Le farfalle hanno una grazia incantevole, ma sono anche le creature più effimere che esistano. Nate chissà dove, cercano dolcemente solo poche cose limitate, e poi scompaiono silenziosamente da qualche parte. Forse in un modo diverso da questo
1Q84-Murakami Haruki
http://www.youtube.com/watch?v=TvqNrkzPrBw 

 
 Terza parte
2011
“grazie, sto bene, davvero” disse Ruki a Kaolu  che lo scrutò con morbosa attenzione, cercando di capire perché mai il suo vocalist avesse perso per un attimo i sensi durante la registrazione del PV di Remember the Urge.
 
 “sei sicuro?” gli chiese il ragazzo, avvicinandosi a lui ma Ruki scosse la testa con esasperazione.
 
 “si, sto bene, te l’ho detto. Ho solo avuto un calo di pressione” mentì il cantante lanciando uno sguardo a Reita concentrato a registrare la sua parte in compagnia di Aoi, dall’altra parte dell’enorme stabile dove stavano girando il video.
Ruki sapeva benissimo qual era il problema.
Quella settimana era arrivato ai suoi tanti amati 47 chili, quella mattina si era limitato a bere una Red Bull e a fumare una sigaretta dietro l’altra per sconfiggere i morsi della fame, ma alla seconda giravolta aveva perso l’equilibrio cadendo in modo rovinoso sul pavimento, portandosi dietro Uruha che l’aveva guardato senza capire. Ruki aveva registrato la sua parte con Uruha e Kai almeno una decina di minuti fa e adesso toccava a Reita e Aoi, mentre Kai si faceva un giretto per il set con in mano una telecamera per filmare qualcosa da inserire nel video del backstage. Ruki aveva insistito con il leader per non essere filmato, era fin troppo debole e non se la sentiva di farsi vedere in quello stato ma Kai aveva sorriso, cercando di allentare la tensione. Fu allora che Kai comprese che in Ruki c’era qualcosa che non andava.
Quando Ruki era caduto sul pavimento, portandosi una mano alla teta e restando immobile per alcuni secondi Uruha aveva appoggiato a terra la chitarra verde e lo aveva guardato con uno sguardo indagatore, seguendo il movimento della figura di Ruki quando si era alzato con un falso sorriso, dicendo a tutti quelli che erano accorsi per aiutarlo che stava bene, che aveva avuto soltanto un calo di pressione. 
Il chitarrista sospettava qualcosa, aveva iniziato a pensare che Ruki avesse un problema con il cibo quando l’aveva visto tagliare in pezzi minuscoli la sua fetta di torta, comprata dal leader per festeggiare il compleanno di Aoi, il gennaio scorso. Ruki aveva tagliato e tagliato quella misera torta, portandosi alle labbra soltanto un pezzo, masticando senza sosta e bevendo una bottiglia di acqua da solo.
 
 “sei lo dici tu. Forse dovresti farti visitare” disse Kaolu senza smettere di guardarlo ma Ruki scosse la testa ridendo.
 
 “no, non preoccuparti. Tanto ormai la mia parte l’ho finita per oggi. Me ne torno a casa” disse per poi alzarsi dalla sedia dove aveva passato gli ultimi dieci minuti, poi andò verso Reita concentrato nelle sue movenze, e quando il bassista lo vide gli mandò un bacio, facendo infuriare il registra.
 
 “adesso devo ricominciare” urlò l’uomo allontanandolo dalla faccia la cinepresa e Aoi ringraziò con il pensiero il biondo accanto a lui. Aveva una voglia di fumare allucinante. Aoi appoggiò la chitarra sulla sedia, si tolse la giacca prendendo una sigaretta dal tavolo, e nel vedere Ruki camminare lentamente con gli occhi socchiusi provò un senso di smarrimento. Nel mentre si accendeva la sigaretta pensò che forse Kai e Uruha avevano ragione, ragione sul fatto che il loro vocalist stesse attraverso un periodo difficile. Soltanto che non aveva idea che il problema fosse dovuto al cibo. 
Ruki sorrise a Reita come sempre e Aoi si convinse che stessero tutti bene, tornando a fumare e dando le spalle alla coppia per parlare con il regista riguardo le sue ultime riprese.
 
 “ vieni qui” disse Reita poco dopo, stringendo tra le braccia Ruki che lo baciò con trasporto.
 
 “ hai finito per oggi?” chiese poi Ruki a Reita perché aveva voglia di andare a vedere un film in una sua compagnia. Tutto pur di non ritrovarsi da solo in cucina.
Certe sere aveva così fame che era costretto a picchiare con forza la testa sul muro, perché non doveva assolutamente tornare a quei maledetti 50 chili, doveva arrivare ai 45 e poi ai 43 e così via. Non era nemmeno più una questione di numeri, sarebbe potuto anche pesare 33 e non sarebbero mai stati abbastanza.
 
 “si, ho una fame. Andiamo a mangiare qualcosa, che dici?” disse Reita ridendo e Ruki si rabbuiò, mordendosi il labbro inferiore.
 
 “ veramente ho già mangiato prima i venire qui” mentì “ però se hai proprio così tanta fame posso aspettarti al cinema fra un’ora. Io devo fare delle commissioni prima” disse sorridendo ma Reita era stanco delle sue continue scuse.
Quando Uruha gli aveva fatto notare l’episodio della torta Reita aveva sempre cercato di tirare fuori il discorso del cibo con Ruki, per vedere come reagiva ma il suo ragazzo era bravo a sviare il discorso, riusciva sempre a fargli dimenticare quello che stava pensando da giorni.
Ma questa volta Reita non ci cascò.
 
 “dai, andiamo al bar accanto alla stazione insieme, ci prendiamo un panino, ti accompagno a fare le tue commissioni e poi andiamo al cinema” disse e Ruki lo fulminò con lo sguardo.
Cosa poteva fare? Kaolu  si era insospettito ed era così stanco, così si limitò ad annuire.
Andarono al bar, Reita mangiò due panini sotto allo sguardo famelico di Ruki che si limitò a tagliare nei soliti micro pezzi il suo. Parlò senza sosta per distrarre il ragazzo difronte a lui e per poter fare cadere pezzi di cibo nel tovagliolo che portava in grembo. Poi disse che aveva bisogno di andare in bagno e si punì per aver ingerito tre pezzi di quel maledetto panino vomitando l’anima nel bagno del locale. Quando le sue dita sottili si macchiarono di sangue Ruki capì che doveva smetterla lì, che nel suo stomaco non c’era più niente da rigettare. Era diventato bravo anche con quello, riusciva a distinguere quasi tutto il cibo che aveva ingerito per primo, per essere sicuro di aver vomitato tutto. Ma quel giorno aveva mangiato soltanto un pezzo di panino e se avesse continuato a procurarsi il vomito volontariamente il suo stomaco si sarebbe distrutto in modo irreparabile. Quando notò la sua immagine riflessa nello specchio del bagno sorrise, un sorriso spento che non arrivò agli occhi e poco dopo ci sputò sopra, indignato e disgustato da se stesso. Le clavicole a forma di ali di farfalla non gli bastavano più, Ruki voleva volare da solo, proprio come una creatura effimera. Voleva passare un singolo giorno felice, senza pensieri, dopo essere arrivato all’obbiettivo che non riusciva a pronunciare ad alta voce, poi sarebbe anche potuto morire, non gli importava.
Quando tornò da Reita quello gli sorrise lentamente, stringendo la sua mano e lo accompagnò nel posto dove Ruki desiderava andare. Il vocalist chiuse gli occhi una volta chiuso nel suo camerino del negozio dove Reita lo aveva accompagnato, mostrando il suo corpo scheletrico allo specchio. Soltanto lui vedeva le bolle di grasso, le cosce enormi, la pancia gonfia, quando tutto quello celava in realtà sotto a strati e strati di abiti erano soltanto ossa.
Al cinema si addormentò senza più forze, mentre Reita cercava in tutti i modi di non mettersi a piangere, seduto accanto a lui e con le mani di Ruki strette nelle sue. Le sue mani erano sempre molto calde, invece quelle di Ruki erano perennemente fredde, come se nelle sue vene scorresse neve e non sangue. Ruki si stava trasformando in un ragazzo d’inverno sotto ai suoi occhi.
Reita comprese  che Ruki aveva un disperato problema con il cibo quando lo vide nel bagno del bar per poi uscire dopo venti minuti. Aveva gli occhi lucidi e tremava. Aveva vomitato, era chiaro, soltanto che non riusciva a capire come e perché lo stesse facendo
 
Il mattino seguente Ruki si pesò come tutte le mattine e tutte le sere e tutti i pomeriggi.
48 chili
Nello salire sulla bilancia aveva quasi avuto un attacco di panico, perché sapeva benissimo che qualcosa era cambiato e quando scese con lo sguardo e lesse il numero pianse in modo disperato. Tutti i suoi sacrifici buttati al vento.
Scese in cucina e svuotò il frigo che conteneva soltanto alcune bottiglie di acqua e degli yogurt, poi si scagliò contro il muro, tempestandolo di pugni. Doveva recarsi  allo studio del J-Melo quel pomeriggio ma non ne aveva alcune intenzione, non riusciva neppure a parlare figuriamoci a sedersi davanti ad una telecamera.
Ruppe tutto quello che gli capitò sotto mano, pianse lacrime bollenti e chiamò tutti i ragazzi compreso lo studio e con la scusa che aveva una febbre da cavallo restò disteso sul pavimento tutto il pomeriggio distruggendosi di addominali
Reita cercò in tutti i modi di far ragionare un disperato Kai che era dannatamente furioso con il vocalist, dicendo a tutti che ormai l’appuntamento era fissato, che non potevano assolutamente rimandare, ma Ruki non rispose al cellulare e i suoi amici furono costretti a rimandare un’intervista che comunque non affrontarono più.
Ruki smise di mangiare anche quei miseri yogurt che ingeriva per riuscire a cantare, a fare servizi fotografici e i 48 divennero 46, poi 45.
Quando lesse quel numero sulla bilancia urlò dalla gioia, crollando sul pavimento senza più forza. Il suo viaggio lo stava gratificando, sentiva di aver ritrovato fiducia nelle sue capacità, e si ripromise che non avrebbe fallito, perché non l’avrebbe sopportato. Non si accontentò più dei 40 chili, il suo nuovo obbiettivo erano i 38. Giurò a se stesso che in caso di fallimento si sarebbe tolto la vita.
Quel pomeriggio mentì un’ulteriore volta, e non soltanto ai suoi compagni di band, al suo ragazzo ma anche alla sorella. Midori sospettava qualcosa ma riusciva soltanto a vedere il fratello in rete  a causa dei continui impegni della band, ma notò immediatamente la sua magrezza allucinante quando Ruki postò una foto sul suo profilo Twitter. 
Il ragazzo era sempre stato magro, nella norma, non aveva mai pesato ne troppo poco e ne troppo ma quella foto la fece preoccupare immediatamente. Quando telefonò a Reita per parlare con lui delle sue sensazioni, il migliore amico le disse che da mesi ormai tutti quanti pensavano che Ruki avesse dei problemi con il cibo. La sorella pianse al telefono, mentre il ragazzo del cantante cercò in tutti i modi di dirle che avrebbe cercato di parlare con Ruki, di fargli dire la verità, qualunque essa fosse.
Ruki compose molte canzoni nel 2011, continuò a dimagrire ma più lentamente, comportandosi in modo più cauto. Imparò a nascondere le sue ossa dentro a strati e strati di vestiti, dedicandosi agli esercizi di notte, dopo aver atteso che Reita si fosse addormentato. Reita aveva proposto di vivere insieme non soltanto per amore, ma anche per controllare che il suo ragazzo non facesse nulla di avventato. Ruki non si scompose, gli disse di si, perché anche se c’era qualcun altro adesso ad amarlo, amava ancora Reita. L’anoressia amava Ruki e Ruki amava lei. Il loro rapporto era stretto, lei dettava le regole e lui le seguiva a testa bassa, non poteva tradirla, non doveva, era fuori discussione. Con Reita in casa era tutto più difficile, Ruki lo sapeva, ma senza il suo bassista non sapeva stare, e doveva assolutamente modificare  le sue abitudini. A pranzo e a cena mangiava piccole quantità di cibo, il resto lo gettava, vomitava tutte le volte che ne aveva la possibilità e il suo peso oscillò per mesi tra i 45, 46 chili. Non perse mai il controllo e le ore di esercizi notturni si intensificarono. 
Ruki stava alle regole e nella sua testa la Voce si congratulava sempre con lui. Se falliva tutto quello che sentiva era “grasso, sei grasso, sei un maiale obeso” e doveva assolutamente punirsi, altrimenti non sarebbe sopravvissuto alla furia di lei.
Una sola notte Reita finse di dormire, aspettando che Ruki si alzasse del letto, poi attese dieci o quindici minuti e lo seguì, trovandolo in salotto. Ruki era disteso sul pavimento, i piedi sotto al divano e si stava cimentando in almeno 100 flessioni, una dietro l’altra.
Reita nascose il volto dietro ad una mano, crollando sul pavimento, incapace di muoversi e con orrore lo vide alzarsi e ripetere quegli addominali per ben tre ore. Ruki non lo vide neppure una volta, tutte le notti passava tre delle quattro ore o a fare addominali o step sul divano e Reita fu costretto a guardare il suo ragazzo dimagrire a vista d’occhio. Aveva promesso a Midori che avrebbe fatto qualsiasi qualcosa per impedire che Ruki si uccidesse ma non appena comprese che Ruki era malato di anoressia, Reita lo odiò con tutto il cuore. Non  aveva pensato a lui, al loro amore neppure una volta. Questo pensiero lo tormentava da giorni e non riusciva neppure a concentrarsi sulla band.
In realtà Ruki ci aveva pensato eccome.
Lui non lo stava facendo per egoismo, lui non aveva deciso di non mangiare più per fare del male a nessuno, l’aveva fatto perché il distruggersi era l’unica cosa che lo rendeva felice, che lo rendeva fiero di se. Vedere l’ago della bilancia scendere di continuo gli trasmetteva passione e un senso di autonomia, lui si sentiva forte, ma era soltanto una facciata, una sfumatura di quell’orribile malattia in cui era caduto.
Cantava perché doveva cantare, i live li facevano ancora ma lui era spento, gli altri cercavano di mantenere viva l’atmosfera ma Ruki aveva soltanto il peso da perdere nella testa. Alla fine del 2011 sbagliò alcune parole di Pledge durante un live, Kai si infuriò terribilmente con lui e con Reita. I fans della band si confidarono nei social e Ruki venne bombardato di tweet su Twitter, in cui gli si chiedeva come stesse veramente. Ruki sviava sempre il discorso, annunciando a tutti che stava bene e che era soltanto un periodo in cui era molto stanco. Reita e gli altri assistevano dietro le quinte, impotenti. Aoi dopo il fallimento dell’ultimo concerto aveva smesso di aggiornare il suo profilo arrivando a togliersi definitivamente. Lui fu il primo a capire che l’era dei The GazettE stava lentamente tramontando. 
Qualcosa nel bassista si era spento.
Dopo aver trovato Ruki concentrato in addominali alle tre del mattino il suo suonare il basso era diventato qualcosa di meccanico, qualcosa di forzato e Uruha e Aoi furono costretti ad assistere impotenti al declino.
I 45 si trasformarono in 44
 Il 2012 arrivò, l’anno in cui i The GazettE affrontarono il Decade.
Fu l’ultimo live della loro carriera, perché quell’anno Ruki perse altri quattro chili.
 
***
Crollo sul pavimento della casa di Ruki, il nuovo luogo dove la mia mente ha voluto portarmi perché io rivivessi tutto quello che avevo cercato di elidere dalla testa con forza. Ma i fantasmi del mio passato non se ne sono mai andati, sono sempre stati lì, ad aspettarmi.
Sono costretto ad assistere al declino della mia storia d’amore, del mio gruppo, della mia vita, impotente, avvertendo sulla punta della lingua il gusto del sangue.
Il giorno dopo aver visto Ruki fare gli addominali per la prima volta, ho chiamato Midori dicendole che avevo un disperato bisogno di parlare con lei. Le dissi ogni cosa, lei non versò neppure una lacrima, mi ascoltò e basta, stringendo le mie mani tra le sue.
 
 “le sue mani, sono fredde?” mi chiese poi riferendosi alle mani di Ruki ed io annuii. Le mani di Ruki non erano soltanto fredde, ma gelide.
 
 “si, sono fredde come il ghiaccio” dissi guardandola e lei mi strinse a se, dicendomi che mi avrebbe aiutato, che avrebbe cercato di parlare con il fratello ma io le dissi che la cosa si sarebbe soltanto rivoltata contro di noi e che doveva lasciarmi risolvere la situazione da me. Sentivo che la colpa era mia, era colpa mia se Ruki aveva smesso di mangiare, ero io che l’avevo portato contro i suoi genitori, contro suo padre, baciandolo per la prima volta
Avrei dovuto rinnegare il mio amore per lui, continuare a fingere e magari lui sarebbe riuscito a trovare una ragazza. Quel pensiero mi ferì ma compresi che le cose sarebbero dovute andare esattamente così. Quando lo dissi a Midori lei mi spinse con forza contro il muro. Lo sguardo della ragazza era duro, mi odiava per aver pensato a quella cosa orribile, lo sapevo.
 
 “smettila di dire cazzate Akira. Voi due vi siete sempre amati, era destino, dovevate stare insieme” mi gridò furiosa.
 
 “ e tu? Che ne sarà di te?” le chiesi portandole le mani sulle spalle.
 
 “io ti amo, ti amo da morire, ma so che anche mio fratello ti ama, ti ama più di qualsiasi altra cosa, e non sopporto di vederlo soffrire, tu devi stare accanto a lui, devi cercare di farlo ragionare, te lo chiedo in ginocchio” mi implorò stanca, gli occhi lucidi.
 
 “ci proverò Midori, ci proverò” dissi devastato, con il cuore in frantumi, i cocci mi erano scivolati sulla mano e li stavo  stringendo così forte, sperando che si frantumassero del tutto, ma quello stupido muscolo continuava a battere nonostante tutti i miei tentavi di farlo smettere.
Quando mi volto un’ennesima figura di Ruki mi appare davanti agli occhi
Il Ruki che ho difronte pesa 43 chili, ha i capelli castani, indossa il suo costume del Decade, i guanti scarlatti che sembrano scaldargli un po’ le mani. Quando mi alzo per andare da lui sbatto con forza di nuovo contro quella dannata barriera invisibile e sono costretto a guardare un me provato e freddo comparire dietro a Ruki.
 
 “no, ti prego no” urlo portandomi entrambe le mani al volto, crollando a terra. Non posso rivivere quel momento, non adesso, non così, non ce la posso fare ma la mia mente mi vuole male, sono un dannato masochista
 
 “no” urlo quando vedo il vecchio Ruki chiudere gli occhi per voltarsi verso il vecchio me.

 
 
Ruki chiuse gli occhi quando Reita gli si avvicinò, restando a notevole distanza. Reita era stanco morto dopo aver posato per il servizio fotografico, voleva soltanto stare con Ruki, stringerlo a se e dormire ma Ruki non si sbrigava a smettere di dargli le spalle.
Quando erano tornati a casa, il vocalist si era tolto tranquillamente il cappotto e le scarpe, rifiutandosi però di togliersi il costume di scena. La lunga giacca colorata di rosso e nero lo teneva al caldo, e lui aveva così freddo.
 
 ” amore, vieni qui” provò Reita, gli occhi che pungevano. Avrebbe sicuramente pianto da un momento all’altro e non voleva che succedesse davanti a Ruki.
Il ragazzo sospirò lentamente e quando si voltò per guardarlo fu per sorridere in modo freddo. Si sentiva un verme per averlo pensato ma doveva assolutamente iniziare adesso gli esercizi perché non ne aveva nessuna voglia e se non si sbrigava ad iniziare non gli avrebbe fatti più.
 
 ” sono stanco Rei, davvero. Voglio soltanto fare una doccia e andare a letto” sorrise Ruki. Una volta nel bagno avrebbe lasciato andare l’acqua della doccia e per venti minuti avrebbe fatto una serie di addominali che avrebbe terminato soltanto di notte.
 
 “facciamola insieme” propose Reita prendendo Ruki tra le braccia appoggiando le labbra sulle sue. Ruki rabbrividì a contatto con quel bacio, perché il suo bassista gli era mancato da morire. Era inutile nasconderlo, lui non aveva più nemmeno le forze per stare in intimità con lui, e il calore del suo corpo gli mancava troppo.
Pesava 43, non mangiava da giorni, gli esercizi potevano anche bastare, sono stato bravo disse alla voce e quando rispose alle carezze di Reita, il ragazzo tremò lentamente. Reita lo condusse al loro bagno e dopo averlo spogliato lentamente cercò di non scoppiare a piangere alla vista delle ossa.
 
 “ti prego, non ce la faccio, sono stanco” disse Ruki piangendo, allontanandosi da Reita quando scivolarono nella vasca e tutto quello che furono in grado di fare fu stringersi piano l’uno all’altro. Reita se lo fece bastare anche se la voglia di possedere il suo ragazzo era forte e appoggiò lentamente il mento sulla sua spalla sporgente.
Le ossa si vedevano sempre di più e Ruki sorrise nel sfiorarsi quelle del bacino, contandole una per una. Credeva di riuscire a dormire senza pensieri quando Reita disse :” ci mangiamo un gelato, che dici? Ho preso il mio preferito”
Quando lo disse a Ruki, Reita marcò con morbosa attenzione sulla parola gelato. Voleva farlo mangiare ad ogni costo, perché non ce la faceva più a vederlo in quello stato, a costo di imboccarlo con la forza. Fu allora che Ruki fu colto da un improvviso attacco di panico. Non poteva, non poteva mangiare quel dannato gelato, la Voce non gliel’avrebbe permesso e lui sapeva benissimo che se avesse anche solo provato a mangiare il gelato si sarebbe trasformato in un piatto di ramen, poi in un dolce e così via.
 
 “non ho fame, voglio soltanto dormire ”disse a Reita che sbuffò.
 
 “dormirermo dopo, ti prego. Per una volta fai quello che ti dico. Non hai pranzato e quel servizio fotografico è stato estenuante” disse Reita furioso, seduto a tavola. Ruki sospirò con forza, e senza farsi vedere si pizzicò con forza la pelle del braccio. Il dolore gli arrivò al cervello e quando si sentii dire “va bene” si morse con rabbia il labbro inferiore con il desiderio di romperlo.
Mangiarono il gelato in silenzio, Reita cercò tutte le volte di non guardare Ruki che stava leccando fin troppo lentamente il suo cono, tanto che la crema iniziò a sciogliersi e a colare sulle sue dita. Ruki rabbrividì e quando capii che voleva assolutamente assaggiare quella crema deliziosa mangiò tutto il gelato. Quando la crema di cioccolato e penna si adagiò sulla sua lingua, assieme a quei piccoli pezzi di cioccolato fondente Ruki scoppiò quasi a piangere. Aveva dimenticato quanto fosse buono il sapore del gelato, ne voleva sempre di più. Leccò con avidità la crema, quasi piangendo dal dolore, e bastò un attimo per fargli perdere il controllo.  
 
 “dammene un altro” disse a Reita, sbattendo con forza la mano sul tavolo. Reita alzò lo sguardo dalle sue mani intrecciate, le aveva fissate per parecchi minuti, cercando di non piangere ma quando udì quelle parole tremò. Si alzò e prese un altro gelato per Ruki, cercando di non urlare dalla goia. Ci stava forse provando?
Ruki invece stava lentamente morendo dentro e pregò che Reita si sbrigasse, perché voleva sentire di nuovo quel sapore, e in fretta, prima di riprendere il controllo.
Reita spalancò gli occhi quando vide Ruki buttare giù senza neppure respirare il secondo gelato, poi Ruki si alzò in piedi e portò il suo piccolo copro magro al frigorifero, aprendolo e prendendo tra le mani del latte, della cioccolata, un pacchetto di patatine.
Reita sconvolto lo vide mangiare tutto quello che gli capitava tra le mani e quando cercò di fermarlo, perché Ruki si stava letteralmente abbuffando e da li a poco avrebbe rigettato, quello lo spinse via, correndo in direzione del bagno.
Ruki spalancò la porta e si riversò sul water, ma le sue dita non sarebbero mai arrivate troppo in fondo e lui urlò con forza, per cercare di liberarsi da quello schifo.
Quando alzò gli occhi, con il desiderio di morire, vide Reita fermò davanti alla soglia.
Il bassista guardò Ruki con gli occhi spalancati, il respiro sconnesso, il cuore che gli esplodeva in petto. Ruki scoppiò in lacrime, cercando di alzarsi e scuotendo la testa, sciacquandosi  poi la bocca al rubinetto del lavandino.
 
 “Ruki, pesati ti prego” lo implorò Reita e Ruki gli urlò contro.
 
 “no, vattene” urlò il ragazzo, cercando di spostarsi ma Reita gli bloccò la via d’uscita mettendosi davanti alla porta.
 
 “spiegami, ti prego. Perché?” provò Reita ma Ruki alzò le mani alla testa senza smettere di piangere.
 
 “fammi uscire, devo andare a comporre della canzoni”
 
 “cazzate, tu non riesci neppure a trovare la forza per fare l’amore con me, figurati per scrivere delle canzoni. Pesati” urlò Reita furioso, facendo tremare il ragazzo davanti a lui.
 
 “vattene, lasciami uscire”
 
 “pesati dannazione” e fu allora che Reita si scagliò contro Ruki, facendolo voltare e spogliandolo. Il piccolo  pianse a dirotto, spingendolo lontano dal suo corpo ma Reita lo sollevò di peso, tirando fuori subito dopo dalla credenza del bagno una bilancia, la bilancia che Ruki usava tutti i giorni, tutti i pomeriggi, tutte le notti.
 
 “Sali” lo implorò, e Ruki scosse la testa, cercando di coprirsi con un asciugamano come meglio poteva.
 
 “Sali ti ho detto” tornò ad urlare Reita, strattonandolo con forza. Ruki barcollò accanto a lui tremando e quando avvicinò i piedi alla bilancia Reita ebbe un violento attacco di panico
Mentre Ruki saliva sulla bilancia Midori veniva schiaffeggiata dal padre. La ragazza aveva cercato di far ragionare il padre nel momento in cui era venuto a sapere che suo figlio e il suo ragazzo vivevano insieme.
Mentre Ruki saliva sulla bilancia Aoi e Uruha riponevano alcuni dei loro strumenti nell’armadio, chiudendolo poi a chiave. Sapevano che era solo questione di tempo e non avrebbero suonato mai più.
Mentre Ruki saliva sulla bilancia Kai distruggeva con foga una delle sue batterie, quella che aveva suonato al Tokyo Dome, annunciando che non aveva intenzione di suonare mai più con i The GazettE, nonostante avessero in programma un live.
Quando Ruki salì sulla bilancia, alzò gli occhi al cielo piangendo e lasciò a Reita il compito di guardare. Lui conosceva già il risultato.
Il cuore gli esplose in petto quando Reita si chinò per leggere il numero.
40 chili.
Reita perse l’equilibrio per un attimo e quando crollò sul pavimento Ruki pianse a dirotto, restando in piedi immobile sulla bilancia, completamente nudo, sussurrando un “mi dispiace, mi dispiace tanto”
 
***
Ho sbagliato, ho sbagliato a pensare di poterlo salvare, ho pensato a pensare di  riuscire a porre fine a l’incubo in cui eravamo caduti. Ruki prima di cantare al nostro ultimo live pesava 40 chili, soltanto il suo cuore continuava a battere perché niente ormai in quel corpo funzionava.
Mi siedo di nuovo nel nulla, mentre la visione si dissolve e sono costretto a visualizzare soltanto il pallido sorriso del mio fantasma. Quando alzo gli occhi e vedo un me stesso che non riconosco più, il me stesso del 2005, la testa inizia a vorticare e tutto prende possesso del mio corpo. Il nulla, il dolore, la paura, almeno mille emozioni mi fanno rizzare in piedi.
 
 “hai fallito ”dice il fantasma guardandomi negli occhi e quando alza le mani per mostrarmi i palmi vedo del sangue.
Subito dopo, quando scendo con lo sguardo a guardarmi le braccia le vedo, tante piccole cicatrici. Quando Ruki è crollato sul pavimento della camera, coprendosi poi con il lenzuolo, il giorno in cui l’ho costretto a pesarsi, me ne sono andato, sono tornato a casa mia, vuota, e stringendo il colletto che avevo portato via dalla casa di Ruki ho desiderato di farla finita con la mia vita, perché senza Ruki non potevo pensare di continuare a respirare. Non pensai a Midori, non pensai a lei per un attimo, e quando me ne resi conto, capii che la mia ora era giunta. Lei meritava di meglio, avevo fallito anche come migliore amico.
Nel tagliarmi la pelle per la prima volta gridai e alla vista del sangue mi fermai sorpreso che la sua vista mi desse conforto. Quando mi sono fermato, accantonando per un attimo il pensiero del suicidio ho capito che se io fossi morto Ruki l’avrebbe avuta vinta e che non dovevo far vincere quella maledetta malattia. L’unico modo che avevo per punirmi, per punire lui era tagliare.
Uno, due, dieci tagli, il mio piccolo segreto mi aiutò ad andare avanti e quando tornai da lui lo strinsi a me, promettendo a me stesso che sarei stato cauto. Non mi sarei fatto scoprire, come invece era successo a lui.
 
 “lasciami in pace” sussurrai al mio fantasma dandogli le spalle e quello scoppiò a ridere, restando immobile davanti a me.
 
 “voltati Akira, non sei ancora giunto al capolinea” disse portandosi una mano al volto e sporcandosi la fascetta di sangue. Sorrisi quando me ne accorsi, portandomi di riflesso una mano al volto. Quando mi ero tolto la fascetta, dopo il ricovero di Ruki, Midori, Kai, Aoi e Uruha compresero che il vero me era morto, lasciando il posto ad un Akira freddo e che non era mai esistito. Il Reita allegro e sempre attento alle esigenze degli altri era svanito e tutto quello che riuscivo a fare era lasciare sole le persone. Ruki ci era riuscito a farmi crollare, ancora una volta, perché in quel sogno non ci volevo più stare, e anche se mi feriva ammetterlo, volevo smettere di amarlo. Ero stanco di essere messo in secondo piano.
 
 “voltati” mi disse Reita, indicando qualcosa alle mie spalle e sorrisi in modo inespressivo, al riflesso dell’anima che non era più mia.
 
 “ perché dovrei?” dissi furioso.
 
 “perché c’è ancora qualcosa che devi vedere. Chiudi gli occhi e voltati” mi incitò quello, fulminandomi con lo sguardo che era ancora il mio, anche se molto più caldo e avvolgente di adesso.
Non volevo più vedere nulla, quello che avevo visto finora mi era bastato ma al vecchio me evidentemente non andava ancora bene, voleva che soffrissi di più.
 
 “avanti, fallo” mi ordinò, quell’immagine riflessa dentro me ma ormai lontano da me.
 
 “no” gridai e fu allora che il nulla svanì, e tutto quello che mi circondò mi diede il voltastomaco. Reita svanì a sua volta, un sorriso ancora impresso sul volto e quando sbattei le palpebre vidi di nuovo un palco, quello del Decade.
 
 “cazzo, no” imprecai portandomi una mano al volto e crollando di nuovo a terra.
No, non quel maledetto live, non di nuovo, non di nuovo, quanto devo soffrire ancora.
 
 
Chiudi gli occhi e mi vedrai qui,
disegnandomi
tra la polvere e le stanze
io
trascinandomi
 
 
Ruki mi sorride, o meglio sorride ai centinaia di fans sotto di noi, e quando lo vedo stringere il microfono per l’ultima volta la mia testa inizia a girare e sono costretto ad alzarmi per dare di stomaco.
La mia anima si stacca dall’involucro, quella del mio vecchio me fa lo stesso e lentamente il mio essere del presente entra con prepotenza nel corpo del mio essere del passato. Sono costretto ad assistere di nuovo al nostro declino.
come anime gemelle
Sopravvivere alla nuda verità

“grazie a tutti per essere qui” dice Ruki avvicinandosi al pubblico.
Kai trema, Aoi chiude gli occhi, Uruha mi lancia uno sguardo carico d’ansia, io do le spalle al tutto e non appena avverto il silenzio più totale capisco che l’incubo ormai ha preso possesso anche di tutto il resto.
Sarà bellissima,
l’altra parte di me
anche senza di me
 
 
“vi regaleremo qualcosa che non dimenticherete facilmente” sento dire da Ruki, ormai mi giunse soltanto la sua voce. Chiudo gli occhi e vorrei lasciar cadere quello stupido basso che stringo tra le mani.
Vorrei urlare, picchiare qualcuno, tagliarmi.
I fans urlano in preda alla gioia e prima che Ruki possa aggiungere altro sento Aoi partire con il suo assolo. Muovo le dita sulle corde senza voltarmi quando Kai inizia a suonare la batteria, una batteria che è stato costretto a ricomprare soltanto per affrontare quel live.
Quando Ruki inizia a cantare Taion la sua voce mi appare così distorta, debole, fredda, non è mai stata così glaciale. Al primo urlo me ne resto zitto, suoniamo con una morbosa concentrazione poi quando lascio che Uruha e Aoi facciano il loro lavoro, sento Ruki urlare con tutto il fiato che gli resta, poco prima dell’assolo di Uruha. Il chitarrista suona il suo assolo e quel suono mi arriva dritto al cuore, inchiodandomi sul posto e arrecandomi dolore. Dovrei sentire Ruki cantare subito dopo ma non è il suo grido quello che sento.
Le urla dei fans mi giungono dopo qualche minuto e quando avverto che quel suono non è di gioia mi volto, la bolla in cui mi sono rifugiato si dissolve e sono costretto a guardare la piccola figura di Ruki accasciata sul palco.
Uruha corre verso di lui, Aoi lascia cadere sul palco la chitarra, Kai chiama aiuto, io me ne resto completamente immobile.
Mi sembra di vederla adesso, quel piccolo demone alle spalle di Ruki, un sorriso sadico, il corpo scheletrico, macilento, i lunghi capelli che le cadono sulle spalle.
Mi sorride.
È finita.
 
***note***
Oh, scusate se ci ho messo tanto a postare ma mi sono presa del tempo per scrivere bene questa parte :) Accidenti, è stato davvero difficile scriverla, ma ne è valsa la pena, il risultato finale mi piace molto, anche se avrei voluto scrivere un’altra cosa ma sarebbe diventato troppo lungo, così credo che la inserirò nell’ultima parte J
Che dire, non posso assolutamente aggiungere nulla riguardo al capitolo, non me la sento, i ragazzi hanno parlato per me e devo dire che scrivere questa storia è davvero doloroso, ma l’idea mi balenava nella testa da un po’ e dovevo scriverla..
Per le canzoni, allora, questa volta mi sono data ai Placebo :D Sleeping with the ghosts nella prima parte, A song to say goodbye nella seconda e Taion per l’ultimo pezzo. Non mi sembra che abbiano suonato questa canzone nei live del 2012, ma ci stava benissimo con la parte che volevo descrivere, non ho trovato nessun’altra canzone che ci stesse bene.
Taion è perfetta, credo che ascoltarla dopo aver scritto questo pezzo non sarà più lo stesso ;(
Bene, detto questo vi lascio :D e ci vediamo al prossimo postaggio *a breve perché ho intenzione di scrivere l’ultima parte in settimana ^^*
Ringrazio ancore le donzelle che mi hanno letta, recensita e messo la storia tre le preferite ** vi amo **
Fatemi sapere che cosa ne pensate **
Con amore
Effy :*
 

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Capitolo 4
*** *Quarta Parte* ***


Quello che sto per postare è il capitolo più difficile ed intenso che abbia mai scritto prima di adesso.. scrivere questa fanfiction è stato davvero difficile per me, mi ha permesso di entrare in un mondo che mai avrei pensato di visitare. I The GazettE non sono eterni, potrebbe succedere qualunque cosa che potrebbe portarli alla fine, e bisogna sempre essere pronti per un’entualità del genere, anche se pensarlo fa malissimo..
Spero che l’ultima parte vi piaccia ^^
Ringrazio Fra per avermi fatto tornare la voglia di ascoltare i miei Three Days Grace ** da quando Adam se n’è andato ho iniziato ad ascoltarli meno, ma la sua voce mi aiuta sempre nei momenti di bisogno, e ritrovando la discografia nel computer ho scoperto una canzone perfetta per questa parte ^^
Ci vediamo alla fine ^^
Buona lettura :*

 
L’ALTRA PARTE DI ME


 
Quarta parte
Le porte si spalancano, e il fantasma di Midori attraversa  il mio, frantumando il mio essere in tanti piccole parti, perché ancora una volta devo assistere, impotente.
La mia anima si è staccata con forza da quella di Reita e adesso tutto quello che posso fare è tornare a guardare, da spettatore. Quando la mia figura si ricompone, vedo la sorella di Ruki accasciarsi sulla sedia accanto al vecchio me.

“dov’è? Come sta?” chiede la ragazza, appoggiando le mani sulle mie gambe, su quelle di lui.

“l’hanno ricoverato d’urgenza. Adesso sta facendo delle analisi del sangue” dice Aoi, le braccia conserte. Uruha è accanto a lui, sta cercando di non piangere, ma è tutto inutile e delle lacrime voraci gli solcano la pelle della guance come se fossero di acido.
Kai è lontano, accanto alla porta che conduce al pronto soccorso, non ha parlato nemmeno una volta da quando siamo arrivati qui.
Dopo aver chiamato un’ambulanza, Ruki è stato portato via e tutti i tentativi del mio vecchio me non sono serviti a nulla, sono dovuto restare al concerto, a spiegare ai fans quello che era successo. Kai è sparito poco dopo ed è la prima volta che lo vedo, dopo avergli dato le spalle per guardare la barella dove avevano adagiato Ruki che veniva portata via.

“che è successo?” chiede Midori, tremando.

“è svenuto durante una canzone. Io ero troppo lontano, ho visto soltanto che si portava una mano alla testa e poi è caduto, non sono riuscito a fare niente” dice Uruha, scuotendo la testa e lanciando uno sguardo al mio vecchio me.
Vorrei muovermi da lì, vorrei assistere ad un altro flash back, vorrei controllare di nuovo il mio corpo come poco fa, perché ne ho abbastanza. So che non è ancora arrivato il momento di svegliarsi, c’è ancora qualcosa da vedere, ma vorrei soltanto porre fine a tutto questo a modo mio.
Quando Midori si alza dalla sedia per stringere Reita abbasso lo sguardo e scelgo di non guardare più.
Le mie mani iniziano a perdere colore un po’ alla volta, sta succedendo di nuovo e nell’esatto momento in cui alzo gli occhi noto l’intensa luce che mi abbaglia per un attimo e ancora di nuovo il vecchio Reita mi compare davanti.
Questa volta ho difronte un me stesso di un passato recente, l’anno scorso, quando tutto è giunto al termine. I miei capelli non sono più biondi ma neri, la fascetta non esiste più e indosso dei vestiti anonimi, senza personalità.
I The GazettE si sono già sciolti.

“che cosa vuoi?” chiedo e quello sorride, scostandosi un ciuffo dagli occhi.

“c’è ancora molto da vedere Akira, lo sai vero?” mi dice mordendosi il labbro e venendo verso di me.

“si, lo so bene. Quindi fai in fretta” dico in modo brusco, socchiudendo gli occhi. Reita sorride di nuovo poi mi dà le spalle ed inizia a camminare.

Credo di doverlo raggiungere e anche se vorrei soltanto accasciarmi a terra muovo prima un piede e poi l’altro, seguendolo.
Reita mi conduce ad un passato che credevo di aver rimosso dalla mente, a causa della sua brutalità, ma quando ci sbatto contro mi rendo conto che non posso fuggire dai miei demoni interiori e che devo assistere a quello che Ruki ha vissuto, a quello con cui ha lottato per giorni, chiuso nella sua solitudine.

“sempre dritto” mi dice Reita indicandomi la solita barriera invisibile.

“lo so” dico a voce bassa, muovendomi di nuovo nella direzione prescelta.
 
                                                                                                         °°°                                                
https://www.youtube.com/watch?v=U13kLDINwZw

Ruki stava volando.
Poteva sentire in modo distinto le sue ali di farfalla vibrare dietro la sua schiena. Era tutto così bello, così puro e delicato, sapeva che ci era riuscito, che era riuscito a raggiungere il cielo.
Si chiese dove si trovasse, perché non vedeva assolutamente nulla, soltanto tante nuvole e forse, pensò, era morto.
Wow, la morte, ci aveva pensato molte volte, ma non avrebbe mai creduto di trovarla così soddisfacente, così ricca di benessere.
Aveva aspirato alla morte per mesi, credendo di riuscire a raggiungerla dimagrendo a vista d’occhio e adesso che era arrivata sembrava quasi troppo bello per essere vero.
Aveva forse smesso di soffrire? Poteva volare in assoluta libertà?
Una voce in lontananza, nella sua testa, lo fece fermare, chiudere gli occhi e riprendere fiato.
Qualcuno stava gridando il suo nome, una voce così bella, una voce che aveva udito fin troppe volte e mai dimenticato.
“Takanori”
Nessuno lo chiamava più con quel nome ormai, lui non voleva che qualcuno lo chiamasse ancora con quel nome maledetto, contaminato, scelto da un padre claudicante e subdolo. C’era soltanto una persona che poteva ancora chiamarlo in quel modo e quando Ruki lo comprese scoppiò a piangere.
Akira
Akira lo stava chiamando, voleva che tornasse da lui e per la prima volta dopo mesi e mesi di gelo perenne ebbe quasi caldo.
Gridò con forza chiudendo gli occhi, voleva raggiungerlo e quando tornò ad aprire gli occhi, dopo aver sbattuto più volte le palpebre, visualizzò un soffitto bianco e un pungente odore acre di disinfettante lo invase lentamente.
Quando spostò la testa a destra vide dei macchinari che non aveva mai visto e un prurito fastidioso al naso lo costrinse a muovere la testa e a portare una mano al volto. Fu allora che lo vide, che sentì qualcosa di diverso.
Un sondino.
Ruki spalancò gli occhi, incapace di muoversi e quando spostò lo sguardo alla sua sinistra vide in modo distinto sua sorella Midori in piedi davanti a lui.

“oh mio Dio” esclamò la ragazza, sedendosi sul suo letto e stringendo forte il corpo magro del fratello.
Ruki era disteso su un letto d’ospedale, la pressione pari a quella di un serpente, le analisi del sangue avevano evidenziato che aveva una forte anemia e che lo stomaco si stava lentamente mangiando da sé. I suoi capelli avevano iniziato a cadere alcune settimane fa e Ruki era scoppiato a piangere nello stringere alcune ciocche, chiuso nel suo bagno dopo essersi pesato ancora una volta.

“tesoro mio” sussurrò Midori stringendo il fratello forte e Ruki scoppiò a piangere.

“Reita” chiese e Midori annuì tra le lacrime.

“sono tutti fuori tesoro, vuoi che te li chiami?” disse la sorella ma Ruki scosse la testa.
Lui non voleva vedere nessuno, voleva soltanto sapere che Reita stava bene, che non era morto con lui. Quando capì di non essere morto davvero ebbe un violento attacco di panico e la realtà di quello che aveva fatto a se stesso lo colpì al centro esatto del petto. Perse il respiro, iniziando a ad alzare e abbassare il petto in modo sconnesso, per cercare di far entrare di nuovo aria nei polmoni.
Lui era malato, malato di una malattia che lo aveva allontanato dalla sua realtà, dai suoi affetti, dai suoi amici, dal suo amore, dalla sua vita, una malattia che lo aveva rinchiuso in una dolorosa solitudine fatta di privazioni e delusioni.

“quanto pesi?” chiese Midori in lacrime, dopo aver stretto tra le mani il braccio di Ruki. Quando avvolse lentamente il suo braccio tra il pollice e l’indice, notando che le dita si toccavano senza difficoltà iniziò a tremare.

“non abbastanza… troppo…non lo so” disse Ruki scuotendo la testa, disperato.

“ascoltami bene Ruki, ti prego. Adesso devi fare tutto quello che ti dicono i medici, chiaro. Se ti comporti bene potrai uscire anche nel fine settimana” disse Midori cercando di sorridere ma tutto quello che uscì fu soltanto un’orribile smorfia di dolore.

“d’accordo. E poi?” chiese Ruki, stringendo con forza la mano della sorella.
Midori non rispose, non sapeva che cosa dire al fratello, a un fratello che pesava meno di lei, che aveva voluto morire di fame a causa del padre. Lei sapeva che il motivo era soltanto quello, lo sapeva, e si odiò per non averlo capito in tempo.
Ma come dirgli che una volta uscito da lì, i GazettE non sarebbero più esistiti, che tutto era finito, che la sua vita era finita.
Ruki scutrò con attenzione lo sguardo della sorella, senza trovare alcuna risposta alle sue domande poi si lasciò cadere sul cuscino, ad occhi chiusi.
La realtà era una sola.
Era riuscito a morire di fame, a morire lentamente dentro, soltanto che con lui erano morti anche tutti i suoi sogni, le sue speranze, il suo amore.
Reita non l’avrebbe amato mai più.
Come amare una persona tanto egoista.
Quando Ruki parlò di nuovo alla sorella fu soltanto per dirle che voleva stare solo, che se ne doveva andare. Midori lo guardò senza capire, restando immobile accanto a lui, quando il fratello liberò in modo brusco la mano dalla sua, urlando “vattene ho detto”
La ragazza si alzò lentamente, lanciandogli uno sguardo carico di apprensione e dolore per poi uscire dalla stanza.
Quella fu l’ultima volta che Ruki la vide.
 
https://www.youtube.com/watch?v=_tWBt_j2ayM

Il sole era così luminoso in cielo, i suoi raggi scaldavano qualsiasi cosa e le nuvole costudivano le tante grida di almeno un milione di fans, che avevano gridato di gioia nell’assistere ad ogni concerto dei The GazettE, pregando che anche solo una volta uno di loro si accorgesse della loro esistenza.
Adesso quel milione di fans aveva perso completamente la voce.
C’era chi si teneva aggiornato in internet, troppo lontano, c’era qui continuava ad ascoltarli con le lacrime cercando di capire che diamine fosse successo, c’era chi si prefiggeva per organizzare gruppi da 100 persone per preparare un video, una canzone, un pensiero per ogni componente della band.
C’era chi sapeva la verità.
Quella mattina almeno una mezza dozzina di fans un po’ da tutto il mondo si trovava immobile davanti all’ingresso del pronto soccorso, tanto che i medici si erano lamentati più volte, chiedendo più alle autorità di intervenire e tutti quei ragazzi e ragazze erano stati costretti ad allontanarsi, almeno dietro ai cancelli dell’ospedale.
Attendevano, attendevano risposte che non sarebbero mai arrivate, credevano di averle già in pugno.
Quando Kai uscì dalla porta principale, seguito da Uruha, Aoi e un silenzioso Reita i fans iniziarono a correre nella loro direzione ma il chitarrista più giovane disse loro che dovevano tornare a casa e che non avrebbero detto assolutamente nulla.
Nessuna dichiarazione, nessuna risposta, niente di niente.
Qualcuno pianse, altri urlarono, ma nessuno di loro disse una sola parola sulle condizioni di salute di Ruki.
Ruki, a sua volta, se ne stava rintanato nella sua camera d’ospedale, lanciando ogni tanto uno sguardo alla finestra. Ingurgitava tutto quello che gli portavano, cercando di stare alle regole soltanto per poter uscire da lì e ricominciare da capo.
Reita tornò a casa sua, ancora dannatamente vuota e quando si lasciò cadere sul pavimento ricoperto di polvere raccolse il suo corpo mettendosi in posizione fetale, stringendo tra le braccia le sue gambe. Fu preso da una serie di brividi sconnessi, rantoli e grugniti, lamenti dolorosi e febbrili che lo condussero lentamente all’annientamento.
Tornò a ferirsi, tagliando la carne con forza, senza parlare con nessuno eccetto con Midori, che si offrì di aiutarlo almeno con le faccende domestiche.
Uruha, Aoi e Kai si rinchiusero in sala registrazione.
Il primo distrusse tutto quello che avevano creato, annunciando alla casa discografica che non avrebbero mai più prodotto alcun cd, il secondo ripose tutti gli strumenti negli armadi e fece sparire i microfoni di Ruki. Kai a sua volta si rinchiuse in una dolorosa atmosfera di desolazione, organizzando l’intervista che avrebbe annunciato la fine dei The GazettE.
Quando Ruki uscì dall’ospedale aveva preso soltanto due chili e quando si sedette di nuovo sul divano di casa sua, vuota, nascose il volto magro dietro alle mani. Aveva fallito, aveva fallito in ogni cosa.
Reita lo odiava, non voleva vedere nessun’altro, soltanto il suo unico amore e lui non si era fatto vivo, non era andato a trovarlo neppure una volta.
L’anoressia lo stava aspettando a braccia aperte ma Ruki era fin troppo debole e per i primi giorni si limitò a mangiare degli yogurt e alcuni cereali. Non sarebbe riuscito comunque a mangiare altro, il suo stomaco si era ristretto.
Quando telefonò per la prima volta fu per chiedere a Koulu se poteva accompagnarlo allo studio di registrazione.

“perché?” chiese il ragazzo, abbassando lo sguardo.

Lui e il resto dello staff aspettavano soltanto che il leader dicesse loro cosa fare ma Kai era irremovibile e stava attendendo di partecipare a quell’ultima intervista.

“perché ho bisogno di vedere una cosa” disse Ruki, la voce ridotta ad un sibilo. Kaolu sospirò con forza.

“non posso Ruki, non adesso almeno. Tu e gli altri dovete partecipare ad un’intervista” disse e il vocalist rabbrividì con forza.

“perché? Non abbiamo in programma nulla” chiese con un filo di voce.

“l’ha organizzata Kai. Vi aspettano allo studio del J-Melo domani mattina. Verrò da te per prepararti poi ti accompagnerò allo studio” disse Kaolu sbrigativo e senza attendere una risposta interruppe la telefonata.
Ruki fissò con agonia il suo cellulare, lasciandolo cadere poi sul pavimento, portandosi le mani ai capelli.
Era tutto finito.
 
Quella mattina di metà febbraio, Ruki si svegliò con le lacrime agli occhi. Avrebbe dovuto essere abituato a dormire da solo ormai, ma quando le sue mani scheletriche sfiorano la parte del letto accanto a sé, vuota, provò una dolorosa fitta al cuore.
Era tutto finito, Reita non l’avrebbe perdonato mai più, lui era destinato alla solitudine più nera, regolata da una malattia che lo aveva divorato lentamente un po’ alla volta.
Quando si alzò dal letto si asciugò le lacrime con un gesto brusco della mano, rinchiudendosi in bagno. Evitò di pesarsi, sapeva che la situazione era soltanto peggiorata, che i 40 erano diventati 42 e dando le spalle al suo riflesso si spogliò. Nel momento in cui lo fece ripensò a quello che era successo poche settimane fa, quando Reita lo aveva obbligato a pesarsi davanti a lui, riducendo il suo essere al nulla più assoluto. Ruki aveva avuto paura, sarebbe finito tutto, il suo mondo segretamente costudito per mesi stava essere portato alla luce, ma quando aveva smesso di vomitare e si era reso conto di quello che aveva appena fatto si ricordò di non essere solo in casa, che quel maledetto gelato che aveva scatenato il tutto era stata un’idea del suo ragazzo. Nel vederlo fermo sulla soglia del bagno tutte le sue certezze erano crollate, e aveva compreso che non avrebbe potuto mentire più.
Quando sfiorò le sue ossa sorrise tornando a piangere. Le ossa del bacino, le costole, le clavicole, le braccia, tutto quello che stava sfiorando gli piaceva, ci era riuscito e niente aveva importanza adesso.
All’arrivo di Kaolu Ruki provò paura, ma lo stilista non proferì parola, truccandolo e pettinandolo come aveva sempre fatto, concentrato nel suo lavoro, poi accompagnò il suo vocalist allo studio del J-melo.

“dove sono gli altri?” si azzardò a chiedere Ruki a Kaolu e lui lo guardò davvero per la prima volta da quando Ruki era stato ricoverato in ospedale.

“sono tutti dentro, manchi soltanto tu” annunciò sorridendo lentamente poi appoggiò una mano sulla sua schiena scheletrica, accompagnandolo dentro.
Una volta all’interno dello studio, Ruki portò con morbosa attenzione le dita alla sua giacca nera e rossa, cercando di coprirsi il più possibile, ma ormai tutti lo avevano visto entrare.
May J  gli sorrise facendogli un piccolo inchino, guardandolo con lo sguardo spento e quando Ruki si avvicinò al luogo dove avrebbe avuto luogo l’intervista per poco non scoppiò a piangere.
Reita era seduto davanti, le dita delle mani intrecciate, lo sguardo assente e perso nel vuoto. Quando Ruki lo vide il suo cuore prese a martellargli in petto e avrebbe tanto voluto abbracciare forte il suo bassista ma lo sguardo di Reita gli fece capire che non ne aveva alcuna intenzione, che non avrebbe ricambiato l’abbraccio.
Kai era seduto accanto ad un sedia vuota posta al centro, forse quella di Ruki, Aoi e Uruha erano in piedi dietro.
Kai lanciò uno sguardo carico d’odio al vocalist facendolo tremare dalla testa ai piedi, Uruha abbassò subito il suo a disagio e Aoi sorrise in modo triste. I suoi capelli neri e viola erano così mancati a Ruki e avrebbe tanto voluto prenderlo in giro come faceva sempre ma tutto quello che doveva fare era sedersi sulla sedia e annunciare al mondo intero che i The GazettE erano finiti.
Quando si sedette accanto a Reita e a Kai, Reita spostò la testa dall’altra parte, tutto pur di non vederlo e sentì chiaramente lo sguardo di Ruki sulla sua figura.

“bene, ragazzi, siamo in onda fra cinque, quattro, tre, due uno” annunciò l’assistente di scena e a Ruki quei cinque secondi apparvero i più lunghi della sua vita.
May J gli annunciò con il suo solito sorriso, poi lentamente la telecamera sfumò su di loro.
Ruki avvertì il movimento del corpo di Kai accanto al suo, e quando udì la voce del leader un pesante capogiro gli fece quasi perdere i sensi.

“siamo qui per annunciare in diretta la fine dei The GazettE. Sono desolato, avevamo in programma tanti altri live, cd, canzoni, ma sono costretto a dire al mondo intero che non suoneremo mai più, questa è in assoluto la nostra ultima apparizione. Vorrei ringraziare dal profondo del cuore tutti i nostri fans, tutti i fans del mondo che ci seguono dal 2002, le persone a cui abbiamo trasmesso qualcosa con le nostre canzoni, con i nostri testi, con la nostra musica. Vi siamo profondamente grati per tutto l’amore e l’affetto che ci avete donato, per il vostro continuo supporto e per la pazienza che avete avuto con noi. Ma i The GazettE, non esistono più”
Uruha chiuse gli occhi, cercando di trattenere una lacrima che pretendeva di solcare la pelle della sua guancia, prese un lungo respiro e il nodo che aveva in gola si fece sempre più grande. Quando sbattè le palpebre più volte fu soltanto per cercare di schiacciare quelle maledette lacrime.
Aoi abbassò lo sguardo sulle spalle di Reita seduto davanti a lui, ripensando a tutto quello che avevano passato insieme, dal 2002 in poi, fino al culmine, fino alla fine di tutto il loro sogno. Lui ci aveva creduto, ci aveva creduto davvero, anche se il suo sorriso inespressivo poteva benissimo dimostrare il contrario. In realtà lui sorrideva per evitare di scoppiare in un grido disperato, sorrideva per mantenere vivo il suo cuore.
Reita si immobilizzò, quasi non sbattendo neppure le palpebre, anche se aveva voglia di prendere a schiaffi Ruki, seduto accanto a lui. Erano così vicini eppure così lontani. Dov’era finito quel ragazzo innamorato perso del suo vocalist, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di vederlo felice, pur di farlo ridere. Perché non riusciva a perdonare? Quando Kai smise di parlare Reita abbassò il suo sguardo e il pensiero di tagliarsi gli attraversò la mente. Doveva tenere duro, fra poco sarebbe finito tutto.
Ruki non aveva mai guardato dritto davanti a se nemmeno una volta, si era concentrato a fissare con morbosa attenzione le mani di Reita intrecciate, adagiate sulle gambe del bassista, quel bassista che una volta era stato suo.
Non erano morti soltanto i The GazettE, ma anche il loro amore, Ruki lo sapeva benissimo.
Quando May J chiese loro se volevano dire qualcosa prima di spengere la telecamera, per l’ultima volta, Kai porse il microfono a Ruki senza pensarci due volte. Era una cosa che avevano sempre fatto, passarsi il microfono per parlare uno alla volta, magari sorridendo divertiti dalla leggerezza della situazione, ma questa volta lo sguardo di tutti era duro e freddo.
Quando il microfono arrivò tra le mani di Ruki, il ragazzo tremò. Stringere per l’ultima volta quello strumento gli fece girare forte la testa, pregò di morire all’istante poi fu costretto a parlare quando udì una voce alla sua destra.

“avanti, dì qualcosa. È il momento di spiegare Takanori” disse Reita e tutti lanciarono uno sguardo verso di lui. Il bassista stava guardando Ruki con occhi infuocati, le mani strette a pugno sulle gambe, il respiro sconnesso, il cuore che ormai non batteva più.
Ruki rabbrividì poi si portò il microfono alle labbra e disse

“quando abbiamo suonato insieme per la prima qualcosa è nato in me, un sentimento che non avevo mai provato prima di allora. Speranza. Io ho sempre saputo che questa band avrebbe fatto strada, non ho smesso di crederci. Loro” disse indicando tutti gli altri “sono la mia famiglia. Ma io l’ho contaminata, non me ne sono nemmeno reso conto, ma mi assumo tutte le responsabilità delle mie azioni”, poi alzò lo sguardo verso la telecamera e sospirando terminò il suo addio con una semplice e desolata frase

“ sarete sempre nei nostri cuori, mi dispiace di avervi deluso, di aver deluso il mondo intero. Io personalmente non riesco neppure a guardarmi allo specchio senza provare vergogna per quello che sono diventato. I The GazettE non esistono più ma… diavolo, è stato bello finchè è durato, è stato meraviglioso. Grazie a tutti”
Tutti intorno a loro si immobilizzò, nessuno mosse un muscolo, Ruki lanciò un ultimo sguardo alla tele camera per poi abbassare lo sguardo e chiudere gli occhi, distrutto, con un pezzo mancante del puzzle. Il suo cuore si era frantumato, poteva udire in modo distinto il suono prodotto dai mille cocci sparsi nel suo petto. Tagliavano, graffiavano, riducevano la sua anima al nulla. Avrebbe voluto piangere ma l’anoressia si era portata via ogni cosa e quello che restava era soltanto un corpo vuoto.
May J si riprese, sistemandosi i lunghi capelli castani e tornando a sorridere alla telecamera, ringraziando di cuore tutte le persone che avevano seguito l’intervista, pensando che quella era in assoluto l’ultima volta che vedeva i The GazettE nel suo studio. Guardandoli uno per uno comprese all’istante che qualcosa fra loro si era rotto, ognuno di loro covava un sentimento recondito e freddo nel petto che li spingeva ad incolpare un’unica persona presente. May J sapeva che Ruki soffriva di anoressia, lo sapeva e basta, lo si leggeva negli occhi del ragazzo, la sua magrezza era qualcosa di atroce. Comprese anche che la colpa non era soltanto sua, ma anche di tutti gli altri, per non essersi accorti in tempo di tutto ciò, per non aver fatto nulla per aiutarlo.
Quando la ragazza salutò gli spettatori, la telecamera si diresse di nuovo sul gruppo, mostrando i The GazettE per l’ultima volta. Kai non sorrise, non mosse un muscolo, Uruha si limitò ad abbassare la testa con un gesto cortese di saluto, Aoi fece lo stesso e Reita fissò con morbosa attenzione l’obbiettivo, con il desiderio di mandarlo in frantumi.
Quanto a Ruki, il vocalist chiuse gli occhi e quel gesto fu sufficiente. Lo uccise all’istante, definitivamente.
L’immagine dei The GazettE sfumò lentamente e sullo schermo del computer dei fans di tutto il mondo l’ultima immagine fu quella di Reita che fulminava con lo sguardo Ruki, il quale abbassò lo sguardo, versando lacrime bollenti e corrosive.
Era tutto finito.
***
 
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Quel ricordo non aveva più pareti a contornarlo, tutto si dissolse nel momento in cui vidi il vecchio me stesso voltarsi verso Ruki, verso quella persona che aveva tra le mani il mio cuore. Mi sembrò di vedere chiaramente i cocci stretti tra le sue mani scheletriche e tutto quello che mi sentii di fare fu abbassare lo sguardo.
Reita, quello più recente venne verso di me, mostrandomi un sorriso lieve e fasullo, che trasmetteva tutta la sua agonia. Lui avrebbe voluto fare qualcosa ma non c’è più niente da fare, lo sappiamo bene entrambi.

“perché devo rivivere tutto questo” chiesi al mio fantasma, restando fermo difronte a lui. Perché dovevo continuare a soffrire in quel modo, perché non potevo soltanto morire e basta, senza svegliarmi più. Adesso pretendevo la morte, la bramavo.

“perché è l’unico modo che hai per riuscire a perdonarlo” mi disse Reita guardandomi negli occhi, arrivandomi all’anima, quell’anima che non mi apparteneva più.

“perché dovrei? Lui ha smesso di amarmi quando quella maledetta malattia ha preso il mio posto” dissi senza più forze. Niente aveva più senso ormai, tutto si era spento quando avevo trovato il coraggio di tagliarmi la pelle del braccio con un coltello. La mia vita era finita e non provavo pena ne rimorso nel pensare a questo.

“non è vero, lui non ha mai smesso di amarti, e c’è un’ultima cosa che devi vedere prima di svegliarti e di tornare alla tua realtà dannata, un ultimo ricordo che però non ti appartiene. Avanti, fai quello che ti dico per l’ultima volta, voltati” disse Reita avvicinandosi a me e appoggiando le mani sulle mie spalle, annuendo lentamente.

“non voglio” dissi duro, la voce quasi metallica, socchiudendo gli occhi e provando odio, un odio devastante.

“fa quello che ti dico” disse quello, e il suo sguardo subdolo e spento annientò immediatamente il mio. Mi lasciai andare ad un lungo respiro e prima di voltarmi per l’ultima volta pregai di poter morire in pace una volta sveglio.

Non sarei riuscito mai più a tornare alla realtà, era tutto dannatamente sbagliato, quei ricordi mi avevano distrutto, uccidendo anche quel briciolo di bontà che era rimasta aggrappata con tutte le sue forze alle mie viscere.
Chiusi gli occhi ed entrai nell’ennesimo ricordo, lasciando che le mie membra eteree si dissolvano lentamente.
 
 
°°°
C’è una sola cosa che tiene ancora in vita Ruki.
Il suo amore incondizionato per Reita.
Le sue mani stringono con morbosa attenzione il suo basso, uno dei tanti, quello che Reita ha lasciato nella sua casa, e quando le corde vibrano un po’ sotto ai suoi gesti, Ruki ha una dolorosa fitta allo stomaco. Avrebbe voluto essere più forte, avrebbe voluto porre fine a tutto questo senza arrivare alla loro fine, ma ha perso il controllo e tutto quello che gli resta da fare è morire.
Senza Reita, senza i The GazettE sa che non può continuare a respirare.
Lentamente dà le spalle allo strumento, dopo averlo adagiato con cura sul divano e muove un piede e poi l’altro, in direzione del bagno.
Quando le sue mani gelide si stringono attorno alla superficie della bilancia, quella dannata bilancia usata per pesare le sue colpe e misurare i suoi peccati, Ruki sorride, il sorriso più fasullo e spento che abbia mai lasciato uscire dal suo cuore.
Nel salire sulla bilancia non sentì più nulla, ne’ l’euforia delle prima volte, ne’ la paura, ne’ il desiderio, non sentì assolutamente nulla. Il vuoto.
39 chili.
Leggendo quel nuovo traguardo respirò lentamente, prendendosi tutto il tempo necessario per comprendere bene quello che stava vedendo e quando si rese contro che anche un altro obbiettivo era stato raggiunto… non sentì nulla.
50, 45, 43, 40, 39.
Avrebbe anche potuto pesare 0 ma non sarebbe mai stato abbastanza, lo sapeva bene, a lui non bastava più. Quello che voleva lui era soltanto volare, e quel dannato 39 era soltanto un intralcio, un ostacolo che gli impediva di raggiungere la sua meta, la meta finale.
Lui voleva liberarsi in volo, far frullare le ali, delicate, quasi evanescenti, e conosceva soltanto un modo per farlo.
Doveva morire.
Prese la bilancia un’ultima volta, la ripose al suo posto nell’armadio, poi uscì dal bagno, indossando velocemente un paio di pantaloni e una maglietta bianca. Poi telefonò a Kaolu chiedendogli di accompagnarlo alla sala di registrazione.
C’erano ancora delle cose da fare prima di morire.
 
“non c’è rimasto più niente ormai” disse Kaolu, restando immobile dietro ad un Ruki freddo e vuoto, concentrato a fissare il nulla. Nella sala di registrazione non c’era niente, niente batteria, niente amplificatore, niente monitor, niente di niente.

Soltanto il suo microfono, l’asta al centro della stanza, in attesa del suo legittimo proprietario.

“è stata un’idea di Kai. Mettere via ogni cosa, riporre le cose appartenenti al passato. Dovresti fare lo stesso” aggiunse Kaolu, accennando al microfono. Quando Ruki non proferì parola il ragazzo disse soltanto “ti lascio solo”. Poi gli diede le spalle ed uscì, mentre nella sua testa, nella sua mente, tutto si frantumava.
Ruki attese che lo stilista si allontanasse per dirigersi con passo deciso all’asta, stringendola con forza. Nel farlo il suo corpo venne attraversato da un insieme indistinto di scariche elettriche, che lo condussero in un’altra dimensione. Una dimensione in cui stava ancora cantando, circondato da loro, da Kai, da Uruha, da Aoi, da Reita.
Reita.
Quell’unica persona che era riuscita a farlo innamorare, quell’unica persona che era stata in grado di capirlo davvero, di stringerlo a se, di prendersi cura di lui.
Quando le sue labbra sfiorarono il microfono Ruki iniziò a cantare quella loro prima canzone, Wakaremichi, e nel momento in cui la sua voce gli giunse alle orecchie pianse, pianse lacrime di ghiaccio. Le piccole gemme si adagiarono sulle sue guance, sul suo collo, sulle sue mani e quando arrivano a terra, ghiacciarono all’istante. Il ghiaccio avvolse tutto, tutto il suo essere, soltanto la sua voce continuava a scaldare, a scaldare quel nulla che lui aveva creato.
La sua voce era qualcosa che Ruki credeva di aver dimenticato e provò un forte senso di appagamento quando smise di cantare, adagiando il microfono sul pavimento.
La felicità durò poco, alcuni intensi e devastanti istanti, e la realtà di quello che lo aspettava lo avvolse con forza.
Lentamente portò una mano alla tasca del giubbotto, estraendo il cellulare.
Compose un numero che conosceva a memoria, cercando di non scoppiare in lacrime e quando avvertì un suono chiuse gli occhi.

“che cosa vuoi?” chiese Reita, facendolo rabbrividire.

“ volevo dirti soltanto che ti amo, ti ho amato e ti amerò per il resto dei miei giorni. Tutto quello che ho fatto non l’ho fatto per egoismo, non l’ho fatto per porre fine al nostro rapporto, a noi. Tutto quello che ho fatto è nato da una mia debolezza, ora lo so, e vorrei tanto tornare indietro ma non posso. Reita, ti prego, perdonami” disse tutto d’un fiato.
Prima di porre fine alla sua vita voleva sentire la voce della sua vita, del suo unico amore, voleva sentirsi dire che anche lui lo amava, che lo perdonava. Ma Reita restò in silenzio.

“Reita” lo chiamò Ruki, la voce ridotta ad un sibilo.

“ti amo anche io Ruki, ti amo da morire. Ma tu hai ucciso tutto quello che c’era tra noi, tutto quello che avevamo costruito, e non posso, non posso perdonarti non ce la faccio. Ho bisogno di tempo” disse Reita furioso, stringendo con rabbia il suo cellulare.

“hai bisogno di tempo? È tutto quello che sai dirmi?” urlò Ruki, in lacrime.

“ è tutto quello che ti chiedo” rispose Reita “tutto quello che ti chiedo è soltanto tempo. Lasciami solo Ruki”

“certo, come vuoi. Non devi preoccuparti, non farò mai più nulla per ferirti” disse Ruki, per poi chiudere gli occhi.

“ti amo” disse poi e Reita non rispose, piangendo, versando lacrime che lo fecero tremare in modo convulsivo, dalla testa ai piedi.
Poi Ruki chiuse la telefonata, spense il cellulare e lo adagiò sul pavimento, accanto all’asta del suo microfono.
Poi uscì dalla sala di registrazione, senza più voltarsi indietro.
 
“l’unica camera disponibile signore è la 19” disse il proprietario dell’albergo a Ruki, sorridendogli in modo cordiale. Il ragazzo nascose il volto magro dietro alla sciarpa, annuendo, per fargli capire che andava bene, che un numero valeva l’altro, anche in questo caso.

“bene, laggiù ci sono gli ascensori, oppure può prendere le scale se desidera” disse l’uomo indicando un corridoio alla sua destra e Ruki annuì, prendendo la chiave della stanza numero 19, poi diede le spalle all’uomo e si incamminò.
Voleva morire a suo modo, in silenzio, in assoluto e dignitoso silenzio, nel modo che aveva scelto, perché non gli restava più niente per continuare a vivere.
Quando varcò la soglia della sua camera, dopo aver preso le scale, si chiuse la porta alle spalle, adagiando la schiena sul muro e chiudendo gli occhi.
Quell’hotel era anonimo, quasi deserto vista la stagione, non l’aveva riconosciuto nessuno, non c’era più nessuno a cui doveva dare spiegazioni e nel muoversi lungo la stanza provò un doloroso e opprimente senso di vuoto.
Si tolse le scarpe, adagiò le chiavi sul letto e lanciò uno sguardo al soffitto. Avrebbe agganciato la corda al lampadario, per poi salire sul letto, avvolgere il nodo attorno al suo collo e lasciarsi cadere nel vuoto. Aveva deciso come morire, e tutto quello che gli restava era il nulla.
Quando si voltò verso la porta per assicurarsi che fosse ben chiusa i suoi occhi spenti si adagiarono sul tavolo. E fu allora che lo vide.
Un piccolo frigorifero.
Quando Ruki si fermò a guardarlo tutto in lui si riaccese e nell’istante in cui comprese la gravità della situazione il desiderio di morire lo lasciò per un attimo. Lentamente si avvicinò al frigorifero, con cautela e attenzione, mantenendo le distanze, poi si inginocchiò sul pavimento, portando le dita tremanti alla maniglia.
Spalancò l’anta e la vista del cibo gli diede alla testa. Quel maldetto cibo, la fonte di tutti i suoi problemi. Lo odiava così tanto, avrebbe voluto farlo sparire ma ormai era troppo tardi.
Quando le sue dita sfiorarono la bottiglia di acqua decise che poteva andare, che poteva benissimo bere un sorso, che sarebbe riuscito a controllarsi, ma si sbagliava, si sbagliava di grosso.
Bevve un sorso d’acqua, poi riportò l’attenzione sul cibo, le sue dita si adagiarono sulla barretta di cioccolata, e prima di riuscire ad impedirlo iniziò a mangiare, a mangiare tutto quello che c’era in quel frigorifero.
Non prese neppure fiato, ingurgitò ogni singola cosa, dalla maionese alla cioccolata, dal latte al Coca Cola. Il suo stomaco iniziò a fargli un male allucinante ma lui non si fermò, rizzandosi in piedi e agguantando il telefono in dotazione all’albergo.
Ordinò altro cibo in camera, disse al cameriere che doveva lasciarlo sulla porta e nell’attesa si graffiò la pelle delle braccia, urlando con forza.
Quando la voce del cameriere dall’altra parte della porta lo fece rizzare in piedi, Ruki gli ordinò di andarsene, scagliandosi sulla maniglia come un furia, stringendo tra le dita il vassoio che conteneva dolci, panini imbottiti, un pezzo di pizza.
Si sedette sul pavimento e si cacciò in gola ogni cosa, senza neppure masticare, e nell’esatto momento in cui si rese conto di quello che stava facendo si alzò in piedi, correndo in bagno e crollando difronte al water.
Nel portarsi le dita alle labbra, nel spalancare la bocca, nel vomitare l’anima sino a vedere il sangue pregò di morire. Urlò con forza, sporcandosi di vomito, piangendo, poi crollò sul pavimento, senza più alcuna forza.
Riuscì soltanto pronunciare una sola parola, un nome, un nome che gli era entrato nel cuore dal primo momento.
Reita…

***
https://www.youtube.com/watch?v=DHXDA03vNy8
Lentamente, con pochi semplici passi, uno alla volta, i piccoli frammenti del mio cuore si unirono in un unico insieme, un insieme di elementi. Un po’ di carne, un po’ di sangue, tutto al posto giusto.
La mia mente iniziò a vagare, e tutto quello che vidi fu un accecante e abbagliante sole, che mi permise di socchiudere gli occhi quando mi resi conto di essere ancora vivo.
Buffo, credevo seriamente che il mio essere si fosse già consumato in precedenza, al contatto con i fantasmi del mio passato, ma il cuore batte ancora, il cervello funziona, la mia mente crea immagini non più oniriche e tutto quello che riesco a pensare è che voglio rivedere il mio piccolo amore.
Con un piccolo movimento della testa riuscii a comprendere di essere ancora vivo, spostandola lentamente a destra, visualizzando un soffitto bianco.
Sbattei più volte le palpebre, cercando di capire dove mi trovassi, e quando avvertii un calore avvolgermi piano il corpo, un po’ alla volta, decisi di rischiare.
“Reita”
Udii il mio nome nella nebbia, i miei pensieri erano ancora aggrovigliati e nell’esatto istante in cui sentii una voce alle mie spalle credetti di essere ancora confinato in un sogno.

“Reita, mi senti?” chiese la voce sconosciuta e di nuovo quel calore mi scaldò il corpo, un po’ alla volta.
Avrei voluto parlare ma temevo di udire la mia voce, non sapevo come l’avrei trovata, non sapevo che cosa sarebbe successo da lì in avanti, non sapevo che cosa avrei fatto una volta averlo rivisto. Per la prima volta desiderai di non essere mai nato, quel dolore era insopportabile, e il senso di colpa mi stava uccidendo.

“Reita, tesoro, guardami”
Di nuovo quella voce, di nuovo quelle parole. Il mio essere voleva essere annientato, non l’avrei sopportato, non avrei dovuto continuare a vivere dopo tutto quello che avevo fatto, dopo tutto il dolore a cui avevo dovuto assistere. Ma stranamente quella voce mi voleva ancora con se e decisi di fare quello che mi stava chiedendo. Mi voltai verso di lei, e fu allora che la vidi.
Midori.
La mia migliore amica mi sorrise, portando una mano tiepida alla mia fronte gelida e quando le sue dita si adagiarono sulla mia pelle mi aggrappai con forza a quell’unico gesto d’affetto, chiudendo gli occhi.

“sei sveglio finalmente. Ci hai fatto preoccupare” disse guardandomi negli occhi.

“dove sono?” chiesi, la voce roca e mi stupii nel pensare che ero ancora in grado di parlare nonostante tutto quello che avevo visto, nonostante tutto quello che avevo subito.

“alla clinica. Eri con Ruki quando hai perso i sensi. Dimmi la verità, erano giorni che non dormivi vero?” mi chiese Midori accarezzandomi piano il viso, sorridendo lievemente.
Annuii, senza forze.
Era vero, non avevo chiuso occhio, non c’ero riuscito, non dopo aver saputo che Ruki era stato ricoverato in una clinica.

“stai bene?”

“si, credo di si. Lui dov’è?” chiesi cercando di mettermi seduto. Ero malamente disteso su un letto, il letto accanto a quello di Ruki e quando mi voltai per cercare di vedere il suo piccolo corpo, non trovandolo mi sentii moire, ancora una volta.

“l’hanno portato a fare delle analisi. Pesa troppo poco e ha perso i sensi quando…” poi Midori si fermò, guardandomi negli occhi.

“quando si è lasciato troppo prendere dalla gioia” finii la frase per lei, mettendomi seduto. Quando mi guardai intorno mi accorsi della figura di Aoi ferma davanti alla finestra della camera. Il ragazzo stava guardando fuori, le braccia dietro alla schiena. Non aveva ancora parlato ne’ si era avvicinato a me, mi ero quasi dimenticato della sua esistenza.

“quanto pesa, Reita?” mi chiese Aoi senza voltarsi, restando immobile.

“pesa 38 chili” risposi guardando lui e poi Midori, che abbassò immediatamente la testa, stringendo le mie mani tra le sue.
Ruki aveva perso i sensi perché pesava troppo poco, non aveva abbastanza forze, neppure per ridere, per abbracciarmi, per dirmi che avrebbe fatto di tutto pur di guarire.
Io avevo perso i sensi perché non ero riuscito a chiudere occhio, a dormire dopo aver scoperto che era stato ricoverato.
L’incontro con quel ricordo che ancora una volta non avevo vissuto mi aveva aperto gli occhi. Ruki voleva morire, io l’avevo abbandonato, ancora una volta e lui aveva scelto di morire, perché senza di me non avrebbe potuto continuare a vivere. Io ero stato un egoista, mettendo al primo posto soltanto quello che sentivo io, la mia rabbia, dimenticandomi per un attimo di quanto lui in realtà soffrisse, di quando in realtà lui volesse guarire. Fu allora che compresi che niente avrebbe avuto senso senza di lui, che il suo annientamento avrebbe generato di conseguenza anche il mio, e così quello di Midori, e di tutto quello in cui abbiamo sempre creduto, di tutto quello che abbiamo costruito. La nostra famiglia, il nostro gruppo era finito, non potevo permettere che ciò accadesse di nuovo.
Volevo stringerlo forte a me e dirgli che l’avevo perdonato, che avrei fatto di tutto per farlo uscire da quell’orribile malattia, e che tutto si sarebbe sistemato.
Sperai soltanto che lui fosse in grado di perdonare me. Di ricominciare a vivere, di uscire dal mondo fatto di ghiaccio in cui era caduto.

“fra poco verrà qui un medico. Ci dirà che cosa è successo quella notte” disse Aoi voltandosi a guardarmi e quando i miei occhi incontrarono i suoi scoppiai in un pianto silenzioso, abbassando subito lo sguardo.
Ruki, quattro giorni fa, si era rinchiuso in una camera d’albergo, si era abbuffato con tutto quello che era riuscito a trovare per poi svuotare il sto stomaco nel bagno. Io sapevo soltanto questo.
Quando Midori mi ha telefonato per dirmi che suo fratello era stato ricoverato in una clinica specializzata in disturbi alimentari avrei voluto strapparmi il cuore e farlo a pezzi.

“starà bene?” chiese Midori, guardando Aoi, poi me, sorridendo lievemente. Lentamente mi avvicinai a lei e la strinsi forte, appoggiando le labbra tra i suoi capelli.
La ragazza mi strinse a se, la sentii tremare ma fu un attimo, perché poco dopo mi lasciò andare, carezzandomi la guancia con le dita della mano destra.

“deve, per tutti noi” disse Aoi sedendosi sul letto accanto a me.
Feci per dire qualcosa quando il medico che mi aveva accompagnato alla stanza varcò la soglia. Nel vederlo provai vergogna e mi alzai immediatamente, mettendomi difronte a lui. I peluche, i palloncini dei nostri fans erano ancora li, alcuni dei palloncini bianchi erano sgonfi, a dimostrare che la purezza di Ruki era finita, e restava soltanto un mucchietto di ossa a reggerlo in piedi.

“ bene, ora che ci siete tutti, vorrei parlare con voi di quello che è successo al signor Matsumoto la notte prima di essere portato qui” disse il medico, guardando prima Midori, poi Aoi e infine me.

“il signor Matsumoto ha trascorso le ore più difficili di tutta la sua vita, per usare un eufemismo, in quella camera d’albergo. Ha ingurgitato una quantità elevata di cibo in poco tempo, e nel momento in cui si è autoindotto il vomito, il suo fegato era già danneggiato, le ghiandole salivari a pezzi, lo stomaco dilatato. Le pareti del suo stomaco mostravano già i primi segni di necrosi.. Vomitando di continuo stava per lacerare il suo esofago. Per un miracolo, il signor Matsmoto era troppo stanco, il suo corpo non ha retto lo sforzo a causa dell’assenza di cibo per giorni, del digiuno, e l’azione come quella del vomitare nelle sue condizioni lo ha distrutto. Si è addormentato, letteralmente, cadendo sul pavimento. Pochi attimi, ma preziosi, perché se avesse continuato a vomitare il suo esofago si sarebbe rotto, procurandogli la morte per collasso”

Quando il medico smise di parlare, tutto intorno a me prese a girare in modo vorticoso, togliendomi l’equilibro, ma mi sforzai di restare in piedi. Midori strinse con forza il mio braccio, Aoi accanto a me aveva sicuramente smesso di respirare, potevo sentirlo chiaramente.

“adesso resterà qui per un po’, dobbiamo tenerlo sotto controllo, cercare di fargli assumere un peso sufficiente a permettergli di ingerire cibi semisolidi. Quando sarà arrivato ai 45 potremo passare ad una dieta più bilanciata, ma adesso tutto quello che possiamo fare è somministrarli liquidi attraverso il sondino” aggiunse l’uomo serio, guardandomi negli occhi.

“lui dov’è adesso?” chiese Midori, alzandosi e mettendo accanto a me.

“è all’ospedale della clinica, abbiamo appena terminato le analisi del sangue. Se volete, potere vederlo, ma una persona alla volta” ci disse l’uomo sorridendo lievemente, senza smettere di guardarmi.

“la ringrazio dottore, non so neppure cosa dire per ringraziarla, le sono profondamente grata” disse Midori stringendogli la mano e l’uomo le sorrise, cordiale.

“si figuri signorina. Se volete vi aspetto al reparto, si trova in fondo al corridoio. L’ultima porta a destra” e dopo aver stretto anche la mano ad Aoi si voltò verso di me. Lo guardai negli occhi e quando allungò una mano verso di me io nascosi le mie.
Lui mi guardò a lungo, a disagio poi lentamente sorrise, dandoci le spalle ed uscendo dalla stanza.

“Reita” mi chiamò Aoi “vai prima tu. Io chiamo Uruha e Kai e li faccio venire qui, poi andrà Midori e infine io. Lui vuole vedere te”

“si, vai tesoro. Lui ha bisogno di te” aggiunse Midori, prendendo il mio viso tra le mani. Annuii senza forze, tremando e lei mi strinse a se, dopo avermi dato un lieve bacio sulle labbra.

“ti amo” mi sussurrò, facendo scivolare le dita lontano dal mio braccio.

“ lo so piccola” risposi sorridendo lievemente, poi con cautela mi spostai, dando le spalle a lei e a Aoi.

Tutto quello che volevo fare era stringere forte Ruki tra le mie braccia.
 
 
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“sta dormendo signor Suzuki, ma può sedersi accanto a lui” mi disse il medico, dopo avermi aperto la porta del reparto. Annuii, superandolo ancora una volta e muovendo il mio corpo nella direzione indicatomi. Quando vidi il suo piccolo corpo adagiato sul letto sorrisi, il cuore che aveva finalmente ripreso a battere in modo regolare.
Mi sedetti accanto a lui, sfiorando il suo viso delicato con le dita, il suo piccolo volto di bambola, una bellissima bambola di porcellana.
Al contatto con la mia pelle si mosse lentamente, aprendo gli occhi e visualizzando il mio volto.

“ehi” dissi sorridendo, tremando.

“Reita” disse lui, semplicemente il mio nome, nient’altro e quando mi chinai su di lui, appoggiando le labbra sulle sue, Ruki rabbrividì, portando le dita gelide al mio braccio. Appoggiai il palmo della mano sulla sua fronte, carezzando i suoi capelli castani.

“come ti senti?” gli chiesi guardandolo negli occhi.

“ho paura” mi disse lui, piangendo, e raccolsi le sue perle con un altro bacio.

“perché piccolo mio?”

“perché sto morendo Akira. Anzi, sono già morto, questo è il paradiso” disse facendomi sorridere senza pensare.

“no, tu non sei morto e non morirai. Non permetterò che accada”

“si, sono morto, perché soltanto nel paradiso tu puoi sorridermi così. Io… io sto sognando un angelo” disse tremando sotto al mio tocco.

“ no piccolo mio. Non sei morto amore, io sono qui, sono vivo, tu sei vivo amore”

“mi hai chiamato amore? Davvero?” disse Ruki piangendo sempre più forte, aggrappandosi al mio braccio.

“ si amore mio, sei il mio piccolo amore, non dimenticarlo mai Ruki” dissi serio, stringendo tra le dita alcune ciocche dei suoi capelli.

“che ne sarà di me?” disse guardandomi, facendo per alzarsi e fu allora che portai le braccia alla sua schiena, tornando a reggerlo, questa volta ancora più forte di prima. L’avrei retto sempre, lui avrebbe sempre potuto contare su di me, sempre. E volevo che lo sapesse, volevo che riuscisse a perdonare la mia immaturità. Perché adesso, io avevo capito che la sua subdola malattia l’aveva svuotato e trasformato i suoi desideri in incubi, perché tutto quello a cui aspirava era raggiungere i suoi obbiettivi mortali. Non avrei permesso che accadesse di nuovo. Sarei stato più forte, tutti noi lo saremo stati.

“ ti proteggerò mio piccolo amore. Ti aiuterò ad uscirne, te lo prometto” dissi guardandolo negli occhi e Ruki sorrise tra le lacrime.

“sarai bellissimo, sarai la creatura più bella e delicata del mondo, anche senza di lei” dissi parlando della sua malattia.

“no, non ce la faccio. Lei è dentro di me, non ci riuscirò mai, non senza di te” disse Ruki scuotendo la testa.

“amore, io sono qui, te lo prometto. Non ti lascerò mai più da solo. Ritroveremo i nostri sogni, il buio si dissolverà e vedrai soltanto la luce. La luce del sole, un sole che ti scalderà e che scioglierà tutto il ghiaccio. Ci riusciremo amore, insieme” dissi portando le dita al suo collo delicato e appoggiando le labbra sulla sua fronte.

“mi…mi hai perdonato?” mi chiese, stringendo con forza la mia schiena.

“si” dissi piangendo, lasciando scivolare il mento sulla sua testa, e Ruki adagiò piano la sua fronte sul mio petto.

“Reita… grazie. Io… ti amo così tanto. Ti chiedo scusa, scusa per tutto quello che ho rovinato, per tutto il male che vi ho procurato. È tutta colpa mia”

“ehi” dissi senza staccarmi da lui, ad occhi chiusi “smettila Ruki. Nessuno ti incolpa di nulla, non è colpa di nessuno. Ricominceremo da capo, te lo prometto, ma smettila di incolpare te stesso, ti prego” dissi senza neppure riprendere fiato.

“te lo giuro” disse lui, la voce ridotta ad un sussurro.
Quando mi distesi accanto a lui fu per stringerlo forte a me, trasmettendo al suo piccolo corpo tutto il mio calore.

“ti amo” gli dissi, ad occhi chiusi, disegnando tratti leggeri sulle sue braccia con le dita.

“ti amo” mi rispose lui, sfiorandomi il petto, senza smettere di piangere.
Lanciai uno sguardo alla finestra e la luce del sole ci avvolse piano, scaldando entrambi, sciogliendo tutto il ghiaccio che ancora ci avvolgeva.
Nel mio cuore c’era soltanto fuoco adesso, in quello di Takanori speranza di rinascita, una rinascita che ci avrebbe condotti alla pace.
Lui aveva me, io avevo lui, non c’era bisogno di altro.
Ruki aveva perso il controllo senza di me, il suo cuore, il suo piccolo corpo erano stati manovrati da un demone interiore che ci aveva allontanati, conducendolo quasi alla morte. I nostri incubi si erano uniti, creando un unico essere disgustoso che ci stava distruggendo, mangiando le nostre viscere, dilaniando il nostro corpo.
Ma i ricordi non mi fanno più male, adesso riesco a conviverci, e la strada verso l’annientamento di quel demone è pronta per essere affrontata.
Non esiste un segreto inconfessabile, il nostro passato sarà sempre presente nei nostri cuori. Esiste un cammino verso la speranza, verso la liberazione, verso il sole, un sorriso, una canzone cantata da una voce melodiosa, uno specchio che riflette un’immagine che fa star bene e in pace con se stessi.
Tornai a guardarlo negli occhi, sfiorando le sue labbra con le mie, giurandogli amore eterno, e tutto il mondo attorno a noi svanì, lasciandoci soli.
Ma questa volta, non avevamo più paura.
***


***note***
Oh mamma, ho davvero scritto tantissimo, questo capitolo, spero davvero di non avervi annoiato DX
Siamo giunti alla fine anche di questa storia purtroppo, già mi manca, e il mio amore per Ruki e Reita è aumentato a dismisura **
Vorrei davvero sapere che cosa ne pensato della parte dell’intervista in particolare, perché scriverla è stato difficile e mi ha tramesso delle emozioni intense e dolorose, che spero di non provare mai più ;(
Cercherò di creare altre Reituki, perché ne vale davvero la pena, questa è soltanto la seconda che scrivo e spero non sia l’ultima ç_ç
Bene, detto questo mi dileguo, scusate ancora per la lunghezza del capitolo ;( avevo pensato di dividerlo ma è meglio così, via il dente via il dolore ;)
Presto aggiornerò anche la Het, è praticamente finita ^^
Alla prossima e grazie ancora a tutte le dolci ragazze che mi hanno recensito **
Vi amo
Alla prossima
Effy
 

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