E poi tutto finì di sophie97 (/viewuser.php?uid=142936)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Traffico del lunedì mattina ***
Capitolo 2: *** A cena ***
Capitolo 3: *** Una nuova indagine ***
Capitolo 4: *** Traffico d'organi ***
Capitolo 5: *** Interrogatorio ***
Capitolo 6: *** Delusioni e Speranze ***
Capitolo 7: *** Preparativi ***
Capitolo 8: *** Intervento ***
Capitolo 9: *** L'informatore ***
Capitolo 10: *** Visite ***
Capitolo 11: *** La Talpa ***
Capitolo 12: *** Verità ***
Capitolo 13: *** Indagini e porte chiuse ***
Capitolo 14: *** Risveglio ***
Capitolo 15: *** Incontro ***
Capitolo 16: *** Fermo! ***
Capitolo 17: *** Max Schwarzer ***
Capitolo 18: *** Un sogno lunghissimo ***
Capitolo 19: *** Irruzione ***
Capitolo 20: *** Labirinto ***
Capitolo 21: *** Salvataggio ***
Capitolo 22: *** Fuga ***
Capitolo 23: *** Pioggia e racconti ***
Capitolo 24: *** Affare ***
Capitolo 25: *** Per ogni cosa c'è un prezzo da pagare ***
Capitolo 26: *** Soli ***
Capitolo 27: *** Inferno ***
Capitolo 28: *** E poi tutto finì. ***
Capitolo 1 *** Traffico del lunedì mattina ***
Traffico del lunedì mattina
Ben aprì gli occhi e rimase immobile ad osservarla. Clara dormiva beatamente accanto a lui, avvolta morbidamente nel candido lenzuolo.
Era bellissima, ed era resa ancora più splendida da quel bel pancione che le era cresciuto. Erano passati sette mesi ormai e Bianca, come il poliziotto aveva già chiamato la sua futura bambina senza nemmeno sapere che si trattasse effettivamente di una femminuccia, cresceva sempre più nel ventre della mamma.
Ben si alzò piano dal letto per non farsi sentire, uscì dalla stanza per andarsi a preparare e socchiuse la porta della camera.
Clara si era fermata dal lavoro ormai da qualche giorno per via della gravidanza.
Il cellulare squillò nell’esatto istante in cui Ben stava uscendo dalla doccia. Lesse il nome sul display infilandosi l’accappatoio: Max.
Rispose contro voglia, dirigendosi verso la cucina: «Pronto?».
«Ciao Ben, sono Max.» fece una voce sveglia dall’altro capo del telefono.
«Sì, lo so, cosa succede?» domandò l’ispettore alzando gli occhi al cielo e versandosi un po’ di caffè nero in una tazzina.
«C’è stato un incidente sull’A71 al chilometro trentadue, la Kruger vuole che ce ne occupiamo noi.».
«Fantastico.» commentò Ben ironico «Arrivo, ci vediamo lì.» concluse quindi chiudendo la comunicazione.
Posò la tazzina mezza piena sul lavandino, sì infilò un paio di jeans, una maglietta e la prima giacca che gli capitò tra le mani e uscì.
Arrivò sul pianerottolo ma, subito dopo, portandosi una mano alla fronte, rientrò in casa.
Prese carta e penna e scrisse un biglietto per Clara, lo posò sul tavolo della cucina ben in vista e di nuovo uscì, di corsa questa volta, tirandosi dietro la porta.
Cominciava una giornata come molte altre.
Arrivato sul luogo dell’incidente, Ben scese dalla sua Mercedes per controllare cosa fosse successo e Max gli venne incontro con un sorriso.
Sulla quarantina, alto e muscoloso, Max Rieder era ormai da poco più di tre mesi il nuovo collega di Ben. Era piuttosto sveglio e attento, ma tra i due ancora non si era creato un gran feeling e a detta di Ben non si sarebbe mai creato. Era troppo precisino quell’uomo, secondo lui, e soprattutto molto molto noioso.
«Ciao Ben.» esordì «Come va?».
«Bene» rispose il poliziotto stropicciandosi gli occhi «Ma a letto si stava molto meglio. Che cosa è successo?».
«Sembra che il conducente di quella macchina laggiù abbia perso il controllo dell’auto, probabilmente andava troppo veloce. Lo stanno trasportando all’ospedale, è ferito lievemente. Il problema è che ha combinato un bel guaio, ci sono due chilometri di coda.» spiegò Rieder mostrando al collega la lunga fila di macchine ferme che occupava l’autostrada.
«Lo credo, a quest’ora di lunedì c’è mezza Colonia che si sposta! Temo che dovremo metterci a dirigere il traffico…» mormorò Ben non troppo entusiasta dell’idea.
«Be’ dai, sempre meglio che stare chiusi in ufficio a compilare rapporti!» sorrise Max.
I due si misero a ridere e, paletta alla mano, cominciarono a dirigere il traffico mentre altri agenti sgomberavano l’autostrada.
«E te pareva!» esclamò Semir imboccando l’A71 con la sua BMW grigio metallizzata «Due chilometri di coda? Accidenti, non saremo mai lì per le otto e mezza.».
Aida si sporse dal sedile posteriore: «Te l’avevo detto che dovevamo uscire prima papà!».
L’uomo sospirò: «Lo so cucciolo mio, ma non pensavo che dovessimo passare anche ad accompagnare tua sorella all’asilo, doveva andarci la mamma!».
La bambina mostrò un’espressione poco convinta: «Comunque la maestra vuole che siamo davanti al museo alle otto e mezza e se arriviamo in ritardo si arrabbia.».
«Le parlo io alla maestra, cucciolo, stai tranquilla.» la rassicurò Semir cambiando corsia e cercando di capire perché già in prima elementare si dovessero fare così tante gite, per di più senza l’accompagnamento da parte delle insegnanti. Mai una volta che si partisse direttamente da scuola, i bambini dovevano sempre recarsi con i genitori nei luoghi della visita, dove poi trovavano le maestre ad aspettare.
«Sai che vedremo anche le mummie papà? Ci sono dei miei compagni di classe che non vedono l’ora, a me le mummie fanno un po’ paura.» confessò la piccola sempre sporgendosi dal sedile posteriore.
«Ma no, tu sei coraggiosa, cosa vuoi che siano due mummie in confronto alla grande Aida Gerkhan?».
La bambina rise divertita riappoggiandosi allo schienale.
Ben continuava a muovere la paletta avanti e indietro controllando il traffico che lentamente cominciava a sbloccarsi, quando gli sembrò di vedere tra le macchine una BMW alquanto familiare.
Sorrise ed estrasse il cellulare componendo il numero del suo ex collega, senza smettere di dirigere le vetture.
«Ecco, pure questo adesso!» fece Semir sentendo il cellulare squillare. Lo estrasse da una delle tasche del giubbotto e lo portò all’orecchio con una mano, aprendo la comunicazione.
«Buongiorno socio!» esclamò una voce conosciuta dall’altra parte.
«Ben!» rispose Semir sorpreso. Ancora l’amico non aveva perso il vizio di chiamarlo “socio”, nemmeno dopo tre mesi che non era più in polizia.
Aida da dietro rizzò le antenne sentendo nominare il suo zietto preferito.
«Come andiamo?».
«Bene… Cioè, sono imbottigliato nel traffico ma a parte questo bene.» spiegò l’ex ispettore costatando che finalmente le macchine cominciavano a muoversi.
«Dai, non è così critica la situazione, si sta sbloccando.» disse invece il ragazzo.
«Sì, hai ragione, in effetti… un attimo» Semir corrucciò la fronte «Come fai a sapere che si sta sbloccando?».
«Perché lo sto dirigendo io il traffico, Semir! Guarda alla tua destra.».
L’ex poliziotto si girò e vide Ben fermo sulla corsia d’emergenza con una paletta in mano, che gli faceva segno di fermarsi. Sorrise.
«Sono in ritardo Ben, devo portare Aida al museo egizio! Stasera ti chiamo e ci mettiamo d’accordo per vederci tutti insieme, va bene?» propose Semir al telefono superando l’amico e riprendendo a viaggiare ad una velocità ragionevole.
«Affare fatto socio. E, a proposito, non si guida al cellulare, sono 148 euro di multa più i punti, socio!».
«Spiritoso! Vai a dirigere il traffico va’! Ciao.».
Semir posò il cellulare sul sedile accanto al suo dopo aver chiuso la comunicazione. La Kruger li aveva messi a dirigere il traffico, quel pensiero lo fece sorridere. Quanto gli mancava il suo lavoro in polizia! Gli mancavano tremendamente i colleghi, i casi da risolvere, il comando, le sfuriate del commissario. Gli mancava tutto.
«Papà, invitiamo a casa zio Ben?» chiese Aida con occhi luccicanti.
«Sì tesoro, uno di questi giorni invitiamo Ben e Clara a cena.».
«Perfetto… ora accelera però papà, altrimenti la maestra Anna ci sgrida.».
Primo capitolo!
Ecco a voi l’ottava storia della serie “Dieci ritagli di Cobra 11”. Lo so, avevo detto che avrei postato entro la fine delle vacanze natalizie ma non ci sono riuscita, preferivo prima finire la storia per poi pubblicarla più velocemente (in realtà non è proprio finita, ma tralasciamo u.u).
Vi avverto, sarà lunga e ci vorrà un po’ prima di entrare nel cuore della vicenda. Tengo molto a questa storia, penso che sia il perno dell’intera serie, spero che vi piacerà. Cercherò di aggiornare al massimo una volta a settimana.
Ringrazio chi già sta seguendo e chi lascerà recensioni che, come sapete, sono sempre gradite! Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 2 *** A cena ***
A cena
«Rebecca?!» chiamò una voce nell’ombra.
«Sì, capo?» fece un’altra voce, questa volta femminile, di rimando.
«Il prossimo carico sta per arrivare, l’operazione avverrà oggi pomeriggio, va bene? Non voglio errori, ovviamente.».
«Certo…» rispose la voce femminile.
«Ehi, Rebecca, vieni qui…» fece l’uomo, sfiorando il fianco della ragazza, che si ritrasse scattosamente.
«Non mi toccare Igor.».
«Ehi ehi ehi, calmati signorina, qual è il problema?» continuò il primo che aveva parlato con tono calmo e suadente. Le sfiorò di nuovo il fianco, per poi scendere lungo la coscia.
«Basta, Igor, smettila!» esclamò lei allontanandosi nuovamente.
«Come vuoi… ma attenta a comportarti così con me ragazzina, sai cosa può accadere, non c’è bisogno che te lo ricordi. Va a prepararti ora.».
La giovane donna corse fuori dal salone trattenendo a stento le lacrime che minacciavano di rigarle il viso. Odiava quell’uomo, lo odiava con tutta se stessa.
A quasi duemila chilometri di distanza…
Il campanello suonò in casa Gerkhan alle otto in punto.
«Andrea, vai tu?» gridò Semir dalla cucina.
«Sì!» rispose la moglie andando ad aprire. Ben e Clara entrarono sorridenti: «Buonasera!» esclamarono in coro.
Andrea e i due ospiti si scambiarono baci e abbracci, poi i due entrarono e furono sommersi dai saluti affettuosi delle due bambine, che non aspettavano altro se non l’arrivo dei due “zietti”.
«Ma dov’è Semir?» chiese Clara curiosa, non vedendolo all’ingresso.
«Arrivo, scusatemi!» si sentì gridare in quel momento dall’altra parte della casa.
Andrea scoppiò a ridere: «Non fateci caso, ha deciso di cucinare lui stasera… non so cosa ci aspetti.».
Ben fece una faccia sconcertata: «Oddio, per fortuna che ho portato il dolce allora, rischiamo di mangiare solo quello!» disse posando sul tavolo un vassoietto di pasticcini ben confezionati.
«Guarda che ti ho sentito eh!» lo fulminò Semir entrando nell’ingresso. Abbracciò e baciò Clara e non degnò Ben di uno sguardo fingendo di essere offeso. D’altra parte il ragazzo non fece proprio niente per farsi perdonare. Continuò anzi a ridere senza interruzione vedendo come si era conciato l’ex collega: il grembiule rosa di Andrea che aveva infilato gli donava particolarmente, senza contare le numerose macchie di cibo presenti sulla maglietta chiara.
«Torno in cucina va, dieci minuti e dovrebbe essere pronto.» comunicò il turco passando nell’altra stanza, non prima di aver lanciato all’amico un’altra occhiata in cagnesco.
Passarono una serata serena.
Nonostante le ricette che aveva preparato Semir si rivelassero un fiasco totale, passarono una serata serena tra chiacchiere, risate e propositi per il futuro.
Parlarono di Clara, del bambino che sarebbe nato, degli ultimi casi strampalati di Ben. Le bambine raccontarono della scuola, delle gite, Beth fece vedere a Clara tutti i suoi disegni.
Erano le dieci quando riuscirono finalmente, dopo il dolce, a spedire a dormire le bambine che la mattina seguente sarebbero dovute andare a scuola.
I quattro superstiti si sedettero invece sul divano a parlare ancora un po’, davanti ad un bicchierino di digestivo, esclusa Clara che si dovette accontentare di una bella tisana fumante.
«Ben, non ci hai ancora parlato del tuo nuovo collega, Max. L’ultima volta dicevi che era troppo presto per giudicare…» disse ad un tratto Andrea, curiosa.
«Non è male,» rispose il poliziotto un po’ insicuro «è solo un po’ tanto perfezionista ma alla fine mi sembra una brava persona.».
«A me aveva fatto una buona impressione.» intervenne Clara sorseggiando la sua tisana «Semir, tu invece? Trovato niente?» domandò.
L’uomo scosse il capo. Temeva che la conversazione prima o poi sarebbe andata a parare lì.
«No, niente.» rispose semplicemente.
«Be’, basta che non ti proponi in un ristorante, rischieresti di farlo fallire!» si intromise Ben provocando una risata generale e alleggerendo un po’ la tensione che si stava venendo a creare. Notò però che Andrea aveva cambiato espressione.
«Ancora digestivo?» offrì invece Semir con un sorriso.
«No no grazie, se poi mi fanno il palloncino sono spacciato.» ribatté l’ispettore.
Continuarono a chiacchierare ancora fino alle undici, poi Clara e Ben si congedarono, promettendo di invitarli la prossima volta a cena in casa da loro.
Si diedero la buona notte, si salutarono e Andrea rimase sul pianerottolo a guardare la Mercedes che silenziosa si allontanava lungo la strada deserta.
«E anche questa è andata.» sospirò rientrando.
«Era così pessima la cena?» domandò Semir portando in cucina i bicchierini e la tazza della tisana.
La moglie alzò le spalle: «Abbastanza.» confessò con un mezzo sorriso.
«Perfetto!» ironizzò l’uomo facendo un altro viaggio dalla sala da pranzo alla cucina «Andrea, tutto bene?».
La donna era rimasta ferma in mezzo alla stanza con lo sguardo assente.
«Sì solo… Semir, quando troverai un altro lavoro?».
L’ex ispettore si fermò in mezzo al corridoio con i piatti in mano «Andrea, sai che…».
«So cosa?» lo interruppe lei «Sono passati tre mesi, Semir, tre mesi! Tre mesi e ancora tu non ci hai nemmeno provato.».
«Sai che non è vero. Ho cercato, ma non…».
«Ma non ti va bene niente!» concluse di nuovo Andrea per lui.
«Ma non…».
«La verità è che tu non hai nemmeno provato a cercare un altro lavoro.».
Semir posò i piatti sul tavolo alzando leggermente la voce «Se mi lasciassi finire di parlare forse…».
«La verità…» provò ancora la donna, ma questa volta fu lei ad essere interrotta dal marito: «La verità è che fosse per me sarei ancora in polizia!».
Si venne a creare un attimo di silenzio.
«Ah, certo, adesso è colpa mia se non sei più in polizia, vero?» domandò Andrea, offesa.
«Non ho detto questo.».
«Sai una cosa? Per quanto mi riguarda puoi anche tornarci, nel tuo adorato commissariato. Anzi vai, che aspetti?! Tanto dovesse succedere qualcosa ci sono io che penso alle bambine no?» continuò lei imperterrita.
«Andrea…» provò a fermarla lui, ma era troppo tardi: la moglie si era già chiusa in camera, sbattendo la porta.
Semir si sedette sul divano, che quella notte lo avrebbe ospitato, con un sospiro. Da quando aveva lasciato la polizia stava andando tutto storto, anche con Andrea. Si rendeva conto che fosse unicamente colpa sua ma non sapeva come rimediare. Non gli andava bene nessun altro lavoro, voleva tornare all’autostradale… ma come avrebbe potuto? Sarebbe stato come tradire Andrea e le bambine. Sarebbe stato un gesto troppo egoistico da parte sua. Egoistico e pericoloso.
Eccomi qui :)
Prima o poi si passa all’azione, ve lo assicuro, questo capitolo era ancora molto di introduzione. Grazie ha chi ha lasciato le recensioni e a chi mi sta seguendo silenziosamente! Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 3 *** Una nuova indagine ***
Una nuova indagine
Ben frenò davanti all’ospedale senza preoccuparsi di accostare bene la macchina al marciapiede. Era in ritardo, come suo solito del resto. La Kruger gli aveva chiesto di andare a parlare con il conducente dell’auto che due giorni prima aveva provocato l’incidente che aveva bloccato l’A71.
Ben chiese il numero della stanza mostrando il suo tesserino e salì di corsa le scale per raggiungere il secondo piano.
Quindi vagò nel lungo corridoio per un po’ finché non trovò il numero della stanza che cercava. Bussò e aprì, senza aspettare una risposta, notando con una punta di fastidio che il collega, come sempre, lo aveva preceduto.
«Buongiorno signor Hanser, ciao Max.» esordì l’ispettore chiudendosi la porta alle spalle.
«Il signore mi stava raccontando la dinamica dell’incidente.» spiegò Max e l’interrogato lo interruppe: «Sì ispettore, è avvenuto proprio tutto come raccontavo al suo collega. Stavo andando forse un po’ troppo veloce, è vero, ma non pensavo potesse succedere un disastro del genere. Ad un certo punto ho perso il controllo dell’auto e… potevo lasciarci le penne, lo so, mi è andata bene.» concluse l’uomo alludendo al collare che portava al collo. Sulla cinquantina, in carne, sembrava un signore distinto.
«E si può sapere dove andava così di fretta, signor Hanser?» domandò Ben sospettoso.
«Io? A… ehm… verso casa.» rispose l’uomo, insicuro «Mio figlio è molto malato, sì.».
Max corrucciò la fronte: «Suo figlio?».
L’interpellato annuì triste: «Mio figlio, sì. Mia moglie mi aveva chiamato dicendomi che aveva avuto un forte attacco cardiaco e io mi sono precipitato… mio figlio è molto malato.» ripeté abbassando il tono di voce involontariamente.
«Mi dispiace.» mormorò Ben abbassando lo sguardo, ma il collega sembrava aver ancora parecchi sospetti: «Cos’ha, se posso chiederglielo?».
Hanser sospirò «Ha una grave disfunzione bi ventricolare… insomma, ha problemi al cuore, ecco.» tagliò corto «Ora, se non avete altre domande, vorrei riposare.».
I due ispettori annuirono contemporaneamente «Certo, scusi il disturbo. Arrivederci.».
«Arrivederci.».
I due poliziotti uscirono dalla stanzetta e si avviarono verso l’uscita dell’ospedale.
«Che ne pensi?» domandò Max, perplesso.
«Mi sembra un brav’uomo infondo, no?» ribattè Ben cercando le chiavi dell’auto nella tasca del giubbotto.
«Hai visto come ha glissato sulla malattia del figlio?» domandò ancora l’altro ispettore passandosi una mano tra i folti capelli biondi.
«Penso sia normale che non abbia voglia di parlarne.».
«Non vorrei ci nascondesse qualcosa…».
Arrivati alle macchine Ben aprì il suo sportello alzando un sopracciglio «Non è che sei un po’ troppo sospettoso Max?».
«Sarà! Ci vediamo al comando.» lo salutò il collega salendo sulla propria auto, un’Audi verde scura.
Entrambi accesero il motore partendo con una sgommata.
~~~
Rebecca si chiuse la porta alle spalle e rimase sola nella piccola stanza.
Si sedette sulla sedia di legno e rimase immobile alcuni istanti a contemplare ciò che la circondava. Il lettino bianco della sala operatoria occupava il centro della stanza, attorniato da una serie di attrezzi e macchinari medici specifici.
Infondo alla stanza un piccolo armadietto. Nell’aria odore di disinfettante, di ospedale.
La ragazza non seppe se sorridere o scoppiare a piangere.
Certo, operare era sempre stato il suo sogno. Operare, sì, ma non così.
Rebecca rabbrividì nel ricordare i visi delle persone che erano entrate in quella stanza. Odiava le loro espressioni inconsapevoli, le detestava. Così come detestava se stessa per ciò che faceva, per le false parole di confronto che, ogni volta, pronunciava.
Detestava se stessa e non poteva farci niente, non poteva cambiare… perché lui glielo impediva.
I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore secco della porta che si apriva. Era sua sorella, che entrò titubante: «Reb? Sono arrivati. Tra poco ti mando il primo, va bene?».
Rebecca annuì.
Si alzò, indossò il camice medico.
Era pronta.
~~~
«Capo, glielo dica lei che è un’ipotesi assurda!» pregò Ben sedendosi sulla poltrona.
Stavano discutendo del caso Hanser da più di un quarto d’ora nell’ufficio del commissario.
«Le dico che deve essere così!» replicò Max per l’ennesima volta «Per me quell’uomo nasconde qualcosa. Capo, le sto solo chiedendo di poter indagare un po’! 48 ore, se non scopriamo niente chiudiamo il caso.».
La Kuger lo guardò pensierosa «E va bene. Ma 36 ore, le do tempo fino a domani sera. Non possiamo stressare le persone inutilmente, non ha alcun senso.».
L’ispettore sorrise «Grazie capo.».
Ben alzò invece gli occhi al cielo e si diresse con il collega verso l’uscita dell’ufficio.
«Aspettate!» li richiamò la donna «Rieder, agisca con discrezione per favore. E Jager, si fermi un momento nell’ufficio, le devo parlare.».
I due poliziotti annuirono e quando Max si fu richiuso la porta alle spalle, Ben si appoggiò allo stipite della porta pronto a sorbirsi l’ennesima ramanzina da parte del commissario. Erano mesi ormai che non andavano più un granché d’accordo.
«Jager, io penso che dovrebbe smetterla di contraddire qualunque cosa esca dalla bocca di Rieder, non trova?».
«Ma capo…».
«Mi lasci finire.» lo interruppe dura la Kruger «Non c’è una volta, e dico una volta in cui lei e Max siate stati d’accordo su qualcosa in questi ultimi tre mesi. Lui sta facendo di tutto pur di farsi accettare e lei invece, Jager, non ne vuole sapere. Lo tratta come un bambino, non come un collega. Le chiedo semplicemente di darsi una calmata! Lo so che cambiare collega dopo tanto tempo può essere fastidioso ma…».
«Fastidioso?» ripeté Ben incredulo «Lei davvero pensa che io non condivida le idee di Max perché ho ritenuto fastidioso cambiare collega?».
«Forse lei non ha nemmeno provato a conoscerlo, magari Rieder sarebbe anche un buon amico, come lo era Gerkhan del resto, oltre che un collega.».
«O forse non mi ci trovo e basta.» controbatté l’ispettore «Non penso che lei riesca a farmi cambiare idea capo, mi dispiace. Arrivederci.» concluse quindi avviandosi verso l’uscita.
«Trovato qualcosa Einstein?» domandò poco dopo Ben varcando la soglia della scientifica.
Hartmut scosse il capo emergendo da sotto l’auto che stava analizzando «Niente di niente, nessuna manomissione, il conducente deve aver davvero perso il controllo semplicemente.».
«Meglio così.» sospirò l’ispettore aggirandosi per il laboratorio nel collega.
«Max non c’è?» chiese il ragazzo dai capelli rossi tornando sotto alla vettura su cui stava lavorando.
«No, è andato a parlare con la moglie del conducente, lui è convinto che ci sia qualcosa sotto tutta questa storia. Ora vado, devo tornare in commissariato e prima passare a fare benzina. Ciao Einstein!» salutò Ben dirigendosi verso l’uscita.
«Ciao Ben… Ah no, aspetta!» lo fermò il tecnico.
«Cosa?».
«Dimenticavo di darti questo.» l’uomo porse al poliziotto una fotocopia piegata in quattro «Non so cosa sia, l’ho trovata sul sedile posteriore ed è scritta in non so quale lingua, se vuoi portarla alla Kruger…».
L’ispettore spiegò la fotocopia e la infilò in una bustina trasparente. Le diede un’occhiata ma non ci capì assolutamente niente. Quindi ringraziò Hartmut e si diresse pensieroso verso la sua Mercedes blu.
Ancora niente azione, lo so. Scusate, ma ancora ci vorranno un po’ di capitoli prima di arrivare al punto… Grazie mille a chi continua a seguirmi e grazie per le recensioni, non sapete che piacere mi facciano!
Un bacio
Al prossimo
Sophie :D
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Capitolo 4 *** Traffico d'organi ***
Traffico d'organi
Ben frenò davanti al distributore e scese dalla macchina per fare benzina.
Pagò velocemente e fece per risalire in macchina quando una voce alle sue spalle lo fermò: «Ben!».
L’ispettore si voltò e richiuse lo sportello dell’auto andando incontro all’uomo che lo aveva salutato.
«Semir, che ci fai qui?».
«Quello che ci fai tu, benzina.».
«Senti Semir, già che ti incontro… mi dispiace per ieri sera.» si scusò il più giovane «Mi sembra che Andrea si sia un po’ tesa dopo la domanda di Clara.».
«Ah, no, tutto a posto. Che fai, vai al comando? Attento, ti sta cadendo un foglio!» esclamò Semir vedendo che all’ex collega era caduta una fotocopia sigillata in una busta di plastica di quelle della scientifica.
Lo raccolse e cominciò a leggerlo ma Ben glielo strappò praticamente dalle mani.
«Era in una macchina da analizzare, devo portarlo al comando.» spiegò velocemente il ragazzo.
«Posso vedere?».
«È… è un indizio Semir.» fece il poliziotto ripiegando la busta e infilandola in tasca.
Il turco annuì con un velo di delusione negli occhi.
«Sarà meglio che vada.» disse poi, entrando in macchina. Lo salutò dal finestrino e uscì dall’area di servizio, incrociando un’Audi verdone che si accingeva invece ad entrare.
«Max!» Ben salutò il collega che usciva dalla propria auto, sorpreso «Anche tu a fare benzina?».
Il biondo scosse il capo «No, dovevo solo dirti una cosa importante e non volevo aspettarti al comando, ho parlato con la moglie di Hanser. Vuoi sapere una cosa? Non era per niente preoccupata per il marito, anzi arrabbiata con lui se mai. Diceva in continuazione che in questo modo avrebbe mandato tutto all’aria.».
«Tutto cosa?».
«Bella domanda.» rispose Max alzando le spalle «Però non è un comportamento normale, dai!».
«No, hai ragione.» confermò Ben «Io invece ho una fotocopia che ha trovato Hartmut nella vettura di Hanser, te la faccio vedere in commissariato, andiamo?».
L’altro annuì ed entrambi salirono in macchina e si diressero al comando.
~~~
Rebecca si levò i guanti, si lavò le mani e le asciugò con cura, quindi uscì dalla sala e prese un grande respiro.
Percorse il lungo e buio corridoio fino ad arrivare nel salone dove il capo la aspettava.
«Ho concluso le operazioni.» disse quindi, infastidita dal profumo di quell’uomo che, fissandola, si era alzato dalla poltrona su cui sedeva e le si era avvicinato pericolosamente.
«Brava.» fece Igor con voce calda «Abbiamo un problema con la Germania, uno dei nostri acquirenti ha avuto un incidente e abbiamo dovuto rimandare il volo. Si terrà domani mattina, quando sarà dimesso dall’ospedale. La cassa è ben imballata giusto?».
«Quella del signor Hanser? Sì, è a posto.» rispose la ragazza cercando di evitare gli occhi dell’uomo.
«Perché non mi ami Rebecca?».
La domanda risuonò netta nell’aria chiusa della stanza.
«Ma come potrei? Come potrei dopo tutto ciò che stai facendo a me e a mia sorella?».
«Dopo cosa? Dopo che vi ho preso dalla strada per darvi una casa? Dopo che vi ho salvato la vita? Cos’altro avrei dovuto fare per voi?» continuò Igor come un fiume in piena.
Rebecca scosse il capo mentre lacrime amare le bagnavano il viso. Sarebbe dovuta essere grata a quell’uomo ma proprio non ci riusciva. Pregava ogni giorno che quella prigionia, quell’inferno finisse, ma le sue preghiere in tutti quegli anni erano state vane.
E lo sarebbero state ancora ed ancora, finché qualcuno non fosse venuto a salvarla.
~~~
«Non so nemmeno che lingua sia questa, Rieder.» commentò la Kruger posando sulla scrivania la fotocopia trovata da Hartmut.
«E non crede che dovremmo capire di che si tratta? Qui ci sono dei numeri… Sembrerebbero cose mediche, non so…» disse Max, entusiasta di avere sottomano almeno qualche indizio.
«Porti la fotocopia a Susanne, vediamo se lei trova qualcosa. In quanto alla moglie di Hanser, invece, il fatto che lei sia arrabbiata con il marito non è certo una prova, ma potrebbe davvero nascondere qualcosa. Domani mattina Hanser verrà dimesso, provate a seguirlo e vedremo. È tutto, direi che per ora non possiamo fare altro se non decifrare questo foglio.».
«Perfetto!» esclamò l’ispettore che, seguito da Ben, uscì dall’ufficio per mostrare la fotocopia alla segretaria e attendere un riscontro.
Semir entrò in casa e fu accolto da Mirtillo, che gli andò incontro festoso. In quei mesi il cane era cresciuto molto e aveva assunto ormai la fisionomia di un cane adulto. Era impressionante quanto sembrasse intelligente quel bovaro bernese!
«Ciao cucciolone!» esclamò Semir chiudendosi la porta dietro le spalle.
Andrea sbucò quindi dalla porta dell’altra stanza: «Ciao.».
«Ciao. Ancora tanto arrabbiata?».
La donna scosse il capo con un sorriso e i due si abbracciarono con affetto.
«Andrea, ascolta, ma non arrabbiarti. Penso che l’autostradale abbia per le mani un caso grosso…».
Andrea sospirò esasperata.
«No, ascolta, non è che voglia mettermi in mezzo» la rassicurò il marito velocemente «Ma penso che Ben ancora non abbia capito con cosa ha a che fare.».
«E come fai a saperlo tu che non metti piede in commissariato da più di tre mesi?» domandò la donna scettica.
«Oggi ho incontrato Ben che aveva una fotocopia in mano che sicuramente gli ha dato Hartmut, deve averla trovata in qualche macchina. Solo che Ben non l’aveva letta la fotocopia, anzi, non aveva nemmeno idea di che si trattasse e probabilmente sta ancora cercando di tradurla.».
«E come fai a saperlo tu?».
«Era scritta in turco.» rivelò Semir «Ne ho letto solo qualche riga e vorrei sbagliarmi ma temo si tratti di…».
«Di?» lo incitò Andrea, ormai curiosa di sapere cosa contenesse quella misteriosa fotocopia.
«Traffico d'organi.».
Ancora niente azione, ancora calma prima della tempesta…
Mi scuso per il ritardo ma ho veramente una marea di impegni ultimamente. Grazie a chi segue e soprattutto grazie ai recensori, non sapete che piacere mi facciano i vostri commenti!
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 5 *** Interrogatorio ***
Interrogatorio
Hanser
uscì dall’ospedale guardandosi intorno e,
sempre con aria circospetta, salì in macchina e
partì sgommando. Non si accorse
che una Mercedes blu lo seguiva a debita distanza.
Ben
e Max infatti, poco dietro di lui, non lo
perdevano di vista. Ormai persino Ben era persuaso dal fatto che
quell’uomo
potesse nascondere qualcosa e la faccenda non gli piaceva nemmeno un
po’.
Dal
poco che erano riusciti a capire dalla fotocopia
il giorno prima, dovevano c’entrare affari medici. La prima
idea che era venuta
in mente agli ispettori aveva fatto rabbrividire entrambi: avevano
pensato al
traffico d’organi.
«Pensi
davvero che ci sia di mezzo un traffico
d’organi in questa storia?» domandò Ben
preoccupato.
«Be’,
secondo me è possibile, facendo due più
due»
cominciò Max con la sua logica irritante «Termini
medici in quella fotocopia
straniera, un figlio gravemente malato a cui sono stati diagnosticati
circa tre
mesi di vita, mi sembrerebbe plausibile.».
Ben
sorrise al “plausibile” del collega e
tornò a
fissare l’asfalto grigio che correva sotto di loro. Non aveva
idea di dove
quell’Hanser li avrebbe portati, ma sentiva che qualcosa non
andava.
Dopo
una mezz’oretta, la macchina che stavano
seguendo si fermò in un piccolo campo di volo parallelo
all’autostrada.
I
poliziotti si appostarono con la loro vettura
dietro alla piccola torre di controllo e osservarono da distanza
ciò che stava
accadendo.
Hanser,
all’inizio della pista, scese dalla macchina
sempre guardandosi intorno circospetto e si avviò lentamente
verso un piccolo
aereo privato che sostava lì a pochi metri. Da questo
scesero due uomini
vestiti rigorosamente di nero, che salutarono Hanser con freddezza.
Quindi
i due mostrarono all’uomo dei fogli e poi lo
portarono verso la stiva dell’aereo. Ne estrassero una
scatola grande,
imballata in modo fin troppo premuroso, con attaccati alcuni apparecchi
metallici
ingombranti, che da lontano non si distinguevano bene.
«Interveniamo?»
chiese Ben in un sussurro.
L’altro
scosse il capo «È presto.» disse senza
togliere
gli occhi da quei due uomini, che ora discutevano più
animatamente con Hanser.
Quest’ultimo si diresse ad un tratto verso la propria
berlina, aprì il
bagagliaio e ne estrasse una piccola valigetta nera, che
consegnò ai suoi due
interlocutori.
«Ora
interveniamo.» affermò Ben, pronto ad aprire lo
sportello dell’auto.
Max
scosse ancora il capo «Sono in due e sicuramente
sono armati.».
«Cosa
c’entra, anche noi siamo armati e siamo in
due!» ribatté seccato l’altro ispettore.
Max
fu irremovibile. Ben odiava quel fare del
collega, che sembrava dovesse essere esperto in tutto e sempre in grado
di
mantenere la calma, di pensare razionalmente in ogni situazione. Lui
era
esattamente l’opposto, impulsivo e disordinato.
I
due uomini vestiti di nero, nel frattempo, avevano
controllato il contenuto della valigetta e, annuendo soddisfatti, si
erano
allontanati, mentre Hanser, scuro in volto, era tornato alla propria
automobile.
I
poliziotti aspettarono che i due uomini non
fossero più visibili per scendere dalla macchina e fermare
Hanser prima che ripartisse.
«Buongiorno
signor Hanser.» salutò Ben, e all’uomo
per poco non venne un colpo. Si voltò di scatto con aria
terrorizzata «Non vi
avevo visto, buongiorno.».
«Che
ne dice di spiegarci cosa ci fa qui appena
uscito dall’ospedale? Dovrebbe riguardarsi.» gli
domandò Max posizionandosi strategicamente
davanti alla portiera della macchina,
in
modo che l’uomo non potesse scappare.
«Io…
io avevo un incontro importante.» balbettò
Hanser.
«E
con chi, se si può sapere?».
L’uomo
si guardò intorno, probabilmente alla ricerca
di una via di fuga, mentre il suo cervello cercava freneticamente di
trovare
una risposta che non lo mettesse in ulteriore difficoltà.
Ma
non la trovò.
«Erano…
ehm… colleghi, sì, colleghi di lavoro.
Cioè…».
«Ci
segua al comando, per favore.» lo interruppe Ben
mentre Max faceva entrare l’uomo nella Mercedes.
Uno
dei due uomini vestiti di nero intanto, che non
li aveva persi di vista nemmeno un momento, compose un numero e
portò il
cellulare all’orecchio, in attesa di una risposta.
Il
cellulare di Ben squillò a metà del tragitto
verso il commissariato. L’ispettore rispose mentre il
collega, alla guida, gli
lanciava un’occhiata interrogativa.
«Jager.».
«Ben!»
esclamò la voce conosciuta dall’altro capo del
telefono.
«Semir?
Buongiorno.» fece il poliziotto sorpreso.
«Ascoltami
Ben, penso di poterti aiutare per il caso a cui stai
lavorando.».
«Ma
tu non sai nemmeno a che caso sto lavorando!».
«Sì
invece.»
controbatté Semir «Traffico
d’organi. Ho letto un pezzo di fotocopia ieri, prima che tu
me la strappassi dalle mani, era in turco. Poi ho fatto qualche
telefonata e ho
scoperto che…».
«No,
no, no, aspetta un attimo.» lo interruppe Ben
confuso «Non dirmi che stai indagando
anche tu da casa.».
«Indagare
è una parola grossa, volevo solo aiutarti.».
«Semir,
lascia stare, non vorrei che ti mettessi di
nuovo nei guai, lascia perdere.» gli intimò il
poliziotto, preoccupato.
«Non
vuoi sapere nemmeno cosa ho da dirti?»
fece la voce,
testarda, dall’altro capo del telefono.
Ben
sospirò appoggiandosi allo schienale: «Vai,
spara.».
~~~
«Accidenti.»
sibilò tra i denti Igor chiudendo la
comunicazione e mettendo via il cellulare.
«Cosa
succede?» domandò con falso interesse Rebecca.
«Quel
tedesco, Hanser, si è fatto beccare. Ma porca miseria,
ma si può essere più imbecilli?»
sbraitò l’uomo vagando per la stanza, nervoso
«Se la polizia arriva fino a me giuro che io lo faccio fuori
quell’idiota, lo
disintegro.».
«Sarà
difficile.» commentò la ragazza scostando le
tende per scrutare il cielo grigio dietro alla finestra.
«Cosa?».
«Sarà
difficile che tu lo possa disintegrare, una
volta che qui arriverà la polizia avrai altro a cui
pensare.» Rebecca ebbe a
malapena il tempo di finire la frase che sentì una forte
stretta stringerle il
polso destro fino a farle male.
«Smettila
di fare la strafottente con me o faccio
fuori te, chiaro?» mormorò l’uomo, a
pochi centimetri dal suo viso.
«Mi
fai male.» gemette lei divincolandosi dalla
stretta «Bastardo.» aggiunse in un sussurro. Non
ebbe nemmeno il tempo di
chiedersi se l’uomo avesse sentito: un violento schiaffo le
colpì la guancia
sinistra con una potenza inaspettata.
«Io
ti ho avvertito. Abbassa la cresta, ragazzina.».
L’uomo
le diede le spalle e uscì.
Quando
poco dopo rimase sola nel salone, crollò a
terra, tremante, una mano ad accarezzarsi la guancia colpita. Si
fingeva forte
davanti a quell’uomo, ma da sola non riusciva a portare
avanti quella commedia.
Pregò, come faceva tutti i giorni. Pregò che
qualcuno giungesse a salvare sia
lei sia sua sorella.
~~~
Semir
sbuffò appoggiandosi al cofano della sua BMW.
Ben non aveva ancora perso il vizio di arrivare in ritardo.
Certo,
gli faceva un po’ effetto doverlo aspettare
sotto il commissariato, gli sembrò per un attimo di essere
ripiombato indietro
nel tempo, almeno di qualche mese. Ma la realtà
tornò ben chiara davanti ai
suoi occhi quando dalla Mercedes blu che nel frattempo aveva
parcheggiato lì
davanti ne uscì Ben accompagnato da quello che probabilmente
era il suo nuovo
collega.
«Ciao!»
salutò vedendo l’amico scendere dalla
macchina.
Ben
tirò fuori dai sedili posteriori un uomo
ammanettato e lo affidò ad un agente che stava per dirigersi
in commissariato
prima di avvicinarsi e di salutare a sua volta.
«Ciao
Semir. Questo è Max, il mio nuovo collega.
Max, questo è Semir.».
I
due si strinsero la mano.
«Quindi
tu sei il famoso Semir Gerkhan? Ben mi ha
parlato bene di te.».
Semir
sorrise osservando il poliziotto che aveva
davanti. Sulla quarantina, alto, biondo, sembrava avere un viso
simpatico.
I
tre salirono le scale del comando lentamente. Ben
e Semir si erano dati appuntamento lì per la questione di
Hanser, a quanto
pareva il secondo sapeva un bel po’ di cose a riguardo.
«Un
momento, ma la Kruger sa che sono qui?» domandò
il turco appena prima di oltrepassare la soglia dell’entrata.
«Veramente
nessuno sa che sei qui. Pazienza, farai
una sorpresa a tutti!» rispose l’ex collega alzando
le spalle.
Entrarono,
e tante coppie di occhi stupiti si
diressero rapidamente verso di loro.
«Quindi
lei pensa che si tratti di un traffico
d’organi internazionale, la cui sede principale sarebbe in
Turchia, giusto?»
domandò la Kruger, riepilogando.
Dopo
una serie di saluti da parte di tutti gli ex
colleghi, Semir era riuscito, con gli altri due ispettori, ad entrare
nell’ufficio
del commissario, con cui ormai stavano parlando da quasi
mezz’ora.
«Esatto.»
confermò Semir annuendo «Gliel’ho detto,
ho questo contatto che è molto affidabile.».
«Così
si spiegherebbero molte cose.» intervenne Max
girando per la piccola stanza «La circospezione del signor
Hanser per esempio,
così come la fotocopia scritta in turco e come la cassa che
quei due uomini
hanno mostrato ad Hanser al campo di aviazione.».
«Esatto.»
convenne Ben, stranamente dello stesso
parere del collega «Combacia anche il fatto che il figlio di
Hanser sia molto
malato e che abbia bisogno di un trapianto di cuore per sopravvivere,
il che
richiederebbe però, se fatto in maniera legale, una lunga
attesa…».
«Che
il piccolo non si può permettere.» concluse
Semir al suo posto.
La
Kruger annuì «Bene, vorrei che interrogaste
questo Hanser, è già nella sala degli
interrogatori. Gerkhan, mi faccia avere
il numero del suo “contatto”. Dobbiamo indagare con
prudenza, questa è una
faccenda piuttosto delicata, non dobbiamo commettere errori.».
«Bene,
andiamo a sentire cos’ha da dire il nostro
Hanser allora.» esclamò Max dirigendosi verso
l’uscita dell’ufficio.
«Capo…
cioè, commissario» si corresse Semir
«Non è
che potrei... assistere all’interrogatorio?».
«Non
se ne parla proprio.» rispose la donna con
fermezza.
L’uomo
la guardò supplichevole e lei sospirò
rumorosamente.
«Che
sia la prima e l’ultima volta. Segua Rieder e
Jager di là, mentre io faccio una telefonata.»
acconsentì infine la Kruger con
un sorriso, aspettando che i tre uscissero dalla stanza chiudendosi la
porta
alle spalle.
«Dunque»
fece Ben entrando nella stanza seguito dal
suo collega «Signor Hanser, che ne dice di raccontarci un
po’ cosa doveva fare
una volta uscito dall’ospedale?».
L’interrogato
scosse il capo incrociando le braccia
«Nulla, ispettore.».
«Nulla?».
«Nulla.
Come le ho detto quelli erano colleghi di
lavoro.» ribadì l’uomo, improvvisamente
sicuro di sé.
«Colleghi.»
intervenne Max con falsa indifferenza
«Lei lavora in banca, non è vero signor Hanser? Di
cosa dovevate discutere, un
prestito troppo grande da concedere? Un cliente troppo esigente? O
forse un
nuovo sistema di allarme per le cassette di sicurezza? Certo, strano un
campo
di aviazione come luogo d’incontro per trattare di questi
argomenti…
soprattutto strano sapendo che circa tre ore dopo
l’appuntamento sarebbe
entrato al lavoro, incontrando quindi direttamente tutti i
colleghi…».
Semir
sorrise da dietro i vetri della stanza.
Seguiva perfettamente tutto l’interrogatorio; il nuovo
collega di Ben sembrava
piuttosto furbo e intelligente, gli piaceva.
La
sicurezza dell’uomo cominciò nuovamente a
vacillare «Io… io non vi dirò chi erano
quegli uomini, per nulla al mondo.».
«Ed
ecco confermato che non si trattava di
colleghi.» constatò Max far sé e
sé con un mezzo sorriso.
«Suo
figlio è molto malato, signor Hanser, lo
sappiamo. Avrebbe bisogno urgente di un trapianto di cuore ma le liste
d’attesa
negli ospedali sono infinite.» disse Ben avvicinandosi
all’uomo «Traffico
d’organi, è di questo che si tratta, non
è vero?».
L’interrogato
scosse il capo risoluto, mentre una
goccia di sudore gli scivolava lentamente lungo la fronte.
«Non
dirò niente.».
«Molto
bene.» fece Max alzando le spalle «Tanto non
ci serve a molto la sua confessione, vero Ben?».
L’ispettore
più giovane corrucciò un attimo la fronte
prima di capire dove il collega volesse arrivare e annuire.
Max
continuò «Sa signor Hanser, noi sappiamo
perfettamente di che si tratta in realtà. Quella che
vorremmo da lei in fondo è
solamente una conferma, abbiamo già parlato con sua moglie
che ci ha raccontato
tutto.».
Il
terrore passò rapido negli occhi di Hanser, che
si vide con le spalle al muro «Mia… mia
moglie?».
«Già,
sua moglie. Ci ha raccontato tutto nei minimi
particolari, dall’inizio alla fine. Sappiamo chi erano quei
due uomini che ha
incontrato e sappiamo anche cosa conteneva quella scatola imballata,
così come
la sua valigetta. A questo punto non importa se decide di non
collaborare, sarà
solo peggio per lei.» concluse il poliziotto facendo per
uscire dalla stanza.
«No,
aspetti!» lo fermò Hanser, ormai grondante di
sudore «Ma… ma se io confermassi quanto ha detto
mia moglie… avrei delle
attenuanti? Il giudice ne terrebbe conto?».
«Sicuramente.»
rispose Max voltandosi.
«Va
bene… va bene, vi spiegherò tutto.»
mormorò
l’uomo tentando di farsi coraggio da solo.
Ben
guardò il collega che aveva condotto
l’interrogatorio con un pizzico di stizza prima di tornare ad
ascoltare
l’interrogato e a Semir, dall’altra parte del
vetro, non sfuggì quello sguardo.
«Mio
figlio, come avete detto, è malato. Soffre di
una grave disfunzione bi ventricolare e ha bisogno urgente di un
trapianto di
cuore, i medici gli hanno diagnosticato altrimenti poco meno di tre
mesi di
vita… ho fatto domanda ma la lista d’attesa
è veramente infinita e gli organi
tra l’altro compatibili con il corpo di mio figlio, che ha
undici anni,
sarebbero veramente pochi… così ho deciso i
rivolgermi a loro.»
confessò Hanser con le lacrime agli occhi «So che
è
sbagliato, lo so. Ma voi non potete capire. Avete mai avuto davanti a
voi gli
occhi imploranti di vostro figlio malato? Avete mai vissuto con la
consapevolezza di essere sul momento di perdere la cosa che
più amate al
mondo?».
Max
abbassò lo sguardo, sperando che il collega non
lo notasse.
«È
una sensazione orribile. Io non ce la facevo più
e mi sono rivolto a loro. La loro
organizzazione ha sede in Turchia, in una piccola cittadina lontano
dalla
capitale, ma non posso dirvi molto altro. Non ho mai parlato
direttamente con
il loro capo, né conosco il suo nome. L’intervento
dovrebbe avvenire domani
mattina all’alba in un loro centro specializzato qui a
Colonia, io oggi ho
consegnato i soldi e quegli uomini mi hanno fatto vedere il contenitore
isotermico dell’organo, lì può restare
fino a 24 ore senza alterarsi. Lo so, ho
sbagliato… mi dispiace.» concluse l’uomo
senza riuscire questa volta a
trattenere le lacrime.
Ben
annuì comprensivo «Dovrebbe dirci come
è
riuscito a mettersi in contatto con questa organizzazione.»
mormorò titubante.
Hanser
porse all’ispettore un biglietto da visita
«È
di un mio collega, ha le mani ovunque, chiedete a lui.».
«Grazie.».
Max
uscì dalla stanza scusandosi mentre Ben finiva
di parlare con l’interrogato.
«Complimenti.»
gli disse Semir non appena lo vide
«Bel bluff.».
«Grazie.»
fece lui sfuggente, oltrepassandolo.
«Tutto
bene?» chiese ancora Semir corrucciando
appena la fronte.
«Come?
Ah sì… sì, un po’ di
emicrania.» rispose
elusivo Max uscendo quindi quasi di corsa dall’ufficio.
Poco
dopo anche Ben uscì dalla sala degli
interrogatori raggiungendo l’ex collega nel corridoio.
«Max?».
«Non
lo so, è uscito, penso che non si sentisse
molto bene.» rispose Semir «È in gamba
però.».
Il
ragazzo in risposta mostrò una smorfia di
disapprovazione.
«Non
lo sopporti eh?».
«Non
è che non lo sopporto, è che è
troppo…
razionale.» spiegò il poliziotto con un sospiro.
Semir
alzò le spalle poco convinto «Va be’, io
vado,
devo prendere Beth all’asilo, passo prima a salutare la
Kruger. Tienimi
informato.».
«Semir,
sai che non posso.».
«E
dai Ben! Che cosa pensi che faccia, che ti rubi
il caso? Ciao.» salutò il turco dirigendosi verso
l’uscita senza dare tempo al
più giovane di replicare.
E
cominciamo un po’ ad entrare nel vivo. Grazie a tutti coloro
che mi seguono e
in particolare a maty, Reb, Furia e Chiara per le recensioni!
Un
bacio
Sophie
:D
|
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Capitolo 6 *** Delusioni e Speranze ***
Delusioni e
Speranze
Beth
uscì di corsa
dalla porta dell’asilo correndo incontro a Mirtillo, che la
aspettava ansioso
seduto accanto al suo padrone.
«Ciao Lillo!» esclamò
non appena gli fu vicino e il cane non aspettò un attimo a
saltare intorno alla
bambina abbaiando e scodinzolando per salutarla.
«E il papà non si
saluta?» si intromise Semir prendendo per mano la piccola.
«Ciao papino.» fece lei
con un enorme sorriso.
«Com’è andata
all’asilo, cucciolo?» le domandò
l’uomo dirigendosi con lei verso la macchina e
assicurandosi di tanto in tanto che Mirtillo li stesse seguendo.
«Bene.» rispose Beth
entusiasta «La maestra ci ha fatto disegnare le persone
più importanti della
nostra famiglia e mi ha detto che sono stata brava.».
«Brava la mia
disegnatrice preferita!» fece Semir aprendole lo sportello
perché salisse col
cane sul sedile posteriore.
«Ho il disegno nello
zainetto, a casa te lo faccio vedere.» continuò la
bambina.
«Certo cucciolo, non
vedo l’ora di vederlo.». Semir inserì la
chiave nel cruscotto e partì, diretto
verso casa.
Ben entrò chiudendosi
piano la porta alle spalle e si diresse lentamente verso la cucina,
dove trovò
Clara intenta a lavorare al computer.
«Ciao mia principessa.»
la sorprese raggiungendola alle spalle.
«Ben! Fece lei con un
sorriso «Mi hai spaventata! Ma cosa ci fai qui a
quest’ora?».
Il ragazzo lanciò una
rapida occhiata all’orologio: le 12.33.
«Avevo un minuto di
pausa e ho deciso di passare. Che cosa fai?».
Clara sorrise
misteriosa, mettendo il computer in stand-by «Non posso
dirtelo, è una
sorpresa.». Si alzò dalla sedia e gli si
avvicinò, accarezzandosi il pancione:
«Cosa succede Ben? Sembri preoccupato.»
«No.» rispose il
poliziotto evitando però di guardarla negli occhi
«È che stiamo lavorando ad un
caso un po’ strano, tutto qui.».
Lei annuì comprensiva e
poi, semplicemente, lo baciò.
~~~
Rebecca
guardò
l’orologio: 13.33.
Eve ormai sarebbe
dovuta essere di ritorno.
E, infatti, dopo qualche istante la ragazza bussò
alla porta e Rebecca corse ad aprire: «Eve, stavo cominciando
a preoccuparmi.».
«Tu sei troppo
apprensiva, sorellona.». La giovane si tolse il cappotto e si
diresse decisa
verso la loro stanza «Igor?».
«È uscito, ha dei problemi
con la consegna in Germania.».
«Bene.» fece Eve
estraendo con fare furtivo qualcosa dalla tasca della minigonna che
portava
«Sono centocinquanta Reb, sempre meglio che niente. Se
andiamo avanti così
ancora un mesetto e siamo fuori.» disse posando i soldi nelle
mani della
sorella.
«Eve, sei sicura di
voler continuare?» le domandò Rebecca sperando in
un “no” che non sarebbe mai
arrivato.
«Certo che voglio
continuare. E non ricominciare con la questione del rischio.
È rischioso, lo so
e non me ne frega niente: voglio solo che io e te usciamo da questo
schifo.»
affermò Eve, decisa come sempre.
«E va bene. Vorrei
aiutarti, ma sai che devo stare qui.».
«Tranquilla, lo so. E
poi sai una cosa, sorellona? Tu come prostituta non saresti proprio
credibile!»
rise la ragazza più giovane.
Poi entrambe si
ammutolirono, udendo rumore di chiavi. Igor stava sicuramente
rientrando.
~~~
Non appena fu entrata
in casa, Beth corse a salutare la mamma e, posato lo zainetto sul
divano, ne
estrasse il disegno di cui era tanto orgogliosa.
«Che brava, hai fatto
un disegno?» la accolse Andrea sorridente.
«Sì.» confermò la
bambina «Ora ve lo faccio vedere.» aggiunse
portando al papà la sua opera
d’arte. Semir lo osservò per qualche secondo e il
sorriso che aveva sul viso si
spense velocemente.
«Cosa c’è papà? Non ti
piace?» domandò la piccola, dispiaciuta.
«No... no cucciolo, è
bellissimo, brava.» disse restituendo il disegno alla figlia,
che lo consegnò
entusiasta ad Andrea.
«Mamma, intanto che lo
guardi posso andare in camera a giocare finché non
è pronto?».
«Vai, poi ti chiamo io
Beth.».
La bambina sorrise
felice correndo su per le scale, ancora con la giacca addosso.
Andrea aspettò che Beth
si fosse allontanata: «Cosa c’è? Ti
sorprende che non ti abbia disegnato?».
Semir si tolse il
giubbotto «Considerando che la maestra aveva chiesto di
disegnare le persone
più importanti della famiglia... sì, mi
sorprende.».
Andrea alzò le spalle
posando il disegno accanto allo zainetto di Beth «Non ci sei
mai.».
Semir, che stava per
andare verso il bagno a lavarsi le mani, si fermò alle
parole della moglie «Che
cosa?».
«Non ci sei mai.»
ripeté la donna senza battere ciglio.
«Ma se sono tre mesi
che sono sempre qui! Sto sempre con le bambine, le porto a scuola, le
vado a
prendere...».
«Sì ma per loro non
basta questo, Semir!» lo interruppe la moglie «Mi
stupisco che tu non lo
capisca. È di testa che non ci sei mai. Sei assente, forse
non te ne rendi
nemmeno conto...».
Semir scosse il capo.
Se ne rendeva conto invece, e per questo si sentiva ancora
più in colpa. Si
sedette sul divano con lo sguardo fisso sul pavimento. Non aveva voglia
di
litigare con Andrea, non di nuovo.
«Hai ragione. Hai
ragione Andrea, non so cosa mi stia succedendo.».
«Sì...
ne è sicuro?
Molto bene. No, mi metto direttamente in contatto con la polizia del
luogo,
grazie.» la Kruger posò la cornetta del telefono
sospirando soddisfatta. Chiamò
Rieder e Ben, che nel frattempo erano rientrati, nel suo ufficio e li
fece
sedere davanti a lei.
«Ho novità. Ho scoperto
da quale città sembra che parta il traffico
d’organi, o almeno penso. È nella
Turchia asiatica, ora contatto la polizia del luogo. Avrei bisogno di
due miei
agenti sul posto, però.».
Max scattò in piedi
senza nemmeno lasciarla finire di parlare «Per me va bene,
commissario.»
esclamò.
La Kruger sorrise,
sollevata «E lei Jager? Ovviamente non posso obbligarla,
viste le condizioni di
sua moglie, poi.».
Ben non ci pensò un
attimo. Avrebbe potuto chiederle di pensarci almeno fino al giorno
seguente ma
non lo fece, diede subito una risposta.
E questa risposta gli
uscì spontanea, senza nemmeno lasciargli il tempo di
valutare seriamente la
richiesta.
«No.» disse «Mi
dispiace capo, ma se è possibile preferirei rimanere accanto
a Clara in questo
periodo.».
La Kruger annuì,
sforzandosi di nascondere il suo stupore davanti a quella risposta, che
chissà
perché non si sarebbe mai aspettata dall’ispettore
Jager «Capisco.».
«Rieder» fece poi
rivolta a Max «Il suo aereo parte domani alle 18.00, le
comunicherò in giornata
il nome del collega che verrà con lei.».
«Perfetto commissario.»
concluse il poliziotto con un sorriso mentre il collega, a testa bassa,
usciva
dall’ufficio.
«Che
cosa?»
quasi urlò Semir al telefono, fermandosi in mezzo
al marciapiede.
«Semir, non mi sembra
tanto grave la cosa. Mia moglie è incinta e quella
è un’operazione pericolosa,
ma porca miseria, tu cosa avresti fatto al mio posto?»
rispose Ben sullo stesso
tono.
«Non
so cosa avrei fatto al tuo posto, semplicemente mi hai stupito,
conoscendoti
non pensavo che...».
«Ecco,
pensavi male
allora.» sbottò Ben sedendosi rumorosamente su una
sedia in cucina.
Clara stava ferma ad
osservarlo appoggiata allo stipite della porta con la fronte
corrucciata,
tentando di capire perché i due interlocutori stessero
gridando tanto. Infondo
Ben aveva semplicemente scelto di non prendere parte ad
un’operazione di
polizia, la cosa non le sembrava poi tanto assurda.
Semir rimase senza
parole dall’altro lato del telefono. Perché
ultimamente aveva la straordinaria
capacità di litigare con chiunque provasse a parlare?
«Ben,
ascoltami, questo è un caso importante, si tratta di
traffico d’organi. Persone
innocenti in questo momento probabilmente stanno per essere uccise e
non ne
conoscono nemmeno il motivo, te ne rendi conto?».
«Ma
mi spieghi perché
ti sei tanto attaccato a questo caso, Semir? Non sei più in
polizia, cosa
cambia a te se io me ne occupo o no?» esclamò il
ragazzo stringendo forte il
telefono in mano.
Ancora una volta l’ex
poliziotto rimase senza parole. Sospirò e chiuse un attimo
gli occhi provando a
rispondere senza creare ulteriori danni. Infondo il più
giovane poteva avere
ragione: perché si stava attaccando così tanto ad
un caso qualsiasi? Non era
più in polizia… non era più in
polizia, doveva
ricordarselo.
«Hai
ragione, Ben.»
ammise passandosi una mano sugli occhi «Hai
ragione, non so cosa mi stia
succedendo. Non faccio altro che litigare con tutti, con te, con
Andrea, non
riesco nemmeno a seguire le bambine, scusa.».
«So io cosa ti sta
succedendo» riprese Ben con voce decisamente più
calma «Hai bisogno di trovarti
un lavoro, Semir, altrimenti darai di matto.».
L’uomo dall’altro capo
del telefono non rispose. Aveva ricominciato a camminare per le strade
di
Colonia e solo in quel momento si accorse di trovarsi solo a pochi
metri dal Commissariato
dell’Autostradale.
Respirò profondamente.
«Ben,
io non ce la faccio. Devo tornare in polizia…».
«Ma
Semir, è stato il
medico a dirti…».
«Non
me ne frega assolutamente niente di cosa ha detto il medico! Non ce la
faccio
più, voglio tornare in polizia. Sto bene, il medico non ha
capito proprio
niente. Non ha capito che rischio di star male proprio
perché non svolgo il mio
lavoro!».
«E
Andrea? Le bambine?»
provò ancora Ben sotto lo sguardo preoccupato di Clara, che
continuava a
seguire la conversazione.
«Sono
passati anni e anni e nonostante Andrea e le bambine sono rimasto
all’autostradale. Cosa è cambiato? Il rischio che
corro è sempre lo stesso, o
sbaglio?».
Il
più giovane sospirò
«Sì, è vero. Andrea però non
è d’accordo, vero?».
«Non
lo so. Ne possiamo parlare, ma tanto mi conosce benissimo, sa
perfettamente
come mi sento. La sua è solo paura...»
puntualizzò Semir,
avvicinandosi un passo alla volta al comando.
«E ti pare poco? È
rischioso Semir, lo sai. Ed è normale che lei abbia
paura.».
Il turco annuì come se
Ben potesse vedere la sua reazione dall’altro capo del
telefono.
«Va
bene. Vado Ben, scusa se sono saltato su prima, non volevo. Ci
sentiamo.».
«Tranquillo,
ciao.».
Ben
chiuse la
comunicazione, posò il cellulare sul tavolo e rispose con un
mezzo sorriso
all’espressione interrogativa di Clara. Lei si
avvicinò e gli si sedette sulle
ginocchia, senza smettere di guardarlo negli occhi.
«Ben, io penso che tu
ed io dovremmo parlare un po’… perché
non mi racconti bene a che caso stai
lavorando?» domandò sorridendo.
E Ben le spiegò tutto.
«E quindi io ho detto
alla Krüger che preferisco non prendere parte
all’operazione.» concluse il
ragazzo con un velo di indecisione nella voce.
«Vai, Ben. Se
preferisci andare, vai. Io sto bene e non ti devi preoccupare
assolutamente. E
poi ci sono i miei, tuo padre, Andrea e Semir... non sono sola, puoi
andare.»
fece lei dolcemente.
«Ma è rischioso, non è
un’operazione qualsiasi. E sono sicuro che Bianca vorrebbe
che suo papà non
andasse.» ribatté l’ispettore.
Clara sorrise scuotendo
appena il capo «Bianca dovrà abituarsi ad un
papà sempre in movimento. Vai,
dammi retta, altrimenti stai qui di cattivo umore perché
saresti voluto
andare.».
Ben sospirò. Non voleva
lasciare Clara da sola, era al settimo mese di gravidanza, aveva
bisogno di
lui! Eppure sentiva che sarebbe dovuto partire, non sapeva come mai...
lo sentiva.
«Sei proprio sicura?».
La donna annuì, anche
se sperando segretamente che il marito decidesse di restare. Ma non
accadde,
come previsto. Il poliziotto prese il cellulare e compose il numero
della
Krüger.
«Non
se ne parla
assolutamente.» esclamò il commissario.
Semir, seduto davanti a
lei, sospirò «Le dico che potrei essere utile alle
indagini.».
«Gerkhan, si vuole
mettere in testa che lei non è più un poliziotto?
E poi questa non è
un’operazione da niente, c’è dietro un
traffico d’organi, potremmo avere a che
fare con criminali organizzati e senza scrupoli.»
gridò esasperata la donna.
«Appunto per questo un
aiuto in più non sarebbe male. Conosco anche il posto, in
quella città vive un
mio amico, che poi è quello di cui le ho dato il numero. E
poi conosco la
lingua e...».
«Il nostro problema
principale non è certo la lingua, Gerkhan, parleranno ben
inglese, se non
tedesco, i poliziotti del luogo.» ribatté la
Krüger tentando di far desistere
l’uomo che però, ormai lo sapeva per esperienza,
era incredibilmente testardo.
«Ma cap... commissario,
non stiamo parlando di Instanbul, stiamo parlando di El Fahim*,
è una città
nemmeno segnata sulla carta geografica!» spiegò
Semir, con tono più convincente
possibile.
«Gerkhan, lei non è più
in polizia, discorso chiuso.» replicò la donna,
ferma.
Semir si alzò dalla
sedia scattosamente e si diresse verso l’uscita.
«Aspetti.» lo fermò Kim
alzandosi a sua volta «Io capisco perfettamente come si
sente.».
«Io non credo proprio.»
la contraddisse l’uomo tornando a guardarla.
«Non può prendere parte
alle indagini Gerkhan, su questo sarò irremovibile. Certo,
se poi lei per conto
suo salisse sull’aereo delle 18.00 di domani per scopi
personali... be’, in tal
caso io non potrei interferire...».
Semir vinse a stento
l’impulso di abbracciarla e un sorriso a trentadue denti gli
si dipinse in viso
«Grazie, commissario, grazie!» esclamò
felice uscendo dall’ufficio, pronto a
preparare i bagagli.
Kim, rimasta sola,
scosse il capo e sorrise.
Non
che sia pianamente
soddisfatta di questo capitolo (di passaggio), ma pazienza, ditemi voi
cosa ne pensate. A
questo punto la partenza è vicina...
Grazie a chi continua a seguirmi e a chi recensisce!
Un bacio
Sophie :D
*El
Fahim: il nome,
così come la città stessa, è
inventato. Ho preferito così piuttosto che
scrivere di una città realmente esistente su cui
però non sarei stata
abbastanza informata.
|
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Capitolo 7 *** Preparativi ***
Preparativi
Mirtillo
piegò la testa su un lato osservando il
padrone che velocemente preparava la roba per il viaggio. Fosse stato
per lui
lo avrebbe seguito ovunque in qualunque modo ma percepiva che questa
volta non
sarebbe stato possibile.
Semir ogni tanto gli lanciava un’occhiata divertita,
mentre provava a non dimenticarsi niente. Se pensava a quando aveva
comunicato
a Ben che sarebbe partito non poteva fare altro che sorridere.
L’amico aveva
provato a convincerlo del fatto che non sarebbe stata una buona idea ma
in
fondo sapevano entrambi benissimo quanto gli facesse piacere poter
lavorare
ancora fianco a fianco con il suo socio.
«Papino...» la voce sottile di Aida lo sorprese
alle
spalle mentre chiudeva la borsa.
«Cucciolo!» la apostrofò Semir con un
sorriso.
«Te ne vai?» domandò la piccola con un
velo di
malinconia nella voce.
Semir le si avvicinò e si abbassò per guardarla
negli occhi «Vado a fare una cosa di lavoro per qualche
giorno e poi torno,
cucciolo, non preoccuparti.».
«Ma è pericoloso quello che devi fare?
Perché la
mamma non sembrava contenta quando glielo hai detto e ora a me sembra
preoccupata.».
L’uomo sorrise. Era impressionante come le sue
bambine fossero cresciute, soprattutto Aida. Ormai non le sfuggiva
più nulla da
qualunque punto di vista.
«No, non è pericoloso, stai tranquilla.»
spiegò
prendendola in braccio e sedendosi con lei ai piedi del letto.
«Ma è vero che torni a lavorare con zio
Ben?»
domandò la bambina senza riuscire a nascondere un lieve moto
di entusiasmo.
«No Aida, lo aiuto solo per qualche giorno… ma io
e
zio Ben siamo comunque amici e tu lo vedrai tutte le volte che
vuoi.».
«Però non l’ho visto tanto da quando non
lavori più
con lui.».
Questo era vero: si erano visti spesso comunque, ma
sicuramente non tanto come quando lavoravano insieme. Semir sorrise
constatando
per l’ennesima volta il legame che univa la figlia e
l’amico. Erano
impressionanti, si cercavano reciprocamente e si volevano un bene
dell’anima.
Anche Beth era legata a Ben, ma si era avvicinata più a
Clara che al ragazzo, a
differenza della sorella.
«Forse perché ha avuto tanto da fare» lo
giustificò
l’uomo «ma lo vedremo spesso, promesso.».
La bambina annuì scendendo dal letto e avviandosi
lentamente verso l’uscita della stanza. Prima di varcare la
soglia si voltò e
guardò il padre fisso negli occhi: «Papi... ho un
brutto presentimento. Sicuro
che non è pericoloso quello che devi fare?».
Semir aprì la bocca e per un attimo non seppe cosa
rispondere. Aida che aveva un brutto presentimento, la cosa non gli
piacque
nemmeno un po’, considerando il fatto che la piccola avesse
lo stesso ottimo
intuito del padre. Il suo sesto senso a quanto pare le era stato
trasmesso
geneticamente.
«Sicuro, cucciolo, non preoccuparti... vuoi aiutarmi
a preparare la borsa?» aggiunse con un sorriso.
Max inserì il computer portatile nello zaino e si
assicurò
che fosse ben chiuso. Quindi si sedette sul divano e rimase un
po’ lì, solo, a
pensare cosa lo avrebbe aspettato.
Non aveva avuto dubbi quando il commissario gli
aveva proposto di seguire il caso: doveva per forza, doveva porre fine
a
quell’assurda storia del traffico d’organi.
Perché sapeva perfettamente come
funzionasse e la cosa non faceva altro che tormentarlo.
Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma sicuramente
avrebbe tentato. Lo doveva a lui.
«Sono in ritardo! Decisamente in ritardo!»
esclamò
Ben uscendo dalla doccia e vestendosi alla velocità della
luce.
«Strano.» ironizzò Clara versandogli un
po’ di caffè
in una tazzina.
«Se perdo l’aereo la Kruger mi disintegra e Max mi
fa a pezzetti. Preciso com’è...».
«Non perdi l’aereo, dovresti solo accelerarti un
po’. Dai, bevi il caffè e muoviti.».
Ben prese la tazza, ingurgitò la bevanda bollente e
si infilò la giacca, non prima di essersi allacciato la
scarpa sinistra
dimenticandosi completamente della destra. Prese la borsa, le chiavi
della
macchina e si diresse verso l’ingresso, seguito a ruota da
Clara.
«Sto dimenticando qualcosa?» domandò
agitato.
Clara sospirò con aria rassegnata e gli porse il
biglietto aereo, da lui abbandonato sul tavolo della cucina
«Ma come faresti
senza di me?».
«Sarei perso, amore mio.» rispose il poliziotto
afferrando il biglietto e infilandolo in tasca «Ora vado...
Se tu e Bianca
avete bisogno di qualcosa, qualunque cosa... io affitto un elicottero e
volo
qui.».
La donna rise scuotendo il capo «Sei incredibile.
Ben... fai attenzione, per favore.».
«Sarò attentissimo. Ti amo.».
«Anche io ti amo.».
Si scambiarono un bacio prima che Ben retrocedesse
fino a trovarsi davanti allo sportello della propria macchina.
Salì sulla
vettura senza staccare gli occhi nemmeno per un attimo dalla figura di
sua
moglie: quanto era bella? Quel pomeriggio gli sembrava ancora
più meravigliosa
del solito.
La salutò dal finestrino prima di partire, senza
accorgersi della preoccupazione che aleggiava sul viso di lei.
«Questo ce l’ho... le chiavi le ho prese, il
biglietto anche...» Semir ricapitolava velocemente tutto
ciò che poteva essersi
dimenticato «Direi che ci siamo.».
«Guarda che devi sbrigarti, l’appuntamento
è tra un
quarto d’ora.» lo avvisò Andrea
accompagnandolo verso la porta.
«Lo so, saluto le bambine e vado.» corse nella
camera delle piccole, le salutò affettuosamente promettendo
loro di tornare
presto e tornò nell’ingresso, pronto a partire.
Stava per salutare anche la moglie, quando si
accorse che i suoi occhi erano diventati lucidi.
«Andrea, che succede?» domandò, e la
donna gli
scoppiò a piangere tra le braccia.
«Ehi...» tentò di consolarla
«non piangere, è
questione solo di qualche giorno, incastriamo quei criminali e
torniamo.».
«Non... non è questo...»
singhiozzò Andrea
asciugandosi gli occhi «Semir, c’è un
motivo per cui non volevo che tu andassi,
lo sai. Io... io ho paura! Ho paura che ti succeda
qualcosa...».
«Ma non accadrà niente, perché mai
dovrebbe
succedermi qualcosa?» la rassicurò
l’uomo con voce calma.
«Perché... perché ho un presentimento
terribile.»
confessò la moglie in un sussurro.
Semir sospirò, cominciando a preoccuparsi. Aida,
Andrea... perché tutti con questo maledetto brutto
presentimento? Scosse la
testa tentando di scacciare quel pensiero e prese ancora la donna tra
le
braccia «Non accadrà niente, te lo prometto... non
piangere.».
Andrea si asciugò definitivamente le lacrime.
Aspettò che il marito non fosse più visibile con
la
macchina per chiudere la porta di casa. Qualcosa sarebbe andato storto,
ne era
matematicamente certa.
~~~
«Quindi
gli sbirri stanno venendo qui.» ripetè Igor
al telefono, con voce che non lasciava intendere nulla di buono.
«Esatto, capo,
l’aereo partirà tra poco, sono tre
dell’autostradale e avranno l'appoggio della polizia del
luogo...».
«Va bene. Forse Hanser non ha detto ancora tutto
alla polizia, è troppo codardo, quell’uomo.
Scoprilo, e se può crearci ancora
problemi eliminalo. Tienimi informato sul proseguimento delle indagini
a
Colonia.».
«Certo, capo.
Ci sentiamo.».
Igor chiuse la comunicazione senza salutare e scorse
al computer le informazioni che il suo uomo gli aveva inviato riguardo
i
poliziotti che stavano arrivando: Ben Jager, un giovane figlio di
papà nato e
cresciuto in Germania; Semir Gerkhan, un turco residente a Colonia con
moglie e
due figlie, attualmente non in servizio; Max Rieder, da poco inserito
nell’autostradale, prima lavorava alla criminale di Berlino.
Max Rieder...
scorse la pagina con il cursore fino a che sullo schermo non gli
apparve la foto
del nuovo arrivato. Sgranò gli occhi incredulo: lui.
Afferrò il cellulare e compose un numero in fretta,
quindi aprì la comunicazione e portò impaziente
il telefono all’orecchio.
~~~
“Ultima
chiamata volo Asian International Airlines AA372 diretto a Istanbul,
gate
9...”.
«Bene,
direi che potete andare.» sentenziò la Kruger
lanciando un’ultima occhiata ai tre uomini. Chissà
perché era sicura che Max e
Semir avrebbero legato facilmente e in cuor suo sperava che questo
avrebbe
aggiustato anche il rapporto tra il nuovo arrivato e Ben.
«Troverete alcuni agenti del posto ad aspettarvi
all’aeroporto, da lì vi porteranno nella cittadina
di El Fahim e vi sistemerete
nell’hotel che abbiamo prenotato. Avrete sempre
l’appoggio della squadra del
luogo, lasciatevi aiutare, per favore.».
«Capo, stia tranquilla... a suon di raccomandazioni
ci farà perdere l’aereo!»
scherzò Ben, mentre il commissario gli lanciava
un’occhiata di fuoco.
«Bene signori, buon viaggio allora.».
«La terremo informata, commissario!»
ribadì Max avviandosi
verso il gate.
«Grazie commissario... per tutto.»
mormorò invece
Semir. Tutti e tre salutarono e si allontanarono piuttosto velocemente.
Non si
voltarono più...
Almeno fino a che non sentirono una voce
apostrofarli alle spalle.
Chi
c’è all’aeroporto che li sta chiamando?
Be’, pensateci un po’, chi ha letto le
mie storie precedenti dovrebbe sapere che all’appello manca
una sola persona...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacio.
Sophie :D
|
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Capitolo 8 *** Intervento ***
Intervento
«Jager,
Gerkhan...
felice di incontrarvi.» fece una voce sarcastica alle loro
spalle.
Gli ispettori si voltarono, già alzando gli occhi al cielo
dopo aver
riconosciuto quel timbro di voce: Alex Bronte stava avanzando verso di
loro a
grandi falcate, con il suo solito sorrisetto beffardo stampato sulle
labbra insieme
a quell’aria di superiorità da cui proprio non
riusciva a staccarsi.
«Bronte, anche per noi è un piacere.»
ironizzò Ben quando il commissario
dell’LKA fu abbastanza vicino da sentirlo facilmente.
«Immagino.» mormorò il nuovo arrivato
tra sé e sé, poi continuò ad alta voce
«Sono lieto di comunicarvi che risolveremo insieme questo
caso, signori. Io e
la Krüger ci siamo messi d’accordo, sì,
non ve l’ha detto?».
Ben sospirò tentando di mantenere la calma, mentre Semir
reprimeva a stento
quell’istinto omicida che gli si presentava ogni volta che
aveva davanti
quell’uomo.
Serpente viscido, era
così che ormai lo avevano soprannominato. Avevano svolto un
bel po’ di indagini
insieme a lui, nonostante egli avesse sempre cercato di escluderli.
Era antipatico, presuntuoso, stupido e menefreghista. Lo odiavano, in
poche
parole.
«Be’, il vostro commissario potrebbe anche tenervi
un minimo più al corrente
delle sue decisioni.» costatò con un falso sorriso
mentre li superava
dirigendosi verso la sala partenze dell’aeroporto, seguito a
ruota da un agente
in divisa.
Ben, Semir e Max rimasero a guardarsi tra loro interdetti e
l’ultimo guardò Ben
con aria interrogativa: «E questo chi sarebbe?».
«Alex Bronte» spiegò
l’ispettore senza riuscire a mascherare una smorfia di
disgusto «È il commissario dell’LKA,
è insopportabile. E a quanto pare ci tocca
sopportarlo anche in Turchia... poteva anche dircelo la Kruger che
sarebbe
venuto.».
Max alzò le spalle e tutti e tre si diressero verso
l’imbarco, biglietti alla
mano «Magari aveva paura che dicendolo non saremmo venuti
volentieri.» commentò
il biondo.
La porta scorrevole si chiuse alle loro spalle.
Non avrebbero più visto la Germania per un po’.
«Quindi
prima lavoravi
a Berlino!» esclamò Semir, interessato.
Lui e Max avevano cominciato a parlare appena saliti
sull’aereo e non avevano
più smesso, mentre Ben si limitava ad ascoltare passando il
tempo a guardare il
paesaggio che cambiava fuori dal finestrino.
«Già. Ma tu invece? Come mai hai
mollato?» domandò il biondo.
«Oh, è una storia lunga, diciamo per motivi
medici. È che più di tre anni fa mi
era stata iniettata una sostanza che... bah, lascia perdere,
è una storia lunga
e noiosa.».
«A me sembrava interessante. Ehi, guardate, siamo quasi
arrivati, l’aereo sta
perdendo quota.» osservò Max «Ben, tutto
a posto?».
«Come? Ah sì, sì.» fece
l’interpellato riscuotendosi. Allacciò la cintura
preparandosi all’atterraggio. Già si era pentito
di essere partito, ma ormai
era troppo tardi per pensarci: si limitò a sperare che
l’operazione durasse
pochi giorni.
~~~
«Quindi
l’appuntamento
sarebbe alle 4.30 di domani mattina nel casolare abbandonato in Fretrer
Strasse, giusto?» riepilogò la Kruger girando
irrequieta per la stanza.
«Esatto.» confermò Hanser
«Commissario... come intendete agire?».
La donna sospirò fermandosi davanti al tavolo a cui sedeva
l’interrogato «Andrà
all’appuntamento. Noi la seguiremo e al momento opportuno
interverremo
arrestando quei criminali. Non deve preoccuparsi.».
«Ma... ma commissario, mio figlio? Domani mattina mio figlio
dovrebbe essere
operato...».
«Li fermeremo prima che avvenga
l’operazione.» gli assicurò la
poliziotta.
«Ma... ma non si potrebbe... aspettare che avvenga
l’operazione e subito dopo
intervenire? Commissario, mio figlio ha bisogno di quel trapianto, e ne
ha
bisogno subito! La prego...» la supplicò
l’uomo agitandosi sulla sedia.
«Questo non è possibile, signor Hanser, mi
dispiace. A parte l’illegalità
dell’operazione, nel centro dove avverrebbe
l’intervento non ci sarebbero certo
le stesse misure di precauzione e attrezzature che si trovano in un
ospedale,
sarebbe troppo rischioso.» spiegò con fermezza la
Kruger.
Hanser scosse il capo con le lacrime agli occhi «La prego...
commissario, non
servono le misure di precauzione dell’ospedale se mio figlio
non resiste fino
al giorno dell’intervento. Ha undici anni commissario... la
prego!».
«Signor Hanser, io...».
«Cosa farebbe lei al mio posto? Cosa farebbe se avesse un
figlio in quelle
condizioni? Non mi importa di rischiare o di finire in galera,
commissario...
voglio solo che mio figlio viva.».
La donna lo guardò negli occhi e non seppe cosa rispondere.
Capiva il dolore di
quell’uomo, e non sapeva come comportarsi.
~~~
Quattro
agenti in
divisa aspettavano in piedi appena fuori dalla sala arrivi
dell’aeroporto di
Istanbul. Quando videro i cinque uomini avvicinarsi non ebbero dubbi:
quelli
dovevano essere i poliziotti tedeschi. Li chiamarono con un gesto della
mano e
accolsero i colleghi con educazione.
Il primo a parlare, naturalmente, fu
Bronte, che, un passo avanti a tutti, aveva già cominciato a
salutare e a
presentare gli altri in un inglese quasi perfetto. Solo a
metà del suo bel
discorso si rese conto del fatto che i turchi stessero capendo poco o
niente
delle sue parole.
Gli agenti del luogo parlottarono un poco tra di loro e il loro
superiore
spiegò in un inglese stentato al commissario
dell’LKA di avere qualche problema
con la lingua, giustificandosi con fatto che non svolgessero spesso
indagini
internazionali; d’altra parte non si trattava del corpo di
polizia di Istanbul
ma di quello di una cittadina piccola e sconosciuta.
Sia Ben che Max sospirarono lanciando agli agenti sconosciuti uno
sguardo di disapprovazione.
Semir invece sorrise tra sé e sé
seguendo la buffa conversazione e solo dopo un po’ si
decise ad intervenire parlando con i turchi, per loro fortuna, nella
loro
lunga.
Dopo qualche spiegazione e traduzione, il gruppo di poliziotti si
avviò velocemente verso l’esterno
dell’aeroporto,
dove due macchine con i lampeggianti accesi stavano aspettando.
~~~
«Intervenite
solo al
mio segnale.» esclamò la Kruger controllando che
gli uomini delle forze
speciali fossero in posizione.
Si trovavano appena fuori dall’edificio dove sarebbe avvenuta
l’operazione del
bambino e il commissario non riusciva a darci pace: avrebbe dovuto
impedire che
avvenisse l’intervento ma questo sarebbe stato equivalente a
condannare a morte
il figlio del signor Hanser.
Undici anni...
La donna sospirò tenendo d’occhio la situazione
all’interno del capannone da
una fessura vicino alla finestra dell’edificio.
L’interno era perfettamente
attrezzato, somigliava incredibilmente ad una grande stanza
ospedaliera. Il piccolo
era steso sul lettino bianco, attorniato da vari macchinari, due uomini
in
camice bianco gli giravano intorno mentre Hanser sedeva in disparte con
uno dei
criminali vestiti di nero.
Alla Kruger mancò il respiro quando vide l’ago
dell’anestesia infilarsi delicatamente
nella pelle del bambino... ma non diede l’ordine di
intervenire. Quel bambino
aveva bisogno di un trapianto, se non l’avesse avuto a causa
sua non se lo
sarebbe mai perdonato.
Lasciò che avvenisse l'intervento.
Non seppe mai quanto tempo trascorsero dietro alle mura di quel
capannone,
attenti a non essere scoperti dai criminali all’interno.
Sicuramente ore e ore,
perché quando intervennero il sole era già alto
nel cielo.
Quando si accorse che l’operazione medica era terminata si
risvegliò da una specie di
trance nella quale ormai era caduta da un po' e osservò i
medici che, sollevati, si spogliavano del camice.
Vide Hanser
alzarsi dalla sedia e raggiungere il proprio figlio, steso sul letto.
Vide il
criminale fare un cenno verso i due medici, intimando loro di muoversi.
Fu allora che si decise a parlare nella radiolina, in modo che gli
uomini della
squadra speciale la sentissero: «Interveniamo.»
affermò con voce chiara.
E un grido squarciò il silenzio.
I
poliziotti irruppero
all’interno del capannone con una violenza inaudita.
«Fermi tutti,
polizia, tenete le mani bene in vista.».
Con enorme sorpresa della Kruger i criminali sembravano quasi aspettare
quel
momento: come avevano fatto a sapere che la polizia era sulle loro
tracce?
Ci fu uno scontro a fuoco, alcuni poliziotti caddero a terra feriti e
Hanser
rischiò più volte di essere colpito.
La Kruger schivò i colpi avvicinandosi al
letto del bambino ancora sotto anestesia per proteggerlo.
Non si era nemmeno accorta del criminale che, alle sue spalle, le
puntava contro la
pistola.
Era troppo preoccupata per quel bambino.
Non udì uno dei suoi colleghi gridarle di voltarsi e stare
attenta.
Sentì solo il colpo.
Un colpo d’arma da fuoco e poi più nulla.
Ops...
Ecco chi era la persona che mancava all’appello, Alex Bronte,
il commissario
dell’LKA da me creato per le mie storie (qualcuno di voi lo
conoscerà, era già
comparso in quelle precedenti).
Come faranno i nostri eroi in quella terra sconosciuta? E come se la
caveranno
nel frattempo gli altri in Germania? Come facevano i criminali a sapere
dell’arrivo
dei poliziotti?
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio e buona Pasqua!
Sophie :D
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Capitolo 9 *** L'informatore ***
L'Informatore
La
porta della camera si chiuse con un rumore
sordo e i tre poliziotti posarono le borse guardandosi intorno. Erano
appena
arrivati nell’hotel, avevano salutato i colleghi turchi che
li avevano
accompagnati fin lì e avevano scoperto di dover soggiornare
nello stesso
albergo di Bronte e del suo sottoposto, un certo Sebastian
Füdger.
La stanza non era male, molto essenziale ma pulita ed accogliente.
D’altra
parte sarebbe servita solo come base nei giorni successivi.
«Sapete una cosa? Vi capisco perfettamente quando dite che
Bronte è
insopportabile.» fece Max scostando la tendina per dare
un’occhiata fuori dalla
finestra.
Ben fece spallucce «Spero che non ci intralci troppo. Semir,
a che ora dobbiamo
vedere il tuo amico?».
L’interpellato guardò l’orologio
«Tra un quarto d’ora, viene sotto
l’hotel.
Spero sappia dirci qualcosa...».
Il “contatto” di Semir aveva accettato di
incontrarli per riferire loro ciò che
sapeva riguardo il traffico d’organi.
«In realtà non è che sia proprio
affidabile al 100%.» aggiunse l’ex poliziotto,
titubante.
«L’importante è che sappia qualcosa,
dobbiamo risolvere questo caso.» affermò
Max, deciso.
~~~
Bip...
bip... bip...
Suoni
ovattati... luci soffuse...
suoni intermittenti... qualcuno parlava.
Kim Kruger sembrò per un attimo uscire dal torpore che la
circondava e la
sensazione fu tutt’altro che piacevole: subito la donna
percepì un forte dolore
alla parte destra del corpo.
Ma non ebbe il tempo di capire dove si trovasse o
cosa fosse successo: ripiombò di nuovo nel buio.
~~~
«Capo,
siamo riusciti a portare a termine l’intervento. Gli
sbirri hanno preso Hans e Ian, ma non penso che parleranno.».
«Bene, per fortuna siete stati avvisati dell’arrivo
degli sbirri.» commentò Igor
al telefono «Vi hanno visto in faccia?».
«No, portavamo il passamontagna. Ho
ferito il commissario dell’autostradale, forse l’ho
ammazzata, non so.».
«Va bene Michael, ci riaggiorniamo.».
L’uomo chiuse la chiamata e compose un altro numero.
«Come
in
ospedale?» quasi gridò Ben nel cellulare.
Max e Semir si voltarono verso di lui, preoccupati.
«No... quindi due li avete presi! Ma il capo come
sta?».
Ci fu un attimo di silenzio prima che arrivasse una risposta
dall’altro capo
del telefono. Il ragazzo sospirò guardando i colleghi
«È grave? Ma cosa... Ho
capito, sì.».
Semir si avvicinò lentamente all’amico,
cominciando a capire.
«Come? Una talpa?» e Ben spostò
meccanicamente lo sguardo su Max, che abbassò
il capo.
«Va bene, fammi sapere allora, ciao.» il
più giovane chiuse la conversazione e
gettò il cellulare sul letto.
«Quei bastardi sapevano dell’intervento della
polizia, c’è una talpa.»
spiegò.
«Cosa è successo?» domandò
Semir, intuendo che ci fosse dell’altro.
«Hanno ferito la Kruger, è molto grave.».
Il silenzio calò nella piccola stanza.
~~~
Otto
e
Dieter si sedettero rassegnati nel corridoio del reparto di chirurgia
dell’ospedale. Si alzarono solamente quando un uomo in camice
bianco andò loro
incontro con un’espressione che non prometteva nulla di
buono: «Per la
signorina Kruger posso dire a voi?».
«Certo!» esclamò Otto, preoccupato.
Il dottore prese un breve respiro prima di cominciare:
«Abbiamo dovuto operare
per estrarre il proiettile e l’intervento, anche se con
qualche complicazione,
è riuscito. La paziente ha perso però molto
sangue e la pallottola ha perforato
il polmone destro, le sue condizioni non sono affatto buone. La teniamo
per un
po’ in osservazione, non è escluso che occorra un
nuovo intervento.».
Dieter si decise quindi a porre quella domanda che entrambi non
facevano che
temere: «Ce la farà, dottore?».
Il medico scosse il capo: «Non posso assicurarglielo, la
situazione è piuttosto
complicata. Noi stiamo facendo il possibile, se passa la notte potrebbe
essere
fuori pericolo.».
I due ispettori annuirono preoccupati.
«E il bambino?» domandò ancora il
più alto.
Il figlio del signor Hanser dopo l’operazione era stato
portato nello stesso
ospedale, per precauzione.
«Sta bene, l’intervento è riuscito,
nonostante da quanto ho capito non sia
avvenuto nelle condizioni migliori...» spiegò il
medico facendo intendere di
essere al corrente dell’intera situazione.
«Va bene, ci tenga informati dottore, noi rimaniamo
qui.».
L’uomo in camice bianco annuì con comprensione e
si allontanò a passo svelto.
~~~
Semir
guardò per l’ennesima volta l’orologio:
«Dovrebbe essere già qui da un pezzo,
maledizione!».
Stavano aspettando ormai da un bel po’ Ahmet Sahin,
l’amico turco dell’ex
ispettore, che però ancora non si era fatto vivo.
«Arriverà, vedrai.» disse Max
avvicinandosi a lui, mentre anche Ben guardava l’orologio:
«Semir, sei sicuro che ti abbia detto a quest’ora?
È in ritardo di venti
minuti.».
«Ma sì che sono sicuro... ah, eccolo
lì!».
Semir andò incontro al nuovo arrivato e i due si
abbracciarono affettuosamente,
scambiandosi qualche parola in turco, che ovviamente né Ben
né Max compresero.
«Semir, quanto tempo! Dovresti venire più spesso
qui, sai?».
«Sarà difficile con lavoro e famiglia a Colonia!
Come stai Ahmet?».
«Bene, non c’è male, qui è
sempre tutto uguale. Quelli sono i tuoi amici?».
«Già.» Semir fece le presentazioni
velocemente, per poi giungere dritto al
punto senza troppi rigiri di parole. Ahmet parlava tedesco abbastanza
scorrevolmente, quindi non ci furono problemi.
«Allora, cosa sai di questo traffico
d’organi?».
«Tutto e niente amico mio, come tutti in questo paese,
d’altra parte. Sono personaggi
potenti, tutti qui li temono e fingono di non sapere nulla.».
«Come avviene il traffico?» chiese Ben, vedendo che
lo sconosciuto non si
decideva a fornire informazioni precise.
«È complicato.» rispose l’uomo
«Sequestrano bambini o giovani ragazzi in buona
salute per prelevarne gli organi e ricevono ordinazioni da ogni Paese,
dalla
stessa Turchia, all’Italia, l’Austria e soprattutto
la Germania. Sono ben
organizzati e eseguono interventi sia in sede sia in altri punti di
riferimento, tutti dotati di macchinari specifici alla pari di quelli
ospedalieri. La sede principale, qui ad El Fahim, si trova qualche
isolato più
in là, è un palazzo enorme, ha un sacco di
stanze.».
«E la polizia non ha mai effettuato controlli?»
domandò Max, sospettoso.
«Qualcuno, sì, ma sono riusciti sempre a
nascondere tutto abilmente. E come vi
ho detto qui tutti sanno e nessuno sa. Se volete vi porto alla base, ho
la
macchina qui.» propose Ahmet indicando un’auto
sportiva rossa fiammante, ultimo
modello.
Semir alzò un sopracciglio e fulminò
l’amico con lo sguardo: «Non voglio sapere
come te la sei procurata quella macchina, Ahmet.».
L’uomo sorrise, furbo: «Ehm... diciamo...
amici.».
L’ex poliziotto scosse il capo constatando come
quell’uomo non fosse cambiato per niente,
già in passato aveva avuto problemi con la polizia a causa
di furti d’auto di cui non era mai stato definitivamente
accusato ma che entrambi sapevano benissimo si fossero realmente
verificati.
I quattro si diressero a passo spedito verso la macchina.
«Sono crudeli, quegli uomini, basta che uno solo di quelli
che sanno parli, e
potete starne certi che è un uomo morto.»
spiegò Ahmet, leggermente
preoccupato.
E fece appena in tempo a concludere la frase che il rumore nitido
di uno sparo risuonò nell’aria.
Per un attimo regnò la confusione più totale.
Ben, Max e Semir si abbassarono
ma il loro informatore non fu altrettanto rapido.
I poliziotti lo videro cadere affianco a loro in un lago di
sangue, senza poter fare nulla per impedirlo.
Semir si precipitò verso di lui, sollevandogli la testa:
«Ahmet! Ahmet,
rispondi! Ma porca miseria, Ahmet!».
Due uomini intanto miravano verso di loro, pronti a colpire.
Ci fu una
sparatoria veloce, uno dei criminali cadde a terra senza vita, mentre
l’altro sparì
dalla loro vista.
Ben e Max si avvicinarono all’amico che ancora tentava di
tenere sveglio Sahin.
«Dai, Ahmet, resisti... resisti...» gridava
«Ben, chiama un’ambulanza!».
Il ragazzo fece come gli era stato ordinato. Il ferito, intanto,
boccheggiava tentando di dire qualcosa.
«Car... Carl...» tossì violentemente
mentre i sensi lentamente lo
abbandonavano.
«Cosa?» Semir si avvicinò a lui tentando
di capire cosa l’amico stesse dicendo.
«Sch... Schwarz...».
«Carl Schwarz?».
Ahmet scosse leggermente il capo, strinse la mano intorno al colletto
del
giubbotto di Semir per tirarlo a sé e ripetere il nome, ma
non ne ebbe il tempo.
Gli occhi gli si chiusero e l’uomo mollò la presa,
per sempre, lasciando solo un'impronta insanguinata sulla giacca
dell'ex ispettore.
«Ahmet! Ahmet, maledizione, svegliati! Ahmet!»
gridò ancora Semir, ma fu tutto
inutile.
Sentì le lacrime salirgli violentemente agli occhi
mentre Ben, da dietro, lo allontanava con forza dal corpo inerte
dell’amico.
Capitolo
un po’ di passaggio forse,
ma adesso riprende la storia. Anche perché non mi sono
dimenticata della nostra
misteriosa Rebecca. Chi sarà invece la talpa nella polizia?
Grazie a chi continua a seguirmi e a chi recensisce, un bacio.
Sophie :D
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Capitolo 10 *** Visite ***
Ed
eccomi di nuovo qui, sono sparita per quasi due mesi, scusate, ma
adesso sono
tornata! Il problema è che ho avuto parecchi impegni e
nonostante abbia scritto
la fine della storia già da mesi e mesi, mi mancano ancora
da elaborare alcuni
capitoli centrali. Comunque, bando alle ciance, dove ci eravamo
lasciati?
[Dal
capitolo 9] «Ahmet! Ahmet, maledizione, svegliati!
Ahmet!» gridò ancora Semir, ma fu tutto inutile.
L’ex poliziotto sentì le
lacrime salirgli violentemente agli occhi mentre Ben, da dietro, lo
allontanava
con forza dal corpo inerte dell’amico.
Visite
Successe
tutto troppo in fretta.
Il secondo criminale ricomparve da dietro una macchina puntando contro
di loro
la pistola.
Ben si abbassò cercando protezione e sparò,
colpendo l’uomo che però aveva
ormai a sua volta premuto il grilletto in un’altra direzione.
Semir non si accorse di nulla: udì un colpo e si
sentì trascinare a terra con
violenza.
Vide Max cadere a pochissimi centimetri da lui e solo allora
realizzò che il
nuovo collega di Ben lo aveva appena gettato a terra venendo colpito al
suo
posto.
«Max!» gridò spaventato. Tirò
però un sospiro di sollievo quando vide il biondo
rialzarsi tutto intero.
«È... è solo un graffio.»
commentò Max stringendo con una smorfia il braccio
ferito.
Entrambi rivolsero quindi lo sguardo su Ben, che stava andando verso di
loro, e
poi sui due criminali che li avevano attaccati, ormai stesi inermi tra
la
polvere.
~~~
Un
uomo
sulla quarantina percorse il corridoio del reparto terapia intensiva
dell’ospedale
di Colonia a passo spedito, catturando l’attenzione di Otto e
Dieter, seduti lì
di guardia ormai da un bel pezzo.
L’uomo fece per entrare, dopo aver letto il numero sulla
porta, nella stanza
del commissario, ma venne fermato dai due poliziotti.
«Scusi, lei, dove crede di andare?».
Lo sconosciuto si voltò corrucciando la fronte:
«Chi, io? Ho chiesto al piano
di sotto, mi hanno detto che Kim Kruger è ricoverata qui, in
questa stanza,
sbaglio? L’orario di visita è appena iniziato,
quindi io pensavo...»
«Pensava male.» borbottò Otto facendo
cenno al collega di cominciare a
perquisire il nuovo arrivato.
«Ehi ma che... ma che fate? Io voglio solo...
solo...».
«Già, ma la prudenza non è mai troppa,
come si suol dire. Chi è lei per il
commissario Kruger?» domandò Otto, sospettoso.
«Io sono il... ehm... cugino.» rispose
l’uomo, scocciato.
«È pulito.» costatò nel
frattempo Dieter, finita la perquisizione.
«Posso entrare ora?».
«Sì... ma non per molto e lasci la porta
aperta.» gli concesse Otto.
L’uomo si voltò stizzito ed entrò nella
stanza, mentre i due agenti si collocavano
guardinghi sulla soglia.
Si avvicinò e si sedette accanto al letto della donna. Poi
cominciò a
sussurrare in modo che i poliziotti non potessero sentirlo, prendendole
la
mano.
«Ciao Kim. Mi hanno informato di quello che è
successo, sai? Sei stata
coraggiosa, come sempre. Ma ora riprenditi Kim, ti prego... riprenditi!
Io
ho... ho bisogno di te.».
Gli parve di percepire una leggera stretta alla mano sinistra ma non vi
fece
troppo caso, non voleva illudersi.
I suoi profondi occhi scuri divennero lucidi: «Ti prego
Kim... fallo per
me...».
L’uomo sentì su di se gli sguardi sempre
più insistenti dei due agenti di
guardia e si alzò dalla sedia. Accarezzò la
fronte della donna con delicatezza
e poi si allontanò, uscendo in fretta dalla stanza. Questo
solo dopo aver
sussurrato tre impercettibili parole: «Ti amo...
Kim.».
Dieter
e
Otto aspettarono che l’uomo se ne fosse andato e
controllarono accuratamente la
stanza del commissario, senza trovarvi nulla di sospetto.
«Sapevi che la Kruger avesse un cugino?»
domandò il primo, un po’ confuso.
«No, mai saputo, pensavo non avesse parenti stretti oltre al
padre... ma si
scoprono sempre cose nuove da un momento all’altro sui propri
superiori.»
rispose Otto uscendo dalla stanza stringendosi nelle spalle.
~~~
«Aspetti,
un minuto e sarà a posto.» disse il paramedico
finendo di fasciare la ferita di
Max. Per fortuna era molto superficiale e non aveva riportato danni.
Il biondo annuì impaziente sostando vicino
all’ambulanza ancora con i
lampeggianti accesi.
Semir,
appoggiato
al cofano di un auto poco distante, seguiva con lo sguardo le
operazioni che si
stavano svolgendo sul piazzale. I tecnici sembravano uno più
indaffarato
dell’altro.
«Semir!» fece Ben avvicinandosi «I
proiettili verranno esaminati appena
possibile, magari ne ricaveremo qualcosa.».
Il turco si limitò ad annuire senza distogliere lo sguardo
dal corpo immobile
di Ahmet steso davanti a loro e il collega si appoggiò alla
macchina accanto a
lui.
«Mi dispiace per quello che è successo»
mormorò, mentre il corpo dell’informatore
veniva coperto con un freddo e ampio lenzuolo bianco.
Semir annuì nuovamente «Non ci vedevamo
praticamente mai ma era comunque un
amico. Pensa,» sorrise brevemente «l’ho
conosciuto durante un’indagine, era
stato accusato di furto d’auto, non era proprio un
santerellino.».
«Li incastreremo, lo sai questo...»
commentò Ben.
«Certo, tre cadaveri di cui un ipotetico informatore mi
sembra proprio il modo
migliore per cominciare le indagini.».
Il più giovane sospirò «Abbiamo i
proiettili e sappiamo dove si trova la sede
dell’organizzazione.».
«E abbiamo un capo a Colonia in fin di vita, un collega
ferito, una talpa nella
polizia e un commissario dell’LKA tra i piedi.».
Ben scosse il capo: il positivismo solito dell’amico sembrava
totalmente
scomparso.
«Per quanto riguarda la talpa io avrei
un’idea...».
Semir alzò un sopracciglio «Sarebbe?».
Ben non rispose, semplicemente spostò lo sguardo su Max che,
terminata la
fasciatura, parlava al telefono a qualche metro di distanza.
«Max?» domandò il turco, perplesso
«Ma no, non può essere lui, perché mai?
A me
sembra un buon poliziotto e poi...».
«E poi, Semir? Come fai a fidarti di lui? Non lo conosci, non
lo conosciamo!»
esclamò il ragazzo, convinto.
«Lo so, ma a me sembra...».
«Dammi retta, è lui.».
«Non puoi accusare qualcuno di una colpa così
grave senza nemmeno avere un
motivo per farlo!».
«Ma io sento che
c’è qualcosa che non
quadra, può essere solo lui.».
«Ben, non è che se ti sta antipatico debba per
forza essere un criminale!»
quasi gridò Semir, e ricevette una risposta altrettanto
carica.
«E allora non è che se ti ha salvato la vita debba
per forza essere perfetto!».
Tra i due calò il silenzio.
«Mi sembri un bambino, Ben.».
Il ragazzo fece per ribattere ma si fermò non appena vide
Max avvicinarsi.
«Eccomi, io qui ho finito.» esclamò.
Quindi fissò prima Ben, poi Semir, capendo
all’istante che dovesse essere successo qualcosa.
«Tutto bene ragazzi?» domandò.
Gli altri due annuirono e Ben si voltò, dirigendosi a passo
spedito verso la
propria macchina «Andiamo a vedere la sede e non perdiamo
altro tempo.».
Semir sospirò seguendo l’amico, non prima di aver
ringraziato Max per prima in
un sussurro.
«Capo?
No,
stanno venendo lì.».
«Perfetto... perfetto, non
troveranno
nulla per incastrarmi.».
«Bisogna
seguire quei tre, stanno andando da qualche parte e non ho intenzione
di farmi
nuovamente fregare la risoluzione del caso da quegli
incompetenti.» urlò Bronte
chiudendo la finestra da cui li stava tenendo d’occhio.
Il suo sottostante annuì mettendosi la giacca e
assicurandosi che la pistola
fosse carica «Andiamo.».
Furono
due
isolati, cinque minuti di macchina.
Ma furono interminabili, nessuno dei tre fiatò per tutto il
tempo.
Quando Ben scese dall’auto per primo sbattè la
portiera e Semir trattenne a
stento l’impulso di ritornare alla loro conversazione
precedente.
Max, ignaro almeno ufficialmente della discussione di poco prima,
alzò le
spalle e suonò al portone del grande edificio davanti al
quale si erano
fermati. Era bello e antico, stonava tra le piccole case che
costellavano lo
spoglio paesino di El Fahim.
Suonò una seconda volta e una donna venne finalmente ad
aprire.
Stava
finendo di firmare a nome del capo alcune autorizzazioni quando
sentì il
campanello e corse ad aprire. Igor l’aveva avvisata che da un
momento all’altro
sarebbero arrivati gli sbirri, aveva un informatore affidabilissimo
nella
polizia. Informatore che lei, Rebecca, non aveva mai visto.
Si raccolse i capelli in una coda di cavallo velocemente e
aprì il portone
preparandosi mentalmente il discorso che avrebbe pronunciato. Non era
certo la
prima visita della polizia che ricevevano e molto spesso
l’“accoglienza”
spettava a lei.
Ma quando si trovò davanti tre uomini e posò lo
sguardo sul primo di questi, le
mancò il respiro.
Era identico a lui.
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Capitolo 11 *** La Talpa ***
La
Talpa
La
ragazza
era bellissima. I lunghi capelli corvini erano raccolti in
un’ordinata coda di
cavallo e gli occhi scuri riflettevano il cielo grigio sopra di loro.
Il suo sguardo si soffermò su Max, che percependolo
abbassò gli occhi a terra.
«Buongiorno.» esordì lei «Come
posso esservi utili?».
«Polizia autostradale, buongiorno.» si
presentò Ben.
«Autostradale?».
«Esatto. Senta, dovremmo eseguire un controllo.».
Rebecca sorrise «Un controllo? E per cosa? Avete un
mandato?».
Parlava perfettamente in tedesco.
«Chi abita in questo edificio?» continuò
Ben ignorando le domande della
ragazza.
«A quanto pare non l’avete, il mandato. E io non
sono tenuta a rispondere, o
sbaglio?».
Semir intervenne cominciando a spazientirsi «Come vuole. Ma
sappia che ci è
giunta voce di un certo traffico d’organi che avrebbe sede in
questo palazzo e
che presto avremo il mandato di perquisizione.».
Rebecca sorrise ancora «Traffico d’organi.
Importante come accusa, spero che la
polizia tedesca non si debba ritrovare a compiere un così
grande errore,
risentirebbe delle conseguenze.».
«Non ci conti.» rispose Ben «Ci rivedremo
presto.».
I tre si allontanarono ma Max non perse l’occasione per
lanciare una rapida
occhiata alla donna sull’uscio.
E i loro sguardi si incontrarono ancora.
«Capo,
hanno
fatto un buco nell’acqua, come volevasi
dimostrare.» annunciò il suo sottoposto
al commissario dell’LKA.
«Molto bene. Dobbiamo ottenere il mandato prima di loro,
manda subito la
richiesta in Germania, Füdger.»
rispose Bronte, agitato.
«Subito. Vado dalla polizia turca, vedo se la scientifica ha
trovato qualcosa,
magari li precedessimo anche in questo!» esclamò
Sebastian.
«Già, magari.».
~~~
Commissario?
Commissario, mi sente?
Non è ancora cosciente, vi chiamerò non appena ci
saranno novità.
Commissario? Commissario...
Buio, buio, buio, solo e sempre buio. Ma come poteva Kim Kruger
liberarsi da
questo buio che la opprimeva? Perché non riusciva ad aprire
gli occhi?
Si è mossa, dottore!
Sono riflessi incondizionati... riflessi incondizionati...
Un’eco lontana... eppure lei sentiva!
Ancora uno sforzo...
… ma ricadde di nuovo nel buio.
Commissario... ?
~~~
Rebecca
chiuse
la portiera della macchina e si avviò a passo spedito verso
il furgoncino
parcheggiato lì accanto. Ne scese un uomo che la
salutò con un cenno della mano
per poi raggiungere il retro del mezzo e aprire le porte del grande
bagagliaio.
La donna gli si collocò accanto e non si stupì
affatto del carico che avrebbe
impressionato mille altre persone, ormai vi era abituata, arrivava
periodicamente.
Aiutò l’uomo a scaricare, facendo scendere i
bambini legati dal furgone e
prendendo in braccio per fare prima quelli più piccoli.
Insieme li portarono
nell’edificio al piano di sopra, dove questi dopo poco si
sarebbero svegliati,
passato l’effetto del sonnifero utilizzato per la loro
cattura.
«Sono sette, tra i cinque e i tredici anni, tutti in perfetta
salute.» spiegò
l’uomo «Qui ci sono i fogli con tutte le
informazioni, aspetto il pagamento da
parte di Igor.».
«Va bene.» la ragazza annuì sistemando
con delicatezza l’ultimo bambino.
«Va bene?» continuò il criminale
«Solo “va bene”? Non mi ricompensi mai in
altro modo, vero bellezza?».
«Non fai certo un favore a me portandomi i bambini, Eric,
spetta a Igor
ricompensarti.».
«Eppure io una ricompensa da te la vorrei...» fece
l’uomo con voce invadente,
avvicinandosi a Rebecca e cingendole il fianco con un braccio.
«Sta lontano da me.» gli intimò lei.
L’uomo le fece il verso, prendendola in giro davanti
all’ennesimo suo rifiuto,
ma la ragazza si era già chiusa la porta alle spalle.
La serata
passò in modo strano per i tre uomini. La tensione era
tangibile e nessuno
osava parlare se non per necessità.
Quando Max uscì con la scusa di fare una telefonata, la
discussione riprese
animata tra i due superstiti.
«Ecco, vedi? Sarà andato a chiamare
l’uomo per cui lavora, ci metterei la mano
sul fuoco.» ribadì Ben girando nervoso per la
stanza.
Semir lo fulminò con lo sguardo
«Attento a non bruciarti.».
«Semir,
ragiona, quell’uomo non mi piace nemmeno un po’, un
motivo ci sarà!».
«E cosa sei diventato, un mago? Ma come fai ad accusare una
persona di una
colpa così grave senza nemmeno conoscerla?».
«Io non capisco proprio come questo Max possa piacerti
tanto.» affermò Ben,
finalmente fermandosi e guardando l’amico negli occhi.
«È professionale, educato, ordinato
e...».
«Già, certo, esattamente il mio
opposto!» lo interruppe il più giovane in
quello che risultò poco più di un sussurro.
«Dai Ben, non ho detto questo, ma si può sapere
che diavolo ti prende?» domandò
Semir prima di essere interrotto nuovamente, questa volta dallo squillo
del suo
cellulare.
Era Andrea.
«Pronto? Ciao Andrea... si, tutto bene. No, stai tranquilla,
sta bene anche
Ben. Le bambine? Ah va bene, allora le saluto domani mattina.
Sì, tranquilla,
ciao.».
La telefonata fu breve e Ben se ne sorprese. Da un po’ di
tempo si era accorto
che tra l’amico e la moglie qualcosa non andava, che il
loro rapporto stava
lentamente cambiando. Tuttavia non gli domandò nulla, non
era assolutamente
dell’umore giusto quella sera.
Ancora una volta la questione sulla talpa venne bruscamente troncata a
metà.
Era
buio
pesto quando Rebecca uscì nuovamente su richiesta di Igor,
per assicurarsi che
gli sbirri non stessero controllando l’edificio.
Si voltò dopo un rapido giro del palazzo per rientrare,
quando venne sorpresa
da qualcuno alle spalle.
«Shh!»
le
intimò Max, tappandole prontamente la bocca per impedirle di
urlare.
«Lei? Vada via, le ho già detto che senza un
mandato io non...».
«Non sono qui per questo, ma per proporti un
affare.».
Rebecca lo guardò con odio «Non faccio affari con
gli sbirri.».
Max scosse il capo «Non sono uno di loro. Sono una talpa
nella polizia tedesca,
non sono uno di loro.».
Ed
ecco che stiamo risolvendo il
mistero della talpa...
Grazie a chi continua a seguirmi, al prossimo ;)
Sophie :D
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Capitolo 12 *** Verità ***
Verità
«Una
talpa
nella polizia? Ma che diamine...» Rebecca smise di lottare
per liberarsi dalla
stretta dell’uomo e lo guardò con sospetto.
«Credimi, non sono un poliziotto. E ho bisogno di parlare con
il tuo capo.».
«Chi, Igor? Ma sei matto, se vede uno sbirro in casa sua
quello ci ammazza,
tutti e due!».
Max sospirò esasperato «Non sono uno sbirro,
dannazione! Sono un ladro, va
bene? Ho commesso dei furti in Germania ma poi un uomo potente mi ha
proposto
un affare: avrei dovuto infiltrarmi nella polizia autostradale per
aiutarlo a
portare a termine un assalto sull’A4, a Colonia. Poi
l’assalto è riuscito e io
non sono più riuscito a staccarmi
dall’autostradale. Ma questa è una storia
lunga... Sono diventato l’informatore di Igor e lui non lo sa
nemmeno, non mi
ha mai visto né sentito direttamente, ho sempre parlato con
Marcus, un suo
scagnozzo in Germania. Non potrà non credermi, chi pensa che
lo abbia avvisato
dell’irruzione della polizia nel capannone a Colonia
altrimenti? Chi gli
avrebbe detto quanti e quali agenti sarebbero arrivati dalla Germania
alla
Turchia? O ancora che Jager e Gerkhan sarebbero stati informati
dell’organizzazione da quel turco amico di
Gerkhan?».
La ragazza lo guardò negli occhi, cominciando a convincersi.
E non potè fare
altro che ritrovarsi di nuovo immersa negli occhi di lui.
Di quell’altra
persona. Erano identici.
«Non vedo perché dovrei fidarmi di te.».
«Non ho bisogno della tua fiducia. Portami semplicemente dal
tuo capo.» rispose
freddo il falso poliziotto.
~~~
Il
signor
Hanser aspettava.
Durante gli ultimi giorni aspettare era stata una delle sue
più frequenti
attività. Aveva aspettato di essere interrogato, come aveva
aspettato che i
poliziotti dell’autostradale gli credessero; e poi aveva
aspettato che il
commissario gli promettesse di far avvenire l’operazione di
suo figlio in modo
non legale, aveva aspettato il momento dell’intervento, aveva
aspettato di conoscere
l’esito positivo dell’operazione.
E stava tutt’ora aspettando, chiuso nella stanza degli
interrogatori del
comando dell’autostradale. Cosa? Neppure lui lo sapeva.
Era passata la segretaria bionda a chiedergli se avesse bisogno di
qualcosa
dicendogli che a momenti sarebbe passato un agente dell’LKA a
fargli ancora
qualche domanda e lui aveva annuito senza farvi troppo caso.
Suo figlio stava bene e questo era tutto ciò che gli
importava. Suo figlio
stava bene...
Susanne
fece entrare l’agente dell’LKA nella stanza degli
interrogatori senza troppi
convenevoli e tornò alla propria postazione al computer,
lasciando il
poliziotto e il signor Hanser soli.
Non tornò dall’uomo nella stanza quando vide
uscire pochi minuti dopo dal
commissariato l’agente dell’LKA, non ritenne
necessario andare a controllare.
Lo fece solo dopo mezzoretta, per andare a chiedere al loro ospite se
avesse
bisogno di qualcosa.
Ma quando entrò nella piccola stanza non potè
trattenersi dal gridare.
Non c’era più il signor Hanser: era rimasto solo
il suo cadavere.
Il
signor
Hanser aveva aspettato, fino alla fine.
Questa volta aveva aspettato la sua
fine.
La sua fine ad opera di un uomo che non aveva mai visto prima, uno
scagnozzo
del capo dell’organizzazione del traffico d’organi
a cui lui stesso si era
affidato.
Aveva ottenuto la vita di suo figlio al prezzo della sua stessa vita.
~~~
Max
uscì
dalla stanza nella quale aveva avuto il colloquio con Igor piuttosto
soddisfatto. Aveva convito il criminale della sua non appartenenza alla
polizia, senza nemmeno troppa difficoltà.
L’uomo ovviamente aveva detto che avrebbe controllato ma gli
aveva chiesto di
continuare a svolgere il doppio gioco per lui.
Nell’ampio corridoio appena fuori dalla sala, Rebecca lo
aspettava appoggiata
allo stipite della porta, come se fosse in attesa di spiegazioni.
«Come vedi ho parlato con il tuo capo e sono ancora vivo e
vegeto.» esordì lui
con voce arrogante.
«Un colpo di fortuna.» ribattè lei sullo
stesso tono.
«Be’, adesso che faccio ufficialmente parte
dell’organizzazione potresti anche
raccontarmi un po’ la tua storia, non trovi? Io ti ho
raccontato in breve la
mia, prima, mi devi il favore.» continuò Max,
curioso.
«E io non te l’ho mai chiesta, mio caro
“falso ispettore”.».
«Non sei ancora convinta che io non sia uno
dell’autostradale?».
«Ho imparato a non fidarmi troppo facilmente delle persone e
a seguire il mio
istinto, che in questo momento mi dice di girare alla larga da
te.» rispose
Rebecca allontanandosi di qualche passo con fare deciso.
«Bel caratterino, vedo.» commentò
l’uomo.
«Lo prendo per un complimento.».
«Dai, come sei arrivata qui?» domandò
ancora.
La ragazza sospirò. Infondo sentiva di potersi fidare di
quello sconosciuto,
nonostante assomigliasse così tanto a
lui.
E gli raccontò tutto.
Gli raccontò della sua infanzia spezzata, di sua madre e di
ciò che le accadde.
Gli raccontò dell’adolescenza sua e di sua
sorella, passata tra le mura di
quell’edificio, nella paura e nel terrore di essere
abbandonate per sempre
anche dall’unica persona che potesse prendersi cura di loro,
Igor Kallman.
Gli raccontò della sua giovinezza, passata a studiare di
nascosto medicina,
occupandosi della sorella minore e cominciando a lavorare per
l’uomo con cui
vivevano; e infine del suo presente, del suo mestiere che tanto odiava,
che era
costretta a continuare a svolgere perché non avrebbe avuto
altra via d’uscita.
Era lei la chirurga, era lei quella che rassicurava i bambini e i
giovani che
raggiungevano la sala operatoria dicendo loro che non avrebbero sentito
assolutamente niente, e che poi li uccideva. Era lei che estraeva gli
organi
dai loro corpi innocenti e che li riponeva nelle scatole isotermiche
scrivendo
su ciascuna di esse, su ordine di Igor, il nome del destinatario e il
luogo in
cui sarebbe avvenuta la consegna.
Gli raccontò tutto, del suo odio per se stessa e del suo
desiderio di cambiare
vita.
Gli raccontò tutto e poi se ne pentì: aveva
appena svelato i suoi segreti ad un
criminale, ad uno sconosciuto che avrebbe potuto rivelare i suoi veri
pensieri
a Igor, distruggendo così sia lei sia sua sorella.
Ben
lanciò
un’occhiata veloce all’orologio che aveva al polso.
«È quasi mezzanotte e il tuo
amico
non è ancora tornato, alla faccia della
telefonata.».
«Ben, non ricominciare ti prego, non ce la posso
fare.» commentò Semir sperando
di evitare l’ennesima discussione sullo stesso argomento.
«Non ricomincio, noto solo che Max non è ancora
tornato e la cosa
insospettirebbe anche te, in condizioni normali.».
Semir scosse il capo con un sospiro e Ben continuò, sicuro
di sé «La verità è
che in questo momento sarà a raccontare tutto quello che
sappiamo di loro a
quei criminali, credimi.».
E
Ben quindi aveva ragione. Ben e
anche maty, che sosteneva la tesi di Ben ;)
Hanser è morto e le indagini non vanno avanti ma sappiamo
qualcosa in più su
Rebecca...
Grazie mille per le recensioni, un bacio.
Sophie :D
|
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Capitolo 13 *** Indagini e porte chiuse ***
Indagini
e porte chiuse
Quando,
la
mattina successiva, il sole sorse timidamente su El Fahim, Semir
dovette suo
malgrado cominciare a prendere in considerazione le ipotesi di Ben: Max
era
uscito la notte precedente e non era più tornato, avevano
provato a chiamarlo e
non aveva mai risposto.
Affacciatosi alla finestra, l’ispettore l’aveva poi
scorto nel piazzale, mentre
si allontanava velocemente in compagnia di quella che gli
sembrò la stessa
donna che avevano conosciuto sulla soglia della sede
dell’organizzazione del
traffico d’organi.
Era lui la talpa, d’altra parte era stato piuttosto chiaro
fin dall’inizio.
A quanto pareva Max Rieder si era liberamente preso gioco di loro e ci
era
riuscito anche fin troppo bene.
Sebastian
uscì soddisfatto dal comando della polizia criminale di El
Fahim, con un pezzo
di carta in mano che non smise di contemplare fino a quando non
raggiunse il
capo, Alex Bronte, nella hall dell’albergo.
Il commissario dell’LKA, non appena seppe del mandato,
esultò felice come non
mai, almeno in questo era riuscito a precedere quegli incompetenti
dell’autostradale. Era servito tempestare di chiamate il capo
della polizia,
Bronte aveva ottenuto esattamente ciò che voleva, un mandato
di perquisizione.
A questo punto doveva semplicemente passare all’azione, ma
prima si sarebbe
dovuto ben organizzare: lui e il suo sottoposto erano soltanto in due,
il che
era un po’ rischioso. Tuttavia mai sarebbe andato a chiedere
all’autostradale
di unirsi a lui, anche semplicemente per una questione di orgoglio, e
nemmeno
avrebbe chiesto aiuto alla polizia del luogo.
Non si fidava di quei turchi, nemmeno un po’. Gli avevano
detto che l’analisi
dei proiettili non era ancora terminata, quando il giorno prima avevano
garantito che sarebbe stata pronta per la mattina seguente.
Alzò le spalle disinteressato, si sedette sul comodo
divanetto beige
dell’ingresso dell’albergo con il suo sottoposto e
pensò.
Lui e Sebastian Fudger dovevano assolutamente organizzarsi per
l’irruzione alla
base del traffico d’organi e dovevano farlo in fretta.
Il
telefono di Ben squillò per l’ennesima volta in
quella piccola stanzetta
d’albergo che quella mattina sembrava somigliare
più ad un centralino.
«Sì, Jager.».
«Ben? Ciao Ben, sono Hartmut...».
«Hartmut!» esclamò il ragazzo
corrucciando la fronte e attirando l’attenzione
del collega accanto a lui «Ciao, cosa succede?».
«Ragazzi, ditelo che vi manca la mia presenza nelle
indagini!» esclamò il rosso
con orgoglio.
«Da morire Einstein, se qui va tutto a rotoli
d’altra parte un motivo ci
sarà!».
«E io ovviamente ho la soluzione ai vostri
problemi.».
Ben attivò il vivavoce e posò il cellulare sul
comodino, sempre più stupito
dalla telefonata del collega della scientifica.
«So che avete avuto qualche contrasto con Bronte, il
commissario dell’LKA, è
così?».
«Sì.» annuì
l’ispettore continuando a non capire dove l’altro
volesse arrivare.
«Ecco, io ho per voi una notizia buona e una cattiva, da dove
parto?».
«Da quella cattiva.» propose Semir, incuriosito.
«Bronte ha ottenuto il mandato di perquisizione per la base
del traffico
d’organi, ma questo l’avreste comunque scoperto da
soli più tardi.» spiegò
Hartmut «La notizia buona è che mi sono messo in
contatto con la polizia locale
di El Fahim, mi sono fatto spiegare per filo e per segno cosa fosse
successo e
loro mi hanno accennato di alcuni proiettili che probabilmente
sarebbero
risultati utili alle indagini. Allora io ho cominciato a porre
pressione su
questi poliziotti per saperne qualcosa di più e alla fine
sono arrivato
addirittura a “contrattare”: pensate un
po’ che solo ieri sera ho fatto...».
«Einstein, ti prego, taglia, non abbiamo tutto il
giorno!» lo redarguì Semir
come accadeva sempre quando il collega si dilungava troppo in infiniti
ed
inutili discorsi.
«In due parole, ho la copia delle analisi dei proiettili che
i colleghi turchi
mi hanno mandato via mail e non hanno ancora consegnato a Bronte e al
suo
ispettore.».
«Ma bene, fantastico! E?».
«E l’arma apparteneva ad un carico sequestrato
dalla polizia anni e anni fa,
non si sa come sia potuta tornare in circolazione... della polizia
tedesca tra
l’altro. Inoltre ho un’altra cosa importante da
dirvi: sui proiettili e sulla
pistola c’erano delle impronte digitali di un uomo ancora da
identificare, ma
anche le impronte di un altro uomo... le impronte di Max.».
Silenzio.
«Magari aveva toccato l’arma per sbaglio,
oppure...» continuò Hartmut tentando
di dare una valida spiegazione alla sua scoperta.
«No Einstein...» lo interruppe Semir «La
spiegazione c’è ed è una sola, questa
ne è l’ennesima conferma: Max è la
talpa nella polizia, Ben aveva ragione.».
«Mi dispiace...».
«Non importa, almeno adesso sappiamo di chi poterci fidare e
di chi no. Non ho
ancora capito come tu sia riuscito ad ottenere queste analisi ma grazie
Einstein, ci sei stato di enorme aiuto!».
«Prego ragazzi, figuratevi!».
«Sai come sta la Kruger, Hartmut?»
domandò Ben, preoccupato.
«Non è ancora fuori pericolo anche se ha passato
la notte senza ulteriori
problemi... speriamo che si rimetta presto.»
spiegò il rosso.
«Ma sì, manico di scopa è forte, ce la
farà... Ciao Einstein, ci sentiamo!».
«Va bene, vi aggiorno appena ho novità!»
e il tecnico chiuse la chiamata,
ritornando al suo fedele computer.
Rebecca
aprì la porta della stanza senza fare rumore e
aspettò che anche Max, dietro di
lei, entrasse prima di richiudersi la porta alle spalle.
La stanza era buia e la ragazza aprì un po’ le
persiane, mostrando al nuovo
arrivato uno spettacolo orribile. Una decina di bambini dormivano uno
vicino
all’altro sul pavimento, con le mani legate e le espressioni
beate, ignare.
La chirurga posò sul pavimento poco distante da loro il
vassoio con i viveri e
l’acqua che sarebbero serviti ai bambini non appena si
fossero svegliati,
quindi rimase immobile a guardarli per qualche istante.
«Loro non sanno niente?» domandò Max in
un sussurro. Rebecca scorse in quella
voce curiosità, interesse, ma non dolore. Il tono con cui
quella semplice
domanda era stata pronunciata era freddo, distante.
«No, non sanno niente. Vengono rapiti in giro per tutto lo
Stato, solitamente
prima è stata fatta una ricerca sulle condizioni di salute
di ciascuno di loro.
A volte ci capita di dover trattare anche con adulti ma la maggior
parte delle richieste
sono di organi molto giovani.» spiegò la ragazza.
«Capisco.».
L’uomo fece per uscire dalla stanza quando si
sentì tirare per la giacca da
qualcuno. Si voltò, abbassò lo sguardo e
notò una bambina che lo chiamava.
Aveva le mani slegate.
«Marie, cosa ci fai sveglia a quest’ora?
È mattina, torna a dormire.» le
sussurrò Rebecca abbassandosi per guardarla negli occhi.
Era bella, gli occhi blu sul viso incorniciato da folti capelli rossi,
avrà
avuto più meno
cinque anni.
«Reb, non ho più sonno, posso venire di
là con te? Chi è questo signore, un tuo
amico?».
«Sì piccola, è un mio amico. Ora non
posso, e sai che Igor non deve vederti.
Torno più tardi.» si scusò la ragazza
guardando la bambina negli occhi. A
guardarla bene gli assomigliava un po’... come faceva Marie
ad assomigliare ad
uno sconosciuto, ad un criminale come Max Rieder? Rebecca si
rialzò e uscì
dalla stanza seguita da Max, senza dare alla piccola occasione per
replicare.
La bambina rimase immobile in piedi a fissare la porta che si chiudeva
davanti
ai suoi occhi.
Altro
mistero: chi è questa Marie?
Grazie sempre a chi continua a seguirmi, a presto!
Sophie :D
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Capitolo 14 *** Risveglio ***
Risveglio
«Ge...
Gerard...».
Il sussurro e la debole stretta di mano risvegliarono l’uomo
dal torpore in cui
era caduto. Impiegò qualche attimo prima di capire dove si
trovasse, e
finalmente si ricordò di essere in una stanza di ospedale,
seduto accanto al
letto di Kim... Kim? Kim aveva parlato o lui aveva semplicemente
sognato?
Aprì gli occhi e non appena scorse quelli della sua amata
che lo guardavano, il
cuore gli si riempì di gioia fino quasi a scoppiare.
«Kim... Kim, stai bene?» le domandò,
agitato.
Il commissario annuì debolmente abbozzando un sorriso.
«Ho avuto paura, sai? Ho avuto tanta paura di
perderti!» continuò l’uomo.
«Anche io... anche io ho avuto paura.» rispose lei.
Parlava a fatica e aveva un dolore terribile al fianco destro ma era
felice...
era viva! Provò a dire qualcos’altro ma dalla sua
bocca non uscì alcun suono.
«Non sforzarti Kim... ora chiamo un medico, va
bene?».
Il commissario annuì ancora.
Amava quell’uomo, e si chiedeva cosa avrebbero pensato i
colleghi, una volta saputo.
Aveva avuto più volte sentore del fatto che qualcuno fosse
fermamente convinto
della sua incapacità di amare. Grazie a Gerard questa volta
avrebbe mostrato a
tutti che non era vero.
Avrebbe fatto capire al mondo che anche lei, Kim Kruger, manico di
scopa, sarebbe
stata in grado di dare e ricevere amore.
Quando il medico entrò nella stanza ed eseguì
tutti i controlli, Gerard non
potè trattenersi dall’esultare ancora: Kim era in
netto miglioramento, sotto
ogni punto di vista.
I valori stavano lentamente tornando nella norma, ci sarebbe ancora
voluto del
tempo per regolarizzare la respirazione a causa del danno riportato dal
proiettile al polmone destro.
Il dottore dichiarò però la donna fuori pericolo
e la notizia giunse anche ai
due poliziotti di guardia appena fuori dalla stanza, che si alzarono
gridando
felici, tanto che un’infermiera di passaggio dovette
redarguirli.
Otto e Dieter entrarono nella stanza del commissario appena poterono
per
salutarla e augurarle una veloce guarigione. Fu allora che entrambi si
resero
conto che forse questo Gerard non era esattamente il cugino
del loro capo...
Ma non dissero niente per delicatezza e si limitarono a farle i
complimenti per
la sua tenacia e a chiamare subito al comando per avvisare del
risveglio della
donna.
La quale, ovviamente, non perse neppure un minuto e passò
subito a pensare alle
questioni lavorative che aveva lasciato in sospeso.
«Jager... Jager, Rieder e Gerkhan, come stanno?»
domandò con un filo di voce.
«Bene capo, ma ora deve riposarsi...» le rispose
Otto con fare protettivo.
«Sto... sto bene, voglio solo sapere come stanno i miei
uomini...».
«Stia tranquilla.» si intromise Dieter
«Va tutto bene, continuano ad indagare
laggiù in Turchia ma ora lei non si preoccupi.».
Il commissario annuì anche se poco convinta.
I due poliziotti avevano volontariamente omesso sia
l’omicidio
dell’informatore, sia la vera identità di Max per
non agitarla ma entrambi
sapevano che lei avesse intuito che qualcosa non andava fin dal primo
istante.
Sapevano anche che sarebbe tornata in piedi per indagare, sicuramente
prima di
quanto previsto dalle sue condizioni mediche.
«Pronto?
Ben, finalmente, ma che fine avevi fatto?»
lo redarguì Clara, preoccupata «Ti provo a
chiamare da un pezzo, non rispondevi
mai!».
«Scusami, non avevo sentito!» si scusò
l’uomo dall’altro capo del telefono.
La ragazza si sedette sul divano con un sospiro di sollievo
«Avevo paura che ti
fosse successo qualcosa...».
«No, sto bene, davvero, stai tranquilla. Bianca?».
«Bianca sente già la mancanza di suo
papà.» scherzò Clara ritrovata la
tranquillità dopo aver sentito la voce del marito.
«Mancate tanto anche a me... e non ci sono da solo due
giorni!» rise Ben,
desiderando ardentemente di avere la moglie e la futura figlia accanto
a sé in
ogni momento.
«Allora torna presto... come vanno le indagini?».
«Mah, insomma, non è che abbiamo scoperto molto in
realtà, a parte che Max...».
«Max?».
«Niente, stiamo andando avanti nelle ricerche ma mi sa che ci
vorrà un po’
prima di capire qualcosa in questo caso.».
«Tanto lo risolverete alla fine, come sempre. Ben, la Kruger
si è svegliata, me
lo ha appena detto Otto. E sembra che si sia svegliata anche con un
certo
principe azzurro accanto...» raccontò Clara
maliziosamente.
«Ma chi, manico di scopa? Un principe azzurro?»
domandò il giovane poliziotto
senza credere alle proprie orecchie.
«Così sembrerebbe.» rise la donna,
divertita.
«Allora dobbiamo preoccuparci, quel proiettile deve averle
dato alla testa!».
«Sei un insensibile, Ben!».
Entrambi scoppiarono a ridere.
«L’importante è che sia fuori pericolo
comunque... ora vado, che il dovere ci
chiama. Ti amo, Clara.».
«Anche io ti amo Ben... fai attenzione,
promettilo.».
«E tu promettimi che starai tranquilla invece.».
«Va bene...» rispose la ragazza con poca
convinzione.
I due si salutarono e poi lei chiuse la chiamata, posando il telefono
sul
divano affianco a sé.
Si accarezzò il pancione e pregò...
pregò che non accadesse niente al futuro
padre di sua figlia.
«Semir?
Ciao... sì, sono di nuovo io.» fece Hartmut
non appena il collega gli rispose al telefono «No, ma ho
novità, so di chi sono
le altre impronte sull’arma, di un certo Marcus Fisher.
È un tedesco, ha una
fedina penale decisamente non immacolata, ma si è trovato a
dover fare i conti
con la legge per affari piccoli, furti o aggressioni a pubblici
ufficiali...
no, non è questo il punto... sì, va bene, va
bene, faccio in fretta. Io e
Susanne abbiamo scoperto che suo zio, anch’esso tedesco, era
un grande uomo
d’affari qui in Germania, e lo è stato fino al
2009. Da quell’anno in poi di
lui non si hanno più notizie, come se fosse scomparso,
l’unica certezza che
abbiamo è che si deve essere trasferito in Turchia...
dovrebbe essere sulla
cinquantina, abbiamo fatto due più due, potrebbe anche
essere il capo dell’organizzazione.
No... aspetta che ti do il nome... sì, Igor Kallman. Va
bene, ci sentiamo, ciao
Semir.».
Il tecnico della scientifica posò il telefono con aria
soddisfatta.
Amava essere in qualche modo utile nelle indagini e a distanza era
ancora
meglio: almeno in questo modo, per telefono, gli ispettori avevano
addirittura
il tempo per ringraziarlo anzi che scappare via sgommando come facevano
solitamente quando parlava con loro di persona.
Sorrise compiaciuto e si rimise al lavoro, intenzionato a scoprire chi
fosse
davvero questo Kallman.
Le
indagini vanno avanti e la Kruger si è risvegliata, accanto
al suo principe
azzurro...
Ditemi se sto aggiornando troppo in fretta, un bacio e grazie per le
recensioni!
Sophie :D
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Capitolo 15 *** Incontro ***
Incontro
«Dici
che ci sbraiterà contro oppure che riusciremo
a parlare civilmente?» domandò Ben schiacciando il
pulsante che indicava il
quarto piano all’interno dello spazioso ascensore di
alluminio.
«Magari si rende conto che se lavoriamo insieme concludiamo
qualcosa più in
fretta.» rispose Semir alzando le spalle.
Il loro umore era decisamente migliorato da quando avevano saputo che
la Kruger
si era svegliata, nonostante entrambi fossero a dir poco amareggiati da
ciò che
avevano scoperto su Max. In quel momento stavano raggiungendo la stanza
di
Bronte nell’albergo per provare a parlare insieme a lui del
caso: si erano resi
conto che da soli e senza contare più di tanto
sull’aiuto della polizia del
luogo non ce l’avrebbero mai fatta.
Bussarono e il commissario dell’LKA ci mise un po’
ad aprire la porta.
«Buongiorno» li accolse l’uomo con un
mezzo sorriso, decisamente forzato.
«Buongiorno.» esordì Ben, andando dritto
al punto senza troppi convenevoli
«Penso che dovremmo collaborare, commissario
Bronte.».
«Lei dice?».
«Io dico, già.».
«E cosa la porterebbe a pensare che...».
«Il fatto, commissario,» si intromise Semir
«è che sono passati due giorni e
mezzo e ancora non abbiamo cavato un ragno dal buco.».
L’uomo sospirò facendo cenno ai nuovi arrivati di
sedersi su un piccolo divano
di pelle presente nella stanza. Anche lui e il suo sottoposto,
Sebastian
Füdger, si sedettero.
«Va bene. D’altra parte avremmo dovuto collaborare
fin dall’inizio, ma come ho
già detto e ripetuto, penso che abbiamo cominciato con il
piede sbagliato, e
intendo già dalle prime indagini svolte insieme a Colonia.
Tuttavia ritengo che
sarebbe il caso di unire le forze, almeno per quanto necessario a
risolvere
questo caso. Dopodiché, ognuno per conto suo in Germania,
che ne dite?».
«Perfetto. Da dove cominciamo?» chiese Semir senza
perdere tempo.
«Noi abbiamo il rapporto sull’analisi dei
proiettili e dell’arma di uno dei
criminali che hanno sparato ieri mattina nel piazzale. L’arma
sembra essere di
proprietà di un ragazzo tedesco, le cui tracce hanno portato
poi a Igor
Kallman, che potrebbe essere il capo
dell’organizzazione.» spiegò Ben
tralasciando i dettagli meno rilevanti.
«Bene. Quindi abbiamo un nome, è già
qualcosa.».
«E sappiamo anche che probabilmente Max Rieder, il nostro
nuovo collega, era in
realtà la talpa che cercavamo...».
«Davvero?» fece Sebastian con un interesse fin
troppo marcato.
«Già.» annuì Ben.
«Noi invece abbiamo un mandato di perquisizione per la
presunta sede
dell’organizzazione.» disse Bronte facendo cenno a
Füdger di andare a prendere
il documento nell’altra stanza.
«Io penso che potremmo organizzare l’irruzione per
oggi stesso. Ci vediamo qui
per le due per organizzare e poi entriamo in azione, a voi andrebbe
bene?»
propose il commissario.
Non che gli andasse dover lavorare fianco a fianco con
l’autostradale, la sua
mira principale era quella di tornare in Germania il prima possibile,
semplicemente.
«Va bene, allora andiamo.».
«Perfetto, vi accompagno.».
I due poliziotti uscirono, né loro né Bronte si
accorsero della segreta
telefonata di Sebastian Füdger.
«No capo, oggi pomeriggio vogliono
fare
irruzione... sì... sì va bene, la tengo
informata. Sì, ci proverò.».
Igor
entrò nella stanza dove si trovava Max e lo
sorprese alle spalle, avvicinandosi con passo felino.
«È interessante» cominciò
«come la razza umana possa apparire stupida, a volte,
non pensa anche lei signor Rieder?».
Max si voltò di scatto «Non l’avevo
sentita entrare.».
L’uomo
sembrò non far caso a lui,
continuando il proprio discorso, girando per la stanza lentamente, a
passi
cadenzati.
«È strano, certo. Persone che si credono
intelligenti, superiori... in realtà
così piccole, così ottuse...».
«Signor Kallman...?» provò ad
interromperlo il più giovane senza ottenere
risposta.
«Assassini che lasciano le proprie impronte
sull’arma del delitto, ladri che si
lasciano cogliere con le mani nel sacco, talpe scoperte dalla polizia e
sbattute in prigione... e poi infiltrati in organizzazioni criminali,
che
magari credono di poterla farla franca e in realtà camminano
lentamente verso
il suicidio...» continuò Igor avvicinandosi sempre
più all’altro uomo.
A Max balzò il cuore in gola mentre la fronte cominciava ad
imperlarsi di
sudore freddo. Dove voleva arrivare quel criminale? Il discorso che
stava
portando avanti così abilmente non gli piaceva nemmeno un
po’.
«Ho avuto a che fare più volte con la
stupidità della razza umana, soprattutto
quella di quest’ultimo genere...».
Max non sentì la mano arrivare.
Ad un tratto si sentì semplicemente preso stretto per il
bavero e sbattuto
contro il muro di quella stanza grigia con una forza quasi sovraumana.
Cadde a terra dopo il colpo, stordito.
«Il suicidio, già. Polizia autostradale, non
è così? Altro che informatore! Sappia
che lei, Max Rieder, ha appena prenotato un biglietto di sola andata
verso
l’Inferno, e sappia anche che io sarò lieto di
accompagnarcela per poi tornarne
indietro assolutamente illeso.».
Le note di una risata cattiva si diffusero ovattate per tutto
l’ambiente.
Ben
respirò a pieni polmoni non appena fu uscito
dall’albergo.
Aveva lasciato Semir nella stanza a parlare al telefono con le bambine
ed era
uscito a prendere un po’ d’aria, in vista
dell’operazione che sarebbe avvenuta
nel pomeriggio.
Si guardò attorno incuriosito, avviandosi su per una
stradina secondaria. Da
quando erano arrivati non avevano avuto nemmeno il tempo di dare
un’occhiata
alla città e il poliziotto ne avrebbe approfittato in quella
mezz’oretta di
pausa. Il paesino era piccolo e poco affollato, ma l’aria era
ovunque carica di
tensione, si percepiva la paura dei passanti, si capiva che
lì nessuno poteva
fidarsi di nessuno.
Si lasciò trasportare dalla massa e finì presto
nella piazzetta principale,
dove si stava svolgendo un piccolo mercato.
Gli abitanti sicuramente non erano molti, ma in quel momento dovevano
essere
praticamente tutti concentrati nella piazzetta, attorno alle bancarelle
coperte
di vestiti, tappeti e biancheria per la casa.
Donne e bambini si aggiravano parlando tra le stoffe, mentre qualche
uomo chiacchierava
animatamente intorno ad una fontana.
In quella confusione di gente sentì qualcuno salirgli sul
piede pesantemente e
subito dopo una ragazza gli cadde praticamente tra le braccia.
«Ma cosa...?»
«Scusi!» esclamò la giovane donna in un
inglese un po’ stentato «Scusi, sono
inciampata, le ho fatto male?».
«Ma no no, si figuri!» Ben
l’aiutò a rimettersi in sesto e colse
l’occasione
per osservarla: capelli e occhi scuri, era molto giovane,
avrà avuto circa
venticinque anni, se non di meno. Era poco più bassa di lui
ma aveva un fisico
snello e slanciato.
«Comunque io sono Eve, piacere.» si
presentò lei porgendogli la mano.
«Ben... piacere mio.» rispose il poliziotto
rimanendo per un attimo incollato a
quelle iridi così profonde.
Si ritrovò a parlare ancora prima di rendersene conto
«Vuole che la accompagni...
per aiutarla a portare le borse, intendo.» propose alludendo
ai due sacchetti
che la ragazza portava.
«Oh no, grazie.» rispose lei prontamente. Non
poteva portare uno sconosciuto
alla base, non le sembrava certo il caso «Ora devo proprio
andare, scusi
ancora... arrivederci.».
«Arrivederci.» salutò Ben con un sorriso.
Ma non si seppe trattenere e la seguì di nascosto,
corrucciando la fronte
scoprendo che si dirigeva proprio verso l’edificio in cui
loro avrebbero dovuto
fare irruzione qualche ora dopo.
Si chiese cosa ci facesse lì una ragazza carina e gentile
come quella e si
allontanò verso l’albergo senza riuscire a
distogliere i pensieri da quel nome.
Eve...
Improvvisamente scosse il capo.
“Ben, che ti prende?”.
Alzò la mano sinistra e si guardò la fede.
«Ben, sei un uomo sposato ora, tu
ami e
amerai solo Clara. Dimenticala.”.
Ma non riuscì a smettere di pensare a
quell’incontro.
Guai
in vista!
Chi è veramente questo Max? E cosa sta succedendo a Ben?
Grazie a chi continua
a seguirmi, un bacio,
Sophie :D
|
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Capitolo 16 *** Fermo! ***
Fermo!
Nel
pomeriggio i poliziotti dell’autostradale si erano recati
come previsto da
Bronte per definire i piani e dopo un’oretta pensavano di
essere più o meno
pronti. Speravano che gli abitanti dell’edificio non
avrebbero posto resistenza
ma tutti sapevano che ciò sarebbe stato piuttosto
improbabile.
Tutto sembrava quindi andare liscio, fino a che Ben non chiese al
commissario
di poter usare il bagno della stanza e avviandosi verso di esso non
sentì uno
strano borbottio giungere dalla piccola cucina. Fece capolino dalla
stanza e
quello che vide e udì lo paralizzò.
«Certo...
no capo, penso che tra un’ora al massimo saremo lì
davanti, abbiamo
già concordato come intervenire anche con Jager e Gerkhan.
No, arriveremo dal
portone principale e poi...» Sebastian Fudger si interruppe
notando la presenza
del poliziotto.
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti.
«Ha bisogno di qualcosa, Jager?» domandò
Sebastian, chiudendo la comunicazione
e riponendo in tasca il telefono.
«Lei... lei è...» balbettò
Ben senza riuscire a formulare una frase con senso
logico.
«Sì Jager... io sono.».
Poi estrasse la pistola e sparò.
«Ha
sentito?» fece Semir rivolto a Bronte e entrambi si diressero
di corsa verso la
cucina.
Quando entrando Semir vide Ben a terra e Fudger con la pistola in mano
sentì un
brivido di paura corrergli lungo tutta la schiena.
«Fudger? Ma che diamine...?» fece Bronte, senza
capire.
«Sì commissario, è vero quello che
vede. Pensi un po’, la talpa sono io. Non ci
eravate arrivati eh? Chi era secondo voi? Max Rieder?»
l’ispettore rise
malvagiamente «Idioti. Ora vedete di farmi passare o lo
ammazzo.» intimò
facendo alzare Ben e ponendoselo davanti come scudo.
Semir poté costatare che il suo collega fosse tutto intero e
si tranquillizzò
visibilmente.
«Non faccia sciocchezze Fudger, dove crede di
andare?».
Intanto il falso poliziotto avanzava puntando la pistola alla tempia di
Ben,
aveva già raggiunto l’ingresso.
«Spara Semir, che aspetti?» gridò Ben
con decisione.
Ma il collega non sembrò nemmeno sentirlo.
«Mettete giù quelle armi all’istante o
lo ammazzo.».
Bronte e Semir gettarono a terra le pistole e Fudger arrivò
alla porta
facilmente.
«Au revoir.» mormorò prima di mollare
Ben e lanciarsi in fuga giù dalle scale
dell’hotel.
«Ben,
stai
bene?» domandò Semir preoccupato.
«Sì, prendiamo quel bastardo.».
Uscirono di corsa lasciando Bronte nella stanza, interdetto, a guardare.
Lo seguirono per un bel pezzo, tra piazze, stradine affollate e
mercato... poi
lo persero di vista, semplicemente.
Tornarono in albergo a testa bassa e a Ben per la strada
sembrò di scorgere
ancora una volta quello sguardo, lo sguardo bellissimo di Eve, ma
cercò di non
pensarci.
I discorsi possibili a quel punto erano due: o Kallman aveva due
informatori
nella polizia, oppure Max era innocente e molto probabilmente in
pericolo.
«Io
non...
non capisco...» mormorò Max, ansimante.
«Cosa non capisci Rieder? Illuminami, ti aiuterò
volentieri a comprendere.»
fece Igor assestando un calcio al poliziotto, adesso legato mani e
piedi ad una
sedia di legno.
«Sai Rieder, non sono mai stato uno stupido e detesto coloro
che mi trattano da
stupido. Ma ora ti spiegherò bene i miei pensieri, che
dici?» continuò con voce
beffarda.
«Analizza un po’ la situazione, sbirro: un uomo
arriva da me dicendomi di esser
l’informatore e portandomi tesi valide perché io
gli possa credere. Dopo un po’
ricevo la telefonata di un altro uomo che mi assicura che gli sbirri
arriveranno nel pomeriggio, un altro informatore. Peccato che io non
abbia
assoldato due informatori ma solamente uno. Chiamo Marcus, in Germania,
per
controllare e lui mi spiega di aver parlato sempre e solo con un certo
Sebastian Fudger, mai con Max Rieder. Ora fai due più due,
sbirro. C’è ancora
qualcosa che non comprendi?».
Max strinse i pugni adirato più che mai con se stesso.
Sarebbe stato ucciso, non avrebbe risolto il caso e sarebbe stato
considerato
un traditore dai colleghi per il resto dei suoi giorni. Niente male
come
prospettiva futura.
«Senta io... io posso...».
«Lei può cosa, Rieder? Rimediare? Che cosa vuole
fare, diventare veramente un
informatore per me? Ma certo, perché no, un nuovo
informatore. Peccato che io
non abbia troppa fiducia negli sbirri.».
Un calcio.
Un altro.
Max non aveva alcuna intenzione di perdere lucidità e si
sforzava di rimanere
attento. Doveva pensare, pensare, pensare, non poteva lasciare che
tutto
finisse così, non poteva! Doveva risolvere il caso, doveva
farlo perché lo
aveva promesso a se stesso e a sua moglie tanti anni prima. E adesso
che era ad
un passo dalla risoluzione si trovava anche ad un passo dalla morte.
«Mi ascolti...» provò ancora, ma venne
interrotto da un destro in pieno viso
che gli fece sanguinare il naso.
«Forse non sono stato chiaro.» proseguì
Kallman «Io non voglio ascoltarti ma
disintegrarti. E in fretta anche, non ho una giornata intera da
perdere.».
Estrasse la pistola, si allontanò di qualche passo dalla
sedia e tolse la
sicura.
Max tentò di liberarsi dalle corde ma inutilmente.
«Mi dispiace di non avere il tempo di farti soffrire ancora
un po’, sei
fortunato. Addio sbirro.».
Posò le dita sul grilletto.
Applicò una leggera pressione.
La porta della stanza si aprì con violenza.
«No,
fermo!».
E
quindi Semir aveva ragione, Max
non è la talpa! La talpa è Sebastian Fudger, che
ovviamente è fuggito senza
problemi.
Scusate per il capitolo più breve del solito.
Grazie a chi continua a seguirmi, al prossimo.
Sophie :D
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Capitolo 17 *** Max Schwarzer ***
Max
Shwarzer
«Fermo,
ho bisogno di lui.» esclamò Rebecca entrando
violentemente nella stanza un istante prima che Igor sparasse.
«Bisogno?».
«Mi serve. In serata devo operare un bambino e mia sorella
non ci sarà, deve
firmare le carte per la consegna in Italia. Ho bisogno di un
assistente, da
sola non ce la faccio, è un’operazione complicata,
uccidilo domani.» spiegò la
ragazza con disinvoltura.
Kallman abbassò la pistola e la ripose nella fondina,
annuendo.
«Va bene, ma domattina lo voglio morto. Sigilla le porte e
slegalo, usalo come
vuoi e riportalo qui, me ne voglio occupare personalmente domani
mattina.».
Rebecca annuì e l’uomo uscì dalla
stanza sbattendo la porta, lanciando prima uno
sguardo crudele verso Max.
«Bene,
a questo punto un grazie sarebbe anche
gradito.».
Max guardò la ragazza ancora sconvolto, mentre lei gli
slegava le mani dalla
sedia.
«Ma perché... perché mi hai
salvato?» balbettò.
«Perché sono curiosa e perché mi servi
per l’operazione, non illuderti che ci
sia dell’altro. Ho visto uccidere tante persone qui, la prima
quando avevo sei
anni e mezzo, per me saresti stato semplicemente uno dei
tanti.» spiegò finendo
di slegarlo e riponendo le corde in un angolo buio della stanza
«Non ho ancora
sentito il “grazie”.».
«Grazie.» mormorò il poliziotto,
alzandosi.
«E ora voglio conoscere la tua storia.»
affermò Rebecca, con un tono che non
ammetteva repliche.
«E va bene.» si rassegnò Max
«È cominciato tutto sette anni fa. Io ero sposato
e da poco io e mia moglie avevamo avuto un figlio, Thomas, che quando
aveva due
anni si ammalò gravemente: avrebbe avuto bisogno di un
urgente trapianto di
cuore altrimenti i medici gli avevano diagnosticato meno di due mesi di
vita.
Provammo a rivolgerci alla banca degli organi ma il primo organo
compatibile disponibile
sarebbe stato dopo tre mesi e tra l’altro sarebbe costato una
fortuna, noi non
eravamo certo ricchi. Lei, Angela, non aveva più i suoi,
morti in un incidente
d’auto quando era ancora bambina. Io avevo mio padre, ma si
disinteressò
totalmente al problema... non l’ho mai più rivisto
da quel giorno in cui...»
l’uomo fece una pausa, scuotendo appena il capo.
Immagini di quella notte lontana gli scorrevano veloci nella sua mente,
lo
confondevano, lo ferivano.
Rebecca lo ascoltava immobile.
«Fatto sta che Angela volle rivolgersi a questa
organizzazione, di cui le aveva
parlato un amico. Io non volevo, non volevo assolutamente. Ma poi il
tempo
passava, il piccolo stava sempre peggio... ci rivolgemmo a voi, alla
fine. Andò
tutto bene fino alla fine, fino a pochi secondi prima
dell’intervento, fino a
quando l’uomo che doveva eseguire l’operazione non
ricevette una telefonata dal
suo capo, il capo di tutta l’organizzazione. Non so
perché e non so chi fosse
il capo ma disse qualcosa a quell’uomo... E
quell’uomo, anzi che salvarlo, lo
uccise sotto i miei occhi.».
Max si fermò. Non si era reso contò di avere gli
occhi lucidi.
«Vai avanti.» disse la ragazza in un sussurro.
«Mia moglie si suicidò un mese dopo, lasciandomi
un biglietto di scuse, e io
non potei fare nulla per salvarla. Entrai in polizia con
l’obiettivo di
disintegrare questa organizzazione e il resto lo sai. Sono arrivato qui
con la
polizia autostradale e poi mi sono infiltrato senza nemmeno dirlo ai
colleghi.
E non ho risolto nulla, come vedi.».
Rebecca lo fissò a lungo «Mi dispiace, mi dispiace
tanto.».
«E, a proposito, il mio vero nome non è Max
Rieder... mi chiamo Max Schwarzer.».
Rebecca strabuzzò gli occhi e per poco non smise di
respirare.
Schwarzer...
Non poteva crederci.
«Sì,
Jager.».
Ben rispose al telefono sperando in una buona notizia da chiunque
stesse
chiamando. Ed in effetti la buona notizia arrivò
direttamente con la voce del
mittente.
«Jager, sono il commissario Kruger, buongiorno.»
salutò una voce debole
dall’altro capo del telefono.
Ben quasi non credette alle proprie orecchie «Capo? Sta
bene?».
«Sì, meglio, grazie. Come... come vanno le
indagini?».
«Bene, ma capo, lei deve pensare a riposarsi adesso, non si
preoccupi per le
indagini!».
«Jager, ascolti, il fatto che io sia ferma in un letto di
ospedale non deve per
forza significare che non possa seguire le indagini. So che
è successo qualcosa
e Bonrath ed Hetzberger non vogliono dirmi niente quindi le ordino di
parlare.».
«Ma capo, non...».
«Jager, per favore, mi spieghi.» disse la Kruger
assertiva. La ferita stava
ricominciando a farle male a causa della posizione in cui si trovava e
dello
sforzo che stava facendo per parlare. Faceva fatica a respirare e
tutt’a un
tratto cominciò a mancarle l’aria.
«Sembrava che Max fosse la talpa nella polizia, capo, ma non
ne siamo più sicuri,
perché abbiamo scoperto che Fudger, il sottoposto di Bronte,
era anche lui un
informatore di Kallman. Dobbiamo ancora verificare che... ma capo, si
sente
bene?».
La donna aveva cominciato a tossire senza tregua
«Sì... sì... devo andare ora,
ci... ci sentiamo più tardi.» balbettò
per poi chiudere la comunicazione e
chiamare un medico, in preda ad una crisi respiratoria.
«L’hanno
presa per i capelli, ha avuto una forte crisi.»
spiegò Ben al collega subito
dopo aver sentito Otto per informarsi sulle condizioni della Kruger
«Ma ora sta
meglio, deve solo riposare, cosa che non farà mai,
conoscendola.».
«Almeno adesso è fuori pericolo.»
costatò Semir, speranzoso.
«Già... vado qui giù a telefonare a
Clara, in stanza prende malissimo.»
annunciò il ragazzo uscendo dalla camera. Ma quando
arrivò nel piazzale ciò che
vide lo catturò, di nuovo.
Eve stava andando verso di lui con un enorme sorriso stampato sul volto.
«E così sei uno sbirro.»
esordì.
Ben non seppe cosa rispondere e rimase semplicemente a guardarla.
Come faceva a saperlo? Aveva fatto delle ricerche su di lui? Ma chi era
quella
donna?
Si fissarono per alcuni attimi e poi accadde l’imprevedibile.
Eve si avvicinò sempre più, fino a sfiorare con
le sue le labbra del poliziotto
in un timido bacio, che ben presto si trasformò in un bacio
vero e proprio.
E la cosa incredibile fu che Ben non si spostò.
Rimase lì, immobile, così.
Non si mosse nemmeno quando la giovane sconosciuta lo lasciò
e si allontanò di
corsa, salutandolo con la mano prima di imboccare una stretta stradina.
Si risvegliò da quello stato di trance in cui si trovava
solo dopo pochi
secondi, grazie allo squillo del proprio cellulare: era Clara.
Improvvisamente realizzò ciò che era appena
accaduto e non seppe cosa fare.
Non rispose e lasciò il telefono nella tasca della giacca.
Non si accorse nemmeno che Semir, per caso alla finestra, aveva
assistito dalla
camera dell’albergo a tutta la scena.
Ad
ogni
capitolo un guaio in più... Ben adesso dovrà
delle spiegazioni a Semir, ma
soprattutto a se stesso. Finalmente invece conosciamo la storia di Max!
Ma il
mistero intorno a lui non è ancora totalmente svelto... vi
ricorda qualcosa il
nome “Shwarzer”?
Un bacio e grazie mille ai recensori, le vostre opinioni mi fanno
sempre
piacere!
Sophie :D
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Capitolo 18 *** Un sogno lunghissimo ***
Un sogno lunghissimo
Semir
rimase imbambolato davanti alla finestra per qualche
attimo infinito.
Ben che stava baciando una ragazza? Si chiese se avesse visto bene o
meno.
Magari si era sbagliato, magari la stanchezza cominciava a giocargli
brutti scherzi.
Aspettò che il collega tornasse nella camera e gli
bastò lanciare uno sguardo
verso di lui per capire che ci aveva visto benissimo.
Rimasero entrambi in silenzio per un po’.
Ben non riusciva a capacitarsi di ciò che era appena
accaduto e Semir ancora
meno di lui.
«Semir...».
«Ben, cos’è questa storia?»
domandò a bruciapelo.
Il ragazzo rimase un attimo spiazzato: come faceva l’amico a
sapere? Lo aveva
visto? In effetti era più che plausibile, era accanto alla
finestra e lui ed
Eve si erano incontrati proprio sotto la loro camera.
«Ma come...?».
«Ben, ti prego rispondi, cos’è questa
storia?».
«Niente è... è... non è
nessuna storia è che...» balbettò il
più giovane
camminando nervosamente per la stanza.
«Chi è quella ragazza?».
«Non è nessuno io... io l’ho conosciuta
al mercato e... Semir, aiutami, credo
di essermi appena cacciato in un grosso guaio.»
mormorò Ben, agitato.
«Già, l’ho notato. Chi
è?» ripeté il collega.
«Non lo so, non lo so, so solo che si chiama Eve e che
l’ho conosciuta al
mercato perché mi ha pestato un piede. Ho pensato tutto il
giorno a lei Semir,
non ho fatto altro che pensare a lei, perché?» Ben
era agitatissimo, sembrava
completamente sconvolto.
«Ma scusami, avevate un appuntamento qui sotto?».
«Ma quale appuntamento, no! Lei è arrivata
semplicemente e io...» l’ispettore
si sedette sul letto con un sospiro, prendendosi la testa tra le mani.
«Ben, ascolta...» fece Semir con tono decisamente
addolcito rispetto a quello
inquisitorio di pochi secondi prima «Se è stato un
episodio così e sai che non
accadrà più, stai tranquillo... tu ami Clara,
no?».
L’attimo di esitazione che ne seguì fece vacillare
la sicurezza con cui
l’ispettore aveva posto quella domanda. Domanda la cui
risposta sarebbe dovuta
risultare ovvia.
Ben sollevò la testa, mostrando al collega un paio di occhi
rossi e lucidi.
«Non lo so, Semir... non lo so più!».
Nella
stanza si era creata un’atmosfera decisamente strana,
atmosfera che non si disintegrò a causa dello squillo del
cellulare di Semir,
ma rimase tale.
«Sì, Semir.».
«Ciao Semir, sono Susanne! Ascolta, ho delle
novità.» esclamò la segretaria
dall’altra parte del telefono.
«Dimmi tutto.».
«Ho cercato, cercato e cercato e ho scoperto che in effetti
in rete c’è qualcosina
riguardo l’organizzazione, anche se è tutto
impreciso. Intanto pare che abbia
un nome, “The Death For The Life”.» la
donna fece un attimo di pausa «Poi, sai
che Hartmut vi aveva detto che Kallman si è trasferito in
Turchia nel 2009?
L’organizzazione esiste però da molto prima, dalla
fine del ‘900, quindi o
Kallman prima dirigeva il tutto dalla Germania, oppure non è
lui il capo vero e
proprio.».
«Ho capito.» Semir seguiva sia la segretaria
cercando di concentrarsi, sia Ben
che, seduto sul letto, sembrava completamente a pezzi.
«Non ho trovato altri nomi però, quindi non saprei
chi potrebbe essere... voi
lì avete trovato qualcosa?».
«No» rispose l’ispettore
«Però... aspetta un attimo... che stupido, ma come
ho
fatto a non pensarci prima? Ahmet, prima di morire, aveva provato a
dirmi un
nome! Che stupido, l’avevo completamente rimosso... Era
Carl... Carl Shwarz, mi
sembra.».
«Aspetta che lo cerco subito... no, non trova niente...
però aspetta, ho un
risultato nel database ma... il suo nome è Shwarzer, non
Shwarz.» disse la
segretaria scorrendo con velocità le pagine virtuali sul
computer.
«Potrebbe essere, era ferito, magari non è
riuscito a pronunciarlo o magari io
ho capito male.» Semir cercò di distogliere la
mente dall’immagine dell’amico
turco disteso tra la polvere in un lago di sangue, cosa che gli
riusciva
piuttosto difficile in quel momento.
«Anche lui tedesco e trasferitosi in Turchia nel 1997, quando
aveva quarantaquattro
anni... Ora ne ha sessantuno e di lui si sa poco o niente.
Però pare abbia dei
precedenti, per questo è già nel nostro
database... Potrebbe essere lui, sì.
Ora vedo se trovo qualcos’altro sul suo conto e ve lo mando
per mail. Ciao
Semir.»
«Ciao Susanne, grazie mille!» esclamò il
poliziotto prima di chiudere la
comunicazione e tornare ad occuparsi di Ben.
Doveva capire cosa stesse succedendo all’amico al
più presto.
Max
entrò nella stanza avendo cura di non fare troppo rumore
e scorgendo ancora una volta i bambini, tutti seduti vicini. Era la
mattina
successiva rispetto alla sua “liberazione” ed era
molto presto, per cui i
piccoli prigionieri erano tutti profondamente addormentati, questa
volta anche
Marie. Per fortuna, perché quella bambina a Max dava uno
strano senso di fastidio:
gli ricordava qualcosa, qualcuno, e nemmeno riusciva a capire come e
perché.
Rebecca gli aveva ordinato di prelevare dalla stanza il bambino legato
all’estremità
destra del muro e di portarlo nella stanza adibita a sala operatoria
per
l’intervento, che non era avvenuto la sera prima per un
disguido sui materiali
da utilizzare.
Max slegò il bambino e lo prese in braccio con delicatezza,
uscendo dalla
stanza e avviandosi al piano di sopra.
Quando entrò nella sala operatoria, trovò Rebecca
che stava finendo di
prepararsi gli attrezzi per l’intervento e la cosa gli fece
venire i
brividi. Come
poteva una ragazza così
giovane, così bella, riuscire a fare tutto ciò?
Lui si sarebbe lasciato
uccidere, piuttosto.
«Grazie.» disse lei «Normalmente
è mia sorella ad aiutarmi ma in questi giorni
è sempre fuori casa.». Tralasciò il
fatto che sua sorella vendesse praticamente
ogni notte il proprio corpo tentando di racimolare i soldi necessari a
scappare, non le sembrò il caso di raccontarlo ad un
poliziotto, e soprattutto
non dopo aver scoperto chi fosse davvero...
L’unico a non saperlo probabilmente era Max stesso.
«Ha nove anni, devo togliergli... il cuore e un
rene.» spiegò cominciando a
spogliare il bambino, sempre profondamente addormentato.
«E poi dove... dove li mettete? I corpi, intendo.»
domandò Max con il cuore in
gola.
«Passa un uomo a ritirarli ogni giorno.» rispose
lei, incredibilmente fredda.
Il bambino si mosse appena mentre lei gli sfilava la maglietta e
aprì un
occhio. Guardò entrambi con aria stranita «Che
cosa devo fare, perché sono
qui?».
«Buongiorno piccolo, ben svegliato.» lo accolse lei
con un sorriso.
Max rabbrividì ancora. Quella ragazza stava parlando in modo
così materno ad un
bambino che da lì a
poco avrebbe ucciso
con le sue mani. Era una situazione assurda, paradossale!
«Che cosa devo fare?» ripeté il piccolo,
più incuriosito che impaurito.
«Un gioco.» spiegò Rebecca «Ti
piace sognare?».
Il bambino annuì e la ragazza sorrise.
«Perfetto. Ora potrai fare un sogno lunghissimo, ti
va?».
Il piccolo annuì ancora «E cosa posso
sognare?».
«Tutto quello che vuoi, vedrai che sarà
bellissimo.» continuò lei prendendo in
mano l’ago dell’anestesia.
«Va bene, ma a cosa serve quello? A me non piacciono le cose
appuntite.».
«Ma non sentirai niente piccolo... serve a prolungare il tuo
sogno.».
Lo fece distendere, senza dare tempo al bimbo per altre eventuali
domande che
l’avrebbero messa in difficoltà. Gli
iniettò l’anestesia e aspettò che il
paziente si fosse addormentato, quindi passò
all’opera.
Max
la osservò mentre lavorava e non poté fare nulla
per
fermarla. Aveva provato a parlarle ma ovviamente era stato tutto
inutile e non
riusciva a fare altro che guardare. Sapeva che avrebbe dovuto
impedirglielo ma
si sentiva bloccato, non riusciva a pensare razionalmente, non era per
niente
lucido.
Le passava gli attrezzi, impallidendo alla vista del corpo del bambino
aperto
sotto i suoi occhi.
La osservò mentre estraeva il rene e poi passava
all’organo più delicato, il
cuore.
La osservò mentre privava un bambino della vita in un modo
così innaturale,
così crudele.
Un’altra vittima innocente, un'altra vita spezzata, un altro
omicidio inutile.
Lei sembrava tranquilla, a suo agio nell’ambiente in cui
operava ormai da molti
anni. Eseguiva ogni movimento con mano ferma, con sicurezza,
freddamente.
L’intervento durò molto, e né Max
né Rebecca proferirono parola durante quel
tempo interminabile.
Max aspettò che fosse tutto finito per uscire dalla stanza e
lasciarsi
scivolare contro il muro, sudato, pallido, sconvolto.
Le lacrime gli salivano agli occhi mentre pensava a quel bambino, che
come suo
figlio era stato portato via dai propri familiari troppo in fretta.
E lui non l’aveva fermata.
Continuo
a ringraziare chi mi sa seguendo e in
particolare gli autori delle recensioni, grazie!
Starò via per una settimana, quindi il prossimo capitolo non
arriverà prima di
lunedì prossimo ma vi assicuro che posterò non
appena tornata.
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 19 *** Irruzione ***
Irruzione
Ben
chiuse la tenda, svogliato.
Aveva cominciato a diluviare, come se l’atmosfera non fosse
stata già
abbastanza cupa di suo.
Doveva mettersi in testa di non aver alcun interesse per quella
ragazza, doveva
dimenticarla e basta. Tanto più che sua moglie era incinta
di sette mesi a più
di duemila chilometri di distanza e che quella sconosciuta
probabilmente faceva
anche parte della banda di criminali che stavano cercando.
Si sedette su una sedia, mentre il collega girava inquieto per la
stanza.
«Abbiamo rimandato la perquisizione di ieri per via di questo
Fudger, ma non
possiamo rimandare all’infinito, dobbiamo incastrare quei
criminali e salvare
Max, che secondo me è con loro ed è in
pericolo.» disse senza fermarsi un
attimo.
Ben lo guardò scuotendo appena il capo «Siamo in
due, come facciamo contro
tutti loro?».
«A parte che se conti Bronte siamo in tre, come facciamo a
sapere quanti sono
loro là dentro? Magari ci sono due persone e
basta.» fece Semir speranzoso.
«In un’organizzazione del genere?
Impossibile.».
Ad un tratto Ben ebbe però un’illuminazione
«Aspetta un attimo... e se
chiedessi a Eve di aiutarci ad entrare?».
«Chi? La ragazza di ieri?» domandò
l’altro, scettico.
«Sì! E non è un pretesto per rivederla,
non pensare male. Quello di ieri è
stato un grosso sbaglio e ne sono pienamente cosciente, amo Clara e non
mi
distrarrò più. Però pensaci, potrebbe
venirci utile.» spiegò il più giovane
ritrovando un minimo di entusiasmo a questa idea.
«E come pensi di contattarla?».
Ben sospirò e riabbassò lo sguardo: non ci aveva
pensato.
Quando però circa un’ora dopo, tornando alla
finestra, la scorse correre nella
piazza tentando di ripararsi dalla pioggia con un giornale,
pensò che la
fortuna per una volta fosse dalla loro parte. Senza avere il tempo di
dare
spiegazioni al collega, si precipitò fuori dalla stanza e
uscì di corsa
dall’hotel, prendendo la ragazza per un braccio dopo averla
raggiunta per
trascinarla, bagnata com’era, nella hall
dell’albergo.
«Ma che cosa...?» fece lei liberandosi impaurita
dalla presa dell’uomo, che
riconobbe solo dopo aver avuto il tempo di guardarlo negli occhi
«Ah, sei tu!»
esclamò con un sorriso.
«Ascoltami.» le spiegò conducendola
verso la propria stanza «Non ti ho chiamato
per quello che è successo ieri, di quello parleremo dopo.
Ascolta, tu vivi
nella sede dell’organizzazione del traffico
d’organi giusto? Tranquilla, non
devi negare, sappiamo già tutto
dell’organizzazione. Devi portarci dentro
all’edificio, oggi.».
La ragazza divenne seria all’istante «Non
posso.».
«Per Kallman? Lo arresteremo, non potrà farti
niente.».
Eve scosse il capo «No, non posso, non voglio.».
«Eve... ti prego. Un nostro amico è là
dentro e decine di bambini innocenti
vengono uccisi proprio lì... aiutaci a porre fine a questo
inferno!».
«Non posso! E poi scusami, come potresti fidarti di me?
Potrei essere una
criminale come tutti là dentro, potrei portarti a morte
certa.».
«Ma io so che non lo farai! Ti prego...».
~~~
Andrea
versò il tè nelle due tazze di ceramica e si
sedette
sul divano vicino all’amica.
Era andata a trovare Clara, come faceva spesso ultimamente. Le due
donne erano
diventate molto amiche, soprattutto dopo il matrimonio di Ben, e si
vedevano
spesso anche per una semplice chiacchierata.
Quel pomeriggio però nessuna delle due era di ottimo umore.
Il cielo fuori era grigio e minacciava pioggia, e il pensiero di avere
i mariti
così distanti e probabilmente in pericolo le schiacciava
inevitabilmente.
Non facevano che parlare di loro e delle loro preoccupazioni.
Sì, perché i primi tre giorni erano passati bene
o male tranquilli, ma adesso
la situazione cominciava a peggiorare, entrambe avevano presentimenti
terribili.
Terribili e soprattutto terribilmente reali.
~~~
«Al mio tre entriamo, pronti?» sussurrò
Eve, accovacciata vicino ad una piccola
porta in legno e i tre poliziotti intorno a lei annuirono, decisi.
Ben era riuscito a convincere la ragazza ad aiutarli e adesso si
trovavano sul
retro dell’edificio, davanti ad un’antica porta che
secondo lei portava ai
sotterranei del palazzo, che sfociavano poi direttamente in una
dispensa
interna a quest’ultimo.
Bronte aveva deciso di prendere parte con loro all’operazione
e si erano tutti
e tre muniti di pistole e giubbotto antiproiettili.
La ragazza non lo aveva voluto, sostenendo che se qualcosa fosse andato
storto
Kallman non avrebbe dovuto capire che fosse stata lei ad aiutarli,
altrimenti
non ne sarebbe uscita più viva.
«Tre.».
I poliziotti sfondarono la vecchia porta e per farlo bastò
un calcio ben
assestato. Entrarono nel lungo corridoio dai muri ammuffiti a cui essa
conduceva e poi camminarono e camminarono, sempre guidati dalla
ragazza, per
minuti che sembrarono ore.
Impiegarono quasi un quarto d’ora a raggiungere la porta di
comunicazione con
le stanze del palazzo e quando entrarono lo fecero discretamente,
attenti a non
produrre il benché minimo rumore per non essere scoperti.
Il loro scopo principale era quello di trovare Max e liberarlo, dato
che Eve
aveva confermato loro che l’uomo fosse tenuto prigioniero da
Igor dentro al
palazzo.
«Il vostro collega dovrebbe trovarsi qui, o almeno era in
questa stanza fino a
ieri sera.» sussurrò la ragazza aprendo piano una
porta.
Ma ciò che trovarono furono solo delle corde, una sedia e un
pesante odore di
chiuso.
«Deve averlo spostato. State vicino a me, questo palazzo
è peggio di un
labirinto.».
Ed era vero: decine e decine di corridoio tutti uguali, resi ancora
più
inquietanti dai soffitti alti e dai lugubri ritratti appesi alle pareti.
«Questo sembra mio nonno in preda ad un attacco di
pressione.» ironizzò Ben fermandosi
davanti ad uno di essi tentando di render l’atmosfera un
po’ meno tesa, ma la
sua battuta fu accolta solo da sguardi di disapprovazione.
«Va bene, ho capito, sto zitto.».
Camminarono ancora per un po’, prima di doversi appiattire
contro il muro
sentendo dei passi nel corridoio vicino. Proseguirono lasciando sempre
avanti
Eve, che si fermò ad un incrocio tra due lunghi e identici
corridoi.
«Il palazzo è grande, se andiamo avanti
così non finiamo più e diamo troppo
nell’occhio, rischiamo di farci scoprire. Dividiamoci, ognuno
segue una
direzione diversa.».
«Ma ci perderemo!» esclamò Bronte,
alterato.
«Non se ascoltate quello che vi dico: in ogni corridoio ci
sono quadri con la
cornice dorata da un lato e con la cornice di legno
dall’altro. Se tenete
quelle dorate alla vostra destra andate verso l’uscita, se
alla vostra sinistra
andate sempre più verso l’interno. Datevi
mezz’ora, e vi ritroverete poi tutti
fuori dal palazzo, io rimarrò qui, così Igor non
sospetterà niente. Tornerete
un’altra volta con dei rinforzi ad arrestarlo, è
già tanto se in tre riuscite a
recuperare Max e ad uscirne vivi.».
«Va bene, muoviamoci allora.» disse Semir
cominciando ad imboccare una delle
due strade.
«Okay... grazie Eve.» salutò Ben,
avvicinandosi alla ragazza.
Eve ricambiò il saluto, per poi farsi sempre più
vicina «Non so se ci vedremo
più Ben. Permettimi solo questo.».
Lo baciò delicatamente e fuggì di corsa lungo uno
dei corridoi, lasciando il
poliziotto solo in mezzo all’incrocio.
Niente
di che e di passaggio, ma era necessario.
Grazie a chi continua a seguirmi e a presto!
Sophie :D
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Capitolo 20 *** Labirinto ***
Labirinto
Ben
rimase immobile in mezzo al corridoio ancora per alcuni
istanti.
Eve se ne era andata e lo aveva lasciato completamente solo, dicendogli
che non
si sarebbero più visti... forse era meglio così,
almeno nemmeno volendo avrebbe
più avuto distrazioni. L’avrebbe dimenticata e a
caso concluso sarebbe tornato
da Clara, più innamorato di prima. Eppure quella previsione
lo aveva turbato,
sperò ardentemente che alla ragazza non succedesse nulla di
male, o forse non
se lo sarebbe mai perdonato.
Si guardò intorno, Semir e Bronte erano già
spariti. Si avviò verso sinistra
alla ricerca di Max, appiattendosi contro il muro ad ogni minimo
rumore,
osservato dagli occhi attenti di quelle persone dipinte immobili sulle
alte
pareti.
Semir
non staccò la mano dalla parete nemmeno per un
istante, assicurandosi attraverso le cornici di stare andando dalla
parte
giusta, verso l’interno del palazzo. Aveva sempre saputo che
Max non era la
talpa, ora non restava che trovarlo e rimetterlo in salvo, sperando che
non se
ne fosse già occupato Kallman.
Il buio era soffocante e una strana paura si stava lentamente facendo
strada
nel cuore del piccolo ispettore.
Troppo calmo quell’ambiente... come potevano esserci
così pochi uomini di
guardia? Probabilmente nessuno si aspettava un’irruzione da
parte della
polizia.
Proseguì accelerando il passo, sperando di trovarsi il prima
possibile fuori di
lì.
Un
rumore lo fece sussultare.
Alex Bronte si voltò di scatto con la pistola pronta alla
mano, costatando però
di essere completamente solo. Riprese a camminare con prudenza,
rallentando non
appena sentiva voci provenire da stanze o corridoi vicini.
Si chiese più volte per quale motivo si fosse lasciato
coinvolgere e maledisse
ancora una volta i colleghi dell’autostradale: prima o poi
quei due ispettori
lo avrebbero avuto sulla coscienza, poco ma sicuro.
Continuò a camminare con circospezione ed entrò
di soppiatto in una stanza per
controllare ma non vi trovò nessuno. Proseguì,
accompagnato da un’angoscia
sempre maggiore.
~~~
Dieter
accostò la macchina proprio sotto al palazzo di
Marcus Fisher.
L’assassino di Hanser non era stato così scaltro,
aveva lasciato delle impronte
al comando e Susanne, con l’aiuto di Hartmut, era riuscita a
rintracciarlo.
Lui e Otto salirono le scale del palazzo con circospezione e tolsero la
sicura
dalle pistole, i rinforzi erano appena dietro di loro.
Arrivati sul pianerottolo dell’appartamento che cercavano,
sfondarono la porta
con un calcio e per una volta furono fortunati: non avrebbero dovuto
fare
fatica ad arrestare il criminale, era steso sul divano, ubriaco
fradicio.
Sia loro sia i rinforzi riposero le pistole e prelevarono Fisher, semi
cosciente, per portarlo al comando.
~~~
Ben
si fermò un attimo per riprendere fiato. Senza nemmeno
accorgersene si era messo a correre e ad aprire tutte le porte delle
stanze che
incontrava ma di Max non c’era neppure l’ombra.
Improvvisamente si accorse che
mancava veramente poco all’appuntamento fuori
dall’edificio, avrebbe dovuto
sbrigarsi. Ma soprattutto si accorse di aver totalmente perso
l’orientamento:
quei corridoi erano tutti uguali e lui aveva dimenticato completamente
la
storia delle cornici. Doveva seguire quelle dorate o le altre per
raggiungere
l’uscita? Sentì dei passi farsi sempre
più vicini e si nascose dentro ad una
stanza vuota. Si era cacciato in un guaio, come avrebbe fatto ad uscire
di lì?
Semir
cominciò a perdere le speranze costatando che anche
quell’ultima stanza era vuota. Ma dove potevano averlo
nascosto? Perché non lo
trovava? Vide passare a pochi metri da lui una ragazza, era quella che
il
giorno prima aveva aperto loro la porta. Pensò di seguirla e
la vide entrare in
un’altra stanza per controllare qualcosa e poi uscirne
subito, in fretta. Semir
aprì quella porta con un po’ di timore, ma
finalmente una parte di angoscia
svanì quando intravide nella penombra una massa scura
appoggiata al muro: lo
aveva trovato.
«Semir!»
quasi gridò Max alzandosi e andandogli incontro.
Non era legato.
«Max, stai bene?».
L’uomo annuì «Come sei arrivato
qui?».
«È una storia un po’ lunga.»
spiegò il turco «Dai, vieni, dobbiamo uscire di
qui, abbiamo appuntamento fuori dal palazzo tra... due minuti. Con Ben
e
Bronte, dai andiamo!».
«Sai come uscire di qui?» domandò Max,
scettico.
«Sì, bisogna seguire i quadri, dai
vieni.».
Uscirono dalla stanza e si avviarono di corsa verso l’uscita.
Quando
riuscirono ad uscire da una porta sul retro senza essere
visti da nessuno, entrambi emisero un sospiro di sollievo.
«Ce l’abbiamo fatta! Grazie Semir.» fece
il biondo con un gran sorriso.
«Ti dovevo un favore.» rispose Semir, cercando
però con gli occhi l’altro
collega. Vide Bronte, sano e salvo, avvicinarsi a loro... ma Ben?
Dov’era Ben?
«Commissario, Ben è con lei?»
domandò, mentre il cuore cominciava a battergli
all’impazzata.
Il capo dell’LKA fece cenno di no, corrucciando la fronte
«Pensavo fosse già
fuori.».
«Mapporca...» imprecò Semir mentre
l’agitazione e la paura si facevano strada
in lui a velocità impressionante «Torno dentro a
cercarlo.».
Fece per rientrare ma un rumore lo bloccò sulla soglia.
Colpi di pistola.
Ben.
Ben
si protesse dietro una colonna. Lo avevano scoperto, uno
dei criminali gli stava già sparando addosso e prima o poi
sarebbero arrivati i
rinforzi ad aiutarlo. E lui aveva solo una pistola e un giubbotto
antiproiettili, gli altri erano sicuramente già fuori
dall’edificio.
«Vieni fuori sbirro, che ti ammazzo con le mie
mani...» diceva in continuazione
il criminale, ora girando con passo felpato per la stanza.
Ma non continuò per molto. Sentì che qualcuno lo
stava chiamando e uscì dalla
stanza piuttosto in fretta, non prima però di aver lanciato
sul pavimento due
cose: un fumogeno... e un piccolo fiammifero acceso.
Solo allora il poliziotto si accorse che nella stanza si trovavano
alcune
taniche dal contenuto infiammabile e che una di esse perdeva un liquido
trasparente troppo vicino alla fiamma di quel piccolo pezzetto di legno.
«Non ho il tempo di cercarti e non posso lasciarti vivo, mi
dispiace.» fece
l’uomo per poi scomparire di corsa tra il fumo che
già cominciava a diffondersi
nell’aria.
Ben cominciò a tossire e nel giro di pochi attimi non
riuscì più a respirare.
Non vedeva niente e sentiva che le forze lo stavano lentamente
abbandonando.
Si accasciò sul pavimento.
L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi
fu qualcuno che lo trascinava
per le braccia fuori da tutto quel fumo.
Semir
prese Ben per le braccia e cominciò a trascinarlo
verso l’uscita con tutta la forza di cui era capace. Gli
bruciavano gli occhi e
aveva cominciato a tossire anche lui violentemente, ma non poteva
permettersi
di fermarsi.
Continuò a trascinare l’amico, arrivando quasi
fino all’uscita, fortunatamente
vicina alla stanza.
Poi un rumore lo sorprese alle spalle, ed entrambi vennero scaraventati
in
aria, fuori dall’edificio.
Esplosione!
Almeno Max è salvo e sicuramente dovrà delle
spiegazioni ai colleghi.
Ben ha un brutto presentimento su Eve...
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio
Sophie :D
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Capitolo 21 *** Salvataggio ***
Salvataggio
I
poliziotti atterrarono contemporaneamente sulla schiena
con un colpo violento in seguito all’esplosione.
Bronte e Max dovettero spostarsi velocemente per non essere gettati a
terra.
Semir si rialzò quasi subito e si preoccupò
vedendo che il collega non faceva
altrettanto, ma rimaneva disteso ad occhi chiusi.
«Ben? Maledizione Ben, svegliati!» urlò
con il cuore che gli batteva
all’impazzata. Scosse con forza il corpo immobile
dell’amico, chiamandolo
ancora, ma non accadde assolutamente niente.
«Ben!» gridò ancora, terrorizzato. Si
voltò verso gli altri due colleghi in
cerca di aiuto ma trovò in risposta solo espressioni assenti.
Provò a chiamarlo e a scuoterlo ancora e ancora, per un
tempo che a lui parve
interminabile, in preda alla disperazione.
E
poi, finalmente, il giovane cominciò a tossire, aprendo
gli occhi.
«Ben? Grazie a Dio Ben, mi hai fatto prendere un
colpo!».
L’ispettore sorrise «E che divertimento ci sarebbe
altrimenti?» scherzò,
continuando però a tossire.
«Stupido.» lo apostrofò Semir
assestandogli una forte pacca sulla spalla.
Non ebbero il tempo di dirsi altro, sentirono un vociare confuso
all’interno
del palazzo, segno che i criminali all’interno erano stati
avvisati
dell’intrusione dei poliziotti e magari adesso li stavano
cercando, attirati
dal rumore dell’esplosione.
I quattro uomini si alzarono e si diressero di corsa verso
l’albergo.
~~~
Marcus
Fisher stava seduto nella scomoda sedia della stanza
degli interrogatori nel comando dell’autostradale, a Colonia.
Si era ripreso dalla condizione in cui gli sbirri lo avevano trovato,
in fondo
non aveva bevuto così tanto. Lo aveva fatto solo
perché sconvolto dalla paura:
temeva che presto gli uomini di Schwarzer sarebbero venuti a cercarlo
per
toglierlo di mezzo e nonostante tutto era felice che a raccattarlo
prima di
loro fossero stati gli sbirri. I quali però, da
più di un’ora non facevano
altro che tempestarlo di domande.
«Forse non mi sono spiegato.» ripeté
Dieter per l’ennesima volta «Voglio
conoscere tutti i dettagli dell’organizzazione per cui
lavori, tutti.».
L’uomo sbuffò, impertinente.
«Devo farla direttamente sbattere in una cella?»
provò ancora l’ispettore.
«E va bene, va bene. Ma sappia che lo faccio solo
perché non ne posso più di
stare qui dentro e perché voglio vendicarmi di Schwarzer...
vi racconterò
tutto.» concluse il criminale in un sussurro.
~~~
I
quattro poliziotti arrivarono ansimanti nel piazzale
davanti al loro albergo, scoprendo con sorpresa che i criminali non li
avevano
seguiti.
Si fermarono tirando un sospiro di sollievo ma Ben
ricominciò a tossire.
«Ben, tutto a posto?» domandò Semir,
preoccupato.
Il più giovane sorrise «Semir, rilassati, sembri
una corda di violino, è solo
un po’ di tosse.».
«Rilassati, certo, già che ci sono mi metto anche
un po’ a prendere il sole.»
fece ironico l’ispettore, facendo spuntare un timido sorriso
sulle labbra degli
altri tre uomini.
«Max, tutto bene?» chiese quindi Ben rivolto al
biondo poliziotto.
«Sì sì, solo... penso di dovervi delle
spiegazioni.».
«Già, penso anche io.» convenne Semir in
un sussurro.
«Che ne direste di parlare in albergo, signori? Sta
ricominciando a piovere.»
osservò Bronte, e il gruppetto si diresse a passo lento
verso l’entrata
dell’hotel.
Non sentirono l’uomo arrivare alle loro spalle.
Udirono solo il colpo di pistola e si bloccarono spaventati.
Si
controllarono a vicenda, nessuno di loro era stato
colpito. Ma non ebbero nemmeno il tempo di capire chi ci fosse alle
loro spalle
che sentirono un grido soffocato. Solo allora videro Bronte tra le
braccia di
Sebastian Fudger, che se ne faceva scudo puntandogli la pistola alla
tempia.
«Fudger!» esclamò Ben «Lurido
schifoso, eri tu la vera talpa, Max è
innocente!».
«Già e peccato che sia ancora vivo.»
commentò il criminale «Come siete stati
carini a venire a salvarlo, un gesto veramente coraggioso... che non
servirà a
niente.».
«Ti conviene arrenderti, Fudger, lascia il commissario. Siamo
in tre contro
uno, non puoi fare niente.» intervenne Semir estraendo come
gli altri la
pistola.
«Provate a sparare e io uccido il mio adorato
superiore.» intimò l’uomo.
«Tu... tu mi hai ingannato per tutti questi anni? Io mi sono
sempre fidato di
te, maledizione, sei sempre stato il mio braccio destro nelle
indagini!» sbottò
Bronte, ricevendo come risposta una maggiore pressione della canna
della
pistola sulla tempia.
«Già, per tutti questi anni... per tutti questi
anni trattato come una pezza da
piedi da un commissario incompetente come lei! Il troppo stroppia
commissario,
non l’aveva mai sentito dire?» fece Sebastian con
continua aria di sfida. Era
evidente che fosse fin troppo sicuro di sé, bisognava fare
qualcosa, salvare il
commissario dell’LKA in qualche modo.
«Lo lasci andare!» provò ancora Ben, ma
non ottenne reazioni.
«Sparate, che aspettate?» gridò Bronte
invece, sempre tra le grinfie del suo ex
sottoposto.
Max non fece nulla, sembrava come incantato. Aveva la pistola in mano
ma tutti
sapevano che non avrebbe sparato.
«Sparate, e avrete un commissario ridotto a
colabrodo.» intimò ancora Fudger.
Ben e Semir si scambiarono una rapida occhiata d’intesa.
Poi aprirono il fuoco.
Successe
tutto piuttosto in fretta e nessuno ebbe il tempo
di realizzare fino a che non fu tutto finito.
Spari, grida, poi la calma assoluta.
E Fudger, fortunatamente, era a terra ferito superficialmente.
Bronte era riuscito a divincolarsi dalla sua presa appena prima che si
aprisse
il fuoco e si era salvato, tutto sembrava andato bene.
I poliziotti, prima di tornare in albergo, andarono al comando della
polizia
criminale di El Fahim a consegnare Sebastian in manette.
Poi uscirono sollevati, non fecero caso alla frase che l’uomo
gridò loro dietro
prima che sparissero dalla sua vista, inizialmente non
sembrò importante.
«Ve ne pentirete. Se il capo subisce un torto non si
dimentica di chi glielo ha
fatto. Si vendicheranno, vi uccideranno, siete solo
all’inizio dell’inferno.
Avete capito? Per voi sta per iniziare un incubo fine.».
Grazie
mille per le recensioni, davvero!
A presto
Sophie :D
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Capitolo 22 *** Fuga ***
Fuga
I
poliziotti rientrarono in albergo sollevati sapendo il
traditore in prigione e si sistemarono tutti e quattro nella stessa
stanza per
ascoltare la vera storia di Max.
Non sapevano cosa stesse succedendo nel frattempo alla base
dell’organizzazione
criminale, non potevano saperlo...
Rebecca
si aggirava sola per i lunghi corridoi
dell’edificio, contemplando ancora i segni
dell’irruzione della polizia. Si
erano portati via Max, per fortuna: in questo modo lui non sarebbe
stato ucciso
e lei non sarebbe dovuta stare troppo a contatto con il proprio passato.
Sobbalzò quando sua sorella la sorprese alle spalle e si
voltò di scatto, con
aria dura.
«Li hai aiutati ad entrare?» domandò a
bruciapelo senza nemmeno salutarla.
Eve abbassò lo sguardo «Io non volevo... io ho
provato a dire di no ma...».
«Ma ti rendi conto di che rischio hai corso? Se Igor lo fosse
venuto a
sapere...» non concluse la frase per paura
delle sue stesse parole «Ma perchè?».
«Perché me l’ha chiesto Ben e io non ho
saputo dire di no.» mormorò la sorella
più piccola, con un tono tanto sottile che l’altra
dovette sforzarsi per
cogliere la frase.
«Ben?».
«È uno dei poliziotti... l’ho conosciuto
al mercato e... Reb, mi sono cacciata
in un bel guaio, vero?».
Rebecca scosse il capo con un sospiro «Ti prego Eve, non
abbiamo tempo per
flirtare con dei poliziotti! Non ora, soprattutto...».
«Lo so sorellona, hai ragione è che... non lo so,
quel ragazzo ha qualcosa di
speciale...».
La maggiore alzò gli occhi al cielo «Anche io ho
una notizia speciale da
darti... abbiamo i soldi per partire. Eve, possiamo fuggire!».
Eve quasi gridò rischiando di farsi sentire per la
felicità. Non poteva
crederci! Avrebbero potuto fuggire, potevano scappare da quella
prigionia
maledetta. Avrebbero cambiato stato, magari anche continente, si
sarebbero
costruite un’altra vita, lontane da tutto
quell’orrore. Era tanto entusiasta
che si dimenticò completamente persino di Ben.
«Davvero? Possiamo davvero?».
«Sì, abbiamo racimolato abbastanza soldi e
c’è un volo che parte stasera per
Berlino.» spiegò Rebecca con entusiasmo. Aveva
appena finito di fare i conti e
quando aveva scoperto che finalmente se lo sarebbero potute permettere
non ci
aveva creduto nemmeno lei.
«Allora prendiamolo! Partiamo Reb, meno stiamo qui meglio
è.».
«Sì ma prima devo liberare i bambini... ne ho
già troppi sulla coscienza, non
voglio lasciare anche questi tra le grinfie di Igor. Devo lasciarli
andare...
ci penseremo appena prima di lasciare l’edificio, ti
va?».
«Ma certo!» esclamò Eve. Non vedeva
l’ora, non le sembrava vero. Ma poi
improvvisamente si rabbuiò «Reb... ma cosa hai
intenzione di fare con Marie?».
La chirurga fissò la sorella minore negli occhi, spiazzata
da quella domanda.
Marie, non ci aveva pensato. Aveva sognato per anni e anni che
giungesse il
momento della fuga ma a Marie non aveva mai pensato. Cosa doveva fare?
Liberarla in strada come gli altri bambini?
«Dobbiamo portarla con noi.» affermò
Eve, sicura «È solo una bambina...».
«Anche gli altri sono solo dei bambini.»
sbottò Reb, cambiando completamente
tono.
«Certo ma Reb... Marie è tua figlia!».
Rebecca annuì, reprimendo le lacrime che minacciavano di
scendere sul suo viso.
Era vero, era sua figlia... ma era anche il suo legame più
stretto con
l’orribile vita passata.
Era il legame più stretto che aveva con lui.
Erano
le 16.03 quando le due sorelle decisero
definitivamente di entrare in azione. Avrebbero liberato in fretta i
bambini e
sarebbero fuggite a piedi, di corsa, verso l’aeroporto,
sperando che Igor
notasse la loro assenza solo una volta lontane. Era una follia, ed
entrambe lo
sapevano benissimo: il capo di Igor aveva contatti ovunque e magari le
avrebbero cercate... ma dovevano provare, era in gioco, finalmente, la
loro
libertà.
Entrarono di soppiatto nella stanza dei bambini e intimarono loro di
alzarsi
senza proferire parola. Quindi percorsero il lungo corridoio buio che
li
separava dall’uscita e aprirono la porta senza produrre
nemmeno un minimo
cigolio. Uscirono, Rebecca in testa con la piccola Marie per mano,
dietro una
decina di bambini stupiti e spaventati e a chiudere la fila
un’attentissima
Eve.
Rebecca sapeva perfettamente cosa fare: avrebbe portato i bambini
davanti al
commissariato della polizia criminale della cittadina, che tra
l’altro era
vicino all’albergo dove la sorella le aveva detto che
alloggiavano i poliziotti
di Colonia, in modo che gli ispettori del luogo li trovassero e
capissero la
loro provenienza per poi riportarli ognuno dalla propria famiglia.
Arrivarono davanti all’hotel e tutte e due tirarono un
sospiro di sollievo:
ancora nessuno sembrava averle scoperte.
Riuscirono a raggiungere il commissariato senza problemi e, dopo
essersi
assicurate che in giro non vi fosse nessuno, raggrupparono i bambini a
pochi
passi dall’entrata per dare loro le informazioni necessarie:
dopo che le
ragazze se ne fossero andate, i piccoli avrebbero semplicemente dovuto
chiamare
aiuto e gli agenti si sarebbero sicuramente presi cura di loro. Non che
Rebecca
si fidasse ciecamente della polizia locale, ma era pur sempre la
polizia e
aveva il dovere di occuparsi di situazioni del genere.
Entrambe fecero una marea di raccomandazioni ai piccoli, salutandoli
poi e
allontanandosi in fretta dal piazzale, portandosi dietro solo Marie.
L’aeroporto era a una mezzoretta di distanza a piedi,
dovevano muoversi se
volevano riuscire ad eseguire il check-in per poi partire con
l’aereo delle
18.00.
«No!» esclamò Eve ad un tratto.
Rebecca si bloccò di colpo. Erano appena uscite dal
piazzale, riavvicinandosi
alla base, da cui adesso distavano solo una ventina di metri per poi
prendere
la strada che le avrebbe portate all’aeroporto.
«Cosa c’è?».
«Il medaglione! Reb, l’ho lasciato in camera mia,
alla base, devo andare a
prenderlo!».
«Ma non se ne parla nemmeno Eve, dobbiamo andare, non
c’è tempo.» esclamò la
maggiore.
«Io non me ne vado senza il medaglione, è
l’unico ricordo della mamma che mi
rimane.» affermò Eve. Era testarda, lo era sempre
stata.
«Ti prego Reb, ci metto un attimo.».
«Se Igor ti vede...».
«Igor non mi vedrà, stai tranquilla una buona
volta!».
Rebecca annuì «E va bene, io ti aspetto qui fuori
dalla porta ma sbrigati e
stai attenta, ti prego.».
La più giovane sorrise e si avviò di corsa verso
la porticina laterale
dell’edificio.
Solo poco più tardi la chirurga si sarebbe accorta di aver
fatto il peggiore
errore della propria vita.
Bastò un rumore.
Il suono di uno sparo che si diffuse nell’aria, ed il cuore
le si fermò nel
petto.
Ops.
Chi ha sparato e a chi?
Un bacio e grazie mille per le recensioni!
Sophie :D
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Capitolo 23 *** Pioggia e racconti ***
Pioggia e racconti
«E
questo è tutto.» fece Max con aria sconsolata.
Aveva appena terminato di raccontare tutta la sua storia agli altri tre
poliziotti, esattamente come l’aveva raccontata prima a
Rebecca.
«E perché hai deciso di infiltrarti da solo,
così?» domandò Ben ancora
leggermente scettico.
«Non lo so, volevo risolvere il caso, volevo fare da solo...
e ho fatto solo un
disastro, se non fosse stato per voi a quest’ora sarei morto.
Ah, dimenticavo
di dirvi una cosa: il mio cognome non è Rieder, quello me lo
avevano affibbiato
in seguito alla storia del traffico d’organi per paura che i
criminali mi
venissero a cercare. Il mio vero nome è Max
Schwarzer.».
A Semir andò per traverso il caffè che stava
sorseggiando.
«Semir? Semir, tutto bene?» si preoccupò
Ben dandogli una forte pacca sulla
schiena.
«Sì ma... Schwarzer?» domandò
il turco cercando di non pensare all’idea che gli
era appena venuta in mente.
«Sì... perché?» chiese Max,
senza capire.
Semir non rispose, prese un foglio che aveva sulla scrivania e lo
osservò
attentamente: era la foto del capo dell’organizzazione che
Susanne gli aveva
mandato per mail. Come aveva fatto a non pensarci prima? Erano
identici,
incredibilmente simili...
«Max... lo conosci?» chiese all’ispettore
porgendogli il foglio «È Carl
Schwarzer, il capo dell’organizzazione.».
Max sbiancò e rimase immobile con la foto sotto agli occhi.
«Papà...».
«Come
si sente?» domandò Bronte con preoccupazione.
Avevano fatto sedere Max sul letto e gli avevano portato un
po’ di acqua e
zucchero.
«Meglio, grazie. Che bastardo... che bastardo! Ecco
perché si era completamente
disinteressato alla faccenda di mio figlio, lui ci avrebbe solo che
guadagnato!
Ecco perché poi era sparito! Criminale, odioso,
lurido...».
«Max, calmati magari è solo un caso di omonimia,
magari non...» provò Ben, ma
ormai il biondo sembrava inarrestabile.
«Ben, ho visto la foto, so riconoscere mio padre...
nonostante non lo veda da
sette anni. Non posso crederci... non posso crederci! Tutti quei
bambini, li ha
tutti lui sulla coscienza! Scommetto che è stato lui...
sì, è stato lui a dare
l’ordine di uccidere mio figlio invece che operarlo.
È colpa sua se Angela e
morta ed è colpa sua se...».
«Max, aspetta un attimo! Non è che stai correndo
un po’ troppo?» lo interruppe
ancora Semir, ma ogni loro sforzo di farlo calmare sembrava inutile.
«Non sto correndo affatto! A che serve negare
l’evidenza? Ora voglio trovarlo.
Perché appena lo trovo io... io...».
Lo interruppe il campanello della porta della camera
d’albergo, che suonò con
insistenza.
Rebecca
suonò ancora e poi bussò freneticamente, gridando
aiuto.
Non si calmò nemmeno quando sentì un certo
movimento provenire dall’interno
della stanza, continuò a sbattere i pugni sulla porta di
legno fino a che un bel
ragazzo alto non le venne ad aprire. Quindi si gettò nella
stanza e raggiunse
Max, lasciandosi andare tra le sue braccia ad un pianto disperato.
«Rebecca?
Rebecca, che succede? Cosa ci fai qui?» fece il
poliziotto sconvolto, mentre i colleghi lo guardavano straniti.
«Mia sorella...» singhiozzò la ragazza
«L’ha uccisa! L’ha uccisa!»
gridò tra le
lacrime. Il suo corpo era scosso dai forti singulti, la giovane era
agitatissima, il viso rosso, gli occhi gonfi di lacrime.
«Rebecca... calmati, cosa è successo? Chi ha
ucciso chi?» fece il biondo sempre
più preoccupato.
«Igor!» gridò la ragazza, e non
riuscì a dire nient’altro.
Continuava a piangere, non riusciva a calmarsi.
Bronte le toccò una spalla e lei si voltò,
mostrando al commissario due occhi
straziati dal dolore... due occhi che a Ben non poterono che ricordare
quelli
di Eve.
Un pensiero orribile gli attraversò la mente: che quella
ragazza fosse proprio
la sorella di Eve? Ma in quel caso...
«Kallman ha ucciso sua sorella?» domandò
Ben corrucciando la fronte e Rebecca
annuì, tornando quindi tra le braccia di Max «Noi
volevamo scappare... noi...».
Scoppiò di nuovo in pianto disperato.
«Erano
anni che mettevamo da parte i soldi per fuggire, e ci
eravamo riuscite. Avremmo avuto un volo oggi alle diciotto per Berlino,
abbiamo
liberato i bambini ma poi lei è tornata indietro a prendere
il medaglione di
nostra madre e Igor l’ha sorpresa... io sono fuggita, avrebbe
ucciso anche me!»
spiegò Rebecca.
I quattro poliziotti erano riusciti a farla calmare almeno un minimo,
il
necessario perché la ragazza riuscisse a raccontare cosa
fosse successo. Ora
stava lì, seduta su una sedia, gli occhi segnati dal pianto
e le mani tremanti.
Ben non avrebbe resistito ancora a lungo. Voleva capire...
«Eve?» domandò semplicemente.
E lo sguardo affermativo che gli lanciò la chirurga fu
più che sufficiente a
mandarlo in confusione.
Si portò una mano alla fronte e sospirò, tentando
di mantenere il controllo,
tentando di paragonare il dolore che poteva sentire lui a quello che
invece doveva
provare Rebecca.
«Mia mamma me l’aveva affidata... era piccola
quando è morta, mi ha detto che
mi sarei dovuta prendere cura di lei e io non ne sono stata in
grado.» mormorò
ricominciando a piangere silenziosamente.
«Tu non hai nessuna colpa.» sussurrò Max
cingendole la vita con un braccio.
L’atmosfera all’interno di quella piccola stanza
d’albergo era diventata
pesante e la pioggia che batteva contro i vetri non faceva che rendere
gli
animi ancora più tristi.
Improvvisamente Max sembrò ricordarsi di qualcosa e
corrucciò la fronte.
«E Marie?».
«Ce l’ha lui.» disse Rebecca.
Ma non sembrava addolorata per questo. I suoi pensieri erano rivolti
tutti
verso sua sorella... e la bambina? Max era sicuro che fosse sua figlia
anche se
lei non gliene aveva mai parlato. Come faceva a non preoccuparsi di sua
figlia
nelle mani di un criminale?
«Mi ha detto che così non sarei andata tanto
lontano.» spiegò lei, poi un
sorriso amaro le si dipinse sulle labbra «Ma tanto non la
ucciderebbe mai. Non
potrebbe mai uccidere la figlia del suo capo perché verrebbe
ucciso a sua volta
in quattro e quattr’otto.».
«La figlia del suo capo?» domandò Semir.
Continuava a non capire, come Ben e il
commissario Bronte, d’altra parte.
«La figlia di mio... padre? Quella bambina?»
domandò Max ancora più incredulo.
Era palese che nessuno in quella stanza stesse capendo più
nulla. Nessuno
tranne Rebecca, che ebbe la conferma di ciò che aveva
intuito.
«Carl Schwarzer è tuo padre?» chiese la
ragazza recuperando lucidità e mettendo
per un attimo da parte il dolore che provava per la sorella. Aveva
pronunciato
quel nome per la prima volta dopo cinque anni e mezzo e lo aveva fatto
con
disgusto.
Alla tacita risposta di Max, Rebecca continuò «Lo
sapevo, l’ho immaginato non
appena ti ho visto. Mi sa che è ora che tutti voi sappiate
delle cose. La mia
storia Max già la conosce e ve la racconterà. Ma
forse non sapete che Carl è
effettivamente il capo dell’organizzazione: è una
delle persone più spietate e
cattive che abbia mai conosciuto. È stato lui ad uccidere
mia madre dopo averla
violentata anni fa ed è stato lui ad aprire la sede, per
fare soldi. Ha
cominciato ventidue anni fa con il chiaro obiettivo di espandersi e
diventare
capo di un’organizzazione internazionale e ci è
riuscito. Io vivo lì da quando avevo
sei anni e ho visto morire prima mia madre, poi tanti uomini anche
prima
dell’apertura vera e propria della sede e soprattutto tanti
bambini. Lui
uccideva perché gli faceva comodo, uccideva se una persona
non gli serviva più,
uccideva se una persona gli stava anche solo semplicemente antipatica.
Poi sei
anni fa l’ha fatto anche con me... mi ha violentata e io sono
rimasta incinta.»
fece una pausa asciugandosi una lacrima che piano le scorreva sulla
guancia.
«Nove mesi dopo è nata Marie e io ho partorito da
sola in una stanza buia, una
di quelle della sede. Poi non l’ho più rivisto.
Continua a dirigere
l’organizzazione ma viene a far visita alla struttura solo
ogni tanto, la sede
ora è in mano a Igor Kallman. Io ho accettato di fare da
chirurga perché non
avevo altro posto dove stare, perché lì avevo mia
figlia e mia sorella e perché
mia mamma mi aveva affidata a Igor prima di morire, quando ancora lui
non era
immerso in questo traffico criminale. Ora è diventato come
loro... e anche io
sono diventata come loro.» concluse in un sussurro.
Nessuno ebbe il coraggio di replicare per qualche attimo.
«Tu non sei come loro.» affermò quindi
Max «Altrimenti adesso non saresti qui a
raccontarci tutto questo.».
Lei scosse il capo sorridendo amaramente «Se mia sorella non
fosse morta io non
sarei qui. E se sono qui adesso è perché voglio
Igor e Carl in galera, perché
li voglio spacciati per sempre. È chiaro poi che io
andrò con loro. Ma voglio
prima vedere loro in prigione e mia figlia viva. E voglio poter
piangere sul
cadavere di mia sorella prima che loro si sbarazzino del suo corpo come
di
quello di un’estranea qualunque che hanno ucciso
perché era diventata troppo
ingombrante, come lo era diventata mia madre.».
Silenzio.
Era calato di nuovo nella stanza velocemente.
Solo lo scrosciare della pioggia ormai lo rovinava.
Adesso
sappiamo che è Max, chi è Marie e chi
è Rebecca.
Forza che non restano ancora tanti capitoli!
Un bacio e grazie mille a tutti coloro che mi stanno seguendo.
Sophie :D
|
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Capitolo 24 *** Affare ***
Affare
«Ha
detto che è molto vendicativo, giusto?»
riepilogò
Bronte, seduto a braccia conserte su una sedia. Era l’unico
che ancora dava del
lei a Rebecca.
«Esatto. E
adesso, se lo conosco almeno
un po’, vorrà farvela pagare per aver portato
scompiglio nella loro sede e per
aver liberato Max. probabilmente Carl ormai sa che si trattava di suo
figlio ma
non penso che questo lo possa fermare.» spiegò la
ragazza.
«Ma figuriamoci!» intervenne Max, con voce dura e
distante «Quel bastardo ha
ordinato di far uccidere suo nipote, come potrebbe preoccuparsi per
me?».
«Va bene, ma come dovrebbe farcela pagare? Insomma, abbiamo
la polizia turca
dalla nostra parte, non potrà certo ammazzare tutti gli
agenti uno per uno, è
assurdo!» obiettò Semir girando per la stanza
senza mai fermarsi.
«Ma tu credi davvero di poter contare sulla polizia locale?
Quelli sono
corrotti, Carl tiene in pugno l’intera città... ma
non avete visto che clima regna
in paese anche nelle più normali giornate? La gente ha paura
e ha paura perché
c’è lui.»
disse la ragazza.
«In pratica siamo cinque contro mille.»
costatò Ben con un sorriso amaro.
«In pratica.» convenne Rebecca.
«Va bene, ma allora come facciamo a sbatterli
dentro?» domandò Semir, scettico.
«Io penso che prima dovremmo pensare a salvarci, poi a
sbatterli dentro.»
continuò la giovane chirurga «E a salvare Marie
che però vi ripeto, non corre
nessun rischio fino a che è in mano a Carl. Lui la vuole
viva, semplicemente
perché spera possa essere la sua
“erede”, non si fida abbastanza di Igor.».
«Allora ci servono rinforzi.» affermò
Bronte «Possiamo chiamare dei colleghi
dalla Germania.».
«Già ma prima di domani in giornata non
arriverebbero.» notò Ben «E quei
criminali potrebbero anche decidere di agire questa notte, sono solo le
sette.».
«Chiamate i colleghi, se riescono a venire è
comunque meglio, io non mi fiderei
né della polizia di El Fahim, né di quella delle
località qua vicino.» disse
Rebecca e il commissario dell’LKA si alzò di
scatto estraendo il cellulare e
componendo il numero del comando. Si allontanò per parlare
con i colleghi in
Germania lasciando gli altri alla loro discussione, che venne
però interrotta
dallo squillo del cellulare di Ben.
«Jager? Buonasera. Senta, la blocco in anticipo, non mi
faccia la ramanzina sul
fatto che dovrei starmene a letto e mi spieghi cosa sta succedendo
laggiù.»
fece una voce femminile dall’altro capo del telefono.
«Capo! Sta bene?» domandò invece Ben,
felice di sentirla.
«Jager, giunga al dunque.» lo redarguì
subito il commissario e all’ispettore
venne da sorridere.
«Capo, abbiamo liberato Max e sappiamo per certo che il capo
dell’organizzazione è Carl Schwarzer. Ora temiamo
si voglia vendicare per la
nostra irruzione alla sede... Bronte sta chiamando i suoi
perché vengano
rinforzi il prima possibile, la polizia turca potrebbe essere
corrotta.».
«Mi sa che abbiamo a che fare con un pezzo grosso. Mi creda
che se potessi
sarei già lì.».
«Ma non stento a crederlo commissario! Però
è meglio se si riposa...».
«Jager, cosa le ho detto? Nessuna ramanzina. Mando anche
qualcuno dei miei
uomini. Noi abbiamo arrestato uno dell’organizzazione che ha
sputato il rospo e
Susanne sta continuando a cercare informazioni. Io spero di uscire
presto
dall’ospedale. State attenti per favore. Gerkhan e Rieder
tutto bene?» domandò
la donna.
«Sì capo, stia tranquilla.».
«Molto bene, allora ci sentiamo, ditemi se avete
novità.».
«Perfetto, buona serata.» salutò Ben
prima di riattaccare.
«Signor
Schwarzer, cosa devo fare con gli sbirri?».
«Li voglio morti.» fece una voce decisa.
Carl Schwarzer era appena entrato alla base. Era passato un
po’ da quando vi
aveva fatto visita l’ultima volta ma era accorso subito
quando aveva capito che
le cose si stavano mettendo male.
Gli occhi blu puntati in quelli del suo interlocutore, rifletteva.
«Hai tu la bambina, Kallman?».
Igor annuì.
«Allora usala. Attirali qui con la scusa di restituire loro
la bambina e poi
falli fuori. Ma non fare del male a Marie, mi servirà.
È ancora abbastanza
piccola, avrò il tempo di inculcarle in testa le mie idee,
sarà la mia erede
perfetta.».
«E suo figlio?» domandò Kallman con un
impercettibile tremore nella voce.
«Quello non è mio figlio, è prima di
tutto uno sbirro.» replicò l’uomo
passandosi una mano tra gli ormai sbiaditi capelli rossicci.
Poi si sedette su una poltrona, e aspettò.
«Allora,
come stai?» domandò Semir in un sussurro.
Aveva trascinato Ben per un attimo nell’altra stanza, era da
quando era
arrivata Rebecca che voleva parlargli e non ci era ancora riuscito. Ma
non gli
erano sfuggiti gli sguardi dell’amico quando aveva appreso
della morte di Eve.
«Bene.» mormorò il più
giovane con un sospiro.
«Ben... sai che a me puoi dire qualsiasi cosa, no? Quanti
anni sono che
lavoriamo insieme? Non vorrai che io mi beva il fatto che tu ora stai
bene.»
cominciò Semir fissando l’altro negli occhi
«Dai, parla.».
«Ma niente Semir, sto bene, davvero. La notizia di Eve mi ha
sconvolto un po’,
è vero, ma poi ho pensato al dolore di Rebecca rispetto al
mio... io non la
conoscevo Semir, e non ero innamorato di lei. Io amo Clara e ne sono
sicuro,
adesso più che mai. Non so cosa mi sia preso quando
l’ho baciata, davvero, ma
io amo mia moglie più di ogni altra cosa, così
come amo il bambino che arriverà
tra poco.».
Semir sorrise e annuì «Lo so socio... sei un
maritino modello.».
I due risero e fecero per tornare dagli altri ma lo squillo del
cellulare di
Semir li fermò.
«Sì, Semir.».
«Signor Gerkhan? Buongiorno...
Buonasera,
anzi. Penso che io e lei dovremmo parlare.».
«Signor Schwarzer?» domandò Semir
immobilizzandosi in mezzo al corridoio e
attirando così l’attenzione del collega.
«Perspicace Gerkhan, bravo. Vedo che
il
mio adorato figlioletto le ha già parlato di me. Mi ascolti,
vi propongo un
affare.».
E
finalmente Schwarzer entra in gioco attivamente... cosa
avrà in mente?
Grazie mille a chi continua a seguirmi,
un bacio.
Sophie :D
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Capitolo 25 *** Per ogni cosa c'è un prezzo da pagare ***
Per ogni cosa
c’è un prezzo da pagare
Ben
indossò il giubbotto antiproiettili e se lo
sistemò
addosso con cura. Poco distante, Semir faceva altrettanto. Dopo lunghe
discussioni si era deciso che sarebbero andati solo loro due
all’appuntamento
con Schwarzer, che per telefono aveva proposto ai poliziotti di andarsi
a
prendere la bambina, senza volere nulla in cambio: poteva essere una
trappola e
non era prudente cadervi tutti insieme.
Max ne sarebbe rimasto fuori perché troppo coinvolto e
Bronte avrebbe trattenuto
Rebecca insieme a lui in albergo.
«Pensi davvero che voglia consegnarci la bambina?»
domandò Semir scettico
mentre entrambi si dirigevano a piedi verso il luogo
dell’appuntamento.
Ben scosse il capo «Penso che la piccola sia
l’ultimo dei suoi pensieri, quello
vuole vendicarsi e basta. Anzi, sai cosa ti dico Semir? Forse sarebbe
meglio se
andassi solo io.».
«Spero tu stia scherzando.» fece
l’ispettore continuando a camminare nonostante
il collega si fosse fermato un attimo in mezzo alla strada.
«Non sto affatto scherzando, tu hai Andrea e le bambine e
questa storia non mi
piace nemmeno un po’.» replicò il
più giovane con aria preoccupata.
«Ben, non vale più questa scusa, adesso anche tu
hai famiglia.» rispose il
turco con tono che non ammetteva repliche.
Continuarono a camminare diretti sul luogo dell’appuntamento
e quando
arrivarono si fermarono, guardandosi intorno circospetti, temendo il
peggio.
Eppure non accadeva niente, assolutamente niente. Nella piccola
piazzola ai
margini del paesino di El Fahim regnava un silenzio assoluto,
interrotto
solamente dal cinguettio di qualche uccellino.
«Semir... sicuro che il posto fosse questo?»
bisbigliò Ben con la mano destra
pronta sulla pistola.
Il collega annuì toccando con lo sguardo ogni angolo alla
ricerca di qualcosa,
di un segnale. Fu allora che notò qualcosa: qualcosa che si
muoveva spuntando
da dietro l’angolo di un palazzo color mattone.
Indicò il punto al più giovane
ed entrambi si avvicinarono lentamente.
Voltarono l’angolo, e ciò che videro li
lasciò per qualche attimo senza parole.
La
piccola Marie era seduta per terra, legata mani e piedi e
imbavagliata e si dibatteva continuamente nel tentativo di chiamare
aiuto.
Ben e Semir si lanciarono un rapido sguardo interrogativo e il primo
slegò la
piccola con un piccolo coltellino svizzero che portava dietro.
«Ehi piccola...» le disse togliendole il bavaglio
«Tutto bene? Sei ferita?».
La bambina scosse il capo corrucciando la fronte, guardando i due
uomini con
espressione spaesata, ma non impaurita.
Non ottenendo risposta, il più giovane ripose la domanda,
ottenendo però il
medesimo risultato.
«Ben, ha cinque anni, non penso sappia il tedesco se
è sempre vissuta qui.»
osservò Semir e cominciò a parlarle dolcemente in
turco. Allora Marie rispose e
i due dialogarono per qualche minuto, sotto gli occhi stupiti di Ben,
che non
capiva una parola.
Assistette alla scena totalmente muto, osservando la piccola che
consegnava un
foglio al collega, poi
l’ispettore che la faceva alzare tenendola per mano e
dicendole qualcosa.
Semir cominciò quindi a camminare per il piazzale con il
foglio tra le mani,
leggendo le fitte righe che esso conteneva.
«Posso sapere cosa mi sono perso?»
domandò Ben curioso.
«Portiamo la bambina in albergo, qui non
c’è nessuno, non è una trappola,
volevano
solo consegnarci questo foglio e la storia non mi piace nemmeno un
po’.» spiegò
Semir mentre tutti e tre si allontanavano dal piazzale e Ben prendeva
in
braccio Marie assicurandosi che nessuno le avesse fatto del male.
«Ma cosa c’è scritto?».
«Ora te lo leggo...».
“Carissimi
ispettori Jager e Gerkhan,
perché lo so, sarete venuti solamente voi due...
Sorpresi di non aver trovato i miei uomini ad accogliervi? Io ho
mantenuto la
mia parola, ho liberato la bambina.
In cambio però voglio la vendetta. Per voi è
appena cominciato l’Inferno, ispettori,
con adesso inizia un incubo da cui mai più vi risveglierete.
In questi giorni avete gravemente compromesso la mia organizzazione e
adesso
pagherete, perché per ogni cosa c’è un
prezzo da pagare.
Ah, la vendetta, solo il pensiero mi allieta l’animo.
Mi vendicherò Gerkhan, Jager, riferitelo pure anche ai
vostri colleghi, anche a
mio figlio già che ci siete: mi vendicherò di voi
quattro il prima possibile...
e vi assicuro che vi pentirete di essere nati.
Vi auguro una buona giornata.
Carl Schwarzer”.
Pochi minuti dopo Ben, Semir e la piccola Marie si trovavano nella
solita
camera d’albergo. Madre e figlia si erano riabbracciate ed
era seguito un
momento di serenità che però non era durato a
lungo. Gli ispettori avevano letto la lettera ai colleghi
e l’atmosfera
era tornata cupa come poco prima alla velocità della luce.
«Quel bastardo... se lo vedo giuro che lo strozzo con le mie
mani.» mormorò
Max. Non era arrabbiato, era furioso, fuori di sé. Non aveva
mai avuto un buon
rapporto con suo padre, ma mai avrebbe creduto che quell’uomo
potesse essere il
capo di una delle più importanti organizzazioni criminali in
ambito addirittura
internazionale. E se prima per Carl aveva solo provato indifferenza,
adesso la
sfera dei sentimenti che provava per lui ruotava solo ed esclusivamente
intorno
all’odio: odio per un padre che non c’era mai stato
e che ricompariva dopo
tanti anni nei panni di un mostro, di un criminale in cerca di vendetta
anche
nei confronti del proprio figlio poliziotto.
Il telefono di Ben squillò interrompendo bruscamente quel
silenzio inquieto che
si era venuto a creare e il giovane ispettore rispose in attesa di
buone
notizie: «Sì, Jager.».
«Ben, sono Hartmut!».
«Einstein!» Ben attivò il vivavoce in
modo che tutti potessero ascoltare e raccontò
tutto ciò che era successo al tecnico della scientifica, che
in quel momento si
trovava al comando accanto a Dieter e Susanne.
«Questo è tutto. Il problema è che
adesso questo Schwarzer si vuole vendicare e
noi non abbiamo idea del “come”.».
«Forse io una mezza idea l’avrei.»
commentò quindi lo scienziato.
«Davvero? Illuminaci Einstein, che ne abbiamo
bisogno.» implorò Semir,
sconfortato.
«Dunque, voi siete quattro poliziotti tedeschi in terra
straniera e alloggiate
in un piccolo paesino sperduto in Turchia, luogo che non conoscete, e
non
potete nemmeno contare sull’aiuto della polizia del posto.
Siete totalmente
soli...».
«Signor Freund, potrebbe essere più conciso per
favore?» domandò Bronte
cominciando a spazientirsi.
«Commissario, fa sempre così, ci dovrà
prendere l’abitudine.» gli sussurrò Ben
alzando le spalle.
«Sì sì, agli ordini.»
esclamò invece il rosso dall’altro capo del
telefono «In
poche parole, se io fossi un criminale in cerca di vendetta, vorrei per
prima
cosa che voi foste soli e completamente isolati. Vorrei che non poteste
contare
su nessuno, assolutamente nessuno, nemmeno sui mezzi di comunicazione
che vi
legano a noi qui in Germania. Infondo è grazie a questi se
avete scoperto tutto
ciò che sapete sul conto
dell’organizzazione.».
«Bene, sono d’accordo, ma questo è
possibile?» domandò Ben corrugando la
fronte.
«Sì, possibilissimo. Ho giusto dato
un’occhiata via internet alla città, ho un
programma particolare che mi permette di guardare come dal vivo il
paese angolo
per angolo e...».
«Hartmut!!».
«Va bene, va bene.» si scusò il tecnico
«In breve: i cavi che servono alle
comunicazioni telefoniche fra i cellulari sono tutti raggruppati in un
unico
contenitore appena fuori dal paesino, al confine opposto rispetto a
quello in
cui si trova il vostro albergo. Basterebbe tagliare quei fili per
provocare un,
chiamiamolo così, “blackout” totale nel
campo delle comunicazioni. In tal caso
i cellulari sarebbero totalmente inutili e voi sareste ancora
più isolati.
Anche perché in paese non esistono cabine telefoniche
funzionanti a quanto so.».
«Fantastico, allora dovremmo muoverci ed evitare che...
Hartmut? Hartmut, mi
senti?» quasi urlò Ben nel cellulare ottenendo
però in risposta solo un
fastidioso fruscio.
Chiuse la comunicazione e guardò i colleghi.
«Il mio cellulare non prende.» esclamò
Max.
«Nemmeno il mio.» costatò Semir
«Mi sa che Schwarzer ha avuto quest’idea ancora
prima del nostro Einstein.».
«Già... ci ha fregati di nuovo.».
Aggiornamento
un po’ tanto veloce... Grazie a Maty, Furia,
Chiara, Reb e Miki per le recensioni! Ancora tre capitoli e abbiamo
finito.
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 26 *** Soli ***
Soli
«Come sarebbe a dire
“isolati”?» sbottò Kim Kruger,
seduta
sul letto della sua stanza in ospedale.
«Già.» confermò Hartmut
facendo su e giù inquieto.
«Proviamo a contattare la polizia del luogo.».
«Già
provato, non rispondono.».
«Stia un po’ fermo, maledizione! Mi fa venire il
mal di mare.» gridò il
commissario e il tecnico della scientifica si fermò di colpo
in mezzo alla
stanza.
«Mi scusi, ma sono preoccupato. Al comando Dieter ha
interrogato Fisher, che
non ha fatto altro che parlare delle vendette che mette in atto il suo
capo e
adesso che Ben, Semir e Max sono isolati io ho paura che...».
«Ha ragione.» commentò la donna
«Ma è necessario che manteniamo il sangue
freddo se vogliamo aiutarli in qualche modo. Intanto avvisi la moglie
di Jager
e quella di Gerkhan, devono essere al corrente.».
Il ragazzo dai capelli rossi annuì e fece per uscire della
stanza, ma si fermò
sulla porta: «Però commissario, lei dovrebbe
riposarsi... ha subito un
intervento complicato e...».
«I miei uomini migliori sono a duemila chilometri di
distanza, isolati e forse
ad un passo dalla morte, non ho nessuna intenzione di riposarmi senza
prima
aver trovato un modo per aiutarli.» affermò decisa
la Kruger.
Hartmut annuì ancora ed uscì in corridoio senza
più replicare.
~~~
L’atmosfera
all’interno di quella piccola stanza d’albergo
era sempre più lugubre.
Era sera inoltrata ormai e i quattro poliziotti erano tesissimi.
Rebecca e la
bambina si erano entrambe addormentate in un angolo, vinte dalla
stanchezza e
dalla tensione.
Bronte girava per la stanza nervoso, senza fermarsi un attimo, in cerca
di una
qualche illuminazione che potesse essere loro d’aiuto.
Semir era dietro ai vetri della finestra, in costante allerta in caso
gli
uomini di Schwarzer fossero andati a cercarli.
Ben si rigirava la fede tra le dita, seduto su una sedia con lo sguardo
perso
nel vuoto e Max controllava ogni dieci secondi di avere la propria
pistola a
portata di mano.
Nessuno di loro osava parlare.
Fu Ben a rompere il silenzio, finalmente.
«Forse dovremmo spostarci e raggiungere un altro paese per
riuscire a
comunicare con il comando. Nemmeno il fisso dell’albergo
funziona.».
«Il paesino più vicino è a dieci
chilometri di distanza, ci hanno messo in
disuso la macchina, è notte e abbiamo anche una bambina di
cinque anni dietro.»
osservò Semir allontanandosi per la prima volta da quella
finestra.
«E comunque non servirebbe, ci bloccherebbero la
strada.» costatò Max in preda
allo sconforto.
«Comunque sia non dobbiamo perdere le speranze.»
esclamò ad un tratto Alex
Bronte «Insomma, siamo pur sempre poliziotti, no? E non ci
dobbiamo arrendere,
dobbiamo solo stare uniti e lavorare insieme... chiaro?».
Ben e Semir lo fissarono e poi si scambiarono un’occhiata
ironica: quello che
avevano davanti non sembrava nemmeno lo stesso odioso ed impertinente
commissario con cui avevano collaborato negli anni passati, in quel
momento si
dimostrava addirittura una persona ragionevole. Se poi era lui a
parlare di
lavoro di squadra!
Max annuì e il silenzio ripiombò nella stanza.
Dovevano farsi venire in mente qualcosa.
~~~
«Io
non ce la faccio.» esclamò Clara lasciandosi
cadere di
peso sul divano «Io ho paura, non ce la faccio!».
«Clara, vedrai che andrà tutto per il
meglio.» tentò di tranquillizzarla
Andrea. Non che lei non avesse paura, ma l’amica era quasi
sull’orlo delle
lacrime e in quel momento aveva più bisogno di appoggio di
lei.
«Ma sono soli, Andrea! Soli e in mano a quel pazzo di un
criminale.».
«Sì ma sanno cavarsela, dammi retta. Si sono
trovati in situazioni ben
peggiori.».
La giovane donna scosse il capo, accarezzandosi il pancione
«Ho paura...».
Andrea si sedette di fronte a lei.
La verità era che anche lei aveva paura, una paura folle e
il presentimento che
l’aveva assalita ancora prima che il marito partisse per la
Turchia si faceva
ogni attimo più forte e reale.
Non sapeva per quanto ancora sarebbe potuta restare lì con
le mani in mano. Il
suo pensiero volò veloce alla ricerca che aveva compiuto al
computer quel
pomeriggio sui voli in programma per El Fahim, ancora prima di sapere
in che
guaio si fossero cacciati Semir e gli altri.
No... non poteva aspettare...
«Senti Clara, io li raggiungo domani mattina.».
~~~
«Agiremo
domani mattina. Ma non uccideteli subito, fate in
modo che riescano a scappare, ci divertiremo di più, li
inseguiremo e poi li
faremo fuori. Tutti a parte la bambina e mio figlio, con lui voglio
parlare
prima faccia a faccia.».
Schwarzer sogghignò, assaporando in anticipo la sua dolce
vendetta. Una
vendetta rivolta verso gli sbirri che gli avevano creato problemi ma
anche e
soprattutto verso suo figlio, che era diventato uno di loro.
«Per la prima volta domani uscirò allo scoperto
anche io.» aggiunse.
E le note di una risata malvagia si diffusero nell’aria
chiusa della stanza.
Altro
capitolo di calma prima della tempesta, dal prossimo
si torna all’azione e ci avviciniamo al finale... Andrea che
vuole raggiungere
Semir, secondo voi promette bene?
Grazie per le recensioni e al prossimo
Sophie :D
|
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Capitolo 27 *** Inferno ***
sdc
Inferno
Il suono di uno sparo riecheggiò forte nell’aria e
il vetro
della finestra andò in pezzi.
«Mapporca...!»
imprecò Semir scansando il proiettile giusto di qualche
millimetro «Giù, state giù!».
Tutti si abbassarono impauriti e Marie cominciò a
singhiozzare silenziosamente,
tenendo stretta la mano della mamma.
Ben e Semir si scambiarono un’occhiata veloce: i criminali
avevano deciso di
attaccare. La notte era passata tranquilla nonostante nessuno in quella
stanza
avesse effettivamente chiuso occhio ma a quanto pareva Schwarzer non si
era
affatto dimenticato di attuare la sua vendetta.
Max guardò l’orologio: le undici e venti, anche la
prima parte della mattinata
non aveva riservato sorprese, ma tutti sapevano che prima o poi quel
momento
sarebbe arrivato.
«Dobbiamo uscire dall’albergo!»
esclamò Ben.
Bronte annuì e sollevò appena la testa per
controllare la situazione fuori
dalla finestra quando un altro sparò risuonò
nell’aria.
«Commissario, si vuole far ammazzare?!» lo
rimproverò Semir estraendo la
pistola.
Ben prese per mano Rebecca, che aveva in braccio la bambina, e tutta la
comitiva raggiunse piano la porta per correre poi velocemente
giù per le scale
e raggiungere la hall dell’albergo.
Fu allora che li videro: erano sette, vestiti di nero e armati di
mitragliette,
stavano entrando dall’ingresso principale
dell’hotel e presto se ne sarebbero
aggiunti altri.
Max si guardò attorno, interdetto: dove era finito tutto il
personale
dell’albergo?
«Bastardi, erano d’accordo anche con
loro.» commentò mentre la rabbia gli
montava dentro a dismisura. Ogni attimo che passava si rendeva sempre
più conto
di che razza di persona fosse quell’uomo che lui da piccolo
aveva chiamato
“papà”.
«Svelti, usciamo dalla porta sul retro!»
esclamò Ben e tutti lo seguirono fuori
dall’hotel, mentre i criminali entravano e si guardavano
attorno. Ma non ci
volle molto perché capissero che gli sbirri erano fuggiti
dall’altro ingresso.
Cominciò un vero e proprio inseguimento, dove
però erano gli uomini di
Schwarzer a seguire i poliziotti e non viceversa come sarebbe dovuto
essere.
Corsero, corsero, corsero a perdifiato per le stradine strette di El
Fahim,
incuranti della pioggia, incuranti degli sguardi dei pochi passanti che
assistevano attoniti ma non intervenivano.
Corsero per un tempo che a loro sembrò interminabile, uno
dietro all’altro,
girandosi di tanto in tanto a sparare ai loro inseguitori.
Fino a che all’orizzonte non scorsero una struttura
rettangolare.
«L’aeroporto.» mormorò Max,
allo stremo delle forze.
Non avrebbero dovuto dirigersi lì, rischiavano di mettere a
rischio la vita di
persone innocenti, ma d’altra parte non avevano molta scelta
con i criminali
che li tallonavano a pochi metri di distanza. Almeno forse
lì ci sarebbero
stati degli agenti di sicurezza disposti ad aiutarli...
Andrea
atterrò in perfetto orario e si diresse in fretta
verso la sala principale dell’aeroporto, ma venne sommersa da
una marea di
persone. Cosa stava succedendo? Come poteva esserci così
tanta gente in un
aeroporto così piccolo e secondario?
Udì dei rumori che riconobbe come colpi d’arma da
fuoco e si sentì gelare il
sangue nelle vene: temette di essere arrivata troppo tardi.
~~~
Hartmut
si precipitò nella stanza trovando Kim Kruger
intenta in un fitto colloquio con suo cugino.
Aveva un’espressione dolorante sul volto e il viso era
particolarmente pallido,
segno che ancora la donna sentiva le conseguenze
dell’intervento subìto.
Ma il tecnico non fece caso a tutte queste cose, agitato
com’era.
«Commissario, abbiamo ripreso le comunicazioni. Ci ha
contattato l’aeroporto di
El Fahim, non può capire cosa sta succedendo!».
~~~
Il
delirio.
Era esattamente questo che si stava consumando nel piccolo ma affollato
aeroporto di El Fahim: il delirio.
Mentre
alcuni agenti di sicurezza dell’edificio tentavano di tenere
sotto protezione
la folla, che confusa gridava e scappava, gli uomini di Schwarzer si
avviavano sempre
più verso l’interno, ormai facendosi strada solo a
colpi di pistola.
Ben,
Semir, Max e Bronte correvano, gridando di tanto in tanto alla folla di
allontanarsi, mentre Rebecca e Marie erano riuscite a trovare riparo
dietro uno
dei banconi dove si effettuavano i check-in. Quando i quattro fuggitivi
furono
raggiunti, quello che era stato fino ad allora un delirio si
trasformò in un
vero e proprio inferno.
Il
gruppo si fermò davanti alla sala di attesa
dell’aeroporto, che venne sgombrata
ad una velocità incredibile, e i criminali diedero inizio ad
un vero e proprio
conflitto a fuoco, che durò un’infinità
di tempo.
Ben si riparò dietro una fila di sedie cercando di
riprendere fiato e da lì controllò
la situazione: alcuni dei pochi agenti della polizia turca che erano
intervenuti in loro aiuto, forse i pochi non ancora corrotti da
Schwarzer, erano
a terra, feriti. Fuori dal grande cerchio immaginario che si era
costruito
autonomamente attorno a loro, una valanga di gente assisteva gridando
spaventata alla scena a distanza di sicurezza. In lontananza
già si udivano le
sirene delle ambulanze che accorrevano, probabilmente chiamate dal
personale
dell’aeroporto.
Max,
Semir e Bronte erano ancora in piedi e sparavano schivando i colpi dei
criminali.
Quella in cui erano coinvolti sembrava una gara a chi avrebbe ammazzato
prima
l’avversario, una scena orribile.
Ben
rimase immobile al sicuro ancora qualche secondo: aveva bisogno di
riprendere
fiato e capire come e quando agire.
Quando
un agente
addetto alla sicurezza spiegò ad Andrea il motivo per cui
non si poteva passare,
la donna si sentì mancare. Una sparatoria... Semir doveva
essere coinvolto. Il
terrore si impadronì di lei e nel giro di pochi secondi si
ritrovò a dover
supplicare la guardia perché la lasciasse passare.
«Signora, è troppo pericoloso, è in
corso un conflitto a fuoco, rischia di
essere colpita.» spiegò l’uomo per
l’ennesima volta, in inglese.
«La prego... lei non sa... voglio solo sapere se mio marito
è vivo, la prego!»
gridò Andrea ormai con le lacrime agli occhi.
«Suo marito preferirebbe che lei stesse al sicuro, ne sono
certo. Stia qui, tra
poco sarà tutto finito.» la rassicurò
l’uomo addetto alla sicurezza.
La donna scosse in capo piangendo disperata.
Poi successe l’imprevedibile.
Ben
tentò di capire
quale fosse il momento ideale per entrare in campo. Molti erano a
terra,
feriti, ma forse la polizia stava finalmente cominciando ad avere la
meglio.
Fu allora che vide. Vide Semir che, distratto dal grido di un agente
turco
appena colpito, si voltò leggermente per guardare. Vide Carl
Schwarzer, che
aveva notato solo ora essere tra gli inseguitori, approfittare della
situazione
e colpire... sì, Schwarzer in persona.
Semir si voltò nuovamente giusto in tempo per notare le dita
dell’uomo che
premevano il grilletto, ma non ebbe il tempo di reagire.
Sentì un forte dolore al braccio destro e la pistola gli
cadde di mano.
Andrea
riuscì
finalmente a sfuggire al controllo della guardia e si fece strada tra
la folla
impaurita. Doveva raggiungerlo, doveva a tutti i costi, aveva un
presentimento
orribile. Spinse le persone che la ostacolavano, superò
uomini e donne urlanti
e piangenti, mentre sentiva gli spari sempre più vicini.
Qualche metro dietro di lei l’agente cercava di seguirla.
Semir
strinse i denti
portando la mano sinistra sul braccio sanguinante: era stato colpito
solamente
di striscio. Vide Carl Schwarzer sorridere beffardo.
«Lurido bastardo...» sibilò osservando
come il criminale si metteva nuovamente
in posizione per sparare, per finirlo.
Ben nel frattempo uscì dal suo nascondiglio per fermare Carl
ma un altro
dell’organizzazione gli tagliò la strada. Un
combattimento corpo a corpo,
rapido, violento, e il criminale fu a terra.
Finalmente
Andrea
riuscì a superare la marea di gente che aveva davanti e
arrivò a quella che un
tempo era stata la sala di attesa e che adesso sembrava essere
diventata un
semplice campo di morte. Numerosi agenti tentarono di fermarla, ma lei
riuscì
ad avanzare, in preda al panico: alcuni poliziotti e alcuni criminali
giacevano
inerti a terra, altri erano feriti. In piedi ormai rimanevano quattro o
cinque
persone.
Si fermò ed esattamente davanti a lei, che le dava le
spalle, vide il marito,
ferito e disarmato, nel mirino di un uomo.
Ben
corse verso Carl
Schwarzer, ma questo già stava premendo il grilletto.
«Semir, sta’ giù!»
gridò con quanto fiato aveva in gola. Ma non
riuscì a
fermare il criminale prima che il colpo partisse dalla canna di
quell’arma
maledetta.
Il suono sordo rimbombò nell’aria chiusa
dell’aeroporto.
Semir si gettò a terra appena in tempo.
Mentre Andrea non ebbe il tempo di accorgersi di nulla:
sentì il suono dello
sparo, vide il marito davanti a lei accasciarsi e temette che
l’avessero
colpito.
Ma nel giro di un attimo sentì un dolore lancinante in pieno
petto.
E cadde a terra.
Ben
gridò mentre Carl
Schwarzer se la dava a gambe aiutato da Igor Kallman e da un altro
criminale
rimasto in piedi. Non provò a fermarli, era sconvolto.
Andrea... perché Andrea
era lì? Perché? La pistola gli cadde di mano
mentre la donna davanti a lui, a qualche
metro di distanza, cadeva a terra.
Semir non vide la scena. Si rialzò dolorante tenendosi il
braccio e guardò Ben
per ringraziarlo. Ma il ragazzo aveva gli occhi fissi su un punto alle
sue
spalle e il terrore dipinto sul volto. Il turco si voltò
seguendo lo sguardo
del collega.
E un intero mondo gli crollò addosso.
Rimase per un attimo come paralizzato prima di correre verso la moglie
stesa a
terra e inginocchiarsi accanto a lei, sollevandole la testa e tenendola
tra le
sue braccia.
«Andrea...» mormorò «Andrea,
rispondimi...».
La donna mosse appena il capo e provò a dire qualcosa ma
dalla sua bocca uscì
solo un sussurro confuso.
Semir rimase immobile, non capiva. Non capiva come tutto ciò
potesse essere
vero, non capiva come sua moglie potesse trovarsi lì, a
duemila chilometri da
casa, non capiva. Era nel panico più totale, non capiva cosa
stesse succedendo,
dove si trovasse, cosa dovesse fare.
Fu Ben a togliersi la maglietta usandola come un fazzoletto per tentare
di
fermare l’emorragia mentre Max si avvicinava di corsa, senza
curarsi del padre
ormai lontano.
Ben tamponò la ferita cercando di rimanere freddo e lucido,
cosa che in quel
momento non riusciva a fare Semir, che osservava la scena come
incantato.
«L’ambulanza sta arrivando.»
esclamò Max tentando di tenere a bada con l’aiuto
di Bronte e di alcune guardie la folla di curiosi e giornalisti che si
era
avvicinata.
Il commissario dell’LKA prese un giornalista per la manica
del giubbotto e lo
spinse violentemente indietro: «Allontanatevi, non
c’è nulla da vedere, andate
via.».
«S-Semir» chiamò Andrea mentre i sensi
lentamente la abbandonavano. L’uomo si
chinò per sentire.
«Semir... volevo... io volevo vedere se... se stavi
bene.» tossì e ricominciò a
parlare «io... io volevo...».
«Shhh» sussurrò Ben al posto del
collega, continuando a tamponare la ferita
«Andrea, non parlare... non ti sforzare...
l’ambulanza sta arrivando. Andrà
tutto bene, vedrai.».
Semir invece non disse niente, non fece niente. Era troppo sconvolto,
non
capiva, non riusciva a capire. Si limitò ad accarezzarle
piano la testa
sperando che tutto ciò non fosse vero.
Non proferì parola quando Andrea venne messa su una barella
e caricata
sull’ambulanza, niente quando Ben lo aiutò ad
alzarsi. Non sentì le parole
dell’amico, tutto gli appariva sfocato, i suoni erano
ovattati e distanti.
«Semir... Semir, dobbiamo andare.» gli disse ancora
Ben, trascinandolo
letteralmente sulla prima macchina disponibile presente là
fuori, chiesta in
prestito dalla polizia locale.
Fu il viaggio peggiore della loro vita.
Ben, alla guida, seguiva l’ambulanza senza perderla
d’occhio un istante,
sfrecciando per le vie della città ad una
velocità folle. Max, sul sedile
posteriore, controllava Semir che invece, accanto a Ben, sembrava
ancora
completamente in trance. Era pallido come non lo avevano mai visto, gli
occhi
lucidi da cui però non sgorgava nemmeno una lacrima.
«Semir...» fece Max toccandogli una spalla e
l’ispettore sembrò svegliarsi per
qualche istante. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne
uscì alcun suono.
Tornò a guardare fuori dal finestrino e poi chiuse gli occhi.
Non poteva essere vero: Andrea non aveva mai lasciato Colonia, non
poteva
essere vero.
Ed
ecco a voi la
tempesta prevista.
Grazie davvero a chi mi ha seguito fino a qui, ancora un capitolo e
potremo
mettere la parola “fine” a questa storia. Chi mi
legge da tempo sa già che
normalmente scrivo due finali per le mie storie e solo
all’ultimo decido quale
dei due pubblicare... quindi vedremo!
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 28 *** E poi tutto finì. ***
E poi tutto
finì.
«Semir...
guardami,
ascoltami, andrà tutto bene.» ripeteva Ben ormai
quasi automaticamente,
lanciando un’occhiata alla strada ed una al collega.
L’uomo annuì leggermente controllando la
velocità a cui stavano viaggiando: 180
km/h.
«Ben ha ragione, tranquillo.» continuò
Max dal sedile posteriore.
Bronte era rimasto all’aeroporto.
L’ambulanza davanti a loro sfrecciava sicura a sirene
spiegate verso l’ospedale
della città accanto perché quello di El Fahim non
era sufficientemente
attrezzato.
Ma quanto distava ancora questo ospedale?
~~~
Clara
si sedette sul
divano dopo aver cacciato un urlo, piegata in due dal dolore, di nuovo.
Aveva appena avuto una contrazione, sì, la seconda
contrazione, ne era sicura.
Ma perché così presto? Ancora mancavano
più di due mesi alla data stabilita per
il termine della gravidanza.
Fece un respiro profondo, tentò di tranquillizzarsi.
Afferrò il cellulare e compose in fretta il numero di suo
padre.
~~~
Semir
intravide solo
per un attimo il viso della moglie, appena prima che le porte della
sala
operatoria gli si chiudessero in faccia. Ma quell’attimo fu
più che sufficiente
a mandarlo ancora più nel panico: era immobile e
pallidissima, non sembrava nemmeno
respirare.
Si lasciò cadere su una sedia del bianco corridoio e,
finalmente, pianse.
~~~
Clara
tremava.
Seduta su quel letto in una stanza del freddo ospedale di Colonia, la
mano
nella mano del padre, tremava come una foglia e non per il freddo ma
per la
paura.
«Stai tranquilla, andrà tutto bene, sono qui con
te.» disse il signor Offback
con voce calda, accarezzandole delicatamente i capelli.
«Papà, ho paura.».
Ben non c’era. Lei stava per partorire in anticipo di due
mesi e Ben non era
con lei. Non sapeva nemmeno se fosse vivo o meno.
Un’altra contrazione, ormai erano molto ravvicinate.
Calde lacrime cominciarono a scorrere lungo le guance della ragazza,
nel giorno
che sarebbe dovuto essere il più felice della sua vita.
~~~
Ben
si sedette accanto
all’amico «Ehi... Semir, calmati, andrà
tutto bene...».
L’ispettore scosse il capo, tra le lacrime «No...
non andrà tutto bene... il
medico... prima di entrare ha detto che...».
«Lo so, che sarebbe stato un intervento difficile. Ma questo
non vuol dire che
non riesca!».
«Ben... dovevo essere colpito io! Ero io il bersaglio,
maledizione!».
Il più giovane sospirò, senza sapere come poter
tentare di tranquillizzare
l’amico «Semir, ascoltami, Andrea ce la
farà!».
Ma il turco non sembrava nemmeno ascoltarlo, era disperato,
completamente.
«Io non ce la faccio se... se...» e riprese a
piangere, scosso da violenti
singhiozzi.
In cinque anni di lavoro fianco a fianco Ben non ricordava di averlo
mai visto
così disperato prima di quel momento.
~~~
Clara
urlò ancora una volta
mentre una serie di persone in camice bianco si disponevano
attentamente
attorno a lei pronte ad aiutarla a partorire.
«Signora, adesso però deve
tranquillizzarsi.» le disse il medico con voce
delicata ma ferma «Deve concentrarsi, va bene?».
La ragazza scosse il capo terrorizzata.
Ben, dov’era il suo Ben? Perché non era accanto a
lei, perché non c’era?
«Mi ascolti... deve stare tranquilla e tra poco
sarà tutto finito.».
~~~
Max
misurava il
corridoio a grandi falcate senza fermarsi un momento. Il senso di colpa
lo
stava divorando letteralmente dall’interno.
Suo padre aveva appena sparato alla moglie di Semir, non riusciva a
crederci!
Se prima lo odiava e basta, adesso si vergognava di avere nel sangue il
sangue
di quell’uomo orribile. Sperava che quella donna che nemmeno
conosceva si
riprendesse, o non se lo sarebbe mai perdonato.
Ben, poco distante, aveva un nodo in gola che non voleva saperne di
sparire.
Era terrorizzato dall’idea di ciò che potesse
accadere ad Andrea, a quella
donna che gli aveva sempre voluto bene come se fosse stato suo figlio.
E allo stesso tempo aveva un altro strano presentimento... Clara...
~~~
«Forza,
dai, ancora un
piccolo sforzo!» quasi gridò il medico
«Forza, spinga che ci siamo quasi!».
Ancora uno sforzo, un dolore mai provato e poi a Clara
sembrò per qualche breve
istante di non sentire più nulla.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì un’infermiera
le stava già porgendo un
piccolo fagotto bianco.
La ragazza lo prese e lo osservò per un attimo senza parole.
Era una femmina.
Bianca... era così piccola...
Clara scoppiò a piangere, di nuovo, ma questa volta le sue
lacrime esprimevano
una gioia incontenibile.
Rideva e piangeva insieme, non riusciva a crederci...
Bianca!
~~~
Quando
le porte
scorrevoli si aprirono, Semir non ebbe il coraggio di alzare
immediatamente lo
sguardo.
Sentì il medico avvicinarsi e vide il collega seduto accanto
a sé scattare in
piedi e andare incontro all’uomo che avanzava in camice
bianco.
Poi alzò gli occhi e lo vide.
Vide Ben chiedere al dottore e questi rispondergli in un sussurro.
Vide Max da distanza fare altrettanto e in risposta ricevere da parte
di Ben
un’unica, eloquente occhiata.
Quindi diresse lo sguardo direttamente negli occhi del medico e lo
interrogò
senza parlare.
Anche lui rispose senza bisogno di parole.
Bastò un rapido movimento del capo per comprendere.
Bastò quel “no” appena accennato.
... E poi tutto finì.
THE
END
Eh
già, questa volta
niente lieto fine. O meglio, dipende dai punti di vista, almeno Clara
è
riuscita a partorire e Ben è diventato papà anche
se ancora non lo sa. Ma
Andrea...
Grazie, grazie davvero a tutti coloro che hanno seguito questa storia e
un
grazie ancora più grande a chi ha recensito. Grazie a Maty,
Furia, Chiara,
Rebecca, Miki, BlackFire per i consigli e per le vostre opinioni
capitolo per
capitolo, mi hanno fatto davvero molto piacere.
Per concludere la serie mancano ancora due storie, la prima delle quali
arriverà presto, spero che vorrete seguire anche quella.
Grazie mille ancora e alla prossima, sperando di non avervi annoiato.
Un bacio
Sophie :D
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