Nous chassons ceux qui nous chassent

di Fiamma Erin Gaunt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faceva freddo attorno a lui. La neve sotto il suo corpo si arrossava sempre più velocemente. Guardò in basso, osservando lo squarcio nella sua armatura, all’altezza del cuore, da cui sgorgavano fiotti di sangue.

Un attacco di tosse particolarmente violento lo scosse, facendogli sputare un po’ del sangue che gli si stava rapidamente addensando in gola.

Qualcosa di umido gli cadde sulle guance. Lacrime. Qualcuno gli teneva la testa sul suo grembo e piangeva.

Provò a voltarsi indietro, ma la vista si faceva via via sempre più appannata e gli era impossibile distinguere qualcosa più dei semplici contorni sfocati.

Una nuova boccata di sangue e la stanchezza prese il sopravvento, costringendolo a chiudere gli occhi per sempre.

 

 

 

Rico si alzò a sedere di scatto, la fronte madida di sudore freddo e le ciocche corvine che gli si erano appiccicate sopra. Timo̱ría, “Castigo” la sua spada di bronzo celeste, era appoggiata alla spalliera del letto e l’elsa intarsiata riluceva sinistramente. Si rilassò. Era al Campo, lontano dalla neve e dal gelo del suo sogno.

- Adesso ti fai spaventare da uno stupido incubo? Cos’hai, cinque anni? – borbottò a se stesso, alzandosi in piedi e stiracchiandosi pigramente come un gatto.

Il vantaggio di essere il capogruppo della Casa cinque era la stanza privata che gli permetteva di non doversi preoccupare di nascondersi per avere un minimo di privacy. Se i suoi fratelli l’avessero visto saltare giù dal letto, terrorizzato come un poppante, per una bazzecola del genere avrebbero sicuramente cominciato a mettere in dubbio il suo coraggio e il suo valore. E quello non poteva succedere … né ora né mai.

Per un attimo valutò l’ipotesi di parlarne con Evan, ma la scacciò con decisione. Il suo migliore amico aveva di certo di meglio da fare che mettersi a interpretare cose senza importanza.

In quell’incubo morivi. Credi che questa sia una cosa senza importanza?

Scacciò quella fastidiosa vocetta che gli mormorava nella testa. Non era proprio il momento di mettersi a combattere con la sua coscienza, o la voce del buonsenso come la chiamava Evan.

Si affacciò dalla finestra, notando che le prime luci dell’alba stavano illuminando il Campo Mezzosangue.

Indossò un paio di jeans e la maglia del campo, deciso ad allontanare i pensieri con un po’ di allenamento. Assicurò dietro le spalle il fodero di Timo̱ría e uscì dall’abitazione, stando attento a non svegliare il resto dei suoi fratelli, e puntò dritto verso l’Arena.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

Evan si svegliò ripensando al sogno di poco prima. Una cerva d’argento imprigionata. Di solito le sue visioni erano di gran lunga più chiare di così, ma c’era stata qualcosa, una specie d’interferenza, che non gli aveva permesso di capire ciò che l’animale gli diceva.

Insomma, tutto quello era ridicolo. I cervi d’argento erano animali sacri e incredibilmente rari, d’accordo, ma era assolutamente certo che non fossero in grado di parlare.

Doveva esserci un altro significato, qualcosa che gli sfuggiva.

Forse Chirone sarebbe stato in grado di aiutarlo a interpretarla. Il direttore del Campo sembrava sapere sempre ogni cosa e lo aveva aiutato più di una volta con le sue visioni sconclusionate e iper incasinate. Tutto merito del suo genitore divino che gli aveva fatto quel “dono”.

- Grazie tante, pà. Avresti anche potuto mettercelo un libretto delle istruzioni. – borbottò, all’indirizzo di una delle imponenti statue dorate di Apollo.

- Lo sai che quella statua non ti risponderà, vero? –

Si voltò verso la finestra aperta, trovando Rico appoggiato al davanzale che lo osservava con il suo solito sorriso sghembo.

Ci mise un paio di secondi a realizzare il fatto che dovevano essere le otto di mattina e lui era già sveglio e, come se non bastasse, perfettamente vestito.

Doveva esserci qualcosa che non andava, perché quello non poteva essere lo stesso ragazzo che ogni mattina doveva essere letteralmente tirato giù dal letto e buttato sotto il getto della doccia. Mancava poco che dovesse essere addirittura vestito da qualcun altro perché riuscisse a uscire dalla Casa cinque e degnarsi di andare in mensa a fare colazione.

Gli puntò contro un dito, minacciosamente, e assottigliò lo sguardo. – Chi sei tu e cosa ne hai fatto del mio migliore amico? –

Il figlio di Ares scrollò le spalle. – Oh, andiamo, mi sono solo svegliato presto, sai che roba. –

- È una cosa troppo strana … di solito non scenderesti giù dal letto neanche se ci fosse un plotone di mostri che marcia contro di te. –

- Senti chi parla di stranezze, quello che parla con le statue. –

- No, sul serio, deve essere per un buon motivo. –

- Che stavi parlando con la riproduzione in oro di tuo padre? Te lo do io il motivo: sei pazzo. –

Era inutile. Avrebbero potuto continuare a beccarsi in quel modo per tutto il giorno, ma Rico non gli avrebbe mai detto cosa gli era successo. Perché a questo punto ne era assolutamente certo: c’era davvero qualcosa che non andava.

- Lasciamo perdere. –, si arrese, - Devo andare a parlare con Chirone prima di fare colazione. –

Gli occhi scuri del figlio di Ares si fecero improvvisamente più cupi, conditi da una lieve traccia d’apprensione. – Hai visto qualcosa di grave? –

 Gli occhi smeraldini di Evan si incupirono. – È proprio questo che mi preoccupa: non lo so. –

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

Quel giorno sarebbe successo qualcosa, Nieve se lo sentiva, qualcosa che avrebbe dato inizio a un problema. Era brava con le sensazioni, malgrado non possedesse il dono come Evan, e ricollegava questa sua capacità al cosiddetto “sesto senso femminile”.

Osservò il suo riflesso nell’immenso specchio che troneggiava sull’anta scorrevole del suo armadio. Le onde corvine le incorniciavano il volto pallido e perfetto, creando un contrasto meraviglioso con gli occhi azzurri.

Soddisfatta da ciò che vedeva, spruzzò un’ultima dose di profumo nell’incavo del collo e rivolse l’attenzione al resto della Casa dieci. I pochi ragazzi presenti erano intenti a passarsi di mano in mano un barattolo di quella che doveva essere cera per capelli, mentre le ragazze si stavano lentamente affollando sull’atrio dell’abitazione.

Dalle risatine civettuole, capì all’istante di chi doveva trattarsi. Ogni mattina lei ed Evan si recavano alla Casa cinque per aspettare Rico e andare in mensa insieme, ma quella mattina sembrava che i ruoli fossero stati invertiti.

Uscì giusto in tempo per vedere Danielle, una delle sorelle che sopportava meno, far tintinnare le unghie lunghe sul petto muscolo di Rico e produrre l’ennesima risatina fastidiosa. Il figlio di Ares, come sempre a proprio agio con i flirt, aveva un sorriso sghembo stampato sul volto e doveva aver sussurrato qualcosa di incredibilmente divertente perché Danielle rise ancora più forte.

- Danielle, tesoro, devi proprio starnazzare in quel modo già di prima mattina? – domandò, pungente, mentre la schiera di semidei si apriva per lasciarla passare.

Non aveva mai avuto molti amici tra di loro, ma la cosa non la disturbava affatto perché la sua filosofia di vita era meglio temuti che amati.

E lei lo era di certo, capace com’era di distruggere chiunque con un paio di parole pungenti, per non parlare poi del fatto che fosse una delle poche in grado di maneggiare come si doveva un’arma.

Inarcò un sopracciglio perfettamente curato, fulminando Rico con un’occhiataccia. – Allora, vogliamo andare? –

Prese sottobraccio entrambi i ragazzi, trasalendo impercettibilmente quando sfiorò la pelle dorata di Rico. Riecco quella brutta sensazione, che fosse collegata a lui?

Scacciò quei pensieri dalla sua mente. Era solo una sua opinione, niente di certo, e avrebbe fatto meglio a togliersela dalla testa il prima possibile. Decise quindi di  rimanere in silenzio, lasciandosi scortare verso la mensa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Duuuunque, inizio puntualizzando una cosa: i personaggi di Nieve e di Evan non mi appartengono, ma sono OC creati rispettivamente da Osiris e da Rhaenys Morgenstern per una storia interattiva (“Semidei alla Catastrofe” di Gil) che mi hanno gentilmente accordato il permesso di prenderli in prestito per sviluppare questa long. In secondo luogo, il titolo della storia è preso dalla serie Teen Wolf ed è il motto di famiglia degli Argent e significa letteralmente: “Cacciamo chi ci caccia” (ce lo vedevo bene visto che sono cacciatori e Artemide è la dea della caccia u.u). Detto questo, spero che questo primo capitolo (benché scandalosamente corto) vi sia piaciuto, vi abbia incuriosito e che vogliate lasciarmi una recensioncina per farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 2
*** Cap 1 ***


Cap 1

 

 

 

 

 

 

 

 

- Chirone, ti devo parla … - Evan si interruppe di botto, fissando perplesso la schiera di ragazze che affollava l’ufficio del centauro.

- Non adesso, Evan. –

- Ma è importante. – protestò.

- Questi mocciosi, sempre convinti di essere i soli ad avere qualcosa di urgente da fare. – borbottò Dioniso, seduto in un angolo. – Del resto è tipico di un figlio di Apollo essere così egocentrico. –

- Ciao anche a te, mr D. –

Il Dio alzò gli occhi al cielo, intravedendo la figura muscolosa del figlio di Ares.

- Fantastico, ci mancava solo lui, adesso sì che la mia mattinata è completamente rovinata. –

- Sì, anche io sono felice di vederti. –

Il gruppo di ragazze si voltò verso di loro, guardandoli storto, mentre quella che doveva essere la loro leader non diede alcun segno di averli notati e continuò a gesticolare furiosamente. Chirone l’ascoltava con pazienza, annuendo di quando in quando.

Evan si soffermò su di lei, osservandola con attenzione. Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena e leggermente mossi, di un bel biondo, e gli occhi più blu che avesse mai visto. Un cerchietto argentato riluceva tra le onde lievemente scompigliate. La carnagione era lievemente dorata, tipica di chi passava molto tempo all’aperto.

- Capisco la gravità della situazione, Kate, e ti assicurò che faremo tutto il possibile per aiutare le Cacciatrici. Questa sera interpelleremo il nostro Oracolo e decideremo il da farsi. – stabilì.

Kate annuì, apparentemente soddisfatta, e uscì a passi decisi dalla stanza. Le Cacciatrici la seguirono a ruota, dopo aver folgorato Rico ed Evan con un’occhiata che sembrava  dire che li considerassero la causa di tutti i mali.

- Cacciatrici, brutta razza. – borbottò Rico, lasciandosi cadere su una delle sedie in un angolo.

Se Nieve l’avesse sentito probabilmente gli avrebbe rifilato una gomitata nelle costole, visto che le apprezzava molto per il loro coraggio e il loro valore, ma fortunatamente era rimasta in mensa.

Chirone sospirò e, se il figlio di Ares non avesse avuto la certezza che i Centauri non potessero soffrire di crisi di mezza età, avrebbe detto che era giunto il tempo che il direttore andasse in pensione o quantomeno si prendesse una lunga vacanza. Il pensiero che in quel caso, però, il Campo sarebbe rimasto unicamente sotto la gestione di Dioniso lo fece rabbrividire.

Sotto la guida del Dio degli eccessi non sarebbero durati a lungo, un paio di giorni a voler essere ottimisti.

- Allora, di cosa volevi parlarmi? –

- Ho visto una cosa strana, che non sono riuscito a interpretare e pensavo che forse tu potessi darmi una mano. Era una cerva d’argento, intrappolata da qualche parte, ma non sono riuscito a capire cosa volesse dirmi. – replicò Evan, cercando di farsi tornare in mente quanti più dettagli possibili.

A quelle parole Chirone prese a raspare nervosamente sul pavimento.

Qualunque cosa fosse non era una buona notizia, realizzò Rico, mentre scacciava l’ipotesi di raccontargli anche del suo sogno.

- La Divina Artemide è stata rapita, è per questo che le Cacciatrici sono qui, e credo che la tua visione mostrasse proprio questo. La cerva d’argento è il suo animale sacro. –

No, non era decisamente il caso di disturbarli con uno stupido incubo.

Evan si battè una mano sulla fronte, come se non credesse possibile il fatto di non esserci arrivato da solo. – Avrei dovuto capirlo, è che queste visioni mi scombussolano sempre. –

- Ne riparleremo stasera, per il momento vi chiedo di mantenere il massimo riserbo su ciò che è successo. Aspettiamo la predizione dell’Oracolo. – decretò il centauro.

Annuirono, capendo che quelle parole non erano altro che un velato congedo.

Quando furono all’aria aperta, Rico inarcò un sopracciglio e rivolse all’amico uno sguardo intenso.

- Che c’è? –

- Perché non me ne hai parlato prima? – volle sapere.

Loro si dicevano sempre tutto, fin da quando avevano messo piede al Campo nello stesso anno ed erano diventati migliori amici. Erano arrivati a considerarsi come fratelli.

- E tu perché non vuoi dirmi cosa ti preoccupa? – rilanciò lui.

Sospirò, alzando gli occhi al cielo. Quando ci si metteva diventava tremendamente insistente.

- Perché è una cosa stupida, priva di importanza. –

Bene, quando Rico diceva così si rivelava essere sempre qualcosa di allarmante. Ormai Evan conosceva bene il suo concetto di “privo di importanza”.

- Lascialo giudicare a me. – replicò, testardo.

L’arrivo di Nieve mise fine al loro battibecco.

- Cos’è che dovrebbe lasciarti giudicare? – domandò, inarcando un sopracciglio perfettamente curato e puntando gli occhi azzurri nei suoi smeraldini.

Un’occhiata di Rico intercettò l’amico. Il messaggio era chiaro come il sole: non doveva dirle niente.

- Se è davvero in grado di prendermi a calci dentro l’Arena. – mentì prontamente.

Nieve non sembrava molto convinta, ma lasciò perdere per il momento. Avrebbe potuto usare la lingua ammaliatrice, ma non le piaceva ricorrere a quel potere quando si trattava dei suoi amici. Forzare qualcuno a fare o dire qualcosa che non voleva era l’equivalente di una vera e propria violenza.

- Sento odore di sfida nell’aria. – replicò, mentre le labbra le si arricciavano in un’espressione divertita.

- Io più che altro sento odore di vittoria. – la corresse Rico, sorridendo arrogantemente.

Essere un figlio di Ares presupponeva una certa abilità innata ed essere il suo preferito lo rendeva … bè, diciamo solo che al Campo non esisteva nessuno in grado di rivaleggiare con lui da quando la sua sorellastra, Clarisse, se ne era andata. Qualche volta il suo ricordo gli causava una fitta di nostalgia, ma la scacciava prontamente perché sapeva bene che, se solo le fosse arrivata alle orecchie una voce del genere, avrebbe probabilmente cominciato a prenderlo in giro da lì fino alla fine dell’universo.

Raggiunsero l’Arena, scegliendo un’arma che non avvantaggiasse nessuno dei due, mentre Nieve si sistemava su uno dei gradoni della tribuna e li osservava indossando le vesti di giudice.

La scelta ricadde sulla lancia. Malgrado fosse l’arma per eccellenza di Ares, infatti, Rico non si trovava mai del tutto a suo agio a usarla. Lui era un uomo da spada, punto e basta.

Soppesò l’impugnatura, passandosela di mano in mano, finchè non appurò che il bilanciamento era quasi perfetto.

- Allora, cominciamo? – chiese Evan.

- Ti lascio la prima mossa, mi sento particolarmente magnanimo questa mattina. – concesse Rico, sorridendo sicuro di sé.

- Troppa grazia. –

Si lanciò in avanti, menando fendenti che falciavano l’aria e ringhiando per la frustrazione quando Rico parò colpo su colpo. – Parato … parato … parato di nuovo. –

Venne il turno del moro di passare all’attacco, muovendosi fulmineo e costringendolo in ginocchio. Usò l’asta della lancia per serrargli il collo in una presa mortale.

- Morto. – decretò, mentre Nieve si alzava in piedi e batteva lentamente le mani.

- Dannazione, non puoi proprio lasciarmi vincere almeno per una volta? – borbottò Evan, accettando la mano che gli veniva porta e rimettendosi in piedi.

- Dovresti saperlo che non è nella mia natura, fratello. –

Si presero giocosamente a spinte, sotto lo sguardo di Nieve che scuoteva la testa, divertita dall’immaturità che ogni tanto dimostravano. Era in momenti come quelli che non si sentiva così dannatamente adulta e piena di responsabilità.

Stavano passando davanti alla postazione del tiro con l’arco, diretti alle scuderie dei pegasi, quando il rumore di una pioggia di frecce che centrava il bersaglio attirò la loro attenzione.

- Fantastico, ci sono le perennemente mestruate. – borbottò Rico.

La gomitata di Nieve lo raggiunse prontamente, venendo accompagnata da un’occhiata assassina. – Dicevi? –

- Dicevo le Cacciatrici. – si corresse, sorridendo sfrontato, e aggiunse: - L’unica figlia di Afrodite che simpatizza con un gruppo di tizie dagli eccessi di ira facili e votate alla castità. Ora sì che le ho viste tutte. –

- Sono forti e coraggiose, ammiro le ragazze toste. – chiarì.

- Lo so, lo so. E tu sei la più tosta di tutte. – concluse, chinandosi a depositarle un bacio sulla fronte.

Le guance alabastrine di Nieve si tinsero, per un brevissimo istante, di una delicata tonalità di rosa pallido, ma la ragazza riacquistò il controllo alla svelta.

Evan non prestò attenzione al loro piccolo scambio di battute, troppo concentrato a osservare Kate che colpiva sistematicamente il centro preciso del bersaglio.

Lui era bravo con l’arco e le frecce, quasi infallibile, ma quella ragazza era la perfezione assoluta.

Quando la faretra fu ormai vuota, Kate si diresse verso di loro, puntando in direzione di chissà cosa. Probabilmente voleva tornare alla Casa otto, quella onoraria dedicata ad Artemide.

Evan non seppe cosa lo spinse a fermarla, ma lo fece.

- Ehy, ti ho vista tirare, sei stata incredibile. –

La Cacciatrice lo guardò dall’alto in basso, come qualunque altra ragazza avrebbe fissato un insetto. Non era abituato a reazioni come quella, lui che era sempre stato considerato da tutte come un bel ragazzo.

- Lo so. –

- Io sono Evan … Kate, giusto? – tentò di nuovo.

- Lo so, figlio di Apollo, ora perché non mi lasci un po’ in pace? – replicò, oltrepassandolo e tirando dritto come se niente fosse.

L’aveva chiamato “figlio di Apollo” come se fosse un’offesa particolarmente pesante. Sapeva che suo padre fosse piuttosto, come dire, espansivo con il genere femminile, ma non immaginava che infastidisse anche le Cacciatrici.

- Complimenti, amico, ti sei preso una cotta per l’unica ragazza del Campo che non farà mai sesso con te. – disse Rico, affibbiandogli una pacca sulla spalla con aria solidale.

- Non mi sono preso una cotta proprio per nessuno, volevo solo complimentarmi perché è stata davvero brava. –

Rico e Nieve si scambiarono un’occhiata.

- Tu gli credi? –

La figlia di Afrodite scosse la testa. – Proprio per niente. –

- Oh, ma fatela finita. – borbottò, riprendendo a camminare in direzione delle scuderie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Capitolo cortino, e di questo mi scuso, ma è un po’ di passaggio per introdurre il personaggio di Kate. Spero comunque che vi sia piaciuto e che vogliate farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

                Fiamma Erin Gaunt

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