Drunk In Love

di arklaychild_1998
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Impatto ***
Capitolo 2: *** Sorpresa ***
Capitolo 3: *** Fuoco. ***
Capitolo 4: *** Colazione ***
Capitolo 5: *** Complicazioni ***
Capitolo 6: *** Dolore ***
Capitolo 7: *** Verità ***



Capitolo 1
*** Primo Impatto ***


I miei capelli sono davvero intrattabili, più mi guardo allo specchio, più me lo dico. Dannazione Cassie! La mia coinquilina mi ha costretto a partecipare a un assurdo appuntamento a quattro con il suo ragazzo Tom. Certe volte, faccio davvero fatica a dormire quando viene qua. Continuo a pettinarmi i capelli ribelli, mettendo in mostra i miei colpi di luce biondi, quando entra nel bagno e comincia a mettersi il mascara. “Oh, sono così eccitata! Finalmente conoscerai George” Io rispondo col mio solito “Wow” e continuo a pettinarmi. “Oh, che palle Adam! Per una volta che faccio una cosa giusta! Ti ho trovato il ragazzo perfetto” Mi giro di scatto e la guardo in faccia: “Ah si! Come gli ultimi tre, il primo non sapeva neanche di che sponda era, il secondo idem, il terzo era un coglione, col cazzo più grosso del cervello e questo?!” faccio una pausa “E poi che razza di nome è George?” Lei mi fa il verso, imita il mio “wow” e poi mi dice che se continuo a pettinarmi in maniera così maniacale i capelli, un giorno di questi me li ritroverò in mano. Ci vestiamo e scendiamo, chiamiamo un taxi che ci porta nel centro di Manhattan. Andiamo tutti al Planet, un locale molto in voga sulla sesta che alla sua apertura aveva attirato le più alte sfere sociali della città. Facciamo presente alla direttrice di sala chi ci sta aspettando e ci guida al tavolo prenotato. Noto subito la mano di Tom che si agita per farsi vedere e subito dopo un bellissimo ragazzo coi capelli color mogano seduto, posato ed elegante, vicino a lui. “Ciao amore” urla Cassie che si butta sulle labbra di Tom, mentre lo strano ragazzo continua a fissarmi e a sorridere. La cosa strana è che non sorride a me, sorride a qualcosa di più lontano, qualcosa che non riesco a vedere e che forse non voglio nemmeno scoprire. “Adam, questo è George” dice Cassie “George, questo è Adam” “Il piacere è infinitamente mio” Il suo tono di voce è solare, quasi angelico, come il suo volto, ma con una leggera sfumatura di qualcosa che non riesco ancora a captare. Ci stringiamo le mani e subito sento una scossa di emozioni, un vortice di passione che mi circonda. “Piacere” dico imbarazzato. Tom rompe il silenzio che si è formato: “Abbiamo ordinato anche per voi, se non è un problema” “Affatto” faccio presente. Passiamo una bella serata, tra calici di Champagne, discorsi che variano dalla politica, all’economia fino a discorsi stupidi come le celebrità e lo shopping. George parla in modo scorrevole, misurato ed elegantemente svogliato, è un ragazzo con la testa sulle spalle, sembra responsabile e sicuro di sé, come se non avesse paura di nulla. Per tutta la serata mi osserva, come per inquadrarmi, per capire che tipo di persona sono, ma anche come per indovinare la mia taglia, il mio peso o semplicemente il modo in cui gesticolo o la frequenza con cui sbatto le palpebre. Sinceramente mi imbarazza e mi inquieta, ma mi affascina allo stesso tempo e mi fa sentire quasi interessante e non il patetico ragazzo di Bristol trasferitosi a New York senza sogni da inseguire. Usciamo dal locale e George chiama un taxi che ci porti fino a casa. È il momento dei saluti. Abbraccio Tom e mentre la coppietta felice limona appassionatamente per la strada, io e George ci guardiamo e poi ci abbracciamo. “A presto caro” mi dice e salgo sul taxi spiazzato. “Com’è andata?” mi chiede Cassie tutta eccitata. Le rispondo bene, ma in realtà sono inquietato perché tra “a presto” e “caro” George mi ha sfiorato il lobo dell’orecchio con la lingua e una parte di me, la più impulsiva e selvaggia, non vede l’ora di vederlo.

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Capitolo 2
*** Sorpresa ***


Mi sveglio il mattino dopo, sono stanco e anche un po’ brillo.
Cassie sta dormendo stretta al suo peluche-giraffa, a cui la mia simpatica coinquilina ha dato il nome di Dimma.
Vado in bagno, mi guardo allo specchio, mi lavo i denti e comincio a pettinarmi i capelli, sapendo benissimo di essere in mutande e che una volta vestito si sarebbero spettinati di nuovo.
Sono le 6.00, il mio turno inizia tra un quarto d’ora.
Lavoro da Giacomo’s, un simpatico bar in Little Italy come cameriere.
I proprietari mi adorano e spesso ritorno a casa con due portate di lasagne, Cassie le adora.
Prendo la metro e arrivo al bar puntuale, quotidiano batti cinque con Marco, il figlio del proprietario e mi metto a lavorare.
Tra un servizio e l’altro, racconto a Marco la mia serata.
“Avresti dovuto vederlo, era così bello, elegante e così terribilmente…”
“Arrapato! Dai Adam! Ti ha leccato il lobo! È da pervertiti!” mi rimbecca lui.
Io sinceramente l’ho trovato fantastico, ma non gliel’ho faccio presente, non voglio spaventarlo.
Vado dietro il bancone e pulisco un po’ di tazze, quando Marco mi sorprende da dietro.
“Cosa c’è? Mi hai spaventato, Marco!” 
“Guarda” 
Mi giro ed eccolo lì. George.
Vestito di tutto punto col suo meraviglioso completo di Armani.
“Non è semplicemente figo?”
Lo guardo sorpreso “Marco, ma sei gay? Comunque è lui, George”.
Le guance del figlio del proprietario si fanno rosse e continua a guardare verso di lui.
Si siede ad un tavolo ed io corro immediatamente da lui, col vassoio in mano.
“C’è n’è voluto di tempo per trovarti, caro” 
“Ehm, ciao, George, cosa desideri?”
Mi guarda da cima a fondo con occhi maliziosi e poi mi fa cenno di sedermi.
“Veramente non potrei, sto…”
“Siediti”
Agli ordini. Mi siedo e lo guardo negli occhi, cercando di decifrare il suo sguardo.
“Vedo che sei molto obbediente, caro”
“Io sono obbediente con alcune persone, in alcuni casi”
“Affascinante” si guarda ripetutamente l’orologio e poi mi sorride.
Ieri sera non l’avevo notato. Ha un sorriso meraviglioso.
Come uno di quei sorrisi che vorresti incorniciati al tuo volto piuttosto che a quello degli altri.
“Sono stato davvero bene ieri sera” dico.
“Anch’io, caro, e mi piacerebbe molto conoscerti un po’ più da vicino”
“Vicino?” Il mio cuore comincia a pulsare.
“Vicino” ripete lui, sorridendo.
Ogni volta che sorride, ho l’istinto di baciarlo e fare mie quelle labbra, ma posso solo immaginare la dolcezza che possono nascondere.
“Che ne dici, se io e te stasera, andiamo a teatro e poi ti offro una bella cena?”
Sono sotto shock, quel bellissimo ragazzo mi sta chiedendo di uscire.
Non riesco a nascondere la gioia, ma fingo la mia felicità per lui per la passione del teatro.
“Oh si! Adoro i musical! Ne sarei davvero entusiasta” 
“Perfetto, passo a prenderti alle 9.00” sorride “Fatti trovare pronto, o potrei arrabbiarmi”
Dal suo tono di voce non saprei dire se scherza o se dice sul serio, ma non mi faccio domande e gli dico che non deve preoccuparsi.
“ A stasera, carissimo”
Mi mordo le labbra e trattengo l’eccitazione.
È tutto così fottutamente perfetto, è sono sicuro che dopo stasera non dovrò immaginare la dolcezza delle sue labbra, perché mi apparterranno. 
Stasera non si torna a casa.

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Capitolo 3
*** Fuoco. ***


Mi passo una mano tra i capelli, mi osservo allo specchio e guardo l’orologio.
Sono le 9.00, sento un’auto che si avvicina al viale.  È arrivato.
Mi sistemo la camicia nera e saluto Cassie, che mi augura il meglio dalla serata.
Scendo e vedo George, appoggiato ad una Porsche nera, che mi sorride.
“ Buonasera, caro” lo saluto e ci stringiamo in un abbraccio.
Mi apre la portiera e saliamo in macchina.
George mi riempie di complimenti e io divento sempre più imbarazzato e rispondo con continui borbottii che lo fanno ridere.
Arriviamo a destinazione e rimango a bocca aperta.
Siamo al New Amsterdam Theatre, guardiamo The Lion King, uno dei miei musical preferiti. 
Mi accompagna in un posto privato, lontano dagli altri spettatori.
“Siamo così isolati” dico.
“Così possiamo goderci lo spettacolo privatamente” mi dice con un sorriso malizioso.
Comincia lo spettacolo, è un’esplosione di colori vivaci e variopinti.
Sento la mano di George sulla mia coscia, poi avvicinarsi sempre di più verso il mio membro.
La sua bocca sul mio collo, la sua lingua che mi accarezza dolcemente.
Io mi mordo il labbro e sento i brividi lungo la mia schiena, mentre lui comincia a premermi forte il pacco.
Con l’altra mano cerca il mio volto, mi prende il mento e comincia a baciarmi.
Cazzo, bacia come un dio!
La sua mano intanto, si muove sempre più velocemente, mentre la sua lingua e la mia danzano, l’una contro l’altra.
“Ti sta piacendo lo spettacolo?” mi chiede ironico.
“Si, penso che dovrei venire più spesso a teatro” rispondo a tono.
“Bene” si stacca bruscamente da me, togliendo la mano “Allora, per il resto, aspetti stasera”
Bastardo! Mi vuole far dannare.
Cerco il suo volto, ma lui non molla: “No, no, Adam” mi dice “Il resto, stasera”.
Finisce lo spettacolo e saliamo in auto.
“Ti è piaciuto lo show?” 
“Molto” Ovvio che mi è piaciuto lo show, lo avrò visto almeno sette volte.
Si ferma davanti ad un edificio piuttosto elegante, l’ingresso è lussuoso e il portiere ci apre la porta con un gran sorriso.
George mi conduce all’ascensore: 12 piano, suite n.123.
Che classe.
Apre la porta d’ingresso con la carta, come in Pretty Woman e mi invita a fare come se fossi in casa mia.
Trovo il bagno, mi do una sistemata, continuo a domare i miei capelli sebbene non ne abbiano bisogno e mi lavo i denti.
“Sei pronto, Adam, esci da questo cazzo di bagno” mi ripeto.
Vedo George sdraiato sul letto, camicia aperta e boxer.
Il mio aspetto non è molto diverso, escludendo il paragone dei prezzi tra la mia e la sua biancheria.
Mi sdraio di fianco a lui e comincio a guardarlo, ma lui non fa niente.
Non comincia. Non agisce. E io continuo a guardarlo ansioso di iniziare.
“Lo sai che non si fa niente stasera vero, Adam?” 
Lo guardo sconvolto e lui continua: “Si dorme e basta”.
Non posso davvero crederci e io che speravo in una serata di sesso sconvolgente.
Restiamo sdraiati a lungo, parliamo di argomenti davvero noiosi: del tempo, delle piante, di sport, poi lui improvvisamente si interrompe.
“Lo vuoi un massaggio, caro?” 
“Come scusa?”
“Ho chiesto se vuoi un massaggio”
Lo guardo strano, poi acconsento e sento le sue mani fredde sotto la mia camicia.
La mia erezione comincia a farsi sentire, il suo tocco delicato è dolce, appassionante, come la tempesta dei lussuriosi di Dante.
Poi mi giro e lo guardo. “Adesso te lo faccio io”.
Lui accetta e si mette a pancia in giù e io gli monto sopra, comincio ad accarezzarlo e sfiorare la mia guancia sulla sua schiena per fargli sentire il mio respiro.
“Com’è sto andando, sig.George?” dico, cercando di assumere un tono sensuale.
Ride. “La tua voce sensuale deve essere perfezionata, devi trovare il giusto incentivo”
Il giusto incentivo? Mi hai appena detto che stasera non si fa nulla, idiota.
“E come faccio a trovare il giusto incentivo, sig.Sotuttoio?”
“Mah, così”
Si gira di scatto e comincia a baciarmi, continuando quella danza tra le nostre lingue che aveva bruscamente interrotto a teatro.
Sento le sue mani che viaggiano, accarezzano la mia schiena fino a palparmi il sedere, si sporge in avanti e con violenza mi infila un dito mentre continua a baciarmi selvaggiamente.
Adesso siamo a due dita e io comincio a emettere suoni di piacere, goduria e lussuria.
Poi avvicina la lingua al mio lobo, me lo sfiora come al nostro primo incontro e mi sussurra all’orecchio; “Lo vuoi un assaggio?”
Io ho gli occhi curiosi “U-un assaggio?” 
Mi mette con le gambe all’aria e mi sfila i boxer.
“Hai mai sentito parlare di rimming?” mi dice accarezzandosi le labbra con la lingua.
“Credo proprio di si” dico, mordendomi le labbra al pensiero.
Così lui va in basso e comincia ad esplorarmi con la sua lingua, la sua dannata, fottuta e meravigliosa lingua.
Io mi mordo le labbra e vibro di piacere ed emozioni travolgenti si estendono lungo il mio corpo.
Sento brividi ovunque, come se delle piccole scariche elettriche viaggino attraverso il mio sangue.
Quando ha finito, mi bacia ancora e poi si sporge verso il cassetto e vedo che tira fuori un preservativo ed una mascherina.
Mi appoggia la maschera delicatamente sugli occhi e me la fissa bene alla nuca, e rimango nel buio totale, sapendo quello che sta per succedere.
Sento George che si infila il preservativo e il suo indice che mi scorre lungo la schiena come per intimidirmi.
“Ora, fa il bravo Adam, e godi” 
Obbedisco.

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Capitolo 4
*** Colazione ***


Comincio a pettinarmi i capelli, a sorridermi e a sfiorarmi le spalle con le dita, assaporando il ricordo della scorsa sera, quando George mi aveva dominato con fierezza.
Mi lavo i denti almeno due volte ed esco dal bagno, infilandomi furtivamente nelle lenzuola, cercando di assumere la posizione di prima.
Non appena appoggio la testa sul cuscino, vedo gli occhi di George, aperti, guardarmi intensamente.
“Buongiorno” dico.
“Caro…” mi dice, stiracchiandosi lungo il letto.
Mi avvicino e cerco di baciarlo, di ritrovare il sapore dolce delle sue labbra, ma lui fugge ed evita le mie.
“Niente baci il mattino, Adam” Io lo ignoro, e continuo a provocarlo.
“No, no, caro, è ora che tu cominci ad imparare alcune regole”.
Mi sposto da un lato, incrocio le braccia e faccio il muso, lui si gira a guardarmi e il suo sorriso si trasforma in una risata allegra.
“Sei un bastardo, George” rido anch’io.
Di scatto, gli monto sopra e lo bacio.
“Niente baci, Adam, stai buono”
Non ci riesco, ho troppa voglia e mi sembra anche inutile dirglielo, visto che il mio corpo parla da sé.
“Andiamo a fare colazione” mi ordina, mentre io bacio il suo collo.
“La sto facendo” gli dico io, e lui si mette a ridere. “Idiota, sei un idiota”
Lo ignoro e comincio a scendere, a baciargli il petto, a leccargli i capezzoli.
Sento la sua erezione sulla mia coscia e scendo ancora di più, deciso a scoprire quel pacco che tenta inutilmente di ribellarsi alla mia provocazione.
“No, Adam, no” 
“Perché tenti di resistere, George?”
Gli scopro i boxer e lo prendo in mano, vado su e giù, la mia presa è forte e decisa.
Lui geme e mi intima di fermarmi, ma io non lo ascolto e lo prendo in bocca.
Comincio a leccarlo, a succhiarlo, pronto per i fuochi d’artificio.
Lui tenta ancora di resistermi, ma non ci riesce e si abbandona al piacere.
Vedo le sue mani stringere il lenzuolo, i suoi denti le labbra morbide e i suoi occhi in modo che non si aprano, come per non voler guardarmi.
Improvvisamente, George si stacca e mi allontana, spaventandomi.
“Non me ne frega un cazzo del pompino, io ti scopo, qui e subito”
Il suo tono mi fa paura e le sue mani ancora di più.
Prende velocemente un preservativo e se lo infila.
Mi gira e mi prende, comincia a dominarmi: io non posso trattenere le grida, quel suo accesso improvviso mi ha impaurito, ma anche divertito ed eccitato allo stesso tempo.
Il mio corpo pulsa, i gemiti di George sono ora sonori e potenti.
Quando viene nel preservativo, urla e si ritrae, cadendo sul letto, mentre io sono ancora in posizione, leccandomi le labbra, per poi cadere anch’io, un po’ più goffamente, di fianco a lui.
“Il buongiorno si vede dal mattino” dico e ridiamo tutti e due.


Esco in fretta dal palazzo e raggiungo il Giacomo’s in taxi, George è stato davvero carino a farmene chiamare uno.
“Sei in ritardo” mi dice Marco, io mi scuso e lui mi rimprovera nuovamente.
Mai successo.
“Senti Marco, è la prima volta che arrivo in ritardo e non puoi rimproverarmi in questo modo, ho sempre dato il 105% per questo locale!” 
Marco smette di fissarmi e vedo il suo volto che cambia colore, diventando rosso.
“Hai ragione Adam, mi spiace, ma cerca di non arrivare più in ritardo”
“Promesso” lo abbraccio, ci diamo il cinque e comincio a lavorare.
Come mai Marco se l’è presa in quel modo? Non riesco a capire.
Forse è geloso di me, o di George. In realtà non ho mai capito realmente se Marco sia etero, bisessuale, omosessuale o che so io. 
In ogni caso questa sua reazione è stata davvero singolare.
I miei pensieri per Marco non durano a lungo: non faccio altro che pensare a George.
Mi richiamerà? Ci vedremo ancora?
Le solite domande che noi ragazzi gay passivi ci domandiamo spesso, un po’ come le donne.
Ogni volta che una donna fa sesso, dentro di lei si forma una sostanza che la spinge ad essere emotivamente legata a quell’uomo.
Sinceramente non penso che anche noi uomini abbiamo questa sostanza, ma forse ce la creiamo mentalmente, cominciamo a fare viaggi astrali sugli uomini con cui facciamo sesso.
Prendiamo una mongolfiera, spicchiamo il volo e cominciamo a fare il giro del nostro futuro in 80 secondi.
Amanti, amici, fidanzati, mariti.
Il problema è: quando l’uomo non ci richiama, quando l’uomo in questione non ne vuole più sapere di noi, chi ci fa scendere dalla mongolfiera?
E questo pensiero mi spaventa.
Non ci faccio troppo caso e continuo a preparare i caffè.

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Capitolo 5
*** Complicazioni ***


È passata una settimana. Continua a piovere su New York, i giorni si susseguono uno più grigio e triste dell’altro. George non mi ha richiamato, come temevo. Marco ogni volta dice di non preoccuparsi, ma nel suo volto traspare sempre una sottile sfumatura di soddisfazione e continuo a non capirne il motivo, mentre Cassie non sa cosa dire. Ha chiesto a Tom di George, ma sembra che il mio giovane e ricco spasimante sia sparito dalla faccia della Terra. Sono triste e stressato, il lavoro al Giacomo’s è aumentato e io e Cassie cominciamo ad avere dei problemi con l’affitto. In fondo viviamo tutti e due di uno stipendio da camerieri. Il mondo sembra essersi incupito ora che George è sparito. Ma forse me lo sarei dovuto aspettare da un ragazzo come lui, chissà quanti ragazzi avrà portato a teatro, chissà a quanti avrà usato le stesse frasi, i baci, le carezze. Avrei dovuto capire che era un teatrino che George aveva messo in scena diverse volte. Ed ecco che passa un’altra settimana grigia. Sabato sera. Io, Cassie e il cibo cinese. Un classico. Stiamo guardando le repliche di Parenthood quando improvvisamente suona il campanello. “Tom?” chiedo a Cassie. “No, non abbiamo programmato nulla, chi sarà?” Mi alzo dal divano e vado ad aprire la porta. Non ci posso credere! Elizabeth e Sandra davanti all’ingresso, con tanto di valigia! Sono le nostre migliori amiche direttamente dall’Inghilterra, hanno molte più aspirazioni di noi, frequentano la London Academy of Dramatic Art e sognano di diventare attrici qui a Broadway. Hanno fatto un lungo viaggio da Londra per passare un weekend da noi. Anche io e Cassie avevamo dei sogni, svaniti nel corso del tempo. Io volevo diventare un cantautore e lei una scrittrice, ma abbiamo deciso di trasferirci nella Grande Mela con largo anticipo e siamo finiti a fare i camerieri. Dopo una serie di abbracci e saluti, Elizabeth stappa una meravigliosa bottiglia di Champagne acquistata in Inghilterra e comincia a ridere come solo lei sa fare. “E quella come sei riuscita a farla passare?” Eliza mostra il petto e ride “Ho i miei metodi!” Sandra la guarda malissimo “Ti piacerebbe carina! Si è messa a frignare per un’ora” Ridiamo tutti come non facevamo da tanto tempo e per un attimo, George e tutta la tristezza che aveva portato, sembravano svanire. “E tu, Adam, hai conosciuto qualcuno?” Ma neanche Elizabeth e Sandra riescono a dissuadermi dal pensare a lui. Forse mi sto innamorando. Non devo. Racconto di George, del nostro ultimo incontro, di quanto fosse stato bello fare l’amore con lui. Elizabeth e Sandra sono affascinate e continuano a farmi domande, Cassie si limita a sorridermi. Sistemo il divanoletto e vi ci sdraiamo tutti e quattro, come ai tempi del liceo e continuiamo a sorseggiare Champagne e raccontarci storie di guerra. Beth e Sandra sono all’ultimo anno e tra un po’ riceveranno il diploma, dopodiché si trasferiranno qui e cominceranno a cercare un lavoro. A Londra fanno la bella vita, tra lezioni emozionanti, ragazzi ricchi e feste private, non quello che io e Cassie abbiamo scelto. Ci addormentiamo tutti e quattro col televisore acceso e penso che non ci sia cosa più bella che ritrovarsi a New York dopo tutti questi anni. Turno serale al Giacomo’s. Io e Marco passiamo la serata a sorriderci tra un tavolo e l’altro. Non è mai successo ma, improvvisamente, mi sento attratto da Marco. In questi giorni, con George lontano, si è formato un legame tra me e Marco, una sorta di attrazione chimica, fisica che non riesco ancora a comprendere appieno. È quasi mezzanotte. Tra un po’ chiudiamo. Il Giacomo’s non tiene aperto fino ad un certo orario, in fondo è un bar rispettabile e molto modesto. Vado nel retro e butto la spazzatura. Tira una bell’arietta fresca che non si sentiva da diversi giorni. Rientro, Marco ha già chiuso l’ingresso e sistemato le sedie sui tavoli. È stato davvero veloce! Troppo…. Lo guardo incuriosito poi comincio a lavare i piattini, mentre lui si avvicina dietro di me. Sento le sue mani sui fianchi e le labbra che mi tastano il collo. Mi giro e lo guardo intensamente negli occhi, voglio dire qualcosa, chiedere spiegazioni, ma decido di tacere e comincio a baciarlo. Appoggio le mani sui suoi addominali italiani, mentre lui mi morde il labbro. Mi prende e mi appoggia sul bordo del lavandino e comincia a palparmi il sedere, mentre io continuo a baciarlo, ad esplorare il suo collo e a stringergli i capelli. La cosa che non capisco è perché, mentre bacio Marco, continuo a pensare a George. Ai suoi capelli color mogano, alle sue labbra e alla sua lingua. Bacio Marco, immaginandomi le labbra di George, immagino che siano le sue mani a toccarmi. “Chi lo avrebbe detto?” dico. Marco mi ignora e continua a baciarmi sul collo e a infilare le sue mani all’interno dei miei jeans. Io lo desidero. Lo desidero come non l’ho mai desiderato. Gli tiro giù la lampo dei jeans, pronto per averlo. Improvvisamente, in una frazione di secondo, vedo Marco per terra e George che lo prende a calci. Resto a bocca aperta, sconvolto dalla presenza di George, e dalla sua rabbia nei confronti di Marco. Sono paralizzato. Solo una volta avevo visto questa rabbia in George: quando mi aveva detto, nella sua suite, che non gli fregava nulla dei pompini, quando voleva scoparmi lì e subito. Quella rabbia che mi aveva spaventato e che mi paralizza tuttora. Mi riprendo e cerco di separare George da Marco, ma è troppo arrabbiato, troppo violento. Mi spinge via e sbatto la testa contro il pavimento, urlando. George si ferma, sente il mio urlo e si volta verso di me, poi verso Marco. Il mio amico italiano è irriconoscibile, il volto pieno di sangue. E allora vedo George fare una cosa che non gli ho mai visto fare. Piangere. Piangere disperatamente. Io continuo a guardarlo e a non capire. Chi sei George? Marco ha bisogno di un medico e subito.

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Capitolo 6
*** Dolore ***


Marco è ricoverato al Roosvelt Hospital. Io e George siamo seduti sull’atrio e aspettiamo notizie, ansiosi. Io ho paura di lui. “Senti Adam, io…” Lo interrompo. “George, non voglio sentirti e poi continuo a pensare che tu debba andartene”. Ho cercato diverse volte di convincerlo, ma lui non ha mai ceduto. Durante il tragitto verso l’ospedale, mi aveva chiesto se avevo sbattuto troppo la testa e io gli avevo risposto che non era nulla. “Adam, ti prego…” George non ha scuse, vede che lo ignoro così si alza e comincia a fare avanti e indietro lungo l’atrio. Io sono incollato alla sedia, gli occhi che fissano il vuoto. Non riesco a capire tutta quella rabbia nei confronti del mio amico. George era sparito e io di certo non avrei continuato a soffrire per lui: stavo per fare sesso con Marco. E allora? Quanto può importargli? Dalla sua reazione, molto, a quanto pare, ma non ne capisco il motivo e per ora non voglio nemmeno comprenderlo. Sono preoccupato per Marco, ho paura per lui. Ho paura che non sarà più il Marco di un tempo, il mio dolce, svampito e allegro Marco, quando ogni mattina al lavoro ci scambiavamo il nostro solito batti cinque. George continua a fare avanti e indietro. Comincia ad irritarmi. “Per favore, puoi sederti” dico trattenendo la calma. George mi fissa per un attimo. Non gli piace prendere ordini, ma capisce che il momento di fare polemiche ora è del tutto inopportuno, perciò si siede incrociando le braccia. Continuo a stringere le dita, pregare Dio. L’attesa comincia a farsi sentire. Improvvisamente le porte si aprono, un rassicurante camice bianco portato da un uomo di mezza età si avvicina a noi. “Sig.Burton?” È strano sentire il mio cognome. “Si, sono io” Il dott.Starlin mi spiega che Marco ha avuto un trauma cranico, e che nel corso dei prossimi mesi avrà problemi di memoria. Marco non si ricorda dell’incidente. “Al momento vuole vedere solo lei” “Forse dovrei chiamare suo padre, sarà meglio” dico. “Come vuole, ma prima gli faccia visita, la prego, continua ad insistere” Annuisco e sto per andare, quando George mi blocca il braccio. “Vorrei venire anch’io, vedere come sta e scu…” Mi libero della sua presa e gli do una spinta: “No, George, tu hai già fatto abbastanza, Marco sta bene, tu non devi più preoccuparti, vattene ora” “Adam, io voglio spiegarti, ti devo rivedere..” “No, io non voglio più vederti, tu mi spaventi” George non molla e mi riprende il braccio. Questa volta mi incazzo e gli tiro una sberla. “Quale concetto della parola “no” non ti è chiara?!” urlo “Toccami ancora e chiamo la polizia, è già tanto che non ti abbia fatto sbattere in galera dopo quello che è successo!” Scappo via da George, voglio allontanarmi il più possibile da lui. Ma perché lo sto coprendo? Perché non ho chiamato subito la polizia? Sono stanco di farmi domande, voglio vedere Marco e basta. Entro dentro la sua stanza e ci guardiamo. Lui è ridotto davvero male. Il volto quasi irriconoscibile. Ma il suo sorriso, quello lo riconoscerai ovunque. “Ciao Marco” “A-Adam” cerca di prendermi la mano e io la afferro. “Sono qui, Marco, sono qui” Lui mi sorride, ma perfino sorridere gli fa dolere la faccia ed emette gemiti di dolore. “N-Non r-ricordo nul…” Lo zittisco e gli dico di non preoccuparsi, perché l’importante è che è salvo e che io sono accanto a lui e che non lo abbandonerò mai. Lavorare al Giacomo’s senza Marco è una tristezza. Mi manca ogni giorno di più, anche se lo vado a trovare ogni pausa pranzo ed ogni sera. Suo padre è sconvolto, come la madre. Li ho raccontato che Marco è stato coinvolto in una rissa. Ho sbagliato. Dovrei dire la verità a tutti. Dire a tutti che è stato George. Ma una parte di me, la più profonda, non vuole farlo. In fondo, non voglio vedere George chiuso in prigione. Sono ancora innamorato di lui, anche dopo la violenza che ha mostrato, nonostante tutto, continuo ad essere innamorato di lui. E non devo. Questa sera è più luminosa delle altre, la luna piena brilla alta nel cielo. Non ci sono stati molti clienti, comincio a lavare i bicchieri, quando sento la porta cigolare. Guardo l’ingresso. George. Non so cosa provare: felicità, eccitazione, paura, terrore. “Ti prego, Adam, non voglio farti del male” Resto in silenzio. Decido di ascoltarlo. “So che probabilmente non vorrai più vedermi dopo quello che è successo, ma io ho bisogno di spiegarti il perché” Continuo a guardarlo, la paura ha preso posto alla più spietata curiosità. “Vieni nel mio appartamento domani, ti spiegherò tutto, se non verrai domani aspetterò, aspetterò ogni giorno per te” Esce e si lascia il Giacomo’s alle spalle. Guardo la sua ombra che si allontana sempre di più. Cosa farò? Posso fidarmi di lui? E se volesse farmi del male? Non trovo nessun motivo per cui George voglia farmene. Così, ascoltando quella parte profonda di me, chissà quanto importante, decido di accettare: domani andrò da George e sentirò cosa ha da dire.

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Capitolo 7
*** Verità ***


Mi sveglio alle prime luci dell'alba. Non ho dormito molto.
Ho sognato George, ho visto il suo volto, le sue mani che si tendono a me e la sua bocca che cerca di dirmi qualcosa, senza voce.
Mi guardo allo specchio. I miei occhi sono scuri. Mi lavo la faccia e mi pettino un poco i capelli, come per abitudine.
Vado in salotto e vedo Cassie sul divano.
Gli occhi spalancati che guardano il vuoto, stringe la Dimma tra le braccia e ha le gambe giunte. "Cosa succede?" Non mi risponde.
Mi guarda negli occhi poi abbassa lo sguardo. "È finita" trova la forza di rispondere "Io e Tom abbiamo chiuso, mi ha lasciata".
La stringo in un abbraccio e cerco di confortarla e le massaggio il braccio. Lei si lascia andare, piange e comincia ad imprecare contro Tom. Io l'ascolto e annuisco, le dico di stare tranquilla e di non pensarci troppo, sapendo benissimo che per lei è impossibile.
"Senti oggi pomeriggio devo uscire, ma cercherò di essere a casa il prima possibile, d'accordo?" "Certo, io ti aspetto" mi dice.
Sto con lei fino alle 5 del mattino, parliamo, poi io mi preparo per andare al lavoro. "Ci vediamo stasera, ok?" Fissa il vuoto e non mi risponde. Chiudo la porta.
Oggi al Giacomo's novità. Il papà di Marco ha assunto una nuova cameriera: Si chiama Paradise, una ragazza di carnagione scuro, davvero carina e con un bel ciuffo sulla testa. Facciamo conoscenza, parliamo un po', le do qualche dritta, lei è molto buffa e divertente.
Per la verità è un po' imbranata, ma è molto dolce e si è creata una vera aura positiva al Giacomo's. "Sono venuta qui a New York, per incidere un album, ma mi hanno fregata" ride da sola. Io la guardo ammirato. "Volevi fare la cantante?" Chiedo sorpreso. "Eh già, ma non è andata molto bene".
Dice evitando il mio sguardo. "Ti capisco" le confido "anch'io". "Oh, sul serio?" Dice emozionata, calcando la i. Ridiamo tutti e due e ci concentriamo sul lavoro.
Esco dal Giacomo's e mi dirigo verso l'appartamento di George. Mi fermo vicino lo specchietto di un'auto e cerco di sistemarmi i capelli, il portiere mi apre la porta sempre scambiandoci un gran sorriso e mi dirigo all'ascensore. Busso alla porta e George mi apre. "Ciao" mi dice. "Ciao" rispondo.
"Bene, eccoci qui" mi dice George, apre il braccio e mi invita ad entrare. Mi fa strada verso la cucina e ci sediamo. “Vuoi qualcosa da bere?” “No, rispondo, voglio tornare a casa l prima possibile se non ti dispiace” Lui mi guarda con un sorriso triste e si siede di fronte a me. “Innanzitutto, voglio ancora scusarmi per quello che è…” Lo interrompo, il tempo delle scuse è finito ormai, adesso voglio sapere le motivazioni di quello che è successo.
“Ti ho convocato qui per raccontarti la mia storia, ciò che mi ha cambiato, ciò che mi ha reso quello che sono” Lo ascolto, lo sguardo impietrito. “Il suo nome era Harold. Lui era giovane, bello e potente. Io lo amavo, più di qualsiasi altra cosa, amavo come mi guardava, come mi toccava…” Lo interrompo di nuovo, dicendogli che non mi interessa, ma lui batte il pugno sul tavolo facendomi sobbalzare.
“Adam, insomma ascoltami, poi potrai essere libero di fare tutto ciò che vuoi, promesso” Appoggio la schiena alla sedia, e incrocio le braccia. Non ho più intenzione di interromperlo. “Ci eravamo conosciuti diverso tempo fa ad una serata di beneficenza, lui mi aveva inquadrato subito, aveva capito che tipo di persona ero e allora, Adam, puoi credermi non ero così” Faccio davvero fatica a crederlo, ma il mio volto non traspare emozioni. “Ero dolce, sensibile e docile, obbediente come un cagnolino, so che fai fatica a crederlo, ma ero davvero così” “Quella sera io e Harold abbiamo fatto l’amore e da allora io e lui abbiamo stretto un legame fortissimo, difficile da spezzare, io lo amavo e lui amava me” “Mi aveva fatto scoprire luoghi della città che non avevo mai visitato e piaceri, mio caro, piaceri peccaminosi che non puoi nemmeno lontanamente sognare nei tuoi sogni più proibiti” L’ultima frase ha instaurato in me un pizzico di eccitazione, ma lo ignoro.
“Abbiamo passato degli anni meravigliosi, ma Harold aveva un problema” “Quale?” chiedo ormai interessato. “Era possessivo, caro, possessivo a livelli instabili” Sono sconvolto dall’uso della parola “instabili” utilizzata da George. “Devi sapere, Adam, che una sera, mentre eravamo ad un locale all’epoca davvero in voga qui a New York, un ragazzo ci ha provato con me, mi aveva appoggiato una mano sulla coscia al bar, Harold se n’era accorto e mi aveva trascinato fuori dal locale”
“Arrivati nel suo appartamento, Harold ha cominciato a schiaffeggiarmi sempre più forte, io piangevo e mi sentivo impotente, mentre la sua mano diventava più pesante, mi ha preso, mi ha tolto i vestiti e ha cominciato a picchiarmi” Mi copro la mano con la bocca e trattengo le lacrime. Non posso credere che sia capitata una cosa talmente orribile a George. “Dopo ha fatto sesso con me, in modo violento, come non aveva mai fatto” “Successivamente a quella volta, ce ne sono state tante altre, molte” Non riesco a credere a quello che mi sta dicendo.
Lui continua. “Poi, un giorno, mentre eravamo in vacanza alle Bahamas…” Si interrompe e io lo guardo. “Co-cosa è successo alle Bahamas?”
Lui mi guarda, poi risponde. “È scomparso e non l’ho mai più rivisto” “Ma perché non hai mollato Harold? Ti aveva violentato! Perché non sei andato per la tua strada?” George tiene lo sguardo basso. “Come ti ho già detto, caro, io e lui avevamo un legame troppo speciale per essere spezzato, sono riuscito a dimenticarlo solo un anno dopo dalla sua scomparsa”
“Questa storia mi ha reso l’uomo che sono ora, possessivo, talvolta irrefrenabilmente violento e di questo mi dispiace” Non so se il mio cervello a pensare o il mio cuore, ma in quel preciso istante prendo il volto di George e lo porto al mio. Gli regalo un bacio. Lui tenta di staccarsi, ma io lo trattengo, deciso a regalargli più di un semplice bacio. Sono passate quattro ore. Io e George siamo rimasti insieme a lungo.
È quasi sera. Decido di tornare a casa. Lui mi bacia ancora. “Grazie, Adam” Mi accompagna verso l’ascensore. “È stato davvero fantastico” sorrido e lui ricambia. Chiama l’ascensore, nel frattempo mi da un altro bacio. “Finirai col piacermi sul serio, caro” Entro nell’ascensore e lo saluto. Ci spero davvero tanto.
Torno a casa e vedo Cassie sul divano, sta guardando la televisione e improvvisamente mi ricordo. Avrei dovuto passare il pomeriggio con lei oggi.
Mi sento in colpa, avevo passato il pomeriggio con la persona che aveva spaccato la faccia a Marco, invece della mia migliore amica, che aveva bisogno di me. “Cassie, mi d-dispiace” “No, Adam, non serve” si alza dal divano e va verso la camera.
Io la prendo per un braccio. “No, Cassie, io sono qui! Io ci sono” “Che vuoi che sia? Ci riescono tutti!” “Sto soltanto dicendo che se hai bisogno del mio aiuto, possiamo parlare” Lei non mi guarda. “Tranquillo, ne verrò fuori in qualche modo” Mi arrendo. “D’accordo, se sei sicura tu” Cassie apre la porta della camera, ma prima di chiudersi dentro, mi fissa. “Sai che se anche non lo fossi non ti chiamerei?” E sbatte la porta. Mi sento uno schifo.

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