Una Nuova Generazione di Eroi di Rain of Truth (/viewuser.php?uid=496704)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Libertà ***
Capitolo 2: *** Lettera ***
Capitolo 3: *** Successori al trono ***
Capitolo 4: *** Incontro ***
Capitolo 5: *** Perdere il controllo ***
Capitolo 6: *** Immortalità ***
Capitolo 7: *** Ultima Speranza ***
Capitolo 8: *** Trasferimento ***
Capitolo 9: *** Arrivo ***
Capitolo 10: *** Corsa senza Tempo ***
Capitolo 11: *** Nuove Esperienze ***
Capitolo 12: *** Busta paga ***
Capitolo 13: *** CHAOTIX ***
Capitolo 14: *** Il nuovo mondo ***
Capitolo 15: *** Ognuno ha i suoi problemi ***
Capitolo 16: *** Il Principe e la Ladra ***
Capitolo 17: *** Linee di Confine ***
Capitolo 18: *** I Pirati SolcaCieli ***
Capitolo 19: *** La Bestia in gabbia ***
Capitolo 20: *** Il cuore della Tenebra ***
Capitolo 21: *** Non sempre Rose e Fiori ***
Capitolo 1 *** Libertà ***
Dash
Libero.
L’unica parola che
potesse davvero descrivermi. Niente poteva domare il mio spirito, la
mia voglia
di vivere e di correre. Amavo la sensazione del vento che mi
scompigliava le
spine e faceva svolazzare il mio gilet. Amavo tutto del vento. Amavo
quando mi
seccava le labbra. Quando mi faceva sentire l’unico essere
che poteva provare
quella magnifica sensazione in quel momento. Quella sensazione unica,
che si
ottiene soltanto quando si ha un mondo completo da esplorare. Nessuna
responsabilità, soltanto spensieratezza. Soltanto qualche
attacco occasionale
del Dottor. Eggman, come lo chiamava mio padre. Già. Mio
padre era l’eroe,
l’essere più veloce del mondo, finché
non l’avessi superato. Mio
padre, era Sonic the Hedgehog. E io,
Dash, ero uno dei sui figli. Avevo ereditato la sua
velocità, e anche il suo
aspetto. Ero di un blu più scuro rispetto al suo, e gli
occhi erano del suo
stesso colore se non fosse stato per qualche striatura del colore degli
occhi
di mia madre, Amy Rose. L’unica cosa che variava da mio
padre, erano le spine,
molto più selvagge rispetto alle sue, compreso un ciuffo
simile a quello di mia
madre, che avevo sulla fronte, il quale mi ricadeva sugli occhi. Le mie
sorelle, invece, erano molto peggio di me. Assolutamente
insopportabili, e chi
ha più sorelle in casa, dovrebbe saperlo. Ma questa era
un’altra faccenda. Non
mi andava di pensare a loro. Non in quel momento di
tranquillità assoluta.
Questi
pensieri, mi
attanagliavano la mente mentre correvo per le enormi distese
d’erba di Mobius.
Presi un gran respiro di aria fresca, che mi pizzicò le
narici. Accelerai la
corsa, vedendo a distanza un albero. Decisi di andare a sedermi li
vicino, per
riposarmi un po’. Quando raggiunsi il punto da me deciso, mi
buttai a terra,
con l’erba che mi solleticava la schiena. Socchiusi
leggermente gli occhi,
iniziando ad assopirmi. Il Sole mi riscaldava la pelle, creando un
tepore
rilassante. Fui sul punto di addormentarmi, quando sentii un urlo, che
mi
trapasso le orecchie.
Mi
alzai immediatamente, spaventato.
Mi guardai intorno, in cerca di un qualsiasi segno di un attacco di
Eggman, ma
di lui non c’era traccia. Abbassai le orecchie, spaesato.
Forse me lo ero
immaginato. Ma mi sembrava impossibile. Fui sul punto di risedermi,
quando un
urto spaventosamente forte, mi fece rotolare a terra. Mi era caduto
qualcosa
addosso, e la cosa mi aveva sorpreso non poco. Dopo aver rotolato
qualche
metro, guardai cosa avesse potuto colpirmi. Mi alzai a fatica, vedendo
che
sotto di me stava qualcuno. Quando la vidi, mi sembrava i non poterci
credere.
Non era un oggetto………….era
una ragazza.
‘’E che
ragazza’’ pensai. Era una gatta dalla
pelliccia nera, con
degli aculei anche questi neri, che le ricadevano come capelli lungo le
spalle,
fino ad arrivare alla vita. Notai che i suoi aculei avevano delle
leggere
sfumature rosse, come quelle che portava sulle braccia e sulla coda.
Riuscii a
vederla solo approssimativamente, visto che mi scostò in
modo brusco.
-Levati
di dosso, idiota- mi
sibilò lei con un tono distaccato. Io la guardai stupito,
per questa sua reazione.
Notai che aveva degli occhi rossi e profondi, che non lasciavano
intravedere
nessuna emozione. Prima che le potessi fare una qualsiasi domanda, lei
mi
interruppe. –Conosci questo riccio?- mi chiese, tirando fuori
dal suo cappotto
una foto, che mi mostrò. Era una foto di mio padre.
La
guardai con un’occhiata
indifferente. – Perché ti importa?- le sibilai
contro. Lei fece un sorriso per
niente amichevole. –Questi non sono affari tuoi- mi disse di
rimando. Mi ricordava
molto l’atteggiamento di qualcuno, ma in quel momento non mi
veniva in mente. Io
ridacchiai. –Non sei molto amichevole, vero?- chiesi,
cercando di essere
cordiale. Lei mi ignorò. –Ti ripeto la domanda. Lo
conosci oppure no?- chiese
in un soffio. Io annuii, riluttante.
-Sì.
È mio padre- le sibilai
contro, cercando di mantenere la calma. Lei mi squadrò,
lanciandomi un’occhiata
veloce. –Ci assomigli- dopo aver fatto questa breve
considerazione, si frugò
nelle tasche, alla ricerca di qualcosa. Quella ragazza non mi piaceva,
e se mi
ignorava mi dava ancora più sui nervi. Dopo qualche secondo,
mi porse una
lettera. Io la fissai stranito, prendendole la lettera dalla mano.
–Consegnala in
fretta ai tuoi genitori- mi sibilò.
-Riferisci
a tuo padre- iniziò
lei voltandosi – che Shadow the Hedgehog e Blaze the Cat
andranno alla riunione
di tutto il gruppo – disse, prima di iniziare ad incamminarsi
nella direzione
opposta alla mia. Iniziò a correre, e sembrava andare alla
mia stessa velocità.
La fissai con la bocca spalancata. Non era possibile. Come poteva
riuscire ad
andare alla mia stessa velocità? Sembrava slittare sul
terreno. E…………. di che
incontro stava parlando? Mio padre non mi aveva accennato a niente di
simile. Guardai
attentamente la lettera. Aveva un timbro, che mi ricordava molto quello
delle
casate reali. Era un Chaos Emerald circondato dalle fiamme. Sbuffai,
sventolando la lettera. Eppure quella ragazza mi ricordava qualcuno.
Guardai fisso
davanti a me. Dovevo scoprire chi era quella ragazza, il cui pensiero
non mi
lasciava la mente. Avevo bisogno di informazioni. E ne avevo bisogno in
quel
momento.
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Capitolo 2 *** Lettera ***
Dash
Aprii
la porta della nostra villa
di scatto, producendo un suono simile ad un cigolio. Stranamente, non
sentivo
nessuno che urlava preso da una crisi di nervi, ne vedevo traccia delle
mie
sorelle. Abbassai un orecchio, quasi intimorito da quel silenzio.
–Papà?-
chiamai, cercando una qualche traccia di mio padre. Sentii dei passi,
venire
dal piano di sopra. –EMILY!- urlò, una voce a me
troppo familiare. Sospirai, esasperato.
Ed ecco che le mie sorelle ricominciavano a litigare. Vidi correre
giù dalle
scale bianche Emily, una riccia rosa, praticamente uguale in tutto e
per tutto
a mia madre. Aveva degli aculei corti e mossi, il viso grazioso ed un
sorriso
dolcissimo, con degli occhi azzurri come il mare. Era la
femminilità fatta a
persona, come diceva l’altra mia sorella, Sunny. Dopo qualche
secondo, vidi
anche lei correre giù dalla scalinata, mentre cercava di
acchiappare sua
sorella. Sunny, al contrario di Emily, era di un azzurro chiaro, aveva
gli
aculei lunghi e ordinati, e il viso le risplendeva, grazie ai
meravigliosi
occhi color smeraldo. Aveva un carattere molto più maschile
rispetto ad Emily,
cosa che quest’ultima non rispettava affatto.
-EMILY!-
strillò di nuovo Sunny.
Sbuffai, quando l’acchiappò. –Emily,
ridammi subito i guanti!- strillò. Io le
guardai, divertito. Emily scosse la testa. –Stanno benissimo
con gli abiti che
voglio mettere per stasera!- sibilò, cercando di scollarsela
di dosso. Le
guardai stupito.
-Aspettate.
Cosa c’è questa
sera?- chiesi, strappando dalle mani di Emily i guanti rubati. Lei mi
fece la
linguaccia. Sunny riprese quello che le apparteneva, rimirandoseli
quando
furono nuovamente sulle mani della padrona.
Poi
mi lanciò un’occhiata. –Beh,
c’è l’incontro con tutti gli amici di
papà. Te ne sei scordato?- mi chiese,
guardandomi divertita. Io abbassai le orecchie. –No. Io non
ne sapevo
assolutamente niente- decretai, incrociando le braccia. Sunny mi
guardò
scettica. – Eppure quando papà ce l'ha detto,
eri presente anche tu
all’appello- disse con fare ironico. io alzai un
sopracciglio. –O almeno.
C’eri, finché non sei schizzato via dalla porta
correndo prima che papà potesse
finire la frase- rise, mettendosi le mani sui fianchi. Io roteai gli
occhi.
Ecco perché non lo sapevo.
-Beh,
vai a preparati no?- disse
Emily, prima di guardare Sunny con aria sognante.
–Sarà pieno di ragazzi
carini!- disse, con un tono assolutamente sdolcinato, che fece
sogghignare
Sunny. –Certo, come no- disse, cercando di evitare il
discorso che le sarebbe
costato la sua dignità. Solo dopo qualche minuto, mi accorsi
di avere ancora la
lettera in mano. Prima che potessi parlare, un suono di voci mi
distrasse.
-Siamo
tornati!- urlò la voce
allegra di mia madre. Io e le mie sorelle andammo a salutarli,
raggiungendoli
nell’ingresso posteriore. Appena vidi mio padre, non riuscii
a trattenere una
sonora risata. Teneva miriadi di borse in mano. le appoggiò
tutte in malo modo
per terra, dirigendosi verso il divano. Ci si buttò sopra,
sbuffando.
-Ricordatemi,
di non accompagnare
mai più vostra madre a fare compere- disse, con un tono
stanchissimo. Io lo
guardai divertito. In quelle condizioni, nessuno avrebbe pensato che
quel
riccio potesse raggiungere la velocità del suono in pochi
secondi.
-Papà-
lo richiamai, prima di
scordarmelo. – Oggi ho incontrato una ragazza che mi ha dato
questa- dissi,
porgendogli la lettera. Lui la guardò stranito.
–Dice che dei certi Shadow e
Blaze, verranno all’incontro- dissi, sperando di non aver
dimenticato niente di
importante.
Il
volto di mio padre si
illuminò, mentre leggeva il foglio di pergamena. Dopo
qualche breve momento,
finì la lettura. –Quindi il mio caro amico Emo-Hog
ha messo su famiglia- disse,
ridacchiando. Mia madre lo fissò con fare interrogativo.
–Shadow e Blaze si
uniranno alla festa- spiegò, con il sorriso beffardo che lo
distingueva da
chiunque.
-Avrò
visto soltanto un paio di
volte i loro figli- disse mia madre, con fare pensieroso. Emily ci
fissava,
interdetta. –Mi state dicendo che quel riccio con la
pelliccia nera, che ci
avete mostrato in qualche
foto………….ha un figlio?-
chiese, sognante. Sunny
scosse la testa, esasperata. –Riesci a pensare soltanto ai
ragazzi. Pensa a
qualcosa di più interessante!- esclamò
quest’ultima. Mio padre ridacchiò.
–Piuttosto, Dash. Vai a farti una doccia. Ne hai bisogno-
disse, notando il
sudore che mi imperlava la fronte. Io annuii, dirigendomi verso il
bagno.
Eppure, quella ragazza mi era tremendamente familiare. Scossi la testa.
Ma cosa
me ne importa? Era soltanto una persona sgradevole e per niente
piacevole,
visto il modo in cui mi aveva trattato. Ma non potevo assolutamente
negare, che
il pensiero di quella ragazza mi attirava. Non sapevo chi era, ne cosa
voleva.
Ma ero certo, che in qualche modo sarei riuscito a ritrovarla, e magari
ad
avere un incontro meno turbolento con lei.
Note
d’autore: Salve! Allora,
spero che questa storia sia di vostro gradimento, e di dirmi quello che
ne
pensate. Grazie mille!
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Capitolo 3 *** Successori al trono ***
Althea
Slittavo
velocemente sul terreno,
desiderosa di ritornare in fretta alla mia dimensione. Non era stata
una delle
mie giornate migliori, questo decisamente no. Mi ero scontrata con
un’idiota
che sosteneva di essere il figlio del riccio che cercavo. Mi chiedevo
come mai
non potesse andarci mio padre di persona a risolvere le sue questioni.
Sbuffai,
infastidita. Certo, sapevo che sia lui che mia madre avevano dei
compiti da
rispettare, come sovrani del regno. Ma non vedo il motivo per non
mandarci mio
fratello a cercare questo fantomatico ‘Sonic’. Il vento faceva agitare al
vento i miei
aculei, mentre correvo alle mie solite velocità, grazie agli
stivali che mi
aveva gentilmente costruito Marine, e li aveva creati con
funzionalità simili
ai pattini di mio padre.
Dopo
qualche minuto di corsa,
trovai finalmente il portale, che mi avrebbe dovuto riportare nella mia
dimensione. A casa mia. Rallentai, quando arrivai nelle sue vicinanze.
Mi
fermai a qualche passo da esso. Rilasciava energia di secondo in
secondo, e si
poteva sentire distintamente il potere che emanava.
Entrai
con passo spedito nel
portale, ignorando la sensazione di calore che mi bruciava il petto.
Non vidi
niente, tranne una luce accecante, che appariva ogni qual volta
attraversassi
un portale. Chiusi gli occhi, in attesa che quella luce sparisse.
Quando li
riaprii, non c’era più
nessuna luce. Ero
nell’officina di Marine, uno dei posti più
confusionari che avessi mai visto.
Ma profumava di casa mia, e la cosa mi bastava. Diedi una veloce
occhiata in
giro, per cercare una qualche traccia della ragazza che consideravo
come una
zia. Guardai le foto che Marine conservava. Raffiguravano lei e mia
madre,
quando era più giovane. In alcune foto, c’era
anche quel riccio blu che mio
padre mi aveva incaricato di cercare.
-Althea!-
mi sentii chiamare,
distraendomi. Mi voltai verso la porta, notando che la ragazza procione
mi
sorrideva radiosa. Rispetto a com’era da giovane, era
cambiata molto. Adesso
teneva i capelli sciolti, che nonostante tutto le davano un aspetto
più maturo.
Aveva sempre la gioia dipinta sul volto, questo non sarebbe cambiato.
–Speravo
che tu fossi tornata! Tuo padre mi ha detto di venirti a cercare-
disse, con un
tono perennemente divertito. Io annuii, leggermente riluttante. Mi
diressi
all’uscita dell’officina, e richiusi la porta,
sospirando. Certe volte, quella
ragazza mi dava i nervi senza neanche aver fatto niente. Non riuscivo a
capacitarmi come una persona avesse così tanta voglia di
parlare. Infondo,
nella mia famiglia non si parlava molto, e sia io che mio fratello
avevamo un
carattere chiuso e distante. Anche se lui in dose minore, in un certo
senso.
Infondo, colei che sarebbe dovuta diventare regina ero io. O almeno, le
aspettative erano quelle. C’era una continua battaglia tra me
e mio fratello. Lui
sosteneva di essere il più
adatto a diventare re, dato che io ero un’incapace, come dice
lui. Scossi la
testa, cercando di non innervosirmi. Non dovevo far scaturire le
fiamme. Non ne
avevo mai avuto il controllo, diversamente da mio fratello, che
riusciva a
domarle alla perfezione.
Camminavo
per gli enormi corridoi
del castello, in cerca dei miei genitori. –Papà
è nella sala del trono- disse,
una voce assolutamente calma e scura. Io mi voltai, vedendo mio
fratello Alexis
in tutta la sua bellezza. Tante, troppe, erano le ragazze che gli
correvano
dietro, come facevano con mio padre. Mio fratello aveva i colori
invertiti a
quelli di nostro padre. Aveva la pelliccia completamente rossa, con un
ciuffo
ribelle sulla fronte. La
pelliccia che
aveva sul petto era completamente nera, come le strisce sulle spine,
rivolte
all’insù, simili a quelle di mio padre. Aveva gli
occhi di colori diversi dai
miei, uno color caramello, pieno di variazioni di tonalità,
e l’altro rosso,
come quelli di nostro padre. Portava una bandana sul collo, di un
marrone
scuro. Se si guardava attentamente, tra le spine si potevano trovare
delle
sfumature lilla, così leggere da non potersi vedere
-Grazie,
Alexis- dissi velocemente,
dirigendomi verso la sala del trono, con mio fratello alle calcagna.
–Hai
trovato il rivale di nostro padre?- chiese. Io annuii. –Se
è come il figlio,
non sarà niente di che- lui mi guardò con fare
interrogativo, ma non gli
lasciai il tempo di farmi domande. Non avevo voglia di parlarne, ne di
pensare
di nuovo a quel
riccio così idiota da
osare guardarmi e a parlarmi amichevolmente. Aprii gli enormi portoni
che
portavano alla sala dove risiedeva mio padre.
Non
dovetti neanche guardarmi
intorno. Lui era al centro della stanza, insieme a mia madre. Sembrava
non
aspettare altro che me. Trattenetti per un attimo il respiro, senza
rendermene
conto. Si può dire che mio padre era una figura imponente, e
certe volte mi
faceva questo effetto. Lui aveva il mio completo rispetto, ed ero molto
legata
a lui. Se c’era una cosa che avevo ereditato da lui, era il
perfetto controllo
del Chaos.
Lui
fece un sorriso, guardandoci.
La mantella rossa sulle sue spalle, si muoveva impercettibilmente, e la
corona
che lui e mia madre indossavano, risplendeva, ricordandoci perennemente
cosa
eravamo, e cosa dovevamo diventare.
-Mi
hai fatto chiamare, papà?-
chiesi, avvicinandomi ai miei genitori. Lui annuì, insieme a
mia madre. -Hai consegnato
il messaggio a Sonic?- mi chiese la voce delicata di mia madre. Io
abbassai un
orecchio. –L’ho consegnato ad il riccio che
sosteneva di essere suo figlio-
dissi, sperando di non aver creato problemi. Mio padre continuava a
fissarmi. –Che
aspetto aveva?- chiese. Io ci riflettei un attimo. –Aveva un
carattere
impertinente, sbruffone. Era blu, con le spine disordinate- dissi
controvoglia,
non volendomi ricordare l’incontro.
Mio
padre sbuffò. –È sicuramente
suo figlio- sibilò. Mia madre ridacchiò.
–E come ti è sembrato?- chiese mio
fratello, divertito. Io gli lanciai un’occhiataccia, mentre
mi incamminavo vero
l’uscita della sala. –Come mi è
sembrato?- chiesi, con un tono nervoso. Sentivo
gli sguardi dei miei genitori su di me. – Una
nullità totale- sibilai. Mi
voltai un attimo. Mio padre sembrava quasi
sollevato dalla mia risposta.
-Bene.
Andate a prepararvi,
ragazzi- ci congedò lui, facendoci un cenno. Noi annuimmo.
Mentre camminavamo,
non potei fare a meno di digrignare i denti. Il pensiero di quel riccio
mi
innervosiva terribilmente. Quel genere di persona che cerca di essere
amico di
tutti, sempre con il sorriso sulla faccia.
Quelle
persone che possono fare
quello che vogliono, che non erano costrette a diventare un qualcuno
soltanto perché
le persone si aspettavano questo da te. Perché tutto un
regno, se lo aspettava.
Scossi la testa, cercando di levarmi questi pensieri dalla testa.
Quella sera
avrei rivisto quel riccio. E gli avrei mostrato, che non bisognava
essere
sempre amichevoli e con il sorriso sulle labbra. Sentii delle scintille
di
fiamme sprizzarmi fuori dalle mani. Si. Quella sera gli avrei mostrato
quanto io
fossi amichevole nei suoi confronti.
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Capitolo 4 *** Incontro ***
Dash
-Allora?
Come sto?- mi chiese
Emily, guardandosi allo specchio. Io sospirai, esasperato.
–Sarà la quinta
volta che me lo chiedi, e ogni volta ti vesti diversamente. Stai bene,
ok?-
chiesi, stufo di aspettare le mie sorelle. Ero seduto sul letto di
Sunny, che
stava aspettando insieme a me che Emily finisse di provarsi ogni tipo
di
vestito che ci fosse in casa. La riccia rosa sbuffò.
–Non trovo niente che mi
stia bene. È meglio se mi cambio- disse, dandosi
un’ultima occhiata allo
specchio. Sunny sembrava esasperata quanto me. –No, ti prego.
Stai benissimo.
Sei magnifica- la supplicai. Emily ridacchiò, soddisfatta.
Io appoggiai il muso
sulle mani, in attesa che nostro padre venisse a chiamarci.
Dopo
qualche minuto, finalmente
sentimmo un bussare alla porta. Nostra madre spunto oltre la soglia
della
stanza, sorridendoci. –Siete pronti?- ci chiese, guardandoci.
Io mi alzai dal
letto, stirandomi i muscoli delle gambe, annuendo. Mi diressi
velocemente giù
per le scale, trovando nostro padre che ci aspettava.
-Eccomi,
in tutta la mia
straordinaria bellezza!- decretai, alzando le braccia. Emily
ridacchiò. –La tua
bellezza inesistente?- io ignorai la sua affermazione. –Ho
molto fascino, e tu
lo sai- le sibilai contro. Emily mi sorrise, con fare di scherno. Prima
che
potesse dire qualcosa, mia madre ci interruppe.
-Allora,
gli ospiti stanno per
arrivare. Vi chiedo di essere educati- disse, con un sorriso. Poi
iniziò a
fissarmi. -È
chiaro il concetto, Dash?-
mi chiese. Io abbassai un orecchio, ma annuii, senza controbattere.
Quando
sentii bussare alla porta, mi diressi velocemente li. Dopo che la ebbi
aperta,
mi ritrovai davanti gli amici di mio padre, Tails e Knuckles. Li
guardai con un
sorriso. –Dash! Da quanto tempo non ci vediamo!-
esclamò Tails, mettendomi una
mano tra le spine. Io ridacchia, divertito. Adoravo quei due, erano
praticamente due zii. Mio padre ci raggiunse immediatamente, salutando
con
calore i suoi due amici. –Cavolo Tails. Continui a crescere-
esclamò mio padre.
Knuckles ridacchiò. –Sonic, ormai non siamo
più i diciottenni che vanno a
sventare i piani di Eggman- disse l’echidna, con un sorriso
malinconico. Sonic
annuì, d’accordo con le sue parole.
-Adesso
bisogna lasciare spazio
alle generazioni più giovani- disse quest’ultimo,
pensieroso. Io ridacchiai.
Poi, il volto di mio padre sembrò illuminarsi.
–Qualche notizia dell’Emo-Hog?-
chiese, guardando Tails. Lui scosse la testa. Poi, sul volto di mio
padre
comparve un sorriso malizioso, mentre guardava Knuckles.
-Allora,
testa calda. Mi è giunta
voce che hai messo su famiglia- disse, con il sorriso sornione.
Knuckles
distolse lo sguardo. Io ridacchiai, notando il suo imbarazzo.
–Quindi adesso
Rouge non ti dovrebbe più rubare il Master Emerald-
esclamò mio padre, quasi
ebbe un’illuminazione. Knuckles cercò di coprirsi
la faccia, per non far notare
l’imbarazzo. –E dove sarebbe tua figlia?- chiese
sempre mio padre. Prima che
l’echidna potesse rispondere, notai qualcosa nel cielo, che
planò velocemente
verso la nostra porta.
-Eccoci,
Knuckie!- esclamò una
voce, quasi ad essere maliziosa. Io mi sporsi leggermente, per vedere
gli
arrivati. Al sentire quella voce, Knuckles si voltò. Alle
sue spalle, c’era la
donna che mio padre aveva detto si chiamasse Rouge. Al suo fianco,
c’era una
echidna bianca, con delle sfumature rosse sugli aculei, che ricadevano
morbidi
sulle spalle. Aveva degli occhi violacei, praticamente uguali a
quelli di
Knuckles. Stabilii che quella era sua figlia. Notai
anche che aveva delle forme prosperose.
Scossi la testa, cercando con tutte le forze di distogliermi da questi
pensieri. La ragazza mi rivolse un sorriso gentile, salutandomi. Io
ricambiai
il saluto, con uno dei miei soliti sorrisi. Si diresse verso di me,
presentandosi. –Ciao! Io sono Amethist- disse, con un sorriso
leggermente
timido. –Dash- dissi, presentandomi anche io. Nonostante
conoscessi abbastanza
bene Knuckles, non avevo mai conosciuto sua figlia. Le mie sorelle ci
raggiunsero, per presentarsi anche loro.
Prima
che potessimo aggiungere
altro, sentii uno strano rumore provenire dal giardino. Abbassai un
orecchio,
uscendo dalla porta insieme a mio padre. Vedemmo una specie di portale,
quasi
accecante. Mi portai una mano davanti agli occhi, per coprirmi la
visuale.
Quando
credetti che la luce fosse
scomparsa, mi scoprii gli occhi. Davanti a me, vidi delle persone da
quello che
credevo fosse un portale. Il primo, era un riccio dalla pelliccia
completamente
nera, e gli occhi rossi. La mantella che portava sulle spalle
svolazzava nel
vento. Mio padre sorrise, entusiasta. –Emo-Hog!-
urlò correndogli incontro. –Shadow,
da quanto è, circa vent’anni che non ci vediamo?-
gli chiese, mettendogli una
mano sulla spalla. Il riccio striato di rosso lo scostò.
– Tra gli anni
migliori della mia vita- disse, con un tono distaccato. Mio padre
ridacchiò. –E
tu non sei cambiato per niente- stabilì, con un sorriso
beffardo sul volto.
Dopo qualche secondo, ci fu un’altra luce, che
durò pochi secondi. Dal portale,
apparirono una gatta color lilla con una ragazza procione, che ci
saluto
gioiosa.
-Blaze!
Marine!- esclamò di nuovo
mio padre, andando a salutarle. Mi misi davanti al portale,
incuriosito. Lo
fissai per qualche secondo. Mi sembrava strano come potessero esistere
certe
cose, utilizzando il potere del Chaos. Sentii dei rumori,
dall’altra parte del
portale.
Prima
che potessi reagire,
qualcosa mi diede una forte spinta, che mi fece chiudere gli occhi di
scatto.
Quando li riaprii, notai qualcosa che non mi sarei mai aspettato.
Davanti a me,
si stagliava la stessa ragazza che mi era caduta addosso poche ore
prima,
dandomi dell’idiota. Lei mi fissava stoica, per niente
sorpresa del fatto di
rivedermi li in quel momento.
-Ciao,
idiota- mi sibilò contro,
guardandomi con un’espressione indecifrabile. Io abbassai
leggermente un
orecchio. Si può sapere che cosa aveva questa ragazza? Il
riccio dalla
pelliccia rossa che le stava accanto, mi fissava quasi annoiato, con la
bandana
che gli ricopriva una parte del muso. Sorrisi ad entrambi, cercando di
essere amichevole.
–Benvenuti! Io mi
chiamo Dash the Hedgehog. Voi siete?- chiesi, guardandoli con la
simpatia nello
sguardo. La ragazza abbassò le orecchie.
-Ascoltami
riccio. Non mi importa
niente di chi sei, e a te non importa niente di chi sono io. Quindi,
levati di
mezzo- disse, scostandomi con un braccio. Io la fissai stupito,
rivolgendo uno
sguardo al riccio che poco fa era vicino a lei. Lui alzò le
spalle. –Tanto mia
madre mi costringerebbe comunque a fare la vostra conoscenza. Io sono
Alexis
the Hedgehog- esclamò, con un tono svogliato ma porgendomi
la mano. Dovevo
ammettere che per la maggior parte delle ragazze, lui sarebbe sembrato
il
ragazzo perfetto. Notai
che aveva dei
guanti senza dita, con una targhetta in prossimità del
polso, che tintinnava
ogni qualvolta lui si muovesse. Io lo guardai riluttante. Quei due non
mi
piacevano, ma decisi di ricambiare la stretta di mano. Lui la strinse
più forte
del dovuto, con un sorriso non proprio rassicurante. Eppure con quella
ragazza,
sembrava molto più gentile. Decretai che quelli non erano
affari miei, e mi
allontanai, dirigendomi nuovamente in casa mia.
Le
mie sorelle stavano parlando
con quell’echidna bianca di prima, e mi diressi verso di
loro. Dopo qualche
minuto, vidi entrare il riccio dalla pelliccia nera e la gatta lilla,
seguito
da quelli che dovevano
essere i loro figli,
vista la tremenda somiglianza. Mia madre, appena avvistata quella che
mio padre
diceva si chiamasse Blaze, le si lanciò contro,
stritolandola in un abbraccio.
-Blaze,
è da vent’anni che non ti
vedo!- disse, continuando a stringerla. La gatta sembrava respirare a
fatica ed
era a disagio, ma stette ancora per qualche secondo nella morsa di mia
madre. –Sì.
In effetti sentivo la tua mancanza- disse la gatta con un tono pacato,
sorridendole.
Mia
sorella Emily, appena vide il
riccio che diceva di chiamarsi Alexis, tenne la bocca aperta.
–E quello chi è?-
chiese, con un tono sognante. Il riccio ci notò, e stava
sorridendo malizioso. Dopo
qualche secondo, strizzò l’occhio alle mie due
sorelle. Emily sembrava
impazzita, mentre Sunny non fece una piega. –Si
può sapere che cosa vuole?-
chiese, in un sibilo. Io le ignorai completamente. Notai che il riccio
chiamato
Shadow, o così aveva detto mio padre, si stava dirigendo
verso Tails con un’aria
preoccupata. Abbassai un orecchio. Sentivo soltanto spezzoni del
discorso, e
quello di cui parlavano mi inquietava leggermente. Parlavano di
immortalità, e
Tails annuiva, come se fosse d’accordo. Scossi la testa,
cercando di non
origliare delle faccende che non erano le mie.
Vidi
la gatta nera dirigersi in
giardino, cosa che mi incuriosì leggermente. Non mi fidavo
di lei, e dicerto
non l’avrei lasciata aggirarsi per casa mia come se niente
fosse. Quando uscii
dalla porta, di lei non c’era più traccia.
-Forse
il concetto ‘levati di
mezzo’ non ti è ben chiaro, vero riccio?- mi
chiese la sua voce. Mi guardai un
attimo intorno. La voce veniva dall’alto, anche se mi
sembrava strano. Avanzai di
qualche passo, vedendo una sagoma scura sulla punta di un albero. Alzai
lo
sguardo, notando che quella ragazza misteriosa mi stava fissando con i
suoi occhi
quasi inquietanti.
-Sai,
non è il mio passatempo
preferito farmi chiamare idiota dalle belle ragazze. E comunque questa
è casa
mia- sibilai, con un tono leggermente divertito. Lei sembrava
innervosita dalla
mia risposta. –Tu dovresti temermi. E dovresti iniziare a
farlo ora- disse a
bassa voce, scendendo con un salto dall’albero, e atterrando
a pochi metri
lontana da me. Io sogghignai.
-Come
mai quest’aria di sufficienza?-
le chiesi, notando la sua rabbia crescere.
Iniziai a sentire un forte odore di bruciato, e il fumo
crescere
intorno a noi due.
– E io non temo
nessuno. Neanche
una come te- mormorai. Lei
ghignò, in un modo da incutermi un leggero timore.
-Questo-
iniziò, con le fiamme
che crescevano, intorno a noi. –Lo vedremo-
decretò, con l’energia che le
sprizzava fuori dal corpo. Io feci un passo avanti, mettendomi in
posizione per
correre.
–Non
vedo l’ora- dissi, con un
sorriso. Quella ragazza era pazzesca. Emanava una forza incredibile, e
io non
aspettavo altro che metterla alla prova.
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Capitolo 5 *** Perdere il controllo ***
Dash
Mi
bruciavano gli occhi a causa
del fumo, che riduceva notevolmente la mia visuale. Ma
l’oggetto delle mie
attenzioni in quel momento, era ben visibile. La gatta nera stava a
qualche metro
da me, fissandomi furiosa. –Tu
non hai
la più pallida idea di quello che stai per fare, riccio-
sibilò, stringendo i
pugni con forza. Io ridacchiai. –Oh, tu dici? Io invece credo
che stia per
divertirmi molto- le ghignai contro. Si stava innervosendo, e si
vedeva. –Bene-
mormorò, avvicinandosi velocemente a me, e tirandomi un
pugno in pancia, che
non schivai. Faceva un male tremendo. Mi mancò il respiro
per quella che sembrò
un eternità, e mi allontanai velocemente. Quello che era
più strano, era che il
punto in cui mi aveva colpito bruciava, come se avessi toccato del
fuoco.
Le
fiamme intorno a noi
continuavano a crescere, facendomi nonostante tutto sogghignare. Avevo
un’avversaria della mia altezza. Si avvicinò
nuovamente, per provare a colpirmi
con un pugno. Le afferrai il braccio poco prima che mi sfiorasse, e le
tirai un
calcio sulla schiena. Lei sbarrò gli occhi, ma si
dimenò per liberarsi dalla
mia stretta. Iniziai a farla girare, con tutta l’intenzione
di mandarla a
sbattere contro un albero. Abbassai le orecchie, quando notai che il
braccio
che le stavo stringendo aveva preso fuoco. La rilasciai di scatto,
iniziando a
correre velocemente intorno a lei. Non ne sembrava disorientata, e si
bloccò
per qualche secondo. Prima che potessi attaccarla, lei si
voltò, lanciandomi
una palla di fuoco che mi colpì il braccio. Faceva un male
tremendo, terribile.
Ma lei non sembrava affaticata, aveva una strano luccichio negli occhi,
quasi
come se tutto questo la divertisse. La colpii con un pugno in faccia, e
lei
cadde a terra per qualche secondo. Si rialzò immediatamente.
Le sanguinava una
guancia e il naso. Lei si era allontanata di qualche passo. Io le corsi
incontro, cercando di assestarle un colpo. Lei mi mise una mano sulla
spalla,
scavalcandomi. Prima di poter reagire, lei mi tiro un calcio in testa,
facendomi crollare a terra. Mi alzai, leggermente affaticato. Quando mi
avvicinai nuovamente a lei per colpirla, non la vidi. Il fumo mi
copriva la
visuale, e mi rendeva difficile respirare. Mi bloccai di colpo, quando
dietro
di me sentii una voce.
-Ti
stai divertendo?- mi chiese
lei. Prima che potessi reagire, mi tirò una gomitata sul
collo, che mi fece
strisciare sul terreno da quanta forza aveva usato. Mi alzai come se
niente
fosse, ignorando i graffi che avevo sul corpo. Mi posai una mano sul
collo,
facendolo scrocchiare. – Ok. Quello ha rimesso a posto le
cose dal calcio di
prima- dissi, con un ghigno. Lei si infuriò ancora di
più, creando una vampata
di fiamme. Mi strinsi il braccio colpito poco prima dal fuoco. Stava
sanguinando. Mi girai, e la vidi inginocchiata, che respirava
affannosa.
Abbassai un orecchio. Che cosa le prendeva? Lei mi rivolse uno sguardo
irato.
-
Tu sei sotto il mio potere.
Devi tornarci- sibilò. Sembrava parlare con se stessa, e non
con me. Notai che
il fuoco aveva chiuso ogni via di fuga, e che continuava a crescere,
creando un
caldo insopportabile. Non riuscivo a respirare, e la vista mi si
appannava. Una
paura tremenda mi si instaurò nel petto. –Cosa
stai facendo? Andiamocene- le urlai,
spaventato. Lei non reagiva, stava immobile, fissando il terreno.
–Non lo
controllo. Non più-
mormorò lei,
completamente presa dal panico. Vidi
le
fiamme farsi più potenti, più vive. Quindi era
questo che le accadeva quando
era nervosa. Mi guardò di nuovo, con la determinazione pura
negli occhi. Si
alzò di nuovo, dirigendosi verso di me e tirandomi un pugno
sul muso. Non
intendeva arrendersi, quindi. Le tirai un calcio, che lei non
parò. Il cerchio
di fiamme continuava a stringersi, limitando i nostri movimenti. Sapevo
che
eravamo in un grande pericolo, ma nessuno dei due smetteva di attaccare
l’altro. Quando una delle fiamme mi toccò una
gamba, urlai dal dolore. Mi
chinai su un ginocchio, incapace di stare in piedi. Se queste fiamme
non
smettevano di prendere il controllo, ci avrebbero bruciati vivi. Tirai
un
ultimo calcio con la gamba sana alla ragazza , che si
allontanò il più
possibile.
La
gatta si stringeva la testa,
cercando di calmarsi. –DASH!- sentii
urlare. Era la voce di mia madre, ma non riuscivo a
scorgerla per il
troppo fumo. Sentii quello che sembrava uno schiocco di dita, e le
fiamme si
abbassarono all’improvviso. Il fumò
diminuì notevolmente, fino a diventare
quasi trasparente. Dopo qualche secondo, le fiamme si dileguarono
completamente,
lasciando soltanto cenere. –Abbiamo visto il fumo- disse mio
padre, guardandomi
stupito.
Vidi
mia madre che mi fissava
infuriata, e quel riccio blu di mio padre che ne sembrava quasi
spaventato. Con
la coda dell’occhio, vidi i genitori di quella ragazza.
-Dash
the Hedgehog! Vieni subito
QUI!- strillò mia madre, distruggendomi i timpani. Mi
avvicinai a lei, cercando
di non toccarmi le bruciature.
-
Althea- pronunciò la madre
della ragazza. Althea? Quindi era questo il suo nome? –DASH!
SBRIGATI!- strillò
mia madre, distraendomi. Appena fui a qualche passo da lei, mi
tirò un ceffone.
Sentii un bruciore sulla guancia, che si aggiunse alle altre ferite.
–Si può
sapere che cosa ti è preso?! Ti sei azzuffato con una
ragazza! Sei
completamente………….- mi si
avvicinò nuovamente, tirandomi un altro schiaffo.
–IMPAZZITO?!- Mi urlò contro. Mio padre non diceva
niente, ma guardava mia
madre.
-Amy,
forse stai………….-
tentò lui
di parlare, ma mia madre lo interruppe. –Tu stai zitto!- gli
urlò contro. Mio
padre sbarrò gli occhi, indietreggiando leggermente.
–È solamente colpa tua se
è così indisciplinato!- gli strillò
contro. Approfittai di quel momento di
distrazione, e rivolsi una veloce occhiata alla ragazza. Stava con il
capo
chino, mentre i suoi genitori la guardavano severi. Sospirai. Di certo
non ci
eravamo messi in una bella situazione. Questa, era una certezza.
Althea
Le
ferite facevano male. Molto.
Ma mai quanto lo sguardo dei miei genitori. Sentivo le grida della
madre del
riccio, ma in quel momento non me ne poteva importare di meno. Alzai lo
sguardo, incontrando gli occhi di mio padre, che in quel momento
sembravano
spenti. Abbassai le orecchie, a disagio.
-Althea-mi
richiamò lui. –Ti
rendi conto di quello che hai fatto?- mi chiese, con un tono pacato.
Sospirò.
–Tu non sei come tutte le altre ragazze, Althea. Tu tra poco
tempo diventerai
una regina. Hai dei poteri, che non sono sotto il tuo controllo, e che
possono
essere potenzialmente pericolosi per le persone che ti stanno accanto-
notai lo
sguardo perso di mio padre, anche se mi guardava negli occhi.
–Noi non vivremo
per sempre. Io, non ci
sarò per
sempre- mia madre gli rivolse un’occhiata fugace, quasi
cercando di non farsi
vedere da me.
-Lo vuoi capire che razza di
responsabilità hai
sulle spalle? Un popolo si affida a te, per la sua salvezza- mi
sibilò contro.
-Se
ti lasci sempre coinvolgere
per un’qualcosa che ti possa far perdere il
controllo………….- si
interruppe un
attimo, come a prendere coraggio sul dire qualcosa. – Allora
non sarai mai
adatta a diventare una regina - sibilò. Sbarrai gli occhi.
Sentivo un dolore
acuto nel petto, quasi come se si fosse rotto qualcosa dentro di me.
Senti
l’angoscia crescermi dentro. Avevo un groppo in gola, che
quasi mi impediva di
parlare. Mi limitai ad annuire.
-Se
non riesci a controllarti, a
tenere sotto controllo i tuoi poteri, allora non potrai davvero
diventare la
nuova guardiana. Per essere una regina, devi avere i giusti ideali e
avere la
potenza necessaria per poter proteggere il tuo popolo. Ma non in questo
stato-
Disse a voce bassa. Non aveva urlato, ma le sue parole la avevo
assimilate dalla
prima lettera fino all’ultima . Mio padre
indietreggiò, quasi avesse notato
qualcosa.
-Ora devo andare- disse, dandomi
le spalle e iniziando a rientrare nella casa. Lo aveva detto con uno
strano
tono di voce, quasi preoccupato. Aveva uno sguardo vacuo, e la cosa non
mi era
sfuggita. Strinsi i pugni. Mia madre mi lanciò
un’occhiata, e poi seguì mio
padre all’interno della villa. Sospirai, lanciando
un’occhiata al riccio.
Io
ero stata cresciuta
allenandomi fin dai primi di anni di vita, sempre con l’idea
di dover diventare
una regina. Mi sono isolata dagli altri, a causa dei miei poteri senza
controllo. E ora
sarebbe potuto
diventare tutto inutile?
Mi
sedetti sul terreno. Dovevo
imparare a mantenere il controllo dei miei poteri. Lo avrei fatto per
il mio
regno. Per mio padre.
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Capitolo 6 *** Immortalità ***
Shadow
Camminavo
con passo spedito per gli
enormi corridoi del castello, con i miei passi che risuonavano nel
silenzio più
totale. Vagavo con lo sguardo, in cerca di mia moglie. Avevo bisogno di
lei, e
ne avevo bisogno in quel momento esatto. Dovevo parlarle di una
faccenda
importante, riguardo al discorso che avevo fatto qualche giorno prima
con
Tails. Una fitta di preoccupazione mi colpì il petto.
Dopo
qualche minuto di camminata,
mi fermai davanti all’enorme balconata, che dava una vista su
tutto il regno. Vidi
la sagoma della mia consorte, che restava immobile mentre contemplava
le enormi
distese d’erba. Mosse leggermente un orecchio, cosa che
significava che aveva
sentito la mia presenza. –Blaze- la richiamai, mentre mi
avvicinavo a lei. Lei si
voltò, guardandomi. Mi misi al suo fianco, appoggiandomi al
grande balcone. –Ti
devo parlare- mormorai, passandomi una mano sul muso, da quanto ero
sfinito. Lei
mi lanciò un’occhiata interrogativa. –Shadow,
ti senti bene? Sei pallido- mi chiese, con uno strano tono di voce. Io
annuii. –Dove
sono i ragazzi?- chiesi, guardandomi intorno. Speravo che non fossero
nelle
vicinanze. Blaze sospirò. –Sono usciti, credo.
Perché?- io incrociai le braccia
al petto. –Meglio- mormorai.
-Devo
dirti una cosa importante-
dissi, cercando di tornare sul discorso. Blaze annuì, pronta
per ascoltarmi. Presi
un lungo respiro, cercando di calmarmi. – Ho deciso di
rimuovere ogni traccia
della mia immortalità- dissi, a bassa voce. Blaze
sbarrò leggermente gli occhi.
–Ne ho parlato con Tails, quando siamo andati a casa di
Sonic. Ha detto che
forse ci potrebbe essere un modo per farlo- Blaze sembrava pensierosa.
-Il
problema- continuai. –È che
ci potrebbero essere degli effetti collaterali- dissi, fissando il
pavimento. Blaze
sospirò. –Sei mio marito. E sostengo ogni tua
scelta. Ma…………. Sei sicuro
di
volerlo? È una scelta importante. Insomma, devi guardare
ogni lato positivo e
negativo- io scossi la testa. –Ci ho pensato. Ne sono certo.
Non voglio vedervi
morire prima di me- mormorai, stringendo la presa che avevo sulle mie
braccia.
Lei
mi mise una mano sulla spalla,
quasi a rassicurarmi. Feci un debole sorriso. Mi affacciai sul balcone.
–E questo
mi preoccupa. Se morirò, Althea un giorno
diventerà regina. Ma nelle condizioni
in cui è ora, non ci riuscirebbe mai- mormorai, con la
preoccupazione che
cominciava a crescermi nel petto. Blaze sospirò.
–Di questo non ti devi
preoccupare. Lei è abbastanza matura, e capirà
che l’unico modo per controllare
i suoi poteri è allenarsi. E con il tempo ci
riuscirà- disse, guardando l’orizzonte.
Io annuii, preso dai miei pensieri.
-Grazie,
Blaze- dissi, a bassa
voce. Ora, l’unica cosa di cui mi dovevo preoccupare, era la
speranza che Tails
riuscisse a trovare una soluzione per la mia immortalità. E
che i miei due
figli, riuscissero a diventare dei sovrani eccellenti.
Nel frattempo, in luogo oscuro e remoto…
Note d’Autore:
Salve a tutti! Allora, chiedo scusa se questo capitolo è un
po’corto, ma per
delle mancanze di tempo non sono proprio riuscita a fare di
più! Vi ringrazio
comunque!
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Capitolo 7 *** Ultima Speranza ***
Eggman
La
luce degli schermi dei
computer mi rischiarava il volto, riflettendosi sui miei occhiali. Il
rumore
dei macchinari meccanici risuonava nel laboratorio, dove alcuni di essi
erano
completamente fuori uso. Si poteva distinguere un leggero odore di
muffa, dato
l’inutilizzo da svariati anni di varie macchine. Le mie dita
scorrevano
velocemente sulla tastiera del computer, mentre ricercavo delle
informazioni. Cercavo
con gli occhi le le foto che avevo
fatto poco tempo prima, al Tempio di Chaos.
-La
sua cena, Dottor Eggman- mi
interruppe Orbot, mentre mi porgeva un panino. Lo afferrai senza
pensarci
troppo, e borbottai dei ringraziamenti. –Come procede il suo
piano?- mi chiese
Orbot, con quello sguardo doppiogiochista che lo aveva sempre
caratterizzato. Sentii
il nervoso crescermi nel corpo.
-Finché
Cubot non ci porta
conferma riguardo alle iscrizioni che abbiamo trovato, non riusciremo
mai a
saperlo! - strillai, cercando di riprendere la concentrazione. Orbot
fluttuò
qualche metro lontano da me, imprecando delle offese sottovoce,
probabilmente
contro di me. Sentii degli atri rumori metallici, avvicinarsi a me.
Cubot mi
apparì davanti, con le mani stracolme di fogli.
–Dottore, abbiamo ricevuto
conferma della traduzione dei geroglifici. La prima versione che
abbiamo avuto
era corretta- disse quest’ultimo, dopo avermi passato i
fogli. Si sdraiò sul
pavimento, con fare svogliato. Dopo qualche minuto di silenzio, Cubot
parlò.
-
Quindi, crede che questa volta
filerà tutto liscio?- mi chiese. Io lo ignorai per qualche
secondo, mentre
cercavo di far apparire la traduzione delle iscrizioni
sull’enorme schermo del
laboratorio. Quando ci fui riuscito, ridacchiai. –Deve andare
tutto liscio. Questa
è la nostra ultima possibilità di far andare a
buon fine un piano- dissi,
rileggendo per l’ennesima volta le scritte sullo schermo.
Orbot
tentò di parlare, ma io lo
interruppi. –Sono consapevole del fatto che non mi sia
rimasto molto tempo da
vivere. Sto invecchiando, e sono stufo dei continui fallimenti che ho
ottenuto
nel corso degli anni. E se vogliamo attuare un piano in grande stile,
dobbiamo
farlo ora- spiegai, mentre gli occhi scorrevano velocemente sullo
schermo. –L’unica
cosa che ci serve per attuarlo, è il potere dei Chaos
Emerald. È per questo che
siamo dovuti andare ad esplorare le rovine. Ero sicuro che avremmo
potuto
trovare qualche indizio che ci avrebbe condotto fino alla loro potenza-
dissi,
pensieroso. C’era una parte, nelle iscrizioni, che mi aveva
colpito
particolarmente.
‘Colui che riunirà i sette
poteri del Chaos, e le loro pietre gemelle,
si innalzerà ad una forma divina superiore, e
otterrà poteri pari a quelli
delle pietre supreme, risvegliando il potere sacro che risiede in
esse’
-Dopo
essermi alleato con Nega,
anni fa, conobbi l’esistenza dei Sol Emerald, delle pietre
con capacità pari a
quelle dei Chaos Emerald. Potrebbero essere loro le pietre gemelle, e
in quel
caso dovremmo inviare delle truppe di robot nell’altra
dimensione, per riuscire a
raggrupparle tutte- sospirai, sovrappensiero. Avrei dovuto rubare sia
le pietre
del Sol, sia i Chaos Emerald contemporaneamente, per riuscire nella mia
impresa. Non potevo rischiare che il riccio blu e i sui figli venissero
ad impicciarsi
nei miei piani insieme a quella gatta e al riccio nero. Se avessi
attaccato le
loro dimensioni contemporaneamente, sarei stato in vantaggio. Non avrei
fatto
un attacco scoperto. Avrei dovuto agire in modo furtivo,
così da non allarmare
tutte le dimensioni immediatamente, ed avere più tempo per
la riuscita del
piano. In caso scoprano le truppe, non avrei esitato a distruggere il
luogo in
cui nascondono le pietre. La GUN, tiene i Chaos Emerald in diverse basi
separate, mentre nella dimensione del Sol le hanno divise in vari
templi. O almeno,
così avevo visto con la telecamera che costruii tempo prima,
in grado di spiare
la dimensione opposta alla nostra. Mi sorse una risata spontanea.
Questa volta,
non avrei esitato ad eliminare chi si fosse interposto sulla mia
strada, che
fosse stato Sonic oppure uno dei suoi figli.
-Ruberemo
le pietre
contemporaneamente, così che una dimensione non intervenga
per aiutare l’altra-
dichiarai. –A che punto siamo con il portale dimensionale?-
chiesi ad Orbot,
mentre esaminava alcuni fogli. Lui annuì, quasi pensasse a
cosa rispondermi. –È
quasi terminato, Dottore. Non manca molto tempo prima che sia ultimato-
disse. Gli
feci un cenno d’assenso. Sembravano tutti estremamente
impazienti di vedere la
riuscita di questo piano. Quella volta sarebbe filato tutto liscio,
Prima che
potessero parlare, li precedetti, urlando.
-Bene.
È tempo di accendere la
nostra ultima scintilla di speranza!-
Note d'Autore: Salve! Allora, prima di tutto mi scuso per il ritardo
nell'aggiornare, ma non avendo molto tempo non sono riuscita ad
aggiornare prima! Spero che successivamente
aggiornerò in tempo. Comunque, spero che la storia vi
piaccia e che vi interessi! Detto questo, vi saluto =D
Princess of fire X3
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Capitolo 8 *** Trasferimento ***
Althea
Le
fiamme impelavano sul terreno
spoglio, e divoravano qualsiasi cosa si interponesse sul loro cammino.
Sentivo
di essere vicina al limite, ma non smisi di creare nuove vampate di
quel fuoco.
Mi danzava davanti agli occhi, sembrando quasi accattivante, con il
calore che
emanava. Creai una palla di fuoco tra le mani, facendola diventare
sempre più
grande. Dovevo allenarmi, o almeno era quello che mi aveva detto di
fare mio
padre. Sapevo benissimo che di lì a qualche minuto non sarei
più riuscita a
tenere sotto controllo le fiamme. Lanciai la palla di fuoco contro un
albero li
vicino, da cui cadde un ramo carbonizzato. Miriadi di scintille rosse
si
sollevarono dal suolo. Sospirai, frustrata. Il fuoco si alzò
ancora, diventando
sempre più resistente. Mi lanciai un’occhiata
intorno. Ero venuta in questo
posto sperduto per riuscire ad allenarmi, ma a quanto pare non ero
riuscita a
ricavare niente.
Sentii
una risata di scherno, ma
allo stesso tempo sinceramente divertita, alle mie spalle. Mi voltai,
per
trovare mio fratello che avanzava verso di me, con uno di quei sorrisi
a cui
molte ragazze del regno non resistevano. Roteai gli occhi, infastidita.
Lui
applaudiva in modo molto poco entusiastico, quasi a mostrare il
disgusto per
cosa stessi facendo. O meglio, come lo
stessi facendo. –Althea, non immaginavo che tu fossi ancora a
questi livelli,
con il controllo delle fiamme- disse, sorridendo sornione.
–Io ti ero superiore
quando avevo solo cinque anni- esclamò, con le fiamme che
iniziavano a
danzargli sulle braccia. Io scossi la testa, cercando di ignorarlo.
Alzò un
braccio, e mosse la mano in un movimento circolare. Io lo guardai stranita, prima di notare
quello che stesse
facendo. Le fiamme che poco prima erano intorno a me, adesso stavano
scivolando
lentamente verso di lui, quasi gli danzassero intorno con fare
armonioso. Prima
che potessi dire qualcosa, Alexis chiuse il pugno con un gesto secco.
Le fiamme
scomparvero poco a poco, girandogli intorno. Al loro posto, rimase
soltanto il
fumo scuro e la cenere che si posava sulla mia pelliccia.
Alexis
mi guardava trionfante,
con un sorriso sensuale sulle labbra. –Visto cosa significa
essere abili?-
chiese. Io non risposi, continuando a fissarlo. –E poi
sarà molto più divertente
quando incontrerai un nemico da carbonizzare- disse, con una strana
scintilla
di divertimento negli occhi. Se c’era un altro aggettivo con
cui avrei potuto
descrivere mio fratello, oltre all’essere un donnaiolo e un
egocentrico, allora
potevo dire che era un sadico nei confronti dei suoi nemici.
-Come
hai fatto a trovarmi?-
chiesi, guardandolo sospettosa. Lui appoggiò la schiena ad
un albero ancora
intatto, mentre incrociava le braccia al petto. –Non
è facile non notare tutto
il fumo che produci con e tue fiamme- disse, sorridendo sornione. Mi
parai
davanti a lui. –E perché sei venuto a cercarmi?-
chiesi, con un tono
indifferente. Lui ridacchiò.
-Papà
ha detto di venirti a
cercare. Devi tornare al castello con urgenza- disse, giocherellando
con una
foglia secca. Io gli lanciai un’occhiata leggermente
allarmata. –Forse vuole
avvertirti che non salirai al trono- ridacchiò lui, con uno
dei suoi sorrisi
maliziosi. –Questa la possiamo escludere- gli sibilai contro.
Lui si guardò
intorno, indicandomi il terreno completamente carbonizzato.
–Tu dici?- mi
chiese. Io scossi la testa, infastidita. C’erano certi
momenti in cui detestavo
mio fratello. –Grazie comunque, Alexis-
Iniziai a dirigermi in
direzione del castello,
vedendolo in lontananza. Feci una breva corsa, per prendere
velocità. Dopo
qualche secondo, i miei stivali si attivarono, facendomi andare a
velocità
simili a quelle cui andava mio padre. Sentire il vento che mi sferzava
tra la
pelliccia e gli aculei, mi regalava una sensazione di
tranquillità incredibile.
Ma il pensiero che ci fosse un qualcuno oltre a me e mio padre che
potesse
eguagliarmi, mi innervosiva terribilmente. Ripensai a quel riccio, a
come era
riuscito a conciarmi nonostante le mie doti combattive. Quel riccio che
non
avrei mai più voluto vedere, visto il modo tremendo in cui
mi innervosiva.
Prima
che potessi pensare a
qualcos’altro che mi potesse far saltare i nervi, notai che
ero arrivata
davanti al castello. Fermai di scatto la mia corsa, sollevando un
enorme nuvola
di polvere. Entrai nel castello, passando per l’enorme
entrata principale. I
miei passi risuonavano come ticchettii nell’ampia stanza. Mi
diressi verso la
sala del trono. Di solito mi dirigevo li quando i miei genitori
volevano
parlarmi, così ho preso l’abitudine di andare in
quel posto.
Quando
aprii il portone che mi
avrebbe introdotto nella stanza, sentii un’aria terribilmente
tesa. Dalla parte
opposta della sala, i miei genitori parlavano tra loro, e quando mi
sentirono
arrivare, si voltarono verso di me, fissandomi dalla cima della
scalinata. Gli
rivolsi un’occhiata, quasi a
chiedergli
con lo sguardo che cosa volessero da me.
-Volevate
vedermi?- chiesi,
avvicinandomi a loro, e salendo velocemente le scale. Mio padre fece un
passo
avanti. –Sì. Ti dobbiamo parlare di una cosa
importante- decretò mio padre,
lanciando un’occhiata a mia madre. Lei annuì.
–Abbiamo deciso che per un po’di tempo
vivrai lontana dal castello-
disse quest’ultima, fissandomi negli occhi. Io abbassai un
orecchio. – Che
cosa?- chiesi, incredula. Mi sembrava quasi uno scherzo.
-Ti
manderemo in un posto per
farti allenare, e farti prendere confidenza con il fuoco. In
più, lì imparerai
i giusti ideali che dovrebbe avere una regina- spiegò mia
madre. Mi sentivo
confusa. Che cosa avevano in mente? –E quale sarebbe questo
posto?- chiesi,
temendo la risposta. Mia madre esitò, ma riprese subito la
parola.
-
Nell’altra dimensione. A casa di Sonic- disse.
Sentii il cuore iniziare
a battere più velocemente del dovuto, con il nervosismo che
mi offuscava la
mente. Non poteva essere vero. –Cosa? Sonic, il riccio blu?-
sibilai, sentendo
qualche scintilla di fiamme uscire dalle mie mani. Mio padre
annuì.–State
scherzando?- chiesi, infuriata. Avevo quasi bruciato tutto a casa di
quel tipo.
E ora dovevo andarci a vivere? Con quei suoi figli insopportabili alle
calcagna? Mia madre scosse la testa, esasperata.
-Ne
hai bisogno Althea- disse,
indicando le piccole fiamme che si stavano formando sulla mia
pelliccia. Io
scossi la testa. –No. Non mi serve assolutamente- dissi,
alzando il tono di
voce. Mia madre incrociò le braccia. –Quando ero
più giovane ho fatto la stessa
cosa, Althea. E ho imparato i giusti ideali per regnare-
tentò lei di
spiegarmi. Io indietreggiai. –È un percorso che
devi compiere. Ti troverai
dei compagni- disse.
-Althea,
è una cosa che dovrai
fare. Mi dispiace, ma tutto questo è assolutamente necessario. Puoi anche non essere d'accordo, ma in qualunque caso, sei costretta. Capirai che ti sto facendo un favore.- continuò mia
madre. –Chiederemo una conferma da Sonic. E se
accetterà, tu resterai lì per un
po’ di tempo- decretò mio padre, portandosi le
braccia al petto e
incrociandole. Io li fissai stupita. Ero costretta? Nella mia vita ero
costretta a fare molte cose. Ma questa la consideravo inaccettabile. Mi
voltai
di scatto, infuriata, e diedi ad entrambi le spalle. Ignorai quello che
mi
stavano dicendo, e corsi via.
Arrivai
in poco tempo nella
foresta in cui ero poco prima. Alexis se ne era già andato,
per sua fortuna. Lasciai
che le fiamme assalissero la poca vegetazione che era rimasta in quel
luogo. Urlai,
infuriata. Io non potevo andare a vivere da quel tipo. Non
con il figlio che si ritrovava. Guardare le fiamme
che divoravano il panorama mi mettevano in un tremendo stato
d’ansia. Ma non
potevo davvero credere che stessi per andare a vivere da lui.
Tirai un sospiro, pieno di nervosismo.
Adesso,
potevo soltanto guardare
che cosa sarebbe successo nei giorni successivi, sperando che i miei
genitori
cambiassero idea.
Così,
passarono
un paio di giorni. I miei genitori mi fecero preparare una valigia da
portare
nell’altra dimensione. Continuavo a sperare che in un qualche
modo non sarei
dovuta andare in quel posto. Sapevo che non mi sarebbe servita
assolutamente a
nulla quella visita. Pensavo a questo, mentre mi dirigevo verso il
portale, con
i miei genitori e mio fratello che mi fissavano.
-Stai
tranquilla. Riuscirai a controllarti- mi rassicurò mia
madre. Io annuii, presa
dai miei pensieri. Il vento che emanava il portale mi sferzava gli
aculei. Sospirai.
Io non avevo bisogno di tutto quello. Credevo che avrei benissimo
potuto
allenarmi nella mia dimensione, e che quegli ideali di cui parlava mia
madre
non mi sarebbero mai serviti. E men che meno, non mi servivano degli
amici. Potevo
fare benissimo tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno.
Mio fratello mi
guardava stoico, quasi non gliene importasse niente. Però
potevo benissimo
capire che era curioso, da quello che stavo per fare. Lui non riusciva
a
nascondere le sue emozioni come lo sapevo fare io. È una
cosa che ho imparato
con il tempo. Gli altri non saranno mai in vantaggio su di te se non
sai come
ti senti. Dopo che passi anni ad isolarti a causa dei tuoi poteri
pericolosi,
sono cose che si imparano.
Scossi
la
testa, cercando di non riempirmi la testa di pensieri inutili. Presi un
respiro
profondo, e misi il primo piede dentro il portale. –Althea-
mi richiamò mio
padre. Mi voltai per un attimo. –Buona fortuna- disse
solamente, con un leggero
sorriso sulle labbra. Io annuii. –Grazie, papà-
risposi. Riportai il mio
sguardo davanti a me, fissando il portale. Sospirai. Sarebbe stata una
brutta,
bruttissima esperienza. Serrai gli occhi, e avanzai dentro il portale,
sentendo
il calore avvolgermi. Mi abbandonai a quel calore per quella che
sembrò durare
un’eternità. Volevo concentrarmi soltanto su quel
tepore, e non su quello che
mi sarebbe accaduto di lì a poco.
E
se tutto
quello che sarebbe successo mi avrebbe infastidito, l'avrei fatta
pagare cara,
a quel riccio.
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Capitolo 9 *** Arrivo ***
Dash
Camminavo
nervoso per il salone,
cercando di placare la tensione che avevo nel corpo. Le mie sorelle mi
guardavano stranite. Com’era possibile che mio padre avesse
davvero accettato
di buon grado la proposta del riccio nero? Ospitare qui sua figlia?
Quella
ragazza era completamente matta. Aveva quasi dato fuoco alla nostra
casa, e mi
aveva arrecato delle brutte ferite. E ora dovevo ospitarla sotto il mio
stesso
tetto?
-Dash,
calmati. Verrà a stare da
noi soltanto per qualche tempo- cercò di calmarmi Emily. Io
scossi la testa.
Non riuscivo a tranquillizzarmi. Il suo pensiero m'innervosiva, e se
pensavo
che avrei dovuto vederla ogni giorno di li a qualche tempo, mi
saltavano i
nervi. Sunny scosse la testa, esasperata. –È
inutile tentare di calmarlo,
quindi rassegniamoci- decretò quest’ultima. Emily
annuì, essendo d’accordo con
le sue parole.
–Piuttosto,
avrei proprio voglia di farmi una bella corsetta- aggiunse Sunny,
sdraiandosi
sul divano. Io ridacchiai. –Non sai quanta voglia ne avrei
io- dissi,
desiderando che in quel momento il vento mi soffiasse sul volto e mi
seccasse
le labbra, come accadeva sempre durante le mie corse. Emily
roteò gli occhi,
annoiata. – Anch'io avrei voluto andare a fare shopping, ma
sapete benissimo
che papà ci ha chiesto di aspettare la nostra nuova ospite-
disse Emily, con lo
sguardo sognante. Io roteai gli occhi. Certo, come se nostro padre
avesse mai
rispettato un qualcosa che gli veniva ordinato. Sbuffai, stufo di stare
in
quella stanza.
-
Io vado a farmi un giro-
decretai, dirigendomi velocemente verso la porta di uscita. Emily
cercò di
dirmi qualcosa, ma richiusi svelto la porta dietro di me, che produsse
un
rumore secco. Respirai a lungo l’aria fresca, felice di
essere finalmente
all’aperto.
Guardai
il cielo, che era completamente
limpido, chiazzato soltanto da qualche nuvola qua e là.
Iniziai a camminare per
il giardino di casa nostra, godendomi la fresca brezza. Mi sedetti ai
piedi di
un albero, appoggiando la schiena contro il tronco. Pensai che in quel
momento,
correre per Green Hill sarebbe stato fantastico. Infondo noi ci
vivevamo lì.
Involontariamente, i miei pensieri ritornarono a quella ragazza. Era
capace di
correre veloce quanto me, e avrebbe potuto battermi in battaglia. Era
temibile,
non c’era che dire. Forse avevo l’impressione di
averla già vista da qualche
parte perché quando ero più piccolo avevo
conosciuto suo padre, ma niente di
più. Infondo lei era totalmente uguale a lui.
Sbuffai,
infastidito. Non avevo
voglia di pensare a lei in questo momento. Mi alzai dal terreno,
cercando di
far passare il formicolio fastidioso che avevo sulle gambe. Decisi che
sarei
andato a farmi una bella corsa. Feci per andarmene di lì,
quando sentii un
rumore che mi distrasse. Mi
voltai, per
vedere un portale, simile a quello che era apparso durante
l’incontro di tutti
i conoscenti di mio padre. Mi avvicinai cauto, avvertendo
l’energia che
emanava. Dopo qualche secondo, ci fu una luce abbagliante, che mi
costrinse a
serrare gli occhi. Quando credetti che la luce fosse scomparsa,
sollevai le
palpebre.
La
persona che vidi davanti ai
miei occhi, non mi stupì per niente. La ragazza chiamata
Althea mi fissava
indifferente, mentre in una mano stringeva una valigia di un viola
scuro.
–Togliti di mezzo- mi sibilò contro. Roteai gli
occhi, infastidito. –Sei sempre
così amichevole oppure oggi è un giorno
particolare?- le chiesi, con un sorriso
ironico stampato in faccia. Sapevo benissimo che questo atteggiamento
l’avrebbe
fatta innervosire. E come volevasi dimostrare, lei strinse la presa che
aveva
sulla valigia, guardandomi con aria truce. Sorrisi vittorioso,
godendomi la sua
faccia. –Ascoltami, riccio. Io non vorrei neanche essere qui,
come tu non mi
vorresti in casa tua. Spero che questa convivenza sia il più
indolore
possibile- disse a bassa voce, iniziando a incamminarsi verso la porta
di casa
mia. Poi si fermò un attimo, davanti alla soglia della
porta. –
Che sia indolore per te-
specificò, terminando la frase che aveva iniziato poco
prima.
Non ebbi il tempo di
risponderle, che
mio padre aprì di scatto la porta, mostrando un volto
sorridente non appena
vide Althea.
-Althea!
Ti stavamo aspettando-
esclamò il riccio blu, con un sguardo allegro. Io roteai gli
occhi. La gentilezza
che dimostrava mio padre con questa ragazza mi irritava terribilmente.
Lei
sembrava totalmente indifferente, ma leggermente incredula alle
attenzioni che
mio padre le riversava addosso. Dall’espressione che aveva in
volto, qualcuno
avrebbe potuto pensare che nessuno le avesse mai rivolto un sorriso
amichevole.
-Mi
dispiace che i miei genitori
vi abbiano richiesto di ospitarmi nella vostra casa- disse lei,
squadrando
attentamente mio padre. –Vi posso assicurare che non
è stata una mia richiesta-
ribadì, con un pizzico di rammarico in quello che diceva.
–Puoi anche
andartene, se vuoi- dissi io, con un sorriso divertito sul volto. Lei
mi lanciò
un’occhiata che, se avesse potuto, mi avrebbe potuto
benissimo fulminare sul
posto. Stavo mettendo a dura prova la sua calma, e si notava. Mio padre
mi fece
segno di tacere. Prima che la ragazza potesse aggiungere che mi potesse
offendere, le mie due sorelle e mia madre spuntarono dietro mio padre,
guardando con un’aria interrogativa la nuova arrivata. Emily
sembrava non
aspettare altro che poter parlare con lei, mentre Sunny le rivolgeva
degli
sguardi furtivi, constatando se potesse essere una minaccia. - Come ti
chiami,
cara?- chiese mia madre alla ragazza. Quest’ultima
esitò, fissando mia madre
con assoluta impassibilità. Poi, decise di porle la mano.
-
Althea Maria the Hedgecat-
rispose la ragazza. Sembrava molto più gentile con i miei
parenti di quanto
fosse con me. Anzi, con me non era
affatto gentile. Mia madre scostò la mano di Althea,
ridacchiando. –Suvvia,
non ci vogliono tutte queste formalità!- esclamò
con un tono divertito. La
ragazza sembrava leggermente confusa, ma non aggiunse altro. Dopo
qualche
secondo si voltò di scatto, rivolgendomi
un’occhiata sprezzante. –Spero che tu
abbia capito, perché non lo ripeterò- mi
sibilò contro. Io abbassai le
orecchie, infastidito. –Stai tranquilla. Ho afferrato il
concetto, gattina- le
dissi, con uno di quei sorrisi a cui le ragazze non avevano mai
resistito. Non
che volessi fare colpo su di lei, assolutamente no. Ma sapevo fin
troppo bene
che quel sorriso, combinato al nuovo nomignolo, l’avrebbe
fatta infuriare. Lei
sbarrò gli occhi, e delle scintille infuocate iniziarono a
sprizzare fuori
dalle sue braccia.
-Gattina?!- sibilò, pronta a
tirarmi un pugno in faccia. Sapevo
benissimo che non avrebbe esitato a farlo, ma vedere come in pochi
secondi
riuscivo a distruggere ogni traccia di quiete nel suo corpo, era
davvero
divertente.
Mio
padre si affrettò a prenderle
la valigia dalle mani, distraendola. –Seguimi, Althea. Ti
mostro dov’è la tua
camera- disse, cercando di evitare una rissa che non sarebbe andata a
buon
fine. Lei mi rivolse un’ultima occhiata sprezzante, prima di
seguire mio padre
dentro la casa. Tirai un sospiro di sollievo, rincuorato di non vederla
più
davanti ai miei occhi. Mia sorella Emily mi guardò male.
–Di solito non sei
così sgarbato con le ragazze- disse, con un tono che
mostrava la sua
impazienza. Io roteai gli occhi.
-Emily,
certe volte è impossibile
anche per me essere gentile. Probabilmente non lo sarei neanche se lei
fosse la
ragazza più bella che esista su l’intera Mobius. E
poi quella non è una
ragazza. È soltanto un
maschiaccio- le dissi, con un tono esasperato. Sunny tirò un
pugno sul braccio.
–La vuoi smettere? Dovrà vivere con noi per un
po’ di tempo, quindi è inutile
che ti lamenti-disse, mostrandomi il pugno alzato. Mi massaggiai il
punto da
lei colpito, ignorando quello che mi aveva appena detto. Mi allontanai
velocemente da lei, sperando di evitare ulteriori pugni e seguii mio
padre
dentro casa. Non mi fidavo assolutamente di quella palla di pelo, e se
doveva
vivere sotto il nostro stesso tetto, allora l’avrei tenuta
sotto controllo.
Salii velocemente le scale bianche che portavano al piano superiore,
dov’erano
presenti la camera delle mie sorelle, la mia stanza e la camera degli
ospiti.
Quella che purtroppo sarebbe stata occupata di lì a qualche
minuto.
Con
un’immensa e inverosimile
sfortuna, la mia camera era giusto di fronte a quella in cui sarebbe
stata
ospitata quell’insopportabile ragazza. E se c’era
un qualcosa che avevo
ereditato da mia madre, era l’innervosirsi facilmente se
qualcuno mi
stuzzicava. Quindi, non riuscivo neanche ad immaginare quanto potesse
durare
una convivenza pacifica tra il sottoscritto e quella palla di fuoco
instabile.
Quando
arrivai davanti alla sua
stanza, vidi mio padre appoggiare la valigia sul pavimento, vicino al
letto. Le
stava indicando dove si trovava ciascuna stanza della casa, cosa che mi
innervosii inspiegabilmente. Attraversai la soglia della sua camera e
ci entrai
velocemente. Occasionalmente, mi lanciava delle occhiate irate, che
avrebbero
potuto vaporizzarmi. Dopo qualche minuto, in cui abbassai leggermente
la
guardia, vidi mio padre che usciva dalla stanza, dirigendosi verso il
corridoio. Appena se ne fu andato, la ragazza mi fissò.
–Esci immediatamente da
qui- mi sibilò contro. Io le lanciai uno sguardo di sfida.
–Questa è casa mia-
dissi, di rimando. Sulle sue labbra vidi apparire quella che sembrava
una
smorfia, quasi simile ad un sorriso, che non aveva assolutamente niente
di
accattivante. –Forse è meglio che tu dica casa
nostra. E fino all’ultimo minuto in cui
alloggerò qui- disse lei,
avvicinandosi pericolosamente a me, costringendomi ad arretrare fino
alla
porta.
-Sarò
il tuo incubo peggiore-
concluse lei la frase, muovendo la coda in un modo quasi ipnotico. Mi
accorsi
che mi aveva spinto fino a farmi uscire dalla stanza. Prima che potessi
reagire, lei mi chiuse la porta in faccia. Rimasi per qualche secondo
intontito, quasi incredulo. Mi aveva cacciato da una camera della mia casa?
Strinsi i pugni, tentando di mantenere la calma.
Quella ragazza
voleva la guerra. E poteva stare certa, che anche io non aspettavo
altro.
Tails
Osservavo
la boccetta colma del
liquido denso di un color verde acido. Non avrei neanche saputo come
chiamarlo.
Osservai sugli schermi del mio laboratorio i progressi fatti, che
purtroppo non
erano molti. Mi passai una mano sul muso, esausto. Le ricerche si
stavano
rivelando molto più difficili di quello che mi sarei mai
aspettato. Non avevo
mai lavorato con il DNA, e visto il carico di lavoro che mi ero
ritrovato,
speravo che non mi sarebbe più ricapitato di doverlo fare.
Ma
non potevo deludere Shadow.
Non era mai stato particolarmente amichevole o gentile nei nostri
confronti, ma
adesso che finalmente si era formato una famiglia, aveva bisogno del
mio aiuto.
Dovevo assolutamente trovare un modo per annullare ogni traccia di
immortalità
dal suo corpo, e per farlo avevo bisogno di una traccia del sangue di
una Black
Arm, data l’estrema vicinanza biologica tra loro. Non era
stato affatto facile
riuscire a ricavare anche solo una minima parte di quella strana
sostanza.
Ero
andato alla G.U.N. per farne
richiesta. Anche dopo che il vecchio Comandante della base si
ritirò dalla
carriera a causa dell’età avanzata, la G.U.N. non
sembrava intenzionata ad
essere più cordiale nei nostri confronti. Ci vollero diversi
giorni per
convincerli, e soltanto dopo avergli ricordato le innumerevoli volte in
cui
avevo riparato i loro macchinari negli ultimi anni, assicurando che
avrei
continuato ad aiutarli nel settore meccanico, si decisero a donarmi un
campione
del sangue di una Black Arm. Questo si poteva già
considerare un progresso.
Avevo notato che nel DNA era presente un qualcosa che non riuscivo a
decifrare,
quindi supposi che quello fosse il fattore che donava
l’immortalità a ciascuna
Black Arm. Se in qualche modo fossi riuscito a scoprire come rimuoverla
dal sangue,
avrei potuto creare un vaccino per Shadow.
Il
problema maggiore, e quello
che cercavo di evitare, erano gli effetti collaterali che potevano
verificarsi
nel suo corpo. Era l’unico essere su cui potevo testare il
vaccino, non avevo
altra scelta se non lui. Tirai un sospiro nervoso. Doveva morire di
vecchiaia,
e non a causa degli effetti del vaccino. Lui sapeva che cosa poteva
succedergli, nonostante tutto non si fermava. Mi alzai dalla sedia su
cui ero
seduto da ore. Preoccuparsi adesso non sarebbe servito a niente. Adesso
dovevo
soltanto concentrarmi sul lavoro. E più di tutto, sperare
che questo vaccino
sarebbe diventato un successo come tutte le altre invenzioni.
Note
d’Autore: Salve a tutti!
Allora, so che sono in ritardo con l'aggiornare, ma essendomi presa una
breve
pausa estiva non ho avuto tempo di scrivere. E mi era morto Internet,
tra l’altro.
–‘’_ - Tralasciando, spero che il
capitolo vi piaccia, e detto questo vi
saluto!
|
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Capitolo 10 *** Corsa senza Tempo ***
Dash
Il
mite tepore del sole mi
scaldava la pelle, infondendomi una tranquillità completa in
tutto il corpo. La
giornata idilliaca e il cielo macchiato di qualche pacifica nuvola mi
avevano
fatto completamente scordare l’ospite indesiderata che
alloggiava in casa mia. Sospirai
frustrato, mentre mi lisciavo rapidamente le spine. La luce nella mia
stanza
era quasi accecante. Quando aprii la porta, intenzionato ad uscire,
fissai
esitante la camera di fronte, in cui probabilmente la ragazza da me
tanto
odiata stava ancora dormendo. Mentre oltrepassavo la soglia della mia
stanza,
organizzai la giornata e decisi che avrei fatto una bella corsa, per
svagarmi. E
soprattutto per cercare di stare il più lontano possibile da
casa mia, sperando
di ridurre drasticamente gli incontri che avrei avuto con quella
ragazza.
Non
feci in tempo a pensare ad
altro, poiché lei mi apparve proprio davanti, aprendo la
porta di scatto. Mi
rivolse soltanto un’occhiata veloce, non tralasciando tutto
il disprezzo che
provava nei miei confronti, e si diresse verso le scale, ignorandomi.
La seguii
controvoglia, sentendo il rumore di vari piatti e posate che venivano
sistemati
sul tavolo al piano di sotto. Notai che le mie sorelle erano
già all’opera con
la colazione, e stavano divorando qualsiasi cosa le capitasse sotto
mano. Abbassai
le orecchie, e scossi leggermente la testa. Quelle due si sarebbero
mangiate
anche le gambe del tavolo senza farsi troppi problemi.
-Ben
svegliati, ragazzi- ci
salutò mia madre, con un sorriso smagliante sul volto,
mentre serviva una tazza
di caffè a suo marito. Mio padre ci sorrise, quasi stesse
pensando a qualcosa
da dirci. Althea ricambiò i saluti, con fare educato.
Dubitavo vivamente che
quella ragazza avesse anche una minima parte di lei che non fosse
l’essere
solitaria e irascibile. La vidi prendere velocemente una fetta di pane
tostato
calda, e darle soltanto un morso. Sembrava dubbiosa sul da farsi, ma
poi si
diresse verso la porta sul retro della cucina. –Io
esco. Vado ad allenarmi- disse a
mezza voce, girando velocemente la maniglia con una mano e tenendo
nell’altra
il pane. Mio padre sembrava sul punto di dirle qualcosa, ma ormai era
uscita di
fretta. Lui tirò un sospiro esasperato. Poi mi
guardò.
-Dash.
Seguila- mi disse, con un
sorriso incoraggiante. Stetti quasi per strozzarmi con il
caffè, dopo che
sentii quella frase. –Che cosa?!- urlai, guardandolo
incredulo. Lui annuì. –Sì,
falle un po’ di compagnia, mostrale il posto. È
nuova di qui, e non saprebbe
neanche dove andare ad allenarsi, Dash- aggiunse. Scossi la testa
deciso. –Non
so se ti sei accorto il ‘’sentimento di
amicizia’’ che ci lega, papà- dissi,
mimando le virgolette con le dita. Sospirai, nervoso.
–Perché non ci possono
andare Emily e Sunny?- chiesi, indicandole. Mio padre
ridacchiò, con il solito
sorriso stampato sulle labbra.
-Dash
–mi richiamò lui, prendendo
un sorso del suo caffè. –Te lo ordino- disse, con
un sorriso smagliante, per
niente adatto alla situazione. Lo fissai stupito. Questa era una delle
uniche
volte in cui mi abbia mai ordinato qualcosa. Forse non si ricordava che
mi
aveva quasi bruciato vivo. Rassegnato, indossai il mio immancabile
gilet rosso
e aprii la porta. Mi guardai un attimo intorno, cercando una qualche
traccia
della gatta nera. Non sarebbe stato difficile trovarla. E poi, la
tentazione di
infastidirla era troppo forte per essere ignorata. Così
m’incamminai, alla
ricerca di una ragazza che, ne ero certo, avrebbe preferito
abbrustolirmi
anziché fare una passeggiata con me.
Althea
Osservavo
le immense valli che si
stendevano di fronte a me. La pace in questo posto sembrava totale,
senza
alcuna preoccupazione. L’unico rumore che riuscivo a sentire,
era il fruscio
rilassante dell’erba. Chiusi gli occhi, distendendo i
muscoli. Sembrava strano
come il giorno prima ero in un castello, e adesso ero rinchiusa in una
normalissima casa con un riccio iper-attivo con cui provavo un profondo
odio
reciproco. La quiete del posto fu distrutta soltanto da un lontano
rumore di
passi. Socchiusi leggermente un occhio, cercando di capire che cosa
fosse. I
passi si avvicinavano velocemente. Troppo
velocemente. Feci appena in tempo a girarmi, per vedere
quell’odioso riccio a
pochi metri da me, che mi fissa stoico.
-Che
cosa vuoi?- gli sibilai
contro, sperando che se ne andasse il prima possibile. Lui
ridacchiò, anche se
nella voce non aveva un minimo di allegria. Sembrava quasi una risata
di
scherno. –Sono venuto a farti compagnia- disse, guardandomi
attentamente negli
occhi. Io lo fissai truce.
-È
uno scherzo, spero- dissi a
mezza voce. Come se adesso l’unica cosa che desiderassi fosse
la compagnia di
un riccio irresponsabile e senza un minimo di buon senso. Lui scosse la
testa.
–Vorrei che lo fosse- aggiunse, portandosi le mani dietro la
testa e
incrociandole.
-Ti
ripeto che io non ho bisogno
del tuo aiuto. Posso fare ogni cosa da sola- gli ricordai, sentendo il
nervosismo crescere nel mio corpo. Lui scrollò le spalle.
– E invece ti
accompagnerò- insistette, con uno di quei sorrisi
assolutamente snervanti.
Forse non aveva capito bene il concetto. –Ascoltami bene,
riccio- gli sibilai
contro, infuriata. –Io non sto andando a divertirmi come fai
tu di solito. Io sto
andando ad allenarmi. Non ho bisogno di nessuno. Non ne ho mai avuto
bisogno-
tentai di scacciarlo. Lui non sembrò impressionato dalle mie
parole, ma
divertito. –Comunque sia, mio padre mi ha chiesto di
accompagnarti, e sarà così
che farò- esclamò, con quel sorriso beffardo
sulle labbra.
Bene.
Visto che non riusciva a
capire il concetto in questo modo, allora avrei cambiato tattica. Mossi
rapidamente
il braccio in diagonale, fendendo l’aria. Prima che lui
potesse reagire, un
improvviso muro di fumo nero si formò davanti a lui,
coprendogli la visuale.
Potevo sentirlo tossire e inveire contro di me. Colsi
l’occasione al volo e
corsi nella direzione opposta, sentendo i pattini che si attivavano.
Iniziai a
correre sempre più rapidamente, fino a che il panorama che
mi stava attorno
scomparve, diventando una miscela di colori. Sentivo una strana
soddisfazione
nell’essere riuscita a seminare quel riccio. Quando vidi una
scia blu scura
diffondersi dietro la mia, sentii la rabbia crescermi nel petto.
-Non
avrai creduto sul serio che
ti lasciassi andare via così, vero?- mi urlò lui,
cercando di sovrastare il
rumore dell’aria che veniva squarciata, la quale produceva un
rimbombo, insieme
ad un sibilo acuto. Avrei voluto bruciarlo con tutto il cuore, come mi
aveva
suggerito mio fratello prima che partissi per alloggiare in questa
dimensione.
Però era veloce, dovevo ammetterlo. Riusciva a starmi dietro
senza particolari
difficoltà, e in battaglia era riuscito a non farsi ferire
troppo gravemente. O
almeno, a non farsi uccidere. C’era solo un piccolo problema.
Lui non era forte
quanto me. Prima che mi potesse fermare, creai delle fiamme dietro di
me, che
bruciavano il terreno intorno a lui. Speravo che questo lo
disorientasse per
qualche secondo, dandomi almeno il tempo di sfuggire dalla sua vista e
nascondermi.
Lo
sentii tossire nuovamente, e
rallentò il passo. Approfittai di questo breve momento di
calma e aumentai la
velocità, cercando di allontanarmi il più
possibile. Quando notai un albero in
lontananza, mi affrettai a raggiungerlo. Guardai la sua imponenza, e
cercai di
mettere temporaneamente da parte la nausea che mi saliva guardando la
sua
altezza. Saltai sopra uno dei suoi rami più alti senza
difficoltà. Quando mi ci
sedetti sopra, mi appiattii il più possibile al tronco,
cercando di non
rendermi troppo visibile. Chiusi gli occhi per qualche istante,
cercando di
rilassarmi. L’idea che quel riccio mi stesse vicino per tutta
la giornata mi seccava
terribilmente. In fondo non avevo bisogno di una scorta, e men che meno
di un
qualcuno che fingesse di essere amichevole con me.
-Gattina,
prova a cadere con i
piedi per terra ora!- aprii gli occhi di scatto, guardando al di sotto
del
ramo. Quel riccio blu mi stava osservando con un sorriso beffardo in
volto. Non
ci potevo credere. Come accidenti aveva fatto a trovarmi? Roteai gli
occhi,
innervosita. –Che cosa vuoi ancora?- gli chiesi, non cercando
minimamente di
nascondere tutta la mia irritazione nella voce. Lui si
grattò il naso con un
dito, quasi stesse per dirmi una delle cose più ovvie al
mondo. – Mi sembra di
avertelo già detto. Ti accompagno- ribadì lui. A
quanto pare era cocciuto.
Troppo cocciuto per poterci anche soltanto ragionare. Tirai un sospiro,
pieno
di frustrazione e di rabbia repressa. Poi lui sembrò
osservarmi compiaciuto,
per la situazione in cui mi ero messa. Guardai esitante il suolo, che
dal luogo
in cui ero seduta, mi sembrava terribilmente distante.
-È
vero che i gatti sanno salire
sugli alberi ma che poi non sanno come scendere?- mi chiese lui con
tono di scherno
e guardandomi divertito. Abbassai impercettibilmente le orecchie,
spostando lo
sguardo dal terreno al suo volto. Non ero intenzionata a rispondergli. Sentii le fiamme nel mio
corpo diventare
instabili, sia per il nervosismo, sia per l’ansia che mi
sentivo addosso.
Cercai di alzarmi con la maggior dignità possibile. Lui mi
fissava stranito.
Non mi sarei dimostrata inferiore a lui. Prima che potesse dirmi
qualcos’altro,
presi una breve rincorsa e mi lanciai nel vuoto, serrando gli occhi. Mi
sentii
precipitare per qualche secondo, percependo il suolo ancora prima che
questo mi
sfiorasse. Mi sentii fermare di scatto, come se la caduta si fosse
interrotta.
Ma non provai alcun dolore per l’impatto. Anzi, percepii
soltanto una pressione
sulla pancia. Aprii lentamente gli occhi, incredula. Contro ogni mia
aspettativa <<
a parte il
ritrovarsi spiaccicati sul terreno,
>>
scoprii che la pressione che sentivo sullo stomaco era
dovuta dal
contatto della spalla del riccio sulla mia pancia.
Mi…………. mi aveva afferrato
al volo prima che colpissi il suolo?
-Non
saresti mai riuscita ad
atterrare illesa. Non eri nella posizione giusta- decretò
lui, voltando
leggermente il muso. Sentii la rabbia crescere. Io questo lo
consideravo peggio
di un insulto. Un’umiliazione.
–Lasciami
andare, riccio. Subito!- gli urlai, dimenandomi contro il suo braccio,
che
tentava di farmi stare in equilibrio sulla sua spalla. Lui
sbuffò, ed
improvvisamente mi lasciò cadere sul terreno. Mi rialzai
immediatamente,
spolverandomi nervosa i vestiti. Lui sorrideva divertito, mentre
incrociava le
braccia dietro la testa.
-Bene.
Ci rinuncio- sospirai,
guardandolo esasperata negli occhi smeraldo, che contrastavano
notevolmente con
i miei. –Andiamo- gli sibilai voltandomi e iniziando ad
incamminarmi per le
valli. Lui mi si affiancò, guardandomi vittorioso. Stetti
per la maggior parte
della passeggiata con lo sguardo abbassato, non volendo alcun contatto
visivo
con il riccio.
-Senti,
forse siamo partiti con
il piede sbagliato- disse lui improvvisamente. Gli lanciai
un’occhiata,
cercando una qualche traccia di sarcasmo sul suo viso. Eppure sembrava
dire sul
serio. –Che ne dici di parlarmi un po’ di te?- mi
chiese, guardandomi curioso.
– Non so, cose del tipo: da dove vieni? Il tuo mondo
è molto diverso dal
nostro? Che cosa fanno i tuoi genitori? Cosa fai tu? Quando te ne vai?
– disse
lui con un ghigno in volto. Roteai gli occhi, avendo capito il genere
di persona
con cui avevo a che fare. Sarebbe stato difficile, molto
difficile, andare d’accordo con un tipo come lui. Io non mi
fidavo, e di certo non avevo voglia di raccontargli la storia della mia
vita.
Ma se lui voleva prendere confidenza, ed i miei
genitori si fidavano di lui, allora forse avrei dovuto
acconsentirlo. O
almeno in minima parte.
-
Sai da dove vengo. Da una
dimensione opposta alla tua, chiamata Dimensione del Sol- gli dissi,
guardando
fisso davanti a me. – Il mio mondo è diviso in
singole isole, collegate tutte
da un unico grande oceano. Il nostro commercio è
principalmente marittimo.
Essendo la popolazione abbastanza ristretta, l’intera
dimensione è governata da
due unici sovrani- lui mi fissò stranito, quasi come stessi
dicendo a lui una
cosa mai sentita. – Sovrani? E come sono?- mi chiese lui.
Aspettai qualche
secondo prima di rispondere, riflettendoci su. –Non li ho mai
conosciuti, ma
dalle voci che girano si direbbe che sono brave persone- mentii io. Non
avevo
intenzione di spiegargli le mie origini. Lui annuì, e mi
fece cenno di
continuare la spiegazione.
-Al
contrario del vostro mondo,
che è regolato dai Chaos Emerald, il nostro è
tenuto in equilibrio da quelli
del Sol, le loro pietre gemelle- mi fermai un attimo, per osservare la
sua
reazione. Sembrava stupito da tutte quelle informazioni non
così familiari a
lui. –E per finire, non so le differenze che ci sono tra il
tuo e il mio mondo-
terminai io, incrociando le braccia.
Lui
mi sorrise, quasi come se
volesse lanciarmi un messaggio. –Adesso parlami di te-
continuò lui, insistente
come non mai. –Cosa fanno i tuoi genitori?- non riuscii a
trattenere un
leggerissimo sorriso. –Diciamo che hanno un ruolo abbastanza
importante nella
nostra dimensione- risposi vaga. Lui ne sembrò leggermente
indispettito. –E tu
invece?- chiese lui, guardandomi negli occhi. Abbassai un orecchio,
riflettendo.
-Mi
preparo per lavorare nell’azienda
di famiglia – dissi con un ghigno soddisfatto. Lui
inarcò un sopracciglio. –È
per questo che sei venuta qui ad allenarti?- mi fissò,
estremamente curioso. Io
annuii lentamente. –Che cosa fate in quell’azienda,
vi scannate l’un l’altro?-
borbottò. Sembrava non credere neanche lui a quello che
stava dicendo. –Quando
ce n’è bisogno- specificai.
–Che diamine fanno
i tuoi genitori, i
mercenari?- mi chiese lui ridacchiando. Io gli lanciai
un’occhiata di sbieco. –Se
è necessario- risposi vaga, cercando di farlo innervosire.
Lui alzò un
sopracciglio, sorridendo sarcastico. –E per rispondere alla
tua ultima domanda-
continuai – spero di andarmene presto- dissi infine. Lui non
reagì alla mia
risposta, ma ne sembrò in parte soddisfatto. Distolsi lo
sguardo dal suo volto,
e mi concentrai sul paesaggio. Ormai ci eravamo allontanati abbastanza
dalla
sua casa, e il luogo in cui eravamo era sgombro da qualsiasi ostacolo,
tranne
che per qualche albero sparso qua e là.
-Bene.
Direi che questo posto è
perfetto- esclamai, fermandomi all’improvviso. Il riccio
si guardò intorno,
dirigendosi verso un albero abbastanza lontano e sedendosi ai suoi
piedi, con
una gamba tirata a se, mentre l’altra era completamente
distesa. Incrociò le
braccia dietro la testa, appoggiando la schiena al tronco del fusto.
–Buon
lavoro!- urlò felice, salutandomi con una mano. Strinsi i
pugni, nervosa. Adesso
non dovevo pensare alla sua presenza irritante. Dovevo concentrarmi
soltanto
sul mio obiettivo. Perché il vero motivo per cui ero
arrivata in questa
dimensione, l’allenamento autentico, cominciava adesso.
Dash
Camminavo
avanti e indietro,
tremendamente impaziente. Mi appoggiai con la schiena contro un albero,
osservando attentamente i movimenti agili e precisi della ragazza. Era
molto
abile, e questo la rendeva un’avversaria temibile. Mi tenevo
ben alla larga
dalle potenti fiamme che faceva scaturire sul terreno, e che divoravano
qualsiasi cosa. Lei alzò una possente colonna di fiamme, che
si disintegrò
qualche secondo dopo. A giudicare dalla sua reazione, la sparizione di
quel
fuoco non era volontaria. Sembrava stanca e frustrata, ma non si
mostrava intenzionata
ad arrendersi. Sbadigliai sonoramente, cercando di mantenere a bada la
mia
noia, e di resistere all’impulso di correre via. Oramai
eravamo qui da almeno
una mezz’ora, e lei non mi aveva rivolto neanche uno sguardo.
Non che l’avessi
seguita per fare conversazione. Dovevo controllarla, e notavo che poco
a poco
le sue fiamme diventavano più instabili, non eseguendo
più correttamente i suoi
ordini.
-Hai
finito?- le chiesi, con la
noia che aveva raggiunto limiti non desiderabili. Lei mi
lanciò un’occhiata di
sbieco, poi continuò a ignorarmi, spostando lo sguardo
nuovamente sulle sue
fiamme. Le faceva girare intorno a se, creando una specie di cerchio.
Le sentii
pronunciare una sola e semplice parola, che però aveva un
significato assoluto.
Un singolo ‘’No’’. Sbuffai,
esageratamente stanco di aspettarla. Stare fermo e
immobile per qualche minuto era una vera e propria tortura. Iniziai a
picchiettare con il piede il terreno, sperando che una parte della mia
irrequietezza sparisse con questo gesto.
Mi
fermai all’improvviso. Sentivo
uno strano ronzio nell’orecchio, quasi come se una vespa ci
stesse svolazzando
dentro. Lanciai un’occhiata alla gatta, che continuava ad
allenarsi. Sembrava
completamente assorta dai suoi pensieri, troppo concentrata per sentire
quel
singolo ronzio. Dopo qualche secondo si fermò di scatto.
Muoveva freneticamente
un orecchio, quasi come se si stesse accertando
dell’autenticità di quel suono.
–Hai
sentito?- mi chiese, guardandosi
intorno. Io annuii lentamente. Avevo già sentito quel suono
un miliardo di
volte, ma non riuscivo a ricollegarlo. Il rumore sembrò
amplificarsi, e
iniziammo a sentire dei fruscii nell’erba, che si facevano
sempre più vicini.
Quando
mi voltai, notai uno
spettacolo inquietante. Decine di Badniks ci stavano fissando intorno a
noi. Ci
avevano circondato, e non sembravano disposti a lasciarci andare. La
ragazza
sembrava altrettanto sorpresa, forse leggermente impreparata. Prima che
potessimo reagire, iniziarono a spararci a raffica addosso. Mi abbassai
di
scatto, evitando che un proiettile d’energia mi colpisse.
– Corri. Ora- le
sibilai, voltandomi e scattando nella direzione opposta. Lei mi
seguì subito,
prima che i Badniks riuscissero a colpirla. Dopo qualche secondo di
rincorsa,
iniziammo entrambi a correre a velocità impressionanti, e
allo stesso tempo
schivando i proiettili. Davanti a noi, altre file di Badniks si
preparavano ad
attaccarci, dai Vespex ai CaterKiller. La ragazza tirò un
pugno a uno di questi
ultimi, che si divise in più pezzi. –Cosa sono
questi affari?- urlò, cercando
di sovrastare il rumore degli spari. Mi appallottolai, cercando di
colpire un
robot con le sembianze di Eggman. Lo trapassai velocemente, facendolo
esplodere. –Tu continua a correre!- dissi di rimando, con un
sorriso. Mi stavo
divertendo un mondo. Correre a velocità supersoniche
distruggendo robot. Uno
dei miei passatempi preferiti. La ragazza non sembrava essere del mio
stesso
parere. Non aveva un’espressione divertita. Al contrario,
sembrava molto
concentrata. Forse lei la considerava un’aggiunta al suo
addestramento. –E
quello che diamine è?!- mi chiese,
indicando uno dei famosi percorsi a chiocciola di Green Hill. Le
ghignai
contro. –Corri e basta!-
Althea
Lo
fissai stupita. Come poteva
prendere con tanta leggerezza questa situazione? Dei robot continuavano
a
spararci ininterrottamente, seguendoci per giunta. Quando attraversammo
quella
specie di rialzamento del terreno che girava su se stesso, credetti di
star per
vomitare. Eravamo a un’altezza notevole, e l’idea
di doverla attraversare a
testa in giù, accentuava la nausea. Accelerai ancora la
corsa, sperando che tutto
quello finisse il prima possibile. Distrussi un robot che mi si era
parato
davanti grazie ad una palla di fuoco.
Eppure
quel riccio sembrava
spensierato. Si stava divertendo, e lo si capiva dalla faccia
sorridente e
dagli occhi vivaci, non come quando mi stavo allenando. Quando la
strada fu
sgombra di robot, entrambi accelerammo. Mentre sentivo il vento tra la
pelliccia e gli aculei, e le gambe si muovevano, quasi automaticamente,
non
sentivo l’esigenza impellente di dover tenere sotto controllo
le fiamme. In
quel momento esatto, stavo provando una sensazione strana,
indescrivibile. Non
ne avevo mai provate così nella mia dimensione. Sembrava uno
strano calore nel
petto. Mi sarebbe sorto un minuscolo sorriso spontaneo se non lo avessi
fermato
in tempo. Non sapevo come descrivere quella sensazione. Sembrava una
felicità
enorme che ti esplodeva nel cuore.
-Allora,
ti stai divertendo?- mi
chiese il riccio, rivolgendomi un’occhiata. Lo ignorai.
Divertimento? Come
potevo sapere se mi stavo divertendo in quel momento? Era una
sensazione nuova.
Poteva essere quella? Scossi la testa, cercando di distogliermi da
questi
pensieri. –La vuoi fare una gara?- mi chiese lui, con uno
sguardo di sfida. Io
gli rivolsi una breve occhiata. –Impaziente di essere
umiliato?- dissi di
risposta. Lui ridacchiò, non distogliendo lo sguardo.
–Questo lo vedremo-
esclamò, prima di sorpassarmi. Dovevo ammettere, che quel
riccio poteva avere
anche dei lati positivi nel suo carattere. E forse, un giorno li avrei
scoperti. Ma di una cosa potevo stare certa. Lui non mi avrebbe mai battuto.
Eggman
Finalmente,
il piano che avevo messo
a punto negli ultimi anni, stava per essere messo in atto. Le truppe
erano sul
posto, più motivate che mai. In fondo, se questo piano fosse
fallito, la mia
morte avrebbe significato anche la loro.
-Dottor
Eggman- mi fece trasalire
la voce robotica di Orbot. –Le truppe sono ai loro posti in
entrambe le
dimensioni. Attendono soltanto un vostro comando- mi spiegò,
mostrandomi sugli
enormi schermi dei computer la situazione. Migliaia di robot stavano
preparando
le loro armi, e sembravano non attendere altro che poterle utilizzare.
–Bene-
esclamai, guardando Orbot. Anche lui sembrava fremere di ansia. Dopo
anni d’inattività,
il poter finalmente attuare un piano in grande stile sembrava un sogno.
-Dottore.
Siamo in posizione.
Attendiamo i suoi ordini- spiegò il robot Alpha, attraverso
la sua
ricetrasmittente. Io annuì, ben consapevole che lui non mi
potesse vedere.
–Perfetto. Date inizio alla missione
d’infiltrazione, e se questa non andasse a
buon fine, non esitate a ingaggiare e neutralizzare la base, senza
lasciare
prigionieri o, peggio, testimoni- gli dissi, guardando la sua reazione
dalla
telecamera infra-dimensionale. Lui annuì, facendo un cenno a
tutti i robot dietro
di lui, che lo seguirono. Speravo vivamente che non si facessero
scoprire,
soprattutto nella dimensione del Sol. Non sarebbe stato difficile
uccidere i
soldati della G.U.N. , ma se avessimo incontrato il riccio nero e i
suoi figli,
allora avremmo avuto decisamente più problemi.
-Procedete-
dissi solamente,
sperando che tutto filasse liscio. Così, iniziava il mio
piano per appropriarmi
dei Chaos Emerald e dei Sol Emerald.
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Capitolo 11 *** Nuove Esperienze ***
Cap 5- Chao
Althea
Osservavo il paesaggio fuori dalla finestra, che sembrava
apparentemente tranquillo, illuminato dal Sole mattutino. Tuttavia,
ripensando al giorno prima e all’attacco da parte dei robot,
il tutto non mi sembrava più pacifico. Decisi di scendere al
piano inferiore e raggiungere la famiglia del riccio, che in quel
momento stava probabilmente facendo colazione. Dopo che scesi le scale,
mi diressi velocemente in cucina. La prima cosa che notai, fu il riccio
blu scuro che parlava insieme a suo padre. –Sei sicuro che
fossero così tanti?- chiese Sonic.
Suo figlio annuì. –Non ho mai visto
così tanti Badniks tutti riuniti in una sola
volta. E specialmente non in quella zona- proruppe
quest’ultimo. Sonic annuì, essendo
d’accordo con le sue parole. Tutta la famiglia sembrava
ascoltarli attentamente.
-Mi raccomando ragazzi. Non dovrete più uscire da soli
oppure allontanarvi troppo da casa. Se i robot sono aumentati in un
numero così esponenziale, allora dovrete prestare molta
attenzione- borbottò, riflettendo sulle sue parole. -E
questo vale anche per te, Althea- disse all’improvviso,
rivolgendomi un’occhiata e sorridendo. Io abbassai le
orecchie, notando che tutta l’attenzione delle persone
presenti nella stanza era rivolta a me. Non risposi, nonostante tutto.
Perché mai non sarei dovuta tornare in quel posto? Infondo,
se fossi andata in una zona piena di nemici, avrei potuto testare il
mio allenamento e mettermi alla prova con dei veri avversari.
Presi una fetta di pane come la mattina precedente, dirigendomi verso
la porta per uscire. Ma la madre del riccio mi si parò
davanti. -Conosco un posto in cui sarebbe piacevole passare un
po’ di tempo tutti insieme–mi disse lei con un
sorriso. Corrucciai leggermente le sopracciglia. Che cosa aveva
intenzione di fare- –Mi dispiace, ma devo allenarmi- declinai
l’invito.
Vidi una scintilla di pura determinazione nei suoi occhi. -Insisto
perché tu venga con noi, Althea- disse di rimando lei.
Sbuffai interiormente. Non avevo per niente voglia di seguire tutta la
famiglia di quel riccio e dover passare con loro tutta la giornata.
Sonic si voltò verso Dash. -Dash, per favore, esci un
attimo-.
-Cosa? Ma scusa, io...-
-Dash- ribadì Sonic con tono deciso. -Vai-.
Dash sbuffò, alzando gli occhi al cielo. -E va bene...-
Detto questo, si allontanò dalla stanza e se ne
andò da un'altra parte. Sonic ritornò a guardarmi
sorridente.
-Althea, quando sarai regina sarà importante conoscere,
oltre il tuo mondo, anche diverse caratteristiche del nostro. Questa
potrebbe essere una di quelle- mi spiegò il rivale di mio
padre con un sorriso incoraggiante. Ci pensai un attimo. Il mio
obiettivo era di allenarmi, ma ripensando al giorno precedente, e alla
piacevole sensazione che era seguita alla fuga dai robot, riflettei che
forse, e dico forse, potrebbe essere stata
un’attività curiosa.
-Bene. Forse potrebbe essere una cosa interessante- dissi solamente,
osservando il sorriso caloroso della madre del riccio. Dash
ritornò con fare scocciato in nostra presenza.
-Speravo vivamente che tu rifiutassi- sospirò il lui con
tono sarcastico.
-Credevo che tu avessi afferrato il fatto di ''conversazione privata''-
ringhiai. -Che cos'hai sentito?-
Dash fece un'alzata di spalle. -Solo l'ultima parte della
conversazione- sbottò. -E a te che te ne importa?-
Cercai di trattenere il nervoso e di ignorare questa sua affermazione,
ma involontariamente bruciai la fetta di pane che avevo in mano con una
fiammata. I suoi genitori mi guardarono allarmati. Ecco un altro motivo
per cui loro non mi avrebbero mai lasciata da sola in casa loro. Le mie
fiamme. Scrollai velocemente la mano, spegnendo le fiammelle che si
erano create. L’espressione sui volti delle sorelle era
assolutamente indecifrabile. Sembrava un misto tra stupore, nervosismo
e terrore, anche se cercavano di non mostrarlo. Il riccio
insopportabile e i suoi genitori, invece parevano tranquilli,
addirittura rasserenati dalle mie fiamme. Il più giovane dei
tre mi rubò la fetta di pane dalla mano, osservandola. Dopo
qualche secondo scrollò le spalle, dandole un morso.
–Ben cotto. Come piace a me- decretò,
inghiottendone un altro pezzo. Inarcai un sopracciglio. Non sembrava
dirlo con la sua tipica ironia. Forse era davvero cretino come voleva
mostrare. Le sue sorelle lo fissarono divertite, non concentrando
più l’attenzione su di me. Poi lui mi
lanciò uno sguardo.
-Allora, vieni con noi sì o no?- chiese impaziente,
picchiettando un piede sul pavimento. Gli lanciai uno sguardo
trucidatore. –Mi sembra di averti già risposto-
ringhiai, mostrando la mia irritazione. Il riccio ghignò.
–Speravo soltanto che tu avessi cambiato idea-
sospirò. Roteai gli occhi infastidita, scuotendo leggermente
la testa. Suo padre ridacchiò, richiamando la nostra
attenzione. – Se voi avete finito di essere così
amorevoli l’un l’altra, noi inizieremmo a
incamminarci- disse quest’ultimo. Il figlio
sbuffò, cominciando a dirigersi fuori dalla porta, mentre le
sue sorelle seguirono la madre. Innervosita, le seguii. Il padre mi
mise una mano sulla spalla, fermandomi.
- Loro vanno in macchina. Credo che tu preferisca correre, non
è così?- abbassai l’orecchio, annuendo
lentamente. Lui sorrise. –Perfetto! Voglio proprio vedere se
sei veloce quanto tuo padre- disse, ammiccando. Io oltrepassai la
soglia della porta, affiancandomi al riccio blu scuro. Mi rivolse uno
sguardo di sfida, sorridendo. –Pronta a mangiare la polvere
come ieri?- mi chiese mettendosi in posizione per scattare.
–Vorrei ricordarti che siamo arrivati pari, e
l’unico motivo per cui non ti ho battuto era
perché non conoscevo il luogo. Avrei benissimo potuto
vincere se fossimo stati nella mia dimensione- gli ricordai. Lui
inarcò un sopracciglio, incredulo. Prima che potesse
rispondere, suo padre ci raggiunse.
-Bene ragazzi. Siete pronti?- chiese, piegando leggermente le gambe.
–Althea, tu seguici- aggiunse, prima di scattare via, creando
una scia color cobalto dietro di lui. Io e suo figlio ci lanciammo una
veloce occhiata, prima di iniziare a corrergli dietro. Il vento
scompigliava a entrambi gli aculei, facendoci sembrare più
liberi che mai. Dovevo ammettere che suo padre era veloce, forse quanto
il mio. Stava davanti a noi di qualche metro, ma avevo tutta
l’impressione che non stesse andando alla sua
velocità massima. Ero sicura che se avesse voluto, avrebbe
potuto superare la barriera del suono. Dopo qualche minuto di corsa,
Sonic rallentò esponenzialmente. Sentii un rumore di una
macchina che si avvicinava a noi. Mi voltai, notando la vettura rossa,
guidata dalla madre del riccio. La sorella di colore azzurro ci fissava
impaziente, rivolgendo delle occhiate occasionali al padre, il quale
annuì. Dopo qualche secondo, la ragazza prese lo slancio dal
sedile, saltando fuori dalla macchina. La fissai stupita, quando
atterrò dietro di noi. Quello che mi sorprese di
più, fu che ci raggiunse in pochi attimi. Sbarrai gli occhi.
Riusciva a raggiungere velocità simili alle nostre, ma in
modo molto più ridotto. Sembrava stancarsi abbastanza
velocemente rispetto a noi, ed era leggermente più lenta di
me –Felice di rivedervi!- esclamò. Attraversammo
in qualche minuto Green Hill, e il paesaggio iniziò a
variare, insieme alle palme che apparivano sempre più
frequentemente.
Dopo qualche minuto di corsa, vidi che tutti iniziavano a rallentare il
passo, così seguii il loro esempio. Pochi momenti dopo, ci
fermammo davanti ad un gruppo di alberi. Diedi un’occhiata
veloce al rivale di mio padre, che osservava soddisfatto il luogo
davanti a lui. –Da questa parte- ci spronò. Che
cosa poteva esserci di tanto bello nel cuore degli alberi? Dopo che sua
moglie e l’altra figlia ci raggiunsero, iniziammo a
incamminarci. La riccia rosa con gli aculei mossi sembrava
tremendamente impaziente. Mi sembrava strano che una persona come lei
amasse le escursioni. Doveva esserci qualcosa di più.
–Sembri leggermente tesa, gattina- mi infastidì il
riccio blu scuro. Scrollai le spalle, come se quello che mi dicesse non
avesse alcuna importanza. –Considerando che non so dove mi
state portando, posso pensare qualsiasi cosa- gli risposi di rimando.
Lui scosse la testa, con un sorriso divertito in volto. Quando
arrivammo davanti ad un gruppo di cespugli, il padre si
fermò di scatto. –Bene. Siamo arrivati-
esclamò, iniziando a scostare i cespugli da un punto
preciso. Lo fissai, leggermente incuriosita. Quando guardai
più attentamente, notai un buco nel terreno, nascosto da
vari strati di foglie.
-Andiamo- disse il riccio blu, iniziando a scendere in quella che mi
sembrava una fessura nel terreno. Sporgendomi, vidi che in
realtà era una crepa di medie dimensioni. Il figlio lo
seguì senza esitazioni, probabilmente avendo visto numerose
volte quel posto. La riccia con gli occhi azzurri mi sorrise,
spronandomi ad avanzare. Tutto quello era terribilmente strano, ma
cacciai i peggiori pensieri che mi venivano in mente. Scesi cautamente
nella fessura, facendo particolarmente attenzione alle persone che
avevo alle spalle. Mi stavano portando in un posto troppo sospetto per
i miei gusti. Sentii il battito cardiaco aumentare, e il calore del
fuoco nel mio corpo che si faceva più intenso.
-State attenti a dove mettete i piedi- ci avvertì il padre
del riccio. Si poteva sentire un particolare odore, in quella specie di
grotta. Sembrava quasi che l’olezzo della muffa si fosse
mischiato a quello dell’umidità. Nonostante tutto,
l’aria sembrava secca e si faticava a respirare con
facilità. –Non si vede niente- si
lamentò la riccia con gli occhi azzurri, dietro di me. Mi
diedi una veloce occhiata dietro le spalle, tentando di non farmi
notare. Detestavo avere qualcuno dietro di me, specialmente se non
conoscevo quel qualcuno e se eravamo al buio. Accesi una piccola
fiammella sul dito della mano destra, tentando di rischiarare quel
luogo. Improvvisamente, una luce si scatenò dal mio dito,
illuminando interamente la grotta. Mi guardai intorno. Quel posto era
terribilmente inquietante. Dei dossi di terra spuntavano dal terreno,
rischiando di farci inciampare. Le pareti intorno a noi sembravano
terribilmente instabili, quasi come se l’umidità e
il calore avessero potuto scioglierle con il passare degli anni.
–Non ci vorrà ancora molto- esclamò,
l’idiozia fatta a riccio, al mio fianco. Mi limitai a
ignorarlo, continuando a guardare fisso davanti a me e cercando un
qualche rumore che avrebbe potuto mettermi in guardia. O almeno,
più di quanto ero già in quel momento. Sentii i
peli dietro la nuca drizzarsi per il nervoso. Presa dai miei pensieri,
non notai immediatamente la luce che appariva dal fondo di questa
specie di buco scavato sottoterra.
-Finalmente!- disse la madre del riccio, con un tono stranamente
esasperato. Osservai l’incrinatura nel terreno, sopra di noi.
Il riccio e suo padre salirono senza esitazione. Io invece, li osservai
per qualche secondo. Ero inquieta. Non sapevo dove mi stessero
portando, e di certo non mi fidavo di loro. –Ti sbrighi?- mi
urlò il riccio blu scuro, sporgendosi dalla crepa nel
terreno. Scossi leggermente la testa per ridestarmi dai miei pensieri.
Feci un breve salto, atterrando su dell’erba fresca. Sentii
le pupille restringersi per l’improvvisa luce. Alzai lo
sguardo, per cercare un indizio del luogo in cui mi ritrovavo. Sbarrai
gli occhi, assolutamente incredula.
Quel posto era
semplicemente………….meraviglioso.
il sole filtrava tra le foglie degli alberi, ricreando splendidi
effetti di luce. Un piccolo laghetto si trovava alla mia destra, ed era
costernato di massi. Una cascata spruzzava gocce d’acqua su
quello splendido prato, incorniciato da miriadi di fiori. Il tutto
terminava con una scogliera, da cui si poteva osservare il mare che
s’infrangeva sulle rocce. Delle piccole palme cariche di
frutti crescevano vicino all’acqua. Era come un piccolo
giardino. Una visione quasi idilliaca.
Tutta l’ansia che mi sentivo addosso sparì appena
vidi le gigantesche pozze di luce che si espandevano
sull’erba. Mi guardai intorno, incredula che potesse esistere
un luogo come quello. Poi notai qualcosa. Non molto lontano da noi,
delle piccole creature azzurre giocavano spensierate. Strizzai gli
occhi, non credendo a quello che vedevo. – Che cosa sono
quelli?- chiesi, indicando il punto del mio interesse. Il padre del
riccio rise. –Quelli sono dei Chao- mi rispose sorridendo.
–Le creature più vicine al potere dei Chaos
Emerald- specificò, forse per incuriosirmi. Abbassai un
orecchio. Chao? Non ne avevo mai sentito parlare nella mia dimensione.
–Forza, andiamo!- mi spronò la riccia azzurra,
afferrandomi per un braccio e trascinandomi verso quegli esseri. Quando
arrivammo davanti ai Chao, mi scostai velocemente dalla riccia,
allontanandomi di qualche passo.
Quelle creature erano stranissime. La maggior parte di loro erano
azzurri, fatta eccezione per qualche esemplare. Poco dopo, tutta la
famiglia era riunita vicino a quegli esseri. La riccia con gli occhi
azzurri sembrava completamente presa da loro, e li coccolava a turno.
Poi ne prese uno,
porgendomelo.
–Accarezzalo!- esclamò. Guardai
quell’essere, che mi fissava con gioia, allungando le braccia
verso di me per farsi prendere in braccio. Avevano degli occhi
stranamente dolci. Sembravano completamente puri. Mi allontanai di
qualche passo. – Non m’interessa- mi giustificai,
andando ad appoggiarmi in disparte su una roccia. Osservai quelle
persone. Le sorelle del riccio sembravano pazze di quegli esseri.
Giocavano spensierate insieme con loro, prendendoli in braccio e
coccolandoli. Incrociai le braccia al petto, nervosa. Non avrei mai
pensato che mi avrebbero portato in un posto come questo. Ma a quale
scopo? Io non avevo certo bisogno di affezionarmi a qualcuno.
-Sembri stare un po’sulle tue, Althea- mi voltai di scatto,
ritrovando la madre del riccio che mi fissava con un sorriso.
–Dovresti rilassarti di più, scioglierti un
po’- mi consigliò, guardandomi con uno sguardo
stranamente dolce. Perché mi stava dicendo queste cose? Io
non avevo bisogno di consigli. –Rilassarmi non è
il mio forte- risposi, cercando di essere meno sgarbata possibile. Lei
sospirò. –Mi ricordi molto tua madre, la prima
volta che la conobbi- disse a mezza voce, quasi come se stesse pensando.
–Sei una brava ragazza, e sei anche molto forte. Ma
tutti abbiamo bisogno di un amico. Un giorno potresti averne bisogno
anche tu- continuò. Abbassai lo sguardo. Un amico?
Perché avrei dovuto averne bisogno? Sapevo benissimo badare
a me stessa. – Althea, io credo che tu- tentò lei
di parlare, ma si interruppe.
-DASH! SONIC!- strillò, perdendo improvvisamente tutta la
calma che aveva qualche minuto prima. –SMETTETELA DI LANCIARE
IN ACQUA I CHAO!- iniziò a incamminarsi velocemente verso i
due ricci a cui stava urlando. Davvero credeva che io avessi bisogno di
qualcuno che mi aiutasse? Scossi la testa, infastidita. Non molto
lontano da me, notai un piccolo Chao bianco che si avvicinava con fare
affettuoso. Alzai un sopracciglio, non capendo cosa volesse. Quando fu
ai miei piedi, inizio a tirarmi i bordi viola scuro del cappotto. Mi
scostai leggermente, cercando di scacciarlo. Improvvisamente, sentii
qualcosa che aveva afferrato le mie spine. Quando cercai di guardare
cosa fosse, l’altro Chao si arrampico sulla mia gamba, fino a
restare aggrappato con tutte le forze alla mia pancia. Quando guardai
cosa si fosse attaccato sulle mie spine, notai che era
un’altra di quelle creature. Abbassai le orecchie, nervosa.
Davanti a me, una decina di quegli esseri mi si avvicinò in
volo. Una di queste si appoggiò sulla mia testa,
accoccolandosi. Il resto di loro mi afferrò senza pudore
ogni parte libera del mio corpo. Sentii il battito cardiaco aumentare
per l’irritazione e per l’ansia di potergli fare
del male. Il calore aumentò, e la mia pelliccia
diventò notevolmente calda. Sentii un altro Chao aggrapparsi
alla mia coda. Cercai di scrollarmeli di dosso, ma sembravano quasi
essere attaccati con la colla. Sentii una risata, e mi voltai.
-Che bello spettacolo. Siete così carini!- disse ironico il
riccio irritante, che aveva affianco suo padre. Gli lanciai
un’occhiata truce. – Richiama questi affari, oppure
avrete della carne ben cotta per cena- ringhiai irata. Lui
scrollò le spalle avvicinandosi, perennemente divertito.
–Devono essere attirati dal potere del Chaos che emani-
proruppe suo padre. Quando il riccio blu scuro allungò una
mano per tentare di staccare i Chao dal mio braccio sinistro, questi
ultimi bloccarono i piccoli versi che emettevano.
All’improvviso, iniziarono a volare lontano da noi. Gli
esemplari che poco prima erano in braccio alle sorelle del riccio,
adesso stavano cercando con tutte le forze di liberarsi dai loro
abbracci. Non sembravano tranquilli come qualche minuto prima. La
maggior parte di loro andò a rifugiarsi in dei piccoli buchi
scavati nel terreno, che supposi fossero le loro tane.
-Che cosa sta succedendo?- chiese la riccia azzurra, guardando intorno
a lei. Il padre del riccio si avvicinò a uno di quegli
esseri con cautela e allungò una mano verso di lui, il quale
si scansò velocemente, volando sopra un albero.
–È strano. Di solito non si comportano
così- esclamò, grattandosi pensieroso il naso.
Abbassai un orecchio, guardando le loro facce stranite. I genitori del
riccio sembravano particolarmente preoccupati. –Forza,
torniamo a casa- esclamò la madre, cercando di nascondere
tutta la negatività della situazione. Mi voltai
un’ultima volta verso i Chao. Improvvisamente, sentii una
strana sensazione nel petto. Tutto quello non era normale. Avevo un
terribile presentimento. Speravo con tutto il cuore che fosse soltanto
un’impressione. Ma sapevo benissimo che tutto quello era
strano. E se fosse dovuto succedere qualcosa, lo avrei scoperto presto.
Comandante Jeremy Gibson
Durante il viaggio verso lo stabilimento, i miei pensieri si
concentravano esclusivamente sugli eventi che potevano seguire.
L’attacco alla base non lasciò vittime, eppure
aveva dell’inquietante, ed io sono cresciuto in un mondo che
ha subito attacchi da parte di scienziati pazzi, creature acquatiche,
ricci supremi, alieni, e mostri residenti nel centro stesso del
pianeta, quindi avevo una minima idea di quello che poteva significare
un attacco di quel calibro. Ricambiai il saluto militare rivolto agli
agenti, i quali mi portarono immediatamente nei punti salienti relativi
all’assalto da noi ricevuto.
I nostri uomini furono addormentati e la base era quasi totalmente
illesa, a parte qualche telecamera distrutta prima che potessimo
identificare gli aggressori. Quindi pensai che chiunque fosse stato il
responsabile di quel disastro, non voleva inutili spargimenti di
sangue. O meglio, non desiderava essere infastidito da qualche soldato
straziato dal dolore.
Ciò non voleva dire che i nostri uomini fossero in buone
condizioni, considerando che i proiettili tranquillanti che avevamo
trovato vicino ai soldati avrebbero benissimo potuto stendere un
elefante senza alcun problema.
Ovviamente, ero molto più preoccupato per ciò che
mi aveva spinto a venire qua di persona.
Giunti nel caveau, infatti, potei confermare la notizia ricevuta poche
ore fa: il Chaos Emerald era stato rubato, e la porta del caveau in cui
risiedeva era stata letteralmente fusa. Una porta in titanio puro era
stata liquefatta, come se fosse stata un cubetto di ghiaccio esposto ai
raggi diretti del Sole. Dovevamo assolutamente riuscire a capire chi
fosse stato a vendere le munizioni. Se fossimo riusciti a ritrovare il
trafficante di quei proiettili, avremmo potuto interrogarlo e poter
ottenere degli indizi.
-Siete riusciti a scoprire qualcos’altro?- domandai
all’agente al mio fianco, il quale rileggeva una serie di
fogli. Lui scosse la testa, guardandomi con un leggero timore.
Sospirai, incrociando le mani dietro la schiena.
-No, signore, non ancora. Ma grazie ai proiettili lasciati in giro per
la base riusciremo ad identificare gli aggressori entro pochi giorni-
affermò il soldato, in parte allarmato da quella che poteva
essere la mia reazione-E’ evidente che lei non comprende
appieno la gravità della situazione: un furto di questo
calibro non va preso alla leggera, ed in “pochi
giorni” potrebbe ripetersi il fatto- gli ringhiai contro,
mantenendo comunque il contegno che mi doveva caratterizzare come
leader. Il soldato ribatté. –È tutto
ciò che possiamo fare, signore- Gli lanciai uno sguardo
trucidatore, che avrebbe potuto mettere a tacere anche il soldato
più ribelle. Sapevo come rispondere. Sempre. -Allora voglio
di più- sibilai.
Non potevamo commettere alcun tipo di errore.
Era il mio quinto anno come Comandante supremo della G.U.N., e non
avevo mai tollerato alcun tipo di leggerezza, disobbedienza od
incompetenza, ma quella, ne ero certo, sarebbe stata la mia vera
occasione di dimostrarmi superiore anche al nostro illustre precedente
Comandante, il sopravvissuto dell’A.R.K.
Ma avevo un asso nella manica; la scientifica sarebbe riuscita
senz’altro in poco tempo a riconoscere il venditore dei
proiettili; il vero problema sarebbe stato riconoscere il compratore
tra le migliaia dei suoi acquirenti, quanto meno per il tempo che ci
sarebbe voluto. Ed era questo il nostro vero problema. Il tempo.
Sarei dovuto ricorrere a dei “professionisti” delle
indagini “underground” e ufficiose, consapevole del
fatto che, nella storia della G.U.N., sarei probabilmente stato il
primo ad avere la consapevolezza di dover ricorrere ad una contromisura
che qualcuno, forse, avrebbe potuto ritenere
“disperata”. Ma sapevo dei loro trascorsi, ero
consapevole delle loro abilità, e rimanevo sicuro del fatto
che quel lavoro sarebbe stato perfetto per loro.
Inoltre, ero consapevole del loro amore per il denaro...
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Capitolo 12 *** Busta paga ***
Cream
Mia
madre me lo diceva sempre. Da
adulta, avrei fatto grandi cose. Forse al tempo non riuscivo a
comprendere il
significato di quelle parole. Mi sembrava una normale frase, priva di
alcun
significato che avrebbe potuto rivelarsi importante. Soltanto adesso
potevo
davvero capire a fondo quello che mi diceva. Quand’ero
piccola avrei voluto
fare un mestiere come la fioraia, oppure la pasticcera. Soltanto quando
passarono gli anni, capii cosa amavo davvero fare. La mia passione era
particolare. Io adoravo costruire, mettere insieme pezzi di qualsiasi
tipo e
creare un qualsiasi progetto che avrebbe potuto rivelarsi importante. E
i
computer. Andavo matta per i computer. Vedere come funzionavano, e
provare a
farli funzionare. Inoltre, erano utili per i miei progetti. Dopo essere
riuscita
a coltivare negli anni queste passioni, riuscii a trovare lavoro in
un’agenzia.
Un’agenzia molto particolare.
Di
certo non dormivo in un letto lussuoso, e non mangiavo piatti da
cinque-stelle,
ma quello che facevo mi rendeva davvero felice, e la mia vita mi
sembrava
perfetta così. E poi avevo sempre Cheese e Chocola affianco
a me.
Il mio capo era un tipo
simpatico, forse leggermente
stravagante. Il suo nome
era………….
-CREEEEAM! APRI LA PORTA! QUESTA ROBA PESA!-
………….Vector.
Mi alzai di scatto
dalla sedia su cui ero comodamente appoggiata, dirigendomi verso la
porta della
nostra agenzia investigativa. Lanciai un’occhiata ai miei due
Chao, che mi
svolazzavano nervosamente intorno. Spalancai la porta, fissando
divertita il
coccodrillo carico di borse della spesa, davanti a me. Appena lui le
ebbe
buttate sul pavimento con un tonfo, tirò un sospiro di
sollievo. Si stirò i
muscoli della schiena, inarcandola leggermente. –Ecco una
cosa da aggiungere
alla mia bacheca, Cream. Ricordami di non far mai più
scrivere la lista della
spesa a Charmy. Mai-
borbottò lui,
sistemandosi abilmente le sue inseparabili cuffie sulla testa. In tutti
quegli
anni, il suo carattere non era cambiato di una sola virgola. Forse
soltanto il
suo aspetto fisico si era modificato in quel lasso di tempo. Si era
alzato
ancora di qualche centimetro, e il suo viso adesso sembrava leggermente
più
invecchiato.
-A
proposito- esclamò,
guardandosi intorno. –Dove sono Charmy ed Espio?- chiese,
stupito di tutto quel
silenzio. –Espio è andato ad allenarsi, mentre
Charmy………….dove diamine
è lui?-
dissi, grattandomi la guancia. Vector fece un suono strozzato,
scuotendo la testa
con fare scocciato. –Oh no, lo sta facendo di
nuovo. Cream, seguimi. So dove trovarli- mormorò,
dirigendosi verso una
delle stanze più remote della nostra
‘’casa’’. Aprì
leggermente la porta,
lasciando visibile soltanto uno spiraglio, che ci mostrava la stanza
personale
di Espio.
Notai
l’ape appoggiata con la
schiena al muro, con una mela in testa. – Allora quando
abbiamo finito mi
compri un gelato?- chiese Charmy con il suo tono infantile, nonostante
ormai
avesse più di ventisei anni. Dovevo ammetterlo, con il tempo
era cambiato
molto. Il fisico era diventato più slanciato, e quella che
una volta era una
piccola ape, adesso mi aveva superato nettamente in altezza. Espio
sembrò
ignorarlo.
-Se
va tutto a buon fine, te ne
compro due di gelati- mormorò quest’ultimo. Come
si suol dire, alcune cose non
cambiano. E questo vale allo stesso modo anche per le persone. Espio
con gli
anni non era cambiato molto. Forse l’unica differenza che si
poteva notare
esponenzialmente era il pizzetto nero che si era fatto crescere sul
mento. Dopo
qualche secondo sentimmo un rumore secco, e vidi che la mela sulla
testa di
Charmy era rimasta attaccata al muro, con un kunai che la trapassava da
un’estremità all’altra.
-ESPIO!-
lo richiamai, entrando
velocemente nella stanza. Lui mi lanciò
un’occhiata indifferente. Vector scosse
la testa esasperato. –Charmy, ti sembra logico farti lanciare
un coltello
contro soltanto per farti regalare un gelato?- gli chiese il
coccodrillo.
Charmy ridacchiò felice. –Due
gelati!- specificò, con un sorriso enorme sulle labbra.
Vector sospirò,
cercando di mantenere la calma. Appena l’ape
focalizzò i due Chao, i suoi occhi
si illuminarono, e si avvicinò rapidamente a loro. Quando
allungò un braccio
per accarezzarli, questi si scansarono, iniziando a volare nervosi
intorno a
me. –Si può sapere che cos’hanno?- disse
Espio, fissando con aria interrogativa
i due Chao. –Non ne ho idea. E’ da un po’
che si comportano così- risposi,
fissando preoccupata Cheese e Chocola. Era strano che si comportassero
in quello
strano modo così all’improvviso. Erano
turbati………….ma da cosa?
L’improvviso
suonare del
campanello mi fece sobbalzare, distogliendomi dai miei pensieri. Vector
si
affrettò ad uscire dalla stanza, dirigendosi verso la porta
d’entrata
principale della nostra agenzia. Il suo sguardo era diventato
improvvisamente
gioioso. Mi sporsi, cercando di vedere chi fosse alla porta. Quando
Vector guardò
dallo spioncino, il suo corpo si irrigidì improvvisamente.
Non sembrava avere
più traccia della gioia nel sentire il campanello suonare,
sperando che potesse
essere un potenziale cliente. Dopo qualche secondo di esitazione,
aprì la
porta. Due uomini, con una giacca nera, cravatta e occhiali da sole, lo
stavano
fissando.
-Buongiorno.
Lei è il signor
Vector the Crocodile, proprietario dell’agenzia investigativa
Chaotix?- chiese
uno di questi, con i capelli rosso fuoco che risplendevano al Sole.
–Sì. Sono
io- rispose Vector, con un tono che non tradiva il suo nervosismo.
-Siamo due agenti
della G.U.N.- sbarrai leggermente gli occhi. Che cosa potevano volere
da noi questi
tizi? L’altro uomo porse una lettera a Vector. Charmy mi
scostò leggermente,
cercando di dare un’occhiata a quello che stava succedendo.
Dopo che Vector
ebbe afferrato la lettera, uno degli agenti si voltò,
iniziando ad incamminarsi
verso quella che supponevo fosse la loro auto. –Arrivederci-
esclamò solamente
l’altro, seguendo il suo compagno. Vector rimase intontito
per qualche attimo,
prima di richiudersi la porta alle spalle.
-Si
può sapere cosa vuole la G.U.N?
Non vorrai dirmi che ti sei indebitato con loro, vero Vector?- chiesi,
impaurita da quella che poteva essere la sua risposta
-No, no. Assolutamente no. Ad essere sincero,
non ho un vero motivo per essere sospettoso, semplicemente non mi fido
di quei cagnolini
del Governo- Non
sapevo come dargli
torto. Ma allo stesso tempo non riuscivo a trattenere la mia
curiosità, mentre
scartava velocemente la busta.
Non
appena Vector tirò fuori la
lettera, sentii Espio pronunciare le tre fatidiche parole che stavamo
aspettando tutti. -Cosa c’è scritto?- Vector
rilesse un’ultima volta la lettera,
prima di rispondere. -Guardate voi stessi-
_Alla cortese attenzione dell’Agenzia
investigativa Chaotix,
l’organizzazione militare e scientifica
per la difesa di Mobius, comunemente
denominata G.U.N, richiede
un incontro
per motivi professionali tra la suddetta agenzia ed il comandante
supremo della
G.U.N. attualmente in carica, Jeremy Gibson.
Nel qual caso la “Chaotix”
decidesse di accettare l’invito, le si prega
di presentarsi al Quartier generale della G.U.N. risiedente a Station
Square entro
le 17:00 di questa giornata
Il
comandante Jeremy Gibson_
-Tu
ti fidi?- chiesi,
tremendamente nervosa al coccodrillo. Lui scosse la testa deciso. -Te
lo ripeto.
Assolutamente no. Ma abbiamo dei debiti da estinguere, e per quanto non
sopporti quei cervelloni della scientifica, di una cosa siamo certi.
Pagano
bene, e lo fanno subito- rispose, leggermente seccato. La risposta di
Espio non
tardò ad arrivare – Non siamo mai stati nelle loro
grazie, Vector. Chi ti dice
che si comporteranno correttamente? – il coccodrillo rispose,
pieno di falsa
sicurezza-Nessuno, questo è il bello del nostro lavoro!-
Come
al solito, Charmy tirò fuori
uno dei suoi tipici discorsi fuori luogo-Ed i miei gelati?- lo chiese
con un
pizzico d’ironia, la quale mi fece comparire un minuscolo
sorriso. E, come al
solito, Espio aveva sempre una
risposta, atta a convincere Charmy a venire con noi senza creare troppi
problemi-Non ti preoccupare, Charmy, ti posso assicurare che nessuno,
in tutta
Station Square, produce dei gelati dolci e cremosi come quelli della
G.U.N.-
spiegò il camaleonte. Charmy ridacchiò
sarcastico, incrociando le braccia al
petto. Sentii quindi Vector, in tutta la sua fierezza, pronunciare le
seguenti
parole -Bene ragazzi, preparatevi, fatevi la doccia e profumatevi per
bene,
abbiamo un colloquio che ci aspetta!- Non potevo negare che avevo
sempre desiderato
dare un’occhiata alle avanzatissime attrezzature della G.U.N,
e questa era la
mia occasione.
Vector
-Dovrebbe
essere questo il posto-
esclamai, lanciando un’occhiata a tutti i miei compagni al
mio fianco. –Da cosa
lo deduci, dalle tre enormi lettere l’una consequenziale
all’altra, tra l’altro
intervallate da tre puntini? Non mi stupisco che tu sia il nostro capo-
mi
rispose Charmy con il suo tono occasionalmente ironico. Roteai gli
occhi. Era
strano come quel bambino fosse cresciuto in vent’anni. Certo, il suo spirito
noioso e petulante
continuava ad ossessionarci.
Iniziai
ad incamminarmi verso
l’enorme edificio, seguito dai miei compagni. Quando
oltrepassammo l’enorme
porta d’ingresso scorrevole, ci ritrovammo davanti una
vastissima hall
principale. Centinaia di persone camminavano frettolosamente in ogni
direzione.
Probabilmente erano dipendenti degli uffici
dell’Amministrazione della G.U.N.
Al
centro della sala vi era
situata una Reception, esattamente ciò che ci serviva per
trovare l’ufficio del
mittente della lettera, colui che si definiva il capoccia di tutta
l’organizzazione. Molto gentilmente, la giovane e, devo
dirlo, piuttosto
attraente receptionist, ci pose una domanda piuttosto prevedibile –Buongiorno,
come posso
aiutarvi?-
-Stiamo
cercando l’ufficio del
vostro Comandante- risposi solamente. Lei ci lanciò
un’occhiata sospettosa,
cercando di capire se stessimo parlando sul serio. Prima che potesse
aggiungere
qualcosa che avrebbe potuto essere offensivo, le porsi la lettera. La
afferrò
velocemente, leggendone il contenuto. Senza dirci una singola parola,
diede una
controllata ad gruppetto di fogli che aveva li vicino.-Quindicesimo
piano,
porta in fondo a sinistra- disse, facendo un cenno
all’ascensore che stava
vicino alle scale. La ringraziammo velocemente, incamminandoci.
Devo
ammetterlo, per quanto la
G.U.N. fosse un’organizzazione militare sporca come le
toilettes di un
autogrill, sapeva bene dove trovare i fondi per le proprie mire. Un
altro
ottimo motivo per tenerseli stretti come clienti.
Saliti
sullo spaziosissimo
ascensore, premetti il pulsante per il quindicesimo piano. Purtroppo
non potevo
immaginare che avremmo dovuto fare i conti con l’ingrediente
che, insieme a
quell’adorabile piaga che prende il nome di Charmy, formava
un cocktail
insopportabile: la canzone di sottofondo dell’ascensore.
-Charmy,
non è il momento per
canticchiare…-bisbigliai, viste le numerose persone presenti
insieme a noi
nell’ascensore. Ovviamente, non ricevetti alcuna risposta,
ricordandomi il
perché non avevo mai lasciato a Charmy il compito di curare
le pubbliche
relazioni dell’agenzia.
-Charmy,
stiamo facendo una
figuraccia- sentii Espio bisbigliare con nervosismo. Sul serio, lavoro
con quel
ninja da più di vent’anni, e giuro che non lo
avevo mai visto tanto nervoso
quanto nei momenti in cui doveva avere a che fare con Charmy per un
periodo
particolarmente lungo, nemmeno quando ci siamo dovuti confrontare con
quel
maledetto riccio robotico.
Grazie
al cielo, fu poi il turno
di Cream, probabilmente l’unica che avrebbe potuto convincere
Charmy a chiudere
il becco. -Charmy, rischi di farci una pessima pubblicità se
continui così. Ti
pregheremmo di smettere subito…- Sembrò che
all’ape non gliene potesse
importare di meno. –Ohhh, cavolo, quando mi ricapita di poter
fischiettare di
nuovo in un ascensore così lussuoso…- Mi
trattenni dal stringere i pugni con
rabbia.
-Nessun
problema, Charmy. All’iper-mercato
ce ne sono almeno tre di ascensori, dovresti soltanto deciderti a fare
la spesa
qualche volta!- gli ringhiai contro. Lui sollevò
impercettibilmente un
sopracciglio e roteò gli occhi, finendola finalmente di
fischiettare. Rilassai
leggermente le spalle per il sollievo, quando vidi che le porte
dell’ascensore
si spalancarono. Io e la mia squadra fummo i primi ad uscire, non
desiderando
stare più a lungo in uno spazio così ristretto
insieme a Charmy.
Attraversammo
velocemente il
lungo corridoio, ai cui lati vi erano vari ingressi di uffici, e una
volta
arrivati in fondo al corridoio, ci voltammo a sinistra, proprio davanti
all’ufficio
del comandante. Suonammo il campanello, facendoci aprire la porta dalla
segretaria personale del comandante. -Buongiorno, avete forse prenotato
un
appuntamento con il signor Gibson?- pronunciò
quest’ultima, alquanto stupita
nel vedere persone così… diciamo
“bizzarre” approdare nell’anticamera del
suo
capo.
-Siamo
i Chaotix, dovevamo
vederci con il Comandante per le 17:00 in punto- risposi porgendo la
lettera
alla segretaria.
La
donna, dopo averci intimato di
aspettare, premette il pulsante dell’altoparlante sulla sua
scrivania.
-Signor
Gibson, sono arrivati… un coniglio,
un’ape, un camaleonte ed un coccodrillo che dicono di essere
i Chaotix. Sì
signore, so che detto in questo modo è bizzarro, ma le
assicuro che è così-
Disse lei, esitando leggermente sulle sue parole, quasi non credesse a
quello
che stava dicendo. Ci fu qualche breve secondo di silenzio, quasi
inquietante. -Li
faccia passare- gracchiò lui attraverso
l’altoparlante. La segretaria eseguì
immediatamente il suo ordine, concedendoci gentilmente di proseguire.
E
quindi, appena oltrepassata la
soglia, ci addentrammo nell’ordinatissimo ufficio del nostro
eventuale cliente,
trovandolo seduto dietro la sua scrivania: Geremy Gibson, il nuovo,
intollerante e severo comandante supremo della G.U.N.
Sapevo
poco di lui, ma lo
conoscevo abbastanza da sapere che era un tipo scaltro: arruolatosi nei
Marine
all’età di 18 anni, dopo poco tempo la sua
abilità venne notata dal Comandante
allora in carica, che gli offrì la possibilità di
prestare le sue abilità nella
più efficiente organizzazione militare mobiana mai esistita.
Ovviamente sto
parlando della G.U.N.
In
pochi anni scalò molti ranghi
militari, assumendo la reputazione di soldato ribelle ma allo stesso
tempo
tattico, ed era sempre totalmente dedito agli ordini. La sua ambizione
lo portò
fino alla carica di comandante supremo della G.U.N. che detiene ormai
da cinque
anni. Senz’altro un’ottima carriera, ma
ciò non significava che mi fidassi di
lui. Anzi, ricordarmi chi era quella sottospecie di bambino prodigio
con cui
avevamo a che fare, mi faceva soltanto stare ancora più
sull’attenti di quanto
già non fossi.
-Voi
dovete essere l’agenzia
investigativa Chaotix. Speravo nel vostro arrivo- disse lui,
rivolgendoci
un’occhiata indifferente, quasi non gli importasse niente
della nostra
presenza. –Suppongo che siate piuttosto confusi sul
perché vi abbia mandato a
chiamare- esclamò lui, alzandosi dalla sua sedia. Charmy
ridacchiò. –Non ci
import…!- tentò di parlare
quest’ultimo, subito interrotto da Espio, il quale gli
tappò rapidamente la bocca con una mano.
-Continui,
Comandante- pronunciò
il camaleonte.
Subito
dopo, il soldato iniziò a
parlare, con un’aria particolarmente seria. -Come ben sapete,
Mobius negli
ultimi vent’anni ha vissuto un periodo di pace
pressoché totale, preceduto da
una serie di crisi mondiali di una frequenza incredibile.
Ciò
è dovuto all’apparente
scomparsa di una delle più grandi menti degli ultimi secoli,
il dottor Ivo
Julian Robotnik.-Si fermò un attimo dal parlare, come se
stesse cercando le
parole giuste. -Questa non è una novità, signor
Gibson. Noi cosa centriamo in
tutto questo?- gli chiesi perplesso io.
Lui,
con fare preoccupato,
rispose-Poche ore fa, una delle nostre basi è stata violata,
ed uno degli
smeraldi rubato- Sbarrai leggermente gli occhi, recependo
l’ultima frase come
se fosse stata un cataclisma. E in effetti, lo era. -Rubato?
E’ uno scherzo?
Sono vent’anni che quei tarocchi non vengono nemmeno
sfiorati, e all’improvviso
uno sconosciuto bussa alla porta e lo sfila dalle mani dei vostri
soldati
iper-addestrati come se niente fosse?- gli chiesi io, nervoso.
-Credetemi
signori: se davvero avessi voluto scherzare con qualcuno, sicuramente
non
sareste stati voi- rispose lui, con un tono leggermente sarcastico.
Espio,
con aria sospettosa, parlò.
-Però c’è una cosa che non capisco. Non
esistono al mondo investigatori
migliori di quelli della G.U.N, però lei richiede comunque
il nostro aiuto per
risolvere questa crisi. Perché?-Il Comandante gli rispose,
con un velo di
ironia.
-E’
molto semplice, signor
Chameleon. Ha ragione nel dire che i nostri reparti sono i migliori al
mondo,
ma purtroppo, manca loro una caratteristica essenziale a questa
missione, che
voi invece possedete-
Espio
rispose-E quale sarebbe?-
il Comandante gli rivolse un’occhiata velata -Beh, non sono
abbastanza poco di
buono per avere a che fare con Nack- questa frase scatenò lo
sguardo adirato di
Espio.
-Sul luogo non vi sono state vittime, ma sono stati
ritrovati soltanto soldati
sedati con un potente tranquillante, prodotto con una miscela della
quale non
avevamo mai sentito nominare, ne ci abbiamo mai avuto a che fare. Dopo
aver analizzato
i proiettili, siamo risaliti al numero totale di venditori e produttori
di
questa particolare e costosa miscela: uno
solo-
-Qual
è il suo nome?- chiesi,
sentendo la mia curiosità in continua crescita. Stranamente,
ricevetti subito
una risposta. -Ha vari nomi non ufficiali. Alcuni lo chiamano
“il lupo
gangster”, altri “la donnola viola”. Ma
lui preferisce farsi chiamare “Nack the
Weasel”-
Cream
fece un lieve sorriso. -Nack
the Weasel, cercatore di tesori, cacciatore di taglie e contrabbandiere
part-time- continuò lei la spiegazione, assolutamente certa
di quello che stava
dicendo.
-La
sua clientela favorita è
costituita da malavitosi e signori della guerra, il suo principale
terreno di
contrabbando è il mercato nero, e la sua fama è
dovuta principalmente alla
precedente collaborazione con il “geniale” dottor
Robotnik, anche detto Eggman-
concluse lei, gesticolando con le mani. Il Comandante annuì
lentamente. –La
ragazza è informata. Perché diamine lavora con
persone come voi?- chiese,
guardando la coniglia. –Non siamo venuti qui per parlare dei
miei uomini,
Signor Gibson- ringhiai, leggermente scocciato. Il Comandante
sembrò ignorare
quello che gli avevo appena ricordato, e continuò
imperterrito nella sua
spiegazione.
-
C’è un’altra cosa che dovete
sapere su Nack. Si tratta di uno dei più furbi malviventi
con i quali abbiamo
mai avuto a che fare. Sembra che non possieda una dimora fissa, ma
diverse basi,
alcune delle quali utilizza anche per svolgere i suoi sporchi affari.
Sono
sparpagliate in tutto il mondo, e una di queste è situata
qui a Station Square.
Tuttavia,
a sua insaputa, siamo
riusciti a tracciare un percorso che ripete quotidianamente, non appena
fuoriesce da uno dei tanti vicoli della città,
vale a dire quello che porta al suo locale preferito,
ossia l’ ”Into
dreams”.
Il
vostro compito sarà quello di
dirigervi al locale, stabilire un contatto con il bersaglio, e cercare
di “convincerlo’’-
fece una brevissima pausa ad effeto -a farvi rivelare la lista dei suoi
clienti
negli ultimi 20 anni, ossia da quando si sono calmate le acque su
Mobius. Non
uno escluso. Qualche domanda?-
Io,
ovviamente, ne tenevo una in
serbo da quando quel dannato Comandante aveva iniziato a blaterare.
Fremevo
d’impazienza, sperando in una risposta soddisfacente. -Io ne
ho una. Lei crede
per caso che la nostra agenzia faccia la carità?- dissi.
Charmy mi rivolse una
veloce occhiata, inarcando leggermente un sopracciglio. Dopo qualche
secondo,
decise di parlare. -Cough…Invece
sì….Cough-cough…-Odio
quando finge di
tossire per dire qualcosa, è la sua strategia più
subdola.
-Quello
che intendo dire- Alzai
notevolmente il tono di voce, cercando di zittire l’ape.
-È
che non deve dare per scontata
la nostra collaborazione, non so se mi spiego- Con uno sguardo
illuminato,
quasi come se fosse stato consapevole che prima o poi le avremmo fatto
questa
domanda, rispose. -La G.U.N. è disposta a pagare molto bene
i vostri servizi-
Un sorriso mi sorse spontaneo sulle labbra. -Quanto bene?- chiesi,
cercando di
non dare a vedere il mio nervosismo.
Il
Comandante rispose molto
chiaramente.-500.000 Ring- Sbarrai gli occhi. Non potevo credere alle
mie
scagliose orecchie. E nemmeno il resto della squadra sembrava crederci.
Altro
che pagare le bollette, con una cifra simile potevamo anche
ristrutturare e migliorare
il quartier generale. -Quando possiamo cominciare?-chiesi, ancora
estasiato per
la notizia. Fu allora che mi resi conto di quanto il caro Jeremy
potesse
risultare, al giusto prezzo, incredibilmente simpatico.
-Non
appena lo riterrete
opportuno- rispose il Comandante, con una faccia che faceva comprendere
la sua
felicità nel sapere che il suo piano aveva avuto successo.
Incredibile, sapevo
benissimo che stava giocando con noi, che eravamo le sue pedine
temporanee, ma ci
sono cascato comunque. Quell’uomo
credeva di essere furbo, e in effetti lo era. Ma non aveva la
più pallida idea
di con chi stava lavorando. Noi eravamo il Team Chaotix. Un team unito,
indistruttibile. E per quell’enorme somma di denaro, nessuno sarebbe riuscito a fermarci.
Neanche quel dannato parassita
viola .
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Capitolo 13 *** CHAOTIX ***
Nota
d’Autore: Uhm…sì. Lo so,
sono in un terribile ritardo. Io chiedo davvero scusa, ma per vari
impegni
scolastici non ho proprio potuto fare di meglio. Ci hanno letteralmente
ricoperto di interrogazioni e di verifiche. Mi dispiace dire, che,
probabilmente,
per questo periodo non potrò più aggiornare
frequentemente- ovviamente
continuerò a farlo, ma non potrò farlo molto
spesso. Cercherò di fare del mio
meglio.
Grazie
e buona lettura!
Vector
Alla
fine del colloquio con il
Comandante, io e la squadra passammo il resto della giornata a
elaborare un
piano.
La
strategia era questa: prima di
tutto avremmo dovuto stabilire un contatto con Nack, nel nostro caso
per
acquistare armi per rapinare qualche banca, d’altro canto
eravamo al verde, era
una scusa più che plausibile, così da poter
conoscere la strada per giungere al
suo covo.
Fatto
ciò, Espio, prima
dell’incontro, sarebbe andato in avanscoperta per seguire
direttamente Nack e
scoprire la strada per il suo covo, nonché per analizzare la
morfologia e
l’eventuale presenza di trappole all’interno dello
stesso.
Solo
allora avremmo potuto
elaborare un metodo per costringere la donnola a parlare. Avremmo agito
subito
il giorno successivo.
Erano
questi i pensieri che mi
percorrevano la mente mentre mi dirigevo rapidamente verso il bar
favorito di
Nack, attraversando le vie più malfamate di Station Square.
Quelle nelle quali
di solito nasci innocente e muori da malavitoso, o nel migliore dei
casi, da borseggiatore.
Infine mi trovai davanti al bar con sopra l’insegna
“Into dreams”. Ovviamente spenta,
essendo ancora pieno giorno.
Varcai
quindi la soglia della porta
d’entrata, e mi trovai davanti ad una saletta bar che
sembrava giusto uscita da
un film noir a caso. Con le pareti colorate di un rosa chiaro e le luci
soffuse
che finivano per dare all’ambiente una particolare
colorazione arancione, era
un luogo assolutamente perfetto per coloro il cui scopo era quello di
rinnegare
la luce del sole per rifugiarsi nello scudo sicuro del fumo e
dell’alcool, con
l’unica differenza che le persone al suo interno
probabilmente non erano
attori.
Cercai
tra gli individui seduti
al bancone e nei tavolini il nostro uomo, ansioso di ordinare un drink
e di
iniziare un'amabile conversazione con quest’ultimo.
Poi
lo trovai, appostato sul
tavolino situato sull’angolo opposto rispetto
all’entrata e accanto al bagno,
mentre si teneva il suo cappello Stetson marrone, forse per evitare di
essere
disturbato nel suo momento della giornata preferito, o forse per
rendersi
invisibile a occhi indiscreti, o ancora perché pensava di
essere
particolarmente ganzo. Beh, missione fallita Nack.
Mi
accinsi quindi a dare inizio
alla missione vera e propria. -Ehi amico ti spiace se mi siedo qui? Non
si
trova posto oggi- Esclamai, avvicinandomi a lui. Lui alzò
leggermente la testa,
squadrandomi. Ricevetti una risposta che ricordo sempre con grande
piacere. -Sfiora
questo tavolo con un dito e ti assicuro che da domani inizierai il tuo
nuovo
lavoro come borsetta. Ci sono altri tavoli, vai a rompere qualcun
altro- Ammetto
che la conversazione non era iniziata nel migliore di modi, ma non mi
sarei
arreso per questo piccolo contrattempo -Suvvia amico, io ho proprio
voglia di
sedermi qui- ribattei, insistente. Ero certo che così avrei
migliorato la
situazione. O almeno, ne ero certo finché non mi
afferrò per il collo dicendomi
chiaramente: -Ascoltami attentamente, compare. Se ci stai provando con
me,
sappi che non attacca. Ora vattene, conosco altri modi per sprecare il
mio
tempo- ringhiò, lasciando di scatto il mio collo. La mamma
me lo diceva sempre
che quando dico qualcosa di sbagliato tendo a peggiorare man mano che
vado
avanti con il discorso. Ma diceva anche che sarei diventato un medico
di
successo, quindi tendevo a non darle ascolto. -Continueresti a
cacciarmi via,
anche se ti dicessi che sono qui per fare la spesa a buon prezzo, Lupo
gangster?-Vidi i suoi occhi comparire da sotto il suo cappello, i quali
descrivevano
la sua aria insospettita.
-Un
momento…Io ti ho già visto da qualche parte.
Sì, tu sei Vector the Crocodile!
Hai fegato a venire qua senza i tuoi gorilla- disse lui, ironizzando
pesantemente sulle sue parole. Io risposi, convinto che d’ora
in poi avrei
avuto la sua attenzione-Sei poco informato Nack, non ho ancora assunto
nessun
primate nella mia squadra, per ora. Adesso togliti dalla testa quello
stupido
cappello, cowboy, e stammi a sentire. Dobbiamo parlare di affari-
-Ti
ascolto. Ma stai attento a
ciò che mi dirai, Vector. Quando avremo finito, potresti non
poter dire più
nulla…mai più-
Dopo aver deglutito
nella maniera più furtiva che potevo, iniziai a
parlare-Vedi, purtroppo la mia
agenzia sta viaggiando in cattive acque ultimamente, e personalmente,
non credo
che riusciremo ad arrivare alla fine del semestre di questo passo- Lui
alzò
brevemente lo sguardo, osservando il mio volto.
-Capisco. E come pensi che questo buon
samaritano potrebbe attenuare la tua disastrata situazione finanziaria,
amico
mio?- mi chiese,
appoggiando
pesantemente i gomiti sul bancone del bar. Mi schiarii la voce.
–Ci servono
delle armi – spiegai, guardandolo. Lui annuì
lentamente, fissandomi. –E per
quale motivo?- chiese. Sorrisi, cercando di mostrarmi il più
rilassato
possibile. –Diciamo che vogliamo fare una piccola visita alla
banca locale- Lui
ridacchiò, bevendo l’ultima goccia
dell’alcolico che aveva nel bicchiere. –I Chaotix
che compiono una rapina in banca. Questa mi è nuova. Avrete
bisogno di ottimi
travestimenti per non farvi riconoscere. Ma per questo non vi posso
aiutare-
decretò. Richiamai il barista, ordinando due drink.
-
Quindi puoi procuraci delle
armi?- lui annuì. –Le migliori sul mercato. Nero e
non- mi rispose, facendo un
cenno di ringraziamento al barista mentre ci porgeva i nostri alcolici.
Bevetti
un sorso abbondante di quel drink, sentendone il gusto che mi stava
corrodendo
la lingua. –Per me non è difficile procurarvi
quello che mi chiedete. Anzi, è
fin troppo facile. Tanto facile che mi sorge una domanda.
Perché mai dovreste
chiederle a me, quando potreste benissimo trovarne altrove e a prezzi
minori?-
sentii il sangue gelarsi per qualche secondo. Mi sistemai sulla sedia,
cercando
velocemente una risposta plausibile.
-Per
il primo colpo vogliamo
andare sul sicuro- sussurrai, cercando di calmare il battito del mio
cuore. Lui
sembrò pensarci su, afferrandosi la cintura con una mano.
Sembrava riflettere
sul da farsi. Poi
accennò un leggero
sorriso, porgendomi la mano.
-Bene
campione, hai trovato il
tuo uomo- disse lui con soddisfazione mentre ci stringevamo la mano,
continuando a parlare -Discuteremo delle quantità domani al
mio covo. Siete un
piccolo gruppo, non credo che abbiate bisogno di un furgone per
trasportarle-
decretò. Finalmente il pesce aveva abboccato
all’amo.
-A proposito, dove ci possiamo trovare?-
chiesi, certo che la mia recitazione fosse stata un successo. Lui mi
rispose
con sicurezza -Troviamoci nel centro di Station Square domani a
mezzogiorno in
punto. Se ritardate di cinque minuti, non aspettatemi,
perché me ne sarò già
andato-
Tutto
filava liscio, il piano
finora andava perfettamente, finché non percepii qualcosa
d’inaspettato e
terribile: il drink.
Sentivo
il mio stomaco ribollire,
il sudore freddo scendere dalla mia fronte e un fastidioso malore alle
mie
piccole guance, tant’è che mi sembrava di aver
appena ingerito una specie di
arma chimica. Nack mi guardò divertito, bevendo un sorso del
suo drink. -Bisogna
avere lo stomaco forte per venire qua, Vector. Ma tranquillo, alla
prima
ordinazione succede sempre- disse, facendomi un cenno.
Salutai
velocemente Nack, e mi
diressi subito al bagno, che grazie al cielo era subito accanto al
nostro
tavolo. E ora capivo perché. Tuttavia ciò si
rivelò anche un’ottima occasione
per passare alla seconda fase del piano.
Misi
la mano sul mio orecchio, e
mi apprestai a comunicare a Espio, attraverso le ricetrasmittenti a noi
gentilmente concesse da quell’angelo di Cream, di
nascondersi, e prepararsi a
seguire Nack. –Qui Espio. Come procede?- mi chiese lui.
Cercai di trattenere la
nausea e di concentrarmi su quello che dovevo riferire.
-Espio,
ora tocca a te. Segui
Nack, ma stai attento a non farti scoprire o vedere per qualsiasi cosa
al
mondo. O l’operazione va a monte, e noi perdiamo i nostri
soldi- gli dissi con
voce strozzata, stringendomi lo stomaco con una mano.
–Vector? Ti senti bene?-
lo sentii dire. Presi un attimo di fiato. –Sì.
Ho…ho avuto un contrattempo. Ora
procedi con la missione. So che posso contare su di te- cercai di
sviare io,
con voce strozzata. Sentii qualche secondo di silenzio.
–Bene. Vado- sibilò
risoluto Espio, chiudendo la comunicazione.
Espio
Vector
aveva fatto la sua parte.
Ora toccava a me. Sapevo che Nack non avrebbe tardato a uscire dal
locale,
quindi mi nascosi il più velocemente possibile,
arrampicandomi sugli edifici
circostanti, facendo attenzione a non attirare sguardi indesiderati.
Per
quanto furbo potesse essere,
era improbabile che si sarebbe insospettito a tal punto da controllare
se
qualcuno lo stava inseguendo dai tetti.
Lo
vidi uscire da solo, con il
cappello leggermente curvato sugli occhi, quasi come se volesse evitare
gli
sguardi altrui. Guardandolo
non potei
non pensare a come un super-ricercato dalla polizia di tutto il mondo
potesse
passare inosservato girando in pubblico con un cappello del genere in
testa.
Lo
osservavo mentre cominciava a
incamminarsi, quasi come se avesse la fretta di andarsene da quel
posto,
probabilmente perché il suo orario di svago era passato da
un pezzo, confermando
la sua personalità abbastanza paranoica, in fondo non credo
che sarebbe
riuscito a sfuggire alla giustizia così a lungo se non lo
fosse stato. O forse
semplicemente perché anni di solitudine l’hanno
reso molto metodico.
Quella
che partì inizialmente
come una camminata relativamente lenta cominciò a
velocizzarsi, costringendomi
a seguirlo saltando silenziosamente da palazzo a palazzo, anche
passando
furtivamente tra i balconi delle abitazioni. –Espio- mi
richiamò
dall’auricolare la voce di Charmy. –Mi raccomando,
non devi assolutamente
sottovalutare Nack. Secondo le voci che girano, è molto
più furbo di quello che
sembra- mi spiegò. –Grazie- gli sibilai sottovoce.
–E ricorda- continuò lui,
facendo una breve pausa. –Mi devi ancora due gelati!-
Sentii
Cream sospirare
esasperata. –Charmy, per favore- sibilò, cercando
di far tacere l’ape. –Ok,
ok!- concluse Charmy. –Espio, devi ridurre al minimo
l’utilizzo della tua
invisibilità. Non possiamo rischiare che tu sprechi troppa
energia- disse
Cream.
-Non
ti preoccupare, non ho
bisogno dell’invisibilità per non farmi vedere
dagli altri. Passo e chiudo-
sussurrai io. Continuavo a osservare Nack, intento a guardarsi intorno
in modo
furtivo. All’improvviso ricevetti una nuova comunicazione da
parte di Charmy,
in quel delicato quanto inopportuno momento-Espio, un’ultima
cosa…- Ad
un certo punto Nack rallentò leggermente il
passo, irrigidendo le spalle. Gli rivolsi una veloce occhiata, prima di
notare
che la sua testa stava accennando a voltarsi nella mia direzione. Mi
fermai di
scatto, concentrandomi per riuscire a mimetizzarmi con
l’ambiente. Poco prima
che si voltasse, riuscì ad attivare il mio potere.
Non
mi vide, ma notai con timore
che stava effettivamente guardando nella mia direzione, con lo sguardo
fisso
che non si distolse da me per qualche secondo. Nonostante rimanessi
completamente muto, lui non si smuoveva di un millimetro, come se
avesse saputo
che c’era qualcuno a osservarlo.
Non
potevo credere che esistesse
qualcuno con un udito tanto sviluppato.
Pochissime
persone sono mai
riuscite a individuarmi durante la mia camminata furtiva, e tutte
facevano
parte del mio clan. Qualche attimo dopo, Nack si voltò,
ricominciando a
camminare. Tirai un leggero sospiro di sollievo.
Fui
quindi costretto a riprendere
la mia conversazione con Charmy, al quale non avevo risposto in
precedenza.
–Espio, che sta succedendo?! Espio! ESPIOOOOO!!!- mi premetti
una mano
sull’orecchio. -Charmy, si può sapere che stai
facendo?!- risposi
violentemente. Ci fu qualche attimo di esitazione da parte
dell’ape. -Pensavo
che ti fosse successo qualcosa…-mormorò.
-E
ti sembra il caso di urlare? Se
si rompessero le finestre, le spese di riparazione intaccherebbero
fortemente
le nostre finanze- gli spiegò Cream, ridacchiando
leggermente. Dopo che mi fui
calmato grazie all’intervento di Cream, cercai di riprendere
la conversazione
con Charmy. –E cosa dovevi dirmi? – chiesi
all’ape. Ci fu qualche secondo di
silenzio dall’altra parte della linea. -Volevo salutare- mi
rispose scioccamente
Charmy.
Poco
male, mi dissi tra me e me.
Avevo ancora molte mele da poter usare su di lui nel mio dojo. -Passo e chiudo-risposi
semplicemente. Nack proseguì
per la sua strada, questa volta molto più rapidamente
rispetto a prima,
cominciando inoltre a variare il tragitto passando per diversi vicoli.
Persino
per me cominciava a
diventare arduo seguire le sue tracce. Anche perché, se non
lo perdevo, c’era
sempre la possibilità che m’individuasse.
Procedetti con più cautela. Fu
sciocco da parte mia sottovalutarlo, mio padre non ne sarebbe stato
fiero.
Finalmente
vidi il mio obiettivo
fermarsi in fondo ad un vicolo apparentemente cieco, non riuscendone a
capire
il perché. Guardai con attenzione, e notai che
sembrò sparire
all’interno della parete. Sbarrai leggermente gli occhi,
non credendo a quello che avevo appena visto. Aspettai un minuto per
assicurarmi che non uscisse, e poi mi avvicinai per scoprire di
più.
Notai
con piacere che Nack non
era entrato nel muro, ma aveva sfruttato una porticina raso muro,
colorata
dello stesso colore della parete. Una mossa intelligente ed economica,
senza
ombra di dubbio in grado di ingannare la G.U.N… ma non me.
Il bivio era buio e
umido, e nascondeva bene quel passaggio.
Ricevetti
una comunicazione
radio, sperando che non si trattasse nuovamente dei due ragazzini. -Espio, mi ricevi?- mi
chiese la voce roca di
Vector. -Vector,
cosa ti è successo?- Il
coccodrillo mi rispose un’altra volta in maniera leggermente
criptica -Nulla di
grave, ho solo avuto qualche problema con i distillati del posto- disse
lui,
tossendo leggermente. -Fatti in casa?- chiesi. -Fatti in
casa…- continuò lui. A
seguito di questa rapida quanto superflua conversazione, annunciai a
Vector le
mie scoperte. -Ascolta Vector, ho raggiunto il nascondiglio del
gangster. Si
trova in un vicolo molto ben nascosto e lontano rispetto al locale di
partenza,
ho dovuto girare mezza città per seguirlo fin qui.-
-Di
questo non ti devi preoccupare.
Nack ci condurrà personalmente in quel luogo domani. La tua
preoccupazione
attuale è di appuntare la morfologia della base, determinare
la presenza di
trappole, e, se ci sono, il loro numero e la loro posizione. Non
possiamo
rischiare che tu sia individuato mentre fai dei disegnini, pertanto la
tua
mente sarà il tuo foglio di appunti. Hai una memoria
pressoché fotografica, non
dovrebbe essere difficile per te. Buona fortuna, passo e chiudo.-Vector
aveva
ragione, non sarebbe stato difficile.
Certe
volte ritornavo a pensare a
quando eravamo dei giovani detective, e che i lavori migliori che
riuscivamo ad
ottenere si limitavano nel raccogliere qualche paguro nelle spiagge di
Seaside
Hill. E quando Charmy era ancora abbastanza tenero da riuscire a
sopportarlo a
lungo termine.
Bei
tempi.
Scossi
la testa, riprendendo la concentrazione.
Diedi un’occhiata dalla serratura per capire se la stanza
successiva era
libera. Quando ciò fu confermato, feci per entrare, ma la
porta, come
sospettavo, era chiusa a chiave. Cercando di arrangiarmi, presi il mio
grimaldello personale per scassinare la serratura. Fatto
ciò, con estrema
discrezione e passo felpato mi apprestai a entrare, chiudendo
velatamente la
porta dietro di me.
La
stanza era buia, illuminata
solo dalla flebile luce bianca sul soffitto, e riuscivo a sentire i
passi di
Nack dall’altra stanza. Apparentemente l’ambiente
sembrava piuttosto ristretto.
Osservai
con attenzione
l’ambiente, che sembrava apparentemente, e stranamente, privo
di sistemi di
sicurezza.
Sussultai
nel momento in cui
avvertì i passi di Nack che venivano verso
l’ingresso. Non c’era nulla dietro
cui nascondersi, né mobilio né
nient’altro, ma non volevo sfruttare nuovamente
l’invisibilità. Solo i giovani del mio clan erano
in grado di utilizzarla senza
dispendio di energia e concentrazione. Quindi feci diversamente,
utilizzando
un’altra tecnica di famiglia.
Chiusi
gli occhi, saltai e,
mentre ero a mezz’aria in posizione orizzontale e a pancia in
giù, mi aggrappai
al soffitto.
Potevo
chiaramente vedere Nack
sotto di me, e, pur essendo tremendamente agitato, trattenni ogni cosa
che avrebbe
potuto allarmare il gangster della mia presenza, sudore o fiato che
fosse. Come
mi disse mio padre tempo addietro, “Se tieni la mente fredda,
nemmeno il tuo
corpo sentirà calore”.
Speravo
che avrebbe avuto ragione
anche allora.
Potevo
chiaramente vedere Nack
che si avvicinava a quella che sembrava una comune parete, solo per
scoprire
che lì giaceva ciò che stavo cercando.
Tirò
fuori un minuscolo pezzo di
lamiera d’acciaio, che infilò
all’interno della parete, per poi tirare e aprire
uno sportellino, così ben mimetizzato da essere invisibile a
occhio nudo.
Con
che razza di persona avevamo
a che fare? Era questa la domanda che per la seconda volta mi venne
spontanea
quel giorno.
Non
vedevo chiaramente il
contenuto di quello sportellino, e il buio di certo non mi aiutava, ma
dai
movimenti che facevano le braccia di Nack, quelli che stava
schiacciando
sembravano pulsanti.
Quando
ebbe finito, chiuse lo
sportello, e vidi che dagli angoli delle pareti fuoriuscirono quattro
piccoli
tubicini, che si allungavano a strati, fino a mostrare
un’estremità in vetro.
Dai primi cilindri, ne uscirono altri, cavi
all’estremità, che mi davano
l’impressione di essere armi.
Le
telecamere che stavo cercando,
finalmente. E che probabilmente servivano a controllare se avevamo
portato un
qualsiasi tipo d’arma.
Aspettai
che il nostro amico si
dileguasse, entrando nella stanza accanto, poi, dopo un ampio respiro,
scesi
dal soffitto, facendo attenzione a non incappare nel raggio visivo
delle camere
di sicurezza.
Entrai
quindi nella stanza dove
poco fa era entrato Nack, e mi preparai alla probabilissima presenza di
altri
sistemi di sicurezza.
Come
se non me lo fossi
aspettato, trovai altre sei telecamere all’interno della
stanza, più ampia
rispetto a prima, e mi trovai costretto a nascondermi dietro alla
scrivania
vicina all’ingresso dal quale ero appena passato, pur sapendo
che Nack si
sarebbe potuto sedere in qualunque istante.
Dietro
la scrivania potevo notare
uno schermo spento, probabilmente collegato direttamente con la
scrivania
stessa, e che, ancor più probabilmente, serviva a
trasmettere le immagini che
le telecamere rilevavano.
Avevo
due alternative, farmi scoprire,
oppure attivare l’invisibilità, eludendo
telecamere e Nack.
La
seconda, devo dirlo, mi
allettava di più, ma era anche la mia la mia ultima
spiaggia, dovevo resistere
fino alla fine della missione, o potevamo dire addio alla ricompensa,
nonché
alla nostra unica possibilità di estinguere questa minaccia
prima che
degenerasse.
Quindi
attivai l’invisibilità, mi
alzai, e cominciai a guardarmi in giro, memorizzando la posizione delle
camere,
cioè quattro al centro dei lati della stanza rettangolare, e
due all’interno
della risega in fondo.
Controllai
persino la spartana
cucina e il bagno, che, pur di ristrette dimensioni, era stranamente
pulito, costatando
che persino lì vi era una telecamera per vano.
Era
da un po’ che non mantenevo
l’invisibilità così a lungo, e la
stanchezza cominciava a farsi sentire, non
potevo rischiare di tornare visibile.
Non
potevo fare altro che
andarmene e riportare ciò che ho visto al Team.
Mentre
uscivo dalla stanza vidi
il nostro contrabbandiere mentre si apprestava a sedersi sulla
scrivania, e ad
appoggiare i suoi piedi sulla stessa, probabilmente preparandosi a un
pisolino.
D’altro
canto, non avevo notato
nessuna stanza da letto in giro.
Iniziai
ad affrettarmi per uscire
dalla porta principale in un momento in cui i sistemi di sicurezza, in
costante
movimento, non la inquadrassero mentre la aprivo.
Una
volta fuori, salii sopra un
edificio, disattivai l’invisibilità, e mi sdraiai
sul tetto, quasi privo di
forze. Avevo il respiro affannoso, e il mio corpo era scosso da leggeri
tremiti.
Detestavo arrivare a certi punti, ma, per ora, avevo fatto la mia parte.
Non
cambiai idea rispetto a
quando dissi che sarebbe stato facile, le cose difficili erano ben
diverse, ben
più…difficili.
Dopo
un minuto, attivai la
ricetrasmittente, e mi misi in contatto i miei compagni. -Qui Espio, mi
ricevete?-mi rispose Vector-Espio, com’è la
situazione?- risposi -Missione
compiuta, ho quello che volevamo. Lasciatemi solo qualche minuto per
riprendermi.- Vector rispose ansioso -Ora sei TU che mi preoccupi,
amico. Hai
dovuto usare l’invisibilità?-io risposi-Si, il
covo era più protetto del
previsto, ne parleremo tra poco. -Vector, soddisfatto, rispose-Non
strafare,
Espio, senza di te non ce ne facciamo nulla del denaro. Sii prudente.
Passo e
chiudo-Quei minuti furono preziosi per pensare al dì
successivo.
Se
davvero Nack era furbo come
sospettavo, forse sarebbe stato un problema maggiore di quello che
credevamo.
Addirittura
mi chiedevo se non
avesse già scoperto tutto.
24 ORE DOPO
Vector
Dormimmo
tutti poco, e pieni di
nervosismo, anche perché nessuno di noi, alla fine dei conti
aveva mai
partecipato a una missione di questo tipo, con una simile posta in
gioco.
Tra
le altre cose, Charmy russa
quando è nervoso. Di solito, anche quando non lo
è.
Dopo
il ritorno di Espio, iniziammo
subito a preparare un piano.
Era
sorprendente come in un
piccolo rifugio come quello che ci ha descritto ieri Espio potessero
concentrarsi tanti aggeggi tecnologici.
Il
nuovo piano era questo: io,
Espio e Charmy saremmo andati al luogo dell’incontro a
mezzogiorno in punto,
dove avremmo incontrato la piaga. Cream ci avrebbe seguito di nascosto,
e una
volta sul posto avrebbe attivato un collegamento wireless con le
attrezzature
di Nack. Basandoci sulla morfologia del luogo, con tutta
probabilità Nack si
sarebbe seduto dietro la scrivania subito prima di iniziare le
trattative.
E’
la tipica persona che ama
avere le armi quando gli altri non ne possiedono. Quando si fanno
affari a casa
sua.
Quindi,
se gli togliamo quelle,
rimane solo una palla di pelo a cui piace fare il cattivo di film
Western.
Peccato,
perché noi preferiamo
fare i protagonisti.
Mentre
noi tenevamo impegnato
Weasel, Cream avrebbe dovuto scollegare la linea visiva delle
telecamere e
disattivare le mitragliette che erano collegate a esse. Senza essere
prima
rilevata, ovviamente. Questa era la parte più critica del
piano, non ero certo
che ce l’avremmo fatta davvero, ma ho visto Cream aggiustare
la nostra stufa
con uno stuzzicadenti ed un pezzo di stoffa, quindi penso sia in grado
di fare
un miracolo di tanto in tanto. Inoltre, la sua ricetrasmittente
rimarrà
costantemente attivata, così saprà sempre
ciò che sta succedendo all’interno.
Fatto
ciò, avremmo convinto il
nostro compare a spifferare tutto, in un modo o nell’altro,
poi ce ne saremmo
andati a nuotare nell’oro.
Noi, i CHAOTIX, eravamo
pronti ad andare.
Noi,
autoproclamatoci migliori
investigatori del mondo, avremmo risolto questa crisi.
Quattro
persone che potevano
svolgere il lavoro di un organo investigativo governativo, forti,
rapidi,
silenziosi, furbi, intelligenti, caparbi, economici.
Come gli smeraldi che
mantengono l’ordine in
questo mondo, noi dissolvevamo gli intrighi e i misteri che ci venivano
proposti.
Non
avevamo bisogno di cibo,
l’azione era il nostro pane.
Non
avevamo bisogno di acqua,
perché della tensione ci abbeveravamo.
Non
avevamo bisogno di dormire,
l’ignoto era il nostro più grande relax.
Era
ora di ridare luce
all’insegna del locale, e di masticare chewing-gum.
Purtroppo, avevo finito le
gomme.
Erano
le 11:15, e dovevamo
partire subito per arrivare in tempo al centro.
Noi
tre partimmo per primi,
mentre Cream prese una strada alternativa, per essere sicuri che non ci
scoprisse.
Espio
sembrava molto preoccupato
di questo, ieri sera, e mi fido di lui.
Dopo
una lunga camminata,
arrivammo al centro, come sempre incredibilmente affollato, pieno di
avvocati,
imprenditori, e altre persone di questo tipo, di quelle che sembrano
abbastanza
ricche che non è difficile pensare che tritino diamanti
all’interno del
dentifricio.
Un
quartiere d’élite, insomma,
nel quale riuscii a intravedere, in lontananza e ben nascosto, con il
suo
inconfondibile cappello, Nack the Weasel, o come gli piaceva farsi
chiamare
qualche volta, Fang the Sniper, il cecchino.
L’unica
cosa che accomunava il
mio gruppo e Nack in quell’occasione, era il fatto che
eravamo totalmente fuori
posto in quel quartiere.
Ci
avvicinammo con fare
frettoloso, io, il mio braccio destro, e la mia pustola sinistra,
pronti a
instaurare un dialogo. -Vedo che siete venuti. Bravi, se aveste
ritardato un
altro minuto me ne sarei andato- Ci disse lui, quasi divertito dalla
situazione.
-Ti vedo solare, forse non siamo gli unici a non fare molti affari,
ultimamente- dissi io, aspettando qualche secondo una sua possibile
reazione.
Ma sembrò ignorarmi completamente.
-Facci
strada- dissi io infine.
Lui, incamminandosi immediatamente, voltò leggermente il
capo, rivolgendomi
un’occhiata di sbieco. -Sbrigatevi, sono molti gli occhi che
vorrebbero
ammirarmi, ma nessuno mi è particolarmente gradito-
ringhiò lui, spronandoci ad
accelerare il passo.
Charmy,
senza girarsi, mosse
leggermente la mano, facendo un segno a Cream per indicarle di
proseguire,
seguendoci a distanza. Stavolta avrebbe dovuto seguire il nostro stesso
percorso, altrimenti si sarebbe sicuramente persa.
Ci
muovevamo rapidamente,
dirigendoci verso un vicolo buio simile a quello descritto da Espio.
Una
volta dentro, l’enorme
confusione si diradò, e cominciammo a muoverci tra un vicolo
e l’altro, destra,
dritto, sinistra, destra, e così via.
Una
mente normale non era in
grado di ricordarsi un percorso simile senza note. Quindi speravo che
la
ragazza stesse tenendo il passo.
Camminammo
un quarto d’ora,
eravamo alquanto confusi, ma alla fine arrivammo a destinazione, una
porticina
grigia scura, che Nack provvide personalmente ad aprire. Entrammo, e la
stanza
che ci trovammo davanti era buia, illuminata solo da inquietanti luci
posizionate sul soffitto.
Cream
rimase fuori, e iniziò
subito a lavorarsi i sistemi di sicurezza.
Andammo
nella stanza accanto, e
Nack, dopo che ovviamente si fu seduto dietro la sua amata scrivania,
premette
un interruttore per attivare l’illuminazione, spegnendo i
fari di prima e
attivando delle luci più soffuse, che rendevano la stanza
quasi calda e
accogliente, come quella della casa di mia nonna. Cara nonnina, quanto
avrei
voluto che fossi lì in quel momento, con il tuo carattere
gentile e l’enorme
dentiera che ti scivolava via ogni volta che provavi ad aprire bocca.
-Bene.
Che ne dici se adesso
parliamo del nostro affare e poi ce ne andiamo di qui, come se nulla
fosse
successo?- chiesi io, sedendomi su una delle tre sedie sistemate
davanti alla
scrivania. Nack annuì, incrociando le braccia. Espio e
Charmy si accomodarono
sulle sedie ai miei lati. -Quanto
sarebbe il costo effettivo di queste armi?- gli chiesi io. Lui ci
squadrò per
qualche momento.
-Dov’è
lei?- ci chiese
improvvisamente. Sentii che il mio cuore perse un battito. Lo sapeva?
Sapeva
cosa stesse facendo Cream? Al mio fianco Charmy sembrava essersi
raggelato. Conoscendolo
bene, era terrorizzato. –Lei chi?- risposi io con
un’altra domanda. Pregavo in
silenzio che non avesse scoperto tutto. Avevo previsto che lui sapesse
di
Cream, ma speravo soltanto che non sospettasse niente su quello che
stesse
facendo in quel momento. –Mi era giunta voce che voi aveste
fatto entrare nella
squadra un altro membro- disse, fissandoci attentamente. Cercai di
mantenere la
calma, ignorando il battito del mio cuore. –Oggi aveva un
lavoro importante da
sbrigare- dissi io
con un tono fermo.
Nack
annuì, abbassando lo
sguardo. – Davvero? Bene, allora forse adesso vi dovrei
rivelare tutto sui
clienti che ho avuto negli scorsi vent’anni, non è
vero?- disse con un sorriso
inquietante stampato sul muso, fissandoci. Nack allungò la
mano sotto la
scrivania. –Sarò sincero, in teoria la mia
strategia era di crivellarvi di
colpi non appena aveste varcato la soglia di questa stanza. Ma
evidentemente,
la vostra amica ha fatto il suo lavoro meglio di quanto io avessi
previsto-
Quando ritirò il braccio, fissai con disgusto
l’oggetto che aveva tra le sue
grinfie. –Su le mani- ci ordinò lui, puntandoci
contro la pistola. Charmy sembrò
esitante. –Tu non fai eccezione- ringhiò la
donnola. Espio lanciò un’occhiata a
Charmy, quasi a impartirgli un ordine.
-Sei
furbo, devo ammetterlo. Ma come
diamine hai fatto a scoprirlo?- gli sibilai contro, alzando le braccia
in
contemporanea con Espio. –Hai presente il mio stupido
cappello da cowboy? Bene.
È uno stupido cappello da cowboy con migliaia di micro-chip
al suo interno, con
i quali ho ascoltato ogni vostro singolo discorso- Charmy
sbarrò leggermente
gli occhi. –Sorpresi? La vostra amica non è
l’unica che è in grado di utilizzare
la tecnologia a suo favore- disse lui, sembrando realmente divertito.
–Vedete questo
gioiellino? L’ho modificato personalmente. Anche se ad essere
sinceri, non l’ho
cambiato poi così tanto. L’unica differenza,
è che non spara più tappi- ci
disse, mentre innescava il colpo in canna. –E dopo che
avrò finito con voi tre-
continuò, puntandoci l’arma contro
–andrò a fare una visita di benvenuto anche
alla nuova arrivata del gruppo- vidi gli occhi di Nack farsi freddi. E
avete
presente quella diceria sul fatto che vedi tutta la tua vita passarti
davanti
agli occhi, quando stai per morire? È una balla.
-Aspetta-
disse all’improvviso
Charmy, con un tono serio. Mi voltai verso di lui, non aspettandomi
quell’interruzione
da parte sua. Espio mi rivolse un’occhiata. –Prima
che tu faccia quello che dev’essere
fatto, lasciami dire un’ultima cosa- spiegò.
–Beh, ma certo- esclamò Nack, con
un inappropriato atteggiamento da gentiluomo. Charmy respirò
profondamente,
continuando a fissare la donnola negli occhi.
-Micro-chip
o no, il tuo cappello
fa sempre schifo- ringhiò, con un sorriso in volto. Nack
fece una piccola
smorfia con il muso. Poi puntò l’arma verso
l’ape, mettendo un dito sul
grilletto. Gli occhi quasi arancioni di Charmy sembravano spenti, quasi
vuoti. Ma
non disperati.
Vicino
a me, notai il lento
movimento di Espio, mentre sfilava qualcosa dalla parte superiore dei
suoi
guanti. Cominciai a sentire un moto di adrenalina, fissando
l’azione sempre più
decisa di Espio, ma nonostante tutto nascosta agli occhi.
Quindi
vidi il suo braccio destro
flettersi rapidissimo, come se avesse lanciato qualcosa con grande
forza. Ero
talmente teso che mi sembrava di vedere quella scena a rallentatore.
SLOW
MOTION, ragazzi. Puro slow
motion. L’arma di Nack gli saltò via dalle mani,
andando a cadere sul
pavimento. –Ma che…- mormorò la donnola
fissandosi per un attimo la mano ormai
vuota. Prima che potesse fare qualsiasi altra cosa, mi alzai di scatto
dalla
sedia e mi lanciai su di lui, afferrandolo per il collo.
Charmy
ci fissò, stringendosi una
mano sul petto. –O-oh mio dio- sospirò lui, con il
viso che era diventato
stranamente pallido.
-Ok
amico, che ne dici di
cambiare leggermente le carte in tavola? E a proposito, sì. Ora ci dirai tutti i clienti che hai
avuto negli ultimi vent’anni, non uno escluso-dissi, con un
moto di
soddisfazione che mi pervadeva il corpo. Lui, soffocato dai miei
possenti
muscoli, con la poca voce che gli era rimasta in corpo tentò
di parlare. -E
secondo te come diavolo dovrei fare a ricordarmeli, razza di bifolco?!-
mi
rispose lui spavaldo. Aumentai la stretta che avevo sul suo collo -Beh,
in tal caso,
basterà stimolare un po’ la tua memoria,
no?-All’improvviso, sentii la porta d’ingresso
sbattere, e vidi un plotone composto da sette soldati della G.U.N.
circondarci.
-Fermi tutti, non muovetevi di un solo passo!- ci urlarono contro.
Subito dopo
vidi spuntare Cream, che ci fissava preoccupata. -Scusate ragazzi, non
sapevo
che altro fare- mormorò, venendoci incontro. -Li hai
chiamati tu?!- chiesi io,
infondo piuttosto sollevato.
-Non
avevo altra scelta, non
sapevo se ce l’avreste fatta- ci sorrise, evidentemente
tranquillizzata di
vederci ancora vivi. –Charmy, stai bene?- chiese, voltandosi
verso quest’ultimo
e mettendogli una mano sulla spalla. –Ho visto la morte
sorridermi davanti agli
occhi- mormorò, con il volto di un bianco spettrale. –Rilassati,
hai già fatto
abbastanza per oggi- disse Espio, cercando qualcosa sul terreno e
raccogliendolo.
Gli
agenti della G.U.N. mi
scostarono, facendomi mollare la presa che avevo su Nack prima di
ammanettarlo.
-Si può sapere che cosa gli hai lanciato contro?- chiesi ad
Espio. Cream
sorrise, beffarda. – Sarò sincera, avevo creato
uno speciale gadget da usare in
caso di emergenza- mi rispose lei al posto del camaleonte. –E
perché Espio ne
era a conoscenza e noi no?- chiesi, leggermente scocciato. –A
dire la verità,
avevo paura che Charmy spifferasse qualcosa- ridacchiò la
coniglia. –E di cosa
si tratta?- chiesi io, tornando sull’argomento.
-Si
tratta di un semplice kunai,
al quale sono riuscita a donare la stessa abilità di Espio.
L’invisibilità. Per
far ciò, ho dovuto addizionargli un particolarissimo
materiale di cui, tra di
noi, solo Espio è in possesso- ci spiegò lei,
persa nei suoi pensieri. –Che
tipo di materiale?- domandai nuovamente.
-La
mia pelle- disse solamente il
camaleonte. Notai Charmy arricciare leggermente il naso. –
Ugh. La scienza agli
scienziati- mormorai leggermente disgustato. Ci incamminammo
all’esterno della
base, seguiti a ruota dagli agenti della G.U.N. insieme al nostro amico
donnola. Quando finalmente fummo all’aria aperta, il viso di
Charmy sembrò
riprendere un minimo di colore. Diamine, sembrava più
spaventato di me, quand’ero
bambino che, per cercare di nascondere a mia madre il compito in classe
andato male,
lo ingoiai e temetti di diventare un secchione.
Riscuotendomi
dai miei pensieri,
diedi un’occhiata alle vicinanze, e vidi che il luogo era
già invaso da diversi
poliziotti ed esperti della G.U.N.
Tra
le altre cose, notai un’auto
completamente nera che si era appena parcheggiata vicino a noi. E da
quest’ultima
uscì una figura decisamente famigliare: il Comandante, che
subito notai dirigersi
verso di noi.
-Un
ottimo lavoro, signori. I
miei complimenti. Sono partito immediatamente non appena ho ricevuto la
notizia
che la missione ha avuto successo- Era stranamente gentile -La nostra
squadra è
onorata. Non ci stupiamo che Fang vi abbia creato tanti grattacapi,
è stato un
osso duro- Poi lo vidi voltarsi verso Charmy, piuttosto stupito. -Il
ragazzo non
ha una bella cera, vuole che chiami un dottore?- scossi la testa,
deciso. -No,
ha solo avuto un eccesso di emozioni, per oggi. Ha dimostrato
coraggio.- Espio,
ridacchiò leggermente. -Sono d’accordo, ma
soprattutto, ha dimostrato una
grande fortuna- disse ironico.
Io,
a quel punto, non tardai a
reclamare ciò che, ormai, era nostro di diritto-Ora, con
tutto il rispetto signor
Gibson, mi potrà comprendere se chiederò lei di
rispettare la parola data…- lui
accennò un sorriso.
-So
cosa ho detto, non sono un
bugiardo. Ma prima che ciò avvenga, voglio proporvi un altro
affare-
-Mi
scusi?-Non si spaventi. So
come vanno queste cose. Abbiamo trovato UNO dei responsabili, ma ben
presto ne
verranno fuori altri. E quindi dovremo indagare ulteriormente, e forse,
anche
combattere. Voi siete bravi anche in questo, o sbaglio?- Iniziai a
irritarmi. -Mi
ascolti attentamente: se vuole qualcuno
che si butti nella battaglia a pagamento, trovi uno o più
mercenari. I miei
uomini potevano morire la dentro. Sapevamo a cosa andavamo incontro, ma
quantomeno la prego di rispettare il rischio che abbiamo appena corso-,
dissi infuriato.
Il Comandante iniziò a camminare avanti e indietro, non
distogliendo lo sguardo
da noi. -Se è il rispetto che cerca, nessuno gliene
darà più del sottoscritto.
Ma qui non si tratta solo di voi, il mio lavoro è di
garantire la sicurezza di
tutta Mobius. Pertanto, se mi avesse lasciato finire, le avrei anche
detto che
il suo compenso aumenterebbe notevolmente se accettasse-. In effetti, quella frase
catturò il mio
interesse, ed Espio l’aveva capito visto lo sguardo piuttosto
inquieto che mi
rivolse apertamente.
-Continui-
risposi io,
interessato. Il Comandante fu impassibile, ma mi rivolse
un’occhiata
soddisfatta.-250.000 ring subito. Altri 500.000 alla fine del lavoro.
Se siete
preoccupati che non rispetteremo gli accordi, almeno ve ne andrete via
con un
quarto di milione-
Ero
combattuto. Ma incredibilmente
tentato della sua offerta. –Vector…- mi
richiamò Espio, cercando di
dissuadermi. –Non dovete decidere subito. Può
parlarne prima con la sua squadra-
lo interruppi immediatamente.
-No,
invece. Io e miei uomini
saremo felici di accettare la sua offerta- sentii Espio inveire
sottovoce
contro di me, seguito da Charmy. –Ma sappia- continuai io.
–Che alla fine del
lavoro reclameremo personalmente i nostri soldi-
Il
comandante sorrise, senza a
dare a vedere neanche un minimo di entusiasmo. –Ero convinto
di poter contare
su di voi- pronunciò.
Mi
porse la mano, mantenendosi
sempre distaccato e formale. – Credo che questa
sarà l’inizio di una meravigliosa
collaborazione-.
Io
annuii, ricambiando la
stretta. –Lo spero anch’io, signor Gibson-
Espio
Era
evidente che non nascondessi
la mia preoccupazione per questa nuova alleanza. Mi sbagliavo. Quella
sarebbe
stata l’unica nota veramente positiva tra gli eventi che
avrebbero poi scosso
le fondamenta stesse del nostro universo. Per quanto io potessi
percepire
qualcosa, nessuno di noi poteva veramente immaginare che aveva avuto
inizio una
mutazione radicale del nucleo dei nostri mondi.
E tutti ne avremmo preso
parte.
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Capitolo 14 *** Il nuovo mondo ***
Note d’Autore:
Buuooongiorno a tutti.
Prima di tutto, sono enormemente dispiaciuta per la lunghissima attesa
per la
pubblicazione di questo capitolo, ma ho avuto vari problemi che non mi
hanno
dato la possibilità di aggiornare velocemente.
Questo
capitolo è uno speciale, e con tutta probabilità
ce ne saranno
altri di questo tipo. Spero di metterci di meno per scrivere con i
capitoli
ordinari e vi auguro buona lettura!
Rain
of Truth
Shadow (DIVERSI
ANNI PRIMA)
‘‘E
un'altra missione è andata a
buon fine’’ era il mio pensiero mentre io, Rouge,
Omega, ed un plotone di otto
soldati della G.U.N. ritornavamo vittoriosi verso il quartier generale
a bordo
di un elicottero militare.
–Erano soltanto
dei pivelli- disse Rouge,
rilassando le ali ai suoi fianchi. Il fracasso del mezzo su cui
volavamo
sovrastava gran parte delle chiacchere dei soldati che viaggiavano
insieme a
noi.
Roteai
gli occhi innervosito.
Quel viaggio stava durando anche troppo per i miei gusti. Alzai lo
sguardo e
vidi Omega, il quale fissava il pavimento dell’enorme
elicottero senza fiatare.
– Dovreste essere
più allegri. Abbiamo appena
sgomitato una piccola banda di criminali di alto rango!-
esclamò nuovamente la
pipistrella, accavallando le gambe. Scossi la testa.
-Erano
dei principianti. Non sono
neanche riusciti a reagire al nostro attacco- ringhiai. Neanche una
missione
che mi riempisse di un minimo di soddisfazione. Così era fin
troppo facile.
Osservai il paesaggio da uno dei pochi finestrini presenti
sull’elicottero.
Oramai eravamo in prossimità della base.
Finalmente,
dopo una decina di
minuti, riuscimmo ad atterrare in vicinanza della base. Scesi
velocemente dal
mezzo, dirigendomi verso l’entrata del quartier generale.
L’odore stantio che
lo caratterizzava mi colpì le narici. Mi diressi verso
l’ascensore, prima
che la voce di un altoparlante mi
facesse fermare sul posto.
-
L’agente Shadow è richiamato
nell’ufficio del Comandante -. Alzai
leggermente un sopracciglio, sorpreso. Bene. Forse aveva da offrirmi
una
missione migliore di quella appena compiuta. Mi affrettai a raggiungere
l’entrata dell’ascensore, sperando vivamente che il
Comandante avesse qualcosa
di interessante da riferirmi. Quando arrivai davanti alla porta
dell’anticamera
del suo ufficio, Adrianne, la ragazza che fungeva da segretaria mi
lanciò
un’occhiata interrogativa.
–Buongiorno
Adrianne. Il Comandante
ha richiesto la mia presenza- spiegai, dirigendomi con noncuranza verso
la
porta d’entrata del suo ufficio. La ragazza mi
fissò leggermente intimorita.
Varcai
la soglia dell’ufficio, e
vidi il Comandante seduto, come sempre, alla sua scrivania.
–Mi
ha fatto chiamare,
Comandante?- dissi io, rispettoso come tendevo ad essere davanti a lui
-Sei
stato rapido, Agente Shadow.
Avvicinati, c’è una faccenda di cui dobbiamo
parlare-. Osservai per un attimo
il volto di quell’uomo, assolutamente imperscrutabile.
C’era soltanto una
scintilla nei suoi occhi, un bagliore che mostrava quando il suo
sguardo si
posava su di me. Rancore, forse. Qualcosa di cui probabilmente non si
sarebbe
mai liberato.
Mi
sedetti sulla sedia davanti
alla sua scrivania, incuriosito da cosa potesse essere così
importante da
fargli praticamente dimenticare che avevamo appena salvato una
manciatina di
vite da qualche pseudo-criminale.
–Mentre
tu e il resto della
squadra eravate in missione, abbiamo rivelato un qualcosa di anomalo
nei
dintorni- disse ad un certo punto. Mi chinai leggermente verso di lui,
interessato.
–Che
genere di anomalia?- chiesi.
Si
alzò dalla scrivania senza dire nulla, mise le braccia
dietro la
schiena e si spostò leggermente, fissando un punto
imprecisato della stanza.
–Energia.
Un forte rilascio di energia opposta alla nostra-. La sua
frase mi stupì in modo particolare.
-Alla
nostra?-chiesi, immaginando quale sarebbe stata la sua risposta.
-I
Chaos Emerald- spiegò,
osservandomi. Io annuii, sempre più incuriosito da quello
che mi stava dicendo.
–Quella fonte di energia era simile a quella degli smeraldi,
ma allo stesso
tempo diversa-. Quella faccenda mi era decisamente nuova.
-Avete
scoperto da dove proviene?-
-Se
ti riferisci alla sua
origine, allora la risposta che sentirai sarà negativa.
Tuttavia, la posizione
di questa anomalia è stata approssimativamente definita ad
una ventina di
chilometri a nord-est rispetto a Station Square-.
Sapendo
che il Comandante non era
il tipo che avrebbe ignorato questo tipo di eventi, feci lui una
domanda che
avevo in serbo già da un po’: -Qualcuno si
è già recato sul posto?-
-Ovviamente.
Una troupe composta
dai nostri migliori scienziati ha già analizzato le
proprietà di quella “cosa”-
mi rispose.
-E
cos’hanno scoperto?-
-Nulla.
Almeno finché non abbiamo
provato una nuova opzione-. Aggrottai le sopracciglia.
-A
cosa si riferisce?-
-Parlo
degli smeraldi. Ti ho già
detto che vi è un qualche tipo di somiglianza tra i due tipi
di energia,
quindi, nei pochi giorni in cui siete stati in missione, abbiamo
provveduto a
far trasportare dalle basi satellite tutti
i Chaos Emerald-.
-E
a cosa dovrebbe servire tutto
questo?- chiesi.
–Serve,- si
fermò all’improvviso, fissandomi
negli occhi, –perché è qui che entri in
gioco tu-.
Incrociai
le braccia al petto,
impaziente. –Che cosa dovrei fare?- domandai.
Distolse
lo sguardo da me,
cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza.
–Sempre nel periodo
della vostra ultima missione, abbiamo provato a osservare la reazione
di quest’energia
a contatto con i Chaos Emerald. E il risultato, è stata la
formazione di quello
che i nostri scienziati chiamano: Portale-Infradimensionale-.
Abbassai
leggermente un orecchio.
–Questo significa che oltre alla nostra esiste
un’altra dimensione?-
Lui
annuì. –Esatto. O almeno è
quello che crediamo. E il tuo compito, è quello di andare a
esaminare quel
luogo insieme ad uno dei nostri plotoni, e se lo desideri, alla tua
squadra.
Dovrai ripotarci il maggior numero di informazioni possibili- disse.
-E
soprattutto, dovrai scoprire
cosa rappresenta quella fonte di energia. Accetti la missione?- mi
chiese,
concludendo il suo monologo.
Io
annuii. –Bene- sospirò.
– Ma ad una
condizione-
esclamai. Lui mi fissò leggermente interdetto.
-Ci
andrò da solo. Senza il team, e tantomeno senza nessun
plotone. Se
è una missione di esplorazione, allora basterà
solo un soldato. In più, non
voglio nessun intralcio da parte vostra-. Vidi lo sguardo poco
consenziente del
Comandante. Ero sicuro che avrebbe avuto qualcosa da ridire.
-Come
sarebbe a dire? Ti vuoi avventurare in un posto potenzialmente
pericoloso senza alcun tipo di supporto?-
-E
disarmato. Non lo avevo ancora specificato-
-Perché?-
-Lo ha
detto lei stesso. E’ un posto sconosciuto, di cui non abbiamo
informazioni ne sull’ambiente ne sugli abitanti
potenzialmente ostili, o
tecnologicamente più avanzati di noi. Cosa succederebbe se
uno dei nostri
uomini, o uno qualsiasi del Team Dark, ad esempio “E-123
Omega”, una delle
trovate belliche tecnologiche più micidiali che Mobius ha
mai avuto, cadesse in
missione e non riuscissimo a recuperarne i resti?- Il Comandante rimase
perplesso, ma il suo silenzio era rivelatorio del fatto che non era del
tutto
in disaccordo con le mie affermazioni.
-Non
hai tutti i torti. Potrebbero
copiare la nostra tecnologia, e se si aprisse un altro portale
potrebbero
creare problemi-. Il suo sguardo sembrò mostrarsi
più determinato.
-Molto
bene, andrai da solo se te
la senti, ma resterai in costante contatto radio con la base, nella
speranza
che il Tunnel-Infradimensionale non renda inutilizzabile la
ricetrasmittente-
spiegò, pensieroso. Poi mi fissò deciso.
–Partirai
tra qualche tempo. Bene.
Puoi andare, Agente – disse, congedandomi. Io mi alzai dalla
sedia, avviandomi
verso la porta. –Arrivederci Comandante- dissi, chiudendomi
la porta alle
spalle. Dopo qualche minuto, arrivai nuovamente ai piani intermedi
della base,
dirigendomi verso il mio alloggio. Vidi i membri della mia squadra che
mi
fissavano, impazienti.
-Si
può sapere dove sei stato?-
mi chiese Rouge, incrociando le braccia al petto. –Non
riuscivamo a trovarti-
.
–Il Comandante mi ha richiamato
nel suo ufficio- spiegai frettolosamente. Lei alzò un
sopracciglio.
–Cosa
voleva?- domandò
nuovamente.
-Niente
di importante. Un
resoconto sull’ultima missione- mentii. Rouge mi
fissò sospettosa. Ma sembrò
voler lasciar perdere. Omega, naturalmente, non sembrava
particolarmente
incuriosito. Me ne andai quasi subito, non volevo che mi facessero
troppe
domande. Avevo bisogno di rilassare un attimo i nervi, e farmi una
doccia.
***
Dopo
cinque giorni di relax, ricevetti
finalmente la comunicazione ufficiale della G.U.N. relativa alla
locazione dove
si trovava quel cosiddetto “portale”.
Ovviamente
gli alti dirigenti non
avevano ci avevano pensato due volte ad installare una vera e propria
mini-base
che nascondesse quello scherzo della natura.
Dovevo
essere lì in un quarto
d’ora e dovevo partire immediatamente.
Rouge
era andata a “fare spese”
da qualche parte, mentre Omega si stava probabilmente godendo i pochi
momenti
in cui la rabbia e la vendetta non lo consumavano fin dentro il
processore,
vale a dire nel suo sonno criogenico “parziale”,
per sua richiesta esplicita.
Pertanto,
non avrei avuto
problemi.
Uscii
dal mio alloggio,
attraversai il corridoio, e mi diressi verso l’ascensore.
Scesi ai piani
inferiori, ed uscii dal palazzo.
Presi
un bel respiro, diedi un
colpetto ai pattini, e partii.
Mille
sfumature di grigio, blu,
rosso, ed ogni altro tipico colore cittadino si mischiavano davanti ai
miei
occhi, eppure li conoscevo tutti, dalle macchine parcheggiate, ai
passanti,
alcuni dei quali, quando gli passavo vicino, a causa della forte folata
di
vento rimanevano allibiti, quasi come se avessero pensato che fosse
appena
passato qualcosa di misterioso, come uno spirito, o…Sonic
the Hedgehog. Sì, non
sarebbe stata la prima volta.
Mentre
schivavo le macchine per
strada, e mi dirigevo verso la sezione nord-est di Station Square, mi
venne in
mente il mio indissolubile legame con questo mondo.
Non
ricordavo nulla di quella
ragazza, Maria, ma sapevo che c’era un motivo se ero ancora
in vita, se
continuavo a combattere e a rischiare la mia vita per proteggere quel
fragile
mondo, pieno di persone tanto impaurite quanto ingrate.
Avevo
giurato sulla mia esistenza
che non mi sarei mai più guardato indietro, che non avrei
più cercato di capire
chi ero veramente, poiché quando lo feci anni addietro, mi
pose davanti a delle
scelte.
Scelte
troppo dure da sopportare,
anche a costo di scoprire la mia vera identità, fossero esse
buone, cattive, o
personali.
Se
non potevo sapere chi fui
stato in precedenza, allora sarei diventato chi volevo essere,
plasmando il mio
futuro. Per questo mi unii alla G.U.N. Ogni notte, prima di dormire,
rivedevo
alcuni momenti passati con Maria e con il mio cosiddetto
“padre”, Gerald.
Ad
un certo punto mi attraversava
la mente un'altra immagine. Quella di Maria, agonizzante, mentre preme
il
pulsante che mi avrebbe mandato su Mobius, dopo avermi lasciato le sue
volontà:
“Dai loro la possibilità
di essere felici”.
Se
quello era ciò che più
desiderava, vi avrei dedicato la mia vita.
Eppure,
se prima pensavo di
essere un guscio vuoto, senza un passato, ed incapace di guardare al
presente,
ora che cos’era cambiato? Ero forse l’incarnazione
di una promessa, eternamente
incatenato a questo scopo? Forse. Però quel giorno sarebbe
stato diverso. Quella
mattina, appena mi svegliai, ebbi la stessa sensazione che svevo avuto
altre
poche volte in vita mia.
La
prima volta fu pochi istanti
prima di combattere per salvare il mondo dalla A.R.K.
La
seconda quando incontrai Black
Doom, il quale mi confidò della possibilità di
recuperare la mia memoria grazie
ai Chaos Emerald. La terza, quando uccisi
Black Doom, e decisi di lasciarmi il passato dietro alle
spalle.
Era
quella sensazione che mi
avvisava che qualcosa, nella mia vita, stava per
cambiare drasticamente.
Dovevo
solo arrivare a quel
portale per capire di cosa si trattava.
Una
volta fuori dalla città,
potei quindi ammirare l’ambiguo ma meraviglioso paesaggio che
avevo davanti:
chilometri e chilometri di strada asfaltata si affacciavano davanti a
me,
mentre al miei lati era possibile ammirare le pianure erbose
caratteristiche di
questo mondo.
Avrei
sempre voluto dire che quello
era il mio pianeta, che era il posto in cui ero nato.
Purtroppo,
era un’illusione. Io
sono nato tra le stelle, in mezzo ai freddi macchinari della A.R.K.
Quella
era la mia casa, un luogo
ormai distrutto e disabitato, in cui ormai si potevano trovare
solamente alcuni
robot della G.U.N., che, dopo il genocidio perpetrato dalle Black Arms,
avevano
pensato bene di farla sorvegliare per prevenire qualsiasi altro
disastro
causato da un errato utilizzo delle tecnologie in essa contenute,
specialmente
del cannone Eclisse.
Deviai
quindi a destra, uscendo
dalla strada e dirigendomi nel luogo indicatomi dal Comandante in
persona quella
mattina, sempre a nord-est, sentendo finalmente l’aria pulita
che mi sferzava
contro il viso, con miriadi di odori che riempivano
l’ambiente, ed il cielo
sereno davanti a me. Non ho mai capito il perché, ma tutto
ciò mi faceva
sentire più completo.
Infine,
davanti a me, un nuovo
paesaggio.
Una
volta arrivato, la G.U.N. era
al lavoro.
La
prima cosa che vidi fu una
staccionata e dei cartelli che impedivano agli estranei di entrare
nella “zona
protetta”, con vari soldati che la presidiavano.
In
teoria avrei dovuto fermarmi e
mostrare loro la mia identità, ma ero quasi in ritardo,
quindi passai
velocemente il posto di blocco, presumendo che sapessero già
che fossi appena
passato.
Finalmente
ero sul posto, dove
potevo notare un tendone al quale erano collegati dei grossi schermi,
dai quali
si diramavano numerosi fili che si dirigevano verso l’interno
del tendone
stesso, e qualche metro più a lato un particolarissimo
macchinario formato di
due aste curve metalliche, di sezione ovale, circondato da scienziati e
macchinisti vari, che lo stavano collaudando.
Ovviamente,
non avevo idea di
cosa si trattasse, ma sicuramente era collegato all’anomalia.
I
miei dubbi si sarebbero
dipanati di lì a poco, in quanto il Comandante, con mia
somma sorpresa, mi
comparve improvvisamente alle spalle. -Sei in orario, agente- sentii un
brivido
alla spina dorsale, osservando di sottecchi il Comandante dietro di me.
-Signorsì, Comandante- risposi io senza nemmeno voltarmi,
per fargli credere di
aver percepito la sua presenza.
-Molto
bene, mi fa piacere che tu
non prenda sottogamba la situazione. Sono certo che ti sarai
già domandato che
cos’è la macchina al centro
dell’accampamento-.
-Esatto.
Di cosa si tratta? Ha a
che fare con l’anomalia?- chiesi, osservando il mio superiore
che mi si stava affianco.
–Quello,-
spiegò lui, - è il macchinario che ti
permetterà di
viaggiare da una dimensione all’altra. I nostri ricercatori
l’hanno denominato
“Recinto”-. Allora
esisteva davvero
un’altra dimensione. Erano veramente riusciti a realizzare in
pochi giorni una
simile meraviglia meccanica.
-Qual
è il piano, signore?- chiesi con decisione.
-Lo
saprai non appena avrà inizio il Briefing dentro al tendone.
Sei
pronto?-
Io
annuii. -Mi creda, non credo di esserlo mai stato così tanto
in
vita mia-.
-Meraviglioso. Ma cerca di
non
dare troppa confidenza agli altri Alti Dirigenti che vedrai durante la
riunione. Non esiteranno a metterlo sul tuo Curriculum- si
raccomandò lui.
-Ovviamente-.
-Questo
è il mio agente. Preparati, è ora-. Seguii il
Comandante, che con fretta si
dirigeva verso il capannone. Una volta dentro, vidi che i fili che
avevo notato
fuori si riunivano in un unico grande schermo, collegato ad un modem, e
del
quale mi era sconosciuto lo scopo. Vidi anche un lungo tavolo al centro
della
stanza, corredato da varie sedie. Dopo pochi minuti,
l’ingresso per la tenda
venne chiuso, e ci sedemmo.
Pochi
istanti dopo, lo schermo si
accese, per poi dividersi in sette riquadri indipendenti. Per ogni
riquadro,
comparve un volto a me ben noto, vale a dire quello dei sette Alti
Comandanti
della G.U.N., la cui autorità poteva essere discussa dal
Comandante Supremo lì
presente.
-Buongiorno,
signori. Ovviamente
saprete il perché di questa riunione- cominciò il
Comandante
–Buongiorno
anche a lei,
Comandante Supremo. Certamente, tutti noi aspettavamo con ansia il
giorno in
cui avremmo potuto osservare le effettive potenzialità del
“Recinto”-.
-Non si tratta semplicemente
di un
esperimento. Come ben sapete, l’anomalia rivelatasi pochi
giorni fa è stata
studiata attentamente, e siamo giunti alla conclusione che potrebbe
trattarsi,
incredibilmente, di un passaggio infradimensionale rimasto dormiente-
spiegò il
Comandante.
–Almeno
finché non è stato
sollecitato dal potere del Chaos…-
-…Il
quale ha catalizzato la
fonte fino a formare quello che sembra un effettivo passaggio fisico
tra questa
ed un'altra dimensione- finì il Comandante Supremo,
interrompendo uno dei
membri dell’operazione stava parlando poco prima.
-Con
tutto il rispetto signore,
ma ancora non ho compreso una cosa. Come possiamo essere sicuri che
quell’
”anomalia”, come dite voi, sia davvero un passaggio
per un “nuovo mondo”?-
-Domanda
interessante, Comandante
Larson. Semplicemente, perché non è la prima
volta che rileviamo un simile
fenomeno-. Quest’ultima frase mi impensierì.
Perché il Comandante avrebbe
dovuto nascondermi una simile notizia, e rivelarmela solamente in quel
momento?
-Cosa
intende dire?- rispose con sufficienza
Larson.
-La
prima rilevazione che siamo
riusciti ad identificare è avvenuta precisamente, sei mesi e
undici giorni fa.
La seconda risale a tre mesi fa. La terza invece, è stata
rilevata una settimana
fa. La prima volta siamo stati colti impreparati, e
l’anomalia è scomparsa prima
che avessimo avuto il tempo di comprendere il tipo di importanza che
poteva
rappresentare. Per la seconda volta, invece, poiché ne
avevamo previsto un
eventuale ritorno, avevamo preparato degli appositi droni, siamo
riusciti a
filmare qualcosa, e ciò che abbiamo visto aveva
dell’inquietante. Pochi minuti
dopo che robot si addentrarono nell’area anomala, le
telecamere smisero di
funzionare, e quando controllammo in loco, non trovammo nulla,
né le
telecamere, né un singolo rottame, e l’anomalia
era già scomparsa dai nostri
rilevatori-.
Questo spiegava tutto. La
G.U.N. era talmente
interessata da questo fenomeno che si sentiva inquietata a raccontarlo
anche ai
suoi membri più interni. Non solo a me, ma anche agli Alti
Comandi. Quella non
sarebbe stata una scampagnata, a quel punto ne ero certo.
-Per
quale motivo non ci è stato
comunicato al momento opportuno, signore? Comandante Supremo o no, lei
non ha
alcun diritto a nascondere al Consiglio una simile
informazione- disse un altro dei Comandanti,
con un tono piuttosto indispettito, quasi come se finora avesse solo
aspettato
il momento opportuno per discutere.
-Proprio
per l’entità di questa
notizia, comandante Buchanan, ho ritenuto opportuno occultare
totalmente i
nostri studi. Dovrebbe saperlo meglio di me che la priorità
di questa
organizzazione è di mantenere al sicuro ogni informazione
che potrebbe dar vita
a problemi di portata internazionale, malelingue, o anche solo leggende
metropolitane che potrebbero macchiare l’immagine delle
nostre basi-.
Buchanan
strinse i denti, e gli
si contrasse un muscolo della mascella. –Facciamo parte della
stessa
organizzazione, signore. Sarebbe stato opportuno avvertirci di tutto
questo-
ringhiò quest’ultimo.
Il
Comandante supremo scosse la
testa innervosito. –Vista tutta l’agitazione che le
sta causando questa
notizia, credo di aver fatto la scelta giusta a non riferirvi niente-
disse
lui. Dopo qualche secondo, incrociò le braccia dietro la
schiena.
-Altre
domande?- domandò il
Comandante, fissando tutti i presenti. Loro si lanciarono delle
occhiate
furtive, stando in silenzio, non osando ribattere. –Bene-,
continuò
imperterrito il nostro capo –allora possiamo dare inizio
all’operazione-.
Il comandante
iniziò imperturbabile a spiegare
i contenuti della missione vera e propria -Per prima cosa, i nostri
scienziati
metteranno in azione il macchinario catalizzatore, subito dopo aver
inserito
negli appositi fori incanalatori gli smeraldi. Se tutto
andrà bene, il portale
si aprirà senza dare problemi, permettendo al nostro agente
volontario di
attraversare il tunnel. Questi sarà dotato di una
ricetrasmittente, cosicché
potrà rimanere in costante contatto con la base.
L’operazione di infiltrazione sarà
filmata e ripresa davanti ai qui presenti monitor, così che
possiate avere la
sicurezza che stiate assistendo alla manovra vera e propria. Se nessuno
ha
nulla da ridire, la missione ha inizio tra due minuti. Stiate pronti, e
che la
stella di Mobius ci assista-.
Gli altri, quasi come un
rito, lo ripeterono
in coro. –Che la stella di Mobius ci assista-. Quasi
all’unisono, io ed il
Comandante ci muovemmo in direzione del catalizzatore, distante da noi
solo
qualche metro.
–Sei
pronto, agente?- mi chiese
lui, quando arrivammo davanti al macchinario. Io annuii lentamente. I
vari
scienziati del campo iniziarono ad attivare
l’apparecchiatura, creando al suo
interno un portale di un bianco accecante.
–Come
sempre- borbottò il
Comandante, fissandomi.
-Allora
buona fortuna- concluse,
facendomi un cenno di assenso con la testa. Presi un lungo respiro,
osservando
quella specie di incidente naturale.
–Non
ne ho bisogno- risposi al
mio superiore, incamminandomi velocemente attraverso ad esso. Sentii un
strano calore
intorno a me, quasi come se delle fiamme mi stessero abbracciando. Non
era una
sensazione spiacevole. Mi sentivo fluttuare, e la mia testa era leggera, priva di
qualsiasi pensiero.
Dopo qualche secondo, sentii uno strana forza attirarmi velocemente
verso il
basso, quasi come se un vento mi stesse tirando per le gambe. La luce
bianca
scomparì, lasciando posto a miriadi di colori. Chiusi gli
occhi, infastidito da
tutte quelle luci. All’improvviso sentii dell’aria
che mi attraversava il pelo
e le spine, aria fresca, accompagnata dal tipico odore salmastro e
dall’improvviso picchiettare del sole. Aprii gli occhi, e mi
trovai su una
spiaggia, in alcuni punti della quale era possibile intravedere qualche
palma,
e soprattutto, un mare immenso e limpido, che sembrava praticamente
intoccato.
Il mare più bello del mio mondo non avrebbe retto il
confronto con lo
spettacolo che avevo davanti agli occhi. Abbassai lo sguardo,
osservando la
sabbia bianca sotto i miei piedi. Mi abbassai, afferrandone una
manciata e
lasciandola scorrere tra le mia dita. Era così fine da
sembrare irreale.
Dietro
di me, si estendeva un
enorme boscaglia, simile quasi ad una giungla. Era strano vedere dietro
di me
una spiaggia e poco lontano una foresta. Continuavo ad osservare lo
strano
paesaggio che si estendeva sotto i miei occhi, quando sentii un
improvviso e
fastidioso gracchiare elettronico.
-Agente
Shadow. Mi ricevi?-
chiese la voce roca del Comandante. Esitai leggermente dal rispondere,
lanciando un’ultima occhiata alla spiaggia.
–Sì. La ricevo- dissi, premendomi
una mano sull’orecchio in
cui tenevo la
ricetrasmittente.
-Perfetto.
Dove ti trovi?- mi
guardai intorno, osservando con
attenzione la miriade di alberi di fronte a me. -Sono riuscito ad
arrivare nell’altra
dimensione. Esiste davvero- decretai, continuando a fissare il
territorio
intorno a me. –Perfetto. Com’è il luogo?-
-C’è
una spiaggia, apparentemente
simile a quelle del nostro mondo.
Dietro
ad essa c’è una giungla, che a prima vista copre
il perimetro di tutta la
spiaggia. Chiedo il permesso di esplorarla- dissi, attendendo la
risposta del Comandante.
–Permesso
accordato. Cerca di
raccogliere il maggior numero di informazioni sulla fauna e la flora
locale. E
scopri cosa ne è stato delle sentinelle che sono scomparse
tre mesi fa.
Vogliamo capire fino a che punto può essere rischioso per
noi questo luogo-.
-Ricevuto-.
-Shadow, per nessun motivo
dovrai interagire
con le popolazioni locali, se presenti. Non possiamo compromettere la
nostra
posizione attuale, siamo già abbastanza inguaiati. Tutto
chiaro?-
-Affermativo
signore. Passo e
chiudo-. Allontanai la mano dalla ricetrasmittente, iniziando ad
incamminarmi
nella boscaglia. Il fruscio delle foglie era mischiato al chiasso che
facevano
in quel momento migliaia di volatili sopra la mia testa. Mi guardai
intorno,
osservando la vegetazione intorno a me. Degli alberi particolarmente
alti,
avevano dei fiori rossi e blu che crescevano sulle loro radici. Un
uccello
simile ad un colibrì, dalle penne azzurre e gialle,
andò a posarsi davanti a
quei fiori, iniziando a strapparne i petali e mangiandoli.
Luogo
ostile o no, era
assolutamente innegabile che sarebbe stata un’esperienza, se
non piacevole
quantomeno…innovativa. Innovativa quanto poteva essere una
nuova piega
spazio-temporale.
Armato
solo della mia curiosità e
di un piccolo arsenale di poteri del Chaos, osservai attentamente la
fauna
locale. Era una mezz’ora buona che stavo camminando, quando
all’improvviso
sentii un improvviso fruscio tra i cespugli alla mia sinistra. Mi girai
subito,
fermando il passo.
Pochi
secondi dopo, vidi un
animale non antropomorfo, di medie dimensioni venirmi incontro come una
scheggia a fauci spalancate.
Riuscii
ad afferrarlo in tempo,
quando i suoi canini erano a circa cinque centimetri dalla mia faccia.
Era un
serpente, con la testa e la parte superiore del corpo totalmente
ricoperte da
una corazza nera fino alla coda, e la parte inferiore nuda,
probabilmente per
consentire all’animale di strisciare. Non ero lì
in vacanza, dovevo muovermi,
quindi lo lanciai il più lontano possibile,
perché non mi disturbasse più.
2 ORE DOPO…
Il
sole filtrava dalle foglie in
cima agli alberi, creando uno spettacolo tanto affascinante quanto
irrilevante,
nella mia attuale situazione. Camminavo da due ore nel bel mezzo di una
foresta, o giungla che fosse, piena di animali potenzialmente
pericolosi, e
cominciavo ad avvertire un minimo di stanchezza. Abbassai lo sguardo,
cercando
di concentrarmi su qualcosa che non fosse
l’umidità terribile di quel posto.
Dovevo
affrettarmi, prima che la
situazione degenerasse.
Incredibilmente,
sentii un rumore
simile allo scroscio dell’acqua. Guardai davanti a me, e
all’improvviso mi
trovai davanti un piccolo angolo di paradiso, degno più di
un deserto che di
una giungla.
Assomigliava
quasi ad un’oasi, uno
spazio sgombro e senza alcun albero al suo interno, che però
era circondato di
cespugli e piante nei suoi dintorni.
Vi
era una pozza d’acqua
stranamente limpida al centro, creando in me l’irresistibile
voglia di
avvicinarmi e finalmente dissetarmi.
E
l’avrei fatto, se fossi stato
così sprovveduto da non pensare che le acque di quel posto
potevano essere
stagnanti, o contenere un qualche tipo di virus a noi sconosciuto.
Malgrado
ciò, sentii comunque il
bisogno di analizzare più da vicino quel liquido.
Apparentemente, sembrava
normalissima acqua, ma pensavo che alla G.U.N. avrebbe fatto piacere un
campione di una sostanza sconosciuta. Fare un simile dono a degli
scienziati li
fa impazzire come dei bambini il primo giorno delle vacanze estive.
Per
questo presi la provetta che
gli scienziati mi avevano affidato qualche giorno prima di partire, la
aprii e
la riempii, per poi chiuderla nuovamente. Quando stetti per sedermi e
riposarmi
un po’, vidi uno strano luccichio dietro un cespuglio. Mi
diressi verso di
esso, incuriosito. Quando fui davanti ad esso, sbarrai leggermente gli
occhi.
-Comandante-
dissi, cercando un
contatto con la Base. –Shadow. Che succede?- mi chiese.
-Ho…ritrovato
le sentinelle-
dissi, osservando i pezzi di metallo sparsi in punti diversi.
–Ottimo. In che
stato sono?- esitai leggermente dal rispondere.
–Completamente
distrutte.
Sembrano quasi…fuse- constatai, scostandone una con il piede
sinistro.
All’improvviso,
notai qualcosa di
strano. Tutto il chiasso causato dagli animali all’interno
della foresta, cessò
immediatamente. Adesso c’era soltanto un silenzio
inquietante. La temperatura
sembrò alzarsi inspiegabilmente. Proprio davanti al mio
sguardo, la pozza
d’acqua cominciò a ribollire, come se fosse stata
dentro una pentola. Arrivò
persino ad evaporare parzialmente.
-La
contatto dopo, Comandante-
sussurrai, prima di chiudere la conversazione.
Sentii
uno strano brivido
percorrermi la spina dorsale, che contrastava con la secca temperatura
che
andava creandosi. Prima di poter reagire in qualsiasi modo, vidi con la
coda
dell’occhio una scia di luce avvicinarsi a me. In qualche
breve attimo, una
specie di sfera infiammata andò a schiantarsi poco lontano
dal mio piede.
Aggrottai le sopracciglia, sorpreso. Mi voltai, cercando chi avesse
fatto
quell’azione così sconsiderata. Vidi un paio di
occhi che mi osservavano dall’interno
della radura. Lentamente, la figura iniziò a camminarmi
incontro. Quando uscì
dal buio degli alberi, potei finalmente constatare chi fosse.
Era
una gatta lilla, con la
pelliccia sfumata di un viola scuro in certi punti del manto, e dagli
occhi
color caramello. La parte inferiore del cappotto che indossava,
svolazzava ad
ogni movimento della sua coda. Incrociò le braccia al petto,
mantenendo la sua
postura fiera.
-Salve-
disse. Le feci un cenno
con la testa, non distogliendo lo sguardo. Ci fu un momento di
silenzio, in cui
lei mi osservò attentamente. –Sei nuovo di queste
parti. Non ti avevo mai
visto- borbottò lei, fermandosi a qualche metro da me.
-Come
fai a dirlo? Suppongo che
non ci siano molti visitatori in questo luogo- ribattei, nonostante
l’avvertimento della G.U.N. di non interagire con nessuno.
Lei scosse la testa,
evidentemente scocciata.
-No,
ma conosco molto bene gli
abitanti del posto- sibilò. Io scrollai le spalle.
–Sono
appena arrivato- mi
giustificai, tentando di trovare una scusa plausibile. Prima che
potessi
parlare, lei mi interruppe. –Sai dove ti trovi?- mi chiese.
-Come
ho già detto, sono nuovo-.
Lei
sorrise ironica. –Questa
foresta rappresenta uno dei beni più importanti e
prestigiosi dell’impero-. Impero?
A sentire quella frase,
cominciai a sentire i sudori freddi. Forse era davvero come pensava la
G.U.N.,
e questa dimensione aveva raggiunto un’organizzazione
politica molto
sviluppata. La mia paura, in quel momento, era che ci potessero creare
dei
problemi in futuro.
-
Il suo danneggiamento,
sfruttamento o distruzione sarebbe una perdita irrimediabile-
continuò lei.
-E
perché mi stai dicendo
questo?- domandai, ma lei mi ignorò completamente.
Sembrò riflettere per
qualche secondo.
-Ora
ti faccio io una domanda.
Con chi stavi parlando prima?- mi domandò, fissandomi
sospettosa. Tentennai
leggermente.
-Con…la
mia ragazza- dissi,
cercando di non far notare la mia esitazione.
-Ah…con
la tua ragazza. Capisco-.
Distese le braccia lungo i fianchi, forse perché
più rilassata. –Beh, allora ti
auguro buona permanenza- mi diede le spalle, quasi stesse per
andarsene. –Solo
una cosa. Condoglianze- La guardai confuso, alzando un sopracciglio.
–Cosa?-
-Dicevo
alla tua ragazza-. Prima
che potessi reagire, lei mi tirò un’altra palla di
fuoco, che questa volta mi
mancò per pochi centimetri. Mi fissò in cerca di
una reazione. Strinse i pugni,
quando vide il mio volto rilassato. Con uno slancio, si
avvicinò
pericolosamente a me. Sbarrai gli occhi, non credendola capace di una
simile
agilità.
Fece
per tirarmi un pugno in
faccia, che parai. Mi guardò
irata,
mentre muoveva velocemente la gamba e mi colpiva lo stomaco con il
ginocchio.
Mi sentii mancare il fiato per qualche secondo, e notai che la mano
della
ragazza che avevo bloccato poco prima, ora stavo diventando
insopportabilmente
calda. Mi allontanai di scatto, evitando un pugno della gatta.
Lei
non sembrava minimamente
scoraggiata, e mi si avvicinò nuovamente, tirandomi un
veloce pugno sul muso.
Sentii un bruciore terrificante nel punto da lei colpito. Quando fece
per
colpirmi un’altra volta, le afferrai il polso, storcendolo il
più possibile. Il
suo viso si contrasse in un’espressione di dolore.
Approfittai del momento e le
piegai il braccio, bloccandola e colpendola con un calcio sulla schiena.
Lei
cadde a terra, e io iniziai a
correre il più lontano possibile.
–TORNA
QUI!- urlò. Sentivo la sua presenza dietro di me, e non era
una
cosa rassicurante. Non ero preparato ad un avversario così
temibile. E non
riuscivo a capire come potesse stare dietro alle mie
velocità. Anche dopo che attivai
i pattini, lei riusciva a non perdermi di vista tra la vegetazione. Mi
sentii
buttare a terra dalla ragazza, rotolando sul terreno a causa della
troppa
velocità. Lei mi bloccò il braccio sinistro,
mentre io le tenevo fermo il
braccio destro per impedirle di colpirmi. All’improvviso
sembrò che il suo
braccio prendesse fuoco, ustionandomi la mano. Tentava di colpirmi la
faccia,
mentre cercava di mantenermi fermo. La sua mano infuocata si avvicinava
spaventosamente
al mio volto, mentre io cercavo di togliermi quel peso di dosso. La
presa sul
mio braccio sinistro si allentò leggermente, e io non esitai
a liberarmi e a
tirarle un pugno sul naso. Lei chiuse gli occhi di scatto, facendo un
urlo
strozzato per il dolore e portandosi le mani sul punto colpito. Io la
scaraventai via con le gambe.
Mi
allontanai il più possibile, nascondendomi in un punto della
foresta in cui gli alberi si facevano più fitti.
–Comandante- sussurrai,
nervoso.
–Agente,
cosa sta…-
-Non
ho tempo. Aprite un portale, immediatamente- ringhiai, sentendo
che la gatta mi stava cercando.
-…Faremo
il prima possibile- mi rispose il Comandante, mentre mi
asciugavo del sangue che mi colava dalla fronte. Dannazione…
era raro
incontrare una simile avversaria. Aspettai qualche minuto, che mi parve
un
eternità. La ragazza stava ispezionando il posto, cercando
la mia presenza.
Sentivo uno strano odore di bruciato vicino a me. Mi voltai lentamente,
osservando che un albero aveva preso fuoco. Capii la strategia della
gatta. Non
avrebbe mai bruciato tutta la foresta per stanarmi, ma era disposta a
danneggiare qualche albero.
Il
rumore di passi si fece più vicino, e sentii il mio battito
cardiaco aumentare. Stranamente, il calore del tronco dietro cui ero
nascosto
iniziò ad aumentare, e io non potevo andarmene. Se mi fossi
allontanato anche
di qualche centimetro, lei avrebbe notato il movimento.
Sembrava
di essere immersi nell’acqua bollente. Il tronco era
diventato così caldo che sembrava aver già preso
fuoco, e non riuscivo più a
resistere. Strinsi i denti, cercando di trattenere un urlo. Dopo quella
che mi
sembrò un eternità, finalmente vidi una luce
bianca apparire in prossimità
della spiaggia. Bene. L’unica opportunità che
avevo. Creai un Chaos Spear, e lo
lanciai velocemente dietro di me, cercando di distrarre la ragazza.
Appena
sentii l’esplosione, mi lanciai in una corsa sfrenata verso
il portale creato
dalla G.U.N.
Questa
volta però, non mi sentii seguito dalla gatta. Un attimo
prima
di entrare nel portale, mi voltai. Lei era lì, mentre mi
fissava sorpresa.
Forse era intenzionata a rincorrermi, o forse sapeva che sarebbe stato
inutile.
Non lo sapevo, e francamente, non mi interessava. Quando il fascio di
luce
bianca mi
investì, allora potei davvero
considerarmi al sicuro.
Mi
lasciai nuovamente cullare
dalla tranquillità del portale, prima del familiare turbinio
di colori. Ero
sfinito, e l’unica cosa che volevo era rivedere le praterie
dalle quali ero
partito, anche se parzialmente sporcate
dall’artificialità posta dalla G.U.N. a
favore del suo temporaneo accampamento.
La
scia di colori fu presto
sostituita dal paesaggio che avevo in mente fino a poco prima, e non ci
volle
molto prima che un équipe di medici mi circondasse. Tra di
loro vi era il
Comandante, la cui tenuta grigio scuro decorata con medaglie
all’onore
contrastava fortemente con le bianche divise dei dottori.
-Agente
Shadow. Cos’è successo?- mi
chiese lui, fissandomi stranito.
-Era
come pensavamo, signore.
Forse anche peggio- risposi, cercando di ignorare i medici che
ispezionavano le
mie ferite.
-Che
cosa intendi dire?- ringhiò
lui, impaziente.
–Ho
incontrato una persona lì-
grugnii, mentre uno dei dottori mi fasciava un braccio senza che
nessuno glielo
avesse richiesto.
-Una
persona?- insistette il
Comandate.
-Una
donna- continuai. -Sembrava
piuttosto indispettita dal vedermi lì. Penso che sapesse da
dove provenivo. E
ho la sensazione che sia stata lei a distruggere le nostre sentinelle.
Sapeva
del nostro arrivo, comandante. Era molto più preparata di
quanto non lo fossimo
noi. In più, ha parlato di un impero- dissi, con la
preoccupazione che mi
assaliva.
-Sai
fino a che punto possono
essere pericolosi?
-Ad essere sincero, no. So
solo che è da
quando affrontai Sonic the Hedgehog che non mi trovavo davanti ad un
avversario
del genere. Abbiamo bisogno di un piano, Comandante-.
-Hai
ragione. Ma ora non
pensarci, curati e riposati. Ne riparleremo domani. Hai rischiato
grosso, oggi-
-Si,
signore- salutai,
liberandomi da quel branco di pecore in camice. Non ero messo
così male, il
giorno dopo sarei stato sano come un pesce.
Quando
feci per andarmene, il
Comandante mi fermò subito. –Aspetta Agente. Prima
mi devi delle spiegazioni-.
Si scostò leggermente, facendo un cenno alle sue spalle.
–Che ci fanno loro
qui?- sibilò indicando Rouge e Omega dietro di lui.
-Cosa…-
ringhiai. –Come avete
fatto a sapere dove mi trovavo?- chiesi, irritato. Rouge si
avvicinò
velocemente, mettendosi le braccia sui fianchi.
-Dimmi
subito che cosa diavolo
sta succedendo!- mi urlò contro. Roteai gli occhi,
infastidito. –Ho ritenuto
che non fosse necessario portare troppe persone con me. Pensavo sarebbe
stato
pericoloso. Sia per voi, che per la missione stessa- spiegai,
osservando i miei
compagni di squadra. -E comunque, mi dovete spiegare come avete fatto a
scoprire dove mi trovavo- chiesi. Sul volto di Rouge apparve un leggero
sorriso.
-Nulla
di che, ho corteggiato un
soldato della G.U.N. Quando Omega ha visto che non funzionava, gli ha
puntato
un fucile in testa- disse lei, come se fosse una delle cose
più naturali del
mondo.
-Registrata come strategia di persuasione verso la
G.U.N.- aggiunse
Omega. Abbassai un orecchio, tremendamente stizzito.
-E
non pensate che questo possa
causare delle conseguenze?- chiesi.
-È
la quinta volta che lo
facciamo- rispose Rouge. Dopo qualche secondo, sembrò
riprendere la serietà di
quando aveva iniziato la predica. -Ma non cambiare discorso. Avresti
dovuto
parlarcene, e noi ci saremmo messi in disparte se tu avessi insistito-
sibilò,
puntandomi un dito contro.
-Forse
Omega lo avrebbe fatto. Ma
non sono molto convinto che tu avresti seguito il suo esempio- dissi di
rimando.
-Affermativo- disse Omega,
d’accordo con quello che dicevo. Rouge
sembrava innervosirsi di minuto in minuto.
–Allora,
evidentemente, non
conosci così bene i tuoi compagni- la pipistrella
afferrò il braccio del nostro
compagno robotico, trascinandoselo dietro.
-Carica totale, 25%. Necessaria ricarica immediata.-
ripeteva tra sé
e sé Omega, quasi come se avesse appena completato un
obiettivo.
Mi
era dispiaciuto il modo in cui
avevano reagito. Volevo solo lasciarli fuori da questa storia, ma se
c’è una
cosa che la vita mi ha insegnato è che prima o poi, la
verità ti viene sempre a
trovare, e quando cerchi di evitarla ti colpisce come un uragano.
Supposi
che il Comandante avesse
sentito tutto, quindi decisi di dileguarmi, e di andare nel mio
alloggio a
riposarmi. Stavolta ne avevo davvero bisogno.
***
Quella
notte non riuscii a
dormire. Forse era per l’agitazione e l’ansia che
mi sentivo addosso, o forse
perché le ferite del giorno prima erano più
dolorose del previsto senza
bendature.
Come
da
pattuito, mi sarei trovato con il Comandante di lì a poco.
Questa cosa
cominciava a diventare monotona.
Uscii
dalla porta, subito dopo
essermi fatto la doccia. Decisi di andare immediatamente al meeting,
volendomi
togliere il pensiero. Ripetei la stessa strada della volta prima,
salutai come
sempre Adrianne, ed
entrai nell’ufficio
del mio superiore.
-Comandante-
richiamai. Non una
volta che sia entrato in
quell’ufficio senza vederlo seduto dietro la sua scrivania di
mogano preferita.
–Lascia
stare i convenevoli Agente.
Sai perché ti trovi qui. Dobbiamo parlare-
sibilò.
-Si, lo so. Di quella
faccenda-.
-Siediti.
Potrebbe essere una
faccenda lunga-. Mi sedetti sulla sedia opposta a quella su cui si
trovava il
Comandante, la cui faccia era seriamente preoccupata.
–Parlami di quella cosa-.
-Signore?-
-Sai
di cosa parlo. Un essere in
grado di far fuggire la forma di vita suprema,
colui che persino l’Eroe di Mobius riesce solo
ad eguagliare, non può
essere preso sottogamba. Dobbiamo capire con chi abbiamo a che fare,
Shadow-. L’ultima
volta che quell’uomo mi chiamò per nome con
così tanta naturalezza mi stava
puntando una pistola contro. Faceva sul serio. –Che
cos’ha in mente?-
-Tornerai
lì. Ma stavolta non
sarai solo, non importa quanto ti opporrai. Porterai con te un plotone
di
soldati scelti e il resto del Team Dark al completo. Iniziamo
un’invasione-.
Questa era una delle cose che temevo di più. Una di quelle
che più di ogni
altra avrebbe potuto fomentare un conflitto, ed era esattamente
ciò che volevo
evitare a tutti i costi.
-Non
lo ritengo opportuno-dissi
con decisione.
–Come
ho già detto, immaginavo la
tua risposta. Per questo…- tentò lui di parlare.
-Mi
lasci finire- lo interruppi
bruscamente, determinato a far valere le mie ragioni in questa
situazione
critica. –Lei
sa bene quanto possa
essere pericoloso combattere con un nemico praticamente sconosciuto. Se
tutti
gli abitanti di quel luogo fossero come quella ragazza di fuoco, non
riusciremmo ad uscirne. Ci massacrerebbero- spiegai.
-Allora, cosa proponi?-
-Di spiarli. Voglio scoprire
cosa possono
fare, i loro stili di vita, le loro abilità, le loro
tecnologie e gerarchie-.
-Ti
vuoi infiltrare in mezzo a
loro?-
-Esattamente, Comandante-.
-Ne
parli come se fosse la cosa
più semplice del mondo. Ma non è così,
quindi se vuoi farmi cambiare idea, ti
conviene avere una strategia ben precisa in mente. Se non ce
l’hai, ti darò la
bellezza di due minuti, anche tre, per elaborarne una seduta stante-.
Odiavo
quando faceva così. Tentava in tutti i modi di complicarmi
la vita, pur non
riuscendoci. Ma era ovvio che voleva sentire cosa avevo da dire.
-È
probabile che quella ragazza
volesse impedirmi di osservare ulteriormente la sua dimensione. Non si
fidava
di me, e non la biasimo. Devo tornare là nelle stesse
condizioni di ieri e
convincerla delle mie intenzioni. Ma non sarà facile, con
tutta probabilità mi
attaccherà nuovamente. Stavolta, però, conosco i
suoi trucchi, non mi farò più
trovare impreparato-.
Lui
mi fece un cenno con la mano.
-Continua-.
-Sarà
una missione lunga. Forse
ci metterò mesi- spiegai. Lui alzò un
sopracciglio.
-Questo
è ovvio. E se davvero
intendi andare fino in fondo, quando vorresti partire?-
-Parto
domani- dissi, sicuro
delle mie parole.
-Strano.
Da un soldato perfetto
come te, mi sarei aspettato che partissi oggi stesso- mi
schernì, con quello
che sembrava un ghigno sarcastico sul volto. Io annuii.
-È
vero. Ma se perdo la fiducia
dei miei compagni, il rendimento del Team peggiorerà-
sostenni,
giustificandomi. Lui incrociò le braccia dietro la schiena. –E va bene- disse
solamente. Io mi alzai dalla
sedia, dirigendomi verso la porta. –Ti voglio domani mattina
alle dieci in
punto davanti a quel portale- mi sibilò contro.
-Sì,
signore-.
-Ma
ricorda, se il tuo piano non
funziona,- continuò, riprendendo il discorso
–allora agiremo di conseguenza-.
-Lo
so bene, signore-.
Ora
che avevo finito con il
Comandante, avevo una piccola scheggia da rimuovere dalla mia mente.
Uscii
dalla porta, mi diressi
verso l’ascensore, scendendo di un paio di piani, proseguendo
fino alla quinta
porta a sinistra del corridoio, stanza numero 313: l’alloggio
provvisorio di
Rouge, per quando la G.U.N. avesse avuto bisogno del suo supporto.
Ovviamente, era
una delle stanze tenute meglio.
Suonai
il campanello, cosparso di diamanti sotto precisa richiesta
dell’inquilina, aspettando che mi aprisse.
Non
sentii nulla, nemmeno un passo, dall’interno della stanza. In cambio, avvertivo una
strana sensazione dietro
di me. Una mano mi toccò la spalla, e subito dopo una breve
frase: -Ciao
Shadow-.
Una parte di me si era
leggermente sorpresa, l’altra tremendamente irritata.
–Ciao Rouge. Come
diavolo…?-
-Stivali
e guanti con ventose- mi interruppe lei.
-Quando
te li hanno dati?- ringhiai.
-È
un regalino degli ultimi giorni. Volevo farti una sorpresa- disse
lei, strizzandomi l’occhio.
–E
non avevi niente di meglio da fare? Entrare in un museo, rubare
in un museo, distrarre Knuckles e
rubargli il Master Emerald…- dissi, incrociando le braccia.
-No.
Avevo cose più importanti a cui pensare- mi rispose lei.
Abbassai
leggermente un orecchio, riflettendo.
-Un
momento. Come facevi a sapere che ero qui?-
-Ti ho
seguito dal soffitto da quando sei uscito dall’ufficio-.
Distese
le ali, alzando un sopracciglio. –Non hai nulla da dirmi?- mi
chiese,
riprendendo un aspetto serio.
Sbuffai,
roteando gli occhi. – So che non sono stato molto gentile
l’altro giorno- dissi, distogliendo lo sguardo.
-Quindi?-
insistette lei. Strinsi leggermente i pugni.
–Ti
chiedo scusa- sibilai, nel modo più dignitoso possibile.
Dopo
qualche secondo mi sorrise.
–Scuse
accettate. Ma ti chiedo di avvertirmi la prossima volta che
partirai da solo per una missione- sospirò, evidentemente
più sollevata.
-Hai
ragione, ti assicuro che ci farò un pensierino- dissi,
fermandomi
per qualche secondo.
-Per
questo ero venuto a dirti che sto per tornare in quella
dimensione. Come infiltrato. Per diversi mesi-.
Rimase
in silenzio, forse per assorbire la notizia
-…Eh…?-
-E
disarmato. Me lo dimentico sempre- aggiunsi, grattandomi una
tempia.
-…È
uno scherzo, non è vero?- chiese, stringendo i denti.
-No-
risposi semplicemente.
-Come
puoi dirmi una cosa del genere in questa maniera?!- mi urlò
contro,
-Ti
sei appena arrabbiata perché non comunico abbastanza con la
mia
squadra, adesso ti infuri perché ti avverto di qualcosa che
non vuoi sentire.
Mi spieghi cosa vuoi?- sbottai, alzando il tono della voce. Rouge
strinse le
mani a pugno.
–Vorrei
che questo genere di cose me le dicessi con un po’ di
anticipo!- abbaiò.
-Te
l’ho detto con un giorno di anticipo-.
-Non
mi sembra così tanto tempo come lo fai sembrare!-
-Chiamale
ventiquattro ore, suona decisamente di più- ringhiai,
iniziando
ad incamminarmi verso la fine del corridoio, per tornare
all’ascensore.
–Sei
un idiota!-mi urlò Rouge poco prima che si chiudesse la
porta
scorrevole dell’ascensore.
Premetti
il pulsante per andare verso il piano terreno. Se dovevo
allontanarmi a lungo da qui, allora avrei provato a godermi questo
giorno il
più possibile.
Una
volta arrivato, mi diressi verso il luogo che mi rilassava
più di
ogni altro: la sala virtuale, il luogo dove soldati, reclute o veterani
che
fossero, si recavano lì per allenarsi, e migliorare le
proprie abilità.
Mi
avvicinai alla porta scorrevole, ed osservai lo Scanner della
retina che permette l’accesso solo al personale autorizzato.
Una
volta lì, mi preparai ad entrare nella sala allenamenti,
quando
sentii, dalla sala accanto alla mia, un rumore infernale.
Mi
incuriosì così tanto che decisi di andare a
controllare
personalmente. Notai un gruppo di dieci automi G.U.N. di prima classe,
il cui
armamento, come da protocollo per questa sala, poteva spingersi al
massimo fino
ad un manganello, una pistola a tranquillanti, ed un taser a voltaggio
basso.
Al
centro di quell’ammasso di ferraglia, un soldato. Uno solo,
neanche
troppo robusto, ma il cui sguardo era fermo, freddo, e determinato.
I
robot gli andavano incontro tutti insieme, ma lui schivava ogni
colpo, contrattaccando ad ogni occasione possibile, utilizzando
solamente un
pugnale da militare, niente armi da fuoco.
Era
paziente. Quando uno dei
robot lo attaccò, lo schivò di lato, e gli
tagliò di netto l’avambraccio. A quel
punto aveva già notato un altro androide che lo stava
mirando con la sua
pistola, quindi utilizzò lo stesso robot che aveva smembrato
poco prima per
ripararsi, facendo colpire lui.
Subito
dopo, buttò via la carcassa metallica, e lanciò
all’ultimo dei
nemici il pugnale dritto in testa. Con calma, poi, le si
avvicinò, strappandole
via tutto il cranio e, nel frattempo, recuperando il pugnale.
-È qui per rilassarsi,
Agente?-
mi chiese una voce.
-Comandante-
dissi, per l’ennesima volta in quella giornata.
Lui mi
si avvicinò. -Vedo che ti sei fermato ad osservare lo
spettacolo-. Fece un cenno verso il giovane che poco prima si stava
allenando
-Lui
è uno dei soldati migliori di tutta la G.U.N. Ovviamente
subito
dopo di te-.
-Grazie,
signore-.
Riprese
ad osservare con attenzione il ragazzo, scrutandone ogni
movimento. -Ho notato la sua abilità personalmente.
È un ex-marine. Il suo nome
è Geremy Gibson. Prevedo grandi cose per lui, e ne prevedo
di ancora più
grandiose per te-
Mi
sentii avvolgere da uno strano alone d’inquietudine. Tutto
d’un
tratto, persi la voglia di allenarmi
-Lo
immagino. Mi perdoni Comandante, ma ho bisogno di riposare.
Pensavo di tornare ai miei alloggi-.
-Ottima
idea. Dovrai essere splendente domani. Buonanotte, agente. So
che non mi deluderai-.
-A
domani, signore-.
Avevo
sonno, e l’indomani avrei dovuto essere concentrato. Un
errore
di distrazione sarebbe potuto essere fatale per me, specialmente nelle
fasi
iniziali.
Dormii
a fatica, e stranamente, angosciato. Ma la sensazione di pochi
giorni fa permaneva anche nella paura. Qualcosa sarebbe cambiato. Ma
non ero
più sicuro che sarebbe stato in meglio.
La
mattina dopo, una volta arrivato al portale, la mia mente ed il mio
corpo erano pronti ad affrontare ciò che sarebbe arrivato da
quel posto.
Il
Comandante e tutti i soldati lì presenti si allinearono per
ordine
del primo, e mi fecero il saluto
del
soldato, pronunciando all’unisono –Buona fortuna, e
che la stella di Mobius la
assista!- Prima di partire, risposi anch’io al saluto, senza
dire nulla. Mi
incamminai all’interno del portale. Poi il tutto fu
illuminato di bianco.
Quando
riaprii gli occhi mi ritrovai di nuovo in quella spiaggia. Il
rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia mi
riempì le orecchie.
Questo prima di sentire il rumore della ricetrasmittente che si
attivava.
–Agente Shadow. Com’è andato il
viaggio?- mi chiese il Comandante.
-Bene-
risposi solamente, incamminandomi nella foresta.
-Perfetto.
Procedi con la missione- disse, chiudendo la conversazione.
Sospirai, quando fui entrato nell’oscurità della
giungla.
Non
era cambiato nulla da allora. L’ombra delle piante era
scandita
dalla luce naturale che filtrava dalle foglie degli alberi.
Ero
preparato a tutto stavolta,
quindi non tardai ad iniziare una marcia veloce.
Camminai
per varie ore, molte di
più che nella mia prima visita, stavolta senza intravedere
la stessa oasi
dell’ultima volta, segno questo che poteva rappresentare il
fatto che mi fossi
perso nella giungla. Tuttavia, continuai ad andare dritto, fin
dall’inizio,
senza cambiare direzione, pensando che ciò avrebbe potuto
portarmi da qualche
parte prima o poi.
In
effetti, fu così. Gli alberi
si facevano più rari, e di conseguenza, la luce
più intensa. Nel punto in cui
il terreno era libero dalle piante, si ergeva di fronte a me
un’enorme distesa
erbosa, che, guardando in lontananza, sembrava non avere limite.
L’afa
soffocante e umida sembrava
sparita, ed al suo posto il punzecchiare del sole era accompagnato da
una forte
brezza, che inevitabilmente trasportava con sé
l’intenso odore dell’erba.
Prima
una spiaggia, poi una
giungla, e subito accanto una prateria. Che razza di luogo era mai
quello? Mi
guardai intorno, osservando il nuovo panorama che si stendeva davanti a
me.
Quel posto era molto più tranquillo della giungla, e
nonostante fossi
leggermente spossato dalla lunga camminata, quella vista mi
rinvigorì.
All’improvviso sentii dei fruscii dietro di me. Mi irrigidii,
ascoltando
attentamente.
-Salve.
Di nuovo- sentii dire, da
una voce femminile a me familiare. Mi voltai, e dietro di me trovai la
persona
che stavo cercando da ore. La gatta viola mi fissava stoica, a qualche
metro da
me.
-Vedo
che non hai imparato la lezione-
sibilò. La osservai, cercando di capire se avesse intenzione
di attaccarmi.
-
Ascoltami. Se l’altra volta mi
avessi lasciato parlare, ti avrei detto che non sono qui per creare
problemi.
Voglio solo informazioni- dissi, con la voce più calma e
rassicurante
possibile.
-Devono
essere informazioni a cui
tenete davvero molto se insistete tanto nel turbare la quiete di questo
mondo.
In questo luogo la pace perdura ormai da anni-.
Muoveva nervosamente la coda, guardandomi dall’alto al basso.
-Scusa se sono
schietta, ma te ne devi andare. Adesso.
Non posso lasciarti proseguire oltre-.
-No.
Sono io che ti chiedo scusa,
perché non posso esaudire il tuo desiderio- cercai di
spiegare, con quanta più
tranquillità potessi mostrare. Lei scosse la testa, con un
sorriso rassegnato
sulle labbra.
-Allora
non mi lasci altra
scelta- sussurrò. Iniziai a sentire un improvviso calore
sotto ai piedi.
Abbassai lo sguardo e vidi delle fiammelle che danzavano vicine ai miei
pattini. Mi allontanai velocemente, in tempo per vedere una colonna di
fuoco
alta svariati metri che si ergeva nel punto esatto in cui ero io poco
prima.
Rivolsi
una rapida occhiata alla
gatta, che tendeva una mano verso di me. Sentii nuovamente del calore
sul
terreno e saltai all’indietro, schivando un'altra fiammata.
Iniziai a correre
in circolo intorno alla zona dove si trovava la gatta, e girandomi
potei vedere
come continuasse ad evocare quelle fiammate dal terreno, con
l’intenzione di
spaventarmi, o forse di sfiancarmi.
Non
si sarebbe fermata, quindi
per smuovere le acque, caricai il mio potere più potente
sulla mano mentre
continuavo a correre. Saltai in avanti, e le lanciai Chaos Spear, che
la sfiorò
sulla guancia, graffiandola. Se avessi voluto colpirla in pieno, le
sarebbe
saltato in aria il cranio
-Questo
è per le condoglianze-
dissi. Lei strinse i denti, fissandomi con tutto l’odio del
mondo. Mi si lanciò
contro, infuocando le braccia. Alzò velocemente la gamba,
tentando di tirarmi
un calcio sulla mascella. Mi abbassai velocemente, afferrando
l’arto con cui
aveva tentato di colpirmi. Prima di poter reagire, mi ritrovai il suo
pugno sul
mio labbro. Indietreggiai pesantemente. Non potevo credere che fossimo
nella
stessa situazione della volta prima.
-Fermati
e ascoltami!- mormorai,
mentre lei cercava di colpirmi con un pugno infuocato sul volto. Lo
afferrai
prima che potesse sfiorarmi, cercando di ignorare il dolore che provavo
in quel
momento.
-Ti
rendi conto che questa
perdita di tempo sarebbe totalmente evitabile?!- esclamai, stufo di
combatterla.
–Hai
ragione, tu potresti
andartene!-
-Oh,
per l’amor del…- la spinsi
lontano da me, creando qualche metro di distanza tra di noi. La mia
mano faceva
un male tremendo. Prima che la ragazza si avvicinasse nuovamente a me,
creai un
Chaos Spear e lo lanciai al suolo. Ci fu un’esplosione, che
alzò abbastanza
fumo e polvere da riuscire a nascondermi dalla sua vista per un
po’ di tempo.
Ma io la vedevo. E distinguevo perfettamente la sua sagoma tra la
polvere.
Strisciai
dietro di lei, e con le
braccia la afferrai per il collo. -Ok, ora forse mi ascolterai!-
Continuava ad
agitarsi e a tossire, e ad un certo punto si mise a colpirmi con delle
gomitate
nell’addome. -Uff! Ascolta! So che non hai motivo di
fidarti…- mi colpì nello
stomaco, togliendomi il fiato per qualche secondo.
-Agh,
maledizione, calmati! Dammi
UNA possibilità per
dimostrarti che
non sto mentendo, solo una!- dissi, con una leggera nota di supplica
nella mia
voce. Lei smise di tirarmi gomitate, calmandosi leggermente. Aveva il
fiato
corto, ma almeno non mi stava più colpendo il petto. Mise
una mano sul mio
avambraccio, quello che le stava stringendo la gola. Cercava di
allentare la
stretta sul suo collo.
–Perché
mi dovrei fidare di te?-
chiese, con voce strozzata. Riflettei qualche secondo, cercando le
parole
adatte. Ma in una situazione del genere, non riuscivo proprio a
trovarne.
-Hai
ragione. Non puoi. Per
questo ti chiedo solamente una chance, per potertelo dimostrare-. Lei
sembrò
riflettere per qualche secondo.
-Lasciami
andare- sibilò,
agitandosi un poco. –Quando parlo a qualcuno lo voglio
guardare negli occhi-
spiegò. Si poteva benissimo sentire tutta la rabbia e
l’ansia che provava in
quel momento. Volevo credere alle sue parole. In più, se mi
avesse attaccato
non avrei più scherzato con lei. Mi allontanai di qualche
passo, sciogliendo la
stretta che avevo intorno alla sua gola. Lei seguì il mio
esempio e
indietreggiò.
Sospirò,
evidentemente frustrata.
–Bene. Vuoi una possibilità?- io annuii. Lei si
morse impercettibilmente il
labbro.
-Mi
hai stufato. Avrai la tua
possibilità- borbottò, incrociando le braccia e
chiudendo le palpebre.
Mi
sentii il cuore stranamente
sollevato, e rilassai le spalle. –Ma a una condizione-
aggiunse, aprendo di
scatto gli occhi. –Non potrai uscire da questa foresta. Mai. Se vedrò o
verrò a sapere che hai superato i confini, sarai
cacciato dalla dimensione. Oppure,- mi fissò torva,
aggrottando le sopracciglia
–ti ucciderò-.
-Tutto
chiaro?- mi chiese. La
scrutai attentamente. Poi le porsi la mano. – Non sono qui
per fare problemi, mi
sembrava di avertelo già detto già detto.
Starò alle tue regole-. Lei fissò
sospettosa la mia mano.
-Ne
sono felice-. Mi diede le spalle
e iniziò ad incamminarsi verso l’immensa prateria.
Rimasi leggermente
sbigottito, osservandola allontanarsi. Prima di arrivare nuovamente in
questa
dimensione, dubitavo che sarei riuscito a convincerla a farmi rimanere
qui. Ma
incredibilmente, ci ero riuscito. Certo, non potevo uscire da quella
dannata
foresta. Ma… l’avevo convinta.
-Comandante,-
richiamai –ci sono
riuscito-.
Blaze
Nervosa.
Una delle poche parole
che avrebbe potuto descrivere perfettamente il mio stato
d’animo in quel
momento. Furia. A causa di tutti gli strani eventi di quel periodo.
Odio.
Quello che provavo per quel dannato riccio. Quel insopportabile essere
che era
venuto nel mio mondo, a distruggere la sua quiete. Eppure…
-Mia
signora!- sentii urlare, da
una voce perennemente tesa. Mi voltai, osservando la figura di Gardon
che mi
correva incontro. –Maestà- disse lui, mettendosi
una mano sul petto e facendo
un veloce inchino. Roteai gli occhi.
-Gardon,
ti ho detto di non chiamarmi
in quel modo-. Lui
mi fissò leggermente
intimorito. Tipico di Gardon. –Mi scusi- sospirò,
cercando di riprendere fiato.
–Non riuscivo a trovarvi. Vi ho cercata dappertutto-
spiegò, osservandomi.
-Ero
andata nella foresta-. Lui
spalancò leggermente gli occhi.
-Un’altra
volta?-
-Sì.
Quel riccio… è tornato-
dichiarai. Il koala muoveva nervosamente le mani, in preda
all’agitazione.
–E…com’è
andata?-
Sospirai.
–Ho deciso che potrà
rimanere, Gardon-. Lui spalancò la bocca, fissandomi
–Maestà…-
iniziò, pronto a
mettere in discussione la mia scelta azzardata.
-Chiamami
Blaze e basta. Sono
anni che te lo ripeto-. Lui inspirò profondamente.
–Bene.
Blaze, non credo che questa sia una buona idea. Insomma, come
possiamo fidarci di lui?-
-Lo so
Gardon. Non mi fido neanche io. Ma anche se lo avessimo
cacciato nuovamente, credo che sarebbe stato completamente inutile. Mi
sembra
un tipo che non demorde facilmente. Avrebbero continuato a tentare
finché non
gli avessimo concesso il permesso. Oppure avrebbero ricorso alla
violenza-
iniziai a camminare per i corridoi, con il Koala al mio fianco.
-Purtroppo
non tutti gli stranieri che arrivano qui sono come Sonic-
dissi, mentre i ricordi delle avventure di qualche anno prima mi
riaffioravano
alla mente.
-E
cosa intende fare?- chiese
Gardon.
-Lo
osserverò. Terrò sempre un
occhio su di lui, non sarà difficile. Gli ho proibito di
oltrepassare il limite
della foresta- Gardon annuì.
-Crede
che quel riccio riuscirà a
sopravvivere?- Io feci un sorriso di scherno.
-Sì.
Ce la farà sicuramente-.
Quello di cui avevo paura, alla fine dei conti non era lui. Su di lui
avevo
concentrato la mia agitazione per ciò che stava accadendo al
mio regno. Un
impero millenario, le cui bellicose conquiste ebbero
fine solo da qualche secolo. E non
c’è nulla
di più difficile che mantenere la pace in un luogo
così vasto. Sapere che c’era
qualcuno che stava giocando impropriamente con questo giovane e fragile
equilibrio, era inquietante. Ancora più inquietante era sapere chi stava dietro quei problemi.
Una
guerra con un altro mondo avrebbe
significato combatterlo uniti, come un unico Impero.
Ma
c’è anche chi crea scompiglio
da dietro le quinte, e lo fa per vari, viscidi motivi:
perché ha paura di
combattere contro un nemico a lui superiore, per indebolire a
sufficienza il
suo nemico prima di colpirlo con forza… oppure per seminare
zizzania,
distruggendo ciò per cui la mia dinastia ha combattuto
duramente.
Eggman
Nega
Sapete
qual’ è l’aspetto migliore
dell’essere me? Un uomo affascinante, elegante, educato,
colto, con baffi più
lunghi del suo intestino tenue, ed in grado di sviluppare tecnologie
più o meno
centocinquant’anni più avanzate rispetto al resto
del suo mondo? Che non ci
sono altri come me. Circondato da esseri che non batterebbero ciglio a
sacrificarsi per me. Non hanno abbastanza libertà per poter
concepire il libero
arbitrio. Dopo tutto, li ho programmati per questo.
Ero
a tavola, nella mia
lussuosissima sala da pranzo, nel mio bellissimo nascondiglio segreto
sotterraneo. Osservai con divertimento uno dei miei bio-robot, vestito
di tutto
punto, con abito da pinguino, cravatta, e tutto ciò che
conviene ad un bravo
maggiordomo. Quella lurida macchina sembrava quasi piacevole da vedere,
ma solo
come simbolo del mio potere.
Lo
vidi arrivare con il suo
solito vassoio. L’avevo programmato per portarmi ogni sera un
aperitivo prima
della cena, nonché per eseguire varie pulizie, e per
continuare finché non
avesse finito, avesse anche dovuto continuare per notti intere. Il suo
programma gli imponeva di portarmi due bicchieri di spumante alla sera,
e di
aspettare immobile finché non avessi bevuto entrambi i
calici. E la cosa
divertente, è che io ne prendevo sempre solo uno, quindi
rimaneva bloccato lì
anche per ore ed ore, a volte finché non finivo di cenare.
Per carità, quello
non era un bug. Lo avevo programmato apposta, perché mi
divertivo a vedere la
sua forzata devozione. O meglio, come il mio genio avesse imposto lui
devozione
verso il sottoscritto.
Mi voltai, mentre uno dei
miei altri robot mi porgeva
un telecomando. Glielo strappai velocemente dalle mani, schiacciando il
pulsante che avrebbe acceso l’enorme televisore posto davanti
al tavolo.
Ah,
cosa c’è di meglio di vedere
il tuo programma preferito mentre attendi la cena? Voi quale preferite?
Ovviamente
non vi ascolterò minimamente, voi ingenue marionette del mio
carisma, ma è
sempre bello ascoltarmi! Il mio genere preferito erano le notizie di
attualità.
Vidi
apparire il mio marchio
personalizzato, la “Nega production”, da me creata
e da me approvata.
Poi
lo show iniziò, e LUI apparì
in tutto il suo oscuro orgoglio. Potente, furbo, agile, fiero,
resistente al
dolore. E dannatamente simile ad un essere che avevo già
visto. Un essere per
il quale avrei distrutto il mio mondo, pur di vederlo morto. Ma questa
volta
era diverso. Vedevo quella creatura che contrastava senza alcun
problema il
potere dell’imperatrice. E non lo avevo mai visto qualcuno di
quel calibro in
quel mondo.
Con
tutta probabilità, era
fuoriuscito da quell’anomalia che avevo rivelato fino a poco
tempo prima. E la
gatta è stata furba, non appena ha percepito che
c’era qualcosa che non andava,
ha controllato immediatamente. E la sua curiosità
è stata soddisfatta.
Ovviamente anche io mi sono dato da fare. E a differenza sua, io sono
stato
molto più curioso. Non avevo idea di chi o che cosa fosse
quel riccio. Sapevo
solo una cosa: guardandolo, riuscivo a percepire il potere che
sprizzava da
ogni poro del suo corpo. Lo avrei studiato, e avrei avuto tutto il
tempo per
farlo. Dovevo solo fare in modo che non si accorgesse di me.
Pensavo
questo, mentre gustavo
l’ultima forchettata del mio pasto. Però era quasi
mezzanotte, e decisi di
andare a dormire, almeno dopo aver sfruttato il mio anti-stress
personale.
Decisamente il mio passatempo preferito: “Osservare gli
ingredienti”. Mi alzai
dalla sedia dirigendomi verso i piani inferiori della mia base. Dopo
aver
attraversato un corridoio con il soffitto ricoperto dei cavi di
alimentazione
dei miei macchinari, arrivai davanti a una stanza protetta da una porta
di
sicurezza. Inserii velocemente la password, sorpassando i robot che
facevano da
sentinella.
Quando
il portone si aprii,
entrai in un enorme stanza, avvolta da un’oscurità
profonda.
Le
luci automatiche si accesero,
e finalmente potei osservarli, quei poveri, indifesi esseri
addormentati
all’interno delle capsule di triplo vetro, e collegati alle
flebo che li
mantenevano stabili in quello stato.
Erano
così teneri, in quella
costante posizione fetale.
Mi
avvicinai ad una delle
cilindriche capsule, ed appoggiai la mano contro il vetro, guardando
l’essere
al suo interno.
Pensai:
“Dormi, bambino mio. Goditi ogni
momento nel quale i tuoi occhi
rimangono chiusi. Perché quando li riaprirai, sarai rinato.”
Blaze
Sospirai,
sentendomi stranamente
rilassata, seduta sul mio trono. Una delle poche volte nella mia vita
in cui
potevo stare tranquilla. Nel regno era tutto tranquillo. Nessuno aveva
attentato alla mia vita, il commercio proseguiva fiorente, e riuscivo a
coordinare perfettamente i vari comuni dell’Impero tra loro.
E riuscivo ad
avere più tempo libero per me. Era tutto meraviglioso. Quel
giorno come le due
settimane precedenti.
Era tutto troppo strano. Da
quando era
arrivato quello strano riccio, era diventato tutto troppo tranquillo
nel regno.
Aveva rispettato i
patti, evidentemente.
Oppure era morto, ed avrei dovuto dar ragione ai sospetti di Gardon.
Sentii
arrivare qualcuno dal portone d’ingresso della vastissima
sala
del trono.
Era
Gardon. -Buongiorno, sua Maestà-.
-Gardon…-
-…Blaze.
Ha passato un buon sonno?-
-Oserei
dire meraviglioso- sospirai.
-Davvero?
È sicura di stare bene? La vedo incredibilmente solare
oggidì. Davvero, se desidera posso far licenziare le
domestiche…- io scossi la
testa, con un leggero sorriso sulle labbra.
-Te lo
assicuro Gardon, sto bene-.
-Mi
scusi maestà…- ebbe un secondo di ripensamento.
–Blaze!-
si corresse. -È solo che non mi
è solito vederla così…ehm, solare-
disse, gesticolando leggermente.
Mi
alzai dal trono, stirandomi le gambe
intorpidite. –Esco- dissi, sorpassando il koala.
–Blaze,
dove sta andando?- mi chiese lui,
seguendomi con lo sguardo.
-A
controllare quel riccio- spiegai senza voltarmi,
continuando imperterrita per la mia strada. Sapevo che Gardon avrebbe
ribattuto, ma il portone della sala si richiuse prima che potesse
rispondere.
Certe volte era troppo protettivo, nonostante sapesse perfettamente che
potevo
difendermi da sola, senza l’aiuto di decine di scorte al mio
fianco.
Al mio
passaggio, le guardie alzarono le lance e le asce, in segno di rispetto
per la
loro regina.
-Aprite la
porta!- urlò il capoguardia appena mi vide. Meritava una
promozione quel tipo.
Osservai il paesaggio, dopo che i portoni del castello furono aperti.
Una
pioggia torrenziale partì dal nulla. Le sue gocce mi
bagnavano la faccia e il
pelo. La gente non restò ad ammirarmi per molto come se
fossi un qualcosa di
anormale, visto che anche loro non volevano bagnarsi.
A quel
punto
aumentai la velocità, attraversando l’imponente
strada maestra e dirigendomi
verso le mura della città, dove era situato il portone
d’ingresso. Le
sentinelle per la sicurezza della capitale mi aprirono il passaggio.
Appena fui
uscita dai confini della città, iniziai a correre in
direzione della foresta.
Speravo vivamente che il riccio fosse rimasto dove gli avevo ordinato.
Lo
speravo per lui.
Mi
distolsi
dai miei pensieri, notando che adesso proseguire nella pioggia sembrava
quasi
come camminare contro la corrente di un fiume. Quello che pochi minuti
prima mi
sembrava un diluvio, ora sembrava quasi
un lago che precipitava dal cielo. Scrollai nervosamente
la pelliccia
che avevo sulle braccia, cercando di allievare leggermente il fastidio
causato
dal pelo gonfio. Sbuffai, appiccando della fiamme sul mio corpo nel bel
mezzo
della corsa. Vampate troppo potenti per poter anche solo essere
scalfite dalla
pioggia.
E in un
attimo, io e il fuoco fummo tutt’uno.
Attraversai
tutta la prateria, quella che i contadini, secoli fa, chiamavano
”anticamera
dell’Eden”, nome che rappresentava sia la bellezza
del luogo, sia il rispetto
degli abitanti per la città capitale, Flaritas, la casa
della famiglia reale.
Quando
arrivai
in prossimità della foresta, spensi le fiamme. Non potevo
assolutamente
rischiare di ferire ulteriormente quel luogo. Se correvo e prendevo
delle
scorciatoie potevo arrivare in una mezz’ora nel luogo in cui
si era accampato
il ragazzo. Non potevo fare a meno di sperare che fosse ancora vivo. I
suoi
alleati avrebbero potuto credere che lo avessimo ucciso noi in qualche
modo, e sapevo
perfettamente che tutto questo poteva inevitabilmente causare una
guerra.
Scossi la testa, cercando di non pensare a cose che potessero
accrescere la mia
preoccupazione. Mi guardai intorno, notando che mi ero avvicinata
notevolmente
al luogo in cui avevo ordinato di rimanere a quell’essere.
Rallentai, fino a
fermarmi definitivamente. La meravigliosa spiaggia dell’isola
Elisse era
oscurata di fronte al violento acquazzone.
Ero
fradicia e
dovevo ancora trovare quell’uomo, per questo cominciai ad
esplorare la spiaggia
che costeggiava circa metà dell’isola.
Ad un
certo
punto vidi un capannino situato a qualche metro di distanza dal mare.
Non aveva
nemmeno le pareti, era solo composto da vari rametti legati tra loro
che
sostenevano una grossa foglia di palma che faceva da tetto, e
c’era qualcuno lì
sotto. Il riccio se ne stavo tranquillo sotto il suo accampamento di
fortuna.
Poco più avanti, c’erano delle braci dalle quali
fuoriusciva molto fumo.
Evidentemente, poco prima che iniziasse quel diluvio, aveva acceso un
fuoco.
-Ehi- Lo
chiamai per avvertirlo della mia presenza, senza successo.
–Ehi!- urlai questa
volta, vedendo che finalmente cominciava a voltarsi verso di me. Il suo
sguardo
era feroce, ma non meno determinato di quando lo lasciai qui, due
settimane
prima. Il suo aspetto era molto trasandato, le spine erano disordinate,
seppur
quelle situate sulla testa avessero pressoché mantenuto la
stessa posizione. Ma
non erano quelle le prime cose che notai. Aveva tra le mani una piccola
e lunga
creatura mezza mangiata, probabilmente un serpente. Non aveva
l’aria di essere
molto cotta.
-Buongiorno.
Lo sai che esistono gli ombrelli?- Dopo che pronunciò quelle
parole, mi toccai
il viso, e vidi che il mio pelo era bagnato e pendente.
–Non
ne ho
bisogno- dissi solamente, avvicinandomi a lui di qualche passo.
–E tu lo sai
che esistono i pettini?- chiesi, fissandolo. Lui roteò gli
occhi.
–Non
in
natura. Se sei venuta qui soltanto per infastidirmi, allora puoi anche
andartene- mormorò, sedendosi sotto la sua specie di capanna
e mangiando un
altro pezzo di carne. Incrociai le braccia al petto, cercando di non
mostrare
tutto il nervosismo che provavo in quel momento. Quel tipo riusciva a
rendermi
inquieta con un solo sguardo. C’era qualcosa, nelle sue iridi
rosse, che mi era
familiare. Un barlume che avevo visto più volte nei miei
stessi occhi. …Dolore?
-Ero
venuta a
cercarti per constatare se eri ancora vivo- dissi, cercando di
distrarmi dai
pensieri che mi imperversavano la mente. Lui non parlò,
fissandomi di
sottecchi. Sospirai, esaminando i nuvoloni scuri
all’orizzonte. –Questi saranno
giorni di tempesta. Non ti consiglio di restare sulla spiaggia-.
Lui
sbuffò. -Questo
posto è decisamente più sicuro della foresta-.
-Quando la
marea inizierà a salire non la penserai allo stesso modo. E
la pioggia potrebbe
continuare per giorni. Come cuocerai il cibo?- Lui rimase in silenzio,
osservando il cielo. Apparve un lampo improvviso, accompagnato da un
tuono. Poi
sospirò, scuotendo la testa. Vederlo in quella situazione
dava un’impressione diversa.
Con le spine arruffate e la pelliccia completamente inzuppata, mi
faceva
leggermente pena. Il vento cominciò a soffiare con
più vigore, e i tronchi
degli alberi iniziarono ad ondeggiare. Le onde del mare colpirono con
più
vigore la spiaggia, mentre la marea saliva lenta ma inesorabile. Il
riccio
incrociò le braccia al petto, mentre un impercettibile
tremito gli scuoteva il
corpo.
…Lo
ammetto.
Mi faceva decisamente pena.
-Allora,
è
finito il mio periodo di prova in questo posto?- mi chiese lui con tono
lievemente ironico. Continuai
a
osservarlo, ignorando la sua domanda. Mi stava passando per la mente un
pensiero su di lui, che poteva mettere in pericolo tutti quelli che
amavo, che
avrebbe potuto distruggere tutto quello che conoscevo. Ma
c’era qualcosa dentro
di me, che mi guidava. Che mi stava dicendo cosa fare. Che quello che
avrei
detto non sarebbe stata la disgrazia del mio regno.
-Tsk.
Complimenti straniero, hai superato la prima prova. Puoi passare al
prossimo
stage. Seguimi-.
Sospettoso,
si
accennò ad alzarsi e ad avvicinarsi a me. –Alt- lo
fermai, –prima voglio sapere
il tuo nome-.
Lui mi
guardò
un attimo con il suo sguardo imperscrutabile, e mi rispose.
–Shadow the
Hedgehog.-
Shadow
Dopo
giorni in
quel buco maledetto, finalmente l’avevo convinta a portarmi
in un luogo che
probabilmente, aveva per loro maggior importanza di quel
“bene indispensabile’’
che era per loro quella foresta.
Attraversammo
tutta la foresta nel giro di mezz’ora. A tutta
velocità era tutta un’altra
storia. Era molto veloce, non meno di Sonic, Metal Sonic, o di me.
Non avevo
ancora visto la prateria nella sua integrità, ma quando la
attraversai rimasi
basito. Persino nella pioggia, e con i nuvoloni grigi, questo luogo mi
attraeva, e la corsa, accompagnata dalla pioggia che cadeva nel mio
stesso
senso di marcia, sembrava una discesa per un fiume. Era dunque questo
ciò che
LUI provava? Era quella la libertà che Sonic predicava
continuamente? Poi vidi
qualcosa di nuovo espandersi davanti ai miei occhi. Ciò che
da lontano sembrava
un recinto, era in realtà un’enorme muraglia.
-Siamo
quasi
arrivati- urlò la gatta, cercando di sovrastare il rumore
della pioggia. Mi
voltai verso di lei.
-Dove mi
stai
portando?- chiesi.
Lei fece
un
cenno verso le mura. –Laggiù-. Stemmo in silenzio
per il poco tempo in cui
continuammo la nostra corsa.
Quando
fummo
davanti alla porta principale, da una delle torri circolari che
contornavano
strategicamente il muro, uscì una figura, che da quella
distanza non riuscivo a
descrivere bene, anche se si trattava probabilmente di una guardia. Ci
fissò
per qualche momento, prima che la gatta alzasse una mano al cielo,
infiammandola nonostante quel diluvio.
Pareva che
quell’individuo l’avesse riconosciuta. “Sul
serio, chi è questa ragazza?” pensai.
L’immenso,
massiccio portone si aprì, ed una larga strada tappezzata di
grosse pietre, mi
si parò davanti, con
ai lati alte ma
rudimentali case. Ai miei lati, altre due stradine laterali. Sembrava
di essere
al Festival di rievocazione della Station Square medievale.
Iniziammo
a
correre per la strada principale, pur non alle velocità di
prima, fino ad
arrivare in una piazza circolare, circondata da varie case e con al
centro un
grosso piedistallo, ma curiosamente, senza niente sopra.
Proseguimmo
ancora qualche chilometro, ed infine ci trovammo davanti a quella che
forse,
era la nostra destinazione: un’imponente castello, la cui
altezza massima era
raggiunta dai suoi quattro alti pinnacoli.
Il portone
d’entrata era sorvegliato da un paio di guardie, con il viso
coperto da un elmo
ed armati di alabarde.
La scena
si
ripeté, e non appena le guardie la videro alzarono subito le
armi, e vidi il
portone aprirci la strada.
Il
corridoio
davanti a me era ampio, e illuminato dalle aperture poste nelle parti
alte
delle pareti a lato.
Nella
nostra
camminata, in modo del tutto inaspettato, un koala a me sconosciuto ci
venne
incontro, con aria piuttosto preoccupata. Ed ero quasi certo che non
fosse
stato in pensiero per me.
-Imperatrice!-
‘’Cosa…imperatrice?’’
La gatta
scosse la testa, scocciata. -Poiché abbiamo un ospite,
Gardon, in maniera del
tutto eccezionale non mi lamenterò del modo in cui ti prego
costantemente, per
la mia sacrosanta volontà di buonumore giornaliero, di non
chiamarmi per almeno
una trentina di volte alla mezz’ora-. Il koala
agitò leggermente, poi sembrò
accorgersi della mia presenza.
-Chi
è
costui?- le chiese, guardandomi con sguardo introspettivo, quasi stesse
cercando di riconoscere qualcuno.
–Oh,
giusto.
Gardon, ti presento Shadow the Hedgehog,
“ambasciatore” dall’altro mondo, con
un capiente carico di intenzioni non ancora del tutto chiare. Shadow,
ti
presento Gardon, Consigliere-Mentore-Insegnante-Protettore-Direttore
della
servitù reale, il quale riferisce a me e solo a me
ciò che succede in ogni angolo
del regno- spiegò come una cantilena, facendo un cenno al
koala.
-Piacere-
risposi,
senza lasciar trasparire alcun tipo di confidenza. Lui
sembrò irritato,
rivolgendo un’occhiata interrogativa alla giovane donna.
–Maestà,
posso
chiedervi il perché questo straniero sia nel castello?-
chiese.
-Verrà
a vivere al castello per
un po’ di tempo- decretò la gatta. Mi voltai
incredulo verso di lei,
esattamente come fece il koala.
–Cosa?!-
abbaiò quest’ultimo. La
ragazza fece ondeggiare bruscamente la lunga coda.
–Hai
capito perfettamente. Rimarrà
da noi per un po’ di tempo-. Poi si rivolse a me.
–Ovviamente se è d’accordo-.
Probabilmente quella sarebbe stata l’unica
possibilità che mi sarebbe stata
concessa. Annuii deciso, accettando la sua offerta.
-Perfetto-
disse, non
rivolgendomi più molta attenzione. Il koala
sbarrò gli occhi.
–Maestà,
non sono affatto
d’accordo!- sibilò. –Come può
pensare di portare qui, nel Castello della
Capitale, un perfetto sconosciuto potenzialmente pericoloso!? Potrebbe
essere
una spia, un infiltrato, un folle malintenzionato! Senza offesa
ovviamente,
signore-.
Alzai
un sopracciglio, alla
strana reazione di quel lunatico. -Nessun problema-. Anche
perché,
relativamente alle prime parti del suo sbraitare, non aveva tutti i
torti.
-Gardon,
ora basta!- alzò la voce
la gatta, indispettita.
–Ma,
signora…-
-La
sovrana che sta risollevando
questo regno dal caos è anche la sovrana che oggi ha preso
questa decisione! Non
sarei una brava reggente, ma una despota, se non dessi almeno UNA
possibilità a
chiunque lo richieda sinceramente. E poi sai quanto dobbiamo a Mobius.
Forse
con la nostra chiusura mentale ci stiamo privando dell’unica
possibilità di
ricambiare-.
Mobius!? Conoscevano il nome
del nostro mondo!
Com’era possibile, avevamo già avuto a che fare
con loro?
Il
koala sospirò, massaggiandosi
le tempie e mormorando qualcosa. –Bene. E allora cosa intende
farne di lui?
Vuole che sia il suo animale domestico, oppure il suo giullare?-
chiese, con
dell’ironia tangibile nella sua voce.
-Non
dire sciocchezze, Gardon.- ridacchiò
lievemente lei, come se avesse accettato il pessimo umorismo di
quell’uomo. -Già
a partire da domani dovrà rendersi utile-
sibilò, zittendolo.
-In
che modo?- chiese.
-Pulirà
gli ambienti del
castello. Mostragli le zone di cui è responsabile-
illustrò la gatta,
rivolgendomi un’occhiata.
–Ora,
se volete scusami, ho dei
lavori da svolgere- spiegò. -Ti auguro buona permanenza- mi
disse, con un tono
freddo. Ci diede le spalle, incamminandosi verso uno dei corridoi del
castello.
Sembrava tutto troppo strano. Essere riuscito ad arrivare quel punto
sembrava
un sogno, ma nonostante tutto quello che fossi riuscito a fare in
quella
giornata, volevo togliermi un’ultima curiosità.
-Come
ti chiami?- chiesi. La mia
voce rimbalzò tra le pareti del castello, mentre la ragazza
fermò la sua
camminata. Si voltò lievemente, non degnandomi di uno
sguardo.
-Blaze-
borbottò con un filo di
voce, prima di andarsene. La osservai per qualche secondo, sentendomi
stranamente soddisfatto.
-Avremo
parecchie cose di cui
discutere, giovanotto. Ora vieni, sbrigati!- grugnì il koala
in tono di
nervosismo, mentre ci incamminavamo nella direzione opposta a quella
della
ragazza, o Blaze che dir si voglia.
–
In questo momento ci stiamo dirigendo agli alloggi della
servitù,
dove ci troverai anche il tuo. Al suo interno vi troverai una doccia,
un letto,
ed un tavolino, sopra il quale ci sarà una piantina del
castello. D’ora in poi
ti sarà affidata la responsabilità di pulire e
tenere in ordine i seguenti ambienti:
la cucina, il cortile reale situato al centro del castello e
l’area di
addestramento delle reclute. Se non ce la fai a pulirle entro la fine
della
giornata, te ne vai da questo posto. Avrai a disposizione una volta al
giorno,
se lo desidererai, un’ ora di libera uscita. Decidi tu quale
questa dovrebbe
essere.
Quando
uscirai, sarai per tutto il tempo accompagnato
da un paio di
guardie. Se provi a scappare, ti allontani troppo o non ascolti i loro
ordini,
sei fuori. Se le guardie notano in te qualcosa di minimamente sospetto,
sei
fuori. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, di solito mi trovi nella sala
del
trono. È segnata anche quella sulla mappa. Buona fortuna
e…ti tengo d’occhio-.
Ed io che pensavo al
Comandante
come a un despota. Una cosa era certa, io non piacevo a quel tipo, e di
sicuro
lui non piaceva a me. Avrebbe cercato qualsiasi scusa, ed avrebbe
sfruttato
qualsiasi mio errore per allontanarmi. Dovevo stare attento.
Ci
fermammo davanti a una porta
in legno di color avorio. –Questo è il tuo
alloggio. Non dimenticartene-.
Indicò l’ingresso della mia stanza.
–Ti
ringrazio.- borbottai, sempre
limitando il discorso il più possibile.
–Passa
una buona notte- mugugnò,
subito prima di andarsene. Mi addentrai nella stanza, non aspettandomi
nulla di
particolarmente lussuoso. Ma in parte dovetti ricredermi. I muri,
verniciati di
grigio, non erano minimamente crepati, e seppure potessi confermare la
presenza
del davvero pochissimo mobilio, era tutto in buono stato. Non sapevo se
fosse
davvero un’imperatrice, ma in quel caso sembrava abbastanza
furba da trattare
bene la servitù. La doccia…dopo due settimane
infernali finalmente avrei potuto
farmi un bagno caldo.
Ma
in quel momento
avevo cose ben più importanti da fare.
Mi misi la mano
nell’orecchio, attivando la ricetrasmittente
-Agente, com’è la situazione?-
-Abbiamo dei risvolti, Comandante-.
***
Passai
un’ottima nottata, o
perlomeno la migliore delle ultime quattordici trascorse in quella
foresta.
Presi
la mappa dal tavolo, mi diressi
verso l’uscio della stanza per poi oltrepassarlo.
–Buona
fortuna, Agente- esclamai
sottovoce tra me e me, mentre dopo averla aperta, osservavo la mappa
che avevo
con me
-Vediamo…le
cucine…- notai che
quello era il luogo più lontano tra gli ambienti che dovevo
pulire, quindi optai
per la seconda scelta, guarda caso la più vicina alla mia
posizione, cioè il
giardino.
Mi
sarei preso quella giornata
per imparare il loro modus operandi, così a breve sarei
stato in grado di
capire meglio la loro società, e così se
avrebbero potuto rappresentare un
rischio per la nostra dimensione.
Mancava
ancora un po’di tempo perché
iniziasse il mio turno di lavoro, ma decisi di partire in anticipo per
non
rischiare di prendere sottogamba la situazione, in caso gli ambienti
fossero
più vasti del previsto.
Capii
di essere quasi arrivato
dal fatto che la mappa indicava la posizione del giardino al centro del
complesso, e che vi si poteva accedere attraverso dei portici che
collegavano
direttamente l’interno e l’esterno, ed avendo
seguito tutte le indicazioni,
presumibilmente mi trovavo nel posto giusto. Anche considerando che
nella parte
terminale del corridoio vi erano appoggiate delle serie di scope,
palette e un
tagliaerba manuale.
Come
immaginavo, il giardino era
ampio ed aveva dei marciapiedi ai contorni, nei lati dove le pareti
toccavano
il terreno. Al
centro, grandi sculture
scolpite nei
cespugli, imponenti statue
composte di foglie raffiguranti cavalieri, arcieri e vari animali, come
linci e
serpenti, tutte all’interno di un medio-basso recinto
anch’esso di foglie. Mi
diressi verso il centro del giardino, accingendomi a cominciare
quell’ingrato
lavoro. Afferrai una delle scope ed entrai all’interno di
quel recinto di
fogliame, iniziando ad ammucchiare in un piccolo gruppo tutte le foglie
che erano
presenti sul prato. Mi stupivo di come, nonostante il perenne caldo che
aleggiava in quello strano mondo, potessero cadere così
tante foglie. Sembrava
un complotto affinché non riuscissi a finire i miei compiti
prima del termine
della giornata. Quello era
decisamente uno dei lavori più umilianti che mi era capitato
di fare in più di
cinquant’anni, pur considerando che buona parte della mia
vita l’ho passata in
stasi.
Il
caldo mi distruggeva, ed il
lavoro era tanto, ma non potevo fermarmi, non avevo questo lusso. Ma
dopo novanta minuti
circa passati a pulire, la mia
attenzione fu catturata da una piccola ospite: vidi una bambina, una
giovane ragazza
procione uscire da uno dei quattro porticati collegati al giardino, e
nascondersi in tutta fretta dietro una delle pareti di cespugli. Subito
dopo mi
guardò, mettendosi il dito indice davanti alle labbra,
facendomi segno di fare
silenzio.
-MARINE!-
sentii urlare, prima di
vedere un anziano koala camminare velocemente per il porticato, seguito
da un
paio di guardie. –Marine! Dove sei?!- abbaiò,
guardandosi intorno. La ragazzina
tentò di appiattirsi il più possibile contro i
cespugli.
-Ehi
tu!- mi urlò contro
l’anziano. Lo fissai stizzito, cercando di ignorare il tempo
che stavo perdendo
in quel momento. –Hai visto una bambina passare da queste
parti?- Rivolsi
un’impercettibile occhiata alla ragazzina, che mi fissava
implorante. Sospirai
esasperato.
-No.
Non ho visto nessuno- sibilai,
ricominciando a spazzare il terreno. L’anziano
imprecò, continuando per la sua
strada lungo i porticati. La bambina rimase nascosta ancora per qualche
secondo,
prima che vedessi spuntare la sua testa dal cespuglio.
-Se
ne sono andati?- mi chiese,
con un forte accento che non riuscivo a distinguere. Io annuii, alzando
lo
sguardo verso di lei. Le spuntò sulle labbra un sorriso
enorme. Uscì dal suo
nascondiglio, camminando allegramente verso di me. –Ti
ringrazio compare!-
ridacchiò, porgendomi una mano. Alzai un sopracciglio,
infastidito della sua
affermazione.
-Io
sono Marine!- esclamò. Ora
che la vedevo da vicino, mi sembrava strano che una bambina scappasse
in questo
modo da delle guardie di un castello. Eppure mi sembrava innocente,
mentre mi
fissava con quegli occhi azzurri limpidi.
-Tu
come ti chiami? Non ti ho mai
visto prima d’ora, quando sei arrivato?- mi chiese subito
dopo, con aria
solare.
-…Shadow.
E sì, sono arrivato
giusto ieri. Ad ogni modo, perché ti stavano inseguendo?-
Lei
mosse la mano, come se stesse
cercando di scacciare dalla mente quello che le stavo dicendo. -Non ti
preoccupare,
era il mio insegnante. È un buon uomo, ma qualche volta le
sue lezioni tendono
ad essere troppo lunghe, così cerco di sgattaiolare via di
nascosto…-
-…Non sempre
riuscendoci, giusto?-
-Giusto!
È molto furbo, sta
imparando tutti i miei trucchi!- farfugliò, con una faccia
leggermente
imbronciata.
-Quindi
non è la prima volta che scappi-.
Lei
sorrise ironica. –Sei un tipo
perspicace!- dopo che ebbe detto questo, si allontanò di
qualche passo. –Ora
scusami, ma non posso stare troppo a lungo nello stesso luogo. Devo
nascondermi
finché non è finito l’orario di
lezione- spiegò, salutandomi con un gesto della
mano. –Ci vediamo!- urlò, prima di correre via.
Quel
posto era pieno di gente
strana, mi sarei dovuto abituare. A quel punto avevo già
perso abbastanza
tempo, quindi mi rimisi all’opera . Quello sarebbe stato un
lungo primo giorno lavorativo.
***
Quando
ebbi finalmente finito di
pulire il giardino, dopo quattro abbondanti ore di lavoro, mi diressi
verso il
mio secondo obbiettivo: l’area di addestramento.
Dopo
aver camminato per una discreta
scarpinata, vidi con mia somma sorpresa che ero arrivato in un momento
interessante. Un centinaio di reclute si stavano allenando al centro
del campo,
muovendosi come se quello fosse il loro elemento naturale.
-Alza
di più quel braccio,
soldato!- sbraitò una voce roca, da una delle pareti
più alte dell’area.
-Sì
signore!- rispose uno dei
tanti ragazzi che si stavano allenando in quella specie di arena. Li
osservai per
qualche minuto, e notai una cosa mentre si allenavano nelle mosse base
per la
battaglia, tutti armati con spade di legno.
Eseguivano
coordinatamente la
stessa serie di fendenti: colpo a destra, colpo a sinistra, affondo con
la
spada.
Non
sapevo se stessi assistendo
ad un’ottima farsa, o ad un pessimo videogioco. Dopo
un’ora che pulivo le parti
più esterne del campo per non disturbarli, non riuscii a non
rimanere irritato
per la maniera in cui quell’allenatore parlava ormai da una
mezz’ora buona con
i suoi superiori, mentre continuava a far eseguire a quei giovani
sempre la
stessa sequenza: destra, sinistra, affondo, destra, sinistra, affondo.
Me
la sarei sognata la notte di quel
passo. I soldati dovrebbero essere assassini imprevedibili, non
ballerini di
hip-hop. Non vedevo l’ora che finissero il turno,
così quello spettacolo
ridicolo sarebbe terminato. Preferivo pulire rispetto
all’osservare quello
strazio. Tra una difficoltà e l’altra, ci misi
altre quattro ore a pulire la
sezione a me affidata.
***
Mentre
sciacquavo le ultime
pentole rimaste nella cucina, capii che se il tempo passava allo stesso
modo
nel nostro e nel loro mondo, in quel momento avrebbero dovuto essere
più o meno
le nove, ed ero incredibilmente riuscito a rispettare la mia tabella di
marcia e
a farla in barba a quel dannato koala.
Tornai
verso i miei alloggi con
una stanchezza inimmaginabile sulle spalle. In teoria sarei potuto
uscire per
esplorare i dintorni della città, ma avrei destato dei
sospetti se avessi avuto
troppa fretta nel farlo. Inoltre mi sentivo realmente distrutto, molto
più di
quando salvai il mio mondo diverse volte.
Comunque
sia, avrei cercato di
velocizzarmi nei miei lavori ed esplorare il resto del castello nel
tempo
libero.
Una
volta arrivato davanti alla
mia stanza, vidi Gardon esattamente davanti alla mia porta, quasi come
se mi
avesse aspettato tutto il tempo, anche se certamente non era
così. Mi guardava
fisso, scrutandomi. – Vedo che ci sei riuscito, alla fine.
Non ci speravo. Ti
ho assegnato gli ambienti più ampi di tutto il castello, e
le persone che ci
lavorano hanno gli orari più improbabili-.
Incrociai
le braccia, in attesa
che si togliesse dalla mia strada. –Dove stai andando?- mi
chiese lui, notando
la mia impazienza.
-Se
ti sposti di qualche
centimetro capirai- spiegai, trattenendomi a fatica dal prenderlo a
schiaffi.
Lui ridacchiò tagliente, non distogliendo lo sguardo da me.
-Ti
faccio i miei complimenti
ragazzo. E ricordati sempre che ti tengo d’occhio-. Mi fece
un cenno con la
testa, congedandosi.
-
Buonanotte-.
***
Così
passò un mese. E io non
avevo ancora messo piede fuori dal castello. Lo avevo esplorato da cima
a
fondo, e non avevo trovato niente di sospetto, nemmeno nella maestosa
sala del
trono. E il Comandante, così come gli Alti Comandi, non
erano felici di questo.
Era semplicemente un normalissimo castello medievale. Pertanto, presto
avrei
indagato nella città per scoprire eventualmente qualcosa di
più.
Ma
fino a quel momento, avrei
dovuto continuare con la solita routine. Ed era arrivato il momento
più
frustrante della giornata, vale a dire l’orario di
addestramento delle reclute.
Arrivato nell’area predestinata alle pulizie, come al solito
presi una delle
scope presenti nei porticati e iniziai a spazzare i lati più
esterni del campo.
Lanciai
un’occhiata ai giovani
ragazzi, mentre facevano i soliti allenamenti. Ed era esattamente
questo che mi
innervosiva. Cercando di ignorarli, pulii le aree esterne per circa due
ore,
quindi mi avvicinai man mano ai soldati. Dopo aver sentito
l’ennesimo ordine
del loro comandante, strinsi il manico della scopa tentando di
trattenere il
nervosismo.
Avevo
osservato quei ragazzi per
quattro ore al GIORNO, per trenta GIORNI, ogni GIORNO, senza un attimo
di
riposo, per un totale di centoventi ore, equivalenti a cinque GIORNI
passati ad
osservare soltanto loro. Cinque
giorni della mia vita sprecati in questo modo, e nemmeno
l’eternità meritava un
simile abuso. Dovevo porre rimedio. Quindi mi avvicinai ancora un
po’, mentre
continuavo a pulire in maniera fintamente distaccata i dintorni, e
dissi ad
alta voce, senza alzare la testa: -Non si fa così-.
Vidi pochi di loro che si
guardarono in giro
per un paio di secondi, mentre gli altri non mi avevano neanche
sentito, quindi
alzai la voce.
-Sul serio, parlo con voi.
Ehi!!- dopo che
ebbi urlato, finalmente quasi tutti i ragazzi si voltarono verso di me,
lanciandosi sguardi interrogativi tra loro.
-Non
guardatevi intorno, ci sono
solo io ragazzi- sbuffai. Uno di loro fece un passo avanti, fissandomi
innervosito.
-Che
cosa vuoi, spazzino?-
ringhiò, squadrandomi con aria di superiorità. Io
scossi la testa, esasperato.
-
Nulla. Voglio solo dirvi che
state sprecando inutilmente il vostro tempo- chiarii, continuando a
spazzare il
terreno come se niente fosse.
-Di
che cosa diavolo stai
parlando?-
-Davvero non ci arrivi da
solo? Il vostro allenamento,
ecco di cosa parlo. È da un mese che vedo allenarvi in
questo modo, e se tutto
l’esercito reale si comporta come voi, allora siete nei guai.
Così come tutta
la capitale. Tant’è che in effetti, mi chiedo se
l’imperatrice sia al corrente
di quello che fate ogni giorno-.
Come
previsto, li vidi ridere
tutti di gusto, uno dopo l’altro. Almeno finché
non vidi il loro addestratore
che si faceva strada nella massa –Toglietevi di mezzo,
subito!- Mi arrivò
dritto davanti un grosso ed alto koala, che in modo praticamente
identico al
suo studente, mi squadrava dall’alto al basso, prova del
fatto che non c’è
nulla di più facile da ereditare della superbia. Era
solamente molto più
arrabbiato.
–Come osi anche
solo fare riferimento alla reggente,
sguattero! Chi sei tu per giudicare i miei uomini?!- lo fissai
attentamente
negli occhi, cercando di trattenere l’impulso di dirgli chi
fossi al di fuori
di quella dimensione.
-Uno
sguattero. È proprio questo
che vi dovrebbe preoccupare. Persino io vi potrei battere. I suoi
soldati sono
così ‘’svegli’’ che
probabilmente non si sono nemmeno accorti che ci sono
sempre stato io a pulire da queste parti mentre si allenavano-.
L’uomo fece una
smorfia, guardandomi snervato.
-Ah!
L’unico motivo per cui nessuno
si è accorto della tua presenza, è solo
perché questa è talmente infima ed
insulsa che nessuno riuscirebbe mai a farci caso. Sai ragazzo, potrei
farti
rinchiudere per i prossimi vent’anni nelle prigioni reali per
un simile
affronto. Se vuoi salvare la tua dignità, vattene ora, e la
tua punizione si
limiterà al licenziamento immediato- rise lui, sorridendo
soddisfatto. Sospirai
tra me e me. Com’era possibile che le persone snervanti e
insopportabili mi
perseguitassero?
-Quindi
non vuoi nemmeno lasciarmi
verificare se ho ragione?- domandai.
-Scusa?-
-Fammi
affrontare uno di loro.
Uno qualsiasi, anche due o tre se preferisci- gli dissi.
Lui
fece una faccia quasi
allibita, sembrava non credere alle mie parole. –Aspetta,
fammi capire-. Poi lo
stupore venne sostituito dall’ironia.
–Ti senti in vena
di farti prendere a calci da
un centinaio di giovani soldati?- Cominciò a far partire una
risata che
proveniva dal profondo dei suoi polmoni, che aumentava poco alla volta,
e
gradualmente tutti i suoi studenti lo accompagnarono. –Ma
dove diavolo ti hanno
trovato? Sai una cosa, non ti faccio nemmeno licenziare, se fai il
bravo
chiederò personalmente la tua promozione a giullare di
corte!-
-Ma
davvero? Stavo giusto pensando
di fare la stessa cosa con te-.
L’idiota
smise di ridere di colpo,
e i suoi studenti sembravano quasi inquieti di fronte a ciò.
Girò la testa
verso uno dei ragazzi a caso. –Tu, fallo stare zitto.
Osservate il risultato
del vostro allenamento, uomini!- urlò, incoraggiandolo.
La
recluta avanzò verso di me,
stringendo fermamente la spada di legno tra le mani. Tenevo con una
sola mano
la scopa che usavo fino a poco prima per lavorare, fissando
pazientemente il
ragazzo. Dopo qualche secondo, lui mi corse incontro, minacciando di
colpirmi
con la spada. Non mi spostai neanche di un millimetro, capendo che il
ragazzo
stava solo cercando di spaventarmi. Mossi velocemente il braccio,
assestandogli
una bastonata abbastanza leggera sulla testa. La cosa fece ridere gli
altri e
arrabbiare lui, che mi attaccò con furore notevole con una
spazzata della sua
spada, che schivai prontamente saltando all’indietro. Fece la
stessa cosa un
altro paio di volte,
ma non ebbi problemi
ad evitare i suoi colpi, prima con una schivata, poi con un salto. Non
avevo
nemmeno bisogno di parare i suoi colpi.
Provò
a colpire il mio
fianco destro, seguito subito
dopo da un fendente da sinistra, a cui ovviamente sarebbe seguito un:
-Affondo!-
gridò il mio avversario, pensando di spiazzarmi, e
confermando la sua
stupidità. Io mi spostai verso destra, mi avvicinai a lui,
appoggiandogli il
manico della scopa sulla spalla.
-Sei
morto. Due volte. La prima è
stata quando ti ho colpito sul cranio- sussurrai. La sua faccia era
mortificata, il suo animo umiliato. Gli altri erano quantomeno stupiti,
anche
se forse la parola giusta era “spaventati a morte”,
dal fatto che, se il
giorno dopo fosse
scoppiata una guerra, loro sarebbero stati i primi a non rivedere
più le loro
famiglie.
–Non
dovresti urlare le mosse che stai per eseguire. È
inappropriato e
piuttosto imbarazzante- gli
dissi con
serietà. Lui chinò il capo, senza dire nulla, e
con la faccia completamente
rossa.
Sentii
all’improvviso dei gemiti di rabbia, e quando mi girai vidi
il
gran guru della guerra che mi caricava a spada tratta. Una spada di
ferro.
-Come ti permetti! Ti farò
a pezzi, e nasconderò ciò che
rimarrà di te sottoterra, diverrai cibo per vermi! Chi sei
tu?!- Era
leggermente più difficile combatterlo rispetto al suo
allievo, in quanto non
avrei comunque potuto contrastare il ferro con il legno. Schivavo senza
soluzione di continuità tutti i colpi che mi mandava contro,
molto più fluidi
di quelli del ragazzo, mentre continuava a sbraitare come un cane
impazzito
tutto quello che aveva in testa. –Scura, sporca, batuffolosa
termite, smettila
di muoverti e fatti ammazzare!- ringhiò. Dopo che ebbe
sprecato tutte le sue
energie in un vergognoso impeto di due minuti, cominciò a
rallentare la
frequenza dei colpi, finché alla fine non decise di alzare
la spada verso l’alto,
tentando di colpirmi verticalmente. L’arma cadde con un tonfo
goffo, piantandosi
nel pavimento di cemento, e di conseguenza, bloccando per qualche
secondo il
koala. Mentre cercava di estrarla dal terreno, ne approfittai e, gli colpii impetuosamente
le dita con il
manico della scopa. Lasciò immediatamente la spada,
stringendosi il punto
colpito con l’altra mano e trattenendo un urlo di dolore.
Sempre con il manico,
lo colpii da dietro le gambe, mettendolo in ginocchio. Gli presi la testa con
entrambe le mani,
trascinandola rapidamente contro il mio ginocchio, e rompendogli il
naso e
qualche dente. A quel punto lo vidi cadere a terra, e coprirsi il muso
con la
mano buona, mentre grugniva come un porcellino.
Mi voltai verso le reclute.
–Buona fortuna in guerra-.
Lo
spavento nei loro
volti era diventato terrore. Quando mi girai, vidi lo stesso soldato
che avevo
sconfitto poco prima tornare con due guardie al suo fianco, come quelle
che
facevano la posta al portone principale, e non fu difficile capire che
erano
venute per me. Come avevo potuto fare una cosa tanto stupida? Semplice.
Era la
cosa giusta per loro. E sotto un certo punto di vista, per il piano.
Mi
afferrarono per le braccia, trascinandomi con loro.
Non feci resistenza, e li seguii
senza fiatare. Mentre mi portavano
all’interno del castello, probabilmente per mostrarmi il mio
nuovo alloggio in
cella, venimmo intercettati da un’altra guardia.
–Fermi.
La Reggente
vuole occuparsene personalmente. Desidera che lo portiate nella sala
del trono,
immediatamente.- Dapprima uno dei miei accompagnatori mi
osservò muto, ma poi
riprendemmo la marcia.
Una volta arrivati davanti
all’enorme, scarlatto portone,
alto non meno di otto metri, le guardie mi spinsero, posizionandomi
giusto
davanti ad esso. Una di loro bussò, sbattendo i pugni per
farsi udire. Lentamente,
mi apparì il salone davanti agli occhi, completamente
bianco, vastissimo, e con
molte aperture situate nelle parti alte delle pareti.
Il sole mi assalì, come se
avesse voluto insistere a farmi
ammirare la bellezza austera di quel luogo. Poi arrivò lei,
al centro della
sala. Fendeva quella luce con la sua sola sagoma, ed il portone mi si
chiuse
alle spalle, quasi all’improvviso.
-Desidero una spiegazione. Subito-.
disse, con un tono
stranamente pacato. Ma non ne ero affatto certo. Quella ragazza era
straordinariamente brava a nascondere le proprie emozioni.
-Perché lo hai
fatto?- sibilò.
Io scossi la testa.
–Tu lo sai cosa accade
lì?-
Lei
aggrottò la fronte,
incrociando le braccia. –Spiegati meglio-.
-Pulisco
quel posto da più di un
mese, e per tutto questo tempo quei ragazzi non hanno cambiato stile di
allenamento. L’unico motivo per cui ho fatto tutto questo
è perché volevo
aiutarli-.
Il
suo volto sembrò ammorbidirsi
per qualche attimo, ma riprese subito il suo cipiglio serio.
–Hai distrutto il
loro allenatore-.
-Era
un idiota.-
Lei
sospirò. –Lo so. Ma ci sono
diversi modi per esprimere i propri pensieri. E noi due eravamo stati
chiari.
Se avessi fatto un errore, te ne saresti andato. Secondo te, come mi
dovrei
comportare ora?- chiese, fissandomi con attenzione.
-Dovresti
trovare un nuovo
allenatore-.
-Io
mi riferivo a te- insistette,
alzando leggermente il
mento.
-Beh,-
cominciai -dovresti
giudicare con attenzione quello che ho fatto. E cercare di capire se ho
fatto più
danni io oggi, o se avrebbe fatto più danni lui in futuro.
Sul serio, chi era
quel tipo?-
-
Un giovane rampollo di una
famiglia nobiliare di corte- mormorò. Feci un ghigno ironico.
-
Una maniera soft per dirmi che
era un raccomandato?-
Lei
scrollò le spalle,
distogliendo per un attimo lo sguardo. - In un certo qual modo-.
Dopo
aver fatto questa
constatazione, riportò l’attenzione su di me.
-Sai, penso che se tu avessi
davvero avuto un piano per procurare problemi a questo regno, te ne
saresti
rimasto buono più a lungo. Mi sembri troppo stupido, troppo
impulsivo per
essere venuto qui a creare dei problemi. Sapevi che ti avremmo cacciato
via.
Oppure,- spiegò, mettendosi il dorso della mano sotto il
mento -sei molto più
intelligente di quello che pensavo e stai cercando di raggirarmi-.
Io
sbuffai, notando l’occhiata
diffidente che mi stava rivolgendo in quel momento.
-Quindi?
Qual è il tuo verdetto?-
domandai. Vidi il più minimo accenno di quello che qualcuno
avrebbe potuto
considerare un sorriso comparirle sulle labbra.
***
Uscii
dalla sala del trono, avviandomi per l’immenso corridoio.
Trovai
la figura familiare di Gardon aspettarmi poco lontano dai portoni.
Aveva la
schiena appoggiata contro il muro, e un sorriso stranamente soddisfatto
sul
volto.
-È
stato un piacere conoscerla.- dichiarò lui felicemente,
dandomi
improvvisamente del ‘’lei’’. Io
continuai la mia camminata, sorpassandolo.
-Anche
per me Gardon. A domani-.
Sentii che improvvisamente iniziò a seguirmi di
corsa, affiancandomisi.
-Scusami?
Tu te ne vai oggi- sibilò, quasi come se mi volesse prendere
a pugni. Io scrollai la testa.
–Non
credo. Mi hanno appena promosso-. La sua faccia era una via di
mezza tra “incredula” ed “assolutamente
contrariata”. Non disse nulla, ma il
modo in cui mi guardava lasciava intravedere il desiderio che fossi io
a
spiegargli cos’era accaduto, cosa che…
-Ora scusa, ma devo
abituarmi
subito al mio nuovo percorso mattutino, quello verso
l’armeria-. …amai fare con
calma.
Non
rispose, ma cominciava ad intravedere l’agghiacciante
verità.
-Sono
una guardia reale, Boss. Buona giornata-. La sua faccia si fece
seria, si voltò per un attimo, e poi si allontanò
velocemente da me, in
direzione opposta alla mia, finalmente senza dire assolutamente nulla.
Finito il mio giro di
ricognizione, ero tornato davanti alla porta del mio alloggio, il
quale, alla
fine dei conti, mi andava benissimo.
-Congratulazioni,
sei salito di livello- pensai
tra me
e me, mentre aprivo la porta.
***
Il
giorno
successivo, dopo essermi alzato, ero davanti all’armeria,
dove mi aspettava il
mio equipaggiamento. Quindi entrai e mi preparai. Il luogo era scuro,
provvisto
solo dell’illuminazione più indispensabile donata
dalle finestre. Trovare ciò
che mi serviva non fu difficile. Era tutto organizzato in scaffali, molti scaffali. Le armi erano molte, ma
poiché le guardie che avevano funzione di sorveglianza
avevano sempre con loro
delle alabarde, credetti che fossero quelle che dovevo maneggiare.
Insieme a me
c’erano molte altre persone, ovviamente tutti maschi, che
indossavano
l’armatura e mi fissavano stupiti. Probabilmente erano
incuriositi dal vedere
un volto nuovo. Non avevo motivo di intrattenere qualsivoglia relazione
con
loro, quindi mi limitai a dare un’occhiata alla mappa
personalizzata ed esclusiva
per ogni buon cavaliere che si rispetti, ed inclusa nel set di oggetti
che
avevo a disposizione, e le diedi un’occhiata veloce, per
capire la mia prima
destinazione.
La
tesoreria
reale, l’unico luogo nel quale non ebbi ancora avuto il tempo
di controllare
approfonditamente, a causa della pesantissima sorveglianza della quale
ironicamente facevo parte. Ancor più ironico era il fatto
che sarebbe stato
ancora più difficile darle un’occhiata in quel
momento, visto che, come mi
spiegò Blaze la sera prima, sarei stato sempre accompagnato
da un compagno che
mi avrebbe guardato le spalle. Era ovvia la sua intenzione di farmi
sorvegliare
da vicino, tanto che cominciai a pensare che la fiducia che mi ripose
fosse in
realtà un pretesto per sorvegliarmi ancora più
strettamente.
In
ogni caso,
forse con il tempo avrei avuto più libertà nel
girare liberamente e quindi di
capire se c’era qualcosa che potesse regalarci delle
informazioni utili.
D’altro canto, se quel mondo era parallelo al nostro,
potevamo benissimo non
essere gli unici a possedere dei “gioielli
speciali”.
Mi
diressi
verso i sotterranei, dove era appunto situata la tesoreria, e con me
c’era
qualcuno, il cui viso era già coperto dall’elmo.
Il mio compagno d’armi.
Una
volta
superato l’angusto e buio vano scala, la visuale non era
migliorata. Una specie
di lungo scantinato, con al fondo la solita gigantesca porta di legno
massiccio, in questo caso non colorata. Ad altezza d’uomo, vi
era un’iscrizione
forgiata nell’oro, che recitava: “Badi, chi ora
berrà il sangue imperiale”.
-Posizionati
a
sinistra del portone, io sto a destra- brontolò
l’uomo coperto dall’elmo, la
cui voce era più giovanile di quanto non si potesse pensare
prima di sentirlo
parlare
–Va bene-. Mi
mossi nella direzione da lui
indicatami, trascinandomi l’arma dietro. Di sicuro
trasportarla non era la
fatica più titanica che avessi intrapreso in vita mia, ma
dovevo ammettere che
la scopa che avevo prima era più leggera. Il metallo di cui
era composto
quell’equipaggiamento, sia dell’armatura che
dell’alabarda, era particolarmente
pesante, ma in vita mia avevo già maneggiato armi bianche,
una volta persino
una katana. Comunque poteva essere composta di un materiale ignoto nel
nostro
mondo, qualcosa che noi non abbiamo mai sintetizzato, o che addirittura
non esisteva
del tutto a Mobius.
-Quand’è
il
primo cambio?- chiesi al ragazzo.
–Come sarebbe? Non
ti sei informato?- mi
rispose lui con aria di sufficienza.
–Ieri è
stata una giornata pesante, e comunque
non sono affari tuoi. E poi tra compagni non bisognerebbe essere
più solidali?
Ricordati che non sei il mio capo- gli
risposi,
cercando di chiarire subito la faccenda.
-…Hai ragione,
non ti sono superiore. Ma un
servo non sarà mai mio compagno, spazzino-.
-Il
mio nome è
Shadow, non... aspetta, come fai a sapere…- Prima che avessi
finito di parlare,
lui si stava già togliendo l’elmo, e quando lo
fece lo riconobbi subito. Era il
ragazzino che affrontai il giorno prima, un cane dal pelo folto e
bruno. Pur
sapendo che era banale, pensai: ‘’Perché?
Perché tra tutti proprio lui?’’
-Questo
spiega
tutto. Beh, ti conviene abituartici, è così che
stanno le cose. Che ti piaccia
o meno, lavoriamo insieme-. Non ricevetti alcuna risposta, e la sua
testa era
girata in posizione opposta alla mia, quasi per auto-convincersi della
mia
inesistenza.
–Comunque, non hai
risposto alla mia domanda.
Il turno-. Vidi un sorriso spuntare dalla metà visibile del
suo volto ironico. Soffocai
il meraviglioso impulso di levargli quel ghigno dal volto a suon di
pugni e mi
trattenni, emettendo un sospiro tremendamente frustrato.
Dopo
qualche
secondo, sentii dei passi risuonare tra le pareti, e una sagoma
emergere dalle
ombre che circondavano quel luogo. Prima che quest’ultima
potesse avvicinarsi
troppo ai portoni, il ragazzo accanto a me le si lanciò
contro, bloccandola.
-Ehi,
attento!-
urlò una vocetta infantile. La figura che poco prima era
avvolta dall’oscurità,
ora era illuminata dalla flebile luce delle torce agganciate al muro.
-Marine?-
sussurrai , osservando la ragazzina che
continuava a contorcersi nella stretta della guardia.
-Stai
ferma! Non puoi restare in questo posto! Si
può sapere che cosa ci fa una bambina qui?!-
strillò il ragazzo, mantenendo
salda la presa sulle braccia della bambina procione.
-Lasciami
andare, è una questione di sicurezza
nazionale!- urlò lei, sillabando attentamente le ultime
parole
-Fermati-
dissi alla guardia, -la conosco. Ci parlo
io-. Il volto del
cane si rabbuiò
sentendomi parlare.
- Solo
perché tu la conosci non significa che hai
l’autorità di farci quello che vuoi. Non sei il
mio superiore-.Ignorai le sue
parole e mi portai davanti alla ragazzina.
-Ehi,
cosa ci fai qui?- le chiesi. Mi scrutò per
qualche momento.
- Un
momento. Io… io ti conosco! Tu sei lo spazzino!-
esclamò. La guardia ridacchiò, lasciando di
scatto la presa che aveva su
Marine.
-Mi
piace il
tuo stile, fanciulla. Ok, la lascio a te- rise, lavandosene le mani e
ritornando alla sua postazione vicino alla porta. Strinsi una mano a
pugno,
cercando di sfogare tutto il mio nervosismo con quel gesto.
Marine
mi osservò incuriosita. - Non dovresti essere
fuori a pulire?-
-E tu
non dovresti essere ovunque tranne che qui?-
-Ehm..-
-Stavi
scappando-.
-Mhhm…-
-Da
una lezione-.
-Mhhhm…-
-In
anticipo-.
-Mhhhhm…-
-Un’altra
volta-.
Si
grattò imbarazzata la testa, abbassando per un
attimo lo sguardo. -…Sì.-
-Seriamente,
non è che passi più tempo a cercare di
scappare dalle lezioni rispetto a quello in cui effettivamente le
svolgi?-
Lei si
innervosì, mettendosi le mani sui fianchi e
guardandomi fissò negli occhi. -Tu non hai idea di quanto
quel tipo sia
tedioso, non fa che parlare di cose che so già.
Gliel’ho già detto ma lui
insiste, non mi ascolta e continua per la sua strada. Quindi io prendo
e
scappo!-
Il
cane ci
osservò confuso. –Uh…credo di essere
l’unico a non capire che cosa sta
succedendo- borbottò. Seguii l’esempio di prima e
ignorai nuovamente la sua
affermazione. Emisi uno sbuffo sommesso, notando la maniera
supplichevole in
cui mi fissava la prociona.
-Va
bene, passi
stavolta. Ma non puoi rimanere qui, hai visto la reazione del pivello,
potresti
finire nei guai- sibilai, facendo un cenno dietro di me. Sul volto le
comparve
un sorriso da orecchio a orecchio.
-Va
bene, ok,
messaggio ricevuto, ciao ciao, sayonara, addio, arrivederci, au
revoir…-
continuò con molte altre lingue, alcune delle quali non
conoscevo, mentre si
allontanava camminando all’indietro. La osservai snervato
mentre si allontanava,
tornandomene alla mia postazione. Passarono alcuni minuti di
meraviglioso
silenzio, in cui l’unico rumore udibile era lo scoppiettare
delle fiamme sulle
torce.
-Chi
era, la
conoscevi?- mi domandò il cane, distruggendo quel sacro
silenzio che si era
finalmente creato.
-Più
o meno.
Ritornando al discorso di prima…-
-Tra
un’ora
esatta, al campo addestramento. Contento?-
Scrollai
le spalle. -Non ancora. Come ti chiami?-
Quell’odioso
ghigno, un misto tra divertimento
sadico e pessimo umorismo, gli ritornò sulle labbra. -Tsk,
ne dovrà passare di
acqua sotto i ponti prima che uno spa…-
-Non
era una richiesta. Ho il diritto di sapere chi
mi copre e a chi copro le spalle- ribattei. Lui abbassò le
orecchie con fare
offeso.
-Paladino
Terzo dei Baskerville,- mormorò -ma gli amici mi chiamano
Pal-. Alzai gli occhi
al cielo, per quell’informazione assolutamente superflua.
-Allora
suppongo che ti chiamerò in questo modo pochissime volte.-
Un’ora
dopo, io
e “Pal” ci incamminammo alla seconda tappa della
nostra ronda. Sperai vivamente
che il piccolo diverbio che avevo avuto con l’allenatore
delle guardie l’ultima
volta non avrebbe influito sul mio nuovo incarico come guardia. Arrivati là,
denotai con piacere un piccolo
“cambio di personale” e di stile.
Del
koala con cui avevo combattuto non c’era
traccia, e le reclute stavano usando delle armi vere,
per allenarsi.
Fortunatamente,
per quella volta non mi notarono. Non
perché i loro sensi erano addormentati, ma per
l’immensa fatica che potevo
leggere nei loro occhi.
Forse
quei ragazzini sarebbero sopravvissuti qualche minuto più a
lungo in battaglia.
***
Si
fece sera, quando il mio turno si concluse per
quelle che approssimativamente potevano essere le sette o le otto,
quando
decisi, questa volta, di andare io a cercare Gardon, per poter
sfruttare la
possibilità che mi offrì settimane addietro.
Mi
aveva detto di cercarlo nella Sala del Trono, che
avrei potuto trovarlo lì. Infatti, non appena feci per
entrare dal portone… -Cercava
me, giovane riccio?- sentii dire da una voce attorniata del tipico modo
alla
“gentiluomo inglese”, che apparteneva al mio
temporaneo capo.
-Sì.
Sì,
cercavo proprio lei, vecchio.-
La sua
faccia si irrigidì mentre mi scrutava. –Che
cosa vuoi?-
-Quando
sono arrivato qui mi offristi un’ora di
libera uscita al giorno. E ora voglio sfruttarla- spiegai. Lui mi
passò
affianco, uscendo dalla sala con passo affrettato. Lo guardai confuso,
mentre
si allontanava. Aspettai un paio di minuti, e dopo questi vidi
ritornare il
koala, accompagnato da due guardie.
-Loro,-
disse, facendo un cenno seccato verso i due
uomini, -ti accompagneranno per la tua scampagnata in
città.-
Lanciai
una rapida occhiata ai due, che mi
osservavano incuriositi.
Gardon
mi sorrise in un modo per niente accattivante,
facendo trapelare tutto il disprezzo che provava nei miei confronti.
-Buona
serata, ragazzo-. Io feci lo stesso.
-Anche
a lei, Gardon-.
***
Mentre
per la prima volta in questo lungo mese
mettevo piede fuori dalla fortezza, e finalmente potevo di nuovo
riempire i
miei polmoni con l’aria pulita dell’esterno, la
guardia più grossa si fermò e
mi afferrò per la spalla.
–Stammi a
sentire, il Consigliere in persona ci ha gentilmente intimato di non
perderti
di vista, in caso contrario: l’imprigionamento immediato.
Quindi vedi di non
fare sciocchezze e di starci vicino tutto il tempo, perché
se finiremo in cella
a causa tua, sappi che ti riterrò personalmente
responsabile, e non importa
dove scapperai, io ti troverò e ti ucciderò. Sono
stato chiaro pellicciotto?- mi
minacciò.
-Non ho
motivo per mettere a rischio la libertà di due bravi ragazzi
come voi. Ora
muoviamoci, non intendo sprecare la mia ora libera ad ascoltare il
vostro
tutorial personale-. Ovviamente non la presero bene, ma feci
ciò che mi contraddistingueva
più di ogni altra: fregarmene altamente.
Quando
finalmente arrivammo in città, ne rimasi
parzialmente deluso. Non era spettacolare come credevo, e non
soddisfò tutte le
mie aspettative. Le case erano le une molto vicine alle altre, e si
trovavano ai
lati di un ampia strada maestra, la stessa che percorsi per arrivare al
castello. Ad un certo punto, giunsi sulla stessa piazza che notai la
prima
volta che arrivai in quella città, e ortogonalmente alla
strada che avevo
percorso poco prima, ne era presente un'altra della stessa ampiezza. Le
case
erano posizionate come se qualcuno avesse continuamente fatto un
‘’copia e
incolla’’.
Ma
ciò che mi colpì maggiormente, fu la piazza. Era
molto ampia e di forma circolare, accerchiata da grandi edifici,
diversi e
molto più alti e larghi rispetto alle case che avevo visto
fino a quel momento,
due dei quali potevano benissimo essere delle cattedrali in stile
gotico.
Quello
che attirò la mia attenzione, non furono
quegli enormi edifici, quanto qualcosa di molto più umile,
che avevo già notato
tempo addietro, situato al centro della piazza. Un piedistallo
rettangolare,
alto un paio di metri, senza nulla sopra. Quindi decisi di approfondire
le
questione, e chiesi informazioni ad una delle guardie che mi
accompagnavano. Ovviamente
non a quella che mi aveva aggredito poco prima.
-Perché
quel
piedistallo è vuoto?-
-Mi
chiedi
perché quel piedistallo è vuoto? Si
Può sapere in che razza di mondo vivi?-
Scrollai
le spalle, indifferente. -Tendo a disinteressarmi delle faccende
sociali-.
La
guardia che mi aveva minacciato sospirò, osservando con
sguardo assorto il
basamento di roccia.
-Sappi
che un tempo questo glorioso monumento in pietra faceva da sostegno
alle statue
dedicate ai più grandi re e imperatori, coloro che
possederono tutto ciò su cui
possiamo camminare, nuotare, e navigare-. abbassò lo
sguardo, rimanendo in
silenzio per qualche momento.
-E
cos’è successo poi?- chiesi, spronandolo a
continuare.
-…Arrivò
lui. Lui e la sua armata di anime dannate. Molti innocenti non
sopravvissero, e
fu così anche per le successive volte in cui
tornò-.
-Di
chi stai parlando?
I
suoi occhi si riempirono di odio e di ferocia. -Lo scienziato-. Il
sangue mi si
ghiacciò nelle vene, mentre una lenta e orribile
consapevolezza si faceva
strada nella mia mente. Eggman. Se davvero quello psicopatico avesse
trovato un
varco per entrare in questa dimensione, allora ci doveva essere
qualcosa di
molto più importante e prezioso di un castello medievale e
qualche
cattedrale.
-Scienziato?-
-Sì,
lo scienziato. Il suo aspetto è goffo, quasi buffo a dire la
verità. Ma quando
ordinò alle sue guardie di attaccare, distruggere e bruciare
qualsiasi cosa,
non c’era altro che terrore negli occhi di tutti quanti.
Ricordo quel giorno
come se fosse ieri- sussurrò, mentre quelle scene gli
scorrevano davanti agli
occhi.
-Mia
madre non sopravvisse. Venne travolta dalle stesse macerie della nostra
casa. E
chi non fu annientato, o non riuscì a scappare, venne
portato via. Nessuno
seppe più nulla di loro. Soldati, cittadini, non faceva
distinzione. E poi,
prima di andarsene, come monito per tutti noi, fece bombardare la
statua dell’ex
imperatore. La regina decise di non farla ricostruire finché
lui non sarebbe
più stato in circolazione-.
Se davvero Eggman era
riuscito ad arrivare fin
lì, allora la situazione era peggiore del previsto. Se
avessi avvisato la
G.U.N. non avrebbero esitato ad un’invasione in larga scala,
vanificando tutto
ciò che avevo fatto finora e, conoscendo il Dottore,
rendendolo partecipe del
nostro arrivo. Non sarebbe servito a nulla, anzi, i danni sarebbero
stati
enormi. Per questo decisi che la cosa migliore era tenere per me
quest’informazione, e scoprire da solo cosa stava succedendo,
poiché la cosa
poteva riguardare anche noi.
L’altra
guardia, notando lo sguardo perso del compagno, prese in mano la
situazione. -Spero
che ti sia piaciuta questa gita culturale, perché ora torni
a casa. Senza discutere-
sbottò, afferrandomi per un braccio e trascinandomi dietro
di sé. Poco dopo ci
seguì anche il suo collega.
-So
camminare da solo- ringhiai, scostandomi
bruscamente. Fu una voce femminile, quella che mi distrasse dalla mia
marcia.
-Credo
che il nostro ospite non abbia bisogno di una
nutrice che gli stia accanto per i suoi primi passi- sentii dire alle
mie
spalle. Sembrò quasi che la piazza fosse diventata
improvvisamente silenziosa.
O forse era soltanto un’impressione. Io e i miei
accompagnatori ci voltammo, e
la sagoma regale di sua maestà in persona si
mostrò ai nostri occhi.
-Mia
signora!- esclamarono le due guardie, facendo
un inchino. La ragazza roteò gli occhi, osservando i suoi
due fedeli sudditi
mentre svolgevano le dovute riverenze. Poi portò lo sguardo
su di me.
-Ora
ci penso io a lui. Potete andare- spiegò,
muovendo un braccio in direzione del castello. Loro si lanciarono
un’occhiata
dubbiosa.
-Vi
sto congedando- rispose
questa volta la regina, seccata. Quelle sottospecie di guardie del
corpo
chinarono per un’ultima volta il capo in segno di rispetto e
se ne andarono. A
quel punto, la gatta si mise a squadrarmi.
-Era
ora che mettessi il naso fuori da quel
castello- mi schernì.
-Sì,
certo. E mi incuriosisce il fatto che anche
l’imperatrice, sua maestà, abbia avuto il tempo di
farlo.
Toglimi
una curiosità, perché non me lo hai detto
prima?-
Lei
alzò un sopracciglio. -Che cosa?-
-Che
sei la padrona di questo luogo.-
-Risponderò
alla tua domanda con un'altra domanda.
Cosa avresti fatto tu al mio posto? Cosa avresti fatto se fossi stato tu il sovrano, e se io
fossi stata l’intrusa?-
-Ti
avrei ucciso subito, e poi avrei fatto fuori anche i tuoi compagni che
sarebbero venuti a cercarti. E poi anche chi sarebbe venuto a cercare
loro,
finché non avrebbero capito che devono lasciare in pace il
mio mondo- dissi
onestamente, mentre la gatta non distolse minimamente gli occhi da me.
-
Avresti potuto fermarmi quel giorno. Avresti potuto uccidermi, la prima
volta
che sono venuto qui. Perché non l’hai fatto?-
Incrociò
le
braccia . -Sono una reggente, non una dea. Sbaglio anche io a volte. Ma
posso
correggere questo errore in qualsiasi momento. Ricordatelo, la prossima
volta
che deciderai di fare di testa tua.-
Annuii
lentamente. -Piuttosto, perché sei venuta qui? Se dedicassi
la stessa
attenzione a tutte le tue reclute, probabilmente non dormiresti
più la notte-. Lei
si mise a fissare il terreno, riflettendo su cosa dire, per poi
ritornare a
guardarmi.
-Volevo
farti
vedere una cosa. Però qui siamo in pieno centro. Non voglio
che le persone mi vedano
star ferma troppo a lungo-. Mi diede le spalle, iniziando ad
incamminarsi. Si
voltò per un attimo verso di me, e lo presi come un invito
ad andarle dietro.
E
un'altra
volta mi ritrovai a doverla seguire. Mentre gli zampilli delle sue
fiamme mi
punzecchiavano la faccia, notai che stavamo uscendo dalla
città, e che una
volta oltrepassate le sue mura, ci dirigemmo a nord-est. La corsa
diventò
leggermente più faticosa, probabilmente perché la
quota e la pendenza
aumentavano. Una volta arrivati, potei vedere tutta la vasta
città dall’alto, una
prospettiva fantastica. Saremo stati almeno a trecento metri
più in alto
rispetto a prima.
Respirai
a
fondo quell’aria pura, e un misto di odori tra acqua di mare
e foglie mi invase
le narici. Ci furono momenti di silenzio, in cui mi dimenticai quasi
della
presenza della gatta.
-Vieni a
vedere una cosa- mi richiamò. E così vidi quel
luogo in tutto il suo immenso
splendore. Mura che si stagliavano per chilometri e chilometri, parti
di città
che a volte avevano case differenti rispetto alle altre sezioni. Il
tutto
protetto da una bassa e spessa muraglia accompagnata dalle torri, che
di tanto
in tanto la interrompevano. E il castello, un immensa opera
architettonica la cui
altezza era superata solo da quella del sole, ormai basso
all’orizzonte, e che
illuminava tutta la visuale di un rosa-arancio. Avevo, già
provato questa
sensazione, questo desiderio di fare parte di qualcosa.
Ma non ricordo quando, né il contesto. Però mi
piaceva. Mi
dava pace.
E in
quel momento non mi sembrava importante il
passato.
-Qual
è il suo
nome?- chiesi.
-Ti ho
già
detto il mio nome. E perché mi dai del lei? Sono solo
l’imperatrice- mi rispose
di fianco a me, con un ghigno ironico sul volto.
-La
città, la tua terra. Come si
chiama?-
-…Flaritas.-
disse, esitante.
Le
rivolsi
un’occhiata silenziosa, osservandola nella luce calante.
-Perché mi hai portato
qui?
-Il
castello è
molto pulito grazie a te. E mi hai dato l’occasione di
eseguire un cambio di
personale. Diciamo che ti dovevo un favore. Ora almeno hai un posto
dove andare
quando vuoi uscire-.
In
quel momento,
dimenticai quello che stavo facendo e il motivo per cui ero venuto ad
esplorare
quel luogo. Dimenticai di avere una ricetrasmittente collegata ai
muscoli più
sensibili del mio orecchio. Quel che facevo non aveva
utilità per la mia
missione. In quel quarto d’ora, non ero l’agente
Shadow, ma una guardia durante
la sua ora libera.
***
Erano
ormai
cinque i mesi che passarono da quando arrivai. Era bello poter vedere
delle persone
che non ti trattavano come l’ultima trovata scientifica, e
che non abbassavano
la testa quando ti guardavano.
Nella
gentilezza ed ingenuità di alcuni, come nella superbia ed
antipatia di altri,
vedevo tanto orgoglio quanto ne avevo io per me stesso. Era un bene che
non
sapessero chi fossi.
Persino
Pal
cominciava a diventare quasi sopportabile. Un altro fatto strano, era
l’attenzione particolare che riponesse Blaze in quel periodo
per me. Mi spaventava
l’ossessione di quella ragazza nel tenermi
d’occhio. Era raro rimanere da solo
quando andavo sulla collina che mi aveva consigliato, e non capivo che
cosa
volesse da me. Andava bene tenermi d’occhio, ma non mi
sembrava una tipa che
avesse continuamente bisogno della compagnia di uno straniero. Ma tutto
ciò non
poteva durare.
La
mattina
ricevetti una sorpresa, preannunciata
da
un tremolio nel mio orecchio.
-Agente
Shadow,
mi riceve? Ha fatto un buon riposo?-
-Come sempre Comandante,
lei?-
-Come
puoi
riposarti, mentre il novanta percento dell’Agenzia ti
è contro perché esige dei
risultati? Cosa mi puoi riportare?-
-Posso
confermarle che le loro tradizioni sono prettamente medievali, rispetto
alle
nostre. Al contrario, possiedono un discretamente elevato livello
tecnologico
dal punto di vista dei trasporti, sia marittimi che terrestri, mentre
sembra
che siano piuttosto indietro nella tecnologia aerea-.
-Agente?
Quanto
credi che spenda la G.U.N. per mantenere stabile il portale che non ti
fa
rimanere intrappolato in quel buco? Sono cinque mesi, e non hai fatto
altro che
parlare di architettura ed usanze. Che cos’hai per la testa,
soldato?- disse
con tono irato.
-Signore…-
-Hai
un giorno
per portarmi dei risultati. Poi dovrai tornare, altrimenti
manderò un’unità a
riprenderti, volente o nolente. Non mi deludere-. La trasmissione si
interruppe
subito dopo. Da molto tempo non mi sentivo così in trappola,
ma sapevo che cosa
fare. Avevo ancora una possibilità.
Negli
ultimi
mesi, avevo notato che durante il mio turno, ad un orario preciso il
quale variava
a seconda dei giorni della settimana, una delle guardie non si limitava
a
posizionarsi davanti alla sala del trono, ma vi entrava. Poteva essere
una
coincidenza, oppure poteva andare lì per controllare
qualcosa.
Era una
flebile speranza, ma era anche la mia unica
possibilità per poter fornire informazioni al quartier
generale.
Se
volevo agire, dovevo entrare in azione quella
notte stessa, quando c’erano meno persone in giro, ma quando
comunque la
sorveglianza era più rigida.
La
giornata
andò liscia. Avevo il mio piano ben impresso in testa. Poi,
Pal mi fece una
proposta.
-Ehi,
sei libero questa sera?- mi chiese.
-Scusami?-
-Ti ho
chiesto se hai impegni per questa sera-.
-Perdonami,
ma non capisco il senso della tua domanda-.
-Beh,
io e alcuni miei amici volevamo andare in un
localino giù in città. Le cameriere non sono male
e le riserve di alcool sono
più che adeguate per un branco di guardie esauste alla fine
della giornata-.
-A
dire la verità questa sera avrei un piccolo
impegno- dissi, cercando di dissuaderlo dal suo intento.
-Oh,
fammi il piacere. È da mesi che sei qui, questa
è la
prima volta che cerco di essere
amichevole nei tuoi confronti e rifiuti la mia offerta? E poi non ci
andiamo
molto tardi, usciremo dal castello verso le sette, quindi se hai ancora
qualcosa da fare alla fine della serata lo puoi fare. E non sei
costretto ad
ubriacarti, suvvia. Una volta mi hai detto che mi avresti coperto le
spalle, ma
non posso conoscere chi mi copre le spalle se prima non ci sbronziamo
tutti
insieme. E daaaai!-
Mi
aveva messo
alle strette, ma forse non aveva tutti i torti. Avrei potuto mantenere
un certo
controllo. E poi dovevo stare al gioco se non volevo che sospettassero
di me.
-Ok,
va bene, ci sto. Fammi tu
strada questa sera-.
-Ah!
Finalmente il solitario che
accetta di passare una serata tra amici!- roteai gli occhi, infastidito.
Ma
sì. In fondo cosa poteva
andare storto? Era quello che pensai prima che il mio turno finisse,
alle sette
in punto. Io e Lord Paladino Terzo ci incamminammo verso quella che,
con tutta
probabilità, nel nostro mondo avremmo considerato una
bettola. Su suo consiglio
avevo tenuto l’armatura indosso, dicendo che tendenzialmente
i baristi in quel
locale scontano le ordinazioni dei soldati, per una questione di
rispetto.
Peccato che lui non avesse un bottone di ferro, ma fosse vestito da
“persona
normale”, con maglia e pantaloni sobri. Questa, pensai,
sarà la serata in cui
tutti ti ridono dietro perché ti piace fare lo spaccone e
mostrare a tutti che
sei un militare. Perché mi sono fidato?
-Eccoci-.
Alzai lo sguardo, e
vidi un’insegna con su scritto “Il Ranger in
fiamme”, con disegnato uno
scheletro vestito da soldato che aveva delle fiammelle disegnate qui e
la.
–Prima le signore- mi disse, inchinandosi e lasciandomi lo
spazio per entrare.
Il
luogo era verniciato di rosso,
e la luce di qualche lampadina illuminava tutto il locale.
L’interno era meno
sporco di quello che credevo per una città pseudo-medievale.
C’era
molto chiasso, e ovviamente, noi ci
stavamo dirigendo direttamente al centro di quella confusione, ossia un
tavolo
pieno di persone più alte o massicce di me, tutte senza
armatura.
-Signori,
abbiamo un nuovo membro nella società degli ubriaconi.-
Disse Pal, cingendomi amichevolmente la spalle con un braccio.
Ovviamente uno
di loro disse subito: -Ehi, non hai caldo con
quell’armatura?-
-Sapete,
non sa separarsene. La adora- spiegò Pal, con un sorriso
maligno sulle labbra.
–Sei
un idiota- mormorai sotto il mio respiro.
Mi
sedetti, non più in grado di prevedere come sarebbe andata
avanti
la serata. Vidi arrivare un tipetto basso, quello che su Mobius avremmo
potuto
chiamare come un cameriere di un bar dei bassifondi. Portava un
larghissimo
vassoio pieno di enormi calici di birra. E ovviamente, Pal prese
l’iniziativa e
ordinò al mio posto.
-Ehi
barista! Porta un altro calice per il mio amico!-
-No,
per me niente. Io non bevo.-
-Stai
scherzando? Vuoi essere l’unico sobrio in un gruppo di beoni?
Lasciati andare!- mi diede un’esagerata pacca sulla spalla..
Non
avevo mai toccato un goccio di alcool in tutta la mia vita. Non ho
mai avuto motivo o interesse nel farlo, non c’era nulla che
mi facesse attrarre
l’idea. Ma d’altro canto, sono la forma di vita
suprema, e pensai che forse un
calice avrei potuto anche sopportarlo. Quindi diedi il mio consenso a
Pal.
Mi
consegnarono il boccale, osservandomi divertiti. Quello che per gli
altri poteva sembrare un bicchierino d’acqua, per me era una
sorgente. Ma ormai
non potevo tirarmi indietro, quindi bevetti il primo sorso. Peccato che il tale che mi
stava accanto mi alzò
il calice per farmi bere tutto il resto, lasciandomi cadere parte del
liquido
addosso.
Nonostante
questo, sembrava tutto a posto. E mentre ascoltavo gli
altri che parlottavano della loro giornata, di famiglia e di donne, i
problemi
iniziarono. Non ero disinteressato da quello che dicevano, e questo era
strano.
La mia testa era rilassata, e questo era ancora più strano.
E quando provai a
mettermi seduto composto, poiché ero scomodo in quel
momento, potei sentire
tutto il peso dell’armatura per la prima volta in cinque
mesi. Pal, senza dirmi
nulla, mi aveva ordinato un altro calice, e io, pur riluttante nei
primi
momenti, ed opponendomi alla sua offerta solo dopo che mi
arrivò il calice,
contro ogni logica ripetei la stessa azione di prima, svuotandolo.
A quel
punto, tutto quello che mi rimane in testa, sono immagini
annebbiate e confuse, spintonate, e molte risate tutte attorno a me. Mi
addormentai senza accorgermi di nulla, e l’unica cosa che
riuscì a svegliarmi fu
Pal, che mi dava degli schiaffetti in testa.
-Che
cosa diamine succede?- borbottai, massaggiandomi una tempia.
-Hai
alzato un po’ il gomito, amico. Sei crollato dopo il quarto
bicchiere.-
-Che
cosa?-
-Sei
sbronzo, non l’hai capito?-
Mi
guardai intorno, notando che la taverna si era svuotata di ogni
parvenza di vita.
E Pal
mi domandò nuovamente: - ‘di la verità,
non hai mai bevuto un
goccio in vita tua, non è vero?
Non
risposi, troppo confuso da quello che avevo intorno, e in grado a
malapena di biascicare qualche parola.
-Che
ore sono?- chiesi.
-È
ora che tu vada a fare la nanna, Shadow. Seduta stante, se vuoi
essere in condizione appropriate per domani. Escluso il mal di testa,
ovvio.-
La
situazione in quel momento era critica. Per la prima volta in vita
mia, credo di aver messo a rischio una missione. E la cosa peggiore,
era che la
missione non era ancora iniziata ed ero già esausto.
Però, come ho già detto,
quella era l’ultima possibilità che avevo di
portare buone informazioni al
Comandante. Non avevo scelta, dovevo sfruttare i mezzi che avevo.
Quindi mi
feci accompagnare da Pal al mio alloggio, lo salutai, e feci tutto
ciò che
pensavo fosse utile per riprendermi.
Provai
persino a fare una doccia
ghiacciata. Era notte fonda, non c’era più nessuno
in giro, a parte le guardie
che pattugliavano il castello in orario notturno, che fortunatamente,
stavolta
non toccava a me.
Era
ora. Mi diedi vari schiaffi
in faccia e partii, cercando di raccogliere tutta la concentrazione che
avevo.
Uscii dal mio alloggio, fin qui tutto facile.
Mi
muovevo tra i bui corridoi del
castello, nascondendomi tra gli angoli e cercando di evitare la ronda
delle
guardie. Cercavo di percepire tutti i suoni che erano intorno a me, per
capire
se qualcuno si stava avvicinando. Arrivai dietro la sporgenza di un
muro,
cercando di trattenere al meglio i barcollii. Mi sporsi leggermente
dall’angolo
dietro cui ero nascosto, e come immaginavo, notai che due guardie
sorvegliavano
il portone davanti alla sala del trono. Il piano era di aspettare che
finissero
il loro turno e approfittare dell’ intervallo in cui non
c’era nessuno per
passare. Ma il destino volle che andasse diversamente.
Mentre
mi allontanavo dal mio
nascondiglio, colpii una delle armature ai fianchi del muro, facendo
parecchio
chiasso. Come se non bastasse, dovevo aver fatto un movimento
incontrollato, perché
l’armatura cadde e i suoi pezzi si sparpagliarono per il
corridoio.
Ovviamente
attirò immediatamente
l’attenzione delle guardie. Tuttavia, riuscii comunque a
pensare in tempo,
prima che arrivassero a controllare. Scostai leggermente
un’armatura e mi ci
nascosi dietro. Il colore del mio pelo e delle mie spine probabilmente
mi
avrebbe aiutato a mimetizzarmi con l’oscurità
circostante. Arrivarono correndo,
e fortunatamente superarono il punto in cui mi ero nascosto, andando a
controllare la corazza più avanti.
Era
la mia occasione.
L’adrenalina e la tensione mi facevano andare avanti,
facendomi riprendere un
minimo di concentrazione. Silenziosamente, mi mossi verso il loro posto
di
guardia, e aprii con più parsimonia possibile la porta
d’ingresso personale delle
guardie, costituito, ironicamente, da una piccola porticina intagliata
più o
meno al centro del portone. Un’entrata più umile,
ma sicuramente più funzionale
per quello che dovevo fare.
La
sala era buia e disabitata,
non c’era nessuno all’interno, segno che la
sorveglianza era solamente
all’esterno. Non era un bel segno. Avrei potuto sbagliarmi, e
il mio sospetto
che ci fosse qualcosa di interessante poteva essere errato. Ma non mi
arresi, e
decisi comunque di dare un’occhiata, che purtroppo fu vana.
Cercai
ovunque: sulle pareti,
vicino ai troni... ma non trovai nulla. Ero brillo, ma riuscivo a
capire che la
situazione era nera. Peggiorò soltanto, quando sentii la
porticina che
cominciava ad aprirsi. Ero vicino al trono, quindi mi nascosi dietro di
esso.
Non sapevo chi fosse, ma costui salì i
tre scalini che portavano al trono reale, e mosse
qualcosa. Dopo poco
sentii il trono che spingeva contro la mia schiena, e che in qualche
modo
slittava leggermente sul terreno. Sentii che quella persona
iniziò a scendere delle
scale, con i suoi passi che ticchettavano nell’enorme sala.
Forse avevo trovato
la prova che cercavo. Aspettai qualche minuto, aspettando che quella
persona
uscisse, cosa che avvenne dopo un quarto d’ora, nel giro del
quale lottai
contro la confusione ed il sonno. Mi sporsi da dietro al trono, e notai
che chi
aveva appena risalito quel nascondiglio era una guardia. Compresi
finalmente il
perché delle guardie che entravano continuamente in quella
stanza
Quel
tipo uscì dalla porta, e il
trono poco a poco ritornò alla sua posizione normale.
Esaminai attentamente la
poltrona reale, sfiorandone i bordi. Cercai un modo per attivare il
meccanismo
di poco prima. Dopo un minuto circa di osservazione, roteai uno dei
pomelli che
erano presenti sui braccioli del trono. Dopo che lo ebbi fatto, il
congegno si
rimise in azione. Scesi le scale nascoste, che mi portarono in uno
stretto
corridoio illuminato da numerose torce.
Non
ci volle molto, prima che
arrivassi in una stanzetta circolare. Ciò che mi si
parò davanti fu
sbalorditivo, nonostante tutti i sospetti che già avessi.
C’era un gioiello rosso
di forma rettangolare e della grandezza di una mano, che volteggiava
sopra un
altare. Finalmente avevo trovato ciò che mi serviva.
qualunque cosa fosse, era
ben sorvegliata. Di conseguenza doveva
servire a qualcosa. Pensai che sarei rimasto in questa dimensione un
po’ più a
lungo. Provai a toccare quella strana gemma, e sentii un potere
particolare. Una
strana sensazione mi avvolse, come se delle piccole lingue di fuoco mi
stessero
attraversando le vene, senza farmi male. Provai a capire se fossi in
grado di controllarne
il potere, ma quando ci provai, sentii come se il corpo mi stesse
incenerendo
dentro. Provavo dolore dappertutto, e mi sembrava di star bruciando
vivo. Lo
lasciai di scatto, riponendolo nuovamente sulla sua piattaforma e
decisi di
andarmene.
Dopo
che fui tornato nella sala
del trono, cercai di riflettere su come uscire da quel luogo senza che
nessuno
se ne accorgesse. E la risposta mi fu data dalla
luce della luna. Uno spiraglio del suo chiarore
sbucò fuori da una delle alte finestre, infastidendomi gli
occhi. La finestra, quella, era la
risposta. Non ci
riflettei neanche per un attimo e attivai i propulsori dei miei
pattini, che mi
alzarono facilmente nell’aria. Una terribile emicrania mi
colpì all’improvviso,
facendomi provare i postumi della sbronza.
Maledissi
Pal e tutte le guardie
che mi avevano incoraggiato a bere, dal primo fino
all’ultimo, mentre cercavo
di atterrare nel modo migliore possibile nei cortili del castello.
L’impatto
con il terreno erboso e soffice fu per la mia testa come
l’impatto di un
martello d’acciaio.
***
La
sera prima avevo comunicato ai
miei alleati l’esistenza di quel particolare gioiello rosso,
e che li avrei
avvisati di qualsiasi altra novità. Era evidente che al
Comandante non
importasse più molto delle “lotte
burocratiche’’ che doveva giornalmente
affrontare con i membri dell’associazione, se come ricompensa
vi era una fonte
energetica nuova di zecca, in grado di cambiare le già
radiose sorti del
pianeta.
Sbadigliai
sonoramente,
nonostante non avessi esattamente voglia di dormire per colpa del
fastidioso
mal di testa che mi affliggeva. Chiunque
passasse e mi guardasse in faccia avrebbe potuto pensare che avessi
subìto un
lutto. Tranne Pal, che era tanto divertito tanto quanto leggermente
pentito di
avermi coinvolto in quella situazione.
-Potevi
dirmelo che non avevi mai
bevuto alcool in vita tua- sbottò.
-In
quel caso che sarei venuto a
fare?
Lui
ridacchiò, alzando le spalle.
-Touché-.
In
quel momento eravamo davanti
alla sala del trono. Vidi entrare Gardon, che mi guardò in
un modo molto più
sospettoso di quanto non fosse di solito, probabilmente per via della
mia
faccia. Gli aprimmo la strada con le armi, come era solito fare durante
il
giorno quando una persona importante doveva passare dove ci trovavamo
noi. Il
portone si aprì dietro di me, e quando mi si chiuse dietro,
ero sollevato di
non avere più vicino quel koala.
Porsi
una domanda a Pal, una cosa
che in effetti mi chiedevo già da un po’ di tempo.
-Perdonami,
ma come mai i
sotterranei del castello sono illuminati da delle torce se buona parte
della
città è dotata di energia elettrica?- chiesi
-Questioni
di atmosfera, per
rendere l’idea- rispose semplicemente
-Uh,
capito-.
Poco
tempo dopo, potei sentire
delle urla femminili provenire da dietro la spessa porta di prima.
Erano
incontrollate, quasi come
se la persona che le stesse facendo si stesse sfogando Non riuscii a
capire
tutto, ma mi sforzai di percepire il maggior numero di cose possibili.
-Come puoi chiedermi di
stare calma?! Come
puoi essere tu così
calmo, quando
questa città sta cadendo a pezzi?! Tutto
il regno sta crollando! La gente sparisce e sembri
più agitato quando
ritardo di un minuto l’inizio del pranzo!- urlò.
Non
riuscii a sentire altro,
perché i toni si calmarono a quel punto. Vidi solo Blaze che
aprì di botto la
porticina, senza chiuderla, camminando velocemente diretta da qualche
parte a
me sconosciuta.
-Blaze!-
senti strillare da
Gardon. Non avevo
idea di quello che
fosse successo, tutto quello che vidi, fu del fumo fuoriuscire dalla
porta
ormai aperta. Sia io che Pal ci lanciammo un’occhiata,
inquietati da quello che
era appena accaduto.
Ero
incuriosito da questa
faccenda, e volevo sapere che cosa avesse provocato tale reazione nella
ragazza.
Poteva essere qualcosa di importante.
Volevo
capire cosa stesse succedendo,
pertanto aspettai che fosse sera. Decisi che sarei uscito da solo e di
nascosto, libero della sorveglianza delle guardie.
Non
fu facile, ma riuscii ad
uscire di soppiatto dalla città. La parte più
complessa fu arrampicarmi sulle
mura senza farmi notare da nessuno, soprattutto dalle guardie. Sapevo
che
stavolta, qualunque cosa Blaze avesse, avrei dovuto essere io ad andare
da lei.
In più sapevo dove trovarla. Corsi il più
velocemente possibile, salendo di
quota secondo dopo secondo, mentre i miei pattini sferzavano il
terreno. Quando
finalmente raggiunsi la cima della collina, mia accorsi di avere
ragione. Lei
era lì, che guardava assorta il tramonto, con la sua
pelliccia viola che si
muoveva al vento.
-Ehi-
Salutai, camminando verso
di lei.
Si
girò velocemente e mi vide.
Mosse nervosamente orecchie, riportando lo sguardo sulla sua
città.
-Ciao-
rispose. -Com’è andato il
turno di guardia?-
-Tutto
bene. Bambine che
scappano, qualche ladruncolo che di tanto in tanto vuole rubare un
po’ di
vasellame sperando di trovarvi qualcosa, ma nient’altro-.
Feci una pausa,
osservando la sua figura stare in piedi, con la luce del sole che la
illuminava. -Mi sembra invece che tu abbia avuto invece una giornata
più
caotica-.
Lei
scosse la testa. -Non ti devi
preoccupare. Sono problemi di una regina, ho affrontato di peggio-.
-Peggio
di cosa? Si tratta dello
scienziato, vero?-
Lei
abbassò le orecchie,
guardandomi con la coda dell’occhio. -Come fai a sapere dello
scienziato?-
-Lo
sai che mi piace informarmi.
So che avete dei problemi con lui- spiegai brevemente.
–Comunque, che cosa ti è
preso oggi?- le chiesi, cercando di riportare il discorso nella
direzione da me
voluta. Si voltò di scatto verso di me, guardandomi con
ferocia.
-Ti
ho detto che non sono cose
che ti riguardano!- urlò, provando a tirarmi uno schiaffo in
faccia, cosa che
non le riuscì. Le afferrai il polso in tempo, stringendolo
abbastanza forte da
non farlo più muovere. La scrutai negli occhi, cercando di
capire se fossi io, la fonte di
tutto il suo nervosismo.
-Adesso
calmati… e spiegami
tutto.-
Lei
sospirò, abbassando lo
sguardo e rilassando il braccio lungo i fianchi. Si sedette
sull’erba, non
rivolgendomi un minimo accenno di contatto visivo. Mi accomodai di
fianco a
lei, mentre osservava il terreno ai suoi piedi. Stemmo così
per qualche minuto,
io che fissavo lei, e lei che fissava i ciuffi d’erba che
spuntavano dalla
terra. Poi si decise a parlare.
-Ultimamente
stanno succedendo
delle cose strane a Flaritas e nel resto del regno. La gente sparisce
nel
nulla, senza lasciare tracce. E non devono nemmeno uscire dalla
città perché
questo avvenga. Succede nelle strade, e non capiamo come sia possibile.
È
successo anche ieri sera- spiegò.
-
Cosa? Quante ne sono scomparse?
-Ieri
sera, sei. Nell’ultimo
mese, cinquantotto.-
-Eppure
non vedo molte guardie
per strada. Non potreste farle pattugliare? Forse riusciremmo capire
cosa sta
succedendo.-
-L’ho
fatto. Abbiamo sempre
mandato delle guardie a protezione dei sudditi. Ma non serve a nulla.
Muoiono,
o spariscono anche loro. Per questo tu non sei ancora sparito,
perché sei tra
quelli che non abbiamo mai inviato a svolgere quell’incarico.
È solo per
volontari, perché con tutta probabilità non si
durerà a lungo. E il punto è che
i volontari stanno diminuendo. Tra poco vi dovrò davvero
imporre questa
missione suicida- mormorò, sembrando disgustata delle sue
stesse parole.
-Da
cosa è cominciato tutto
questo? Pensi che lo scienziato sia il responsabile?-
Lei si
portò le ginocchia al petto e cominciò stringerle
con le
braccia, come se stesse cercando un appiglio per salvarsi la vita.
-Cominciò
tutto tredici anni fa. Era una giornata normalissima, ed io
ero nei giardini con i miei genitori, gli allora regnanti. Non avevo
idea di
come girasse il mondo e di come funzionassero i miei poteri, ero
solamente una
bambina. Poi sentii un rumore, come il rombo di un tuono. Era lontano,
ma avevo
comunque paura. Mi strinsi tra la braccia di mia madre. Pensavo che
fosse un
temporale, ma mio padre la vedeva diversamente. Una guardia ci
raggiunse subito
nel giardino centrale, e ci disse di dirigerci immediatamente nella
sala del
trono. Non c’erano luoghi più sicuri di quello, il
portone era resistente e la
sorveglianza numerosa. I boati si facevano sempre più
vicini, e ad un certo
punto sentii delle urla straziate al di fuori dalla porta. Chiusi gli
occhi,
sperando di svegliarmi nel mio letto e di poter ridere di quello strano
sogno
che avevo appena fatto.- si fermò per qualche secondo,
riordinando i pensieri.
-Purtroppo
non fu così. Poi ci fu il boato più spaventoso.
Il portone
venne sfondato, ridotto in pezzi, e non c’era più
nessuna guardia a
proteggerci. Vedevo degli strani esseri equipaggiati con strane armi
automatiche che ci si avvicinavano. Erano piccoli, magri e ricoperti di
metallo. E dopo di loro, un enorme mostro apparì. Un
abominio spaventoso come
un orco, avanzò lentamente verso di noi. Ad un certo punto
si abbassò, e dal
suo torace fuoriuscì una grossa sfera di colore azzurro.
Questa si aprì, e vidi
uscirne un uomo con dei grandi baffi grigi, grasso ma dalle gambe
lunghe e
magre. Ci fece un falso inchino, e si presentò.
Si
faceva chiamare: Eggman Nega.
Diceva
follie, di essere l’ambasciatore della distruzione,
nonché il
nuovo responsabile del nostro impero. A quel punto, la sfera in cui
risiedeva
si chiuse di nuovo, e quella specie di
‘’cosa’’ che stava controllando
aprì la
sua pancia, e ne uscirono miriadi di cavi, piccoli e stretti.
Così tanti che
oscuravano la luce del sole.
Mio
padre non poté fare nulla, perché venne subito
afferrato per gli arti.
Ricordo solo che iniziò a gridare, non ho mai capito
perché. Fu un urlo che non
riuscirò mai a scordarmi, pieno di dolore e sofferenza. Mia
madre fissò
terrorizzata la scena, e mi lasciò andare
all’improvviso, dicendomi di correre
via e di non voltarmi per nessun motivo. Ricordo che a quel punto un
giovane
ragazzo, un koala, mi prese in braccio e corse a tutta
velocità fuori dal
castello. Non importava gli ostacoli che gli si paravano davanti, lui
li superava.
Correvamo via, lontani da tutta quella sofferenza. Quello era Gardon. E
quella
è stata l’ultima volta che ho visto i miei
genitori-.
-…
Mi dispiace-.
-Da
allora ho continuato a cercarli. Sviluppai i miei poteri, e
assunsi il loro controllo. Volevo trovare e salvare i miei genitori. Ma
la
prima volta che riuscii ad affrontare autonomamente Nega e le sue
armate,
riuscendo addirittura a vincere la battaglia contro di lui, scoprii
ciò che
aveva fatto alle persone che aveva rapito quel giorno, ed a quelle che
avrebbe continuato
a rapire successivamente.
Le
trovai addormentate in delle capsule di vetro, e con parte del loro
corpo completamente meccanizzato. Provai a liberarne uno, a farlo
svegliare. Ci
riuscii. E lui mi attaccò con ferocia. Non parlava, urlava
soltanto. Faceva
tutto ciò che era in suo potere per attaccarmi. Quindi lo
distrussi. Riprovai a
fare la stessa cosa con decine e decine di altre persone chiuse in
quelle
dannate capsule, presa dalla disperazione e da una vana speranza che
potessero
ancora ritornare normali. Ma il risultato non cambiava. Non ero
riuscita a fare
nulla. Non avrei potuto né salvare i cittadini che Nega
continuava a rapire, né
i miei genitori.
Potevano
benissimo essere due di
quei soldati che avevo distrutto poco prima, forse
li avevo trasformati in macerie. Capii
che non li avrei più rivisti. Da allora affrontai Nega molte
volte, due delle
quali si alleò con un altro uomo, proveniente proprio dal
tuo mondo-.
Soltanto
allora capii perché
Gardon non poteva minimamente stare vicino a me. Mi vedeva come una
delle
origini della sofferenza della sua protetta.
-Ciò
che Gardon non ha mai capito
davvero, è che così come il tuo mondo ci
è andato contro un tempo, ha provato a
rimediare ai suoi errori-. Cercai di interpretare la sua ultima
informazione,
provando a capire a cosa si riferisse.
-Comunque
non avrò pace, finché
non avrò distrutto quel vecchio, quel rifiuto della vita che
è Eggman Nega, dovessi
anche continuare fino alla morte. Il mio unico rimpianto è
che non potrò
risolvere tutti i problemi che ha causato, anche quando lo
avrò sconfitto-.
Inspirai
profondamente, rivolgendo lo sguardo verso il sole calante. -Se
ti può consolare, so cosa vuol dire dover vivere sapendo che
chi ami non c’è
più, quando la vita ti viene stata strappata dalle mani
senza che tu possa far
niente. Ma una volta che ci siamo lasciati il passato alle spalle,
l’unica cosa
che possiamo fare è andare avanti, oppure cambiare
direzione, ma senza mai
guardare indietro-. Mi girai a osservarla, notando che un piccolo
tremolio le
scosse il corpo.
Vidi
una piccola e silenziosa lacrima scivolare lentamente sulla sua
guancia destra. Sembrò non accorgersene immediatamente, ma
quando lo fece si
voltò, dandomi la schiena e passandosi
velocemente il dorso della mano sugli occhi. Poi si voltò
pacatamente verso di
me, guardandomi direttamente negli occhi.
E per
la prima volta in cinque mesi, mi rivolse un gesto che non le
avevo visto fare verso nessun’altro.
Mi
sorrise.
***
Le
giornate passavano lisce, e
molte erano le esperienze che avevo potuto vivere fino a quel punto.
Ebbi anche
la possibilità di imparare a reggere di più
l’alcool, visto che fui invitato ad
altre serate con Pal e la sua compagnia. Evidentemente ero piaciuto
alla sua
comitiva, anche se non ho ancora idea di quello che feci. Le giornate
spesso
erano ripetitive, sempre uguali, eppure mi sentivo tranquillo. Mi ero
fatto
delle conoscenze nel paese, ma non tutto era positivo.
Erano
passati tre mesi dalla sera
in cui Blaze mi aveva parlato dei problemi che stava percorrendo il
regno, ma
le sparizioni continuavano, e non riuscivamo a far nulla per evitarlo.
Nemmeno
io riuscivo a capire come ciò potesse accadere sotto gli
occhi di tutti. Ero
inquieto, però nonostante la mia relativa
tranquillità, c’era qualcosa che mi
infastidiva dentro, che lottava per avvertirmi della sua presenza.
Il
mio animo era in subbuglio,
sapevo che qualcosa stava per accadere, e non mi sbaglio mai quando si
parla di
queste cose. Se davvero questo scienziato era il responsabile di quelle
sparizioni, dovevo fermarlo.
E se
il Dottor Eggman Nega era collegato al nostro Eggman, o
addirittura, era lui stesso il
nostro
Eggman, allora senza dubbio anche il mio mondo era in pericolo. Dovevo
indagare, ma non sapevo come o cosa fare. Ero vincolato al mio dovere
in quel
posto. A quel punto non ero più solamente un agente di
Mobius.
Anche
la vita di questa gente, era nelle mia mani. Mi sentivo tra
l’incudine e il martello, il cervello che mi ordinava di fare
una cosa, mentre
il cuore me ne diceva un’altra.
Nella
mia solita passeggiata serale, in cui ero sempre più teso
per
paura che qualcuno venisse rapito sotto il mio naso, Blaze venne da me,
congedò
le guardie, e mi disse che doveva parlarmi.
Sopraggiunti
nella nostra collina, come al solito deserta, il discorso
che mi fece fu diverso dal solito.
-Congratulazioni,
hai passato la
prova.- disse.
-Che
cosa intendi dire?-
-Sei
arrivato come invasore, e ti
sei guadagnato un posto di fiducia in questo mondo. Non
hai fatto nulla di così
terribile da farti cacciare via. Ti ricordi quando te lo dicemmo?-
-Sì.
È stato…beh, non me lo
ricordo-.
-È
passato meno tempo di quanto
tu creda. Ora hai fatto le tue ricerche? Ti sei convinto della nostra
“innocuità”?-
Scossi
la testa. -Ho fatto molto
di più. Ho conosciuto Flaritas. Ricordo tutto del mio mondo,
ma l’idea di doverci
tornare non mi attira più-.
Lei
mi rivolse uno sguardo
incuriosito. Sembrava si stesse trattenendo dal fremere di
felicità.
-E…perché?-
-Perché
conosco tutto di questa
città, ma non ho mai visto nient’altro. Voglio
viaggiare, e vedere ogni
particolare di questo splendido mondo. E poi tornare qui a fare le mie
ronde e
ad allenarmi insieme ai miei compagni.-
-È
per questo che ti ho fatto
venire qui. Considerati promosso allo stage successivo.- disse,
sorridendo con
un pizzico di complicità.
-Non ti seguo.-
-Sono a conoscenza delle tue
abilità in
battaglia, e Nega presto potrebbe farsi vivo. I soldati devono essere
pronti, e
nessuno può prepararli come te. Voglio che sia tu a
guidarli. Voglio che sia tu
il loro comandante.-
-Mi onori ma…-
-L’hai
detto tu, no? Vuoi
rimanere-.
-Io…non posso
restare. Se non tornerò,
verranno loro a prendermi. Potrebbero fare danni alla dimensione e a
voi, e non
voglio che accada. E poi non ho idea di come funzionino le cose qui-.
-Gardon
ti darà una mano-
insistette, avvicinandomisi di un passo.
-Io non…- lei
mise rapidamente le mani sulle
mie guance, e posò le sue labbra sulle mie. Sbarrai gli
occhi, sconcertato. Mi
prese alla sprovvista un’altra volta. Le misi una mano dietro
la nuca, e mentre
lei chiudeva gli occhi, io li tenevo ancora leggermente aperti,
continuando a
guardarla. Quando ci separammo, ci guardammo per qualche secondo. Fu a
quel
punto che compresi che, pur essendo onnipotente, non avevo mai provato
nulla.
Non di normale, quanto meno. Niente che fosse nella norma come quello
che avevo
provato da quando ero arrivato in quella dimensione, niente di
spontaneo come
quello che avevo appena fatto.
Le
sue gote diventarono di un
rosso acceso mentre si allontanava di qualche passo da me.
Abbassò lo sguardo, mentre
si frugava in una tasca del cappotto per cercare qualcosa. Qualche
secondo
dopo, estrasse la mano dalle tasche, e allungò il braccio
verso di me. Schiuse
la mano, e notai che sul palmo teneva un piccolo gioiello a forma di
rombo, di
un color cremisi.
-Era
il gioiello di mia madre- mi
spiegò. Lo osservai per qualche secondo, prima di riportare
il mio sguardo su
di lei, stranito.
-Prendilo.- disse solamente.
-Non
posso accettare.- dissi,
allontanando il suo braccio. Lei mi prese con decisione una mano,
posandovi sopra
la gemma. -Sì che puoi. Voglio che tu abbia un ricordo di
questo mondo. Ti
prego- disse, fissandomi quasi implorante.
-…
e va bene.- dissi rassegnato,
stringendo la pietra tra le mani con delicatezza.
-–Ma
sta attento. È altamente
esplosivo. Se lo lasciassi cadere, provocheresti una discreta
esplosione. E in
più i pezzi verrebbero inceneriti. È il nostro
combustibile più prezioso all’interno
del regno, la nostra fonte di energia principale- farfugliò,
leggermente impacciata.
Non
ci dicemmo molte altre cose
dopo. E ad un certo punto ce ne andammo, con un misto di contentezza ed
imbarazzo, come sempre tornando al castello per strade differenti. La
cosa
certa, è che le cose non sarebbero più state come
prima. Ma non potevo immaginare
che quella sera tutto sarebbe
cambiato in una maniera spaventosa. Che io,
sarei cambiato.
Qualche
ora dopo ero a letto, nel
mio piccolo ma adorato alloggio, dove avevo vissuto di tutto e di
più. Mi misi
quindi a dormire, ma non fu una notte tranquilla.
All’improvviso
mi ritrovai in un
luogo oscuro, non c’erano né pareti, né
cielo, né un vero e proprio pavimento,
ma continuavo a camminare, senza un motivo preciso.
E
un essere nero, senza una
faccia, mi si parò improvvisamente davanti, e mi disse molto
chiaramente: -Sto venendo a prenderti-.
Aprii
gli occhi all’improvviso,
ma non ebbi pace dal mio incubo. Proprio sopra il mio letto,
c’era uno strano
essere con due occhi tondi e rossi, che luccicavano
nell’oscurità. Mi afferrò
per il collo e sembrò che gli fossero apparsi degli aghi
sulle dita dell’altra
mano.
Presi
la lampada sul mio comodino
e lo colpii in testa, buttandolo per terra e facendo in modo che
mollasse la
presa. A quel punto si stava già alzando dal pavimento per
assalirmi
furiosamente, ma agii per primo. Stavolta fui io a sottometterlo,
quindi gli
afferrai la faccia e gli sbattei la testa contro il pavimento diverse
volte, e
poi lo graziai staccandogli la testa con le mie stesse mani.
C’era ovviamente
qualcosa che non andava, quindi uscii dall’alloggio e corsi
alla sala del trono.
Mentre correvo per i bui corridoi, diverse porte davanti a me di
alloggi di
altre guardie si sfondarono, e uscirono degli esseri uguali a quello
che avevo
affrontato poco prima. Non potevo combatterli tutti quanti, quindi
saltai, mi
appallottolai e li colpii tutti sulla testa, distruggendogli
completamente la
parte superiore del corpo.
Assomigliavano
alle creature di
cui mi aveva parlato Blaze. Quegli esseri mi ricordavano i Badniks di
Eggman,
solo molto che erano più abili, ed in qualche modo, il
processo di
robotizzazione non era reversibile. Entrai in uno degli alloggi da cui
erano
usciti quegli automi, per controllare se chi si trovava
all’interno della
stanza stesse bene. Tuttavia, non vi trovai nessuno. Ero dispiaciuto
per loro,
ma non potevo fermarmi.
Andai
di corsa alla sala del
trono, sperando di trovarvi qualcuno, e che la maggior parte delle
persone
presenti nel castello si fossero già
accorte dell’assalto. Ma non c’era
nessuno. Era tutto buio e calmo come
al solito, però sentivo dei rumori e delle esplosioni da
fuori. Attivai quindi
i propulsori dei pattini per sporgermi da una delle aperture in alto e
per
capire cosa stesse succedendo all’esterno.
La
parte iniziale delle mura per
la protezione della città era rasa al suolo, e le case
vicine ad esse stavano
bruciando. Un mini-esercito composto da almeno duecento androidi stava
marciando
dalla via maestra fino al castello.
Qualche
metro sotto di me, sentii
qualcuno che mi chiamava. -Ehi,
Shadow!-
mi girai, e vidi che era Gardon, agitato e spaventato.
-Scendi
subito!-
Quando
arrivai al suolo, mi
avvicinai al koala. -Gardon, tutto bene?-
-Sì.
Ci vuole altro per mettere k.o.
un guerriero come me-.
-Sai
quando è iniziato
l’attacco?-
-No,
non so nulla. Dov’è sua
maestà?-
Abbassai
le orecchie, fissandolo
inquieto. -Pensavo che fosse con te-.
-Maledizione,-sibilò,
indicando
dietro di me. –Signorina!- urlò. Ma non vidi
nessuno. È a quel punto che il mio
istinto mi disse di schivare leggermente a destra e di afferrare il
braccio di
chi mi stava attaccando. Vidi la faccia di Gardon infuriata, e cui gli
occhi
stavano diventando di un rosso acceso, mentre il resto del viso
sembrava quasi
scomparire, lasciando il posto a una superfice metallica. Sembrava
quasi un
ologramma che scompariva. La mano che gli avevo afferrato aveva un
pugnale che
gli fuoriusciva dal dorso della mano.
Quindi
mi girai e gli dissi: -Per
te non sono ‘’Shadow’’,- gli
tirai una testata, con una mano gli presi la lama
con cui voleva assassinarmi e gliela spezzai come se fosse un
bastoncino di
legno, -per te, sono il
‘’giovanotto’’- e gliela
piantai nel cranio metallico.
Gardon non mi avrebbe mai dato tanta confidenza. La scena di prima mi
fece
notare, con mio grande spavento, un dettaglio agghiacciante. Quei cosi
potevano
mimetizzarsi, fingersi altre persone. Alcuni di loro erano
i miei compagni. Questo spiega come avesse fatto quel
maledetto Dottore a continuare a prelevare i cittadini senza farsi
notare.
Aveva delle spie al suo servizio.
Risolta la faccenda con il
falso Gardon, la
prima cosa che pensai di fare fu di andare nella sala segreta, pensando
che
Blaze fosse andata lì, conoscendola. Ma percepii qualcosa
che mi strisciava
vicino ai piedi. Mi abbassai per controllare, ma non vidi nulla, solo
un’ombra
che se ne andò molto velocemente, come se fosse stata
un’allucinazione. Ma
sapevo di non essermi sbagliato. Sentivo però un lieve
strascicare che si
muoveva velocemente per tutta la stanza, ma non riuscivo a tenerlo
d’occhio,
vedevo solo una piccola sagoma che a volte si muoveva.
E
poi sentii una voce colloquiale.
–Shadow-.
Mi
guardai intorno, cercando di
capire di chi fosse quella voce. -Chi sei tu?-
-Dipende
da cosa tu vuoi che io
sia. Posso essere un grande alleato o un terribile nemico. Quello che
preferisci-.
-No.
Tu… tu sei Eggman Nega-.
Sentii
ridere di gusto quella
dannata voce. -Ok, il primo passo era facile. Vediamo cosa deciderai di
fare quando
vedrai questo-. Le luci si
accesero,
l’imponente lampadario al centro del soffitto si
illuminò. Ma ancora non vedevo
nessuno all’interno della sala. Improvvisamente vidi dei
cavi, apparentemente
collegati al nulla, che stringevano tra le loro grinfie due persone di
mia
conoscenza.
Gardon
e Blaze. Lei era
svenuta, mentre Gardon invece era
cosciente.
-Ora
hai tre possibilità. Puoi
lavorare insieme a me, e in quel caso tutto andrà per il
verso giusto. Oppure,
puoi metterti contro di me, e in
quel
caso ti si aprono addirittura altre due possibilità. Puoi
salvare la tua amata,
lasciando morire tutto ciò a cui lei tiene di
più, cosicché quando si
sveglierà, potrà odiare te
più di
quanto non abbia odiato me finora. Oppure,- continuò, mentre
quei cavi
stringevano la presa attorno al koala, -puoi salvare Gardon, e
convincermi a
risparmiare tutto ciò a cui la tua donna tiene, ma tu dovrai
vivere con il
rimorso di aver lasciato morire la ragazza della tua vita. In ognuno
dei due
casi, io ti catturerò, che tu lo voglia oppure no- sostenne.
-E
qual è la terza scelta?-
chiesi, cercando di mantenere i nervi saldi.
-Potete
morire tutti. In
ognuno dei tre casi, io non ci perdo nulla.- A quel punto, i cavi che
li
tenevano intrappolati cominciarono a fare uno strano rumore, e Gardon
cominciò
ad urlare, mentre Blaze ad avere degli spasmi.
Aveva
elettrificato i cavi.
-Non
ti preoccupare Shadow, hai
tempo di scegliere finché sono vivi entrambi-.
Ascoltai
strillare Gardon. -Non
essere sciocco, salva Blaze! È tutto quello che ho!-
urlò, straziato dal
dolore. Ma non avevo la minima intenzione di perdere nessuno dei due.
Saltai sulla
parete a lato, mi slanciai verso i cavi che tenevano Gardon e li
afferrai, e
con lo stesso slancio riuscii a fatica ad arrivare anche a Blaze.
-Che
peccato, sembra che tu abbia
scelto l’opzione numero tre. Ora scusami se
aumenterò un pochino il voltaggio,
ma ci tenevo tanto ad averti come schiavo- borbottò quel
pazzo. Il dolore che
provavo era indescrivibile, e per quanto provassi a tirare via quei
cavi e a
strapparli via dai loro corpi, non riuscivo a liberarli. Provai a
svegliare Blaze,
per farle liquefare i cavi con i suoi poteri.
-Blaze!
Nega è qui!- urlavo con
tutta la forza che avevo in corpo. –Sta uccidendo tutti! Me,
Gardon, tutti!- vidi i suoi occhi
cominciare ad
aprirsi, probabilmente anche per lo stimolo ricevuto dal dolore.
-BLAZE!
USA IL FUOCO!- tutto si
fece più caldo a quel punto, e il dolore provocato
dall’elettricità si
interruppe all’improvviso, mentre vedevo noi e i cavi cadere
a terra. Dopo
essere atterrati malamente, provai ad agitare Blaze per vedere se stava
bene e
se era sveglia. Lei mi spinse via, e si rialzò infuriata,
pronunciando queste
parole: -Questa è l’ultima volta! Non ci
incontreremo più dopo oggi, demonio!-
urlò, rivolta a Nega.
Dei
colori cominciarono ad
apparire dal nulla. Si rivelarono infine un enorme armatura rossa, con
sotto al
busto un enorme coda serpentina colorata di grigio scuro. Era un
gigantesco
robot, alto tra i sette e gli otto metri. Aveva una specie di testolina
con un
occhio di vetro, e il suo braccio sinistro era formato da una sciabola,
mentre da
quello destro si poteva chiaramente scorgere una spessissima catena, i
cui
singoli anelli erano grandi all’incirca come una vasca da
bagno. Il suo ventre
era aperto, e mi fu chiaro che era da lì che fuoriuscivano i
cavi. La grossa
sfera presente nel suo petto si aprì, rivelando il nostro
avversario, uguale ad
Eggman in tutto e per tutto, tranne che per i baffi, che erano grigi,
per gli
occhiali e per i vestiti, i quali erano composti da una calzamaglia
rossa con
sopra una giacca nera e gialla e delle scarpe striate degli stessi
colori della
giacca. -Notevole- disse. –Hai trovato una quarta scelta: mi hai fatto arrabbiare-.
Blaze
fissò Nega con disgusto. -Sei
vecchio, pensavo che con il tempo ti saresti ravveduto, che un giorno
tutto ciò
che avevi fatto ti sarebbe tornato indietro, e che avremmo finito
questo
conflitto. Ma ora che so che non ne vuoi proprio sapere, ci
penserò io a chiudere
la faccenda-.
Vidi
la gatta che saltò addosso a
quell’essere, provando a ferirlo. La sfera si richiuse
immediatamente, e il
robot strisciò di lato in una frazione di secondo, alzando
l’enorme sciabola e
preparandosi ad affettare la ragazza. Saltai verso il petto del robot e
lo
colpii con entrambi i piedi con tutta la forza che avevo,
allontanandolo.
-La
faccenda riguarda anche il
sottoscritto. Che cosa vuoi da me, Nega?-
-Finalmente
una domanda
intelligente. È molto tempo che osservo le anomalie tra i
nostri mondi, Shadow
the Hedgehog. E come te, ero voglioso di sfruttarle per i miei piani.
Ma sembra
che sia stato proprio il tuo mondo a venire da me, e con un piatto
davvero
ricco. Ti ho osservato, Shadow. Fin da quando sei arrivato qui. La tua
potenza
non è naturale, forse è persino superiore a
quella di Sonic-.
-Come
fai a conoscere Sonic?-
-Blaze
non ti ha forse raccontato del giorno in cui invasi il vostro
mondo? Dovette combattere al fianco di Sonic per contrastarmi. Ma
tu… tu sei
diverso. E vedo molte cose in comune tra noi. Siamo due persone in
cerca di uno
scopo.
Non
capisci che se lavorassimo insieme, potremmo addirittura
migliorare questo mondo e il tuo? Potrei addirittura ripensare ai miei
progetti
di distruzione di massa, e sarebbe già un grande passo in
avanti. Riesce ad
elaborare la tua stupida testolina,
che non esiste, in tutto l’universo, forma di vita elaborata
come te?- spiegò.
-Ti
sbagli. Non sono più la forma
di vita suprema- dissi mentre mi preparavo alla battaglia.
-Ma
certo che lo sei. Devo solo
ricordartelo sculacciandoti un po’-.
Ci
venne addosso con tutta
quell’ammasso metallico ad un’elevatissima
velocità, considerando la sua massa.
-Forse
è tempo che facciate
conoscenza con il mio giocattolo favorito! Il mio fiore
all’occhiello, la mia
invenzione più letale! Vi presento il “Nega
Slayer”!-
La
testolina presente sulla cima
del robot cominciò ad emettere un raggio laser di colore
giallo acceso, che
veniva verso di me, bruciando il pavimento con cui veniva a contatto.
Iniziai a
correre per la stanza, schivando il raggio. Poco dopo, Blaze
lanciò una palla
di fuoco abbastanza grande e potente da colpire il petto del robot,
facendolo
sbilanciare all’indietro, così che il laser
venisse deviato verso il centro soffitto,
sul lampadario. Dopo qualche secondo, il lampadario iniziò a
cadere velocemente
verso di me.
-Copriti
gli occhi!- urlai a
Blaze, correndo il più lontano possibile. Il lampadario
cadde al suolo con un
fracasso tremendo, e miliardi di schegge di vetro schizzarono per la
stanza, e
alcune di queste si conficcarono nella mia schiena.
Mi
fermai per un secondo,
cercando di ignorare il dolore, e notai vicino a me
un’armatura antica. Guardai
il robot, e approfittai dell’occasione che mi era stata data.
Afferrai in tutta
fretta la spada accanto all’armatura e mi diressi velocemente
verso il mio
nemico.
Lui sollevò la catena,
cercando di abbatterla su di me. La
evitai velocemente, e quando quella specie di frusta colpii il suolo,
mi
affrettai e ci saltai sopra, iniziando a slittare fino alla cima di
quel mostro.
Quando
fui a pochi passi dalla
sua testa, mossi di lato la spada e tirai un colpo secco alla testa da
cui
fuoriusciva quel laser, tranciandola di netto, e vedendola cadere a
terra
insieme a me. Scesi giù e cominciai a colpire
quell’enorme creatura con una
raffica di Chaos Spear, che però non sembravano creargli
troppi danni. Blaze si
aggiunse ai miei colpi, tirando delle palle di fuoco. Il nostro nemico
cambiò
obbiettivo, tentando di colpire Blaze con un fendente orizzontale della
spada.
Lei lo schivò di striscio con un salto
all’indietro, e vidi che la fiamme
iniziarono a girare velocemente intorno alla ragazza. Dopo qualche
secondo
avevano preso la forma di un tornado, e Blaze ne era esattamente al
centro,
ricoperta da quel fuoco. Nega preparò un altro colpo da
scagliare contro la
gatta, che però non fermò quello strano tornado.
Appena la spada fece contatto
con le sue fiamme, il tornado divenne immensamente più
grande, fece resistenza
alla lame dell’arma, e iniziò una lotta per la
prevalenza.
Dopo
un minuto che mi sembrò
eterno, la spada di Nega sembrò cedere alla potenza delle
fiamme di Blaze e si
ruppe, lasciando libertà alla ragazza di avvicinarsi al suo
robot e colpirlo
con quel turbinio di fiamme. Sembrava funzionare, perché il
robot in quel
momento pareva danneggiato. La coda
di quel mostro si avvicinò con una velocità
inaudita a Blaze, colpendola e
fiondandola contro il muro. Lei sbarrò gli occhi,
stringendosi con forza le
costole.
Il
Dottore riportò l’attenzione
su di me, provando a schiacciarmi con la catena. Mi ero stufato di
quello
stupido gioco che stavamo facendo da troppo tempo, per i miei gusti.
Decisi
di usare il mio massimo potenziale,
quindi mi concentrai, e
vidi che il mio
corpo si stava ricoprendo di un aura rossa. Avevo attivato il Chaos
Boost- Poco
prima che la catena mi colpisse, la afferrai, sentendo tutta la
pressione del
colpo che tentava di schiacciarmi il corpo. Strinsi come meglio potevo
uno
degli anelli, e con tutta la forza che trovai nella braccia, iniziai a
far
roteare il robot per la stanza. Lo feci scontrare contro due enormi
colonne
nella stanza, prima di mandarlo a sbattere violentemente contro il
muro.
Iniziai a lanciargli dei Chaos Spear, molto più potenti
rispetto a quelli di
prima, e lo colpii su tutto il corpo, compresa la catena. Dopo un paio
di
colpi, la sua arma si ruppe e io mi fermai.
Nega era visibilmente sconfitto, non
più in grado di
combattere.
–Facciamola finita- dissi
mentre mi avvicinavo a lui,
furioso come non mai.
-Sono d’accordo-
esclamò Nega, subito prima che il ventre di
quell’essere si aprisse, facendovi uscire miriadi di cavi. Mi
afferrarono alla
velocità della luce sia le gambe che, prima che potessi
reagire, gli
avambracci. Mi avvicinarono al suo petto, ed aprì il nucleo
centrale, parlando
con me faccia a faccia.
-Fiuuu!- fischiettava ironicamente
Nega. -Giusto cielo,
amico mio. Che brutta situazione nella quale ti sei volutamente
cacciato.
Guardati, potevi essere il mio vassallo. Ora invece sei solo carne da
macello-.
Vidi Blaze che
correva verso di me per liberarmi,
ma lo scienziato interpose un muro di cavi tra noi e lei.
–Avanti, distruggimi. Fallo
Nega, distruggi tutto quello che
ti circonda, senza una ragione. Divertiti. Un giorno ti renderai conto
che non
rimarrà più nulla da obliterare, e capirai quanto
sei vuoto- sputai, fissandolo
sprezzante negli occhi.
-Ah, ma sentilo, quando perde la
battaglia partono subito i
tentativi per convincermi ad avere pietà della sua vita! Io
sono un povero
pazzo, adoro la compagnia della morte ma non agisco senza scopi
precisi. Questo
mondo è stato in guerra per buona parte della sua esistenza,
e nessuno se ne è
mai lamentato così tanto, nessuno ha mai smesso di odiare i
suoi nemici. Poi
arrivo io, vengo al mondo e *puff!* guerra sparita! Pace! Peace
and Love! Beh, non
funziona così. Non sai quanto mi disgusta esistere in questo
mondo pieno di
falsa bontà. Anzi, ti chiedo questo: quanto credi che
durerebbe la pace se
comunque…beeeh…io non ci fossi? È una
domanda anche per te Blaze, mi senti?! Ehi!
Cavolo, credo che non mi senta. Non importa. Voglio solo lasciare un
messaggio-. Scosse la testa, ridacchiando.
-Davvero non ci arrivi, non
è vero? Oggi sono qui a far
esplodere le cose per chiederti di essere il mio messaggero, il mio
vassallo. La
gente oggi muore perché tu
mi hai
convinto a farla morire!! Sei tu che sei venuto qui, la gente muore a
causa
tua, non solo mia! Maledizione, pensaci riccio!!- mentre ero inerme,
non avevo
alternativa se non ascoltare i suoi disturbanti discorsi.
–Ed altre persone moriranno
per colpa tua. La gente che oggi
preleverò, diverrà il risultato di una nuova
generazione di Bio-Mech, dopo che
avrò studiato come legarli ai tuoi poteri-. Lui
posò la mano su una tastiera.
-Addio, Shadow the Hedgehog-. Vidi
che avvicinava il dito ad
un pulsante, e quando lo premette, una scossa ancora più
violenta di quella
precedente mi attraversò i muscoli. Non riuscivo a
respirare, né tantomeno a
gridare. Ma, tra le grasse risate di Nega, riuscivo a sentire la voce
di Blaze
che urlava, disperata e furiosa.
-NOOOOOO!!- E alla fine, tutto si
fece buio.
Blaze
Shadow
svenne dallo shock, e
venne portato dentro la pancia dello Slayer insieme a tutti i cavi, e
chiusovi
dentro. No. No, no, no, no. L’incubo si stava ripetendo per
la seconda volta. Non
ero riuscita a proteggerlo. Aveva preso anche lui, e non sapevo come
salvarlo.
–Blaze.
Io e te, faccia a faccia,
un’altra volta. Ed ogni volta che ciò accade,
qualcuno a cui tieni se ne va.
Perché non ti appiccichi addosso un foglietto con su scritto
“Attenzione, non
amarmi o muori”?- mi domandò Nega, ridendo con
gusto. Improvvisamente, il
macchinario si fece luminoso, quello che prima era un metallo color
rosso
acceso assunse delle sfumature arancioni.
–Sììì. Posso sentirlo anche
se sono
solo ai comandi, il potere! Mi scorre nelle vene!- Notai che tutti i
pezzi di
ferraglia che erano sparsi per la sala gli tornarono tutti addosso,
ricomponendo
la testa e le braccia, come se fossero appena state costruite.
–La
coda ricresce sempre alle
lucertole-. Pronunciai, con falsa spavalderia. Poi mi
scaraventò via con un
colpo di catena. Dopo l’impatto contro il muro ero sorpresa
di essere ancora
viva, seppur debole e dolorante.
–Coraggio,
tutto qui? I Sol
Emerald, maledizione, usali! Diventa quella rossa focosa che tanto mi
piace,
fai felice quest’uomo! Oh, dimenticavo. Non puoi, non qui.
Peccato-.
Non
riuscivo nemmeno più a
lanciare una palla di fuoco di piccole proporzioni, anche se ci provai.
-Perché?-
Gli chiesi, in un
attimo di disperazione. –Perché fai tutto questo?-
Potei, in qualche modo, intravedere
la sua faccia mutare, la sua espressione euforica si
trasformò in una quasi
depressa. –Quanto vorrei dirtelo. Se solo lo sapessi,
principessa-. La mia
rabbia esplose, e capii che non potevo ancora finirla in quel modo.
Volevo
salvare Shadow. Raddrizzai il busto, emisi un profondo respiro, sporsi
in
avanti le mani, e gli scagliai contro tutto il fuoco che avevo in
corpo. Lo
attaccai con il fuoco della mia anima sul ventre, facendolo
indietreggiare, ma
senza danneggiarlo minimamente. –Non morirò tra le
tue fiamme!-
Shadow
Quando
riaprii gli occhi, mi trovavo su uno sfondo bianco. Ero da
solo, ma quando mi girai a destra, vidi Rouge, Omega, il Comandante e
tutti
quelli che conoscevo a Mobius. Quando mi girai a sinistra, vidi Blaze,
Gardon,
Marine, Pal e quelli che per mesi erano stati i miei compagni. E io ero
al
centro. Non sapevo se questo volesse rappresentare una scelta, ma in
quell’esatto momento, volevo salvare tutti. Mi guardai il
corpo, e vidi che ero
avvolto dalle fiamme, ma stranamente non provavo dolore. Era come se mi
stessero
abbracciando. Poi mi svegliai di scatto, e vidi che la mia situazione
era
totalmente diversa rispetto a prima,
e mi ricordai che
cos’era successo. Ero legato da cavi, non riuscivo a muovere
un muscolo, e mi
tenevano rigido il corpo.
Per
giunta, sentivo molto calore.
Avevo
capito che Nega era
riuscito ad assorbirmi. Provai a ritirare verso di me il braccio
sinistro, ma
una forte scossa mi bloccò, cercando di farmi calmare. Tirai
ancora più forte,
e il voltaggio aumentò, però quella volta non mi
fermai. Tanto era il dolore
che ricevevo, quanta la determinazione a liberarmi il braccio. Alla
fine,
riuscii a scollegare tutti i cavi, liberandomi dalla loro stretta. E
con
questo, cercai di sbloccarmi anche il braccio destro, mentre la scossa
diventava sempre più intensa. Ma sarei morto piuttosto che
svenire di nuovo, in
quel momento.
E
sforzandomi al massimo, riuscii
a strappare il fittissimo nodo che si era creato. Con lo sguardo
annebbiato e
privo di forze, non potevo rimettermi comunque a combattere. Quindi
feci ciò
che ritenni necessario. Mi rimossi il primo anello inibitore che avevo
al
polso, e feci la stessa cosa con il secondo. E mentre il battito
cardiaco
aumentava poco a poco, fino a percepire quasi le vene che mi
scoppiavano, la
mia energia cresceva, e mi preparavo a rilasciarla tutta in un solo
colpo.
Blaze
Sentii
un tremito nelle braccia, e smisi di emettere fuoco, cadendo in
ginocchio.
-Hai
finito? Bene, perché…- all’improvviso
vidi il ventre del
macchinario che si era leggermente gonfiato. Sembrava una cosa non
voluta da
Nega, visto che fece capire chiaramente la sua confusione a riguardo.
-Ma
che…che cosa?-
Il
ventre si gonfiò un'altra volta, e all’improvviso,
il robot si divise
in due, liberando Shadow e un onda d’urto che
danneggiò tutti gli interni della
sala del trono, innalzando un grande polverone. Le due metà
del robot caddero a
terra, e la sfera contenente Eggman Nega venne scaraventata in fondo
alla sala.
Il corpo di Shadow volteggiava, e si avvicinava poco a poco a terra,
tra le
ferraglie ormai distrutte di quel mostro metallico.
Corsi
verso di lui per sorreggerlo.
-Eccomi,
sono qui-. Sussurrai, mettendomi un suo braccio intorno alle
spalle e mantenendolo in piedi a fatica. Mi rivolse
un’occhiata stanca,
incapace di dire qualcosa. Era messo peggio di me. Decidemmo quindi di
uscire
dal castello, per vedere come andavano le cose all’esterno.
Eggman
Nega
Infine,
ero di nuovo tra i
rottami. Completamente solo. Ma non avevo intenzione di arrendermi.
Attivai
l’espulsione rapida per tornare alla mia base in
quell’esatto momento. Ma mi
inquietai quando vidi il messaggio che ne indicava il malfunzionamento.
Ed ebbi
il crepacuore, quando vidi un altro
messaggio, che indicava contemporaneamente una perdita d’olio
e la combustione
dei sistemi.
Persi
il sangue freddo, e dal
vetro vidi che quei due erano ancora nella sala, e che se ne stavano
andando.
Cominciai a sbattere le mani sul vetro, a prenderlo a pugni, nella
speranza che
si rompesse o che riuscissero a sentirmi e mi aiutassero.
-Sono
qui, tiratemi fuori! Vi
prego, aiuto!- strillai, solo per rendermi conto dopo pochi secondi,
che io
stesso avevo creato quel vetro perché neanche un carro
armato potesse scalfirlo.
E che nessuno mi avrebbe mai aiutato volontariamente, e anche se quei
due
avessero voluto farlo, non sarebbero riusciti a sentirmi.
Quindi
mi rilassai, mi misi
comodo, e sfoderai un radioso sorriso quasi involontario. Poi cominciai
a
ridacchiare. E porsi i miei saluti a quei due adorabili ficcanaso.
-Lunga
vita alla regina- dissi,
alzando una mano verso di lei. E aspettai, accarezzandomi i baffi.
Blaze
Ci
allontanavamo a fatica. Shadow
era ferito, oltre che stanco, e non riuscivamo a camminare senza
incespicare in
qualche rottame. E quando pensavo che la battaglia fosse finita,
un’ultima
esplosione ci fece sbalzare via, e ci intontì. Mi girai, nel
punto in cui prima
era situato Eggman Nega, era presente solamente la sua navicella, ormai
distrutta e in fiamme.
Capii
che in quel momento era
davvero finita. Mi rialzai, e diedi le spalle a quella funerea visione,
prendendo nuovamente sotto braccio Shadow e attraversando uno ad uno i
lunghi
corridoi del castello. Una
volta fuori,
la freschezza dell’aria era resa più amara
dall’odore della fuliggine e della
cenere.
Per
uscire fuori non dovetti neanche far aprire il portone. Era stato
distrutto. Andammo
avanti imperterriti,
e quando Gardon notò la mia presenza, mi venne
contrò e mi abbracciò.
Feci
un cenno verso Shadow, che
si era aggrappato a me con le uniche forze rimastegli. -Tienilo tu, per
favore-
dissi, e lui non ci pensò due volte. Immediatamente davanti
alle porte del
castello, risiedevano decine di guardie a terra, e centinai di quelli
che un tempo
erano le persone che avrei dovuto proteggere, diventati Mech
senz’anima, erano
con loro. Chiusi gli occhi, in segno di reverenza. Se volevo far morire
per me
tanto i miei alleati quanto i miei nemici, avevo raggiunto il mio
obbiettivo.
-Riposate
in pace. Avete svolto
degnamente il vostro compito. Grazie.- mentre notavo i feriti e gli
impaurit
che giravano per la strada, andavo dritta, per la strada maestra, per
guardare
pezzo per pezzo, la distruzione era arrivata a noi quel giorno. E
ciò che mi
torturava più di tutto lo spirito, era che riuscivo a
provare un immenso
sollievo nonostante tutto quello che era accaduto. Sollievo per essere
viva.
Sollievo per aver vinto la mia battaglia.
***
Shadow
Era
ormai molto che mi stavo
riposando, e in tutto quel tempo non avevo avuto nemmeno il permesso di
aiutare
nelle ricostruzioni della città poiché non me ne
avevano dato il permesso. Portavo
il busto bendato per via delle ferite sulla mia schiena, e dovevo
prendere
giornalmente delle medicine per via degli shock che avevo ricevuto nei
giorni
precedenti.
L’unica
cosa che ero riuscito a
fare, era pensare e riflettere su quello che mi aveva detto
quell’uomo. Per
quanto fossi a conoscenza della sua scarsa sanità mentale,
aveva ragione.
Potevo credere di essere parte di questo mondo, ma non era vero. Ero un
invasore, e tale sarei rimasto. E la colpa di tutte quelle vite perse,
ricadeva
sulle mie spalle. Come potevo credere di appartenere ad un mondo
diverso da
quello in cui sono nato, se tra poco non riuscivo a sentirmi parte
nemmeno di
quello?
Decisi
di fare ciò che era
giusto. Mi tolsi le
bende, ed attivai il
mio auricolare. –Pronto? Base, mi ricevete?-
-Agente. Come procedono le
cose?-
-Comandante, ho
ciò per cui sono venuto. Non
c’è altro che può essere rilevante per
noi in questo posto-.
-Richiede
l’apertura del
portale?-
Deglutii
a fatica, pronunciando
con grande sforzo le parole fatidiche. -Sì. Adesso-.
-Ricevuto.
Si presenti alla
spiaggia alle stesse coordinate dell’ultimo viaggio. Passo e
chiudo-.
Mi
guardai intorno stranito, e
faticai a recepire il fatto che la vita che mi ero costruito fino a
quel
momento mi stava scivolando dalle mani un’altra volta, dopo
una semplice
chiamata. Feci un respiro profondo, e mi lasciai tutto alle spalle,
uscendo
dalla porta. Avrei voluto camminare lentamente, attraversare secondo
dopo
secondo per l’ultima volta quei larghi corridoi. Ma volevo
che non sapessero
nulla. Non volevo dire addio a nessuno. Volevo andarmene come ero
arrivato. Da
solo.
Forse
così mi avrebbero dimenticato
più facilmente. Quando andai all’ingresso, le
guardie mi lasciarono passare,
per un motivo che non ero in grado di spiegarmi. Forse
perché a quel punto si
fidavano di me.
Aprirono
le porte e mi permisero
di uscire. Corsi verso l’uscita attraverso la solita strada
maestra. Distrutta,
ma non meno affascinante ai miei occhi. Con i suoi edifici che pur non
essendo
particolarmente belli, non ne avevo visti altri che mi piacessero
così tanto.
Pur
provando un po’di dolore durante
la corsa, non mi fermai, e una volta fuori dalla città,
continuai a correre. Il
vento, l’odore dell’erba e un principio di
acquazzone mi sferzavano la faccia,
così che io potessi inalarne gli odori. Dentro la foresta,
quando ormai la
leggera pioggia era diventata un’alluvione, gli odori si
fecero ancora più variegati
ed intensi. L’umidità rendeva il tutto
più fresco, cosicché ogni volta il mio
corpo sfiorava, anche se pur lievemente, le foglie delle piante, esso
si
riempiva di goccioline.
E
quindi ero di nuovo lì, dove
tutto era iniziato. Potevo vedere il mio piccolo rifugio, ormai distrutto per volere della
natura. Ma non mi
aspettavo di trovarvi LEI qui.
–Blaze? Come…-
-Me
l’ha detto Gardon. Dove stai
andando?-
-…Ascolta.
Non posso rimanere.
Non sai che cosa sono, ma hai visto che ho dei poteri. Poteri che molte
persone
desiderano. Non conoscevo Nega, ma non ha esitato a mettere in pericolo
tutti
per me.-
Strinse
i pugni, mentre lo
sguardo le si riempiva di rabbia. -E quindi te ne vuoi andare, senza
nemmeno
salutare?-
-Odio
gli addii. Tu non sai
quanto.-
-Allora
che diavolo di senso ha
avuto tutto ciò!?-
-Di
farmi capire che devo stare
lontano da chi amo, se lo amo davvero.-
Lei
chinò il capo, fissando la
terra infangata. -So com’è il tuo mondo, e se vi
vuoi tornare, sappi che non ti
biasimerei, né ti fermerei. Eppure, ho la sensazione che non
c’è nulla di cui
ti pentiresti di più, un giorno, dell’andartene da
qui. Qui c’è il tuo letto,
quando hai bisogno di dormire. C’è il tuo cibo,
quando hai fame. E ci sono
persone che tengono a te, quando ti senti solo. Abbiamo bisogno di te-.
I suoi
occhi incontrarono i miei, fissandoli con le avevo mai visto fare.
-Io ho bisogno di te. Ciò
nonostante…-
-Che
cosa?-
-Dovrai
passare sul mio corpo se
vuoi proseguire!- si posizionò come se avesse dovuto
combattere contro un
nemico. Davanti a me, lei. Dietro di lei, il portale. Attivai i
pattini, mi
misi a correre, e a pochi centimetri da lei…-Addio, Blaze-.
Saltai. E tutto fu
bianco.
Dopo
la calda sensazione che
quella miriade di colori mi dava, potei ammirare nuovamente quelle
vecchie
colline da cui ero partito, e nelle vicinanze,
mi osservavano molti soldati, alcuni dei quali conoscevo
molto bene. E
come sempre, tra loro c’era il Comandante, che mi si
avvicinò con aria solenne.
-Agente
Shadow. Le mie
congratulazioni. Bentornato a casa-.
-…Grazie
Comandante.-
-Non
ha una bella cera. È
successo qualcosa?
-No,
tutto tranquillo Comandante.
Sono solo un po’scosso-.
-Perdoni
la mia impulsività
agente, ma ha con se il gioiello di cui ci ha parlato?-
Trattenni
per un attimo il
respiro, cercando una soluzione il più velocemente
possibile. -…Sì. Ce l’ho con
me-.
-Me lo faccia vedere-.
Presi
il gioiello che mi diede
Blaze, al posto del vero smeraldo di cui avevo parlato alla G.U.N., che
era
rimasto al suo posto.
-Me
lo consegni-. Disse il
Comandante, porgendomi la mano. Capii che accettare questo dono da
Blaze fu un
grande errore, così come parlare alla G.U.N.
dell’esistenza della reliquia. Se
avessero scoperto l’energia che si poteva ricavare dalla
gemma che avevo
ricevuto in dono, probabilmente avrebbero fatto incurisione
nell’altro mondo
per prendersene quantità più consistenti.
-Perdonami
Blaze-, pronunciai
sottovoce. Strinsi il gioiello nel mio pugno, lo buttai a terra e lo
pestai. E
da sotto il mio piede, partì un elevato urto, che fece
cadere al suolo tutti
quelli che erano nelle vicinanze, e che mi fece letteralmente fare un
balzo in
aria.
Quando
ricaddi sul terreno, mi
sentivo stordito, come se una granata mi fosse esplosa vicino. Tutti mi
guardavano straniti e confusi, ma nessuno di loro lo era quanto me. Mi
fecero
tornare subito nel mio alloggio, e passai la notte lì. Ma
non prima di rivedere
i miei vecchi compagni del Team Dark.
Rouge
mi venne incontro gioiosa,
ma il suo iniziale entusiasmo finì per scemare, come se
avesse capito che c’era
qualcosa che non andava in me. Mentre Omega, beh… si
comportava normalmente.
Fu
una strana giornata. Non
pensavo che sarei riuscito a dormire, cosa che invece avvenne. I
Il
Comandante mi voleva vedere,
come mi disse il giorno prima. Mi diressi subito verso il suo ufficio,
attraversando i freddi corridoi della base della G.U.N., che
diventavano ancora
più inospitali e inquietanti se si osservavano gli
scienziati mentre lavoravano
ad invenzioni e macchinari vari.
-Ciao
Adrianne. Ti sono mancato?-
dissi alla solita segretaria davanti all’ufficio del
Comandante.
-Come
non mai, Agente Shadow. Può
entrare, il Comandante è libero-.
-Grazie
e buona giornata-.
Adrianne sembrò incredula della mia loquacità.
Aprii la porta, e vidi lui,
seduto dietro la sua scrivania come al solito. Ma notai che aveva
cambiato
lampada.
-Si
sieda-.
-Signore-.
-Voglio
che tu mi spieghi per filo
e per segno cos’è successo in quel posto, e
perché hai fatto ciò che hai
fatto-.
-Ho
solo eseguito gli ordini-.
-Gli
ordini non implicavano la
distruzione di un eventuale nuova forma energetica. Te lo ripeto
un’altra
volta. Agente, sul serio, cosa ti passa per la testa?-
-Beh,
non ci crederà ma…- dissi,
aspettando qualche secondo. –prima avevo seri dubbi su
cos’ero o sul perché
della mia esistenza. Ora…non so nemmeno più che
cosa voglio-. Spiegai,
abbassando lo sguardo.
-Guardami
negli occhi quando ti
parlo, Agente.- mi osservò per qualche secondo, pensando a
qualcosa.
–Agente,
un simile oltraggio e atto
di mancata disciplina nei confronti del proprio superiore e
dell’agenzia, non
possono essere tollerati. Lei è sospeso dal suo incarico a
tempo indeterminato.-
incrociò le braccia dietro la schiena, fissandomi con aria
di sufficienza.
-Lei
è licenziato, Agente. Ha un
giorno per prendere la sua roba e andarsene. Ho finito-. Mi alzai,
senza dire
nulla e mi preparai ad andarmene.
-Shadow-.
mi senti chiamare da
dietro. Lui si alzò, e mi fece il saluto militare,
dicendomi: -Che la buona
stella di Mobius ti accompagni sempre-.
Ricambiai il saluto e me ne
andai. Odio gli
addii.
***
Si
fece notte, e decisi di andare
alla spiaggia di Station Square, appena davanti alla stazione, ad
osservare il
mare. Avevo conosciuto due mondi, e li avevo deliberatamente buttati
entrambi
nella spazzatura. Ero al punto di partenza. Ero di nuovo solo. Non
avevo idea
di quando avrei smesso di osservare quell’immensa distessa
color pece davanti a
me. Respirai a pieni polmoni l’aria salmastra, lasciando che
ogni sua più
piccola particella mi inebriasse. Poi, una mano mi toccò la
spalla.
-Riesci
sempre a cogliermi di
sorpresa-. dissi, sapendo perfettamente che quella mano apparteneva a
Rouge.
-Non
farei bene il mio lavoro se
non ci riuscissi-.
Riuscii
a udire dei passi pesanti
avvicinarsi a me, dalla mia destra. Avevo Rouge alla mia sinistra,
mentre Omega
stava dalla parte opposta. Tutti e tre sotto un cielo stellato.
-Quindi-,
esclamò Rouge, cercando
di iniziare il discorso nella maniera meno drastica possibile. -Che
cos’è
successo là di così grave da rattristare la forma
di vita suprema?- Non sapevo
esattamente cosa dovevo rispondere. Non sapevo proprio più
come comportarmi.
Avevo esaurito le risorse. Quindi mi limitai a dire le cose come
stavano.
-Nel
momento stesso in cui sono
entrato in quel mondo, mi si è aperto un nuovo orizzonte. E
non mi riferisco
solamente al ambiente, al paesaggio e alle persone. Sentivo che
qualcosa doveva
cambiare nella mia vita. È già successo, ma
stavolta ero certo che mi avrebbe
portato finalmente alla pace. Eppure, tutto quello che sono riuscito
fare per
loro, è stato impedire al nostro mondo di rovinare il loro.
Ma non sono
riuscito a proteggerli da me stesso, e da chi vuole il mio potere.
Eppure, per
la seconda volta in vita mia, non riesco a mettermi il passato alle
spalle. Ci
provo in tutti i modi ma non riesco a smettere di pensarci-. Sentivo lo
sguardo
di Rouge scrutarmi con interesse.
-Devo
tornare là, Rouge. So di
doverci tornare-. Dissi, mentre l’unico rumore che infrangeva
le mie parole era
quello delle onde.
-Io…
non me ne intendo di queste
cose. Mi basta un gioiello per essere soddisfatta, ma non un gioiello
qualunque. Il tesoro che riesci ad ottenere evitando tutte le sciocche
guardie
di un museo. E non potrei mai rinunciarvi, perché
è nella mia essenza. Se senti
di dover tornare là Shadow, allora perché sei qui
a chiedere consiglio ad una
ladra? Lo capisci che è molto più facile che tu
possa proteggerli piuttosto che
metterli in pericolo? Ti ho sempre visto fare tutto per ottenere ci che
volevi,
non conosco nessuno più determinato di te. E se
sarà necessario, ti aiuterò.
Non importa che tu sia o non sia del team, sei sempre un compagno. Non
ti
arrendere, Shadow-. Dichiarò la pipistrella.
Io
annuii deciso. -Grazie Rouge-.
Il mio spirito si era rialzato. Mi allontanai, e salutai il mio team
per
l’ultima volta.
-È
stato un onore combattere
insieme a voi.- Rouge sorrise, mentre Omega, goffamente, viste le poche
volte
che eseguì questa azione, cercò di compiere il
saluto militare. E io risposi
con piacere. Quindi mi girai, attivai i pattini, e tornai di nuovo in
quelle
colline. Ci misi poco tempo ad arrivare lì. Il portale, di
forma circolare e inattivo,
mi stava davanti agli occhi, inattivo. Probabilmente lo avevano
già smontato.
Non sapevo se fosse ancora possibile attivarlo, d comunque, non avrei
saputo come
fare. E mentre pensavo a chi avrei dovuto prendere in ostaggio per
costringere
ad attivarlo, fui sorpreso nel constatare che una luce a me troppo
famigliare
cominciava a generarsi dal centro di quel macchinario. Guardai verso il
tendone
per capire chi potesse essere l’artefice di tale atto, e
dalle labbra mi uscì
spontaneamente una parola.
-Grazie-.
E mentre mi trovavo sotto
le stelle, iniziai a correre senza pensarci due volte. Poi fu tutto
bianco, per
l’ultima volta.
Comandante
Ho
sempre pensato che la nostra
lealtà e il nostro destino andassero al luogo in cui siamo
nati. Non al nostro
mondo, non al nostro paese, ma alle persone che tenevano a noi, che ci
hanno
generato e ci hanno cresciuti, nonché a tutte le persone che
tengono a noi.
Ma
quel giorno, imparai che
qualche volta, anche un uomo come me, che ha affrontato ogni battaglia
in
qualsiasi contesto, può sbagliarsi. A volte possiamo trovare
qualcosa da
proteggere in luoghi in cui, fino a poco tempo prima, non potevamo
nemmeno
immaginare.
E
in alcuni rari, inconsueti
casi, possiamo lasciare tutto il resto dietro di noi, lasciarci il
passato
dietro alle spalle, pur senza dimenticarci da dove proveniamo. A volte,
noi
possiamo nascere e rinascere in due differenti mondi, ed amarli
entrambi pur
scegliendone uno solo.
È questo che
successe a Shadow. La verità è
che in più di cinquant’anni non era mai vissuto
davvero, non era mai nato, era solo
un bozzolo. Quelli erano stati i suoi primi veri nove mesi di vita, era
un
neonato, e come tale poteva vivere tutte le esperienze che voleva.
Aveva appena
iniziato un viaggio.
Per
questo, mi convinsi a dirigermi quel primo pomeriggio
all’accampamento,
aspettare fino a sera, portare
con me la
chiavetta speciale di permesso per attivare il macchinario
multidimensionale e attivarlo.
Non so se Shadow seppe mai ciò che feci per lui.
Al
diavolo, sono un soldato. Non un filosofo, né un
melodrammatico.
Sayonara,
Shadow the Hedgehog.
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Capitolo 15 *** Ognuno ha i suoi problemi ***
capitolo 15
Althea
La faccenda dei Chao mi lasciava perplessa. Ci stavo ancora pensando
il giorno successivo, mentre ero a tavola per la colazione. Fissai la
tazza di
caffè fumante davanti a me, assorta nei miei pensieri.
Insomma, cosa avrebbe
potuto far irritare in quel modo delle creature così miti?
Doveva star
succedendo qualcosa di strano per farli inquietare. ‘’Ma
cosa?’’
I miei pensieri vennero interrotti dalla vocina chiara di quella
ragazza, Emily, che guarda caso era rivolta proprio a me.
-Salve! Hai fatto sogni d’oro? Hai dormito bene, vero?- Mi
aveva
fatto due domande
nel giro di cinque
secondi esatti, lasciandomi leggermente perplessa
sull’eventuale risposta
–Io…-
-Hai avuto degli incubi?!! No, lo sapevo, lo dicevo a mia madre che
quelle lenzuola erano maledette, ma lei te le ha date comunque! Mi
dispiace
tantissimo! Ma la sai una cosa? Guarda che giornata fantastica per
dimenticare
degli incubi terrificanti!- Aprì di scatto la finestra,
facendo entrare nella
stanza una luce abbagliante e stordendo i miei occhi per qualche
secondo, visto
che le pupille erano ancora un po’ dilatate per il sonno.
Eppure, lei
continuava a parlare come se si fosse appiccicata alle braccia qualche
decina
di cerotti alla caffeina subito dopo essersi svegliata.
Se prima ero
perplessa, ora ero
confusa. Non avevo idea di come rispondere alla sua domanda,
più che altro
perché era riuscita a farmela dimenticare.
Involontariamente, mi limitai a
guardarla senza dire nulla, con le labbra leggermente socchiuse.
-Vuoi passare la giornata con me?- mi chiese, parlando molto
velocemente. Mi accorsi di essere rimasta a bocca aperta, guardando
incredula
quella riccia.
-Ti senti bene ragazzina?- chiesi stizzita, bevendo un sorso del mio
caffè e rivolgendole un’occhiata intimidatoria.
Lei ridacchiò, appoggiandosi il
volto tra le mani e guardandomi felice.
-Benissimo! Allora, vuoi venire a fare un giro insieme a me?-
Io mi alzai dalla sedia, dirigendomi con noncuranza verso la porta
d’uscita
nella cucina.
-Spiacente, oggi ho da fare-. Mentre
uscivo, speravo che la faccenda si
fosse conclusa in quel modo. Ma il mio desiderio era mal riposto. Avevo
chiuso
la porta, ma mi vennero i sudori freddi quando sentii che la porta si
richiuse
un'altra volta. Subito dietro me, risentii quella vocina.
-Ci divertiremo un sacco se tu mi seguissi! Sul serio, dai! Mi stai
ascoltando? Ehi! Ehi! Ehi!- Serrai con forza i pugni.
-Se io ti dicessi di sì, dove vorresti andare?-
-Al centro commerciale, dove sennò?-
Continuai a camminare, ignorando la sua presenza irritante.
-Scordatelo.
Non sono una fan di quei luoghi, quindi grazie, ma la risposta
è no-.
-Ti prego, sarà divertente! E poi hai bisogno di passare un
po’ di
tempo con degli amici, no?- chiese.
Mi voltai di scatto verso di lei, fermandomi dalla mia camminata e
guardandola accigliata. -Te l’ha chiesto tua madre questo,
vero?-
-Nooooo… forse-. ‘’Questa
famiglia inizia a darmi decisamente sui nervi.’’
-No. Non ci vengo-.
Lei mise il broncio, incrociando le braccia al petto. -Sei snervante,
lo sai? Hai passato delle belle giornate insieme a noi,
perché non ti metti in
testa che insieme potremmo anche divertirci? Dammi una
possibilità, forza! Potresti
anche trovare dei souvenir da portare nel tuo mondo, come una
cartolina, o cose
così-. In effetti ad Alexis avrebbe anche potuto
interessare… no, decisamente
no.
-Ok, allora ti porto con me comunque!- mi afferrò
la mano e mi trascinò in una corsa forsennata. Provai a
ritirare il braccio dalla sua stretta, ma la forza
di quella ragazzina era incredibile. Piantai i piedi per terra cercando
di
fermarla, ma sembrava che per lei non facesse alcuna differenza. Mi
trascinò
fino alla macchina di sua madre, mi legò strettissima con la
cintura e si mise
alla guida, uscendo di corsa dal garage e facendo una derapata che
disintegrò
il prato sottostante.
Ero
piuttosto inquietata dalla sua reazione, anche perché andava
ad
una velocità spaventosa e non riusciva a mantenere una
traiettoria
completamente retta, e in generale anche per colpa
dell’assenza di una strada
asfaltata. E io non riuscivo a muovermi. Che razza di cinture erano
quelle?!
-Sai come si guida, vero?- chiesi, affondando con forza le unghie nel
sedile della macchina.
-Ho visto mia madre farlo un centinaio di volte, credo di aver
capito come si fa, no?- disse, più a sé stessa
che a me. ‘’Spiriti del
Sol, per favore, fatemi arrivare viva a
destinazione’’ pregai
in silenzio.
Fece una curva stretta, mandandomi a sbattere contro la portiera.
-Allora perché vai così veloce?!-
-Perché questo è il pedale che ricordo meglio dei
tre!- schiacciò
l’acceleratore con foga, sbalzandomi contro il cruscotto.
Dopo qualche
interminabile minuto infernale, la riccia fermò la macchina
davanti ad un
grande edificio.
-Sei pazza. Tu sei completamente pazza- mormorai, slacciandomi
velocemente la cintura e scendendo il più rapidamente
possibile da quella
macchina infernale.
-I miei fratelli me lo dicono spesso. Ora seguimi! Ecco a te il centro
commerciale!-
-Sii breve e concisa. Come funziona?-
-Si va lì dentro e ci si passa la giornata-.
-Puoi essere meno generale?-
Lei
alzò gli occhi al cielo. -Seguimi!- Pensando a come era
iniziata
la giornata, mi era difficile scovare un nesso che mi permettesse di
collegare
gli eventi che mi avevano portato qui. Ma ormai c’ero, e
tanto valeva andare
avanti. Altrimenti Emily lei mi avrebbe trascinato con la forza.
-Esattamente i tuoi genitori sanno che ti trovi qui?-
-Di solito quando sparisce la macchina sanno che sono io, quindi non
c’è
da preoccuparsi. Shopping!-
***
Dash
Come
era tipico in quelle colline, il tempo era fantastico. Ero
completamente
rilassato per due motivi: il primo, perché l’aria
di campagna mi rendeva
rilassato, e come ciliegina sulla torta avevamo scoperto che la
macchina era
sparita, quindi probabilmente Emily era andata al centro commerciale e
si era
portata con sé la gatta.
Ok, era arrivato il mio momento di svago preferito: correre fino a
Seaside
Hill. Per raggiungere quella spiaggia c’erano solo una decina
di chilometri di
distanza, nulla di che. E una volta arrivato, avrei corso ancora. Nulla
era più
soddisfacente di schizzare in riva al mare e vedere degli enormi paguri
alzarsi
in aria insieme a tutta la sabbia per via dell’onda
d’urto.
Salutai velocemente i miei genitori e me ne andai.
Tanto avrebbero saputo dalla rottura del muro del suono che ero
partito. Ah,
cosa puoi volere di più dalla vita?
Senza pensieri!
Althea
Seguii la ragazza fino all’entrata, composta da una porta
scorrevole
molto larga nella quale entrammo velocemente. Nei successivi sette
secondi fummo
soffocate da una mandria di altre persone che spingevano per entrare
per primi.
-Allora, che te ne pare?- strillò.
-È… è…psichedelico-. Il
posto si estendeva per una lunghezza molto
elevata, e a malapena riuscivo a vederne il fondo. Era formato da
più piani,
collegati da scale e ascensori. Davanti a me, si ergeva un grosso palco
vuoto
al centro della sala, dove c’erano degli addetti ai lavori.
-Ehi, stai bene? Ti si sono ristrette le pupille- mi chiese Emily. Non
percepii immediatamente quello che mi stava dicendo, visto che ero
piuttosto
confusa dalla luce e dai rumori dell’ambiente. Scossi la
testa, risvegliandomi dalla
mia trance rispondendole.
-Sì, sto bene. Perché c’è
tutta questa luce?- Non ero abituata a tutta
quella confusione nel mio mondo, anche perché raramente ero
riuscita
partecipare a delle fiere o a dei mercati.
-Serve ad attirare i clienti. È una cosa psicologica, o roba
del
genere-. Annuii in risposta, non dando troppa importanza alla sua
risposta vaga.
-Allora, da dove vuoi cominciare?- chiesi, volendo finire il prima
possibile quella giornata. Con il dito indicò il secondo
piano.
-Lassù!- …Era evidente che conosceva
perfettamente il posto.
Salimmo velocemente le scale, e la seguii fino a quando non arrivammo
davanti ad un negozio con… non so bene come
spiegarlo… l’insegna aveva uno
strano dolce con la testa a forma di gatto che seminava un arcobaleno
dietro di
sé. Ero spaventata. Non riuscivo a capire se fosse un girone
infernale o un
semplice negozio. Nessuno, nemmeno i più bizzarri stregoni
pagani nel mio regno
avrebbero mai messo un insegna del genere a loro presentazione.
Entrammo, e mentre Emily era perfettamente a suo agio, la musica
all’interno del negozio sembrava volermi sciogliere il cervello, versarselo
all’interno
di una tazzina da tè e berselo lentamente.
Emily
mi guardava come se si aspettasse questa mia reazione.
-Non
ti preoccupare, la prima volta succede a tutti. Dopo un po’
ti ci
abitui- ridacchiò. Io non ci sarei più venuta in
quel posto, non in quel
negozio quanto meno. C’erano arcobaleni ovunque, e la cosa
era leggermente
inquietante. Non era il fatto di trovarmi in un negozio di bigiotteria
che mi
dava questa impressione, quanto più il fatto che il
proprietario di tale negozio
avesse un pessimo gusto.
Emily
non ci mise molto per separarsi da me, quindi ne approfittai per
guardarmi in giro. Trovai vari tipi di gioiellini, ma non
c’era nulla che
potesse minimamente interessare a me o alla mia famiglia, quindi
lasciai
perdere. Quando ci dirigemmo alla cassa, notai che il cassiere,
sovrappeso e
annoiato, ci guardava quasi come se fossimo delle sagome senza faccia.
Gli
rivolsi la stessa occhiata con cui ci stava guardando poco prima,
sperando che
potesse spronarlo a sbrigarsi. Emily pagò, mettendo i suoi
acquisti in una
borsa di plastica. Contrariamente a me, aveva preso cinque o sei
braccialetti,
tutti di diverse forme e colori.
-Tu non hai preso nulla?- mi domandò la riccia.
-No, niente-. Se voleva farmi divertire, non era ancora riuscita nel
suo intento. Con mio grande sollievo uscimmo dal negozio
-Decidi tu ora- disse.
-Cosa?-
-Dove dovremmo andare. Sii intraprendente, forza! Dimmi la prima cosa
che ti piace!-
-Beh… fino ad adesso ho bevuto solo un caffè,
quindi mi piacerebbe
mettere qualcosa sotto i denti-.
-Gelato! So dove trovarlo, seguimi!-
‘’Un…
cosa?’’
Mi portò in un piccolo bar, dove un giovane riccio ci
servì le nostre
ordinazioni. Malgrado fosse abbastanza affascinante, non fui
particolarmente
attratta da lui, al contrario di Emily che sfruttava tutta la sua
parlantina
nell’intervallo tra la nostra richiesta e il servizio per
provarci
spudoratamente con lui.
Non
funzionò, ma Emily lo dimenticò non appena ebbe
il suo strano
alimento tra le mani. Una specie di cono fatto a cialda con delle
palline
sopra.
-Che diavolo è questo?- domandai, osservandolo sospettosa.
-È un gelato. Forza, assaggialo!- Aprii la bocca e mi
preparai a
dargli un morso.
-Ferma! Non addentarlo!- Peccato che mi avesse avvertito in ritardo.
Le mie gengive erano come invase da una scossa elettrica, e un freddo
gelido mi
percorse tutto il corpo. Fu una delle poche volte in vita mia in cui
potei
davvero sentire il freddo.
-Ehi, hai la pelliccia tutta dritta!- esclamò Emily. ‘’…Dannazione.’’
Si era gonfiata per via
del freddo. Ho sempre odiato quando succedeva, anche perché
tutte le persone
che ho intorno tendono ad osservarmi.
Emily mi guardò preoccupata. -Hai bisogno di un medico?
Tutto bene?-
-Dopo un po’ mi passa, non ti preoccupare- borbottai,
passandomi una
mano sulle braccia e cercando di abbassarne i peli.
-Non è così che si mangia un gelato,
devi… ehi, dov’è finito il tuo
cono?-
Abbassai lo sguardo e vidi che le palline erano scomparse, e che
c’era
crema sparsa sia all’interno del cono, sia sul pavimento.
Emily prese in tutta fretta un tovagliolo, si chinò e
iniziò a
ripulire la macchia di crema. -Aspetta, lasciami dare una pulita. Vuoi
che ne
prendiamo un altro?- mi domandò.
Scossi la testa. -No, tanto non avevo più fame, non ti
preoccupare- dissi
sorridendole, quasi scaldata dalla sua gentilezza. Lei
ricambiò il sorriso,
rivolgendomi un’occhiata vivace.
-Dove dobbiamo andare adesso?-
le chiesi, riprendendo la serietà che avevo
prima e facendo scomparire
la momentanea serenità dal mio volto.
Lei mi prese per mano, decisa a non lasciarmi, e la seguii in un luogo
non ben specificato. Abbassai le orecchie, a disagio, cercando in tutti
i modi
di riprendere possesso del mio arto. Dannazione, mi sembrava di essere
ritornata bambina, ai tempi in cui imploravo mio padre di prendermi in
braccio.
-Eccoci qui!- esclamò Emily, fermandosi davanti a un enorme
negozio
pieno di abiti in vetrina, indossati da dei manichini bianchi e
immacolati.
Abbassai di scatto le orecchie. -Oh no-.
-Oh sì!- ridacchiò lei, superando le porte
scorrevoli e trascinandomi
con sé.
-No, aspetta un secondo…- dissi esitante, osservando la
miriade di
vestiti che mi circondava.
-Ti piacerà, fidati di me- affermò.
Dopo aver finalmente rilasciato la mia mano dalla sua presa micidiale,
non mi si allontanò di un millimetro, osservando incuriosita
me e subito dopo
gli abiti.
-Questo posto è il paradiso!- dichiarò,
guardandosi intorno. Alzai un
sopracciglio, incrociando le braccia. Non riuscivo proprio a capire
come quella
riccia potesse essere così felice e allegra solamente
perché si trovava in un
centro commerciale.
Girava
per tutto il negozio, cercando abiti che potessero
interessarle. Alcuni di questi erano semplicemente ridicoli, pieni di
disegni e
faccine, altri decisamente migliori, che avrei potuto definire di buon
gusto. Erano
un probabile segno dell’eventuale presenza di una doppia
personalità nella
ragazzina.
-Non vorrai comprarti tutta questa roba, vero?- chiesi, osservando il
numero impressionante di vestiti che teneva tra le braccia.
-No, sono venuta solo per provare come mi stanno. Provane qualcuno
anche tu, per esempio… questi!- Era una maglietta bianca a
maniche corte
insieme dei jeans blu chiari.
Sorrise
radiosa. -Mi sembri una persona a cui piace vestirsi sobria, o
sbaglio?-
La guardai con poca convinzione, incerta sul da farsi. -No, in effetti
non sbagli, però… e va bene, dammi un secondo-
borbottai.
Aveva preso vestiti per entrambe, non solo per lei. Ci provammo un
po’
di vestiti. I suoi erano colorati e fantasiosi, a volte anche
eccessivamente
larghi, mentre i miei erano “normali”,
né troppo vistosi né mediocri. E per una
volta, riuscii a sentirmi come una persona nella media. ‘’…
Non è malaccio.’’
A un certo punto ci stancammo, e decidemmo di rivestirci e di andare
da qualche altra parte. Ma ad un certo punto vidi un gruppo di tre
ragazzine, circa
dell’età di Emily, avvicinarsi a noi.
Quella nel mezzo, una volpe fucsia, sorrideva, e andò ad
abbracciare
Emily. La riccia ricambiò, mostrando solo un momento di
esitazione. Sembravano
essere vecchie amiche.
-Emily,
da quanto tempo! Ti sei portata dietro un’amica per una
volta, vedo-
sghignazzò. ‘’Cosa…
per una
volta?’’
-Oh, sì. Ivy, ti presento Althea- disse la riccia rosa,
voltandosi
verso di me e sorridendo. Corrucciai leggermente le sopracciglia,
cercando di
chiederle una silenziosa spiegazione.
La volpe si fece avanti, muovendo la voluttuosa coda.
-Ciao, non ti ho mai visto da queste parti- mormorò,
squadrandomi
attentamente.
-Vengo da lontano. Sono qui in vacanza. Hai detto di
chiamarti Ivy, giusto?- Non mi piaceva. Non
mi piaceva, decisamente no.
-Sì e…wow, ti vesti bene. Sembri mia madre quando
va a recitare- mi
schernì, parandosi una mano davanti alla bocca per fingersi
stupita. Il fatto
che sapessi di essere superiore, più potente e
più politicamente influente di
lei, non mi distoglieva dalla mia volontà di ucciderla.
Come fai a parlare così a una persona la prima volta che la
vedi? O
sei ricca sfondata o una disadattata sociale. Oppure entrambe le cose,
il che
sarebbe stato molto peggio. Emily era visibilmente imbarazzata, tanto
che cercò
di distogliere l’attenzione da ciò che aveva
appena detto la ragazza.
-Ehi Ivy, come vanno le cose con il tuo ragazzo?- le chiese.
-Oh sì, molto bene. Tu piuttosto, ne hai trovato uno?-
Emily abbassò le orecchie di scatto, mentre un leggero
rossore le
invadeva le guance. -Beh…no, non ancora. Ma suppongo che
arriverà il mio
momento-.
-Beh, vedi di non fartelo scappare allora, non credo che ne avrai
ancora molte di occasioni. Cambiando argomento, tuo padre ha trovato un
lavoro?- domandò la volpe.
-Veramente mio padre ce l’ha già-
borbottò Emily.
-Dico un lavoro serio-.
Lei e le due ragazze risero, e anche Emily lo fece, anche se in un modo
terribilmente forzato.
Sentii
uno strano calore pervadermi il corpo, e vidi una scintilla di
un rosso acceso sprizzare fuori dalla mia coda. ‘’No. Non ora, ti prego.’’
Misi le mani dietro la schiena perché non
notassero le fiammelle che scoppiettavano sulle mie dita. Sapevo che
stavano
cercando di liberarsi dal mio controllo, anche se non le avevo guardate
direttamente. Era come se le dita mi stessero gocciolando.
Qualcosa sarebbe bruciato, ma non sapevo cosa. O forse avrei bruciato
tutto ciò che era intorno a me, ed era probabile che il
tutto sarebbe stato
solo questione di secondi. Era come dover andare in bagno e non avere
più il
tempo di arrivarci.
-Non fare troppi danni…- sussurrai impercettibilmente con
una nota di
panico. Guardai la prima cosa non-viva attorno a me. Concentrai la mia
attenzione sulla borsa della volpe, cercando di trattenere la paura che
qualcosa potesse andare storto.
La tracolla sulla sua spalla iniziò a
sciogliersi lentamente sotto un
mio leggero ghigno e sotto le sue ignoranti risate. Aspettavo
pazientemente, e
la mia attesa fu premiata quando la sua borsetta scoppiò in
un esplosione di
pezzi ardenti e fiamme. Ivy batté istintivamente la mano
contro la borsa per
spegnere il fuoco, per poi buttarla a terra e scappare via con le sue
due
complici che la seguirono poco dopo. Se n’erano andate senza
nemmeno un
salutino, che peccato.
Presto
sia io che Emily venimmo bagnate dall’acqua che fuoriusciva
dall’sistema antincendio. Incitai la ragazza ad andarcene il
più velocemente
possibile, afferrandola per l’avanbraccio.
-Vieni!- sibilai. Tutte infradiciate uscimmo dal negozio in fretta e
furia, io consapevole di quello che era successo, Emily un
po’ meno.
-Sei stata tu, non è vero?- mi chiese, infreddolita e
lievemente
spaventata.
-…È importante?-
-Sì. Sì è importante.
Perché… perché è stata la
più grande figata che
abbia mai visto!- urlò, parandomisi davanti.
–Sei stata tu?-
Io distolsi lo sguardo. -Forse-.
-Dovresti rifarlo un giorno che usciamo di nuovo insieme,
perché credo
che purtroppo per oggi finisca qui. Mi spiace, avrei voluto portarti a
vedere
più cose-.
La guardai di soppiatto, mentre lei si strinse le mani in grembo,
rattristita.
Alzai le spalle, mostrandomi indifferente. – Non importa-.
***
Dash
Non mi
ero fermato un secondo prima di arrivare a destinazione.
‘’Sabbia…nelle
scarpe…Uff…devo
toglierla…’’ ansimai tra me e
me, quando all’improvviso vidi un polverone
alzarsi da lontano e venirmi incontro alla velocità della
luce. Letteralmente.
Ad un paio di metri da me, quello strano ammasso di polvere e detriti
smise di
proseguire, e mi riempì di sabbia e terra su tutto il corpo.
-Ora sì che le scarpe mi danno fastidio. Per un attimo ho
creduto che
fossero un gruppo di Badniks, pa'-. Ovviamente era mio padre,
che chissà come, era
riuscito a trovare il mio nascondiglio. Aveva forse seguito la scia di
paguri
ribaltati?
-Come diavolo fai a confondermi con degli insetti giganti?-
ridacchiò,
picchiettando un piede sulla sabbia. -Hai ancora un po’ di
forza nella gambe?-
-Perché mai dovrei averla persa?-
Lui ghignò. –A chi arriva prima in cima a quella
montagna, che ne
dici?-
-Dico che parli troppo-. Iniziai a correre, partendo
all’improvviso,
anche se lui mi raggiunse presto. Non vedevo nulla dietro di noi, ma il
paesaggio che ci scorreva davanti ad una velocità pazzesca
era l’unica cosa che
mi doveva interessare in quel momento. E per un attimo notai la forma a
spirale
che avevano assunto le nostre gambe. Ora si
iniziava a correre.
-Ti concedo del riscaldamento per ancora un paio di minuti, poi si fa
sul serio- disse, sovrastando il fracasso che stavamo facendo.
-Cosa stai dicendo? Non abbiamo ancora iniziato a scaldarci-.
Ovviamente
non passò molto tempo prima che davanti a noi, orde di
Badnik, volanti e
terrestri, si parassero dinnanzi a noi.
Guardai mio padre con sguardo d’intesa, dicendogli: -Trucco
della
trottola?-
-Non devi neanche chiederlo-. Proprio durante la corsa, ci
appallottolammo su noi stessi e cominciammo a trapassare quelle
ferraglie come
se fossero burro, e al polverone che noi creavamo si aggiunsero i
Flickies e
altri animaletti che uscivano dalle carcasse metalliche senza vita.
Esplosioni
su esplosioni ci riempivano le orecchie, e noi correvamo senza essere
colpiti
una sola volta dai tanti proiettili che quei robot ci scagliavano
contro. Una
volta fuori da quell’orda, intravedemmo un ponte. Un vecchio
insieme di
tronchi, al quale sottostava un fiumiciattolo.
-Ok Dash, ponte significa acqua, acqua significa…- prima che
finisse
di parlare, degli strani robot acquatici saltarono sul ponte.
-Chopper. Lo so-.
-Allora preparati a saltare!- E mentre quegli stupidi piranha ci
saltano
addosso per divorarci, sia io che mio padre ci appallottolammo
nuovamente e
iniziammo a muoverci a spirale contemporaneamente, formando un tornado,
respingendo
tutti quei piranha e rimandandoli in acqua.
Una volta atterrati scattammo immediatamente in avanti. -Ho imparato
bene, eh?- chiesi, un sorriso sbruffone che mi incorniciava il volto.
-Guarda indietro-. Voltai la testa confuso, e notai che un Chopper mi
si era attaccato alla coda. Con i denti.
-Gah!-
***
Althea
Ci dirigemmo verso
le scale, quando sentimmo un
rumorosissimo brusio al loro fondo. Ci sporgemmo, e vidi una folla,
formata
principalmente da ragazze, che continuava a ripetere un nome che non
conoscevo.
-No…- disse tra sé e sé Emily
-Che ti prende?- chiesi io, preoccupata che fosse successo qualcosa di
spiacevole.
-È lui!!! Scendi subito, vieni!- Quando fummo in mezzo alla
calca di
ragazzine, fu impossibile non essere spinte da chiunque avessimo
intorno. Tra
l’altro era imbarazzante doversi trovare in mezzo a loro
completamente fradicie.
Ma Emily sembrava non farci molto caso. A un certo punto, quando
sembrò
rendersi conto di dove eravamo arrivate, cosa che io non avevo ancora
fatto, cominciò
ad urlare e a saltare,
emettendo un acuto che avrebbe potuto far saltare in aria i timpani di
un
elefante. Mi prese per le spalle e iniziò a scrollarmi.
-Non ti rendi conto di dove ci troviamo ora! È fantastico!-
-Si può sapere che diavolo succede?-
-È lui!- disse qualcuno in prima fila. Vidi un ragazzo che,
anche se
ero lontana, potevo ben notare essere un castoro giallo con i capelli a
caschetto, che velocemente stava salendo sul palco, salutando
apertamente la
folla e avvicinandosi al microfono poco più avanti.
-Ristar
Beaver! Ristar
Beaver!-
ripetevano Emily e tutto il resto della folla a braccia alzate,
invocando il
suo nome come se fosse una divinità.
-Si può sapere chi è questo ragazzino?- chiesi,
facendo un cenno
scocciato con la testa verso di lui.
-È semplicemente il cantante più figo figo figo
di tutti i tempi!-
Mossi nervosamente le orecchie. ‘’Perché
deve succedere a me?’’ Avevo capito che
sarebbe stata una faccenda più
lunga del previsto, quindi feci una domanda ad Emily: -Posso almeno
asciugare i
nostri abiti?-
Dash
Le praterie fiorite e i fiumiciattoli cominciarono a diradarsi mentre
salivamo di quota a grande velocità, fino ad essere
completamente sostituiti
dal terreno roccioso della Montagna dell’Ascesa. In quel
momento eravamo io e
mio padre che combattevamo contro di noi e contro il vento. Aumentai la
velocità al fine di batterlo. Nessuno mi avrebbe fermato,
nemmeno lui, nemmeno
Sonic.
Mancavano pochi metri, e il vento sferzava contro di noi con
così
tanta potenza che assumeva una colorazione azzurra. Entrambi superammo
il muro
del suono, spaventando gli uccelli nei dintorni e facendoli volare via.
Ma solo uno di noi avrebbe vinto in quel momento, in quell’esatto momento.
Althea
-Mio Dio, che razza di caos! Non posso credere che abbiano interrotto
lo show- disse Emily.
-Se qualcuno mi lanciasse una bottiglia di vetro sui denti credo che
anche io mi prenderei un giorno di stacco- borbottai in risposta.
-Beh, suppongo che la serata alla fine sia finita in bellezza.
Torniamo a casa, ho parcheggiato in sosta vietata e non vorrei che mi
avessero
rimosso la macchina- ridacchiò lei. Cominciò a
dirigersi in fretta e furia
verso l’auto che avrebbe dovuto essere di sua madre. Almeno
per quella volta
non mi aveva trascinato con la forza. Dovetti camminare molto
velocemente per
riuscire a stare al suo passo. Salimmo in macchina, ed Emily la mise in
moto
con delle chiavi che erano attaccate ad un portachiavi raffigurante un
grasso
gatto viola. L’auto partì con un rapido scatto, e
tornammo immediatamente
nell’autostrada di quando eravamo uscite di casa quella
mattina. Io e la
giovane riccia stavamo in silenzio per la prima volta nella giornata, e
la
macchina andava incontro al sole nei suoi ultimi istanti di vita, che
calava
lentamente all’orizzonte, espandendo un immenso cielo
rosso-arancio davanti ai
nostri occhi. Un pensiero mi attraversò la mente: le parole
che aveva detto
quella volpe a Emily.
-Chi erano quelle ragazze?- chiesi dopo qualche minuto, voltandomi
verso la ragazzina.
-Oh, erano delle mie amiche. Simpatiche, vero?- La guardai con aria
saccente, ovviamente per sottolineare il fatto che quello che aveva
appena
detto era una sciocchezza.
-Suppongo che fosse da molto tempo che non vi vedevate-.
-Un mese circa-.
Alzai un sopracciglio. -Ti trattano spesso così?-
-Trattare come?-
-Come ti hanno trattato oggi. Ho visto scarafaggi essere trattati
meglio da disinfestatori-. Ridacchiò, prendendola come una
battuta.
-Adesso sei troppo tragica. Ivy ha solo un carattere un
po’… difficile-.
-A me sembrava che la stessero prendendo tutte e tre con grande
serenità. Non sei così stupida da essere
obbligata a farti trattare così-.
-No, è solo stato un periodo un po’ complicato per
lei. Ultimamente si
è trasferita, quindi magari tende a sfogare i suoi problemi
su di me. Noi… siamo
sempre state amiche-.
Smisi di guardarla e riportai lo sguardo davanti a me, sospirando. -E
da quando è iniziata esattamente questa
‘’stupenda’’ amicizia?-
-Circa… otto anni fa-. Abbassò leggermente la
testa in segno di
imbarazzo. Mi girai di lato, osservando Emily tramite il suo riflesso
nel finestrino.
-Devi sapere che a volte le amicizie tengono a variare nel tempo-
spiegai brevemente.
Lei rise tristemente, guardandomi di sbieco. -E in che modo?-
-Si deformano-. Le rivolsi un’occhiata fredda, cercando di
essere il
più concisa possibile. Lei stette in silenzio, senza
replicare, e dentro di lei,
probabilmente, sperava che io non replicassi a mia volta.
-Ti conviene svegliarti, o diventerai il loro svago preferito, poco
alla volta. A meno che tu non lo sia già. Ho già
visto succedere cose del
genere-.
Emily sterzò
all’improvviso e
parcheggiò velocemente a lato del guard-rail. Contromano.
-Voglio darti una cosa-. Frugò all’interno delle
tasche dei suoi pantaloni,
senza dare alcuna importanza a dove ci trovavamo. Diedi una rapida
occhiata
all’ambiente esterno e le chiesi, nervosa, quasi come se
fossimo circondate da
una folla invisibile: -Di solito qui non passano le macchine dalla direzione opposta?-
Lei ignorò completamente la mia domanda.
-Tieni- disse, porgendomi
un
bracciale colorato di argento. Mi
sorrise gioiosa, probabilmente cercando di dissipare
l’atmosfera tesa di
qualche attimo prima. -Mi spiaceva che non avessi preso nulla al
negozio,
quindi l’ho fatto io per te-.
-Emily, sai che non posso accettare-.
-Non fare tante storie!- Il braccialetto raffigurava lo stesso gatto
con il corpo da dolcetto che lasciava dietro di sé una scia
di arcobaleno che
avevo visto al negozio di gioielleria. Lo scrutai fisso per qualche
secondo, e
per tutto il tempo sentii una musichetta irritante che mi rimbombava
nella
testa.
-Avrai pur bisogno di un souvenir quando tornerai a casa, no?-
Mi accorsi di essermi incantata per un attimo, fissando quel regalo
inatteso.
-Ti ringrazio. Lo terrò sempre con me-.
Dash
Ero in ginocchio, le gambe a pieno contatto con il terreno ruvido e
polveroso, dopo aver sfruttato tutte le mie capacità. Ed era
proprio questo ciò
che mi amareggiava di più, il fatto di non poter continuare
a correre. Per
quanto ci provassi, non ci riuscivo.
Sonic invece era in forze, pimpante, e pronto a tornare a casa, mentre
sopra di noi brillava un cielo stellato praticamente appena nato.
-Forza, la mamma è rimasta da sola a casa, e mi preoccupa a
volte
lasciarla troppo tempo senza qualcuno che possa controllarla- disse
allegro.
Ero sporco, pieno di terra
e, stranamente, sfinito. Ma nonostante la
stanchezza, mi rialzai. Le gambe mi tremavano e non riuscivo a stare in
piedi
senza che un tremito continuo mi percorresse il corpo. Per ignorare
quella
sensazione, seguii mio padre, che iniziò a correre, ma
sembrava che volesse
seguire la mia andatura. Infatti non correvo più veloce come
prima, e a malapena riuscivo a raggiungere i venticinque chilometri
orari.
-Dash,
va tutto bene?- mi domandò papà. Non gli risposi,
continuando a
guardare fisso davanti a me. L’unica cosa che volevo fare in
quel momento era
ritornare a casa mia e dimenticarmi di quella pessima giornata, insieme
a tutto
il nervosismo che mi pesava sulle spalle.
Quando finalmente arrivammo davanti alla nostra villetta, mia madre
apparve
davanti all’uscio della porta. Aveva un’aria
seccata, e per sottolineare il suo
nervosismo, picchiettava un piede sul pavimento.
-Dove siete stati voi due tutto il giorno?- sibilò,
osservandoci con
uno sguardo inquisitore.
-Io ho corso- risposi.
-Stamattina sono andato a distruggere Badnick, poi ho raggiunto Dash
per
correre e basta- si giustificò papà alzando le
mani davanti a sé.
Io ridacchiai. -Dai mamma, non arrabbiarti. Stamattina lo sapevi che
me ne ero andato fuori-.
Lei corrucciò le sopracciglia, incrociando le braccia. -Solo
perché
hai rotto il muro del suono non significa che io non gradisca un saluto
prima
che tu esca-. Si massaggiò le tempie, emettendo un sospiro
esasperato. -Forza,
vai a darti una ripulita. La cena sarà pronta tra poco-.
Entrai
velocemente in casa, sedendomi su una delle sedie disposte
intorno al lungo tavolo di legno del soggiorno. Ci appoggiai i piedi
sopra,
incrociando le braccia dietro la testa e distendendo finalmente i nervi.
Poco dopo sentii chiaramente il rumore di un motore di una macchina
che si avvicinava alla casa. Nell’aria risuonò uno
strisciare secco di
pneumatici che si dirigeva man mano verso il garage.
A quanto pare le ragazze erano tornate.
Althea probabilmente era sfinita da quell’intensa giornata.
Potevo
immaginarlo. E potevo capirla.
Emily entrò in casa correndo, come sempre. Sembrava un
cagnolino che
ritornava alla sua tana dopo un giorno di scorribande. Althea invece
aveva un
passo molto più tranquillo e felpato. Entrambe salutarono, e
mentre Emily si
diresse verso la cucina per vedere capire cosa c’era per
cena, Althea si
sedette al tavolo insieme a me, però dal lato opposto.
Mi fissò per qualche secondo, esaminandomi.
-Sei sporco da far schifo- commentò con la sua innata
delicatezza.
-Detto da te lo devo prendere come un complimento-. Il suo
voltò si
indurì all’improvviso, ma non sembrò
particolarmente innervosita dalla mia
offesa.
Ci fu uno strano momento di silenzio tra noi, in cui Althea
guardò di sottecchi
i miei genitori e Emily. Sembrava che stesse cercando di vedere
qualcosa in
loro. Forse voleva trovare qualcosa di simile a quello che aveva sempre
conosciuto nel suo mondo.
-Quindi-, esclamai, snervato da quel silenzio che si era creato.
–che
tipo di scuse hai trovato per lamentarti oggi?-
Lei scrollò le spalle, rivolgendomi un’occhiata
infastidita. –Devo
dire che è stato divertente-borbottò. Abbassai le
orecchie, non potendo
assimilare una notizia tanto sconvolgente.
-Ripetilo-.
-È stato bello. Mi-è-piaciuto- sillabò.
-Non ci credo-.
Sbuffò. -Nemmeno io-. Poi mi guardò negli occhi,
sembrando finalmente
accorgersi che davanti a lei si trovava una persona, e non solamente
una voce
irritante che le squillava nelle orecchie.
-Ed è stanchezza quella che ti vedo addosso o hai avuto una
brutta
giornata?- domandò. Io sospirai, mentre il nervosismo di
tutte quelle ore mi ricadeva
addosso come un macigno.
-Possiamo fare finta che tu non mi abbia mai fatto questa domanda?-
Lei inarcò un sopracciglio, distogliendo improvvisamente lo
sguardo.
–Beh, se non vuoi parlarne, a me non interessa più
di tanto-.
Ci fu
nuovamente silenzio, finché, dopo aver pensato se
risponderle
oppure no, cedetti alla tentazione, e mi misi a dirle ciò
che pensavo.
-Ti sei mai trovata nella situazione di dover fare qualcosa, di
provarci costantemente ma senza mai riuscirci? Di avere
l’impressione che più
tu migliori, più il tuo obbiettivo diventi sempre
più difficile da
raggiungere?-
-Sì, tutti i giorni. Perché me lo chiedi?- mi
rispose lei prontamente,
capendo che c’era qualcosa che non andava, ma sempre con un
lieve accento
sarcastico. Ma non volevo espormi del tutto, non subito, anche se
ciò
significava usare una scusa che poteva andare bene come minimo
centocinquant’anni
prima.
-Era solo per curiosità. Un mio amico si trova in questa
situazione- balbettai,
grattandomi il naso.
Lei chiuse gli
occhi, e sulla
sua bocca proruppe un ghigno, quasi come se avesse pensato che ero
giunto al
fondo del barile pur di non chiederle direttamente aiuto.
‘’… E forse non
ha tutti i
torti.’’
-Beh,
io nel tuo caso avrei due opzioni. Cercherei un sistema
alternativo per raggiungere il mio obbiettivo, un’altra
strada. Altrimenti…
continuerei a provarci fino alla morte. Di’ al tuo amico che
non sta
sbagliando. Di solito, in questi casi, si raggiunge ciò a
cui si aspira. O almeno…mio
padre mi dice così- spiegò fredda, facendomi un
cenno scocciato con la testa.
La guardai stupito, cercando con tutte le forze di trattenere un
ghigno vittorioso. Quella era la prima conversazione civile che ero
riuscito a
scucirle dalla bocca senza ricevere una minaccia di morte. Un punto per
me.
Feci per aprire bocca, ma la voce squillante di mamma mi precedette.
–La cena è pronta!-
Althea si alzò rapidamente dal tavolo, ansiosa di potersi
allontanare
dal salotto.
Aspettai ancora qualche secondo prima di seguirla, sospirando
tra me e me e lasciandomi dietro le spalle tutta la frustrazione della
giornata.
Dopo tutto, finita una lunga corsa, non c’è niente
di meglio di un po’di relax
per distendere i nervi, una corposa cena e una bella dormita. Bisogna
guardare
alla giornata.
Almeno, questo è quello che dice mio padre.
Pal
Il buio mi avvolgeva, e una strana sensazione, a metà tra
l’essere
confuso e il rilassato, mi aveva attanagliato con decisione il corpo.
Ero
sdraiato su un freddo pavimento in piastrelle di ceramica. Attorno a
me, potevo
udire un confuso brusio di persone che parlavano concitate tra loro.
Pensai
intensamente che quella fosse la mia giornata libera, e che dopo
essermi
svegliato avrei potuto passeggiare, ubriacarmi e chiedere a qualche
donzella di
uscire con me.
Invece, quando aprii gli occhi, potei chiaramente constatare,
nonostante tutto quello che avessi intorno fosse offuscato, che non ero
nella
mia stanza. Quello che si espandeva sopra di me era il soffitto del
tempio, e
attorno a me le guardie erano agitate e spaventate.
Non riuscivo a muovermi normalmente. Era come se una parte del mio
corpo si fosse addormentata e non avesse la minima intenzione di
ascoltare i
miei comandi. Sentii un lieve punzecchiare sul collo, e quando cercai
la fonte
del mio fastidio, notai uno strano dardo ancora piantato nella mia
carne, in
prossimità della giugulare. Me lo rimossi con forza e lo
lanciai lontano da me.
Udii il richiamo di due guardie a qualche metro di distanza da me,
anche se mi
sembravano terribilmente distanti.
-Sergente!- Uno dei due ragazzi, un giovane falco, mi corse incontro.
-Soldato, si può sapere che cos’è
successo?- mugugnai con la bocca
impastata, cercando di far valere la mia autorità nonostante
l’assopimento.
-Non ne abbiamo idea signore. Sembra che le guardie siano state
addormentate
da qualcosa-. Mi premetti una mano sulla testa, dolorante.
-No, da qualcuno- lo
corressi, rivolgendo una rapida occhiata al dardo sul pavimento.
Subito dopo mi venne in mente qualcosa di molto più
importante
dell’incolumità mia e delle mie reclute:
lo smeraldo.
-In che condizioni è lo smeraldo?- domandai
-…Non lo so, signore. Mi sono risvegliato da poco anche io-.
Il sangue
mi salì al cervello, e cominciai a sentire i sudori freddi
attraversarmi la
spina dorsale. Un’improvvisa paura mi si appiccicò
addosso.
-Maledizione,
seguimi!- abbaiai. Tentai di camminare, ma caddi rovinosamente sul
ginocchio.
Evidentemente non ero ancora in grado di poter sopportare il mio tipico
passo
spedito.
Il
ragazzino mi guardò spaventato. -Sergente!-
esclamò. Si avvicinò a
me per aiutarmi a proseguire.
-No, non aiutarmi! I tuoi compagni sono già in grado di
correre. Come
minimo io dovrei saper volare. Quindi allontanati subito- ringhiai. Lui
si
ritrasse immediatamente, mortificato. Continuai a camminare, ma
proseguendo
notai che riuscivo a controllare solamente la parte sinistra del mio
corpo,
quindi cambiai leggermente i miei ordini.
-Ripensandoci, puoi mettere alla prova la tua solidarietà
verso il tuo
superiore e darmi una mano-. Sul suo volto comparve un espressione
confusa, ma
nonostante tutto camminò verso di me, titubante.
–Forza, svelto!-
Si mise un mio braccio attorno alle spalle, aiutandomi a reggermi in
piedi.
-Dove dobbiamo andare?- chiese.
-A berci una birra al bar, che ne dici?- risposi, ironizzando
spudoratamente. Lui abbassò lo sguardo, imbarazzato.
‘’Perché ogni
volta mi devo ritrovare degli infanti come reclute?’’
Ci dirigemmo rapidamente verso la sala principale
al centro del tempio e scendemmo con fatica le scale che portavano al
sotterraneo, illuminato solo dalla luce delle torce. Notai che per via
della
mia mascella leggermente addormentata, stavo sbavando sulla spalla del
ragazzo,
che non ne sembrava molto contento. Una volta arrivati a destinazione,
alzai lo
sguardo, mi fermai a fissare l’altare, e lasciai
definitivamente cadere la
mascella a terra. Lo smeraldo era sparito.
-No…- mormorai spontaneamente, mentre le
guardie intorno a me si scrutavano, visibilmente turbate. Heh,
dilettanti. –Cosa facciamo, signore?-
mi domandò la
recluta.
Lo guardai inquieto. -Qualcuno deve
avvertire i regi. Lo farei io, ma devo coordinare la situazione. Qui
c’è il
caos più totale-. ‘’E
il mio sistema
nervoso è in coma, tra le altre cose.’’ Almeno
non mi sarei dovuto sorbire
l’ira di entrambi i regnanti.
Cercai di trovare una soluzione, esaminando
ogni possibilità. E mi accorsi che la risoluzione ai nostri
problemi mi stava
aiutando a reggermi in piedi esattamente in quel momento.
Sghignazzai nervosamente, guardando il ragazzo al mio fianco.
Lui ricambiò la mia occhiata deliberatamente sadica nei suoi
confronti con
un’espressione splendidamente inquieta e agitata.
-…Sergente?- chiese in un lieve sussurro. Io
ridacchiai, dandogli una pacca sulla spalla con il braccio ancora
reattivo ai
miei comandi.
-Ragazzo mio, siccome le mie funzioni
fisiche non sono ancora nel pieno della loro funzionalità,
concedo a te, l’onore di
andare ad avvertire i
regnanti-. Lui
spalancò gli occhi,
boccheggiando spaventato.
-Non abbiamo tempo, vai e sbrigati!- gli
urlai contro, cacciandolo dal tempio. Si diresse rapidamente verso
l’uscita,
diretto al motoscafo più vicino. Mi appoggiai fiaccamente ad
uno dei pilastri
che circondavano l’altare, cercando di sorreggermi come
meglio potevo. Mi
guardai intorno, cercando di riordinare i pensieri tra la varia
confusione che
stavano facendo le guardie in quel momento.
‘’…E ora che
diamine faccio?!’’
|
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Capitolo 16 *** Il Principe e la Ladra ***
Amethist
Blaze
Una giornata stupenda per regnare. Quella
mattina feci una consistente colazione, per poi riunirmi in Consiglio
per
discutere degli imponenti interventi di ristrutturazione che avevamo in
programma per Flaritas, nonché in tutte le altre
città. Infondo, perché non
sfruttare il vantaggio di avere un monarca illuminato, in
grado di comprendere cose e
tecnologie a noi fino ad allora sconosciute o poco approfondite?
E
ovviamente, il nostro principino non si
era nemmeno fatto sentire dall’inizio della mattinata,
probabilmente impegnato
a divertirsi da qualche parte, ad allenarsi, o a studiare politica e
giurisdizione imperiale. Senza nemmeno aver salutato sua madre e
regina! Adorabile,
il mio Alexis.
La mia anima però era inquieta. Sentivo un
fremito in essa, come se qualcosa fosse fuori posto. E non sapevo che
cosa
fosse.
Tuttavia, inspirai profondamente, scacciando
quei pensieri, rilassata da una mattinata soleggiata e tranquilla come
quella.
Camminavo rapidamente, osservando il paesaggio fuori dalle varie
finestre e
lasciando che il sole mi scaldasse la pelle negli occasionali fasci di
luce che
filtravano nei corridoi. Quando passai per l’ennesima volta
sotto i raggi del
sole, la mia attenzione fu catturata dall’insistente
luccichio dell’anello che
portavo all’anulare della mano sinistra, e mi concessi di
lasciar vagare in
tranquillità la mia mente tra i ricordi. ‘’Non
posso credere che siano cambiate così tante cose nel corso
di pochi anni…’’
Mi accorsi di essermi imbambolata in mezzo
al corridoio mentre osservavo la mia fede al dito. Mi ridestai
immediatamente,
ricordandomi il motivo per cui stavo vagando per il castello. Mi
diressi verso
la Sala del trono, e quando arrivai davanti ai suoi enormi portoni, le
guardie
che ne impedivano l’accesso con delle lance si ritirarono,
indietreggiando di
un passo e chinando con rispetto il capo.
Prima che potessero dare l’ordine di aprire
le porte attraversai l’entrata più piccola incisa
tra esse. Arrivata nella
stanza notai immediatamente una decina di ingegneri attorniati a
Shadow, che stringeva
tra le mani numerosi appunti e progetti e discuteva con le persone
vicine a
lui. Quando sentì richiudersi la porta, alzò lo
sguardo e incontrò i miei
occhi. Mi sorrise di soppiatto prima di rivolgersi nuovamente alla
piccola
folla ai suoi lati.
-Vi ringrazio per le vostre impeccabili
spiegazioni, signori. Ma ora avrei bisogno di stare da solo e di
riflettere
attentamente per poter prendere la decisione adeguata- disse Shadow,
congedandoli tutti con particolare eleganza. Loro fecero un breve
inchino,
uscendo rapidamente dalla sala.
Lui si voltò verso di me, un sorriso aperto
sul volto. Ricambiai il gesto, salendo i pochi gradini che portavano ai
nostri
troni e avvicinandomi a lui.
-Beh? Come procedono le cose?- gli chiesi.
Lui scrollò le spalle, stirandosi con stanchezza la
schiena.
-Bene. Ho passato una mattinata intensa-.
-Non dirlo a me, ti prego-. Lui alzò un
sopracciglio con fare interrogatorio, mentre un’aria
tremendamente divertita
gli aleggiava sul volto.
-Hai avuto una brutta giornata?- chiese.
-No, non esattamente. Solo stancante-
mormorai, appoggiandomi a uno dei braccioli del trono. Mi presi un
secondo per osservare mio marito. I vestiti imperiali che era
tradizione indossare dai sovrani, nel suo caso una veste nera con i
bordi e i bottoni color oro che gli arrivava fino ai polpacci e con dei
pantaloni anche loro neri, mettevano in risalto la sua aria potente. I
primi due bottoni della veste erano slacciati, permettendo ad alcuni
dei suoi ciuffi bianchi sul petto di essere visti.
-Il Consiglio è stato aggressivo? Ti ha dato
dei problemi?- mi chiese, riportando la mia attenzione sul discorso.
Mi strinsi nelle spalle. -Stranamente sono stati abbastanza docili
oggi. Non hanno criticato le nostre proposte riguardo alle
ristrutturazioni e
le hanno accettate praticamente senza replicare.
Com’è stata la tua mattinata
‘’avvincente’’, invece?-
chiesi, mimando le virgolette con le dita. Era bello
potersi concedere un minuto di relax e intrattenere un discorso
tranquillo con
lui durante la giornata senza avere la preoccupazione di una riunione
imminente
o un’improvvisa ribellione dei membri facenti parte del
Consiglio di corte.
- Sono andato a parlare con Marine e con gli
altri meccanici degli aereo-velivoli
in
fase sperimentale-.
-Suppongo che lei fosse entusiasta di
poter rispolverare i vecchi progetti di Tails- dissi. Lui
annuì con risolutezza.
-Sì, decisamente. Le brillavano gli occhi
mentre mi spiegava cosa aveva intenzione di costruire. E come per
incanto, la
sua personalità logorroica si è risvegliata. Era
da anni che non sbagliava a pronunciare
le parole che diceva in un discorso... sembra che ora abbia
ricominciato-
mormorò. Io ridacchiai, immaginandomi un genio della
meccanica come lei
sbagliare alcune semplici definizioni. Gli errori erano per giunta
accentuati
dalla sua rapida parlantina con quell’accento particolare. ''Oh, Marine...''
sospirai divertita tra me e me
-Cambiando discorso, hai visto Alexis da
qualche parte?-domandai. Shadow scosse la testa desolato.
-No. Ma novanta probabilità su cento si è
alzato qualche ora prima di noi per evitare che lo fermassimo-. Alzai
un
sopracciglio e lo guardai corrucciata.
-Che lo fermassimo dal fare cosa?-
Lui ghignò con un lieve accenno di
divertimento sulle labbra. -Dal fare quel che diavolo gli viene in
mente in
quel momento-.
Alzai gli occhi al cielo, massaggiandomi le
tempie. -Quel ragazzino mi farà impazzire prima o poi. Ma
devo essere sincera:
mi piace la sua intraprendenza-.
Shadow rise ironico. -Certo, nel fare solo
ed esclusivamente quello che gli piace è intraprendente,
giusto- ridacchiò.
Parlare di Alexis mi fece venire in mente un altro argomento che in
questo
periodo mi tormentava. ‘’Althea’’.
-Come starà la nostra principessa?- dissi,
aspettandomi una risposta vaga, del tipo: Sono certo che stia bene.
-Althea? Sappiamo di poterci fidare di lei,
e siamo entrambi consapevoli che Sonic è un tipo molto
aperto. Lo sarà anche
davanti alla superbia di nostra figlia. Sono convinto che lei si stia
sentendo
a suo agio-.
Tendevamo a comportarci fieramente, a mostrarci
indifferenti… ma Althea
mancava a tutti e due, ogni giorno, e lo stesso valeva anche da parte
del fratello.
La nostra conversazione fu interrotta da un
improvviso strillo di una guardia. -Aprite il portone!-
-Non è necessario, passo per l’altro
l’ingresso-
sentii dire da qualcun altro, e vidi la porticina di mezzo aprirsi.
Apparve un
ragazzo di circa trent’anni che si inchinò
rapidamente.
-Vostra maestà, è appena arrivata una
guardia che dice di arrivare da lontano e di dovervi riferire
personalmente una
notizia importante- ci spiegò.
-Va
bene, fatela passare. Accompagnatelo verso la sala del trono. Lo
riceveremo
subito- disse Shadow.
Lo guardai con una lieve preoccupazione
dipinta sul volto. -Cosa può essere successo di
così importante?- domandai, più
a me stessa che a lui.
-Non sappiamo nemmeno da dove provenga la guardia,
se è una dei nostri o di uno stabilimento esterno.
È ovvio che lo scopriremo solo
quando sarà qui- mormorò in risposta.
Udimmo delle persone che discutevano
concitate tra loro. -Aprite il portone!- dissero nuovamente.
-Levatevi di mezzo!- urlò una voce maschile.
La stessa porta di prima si aprì di scatto, tanto da
sbattere contro la
superfice retrostante, producendo un tonfo secco.
-Vostra maestà!- strillò una giovane guardia,
probabilmente appena oltre i vent’anni, che corse verso di
noi in modo
concitato e goffo, quando all’improvviso si fermò,
inciampando su sé stesso.
-Vostra maestà- ansimò nuovamente, cercando di
riprendere fiato.
Aveva gli occhi sbarrati per l’agitazione e il pelo arruffato
e piuttosto
sporco. Doveva aver affrontato mille insidie per poter raggiungerci fin
lì. Parlai
io per prima. –Da dove vieni, recluta?-
Alzò con timore gli occhi. -Tempio del
blocco delle isole Nord-est, mia regina-.
-È un viaggio lontano. Cosa ti porta qui?-
-A...ancora non posso credere di essere
arrivato vivo, sono tre giorni che viaggio… il tempio ha
subito un attacco. Non
ci sono state vittime o danni ma… hanno rubato la reliquia-.
Sentii il sangue
defluire dal volto e il cuore perdere un battito.
Shadow si raggelò. -Hanno rubato lo
smeraldo?- sussurrò. Era visibilmente spaventato, e potevo
capirlo benissimo. I
suoi occhi riflettevano quelli di un uomo che, per la prima volta, si
trova ad
affrontare un nuovo tipo di sfida. Shadow era un Re che fino a quel
momento
aveva dominato solo in tempo di pace. Qualunque cosa stesse succedendo,
dovevamo capire di più. E agire immediatamente. Shadow si
sforzò di sbloccarsi
dallo shock iniziale, e pose una domanda al messaggero.
-Ci sono degli indizi su chi potrebbe essere
stato? Qualsiasi cosa, anche la più elementare-.
-Dardi. C’erano dei dardi soporiferi. Come
ho già detto non ci sono state vittime, signore-. Shadow
sembrò leggermente
sollevato dall’assenza di spargimenti di sangue, ma sapevamo
entrambi che tutto
quello che era successo era grave, e avrebbe potuto peggiorare di
minuto in
minuto se non avessimo fatto qualcosa.
Shadow inspirò profondamente, cercando di
mantenere il controllo. -Guardie! Portate questo ragazzo in infermeria
e
dategli qualcosa da mangiare. Sei congedato-ordinò.
-Grazie, sua maestà-.
Vidi
Shadow avvicinarsi al suo trono, e sedercisi sopra lasciandosi cadere
pesantemente. Si mise una mano in fronte per poi stropicciarsi gli
occhi.
-Shadow…- sussurrai con un fil di voce.
-Convochiamo il Consiglio. Immediatamente-.
***
???
-Basta!
Vi prego, basta!- singhiozzai, coprendomi il volto con le mani per
cercare di
difendermi dai calci e dai pugni che stavo ricevendo. I bambini intorno
a me
ridevano, godendosi pienamente la scena patetica davanti ai loro occhi.
-Per
favore, lasciatemi stare!- urlai, sperando che qualcuno mi sentisse. Uno
dei
cinque ragazzi, un gatto dalla pelliccia marrone scuro e rada mi
spintonò,
facendomi cadere su un mucchio di sacchi della spazzatura ammucchiati a terra.
-Perché?
Ci stiamo divertendo così tanto noi due…-
mormorò. Mi tirò le penne sulla
testa, costringendomi a guardarlo. -Non è vero?-
Singhiozzai
forte, cercando di non pensare a tutto quello che stava succedendo...
di nuovo.
Mi rannicchiai a terra, coprendomi la testa e serrando gli occhi. -Ma
che fai?-
ridacchiò il gatto, soddisfatto della mia sottomissione.
-Ehilà?
C’è qualcuno?- sentii dire. Ma non era uno dei
bulli che mi stavano picchiando
in quel momento. Nel vicolo in cui stava accadendo il tutto,
risuonarono dei
passi che si avvicinavano, lenti ma sicuri. Si fermarono
all’improvviso.
-Cosa
state facendo?- ringhiò lo sconosciuto.
-Vattene
moccioso- sputò il ragazzo che torreggiava su di me.
-Moccioso?!
Come osi!-urlò il nuovo arrivato in preda ad una furia
cieca, e potei percepire dai suoi
passi che iniziò a correre verso di loro. Aprii per un
secondo le palpebre e
notai che il bambino attaccò subito il più
massiccio tra i ragazzi presenti. Mi
ricoprii subito gli occhi. Ero terrorizzato all’idea che si
stessero solo
contendendo la preda tra loro, quindi cercai di non pensare affatto.
Era buio
tanto davanti ai miei occhi quanto nella mia testa. E in quel buio
riecheggiavano
i colpi che si stavano dando in quel momento i ragazzini davanti a me.
A un
certo punto riaprii nuovamente gli occhi, e vidi il nuovo arrivato
messo al
muro dal mio aggressore. Nonostante questo, il bambino non sembrava
spaventato.
Guardò il suo avversario con aria spavalda e gli disse
qualcosa.
-Di’
la verità, i tuoi genitori ti picchiano quando arrivi a
casa, non è vero? Quasi
quasi li capisco-. Gli sputò in faccia e lo
colpiì immediatamente con una testata, e io serrai
immediatamente
le palpebre, per poi sentire quei ragazzini che mi avevano attaccato
poco prima
mentre esprimevano il loro terrore.
-Che gli
succede?! Ha preso fuoco!- urlò uno di loro. Sentii la
temperatura aumentare, e
avvertivo uno strano sfarfallio davanti agli occhi.
-Andate
via!- gridò. E la situazione sembrò calmarsi.
Avvertii dei passi avvicinarmisi molto
lentamente.
-Ehi,
se ne sono andati-. Non capii subito cosa stesse succedendo.
Ma… mi sembra di ricordare
che lui cominciò a darmi dei calcetti leggeri sulle braccia.
-Ehi,
specie di... feto. Puoi rialzarti, forza-. Aprii lentamente gli occhi,
e vidi degli
stivaletti neri adornati da fiamme gialle. Alzai gli occhi e mi prese
un colpo.
Quello che mi si parava davanti era uno strano bambino dagli occhi di
due
colori diversi, completamente ricoperto di fiamme. Cominciai a gridare
senza
controllo e strisciai all’indietro, preso dal panico.
-Ehiehiehi,
stai calmo! Che diavolo ti prende?- mi domandò, sorpreso.
Raggiunsi la fine del
vicolo, ma ero talmente preso dal panico che continuai a strisciare
ancora per
qualche momento.
-Diamine,
stai calmo, non puoi strisciare oltre il muro. Ho appena impedito che
ti
cambiassero i connotati. Gratis per giunta. Si può sapere
che ti prende?- Gesticolando,
alzò la mano, ancora in fiamme e girò lo sguardo
verso di essa.
-Oh,
ora ho capito. Scusa, a volte tendo a dimenticarmene-. Fece
un breve sospiro e le fiamme intorno a lui si diradarono molto
velocemente, fatta
eccezione per qualche fiammella sulla sua testa che spense prontamente
scompigliandosi le spine.
Lui
sorrise. -Visto? Non sono uno spirito infernale. Ora posso aiutarti ad
alzarti-. Ero più tranquillo, ma sempre piuttosto incredulo.
Lui
sospirò snervato. -Non sei un tipo che parla molto, vero?-
Deglutii
a fatica, cercando di fissarlo negli occhi. -…Che cosa sei?-
chiesi.
-Una
persona molto speciale. E c’è qualcuno a casa che
mi chiama scherzo della
natura. Però il mio nome è Alexis. E tu come ti
chiami?- Mi porse la mano, ma
avevo paura a stringergliela per il timore che scottasse o che
riprendesse di
nuovo fuoco. Si sporse leggermente verso di me, sussurrandomi qualcosa
con un
sorriso stampato in faccia.
-Di
solito a questo punto mi dovresti dire il tuo nome-.
Presi
coraggio e gli afferrai la mano con forza. -Galis-.
***
Alexis
Una giornata stupenda per ciondolare. Non lo
facevo spesso, quindi valeva la pena approfittarne quando potevo.
-Non fare rumore…- sussurrai a Galis, mentre
ci nascondevamo in un cespuglietto nel bosco ad osservare un branco di
Dromidi.
-Lo sai che finirà male, non è vero?-
mormorò insicuro.
Io ghignai. -È quella la parte migliore…- Il
giovane pappagallo dalle piume candide e bianche mi osservò
con i suoi occhi di
un azzurro ghiaccio, scuotendo rassegnato la testa.
-Non c’è nulla di più pericoloso di un
branco di quegli uccellacci arrabbiati- borbottò.
-In teoria anche tu sei un uccello, quindi
ti sei appena reso colpevole di aver alzato un offesa alla tua etnia. E
comunque
sì, è pericoloso e divertente- risposi. Galis
fece una smorfia di insicurezza
mista a puro terrore. Guardai molto attentamente il mucchio di foglie
secche
che avevamo accumulato e compattato poco prima.
Preparai il pollice e il medio. Avevo gli
occhi fissi al centro di quel branco, e schioccai le dita. Il mucchio
di foglie
esplose, con scintille che si sparsero ovunque, spaventando quel branco
di
animali. Alcuni di loro scivolarono sul posto e cominciarono a correre
da tutte
le parti. Purtroppo ci sono rischi nel fare queste cose, e uno di loro
travolse il
cespuglio in cui eravamo nascosti, sbalzandoci qualche metro lontano da
esso e
scivolando proprio in mezzo a noi, raschiando sul terreno.
Dopo esserci ripresi un attimo dalla botta
cominciammo a ridere entrambi sonoramente, mentre quel grosso rapace si
rialzava, allontanandosi il più possibile con la sua goffa
andatura.
Mi
misi una mano sulla pancia cercando di placare le risate. -Smettila di
ridere…
è finita male- ansimai, cercando di riprendere fiato.
-Sì sua maestà. Ok, il momento alto della
giornata è passato. Che si fa ora?- mi chiese Galis in tono
ironico.
-Il tuo
momento alto è finito, il mio deve ancora iniziare. Devo
dare un’occhiata alle
scartoffie oggi- ghignai.
Lui scosse con noncuranza le spalle. -Non
sei l’unico. Marine ha chiesto il mio aiuto per questo
pomeriggio-.
-Nel tuo giorno libero?-
-Nei miei
giorni liberi. Mi ha chiamato anche per domani, e non posso ritardare,
quindi
torniamo a casa-.
Io
annuii, alzandomi dal suolo e porgendogli la mano per aiutarlo ad
alzarsi. Ci incamminammo quindi per la strada di
ritorno verso Flaritas.
Galis era un tipo che sapeva intrattenere.
Gradevole con chiunque, caparbio, educato, molto intelligente. Non
c’era una persona che
stando vicino a lui, non importava quanto, non si sarebbe divertito.
Era il
primo ed unico erede di una famiglia medio-borghese che si occupava
della
produzione di stoffe. La stessa famiglia reale, da varie generazioni,
acquistava
i loro prodotti in massa. Attualmente la Società di famiglia
nuotava in cattive
acque, soprattutto a seguito del fatto che la Famiglia reale aveva
tagliato gli
acquisti da un po’, sia per concentrarsi su affari di stato,
sia per il recente
aumento della tassazione imposta ai sudditi. Non si voglia mai che il
popolo
sia infastidito nel vedere i loro signori fare grandi acquisti mentre
loro
devono tirare la cinghia. Risultato: le vendite e la qualità
della stoffa
crollarono.
E Galis ebbe l’esigenza di trovarsi un
lavoro per aiutare la famiglia ad arrivare alla fine del mese.
Così, all’età di
circa dodici anni, implorò Marine di permettergli di
lavorare con lei,
sostenendo di poterle essere di aiuto in laboratorio. E Marine
accettò. Così Galis
diventò suo apprendista, e contemporaneamente studiando da
autodidatta, appassionandosi
particolarmente alla storia e alle lingue antiche e imparando inoltre
meccanica e ingegneria. Aveva solo un unico difetto: non aveva mai
imparato a
combattere da solo le proprie battaglie.
E non era bravo a trattare con le ragazze,
tra i dettagli.
-Oggi passerò la giornata in officina.
Domani credo che riuscirò a fare un salto in biblioteca-
spiegò Galis. Alzai lo
sguardo, e notai che oramai eravamo arrivati davanti a casa sua.
Strano. Non me
n’ero neanche accorto.
-Ok. A domani allora-. Gli feci un cenno con
la testa, salutandolo, e mi avviai per la strada verso il castello.
Non ci volle molto per attraversare la ormai
crepuscolare città e tornare a casa. Non avevo ancora visto
i miei genitori
quel giorno, e mi chiedevo come stessero. Ordinai di aprire le porte, e
le
guardie, come sempre con riverenza, mi fecero entrare. Una volta
dentro,
tenendo alto il portamento e camminando con fare deciso, mi mossi in
direzione
opposta alle persone che attraversavano il vasto corridoio centrale.
Ero diretto alle mie stanze, pronto per
qualche ora di studio intenso. Mentre marciavo con passo spedito,
incrociai lo
sguardo di due avvenenti fanciulle. Loro ricambiarono la mia occhiata,
lanciandomi dei sorrisi maliziosi. Erano probabilmente le figlie di
qualche
nobile di corte, visto il loro
modo di
comportarsi. Heh, la mia tipica routine. Mi succedeva spesso di
ricevere tali
ammiccamenti dal gentil sesso. Strano… non ero una
così brava persona, dopo
tutto. Ma forse le nobildonne non guardano queste cose. Entrai nella
mia
stanza, e subito notai l’enorme cumolo di libri ammucchiati
sul letto e sulla
scrivania. Mi sedetti davanti a quest’ultima, afferrando il
manoscritto che
avevo iniziato a sfogliare qualche giorno prima e cominciando a
leggerlo.
‘’Leggere?
Per imparare cosa? I compiti di un re? Quello
che non potrai diventare? Te lo ricordi… vero?’’
Era quello il nocciolo della questione: cosa
volevo diventare e quello che non potevo essere. Potevo avere
tutto… ma per
quanto lo avessi voluto, non sarei mai asceso al trono. E la cosa mi
faceva
infuriare.
Mia sorella aveva il privilegio di poter
diventare sovrana dell’intero regno… eppure non
era felice. Anzi, odiava il
fatto di dover diventare una regina. Lo capivo dal modo in cui si
irrigidiva
quando si parlava si successione, di governare… e dalla
paura che le si leggeva
nello sguardo quando si nominava la sua Incoronazione imminente.
Ma nonostante fossi a conoscenza del suo
odio per quel ruolo, ero invidioso. E arrabbiato. A lei non gliene
importava
nulla di diventare regina, mentre io avrei dato qualsiasi cosa pur di
essere al
suo posto. Ma la mia rabbia celata non era rivolta solo verso di lei.
Anche i
miei genitori erano compresi nel pacchetto. Cosa avevano fatto finora
oltre che
rispettare per filo e per segno le tradizioni?
E per
sfogare la tensione usavo qualsiasi
cosa a mia disposizione: lo studio, le ragazze, combattere…
oh, sì. Combattere.
Il migliore antistress che esista. Cosa c’è di
meglio di cogliere di sorpresa
qualche gruppetto di ladri e banditi, o ancora meglio, di pirati, e
massacrarli
uno ad uno? Lanciare i propri uomini all’attacco e
confondersi nella mischia.
Gli zampilli delle mie fiamme che volteggiano ovunque e le urla dei
miei
avversari mentre ne vengono avvolti, il suono delle spade che si
colpiscono, il
sangue che si sparge nel campo di battaglia, non importa se nemico o
amico, il
calore che si espande ovunque… lì sono davvero un
re. Ma un re non può solo
uccidere per essere considerato tale. Quelli sono gli assassini.
E per quello che mi riguarda, questo è tutto
ciò a cui posso aspirare.
Se la mia ira è destinata a permanere, i
miei avversari bruceranno con essa.
Sempre.
***
Amethist
Atterrai con grazia sul pavimento del
negozio, non emettendo alcun suono.
Lasciai socchiusa la finestra del negozio in cui mi ero
appena
intrufolata, avviandomi nella stanza principale della gioielleria.
‘’Perfetto’’.
Appena varcai la soglia della porta, mi
apparvero davanti decine di vetrine contenenti gioielli di tutti i
tipi.
Sorrisi lascivamente, mentre mi incamminavo cautamente verso una di
queste. La
luce lunare rimbalzava contro le miriadi di pietre preziose del negozio
riflettendosi sulle pareti circostanti.
Mi avvicinai rapidamente, ma cautamente, ad
una delle vetrine contenente il diamante più grosso e bello
tra i presenti,
chinandomi e preparandomi ad alzare il doppio vetro. Un improvviso
trillo acuto
mi colpì i timpani, facendomi balzare il cuore. Tutte le vie
d’uscita furono
serrate improvvisamente da delle sbarre di sicurezza.
‘’No!’’
urlai nella mia mente. Tirai un calcio alle sbarre, sapendo
perfettamente che
non avrebbe sortito alcun effetto. Corsi velocemente verso la finestra
da cui
ero entrata, ma ritrovai anche questa bloccata.
-Stiamo
scherzando?!- E poi l’improvviso suono delle sirene della
Polizia si fece
strada nelle mie orecchie…
Poco dopo, mentre mi trovavo nella cella del
penitenziario, ciondolavo e tentavo di combattere la noia mentre
aspettavo.
-Vedo che hai fatto progressi, Amethist- mi disse il commissario,
appena
tornato da un’indagine importante svolta nel Nord-Est di
Mobius. -Non eri
ancora arrivata al punto di
rimuovere il vetro senza far scattare qualcosa.- ridacchiò
con tono di superiorità
e saccenza.
-Lei è un vero gentiluomo, Osman. Com’è
andato il lavoro per cui è stato via per giorni?-
-Heh, ti ricordo che sei una ladra, non
dovresti avere tutta questa confidenza con noi- rispose freddamente.
-Al contrario: nessuno, più di me, dovrebbe
conoscere un uomo di legge da vicino-. Mi guardò male dopo
che ebbi finito la
frase.
-Ohh, la prego…- mormorai, facendo gli occhi
da triglia. Lui si gratto la testa, scocciato.
-Beh… diciamo che è successo qualcosa di
preoccupante, e che qualcuno di molto importante, di conseguenza si
è preoccupato-.
-Così preoccupato da richiamare il commissario
dalla sperduta Sea’s Jewel Town per investigare?-
-ORA stai scavando troppo a fondo. Comunque,
non ero l’unico laggiù. Era pieno di investigatori
provenienti da ogni parte di
Mobius-. La conversazione si concluse quando sentimmo il campanello
suonare,
poiché sapevo esattamente chi era arrivato.
***
Guardai il paesaggio scorrere davanti ai
miei occhi, mentre l’auto di mia madre avanzava velocemente
sulle strade.
-È la terza volta questo mese. Devi
smetterla. Spendiamo di più per pagarti la cauzione che per
mantenerti- ringhiò
inviperita mamma. -Se credi che continueremo così per
sempre, ti sbagli. In
più non hai ancora la più pallida idea si cosa
vorrai fare in futuro. Hai quasi
diciott’anni, mi sembra ora di darsi una mossa-
continuò. Sospirai frustrata,
non degnando di uno sguardo le figure dei miei genitori nei sedili
davanti.
Mamma mi guardava occasionalmente dagli specchietti retrovisori, per
poi
riportare lo sguardo sulla strada e continuando a guidare.
-Gradirei una risposta- sputò lei. La
guardai con rabbia.
-Vuoi una risposta? Va bene. Chi sei tu per
poter giudicare quello che faccio? Mia madre è stata la
ladra più abile degli
ultimi cinquant’anni, e hai il coraggio di criticare me?-
dissi, la voce cupa per
la rabbia.
Rouge ridacchiò sarcastica. -Abile,
hai detto bene-.
Papà fece una smorfia con il viso. -Questa
era crudele- mormorò. Serrai i pugni, cercando di ignorare i
loro commenti.
-Non ho intenzione di continuare questa
conversazione- sibilai, incrociando le braccia e riportando lo sguardo
sul
paesaggio.
***
Osservai l’immensità del cielo notturno,
puntellato
di stelle. Appoggiai il volto tra le mani, seduta a gambe incrociate al
limite
di una delle scogliere di Angel Island.
I miei genitori non riuscivano a capirmi.
Nessuno lo faceva pienamente. Ero sempre stata indecisa su quello che
avrei
voluto fare nel futuro. Mio padre mi spingeva nella direzione per
diventare la
nuova guardiana del Master Emerald, mentre io… apprezzavo
anche il lavoro di
ladra, ecco. Ero divisa tra due fuochi, completamente terrorizzata da
quello
che mi avrebbe riservato il futuro se non avessi fatto una scelta.
Era come se mi sentissi sola, abbandonata,
lasciata a vivere autonomamente la mia vita anche se non avevo la
minima idea di come
fare. Volevo avere
una guida, qualcuno
che scegliesse al posto mio la direzione giusta da seguire. Da anni
desideravo
l’esistenza di un potere superiore che guidasse le nostre
volontà e decisioni,
così nessuno sarebbe stato responsabile di ciò
che avrebbe commesso, e io avrei trovato la pace. Ma
se così non fosse stato? Se davvero noi fossimo i soli
artefici della nostra sorte?
Avevo paura delle conseguenze delle mie scelte. Diventare una guardiana
per
proteggere l’equilibrio a costo della mia libertà.
Diventare una ladra, per
scegliere la direzione da intraprendere ogni secondo della mia vita,
lasciando
incustodito un potere in grado di mettere in pericolo ciò
che amo. Che senso ha
essere liberi se poi il futuro ti riserva solo rimorso?
Le mie riflessioni furono interrotte da una
strana luce rossiccia sul mare. Corrucciai le sopracciglia, sporgendomi
dalla
scogliera e cercando di capire cosa fosse. Potevo intravedere una
strana,
enorme sagoma che ondeggiava sulle onde. ‘’Ok.
Questo è strano.’’ Provai una
profonda curiosità per quello che avevo
appena visto. Mi guardai intorno, cercando di capire se i miei genitori
fossero
nei paraggi. Probabilmente erano andati a dormire.
Sentii sorgere un sorriso sbarazzino sulle
labbra mentre mettevo una gamba nel vuoto, pronta a saltare. ‘’È tempo di
divertirsi.’’
***
Ero in volo ormai da una ventina di minuti,
mentre solcavo i cieli notturni nei paraggi di Angel Island, belli ma
inquietanti nella loro vastità.
Man mano che mi avvicinavo, notavo che la
sempre più chiara sagoma era quella di una grossa nave, la
cui verniciatura rossa
scura le permetteva stranamente di mimetizzarsi con il mare ed i cieli
notturni… peccato per la presenza di una luce lampeggiante
che mi aveva
permesso di notarla.
Una volta sopra ad essa, abbassai sempre di
più la quota di volo, fino ad atterrare sull’ampio
ponte di camminamento. Mi
guardai incuriosita intorno, cercando la presenza di qualcuno nei
paraggi. Non
c’era l’ombra di nessuno in vista, ma optai per
mantenere comunque un basso
profilo e di trovare in fretta un nascondiglio.
La nave sembrava come
inattiva, in balia
delle onde, quasi come se fosse stata abbandonata. La visione mi
inquietava: ero sul
ponte di una nave potenzialmente abitata da sconosciuti, circondata dal
buio
della notte e dal mare, in cui il riflesso nero del cielo si estendeva
all’infinito. Notai, una decina di metri davanti a me, una
cabina con una
porta di legno massiccio, e decisi che quella mi avrebbe fatto da
ingresso. Di solito non era nel
mio stile entrare dalla porta principale, ma la situazione era
particolare, e
richiedeva misure particolari. Davanti all'entrata,
mi abbassai per controllare dalla
serratura se ci fosse qualcuno, ma le mie paure si rivelarono
infondate. Girai
il pomello dorato, che contro ogni mia previsione, mi rivelò
che non era stata chiusa a chiave. Entrai molto cautamente. Davanti a
me vi era solo una rampa di scale schiacciata
da due strette pareti, i cui muri cominciavano a perdere la vernice
bianca,
rivelandone l’intonaco. Il tutto era illuminato
da una serie di applique situate ai lati del muro.
Una volta scesa e arrivata in un corridoio
discretamente largo, notai che i muri, tappezzati di uno strano giallo
senape e
anch’essi illuminati da luci artificiali, erano in perfetto
stato al contrario
di quelli della scalinata. segno che la nave poteva non essere
disabitata, a
dispetto di ciò che pensavo. Non sentivo vibrazioni o
dondolii di alcun genere,
quindi dedussi che la nave era ferma, per qualche motivo a me sconosciuto. La
curiosità di scoprire qualcosa in più di
quel posto era mitigata dal mio terrore di essere scoperta, anche
perché
stavolta non credo che sarebbe semplicemente arrivata la polizia ad
arrestarmi.
Mi muovevo con cautela, attenta a non destare sospetti o provocare
rumori. Nel corso della sua lunghezza, ai lati
del
corridoio erano presenti varie porte che destarono il mio interesse.
Mi
accertai, come avevo fatto poco prima,
che non ci fosse nessuno dall’altra parte della soglia,
controllando dalla
serratura. Ruotai il pomello della prima porta, notando con stupore che
era
aperta, evitandomi il lavoro di scassinarla con il mio grimaldello. La
stanza
in cui entrai era vasta, ma piena di scatole di legno e sacchi,
rendendo quel
posto quasi un labirinto. Le scatole erano chiuse ermeticamente,
rendendomi impossibile controllarle senza doverle distruggere.
Adocchiai i sacchi, ci
infilai una mano dentro e ne tirai fuori una manciata di quelli che
sembravano fagioli.
Ero evidentemente
penetrata nella stanza delle provviste. Quei legumi erano freschi,
presi da
poco, quindi era praticamente certo che quella nave non fosse
abbandonata. ‘’Oppure
è successo qualcosa di strano.’’
Pessima notizia.
Uscii rapidamente dalla stanza, dirigendomi
verso una delle altre porte. Questa volta, il luogo in cui entrai era
una larga
sala, anche questa con numerosi sacchi sparsi per tutto il pavimento.
Appoggiati su delle mensole, si trovavano numerosi cofanetti di vari
colori. Ne
aprii lentamente uno, e sussultai. Era pieno di pietre preziose di ogni
tipo.
Ne aprii un altro, trovandoci dentro delle perle.
‘’Oh
mio Dio… trattieniti Amethist. Non cedere alla
tentazione.’’ In che diavolo
di posto ero finita? Cercai di distogliere la mia attenzione da quelle
dannatamente allettanti scatoline, aprendo uno dei sacchi.
-Non… è… possibile…-
sussurrai incredula. –È stracolmo di
ring…-
Mi sentii tremare le gambe per l’emozione, ma decisi che
sarebbe stato molto meglio se me ne fossi andata via da quella camera.
Immediatamente.
Uscii e mi richiusi delicatamente la porta dietro le spalle. Una volta
fuori da
quella che poteva benissimo essere una sala del tesoro, e mentre mi
accingevo ad
entrare in un’altra stanza ignorando l’emozione che
stava cominciando a prevalere
sulla mia curiosità, notai sul muro alla fine del disimpegno
quella che
sembrava una tavola da surf. Aumentai il passo, decidendo che quella
sarebbe
stata la mia ultima scoperta della serata prima di darmela a gambe. Ero
stata
già abbastanza fortunata.
Da vicino, il mio sospetto fu confermato: erano proprio
tavole
da surf, disposte in riga, tutte di colori diversi, che andavano dal
giallo al
rosso, e dal bianco al nero. Però erano strane. Quando ne
presi una viola in
mano, la girai dal verso opposto, e notai che sembrava avere
incorporata una
specie di marchingegno simile ad un propulsore proprio sotto di essa.
Poi
qualcosa mi spaventò: il rumore di passi che si avvicinavano
dalla direzione
opposta rispetto a quella in cui ero arrivata. Se fossi restata
lì mi avrebbero
notato subito. Feci per rimettere subito la tavola al suo posto,
quando, per la
fretta, questa mi cadde per terra, facendo un gran rumore. I passi, da
lenti,
si fecero molto rapidi, segno evidente che mi avevano sentita. La
raccolsi, ma
notai con spavento che era cambiata. Il congegno sotto la tavola si era
illuminato di una strana luce azzurrina, emettendo inoltre un forte
suono,
simile a quello di un motore che si accende. ‘’Oh,
andiamo!’’
Pestai la tavola con violenza, cercando di
far cessare quel rumore assordante.
-Chi è là?!- urlò una voce molto scura
e
roca. Mi sentii prendere dal panico mentre contemporaneamente
continuavo a
colpire con i piedi quella sottospecie di skateboard.
-Andiamo!- ringhiai, dando un ultimo e
potente colpo. La tavola schizzò in avanti
all’improvviso, con il mio piede
ancora sopra di lei. Iniziò a trascinarmi con lei ad una
velocità inaudita. Mi fece
sbilanciare, e istintivamente mi venne di afferrarla con le mani. Ero
aggrappata
ad un oggetto del quale non conoscevo il funzionamento, che correva con
una
rapidità spaventosa. Cercai con fatica di arrampicarmi su di
essa, provando in
ogni modo a non lasciare la presa. Una volta in piedi sopra
quell’aggeggio, riuscii a
stento a mantenere l’equilibrio. Ma se cadevo sarei stata in
balia del
mio inseguitore, quindi dovevo resistere. La mia intenzione era
ostacolata
dalla forma del corridoio, lunga e molto irregolare, che mi costringeva
a
cambiare spesso direzione. Sembrava quasi che la tavola fluttuasse
circa ad un metro di altezza rispetto al pavimento.
Inaspettatamente, me la cavavo piuttosto bene, tanto che quando ripresi
la
calma, mi girai velocemente per controllare la situazione dietro di me.
Non
vidi nessuno. Purtroppo non notai che il corridoio davanti a me era
terminato,
parandomi davanti uno spesso muro. Non feci in tempo a cambiare
direzione, e
sbattei violentemente contro la parete, cadendo dal mio mezzo di
salvezza e
crollando pesantemente sul pavimento.
Mi
massaggiai la testa dolorante, sedendomi
a fatica con la schiena contro il muro. ‘’Dove
sono finita?’’
-Cosa sta succedendo?!- sentii strillare.
Alla fine del corridoio apparve una figura alta e snella.
-Cosa…- mormorò, avvicinandosi a passo
svelto verso di me. Soltanto quando mi fu più vicina notai
che era una rondine
di un viola scuro. Indossava una canottiera bianca e dei pantaloni
attillati
dello stesso colore. In testa portava degli occhiali da sole arancioni.
Volse
una veloce occhiata alla tavola di fianco a me, prima di guardarmi
minacciosa e
di afferrarmi per le spine della testa, costringendomi ad alzarmi.
-Tu, vieni con me- ringhiò infuriata.
-Lasciami! Chi ti credi di essere?!- urlai.
Mi trascinò con rudezza per alcuni minuti, e se osavo
rallentare il passo lei
mi strattonava i capelli. Ci fermammo improvvisamente davanti a una
porta,
stranamente isolata dalle altre.
-Jet!- urlò la rondine irrompendo nella
stanza. Per colpa della sua mano che mi teneva per i capelli tenetti
per la
maggior parte del tempo la testa abbassata, ma nei pochi attimi in cui
riuscii
a controllare la situazione vidi un grosso volatile grigio accanto ad
una
scrivania, dietro alla quale era seduto qualcuno che non
riuscì a riconoscere,
visto che la sedia era girata verso la grossa vetrata che dava
all’esterno. La
stanza era ben addobbata, e sopra la scrivania, attaccato alla parete,
c’era un
affresco ritraente uno strano individuo, forse un falco.
–Uff… che succede
Wave?-
-Abbiamo un problema-.
-Wave… lo sai che questa è l’ora di
siesta
del capitano. Ho guardato scartoffie tutto il giorno...- le rispose una
voce
scura ed annoiata
-Nascondendoci dentro quale fumetto?-
ringhiò la donna.
-Dio… Storm, diglielo tu che non voglio
problemi-.
-Il capo non vuole problemi- disse quello
che sembrava il suo aiutante. –Grazie, Storm.- Rispose
nuovamente quello che
probabilmente era
il leader.
Sentii una stretta molto più decisa sui miei
capelli da parte della rondine. -Storm, di' al capo che
abbiamo un intruso-.
-Capo, abbiamo un in… come?-
La sedia si girò velocemente quando il tizio
non troppo sveglio si interruppe. Dei passi si avvicinarono lentamente
a me.
Alzai lo sguardo, titubante. Un falco alto e dalle piume verdi mi
fissava
stoico. Uno dei suoi occhi era completamente bianco, attraversato da
un’evidente
cicatrice.
-E chi sarebbe questo
‘’intruso’’?- chiese
lui ironico, avvicinando di colpo il volto a me e scrutandomi divertito.
-Non ne ho idea. Ma stava rubando i nuovi
Gear- rispose lei.
Sbarrai gli occhi. -Cosa?! Io non volevo
rubare niente! E poi non ho la più pallida idea di quello di
cui state
parlando!-
-E ne ha distrutta una- continuò Miss ”mi
piace tirarti per i capelli”.
Il falco sospiro pesantemente, scuotendo
esasperato la testa. -Quale?-
-Quella con il nuovo
prototipo del propulsore a cuscino
d’aria-.
Quello strano uomo si prese la testa fra le
mani. –No, quella no! Avevo appena comprato degli adesivi per
decorarla!-
mormorò disperato.
Osservai per qualche momento quel trio prima
di prendere parola. –Non sono venuta qui per rubare,- dissi
con un filo di
voce. –Ero soltanto incuriosita dalla luce che avevo visto in
lontananza.
Voglio solamente tornare a casa-.
Il falco sembrò calmarsi, e mi guardò
divertito. ‘’Oh, non ti
preoccupare.’’
-Ci tornerai,- affermò. –ma solo quando i
tuoi genitori avranno pagato un riscatto tale da ripagare
l’equivalente di
cinque o sei modelli di quella tavola che hai distrutto-.
Ghignò. –Spero che tu
sia di buona famiglia-.
Sentii un brivido attraversarmi la spina
dorsale. ‘’Perfetto. Sono
fregata.’’
Il volatile verde tornò a sedersi alla sua
scrivania, posandoci le gambe sopra, aprendo un cassetto e prendendo un
sigaro,
che si mise subito in bocca. –Wave…-
mormorò, per poi sporgere la testa verso
il suo assistente, che subito prese un accendino e glielo accese.
Sputò fuori
una nuvola di fumo.
-…Accompagnala nella stanza degli ospiti.
Credo che rimarrà con noi per un po’ di tempo-.
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Capitolo 17 *** Linee di Confine ***
Linee di confine
Eggman
Scrutai per la milionesima volta le stesse immagini che osservavo
praticamente ogni giorno. Quello stile di combattimento, quella
potenza, tutta quell’incredibile forza distruttiva incanalata
in una singola ragazza…
-Sta studiando i movimenti del nostro nemico, Dottore?- mi chiese
Orbot. Annuii lentamente, non prestandogli molta attenzione.
-Come al solito Sonic, immagino- mormorò.
-Ma cosa stai dicendo?- borbottò Cubot, apparso magicamente
al fianco dell’altro robot. -Si vede chiaramente che non
è lui. La differenza è evidente-. Orbot gli
rivolse un’occhiata scettica.
-Sarebbe?-
-Sonic non indossa il gilet-.
Orbot scosse esasperato la testa.
-Chiudete la bocca entrambi!- sibilai, scoccandogli un avvertimento con
lo sguardo. -Non sto osservando Sonic. Men che meno Dash-. Mi sporsi
verso l’enorme schermata del computer, indicando la gatta
dagli occhi rossi che si muoveva velocemente sul campo di battaglia,
scappando insieme a Dash dall’orda di Badnik che li stava
inseguendo. -Ma lei sì-.
Orbot strinse gli occhi. -La mezza gatta?-
-Esatto. Ha un potere a dir poco spaventoso- dissi. -A quanto pare ha
ereditato le parti migliori dei suoi genitori…-
Cubot mi guardò inquietato. -Crede che potrebbe essere un
problema per il funzionamento del piano?-
-Forse. Dipende tutto da come giochiamo le nostre carte. Potrebbe
essere la nostra migliore amica… o la nostra peggior nemica-.
Cambiai l’inquadratura, sostituendola con
un’immagine che mostrava Althea nell’intento di
colpire un Badnik con una palla di fuoco.
-Ho notato che i suoi poteri sono molto instabili. Penso che se in
qualche modo riuscissimo a spingerla al limite del loro controllo,
potrebbero diventare un' ottima arma di distruzione di massa- affermai.
-È solo un’ipotesi, ma credo che se sprigionassimo
il massimo delle sue potenzialità in una sola volta, si
creerebbe un esplosione così potente in grado di coinvolgere
ogni cosa nel raggio di qualche centinaio di chilometri-.
Orbot fischiò, stupito. -Impressionante-.
-Comunque non sono affari vostri- ringhiai, disattivando il video e le
immagini che stavano scorrendo sui monitor. -In che condizioni siamo
con le Riserve?- chiesi in un ringhio scuro.
Cubot lesse attentamente un documento che si era portato dietro.
-Rimangono esattamente 5683 abitanti delle valli non ancora
trasformati. Possiamo infoltire ancora un po’
l’esercito, Dottore-.
-E a che punto sono le unità di ricerca?-
-Oggi hanno catturato diverse centinaia di Flickies e altre
varietà di animali, ma Green Hill comincia ad avere sempre
meno risorse- disse.
-Dovremmo iniziare ad espandere le nostre zone di ricerca- proruppe
Orbot.
Gli feci un cenno con la testa, accettando la sua proposta. -E come
procede il ‘’Progetto Perdono
’’?- chiesi. I due robot si lanciarono
un’occhiata. -Il soggetto non ha ancora dato prova delle sue
complete potenzialità. Per ora si è solo limitato
a girovagare per varie parti del mondo, escludendo tutte le zone
comprendenti aree urbane maggiori, o sorvegliate dalle truppe
dell’esercito o della G.U.N - disse Cubot.
-Ottimo. Proprio come volevo- ghignai.
-Però,- mi interruppe Orbot -deve sapere che è
stato rilevato molto vicino alle aree di confine delle Green Hill. Di
questo passo potrebbe incappare nelle zone di corsa del porcospino e
della sua famiglia. Dobbiamo impartirgli l’ordine di cambiare
zona per le sue scampagnate?-
Corrucciai le sopracciglia, fissandoli entrambi con aria truce.
-No. Lasciatelo fare.-
Orbot mi guardò, incuriosito dalla mia decisione. -Ha in
mente qualcosa, signore?-
-Era da un po’ di tempo che volevo testare gli strumenti a
mia disposizione, e quest’occasione è perfetta,
soprattutto perché siamo in attesa che le truppe siano
organizzate per il secondo attacco alle basi-.
-Vuole che gli ordiniamo di catturare la ragazza?-
-No. Rischieremmo solo di attirare l’attenzione dei nostri
nemici verso il mio covo di fortuna. È già
un miracolo se fino ad ora siamo riusciti a nasconderci a sguardi
indiscreti. Tra l’altro, attireremmo le ire sia della
famiglia di Sonic che di quella della ragazza. Non siamo ancora pronti
per un approccio così diretto, ci distruggerebbero-.
Cubot allora intervenne. -Allora cos’ha in mente?- Sulla mia
faccia comparve un largo ghigno. Non riuscivo a trattenere un radioso
sorriso. I miei denti riflettevano la luce emessa dai computer. -Fare
un investimento per la nostra causa. Fateli interagire e vediamo cosa
accade. Se vinciamo, elimineremo dei nemici. Se perdiamo, allora
saprò qualcosa in più su di loro-.
-Oppure non succederà nulla…- borbottò
Orbot, disilluso, quasi implicando un inevitabile fallimento dovuto ad
un imprevisto.
L’unico motivo per cui tenevo ancora attivi quei due era
perché mi fidavo di loro, e perché loro
avevano bisogno di me. Non mi avrebbero tradito facilmente.
-Comunque sia, per ora…lasciate scorrere gli eventi-.
***
Dash
Era ovvio che la giornata fosse iniziata fin troppo tranquillamente per
poter continuare così.
-‘’Vado a farmi un giro qui vicino
’’ aveva detto lei- ringhiai sotto il mio respiro.
-‘’Torno tra un po’. Non aspettatemi per
pranzo ’’. Crede davvero che mia madre ci faccia
pranzare senza di lei?!- borbottai tra me e me. Rallentai la mia
camminata, cercando di non farmi notare.
‘‘Dove stai andando?’’ mi
chiesi, osservando Althea mentre marciava a passo spedito verso una
direzione che portava chissà dove, come se avesse scelto il
luogo in cui andare in modo completamente casuale. Aveva
addirittura attivato i pattini ad alta velocità per arrivare
fin qui. Ed è particolarmente difficile seguire una persona
a velocità supersonica senza farsi scoprire.
C’è sempre il rischio di frantumare il muro del
suono.
La cosa strana era che si stava dirigendo proprio al bosco di confine,
rendendomi difficile comprendere le sue vere intenzioni. Voleva forse
andarsene? Dovevo seguirla per scoprirlo.
-So che sei tu. Vieni fuori- disse alzando la voce. Piano B.
-Ok, come diavolo facevi a saperlo?-
-Sapevo di essere seguita. Ma da chi, me l’hai detto tu
adesso- disse, voltandosi verso di me, socchiudendo gli occhi,
mostrandomi il suo sgargiante, ma allo stesso tempo ironico sorriso di
vittoria e gesticolando con la mano destra. Si rigirò subito
dopo, proseguendo per la sua strada.
-A-a-ah!- esclamai, parandomi davanti a lei e fermandola. -Credevo che
dopo averti trovata, la questione sarebbe finita con un
‘’Torniamo pacificamente a
casa’’, non con un
‘’Freghiamocene completamente e continuiamo per la
nostra strada‘’-
dissi. Lei alzò un sopracciglio.
-Levati di mezzo, ho da fare- ringhiò scostandomi
bruscamente con un braccio. La guardai stizzito.
-Mio padre ci ha vietato di allontanarci troppo da casa-.
-Non dimenticarti del perché mi ospitate. Non posso passare
tutte le mie giornate relegata in casa o andando in giro a svagarmi.
Per avere il pieno controllo dei miei poteri devo allenarmi-
sibilò scocciata, le labbra strette in una linea dura e
sottile.
Mi parai di nuovo dinnanzi a lei. -E perché proprio in una
foresta?-
Lei si strinse nelle spalle. -Beh, forse essere circondata da cose che
si incendiano con facilità sarebbe un incentivo per tenere
meglio a bada il fuoco. Quindi mi dispiace, ma devo andare-
mormorò, afferrandomi con forza per le spalle e scostandomi
di lato.
Mossi nervosamente un orecchio, mentre lei si allontanava con passo
incredibilmente silenzioso.
-Ci si può perdere facilmente in quella foresta- dissi,
sperando che almeno quello avrebbe potuto scoraggiarla. Lei si
voltò lievemente verso di me, le spine che le coprivano
parte del volto.
-Questo non è un problema. Ho un ottimo senso
dell’orientamento- rispose, mostrandomi un mezzo sorriso
accompagnato da un’espressione da spaccona.
Mi misi le mani in tasca, guardandola divertito. -Non lo metto in
dubbio. Comunque sia non sono intenzionato a farti andare
là dentro da sola-.
Lei sospirò, alzando gli occhi al cielo. -Che cosa devo fare
per essere lasciata in pace da te?- chiese in un ringhio infastidito.
Ghignai.
-Per prima cosa, io verrò con te-.
-Bene, affare fatto. Andiamo- sibilò scocciata ed
affrettata, prima che la interrompessi.
-Poi…quando torneremo da lì, mi dovrai insegnare
ad usare il fuoco-.
Lei corrucciò le sopracciglia, confusa. -Ma…-
balbettò. Poi, uno sprazzo di divertimento le
attraversò gli occhi. -…e va bene. Ora sbrigati-.
-Sì!- Esclamai tra me e me quando lei si fu girata.
Quindi, ci avviammo verso la selva oscura.
I primi alberi mostravano un ambiente misterioso, una brezza fresca e
leggera ci sferzava contro con dolcezza, mentre la luce solare che
penetrava le foglie ci immergeva nel verde. Già quella
visione, pur gradevole, si allontanava da ciò che
normalmente chi abita nelle Valli si aspettava di vedere. Davanti a
noi però, sembrava che luce si diradasse sempre di
più, e che l’oscurità gradualmente
vincesse la sua battaglia contro i raggi solari. Man mano che i minuti
passavano e che noi ci addentravamo sempre di più nei
meandri della foresta, una strana umidità cominciò ad
appiccicarsi ai nostri corpi, e la nebbia si infittiva, fino a limitare
la nostra visuale a pochi metri davanti a noi. Sembrava essere
diventata improvvisamente notte nonostante avessimo superato di poco
mezzogiorno.
-Adesso capisco il perché di quelle voci che girano su
questo posto- sussurrai, guardandomi intorno. Althea mi rivolse uno
sguardo dubbioso.
-Quali voci?-
-C’è una leggenda secondo cui questa foresta
provenga da un’altra dimensione. È
l’unico luogo in tutta Green Hill in cui si può
trovare la nebbia- spiegai. -In effetti tutto quello che arriva da
un’altra dimensione è tetro e spaventoso-
aggiunsi, punzecchiandola di proposito.
Lei mi fulminò velocemente con lo sguardo. -Dobbiamo trovare
uno spiazzo libero da alberi. Sbrigati- rispose fredda, accelerando
l’andatura.
***
-È da un’ora che stiamo camminando. Come puoi
aspettarti di trovare uno spiano senza ostacoli in una foresta?-
grugnii annoiato. Lei roteò gli occhi.
-Smettila di lamentarti. Stai facendo seri danni al mio sistema
nervoso-.
-Vorrei ricordarti che è per colpa tua se adesso non sono a
casa mia per pranzare-.
Lei sbuffò. -Di certo non ti farà male. Sai, hai
un po’ di roba da smaltire lì- indicò
con il pollice la mia pancia. Spalancai la bocca, fissandola con gli
occhi sbarrati. -Che cosa stai insinuando?- ringhiai. Lei si
fermò di scatto, guardando fisso davanti a sé.
-Tu sei l’ultima che può…Mph!- fui
zittito dalla sua mano improvvisamente pressata sulle mie labbra.
Strinse gli occhi, come se stesse cercando di accertarsi di qualcosa.
-Fai silenzio… e non muoverti…-
sussurrò, muovendo convulsamente un orecchio. La guardai
confuso. E poi li sentii anch’io. Dei passi pesanti
risuonavano ritmici nell’aria, rompendo il silenzio.
Mi voltai velocemente verso Althea, scostando la sua mano ancora
premuta sulla mia bocca. All’improvviso quei passi si
fermarono, ma non vedevamo ancora nulla. Al loro posto, una piccola
luce rossa simile ad un laser si accese, trapassando la nebbia. Non
sembrava pericolosa, ma non sapevamo cosa fosse.
Si muoveva in varie direzioni, sembrando esaminare il posto. Poi
iniziò a dirigersi verso la nostra posizione.
-Abbassati!- mi ordinò Althea, premendomi una mano sulla
testa e tirandomi giù a forza. Il laser passò
sopra di noi, non rilevandoci.
Eppure continuava a muoversi, cercando lì attorno qualcosa.
A volte si avvicinava a noi, altre volte si allontanava. Ad un certo
punto stava quasi per sfiorare l’orecchio di Althea. Lei non
lo aveva ancora notato, quindi dovetti intervenire
-Psss-. Feci per avvertirla, soprattutto indicandole con lo sguardo di
abbassare l’orecchio. Lei sbarrò gli occhi,
abbassandolo velocemente. Potevo chiaramente intravedere la sua paura
nel pensare a ciò che sarebbe successo se fosse stata
sfiorata.
Quando il laser sembrò allontanarsi da noi, iniziammo a
strisciare lentamente lontano da quel luogo. Le foglie secche sul
terreno e i rovi mi graffiavano le gambe, facendomi trattenere a stento
dei gemiti di dolore.
-Sono questi i momenti in cui mi odio per non indossare i pantaloni-
sussurrai, una smorfia di dolore sul volto.
Althea mi guardò in un modo strano. Confusa e…
leggermente disturbata da quello che avevo affermato.
Quando ci fummo allontanati abbastanza, Althea si alzò in
piedi, dandosi una rapidissima spolverata ai vestiti.
-Alzati- sussurrò. Mi fece un cenno con la testa.
-Andiamocene-. Quando feci per scattare, lei si parò in
parte davanti a me. -Non troppo veloce. Non deve sentirci-
specificò.
Io annuii, osservando la sua mano mentre faceva il conto alla rovescia
per la nostra partenza.
-Uno,- mimò con le labbra. -due…-
I suoi pattini iniziarono ad attivarsi. -Tre-. Sbatté il
piede sul terreno per dare un po’di frizione e riuscire a
partire, e iniziammo a correre in contemporanea.
Dopo qualche minuto di corsa relativamente lenta, ci fermammo e
cercammo di riorganizzare le idee.
-Che cos’era?- chiesi spaventato.
-Speravo che tu lo sapessi. Non ne parlano nelle leggende?-
-Mai sentito di uno spettro da queste parti-.
-Quello non era uno spettro…- mormorò lei, con la
tensione che trasudava dalle sue parole, nonostante cercasse di
trattenerla con tutte le sue forze.
-Come fai a dirlo?-
-I fantasmi non sputano raggi a infrarossi. Qualunque cosa fosse, stava
cercando qualcosa, o qualcuno-.
-Personalmente non voglio scoprire il perché. Andiamocene,
prima che ritorni-. Ci guardammo intorno, e sentii salirmi leggermente
il panico.
-… Da che parte è l’uscita?-
Althea deglutì. -Tu non lo sai?- chiese in un sussurro
strozzato.
Reclinai all’indietro la testa, sospirando sommessamente. -E
che fine ha fatto il tuo
‘’straordinario’’ senso
dell’orientamento?-
Lei mi guardò innervosita. -Non è il momento
adesso. Dobbiamo uscire subito da questa foresta-.
Si posò l’indice sul labbro inferiore,
riflettendo. Poi mi guardò decisa. –Corriamo il
più velocemente possibile. Non importa la direzione. Prima o
poi riusciremo ad uscire di qui-.
***
-Tutto questo non è assolutamente possibile!- sbottai.
Avevamo corso con i nostri soliti ritmi, evitando accuratamente il
luogo in cui prima avevamo visto quel laser, ma… non
eravamo riusciti ad uscire da lì.
-C’è decisamente qualcosa che non va-
bofonchiò la gatta. -Avremmo almeno dovuto intravedere la
luce del sole tra gli alberi mano a mano che avanzavamo, eppure non
è così-.
Mi passai una mano tra le spine, scompigliandole nervosamente.
-Senti, i tuoi pattini hanno dei razzi incorporati, giusto?- chiesi,
dopo che mi venne un’idea in mente.
Lei corrucciò le sopracciglia. -Sì,
perché?-
-Puoi utilizzarli anche per volare? Potresti farlo per vedere al di
sopra quegli alberi e trovare la strada da cui siamo arrivati-.
Si irrigidì improvvisamente. -Per volare? Beh,
sì, in teoria… ma…-
bofonchiò, una scintilla di panico nello sguardo. Si
massaggiò nervosamente un braccio.
-Cosa? Qual è il problema?- chiesi incuriosito, notando la
sua reazione. -Ok, sputa il rospo-.
Lei mi guardò esitante, muovendo nervosamente la coda. -Il
fatto è… che ho utilizzato buona parte del
carburante per arrivare fin qui, e rischio di rimanere a secco nel caso
in cui tornasse quel tipo-.
Alzai un sopracciglio, ridacchiando. -Carburante? Diamine, una volta
abbiamo corso praticamente per una giornata intera senza fermarci, e
ora mi dici…- Venni improvvisamente interrotto da uno stormo
di uccelli che volava via, impaurito. Mi prese un colpo, e
istintivamente mi voltai verso la loro direzione per capire cosa fosse
successo.
-Woah… solo uccelli, meno male. Beh, torniamo al discorso di
prima…- Quando mi rigirai, Althea non c’era
più. Mi guardai intorno, da tutte le parti, ma non la vidi.
-Althea?- la chiamai. Nessuna risposta. Sentii il cuore fermarsi di
colpo. -Althea!- urlai, sperando come non mai di averla vicino.
All’improvviso vidi qualcosa cadermi davanti agli occhi,
spargendosi sul terreno. Era una goccia di uno strano liquido nero e
denso. Ne cadde un’altra. Alle mie spalle sentii il rumore di
vari sgocciolii. Mi voltai. Dai rami degli alti alberi stava
sdrucciolando lentamente una sostanza nera e disgustosa, che andava a
posarsi per terra. Una lieve brezza, simile a quella di quando ci
trovavamo all’entrata della selva, solo più calda
e afosa, si ripresentò. Ma stavolta non era la pace il
messaggio che mi portava. Se prima la foresta era buia, almeno ero stato in grado di vedere gli alberi in lontananza. Ma adesso, sembrava quasi che
quel vento, come un respiro oscuro, trasportasse il buio della foresta
tutto attorno a me. Potevo intravedere solo le piante poco
distanti, mentre tutto il resto era coperto da una tenebra
impenetrabile, insondabile ed angosciosa. Era come quando si
è bambini, ci si sveglia nel mezzo della notte e ci si rende
conto che si ha sete, e bisogna addentrarsi nel buio, da soli, per non
svegliare nessuno e per riuscire a dissetarsi.
Mi sembrava di trovarmi nella foresta di notte fonda, nonostante fosse
pieno giorno.
Le gocce nere iniziarono a scivolare, quasi a… muoversi lascive
sul terreno, unendosi in piccoli corsi che si muovevano tutti
verso un unico punto davanti a me, formando nel loro andare dei
meandri, come dei piccoli fiumiciattoli.
Si era formata una densa pozza nero pece, che stava cominciando ad
assumere una forma più compiuta. La chiazza divenne una
sagoma, e dalla sagoma comparvero braccia e gambe, poi si definirono un
busto, delle mani, dei piedi e una testa. Una figura nera e gracile,
che sembrava inconsapevole d’essere nata. Le mie gambe erano
bloccate, il mio cervello non pensava, e i miei occhi non volevano
guardare, ma ero in stasi, così come il mio sguardo. La
figura cominciò a muovere le braccia e le gambe con grande
fatica. Sentii uno strano gelo pervadermi le ossa.
Quell’essere stava provando con tutte le sue forze ad alzarsi
in una posizione eretta, ma sembrava quasi scivolare lui stesso sul
terreno. Dopo qualche tentativo, si posò su un ginocchio,
alzandosi pian piano. Le gambe non riuscivano a stargli dritte, e
teneva la schiena completamente gobba.
Mi guardò, e solo in quel momento mi accorsi con orrore di
una cosa: non aveva gli occhi.
Sul suo volto c’era solamente un enorme bocca, che
però teneva serrata. Dopo avermi fissato per qualche
momento, le sue labbra cominciarono ad incresparsi molto lentamente.
Stava provando a… sorridere? La bocca era allargata da
quella sua smorfia, lasciandomi vedere quello che prima non avrei
potuto: aveva dei denti candidi, lunghi e acuminati. Allungò
un braccio verso di me, mentre la testa, reclinata
all’indietro, era in preda di violenti spasmi nervosi che la
facevano muovere in modo del tutto casuale.
-Io… sarò… il
tuo…Dio…- sussurrò in un ringhio,
respirando affannosamente. Potevo quasi vedere il vapore provocato dal
freddo fuoriuscire dalla sua bocca.
Sentii qualcosa toccarmi la spalla. Mi voltai di scatto, terrorizzato.
Althea mi guardò stranita , e rimosse la mano dalla
mia spalla.
-Tutto bene?- mi chiese, un tono di voce strano. Mi accorsi di avere
gli occhi spalancati e il respiro veloce e quasi affannato.
-Io…- Mi voltai verso il punto in cui pochi secondi prima
era sdraiato quell’essere… ma sul terreno
c’era soltanto uno spazio vuoto.
Althea mi si affiancò, guardando nel mio stesso punto. -Ti
sei incantato per un po’. Che ti è successo?- mi
chiese.
-Do…dobbiamo andarcene da qui...- Avevo il sudore che
trasudava dal mio corpo, ed Althea sembrava spaventata da
ciò.
-Fino ad un minuto fa stavi bene, cosa ti prende?-
Non potevo rispondere alle sue domande. Non ancora. Era
l’ultimo dei miei problemi, dopo che vidi che eravamo stati
rintracciati. Allungai la mano nella direzione opposta ad Althea,
puntando con il dito.
-Lui è qui-.
Eggman
-Tutto è andato esattamente come volevo io- dissi ai miei
due piccoli vassalli. -Riuscire a ricatturare il fuggitivo non
è stato per niente facile, ma alla fine ci siamo riusciti.
Alla fine dei conti, sembra che nessuno possa scappare per sempre, non
credete?-
-Devo ammettere che il congegno che ha creato funziona piuttosto bene.
Perché non ci ha pensato prima?- chiese Orbot, stuzzicandomi. Non gli risposi, e lanciai
un’occhiata a Cubot.
-In che condizioni è il nostro amico?- chiesi.
-È al massimo delle sue potenzialità- rispose
Ridacchiai. -Bene. Vi annuncio che il Progetto Perdono è
completamente operativo-. Mi avvicinai un microfono per le
comunicazioni alla bocca.
-E-123 Omega: attacca-.
***
Althea
Il nostro inseguitore ci fissò per qualche eterno secondo
con due occhi piccoli e rossi. La verniciatura rossa di una parte della
sua corazza era a malapena visibile, nella penombra.
Dall’oscurità vidi spuntare due grandi braccia di
metallo, puntate verso di noi. Le sue argentee mani si ritirarono, ed
al posto delle acuminate dita comparirono delle armi. Non ce
n’erano di così nel mio mondo… ma era
abbastanza semplice intuire cosa fossero. Sbarrai gli occhi e guardai
rapidamente Dash, che sembrava ancora spaesato.
‘’Ma che…?!’’
Gli afferrai prontamente il polso, strattonandolo per farmi seguire, e
il ragazzo sembrò finalmente risvegliarsi dalla sua trance.
Il rumore assordante di degli spari mi frastornò.
-Sbrigati!- strillai. Sentii un sibilo acuto vicino
all’orecchio, seguito un dolore terribile alla spalla.
Grugnii per il dolore, portandomi una mano nella zona interessata. Mi
aveva colpito di striscio, ma la ferita era abbastanza profonda.
Ci riparammo appena in tempo dietro un albero per non essere colpiti
ulteriormente dalle pallottole.
-Stai bene?- sussultò Dash, guardando con attenzione lo
strappo che avevo adesso sulla giacca e da cui si intravedeva la carne
viva. Esaminai la mano che ci avevo premuto sopra poco prima. Era zuppa
di sangue.
-È solo un graffio- mormorai con un grugnito di dolore in
risposta. Gli spari cessarono all’improvviso. Dopo qualche
secondo, un rumore simile ad una forte esplosione risuonò
tra gli alberi, colpendo i tronchi vicini e quello dietro cui eravamo
riparati. La corteccia saltò via con facilità,
seguita dagli strati più interni dell’albero.
-Se non ce ne andiamo siamo carne morta- disse Dash, che ormai sembrava
aver perso la sua tipica attitudine da spaccone. Nonostante fossimo in
una situazione pericolosa, mi incuriosiva cosa avesse potuto turbarlo
tanto.
-Se ce ne andiamo, continuerà a seguirci e ci
ritroverà. Non mi sembra il tipo che si arrende facilmente-
disse.
-Sì, hai ragione-. Un altro sparo fece cigolare
l’albero, che si inclinò leggermente verso di noi.
-Allora che facciamo?- chiese impaurito. Con lo sguardo determinato e
con l’adrenalina a mille affermai: -Lo plachiamo.
Ascolta…-
***
-Ehi robottone! Guarda, sono qui!- urlò Dash, agitando le
braccia in aria per farsi notare dal nostro nemico. Mi mossi cautamente
su uno dei rami più sottili dell’albero,
sporgendomi verso la sua estremità. Dash mi
lanciò un occhiata. ‘’Sicura di quello
che stai facendo?’’ mi chiese silenziosamente. Io
roteai gli occhi. Credeva che io mi stessi per caso divertendo? Non su
quell’albero. E non a quell’altezza. Il ramo
scricchiolò. ‘’Fai in fretta riccio.
Sbrigati.’’ pregai mentalmente.
Il robot puntò le armi verso Dash cominciando a sparargli
contro. -Bravo ragazzo!- strillò Dash, che
cominciò a schivare i proiettili, correndo in direzione
dell’albero su cui mi ero nascosta. L’automa
attivò dei razzi nel retro della sua schiena, e
scattò velocemente verso di lui, serrando la mano a pugno.
-Che c’è, non riesci a starmi… oh,
cavolo- strillò Dash, quando si accorse che il robot era a
pochi centimetri da lui, e che il suo pugno stava per schiacciarlo. Lo
schivò giusto in tempo, ma quando il pugno raggiunse il
terreno, l’impatto fu fortissimo, tanto da sollevare parte
della terra sottostante e da travolgere anche Dash.
Ma ormai il nostro cacciatore si trovava nel punto da noi prestabilito,
sottostante al ramo sopra cui ero rannicchiata.
‘’Io e le mie stupide, stupidissime
idee’’. Mi lanciai velocemente nel vuoto,
infuocando le gambe. Quando arrivai vicino al robot, gli tirai un
potente calcio sulla faccia, colpendo i suoi occhi. Il robot si
sbilanciò per un attimo all’indietro.
-Hah!- esclamò Dash, un sorriso vittorioso sul volto. Ma il
robot non aveva un solo graffio sulla sua corazza. Tuttavia, sembrava
abbastanza confuso, e la luce rossa che prima brillava su quelli che
sembravano degli occhi era ormai solo lampeggiante.
-Credo di averlo accecato- dissi dopo un profondo sospiro, per
scaricare la tensione. Tuttavia, poco dopo il robot si riprese subito,
quasi come se cercasse di riorientarsi, mantenendo la calma e cercando
un’alternativa. Sicuramente era diverso dai robot che avevamo
affrontato fino a quel momento.
-Oh, andiamo- sbuffò Dash. Le armi dell’essere
furono sostituite da delle specie trivelle, che ci puntò
prontamente contro. Ricominciammo di nuovo a fuggire. Mi spostai di
lato, schivando una di quelle trivelle. Poco dopo che la trivella
toccò il terreno, impiantandosi in esso, esplose, sparando i
suoi pezzi nelle vicinanze.
-Ce le sta sparando contro?!- urlò Dash.
-Meriti un premio per l’arguzia-. Dash riflesse per un
attimo, stando in silenzio. Poi mi fissò con decisione. ‘’Perché
quello sguardo?’’
-Tu continua a correre- mi disse.
Lo guardai dubbiosa. -E tu smettila di camminare- ribattei ironica. Lui
ridacchiò, frenando di scatto e voltandosi in direzione del
nemico. ‘’Cosa?!’’
Mi fermai anch’io. -Sei impazzito?!- urlai. Lui sorrise
sbruffone.
-Forse-.
Prima che la trivella lo colpisse, lui la afferro con prontezza, e i
suoi piedi slittarono sul terreno a causa della spinta. Per quanto
cercasse di resistere, sembrava non avere abbastanza forza per
resistere alla propulsione. Tanto che, alla fine, lo vidi sbalzare via
ad una velocità elevatissima, trasportato da
quell’arma.
-Aiutami!- strillò. Schizzava via ovunque, fino a finire
sopra le cime degli alberi e sorpassandole, finché non
riuscii più a vederlo. Il robot, a quel punto, si
voltò verso di me, puntandomi nuovamente il braccio contro.
Fummo distratti dal ritorno di un rumore famigliare. Non ebbi neanche
il tempo di pensare cosa potesse essere che la trivella
trapassò i rami sovrastanti, fino a colpire con violenza
inaudita il nostro avversario. Lui fu sbalzato all’indietro
per l’impatto, andando a sbattere contro un albero.
Dash si era lasciato cadere poco prima, quindi mi avvicinai a lui e lo
aiutai a rialzarsi. Lui si pulì le mani, emettendo una
risatina roca. -Nessuno si deve mettere contro Dash the…-
Il robot si alzò in piedi di scatto, cambiando nuovamente
arma. -Non ha neanche un graffio!- urlò esterrefatto il
riccio.
-Ti sbagli. Guarda il suo fianco- Il punto colpito era leggermente
scheggiato, segno che la migliore arma contro quell’essere
era sé stesso. Da una delle mani fredde e meccaniche di
quell’essere apparve un tubicino sul suo polso.
Allungò il braccio verso Dash, e da quel piccolo tubo
uscì una scintilla. Sbarrai gli occhi, guardando con terrore
la scena.
-Spostati di lì!- ringhiai con voce rauca a Dash e parandomi
appena in tempo davanti a lui, prima che un ondata di fiamme ci venisse
incontro. Avanzai le mani davanti a me, e il fuoco iniziò a
raggrupparsi obbediente sui miei palmi. Cominciai a modellarlo
velocemente, dandogli la forma di una palla. Lanciai una rapidissima
occhiata all’incrinatura sulla sua armatura, e sparai
l’ormai enorme palla di fuoco contro di lui, che lo
colpì esattamente dove volevo io. Il metallo
sembrò fondersi immediatamente e diventare più
morbido.
-Forza, colpiscilo- sibilai a Dash tra i respiri affannati per la
stanchezza causata da un colpo così impegnativo. Lui
guizzò in avanti, correndo verso il suo nemico. Quando
quella specie di mostro provò a tirargli un pugno, lui lo
schivò abbassandosi rapidamente, e con un ghignò
dipinto in volto, lo colpì dove era già stato
ammaccato prima. Il pugno di Dash gli passò attraverso la
schiena.
Gli occhi luccicanti del robot smisero definitivamente di lampeggiare
della loro luce, e si immobilizzò. Cadde lentamente addosso
a Dash, il quale emise un gemito soffocato sentendo il peso di quella
ferraglia schiacciargli il corpo.
-Argh! A…aiutami!- esalò con un suono strozzato.
Scossi esasperatamente la testa, aiutando Dash a spostare la carcassa
del robot con un piede. Inspirò profondamente quando
finalmente fu libero da quella pressione. Si alzò in piedi,
spolverandosi il gilet e guardandomi con quell’irritante aria
da gradasso.
-Grazie-. Non capii esattamente per cosa mi stesse ringraziando, ma non
ci feci molto caso. Mi sorrise, ravvivandosi con gesto pratico le
spine. Gli rivolsi un rapido cenno con la testa, leggermente a disagio.
-E sai qual è la cosa migliore? Non hai perso il controllo
dei tuoi poteri- disse, le braccia incrociate dietro la testa con fare
rilassato. ‘’Questo
ragazzo è Mr. Lunatico.’’
pensai. ‘’Prima
era così turbato e sotto shock, e
ora…’’
-Sì. Hai ragione- concordai, sovrappensiero. Lui
ghignò e socchiuse gli occhi.
-Bene. Così quando ci avrai preso un po’ di
manualità potrai finalmente insegnarmi a controllare il
fuoco!-
Mi morsi con forza il labbro, tentando con tutte le forze di non
scoppiargli a ridere in faccia.
-Cambiando discorso, che ne facciamo di lui?- mi domandò
Dash, indicando con il pollice i rottami del nostro avversario alle sue
spalle.
-Lasciamolo riposare in pace- dissi sottovoce.
Lui si strinse nelle spalle. -Come preferisci-. Si voltò,
guardando dritto davanti a lui. -Guarda!- esclamò allegro.
Seguii la direzione del suo sguardo, e le mie pupille furono accolte
dalla luce della fine della foresta.
-L’uscita- sospirai sollevata. -Prima non era lì-.
-Chi se ne importa!-
Gli rivolsi un’occhiata stizzita per tutto
l’entusiasmo che mostrava in quel momento. Lui
abbassò impercettibilmente le orecchie, un lampo di leggero
imbarazzo che gli attraversò lo sguardo. -Ok, ok!-
ridacchiò nervosamente. La ferita sulla spalla mi fece
tornare dolorosamente alla realtà. -Forza…
andiamocene di qui- dissi debolmente, premendomi con forza la mano
sulla zona ferita.
Così ci incamminammo, insieme, verso la luce accecante,
mentre i raggi di sole ci scaldavano dolcemente la pelle e ci
alleggerivano il cuore.
***
Blaze
Nella mia mente albergava la confusione. Era stato così per
tutta la giornata, un caos tale da farmi dimenticare tutto il resto. Me
ne resi conto quando la pace della notte fu turbata dal mio risveglio
turbolento. Ero sudata, e il cuore mi batteva all’impazzata.
Avevo il respiro pesante. Mi guardai intorno, scrutando il buio della
stanza. Volevo essere certa di aver davvero vissuto solamente un
incubo.
Era quella particolare sensazione di folle lucidità che ti
spinge a pensare di essere ancora dentro al tormento del sogno
nonostante tu ti sia appena svegliato. In un certo senso era
così.
Shadow aveva avuto una giornata sfinente, piena di pensieri e
preoccupazioni, ed era da molto tempo che non avevamo un
nemico di cui preoccuparci anche mentre dormivamo. Non mi stupii del
fatto che non si svegliò. Presi una decisione disperata.
Dovevo controllare una cosa. Scesi dal letto e mi misi rapidamente i
miei vestiti reali. Camminai silenziosamente verso la porta,
voltandomi. Shadow mugugnò nel sonno, muovendosi leggermente
e spostando il braccio sul mio cuscino. ‘’…Devo
tornare il prima possibile.’’ pensai.
Mi richiusi delicatamente la porta alle spalle. ‘’Non devi
farti vedere da nessuno.’’
Rivolsi una rapida occhiata ad una delle finestre presenti nel
corridoio. Non ci pensai due volte, e cominciai a correre verso il
muro. Presi una rincorsa sufficiente a farmi fare qualche passo in
verticale su di esso, poi saltai nella direzione opposta, raggiungendo
la parete che stava alle mie spalle. Continuai così fino ad
arrivare alla cima della finestra, poi saltai, nonostante
l’elevata altezza. Durante la mia caduta, a causa
dell’attrito potevo sentire l’aria sferzarmi contro
il corpo, che tuttavia non era tangibile come l’angoscia che
si prova nel cadere per diversi secondi nel vuoto,
un’inevitabile sensazione d’impotenza. Ovviamente,
caddi con i piedi per terra, producendo solo il rumore di un velato
tonfo.
Nessuno, fino a quel momento, aveva il sospetto che la regina fosse
scappata di casa.
La sorveglianza era più stretta del solito, e le guardie
pattugliavano costantemente la città. Nonostante
ciò, mi fermai a guardare uno dei traguardi simbolici
più importanti di cui fossimo stati autori: le statue di Re
Taurus V. e della Regina Pyras, situate in un unico piedistallo. I miei
genitori.
Sentii un groppo in gola. Quelle statue erano la dimostrazione che
tutto era finito più di vent’anni prima, e che io
e Shadow avevamo vinto il nostro passato tormentato guardando al futuro.
Ma avevo paura. Paura che il passato tornasse a bussare alla mia porta
e che si portasse via la mia famiglia, insieme a tutti coloro che
amavo. Di nuovo.
Scacciai il pensiero scuotendo la testa, andando avanti, protetta dalle
ombre.
***
Quando fui lontana dalla città, iniziai a correre.
Circondata dalle tenebre, il mio fuoco era l’unica luce che
mi permetteva di proseguire. Il terreno bruciava sotto i miei piedi
mentre proseguivo imperterrita per la mia strada.
Era moltissimo tempo che non mi allontanavo così tanto dalla
mia città, ed era da ancora più tempo che non
andavo là, ad Est di Flaritas, un luogo per me pieno di
ricordi. Attorno a me, il colorito arancione delle mie fiamme
contrastava con l’oscurità del cielo, illuminato
soltanto dalle stelle e dalla mezza luna, limpide e luminose nel cielo.
Dopo mezz’ora di corsa, davanti a me, apparve una caverna che
speravo di non rivedere mai più.
Ma le cose cambiano quando arrivi ad un punto tale da non voler
più scappare, da voler affrontare di nuovo le tue
sofferenze, con la consapevolezza che ti potresti ferire di nuovo. Mi
immersi tra le ombre della grotta, illuminandomi la strada con una
piccola fiammella sul palmo della mano.
Dopo qualche minuto di camminata tra l’umidità e
l’olezzo di quella specie di fessura nella pietra, trovai
finalmente quello che cercavo: delle scale scavate nel suolo roccioso.
Iniziai a scendere in profondità, nei meandri di quel luogo.
Più procedevo per la mia discesa e più il senso
opprimente delle strette pareti di quella grotta mi attanagliava.
Quando scesi dall’ultimo gradino, mi trovai davanti una porta
completamente distrutta. ‘’Merito
mio e delle guardie’’ pensai
ironicamente, cercando di rilassarmi almeno un poco.
Oltrepassai quegli scarti di legno e metallo, addentrandomi
all’interno della stanza. Sospirai, guardandomi intorno e
osservando quel luogo a me così familiare.
-Di nuovo nella tua base, Nega- sussurrai.
Davanti a me si trovavano due porte, mentre sia alla mia destra che
alla mia sinistra ce n’era solamente una per lato. Ovviamente
l’elettricità aveva smesso di funzionare molti
anni prima, e l’unica cosa che stranamente portava un
po’ di chiarore all’interno della sala erano delle
piccole luci al led sopra ogni porta, posizionate lì per
indicare in quale stanza si stesse per entrare. Poco al di sotto di
esse si poteva leggere la scritta lampeggiante: Nega Production
-Megalomane- borbottai. Mi diressi verso la porta con sopra la scritta
‘’Biblioteca’’. La porta si
aprì automaticamente quando mi ci posizionai davanti, e
istintivamente mi aspettai di trovarci qualcuno dietro. Ma non
vi trovai nessuno. Ero l’unica presenza in quel luogo
silenzioso e buio. La sola cosa che mi faceva compagnia erano centinai
di enormi scaffali, riempiti da un’infinità di
libri. Era probabilmente la stanza più cara a Nega in tutta
la sua base.
I suoi libri: quello che amava più di ogni altra cosa.
Avrebbe ucciso pur di poterli mantenere in sicurezza. Non stentavo a
crederci.
Sentii un improvviso moto di rabbia percorrermi il corpo. Afferrai con
presa salda i lati di uno scaffale e lo spinsi con forza. Questo
iniziò a cadere lentamente, scontrandosi con la libreria
davanti a lui e creando una reazione a catena.
Scatenando un grande frastuono, tutti gli scaffali, uno dopo
l’altro, caddero a terra, lasciando sul pavimento un oceano
di schegge, carta e copertine.
Ma un ultimo suono aleggiò nell’aria,
solleticandomi i timpani. Uno sfarfallio delicato, proveniente
dall’alto. Alzai gli occhi, e feci in tempo a notare un
biglietto che continuava a danzare nell’aria nonostante il
caos generale. Come se il destino avesse voluto che lo leggessi, poco a
poco esso si avvicinò a me, fino ad atterrarmi sopra la
mano. Ciò che c’era scritto sopra era bizzarro:
“Lunga Vita Alla Regina”.
Non avevo idea di che cosa potesse significare, ma tenni il foglietto
con me. Immaginavo a cosa potesse servire, ma me ne sarei preoccupata
più tardi.
***
Avevo esaminato tutte le stanze della base, non una esclusa. Non avevo
trovato niente. Ma continuavo ad essere inquieta. Le mie paure erano
già state sfatate dal principio, anni prima. Ma tutto quello
che stava succedendo in quel periodo…
Per la prima volta dopo tanto tempo, avevo paura. Alzai lo sguardo, e
vidi una grande porta di legno e metallo. Non ci avevo fatto
immediatamente caso, prima.
‘’Questa
non eravamo riuscita a distruggerla’’
riflettei sconsolata. Non eravamo mai riusciti a scoprire cosa ci fosse
oltre la sua soglia. Osservai il piccolo terminal che era attaccato su
una delle due porte. Mi frugai in una delle tasche della giacca,
estraendone il foglietto che avevo trovato un’ora prima
circa.
Lunga Vita Alla Regina. Un brivido mi percorse la schiena dorsale.
Digitai l’intera frase sul piccolo computer e schiacciai il
pulsante Invio. Sul display apparse la frase
‘’Password negata’’. Osservai
meglio il biglietto.
Notai solo in quel momento che ogni parola scritta sopra di esso aveva
la prima lettera scritta in maiuscolo.
Digitai solo iniziali: LVAR. E come per magia, la porta si
aprì.
‘’Cosa?’’
Quella che mi si parava davanti era una normalissima sala da pranzo.
Certo, non piccolissima. Vasta, tappezzata alle pareti di tende rosse
lunghe e pregiate, nonostante queste non fossero accompagnate da
finestre di sorta a risaltarle. Nelle varie parti della stanza vi erano
portine che probabilmente conducevano alle cucine ed ad altri locali.
Al centro c’era una lunghissima tavola, simile a quella che
avevamo noi al castello, sparecchiata, con molte sedie ai lati.
Bizzarro, considerato che Nega non aveva amici.
Tra l’oscurità, intravidi una sagoma alta e magra
in piedi a capotavola. Una paura folle e irrazionale mi
artigliò il cuore, e tutti i miei sensi si misero
all’erta. ‘’Nega è morto.
Calmati. Rifletti.’’ Infuocai la mia
mano, illuminando praticamente tutta la stanza. Rilassai leggermente i
muscoli, notando immediatamente che quell’essere non era
Nega, bensì uno dei suoi robot. La sua faccia, senza alcun
volto, guardava nella mia direzione. Era vestitto elegantemente, ma
arrugginito e impolverato per tutti gli anni passati. In mano, teneva
un vassoio con due calici ripieni. Mi avvicinai cautamente, guardandolo
attentamente. Non sembrava voler attaccarmi, anzi.
-Sei qui da tutti questi anni…- mormorai tra me e me. Lui
continuò a fissarmi inespressivo. Nega aveva trasformato i
miei sudditi in quegli esseri senz’anima, utili soltanto a
dilettarlo. Mi sentii ribollire il sangue nelle vene. Erano state
persone che avevano una famiglia, una vita, forse dei figli.
Esattamente come i miei genitori. ‘’Finché
le creazioni di Nega sono vive, lui è
vivo’’.
Mi avvicinai rapidamente al robot, tirandogli un calcio infuocato in
testa e spedendolo contro il muro. Non si rialzò. Si
accasciò mollemente al suolo, senza vita.
Avevo il respiro accelerato per il nervosismo e la paura. Mi
tremavano le gambe, e la testa mi girava. ‘’È
morto. Non tornerà più, Blaze. Nega è
morto.’’
***
Aprii adagio la porta della mia stanza. Shadow era ancora profondamente
addormentato, e grazie al cielo non si era accorto della mia assenza
prolungata. Mi tolsi i vestiti, le scarpe e i guanti e mi rimisi il
pigiama. Mi diressi verso il bagno che comunicava con la nostra stanza
e aprii il lavandino. Mi lavai la faccia con dell’acqua
gelida. Guardai il mio riflesso nello specchio. Avevo gli occhi
cerchiati da delle leggere occhiaie. ‘’Oh,
perfetto…’’ Ritornai nella
camera da letto, mi sciolsi i capelli dalla coda di cavallo e mi
sdraiai sotto le coperte. Fissai per qualche momento Shadow, che in
quel momento mi sembrava incredibilmente rilassato e sereno, con il
respiro lento e i lineamenti giovanili del volto a riposo.
Aprì di scatto le palpebre. Mi ritrassi leggermente,
spaventata.
-Blaze…?- farfugliò, ancora in dormiveglia,
sbattendo un paio di volte le palpebre.
Io gli sorrisi. -Sono andata solo un attimo in bagno. Continua a
dormire- sussurrai. Lui socchiuse nuovamente gli occhi, prima di
addormentarsi di nuovo un secondo dopo. Tirai un leggero sospiro di
sollievo, stringendomi tra le coperte.
‘’L’hai
visto con i tuoi occhi. Nega è andato. Morto. Non
tornerà a farti del male. Mai
più’’.
***
E-123 Omega
***-@234567887asdfghjmkmDCFGHJkjhgf***
***&%/477DFVHCondiz…………….865fvgh…..Critiche……’’’09877654321234676574.***
***++Attivaz…^ì^^^776ytyausiliaria……………………………***
***Sistemi visivi alternativi: Attivi.***
***Livello di energia: 15%.***
***Armatura: Gravemente danneggiata.***
***Si necessita di assistenza immediata da
terzi…..Ricerca…..Team Dark: Shadow the Hedgehog
(non disponibile)….. Rouge the Bat (non disponibile).***
***Ricerca automatica attivata*** Ripristinare obiettivi originali:
***Obiettivo attuale: Riparazione, evitare lo spegnimento ad ogni
costo.***
***Obiettivo principale: Eliminare obiettivo*****obiettivo non
selezionato, ricerca******Nome: Ivo Julian Robotnik,
“Eggman”; Professione: Ingegnere, scienziato;
Particolarità: Deformazione corporale cooooongenita;
Anni:???, Status: Attivo***
***Obiettivo principale: Eliminare Dr. Eggman***
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Capitolo 18 *** I Pirati SolcaCieli ***
Amethist 2
Amethist
Un'altra volta in quella situazione.
Tuttavia questa volta c’erano differenze. Per esempio non mi
avevano portato
qui con delle manette, ma tirandomi per i capelli. La mia prigione non
era buia
e fredda, anzi: era anche più bella della mia stanza a casa.
Infine, stavolta, quelli che mi detenevano
avrebbero potuto uccidermi in qualsiasi momento. Ero talmente confusa
che non
avevo nemmeno escogitato un piano per andarmene. E poi mi avevano
offerto delle
fette biscottate meravigliose quella mattina.
Sbuffai, osservando i dintorni con
noncuranza mentre stavo comodamente seduta sul letto. Una parte di me
voleva
tornarsene a casa, dovei miei genitori mi avrebbero irrimediabilmente
gridato
contro dei rimproveri, messa in punizione, chiusa nella mia stanza e
buttato
via la chiave.
‘’In fondo
non è molto differente da
qui…’’
Sentii un improvviso bussare alla porta. Lo
spioncino si aprì rapidamente, e apparvero due grandi occhi
azzurri che mi
fissavano annoiati.
-Ben svegliata- mi salutò una voce femminile.
-Ti è piaciuta la colazione?- Le rivolsi
un’occhiata diffidente. -Scusa per la
faccenda dei capelli ieri. Ti
fa ancora male la testa?- mi chiese. Corrucciai le sopracciglia. ‘’Tu cosa ne
pensi?’’ -Credi
che la tua famiglia sia in grado di
pagare il riscatto?- mi chiese di nuovo. Io distolsi lo sguardo,
voltando di
scatto la testa e ignorandola.
La rondine si innervosì, fulminandomi con
un’occhiata. -Ascoltami ragazzina, divertiti quanto vuoi a
fare il gioco del
silenzio con me, ma l’unica che ne pagherà le
conseguenze sei tu. Puoi non
rispondere a tutte le
domande che ti faccio, ma devi dirmi assolutamente se conosci un modo
di
contattare i tuoi genitori-. Continuai a
ignorarla, anche se dentro di me
iniziavo a provare una leggera inquietudine. La
donna sbatté con forza un pugno sulla
porta. -Va bene, vuoi la guerra? Se non avrò una risposta
chiara entro questa
sera, ti butteremo in mare-.
Lo spioncino si chiuse, lasciandomi di nuovo
sola all’interno della stanza. Mi strinsi le gambe al petto,
leggermente
spaventata. Stavano dicendo sul serio? Oppure stavano soltanto cercando
di
spaventarmi? Non lo sapevo. Ma erano delle
persone
sconosciute che mi avevano rapito, quindi era decisamente meglio
assecondarli.
Una decina di minuti dopo sentii nuovamente
bussare alla porta. -La volete piantare di rompere?! Ho afferrato il
concetto!-
strillai, alzandomi dal materasso, dirigendomi verso la porta e aprendo
con
rabbia lo spioncino.
-Ciao-.
Mi venne quasi un infarto, poiché al posto
di quegli occhi azzurri e limpidi della donna di prima, apparirono dei
piccoli
occhietti con delle pupille così minuscole da sembrare delle
punte di spilli.
Mi spaventai così tanto da indietreggiare violentemente
subito dopo aver chiuso
lo spioncino in faccia a quel tipo dalla voce roca e scura.
-Tutto bene?- mi chiese con un tono
incredibilmente pacato, considerando il suo ruolo di rapitore.
-Chi sei?- dissi quasi strillando. Aspettò
un po’ prima di rispondere, forse cercando le parole giuste
per rispondere. Che
razza di parole ci sono da cercare?!
-Mi chiamo Storm. Qual è il tuo nome, invece?-
Ma chi era quel tizio?
-Ehm… Amethist. Piacere-.
-È un piacere anche per me! Sai, non abbiamo
ospiti molto spesso, e qualche volta il capo diventa piuttosto noioso.
Perché
sei venuta fin qui?-
-Be'… diciamo che sto cominciando a
chiedermelo anch’io. Ero venuta solo per
curiosità-.
-Scommetto che hai notato la lucina
lampeggiante, non è vero? Ho detto al capo che sarebbe stato
il caso di
toglierla, ma è troppo pigro, e riesce sempre a trovare una
scusa per non farlo-.
Mi avvicinai alla porta, aprendo lievemente lo spioncino. Mi ritrovai
davanti
il muso felicemente infantile del volatile grigio. Mi salutò
allegramente con
la mano.
-Che ci facevate fermi nel bel mezzo del
mare?- gli domandai. Lui ridacchiò.
-C’è stato un guasto al motore e non siamo
riusciti a continuare con il nostro volo-. ‘’Volare?
Questa specie di nave sa volare?’’ Ma
per il momento, decisi di far cadere
la faccenda.
-Cambiando discorso, che personalità ha il
tuo capitano?- chiesi, appoggiando le braccia sulla porta e
sorreggendomi.
-Jet? Beh, è verde, piumato, è dipendente
dal fumo e gli piace la velocità-.
Lo guardai confusa. -No, volevo dire… che
tipo è?-
-È un falco-.
Serrai la mascella, esasperata. ‘’Lo
uccido. Butto giù la porta e lo
uccido.’’ -Quello che intendevo
chiederti è che tipo di carattere lui
abbia- sbottai, cercando di mantenere un’aria tranquilla.
-Oh!- esclamò. -Jet è molto impavido.
È anche
un tipo simpatico quando non si toccano le sue tavole-. Deglutii a
fatica. ‘’Oh
no’’.
Sentii un improvviso gracchiare meccanico.
-Attenzione: il guasto alla nave è stato finalmente
riparato- disse una voce maschile al megafono, rimbombando per tutta la
nave.
-Finalmente?- ringhiò la voce della rondine
in sottofondo. Sentii sospirare.
-Ok… la nave è stata riparata con un
tempismo perfetto, e colei che ci
ha
dato questa benedizione deve andarsene dal mio ufficio. Ora- disse
scocciato.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
-A proposito: Storm, sei richiamato
nell’ufficio del capitano- concluse. L’albatros mi
rivolse un’occhiata
dispiaciuta.
-Sono davvero spiacente, ma il capo mi sta
chiamando. Comunque tornerò a trovarti!- Mi
salutò e si allontanò con passo goffo.
Mi sedetti sul pavimento, stringendomi la
testa tra le mani. ‘’In
che cosa mi sono
andata a cacciare?’’
All’improvviso, sembrò che tutto avesse
iniziato a tremare…
***
Rouge
Salii lentamente le scale, preparandomi
mentalmente il discorso da fare ad Amethist. Devi riflettere
attentamente sulle
tue scelte, sono stufa di tirarti fuori dalla galera ogni due giorni,
sei
troppo giovane per poter decidere di intraprendere una strada del
genere. ‘’…da
che pulpito’’ disse la vocina
all’interno della mia testa. Mi fermai davanti alla porta
della stanza di
Amethist, prendendo un respiro profondo.
-Amethist?- Bussai delicatamente
sulla porta. Non mi rispose. -…Ame, andiamo- sbuffai. Totale
silenzio. Bussai
ancora, chiamandola ripetutamente per un minuto buono. Ma continuai a
non
sentire alcuna risposta. Sospirai, allontanandomi sconsolata e tornando
nel
salotto al piano inferiore.
Knuckles mi guardò speranzoso quando lo
raggiunsi al tavolo. -Allora?-
-Mi ha ignorato completamente-. Mi massaggiai
le tempie, chiudendo gli occhi e cercando di non farmi venire un
emicrania.
Knuckles si strofinò nervosamente il collo
con una mano. -Rouge, sai che è combattuta. Deve ancora
trovare la sua strada-.
Gli lanciai un’occhiataccia. -Questo non è
un buon motivo per finire in prigione. Praticamente ogni ragazzo della
sua età
attraversa questo periodo, ma non significa che i loro genitori corrano
loro
dietro come dei cagnolini per scagionarli dalla galera per qualche
furto di
basso rango. E poi ci sono molti lavori onesti che non comprendono il
rubare-
sibilai. Lui ridacchiò con voce scura, appoggiandosi una
guancia sulla mano e
fissandomi divertito.
-Detto da te è strano. Dovresti essere la
prima a capirla. Forse voi due dovreste parlare chiaramente per una
volta. Vai
a fare una chiacchierata con lei, spiegale come stanno le cose e
passate un po’
di tempo insieme. Provate a fare una pazzia per una volta. Potresti
insegnarle
i segreti del mestiere-.
Alzai
un sopracciglio. -Stai scherzando, non è vero?- ringhiai
scocciata. Lui alzò i
palmi delle mani davanti a me.
-Non ho mai detto che dovete entrare in un
museo e svaligiarlo. Anche un negozio di giocattoli andrebbe bene-. Mi
accarezzò l’avanbraccio sorridendo. -Forza, vai a
parlarle. Credo che ormai si
sia data una calmata-. Risposi al gesto e sorrisi debolmente.
-E va bene-. Mi diressi nuovamente al piano
superiore e bussai per l’ennesima volta alla porta di
Amethist. Silenzio. -Mobius
chiama Ame, rispondi!- Provai
ad
aprirla, ma non si mosse di un solo millimetro. ‘’Chiusa
a chiave’’. Iniziai a sentirmi inquieta.
Scesi velocemente
le scale e uscii dalla porta principale
che dava sul giardino. Mi diressi dal lato opposto della casa e diedi
un rapido
colpo d’ali, cominciando a volare fino al secondo piano.
Atterrai sul balcone
della sua stanza e cercai di aprire la finestra: si aprì
senza alcun problema. ‘’Perché
non era serrata?’’ Entrai
velocemente, e mi si gelò il cuore. Non c’era
nessuno. Mi guardai intorno,
cercando una qualsiasi traccia di mia figlia. -Amethist?- la chiamai.
Non
ricevetti risposta. Guardai dentro l’armadio, sperando di
trovarvela nascosta
dentro. -Amethist?!- dissi più forte. Scesi immediatamente
nel giardino e
entrai in casa sbattendo la porta.
Knuckles si voltò, guardandomi leggermente sorpreso.
-Allora, com’è anda…-
-Non c’è- dissi in un soffio. Lui mi
guardò
stranito.
-In che senso non c’è?- chiese con un
sorrisetto nervoso.
-Non c’è. Non è nella sua stanza-
bafugliai.
Lui strabuzzò gli occhi, impallidendo.
-Ieri ti ha detto che andava da qualche
parte?- chiesi.
-No-. Ci guardammo per qualche secondo in un
silenzio inquietante.
-Tu cercala nelle vicinanze, io vado a
Station Square. Teniamoci in contatto. Forse so dove trovarla- dissi,
con il
cuore e la testa immersi nella paura che mia figlia se ne fosse andata.
***
-Buongiorno- dissi in tutta fretta rivolta
al commissario. Lui mi guardò confuso, inarcando un
sopracciglio.
-Buongiorno…?-
-Devo pagare la cauzione di Amethist-
mormorai. Mi guardò ancora più confuso di prima.
-Amethist? Questa notte non siamo
intervenuti per nessun furto nei paraggi. Non abbiamo messo in cella
sua
figlia- disse, stringendosi nelle spalle.
Mormorai un veloce ringraziamento e uscii
dalla centrale. ‘’Amethist…
dove sei?’’
***
Amethist
Era ormai sopraggiunta la sera, e io avevo
ben chiaro in testa cosa dovevo fare.
Di li a poco avrei dettato loro le mie
leggi. Nessuno poteva rapirmi e sperare che non ci fossero conseguenze.
Sentii
dei passi avvicinarsi con una frequenza che avevo imparato ad odiare in
meno di
due giorni.
Bussarono alla porta e subito dopo una voce
femminile riecheggiò nei corridoi: -Ragazzina. Ehi, mi
senti?-
-Come se potesse esistere un modo per non
riuscirci…-
Lei perse la pazienza molto in fretta. -Stai
attenta a non tirare troppo la corda! Il capitano desidera limitare il
più
possibile la morte di ostaggi- mi minacciò.
Leggermente intimorita, ma desiderosa di
mantenere la calma, mi sedetti composta sul letto, in attesa di
ascoltare cosa
aveva da dirmi Lady Bracconiera una volta entrata nella stanza.
Aprì con foga
la porta, richiudendola con poca delicatezza dietro di sé.
Incrociò le braccia, guardandomi con aria
truce. -Spero che tu ti sia finalmente decisa a darmi una risposta-
ringhiò. Io
annuii.
-Finalmente- esclamò lei. Ghignai, alzandomi
dal letto e avvicinandomi di qualche passo alla rondine.
-Sono disposta a farlo... a delle
condizioni-.
Lei ridacchiò guardandomi con aria di
sufficienza. -Tu? Porre delle condizioni a noi?-
rise. Poi mi guardò seria. -Non sei nella posizione per
poter contrattare-.
Serrai la mascella con rabbia a stento
trattenuta. -Almeno dammi la possibilità di provarci-. Lei
ci penso per un
attimo.
-Va bene-.
Mi schiarii leggermente la voce. -Sarò
disposta a contattare i miei genitori a patto che voi mi insegnate a
usare
quelle tavole- dissi.
Sulla sua faccia comparve un’espressione
confusa. -Non vedo il motivo di questa richiesta. Si può
sapere perché ti
interessa imparare ad usarle?-
-Voi siete dei rapitori e dei ladri da quel
che ho visto, e usate quelle tavole. Forse potrebbe essere utile anche
per me
imparare qualcosa in più su di loro. E poi…
voglio che voi mi insegnate a rubare
con quegli affari, oltre che
saperli utilizzare-. Mi misi le mani sui fianchi. -Queste sono le
regole.
Prendere o lasciare-.
Sentii un moto di soddisfazione pervadermi
le vene. Ero certe di essermi fatta finalmente valere. Ormai era fatta.
***
-Lasciami andare immediatamente!-
strillai a pieni polmoni. Mi dibattevo, cercando
di liberare le spine dalla stretta di quella strega, che camminava a
passo
veloce per i corridoi.
-Lasciami, ORA!- gridai con un
ringhio proprio nel momento in cui lei mi
spinse all’interno della stessa cabina in cui avevo
incontrato il falco.
Alzai con fatica la testa, ancora trattenuta
dalla stretta della donna. -Jet!- ringhiò lei-.
-Wave, quante volte sei venuta nel mio ufficio
oggi soltanto per lamentarti? Per caso sei in quel brutto periodo del
mese?-
chiese con un sorriso ironico il falco.
Lei mi tirò i capelli con rabbia,
costringendomi a reclinare all’indietro la testa e ad
avanzare fino alla
scrivania del falco e portandomi giusto davanti a lui. -Non fare
l’idiota e
ascoltami. La nostra ospite avrebbe qualcosa di cui parlarti. Ha una
proposta
da fare-.
Il falco incrociò le mani, appoggiandovi il
becco sopra e guardandomi. -Interessante. Che tipo di proposta avrebbe
aizzato
la nostra bambolina spacca-tavole?- chiese con un sorriso sbruffone.
Ripetei le stesse cose che avevo detto poco
prima alla rondine e osservai la reazione dell’uomo. Lui
annuiva pacatamente ad
ogni cosa che gli dicevo, guardandomi attentamente e rimanendo in
silenzio.
Quando finii si mise a sghignazzare, fino a prorompere in una vera e
propria
risata.
-Aspetta un secondo,- mormorò tra le risate,
asciugandosi gli occhi. -mi stai dicendo che prima spacchi le nostre
tavole,
poi mangi a sbafo da noi e pretendi pure di farti dare delle lezioni di
guida
gratis?- Afferrò qualcosa da sotto la scrivania. Sentii
scatenarsi la pelle
d’oca su tutto il corpo quando capii cosa fosse. ‘’Un
coltellino’’. Me lo puntò sul
collo, in direzione perfetta per
potermi recidere la giugulare.
-Hai fegato ragazza. Troppo fegato
per una prigioniera- disse, avvicinandosi leggermente
vicino a me. Cercai di resistere all’impulso di tirargli un
pugno e lo guardai,
congelata.
-E la cosa mi piace!- urlò a qualche
centimetro dal mio orecchio. -Affare fatto!- strillò
allegro, allontanandosi di
scatto e afferrandomi una mano, scuotendola con enfasi.
-Jet?!- urlò incredula la rondine. -E
sentiamo, chi si dovrebbe preoccupare di istruirla? Dovrebbe essere una
fonte
di guadagno, non di disagi!-.
Il falco, trasudante di allegria da ogni
poro, le mise una mano sulla spalla. -Tu, ovviamente-.
-Che cosa?!- urlammo entrambe all’unisono.
-Mi sembra che finora abbiate avuto un buon
rapporto-. Mi guardò con un sorriso. -Con te è
stata molto gentile e simpatica.
L’ho vista fare di peggio-.
Lei strinse i denti, guardandolo infuriata.
-Tu sei pazzo Jet!- strillò, trascinandomi fuori
dall’ufficio. -Sei molto
peggio rispetto a quando avevi quattordici anni!- Chiuse di botto la
porta,
portandomi con sé e borbottando delle imprecazioni per tutta
la strada fino
alla mia stanza. Mi spinse dentro con violenza, rischiando di farmi
inciampare.
-Piantala di spingermi!- sibilai stizzita.
-Tieniti pronta, inizieremo gli allenamenti
molto presto. Fino a quel momento riposati-. Se ne andò
rapidamente, sbattendo
la porta e chiudendola a chiave. Quella vecchia pazza non aveva la
più pallida
idea di con chi avesse a che fare. Mi buttai sul letto, coricandomi a
pancia in
giù e sorridendo soddisfatta. ‘’Ce
l’ho
fatta. Ce l’ho fatta!’’
esultai. ‘’Mamma…
ora vedremo chi è la ladra abile tra le
due’’.
Non passarono neanche cinque minuti che
sentii scattare la serratura della porta. La Strega apparve in tutta la
sua
presunzione, avvicinandosi verso di me. Mi tirò
di nuovo le spine sulla testa, buttandomi giù dal
letto.
***
-Lasciami andare immediatamente!- sillabai,
rossa dalla rabbia. Stetti per ricominciare ad urlare, quando le parole
mi
sembrarono morire in gola. Eravamo uscite sul ponte della nave, e
davanti a me
non si più estendeva per chilometri e chilometri
l’oceano, ma un immenso cielo
pezzato di nuvole. Mi sentii mancare il fiato. La Pazza mi
lasciò dalla sua
presa micidiale, e io mi aggrappai istintivamente alla ringhiera
più vicina a
me.
-Stiamo volando- borbottai senza fiato. Ecco perchè avevo
sentito tremare la nave quella volta...
La
rondine si diresse al centro del ponte, dove si trovava una piccola
leva. La
tirò, e improvvisamente, tutto il ponte iniziò a
trasformarsi. In alcuni punti,
il pavimento si aprì, e quella che sembrava più
le rotaie di delle montagne
russe che una pista si alzava lentamente dal buco venutosi a creare. Il
posto
sembrò diventare un campo di corsa di piccole dimensioni,
ondulato e stretto.
-Qui è dove ti allenerai- mi disse la donna.
Mi si avvicinò, posandomi tra le mani una di quelle tavole,
mentre lei ne
teneva sottobraccio una fucsia.
-Prima cosa: queste non si chiamano
‘’tavole’’, ma Extreme-Gear. E
ora sbrigati a salirci sopra-. La posai a
terra, facendo come mi aveva detto lei.
-Come si attiva?- chiesi. Lei sospirò,
girandomi intorno e fermandosi dietro di me.
-Lascia, faccio io-.
-Aspetta, non intendi spiegarmi niente di
come si faccia a manovrarla?-
Lei ghignò divertita. -Credo che il modo
migliore per imparare sia farlo sul campo-. Pestò il retro
della tavola,
facendole fare frizione con il suolo. Scattai in avanti, partendo
all’improvviso.
Mossi convulsamente le braccia nel vuoto,
cercando in tutti i modi di mantenermi in equilibrio. Dopo essermi
abituata al
vento che mi sferzava contro e agli ondeggiamenti del Gear, riuscii
finalmente
a mantenere una rotta stabile. Mi rilassai. Ci stavo riuscendo. Davanti
a me vidi
una curva. ‘’Ok,
facciamolo’’. Mi
sporsi di lato, cercando di girare. Ma qualcosa era andato storto, e la
tavola uscì di pista. All’improvviso sentii
mancare il contatto dei miei
piedi con la tavola. Stavo cadendo... dalla nave. Urlai, e vidi che mi
stavo
avvicinando molto velocemente al mare. Provai un dolore acuto alla
testa, e la
mia discesa nel vuoto si fermò all’improvviso.
Alzai gli occhi, e vidi che la
rondine, in sella al suo Gear, mi aveva afferrato appena in tempo per
le spine.
-Ti ho presa- affermò vittoriosa. Quando
guardai giusto di fronte a me, notai che il ponte sembrava essere
sparito, e
che la carrozzeria della nave possedeva lo stesso colore del cielo.
''Com'è possibile?''
-Come puoi vedere non sei ancora così tanto
abile da poter fare la spavalda con noi. Trova un po’ di
umiltà-. Mi sollevò
fino alla sua altezza, e poi mi lanciò sul ponte.
Avevo lo scalpo dolorante, e la botta mi
aveva procurato qualche livido sulle gambe. Eppure, ero indecisa se
insultarla
o ringraziarla. Sindrome di Stoccolma? La sentii sfogarsi in una grassa
risata,
prima che si rivolgesse di nuovo a me
-Questo era un avvertimento. Ormai anche la
seconda tavola è andata. Ma dalla terza in poi
peserà tutto sul conto dei
tuoi.- Subito dopo si avvicinò a me, guardandomi
dall’alto verso il basso. -Consideralo un incentivo
all’impegno.- La vidi riprendere la serietà in un
secondo mentre mi diceva quelle controverse parole
d’incoraggiamento. Subito
dopo si chinò verso di me, porgendomi la mano -Alzati,
questo è solo l’inizio-
Mi disse freddamente, ma con un accenno di noia nella voce, che
probabilmente
si era andato a sostituire all’ira di poc’anzi.
-Torna nella tua stanza, e rifletti su ciò che ti ho appena
detto. Domani ne riparleremo.- Fantastico. Mi ero trovata un'altra
persona uguale a mia madre, forse anche peggiore.
***
Ormai era notte, ed ero stanca. Sarei andata a dormire a breve,
finché non sentii un'altro inaspettato bussare ala
porta.
-Senti, strega, so che sei tu, sappi che non ho pensato nemmeno un
pò alla tua ramanzi...- Guardai dallo spioncino, e rivedetti
quell'energumeno di quache giorno fa. -...na?-
-Veramente io mi chiamo Storm-.
-Io...ti chiedo scusa, pensavo che fossi qualcun'altro. Aspetta, che ci
fai tu qui?- Sembrava piuttosto imbarazzato a seguito di questa
domanda, per motivi che mi inquietava non sapere.
-Beeeh...avevo finito i lavori, per oggi, e, poiché potresti
stare con noi per un bel pò, volevo fare una chiacchierata!-
Come ho già detto, ero stranita da quello strano
comportamento.
-Sssi...va bene, ma domani avrei una giornata pesante,
quindi...-
-Oh, solo cinque minuti...Ti prego!- cominciò a
supplicarmi.
-Uff...ok, ma...cinque minuti...e tu rimani fuori, chiaro?-
-Chiaro, ricevuto-. Mi misi in ginocchio, preparandomi a levarmi quella
seccatura
-Beeene... di cosa vuoi parlare?-
-Oh, eeehh...cavolo. Di solito gli altri mi mandano via quasi subito,
quindi mi aspettavo che sarebbe finita allo stesso modo anche con te.
Ero impreparato per l'argomento-. Ok, quel tipo non era un
malintenzionato, era solo un'idiota. Avevo l'opportunità di
mandarlo via ed andare a dormire, perché?
Perché?!
-Allora comincio io, eeh...tu cosa fai qui? Tipo, pulisci le toilettes,
cucini la sbobba...? Eh...?-
-Oh no, non solo quello. Mi occupo anche del magazzino e delle pulizie
generali-. Bene, stavo facendo amicizia con lo sguattero di bordo. Ma
in fondo, mi sembrava piuttosto innocuo. Abbastanza da poter aprire la
bocca un pochino più del dovuto.
-Senti, tu non hai degli amici?- mi chiese, incuriosito da quello che
poteva sentire.
-Io? Definisci "amici"- dissi, ironicamente. Le compagnie che
frequentavo non erano esattamente le migliori per trovarsi un amico del
cuore.
-Persone da cui andare quando hai dei problemi. O quando ti annoi-.
Distolsi lo sguardo per un istante, poi lo riguardai con un'occhiata
molto meno diffidente rispetto a prima.
-Beh, sì, se la mettiamo in questi termini. Diciamo che,
però...avevo bisogno di capire delle cose-.
-E non potevi chiederle a loro? Suppongo che gli amici servano anche a
questo-.
-Eh. Non so se la parola "amici" è la più
appropriata in questo momento, ma no...loro non avrebbero capito.Non lo
fanno di solito-.
-Per me avrebbero capito, se ci avessi provato-. Adorabile, mi chiesi
perché non ci avevano ancora fatto una linea di pupazzetti
kawaii di quel tipo. Poi decisi io di cominciare a parlare
-Dimmi un po'. Quella tipa, la strega, fa sempre
così?-
-Quale tipa?-
-L'unica tipa che avete a bordo...-
-Oh, Wave! Oh, lei non è una strega, è la
vice-capitano. Lo so che può sembrare un po' aggressiva la
prima volta, ma sia io che il capitano le affideremmo a nostra vita se
fosse necessario-. ''Forse,
considerando che è anche l'unica persona con un barlume di
affidabilità su questa nave...''
-L'unico motivo per cui è così dura con te
è perché vuole prepararti al meglio per...in cosa
vi state allenando, già?-
-Extreme Gear-.
-Oh, cavolo, così è molto peggio!- Probabilmente,
vedendo il mio spavento a riguardo, si corresse leggermente.
-...Ma, ma non ti preoccupare! Sono certo che ti preparerà
al meglio!- Già, ne ero certa. Non so ancora come fu
possibile, ma finimmo per parlare per delle ore, finché lui
non smise improvvisamente di parlare. Si era addormentato. E anch'io
avevo bisogno di dormire...
***
Mi svegliai al violento bussare della porta. Sapevo bene chi era. Mi
alzai, aprii di tutta fretta e me la trovai davanti. Ci guardavamo con
sguardo di sfida, senza nemmeno salutarci. Nemmeno nella maniera
più formale e distaccata.
-Seguimi. Conosco un posto più adatto alle tue…
capacità.-
Stavolta muovendomi senza nessuno a trascinarmi per le spine, ero
terrorizzata
da ciò che avrei trovato una volta giunta
a destinazione… forse era per quello che
l’adrenalina mi scorreva nel
sangue, muovendosi per tutto il mio corpo, in contrasto con quella
piacevole e
disturbante sensazione di affrontare qualcosa di nuovo.
Scendemmo
le scale di tutta la nave, e in quel mentre, mi venne da farle una
domanda. -Voi
siete…tipo dei pirati, giusto? Come fate a volare in giro
per il mondo senza
farvi notare da nessuno? Se ricordo bene da queste parti siamo ancora
in
giurisdizione della G.U.N.-
-Dici bene. Ma mi sembra inopportuno che tu
chieda qualcosa di così confidenziale proprio a me. Potevi
tentare con Storm…-
Capii che era il momento di stare zitti, quando ricominciò a
parlare senza
preavviso.
-Specchi mimetici. Riflettono la frequenza
di raggi solari soprastanti alla nave, espandendoli a tutta la sua
superficie.
In pratica, la nave assume lo stesso colore del cielo. La notte scorsa
abbiamo
avuto un guasto, per questo siamo atterrati-. Rimanemmo in silenzio per
il
resto della discesa, arrivando fino al suo fondo.
Era completamente buio, e non riuscivo a
vedere ad un palmo dal mio naso.
-Benvenuta nella stiva della nave-.
Schiacciò un piccolo interruttore, che accese le varie luci.
-O meglio
definita: la Sala d’addestramento per principianti. O per
persone troppo pigre
per uscire sul ponte quando è inverno- disse, mostrandomi
con un gesto del braccio
il nuovo ambiente. Era una stanza enorme, che occupava tutta la stiva.
Sembrava
un comune percorso ad ostacoli come quello che avevo visto poco prima,
ma
questo, al contrario, era di dimensioni ridotte e più
semplice, senza troppe
curve e intralci. Appesi ai muri, si potevano vedere distintamente dei
Gear di
vari colori. Mi diressi verso uno di questi, facendo per afferrarlo.
-No- mi fermò la rondine. -Tu non sei ancora
pronta per quelli-. Mi porse due bacchette e altrettanti piatti,
sorridendo furbetta.
-Ma questi sono più che perfetti per una come te-.
Li afferrai titubante, rivolgendole
un’occhiata confusa.
-Se vuoi imparare a guidare i Gear, dovrai
prima capire come starci in equilibrio sopra-. Ghignò,
sinceramente
soddisfatta. -Fai ruotare quei piatti sulle bacchette. Quando riuscirai
a non
farne cadere neanche uno, vorrà dire che avrai appreso
appieno la postura e
l’equilibrio che devi mantenere quando sei su un Gear-.
‘’Che
cosa?!’’ La guardai con la bocca
semi-aperta. -Mi stai prendendo in giro?!-
Lei si sedette sul pavimento. -Spiacente ma
no. Buon lavoro-. Ero incredula, ma determinata
a riuscire nel
mio intento. I piatti non erano così
leggeri come
sembravano. Le bacchette, invece, lo erano un po’ troppo.
Avevo difficoltà a
capire come dovevo iniziare.
-Non ti preoccupare. Di solito le prime ore
sono dedicate ad iniziarli a far girare. POI, potrai iniziare il vero
addestramento-.
La
rabbia e la noia si fondevano nei miei nervi, mentre cominciava a farsi
largo
nella mia testa il desiderio di mandarla al diavolo. Misi i piatti
sopra le
bacchette, cominciando ad imprimere un approssimato movimento rotatorio
alle
bacchette, sperando che i piatti non cadessero. Speranza che si
spezzò in
tanti, piccoli pezzi di ceramica sparsi sul pavimento. -Ricomincia- mi
ordinò
lei.
… Evidentemente ci sarebbe voluto un po’ di
tempo.
***
Rouge
Avevo cercato ovunque: in tutte le
gioiellerie della città, in ogni museo, in
ogni carcere. Ma non ero riuscita a trovarla da nessuna parte. Estrassi
velocemente il cellulare dalla tasca dei pantaloni, componendo il
numero di
Knuckles. Rispose immediatamente.
-L’hai trovata?- mi chiese, la voce piena di
preoccupazione.
-No-. Avevo il cuore in gola per la paura.
-Rouge, l’ho cercata per tutta l’isola,
anche a Mistic Ruins. Non ho la più pallida idea di dove
possa essere, non ha
lasciato nessuna traccia-. Mi guardai intorno. Ormai si era fatto buio.
La mano
che teneva il cellulare mi tremava.
-Vado a fare denuncia alla polizia- mormorai
con un filo di voce.
-Ti raggiungo-.
-No, resta lì. Amethist potrebbe farsi
viva-.
-…Va bene-.
Stemmo in silenzio per qualche secondo. -Se
non torna entro questa sera, ho intenzione di rimettermi in contatto
con dei
miei vecchi amici- affermai.
Knuckles non mi rispose immediatamente,
zittendosi. -Rouge, stai attenta. Non fare sciocchezze-.
-…Sì. Tienimi informata-. Chiusi la conversazione
e mi diressi con convinzione verso la centrale di polizia
più vicina. ‘’Ti
prego, fa che stia bene. Fa che la mia
bambina stia bene’’.
***
Anche per quella notte Amethist non si fece
vedere. Io e Knuckles eravamo rimasti svegli per tutto il tempo,
sperando che
lei ritornasse a casa.
Ma non era successo. Non riuscivo a provare
sonno, nemmeno nei rarissimi attimi in cui sbattevo le palpebre. La
polizia non
ci aveva ancora fatto avere alcuna notizia. Non potevo attendere oltre,
ogni
secondo era vitale. Ma non potevo passare per una barbona nel luogo
dove stavo
per andare. Mi detti una ripulita, e poi mi preparai. Mi vestii con un
vecchio
completo nero da segretaria che utilizzai tempo addietro per
infiltrarmi nella
sede di una multinazionale. Presi dal comodino qualche utensile che mi
sarebbe
potuto essere utile, e mi preparai per partire, quando Knuckles mi
fermò.
-Mentre tu sarai via, io continuerò le
ricerche a modo mio. Potrei trovarmi in luoghi improbabili, quindi non
preoccuparti se non riusciremo a contattarci, va bene?-
Annuii. -Va bene.- Poi mi fermò un’altra
volta, afferrandomi la mano
-Non finire nei guai Rouge. Non voglio rischiare
di perdere anche te…- Nell’udire quelle parole,
ritrassi di scatto la mano e
alzai la voce.
-Lei non è persa!- Knuckles chinò il capo,
lo sguardo pieno di dolore represso. Rimanemmo in silenzio qualche
secondo,
quando lui alzò nuovamente la testa, rispondendomi.
-Sì. Hai ragione. Ma fai attenzione-.
Risoluta, prima di entrare in azione,
replicai: -L’attenzione ce l’ho nel sangue-.
***
Guardai per qualche secondo l’edificio che
si parava davanti a me, in tutta la sua magnificenza e inquietante
eleganza. ‘’La base della
G.U.N. Alla fine ci sei
ritornata.’’ Respirai profondamente,
incamminandomi. Superai la porta
scorrevole e mi diressi immediatamente verso la reception.
-Ho bisogno di incontrare il Comandante-
dissi alla segretaria lì presente, sperando che non mi
avrebbe creato problemi.
-Certo, ma… mi scusi, lei chi sarebbe? Ha
forse un appuntamento?-
-No, ma sono certa che la cosa si possa
risolvere-. Le mostrai la mia vecchia tessera d’agente. Mai
lasciare cercare al
computer ad una novizia, si potrebbero creare delle complicazioni.
-Lei è un ex-agente, Rouge the
Bat…dipartimento “Dark”? Era la sezione
d’élite, prima che venisse sciolta-.
‘’ Purtroppo,
su questo hai ragione’’.
-Allora?
Mi lascia passare?-
-Mi lasci solo controllare nel registro-. Ma
queste giovani donne sono così attaccate alla tecnologia?
-Sì, è vero, lei ha lavorato qui. Ma oggi il
Comandante è pieno d’impegni, se vuole la posso
inserire per i prossimi
giorni…-
La interruppi subito. -Mi inserisca anche
all’ultimo posto se è necessario, ma si sbrighi,
è urgente.- Riuscii a
sbrigarmela alla fine. Dovevo solo sperare che non avessero spostato
l’ufficio,
d’altronde era passato diverso tempo. Presi
l’ascensore, e mi diressi verso il
piano superiore dell’edificio. Una volta arrivata a
destinazione, davanti a me,
nell’anticamera che mi avrebbe dovuto condurre senza problemi
al mio
obbiettivo, vidi una trentina di persone sedute su delle sedie
lì vicino mentre
leggevano tranquillamente delle riviste o chiacchieravano tra loro, in
attesa
che il Comandante le ricevesse. Mi sedetti in una sedia in disparte,
sospirando
stancamente. ‘’Non
è possibile’’.
***
Aspettai cinque, interminabili minuti, in
cui la mia mente non poteva far altro che ritornare al pensiero che
ogni
secondo in cui stavo seduta in quella sala, stavo perdendo tempo
prezioso in
cui mia figlia stava possibilmente rischiando la vita. Mi alzai
rapidamente,
camminando con furia verso la dannata porta del dannatissimo ufficio.
La aprii
di scatto, facendola sbattere violentemente.
Dietro la scrivania del Comandante ritrovai
un giovane ragazzo di al massimo trent’anni, capelli castani
e corti e occhi
verdi e penetranti.
Lui e un altro uomo, seduto dalla parte
opposta, mi guardarono confusi.
-Lei chi è?- sibilò Gibson, continuando a
stare seduto e composto sulla sua sedia.
-Ho bisogno del suo aiuto- dissi.
-Non credo che il suo sia uno degli
atteggiamenti più adatti per chiedermelo-. Scosse sconsolato
la testa,
schiacciando un pulsante sulla sua scrivania. -La sicurezza si
diriga…- mormorò
annoiato. Poi la sua espressione cambiò, e smise di parlare.
Mi guardo con più
attenzione, stringendo gli occhi per osservare meglio il mio volto.
-Un momento…- Il suo volto si illuminò, e
rischiacciò il pulsante. -Ritiro l’ordine dato-
disse secco. Si rivolse
all’altro uomo, facendogli un gesto verso l’uscita.
-Continueremo il nostro
discorso tra una ventina di minuti-. Appena l’uomo
uscì dalla stanza,
borbottando nervosamente qualcosa, Gibson mi invitò a
sedermi.
-Io la conosco. Lei era una nostra
ex-agente, membro del Team Dark- borbottò.
-Sì. E sono venuta qui per chiederle aiuto-.
Lui alzò un sopracciglio.
-Che genere di aiuto?-
-Mia figlia è scomparsa-.
Lui incrociò le braccia, appoggiandosi allo
schienale della sua sedia. -Quindi lei vuole…?-
-Dovete aiutarmi a ritrovarla- sibilai
scocciata.
-Non posso-. Mi sentii gelare il sangue, e
fissai quella sottospecie di bambino ad occhi strabuzzati.
Iniziai ad estrarre di nascosto dalla tasca
uno dei miei utensili preferiti, adatti alla persone che non volevano
collaborare: un rossetto. -Gibson, mi ascolti…-
-No, mi ascolti lei. Non posso assolutamente
sprecare parte delle mie risorse per una faccenda mirata al ritrovo di
una
ragazzina andata a gironzolare chissà dove-.
Abbassai lo sguardo, consapevole che il mio
rapporto con l’agenzia governativa stavolta non sarebbe
servito a nulla.
Alzando lo sguardo, mi rivolsi a lui con aria quasi supplichevole -E
lei cosa crede
che dovrei fare?-
-Ha provato a rivolgersi alla polizia?-
-Sì. Ma non so quanto possano essermi utili-.
-Allora le conviene avere fiducia. So che in
questo momento le sembro un orco, ma se lei fosse a conoscenza della
nostra
situazione attuale potrebbe capirmi-.
-E lei non sta provando a capire come mi
sento io, in questo momento, mentre le mie ultime speranze si stanno
volatilizzando?!- Dopo che fece un attimo di silenzio, in cui forse
cercava di
digerire ciò che stava per dirmi di li a poco, mi rispose.
-Il mio lavoro mi impone delle scelte. E mi
indirizza sempre verso la strada da seguire. Non posso aiutarla, Bat-.
Mentre era distratto, da sotto la scrivania,
sparai un piccolo dardo soporifero, che andò a conficcarsi
nella gamba del
Comandante.
***
Dovevo fare in fretta, il sonnifero che gli
avevo somministrato aveva principalmente lo scopo di affievolire i
nemici per
poterli paralizzare, quindi la sua durata era molto breve. Inoltre,
anche se Gibson
sarebbe rimasto buono per un po’, chi aspettava fuori dalla
porta si sarebbe
spazientito presto. Cominciai a perquisirlo, cercando nelle tasche il
migliore amico
di un Comandante. Lo rimisi in una posizione tale da far sembrare che
si fosse
addormentato sulla scrivania… cosa
che
effettivamente stava facendo. Non
che
servisse a molto, ad essere sinceri. Fissai rimirante
l’oggetto delle mie
ricerche: il passpartout della G.U.N., un oggetto che ogni comandante
doveva
tenere con sé per poter accedere a qualsiasi area della base
in qualsiasi
momento da questi ritenuto opportuno.
Uscii rapidamente dalla stanza, camminando a
testa alta verso l’ascensore. Schiacciai il tasto per il
piano 53: sala sezione
d’utenza satellitare.
Dopo un interminabile minuto, le porte si
aprirono. Schizzai fuori, trovandomi nei soliti, monotoni corridoi
grigi.
Andavo a memoria, sperando, come prima, che tutto fosse ancora al suo
posto, ed
effettivamente era così. Una volta davanti alla porta che
cercavo, passai la
tessera nella serratura elettronica. La luce verde che emise fu il
segno che
potevo passare. Mi ritrovai in una larga sala con degli enormi schermi
di
computer sui muri. Le persone trottavano frenetiche con centinaia di
documenti
tra le mani o osservavano gli schermi con aria assorta.
Io sarei passata inosservata solo finché non
avessero mandato un avviso generale sulla mia presenza, quindi presi
subito i
miei occhiali da sole. Non perché mi avrebbero tenuta
nascosta, ma per una
loro particolare
proprietà: potevano
immagazzinare e registrare immagini, anche in movimento. In breve erano
praticamente delle macchine fotografiche che non davano nell’
“occhio”.
Comunque sia, conosco le abilità di mio marito: se Amethist
si fosse
semplicemente allontanata, o fosse stata presa da un gruppetto di
delinquenti
qualunque, lui sarebbe quantomeno riuscito a trovare degli indizi nelle
vicinanze. Quindi dovevano essere dei banditi seri. Quindi, la G.U.N.
sarebbe
stata la prima a tenerli d’occhio, anche via satellite se
necessario.
Cominciai a cercare computer che fossero
liberi, senza fortuna. Le mie camminate si facevano poco a poco
spasmodiche,
segno forse che il tempo aveva corroso la mia capacità di
mantenere la calma in
situazioni di pericolo. O forse perché questa situazione era
insostenibile
anche per me.
Poi qualcosa catturò la mia attenzione: l’immagine
di una nave
a mollo sul mare, non molto definita poiché coperta dal
manto di tenebre della
notte. Molto probabilmente era ferma, visto che non notavo scie
d’acqua in
movimento di alcun genere. E guardando meglio, vidi una macchiolina un
po’ più
chiara, a qualche metro di distanza dalla nave. Più le
immagini scorrevano, più
quella ‘’macchia’’ si
avvicinava al ponte, fino a salirvi sopra.
L’avevo
trovata. Era lei.
Iniziai a scattare foto della nave, sperando che, per
curiosità, gli agenti avrebbero
zoomato su quel puntino bianco per capire cosa stava svolazzando
lì vicino. Non
successe. Probabilmente la confusero con un gabbiano. Comunque, io
speravo che
non fosse un gabbiano con delle ali strane. Improvvisamente, un allarme
colorò
di rosso l’ambiente: -Attenzione,
intruso
nell’edificio, rimanere allerta. Segnalate ogni individuo
sospetto immediatamente…Attenzione…-.
Mentre la
gente cominciava a guardarsi attorno spaventata, alcuni avevano
già cominciato
a puntare lo sguardo su di me, segnale che mi convinse ad andarmene.
Cominciai
a marciare velocemente, ripercorrendo la strada che avevo fatto poco
prima, e
mi diressi verso la porta d’uscita della stanza. Poco prima
che potessi aprire
la mia unica via d’uscita, questa si aprì da sola,
e subito dopo un uomo in
divisa da poliziotto, una guardia di livello basso, mi puntò
una pistola contro.
-Ferma dove sei, tieni le mani dove possa vederle!- strillò.
Era evidente di come il Comandante si fosse già ripreso.
-Qui agente sezione d’utenza satellitare numero 2. Ho preso
l’intrusa, mi preparo ad immobilizzarla-.
In quel breve lasso di tempo mi sbilanciai e tirai un calcio
all’arma, disarmando l’uomo, per poi colpirlo con
un altro calcio sul ventre e
facendolo cadere a terra. Dovevo aver perso un po’ di
manualità con il passare
degli anni, perché non mi accorsi immediatamente che la
guardia si era alzata e
si era armata di un taser. Cercò di colpirmi con esso,
rilasciando il cavo
elettrico dell’arma, ma riuscii a schivarlo appena in tempo.
Quindi lo colpii con un calcio
dietro i polpacci per fargli perdere l’equilibrio, facendolo
crollare sulle
ginocchia e dandogli il colpo di grazia con una testata sul cranio che
gli
fece perdere i sensi. Presto sarebbero arrivati i rinforzi, quindi
cominciai a
correre. Ormai avevano capito chi era la persona di troppo. Misi in
tasca gli
occhiali per proteggerli. Erano la mia unica speranza per poterla
ritrovare.
-Ferma!- strillarono alle mie spalle. Presi dalle tasche dei
piccoli dischetti e li attivai, schiacciando un piccolo pulsante sopra
di essi.
Li lanciai contro la vetrata distante qualche metro da me.
-Ferma! Non costringerci ad aprire il fuoco!- Mentre mi
urlavano contro, sentii il picchiettare del vetro, segno che cominciava
a
rompersi sotto l’effetto dei dischi ad ago di titanio. Quello
che sembrava il
leader cominciò ad avvicinarsi a me molto velocemente.
Fortunatamente, sotto la
divisa aveva portato con me gli indumenti che un tempo indossavo
durante i miei
colpi. Mi rimossi la parte superiore della veste, lanciandola contro
quel ‘uomo.
Quando cominciarono a spararmi contro, in un azione rapidissima, io
stavo
correndo contro la finestrata, saltando poi verso di essa.
L’impatto con il mio
corpo la distrusse, dopo che fu indebolita, e potei finamente saltare
giù. Mentre ero in
discesa libera, aspettai qualche secondo, poi aprii rapidamente le ali,
cominciando a riprendere quota, mentre i soldati cercavano di colpirmi
a
distanza. Ma non era finita. Sapevano chi ero e dove vivevo ora che
avevo la
fedina penale pulita. Dovevo allontanarmi, e avvertire Knuckles di
allontanarsi
da Angel Island. Sapevo esattamente dove andare.
***
Tails
Ce l’avevo fatta, finalmente. Dopo settimane
di studi infiniti e giornate intere passate sopra al microscopio, avevo
ciò che
Shadow voleva! Ciò che caratterizzava gli alieni era una
moria di cellule dieci
volte più lenta rispetto a quella dei mobiani. Tutto questo
ero garantito da un
particolare enzima presente nel loro apparato circolatorio, che nutriva
le
cellule. Ciò dava loro un’aspettativa di vita
pressoché infinita, forse uno dei
motivi per cui erano inclini ad invadere altri pianeti, considerata la
loro
illimitata tendenza alla riproduzione asessuata. Shadow, ovviamente,
era
provvisto dell’enzima per via genetica.
Era bastato semplicemente trovare un modo
per rimuoverlo dal loro sangue, una fatica che mi ricorderà
di non avere mai
più a che fare con la biologia. Quello che mi rimaneva da
fare era aspettare di essere contattato da Shadow.
Poco prima che potessi tornare al lavoro,
sentii il campanello di casa suonare e, pensando che fosse qualche
agente
della G.U.N. che stava per darmi l’ennesimo ultimatum per
farsi restituire i
campioni del sangue di Black Arm che avevo preso in prestito, mi
affrettai ad andare ad aprire. Afferrai con
violenza la maniglia della porta, senza nemmeno guardare dallo
spioncino a
causa del nervosismo che mi pervadeva in quel momento.
-Ok, vi ho già detto che
ho finito, ve li stavo… Knuckles? Rouge? Che ci fate qui?
Che sorpresa…- Knuckles
mi interruppe subito, quasi cercando di intimarmi il silenzio.
-Tails, ti prego, facci entrare. È un’emergenza-.
Ovviamente non mi opposi; per Knuckles avrei fatto questo e altro. Non
sapevo
che stavano per rifilarmi un’altra gatta da
pelare…
***
Amethist
Il piatto non era ancora caduto. Continuava
a ruotare insistente e doveva
continuare a farlo. Era il secondo giorno che continuavo a esercitarmi
ininterrottamente con Wave che mi teneva bene d’occhio
affinché non mollassi tutto
sul più bello e scappassi chissà dove. Non
chiudevo le palpebre da due giorni, e
ormai i miei occhi non guardavano il piatto, ma il vuoto, nel disperato
tentativo di non chiudersi. Erano passate cinque ore
dall’ultima ora che avevo fatto cadere un piatto, spargendo i
suoi pezzi per tutto pavimento. Ero ormai al limite e
stavo per esaurire le poche forze che mi erano rimaste. Avevo fatto
tutto ciò
che il corpo di una diciasettenne poteva fare, e sapevo che il sonno
avrebbe
avuto la meglio su di me molto presto. I miei occhi si stavano
chiudendo lenti
e inesorabili.
-Basta così!- Li sbarrai improvvisamente,
sentendo Wave sbraitare con la sua voce acuta, e il mio cuore
sobbalzò. Feci saltare
il piatto in aria, mentre ancora girava su sé stesso. Ma non
pensavo che
sarebbe finita male. Ad essere sincera, non pensavo affatto.
Lo seguii con lo sguardo, alzai la mano che impugnava la
bacchetta, e il piatto, nonostante la sua pesantezza, sembrò
appoggiarvisi
delicatamente sopra. Non riuscivo nemmeno più a sentirne il
peso. Continuò a
girare con noncuranza.
-Ora sei pronta- disse con un sorriso di soddisfazione, o di
felicità, stampati sul becco. Erano probabilmente dovuti
alla stanchezza, visto
che anche lei non chiudeva occhio da un paio di giorni.
Non ne vedevo l’importanza… in fondo, le streghe
non provano
sentimenti, no?.
-In che senso? Vuoi dire “pronta”, o
“pronta pronta”?-
bafugliai, un po’ incredula nel sentire quelle
parole.
-Pronta ad allenarti
seriamente. Non illuderti, c’è ancora molto lavoro
da fare con te-.
-Quando iniziamo?-
-Immediatamente-. Non potevo credere che stesse dicendo sul
serio. Ero esausta, e lo sapeva perfettamente.
Ma l’immagine di mia madre che mi sfotteva sul quanto io
fossi
nulla al suo confronto continuava a tormentarmi la mente. E la
stanchezza certo
non aiutava a farla scomparire. -Beh, passami una
tav…un’Extreme Gear-.
-Non qui-.
-E dove allora?-
-Lo sai bene dove…- Voleva farmi tornare sul ponte?
-Ma allora si può sapere perché mi hai portato su
una pista
più semplice se il tuo scopo era quello di non farmici
nemmeno salire sopra?-
Lei sorrise maliziosamente, mi si avvicinò e poi
parlò.
-Volevo solo illuderti
che ti avrei reso la vita più semplice. Non abbiamo
così tanto tempo, quindi
sbrigati-.
‘’Ti odio, ti odio, ti
odio!’’
Però, alla fine dei conti aveva ragione. Fu solo in que
momento che mi resi conto che, per tutto il tempo
in cui ero rimasta volontariamente prigioniera, non avevo pensato
neanche
lontanamente ai miei genitori. Non in modo approfondito, almeno.
Wave mi lanciò tra le braccia un’Extreme Gear.
-Forza, diamoci una mossa-.
***
-Io non credo di essere in grado di fare
questa cosa. Non adesso. Negli
ultimi
giorni non ho chiuso occhio, sono troppo stanca- mormorai debolmente,
osservando la rondine mentre tirava verso di sé la leva al
centro del ponte
della nave.
-Oh, non dire sciocchezze. Sei stanca, è
vero-. Il percorso cominciò a materializzarsi sotto i miei
occhi. -Ma sono
certa che tu non vorrai cadere, non è così?-
Quando il campo d’allenamento si fu formato
completamente, Wave si guardò intorno soddisfatta. -Bene!-
Si voltò verso di
me, alzando un dito per aria. -Ci sono delle regole quando sei sulla mia pista.
La prima: non cadere. Sappi che non verrò più a
salvarti-.
Alzò un secondo
dito. -Seconda: devi finire il percorso restandoci sopra. Come terza e
ultima
regola: non devi assolutamente
arrivare al traguardo senza aver preso prima quel gioiello- disse,
indicando
quella che mi sembrava una piccola pietra appesa tramite un filo di
ferro alla
parte superiore del terzo percorso a chiocciola della pista.
L’ultimo, per
l’esattezza. Era posizionato giusto qualche metro prima della
linea di arrivo.
La guardavo con un’espressione ebete,
intontita, e veramente poco incline a continuare. Wave mi
alzò l’avambraccio
destro di scatto, il che mi fece svegliare. Poi mi tirò i
capelli.
-Non mi aspetto che tu ce la faccia, stupida
ragazza…- mi disse presuntuosamente, facendomi sobbalzare in
modo
impercettibile. Mi guardò fissa. -Dimostrami che mi
sbaglio-.
Mi diressi alla partenza di quella pista gialla. Imbracciai il Gear,
lo appoggiai a terra, e ci salii sopra. Gli diedi un colpetto di
tallone, e vidi
la prospettiva alzarsi lentamente, senza che muovessi un solo muscolo.
Lanciai
un’occhiata verso il basso, e vidi che mi ero già
sollevata dal suolo, senza
essere scattata in avanti e senza aver perso l’equilibrio.
-Non chinarti, guarda davanti a te!-
Ascoltai subito il suo consiglio. -Porta in avanti il busto,
lentamente-.
Nonostante le prime difficoltà iniziali,
riuscii ad avanzare a velocità spedita per tutto il
rettilineo iniziale. E poi
non ero ancora scivolata, quindi tutto andava perfettamente.
Poi arrivò il momento fatidico: la curva. La
stessa per cui ero quasi caduta in mare la volta prima. Accelerai
leggermente,
mantenendo una traiettoria stabile.
-Stai attenta, non strafare!- urlò Wave. Non
riuscivo a sentirla bene: ero troppo stanca per recepire il messaggio,
e il suo
urlo era per le mie orecchie poco più che un bisbiglio.
Quando arrivai nel
tratto critico, non riuscii a rallentare, e lo superai continuando ad
andare
dritta, nel vuoto. Le mie palpebre si alzarono
all’improvviso. Guardai
velocemente sotto di me, per vedere un immenso mare blu che mi stava
invitando
ad abbracciarlo e ad affondare tra le sue onde.
-Attenta!- strillò la rondine, la voce che si
era fatta improvvisamente più acuta. Diedi una forte spinta
con il piede al
Gear, attivandone il propulsore. Una spinta improvvisa la fece scattare
in
avanti molto velocemente, riportandomi sulla pista. Il resto del
percorso fu
relativamente semplice. Riuscii ad
affrontare tutte le curve e i rialzamenti nel terreno senza troppi
problemi.
Evidentemente l’essere intontita mi faceva bene. Quando
arrivai alla fine della
pista, davanti a me si pararono le tre giravolte. ‘’Calma
Amethist. Rilassati’’. Svuotai la mente e
chiusi gli occhi.
Pensai a qualsiasi cosa che mi venisse in mente che mi avrebbe fatto
dimenticare di essere lì in quel momento.
Superai la prima giravolta. Un senso di
vuoto mi pervase ogni vena del corpo per qualche secondo,
solleticandomi,
dandomi una sensazione d’impotenza eppure di controllo...
dandomi la sensazione
di volare. Dopo poco, tutto ritornò normale.
Provai a immaginare a come i miei genitori
avrebbero reagito vedendomi ritornare a casa. Mi avrebbero strillato
contro o mi
avrebbero accolto di nuovo tra le loro braccia?
Superai anche la seconda. La sensazione di
vuoto si ripresentò nel mio stomaco, questa volta. Era il
turno del terzo e
ultimo ostacolo.
Schiusi debolmente gli occhi. Il tempo
sembrò rallentare. Ero stanca… molto. E non
sapevo se quello che stavo facendo
era la cosa giusta. Fui combattuta sul decidere se addormentarmi oppure
aprire
gli occhi in cerca della forza che mi serviva. ‘’Se
riesci a prendere quel gioiello, avrai compiuto il primo passo per
diventare una ladra. Una vera ladra’’.
Aprì con tutta la forza che mi rimaneva le
palpebre e accelerai di scatto. -Al
diavolo!- Ero nella parte più alta di quella pista a
chiocciola, in quella
breve sezione in cui ero perfettamente a testa in giù.
Saltai all’indietro con
la tavola, capovolgendola. Allungai un braccio per arrivare fino al
gioiello e
lo afferrai con forza, staccandolo da quel dannato filo. Riatterrai
pesantemente sul pavimento, continuando ad avanzare rapidamente verso
il
traguardo e superandolo. ‘’Rallenta!’’
mi avvisò una vocina nella mia testa. Non appena mi accorsi
della velocità
spaventosa a cui stavo andando, raschiai la tavola contro il pavimento,
cercando di creare attrito. Riuscii a fermarmi giusto qualche momento
prima di
andare a sbattere contro la parete.
Scesi dalla tavola e la tenni in mano
posizionata verticalmente.
-Oh mio Dio, ce l’hai fatta!- strillò Wave
correndomi
incontro, presa dall’entusiasmo. Io la guardai spaesata, con
un sorriso
intontito sulle labbra.
-Eh…?- mormorai. La tavola si sgretolò
improvvisamente sotto la mia presa. A malapena me ne accorsi.
-Ce l’hai fatta- ripeté Wave con un sorriso
nonostante quella fosse la terza tavola che distruggevo.
-…Ce l’ho che…?- Risposi, combattuta
tra il
sonno e lo stupore
-Ce l’hai fatta, corpo di mille balene!-
disse lei in un iniziale attimo di entusiasmo, dopo il quale
cercò quasi di
ricomporsi, come se avesse appena violato qualche protocollo. Poi
sorrisi
pacatamente.
-Bello. Ora scusa, ma svengo un attimino-.
***
Furono le vibrazioni persistenti della nave
a svegliarmi quella mattina. Aprii le palpebre a fatica, alzandomi a
sedere sul
letto. Mi guardai un attimo intorno, disorientata. Qualcuno mi aveva
evidentemente portato nella mia stanza.
-Finalmente sei sveglia-. Mi voltai, e vidi
Wave seduta su una sedia posizionata vicino al mio letto.
-Ciao- mormorai in uno sbadiglio sonoro.
-Cosa ci faccio qui?-
-Quando abbiamo finito l’allenamento sei
crollata addormentata sul ponte, quindi ti ho portato qui- rispose
secca. -Se
hai fame, lì c’è la colazione-. Fece un
cenno a un vassoio posato ai piedi del
letto. Mi ci fiondai praticamente sopra. Non ricordavo di aver mai
avuto tanta
fame.
-Wave?- borbottai con la bocca piena dopo
qualche minuto di silenzio.
-Mhh?-
Buttai giù un boccone di cibo. -Cosa
succederebbe se i miei genitori non avessero abbastanza soldi?-
Lei alzò dubbiosa un sopracciglio. -Perché
mi fai questa domanda?-
-Mi uccidereste?-
-Beh, diciamo che saremmo costretti a tenerti per
ancora un po’ di tempo. Ma sono certa che i
tuoi saranno in grado di trovare le finanze necessarie, giusto?-
sospirò con l’accenno
di un sorriso sulle labbra.
Io abbassai lo sguardo, ignorando il groppo in gola che si era
appena formato. -Sì, giusto-.
-Comunque, non hai ancora rispettato la tua parte del patto.
Come possiamo contattare i tuoi genitori? Hai un cellulare, no? Non
abbiamo
nemmeno potuto avvisare che siamo stati noi a prenderti. Saranno
terrorizzati.
Anche perché negli ultimi giorni sei sparita dalla faccia
della terra. Almeno
dimmi dove vivono-.
-Angel Island-.
Wave si irrigidì improvvisamente, gli occhi
strabuzzati. -È dove si trova il Master Emerald-
mormorò con il volto
leggermente impallidito. Si fermò a osservarmi per qualche
momento. Sembrava
aver realizzato solo in quel momento un orribile verità. Si
mordicchiò nervosamente
l’indice, mettendosi a riflettere. Si
alzò immediatamente dalla sedia e si
diresse verso la porta.
-Ora devo andare a parlare con il capitano.
Ci vediamo dopo- disse, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle e
senza
aspettare il mio saluto. ‘’Cosa
sta
succedendo?’’
***
Storm
A volte non capivo proprio il capitano.
Partiva con un obiettivo preciso in mente, e nel corso di una giornata
era in
grado di pianificare qualcosa di totalmente opposto! Ma io avrei sempre
eseguito il suo volere, non importava quanto ciò sarebbe
stato difficile. Come
da ordini ricevuti, mi diressi quindi verso la sala caldaie, proprio
accanto
alla sala da allenamento invernale. Invertii la rotta, facendo girare
la nave
nella direzione opposta. Era tardi ed ero piuttosto assonnato, motivo
per cui,
in questi casi, nascondevo sempre in ogni stanza una tazzina di
caffè per le
emergenze. Wave le trovava pochissime volte, quindi continuavo a farlo.
Quella
volta però non ricordavo proprio dove l’avevo
messa. Mi stirai, alzando le
braccia in aria, e per sbaglio urtai qualcosa. Era caffè.
Asciugai velocemente
per terra e anche sopra ai macchinari su cui si era riversato.
-Sono certo che sia tutto a posto…- bafugliai,
cercando di chiudere lì la faccenda. Quindi me ne andai a
letto.
***
Rouge
Gli ultimi giorni erano stati confortanti seppur
connotati da una certa tensione. Tails si era nuovamente dimostrato
affidabile
nei nostri confronti. Ci aveva ospitato a casa sua malgrado fossimo dei
fuggitivi ricercati, e ci aveva nascosto dai vari agenti che, come
prevedibile,
avrebbero pensato tra i primi luoghi in cui andare a cercarci il suo
laboratorio. Non che avessimo molti altri posti dove rifugiarci.
Negli ultimi giorni non avevamo fatto altro
che cercare di ottenere informazioni su chi avesse potuto rapire
Amethist e
perché.
-Venite qui- ci richiamò Tails dalla stanza
più isolata della sua casa: quella in cui progettava le sue
nuove creazioni.
Io e Knuckles ci dirigemmo in tutta fretta da
lui, sperando che ci portasse buone notizie. Tails era seduto su una
poltrona
nera girevole. Ci guardò con un sorriso.
-Ho scoperto di chi è la nave-.
-Davvero?- esclamò Knuckles incredulo,
fiondandosi al suo fianco. Lo seguii prontamente.
Tails si piegò sul suo computer, che sullo
schermo aveva impressa la foto che ero riuscita a ricavare dalla G.U.N.
-Lo vedete questo?- Il ragazzo indicò un
simbolo sul lato della nave. -Ero sicuro di averlo già visto
da qualche parte
tempo fa, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a ricordarmi a chi
appartenesse. Ho fatto qualche ricerca, e indovinate?- Buttò
sul tavolo della
scrivania una manciata di fogli pieni di informazioni e appunti a
matita
cancellati in malo modo. -Sono i Babylon Rogues-.
Spalancai la bocca. -Loro?!-
strillai infuriata.
-Razza di luridi traditori!- Knuckles strinse
con forza i pugni, cercando di trattenere la rabbia.
-Guardate qui- Afferrò una penna e indicò
qualcosa di molto piccolo sul monitor. -Quell’affare che
hanno ai lati della
nave è una nuova tecnologia che gira comunemente per il
mercato nero. È una
specie di specchio rifrangente. Permette di non essere visti
all’esterno, ma
dall’interno del luogo in cui si sono installati è
possibile vedere tutto-.
-Quindi?- chiese Knuckles snervato.
-Quindi loro li avevano disattivati, o hanno
avuto un malfunzionamento se siete riusciti ad ottenere questa foto, e
loro
erano visibili. Credo che abbiano un piano in mente-.
-Cosa te lo fa pensare?- chiesi, con la
speranza che finalmente si faceva di nuovo tangibile.
-Osservate- Attivò dei monitor, sui quali
potemmo chiaramente vedere la stessa nave della foto. Solo che stava
volando. -Queste
immagini sono in tempo reale-.
-Vuol dire che li stai
filmando in questo momento?!- chiesi
agitata.
-Esatto. Solo, non capisco come ciò sia
possibile-.
-Non ti seguo- disse Knuckles, sempre più
confuso sulla situazione.
-Non capisco come possa riuscire a captarli.
L’unica opzione è che i loro scudi, proprio in
questo momento, siano
disattivati. O, più precisamente, difettosi. È come
se lampeggiassero-.
-E dove sarebbe il problema in tutto ciò?-
chiesi.
-Il problema sta nella loro direzione di
viaggio-.
-Che sarebbe?- sputò Knuckles, stizzito.
Potei chiaramente sentirlo ringhiare.
-Angel Island-. Cominciai ad avere paura, e
aumentai senza neanche accorgermene la frequenza delle domande.
-Qualcosa non quadra. Prima hanno rapito
Amethist, poi ce la riportano indietro nonostante siano completamente
indifesi.
Perché?-
Tails si fece sempre più serio, man mano che
la conversazione proseguiva. -Vedete, per avere un quadro
più chiaro ho dovuto
calcolare la direzione e la velocità del vento, unitamente a
quella alla quale
si stanno muovendo. Tutto sommato, saranno a terra entro questo tardo
pomeriggio. E qui torniamo a parlare di quello che potrebbe essere il
loro
piano-. Deglutii a fatica, cercando di tenere a
bada
il battito cardiaco accelerato.
-Vai al punto- lo intimò Knuckles. Tails gli
lanciò un’occhiata poco cordiale per averlo
interrotto.
-Sull’isola c’è il Master Emerald. Loro
sono
dei ladri, e potrebbero avere intenzione di rubarlo utilizzando
Amethist come
ostaggio-. Knuckles smise di respirare, ogni muscolo del corpo teso al
massimo.
-Andiamo a riprendercela- disse risoluto.
-Ho la loro posizione e so a che velocità
viaggiano. Ma è comunque troppo rischioso. Con gli anni
possono essere
diventati più scaltri e più abili. Riuscivi a
competere con Storm anni fa, ma
potrebbero avere aggiunto qualche nuovo membro alla banda. In
più stanno
volando nel bel mezzo dell’oceano. Non riuscireste mai a
stare al loro passo-
disse Tails.
Serrai la mascella con rabbia. Poi io e
Knuckles ci guardammo in contemporanea. Sapevamo cosa dovevamo fare.
-Abbiamo
bisogno d’aiuto- sussurrai, sapendo che Knuckles avrebbe
capito.
***
Sonic
Green Hill stava cambiando. Un tempo potevi
aspettarti di tutto da queste terre, poiché spesso erano il
luogo di nascita,
insieme ai suoi dintorni, di svariate minacce. Tuttavia, erano
sostanzialmente
un posto pacifico per il resto del tempo.
Ormai erano diventate un terreno di caccia
continuo per i Badnik. Erano anni che gli abitanti di quelle terre che
non sarebbero
riusciti a contrastarli non vivevano più tranquilli, nel
terrore di venire
catturati e trasformati.
Qui entravo in gioco io. Era solo una questione
di tempo relativamente breve prima che raggiungessi il luogo in cui
c’era
bisogno del mio aiuto, o al limite dalle truppe G.U.N., e quindi a
liberarli,
ridonando loro la libertà. Ma non era comunque molto
confortante sapere che, da
qualche parte, nel mondo, c’è uno scienziato pazzo
il cui scopo è di catturarti
e renderti suo schiavo. E per la prima volta,
sapevo che Eggman stava
aumentando la sua attività, che aveva in mente qualcosa.
Ma non sapevo dove trovarlo. Quel grosso uovo
parlante si faceva beffe di me e di tutto il mondo e io non potevo
farci nulla.
Ormai non potevamo nemmeno più girare eccessivamente liberi
a casa nostra. Il
culmine fu raggiunto un paio di giorni prima, quando un due agenti
della
G.U.N. armati di mandato di perquisizione, cominciarono a controllare
per
lungo e per largo casa nostra, scatenando le ire di mia moglie. Non ci
dissero neanche che cosa volevano, poiché a loro dire era
“Questione di sicurezza
nazionale”.
Come ciliegina sulla torta, quando venni a
scoprire che quegli sconsiderati di Dash e Althea erano tornati dalla
loro
scampagnata nella Foresta di Confine, fui talmente furioso che proibii
loro la
libera uscita. In fondo, sapevo che Shadow avrebbe fatto la stessa cosa
se
avesse visto in che condizioni era ridotta la spalla di sua figlia.
Green Hill
stava cambiando. Un tempo dissi ad un’amica che tutte le cose
sono destinate a
nascere, a vivere e poi a morire. Però devo ammettere che
vedere la propria terra
impazzire gradualmente non era facile né piacevole.
Guardai pensieroso fuori dalla finestra. Anni
prima non mi facevo così tanti problemi su come e quando
avrei dovuto
proteggere il mondo. Evidentemente invecchiare non mi faceva un
bell’effetto.
Riflettendoci, non avevo mai pensato a cosa
avrei fatto quando, un giorno, io non sarei più stato in
grado di fare il mio
dovere. Quando non sarei più stato più in grado
di correre.
-Sonic?- Mi girai. Amy mi guardò
preoccupata mentre si
avvicinava lentamente a me. Era cambiata nel corso del tempo. Le spine
le si
erano allungate un poco, si era alzata, le forme si erano fatte
più evidenti e
i lineamenti del volto erano diventati più decisi, ma
rimanendo allo stesso
tempo delicati. Era maturata in tutto: fisico e mente.
-Qualcosa non va?- mi chiese, posandomi una
mano sul braccio. Scossi la testa, sospirando e sorridendole.
-Niente. Sto bene-.
Lei alzò un sopracciglio. -Ti conosco da
quando ero una ragazzina. Credo di avere capito quando
c’è qualcosa che ti
turba-.
L’ultima cosa che volevo e di cui avevo bisogno
era metterla ulteriormente in ansia con le mie paure. Le sorrisi
rassicurante,
avvolgendole un braccio intorno alle spalle e stringendomela
contro.
-Stavo
pensando che stanno iniziando a comparirmi le prime rughe sulla faccia.
Mi
rendono meno affascinante secondo te?- dissi teatrale, con un sorriso
smagliante sulle labbra.
Amy rise, scuotendo rassegnata la testa. -Non
credo proprio-.
Mi distrassi dalla nostra chiacchierata
solamente quando sentii bussare pesantemente alla porta
d’ingresso. Grugnii scocciato,
sciogliendo la stretta che aveva il mio braccio su Amy e andando ad
aprire.
-Knuckles?- esclamai sorpreso appena vidi il
volto del mio amico. L’echidna sembrava stremato, con la
faccia pallida e gli
occhi cerchiati dalle occhiaie. -Hai un aspetto orribile. Che cosa ti
è
successo?-
-Loro sono qui?- chiese. Io lo guardai
confuso mentre Amy mi si affiancò.
-Loro…?-
-Gli agenti della G.U.N. Stanno cercando me e
Rouge-. Lo afferrai per un braccio, trascinandolo velocemente in casa.
-Cosa diavolo avete fatto?- chiesi,
richiudendo la porta tirandole un calcio non esattamente delicato con
il
tallone.
-Amethist è sparita- spiegò, premendosi una
mano sulla fronte, probabilmente a causa di un’emicrania.
-Sparita?- sussurrò Amy scioccata.
-L’hanno rapita- ringhiò Knuckles nervoso.
Lo accompagnai con un gesto del braccio verso
il divano. -Adesso ci sediamo un attimo… e mi spieghi ogni
cosa-.
***
-I Babylon Rogues?- disse Amy incredula. -Come
hanno potuto?-
-Knuckles… sei sicuro che le cose stiano
davvero così?- gli chiesi, essendo a conoscenza della tendenza di Knuckles a
prendere granchi e
crostacei vari. Il mio vecchio amico impose la sua elaborata ipotesi,
come suo
solito trattenendo a stento la rabbia
-Non mi interessa quale sia il motivo che li
ha spinti a fare questo, hanno mia figlia e ora la stanno usando contro
di me
per privarmi anche dello smeraldo. Vecchi amici o no, li
farò a pezzi se
creeranno problemi!-
Cercai di calmarlo, poiché sembrava quasi volermi
assalire. -Whoa, calmo amico! Ti daremo una mano a risolvere
la situazione, ma sono più
che sicuro che ci sia una spiegazione logica a tutto questo!-
Dopo che riprese fiato per quella scenata
fatta davanti a Amy e le mie figlie, recuperò la parola. -Ti
ringrazio, Sonic-.
-Posso venire anch’io?!- Sentimmo una voce
provenire da qualche parte che fece questa domanda, poco prima di udire
un
tonfo sordo nel giardino.
Uscimmo velocemente di casa. -Oh mio Dio,
Dash!- strillò Amy, dirigendosi verso il giovane riccio
disteso con la faccia
schiacciata al suolo e scuotendolo. Sunny ed Emily scoppiarono
inavvertitamente
a ridere, immediatamente zittite da un’occhiata della madre.
Dash si alzò a fatica, massaggiandosi il capo
dolorante.
-Allora, posso venire anch’io con voi?- chiese, scordandosi
improvvisamente di essere caduto dalla finestra del primo piano,
guardandomi
con gli occhi luccicanti per l’eccitazione.
-No- risposi secco.
-Andiamo, perché no?- sbuffò con fare offeso.
-Perché sei in punizione per aver deliberatamente
disubbidito ai miei ordini-.
-Ma io potrei esservi utile!- ribadì deciso.
Quel ragazzo era decisamente in astinenza dal poter uscire
all’aperto e
correre.
-Non credo che sia il caso, Dash-.
-Papà, avrete bisogno del maggior aiuto
possibile. Insomma, cos’è più
importante per te, tenermi in punizione o salvare
la ragazza?- chiese con un sorriso sbruffone, conoscendo perfettamente
la mia
risposta.
-Ma…-
-Forza pa’,
infondo sono solo un ragazzo che
ama le avventure- disse alzando l’indice e strizzandomi con
fare quasi
cospiratorio l’occhio. Per un attimo fui quasi inquietato
dalla nostra
spaventosa somiglianza quando mi imitava.
Ero tentato dal negargli di nuovo il permesso di accompagnarmi,
ma mi vennero in mente i pensieri che avevo avuto poco prima che
Knuckles ci
portasse quelle brutte notizie: il tempo che abbiamo per poter fare e
diventare
tutto quello che vogliamo non è infinito. E
Dash era proprio nell’età in cui avrebbe dovuto
schiarirsi le
idee. Se bloccavo le poche occasioni in cui poteva accompagnarmi in
missione
allora non avrebbe avuto più molte opportunità
per decidere cosa fare in
futuro. Amava correre alla follia e io gli stavo negando quella
passione.
-…Ok, puoi venire con noi. Ma dovrai ubbidirmi, è
chiaro? Non
fare di testa tua-.
Dash annuì entusiasta, zampettandomi allegramente
vicino.
-Partiamo immediatamente Knuckles. Dov’è Rouge?-
chiesi.
-Abbiamo deciso che fosse meglio se soltanto uno dei due
venisse a chiederti aiuto. Non potevamo rischiare che la G.U.N. ci
scoprisse e
ci catturasse entrambi-.
Annuii. -Verso che ora dovrebbero arrivare sull’isola i
Babylon?-
-Tails crede che atterreranno nel tardo pomeriggio-.
Dash alzò il braccio con la mano stretta a
pugno. -Andiamo a riprenderci tua figlia, Knuckles!- esclamò
come grido di
battaglia.
***
Frenai di scatto, derapando vicino al bordo della scogliera e
alzando un immenso nuvolone di detriti. Dash si fermò
qualche metro prima di
me, guardandomi spaesato.
-Perché siamo qui?- chiese con una nota di panico,
completamente paralizzato mentre fissava a disagio il mare, il quale
sembrava
dominato da quella grossa arma volante.
-Perché dovremo rincorrere la nave, che in questo momento
è
laggiù- spiegai, indicandogli con il dito un piccolo,
distante puntino già
visibile nel cielo.
-Tu resterai qui. Se ci mettiamo troppo tempo per tornare,
vai ad avvertire Rouge e veniteci a cercare- dissi. Knuckles
salì sulla piccola
navicella volante che Tails gli aveva fornito per riuscire a tenere il
mio
passo quando saremmo stati in mare. Se la situazione non fosse stata
così
rischiosa avrei già iniziato a sfotterlo.
-Cosa?! Papà, aspetta un attimo!- provò a
fermarmi Dash.
Mi avvicinai al bordo della scogliera, finché le mie scarpe
non
furono per metà nel vuoto. -Fai come ti ho detto-.
Poi mi buttai giù, senza pensarci troppo. Poco prima di
affondare il corpo nell’acqua, cominciai a correre, e dopo qualche attimo avevo
già preso contatto
con quell’enorme massa liquida di acqua che una volta era
capace di farmi
cadere in ginocchio, ai suoi piedi. Potevo avvertire l’enorme
scia che mi
lasciavo dietro. Knuckles mi raggiunse dopo poco, anche se stava
provando in
ogni modo di mantenere la navicella in una traiettoria stabile.
-Da quando hai cominciato a correre a pelo d’acqua
spontaneamente?- strillò, cercando di farsi sentire sopra il
rumore dell’acqua
che veniva sollevata dietro di me. Alzai le spalle, sorridendogli con
fare sbruffone.
Passarono solo pochi minuti dalla nostra partenza quando fummo
a praticamente due passi dalla nave.
-Come facciamo?- mi chiese Knuckles, pensando che sapessi
dargli una risposta.
-Sali sulla nave-.
-È troppo in alto, come dovrei fare!?- A quel punto
cominciai a
rotolare su me stesso, spiccando un altissimo balzo e arrivando quasi
all’altezza del nostro obiettivo. Continuavo a salire a
velocità elevatissima,
finché non avvertii un violento impatto che mi scosse tutto
il corpo, il tutto seguito
da un’esplosione. Capii di aver appena attraversato la nave
dal basso verso
l’alto, poiché poi rividi il cielo azzurro sopra
di me dopo qualche momento. Mi
preparai per atterrare sul ponte, vedendo che Knuckles stava facendo lo
stesso
visto che la nave si era abbassata gradualmente.
-Bella mossa- mi disse mentre scendeva da quel mezzo.
-Ne dubitavi?-
Guardammo entrambi davanti a noi, prima di rivolgerci la
parola, consapevoli che il vacillare improvviso della nave poteva solo
significare che saremmo “atterrati” presto in
acqua.
-Io entro e cerco Amethist.- disse determinato il mio amico
-Io invece cerco quei bravi ragazzi e poi ci faccio una bella
chiacchierata-.
-Va bene. Seguimi!-
-No, tranquillo, prendo la scorciatoia- ridacchiai, lasciandomi
cadere nel buco che ero appena andato a creare. Una volta toccata
terra, vidi
che avevo letteralmente distrutto la sala di controllo, o roba del
genere. Non
saremmo rimasti in aria ancora a lungo, quindi cominciai a correre.
Vagai per
tutta l’ala ovest della nave, cercando di trovare con una
fretta disperata i
miei obbiettivi. Delle sirene rosse illuminarono i corridoi, facendo un
gran
fracasso. Subito dopo, il loro insopportabile rumore fu sostituito da
un gracchiare
elettronico.
-Sonic, da quanto tempo!- strillò allegra quella che
probabilmente era la voce di Jet.
-Da quando la tua voce è così scura? Me la
ricordavo molto più
stridula e acuta- dissi di rimando, consapevole del fatto che lui
probabilmente
potesse sentirmi.
-Mooolto simpatico. Adesso ascoltami: so che questa situazione
ti può sembrare strana, ma posso spiegarti tutto. Niente
è come sembra-.
-Sì, certo. Nulla è reale, tutto è
lecito, come vuoi.- Lo
ignorai e continuai per la mia strada.
-Andiamo Sonic, parliamone con calma- sbuffò. Davanti a me,
una
decina di spesse porte blindate cominciarono ad abbassarsi rapidamente.
Accelerai, sorpassandole prima che mi tagliassero fuori. Feci una
scivolata per
oltrepassare l’ultima porta, che si chiuse pesantemente a
qualche centimetro da
me.
Ripresi immediatamente a correre, diretto verso l’ultima
porta
del corridoio, isolata da tutto il resto.
-Jet!-
***
Knuckles
Mi catapultai immediatamente giù dalle scale sfondando
l’entrata, cominciando ad aprire ogni porta che trovavo e a
cercare nella sua
rispettiva stanza.
-Amethist!- gridai, sperando con tutto il cuore di trovarla. I
minuti passavano, la nave precipitava poco a poco e l’ansia
per ritrovare mia
figlia mi annebbiava la mente.
Quando uscii dall’ennesima camera senza aver trovato nulla,
vidi che al termine del corridoio mi aspettava una piacevole sorpresa.
-Storm- sussurrai in un ringhio impercettibile.
-So che tutto questo ti può sembrare strano, ma se ti calmi
un
attimo potrò spiegarti tutto quello che è
successo- bofonchiò con la sua
vociona.
-RIDAMMI MIA FIGLIA!- urlai a pieni polmoni, lanciandomi di
corsa contro di lui.
-Aspetta un…- Lo zittii con un potente pugno sulla mascella,
che lo catapultò contro il muro opposto. Cadde a terra con
un potente tonfo.
-Dimmi. Dov’è. MIA FIGLIA!-
L’albatros si rialzò, scrocchiandosi il collo con
una mano. -Vedo
che vuoi risolvere le cose alla vecchia maniera… va bene.
Facciamolo- rise lui.
Mi scrocchiai le nocche e le spalle, sfidandolo apertamente con
lo sguardo. -Fatti sotto-.
Storm mi lanciò contro una tavola di quelle
appese al muro. La afferrai in tempo, ma il volatile mi si era
già avvicinato,
colpendomi lo stomaco con una ginocchiata. Fui senza fiato per diversi
secondi.
Gli colpii la faccia con la tavola, spaccandola in due e confondendolo.
Approfittai della sua momentanea cecità e lo riempii di
pugni sul becco. Mi
afferrò per un braccio e mi lanciò con violenza
contro una porta distante
qualche metro da me, distruggendola. Mi rialzai.
Lui mi saltò addosso, facendoci entrare nella
stanza rotolando e continuando a picchiarci a vicenda. Ero schiacciato
dal suo peso,
quindi gli tirai un calcio nello stomaco. Lui si strinse la pancia e io
ne
approfittai per sbalzarlo via.
Afferrai una sedia vicino a me e gliela
sfasciai sulla schiena. Storm mi afferrò per le spine e mi
fece girare attorno
alla stanza, facendomi sbattere per tutti gli spigoli della stanza. Mi
diedi
una spinta con i piedi contro il muro e colpii l’albatros con
una testata,
mandandolo a terra.
***
Sonic
Distrussi la porta dell’ufficio di Jet con
uno Spin-Dash. Mi rialzai e mi spolverai le ginocchia.
-Ora,
mi devi delle spiegazioni-.
Jet incrociò le mani, facendomi segno di
aspettare. -Certamente. Ma prima dobbiamo atterrare-.
***
Knuckles
Stavamo di nuovo per attaccarci a vicenda,
quando un improvviso urto ci vece cadere entrambi a terra. Quel
violento
scossone durò per un minuto circa. Quando finalmente tutto
fu più calmo, io e
Storm ci calmammo.
-Credo che sia il caso di darsi una calmata
e di parlare con calma di quello che è successo-
borbottò, stirandosi la
schiena. -Anche perché credo che la nave si sia appena
schiantata sul mare-.
-Va bene. Ora portami da mia figlia-.
***
Sonic
Jet mi portò fino alla stanza di Amethist, accompagnato da
Wave. Dovevo ammettere che ero stato sorpreso nel vedere come fossero
cambiati
entrambi nel corso del tempo. Wave
bussò alla porta.
-Chi è?- domandò la voce di Amethist
dall’altra parte. La
rondine aprì la porta, aprendomi una camera per niente male,
che avrei potuto definire
piuttosto lussuosa.
Amethist ci guardò leggermente confusa, seduta su un letto
abbastanza grande. -Cosa ci fate tutti qui?- Poi mi guardò.
-Un momento… credo
ci averla già vista da qualche parte- rifletté.
-Sono un amico di tuo padre, che tra l’altro è
venuto qui per
riportarti indietro-.
-Cosa?-
Fummo interrotti da il rumore di passi che proveniva da fuori
la stanza. Storm e Knuckles apparirono improvvisamente nella camera.
-Amethist!- ansimò Knuckles con il fiatone, appoggiandosi
allo
stipite della porta.
La ragazza sorrise gioiosa, alzandosi dal letto. -Papà!-
Knuckles quasi la fece cadere a terra per lo slancio con cui
le si era praticamente buttato addosso, abbracciandola con forza. -Oh
Dio,
grazie- borbottò, sembrando voler cullare la giovane echidna
tra le sue
braccia. -Sei viva. Stai bene-.
Amethist ridacchiò imbarazzata. -Certo che sto bene-.
Knuckles si
allontanò
leggermente, il volto che sembrava aver finalmente ripreso un
po’ di colore e
le spalle rilassate.
-Torniamo a casa ora. Tua madre e io siamo morti un paio di
volte in questi giorni-.
Amethist si morse il labbro, guardandoci incerta. -Ecco, a
questo proposito…- sussurrò, grattandosi una
guancia. -…non voglio tornare
indietro-. Knuckles strabuzzò gli occhi, guardandola
scioccato.
-Finalmente qui posso trovare qualcuno che mi insegni cosa
voglio fare nel mio futuro, e lo sto imparando in un modo che mi piace.
Io
voglio…-
Wave le pizzicò con forza il collo, roteando la mano in un
movimento circolare. Amethist si bloccò
all’improvviso, cadendo di botto sul
pavimento, svenuta.
-Sei troppo giovane per rovinarti la vita in questo modo-
ridacchiò tristemente Wave. Poi guardò me e
Knuckles. -Prima abbiamo spiegato a
Sonic perché ci stessimo dirigendo verso Angel Island,
Knuckles. Volevamo solo
riportarti tua figlia. Ci abbiamo messo tutto questo tempo solo
perché lei non
era intenzionata a dirci chi erano i suoi genitori- disse.
Knuckles mi guardò incerto, e io annuii, rispondendo alla
sua
silenziosa domanda: Dobbiamo fidarci?
-Bene. Allora noi ce ne andiamo- dissi.
***
Jet
Io e Wave stemmo sul ponte della nave,
osservando mentre Sonic e l’echidna se ne andavano
velocemente dalla nostra
casa. Knuckles caricò sua figlia su quella piccola navetta
con cui era arrivato
lì, attivandola e volando via. Sonic partì,
alzando un enorme quantità d’acqua
che ci bagnò solo lievemente.
-Storm, prepariamo il necessario alle
riparazioni, dobbiamo occultarci al più presto- ordinai.
-Sì signore!- disse prima di dileguarsi.
Wave era muta, mentre osservava mentre quei
tre si allontanavano. Le diedi un piccolo e amichevole pugno sul
braccio.
-Se vuoi ne possiamo sempre rapire un’altra-
le dissi, cercando di provocarla e di farla sorridere. Ma rimase seria,
in
silenzio, continuando a fissare Amethist mentre se ne andava, contro la
sua
volontà e svenuta.
Ci sono cose che nemmeno un Capitano può
fare per la sua ciurma. Solo la solitudine poteva aiutare la mia amica
in quel momento.
***
Amethist
Non ricordo cosa successe. Non riuscii mai a
capirlo appieno. La cosa più sensata che mi veniva in mente
fu che la
stanchezza mi aveva tradito, ma ci credevo ben poco.
Sentivo delle voci mentre dormivo, e l’aria
salmastra che mi graffiava un po’ le narici. Quando mi
svegliai, vidi un
ragazzo che mi stava osservando, seduto su una sedia vicino al letto in
cui ero
sdraiata. Ricordavo di averlo già visto altrove, anche se
non mi concentrai
subito su tutte le sue caratteristiche.
-Svegliata?- mi disse dolcemente. Mi
stropicciai gli occhi con le dita, confusa ed esausta. Dopo essermi
ripresa un
attimo dalla confusione e quando la vista smise di essere appannata,
riuscii a
inquadrare il ragazzo che avevo davanti. Un riccio dalle spine lunghe e
dalla
pelliccia blu mi guardava interessato con degli occhi davvero belli, di
un
colore verde smeraldo. ‘‘Interessanti…’’
-Tu… chi sei?- chiesi leggermente
imbarazzata per la situazione.
-Ero uno dei maschi presenti a quella festa
a cui hai partecipato qualche tempo fa con i tuoi genitori- disse
sorridendo.
-Mhh…-
-Ero uno di quelli blu-.
-Mhhh…-
-Quello più
blu!-
-Oh, ora ricordo!- ridacchiai.
Lui rispose al riso, guardandomi divertito.
Aveva una bella risata: calda, solare e quasi amorevole. -Beh, va tutto bene?-
domandò lui.
-Sì, da favola. Esattamente, come ci sono
arrivata qui?-
-Non ne ho idea. Mio padre e gli altri non
me l’hanno voluto raccontare-.
-Perché no?-
Lui si strinse nelle spalle. -Credo che
stiano parlando di altre cose, urgenti probabilmente-. Poi
ritornò a guardarmi interessato.
-Toglimi una curiosità: sono vere quelle storie sui
rapimenti? Cioè che ti
chiudono in una stiva senza né pane né acqua e ti
lasciano lì per giorni?-
Ridacchiai. -Sì, qualcosa del genere-.
Sembrò davvero crederci. Fischiò ammirato,
incrociando le gambe sulla sedia. -Però
sembra che tu non te la sia cavata tanto male, no?- affermò,
squadrandomi
dall’alto verso il basso.
-Giusto- risposi, cercando di non mostrarmi
troppo divertita.
-Non voglio sembrarti troppo rude,
ma…com’è
successo?-
-…In
che senso?- dissi, confusa per un momento su quello che mi volesse
chiedere,
anche se a dire la verità potevo già immaginarlo.
-Perché ti hanno rapita, com’è andata?-
-Rapita? Diciamo che in un certo senso sono
io quella che è andata da loro…-
-In quale dei tanti possibili sensi?-
-Avevo visto… una luce in lontananza, e ho seguito
l’istinto, decidendo di seguirla. Sto ancora cercando di
capire il perché ad
essere sincera-.
Vidi la sua faccia che cominciava a velarsi di
un alone di divertimento. -Cioè? Posso capire la
curiosità, ma eri da sola, a
tarda notte, hai volato in mezzo al mare, e ti sei ritrovata da sola in
una
nave di cui nemmeno sapevi la provenienza, o chi vi risiedesse sopra.
Cosa ti è
passato per la testa?!-
-Forse era curiosità, come dicevi tu.
Ma…credo di aver avuto in mente…non
so…un modello che volevo superare a tutti i
costi-.
La sua espressione cominciò a farsi seria. -Tu…capisci
ciò che voglio dire?- mormorai,
studiando il suo volto.
Mi guardò sorridendo. Non l’ho mai
dimenticato quello sguardo. -Sì. Sì, credo di
capire molto bene-.
E fu solo in quel momento che vidi una parte
di lui che prima non avevo notato. C’era qualcosa che ci
rendeva
incredibilmente simili. C’era qualcosa che ci legava
inevitabilmente, una
specie di connessione tra le nostre anime. Lui capiva. Capiva come mi
sentivo,
capiva come mi ero sempre sentita. Capiva chi ero.
Dal momento in cui mi ero svegliata fino a
quando non avevo iniziato a studiarlo attentamente non avevo parlato a
vanvera.
Lui mi capiva.
‘’Inoltre…
è piuttosto carino’’ pensai
con un pizzico di malizia.
Il nostro momento fu interrotto dal violento
sbattere della porta della mia camera. Mia madre mi fissava distrutta,
letteralmente a pezzi. Crollò in ginocchio davanti a me,
abbracciandomi con
forza. Dopo un attimo la seguii a ruota,
ricambiando l’abbraccio.
-Sei scappata senza dirci nulla e senza che
nessuno se ne accorgesse. Sei la ladra migliore che io conosca- disse,
lasciandosi
scappare dei gemiti piagnucolosi dovuti al magone del momento. -Non
farlo mai più-. Ammetto
che qualche lacrima me la lasciai scappare anch’io.
-Dove siamo, mamma?- chiesi, guardando con
attenzione la stanza in cui mi trovavo.
Lei mi sorrise, gli occhi lucidi per le
lacrime trattenute troppo a lungo. -A casa di un amico. Staremo da lui
per un
po’ di tempo-.
-Cosa? Perché?-
-Sono successe un po’ di cose mentre eri via.
Ti racconterò tutto dopo, con calma. Ora riposati- disse,
scoccandomi un bacio
sulla fronte. Il riccio ghignò divertito, chiudendo gli
occhi e appoggiando la
testa contro il muro con aria spensierata. Arrossii lievemente per la
manifestazione d’affetto di mia madre ricevuta in sua
presenza.
-Mamma…- borbottai imbarazzata. Lei mi
guardò con aria interrogativa, prima di rivolgere una veloce
occhiata al riccio
e chiedendomi un silenzioso e non propriamente sincero perdono.
-Dash, tuo padre ha detto che era ora di
tornare a casa- disse lei rivolta al ragazzo.‘’Dash!
Ecco come si chiama!’’
Lui saltò giù dalla sedia con un balzo,
sorridendomi. -Beh, è stato un piacere
rincontrarti…-
-Amethist!- dissi, forse con un po’ troppa
enfasi. Lui ridacchiò.
-Amethist, giusto-. Mi salutò allegramente
con la mano. -Allora ci si vede in giro-. Se ne andò,
strizzandomi l’occhio.
‘’Dash…
sei un ragazzo interessante. Un tipo un po’
ingenuo.’’
Sorrisi tra me e me, piegando un poco la
testa di lato e osservandolo mentre se ne andava. ‘’E
la cosa mi piace’’.
***
Sapevo che non dovevo uscire di casa. Molto
probabilmente, proprio in quel momento quegli uomini ci stavano
cercando. Ma
c’era un’ultima cosa che dovevo fare. Uscii di
nascosto dalla casa di Tails. Era notte fonda, e
in casa erano tutti
stanchi morti, quindi nessuno avrebbe pensato che avessi ancora voglia
di fare
queste cavolate. Ma si sbagliavano di grosso.
L’aria notturna cittadina era, come sempre,
fredda e solitaria, ma non erano i gioielli che cercavo. Mi coprii per
bene con
degli abiti pesanti prima di uscire, non perché avessi
freddo, ma perché non mi
veniva niente di meglio in mente che mi potesse nascondere agli occhi
che fosse
rapido, silenzioso, e che mi tenesse per un po’ di tempo
lontana dagli occhi di
quell’attenta agenzia. Presi la linea notturna ad alta
velocità che portava a
Mistic Ruins, e riuscii ad arrivarci in circa mezz’ora: poco,
considerando la
differenza tra il luogo di partenza e di arrivo.
Seguii il passaggio, piuttosto bizzarro, a
dire il vero, visto che bisogna letteralmente farsi trasportare
in alto da una corrente d’aria, che portava a casa mia,
Angel Island. Attraversai il ponte, sorpassando la piccola casa in cui
avevamo risieduto fino a poco tempo prima. Trovai strano che la G.U.N.
avesse già
interrotto le ricerche in quel luogo o che non mi stesse aspettando, ma
mi
rassicurai quando mi tolsi il copertone che mi ero portata fin
lì. L’unica
luce nelle vicinanze era quella del Master Emerald, verde ed intensa,
che
dominava sull’altare su cui mio padre eseguiva il suo compito
di guardiano.
Smisi di ammirarlo, e cominciai a guardare il mare.
Infine, ero nuovamente lì, ad osservare
l’immensità del cielo notturno puntellato di
stelle. Mi presi il volto tra mani,
seduta a gambe incrociate al limite di una delle scogliere di Angel
Island.
Il
nostro destino lo possiamo decidere solo noi. Non vi era nessun potere
superiore che ci faceva da guida. Sapevo che avrei dovuto essere
cresciuta,
dopo quell’esperienza. Che avrei dovuto accettarlo. Ma ci
sono tesori che
nessuno può ottenere, non importa quanto li cerchi.
Avevo sempre avuto paura di ciò che mi avrebbe
riservato il futuro. Ma da quel momento…non avrei avuto
pietà, e sarei stata io
a tirarlo per i capelli, non il contrario. Avrei deciso io.
Fu una famigliare luce rossa ad attirare la
mia attenzione. Come la prima volta che l’avevo vista,
galleggiava nel bel
mezzo dell’oceano, lontanissima da me e incurante
dell’acqua che sballottava da
un lato all’altro la nave su cui era installata. Dopo qualche
minuto quella
piccola lucina cominciò a salire alta nel cielo, segno che
la nave stava
salpando. Quel quasi impercettibile bagliore rosso cominciò
a lampeggiare,
sempre più velocemente, fino a che non scomparì
del tutto. Avevano attivato gli
specchi.
Sospirai, consapevole che di lì a poco se ne
sarebbero andati per sempre dalla mia vita, togliendomi ogni
possibilità di
poterli rivedere di nuovo.
Ma nonostante in quel momento io non li
vedessi, sapevo che erano lì, mimetizzati tra le
stelle.
E una parte di me
sperava che anche loro mi stessero osservando dall’alto,
dandomi un silenzioso
addio, andandosene dalla mia vita come ci erano entrati: contro la mia
volontà.
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Capitolo 19 *** La Bestia in gabbia ***
Anelli Inibitori
Note d'Autrice (per una volta è
relativamente importante.): Salve a tutti, gente.
Esattamente, sono ancora viva! Una Nota d'Autrice a inizio capitolo, ma
perchè mai, cosa sta succedendo, cosa dovrò
mangiare stasera, c'è un gatto fuori dalla finestra, tu non
puoi passare, vieni con me se vuoi vivere, a cosa serve questa Nota
d'Autrice, vi starete chiedendo nella testolina. Esatto, e la sua
inutile presenza non è del tutto inutile. Circa. Allora,
è qui per tre motivi.
Il primo è che mi voglio scusare per tutto questo ritardo.
Chiedo venia, ma negli ultimi giorni di scuola ho dovuto studiare come
una dannata. Ma posso dire felicemente che adesso che sono
ufficialmente iniziate le vacanze potrò aggiornare mooolto
di più e più in fretta.
Il secondo: in queste vacanze ci saranno due settimane in cui non
potrò aggiornare perchè me ne andrò in
una vacanza studio in Irlanda, quindi... no, sarò
impossibilitata. Ma appena torno potrò aggiornare come ai
beeei vecchi tempi :3
E come terza e ultima cosa, ma assolutamente non meno importante: devo
ringraziare shinichi e ran amore e Kiara_Wolf
per avermi consigliato una delle idee presenti in questo capitolo (che
al momento non spoilero). Siete onorati? Siete onorati eh? Eh?
Ammettetelo. Io non sono Miss Modestia, non siatelo neanche voi.
Ringrazio ancora una volta loro e tutte le persone che continuano a
regalarmi consigli e a seguirmi con pazienza! Detto questo e dopo aver
scritto questo tomo (che spero vivamente abbiate letto), vi lascio alla
lettura del capitolo :D Thanks Bro.
Rain
of Truth
***
Shadow
‘’-Per
favore, state tutti calmi. Non è il caso di agitarsi- disse
Blaze ad alta voce,
cercando di catturare l’attenzione di tutte le persone nella
sala e di far
cessare il loro persistente brusio fastidioso.
-Siamo
tutti consapevoli che la nostra condizione potrebbe degenerare a breve.
Ci
troviamo oggi ad affrontare una situazione che da molti anni sembrava
non
dovesse più ripetersi-. Mentre parlava, il silenzio regnava
sovrano, quello che
lei aveva ristabilito all’interno della sala.
-Di
questo, mia signora, già ne siamo consapevoli. Il vero
problema sta nel rispondere
alla situazione nella maniera opportuna-.
-Forse
sua signoria Lord Mengel dovrebbe tirare fuori qualche buona idea
invece di
colorire ovvietà assolute con linguaggi forbiti!- disse un
altro parlamentare,
riferendosi al precedente. In un attimo il brusio riprese, come e
più forte di
prima. Mi battei il palmo della mano sulla fronte, sospirando
frustrato. Blaze
scosse la test, esasperata.
-Fate
silenzio!- urlai, sbattendo il pugno sul tavolo della Sala Riunioni.
-Siamo qui
riuniti per parlare di come risolvere un grave problema che, se
ignorato,
potrebbe portare alla distruzione del regno, non per discutere per
delle
sciocchezze, chiaro?- tuonai. Tutti nella stanza si zittirono
improvvisamente,
abbassando lo sguardo.
-Bene.
Ora, c’è qualche proposta che possa esserci di
aiuto?- continuò Blaze.
-Se mi
permette, mia signora, avrei una proposta. Essendo l’attacco
avvenuto nel
tempio, è più che probabile che ve ne saranno
altri con lo stesso bersaglio.
Ritengo quindi essenziale incrementare la sicurezza degli stessi-.
-Lei è
consapevole, Lord Ferguson, che ciò comporterebbe la
necessità di trasferire parte
delle risorse, dei tecnici e dei soldati interni alle città
nei suddetti
luoghi, non è vero? Molti dei progetti a cui stiamo
lavorando ultimamente dovrebbero
essere posticipati- disse Blaze, con aria preoccupata.
-Con tutto
il rispetto mia Regina, ma credo che la prevenzione di
un’eventuale crisi abbia
la priorità sullo sviluppo del regno. Dobbiamo dare maggiore
importanza alla
protezione di ciò che abbiamo ottenuto negli anni recenti
rispetto a ciò che
possiamo ancora ottenere, se vogliamo evitare ulteriori danni-. Blaze
annuì.
-Sostengo
che i progetti per l’ammodernamento per la città
debbano essere temporaneamente
messi in secondo piano e ripresi tra qualche tempo per poter
concentrare tutte
le nostre forze in nome del potenziamento della sicurezza nei rimanenti
sei
templi in cui risiedono gli smeraldi tramite il trasferimento di
guardie
adibite alla protezione delle varie città, assegnandole
temporaneamente
all’incarico di protettori delle gemme, il tutto con una
particolare
concentrazione delle guardie nel castello di Flaritas- finì
il parlamentare.
-Nega
potrebbe essere benissimo sopravvissuto in qualche modo anni fa,
aspettando
soltanto il momento propizio in cui poter attaccare- proruppe una
giovane
donna, da poco entrata a far parte del nostro Consiglio. -Oppure
potrebbe aver
lasciato un discepolo o un apprendista che riprendesse le redini del
suo sporco
lavoro-.
Blaze
si irrigidì per un momento a quelle parole. -Ne siamo
consapevoli,- disse, dopo
un attimo di esitazione. -ed è per questo che consigliamo di
agire con la
massima prudenza-. Notai solo in quel momento che le mani le stavano
tremando
lievemente.
-Qualcun
altro vuole intervenire?- chiese lei. Il silenzio continuò a
regnare sovrano.
-Bene.
Allora procediamo al voto- dissi. -Chi crede che le proposte dichiarate
oggi debbano
venire attuate, alzi la mano-.Uno
sciame di braccia si alzò verso il soffitto per tutta la
lunghezza del tavolo nella
sala. ‘’Molti più della
metà’’.
-Bene. Allora procederemo a mettere in atto quanto detto-
sentenziò
Blaze in conclusione.’’
***
Era passato un po’ di tempo da allora. Avevamo ben pensato di
agire subito, quindi i templi avevano già ricevuto le
attenzioni necessarie.
Tutti sembravano piuttosto positivi. Strano da dire, ma chiunque fosse
intorno
a me era certo che le innovazioni apportate negli anni precedenti
potessero
prevenire il peggiorare di questa situazione, tanto che forse
anch’io di lì a
poco avrei cominciato a crederlo. Però non ero tranquillo.
Ero sicuro
che non sarebbe stato così semplice. Anche mio
figlio era del mio stesso
parere, per qualche motivo. Era quasi come se avesse messo
temporaneamente da parte
la solarità che lo contraddistingueva.
-Shadow?-
Sussultai leggermente e mi voltai verso Blaze. -Cosa
c’è?-
Lei inspirò profondamente, guardandomi incerta. -Se questa
storia degli smeraldi finirà bene e possibilmente in fretta,
che ne dici di
provare a dire la verità ai ragazzi?-
-Quale verità?- Deglutii, cercando di negare
a me stesso di non sapere la risposta.
Sul suo volto comparve un’espressione che
tentava di nascondere un alone di tristezza, rimarcando
l’ovvietà di quanto
quella domanda dovesse sembrare patetica uscita dalle mie labbra.
-Delle tue
origini, ovvio-.
Sospirai, massaggiandomi nervosamente il
collo. -Blaze, sono dei ragazzi che hanno il peso di un intero regno
sulle
spalle e dei poteri sovrannaturali. Forse sarebbe il caso di evitare
loro
questa ulteriore perdita di normalità-.
-Sì, questo è vero. Ma sono certa che anche
se tu glielo dicessi il loro parere su di te non cambierebbe- disse con
un
sorriso dolce sulle labbra.
Risposi al sorriso con uno leggermente
tirato, abbassando lo sguardo. -Ci penserò su-.
Era da anni che cercavo il momento giusto
per riuscire a parlare ad Althea e ad Alexis riguardo al mio passato
non
esattamente normale, a come ero nato e da dove provenivo realmente. Ma
riuscivo
sempre a trovare una scusa per non farlo. Prima erano troppo giovani e
non
avrebbero capito, e ora avevano già troppe preoccupazioni di
cui doversi
occupare. La loro vita era abbastanza travagliata senza che io mi
mettessi in
mezzo a mettere scompiglio tra i loro pensieri, distruggendo quel poco
che
credevano di sapere su di me.
Ma sapevo che queste erano solo delle futili
scuse per non parlargliene, per rinviare il momento in cui avrei dovuto
mettere
a nudo la vita che ero riuscito a lasciare dietro le mie orme. Solo in
quel
momento mi resi davvero conto che il mio era un problema serio:
desideravo
dirglielo con tutto il cuore ma non riuscivo a farlo.
Volevo davvero distruggere quel poco che
riusciva a farli a stare a galla in un mondo di offese e pregiudizi?
No. Ma meritavano di sapere chi fosse
realmente loro padre.
***
Il pomeriggio arrivò tranquillo e senza
intoppi. La vita scorreva tranquilla come sempre e non
c’erano novità
allarmanti. Tutto sembrava voler farmi scordare l’enorme
pericolo che stava
incombendo in quel momento sul nostro mondo. Parte dei soldati e gran
parte
degli ingegneri ed architetti con cui avevo discusso fino a poco tempo
prima
era stata immediatamente inviata a proteggere i templi, subito dopo la
nostra
riunione con il Consiglio.
Poi accadde qualcosa. Una sentinella corse
affannata verso di me e Blaze in un modo orribilmente famigliare,
informandoci
che due guardie richiedevano urgentemente la nostra presenza. Due
giovani
ragazzi entrarono agitati all’interno della Sala del Trono,
guardandoci
stravolti. Uno di loro sembrava in condizioni simili al ragazzo che era
venuto
da noi in precedenza. L’altro, invece, era chiazzato di
sangue in faccia e in
svariati punti della sua divisa, ormai praticamente ridotta a
brandelli. Il suo
braccio destro era ridotto in condizioni spaventose: era in una
posizione
innaturale, era macchiato di sangue secco ed era stato bendato
spartanamente:
sicuramente era rotto.
-Cos’è successo?- chiese Blaze spaventata.
-Miei Signori!- strillò quasi la guardia in
buone condizioni. -Il nostro tempio è stato assaltato. Hanno
rubato lo smeraldo-
disse tutto d’un fiato. Il sangue mi si ghiaccio nelle vene.
Quello che raccontò il giovane fu un attacco
simile a quello che avevamo subito quando il primo smeraldo fu rubato.
Nessuna
vittima, tutte le persone nel tempio erano state addormentate.
Dopo che ebbe finito il suo racconto mi
voltai verso la guardia con il braccio rotto. -Perché sei in
quelle
condizioni?- chiesi, cercando di trattenere il panico.
-Maestà- sussurrò con un filo di voce. -Il
tempio che stavo sorvegliando è stato attaccato. Io sono
stato addormentato da
qualcosa, ma sono riuscito a stare vigile abbastanza per riuscire a
vedere i
miei compagni che davano l’allarme. Quando mi sono
risvegliato, mi sono
ritrovato circondato da cadaveri- spiegò con voce roca e a
malapena udibile. -Il
tempio era in fiamme, e lo smeraldo non era più
sull’altare-.
Blaze sbarrò gli occhi. -In quanti siete
sopravvissuti?-
-Solo io-.
Blaze mi guardò terrorizzata, la paura che
si stava facendo strada nel suo sguardo.
Non era solo il nemico che mi preoccupava.
Era il modo in cui agiva. Attacchi effettuati in date senza
significato, in
luoghi lontani tra loro. Solo allora mi resi conto di quanto avremmo
dovuto
migliorare la comunicazione tra i templi, così da rendere
più rapida la venuta
a conoscenza di questi eventi. I mezzi
di trasporto per muoversi in quel mondo non erano evoluti
come quelli a
Mobius, e a volte per riuscire a ricevere una notizia da
un’isola lontana
poteva passare diverso tempo. Quegli attacchi potevano essere avvenuti
giorni
prima e noi non ne avevamo saputo nulla, eravamo stati tranquilli, a
discutere
di tutt’altro. Richiamai con un segno della mano una delle
guardie ai lati
della stanza e gli sussurrai dei comandi.
-Porta questi uomini all’infermeria. Poi
avvisa le altre guardie e chiamate uno ad uno i membri del Consiglio.
Non
importa quanto si opporranno a venire, e fregatene se ti dicono che
è troppo
tardi per una riunione a quest’ora. È
un’emergenza, sono stato chiaro?- Mi fece
segno di sì con la testa e andò subito a fare
quanto gli avevo ordinato. Con la
tensione che aveva raggiunto il limite, mi rivolsi a Blaze.
-Non credo che questa storia finirà presto-.
***
Althea
Cercai di tenere a bada uno sbadiglio
imminente mordendomi l’interno della guancia. Non riuscivo
proprio a spiegarmi
come Dash e le altre due ragazzine fossero riusciti a convincermi a
giocare con
loro a “Panzer Dragon Saga”, uno stupidissimo gioco
da tavolo. Certe volte mi
chiedevo se tutti gli anni in cui avevo studiato per succedere al trono
mi
sarebbero effettivamente serviti a qualcosa, vista la situazione in cui
mi
ritrovavo in quel momento.
-Non ce la farete mai a vincere- si vantò
Sunny con un tono da sbruffona. Alzai gli occhi al cielo, sbuffando e
appoggiando il mento sul palmo della mano.
Dash fece per muovere la sua pedina.
-Dash, è inutile. Lo vuoi capire?- disse
ancora una volta la riccia azzurra. Dash le lanciò
un’occhiataccia.
-Se non chiudi la bocca giuro che ti rovescio
la bibita in faccia-.
Lei sorrise furbetta, socchiudendo gli
occhi. -Non lo faresti mai-.
-Smettila-.
-Visto? Non lo faresti mai!-
-Certe volte sei tremendamente irritante-.
-Ma senti chi parla- borbottai,
giocherellando con la cannuccia nel bicchiere dove prima
c’era una bevanda
gassata. Era la prima volta che potevo mangiare o bere qualcosa che non
potesse
essere definito esattamente salutare senza dovermi sorbire le urla di
qualche
dietologa che tentava di farmi vivere a pane e acqua per mantenere la
linea. Infondo
era questa per loro la cosa importante, no? L’aspetto. Una
sovrana poteva anche
essere una dittatrice, ma se rimaneva in forma era tutto a posto.
-Tu stai zitta- sibilò Dash scocciato.
-A quanto pare non sai accettare le
sconfitte- continuò a stuzzicarlo Sunny.
-Andiamo, smettetela!- trillò Emily.
‘’Oh
Chaos, non è possibile’’ pensai
esasperatamente tra me e me. ‘’In
che razza di branco di mocciosi sono
finita? Sono uno peggiore dell’altro’’.
Fu solo in quel momento che mi
colpì il tremendo dubbio che avessero all’incirca
la mia età. Il che sarebbe
stato duro colpo alla mia dignità.
Era arrivato il turno di Emily, che sembrava
aver fatto la mossa giusta per mettere in scacco la sorella
più grande.
-Hah! Ora il mio drago ha un livello più
alto del tuo!- disse lei, esultante.
-Il tuo drago può colpire due caselle più
avanti della sua?- ridacchiò Sunny saccente, inarcando un
sopracciglio.
-Sìììì!...No…-
-Allora… il tuo è fuori-.
-Ahhh!!! Certe volte sei tremendamente irritante!!!-
rispose nuovamente la ragazzina, furiosa.
-Ed essendo arrivata al centro…ho vinto
ancora!-
-Oh, ma dai!- inveì Dash.
-È la quarta volta che vinci, cambiamo
gioco!- Il brusio, incredibilmente fastidioso ed elevato,
cominciò a
serpeggiare per tutta la stanza, lasciando solamente a me il sacrosanto
dono
del silenzio.
Li lasciai strillare per qualche minuto,
sperando di riuscire a resistere all’irruenza di quei
ragazzini. Chiusi gli
occhi, mettendomi la mano sulla fronte.
-Basta…- mormorai con voce scura. I ragazzi
continuarono a litigare tra loro.
-Basta- dissi a voce più alta. I tre
fratelli mi ignorarono. Ero certa che parlare con un muro sarebbe stato
molto
più gratificante che farlo con loro.
-BASTA!- urlai, alzandomi di scatto dalla
sedia e sbattendo le mani sul tavolo. Un improvviso moto
d’ira colpì i miei già
abbastanza irascibili nervi. Il
gioco
davanti a noi prese improvvisamente fuoco. Emily strillò per
la sorpresa e
tutti e tre i ricci indietreggiarono pesantemente.
-No!- Parai le mani davanti a me, provando a
spegnere le fiamme. Ma senza successo. Il panico si insinuò
in ogni mia vena.
-No, non qui!-
-Ragazzi, è pronto il pranzo, venite a
tavola!- disse Amy, sporgendosi dalla porta della cucina con la testa e
mostrandoci la teglia con l’arrosto che aveva appena finito
di cucinare. La
guardai spaventata, il battito cardiaco a mille. Il cibo che aveva tra
le mani
prese immediatamente fuoco. La riccia rosa lo lasciò cadere
immediatamente sul
pavimento -Oh cavolo!-
Mi misi le mani tra le spine, stringendomi
con forza la testa, che pulsava dolorosamente. Ebbi un improvviso
capogiro per
l’agitazione e caddi in ginocchio.
-Stai calma!- disse Dash, facendo per
mettermi una mano sulla spalla-
-NON TOCCARMI!- urlai, reclinando la testa
in preda a una fitta di dolore terribile. La porta d’ingresso
si aprì di colpo.
-Sono tornato a casa!- disse allegro Sonic,
salutandoci con un sorriso. Mi voltai di scatto verso di lui e il
divano prese
fuoco. Sonic si ritrasse, sorpreso.
-Oh
cavolo!-
***
L’aria fresca mi sferzava il volto dopo che
finalmente eravamo riusciti a spegnere l’incendio. Ci
trovavamo nel cortile
della casa, mentre avevamo lasciato la casa ad arieggiare dopo il mio
piccolo
incidente.
-Fiuu! Per fortuna è andato tutto bene-
disse Sonic, asciugandosi il sudore sulla fronte con
l’avanbraccio. Chinai la
testa e abbassai le orecchie, tremendamente a disagio.
-Io… scusatemi. Non avrei mai voluto che una
cosa del genere accadesse in casa vostra, davvero…- mormorai
imbarazzata.
-Non ti preoccupare, non ci sono stati
troppo danni. Tutto quello che abbiamo perso era un brutto gioco da
tavolo e il
pranzo- disse Dash, sorridendomi rassicurante.
-E il divano. Già… il divano- sospirò
Sonic,
improvvisamente demoralizzato.
-Non è successo nulla di male, non
preoccuparti- continuò Dash rivolgendosi a me.
-Mi dispiace dovertelo dire, ma non sono
d’accordo- intervenne Sunny. -In qualunque modo la metterai,
Dash, dobbiamo
ammettere che ci ha quasi bruciato la casa-.
-Sai che non
è stata colpa sua- sibilò secco.
-Sono convinta che abbia bisogno di aiuto.
Non possiamo lasciarla vagare come una mina per casa nostra rischiando
che
faccia altri danni-.
-Smettila Sunny. Ora-.
-Sunny non ha tutti i torti- disse Sonic,
con aria molto seria.
-Papà…?-
-Non fraintendermi, Dash-. Poi si voltò
verso di me. -Althea, sappi che ti ammiro molto. Sei una ragazza
gentile ed
educata-. Be’…almeno con lui lo ero.
-Ma il tuo potere è grande. Molto grande.
Anche se sono certo che riuscirai a domarlo un giorno, tuo padre ti ha
affidato
a noi. Quindi è anche compito nostro darti una mano-.
-Dove vuole arrivare, signor Sonic?- chiesi.
Sonic tirò fuori uno dei suoi sorrisi
sornioni quando io finii di parlare.
-Ti prego, chiamami Sonic e basta. Intendo
dire che è arrivato il momento di cercare seriamente una
soluzione al tuo
problema-.
-Ma…-
-Che non si limiti all’allenamento e in cui
tutti noi potremo darti man forte attivamente-. Abbassai leggermente la
testa,
come se fossi confusa sul da farsi, come se avessi avuto la sensazione
di aver
sbagliato tutto fino a quel momento, come se avessi affrontato la mia
situazione con l’approccio sbagliato. Sunny, quasi come se si
fosse accorta di
essere stata troppo dura nei miei confronti, cosa che comunque non
trovavo
vera, prese nuovamente parte alla conversazione
-In effetti…pa’, tu non conoscevi un genio
della meccanica?-
-Stai parlando di Tails? Sì, certo, ma cosa
centra lui in tutto questo?-
-Beh, potresti chiedergli un aiutino per
risolvere il nostro problema-. Devo essere sincera, mi piaceva il tono
diretto
di quella ragazza.
-Uhm… non saprei. Tails in questo momento è
molto occupato. E poi siamo soprattutto noi quelli che hanno il dovere
di
aiutarla. Lui ha un sacco di pensieri per la testa in questo periodo,
non credo
sia il caso di occuparlo ulteriormente-.
-Papà, lei ha bisogno di aiuto- disse,
accentuando ogni parola della sua frase. Non stavo partecipando al
discorso che
riguardava me in primo piano, e la cosa mi faceva strano. Quelle
persone stavano
lottando attivamente per me e non ne capivo il motivo.
-Tails potrebbe essere l’unico che potrebbe
davvero aiutarci- intervenne Emily, sbucata improvvisamente al mio
fianco.
-E la prossima volta potremmo non essere
così fortunati come lo siamo stati oggi- continuò
Sunny.
-Beh…- Sonic si sfregò il collo con la mano.
-E va bene-.
-Sì!- esultò Dash.
Sospirai, scuotendo la testa. -Io non voglio
il suo aiuto- dissi. Tutti mi guardarono straniti.
-Ma…- balbettò Emily.
La fermai, interrompendola con un gesto
della mano. -No. Non voglio infastidire nessuno con i miei problemi-.
Amy si schiarì la voce, fissandomi con
un’aria stranamente intimidatrice. -Mi sembrava che ne
avessimo già parlato.
Che cosa abbiamo detto? ‘’Non posso fare tutto da
sola’’-.
-Questo è vero, però…-
Lei sorrise radiosa. -Visto che te lo
ricordi?-
-Ti prego, accetta l’aiuto di Tails!- mi
implorò Emily con gli occhi lucidi per le lacrime. Ma come
diavolo faceva? Roteai
impercettibilmente gli occhi, sbuffando.
-E va bene- grugnii di malavoglia.
-Dash, accompagnala tu- disse Sonic
-Cosa?! Perché io?-
-Perché sei più veloce delle tue sorelle e
perché non mi va che Emily usi la macchina troppe volte al
mese-.
-Uff…ok, va bene, messaggio ricevuto. 1,2,3,
via!- Appena ebbe finito di parlare lo vidi partire come un razzo,
mentre io
ero rimasta lì, ferma come un pesce lesso.
-Credo che ti convenga seguirlo- ridacchiò Amy,
con il solito sorriso in faccia. Attivai i pattini e mi affrettai a
seguire il
suo consiglio.
***
Poco dopo ci trovavamo davanti a una casa
abbastanza grande nei pressi di Station Square.
-Questo è il posto- disse Dash, avviandosi
verso la porta e battendoci violentemente sopra un pugno. Non ci
rispose
nessuno. Aspettammo ancora qualche minuto, ma invano. La pazienza
cominciò a
venirmi meno.
Provai a ruotare la maniglia della porta e,
sorprendentemente, quest’ultima si socchiuse.
-È aperta- riflettei, entrando in casa. Mi
guardai rapidamente intorno e notai che quella in cui ci eravamo
praticamente
infiltrati non era affatto un’abitazione ordinata da come
poteva sembrare
all’esterno. Fogli colmi di scritte pressoché
illeggibili erano sparpagliati
per tutto il salone principale, grandi progetti stampati su carta
buttati con
fare affrettato in qualsiasi angolo o spigolo che non fosse
già stato occupato
da qualche libro. Persino la più intrepida delle mie
domestiche si sarebbe
sentita scoraggiata davanti a una mole tale di lavoro.
-Taaails!- urlò Dash. -C’è qualcuno?-
Al posto di una persona, ci rispose una
forte esplosione proveniente dalla stanza che nascosta dietro
l’angolo delle
scale che portavano al piano superiore. Sentii dei violenti colpi di
tosse e, prima
che me ne accorgessi, un fumo pesante e scuro si diffuse in un attimo
per tutta
la stanza.
Un trillo acuto mi trapassò le orecchie e
immediatamente ci investì una pesante dose d’acqua
dal soffitto.
-Stupidi sistemi antincendio!- ringhiò
qualcuno. Prima che Dash o io potessimo ribattere, davanti a noi
apparve una
giovane volpe a due code. Era un uomo alto, slanciato, dalla pelliccia
di un
bel color oro. I suoi
occhi
erano azzurri, limpidi e risaltavano con il camice bianco che indossava
in quel
momento.
-Dash?- riuscì a dire lui tra i tossii.
L’acqua finalmente smise di scorrere e di inzupparmi i
vestiti.
-Tails! Che diavolo è successo?!- urlò Dash,
tossendo incessantemente.
-State tutti bene? Scusate, non mi aspettavo
visite-.
-Scusi la domanda, ma si può sapere
cos’è
successo?- chiesi con tono piuttosto irritato per essere stata
affumicata e
infradiciata.
-Ah, ordinaria amministrazione. Mi spiace che ne siate state
coinvolti-.
Dash, ovviamente con aria sbruffona, ribatté subito. -Non ti
devi preoccupare per questo, siamo delle rocce io e lei! Soprattutto
io-.
Probabilmente non aveva la più pallida idea dei problemi che
mi dava quella dannata pelliccia che mi ritrovavo dalla nascita. A
contatto con
l’acqua pendeva per il corpo e sembravo diventare un uomo
barbuto di mezz’età. Erano
quelli i momenti in cui rimpiangevo di essere nata per metà
felino. O anche
quando annusavo dell’erba gatta o mi ritrovavo
involontariamente a… fare le
fusa. Certe volte era una cosa incontrollata. Sempre umiliante e
indignitoso.
-Ma ditemi, avete bisogno di qualcosa?-
Dash si fece avanti, temendo che io prendessi l’iniziativa e
rispondessi negativamente alla domanda. -Sì, ad essere
schietti-. La volpe
alzò un sopracciglio con fare
curioso.
-Vedi, la ragazza qui ha un enorme problema- continuò il
riccio.
-Oh, fammi il piacere- sbuffai, roteando gli occhi.
-Be’, in poche parole: ha dei problemi a controllare il suo
potere-.
Tails aggrottò la fronte, guardandomi. -Tu sei la figlia di
Blaze se non sbaglio. Althea, giusto?- Fui sicura dal suo tono di voce
che
sapesse già quale fosse la risposta.
-Sì-.
-Giusto, mi ricordo della rissa che avete improvvisato tu e
Dash. Quindi il tuo problema è il fuoco- rifletté
pensieroso.
Dash batté ripetutamente un piede sul pavimento, snervato
dal
cambio di argomento. -Tails, abbiamo un urgente bisogno del tuo aiuto.
Non
riesce più a tenere a bada le fiamme, ci serve una delle tue
invenzioni-.
Tails si grattò la nuca. -Ragazzi, credo di non potervi
essere
d’aiuto-.
-Cosa?!- urlò incredulo Dash.
-Mi dispiace, ma non posso proprio. In
questo periodo sono strapieno di problemi, e il governo mi sta dando
degli
ultimatum per finire dei progetti rilevanti. Devo anche aiutare un
amico… diciamo,
diversi amici per una faccenda importante, quindi…- Mi
guardò esitante,
sinceramente dispiaciuto.
-Ma questa è una
faccenda importante! Ti prego Tails, non puoi farci questo!-
implorò il riccio con un tono disperato.
-Non importa- sospirai. Dash mi guardò con
gli occhi sbarrati.
-Ma tu…-
-Stai zitto! Non immischiarti in faccende
che non ti riguardano. Questo è un mio
affare, non tuo!- Credo che la mia risposta secca lo avesse leggermente
ferito,
anche perché abbassò momentaneamente lo sguardo
in segno di imbarazzo. Mi
voltai verso Tails, rivolgendomi direttamente a lui.
-Senta, mi dispiace se siamo venuti a
disturbarla fino qui, ma davvero, non è necessario il suo
intervento. Questa è
una cosa che posso gestire da…-
Una rapidissima gomitata nello stomaco mi
zittì. Non riuscii a respirare per qualche secondo, e il
colpo inaspettato mi
aveva mandato in un breve stato di panico. ‘’Stupido
riccio…!’’
Sentii una forte vampata di fiamme farsi
strada sulla mia schiena e sulle spalle, alzandosi fino al soffitto. Il
mio
pelo si asciugò all’istante, e poi si
gonfiò. Subito dopo, l’acqua cominciò
nuovamente a sgorgare dal sistema antincendio.
-Apparecchio sensibile, eh?- disse Dash,
quasi divertito .
-Ci sto lavorando…- rispose la volpe con
tono scocciato.
-Perché diamine l’hai fatto?!- riuscii ad
ansimare quando finalmente l’aria mi riempì di
nuovo i polmoni.
Dash sorrise vittorioso. -Visto Tails? Non
riesce a controllare i suoi poteri-.
-Sì. In effetti non deve essere facile per
te, Althea-. A quel punto mi limitai a non guardarlo direttamente negli
occhi,
senza rispondere.
-Allora, puoi aiutarci?- chiese un'altra
volta quell’idiota di un violento di un ragazzino maledetto
di un riccio
dannato.
-Beh…tutto sommato credo di poter fare
qualcosa. Datemi solo un po’ di tempo-.
-Sai dirci quando possiamo tornare?-
-Domattina alla stessa ora, se le cose vanno
a rilento-.
L’ultima frase ci lasciò piuttosto
sbigottiti. -Sta scherzando? Come può…- cominciai
io.
-Ho i miei mezzi, non vi preoccupate-
rispose, strizzandoci stancamente un occhio.
-Allora… la ringrazio- dissi con riverenza,
chinando in modo rispettoso il capo. Dopo che Dash ebbe fatto gli
ultimi saluti
alla volpe, uscimmo dal suo laboratorio e iniziammo a camminare sulla
strada
del ritorno a casa. Dash si voltò sorridente verso di me.
-Hai visto? Te l’avevo detto che ci avrebbe
aiut…- Mi avvicinai rapidamente a lui e gli tirai un pugno
in pancia. Il
ragazzo si piegò su sé stesso, stringendosi lo
stomaco.
-Perché l’hai fatto…?!-
esalò.
Io feci un sorrisetto ironico.-Almeno
un’ultima soddisfazione me la volevo
togliere-.
***
Dash
La mattina dopo eravamo di nuovo lì, davanti
all’accogliente casa di Tails. Ci apprestammo ad entrare, e
nel frattempo mi
tenevo bene a mente che non avrei mai più dovuto fare esempi
sul controllo dei
poteri di Althea.
-Buongiorno ragazzi- ci salutò Tails sulla
soglia della porta. Ci fece entrare in casa, facendoci accomodare sul
divano.
-Avete già fatto colazione?- ci chiese con uno sbadiglio
malamente trattenuto.
Io annuii, sentendomi leggermente in colpa. ‘’Almeno
io l’ho fatta’’.
Quando, qualche minuto prima, eravamo in
casa mia, seduti a tavola per mangiare, Althea non aveva toccato cibo.
Era
stata in silenzio, con lo sguardo basso e la testa china. Mi era
sembrata
nervosa, in ansia.
-Bene. Come promesso, vi ho portato quello
di cui avete bisogno- ci disse la volpe con un fiacco sorriso.
-Vado a prenderli, aspettate un attimo-. Si
diresse verso la stanza da cui il giorno prima era fuoriuscito tutto
quel fumo.
Intanto, mi venne voglia di capire che cosa passasse per la mente di
Althea.
-Ehi, che ti succede? Ti vedo preoccupata-.
Althea alzò con esitazione lo sguardo,
mordendosi il labbro inferiore e nel frattempo torcendosi le mani con
nervosismo. -Cosa succederà se non avrà effetto
l’intervento del signor Prower?
La sua si tratta pur sempre di una soluzione improvvisata ad un
problema
delicato-.
-In primo luogo, lui è “Tails”. In
secondo
luogo, devi tranquillizzarti. Lui è uno specialista in
soluzioni improvvisate a
problemi delicati. Il tuo è una bazzecola rispetto a
ciò che mi raccontava mio
padre di lui-.
-Tsk, per esempio?- disse con sguardo
scettico.
-Beh, vediamo…oh sì, una volta stavano
inseguendo in aereo un’enorme aeronave, e…-
-E ho trasformato il mio vecchio e caro
aereo in modalità di combattimento, lo so- rise genuinamente
Tails, ricomparso
improvvisamente nel salotto.
-Sì, stile Transformers, o roba simile!-
dissi, lasciandomi trasportare dall’entusiasmo. Adoravo
quella storia. -Ti
prego Dash, avrò sentito tuo padre raccontare questo
episodio almeno un
migliaio di volte quando eri piccolo- ridacchiò la volpe.
Althea ci guardò confusa e disinteressata
allo stesso tempo.
-Comunque,- disse Tails, schiarendosi la
voce e ritornando sul motivo per cui eravamo venuti da lui. -Questi
sono per
te-. Porse ad Althea due bracciali d’oro.
-Dei bracciali?- farfugliò confusa.
-Non semplici bracciali. Sono Anelli Inibitori-
la corresse Tails. -Hai mai notato che tuo padre ne indossa un paio di
simili continuamente?-
Lei annuì, non troppo decisa.
-Bene. Li ho costruiti sulla base del loro
modello. Credo che potranno servire a contenere i tuoi poteri,
esattamente come
fanno i suoi-. Tails le sorrise. -Prova ad indossarli-.
Althea inspirò profondamente. -Ok-. Fece
passare la mano destra all’interno di uno di quegli anelli e
lo fece scattare
attorno al suo polso. Ci fu qualche secondo di attesa, in cui il tempo
sembrò
essersi fermato.
-Come vanno?- chiesi. Lei rimirò per un
attimo il bracciale che stava indossando con aria assente.
-Non sento niente-. Detto questo, indossò
anche l’ultimo dei due anelli.
-Forza, prova a fare qualcosa!- proruppe impaziente
Tails.
-Qui in casa?- chiese confusa lei.
-Sì, andiamo! Posso permettermi di avere un
po’ di cenere sul pavimento-.La gatta
mi lanciò un rapida occhiata in cui
mi espresse tutto il dubbio per la persona con cui ci eravamo messi in
affari. Io mi strinsi le spalle e le sorrisi,
fingendo di sapere quale sarebbe stata una possibile strana richiesta
da parte
del nostro scienziato.
-E va bene…- Althea chiuse lentamente gli
occhi, rilassando le spalle. Dopo qualche secondo, fu interamente
avvolta dalle
fiamme.
-Come ti senti?- le domandò Tails.
-Uhm… bene, suppongo-. Riaprì gli occhi,
come se, poco a poco, si stesse illudendo di essere guarita. Aveva
paura,
glielo leggevo nello sguardo. Ma era anche piena di speranza. Poco a
poco fece
sparire il fuoco dalla sua pelle, e ci guardò con gioia
quasi infantile. Poi
notai che le si erano accese delle minuscole fiammelle
nell’incavo del collo,
vicino alla spalla destra, simili a quelle che compaiono alla fine
dell’incubo che
lascia dietro di sé un incendio.
-Ehm Althea… ne hai ancora un po’ sulla
spalla- dissi.
-Cosa?- Le spense subito, facendo un piccolo
sforzo. -Ti ringrazio-.
Tails sembrava soddisfatto del suo lavoro, e
subito si rivolse ad Althea. -Bene, ora mi raccomando: in questi giorni
non
strafare. Fai in modo che i tuoi poteri si adattino agli anelli poco a
poco, va
bene? Ricordati che erano stati creati per aiutare il controllo di tuo
padre,
non il tuo, quindi potrebbero essere più instabili
all'inizio-.
-Sì… grazie Tails- disse questo Althea,
mentre un tenero sorriso, forse il più spontaneo che avessi
visto da parte sua
fino a quel momento, le coloriva le labbra e la faccia della speranza
in cui non aveva mai creduto fino a quel momento.
-Grazie di tutto Tails. Credo che ora sia ora
di andare- ci congedai. Tails annuì con un sorriso.
-Va bene. Porta i miei saluti a Sonic-.
Prima che potessi uscire, notai che la
pelliccia di Althea era illuminata da una fioca luce blu dovuta a dei
piccoli
sprazzi di fuoco azzurrognoli che le si erano appiccati addosso.
-Althea, Tails ti ha appena detto di non
esagerare. Non credi che almeno dovresti esercitarti fuori da casa
sua?-
chiesi, divertito per quello che credevo fosse solo entusiasmo.
Lei inarcò un sopracciglio. -Cosa…?- Si
guardò gli avanbracci, e il suo voltò si
irrigidì improvvisamente per la paura.
-Non sono io- sussurrò.
Mi avvicinai per guardare meglio cosa
avesse. Poi la sua reazione mi spaventò. Si
allontanò da me barcollando.
-Ehi! Che succede, stai bene?-
-Sì…- rispose lei in un bisbiglio. Aveva la
faccia funerea e tremendamente pallida, come se stesse provando dei
forti
dolori.
-No, non stai bene. Tails, aiutami a
rimuoverle gli anelli!- Io e Tails ci avvicinammo velocemente ad
Althea,
consapevoli di dover agire subito, anche perché si era
verificato un evento
imprevisto. Mentre correvamo quei pochi metri che ci separavano da lei,
Althea sbarrò
gli occhi all’improvviso e ci urlò contro.
-State lontani!-
Infine, una violentissima vampata di fiamme,
chiarissime e incredibilmente calde, fuoriuscì dalla
ragazza. I grossi zampilli
si muovevano furenti, come se finalmente avessero ottenuto
un’agognata libertà.
Ma certamente non pensavo a queste cose in quel momento. La stanza era
praticamente sottomessa alle fiamme. Althea si strinse una mano sulla
testa e
una sullo stomaco. Il volto era vuoto, come se, in quel momento, stesse
provando un dolore così immenso che tutto quello a cui
riusciva a pensare era
una maniera per attenuarlo. Sembrava non essersi accorta di quello che
stava
succedendo attorno a lei. Poi le fiamme cominciarono ad assumere una
forma più
compiuta. Quell’aurea che prima circondava Althea, ora si
stava raggruppando
nella parte destra del suo corpo, lasciando la sinistra libera.
Mentre il lato sinistro delle sue labbra
era impassibile, quello a destra stava formando un grottesco sorriso.
Il suo
corpo era, in un certo senso, diviso in due, ma ancora unito. Le fiamme
erano
così ben raggruppate che nascosero completamente la
pelliccia nera di tutta
quella sezione di lei. Althea raddrizzò la schiena,
guardandoci e trapassandoci
con lo sguardo.
-Tails, via di lì!- gli urlai, subito prima
di spintonarlo via dal punto in cui, subito dopo, si
verificò una piccola
esplosione di fiamme, che si sparpagliarono nelle vicinanze. Ad un
certo punto
lei emise un verso, che sembrava composto da tante voci femminili tutte
uguali
alla sua, che urlavano all’unisono. Era come se stesse
ruggendo.
-Ok, Althea… stai calma, va bene?- sussurrai
mentre le sorridevo tranquillamente, protendendo le mani in avanti
nella
speranza che la calmassero. Lei cominciò a squadrarmi,
facendo avanzare un poco
la parte infuocata, con la quale mi osservava più
attentamente che con quella
rimasta normale. Avevo capito che qualcosa la
stava
controllando, perché sembrava che solo l’occhio
destro mi stesse vedendo.
Però si era fermata un secondo… -Ora ti tolgo
i bracciali…- …solo per riprendersi
all’improvviso e attaccarmi. Aveva
letteralmente allungato il suo braccio verso di me, aumentandone
significativamente
le dimensioni e la lunghezza. Riuscii a schivare il suo attacco solo
perché
avevo un buon istinto, altrimenti sarei morto su colpo a quei tempi.
Mi girai e vidi quell’abominevole braccio trapassare
la parete del lato opposto della stanza rispetto a quello dove si
trovava la
mia amica.
Richiamò a sé il braccio. Quando
quest’ultimo tornò al suo legittimo posto, sentii
uno scrocchiare di ossa quasi
inquietante. Althea si voltò di profilo, mostrandomi solo il
suo lato sinistro,
e mi ringhiò contro.
Il sistema antincendio si attivò per
l’ennesima volta. Althea si parò un braccio
davanti agli occhi, scosse la testa
scrollandosi l’acqua di dosso e grugnì
infastidita. Mi guardò fisso ed emise un
ultimo, gutturale gorgoglio. Poi piegò le ginocchia e
saltò, scontrandosi
contro il soffitto e trapassandolo, e con esso tutti i piani restanti
della
casa.
-Tu spegni l’incendio e porta al sicuro
Knuckles e le altre!- strillai rivolto verso Tails. -Io vado a
riprenderla-. La
volpe annuì decisa, e io corsi immediatamente fuori dalla
porta.
Appena fui all’aperto, non mi fu difficile
indovinare in quale direzione fosse andata Althea: la strada che
portava verso
Station Square era ricoperta da fiamme, e del terreno su cui aveva
camminato
rimaneva solo cenere. Decisi saggiamente di correre seguendo quella
pista. Già dopo pochi secondi fui in
grado di
scorgere la figura di Althea avvolta dal fuoco. I suoi piedi non
toccavano
terra, e fluttuava ad una velocità spaventosamente alta,
paragonabile alla mia.
-Althea! Fermati e ascoltami!- Lei non si
voltò nel solito modo stizzito come usava fare di solito,
né mi rispose in modo
discutibile. Mi ignorò e basta. Ormai eravamo entrati nel
centro della città.
-Maledizione, Althea!- Corsi più vicino a
lei, che se ne accorse subito. Il suo braccio si allungò
nuovamente, muovendosi
sinuosamente come una frusta nell’aria in tutte le direzioni
e colpendo tutto
ciò che aveva intorno: pareti di edifici, lampioni, vetrine,
venivano fuse e
spazzate via come nulla. Con lo stesso, eseguì una spazzata
laterale verso di
me. Come poco prima, saltai giusto in tempo per evitarla.
Ripeté un’altra volta
la stessa azione, stavolta cercando di colpirmi dall’alto.
Aumentai la
velocità, riuscendo ad evitare il violentissimo colpo con
uno scatto.
-Allora, ti senti fortunata? Prova ancora!-
Mentre la sbeffeggiavo, vidi che dal suo avambraccio si muoveva, verso
il
grosso palmo della mano, un gonfiore interno, come se fosse acqua che
usciva da
una gomma.
Mi spaventai, e qualcosa mi disse che dovevo
abbassarmi. Feci subito una scivolata. Vidi la sua mano che sparava una
grande
palla di fuoco, molto più grossa di quelle che aveva
prodotto fino a quel
momento, quando era nel suo stato normale. Mi passò ad un
palmo dal naso, e per
pochissimi istanti avvertii un elevatissimo calore passarmi vicino. I
miei
occhi furono storditi alla vista ravvicinata di quel bagliore. La sfera
colpì
l’edificio dietro di me, scatenando un’esplosione
di fuoco, a cui seguì una
forte onda d’urto che mi sbalzò via, facendomi
rotolare per terra per vari
metri, mentre Althea proseguiva la sua corsa selvaggia. Mi aveva
colpito
nonostante non mi avesse nemmeno toccato. Era la quarta volta che
rischiavo di
morire quel giorno. Dovevo fermarla.
Mi sentivo frustrato per non esserci
riuscito subito, ero furioso. Sentii il sangue salirmi alla testa per
la
rabbia. Sbattei il
pugno sul terreno con
tutta la forza che avevo. In lontananza, sentii delle sirene suonare, e
mentre
mi rialzavo, delle volanti della polizia mi passarono di fianco
velocemente,
lasciando al loro passaggio solo una forte ventata d’aria.
Corsi a tutta velocità, seguendo la scia di
distruzione che Althea aveva lasciato dietro di sé. Dopo
poco la riuscii già a
trovare. Era circondata da almeno una decina di auto della polizia
parcheggiate
in modo totalmente casuale, e ogni via di fuga le era stata tagliata.
Molti
poliziotti le stavano davanti, guardandola con un misto di stupore e
paura.
Althea inarcò leggermente la schiena, ringhiando. Si sentiva
in trappola, e non
osavo immaginare che cosa avrebbe fatto pur di liberarsi.
-Althea!- urlai, dandomi la spinta per
scavalcare la macchina che avevo davanti a me. Ma mi sentii afferrare
per le
spalle da due paia di braccia.
-Sei impazzito?!- mi urlò contro uno dei due
poliziotti che mi teneva fermo per un braccio.
-Lasciatela stare, peggiorerete le cose!-
gli ringhiai contro.
Un uomo in uniforme prese un megafono e lo
accese. -Tu! Arrenditi immediatamente o facciamo fuoco!- disse con tono
minaccioso rivolto ad Althea.
-Cosa?! No!- Mi divincolai violentemente
dalle braccia di quei due tipi, ma senza successo. Tutto il corpo della
polizia
estrasse le pistole dalle fondine e le puntò contro la
ragazza. Lei mi guardò
per un attimo.
-Smettila di fare tutto questo! Ti vogliono
ammazzare!- urlai nel panico. Distolse lo sguardo. In qualche secondo,
la base
dell’edificio dietro di lei prese fuoco.
-Sparate!- ordinò l’uomo, e subito
l’ambiente fu ricoperto dagli assordanti boati delle armi da
fuoco, pistole,
mitragliatrici, fucili, tutti addosso a lei. La mia disperazione si
diradò,
insieme alla folta nuvola di fumo intorno ad Althea, quando vidi che
lei era
ancora in piedi.
-Le nostre armi sono…no…non di nuovo…-
disse il capo, che
aveva inconsciamente
lasciato il megafono vicino alla bocca in preda alla paura. Il braccio
della
gatta si ingrossò, e mentre puntava la sua mano aperta
contro di me, notai su
di esso un gonfiore famigliare. Mi liberai con violenza dalla presa dei
due
poliziotti, allentata a causa dello stupore nel vedere che il loro
attacco non
aveva fatto un graffio alla loro nemica e mi diressi velocemente
lontano da
quel punto.
-Allontanatevi!- urlai loro, subito prima
che la macchina dietro di me esplodesse in un mare di fiamme. Quando mi
girai,
i due uomini erano svenuti, a terra, in due punti piuttosto lontani tra
loro.
-Maledizione! Tutto il personale, indietro!
Ritirata!- esclamò il capo prima di sparare ancora un paio
di colpi sulla mia fiammante
amica. Erano scappati via letteralmente a gambe levate, lasciando le
volanti ed
i loro uomini indietro. Era meglio sbrigarsi, quei due potevano aver
bisogno
d’aiuto.
Io e il mio obiettivo: c’era un muro di
fiamme a isolarci dal mondo. O la va, o la spacca. Althea
mi stava osservando circospetta.
-Finalmente ci rivediamo- risi. -Devo
ammettere che mi sei mancata-. Mi avvicinai molto lentamente di un
passo. Lei
indietreggiò, ringhiandomi contro e arricciando il naso.
-Ok! Ok…tranquilla- sospirai. -Non so che
cosa ti stia succedendo, Althea. Ma ti giuro che insieme lo possiamo
risolvere-. Camminai cautamente verso di lei, allungando un braccio.
Lei scansò
la testa, scoprendo i denti e mostrando in bella vista i canini. Ma non
si
spostò. Rimase a guardarmi attenta, attratta dai miei
movimenti delicati.
-Devi soltanto fidarti di me…- sussurrai.
Ero vicino, mancavano davvero pochissimi centimetri per permettermi di
toglierle i bracciali. Il calore del suo fuoco, così vicino,
mi scaldava in
modo quasi rilassante la pelle. Le sfiorai la mano ancora normale,
letteralmente ad un passo dal mio obbiettivo, e feci per stringerla
molto delicatamente per farle capire che non volevo farle del
male.
-Ora, lasciami solo toglierti questi anelli…- I
suoi occhi si dilatarono e le si ricoprirono di vene, come se avesse
avvertito
un pericolo in vicinanza. Mi spaventò ringhiandomi contro ed
emettendo dal suo
corpo un’improvvisa vampata di fiamme che mi fece
indietreggiare di qualche
metro.
-…Concentrati!...ti sta controllando,
ragazza…- Allungò all’indietro il
braccio, afferrando un intero lampione e
lanciandomelo contro.
-Oh, non ci provare…- Poco prima che mi
raggiungesse, saltai proprio sopra l’asta in ferro
dell’oggetto, corsi fino alla
sua cima e saltai dandomi la rincorsa, così da poter
atterrare proprio davanti
ad Althea. Ma lei, con il suo braccio, afferrò il balcone di
un palazzo,
trascinandosi velocemente verso di esso e rimanendovi aggrappata.
Saltò
agilmente sopra la ringhiera e vi rimase in equilibrio, solo per
saltare subito
dopo sul tetto della casa. Alzò la testa verso il cielo e
ruggì con forza,
emettendo lo stesso coro di echi di prima. Poi si mise a fissarmi.
-Ti voglio solo aiutare! Cerca di fermarti a
riflettere!- Non sono davvero certo del motivo per cui continuassi a
parlarle.
Sapevo che non riusciva a capire quello che le stessi dicendo, ma in
qualche
modo ero certo che una parte di lei stesse sentendo ogni mia parola e
che
stesse racchiudendo tutto in una parte della sua memoria. Per qualche
strana
ragione ero certo che, sotto sotto, Althea non fosse niente di
più che una
bambina. E in quel momento stava soltanto dando conferma ai miei
pensieri.
Fu il suo braccio improvvisamente puntato
contro di me che mi riscosse dalle mie riflessioni non esattamente
adatte al momento.
Evidentemente avrei dovuto pensare più tardi ai
sentimentalismi.
-Non pensarci neanche, tesoro!-
sghignazzai ironico, rimarcando volutamente l’ultima
parola. Cominciai a correre in cerchio per tutta l’ampiezza
della piccola
piazza in cui ci trovavamo, formando una folata di vento quasi simile
ad un
tornado. Althea ringhiò frustrata, incapace di prendere la
mira contro di me.
Man mano che aumentavo la velocità, mi spostai sulla parte
esterna di uno degli
edifici vicino a me e corsi su di esso in verticale. Mi ero dato
abbastanza
spinta da farmi saltare e da sospendermi in aria per qualche secondo.
-Vengo a prenderti!- esclamai con un
sorriso. Althea fece un passo indietro, digrignando i denti. Mi diede
le spalle
e saltò sull’edificio davanti a lei, sfuggendomi
per un’altra volta. Così
iniziai a rincorrerla. Saltavamo di tetto in tetto, lei per scapparmi
dalle
mani e io per aiutarla. Sembravamo cacciatore e preda, leone e
gazzella.
Peccato che fosse lei quella con il coltello dalla parte del manico.
Voltò lievemente la faccia verso di me nel
mentre della sua rocambolesca corsa e allungò il braccio,
cercando di colpirmi
con una spazzata dall’alto. Abbassai la testa giusto in tempo.
L’edificio che si parava davanti a noi
faceva parte di un altro quartiere di Station Square, e di conseguenza
era
molto più distante rispetto a quelli che avevamo superato
prima.
Althea, avanti a me di solo qualche metro,
saltò con un’abilità e una
facilità sorprendente. Quanto a me…
be’, fui sul
punto di cadere nel vuoto. Preso dal panico di poter davvero
precipitare,
decisi di usare il mio asso nella manica, una mossa che mio padre mi
aveva
insegnato ad utilizzare fin dai primi anni di vita: la Spinta Sonica.
Feci quanto mi era stato sempre insegnato da
lui e la attivai. Il mio corpo subì come una specie di
scossone, e mi
catapultai in avanti a gran velocità. Senza neanche volerlo,
travolsi Althea e
ci mandai a sbattere contro una casa e ricademmo pesantemente al suolo.
Mi
rialzai a fatica, ma fui bloccato da un dolore bruciante che si era
scatenato
per tutta la mia caviglia. Althea si era aggrappata con la mano
infiammata a
me. Con una forza che non potevo immaginare possedesse, mi
trascinò nuovamente
per terra. Si rialzò e, afferrandomi con entrambe le mani,
cominciò a farmi
roteare sul terreno. Mi stava praticamente spellando la schiena contro
il
cemento, e avrei voluto staccarmi direttamente la caviglia dalla gamba
per il
troppo dolore.
-Althea, ti
prego!- Il mio era un urlo disperato. Non so il
perché, se fosse per il mio
volto contorto dal dolore o altro, ma Althea si fermò per un
secondo. Emise uno
strano verso quasi simile ad un uggiolio, guardandomi confusa e con la
testa
leggermente piegata da un lato. In quel momento non mi sembrava un
mostro,
quanto più un cucciolo che cercava di capire dove avesse
sbagliato nel suo
gioco. Ma sapevo che sarebbe stata solo questione di pochi secondi.
Aveva
allentato inconsapevolmente la presa, quindi colsi
l’occasione al volo e le
tirai un calcio sulla mascella. Speravo che se tutto fosse tornato come
prima,
non avrebbe provato ad uccidermi per quello che le avevo appena fatto.
La ragazza lasciò definitivamente la mia
gamba e si premette le mani sulla guancia. Mi allontanai il
più possibile,
strisciando lontano da lei e stringendomi la caviglia in preda al
dolore.
Althea riportò lo sguardo su di me,
ringhiando con ferocia. Allungò per l’ennesima
volta il braccio, il quale iniziò a
gonfiarsi.
Schivai appena in tempo la palla di fuoco
che mi veniva contro, la quale fece esplodere le vetrine di un negozio
dietro
di me. Fu solo in quel momento che vidi quella che probabilmente
sarebbe stata
la mia unica via di salvezza: un bidone dalla spazzatura.
Althea chiuse gli occhi, serrò i pugni, ed
emise il lamento più acuto che abbia mai sentito. Vicino a
lei esplose una
porzione di terreno, scagliando i detriti di sporcizia e cemento per
aria. Su
un edificio vicino si scatenò un’altra esplosione.
E subito dopo si scatenò il
putiferio.
Miriadi di scoppi simili a spari
cominciarono a manifestarsi intorno a noi e sulle case nei dintorni.
Potevo
udire distintamente le urla delle persone spaventate che scappavano in
strada o
che cercavano riparo dai frammenti di vetri rotti che cadevano
leggiadri dai
grattacieli. Forse c’erano già delle vittime e io
nemmeno lo sapevo. E se non
mi sbrigavo, ci avrebbe pensato mio padre a risolvere la faccenda.
Ci fu un’esplosione a meno di un metro di
me. Afferrai deciso il coperchio del bidone affianco a me e mirai al
bracciale
della parte di Althea che non era ancora infiammata. Cercai di
mantenere il
sangue freddo. ‘’Papà
ce la farebbe. Anzi,
avrebbe già risolto il problema e chiuso la faccenda con una
battuta’’. A quel
pensiero la mano mi tremò. ‘’Non
essere da meno’’.
Lanciai il coperchio come si farebbe con un
frisbee e, come se qualcuno avesse ascoltato le mie preghiere, riuscii
a
colpire il bracciale, che scattò e cadde a terra con un
tintinnio.
Althea sbarrò gli occhi e ruggì, mentre il
suo corpo era preso dagli spasmi. Passò qualche secondo
prima che cadesse
sdraiata sul fianco infiammato. Decisi di andare da lei, anche se con
una
leggera esitazione, preoccupato che avrebbe ricominciato ad attaccarmi.
Appena
mi rialzai sentii un’immensa fitta di dolore alla caviglia,
ma mi rifiutai di
guardare in quali condizioni fosse.
Zoppicai fino ad arrivare al corpo di Althea, steso,
apparentemente
inerme e ancora in fiamme. Deglutii a fatica, scuotendole la spalla.
Avevo le
labbra secche e il cuore a mille per la paura. Althea riaprì
velocemente gli
occhi, alzandosi a sedere e premendosi una mano sulla fronte.
-Cosa…? Cosa?!- strillò, guardando la
metà
destra del suo corpo con terrore e disgusto. -Cosa sta succedendo?!-
Poi sembrò
notarmi. -E perché siamo qui?- Abbassò lo sguardo
e la sua faccia perse un po’
di colore. -Cosa ti è successo?- sussurrò,
guardando la mia gamba. Io scossi la
testa con dolcezza ma allo stesso tempo in modo deciso, sottintendendo
che non
era il momento per parlarne.
-Ci penseremo dopo. Ora devo aiutarti- Le
feci un sorriso cercando di sembrare tranquillo. Cosa che non era vera.
Mantenne ancora per qualche attimo lo sguardo sulla mia ferita, poi
osservò il
mondo intorno a sé.
-No…- mormorò. -No… sono…
sono stata io? Ho fatto io tutto
questo?- Il respiro le divenne improvvisamente affannoso e le mani
cominciarono
a tremarle quando la risposta le si formò sotto gli occhi. Il
braccio ricoperto dalle fiamme non rispondeva ai suoi
comandi. -Cosa
diavolo ho fatto?! Rispondimi!- mi urlò contro,
completamente fuori di sé. -Ho…
ho ucciso qualcuno?- chiese in preda al terrore. Negli occhi le era
comparsa
una paura indescrivibile. Era la prima volta in cui la vedevo
così fragile,
così indifesa.
La afferrai per una spalla, guardandola con
fermezza. -Nessuno. Ma dobbiamo risolvere questa faccenda prima che tu
lo
faccia- mentii. Non avevo la più pallida idea se qualcuno
fosse morto, ma la
presi come una possibilità quasi certa. -Siamo
d’accordo?-
Althea annuì, non troppo convinta delle mie
parole -Va bene-. Si rimise in piedi barcollando. -Aiutami a togliere
questo
affare- borbottò, trafficando con il bracciale sul suo
polso. Un’ondata di
calore mi avvolse non appena mi avvicinai all’altra parte di
Althea. Quel
mostro che la stava controllando si stava opponendo, e muoveva con
forza il
braccio cercando di toglierci dalla sua strada. Althea non
poté fare a meno di
premersi una mano sulla tempia, combattuta tra il suo potere che
reclamava di
poter liberarsi e la consapevolezza che, se avesse dato retta a quella
parte
della sua mente, avrebbe ucciso tutti.
Quando le afferrai il braccio, non provai
molto dolore. Era caldo, sì, ma non incandescente.
L’arto cominciò
immediatamente a divincolarsi dalle mie mani, quindi mi ci aggrappai
con tutto
il corpo, stringendolo al petto. Althea emise un leggero ringhio senza
accorgersene e le pupille le si restrinsero. Il calore del braccio
aumentò di
colpo, cominciando a bruciare sul serio. Provai ad allungare un mano
verso il
suo polso, ma la forza con cui si stava dibattendo era incredibile. Era
come
provare a trattenere un toro imbizzarrito per le corna ed essere
inevitabilmente buttato a terra giusto in tempo per essere incornato.
-Tienilo fermo!- urlai ad Althea, sfogandomi
e cercando di soffocare in qualche modo le urla di dolore.
-Non… non ce la faccio-. Abbassò la testa
per la vergogna.
-Cosa?!-
-È diverso stavolta… vuole uscire fuori!- Non
riusciva a pensare in modo lucido, e sembrava che stavolta dovesse
davvero
scoppiare. Inoltre, il calore non era più sopportabile.
-Non riesco a tenerlo fermo! E credo mi
voglia bruciare vivo!- dissi, lasciandomi scappare un acuto gemito
straziato.
Non ricordo bene, ma forse mi sfuggì qualche lacrima di
dolore. Althea stette
in silenzio per un po’, forse cercando di riprendere la calma
e di pensare ad
un piano.
Chiuse gli occhi e si concentrò. Il calore
del braccio perse gradualmente intensità, così
come la forza con cui si
dimenava. Quando sembrò sottomettersi a lei, Althea aveva
già ripreso un po’ di
calma, e quella metà di lei che prima aveva fattezze
mostruose, ora aveva
parzialmente ripreso colore. -Adesso- disse in un sussurro, segno che
stava
facendo un grosso sforzo per mantenere stabile quella delicata
situazione. Afferrai
con forza l’anello rimasto e tentai di aprirlo con entrambe
le mani.
-È
resistente…!- grugnii mentre tutte le forze che
avevo in corpo erano
mirate a far scattare quell’aggeggio.
All’improvviso, una terza mano si unì a
me a tirare. Era Althea, che mi guardò con
quell’unico occhio che aveva ancora
disponibile, facendomi intuire che anche lei voleva fare la sua parte.
Tirammo
insieme nelle due parti opposte, mettendocela tutta e stringendo i
denti,
mentre quel braccio cominciava a riprendersi e ad emettere calore,
insieme a versi
mostruosi, pieni di rabbia, da cui si intuiva la sua volontà
di essere libero,
di espandersi all’infinito, di bruciare tutto ciò
che avrebbe incontrato sul
suo cammino. Malgrado ciò, noi continuammo a lottare contro
quella bestia
simbiotica. All’improvviso, sentii nuovamente
quell’acutissimo urlo di prima.
Le esplosioni ricominciarono ad invadere il campo di battaglia, le
case,
l’asfalto, facendo gravi danni e avvicinandosi sempre
più al punto dove ci
trovavamo noi. E poi quel rumore, tlac,
seguito dal tintinnio dell’anello che cadde mi
riempì la testa di relax. Almeno
finché un’esplosione non mi sbalzò via.
Le fiamme si erano gonfiate così tanto
da arrivare in cima ad un palazzo di cinque piani. Althea si era
sollevata dal
suolo, come se avesse iniziato a volteggiare per aria, e
quell’immensa colonna
di fiamme, insieme a tutte le piccole fiammelle e incendi che avevamo
intorno a
noi, tornò dentro di lei, poco a poco risucchiati dal
potente legame che
coesisteva tra la gatta e il potere che lei aveva il compito di
controllare. E
poi, quando l’ambiente fu libero anche dal più
piccolo principio d’incendio, Althea
cominciò a scendere verso il suolo, sempre più
velocemente. La sua non era una
caduta, quanto più una rapida discesa. Mi avviai velocemente
verso di lei,
volendo evitare che si ferisse ulteriormente. Mi parai davanti a lei, e
non
appena i suoi piedi toccarono terra con colpo secco, Althea cadde in
avanti,
priva di sensi. La afferrai appena in tempo e sentii la sua testa
scivolare
sulla mia spalla. Sostenni il suo corpo con facilità, e
dovetti constatare
controvoglia che era molto più leggero e apparentemente
gracile di quanto avrei
mai pensato. La appoggiai delicatamente al suolo,
sorreggendole il capo con una mano. Mi misi in ginocchio per riprendere
fiato
un secondo.
-Troveremo un altro sistema. Te lo prometto-
le dissi, nonostante sapessi che non avrebbe mai sentito le mie parole.
***
Shadow
Aprii la porta che mi avrebbe portato nella
Sala del trono. Il buio avvolgeva la stanza, nascondendo nella sua
oscurità le
guardie che si trovavano giusto al di sotto dell’enorme
lampadario nel centro
del soffitto. Involontariamente, mi misi a ricordare di quando, un
tempo, ero stato
costretto a strisciare furtivamente tra le ombre del castello nel
tentativo di
non farmi rilevare dalle guardie o da Blaze.
Anche dopo che ero riuscito a chiudere la faccenda
della G.U.N. e a sistemarmi permanentemente all’interno di
quel nuovo mondo,
avevo continuato a comportarmi in modo guardingo e prudente,
terrorizzato del
fatto che qualcuno avesse potuto sospettare chi fossi in
realtà o da dove
venissi, e che Blaze mi potesse cacciare fuori di lì a calci
per qualsiasi
errore avessi fatto. Effettivamente ci misi un po’ di tempo a
capire quali
fossero i suoi reali obbiettivi nei miei confronti. Ma ormai era
diverso.
Lei era la donna della mia vita. Per quanto
odiassi me stesso per nascondere a mia moglie ciò che facevo
ogni notte, non
volevo che dopo le pesanti giornate a cui eravamo sottoposti, lei
ancora
dovesse sostenere il peso delle notizie che potevano arrivare a seguito
delle
mie “riunioni transdimensionali” private, e
tantomeno dei metodi che sfruttavo
per poterle attuare.
Le guardie davanti al quel vecchio, segreto
passaggio nascosto sotto il mio trono raddrizzarono le loro armi alla
mia vista.
-Aprite la stanza- dissi con autorità, ma
senza esagerare con il tono. Era un periodo in cui tendevo ad abbassare
la
voce, proprio quando in realtà avrei dovuto alzarla
più che mai. Cosa avrebbero
pensato i nostri sudditi sapendo che il loro Re era così
inetto? Era quella la
mia preoccupazione, quella che, tra le tante, strisciava in mezzo alle
altre,
subdola e silenziosa, mostrandomi la sua dolorosa presenza e la mia
incapacità
di tenerla a freno, anche nei momenti più densi di impegni,
anche in quella
tremenda crisi.
Le guardie annuirono, ignorando totalmente
una cosa così futile come il mio tono di voce. Attivarono il
meccanismo e il
trono si spostò. Prima di incamminarmi, mi rivolsi ai due
uomini.
-Come al solito vi richiedo il massimo
silenzio- mormorai a bassa voce. I due uomini annuirono nuovamente,
chinando il
capo e tenendo basso lo sguardo.
Mi avviai per le scale che mi avrebbero
portato nei sotterranei, e subito i miei occhi furono colpiti dalla
luce delle
torce e la mia pelliccia punzecchiata dallo sfavillare del loro fuoco.
Marciai
con decisione fasulla nel cuore fino alla piccola stanza circolare in
cui
risiedeva il nostro tesoro più prezioso.
Inspirai profondamente, avvicinandomi con
cautela all’altare su cui risiedeva il Sol Emerald e
prendendolo tra le mani.
Una sensazione stranamente dolce e rilassante mi trapassò
ogni muscolo,
cullandomi nel tepore che mi si instaurava nelle vene ogni volta che
impugnavo
quella pietra cremisi. Purtroppo sapevo che quella sensazione di
sollievo non
avrebbe avuto vita lunga.
Strinsi con più decisione lo
smeraldo prima di riporlo al sicuro in una delle tasche della mia
giacca.
-Facciamo questa cosa-.
***
Bussai delicatamente alla porta
del laboratorio di Marine, attendendo per una risposta. Aspettai per
qualche
minuto, ma all’interno della stanza regnava il silenzio.
Battei il pugno con
più forza
e sperai che
nessuno mi sentisse. Dopo qualche secondo la porta si aprì
di scatto, e una
Marine stanca, in un pigiama di un verde scuro che le scopriva
l’ombelico e con
i capelli raccolti una bassa coda di cavallo fatta velocemente mi
apparve
davanti. Si stropicciò gli occhi prima di guadarmi e
sbatté un paio di volte le
palpebre.
-Shadow?- sbadigliò senza
preoccuparsi di mettersi una mano davanti alla bocca. La afferrai con
una presa
decisa per le spalle, la spinsi all’interno della stanza
sperando che nessuno
ci vedesse e richiusi la porta con un calcio.
-Ehi! Che stai facendo?!-
sibilò stizzita. Non sembrava ancora completamente sveglia,
quindi sorvolai su
quello che potesse stare pensando in quel momento.
-Svegliati Marine!- ringhiai
innervosito, scuotendola con impeto.
-Ok! Ok, ci sono!- Scosse
leggermente la testa per svegliarsi. -Che ore sono?-
-Le tre-.
Lei aggrottò le sopracciglia,
sembrando confusa. Estrassi dalla tasca lo smeraldo e glielo mostrai.
Appena lo ebbe visto, Marine si
batté il palmo della mano sulla fronte, esclamando
un’imprecazione. -Dannazione,
me ne ero completamente scordata! Scusami Shadow, non sarei dovuta
andare a
dormire ma…-
-Marine, tranquilla. Voglio
soltanto finire questa storia e tornare a dormire prima che Blaze si
accorga
che non ci sono-.
Marine annuì anche se non
troppo convinta, andando a sedersi su uno sgabello davanti alla sua
postazione
di lavoro. Mi posizionai al centro della stanza, stringendo con forza
il Sol
Emerald e preparandomi a quello che avrei dovuto fare.
Sentii Marine sospirare mentre
attivava il macchinario che ci serviva. -Non credo che tu debba farlo-.
Mi voltai verso di lei,
guardandola con aria infastidita. -Per favore, ne abbiamo
già parlato-.
-Ma ogni volta che provi ad
utilizzare il potere dello smeraldo ferisci il tuo fisico. Sai
perfettamente
che è una cosa rischiosa, e in più in questo
periodo sei esposto a una forte
dose di stress. Non possiamo rischiare che qualcosa vada storto, e
poi…-
-Taglia corto-.
Si mise le mani sui fianchi,
guardandomi con aria snervata. -Non sono d’accordo con quello
che stai
facendo-.
-Neanche io. Ma è l’unico modo
che abbiamo per comunicare con Tails-.
-Possiamo sempre trovare un
altro metodo. Certo, ci vorrà del tempo ma…-
-Noi non abbiamo tempo. È da
anni che aspetto questo momento-. Mi voltai nuovamente, dandole le
spalle. -Ti
ringrazio per l’interessamento Marine, ma non ho intenzione
di fermarmi-. Ero
spaventato che avesse ragione. Se per qualche motivo qualcosa non fosse
andato
come dovrebbe, il regno si sarebbe trovato senza un re in un periodo di
guerra.
Lei fece per aprire di nuovo
bocca, ma si zittì. -Va bene-.
Marine schiacciò dei pulsanti
sul macchinario davanti a lei, tirando poi una piccola leva. -Comincia
pure-.
Mi concentrai, prendendo fiato
per un istante e stringendo dita e denti. Attivai il Chaos Control con
il Sol
Emerald, e l’incubo iniziò. La testa, gli occhi,
la gola, gli arti, tutto
cominciò a bruciare. Non vi erano fiamme né
calore, ma mi sembrava di avere qualcosa
che volesse incenerirmi da dentro. In fondo, quella era
un’operazione da
effettuarsi tra più pietre, non tra una pietra ed un essere
vivente. Non potevo
nemmeno respirare né urlare, poiché, quando
aprivo la bocca, mi sembrava di
inghiottire del fuoco, aumentando il dolore. Era troppo persino per me.
Quando
finalmente vidi aprirsi un piccolo, lucente portale, mi lasciai cadere
in
ginocchio, straziato dal dolore. Ma non mi importava più di
tanto. Ero riuscito
un’altra volta a raggiungere il mio obbiettivo: aprire una
finestra per l’altro
mondo. Da quando erano stati rubati dei Sol Emerald, creare un portale
per
Mobius era diventato praticamente impossibile visto che servivano tutti
e sette
i gioielli, e io avevo urgenza di parlare ogni notte con Tails per
poter
scoprire come proseguivano le ricerche sulla mia cura. Così,
chiesi a Marine di
aiutarmi ad incanalare il mio potere e quello dell’unico
smeraldo in nostro
possesso per poter ricreare dei portali di minor potenza rispetto agli
originali, delle “finestre extradimensionali”, per
come li chiama Marine, ma
che almeno mi avrebbero permesso di comunicare con Tails facendocelo
vedere dal
vivo.
-No!- sentii a malapena dire da
Marine. Mi mise le mani sulle spalle, inginocchiandosi al mio fianco e
cercando
di essermi d’aiuto. -Vado a chiamare un medico!-
borbottò ad alta voce,
alzandosi di scatto e dirigendosi dalla porta.
-No- mugugnai a fatica e
afferrandole il polso. Lei mi guardò stranita ma allo stesso
tempo consapevole
di quello che le stessi dicendo.
-Ma il tuo corpo sta reagendo
in modo peggiore delle altre volte!- balbettò lei
agitatissima. -I tuoi occhi…-
continuò -…sono gonfi e violacei-.
-No- ribadii, alzandomi con un
incredibile sforzo e appoggiandomi al tavolo vicino a me, cercando di
sorreggermi.
-Non chiamare nessuno. Nessuno lo deve sapere-.
Lei sembrò indecisa, infatti distolse lo
sguardo.
-Cosa credi che penserebbero
vedendo che sono nella tua officina a quest’ora di notte?-
sibilai, sorridendo
in maniera quasi maligna, probabilmente più una smorfia
dovuta alla fatica a
cui mi ero sottoposto. Marine mi guardò combattuta ma anche
inquietata dalla
prospettiva che le stavo mostrando. -Si spargerebbero delle male-voci e
dei
pettegolezzi. E a quel punto sarebbe tutto finito. Blaze molto
probabilmente
non ci crederebbe, ma sarei costretto a dirle la verità. E
io non voglio
farlo-. Aumentai la stretta sul polso della ragazza.
-Non lo devi dire a nessuno. Me
lo avevi promesso Marine- ripetei. Lei si morse un labbro, sospirando.
-Hai… hai ragione. È solo che…
non so come comportarmi- mormorò, passandosi una mano tra i
capelli.
-Ricorda, Marine…- sussurrai,
ormai riottenendo parte delle mie forze, seppur tra il fiatone.
-…che quello
che mi fai non è un favore. Te lo sto ordinando-. Lei mi
guardò seria per un
attimo.
-Non sei responsabile di nulla
di ciò che è avvenuto e che avverrà.
Chiaro?-
-Sì, Shadow-. Strano. Mi
aspettavo che avrebbe capito, ma nonostante tutto continuava a rimanere
seria,
come a voler mostrarmi la sua convinzione a riguardo della nostra
discussione.
Pur apprezzando la sua determinazione, anch’io le avrei
mostrato quanto ero
convinto di quello che facevo.
-Piuttosto, ormai il
collegamento è stato effettuato. Perché Tails non
è lì?-
-Si è appena aperto, magari sta
arrivando-. All’improvviso, la volpe si manifestò
davanti allo schermo,
visibilmente affaticata.
-Ehi! C’è ancora qualcuno in
linea?!- Era ovvio il fatto che avesse corso per arrivare in tempo.
-Miles, sono Shadow, ti ricevo.
Non ti preoccupare, ci siamo tutti-.
-Ah, uff…grazie al cielo, sono
ancora in tempo…oh, ciao Marine- ansimò,
probabilmente poiché si era accorto
all’ultimo momento della presenza della prociona.
-Ciao Tails. Perché questo
affanno?- chiese lei con un sorriso divertito, notando i capelli
scompigliati
di Tails e il fiatone quasi paragonabile al mio di poco prima.
La volpe si schiacciò il ciuffo ribelle che
aveva sempre avuto in testa cercando di domarlo e si schiarì
imbarazzato la
voce.
-Be’, avevo chiuso per qualche secondo gli
occhi per rilassarmi… ma mi sono addormentato sul divano-
ridacchiò. Solo in
quel momento notai le evidenti occhiaie che sotto gli occhi gli occhi
per la
mancanza di sonno. Marine rise, scuotendo con fare divertito la testa.
-Lo
sapevo. Eri e continui ad essere un bambinetto-.
Tails si appoggiò il mento sul dorso della
mano, un ghigno ironico si faceva strada sulle sue labbra mentre
scrutava
attentamente Marine dal basso verso l’alto. -E comunque non
mi sembra che tu
sia messa in una situazione molto diversa dalla mia,
Marine…- sogghignò,
riferendosi chiaramente all'abbigliamento con cui si era
presentata. Lei
arrossì pesantemente, gli occhi azzurri strabuzzati per la
sorpresa. Poi sbuffò
fintamente indispettita.
-Bene Mister Casanova. Hai qualche notizia
da darci?- chiese lei cambiando discorso con aria professionale
nonostante
fosse ancora visibilmente rossa sulle guance. Forse potevo aver
frainteso la
situazione, ma mi sembrava di ritrovarmi in mezzo a quello che poteva
sembrare
quasi uno strano flirt, e di essere il terzo incomodo.
Tails sorrise. -Questa sera sì-. Si
allontanò di qualche passo, uscendo dalla nostra visuale e
riapparendo qualche
secondo dopo. Tra le mani stringeva una piccola fialetta con dentro un
denso
liquido tendente al verdognolo. Il sangue cominciò a
pulsarmi con più foga
nelle vene.
-È…-
-Sì. È la tua cura Shadow. Ce l’abbiamo
fatta-. ‘’Ci è
riuscito. Ci è riuscito
davvero’’
Tails sorrise apertamente, guardando a turno
me e Marine, la quale saltò giù dallo sgabello ed
esultò. Un enorme peso sembrò
togliersi dal mio cuore e, per la prima volta in quei giorni, riuscii a
rilassarmi e a sorridere sinceramente.
-Sei un grande Tails!- strillò Marine su di
giri. Tails si grattò il capo con un sorriso imbarazzato a
causa dei
complimenti, rivolgendo poi la sua attenzione verso di me. -Ho il
medicinale.
Devi soltanto dirmi quando vi devo raggiungere-.
-Immediatamente- dissi, il cuore che batteva
rapidamente in preda all’euforia.
Marine mi guardò confusa e sgomenta. -Shadow,
non possiamo creare un portale finché
non ritroviamo tutti gli Smeraldi-. Si accorse in ritardo di aver
parlato
troppo. Si mise una mano davanti alle labbra, come se con quel gesto
potesse
ricacciarsi in bocca le parole dette di troppo.
-Perché? Che è successo agli Smeraldi?-
chiese Tails con un sopracciglio alzato.
-Troverò un modo per farti venire qui entro
stasera, Miles. Mantieni attivo il segnale e tieniti pronto- gli dissi
velocemente, tentando di sviare l’argomento. Quello era un
nostro problema, non
suo. Aveva fatto fin troppo. Mi voltai verso Marine, trucidandola con
lo
sguardo e prendendo nuovamente in mano lo Smeraldo del Sol. Lei mi
guardò
terrorizzata.
-Non vorrai creare tu un portale,
vero?-
Le feci un ghigno sarcastico. Avevo i
muscoli del viso tesi, già pronti per il dolore che
avrebbero dovuto
sopportare. Delle piccole fiammelle si stavano facendo strada sulle mia
braccia
senza bruciarmi… per il momento.
-Tu cosa credi?- sghignazzai, mentre un dolore
bruciante cominciava a strapparmi di nuovo dal mondo e dalla
realtà. Non avevo percezione
di quello che stava accadendo. L’unica cosa che sentivo era
il mio corpo mentre
veniva carbonizzato da delle fiamme che non potevo né vedere
né combattere.
Grugnii e serrai la mascella. In confronto a quello, creare una
finestra per
l’altro mondo era una passeggiata nei giardini del castello.
La testa mi
pulsava come se volesse scoppiare, e ogni
respiro era una pugnalata nei polmoni. Strinsi con sempre
più forza il
Sol Emerald e ci concentrai più energia, così
tanta che per un momento temetti
di poterlo distruggere in mille pezzi. E il dolore mi tentò
quasi di farlo.
Crollai di nuovo sul pavimento quando vidi
che il rituale aveva avuto successo e che si era creato un varco per i
due
mondi. Tenni la testa bassa e gli occhi chiusi. Ero ansante, sfinito,
con la
fronte imperlata di sudore. Il dolore non accennava a scollarsi dalla
mia
pelle, e io mi stringevo le braccia intorno al busto, cercando di
attenuare in
qualche inutile modo la mia sofferenza.
-Oh mio Dio…- farfugliò Marine, serrando gli
occhi per non vedermi e di conseguenza per non urlarmi contro le
stupidaggini
che stessi facendo.
Alzai con riluttanza le palpebre. Tails mi
fissava con terrore dal piccolo portale che usavamo per comunicare, ora
affiancato da uno più grande, attraverso il quale la volpe
sarebbe dovuta
venire nel nostro mondo. Dietro di lui, nell’altra
dimensione, si era formato
un altro di quelle fenditure nello spazio-tempo.
-Shadow…- mormorò Tails, senza parole.
Io scossi energicamente la testa, dicendogli
chiaramente che non volevo sentire nient’altro. Lo guardai
con decisione,
facendogli cenno al portale alle sue spalle.
-Quando vuoi, Miles. Raggiungici-.
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Capitolo 20 *** Il cuore della Tenebra ***
Sunny
Note d'Autrice:
Salve a tutti! Ebbene sì, ho deciso di aggiornare proprio
prima di partire per l'Irlanda, fatto che avverrà il 6.
Quindi per due settimane non mi sentirete più, eh
già. MA, c'è un ma. Dopo numerosi tentativi sono
riuscita a crearmi un dannato account su Twitter. L'ho fatto
soprattutto perché ho deciso che voglio avere un rapporto
più profondo con i miei lettori e per poter interagire con
voi. Quindi, per chi è interessato, mi può
trovare con il nome Rain_of_Truth. Se mai decideste di seguirmi anche
lì, potremo finalmente interagire in modo migliore e
più diretto, potrete vedere in modo più comodo
quando ho fatto un aggiornamento e farmi domande o darmi consigli. O cosa cavolo altro
volete :D Mi farebbe molto piacere e mi darebbe un aiuto enorme per riuscire ad accontentarvi nel modo giusto! Detto questo vi lascio alla lettura, e ci rivediamo tra due
settimane, belli!
***
Sunny
Non avete idea di quanto quegli ultimi giorni siano stati intensi e non
proprio piacevoli. Non fui d’accordo con papà
quando decise di tenere con sé una perfetta sconosciuta, ma
credo che lui fosse sempre stato troppo buono per ignorare le richieste
d’aiuto di qualcuno.
Inoltre, credo si sentisse già più a suo agio
rispetto a quando partecipai allo scambio interculturale tra studenti,
quando ero più piccola: andai nella regione di Holoska, e
qui in casa arrivò un giovane orso bianco. Per due
settimane, pa’ dovette lavorare tre volte più del
solito per potersi permettere tutto quel pesce. Non che io stessi molto
meglio. Mi era sempre piaciuto viaggiare, ma Holoska aveva un clima
troppo rigido persino per me. È da quel momento che io non
volli più sentir parlare di igloo e mio padre
ripudiò il pesce. Ma forse sto divagando rispetto al
discorso iniziale.
Quella mattina mi ero alzata presto come al solito ed ero scesa in
cucina per fare colazione con la mia famiglia. Stranamente, quel giorno
Dash non stava stuzzicando Althea come gli era solito fare, ma era in
silenzio a fissare il suo piatto. Qualche volta lanciava delle occhiate
fugaci alla gatta, ma il suo sguardo ritornava inesorabilmente sul suo
cibo intatto. Althea ascoltava distrattamente i dialoghi amichevoli che
Emily cercava di imporle, la quale era decisa ad entrare nelle grazie
della solitaria nuova arrivata in famiglia. Forse le chiacchere di mia
sorella erano l’unica cosa che riusciva a dissipare
leggermente l’aria tesa che c’era quella mattina in
cucina. La sera prima avevo ascoltato di nascosto una conversazione tra
i miei genitori e Althea. Discutevano di come le cose fossero
degenerate in quella giornata e di come poterle risolvere. Althea si
vergognava terribilmente di quello che aveva causato in
città e per quello che aveva fatto alla gamba di Dash,
soprattutto dopo che aveva lui cercato di salvarla. Non sembrava che
volesse davvero trovare una soluzione per quanto aveva fatto, quanto
più che volesse chiedere un consiglio implicito a qualcuno.
-So che ho sbagliato tutto. Ma troverò un
modo per farmi perdonare da tutti voi e di ripagarvi- aveva
detto Althea e, da quanto ero riuscita a vedere, visto che ero nascosta
dal muro, aveva il capo chino e lo sguardo basso. Riuscii quasi a
percepire il sorriso dolce di mio padre.
-Se una delle faccende che ti preme è
Dash, perché non vai a ringraziarlo?-
Dopo quella frase c’era stato un momento di esitazione da
parte di Althea, quasi timida. -…Lo
farò-.
Ma il silenzio che era regnato a tavola era la prova evidente che non
lo aveva fatto. Se Dash era riuscito a stare zitto per tutto il tempo,
voleva dire che neanche lui sapeva esattamente cosa fare. Tra
l’altro, ero assolutamente certa che anche lui avesse
origliato la conversazione. Comunque stessero le cose, non erano affari
miei e non mi ci sarei dovuta immischiare. Emily, al contrario,
sembrava essere molto interessata. Aveva continuato a tartassare suo
fratello e la gatta di domande, visto che quel giorno erano i
più silenziosi a tavola. E visto la scarsa delicatezza di
mia sorella, le sue domande erano state molto chiare ed esplicite nel
loro genere.
-Non è che voi due avete fatto insieme qualcosa di cui non
volete parlarci?- aveva chiesto molto, molto ingenuamente
Emily ad un certo punto, con un sorrisetto sulle labbra. Dopo aver
sentito questo Althea si era bloccata, sbarrando gli occhi e tenendo le
spalle più dritte e rigide del solito. Si era alzata
violentemente, facendo strisciare con violenza le gambe della sedia,
provocando un gran fracasso e rischiando di farla cadere. Era uscita a
grandi passi dalla cucina, pestando con forza i piedi mentre saliva le
scale. Poco dopo sentimmo la porta della sua camera sbattere e la
serratura scattare, segno che si era chiusa a chiave
dentro. Dash aveva sospirato, scuotendo la testa e
poggiandosela sul palmo della mano mentre rivolgeva ad Emily
un’occhiata piena di stizza. Dopo aver assistito a questi
dialoghi muti apparentemente segreti e ai tentativi falliti di mia
madre di alleggerire in qualche modo l‘atmosfera, sono uscita
di casa per dirigermi in un luogo più consono alle mie
necessità: Blue Ridge City. Ed era
proprio lì che mi ritrovavo in quel momento, mentre
ripensavo a tutti gli avvenimenti accaduti quella mattina.
-Desiderate altro, signori?- chiesi ad un cliente abituale seduto
insieme alla sua compagna ad un tavolo del ristorantino in cui lavoravo
mentre tenevo abilmente in mano taccuino, penna e un piatto da portare
a lavare nelle cucine insieme ad un calice che puzzava di vino.
-No, la ringrazio signorina. Però potrebbe portarci due
caffè per favore?-.
-Certamente, arrivano-. Mi dileguai velocemente, visto il pieno di
clienti di quella giornata soleggiata. Mentre mi stavo dirigendo verso
le cucine, sentii qualcosa di una consistenza appiccicosa colpirmi la
schiena. Quando mi girai vidi, tra i vari tavoli, uno con un gruppetto
di sei ragazzini, quattro dei quali rimanevano seri, o quantomeno ci
provavano, mentre gli ultimi due se la sghignazzavano per motivi a me
sconosciuti. Non che una che faceva il mio mestiere potesse
interessarsi ad ogni discorso che facevano i suoi clienti. Delle
persone ai tavoli vicini mi guardarono in attesa di una reazione, uno
strillo, qualsiasi cosa. Tirai
fuori uno dei miei migliori sorrisi e mi rivolsi al gruppo di ragazzini.
-Desiderate?- chiesi con tono quasi smielato. Uno dei ragazzi
guardò divertito quello che sembrava il più
vecchio fra di loro, un massiccio husky marrone che avrà
potuto avere al massimo quindici anni.
-Ci potresti portare un altro dolce per favore? Come puoi vedere, il
mio mi è caduto per sbaglio- disse con fare fintamente
teatrale e appoggiandosi allo schienale della sedia su cui era seduto
con aria sbruffona. Uno dei
suoi amici scoppiò a ridere, cercando di coprirsi la bocca.
Sorrisi nuovamente, annuendo. -Subito-. Mi diressi il più
velocemente possibile in cucina e strinsi i denti e pugni, cercando di
trattenere il senso di rabbia furente e di disagio che mi aveva
attanagliato. Portai gli ordini che avevo ricevuto al bancone, e dopo
qualche minuto ricevetti il cibo.
-E sentiamo, cosa ti avrebbero fatto?- sentii dire da una voce maschile
e leggermente roca che ormai riconoscevo fin troppo bene. Vi presento
Jorge, il cuoco. Era raro trovare un ristoratore con una pazienza come
la sua che riuscisse a far andare avanti un ristorante nella maniera
giusta. Nel senso che, se ce n’erano altri, io non li avevo
mi incontrati.
Oh, ti prego, lasciamo perdere. Ero andata giusto ieri a ritirarli
dalla lavanderia, non posso credere che mi abbiano lanciato il dessert
addosso-.
-Sono ragazzini, un giorno capiranno che hanno fatto una cavolata.
Diciamo che lo faranno quando avrai circa vent’anni e ti
sbaveranno dietro-.
-Uff…sì, ma anch’io sono una ragazzina
se guardiamo la loro età media…-
-Vero. Beh, mettila così: sono anche clienti. Non ti
arrabbiare, persone così ci sono ovunque, non solo qui-. Mi
passò il piatto con il dolce, rivolgendomi uno dei suoi
tipici sorrisi in cui c’era nascosto un implicito augurio di
mantenere la calma, se volevo tenermi il lavoro. Ho detto che era
paziente, non perfetto.
-Già… ok, augurami buona fortuna-.
-Tu non ne hai bisogno, Sunny. Lo sai bene. Ora sbrigati, non voglio
perdere clienti! Forza, va’!- Mi affrettai a raggiungere quel
tavolo pieno di cani rognosi, così da poter servire qualcuno
un po’ più civile. Appoggiai delicatamente il
piatto al centro del tavolo.
-Grazie cara- sghignazzò un membro di quella banda di
mocciosi con un tono da anziano. I suoi amici ridacchiarono
compiaciuti, scrutandomi. E io che avevo sempre creduto che Dash fosse
un immaturo con le ragazze… ci sarà stato
effettivamente un motivo se in diciassette anni di vita ce ne aveva
portate a conoscere a casa solamente un paio.
Mi voltai e mi allontanai con passo svelto. Ma quando fui sul punto di
sparecchiare uno dei tavoli da cui si era appena alzati dei clienti,
sentii di nuovo qualcosa scontrarsi contro la mia schiena. Mi voltai di
scatto, senza riuscire a reprimere un esclamazione scocciata, e mi
ritrovai davanti di nuovo i visi dei ragazzi che mi ridevano in faccia,
guardandomi con una certa soddisfazione. Riuscii
però a reprimere tutto il resto. Mi voltai nuovamente e
cercai di pensare alla grassa giornata di quel giorno, piena di clienti
che volevano essere serviti
e che mi avrebbe permesso di guadagnare un po’ per conto mio.
Quel giorno Jorge mi aveva liberato un po’ prima del solito.
Chissà cosa lo aveva spinto a farlo. Mi piaceva pensare che
lo avesse fatto perché aveva capito ciò che era
successo. Era questo che lo rendeva speciale: capire quando un
dipendente non rende più abbastanza in certe giornate.
Inoltre, aveva abbastanza personale da poter continuare senza di me, almeno
quel giorno, senza doverlo necessariamente licenziare in blocco. Non
era da me prendermela così tanto, non che lo avessi dato a
vedere, ma lui poteva leggere gli stati d’animo delle
persone, cosa che lo rendeva un grande imprenditore. Ma credo di aver
speso davvero troppe parole parlando di lui, per quanto se lo meriti.
Ora tocca a me.
***
Cercai di mantenere il braccio teso senza farlo tremare e scoccai la
freccia, mandandola a conficcarsi all’estremo del bersaglio.
-Maledizione…- ringhiai.
-Oggi non sembri proprio in forma o sbaglio?- La voce che mi aveva
fatto questa domanda apparteneva ad uno dei ragazzi che spesso
incontravo mentre facevo l’attività che
più preferivo: il tiro con l’arco. Comunque si
chiamava Robin. Non era malaccio. Pensavo che di li a qualche
tempo mi avrebbe chiesto probabilmente di uscire, ma rimaneva il
fatto che restava inferiore a me con l’arco.
-Ho avuto una giornataccia, ma poteva andare peggio-.
-Forse. Ma con le prestazioni che stai dimostrando ora la
stai effettivamente
facendo andare peggio- disse con tono presuntuoso ma ironico, tipico di
lui.
Estrassi un’altra freccia dalla faretra e la tirai, ma questa
volta mancai addirittura il bersaglio. Reclinai la testa verso
l’alto, ma mi voltai subito e sentii un lamento da dietro di
me.
-Aaah Dio! Il mio occhio!- Preferii non girarmi, limitandomi a fare una
smorfia di dolore. Robin osservò la scena mostrando
un’espressione disgustata e serrando la mascella, inspirando
sonoramente fra i denti.
-Uhh… quello deve aver fatto male- mormorò
arricciando il naso. Poi si rimise a guardarmi.
-Oggi va proprio tutto da schifo- sputai, aumentando la presa che avevo
sull’arco. Robin ridacchiò, stringendosi nelle
spalle.
-Guarda il lato positivo: la tua giornata sarà sempre
migliore di quella di quel tizio- disse, indicando con un dito nella
direzione in cui si era sentita quell’esclamazione di dolore.
Roteai gli occhi e gemetti, rivolgendogli un’occhiata
scocciata.
-Taci Robin-.
-Sei davvero inconsolabile oggi, eh?- rise lui, scuotendo la testa. Poi
il suo sguardo si illuminò, e mi fissò con un
accenno di malizia sbarazzina. -Ti va di fare una scommessa?-
Le mie orecchie si alzarono inconsapevolmente, e mi voltai a guardarlo
con un vago interesse. -Che genere di scommessa?-
Lui piegò le labbra in un sorriso soddisfatto e mi fece
cenno con la testa verso il bersaglio. -Se conficchi almeno una freccia
esattamente al centro ti offro un caffè-.
-Macchiato?- chiesi con un accenno di sarcasmo.
-Macchiato. O come cavolo lo preferisci-.
Presi una freccia dalla faretra e me la feci roteare tra le dita,
pregustando già una vittoria. -E se manco il bersaglio?-
Robin sorrise con malizia, mentre cercava di mostrarsi abbastanza
rilassato. -Hai programmi per domani sera?- mi chiese, mentre la voce
lo abbandonò per un attimo dalla sua solita decisione.
Alzai un sopracciglio e socchiusi gli occhi, incrociando le braccia al
petto. Un appuntamento? Con lui?
Una persona che consideravo al massimo come un mio
“amichevole conoscente”? E poi non potevo crederci
che ci stesse davvero provando in quel modo. Ma decisi di stare al
gioco. Tanto, cosa avevo da perdere se non un po’ di
dignità?
-Be’ Rob…- Mi grattai una guancia e mi posai una
mano sul fianco, divertendomi nello stuzzicarlo in quel modo
così crudele e forse un po’ sadico da parte mia.
Decisamente un comportamento che non mi rispecchiava. Mi
bacchettai delicatamente la punta della freccia sul labbro inferiore,
ghignando con fare sbarazzino. -E va bene, ci sto-.
Mi girai verso i bersagli, prendendo subito posizione con le braccia.
La corda era già
tesa, e la freccia tirava così tanto che sembrava non vedere
l’ora di avventarsi contro la sua preda.
-Sei sicura di potercela fare?- domandò Robin, forse in un
tentativo di distrarmi così da poter aumentare le sue
possibilità di incassare la scommessa. Di tutta risposta
indietreggiai di cinque passi, aumentando la distanza.
-Come preferisci…- mormorò. Chiusi
l’occhio sinistro, stringendolo tra le palpebre mentre
focalizzavo il mio obiettivo. La freccia scivolò rapidamente
dalle mie dita, andando a scontrarsi contro la mia vittima. Colpii il
contorno esterno del marchio centrale del bersaglio. Robin
sospirò frustrato. -Ok, hai vinto-.
Non mi voltai a guardarlo e incoccai un’altra freccia. Non
era un centro perfetto quello che avevo fatto. Mi concentrai nuovamente
e solo pochi secondi dopo un’altra freccia schizzò
dall’arco contro il bersaglio, colpendolo esattamente dove
volevo io. Quello era un
centro perfetto. Senza
neanche fermarmi, scoccai in sequenza un altro dardo.
Centro. Tre colpi. Tre andati a segno.
Solo allora mi ritenni davvero soddisfatta. Mi feci passare
l’arma sopra la testa e me la misi in spalla. Poi mi voltai
sorridente verso il ragazzo dietro di me, che mi guardava in un misto
di stupore e delusione.
-Mi devi tre caffè-.
***
Mi ero ormai incamminata verso casa, dopo aver vissuto quella
controversa giornata. Mi era dispiaciuto lasciare Robin così
deluso, ma una scommessa è sempre una scommessa. Pensai che
forse, un giorno, gliela avrei concessa comunque una
possibilità. Mi era sempre sembrato un bravo ragazzo e
credevo che anche i miei avrebbero pensato lo stesso. Varcai la porta
di casa, solo per percepire che un innaturale silenzio aleggiava in
essa.
Mia madre non mi salutò nemmeno. -Ciao anche a te mamma, la
tua giornata com’è andata invece?- Lei si
girò di scatto.
-Ah! Ciao Sunny! Scusami, non mi ero accorta del tuo arrivo-. Mia madre
tendeva ad essere sbadata e con la testa tra le nuvole, ma stavolta la
sua faccia, a chi la guardava, poteva far pensare che avesse perso ogni
contatto con il nostro mondo.
-Si può sapere che cosa ti prende? Sono rimasta a fissarti
per tre minuti esatti senza che tu ti accorgessi di nulla. Sul serio,
li ho contati-.
-Mi dispiace Sunny. È solo che non posso fare a meno di
pensare a quei due. So di essere un’impicciona e che sono
abbastanza grandi da risolversela da soli, ma è nella mia
natura impicciarmi negli affari altrui!-
-Ancora non si sono parlati!?-
-No. Althea sembra avere la criniera alzata tanto è tesa,
mentre Dash è come appallottolato su sé stesso.
Mi spiace per loro-. Un po’ dispiaceva anche a me per quei
due, ma ero più discreta di mia madre e decisi quindi di
ritirarmi.
-Anche a me, ma ora sono esausta. È stata
una giornata pesante oggi, ci sentiamo dopo. Vado nella mia stanza-.
-Ok, a dopo!-
Salii i gradini delle scale
zampettandoci velocemente sopra. Quando passai davanti alle camere di
Dash e di Althea, l’unica cosa che sentii fu un silenzio di
tomba. La cosa mi inquietò leggermente. La mia non era mai
stata una casa tranquilla, e non sentir volare una mosca per i suoi
corridoi era quasi spaventoso. Ero quasi certa che Althea non avesse
messo piede fuori dalla sua stanza da quella mattina pur di non
incontrare l’individuo causa del suo nervosismo. E ora che ci
prestavo attenzione, riuscivo a sentire un debole mormorio provenire
dalla stanza di Dash. O si stava preparando il discorso con cui
affrontare l’argomento tanto temuto sia da lui che dalla
gatta, o era impazzito e aveva cominciato a parlare da solo. Non sapevo
quale possibilità ritenere più attendibile.
Decisi di sorvolare su quelli che non erano affari miei e mi diressi
nella mia camera. Che per mia sfortuna condividevo con Emily. Quando
aprii la porta, per fortuna notai che di mia sorella non
c’era ancora traccia, quindi mi buttai violentemente sul mio
letto e mi ci stravaccai sopra.
Scalciai via le scarpe e mi rannicchiai contro il cuscino. Guardai per
un attimo di fianco a me, e notai lo specchio nella parte di stanza di
Emily. Mi alzai e mi ci posizionai davanti. Il mio riflesso mi
innervosiva. Non avevo un minimo di fisico. Persino mia sorella minore
aveva le curve più pronunciate delle mie. Il mio corpo
era… strano. Sportivo, elastico, forse leggermente
muscoloso. Assolutamente niente che mi facesse sentire in sintonia con
le persone della mia età. Non ero femminile, non ero
elegante e non ero raffinata. Ma non mi sentivo esattamente a disagio
per questo. Più che altro mi infastidiva. Ma forse era il
mio ego a impedirmi di farmici riflettere sopra. Forse era il mio
stesso ego che mi impediva di avere dei veri rapporti con qualcuno.
Chiunque mi stesse vicino e chiunque cercasse di conoscermi…
credo non riuscisse davvero a farsi un’idea precisa della
persona che aveva davanti. C’è chi mi vedeva come
la ragazza più solare e simpatica che ci fosse. Altri
percepivano una certa insicurezza in me, anche se non avevo mai cercato
di ostentarla, anzi, la nascondevo come meglio potevo, tenendola
occultata dentro al mio spirito. Robin…non ho mai capito che
cosa provasse. Credo che mi considerasse una cara amica, potevo
sentirlo. Quel
giorno però, è stato come se si fosse tolto un
peso, come se avesse cercato di dirmi che non ero solo
un’amica. Ma io non… credo di aver provato le
stesse cose. Come ho già detto, era un amichevole
conoscente. Forse, non c’era davvero qualcuno che riuscissi a
sentire abbastanza vicino a me da poterlo chiamare
“amico” o “amica”. Certo non mi
relegavo in casa a giocare a videogiochi e browser game tutto il
giorno, ma forse mi sentivo persino più sola di quella
categoria di persone. Uscivo, facevo quello che mi piaceva, ma in
qualche modo ero sola. Io volevo trovare qualcuno che mi capisse
davvero. Non mi interessava se quella persona sarebbe stata identica a
me o completamente diversa. Volevo qualcuno che portasse delle emozioni
nella mia vita, non mi importava se queste fossero state positive o
negative.
Volevo un amico. Che mi avrebbe accettato, che mi avrebbe fatto
divertire, piangere, ridere, infuriare. Volevo qualcuno che mi facesse
davvero sentireviva. Forse era una cosa sbagliata
ricercare delle emozioni che mi avrebbero potuto far soffrire quando si
ha una vita pressoché perfetta. Infondo, questa è
una cosa che mi ha sempre fatto disgusto. La perfezione… la
perfezione non esiste. Nessuno è perfetto. Chi crede di
esserlo è solo un arrogante megalomane. Io non ricercavo la
perfezione.
Io ricercavo il difetto. Il difetto nell’incanto.
***
Charmy
Ci sono cose nella vita che si apprezzano più di altre.
Finire di svolgere un lavoro importante anziché posticiparlo
continuamente è una di queste. Imparare a fare cose nuove
ogni giorno è un altro ottimo esempio. Per me, tuttavia, le
cose risultano molto più semplici. Avere un lavoro da fare e
non farlo? Sìììì...
veramente fantastico. Non era la prima volta che Vector mi dava un
lavoro da fare. Non era la prima volta che lo evitavo come la peste.
Dovevo andare a ritirare i suoi vestiti in lavanderia. Se per
“vestiti” si intendono i suoi guanti e le sue
scarpe, ben inteso. Supposi che avrebbe potuto sopravvivere per un
po’ anche con quelli di riserva. Infatti ero lì,
sul tetto dell’edificio, a leggere il mio romanzo di culto
preferito:“Dr.Slump e Arale”, che come poche altre
cose al mondo riusciva a mettere in movimento le cellule cerebrali. Un
capolavoro, ancora enfatizzato se letto, come quel giorno, sotto il
sole, in una giornata serena come quella. Alzai per un attimo gli occhi
dal manga e mi venne quasi un infarto.
-Ciao Charmy-. Espio mi guardava con fare scocciato, a braccia
incrociate. Mi portai una mano sul petto, cercando di capire se il
cuore fosse ancora nel pieno della sua funzionalità.
-Devi smetterla di
apparirmi davanti in questo modo- ansimai. -E poi come facevi a sapere
che ero sul tetto?-
Lui mi sorrise con fare canzonatorio. -Ho i miei metodi. E tu non avevi
un lavoro da fare?-
-Sì, certo. Stavo giusto per andare-.
Alzò un sopracciglio. -Ne sono sicuro…-
borbottò. -Comunque. Vector ti vuole parlare, quindi
è meglio che ti dia una mossa-.
Io grugnii, reclinando all’indietro la testa. -Non potresti
dirgli che ho da fare? Tra cinque minuti sono da lui- farfugliai,
ricominciando a leggere subito dopo, come se nulla fosse successo.
Espio sospirò sonoramente. -Slump e Midori si sposano alla
fine del capitolo-.
Il manoscritto mi scivolò inconsapevolmente dalle mani. -Oh,
stai scherzando. E come fai a sapere in che punto…-
-Ho i miei metodi. Vai-.
Mi alzai da terra con un mugolio svogliato e mi avviai verso la scala
che portava in soffitta. Espio mi parò una mano davanti.
-A-ah-. Fece un cenno verso il mio prezioso manga. -Il fumetto-.
***
Bussai alla porta dell’ufficio di Vector e aprii lentamente
la porta, infilando la testa all’interno della stanza.
-Heilà?-
-Sbrigati Charmy- ringhiò la voce scura del mio amico
coccodrillo.
-Calma amico! Come mai sei così nervoso? Vanilla ti ha dato
buca per la cena di stasera?-
Vector si alzò di scatto dalla poltrona dietro la sua
scrivania. -Vanilla non c’entra niente in questa storia, lo
sai benissimo!- strillò. ‘’Wow…
nervosetto oggi il rettile.’’
-Sei tu quello che mi fa uscire di testa!- Spostò
bruscamente la sua tanto amata sedia girevole nera e mi si
piazzò davanti. -Sei in assoluto la persona più
irresponsabile che conosca. Ogni volta che ti affido un incarico o lo
rimandi, o non lo fai proprio. Se non ci fossero Cream ed Espio questo
posto sarebbe già allo sbando! Ho dovuto mandare Espio a
ritirare la roba in lavanderia, ti rendi conto? Espio!-
-Ad essere completamente sinceri, quella sarebbe la tua roba-
ridacchiai.
Vector mugugnò infuriato, camminando nervosamente per tutta
la stanza. -Si può sapere come…-
‘’Bla, bla, bla. Sempre la solita
ramanzina. Ma non l’ha capito che non lo sto più
ascoltando? Sto già pensando in quale posizione sdraiarmi
quando ritornerò sul tetto. A proposito…
chissà come faceva Espio a sapere come finiva il fumetto.
Non lo avrà mica…”
-Mi stai ascoltando sì o no?!- urlò Vector
sbattendo un pugno sul muro. Poi scosse desolato la testa. -Mi hai
stufato. Ti ho chiamato nel mio ufficio per dirti che Gibson ci ha
invitati a tornare di nuovo alla base oggi-.
-Davvero? Finalmente! Se sarà semplice come la scorsa volta,
non avremo problemi-.
-L’altra volta ti hanno quasi ucciso-. Si
sedette con un tonfo sulla sedia, facendomi gesto di uscire. -Vai a
chiamare Cream e poi andiamo-.
-Ed Espio?-
-Sono sicuro che sappia già dove dobbiamo andare. Ora datti
una mossa e vai a fare almeno questo-. Annuii in risposta e uscii dalla
stanza. Ma riuscii a sentire Vector mentre borbottava un ultimo: Dove
ho sbagliato con lui?
***
Sbadigliai sonoramente, affondando nel sedile posteriore
dell’auto.
-Siamo arrivati?- chiesi a Vector, aspettandomi la sua tipica risposta.
-No-.
-Oh…- Rimasi deluso da ciò che mi disse. Saremmo
dovuti andare a piedi, sarebbe stato più divertente.
-Siamo arrivati?- chiesi dopo venti secondi di assoluto silenzio da
parte di Cream e Vector.
-No-.
-…Siamo arrivati?-
-No…!-
-Sia…-
-Ascoltami bene Charmy, finisci quella frase e ti faccio scendere dalla
Vector-mobile, e ti continui il viaggio fino in centro a piedi!-
urlò lui, furioso come raramente l’ho visto. Ci fu
un silenzio di tomba per un minuto circa. -…Siamo arrivati?-
Oltre a Vector, anche Cream mi rispose con decisione. -No!-
Sentii una voce alla mia sinistra lamentarsi in maniera non usuale. Era
Espio, che fino a pochi secondi prima non si trovava accanto a me.
-Dio, no! Non siamo ancora arrivati, sta zitto Charmy, chiudi la
bocca!- urlò. Non risposi per diversi istanti, poi replicai.
-…Quando sei arrivato qui?-
-Uff…- Fu uno sbuffo la sua risposta.
-Piaciuto il fumetto?- sghignazzai, ricevendo in cambio solo un mugolio
pieno di aggressività.
-Ehi, siamo arrivati?- chiesi un’altra volta.
-Sì-. Vector si slacciò velocemente la cintura,
stizzito. -Giù dalla macchina. Pensavo di offrire un
caffè a tutti, ma mi si è chiuso lo stomaco-.
-Offrire un caffè a tutti? È un pensiero molto
gentile, considerando che avresti dovuto rinunciare alle spese delle
prossime settimane per farlo. Ti ringrazio a nome di tutti-. Ci
dirigemmo nuovamente verso quel grosso edificio, pronti al nostro nuovo
colloquio con quell’infido uomo.
Vector si fermò per un attimo a guardare la base davanti a
noi, poi si voltò, guardandoci con della determinazione pura
negli occhi. -Ok ragazzi, sapete come funziona. Voi zitti, io parlo-.
Mi sentii di intervenire anche quella volta. -Vector, non credi che
potrei parlare io stavolta?- Prima di passo spedito, il gruppo
rallentò leggermente il proprio andamento.
-No-.La risposta, anche se ritardata, fu secca e unanime da parte di
Vector e Espio.
-Cosa?! Perché no?-
-Due parole: Banca. Rotta.-
Cream non ci mise molto ad intromettersi nella conversazione. -In
teoria hai appena separato un’unica parola di uso comune in
due diverse, anche se, grammaticalmente, sono effettivamente parole
differenti…-
-Dopo, Cream- replicò
il capo.
-Oh, ti prego Vector, lo sai che scherzavo prima. Voglio solo provarti
le mie capacità. Non potresti darmi fiducia? Ti prego-.
-Charmy. Io ti rispetto molto, sei un amico e un collaboratore,
ma… c’è un ma…ti
lascerò gestire una faccenda così complicata solo
quando vedrò il buon Dio che balla il moonwalk. Capito il
concetto?-. Incrociai le braccia al petto e misi il broncio migliore di
cui fui capace. Vector scosse la testa ridacchiando e
ricominciò a camminare.
-Il trucco del broncio non funziona più da quando hai
superato i quattordici anni-.
Sbuffai scocciato. -Un giorno dovrai pur lasciarmi le redini
dell’agenzia! Sai, quando sarai vecchio, la pelle
comincerà a diventarti giallognola e a penderti dalle
braccia e le scaglie a diventare ruvide... cose che succederanno quando
arriverai ai cinquant’anni. Cioè tra non molto-.
Il coccodrillo si voltò di scatto. -A
cinquant’anni non si è
‘’vecchi’’! Si diventa solo
maturi!- strillò. Si mise i pugni sui fianchi, alzando il
mento e sorridendo sornione. -E alle donne piacciono gli uomini maturi-.
Cream si sbatté una mano in faccia, mugolando un verso
imbarazzato. -Vector, ti prego…-
Il nostro capo si fece un grassa risata. -Visto? Per esempio, Vanilla
esce con me per il mio fascino-.
"Ti prego, fai che non ricominci questa storia. È imbarazzante quasi
quanto quando gli ho chiesto come nascono i bambini". Poi
si rivolse nuovamente a me. -Comunque sia, la risposta è no,
Charmy. Mentre parlo con Gibson devi stare muto-. Io e il resto della
comitiva ricominciammo a camminare verso il nostro obbiettivo, ma non
riuscii a nascondere una punta di delusione dopo le parole di Vector.
Tenni lo sguardo rivolto verso il terreno. Mi considerava davvero in
quel modo così scadente? Sentii qualcuno darmi un colpetto
sul braccio. Alzai gli occhi e vidi Cream sorridermi allegra.
-Sai, penso che ci siano momenti, come questo per esempio, in cui
avresti bisogno del gadget più potente e utile che esista al
mondo-. Lei sospirò, quasi fingendosi addolorata. -Purtroppo
io non sono in grado di fornirtelo-.
Alzai un sopracciglio, sorridendole di rimando. -Cioè?-
Lei ridacchiò con fare furbetto, socchiudendo le palpebre
con un fare che mi sembrò terribilmente seducente. -Il
buonsenso-.
Sbuffai come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo e
mi battei fieramente un pugno sul petto. -Non preoccuparti Bambolina,
non ne ho bisogno- dissi con tono virile. Cream rise allegramente,
scuotendo con aria falsamente esasperata la testa.
Qualche metro davanti a noi, Vector ed Espio si trattennero a malapena
dallo scoppiare a ridere. -Datevi una mossa voi due- ordinò
Vector con voce più acuta del solito a causa delle risate
trattenute. -Abbiamo un colloquio che ci aspetta!-
Una volta dentro alla Base, nulla era cambiato rispetto
all’ultima volta in cui ci eravamo stati: grosso edificio,
persone impegnate, ciao. Una volta alla reception, Vector aveva
ovviamente in mente di parlare per primo. Il mio inequivocabile talento
nel non-ascoltarlo tuttavia, stava per prendere nuovamente il
sopravvento. Finché non mi resi conto che, malgrado le mie
corde vocali si stessero sforzando e tendendo, dalla mia bocca non
usciva una parola. Dapprima pensai al nervosismo. Poi mi guardai in
giro. Vidi Cream che mi salutò vivacemente e dietro di lei
Espio, che stava facendo degli strani segni con le mani mentre
pronunciava sottovoce parole a me incomprensibili.
-La ringrazio, signorina- concluse infine il nostro capo prima di farci
segno con la mano di dirigerci verso l’ascensore. Nel corso
della camminata, chiesi spiegazioni per l’accaduto.
-Da quando hai imparato quella tecnica?-
-Da un po’- rispose Espio, che come sempre manteneva il
riserbo su tutte le risposte che dava a chiunque.
-Ma…perché?!-
-Perché sapevo che avresti cercato di intrometterti, Maia-.
-Non osare…!- La mia voce si bloccò nuovamente,
mentre Espio ripeteva quella tecnica Ninja. -…Smettila
subito! Sembra che tu l’abbia inventata solo per me!-
-No. In certi casi bisogna tirare fuori la propria abilità
persuasiva per far parlare le persone. Altre volte si rivela necessario
chiuder loro la bocca-.
‘’Touché, Espio. Per stavolta.
Sto leggendo anche Naruto, e quando avrò imparato lo
Sharingan te la farò vedere. Preparati. Io
conquisterò il mondo. Io, Charmy, sarò
l’imperatore più potente
che…’’
-Charmy, premi il maledetto pulsante
dell’ascensore!- gridò Vector.
-Sì, capo!- E
mentre nelle nostre orecchie scorreva sinuosamente il suono della
musica da ascensore, sapevo che, forse, non ero davvero ancora pronto a
dialogare con quell’uomo dagli occhi di ghiaccio. Per ora.
***
Vector
Dopo aver ottenuto il permesso di poter ricevere Gibson e dopo aver
bussato alla porta del suo ufficio, entrammo.
-Buongiorno signori-. L’alta e slanciata figura del
Comandante ci accolse in quella stanza fredda e quasi sterile, molto
diversa dalle camere disordinate della nostra agenzia.
-Buongiorno Comandante-. Davanti alla sua scrivania erano posizionate
quattro sedie sulle quali io e la mia squadra ci sedemmo
immediatamente. Passò un minuto buono in cui, tranne Charmy,
non volò una mosca, nel quale Gibson continuò a
leggere con indifferenza delle scartoffie piene di appunti. Lanciai
delle rapide occhiate ai miei compagni, che sembravano spaesati quanto
me. Charmy stava già muovendo nervosamente le gambe,
snervato dall’attesa. Avevo il terrore che di li a poco
avrebbe cominciato a parlare.
-Ovviamente vi starete chiedendo il perché della vostra
convocazione qui- proruppe Gibson dopo un paio di minuti.
-È ovvio…- mormorò Charmy sottovoce,
emettendo un sussulto di dolore subito dopo.
-Lo scusi, Comandante-. Il tono angelico con cui Cream disse quella
frase era la prova evidente che era stata lei a tirare un calcio
all’ape. Gibson si alzò dalla sua poltrona,
incrociando le mani dietro la schiena e osservando con sguardo vacuo
fuori dalla finestra. Con la luce proveniente dall’esterno
puntata sul volto, riuscii a notare quanto i suoi lineamenti fossero
tesi e le rughe d’espressione pronunciate.
-Altre due delle nostre basi sono state attaccate- disse.
L’aria già tesa della stanza sembrò
appesantirsi ancora di più. Riuscivo persino a sentire il
lieve ticchettio delle lancette dell’orologio appeso al muro.
-Sono stati rubati altri due Smeraldi. Abbiamo esaminato il luogo
dell’accaduto e abbiamo constatato che le caratteristiche di
questi due attacchi coincidono con quello precedentemente avvenuto-.
Gibson ruotò lievemente la testa, scrutandoci tutti
attentamente. -Quindi, sono state ritrovate anche le stesse munizioni
di cui vi avevo già parlato. Ma questa volta
c’è di più-.
Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. -Spero
che vi ricordiate del nostro ospite, Nack-. Io annuii, spronandolo a
continuare. -Bene.
Diciamo che abbiamo trovato un compromesso con lui-.
-Sarebbe?- chiese Espio.
-Una riduzione della pena in cambio della lista di tutti i suoi
clienti. Ha accettato, così ora siamo in possesso dei suoi
contatti. E siamo venuti a conoscenza del fatto che soltanto una
manciata di tutti i suoi abituali clienti hanno comprato quel tipo di
munizioni. Abbiamo trovato il maggiore acquirente tra di essi-. Ci fece
cenno ai fogli presenti sulla scrivania. Cream iniziò a
leggerli velocemente, prima di fermarsi di scatto.
-Eggman?!-esclamò.
-Sì, lui.- Persino Charmy si zittì.
-Qual è il nostro compito a riguardo?- chiesi.
-È molto semplice: trovatelo.- Ci fu un ALTRO attimo di
silenzio, il che cominciava a diventare tedioso, considerando che
questa storia ne è piena.
-…tutto qui?-
-Sì. Cioè indagare, interrogare testimoni,
trovarlo, picchiarlo, le cose che fate di solito-.
-Sentendo questo mi viene il sospetto che Nack non vi abbia detto nulla
riguardo la posizione attuale del Dottore-.
-È ovvio. Non credo che quei due abbiano contrattato nel
covo segreto di Robotnik. E anche se così fosse,
è possibile che l’abbia cambiato. E se per caso
non fosse il Dottore il colpevole, voglio che mi troviate chi
c’è dietro tutto questo schifo. Dopo che lo avrete
fatto riceverete il resto della ricompensa-. Dopo che ci ebbe ordinato
quale sarebbe stato il nostro incarico, io e i miei ragazzi gli
stringemmo la mano e ci congedammo.
-Se c’è Robotnik dietro tutto questo vuol dire che
stiamo andando incontro a qualcosa di grosso- rifletté Cream
preoccupata.
-Naah, non credo ci sia da preoccuparsi molto- risi, cercando di
tranquillizzarla.
-Infondo stiamo sempre parlando di Eggman, no? L’uomo che
cattura adorabili animaletti per costruire robot altrettanto adorabili-
disse Charmy, cercando di dissipare la tensione.
Espio incrociò le braccia al petto, fissando preoccupato il
suolo. -L’uomo che pur di raggiungere il suo obbiettivo ha
diviso in più parti il pianeta-.
Dopo che lo ebbe detto, nessuno di noi ebbe più il coraggio
di aprire bocca. Non c’era nient’altro che
potessimo dire. Per quanto evitassimo di parlarne esplicitamente,
eravamo tutti in pericolo in quel momento.
***
Espio
Mi sentivo strano. Era così da qualche tempo. Ero
consapevole del fatto che stesse per succedere qualcosa. Non sapevo
quando. Non sapevo come. Ma stava per succedere. Stavo
meditando sul pavimento della mia stanza nel bel mezzo della notte. Era
una cosa che mi faceva rilassare, che mi distendeva i nervi. Quello era
un periodo in cui il mio animo era inquieto, ma la meditazione mi
faceva ritrovare la pace che tanto avevo agognato in giovinezza.
Però qualcosa era cambiato quella notte. Non riuscii a
ritrovare il sonno perduto né a calmare il battito frenetico
e irrequieto del cuore. Avevo paura che tutti i miei presentimenti
fossero fondati.
Un improvviso scricchiolio secco risuonò
all’interno della stanza, facendomi sobbalzare. Lanciai
rapidamente degli shuriken in direzione di quello strano suono e
immediatamente il rumore del metallo conficcato nel mio obbiettivo mi
riempì le orecchie. Riaprii gli occhi e notai con mio grande
sollievo che il mio nemico non era un qualcosa di vivo, ma uno dei
bersagli che si attivavano ogni decina di minuti che aveva creato Cream
appositamente per i miei allenamenti. Solitamente li utilizzavo quando
Charmy non era nei paraggi.
Tirai un sospiro di sollievo. ‘’Seriamente,
hai bisogno di calmarti. Torna a meditare e poi vattene a
dormire’’. Abbassai
nuovamente le palpebre. Calmati. Inspira. Espira. Rilassati. Strinsi
con più decisione il tomo che tenevo nella mano sinistra e
chiusi a pugno la mano destra, lasciando alzati l’indice e il
medio e posizionandola davanti al mio muso. ‘’Rilassati…’’. Poi
spostai la mano verso l’elsa di una delle mie due spade.
Un’altra azione che solitamente mi rilassava. Le mie spade
erano come le due facce di una stessa moneta. Una di queste apparteneva
al mio clan, che mi venne donata dopo che dimostrai il mio valore. Poco
tempo dopo decisi di lasciare il luogo in cui ero nato, dopo che mi
resi conto che il mio posto non poteva limitarsi ad un piccolo
villaggio e che non era quello il luogo in cui i miei tormenti
avrebbero avuto fine. Gli abitanti chiamavano quell’arma
“Reiseina”. Ero un giovane impulsivo allora,
perciò ci misi un po’ di tempo per imparare ad
usarla. Ma ero inevitabilmente attratto dallo splendore argenteo di
quell’arma che per me, in realtà, era sempre stata
più una compagna. Si diceva che fosse talmente potente che
persino la roccia più spessa potesse essere tagliata come
burro sotto la sua potenza. Questo se la si sa usare. E io la sapevo
usare. La modernità della seconda contrastava con le antiche
origini della prima. Era stata Cream a forgiarla per me. Non avevo la
più pallida idea di come avesse fatto, ma so per certo che
il materiale di cui era composta era principalmente metallo di Ring, da
cui era dovuto il suo colorito dorato. Straordinariamente, non era meno
forte di Reiseina. Erano come oro e argento. Mi piaceva chiamarla
“Ring Sword”. Entrambe le lame riposavano
all’interno delle loro else e, grazie ad un meccanismo
retrattile ad alta velocità grazie al quale, se si faceva
pressione su di un piccolo pulsante, esse si mostravano.
Poi, il lievissimo cigolio di una trave di legno. Estrassi la katana al
mio fianco e a sfoderai dall'elsa, puntandola verso la porta. Questa
volta, quando riaprii gli occhi, mi ritrovai davanti Vector con le mani
protese davanti a lui, mentre guardava terrorizzato la lama vicino alla
sua gola.
-Calma amico, sono io- disse sottovoce. Il suo sguardo si rivolse alla
mia mano sinistra. -Ehi, è un fumetto quello?- Chiusi di
scatto il giornalino, gemendo innervosito.
-Perché sei venuto qui?-
-Cream mi ha mandato a svegliarvi tutti. Dice di aver fatto una
scoperta e di volerci parlare-. Annuii, alzandomi dal terreno.
-Ok. Arrivo-.
Quando arrivai nel salotto della nostra piccola agenzia, la prima cosa
che vidi fu la gracile figura di Cream seduta su una sedia e chinata
sul suo computer portatile. Sbadigliò sonoramente e si
appoggiò il mento sul palmo della mano. Mi avvicinai
lentamente a lei, stringendole delicatamente una spalla.
-Tutto bene?-
Si voltò verso di me, sorridendo debolmente e guardandomi
con occhi gonfi e stanchi. -Sì. Sono solo stata sveglia
più del dovuto-.
-Tutta la notte, vero? Ormai abbiamo ampiamente superato l'ora
dell'alba-.
Lei ridacchiò, stringendosi nelle spalle. -Abbiamo bisogno
di quei soldi-. Poi si guardò intorno. -E
dov’è Charmy?-
Neanche due secondi dopo sentimmo un pesante strisciare sul pavimento. -Ok,
ok, smettila! Lasciami andare Vector, cavolo!- strillò
Charmy, divincolandosi tra le coperte che ancora aveva addosso e dalla
presa di Vector sulle sue caviglie mentre lo trascinava a forza con
sé.
-Come vuoi-. Il coccodrillo lo lasciò di scatto, facendo
sbattere gli stinchi di Charmy sul pavimento. L’ape fece un
esclamazione di dolore, alzandosi a fatica. -Si può sapere
che cosa c’è di tanto urgente? Ho sonno-
grugnì, ravvivandosi i capelli neri pece liberi dal solito
casco che gravava su di loro. Poi guardò Cream. -Hai davvero
un’aria orribile. Che hai fatto tutta la notte?-
Cream lo fulminò con lo sguardò. -Stai zitto o
giuro che ti ammazzo-. Vector si spolverò le mani,
appoggiandosi allo schienale della sedia su cui era seduta la coniglia. -Quindi,
cosa ci volevi comunicare?- domandò, cercando di evitare una
probabile rissa.
Cream si schiarì la voce, sistemandosi in una posizione
più comoda. -Ho fatto un paio di ricerche. Visto che Gibson
sostiene che il responsabile dei furti degli Smeraldi sia Eggman, ho
voluto cominciare a dare un’occhiata alle varie statistiche-.
-Che genere di statistiche?- chiesi.
-Eggman è solito creare le sue armate di robot grazie a
esseri come i Flickies, giusto? Quindi ho ricercato i vari luoghi in
cui ci sono stati il maggior numero dei loro rapimenti-.
Schiacciò un paio di pulsanti sulla tastiera del computer e
fece apparire sullo schermo un grafico che indicava quali zone fossero
state sotto l’interesse dello Scienziato.
-Green Hill è stato il luogo più colpito-. Cheese
e Chocola, che fino a quel momento erano rimasti accucciati nel grembo
di Cream, cominciarono a svolazzare per la stanza con fare inquieto,
schiamazzando i loro versetti. Charmy sembrò volersi mettere
le mani davanti.
-Giuro che stavolta non gli ho dato le noccioline per cena-.
Cream rispose subito a questo tentativo di discolparsi. -Non
è colpa tua. In questo periodo sono particolarmente agitati,
anche se non ne capisco il motivo-. Evidentemente non ero
l’unico ad essere spaventato. Ad ogni modo, Vector riprese
subito a parlare e a fare domande.
-Comunque sia… Cream, non ci sarebbe qualche altro posto da
cui cominciare?-
-Perché mi fai questa domanda?-
-Questioni di tempo, insomma… Non c’è
un luogo più vicino da cui cominciare?-
-Green Hill è il posto più vicino a Station
Square che esista, non so…-
-Beh, c’è sì o no?- Vector odiava quel
luogo. Non nel senso stretto del termine, però. Diciamo che
non poteva più sentirlo nominare da quando, qualche anno
prima, un “Vento Blu” gli aveva portato via il
sandwich. Una brezza che poi si è fermata a salutarlo e a
dargli del tonto, almeno da come la raccontava lui.
-Beh… ci sarebbero posti come Marble Zone, o la Mushroom
Hill Zone… ma il numero dei rapimenti di Flickies
è notevolmente inferiore a quello di Green Hill. Quindi
credo che sia meglio iniziare proprio con quest’ultima-.
Vector mugolò scocciato, ma si entusiasmò subito
dopo, indicando la porta. -Ok ragazzi, sembra proprio che sia ora di
andare! Alla Vector-Mobile!-
***
Vector
Fu così che ci ritrovammo nuovamente in quel pacifico posto
dimenticato da Dio. Durante il nostro viaggio in macchina era spuntato
in cielo un Sole che spaccava le pietre, nonostante fosse mattina
presto. Erano tutti particolarmente rallegrati dal trovarsi in quel
luogo così naturale e assolato, completamente ricoperto dal
verde. Cream aveva gli occhi che brillavano dall’emozione,
Charmy svolazzava da un fiore all’altro senza tregua, come un
gatto attratto dall’omonima erba, ed Espio…lui
meditava come sempre, ma ero certo che lo facesse in modo molto
più allegro del solito. Anche se non sembrava.
-Ok, ragazzi, è il momento di mettersi al lavoro. Per prima
cosa…- Uno dei motivi per cui odiavo quel posto, era che i
miei uomini non mi ascoltavano più una volta arrivati, ninja
compreso. Era come liberare un branco di piccoli animaletti morbidi e
coccolosi in un luogo morbido e coccoloso, scatenando
un’esplosione atomica di morbidezza e coccolosità
devastante. Erano davvero spaventosi. Però una volta li
avevo trovati così divertenti che li avevo fotografati e li
avevo postati su Facebook, ricevendo una cinquantina di “Mi
piace”.
-Ragazzi!- Fu a quel punto che cominciarono a svegliarsi e a disporsi
in fila, pronti a ricevere ordini. -Ritengo opportuno ricordarvi che
proprio in questo momento ci troviamo coinvolti nel più
importante affare della nostra vita! Quindi vi voglio PRONTI! SVEGLI!
Il meno TENERI possibile! E OBBEDIENTI! Soprattutto OBBEDIENTI. Questo
vale soprattutto per te Charmy-. Quest'ultimo sembrava distratto da
qualcosa in lontananza, che subito ci illustrò con
linguaggio colto.
-Laggiù c’è una pazza che guida una
macchina per le colline, fa dei salti incredibili-. Ovviamente cercai
subito di rimetterlo in riga.
-Naturalmente non hai ascoltato una singola *Uh, wow, hai ragione,
quella è matta forte*, ma permane il fatto che non mi
ascolti mai!- Tirai un sospiro nervoso e cominciai a fare il punto
della situazione.
-Ok ragazzi, abbiamo bisogno di testimoni. Qualche idea?- Espio fu il
primo ad alzare la mano, come previsto.
-Bene Espio, sputa il rospo-.
-Potremmo provare in quella casa laggiù-. Mi girai e vidi
una capanna ad una ventina di metri da noi.
-Oh…ma certo, quella che avevo avvistato da quando siamo
qui… Ahah! Volevo solo vedere quanto tempo ci avreste messo
voi a notarla!- Lo sapevo che non sarebbe stata la mia
giornata…-Forza ragazzi, alla
Vector-mobile!-
Cream mi guardò confusa e intervenne subito. -Vector,
è molto vicina, possiamo farla a piedi…-
-Alla Vector-mobile!- ripetei come risposta. Sono io il Boss, piccola.
***
Dopo essere saliti e scesi dalla macchina per l’ennesima
volta in quella giornata e dopo aver ascoltato le lamentele di Cream su
quanto fossi incosciente nello sprecare in quel modo la benzina che per
riuscire a pagare ogni volta che andavamo a fare un pieno dovevamo
cavarci un occhio, arrivammo davanti a quella piccola casetta
trasandata in cima alla collina. Charmy si fece avanti e
bussò alla porta, però non ci rispose nessuno.
Charmy continuo imperterrito nella sua impresa.
-Ehi! C’è qualcuno sì o no?-
urlò, battendo con violenza il pugno contro la superfice
legnosa dell’uscio della casa. La porta si aprì
all’improvviso. Davanti a noi comparve un anatra che
avrà avuto al massimo sui trentacinque anni con un becco
piccolo e stretto, dalle piume di un verde scuro e gli occhi neri pece.
Un ciuffo di capelli gli ricadeva sulla fronte mentre ci guardava
scocciato.
-Che diavolo…!- Charmy sussultò alla vista di
quell’uomo trasandato e inquietante, e svolazzò
velocemente dietro la schiena di Espio.
-È da dieci minuti che questo moccioso sta bussando alla
dannata porta. Si può sapere chi diamine siete?-
sputò, stringendo tra le labbra una cicca di sigaretta.
Cream mi guardò allarmata, mentre Espio sembrava pensieroso
mentre osservava il nostro simpaticissimo collaboratore.
-Buongiorno anche a lei- dissi con un falso sorriso, estraendo dal mio
portafoglio il biglietto da visita della nostra agenzia e
porgendoglielo. L’anatra
la guardò per qualche secondo per poi lanciarmi
un’occhiata scettica. -Qui c’è un
coccodrillo che si taglia le unghie-.
Charmy trattenne a malapena una risata, sputacchiando nel trattenersi.
-Oh, scusate. Questa è mia- ridacchiò, prendendo
dalle mani dell’uomo una foto che mi ritraeva in uno dei miei
momenti di riflessione profonda. Mugugnai
sottovoce delle offese, lanciai un’occhiata di profondo odio
verso Charmy e porsi all’anatra l’altra carta. -Questa,
è quella giusta-.
L’anatra la prese, guardandola. -Qui c’è
un coccodrillo che sta mangiando pane e marmellata-.
Cream gliela sfilò dalle mani, sorridendo nervosamente e
nascondendo la foto dietro la schiena. -Heh. Scusate. Quella
è mia-.
La guardai umiliato. -Questa davvero non me l’aspettavo da
te-.
Presi di nuovo mano al portafoglio e estrassi l’ultimo pezzo
di carta che ci fosse dentro e lo misi direttamente nel palmo del
volatile. Dentro di me sperai profondamente che non mi ritraesse in
situazioni peggiori di quelle di prima.
-Qui c’è un logo scritto con il pastello- disse.
Ridacchiai, incrociando le braccia al petto. -Sì,
è decisamente quella giusta-.
-…Team Chaotix…? Ora ho capito chi siete. Che
volete?- chiese lui con aria molto svogliata e scocciata, come se
avesse sperato per tutto il giorno di non ricevere visite di alcun
genere.
-Informazioni-.
-Che genere di informazioni?-
-Dobbiamo sapere il maggior numero di dettagli possibili relativi ai
risaputi fenomeni di sparizioni che avvengono in questa zona da un
po’ di tempo a questa parte. Ha mai assistito a qualcuno di
questi? Ci dica tutto quello che le viene in mente, anche
ciò che sembra trascurabile-.
-Io? Cosa potrei sapere io di quello che sta succedendo?-
-Le stesse cose che sanno tutti gli altri che abitano stabilmente
questa zona-.
-Ah, certo. La verità è che tutti quanti non
hanno la più pallida idea di ciò che sta
succedendo-.
Espio si mise a guardarlo più attentamente, come per
riconoscere dei particolari a lui famigliari. Ad un certo punto quel
pazzoide riprese a parlare nel suo scorbutico tono.
-E comunque, per quanto ne so io, potreste essere dei malintenzionati.
Non sarei l’unico a pensarlo infondo, vista la vostra
reputazione. Quindi perché dovrei sprecare solo un altro
minuto del mio tempo per voi? Arrivederci-. Fece per chiudere la porta,
quando Espio la bloccò con la sua mano, riaprendola
lentamente.
-Se vuole mandarci via, lo faccia pure, poiché è
nei suoi diritti impedirci l’ingresso alla sua dimora. Ma
quantomeno mostri un po’ d’educazione nei nostri
confronti-. Anche quell’uomo sembrava guardare Espio con
curiosità. Il suo sguardo cambiò, mostrandosi
leggermente spaventato.
-Beh, ripensandoci, vediamo cosa può fare per voi questo
eremita-. L’anatra aprì completamente la porta,
appoggiandosi allo stipite con un gomito. -Non posso darvi
un’informazione precisa riguardo al luogo dei rapimenti.
Sarebbe impossibile. Tutta Green Hill è stata colpita, non
c’è una zona in cui sia successo di più
rispetto ad un’altra. Non che questo sia mai stato un posto
tranquillo… ma negli ultimi tempi è degenerato.
Ci sono sempre meno animali qui intorno-. Lui sospirò,
facendo un’alzata di spalle. -Non saprei cos’altro
dirvi-.
-Non c’è proprio nient’altro che ci
possa essere d’aiuto?- chiese speranzosa Cream, facendo un
passo avanti. -Qualunque cosa-.
Il volatile grugnì. -Perché mi state chiedendo
queste cose? Perché vi serve saperlo?-
-Questioni private- rispose secco Espio.
Dopo il suo intervento, il nostro interlocutore tornò
nuovamente a fare il bravo bambino, stando dove doveva stare e
chiudendo la bocca. -Però… in effetti
è successo qualcosa interessante-.
Tirai una lieve gomitata nel fianco ad Espio dicendogli con lo sguardo:
''In questo momento ti sto adorando''.
-Esiste una foresta nel confine tra Green Hill e la Marble Zone nella
quale si dice che succedano fatti strani. Alcuni di quelli che vi si
addentrano ricevono risposte e verità a lungo cercate,
inenarrabili da chiunque altro. Altri
ci rimangono dentro per giorni nonostante si siano segnati la strada
che hanno fatto per entrare e poi puff!,
come per magia trovano l’uscita dove prima non
c’era. La foresta non lascia uscire nessuno fino a che non lo
vuole lei, fino a che ha ancora qualcosa da dirti-. L’uomo ci
guardò lentamente, uno ad uno. -O almeno questo dicono le
voci-.
-E cos’ha a che fare tutto questo con noi?- chiesi.
-Negli ultimi tempi qualcuno ha detto di aver udito dei rumori molto
forti provenire dalla foresta. La maggior parte delle persone crede che
siano spiriti o entità di vario genere. Ma vi posso
assicurare che gli spettri non utilizzano mitragliatrici e missili. E
io conosco bene il rumore delle esplosioni, anche perché ero
da quelle parti quando le ho sentite-.
-Cosa dobbiamo fare, quindi?- disse Cream.
-Non vi preoccupate, nel momento in cui sarete lì dentro
troverete ciò che state cercando. Non vi è dato
sapere quando, basta che cerchiate-. Quello strano pennuto
indietreggiò di un passo, e cominciò a chiudere
lentamente la porta, ridacchiando.
Espio inarcò un sopracciglio, sbuffando. -Grazie mille per
l’aiuto Bean-.
-No, dannazione, mi hai riconosciuto!- urlò
l’anatra chiudendo con un calcio la porta. Cream
aprì la bocca almeno un paio di volte, ma senza proferire
parola, troppo stranita per emettere anche il più stridulo
dei suoni.
-Ok, questo era strano, andiamocene- disse sbrigativo Charmy,
incamminandosi il più velocemente possibile verso la nostra
macchina.
Mi rivolsi ad Espio, confuso. -Conoscevi quel tizio?-
Lui non si tolse un ghigno soddisfatto dalle labbra per qualche minuto.
-È un vecchio amico-.
***
Espio
In una giornata così soleggiata e rovente, le fronde degli
alberi non facevano altro che regalare sollievo grazie alla frescura
che creavano.
-È scuro là dentro, eh?- scherzò
Charmy. Si vedeva benissimo che era teso. Aveva le spalle rigide e la
schiena drizzata in un modo degno di un nobile. Evidentemente gli erano
rimaste ben salde in mente le storie dell’orrore che gli
raccontavamo io e Vector nelle sere d’estate, quando aveva
cinque anni. Se il racconto lo aveva particolarmente turbato, sgusciava
nel mio letto o in quello del mio amico coccodrillo per dormire con
noi. A volte glielo permettevo, ma di solito lo buttavo fuori dalla mia
stanza a calci.
-Forza, muoviamoci- esordì Vector, incamminandosi
all’interno dell’oscura foresta. Gli altri
eseguirono subito l’ordine.
Io invece aspettai ancora un secondo e forse, a mia insaputa, fermai
anche l’avanzata degli altri. Estrassi dalla mia cintura uno
di quelli che, insieme alla mia spada, erano i miei doni più
preziosi. Una vecchia collana formata esclusivamente da una cordicella
da cui pendeva un gioiello verde acqua, simile ad un artiglio o ad una
zanna, grosso come un pollice. Quel ciondolo... nessuno conosceva la
sua storia, il perchè avrei dato la mia vita pur di
tenermelo stretto al petto. Lo strinsi nella mano destra, pregandolo di
prestarmi un'altra po’di fortuna. C’era qualcosa di
cui non ero a conoscenza in quella foresta. E per una volta, il fascino
della scoperta che spesso mi caratterizzava aveva lasciato il posto al
terrore più nero.
-Espio, muoviti, abbiamo meno tempo di quel che credi!- mi
intimò il mio capo per spingermi ad andare avanti. E
più avanzavamo, più la luce sembrava un lontano
ricordo.
Avvertii gli altri. -Tenete
gli occhi aperti-.
I minuti passavano lenti e inesorabili, ma all’interno di
quel luogo, tutto sembrava essersi fermato. Non il fruscio di una
foglia, non il canto degli uccelli, non lo scrocchiare delle foglie sul
terreno potevano essere sentiti. Niente. Era come trovarsi nel vuoto
assoluto.
Charmy si strofinò le mani sulla braccia. -Sbaglio o
comincia a fare più freddo?-
Cream abbassò lo sguardo e si fermò di colpo.
-Sta scendendo la nebbia-.
Charmy gemette, voltandosi con gli occhi sbarrati verso Vector. -Ti
prego, andiamocene subito-.
Vector si portò in testa al gruppo, ridendo. -Ragazzi, vi
siete fatti condizionare dalle storie di quel vecchio pazzo! Neanche
dei ragazzini reagirebbero come voi-.
Dopo un eterno paio d’ore di ricerca, alzai lo sguardo verso
il cielo. Le ombre erano così fitte da impedirmi di vedere
la luce filtrare tra i rami. Poi sentii qualcosa muoversi rapidamente
nelle vicinanze. Mi fermai di scatto e misi in allerta i sensi. I resto
del gruppo mi guardò confuso.
-Cosa c’è?- chiese Cream, visibilmente tesa.
-Silenzio-. Con passo lento e felpato e con la mano sulla mia elsa, mi
sforzavo di capire cosa si muovesse nei dintorni.
-Aaah!- Charmy emise uno schiamazzo di terrore e cominciò a
parlarci ad alta voce, completamente allarmato. -Attenti!
Laggiù vedo un gruppetto formato da Freezer, Megatron e il
Teschio Rosso! Scappate!- Completamente terrorizzato, si mise a
svolazzare, cominciando ad allontanarsi da noi. Vector intervenne
subito con diligenza
-Charmy. Sono degli alberi.- A dire la verità lo avevamo
notato tutti fin dall’inizio. Era Charmy ad essere facilmente
influenzabile. Sentita la rivelazione, l’insetto
tornò velocemente indietro, ansante.
-Uff…davvero?...Sì, è
vero…oh, wow, e per un attimo mi è sembrato che
il Joker si fosse unito alla combriccola-.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Cream
cominciò a ridere come una matta, ignorando il lato del suo
carattere solitamente ligio al dovere, seguita subito a ruota da
Vector. Sorrisi dopo aver visto che il muso di Charmy era arrossito
pesantemente dopo che la coniglia aveva cominciato a ridere. Rilassato,
ritirai l’elsa. Grazie a quella piccola uscita da parte
dell’ape, l’atmosfera si era alleggerita. Mi voltai
verso il punto in cui avevo sentito dei movimenti poco prima.
C’era qualcosa, ne ero certo. Mi allontanai di qualche metro
dai ragazzi, esaminando attentamente dietro il tronco di ogni albero.
Prima qualcosa ci era passato vicino. Forse mi stavo immaginando tutto,
la faccenda era nella mia mente. Forse ero solo stanco.
Forse… forse.
Sfiorai la corteccia dell’albero alla mia destra.
-Falso allarme ragazzi. Qui non c’è niente- dissi,
voltandomi per essere accolto dai visi sorridenti dei miei compagni. Ma
non fu così. Le risate erano scomparse. Così come
loro. -Ragazzi?- Tornai dove poco prima tutti e tre si stavano reggendo
l’uno con l’altro per non rotolarsi a terra per le
troppe risa.
-Charmy, se è uno scherzo giuro che stanotte ti faccio
dormire per strada- dissi a voce più alta. No…
c’era qualcosa di strano, di sbagliato. Percepii un ramo di
un albero spezzarsi. Misi rapidamente mano sulla spada e mi voltai
rapidamente. Era impossibile riuscire a vedere qualsiasi cosa che fosse
distante da me più di due metri. Strinsi gli occhi,
sforzandomi. E la vidi. In lontananza, protetta
dall’oscurità, si stagliava una gracile sagoma,
gobba su sé stessa. Senza occhi, senza naso, senza volto,
così nera che la si poteva distinguere a malapena tra la
tenebra. Solo una bocca da cui scaturì un flebile sorriso.
Un sudore freddo e appiccicaticcio mi imperlò la fronte. Quello, si avvicinava
ostinatamente a me, anche se a fatica. Era come se zoppicasse. A volte
cadeva su sé stesso, come se ancora non avesse imparato a
camminare bene. La mia mano tremava, pur essendo ben pronta a sfoderare
la lama. Quell’essere ansimava, potevo capirlo dalla
nebbiolina che fuoriusciva dai suoi aguzzi denti, provocata dal
drastico e improvviso abbassamento della temperatura. Notai che stava
sussurrando qualcosa mentre, poco a poco, cominciava ad acquisire
sempre maggiore sicurezza nella camminata.
-…vidi…-. Il mio cuore accelerò nella
sua corsa, e lo sentii rimbombare fino alle orecchie.
Continuava a ripeterlo, ma non capivo tutta la frase. Non era il mio
primo pensiero. La mia mente poi mi mise in allerta ancora
più di quanto già non fossi. Infatti, quando
girai la testa poco più a sinistra, vidi un altro essere. Mi
voltai a destra e ne vidi un terzo. -…ividi…-
continuavano a sussurrrare, in modo scoordinato e
disorganizzato tra loro. Tre creature dallo stesso identico
comportamento. Ansimanti, zoppicanti, e nere più della
tenebra stessa. Nonostante la tensione, potei chiaramente sentire
qualcosa dietro di me. Quando mi girai, ne trovai altri cinque che si
avvicinavano.
-…vidi…dividi…vidi…-insistevano,
cercando di comunicarmi qualcosa. All’improvviso, le loro
teste cominciarono ad essere preda di improvvisi e continui spasmi.
Cominciarono a svanire, per poi ricomparire più vicini a me.
Erano come delle luci ad intermittenza. Agli otto che già
c’erano se ne aggiungevano sempre di più: dieci,
quindici, venticinque, quaranta... mi avevano circondato, senza
lasciarmi via d’uscita Un brivido che non riuscii a
controllare mi attraversò la spina dorsale, che
causò ad un tremito di terrore di squotermi tutto il corpo.
Poi una delle creature apparve proprio davanti a me. Mi scrutava
dall’alto verso il basso, e così facevo io dal
basso verso l’alto. Poi ripeté quella parola che
prima non ero riuscito a recepire. -…Condividi…-
Alzò rapidamente un braccio, pronto ad abbassarlo con
violenza contro di me, così da colpirmi con i suoi acuminati
artigli disposti sulle sue mani grosse e affusolate. Senza neanche
rifletterci sopra, feci scattare la lama dorata della spada e nel giro
di qualche attimo quell’essere si fermò di colpo,
mentre la parte superiore del suo corpo scivolava lentamente per terra
dal punto in cui avrebbe dovuto avere le costole, affettato da un mio
fendente. Il mio braccio era teso verso destra mentre impugnava la
spada, che era l’unica fonte di luce in quel contesto. Il mio
respiro stava riprendendo il suo ritmo regolare e il mio sguardo era
nuovamente fisso e concentrato. I miei osservatori si fermarono per un
attimo, come stupiti da ciò che si era appena verificato.
Poi ricominciarono a fare rumore. Uscivano strani rumori gutturali
dalla loro bocca, mentre in coro sembrava che… ridessero.
Poi si misero ad urlare, come a ruggire in modo molto acuto, puntandomi
con la loro faccia senza occhi. Avevo già impugnato la spada
a due mani. Come ad eseguire un tacito comando, mi si lanciarono tutti
contro ringhiando sempre la stessa parola. Cominciai a colpirli uno ad
uno, uccidendoli senza riguardo. Erano ovunque. Mi avevano circondato
su ogni fronte, non lasciandomi la speranza di poter trovare
un’uscita da quell’incubo. Provavano a colpirmi, a
mordermi, a squarciarmi la pelle. Ma non riuscivano ad avvicinarsi che
di qualche misero millimetro al mio corpo che erano già
stesi a terra senza vita. Dopo che cadevano al suolo morti, si
scioglievano in una strana e disgustosa sostanza nera. Non
passò che qualche minuto, e il mio corpo era ricoperto dalla
stessa sostanza. Ma quando mi guardai intorno, mi accorsi con terrore
che il loro numero non era diminuito, anzi, erano addirittura
aumentati. Avevano cominciato a saltarmi addosso da qualunque
direzione. Sfoderai l’altra elsa e ne estrassi la lama
d’argento. Portai questa in orizzontale davanti al petto e
feci la stessa cosa con quella dorata, ma dietro la mia schiena.
Cominciai a girare su me stesso il più velocemente
possibile, e i nemici che mi si avvicinavano finivano inevitabilmente
per essere lacerati da entrambe le spade. Ma sentii un brivido di paura
quando vidi una goccia di liquido nero cadere dall’alto di un
albero. Alzai di scatto la testa giusto per vedere uno di quegli esseri
accovacciato su un ramo che si era buttato nel vuoto per mordermi il
volto. Alzai Reiseina e gli trafissi la gola facendogli ingoiare la
lama, lasciandolo sospeso per aria. Mi voltai velocemente verso i suoi
compagni e feci un violento fendente, scaraventando il suo cadavere
contro di loro. Decine di mostri cominciarono a scendere dagli alberi,
aggiungendosi agli altri e cominciando ad avvicinarsi pericolosamente.
Tentando di tenere a bada il panico, infilzai la Ring Sword nel terreno
arido e secco. Mi afferrai fermamente ad essa, e con la mano libera
impugnai Reiseina. Cominciai a girare intorno alla spada dorata,
continuando a mantenerla stretta nella mia presa come se fosse il mio
unico appiglio per la vita e, dopo essermi dato un potente slancio con
i piedi contro un albero, mi allontanai dal suolo e iniziai a girare
molto velocemente intorno alla Ring Sword, mantenendo teso il braccio
con Reiseina e colpendo tutti i nemici intorno a me. Fu un piccolo
luccichio che mi passò davanti agli occhi a distrarmi. La
mia collana. Il laccio che la teneva legata al mio polso si era
strappato, e ora era a terra, a qualche metro di distanza. ''No...!''
Mi bloccai di scatto e saltai sopra l’estremità
dall’elsa della Ring Sword, standoci accovacciato sopra. Pur
di non perdere quel ciondolo mi sarei tagliato una mano. Mi diedi lo
slancio e balzai in direzione del mio gioiello, caduto tra due
creature. Quando stetti per atterrare, trafissi il cranio di uno dei
due e, mentre ancora la lama era incastrata nel mio nemico, puntai la
mia polsiera verso l’altro. La mano destra girò
l’apposita rotellina, e partì un proiettile a
velocità immensa, che portò via al mio nemico
tutta la testa e parte del torace. Poi rimossi la spada dal cranio
dell’altro, e poggiai subito la mano sul punto in cui era
caduta la mia collana. Quando rialzai lo sguardo, tutto era calmo.
Attorno a me non c’era anima viva. Tutti gli esseri che avevo
combattuto fino a pochi istanti prima, tutti i corpi in liquefazione,
erano spariti nel nulla, come se non fosse mai successo niente. Mi
guardai intorno, mentre le mie orecchie udivano ormai un silenzio
assordante per la sua intensità. Quando portai lo sguardo
davanti a me, uno di loro era lì, di nuovo a fissarmi
dall’alto al basso. Afferrai Reiseina, ma lui fu
più veloce. Vidi i suoi artigli muoversi verso il mio cuore
a tutta velocità.
-Espio!- Charmy mi apparve davanti all’improvviso,
chiamandomi con insistenza. -Espio, ci sei?!-
Sentii le pupille restringersi improvvisamente e la schiena ricoperta
di un sudore gelido. -Charmy? Dove eravate finiti?- sussultai.
Lui mi guardò piuttosto confuso. -Stai scherzando? Sono
almeno sette secondi che ti sto chiamando. Sembravi addormentato-.
Quello che aveva detto mi aveva fatto rimanere di sasso. Tanto che, per
una volta, non fu per saccenza che ritardai a rispondere.
-Sette secondi, eh? Scusatemi. È solo che credo che questo
posto abbia qualcosa che non va-. Cercavo con tutte le mie forze di
mostrarmi disperatamente tranquillo. Il battito del cuore non aveva
ancor accennato a dimuire, e sembrava che non avesse alcuna intenzione
di farlo.
Vector mi raggiunse e continuò la conversazione insieme a
Charmy. -Questo
lo credevi già da prima, amico. Si vedeva che eri teso. Non
come Charmy, ma avevi la guardia ben alzata. Dio, hai una brutta
cera…-. Per quanto odiassi ammetterlo, aveva ragione: ero
turbato. Ora sapevo da cosa.
-Ugh… avete trovato qualcosa?- Vector, come suo solito,
tendeva a rispondere a domande stupide in maniera inconsapevolmente
ancora più stupida.
-Ah. Negli ultimi istanti, dici? No. Non io e Charmy almeno-. Dovevo
spronare gli altri ad allontanarci da quel posto. Non è
comune per un asceta avere tali visioni. Ci vuole qualcuno o qualcosa
di abbastanza potente da penetrare una mente allenata ad affrontare
qualsiasi tipo di situazione. E forse l’avevo appena
incontrata. Mi rivolsi a Cream, inginocchiata a qualche metro da noi,
sperando che almeno lei avesse scoperto qualcosa. -Novità?-
Lei non mi rispose subito. Non mi aveva sentito, oppure trovato
qualcosa.
-Ragazzi…abbiamo un indizio-.
All’udire quelle parole, ci avvicinammo subito, e
vedemmo ciò che ci interessava.
-Una macchia?- domandai. Dal sorriso che aleggiava sulle labbra della
ragazza capii che non aspettava altro che una domanda del genere
-Non una macchia qualunque. È olio
da motore. Per di più, guardatevi intorno-. Vicino a
dov’era accucciata Cream, c’erano sparsi vari
piccoli pezzi di quella che sembrava il rimasuglio di una ferraglia
rossa cremisi. Ma i resti erano così pochi e così
malridotti che veniva impossibile riconoscere a chi o a che cosa
potessero appartenere.
-Dei bulloni? Tutto qui?- sbottò innervosito Vector.
-Ma non capisci? Ora almeno sappiamo che le esplosioni che sono state
sentite dagli abitanti delle Valli sono state causate da un essere
meccanico e non da qualche strano spirito presente nelle leggende
popolari- spiegò la coniglia. -E poi guardate qui-. Si
rialzò dandosi la spinta con le ginocchia e fece qualche
passo in avanti, puntando un dito sul terreno. In una scia continua
erano presenti numerose goccioline di olio che si susseguivano
l’una all’altra in un percorso che continuava oltre
il nostro campo visivo. Vector era senz’altro incuriosito,
non mi era difficile capirlo, ma era anche piuttosto dubbioso.
-Notevole Cream, ben fatto. Chaotix, in marcia!- Seguimmo a ruota
l’incedere del boss, senza indulgere ulteriormente. Cream si
portò davanti a tutti e piegò la schiena,
stringendo una lente d’ingrandimento tra le mani e
continuando ad marciare avanti e a seguire le tracce con il naso
appiccicato al terreno. L’unico motivo per cui riuscivo a
distinguere le macchie nere in quell’oscurità era
perché i miei occhi erano altamente addestrati a questo. Lo
avevo confermato fino a pochi istanti e sette secondi prima.
Più proseguivamo più, all’opposto di
prima, la luce trapassava le fronde degli alberi, formando tanti
sprazzi chiari a ridosso del terreno intorno a noi. E più
avanzavamo, più il nostro indizio si faceva flebile e
invisibile, mostrandosi sempre più di rado.
L’aria, fresca e portatrice di serenità,
finalmente cominciava a tornare, sferzandomi sulla faccia e portando
via con sé tutta la paura. Poi la luce mi colpì
con tutta la sua delicata forza, spingendomi a chiudere gli occhi prima
di riaprirli per poter ammirare il meraviglioso paesaggio davanti a me.
Alberi, prati e cielo azzurro. Ma non tutto era rose e fiori, come ci
comunicò Cream di lì a poco.
-Ragazzi, cattive notizie-.
Lo notai prima che lo dicesse apertamente. -Già.
Il sole deve aver cancellato le macchie con il passare del tempo-
proruppi, pur sempre rasserenato per l'essere uscito da
quell’incubo. Vector nonostante tutto sembrava piuttosto
ottimista, tant’è che sorrideva sornione.
-Cream, sai cosa fare-.
-Sì, capo.- Cream afferò dalla sua cintura uno
strano apparecchio che, osservandolo meglio, assomigliava a degli
occhiali da sole. Cream premette un bottone e dalle lenti
avanzò una copertura che finì col ricoprire
completamente tutta la testa dell’inventrice. Almeno
finché, poco dopo, non si aprirono automaticamente due fori
che fecero fuoriuscire violentemente le sue orecchie. Charmy si
avvicinò subito, incuriosito come una mosca da una lampada a
gas.
-Come pensi che ci possa servire un Oculus Rift in una situazione del
genere?-
-Questi…- cominciò con il spiegargli
-…sono occhiali a visione organica avanzata.- Charmy, io e
probabilmente anche Vector, che sembrava però sapere della
funzione di quell’oggetto, eravamo piuttosto preoccupati di
come Cream ci avrebbe riempito la testa delle sue nozioni di meccanica.
Soprattutto Charmy. -Traduzione?-
-Occhiali che isolano tutto quello che passa per il loro punto focale,
rendendolo inosservabile… tranne la materia organica.
L’ho progettato perché visionasse diversi tipi di
sostanze a seconda di come lo calibro, anche quelle poco recenti.
Cellulosa, carne, sangue… o, se giro questa rotellina nella
maniera giusta… combustibili fossili e derivati-.
Vector continuò per lei. -Che sono esattamente
ciò che stavamo seguendo-.
Cream annuì con entusiasmo. -Esatto!-
Vector sembrava piuttosto eccitato dalla piega che stavano prendendo
gli eventi -Sapete tutti questo cosa significa, non è vero?-
Tutti ci sbattemmo una mano sulla fronte, sapendo cosa stava per
accadere.
-Alla Vector-mo…- Charmy lo interruppe prima di lasciargli
finire la frase, cosa molto coraggiosa da parte sua.
-Vector, dove? Non l’avevamo parcheggiata qui-.
-Ah no? E cos’è quella?- Indicò con
l’indice alla nostra destra e tutti, con immenso stupore,
vedemmo quel ridicolo mezzo di trasporto che così spesso
negli ultimi anni ci aveva sempre accompagnato nei nostri spostamenti.
Davvero molto spesso.
Strano che si trovasse proprio lì. Eravamo usciti dallo
stesso punto da cui eravamo entrati? Allora come mai prima nessuno di
noi, nemmeno io, aveva notato quelle macchie d’olio prima?
Era probabile che la foresta avesse giocato con noi tutto il tempo. Se
così fosse stato, quanto di quello che avevo visto era reale?
***
Sbuffai infastidito. -Smettila-.
-Di fare cosa?-
-Lo sai cosa- ringhiai, guardando con fare truce Charmy.
L’ape sbuffò, alzando gli occhi al cielo e
ritirando il gomito che per sbaglio continuava a puntarmi nelle
costole. -Ok, ok-.
Non erano passati neanche quindici secondi da quello che gli aveva
detto che il suo gomito scivolò di nuovo vicino a me,
sfiorandomi in modo fastidioso.
-Piantala!- sibilai, triandogli uno schiaffo sulla mano e spingendolo
il più possibile all’opposto del sedile della
macchina.
-Non lo faccio apposta!-
Affondai la schiena tra i sedili, chiudendo gli occhi e sospirando
frustrato. Non ero nel migliore degli umori per poter scherzare con un
essere così irritante. Charmy cominciò a muovere
la gamba ad un miglio al minuto. Non riuscii più a
trattenermi.
-Dio, Charmy, piantala!-
urlai.
-Non ho fatto niente, piantala tu!-
Cream emise un gemito frustrato dai sedili davanti. Era sporta con la
metà superiore del corpo fuori dal finestrino per poter
osservare meglio le macchie d’olio che c’erano
sull’asfalto. -Volete cortesemente stare zitti?- disse ad
alta voce, cercando di sovrastare il rumore della nostra auto.
Charmy incrociò le braccia al petto, guardandomi con stizza.
Dopo qualche minuto di sacrosanto silenzio e relativa
tranquillità, sentii di nuovo che qualcosa mi stava
puntellando le costole. Charmy sorrise compiaciuto, osservando con
falso interesse il paesaggio fuori dal suo finestrino.
-Ok, questo è troppo!-
-Cosa stai…?!- strillò quando gli afferrai il
collo, trascinandolo a forza fuori dal finestrino e avvicinando la sua
faccia all’asfalto in movimento. Cominciò a
gridare, terrorizzato. -Okokokok! Espio! Lasciami! Stai calmo!-
continuò ad urlare e a divincolarsi.
-È l’ultima volta che viaggio vicino a te,
chiaro?!-
-STATE ZITTI!- urlò Vector, girandosi violentemente verso di
noi e lasciando il volante. La macchina sbandò
pericolosamente, facendo sbilanciare Cream più verso
l’esterno che verso l’interno della vettura e
costringendomi a ritirare su Charmy. La coniglia strillò, e
Charmy e io ci slanciammo, afferrandola per la vita. Per ricambiare il
favore all’ape, sorrisi sornione e lo guardai.
-Dillo che questo era uno dei tuoi sogni da sempre-. Sbarrò
gli occhi, sperando che Cream non avesse sentito nulla e poi, dopo
essere leggermente arrossito, se ne stette zitto. Grazie ancora,
Vector, per aver corrotto l’esaminatore di scuola-guida per
farti dare la patente. Mi hai salvato.
-Vi siete calmati?! Sì?!- Vector sembrava seriamente
innervosito quella volta. -Un uomo adulto e saggio e un altro che
dovrebbe esserlo da un pezzo ormai, che litigano come due poppanti!
Ecco che cosa vedo!- Abbassammo entrambi la testa, e nel frattempo mi
ricordai che Vector non era solo un fratello per me, ma anche un
leader. Un leader che a volte non rispettavo abbastanza, visto tutto
quello che faceva per noi. E anche piuttosto avido, ad essere sinceri.
-Sapete cosa stiamo facendo!?- Si fermò per un secondo,
aspettando una risposta da parte nostra, la quale non arrivò. -Ci
stiamo dirigendo nel luogo che forse, e dico forse, ci
permetterà di ristrutturare il locale, vivere una vita
dignitosa e chissà, magari anche di ripulire leggermente la
nostra reputazione per non sentirmi dire da ogni persona che
incontriamo che siamo dei detective da strapazzo o, nel migliore dei
casi, dei mascalzoni! Voi credete di esserlo?! Pensate di essere degli
incompetenti? Dei mascalzoni?- Charmy, un po’ dimesso, gli
rispose. -No-.
-Allora fate i bravi e fate almeno finta di prendere seriamente la
situazione! Sono stato abbastanza chiaro?- Annuimmo entrambi con
riverenza. -Bene. Ritrova le tracce, Cream-.
La ragazza si sporse nuovamente fuori dalla vettura ed emise un sospiro. -Nord-Est,
Vector-.
-Bene- disse lui subito prima di far ripartire l’auto e di
derapare violentemente nella direzione indicatagli da Cream. Dopo aver
tratto un sospiro di sollievo e aver notato che Charmy si era
seriamente calmato, almeno per il momento, pensai quanto fosse
strano che le tracce si prolungassero per un così lungo
periodo, e che le colline e i prati stessero lasciando il posto a
palazzi e grattacieli.
-Station Square- pronunciai quando capii dove ci trovavamo. Molte erano
le domande che ci stavamo ponendo. Anche Charmy era stranito.
-Ma è assurdo. Perché mai una macchina di Eggman
si sarebbe dovuta avvicinare ad un luogo così popolato?-
-Hai mai patito la sete, Charmy? O sei mai stato ferito a morte?- disse
Vector. Charmy, strabuzzò leggermente gli occhi,
ascoltandolo. -Quando stai per morire, non puoi che comportarti in due
maniere: Arrenderti e attendere la morte, aspettando che finisca tutto.
Oppure continuare ad andare avanti, anche senza sapere ciò
che ti aspetta, anche continuando per chilometri pur di sfruttare
l’ultima speranza che ti resta, l’ultima
possibilità per sopravvivere. Non importa che tu sia fatto
di carne, di metallo, o di chissà che altro tipo di
materia.-.
Nel frattempo, Cream continuava a seguire delle tracce che sembravano
proseguire all’infinito e che solo grazie a lei riuscivamo a
tenere bene d’occhio, poiché persino io cominciavo
a perderle di vista. Poi Vector si fermò in un parcheggio
vicino e ci fece scendere tutti.
-Ok ragazzi, tutti giù. Continuiamo a piedi-. Dopo esserci
sgranchiti un po’ le gambe per riprenderci dal lungo viaggio,
continuammo a seguire Cream. Charmy espresse il suo personale parere
riguardo a ciò che poteva essere successo.
-Quel robot è stato furbo. Probabilmente, se lo troveremo,
sarà proprio qui in periferia. Addentrarsi oltre gli avrebbe
reso impossibile nascondersi alla vista di tutti-.
Era più intelligente di quanto a volte volesse lasciar
intendere. Nessuno di noi aveva il diritto di sottovalutarlo. Solo che
a volte era così fastidioso…
-FERMI!- avvisò la coniglietta con decisione. -Le tracce
arrivano fin là.- Guardando avanti, una casa piuttosto
grande e con un bel giardinetto si delineava di fronte al nostro
sguardo. Cream, dopo essersi tolta gli occhiali, non distolse nemmeno
un attimo lo sguardo da quell’edificio. Charmy fece lo
stesso, socchiudendo le palpebre e concentrando lo sguardo.
-Ma…quella casa non è anche
l’officina…- fece Cream.
Vector la interruppe subito, per dire ciò che tutti sapevamo
-Sì. È proprio la sua-.
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Capitolo 21 *** Non sempre Rose e Fiori ***
Cap. 22- Non sempre rose e fiori
Note d'Autrice: Salve
a tutti! Allora chiedo scusa per il ritardo con cui sto aggiornando in
questo periodo, ma tra il ritorno dall'Ilranda e il fatto che ho dovuto
sistemare le varie cose inerenti ad esso, ho avuto un po' di
difficoltà nel finire nel capitolo e nel correggerlo. Ma
alla fine ce l'ho fatta e spero di riuscire a darmi una mossa in
futuro. Un'altra cosa che volevo dire è che, per farmi
perdonare di questo ritardo, il prossimo capitolo
sarà uno speciale. Solo per dire. Detto questo
vi ringrazio e vi saluto. Buona lettura!
Shadow
“Com’è
strana la vita. Fino a poco tempo fa stavamo rinnovando in ogni suo
aspetto il
regno. Stavamo per farlo passare ad una nuova era. Stavamo per far
comprendere
ai cittadini i loro diritti, per fare un salto tecnologico leggendario.
E forse
in seguito saremmo anche riusciti a far approvare una costituzione
abbastanza solida
da poter essere chiamata tale. E ciò avrebbe finalmente
elevato i nostri
sudditi al rango di cittadini veri e propri, con i loro diritti e i
loro doveri.
Oggi invece stiamo rischiando di partire dal punto di partenza. Forse
anche prima.
E le cose peggioreranno dopo che avrò preso quel medicinale.
So che dovrei
aspettare e che sto rischiando tutto quello che ho. Ma sono stufo.
Stufo di
rimandare, di vedermi scivolare ogni possibilità di veder
realizzare quello che
voglio tra le dita e stufo di vivere ogni minuto con la paura e la
consapevolezza che un giorno mi vedrò morire davanti agli
occhi i miei figli.
Forse, alla fine dei conti, non c’è momento
migliore per assumere il medicinale
se non ora’’.
-Mi stai ascoltando sì o no?- Tre schioccate
di dita davanti al mio naso mi riportarono subito alla
realtà.
-Scusami. Stavo pensando a una cosa-.
Gardon ebbe un lieve tic e alzò
impercettibilmente il sopracciglio, incrociando le braccia al petto.
Due gesti
che con gli anni avevo capito riconducessero ad un suo stato di
nervosismo o ad
un’imminente esplosione di rabbia. Però quel
giorno non sembrò volermi
comunicare questo. Mi sembrò incuriosito e allo stesso tempo
preoccupato.
-Sei distratto oggi. Qualcosa non va?- mi
chiese. Scossi la testa e feci un sorriso tirato.
-No. Continua pure il discorso-.
Lui esitò per un attimo, ma sembrò decidere
di voler eclissare la conversazione per il momento. -Abbiamo inviato
altre
truppe per sorvegliare i templi. Inoltre, parte dei nostri soldati e
stata
spedita a indagare nelle parti settentrionali e orientali del regno.
Abbiamo
intenzione di setacciare ogni angolo dell’impero pur di
trovare il responsabile
dei furti e di queste carneficine-.
Annuii con decisione. -Molto bene. Continua
a coordinare le operazioni come stai facendo ora-.
Gardon mi esaminò velocemente, squadrandomi.
-Hai una brutta cera. Sicuro vada tutto bene?-
-Sì. Da quando sei così dubbioso?- lo
stuzzicai, cercando di continuare a sorridere.
-Ti tremano le mani-. Abbassai lo sguardo.
Aveva ragione. Misi le mani nelle tasche con un gesto naturale,
fingendo
indifferenza.
-E hai le borse sotto gli occhi- continuò
con quel suo dannato sguardo inquisitore. Avevo dovuto ammettere a me
stesso
che quella sua occhiata mi aveva sempre incusso timore, soprattutto nei
primi
giorni in cui ero ritornato a Flaritas dopo il mio breve addio a quel
luogo.
-È solo un po’ d’insonnia, Gardon-.
-Provocata da cosa?- Ridacchiai leggermente,
tentando inutilmente di aggiungere un po’ di ironia alla
situazione.
Sulle labbra del koala comparve l’ombra di
un sorriso comprensivo. -So cosa vuol dire trovarsi per la prima volta
in una
situazione scomoda e so che effetti ha. Ma… tu non sembri
stare tanto bene-.
-È che… ho solo bisogno di vederci più
chiaro. L’impero si merita un sovrano degno-.
-Allora è stato più che accontentato- mi
rispose lui, guardandomi fisso dall’alto verso il basso. Ho
sempre ammirato
quell’uomo proprio per la sua capacità di guardare
all’anima, non al rango o al
grado sociale. Poco dopo, riprese a discorrere. -Ma oggi, per qualche
ora,
dovrà farne a meno. Riposati, ragazzo-. Mi stupì.
In tutti quegli anni
non mi aveva mai proposto una cosa del genere. Del tipo…
mai.
-Che razza di re dorme mentre il suo regno
brucia?- risposi sempre provando a ironizzare, e mostrai nuovamente un
sorrisetto.
-Quale regno sopravvive con un re esausto?-
Detto questo era riuscito a zittirmi, come spesso faceva. Non sempre,
ma
spesso.
-Ci penserò su- borbottai, volendo lasciargli
il beneficio del dubbio
sul fatto che io
seguissi il suo consiglio o meno. Lui annuì, si
girò velocemente e si
allontanò. Appena le porte si furono richiuse dietro di lui
sospirai di
sollievo, godendomi la mia solitaria intimità. Sapevo con
certezza che di li a
poco sarebbe andato a vedere come stesse Blaze usando una scusa per far
sembrare il tutto più formale nei suoi confronti e per non
fare la figura del
padre preoccupato. Blaze… dovevo stare attento. Comportarmi
in modo strano con
lei avrebbe significato rischiare di mandare all’aria tutto
quello che avevo
fatto per ricevere la medicina. E lei era dannatamente
brava a capire come mi sentissi. Tuttavia, non avrebbe avuto molti
momenti per
farmi il quarto grado se avesse notato che qualcosa non andava. Da
quando ci
era giunta la notizia che in uno degli ultimi templi non
c’erano stati
superstiti, avevamo cominciato a lavorare fino allo sfinimento. Io mi
potevo ritrovare
a partecipare a più riunioni in una stessa giornata e Blaze
a non assistere a
nessuna di esse, andando a risolvere problemi completamente diversi.
Praticamente riuscivamo ad avere una vera e propria conversazione
soltanto di
sera o a notte fonda, se uno dei due non era già andato a
dormire, sfinito. Tutto
quello che potevamo fare era adeguarci alla nuova routine. Per la prima
volta
in tanti anni, non avevo più il controllo su quello che
potesse succedere. Ero
spaventato. Non avere il controllo su tutto era veramente
terrorizzante. Sapere
di avere sulle spalle la responsabilità di miliardi di vite
era qualcosa che
sarebbe riuscito a frenare nella sua impresa anche i più
impavido dei
guerrieri. Quel giorno avevo molte cose da fare, abbastanza da
permettermi a
mio malgrado di non ascoltare il consiglio del mio braccio destro. Ma
prima mi
sarei concesso qualche minuto per me. C’era una faccenda di
cui mi dovevo
occupare da solo.
***
Giunsi in camera mia in un momento in cui
nessuno era lì presente. Afferrai dalla tasca una delle due
siringhe contenenti
il vaccino di Tails. Prima di andarsene si era ben raccomandato di
usarne
inizialmente solo una e di comunicargli ogni minimo cambiamento che
avrei
presentato, visto il rischio verso cui andavo incontro. La seconda
doveva
servire solo come riserva, in caso gli effetti non si facessero
sentire.
Avrei volentieri lasciato l’operazione a Marine, che forse
possedeva un po’ più
di esperienza rispetto a me in campo medico, ma non credevo che sarebbe
stata molto
d’accordo. Decisi quindi di agire da solo. Tesi
l’avambraccio sinistro e con il
destro mirai per bene nell’incavatura interna del braccio,
per essere sicuro di
colpire la vena. Infilai l’ago nella carne, totalmente
insicuro di essere
riuscito nel mio intento e, dopo aver inspirato profondamente, iniettai
il
liquido, per poi liberare tutto il fiato che avevo trattenuto a causa
della tensione.
Questa comunque non diminuì quando mi accorsi, aspettando
qualche minuto, che
non stava succedendo nulla. Era quella strana sensazione di quando sai
di aver
fatto qualcosa di sbagliato, ma non puoi più tornare
indietro per rimediare.
Ero combattuto tra il desiderio che la medicina funzionasse e la
speranza che
non succedesse nulla di brutto. Avevo comunque paura. Ma la mia
“pausa” era finita.
Avevo molte cose da fare e non potevo ancora fermarmi.
***
Espio
Una volta che lo stupore generale si fu dissipato, ci
affrettammo ad avviarci verso l’uscio di quella casa. Sapendo
che i nostri
sospetti erano probabilmente corretti, avevamo già elaborato
un piccolo piano
da mettere in atto una volta varcata quella soglia. Vector
suonò il campanello,
da cui partì un’orecchiabile canzoncina che
durò qualche secondo.
"Bizzarro". Aspettammo
un minuto, ma
nessuno si fece avanti per aprirci. Vector si era incrociato le mani
dietro la
testa, mentre Cream muoveva la gamba un po’ in tutte le
direzioni, chiari segni
d’impazienza che li contraddistinguevano. Charmy invece
passò all’azione e si
mise a premere ripetutamente il pulsante. Vector cercò
subito di fermarlo dopo
che l'ape lo aveva premuto già per quattro volte di seguito,
ma fece l’errore di farlo con troppa
violenza: Charmy tolse subito il dito, e Vector andò a
premere lui stesso il
pulsante per l’ennesima volta per sbaglio. Mentre Charmy se
la rideva
soddisfatto, Vector sbuffò di rabbia. Subito dopo, la porta
si aprì.
-Salve, come posso… ragazzi?-
Vector fu il primo ad approcciarsi al nostro
interlocutore. -Ciao Tails-.
-Ragazzi! …Questa proprio non me
l’aspettavo. Come va?- Il tono con cui si rivolgeva a noi era
ambiguo, lasciava
trasparire un po’ di agitazione.
Ma
potevo notare nel suo sguardo una buona dose di stanchezza. Forse era lo
sfinimento che lo
faceva parlare così, ma non erano di certo queste ipotesi
che ci facevano
arrivare alla fine del mese.
-Noi non potremmo stare meglio di così,
vecchio volpone. Tu invece sembri, eh…strano-.
-Ah, ti riferisci a queste?- disse,
indicandosi le borse sotto agli occhi. -È un periodo pieno
per me. Non ne hai
idea-.
Fu con quella frase che cominciò a sorgermi
un dubbio. Ci stava nascondendo qualcosa.
-Ditemi, avete bisogno di qualcosa?-
Vector non aspettò un istante ad esporre i
nostri “motivi non proprio corrispondenti alla
realtà”. -Abbiamo bisogno di
informazioni. Sono successe… cose, in questi giorni, e
pensiamo che tu sia la
persona più adatta con cui parlarne-.
-Che cosa vuoi dire?-
Vector si guardò bene intorno, più per fare
scena che per motivi di sicurezza nazionale e poi gli si
avvicinò, rispondendogli a
voce discretamente bassa. -Eggman-.
La volpe, prevedibilmente, si allarmò in
maniera piuttosto evidente -Entrate dentro-.
***
-Che cosa sta succedendo?- chiese Tails,
muovendo nervosamente entrambe le code.
-Non possiamo dirti troppo per questione di
sicurezza, ma crediamo che Eggman possa avere ripreso la sua vecchia
attività-
spiegò Vector sedendosi sul divano, seguito a ruota da noi
tre.
-Ma… come? Non riesco a capire perché
dovrebbe…- mormorò, prendendosi la testa tra le
mani e sospirando frustrato. -Perché
dev’essere sempre tutto così complicato?-
Charmy gli sorrise rassicurante. -Calma
amico! Non ti ho mai visto con i nervi così a fior di pelle.
Non siamo venuti
qui per farti l’interrogatorio-.
Cream annuì. -Charmy ha ragione. Vogliamo
soltanto che ci aiuti a capire di più sulla faccenda-. Forse
quei due ragazzi
erano la nostra più grande risorsa all’interno del
gruppo. Avevano più o meno
la stessa età di Tails e lo conoscevano da molto tempo. Se
si fidava di noi
sarebbe stato più disponibile a darci informazioni, cosa di
cui avevamo un
disperato bisogno. Tails alzò lo
sguardo, guardandoli. -Se
Eggman è tornato all’azione deve avere qualcosa in
mente… qualcosa di grosso-
borbottò tra sé. Sospirò nuovamente e
ci mostrò un sorriso preoccupato.
-Scusate, mi sono scordato di chiedervelo. Volete qualcosa da bere?-
-Sì, grazie- si affrettò a rispondere Cream,
seguendo alla perfezione il nostro piano. Dopo che Tails si fu girato
per
dirigersi in cucina, Vector mi lanciò un’occhiata
seria per incitarmi a
muovermi. Mi alzai velocemente ma restando cauto e cercando di non
creare
troppo rumore, e me ne andai dal salotto. Mi sembrava di ricordare che,
anni
prima, Tails ci avesse raccontato della nuova postazione del suo
laboratorio. O
meglio, Tails lo aveva raccontato ad Amy, Amy lo aveva raccontato a
Cream, Cream viveva già da noi, di conseguenza, sentii la
conversazione. È bello avere
una memoria fuori dal normale, certe volte. Comunque,
Tails aveva creato due entrate,
una per l’uso quotidiano e l’altra in caso ci
fossero state delle emergenze.
Appena entrati in casa sua avevo notato una piccola porta in legno non
troppo
grande nascosta tra il muro e le scale, posizionata lì
giusto per non dare
nell’occhio, quindi supposi che quella fosse una delle due
entrate per il
laboratorio. Ma era troppo rischioso provare ad arrivare al mio
obbiettivo da quella
strada, visto che sarei dovuto passare
davanti alla cucina che dava sul salotto, e anche se fossi diventato
invisibile,
Miles avrebbe notato che una porta si apriva giusto giusto davanti ai
suoi
occhi. Quindi decisi di optare per un’altra strada. Mi
diressi a passo felpato in
un corridoio completamente dipinto di una vernice giallo senape, e
sapevo che tra
tutte quelle stanze ce n’era una soltanto di cui mi
importasse in modo
particolare. Cominciai ad aprire tutte le porte che potevo, piuttosto semplice considerando che
erano
praticamente tutte già aperte. Effettivamente era
comprensibile che un single
così impegnato come Tails non avesse voglia di chiudere
sempre a chiave tutte le
camere di casa sua. Arrivai al fondo del corridoio senza aver trovato
nulla. Ma
quando feci per aprire l’ultima delle porte presenti, sentii
il ronzio del
processore di un computer provenire dall’interno della
stanza. "Bingo’’.
***
Tails
-Quindi, di che genere di informazioni avete
bisogno?- chiesi nervosamente. “Non mostrarti troppo sulle spine”,
continuavo a
ripetermi tra me e me. Ero sicuramente felice di rivedere i miei amici
dopo
tutto quel tempo, ma non era esattamente il periodo più
adatto perché dei
detective irrompessero in casa mia mentre tenevo un siero illegale in
laboratorio e dei fuggitivi dal governo al piano di sopra.
Vector alzò per un attimo l’indice,
facendomi segno di aspettare e bevendosi un gran sorso del suo
tè freddo al
limone.
-Vogliamo sapere qualcosa di più su quello che è
successo negli ultimi
tempi qui nei dintorni e su Eggman. Puoi darci qualche aiuto?- disse
poi, dopo
aver fatto un mormorio di apprezzamento per la bevanda appena
ingurgitata.
Scrollai le spalle e mi grattai la nuca con
un gesto irrequieto. -Su Eggman non posso dirvi nulla. Qui in
città ci sono
stati solo piccoli furti e non da parte sua. La cosa più
grave che è avvenuta
ultimamente riguarda l’attività di alcuni piromani
in centro-. Quella frase mi
fece sentire nuovamente il senso di colpa gravarmi nel petto. Ero
convinto che
sarei riuscito ad aiutare Althea in qualche modo. Ero certo, assolutamente certo, che gli Anelli che
le avevo donato l’avrebbero aiutata. Mi sbagliavo. Ero
riuscito a farle
distruggere il tetto di casa mia, che avevo riparato in modo
improvvisato, e
mezza città. Probabilmente in quel momento quella ragazza mi
stava odiando. E
un giorno mi avrebbe odiato anche di più, sapendo quello che
stavo aiutando a
fare a suo padre. Ma non sempre la vita è facile. La mia men
che meno.
-Perché me lo chiedete?- domandai.
-Semplici indagini- mi rispose subito Vector.
-Sai bene dei rapimenti che continuano ad avvenire da diversi anni a
questa
parte. Abbiamo dei clienti a cui hanno rapito mogli, figli, animali da
compagnia…-
-Sì, capisco. Il punto è che non so come
aiutarvi. Ormai è da un po’ che non seguo da
vicino gli avvenimenti riguardanti
questa faccenda, e di solito le aree urbane non ne vengono coinvolte-.
Charmy, forse a scopo consolatorio o più
probabilmente per mettersi in mostra, mi rispose al posto del
coccodrillo. -Non
ti devi preoccupare per questo, Miles. Posso chiamarti Miles?-
-Ma ce…- feci per rispondere, poco prima che
Charmy riprendesse subito a parlare sorseggiando con falsa sicurezza la
sua
bevanda.
-L’ultima cosa che desideriamo è di
incappare improvvisamente in casa tua e metterti a disagio con domande
a cui non
sei in grado di rispondere-. Era ovvio che mi trovavo a mio agio. Io
ero in
casa mia. Potei capire il
perché
degli sguardi straniti dei suoi compagni, e fu proprio osservandoli
tutti
insieme che mi venne un dubbio.
-Ragazzi, ma non eravate in quattro?-
Possibile che fossi talmente rintronato da non notare la scomparsa di
una
persona che fino a pochi istanti prima avevo accolto in casa mia?
Certo,
Espio era una persona silenziosa, in grado di nascondersi alla vista e
molto
cauta, ma non era da me.
-Oh, mi dispiace, mi sono dimenticato di
dirtelo, ha avuto un “momento di crisi”, non so se
mi spiego…- disse abbassando
la voce, quasi come se
pensasse che
potesse apparirgli improvvisamente dietro. Ipotesi plausibile, tra
l’altro.
-Sì… e ricorda ancora dov’è
il bagno?-
-Oh, sai bene che razza di memoria ha Espio. E poi stamattina si
è bevuto un gallone di succo di mela, quindi sai…
quando
scappa, scappa-. Decisi di tralasciare il fatto che un camaleonte aveva
deciso
di utilizzare il mio bagno senza nemmeno chiedermelo e cercai di
concentrarmi
sulle loro domande. Dopo qualche minuto però, il senso di
angoscia cominciò a
crescere. Perché diamine Espio non tornava? Il terrore che
si fosse messo a
curiosare per casa mi pietrificò. Poteva trovare Knuckles e
le altre da un
minuto all’altro, i miei progetti… o peggio.
Poteva trovare lui. Mi alzai
velocemente dal divano, il
cuore che mi batteva all’impazzata per la paura.
-È da un po’ che è via. Vado a
controllare
se sta bene- dissi nervosamente. Cream sussultò e
sembrò tentata di afferrarmi
la mano per fermarmi, ma poi fu trattenuta.
-Va… va bene- balbettò Charmy con un tono
stranamente serio, anche lui sulle spine, posando una mano sul polso
della
coniglia per non farla muovere, un gesto che sembrò placarla
da quello che
voleva fare. Vector annuì con un sorriso leggermente tirato.
Vedere quelle
reazioni meccaniche insieme ai motivi non approfonditi del
perché quei quattro
mi fossero venuti a trovare mi fece capire tutto. Mi diedi una svelta e
mi
misi quasi a correre quando arrivai nel corridoio. Bussai abbastanza
violentemente alla porta del bagno, sperando di sbagliarmi.
-Espio?- Non arrivò alcuna risposta. -Espio!?
Stai bene?- gli chiesi, continuando inutilmente a bussare. Capii che
qualcosa
non andava e decisi di dirigermi immediatamente nella stanza
più delicata della
casa: il laboratorio. Ero talmente agitato che mi misi seriamente a
correre,
facendomi prendere in parte dal panico. Non che non ci fossi abituato,
era già
molto più semplice che dover inseguire Sonic per mezzo mondo
beccandosi
dozzine di proiettili, spuntoni di acciaio e semi-annegamenti
perché non
riuscivo a stargli dietro. Bei tempi. Non appena varcai la porta, non
vidi
nessuno all’interno della stanza, né oggetti in
disordine. Sembrava tutto a
posto. Nella mia testa si faceva largo una sempre maggiore
tranquillità. Tirai
un sospiro di sollievo, ma poi per distrazione colpii una fialetta di
vetro
vuoto che mi ero dimenticato sul tavolo quella stessa mattina facendola
cadere
per terra e spargendo i suoi frammenti tutt’attorno a me.
Facendo attenzione a
non pestarli, mi girai e mi diressi a prendere scopa e paletta per
pulire quel
macello. Poi mi venne un colpo, vedendo chi se la stava silenziosamente
filando
dal laboratorio. -Espio!- Lui irrigidì improvvisamente le
spalle, voltandosi
lentamente verso di me.
-Ehi- mi salutò senza un accenno di
nervosismo. Mi avvicinai pericolosamente a lui, sperando che la mia
statura di
un metro e ottanta mi fosse utile in quell’occasione.
-Che cosa stai facendo?- chiesi in un
ringhio basso. Espio inarcò un sopracciglio e notai un
barlume di sorpresa nel
suo sguardo.
-Ti chiedo scusa, stavo cercando il bagno. È
che la tua casa è così grande che a volte faccio
fatica ad orientarmici,
quindi… eccomi qui-. Dopo
che aveva
detto l’esatta cosa opposta rispetto a ciò che
aveva affermato poco prima
Vector lo squadrai per bene, in cerca di un qualche segno di
irrequietezza, uno
qualsiasi. Ma i suoi occhi non lasciavano trasparire paura. Erano
assolutamente
calmi, freddi. Quindi, pur essendo sicuro che la sua fosse una ridicola
scusa
per provare la mia colpevolezza in qualcosa, allentai la presa per non
rischiare di lasciare io stesso il fianco scoperto.
-Non ti preoccupare. Certe volte mi perdo
anch’io qui dentro. Mi sono agitato un attimo visto che non
avevi dato segni di
vita nella toilette-. Ci fu un attimo di silenzio quasi imbarazzante,
in cui
ognuno cercava le parole giuste da dire guardandosi anche un
po’ intorno, in uno
sciocco tentativo di evitare lo sguardo diretto dell’altro.
-Allora… come ti va la vita?- chiese lui,
prendendo la parola per primo.
-Ah, molto impegnata… è un periodo
intenso…-
-Sì… immagino…- Potei quasi avvertire
dei
grilli che canticchiavano allegri la loro melodia in casa quando il
silenzio
tornò presto a fare da padrone. Espio si sgranchì
la schiena, sempre evitando
accuratamente il mio sguardo e poi cominciò a camminare in
giro quasi a
casaccio.
-Sai, hai un bel laboratorio. È molto più vasto
di quello che abbiamo noi-.
-Voi
avete un laboratorio?-
-Si, Cream ne ha preparato uno. Più che un
laboratorio vero e proprio è la sua stanza piena di provette
e strumenti vari
sparsi a casaccio, ma per gli altri del gruppo ciò
è più che sufficiente per
poterlo chiamare così-. Non mi piaceva la maniera in cui
curiosava cercando in
tutti i modi di non darlo a vedere. Era come se stesse cercando
disperatamente
qualcosa. Solo che lui stesso sembrava confuso su cosa
stesse cercando. Apriva i cassetti cercando di farmi
confondere i suoi intenti con la semplice curiosità. Sapevo
che erano bizzarri,
ma Espio… Comunque sia, cercando di tenere
d’occhio i suoi movimenti,
ripresi a parlare.
-Beh, sono certo che una come Cream sappia
cavarsela benissimo anche con dei mezzi un po’ ristretti. Da
quando ha cominciato
a studiare ha fatto progressi da gigante, ho sentito-.
-Già. Non ci ha messo molto a trovare
lavoro, ma non è andata benissimo…-
-Che vuoi dire?-
-All’inizio ha provato diversi lavori che
concernevano tutti la costruzione e progettazione di giocattoli ed
elettrodomestici. Sembra però che si sentisse un
po’ ristretta in quell’ambito,
quindi Vanilla si è rivolta ad un vecchio
amico che ha raccomandato immediatamente sua figlia. E poi
assunta-.
-Vector?-
-Già. Figurati se si sarebbe permesso di
dire di no a Vanilla-. Espio era sempre stato un bravo interlocutore,
tanto che
era riuscito a farmi prendere dal discorso. Poi vidi che stava
bazzicando con
una provetta molto speciale.
-Non toccarla!-
-Come?- Ma era troppo tardi. La sua mano
aveva appena tirato su la fialetta vuota dal porta-provette che, anche
se lui
non se ne era ancora accorto, era attaccato al tavolo, la cui parte
inferiore
era coperta da uno strato di legno. Pensavo che fosse ben nascosto, ma
evidentemente mi sbagliavo. Espio rimase freddo quando la parete
cominciò a ruotare,
osservandola con calma e con sguardo fisso. Io, invece, provavo la
tipica
sensazione che si prova quando si viene beccati in flagrante a fare
qualcosa di
brutto. Sensazione che, ad essere sinceri venne solo peggiorata dalla
consapevolezza che chi mi aveva scoperto poteva mandare
all’aria tutto il mio
lavoro. E mandarmi in prigione. Ad un certo punto, dopo che
il muro fece un
giro di centottanta gradi, mostrando il lato opposto rispetto
a quello
di prima, capii che la mia volontà di tenerlo segreto era
fallita. Espio alzò
leggermente lo sguardo, pur rimanendo impassibile davanti allo svolgere
degli
eventi. Però, un barlume di stupore scaturì dalla
parola che uscì dalla sua
bocca. -Omega-.
Gli occhi del robot, il quale era agganciato al muro con dei
bracciali di acciaio, si accesero, mostrando una scintilla rosso
acceso, e
cominciarono ad osservare in tutte le direzioni, per poi soffermarsi su
di me e
sul nostro ospite. Anche se appena sveglio, sembrava che riuscisse
ancora ad
analizzare la situazione nel migliore dei modi. Quando si dice
“svegliarsi di
soprassalto”.
-*Soggetto: Espio the Chameleon; Luogo di residenza: Forgotten
Park, periferia estrema di Station Square…*-
-Hai un bel giocattolo qui,
Miles…- disse Espio ironicamente e senza mai distogliere lo
sguardo dalla
macchina senziente davanti a lui.
-*Mestiere: Investigatore/Dipendente
dell’Agenzia investigativa
“C.H.A.O.T.I.X”*. *Attivazione Vocabolario
Informale*: Io mi ricordo di te.- disse Omega riferendosi al mio roseo
“amico”.
-Per
me questo è un onore, E-123 Omega. Ti stavamo cercando-. Da
ciò dedussi che
forse avevano saputo tutto fin dall’inizio.
-Mi stai dicendo che avete sempre saputo
che custodivo Omega? Come…-
-Non da subito. E non sapevamo “chi”. Ma ora
ciò è
irrilevante.- Espio fece qualche passo verso Omega, con delle
intenzioni a me
sconosciute.
-Omega, abbiamo bisogno di te. Ci sono cose che dobbiamo sapere e
che forse solo tu ci puoi spiegare-.
Omega non rispose subito, rimanendo a
fissarlo con attenzione per diversi attimi. -*…Mi dispiace,
ma ciò non è
possibile.*-
-Come?-
-*La mia permanenza qui è Top-Secret e tale deve
rimanere. I testimoni imprevisti vanno obliterati.*- La giornata era
iniziata
male e stava per finire peggio. Dovevo intervenire.
-Omega, NO!-
-*Attivare
“Assetto da Combattimento”*- Omega
spaccò con la sola forza bruta i bracciali
che lo inchiodavano al muro, cadendo con un rumoroso tonfo a terra ma
alzandosi
subito dopo e cominciando a puntare il braccio contro Espio. Il suo
stesso braccio,
pochi istanti dopo, con una velocità sorprendente assunse le
fattezze di un
fucile di grossa taglia, che puntava dritto sul cranio di
Espio…
-Obliterare?-
…che ovviamente non si fece attendere poiché, con
grande agilità, afferrò
quella che sembrava l’elsa di una spada dalla quale, con mia sorpresa, si
formò molto velocemente una lama molto affilata,
completamente dorata, che il
guerriero a sua volta puntava molto vicino al cranio del robot.
-Prima dovresti
aggiornare il tuo vocabolario-. Come potevo facilmente prevedere, dei
passi si
avvicinarono rapidamente alla nostra posizione. La voce di Vector fu la
prima,
tra quelle del gruppo, che si fece sentire.
-Heiheihei, che succede qui-oh
cappio! Sento puzza di rissa!- Il gruppo era leggermente indietreggiato
dopo
aver percepito l’aria tesa che aleggiava in quel momento. Mi
avviai in mezzo a
quei due per far desistere Omega dal suo scopo. -Omega, calmo!
...non è un
nemico.- Lui mi osservò per un secondo, per poi tornare
immediatamente a
puntare l’arma verso Espio. -Omega! Probabilmente
è stato mandato da qualcuno…-
continuavo a parlare, interrompendomi spesso a causa del fiatone e
dell’agitazione generale -…se spari, ci faremo un
nemico…ok?-
Omega aveva lo
sguardo fisso su Espio e non diceva nulla.
-*Affermazione…accettata.*- Abbassò
l’arma e lo stesso fece Espio, facendo girare con
abilità la lama nel palmo
della mano e posizionandola proprio dietro la schiena. A quel punto,
dopo aver
sospirato per il sollievo, feci una proposta.
-Forse, ora dovremmo metterci
seduti e parlare tutti in modo chiaro d’ora in avanti,
così da capire che diavolo. Sta. Succedendo. Ok?- Gli altri
annuirono, mentre Omega, beh… non
faceva nulla. Elaborava?
***
Cream
La situazione si era decisamente calmata
grazie all’intervento di Tails. Se non fosse stato per lui,
nella migliore
delle ipotesi avremmo potuto perdere un preziosissimo testimone, forse
l’unico
che c’era. Ci trovavamo sempre nel laboratorio, in piedi,
cercando di capire
se, in effetti, tutto quel trambusto fosse effettivamente servito a
qualcosa. Vector,
come sempre, iniziò per primo a fare le domande, anche se in
questo caso
sarebbe stato difficile giocare al poliziotto buono e a quello cattivo
come
facevamo a volte.
-Bene pupone, ora parliamo di cose serie. Abbiamo bisogno di
informazioni su Eggman e forse tu puoi darcele. Te la senti?-
-*Elaborazione
risposta…..*- I suoi occhi, da rosso acceso assunsero una
colorazione verde
brillante per motivi che non sapevamo spiegarci. Tails, con fare
imbarazzato,
intervenne subito.
-Oops. Scusate. Non ho ancora riparato del tutto il
programma che consente le relazioni sociali. Ci metterà un
po’ a rispondere
alle vostre domande-.
Si poteva intuire che sarebbe stato un lungo e difficile
processo di raccolta dati. Dopo un minuto circa di attesa finalmente il
bagliore rosso tornò ad alberare negli occhi
dell’interrogato.
-…..*Si*-.
Rimanemmo tutti in silenzio per qualche secondo poiché
avevamo capito che
sarebbe stato molto
lungo e difficile. Vector riprese alacremente a
fare domande.
-…Quindi… per prima cosa dicci molto chiaramente
perché ti
trovavi nella Foresta di Confine di Green Hill-. Pur mantenendo gli
occhi di
colore rosso, ci mise un po’ a rispondere.
-*…Non lo so…*-
-E…questo non è un bell’inizio,
ma sono ottimista per il seguito-. Charmy, sorprendentemente, volle
approfondire la faccenda.
-Intendi che, pur essendoti svegliato ferito a morte,
non hai la minima idea né del come né del
perché sei finito lì? Come può
essere?- I suoi occhi assunsero nuovamente un colorito verde, facendoci
indietreggiare e sospirare dalla frustrazione, creando un coro
involontario e
desincronizzato di espressioni quali “Oh, ma dai!”,
“Non è possibile!”, e via
dicendo. Finalmente, cambiato nuovamente colore, ottenemmo la nostra
aspirata
risposta.
-…*Non lo so*…- Eravamo piuttosto sconsolati
dall’andamento della
faccenda, e avevamo cominciato a malapena tre minuti prima.
-*…Tuttavia…*- riprese lui, facendoci nuovamente
alzare lo sguardo e rizzare le orecchie. -*…Ricordo
ciò che successe dopo…*- L’interesse
tornò nella stanza, lo si poteva sentire
nell’aria, mentre Vector continuava con le domande.
-Benissimo. Racconta. Nei
dettagli-.
-*I miei sistemi tornarono attivi all’incirca alle 18:12 e
trentotto
secondi.*-*La prima cosa che
ritenni
necessaria attuare immediatamente fu l’analisi
dell’integrità degli stessi.*-*Una volta
terminata, potei notare una lunga serie di malfunzionamenti in grado
di compromettere significativamente la mia
funzionalità.*-*Primo fra tutti il
mio apparato ottico, che dovetti sostituire con quello di riserva a
causa
delle pessime condizioni in cui versava e che lo rendevano
inutilizzabile.*-*Nonostante ciò, sono stato programmato per
eseguire l’autoriparazione
solamente su una parte limitata della mia struttura
complessiva.*-*Avevo
bisogno di aiuto*.-
A quel punto entrai in gioco io. - È
comprensibile, ma
perché proprio Tails? Da quel che ne so, eri in buoni
rapporti con G.U.N. fino
a qualche tempo fa-. -*Affermativo*-*Tuttavia i miei livelli energetici
erano
molto bassi al mio risveglio, rallentando di fatto la mia
avanzata.*-*Quando
arrivai giusto alla periferia, avevano ormai raggiunto livelli
critici*-*La
situazione era classificabile in EMERGENZA.A.A.*-*Inoltre, pur
confermando
la mia passata esperienza con i servizi governativi, era più
che plausibile
aspettarsi che le reclute di grado inferiore non sarebbero state in
grado di
riconoscermi immediatamente e che erroneamente avrebbero potuto
confondermi
per un comune badnik di EGGMAA-AAAN, aprire il fuoco su di me, e
terminare di conseguenza le mie attività
complessive*-
Dopo esserci guardati
tutti a vicenda, mi rivolsi a Tails per sapere questa parte dal suo
punto di
vista. -E qui sei entrato in gioco tu Miles, sbaglio?-
-Non sbagli. In effetti
fui piuttosto sorpreso nell’aprire la porta e trovarmi
proprio Omega davanti,
dopo tutto il tempo in cui non si era fatto vedere-.
-*Gli unici motivi che mi
spingevano a collaborare con la G.U.N. erano la presenza degli altri
membri del Team
Dark, e la spi-spi-spi-spiccata rivalità che questa aveva
con *analisi
obiettivo: Dr Eggman; Mestiere: Ingegn*-*Chiedo venia*-*Una volta che
la
squadra è stata sciolta e l’avvento
dell’apparente calma di Robotnik, non
avevo più alcun vincolo che mi legasse a loro*-
Espio continuò a parlare. -E
quindi te ne sei andato. E cos'hai fatto dopo aver lasciato la G.U.N.?-
Dopo
che Omega si prese una pausa di riflessione, se così si
poteva chiamare,
riprese a raccontarci la sua storia. Trovai però strano che,
nonostante avesse
affermato di non ricordare nulla dopo il suo risveglio, riuscisse a
descriverci
questi particolari.
-*Purtroppo, contrariamente a quanto avviene per gli esseri
composti di materia organica attiva e funzionante, le macchine,
indipendentemente
dal grado di sviluppo e consapevolezza raggiunta dalla loro memoria,
non
possiedono vere e proprie tutele giuridiche, né diritti che
stabiliscano il
loro personale, come voi tendete comunemente a chiamarlo,
“Libero Arbitrio”*-*Il mio corpo e i miei
armamenti, nonché la mia tecnologia in sé ormai
appartenevano per diritto alla G.U.N.*-*Decisi di fuggire dallo
stabilimento
senza destare sospetti ma mio malgrado, Eggman non mi aveva progettato
per
attacchi o azioni furtive.*-*Il mio piano fallì miseramente
e dovetti farmi
strada con le armi.*-*Vi furono molte perdite umane.*-
Charmy, il cui interesse
fu particolarmente stimolato da quell’affermazione,
intervenne subito. -Sì, me
lo ricordo! Avevano dato la notizia al telegiornale di un attacco in
grande stile
alla sede centrale di Station Square, ma avevano parlato di una cella
di
terroristi che erano penetrati all’interno, nulla che potesse
far risalire a
te-.
-*Ammissibile.*...*Il tentativo della G.U.N. di coprire la perdita di
mano
della situazione era più che plausibile.*-
Vector, nei cui occhi potevo
chiaramente capire che ormai cominciava a vedere da lontano la fine di
questa
storia, proseguì con la nostra
“intervista”. -Fantastico. Ora però
dimmi, perché
tutta questa urgenza quando si poteva chiaramente prevedere un periodo
di pace
duraturo?-
-*Conosco il Dottore*-*Finché sarà vivo
creerà problemi*-*E da quando è scomparso, non
sono stati
trovati cadaveri*-*Questo, unito al fattore dell’aumento dei
Badnik in tutte
le zone rurali e/o poco abitate di Mobius, nonché alla sua
aspettativa di vita
media che lui stesso, visto il suo elevatissimo quoziente intellettivo,
potrebbe aumentare, mi permette di calcolare per via statistica una
possibilità
del 75,38% che sia ancora in vita e che stia progettando un
ritorno.*-*Lo
scopo primario del mio programma è la sua eliminazione
totale, pertanto non
potrò fermarmi finché lui
vivrà*-*Motivo per cui mi misi a cercarlo di mia
iniziativa*-*Ma tutto quello che riuscii a trovare nel corso di
più di dieci
anni di costante ricerca furono macchine di rango minore e,
più raramente,
esemplari che come me appartenevano alle classi elitarie, la cosiddetta
“Serie E”.*-*Nulla che, malgrado la mia tecnologia
ormai obsoleta rispetto alle
serie E di ultima generazione potesse crearmi particolari perdite di
tempo.*-*Ma non sono mai riuscito a rintracciare il dottore.*-
-Poi cosa successe?-
*-………….-*
I suoi occhi tornarono verdi. Era peggio di quando Charmy riusciva ad
installarmi dei virus nel computer quando scaricava illegalmente film e
videogiochi. Vector si era ormai rassegnato -Ehi Tails, non voglio
approfittarmene, ma non è che avresti del caffè?
Qui durerà più del previsto…-
***
Dopo cinque, interminabili minuti nei quali
Tails aveva davvero trovato il tempo di prepararci caffè e
pasticcini, nonché
di iniziare a consumarli allegramente insieme a noi, finalmente
l’APPCRASH di
Omega si interruppe improvvisamente e il robot ricominciò a
parlare, facendoci
sobbalzare dalle sedie disposte velocemente lì per il nostro
breve break e
facendo rovesciare a Vector la sua caldissima bevanda sulle gambe.
Ancora oggi
mi chiedo che cosa avesse da urlare. Ancora oggi mi chiedo che cosa avesse
urlato.
-OH, SANTA PIGNATTA! SI ESTINGUANO I MITOCONDRI! MONDO, DISSOLVITI!- Ci
allontanammo tutti di un metro circa finché, poco dopo, non
si calmò. -Ah,
dolore…Ah…-
Tails rimase stupito da quella reazione forse eccessiva -Fa sempre
così?-
Vector, invece, irritato. -E tu dove lo prepari il caffè, su
un vulcano
attivo?-
-…*Come dicevo*…*Dopo anni di ricerca non andata
a buon fine*…*dopo_dod_dodopo…*-
Quella strana reazione ci turbò tutti, in quella stanza.
-*Ogni volta che provo
ad accedere a questi file informativi, il mio sistema rischia il Crash
immediato*…*Pensavo che Prower sarebbe stato in grado di
riparare questo
difetto*…-
-No, purtroppo. Non è la prima volta che gli accade, e
l’ultima
volta che gli ho fatto la stessa domanda sembrava quasi che dovesse
esplodere da
un momento all’altro. Contavo sul fatto che ciò
fosse dovuto ad un danno della
scheda madre, ma quando l’ho controllata era integra. Non
capisco quale sia il
problema-.
Vector non si arrese dopo tutta quella fatica, e decise di andare in
fondo a quella storia. -Quindi mi stai dicendo che è tutto
quello che ricordi?
Non hai altre immagini, o cose simili?-
-…*Ricerca immagini/filmati*…*Dopo di
ciò, mi risvegliai nel mezzo della foresta di confine di
Green Hill Zone,
accorgendomi di quanto la mia corazza e i miei sistemi complessivi
fossero
danneggiati, e decisi di ricercare aiuto*…-
-No, non le hai…- borbottò Vector
sospirando di frustrazione. Io, tuttavia, avevo già in mente
un piano di
emergenza.
-Credo che sia necessario analizzare direttamente la scheda madre-.
Vector, incuriosito ma stancato dall’interrogatorio, si
rivolse subito a me
dopo che finii di parlare, guardandomi con un solo occhio aperto. -Che
vuoi
dire?-
-Intendo dire che qualcosa deve aver danneggiato i riproduttori visivi
e
sonori interni di Omega, ma ciò non implica che
ciò che stiamo cercando sia
andato perduto. Potrebbe semplicemente essere irriproducibile da
Omega-.
Tails,
sentito il discorso, sembrò essersi ricordato di un
particolare. -Hai ragione.
In effetti, Omega era così danneggiato che l’unica
cosa di cui mi sono occupato
fino ad oggi è stata la riparazione dei suoi apparati
primari, non mi era
nemmeno venuto in mente di controllare i file grafici e
sonori-.
Espio se ne
era rimasto zitto a lungo, ma lì si mise a parlare, giusto
per chiedermi
qualcosa di essenziale. -Puoi farlo, Cream?-
-Credo di sì. Ma ci vorrà un po’.
Tails, ci permetti di rimanere ancora un po’?- Dopo qualche
attimo di silenzio
in cui abbassò la testa, forse in segno di
riflessione…
-Sì, va bene, nessun
problema. Se Eggman centra in tutto questo, allora anch’io mi
trovo in prima
linea. Ditemi tutto ciò di cui avete bisogno per la causa-.
Vector, sollevato
dal nuovo piano, rispose subito al meccanico. -Grazie, amico-.
***
Charmy
Come previsto, le cose si stavano
prolungando parecchio. Cream aveva dovuto prelevare la scheda madre di
Omega,
mandandolo in stand-by per un po’ di tempo. Omega, per
qualche motivo, non fu
subito d’accordo, ma alla fine accettò il
compromesso quando gli facemmo
capire che quello era l’unico modo per arrivare al Dottore.
Ormai eravamo lì
da quasi ventiquattr'ore e Cream non si è fermata nemmeno
per un secondo,
cercando anche la più sfocata immagine in quel riproduttore
che aveva accorpato al
computer. Tails, nonostante tutto, le diede una mano. Avrei voluto
aiutarla
anch’io, ma non me ne intendevo affatto di quelle cose.
Un’altra volta in cui mi sono
sentito praticamente inutile. Non che io facessi molto per sentirmi
diversamente,
ma ci sono momenti in cui me ne rendevo più conto che in
altri. Purtroppo, fino a quel momento
non c'erano stati sviluppi di nessun tipo. Almeno finché
Tails, agitato, per
non dire sconvolto, non arrivò a chiamarci dal salotto in
cui ci eravamo
stazionati per la notte. A dir la verità, era strano che in
una casa così
grande non fosse nemmeno una stanzetta per gli ospiti, ma supposi che
le
tenesse occupate con i suoi attrezzi e
altre robe scientifiche.
-Oh mio Dio ragazzi, ancora non ci posso credere! Ci
sono novità, ahah!- rise la volpe. Aveva bisogno di una
vacanza, il più presto possibile.
Vector, quasi di riflesso, reagì immediatamente.
-Avete scoperto qualcosa?!-
-Puoi dirlo che l’abbiamo fatto! Scoperto qualcosa, intendo-.
Finiti i
convenevoli, ci dirigemmo in laboratorio, il posto migliore per Cream
per
lavorare. La visione che ci si parò davanti non ci era per
niente nuova: Cream
con le occhiaie che ci guardava in modo assente, come se per lei
fossimo
trasparenti. Mi sentii in vena di darle una parola di conforto o
quantomeno di
capire in che condizioni si trovava il suo sistema nervoso.
-Heilà Cream… tutto
be…-
-Non dire nulla Charmy, non sono in grado di trattenermi quando ho
sonno,
quindi sta’zitto, va bene?- Era pericoloso stuzzicare,
parlare, guardare o
respirare nei dintorni di Cream quando lavorava notti intere, anche se
si
trattava di essere gentili con lei. Persino Vector ne aveva timore,
anche se,
stavolta, doveva farsi avanti per forza.
-Buone notizie?-
-Più o meno. Se più o
più meno decidete voi-. Ci avvicinammo tutti e quattro al
monitor, ma riuscii
ad intravedere solo uno schermo nero, senza niente a colorarlo. A mio
rischio e
pericolo, avanzai un quesito. -Che…cosa dovremmo
vedere?-
-Solo una
cosa…osservate la data-. Premette un pulsante e notammo che
la data continuava
ad avvicinarsi al quella attuale, avanzando sempre di più.
Mi resi conto poco
dopo che su quell’indicatore erano indicati i secondi, le
ore, i giorni, i
mesi… gli anni che Omega aveva vissuto fino a dieci anni
prima, fino a dove aveva ricordo delle sue ricerche. Eppure, nessuna
immagine.
-Aspetta,
torno indietro di un po’… Guarda meglio, ora-.
Stavolta governò lei la
velocità, premendo diverse volte il pulsante. E in effetti,
vidi uno scatto passare molto brevemente sullo schermo.
-Visto?- disse, piuttosto seria in
viso. Espio era incuriosito dalla faccenda.
-Puoi fermare l’immagine?-
-Sssì… devo solo beccare il momento g…
fatto-. In quel preciso ferma-immagine si poteva chiaramente
distinguere una prateria sovrastata da un
cielo limpido e qualche raro alberello. La data indicava che
l’immagine
risaliva a nove anni e qualche mese prima del preciso istante in cui la
stavamo
osservando. -E questa è solo la prima, ragazzi-.
Ricominciò a premere a
velocità supersonica il dito sul pulsante della tastiera,
quasi come se questo
fosse preda di un tic. Poi lo fermò di nuovo e mise in pausa
la nuova immagine
che venne fuori.-Lustratevi gli occhi-.
Questa volta dallo schermo si poteva
osservare quello che aveva tutte le sembianze di un landa desolata e
ghiacciata, che poteva ricordare luoghi come la Ice Cap Zone o
l’ambiente tipico
di Holoska. Stavolta la data era andata avanti di un paio
d’anni. Cominciavamo
ad avere le idee più chiare. Di nuovo dopo qualche secondo
di attesa, un’altra
immagine, completamente diversa dalle precedenti, si fece avanti nei
nostri
sguardi, e Vector fu il primo a capire di cosa si trattasse. -Luci a
volontà,
insegne bizzarre, forte odore di vite patetiche e di alcool…
Sì, so riconoscere
un casinò quando ne vedo uno. Quella è Carnival
Night, la zona precedentemente
posseduta da Eggman. Una delle sue maggiori fonti di profitto e
guadagno… almeno
finché non è sparito senza lasciare
traccia-.
Ora la faccenda aveva senso. La data
era avanzata poco meno di un anno. -Ora, date un’occhiata
alla prossima-.
L’immagine seguente mostrava una scogliera prospiciente al
mare che si
interrompeva bruscamente e nei cui pochi tratti di terra era ben
visibile
dell’erba ancora verde. La data era di pochi giorni
successivi rispetto alla
precedente. Quelli erano i luoghi che Omega aveva visitato nel corso di
tutto
quel tempo. Le immagini che si susseguirono non fecero altro che
mostrarci
altre zone apparentemente casuali e sparse per tutto il mondo, mai
eccessivamente vicine ai centri abitati maggiori. E in ogni caso,
nessuna tra
queste poteva far pensare che Omega avesse potuto commettere i tipici
“rapimenti di massa” solitamente effettuati dal
Dottore. Ipotesi che ci
allontanava leggermente dal sospetto che fosse stato Robotnik a
provocare
questi problemi di amnesia in Omega. Ma c’erano delle
immagini, due precise
immagini che, al contrario delle altre, si ripetevano ad intervalli
irregolari:
una relativa alla prateria, l’altra alla scogliera che
guardava al mare. Quei
due luoghi dovevano significare qualcosa. Vector cercò
immediatamente di capire
dove potessero trovarsi quelle locazioni.
-Omega, sai dove possono trovarsi questi
posti?-
-*Sono spiacente. Temo che le immagini siano
troppo generali perché il mio database possa riconoscere
degli elementi tipici
di un certo ecosistema*- La risposta fu più che esaustiva. -*Tuttavia,
posso provare un’ultima
strategia, comune a voi viventi.*- Cream, curiosa di scoprire quale
funzionalità potesse avere Omega di cui lei ancora non fosse
venuta al
corrente, si fece avanti. -Quale?-
-*Posso provarci.*-
***
Vector
Finalmente le cose stavano girando nel
verso giusto. Giravano come due ruote. Due ruote spesse, resistenti,
nerissime,
montate su una meravigliosa carrozzeria verde chiaro. Sto parlando
della
macchina. E, ancora meglio, ci stavamo allontanando da Station Square e
dalle
verdi valli insieme ad Omega.
-Splash Hill Zone. Non sono mai stato così
felice di andare in quel posto così bagnato e assolato-.
Sapevo bene che tutti
sarebbero stati d’accordo con me, compreso Charmy.
-Splash Hill? Vuoi dire quella penisola
molto vicina a Green Hill, con la stessa fauna e flora di Green Hill e
leggermente più “bagnata” di Green Hill?
Hai ragione di essere felice:
completamente diversa-.
-Cos’è quest’impertinenza?! Questa zona
è
stata progettata e realizzata artificialmente con dei lavori proprio
per essere
tutto ciò che Green Hill non è mai stata.-
-Priva di pesti blu?-
-Sì. Cioè, no! Moderna!-
-Parli come se “moderno” sia sempre sinonimo
di “migliore”-. Sapevo di dovermi concentrare sulla
strada. Se davvero ogni
volta che Charmy avesse parlato mi fossi fermato derapando, non avrei
più avuto
i soldi per poter corr-*ripagare* le multe che mi facevano. Strinsi con
decisione il volante, sospirando frustrato e lanciando una rapida
occhiata al
robot dallo specchietto retrovisore. Avevamo deciso insieme a Tails,
rimasto in
laboratorio pronto a darci nuove dritte su come proseguire, di portarci
dietro
Omega, l’unico che fosse in grado di ricordare i posti in cui
era stato in
tutti quegli anni. E visto che la sua memoria danneggiata non ci poteva
essere
di alcun aiuto, avevamo ben pensato: perché non portarlo a
spasso per vedere se
riesce a riconoscere almeno uno dei luoghi in cui è passato
durante la sua
scappatella?
-Vector!- mi richiamò Cream, mentre
osservava le reazioni di Omega mano a mano che quest’ultimo
vedeva i paesaggi
scorrergli davanti agli occhi meccanici. Proprio questi infatti si
erano
illuminati di una luce verde accesa. -…*Luogo riconosciuto:
Entrata Labora-aa-*…-
Il corpo di Omega tremò leggermente mano a mano che i
ricordi cominciavano a
riaffiorargli alla mente.
-Ferma la macchina- proruppe Espio. Feci
quanto detto e mi fermai nel primo spiazzo libero di terra che trovai
lontano
dalla strada. Scendemmo tutti e cinque dal veicolo, robot compreso, e
ci
guardammo intorno.
-La scogliera. È quella che abbiamo visto
nelle immagini- disse Cream, incamminandosi verso la sporgenza che
portava sul
mare. La coniglia si fermò qualche centimetro dal suo bordo,
inginocchiandosi e
cercando qualche cosa che ci potesse essere d’aiuto. Omega
nel frattempo
continuava a restare immobile, mentre i suoi circuiti stavano
cominciando a
riconoscere il posto.
-*Corrispondenze tra memoria fotografica e
luogo attuale: 100%...- mormorò lui con il suo vociare
meccanico.
Cream cominciò a sorridere vittoriosa,
battendosi l’indice sul labbro inferiore mentre rifletteva.
-...Bene!- esclamò poi
con gli occhi illuminati dall’entusiasmo. Cosa strana visto
che non aveva
chiuso occhio. -Io resto qui ad analizzare il posto, voi andate alla
ricerca
del luogo che corrisponda all’altra immagine che abbiamo a
disposizione!-
Charmy annuì con il suo stesso entusiasmo,
probabilmente sollevato dal fatto che l’umore di Cream fosse
migliorato
radicalmente. -Si! Sarà un ottima scusa per assaggiare il
polline locale!-
Portammo con noi Ultra-Pattumiera e ci
incamminammo da qualche parte, per cercare in un’area di 25
chilometri quadrati
una singola immagine di un luogo in cui non eravamo praticamente mai
stati.
Beh, forse, finita quella storia mi sarei fatto un bagnetto da qualche
parte,
di nascosto dagli altri.
***
Espio sospirò sonoramente, stirandosi la
schiena. -Qualcosa ti sembra famigliare?- chiese in un mugugno stanco.
Omega mosse un braccio fino a portarselo
sulla testa. Qualche rumore non esattamente rassicurante provenne dal
suo corpo
prima che ci rispondesse. -*Negativo*-
Reclinai all’indietro la testa, lasciando
che la frustrazione mi attraversasse ogni nervo. Ormai era da tutto il
dannatissimo giorno che vagavamo per le colline cercando qualcosa che
lo
facesse ridestare dalla sua crisi d’identità, ma
niente. Assolutamente,
inevitabilmente, pienamente niente. Non un solo posto che Omega
riuscisse a
riconoscere con un meraviglioso 100%.
-*Corrispondenze tra memoria fotografica e
luogo attuale: 63%*- disse il robot. Charmy ridacchiò in un
modo strano, come
se avesse bevuto almeno una decina di calici di birra.
-Non ti ci mettere anche tu ragazzo. Abbiamo
già abbastanza problemi- ringhiai. Sulle labbra di Charmy
comparve un
sorrisetto ebete, mentre con la schiena stava leggermente curvo. Le
pupille gli
si erano dilatate e non riusciva a stare fermo da almeno due ore,
continuando a
volare e disegnando per aria il simbolo dell’infinito.
-Non avremmo dovuto lasciargli assaggiare il
polline da quel fiore. Te lo avevo detto che era troppo strano- si
lamentò
Espio, guardandomi con quell’aria in stile: Te lo avevo detto.
Fui sul punto di ribattere, ma sentii
squillare il cellulare nella tasca del giubbotto di Charmy,
l’unico tra noi che
avesse effettivamente dei vestiti con le tasche. Afferrai
l’ape per una gamba e
lo riportai a terra con uno strattone, tenendolo fermo con la forza e
rubandogli il cellulare.
-Che diavolo fai?- mi chiese con voce
biascicata e molto più roca del solito. Gli lanciai
un’occhiataccia, facendogli
cenno di tacere.
-Ragazzi, dovete tornare subito qui- mi
informò Cream quando risposi alla chiamata, senza neanche un
saluto da parte
sua.
-Ciao anche a te Cream-.
-Vector, è una cosa seria! Abbiamo fatto un
enorme casino. E perché rispondi tu al cellulare di Charmy?-
-Il ragazzo è un po’stordito al momento.
Cos’è successo?-
-Venite subito. Tutti quanti-.
Fortunatamente era riuscita a mettermi in allarme quanto bastava per
farmi dare
una mossa.
-Ok ragazzi, si torna indietro. Espio,
trascina Charmy, con violenza se necessario. Omega, si torna al punto
di
partenza-.
-*Affermativo*.- Cominciammo a sentire il
tipico umore di un reattore che si attiva. Omega accese dei razzi
presenti
sulla sua schiena e partì a grande velocità,
lasciandoci indietro e
parzialmente sbigottiti.
-Non sapevi dei razzi?- mi chiese Espio,
leggermente frustrato.
-Adesso sì-.
***
-Non posso credere di essere stata così
cieca!- gemette Cream, stringendosi la testa tra le mani. Le poggiai
tranquillamente una mano sulla spalla. Eravamo ritornati esattamente da
dove
eravamo partiti da neanche un minuto e già ci stavamo
godendo una delle crisi
di nervi di Cream.
-Forse se ti degnassi di raccontarci cos’è
successo potremmo evitare di osservarti mentre inveisci contro il
cielo-.
La coniglia prese un paio di respiri
profondi, premendosi una mano sul cuore. -Ok. Scusami-. Ma
sembrò di nuovo
andare nel panico quando si accorse delle condizioni di Charmy. -E che
diavolo
è successo a lui invece?-
-Te lo spieghiamo dopo. Ora, dimmi immediatamente
che cosa sta succedendo- ringhiai. Lei sospirò nervosamente.
-Guarda tu stesso. Forza, girati- Ci girammo
tutti all’udire di quel “comando”, senza
notare nulla. Quindi mi rigirai
nuovamente verso di lei.
-Ok, ci siamo girati e non… oh no-. Mi
rigirai nuovamente verso il paesaggio retrostante. E poi di nuovo verso
Cream.
E verso il paesaggio. Detti un ordine rassegnato ad Omega.
-Omega, eseguire corrispondenza.-
-*Affermativo.**Corrispondenza tra memoria
fotografica e luogo attuale: 100%*-
-Lo abbiamo cercato per tutto il giorno… e i
due luoghi erano in realtà lo stesso…?- mormorai
con un filo di voce.
Stemmo tutti zitti per qualche attimo,
mentre Cream si era pestata il palmo della mano sulla fronte e Charmy
sbavava.
Espio sembrava leggermente preoccupato per me. -Conosco quella faccia.
Cosa
vuoi dire?-
-Voglio la pensione anticipata. E un drink
pesante.- Poi mi girai verso Omega, arrabbiato come un caimano.
-Perché non ce l’hai detto prima?!- Gli
occhi di Omega si colorarono di verde, negandomi una risposta. -Sul
serio?!-
Cream cercò di calmarmi, poiché aveva capito che
avevo raggiunto il limite
della sopportazione. -Vector, il suo sistema
non è ancora del
tutto operativo, calmati-.
-Allora non si accorgerà se lo trasformerò
in una toilette portatile-. Per i successivi cinque minuti cercarono di
tenermi
fermo come meglio potevano.
***
Cream
-Ok, ecco i fatti: abbiamo perso ore
preziose, nessuno lo ha saputo, Omega non ha caricato la risposta,
Vector si è
calmato e finalmente abbiamo degli indizi utili-.
All’improvviso, gli occhi di
Omega ritornarono rossi.
-*Non mi è stato richiesto di eseguire
alcuna scansione.*-
-Aaaaah, bastardo!- Dopo aver passato un
altro minuto a cercare di calmare Vector, finalmente tornammo a parlare
del
discorso principale. Mi permisi di posare la prima pietra in proposito.
-Bene ragazzi, siamo sopra il luogo chiave
di tutta questa storia. Ora dobbiamo solo capire perché
sia così importante-.
Ci lanciammo a turno un’occhiata
interrogativa. Era più che ovvio che nessuno tra di noi
avesse la più pallida
idea di che cosa fare. Mentre ero assorta nei miei pensieri, sentii un
movimento di circuiti da parte di Omega.
-*Riattivazione memoria non completa. Stima
tempo impiegato per la totale riattivazione: indefinito.-* Grugnii
scocciata.
Non aspettavo altro che Tails facesse il suo lavoro di genio e che
rimettesse a
posto quel dannatissimo robot. Cominciava a darmi seriamente sui nervi.
Ma
Omega non aveva ancora finito.-*Sono riuscito a
reperire parte dei miei
ricordi-* Drizzai di scatto le orecchie e lo guardai estasiata.
-Cosa? Quali?- chiesi entusiasta, afferrandolo
per le spalle metalliche. Per un attimo gli occhi di Omega diventarono
verdi,
cosa che mi fece temere in un altro dei suoi momenti di stasi. Per
fortuna,
tornarono praticamente subito del loro colore originario.
-*Nella mia memoria non sono presenti
dettagli significanti riguardo a questo luogo. Ma… ho dei
sospetti su…. il
mare--scogli…*- Un leggero velo di fumo cominciò
a salire vellutato verso il
cielo dalla sua testa.
-Ok, ok. Non ti sforzare troppo signorina-
disse Vector, dandogli una pacca sulla schiena. Mi sporsi verso la
scogliera,
guardando mentre il mare si scagliava su quelli scogli frastagliati.
-Credo che volesse dire che c’è qualcosa che
non va nell’acqua- spiegai pensierosa.
-Non ho intenzione di essere io quello che
andrà là sotto Vector, sia chiaro- intervenne
subito Espio, parandosi le mani
davanti. Schioccai le dita mentre una delle mie solite e geniali idee
mi
affiorava nella mente. Scostai un poco la mia maglia per riuscire a
scoprire la
cintura dei jeans, e da questa estrassi uno dei miei gadget.
-Oh Dio, questa Charmy se la perde- rise
Vector, guardandomi incuriosito. -Sentiamo, cosa sarebbe
quell’affare?-
-Una semplice ed efficientissima
videocamera- dissi con un sorriso soddisfatto sulle labbra, mostrando
ai miei
compagni il mio minuscolo ingegno tecnologico. Espio inarcò
un sopracciglio. -Solo una videocamera?-
-Che è in grado di volare ed è repellente
all’acqua- aggiunsi. -L’ho costruita dopo aver
avuto quel piccolo diverbio con
Nack nel suo ufficio. Non ho più intenzione di mandare Espio
o chiunque altro
di noi a spiare qualcuno alla cieca senza sapere esattamente su quale
campo di
battaglia stiamo giocando-.
Allungai il braccio nel vuoto e lanciai il
marchingegno abbastanza lontano perché non si scontrasse con
il fondo marino.
-Vector, potresti andare a prendermi un
attimo il mio computer in macchina?- chiesi, estraendo dalla mia
cintura un
piccolo telecomando portatile con cui avrei comandato i movimenti della
telecamera. Dopo
qualche minuto il
coccodrillo tornò con l’oggetto della mia
richiesta.
-Sicura che troveremo qualcosa?- mi domandò
Espio. Accesi il mio portatile, preparando già
l’applicazione con cui avremmo
visto esattamente quello che vedeva il visore del mio gadget.
-Assolutamente no-.
***
-Cos’è che stiamo cercando esattamente?- mi
domandò Vector con voce roca per la stanchezza.
-Non lo so con certezza. Qualcosa di strano
o sospetto, suppongo-. Affianco a noi nel frattempo, Charmy si stava
riprendendo lentamente dallo strano polline che Vector e Espio mi
avevano
raccontato avesse assunto. Espio gli punzecchiò il fianco
con un piede, in
cerca di una reazione.
-È ora di cena?- mugugnò l’ape con voce
impastata e un rivolo di saliva che gli scendeva dall’angolo
della bocca.
-È proprio fatto- constatò con aria esasperata
il coccodrillo. Feci scendere la nostra videocamera di metro in metro
in
profondità, fino a quando la luce non cominciò a
scarseggiare e non fui
costretta ad attivare la torcia che avevo personalmente incorporato
nella
videocamera. Vector si sporse sopra la mia spalla, aguzzando lo
sguardo.
-Trovato nulla di interessante?-
-Fatta eccezione per i pesci, no-. Per
svariati, interminabili minuti, che poi si trasformarono in ore,
rimanemmo con
le facce incollate allo schermo del computer, cercando invano qualcosa
che ci
potesse essere d’aiuto. Ma fu dopo due esasperanti ore di
ricerca che
finalmente ci furono dei risultati.
-Ehi… ehi guardate lì!- esclamai, puntando
il dito in un punto dello schermo. Espio e Vector accorsero
immediatamente.
Alla destra della telecamera era presente una parete di rocce, e in
questa vi
era infossata una rientranza evidente che si sarebbe quasi potuta
definire una
grotta. Feci dirigere il gadget verso quella scavatura e ve lo feci
slittare
abilmente all’interno. Mano a mano che avanzavamo
nell’oscurità, vedevamo che
quel buio antro si allargava poco a poco, diventando sempre
più ampio e
spazioso, formando una vera e propria caverna. Avanzati di qualche
metro
dall’entrata, trovammo qualcosa che ci fece restare
letteralmente a bocca
aperta.
-Cosa diamine è quella?- boccheggiò Vector,
senza parole. Mi venne spontaneo sorridere..
-Quello che stavamo cercando-. Un’enorme e
larga porta in titanio chiusa si innalzava nel nostro schermo.
-Quella è una porta- mormorò ancora Vector.
Espio annuì, in stasi quanto noi.
-In mezzo al mare- continuò il coccodrillo.
-Stai zitto, Vector- sibilò Espio. -Lasciami
godere un attimo il momento-.
Alzai al cielo gli occhi. -Spiacente Espio,
ma se è la porta che ti entusiasma tanto la devo togliere di
mezzo-.
Feci avvicinare il più possibile la
telecamera alla porta e schiacciai un piccolo pulsante sul telecomando
che la
controllava e da essa uscì un piccolo laser che
cominciò a perforare il metallo
della porta, formando un piccolo cerchio a causa dell’intenso
calore.
Vector mi guardò confuso. -Un laser? Sott’acqua?
Come diavolo hai fatto a…-
-Non sottovalutarmi, Capo. Mai- ghignai. Una
volta che la telecamera ebbe fatto il suo lavoro e che ebbe creato uno
spiraglio per il suo accesso, entrò.
Un installazione subacquea inattiva. Decine
e decine di macchinari rotti e spenti, senza alcuna apparente
utilità, si
espandevano per un’ampia stanza. Computer, apparecchiature,
perfino alcuni
vecchi robot ricoprivano ogni centimetro delle pareti e del pavimento,
donando
al tutto un’aria desolata e abbandonata.
-È… è una base- dissi in un bisbiglio,
incredula. Continuando a vagare per quel luogo deserto riuscii a
trovare
numerosi prototipi arrugginiti e inservibili dei robot con stampato il
tipico
ed egocentrico stemma della faccia di Eggman, vecchi progetti stampati
su fogli
plastificati che l’acqua aveva ormai reso inservibili e vecchi e ammuffiti libri
galleggiavano, praticamente
disintegrati, a qualche centimetro dal pavimento in metallo insieme a
spessi
tomi. Ma del Dottore non c’era alcuna traccia. In tutto quel
macello non c’era
niente che ci suggerisse che quel pazzo fosse stato ancora in
attività o,
addirittura, ancora vivo.
-Qui non c’è nulla-. Avevo controllato tutte
le stanze che c’erano e avevo persino passato un bel
po’ di tempo ad
assicurarmi che non ci fossero passaggi segreti o stanze occultate.
Quell’installazione era stata sicuramente abbandonata a
sé stessa cosa che rendeva plausibile l’ipotesi di
Gibson sulla tendenza di Eggman ad abbandonare periodicamente le sue
basi. Ma
almeno avevamo le basi, che ci assicuravano un coinvolgimento del
dottore in
tutto quello. O meglio… le avremmo avute qualche istante
più tardi, grazie agli
spasmi di cui Omega fu preda.
-Omega, che succede?- Il robot
non rispose
alla mia domanda, anche se i suoi occhi rimasero rossi. Poi mi
colpì in pieno
muso con gli artigli, provocandomi un brutto graffio.
-Dannato!- Charmy, rialzatosi all’improvviso
dopo aver sentito la mia esclamazione di dolore, stette per attaccarlo
frontalmente…
-Charmy, no!- …Quando intervenne Espio,
saltando per primo in testa al robot, il quale continuava a dimenarsi.
-*Ppp.pprototipo…*Dist.st.st.st.
testimoni.*- Vector mi aiutò a rialzarmi e ad allontanarmi
prima che ci
facessimo male. Espio si teneva ben saldo al capo di Omega, facendomi
sospettare che di li a poco glielo glielo avrebbe staccato a mani nude.
Decisi di
intervenire, prima che la nostra unica fonte di informazioni andasse a
farsi benedire.
-Espio, prendi!- Gli lanciai una delle mie
“mini-EMP” che lui afferrò al volo
nonostante la situazione impervia. -Agganciala
alla nuca!-
-La mia!?-
-La sua!- Espio non era un genio
dell’informatica, bisognava aver pazienza. Dopo che Espio la
appoggiò proprio
dietro alla testa della macchina, la piccola bomba aderì
perfettamente.
-Ora scendi subito da lì!- Espio si lasciò
sbalzare via, colpendo il terreno ma rimettendosi subito in piedi,
facendo una
strisciata sul terreno. Omega sembrava aver capito il pericolo, in
quanto attivò
subito le sue mitragliatrici per poi puntarmele contro.
-*P.pp.prrrrgg.
“Perdono”*- Avevo già
preso il comando manuale, e mentre le sue canne da fuoco avevano
cominciato a
girare premetti il pulsante. Da Omega partì una lieve onda
d’urto che smosse
l’erba attorno a lui e lo fece cadere per terra, provocando
un grosso tonfo. La
cosa era strana, per non dire allarmante. Vector mi era rimasto vicino
per
controllare la mia ferita
-Hai un brutto taglio. Bisogna coprirlo
subito- Mi toccai la guancia sinistra, dolorante come tutta la
mascella,
per capire in che condizioni versava, ma Espio cercò di
farmi desistere.
-Non toccarla. Non hai le mani pulite-. Mi
guardai la mano e la vidi tutta sporca di sangue. Charmy, che sembrava
finalmente essersi ripreso completamente, si avvicinò
cautamente al robot,
completamente sedato.
-Che cos'è successo? Perché ha attaccato?-
Espio, come sempre, aveva prestato più attenzione di noi
anche in quela
situazione di emergenza .
-Ha pronunciato diverse parole disconnesse,
del tipo “prototipo” o
“Perdono”. Forse era cosciente mentre ha
attaccato-.
Avevo capito qual'era il problema. Pertanto, mi avvicinai per esporlo.
-No, non erano parole a caso-. Vector,
preoccupato, mi fermò subito.
-Non mi hai sentito? Non muoverti, e tu
Espio, puoi ricucirle la ferita?- Espio aveva già preparato
degli unguenti e stava
tendendo il filo.
-Aspetta un attimo Vector, è importante.
Quelle parole non erano buttate a casaccio, facevano parte di un
discorso. E anche
se lo fossero state, hanno cominciato a venire fuori dopo che Omega ha
visto le
immagini sul computer-. Vector, visibilmente spaventato dal fatto che,
forse,
c’era qualcuno che volesse impedirci di scoprire informazioni
scomode, non poté
che mostrare la sua confusione in merito.
-Quindi? C’è qualcuno che ci vuole morti? Di
nuovo? Eggman?-
-È probabile. Ma non credo che sia stato lui
ad attivare quell’istinto omicida in Omega. Non in questo
esatto momento,
almeno. È come se si fosse attivata una difesa automatica
per impedirgli di
ricordare ciò che aveva visto o fatto in quel periodo di
tempo-. Rimanemmo
tutti muti per qualche secondo, lanciandoci occhiate allarmate. Ognuno
di noi
vagava con la propria mente, in cerca di qualcosa che potesse
tranquillizzarci
per un po’ in attesa di trovare una soluzione, quando in
realtà, più che
tranquillizzarci, il nostro compito era di scovare il colpevole prima
che
questi scovasse noi. E i tempi cominciavano a stringersi. Persino la
tipica
temerarietà di Vector aveva lasciato il posto ad un
po’ di timore.
-Intanto dovremmo cominciare a muoverci e
riportare il ferro vecchio da Tails.
Forse lo hai fritto un po’ troppo, Cream-.
-Nah, è solo svenuto. È vero, ho dovuto
danneggiare certi circuiti, ma quella bomba non è potente
come le EMP normali.
La memoria centrale quindi dovrebbe essere a posto. Nulla che Tails non
possa
riparare. Certo, non ne sarà entusiasta-.
-Chi se ne importa- sbottò Charmy,
afferrando Omega per un braccio e trascinandolo, con immane fatica, fino alla macchina. -Per me
questo rottame ha
già fatto abbastanza-. Espio mi guardò, cercando
di comunicarmi con lo sguardo
che era il momento di curarmi. Mi fece sedere per terra, mentre lui mi
si mise
in ginocchio davanti. Odiavo quegli unguenti.
-Non ti mentirò: la ferita è profonda,
quindi stavolta le cure saranno particolarmente dolorose. Ma poi starai
meglio-.
Si avvicinò e scrutò con più
attenzione il taglio. -Heh…quel tipo
è formidabile, sarebbe utile
al Team-. Io, mentre mi preparavo al dolore imminente, cercavo di
distrarmi
dall’idea dei dolorosi disinfettanti di Espio.
-Forse… dopo che lo avremo ripulito per
bene. Ora è troppo pericoloso- borbottai mentre Espio mi
passava la salvietta
impregnata di liquido. Ci eravamo trovati costretti ad implorare
l’aiuto di
Tails, e nonostante tutto ciò che stava facendo per noi, gli
stavamo anche
nascondendo i nostri committenti per paura che si sarebbe tirato
indietro. Non sapevo
gli altri, ma non potevo negare che questo non stava facendo bene alla
mia
coscienza. Avevamo fatto diverse scoperte, ma nulla che potesse rendere
particolarmente contenti i nostri. E tra l’altro, lentamente
mi stavo rendendo
conto che, per ogni passo in avanti che facevamo in
quell’indagine, ci stavamo
creando dei nemici pericolosi. Quel giorno avevamo rischiato la vita.
Certo,
non era raro, ma le cose si stanno facendo più infide,
più imprevedibili. Non
sapevamo ciò che ci attendeva, non potevamo nemmeno
immaginare come le cose avrebbero preso una piega del tutto
inaspettata, con eventi fuori dalla nostra
comprensione da ogni punto di vista. Ma potevamo solo proseguire per
scoprirli.
***
Eggman
Nella tranquilla penombra della stanza mi
stavo godendo il rilassante massaggio alle tempie che in quel momento
le mani
gelide e metalliche di uno di miei robot mi stava facendo. Sospirai
soddisfatto, affondando la schiena nella mia comoda poltrona. Un altro
dei miei
robot nel frattempo mi stava aggiustando un poco i baffi, dandogli una
leggera sfoltitina. La porta della mia stanza si aprì
improvvisamente.
-Vi ho detto mille volte che non voglio che
nessuno mi interrompa nella mia sacra ora di relax!-sbraitai, alzandomi
in
piedi dando un pugno sul bracciolo della poltrona e voltandomi verso lo
stolto
che aveva osato fare un’eresia del genere. Orbot mi
guardò indifferente, abituato
ad anni e anni di ascessi di rabbia da parte mia.
-Dottore, non per essere inopportuno, ma non
ha avuto alcuna interiezione con nessun essere vivente per
più di vent’anni e
quelle che ha avuto in precedenza sono state esclusivamente con i suoi
arci-nemici.
Non mi sembra il caso di farsi fare una pulizia del viso da alcuni dei
nostri
soldati in un momento come questo-. Incrociai le braccia e mi stirai la
schiena, lanciando un’occhiata scocciata ad Orbot.
-Non dire sciocchezze, Orbot. Mi sto facendo
bello per la mia imminente entrata in scena-. Mi risistemai gli
occhiali sul
naso con un gesto quasi meccanico e congedai i due robot che mi stavano
aiutando nel mio intento di distendere i nervi. Era lecito essere
così
preoccupato in quel periodo. Infondo avevo solo una
possibilità per la riuscita
del piano e questa volta non si poteva tentare la sorte una seconda
volta.
-Come stanno gli Smeraldi del Sol e del
Chaos?- chiesi. Ormai la nostra meta era vicina. Avevamo quasi quasi
rubato
tutte le Pietre con successo e senza troppi intoppi… tranne
per quelle poche
basi che avevamo necessariamente dovuto radere al suolo e per quella
manciatina di cadaveri che abbiamo dovuto forzatamente lasciarci alle
spalle.
-In ottime condizioni, signore. Li abbiamo
messi nelle capsule di contenimento per mantenere stabile il loro
potere ed
evitare che interferissero con i nostri macchinari-.
Annuii sollevato. -E i nostri fiori
all’occhiello?-
-Se parla dei due Progetti “Fedeltà” e
“Neonato”,
bene. Le modifiche che ha richiesto saranno ultimate a breve-
spiegò.
-Bene. Non posso permettere che quello che è
successo con il “Progetto Perdono”, o
“E-123 Omega”, se preferisci, succeda di
nuovo con quei due- ringhiai,
stringendo i pugni con rabbia. Scossi la testa e cercai di rimanere
lucido.
-Orbot, dimmi perché sei qui. Hai qualcosa da dirmi?-
Il robot mi rotolò un po’ più vicino,
guardandomi dalla sua bassa statura. -Sì, Dottore. Le nostre
telecamere hanno
rilevato una tentata intrusione, e…-
-Non continuare. Lo so già-. Dal bracciolo
della poltrona afferrai un piccolo telecomando e ne schiacciai un
pulsante. Gli
schermi dei computer della nostra base si illuminarono improvvisamente,
mostrando una sequenza di immagini registrate rappresentanti una
piccola, quasi
microscopica, telecamera che vagava nelle vastità del mare e
che si infiltrava
tra le rocce.
-È preparato a quanto vedo- si complimentò
Orbot con quel suo solito sorriso. Se sorriso si poteva chiamare, visto
che era
privo di labbra. Feci un cenno con la testa verso i computer.
-Non so a chi appartenga quell’affare, ma
chiunque sia ci sta cercando e si sta avvicinando a noi. Abbiamo fatto
bene a
costruire il nuovo quartier generale così vicino a quello
precedente. È
improbabile che ricontrollino in questa zona-.
-Ma non impossibile- continuò Orbot, dicendo
ad alta voce la mia più grande paura. -Spero che lei sia
consapevole che essere
scoperti ora significherebbe la nostra fine-. E tutto il nervosismo che
avevo
cercato di reprimere per il bene nel mio corpo era finalmente uscito
come una
nuvola di vapore.
-Non
parlare in questa maniera- sibilai in un ringhio. -La
negatività è l’ultima
cosa che ci serve in questo momento. In ogni caso, non hai tutti i
torti. Ma
non ho intenzione di spostare la base adesso che siamo così
vicini alle battute
finali della corsa-. Rivolsi uno sguardo interrogativo ad Orbot,
cercando di calmarmi.
-Dimmi, come stanno le truppe?-
-Dure e determinate come il ferro. Oserei
dire come l’acciaio, in certi casi-.
-Bene. Preparatevi: con il prossimo colpo
prendiamo tutti gli Smeraldi che rimangono. Sarà
l’attacco più massiccio
eseguito fino ad ora… e se non ci riusciamo,
l’ultimo. Non voglio errori, o i
soldati si pentiranno che li abbia anche solo assemblati.
Comunicaglielo, prima
che partano-.
Orbot annuì con fare stranamente sottomesso.
Potevo chiaramente capire che anche lui e probabilmente Cubot fossero
turbati. La mia ultima sconfitta significava anche il loro probabile
spegnimento. -Come
desidera, Dottore-.
“Presto
questo vecchio e debole corpo sarà sostituito da quello di
una divinità. Quando
avrò ottenuto tutti e quattordici gli Smeraldi tutto il
mondo, no, anzi,
l’intero universo verrà identificato sotto
l’etichetta “Eggman Land”. E ci
sarà
un nuovo Dio a comandarlo. Tutto questo, sempre se la profezia
è stata veritiera.
In caso contrario, tutti i nostri sforzi saranno stati inutili. Ma
dobbiamo
tenere acceso il nostro unico barlume di speranza. Non abbiamo altra
scelta’’.
***
Althea
Presi un respiro profondo, raddrizzando le
spalle e guardando con aria convinta la porta della stanza di Dash.
Ormai era
qualche giorno che cercavo di evitarlo disperatamente, ma non potevo
più
rimandare l’inevitabile. Ma che diavolo avrei dovuto dirgli?
Ciao Dash, scusa
se ti ho evitato per tutto il giorno ma volevo chiederti scusa dal
più profondo
del mio cuore per averti carbonizzato mezza gamba?
No, decisamente no. Mi ero anche rinchiusa
come… come un’idiota nella mia stanza per
esercitarmi a chiedergli dannatamente
perdono, ma mi sentivo stranamente in soggezione e in imbarazzo a
doverlo fare
adesso, davanti a lui. Non era esattamente una delle cose che ero
abituata a
fare… di solito, se facevo qualche danno nella mia
dimensione, ci pensava
qualche membro di corte a risarcire personalmente la persona a cui
avevo
bruciato qualche arto o i suoi effetti personali e a chiedergli scusa
da parte
mia. Altro motivo per cui non andavo molto spesso in giro per la
città. Feci
per alzare il braccio e bussare alla porta ma mi bloccai, sentendo un
imbarazzo profondo farsi strada nelle mie vene. Non ci riuscivo. Per
quanto
fosse una faccenda stupida mi vergognavo troppo di quello che avevo
fatto.
Sospirai, riabbassando immediatamente il braccio. “Oh
Dio. Non è possibile, non è possibile! Sei una
regina, datti un
po’di contegno, dannazione. Hai fatto cose più
imbarazzanti.’’ Strinsi i
denti e mi apprestai a bussare per la seconda volta. Prima che mi
riuscissi a
muovere, la porta si aprì violentemente e mi
colpì in faccia con lo spigolo.
Caddi a terra disorientata e mi portai una mano sul volto.
-Lurido pezzo di…- sbraitai, trattenendomi a
stento per il dolore insopportabile che si era sfoderato sul mio naso.
Dash mi guardò stranito. -Althea?- esclamò
confuso, prima di capire cosa fosse successo. -Oddio, come stai?-
chiese,
inginocchiandosi subito davanti a me. -Tutto bene?-
-Sì… abbastanza-. Lasciai la presa che avevo
fatto sul mio naso per alleviare leggermente il dolore e mi premetti
una mano sulla testa.
Dash mi guardò spaventato la faccia. -Oh
no-.
-Che c’è?-
-Niente. Seguimi-. Mi afferrò prontamente
per un polso, aiutandomi ad alzarmi e trascinandomi dietro di
sé. Scendemmo le
scale praticamente saltando direttamente al piano terra.
-Dash? Sei impazzito?!- esclamai quando a
malapena riuscii a mantenere l’equilibrio dopo che ebbe sceso
con un salto gli
ultimi tre scalini. Con un leggero strattone mi costrinse a continuare
la
nostra scarrozzata.
-Mamma?- disse ad alta voce il riccio. Dalla
cucina si sentì un rumore di varie stoviglie che venivano
buttate a mo’ di peso
nel lavandino e dell’acqua che stava scorrendo da
quest’ultimo.
-Oh, tesoro!- esclamò Amy. Lo scroscio
dell’acqua venne interrotto. -Capiti proprio a fagiolo!
Voglio parlarti un
attimo riguardo ad Al…- Quando la riccia rosa apparve oltre
la soglia della
cucina e mi guardò, sul volto le comparve
un’espressione come quella di
qualcuno che viene colto sul fatto, poi sgomenta.
-Oh mio Dio, Dash! Che diamine è successo?!-
strillò, buttando dietro di sé lo strofinaccio
con cui si stava asciugando le
mani poco prima e avvicinandosi a me. Aggrottai le sopracciglia,
chiedendomi se
forse tutti fossero impazziti. Ma mi accorsi solo in quel momento che
qualcosa
mi stava colando abbondantemente dalle narici. Mi tastai allarmata il
labbro
superiore su cui ormai il gusto di quella sostanza si era
già espanso, e
quando la guardai le dita si erano colorate di un rosso scuro. “Oh no.’’
-Le… le ho sbattuto la porta in faccia-
spiegò Dash imbarazzato, abbassando lievemente la testa. Amy
lo guardò
infuriata con un cipiglio severo sul volto.
-Sei forse impazzito?! Ok, capisco che tu
abbia dei motivi per essere nervoso, ma picchiare una ragazza?! Che
razza di
figlio ho cresciuto?!-
-Signora, non è andata cos…-
-Oh, cara, tu siediti e stai tranquilla.
Corro a prendere la cassetta medica-. Poco dopo che si fu allontanata
Dash mi si avvicinò, passandomi uno straccio arrotolato
attorno a del ghiaccio.
-Premilo contro il naso, dovrebbe aiutare-.
-Ti ringrazio. Che ha tua madre oggi?-
-Lascia stare, si agita sempre quando vede
del sangue. Cerca di mantenere la calma, ma tende a cadere ancora
più nel
panico. E smette di ragionare-. Mi lasciai volontariamente scappare una
risatina ironica.
-Va bene, ma la prossima volta che mi
“picchierai brutalmente”, cerca almeno di non
trascinarmi giù per le scale. Potevi
uccidermi davvero-.
-Ops. Pardon, colpa mia-. Ci fu un attimo di
silenzio in cui, come facevamo spesso in quel periodo, facevamo di
tutto per
non guardarci direttamente. Poi lui si fece avanti.
-Beh, allora… uhm… com’è il
tuo mondo?- mi
domandò, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. In
effetti c’era un’aria vagamente
tesa all’interno della stanza.
-Pensavo di avertelo già detto-. Lui sorrise
nervosamente, spostando la grattata alla cima del capo.
-Sì, sì. Ma
come lo vedi tu?- Il mio orecchio si contrasse
in uno scatto involontario mentre cercavo di capire perché
gli interessasse
tanto la mia storia. Mi premetti il ghiaccio delicatamente sul naso,
chiudendo
gli occhi e riflettendo.
-Beh… ogni volta che ho la possibilità di
uscire dalle mura, la prima cosa che faccio è andare sulla
collina poco lontana
da casa e allargare le braccia, godendomi appieno il vento e il
panorama che si
vede da lì- sospirai, sentendomi invadere di una strana pace
il petto. -Sai, la
mia città è molto bella vista
dall’alto. Soprattutto quando c’è bel
tempo-.
Dash inarcò un sopracciglio. -In che senso
quando puoi uscire dalle mura?-
Mi irrigidii, capendo che ero riuscita a
fregarmi da sola. -Mura… mura in senso metaforico, mura di
casa. Io ho molti
impegni, i miei hanno molti impegni, sai
com’è…- blaterai, ridacchiando
nervosamente e mordendomi un labbro. Parlai così velocemente
che per un attimo
mi sembrò di essere diventata Emily.
Dash appoggiò la guancia sul palmo della
mano, guardandomi con un sorriso furbetto sulle labbra. -Ma davvero?-
chiese
con un tocco di stuzzicante ironia.
-Inoltre, quando ne abbiamo la possibilità
io e la mia famiglia viaggiamo in città lontane o in altri
continenti. Quando
vivi a lungo in un solo posto è bello cambiare per un
po’ panorama- continuai,
ignorando volutamente i suoi sorrisi che cercavano di provocarmi.
Lui si risistemò sulla sedia, appoggiando i
gomiti sul tavolo e sporgendosi verso di me. -A proposito dei tuoi
genitori, ma
non ti mancano neanche un po’? Dico, non senti la loro
mancanza?-
-No. Sono delle persone violente e
aggressive. Spesso mi maltrattano-.
Il riccio sbarrò gli occhi, perdendo ogni traccia
dell’allegria che aveva prima. -Davvero?-
Feci un sorrisetto ironico. -No. E ad essere
sincera, mi mancano un po’-. Sembrò sollevato
delle mie parole e si rilassò sulla
sedia. Dopo quello, nessuno dei due continuò il discorso.
Nella stanza cominciò
a regnare di nuovo quell’odioso silenzio che compare quando
due persone cercano
di introdurre un discorso ma non sanno come fare. Abbassai lo sguardo e
mi
tolsi il ghiaccio dalla faccia, schiarendomi la voce per quanto nasale
potesse
essere.
-Ehm… Dash… lo so che non centra molto
ma…-
borbottai con la voce che mi era improvvisamente venuta meno. Cominciai
a
tormentarmi inconsapevolmente le mani da sotto il tavolo e sentii un
calore a
me non famigliare sulle guance. Oh cavolo, sarà stato da
almeno dodici anni che
non arrossivo.
-Cosa? Ti maltrattano davvero? È questo che
vuoi dirmi?-
-No!- Presi un bel respiro e lasciai andare
tutto quello che ancora mi tratteneva. -Scusami-.
-…”scusami” per cosa?-
Indurii la mia espressione e lo guardai un po'innervosita. -Per cosa,
secondo te? Per la gamba-.
-Oh, per questa?- disse, quasi si stesse mettendo
a ridere e abbassando la testa. -Te l’ho detto: sono una
roccia! E poi è già
quasi guarita-. Il suo atteggiamento mi risollevò un
po’. Mi voltai di lato, cercando
di coprire il fatto che sul mio viso stava nascendo un lieve sorriso.
Pensavo
che a momenti avrei anche potuto chiudere gli occhi tanto ero
rilassata. Poi
sospirai, riportata alla realtà.
-Ma resta il fatto che ho distrutto parte
della città. Ho ferito molte persone-.
Dash scosse energicamente la testa. -Non sei stata tu. È
stato
quell’essere-. Le sue parole mi stupirono. Davvero non mi
giudicava
responsabile? Riponeva così tanta fiducia in me?
-Quell’essere fa parte di me, Dash. Se io esisto, esiste
anche
lui-. Alzai lo sguardo e vidi che Dash stava praticamente pendendo
dalle mie
labbra. - Ho anche parlato con i tuoi genitori-.
Lui rise soddisfatto. -Oh, lo so- mormorò tra sé.
-Come?-
-Heh... niente. Continua pure-.
Lo guardai con sospetto, ma evitai di chiedergli ulteriori
informazioni a riguardo. -Tuo padre ha discusso riguardo il problema
con il
signor Miles, il quale sostiene che i miei poteri si siano
sentiti… intrappolati,
quando abbiamo provati a tenerli a bada con quegli anelli.
Così, si sono
ribellati. Hanno provato a prendere il controllo su di me, a
controllarmi-
dissi, piena di vergogna per essere così…
diversa. Certe volte avrei voluto
essere un adolescente normale, con i suoi stupidi e insulsi problemi. E
invece
ero sempre accompagnata dalla
preoccupazione
di poter essere la responsabile di un genocidio ogni volta che andavo a
fare
una passeggiata per strada. -Quella cosa… quella
bestia è venuta da dentro di me. Ed è
ancora lì. La sento- sussurrai.
La mano di Dash si poggiò sulla mia. -Bene- disse lui di
rimando, sorridendo dolcemente. -Avere quella cosa dentro non fa di te
un
mostro. Ma sapere quando lasciarla andare; questo è quello
che fa di te una brava
persona-.
Schiusi le labbra per dire qualcosa ma, per
la prima volta, Dash era riuscito a farmi restare senza parole.
Abbassai lo
sguardo e rimasi lì, a boccheggiare come un pesce, cercando
di dire qualcosa
che non suonasse incredibilmente stupido al momento. Poi alzai gli
occhi e gli
sorrisi sinceramente.
-Grazie-.
Amy irruppe improvvisamente nella stanza,
facendoci sobbalzare. -Eccomi qui! Scusa il ritardo Althea, ma non
riuscivo a
trovare la…- La riccia guardò la mano di Dash
ancora poggiata sulla mia con un
misto di confusione e contentezza. Ritirai di scatto il braccio,
sentendomi
nuovamente avvampare pesantemente. Sapevo che probabilmente aveva
frainteso cosa fosse successo, e sapevo anche che prima o poi avrebbe
intavolato il discorso con uno dei
due per cercare di vederci più chiaro nella faccenda.
-…cassetta medica- terminò, con la bocca
praticamente spalancata lei. Sbatté le palpebre un paio di
volte prima di
riscuotersi dalla sua trance e di avvicinarsi a me con in mano del
cotone umido
e un disinfettante.
Mi si fermò davanti e mi ordinò di
reclinare la testa all’indietro per poter controllare i danni
della mia
presunta zuffa con il figlio. Quando fui a testa in giù
riuscii a notare che
Dash mi stava fissando ad occhi socchiusi. Sulle labbra aveva un
sorriso furbo,
divertito, curioso. E lo capii solo in quel momento. Per lui il nostro
gioco
era finito. Avevo smesso di essere solo
una sfida con cui confrontarsi e mi ero elevata ad un altro livello.
Ricambiai
il sorriso con un ghigno altrettanto sbruffone, incrociando le braccia
al
petto. Era come se ci stessimo parlando solo con gli occhi. Ma la
nostra
battaglia era iniziata già molto prima che ce ne
accorgessimo. Tutto stava
cambiando, ogni cosa. Quello che potevamo e non potevamo controllare, tutto.
E non ci sarebbe stato l’eroe a fermare
l’ira del mostro questa volta.
***
Shadow
Che giornata. Una di quelle che ti tenta di farti
lasciare tutto alle spalle per andare a fare una passeggiata nei
dintorni. D’altro
canto, non avevo più tempo per le passeggiate e avevo troppi
pensieri per la
testa. Soprattutto dopo che mi ero reso conto che ciò che
avevo fatto non era
reversibile. Ero partito con le migliori intenzioni, ma nonostante
tutto
provavo rimorso. Mi chiedo tuttora se, indipendentemente da quanto
onorevole
possa essere un fine, sia normale dopo aver oltrepassato un punto di
non-ritorno comprendere tutte le sfaccettature negative di quel gesto e
concentrarsi solo su quelle. Questi pensieri mi tormentarono
per tutta
giornata. E nonostante questo, mi sembrava tutto nella norma: nessun
effetto collaterale,
nessuna stanchezza o giramento di testa, nulla. Forse tutti gli sforzi
che avevo fatto per riuscire ad ottenere il vaccino erano stati
inutili...
Peggio
ancora, Gardon detesta quando un suo consiglio non viene seguito. Mi
venne in
mente quando vidi l’ormai anziano koala dirigersi verso di me
con uno dei suoi
sorrisetti per l’ennesima volta.
-Allora? Com’è andata la giornata, Shadow?-
mi chiese. -Rilassante?- Mi massaggiai il collo con un movimento stanco
della
mano.
-Ad essere sincero, ho deciso di non
ascoltare il tuo consiglio oggi-. Gardon, sentendo queste parole,
raddrizzò la
schiena con un movimento automatico e ci incrociò dietro le
mani. Nonostante
la sua espressione si fosse indurita notevolmente, non riuscii a capire
se
volesse rimproverarmi o lodarmi per la mia scelta.
Feci un sorriso che forse al momento avrebbe
potuto sembrare come un atto di sfida. -Hai intenzione di farmi la
predica a
riguardo?-
Gardon scosse con un movimento lieve la
testa. -Ciò che penso io non ha importanza. Il re qui sei
tu. Ma per quanto tu
ti stia occupando a meraviglia di un intero regno, di una stupenda
famiglia, di
centinaia di migliaia di persone di cui non hai nemmeno mai visto il
volto né
conosci il nome, continui ad ignorare te stesso. Credi sia giusto?-
Incrociai le braccia e serrai la mascella.
-Hai una considerazione di me più alta di quanto dovresti.
Infondo penso a me
stesso più di quanto tu possa credere-.
Gardon cominciò ad irritarsi. -Allora non è
abbastanza. Ma fai come ritieni opportuno-.
Sospirai, abbassando il capo. Forse Gardon
aveva ragione. In più, avrei potuto afferrare la palla al balzo e approfittare
del suo discorso.
-Ora che mi ci fai pensare, devo andare un attimo nei miei alloggi.
C’è una
cosa che devo controllare-.
Nonostante avessi lo sguardo ancora
abbassato, potei chiaramente percepire il sorriso soddisfatto di
Gardon.
-Suppongo che sia un gradevole inizio. La lascio ai suoi affari,
maestà-.
Quando rialzai la testa per ringraziarlo, Gardon se n’era
già andato. Questo mi
ricordò dei miei anni alla G.U.N., quando mi ritrovavo a
minacciare e a
interrogare uno dei nostri nemici e a sparire un attimo dopo tra le
ombre. “Quindi è questo
l’effetto che fa…’’
***
A volte mi dimenticavo di come fosse difficile
arrivare agli alloggi reali, situati al piano più alto del
castello, senza
svenire dalla stanchezza prima. Mi ero già accorto da tempo
di essere
decisamente fuori allenamento. Una volta terminata l’infinita
salita mi
diressi velocemente verso le mie stanze, notando che ogni volta che
qualche gruppo di
guardie che fino a qualche attimo prima conversavano amabilmente di
chissà
quale scurrile e sciocco argomento, da lontano notavano la mia presenza
improvvisamente si zittivano, mostrandomi il loro rispetto e
fedeltà. Mi
ricordavo la sensazione e ciò che loro stessi durante e dopo
l’orario di lavoro
provavano, e ciò in qualche modo mi faceva sentire ancor
più responsabile della
loro sicurezza. Improvvisamente, la nostalgia cominciò a
pervadermi la mente e
mi fece preoccupare delle condizioni in cui potesse trovarsi in quel
momento
Pal. Una spinta in più a trovare in fretta i colpevoli degli
efferati omicidi avvenuti
nel tempio l’ultima volta. E finalmente, mi trovai davanti
all’elegante uscio
della porta delle stanze reali, decorato di metalli e pietre preziose e
con
incisi dei disegni simbolici… di cui non ricordavo io stesso
il significato
malgrado le varie e noiosissime lezioni che ricevetti dai sermoni reali
poco
prima del mio matrimonio e dopo che Blaze, scavalcando ostacoli
titanici
rappresentati dai membri del Consiglio e dai nobili puri,
riuscì ad elevarmi al
titolo di Duca dei territori adiacenti a Flaritas.
Aprii delicatamente la porta, guardando
attraverso un piccolo spiraglio se Blaze fosse tornata dopo la sua
giornata
lavorativa, cosa probabile visto che era ormai notte inoltrata. Entrai
all’interno della stanza e mi richiusi delicatamente
dietro le spalle la porta, la
quale nel farlo emise un lieve clack. Tesi
i nervi a questo impercettibile rumore. Nel letto a due piazze davanti
a me,
vidi una Blaze addormentata sopra le coperte in posizione fetale, con
ancora i
vestiti da giorno composti da un cappotto lungo viola con i bordi
colorati di un
porpora scuro e da dei pantaloni neri attillati, e le scarpe con il
tacco basso
dello stesso colore dei bordi della giacca addosso. Probabilmente si
era
appisolata per un minuto stendendosi sul letto e non era riuscita a
reggere la
stanchezza. Un piccolo sorriso mi comparve sulle labbra, ma scomparve
subito
quando mi ricordai perché ero tornato nella mia camera. Mi
diressi
immediatamente e nel modo più silenzioso possibile nel
bagno. Accesi la luce e
mi tolsi la giacca, appallottolandola e buttandola sul pavimento in
malo modo
per la fretta. Presi un breve respiro di incoraggiamento e mi guardai
il
braccio su cui mi ero fatto la puntura. Niente. Nessun segno, nessun
livido,
nessun gonfiore, niente. Come se la cosa non fosse mai successa. Per un
attimo
mi chiesi se avessi sbagliato qualcosa nell’iniettarmelo, ma
poi alzai gli
occhi verso lo specchio. La mia faccia. Avevo delle occhiaie che ora
più che
mai spiccavano spaventosamente bene sul mio volto da perenne
venticinquenne e
delle rughe pronunciate che prima non avevo mai visto. Il battito
cardiaco
cominciò a risuonarmi sordo nelle orecchie per tutto il
silenzio che c’era.
Cercai di essere ottimista, di pensare che il tutto fosse dovuto alla
stanchezza. Volevo sinceramente crederlo. Lo speravo perché
quella che temevo
era l'altra ipotesi.
Effetti collaterali.
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