Il Destino del Successore

di IMmatura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un passo indietro... ***
Capitolo 3: *** minaccia incombente ***
Capitolo 4: *** scene dall'Alta Corte ***
Capitolo 5: *** L'agguato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Teletoon; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Il Destino del Successore

 

 


 

Anno 5099

Dopo un disastroso terzo conflitto mondiale, gli esseri umani superstiti sul pianeta Terra hanno convenuto sulla necessità di riunirsi in un’unica Società, per evitare nuovi conflitti. A capo di questa Società, affinché la corruzione non ne rodesse le fondamenta, è stato posto un grande computer, detto “La Macchina”. La Macchina determina in base ad algoritmi i provvedimenti da prendere per garantire a tutti gli esseri umani il miglior tenore di vita possibile. Esecutore delle volontà della Macchina, ed allo stesso tempo figura istituzionale con ampio potere decisionale, è il Governatore. Esso ha assoluto arbitrio su tutte le questioni “minori”, compreso il potere di vita o di morte sui singoli cittadini. Due soli obblighi lo vincolano: non andare contro un ordine della Macchina e, al centesimo anno d’età, abbandonare la sua carica per lasciarla al suo Successore. Il Successore è selezionato direttamente dalla Macchina alla nascita e, fin dalla prima infanzia, viene educato allo scopo di assumere l’alta carica a lui destinata. Indipendentemente dalle sue origini sociali, esso viene trasferito nell’Alta Corte, dove l’élite sociale che vi risiede, ed il Governatore regnante, impartiranno al Successore tutti gli insegnamenti necessari a svolgere, in futuro, il proprio compito. Queste regole però risalgono a mille anni prima, quando la vita media degli individui non si era ancora drasticamente allungata. Nell’era attuale, all’età di 100 anni, un essere umano dotato degli opportuni mezzi può non solo essere ancora vivo, ma trovarsi in condizioni di forma fisica pari a quelle di un quarantenne. Condizioni nelle quali non è più così semplice rassegnarsi ad abbandonare il trono...

L’attuale Governatore è Chris Mc Lane. Questa è la storia del suo Successore.

 

 

 

Prologo

la Macchina lo avvolgeva, in tutta la sua grandezza. Il ronzio elettrico del suo lavorio percorreva la miriade di cavi lungo le pareti.  L’azzurro intenso delle spie al neon gli appannava la vista. Trovarsi all’improvviso al buio, dopo una corsa del genere, non era semplice. Ancora con il fiatone, mentre gli occhi si abituavano all’oscurità, Topher Bagley fece qualche passo esitante. Lo schermo si illuminò. Era immenso. Nella sua memoria, quella sala era divenuta molto più indistinta e meno maestosa. Ritrovarvisi di nuovo in carne ed ossa lo esaltava ed atterriva allo stesso tempo. Da quella gigantesca parete, ora iridescente, si propagavano altre miriadi di cavi. Come una rete gigantesca che si insinuava nelle mura del palazzo e, lo sapeva bene, si diramava dal palazzo governativo in tutto il globo. Tutto il mondo convergeva in quell’immensa parete luminosa, che pulsava si spie ed icone sui vari continenti. La Macchina era questo. Tutto, esattamente come gli avevano insegnato. Era lui a non essere più quel che era prima. Eppure, allo stesso temo, non era mai stato così pronto...

-Identificarsi presso il pannello centrale.- ordinò una voce preregistrata, riscuotendolo dai suoi pensieri, mentre finalmente anche una luce più calda, dal soffitto, invadeva quella stanza di metallo ed energia. Di fronte alla porta blindata, chiusa, una ragazza borbottava sommessamente contro il volume, a suo dire troppo alto. Intimò all’altro di sbrigarsi.

Topher, dopo un attimo di esitazione, staccò dal suo petto la spilla che avrebbe dovuto usare nella cerimonia di Ascesa come Governatore. Aveva sognato da sempre di trovarsi in quel luogo, di compiere i gesti che adesso era costretto a fare di corsa, con l’ansia del fuggiasco. Era tutto così ingiusto...

Si sforzò di non pensarci, concentrandosi solo sulla lieve puntura auto inferta all’indice della mano destra. Una goccia cremisi cadde su un pannello. Immediatamente una lastra di vetro vi si sovrappose, per evitare contaminazioni del codice genetico. Vide il suo sangue mescolarsi a del liquido distillato e sparire in microscopici canali sul bordo dello scanner. Sfiorò il metallo scintillante del pannello centrale, ai bordi del touchscreen. Gelo.

-Identificazione in corso...- annunciò la Macchina.

-Deve per forza gridare in questo modo?- protestò Jasmine, ormai sull’orlo di una crisi di nervi. Quel posto era inquietante e molto più stretto di quanto si aspettasse. Troppo stretto per i suoi gusti. Era sempre stata leggermente claustrofobica, e se non avesse saputo che i corridoi che avevano appena abbandonato erano pieni di guardie armate fino ai denti, sicuramente sarebbe uscita da quella trappola d’acciaio senza pensarci due volte.

-Un po’ di rispetto, stiamo pur sempre parlando delle fondamenta della nostra Società.-

L’australiana si limitò a sbuffare di fronte a quella frase da indottrinato. Sapeva di non potersi aspettare, dal ragazzo, più di quanto stava già facendo. Credere ancora in quel governo dopo quello che aveva dovuto affrontare era una prova di grande stupidità, o di grande testardaggine. Nel primo caso, sarebbe stata una tragedia. Nel secondo, forse c’era qualcosa di ammirevole.

-Errore. Il codice genetico risulta non presente nell’archivio Viventi.- annunciò la voce meccanica.

-Mi aveva dato per morto, quindi...- disse a mezza bocca, per poi concentrarsi sul pannello. Inveire contro Chris in quel momento non sarebbe servito a nulla.

Selezionò l’opzione “Rettifica”. Era la procedura standard per i casi in cui, accidentalmente, venivano registrati dei falsi decessi. Ironia della sorte, proprio Mc Lane gliel’aveva insegnato, durante una delle lezioni che gli dava, controvoglia, sul funzionamento della Macchina e della Società. Allora, quelle sensazioni di astio e gelo non l’avevano allarmato. Riusciva a ricordare quanti campanelli d’allarme aveva avuto sotto gli occhi, e la sua ingenua sicurezza, ma non aveva tempo per darsi dello stupido. La Macchina avrebbe eseguito dei brevi controlli sulla sua persona, per verificare che si trattasse realmente del soggetto dato per morto. Tuttavia quella procedura non era semplice. Doveva prima posizionare le mani sul pannello, per permettere la scansione delle sue impronte digitali (sperando che la feritina sulla mano destra non falsasse i dati), poi eseguire una scansione della retina e un controllo vocale. Procedure di minuti che potevano anche non avere, in quel momento.

Jasmine intanto portò una mano all’auricolare. Un suono fastidioso le attraversò il timpano. Ebbe l’impressione che il suo cervello venisse letteralmente trapassato da quel fischio. Erano gli inconvenienti di utilizzare una tecnologia di trasmissione arcaica come le onde radio. Tuttavia era l’unico modo di non essere intercettati, o almeno così le aveva detto il ragazzo di cui si fidava ciecamente, e che era dall’altra parte dell’apparecchio.

-Shawn...ci serve altro tempo. Deve fare tutta la trafila...-

-Calmati, Jasmine. Sapevamo che poteva succedere. Cercheremo di coprirvi il più possibile, ma se le cose si mettono male dovrete scappare.- rispose il ragazzo, intento ad armeggiare con le manopole di quell’antico oggetto chiamato “trasmittente”. Non aveva avuto il tempo di creare anche per lui un hardware più pratico. Aveva ben altro di cui preoccuparsi, comunque. Per esempio spiegare al misero esercito di ribelli che si erano affidati a lui perché la manovra diversiva doveva essere prolungata, mettendo a potenziale rischio la missione, e le loro vite. L’attacco al Palazzo Governativo era stato un rischio fin dall’inizio, che molti avevano accettato di correre solo dietro molte insistenze. Si portò una mano alla testa. Quel gesto fu notato da un paio di ragazzi che, armati alla meno peggio, lo stavano coprendo.

-Che succede?-

-Procedura lunga. Hanno bisogno di più tempo...-

-Mi prendi in giro, vero?- protestò Scott -Devono solo far pigiare due tasti a quell’idiota, mentre noi stiamo rischiando la pelle! Che si muovano!-

-Mi secca dovertelo far notare, ma siamo in minoranza numerica e col morale basso. Penso che dovremo iniziare ad aspettarci defezioni a catena...- rincarò Brick, con il consueto piglio militaresco.

Continuava l’assedio che, fino ad un anno prima, nessuno avrebbe potuto immaginare...

 

 

 

 

Angolo di IMma

Distopia...finalmente ne scrivo una. Non so quanto tempo è che non bazzico più questo fandom, ma spero di tornare alla grande con questa storia.

Confesso che ho impiegato un po’ a far pace con questa nuova stagione, all’inizio non mi piaceva granchè, ma adesso mi sono affezionata ai personaggi e mi è venuta voglia di scriverne. Ergo, ci saranno sicuramente tutti i protagonisti di Pakhitew, oltre ai miei preferiti delle altre stagioni. Posso dirvi solo che ci saranno molti colpi di scena e forse Chris non sarà il solo antagonista...sarebbe troppo facile, nevvero? ;D

Come avrete capito il Successore sarebbe Topher...il perché di tutti gli altri casini lo scoprirete leggendo i prossimi capitoli. Vi avviso che con il primo ripartirò da prima del momento narrato del prologo (la mia prima storia ad intreccio, yay!) che riproporrò successivamente. Cercherò di essere chiara, da adesso in poi, ma se qualcosa dovesse risultarvi un po’ contorto non esitate a chiedermelo. Spero abbiate la pazienza di seguirmi, e che la fanfiction sia di vostro gradimento. Fatemi sapere cosa ne pensate in una recensioncina, se vi va.

Saluti

IMmatura

PS L’abuso di maiuscole è voluto, perché fa figo in questo genere di storie xD

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Capitolo 2
*** Un passo indietro... ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Teletoon; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Il Destino del Successore

 

Capitolo primo

Le persone comuni chiamavano spesso il Palazzo Governativo “ragno d’acciaio”. Esso infatti aveva tutto l’aspetto di un aracnide: sei colonne, che andavano leggermente allargandosi in ascesa, facevano salda presa sul terreno, mentre un sistema di travi e cavi in fibra di carbonio sosteneva il corpo centrale, sopraelevato. Si favoleggiava che, all’occorrenza, esse potessero sradicarsi dalle fondamenta e spostare l’intero edificio, come un vero e proprio ragno meccanico. In realtà mai e poi mai quegli artigli si sarebbero staccati dal suolo, dato che proprio da essi si diramavano i cavi della rete sotterranea. L’invisibile ragnatela della Macchina sul mondo. Il massimo movimento era quello del sistema interno di argani, che poteva far scorrere le travi di sostegno per isolare il centro, un globo di acciaio e vetro, dalle scosse sismiche. All’interno di quella luccicante sfera sarebbe stato facile immaginare ampi saloni ricchi di arazzi e mobili austeri, dove i membri dell’Alta Corte si dilettavano nella conversazione lanciando occhiate distratte alla terra sotto di loro, da ampie e lucide vetrate. In realtà oltre il vetro vi erano, semplicemente, i laboratori di ricerca. Dietro spesse lastre antisfondamento lavoravano coloro che, per necessità, non potevano rischiare di affaticare i propri occhi: scienziati e intellettuali della Bassa Corte, che accedevano per merito ai piani bassi del Palazzo. Essi si impegnavano in meccanica di precisione, o nell’esame di documenti storici (i pochi sopravvissuti alla Terza Guerra Mondiale). In nome di questi servigi, potevano accedere al privilegio della luce solare. L’Alta Corte, invece, era rinchiusa nel nucleo più interno dell’edificio. Più sicura, ma completamente blindata. Regnava sovrana la luce artificiale, e solo in rari momenti di svago i suoi membri si concedevano uno sguardo al cielo, salendo sulla cupola superiore, o uscendo. Altrimenti conducevano un’agiata vita da reclusi, strano paradosso, in stanze non anguste, ma neppure immense, e grigie.

In una di queste stanze, alle sei del mattino, il neon si accese con un lieve ronzio. Tanto bastò, in quell’ambiente insonorizzato, perché Topher si svegliasse. L’abitudine a quella vita aveva reso quell’impercettibile e freddo buongiorno un qualcosa di familiare, e quasi piacevole. Ancora immerso nei suoi sogni di gloria (aveva sognato di nuovo la sua cerimonia di Ascesa), il ragazzo si stiracchiò, alzandosi. Gli occhi socchiusi, in attesa che si abituassero all’illuminazione violenta e improvvisa, non gli impedirono di trovare a memoria la strada della porta scorrevole del bagno. Uscito di li, complice un getto d’acqua fredda in faccia, era ormai completamene sveglio. Battè le mani un paio di volte e, accanto alla scrivania, lo schermo incorporato al muro di accese. Il computer era aperto dalla sera prima sul suo account personale. Ciascun membro dell’Alta Corte aveva infatti un computer in camera, il quale era collegato direttamente alla Macchina e ne sfruttava una specifica, piccola, quantità di memoria, dietro concessione diretta del Governatore.

“Come se un Governatore si occupasse davvero di queste quisquiglie” pensò tra se e se Topher. Era evidente che si trattava di una formula esclusivamente formale, e che all’atto pratico erano gli Informatici della Bassa Corte a sistemare tutte quelle questioni da nerd. All’angolo dello schermo le informazioni su data, ora e clima esterno. Non era in ritardo, per fortuna. di solito impiegava sempre troppo tempo, in bagno, alla cura della sua persona. Non era semplice rendere così splendidi i suoi capelli tutte le mattine. Più semplice era la scelta del vestiario. Si apriva lo scomparto armadio, e le grucce scorrevano su un meccanismo girevole. Bastava pescare la tenuta giusta tra formale e informale, estiva o invernale. A questo punto, lui si concedeva sempre un piccolo vezzo, pescare più di una gruccia e poi modificare le divise standard. Di solito indossava la casacca grigia della divisa invernale, con i pantaloni color sabbia di quella estiva, così che la sua mise somigliasse, nei colori, alla divisa del Governatore. A volte faceva scelte più creative, per le occasioni informali. Quel giorno però non poteva permetterselo, dato che era sarebbe stata la sua prima lezione dentro la Macchina. Era un’occasione speciale. Lucidò con cura la sua spilla, un luccicante cerchio d’oro con un asse centrale, che lo qualificava come Successore. Senza sedersi alla scrivania, controllò gli impegni della giornata: la lezione con il Governatore Mc Lane sarebbe iniziata non prima delle dieci, ma era comunque un programma piuttosto pesante di studi. Soprattutto per la sua vista. Spense il computer e, approfittando del riflesso sullo schermo ormai scuro si sistemò di nuovo i capelli, controllò l’aspetto della sua meravigliosa faccia e mise due gocce del suo collirio. Gli era stato prescritto circa un paio di anni prima, quando il ritmo dei suoi impegni era aumentato così tanto da non permettergli quasi più di stare alla luce naturale. Quel collirio limitava gli effetti negativi dell’esposizione quasi perenne ai neon, e degli sforzi visivi che gli studi richiedevano. Erano praticamente indispensabili, per lui. Tuttavia odiava da morire questa pratica, quasi quanto la scansione retinale. I suoi occhi erano molto sensibili e la sua faccia rischiava spesso di essere deturpata da residui di congiuntiviti. Odiava doversi preoccupare di questo, avrebbe voluto avere sempre un aspetto impeccabile.

Uscì, iniziando a percorrere il corridoio candido, intervallato da porte automatiche con chiusura a scheda magnetica. Aveva la sua con se? Controllò le tasche della casacca. In quel momento sopraggiunsero due ragazze bionde praticamente identiche. Le due candide figure, avvolte nella tenuta informale rossa (femminile), erano quelle di Amy e sua sorella. Topher si affrettò ad offrire il braccio alla prima, con cui era formalmente fidanzato da pochi mesi.

-Tenuta da grandi occasioni, oggi?- chiese lei, carezzando con la mano la manica grigia della giacca.

-Oggi avrò la prima lezione all’interno della Macchina.- spiegò con orgoglio.

-Oh, ma è fantastico!- mormorò, dietro di loro, Sammy.

-Smettila di intrometterti nelle conversazioni altrui, Samey!- protestò la sorella, mettendo la maggiore acidità possibile in quel soprannome. Constatò poi, con sollievo, che l’attenzione del futuro Governatore era ancora completamente rivolta verso di lei.

-Quindi smanetterai con la Macchina, interessante...- mentì. In realtà ciò che trovava interessante era soprattutto ciò che questo implicava nel suo futuro. Ci si vedeva benissimo, moglie del Governatore. Inoltre Topher era un ragazzo sufficientemente affascinante. Alto, slanciato, attento al proprio aspetto, con un profilo ed un portamento che non sarebbero sfigurati nelle parate militari dell’Alta Corte. Nessuno avrebbe potuto immaginare che le sue origini affondassero nei piani della Bassa. In fondo, doveva pur esserci qualcosa di eccezionale in lui, se la Macchina l’aveva selezionato...

-Ti pregherei di non usare questi termini approssimativi. Stiamo parlando del fondamento della nostra Società, tesoro.- la redarguì lui, facendosi perdonare col vezzeggiativo quel fastidioso tono saccente. Amy gli concesse un sorriso leggermente forzato, mentre il ragazzo indietreggiava per lasciarle varcare per prima la porta del refettorio.

-Dunque...vogliamo accomodarci, signorine?- chiese con spavalderia, posizionandosi ad uno dei tavoli. Con la coda dell’occhio sbirciò un paio di altri ragazzi in sala. Alejandro Burromuerto, stratega di secondo grado, raccolse la sfida, sorridendo con fascino disarmante ad un paio di ragazze al tavolo di fianco, che subito emisero insistenti gridolini. Era sempre così...da talmente tanto non si svolgeva una guerra al mondo, che la vita militare era diventata più che altro uno stile di vita buono per avere un bel fisico allenato, una abbronzatura frutto delle esercitazioni esterne, che conferiva quell’aria un po’ più selvaggia...insomma, armi per conquistare solo e soltanto belle donne. Topher a volte si pavoneggiava, approfittando della presenza costante al suo fianco di entrambe le gemelle, per semplice spirito di emulazione, o per non sentirsi sminuito. Del resto, se voleva essere considerato a tutti gli effetti degno dell’Alta Corte, doveva adeguarsi ai suoi costumi, no?

Sammy non riuscì a trattenere un sorriso, quando si rese conto che il ragazzo aveva scostato le sedie per entrambe. Era stato così gentile a ricordarsi anche di lei, che istintivamente lo ringraziò. Amy l’incenerì con lo sguardo. Mentre il ragazzo si apprestava a sedersi a sua volta, Sammy avvertì un dolore improvviso alla gamba sinistra, segno che la sorella doveva aver tentato di conficcarvi il tacco dello stivale bianco, laccato. Non si scompose, abituata a quei piccoli dispetti, ed anche a cattiverie peggiori. Rimase ad osservare il loro accompagnatore, senza particolare timore che Amy intuisse i suoi veri pensieri. Era sicura, per esperienza, che non si sarebbe neppure accorta dell’imporporarsi delle sue guance. Pensò che Topher era davvero bello, e lo pensò senza particolari sensi di colpa. In fondo Amy aveva già vinto, diventandone la fidanzata ufficiale. Lei non aveva neppure tentato di mettersi in competizione, abituata a considerarsi la “brutta coppia” dell’affascinante e popolare sorella. Già, Amy era così sicura di essere “quella carina” che se avesse scoperto i suoi sentimenti non sarebbe stata comunque TROPPO gelosa...al massimo l’avrebbe derisa per aver osato fantasticare qualcosa a riguardo.

 

---

 

Il Magazzino centrale era quanto di più caotico e peggio pensato potesse esistere, almeno secondo Scarlett. Unica stanza blindata accessibile alla bassa corte, ospitava alla rinfusa materiale di ogni tipo, nel quale la ragazza si affannava a rovistare da ore. Si sentiva già nelle orecchie le lamentele di Max per il tempo che stava impiegando. Quest’ultimo pensiero le fece salire i nervi, tanto da rischiare di spezzare l’asticella dei suoi occhiali, mentre tentava di tirarli su. Tirò un respiro profondo, cercando di ricomporsi. Nessuno doveva capire cosa pensasse veramente di quell’inetto del suo presunto superiore, della Macchina e della Società, altrimenti sarebbe finita. Controllò che i capelli fossero ancora raccolti in uno chignon mentre, con delicatezza estrema, prelevava un microchip, nascondendolo tra le pinze di precisione la scatola delle bielle. Assottigliò lo sguardo, per verificare che nessuno si fosse accorto della manovra. Sarebbe stato praticamente impossibile, con la scarsa illuminazione del luogo, ma bisognava stare sempre all’erta. Quello che stava facendo era letteralmente illegale.

Come Ricercatrice Meccanica non aveva titolo per appropriarsi di materiale della sezione Informatica. Poteva essere accusata di “contaminazione di ricerche”, un fantomatico reato inventato dalla Macchina per chiunque, tra i ricercatori della Bassa Corte, andasse al di fuori del proprio ambito di studi, dimostrando una qualsivoglia forma di genialità o semplicemente spirito critico. Ridicolo, ecco come lo trovava la rossa. Aveva sgobbato sui banchi da sempre, per poter accedere per merito alla Bassa Corte, e non l’aveva certo fatto per ritrovarsi come un pesce in una boccia, a nuotare sempre attorno allo stesso rametto di corallo rinsecchito. Lei voleva di più, sapeva di avere capacità superiori, e di non meritare un posto di second’ordine come “assistente” di un incapace piazzato a capo della sezione Meccanica grazie a chissà quale bug nella Macchina.

Era una cosa sbagliata, ma le piaceva farlo. Costruire in segreto congegni che coniugassero l’intelligenza artificiale e la meccanica di precisione. Per ora erano solo microscopici esperimenti, relegati in un cassetto, ma quello che le si era aperto davanti era un mondo di possibilità che avrebbero potuto migliorare anche la Società, se essa non fosse stata così ottusa. Quella Società faceva schifo, non la meritava, e la costringeva a fare tutto in segreto, per non rischiare di essere radiata. Sarebbe stato tremendo, tornare alla vita da persona comune, senza più nessuna possibilità di creare o, più semplicemente, di accedere al sapere. Il cervello di Scarlett era potente, ma era anche vorace, aveva bisogno di difficoltà, problemi, sfide. Era insaziabile, e proprio per questo la ragazza era spinta sempre più spesso a succhiare come un vampiro quel che non le veniva concesso, andare al di la delle briciole di conoscenza che il sistema le concedeva. Tanta rabbia e tanta genialità si nascondevano dietro l’aspetto apparentemente anonimo di un topo di biblioteca, con indosso abiti comuni (non come quel patetico di Max, che si era fatto cucire una specie di divisa bianca, simile a quelle dell’Alta Corte...).

Uscendo dal magazzino dovette sforzarsi un attimo, per sopportare l’impatto con la luminosità dell’ambiente. Davvero credevano fosse riposante per gli occhi, quello sbalzo continuo? O semplicemente quei bivaccatori di professione, ai piani alti, non potevano immaginare la frequenza con cui un Ricercatore poteva aver bisogno di materiali? L’ennesima cosa stupida in quel sistema evidentemente non tanto perfetto. Sospirò, avviandosi lungo il corridoio. Le ampie vetrate rivelavano l’attività che si svolgeva nei vari laboratori. Dietro le vetrate alla sua destra i Ricercatori Informatici smanettavano su schermi, progettando chissà quale altra avanzatissima e superflua arma di distrazione di massa. A quanto pare le ricerche erano al momento concentrate sulla progettazione di un riproduttore di odori e profumi, per arricchire la fruizione di materiale di intrattenimento. Dopo il fallito tentativo di conferire una quarta dimensione alle immagini cinematografiche, bisognava ricominciare da capo a cercare il modo di rendere la TV interessante...

L’inutilità che si respirava in quel posto era palpabile, così Scarlett preferì rivolgere la sua attenzione al reparto Ricerche Storiche. L’unico ricercatore ancora incaricato, stava analizzando un oggetto cartaceo, che un tempo veniva classificato come libro. Notò il suo passaggio, quasi avesse avuto una specie di presentimento. Lo vide alzare la testa, farle un cenno e dirigersi, senza troppa fretta, verso la porta scorrevole.

-Cosa vuoi?- chiese acida, squadrando il ragazzo di fronte a lei.

Noah Dasari non mostrò alcun fastidio per l’occhiata saccente dell’altra, si limitò a ribattere con aria annoiata:

-Il Generale Hatchet sta passando in ispezione...-

-Dovrebbe importarmene qualcosa?- chiese Scarlett.

-Occhio a quello che fai. Tutto qui.- Disse, richiudendosi la porta alle spalle, mentre l’altra si affrettava a raggiungere il suo laboratorio.

L’indiano tornò al suo tavolo ma, anziché riprendere la lettura, si passò una mano sul volto, risalendo poi tra le ciocche castane. Per quanto Scarlett riuscisse a dissimulare, aveva capito subito cosa stava facendo. Ed era probabilmente l’unico a saperlo in tutta la Bassa Corte. Quella ragazza era una delle menti più ribelli e geniali che avessero mai attraversato quei corridoi. Aveva sostenuto fino all’ultimo il suo sguardo, senza neppure ribattere alla sua velata insinuazione. Probabilmente sapeva che non l’avrebbe mai denunciata. In fondo Noah l’aveva sorpresa a leggere uno dei suoi documenti almeno un anno prima, e non era giunto neppure un misero reclamo.

Senza sapere come, il ragazzo si ritrovò a torturare la manica della maglietta ricordando. Ricordando l’unica persona che, prima di Scarlett, aveva visto procedere in maniera così incosciente e meravigliosa. Troppo spesso il ricordo di un’altra chioma rossa si sovrapponeva all’immagine della nuova arrivata del reparto Meccanica. Scostò il libro, non potendo permettersi di rovinarlo con una stupida lacrima. Si prese un attimo per riordinare le idee, e tentò di riconcentrarsi di nuovo sulla lettura. Il volume in questione era, guarda caso, proprio quello che aveva spinto quella nuova mina vagante su un percorso pericoloso. L’argomento era qualcosa denominato come “robotica”, che a quanto pareva una scienza volta a produrre congegni che agissero senza l’intervento umano. Noah non aveva le conoscenze tecniche per sapere se ciò fosse realmente attuabile, ma gli venne il sospetto che qualcun altro stesse cercando di scoprirlo...

 

 

 

Angolo di IMma

Ed eccomi a voi con il primo capitolo. Come vedete l’atmosfera per ora è ancora relativamente tranquilla, anche se iniziamo a scoprire le prime contraddizioni di questo mondo distopico. Innanzi tutto a vita vanesia dell’Alta Corte non è poi così idilliaca, anzi, sembra studiata più che altro per tenere gli individui il più possibile all’oscuro di cosa accade all’esterno. In più, l’accesso al sapere è strettamente limitato e sembra quasi temuto. In particolare, incredibilmente, in questo mondo futuristico, per qualche motivo sembra completamente assente l’elemento robotico. Addirittura ne sono scomparse le tracce...

Teorie a riguardo? Ipotesi su cosa succederà?

Quanto ai personaggi non sono sicura che siano tutti IC, diciamo che stò ancora facendo pratica nel collocarli in questo universo...quindi fatemi assolutamente sapere cosa ne pensate.

Saluti

IMmatura

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Capitolo 3
*** minaccia incombente ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Teletoon; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

 

Il Destino del Successore

 

Capitolo secondo

-Non trovi che ci sia qualcosa di strano?- si azzardò a chiedere Scarlett, dall’interno di un tubo d’acciaio, grande appena il necessario per contenere il suo esile corpicino e una matassa di cavi.

-Ti ripeto che non può trattarsi della centralina, assistente. L’ho già controllata. Si sarà rotta qualche cinghia o qualcosa del genere...- si sentì rispondere da Max. Non credeva ad una sola parola. Primo: era evidente che almeno due contatti si erano bruciati. Secondo: quell’essere inutile, suo presunto mentore, non avrebbe mai potuto scendere li a verificare davvero come stessero le cose, senza rimanere incastrato. Lo spazio era davvero strettissimo, ed iniziava a metterle un senso di angoscia. Si affrettò a ricollegare l’ultimo spinotto col cavo dell’antenna e, faticosamente, si voltò per risalire la scaletta di metallo, verso l’esterno. Il cerchio luminoso si allargava di fronte ai suoi occhi, gradino gradino. Finalmente la sua testa sbucò fuori e la ragazza poté tornare a respirare l’aria del laboratorio. Pur sempre viziata, ma meno che in un cilindro di un metro e mezzo di diametro. Max sollevò la testa, per lanciare un’occhiata scettica a quell’occhialuta chiacchierona, dai capelli arruffati. Certo, gli tornava utile, ma chiacchierava troppo, per i suoi gusti. Era evidente che cercava di mostrarsi brillante, per impressionarlo. Povera illusa, non avrebbe mai raggiunto i suoi livelli di genialità, ovviamente.

-Non mi riferivo a quello...- sospirò lei, evitando di specificare che, comunque, l’altro aveva torto. Finalmente riuscì ad uscire completamente dal potatore meccanico, richiudendo il boccaporto da cui era entrata. Si sedette con le gambe penzolanti, da un lato del veicolo, alto almeno tre metri. L’aspetto era simile a quello di un carro armato di dimensioni ridotte, a parte per la parte inferiore. Poggiava infatti su pneumatici, anziché su cingoli, e nella parte anteriore faceva bella mostra di se il motore, scoperchiato da Max, e un set di lame d’acciaio inossidabile. Non era il massimo esteticamente, trattandosi di un modello piuttosto antiquato, e la vernice color bronzo che ricopriva la carrozzeria era scrostata in più punti. L’antenna esterna, altra piccola differenza con un veicolo da guerra, si era storta, ma era ancora funzionante, pertanto era stata lasciata così. Scarlett vi si aggrappava con una mano, per non perdere l’equilibrio.

-E allora a cosa?- chiese lui, squadrandola con un’occhiataccia. Fosse stata almeno un po’ più carina...non la trovava brutta, ma con quei capelli arruffati e gli occhiali storti... Scrollò le spalle. Che importanza poteva avere? Finchè non dava troppo fastidio, e si occupava di pulire gli aloni di fuliggine sui muri, dopo le eventuali esplosioni...

-Intendevo dire, non ti sembra strano che il Generale Hatchet sia venuto qui, a lasciarti ordini per commissionare un “lavoretto”?-

“Lavoretto” stava per “delitto”. Non sarebbe stato certo il primo, ne l’ultimo omicidio su commissione che avveniva tra le mura apparentemente sicure dell’Alta Corte. C’erano tali e tante congiure e rivalità interne, per entrare nelle grazie di Mc Lane, che le sparizioni erano piuttosto frequenti (i sicari, di solito, provvedevano a fare un “lavoretto pulito”). Più raramente, qualcuno scampava ad un delitto, nel qual caso la faccenda veniva liquidata come un increscioso incidente, ed archiviata dopo un’inutile denuncia contro ignoti. Era la prassi. Cosi come era prassi rivolgersi a qualcuno della Bassa Corte per contattare i sicari. Non sia mai che un membro dell’Alta si mischiasse con la massa dei Comuni. Tuttavia, stavolta la faccenda era ancora più torbida...

-Evidentemente, quello stolto non ha capito con chi ha a che fare, ed è convinto di potermi dare la massima fiducia.- borbottò Max.

-Ok, ma non ne avrebbe avuto bisogno. Poteva benissimo fare a meno di intermediari...lui è un Generale dell’Esercito. Può disporre a proprio piacimento di soldati altamente addestrati, perché venire a chiedere a te di contattare dei sicari Comuni?-

-Sciocca, sciocca assistente. Vedo che non cogli la situazione...non è Hatchet che ha bisogno di un sicario. Mi pare evidente che quella missiva mi è stata consegnata da lui per pura formalità da lui, e in realtà viene dal Governatore in persona. Appena i sicari termineranno il loro lavoro, potrò richiedere la giusta ricompensa per i miei servigi. Finalmente mi sarà riconosciuto il ruolo che mi spetta...entrerò di diritto nell’Alta Corte, sostituirò quel vecchio militare come braccio destro di Mc Lane...-

Scarlett roteò gli occhi al cielo, ignorando le grottesche risate e i deliri di onnipotenza dell’altro. Notò che il radiocomando, con il quale il potatore meccanico veniva indirizzato dal personale dei giardini, era poggiato lassù, vicino a lei. Un angolino della sua testa considerò l’ipotesi di accendere “accidentalmente” quel aggeggio e godersi la lenta agonia del suo “capo” tra le cinquanta lame dello strumento.

“Trattieniti, Scarlett, trattieniti.” si disse, tornando a considerare quella bizzarra situazione. Fin li c’era arrivata benissimo da sola. Grazie tante. Era risaputo che Hatchet fosse il braccio destro di Mc Lane, soprattutto quando si trattava di affondare nella melma, nei meccanismi sommersi in cui la figura istituzionale del Governatore non poteva sguazzare di persona. Tuttavia, la cosa continuava a non avere senso: il Governatore aveva arbitrio di vita e di morte sui singoli individui, salvo casi eccezionali. Probabilmente la Macchina aveva un pulsante apposito tipo “omicidio necessario” per permettere a Mc Lane di soddisfare quel sadico genere di capricci. Quindi perché scomodarsi con tutto questo mistero? E perché tutti questi passaggi? Era come se volesse mettere una sorta di barriera di “pesci piccoli” da incolpare e sacrificare in caso di necessità...

Che genere di delitto poteva essere contestato persino a lui, il Governatore?

Quello era un affare grosso, ci avrebbe scommesso. Uno di quelli che possono creare disastri e scompiglio, una di quelle trame che, se svelate, potevano far crollare tutto il castello di carte costruito dalla Corte nel corso dei secoli, uno di quei meccanismi che, se inceppati, potevano...

“Far collassare il sistema, la Società.” pensò sconvolta la rossa. E quell’imbecille pensava ad entrare nell’Alta Corte?! Che stupido essere mediocre...

Il cervello di Scarlett andava a mille. Voleva saperne di più, DOVEVA saperne di più. Provò quella sorta di desiderio doloroso che, di solito, si manifestava solo durante le sue saltuarie Contaminazioni di Ricerche. Le mani stavano tremando e, se non fosse stata attenta, avrebbe perso la presa sull’antenna del veicolo su cui si trovava, precipitando sul pavimento sporco del laboratorio. Il cuore martellava nella cassa toracica, mentre faceva un sorriso così ampio da intorpidirle il viso.

“Fuori.” pensò esaltata. “Fuori da questa gabbia di regole inutili. Da questo maledetto laboratorio pieno degli inutili arnesi progettati da questo incapace. Da questa scatola di vetro e acciaio, macchiate dalla fuliggine delle continue esplosioni.” Segni dei fallimenti di quell’inutile nanerottolo tronfio e grasso, che toccava poi a lei cancellare con olio di gomito. Lei, che avrebbe potuto riparare qualsiasi cosa ad occhi chiusi, ed anche migliorarla. Quel potatore meccanico, per esempio, era talmente ovvio che inserendo un computer all’interno, magari nello spazio in cui era stata reclusa poco prima, si sarebbe potuto programmare un percorso automatico ed evitare l’uso di un controllo a distanza. Voleva provarci. Voleva disperatamente provarci, se ne accorse. Non poteva ancora, però. Il limite tra M.P. (Macchine Pensanti, o computer) e M.A. (Macchine Agenti) era ancora li, regola ferma e ottusa. Come tutto in quel Palazzo maledetto. Doveva crollare. Il Palazzo, la Corte, la Società. Dovevano crollare, perché lei potesse avere il posto che le spettava.

E quella missiva, sul tavolo da lavoro di Max, forse era la mina che avrebbe fatto saltare tutto in aria.

 

---

 

Ci mise un attimo a riprendersi dall’emozione. Per la prima volta si erano dischiuse davanti a lui le porte blindate della sala della Macchina, ergo del proprio destino. Tuttavia, una volta assicuratosi con un gesto nervoso che la propria chioma fosse a posto, Topher si ritrovò a soppesare l’ambiente.

-Me l’aspettavo più ampia...- disse tra se e se.

-Che ingenuità, quasi mi commuove...quasi.- commentò sarcastico il Governatore Mc Lane, facendogli strada lungo un corridoio di metallo, ricoperto di cavi e spie luminose. -Se avessi studiato come si deve, ragazzino, sapresti perfettamente che la sala della Macchina è la stanza più grande dell’intero Palazzo Governativo.-

-Ma...questo posto è un buco!-

“Anche sfacciato...” pensò con astio Chris. Si chiese se sarebbe riuscito a portare avanti la consueta farsa per le due ore che lo attendevano. La sola presenza di quell’individuo lo irritava. Pensare che, grazie all’operazione di rallentamento del metabolismo, sarebbe stato ancora in piena forma almeno altri cent’anni, solo per vedere quell’arrogante bamboccio godersi i frutti del suo lavoro di Governatore gli riusciva inconcepibile. Per fortuna, da persona scaltra e previdente quale era, aveva trovato il modo di...modificare leggermente i piani.

-La sala è ampia almeno una ventina di metri quadrati, tuttavia nel corso dei secoli è stato necessario potenziare la Macchina, il cui hardware, al momento, occupa circa il 70% del volume complessivo dell’ambiente. Escludendo ovviamente il meccanismo di raffreddamento, che impedisce a questo modesto corridoio di diventare un forno.- spiegò, sibilando ogni parola come un’accusa.

-C-capisco.- rispose il Successore, intendo a schivare il getto di una piccola ventola di refrigerazione, che minacciava di distruggere la sua acconciatura.

-Qualche passo e lo spazio diventerà più ampio.-

In effetti, la massa d’acciaio che rivestiva il cervello della macchina aveva, ivi, una cavità centrale, al centro del quale, come su una sorta di pulpito, stava un leggio di metallo. Dai gradini che lo innalzavano si dipanavano anche tutta una serie di cavi dei colori più disparati, che affondavano nel pavimento o nelle pareti circostanti. Anche qui, ovunque si girasse lo sguardo si incontravano spie luminose di varie intensità e colorazioni. Per lo più luci azzurrine. Un grande neon sul soffitto accentuava, per contrasto, un oscuro rettangolo sulla parete frontale.

Appena però il Governatore Mc Lane fù salito sulla piattaforma, esso si rivelò essere uno schermo. Un gigantesco schermo che ospitava un’immensa mappa mondiale.

-Abbastanza imponente per i tuoi gusti, adesso?-

Topher non colse l’ironia, era troppo esaltato. Fece immediatamente per salire anche lui. Quello su cui stava smanettando il Governatore doveva essere il pannello principale. Voleva vederlo.

-Spazi giovanotto.- lo bloccò però l’uomo, con un plateale gesto della mano.

-Oh, non posso salire a sbirciare? Ti prego...-

-Non oggi.-

Dopo quella lapidaria risposta, Topher si limitò ad osservare da debita distanza il Governatore, mentre interagiva con il pannello touchscreen.

-Bene, ti illustrerò le procedure base di identificazione. Dovrai eseguirle ogni volta che accendi la macchina. Sono simili alle procedure anagrafiche, in realtà. Abbiamo tre livelli di verifica dell’identità...-

-Scansione dell’impronta digitale, campione sanguigno e scansione retinale.- completò il ragazzo, gonfiando il petto. Era felice di aver rimediato alla figura poco decorosa di prima. Chris Mc Lane invece era ancor più esasperato da quell’atteggiamento da secchione. Non fosse stato così allenato, avrebbe sicuramente accolto quel petulante intervento con una smorfia di rabbia. Fortunatamente era un grande attore (non fosse stato impegnato a dominare il mondo, avrebbe sicuramente avuto una grande carriera...) ed era decisamente motivato a non farsi spuntare rughe d’espressione. Le iniezioni di botox non erano gratis nemmeno per il Governatore.

Si era salvato dall’invecchiamento, solo per farsi distruggere il viso dallo stress, e da quella piattola vivente. Pensare che all’inizio lo trovava quasi simpatico, così deferente e adorante nei suoi confronti. Non che allora fosse disposto a mollare la presa sul suo “trono”, ma aveva considerato l’ipotesi di farne un suo collaboratore fidato. Tuttavia quella fantasia gli era passata in fretta. Topher non faceva altro che blaterare di quando l’avrebbe rimpiazzato e, dopo i primi giorni, aveva iniziato a prendersi fin troppe confidenze. Era solo un problema, e Mc Lane riusciva sempre ad eliminare i propri problemi. Letteralmente.

Quasi in risposta ai suoi pensieri, si collegò dalla sua stanza il Generale Hatchet. Il volto del suo uomo fidato apparve all’angolo dello schermo gigante.

-Governatore...-

-Generale Hatchet. Sto tenendo una lezione al Successore, per cui non ho molto tempo...- spiegò, in tono allusivo.

-Volevo solo dirle che la...ehm...missiva è stata consegnata.-

-Eccellente.-

-Operazioni militari? Ci sono pericoli?- chiese, più curioso che allarmato, Topher.

Chris gli rispose con un sogghigno divertito che non si trattava di “nulla di cui dovesse preoccuparsi”, per poi permettergli, visto che sembrava “tenerci così tanto”, di avvicinarsi. A patto che non toccasse nulla. Il ragazzo si affrettò ad ubbidire, entusiasta. Concentrato sui suoi sogni di gloria, non diede peso a quell’improvviso cambio d’umore del Governatore, ne al modo in cui, prima di interrompere la comunicazione dal suo computer, il Generale aveva borbottato qualcosa come “stupido ragazzo.”

La smorfia inquietante non accennava a sparire dal viso di Mc Lane. Nonostante il timore delle rughe. Era troppo soddisfatto di se, del suo progetto e di come stesse andando lentamente ed inesorabilmente in porto. Si chiese se i militari provassero la stessa sensazione nello sparare con le loro pistole laser: vedere esattamente il raggio luminoso, la sua traiettoria dritta e incontrastata, fino al bersaglio che veniva trapassato. Nel suo caso, aveva persino la possibilità di prolungare quell’attimo, godendosi la catena di eventi che l’avrebbero finalmente liberato da quell’ingombrante presenza.

Tanto valeva farlo contento, per ora, dato che aveva i giorni contati.

Riuscì a portare avanti la lezione egregiamente. Il Successore era particolarmente attento e felice, in quel momento. Durante gli ultimi tempi il Governatore gli era sembrato leggermente lunatico. Aveva notato qualche comportamento bizzarro, di cui aveva dato superficialmente la colpa all’età. Gli anni si fanno sentire per tutti, no?

Lui invece era ancora giovane, preparato e desideroso di adempiere al suo destino. In fondo era stato educato da sempre per questo. Conosceva le procedure della Macchina, avrebbe potuto ripetere a memoria le formule che sintetizzavano gli ideali della Società. La sua testa era piena di teoria e retorica, tanto che non avrebbe mai potuto immaginare quante e quali cose ignorasse ancora. L’ambizione, ed un’ingenuità propria di chi non aveva mai avuto problemi della vita, lo rendeva cieco a tutto ciò che non era sul suo diretto cammino. Non gli faceva vedere come proprio la persona che lo stava accompagnando, tramasse nell’ombra per eliminarlo.

Aveva ancora tante cose da imparare, Topher Bagley...chissà però se ne avrebbe avuto ancora l’occasione?

 

 

 

Angolo di IMma

Come vedete non ho dimenticato questa fanfiction, anzi, sappiate che ho già in mente i prossimi capitoli (il quarto sarà qualcosa di epico!), che spero di pubblicare il prima possibile. Ringrazio di cuore Ancilla e Farkas per aver recensito lo scorso capitolo, ed anche tutti coloro che stanno leggendo ed esplorando con me questo mondo inquietante e fantastico. Le sorprese sono appena iniziate!

Scarlett muore dalla voglia di uccidere Max, quindi direi che l’IC per ora c’è, ma fatemi sapere se qualcosa vi stona. Accetto qualsiasi tipo di parere, purché costruttivo. Dico sul serio. Finchè non mi lanciate contro pomodori o lattuga marcia sono contenta xD

Saluti

IMmatura

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Capitolo 4
*** scene dall'Alta Corte ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Teletoon; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Il Destino del Successore

 

Capitolo terzo

Dave si spruzzò per l’ennesima volta sulle mani il gel disinfettante, sfregandole tra loro energicamente. Alcune gocce caddero sulle sue ginocchia, coperte dal camice candido da medico. L’odore inconfondibile invase le strette pareti della sala visite, contribuendo a darle quell’aria asettica ed irreale. Il candore vi regnava sovrano. Le pareti erano verniciate di bianco, così come il pavimento era stato rivestito di marmo chiarissimo. Le pareti ai lati della sua modesta scrivania erano ricoperti dai bracci meccanici, a cui erano attaccate le varie attrezzature mediche. Ciascuno era stato rivestito di plastica bianca, per salvaguardare l’estetica generale della stanza. Persino i bisturi che riposavano su un tavolino, accanto al lettino per i pazienti, sotto la luce del neon che illuminava l’ambiente, assumevano un riflesso freddo e bianchissimo.

Avrebbe preferito essere ovunque, piuttosto che li. Era sempre stato leggermente spaventato dalle malattie, e dai germi. Non proprio ipocondriaco, ma quasi. Era stato per combattere queste sue paure che aveva deciso di iniziare a studiare biologia, tanto da meritarsi l’accesso per merito alla Bassa Corte. Era la seconda persona più preparata della sezione Ricerche Biologiche, immediatamente sotto alla dottoressa Crawl che, oltre allo studio, poteva vantare anche una mente molto più brillante. Sfortunatamente la donna era scomparsa in circostanze misteriose, senza che se ne avessero notizie per lungo tempo. Quando venne rintracciata, qualcosa in lei si era spezzato. Era ancora la donna solare ed energica che tutti conoscevano, ma diceva cose senza senso e appariva sempre più spesso assente e svagata. A breve, fu chiaro che aveva iniziato a perdere la ragione. Si diceva fosse stata rispedita fuori dal Palazzo, tra i Comuni. Nessuno aveva più osato chiedere di lei, e Dave aveva dovuto prenderne il posto. Ironia della sorte, essere capo di quella sezione di ricerche comportava uno spiacevole “onore” forzato: essere anche medico ufficiale dell’Alta Corte. Già. Un individuo ossessionato dall’idea di ammalarsi, costretto a fare il medico.

A volte Dave pensava di essere sul punto di impazzire. Il consumo di disinfettante nell’ambulatorio era triplicato da quando aveva iniziato a lavorare. Disinfettava qualsiasi cosa, danneggiando a volte i circuiti interni dei macchinari. Era una bella seccatura aspettare ogni volta che venissero riparati, ma non riusciva proprio a farne a meno. A questo si aggiungeva lo stress che quel ruolo avrebbe imposto anche a persone meno ossessive, e che peggiorava le sue nevrosi.

Il suo era un ruolo decisamente scomodo. Era lui ad essere chiamato per primo quando si verificava qualche “incidente” tra le stanze più intime del Palazzo Governativo. Ovvero, quando i vari congiurati del palazzo non si affidavano a sicari abbastanza abili o meticolosi. Poteva dire di aver visto di tutto, in quei soli due anni di incarico. In genere poteva solo accogliere confessioni e segreti di moribondi, prima che tutto lo spiacevole episodio venisse insabbiato. Talvolta riusciva a salvarne qualcuno e la faccenda veniva archiviata con un’inutile denuncia di aggressione contro ignoti. Qualsiasi cosa Dave sentisse, avrebbe dovuto portarsela nella tomba. Aveva l’obbligo di segretezza assoluta, con pena la denuncia per Alto Tradimento in caso di trasgressione. Un deterrente molto più efficace della deontologia professionale, visto che poteva portare alla condanna a morte.

Inoltre, lui era il custode della più spinosa verità di quella Società: l’Alta Corte, che apparentemente stringeva il mondo nel suo pugno di ferro, in realtà era estremamente fragile. Minata dalla debolezza di quegli individui arroganti, ma malati senza scampo, ne eccezione.  Secoli di reclusione avevano trasformato quell’elite in una casta debole e marcia, che si autodistruggeva lentamente, crogiolandosi nella propria ottusità e chiusura, tra le pareti rinforzate del Palazzo. Lo stile di vita aveva generato le prime patologie che, nel corso di secoli, si erano trasformate in tare genetiche a tutti gli effetti. A parte qualche militare, che riusciva nell’ardua scalata della piramide sociale, non vi erano nuovi apporti al corredo genetico dell’Alta Corte, ed i difetti, anziché riassorbirsi, si amplificavano a ritmo esponenziale.

Sapere questo rendeva la vita di Dave ancora più difficile. Confrontarsi con persone del genere ogni giorno, sentirsi trattare con sufficienza da individui patetici e dover mostrar loro deferenza era qualcosa di davvero irritante. A ciò si aggiungeva l’incoscienza dei più, che considerava quelle visite come un’infima seccatura. Uno di questi era Topher, al momento impegnatissimo a sbuffare di fronte alle domande di rito.

-Hai avuto episodi di dolori muscolari?-

-No.-

-Disturbi gastrici?-

-Neanche?-

-Fonofobia o fotofobia?-

-Eh?- chiese distrattamente il Successore, studiando il proprio riflesso sul tavolinetto di metallo.

-Fastidio per i rumori forti o per la luce.-

-Un paio di episodi di diplopia.- ammise.

-Stai usando il collirio?- chiese severamente, sapendo già di andare incontro alla solita discussione.

-Si, anche se non capisco perché non posso semplicemente operarmi.-

-Come ti ho già spiegato.-  iniziò, pazientemente, evitando di aggiungere “almeno cinquanta volte” -L’operazione di rallentamento del metabolismo non interromperebbe il processo di decadenza e irrigidimento del cristallino, al massimo potrebbe rallentarlo. Il che renderebbe ancora più lunghi i tempi di attesa per un futuro intervento laser. Non puoi sottoporti all’operazione prima del venticinquesimo anno d’età.-

Come sempre Topher si dimostrò infastidito dalla risposta. Avrebbe voluto fissare il suo aspetto fisico in quel momento, in cui era ancora nel fiore degli anni, e nel pieno della sua bellezza. Non voleva mica arrivare agli ultimi anni di incarico come Mc Lane, in guerra continua con le prime rughe. Era anche una questione politica, oltre che d’immagine, Lui doveva diventare il volto della Società, e rallentando il metabolismo adesso, quel volto sarebbe risultato perfetto.

-Porta pazienza ed usa il collirio. Di questi tempi ci mancherebbe solo un futuro Governatore cieco.- borbottò Dave, facendolo sobbalzare. Il Successore sapeva da tempo di essere stato riconosciuto come tale, e non nascondeva più la sua spilla prima di entrare nello studio, tuttavia sentire commenti così schietti, che  potevano mostrare inosservanza delle regole lo lasciava perplesso. Certo, c’era il vincolo professionale, ma in teoria solo i membri dell’Alta Corte avrebbero dovuto sapere...era contro il protocollo. La cosa che più lo inquietava, però, era non avere la più pallida idea di come, la prima volta, Dave l’avesse scoperto senza che lui aprisse bocca.

-Abbiamo finito? Stasera avrei un impegno e vorrei sistemarmi decentemente, prima...-

Il medico inarcò un sopracciglio, chiedendosi se davvero quell’individuo potesse imbellettarsi più di così.

-Ne avremo ancora per qualche minuto. Porgi il braccio.- rispose, portandosi verso la parete di destra ed allungando un braccio meccanico con un anello. Topher inserì l’altro all’interno, e i dati sui suoi battiti cardiaci, assieme a quelli sulla pressione, apparvero sullo schermo del computer. Dave sorrise tra se e se, ricordando la prima volta che l’aveva visitato. Era stato proprio quello il primo indizio, seguito da vari altri, appurati durante il suo primo screening completo. Ritmo cardiaco leggermente più accelerato, ampiezza polmonare superiore. Nessun sintomo di atrofia muscolare o dell’apparato digerente. Nessun indebolimento degli organi di senso, eccezion fatta per gli occhi. In sintesi, Topher era un individuo nettamente più in salute rispetto a coloro che lo circondavano. Poteva mentire col suo atteggiamento vanesio e capriccioso, quasi da primadonna, con la postura inutilmente tronfia e spavalda, ma non poteva mentire con la sua costituzione. Troppo in forma per appartenere alla “nobiltà” e troppo poco per essere un militare. Veniva dalla Bassa Corte. Ed un individuo della bassa corte poteva essere li solo in virtù del suo ruolo futuro.

-Se non hai altri disturbi da lamentare, il checkup di base è completo.-

Il Successore sospirò di sollievo, per poi affrettarsi ad abbandonare la stanza. In corridoio incrociò la sua fidanzata ufficiale, a cui concesse un largo sorriso, prima di andarsi a preparare per la serata che lo attendeva. Nella cupola superiore si sarebbe tenuto un concerto, al quale aveva promesso di accompagnarla. Per fortuna quella stupida formalità, la visita medica, gli aveva lasciato comunque un margine d’un paio d’ore per prepararsi.

Sammy intanto, ignara di essere stata confusa per la gemella, rimase per un attimo interdetta, per poi sorridere tra se e se. Era la seconda gentilezza che riceveva dal Successore, in quella giornata. Per la prima volta fu felice di essere stata spedita da Amy a farsi visitare al suo posto. La sua gemella odiava le visite mediche, e spesso, approfittando della somiglianza, le saltava. In quella particolare occasione, la scusa era doversi preparare per l’evento mondano di quella sera. Anche Sammy avrebbe dovuto prendervi parte, e neppure a lei piacevano le visite mediche...ma stavolta era ingenuamente felice. Varcò la soglia di quella stanza bianca e fredda, che la metteva sempre a disagio, con un ampio sorriso, fantasticando cose un po’ fuori della sua portata. In fondo Amy non poteva ancora entrare a comandare nei suoi sogni...

 

---

 

Trent Mc Cord accordava la sua chitarra. Da quando la sua fidanzata ufficiale Gwen gli aveva regalato quel bizzarro oggetto d’antiquariato non riusciva più a suonare gli emulatori digitali con lo stesso entusiasmo. Quello strumento così vetusto, in legno, aveva un’acustica così piena e particolare...come se il suono, oltre che nella cassa di risonanza, vibrasse un po’ anche nelle anime che raggiungeva. A riprova di ciò, quella stravaganza era stata accettata in tempi sorprendentemente brevi nell’Alta Corte. L’innegabile piacere dato dalla musica aveva aiutato i più a digerire l’uso di un volgare strumento comune. Il ragazzo ne era, tutto sommato, sollevato. Non voleva certo dare scandalo. Semplicemente, esercitava un’arte, e in questo ambito si sentiva in diritto di reclamare un po’ di libertà in più. Per il resto era un elemento esemplare della Corte, uno stimato membro della Società. Irreprensibile. La cosa più azzardata che avesse fatto in vita sua era fidanzarsi con Gwen, una pittrice. A differenza sua, la ragazza usava ancora le tele olografiche. Tuttavia sembrava ancor più interessata di lui agli oggetti e agli usi comuni. Se quella di Trent era una curiosità marginale per qualcosa dal gusto alternativo, quasi esotico, la vita fuori dal palazzo esercitava su Gwen una vera e propria attrazione. Parlava più spesso di quanto fosse conveniente con i membri della Bassa Corte, soprattutto i più giovani, appena entrati per merito. Cercava di carpire più informazioni possibili, vincendo la sua naturale ritrosia e riservatezza. Eppure, era proprio per questo che Trent la amava. Quella ragazza dai capelli tinti di un colore bizzarro, e la pelle candida come la luna, era capace di cogliere sfumature differenti nella realtà, e dedicare attenzioni a ciò che per gli altri passava sotto silenzio, senza preoccuparsi dei giudizi altrui. Straordinaria, in tutti i sensi. Ancora si chiedeva, Trent, come avesse meritato la fortuna di averla.

Al momento, Gwen, stava ascoltando le prove, seduta sugli spalti allestiti per l’occasione nell’area giardino della Cupola Superiore, accanto alla sua amica Courtney Barlow. Quest’ultima non avrebbe potuto essere più diversa da Gwen: il padre, stratega dell’Esercito, oltre alla carnagione propria degli ispanici, le aveva trasmesso anche un’innata propensione alla disciplina. Era la ragazza più irreprensibile di tutta l’alta corte, e la sua frequentazione riusciva a riabilitare anche la reputazione barcollante di Gwen. Inoltre, in sua presenza, non c’era davvero possibilità di sgarrare le regole. Regale ed intransigente, la ragazza aveva il piglio del comando. Era fin troppo pragmatica, per essere una “nobile.” Al momento, per esempio, pur apprezzando la musica, sembrava preoccupata anche di sorvegliare lo svolgimento dei lavori per il concerto di quella sera. Era una perfezionista, e proprio per questo era l’organizzatrice ideale. Sebbene anche la più stressante possibile.

-Dov’è Ella?- sbuffò, infatti, infastidita dal ritardo della cantante.

La ragazza arrivò in quel momento, trafelata, con già indosso la divisa formale rosa. Aveva acconciato i capelli in maniera arcaica e buffa, con un fiocco a separare la frangia dal resto della chioma d’ebano.

-Scusate, ragazzi, ho avuto dei problemi con l’ascensore...-

“Di nuovo?” si chiese irritata Courtney. In effetti Ella era famosa per due cose, a Corte: la sua voce divina e la sua immensa goffaggine. Riusciva a trovare difficoltà persino nel maneggiare i congegni elettronici più elementari. Qualcuno diceva, poeticamente, che sembrava uscita fuori da un’altra epoca. Qualcun altro, più malevolo, la etichettava come una stravagante per la sua abitudine di trascorrere davvero molto tempo nella Cupola Superiore del Palazzo Governativo. Ella, in effetti, vi si recava molto spesso, un po’ per sfuggire a tutte quelle macchine con cui proprio non andava d’accordo, un po’ perché amava osservare le piante. I fiori coltivati in serra, soprattutto, la affascinavano tanto. Da quando era bambina si era sempre rifugiata nella serra, quando si sentiva a disagio, e aveva imparato a consolarsi cantando. Nel corso del tempo si era persino convinta che la sua voce aiutasse quei boccioli a crescere meglio. Ne era sicurissima. Diceva proprio che “alle piantine piaceva la sua voce.”

Insomma, una ragazza dolcissima, ma evidentemente disadattata. Che sommata a Gwen, la ribelle alternativa e Trent, troppo educato per redarguirle e prendere le redini della situazione, avrebbero portato al disastro, se non ci fosse stata Courtney a tenere le redini dell’organizzazione. Anche lei era una musicista, suonava l’emulatore digitale “Violino S2.0”, ma non si lasciava traspertare troppo dalle fantasticherie da “artisti”. Per fortuna. Altrimeni quella sera avrebbero fatto decisamente una pessima figura di fronte al Governatore, che sarebbe intervenuto eccezionalmente all’evento. Un’occasione puù unica che rara, un onore irripetibile che agitava un po’ tutti, e costringeva l’ispanica a sforzarsi il doppio per calmare sia i colleghi che se stessa.

Loro erano l’Alta Corte. Avrebbero dovuto essere l’emblema dell’innalzamento dello spirito, un esempio di virtù, cultura e raffinatezza. Questo veniva insegnato a tutti loro, fin da bambini, ma solo Courtney aveva interiorizzato così profondamente i principi su cui si basava la Società. Al vertice vi era la Macchina, la perfezione. Un ideale a cui Courtney si era sempre ispirata nella vita. Immediatamente sotto vi erano loro, l’elite che in virtù delle proprie qualità meritava di governare, con l’ausilio dell’Esercito, sulla Società. Nel corso dei secoli l’Alta Corte si era dedicata incessantemente alle più raffinate e profonde attività intellettuali, emancipandosi dal rozzo sapere tecnico, i cui detentori erano i membri della Bassa. Arte, musica, filosofia...queste erano le discipline meritevoli di interesse tra le mura blindate dell’Alta Corte. Oltre che la scienza bellica, i raffinati disegni tattici degli strateghi dell’Esercito. Gli unici che potevano meritare l’immenso onore di accedervi per merito. Courtney era fiera di suo padre per i risultati del suo impegno, della sua carriera militare, che le avevano permesso quella vita agiata ed esclusiva. Proprio per questo considerava importante lo status quo, e le rigide regole gerarchiche. Non tutti meritavano ciò che aveva meritato la sua famiglia. Ne era fermamente convinta.

-Beh, l’importante è che tu sia qui, adesso. Sali sul palco e proviamo il pezzo d’apertura...quello prima del mio assolo coll’S2...-

-Aspetta, Court, lascia finire a Trent la sua canzone.- ribattè Gwen.

-E va bene.- acconsentì, con un sorriso. -Ti siedi con noi ad ascoltare, Ella?-

-Grazie. Siete tutte e due così gentili!- esclamò felicissima la cantante, sedendosi con un movimento incerto, ma in qualche modo elegante. Cercò di spiegazzare il meno possibile la gonna, nel mettersi a sedere sul metallo freddo della gradinata.

-Avresti dovuto aspettare a cambiarti. Abbiamo ancora un’ora e mezza prima dell’inizio, così rischi di rovinare la divisa...-

-Non ci ho proprio pensato, scusatemi tanto.-

-Figurati, che problema c’è...la Wilson e le sue amiche avranno ben altro di cui sparlare...- borbottò a mezza bocca Gwen, alludendo ad Heather, prima ballerina, e ad altre ragazze non molto simpatiche della Corte.

-Gwen, te l’ho già detto. Non PUOI esibirti con indosso questi abiti. Va contro qualsiasi protocollo. Non è neanche una divisa, è...è...-

Si trattava di una gonna nera, abbinata con una giacca di scena e addirittura degli anfibi militari. Come se l’idea, avuta sei mesi prima, di tingersi i capelli, non fosse stata sufficiente a metterla in luce come “stramba” e farla prendere di mira dai pettegolezzi. La lingua di Heather era velenosa come quella di una serpe. Gwen sapeva rispondere a tono, ma non poteva contrastare le chiacchiere di cui non era a conoscenza. Courtney, in quel senso, si comportava da amica leale, cercando di smentire le cattive voci anche quando esse avevano un fondo di verità. Ancora non aveva idea di come la Wilson fosse riuscita a carpire alcune informazioni riservate, come il singolo, casto bacio che c’era stato tra Trent e Gwen prima del loro fidanzamento ufficiale. Quello scandalo aveva tenuto impegnate le bocche ai ricevimenti per almeno una settimana.

Al momento, Heather era a sua volta in ritardo, ma nessuno ci teneva a vederla arrivare. Insopportabile era l’unico aggettivo con cui la ragazza poteva essere descritta.

-Non ho paura certo di quella vipera.-

-Ma...ti rendi conto che ci saranno gli alti gradi dell’Esercito, il Governatore...tutti! Davvero, non fare sciocchezze: va a cambiarti, dopo.-

-Si, signora.- rispose scherzosamente la dark alzandosi, e facendo un cenno di saluto a Trent, che ricambiò. Sapeva che non era il caso di far preoccupare l’amica. Diventava estremamente irascibile, quando perdeva il controllo della situazione. Inoltre non poteva negare di sperare in un incrocio con Heather. Sperava di sorprenderla in atteggiamenti compromettenti con quell’Alejandro Burromuerto che fingeva tanto di detestare. sarebbe stato davvero divertente ricambiare il favore a quella arpia, facendole assaggiare un po’ del veleno che di solito si divertiva a sputare contro tutti.

 

 

 

 

 

Angolo di IMma

Questo capitolo è un po’ sottotono, ma prepara le basi per il prossimo, in cui ci sarà molta più azione. La prima scena spiega (finalmente) in modo decente quel che avevo già accennato a Farkas: i membri dell’Alta Corte hanno una serie di difetti fisici, che li rendono più deboli e, allo stesso tempo, riconoscibili. Topher, essendo originario della Bassa, è messo “meno peggio” di altri. Questo sarà abbastanza importante...

La seconda scena mi serviva ad introdurre Courtney (amo questo personaggio!) oltre che a dare un po’ l’idea di come funzionasse il sistema per “caste” di questa Società. In più penso si sia colta la mentalità parecchio “singolare” (non voglio giudicare) che vige tra i “nobili”. Prima di accanirvi, sappiate che anche questo è un elemento dovuto a determinati e logici motivi. Questa gente è praticamente indottrinata dalla nascita, benchè convinta di essere molto più libera...

Spero che il concetto sia passato nel modo giusto. Non esitate a segnalarmi eventuali difficoltà o perplessità. Mi fa sempre piacere confrontarmi con le vostre opinioni.

Saluti

IMmatura

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Capitolo 5
*** L'agguato ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Teletoon; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Il Destino del Successore

 

Capitolo quarto

Il concerto non era iniziato nel migliore dei modi. Il Governatore si era mostrato un po’ annoiato, specie dall’esibizione di Ella, che avrebbe dovuto essere il pezzo forte. Subito dopo il suo insuccesso, la ragazza era fuggita nella serra per tentare di ricomporsi. Gwen avrebbe voluto seguirla, ma adesso sarebbe toccato a lei. Avrebbe dovuto eseguire dal vivo un’opera, proiettando l’immagine che stava dipingendo sulle note della canzone di Trent. Courtney la trascinò letteralmente dietro gli spalti, dove un paio di tecnici stavano ricontrollando i collegamenti che trasmettevano gli imput della tela olografica al proiettore. Trent stava già salendo sul palco.

-Quella ragazza cantava davvero bene...- commentò Sammy, sommessamente.

-Ma che dici? Era una noia mortale...non hai visto che sbadigli che si faceva anche il Governatore Mc Lane?- fu la risposta acida di Amy, prima di rivolgere di nuovo le sue attenzioni al ragazzo che le sedeva accanto.

-Non sei d’accordo anche tu, Topher?-

Il Successore si riscosse dal suo torpore. Era abbastanza stanco, dopo la giornata piena di impegni, e faticava a seguire i discorsi della fidanzata.

-Certo, certo...- farfugliò senza troppa convinzione.

Amy capì che stava fingendo, ma si limitò a sbuffare stizzita. Si ripeteva mentalmente chi era lui, e quanto, tutto sommato, ne valesse la pena.

-Eri distratto, ma ti capisco...finora è stato tutto abbastanza mediocre, non credi?-

Amy era un tipo esigente, e Topher questo lo sapeva. Tuttavia onestamente non aveva trovato quell’esibizione così male. Aveva assunto l’atteggiamento consono, cioè leggermente distaccato, per uniformarsi al contegno tenuto da Mc Lane...doveva imparare da subito come mostrarsi, da Governatore, in certi frangenti frivoli. Piglio altero e un po’ sdegnato. Ecco, adesso aveva anche lui l’espressione perfetta...peccato che le luci si abbassarono di colpo, così che alle spalle di Trent risaltassero di più le proiezioni che Gwen avrebbe dipinto. Le prime note della chitarra vibrarono. La luce formava magici disegni dietro Trent, anzi, sembrava quasi che quei colori gli esplodessero attorno. Gwen, dalla sua postazione, senza vedere esattamente dove fosse, riusciva comunque ad immaginarlo (avevano fatto le prove) e a disegnargli attorno.

-Mi chiedo come facciano a fare certe cose.- mormorò tra se e se Sammy.

-Credo sia questione d’abitudine, esercizio...-

-Oh, ma che ti importa, Samey, sta zitta ed ascolta!- la ribeccò Amy. Non le andava molto a genio che disturbasse il suo ragazzo. Avrebbe potuto mettere a rischio il suo fidanzamento con il suo essere soggetta. Insomma, se Topher avesse iniziato a pensare che era anche lei così...così...mediocre, rischiava di perdere l’occasione della sua vita.

-Io invece mi chiedevo come dev’essere stare sul palco. Gli occhi di tutti addosso, la totale attenzione su di te...deve essere bello.-

-Oh, ma noi avremo assolutamente tutta l’attenzione di questo mondo, in futuro. Giusto?- chiese la fidanzata a Bagley, stringendo un po’ di più il suo braccio.

-Già, direi di si.- ammise lui, sorridendo, ma continuando ad osservare la scena.

Curiosa coincidenza, anche lui, se non fosse stato il Successore, avrebbe avuto velleità artistiche. Ma a differenza di Mc Lane quel rimpianto non si era ancora inacidito, trasformandolo in un giudice troppo severo, che snobbava i teatranti sul palco, paragonandoli ad un’irreale perfezione che sarebbe stata la sua “se soltanto...”. Era ancora in grado di godersi gli spettacoli con serenità. Peccato fosse davvero molto stanco.

-Io non riuscirei mai a fare una cosa del genere, morirei di imbarazzo.- pigolò Sammy, rossa al solo pensiero. La sorella sbuffò sibilandole nell’orecchio che ne avrebbe avuto tutte le ragioni.

Quella sera la “brutta copia” era così irritante. Amy proprio non capiva che le fosse preso: non faceva che sorridere come un’ebete e blaterare opinioni non richieste ed inutili (dato che erano le sue). Sembrava quasi che stesse cercando di carpire un po’ di attenzioni dal Successore, grazie a lei. Sarebbe proprio stato da Samey: cercare di approfittare della sua fortuna per farsi bella e dire che lei chiacchierava sempre scioltamente con il suo futuro cognato. Poteva anche immaginare le meno sveglie tra le ragazze dell’Alta Corte, che squittivano chiedendo dettagli. Quella ragazza la metteva sempre in difficoltà, ed ora osava anche cercare di approfittarsi di lei. Poi si chiedeva perché tutti preferissero lei, Amy, la bella copia, brillante, popolare e acida quanto bastava per rimettere al proprio posto chiunque. Soprattutto la sua gemella. Avrebbero dovuto fare un lungo discorsetto, tornate nelle stanze della Corte...

-Scusate, ma io credo proprio che mi ritirerò, per stasera.- annunciò il Successore, alzandosi e stando ben attento a non fare troppo rumore. Non voleva certo che qualcuno lo vedesse adesso, con l’espressione stanca e, temeva, anche delle brutte occhiaie.

-No.- protestò Amy.

-Davvero, credo di stare per svenire dal sonno. Ti chiedo scusa.-

-Buonanotte allora.- bisbigliò gentilmente Sammy. Dopo un attimo di sorpresa il ragazzo ringraziò e si avvio verso l’apertura centrale, che permetteva l’accesso agli spalti.

Era un lungo corridoio con delle lucine ai bordi del pavimento. Una guida per chi, come lui, decideva di rientrare un po’ prima nelle sue stanze. Si strofinò gli occhi, che ricominciavano a bruciare leggermente. Aveva decisamente bisogno di dormire. Uscito da quella opprimente cava metallica si recò verso l’ascensore.

Incrociò Courtney Barlow che ne usciva con un’espressione decisamente preoccupata. Che qualcosa non andasse con lo spettacolo? La ragazza portava con se quello che doveva essere una specie di macchinario di scena...forse l’aveva mandato a quelli della Bassa Corte per una riparazione lampo, e temeva di non arrivare in tempo.

-‘sera.- la salutò distrattamente, ricevendo una risposta esitante.

Se avesse avuto un po’ più confidenza con quella ragazza avrebbe capito che qualcosa l’aveva davvero scossa. In genere, Courtney era sempre precisa, attenta e mai, MAI esitante. Quel che Topher aveva potuto immaginare era solo parte di ciò che l’aveva...spaventata. Era vero, era dovuta scendere a prendere un’altra tela olografica, dato che quella che Gwen stava usando, per qualche motivo, si stava surriscaldando. Per fortuna aveva pensato di metterne da parte un paio, per tempo.  Quando però era andata a prenderle, era passata per i dormitori dell’Alta Corte, e li aveva sentito. Una voce. Una voce maschile rabbiosa e stizzita, che non credeva di conoscere (e di norma, più o meno, ci si conosceva tutti li dentro.). Forse per lo spavento, aveva preso a camminare più veloce, senza rendersi conto di andare incontro al rumore, anziché allontanarsene. Per fortuna i suoi passi sembravano aver messo in allarme l’estraneo, che si era affrettato a sparire dietro una porta, che si era sigillata come di consueto alle sue spalle. Per una frazione di secondo, Courtney aveva visto una sagoma. Ed era abbastanza sicura che non fosse di qualcuno dell’Alta Corte. Eppure era entrato in una delle stanze da letto. Era impossibile, a meno che non avesse un passe-partout, il che significava...

Un sicario.

Sapeva che queste cose accadevano. Meno di due mesi fa, per esempio, era sparita una delle amiche pettegole della Wilson. Dakota Milton, se ben ricordava. Però...avere di fronte il fatto nudo e crudo, era shoccante. Per la prima volta in vita sua aveva avuto davvero paura. Aveva quasi temuto che fossero li per lei. In fondo era una delle persone più in vista nella Corte.

Non sapeva davvero come comportarsi, ed era decisa a non rientrare nelle stanze della Corte da sola. Sapeva benissimo che poteva non bastare, ma...non poteva proteggersi di più. Farne parola con qualcuno era fuori discussione. Era una di quelle cose di cui non si doveva parlare. Non c’era nessuna legge scritta, e teoricamente un’intrusione nell’Alta Corte era un reato da segnalare...ma quelli avevano avuto in qualche modo accesso senza far scattare gli allarmi. Erano sicuramente sicari. E l’ultimo che aveva denunciato la presenza di sicari, a quanto si sapeva, ne era stata la successiva vittima.

Non riusciva a convincersi di averlo solo immaginato, anche se sarebbe stato molto più facile. Sperava di non essere lei la vittima, ma allo stesso tempo aveva anche paura di quest’eventualità. Fino a quel momento, di fronte a questi eventi, si era sempre potuta nascondere dietro frasi di circostanza, e sbandierando la presunta efficienza di “autorità competenti”, fin quando un comunicato non annunciava la morte ed imponeva il silenzio. Stavolta, però, col suo silenzio era come complice...

Courtney era severa, si, ma soprattutto con se stessa. Pretendeva la perfezione dal suo essere, ed essere l’omertosa complice di un crimine non era quello che voleva. Lei credeva nella perfezione, nell’ordine, nella Società. Credeva che nessun uomo, a parte il Governatore, avesse diritto a decidere della vita o della morte di un individuo. La dottrina in cui era cresciuta, il senso della responsabilità e della giustizia che le aveva insegnato suo padre, le dicevano che doveva fare qualcosa. Ma il ricordo di quei momenti, in cui aveva davvero rischiato la vita, ingigantivano a poco a poco la paura. Si sorprese a rischiare di far cadere la tela olografica, per il tremore delle mani.

Lei che credeva di sapere tutto, non aveva più la minima idea di che fare...

 

---

 

I sicari lavoravano sempre in coppia, era la prassi. Uno faceva il lavoro sporco e l’altro rimaneva fuori la porta, per eliminare eventuali “imprevisti”. O impedire che la vittima fuggisse. Duncan però era un caso eccezionale. Lui lavorava da solo praticamente fin dal primo incarico, ed era comunque tra i più abili e tristemente rinomati sicari. Aveva un suo metodo collaudato, in genere efficace. Quella volta inoltre, gli stava andando davvero di lusso: aveva ricevuto una tessera magnetica con cui aprire liberamente le porte, e stando alle informazioni che aveva non gli era toccato un militare. Quelli erano ossi duri, addestrati ad avere la guardia leggermente più alta rispetto al resto dei nobili palloni gonfiati che faceva fuori come mosche. Tipo quello che doveva uccidere quella sera. Un ragazzo più o meno della sua età, per fortuna con l’aspetto da idiota.

Aspettava quasi con disinvoltura, accanto al vano della porta, nella semioscurità della stanza, rigirandosi tra le dita il filo sottilissimo con cui l’avrebbe strozzato. Era la sua tecnica: silenziosa, pulita e rapida. Si addiceva allo stile di quegli ipocriti. Tutti uguali. Talmente sicuri di se stessi da non guardarsi neanche intorno, quando rientravano nelle camere. Talmente concentrati su se stessi da non notare, accesa la luce, qualcosa di strano nella propria ombra. Così stupidi da non accorgersi fino all’ultimo secondo della morte alle loro spalle.

Bip. Duncan si appiattì contro il muro e, come si aspettava, fuori dal cono di luce che veniva dal corridoio, non fu visto da quello stupido. Sogghignò nel buio, scivolando alle sue spalle esattamente mentre la porta blindata scorreva per richiudersi. Nascosto nell’ombra, e con lo scatto della serratura magnetica a coprire il suo passo. Srotolò il fino, stringendone i capi arrotolati attorno alle dita, guantate. Era la sua arma preferita. Amava il rischio.

Due battiti di mani. Il neon si accese ronzando. Duncan rimase immobile dietro le spalle dell’obiettivo. Si dirigeva alla scrivania. Perfetto. Avrebbe sicuramente acceso il computer, adesso. Ancora più distratto. Sarebbe stato facile come rubare le caramelle ad un neonato.

Invece Topher, preso dal cassetto il flaconcino del collirio, si era chinato verso lo schermo, per sfruttarne il riflesso e metterne due gocce. E chinandosi l’aveva visto. Duncan vide il volto imbellettato dell’altro, dilatato dallo schermo leggermente convesso, con un’espressione di puro terrore dipinta sopra. “Merda!” pensò, scattando per attorcigliargli il cavo attorno alla gola e farla finita in fretta. Nel frattempo Topher si era girato e vide un bagliore teso tra le mani dell’aggressore, in passamontagna. D’istinto allungò la mano verso lo sgabello di fronte al computer, che però era fissato al suolo, come tutti i mobili della stanza. Un giro di quelle mani guantate attorno al collo e iniziò a sentirsi mancare il respiro. La vista ancora appannata dalle gocce e dalla stanchezza gli facevano vedere solo una sagoma nera, sfumata con lo sfondo freddo delle pareti. Due macchie di ghiaccio al posto degli occhi. Riusciva a sentire il battito acceleratissimo del cuore pulsare attorno alla gola, ronzargli nelle orecchie. Le mani tentarono di liberarlo dal filo, ma scivolavano, sudate, mentre quelle del sicario insistevano, stringendo un po’ di più. Nonostante quel “colpo di scena”, Duncan non perse il sangue freddo. Contò mentalmente. Al cinque, come si aspettava, la vittima perse i sensi. Allentò la presa dopo pochi istanti, e il corpo di Bagley si accasciò al suolo.

Sogghignò. Sapeva a memoria quanto ci mettevano questi stronzi a rimanere senza fiato. Soffocarli era una passeggiata, sembrava che al posto dei polmoni avessero prugne secche.

Adesso doveva solo fare l’ultimo sporco lavoretto, approfittando della serata di gala che, a detta dei suoi committenti, avrebbe tenuto tutti impegnati sul tetto per ancora un bel po’. Doveva far sparire il corpo. Di norma si sarebbe limitato a farlo precipitare giù dall’apertura della sala decolli del Palazzo, come sempre. Ma il committente stavolta si era espressamente raccomandato su questo punto, quindi aveva dovuto pensare ad un piano più sicuro. Avrebbe rubato uno dei mezzi di decollo individuale presenti nella rampa di lancio, e poi avrebbe buttato via la zavorra sorvolando una Zona Proibita. Niente di più facile, e ci avrebbe guadagnato una navicella, oltre alla ricompensa in denaro. Come avrebbero spiegato poi, nell’Alta Corte, il furto non era affar suo. Avrebbero dovuto progettare scatolette meno facili da forzare.

Si dice che troppa paura rende vulnerabili, ma anche la troppa sicurezza porta a delle leggerezze. Duncan, così convinto del fatto suo, infatti, stava attentissimo a controllare che nessuno sbucasse da ogni angolo, mentre si trascinava appresso un carrello del refettorio, opportunamente coperto. Senza sapere che, sotto la copertura, il petto di Topher aveva ricominciato a sussultare. Era vivo. Terrorizzato e incapace anche solo di muoversi, gelato dal panico, ma vivo. Sentiva il ronzio delle ruote del carrellino riempirgli il cervello, impedendogli di pensare. La testa era così pesante. Si sforzava di non fare rumore con suo respiro, teneva gli occhi serrati e con i pugni chiusi, torturava con le unghie il palmo delle mani. Lo credeva morto. E invece era vivo.

Era tutto quello che riusciva a pensare. Non a come scappare da quella situazione. Non a come dare l’allarme, o sopraffare l’avversario. Era solo terrorizzato dall’idea di farsi sentire, vivo. Di colpo, una sensazione nuova lo invase, facendogli sentire quanto in quella situazione aveva sudato. Freddo. Intenso come sotto una doccia fredda. Anche attraverso il telo, riusciva a sentire aria pungente, come mai gli era capitato nelle stanze climatizzate della Corte, dove la temperatura era mantenuta costante ad un livello ideale, di giorno e di notte, d’estate e d’inverno. Era una sensazione così strana, che credette di stare sognando. Un sogno assurdo in cui un sicario lo uccideva, poi correva su ruote che non riusciva a vedere, anche se doveva essere morto, e poi si ritrovava, senza senso, all’esterno. Perché quella doveva essere la sensazione dell’aria esterna, questo l’aveva capito, in qualche modo. No, non poteva essere. Quindi, per esclusione, l’unico posto doveva essere...la Sala Decolli, che aveva una bocca rettangolare pronta, per le rare necessità, a sputare unità di decollo. Era ancora nel palazzo, poteva ancora...fare cosa? Non ne aveva idea. Finalmente, da qualche parte, trovò il coraggio di aprire gli occhi. le trame del telo che ricopriva il suo corpo era sottile e, se non avesse avuto la vista sfocata, avrebbe potuto vedervi attraverso. Le orecchie, tappate fino a quel momento, tornarono improvvisamente a sentire i rumori.

Sentì il rumore secco del portellone d’ingresso, forzato da quel tipo. Sentì le ruote del carrellino, lanciato dentro forse con un calcio dal sicario, che aveva sbuffato.

-Ma guarda se mi tocca pure portare la spazzatura ades...ma che cazzo?!- esclamò Duncan vedendo improvvisamente una figura scattare in piedi. Quel bastardo era ancora vivo. Pallido come fosse già cadavere, rantolante e con gli occhi sgranati, ma vivo. E si era avventato su di lui a sorpresa, riuscendo a sbalzarlo fuori dal portellone.

Il Successore non aveva mai sentito i nervi del suo corpo così tesi in vita sua. In preda all’adrenalina, si era mosso istintivamente, buttandosi sul portellone per cercare di richiuderlo. Spingeva con una forza che non immaginava di avere, sentendo la spalla, le braccia, le gambe, ogni parte del suo corpo contrarsi o tendersi, indurirsi in maniera quasi dolorosa. Spasmi. Non ne aveva mai avuti, ma temeva potessero essere qualcosa del genere. Persino respirare, avidamente adesso, dopo quella sensazione di non riuscirci, era doloroso. Malediceva mentalmente i suoi polmoni, che si gonfiavano minacciando quasi di spaccargli la gabbia toracica. Eppure era proprio quei polmoni che avrebbe dovuto ringraziare. Quei due organi un po’ più grandi, con quella manciata di spazio in più per il fiato che l’aveva fatto sopravvivere.

Di colpo sentì il sicario sbraitare come un ossesso che l’avrebbe ammazzato. Urlava come una belva dolorante, e solo dopo realizzò che doveva essere per il braccio che lui gli stava praticamente stritolando nello sforzo di chiudere il portellone. Quell’arto si agitava, le dita rattrappite per il dolore, ma con la rabbia furiosa, desiderosa di colpire. Alla fine però, Duncan fu costretto a ritirarlo, dato che non ci teneva a farselo mozzare da una porta d’acciaio.

-Vuoi giocare, figlio di puttana?- righiò Duncan, riafferrando la spranga che aveva usato per forzare il portello.

Topher si allontanò fino a poggiare la schiena contro la parete opposta del mezzo. Quel sicario avrebbe aperto la porta. L’aveva già fatto, ci sarebbe riuscito a breve. Doveva farsi venire in mente qualcosa, e in fretta. Un rumore sordo, metallico, lo convinse a scattare verso quella che era la plancia di comando. Aveva preso qualche lezione di volo, prima che i suoi impegni di Successore smettessero di lasciargli anche quel misero tempo libero. Non era mai uscito davvero, ma aveva imparato le nozioni teoriche e sapeva accendere quelle navicelle. Doveva tentare.

Quel tizio non poteva forzare un veicolo in movimento, giusto? Si avventò sui pulsanti senza nemmeno preoccuparsi di mettersi a sedere. Pulsante rosso, pulsante verde. Un piccolo schermo incastrato tra le pulsantiere segnalò l’avviamento dei motori. Sentì, attutito dalla spessa carrozzeria metallica, il rombo dei reattori che si mettevano in moto. Afferrò la cloche, estraendola dall’insenatura nel lunotto anteriore. Subito si sentì sbalzare indietro e si aggrappò con una mano al rivestimento plastificato del sedile per non cadere. Stava decollando. Stava scappando.

Quello stava prendendo il volo, accidenti! Duncan avrebbe avuto parecchie rogne, per una cosa del genere. Non solo la sua vittima era sopravvissuta, ma stava anche per sfuggire in modo così plateale...rischiava di essere ammazzato, altro che ricompensa milionaria! Doveva fare qualcosa in fretta. Il veicolo sembrava lanciato verso la bocca aperta nella rampa di lancio metallica. Correva sempre più veloce verso quel ritaglio di cielo.

Quella sala decollo, però, era anche la sala decollo dei mezzi militari. C’erano armi appese ai muri, che i soldati sbloccavano e portavano con se, prima di partire. Duncan si avventò sulla parete e, facendo leva sulle sue gambe, tranciando numerosi fili elettrici in quello sforzo, riuscì a sganciare un lanciarazzi. I guanti lo salvarono dall’essere fulminato e il sicario potè mettersi in posizione. Aveva usato quell’arma una volta, quando gli avevano commissionato l’omicidio di un militare durante un’esercitazione aerea. Dunque sapeva già dove mirare.

-Crepa.- sibilò mentre il proiettile gigante volava verso un punto ben preciso della carrozzeria argentata del mezzo. Lo inseguì fino all’esterno, dove il veicolo aveva iniziato a fluttuare in linea retta. Un’esplosione. Una vampata che si espandeva nel cielo di catrame come un fiore infuocato. Serbatoio andato. Si sarebbe schiantato in fretta.

 

 

 

 

Angolo di IMma

Azione, baby! Ormai avevo preparato abbastanza bene il terreno, e non avrei potuto esasperare la suspence più di così, dunque...eccoci qui. Topher scampato alla morte (almeno sembra...) finito però su un mezzo volante in avaria, pronto a precipitare giù nel mondo vero, fuori dalla Corte. Che succederà adesso? E il nostro cattivo Duncan? Come lascerà adesso il Palazzo? Si farà beccare? Un’intrusione nel Palazzo Governativo è un reato grave, inoltre qualcuno sa chi è e cosa è venuto a fare...

Questa volta le descrizioni sono leggermente meno accurate, quindi mi scuso in anticipo, ma desideravo starci nello “spazio narrativo” senza tagliare la scena d’azione, veloce e movimentata. Spero che la lettura non risulti confusionaria o fastidiosa. Come sempre fatemelo sapere con una recensioncina, o anche un messaggio privato.

Grazie di continuare a leggere i miei scleri.

Saluti

IMmatura

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