Senza passato

di Luna Spenta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Goodbye Las Vegas ***
Capitolo 2: *** Nuove identità ***
Capitolo 3: *** L'angelo custode ***
Capitolo 4: *** Complicazioni e strane soluzioni ***
Capitolo 5: *** Una finta storia d'amore ***
Capitolo 6: *** Una vera storia d'amore ***
Capitolo 7: *** Mezze bugie e mezze verità ***
Capitolo 8: *** Scoperte al chiaro di luna ***
Capitolo 9: *** Un singolare compleanno per Niky e Brit ***
Capitolo 10: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 11: *** Sincerità e coraggio ***
Capitolo 12: *** I fantasmi del passato ***
Capitolo 13: *** Pericoli in vista ***
Capitolo 14: *** Tempo di saluti ***
Capitolo 15: *** Finalmente una pista ***
Capitolo 16: *** Comunicazione ai lettori ***
Capitolo 17: *** Need Her ***
Capitolo 18: *** Errori di cuore ***
Capitolo 19: *** Nel posto più sicuro del mondo ***
Capitolo 20: *** Visita a sorpresa ***
Capitolo 21: *** Deja-vu ***
Capitolo 22: *** Amore vs Paura ***
Capitolo 23: *** Un ingombrante scheletro nell'armadio ***
Capitolo 24: *** Roma ***
Capitolo 25: *** Per amore o per pietà ***
Capitolo 26: *** Comunicazione ai lettori ***
Capitolo 27: *** Senza dirsi addio ***
Capitolo 28: *** Roma-Milano: Strani viaggi di ritorno ***
Capitolo 29: *** Cercandoti ***
Capitolo 30: *** A tu per tu ***
Capitolo 31: *** Maestra di self-control ***
Capitolo 32: *** Quando il self-control non basta più ***
Capitolo 33: *** Ghiaccio ***



Capitolo 1
*** Goodbye Las Vegas ***


Avevamo perso tutto e ci eravamo trasferiti.
Mia madre aveva combinato un sacco di guai. 
Las Vegas è una città per ricchi, un posto pieno di opportunità, ma anche pieno di insidie e tentazioni, e lei era caduta in ogni possibile trappola.
Aveva sposato un italiano ricco e meschino, aveva scoperto i suoi tradimenti, aveva richiesto il divorzio e gli aveva spillato un sacco di soldi, mettendosi contro lui e tanti suoi amici potenti, potenti e soprattutto senza scrupoli.
Era stata umiliata, ricattata e minacciata; era finita a spogliarsi in un locale per loro volontà ma non era bastato.
Quegli uomini chiedevano sempre di più: più soldi, più favori, più sesso e quando avevano chiesto anche me, lei aveva finalmente capito che l'unica soluzione era andarcene.
Scappammo quando io avevo 17 anni e mio fratello Bill solo 11.
Ricordo che quella notte non riuscivo a dormire. In realtà era un'abitudine aspettare che mamma tornasse, dato che di solito era fuori fino a tarda notte.
Ovviamente ho scoperto solo dopo chi la teneva lontano tutto quel tempo e soprattutto cosa era costretta a fare pur di non vedere i suoi errori ritorcersi contro quello che aveva di più caro: i suoi figli.
Pur non sapendo dove fosse, ero sempre molto preoccupata e per quanto lei inventasse scuse più o meno verosimili, avevo  da un po' l'impressione che ci fosse qualcosa sotto. Una specie di campanello d'allarme mi avvertiva che c'era aria di pericolo.
Tornando a quella notte, lei rientrò prima del solito e venne immediatamente nella mia stanza. -Vestiti- mi disse col tono di chi non ammette repliche. -Ce ne andiamo, devi preparare i bagagli-.
La guardai disorientata e cercai di farle qualche domanda, ma lei sembrava non ascoltarmi nemmeno. Quando finalmente mi decisi ad alzarmi dal letto e ad accendere le luci, mi sembrò di vedere mia madre per la prima volta in tutta la mia vita: aveva un tubino nero, che le stava decisamente piccolo, strappato su un fianco. 
La sua chioma lucente era raccolta in una coda alta e adornata con glitter colorati.
Il trucco era pesante. Evidentemente aveva pianto, perché un alone nero le contornava gli occhi rossi e gonfi.
Smisi di fare domande e la strinsi forte, mentre lei riprese a piangere scossa da incontrollabili singhiozzi. Ero spaventata a morte, ma cercai di fingermi forte in modo che potesse sentirsi al sicuro, e trovasse magari il coraggio di parlarmi, di spiegarmi cosa stava accadendo.
Non lo fece mai. Scoprii la verità solo quando era troppo tardi.
Quella notte lasciammo Las Vegas per sempre.
Ricordo come se fosse ieri il viaggio in aereo: Bill sembrava emozionato, per lui era tutta un'avventura. Io invece sentivo il cuore martellarmi nel petto.
Non solo ero preoccupata per mia madre, ma stavo anche realizzando all'improvviso che stavo lasciando tutto: non avrei mai più rivisto casa mia, né i miei amici, né Adam.
La mamma si rifiutava di dirmi la destinazione e mi aveva chiaramente detto che quello era un addio e che per il nostro bene non avrei dovuto mettermi in contatto con nessuno a Las Vegas, neanche con quello che per me era l'unico vero grande amore della mia vita.
Ripensai a quegli otto mesi in cui con lui avevo condiviso ogni cosa e mi si strinse lo stomaco.
Rividi per un istante i suoi ricci biondi sotto le mie dita e gli occhi color miele che mi facevano impazzire ogni volta; risentii la sua risata argentina e mi immaginai tra le sue braccia per un'ultima volta. 
Adam era stato il primo in tutto e mi aveva sempre trattato come una principessa. Io lo stavo abbandonando senza un saluto o una spiegazione... non se lo meritava. Mi sentivo tremendamente in colpa nei suoi confronti e anche in quelli di Linda e Jessica, le mie migliori amiche. Le immaginai preoccupate per la mia scomparsa improvvisa ed ebbi l'impulso di prendere il portatile e scrivere loro che stavo bene e non dovevano essere in pensiero. 
Mia madre sembrò leggermi nella mente.
-Brit quando atterreremo dovremo abbandonare alcune cose... computer, telefoni, documenti... è per il nostro bene-
-Perché?- -Siamo in un programma di protezione testimoni- disse sottovoce perché Bill non sentisse -e dovremo cambiare identità, quindi lasceremo alla polizia tutto quello che potrebbe far risalire a noi-
Sgranai gli occhi e cercai di saperne di più, ma come previsto non volle spiegarmi nient'altro. In momenti come quello odiavo avere 17 anni. 
Mi sentivo in una specie di età di mezzo: non ero piccola abbastanza perché mia mamma si preoccupasse di tenermi nascosti i problemi come faceva con Bill, ma non ero neanche grande a sufficienza perché me ne parlasse apertamente.
Quello che sapevo era che la mia famiglia aveva bisogno di me e non avevo scelta se non quella di cancellare i primi 17 anni della mia vita, amicizia e amori inclusi, e lasciarmi catapultare in una nuova città, dove il mondo mi avrebbe conosciuta con un'altra identità e dove, forse, prima o poi, sarei riuscita a sentirmi di nuovo a casa. 

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Capitolo 2
*** Nuove identità ***


Eravamo stati messi in una stanza piccola, io e mio fratello, mentre mamma parlava con alcuni agenti. Bill giocava con la sua Nintendo e io non la smettevo di mordermi le unghie.
Ero stata, un tempo, una di quelle ragazze con le mani perennemente curate: avevo avuto mensole piene di smalti colorati e cassetti in cui conservavo gelosamente lime, adesive, spugnette e altri cosmetici vari che promettevano di rendere le mie unghie brillanti e resistenti.
Ad Adam piaceva parecchio sentirsi graffiare la pelle, soprattutto sull'addome, poco sotto l'ombelico. Guardai le mie dita rovinate dall'agitazione e ripensai alla sensazione fantastica di poter sentire sotto i polpastrelli i suoi muscoli definiti.
Mi mancava già infinitamente, ma mi sforzavo con tutta me stessa di non pensarci, così ricacciai nella mente il ricordo dell'ultima volta che avevamo fatto l'amore, ridendo amaramente del fatto che fossero passati solo pochi giorni che in quel momento mi pesavano quanto interi decenni.
La porta si aprì e ne vidi entrare mia madre. Sembrava molto più rilassata da quando eravamo atterrati e aveva assunto di nuovo le sembianze di un genitore: vestiti decenti che coprivano tutto quello che da una certa età in poi andrebbe sempre coperto, e trucco leggero per nascondere i segni dell'età ma sottolineare quanto ancora era bella.
-Brit, vogliono parlare con te- mi disse mentre andava a sedersi accanto a Bill.
Lui alzò la testa con aria interrogativa. -Chi vuole parlare con Brit?-
Era la prima volta da quando avevamo lasciato Las Vegas che Bill faceva una domanda.
Era, per essere solo un bambino, molto protettivo nei miei confronti e vedermi lasciare quella stanza l'aveva riscosso da una specie di sonno.
Credo che mamma capì solo in quel momento di dovere, in qualche modo, una spiegazione anche a lui.
Del resto era piccolo, ma non così piccolo da non capire.
Mentre uscivo dalla stanza sentii mia madre dire a Bill che voleva fargli conoscere una persona, e che sarebbe arrivata a breve. 
Io intanto venni scortata da due agenti in un ufficio grande, molto più accogliente di quelli che si vedono nei film. Troppi polizieschi mi avevano convinta che mi sarei trovata in una saletta buia con una lampada al neon puntata dritta negli occhi.
Di fronte a me invece non c'era nessuna lampada, ma qualcosa mi abbagliò comunque: due intensi occhi verde bottiglia messi in risalto da capelli di un nero corvino. Due labbra piene e scure completavano quel volto perfetto che mi stava davanti. 
Fino a quel momento avevo visto in quel commissariato solo poliziotti anziani, con pance enormi e pochissimi capelli. Quello che avevo di fronte era invece un uomo giovane, atletico, abbronzato, con larghe spalle che sembravano voler scoppiare attraverso l'uniforme.
Se mi avessero chiesto di disegnare una persona adatta a difendere il mondo dal crimine, a inseguire delinquenti, pestarli e metterli dietro le spalle, avrei di sicuro immaginato un corpo come il suo. Per il viso, però, probabilmente neanche la mia immaginazione avrebbe saputo lavorare così bene.
Mi tese la mano sfoggiando un rassicurante sorriso.
-Io sono l'ispettore Di Stefano. Tu sei Brittany giusto?-
Annuii senza riuscire ad emettere alcun suono, mentre gli strinsi la mano.
-Sembri nervosa Brittany, e lo capisco. Tu e la tua famiglia state affrontando un momento duro, ma ti garantisco che i primi passi sono i più difficili... fatti quelli, le cose fileranno per il meglio. Mi preoccuperò personalmente della vostra sicurezza quindi ti invito a fidarti ciecamente di me. D'accordo?-
Annuii di nuovo. Di solito non ero così timida, ma quegli occhi mi mettevano in soggezione. Non sapevo quanti anni avesse di preciso l'ispettore, ma una decina più di me c'era tutta, e poi era così imponente, così sicuro di sé, ed emanava una calma che aveva il potere di agitarmi ancora più di quanto non lo fossi già.
Vedendo il mio silenzio, riprese a parlare dopo essersi schiarito la voce.
- Se siamo d'accordo, direi di venire a noi a questo punto.-
Annuii di nuovo, sentendomi una perfetta imbecille.
-Come ben sai, da oggi tu e la tua famiglia dovrete cambiare vita. Questo significa nuova città, nuova casa, e nuovo nome. Tu sarai Nicole Larson.- 
Aprì davanti un me un documento di identità con la mia foto e il mio nuovo nome. 
-Nata e vissuta a Greenville fino a quando tua madre, Katherine Smeeth, non ha perso il lavoro di segretaria in uno studio medico. Vi siete trasferiti qui a Milano per seguire un caro amico di famiglia che le ha offerto un lavoro come cameriera nel ristorante che sta per aprire. Tutto chiaro?-
-Quindi resteremo qui?- chiesi intontita come se mi fossi appena svegliata.
Lui si alzò e fece un giro intorno alla scrivania. Vederlo nella sua interezza mi mise ancora più in soggezione, ma la sua voce era tranquilla, stava chiaramente cercando di mettermi a mio agio.
-Pensavo che questo fosse ovvio, Brittany. Non potete tornare negli Stati Uniti-
-Lo so questo, ma qui in Italia? Stiamo scappando da un italiano e veniamo a nasconderci in Italia? Non ha senso-
-Sai da chi state scappando?- mi chiese inarcando un sopracciglio. -Tua madre mi aveva detto di non averti raccontato nulla.
Cercai di trattenere un sorriso amaro prima di rispondere.
-Infatti, ma non sono stupida-
-Ovvio che no, ma sei giovane Brittany-
-E con questo?- il mio trattenuto sorriso amaro divenne un vero e proprio ghigno sprezzante. 
-Con questo, ci sono delle cose che non puoi capire. Non biasimare tua madre per aver scelto di non raccontartele. Lo fa per proteggere te e tuo fratello.-
Sentii la rabbia che avevo trattenuto per tutto il viaggio, venire improvvisamente su come vomito.
-E' da lei che andremmo protetti! Non so in che casino si sia messa ma poteva di sicuro evitarlo! Ci ha portati dall'altro capo del mondo, ci ha chiesto di cambiare nome e lei viene a dirmi che se non mi viene spiegato neppure il motivo è solo per proteggermi? E poi ho sempre odiato il nome Nicole!-
Vidi l'imponente uomo di fronte a me trattenere a stento una risata.
Si sedette sul bordo della scrivania.
-Tua madre mi ha detto che odi anche il tuo di nome. Ti fai chiamare Brit, vero?-
Annuii senza guardarlo in faccia. Io non odiavo il mio nome, ma non permettevo a nessuno da tanto tempo di utilizzarlo. Allontanai i ricordi.
-Possiamo abbreviare anche Nicole se preferisci. Niky può andare?-
Sospirai per calmarmi.
-Va bene... Cosa racconterete a Bill?-
-C'è una psicologa per l'infanzia di là ad occuparsene. Bill ora si chiama Andrew.-
Annuii di nuovo. Non era più colpa dell'imbarazzo davanti alla bellezza dell'ispettore, ma il punto era che cominciavo a sentirmi stanca di quella situazione assurda e a chiedermi se l'avrei retta. 
L'uomo allungò un biglietto da visita verso di me.
-Ci sono i miei numeri, se dovessi avere qualunque dubbio o richiesta. Se volessi anche solo parlare, non esitare a chiamarmi. Va bene... Niky?-
Enfatizzò il nuovo nome come per farmelo stampare bene in testa.
-Ho una richiesta- dissi sottovoce mentre lui tornava a sedersi dall'altro lato della scrivania.
Fece spallucce come a dirmi che era lì apposta, ed io ne approfittai.
-Ci sono delle persone... a Las Vegas. Persone a cui tengo e che... saranno preoccupate-
Lo vidi scuotere la testa, ma provai a continuare, con tono implorante.
-Non chiedo di poter parlare con loro. Voglio solo che sappiano che sto bene, e che... ho dovuto lasciarli ma non volevo.-
Senza accorgermene le lacrime iniziarono a bagnarmi le guance. Le asciugai col dorso della mano, mentre ascoltavo la risposta che purtroppo avevo già previsto.
-Non possiamo mettere in pericolo altre persone. Se tieni ai tuoi amici, per il loro bene, devi dimenticarli.-
Lo guardai indignata per quella frase, ma in cuor mio sapevo che aveva ragione. 
Dovevo dimenticare il passato e forse ce la potevo fare davvero. Potevo lasciarmi alle spalle tutto, tutti... ma non Adam, di questo ero estremamente sicura.

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Capitolo 3
*** L'angelo custode ***


I primi tempi in Italia furono duri, ma meno di quello che avevo previsto.
Milano mi sembrò subito la città giusta per una come me: era come se  tutti andassero di corsa, veloci abbastanza perché nessuno di loro si fermasse a guardarmi troppo.
Già, perché le rare volte in cui invece qualcuno mi guardava, si avvicinava, o peggio iniziava a parlarmi, a me toccava mentire, e quella parte non mi piaceva per niente.
Non avevo mai finto di essere malata per saltare la scuola, né ero mai andata ad una festa inventando una scusa a casa, e non perché fossi sempre stata una brava e ubbidiente ragazza, ma semplicemente non avevo mai avuto bisogno di mentire.
Mio padre era morto quando io ero poco più che una bambina, e da allora mia madre aveva sempre lavorato fino ad orari assurdi, orari che mi permettevano di avere una certa libertà, considerando che Bill veniva lasciato il più delle volte da nonna Sookie. 
Ovviamente mamma cercava di rifilare anche a me lo stesso trattamento, ma quando si era resa conto che stavo crescendo, aveva dovuto cedere alla mia volontà di essere lasciata a casa da sola. Nello stesso periodo, tra l'altro, lei aveva conosciuto questo avvenente milionario siciliano e, a dirla tutta, aveva un po' perso la testa, non solo nel senso che per lui stravedeva, ma aveva iniziato a trascurare  tutto il resto, figli compresi. Intanto anche nonna Sookie ci aveva lasciato.
Quando la mamma e Carlo, così si chiamava lui, si erano sposati, le cose erano addirittura peggiorate. Col matrimonio lui venne a vivere da noi, ma non c'era praticamente mai e questo mandò mamma in una specie di depressione che curava lavorando spasmodicamente. Alla fine aveva scoperto che lui la tradiva, e il resto della storia lo conoscete già.
La digressione serviva a farvi capire quanto per me fosse dura dover mentire costantemente a tutti quelli che mi circondavano. Più di una volta alla domanda "Come ti chiami?" per poco non mi ero tradita rivelando la mia vera identità.
Una sera ero in un locale per una festa di compleanno di una compagna di classe.
Era stata mamma ad insistere perché ci andassi. Da quando eravamo arrivati a Milano non faceva che ripetermi che dovevo integrarmi e fare amicizia, non capendo che a me interessava solo chiudermi in camera con le cuffiette alle orecchie ad ascoltare malinconiche canzoni d'amore che mi ricordavano Adam. 
Probabilmente il fatto che casa mia mi mancasse tanto contribuì a rendermi, come dire, sensibile all'alcool. Avevo bevuto qualche birra di troppo, ma venendo dalla capitale assoluta del vizio, ero perfettamente in grado di reggere senza finire a vomitare nel bagno della discoteca. Tuttavia l'alcool in circolazione mi aveva resa particolarmente allegra e spensierata.
Me ne stavo su un divanetto a ridere e scherzare con alcune ragazze con cui avevo fatto conoscenza, quando, non so bene come, la conversazione finì a vertere su di me e sul mio passato.
-Allora Niky raccontaci un po' di Greenville. Dov'è che si trova?-
-Sud Carolina- risposi sorseggiando un altro po' della mia birra.
-Non ti manca casa?-
Mi ripulii le labbra dalla schiuma e annuii. Cercai di rimanere controllata nelle mie risposte, ma alla terza domanda l'alcool prese il sopravvento...
-E' molto diverso da qui?-
-Oh si, Milano è bella ma Las Vegas è tutta un'altra cosa!-
Mi resi conto troppo tardi di averlo detto davvero.
-Las Vegas?- 
-Las Vegas? Chi ha detto Las Vegas? Greenville, Greenville è tutta un'altra cosa-
Iniziai a sistemarmi convulsamente i capelli come ogni volta che sentivo di trovarmi in difficoltà.
-Tu hai detto Las Vegas-
-Davvero?- mi finsi sorpresa -Siete sicure?-
-Si, Niky, hai detto proprio Las Vegas.- 
-Beh devo essermi confusa- tagliai corto e ripresi a bere. Quella non era una buona idea, ma anche di questo mi resi conto troppo tardi.
-Deve essere dura trasferirsi in un posto così diverso- 
-Lo è stato, soprattutto per me, mentre Bill sembra così entusiasta!-
Oddio. Avevo commesso un altro errore.
-E chi è Bill?-
-Bill è...- cercai in fretta una risposta guardandomi intorno. Sentii che stavo iniziando a sudare freddo e la testa mi girava tremendamente. 
Tutte mi guardavano incuriosite ma anche stranite. Avevano colto qualcosa di strano nel mio comportamento e non sapevo come venirne fuori.
Proprio quando la mia ricerca di un salvagente stava per concludersi con me che mi rassegnavo ad annegare sovrastata dall'onda delle mie pessime doti di bugiarda, una voce alle mie spalle si intromise nella conversazione.
-Sono io Bill. Perché parlavi di me Niky? Volevi forse spettegolare con le tue amiche sul tuo vecchio amico Bill?-
Mi voltai e vidi due intensi occhi verdi fissarmi con fare canzonatorio. L'ispettore Di Stefano fece il giro del divanetto e venne a sedersi accanto a me con aria disinvolta. 
Le ragazze lo guardavano come si guarda un croissant caldo a colazione. Stavano letteralmente sbavando, ed io non ero da meno.
L'ispettore indossava un jeans scuro e un maglioncino leggero color crema che gli aderiva al corpo alla perfezione. Pensai che se avessi potuto nascere di nuovo, sarei voluta essere un maglioncino anch'io.
-Posso unirmi un po' a voi ragazze?- chiese lui con aria innocente, e loro non esitarono ad annuire. 
-Così tu sei Bill, un... amico di Niky?- chiese Maria, sottolineando in modo particolare la parole "amico" come a volersi assicurare che il campo fosse libero.
-Esatto. Ho praticamente visto Niky crescere-
-Non hai l'accento americano- fece notare Rossella.
Io a questo punto della conversazione sarei svenuta, ma lui sorrise e rispose senza battere ciglio.
-I corsi di dizione fanno miracoli-
Invidiai la disinvoltura con cui trovò soluzioni ad ogni problema che si presentò, fugando tutti i dubbi delle sue interlocutrici. Lo guardai ammirata senza aprire bocca per il resto della serata, così lui utilizzò il mio silenzio come un assist per far credere alle altre che non mi sentissi troppo bene.
-Troppe birre possono essere un problema quando non si è abituati. Veniamo da Greenville, non il posto ideale per la vita mondana.- Pronunciò il nome della città lentamente e guardandomi, come a volermelo ricordare.
-Accompagno Niky a casa. Mi ha fatto molto piacere conoscervi.-
Dopo essersi lasciato mangiare con gli occhi per un po', mi afferrò per un braccio e mi condusse fuori dal locale.
Appena lontani dal chiasso della discoteca mi rimproverò come un padre arrabbiato.
-Cosa diavolo ti è saltato in testa?!-
-Io... vengo da Las Vegas, credevo di reggere bene un po' di birra-
-Ah la reggi benissimo direi! Hai rischiato di mandare all'aria tutto!-
Sentivo la testa scoppiare e anche la mia piazienza iniziava a dare segni di un'imminente esplosione.
-Andiamo, sono delle diciassettenni! Se anche mi fossi smascherata cosa mai sarebbe successo? Sarei stata sulla bocca di tutti a scuola per un po', ma di certo non avrebbero vendute informazioni su di me a qualche criminale!-
-Non puoi saperlo!- urlò lui. -Non conosci queste persone, non conosci quelle da cui state scappando e non conosci il perché! Non stai giocando solo con la tua vita, ma anche con quella della tua famiglia, te ne rendi conto o no?!-
Mi sedetti su un marcapiede portandomi il viso tra le mani. Avevo decisamente mal di testa e le sue urla non facevano che peggiorare il dolore. Volevo solo che smettessero, così utilizzai il vecchio trucco del chiedere scusa.
-Mi dispiace ispettore. Prometto di stare più attenta.-
Avevo imparato che quando il piano A non funziona, il piano B è strappare un sorriso.
-Comunque non la facevo tipo da discoteca! E' venuto a rimorchiare?-
La battuta non sortì l'effetto sperato. Lui al contrario sembrò diventare ancora più serio.
-No. Sono qui per lavoro ragazzina, se non te ne fossi accorta.-
-Mi... stava seguendo?-
-Da quando siete a Milano. Mi pagano per proteggerti. Ora alzati, ti accompagno a casa.-

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Capitolo 4
*** Complicazioni e strane soluzioni ***


Già di per sé per una teenager ambientarsi in una nuova scuola, in una nuova città, tagliando completamente i ponti con le persone con cui è cresciuta, non è facile... farlo sapendo di essere continuamente spiata da un poliziotto diventa addirittura frustrante.
Non c'era posto in cui andassi in cui non mi ritrovavo l'ispettore Di Stefano a controllarmi. Lui inizialmente cercava di essere molto discreto, intervenendo solo quando necessario per evitare altre mie gaffes, ma il suo fascino era innegabile e le mie nuove amiche ormai stravedevano per lui, tanto da desiderare più la sua compagnia che la mia.
I suoi tentativi di discrezione, così, venivano costantemente mandati all'aria dalle loro continue richieste di sedersi con noi, mangiare con noi, ballare con noi, chiacchierare con noi, fare shopping con noi, eccetera eccetera eccetera.
La situazione per me diventava ogni giorno più snervante, ma nello stesso tempo sentivo crescere un profondo senso di ammirazione nei suoi confronti per come riusciva a fingere di sentirsi assolutamente a suo agio con delle ragazze molto più giovani di lui. Qualche volta mi capitava addirittura di pensare che si stesse divertendo davvero in nostra compagnia (o meglio in compagnia delle altre, dato che la sua presenza mi mortificava tanto che me ne restavo quasi sempre in un angolo) ma il più delle volte mi convincevo che stesse recitando, che quello fosse un noioso lavoro a cui era obbligato e che potendo scegliere sarebbe stato sicuramente altrove e con qualcun altro.
Ovviamente la situazione non era immune da malintesi.
Una sera andai a dormire da Stefania, una delle ragazze con cui avevo più legato in quelle prime settimane a Milano.
Ricordo che avevamo fatto tutto quello che si fa tra amiche quando si dorme insieme: unghia, capelli, film con attori dai bicipiti mozzafiato, scherzi telefonici, e alla fine arrivò, come da manuale, il momento dei pettegolezzi e delle confidenze.
-E che mi dici di Bill?-
Ci misi qualche secondo a capire che mi stava chiedendo dell'ispettore e non di mio fratello. Quando afferrai la domanda sentii il viso andare a fuoco.
-Bill? è solo un amico, un vecchio caro amico-
Lei sembrò un po' delusa, ma non demorse.
-Io credo che tu gli piaccia. Ti segue come un cagnolino, e poi è così protettivo...-
Stefania non poteva sapere che Bill, o meglio l'ispettore era pagato per esserlo. Io, che invece ne ero perfettamente consapevole, sentii lo stomaco stringersi. Per un attimo avrei voluto darle ragione, ma era stato solo un attimo. Amavo Adam. L'ispettore era decisamente sexy, ma io amavo Adam.
-Oh, è solo il suo modo di essere, non lo è solo con me.-
-E la sua decisione di seguirti in Italia? E' un ragazzo giovane, immagino avesse anche lui degli affetti a Greenville, eppure è venuto qui con te.-
Scossi la testa cercando parole adatte. Mi chiesi lui cosa si sarebbe inventato per uscire da quella situazione e cercai di imitarlo.
-Non è solo molto legato a me, ma anche alla mia famiglia. Lui per mia madre è come un figlio... e poi è stato spessissimo a Milano per lavoro, quindi per lui non è stato un cambiamento drastico.-
La spiegazione sembrava convincente e fui fiera di me per un brevissimo decimo di secondo, poi lei fece la fatidica domanda: -Che lavoro fa?-
Il pavimento sotto di me vacillò, ed io stavo per sprofondare sotto le macerie delle mie misere e pessime bugie... poi, all'improvviso, come per miracolo, trovai un appiglio, qualcosa a cui aggrapparmi per tirarmi su e salvarmi da quel terremoto. La mia ancora di salvataggio era lì, sulla parete di fronte a me, dietro la testa rossa e paffuta di Stefania.
-Fa il modello!- Esclamai con voce stridula, ringraziando dentro di me il poster che stavo fissando e che mi aveva dato l'idea, idea tra l'altro tutt'altro che inverosimile considerando il fisico della persona di cui si parlava.
-Wow- esclamò lei.
Ci fu qualche secondo di silenzio ed io mi illusi che il discorso fosse finito. Invece Stefania riprese imperterrita.
-Ammettilo, Niky, lui ti piace!-
-No, ma che dici? Sei impazzita? E' un amico!-
I miei tentativi di apparire calma, resero la mia voce ancora più tremante.
-Se è un amico perché in sua presenza sei così strana?-
-Non sono strana!- di nuovo la voce stridula e tremante. Dovevo assolutamente darmi un contegno. 
-Sì, invece. Non apri praticamente bocca quando c'è lui. Dice di averti vista crescere, quindi non mi spiego perché la sua presenza ti imbarazzi così tanto, dovresti esserci abituata. Ti piace, non vedo altra possibile spiegazione!-
Per la prima volta mi dispiacque che l'ispettore non potesse seguirmi anche in casa delle amiche; lui una soluzione l'avrebbe trovata di certo. 
Io e la mia scarsa capacità di mentire, invece, ci trovammo davanti un'unica alternativa: se Stefania non vedeva altra possibile spiegazione, allora tanto valeva assecondarla.
-Ok, hai ragione, mi piace.- La vidi illuminarsi davanti alla mia finta confessione.
-Lo sapevo!- esclamò con aria soddisfatta.
-Dovresti dirglielo- aggiunse -sono sicura che lui ricambia!-
-Assolutamente no!- mi irrigidii incrociando le braccia davanti al petto.
-Per lui sono un'amica, una specie di sorella più piccola e per mia madre lui è come un figlio. Renderei tutto fin troppo imbarazzante, quindi è meglio lasciare le cose come stanno.-
Stefania mise il broncio ma dovette cedere -Forse hai ragione, ma...-
Non la lasciai finire -Ma nulla, Stefania. Dormiamo, è tardi!- troncai infilandomi sotto le coperte.
Lei sbuffò ma fece lo stesso senza aggiungere altro. 
La mattina dopo uscimmo a fare un giro, e, "casualmente" incontrammo l'ispettore Di Stefano. 
-Hey Bill!- Stefania mi lanciò un'occhiata che mi sforzai di ignorare.
-Ragazze- ci salutò lui -anche voi fate jogging qui al parco?-
-No, siamo qui solo per passeggiare. Vuoi unirti?- 
-Certo-
Ed ecco che ricominciava la solita routine: lui arrivava, ed io diventavo invisibile.
Stefania però sembrava avere altri piani.
-Ragazzi io... devo andare alla toilette!- era evidente che neanche lei fosse un portento nel mentire. Le feci segno di piantarla, ma mi ignorò e corse verso il bar più vicino, lasciandoci soli.
L'ispettore si accorse immediatamente che qualcosa non andava e mi costrinse a raccontargli tutto. Mi guardò con un sorriso trattenuto fino alla fine del racconto, poi, come se una diga si fosse appena rotta, scoppiò in una fragorosa risata. 
Aveva le lacrime agli occhi e si piegava in avanti tenendosi la pancia.
Non potei far altro che lasciarmi contagiare e presi a ridere con lui.
Credo che se qualcuno fosse passato di lì in quel momento ci avrebbe presi per perfetti idioti, ma per fortuna era ancora presto e a parte i pochi che si dedicavano a fare jogging, c'era solo una testa rossa che sbucava da dietro ad un albero. Era lontana ma mi sembrò di riuscire a distinguere nitidamente il sorriso compiaciuto di Stefania.
-Sei una pessima bugiarda, ragazzina!-  mi disse il mio finto amico d'infanzia appena si fu ripreso.
-Quando la smetterà di chiamarmi così ispettore?-
-Quando tu la smetterai di chiamarmi ispettore! Sono Emanuele-
Mi lanciò un sorriso mozzafiato e m'indicò una panchina a pochi passi. Li percorremmo in silenzio e ci sedemmo.
-Così la tua amica pensa che ci piacciamo... che idea ridicola!-
Quella affermazione mi arrivò come una pugnalata, ma mi sforzai di fingermi disinvolta.
-Assolutamente ridicola- sottolineai.
-Sei molto giovane...- 
Pronunciò le parole con voce bassa, quasi come a voler parlare con se stesso.
A quel punto non potei far almeno di chiederglielo.
-Quanti anni hai tu, Emanuele?- la domanda suonò più acida di quanto volessi, ma in effetti sì, ero particolarmente irritata dal suo considerarsi così maturo rispetto a me.
-27-
-Ah beh, che uomo vissuto!- dissi sarcastica.
-Ho vissuto abbastanza in effetti.- rispose lui con aria seria -molto più di quanto possa dirti la mia età.-
-Io no invece? Pensi che io non abbia vissuto abbastanza? Credi che tutte le diciassettenni abbiano visto morire loro padre, la loro madre risposarsi, divorziare, andare in depressione e finire in un mucchio di guai? Credi che tutte le diciassettenni abbiano lasciato casa loro, i loro amici, il loro ragazzo, e tutta la loro vita dall'altra parte del mondo?-
Non mi resi conto che le lacrime avevano iniziato a straripare copiose dai miei occhi, finché lui non si avvicinò per asciugarmene una col suo pollice tremante.
Mi toccava come si tocca una bambola di porcellana, con la delicatezza che si riserva a cose fragili, che si ha paura di rompere.
-Mi dispiace, non volevo offenderti- sussurrò mentre mi abbracciava.
Un colpo di tosse ci avvertì che non eravamo più soli. Emanuele si allontanò immediatamente da me. 
Io alzai la testa asciugandomi le lacrime con le mani, e vidi Stefania che stava fissando lui con uno sguardo truce.
-Che cosa le hai fatto?-
-Nulla, ha avuto un attimo di malinconia- si giustificò lui imbarazzato, ma era chiaro come il sole che lei non gli credeva affatto, così cercai di intervenire. 
-Sì, è vero, lui non c'entra.-
-Non giustificarlo! Se non ti vuole è un idiota! Vieni via!-
Provai ad obbiettare ma Stefania mi aveva già tirato via imprecando contro Emanuele.
Lui era allibito ed io non sapevo che dire.
Dopo solo pochi passi, sentii qualcuno afferrarmi un polso e strattonarmi fino a farmi ruotare di 180 gradi. 
Mi voltai ed immediatamente due labbra piene si posarono sulle mie. 
Fu solo un secondo, poi Stefania mi tirò via di nuovo, facendomi interrompere mio malgrado quel contatto meraviglioso.
-Che stai facendo? Vai via!- Urlò furibonda lei contro Emanuele.
-La amo e non ho intenzione di andare da nessuna parte!-

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Capitolo 5
*** Una finta storia d'amore ***


Stefania alla fine era andata via con aria rassegnata, ad io ero rimasta lì, immobile di fronte ad Emanuele, a sfiorarmi le labbra calde su cui lui aveva poco prima posato le sue.
Quando la mia amica si fu allontanata abbastanza da non poterci sentire, lui tirò un sospiro di sollievo. -C'è mancato poco- disse -Scusami davvero per il bacio, ma era l'unico modo per calmarla. Se avesse pensato che ti avevo rifiutato, mi avrebbe impedito di continuare a seguirti, e non avrei potuto proteggerti a dovere.-
Era ovvio che mi avesse baciata solo per lavoro, ma sentirmelo dire fu come essere schiaffeggiata.
-E ora?- chiesi ancora intontita.
-Ci toccherà fingere per un po', poi potremo inventarci che non ha funzionato e abbiamo deciso di restare amici-
L'ispettore parlava con aria fredda e distaccata, mentre io cercavo di calmare il battito irregolare del mio cuore. Non capivo neanche perché mi sentissi tanto agitata, ma nutrivo un bisogno impellente di allontanarmi da lui.
-Credo di dover andare a casa- dissi sottovoce.
-Ti accompagno-
-Preferirei andare a piedi- provai ad obiettare, ma con un'occhiata mi fece capire che era inutile discutere, quindi finii col seguirlo verso la sua auto.
Mi accomodai sul sedile del passeggero a testa bassa, aspettando che mettesse in moto.
Con mia sorpresa, dopo aver udito il rumore della seconda portiera chiudersi, non sentii il rombo del motore che mi aspettavo. C'era solo silenzio. 
Alzai lo sguardo verso l'ispettore, e lo vidi fermo a fissarmi con aria preoccupata.
-Mi dispiace- mi disse con un filo di voce. Non sapevo se si riferisse al bacio, alla discussione che l'aveva preceduto, al mio pianto, alla situazione o a cos'altro, ma quelle sue parole mi suonarono così pure e sincere, che gli perdonai all'istante tutto.
Accennai un sorriso senza sapere bene che dire, poi ci pensò lui.
-Sai, anch'io sono stato nel programma protezione testimoni, quando avevo quattordici anni.-
Sgranai gli occhi incredula. Lui continuò a raccontare tenendo lo sguardo fisso sul volante, e le mani poggiate sulle ginocchia. Aveva il corpo teso, ed io non potei fare a meno di notare i suoi muscoli guizzanti sotto il tessuto leggero della tuta che aveva addosso.
Cercai di ignorare la strana stretta che mi colse allo stomaco e mi concentrai sulle sue parole. Sembravano uscirgli da bocca a fatica.
-Io venni trasferito in un collegio, qui a Milano, e ho dovuto rimanere lì per quattro anni. Fu dura. Ero praticamente da solo, non potevo parlare a nessuno del mio passato. Tu hai tua mamma e tuo fratello... -
-E la tua famiglia?- 
-Sono entrato nel programma protezione testimoni perché ho visto in faccia l'uomo che aveva ucciso i miei genitori e mia sorella. Non avevo nessun altro.-
Il sangue mi si gelò nelle vene. Emanuele strinse gli occhi come a voler allontanare un ricordo, poi vidi i suoi muscoli rilassarsi dopo un sospiro. Si voltò a guardarmi ed io istintivamente allungai una mano per sfiorargli una guancia.
La barba corta mi solleticò la pelle.
Vidi la sua bocca piegarsi in un lieve sorriso.
-So quello che provi, Brit- era la prima volta che utilizzava quel nomignolo a me così familiare. Fu come una melodia sentirlo pronunciare da lui.
-Com'è finita?- provai a domandare, sapendo che forse si sarebbe irrigidito di nuovo o che avrebbe scelto di non approfondire. 
In realtà mi sorprese. Mi prese la mano con cui gli avevo accarezzato la guancia e la strinse.
-E' finita, e questa è l'unica cosa che conta. Finirà anche per voi Brit, e potrete tornare a casa. Rivedrai i tuoi amici e il tuo ragazzo. Te lo prometto.-
Quella risposta mi bastò. Mi venne spontaneo abbracciarlo. Lui mi strinse tra le sue braccia e restai con la testa poggiata sul suo petto caldo per quella che mi sembrò un'eternità. Il bisogno di scappare da lui si era tramutato improvvisamente in una necessità fisica e quasi dolorosa di essere stretta ancora più forte.
Emanuele intanto mi accarezzava e baciava i capelli, infondendomi calma e sicurezza. Alla fine mi allontanò con dolcezza e mise in moto per portarmi a casa.
Quel pomeriggio me ne restai a letto. Avevo voglia di ascoltare la musica e perdermi nei ricordi di Adam. Il profumo di Emanuele, però, continuava a distrarmi, tanto che provai anche a cambiarmi, ma evidentemente non erano i vestiti ad esserne impregnati... erano i capelli che lui aveva accarezzato affettuosamente, era la pelle del mio viso, che per tanto tempo era stato poggiato nell'incavo tra la sua spalla e il suo collo.
Ebbi un brivido nel ripensarci, e poi corsi a fare una doccia, sperando di riuscire a domare i miei pensieri.
Come se tutto quel casino non mi confondesse le idee abbastanza, il giorno dopo a scuola conobbi Alessio.
Fu un incontro provvidenziale, che migliorò notevolmente la mia nuova vita a Milano, o, più precisamente, la rese molto più simile alla mia vecchia vita a Las Vegas: il punto era che Alessio somigliava tremendamente ad Adam, e questo mitigava sempre di più la mia nostalgia di casa.
Fisicamente erano molto diversi: Alessio era piuttosto magro, mentre Adam aveva un corpo più tonico, e quest'ultimo vantava dei morbidi ricci biondi, con cui i neri capelli spettinati di Alessio non potevano competere. I loro occhi, però, erano particolarmente simili, e quel color miele era stata la prima cosa che avevo notato la mattina in cui Ale si era avvicinato per chiedermi l'ora.
Anch'io in quel momento l'avevo trovato un metodo d'approccio alquanto banale, ma quell'ingenuità da bambino e quella spontaneità disarmante, mi ricordavano tanto i modi infantili che in Adam avevo amato e odiato per otto mesi.
Più passavano i giorni e più il corteggiamento di quel nuovo arrivato nella mia vita si faceva esplicito, e in me nasceva un interesse sempre più concreto.
Fondamentalmente, però, c'erano due problemi: in primo luogo non ero ancora sicura di essere pronta a dimenticare l'amore che avevo lasciato in America, per buttarmi in una nuova storia, e, in secondo luogo, si era ormai diffusa in giro la notizia di me e "Bill".
Emanuele era bravo a fingersi un fidanzato premuroso e al contempo a non mettermi in imbarazzo. Non c'erano stati altri baci tra noi. Lui sosteneva non ce ne fosse bisogno. 
"Tutto sta nel modo in cui ci si guarda, e ci si tocca" mi aveva spiegato una volta.
La sua teoria era che se avessimo mantenuto il contatto visivo in presenza degli altri, questi si sarebbero convinti che tra noi c'era qualcosa. Inoltre riteneva che lievi contatti fisici, come il cingermi le spalle, o baciarmi la fronte, potessero bastare a renderci agli occhi del mondo una coppietta felice.
La sua idea sembrò funzionare, e non lasciò indifferente neanche Alessio.
Dopo un paio di settimane da quando lo avevo conosciuto, venne a trovarmi a casa.
-Posso parlarti, Niky?-
-Certo- gli risposi.
Ci sedemmo in veranda. Lui sembrava particolarmente agitato.
-Sono venuto per farti una proposta. Sai... noi, in questi giorni abbiamo parlato molto, e si è creato un bel rapporto, non lo pensi anche tu?-
In effetti dal nostro incontro, io e Alessio ci eravamo sentiti spessissimo via sms, email, e qualche volta era anche venuto a trovarmi a casa, in veste di amico naturalmente, diventando l'idolo di mio fratello.
-Sì, un rapporto bellissimo- confermai, cominciando a capire dove voleva andare a parare.
-Ecco, Niky... io con te sto molto bene e vorrei... approfondire-
-Approfondire?-
-Si, hai capito che intendo. So di Bill, e lo capisco se hai bisogno di tempo per pensarci, ma vedo come sei serena quando sei con me e come sei... strana, quando sei con lui. Io credo che tu abbia bisogno di qualcos'altro, di qualcuno con la tua età magari, non di un trentenne che fa il modello e che ti tratta come se fossi una bambina-
Lo guardai esterrefatta. 
Non ne potevo di più di quella storia dell'età.
-Ti ci metti anche tu ora?! Il mese prossimo compio 18 anni, e lui non è un trentenne!-
Alessio per tutta risposta scosse la testa.
-Sei comunque troppo giovane per lui, Niky-
-Non sono una bambina!- urlai digrignando i denti.
-Lo so- disse per provare a calmarmi -ma accanto a lui è quello che sembri. Avete un rapporto da fratello e sorella, ed è normale considerando che siete cresciuti insieme... Ma la passione è un'altra cosa! Pensaci Niky... Forse io potrei farti più felice.-
Restai sulla veranda a guardare Alessio allontanarsi.
Mi aveva dato diverse cose su cui riflettere. Prima su tutte: la mia reazione.
Perché me l'ero presa in quel modo? Io ed Emanuele non stavamo insieme davvero, non avevo una storia con un ventisettenne... e allora perché mi ero preoccupata tanto di sottolineare che la differenza d'età non era eccessiva e perché mi aveva dato così fastidio sentirmi dire che quella non era passione?
Non riuscivo a capire.
Alessio era venuto per dichiararsi, ed io non riuscivo a fare altro che pensare ad Emanuele.

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Capitolo 6
*** Una vera storia d'amore ***


Una sera avevamo in programma di andare al cinema.
Ci sarebbero state Stefania, Maria, Rossella, Alessio, altri compagni di scuola ed Emanuele sarebbe venuto in qualità di "mio fidanzato".
Le parole che mi aveva detto Ale mi risuonavano in testa da giorni.
"La passione è un'altra cosa."
"Sei troppo giovane per lui."
Quella sera uscii di casa con la ferma intenzione di dimostrare a tutti che si sbagliavano.
Mi accomodai sulla poltrona del cinema, e appena le luci si furono spente posai con noncuranza la testa sulla spalla di Emanuele.
Lo sentii irrigidirsi all'istante, ma si rilassò dopo qualche secondo e mi cinse le spalle con un braccio. Io mi accoccolai sul suo petto largo lasciandomi stringere.
Le sue dita facevano una danza dolce sul mio braccio, scivolando dal gomito al polso e provocandomi piccoli ed inaspettati brividi. Non riuscivo a concentrarmi sul film, così voltai il viso verso di lui e lo vidi, al contrario di me, particolarmente rilassato.
Seguiva la proiezione con interesse, e le carezze che mi stava dedicando, provocandomi fremiti, sembravano in effetti l'atteggiamento di un fratello maggiore.
La cosa mi irritò non poco, ma ero ancora decisa a dimostrare agli altri che se avessi voluto scatenare la passione in un uomo di ventisette anni ce l'avrei fatta tranquillamente.
Mi allungai sulla poltrona sporgendomi verso di lui e poggiai le mie labbra sulla pelle calda del suo collo. Percorsi lo spazio tra il collo e il lobo dell'orecchio con piccoli baci mentre mi godevo il suo profumo.
Di colpo si voltò verso di me con aria interrogativa, e appena ebbi il suo viso di fronte al mio, premetti le labbra contro le sue.
Come poco prima, lo sentii dapprima molto rigido, poi, con estenuante lentezza dischiuse la bocca e accarezzò la mia con la punta della lingua.
Solo pochi secondi, e poi si allontanò piano.
Mi sembrò di scorgere una luce strana nei suoi occhi quando mi guardò. 
Poco dopo si abbassò verso il mio orecchio.
-Raggiungimi in bagno- e così dicendo si allontanò nel buio della sala.
Io avevo il cuore a mille e il respiro mozzato. Ero convinta di aver scatenato in lui esattamente la reazione passionale che volevo: se le mie gambe mi avessero retto fino al bagno, la passione tra me ed Emanuele sarebbe esplosa. 
Certo, un bagno pubblico non è il massimo per la prima volta che si fa l'amore con qualcuno, e, in più, mi sentivo decisamente in colpa verso Alessio che era a pochi metri da me e, ancor peggio, verso Adam...
Non so esattamente cosa mi diede la forza di alzarmi, ma alla fine tra le risatine degli altri, che avevano ovviamente già capito dove stavo andando e perché, raggiunsi Emanuele col cuore in gola.
Scostai la pesante tenda, e lo trovai poggiato ad un lavandino. Quella sera, nella sua camicia di lino bianco, era da togliere il fiato.
Mi avvicinai con passo cauto, aspettandomi di riprendere quello che avevamo interrotto in sala, invece lui mi lanciò uno sguardo accigliato.
-Vuoi dirmi che ti è preso?- mi chiese a metà tra la rabbia e l'apprensione.
Tutti i castelli che mi ero costruita in aria crollarono miseramente sotto il peso del suo sguardo canzonatorio.
Quel bacio a lui non aveva fatto alcun effetto; aveva ricambiato solo per non far saltare la nostra copertura, così tanto valeva fargli credere che gliel'avevo dato per lo stesso identico motivo.
-Ho dovuto farlo o ci avrebbero scoperti. L'altro giorno Alessio è venuto da me e mi ha fatto chiaramente capire che ha dei dubbi sulla nostra storia. Dice che con lui sarei più felice e che tra noi non c'è passione. L'unico modo per non farci scoprire era... fare qualcosa.-
La voce mi uscì più tremolante di quanto non volessi e non riuscivo ad alzare lo sguardo verso di lui. 
-Ma è perfetto!- esclamò entusiasta.
Lo guardai cercando di capire. -Il mio piano?-
-No no, quello che Alessio ti ha detto è la soluzione a tutto. Potremo uscire da questa situazione finalmente! Basta che tu gli dica che ci hai pensato e che lui ha ragione, e così fingeremo che abbiamo deciso di rompere ma restare amici. Tu potrai uscire con lui e anche Stefania smetterà di odiarmi se saprà che è una decisione tua e che sei felice così.-
L'euforia con cui parlava di liberarsi dell'ingrato compito di fingersi mio fidanzato mi deluse molto, e credo che lui ad un certo punto se ne accorse, perché la sua voce si fece via via più incerta.
-Va bene Niky? Sei... d'accordo?-
-Brit- sussurrai. Odiavo che anche una delle poche persone che conosceva la mia vera identità fingesse che il mio passato non esistesse, ma lui, come al solito, sottolineò che non potevamo rischiare.
-Siamo in un luogo pubblicò- mi ammonì -Niky. Allora? Te la senti di uscire con Alessio? Stai pensando al tuo ragazzo a Las Vegas, vero?-
A questa domanda ebbi una profonda certezza: quel ragazzo non capiva assolutamente nulla.
Non stavo pensando ad Adam. 
Adam era nei miei pensieri in ogni istante, ma ogni volta che mi trovavo con Emanuele, che sentivo il suo profumo, che potevo sfiorarlo, ascoltare il suono deciso e sereno della sua voce, per me l'America scompariva come una bolla di sapone che esplode, e in quella bolla c'erano tutte quelle cose e quelle persone che avevo amato ma che erano lontane, così lontane da non avere quasi più alcuna influenza su di me. 
Mi stavo innamorando di un poliziotto di ventisette anni, che non mi avrebbe mai degnata di uno sguardo, e che prendeva l'accarezzarmi e il baciarmi come se fosse solo ed esclusivamente un faticoso lavoro.
Mi sentii morire, ma cercai di conservare quanta più dignità possibile.
-Uscirò con Alessio. Gliene parlerò oggi stesso se... se tu magari vai via ora. Mi inventerò che... mi hai sentita diversa baciandomi! Nel film è una scusa che usano spesso! La userò anche io, e aggiungerò che mi hai chiamata in bagno a parlarne e... che abbiamo chiuso perché io voglio stare con lui. Dirò che hai preferito andare via.-
Emanuele annuì.
-Va bene, dai, però stai attenta. Se mi allontano non potrò proteggerti. Evita di smascherarti... e non bere, siamo intesi?-
Feci segno di sì con la testa trattenendo un sorriso amaro. Era decisamente quello che avrebbe detto un fratello maggiore, no?
Quando rientrai in sala le luci erano accese. Era da poco finito il primo tempo del film.
Raggiunsi gli altri, che subito mi chiesero di Bill, dopo aver fatto qualche commento malizioso sulla nostra scappatella al bagno.
Quando li informai che era andato via e notarono l'espressione delusa che non riuscivo a nascondere, smisero di ridere.
Stefania mi guardava con l'aria di una che stava progettando un omicidio, così quando il film ricominciò, le spiegai sottovoce  com'era andata, o meglio la versione che avevo concordato con Emanuele. Lei sembrò crederci e il suo aspetto minaccioso si addolcì.
Non mi ero resa conto, nel parlare con Stefania, che Alessio era riuscito ad ascoltare tutto.
Dopo il cinema mi accompagnò a casa.
-Dovresti parlare a voce un po' più bassa durante un film, disturbi gli altri- mi rimproverò con tono scherzoso, prendendomi la mano.
-Sono felice che tu ci abbia pensato- disse quando fummo arrivati in veranda, e poi si chinò a baciarmi con passione, stringendomi forte mentre io giocavo con i suoi capelli spettinati.
Fu un bel bacio. 
Niente farfalle nello stomaco o batticuore, ma quel contatto mi fece sentire desiderata, e questo per un po' coprì la sensazione di umiliazione che avevo provato qualche ora prima.
Quella sera mi resi conto di non voler restare sola. 
Credo che se mi fossi rivolta ad uno psicologo mi avrebbe spiegato che, sradicata dai miei affetti più cari rimasti a Las Vegas, stavo cercando qualcuno a cui legarmi per sentirmi finalmente a casa anche in Italia. La verità è che avevo un disperato bisogno di essere amata.
Solo Adam era riuscito a colmare quel bisogno in passato, ed ora era lontano. Emanuele non aveva alcuna voglia di starmi vicino, mentre Alessio era lì, disposto a prendersi cura di me. Decisi che questo che poteva bastarmi.

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Capitolo 7
*** Mezze bugie e mezze verità ***


Emanuele riprese a proteggermi da lontano e con discrezione.
Le mie amiche avevano smesso di chiedergli continuamente di unirsi a noi. Credo avessero capito che la sua presenza per me, che ora stavo praticamente sempre con Alessio, poteva essere imbarazzante. 
Avere accanto qualcuno che mi voleva bene davvero, e che si impegnava per dimostrarmelo, mi diede una grande forza in quel periodo, così pian piano Ale divenne una figura fondamentale per me.
Lo scoprii essere una persona estremamente premurosa, presente ed affettuosa quanto bastava, e inoltre continuava a ricordarmi il mio Adam.
Una sera che mamma aveva portato Bill, il vero Bill, al cinema, Alessio venne a trovarmi.
Era la prima volta che stavamo veramente da soli.
Mi divertii a cucinare per lui, sorbendomi le sue prese in giro per quanto sembravo impacciata ai fornelli. Alla fine mangiò tutto di gusto e io me ne vantai a lungo, rinfacciandogli le sue battutine di poco prima. 
Volevamo guardare un film, ma il lettore DVD decise di non funzionare, così rinunciammo e ce ne restammo sdraiati sul mio letto pensando ad altri possibili passatempi.
A quel punto ero convinta di sapere come sarebbe finita la serata, e invece Alessio mi sorprese: si sollevò su un gomito mentre con l'altra mano mi accarezzava la guancia.
-Potremmo parlare un po'- disse.
-Certo... di cosa vuoi parlare?-
-Di te-
Lo guardai senza capire.
-Non so niente di com'era la tua vita a Greenville e mi piacerebbe che tu mi raccontassi di te-
C'era di nuovo da mentire.
Il panico mi travolse all'istante.
-Sei sicuro di voler parlare?- chiesi cercando di imitare un tono civettuolo visto in qualche film, ma mi uscì una specie di starnazzo tutt'altro che seducente.
Intanto il mio viso era diventato paonazzo. Alessio rise.
-In effetti avrei anche un'altra idea- la sua mano scivolò lungo il mio fianco fino a sollevare la mia gamba destra e a poggiarla sulle sue -ed ho intenzione di metterla in pratica molto presto... ma prima voglio che ti apri con me. Io mi sto legando molto a te, Niky. Mi piace stare con te, e comincio a pensare a noi come a qualcosa di importante, qualcosa che può avere un futuro-
-Vale lo stesso per me- sussurrai.
-Sì, ma noi abbiamo anche un passato e non ne abbiamo mai parlato-
-Non conta Ale... Ora siamo insieme, concentriamoci sul presente- provai a ribattere avvicinandomi per baciarlo, ma lui si scostò.
Mi rassegnai a dovermi inventare qualcosa, se non volevo perderlo, ed in quel momento non volevo, non ero pronta a ricominciare da sola.
-Va bene... però... prima tu- 
Speravo che ascoltandolo parlare sarebbe potuta venirmi qualche idea, ma quando iniziò a raccontarmi di sé non riuscii a concentrarmi su niente che non fossero i suoi occhi color miele. Sembravano sorridere.
-Non c'è molto da dire in realtà. Io ho avuto un'infanzia felice, e sono tutt'ora una persona felice. Vedi Niky, mia madre ci ha lasciati quando io ero molto piccolo e la ricordo a stento, ma ho l'impressione che mi protegga costantemente. Da quando mio padre si è risposato io ho praticamente due madri: una che veglia dall'alto e l'altra che mi prepara la cena! La compagna di mio padre è una persona fantastica, vorrei fartela conoscere un giorno. Non mi ha mai fatto mancare nulla, si è presa cura di me come se fossi suo figlio. Lei purtroppo non può avere bambini e una volta, qualche anno fa, mi ha confessato che se avesse potuto averne, avrebbe tanto voluto un figlio che somigliasse a me. Dice che sono una persona pura. Non so cosa intenda esattamente... ma è un bel complimento, non credi?-
-Si, è davvero un bel complimento. E poi è vero che sei una persona pura, nel senso che sei... estremamente vero. Spontaneo... un libro aperto. E' bello. -
Alessio sistemò il cuscino sotto la sua testa e si mise comodo attirandomi a sé.  Adagiai il viso sul suo petto, tanto vicino da poter sentire il suo cuore battere.
Aveva il volto sereno mentre raccontava, ma quel tamburo che mi premeva contro l'orecchio mi diceva che era emozionato, e che anche per lui raccontarsi non era semplice.
Si stava aprendo a me, e per un secondo sentii la necessità di fare lo stesso.
Volevo dirgli che mi chiamavo Brittany, ma che nessuno mi chiamava più così dalla morte di mio padre, che ero cresciuta a Las Vegas, che mia madre si era messa nei guai, che avevo dovuto lasciare Adam, che mi mancavano Linda e Jessica, che Emanuele non era Bill, e che per Bill, per il vero Bill, mi dispiaceva tremendamente. 
Era partito da Las Vegas come se fosse un gioco, ma più passavano i mesi più leggevo il disagio nei suoi occhi. Era ancora un bambino ma probabilmente aveva bisogno di risposte. 
E a proposito di risposte, anche Alessio ne voleva qualcuna.
-Allora Niky? Svelami un po' di misteri sulla donna di Greenville-
Mi fidavo di Alessio, ma raccontargli tutto era comunque un rischio, ed io non potevo mettere a repentaglio tutto, proprio ora che le cose a Milano sembravano andare per il verso giusto.
-Sono cresciuta con mia madre e il suo compagno- non era propriamente una bugia -ma non siamo stati fortunati come te. Non è stato un gran padre- e anche questo era vero. 
-Lui era italiano... è per questo che conosco la lingua. Comunque sia, hanno divorziato qualche tempo fa. Per mia madre è stata dura, e ancora peggio quando ha perso il lavoro. Un amico di famiglia l'ha invitata a venire in Italia dove le ha offerto un lavoro in un ristorante. Ora abbiamo una bella vita. Sono solo un po' preoccupata per mio fratello Andrew. Credo che casa gli manchi molto, anche se quando l'abbiamo lasciata sembrava entusiasta di questa nuova avventura.-
Alessio mi fece qualche altra domanda, ed io riuscii ad essere vaga ma esauriente.
Mi sentivo a posto con la coscienza. Più che mentire, avevo "modellato" la verità in modo che non risultasse scomoda. Emanuele sarebbe stato fiero di me. 
Arrossii all'idea di aver pensato a lui anche mentre me ne stavo sul mio letto, tra le braccia di Alessio. Quest'ultimo cambiò di colpo atteggiamento.
Smise di fare domande e prese a baciarmi.
-Ti voglio- mi sussurrò mentre lentamente sbottonava la mia camicia color lampone.
-Anch'io- gli risposi, disposta a dargli quello che voleva: me. 
Il rumore di una chiave che girava nella serratura ci bloccò di colpo. 
Ci rivestimmo e salutammo in fretta.
Non sapevo se sentirmi dispiaciuta o sollevata da quell'interruzione, ma non ebbi il tempo di pensarci.
Piccoli colpetti alla finestra mi annunciavano che qualcuno stava tirando dei sassolini proprio verso la mia stanza. 
Quando scostai le tende per guardare giù, vidi Emanuele.

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Capitolo 8
*** Scoperte al chiaro di luna ***


Inutile provare a descrivere a parole la sensazione di vuoto allo stomaco che provai nel vedere gli occhi verdi di Emanuele fissarmi dal basso e avvicinarsi diventando sempre più grandi, mentre lui si arrampicava agilmente fino alla mia finestra.
-Un moderno Romeo!- commentai ridendo mentre lui riprendeva fiato.
-Non prendermi in giro!- ribatté lui.
-Lungi da me prendere un giro un poliziotto, potresti spararmi!-
-Non dire sciocchezze- 
Emanuele sembrò accigliarsi ed io alzai le mani in segno di resa.
Aveva i capelli fuori posto ed era leggermente sudato. Nel guardarlo mi chiesi se avrei mai smesso di trovarlo così bello. Per Alessio iniziavo davvero a provare qualcosa di importante, e continuavo a pensare spesso ad Adam, ma l'attrazione che mi spingeva verso quel ragazzo era una sensazione completamente nuova per me. 
-Allora, che ti porta qui? E perché non hai usato la porta?-
-Ho delle novità da Las Vegas, e ho pensato che dovessi essere informata. Siediti, per favore-
Non potei fare a meno di notare la sua espressione preoccupata quando andai ad accomodarmi sul mio letto di fianco a lui. Mi accarezzò lievemente la guancia sorridendomi, e tutta quella dolcezza m'inquietò ancora di più. Stava per dirmi qualcosa di molto brutto. 
-Le indagini hanno fatto dei passi avanti-
-Bene... è positivo, no?- la voce mi tremava come mai prima. Sapevo che non era positivo. Gli occhi verdi di Emanuele nascondevano un segreto ed io non ero convinta di volerlo davvero conoscere.
-Senz'altro. Per la tua famiglia è sicuramente un bene, e spero te ne renda conto anche tu. Smascherare tutte le persone implicate è il modo migliore per far tornare Las Vegas un posto sicuro per voi. -
Aveva riassunto il tono professionale della prima volta che avevamo parlato nel suo ufficio, ma guardandolo vedevo nei suoi occhi una luce diversa. Era preoccupato per me? Per come avrei preso le sue parole? Qualunque fosse il motivo di quel suo esitare, l'attesa mi stava lentamente logorando.
-Dimmi che succede, ti prego- lo incalzai con un filo di voce. Lui deglutì rumorosamente, e non ebbi più dubbi: era davvero preoccupato per quello che stava per dirmi.
-Si tratta di Adam-
Il mio corpo si irrigidì all'istante. Quel nome mi aveva letteralmente paralizzata.
Pochi secondi e la statua che ero diventata si sciolse e iniziò a tremare.
-Gli è successo qualcosa? Io lo sapevo, non dovevo andarmene! La colpa è soltanto mia! Se gli è successo qualcosa per colpa dei casini di mia madre, io... io...-
Mi alzai di scatto dal letto per scendere le scale ed andare da lei a dirgliene quattro, a mandarla al diavolo per tutto quello che aveva procurato, ma le mani di Emanuele mi afferrarono decise.
-No, Brit, aspetta!- risentire il mio vecchio nome fu come una carezza. Dopo tanto tempo quella sera avevo voglia di tornare a casa, alla mia vita.
Milano mi piaceva, ma quello che vivevo lì era solo una grossa bugia. Io ero Brit, e Milano era fatta solo per Niky.
-Non è successo nulla ad Adam- 
-Vuoi solo calmarmi, non sono stupida!- cercai di divincolarmi dalla sua stretta, ma lui mi inchiodò con le spalle al muro.
-Lo so fin troppo bene che non sei stupida- mi disse con le labbra vicinissime alle mie, e le mani che tenevano i miei polsi sopra la testa.
Mi venne voglia di baciarlo, di sfogare sulla sua bocca tutta l'ansia e la frustrazione che mi opprimevano, ma non ebbi il tempo di farlo, perché quello che Emanuele mi disse in quel momento, mi fece tornare alla condizione-statua di poco prima.
-Ascoltami, Brit. Adam sta bene, ma è stato arrestato. Era un complice di Carlo-
Non potevo crederci. Quelle parole arrivarono come un pugno allo stomaco e pregai che Emanuele continuasse a reggermi, perché avevo l'impressione che di lì a breve mi avrebbero stesa, avrei perso l'equilibrio e sarei crollata sulle ginocchia.
Lui per fortuna lasciò i miei polsi solo per attirare tutto il mio corpo verso il suo, e abbracciarmi. Appoggiai la testa al suo petto e mi lasciai andare in un pianto disperato. Non solo quello che accadeva a Milano era una bugia, anche gli ultimi meravigliosi mesi a Las Vegas con Adam erano stati finti. Quel grande amore non esisteva, non era mai esistito. Singhiozzai contro il maglione rosso di Emanuele per un tempo che mi sembrò infinito, poi la nebbia che aveva offuscato la mia mente iniziò a lasciare spazio ad una profonda necessità di risposte. 
Sollevai il viso verso Emanuele.
-Voglio sapere- gli dissi, e lui annuì, comprendendo immediatamente a cosa mi stavo riferendo. Mi fece un'ultima carezza sui capelli prima di liberarmi dal suo abbraccio.
-Mettiti a letto- 
- No, per favore, voglio sapere. Ne ho davvero bisogno-
-Tranquilla, risponderò a tutte le tue domande, ma prima voglio che tu ti metta a letto, è tardissimo-
Detestavo quei modi da fratello maggiore, ma non avevo affatto voglia di discutere, così feci la doccia più veloce della mia vita, e indossai un caldo pigiama rosa, l'unico dei miei capi per dormire su cui non ci fossero animaletti infantili come paperelle o coniglietti.
Quando tornai nella mia camera, Emanuele era sdraiato sul mio letto a piedi nudi, appoggiato ad un gomito. Occupava di proposito meno spazio possibile, perché io potessi mettermi comoda.
-Spegni la luce- 
Feci come mi disse, non tanto perché me l'avesse chiesto, quanto per nascondere il rossore che sentivo improvvisamente sul viso, e andai a sdraiarmi accanto a lui, io sotto le coperte, e lui sopra, con il tessuto pesante separava i nostri corpi e che mi impediva i movimenti.
Nella penombra riuscivo appena a vedere il viso del ragazzo meraviglioso che avevo vicino, ma sentivo la sua mano che mi sistemava meglio il piumone addosso e che poi riprendeva ad accarezzarmi le guance e i capelli. 
-Sei ancora sicura di voler sapere?-
-Sì, tutto-
-Bene. Carlo, l'ex marito di tua madre è ricercato qui in Italia da molto tempo per spaccio, associazione a delinquere, estorsione, sequestro di persona e... tentato omicidio. Quando tua madre lo ha conosciuto ovviamente non poteva saperlo, e di certo non sapeva che lui continuava a dirigere i suoi affari da Las Vegas. Reclutava giovani e avvenenti ragazze e faceva in modo che arrivassero qui in Italia a prostituirsi. I biglietti di molte di queste ragazze erano comprati a nome di tua madre, così quando lei ha chiesto il divorzio ed è riuscita ad ottenere da lui tutto quel denaro, lui l'ha ricattata. Ha minacciato di incolparla del giro di prostituzione. Per il suo silenzio ha voluto soldi e... altro-
Il sangue mi si gelò nelle vene. Ebbi un flashback dell'ultima sera a Las Vegas: mia madre con quel vestito stretto, il trucco sfatto e i glitter sui capelli... impallidii al ricordo.
-Lei ha subito per molto tempo, Brit. Un giorno Carlo e i suoi uomini le hanno detto che sarebbero venuti a prenderti. Questo l'ha convinta ad andare alla polizia. Era disposta a farsi arrestare per quei biglietti aerei piuttosto che metterti in pericolo. Per fortuna dimostrare che lei era all'oscuro di tutto non fu difficile. Dovresti essere molto fiera di lei. La sua unica colpa è di essersi innamorata dell'uomo sbagliato, ma è una colpa che ha pagato a carissimo prezzo.-
-Lo so- dissi, e non era una risposta di circostanza. Lo sapevo davvero, e mi si stringeva il cuore se pensavo a tutto quello che la mamma aveva affrontato da sola, in silenzio. 
-Che c'entra Adam?- 
-Adam si è lasciato corrompere, ed ha accettato di fare cose... sbagliate-
La risposta evasiva mi fece capire che i colpi per quella sera non erano finiti.
-Cosa vuoi dire?-
-Io non penso che tu debba sapere tutto, Brit!-
-Smettila di trattarmi come una bambina!- replicai rendendomi conto in prima persona che mi stavo lamentando proprio come avrebbe fatto una bambina.
Evidentemente se ne accorse anche lui, perché rise e mi fece il verso. Io per tutta risposta gli diedi un calcio attraverso il piumone. Quando tornò serio mi stampò un bacio leggero sulla punta del naso. Nel buio riuscivo a vederlo a malapena, ma i suoi occhi brillavano come fari incandescenti. Allungai una mano e gli accarezzai una guancia come lui stava facendo con me.
-Non ti tratto come una bambina- sussurrò baciandomi di nuovo, stavolta sulla fronte.
-I baci sulla fronte si danno ai bambini-
-Dove preferiresti essere baciata, allora?-
Quella domanda mi colse alla sprovvista. Pregai che la tenue luce della luna che entrava nella stanza attraverso la finestra, non m'illuminasse abbastanza da far scoprire che ero appena diventata paonazza. Mi schiarii la voce, e mi allontanai leggermente da lui, presa da un improvviso ed incontrollabile imbarazzato. Sapevo benissimo dove avrei voluto essere baciata, ma ricordavo come era andata l'ultima volta, e quel po' di orgoglio che mi restava non mi avrebbe mai consentito di pregarlo di posare le labbra sulle mie, così cambiai velocemente argomento.
-Se non pensi che io sia una bambina, allora dimmi di Adam!-
-Brit, ci sono delle cose che fanno male anche alle donne.-
-Non preoccuparti, sono più forte di quanto credi-
-Non voglio vederti piangere di nuovo... - lo sentii dire con un filo di voce. 
-Non piangerò. Te lo prometto- 
In realtà dentro di me sapevo di essere completamente incapace di qualunque forma di autocontrollo, soprattutto quando si trattava di trattenere le lacrime. L'apprensione che riuscivo a leggere nel suo tono, però, mi diede la forza di convincermi che avrei quanto meno potuto provare a fingermi forte, fosse solo per non farlo preoccupare troppo. 
Se mi fossi dimostrata più matura, magari, avrebbe smesso di trattarmi come una sorellina da proteggere dal mondo.
Emanuele sospirò e si tirò su fino a sedersi al mio fianco. La luna gli illuminava il profilo perfetto.
-Brit, gli uomini a volte sono... molto squallidi-
-Non farmi la paternale, ti prego!- mi esasperava quando tentava di darmi lezioni di vita.
-Quello che sto cercando di dirti è che... Adam è un ragazzo e ci sono delle cose che per i ragazzi contano più di altre, come il denaro e il...-
-Sesso?- da un lato mi divertiva che fosse così in difficoltà nel parlarne, ma d'altro canto riconfermava solo il fatto che mi vedeva estremamente piccola e facile da scandalizzare. Questo non potevo proprio sopportarlo.
-Sì, il sesso. Adam ha accettato del denaro, per... riprenderti. Ha girato dei video per... pubblicizzarti-
-Oddio- 
-Ma voglio che tu stia tranquilla, Brit, perché abbiamo sequestrato tutto. Quei video servivano in caso tu fossi stata alla loro mercé, ma quando tua madre è scappata sono diventati inutili e quindi sono certo che non sono stati mostrati a nessuno-
Mi coprii il viso con le mani imbarazzatissima. Qualcuno mi aveva visto fare l'amore con Adam, e forse lo stesso Emanuele, una volta sequestrati i filmati, si era divertito alla mie spalle coi suoi colleghi. 
-Oddio, oddio, oddio!- non riuscivo a ripetere alto.
-Dai, te l'ho detto, sono stati sequestrati in tempo!-
-Tu... li hai visti?- chiesi affacciandomi da dietro lo scudo che mi ero creata con i palmi delle mani. Lo vidi trattenere un sorriso.
-Assolutamente no-
La sua espressione era fin troppo eloquente. Ringraziai la luna per avermi permesso di accorgermene. Afferrai un cuscino e glielo lanciai. 
-Sei un bugiardo!-
Lui si scansò ridendo.
-Fa parte del mio lavoro! E poi non l'ho fatto apposta, non ti conoscevo neanche! Quei video sono stati sequestrati un bel po' di tempo fa, quando tu non eri ancora in Italia ma che era stato lo stesso Adam a venderli è stato scoperto oggi-
-Oddio, mi hai vista nuda!- afferrai un altro cuscino per lanciarglielo, ma stavolta non fui abbastanza veloce. In un attimo Emanuele era sdraiato sopra di me e mi teneva i polsi in alto, come qualche ora prima aveva fatto contro il muro.
Vedevo la sua espressione divertita, mentre io ero ancora rossa dalla vergogna.
-Calma, ragazzina!-
-Non sono una ragazzina!- ringhiai a pochi centimetri dalla sua bocca.
Era così vicino e non potevo muovermi. Le coperte tenevano separati i nostri corpi, ma quella vicinanza mi dava comunque i brividi.
-Nei video non sembravi affatto una ragazzina- disse, improvvisamente serio.
-Non lo sono- sussurrai pregando che la voce non mi morisse in gola per quanto ero emozionata.
-Lo so, Brit- 
Improvvisamente si alzò e lo vidi infilarsi le scarpe.
-Dove vai?-
-A casa, sono quasi le 2.00 e penso che tu dovresti dormire-
-Puoi restare- e mi pentii immediatamente di averlo detto. Le parole erano venute fuori senza che avessi il tempo di pensarle. Lui mi guardò con un sopracciglio sollevato, e scosse la testa ridendo.
-Buonanotte Brit.-
Si chinò per baciarmi la fronte, ed agile come era entrato lo vidi andar via dalla finestra. 
Un moderno, meraviglioso Romeo.

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Capitolo 9
*** Un singolare compleanno per Niky e Brit ***


Subito dopo che Emanuele fu andato via, notai che il led del mio cellulare stava lampeggiando.
C'era un sms di Alessio.
"SONO STATO BENISSIMO, PECCATO PER IL TEMPISMO DI TUA MADRE! CREDO DI ADORARTI <3 SOGNI D'ORO. SOGNA ME."
Mi resi conto di non accogliere quel messaggio come probabilmente avrei dovuto, ma non volevo ammettere neanche a me stessa quello che mi stava capitando. 
La verità era che Emanuele si era insinuato nei miei pensieri, e stava lentamente spingendo Alessio in un angolino piccolo e buio della mia mente. 
Sapevo, però, che era una cosa che non potevo assolutamente permettere.
Alessio era la mia ancora di salvezza dopo lo tsunami, mentre Emanuele somigliava ad una nuova e violenta ondata. Non potevo affrontare anche lui, soprattutto non dopo aver scoperto che il mio primo amore era un vigliacco corrotto e meschino, che avrebbe venduto il mio corpo ad uomini senza scrupoli che avevano approfittato della donna più importante della mia vita.
Ripensare a quello che mia madre aveva dovuto sopportare mi provocò una fitta lancinante allo stomaco. Da quando eravamo arrivati a Milano, il rapporto tra me e lei si era molto raffreddato. Con un tacito accordo non avevamo ancora mai parlato di cosa era successo a Las Vegas e del perché eravamo scappate. Credo che fosse il nostro modo per non ferirci a vicenda, ma tutti quei segreti ci stavano allontanando e sarebbe stato ancora più difficile ora che ero a conoscenza di tutto ma dovevo fingere il contrario.
Mi strinsi sotto il piumone e riguardai l'sms di Alessio. Sorrisi tra me e me, felice di potermi aggrappare alla mia ancora dagli occhi color miele.
"SONO STATA BENE ANCH'IO. AVREMO ALTRE OCCASIONI, MAMMA NON è SEMPRE COSì PUNTUALE! IO HO LA CERTEZZA DI ADORARTI :) VADO A SOGNARTI, BACIO"
Gli avevo scritto una piccola bugia, ma non potevo saperlo neanch'io. Non stavo andando a sognare lui... Non si può scegliere chi si sogna.
Mi addormentai cullata dal profumo di quello che stava diventando il poliziotto che più di tutti amavo e odiavo al mondo. Ok, non conoscevo molti poliziotti in realtà, ma sono sicura che se ne avessi conosciuti altri mille, nessuno mi avrebbe provocato le stesse reazioni che mi provocava Emanuele. Finii col sognare lui, e quasi mi arrabbiai con me stessa perché non era decisamente nei piani. 
Intanto si avvicinavano i miei tanto attesi diciotto anni. 
La mamma e Bill erano super eccitati, molto più di me, e si stavano dando un gran da fare per organizzarmi una super festa di compleanno. 
Io in realtà avrei preferito ignorare quel giorno e lasciarlo passare come un qualunque mercoledì dell'anno. 
C'erano indubbiamente dei vantaggi nel diventare maggiorenni: votare, guidare, bere... ma un tempo avevo dei progetti sul mio diciottesimo compleanno,  e quei progetti includevano Linda, Jessica e Adam. 
Le nuove amicizie che avevo a Milano erano indubbiamente importanti per me, soprattutto in un periodo della mia vita così complicato, ma nessuna delle persone con cui avrei festeggiato conosceva davvero chi ero, e questo spesso mi faceva sentire molto sola.
Ogni volta che si parlava di me e del mio passato, mi toccava raccontare bugie su bugie.
Anche il solo fatto che su tutti i biglietti di auguri che avrei ricevuto non ci sarebbe stato il mio vero nome, mi provava che era tutta una gran pagliacciata. Milano era finta. Quella vita non esisteva. 
Passai il mio compleanno sdraiata sul mio letto a tormentarmi per queste tristi verità a cui non riuscivo a non pensare. Mi alzai solo quando fu ora di prepararmi per la festa.
Per l'occasione mamma mi aveva comprato un elegante tubino blu elettrico, con sandali argento e pochette in tinta e aveva insistito anche perché mi facessi sistemare i capelli e il trucco da una sua amica che sarebbe arrivata poco prima del party.
Alla fine, quando mi guardai allo specchio, mi venne voglia di di abbracciarla per avermi convinta. Una cascata di onde castane mi scivolava sulle spalle, le labbra piene erano tinte di un rosa tenue e luminoso mentre gli occhi erano truccati di un grigio intenso e sfumato.
Mi sentivo davvero bella, e questo quasi mi commosse.
Sentii mia mamma abbracciarmi da dietro, e appoggiare la sua testa alla mia spalla. Vidi i suoi occhi riflessi nello specchio: erano lucidi come i miei.
-Brit, sei incantevole-
-Credo di sapere a chi assomiglio- 
Mi voltai per abbracciarla forte.
-Mamma io volevo dirti che... sono felice che tu abbia fatto tutto questo per me. La festa, il vestito, i capelli, il trucco, e... anche il trasloco, lo so che era per proteggermi. Voglio che tu sappia che l'ho capito-
Per tutta risposta lei mi strinse più forte singhiozzando, ed io dovetti fare uno sforzo immane per non rovinare il trucco.
Tutto sommato la serata fu divertente, nonostante non ci fossero tutti quelli che avrei voluto lì con me: non c'era Linda, non c'era Jessica, e non c'era Emanuele.
Per essere pagato per proteggermi, da dopo la sera in cui mi aveva detto di Adam, era piuttosto assente. Lo notarono anche le mie amiche.
-Bill non è venuto?-
-Aveva da fare- mi affrettai a dire, cercando di non mostrarmi troppo dispiaciuta, anche per non ferire Alessio, che invece si stava sforzando di farmi passare il compleanno più bello del secolo. 
-Niky, sei veramente bella stasera- mi sussurrò all'orecchio mentre ballavamo un lento.
-Solo stasera?- finsi di accigliarmi, lui rise.
-Lo sei sempre, ma stasera, hai veramente superato te stessa... però...-
-Però?-
-Voglio aiutarti ad essere ancora più bella. Me lo permetti?-
E senza aspettare la mia risposta, tirò fuori dalla tasca una piccola scatoletta blu. 
-Non ti ho ancora dato il tuo regalo-
Aprii la scatoletta con le lacrime agli occhi e ne tirai fuori una splendida catenina in argento con un ciondolo blu a forma di delfino.
-Che meraviglia!- esclamai, per poi buttare le braccia al collo di Alessio.
Gli vidi brillare una strana luce negli occhi: era felice di avermi fatta felice. Ed io fui a mia volta ancora più felice di essere la causa della sua felicità.
Lasciai che mi mettesse la collana e continuammo a ballare.
Quando tornai a casa, notai che sulla finestra della mia stanza c'era un mazzo di rose rosse.
In un primo momento pensai fosse un altro regalo di Alessio, ma poi lessi il biglietto che le accompagnava.
"IL BLU TI DONA, RAGAZZINA. BUON COMPLEANNO BRIT. PS GUARDA BENE LE ROSE"
Sbirciando tra i petali, notai un'altra catenina d'argento... gli uomini non hanno affatto fantasia! 
La tirai fuori dalle rose e presi tra le mani il ciondolo: una riproduzione perfetta, anch'essa in argento, di una fische, di quelle che si usano nei casinò. Mi ricordò casa, la mia Las Vegas, la mia vita. 
Finalmente qualcuno si preoccupava di fare un regalo Brit, la teenager appassionata di poker scappata da Las Vegas per i casini di sua madre, e non a Niky, la noiosa americana arrivata dall'altrettanto noiosa Greenville.

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Capitolo 10
*** Sensi di colpa ***


Emanuele era sempre più assente e, per quanto inizialmente non volessi ammetterlo neanche a me stessa, mi mancava.
Era una delle poche persone, se non forse l'unica, con cui potevo parlare liberamente, senza nascondermi dietro una falsa identità e senza dover fare costantemente attenzione a non tradirmi.
Con lui potevo essere impulsiva, tornare la Brit di un tempo, ed era forse questo che mi spaventava più di tutto: in sua presenza mi sentivo in balia di una forza a cui non riuscivo a dare un nome. Non capivo se si trattasse di semplice attrazione o  meno, ma sapevo che avevo bisogno di lui in un modo che non avevo mai sperimentato prima, e non solo perché i suoi occhi mi mozzavano il fiato o perché poteva vantare un corpo oggettivamente perfetto; in Emanuele vedevo qualcuno capace di capirmi e proteggermi, e non da meno era capace di farmi divertire, arrossire, emozionare... vivere. Ecco, era il solo, in quello strano periodo della mia vita, capace di farmi sentire viva.
Guardai il ciondolo che mi aveva regalato e sorrisi. Era passata un'intera settimana dal mio compleanno ed io e lui non ci eravamo incontrati neanche una volta.
In uno scatto di inspiegabile istintività tirai fuori dal portafogli il suo biglietto da visita.
ISPETTORE EMANUELE DI STEFANO
Decisi di mandargli un sms.
"DEVE ESSERE STATO MOLTO STANCANTE ARRAMPICARTI ALLA MIA FINESTRA. STAI ANCORA RECUPERANDO LE FORZE? NON TI SI VEDE DA UN BEL PO' "
Dopo aver inviato il messaggio, mi portai le ginocchia al petto e vi appoggiai la testa.
Mi resi conto quasi immediatamente che forse non era stata una grande idea. Probabilmente stava lavorando e il mio messaggio l'avrebbe disturbato; non mi avrebbe neppure risposto e forse ne avrebbe anche riso.
Per un secondo mi tornò in mente anche la storia dei filmati e schiacciai la testa contro il cuscino per allontanare quel brutto pensiero.
Con quel ragazzo avevo già fatto decisamente troppe figuracce!
Chissà quei video com'erano venuti... Probabilmente era la domanda più sciocca che potessi rivolgere a me stessa, ma ovviamente non mi ero mai vista fare l'amore e non avevo mai ipotizzato che qualcuno potesse guardarmi. Sperai in cuor mio di non essere risultata troppo impacciata o legnosa. Nei film le donne nude sono sempre così sexy, affascinanti, accattivanti. Io ero solo Brit, e Brit di solito non era un gran che.
Il bip del telefonino mi distolse dalla mia deprimente autocommiserazione.
Emanuele mi aveva risposto dopo soli 4 minuti... non l'avrei mai detto.
"FACCIO SPORT DA QUANDO AVEVO DIECI ANNI, RAGAZZINA. TAEKWONDO, PUGILATO, RAMPICATA E JOGGING. POTREI SALIRE E SCENDERE DALLA TUA FINESTRA ANCHE TUTTE LE NOTTI... MAGARI  GIà LO FACCIO ;) "
L'idea di Emanuele che si arrampicava fino alla mia stanza ogni notte non mi sembrò poi così assurda... del resto doveva proteggermi. Tuttavia, capii che stava scherzando, quindi scossi la testa e sorrisi.
La sua risposta mi sembrò comunque evasiva, dal momento che non aveva soddisfatto la mia vera curiosità. Provai ad essere più incalzante.
"E DURANTE IL GIORNO, INVECE? COS'è CHE TI TIENE LONTANO?"
"HO UN LAVORO RAGAZZINA"
"CREDEVO CHE IL TUO LAVORO FOSSE PROTEGGERMI"
La risposta questa volta tardava ad arrivare. Erano 7 minuti che fissavo il cellulare a vuoto. Mi preoccupai di aver esagerato. Forse ero stata troppo indiscreta. Non erano affari miei cosa facesse durante il giorno.
Maledissi la mia boccaccia e mi coprii la faccia col cuscino grugnendo contro me stessa.
Guardai di nuovo il telefonino ed erano passati 9 minuti.
Finalmente il led segnalò l'arrivo di un nuovo messaggio.
"CI SONO TANTI MODI PER PROTEGGERE QUALCUNO, BRIT. SONO STATO A LAS VEGAS A VEDERE COME VANNO LE COSE E SONO RIENTRATO IERI. STASERA, SE TI VA, PASSO DA TE"
Quel "se ti va" mi sembrò l'espressione più superflua del mondo.
"PENSI DI USARE LA PORTA STAVOLTA? :) "
"NON SAREBBE NEL MIO STILE ;) CI VEDIAMO ALLE 23"
Era una specie di appuntamento? L'ansia con cui affrontai l'intera giornata sembrava dire di sì. Emanuele sarebbe tornato nella mia stanza, nel mio letto... Oddio.
Dopo quello scambio di sms, mi preoccupai di telefonare ad Alessio per avvertirlo che quella sera avrei avuto da fare delle commissioni con mia madre.
Mi sentii una vera traditrice, ma ero troppo confusa per prendere decisioni come lasciare Alessio o rifiutare Emanuele. Volevo solo stare bene, ed una carezza da parte del mio poliziotto preferito, mi sembrò una buona cura. Fondamentalmente non stavo facendo nulla di male.
Quando arrivarono le 23, puntuale come un orologio svizzero, Emanuele era alla mia finestra.
Indossava dei pantaloni grigi ed un maglioncino nero, e aveva di nuovo i capelli disordinati, bagnati dal sudore che li rendeva ancora più scuri, facendo risaltare il verde degli occhi.
Lo guardai riprendere fiato, meravigliandomi di essere io quella che non riusciva a respirare.
-Ispettore- lo salutai con un piccolo inchino.
-Sei più bella di quanto ricordassi-
La sincerità di quel complimento mi colpì come un pugno. Wow. Non mi aveva mai detto che mi trovava bella.
-Grazie- risposi con un filo di voce, e poi mi affrettai a cambiare argomento.
-Allora? Piaciuta Las Vegas?-
-C'ero già stato in realtà, ma sì, anche lei è più bella di come la ricordavo. Le ballerine sono stupende-
Cercai di nascondere il moto di gelosia che mi pervase.
Mi sedetti sul letto, mentre lui mi guardava, appoggiato al davanzale della finestra. Mi sembrò che si incupisse un attimo.
-Con Alessio come va?-
-Oh, molto bene, grazie-
-Sa che sarei venuto qui stasera?-
Alzai un sopracciglio e poi scoppiai a ridere. -Scherzi, vero?-
-La sincerità è alla base di ogni rapporto, ragazzina-
-Smettila di cercare di insegnarmi la vita e di chiamarmi ragazzina! E poi... il nostro è un caso particolare-
Pronunciai con enfasi l'ultima parola, ma lui sembrò non capire.
-Non potevo di certo dirgli che sarebbe venuto a trovarmi l'ispettore che si occupa del mio programma protezione-testimoni, non credi?-
Emanuele si avvicinò con passi lenti al mio letto, posò le mani sulle mie spalle e mi guardò dritto negli occhi. Mi si fermò il cuore per un attimo.
-Pensi che sia qui in veste di ispettore?-
Cercai di riprendere un po' di lucidità.
-Dimmelo tu- risposi senza abbassare lo sguardo. Lui sorrise e scosse lievemente la testa.
-Pensavo l'avessi capito-
-Sono una ragazzina, no?  Faccio fatica a capire cose che nessuno mi spiega-
Lo stavo chiaramente sfidando apertamente. Volevo mi dicesse che era venuto per me, che gli piacevo, che non ero una ragazzina, che era attratto da me, che sentiva il mio stesso bisogno.
Ancora una volta, però, le sue parole mi colpirono fredde e dure come lame, inaspettate come i temporali estivi.
-Mi sto affezionando a te, Brit. Prima di essere un ispettore, sono una persona... e stringo rapporti di amicizia come il nostro. Sei un po' come una sorella, una bellissima e dolcissima sorellina-
Emanuele mi stava parlando con tenerezza, ma per me era troppo, così per quanto volessi trattenermi, sbottai. Mi alzai di colpo e andai verso la finestra ridendo amaramente. La aprii e gliela indicai con decisione.
-Penso che dovresti andare via-
Lui mi guardò con sguardo confuso. -Perché? Che ho detto che non va?-
Volevo tacere. Mi rifiutavo di umiliarmi così ancora una volta, ma non ne potevo più. Speravo che lui se ne andasse, perché io stavo rischiando di esplodere.
-Nulla, ma vorrei restare sola- la mia voce era tagliente e decisa, ma evidentemente non abbastanza.
-Brit, che ti prende?-
Le sue parole avevano l'effetto della benzina sul fuoco.
-Non hai pensato che magari se ti intrufoli in casa di una ragazza, se ti sdrai sul suo letto, se le mandi delle rose rosse, se le dice che è bella... lei possa pensare che tu voglia più che un'amicizia? -
Emanuele abbassò lo sguardo con aria colpevole.
-Brit, io... tu hai diciotto anni. Non pensavo che potessi pensare a me in quel senso-
-Smettila di parlare come se io fossi una bambina e tu un uomo vissuto! Fino a prova contraria sei tu quello che si sta comportando da immaturo, non curandoti dei sentimenti di chi hai di fronte!-
L'aria colpevole sul suo viso si trasformò in un'espressione sbalordita.
-Non penso di essere l'unico, se l'accusa è questa-
-Che diavolo vuoi dire?-
-Che speravi succedesse stanotte Brit? No, perché, se la memoria non mi inganna... tu hai un ragazzo. Non sono io quello che sta giocando, o prendendo in giro qualcuno-
-La mia storia non ti riguarda!-
-Beh, non la vedo così. Hai scelto di stare con una persona e francamente credo tu abbia fatto la scelta giusta, perché Alessio è decisamente più adatto a te di quanto non lo sia io, ma ora non venirmi ad accusare di aver giocato con i tuoi sentimenti, perché se tu avessi provato qualcosa per me avresti preferito restare da sola che buttarti tra le sue braccia.-
Le sue parole mi gelarono. Non avevo una risposta. Lui continuò implacabile.
-Ti comporti come se la tua felicità fosse l'unica cosa che conta Brit. Sei davvero una ragazzina-
E con quest'ultima tagliente frase si diresse verso la finestra aperta e andò via.
Per tutta la notte rimuginai sull'accaduto. Probabilmente Emanuele aveva ragione. Da quando ero arrivata a Milano non mi ero preoccupata per nessuno. Avevo voluto rifarmi una vita e mi ero comportata come un'egoista. Per di più, l'unica che avrebbe davvero pagato le conseguenze di tutto, ero io. Emanuele se ne era andato, ed io mi ero accorta di amarlo.

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Capitolo 11
*** Sincerità e coraggio ***


Enormi macigni mi opprimevano lo stomaco. 
Da giorni, ormai, le ultime parole di Emanuele riecheggiavano nella mia testa senza darmi tregua: ti comporti come se la tua felicità fosse l'unica cosa che conta.
Come potevo dargli torto? Mi ero allontanata da mia madre perché guardarla negli occhi dopo aver saputo la verità mi faceva troppo male, senza badare a quanto il mio comportamento facesse male a lei; per paura di ferirmi non avevo mosso neanche un dito per conquistare la persona che volevo realmente stesse al mio fianco e, come se non bastasse, avevo preso in giro qualcuno che sembrava volermi bene davvero, solo perché non mi sentivo in grado di stare da sola. 
Certo, avevo diverse attenuanti: la confusione, innanzitutto. Non avevo ben chiari i sentimenti che provavo per Emanuele né quelli che provavo per Alessio. Essenzialmente non era a nessuno di loro che avevo mentito... era a me stessa che non riuscivo a confessare la verità, e ora che ce l'avevo fatta, ora che avevo tutte le risposte, mi sentivo pronta a rimediare ai miei errori.
Con mia madre ci sarebbe voluto un po' per ricostruire un rapporto di fiducia e spontaneità, ma c'erano delle cose che potevo fare subito per risolvere la situazione con Alessio ed Emanuele e non avevo intenzione di rimandare ancora. 

-Mi dispiace tantissimo Ale, e spero che tu mi creda, perché... ci tengo un sacco a te e penso che tu sia una persona meravigliosa, ma proprio per questo io non posso andare avanti così-
Ce ne stavamo seduti su una panchina di fronte al nostro liceo ed Alessio continuava a non parlarmi. Teneva lo sguardo basso, i gomiti poggiati sulle ginocchia, e i suoi occhi color miele si erano tramutati in uno scuro color cenere.
-Ti prego, parlami...- lo implorai.
Lui voltò di scatto il volto verso di me. Aveva un'espressione così dura, che mi paralizzò.
-Cosa vuoi che ti dica?-
-Qualunque cosa. Mandami al diavolo, dimmi che sono una stronza, arrabbiati, sfogati, dammi anche un pugno se pensi che possa farti bene, ma ti prego, ti supplico, ti scongiuro... non continuare a guardarmi così-
Alessio buttò la testa all'indietro e sospirò portandosi le mani al viso. Quando mi guardò di nuovo, sembrava più rilassato.
-Sai bene che non ti manderei mai al diavolo, che non ti tirerei un pugno, né tutto il resto, Niky. Io... sono solo molto... confuso. Non riesco a capire... noi stavamo bene-
Mi morsi il labbro senza il coraggio di guardarlo negli occhi. Dirgli che c'era un'altra persona nella mia mente mi sembrava decisamente un colpo troppo duro da infliggergli, ma magari avrebbe apprezzato la mia sincerità.
Con titubanza, presi coraggio e parlai.
-Anch'io ero molto confusa, fino a poco tempo fa. Ho iniziato questa storia nella convinzione che fosse la cosa giusta, che tu fossi la cosa giusta. Ancora oggi io penso che tu sia perfetto per me, solo che... quello che ho capito, è che l'amore non è mai perfetto. Vedi, tu hai reso la mia vita molto più semplice ed io ti sarò sempre infinitamente grata per questo, ma ora so che esiste altro... che esistono sentimenti incontrollabili, che ti sconvolgono, ti fanno piangere, ridere, ti rendono fragile e... ti fanno male. Io avevo paura di tutto questo, ma credo che non sia giusto restare aggrappata a te solo perché sei la mia... ancora di salvezza. Credo di aver bisogno di lasciarmi prendere dallo tsunami. Spero tanto che tu mi capisca.-
Non mi ero resa conto che stavo piangendo fin quando Alessio con un dito non mi aveva asciugato una lacrima sulla guancia. Non ero sicura di averle dette a lui quelle cose; forse stavo parlando con me stessa, e per una volta, forse, mi ero addirittura ascoltata. 
Lui mi strinse delicatamente tra le braccia lasciandomi abbandonare al mio pianto.
-Ti odierò sempre per quello che mi stai facendo, Niky- sussurrò con voce tremante, stringendomi più forte -ma, posso capire... e accettare. Spero che tu sia felice-
Quando si allontanò da me, mi resi conto che anche i suoi occhi erano lucidi. Feci fatica a guardarlo mentre si alzava e andava via.
Mi sentivo in colpa nei suoi confronti, ma ero sicura di aver fatto la cosa giusta. 
Era stata dura ma sapevo anche che la parte più difficile sarebbe venuta dopo, perché se con Alessio nel bene o nel male sapevo cosa aspettarmi, di quello che sarebbe successo tra me ed Emanuele non avevo la più pallida idea. 
Mi asciugai le lacrime e mi diressi verso il commissariato.
Quando entrai, ebbi come un flashback.
Erano passati quasi quattro mesi ed erano cambiate un sacco di cose.
All'epoca non avrei mai neanche immaginato di tornare in quel posto per confessare ad un ispettore che mi ero innamorata di lui.
Presi coraggio e mi avvicinai ad uno sportello, dietro il quale sedeva una donna alta, bionda, dai tratti androgini. Era bella, particolare, sicura di sé nella sua divisa scura.
-Posso aiutarla?- si rivolse a me con tono professionale.
-Sì, io... sto cercando l'ispettore Di Stefano-
-L'ispettore in questo momento è impegnato, ma se è per una denuncia posso mandarle qualche altro agente. Vuole dire a me di che si tratta?-
Imbarazzatissima, presi ad arrotolarmi una ciocca di capelli intorno all'indice.
-No, non è... necessario. Posso aspettare...-
-Come preferisce. Chi lo cerca?-
Per un attimo fui indecisa tra quale delle due identità avrei dovuto usare. Alla fine preferii andare sul sicuro. -Nicole Larson-
-Perfetto. Si accomodi, signorina Larson. Le farò sapere appena l'ispettore potrà riceverla.
Ringraziai educatamente e andai a sedermi sperando di arrivare alla sedia prima che mi cedessero le ginocchia.
Passò un lunghissimo quarto d'ora prima che la donna allo sportello mi indicasse la porta dell'ufficio in cui avevo incontrato Emanuele per la prima volta.
Qualche minuto prima che lei mi desse il via libera, avevo visto uscire da quella stessa porta una ragazza mora e formosa, con una gonna che lasciava molto poco all'immaginazione. 
Ero stata colta da un moto di gelosia che faticai a trattenere. 
Feci un profondo respiro per calmarmi, e poi mi decisi ad abbassare la maniglia.
Emanuele era in divisa. La visione mi lasciò con la salivazione azzerata.
Se ne stava alla scrivania ad annotare qualcosa senza guardarmi.
-Puoi sederti- mi disse con tono piatto, ancora ignorandomi.
Io mi accomodai esitando. Dopo qualche secondo lui alzò lo sguardo verso di me.
-Immagino tu voglia discutere del tuo programma protezione-testimoni. Non vedo altri motivi per cui venire fin qui- 
Il tono di Emanuele era freddo e distaccato.
-Sono qui per una visita personale- risposi io, cercando di restare calma.
-Io qui ci lavoro, signorina Larson. Non ricevo visite personali-
-Signorina Larson?- domandai con aria disgustata.
-Devo ripeterti che qui ci lavoro?- la sua voce era bassa e roca.
-Almeno hai ripreso a darmi del tu!- sbottai.
Lui sospirò esasperato. -Non capisco come ti sia venuto in mente di venire qui, Brit!-
-Infatti non mi interessa che tu capisca, ma voglio che mi lasci parlare-
-Non ho molto tempo, devo lavorare-
-Mi stai evitando?! Chi è il ragazzino adesso?- lo provocai.
-Non sto evitando nessuno. Ti ho solo fatto presente che non ho molto tempo-
-Non me ne serve molto-
Finalmente allargò le braccia come a farmi segno di parlare, ed io in quel momento esatto mi resi conto che non sapevo che cosa dire. Aprii la bocca, ma la richiusi quasi subito.
-Allora?-mi incitò lui.
I suoi occhi mi mettevano in soggezione, esattamente come la prima volta che ero stata in quell'ufficio, così distolsi lo sguardo e all'improvviso le parole vennero fuori come lava da un vulcano in eruzione. Le pronunciai tutte d'un fiato, perché sapevo che se mi fosse fermata anche solo un secondo, non avrei mai più trovato il coraggio per ricominciare a parlare.
-Avevi ragione su tutta la linea. Ho sbagliato alla grande...con Alessio, ed anche con te, ma soprattutto ho sbagliato con me stessa. Io non sono quella che hai descritto tu, non sono una ragazzina e non sono un'egoista, ma non mi aspetto che tu mi creda, perché tu di me è questo che hai conosciuto fin ora. Quello che ti chiedo è di darmi la possibilità di rimediare, perché io non posso sopportare l'idea di perderti, non posso dal momento che mi sono innamorata di te-
Non riuscii a voltarmi per guardare Emanuele, ma il suo silenzio mi colpì come una doccia gelata.
-Cavolo, è umiliante esattamente come mi aspettavo- sussurrai con le lacrime agli occhi.
Feci per alzarmi, ma lui mi fermò.
-Aspetta, Brit... solo... non ora-
Mi voltai a guardarlo e aveva qualcosa di assolutamente nuovo ed indecifrabile negli occhi.
-Cosa?- chiesi con un filo di voce.
-Non parliamone ora. Non qui-
-Vieni da me stanotte- sussurrai in un secondo di coraggio. 
Emanuele annuì debolmente ed io lasciai il suo ufficio, con lo stomaco più leggero e il cuore pesante e gonfio di aspettativa e desiderio.

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Capitolo 12
*** I fantasmi del passato ***


Avevo trascorso l'intera giornata a ripercorrere mentalmente quanto era successo nell'ufficio di Emanuele. Cercavo di mettere a fuoco il momento in cui aveva annuito alla mia richiesta di venire da me. Non me l'ero immaginato, vero? E allora perché era quasi mezzanotte e lui non arrivava?
Il cuore mi martellava nel petto e l'ansia aveva messo in subbuglio totale il mio stomaco.
Mamma si era meravigliata che avessi così poca fame a cena, ed in effetti neanch'io mi aspettavo di vivere così male quell'attesa.
Bill invece era stato felice del mio poco appetito, dal momento che aveva potuto mangiare anche la mia porzione di risotto.
Ripensare al sorriso che aveva fatto quando avevo acconsentito lasciandogli il mio piatto, mi tranquillizzò un attimo, ma fu una sensazione troppo breve.
La nausea tornò quasi immediatamente e ripresi istintivamente a mordermi le unghie e a giocare con i capelli.
Dovetti sopportare di essere in quello stato per un'altra ora, poi intorno all'una, un'ombra adagiata al davanzale esterno della finestra attirò la mia attenzione.
Emanuele sembrava una statua. Mi chiesi da quanto fosse lì ad osservarmi.
Andai ad aprire cercando di nascondergli quanto mi sentivo agitata, e invece mi meravigliai di leggere sul suo volto la stessa preoccupazione e lo stavo imbarazzo che stavano torturando me in quel momento.
-Sei lì da molto?-
-Pochi minuti. Stavo pensando. E' un bel posto per pensare- Stava indicando il punto su cui era seduto poco prima, poi mi invitò a dargli la mano e mi aiutò a scavalcare la finestra e a sedermi sul davanzale accanto a lui.
In effetti era un bel posto. Ormai eravamo ad aprile e non faceva più così freddo. Una brezza leggera ci accarezzava, mentre intorno il buio pesto era interrotto solo da alcuni lampioni in lontananza e da una luna grande e tonda. Mi fermai a guardarla con meraviglia.
Stavo praticamente trattenendo il fiato, quando la voce calda e vellutata di Emanuele mi riportò alla realtà.
-Mi dispiace essermene andato in quel modo l'ultima volta-
-No, non provarci neanche a chiedermi scusa. Ho sbagliato io.. tu hai detto soltanto la verità-
-Potevo dirla con modi più garbati-
-Probabilmente non l'avrei capita in quel caso-
Gli sorrisi sperando di riuscire a cancellare l'aria colpevole che gli leggevo in viso e lui sembrò rilassarsi.
-Hai pensato un po' alle cose che ti ho detto?-
-In realtà non ne ho avuto modo. Al commissariato è stata una giornata dura... dura e lunga. Ho finito poco fa in pratica-
Provai a nascondergli la mia delusione. Avrei voluto che mi dicesse che le mie parole l'avevano torturato tutto il giorno, come le sue avevano torturato me.
Invece lui era riuscito a concentrarsi sul lavoro e ancora una volta l'ispettore aveva avuto la meglio sull'uomo.
-Perché non ti piace essere chiamata Brittany?-
La domanda mi colse alla sprovvista.
-Solo mio padre mi chiamava Brittany, e se ne è andato molto tempo fa-
-Ti manca?-
Scrollai le spalle e alzai gli occhi al cielo per non piangere.
-Mmmm per degli aspetti più che per altri. Mi manca quella che sarebbe potuta essere la mia vita e quella della mia famiglia se lui ci fosse stato-
Emanuele stava annuendo con espressione comprensiva. A un certo punto si allungò verso di me e mi fece mettere di spalle, con la schiena poggiata al suo petto. Il suo braccio intorno alla mia vita. Il mio cuore praticamente in tilt.
Era una posizione dolcissima, ma mi innervosiva l'idea di non poterlo guardare in faccia.
Quando cominciò a parlare, invece, mi resi conto che non sarebbe stato necessario. La sua voce da sola traboccava di emozione.
-Ho paura Brit- sussurrò piano.
-Di cosa hai paura?-
-Di noi... di quello che può succedere- le sue parole erano piene d'ansia.
Intrecciai le dita con le sue e strinsi forte per dargli sicurezza.
-Non ce n'è motivo-
-Brit io devo raccontarti una cosa, più di una in realtà- Era incredibilmente serio.
-Ti ascolto-
-Ricordi quello che ti ho detto della mia famiglia?-
-Sì... che sei entrato nel programma protezione testimoni perché hai visto chi aveva...- non riuscivo a continuare, ma per fortuna lo fece lui per me.
-Ucciso i miei e mia sorella. Non ti ho detto tutto. Quando ho compiuto 18 anni ho scelto di rinunciare alla protezione e di entrare in polizia. Volevo cercare quell'uomo. Ci ho messo quasi cinque anni ma alla fine, facendo delle indagini personali, neanche troppo legali,  scoprii dove viveva. Un giorno presi la pistola e andai da lui. Mi nascosi nel suo garage. C'era una ragazza nella mia vita in quel periodo, era molto più giovane di me... e anche molto più... ingenua, e indifesa. Quel giorno mi seguì, ma io non ero lucido e non mi ero accorto di nulla. Nel garage partirono diversi colpi di pistola.-
Emanuele si interruppe di colpo. Appoggiata al suo petto mi ero accorta che il suo fiato si era fatto corto e i suoi battiti stavano accelerando. Avrei voluto girarmi e accarezzarlo ma non me lo permise, anzi, mi strinse più forte a lui, con una veemenza quasi disperata.
-Si chiamava Sabrina...-
Deglutii rumorosamente e trovai la forza di fare la domanda che non avrei mai voluto fare.
-Non c'è più?-
-No, è sopravvissuta, ma... è su una sedia a rotelle. Il proiettile che le ha lacerato irreparabilmente la colonna vertebrale era partito dalla mia pistola. La cosa assurda... è che lei non solo mi ha perdonato, ma mi ha anche salvato. Era in un letto d'ospedale ed ha avuto la forza di inventarsi che ero stato vittima di una trappola, che quell'uomo aveva cercato di uccidermi ed io avevo sparato per legittima difesa. La parola di un criminale contro quella di un poliziotto e di una giovanna ragazza che non potrà mai più camminare... Il caso è stato archiviato molto velocemente-
-L'uomo... che fine ha fatto?-
-Riuscì a scappare quando mi fermai per soccorrere Sabrina, ma fu arrestato alcuni mesi dopo mentre cercava di imbarcarsi per chissà dove-
Quella storia aveva dell'incredibile, ed io non sapevo che dire. Mai come in quel momento mi sentivo davvero una ragazzina. Avrei voluto confortarlo, dimostrarmi matura, una persona con cui poter parlare, di cui potersi fidare... invece me ne stavo lì zitta senza il coraggio di aprire bocca. Tra le varie cose, mi chiedevo perché mi avesse raccontato quella storia, e perché in quel momento.
Era forse ancora innamorato di quella Sabrina? Era stata lei a lasciarlo dopo l'incidente? Avrei tanto voluto saperlo, ma quello forse non era il momento di fare domande. Emanuele aveva già fatto una grande fatica a raccontarmi di quell'episodio.
Nel frattempo la temperatura era scesa di qualche grado ed io stavo cominciando a tremare, senza rendermene conto.
-Entriamo- sussurrò lui. Così ci andammo a sdraiare sul letto, in silenzio, in contemplazione l'una degli occhi dell'altro, come a volerci leggere dentro la risposta a chissà quale grande punto interrogativo. Nel suo sguardo, però, io lessi solo paura, e la paura sembrò aumentare quando il suo voltò si avvicinò piano al mio.
Un secondo prima che le nostre labbra si sfiorassero, con una sincerità quasi commovente, Emanuele mi guardò dritto negli occhi e disse: -Prometto che avrò cura di te-
Il bacio che seguì fu come lo scontro di un vulcano con un enorme iceberg: ghiaccio e fuoco insieme, la sensazione più violenta che mai mi avesse colpito nella vita, ma allo stesso tempo la dolcezza più profonda che mai mi avesse avvolta.
Non so dire se continuammo a baciarci per un minuto o per un'ora, ma so che in quel tempo riuscii a non pensare a nulla, e a dimenticarmi anche della storia drammatica che avevo ascoltato poco prima. Quando il volto di Emanuele si allontanò dal mio, però, rividi la stessa paura di poco prima, e mi resi conto che non potevo fingere che quella conversazione non ci fosse mai stata. Dovevo conoscere i dettagli di quella storia.
-Perché mi hai detto di Sabrina?-
-Tu me la ricordi molto... sei anche tu così... piccola. E volevo farti capire perché questo mi spaventa così tanto. Non sono riuscito a proteggerla e morirei se capitasse qualcosa anche a te.-
-Sono sicura che con te accanto non mi capiterà nulla- sorrisi e gli stampai un bacio casto sulle labbra.
-Aspetta, Brit. Devo dirti un'altra cosa.-

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Capitolo 13
*** Pericoli in vista ***


Avere accanto Emanuele era un continuo susseguirsi di emozioni. Era capace nella stessa sera, nel giro di ore o anche solo di minuti, di farmi provare una miriade di sensazioni diverse e contrastanti. 
Quella notte in particolare mi aveva sconvolta con la storia di Sabrina e subito dopo aveva cancellato col suo bacio ogni traccia di dubbio o paura dalla mia mente.
L'espressione seria che assunse quando mi disse che c'era altro che dovevo sapere, fu in grado di farmi cambiare umore ancora una volta.
Mi ritrovai sulla difensiva, rigida come pietra, ad aspettarmi qualunque cosa.
-Pare che Carlo abbia scoperto che siete qui a Milano.- La voce di Emanuele era piatta e priva di qualunque emozione.
Lui non mi guardava neanche, ma avevo imparato a leggere sul suo viso, e ormai per me era impossibile non cogliere la frustrazione che lo stava tormentando in quel momento.
Vederlo soffrire in quel modo mi turbò molto più di quello che mi aveva detto.
Carlo non mi spaventava particolarmente. Aveva vissuto con noi qualche tempo e avevo scoperto all'epoca in lui anche un lato "umano", oserei dire addirittura "paterno"; volevo convincere me stessa che quel lato avrebbe prevalso e che non ci avrebbe fatto del male. 
In cuor mio, però, dovevo costantemente lottare con l'immagine di mia madre col trucco sbavato e il vestito stretto, i glitter e le tante, troppe lacrime che aveva versato quando eravamo partiti. 
Se mamma aveva accettato quel programma di protezione-testimoni, allora quell'uomo rappresentava davvero un pericolo.
Accarezzai Emanuele sulla guancia e cercai di mostrargli tutta la mia forza.
-Non mi succederà niente. Io ho il poliziotto migliore del mondo qui a proteggermi- sorrisi e mi strinsi a lui, che però mi guardò corrucciato.
-Brit, con questa notizia c'è la possibilità che veniate trasferite altrove. Dal commissariato mi hanno chiesto che ne penso-
Il suo tono era serio ma a me venne per un secondo il dubbio che stesse scherzando. Credevo fosse ovvio quello che lui avrebbe dovuto pensarne: trasferirci di nuovo era una follia. 
-Altrove? Gli hai detto che è un'idea davvero stupida, no?-
L'occhiata che mi rivolse come risposta fu una specie di lampo gelido.
-Non è un'idea stupida, Brit. Se è vero che Carlo sa dove siete, Milano non è un posto sicuro per te e la tua famiglia-
-Ma ci sei tu qui...-
-Esatto, sono qui- sottolineò l'ultima parola con enfasi -e questo vuol dire che non posso essere in nessun altro luogo, né ad indagare su Carlo, né ad arrestare i suoi uomini, né a coordinare la vostra protezione. Se ti sapessi al sicuro sarebbe più facile-
-Non penso tu sia l'unico poliziotto ad occuparti di questo caso! Ci sarà qualcun altro a fare tutte queste cose!- 
Emanuele sbottò esasperato. Sembrò contare fino a 10 per calmarsi prima di parlare.
-Ovvio che non sono l'unico ad occuparmene... ma sono l'unico ad essersi innamorato di te e questo mi rende particolarmente coinvolto nel caso tu non lo avessi notato-
-Innamorato?- chiesi restando a bocca aperta. Luì annuì, e la mia testa iniziò a volteggiare tra le nuvole beandosi di quella parola, che suonava alle mie orecchie come musica.
-Vorrei solo sapere che non corri alcun pericolo. Aiutami ad aiutarti Brit-
Sembrava che mi stesse supplicando, e per me fu impossibile non cedere.
-Che vuoi che faccia?-
-Accetta di lasciare Milano per un po', mentre io mi occupo di Carlo-
-Non voglio stare lontana da te-
-Nemmeno io, ed è per questo che devi accettare. Quando sarà finita avremo tutto il tempo del mondo. Inoltre sceglierò un posto raggiungibile... voglio poter correre da te in qualunque momento!-
Mi stampò un veloce bacio sulle labbra e fissò i suoi occhi nei miei in attesa di una risposta.
Io sentivo di dover acconsentire ma non ne avevo alcuna voglia. Ero appena riuscita a farlo mio e desideravo potermelo godere il più possibile. Non mi andava di dover partire. 
C'erano anche altre cose che mi preoccupavano: lui diceva che una volta risolta la situazione avremmo avuto tutto il tempo del mondo, ma io non ne ero sicura... e se invece mamma avesse deciso di riportare me e Bill a Las Vegas? 
Avrei voluto porre ad Emanuele quella domanda, ma era pur sempre un uomo, e temevo che, come tutti gli uomini, se avessi fatto un discorso orientato al futuro, ipotizzando magari una possibile convivenza, lui si sarebbe spaventato e sarebbe scappato via all'istante. 
Mi costrinsi ad ignorare le mie preoccupazioni e a fare la scelta più responsabile.
-Va bene- dissi con un filo di voce, e quasi estemporaneamente vidi le sue labbra piegarsi in un sorriso largo ed incantevole.
-Però voglio che sia un posto vicino!- precisai -E voglio che il periodo di lontananza sia breve!-
Stavo per aggiungere una terza pretesa, ma Emanuele mi posò l'indice sulle labbra zittendomi. -Shhh. Voglio che partiate entro domani sera. Questo vuol dire che è l'ultima notte che passeremo in questo letto... Credo di conoscere modi migliori per impiegarla. Alle tue lamentele ci penseremo domani-
-Non mi stavo lamentando. Ti proponevo un compromesso- risposi mentre lui si posizionava su di me reggendosi sui gomiti. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, tanto vicino che potevo sentire il suo respiro.
-Un compromesso, eh? Vediamo se posso accontentarti- la sua voce era un sensualissimo bisbiglio.
-Hai detto di volere un posto vicino. Va bene così vicino?- chiese premendo il suo corpo sul mio con forza. Mi sfuggì un gemito, ma lui mi mise a tacere subito con un bacio.
-Direi che è un sì- sussurrò prima di tuffarsi di nuovo con passione sulle mie labbra.
Le sue mani presero a esplorare il mio corpo. Mi accarezzò la pancia, le gambe e la schiena per un tempo che mi sembrò eterno. Avevo bisogno di molto più di quello.
-Smettila di torturarmi- dissi attirandolo a me, facendogli capire esattamente cosa desideravo. I suoi occhi verdi erano ardenti di lussuria, ma nello stesso tempo divertiti.
-Dovrai aspettare ragazzina- piegò la testa di lato per lasciarmi una dolce scia di baci sul collo. Il mio respiro stava accelerando. -Perché?- domandai senza nascondere l'urgente bisogno di lui che sentivo.
Le labbra di Emanuele risalirono dalla mia spalla fino al lobo, poi mi sussurrarono all'orecchio: -Perché le cose aspettate sono molto più belle-
Si tirò su a guardarmi con un dolcissimo e contagioso sorriso.
Mi baciò di nuovo, con delicatezza, e appoggiò la testa sul mio seno accoccolandosi.
-Dormi, Brit-
Io non me lo feci ripetere due volte e chiusi gli occhi, anche se il sangue mi stava ribollendo nelle vene e mi servirono un po' di minuti per tornare padrona di me stessa. Mentre cercavo di addormentarmi accarezzai con le dita i suoi capelli e sentii che anche lui si stava appisolando. Proprio quando stavo per crollare, la sua voce mi fece sussultare.
-Hai lasciato Alessio prima di venire da me, vero?-
-Ovvio!- esclamai ridendo. Lo sentii rilassarsi sul mio corpo e insieme ci addormentammo, per scoprire il giorno dopo di aver fatto lo stesso sconcissimo ma meraviglioso sogno.

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Capitolo 14
*** Tempo di saluti ***


Mi ero innamorato di lei il giorno in cui avevo trovato il coraggio di raccontarle dei miei genitori. Eravamo nella mia macchina e lei aveva poggiato la testa sul mio petto, stringendosi a me come una bambina. 
Per quanto continuassi a ripetermi che era troppo piccola e che io ero troppo incasinato perché tra noi potesse funzionare, da quel momento non ero più stato capace di starle lontano. 
Proteggerla aveva smesso di essere un lavoro ed era diventata la sola ragione per cui alzarmi al mattino. 
Nella mia testa, però, continuavo a sentire un migliaio di voci ripetermi che non era la cosa giusta, che l'avrei messa in pericolo, che tutti quelli che mi avevano amato avevano pagato prezzi altissimi per starmi vicino, e che non potevo permettere che capitasse qualcosa anche a lei. 
Tutta la mia famiglia era stata massacrata.
Ricordavo ancora la pozza di sangue in cui avevo trovato mia sorella, con un braccio quasi completamente separato dal corpo, e le urla strazianti dei miei genitori mentre venivano torturati perché confessassero dove mi trovavo io.
Avevo promesso loro che per nulla al mondo avrei aperto la porta di quella maledetta cabina armadio, ma in quel momento avrei preferito morire piuttosto che continuare a sentirli gridare di dolore in quel modo, così alla fine mi ero fatto avanti, pronto a sacrificarmi purché lasciassero in pace la mia famiglia.
Purtroppo il mio coraggio non era arrivato in tempo, e mi erano bastati pochi secondi per rendermene conto: i miei avevano gli occhi spalancati e i corpi ricoperti di ferite grondanti di sangue. L'uomo che gli aveva fatto tutto questo, se ne stava lì a guardarli con aria trionfante, poi si era girato di scatto verso di me, ed io avevo fatto l'unica cosa che potevo fare in quel momento: scappare.
Ero corso prima in camera di mia sorella Patrizia, sperando di poter salvare almeno lei, e quando mi ero reso conto che non c'era più nulla da fare, ero saltato giù da una finestra e mi ero nascosto tra i cespugli.
Quando si fu fatto buio mi ero diretto cautamente verso il commissariato più vicino.
Quello che seguì dopo fu un calvario: psicologi e assistenti sociali che volevano aiutarmi a metabolizzare il lutto. Avevo quattordici anni e avevo appena visto i cadaveri di tutta la mia famiglia.
Un uomo li aveva ridotti a carne da macello, e tutto perché io, illuso paladino della giustizia, avevo denunciato il fatto che spacciava droga nella mia scuola.
Non sapevo nulla di quello c'era dietro.
Quando hai quattordici anni pensi che la camorra esista solo nei film, e non hai la più pallida idea di quanto certa gente possa essere spietata.
Brit era stata fortunata.
Sua madre aveva capito in tempo a cosa stava andando incontro con Carlo.
Quegli uomini non scherzavano.
Mi si gelava il sangue ogni volta che pensavo a cosa avrebbero potuto farle, eppure, quando decisi di allontanarla da Milano, non volevo salvarla da Carlo, ma da me.
Dopo la tragedia della mia famiglia, solo con un'altra persona mi era capitato di riuscire a legarmi sentimentalmente, e si trattava di Sabrina.
Lei mi aveva amato dal primo giorno, facendomelo sentire sulla pelle in ogni modo possibile, ma per me era rimasta solo un'amica per tanto tempo, forse perché il fatto che lei avesse solo sedici anni, mentre io stavo per compierne ventitre, mi bloccava molto.
Mi accorsi troppo tardi di provare anch'io qualcosa per lei: dopo che mi aveva seguito nel garage di quel bastardo, che mi aveva salvato dal commettere un omicidio, dal mandare all'aria la mia carriera, la mia vita, dal passare il resto dei miei giorni in galera... scoppiò in me un amore profondo ed incondizionato. 
Si era rivelata più donna di quanto non avessi pensato e mi aveva dimostrato di provare per me un sentimento che io non credevo neanche esistesse.
Sabrina era speciale, ma io l'avevo capito troppo tardi.
Mi aveva perdonato, ma non poteva dimenticare che ero la causa per la quale non avrebbe mai più camminato.
Alla fine aveva scelto di andarsene, ed io non l'avevo biasimata neanche per un secondo.
Non sapevo se fosse il caso o meno di confessare a Brit delle lettere che ancora ci scrivevamo. Nonostante non provassi più per Sabrina i sentimenti di una volta,  mi era ancora molto cara e non sapevo se Brit sarebbe stata in grado di capire.
Tutto quello che sapevo era che non potevo sbagliare di nuovo, mettendo in pericolo la nostra storia o,peggio, mettendo in pericolo la sua vita. 

-Non voglio andarmene!- Brit si strinse di nuovo a me imitando un'adorabile voce da bambina. Le baciai la fronte e inspirai il dolcissimo profumo dei suoi capelli.
-Devi, o farai tardi per preparare i bagagli. Poi tua madre potrebbe essere in pensiero, ti  ho convocata qui al commissariato quasi due ore fa. Mettici anche che non è molto etico quello che sto facendo!-
Sorrisi ricordandole che eravamo nel mio ufficio e che io avrei dovuto lavorare, e invece me ne stavo sulla mia sedia girevole con lei comodamente seduta sulle mie ginocchia.
-Mi piace quando fai cose poco etiche- la voce infantile era improvvisamente diventata sexy e provocante, tanto che mi venne voglia di essere ancora meno etico... Ricacciai immediatamente indietro quell'idea malsana conservandola per un momento e un luogo più appropriati.
-Non provocarmi ragazzina!-
-Quando ci rivedremo ora?- mi chiese, improvvisamente seria.
Valutai l'idea di mentirle e di prometterle che sarei riuscito a raggiungerla presto, ma non mi sembrò giusto, così le confessai che in realtà non sapevo quando ci saremmo rivisti, ma le promisi che avrei fatto di tutto perché fosse il prima possibile.
-Mi mancherai tantissimo, piccola- aggiunsi sussurrandole all'orecchio.
-Mi piace quando mi chiami così- 
-Piccola- ripetei sottovoce prima di stamparle un casto bacio sulle labbra, poi la feci alzare e le posai le mani sui fianchi.
-Ascoltami, manderò qualcuno a prendervi alle undici. Arriverete in un autogrill e cambierete macchina, in caso qualcuno dovesse avervi seguito. Lo scambio deve essere discreto quindi segui tutte le indicazioni degli agenti, non voglio che corriate pericoli. In ogni caso sarete scortati da un'altra macchina di agenti, mentre un'altra volante vi aspetterà sul posto e pattuglierà la zona fin quando non saremo sicuri che è tutto tranquillo. Tutto chiaro?-
-Una volante ci aspetterà sul posto... e non vuoi proprio dirmelo qual è questo posto?-
Scossi la testa divertito. Sapevo che me l'avrebbe chiesto di nuovo. Sarà stata la dodicesima volta in due ore.
-Lo scoprirai stasera-
-Tu perché non ci accompagni?-
-Perché se venissi con te non avrei più il coraggio di tornare indietro- 
La spontaneità con cui pronunciai quelle parole spiazzò anche me. 
Non lasciai a Brit il tempo di dire nulla. La baciai con passione e poi l'accompagnai alla porta, sapendo che sarebbero passati giorni, forse settimane prima di rivederla.
Mi sarebbe mancata terribilmente, ma non conoscevo altri modi per proteggerla se non quello di fare il mio lavoro, di farlo bene.
Avrei trovato Carlo, smascherato tutti i suoi complici, li avrei chiusi in una cella, avrei buttato via la chiava, e Brit sarebbe stata finalmente davvero mia.

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Capitolo 15
*** Finalmente una pista ***


Passare da Las Vegas a Milano doveva essere stato un duro colpo, ma probabilmente non era neanche paragonabile con il nuovo cambiamento in programma.
Avevo spedito Brit in un bungalow in montagna, in una zona quasi del tutto deserta.
Sapevo che non l'avrebbe presa bene, ma almeno sarebbe stata al sicuro, e poi speravo si trattasse di un tempo breve e sopportabile per entrambi.
Calcolai che ci sarebbero volute poco più di due ore perché lei e la sua famiglia giungessero a destinazione, e infatti intorno all'una del mattino, mi arrivò il primo sms.
"DIMMI CHE è UNO SCHERZO!" 
Era esattamente la reazione che mi aspettavo da lei.
Scossi la testa ridendo. 
Ero nel mio letto e non riuscivo a fare a meno di pensare che avrei voluto vedere la sua espressione crucciata in quel momento e cancellarla a furia di baci.
"A COSA TI RIFERISCI?" finsi di non capire, e la sua risposta arrivò dopo pochi minuti. Mi sembrava di sentire la sua voce da bambina capricciosa pronunciare le parole che leggevo. Mi mancava già da morire.
"NON PUOI ASPETTARTI DAVVERO CHE IO ME NE STIA QUI IN MEZZO AL NULLA!"
"NON SOLO ME LO ASPETTO RAGAZZINA, MA LO PRETENDO IN QUALITà DI ISPETTORE, DI RESPONSABILE DELLA TUA SICUREZZA... E DI UOMO FOLLEMENTE INNAMORATO DI TE. DORMI PICCOLA"
Poggiai il cellulare sul comodino e chiusi gli occhi un attimo per riposarli.
Non me ne resi neanche conto, ma mi addormentai profondamente.
Quando la sveglia mi avvertì che erano le 7:00, sul cellulare lampeggiava la scritta "4 nuovi messaggi".
1:17  "DEVO DISFARE I BAGAGLI, POI MI METTO A LETTO MA NON SO SE RIUSCIRò A DORMIRE INVECE CHE PENSARTI"
1:44 "DIREI CHE NON HAI LO STESSO PROBLEMA! VALIGIE SISTEMATE, ORA VADO A LETTO. MI MANCHI"
2:23 "VORREI VEDERTI BUSSARE ANCHE A QUESTA FINESTRA, PECCATO CHE LA MIA STANZA QUI SIA MOLTO PIù IN ALTO! ORA DORMO, PROMESSO!"
2:24 "HO DIMENTICATO DI DIRTI CHE TI AMO"
L'unico risveglio migliore di questo, sarebbe stato avere Brit accanto a me, e sentire quelle parole dalla sua stessa voce. 
Pensai di telefonarle ma probabilmente stava dormendo, quindi decisi di rimandare di qualche ora.
Quel giorno al commissariato ci sarebbe stata una riunione importante, a cui avrebbero partecipato anche due detective americani per informarci degli sviluppi del caso a Las Vegas.
Quando arrivai i due uomini erano già al tavolo delle riunioni, insieme agli agenti Corona e Rossi.
Mi avvicinai per presentarmi e  subito una brutta sensazione m'investì. 
Avevo imparato, grazie al lavoro che facevo, che era importante dal retta al proprio istinto ed anche quella volta non ebbi torto.  La piega che la riunione prese, infatti, non mi piacque per nulla.
Il detective Crowell ci illustrò la situazione in un italiano perfetto.
-Dunque... abbiamo ragione di credere che Carlo Duranti sia tornato in Italia e sia qui a Milano. Come mi auguro voi comprendiate, questo per noi rappresenta un problema. Non possiamo restare qui né dirigere le indagini da Las Vegas-
L'uomo che stava parlando avrà avuto sui cinquant'anni e portava dei folti baffi neri. Gesticolava più del dovuto pur mantenendo un'aria solenne.
L'altro, il detective Gilmore, sembrava invece poco più vecchio di me. 
Era atletico e portava i capelli biondi molto colti, quasi come un militare. Teneva le mani giunte sull'enorme tavolo attorno al quale sedievamo e annuiva alle parole del collega.
Io intanto li scrutavo attentamente senza capire dove volessero andare a parare.
-Occorrerebbe riportare l'ordine, non so se mi spiego-
-Sia pure più esplicito- lo incalzai cercando di mantenere un tono professionale.
Stavolta fu l'altro detective ad intervenire.
-Vogliamo un'esca- disse senza scomporsi, come se avesse chiesto un bicchier d'acqua.
Il collega gli lanciò un'occhiataccia e riprese a parlare, torturandosi i folti baffi.
-Vedete, tutti noi sappiamo perché Carlo Duranti è qui. Si tratta di un uomo orgoglioso e soprattutto vendicativo. Ci sono delle persone qui in Italia che gli hanno recato delle offese ed è qui per fargliela pagare... se queste persone tornassero a Las V...-
-Non se ne parla neanche!- ringhiai senza lasciargli completare la frase.
I due agenti scelti si voltarono a guardarmi sbigottiti dalla mia reazione furiosa. 
Corona, che altro ad essere un collega, era anche mio amico, intervenne mettendo in campo tutta la sua diplomazia.
-Quello che l'ispettore vuole dire è che non è necessario, del resto qui abbiamo tutte le informazioni necessarie a proseguire autonomamente le indagini. Le ricordo che Duranti è ricercato in Italia da molto prima che in America, conosciamo tutti benissimo il caso-
Il detective Gilmore si grattò il mento e poi si alzò, girando con calma intorno al lungo tavolo in legno scuro.
-Vede, agente, il problema è proprio questo. In Italia questo caso è stato già lungamente seguito e, mi lasci aggiungere, con risultati alquanto deludenti-
Stavo per alzarmi e sbattere quell'uomo e la sua arroganza fuori dal commissariato, ma Danilo, questo era il nome di Corona, ancora una volta intervenne posandomi una mano sul braccio per tenermi buono e, contemporaneamente, voltandosi verso il detective che era in piedi alla sua sinistra.
-Mi lasci dissentire detective- disse con tutta calma -le indagini sono state lungamente seguite in Italia, ma non era il nostro commissariato ad occuparsene. Da quando siamo stati chiamati in causa, ci sono stati molti progressi. L'ispettore Di Stefano non ha lasciato nulla di intentato, e si è fatto garante in prima persona della sicurezza delle persone coinvolte-
-E non ho intenzione di mettere a repentaglio le loro vite proprio ora- aggiunsi quasi digrignando i denti.
-Capiamo perfettamente- rispose il detective Crowell, riprendendo a giocherellare coi suoi baffi.
L'altro, intanto, aveva sul viso disegnato una specie di ghigno.
-Posso parlare qualche minuto da solo con lei, ispettore? chiese a un certo punto.
La proposta non mi piacque, non perché lo temessi, ma non sapevo se sarei stato in grado di controllarmi di fronte a quel pallone gonfiato.
Avrei voluto prenderlo a pugni, ma mi sforzai di contare fino a dieci e acconsentii.
Gli altri ci lasciarono soli e il detective venne  a sedersi di fronte a me.
-Non sono stupido, ispettore Di Stefano, ma c'è una cosa che non capisco-
-Sarò felice di chiarirle le idee, se posso-
-Non credo possa. Vorrei capire qual è la ragione che la porta a scaldarsi tanto, quando si parla di quella famiglia-
Sbiancai di colpo senza trovare le parole per rispondere.
-Come immaginavo, vedo che non sa aiutarmi-
-Non so a cosa si stia riferendo-
-Non mi prenda in giro ispettore. Io la rispetto per il suo lavoro, ma lei non dubiti delle mie capacità nel mio. Ho capito che c'è qualcosa sotto, anche se non so ancora cosa, ma posso garantirle che ne verrò a capo. Le consiglio vivamente di nascondere bene i suoi scheletri nell'armadio. Volevo solo avvertirla-
-Non ne ho- risposi con freddezza, mentre lui sorrideva sprezzante.
-Non ha alcun motivo di preoccuparsi allora-
Così dicendo uscì dalla stanza. Pochi secondi dopo, Danilo entrò con aria notevolmente preoccupata.
-Che voleva?-
-Nulla, solo fare il gradasso un altro po'-
-Tu stai bene?-
Annuii portandomi le mani ai capelli. Stavo bene? Era una bella domanda. Quella situazione mi stava esasperando, e Danilo mi conosceva troppo bene per non rendersene conto.
-Vuoi dirmi che cazzo ti prende? Non è da te perdere le staffe in quel modo!-
-Ci stavano chiedendo di utilizzare delle vite umane per mandare un pezzo di merda in galera! Te ne rendi conto o no? Per quanto io pagherei oro per vedere marcire quello stronzo dietro le sbarre, non ho intenzione di vendere la pelle di qualcuno per avere giustizia, e se proprio dovessi farlo... beh preferirei fosse la mia!-
Mi stavo agitando di nuovo. Me ne accorsi quando notai che Danilo era quasi spaventato dalla mia furia. Presi un grosso respiro e gli diedi una pacca sulla spalla.
Da un lato avrei voluto dirgli la verità, ma temevo il suo giudizio. Era l'unico che sapeva di Sabrina e mi aveva sempre rimproverato il mio comportamento di quell'epoca. 
Non avrebbe reagito bene se gli avessi confessato che mi ero di nuovo innamorato di una ragazza molto più giovane di me.
-Scusami, non so che mi prende. Questo caso mi sta facendo impazzire! La verità è che non so neanche da dove partire-
-Beh se è così ispettore, lei è molto fortunato, ha dei colleghi estremamente efficienti-
Alzai il sopracciglio davanti alla sua espressione soddisfatta.
-Di che parli?-
-Ettore Diotallevi-
-Chi?- non avevo mai sentito quel nome.
-Credo che Ettore Diotallevi sia la nuova identità di Carlo Duranti-
Danilo mi spiegò di aver passato ore a visionare filmati degli arrivi in aeroporto. 
Le immagini erano sfocate, ma ad un certo punto aveva notato quest'uomo coperto da un cappello e una sciarpa, nel momento in cui prendeva la sua valigia. Zoomando aveva potuto leggere il nome "Ettore Diotallevi" sull'etichetta del bagaglio e si era poi premurato di confrontare la sua immagine con un filmato di Carlo Duranti.
Era forse un po' più magro, ma l'altezza, la forma del viso, e la camminata coincidevano.
Se Danilo avesse avuto ragione avevamo una buona ed una cattiva notizia: quella buona era che sapevamo chi dovevamo cercare; quella cattiva era che Ettore Diotallevi nel filmato era accompagnato da altri sette uomini.

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Capitolo 16
*** Comunicazione ai lettori ***


Angolo di Luna Spenta:

Scrivo queste poche righe per ringraziare tutti quelli che stanno seguendo la mia storia, e per scusarmi con tutti voi per l'attesa, ma impegni universitari mi obbligano a rimandare ancora un po' la stesura di un nuovo capitolo.
Il 18 settembre è la data prestabilita: se il mio esame non dovesse dilungarsi eccessivamente (e se non dovessi tornare a casa troppo demoralizzata dall'esito xD) aggiornerò il mio racconto questo stesso giovedì.
Mi auguro di non avervi deluso fin ora e di non deludervi neppure coi prossimi capitoli.
Pazientate ancora un po', e potrete riincontrare Brit, Emanuele, e tutti gli altri personaggi a cui spero vi stiate affezionando come mi sto affezionando io.  Ora vi saluto.
Con affetto ed infinita gratitudine.
Vostra
Luna Spenta

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Capitolo 17
*** Need Her ***


Uno degli aspetti peggiori del fare il poliziotto, è dover avere a che fare con un procuratore, e l'unica cosa peggiore dell'avere a che fare con un procuratore... è avere a che fare con un procuratore che è anche una donna. 
Sandrelli Diletta era bella da fare paura: mora, alta, formosa ed estremamente provocante, nell'abbigliamento quanto nei modi, tanto che le prima volte in cui mi ero trovato a colloquio con lei, avevo faticato non poco a restare concentrato sul lavoro.
Era il tipo di donna che fa girare la testa a tutti quando cammina, una che gli uomini desideravano dal primo istante e le donne invidiavano al punto di detestare.
Se una donna del genere ha anche molto potere, allora la sua autorità sommata alla sua desiderabilità diventano un cocktail micidiale.
Sandrelli Diletta era un cocktail micidiale.
Detto questo, va precisato che non era assolutamente il mio tipo.
Non fraintendiamoci: fisicamente non avevo nulla da ridire, ma quanto al carattere, preferivo tendenzialmente donne meno spigolose.
Tra noi c'era stavo un flirt qualche mese prima che io incontrassi Brit, ma non si era rivelato nulla di importante; avevamo praticamente sfogato esclusivamente la nostra attrazione fisica, e da allora eravamo diventati buoni amici.
Il rapporto con lei mi aveva insegnato che la gente sbaglia quando afferma che non si può coltivare un'amicizia quando ci si piace dal punto di vista estetico.
In realtà se si è maturi abbastanza si può fare. Certo, mi capitava qualche volta di pensare ancora a lei in termini sessuali, ma avevo imparato a controllarmi.
Questo era il nostro rapporto privato, mentre sul lavoro le cose erano molto differenti: lei era il capo ed io un suo subordinato... e i nostri comportamenti, il suo più che altro, si adattavano perfettamente ai nostri ruoli.
Volevo bene a Diletta come persona, ma detestavo Diletta come procuratore.
Quel giorno, la vidi entrare nel mio ufficio con un'aria tanto altezzosa da incutermi timore. 
Si sedette di fronte a me schiarendosi la voce, ed esordì diretta come al suo solito:
-Allora, ispettore, che sta succedendo?-
-Di cosa parla?- finsi di non capire, ma avevo una vaga idea di quale fosse il problema.
-Ho ricevuto una telefonata del detective Gilmore e ha lamentato da parte sua una certa resistenza a collaborare. Non è una cosa che capita tutti i giorni, conoscendola, ispettore-
-Proprio perché non capita spesso, spero che lei abbia fiducia nelle me buone ragioni-
-Me le illustri-
Diletta mi lanciò il suo erotico sguardo di sfida, ma non mi lasciai deconcentrare.
-Il detective voleva interrompere di sana pianta tutto il nostro lavoro. Non mi sembrava molto corretto-
-Il detective voleva dare una mano al nostro lavoro, ispettore-
-Utilizzando come esca le persone che io sto cercando di difendere?- sbottai.
Lei alzò un sopracciglio, sorpresa dalla mia reazione.
-Non crede che la famiglia Evans sarebbe stata adeguatamente protetta anche a Las Vegas?-
-Con tutta sincerità, no, non lo credo-
Il mio tono lasciava trasparire lo stato emotivo in cui mi trovavo.
Non potevo pensare a Brit a Las Vegas, alla mercé di quei delinquenti.
In realtà non poteva pensare a Brit a Las Vegas in nessun caso. Las Vegas era troppo lontana.
Mentre cercavo di allontanare quel pensiero che mi angosciava tanto, Diletta continuava a fissarmi come a volermi leggere negli occhi cosa le stavo nascondendo.
Si mosse sulla sedia per stare più comoda ed involontariamente il mio sguardo cadde sulla sua generosa scollatura. Fu la mia salvezza, perché quella distrazione mi fece tornare in me, tirandomi fuori dall'incubo che stavo immaginando.
-Cosa intende fare ispettore?- il tono di voce era improvvisamente più conciliante.
-Ho un nome. Potrebbe essere quello usato da Carlo Durante e ho intenzione di iniziare a cercarlo-
Le spiegai quanto mi aveva riferito Danilo circa il filmato girato in aeroporto, ma lei sembrava piuttosto scettica.
-Non c'è praticamente nessuna prova che sia lui. Si tratta di un uomo scelto praticamente a caso-
-Ne sono perfettamente consapevole, ma mi fido dell'intuito dei miei uomini-
La risposta sembrò bastarle, così ci salutammo cordialmente.
Appena restai solo, venni colto da un impellente bisogno di pace, e sapevo in cuor mio che una sola cosa, o meglio una sola persona, potevano soddisfare quella necessità.
Saltai in macchina ed impugnai il volante con tanta forza che mi si sbiancarono le nocche.
Giunsi a destinazione intorno alle 19:00.
Non era l'orario adatto per arrampicarsi ad una finestra, e quella era decisamente troppo in alto, così optai per un metodo più tradizionale.
Tirai fuori dalla tasca il cellulare e composi velocemente un sms: 
"RIESCI A SCAPPARE PER UN PO' DA TUA MADRE E DALLA SCORTA? SONO SUL RETRO"
La riposta arrivò dopo un paio di minuti.
"DA MIA MADRE PENSO DI Sì. DALLA SCORTA NON CREDO, QUALCUNO DEVE AVER DATO ORDINE DI MARCARMI STRETTA!"
Sorrisi e le inviai un altro sms.
"ERA UNA PRECAUZIONE NECESSARIA. COMUNQUE RAGGIUNGIMI, MI INVENTERò QUALCOSA IO"
Giustificai il mio arrivo agli uomini di guardia sul retro presentandolo come una semplice visita di lavoro.
Fu difficile non abbracciare Brit appena la vidi uscire dalla porta di casa, ma il suo sorriso bastò a scaldarmi come se l'avessi stretta forte tanto da farci male a vicenda. 
Ci allontanammo dalla scorta quel tanto che bastava perché non ci vedessero. Eravamo in una pineta ed io la baciai come forse non avevo mai fatto prima, dimenticandomi quanti anni avesse, dimenticandomi da dove venisse, e dimenticandomi cosa ci avesse fatti incontrare.
Quella che stavo baciando in quel momento era solo la donna che volevo al mio fianco per il resto della vita, e questa era l'unica cosa che contava.
Il contorno era da cancellare, distruggere, fare a pezzi piccolissimi da lanciare nel vuoto e scordare per sempre.
-Mi sei mancata terribilmente-
-Anche tu. Due settimane senza vederti sono decisamente troppe. Fai in modo che non si ripetano!-
Mi allontanai da Brit di pochi centimetri solo per poterla guardare negli occhi. Volevo essere del tutto sincero con lei.
-Non posso promettertelo questo, Brit! Però le indagini vanno avanti, abbiamo una pista-
-Cioè?-
Aveva usato la sua dolcissima voce infantile. Le spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le accarezzai uno zigomo con il pollice.
-Non ho voglia di parlare di questo-
-Di cosa vuoi parlare?-
-Di quanto sei bella, di quanto ti amo, di come sia difficile non poter sbucare dalla tua finestra, di quanto mi manchi ogni notte il tuo profumo, di quanto spesso mi venga voglia di baciarti, di tutte le volte in cui vorrei essere tra le tue lenzuola...-
-Shhh- se Brit non mi avesse zittito con quel suono basso, avrei potuto continuare per ore.
-Che c'è?- le chiesi preoccupato di aver detto qualcosa di sbagliato.
-Baciami e basta!-

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Capitolo 18
*** Errori di cuore ***


Rivedere Brit mi aveva ricaricato, ma non abbastanza per affrontare quello che sarebbe successo dopo. Quando la salutai non potevo saperlo, perché se avessi previsto il futuro allora avrei fatto qualcosa, qualunque cosa, per cambiarlo.
Erano passati due giorni dal nostro incontro, ed io avevo dato inizio ad un'indagine a tappeto sugli alberghi che avrebbero potuto ospitare questo Ettore Diotallevi.
Ero al telefono col direttore di un'ostello alla periferia di Milano, quando all'improvviso, Diletta irruppe nel mio ufficio con un'agitazione che non le apparteneva affatto.
Non aveva la sua solita aria calma di indifferenza e superiorità; era, al contrario, visibilmente arrabbiata, quasi furiosa, e nel momento in cui sbatté con forza i palmi delle mani sulla mia scrivania, capii che era con me che ce l'aveva.
Mi affrettai a salutare il gestore dell'ostello e lanciai uno sguardo interrogativo all'indemoniata donna che mi stava di fronte, in piedi, con due gambe lunghissime che quasi tremavano, e i lunghi capelli raccolti in una coda alta e disordinata, che pareva essere stata fatta in tutta fretta, cosa piuttosto insolita per lei che era sempre tanto curata.
Altra cosa stranissima, e questa potei notarla solo quando iniziò ad inveirmi contro, aveva abbandonato del tutto i modi professionali che contraddistinguevano il nostro rapporto tra le mura di quel commissariato.
-Lasciati dire che sei veramente un idiota! Un idiota e un pezzo di merda!- 
Il suo modo di esordire mi lasciò senza parole, con la bocca semiaperta, da cui però non usciva alcun suono, per quanto mi sforzassi di partorire una qualche risposta, o meglio una qualche domanda, poiché non riuscivo a darmi una spiegazione per il suo comportamento.
-Tu non ti rendi conto di cosa hai combinato! Hai messo a repentaglio delle vite, cazzo, ma che hai in testa?!-
-Ma di cosa stai parlando?- riuscii finalmente a chiedere.
Lei si lasciò sfuggire una risata isterica.
-Del fatto che ti porti a letto una ragazzina che è sotto la tua tutela!-
La sua voce era bassa, ma il suo sguardo gelido e puntato dritto su di me.
-Non ti credevo così stupido! Quando si parla di sesso voi uomini non capite più nulla!-
Quelle espressioni stavano per farmi perdere la pazienza.
-Io non mi porto a letto proprio nessuno!-
-Ah no, non provare a dirmi cazzate Emanuele! Io ti conosco-
-Proprio perché mi conosci dovresti credermi-
-Diamine, ti hanno visto!-
-Visto cosa?!- sbottai -chiunque mi abbia visto, e qualunque cosa abbia visto, beh, non ha niente a che vedere col sesso-
Diletta ripeté la risata isterica di poco prima.
-E con cosa avrebbe a che vedere allora? Ti sei forse innamorato?- chiese con tono pungente, tanto pungente che preferii non risponderle. La fissai in silenzio e lei si portò le mani tra i capelli, spettinando ancora di più la sua coda.
-Oh cielo, è una bambina! Ma che ti salta in mente?-
Quel dialogo stava  diventando esasperante.
-Brit è maggiorenne, non è una bambina-
-Beh, anche tu sei maggiorenne, ma è evidente che questo non ti impedisce di comportarti come un incosciente! Quella ragazza è troppo piccola per te e per di più tu sei pagato per proteggerla, non per portartela a letto o farci qualunque altra cosa facciate!-
-Quello che c'è tra me e lei non mi ha impedito di fare il mio lavoro- precisai.
Lei si sedette e per un attimo sembrò addolcirsi.
-Su questo ti sbagli, Emanuele. Io so che sei un abile poliziotto, ma so anche che qualunque abile poliziotto non raggiunge i suoi protetti nel luogo dove sono nascosti senza prendere adeguate precauzioni. Due uomini di Duranti ti hanno seguito... La casa dove risiedeva la famiglia Evans è stata data alle fiamme questa notte.-
Improvvisamente ebbi l'impressione di essere inghiottito dalle sabbie mobili, ma fu soltanto per un istante, perché Diletta continuò a parlare, e la frase che pronunciò subito dopo, fu un appiglio a cui aggrapparmi per uscirne.
-Stanno tutti bene- questo non cancellava i miei sensi di colpa, ma era la cosa più importante.
-La scorta è intervenuta in tempo e i due uomini sono stati arrestati. Per ora si rifiutano di collaborare e di dirci dove si trova Duranti... e invece si divertono un sacco a parlare di te e di quello che hanno visto un paio di giorni fa nella pineta vicino all'abitazione.-
Non sapevo che dire. Credevo di essere stato attento il giorno in cui ero andato a trovare Brit, e invece non mi ero reso conto né di essere seguito fin laggiù né che addirittura qualcuno ci stesse spiando nella pineta.
Probabilmente aveva ragione Diletta: i miei sentimenti mi offuscavano tanto da impedirmi di restare lucido nel momento di agire, e questo avrebbe potuto costare la vita a qualcuno, qualcuno di molto importante per me.
Mi ero ripromesso che non avrei sbagliato tutto anche stavolta, che non avrei lasciato che Brit diventasse un'altra Sabrina, un'altra persona che avrebbe dovuto pagare per i miei errori, e invece stava succedendo di nuovo, ed io non sapevo che fare.
Diletta si allungò sulla scrivania per prendermi la mano ed accarezzarla con dolcezza.
-Mi dispiace averti trattato in quel modo. Dalla tua faccia in questo momento è chiaro che tieni molto a quella ragazza, ma non sarei tua amica se non cercassi di farti ragionare-
-Non so che fare- sussurrai con voce flebile. Per un secondo pensai che lei non mi avesse neppure sentito.
-Non puoi fare più nulla. La notizia è già di dominio pubblico e io sono costretta a togliere il caso a questo commissariato. Gilmore e Crowell hanno già riportato la famiglia Evans a Las Vegas-
Sgranai gli occhi per l'incredulità.
Non poteva essere successo davvero.
Brit non poteva essersene andata così.
E poi perché senza una telefonata, senza un sms? Possibile che anche lei come Sabrina, si fosse resa conto che per colpa mia aveva rischiato di perdere la vita, e avesse deciso di lasciarmi per sempre?
-Mi dispiace- sussurrò Diletta, e poi si alzò ed uscì dal mio ufficio senza voltarsi.
Quando rimasi da solo, sprofondai in una disperazione totale.
Mi sentivo un uomo inutile e dovevo assolutamente fare qualcosa.
Una parte di me avrebbe voluto salire sul primo aereo ed inseguire Brit, ma un'altra parte temeva di complicare le cose, e di metterla ulteriormente in pericolo.
Sapevo che l'intenzione dei detective era utilizzare lei e la sua famiglia come esca, e questo mi spaventava a morte, ma sapevo anche che ci sarebbe voluto un po' per organizzare la loro strategia e che fino ad allora non avrebbero reso pubblico il ritorno della famiglia a Las Vegas.
Questo voleva dire che Duranti sarebbe rimasto in Italia ancora un po', e se io l'avessi trovato, Brit sarebbe stata al sicuro, per sempre lontana da lui, e per sempre lontana da me.

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Capitolo 19
*** Nel posto più sicuro del mondo ***


Dicono che quando si viaggia, a tornare non sia mai la stessa persona che è partita.
Una cosa che credo io, invece, è che non sono i viaggi a cambiare le persone, ma gli incontri.
Non si tratta di esplorare dei luoghi nuovi, quanto di entrare in vite nuove, ed è per questo che non importa in quante strade tu possa passeggiare, perché a contare davvero sono gli incroci, i momenti in cui la tua strada si imbatte in quella di qualcun altro, ed è lì che ogni cosa, ogni colore ed ogni profumo si trasforma in una novità.
La mia vita e quella di Emanuele si erano incrociate, in quel modo unico e magico che dà senso alle cose che hai intorno. Da quel momento era cambiato tutto, ero cambiata io.
A guardarmi da lontano, forse, non ero molta diversa dalla ragazza che qualche mese prima aveva dovuto abbandonare Las Vegas con un'infinita tristezza nel cuore.
Quel giorno mi ero convinta che non ci sarei mai più potuta tornare e questo mi riempiva d'angoscia. Non avrei mai creduto di riprovare la stessa terribile sensazione mentre aspettavo un aereo pronto a riportarmi lì dove per mesi avrei voluto essere.
Quella volta, però, c'era qualcosa di diverso in quella faticosa attesa: in cuor mio io non stavo aspettando nessun aereo; stavo aspettando un'idea per non dover partire. 
Non avrei permesso a nessuno di sradicarmi di nuovo dal posto in cui mi sentivo veramente a casa. A Las Vegas non c'era più alcun amore ad aspettarmi, e le amiche che tanto mi mancavano, avrebbero capito... perché in fondo Jessica e Linda mi conoscevano e mi amavano perché quello che ero: un'intrepida, una che per l'amore avrebbe fatto follie, e quello era il momento giusto per essere me stessa e seguire l'istinto.
Quando chiamarono il nostro volo, mi voltai verso mia madre e feci un un profondo sospiro.
-Io non vengo- dissi con decisione. 
La vidi sgranare gli occhi, mentre quelli del detective Gilmore accanto a lei diventano una fessura stretta. 
-Signorina, non è questo il momento di fare capricci. L'aereo partirà tra poco e lei deve seguirci-
-Non è un capriccio. Io non parto- 
-Tesoro- mia madre fece per dire qualcosa, ma il detective la interruppe.
-Lei è sotto la nostra responsabilità-
C'era solo una frase che poteva farmi uscire da quella situazione, e feci una gran fatica, ma trovai il coraggio di dirla. 
-Rinuncio al programma di protezione-
Sapevo che stavo facendo la cosa giusta.
Non m'importava del pericolo che avrei corso, perché in realtà sapevo che non mi sarei mai sentita sul serio al sicuro lontano da Emanuele. 
L'unica cosa che mi addolorava erano le espressioni terrorizzate di mia madre e di Bill.
-Vieni con noi, Brit- mi pregò lui con le lacrime agli occhi.
Aveva capito. Non era più così piccolo quanto pensavo, del resto anche lui aveva affrontato quello strano viaggio, e quindi anche lui a modo suo era cambiato e maturato.
Lo abbracciai forte e cercai di tranquillizzarlo.
-Vi raggiungerò, te lo prometto-
-Perché non vieni con noi? Perché?- continuava a ripetermi.
Mi si stringeva il cuore a guardarlo in quello stato.
-Perché... c'è una persona a cui voglio molto bene qui, e non voglio partire senza salutarla-
-E Adam?- chiese mia madre, tra la sorpresa e l'indignazione.
-Hai già dimenticato Adam?- Sapevo che stava bluffando e mi chiedeva di lui solo per convincermi a partire.
Da quando la relazione tra me ed Emanuele era diventata di dominio pubblico, mia mamma non aveva trovato il coraggio di farmi neppure una domanda, ma era evidente che non approvava. 
Probabilmente se avesse saputo quello che mi aveva fatto Adam, avrebbe rivalutato tutta la situazione.
-Con Adam è finita, mamma-
-Siete stati lontani tanto tempo. Se noi tornassimo a casa, se tu lo rivedessi...-
Mentre lei parlava, una voce annunciò l'ultima chiamata per il nostro volo, e il detective Gilmore fece segno che era ora di partire.
-Signorina se lei è sicura di voler rinunciare alla protezione, deve firmare qui- mi passò un foglio, su cui scrissi velocemente il mio nome, mentre sentivo i singhiozzi di mia mamma, che cercava di fermarmi. 
Alla fine con rassegnazione, mi abbracciò continuando a piangere, mentre il detective non smetteva di metterle fretta.
-Non posso restare con te amore mio, devo proteggere Bill da tutto questo, almeno lui...-
-Io starò bene- 
-Lo spero tanto, Brit. Stai attenta...-
Li guardai allontanarsi e diventare sempre più piccoli.
Mi sarebbero mancati ma ero certa che le cose si sarebbero sistemate e li avrei rivisti.
Se fossi partita, invece, ero sicura che non avrei avuto più nessuna occasione per tornare da Emanuele.
Purtroppo avevo con me solo qualche contante, perché ancora una volta ero stata costretta a lasciare telefoni e computer al commissariato, ed è lì che volevo andare.
Chiamai un taxi da una cabina telefonica, anche se dovetti camminare un bel po' a piedi perché non avevo abbastanza soldi per pagare l'intero tragitto.
Quando arrivai, tutti mi guardavano come se avessero visto un fantasma. 
Sapevano di me ed Emanuele, ed era imbarazzante avere addosso i loro sguardi accusatori.
Decisi che dovevo fregarmene. Li ignorai e puntai dritto all'ufficio di Emanuele.
Quando entrai, lui era seduto sulla sua sedia girevole e si teneva il viso tra le mani.
Appena mi vide scattò in piedi e fece per corrermi incontro, ma si fermò subito, come paralizzato.
Notai che aveva gli occhi rossi.
-Hai pianto?- chiesi debolmente.
-Tu... tu... che... perché... insomma, non sei partita?-
-No-
-Perché?-
-Perché ho avuto paura-
-Dell'incendio?- gli lessi in faccia i mille sensi di colpa che lo stavano divorando. Mi avvicinai e gli accarezzai una guancia.
-No. Neanche per un attimo durante quell'incendio ho pensato che mi sarebbe successo qualcosa. Io ero sicura che tu non l'avresti permesso-
-Io non ero lì. Non ti ho salvata io... anzi, è stata tutta colpa mia. Non dovevo venire, dovevo stare attento, io... mi dispiace Brit, davvero, non so più che...-
-Shhhhh- lo interruppi con un'altra carezza. -Gli uomini che mi hanno salvata erano lì perché tu gli hai ordinato di essere lì. Tu mi hai salvata-
Lo vedevo scuotere nervosamente la testa. 
-No Brit, io ho fatto un casino, e per i miei errori tu hai rischiato la vita. Avresti fatto bene a partire, saresti stata al sicuro a Las Vegas-
-Io non riesco ad immaginare un luogo più sicuro di... di te, di noi. Mi sento così al sicuro con te che credo di non aver bisogno di alcun programma di protezione, perché io lo so che tu tu avrai cura di me in ogni caso. Quei detective non l'avrebbero fatto. Tu mi proteggi meglio di chiunque altro... Smettila di colpevolizzarti!-
-Vorrei solo rimediare a tutto quello che ti ho fatto passare- disse posando le sue mani sui miei fianchi e attirandomi a sé.
Appoggiai la testa sul suo petto e sentii che finalmente si stava calmando.
Mi baciò la fronte ed io mi strinsi a lui.
Avrebbe mai capito che quell'abbraccio, era per me il posto più sicuro del mondo? 
-Beh, se vuoi rimediare c'è un modo- mollai la presa per poterlo guardare.
-Cioè?-
-Ho bisogno di una sistemazione e...- cercai di assumere un'espressione provocante.
Emanuele sembrava divertito più che eccitato.
-E...?- mi chiese.
-E pensavo che magari sarebbe bello condividere il bagno, il letto... la vita...-
All'ultima parola i suoi occhi si illuminarono.
-Mmmm, eticamente non penso sia una buona idea ma... considerando che ormai tutti sanno di noi, e che non sono più il responsabile della tua sicurezza, e che tu non puoi di certo andare a vivere da sola... beh... direi che non abbiamo altra scelta-
Emanuele mi stampò un casto bacio sulle labbra, e nel giro di dieci minuti mi trascinò fuori dal commissariato portandomi dritta da lui. 
Aveva un appartamento spazioso  e confortevole, ma questo lo scoprii solo dopo qualche ora, perché quando arrivammo non si preoccupò più di tanto di fare gli onori di casa. 
Adagiò la mia valigia all'ingresso e mi spinse contro il muro per baciarmi con foga.
-E' un sacco di tempo che sogno di averti qui- disse a mezza voce.
-E perché?- chiesi rispondendo ai suoi baci.
-Perché ultimamente dormo poco, e... mi piacerebbe avere modi per occupare il tempo di notte-
Intanto mi aveva tolto la maglietta e si era abbassato a baciarmi delicatamente la pancia, mentre io gli accarezzavo i capelli. 
-Così sarei un passatempo, eh?-
-Un passatempo meraviglioso- rispose lui, prima di tornare a baciarmi sulle labbra.
-Non voglio essere un passatempo- mi finsi indignata.
Lui mi prese il viso tra le mani e puntò i suoi occhi nei miei.
-Voglio passare con te tutto il tempo della mia vita. Sei il mio eterno, meraviglioso, insostituibile passatempo, ed io ti amo come non ho mai amato nessuna fino ad oggi-
Se non fossi stata mezza nuda in un soggiorno, incastrata contro il muro, con le sue mani che vagano ovunque su di me, probabilmente a quelle parole mi sarei commossa.
In quel preciso momento, però, ero distratta da altro. 
Emanuele aveva abbassato i miei jeans, ed io stavo spogliando lui, lentamente, per assaporare un po' alla volta la vista di quel suo corpo perfetto.
Quando fu completamente nudo, mi scoprii ad arrossire di fronte alla sua immagine stupenda, ma lui a sua volta mi guardava come se io fossi la cosa più bello del mondo e questo mi diede la sicurezza necessaria per lasciarmi andare e godermi ciascun attimo con tutta me stessa, senza pensare a nulla.
Facemmo l'amore contro quel muro, e poi sul divano, e poi nella vasca, e quella notte nel suo letto. Fu stancante, sfiancante, a tratti anche doloroso... ma assolutamente magnifico nel suo essere così intenso. 
Prima di addormentarci, lui mi accarezzò la schiena nuda per lunghi minuti.
-Sono stato troppo brusco?- mi chiese con apprensione.
Io sorrisi facendomi più vicina a lui.
-Puoi essere brusco quanto vuoi-
Lui sorrise malizioso.
-Non provocarmi, sono un poliziotto-
-E quindi?- 
-Quindi dispongo di manette e manganello!- rise baciandomi una spalla. 
Nel frattempo io gli accarezzavo il petto liscio.
-Interessante!-
-Avrei voluto fosse più romantico- Emanuele si era fatto improvvisamente serio.
Quel lato di lui mi faceva tenerezza: si sentiva praticamente sempre in difetto.
-Il romanticismo è sopravvalutato!-
-Che ne hai fatto della ragazzina che avevo anche solo paura di sfiorare, e chi è questa donna tanto disinvolta che mi sta facendo impazzire?-
-E tu che ne hai fatto del bravo ragazzo che non voleva avvicinarsi a me, e chi è quest'irruento e instancabile dio del sesso che si porta a letto una ragazzina?-
-Instancabile dio del sesso?! Wow! Mi piace! Da oggi voglio che tutti mi chiamino così!-
Lo colpii con un cuscino mentre lui rideva a crepapelle.
Ridemmo insieme per un sacco di tempo, e fu quasi meglio che fare l'amore. Solo quasi però.

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Capitolo 20
*** Visita a sorpresa ***


Credo che tra le sensazioni più belle del mondo ci sia quella di poter condividere la quotidianità con la persona amata. 
Mi svegliavo accanto ad Emanuele e la sera era l'ultima immagine che vedevo prima di addormentarmi, e non c'era più nessuna finestra a cui arrampicarsi, nulla di furtivo... quella era la nostra dolce normalità, e non c'era giorno che non ringraziassi Dio per avermela concessa, nonostante tutto quello che mi era costata.
Erano giorni di conoscenza quelli. 
La convivenza è un passo importante e più passava il tempo più mi rendevo conto di quante cose di lui non sapevo, e di quanta voglia nutrivo di scoprirle e farle mie.
-Ti preparo il caffè?- gli chiesi una mattina, mentre era ancora a letto e mi guardava con gli occhi assonnati di chi non ha dormito molto, perché si sa, l'amore tiene sempre svegli più del dovuto.
-Non prendo il caffè- mi rispose, ed io ero quasi contenta, e lui non se lo spiegava.
Avevo inserito un altro tassello: Emanuele non amava il caffè; avevo scoperto un altro piccolo dettaglio di lui.
-Il fatto che io non beva il caffè ti fa felice?-
Mi chinai sul letto per baciarlo sulle labbra, poi gli sorrisi.
-Mi fa felice saperlo! Io voglio sapere tutto di te!-
-Sono io il poliziotto tesoro! Interrogatori ed indagini sono di mia competenza, non tua!-
-Potresti insegnarmi le arti del mestiere... manette e manganello compresi!-
Provai ad imitare uno sguardo sensuale, ma come al solito i miei tentativi riuscivano solo a farlo ridere di gusto, e a me la cosa non dispiaceva affatto. Niente era paragonabile con quella risata.
-L'idea mi alletta parecchio, ma credo che dovremo rimandare. Ho assoluto bisogno di farmi una doccia e poi devo scappare al commissariato-
Lo vidi far scivolare il lenzuolo di lato ed alzarsi. Era completamente nudo.
Mi scoprii ad arrossire, e questa è un'altra tra le sensazioni più belle del mondo: l'imbarazzo che non passa, il desiderio che non diventa abitudine, anche se avevo già visto, toccato e baciato ogni millimetro della sua pelle... guardarlo per me era sempre una meravigliosa sorpresa.
Emanuele mi stava scrutando con un sopracciglio sollevato.
-Mi stai ascoltando?-
-S..si, certo! Doccia, commissariato!- la voce squillante e lo sguardo sfuggente tradivano le mie sensazioni. Lui rise e sparì in bagno. 
Per un attimo fui molto tentata dall'idea di seguirlo ed infilarmi sotto l'acqua calda con lui, ma avrei finito col fargli fare tardi, ed anche se io adoravo fargli fare tardi, preferii starmene buona, anche perché c'eravamo già concessi gli straordinari durante la notte. 
Quando andò via, però, quasi mi pentii di non essermi goduta quel poco tempo della giornata che potevamo passare insieme. 
Mi mancava ogni volta che metteva un piede fuori da quell'appartamento... Non so se dipendesse da quello che provavo o dal fatto che senza di lui non avevo più praticamente una vita. 
La scuola era finita, ed ormai la mia giornata tipo consisteva nell'aspettare il mio ragazzo nel suo appartamento, districandomi tra i miei mille pensieri.
Spesso cercavo notizie su Carlo Duranti e su Las Vegas, ma dopo l'incendio, di lui si erano perse le tracce. Emanuele mi aveva confidato che gli uomini che erano stati arrestati non collaboravano; tuttavia diceva di avere validissime ragioni per credere che Duranti fosse ancora a Milano.
La cosa in parte mi spaventava, però mi consolava sapere Bill e la mamma al sicuro in America, anche perché io ero con un poliziotto atletico ed estremamente protettivo, oltre che pazzo di me, ed ero certa che lui non avrebbe mai permesso che mi succedesse qualcosa. 
Loro invece erano nelle mani di due detective che, per come ne parlava Emanuele, avrebbero venduto anche le loro famiglie pur di portare a termine un lavoro.
Purtroppo da quando erano partiti, erano riusciti a contattarmi una sola volta per dirmi che per un po' non avremmo potuto sentirci, e da allora spesso di notte avevo incubi tremendi, così finivo per leggere i giornali on-line di Las Vegas  ad orari improponibile pur di calmare la mia ansia.
Anche quella mattina stavo navigando in rete, quando improvvisamente bussarono alla porta.
Dal giorno in cui mi ero trasferita non era mai capito che qualcuno si presentasse in assenza di Emanuele, e non avevamo neppure mai ipotizzato che capitasse, quindi non sapevo bene come comportarmi. Nel "fai attenzione" che mi aveva urlato circa diciotto volte prima di uscire, era implicito il suggerimento di non aprire la porta?
Optai per un compromesso: aprire, ma facendo attenzione.
Guardai dallo spioncino e vidi dall'altra parte una donna alta con delle fluenti onde di capelli scuri. Mi sembrò di averla già vista da qualche parte.
-Emanuele, se sei lì dentro apri subito!- la donna sbatteva la mano contro la porta con violenza. Sembrava agitata, ed essendo anch'io una donna sapevo bene che non era il caso di farne arrabbiare una, quindi alla fine aprii.
-Emanuele non c'è- dissi facendo capolino solo con la testa attraverso l'uscio dell'appartamento.
Lei spalancò gli occhi impallidendo.
-Oh cielo! Se l'è portata fin dentro casa!- imprecò incredula.
-Mi scusi?- domandai cercando di nascondere il fastidio. 
-Brittany giusto?-
-Lei è?-
-Diletta Sandrelli, procuratore distrettuale- 
Ecco dove l'avevo vista! Era la donna che usciva dall'ufficio di Emanuele il giorno in cui io ero andata a "dichiararmi".
Lui me ne aveva anche parlato, o meglio aveva accennato qualcosa del tipo "mi ucciderebbe se sapesse che tu vivi qui!" 
Ripensandoci, mi pentii di averle aperto.
-Brittany, dov'è Emanuele?-
-Al commissariato-
-Non c'era... lo aspetto lì da quasi due ore... Ho anche provato a telefonargli-
-Non è possibile... è uscito un'ora fa-
La donna austera di fronte a me sembrò trasformarsi in una fragile bambola di porcellana bianca, ed io probabilmente le feci la stessa identica impressione, perché un brutto presentimento mi fece sbiancare.
-Potrebbe essersi fermato per qualche commissione- osservò lei poco convinta.
-Ora riprovo a chiamarlo- aggiunse tirando fuori il cellulare dalla borsetta.
Impostò il vivavoce. Uno squillo, due squilli, tre squilli, quattro squilli...
-Ok, forse ha dimenticato il cellulare in casa! Posso... entrare? Lo cerchiamo insieme-
Annuii aprendo la porta per farla passare. 
Improvvisamente mi ripresi dallo stato di shock in cui ero caduta ed iniziai a cercare il cellulare di Emanuele con un impeto quasi disperato. Trovarlo voleva dire che lui stava bene. 
Rovistammo ovunque, in tutti i cassetti, anche in quelli del bagno ma non trovammo nulla.
Quello che notai, alla fine, è che io stavo cercando il telefonino, ma Diletta guardava tutt'altro. Aveva trovato una piccola agenda e stava copiando qualcosa su un foglio di carta che infilò in tasca, poi riposò l'agenda dov'era.
-Cosa stai facendo?-
-Ho controllato gli appuntamenti di Emanuele. Tutto tranquillo, aveva una riunione importante, è per questo che non può rispondere. Ora lo raggiungo, non preoccuparti Brittany- 
-E' la verità?- 
-Certo. Vedrai che presto ti chiamerà. Ora devo scappare. Piacere di averti conosciuta-
La fretta con cui andò via ed il suo atteggiamento tradivano una certa ansia, così quando rimasi sola non potei fare a meno di controllare la stessa agenda.

HOTEL SANT'ELISA, ETTORE DIOTALLEVI CHECK OUT 21 LUGLIO ORE 11:00
Era il 21 luglio ed erano circa le 10:40, quindi Emanuele doveva incontrare questo Ettore Diotallevi all'hotel Sant'Elisa alle 11:00.
E allora perché non rispondeva al telefono se la riunione non era ancora iniziata?
Decisi di fare un salto all'hotel per assicurarmi che fosse tutto a posto...

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Capitolo 21
*** Deja-vu ***


Non avevo detto a nessuno di aver trovato Ettore Diotallevi.
Sapevo che da solo non sarebbe stato facile elaborare un piano qualora si fosse davvero trattato di Carlo Duranti, ma ero disposto a rischiare pur di non mettere in pericolo nessuno, soprattutto Brit. 
Avevo scoperto che Diotallevi avrebbe lasciato l'hotel dove alloggiava alle 11:00, e mi ero appostato nella hall già a partire dalle 10:30. 
Fingevo di essere un normale ospite della struttura intento a leggere il giornale.
Nell'attesa ricevetti diverse telefonate da Diletta ma preferii non rispondere; non avevo tempo di inventare una scusa su dove fossi e perché, e di certo non potevo raccontarle la verità. Non avrebbe mai accettato quello che stavo facendo.
Che poi... cos'è che stavo facendo?
Io stesso non ne ero sicuro.
Ero un poliziotto ed i poliziotti sono addestrati per non lasciare nulla al caso, agire prontamente ma calcolando le conseguenze e non correndo rischi inutili.
Beh, io quel giorno stavo facendo il contrario di quello che mi era sempre stato detto di fare: come una specie di kamikaze ero andato incontro al nemico, e non avevo pronta alcuna strategia di attacco. In casi come questi improvvisare può essere letale, e ne ero consapevole, ma non potevo lasciar partire quel vigliacco come se nulla fosse, dopo tutto il male che aveva fatto alla famiglia della donna che amavo.
Quando furono le 11:00 vidi scendere alcuni uomini che si dirigevano alla reception. L'ultimo, coperto da un paio di occhiali scuri, ma perfettamente riconoscibile, era Carlo Duranti.
Il mio corpo si paralizzò. Il poliziotto che c'era in me sembrò essere uscito a fare una passeggiata. Erano effettivamente troppi perché potessi agire da solo, ma almeno avevo la certezza di aver trovato la persona che stavo cercando. 
Inviai velocemente un sms a Danilo chiedendo rinforzi e mi preparai a seguire gli uomini senza farmi notare.
Quando uscirono dalla hall si diressero al garage sotterraneo.
Mi tenni a qualche metro di distanza e presi tutti gli accorgimenti necessari per non destare attenzione, ma in quel momento accadde qualcosa, qualcosa che non potevo prevedere, tanto meno evitare: una voce alle mie spalle fece voltare me, Duranti e tutti i suoi uomini.
-Emanuele?-
Fu un attimo, ebbi appena il tempo di voltarmi e di rendermi conto che Brit era lì, sulla soglia del garage. Nell'istante esatto in cui la vidi, avvertii quel rumore che mi era terribilmente familiare: armi da fuoco che vengono caricate ed iniziano a sparare colpi a raffica.
Mi avventai su Brit per costringerla al suolo, e la trascinai con me dietro una macchina. Intorno a noi volavano schegge di finestrini frantumati.
-Sei ferita?-
Lei mi fece segno di no senza parlare. Era evidentemente sconvolta, e per quanto io fingessi il contrario, non mi sentivo meglio di lei.
Ci nascondevamo tra le macchine del garage, ma c'erano una decina di uomini armati a soli pochi metri da noi, e sapevo perfettamente che era questione di minuti, forse secondi, prima che ci trovassero. Dovevo inventarmi qualcosa.
Se fossi stato solo avrei tirato fuori la pistola e avrei risposto al fuoco, ma date le circostanze, la cosa migliore era non farsi vedere, o meglio non far vedere Brit.
-Ok amore, ho un piano: io adesso scatto verso destra... quando loro mi vedranno e inizieranno a sparare nella mia direzione, tu dovrai scattare nella direzione opposta e correre il più velocemente possibile verso l'uscita. Credi di farcela?-
-Sei impazzito? Non lascerò che tu ti faccia ammazzare!-
-Non mi succederà nulla, fidati- in realtà neppure io ero molto convinto di quello che stavo dicendo, ma l'alternativa era farci ammazzare entrambi, ed io volevo salvare almeno lei.
-No, aspettiamo qui. Qualcuno avrà sentito gli spari e avrà chiamato aiuto. Dobbiamo restare nascosti solo per pochi minuti-
-Brit non c'è tempo. Devi fare come ti ho detto...-
Le lacrime iniziarono a bagnarle le guance, mentre continuava a scuotere la testa e a ripetermi che non mi avrebbe lasciato andare.
La dolcezza che le leggevo negli occhi, per un attimo mi fece dimenticare quello che stava succedendo, ma il finestrino sopra di noi che si frantumò di colpo centrato in pieno da un proiettile, mi riportò subito alla realtà.
Feci scudo a Brit abbracciandola, lasciando che una scheggia di vetro mi ferisse una spalla. 
All'improvviso il rumore degli spari si moltiplicò, come se si fossero aggiunte altre armi.
Dalla mia posizione non potevo vedere cosa stava accadendo, ma udii distintamente le voci di alcuni miei colleghi.
-Sono arrivati. Ora ci salveranno- Brit sembrava nutrire una sincera speranza, ma io sapevo come funziona in questi casi: una sparatoria non è mai un posto sicuro, ed io c'ero già passato.
Il ricordo di Sabrina era maledettamente vivido, e la storia sembrava ripetersi.
Una mano sul mio braccio mi fece sussultare.
-Grazie a Dio state bene!-
Danilo era accucciato dietro di noi, e immediatamente ci porse due giubbotti antiproiettile.
-Devi portarla via da qui- gli dissi indicando Brit rannicchiata tra le mie braccia. Lei mi corresse.
-Portarci. Io non me ne vado senza di te-
-Brit io qui posso essere utile-
-Brittany ha ragione, devi uscire da qui anche tu. Hai bisogno di cure-
L'occhio attento di Danilo aveva notato subito che stavo sanguinando, e si rivolse a me con un tono che non ammetteva repliche.
Il punto era che, anche volendo, uscire da quel garage sembrava impossibile.
-Hai un piano?- domandai. Lui scosse la testa.
-Non c'è tempo per elaborarne uno, stai perdendo troppo sangue. Avete i giubbotti, copritevi la testa e correte fuori da questo dannato garage!-
Era effettivamente l'unica cosa da fare, ed anche questa mi sarebbe costata poco se fossi stato da solo, ma avevo paura per Brit.
-Vai avanti al mio tre- le dissi. -Io ti copro le spalle.-
Lei annuiì ed io iniziai a contare nascondendo la voce tremante.
-Uno... due... tre-
Brit scattò in piedi correndo verso l'uscita, ed io la seguii coprendomi la testa con le  mani e pregando che arrivassimo vivi fuori di lì.
Una volta oltrepassata la soglia del garage, tirai un sospiro di sollievo.
Diletta fu la prima a venirci incontro.
-Come state?-
-Io bene, lui è ferito-
-Fa vedere!-
Il taglio alla spalla era più profondo di quanto pensassi, e ci vollero dei punti di sutura per fermare il sangue. Mentre mi venivano applicati in ambulanza, mi resi conto che il rumore degli spari era cessato.
Quando i paramedici mi lasciarono andare, vidi Carlo Duranti ed i suoi uomini mentre venivano portati via in manette.
Brit corse ad abbracciarmi.
-E' tutto finito! Ora possiamo viverci la nostra vita insieme, possiamo far tornare qui la mia famiglia, possiamo...-
-No- la interruppi. Lei mi guardò con aria smarrita.
-Brit io voglio che torni a Las Vegas-
Pronunciai le mie parole tutte d'un fiato, e con un nodo in gola tremendo.
Le stavo facendo male, ma ne stavo facendo ancora di più a me stesso. 
-Perché? ...ora che è tutto risolto, che... non abbiamo più nulla da temere-
-Speravo che non mi sarebbe capitato mai più di perdere qualcuno che amo per colpa mia...-
-E non è successo, io sto bene-
-Fammi finire. Oggi ho rischiato che ti capitasse qualcosa e ho rivissuto una delle esperienze più brutte della mia vita. Ho rivisto un garage, una sparatoria, e per un attimo ho rivisto Sabrina. Potevi finire come lei, o peggio potevi morire, potevamo morire entrambi. Vedi Brit, io faccio un lavoro pericoloso. Oggi cercavo Duranti, ma domani cercherò un altro criminale, e tra un mese ne cercherò un altro ancora. Potrei finire in altri garage e in mezzo ad altre sparatorie, ma voglio che tu non finisca mai più in una situazione del genere con me.-
Il suo volto era pallido ed i suoi occhi pieni di lacrime.
Una parte di me avrebbe voluto abbracciarla, ma se l'avessi fatto non avrei più trovato il coraggio di lasciarla andare.

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Capitolo 22
*** Amore vs Paura ***


Mi premurai personalmente di accompagnare Brit in aeroporto, anche se avevo il cuore in gola e avvertivo lei che ingoiava silenziosamente le lacrime che le scivolavano copiose sulle guance e gli insulti che probabilmente mi avrebbe urlato se non avesse temuto che la voce le morisse in gola.
Ormai conoscevo Brit e sapevo decifrare ogni sua piccola espressione... ad esempio avevo notato che quando passava molto tempo senza sbattere le ciglia stava ragionando su qualcosa di importante, che quando teneva i pugni serrati era arrabbiati o nervosa, e che quando si mordeva le labbra si preparava a chiedere scusa.
In macchina, mentre l'accompagnavo all'aeroporto, per la prima volta, le vidi fare tutte e tre le cose insieme. Non sapevo cosa aspettarmi, fin quando lei non si voltò a guardarmi e fece un respiro profondo.
-Non mi ami più?- mi chiese.
Non stava usando la sua dolcissima voce da bambina, né quella che si sforzava di imitare quando tentava di sedurmi. Era seria, ferma, controllata, con gli occhi rossi ma senza più lacrime. La sua domanda mi prese alla sprovvista.
-Brit i... è complicato-
-No che non è complicato! Ti ho fatto una domanda semplicissima, mi ami o no?-
-In questo momento non è importante-
Tenevo gli occhi fissi sulla strada, ma anche senza guardarla, sapevo che stava sorridendo con amarezza.
-Cos'è che è importante allora?-
-Che tu non rischi la vita per me-
-E perché?-
-Come sarebbe a dire perché?- non riuscii a nascondere lo sgomento di fronte alla sua domanda. Mi sembrava ovvio il perché, e non capivo perché si ostinasse ad avere quell'atteggiamento, possibile che non si rendesse conto che era per lei che lo stavo facendo?
-Emanuele sai cos'è che mi da fastidio? Tu continui a ripetermi che non vuoi mettere in pericolo me, ma quello che vedo io, invece, è che tu è solo ed unicamente te stesso che cerchi di salvare! Hai paura di stare male, di sentirti di nuovo in colpa come in passato, non capendo che io avevo deciso di starti accanto, che era una mia scelta e che quello che stai facendo ora mi fa molto più male di un colpo di pistola!-
Brit aveva i pugni serrati... era arrabbiata e a me sembrava una reazione assurda. 
-Di cosa diavolo stai parlando? Io oggi ti ho salvato la vita! Mi sarei fatto uccidere! Mi sembra evidente che non è me stesso che voglio salvare!-
-Ah no? e allora perché stai per mettermi su un aereo? Guarda che è pericoloso, potrebbe precipitare!-  il suo tono sarcastico non faceva che irritarmi.
-Ah e poi mi mandi a Las Vegas? Potrei ubriacarmi tutte le sere, la cosa non ti preoccupa più? A te non frega niente che mi accada qualcosa, ti importa solo che non sia tua la colpa, ma se fosse davvero me quella che vuoi salvare allora resteresti a proteggermi!-
-Non ne sono capace!- urlai accostando improvvisamente ai margini della strada. Non ne potevo più dei suoi discorsi, volevo che tacesse, che se ne andasse, che sparisse dalla mia vita, e non perché io volessi salvare me stesso o perché volessi salvare lei, ma probabilmente perché sapevo di non essere all'altezza di salvare qualcuno, chiunque fosse, ed ero stanco di doverlo fare, per amore o per lavoro.
Brit mi guardava in silenzio, sbigottita da quell'urlo di disperazione più che di rabbia. 
Io l'amavo. L'amavo come non avevo mai amato.
L'amato come si ama lo sport, come si ama la musica, come si ama la cioccolata, come si ama il mare... l'amavo con naturalezza, una naturalezza che mi faceva quasi paura e che non ero pronto ad affrontare.
Mi stavo abituando ad una quotidianeità fatta di lei, di noi, dei nostri profumi che mi invadevano casa, e avevo rischiato di perdere tutto.
Non volevo che accadesse ancora, e non vedevo  altra soluzione che mandarla via.
Forse i miei occhi in quel momento le rivelarono tutto quello a cui stavo pensando, perché la sua espressione si addolcì e allungò una mano verso di me per accarezzarmi una guancia.
-Non è vero che non ne sei capace... tu non hai idea di quanto io ti sia grata per il modo in cui mi hai protetto ogni singolo giorno da quando ci siamo conosciuti... e non solo da Duranti o dai suoi uomini... tu mi hai protetta da me, da quello che stavo diventando. Mi hai messa davanti ai miei errori e mi hai fatta crescere. Trasferirmi a Milano per me era una tragedia, ma arrivare qui e trovare te è stato un miracolo... e andarmene adesso sarebbe una follia. Non salirò su nessun aereo. Voglio tornare indietro con te. E non perché io voglia ancora la tua protezione... ma perché voglio proteggere te-
Sentirla parlare mi ricordò perché mi ero innamorato di lei: Brit sapeva arrivare in fondo alle cose e in fondo alle persone, tanto che ormai avvertivo la sua presenza fin sotto pelle.
Non potevo mandarla via perché io stesso non avrei vissuto un minuto dopo la sua partenza.
La smisi di lottare con me stesso e la attirai a me per stringerla forte e baciarla.
-Non saprei che fare senza di te-
-Spero che non ti venga mai più voglia di scoprirlo!-
-Non ne ho mai davvero avuto voglia-
-Mi hai fatta stare male...-
-Saprò farmi perdonare...-
Quella sera tornammo a casa ed in effetti mi feci perdonare, non come avrei voluto, perché si sa che certi problemi femminili arrivano sempre nei momenti meno opportuni, ma mi presi cura di lei, e lei si prese cura di me, e la paura per quella mattina si affievolì lentamente addormentandosi con noi.
Purtroppo non sono mai stata una persona fortunata, e la mia vita non era miracolosamente cambiata quella sera: anche se per una notte tutto sembrò perfetto, la mattina dopo ricevetti una lettera che non lasciava presagire nulla di buono.

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Capitolo 23
*** Un ingombrante scheletro nell'armadio ***


"Gentile ispettor Di Stefano, la preghiamo di presentarsi presso il commissariato San Luigi di Milano il giorno 26 luglio per urgenti chiarimenti circa la sua condotta disciplinare. La sua assenza potrebbe comportare provvedimenti di tipo penale. Fino ad allora, i suoi servizi presso  il suddetto commissariato sono da ritenersi sospesi."

Mi avrebbero mandato via.
Tanti anni di duro lavoro sarebbero stati resi improvvisamente vani.
Guardai Brit che ancora dormiva stretta nelle lenzuola del mio letto, e mi chiesi per un secondo, un solo secondo, se ne valesse la pena.
Non avevo dubbi su quello che provavo per lei, ma se avessi perso il lavoro, che futuro avrei potuto offrirle? Era così piccola...
Mi avvicinai per accarezzarle i capelli, e la vidi accennare un sorriso mentre apriva gli occhi sgranchendosi.
-Buongiorno- le sussurrai prima di chinarmi a baciarle le labbra.
-Buongiorno-
-Dormito bene?-
-Benissimo... tu?-
Sospirai e mi sdraiai al suo fianco .
-Si, peccato che il risveglio non sia stato dei migliori-
Le porsi la lettera e lei si tirò su per leggerla.
Mi guardò perplessa, come se non capisse, poi la lesse ad alta voce.
-Che cosa possono volere?-
-Credo che si tratti di noi-
Non ero convinto che parlarne con lei fosse la cosa giusta. Di certo non volevo farla sentire in colpa, ma sentivo il bisogno di parlarne con qualcuno immediamente e non mi sembrava il caso di chiamare Diletta o Danilo... a loro probabilmente sarebbe stato chiesto di testimoniare contro di me e contattarli poteva sembrare un tentativo di corruzione. Ormai sapevo bene come funzionava quel genere di cose: se vogliono incastrarti, trasformano qualunque cosa in un indizio di colpevolezza.
-Ma... io sono uscita dal programma protezione testimoni, non vedo quale sia il problema se stiamo insieme!-
-Ora nessuno, ma che la nostra relazione è iniziata quando tu eri ancora sotto la mia tutela è ormai di dominio pubblico, Brit-
-In quel caso ti avrebbero convocato prima, no?-
Le presi la lettera dalle mani e la infilai in un cassetto di fianco al letto, poi cinsi le sue spalle con il braccio e le faci appoggiare la testa sul mio petto.
Ci tenevo che la situazione fosse chiara anche per lei, ma volevo anche essere delicato per non turbarla troppo, quindi mentre le parlavo continuai a stringerla e ad accarezzarla il più dolcemente possibile.
-Probabilmente non aspettavano altro che un mio passo falso, e quello di ieri lo è stato. Il fatto che tu ti sia trovata in quel garage con me e che abbia rischiato la vita per questa relazione può essere tranquillamente usato per togliermi per sempre il disintivo-
-Cosa?- Brit si voltò a guardami con gli occhi pieni di indignazione. -Ma non possono! Tu sei un ottimo poliziotto, ieri ti ho seguito io, non possono toglierti il distintivo per questo!-
-Shhhh- cercai di calmarla abbracciandola di nuova. -Ascolta, probabilmente convocheranno anche te. E' necessario che tu sia preparata, faranno di tutto per metterti in difficoltà-
-In che senso preparata?-
Prima che potessi rispondere, qualcuno suonò al campanello.
Mi alzai per andare ad aprire.
Diletta con la sua aria seria da donna in carriera era lì, davanti alla porta e mi guardava dall'alto in basso. -Posso entrare?-
-Dipende. Se sei qui in veste di procuratore non mi sembra questa la sede-
-Non dire idiozie!-
Abbandonato l'atteggiamento da "situazione lavorativa", mi fece spostare con una leggera spinta ed entrò puntando dritta verso il soggiorno.
Aveva una gonna molto corta e non potei non sentire un brivido nel guardare i suoi fianchi ondeggiare ad ogni passo... trovarsi una donna del genere alla porta appena svegli è tra i sogni erotici di qualunque uomo!
Arrivata in soggiorno si tolse la giacca e si sedette. Io, ancora in pigiama, cercai di darmi un minimo di tono schiarendomi la voce.
-Allora? Che succede?-
-Ho saputo che devi presentarti davanti alla commissione disciplinare. Sono venuta per metterti in guardia su quello che devi aspettarti-
Trattenni una risata e mi sedetti di fronte a lei.
-Vuoi forse che non sappia cosa devo aspettarmi? Vogliono togliermi il distintivo per via di Brittany, lo so bene-
DIletta mi guardava come se non sapesse di cosa stavo parlando.
Con quell'espressione smarrita era ancora più bella.
-Non c'entra Brittany- bisbigliò. -In realtà non so quale sia il problema, ma pare siano state intercettate delle lettere, una corrispondenza strana tra te e non so chi. Hai idea di cosa possa trattarsi?-
-No... - poi improvvisamente... -Sabrina!-
-Chi è Sabrina?- chiese lei.
-Non posso spiegarti adesso, ma devi farmi un favore: porta Brit da qualche parte, ho bisogno di un paio d'ore-
-Ah no, io non faccio nulla se non mi spieghi che succede!-
-Diletta, stammi a sentire...-
-Buongiorno- la voce di Brit mi interruppe. Mi voltai e la vidi venire verso di noi con indosso una tshirt ed un jeans. Aveva raccolto i capelli ed era a piedi nudi.
-A cosa dobbiamo la visita?- chiese guardando prima me e poi Diletta. Pregai che la mia amica mi reggesse il gioco.
-Diletta è venuta ad assicurarsi che stessimo bene con tutto quello che è successo ieri-
-Sì, ero molto in pensiero-
Tirai un sospiro di sollievo.
-Bastava una telefonata- replicò Brit. Mi sembrò di capire che tra le due non ci fosse molta simpatia a pelle.
-Senti Brittany, non sono venuta solo per questo. Pensavo anche che... magari tu ed io potessimo fare una passeggiata, una chiacchierata tra donne insomma. Ti va?-
-Onestamente non molto-
Lanciai un'occhiataccia a Brit perché si desse una regolata con quell'atteggmento, e lei sembrò recepire.  -...ma potrei sforzarmi di venire. Vuoi uscire adesso?-
-Si, sarebbe l'ideale-
-Vado a mettermi le scarpe-
Appena Brit fu sparita in corridoio ringraziai Diletta  sottovoce.
-Poi mi spiegherai chi è questa Sabrina!-
Quando furono andate via corsi in camera da letto.
Sullo scaffale più alto dell'armadio, dove ero certo che Brit non avrebbe mai guardato, tenevo una vecchia scatola da scarpe, e dentro conservavo le vecchie lettere di Sabrina.
Svuotai la scatola sul letto. Dovevo rileggere le lettere ad una ad una per capire se tra le righe, da qualche parte, potessero esserci tracce di quella verità che per tanti anni avevamo nascosto con tanto impegno, una verità che se fosse venuta a galla non solo mi avrebbe costretto a rinunciare al distintivo, ma mi avrebbe fatto trascorrere il resto della vita dietro le sbarre di un carcere.

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Capitolo 24
*** Roma ***


L’avevo sempre amato ma per forza di cose avevo rinunciato a lui.
Era stata la scelta più difficile della mia vita.
L’avevo sempre amato ma per forza di cose avevo rinunciato a lui.
Era stata la scelta più difficile della mia vita.
Andarmene mi era costato molto più delle bugie che avevo dovuto inventare per proteggerlo.
Ricordo che una sera, quando ero ancora in ospedale, lui si avvicinò al mio letto e mi prese per mano.
-Sei una donna meravigliosa- mi disse.
Era stata la prima volta in assoluto che mi aveva definita una “donna”. Emanuele mi aveva fatto pesare ogni giorno sempre di più il fatto che tra di noi ci fosse una certa differenza d’età. Per capire che non ero la bambina che si ostinava a descrivere, aveva avuto bisogno che un proiettile mi inchiodasse ad una sedia a rotelle.
Ogni volta che ricevevo una sua lettera o che riguardavo una nostra foto, non poteva non tornarmi in mente il giorno in cui la mia vita era cambiata per sempre. Vederlo mi faceva un effetto ancora più devastante. Era per questo che avevo deciso di trasferirmi a Roma: volevo convivere coi ricordi il meno possibile.
Non si può scappare per sempre, però. Non me ne ero resa conto fin quando, un pomeriggio, mia sorella Cinzia  mi informò che c’erano visite per me.
Raggiunsi il soggiorno e vidi seduto sul mio divano l’uomo che popolava da anni tutti i miei sogni ma anche tutti i miei incubi. L’amavo come il primo giorno che l’avevo incontrato, e l’odiavo più dell’ultimo in cui l’avevo lasciato.
-Ciao- mi disse con voce pacata –è da molto che non rispondi alle mie lettere-
-Sono stata piuttosto impegnata, e poi temevo di essere inopportuna. La storia tra te e la tua ultima fiamma era su tutti i giornali. Ti è rimasta la predilezione per le ragazze molto giovani vedo-
-Non ti ho mai biasimata per essere andata via, ma evita almeno di giudicare le scelte che ho fatto da quel momento in avanti-
-Era un commento innocente. Cosa ti porta qui a Roma?
La sua espressione cambiò. I muscoli del suo viso si erano mossi quasi impercettibilmente, ma conoscevo quel volto quasi meglio del mio, l’avevo ammirato e accarezzato decine di volte, fino al punto che sarei stata in grado di disegnarlo.
-Ci sono problemi- rispose lui, porgendomi un foglio su cui erano stampate alcune righe.

"Gentile ispettor Di Stefano, la preghiamo di presentarsi presso il commissariato San Luigi di Milano il giorno 26 luglio per urgenti chiarimenti circa la sua condotta disciplinare. La sua assenza potrebbe comportare provvedimenti di tipo penale. Fino ad allora, i suoi servizi presso  il suddetto commissariato sono da ritenersi sospesi."

-Vorranno parlarti della tua storia con quella ragazza- commentai ridandogli il foglio.
-Lo pensavo anch’io, ma pare ci siano di mezzo delle lettere-
-Pensi sappiano qualcosa?-
-Non lo so, ho riletto le nostre lettere una per una, ma non c’è scritto nulla di così esplicito-
“Io le rileggo ogni giorno” pensai, ma non ebbi il coraggio di confessarlo.
-Come ti spieghi questa storia allora?-
-Non me la spiego. Ma sono qui per chiederti aiuto-
-Cosa posso fare?-
-Continuare a mentire.-
Non ero abituata a vedere Emanuele in quelle vesti, avevo voglia di ridere ma mi trattenni, o quanto meno ci provai.
-Non è da te chiedere a qualcuno di infrangere la legge-
-Stavolta è diverso. Stavolta ho qualcosa da perdere…  Sarei potuto finire in galera anni fa e non me ne sarebbe importato nulla. Sarebbe stato giusto, io avevo sbagliato, dovevo e volevo pagare! Ma adesso…-
-Adesso sei innamorato- continuai la sua frase sottovoce cercando di nascondere il velo di tristezza che mi stava appannando gli occhi. Era innamorato di lei e non voleva perderla, mentre anni prima sarebbe stato disposto a perdere me senza battere ciglio. Questo rispondeva a tutte le mie domande e mi dava la certezza di avere sempre avuto ragione: quello che Emanuele provava nei miei confronti non era amore, era pena, pietà, tenerezza.
Mi guardava in silenzio come a voler leggere i miei pensieri.
-Continuerò a mentire. L’ho sempre fatto e non ho intenzione di sputtanarti adesso. Potevi risparmiarti il viaggio-
-Mi faceva piacere vederti.-
-E a lei cosa hai raccontato?-
-Che starò via un paio di giorni per risolvere delle questioni-
-Un paio di giorni?- ero stupita. Il mio cuore aveva preso a palpitare furiosamente, ma non potevo permettere che se ne accorgesse, così cercai con tutta me stessa di mantenere il controllo sulle mie emozioni.
-Mi piacerebbe passare un po’ di tempo con te. Non so come andrà a finire questa storia… potremmo non avere più nessuna occasione-
-Non finirai in galera. Continuerò a coprirti-
-Grazie… ma cerco di essere realista. Potrebbe succedere. Voglio… avere la possibilità di parlare con te, di chiarirci. So che è passato tanto tempo e che forse avrei dovuto farlo prima, ma ci tengo. Per favore..-
-Va bene, puoi restare.-

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Capitolo 25
*** Per amore o per pietà ***


-Non avresti dovuto lasciarlo restare!- 
Cinzia mi stava aiutando a prepararmi per la notte, e intanto continuava a rimproverarmi. Lei era l'unica a sapere come fossero davvero andate le cose tra me ed Emanuele e come fossi finita su una sedia a rotelle.
Era mia sorella, e non potevo di certo biasimarla se la sola vista dell'uomo che mi aveva ridotta in quello stato le faceva male al punto da diventare cattiva, tuttavia non sopportavo che mettesse bocca nelle mie scelte e quando partiva con le sue ramanzine, più che in qualunque altro momento, desideravo avere una colonna vertebrale funzionante per potermi alzare ed andare via sbattendo la porta.
Invece ero ogni volta costretta a restare immobile ad ascoltarla.
-Con tutto quello che ti ha fatto... io non capisco come tu possa permettergli di presentarsi qui in casa tua come se niente fosse! Ma ti rendi conto? Dovrebbe essere in galera a marcire ed invece ce lo troviamo nella stanza degli ospiti! Ma come ti è saltato in mente?! Se avessi saputo che sarebbe andata a finire così non lo avrei neanche fatto entrare! Ero convinta che l'avresti mandato al diavolo, che insomma ti fosse rimasto un po' di buon senso e invece più cresci più ti comporti da bambina!-
-Vuoi piantarla adesso?- la mia pazienza stava vacillando.
-No che non la pianto! Spiegami almeno che cosa ti è passato per la mente quando hai deciso di ospitarlo! C'è una ragione logica? No perché se c'è io mi faccio gli affari miei!-
-E' nei guai- risposi mentre mi adagiava sul letto fingendo come al solito che lo sforzo non le costasse. Mi sentivo in colpa ogni volta che doveva prendermi in braccio.
-Beh era scontato che fosse tornato a cercarti solo perché è nei guai!-
-Rischia grosso e prima che sia troppo tardi vuole parlarmi... non vedo perché avrei dovuto dirgli di no. In fondo... io ci tengo a lui- sussurrai le ultime parole con un filo di voce. 
Probabilmente stavo arrossendo. 
Cinzia scuoteva la testa con le mani sui fianchi.
-Mi preoccupa proprio questo Sabri, che tu possa ricascarci e restare fregata per l'ennesima volta-
-Ti ricordo che sono stata io ad andarmene. Non mi pare di essere restata fregata da lui-
Cinzia alzò un sopracciglio.
-Vuoi farmi credere che quando sei andata via da Milano non speravi che lui ti fermasse? Non pregavi perché scappasse con te a Roma? Tu te ne sei andata per metterlo alla prova!-
-Assolutamente no! Io me ne sono andata perché vedere lui mi ricordava l'incidente!-
-Non prendermi in giro ora! Tu te ne sei andata per capire se lui ti amava o se si sentiva soltanto in colpa, e il fatto che lui sia restato a Milano significa che no Sabrina, non ti amava! Non ti ha mai amata e probabilmente non ti amerà mai, quindi qualunque stronzata ti dica è bene che tu ti metta tutto questo nella tua testolina bionda e non te ne dimentichi!-
Ero abituata alla durezza di Cinzia. 
Non so dire se fosse un pregio o un difetto, fatto sta che lei non aveva peli sulla lingua, e quando prendeva una posizione la difendeva fino alla fine anche a costo di risultare antipatica. Quella sera mi risultò molto, molto antipatica.
-Non ho voglia di continuare a discutere. Puoi spegnere la luce e lasciarmi dormire per favore?-
Senza rispondermi uscì sbattendo la porta come avrei voluto poter fare io.
Mi lasciò al buio da sola nella mia stanza a meditare su quello che mi aveva urlato.
Probabilmente aveva ragione lei, almeno sul motivo per cui avevo lasciato Milano.
E sicuramente non si era sbagliata neanche su Emanuele: lui non mi aveva mai amata.
Del resto, poi, questo non contava più dal momento che nella sua vita c'era un'altra ragazza, una bellissima americana per la quale lui aveva fatto di tutto.
Sentir parlare della loro storia al telegiornale quasi come fossero i personaggi di un dramma del 600 mi dava sui nervi, eppure ogni volta non riuscivo a cambiare canale. 
Nonostante ci fossero stati altri uomini più o meno importanti nella mia vita, ero ancora gelosa di Emanuele come cinque anni prima e mi sentivo tremendamente ridicola per questo. 
Decisi che non volevo pensarci, ma proprio quando stavo per chiudere gli occhi nel tentativo che già sapevo essere vano di addormentarmi, qualcuno bussò alla mia camera.
-Cinzia non ho voglia di riparlarne, vai via!- urlai d'istinto.
-Sono io... posso?- gli occhi verdi di Emanuele fecero capolino attraverso la porta.
Annuii. Lui entrò chiudendosi la porta alle spalle.
-Ho sentito tua sorella urlare, tutto bene?-
-Si... fa così perché è molto protettiva-
-Colpa mia immagino- 
-No, colpa della vita. Cinzia ha dovuto rinunciare a tante cose per prendersi cura di me e non vuole che io stia male-
-Neanche io voglio che tu stia male- rispose lui avvicinandosi al mio letto.
Restò in piedi a guardarmi mentre il suo profumo si diffondeva nella stanza. Cercai di non farmi distrarre distogliendo lo sguardo.
-Sì, ma tu... ti sei fatto la tua vita. Cinzia no.. e probabilmente non se ne farà mai una pur di continuare a badare a me-
-Vi farete entrambe una vita invece-
Non risposi ma avrei voluto ridere. Avevo avuto delle storie nonostante la mia sedia a rotelle, ma il matrimonio è un'altra cosa: implica la convivenza, e convivere con una come me implica delle responsabilità da cui gli uomini generalmente scappano, e non mi sento neanche di condannarli per questo.
Intanto Emanuele continuava a fissarmi. La luce era ancora spenta ma dalla finestra un bagliore tiepido mi permetteva di distinguere ciascuno dei tratti del viso che amavo tanto.
-Come stai?- mi chiese improvvisamente.
-Bene..- riuscii a dire a stento, con un nodo alla gola.
-Dimmi la verità-
-Lo è. Sto bene in fondo. Mi sono... abituata a tutto questo-
-Io credo che non mi ci abituerò mai invece-
-Che intendi?-
-Se non sono mai venuto qui a Roma è perché... odio vederti così. Odio sapere che è tutta colpa mia-
Sospirai ricacciando indietro le lacrime che propotentemente mi stavano inondando gli occhi. 
-Ascolta io... non sono arrabbiata con te. Preferirei che tu la smettessi di provare pena o senso di colpa nei miei confronti-
-Io preferirei che tu la smettessi di pensare che è tutto quello che provo-
-Cos'altro provi?-
Avevo avuto il coraggio di chiederglielo, ma non ero sicura di voler ascoltare la risposta...

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Capitolo 26
*** Comunicazione ai lettori ***


Mi dispiace tantissimo avervi abbandonato tutto questo tempo. E' che c'è stata l'università, il lavoro... e poi mi sono concessa un regalo: Berlino.
Ora sono tornata pronta a godermi il Natale e a proseguire la mia storia. Spero continuerete a seguirla. Prometto un nuovo capitolo entro il 28 dicembre.
Con affetto
Buon Natale
Luna Spenta

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Capitolo 27
*** Senza dirsi addio ***


-Allora... cosa provi?- gli chiesi di nuovo, soppesando quel silenzio che lui non riusciva a spezzare. Aveva l'aria di uno col groppo in gola, uno che vorrebbe urlare qualcosa ma che non ha abbastanza fiato per farlo. Purtroppo sapevo che ciò che avrebbe voluto urlare non era ciò che io avrei voluto sentire.
-Ti voglio bene...- disse infine. -Ti voglio bene davvero. Te ne ho sempre voluto. Il fatto che io mi senta maledettamente in colpa per quello che ti è capitato è... solo perché io ti conosco. Io so quanto avresti meritato dalla vita ed è sicuramente molto più di quello che hai adesso. La colpa è mia e non riesco a perdonarmelo. Non credo ci riuscirò mai.-
Era sincero. Non avevo il minimo dubbio sul fatto che lo fosse.
Conoscevo Emanuele come nessun altro. Conoscevo i mostri che l'avevano tormentato per anni, lo avevo visto affrontarli, lo avevo protetto e gli avevo lasciato frantumare la mia vita pur di salvare la sua. Ora era lì, così fragile davanti al mio letto, e se il mio corpo me l'avesse permesso io gli sarei andata incontro, gli avrei buttato le braccia al collo ed avrei affondato il viso nel suo petto, rubandogli il fiato e il profumo. Avrei voluto baciarlo e trascinarlo tra le mie lenzuola, spogliarlo e lasciare che la mia bocca vagasse sul suo corpo. 
-A cosa stai pensando?- mi domandò riportandomi alla realtà. Per fortuna il buio gli impedì di scorgere il rossore che aveva colto improvvisamente le mie guance.
-A nulla di importante- risposi, ma avevo la voce roca, impossibile non notarlo. Lui alzò un sopracciglio con aria divertita. -Dai, dimmelo-
-Che ti voglio bene anch'io, e che sono felice che tu sia qui... e che... mi dispiace che tu non sia..-
-Che io non sia?-
-Che tu non sia libero-
-Perché vorresti che lo fossi?-
-Perché vorrei passare la notte con te- La mia voce era un sussurro timido e sfacciato. Non speravo che dirglielo bastasse a farlo buttare tra le mie braccia, ma non sapevo quanto sarebbe rimasto e se mai sarebbe tornato. La mia prima e forse unica occasione per sentirlo mio anche solo per un minuto era lì, ed io non volevo che sfumasse, non potevo permetterlo.
Emanuele restava in silenzio. Deglutì rumorosamente, probabilmente sconvolto da tutta quella sincerità. Non era abituato a riceverla da parte mia. Fin da quando ci eravamo conosciuti avevo sempre cercato di non essere troppo diretta, di fargli capire i miei sentimenti senza opprimerlo, anche perché avevo sempre saputo che non li avrebbe mai ricambiati. Però all'epoca mi vedeva come una bambina. Era passato del tempo. Ero cresciuta. Ero diventata una donna... ed ero ancora sua.
-Sabrina io...-
-Lo so- lo interruppi per proteggere me stessa dalla sua risposta. Non volevo ascoltarla perché credevo di conoscerla, ma come se non mi avesse neanche sentito, colto da un bisogno misterioso, si inginocchiò ai piedi del mio letto e mi prese il viso fra le mani.
Aveva gli occhi lucidi, vicinissimi ai miei.
-Io... ti ho amata così tanto- sussurrò -e tu sei andata via, ed ora...-
-Ora c'è Brit- continuai io al suo posto.
Emanuele appoggiò la testa sul mio petto e inspirò a fondo. Per un istante pensai che stesse piangendo, ma mi smentì sollevandosi di colpo. Aveva il volto serio, addolorato, ma gli occhi asciutti come se avesse ricacciato le lacrime in una parte nascosta del suo subconscio.
Si avvicinò piano ed appoggiò le labbra alle mie.
Fu solo un secondo, un istante brevissimo, e poi si staccò da me. -Scusa-disse piano, prima di uscire di fretta dalla mia camera. Non capii di cosa si stesse scusando, se per il bacio, o per quello che mi aveva detto, o per come erano andate le cose. 
Per l'ennesima volta avrei voluto essere in grado di alzarmi e corrergli dietro, di fermarlo e chiedergli cosa stesse accadendo nella sua testa, ma non potevo. Mi tenni i miei dubbi sperando che mi desse qualche risposta il giorno seguente, ma quando Cinzia venne a portarmi la colazione mi informò che Emanuele era partito e che aveva lasciato una lettera per me.

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Capitolo 28
*** Roma-Milano: Strani viaggi di ritorno ***


Mi dispiace per tutto, mi dispiace davvero. Ti ho amata come credevo che non avrei amato mai più nella mia vita, almeno fin quando non è arrivata Brit.
Mi dispiace perché farti male era l’ultima cosa che desideravo ed ancora oggi non sopporto di vederti soffrire. Mi sei mancata Sabrina, ed è il motivo per cui ti ho baciata. Avevo bisogno di un contatto, per ricordare tutto l’amore che ho provato un tempo.
Tu credi che la mia nei tuoi confronti sia sempre stata solo ed esclusivamente pietà, quello che non consideri è che per il lavoro che faccio, io non posso permettermi di provare sentimenti del genere, e forse non ne ero capace neanche prima di diventare un poliziotto.
Ho visto la mia famiglia dissanguata a causa mia, ero sul punto di uccidere un uomo, ho rischiato di far del male a te ed altre persone a cui ho voluto bene. Io sono abituato a certe sofferenze e non provo pena per chi è vittima di queste cose. Non sopporto essere la causa di tutto questo male, ecco il punto, e lo sopporto ancora meno se questo male colpisce persone che meriterebbero tutt’altro.
Io mi auguro che la tua vita prenda una piega nuova prima o poi.
Mi auguro di non vedere più l’ombra che ti scurisce perennemente il viso.
Mi auguro anche che tu possa perdonarmi, perché lo so, lo vedo, lo percepisco che non ce l’hai ancora fatta e per questo non ti biasimo, del resto neanch’io mi sono ancora perdonato, e non credo che ci riuscirò mai, ma tu in questo puoi darmi una mano.
Vado via perché mi rendo conto che qui per me non c’è posto.
Non voglio causarti problemi con tua sorella e non voglio che la mia presenza continui a ricordarti tutto quello che di spiacevole hai vissuto. Vado via ma ti porto dentro, perché anche se non provo più i sentimenti di qualche anno fa, ti giuro che non li dimentico. 

                                                                                                                                                   Emanuele

Con le lacrime agli occhi strinsi forte la lettera al petto.
Emanuele in queste cose era sempre stato bravo. Lui ci sapeva fare con le parole, mentre il mio rapporto con le pagine bianche era sempre stato molto più complesso. Sapevo scrivere, ma non sapevo mai cosa scrivere. Le lettere che io e lui c’eravamo scambiati dimostravano costantemente quanto il mio mondo interiore fosse piccolo in confronto al suo.
Io mi ero innamorata di quel mondo e non capivo come lui potesse essersi innamorato del mio.
Non ci avevo mai creduto, eppure quelle parole mi fecero riflettere.
Le unii mentalmente al ricordo dei suoi occhi lucidi quando mi aveva accusato di essere andata via, e per un attimo mi chiesi come sarebbero andate le cose se non fossi scappata.
Cinzia mi tolse delicatamente la lettera dalle mani e si sedette sul bordo del mio letto a leggerla.
Quando ebbe finito mi accarezzò con un’insolita tenerezza.
-Non ti ha detto altro quando è andato via?- le chiesi con quel poco di voce che avevo.
Lei scosse la testa. –Sabri, tu sai come la penso...-
-Per favore- la interruppi –non ora...-
-Non sto per farti la predica, fammi finire! Dicevo... tu sai come la penso. Emanuele non mi piace per niente. Non mi piace il fatto che ti abbia sempre snobbata quando eri una ragazzina, non mi piace che ti abbia messo in pericolo, che non si sia preso le sue responsabilità e tutto il resto! Ed ho anche l’impressione che continui ad illuderti, e questo mi piace ancora meno! Ma... non è a me che lui deve piacere, quindi se tu hai bisogno di rivederlo, se hai ancora qualcosa da dirgli, se... semplicemente vuoi provare a riconquistarlo, insomma se vuoi... io ti porto a Milano-
Sgranai gli occhi. Non potevo crederci.
-Davvero?- L’entusiasmo si affievolì quasi immediatamente. –Pensi che servirebbe?- le domandai.
-In tutta onestà? No, non credo che servirebbe, ma forse è il modo migliore perché tutto questo lo capisca anche tu. So benissimo che se potessi saresti già partita da sola, ed io non voglio che tu senta il peso di quello che ti manca. Io voglio essere la tua colonna vertebrale e le tue gambe... non voglio che ti auto convinci che sei obbligata a restare qui perché non puoi camminare. Ti porto dove vuoi, basta chiedere.-
Abbracciai Cinzia come forse non avevo mai fatto nella vita.
Mi rendevo conto di quanto faceva ogni giorno per me ma non ero mai stata in grado di ringraziarla abbastanza. Trovavo imbarazzante dimostrarle quella gratitudine quando mi lavava, prendeva in braccio o mi infilava le scarpe. Stavolta però capivo benissimo che quello che stava facendo lo costava ancora più fatica di quella che spendeva per me quotidianamente: stava mettendo da parte il suo orgoglio, le sue convinzioni ed il suo istinto di protezione nei miei confronti, e tutto solo per darmi l’illusione di poter avere una vita normale.


INTANTO A MILANO
Emanuele era partito senza darmi troppe spiegazioni.
Questo mi preoccupava un po’ perché non avevo idea di quali fossero i casini in cui si era cacciato.
Sapevo della convocazione in commissariato e di quanto questo lo turbasse ed avevo paura che pur di risolvere la questione si mettesse in guai ancora peggiori.
Ormai avevo capito di essermi innamorata di una bella testa calda!
Gli inviai l’ennesimo sms sperando che rispondesse in maniera meno vaga rispetto ai precedenti.
Allora... me lo dici o no dove sei? Mi manchi
No :p mi manchi anche tu
Era esasperante!
Mi rassicuri almeno sul fatto che è tutto ok?”
Stai tranquilla :) Ti amo
Sbuffai prendendomi la testa tra le mani. Stavo davvero iniziando a perdere la pazienza.
Erano due giorni che non sapevo dove fosse il mio ragazzo, e tutta la situazione mi sembrava veramente assurda.
Quando pensi di tornare? Dopodomani devi presentarti in commissariato, lo sai vero?
Tornerò in tempo, non preoccuparti amore. Dimmi come vanno le cose lì.”
Fui tentata di inventarmi qualche insormontabile problema che lo costringesse a tornare a casa, ma con tutti i problemi che aveva non volevo farlo preoccupare ulteriormente. Preferii essere sincera.
Va tutto bene, solo che fa strano non averti qui. Non mi piace dormire da sola :( ”
Solo un altro po’ di pazienza piccola. Ora ho delle cose da sbrigare. Ti prometto che torno presto. Un bacio
Presto” rilessi il 26 luglio. Emanuele non era ancora tornato. Di lì a poco avrebbe dovuto presentarsi in commissariato ma da ore non si faceva vivo e non rispondeva alle mie chiamate.
Ero sempre più preoccupata. Sperai che si fosse recato direttamente al colloquio senza passare da casa, ma quando si fece buio capii che qualcosa non andava, Emanuele sembrava scomparso nel nulla.

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Capitolo 29
*** Cercandoti ***


Sapete che vuol dire aspettare qualcuno che non torna?
Panico. Paura. Speranza. Sentimenti che si mescolano e tremila dubbi in testa.
Era il 30 luglio ed Emanuele non tornava. Sembrava essere stato risucchiato in una dimensiona parallela. 
Avevo sporto denuncia per la sua scomparsa, e da allora balzavo ad ogni squillo del telefono pregando nell'arrivo di una buona notizia. 
Al commissariato, però, continuavo a scoraggiarmi. 
Un ispettore, Santoro si chiamava, il giorno stesso in cui mi ero presentata per chiedere che mi aiutassero a cercare Emanuele, mi aveva portata in un ufficio piccolo e mi aveva fatta accomodare su un divanetto.
-Lei sa che avevamo convocato l'ispettore Di Stefano qui oggi, vero?- mi aveva chiesto. 
-Certo, e proprio per questo sono tanto preoccupata. Non mi spiego perché non sia qui-
-Io forse sì, signorina. C'erano dei problemi con la condotta dell'ispettore. Non posso entrare nel merito ma andava incontro a sanzioni gravi, anche di tipo penale. Non escludo che al momento sia latitante o... che la paura del carcere l'abbia indotto ad un gesto estremo-
Ero sbiancata, e in quel momento avevo smesso di ascoltare. L'uomo panciuto di fronte a me continuava a blaterare qualcosa a proposito del passato difficile e della conseguente personalità fragile e disturbata di Emanuele. Aveva tirato fuori anche un fascicolo strano e aveva nominato un medico o qualcosa del genere. 
Io però non riuscivo a seguire. Conoscevo il mio ragazzo e sapevo che tutti quei dati scientifici non avevano nulla a che vedere con lui. Aveva superato tutto quello che il passato l'aveva costretto ad affrontare ed ero certa che non stava scappando, e che non si era tolto la vita. Ero uscita da quell'ufficio senza fiatare, visibilmente sconvolta da quell'assurdo discorso e avevo telefonato a mia madre a Las Vegas per raccontarle cosa stava succedendo.
Il 30 luglio mi trovavo all'aeroporto dove potei finalmente riabbracciare lei e Bill.
Scoppiammo tutti e tre in lacrime.
-Tesoro mio, mi sei mancata così tanto! Ci sono novità sull'ispettore?-
Scossi la testa tra i singhiozzi.
-Ho davvero paura mamma- riuscii a dire con voce sommessa.
Lei mi abbracciò di nuovo.
-Piccola mia... vedrai che andrà tutto bene-
-Mamma nessuno mi aiuta! Credono che si sia ucciso, non lo cercano, io... non so come fare-
-Shhh troveremo il modo, ora andiamo-
Condussi lei e Bill nell'appartamento di Emanuele e li sistemai in quella che era la nostra camera da letto, mentre per me preparai il divano, anche perché non riuscivo a dormire da giorni e dalla mia faccia si vedeva chiaramente.
Avere la mia famiglia accanto mi rasserenò molto, ma continuavo a sentire un perenne nodo in gola. Presi il cellulare e scrissi ad Emanuele l'ennesimo sms.
"Dimmi che stai bene. Ti prego"
Ancora una volta il cellulare restò muto. 
Mentre aspettavo, però, qualcuno bussò alla porta.
Non ebbi neppure il tempo di aprire che due persone irruppero nell'appartamento.
Non ci misi molto a riconoscerle: una era Diletta Sandrelli, con la sua lunga coda perfetta e i tacchi altri, mentre l'altro era Danilo Corona, collega ed amico di Emanuele.
-Ci sono novità?- chiesi preoccupata e speranzosa allo stesso tempo.
Lui mi guardò un secondo, e vidi riflessa sul suo volto la stessa identica frustrazione che vedevo sul mio da quando l'uomo della mia vita era scomparso.
-No- rispose -ma non abbiamo intenzione di stare qui ad aspettarle-
-Siete qui per aiutarmi?-
-Non per te- Diletta mi lanciò uno sguardo glaciale -Siamo qui per Emanuele, perché è un nostro amico e lo conosciamo. Sappiamo che non sta scappando e che non si è tolto la vita, e se nessuno vuole indagare su questa storia, allora lo faremo noi, è il nostro lavoro-
-Io... non so come ringraziarvi- risposi scoppiando in lacrime.
Lo sguardo di lei si addolcì mentre Danilo mi si avvicinava per accarezzarmi il viso.
-Stai tranquilla, lo troveremo. Tu però... devi darci una mano-
-Certo. Tutto quello che volete-
-Devi dirci tutto quello che sai-
-Non so molto- in realtà stavo pensando alla storia di Sabrina, e di come era realmente finita su quella sedia a rotelle. Non sapevo se loro fossero o meno a conoscenza di come erano andate le cose e non ero sicura di voler essere io a svelare il segreto di Emanuele. 
Erano suoi amici, certo, ma avevano anche un preciso dovere nei confronti del lavoro che facevano. Cosa avrebbero fatto se gli avessi raccontato tutto? Preferii non scoprirlo e tacere.
Io, però, non ero l'unica a conoscere la verità. 
-Io ho delle cose da dire- esclamò una voce. 
Io, Diletta e Danilo ci voltammo verso la porta d'ingresso che non avevamo ancora chiuso.
Sull'uscio c'era una donna dai capelli biondi, alta e muscolosa, che spingeva un'altra donna, più giovane di lei, anche lei bionda, seduta su una sedia a rotelle.

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Capitolo 30
*** A tu per tu ***


Avevo di fronte a me quello che per mesi era stato un fantasma nelle nostre vite.
Mi ero sempre chiesta che faccia avesse.
Sabrina era bella, solo un po' più magra del dovuto, ma a suo modo proporzionata, armoniosa. Aveva la carnagione bianchissima e gli occhi di un intenso blu cielo.
I capelli biondi non troppo lunghi le incorniciavano il viso ancora da bambina, molto diverso da quello duro e spigoloso di quella che scoprii essere sua sorella Cinzia.
Fu Diletta a decidere che le due donne potevano entrare e raccontarci quello che avevano da dire. Io avrei preferito di no. Del resto quella ormai era casa mia e di Emanuele, e non volevo ospitare la donna che rappresentava tutti i dubbi che avevamo avuto l'uno sull'altra.
Non volevo che lei varcasse la soglia del nostro nido sicuro. Lo accettai solo perché se sapevano qualcosa che potesse aiutarmi a ritrovare Emanuele, allora valeva la pena ascoltarle. Tuttavia avevo anche una gran paura per quello che avrebbero potuto rivelare in presenza di Diletta e Danilo.
Sperai che quell'incontro durasse il meno possibile, e invece mi accorsi che avevano addirittura portato anche delle valigie.
-Non c'è abbastanza spazio- dissi con tono piatto quando notai i bagagli.
-Andremo in albergo- rispose Cinzia senza esitazioni.
Nel mentre era arrivata mia madre.
-Possiamo stringerci- suggerì avvicinandosi. Poi si accostò a me e sottovoce mi chiese chi fossero quelle persone. Le guardai un attimo cercando una risposta a quella domanda, ma in realtà non ne avevo una che rendesse l'idea.
Mi limitai a presentare Diletta Sandrelli e Danilo Corona -Sono qui per aiutarci a trovare Emanuele- precisai. -Loro invece...-
-Anche noi- mi interruppe Sabrina. -Anche noi siamo qui perché vogliamo aiutarvi-
-Come facevate a sapere della scomparsa dell'ispettore Di Stefano?-
Diletta aveva improvvisamente assunto la sua aria professionale. Aveva fatto sedere tutti intorno al tavolo della cucina e ci guardava come se fossimo indagati di chissà quale reato.
-Non lo sapevamo- rispose Cinzia -siamo venute per vederlo e solo una volta arrivate abbiamo appreso quello che era successo-
-Perché volevate vederlo?-
Vidi Sabrina arrossire di colpa e cercare aiuto nella sorella. Questa intervenne prontamente. -Non è questo il punto. Ci sembra giusto voi sappiate che Emanuele è stato a Roma qualche giorno fa... Noi credevamo fosse rientrato-
-Roma?- chiesi senza capire.
-Si... voleva parlarmi... era preoccupato per la storia della convocazione in commissariato-
Sabrina appariva mortificata, ma nonostante la dolcezza con cui parlava, io non potei fare a meno di sentirmi tradita. Perché Emanuele era stato da lei? E perché non me l'aveva detto?
-Quando ha lasciato Roma?- domandò Danilo.
-Il 24 luglio intorno alle 7 del mattino-
-Io non ho sue notizie dalle 14 circa dello stesso giorno- aggiunsi io.
Diletta si alzò improvvisamente ed assunse un atteggiamento di comando.
-Bene, dobbiamo scoprire come aveva intenzione di tornare a Milano, se aveva comprato un biglietto per il treno o prenotato un posto su un volo.  Danilo, ci pensi tu?-
Il ragazzo si limitò a fare un cenno col capo, si alzò e dopo avermi rivolto un mezzo sorriso uscì di fretta.
Diletta intanto aveva preso a guardarsi intorno.
-Cosa cerca? La possiamo aiutare in qualche modo?- 
-No, signora, stia pure comoda-
Mia madre tornò a sedersi al mio fianco, mentre Diletta apriva cassetti ed infilava le mani nelle tasche di jeans e giacche.
Io la guardavo ed una parte di me avrebbe voluto interrompere quella brusca invasione della  privacy. Quella scena me ne ricordava un'altra avvenuta solo una settimana prima, e non avevo ancora dimenticato come si era conclusa la storia quel giorno.
Avevo ritrovato Emanuele, ma nel bel mezzo di una sparatoria.
E se si fosse messo di nuovo nei guai? E se stavolta nessuno fosse accorso in suo aiuto?
Oltre alla preoccupazione per quello che poteva accadergli, ero anche piena di rabbia. 
Era stato a Roma da Sabrina. Desideravo riabbracciarlo e prenderlo a schiaffi un secondo dopo, farci l'amore e mandarlo al diavolo.
Peggio dell'essere arrabbiati con qualcuno, c'è solo l'essere arrabbiati e non poterglielo dire.
Tutti quei pensieri mi avevano stravolta, al punto che nell'istante in cui mi alzai dalla sedia mi prese un forte senso di nausea, ed un istante dopo mi si annebbiò la vista.
Mi ripresi qualche ora dopo, nel letto dove di solito dormivo con Emanuele, e al suo posto c'era Bill, addormentato profondamente.
Mia madre era in piedi accanto al letto con aria preoccupata.
-Amore, come ti senti?- chiese quando vide che avevo riaperto gli occhi.
Come mi sentivo? Ero stanca e frustrata, arrabbiata e anche infinitamente tesa. Dov'era finito Emanuele? Perché non chiamava? Perché era andato a Roma da lei? Perché non era tornato? La testa mi scoppiava.
-Meglio- mentii, e mi sforzai di alzarmi. -Riposa un po' tu, mamma. Io farò una doccia-
-Per qualunque cosa non esitare a chiamarmi-
Mi rassicurò baciandomi la fronte. Non l'avevo mai vista così materna come in quel momento.
In bagno mi spogliai e mi buttai sotto il getto d'acqua caldo cercando di riprendere fiato.
Erano state delle giornate lunghissime ed io avevo effettivamente un gran bisogno di riposare. Volevo tornare lucida e venire a capo di tutta quella storia.
Era tremendamente difficile, però, distrarsi da quello che stava succedendo, soprattutto perché avevo intorno solo cose che mi ricordavano Emanuele e il fatto che non ci fosse.
In quella doccia c'era il suo profumo, il profumo di tutte le volte che mi aveva insaponato la schiena, che mi aveva sfiorata, toccata, baciata, morsa in quella stessa cabina.
Quante volte avevamo fatto l'amore lì? Quando sarebbe successo di nuovo? E soprattutto... sarebbe successo o no?
Mentre mi frizionavo i capelli umidi e finivo di infilare il pigiama, sentii strani rumore provenire dalla cucina. Corsi speranzosa che Emanuele fosse tornato, ma le mie speranze si affievolirono subito.
Vidi Sabrina sforzarsi di arrivare a prendere lo zucchero su uno scaffale, e urtare ripetutamente le ruote della sedia a rotelle contro il frigorifero.
-Dov'è Cinzia?- le chiesi mentre mi avvicinai per aiutarla. Afferrai il vasetto di zucchero e glielo porsi. -Con la poliziotta. Sono uscite-
-E' un procuratore, non una poliziotta-
-Fa lo stesso- fece spallucce girando il cucchiaino in una tazza di camomilla.
-Vuoi?-
-No, grazie- 
Stavo per lasciarla di nuovo sola, ma mi fermò.
-Emanuele è molto innamorato di te- pronunciò tutto d'un fiato.
-Io lo sono molto di lui-
-Lo sa- 
-E tu? Perché mi dici queste cose?-
-Conosco molto bene Emanuele-
-Lo conoscevi... Emanuele è molto cambiato. E'... cresciuto-
-Emanuele non è mai stato un bambino, non ha potuto. Sì, ha fatto degli errori in passato, ma li ha pagati col sangue di persone molte importanti per lui-
-Come te...- la mia voce era carica di veleno.
-Anche, ma mi riferivo alla sua famiglia. Conosci la sua storia?-
-Certo! Tu credi che tra me e lui non ci fosse nulla di importante, vero? Sei convinta che non abbia condiviso con me quello che è successo, che non sappia della sua famiglia, o che non mi abbia raccontato che è stato lui a ridurti su quella sedia a rotelle, giusto?-
Nel pronunciare quelle parole vidi il suo volto pallido sbiancare ancor di più.
Mi ci volle qualche secondo, ma poi mi resi conto che non era me che stava guardando.
Mi voltai e sulla soglia della cucina c'erano Diletta, Cinzia e Danilo, e avevano sentito tutto.

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Capitolo 31
*** Maestra di self-control ***


Brittany e Sabrina erano l'una di fronte all'altra.
La seconda era pallidissima mentre la prima aveva il volto vivido dalla rabbia, ma quando vide me, Cinzia e Danilo fermi sulla soglia della cucina, sbiancò anche lei.
Non ero sicura di aver sentito bene l'ultima frase, o meglio, avevo sentito benissimo ma sperai con tutta me stessa che il mio udito mi avesse tirato qualche butto scherzo.
La mia priorità fino a quel momento era stata ritrovare Emanuele, e non solo nel rispetto del mio ruolo di procuratore distrettuale, ma anche e soprattutto, perché si trattava di una persona per la quale provavo un affetto assoluto ed incondizionato, nonostante fossimo oggettivamente molto diversi.
Emanuele era uno che agiva di stomaco, mentre io ero sempre stata molto più fredda.
I primi tempi, quando c'eravamo conosciuti, si era subito instaurato un rapporto piuttosto ambiguo.
Fisicamente mi sentivo tremendamente attratta, cosa che trovereste tutti più che normale se poteste vederlo. Era, però, un mio subordinato, e vivevo quell'attrazione come qualcosa di assolutamente illecito. Ricordo di aver fatto di tutto per controllarla e per controllarmi, ma per Emanuele la storia era diversa, lui quando voleva una cosa sapeva esattamente come prendersela. Ed è così che si prese me, una sera, sulla scrivania del mio ufficio, facendomi dimenticare con tocco esperto quale fosse il mio ruolo e quanto poco fosse etico quello che stavamo facendo.
La nostra era stata una storia di sesso, ma avevo scoperto in quelle settimane un uomo così passionale, così irruento, che mi ero molto stupita di come fossero andate le cose tra lui e la giovane americana.
Avevo saputo infatti, che a differenza di quello che avevo pensato, Emanuele aveva resistito un bel po' prima di cedere al fascino di Brittany.
Probabilmente questo era il segnale che lui era cresciuto, ed io ne ero molto fiera.
Dopo quello che c'era stato tra noi, eravamo riusciti a diventare ottimi amici.
Credevo di sapere tutto di lui, e invece...
Brittany stava urlando a Sabrina che era a conoscenza del fatto che fosse stato Emanuele a ridurla su una sedia a rotelle. La cosa che mi parve più assurda era il fatto che in quella stanza io fossi l'unica sconvolta.
Cinzia si avvicinò con calma alla sorella e le propose di andare a riposare, mentre Danilo guardava me, che intanto ero diventata una statua di sale.
Brittany con gli occhi bassi si mordeva un labbro, come a volersi rimangiare le parole che aveva appena urlato.
Quando riacquistai la capacità di muovermi, di parlare, o anche soltanto di sbattere le palpebre, mi avvicinai al tavolo della cucina e mi sedetti. Guardai Brittany fisso negli occhi sperando che dicesse qualcosa, ma il suo silenzio mi parve come una triste ammissione.
-Emanuele avrebbe davvero fatto questo?-
-Non è stato volontario- sussurrò Danilo.
Credo di avergli lanciato in quel momento uno sguardo disgustato.
-Anche tu lo sapevi?-
-Non è facile quanto pensi. Emanuele è una bravissima persona ed un ottimo poliziotto, e tu lo sai... semplicemente... si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato-
-Un ottimo poliziotto non riduce una ragazza su una sedia a rotelle! E tu poi? Sei un poliziotto anche tu! Come hai potuto coprirlo?-
-Il colpo che ha ferito Sabrina è partito dalla pistola di Emanuele e questo è agli atti, non è un segreto. Non si tratta di aver coperto qualcuno... Semplicemente le cose sono andate un po' diversamente da quello che all'epoca Sabrina ed Emanuele hanno dichiarato agli inquirenti. Tu non eri ancora procuratore e non sai tutta la storia, ma ti prego di non prenderla così male... -
Mi alzai di scatto dalla sedia tentando invano di trattenere la rabbia.
Volevo solo uscire da quella stanza.
Mi sembrava di aver dedicato la mia vita alla giustizia per nulla, ora che mi ero resa conto di essere circondata da criminali.
Danilo mi sbarrò il passo.
-Aspetta, lascia che ti racconti-
-Non voglio sapere!- sbraitai -Innanzitutto avrebbe dovuto raccontarmelo Emanuele, non tu. In secondo luogo, ad oggi tutto questo non ha importanza. Siamo qui per ritrovarlo no? Lo troveremo. E dopo... dopo farò quello che è giusto-
Pronunciai quella frase con un nodo alla gola.
Non ero certa che avrei mai davvero trovato il coraggio per denunciare alle autorità una persona per me così importante, ma quello era il mio compito, il mio lavoro. Io dovevo garantire la giustizia, e sapevo che questo voleva dire, in certi casi, anche sacrificare i propri interessi e quelli delle persone che ami.
Brittany scoppiò in lacrime appena terminai la frase, ma potei solo sentirla. Mi rifiutai di guardarla in faccia e proseguii verso l'uscita dell'appartamento.
Una volta sul pianerottolo, fui tentata di lasciarmi andare anch'io in un pianto purificatore, ma come al solito mi trattenni, io che ero abituata a trattenere qualunque cosa.
Tornai nella mia casa fin troppo vuota e mi spogliai per buttarmi di corsa sotto la doccia, ma qualcuno suonò al campanello. Ormai era passata la mezzanotte e non avevo davvero idea di chi potesse essere, ma considerata la situazione particolare, Emanuele scomparso e tutti gli altri casini, mi infilai l'accappatoio ed andai alla porta.
Guardai dallo spioncino.
Avete presente quando scappate dal vostro ufficio ma vi portate il lavoro a casa? Ebbi quella impressione in quel momento. Ero scappata da quell'aria pesante e me l'ero ritrovata a casa: Danilo Corona era fuori dalla mia porta.
Mi aggiustai l'accappatoio e lo feci entrare con aria rassegnata.
Lui mi sembrò leggermente imbarazzato di trovarmi praticamente nuda, ma a me non importava, non ero mai stata particolarmente pudica, e inoltre ero più che sufficientemente coperta.
-Allora? Sei venuto a svelarmi qualche altro segreto terribile?-
-No. Sono venuto a chiederti come stai... Mi rendo conto che quello che hai sentito ti ha sconvolta-
-Sto meglio in ufficio. Quando tu e quel coglione che non so che fine ha fatto, lavorate per me, mi date del lei, e non piombate in piena notte a casa mia, dopo che ho passato la giornata a cercare di risolvere i vostri casini! Però sì, tutto sommato, sto una meraviglia-
Accompagnai la mia risposta con un tiratissimo sorriso sarcastico che probabilmente Danilo non ebbe modo di apprezzare. Se ne stava seduto sul divano di casa mia con gli occhi fissi sulle sue mani.
-Ok, non c'è bisogno di essere così acida. Mi dispiace per quello che è successo, ma penso tu debba conoscere tutta la storia prima di giudicare-
-Allo stesso modo io penso che tu debba riuscire a guardare una donna in accappatoio senza il viso rosso e la bava alla bocca-
Danilo rise e finse di asciugarsi le labbra col dorso della mano, poi alzò lo sguardo verso di me.
-Va meglio?-
-No, hai ancora il viso rosso-
-Fa molto caldo in questa stanza-
-Se vuoi prendo un accappatoio anche per te, così ti spogli... magari stai meglio!-
-Ne tieni uno apposta perché ti capita spesso di avere in casa uomini particolarmente accaldati?-
-Qualche volta. Allora? Oltre ad essere venuto a sincerarti di come stessi, c'è altro? Hai magari scoperto qualcosa di utile su Emanuele?-
Danilo tornò serio e scosse la testa sbuffando.
-Non so davvero che pensare-
-Sì, immagino-
-Voglio molto bene ad Emanuele, e sono parecchio preoccupato-
Anche io lo ero, ma non mi andava di dare a vedere quanto stessi male.
Mi limitai a sedermi accanto a lui e dargli un paio di leggere pacche sulla spalla.
-Fatti forza- sussurrai.
-Guarda che lo so che hai paura anche tu-
Quella frase mi sconvolse, ma più di tutto mi sconvolse il gesto che l'accompagnò: una lenta, lentissima carezza dall'attaccatura dei capelli fino alla nuca.
Feci fatica a ricordare quand'era stata l'ultima volta che qualcuno aveva avuto un moto di tenerezza nei miei confronti.
-Ora sei tu che sei rossa in viso!- mi fece notare sorridendo.
-Nnn..non è vero-
-E stai balbettando- aggiunse.
Mi schiarii la voce e mi alzai scuotendo la testa.
-Ti sbagli. Sono calmissima-
-Invece sei molto agitata, ma anche... molto bella. Sembri più umana qui, in casa tua, con l'accappatoio che ogni tanto si apre un po' troppo, il viso paonazzo... Chi l'avrebbe detto? Pensavo non lasciassi mai la tua aria da “miss procuratore dell'anno”-
-Del secolo, grazie- lo corressi assumendo la migliore delle mie espressioni superbe, ma un istante dopo stavamo entrambi ridendo come pazzi, accasciati sul divano.
-Chiudi quell'accappatoio o ti salterò addosso!- esclamò Danilo ad un certo punto. Ridendo in effetti mi ero contorta molto e la scollatura si era terribilmente allargata.
Per un secondo mi vergognai, ma fu solo un secondo.
Risistemai bene la cintura e mi alzai per ricompormi meglio.
Lui restò sul divano. Aveva sul volto un sorriso da quindicenne.
Era una cosa che avevo sempre odiato di Danilo. Quel sorriso sembrava stonare con tutto il resto: lui che era alto quasi un metro e novanta, che era grosso, coi capelli biondi e cortissimi come quelli di un soldato, te lo trovavi lì, all'improvviso, a sorridere come un bambino beccato a mangiare una merendina di nascondo.
Eppure, su quel divano, nonostante la sua aria infantile, mi sembrava improvvisamente ed assolutamente bellissimo, tanto che mi sentii quasi obbligata a mandarlo via con la scusa dell'ora per evitare di perdere il mio tanto decantato autocontrollo.

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Capitolo 32
*** Quando il self-control non basta più ***


Furono giorni difficili.
Di Emanuele non c'erano tracce e non nego di aver pensato più di una volta di mollare.
Ero arrabbiata per le cose che mi erano state nascoste ed una parte di me credeva che potessero essere il motivo per il quale Emanuele era andato via.
Magari lui stava bene e noi ci stavamo ammazzando di fatica inutilmente per trovare qualcuno che non voleva essere trovato.
Non ero sicura che sarei stata capace di portare avanti quei ritmi per molto se fossi stata sola. Il punto era che non lo ero: mi trovavo davanti ogni giorno le facce preoccupate di Brittany e Sabrina e non trovavo il coraggio di dire loro che per me era arrivato il momento di arrendersi.
Quelle due donne amavano Emanuele, entrambe.
Lo si vedeva dal modo in cui parlavano, dal fatto che le loro voci cambiassero impercettibilmente quando dovevano pronunciare il suo nome: era come se l'accarezzassero.
Io non avevo mai provato nulla di così forte in tutta la mia vita, ed anche se il loro amore era in quei giorni macchiato da angoscia e paura, qualche volta le invidiavo, anche se mi sforzavo con tutta me stessa di non darlo a vedere.
Gli umori in sintesi erano questi: Brittany e Sabrina piangevano, io irritata tiravo avanti, e Danilo Corona, invece, si presentava ogni santo giorno con il suo fastidioso sorriso da quindicenne.
Non sapevo come facesse ad avere tutta quella forza, ma devo ammettere che in quel periodo iniziai a provare nei suoi confronti una profonda stima. L'effetto che il suo sorriso mi faceva non mutò di una virgola: continuavo a trovarlo fuori luogo, infantile, antipatico, insopportabile, e chi più ne ha più ne metta, ma contemporaneamente cominciai ad interrogarmi su come facesse a non perderlo nonostante tutto, e la mia totale incapacità di trovare una risposta a quella domanda, un po' alla volta me lo fece apprezzare.
Probabilmente fu grazie a lui e al suo entusiasmo se portammo avanti le ricerche anche quando eravamo allo strenuo delle energie.
Ricordo che una mattina bussò alla porta del mio appartamento con in mano un piccolo sacchetto bianco ed una ventiquattrore scura.
-Che ci fai qui?-
-Ho portato la colazione!- rispose porgendomi uno dei due cornetti contenuti nel sacchetto -e del lavoro da fare!- aggiunse aprendo la valigetta.
Dentro c'era una pila di fogli che pareva infinita. Alzai un sopracciglio aspettando spiegazioni.
-La buona notizia è che ho qui l'elenco di tutti i passeggeri di aerei, treni e pullman che hanno lasciato Roma per raggiungere Milano nei giorni della scomparsa. La brutta notizia è che non sono in ordine alfabetico!-
Sgranai gli occhi involontariamente.
-Ma ci metteremo ore! Io ho del lavoro da sbrigare in ufficio, non posso passare tutto il giorno a controllare quelle liste!-
Danilo per tutta risposta mi passò alcuni fogli.
-Se siamo fortunati basteranno cinque minuti. Magari il nome di Emanuele è in cima alla lista-
-Non sono mai stata fortunata io- sbuffai.
-Io sì!- esclamò lui facendomi l'occhiolino.
Si mise alla mia scrivania ed assunse un'espressione concentrata.
Io invece mi sedetti al centro del letto con le gambe incrociate, ma resistetti pochissimo in quella posizione. Dopo poco, spazientita da quell'immane lavoro che mi pareva in tutta franchezza inutile, iniziai a fare avanti indietro per la stanza sbuffando.
Danilo mi invitò più volte a rilassarmi e a prendermi una pausa, mentre lui continuava imperterrito a lavorare con invidiabile serenità.
Quando fu ora di pranzo pensai di ricambiare tutta la disponibilità che stava dimostrando nei miei confronti, e senza dirgli nulla andai in cucina a preparare da mangiare. Optai per due fumanti piatti di bucatini all'amatriciana.
Lo raggiunsi alla scrivania e gli porsi la sua porzione.
Lui mi guardò sbigottito.
-Tu cucini? Ero sicuro avessi una domestica! Tra l'altro speravo fosse un'orientale e pregavo me la presentassi!-
-Vuoi mangiare o prendermi in giro?-
-Entrambe non si può?- chiese con la sua irritante aria adolescenziale.
-No!- risposi io secca. Danilo alzò le mani in segno di resa e prese una prima forchettata di bucatini.
Mi scoprii stranamente ansiosa di conoscere il suo parere.
Era una vita che non cucinavo per un uomo e volevo davvero che gli piacessero.
Mentre assaggiavo la mia porzione gli lanciai un'occhiata, ma lui aveva un'espressione impassibile.
-Allora?- chiesi cercando di non tradire la mia ansia -Com'è?-
-Non male! Complimentati con la cuoca orientale da parte mia!-
-Vuoi piantarla?-
-Perché? Sei gelosa?-
-Sei irritante!-
-Lo so- sorrise e addentò un'altra forchettata di pasta. -Buona davvero- aggiunse.
Dopo mangiato riprendemmo a scorrere le lunghe liste de nomi.
Stavolta lavorammo vicini, seduti alla stessa scrivania, e ogni volta che sbuffavo lui mi sorrideva o mi dava una pacca, o mi faceva una carezza. Quei gesti banali mi aiutarono un sacco a resistere, ma quando fu buio ebbi una sorta di crollo nervoso.
-Siamo qui da stamattina e non abbiamo concluso nulla!-
-Ci sono ancora molti fogli da controllare... non dobbiamo perdere la speranza-
-Ma perché dovremmo? Emanuele potrebbe essere con una biondina a bere Tequila a quest'ora!-
-Non dire idiozie... Emanuele odia la Tequila!-
-Hai capito benissimo che intendo... -
Danilo si alzò in piedi e si appoggiò alla scrivania. Mi guardò con un'aria seria che non lo faceva sembrare nemmeno lui, troppo distante dal ragazzino biondo a cui mi ero abituata.
-Conosco Emanuele e so che non se n'è andato. Lo sai anche tu. Ama Brittany come ho visto amare poche persone in tutta la mia vita. Morirebbe per lei e... e lo farebbe anche per me, e per te. Emanuele è un bravo poliziotto ed una persona estremamente leale, ed io lo ammiro un sacco. Lo guardavo lavorare e pensavo che quella era la persona che volevo diventare. Se io fossi scomparso lui mi starebbe cercando, ne sono sicuro, e continuerebbe fino a quando non mi avrebbe trovato. Se lui è quello che io voglio essere, è il momento giusto per iniziare a comportarmi come lui si comporterebbe. Tu se sei stanca sei libera di mandarmi fuori da casa tua adesso... io continuerò a lavorare da solo... ma non dire che Emanuele se n'è andato, perché non ci credi neanche tu in fondo.-
Restai in silenzio a guardarlo e mi parve di vederlo per la prima volta.
Sapevo che aveva ragione su tutto e mi sentii estremamente piccola di fronte a quelle grandi verità. Il punto era che io non sapevo più che fare. Volevo davvero trovare Emanuele, ma non avevo più idee, né forze, né energie. Ormai la mia vita ruotava intorno a quella storia e da quando lui era scomparso non mi ero riposata neanche un secondo.
Eppure che risultati avevamo ottenuto? Assolutamente nessuno.
Mi ero sempre dimostrata una persona determinata ma c'è un limite a tutto e a me sembrava di aver raggiunto il mio.
Senza rendermene conto lasciai che una lacrima mi accarezzasse la guancia.
Danilo la raccolse con il dito indice e ci soffiò sopra.
-Dovresti piangere più stesso. Fa bene, sai?-
Quell'unica piccola lacrima si moltiplicò immediatamente in dieci, cento, mille.
Si posarono tutte sulle spalle larghe di Danilo, che non esitò a stringermi e a sussurrarmi frasi che avrebbero dovuto tranquillizzarmi, ma io non le sentivo, avevo solo bisogno di lasciarmi andare.
Quando mi parve di aver esaurito tutte le lacrime, i miei occhi si posarono involontariamente su uno dei fogli che avevamo davanti. Quasi in fondo alla lista un nome attirò la mia attenzione come una calamita: Di Stefano Emanuele.
Balzai in piedi. -Eccolo, eccolo!- gridai indicando il foglio.
Danilo lo prese tra le mani e balzò in piedi con me. -Ce l'abbiamo fatta!- esclamò con l'entusiasmo di un bambino. Istintivamente gli buttai le braccia al collo e lui mi sollevò da terra, tanto che le nostre labbra si trovarono improvvisamente a soli pochi millimetri di distanza...

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Capitolo 33
*** Ghiaccio ***


Non so dire se trascorsero secondi o minuti, fatto sta che restammo stretti a fissarci per quello che mi parve un tempo infinito, poi Danilo con mia sorpresa mi lasciò andare.
Non riuscivo a spiegarmi quel comportamento, ma ciò che realmente mi sconvolse fu la sensazione che provai io nell'istante in cui le sue mani si allontanarono dal mio corpo: mi sentivo come un fiume improvvisamente prosciugato, divenuto arido e secco.
Nel mio caso però, ritornato, più che divenuto, io che arida lo ero stata tutta la vita.
Danilo era scuro in volto. Non sembrava imbarazzato o in difficoltà, al contrario dava l'idea di essere in collera, tanto che mi chiesi se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

Lo vidi ripiegare il foglio col nome di Emanuele in più parti e infilarselo in tasca. Dopo ammucchiò gli altri fogli in una pila e li ripose nella ventiquattrore con cui era arrivato.
-Direi che abbiamo finito. Posso andare.- disse fermandosi in piedi di fronte a me per qualche istante. -Sì- riuscii a rispondere senza capire.
Le sue labbra si tesero in una linea dura, poi mi diede le spalle e si incamminò lungo il corridoio verso la porta.
-Che ti prende?- domandai un secondo prima che la aprisse.
-Non riesco a capirti- rispose lui dandomi ancora le spalle – e il punto è che, tra l'altro, mi piacerebbe davvero molto capirti-.
Feci qualche passo verso Danilo mentre lui si voltava a guardarmi.
Restai più o meno ad un metro di distanza. -Cosa non capisci?-
-Perché hai questa assurda mania del controllo! Io non... insomma noi, poco fa stavamo per... e tu...-
Era così agitato da non riuscire a completare le sue frasi, ed io continuavo a non avere la più pallida idea di cosa volesse dirmi.
-Calmati!- lo interruppi avvicinandomi ancora un po' -Mania del controllo? Mi pare di... essermi lasciata molto andare qualche minuto fa. Sei tu che... ti sei stranito-
-Mi sono stranito perché quello non è lasciarsi andare! Quello è aspettare che le cose accadano senza fare un bel nulla!-

-Per l'appunto, non puoi chiamarla mania del controllo se stavo lasciando che le cose accadessero senza controllarle-
-Ma controlli te stessa! E lo fai in una maniera che fa quasi paura! Ti ho vista in lacrime oggi e mi sei sembrata così dannatamente vera... ed ora... ti guardo e penso di aver incontrato due persone diverse nello stesso momento. Come diavolo è possibile?-
Non riuscivo a capire di cosa parlasse e perché fosse tanto arrabbiato. Io l'avrei baciato. Se lui si fosse avvicinato ancora non mi sarei tirata indietro. Non l'aveva fatto e si arrogava il diritto di urlarmi contro in quel modo senza motivo.
-Cosa avrei dovuto fare?- chiesi lasciando che dalle mie parole trasudasse quanto trovavo assurde le cose che mi stava dicendo.

-Quello di cui avevi voglia!-
-Ma lo stavo facendo!- urlai incredula.
Danilo prese a scuotere nervosamente la testa.
-Tu stavi solo aspettando che fossi io a farlo- disse in fine. Poi si voltò ed uscì dal mio appartamento lasciandomi lì, nel bel mezzo del corridoio, a domandarmi cosa fosse accaduto.

Ebbi voglia di piangere, ma non lo feci.
So cosa state pensando ma no, non mi stavo semplicemente controllando di nuovo. Il punto era che vivevo nell'assoluta convinzione di essere dalla parte del giusto, innanzitutto perché credevo che in certi casi spettasse all'uomo prendere l'iniziativa, e quello per me era uno di quei casi; in secondo luogo perché conoscevo bene i miei limiti e ne avevo superati già molti con Danilo. Non mi andava di piangere per qualcuno che non era riuscito a cogliere né ad apprezzare il fatto che avessi cucinato per lui e che gli avessi mostrato le mie lacrime. Mi ero spogliata di tutto e lui chiedeva ancora di più. Mi sembrava ingiusto, scorretto ed insensato.
Qualche giorno dopo, capii per caso di avere torto.
Me ne resi conto una sera in ufficio.
Mentre lavoravo la parte si aprì all'improvviso e vidi entrare due figure a me molto familiari, una perché mi somigliava tremendamente, e l'altra perché era una perfetta riproduzione in scala della donna adulta che la teneva tra le braccia, e quindi anche mia.
Simona era mia sorella gemella e si era trasferita a Pescara tre anni prima, dopo aver saputo di essere in attesa della piccola Rosa. Aveva seguito quello che all'epoca sembrava essere il più grande amore della sua vita, ma la loro storia era andata in frantumi poco dopo la nascita della bambina. Simona aveva deciso tuttavia di non tornare.
Non mi ero mai spiegata i motivi di quella scelta e, inoltre, in cuor mio non gliel'avevo mai perdonata. Avrei preferito poterle stare vicino e aiutarla a crescere quella nipote che in realtà conoscevo così poco.
Trovarmele entrambe a Milano, lì, nel mio ufficio, era quello che avevo sempre desiderato.
-Non corri ad abbracciarmi?- domandò Simona a un certo punto.
E in effetti no, io non ero corsa ad abbracciarla. Lanciai un'occhiata allo specchio dietro di lei, e vidi seduta alla scrivania una donna dall'espressione fredda e apatica. Quella era la mia immagine rifletta, anche se dentro mi sentivo felice come mi era capitato poche volte nella vita.
Mentre assecondavo le richieste di Simona alzandomi ed andandole incontro, ripensai a Danilo, e mi chiesi se quella che avevo visto nello specchio non fosse la stessa donna che si era trovato davanti lui poco prima di baciarmi.

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