Una Nuova Generazione di Eroi

di Rain of Truth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Libertà ***
Capitolo 2: *** Lettera ***
Capitolo 3: *** Successori al trono ***
Capitolo 4: *** Incontro ***
Capitolo 5: *** Perdere il controllo ***
Capitolo 6: *** Immortalità ***
Capitolo 7: *** Ultima Speranza ***
Capitolo 8: *** Trasferimento ***
Capitolo 9: *** Arrivo ***
Capitolo 10: *** Corsa senza Tempo ***
Capitolo 11: *** Nuove Esperienze ***
Capitolo 12: *** Busta paga ***
Capitolo 13: *** CHAOTIX ***
Capitolo 14: *** Il nuovo mondo ***
Capitolo 15: *** Ognuno ha i suoi problemi ***
Capitolo 16: *** Il Principe e la Ladra ***
Capitolo 17: *** Linee di Confine ***
Capitolo 18: *** I Pirati SolcaCieli ***
Capitolo 19: *** La Bestia in gabbia ***
Capitolo 20: *** Il cuore della Tenebra ***
Capitolo 21: *** Non sempre Rose e Fiori ***



Capitolo 1
*** Libertà ***


Dash

 

Libero. L’unica parola che potesse davvero descrivermi. Niente poteva domare il mio spirito, la mia voglia di vivere e di correre. Amavo la sensazione del vento che mi scompigliava le spine e faceva svolazzare il mio gilet. Amavo tutto del vento. Amavo quando mi seccava le labbra. Quando mi faceva sentire l’unico essere che poteva provare quella magnifica sensazione in quel momento. Quella sensazione unica, che si ottiene soltanto quando si ha un mondo completo da esplorare. Nessuna responsabilità, soltanto spensieratezza. Soltanto qualche attacco occasionale del Dottor. Eggman, come lo chiamava mio padre. Già. Mio padre era l’eroe, l’essere più veloce del mondo, finché non l’avessi superato.  Mio padre, era Sonic the Hedgehog. E io, Dash, ero uno dei sui figli. Avevo ereditato la sua velocità, e anche il suo aspetto. Ero di un blu più scuro rispetto al suo, e gli occhi erano del suo stesso colore se non fosse stato per qualche striatura del colore degli occhi di mia madre, Amy Rose. L’unica cosa che variava da mio padre, erano le spine, molto più selvagge rispetto alle sue, compreso un ciuffo simile a quello di mia madre, che avevo sulla fronte, il quale mi ricadeva sugli occhi. Le mie sorelle, invece, erano molto peggio di me. Assolutamente insopportabili, e chi ha più sorelle in casa, dovrebbe saperlo. Ma questa era un’altra faccenda. Non mi andava di pensare a loro. Non in quel momento di tranquillità assoluta.

Questi pensieri, mi attanagliavano la mente mentre correvo per le enormi distese d’erba di Mobius. Presi un gran respiro di aria fresca, che mi pizzicò le narici. Accelerai la corsa, vedendo a distanza un albero. Decisi di andare a sedermi li vicino, per riposarmi un po’. Quando raggiunsi il punto da me deciso, mi buttai a terra, con l’erba che mi solleticava la schiena. Socchiusi leggermente gli occhi, iniziando ad assopirmi. Il Sole mi riscaldava la pelle, creando un tepore rilassante. Fui sul punto di addormentarmi, quando sentii un urlo, che mi trapasso le orecchie.

Mi alzai immediatamente, spaventato. Mi guardai intorno, in cerca di un qualsiasi segno di un attacco di Eggman, ma di lui non c’era traccia. Abbassai le orecchie, spaesato. Forse me lo ero immaginato. Ma mi sembrava impossibile. Fui sul punto di risedermi, quando un urto spaventosamente forte, mi fece rotolare a terra. Mi era caduto qualcosa addosso, e la cosa mi aveva sorpreso non poco. Dopo aver rotolato qualche metro, guardai cosa avesse potuto colpirmi. Mi alzai a fatica, vedendo che sotto di me stava qualcuno. Quando la vidi, mi sembrava i non poterci credere. Non era un oggetto………….era una ragazza.

‘’E che ragazza’’ pensai. Era una gatta dalla pelliccia nera, con degli aculei anche questi neri, che le ricadevano come capelli lungo le spalle, fino ad arrivare alla vita. Notai che i suoi aculei avevano delle leggere sfumature rosse, come quelle che portava sulle braccia e sulla coda. Riuscii a vederla solo approssimativamente, visto che mi scostò in modo brusco.

-Levati di dosso, idiota- mi sibilò lei con un tono distaccato. Io la guardai stupito, per questa sua reazione. Notai che aveva degli occhi rossi e profondi, che non lasciavano intravedere nessuna emozione. Prima che le potessi fare una qualsiasi domanda, lei mi interruppe. –Conosci questo riccio?- mi chiese, tirando fuori dal suo cappotto una foto, che mi mostrò. Era una foto di mio padre.

La guardai con un’occhiata indifferente. – Perché ti importa?- le sibilai contro. Lei fece un sorriso per niente amichevole. –Questi non sono affari tuoi- mi disse di rimando. Mi ricordava molto l’atteggiamento di qualcuno, ma in quel momento non mi veniva in mente. Io ridacchiai. –Non sei molto amichevole, vero?- chiesi, cercando di essere cordiale. Lei mi ignorò. –Ti ripeto la domanda. Lo conosci oppure no?- chiese in un soffio. Io annuii, riluttante.

-Sì. È mio padre- le sibilai contro, cercando di mantenere la calma. Lei mi squadrò, lanciandomi un’occhiata veloce. –Ci assomigli- dopo aver fatto questa breve considerazione, si frugò nelle tasche, alla ricerca di qualcosa. Quella ragazza non mi piaceva, e se mi ignorava mi dava ancora più sui nervi. Dopo qualche secondo, mi porse una lettera. Io la fissai stranito, prendendole la lettera dalla mano. –Consegnala in fretta ai tuoi genitori- mi sibilò.

-Riferisci a tuo padre- iniziò lei voltandosi – che Shadow the Hedgehog e Blaze the Cat andranno alla riunione di tutto il gruppo – disse, prima di iniziare ad incamminarsi nella direzione opposta alla mia. Iniziò a correre, e sembrava andare alla mia stessa velocità. La fissai con la bocca spalancata. Non era possibile. Come poteva riuscire ad andare alla mia stessa velocità? Sembrava slittare sul terreno. E…………. di che incontro stava parlando? Mio padre non mi aveva accennato a niente di simile. Guardai attentamente la lettera. Aveva un timbro, che mi ricordava molto quello delle casate reali. Era un Chaos Emerald circondato dalle fiamme. Sbuffai, sventolando la lettera. Eppure quella ragazza mi ricordava qualcuno. Guardai fisso davanti a me. Dovevo scoprire chi era quella ragazza, il cui pensiero non mi lasciava la mente. Avevo bisogno di informazioni. E ne avevo bisogno in quel momento.

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Capitolo 2
*** Lettera ***


Dash

 

Aprii la porta della nostra villa di scatto, producendo un suono simile ad un cigolio. Stranamente, non sentivo nessuno che urlava preso da una crisi di nervi, ne vedevo traccia delle mie sorelle. Abbassai un orecchio, quasi intimorito da quel silenzio. –Papà?- chiamai, cercando una qualche traccia di mio padre. Sentii dei passi, venire dal piano di sopra. –EMILY!- urlò, una voce a me troppo familiare. Sospirai, esasperato. Ed ecco che le mie sorelle ricominciavano a litigare. Vidi correre giù dalle scale bianche Emily, una riccia rosa, praticamente uguale in tutto e per tutto a mia madre. Aveva degli aculei corti e mossi, il viso grazioso ed un sorriso dolcissimo, con degli occhi azzurri come il mare. Era la femminilità fatta a persona, come diceva l’altra mia sorella, Sunny. Dopo qualche secondo, vidi anche lei correre giù dalla scalinata, mentre cercava di acchiappare sua sorella. Sunny, al contrario di Emily, era di un azzurro chiaro, aveva gli aculei lunghi e ordinati, e il viso le risplendeva, grazie ai meravigliosi occhi color smeraldo. Aveva un carattere molto più maschile rispetto ad Emily, cosa che quest’ultima non rispettava affatto.

-EMILY!- strillò di nuovo Sunny. Sbuffai, quando l’acchiappò. –Emily, ridammi subito i guanti!- strillò. Io le guardai, divertito. Emily scosse la testa. –Stanno benissimo con gli abiti che voglio mettere per stasera!- sibilò, cercando di scollarsela di dosso. Le guardai stupito.

-Aspettate. Cosa c’è questa sera?- chiesi, strappando dalle mani di Emily i guanti rubati. Lei mi fece la linguaccia. Sunny riprese quello che le apparteneva, rimirandoseli quando furono nuovamente sulle mani della padrona.

Poi mi lanciò un’occhiata. –Beh, c’è l’incontro con tutti gli amici di papà. Te ne sei scordato?- mi chiese, guardandomi divertita. Io abbassai le orecchie. –No. Io non ne sapevo assolutamente niente- decretai, incrociando le braccia. Sunny mi guardò scettica. – Eppure quando papà ce l'ha detto, eri presente anche tu all’appello- disse con fare ironico. io alzai un sopracciglio. –O almeno. C’eri, finché non sei schizzato via dalla porta correndo prima che papà potesse finire la frase- rise, mettendosi le mani sui fianchi. Io roteai gli occhi. Ecco perché non lo sapevo.

-Beh, vai a preparati no?- disse Emily, prima di guardare Sunny con aria sognante. –Sarà pieno di ragazzi carini!- disse, con un tono assolutamente sdolcinato, che fece sogghignare Sunny. –Certo, come no- disse, cercando di evitare il discorso che le sarebbe costato la sua dignità. Solo dopo qualche minuto, mi accorsi di avere ancora la lettera in mano. Prima che potessi parlare, un suono di voci mi distrasse.

-Siamo tornati!- urlò la voce allegra di mia madre. Io e le mie sorelle andammo a salutarli, raggiungendoli nell’ingresso posteriore. Appena vidi mio padre, non riuscii a trattenere una sonora risata. Teneva miriadi di borse in mano. le appoggiò tutte in malo modo per terra, dirigendosi verso il divano. Ci si buttò sopra, sbuffando.

-Ricordatemi, di non accompagnare mai più vostra madre a fare compere- disse, con un tono stanchissimo. Io lo guardai divertito. In quelle condizioni, nessuno avrebbe pensato che quel riccio potesse raggiungere la velocità del suono in pochi secondi.

-Papà- lo richiamai, prima di scordarmelo. – Oggi ho incontrato una ragazza che mi ha dato questa- dissi, porgendogli la lettera. Lui la guardò stranito. –Dice che dei certi Shadow e Blaze, verranno all’incontro- dissi, sperando di non aver dimenticato niente di importante.

Il volto di mio padre si illuminò, mentre leggeva il foglio di pergamena. Dopo qualche breve momento, finì la lettura. –Quindi il mio caro amico Emo-Hog ha messo su famiglia- disse, ridacchiando. Mia madre lo fissò con fare interrogativo. –Shadow e Blaze si uniranno alla festa- spiegò, con il sorriso beffardo che lo distingueva da chiunque.

-Avrò visto soltanto un paio di volte i loro figli- disse mia madre, con fare pensieroso. Emily ci fissava, interdetta. –Mi state dicendo che quel riccio con la pelliccia nera, che ci avete mostrato in qualche foto………….ha un figlio?- chiese, sognante. Sunny scosse la testa, esasperata. –Riesci a pensare soltanto ai ragazzi. Pensa a qualcosa di più interessante!- esclamò quest’ultima. Mio padre ridacchiò. –Piuttosto, Dash. Vai a farti una doccia. Ne hai bisogno- disse, notando il sudore che mi imperlava la fronte. Io annuii, dirigendomi verso il bagno. Eppure, quella ragazza mi era tremendamente familiare. Scossi la testa. Ma cosa me ne importa? Era soltanto una persona sgradevole e per niente piacevole, visto il modo in cui mi aveva trattato. Ma non potevo assolutamente negare, che il pensiero di quella ragazza mi attirava. Non sapevo chi era, ne cosa voleva. Ma ero certo, che in qualche modo sarei riuscito a ritrovarla, e magari ad avere un incontro meno turbolento con lei.

 

 

Note d’autore: Salve! Allora, spero che questa storia sia di vostro gradimento, e di dirmi quello che ne pensate. Grazie mille!

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Capitolo 3
*** Successori al trono ***


Althea

 

Slittavo velocemente sul terreno, desiderosa di ritornare in fretta alla mia dimensione. Non era stata una delle mie giornate migliori, questo decisamente no. Mi ero scontrata con un’idiota che sosteneva di essere il figlio del riccio che cercavo. Mi chiedevo come mai non potesse andarci mio padre di persona a risolvere le sue questioni. Sbuffai, infastidita. Certo, sapevo che sia lui che mia madre avevano dei compiti da rispettare, come sovrani del regno. Ma non vedo il motivo per non mandarci mio fratello a cercare questo fantomatico ‘Sonic’.  Il vento faceva agitare al vento i miei aculei, mentre correvo alle mie solite velocità, grazie agli stivali che mi aveva gentilmente costruito Marine, e li aveva creati con funzionalità simili ai pattini di mio padre.

Dopo qualche minuto di corsa, trovai finalmente il portale, che mi avrebbe dovuto riportare nella mia dimensione. A casa mia. Rallentai, quando arrivai nelle sue vicinanze. Mi fermai a qualche passo da esso. Rilasciava energia di secondo in secondo, e si poteva sentire distintamente il potere che emanava.

Entrai con passo spedito nel portale, ignorando la sensazione di calore che mi bruciava il petto. Non vidi niente, tranne una luce accecante, che appariva ogni qual volta attraversassi un portale. Chiusi gli occhi, in attesa che quella luce sparisse. Quando li riaprii, non c’era  più nessuna luce. Ero nell’officina di Marine, uno dei posti più confusionari che avessi mai visto. Ma profumava di casa mia, e la cosa mi bastava. Diedi una veloce occhiata in giro, per cercare una qualche traccia della ragazza che consideravo come una zia. Guardai le foto che Marine conservava. Raffiguravano lei e mia madre, quando era più giovane. In alcune foto, c’era anche quel riccio blu che mio padre mi aveva incaricato di cercare.

-Althea!- mi sentii chiamare, distraendomi. Mi voltai verso la porta, notando che la ragazza procione mi sorrideva radiosa. Rispetto a com’era da giovane, era cambiata molto. Adesso teneva i capelli sciolti, che nonostante tutto le davano un aspetto più maturo. Aveva sempre la gioia dipinta sul volto, questo non sarebbe cambiato. –Speravo che tu fossi tornata! Tuo padre mi ha detto di venirti a cercare- disse, con un tono perennemente divertito. Io annuii, leggermente riluttante. Mi diressi all’uscita dell’officina, e richiusi la porta, sospirando. Certe volte, quella ragazza mi dava i nervi senza neanche aver fatto niente. Non riuscivo a capacitarmi come una persona avesse così tanta voglia di parlare. Infondo, nella mia famiglia non si parlava molto, e sia io che mio fratello avevamo un carattere chiuso e distante. Anche se lui in dose minore, in un certo senso. Infondo, colei che sarebbe dovuta diventare regina ero io. O almeno, le aspettative erano quelle. C’era una continua battaglia tra me e  mio fratello. Lui sosteneva di essere il più adatto a diventare re, dato che io ero un’incapace, come dice lui. Scossi la testa, cercando di non innervosirmi. Non dovevo far scaturire le fiamme. Non ne avevo mai avuto il controllo, diversamente da mio fratello, che riusciva a domarle alla perfezione.

Camminavo per gli enormi corridoi del castello, in cerca dei miei genitori. –Papà è nella sala del trono- disse, una voce assolutamente calma e scura. Io mi voltai, vedendo mio fratello Alexis in tutta la sua bellezza. Tante, troppe, erano le ragazze che gli correvano dietro, come facevano con mio padre. Mio fratello aveva i colori invertiti a quelli di nostro padre. Aveva la pelliccia completamente rossa, con un ciuffo ribelle sulla fronte.  La pelliccia che aveva sul petto era completamente nera, come le strisce sulle spine, rivolte all’insù, simili a quelle di mio padre. Aveva gli occhi di colori diversi dai miei, uno color caramello, pieno di variazioni di tonalità, e l’altro rosso, come quelli di nostro padre. Portava una bandana sul collo, di un marrone scuro. Se si guardava attentamente, tra le spine si potevano trovare delle sfumature lilla, così leggere da non potersi vedere

-Grazie, Alexis- dissi velocemente, dirigendomi verso la sala del trono, con mio fratello alle calcagna. –Hai trovato il rivale di nostro padre?- chiese. Io annuii. –Se è come il figlio, non sarà niente di che- lui mi guardò con fare interrogativo, ma non gli lasciai il tempo di farmi domande. Non avevo voglia di parlarne, ne di pensare di nuovo  a quel riccio così idiota da osare guardarmi e a parlarmi amichevolmente. Aprii gli enormi portoni che portavano alla sala dove risiedeva mio padre.

Non dovetti neanche guardarmi intorno. Lui era al centro della stanza, insieme a mia madre. Sembrava non aspettare altro che me. Trattenetti per un attimo il respiro, senza rendermene conto. Si può dire che mio padre era una figura imponente, e certe volte mi faceva questo effetto. Lui aveva il mio completo rispetto, ed ero molto legata a lui. Se c’era una cosa che avevo ereditato da lui, era il perfetto controllo del Chaos.

Lui fece un sorriso, guardandoci. La mantella rossa sulle sue spalle, si muoveva impercettibilmente, e la corona che lui e mia madre indossavano, risplendeva, ricordandoci perennemente cosa eravamo, e cosa dovevamo diventare.

-Mi hai fatto chiamare, papà?- chiesi, avvicinandomi ai miei genitori. Lui annuì, insieme a mia madre. -Hai consegnato il messaggio a Sonic?- mi chiese la voce delicata di mia madre. Io abbassai un orecchio. –L’ho consegnato ad il riccio che sosteneva di essere suo figlio- dissi, sperando di non aver creato problemi. Mio padre continuava a fissarmi. –Che aspetto aveva?- chiese. Io ci riflettei un attimo. –Aveva un carattere impertinente, sbruffone. Era blu, con le spine disordinate- dissi controvoglia, non volendomi ricordare l’incontro.

Mio padre sbuffò. –È sicuramente suo figlio- sibilò. Mia madre ridacchiò. –E come ti è sembrato?- chiese mio fratello, divertito. Io gli lanciai un’occhiataccia, mentre mi incamminavo vero l’uscita della sala. –Come mi è sembrato?- chiesi, con un tono nervoso. Sentivo gli sguardi dei miei genitori su di me. – Una nullità totale- sibilai.  Mi voltai un attimo. Mio padre sembrava quasi sollevato dalla mia risposta.

-Bene. Andate a prepararvi, ragazzi- ci congedò lui, facendoci un cenno. Noi annuimmo. Mentre camminavamo, non potei fare a meno di digrignare i denti. Il pensiero di quel riccio mi innervosiva terribilmente. Quel genere di persona che cerca di essere amico di tutti, sempre con il sorriso sulla faccia.

Quelle persone che possono fare quello che vogliono, che non erano costrette a diventare un qualcuno soltanto perché le persone si aspettavano questo da te. Perché tutto un regno, se lo aspettava. Scossi la testa, cercando di levarmi questi pensieri dalla testa. Quella sera avrei rivisto quel riccio. E gli avrei mostrato, che non bisognava essere sempre amichevoli e con il sorriso sulle labbra. Sentii delle scintille di fiamme sprizzarmi fuori dalle mani. Si. Quella sera gli avrei mostrato quanto io fossi amichevole nei suoi confronti.

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Capitolo 4
*** Incontro ***


Dash

 

 

-Allora? Come sto?- mi chiese Emily, guardandosi allo specchio. Io sospirai, esasperato. –Sarà la quinta volta che me lo chiedi, e ogni volta ti vesti diversamente. Stai bene, ok?- chiesi, stufo di aspettare le mie sorelle. Ero seduto sul letto di Sunny, che stava aspettando insieme a me che Emily finisse di provarsi ogni tipo di vestito che ci fosse in casa. La riccia rosa sbuffò. –Non trovo niente che mi stia bene. È meglio se mi cambio- disse, dandosi un’ultima occhiata allo specchio. Sunny sembrava esasperata quanto me. –No, ti prego. Stai benissimo. Sei magnifica- la supplicai. Emily ridacchiò, soddisfatta. Io appoggiai il muso sulle mani, in attesa che nostro padre venisse a chiamarci.

Dopo qualche minuto, finalmente sentimmo un bussare alla porta. Nostra madre spunto oltre la soglia della stanza, sorridendoci. –Siete pronti?- ci chiese, guardandoci. Io mi alzai dal letto, stirandomi i muscoli delle gambe, annuendo. Mi diressi velocemente giù per le scale, trovando nostro padre che ci aspettava.

-Eccomi, in tutta la mia straordinaria bellezza!- decretai, alzando le braccia. Emily ridacchiò. –La tua bellezza inesistente?- io ignorai la sua affermazione. –Ho molto fascino, e tu lo sai- le sibilai contro. Emily mi sorrise, con fare di scherno. Prima che potesse dire qualcosa, mia madre ci interruppe.

-Allora, gli ospiti stanno per arrivare. Vi chiedo di essere educati- disse, con un sorriso. Poi iniziò a fissarmi.  -È chiaro il concetto, Dash?- mi chiese. Io abbassai un orecchio, ma annuii, senza controbattere. Quando sentii bussare alla porta, mi diressi velocemente li. Dopo che la ebbi aperta, mi ritrovai davanti gli amici di mio padre, Tails e Knuckles. Li guardai con un sorriso. –Dash! Da quanto tempo non ci vediamo!- esclamò Tails, mettendomi una mano tra le spine. Io ridacchia, divertito. Adoravo quei due, erano praticamente due zii. Mio padre ci raggiunse immediatamente, salutando con calore i suoi due amici. –Cavolo Tails. Continui a crescere- esclamò mio padre. Knuckles ridacchiò. –Sonic, ormai non siamo più i diciottenni che vanno a sventare i piani di Eggman- disse l’echidna, con un sorriso malinconico. Sonic annuì, d’accordo con le sue parole.

-Adesso bisogna lasciare spazio alle generazioni più giovani- disse quest’ultimo, pensieroso. Io ridacchiai. Poi, il volto di mio padre sembrò illuminarsi. –Qualche notizia dell’Emo-Hog?- chiese, guardando Tails. Lui scosse la testa. Poi, sul volto di mio padre comparve un sorriso malizioso, mentre guardava Knuckles.

-Allora, testa calda. Mi è giunta voce che hai messo su famiglia- disse, con il sorriso sornione. Knuckles distolse lo sguardo. Io ridacchiai, notando il suo imbarazzo. –Quindi adesso Rouge non ti dovrebbe più rubare il Master Emerald- esclamò mio padre, quasi ebbe un’illuminazione. Knuckles cercò di coprirsi la faccia, per non far notare l’imbarazzo. –E dove sarebbe tua figlia?- chiese sempre mio padre. Prima che l’echidna potesse rispondere, notai qualcosa nel cielo, che planò velocemente verso la nostra porta.

-Eccoci, Knuckie!- esclamò una voce, quasi ad essere maliziosa. Io mi sporsi leggermente, per vedere gli arrivati. Al sentire quella voce, Knuckles si voltò. Alle sue spalle, c’era la donna che mio padre aveva detto si chiamasse Rouge. Al suo fianco, c’era una echidna bianca, con delle sfumature rosse sugli aculei, che ricadevano morbidi sulle spalle. Aveva degli occhi violacei, praticamente uguali a quelli di Knuckles. Stabilii che quella era sua figlia. Notai  anche che aveva delle forme prosperose. Scossi la testa, cercando con tutte le forze di distogliermi da questi pensieri. La ragazza mi rivolse un sorriso gentile, salutandomi. Io ricambiai il saluto, con uno dei miei soliti sorrisi. Si diresse verso di me, presentandosi. –Ciao! Io sono Amethist- disse, con un sorriso leggermente timido. –Dash- dissi, presentandomi anche io. Nonostante conoscessi abbastanza bene Knuckles, non avevo mai conosciuto sua figlia. Le mie sorelle ci raggiunsero, per presentarsi anche loro.

Prima che potessimo aggiungere altro, sentii uno strano rumore provenire dal giardino. Abbassai un orecchio, uscendo dalla porta insieme a mio padre. Vedemmo una specie di portale, quasi accecante. Mi portai una mano davanti agli occhi, per coprirmi la visuale.

Quando credetti che la luce fosse scomparsa, mi scoprii gli occhi. Davanti a me, vidi delle persone da quello che credevo fosse un portale. Il primo, era un riccio dalla pelliccia completamente nera, e gli occhi rossi. La mantella che portava sulle spalle svolazzava nel vento. Mio padre sorrise, entusiasta. –Emo-Hog!- urlò correndogli incontro. –Shadow, da quanto è, circa vent’anni che non ci vediamo?- gli chiese, mettendogli una mano sulla spalla. Il riccio striato di rosso lo scostò. – Tra gli anni migliori della mia vita- disse, con un tono distaccato. Mio padre ridacchiò. –E tu non sei cambiato per niente- stabilì, con un sorriso beffardo sul volto. Dopo qualche secondo, ci fu un’altra luce, che durò pochi secondi. Dal portale, apparirono una gatta color lilla con una ragazza procione, che ci saluto gioiosa.

-Blaze! Marine!- esclamò di nuovo mio padre, andando a salutarle. Mi misi davanti al portale, incuriosito. Lo fissai per qualche secondo. Mi sembrava strano come potessero esistere certe cose, utilizzando il potere del Chaos. Sentii dei rumori, dall’altra parte del portale.

Prima che potessi reagire, qualcosa mi diede una forte spinta, che mi fece chiudere gli occhi di scatto. Quando li riaprii, notai qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Davanti a me, si stagliava la stessa ragazza che mi era caduta addosso poche ore prima, dandomi dell’idiota. Lei mi fissava stoica, per niente sorpresa del fatto di rivedermi li in quel momento.

-Ciao, idiota- mi sibilò contro, guardandomi con un’espressione indecifrabile. Io abbassai leggermente un orecchio. Si può sapere che cosa aveva questa ragazza? Il riccio dalla pelliccia rossa che le stava accanto, mi fissava quasi annoiato, con la bandana che gli ricopriva una parte del muso. Sorrisi ad entrambi, cercando di essere  amichevole. –Benvenuti! Io mi chiamo Dash the Hedgehog. Voi siete?- chiesi, guardandoli con la simpatia nello sguardo. La ragazza abbassò le orecchie.

-Ascoltami riccio. Non mi importa niente di chi sei, e a te non importa niente di chi sono io. Quindi, levati di mezzo- disse, scostandomi con un braccio. Io la fissai stupito, rivolgendo uno sguardo al riccio che poco fa era vicino a lei. Lui alzò le spalle. –Tanto mia madre mi costringerebbe comunque a fare la vostra conoscenza. Io sono Alexis the Hedgehog- esclamò, con un tono svogliato ma porgendomi la mano. Dovevo ammettere che per la maggior parte delle ragazze, lui sarebbe sembrato il ragazzo perfetto.  Notai che aveva dei guanti senza dita, con una targhetta in prossimità del polso, che tintinnava ogni qualvolta lui si muovesse. Io lo guardai riluttante. Quei due non mi piacevano, ma decisi di ricambiare la stretta di mano. Lui la strinse più forte del dovuto, con un sorriso non proprio rassicurante. Eppure con quella ragazza, sembrava molto più gentile. Decretai che quelli non erano affari miei, e mi allontanai, dirigendomi nuovamente in casa mia.

Le mie sorelle stavano parlando con quell’echidna bianca di prima, e mi diressi verso di loro. Dopo qualche minuto, vidi entrare il riccio dalla pelliccia nera e la gatta lilla, seguito da quelli che  dovevano essere i loro figli, vista la tremenda somiglianza. Mia madre, appena avvistata quella che mio padre diceva si chiamasse Blaze, le si lanciò contro, stritolandola in un abbraccio.

-Blaze, è da vent’anni che non ti vedo!- disse, continuando a stringerla. La gatta sembrava respirare a fatica ed era a disagio, ma stette ancora per qualche secondo nella morsa di mia madre. –Sì. In effetti sentivo la tua mancanza- disse la gatta con un tono pacato, sorridendole.

Mia sorella Emily, appena vide il riccio che diceva di chiamarsi Alexis, tenne la bocca aperta. –E quello chi è?- chiese, con un tono sognante. Il riccio ci notò, e stava sorridendo malizioso. Dopo qualche secondo, strizzò l’occhio alle mie due sorelle. Emily sembrava impazzita, mentre Sunny non fece una piega. –Si può sapere che cosa vuole?- chiese, in un sibilo. Io le ignorai completamente. Notai che il riccio chiamato Shadow, o così aveva detto mio padre, si stava dirigendo verso Tails con un’aria preoccupata. Abbassai un orecchio. Sentivo soltanto spezzoni del discorso, e quello di cui parlavano mi inquietava leggermente. Parlavano di immortalità, e Tails annuiva, come se fosse d’accordo. Scossi la testa, cercando di non origliare delle faccende che non erano le mie.

Vidi la gatta nera dirigersi in giardino, cosa che mi incuriosì leggermente. Non mi fidavo di lei, e dicerto non l’avrei lasciata aggirarsi per casa mia come se niente fosse. Quando uscii dalla porta, di lei non c’era più traccia.

-Forse il concetto ‘levati di mezzo’ non ti è ben chiaro, vero riccio?- mi chiese la sua voce. Mi guardai un attimo intorno. La voce veniva dall’alto, anche se mi sembrava strano. Avanzai di qualche passo, vedendo una sagoma scura sulla punta di un albero. Alzai lo sguardo, notando che quella ragazza misteriosa mi stava fissando con i suoi occhi quasi inquietanti.

-Sai, non è il mio passatempo preferito farmi chiamare idiota dalle belle ragazze. E comunque questa è casa mia- sibilai, con un tono leggermente divertito. Lei sembrava innervosita dalla mia risposta. –Tu dovresti temermi. E dovresti iniziare a farlo ora- disse a bassa voce, scendendo con un salto dall’albero, e atterrando a pochi metri lontana da me. Io sogghignai.

-Come mai quest’aria di sufficienza?- le chiesi, notando la sua rabbia crescere.  Iniziai a sentire un forte odore di bruciato, e il fumo crescere intorno  a noi due. – E io non temo nessuno.  Neanche una come te- mormorai. Lei ghignò, in un modo da incutermi un leggero timore.

-Questo- iniziò, con le fiamme che crescevano, intorno a noi. –Lo vedremo- decretò, con l’energia che le sprizzava fuori dal corpo. Io feci un passo avanti, mettendomi in posizione per correre.

–Non vedo l’ora- dissi, con un sorriso. Quella ragazza era pazzesca. Emanava una forza incredibile, e io non aspettavo altro che metterla alla prova.

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Capitolo 5
*** Perdere il controllo ***


Dash

Mi bruciavano gli occhi a causa del fumo, che riduceva notevolmente la mia visuale. Ma l’oggetto delle mie attenzioni in quel momento, era ben visibile. La gatta nera stava a qualche metro da me, fissandomi furiosa.  –Tu non hai la più pallida idea di quello che stai per fare, riccio- sibilò, stringendo i pugni con forza. Io ridacchiai. –Oh, tu dici? Io invece credo che stia per divertirmi molto- le ghignai contro. Si stava innervosendo, e si vedeva. –Bene- mormorò, avvicinandosi velocemente a me, e tirandomi un pugno in pancia, che non schivai. Faceva un male tremendo. Mi mancò il respiro per quella che sembrò un eternità, e mi allontanai velocemente. Quello che era più strano, era che il punto in cui mi aveva colpito bruciava, come se avessi toccato del fuoco.

Le fiamme intorno a noi continuavano a crescere, facendomi nonostante tutto sogghignare. Avevo un’avversaria della mia altezza. Si avvicinò nuovamente, per provare a colpirmi con un pugno. Le afferrai il braccio poco prima che mi sfiorasse, e le tirai un calcio sulla schiena. Lei sbarrò gli occhi, ma si dimenò per liberarsi dalla mia stretta. Iniziai a farla girare, con tutta l’intenzione di mandarla a sbattere contro un albero. Abbassai le orecchie, quando notai che il braccio che le stavo stringendo aveva preso fuoco. La rilasciai di scatto, iniziando a correre velocemente intorno a lei. Non ne sembrava disorientata, e si bloccò per qualche secondo. Prima che potessi attaccarla, lei si voltò, lanciandomi una palla di fuoco che mi colpì il braccio. Faceva un male tremendo, terribile. Ma lei non sembrava affaticata, aveva una strano luccichio negli occhi, quasi come se tutto questo la divertisse. La colpii con un pugno in faccia, e lei cadde a terra per qualche secondo. Si rialzò immediatamente. Le sanguinava una guancia e il naso. Lei si era allontanata di qualche passo. Io le corsi incontro, cercando di assestarle un colpo. Lei mi mise una mano sulla spalla, scavalcandomi. Prima di poter reagire, lei mi tiro un calcio in testa, facendomi crollare a terra. Mi alzai, leggermente affaticato. Quando mi avvicinai nuovamente a lei per colpirla, non la vidi. Il fumo mi copriva la visuale, e mi rendeva difficile respirare. Mi bloccai di colpo, quando dietro di me sentii una voce.

-Ti stai divertendo?- mi chiese lei. Prima che potessi reagire, mi tirò una gomitata sul collo, che mi fece strisciare sul terreno da quanta forza aveva usato. Mi alzai come se niente fosse, ignorando i graffi che avevo sul corpo. Mi posai una mano sul collo, facendolo scrocchiare. – Ok. Quello ha rimesso a posto le cose dal calcio di prima- dissi, con un ghigno. Lei si infuriò ancora di più, creando una vampata di fiamme. Mi strinsi il braccio colpito poco prima dal fuoco. Stava sanguinando. Mi girai, e la vidi inginocchiata, che respirava affannosa. Abbassai un orecchio. Che cosa le prendeva? Lei mi rivolse uno sguardo irato.

- Tu sei sotto il mio potere. Devi tornarci- sibilò. Sembrava parlare con se stessa, e non con me. Notai che il fuoco aveva chiuso ogni via di fuga, e che continuava a crescere, creando un caldo insopportabile. Non riuscivo a respirare, e la vista mi si appannava. Una paura tremenda mi si instaurò nel petto. –Cosa stai facendo? Andiamocene- le urlai, spaventato. Lei non reagiva, stava immobile, fissando il terreno. –Non lo controllo. Non più- mormorò lei, completamente presa dal panico.  Vidi le fiamme farsi più potenti, più vive. Quindi era questo che le accadeva quando era nervosa. Mi guardò di nuovo, con la determinazione pura negli occhi. Si alzò di nuovo, dirigendosi verso di me e tirandomi un pugno sul muso. Non intendeva arrendersi, quindi. Le tirai un calcio, che lei non parò. Il cerchio di fiamme continuava a stringersi, limitando i nostri movimenti. Sapevo che eravamo in un grande pericolo, ma nessuno dei due smetteva di attaccare l’altro. Quando una delle fiamme mi toccò una gamba, urlai dal dolore. Mi chinai su un ginocchio, incapace di stare in piedi. Se queste fiamme non smettevano di prendere il controllo, ci avrebbero bruciati vivi. Tirai un ultimo calcio con la gamba sana alla ragazza , che si allontanò il più possibile.

La gatta si stringeva la testa, cercando di calmarsi. –DASH!- sentii  urlare. Era la voce di mia madre, ma non riuscivo a scorgerla per il troppo fumo. Sentii quello che sembrava uno schiocco di dita, e le fiamme si abbassarono all’improvviso. Il fumò diminuì notevolmente, fino a diventare quasi trasparente. Dopo qualche secondo, le fiamme si dileguarono completamente, lasciando soltanto cenere. –Abbiamo visto il fumo- disse mio padre, guardandomi stupito.

Vidi mia madre che mi fissava infuriata, e quel riccio blu di mio padre che ne sembrava quasi spaventato. Con la coda dell’occhio, vidi i genitori di quella ragazza.

-Dash the Hedgehog! Vieni subito QUI!- strillò mia madre, distruggendomi i timpani. Mi avvicinai a lei, cercando di non toccarmi le bruciature.

- Althea- pronunciò la madre della ragazza. Althea? Quindi era questo il suo nome? –DASH! SBRIGATI!- strillò mia madre, distraendomi. Appena fui a qualche passo da lei, mi tirò un ceffone. Sentii un bruciore sulla guancia, che si aggiunse alle altre ferite. –Si può sapere che cosa ti è preso?! Ti sei azzuffato con una ragazza! Sei completamente………….- mi si avvicinò nuovamente, tirandomi un altro schiaffo. –IMPAZZITO?!- Mi urlò contro. Mio padre non diceva niente, ma guardava mia madre.

-Amy, forse stai………….- tentò lui di parlare, ma mia madre lo interruppe. –Tu stai zitto!- gli urlò contro. Mio padre sbarrò gli occhi, indietreggiando leggermente. –È solamente colpa tua se è così indisciplinato!- gli strillò contro. Approfittai di quel momento di distrazione, e rivolsi una veloce occhiata alla ragazza. Stava con il capo chino, mentre i suoi genitori la guardavano severi. Sospirai. Di certo non ci eravamo messi in una bella situazione. Questa, era una certezza.

 

Althea

Le ferite facevano male. Molto. Ma mai quanto lo sguardo dei miei genitori. Sentivo le grida della madre del riccio, ma in quel momento non me ne poteva importare di meno. Alzai lo sguardo, incontrando gli occhi di mio padre, che in quel momento sembravano spenti. Abbassai le orecchie, a disagio.

-Althea-mi richiamò lui. –Ti rendi conto di quello che hai fatto?- mi chiese, con un tono pacato. Sospirò. –Tu non sei come tutte le altre ragazze, Althea. Tu tra poco tempo diventerai una regina. Hai dei poteri, che non sono sotto il tuo controllo, e che possono essere potenzialmente pericolosi per le persone che ti stanno accanto- notai lo sguardo perso di mio padre, anche se mi guardava negli occhi. –Noi non vivremo per sempre. Io, non ci sarò per sempre- mia madre gli rivolse un’occhiata fugace, quasi cercando di non farsi vedere da me.

 -Lo vuoi capire che razza di responsabilità hai sulle spalle? Un popolo si affida a te, per la sua salvezza- mi sibilò contro.

-Se ti lasci sempre coinvolgere per un’qualcosa che ti possa far perdere il controllo………….- si interruppe un attimo, come a prendere coraggio sul dire qualcosa. – Allora non sarai mai adatta a diventare una regina - sibilò. Sbarrai gli occhi. Sentivo un dolore acuto nel petto, quasi come se si fosse rotto qualcosa dentro di me. Senti l’angoscia crescermi dentro. Avevo un groppo in gola, che quasi mi impediva di parlare. Mi limitai ad annuire.

-Se non riesci a controllarti, a tenere sotto controllo i tuoi poteri, allora non potrai davvero diventare la nuova guardiana. Per essere una regina, devi avere i giusti ideali e avere la potenza necessaria per poter proteggere il tuo popolo. Ma non in questo stato- Disse a voce bassa. Non aveva urlato, ma le sue parole la avevo assimilate dalla prima lettera fino all’ultima . Mio padre indietreggiò, quasi avesse notato qualcosa.     -Ora devo andare- disse, dandomi le spalle e iniziando a rientrare nella casa. Lo aveva detto con uno strano tono di voce, quasi preoccupato. Aveva uno sguardo vacuo, e la cosa non mi era sfuggita. Strinsi i pugni. Mia madre mi lanciò un’occhiata, e poi seguì mio padre all’interno della villa. Sospirai, lanciando un’occhiata al riccio.

Io ero stata cresciuta allenandomi fin dai primi di anni di vita, sempre con l’idea di dover diventare una regina. Mi sono isolata dagli altri, a causa dei miei poteri senza controllo.  E ora sarebbe potuto diventare tutto inutile?

Mi sedetti sul terreno. Dovevo imparare a mantenere il controllo dei miei poteri. Lo avrei fatto per il mio regno. Per mio padre.

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Capitolo 6
*** Immortalità ***


Shadow

Camminavo con passo spedito per gli enormi corridoi del castello, con i miei passi che risuonavano nel silenzio più totale. Vagavo con lo sguardo, in cerca di mia moglie. Avevo bisogno di lei, e ne avevo bisogno in quel momento esatto. Dovevo parlarle di una faccenda importante, riguardo al discorso che avevo fatto qualche giorno prima con Tails. Una fitta di preoccupazione mi colpì il petto.

Dopo qualche minuto di camminata, mi fermai davanti all’enorme balconata, che dava una vista su tutto il regno. Vidi la sagoma della mia consorte, che restava immobile mentre contemplava le enormi distese d’erba. Mosse leggermente un orecchio, cosa che significava che aveva sentito la mia presenza. –Blaze- la richiamai, mentre mi avvicinavo a lei. Lei si voltò, guardandomi. Mi misi al suo fianco, appoggiandomi al grande balcone. –Ti devo parlare- mormorai, passandomi una mano sul muso, da quanto ero sfinito. Lei mi lanciò un’occhiata interrogativa.  –Shadow, ti senti bene? Sei pallido- mi chiese, con uno strano tono di voce. Io annuii. –Dove sono i ragazzi?- chiesi, guardandomi intorno. Speravo che non fossero nelle vicinanze. Blaze sospirò. –Sono usciti, credo. Perché?- io incrociai le braccia al petto. –Meglio- mormorai.

-Devo dirti una cosa importante- dissi, cercando di tornare sul discorso. Blaze annuì, pronta per ascoltarmi. Presi un lungo respiro, cercando di calmarmi. – Ho deciso di rimuovere ogni traccia della mia immortalità- dissi, a bassa voce. Blaze sbarrò leggermente gli occhi. –Ne ho parlato con Tails, quando siamo andati a casa di Sonic. Ha detto che forse ci potrebbe essere un modo per farlo- Blaze sembrava pensierosa.

-Il problema- continuai. –È che ci potrebbero essere degli effetti collaterali- dissi, fissando il pavimento. Blaze sospirò. –Sei mio marito. E sostengo ogni tua scelta. Ma…………. Sei sicuro di volerlo? È una scelta importante. Insomma, devi guardare ogni lato positivo e negativo- io scossi la testa. –Ci ho pensato. Ne sono certo. Non voglio vedervi morire prima di me- mormorai, stringendo la presa che avevo sulle mie braccia.

Lei mi mise una mano sulla spalla, quasi a rassicurarmi. Feci un debole sorriso. Mi affacciai sul balcone. –E questo mi preoccupa. Se morirò, Althea un giorno diventerà regina. Ma nelle condizioni in cui è ora, non ci riuscirebbe mai- mormorai, con la preoccupazione che cominciava a crescermi nel petto. Blaze sospirò. –Di questo non ti devi preoccupare. Lei è abbastanza matura, e capirà che l’unico modo per controllare i suoi poteri è allenarsi. E con il tempo ci riuscirà- disse, guardando l’orizzonte. Io annuii, preso dai miei pensieri.

-Grazie, Blaze- dissi, a bassa voce. Ora, l’unica cosa di cui mi dovevo preoccupare, era la speranza che Tails riuscisse a trovare una soluzione per la mia immortalità. E che i miei due figli, riuscissero a diventare dei sovrani eccellenti.

 

 

 

Nel frattempo, in luogo oscuro e remoto…

 

Note d’Autore: Salve a tutti! Allora, chiedo scusa se questo capitolo è un po’corto, ma per delle mancanze di tempo non sono proprio riuscita a fare di più! Vi ringrazio comunque!

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Capitolo 7
*** Ultima Speranza ***


Eggman

 

La luce degli schermi dei computer mi rischiarava il volto, riflettendosi sui miei occhiali. Il rumore dei macchinari meccanici risuonava nel laboratorio, dove alcuni di essi erano completamente fuori uso. Si poteva distinguere un leggero odore di muffa, dato l’inutilizzo da svariati anni di varie macchine. Le mie dita scorrevano velocemente sulla tastiera del computer, mentre ricercavo delle informazioni.  Cercavo con gli occhi le le foto che avevo fatto poco tempo prima, al Tempio di Chaos.

-La sua cena, Dottor Eggman- mi interruppe Orbot, mentre mi porgeva un panino. Lo afferrai senza pensarci troppo, e borbottai dei ringraziamenti. –Come procede il suo piano?- mi chiese Orbot, con quello sguardo doppiogiochista che lo aveva sempre caratterizzato. Sentii il nervoso crescermi nel corpo.

-Finché Cubot non ci porta conferma riguardo alle iscrizioni che abbiamo trovato, non riusciremo mai a saperlo! - strillai, cercando di riprendere la concentrazione. Orbot fluttuò qualche metro lontano da me, imprecando delle offese sottovoce, probabilmente contro di me. Sentii degli atri rumori metallici, avvicinarsi a me. Cubot mi apparì davanti, con le mani stracolme di fogli. –Dottore, abbiamo ricevuto conferma della traduzione dei geroglifici. La prima versione che abbiamo avuto era corretta- disse quest’ultimo, dopo avermi passato i fogli. Si sdraiò sul pavimento, con fare svogliato. Dopo qualche minuto di silenzio, Cubot parlò.

- Quindi, crede che questa volta filerà tutto liscio?- mi chiese. Io lo ignorai per qualche secondo, mentre cercavo di far apparire la traduzione delle iscrizioni sull’enorme schermo del laboratorio. Quando ci fui riuscito, ridacchiai. –Deve andare tutto liscio. Questa è la nostra ultima possibilità di far andare a buon fine un piano- dissi, rileggendo per l’ennesima volta le scritte sullo schermo.

Orbot tentò di parlare, ma io lo interruppi. –Sono consapevole del fatto che non mi sia rimasto molto tempo da vivere. Sto invecchiando, e sono stufo dei continui fallimenti che ho ottenuto nel corso degli anni. E se vogliamo attuare un piano in grande stile, dobbiamo farlo ora- spiegai, mentre gli occhi scorrevano velocemente sullo schermo. –L’unica cosa che ci serve per attuarlo, è il potere dei Chaos Emerald. È per questo che siamo dovuti andare ad esplorare le rovine. Ero sicuro che avremmo potuto trovare qualche indizio che ci avrebbe condotto fino alla loro potenza- dissi, pensieroso. C’era una parte, nelle iscrizioni, che mi aveva colpito particolarmente.

‘Colui che riunirà i sette poteri del Chaos, e le loro pietre gemelle, si innalzerà ad una forma divina superiore, e otterrà poteri pari a quelli delle pietre supreme, risvegliando il potere sacro che risiede in esse’

-Dopo essermi alleato con Nega, anni fa, conobbi l’esistenza dei Sol Emerald, delle pietre con capacità pari a quelle dei Chaos Emerald. Potrebbero essere loro le pietre gemelle, e in quel caso dovremmo inviare delle truppe di robot  nell’altra dimensione, per riuscire a raggrupparle tutte- sospirai, sovrappensiero. Avrei dovuto rubare sia le pietre del Sol, sia i Chaos Emerald contemporaneamente, per riuscire nella mia impresa. Non potevo rischiare che il riccio blu e i sui figli venissero ad impicciarsi nei miei piani insieme a quella gatta e al riccio nero. Se avessi attaccato le loro dimensioni contemporaneamente, sarei stato in vantaggio. Non avrei fatto un attacco scoperto. Avrei dovuto agire in modo furtivo, così da non allarmare tutte le dimensioni immediatamente, ed avere più tempo per la riuscita del piano. In caso scoprano le truppe, non avrei esitato a distruggere il luogo in cui nascondono le pietre. La GUN, tiene i Chaos Emerald in diverse basi separate, mentre nella dimensione del Sol le hanno divise in vari templi. O almeno, così avevo visto con la telecamera che costruii tempo prima, in grado di spiare la dimensione opposta alla nostra. Mi sorse una risata spontanea. Questa volta, non avrei esitato ad eliminare chi si fosse interposto sulla mia strada, che fosse stato Sonic oppure uno dei suoi figli.

-Ruberemo le pietre contemporaneamente, così che una dimensione non intervenga per aiutare l’altra- dichiarai. –A che punto siamo con il portale dimensionale?- chiesi ad Orbot, mentre esaminava alcuni fogli. Lui annuì, quasi pensasse a cosa rispondermi. –È quasi terminato, Dottore. Non manca molto tempo prima che sia ultimato- disse. Gli feci un cenno d’assenso. Sembravano tutti estremamente impazienti di vedere la riuscita di questo piano. Quella volta sarebbe filato tutto liscio, Prima che potessero parlare, li precedetti, urlando.

-Bene. È tempo di accendere la nostra ultima scintilla di speranza!-

 

Note d'Autore: Salve! Allora, prima di tutto mi scuso per il ritardo nell'aggiornare, ma non avendo molto tempo non sono riuscita ad aggiornare prima! Spero che successivamente aggiornerò in tempo. Comunque, spero che la storia vi piaccia e che vi interessi! Detto questo, vi saluto =D

Princess of fire X3

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Capitolo 8
*** Trasferimento ***


Althea

 

Le fiamme impelavano sul terreno spoglio, e divoravano qualsiasi cosa si interponesse sul loro cammino. Sentivo di essere vicina al limite, ma non smisi di creare nuove vampate di quel fuoco. Mi danzava davanti agli occhi, sembrando quasi accattivante, con il calore che emanava. Creai una palla di fuoco tra le mani, facendola diventare sempre più grande. Dovevo allenarmi, o almeno era quello che mi aveva detto di fare mio padre. Sapevo benissimo che di lì a qualche minuto non sarei più riuscita a tenere sotto controllo le fiamme. Lanciai la palla di fuoco contro un albero li vicino, da cui cadde un ramo carbonizzato. Miriadi di scintille rosse si sollevarono dal suolo. Sospirai, frustrata. Il fuoco si alzò ancora, diventando sempre più resistente. Mi lanciai un’occhiata intorno. Ero venuta in questo posto sperduto per riuscire ad allenarmi, ma a quanto pare non ero riuscita a ricavare niente.

Sentii una risata di scherno, ma allo stesso tempo sinceramente divertita, alle mie spalle. Mi voltai, per trovare mio fratello che avanzava verso di me, con uno di quei sorrisi a cui molte ragazze del regno non resistevano. Roteai gli occhi, infastidita. Lui applaudiva in modo molto poco entusiastico, quasi a mostrare il disgusto per cosa stessi facendo. O meglio, come lo stessi facendo. –Althea, non immaginavo che tu fossi ancora a questi livelli, con il controllo delle fiamme- disse, sorridendo sornione. –Io ti ero superiore quando avevo solo cinque anni- esclamò, con le fiamme che iniziavano a danzargli sulle braccia. Io scossi la testa, cercando di ignorarlo. Alzò un braccio, e mosse la mano in un movimento circolare. Io lo guardai  stranita, prima di notare quello che stesse facendo. Le fiamme che poco prima erano intorno a me, adesso stavano scivolando lentamente verso di lui, quasi gli danzassero intorno con fare armonioso. Prima che potessi dire qualcosa, Alexis chiuse il pugno con un gesto secco. Le fiamme scomparvero poco a poco, girandogli intorno. Al loro posto, rimase soltanto il fumo scuro e la cenere che si posava sulla mia pelliccia.

Alexis mi guardava trionfante, con un sorriso sensuale sulle labbra. –Visto cosa significa essere abili?- chiese. Io non risposi, continuando a fissarlo. –E poi sarà molto più divertente quando incontrerai un nemico da carbonizzare- disse, con una strana scintilla di divertimento negli occhi. Se c’era un altro aggettivo con cui avrei potuto descrivere mio fratello, oltre all’essere un donnaiolo e un egocentrico, allora potevo dire che era un sadico nei confronti dei suoi nemici.

-Come hai fatto a trovarmi?- chiesi, guardandolo sospettosa. Lui appoggiò la schiena ad un albero ancora intatto, mentre incrociava le braccia al petto. –Non è facile non notare tutto il fumo che produci con e tue fiamme- disse, sorridendo sornione. Mi parai davanti a lui. –E perché sei venuto a cercarmi?- chiesi, con un tono indifferente. Lui ridacchiò.

-Papà ha detto di venirti a cercare. Devi tornare al castello con urgenza- disse, giocherellando con una foglia secca. Io gli lanciai un’occhiata leggermente allarmata. –Forse vuole avvertirti che non salirai al trono- ridacchiò lui, con uno dei suoi sorrisi maliziosi. –Questa la possiamo escludere- gli sibilai contro. Lui si guardò intorno, indicandomi il terreno completamente carbonizzato. –Tu dici?- mi chiese. Io scossi la testa, infastidita. C’erano certi momenti in cui detestavo mio fratello. –Grazie comunque, Alexis-

 Iniziai a dirigermi in direzione del castello, vedendolo in lontananza. Feci una breva corsa, per prendere velocità. Dopo qualche secondo, i miei stivali si attivarono, facendomi andare a velocità simili a quelle cui andava mio padre. Sentire il vento che mi sferzava tra la pelliccia e gli aculei, mi regalava una sensazione di tranquillità incredibile. Ma il pensiero che ci fosse un qualcuno oltre a me e mio padre che potesse eguagliarmi, mi innervosiva terribilmente. Ripensai a quel riccio, a come era riuscito a conciarmi nonostante le mie doti combattive. Quel riccio che non avrei mai più voluto vedere, visto il modo tremendo in cui mi innervosiva.

Prima che potessi pensare a qualcos’altro che mi potesse far saltare i nervi, notai che ero arrivata davanti al castello. Fermai di scatto la mia corsa, sollevando un enorme nuvola di polvere. Entrai nel castello, passando per l’enorme entrata principale. I miei passi risuonavano come ticchettii nell’ampia stanza. Mi diressi verso la sala del trono. Di solito mi dirigevo li quando i miei genitori volevano parlarmi, così ho preso l’abitudine di andare in quel posto.

Quando aprii il portone che mi avrebbe introdotto nella stanza, sentii un’aria terribilmente tesa. Dalla parte opposta della sala, i miei genitori parlavano tra loro, e quando mi sentirono arrivare, si voltarono verso di me, fissandomi dalla cima della scalinata. Gli rivolsi un’occhiata, quasi a  chiedergli con lo sguardo che cosa volessero da me.

-Volevate vedermi?- chiesi, avvicinandomi a loro, e salendo velocemente le scale. Mio padre fece un passo avanti. –Sì. Ti dobbiamo parlare di una cosa importante- decretò mio padre, lanciando un’occhiata a mia madre. Lei annuì.  –Abbiamo deciso che per un po’di tempo vivrai lontana dal castello- disse quest’ultima, fissandomi negli occhi. Io abbassai un orecchio. – Che cosa?- chiesi, incredula. Mi sembrava quasi uno scherzo.

-Ti manderemo in un posto per farti allenare, e farti prendere confidenza con il fuoco. In più, lì imparerai i giusti ideali che dovrebbe avere una regina- spiegò mia madre. Mi sentivo confusa. Che cosa avevano in mente? –E quale sarebbe questo posto?- chiesi, temendo la risposta. Mia madre esitò, ma riprese subito la parola.

-  Nell’altra dimensione. A casa di Sonic- disse. Sentii il cuore iniziare a battere più velocemente del dovuto, con il nervosismo che mi offuscava la mente. Non poteva essere vero. –Cosa? Sonic, il riccio blu?- sibilai, sentendo qualche scintilla di fiamme uscire dalle mie mani. Mio padre annuì.–State scherzando?- chiesi, infuriata. Avevo quasi bruciato tutto a casa di quel tipo. E ora dovevo andarci a vivere? Con quei suoi figli insopportabili alle calcagna? Mia madre scosse la testa, esasperata.

-Ne hai bisogno Althea- disse, indicando le piccole fiamme che si stavano formando sulla mia pelliccia. Io scossi la testa. –No. Non mi serve assolutamente- dissi, alzando il tono di voce. Mia madre incrociò le braccia. –Quando ero più giovane ho fatto la stessa cosa, Althea. E ho imparato i giusti ideali per regnare- tentò lei di spiegarmi. Io indietreggiai. –È un percorso che devi compiere. Ti troverai dei compagni- disse.

-Althea, è una cosa che dovrai fare. Mi dispiace, ma tutto questo è assolutamente necessario. Puoi anche non essere d'accordo, ma in qualunque caso, sei costretta. Capirai che ti sto facendo un favore.- continuò mia madre. –Chiederemo una conferma da Sonic. E se accetterà, tu resterai lì per un po’ di tempo- decretò mio padre, portandosi le braccia al petto e incrociandole. Io li fissai stupita. Ero costretta? Nella mia vita ero costretta a fare molte cose. Ma questa la consideravo inaccettabile. Mi voltai di scatto, infuriata, e diedi ad entrambi le spalle. Ignorai quello che mi stavano dicendo, e corsi via.

Arrivai in poco tempo nella foresta in cui ero poco prima. Alexis se ne era già andato, per sua fortuna. Lasciai che le fiamme assalissero la poca vegetazione che era rimasta in quel luogo. Urlai, infuriata. Io non potevo andare a vivere da quel tipo. Non con il figlio che si ritrovava. Guardare le fiamme che divoravano il panorama mi mettevano in un tremendo stato d’ansia. Ma non potevo davvero credere che stessi per andare a vivere da lui. Tirai un sospiro, pieno di nervosismo.

Adesso, potevo soltanto guardare che cosa sarebbe successo nei giorni successivi, sperando che i miei genitori cambiassero idea.

 

 

Così, passarono un paio di giorni. I miei genitori mi fecero preparare una valigia da portare nell’altra dimensione. Continuavo a sperare che in un qualche modo non sarei dovuta andare in quel posto. Sapevo che non mi sarebbe servita assolutamente a nulla quella visita. Pensavo a questo, mentre mi dirigevo verso il portale, con i miei genitori e mio fratello che mi fissavano.

-Stai tranquilla. Riuscirai a controllarti- mi rassicurò mia madre. Io annuii, presa dai miei pensieri. Il vento che emanava il portale mi sferzava gli aculei. Sospirai. Io non avevo bisogno di tutto quello. Credevo che avrei benissimo potuto allenarmi nella mia dimensione, e che quegli ideali di cui parlava mia madre non mi sarebbero mai serviti. E men che meno, non mi servivano degli amici. Potevo fare benissimo tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno. Mio fratello mi guardava stoico, quasi non gliene importasse niente. Però potevo benissimo capire che era curioso, da quello che stavo per fare. Lui non riusciva a nascondere le sue emozioni come lo sapevo fare io. È una cosa che ho imparato con il tempo. Gli altri non saranno mai in vantaggio su di te se non sai come ti senti. Dopo che passi anni ad isolarti a causa dei tuoi poteri pericolosi, sono cose che si imparano.

Scossi la testa, cercando di non riempirmi la testa di pensieri inutili. Presi un respiro profondo, e misi il primo piede dentro il portale. –Althea- mi richiamò mio padre. Mi voltai per un attimo. –Buona fortuna- disse solamente, con un leggero sorriso sulle labbra. Io annuii. –Grazie, papà- risposi. Riportai il mio sguardo davanti a me, fissando il portale. Sospirai. Sarebbe stata una brutta, bruttissima esperienza. Serrai gli occhi, e avanzai dentro il portale, sentendo il calore avvolgermi. Mi abbandonai a quel calore per quella che sembrò durare un’eternità. Volevo concentrarmi soltanto su quel tepore, e non su quello che mi sarebbe accaduto di lì a poco.

E se tutto quello che sarebbe successo mi avrebbe infastidito, l'avrei fatta pagare cara, a quel riccio.

 

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Capitolo 9
*** Arrivo ***


Dash

 

Camminavo nervoso per il salone, cercando di placare la tensione che avevo nel corpo. Le mie sorelle mi guardavano stranite. Com’era possibile che mio padre avesse davvero accettato di buon grado la proposta del riccio nero? Ospitare qui sua figlia? Quella ragazza era completamente matta. Aveva quasi dato fuoco alla nostra casa, e mi aveva arrecato delle brutte ferite. E ora dovevo ospitarla sotto il mio stesso tetto?

-Dash, calmati. Verrà a stare da noi soltanto per qualche tempo- cercò di calmarmi Emily. Io scossi la testa. Non riuscivo a tranquillizzarmi. Il suo pensiero m'innervosiva, e se pensavo che avrei dovuto vederla ogni giorno di li a qualche tempo, mi saltavano i nervi. Sunny scosse la testa, esasperata. –È inutile tentare di calmarlo, quindi rassegniamoci- decretò quest’ultima. Emily annuì, essendo d’accordo con le sue parole.               –Piuttosto, avrei proprio voglia di farmi una bella corsetta- aggiunse Sunny, sdraiandosi sul divano. Io ridacchiai. –Non sai quanta voglia ne avrei io- dissi, desiderando che in quel momento il vento mi soffiasse sul volto e mi seccasse le labbra, come accadeva sempre durante le mie corse. Emily roteò gli occhi, annoiata. – Anch'io avrei voluto andare a fare shopping, ma sapete benissimo che papà ci ha chiesto di aspettare la nostra nuova ospite- disse Emily, con lo sguardo sognante. Io roteai gli occhi. Certo, come se nostro padre avesse mai rispettato un qualcosa che gli veniva ordinato. Sbuffai, stufo di stare in quella stanza.

- Io vado a farmi un giro- decretai, dirigendomi velocemente verso la porta di uscita. Emily cercò di dirmi qualcosa, ma richiusi svelto la porta dietro di me, che produsse un rumore secco. Respirai a lungo l’aria fresca, felice di essere finalmente all’aperto.

Guardai il cielo, che era completamente limpido, chiazzato soltanto da qualche nuvola qua e là. Iniziai a camminare per il giardino di casa nostra, godendomi la fresca brezza. Mi sedetti ai piedi di un albero, appoggiando la schiena contro il tronco. Pensai che in quel momento, correre per Green Hill sarebbe stato fantastico. Infondo noi ci vivevamo lì. Involontariamente, i miei pensieri ritornarono a quella ragazza. Era capace di correre veloce quanto me, e avrebbe potuto battermi in battaglia. Era temibile, non c’era che dire. Forse avevo l’impressione di averla già vista da qualche parte perché quando ero più piccolo avevo conosciuto suo padre, ma niente di più. Infondo lei era totalmente uguale a lui.

Sbuffai, infastidito. Non avevo voglia di pensare a lei in questo momento. Mi alzai dal terreno, cercando di far passare il formicolio fastidioso che avevo sulle gambe. Decisi che sarei andato a farmi una bella corsa. Feci per andarmene di lì, quando sentii un rumore che mi distrasse.  Mi voltai, per vedere un portale, simile a quello che era apparso durante l’incontro di tutti i conoscenti di mio padre. Mi avvicinai cauto, avvertendo l’energia che emanava. Dopo qualche secondo, ci fu una luce abbagliante, che mi costrinse a serrare gli occhi. Quando credetti che la luce fosse scomparsa, sollevai le palpebre.

La persona che vidi davanti ai miei occhi, non mi stupì per niente. La ragazza chiamata Althea mi fissava indifferente, mentre in una mano stringeva una valigia di un viola scuro. –Togliti di mezzo- mi sibilò contro. Roteai gli occhi, infastidito. –Sei sempre così amichevole oppure oggi è un giorno particolare?- le chiesi, con un sorriso ironico stampato in faccia. Sapevo benissimo che questo atteggiamento l’avrebbe fatta innervosire. E come volevasi dimostrare, lei strinse la presa che aveva sulla valigia, guardandomi con aria truce. Sorrisi vittorioso, godendomi la sua faccia. –Ascoltami, riccio. Io non vorrei neanche essere qui, come tu non mi vorresti in casa tua. Spero che questa convivenza sia il più indolore possibile- disse a bassa voce, iniziando a incamminarsi verso la porta di casa mia. Poi si fermò un attimo, davanti alla soglia della porta.   – Che sia indolore per te- specificò, terminando la frase che aveva iniziato poco prima.  Non ebbi il tempo di risponderle, che mio padre aprì di scatto la porta, mostrando un volto sorridente non appena vide Althea.

-Althea! Ti stavamo aspettando- esclamò il riccio blu, con un sguardo allegro. Io roteai gli occhi. La gentilezza che dimostrava mio padre con questa ragazza mi irritava terribilmente. Lei sembrava totalmente indifferente, ma leggermente incredula alle attenzioni che mio padre le riversava addosso. Dall’espressione che aveva in volto, qualcuno avrebbe potuto pensare che nessuno le avesse mai rivolto un sorriso amichevole.

-Mi dispiace che i miei genitori vi abbiano richiesto di ospitarmi nella vostra casa- disse lei, squadrando attentamente mio padre. –Vi posso assicurare che non è stata una mia richiesta- ribadì, con un pizzico di rammarico in quello che diceva. –Puoi anche andartene, se vuoi- dissi io, con un sorriso divertito sul volto. Lei mi lanciò un’occhiata che, se avesse potuto, mi avrebbe potuto benissimo fulminare sul posto. Stavo mettendo a dura prova la sua calma, e si notava. Mio padre mi fece segno di tacere. Prima che la ragazza potesse aggiungere che mi potesse offendere, le mie due sorelle e mia madre spuntarono dietro mio padre, guardando con un’aria interrogativa la nuova arrivata. Emily sembrava non aspettare altro che poter parlare con lei, mentre Sunny le rivolgeva degli sguardi furtivi, constatando se potesse essere una minaccia. - Come ti chiami, cara?- chiese mia madre alla ragazza. Quest’ultima esitò, fissando mia madre con assoluta impassibilità. Poi, decise di porle la mano.

- Althea Maria the Hedgecat- rispose la ragazza. Sembrava molto più gentile con i miei parenti di quanto fosse con me. Anzi, con me non era affatto gentile. Mia madre scostò la mano di Althea, ridacchiando.          –Suvvia, non ci vogliono tutte queste formalità!- esclamò con un tono divertito. La ragazza sembrava leggermente confusa, ma non aggiunse altro. Dopo qualche secondo si voltò di scatto, rivolgendomi un’occhiata sprezzante. –Spero che tu abbia capito, perché non lo ripeterò- mi sibilò contro. Io abbassai le orecchie, infastidito. –Stai tranquilla. Ho afferrato il concetto, gattina- le dissi, con uno di quei sorrisi a cui le ragazze non avevano mai resistito. Non che volessi fare colpo su di lei, assolutamente no. Ma sapevo fin troppo bene che quel sorriso, combinato al nuovo nomignolo, l’avrebbe fatta infuriare. Lei sbarrò gli occhi, e delle scintille infuocate iniziarono a sprizzare fuori dalle sue braccia.

-Gattina?!- sibilò, pronta a tirarmi un pugno in faccia. Sapevo benissimo che non avrebbe esitato a farlo, ma vedere come in pochi secondi riuscivo a distruggere ogni traccia di quiete nel suo corpo, era davvero divertente.

Mio padre si affrettò a prenderle la valigia dalle mani, distraendola. –Seguimi, Althea. Ti mostro dov’è la tua camera- disse, cercando di evitare una rissa che non sarebbe andata a buon fine. Lei mi rivolse un’ultima occhiata sprezzante, prima di seguire mio padre dentro la casa. Tirai un sospiro di sollievo, rincuorato di non vederla più davanti ai miei occhi. Mia sorella Emily mi guardò male. –Di solito non sei così sgarbato con le ragazze- disse, con un tono che mostrava la sua impazienza. Io roteai gli occhi.

-Emily, certe volte è impossibile anche per me essere gentile. Probabilmente non lo sarei neanche se lei fosse la ragazza più bella che esista su l’intera Mobius. E poi quella non è una ragazza. È soltanto un maschiaccio- le dissi, con un tono esasperato. Sunny tirò un pugno sul braccio. –La vuoi smettere? Dovrà vivere con noi per un po’ di tempo, quindi è inutile che ti lamenti-disse, mostrandomi il pugno alzato. Mi massaggiai il punto da lei colpito, ignorando quello che mi aveva appena detto. Mi allontanai velocemente da lei, sperando di evitare ulteriori pugni e seguii mio padre dentro casa. Non mi fidavo assolutamente di quella palla di pelo, e se doveva vivere sotto il nostro stesso tetto, allora l’avrei tenuta sotto controllo. Salii velocemente le scale bianche che portavano al piano superiore, dov’erano presenti la camera delle mie sorelle, la mia stanza e la camera degli ospiti. Quella che purtroppo sarebbe stata occupata di lì a qualche minuto.

Con un’immensa e inverosimile sfortuna, la mia camera era giusto di fronte a quella in cui sarebbe stata ospitata quell’insopportabile ragazza. E se c’era un qualcosa che avevo ereditato da mia madre, era l’innervosirsi facilmente se qualcuno mi stuzzicava. Quindi, non riuscivo neanche ad immaginare quanto potesse durare una convivenza pacifica tra il sottoscritto e quella palla di fuoco instabile.

Quando arrivai davanti alla sua stanza, vidi mio padre appoggiare la valigia sul pavimento, vicino al letto. Le stava indicando dove si trovava ciascuna stanza della casa, cosa che mi innervosii inspiegabilmente. Attraversai la soglia della sua camera e ci entrai velocemente. Occasionalmente, mi lanciava delle occhiate irate, che avrebbero potuto vaporizzarmi. Dopo qualche minuto, in cui abbassai leggermente la guardia, vidi mio padre che usciva dalla stanza, dirigendosi verso il corridoio. Appena se ne fu andato, la ragazza mi fissò. –Esci immediatamente da qui- mi sibilò contro. Io le lanciai uno sguardo di sfida. –Questa è casa mia- dissi, di rimando. Sulle sue labbra vidi apparire quella che sembrava una smorfia, quasi simile ad un sorriso, che non aveva assolutamente niente di accattivante. –Forse è meglio che tu dica casa nostra. E fino all’ultimo minuto in cui alloggerò qui- disse lei, avvicinandosi pericolosamente a me, costringendomi ad arretrare fino alla porta.

-Sarò il tuo incubo peggiore- concluse lei la frase, muovendo la coda in un modo quasi ipnotico. Mi accorsi che mi aveva spinto fino a farmi uscire dalla stanza. Prima che potessi reagire, lei mi chiuse la porta in faccia. Rimasi per qualche secondo intontito, quasi incredulo. Mi aveva cacciato da una camera della mia casa?  Strinsi i pugni, tentando di mantenere la calma. Quella ragazza voleva la guerra. E poteva stare certa, che anche io non aspettavo altro.

 

 

Tails

 

Osservavo la boccetta colma del liquido denso di un color verde acido. Non avrei neanche saputo come chiamarlo. Osservai sugli schermi del mio laboratorio i progressi fatti, che purtroppo non erano molti. Mi passai una mano sul muso, esausto. Le ricerche si stavano rivelando molto più difficili di quello che mi sarei mai aspettato. Non avevo mai lavorato con il DNA, e visto il carico di lavoro che mi ero ritrovato, speravo che non mi sarebbe più ricapitato di doverlo fare.

Ma non potevo deludere Shadow. Non era mai stato particolarmente amichevole o gentile nei nostri confronti, ma adesso che finalmente si era formato una famiglia, aveva bisogno del mio aiuto. Dovevo assolutamente trovare un modo per annullare ogni traccia di immortalità dal suo corpo, e per farlo avevo bisogno di una traccia del sangue di una Black Arm, data l’estrema vicinanza biologica tra loro. Non era stato affatto facile riuscire a ricavare anche solo una minima parte di quella strana sostanza.

Ero andato alla G.U.N. per farne richiesta. Anche dopo che il vecchio Comandante della base si ritirò dalla carriera a causa dell’età avanzata, la G.U.N. non sembrava intenzionata ad essere più cordiale nei nostri confronti. Ci vollero diversi giorni per convincerli, e soltanto dopo avergli ricordato le innumerevoli volte in cui avevo riparato i loro macchinari negli ultimi anni, assicurando che avrei continuato ad aiutarli nel settore meccanico, si decisero a donarmi un campione del sangue di una Black Arm. Questo si poteva già considerare un progresso. Avevo notato che nel DNA era presente un qualcosa che non riuscivo a decifrare, quindi supposi che quello fosse il fattore che donava l’immortalità a ciascuna Black Arm. Se in qualche modo fossi riuscito a scoprire come rimuoverla dal sangue, avrei potuto creare un vaccino per Shadow.

Il problema maggiore, e quello che cercavo di evitare, erano gli effetti collaterali che potevano verificarsi nel suo corpo. Era l’unico essere su cui potevo testare il vaccino, non avevo altra scelta se non lui. Tirai un sospiro nervoso. Doveva morire di vecchiaia, e non a causa degli effetti del vaccino. Lui sapeva che cosa poteva succedergli, nonostante tutto non si fermava. Mi alzai dalla sedia su cui ero seduto da ore. Preoccuparsi adesso non sarebbe servito a niente. Adesso dovevo soltanto concentrarmi sul lavoro. E più di tutto, sperare che questo vaccino sarebbe diventato un successo come tutte le altre invenzioni.

 

Note d’Autore: Salve a tutti! Allora, so che sono in ritardo con l'aggiornare, ma essendomi presa una breve pausa estiva non ho avuto tempo di scrivere. E mi era morto Internet, tra l’altro. –‘’_ - Tralasciando, spero che il capitolo vi piaccia, e detto questo vi saluto!

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Capitolo 10
*** Corsa senza Tempo ***


Dash

 

 

Il mite tepore del sole mi scaldava la pelle, infondendomi una tranquillità completa in tutto il corpo. La giornata idilliaca e il cielo macchiato di qualche pacifica nuvola mi avevano fatto completamente scordare l’ospite indesiderata che alloggiava in casa mia. Sospirai frustrato, mentre mi lisciavo rapidamente le spine. La luce nella mia stanza era quasi accecante. Quando aprii la porta, intenzionato ad uscire, fissai esitante la camera di fronte, in cui probabilmente la ragazza da me tanto odiata stava ancora dormendo. Mentre oltrepassavo la soglia della mia stanza, organizzai la giornata e decisi che avrei fatto una bella corsa, per svagarmi. E soprattutto per cercare di stare il più lontano possibile da casa mia, sperando di ridurre drasticamente gli incontri che avrei avuto con quella ragazza.

Non feci in tempo a pensare ad altro, poiché lei mi apparve proprio davanti, aprendo la porta di scatto. Mi rivolse soltanto un’occhiata veloce, non tralasciando tutto il disprezzo che provava nei miei confronti, e si diresse verso le scale, ignorandomi. La seguii controvoglia, sentendo il rumore di vari piatti e posate che venivano sistemati sul tavolo al piano di sotto. Notai che le mie sorelle erano già all’opera con la colazione, e stavano divorando qualsiasi cosa le capitasse sotto mano. Abbassai le orecchie, e scossi leggermente la testa. Quelle due si sarebbero mangiate anche le gambe del tavolo senza farsi troppi problemi.

-Ben svegliati, ragazzi- ci salutò mia madre, con un sorriso smagliante sul volto, mentre serviva una tazza di caffè a suo marito. Mio padre ci sorrise, quasi stesse pensando a qualcosa da dirci. Althea ricambiò i saluti, con fare educato. Dubitavo vivamente che quella ragazza avesse anche una minima parte di lei che non fosse l’essere solitaria e irascibile. La vidi prendere velocemente una fetta di pane tostato calda, e darle soltanto un morso. Sembrava dubbiosa sul da farsi, ma poi si diresse verso la porta sul retro della cucina.           –Io esco. Vado ad allenarmi- disse a mezza voce, girando velocemente la maniglia con una mano e tenendo nell’altra il pane. Mio padre sembrava sul punto di dirle qualcosa, ma ormai era uscita di fretta. Lui tirò un sospiro esasperato. Poi mi guardò.

-Dash. Seguila- mi disse, con un sorriso incoraggiante. Stetti quasi per strozzarmi con il caffè, dopo che sentii quella frase. –Che cosa?!- urlai, guardandolo incredulo. Lui annuì. –Sì, falle un po’ di compagnia, mostrale il posto. È nuova di qui, e non saprebbe neanche dove andare ad allenarsi, Dash- aggiunse. Scossi la testa deciso. –Non so se ti sei accorto il ‘’sentimento di amicizia’’ che ci lega, papà- dissi, mimando le virgolette con le dita. Sospirai, nervoso. –Perché non ci possono andare Emily e Sunny?- chiesi, indicandole. Mio padre ridacchiò, con il solito sorriso stampato sulle labbra.

-Dash –mi richiamò lui, prendendo un sorso del suo caffè. –Te lo ordino- disse, con un sorriso smagliante, per niente adatto alla situazione. Lo fissai stupito. Questa era una delle uniche volte in cui mi abbia mai ordinato qualcosa. Forse non si ricordava che mi aveva quasi bruciato vivo. Rassegnato, indossai il mio immancabile gilet rosso e aprii la porta. Mi guardai un attimo intorno, cercando una qualche traccia della gatta nera. Non sarebbe stato difficile trovarla. E poi, la tentazione di infastidirla era troppo forte per essere ignorata. Così m’incamminai, alla ricerca di una ragazza che, ne ero certo, avrebbe preferito abbrustolirmi anziché fare una passeggiata con me.

 

 

Althea

 

Osservavo le immense valli che si stendevano di fronte a me. La pace in questo posto sembrava totale, senza alcuna preoccupazione. L’unico rumore che riuscivo a sentire, era il fruscio rilassante dell’erba. Chiusi gli occhi, distendendo i muscoli. Sembrava strano come il giorno prima ero in un castello, e adesso ero rinchiusa in una normalissima casa con un riccio iper-attivo con cui provavo un profondo odio reciproco. La quiete del posto fu distrutta soltanto da un lontano rumore di passi. Socchiusi leggermente un occhio, cercando di capire che cosa fosse. I passi si avvicinavano velocemente. Troppo velocemente. Feci appena in tempo a girarmi, per vedere quell’odioso riccio a pochi metri da me, che mi fissa stoico.

-Che cosa vuoi?- gli sibilai contro, sperando che se ne andasse il prima possibile. Lui ridacchiò, anche se nella voce non aveva un minimo di allegria. Sembrava quasi una risata di scherno. –Sono venuto a farti compagnia- disse, guardandomi attentamente negli occhi. Io lo fissai truce.

-È uno scherzo, spero- dissi a mezza voce. Come se adesso l’unica cosa che desiderassi fosse la compagnia di un riccio irresponsabile e senza un minimo di buon senso. Lui scosse la testa. –Vorrei che lo fosse- aggiunse, portandosi le mani dietro la testa e incrociandole.

-Ti ripeto che io non ho bisogno del tuo aiuto. Posso fare ogni cosa da sola- gli ricordai, sentendo il nervosismo crescere nel mio corpo. Lui scrollò le spalle. – E invece ti accompagnerò- insistette, con uno di quei sorrisi assolutamente snervanti. Forse non aveva capito bene il concetto. –Ascoltami bene, riccio- gli sibilai contro, infuriata. –Io non sto andando a divertirmi come fai tu di solito. Io sto andando ad allenarmi. Non ho bisogno di nessuno. Non ne ho mai avuto bisogno- tentai di scacciarlo. Lui non sembrò impressionato dalle mie parole, ma divertito. –Comunque sia, mio padre mi ha chiesto di accompagnarti, e sarà così che farò- esclamò, con quel sorriso beffardo sulle labbra.

Bene. Visto che non riusciva a capire il concetto in questo modo, allora avrei cambiato tattica. Mossi rapidamente il braccio in diagonale, fendendo l’aria. Prima che lui potesse reagire, un improvviso muro di fumo nero si formò davanti a lui, coprendogli la visuale. Potevo sentirlo tossire e inveire contro di me. Colsi l’occasione al volo e corsi nella direzione opposta, sentendo i pattini che si attivavano. Iniziai a correre sempre più rapidamente, fino a che il panorama che mi stava attorno scomparve, diventando una miscela di colori. Sentivo una strana soddisfazione nell’essere riuscita a seminare quel riccio. Quando vidi una scia blu scura diffondersi dietro la mia, sentii la rabbia crescermi nel petto.

-Non avrai creduto sul serio che ti lasciassi andare via così, vero?- mi urlò lui, cercando di sovrastare il rumore dell’aria che veniva squarciata, la quale produceva un rimbombo, insieme ad un sibilo acuto. Avrei voluto bruciarlo con tutto il cuore, come mi aveva suggerito mio fratello prima che partissi per alloggiare in questa dimensione. Però era veloce, dovevo ammetterlo. Riusciva a starmi dietro senza particolari difficoltà, e in battaglia era riuscito a non farsi ferire troppo gravemente. O almeno, a non farsi uccidere. C’era solo un piccolo problema. Lui non era forte quanto me. Prima che mi potesse fermare, creai delle fiamme dietro di me, che bruciavano il terreno intorno a lui. Speravo che questo lo disorientasse per qualche secondo, dandomi almeno il tempo di sfuggire dalla sua vista e nascondermi.

Lo sentii tossire nuovamente, e rallentò il passo. Approfittai di questo breve momento di calma e aumentai la velocità, cercando di allontanarmi il più possibile. Quando notai un albero in lontananza, mi affrettai a raggiungerlo. Guardai la sua imponenza, e cercai di mettere temporaneamente da parte la nausea che mi saliva guardando la sua altezza. Saltai sopra uno dei suoi rami più alti senza difficoltà. Quando mi ci sedetti sopra, mi appiattii il più possibile al tronco, cercando di non rendermi troppo visibile. Chiusi gli occhi per qualche istante, cercando di rilassarmi. L’idea che quel riccio mi stesse vicino per tutta la giornata mi seccava terribilmente. In fondo non avevo bisogno di una scorta, e men che meno di un qualcuno che fingesse di essere amichevole con me.

-Gattina, prova a cadere con i piedi per terra ora!- aprii gli occhi di scatto, guardando al di sotto del ramo. Quel riccio blu mi stava osservando con un sorriso beffardo in volto. Non ci potevo credere. Come accidenti aveva fatto a trovarmi? Roteai gli occhi, innervosita. –Che cosa vuoi ancora?- gli chiesi, non cercando minimamente di nascondere tutta la mia irritazione nella voce. Lui si grattò il naso con un dito, quasi stesse per dirmi una delle cose più ovvie al mondo. – Mi sembra di avertelo già detto. Ti accompagno- ribadì lui. A quanto pare era cocciuto. Troppo cocciuto per poterci anche soltanto ragionare. Tirai un sospiro, pieno di frustrazione e di rabbia repressa. Poi lui sembrò osservarmi compiaciuto, per la situazione in cui mi ero messa. Guardai esitante il suolo, che dal luogo in cui ero seduta, mi sembrava terribilmente distante.

-È vero che i gatti sanno salire sugli alberi ma che poi non sanno come scendere?- mi chiese lui con tono di scherno e guardandomi divertito. Abbassai impercettibilmente le orecchie, spostando lo sguardo dal terreno al suo volto. Non ero intenzionata a rispondergli.  Sentii le fiamme nel mio corpo diventare instabili, sia per il nervosismo, sia per l’ansia che mi sentivo addosso. Cercai di alzarmi con la maggior dignità possibile. Lui mi fissava stranito. Non mi sarei dimostrata inferiore a lui. Prima che potesse dirmi qualcos’altro, presi una breve rincorsa e mi lanciai nel vuoto, serrando gli occhi. Mi sentii precipitare per qualche secondo, percependo il suolo ancora prima che questo mi sfiorasse. Mi sentii fermare di scatto, come se la caduta si fosse interrotta. Ma non provai alcun dolore per l’impatto. Anzi, percepii soltanto una pressione sulla pancia. Aprii lentamente gli occhi, incredula. Contro ogni mia aspettativa  <<  a parte il ritrovarsi spiaccicati sul terreno,  >>  scoprii che la pressione che sentivo sullo stomaco era dovuta dal contatto della spalla del riccio sulla mia pancia. Mi…………. mi aveva afferrato al volo prima che colpissi il suolo?

-Non saresti mai riuscita ad atterrare illesa. Non eri nella posizione giusta- decretò lui, voltando leggermente il muso. Sentii la rabbia crescere. Io questo lo consideravo peggio di un insulto. Un’umiliazione. –Lasciami andare, riccio. Subito!- gli urlai, dimenandomi contro il suo braccio, che tentava di farmi stare in equilibrio sulla sua spalla. Lui sbuffò, ed improvvisamente mi lasciò cadere sul terreno. Mi rialzai immediatamente, spolverandomi nervosa i vestiti. Lui sorrideva divertito, mentre incrociava le braccia dietro la testa.

-Bene. Ci rinuncio- sospirai, guardandolo esasperata negli occhi smeraldo, che contrastavano notevolmente con i miei. –Andiamo- gli sibilai voltandomi e iniziando ad incamminarmi per le valli. Lui mi si affiancò, guardandomi vittorioso. Stetti per la maggior parte della passeggiata con lo sguardo abbassato, non volendo alcun contatto visivo con il riccio.  

-Senti, forse siamo partiti con il piede sbagliato- disse lui improvvisamente. Gli lanciai un’occhiata, cercando una qualche traccia di sarcasmo sul suo viso. Eppure sembrava dire sul serio. –Che ne dici di parlarmi un po’ di te?- mi chiese, guardandomi curioso. – Non so, cose del tipo: da dove vieni? Il tuo mondo è molto diverso dal nostro? Che cosa fanno i tuoi genitori? Cosa fai tu? Quando te ne vai? – disse lui con un ghigno in volto. Roteai gli occhi, avendo capito il genere di persona con cui avevo a che fare. Sarebbe stato difficile, molto difficile, andare d’accordo con un tipo come lui. Io non mi fidavo, e di certo non avevo voglia di raccontargli la storia della mia vita. Ma se lui voleva prendere confidenza, ed i miei  genitori si fidavano di lui, allora forse avrei dovuto acconsentirlo. O almeno in minima parte.

- Sai da dove vengo. Da una dimensione opposta alla tua, chiamata Dimensione del Sol- gli dissi, guardando fisso davanti a me. – Il mio mondo è diviso in singole isole, collegate tutte da un unico grande oceano. Il nostro commercio è principalmente marittimo. Essendo la popolazione abbastanza ristretta, l’intera dimensione è governata da due unici sovrani- lui mi fissò stranito, quasi come stessi dicendo a lui una cosa mai sentita. – Sovrani? E come sono?- mi chiese lui. Aspettai qualche secondo prima di rispondere, riflettendoci su. –Non li ho mai conosciuti, ma dalle voci che girano si direbbe che sono brave persone- mentii io. Non avevo intenzione di spiegargli le mie origini. Lui annuì, e mi fece cenno di continuare la spiegazione.

-Al contrario del vostro mondo, che è regolato dai Chaos Emerald, il nostro è tenuto in equilibrio da quelli del Sol, le loro pietre gemelle- mi fermai un attimo, per osservare la sua reazione. Sembrava stupito da tutte quelle informazioni non così familiari a lui. –E per finire, non so le differenze che ci sono tra il tuo e il mio mondo- terminai io, incrociando le braccia.

Lui mi sorrise, quasi come se volesse lanciarmi un messaggio. –Adesso parlami di te- continuò lui, insistente come non mai. –Cosa fanno i tuoi genitori?- non riuscii a trattenere un leggerissimo sorriso. –Diciamo che hanno un ruolo abbastanza importante nella nostra dimensione- risposi vaga. Lui ne sembrò leggermente indispettito. –E tu invece?- chiese lui, guardandomi negli occhi. Abbassai un orecchio, riflettendo.

-Mi preparo per lavorare nell’azienda di famiglia – dissi con un ghigno soddisfatto. Lui inarcò un sopracciglio. –È per questo che sei venuta qui ad allenarti?- mi fissò, estremamente curioso. Io annuii lentamente. –Che cosa fate in quell’azienda, vi scannate l’un l’altro?- borbottò. Sembrava non credere neanche lui a quello che stava dicendo. –Quando ce n’è bisogno- specificai.

 –Che diamine fanno i tuoi genitori, i mercenari?- mi chiese lui ridacchiando. Io gli lanciai un’occhiata di sbieco. –Se è necessario- risposi vaga, cercando di farlo innervosire. Lui alzò un sopracciglio, sorridendo sarcastico. –E per rispondere alla tua ultima domanda- continuai – spero di andarmene presto- dissi infine. Lui non reagì alla mia risposta, ma ne sembrò in parte soddisfatto. Distolsi lo sguardo dal suo volto, e mi concentrai sul paesaggio. Ormai ci eravamo allontanati abbastanza dalla sua casa, e il luogo in cui eravamo era sgombro da qualsiasi ostacolo, tranne che per qualche albero sparso qua e là.

-Bene. Direi che questo posto è perfetto- esclamai, fermandomi all’improvviso. Il riccio si guardò intorno, dirigendosi verso un albero abbastanza lontano e sedendosi ai suoi piedi, con una gamba tirata a se, mentre l’altra era completamente distesa. Incrociò le braccia dietro la testa, appoggiando la schiena al tronco del fusto. –Buon lavoro!- urlò felice, salutandomi con una mano. Strinsi i pugni, nervosa. Adesso non dovevo pensare alla sua presenza irritante. Dovevo concentrarmi soltanto sul mio obiettivo. Perché il vero motivo per cui ero arrivata in questa dimensione, l’allenamento autentico, cominciava adesso.

 

Dash

Camminavo avanti e indietro, tremendamente impaziente. Mi appoggiai con la schiena contro un albero, osservando attentamente i movimenti agili e precisi della ragazza. Era molto abile, e questo la rendeva un’avversaria temibile. Mi tenevo ben alla larga dalle potenti fiamme che faceva scaturire sul terreno, e che divoravano qualsiasi cosa. Lei alzò una possente colonna di fiamme, che si disintegrò qualche secondo dopo. A giudicare dalla sua reazione, la sparizione di quel fuoco non era volontaria. Sembrava stanca e frustrata, ma non si mostrava intenzionata ad arrendersi. Sbadigliai sonoramente, cercando di mantenere a bada la mia noia, e di resistere all’impulso di correre via. Oramai eravamo qui da almeno una mezz’ora, e lei non mi aveva rivolto neanche uno sguardo. Non che l’avessi seguita per fare conversazione. Dovevo controllarla, e notavo che poco a poco le sue fiamme diventavano più instabili, non eseguendo più correttamente i suoi ordini.

-Hai finito?- le chiesi, con la noia che aveva raggiunto limiti non desiderabili. Lei mi lanciò un’occhiata di sbieco, poi continuò a ignorarmi, spostando lo sguardo nuovamente sulle sue fiamme. Le faceva girare intorno a se, creando una specie di cerchio. Le sentii pronunciare una sola e semplice parola, che però aveva un significato assoluto. Un singolo ‘’No’’. Sbuffai, esageratamente stanco di aspettarla. Stare fermo e immobile per qualche minuto era una vera e propria tortura. Iniziai a picchiettare con il piede il terreno, sperando che una parte della mia irrequietezza sparisse con questo gesto.

Mi fermai all’improvviso. Sentivo uno strano ronzio nell’orecchio, quasi come se una vespa ci stesse svolazzando dentro. Lanciai un’occhiata alla gatta, che continuava ad allenarsi. Sembrava completamente assorta dai suoi pensieri, troppo concentrata per sentire quel singolo ronzio. Dopo qualche secondo si fermò di scatto. Muoveva freneticamente un orecchio, quasi come se si stesse accertando dell’autenticità di quel suono.  –Hai sentito?- mi chiese, guardandosi intorno. Io annuii lentamente. Avevo già sentito quel suono un miliardo di volte, ma non riuscivo a ricollegarlo. Il rumore sembrò amplificarsi, e iniziammo a sentire dei fruscii nell’erba, che si facevano sempre più vicini.

Quando mi voltai, notai uno spettacolo inquietante. Decine di Badniks ci stavano fissando intorno a noi. Ci avevano circondato, e non sembravano disposti a lasciarci andare. La ragazza sembrava altrettanto sorpresa, forse leggermente impreparata. Prima che potessimo reagire, iniziarono a spararci a raffica addosso. Mi abbassai di scatto, evitando che un proiettile d’energia mi colpisse. – Corri. Ora- le sibilai, voltandomi e scattando nella direzione opposta. Lei mi seguì subito, prima che i Badniks riuscissero a colpirla. Dopo qualche secondo di rincorsa, iniziammo entrambi a correre a velocità impressionanti, e allo stesso tempo schivando i proiettili. Davanti a noi, altre file di Badniks si preparavano ad attaccarci, dai Vespex ai CaterKiller. La ragazza tirò un pugno a uno di questi ultimi, che si divise in più pezzi. –Cosa sono questi affari?- urlò, cercando di sovrastare il rumore degli spari. Mi appallottolai, cercando di colpire un robot con le sembianze di Eggman. Lo trapassai velocemente, facendolo esplodere. –Tu continua a correre!- dissi di rimando, con un sorriso. Mi stavo divertendo un mondo. Correre a velocità supersoniche distruggendo robot. Uno dei miei passatempi preferiti. La ragazza non sembrava essere del mio stesso parere. Non aveva un’espressione divertita. Al contrario, sembrava molto concentrata. Forse lei la considerava un’aggiunta al suo addestramento.  –E quello che diamine è?!- mi chiese, indicando uno dei famosi percorsi a chiocciola di Green Hill. Le ghignai contro. –Corri e basta!-

 

Althea

Lo fissai stupita. Come poteva prendere con tanta leggerezza questa situazione? Dei robot continuavano a spararci ininterrottamente, seguendoci per giunta. Quando attraversammo quella specie di rialzamento del terreno che girava su se stesso, credetti di star per vomitare. Eravamo a un’altezza notevole, e l’idea di doverla attraversare a testa in giù, accentuava la nausea. Accelerai ancora la corsa, sperando che tutto quello finisse il prima possibile. Distrussi un robot che mi si era parato davanti grazie ad una palla di fuoco.

Eppure quel riccio sembrava spensierato. Si stava divertendo, e lo si capiva dalla faccia sorridente e dagli occhi vivaci, non come quando mi stavo allenando. Quando la strada fu sgombra di robot, entrambi accelerammo. Mentre sentivo il vento tra la pelliccia e gli aculei, e le gambe si muovevano, quasi automaticamente, non sentivo l’esigenza impellente di dover tenere sotto controllo le fiamme. In quel momento esatto, stavo provando una sensazione strana, indescrivibile. Non ne avevo mai provate così nella mia dimensione. Sembrava uno strano calore nel petto. Mi sarebbe sorto un minuscolo sorriso spontaneo se non lo avessi fermato in tempo. Non sapevo come descrivere quella sensazione. Sembrava una felicità enorme che ti esplodeva nel cuore.

-Allora, ti stai divertendo?- mi chiese il riccio, rivolgendomi un’occhiata. Lo ignorai. Divertimento? Come potevo sapere se mi stavo divertendo in quel momento? Era una sensazione nuova. Poteva essere quella? Scossi la testa, cercando di distogliermi da questi pensieri. –La vuoi fare una gara?- mi chiese lui, con uno sguardo di sfida. Io gli rivolsi una breve occhiata. –Impaziente di essere umiliato?- dissi di risposta. Lui ridacchiò, non distogliendo lo sguardo. –Questo lo vedremo- esclamò, prima di sorpassarmi. Dovevo ammettere, che quel riccio poteva avere anche dei lati positivi nel suo carattere. E forse, un giorno li avrei scoperti. Ma di una cosa potevo stare certa. Lui non mi avrebbe mai battuto.

 

Eggman

 

Finalmente, il piano che avevo messo a punto negli ultimi anni, stava per essere messo in atto. Le truppe erano sul posto, più motivate che mai. In fondo, se questo piano fosse fallito, la mia morte avrebbe significato anche la loro.

-Dottor Eggman- mi fece trasalire la voce robotica di Orbot. –Le truppe sono ai loro posti in entrambe le dimensioni. Attendono soltanto un vostro comando- mi spiegò, mostrandomi sugli enormi schermi dei computer la situazione. Migliaia di robot stavano preparando le loro armi, e sembravano non attendere altro che poterle utilizzare. –Bene- esclamai, guardando Orbot. Anche lui sembrava fremere di ansia. Dopo anni d’inattività, il poter finalmente attuare un piano in grande stile sembrava un sogno.

-Dottore. Siamo in posizione. Attendiamo i suoi ordini- spiegò il robot Alpha, attraverso la sua ricetrasmittente. Io annuì, ben consapevole che lui non mi potesse vedere. –Perfetto. Date inizio alla missione d’infiltrazione, e se questa non andasse a buon fine, non esitate a ingaggiare e neutralizzare la base, senza lasciare prigionieri o, peggio, testimoni- gli dissi, guardando la sua reazione dalla telecamera infra-dimensionale. Lui annuì, facendo un cenno a tutti i robot dietro di lui, che lo seguirono. Speravo vivamente che non si facessero scoprire, soprattutto nella dimensione del Sol. Non sarebbe stato difficile uccidere i soldati della G.U.N. , ma se avessimo incontrato il riccio nero e i suoi figli, allora avremmo avuto decisamente più problemi.

-Procedete- dissi solamente, sperando che tutto filasse liscio. Così, iniziava il mio piano per appropriarmi dei Chaos Emerald e dei Sol Emerald.

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Capitolo 11
*** Nuove Esperienze ***


Cap 5- Chao Althea

Osservavo il paesaggio fuori dalla finestra, che sembrava apparentemente tranquillo, illuminato dal Sole mattutino. Tuttavia, ripensando al giorno prima e all’attacco da parte dei robot, il tutto non mi sembrava più pacifico. Decisi di scendere al piano inferiore e raggiungere la famiglia del riccio, che in quel momento stava probabilmente facendo colazione. Dopo che scesi le scale, mi diressi velocemente in cucina. La prima cosa che notai, fu il riccio blu scuro che parlava insieme a suo padre. –Sei sicuro che fossero così tanti?- chiese Sonic.
Suo figlio annuì. –Non ho mai visto così tanti Badniks  tutti riuniti in una sola volta. E specialmente non in quella zona- proruppe quest’ultimo. Sonic annuì, essendo d’accordo con le sue parole. Tutta la famiglia sembrava ascoltarli attentamente.
-Mi raccomando ragazzi. Non dovrete più uscire da soli oppure allontanarvi troppo da casa. Se i robot sono aumentati in un numero così esponenziale, allora dovrete prestare molta attenzione- borbottò, riflettendo sulle sue parole. -E questo vale anche per te, Althea- disse all’improvviso, rivolgendomi un’occhiata e sorridendo. Io abbassai le orecchie, notando che tutta l’attenzione delle persone presenti nella stanza era rivolta a me. Non risposi, nonostante tutto. Perché mai non sarei dovuta tornare in quel posto? Infondo, se fossi andata in una zona piena di nemici, avrei potuto testare il mio allenamento e mettermi alla prova con dei veri avversari.
Presi una fetta di pane come la mattina precedente, dirigendomi verso la porta per uscire. Ma la madre del riccio mi si parò davanti. -Conosco un posto in cui sarebbe piacevole passare un po’ di tempo tutti insieme–mi disse lei con un sorriso. Corrucciai leggermente le sopracciglia. Che cosa aveva intenzione di fare- –Mi dispiace, ma devo allenarmi- declinai l’invito.
Vidi una scintilla di pura determinazione nei suoi occhi. -Insisto perché tu venga con noi, Althea- disse di rimando lei. Sbuffai interiormente. Non avevo per niente voglia di seguire tutta la famiglia di quel riccio e dover passare con loro tutta la giornata.
Sonic si voltò verso Dash. -Dash, per favore, esci un attimo-.
-Cosa? Ma scusa, io...-
-Dash- ribadì Sonic con tono deciso. -Vai-.
Dash sbuffò, alzando gli occhi al cielo. -E va bene...- Detto questo, si allontanò dalla stanza e se ne andò da un'altra parte. Sonic ritornò a guardarmi sorridente.
-Althea, quando sarai regina sarà importante conoscere, oltre il tuo mondo, anche diverse caratteristiche del nostro. Questa potrebbe essere una di quelle- mi spiegò il rivale di mio padre con un sorriso incoraggiante. Ci pensai un attimo. Il mio obiettivo era di allenarmi, ma ripensando al giorno precedente, e alla piacevole sensazione che era seguita alla fuga dai robot, riflettei che forse, e dico forse, potrebbe essere stata un’attività curiosa.
-Bene. Forse potrebbe essere una cosa interessante- dissi solamente, osservando il sorriso caloroso della madre del riccio. Dash ritornò con fare scocciato in nostra presenza.
-Speravo vivamente che tu rifiutassi- sospirò il lui con tono sarcastico.
-Credevo che tu avessi afferrato il fatto di ''conversazione privata''- ringhiai. -Che cos'hai sentito?-
Dash fece un'alzata di spalle. -Solo l'ultima parte della conversazione- sbottò. -E a te che te ne importa?-
Cercai di trattenere il nervoso e di ignorare questa sua affermazione, ma involontariamente bruciai la fetta di pane che avevo in mano con una fiammata. I suoi genitori mi guardarono allarmati. Ecco un altro motivo per cui loro non mi avrebbero mai lasciata da sola in casa loro. Le mie fiamme. Scrollai velocemente la mano, spegnendo le fiammelle che si erano create. L’espressione sui volti delle sorelle era assolutamente indecifrabile. Sembrava un misto tra stupore, nervosismo e terrore, anche se cercavano di non mostrarlo. Il riccio insopportabile e i suoi genitori, invece parevano tranquilli, addirittura rasserenati dalle mie fiamme. Il più giovane dei tre mi rubò la fetta di pane dalla mano, osservandola. Dopo qualche secondo scrollò le spalle, dandole un morso. –Ben cotto. Come piace a me- decretò, inghiottendone un altro pezzo. Inarcai un sopracciglio. Non sembrava dirlo con la sua tipica ironia. Forse era davvero cretino come voleva mostrare. Le sue sorelle lo fissarono divertite, non concentrando più l’attenzione su di me. Poi lui mi lanciò uno sguardo.

-Allora, vieni con noi sì o no?- chiese impaziente, picchiettando un piede sul pavimento. Gli lanciai uno sguardo trucidatore. –Mi sembra di averti già risposto- ringhiai, mostrando la mia irritazione. Il riccio ghignò. –Speravo soltanto che tu avessi cambiato idea- sospirò. Roteai gli occhi infastidita, scuotendo leggermente la testa. Suo padre ridacchiò, richiamando la nostra attenzione. – Se voi avete finito di essere così amorevoli l’un l’altra, noi inizieremmo a incamminarci- disse quest’ultimo. Il figlio sbuffò, cominciando a dirigersi fuori dalla porta, mentre le sue sorelle seguirono la madre. Innervosita, le seguii. Il padre mi mise una mano sulla spalla, fermandomi.

- Loro vanno in macchina. Credo che tu preferisca correre, non è così?- abbassai l’orecchio, annuendo lentamente. Lui sorrise. –Perfetto! Voglio proprio vedere se sei veloce quanto tuo padre- disse, ammiccando. Io oltrepassai la soglia della porta, affiancandomi al riccio blu scuro. Mi rivolse uno sguardo di sfida, sorridendo. –Pronta a mangiare la polvere come ieri?- mi chiese mettendosi in posizione per scattare. –Vorrei ricordarti che siamo arrivati pari, e l’unico motivo per cui non ti ho battuto era perché non conoscevo il luogo. Avrei benissimo potuto vincere se fossimo stati nella mia dimensione- gli ricordai. Lui inarcò un sopracciglio, incredulo. Prima che potesse rispondere, suo padre ci raggiunse.

-Bene ragazzi. Siete pronti?- chiese, piegando leggermente le gambe. –Althea, tu seguici- aggiunse, prima di scattare via, creando una scia color cobalto dietro di lui. Io e suo figlio ci lanciammo una veloce occhiata, prima di iniziare a corrergli dietro. Il vento scompigliava a entrambi gli aculei, facendoci sembrare più liberi che mai. Dovevo ammettere che suo padre era veloce, forse quanto il mio. Stava davanti a noi di qualche metro, ma avevo tutta l’impressione che non stesse andando alla sua velocità massima. Ero sicura che se avesse voluto, avrebbe potuto superare la barriera del suono. Dopo qualche minuto di corsa, Sonic rallentò esponenzialmente. Sentii un rumore di una macchina che si avvicinava a noi. Mi voltai, notando la vettura rossa, guidata dalla madre del riccio. La sorella di colore azzurro ci fissava impaziente, rivolgendo delle occhiate occasionali al padre, il quale annuì. Dopo qualche secondo, la ragazza prese lo slancio dal sedile, saltando fuori dalla macchina. La fissai stupita, quando atterrò dietro di noi. Quello che mi sorprese di più, fu che ci raggiunse in pochi attimi. Sbarrai gli occhi. Riusciva a raggiungere velocità simili alle nostre, ma in modo molto più ridotto. Sembrava stancarsi abbastanza velocemente rispetto a noi, ed era leggermente più lenta di me –Felice di rivedervi!- esclamò. Attraversammo in qualche minuto Green Hill, e il paesaggio iniziò a variare, insieme alle palme che apparivano sempre più frequentemente.

Dopo qualche minuto di corsa, vidi che tutti iniziavano a rallentare il passo, così seguii il loro esempio. Pochi momenti dopo, ci fermammo davanti ad un gruppo di alberi. Diedi un’occhiata veloce al rivale di mio padre, che osservava soddisfatto il luogo davanti a lui. –Da questa parte- ci spronò. Che cosa poteva esserci di tanto bello nel cuore degli alberi? Dopo che sua moglie e l’altra figlia ci raggiunsero, iniziammo a incamminarci. La riccia rosa con gli aculei mossi sembrava tremendamente impaziente. Mi sembrava strano che una persona come lei amasse le escursioni. Doveva esserci qualcosa di più. –Sembri leggermente tesa, gattina- mi infastidì il riccio blu scuro. Scrollai le spalle, come se quello che mi dicesse non avesse alcuna importanza. –Considerando che non so dove mi state portando, posso pensare qualsiasi cosa- gli risposi di rimando. Lui scosse la testa, con un sorriso divertito in volto. Quando arrivammo davanti ad un gruppo di cespugli, il padre si fermò di scatto. –Bene. Siamo arrivati- esclamò, iniziando a scostare i cespugli da un punto preciso. Lo fissai, leggermente incuriosita. Quando guardai più attentamente, notai un buco nel terreno, nascosto da vari strati di foglie.

-Andiamo- disse il riccio blu, iniziando a scendere in quella che mi sembrava una fessura nel terreno. Sporgendomi, vidi che in realtà era una crepa di medie dimensioni. Il figlio lo seguì senza esitazioni, probabilmente avendo visto numerose volte quel posto. La riccia con gli occhi azzurri mi sorrise, spronandomi ad avanzare. Tutto quello era terribilmente strano, ma cacciai i peggiori pensieri che mi venivano in mente. Scesi cautamente nella fessura, facendo particolarmente attenzione alle persone che avevo alle spalle. Mi stavano portando in un posto troppo sospetto per i miei gusti. Sentii il battito cardiaco aumentare, e il calore del fuoco nel mio corpo che si faceva più intenso.

-State attenti a dove mettete i piedi- ci avvertì il padre del riccio. Si poteva sentire un particolare odore, in quella specie di grotta. Sembrava quasi che l’olezzo della muffa si fosse mischiato a quello dell’umidità. Nonostante tutto, l’aria sembrava secca e si faticava a respirare con facilità. –Non si vede niente- si lamentò la riccia con gli occhi azzurri, dietro di me. Mi diedi una veloce occhiata dietro le spalle, tentando di non farmi notare. Detestavo avere qualcuno dietro di me, specialmente se non conoscevo quel qualcuno e se eravamo al buio. Accesi una piccola fiammella sul dito della mano destra, tentando di rischiarare quel luogo. Improvvisamente, una luce si scatenò dal mio dito, illuminando interamente la grotta. Mi guardai intorno. Quel posto era terribilmente inquietante. Dei dossi di terra spuntavano dal terreno, rischiando di farci inciampare. Le pareti intorno a noi sembravano terribilmente instabili, quasi come se l’umidità e il calore avessero potuto scioglierle con il passare degli anni. –Non ci vorrà ancora molto- esclamò, l’idiozia fatta a riccio, al mio fianco. Mi limitai a ignorarlo, continuando a guardare fisso davanti a me e cercando un qualche rumore che avrebbe potuto mettermi in guardia. O almeno, più di quanto ero già in quel momento. Sentii i peli dietro la nuca drizzarsi per il nervoso. Presa dai miei pensieri, non notai immediatamente la luce che appariva dal fondo di questa specie di buco scavato sottoterra.

-Finalmente!- disse la madre del riccio, con un tono stranamente esasperato. Osservai l’incrinatura nel terreno, sopra di noi. Il riccio e suo padre salirono senza esitazione. Io invece, li osservai per qualche secondo. Ero inquieta. Non sapevo dove mi stessero portando, e di certo non mi fidavo di loro. –Ti sbrighi?- mi urlò il riccio blu scuro, sporgendosi dalla crepa nel terreno. Scossi leggermente la testa per ridestarmi dai miei pensieri. Feci un breve salto, atterrando su dell’erba fresca. Sentii le pupille restringersi per l’improvvisa luce. Alzai lo sguardo, per cercare un indizio del luogo in cui mi ritrovavo. Sbarrai gli occhi, assolutamente incredula.

Quel posto era semplicemente………….meraviglioso. il sole filtrava tra le foglie degli alberi, ricreando splendidi effetti di luce. Un piccolo laghetto si trovava alla mia destra, ed era costernato di massi. Una cascata spruzzava gocce d’acqua su quello splendido prato, incorniciato da miriadi di fiori. Il tutto terminava con una scogliera, da cui si poteva osservare il mare che s’infrangeva sulle rocce. Delle piccole palme cariche di frutti crescevano vicino all’acqua. Era come un piccolo giardino. Una visione quasi idilliaca.

Tutta l’ansia che mi sentivo addosso sparì appena vidi le gigantesche pozze di luce che si espandevano sull’erba. Mi guardai intorno, incredula che potesse esistere un luogo come quello. Poi notai qualcosa. Non molto lontano da noi, delle piccole creature azzurre giocavano spensierate. Strizzai gli occhi, non credendo a quello che vedevo. – Che cosa sono quelli?- chiesi, indicando il punto del mio interesse. Il padre del riccio rise. –Quelli sono dei Chao- mi rispose sorridendo. –Le creature più vicine al potere dei Chaos Emerald- specificò, forse per incuriosirmi. Abbassai un orecchio. Chao? Non ne avevo mai sentito parlare nella mia dimensione. –Forza, andiamo!- mi spronò la riccia azzurra, afferrandomi per un braccio e trascinandomi verso quegli esseri. Quando arrivammo davanti ai Chao, mi scostai velocemente dalla riccia, allontanandomi di qualche passo.

Quelle creature erano stranissime. La maggior parte di loro erano azzurri, fatta eccezione per qualche esemplare. Poco dopo, tutta la famiglia era riunita vicino a quegli esseri. La riccia con gli occhi azzurri sembrava completamente presa da loro, e li coccolava a turno. Poi ne prese uno, porgendomelo.                  –Accarezzalo!- esclamò. Guardai quell’essere, che mi fissava con gioia, allungando le braccia verso di me per farsi prendere in braccio. Avevano degli occhi stranamente dolci. Sembravano completamente puri. Mi allontanai di qualche passo. – Non m’interessa- mi giustificai, andando ad appoggiarmi in disparte su una roccia. Osservai quelle persone. Le sorelle del riccio sembravano pazze di quegli esseri. Giocavano spensierate insieme con loro, prendendoli in braccio e coccolandoli. Incrociai le braccia al petto, nervosa. Non avrei mai pensato che mi avrebbero portato in un posto come questo. Ma a quale scopo? Io non avevo certo bisogno di affezionarmi a qualcuno.

-Sembri stare un po’sulle tue, Althea- mi voltai di scatto, ritrovando la madre del riccio che mi fissava con un sorriso. –Dovresti rilassarti di più, scioglierti un po’- mi consigliò, guardandomi con uno sguardo stranamente dolce. Perché mi stava dicendo queste cose? Io non avevo bisogno di consigli. –Rilassarmi non è il mio forte- risposi, cercando di essere meno sgarbata possibile. Lei sospirò. –Mi ricordi molto tua madre, la prima volta che la conobbi- disse a mezza voce, quasi come se stesse pensando.

 –Sei una brava ragazza, e sei anche molto forte. Ma tutti abbiamo bisogno di un amico. Un giorno potresti averne bisogno anche tu- continuò. Abbassai lo sguardo. Un amico? Perché avrei dovuto averne bisogno? Sapevo benissimo badare a me stessa. – Althea, io credo che tu- tentò lei di parlare, ma si interruppe.

-DASH! SONIC!- strillò, perdendo improvvisamente tutta la calma che aveva qualche minuto prima. –SMETTETELA DI LANCIARE IN ACQUA I CHAO!- iniziò a incamminarsi velocemente verso i due ricci a cui stava urlando. Davvero credeva che io avessi bisogno di qualcuno che mi aiutasse? Scossi la testa, infastidita. Non molto lontano da me, notai un piccolo Chao bianco che si avvicinava con fare affettuoso. Alzai un sopracciglio, non capendo cosa volesse. Quando fu ai miei piedi, inizio a tirarmi i bordi viola scuro del cappotto. Mi scostai leggermente, cercando di scacciarlo. Improvvisamente, sentii qualcosa che aveva afferrato le mie spine. Quando cercai di guardare cosa fosse, l’altro Chao si arrampico sulla mia gamba, fino a restare aggrappato con tutte le forze alla mia pancia. Quando guardai cosa si fosse attaccato sulle mie spine, notai che era un’altra di quelle creature. Abbassai le orecchie, nervosa. Davanti a me, una decina di quegli esseri mi si avvicinò in volo. Una di queste si appoggiò sulla mia testa, accoccolandosi. Il resto di loro mi afferrò senza pudore ogni parte libera del mio corpo. Sentii il battito cardiaco aumentare per l’irritazione e per l’ansia di potergli fare del male. Il calore aumentò, e la mia pelliccia diventò notevolmente calda. Sentii un altro Chao aggrapparsi alla mia coda. Cercai di scrollarmeli di dosso, ma sembravano quasi essere attaccati con la colla. Sentii una risata, e mi voltai.

-Che bello spettacolo. Siete così carini!- disse ironico il riccio irritante, che aveva affianco suo padre. Gli lanciai un’occhiata truce. – Richiama questi affari, oppure avrete della carne ben cotta per cena- ringhiai irata. Lui scrollò le spalle avvicinandosi, perennemente divertito. –Devono essere attirati dal potere del Chaos che emani- proruppe suo padre. Quando il riccio blu scuro allungò una mano per tentare di staccare i Chao dal mio braccio sinistro, questi ultimi bloccarono i piccoli versi che emettevano. All’improvviso, iniziarono a volare lontano da noi. Gli esemplari che poco prima erano in braccio alle sorelle del riccio, adesso stavano cercando con tutte le forze di liberarsi dai loro abbracci. Non sembravano tranquilli come qualche minuto prima. La maggior parte di loro andò a rifugiarsi in dei piccoli buchi scavati nel terreno, che supposi fossero le loro tane.

-Che cosa sta succedendo?- chiese la riccia azzurra, guardando intorno a lei. Il padre del riccio si avvicinò a uno di quegli esseri con cautela e allungò una mano verso di lui, il quale si scansò velocemente, volando sopra un albero. –È strano. Di solito non si comportano così- esclamò, grattandosi pensieroso il naso. Abbassai un orecchio, guardando le loro facce stranite. I genitori del riccio sembravano particolarmente preoccupati. –Forza, torniamo a casa- esclamò la madre, cercando di nascondere tutta la negatività della situazione. Mi voltai un’ultima volta verso i Chao. Improvvisamente, sentii una strana sensazione nel petto. Tutto quello non era normale. Avevo un terribile presentimento. Speravo con tutto il cuore che fosse soltanto un’impressione. Ma sapevo benissimo che tutto quello era strano. E se fosse dovuto succedere qualcosa, lo avrei scoperto presto.

 

 

 Comandante Jeremy Gibson

 

 

Durante il viaggio verso lo stabilimento, i miei pensieri si concentravano esclusivamente sugli eventi che potevano seguire. L’attacco alla base non lasciò vittime, eppure aveva dell’inquietante, ed io sono cresciuto in un mondo che ha subito attacchi da parte di scienziati pazzi, creature acquatiche, ricci supremi, alieni, e mostri residenti nel centro stesso del pianeta, quindi avevo una minima idea di quello che poteva significare un attacco di quel calibro. Ricambiai il saluto militare rivolto agli agenti, i quali mi portarono immediatamente nei punti salienti relativi all’assalto da noi ricevuto.

I nostri uomini furono addormentati e la base era quasi totalmente illesa, a parte qualche telecamera distrutta prima che potessimo identificare gli aggressori. Quindi pensai che chiunque fosse stato il responsabile di quel disastro, non voleva inutili spargimenti di sangue. O meglio, non desiderava essere infastidito da qualche soldato straziato dal dolore.

Ciò non voleva dire che i nostri uomini fossero in buone condizioni, considerando che i proiettili tranquillanti che avevamo trovato vicino ai soldati avrebbero benissimo potuto stendere un elefante senza alcun problema.

Ovviamente, ero molto più preoccupato per ciò che mi aveva spinto a venire qua di persona.

Giunti nel caveau, infatti, potei confermare la notizia ricevuta poche ore fa: il Chaos Emerald era stato rubato, e la porta del caveau in cui risiedeva era stata letteralmente fusa. Una porta in titanio puro era stata liquefatta, come se fosse stata un cubetto di ghiaccio esposto ai raggi diretti del Sole. Dovevamo assolutamente riuscire a capire chi fosse stato a vendere le munizioni. Se fossimo riusciti a ritrovare il trafficante di quei proiettili, avremmo potuto interrogarlo e poter ottenere degli indizi.

-Siete riusciti a scoprire qualcos’altro?- domandai all’agente al mio fianco, il quale rileggeva una serie di fogli. Lui scosse la testa, guardandomi con un leggero timore. Sospirai, incrociando le mani dietro la schiena.

-No, signore, non ancora. Ma grazie ai proiettili lasciati in giro per la base riusciremo ad identificare gli aggressori entro pochi giorni- affermò il soldato, in parte allarmato da quella che poteva essere la mia reazione-E’ evidente che lei non comprende appieno la gravità della situazione: un furto di questo calibro non va preso alla leggera, ed in “pochi giorni” potrebbe ripetersi il fatto- gli ringhiai contro, mantenendo comunque il contegno che mi doveva caratterizzare come leader. Il soldato ribatté. –È tutto ciò che possiamo fare, signore- Gli lanciai uno sguardo trucidatore, che avrebbe potuto mettere a tacere anche il soldato più ribelle. Sapevo come rispondere. Sempre. -Allora voglio di più- sibilai.

Non potevamo commettere alcun tipo di errore.

Era il mio quinto anno come Comandante supremo della G.U.N., e non avevo mai tollerato alcun tipo di leggerezza, disobbedienza od incompetenza, ma quella, ne ero certo, sarebbe stata la mia vera occasione di dimostrarmi superiore anche al nostro illustre precedente Comandante, il sopravvissuto dell’A.R.K.

Ma avevo un asso nella manica; la scientifica sarebbe riuscita senz’altro in poco tempo a riconoscere il venditore dei proiettili; il vero problema sarebbe stato riconoscere il compratore tra le migliaia dei suoi acquirenti, quanto meno per il tempo che ci sarebbe voluto. Ed era questo il nostro vero problema. Il tempo.

Sarei dovuto ricorrere a dei “professionisti” delle indagini “underground” e ufficiose, consapevole del fatto che, nella storia della G.U.N., sarei probabilmente stato il primo ad avere la consapevolezza di dover ricorrere ad una contromisura che qualcuno, forse, avrebbe potuto ritenere “disperata”. Ma sapevo dei loro trascorsi, ero consapevole delle loro abilità, e rimanevo sicuro del fatto che quel lavoro sarebbe stato perfetto per loro.

Inoltre, ero consapevole del loro amore per il denaro...


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Capitolo 12
*** Busta paga ***


Cream

 

Mia madre me lo diceva sempre. Da adulta, avrei fatto grandi cose. Forse al tempo non riuscivo a comprendere il significato di quelle parole. Mi sembrava una normale frase, priva di alcun significato che avrebbe potuto rivelarsi importante. Soltanto adesso potevo davvero capire a fondo quello che mi diceva. Quand’ero piccola avrei voluto fare un mestiere come la fioraia, oppure la pasticcera. Soltanto quando passarono gli anni, capii cosa amavo davvero fare. La mia passione era particolare. Io adoravo costruire, mettere insieme pezzi di qualsiasi tipo e creare un qualsiasi progetto che avrebbe potuto rivelarsi importante. E i computer. Andavo matta per i computer. Vedere come funzionavano, e provare a farli funzionare. Inoltre, erano utili per i miei progetti. Dopo essere riuscita a coltivare negli anni queste passioni, riuscii a trovare lavoro in un’agenzia. Un’agenzia molto particolare. Di certo non dormivo in un letto lussuoso, e non mangiavo piatti da cinque-stelle, ma quello che facevo mi rendeva davvero felice, e la mia vita mi sembrava perfetta così. E poi avevo sempre Cheese e Chocola affianco a me.

 Il mio capo era un tipo simpatico, forse leggermente stravagante. Il suo nome era………….   -CREEEEAM! APRI LA PORTA! QUESTA ROBA PESA!-

………….Vector. Mi alzai di scatto dalla sedia su cui ero comodamente appoggiata, dirigendomi verso la porta della nostra agenzia investigativa. Lanciai un’occhiata ai miei due Chao, che mi svolazzavano nervosamente intorno. Spalancai la porta, fissando divertita il coccodrillo carico di borse della spesa, davanti a me. Appena lui le ebbe buttate sul pavimento con un tonfo, tirò un sospiro di sollievo. Si stirò i muscoli della schiena, inarcandola leggermente. –Ecco una cosa da aggiungere alla mia bacheca, Cream. Ricordami di non far mai più scrivere la lista della spesa a Charmy. Mai- borbottò lui, sistemandosi abilmente le sue inseparabili cuffie sulla testa. In tutti quegli anni, il suo carattere non era cambiato di una sola virgola. Forse soltanto il suo aspetto fisico si era modificato in quel lasso di tempo. Si era alzato ancora di qualche centimetro, e il suo viso adesso sembrava leggermente più invecchiato.  

-A proposito- esclamò, guardandosi intorno. –Dove sono Charmy ed Espio?- chiese, stupito di tutto quel silenzio. –Espio è andato ad allenarsi, mentre Charmy………….dove diamine è lui?- dissi, grattandomi la guancia. Vector fece un suono strozzato, scuotendo la testa con fare scocciato. –Oh no, lo sta facendo di nuovo. Cream, seguimi. So dove trovarli- mormorò, dirigendosi verso una delle stanze più remote della nostra ‘’casa’’. Aprì leggermente la porta, lasciando visibile soltanto uno spiraglio, che ci mostrava la stanza personale di Espio.

Notai l’ape appoggiata con la schiena al muro, con una mela in testa. – Allora quando abbiamo finito mi compri un gelato?- chiese Charmy con il suo tono infantile, nonostante ormai avesse più di ventisei anni. Dovevo ammetterlo, con il tempo era cambiato molto. Il fisico era diventato più slanciato, e quella che una volta era una piccola ape, adesso mi aveva superato nettamente in altezza. Espio sembrò ignorarlo.

-Se va tutto a buon fine, te ne compro due di gelati- mormorò quest’ultimo. Come si suol dire, alcune cose non cambiano. E questo vale allo stesso modo anche per le persone. Espio con gli anni non era cambiato molto. Forse l’unica differenza che si poteva notare esponenzialmente era il pizzetto nero che si era fatto crescere sul mento. Dopo qualche secondo sentimmo un rumore secco, e vidi che la mela sulla testa di Charmy era rimasta attaccata al muro, con un kunai che la trapassava da un’estremità all’altra.

-ESPIO!- lo richiamai, entrando velocemente nella stanza. Lui mi lanciò un’occhiata indifferente. Vector scosse la testa esasperato. –Charmy, ti sembra logico farti lanciare un coltello contro soltanto per farti regalare un gelato?- gli chiese il coccodrillo. Charmy ridacchiò felice. –Due gelati!- specificò, con un sorriso enorme sulle labbra. Vector sospirò, cercando di mantenere la calma. Appena l’ape focalizzò i due Chao, i suoi occhi si illuminarono, e si avvicinò rapidamente a loro. Quando allungò un braccio per accarezzarli, questi si scansarono, iniziando a volare nervosi intorno a me. –Si può sapere che cos’hanno?- disse Espio, fissando con aria interrogativa i due Chao. –Non ne ho idea. E’ da un po’ che si comportano così- risposi, fissando preoccupata Cheese e Chocola. Era strano che si comportassero in quello strano modo così all’improvviso. Erano turbati………….ma da cosa?

L’improvviso suonare del campanello mi fece sobbalzare, distogliendomi dai miei pensieri. Vector si affrettò ad uscire dalla stanza, dirigendosi verso la porta d’entrata principale della nostra agenzia. Il suo sguardo era diventato improvvisamente gioioso. Mi sporsi, cercando di vedere chi fosse alla porta. Quando Vector guardò dallo spioncino, il suo corpo si irrigidì improvvisamente. Non sembrava avere più traccia della gioia nel sentire il campanello suonare, sperando che potesse essere un potenziale cliente. Dopo qualche secondo di esitazione, aprì la porta. Due uomini, con una giacca nera, cravatta e occhiali da sole, lo stavano fissando.

-Buongiorno. Lei è il signor Vector the Crocodile, proprietario dell’agenzia investigativa Chaotix?- chiese uno di questi, con i capelli rosso fuoco che risplendevano al Sole. –Sì. Sono io- rispose Vector, con un tono che non tradiva il suo nervosismo. -Siamo due agenti della G.U.N.- sbarrai leggermente gli occhi. Che cosa potevano volere da noi questi tizi? L’altro uomo porse una lettera a Vector. Charmy mi scostò leggermente, cercando di dare un’occhiata a quello che stava succedendo. Dopo che Vector ebbe afferrato la lettera, uno degli agenti si voltò, iniziando ad incamminarsi verso quella che supponevo fosse la loro auto. –Arrivederci- esclamò solamente l’altro, seguendo il suo compagno. Vector rimase intontito per qualche attimo, prima di richiudersi la porta alle spalle.

-Si può sapere cosa vuole la G.U.N? Non vorrai dirmi che ti sei indebitato con loro, vero Vector?- chiesi, impaurita da quella che poteva essere la sua risposta  -No, no. Assolutamente no. Ad essere sincero, non ho un vero motivo per essere sospettoso, semplicemente non mi fido di quei cagnolini del Governo-  Non sapevo come dargli torto. Ma allo stesso tempo non riuscivo a trattenere la mia curiosità, mentre scartava velocemente la busta.

Non appena Vector tirò fuori la lettera, sentii Espio pronunciare le tre fatidiche parole che stavamo aspettando tutti. -Cosa c’è scritto?- Vector rilesse un’ultima volta la lettera, prima di rispondere. -Guardate voi stessi-

 

_Alla cortese attenzione dell’Agenzia investigativa Chaotix,

l’organizzazione militare e scientifica per la difesa di Mobius, comunemente denominata G.U.N,  richiede un incontro per motivi professionali tra la suddetta agenzia ed il comandante supremo della G.U.N. attualmente in carica, Jeremy Gibson.

Nel qual caso la “Chaotix” decidesse di accettare l’invito, le si prega di presentarsi al Quartier generale della G.U.N. risiedente a Station Square entro le 17:00 di questa giornata

                                                                                             

                                                                                                 Il comandante Jeremy Gibson_

 

-Tu ti fidi?- chiesi, tremendamente nervosa al coccodrillo. Lui scosse la testa deciso. -Te lo ripeto. Assolutamente no. Ma abbiamo dei debiti da estinguere, e per quanto non sopporti quei cervelloni della scientifica, di una cosa siamo certi. Pagano bene, e lo fanno subito- rispose, leggermente seccato. La risposta di Espio non tardò ad arrivare – Non siamo mai stati nelle loro grazie, Vector. Chi ti dice che si comporteranno correttamente? – il coccodrillo rispose, pieno di falsa sicurezza-Nessuno, questo è il bello del nostro lavoro!-

Come al solito, Charmy tirò fuori uno dei suoi tipici discorsi fuori luogo-Ed i miei gelati?- lo chiese con un pizzico d’ironia, la quale mi fece comparire un minuscolo sorriso.  E, come al solito, Espio aveva sempre una risposta, atta a convincere Charmy a venire con noi senza creare troppi problemi-Non ti preoccupare, Charmy, ti posso assicurare che nessuno, in tutta Station Square, produce dei gelati dolci e cremosi come quelli della G.U.N.- spiegò il camaleonte. Charmy ridacchiò sarcastico, incrociando le braccia al petto. Sentii quindi Vector, in tutta la sua fierezza, pronunciare le seguenti parole -Bene ragazzi, preparatevi, fatevi la doccia e profumatevi per bene, abbiamo un colloquio che ci aspetta!- Non potevo negare che avevo sempre desiderato dare un’occhiata alle avanzatissime attrezzature della G.U.N, e questa era la mia occasione.

Vector

 

-Dovrebbe essere questo il posto- esclamai, lanciando un’occhiata a tutti i miei compagni al mio fianco. –Da cosa lo deduci, dalle tre enormi lettere l’una consequenziale all’altra, tra l’altro intervallate da tre puntini? Non mi stupisco che tu sia il nostro capo- mi rispose Charmy con il suo tono occasionalmente ironico. Roteai gli occhi. Era strano come quel bambino fosse cresciuto in vent’anni.  Certo, il suo spirito noioso e petulante continuava ad ossessionarci.

Iniziai ad incamminarmi verso l’enorme edificio, seguito dai miei compagni. Quando oltrepassammo l’enorme porta d’ingresso scorrevole, ci ritrovammo davanti una vastissima hall principale. Centinaia di persone camminavano frettolosamente in ogni direzione. Probabilmente erano dipendenti degli uffici dell’Amministrazione della G.U.N.

Al centro della sala vi era situata una Reception, esattamente ciò che ci serviva per trovare l’ufficio del mittente della lettera, colui che si definiva il capoccia di tutta l’organizzazione. Molto gentilmente, la giovane e, devo dirlo, piuttosto attraente receptionist, ci pose una domanda piuttosto prevedibile                 –Buongiorno, come posso aiutarvi?-

-Stiamo cercando l’ufficio del vostro Comandante- risposi solamente. Lei ci lanciò un’occhiata sospettosa, cercando di capire se stessimo parlando sul serio. Prima che potesse aggiungere qualcosa che avrebbe potuto essere offensivo, le porsi la lettera. La afferrò velocemente, leggendone il contenuto. Senza dirci una singola parola, diede una controllata ad gruppetto di fogli che aveva li vicino.-Quindicesimo piano, porta in fondo a sinistra- disse, facendo un cenno all’ascensore che stava vicino alle scale. La ringraziammo velocemente, incamminandoci.

Devo ammetterlo, per quanto la G.U.N. fosse un’organizzazione militare sporca come le toilettes di un autogrill, sapeva bene dove trovare i fondi per le proprie mire. Un altro ottimo motivo per tenerseli stretti come clienti.

Saliti sullo spaziosissimo ascensore, premetti il pulsante per il quindicesimo piano. Purtroppo non potevo immaginare che avremmo dovuto fare i conti con l’ingrediente che, insieme a quell’adorabile piaga che prende il nome di Charmy, formava un cocktail insopportabile: la canzone di sottofondo dell’ascensore.

-Charmy, non è il momento per canticchiare…-bisbigliai, viste le numerose persone presenti insieme a noi nell’ascensore. Ovviamente, non ricevetti alcuna risposta, ricordandomi il perché non avevo mai lasciato a Charmy il compito di curare le pubbliche relazioni dell’agenzia.

-Charmy, stiamo facendo una figuraccia- sentii Espio bisbigliare con nervosismo. Sul serio, lavoro con quel ninja da più di vent’anni, e giuro che non lo avevo mai visto tanto nervoso quanto nei momenti in cui doveva avere a che fare con Charmy per un periodo particolarmente lungo, nemmeno quando ci siamo dovuti confrontare con quel maledetto riccio robotico.

Grazie al cielo, fu poi il turno di Cream, probabilmente l’unica che avrebbe potuto convincere Charmy a chiudere il becco. -Charmy, rischi di farci una pessima pubblicità se continui così. Ti pregheremmo di smettere subito…- Sembrò che all’ape non gliene potesse importare di meno. –Ohhh, cavolo, quando mi ricapita di poter fischiettare di nuovo in un ascensore così lussuoso…- Mi trattenni dal stringere i pugni con rabbia.

-Nessun problema, Charmy. All’iper-mercato ce ne sono almeno tre di ascensori, dovresti soltanto deciderti a fare la spesa qualche volta!- gli ringhiai contro. Lui sollevò impercettibilmente un sopracciglio e roteò gli occhi, finendola finalmente di fischiettare. Rilassai leggermente le spalle per il sollievo, quando vidi che le porte dell’ascensore si spalancarono. Io e la mia squadra fummo i primi ad uscire, non desiderando stare più a lungo in uno spazio così ristretto insieme a Charmy.

Attraversammo velocemente il lungo corridoio, ai cui lati vi erano vari ingressi di uffici, e una volta arrivati in fondo al corridoio, ci voltammo a sinistra, proprio davanti all’ufficio del comandante. Suonammo il campanello, facendoci aprire la porta dalla segretaria personale del comandante. -Buongiorno, avete forse prenotato un appuntamento con il signor Gibson?- pronunciò quest’ultima, alquanto stupita nel vedere persone così… diciamo “bizzarre” approdare nell’anticamera del suo capo.

-Siamo i Chaotix, dovevamo vederci con il Comandante per le 17:00 in punto- risposi porgendo la lettera alla segretaria.

La donna, dopo averci intimato di aspettare, premette il pulsante dell’altoparlante sulla sua scrivania.            -Signor Gibson, sono arrivati… un coniglio, un’ape, un camaleonte ed un coccodrillo che dicono di essere i Chaotix. Sì signore, so che detto in questo modo è bizzarro, ma le assicuro che è così- Disse lei, esitando leggermente sulle sue parole, quasi non credesse a quello che stava dicendo. Ci fu qualche breve secondo di silenzio, quasi inquietante. -Li faccia passare- gracchiò lui attraverso l’altoparlante. La segretaria eseguì immediatamente il suo ordine, concedendoci gentilmente di proseguire.

E quindi, appena oltrepassata la soglia, ci addentrammo nell’ordinatissimo ufficio del nostro eventuale cliente, trovandolo seduto dietro la sua scrivania: Geremy Gibson, il nuovo, intollerante e severo comandante supremo della G.U.N.

Sapevo poco di lui, ma lo conoscevo abbastanza da sapere che era un tipo scaltro: arruolatosi nei Marine all’età di 18 anni, dopo poco tempo la sua abilità venne notata dal Comandante allora in carica, che gli offrì la possibilità di prestare le sue abilità nella più efficiente organizzazione militare mobiana mai esistita. Ovviamente sto parlando della G.U.N.

In pochi anni scalò molti ranghi militari, assumendo la reputazione di soldato ribelle ma allo stesso tempo tattico, ed era sempre totalmente dedito agli ordini. La sua ambizione lo portò fino alla carica di comandante supremo della G.U.N. che detiene ormai da cinque anni. Senz’altro un’ottima carriera, ma ciò non significava che mi fidassi di lui. Anzi, ricordarmi chi era quella sottospecie di bambino prodigio con cui avevamo a che fare, mi faceva soltanto stare ancora più sull’attenti di quanto già non fossi.

-Voi dovete essere l’agenzia investigativa Chaotix. Speravo nel vostro arrivo- disse lui, rivolgendoci un’occhiata indifferente, quasi non gli importasse niente della nostra presenza. –Suppongo che siate piuttosto confusi sul perché vi abbia mandato a chiamare- esclamò lui, alzandosi dalla sua sedia. Charmy ridacchiò. –Non ci import…!- tentò di parlare quest’ultimo, subito interrotto da Espio, il quale gli tappò rapidamente la bocca con una mano.

-Continui, Comandante- pronunciò il camaleonte.

Subito dopo, il soldato iniziò a parlare, con un’aria particolarmente seria. -Come ben sapete, Mobius negli ultimi vent’anni ha vissuto un periodo di pace pressoché totale, preceduto da una serie di crisi mondiali di una frequenza incredibile.

Ciò è dovuto all’apparente scomparsa di una delle più grandi menti degli ultimi secoli, il dottor Ivo Julian Robotnik.-Si fermò un attimo dal parlare, come se stesse cercando le parole giuste. -Questa non è una novità, signor Gibson. Noi cosa centriamo in tutto questo?- gli chiesi perplesso io.

Lui, con fare preoccupato, rispose-Poche ore fa, una delle nostre basi è stata violata, ed uno degli smeraldi rubato- Sbarrai leggermente gli occhi, recependo l’ultima frase come se fosse stata un cataclisma. E in effetti, lo era. -Rubato? E’ uno scherzo? Sono vent’anni che quei tarocchi non vengono nemmeno sfiorati, e all’improvviso uno sconosciuto bussa alla porta e lo sfila dalle mani dei vostri soldati iper-addestrati come se niente fosse?- gli chiesi io, nervoso. -Credetemi signori: se davvero avessi voluto scherzare con qualcuno, sicuramente non sareste stati voi- rispose lui, con un tono leggermente sarcastico.

Espio, con aria sospettosa, parlò. -Però c’è una cosa che non capisco. Non esistono al mondo investigatori migliori di quelli della G.U.N, però lei richiede comunque il nostro aiuto per risolvere questa crisi. Perché?-Il Comandante gli rispose, con un velo di ironia.

-E’ molto semplice, signor Chameleon. Ha ragione nel dire che i nostri reparti sono i migliori al mondo, ma purtroppo, manca loro una caratteristica essenziale a questa missione, che voi invece possedete-

Espio rispose-E quale sarebbe?- il Comandante gli rivolse un’occhiata velata -Beh, non sono abbastanza poco di buono per avere a che fare con Nack- questa frase scatenò lo sguardo adirato di Espio.

  -Sul luogo non vi sono state vittime, ma sono stati ritrovati soltanto soldati sedati con un potente tranquillante, prodotto con una miscela della quale non avevamo mai sentito nominare, ne ci abbiamo mai avuto a che fare. Dopo aver analizzato i proiettili, siamo risaliti al numero totale di venditori e produttori di questa particolare e costosa miscela: uno solo-

-Qual è il suo nome?- chiesi, sentendo la mia curiosità in continua crescita. Stranamente, ricevetti subito una risposta. -Ha vari nomi non ufficiali. Alcuni lo chiamano “il lupo gangster”, altri “la donnola viola”. Ma lui preferisce farsi chiamare “Nack the Weasel”-

Cream fece un lieve sorriso. -Nack the Weasel, cercatore di tesori, cacciatore di taglie e contrabbandiere part-time- continuò lei la spiegazione, assolutamente certa di quello che stava dicendo.

-La sua clientela favorita è costituita da malavitosi e signori della guerra, il suo principale terreno di contrabbando è il mercato nero, e la sua fama è dovuta principalmente alla precedente collaborazione con il “geniale” dottor Robotnik, anche detto Eggman- concluse lei, gesticolando con le mani. Il Comandante annuì lentamente. –La ragazza è informata. Perché diamine lavora con persone come voi?- chiese, guardando la coniglia. –Non siamo venuti qui per parlare dei miei uomini, Signor Gibson- ringhiai, leggermente scocciato. Il Comandante sembrò ignorare quello che gli avevo appena ricordato, e continuò imperterrito nella sua spiegazione.

- C’è un’altra cosa che dovete sapere su Nack. Si tratta di uno dei più furbi malviventi con i quali abbiamo mai avuto a che fare. Sembra che non possieda una dimora fissa, ma diverse basi, alcune delle quali utilizza anche per svolgere i suoi sporchi affari. Sono sparpagliate in tutto il mondo, e una di queste è situata qui a Station Square.

Tuttavia, a sua insaputa, siamo riusciti a tracciare un percorso che ripete quotidianamente, non appena fuoriesce da uno dei tanti vicoli della città,  vale a dire quello che porta al suo locale preferito, ossia l’ ”Into dreams”.

Il vostro compito sarà quello di dirigervi al locale, stabilire un contatto con il bersaglio, e cercare di “convincerlo’’- fece una brevissima pausa ad effeto -a farvi rivelare la lista dei suoi clienti negli ultimi 20 anni, ossia da quando si sono calmate le acque su Mobius. Non uno escluso. Qualche domanda?-

Io, ovviamente, ne tenevo una in serbo da quando quel dannato Comandante aveva iniziato a blaterare. Fremevo d’impazienza, sperando in una risposta soddisfacente. -Io ne ho una. Lei crede per caso che la nostra agenzia faccia la carità?- dissi. Charmy mi rivolse una veloce occhiata, inarcando leggermente un sopracciglio. Dopo qualche secondo, decise di parlare. -Cough…Invece sì….Cough-cough…-Odio quando finge di tossire per dire qualcosa, è la sua strategia più subdola.

-Quello che intendo dire- Alzai notevolmente il tono di voce, cercando di zittire l’ape.

-È che non deve dare per scontata la nostra collaborazione, non so se mi spiego- Con uno sguardo illuminato, quasi come se fosse stato consapevole che prima o poi le avremmo fatto questa domanda, rispose. -La G.U.N. è disposta a pagare molto bene i vostri servizi- Un sorriso mi sorse spontaneo sulle labbra. -Quanto bene?- chiesi, cercando di non dare a vedere il mio nervosismo.

Il Comandante rispose molto chiaramente.-500.000 Ring- Sbarrai gli occhi. Non potevo credere alle mie scagliose orecchie. E nemmeno il resto della squadra sembrava crederci. Altro che pagare le bollette, con una cifra simile potevamo anche ristrutturare e migliorare il quartier generale. -Quando possiamo cominciare?-chiesi, ancora estasiato per la notizia. Fu allora che mi resi conto di quanto il caro Jeremy potesse risultare, al giusto prezzo, incredibilmente simpatico.

-Non appena lo riterrete opportuno- rispose il Comandante, con una faccia che faceva comprendere la sua felicità nel sapere che il suo piano aveva avuto successo. Incredibile, sapevo benissimo che stava giocando con noi, che eravamo le sue pedine temporanee,  ma ci sono cascato comunque. Quell’uomo credeva di essere furbo, e in effetti lo era. Ma non aveva la più pallida idea di con chi stava lavorando. Noi eravamo il Team Chaotix. Un team unito, indistruttibile. E per quell’enorme somma di denaro, nessuno sarebbe riuscito a fermarci. Neanche quel dannato parassita viola .

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Capitolo 13
*** CHAOTIX ***


Nota d’Autore: Uhm…sì. Lo so, sono in un terribile ritardo. Io chiedo davvero scusa, ma per vari impegni scolastici non ho proprio potuto fare di meglio. Ci hanno letteralmente ricoperto di interrogazioni e di verifiche. Mi dispiace dire, che, probabilmente, per questo periodo non potrò più aggiornare frequentemente- ovviamente continuerò a farlo, ma non potrò farlo molto spesso. Cercherò di fare del mio meglio.

Grazie e buona lettura!

 

 

 

 

 

 

Vector

 

Alla fine del colloquio con il Comandante, io e la squadra passammo il resto della giornata a elaborare un piano.

La strategia era questa: prima di tutto avremmo dovuto stabilire un contatto con Nack, nel nostro caso per acquistare armi per rapinare qualche banca, d’altro canto eravamo al verde, era una scusa più che plausibile, così da poter conoscere la strada per giungere al suo covo.

Fatto ciò, Espio, prima dell’incontro, sarebbe andato in avanscoperta per seguire direttamente Nack e scoprire la strada per il suo covo, nonché per analizzare la morfologia e l’eventuale presenza di trappole all’interno dello stesso.

Solo allora avremmo potuto elaborare un metodo per costringere la donnola a parlare. Avremmo agito subito il giorno successivo.

Erano questi i pensieri che mi percorrevano la mente mentre mi dirigevo rapidamente verso il bar favorito di Nack, attraversando le vie più malfamate di Station Square. Quelle nelle quali di solito nasci innocente e muori da malavitoso, o nel migliore dei casi, da borseggiatore. Infine mi trovai davanti al bar con sopra l’insegna “Into dreams”. Ovviamente spenta, essendo ancora pieno giorno.

Varcai quindi la soglia della porta d’entrata, e mi trovai davanti ad una saletta bar che sembrava giusto uscita da un film noir a caso. Con le pareti colorate di un rosa chiaro e le luci soffuse che finivano per dare all’ambiente una particolare colorazione arancione, era un luogo assolutamente perfetto per coloro il cui scopo era quello di rinnegare la luce del sole per rifugiarsi nello scudo sicuro del fumo e dell’alcool, con l’unica differenza che le persone al suo interno probabilmente non erano attori.

Cercai tra gli individui seduti al bancone e nei tavolini il nostro uomo, ansioso di ordinare un drink e di iniziare un'amabile conversazione con quest’ultimo.

Poi lo trovai, appostato sul tavolino situato sull’angolo opposto rispetto all’entrata e accanto al bagno, mentre si teneva il suo cappello Stetson marrone, forse per evitare di essere disturbato nel suo momento della giornata preferito, o forse per rendersi invisibile a occhi indiscreti, o ancora perché pensava di essere particolarmente ganzo. Beh, missione fallita Nack.

Mi accinsi quindi a dare inizio alla missione vera e propria. -Ehi amico ti spiace se mi siedo qui? Non si trova posto oggi- Esclamai, avvicinandomi a lui. Lui alzò leggermente la testa, squadrandomi. Ricevetti una risposta che ricordo sempre con grande piacere. -Sfiora questo tavolo con un dito e ti assicuro che da domani inizierai il tuo nuovo lavoro come borsetta. Ci sono altri tavoli, vai a rompere qualcun altro- Ammetto che la conversazione non era iniziata nel migliore di modi, ma non mi sarei arreso per questo piccolo contrattempo -Suvvia amico, io ho proprio voglia di sedermi qui- ribattei, insistente. Ero certo che così avrei migliorato la situazione. O almeno, ne ero certo finché non mi afferrò per il collo dicendomi chiaramente: -Ascoltami attentamente, compare. Se ci stai provando con me, sappi che non attacca. Ora vattene, conosco altri modi per sprecare il mio tempo- ringhiò, lasciando di scatto il mio collo. La mamma me lo diceva sempre che quando dico qualcosa di sbagliato tendo a peggiorare man mano che vado avanti con il discorso. Ma diceva anche che sarei diventato un medico di successo, quindi tendevo a non darle ascolto. -Continueresti a cacciarmi via, anche se ti dicessi che sono qui per fare la spesa a buon prezzo, Lupo gangster?-Vidi i suoi occhi comparire da sotto il suo cappello, i quali descrivevano la sua aria insospettita.      -Un momento…Io ti ho già visto da qualche parte. Sì, tu sei Vector the Crocodile! Hai fegato a venire qua senza i tuoi gorilla- disse lui, ironizzando pesantemente sulle sue parole. Io risposi, convinto che d’ora in poi avrei avuto la sua attenzione-Sei poco informato Nack, non ho ancora assunto nessun primate nella mia squadra, per ora. Adesso togliti dalla testa quello stupido cappello, cowboy, e stammi a sentire. Dobbiamo parlare di affari-

-Ti ascolto. Ma stai attento a ciò che mi dirai, Vector. Quando avremo finito, potresti non poter dire più nulla…mai più- Dopo aver deglutito nella maniera più furtiva che potevo, iniziai a parlare-Vedi, purtroppo la mia agenzia sta viaggiando in cattive acque ultimamente, e personalmente, non credo che riusciremo ad arrivare alla fine del semestre di questo passo- Lui alzò brevemente lo sguardo, osservando il mio volto.        -Capisco. E come pensi che questo buon samaritano potrebbe attenuare la tua disastrata situazione finanziaria, amico mio?-  mi chiese, appoggiando pesantemente i gomiti sul bancone del bar. Mi schiarii la voce. –Ci servono delle armi – spiegai, guardandolo. Lui annuì lentamente, fissandomi. –E per quale motivo?- chiese. Sorrisi, cercando di mostrarmi il più rilassato possibile. –Diciamo che vogliamo fare una piccola visita alla banca locale- Lui ridacchiò, bevendo l’ultima goccia dell’alcolico che aveva nel bicchiere. –I Chaotix che compiono una rapina in banca. Questa mi è nuova. Avrete bisogno di ottimi travestimenti per non farvi riconoscere. Ma per questo non vi posso aiutare- decretò. Richiamai il barista, ordinando due drink.

- Quindi puoi procuraci delle armi?- lui annuì. –Le migliori sul mercato. Nero e non- mi rispose, facendo un cenno di ringraziamento al barista mentre ci porgeva i nostri alcolici. Bevetti un sorso abbondante di quel drink, sentendone il gusto che mi stava corrodendo la lingua. –Per me non è difficile procurarvi quello che mi chiedete. Anzi, è fin troppo facile. Tanto facile che mi sorge una domanda. Perché mai dovreste chiederle a me, quando potreste benissimo trovarne altrove e a prezzi minori?- sentii il sangue gelarsi per qualche secondo. Mi sistemai sulla sedia, cercando velocemente una risposta plausibile.

-Per il primo colpo vogliamo andare sul sicuro- sussurrai, cercando di calmare il battito del mio cuore. Lui sembrò pensarci su, afferrandosi la cintura con una mano. Sembrava riflettere sul da farsi.  Poi accennò un leggero sorriso, porgendomi la mano.

-Bene campione, hai trovato il tuo uomo- disse lui con soddisfazione mentre ci stringevamo la mano, continuando a parlare -Discuteremo delle quantità domani al mio covo. Siete un piccolo gruppo, non credo che abbiate bisogno di un furgone per trasportarle- decretò. Finalmente il pesce aveva abboccato all’amo.    -A proposito, dove ci possiamo trovare?- chiesi, certo che la mia recitazione fosse stata un successo. Lui mi rispose con sicurezza -Troviamoci nel centro di Station Square domani a mezzogiorno in punto. Se ritardate di cinque minuti, non aspettatemi, perché me ne sarò già andato-

Tutto filava liscio, il piano finora andava perfettamente, finché non percepii qualcosa d’inaspettato e terribile: il drink.

Sentivo il mio stomaco ribollire, il sudore freddo scendere dalla mia fronte e un fastidioso malore alle mie piccole guance, tant’è che mi sembrava di aver appena ingerito una specie di arma chimica. Nack mi guardò divertito, bevendo un sorso del suo drink. -Bisogna avere lo stomaco forte per venire qua, Vector. Ma tranquillo, alla prima ordinazione succede sempre- disse, facendomi un cenno.

Salutai velocemente Nack, e mi diressi subito al bagno, che grazie al cielo era subito accanto al nostro tavolo. E ora capivo perché. Tuttavia ciò si rivelò anche un’ottima occasione per passare alla seconda fase del piano.

Misi la mano sul mio orecchio, e mi apprestai a comunicare a Espio, attraverso le ricetrasmittenti a noi gentilmente concesse da quell’angelo di Cream, di nascondersi, e prepararsi a seguire Nack. –Qui Espio. Come procede?- mi chiese lui. Cercai di trattenere la nausea e di concentrarmi su quello che dovevo riferire.

-Espio, ora tocca a te. Segui Nack, ma stai attento a non farti scoprire o vedere per qualsiasi cosa al mondo. O l’operazione va a monte, e noi perdiamo i nostri soldi- gli dissi con voce strozzata, stringendomi lo stomaco con una mano. –Vector? Ti senti bene?- lo sentii dire. Presi un attimo di fiato. –Sì. Ho…ho avuto un contrattempo. Ora procedi con la missione. So che posso contare su di te- cercai di sviare io, con voce strozzata. Sentii qualche secondo di silenzio. –Bene. Vado- sibilò risoluto Espio, chiudendo la comunicazione.

 

 

Espio

 

Vector aveva fatto la sua parte. Ora toccava a me. Sapevo che Nack non avrebbe tardato a uscire dal locale, quindi mi nascosi il più velocemente possibile, arrampicandomi sugli edifici circostanti, facendo attenzione a non attirare sguardi indesiderati.

Per quanto furbo potesse essere, era improbabile che si sarebbe insospettito a tal punto da controllare se qualcuno lo stava inseguendo dai tetti.

Lo vidi uscire da solo, con il cappello leggermente curvato sugli occhi, quasi come se volesse evitare gli sguardi altrui.  Guardandolo non potei non pensare a come un super-ricercato dalla polizia di tutto il mondo potesse passare inosservato girando in pubblico con un cappello del genere in testa.

Lo osservavo mentre cominciava a incamminarsi, quasi come se avesse la fretta di andarsene da quel posto, probabilmente perché il suo orario di svago era passato da un pezzo, confermando la sua personalità abbastanza paranoica, in fondo non credo che sarebbe riuscito a sfuggire alla giustizia così a lungo se non lo fosse stato. O forse semplicemente perché anni di solitudine l’hanno reso molto metodico.

Quella che partì inizialmente come una camminata relativamente lenta cominciò a velocizzarsi, costringendomi a seguirlo saltando silenziosamente da palazzo a palazzo, anche passando furtivamente tra i balconi delle abitazioni. –Espio- mi richiamò dall’auricolare la voce di Charmy. –Mi raccomando, non devi assolutamente sottovalutare Nack. Secondo le voci che girano, è molto più furbo di quello che sembra- mi spiegò. –Grazie- gli sibilai sottovoce. –E ricorda- continuò lui, facendo una breve pausa. –Mi devi ancora due gelati!-

Sentii Cream sospirare esasperata. –Charmy, per favore- sibilò, cercando di far tacere l’ape. –Ok, ok!- concluse Charmy. –Espio, devi ridurre al minimo l’utilizzo della tua invisibilità. Non possiamo rischiare che tu sprechi troppa energia- disse Cream.

-Non ti preoccupare, non ho bisogno dell’invisibilità per non farmi vedere dagli altri. Passo e chiudo- sussurrai io. Continuavo a osservare Nack, intento a guardarsi intorno in modo furtivo. All’improvviso ricevetti una nuova comunicazione da parte di Charmy, in quel delicato quanto inopportuno momento-Espio, un’ultima cosa…-  Ad un certo punto Nack rallentò leggermente il passo, irrigidendo le spalle. Gli rivolsi una veloce occhiata, prima di notare che la sua testa stava accennando a voltarsi nella mia direzione. Mi fermai di scatto, concentrandomi per riuscire a mimetizzarmi con l’ambiente. Poco prima che si voltasse, riuscì ad attivare il mio potere.

Non mi vide, ma notai con timore che stava effettivamente guardando nella mia direzione, con lo sguardo fisso che non si distolse da me per qualche secondo. Nonostante rimanessi completamente muto, lui non si smuoveva di un millimetro, come se avesse saputo che c’era qualcuno a osservarlo.

Non potevo credere che esistesse qualcuno con un udito tanto sviluppato.

Pochissime persone sono mai riuscite a individuarmi durante la mia camminata furtiva, e tutte facevano parte del mio clan. Qualche attimo dopo, Nack si voltò, ricominciando a camminare. Tirai un leggero sospiro di sollievo.

Fui quindi costretto a riprendere la mia conversazione con Charmy, al quale non avevo risposto in precedenza. –Espio, che sta succedendo?! Espio! ESPIOOOOO!!!- mi premetti una mano sull’orecchio. -Charmy, si può sapere che stai facendo?!- risposi violentemente. Ci fu qualche attimo di esitazione da parte dell’ape. -Pensavo che ti fosse successo qualcosa…-mormorò.

-E ti sembra il caso di urlare? Se si rompessero le finestre, le spese di riparazione intaccherebbero fortemente le nostre finanze- gli spiegò Cream, ridacchiando leggermente. Dopo che mi fui calmato grazie all’intervento di Cream, cercai di riprendere la conversazione con Charmy. –E cosa dovevi dirmi? – chiesi all’ape. Ci fu qualche secondo di silenzio dall’altra parte della linea. -Volevo salutare- mi rispose scioccamente Charmy.

Poco male, mi dissi tra me e me. Avevo ancora molte mele da poter usare su di lui nel mio dojo. -Passo e  chiudo-risposi semplicemente. Nack proseguì per la sua strada, questa volta molto più rapidamente rispetto a prima, cominciando inoltre a variare il tragitto passando per diversi vicoli.

Persino per me cominciava a diventare arduo seguire le sue tracce. Anche perché, se non lo perdevo, c’era sempre la possibilità che m’individuasse. Procedetti con più cautela. Fu sciocco da parte mia sottovalutarlo, mio padre non ne sarebbe stato fiero.

Finalmente vidi il mio obiettivo fermarsi in fondo ad un vicolo apparentemente cieco, non riuscendone a capire il perché. Guardai con attenzione, e notai che sembrò sparire all’interno della parete. Sbarrai leggermente gli occhi, non credendo a quello che avevo appena visto. Aspettai un minuto per assicurarmi che non uscisse, e poi mi avvicinai per scoprire di più.

Notai con piacere che Nack non era entrato nel muro, ma aveva sfruttato una porticina raso muro, colorata dello stesso colore della parete. Una mossa intelligente ed economica, senza ombra di dubbio in grado di ingannare la G.U.N… ma non me. Il bivio era buio e umido, e nascondeva bene quel passaggio.

Ricevetti una comunicazione radio, sperando che non si trattasse nuovamente dei due ragazzini.  -Espio, mi ricevi?- mi chiese la voce roca di Vector.  -Vector, cosa ti è successo?- Il coccodrillo mi rispose un’altra volta in maniera leggermente criptica -Nulla di grave, ho solo avuto qualche problema con i distillati del posto- disse lui, tossendo leggermente. -Fatti in casa?- chiesi. -Fatti in casa…- continuò lui. A seguito di questa rapida quanto superflua conversazione, annunciai a Vector le mie scoperte. -Ascolta Vector, ho raggiunto il nascondiglio del gangster. Si trova in un vicolo molto ben nascosto e lontano rispetto al locale di partenza, ho dovuto girare mezza città per seguirlo fin qui.-

-Di questo non ti devi preoccupare. Nack ci condurrà personalmente in quel luogo domani. La tua preoccupazione attuale è di appuntare la morfologia della base, determinare la presenza di trappole, e, se ci sono, il loro numero e la loro posizione. Non possiamo rischiare che tu sia individuato mentre fai dei disegnini, pertanto la tua mente sarà il tuo foglio di appunti. Hai una memoria pressoché fotografica, non dovrebbe essere difficile per te. Buona fortuna, passo e chiudo.-Vector aveva ragione, non sarebbe stato difficile.

Certe volte ritornavo a pensare a quando eravamo dei giovani detective, e che i lavori migliori che riuscivamo ad ottenere si limitavano nel raccogliere qualche paguro nelle spiagge di Seaside Hill. E quando Charmy era ancora abbastanza tenero da riuscire a sopportarlo a lungo termine.

Bei tempi.

Scossi la testa, riprendendo la concentrazione. Diedi un’occhiata dalla serratura per capire se la stanza successiva era libera. Quando ciò fu confermato, feci per entrare, ma la porta, come sospettavo, era chiusa a chiave. Cercando di arrangiarmi, presi il mio grimaldello personale per scassinare la serratura. Fatto ciò, con estrema discrezione e passo felpato mi apprestai a entrare, chiudendo velatamente la porta dietro di me.

La stanza era buia, illuminata solo dalla flebile luce bianca sul soffitto, e riuscivo a sentire i passi di Nack dall’altra stanza. Apparentemente l’ambiente sembrava piuttosto ristretto.

Osservai con attenzione l’ambiente, che sembrava apparentemente, e stranamente, privo di sistemi di sicurezza.

Sussultai nel momento in cui avvertì i passi di Nack che venivano verso l’ingresso. Non c’era nulla dietro cui nascondersi, né mobilio né nient’altro, ma non volevo sfruttare nuovamente l’invisibilità. Solo i giovani del mio clan erano in grado di utilizzarla senza dispendio di energia e concentrazione. Quindi feci diversamente, utilizzando un’altra tecnica di famiglia.

Chiusi gli occhi, saltai e, mentre ero a mezz’aria in posizione orizzontale e a pancia in giù, mi aggrappai al soffitto.

Potevo chiaramente vedere Nack sotto di me, e, pur essendo tremendamente agitato, trattenni ogni cosa che avrebbe potuto allarmare il gangster della mia presenza, sudore o fiato che fosse. Come mi disse mio padre tempo addietro, “Se tieni la mente fredda, nemmeno il tuo corpo sentirà calore”.

Speravo che avrebbe avuto ragione anche allora.

Potevo chiaramente vedere Nack che si avvicinava a quella che sembrava una comune parete, solo per scoprire che lì giaceva ciò che stavo cercando.

Tirò fuori un minuscolo pezzo di lamiera d’acciaio, che infilò all’interno della parete, per poi tirare e aprire uno sportellino, così ben mimetizzato da essere invisibile a occhio nudo.

Con che razza di persona avevamo a che fare? Era questa la domanda che per la seconda volta mi venne spontanea quel giorno.

Non vedevo chiaramente il contenuto di quello sportellino, e il buio di certo non mi aiutava, ma dai movimenti che facevano le braccia di Nack, quelli che stava schiacciando sembravano pulsanti.

Quando ebbe finito, chiuse lo sportello, e vidi che dagli angoli delle pareti fuoriuscirono quattro piccoli tubicini, che si allungavano a strati, fino a mostrare un’estremità in vetro. Dai primi cilindri, ne uscirono altri, cavi all’estremità, che mi davano l’impressione di essere armi.

Le telecamere che stavo cercando, finalmente. E che probabilmente servivano a controllare se avevamo portato un qualsiasi tipo d’arma.

Aspettai che il nostro amico si dileguasse, entrando nella stanza accanto, poi, dopo un ampio respiro, scesi dal soffitto, facendo attenzione a non incappare nel raggio visivo delle camere di sicurezza.

Entrai quindi nella stanza dove poco fa era entrato Nack, e mi preparai alla probabilissima presenza di altri sistemi di sicurezza.

Come se non me lo fossi aspettato, trovai altre sei telecamere all’interno della stanza, più ampia rispetto a prima, e mi trovai costretto a nascondermi dietro alla scrivania vicina all’ingresso dal quale ero appena passato, pur sapendo che Nack si sarebbe potuto sedere in qualunque istante.

Dietro la scrivania potevo notare uno schermo spento, probabilmente collegato direttamente con la scrivania stessa, e che, ancor più probabilmente, serviva a trasmettere le immagini che le telecamere rilevavano.

Avevo due alternative, farmi scoprire, oppure attivare l’invisibilità, eludendo telecamere e Nack.

La seconda, devo dirlo, mi allettava di più, ma era anche la mia la mia ultima spiaggia, dovevo resistere fino alla fine della missione, o potevamo dire addio alla ricompensa, nonché alla nostra unica possibilità di estinguere questa minaccia prima che degenerasse.

Quindi attivai l’invisibilità, mi alzai, e cominciai a guardarmi in giro, memorizzando la posizione delle camere, cioè quattro al centro dei lati della stanza rettangolare, e due all’interno della risega in fondo.

Controllai persino la spartana cucina e il bagno, che, pur di ristrette dimensioni, era stranamente pulito, costatando che persino lì vi era una telecamera per vano.

Era da un po’ che non mantenevo l’invisibilità così a lungo, e la stanchezza cominciava a farsi sentire, non potevo rischiare di tornare visibile.

Non potevo fare altro che andarmene e riportare ciò che ho visto al Team.

Mentre uscivo dalla stanza vidi il nostro contrabbandiere mentre si apprestava a sedersi sulla scrivania, e ad appoggiare i suoi piedi sulla stessa, probabilmente preparandosi a un pisolino.

D’altro canto, non avevo notato nessuna stanza da letto in giro.

Iniziai ad affrettarmi per uscire dalla porta principale in un momento in cui i sistemi di sicurezza, in costante movimento, non la inquadrassero mentre la aprivo.

Una volta fuori, salii sopra un edificio, disattivai l’invisibilità, e mi sdraiai sul tetto, quasi privo di forze. Avevo il respiro affannoso, e il mio corpo era scosso da leggeri tremiti. Detestavo arrivare a certi punti, ma, per ora, avevo fatto la mia parte.

Non cambiai idea rispetto a quando dissi che sarebbe stato facile, le cose difficili erano ben diverse, ben più…difficili.

Dopo un minuto, attivai la ricetrasmittente, e mi misi in contatto i miei compagni. -Qui Espio, mi ricevete?-mi rispose Vector-Espio, com’è la situazione?- risposi -Missione compiuta, ho quello che volevamo. Lasciatemi solo qualche minuto per riprendermi.- Vector rispose ansioso -Ora sei TU che mi preoccupi, amico. Hai dovuto usare l’invisibilità?-io risposi-Si, il covo era più protetto del previsto, ne parleremo tra poco. -Vector, soddisfatto, rispose-Non strafare, Espio, senza di te non ce ne facciamo nulla del denaro. Sii prudente. Passo e chiudo-Quei minuti furono preziosi per pensare al dì successivo.

Se davvero Nack era furbo come sospettavo, forse sarebbe stato un problema maggiore di quello che credevamo.

Addirittura mi chiedevo se non avesse già scoperto tutto.

 

 

24 ORE DOPO

 

Vector

 

Dormimmo tutti poco, e pieni di nervosismo, anche perché nessuno di noi, alla fine dei conti aveva mai partecipato a una missione di questo tipo, con una simile posta in gioco.

Tra le altre cose, Charmy russa quando è nervoso. Di solito, anche quando non lo è.

Dopo il ritorno di Espio, iniziammo subito a preparare un piano.

Era sorprendente come in un piccolo rifugio come quello che ci ha descritto ieri Espio potessero concentrarsi tanti aggeggi tecnologici.

Il nuovo piano era questo: io, Espio e Charmy saremmo andati al luogo dell’incontro a mezzogiorno in punto, dove avremmo incontrato la piaga. Cream ci avrebbe seguito di nascosto, e una volta sul posto avrebbe attivato un collegamento wireless con le attrezzature di Nack. Basandoci sulla morfologia del luogo, con tutta probabilità Nack si sarebbe seduto dietro la scrivania subito prima di iniziare le trattative.

E’ la tipica persona che ama avere le armi quando gli altri non ne possiedono. Quando si fanno affari a casa sua.

Quindi, se gli togliamo quelle, rimane solo una palla di pelo a cui piace fare il cattivo di film Western.

Peccato, perché noi preferiamo fare i protagonisti.

Mentre noi tenevamo impegnato Weasel, Cream avrebbe dovuto scollegare la linea visiva delle telecamere e disattivare le mitragliette che erano collegate a esse. Senza essere prima rilevata, ovviamente. Questa era la parte più critica del piano, non ero certo che ce l’avremmo fatta davvero, ma ho visto Cream aggiustare la nostra stufa con uno stuzzicadenti ed un pezzo di stoffa, quindi penso sia in grado di fare un miracolo di tanto in tanto. Inoltre, la sua ricetrasmittente rimarrà costantemente attivata, così saprà sempre ciò che sta succedendo all’interno.

Fatto ciò, avremmo convinto il nostro compare a spifferare tutto, in un modo o nell’altro, poi ce ne saremmo andati a nuotare nell’oro.

 Noi, i CHAOTIX, eravamo pronti ad andare.

Noi, autoproclamatoci migliori investigatori del mondo, avremmo risolto questa crisi.

Quattro persone che potevano svolgere il lavoro di un organo investigativo governativo, forti, rapidi, silenziosi, furbi, intelligenti, caparbi, economici.

 Come gli smeraldi che mantengono l’ordine in questo mondo, noi dissolvevamo gli intrighi e i misteri che ci venivano proposti.

Non avevamo bisogno di cibo, l’azione era il nostro pane.

Non avevamo bisogno di acqua, perché della tensione ci abbeveravamo.

Non avevamo bisogno di dormire, l’ignoto era il nostro più grande relax.

Era ora di ridare luce all’insegna del locale, e di masticare chewing-gum. Purtroppo, avevo finito le gomme.

Erano le 11:15, e dovevamo partire subito per arrivare in tempo al centro.

Noi tre partimmo per primi, mentre Cream prese una strada alternativa, per essere sicuri che non ci scoprisse.

Espio sembrava molto preoccupato di questo, ieri sera, e mi fido di lui.

Dopo una lunga camminata, arrivammo al centro, come sempre incredibilmente affollato, pieno di avvocati, imprenditori, e altre persone di questo tipo, di quelle che sembrano abbastanza ricche che non è difficile pensare che tritino diamanti all’interno del dentifricio.

Un quartiere d’élite, insomma, nel quale riuscii a intravedere, in lontananza e ben nascosto, con il suo inconfondibile cappello, Nack the Weasel, o come gli piaceva farsi chiamare qualche volta, Fang the Sniper, il cecchino.

L’unica cosa che accomunava il mio gruppo e Nack in quell’occasione, era il fatto che eravamo totalmente fuori posto in quel quartiere.

Ci avvicinammo con fare frettoloso, io, il mio braccio destro, e la mia pustola sinistra, pronti a instaurare un dialogo. -Vedo che siete venuti. Bravi, se aveste ritardato un altro minuto me ne sarei andato- Ci disse lui, quasi divertito dalla situazione. -Ti vedo solare, forse non siamo gli unici a non fare molti affari, ultimamente- dissi io, aspettando qualche secondo una sua possibile reazione. Ma sembrò ignorarmi completamente.

-Facci strada- dissi io infine. Lui, incamminandosi immediatamente, voltò leggermente il capo, rivolgendomi un’occhiata di sbieco. -Sbrigatevi, sono molti gli occhi che vorrebbero ammirarmi, ma nessuno mi è particolarmente gradito- ringhiò lui, spronandoci ad accelerare il passo.

Charmy, senza girarsi, mosse leggermente la mano, facendo un segno a Cream per indicarle di proseguire, seguendoci a distanza. Stavolta avrebbe dovuto seguire il nostro stesso percorso, altrimenti si sarebbe sicuramente persa.

Ci muovevamo rapidamente, dirigendoci verso un vicolo buio simile a quello descritto da Espio.

Una volta dentro, l’enorme confusione si diradò, e cominciammo a muoverci tra un vicolo e l’altro, destra, dritto, sinistra, destra, e così via.

Una mente normale non era in grado di ricordarsi un percorso simile senza note. Quindi speravo che la ragazza stesse tenendo il passo.

Camminammo un quarto d’ora, eravamo alquanto confusi, ma alla fine arrivammo a destinazione, una porticina grigia scura, che Nack provvide personalmente ad aprire. Entrammo, e la stanza che ci trovammo davanti era buia, illuminata solo da inquietanti luci posizionate sul soffitto.

Cream rimase fuori, e iniziò subito a lavorarsi i sistemi di sicurezza.

Andammo nella stanza accanto, e Nack, dopo che ovviamente si fu seduto dietro la sua amata scrivania, premette un interruttore per attivare l’illuminazione, spegnendo i fari di prima e attivando delle luci più soffuse, che rendevano la stanza quasi calda e accogliente, come quella della casa di mia nonna. Cara nonnina, quanto avrei voluto che fossi lì in quel momento, con il tuo carattere gentile e l’enorme dentiera che ti scivolava via ogni volta che provavi ad aprire bocca.

-Bene. Che ne dici se adesso parliamo del nostro affare e poi ce ne andiamo di qui, come se nulla fosse successo?- chiesi io, sedendomi su una delle tre sedie sistemate davanti alla scrivania. Nack annuì, incrociando le braccia. Espio e Charmy si accomodarono sulle sedie ai miei lati.   -Quanto sarebbe il costo effettivo di queste armi?- gli chiesi io. Lui ci squadrò per qualche momento.

-Dov’è lei?- ci chiese improvvisamente. Sentii che il mio cuore perse un battito. Lo sapeva? Sapeva cosa stesse facendo Cream? Al mio fianco Charmy sembrava essersi raggelato. Conoscendolo bene, era terrorizzato. –Lei chi?- risposi io con un’altra domanda. Pregavo in silenzio che non avesse scoperto tutto. Avevo previsto che lui sapesse di Cream, ma speravo soltanto che non sospettasse niente su quello che stesse facendo in quel momento. –Mi era giunta voce che voi aveste fatto entrare nella squadra un altro membro- disse, fissandoci attentamente. Cercai di mantenere la calma, ignorando il battito del mio cuore. –Oggi aveva un lavoro importante da sbrigare- dissi io    con un tono fermo.

Nack annuì, abbassando lo sguardo. – Davvero? Bene, allora forse adesso vi dovrei rivelare tutto sui clienti che ho avuto negli scorsi vent’anni, non è vero?- disse con un sorriso inquietante stampato sul muso, fissandoci. Nack allungò la mano sotto la scrivania. –Sarò sincero, in teoria la mia strategia era di crivellarvi di colpi non appena aveste varcato la soglia di questa stanza. Ma evidentemente, la vostra amica ha fatto il suo lavoro meglio di quanto io avessi previsto- Quando ritirò il braccio, fissai con disgusto l’oggetto che aveva tra le sue grinfie. –Su le mani- ci ordinò lui, puntandoci contro la pistola. Charmy sembrò esitante. –Tu non fai eccezione- ringhiò la donnola. Espio lanciò un’occhiata a Charmy, quasi a impartirgli un ordine.

-Sei furbo, devo ammetterlo. Ma come diamine hai fatto a scoprirlo?- gli sibilai contro, alzando le braccia in contemporanea con Espio. –Hai presente il mio stupido cappello da cowboy? Bene. È uno stupido cappello da cowboy con migliaia di micro-chip al suo interno, con i quali ho ascoltato ogni vostro singolo discorso- Charmy sbarrò leggermente gli occhi. –Sorpresi? La vostra amica non è l’unica che è in grado di utilizzare la tecnologia a suo favore- disse lui, sembrando realmente divertito. –Vedete questo gioiellino? L’ho modificato personalmente. Anche se ad essere sinceri, non l’ho cambiato poi così tanto. L’unica differenza, è che non spara più tappi- ci disse, mentre innescava il colpo in canna. –E dopo che avrò finito con voi tre- continuò, puntandoci l’arma contro –andrò a fare una visita di benvenuto anche alla nuova arrivata del gruppo- vidi gli occhi di Nack farsi freddi. E avete presente quella diceria sul fatto che vedi tutta la tua vita passarti davanti agli occhi, quando stai per morire? È una balla.

-Aspetta- disse all’improvviso Charmy, con un tono serio. Mi voltai verso di lui, non aspettandomi quell’interruzione da parte sua. Espio mi rivolse un’occhiata. –Prima che tu faccia quello che dev’essere fatto, lasciami dire un’ultima cosa- spiegò. –Beh, ma certo- esclamò Nack, con un inappropriato atteggiamento da gentiluomo. Charmy respirò profondamente, continuando a fissare la donnola negli occhi.

-Micro-chip o no, il tuo cappello fa sempre schifo- ringhiò, con un sorriso in volto. Nack fece una piccola smorfia con il muso. Poi puntò l’arma verso l’ape, mettendo un dito sul grilletto. Gli occhi quasi arancioni di Charmy sembravano spenti, quasi vuoti. Ma non disperati.

Vicino a me, notai il lento movimento di Espio, mentre sfilava qualcosa dalla parte superiore dei suoi guanti. Cominciai a sentire un moto di adrenalina, fissando l’azione sempre più decisa di Espio, ma nonostante tutto nascosta agli occhi.

Quindi vidi il suo braccio destro flettersi rapidissimo, come se avesse lanciato qualcosa con grande forza. Ero talmente teso che mi sembrava di vedere quella scena a rallentatore.

SLOW MOTION, ragazzi. Puro slow motion. L’arma di Nack gli saltò via dalle mani, andando a cadere sul pavimento. –Ma che…- mormorò la donnola fissandosi per un attimo la mano ormai vuota. Prima che potesse fare qualsiasi altra cosa, mi alzai di scatto dalla sedia e mi lanciai su di lui, afferrandolo per il collo.

Charmy ci fissò, stringendosi una mano sul petto. –O-oh mio dio- sospirò lui, con il viso che era diventato stranamente pallido.

-Ok amico, che ne dici di cambiare leggermente le carte in tavola? E a proposito, sì. Ora ci dirai tutti i clienti che hai avuto negli ultimi vent’anni, non uno escluso-dissi, con un moto di soddisfazione che mi pervadeva il corpo. Lui, soffocato dai miei possenti muscoli, con la poca voce che gli era rimasta in corpo tentò di parlare. -E secondo te come diavolo dovrei fare a ricordarmeli, razza di bifolco?!- mi rispose lui spavaldo. Aumentai la stretta che avevo sul suo collo -Beh, in tal caso, basterà stimolare un po’ la tua memoria, no?-All’improvviso, sentii la porta d’ingresso sbattere, e vidi un plotone composto da sette soldati della G.U.N. circondarci. -Fermi tutti, non muovetevi di un solo passo!- ci urlarono contro. Subito dopo vidi spuntare Cream, che ci fissava preoccupata. -Scusate ragazzi, non sapevo che altro fare- mormorò, venendoci incontro. -Li hai chiamati tu?!- chiesi io, infondo piuttosto sollevato.

-Non avevo altra scelta, non sapevo se ce l’avreste fatta- ci sorrise, evidentemente tranquillizzata di vederci ancora vivi. –Charmy, stai bene?- chiese, voltandosi verso quest’ultimo e mettendogli una mano sulla spalla. –Ho visto la morte sorridermi davanti agli occhi- mormorò, con il volto di un bianco spettrale.             –Rilassati, hai già fatto abbastanza per oggi- disse Espio, cercando qualcosa sul terreno e raccogliendolo.

Gli agenti della G.U.N. mi scostarono, facendomi mollare la presa che avevo su Nack prima di ammanettarlo. -Si può sapere che cosa gli hai lanciato contro?- chiesi ad Espio. Cream sorrise, beffarda. – Sarò sincera, avevo creato uno speciale gadget da usare in caso di emergenza- mi rispose lei al posto del camaleonte. –E perché Espio ne era a conoscenza e noi no?- chiesi, leggermente scocciato. –A dire la verità, avevo paura che Charmy spifferasse qualcosa- ridacchiò la coniglia. –E di cosa si tratta?- chiesi io, tornando sull’argomento.

-Si tratta di un semplice kunai, al quale sono riuscita a donare la stessa abilità di Espio. L’invisibilità. Per far ciò, ho dovuto addizionargli un particolarissimo materiale di cui, tra di noi, solo Espio è in possesso- ci spiegò lei, persa nei suoi pensieri. –Che tipo di materiale?- domandai nuovamente.

-La mia pelle- disse solamente il camaleonte. Notai Charmy arricciare leggermente il naso. – Ugh. La scienza agli scienziati- mormorai leggermente disgustato. Ci incamminammo all’esterno della base, seguiti a ruota dagli agenti della G.U.N. insieme al nostro amico donnola. Quando finalmente fummo all’aria aperta, il viso di Charmy sembrò riprendere un minimo di colore. Diamine, sembrava più spaventato di me, quand’ero bambino che, per cercare di nascondere a mia madre il compito in classe andato male, lo ingoiai e temetti di diventare un secchione.

Riscuotendomi dai miei pensieri, diedi un’occhiata alle vicinanze, e vidi che il luogo era già invaso da diversi poliziotti ed esperti della G.U.N.

Tra le altre cose, notai un’auto completamente nera che si era appena parcheggiata vicino a noi. E da quest’ultima uscì una figura decisamente famigliare: il Comandante, che subito notai dirigersi verso di noi.

-Un ottimo lavoro, signori. I miei complimenti. Sono partito immediatamente non appena ho ricevuto la notizia che la missione ha avuto successo- Era stranamente gentile -La nostra squadra è onorata. Non ci stupiamo che Fang vi abbia creato tanti grattacapi, è stato un osso duro- Poi lo vidi voltarsi verso Charmy, piuttosto stupito. -Il ragazzo non ha una bella cera, vuole che chiami un dottore?- scossi la testa, deciso.         -No, ha solo avuto un eccesso di emozioni, per oggi. Ha dimostrato coraggio.- Espio, ridacchiò leggermente. -Sono d’accordo, ma soprattutto, ha dimostrato una grande fortuna- disse ironico.

Io, a quel punto, non tardai a reclamare ciò che, ormai, era nostro di diritto-Ora, con tutto il rispetto signor Gibson, mi potrà comprendere se chiederò lei di rispettare la parola data…- lui accennò un sorriso.

-So cosa ho detto, non sono un bugiardo. Ma prima che ciò avvenga, voglio proporvi un altro affare-

-Mi scusi?-Non si spaventi. So come vanno queste cose. Abbiamo trovato UNO dei responsabili, ma ben presto ne verranno fuori altri. E quindi dovremo indagare ulteriormente, e forse, anche combattere. Voi siete bravi anche in questo, o sbaglio?- Iniziai a irritarmi.  -Mi ascolti attentamente: se vuole qualcuno che si butti nella battaglia a pagamento, trovi uno o più mercenari. I miei uomini potevano morire la dentro. Sapevamo a cosa andavamo incontro, ma quantomeno la prego di rispettare il rischio che abbiamo appena corso-, dissi infuriato. Il Comandante iniziò a camminare avanti e indietro, non distogliendo lo sguardo da noi. -Se è il rispetto che cerca, nessuno gliene darà più del sottoscritto. Ma qui non si tratta solo di voi, il mio lavoro è di garantire la sicurezza di tutta Mobius. Pertanto, se mi avesse lasciato finire, le avrei anche detto che il suo compenso aumenterebbe notevolmente se accettasse-.  In effetti, quella frase catturò il mio interesse, ed Espio l’aveva capito visto lo sguardo piuttosto inquieto che mi rivolse apertamente.

-Continui- risposi io, interessato. Il Comandante fu impassibile, ma mi rivolse un’occhiata soddisfatta.-250.000 ring subito. Altri 500.000 alla fine del lavoro. Se siete preoccupati che non rispetteremo gli accordi, almeno ve ne andrete via con un quarto di milione-

Ero combattuto. Ma incredibilmente tentato della sua offerta. –Vector…- mi richiamò Espio, cercando di dissuadermi. –Non dovete decidere subito. Può parlarne prima con la sua squadra- lo interruppi immediatamente.

-No, invece. Io e miei uomini saremo felici di accettare la sua offerta- sentii Espio inveire sottovoce contro di me, seguito da Charmy. –Ma sappia- continuai io. –Che alla fine del lavoro reclameremo personalmente i nostri soldi-

Il comandante sorrise, senza a dare a vedere neanche un minimo di entusiasmo. –Ero convinto di poter contare su di voi- pronunciò.

Mi porse la mano, mantenendosi sempre distaccato e formale. – Credo che questa sarà l’inizio di una meravigliosa collaborazione-.

Io annuii, ricambiando la stretta. –Lo spero anch’io, signor Gibson-

 

 

Espio

 

Era evidente che non nascondessi la mia preoccupazione per questa nuova alleanza. Mi sbagliavo. Quella sarebbe stata l’unica nota veramente positiva tra gli eventi che avrebbero poi scosso le fondamenta stesse del nostro universo. Per quanto io potessi percepire qualcosa, nessuno di noi poteva veramente immaginare che aveva avuto inizio una mutazione radicale del nucleo dei nostri mondi.

 E tutti ne avremmo preso parte.

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Capitolo 14
*** Il nuovo mondo ***


Note d’Autore: Buuooongiorno a tutti. Prima di tutto, sono enormemente dispiaciuta per la lunghissima attesa per la pubblicazione di questo capitolo, ma ho avuto vari problemi che non mi hanno dato la possibilità di aggiornare velocemente.

Questo capitolo è uno speciale, e con tutta probabilità ce ne saranno altri di questo tipo. Spero di metterci di meno per scrivere con i capitoli ordinari e vi auguro buona lettura!

Rain of Truth

 

Shadow  (DIVERSI ANNI PRIMA)

‘‘E un'altra missione è andata a buon fine’’ era il mio pensiero mentre io, Rouge, Omega, ed un plotone di otto soldati della G.U.N. ritornavamo vittoriosi verso il quartier generale a bordo di un elicottero militare.

 –Erano soltanto dei pivelli- disse Rouge, rilassando le ali ai suoi fianchi. Il fracasso del mezzo su cui volavamo sovrastava gran parte delle chiacchere dei soldati che viaggiavano insieme a noi.

Roteai gli occhi innervosito. Quel viaggio stava durando anche troppo per i miei gusti. Alzai lo sguardo e vidi Omega, il quale fissava il pavimento dell’enorme elicottero senza fiatare.

 – Dovreste essere più allegri. Abbiamo appena sgomitato una piccola banda di criminali di alto rango!- esclamò nuovamente la pipistrella, accavallando le gambe. Scossi la testa.

-Erano dei principianti. Non sono neanche riusciti a reagire al nostro attacco- ringhiai. Neanche una missione che mi riempisse di un minimo di soddisfazione. Così era fin troppo facile. Osservai il paesaggio da uno dei pochi finestrini presenti sull’elicottero. Oramai eravamo in prossimità della base.

Finalmente, dopo una decina di minuti, riuscimmo ad atterrare in vicinanza della base. Scesi velocemente dal mezzo, dirigendomi verso l’entrata del quartier generale. L’odore stantio che lo caratterizzava mi colpì le narici. Mi diressi verso l’ascensore,  prima che la voce di un altoparlante mi facesse fermare sul posto.

- L’agente Shadow è richiamato nell’ufficio del Comandante -.  Alzai leggermente un sopracciglio, sorpreso. Bene. Forse aveva da offrirmi una missione migliore di quella appena compiuta. Mi affrettai a raggiungere l’entrata dell’ascensore, sperando vivamente che il Comandante avesse qualcosa di interessante da riferirmi. Quando arrivai davanti alla porta dell’anticamera del suo ufficio, Adrianne, la ragazza che fungeva da segretaria mi lanciò un’occhiata interrogativa.

–Buongiorno Adrianne. Il Comandante ha richiesto la mia presenza- spiegai, dirigendomi con noncuranza verso la porta d’entrata del suo ufficio. La ragazza mi fissò leggermente intimorita.

Varcai la soglia dell’ufficio, e vidi il Comandante seduto, come sempre, alla sua scrivania.

–Mi ha fatto chiamare, Comandante?- dissi io, rispettoso come tendevo ad essere davanti a lui

-Sei stato rapido, Agente Shadow. Avvicinati, c’è una faccenda di cui dobbiamo parlare-. Osservai per un attimo il volto di quell’uomo, assolutamente imperscrutabile. C’era soltanto una scintilla nei suoi occhi, un bagliore che mostrava quando il suo sguardo si posava su di me. Rancore, forse. Qualcosa di cui probabilmente non si sarebbe mai liberato.

Mi sedetti sulla sedia davanti alla sua scrivania, incuriosito da cosa potesse essere così importante da fargli praticamente dimenticare che avevamo appena salvato una manciatina di vite da qualche pseudo-criminale.  

–Mentre tu e il resto della squadra eravate in missione, abbiamo rivelato un qualcosa di anomalo nei dintorni- disse ad un certo punto. Mi chinai leggermente verso di lui, interessato.

–Che genere di anomalia?- chiesi.

Si alzò dalla scrivania senza dire nulla, mise le braccia dietro la schiena e si spostò leggermente, fissando un punto imprecisato della stanza.

–Energia. Un forte rilascio di energia opposta alla nostra-. La sua frase mi stupì in modo particolare.

 

-Alla nostra?-chiesi, immaginando quale sarebbe stata la sua risposta.

 

-I Chaos Emerald- spiegò, osservandomi. Io annuii, sempre più incuriosito da quello che mi stava dicendo. –Quella fonte di energia era simile a quella degli smeraldi, ma allo stesso tempo diversa-. Quella faccenda mi era decisamente nuova.

-Avete scoperto da dove proviene?-

-Se ti riferisci alla sua origine, allora la risposta che sentirai sarà negativa. Tuttavia, la posizione di questa anomalia è stata approssimativamente definita ad una ventina di chilometri a nord-est rispetto a Station Square-.

Sapendo che il Comandante non era il tipo che avrebbe ignorato questo tipo di eventi, feci lui una domanda che avevo in serbo già da un po’: -Qualcuno si è già recato sul posto?-

-Ovviamente. Una troupe composta dai nostri migliori scienziati ha già analizzato le proprietà di quella “cosa”- mi rispose.

-E cos’hanno scoperto?-

-Nulla. Almeno finché non abbiamo provato una nuova opzione-. Aggrottai le sopracciglia.

-A cosa si riferisce?-

-Parlo degli smeraldi. Ti ho già detto che vi è un qualche tipo di somiglianza tra i due tipi di energia, quindi, nei pochi giorni in cui siete stati in missione, abbiamo provveduto a far trasportare dalle basi satellite tutti i Chaos Emerald-.  

-E a cosa dovrebbe servire tutto questo?- chiesi.

 –Serve,- si fermò all’improvviso, fissandomi negli occhi, –perché è qui che entri in gioco tu-.

Incrociai le braccia al petto, impaziente. –Che cosa dovrei fare?- domandai.

Distolse lo sguardo da me, cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza. –Sempre nel periodo della vostra ultima missione, abbiamo provato a osservare la reazione di quest’energia a contatto con i Chaos Emerald. E il risultato, è stata la formazione di quello che i nostri scienziati chiamano: Portale-Infradimensionale-.

Abbassai leggermente un orecchio. –Questo significa che oltre alla nostra esiste un’altra dimensione?-

Lui annuì. –Esatto. O almeno è quello che crediamo. E il tuo compito, è quello di andare a esaminare quel luogo insieme ad uno dei nostri plotoni, e se lo desideri, alla tua squadra. Dovrai ripotarci il maggior numero di informazioni possibili- disse.

-E soprattutto, dovrai scoprire cosa rappresenta quella fonte di energia. Accetti la missione?- mi chiese, concludendo il suo monologo.

Io annuii. –Bene- sospirò.

 – Ma ad una condizione- esclamai. Lui mi fissò leggermente interdetto.

-Ci andrò da solo. Senza il team, e tantomeno senza nessun plotone. Se è una missione di esplorazione, allora basterà solo un soldato. In più, non voglio nessun intralcio da parte vostra-. Vidi lo sguardo poco consenziente del Comandante. Ero sicuro che avrebbe avuto qualcosa da ridire.

 

-Come sarebbe a dire? Ti vuoi avventurare in un posto potenzialmente pericoloso senza alcun tipo di supporto?-

 

-E disarmato. Non lo avevo ancora specificato-

 

-Perché?-

 

-Lo ha detto lei stesso. E’ un posto sconosciuto, di cui non abbiamo informazioni ne sull’ambiente ne sugli abitanti potenzialmente ostili, o tecnologicamente più avanzati di noi. Cosa succederebbe se uno dei nostri uomini, o uno qualsiasi del Team Dark, ad esempio “E-123 Omega”, una delle trovate belliche tecnologiche più micidiali che Mobius ha mai avuto, cadesse in missione e non riuscissimo a recuperarne i resti?- Il Comandante rimase perplesso, ma il suo silenzio era rivelatorio del fatto che non era del tutto in disaccordo con le mie affermazioni.

-Non hai tutti i torti. Potrebbero copiare la nostra tecnologia, e se si aprisse un altro portale potrebbero creare problemi-. Il suo sguardo sembrò mostrarsi più determinato.

-Molto bene, andrai da solo se te la senti, ma resterai in costante contatto radio con la base, nella speranza che il Tunnel-Infradimensionale non renda inutilizzabile la ricetrasmittente- spiegò, pensieroso. Poi mi fissò deciso.

–Partirai tra qualche tempo. Bene. Puoi andare, Agente – disse, congedandomi. Io mi alzai dalla sedia, avviandomi verso la porta. –Arrivederci Comandante- dissi, chiudendomi la porta alle spalle. Dopo qualche minuto, arrivai nuovamente ai piani intermedi della base, dirigendomi verso il mio alloggio. Vidi i membri della mia squadra che mi fissavano, impazienti.

-Si può sapere dove sei stato?- mi chiese Rouge, incrociando le braccia al petto. –Non riuscivamo a trovarti-

. –Il Comandante mi ha richiamato nel suo ufficio- spiegai frettolosamente. Lei alzò un sopracciglio.

–Cosa voleva?- domandò nuovamente.

-Niente di importante. Un resoconto sull’ultima missione- mentii. Rouge mi fissò sospettosa. Ma sembrò voler lasciar perdere. Omega, naturalmente, non sembrava particolarmente incuriosito. Me ne andai quasi subito, non volevo che mi facessero troppe domande. Avevo bisogno di rilassare un attimo i nervi, e farmi una doccia.

 

***

 

Dopo cinque giorni di relax, ricevetti finalmente la comunicazione ufficiale della G.U.N. relativa alla locazione dove si trovava quel cosiddetto “portale”.

Ovviamente gli alti dirigenti non avevano ci avevano pensato due volte ad installare una vera e propria mini-base che nascondesse quello scherzo della natura.

Dovevo essere lì in un quarto d’ora e dovevo partire immediatamente.

Rouge era andata a “fare spese” da qualche parte, mentre Omega si stava probabilmente godendo i pochi momenti in cui la rabbia e la vendetta non lo consumavano fin dentro il processore, vale a dire nel suo sonno criogenico “parziale”, per sua richiesta esplicita.

Pertanto, non avrei avuto problemi.

Uscii dal mio alloggio, attraversai il corridoio, e mi diressi verso l’ascensore. Scesi ai piani inferiori, ed uscii dal palazzo.

Presi un bel respiro, diedi un colpetto ai pattini, e partii.

Mille sfumature di grigio, blu, rosso, ed ogni altro tipico colore cittadino si mischiavano davanti ai miei occhi, eppure li conoscevo tutti, dalle macchine parcheggiate, ai passanti, alcuni dei quali, quando gli passavo vicino, a causa della forte folata di vento rimanevano allibiti, quasi come se avessero pensato che fosse appena passato qualcosa di misterioso, come uno spirito, o…Sonic the Hedgehog. Sì, non sarebbe stata la prima volta.

Mentre schivavo le macchine per strada, e mi dirigevo verso la sezione nord-est di Station Square, mi venne in mente il mio indissolubile legame con questo mondo.

Non ricordavo nulla di quella ragazza, Maria, ma sapevo che c’era un motivo se ero ancora in vita, se continuavo a combattere e a rischiare la mia vita per proteggere quel fragile mondo, pieno di persone tanto impaurite quanto ingrate.

Avevo giurato sulla mia esistenza che non mi sarei mai più guardato indietro, che non avrei più cercato di capire chi ero veramente, poiché quando lo feci anni addietro, mi pose davanti a delle scelte.

Scelte troppo dure da sopportare, anche a costo di scoprire la mia vera identità, fossero esse buone, cattive, o personali.

Se non potevo sapere chi fui stato in precedenza, allora sarei diventato chi volevo essere, plasmando il mio futuro. Per questo mi unii alla G.U.N. Ogni notte, prima di dormire, rivedevo alcuni momenti passati con Maria e con il mio cosiddetto “padre”, Gerald.

Ad un certo punto mi attraversava la mente un'altra immagine. Quella di Maria, agonizzante, mentre preme il pulsante che mi avrebbe mandato su Mobius, dopo avermi lasciato le sue volontà: “Dai loro la possibilità di essere felici”.

Se quello era ciò che più desiderava, vi avrei dedicato la mia vita.

Eppure, se prima pensavo di essere un guscio vuoto, senza un passato, ed incapace di guardare al presente, ora che cos’era cambiato? Ero forse l’incarnazione di una promessa, eternamente incatenato a questo scopo? Forse. Però quel giorno sarebbe stato diverso. Quella mattina, appena mi svegliai, ebbi la stessa sensazione che svevo avuto altre poche volte in vita mia.

La prima volta fu pochi istanti prima di combattere per salvare il mondo dalla A.R.K.

La seconda quando incontrai Black Doom, il quale mi confidò della possibilità di recuperare la mia memoria grazie ai Chaos Emerald. La terza, quando uccisi Black Doom, e decisi di lasciarmi il passato dietro alle spalle.

Era quella sensazione che mi avvisava che qualcosa, nella mia vita, stava  per cambiare drasticamente.

Dovevo solo arrivare a quel portale per capire di cosa si trattava.

Una volta fuori dalla città, potei quindi ammirare l’ambiguo ma meraviglioso paesaggio che avevo davanti: chilometri e chilometri di strada asfaltata si affacciavano davanti a me, mentre al miei lati era possibile ammirare le pianure erbose caratteristiche di questo mondo.

Avrei sempre voluto dire che quello era il mio pianeta, che era il posto in cui ero nato.

Purtroppo, era un’illusione. Io sono nato tra le stelle, in mezzo ai freddi macchinari della A.R.K.

Quella era la mia casa, un luogo ormai distrutto e disabitato, in cui ormai si potevano trovare solamente alcuni robot della G.U.N., che, dopo il genocidio perpetrato dalle Black Arms, avevano pensato bene di farla sorvegliare per prevenire qualsiasi altro disastro causato da un errato utilizzo delle tecnologie in essa contenute, specialmente del cannone Eclisse.

Deviai quindi a destra, uscendo dalla strada e dirigendomi nel luogo indicatomi dal Comandante in persona quella mattina, sempre a nord-est, sentendo finalmente l’aria pulita che mi sferzava contro il viso, con miriadi di odori che riempivano l’ambiente, ed il cielo sereno davanti a me. Non ho mai capito il perché, ma tutto ciò mi faceva sentire più completo.

Infine, davanti a me, un nuovo paesaggio.

Una volta arrivato, la G.U.N. era al lavoro.

La prima cosa che vidi fu una staccionata e dei cartelli che impedivano agli estranei di entrare nella “zona protetta”, con vari soldati che la presidiavano.

In teoria avrei dovuto fermarmi e mostrare loro la mia identità, ma ero quasi in ritardo, quindi passai velocemente il posto di blocco, presumendo che sapessero già che fossi appena passato.

Finalmente ero sul posto, dove potevo notare un tendone al quale erano collegati dei grossi schermi, dai quali si diramavano numerosi fili che si dirigevano verso l’interno del tendone stesso, e qualche metro più a lato un particolarissimo macchinario formato di due aste curve metalliche, di sezione ovale, circondato da scienziati e macchinisti vari, che lo stavano collaudando.

Ovviamente, non avevo idea di cosa si trattasse, ma sicuramente era collegato all’anomalia.

I miei dubbi si sarebbero dipanati di lì a poco, in quanto il Comandante, con mia somma sorpresa, mi comparve improvvisamente alle spalle. -Sei in orario, agente- sentii un brivido alla spina dorsale, osservando di sottecchi il Comandante dietro di me. -Signorsì, Comandante- risposi io senza nemmeno voltarmi, per fargli credere di aver percepito la sua presenza.

-Molto bene, mi fa piacere che tu non prenda sottogamba la situazione. Sono certo che ti sarai già domandato che cos’è la macchina al centro dell’accampamento-.

-Esatto. Di cosa si tratta? Ha a che fare con l’anomalia?- chiesi, osservando il mio superiore che mi si stava affianco.

–Quello,- spiegò lui, - è il macchinario che ti permetterà di viaggiare da una dimensione all’altra. I nostri ricercatori l’hanno denominato “Recinto”-.  Allora esisteva davvero un’altra dimensione. Erano veramente riusciti a realizzare in pochi giorni una simile meraviglia meccanica.

-Qual è il piano, signore?- chiesi con decisione.

-Lo saprai non appena avrà inizio il Briefing dentro al tendone. Sei pronto?-

Io annuii. -Mi creda, non credo di esserlo mai stato così tanto in vita mia-.

 -Meraviglioso. Ma cerca di non dare troppa confidenza agli altri Alti Dirigenti che vedrai durante la riunione. Non esiteranno a metterlo sul tuo Curriculum- si raccomandò lui.

 -Ovviamente-.

 -Questo è il mio agente. Preparati, è ora-. Seguii il Comandante, che con fretta si dirigeva verso il capannone. Una volta dentro, vidi che i fili che avevo notato fuori si riunivano in un unico grande schermo, collegato ad un modem, e del quale mi era sconosciuto lo scopo. Vidi anche un lungo tavolo al centro della stanza, corredato da varie sedie. Dopo pochi minuti, l’ingresso per la tenda venne chiuso, e ci sedemmo.

Pochi istanti dopo, lo schermo si accese, per poi dividersi in sette riquadri indipendenti. Per ogni riquadro, comparve un volto a me ben noto, vale a dire quello dei sette Alti Comandanti della G.U.N., la cui autorità poteva essere discussa dal Comandante Supremo lì presente.

-Buongiorno, signori. Ovviamente saprete il perché di questa riunione- cominciò il Comandante

–Buongiorno anche a lei, Comandante Supremo. Certamente, tutti noi aspettavamo con ansia il giorno in cui avremmo potuto osservare le effettive potenzialità del “Recinto”-.

 -Non si tratta semplicemente di un esperimento. Come ben sapete, l’anomalia rivelatasi pochi giorni fa è stata studiata attentamente, e siamo giunti alla conclusione che potrebbe trattarsi, incredibilmente, di un passaggio infradimensionale rimasto dormiente- spiegò il Comandante.

–Almeno finché non è stato sollecitato dal potere del Chaos…-

-…Il quale ha catalizzato la fonte fino a formare quello che sembra un effettivo passaggio fisico tra questa ed un'altra dimensione- finì il Comandante Supremo, interrompendo uno dei membri dell’operazione stava parlando poco prima.

-Con tutto il rispetto signore, ma ancora non ho compreso una cosa. Come possiamo essere sicuri che quell’ ”anomalia”, come dite voi, sia davvero un passaggio per un “nuovo mondo”?-

-Domanda interessante, Comandante Larson. Semplicemente, perché non è la prima volta che rileviamo un simile fenomeno-. Quest’ultima frase mi impensierì. Perché il Comandante avrebbe dovuto nascondermi una simile notizia, e rivelarmela solamente in quel momento?

-Cosa intende dire?- rispose con sufficienza Larson.

-La prima rilevazione che siamo riusciti ad identificare è avvenuta precisamente, sei mesi e undici giorni fa. La seconda risale a tre mesi fa. La terza invece, è stata rilevata una settimana fa. La prima volta siamo stati colti impreparati, e l’anomalia è scomparsa prima che avessimo avuto il tempo di comprendere il tipo di importanza che poteva rappresentare. Per la seconda volta, invece, poiché ne avevamo previsto un eventuale ritorno, avevamo preparato degli appositi droni, siamo riusciti a filmare qualcosa, e ciò che abbiamo visto aveva dell’inquietante. Pochi minuti dopo che robot si addentrarono nell’area anomala, le telecamere smisero di funzionare, e quando controllammo in loco, non trovammo nulla, né le telecamere, né un singolo rottame, e l’anomalia era già scomparsa dai nostri rilevatori-.

 Questo spiegava tutto. La G.U.N. era talmente interessata da questo fenomeno che si sentiva inquietata a raccontarlo anche ai suoi membri più interni. Non solo a me, ma anche agli Alti Comandi. Quella non sarebbe stata una scampagnata, a quel punto ne ero certo.

-Per quale motivo non ci è stato comunicato al momento opportuno, signore? Comandante Supremo o no, lei non ha alcun diritto a nascondere al Consiglio una simile  informazione- disse un altro dei Comandanti, con un tono piuttosto indispettito, quasi come se finora avesse solo aspettato il momento opportuno per discutere.

-Proprio per l’entità di questa notizia, comandante Buchanan, ho ritenuto opportuno occultare totalmente i nostri studi. Dovrebbe saperlo meglio di me che la priorità di questa organizzazione è di mantenere al sicuro ogni informazione che potrebbe dar vita a problemi di portata internazionale, malelingue, o anche solo leggende metropolitane che potrebbero macchiare l’immagine delle nostre basi-.

Buchanan strinse i denti, e gli si contrasse un muscolo della mascella. –Facciamo parte della stessa organizzazione, signore. Sarebbe stato opportuno avvertirci di tutto questo- ringhiò quest’ultimo.

Il Comandante supremo scosse la testa innervosito. –Vista tutta l’agitazione che le sta causando questa notizia, credo di aver fatto la scelta giusta a non riferirvi niente- disse lui. Dopo qualche secondo, incrociò le braccia dietro la schiena.

-Altre domande?- domandò il Comandante, fissando tutti i presenti. Loro si lanciarono delle occhiate furtive, stando in silenzio, non osando ribattere. –Bene-, continuò imperterrito il nostro capo –allora possiamo dare inizio all’operazione-.

 Il comandante iniziò imperturbabile a spiegare i contenuti della missione vera e propria -Per prima cosa, i nostri scienziati metteranno in azione il macchinario catalizzatore, subito dopo aver inserito negli appositi fori incanalatori gli smeraldi. Se tutto andrà bene, il portale si aprirà senza dare problemi, permettendo al nostro agente volontario di attraversare il tunnel. Questi sarà dotato di una ricetrasmittente, cosicché potrà rimanere in costante contatto con la base. L’operazione di infiltrazione sarà filmata e ripresa davanti ai qui presenti monitor, così che possiate avere la sicurezza che stiate assistendo alla manovra vera e propria. Se nessuno ha nulla da ridire, la missione ha inizio tra due minuti. Stiate pronti, e che la stella di Mobius ci assista-.

 Gli altri, quasi come un rito, lo ripeterono in coro. –Che la stella di Mobius ci assista-. Quasi all’unisono, io ed il Comandante ci muovemmo in direzione del catalizzatore, distante da noi solo qualche metro.

–Sei pronto, agente?- mi chiese lui, quando arrivammo davanti al macchinario. Io annuii lentamente. I vari scienziati del campo iniziarono ad attivare l’apparecchiatura, creando al suo interno un portale di un bianco accecante.

–Come sempre- borbottò il Comandante, fissandomi.

-Allora buona fortuna- concluse, facendomi un cenno di assenso con la testa. Presi un lungo respiro, osservando quella specie di incidente naturale.

–Non ne ho bisogno- risposi al mio superiore, incamminandomi velocemente attraverso ad esso. Sentii un strano calore intorno a me, quasi come se delle fiamme mi stessero abbracciando. Non era una sensazione spiacevole. Mi sentivo fluttuare, e la mia testa  era leggera, priva di qualsiasi pensiero. Dopo qualche secondo, sentii uno strana forza attirarmi velocemente verso il basso, quasi come se un vento mi stesse tirando per le gambe. La luce bianca scomparì, lasciando posto a miriadi di colori. Chiusi gli occhi, infastidito da tutte quelle luci. All’improvviso sentii dell’aria che mi attraversava il pelo e le spine, aria fresca, accompagnata dal tipico odore salmastro e dall’improvviso picchiettare del sole. Aprii gli occhi, e mi trovai su una spiaggia, in alcuni punti della quale era possibile intravedere qualche palma, e soprattutto, un mare immenso e limpido, che sembrava praticamente intoccato. Il mare più bello del mio mondo non avrebbe retto il confronto con lo spettacolo che avevo davanti agli occhi. Abbassai lo sguardo, osservando la sabbia bianca sotto i miei piedi. Mi abbassai, afferrandone una manciata e lasciandola scorrere tra le mia dita. Era così fine da sembrare irreale.

Dietro di me, si estendeva un enorme boscaglia, simile quasi ad una giungla. Era strano vedere dietro di me una spiaggia e poco lontano una foresta. Continuavo ad osservare lo strano paesaggio che si estendeva sotto i miei occhi, quando sentii un improvviso e fastidioso gracchiare elettronico.

-Agente Shadow. Mi ricevi?- chiese la voce roca del Comandante. Esitai leggermente dal rispondere, lanciando un’ultima occhiata alla spiaggia. –Sì. La ricevo- dissi, premendomi una mano sull’orecchio in  cui tenevo la ricetrasmittente.

-Perfetto. Dove ti  trovi?- mi guardai intorno, osservando con attenzione la miriade di alberi di fronte a me. -Sono riuscito ad arrivare nell’altra dimensione. Esiste davvero- decretai, continuando a fissare il territorio intorno a me. –Perfetto. Com’è il luogo?-

-C’è una spiaggia, apparentemente simile a quelle del nostro mondo.  Dietro ad essa c’è una giungla, che a prima vista copre il perimetro di tutta la spiaggia. Chiedo il permesso di esplorarla- dissi, attendendo la risposta del Comandante.

–Permesso accordato. Cerca di raccogliere il maggior numero di informazioni sulla fauna e la flora locale. E scopri cosa ne è stato delle sentinelle che sono scomparse tre mesi fa. Vogliamo capire fino a che punto può essere rischioso per noi questo luogo-.

 -Ricevuto-.

 -Shadow, per nessun motivo dovrai interagire con le popolazioni locali, se presenti. Non possiamo compromettere la nostra posizione attuale, siamo già abbastanza inguaiati. Tutto chiaro?-

-Affermativo signore. Passo e chiudo-. Allontanai la mano dalla ricetrasmittente, iniziando ad incamminarmi nella boscaglia. Il fruscio delle foglie era mischiato al chiasso che facevano in quel momento migliaia di volatili sopra la mia testa. Mi guardai intorno, osservando la vegetazione intorno a me. Degli alberi particolarmente alti, avevano dei fiori rossi e blu che crescevano sulle loro radici. Un uccello simile ad un colibrì, dalle penne azzurre e gialle, andò a posarsi davanti a quei fiori, iniziando a strapparne i petali e mangiandoli.

Luogo ostile o no, era assolutamente innegabile che sarebbe stata un’esperienza, se non piacevole quantomeno…innovativa. Innovativa quanto poteva essere una nuova piega spazio-temporale.

Armato solo della mia curiosità e di un piccolo arsenale di poteri del Chaos, osservai attentamente la fauna locale. Era una mezz’ora buona che stavo camminando, quando all’improvviso sentii un improvviso fruscio tra i cespugli alla mia sinistra. Mi girai subito, fermando il passo.

Pochi secondi dopo, vidi un animale non antropomorfo, di medie dimensioni venirmi incontro come una scheggia a fauci spalancate.

Riuscii ad afferrarlo in tempo, quando i suoi canini erano a circa cinque centimetri dalla mia faccia. Era un serpente, con la testa e la parte superiore del corpo totalmente ricoperte da una corazza nera fino alla coda, e la parte inferiore nuda, probabilmente per consentire all’animale di strisciare. Non ero lì in vacanza, dovevo muovermi, quindi lo lanciai il più lontano possibile, perché non mi disturbasse più.  

 

2 ORE DOPO…

Il sole filtrava dalle foglie in cima agli alberi, creando uno spettacolo tanto affascinante quanto irrilevante, nella mia attuale situazione. Camminavo da due ore nel bel mezzo di una foresta, o giungla che fosse, piena di animali potenzialmente pericolosi, e cominciavo ad avvertire un minimo di stanchezza. Abbassai lo sguardo, cercando di concentrarmi su qualcosa che non fosse l’umidità terribile di quel posto.

Dovevo affrettarmi, prima che la situazione degenerasse.

Incredibilmente, sentii un rumore simile allo scroscio dell’acqua. Guardai davanti a me, e all’improvviso mi trovai davanti un piccolo angolo di paradiso, degno più di un deserto che di una giungla.

Assomigliava quasi ad un’oasi, uno spazio sgombro e senza alcun albero al suo interno, che però era circondato di cespugli e piante nei suoi dintorni.

Vi era una pozza d’acqua stranamente limpida al centro, creando in me l’irresistibile voglia di avvicinarmi e finalmente dissetarmi.

E l’avrei fatto, se fossi stato così sprovveduto da non pensare che le acque di quel posto potevano essere stagnanti, o contenere un qualche tipo di virus a noi sconosciuto.

Malgrado ciò, sentii comunque il bisogno di analizzare più da vicino quel liquido. Apparentemente, sembrava normalissima acqua, ma pensavo che alla G.U.N. avrebbe fatto piacere un campione di una sostanza sconosciuta. Fare un simile dono a degli scienziati li fa impazzire come dei bambini il primo giorno delle vacanze estive.

Per questo presi la provetta che gli scienziati mi avevano affidato qualche giorno prima di partire, la aprii e la riempii, per poi chiuderla nuovamente. Quando stetti per sedermi e riposarmi un po’, vidi uno strano luccichio dietro un cespuglio. Mi diressi verso di esso, incuriosito. Quando fui davanti ad esso, sbarrai leggermente gli occhi.

-Comandante- dissi, cercando un contatto con la Base. –Shadow. Che succede?- mi chiese.

-Ho…ritrovato le sentinelle- dissi, osservando i pezzi di metallo sparsi in punti diversi. –Ottimo. In che stato sono?- esitai leggermente dal rispondere.

–Completamente distrutte. Sembrano quasi…fuse- constatai, scostandone una con il piede sinistro.

All’improvviso, notai qualcosa di strano. Tutto il chiasso causato dagli animali all’interno della foresta, cessò immediatamente. Adesso c’era soltanto un silenzio inquietante. La temperatura sembrò alzarsi inspiegabilmente. Proprio davanti al mio sguardo, la pozza d’acqua cominciò a ribollire, come se fosse stata dentro una pentola. Arrivò persino ad evaporare parzialmente.

-La contatto dopo, Comandante- sussurrai, prima di chiudere la conversazione.

Sentii uno strano brivido percorrermi la spina dorsale, che contrastava con la secca temperatura che andava creandosi. Prima di poter reagire in qualsiasi modo, vidi con la coda dell’occhio una scia di luce avvicinarsi a me. In qualche breve attimo, una specie di sfera infiammata andò a schiantarsi poco lontano dal mio piede. Aggrottai le sopracciglia, sorpreso. Mi voltai, cercando chi avesse fatto quell’azione così sconsiderata. Vidi un paio di occhi che mi osservavano dall’interno della radura. Lentamente, la figura iniziò a camminarmi incontro. Quando uscì dal buio degli alberi, potei finalmente constatare chi fosse.

Era una gatta lilla, con la pelliccia sfumata di un viola scuro in certi punti del manto, e dagli occhi color caramello. La parte inferiore del cappotto che indossava, svolazzava ad ogni movimento della sua coda. Incrociò le braccia al petto, mantenendo la sua postura fiera.

-Salve- disse. Le feci un cenno con la testa, non distogliendo lo sguardo. Ci fu un momento di silenzio, in cui lei mi osservò attentamente. –Sei nuovo di queste parti. Non ti avevo mai visto- borbottò lei, fermandosi a qualche metro da me.

-Come fai a dirlo? Suppongo che non ci siano molti visitatori in questo luogo- ribattei, nonostante l’avvertimento della G.U.N. di non interagire con nessuno. Lei scosse la testa, evidentemente scocciata.

-No, ma conosco molto bene gli abitanti del posto- sibilò. Io scrollai le spalle.

–Sono appena arrivato- mi giustificai, tentando di trovare una scusa plausibile. Prima che potessi parlare, lei mi interruppe. –Sai dove ti trovi?- mi chiese.

-Come ho già detto, sono nuovo-.

Lei sorrise ironica. –Questa foresta rappresenta uno dei beni più importanti e prestigiosi dell’impero-. Impero? A sentire quella frase, cominciai a sentire i sudori freddi. Forse era davvero come pensava la G.U.N., e questa dimensione aveva raggiunto un’organizzazione politica molto sviluppata. La mia paura, in quel momento, era che ci potessero creare dei problemi in futuro.

- Il suo danneggiamento, sfruttamento o distruzione sarebbe una perdita irrimediabile- continuò lei.

-E perché mi stai dicendo questo?- domandai, ma lei mi ignorò completamente. Sembrò riflettere per qualche secondo.

-Ora ti faccio io una domanda. Con chi stavi parlando prima?- mi domandò, fissandomi sospettosa. Tentennai leggermente.

-Con…la mia ragazza- dissi, cercando di non far notare la mia esitazione.

-Ah…con la tua ragazza. Capisco-. Distese le braccia lungo i fianchi, forse perché più rilassata. –Beh, allora ti auguro buona permanenza- mi diede le spalle, quasi stesse per andarsene. –Solo una cosa. Condoglianze- La guardai confuso, alzando un sopracciglio. –Cosa?-

-Dicevo alla tua ragazza-. Prima che potessi reagire, lei mi tirò un’altra palla di fuoco, che questa volta mi mancò per pochi centimetri. Mi fissò in cerca di una reazione. Strinse i pugni, quando vide il mio volto rilassato. Con uno slancio, si avvicinò pericolosamente a me. Sbarrai gli occhi, non credendola capace di una simile agilità.

Fece per tirarmi un pugno in faccia, che parai. Mi  guardò irata, mentre muoveva velocemente la gamba e mi colpiva lo stomaco con il ginocchio. Mi sentii mancare il fiato per qualche secondo, e notai che la mano della ragazza che avevo bloccato poco prima, ora stavo diventando insopportabilmente calda. Mi allontanai di scatto, evitando un pugno della gatta.

Lei non sembrava minimamente scoraggiata, e mi si avvicinò nuovamente, tirandomi un veloce pugno sul muso. Sentii un bruciore terrificante nel punto da lei colpito. Quando fece per colpirmi un’altra volta, le afferrai il polso, storcendolo il più possibile. Il suo viso si contrasse in un’espressione di dolore. Approfittai del momento e le piegai il braccio, bloccandola e colpendola con un calcio sulla schiena.

Lei cadde a terra, e io iniziai a correre il più lontano possibile.

–TORNA QUI!- urlò. Sentivo la sua presenza dietro di me, e non era una cosa rassicurante. Non ero preparato ad un avversario così temibile. E non riuscivo a capire come potesse stare dietro alle mie velocità. Anche dopo che attivai i pattini, lei riusciva a non perdermi di vista tra la vegetazione. Mi sentii buttare a terra dalla ragazza, rotolando sul terreno a causa della troppa velocità. Lei mi bloccò il braccio sinistro, mentre io le tenevo fermo il braccio destro per impedirle di colpirmi. All’improvviso sembrò che il suo braccio prendesse fuoco, ustionandomi la mano. Tentava di colpirmi la faccia, mentre cercava di mantenermi fermo. La sua mano infuocata si avvicinava spaventosamente al mio volto, mentre io cercavo di togliermi quel peso di dosso. La presa sul mio braccio sinistro si allentò leggermente, e io non esitai a liberarmi e a tirarle un pugno sul naso. Lei chiuse gli occhi di scatto, facendo un urlo strozzato per il dolore e portandosi le mani sul punto colpito. Io la scaraventai via con le gambe.

Mi allontanai il più possibile, nascondendomi in un punto della foresta in cui gli alberi si facevano più fitti. –Comandante- sussurrai, nervoso.

–Agente, cosa sta…-

-Non ho tempo. Aprite un portale, immediatamente- ringhiai, sentendo che la gatta mi stava cercando.

-…Faremo il prima possibile- mi rispose il Comandante, mentre mi asciugavo del sangue che mi colava dalla fronte. Dannazione… era raro incontrare una simile avversaria. Aspettai qualche minuto, che mi parve un eternità. La ragazza stava ispezionando il posto, cercando la mia presenza. Sentivo uno strano odore di bruciato vicino a me. Mi voltai lentamente, osservando che un albero aveva preso fuoco. Capii la strategia della gatta. Non avrebbe mai bruciato tutta la foresta per stanarmi, ma era disposta a danneggiare qualche albero.

Il rumore di passi si fece più vicino, e sentii il mio battito cardiaco aumentare. Stranamente, il calore del tronco dietro cui ero nascosto iniziò ad aumentare, e io non potevo andarmene. Se mi fossi allontanato anche di qualche centimetro, lei avrebbe notato il movimento.

Sembrava di essere immersi nell’acqua bollente. Il tronco era diventato così caldo che sembrava aver già preso fuoco, e non riuscivo più a resistere. Strinsi i denti, cercando di trattenere un urlo. Dopo quella che mi sembrò un eternità, finalmente vidi una luce bianca apparire in prossimità della spiaggia. Bene. L’unica opportunità che avevo. Creai un Chaos Spear, e lo lanciai velocemente dietro di me, cercando di distrarre la ragazza. Appena sentii l’esplosione, mi lanciai in una corsa sfrenata verso il portale creato dalla G.U.N.

Questa volta però, non mi sentii seguito dalla gatta. Un attimo prima di entrare nel portale, mi voltai. Lei era lì, mentre mi fissava sorpresa. Forse era intenzionata a rincorrermi, o forse sapeva che sarebbe stato inutile. Non lo sapevo, e francamente, non mi interessava. Quando il fascio di luce bianca  mi investì, allora potei davvero considerarmi al sicuro.

Mi lasciai nuovamente cullare dalla tranquillità del portale, prima del familiare turbinio di colori. Ero sfinito, e l’unica cosa che volevo era rivedere le praterie dalle quali ero partito, anche se parzialmente sporcate dall’artificialità posta dalla G.U.N. a favore del suo temporaneo accampamento.

La scia di colori fu presto sostituita dal paesaggio che avevo in mente fino a poco prima, e non ci volle molto prima che un équipe di medici mi circondasse. Tra di loro vi era il Comandante, la cui tenuta grigio scuro decorata con medaglie all’onore contrastava fortemente con le bianche divise dei dottori.

-Agente Shadow. Cos’è successo?- mi chiese lui, fissandomi stranito.

-Era come pensavamo, signore. Forse anche peggio- risposi, cercando di ignorare i medici che ispezionavano le mie ferite.

-Che cosa intendi dire?- ringhiò lui, impaziente.

–Ho incontrato una persona lì- grugnii, mentre uno dei dottori mi fasciava un braccio senza che nessuno glielo avesse richiesto.

-Una persona?- insistette il Comandate.

-Una donna- continuai. -Sembrava piuttosto indispettita dal vedermi lì. Penso che sapesse da dove provenivo. E ho la sensazione che sia stata lei a distruggere le nostre sentinelle. Sapeva del nostro arrivo, comandante. Era molto più preparata di quanto non lo fossimo noi. In più, ha parlato di un impero- dissi, con la preoccupazione che mi assaliva.

-Sai fino a che punto possono essere pericolosi?

 -Ad essere sincero, no. So solo che è da quando affrontai Sonic the Hedgehog che non mi trovavo davanti ad un avversario del genere. Abbiamo bisogno di un piano, Comandante-.

-Hai ragione. Ma ora non pensarci, curati e riposati. Ne riparleremo domani. Hai rischiato grosso, oggi-

-Si, signore- salutai, liberandomi da quel branco di pecore in camice. Non ero messo così male, il giorno dopo sarei stato sano come un pesce.

Quando feci per andarmene, il Comandante mi fermò subito. –Aspetta Agente. Prima mi devi delle spiegazioni-. Si scostò leggermente, facendo un cenno alle sue spalle. –Che ci fanno loro qui?- sibilò indicando Rouge e Omega dietro di lui.

-Cosa…- ringhiai. –Come avete fatto a sapere dove mi trovavo?- chiesi, irritato. Rouge si avvicinò velocemente, mettendosi le braccia sui fianchi.

-Dimmi subito che cosa diavolo sta succedendo!- mi urlò contro. Roteai gli occhi, infastidito. –Ho ritenuto che non fosse necessario portare troppe persone con me. Pensavo sarebbe stato pericoloso. Sia per voi, che per la missione stessa- spiegai, osservando i miei compagni di squadra. -E comunque, mi dovete spiegare come avete fatto a scoprire dove mi trovavo- chiesi. Sul volto di Rouge apparve un leggero sorriso.

-Nulla di che, ho corteggiato un soldato della G.U.N. Quando Omega ha visto che non funzionava, gli ha puntato un fucile in testa- disse lei, come se fosse una delle cose più naturali del mondo.

-Registrata come strategia di persuasione verso la G.U.N.- aggiunse Omega. Abbassai un orecchio, tremendamente stizzito.

-E non pensate che questo possa causare delle conseguenze?- chiesi.

-È la quinta volta che lo facciamo- rispose Rouge. Dopo qualche secondo, sembrò riprendere la serietà di quando aveva iniziato la predica. -Ma non cambiare discorso. Avresti dovuto parlarcene, e noi ci saremmo messi in disparte se tu avessi insistito- sibilò, puntandomi un dito contro.

-Forse Omega lo avrebbe fatto. Ma non sono molto convinto che tu avresti seguito il suo esempio- dissi di rimando.

-Affermativo- disse Omega, d’accordo con quello che dicevo. Rouge sembrava innervosirsi di minuto in minuto.

–Allora, evidentemente, non conosci così bene i tuoi compagni- la pipistrella afferrò il braccio del nostro compagno robotico, trascinandoselo dietro.

-Carica totale, 25%. Necessaria ricarica immediata.- ripeteva tra sé e sé Omega, quasi come se avesse appena completato un obiettivo.

Mi era dispiaciuto il modo in cui avevano reagito. Volevo solo lasciarli fuori da questa storia, ma se c’è una cosa che la vita mi ha insegnato è che prima o poi, la verità ti viene sempre a trovare, e quando cerchi di evitarla ti colpisce come un uragano.

Supposi che il Comandante avesse sentito tutto, quindi decisi di dileguarmi, e di andare nel mio alloggio a riposarmi. Stavolta ne avevo davvero bisogno.

 

***

 

Quella notte non riuscii a dormire. Forse era per l’agitazione e l’ansia che mi sentivo addosso, o forse perché le ferite del giorno prima erano più dolorose del previsto senza bendature.

Come da pattuito, mi sarei trovato con il Comandante di lì a poco. Questa cosa cominciava a diventare monotona.

Uscii dalla porta, subito dopo essermi fatto la doccia. Decisi di andare immediatamente al meeting, volendomi togliere il pensiero. Ripetei la stessa strada della volta prima, salutai come sempre  Adrianne, ed entrai nell’ufficio del mio superiore.

-Comandante-  richiamai. Non una volta che sia entrato in quell’ufficio senza vederlo seduto dietro la sua scrivania di mogano preferita.

–Lascia stare i convenevoli Agente. Sai perché ti trovi qui. Dobbiamo parlare- sibilò.

 -Si, lo so. Di quella faccenda-.

-Siediti. Potrebbe essere una faccenda lunga-. Mi sedetti sulla sedia opposta a quella su cui si trovava il Comandante, la cui faccia era seriamente preoccupata. –Parlami di quella cosa-.

 -Signore?-

-Sai di cosa parlo. Un essere in grado di far fuggire la forma di vita suprema,  colui che persino l’Eroe di Mobius riesce solo ad eguagliare, non può essere preso sottogamba. Dobbiamo capire con chi abbiamo a che fare, Shadow-. L’ultima volta che quell’uomo mi chiamò per nome con così tanta naturalezza mi stava puntando una pistola contro. Faceva sul serio. –Che cos’ha in mente?-

-Tornerai lì. Ma stavolta non sarai solo, non importa quanto ti opporrai. Porterai con te un plotone di soldati scelti e il resto del Team Dark al completo. Iniziamo un’invasione-. Questa era una delle cose che temevo di più. Una di quelle che più di ogni altra avrebbe potuto fomentare un conflitto, ed era esattamente ciò che volevo evitare a tutti i costi.

-Non lo ritengo opportuno-dissi con decisione.

–Come ho già detto, immaginavo la tua risposta. Per questo…- tentò lui di parlare.

-Mi lasci finire- lo interruppi bruscamente, determinato a far valere le mie ragioni in questa situazione critica.  –Lei sa bene quanto possa essere pericoloso combattere con un nemico praticamente sconosciuto. Se tutti gli abitanti di quel luogo fossero come quella ragazza di fuoco, non riusciremmo ad uscirne. Ci massacrerebbero- spiegai.

 -Allora, cosa proponi?-

 -Di spiarli. Voglio scoprire cosa possono fare, i loro stili di vita, le loro abilità, le loro tecnologie e gerarchie-.

-Ti vuoi infiltrare in mezzo a loro?-

 -Esattamente, Comandante-.

-Ne parli come se fosse la cosa più semplice del mondo. Ma non è così, quindi se vuoi farmi cambiare idea, ti conviene avere una strategia ben precisa in mente. Se non ce l’hai, ti darò la bellezza di due minuti, anche tre, per elaborarne una seduta stante-. Odiavo quando faceva così. Tentava in tutti i modi di complicarmi la vita, pur non riuscendoci. Ma era ovvio che voleva sentire cosa avevo da dire.

-È probabile che quella ragazza volesse impedirmi di osservare ulteriormente la sua dimensione. Non si fidava di me, e non la biasimo. Devo tornare là nelle stesse condizioni di ieri e convincerla delle mie intenzioni. Ma non sarà facile, con tutta probabilità mi attaccherà nuovamente. Stavolta, però, conosco i suoi trucchi, non mi farò più trovare impreparato-.

Lui mi fece un cenno con la mano. -Continua-.

-Sarà una missione lunga. Forse ci metterò mesi- spiegai. Lui alzò un sopracciglio.

-Questo è ovvio. E se davvero intendi andare fino in fondo, quando vorresti partire?-

-Parto domani- dissi, sicuro delle mie parole.

-Strano. Da un soldato perfetto come te, mi sarei aspettato che partissi oggi stesso- mi schernì, con quello che sembrava un ghigno sarcastico sul volto. Io annuii.

-È vero. Ma se perdo la fiducia dei miei compagni, il rendimento del Team peggiorerà- sostenni, giustificandomi. Lui incrociò le braccia dietro la schiena.  –E va bene- disse solamente. Io mi alzai dalla sedia, dirigendomi verso la porta. –Ti voglio domani mattina alle dieci in punto davanti a quel portale- mi sibilò contro.

-Sì, signore-.

-Ma ricorda, se il tuo piano non funziona,- continuò, riprendendo il discorso –allora agiremo di conseguenza-.

-Lo so bene, signore-.

Ora che avevo finito con il Comandante, avevo una piccola scheggia da rimuovere dalla mia mente.

Uscii dalla porta, mi diressi verso l’ascensore, scendendo di un paio di piani, proseguendo fino alla quinta porta a sinistra del corridoio, stanza numero 313: l’alloggio provvisorio di Rouge, per quando la G.U.N. avesse avuto bisogno del suo supporto. Ovviamente, era una delle stanze tenute meglio.

Suonai il campanello, cosparso di diamanti sotto precisa richiesta dell’inquilina, aspettando che mi aprisse.

Non sentii nulla, nemmeno un passo, dall’interno della stanza.  In cambio, avvertivo una strana sensazione dietro di me. Una mano mi toccò la spalla, e subito dopo una breve frase: -Ciao Shadow-.

 Una parte di me si era leggermente sorpresa, l’altra tremendamente irritata. –Ciao Rouge. Come diavolo…?-

-Stivali e guanti con ventose- mi interruppe lei.

-Quando te li hanno dati?- ringhiai.

-È un regalino degli ultimi giorni. Volevo farti una sorpresa- disse lei, strizzandomi l’occhio.

–E non avevi niente di meglio da fare? Entrare in un museo, rubare in un museo, distrarre Knuckles e rubargli il Master Emerald…- dissi, incrociando le braccia.

-No. Avevo cose più importanti a cui pensare- mi rispose lei. Abbassai leggermente un orecchio, riflettendo.

-Un momento. Come facevi a sapere che ero qui?-

-Ti ho seguito dal soffitto da quando sei uscito dall’ufficio-. Distese le ali, alzando un sopracciglio. –Non hai nulla da dirmi?- mi chiese, riprendendo un aspetto serio.

Sbuffai, roteando gli occhi. – So che non sono stato molto gentile l’altro giorno- dissi, distogliendo lo sguardo.

-Quindi?- insistette lei. Strinsi leggermente i pugni.

–Ti chiedo scusa- sibilai, nel modo più dignitoso possibile. Dopo qualche secondo mi sorrise.

–Scuse accettate. Ma ti chiedo di avvertirmi la prossima volta che partirai da solo per una missione- sospirò, evidentemente più sollevata.

-Hai ragione, ti assicuro che ci farò un pensierino- dissi, fermandomi per qualche secondo.

-Per questo ero venuto a dirti che sto per tornare in quella dimensione. Come infiltrato. Per diversi mesi-.

Rimase in silenzio, forse per assorbire la notizia -…Eh…?-

-E disarmato. Me lo dimentico sempre- aggiunsi, grattandomi una tempia.

 

-…È uno scherzo, non è vero?- chiese, stringendo i denti.

-No- risposi semplicemente.

-Come puoi dirmi una cosa del genere in questa maniera?!- mi urlò contro,

-Ti sei appena arrabbiata perché non comunico abbastanza con la mia squadra, adesso ti infuri perché ti avverto di qualcosa che non vuoi sentire. Mi spieghi cosa vuoi?- sbottai, alzando il tono della voce. Rouge strinse le mani a pugno.

 

–Vorrei che questo genere di cose me le dicessi con un po’ di anticipo!- abbaiò.

-Te l’ho detto con un giorno di anticipo-.

-Non mi sembra così tanto tempo come lo fai sembrare!-

-Chiamale ventiquattro ore, suona decisamente di più- ringhiai, iniziando ad incamminarmi verso la fine del corridoio, per tornare all’ascensore.

–Sei un idiota!-mi urlò Rouge poco prima che si chiudesse la porta scorrevole dell’ascensore.

Premetti il pulsante per andare verso il piano terreno. Se dovevo allontanarmi a lungo da qui, allora avrei provato a godermi questo giorno il più possibile.

Una volta arrivato, mi diressi verso il luogo che mi rilassava più di ogni altro: la sala virtuale, il luogo dove soldati, reclute o veterani che fossero, si recavano lì per allenarsi, e migliorare le proprie abilità.

Mi avvicinai alla porta scorrevole, ed osservai lo Scanner della retina che permette l’accesso solo al personale autorizzato.

Una volta lì, mi preparai ad entrare nella sala allenamenti, quando sentii, dalla sala accanto alla mia, un rumore infernale.

Mi incuriosì così tanto che decisi di andare a controllare personalmente. Notai un gruppo di dieci automi G.U.N. di prima classe, il cui armamento, come da protocollo per questa sala, poteva spingersi al massimo fino ad un manganello, una pistola a tranquillanti, ed un taser a voltaggio basso.

Al centro di quell’ammasso di ferraglia, un soldato. Uno solo, neanche troppo robusto, ma il cui sguardo era fermo, freddo, e determinato.

I robot gli andavano incontro tutti insieme, ma lui schivava ogni colpo, contrattaccando ad ogni occasione possibile, utilizzando solamente un pugnale da militare, niente armi da fuoco.

Era paziente. Quando uno dei robot lo attaccò, lo schivò di lato, e gli tagliò di netto l’avambraccio. A quel punto aveva già notato un altro androide che lo stava mirando con la sua pistola, quindi utilizzò lo stesso robot che aveva smembrato poco prima per ripararsi, facendo colpire lui.

Subito dopo, buttò via la carcassa metallica, e lanciò all’ultimo dei nemici il pugnale dritto in testa. Con calma, poi, le si avvicinò, strappandole via tutto il cranio e, nel frattempo, recuperando il pugnale.

  qui per rilassarsi, Agente?- mi chiese una voce.

-Comandante- dissi, per l’ennesima volta in quella giornata.

Lui mi si avvicinò. -Vedo che ti sei fermato ad osservare lo spettacolo-. Fece un cenno verso il giovane che poco prima si stava allenando

-Lui è uno dei soldati migliori di tutta la G.U.N. Ovviamente subito dopo di te-.

-Grazie, signore-.

Riprese ad osservare con attenzione il ragazzo, scrutandone ogni movimento. -Ho notato la sua abilità personalmente. È un ex-marine. Il suo nome è Geremy Gibson. Prevedo grandi cose per lui, e ne prevedo di ancora più grandiose per te-

Mi sentii avvolgere da uno strano alone d’inquietudine. Tutto d’un tratto, persi la voglia di allenarmi

-Lo immagino. Mi perdoni Comandante, ma ho bisogno di riposare. Pensavo di tornare ai miei alloggi-.

-Ottima idea. Dovrai essere splendente domani. Buonanotte, agente. So che non mi deluderai-.

-A domani, signore-.

Avevo sonno, e l’indomani avrei dovuto essere concentrato. Un errore di distrazione sarebbe potuto essere fatale per me, specialmente nelle fasi iniziali.

Dormii a fatica, e stranamente, angosciato. Ma la sensazione di pochi giorni fa permaneva anche nella paura. Qualcosa sarebbe cambiato. Ma non ero più sicuro che sarebbe stato in meglio.

La mattina dopo, una volta arrivato al portale, la mia mente ed il mio corpo erano pronti ad affrontare ciò che sarebbe arrivato da quel posto.

Il Comandante e tutti i soldati lì presenti si allinearono per ordine del primo, e mi fecero il  saluto del soldato, pronunciando all’unisono –Buona fortuna, e che la stella di Mobius la assista!- Prima di partire, risposi anch’io al saluto, senza dire nulla. Mi incamminai all’interno del portale. Poi il tutto fu illuminato di bianco.  

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai di nuovo in quella spiaggia. Il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia mi riempì le orecchie. Questo prima di sentire il rumore della ricetrasmittente che si attivava. –Agente Shadow. Com’è andato il viaggio?- mi chiese il Comandante.

-Bene- risposi solamente, incamminandomi nella foresta.

-Perfetto. Procedi con la missione- disse, chiudendo la conversazione. Sospirai, quando fui entrato nell’oscurità della giungla.

Non era cambiato nulla da allora. L’ombra delle piante era scandita dalla luce naturale che filtrava dalle foglie degli alberi.

Ero preparato a tutto stavolta, quindi non tardai ad iniziare una marcia veloce.

Camminai per varie ore, molte di più che nella mia prima visita, stavolta senza intravedere la stessa oasi dell’ultima volta, segno questo che poteva rappresentare il fatto che mi fossi perso nella giungla. Tuttavia, continuai ad andare dritto, fin dall’inizio, senza cambiare direzione, pensando che ciò avrebbe potuto portarmi da qualche parte prima o poi.

In effetti, fu così. Gli alberi si facevano più rari, e di conseguenza, la luce più intensa. Nel punto in cui il terreno era libero dalle piante, si ergeva di fronte a me un’enorme distesa erbosa, che, guardando in lontananza, sembrava non avere limite.

L’afa soffocante e umida sembrava sparita, ed al suo posto il punzecchiare del sole era accompagnato da una forte brezza, che inevitabilmente trasportava con sé l’intenso odore dell’erba.

Prima una spiaggia, poi una giungla, e subito accanto una prateria. Che razza di luogo era mai quello? Mi guardai intorno, osservando il nuovo panorama che si stendeva davanti a me. Quel posto era molto più tranquillo della giungla, e nonostante fossi leggermente spossato dalla lunga camminata, quella vista mi rinvigorì. All’improvviso sentii dei fruscii dietro di me. Mi irrigidii, ascoltando attentamente.

-Salve. Di nuovo- sentii dire, da una voce femminile a me familiare. Mi voltai, e dietro di me trovai la persona che stavo cercando da ore. La gatta viola mi fissava stoica, a qualche metro da me.

-Vedo che non hai imparato la lezione- sibilò. La osservai, cercando di capire se avesse intenzione di attaccarmi.

- Ascoltami. Se l’altra volta mi avessi lasciato parlare, ti avrei detto che non sono qui per creare problemi. Voglio solo informazioni- dissi, con la voce più calma e rassicurante possibile.

-Devono essere informazioni a cui tenete davvero molto se insistete tanto nel turbare la quiete di questo mondo.     In questo luogo la pace perdura ormai da anni-. Muoveva nervosamente la coda, guardandomi dall’alto al basso. -Scusa se sono schietta, ma te ne devi andare. Adesso. Non posso lasciarti proseguire oltre-.

-No. Sono io che ti chiedo scusa, perché non posso esaudire il tuo desiderio- cercai di spiegare, con quanta più tranquillità potessi mostrare. Lei scosse la testa, con un sorriso rassegnato sulle labbra.

-Allora non mi lasci altra scelta- sussurrò. Iniziai a sentire un improvviso calore sotto ai piedi. Abbassai lo sguardo e vidi delle fiammelle che danzavano vicine ai miei pattini. Mi allontanai velocemente, in tempo per vedere una colonna di fuoco alta svariati metri che si ergeva nel punto esatto in cui ero io poco prima.

Rivolsi una rapida occhiata alla gatta, che tendeva una mano verso di me. Sentii nuovamente del calore sul terreno e saltai all’indietro, schivando un'altra fiammata. Iniziai a correre in circolo intorno alla zona dove si trovava la gatta, e girandomi potei vedere come continuasse ad evocare quelle fiammate dal terreno, con l’intenzione di spaventarmi, o forse di sfiancarmi.

Non si sarebbe fermata, quindi per smuovere le acque, caricai il mio potere più potente sulla mano mentre continuavo a correre. Saltai in avanti, e le lanciai Chaos Spear, che la sfiorò sulla guancia, graffiandola. Se avessi voluto colpirla in pieno, le sarebbe saltato in aria il cranio

-Questo è per le condoglianze- dissi. Lei strinse i denti, fissandomi con tutto l’odio del mondo. Mi si lanciò contro, infuocando le braccia. Alzò velocemente la gamba, tentando di tirarmi un calcio sulla mascella. Mi abbassai velocemente, afferrando l’arto con cui aveva tentato di colpirmi. Prima di poter reagire, mi ritrovai il suo pugno sul mio labbro. Indietreggiai pesantemente. Non potevo credere che fossimo nella stessa situazione della volta prima.

-Fermati e ascoltami!- mormorai, mentre lei cercava di colpirmi con un pugno infuocato sul volto. Lo afferrai prima che potesse sfiorarmi, cercando di ignorare il dolore che provavo in quel momento.

-Ti rendi conto che questa perdita di tempo sarebbe totalmente evitabile?!- esclamai, stufo di combatterla.

–Hai ragione, tu potresti andartene!-

-Oh, per l’amor del…- la spinsi lontano da me, creando qualche metro di distanza tra di noi. La mia mano faceva un male tremendo. Prima che la ragazza si avvicinasse nuovamente a me, creai un Chaos Spear e lo lanciai al suolo. Ci fu un’esplosione, che alzò abbastanza fumo e polvere da riuscire a nascondermi dalla sua vista per un po’ di tempo. Ma io la vedevo. E distinguevo perfettamente la sua sagoma tra la polvere.

Strisciai dietro di lei, e con le braccia la afferrai per il collo. -Ok, ora forse mi ascolterai!- Continuava ad agitarsi e a tossire, e ad un certo punto si mise a colpirmi con delle gomitate nell’addome. -Uff! Ascolta! So che non hai motivo di fidarti…- mi colpì nello stomaco, togliendomi il fiato per qualche secondo.

-Agh, maledizione, calmati! Dammi UNA possibilità per dimostrarti che non sto mentendo, solo una!- dissi, con una leggera nota di supplica nella mia voce. Lei smise di tirarmi gomitate, calmandosi leggermente. Aveva il fiato corto, ma almeno non mi stava più colpendo il petto. Mise una mano sul mio avambraccio, quello che le stava stringendo la gola. Cercava di allentare la stretta sul suo collo.

–Perché mi dovrei fidare di te?- chiese, con voce strozzata. Riflettei qualche secondo, cercando le parole adatte. Ma in una situazione del genere, non riuscivo proprio a trovarne.

-Hai ragione. Non puoi. Per questo ti chiedo solamente una chance, per potertelo dimostrare-. Lei sembrò riflettere per qualche secondo.

-Lasciami andare- sibilò, agitandosi un poco. –Quando parlo a qualcuno lo voglio guardare negli occhi- spiegò. Si poteva benissimo sentire tutta la rabbia e l’ansia che provava in quel momento. Volevo credere alle sue parole. In più, se mi avesse attaccato non avrei più scherzato con lei. Mi allontanai di qualche passo, sciogliendo la stretta che avevo intorno alla sua gola. Lei seguì il mio esempio e indietreggiò.

Sospirò, evidentemente frustrata. –Bene. Vuoi una possibilità?- io annuii. Lei si morse impercettibilmente il labbro.

-Mi hai stufato. Avrai la tua possibilità- borbottò, incrociando le braccia e chiudendo le palpebre.

Mi sentii il cuore stranamente sollevato, e rilassai le spalle. –Ma a una condizione- aggiunse, aprendo di scatto gli occhi. –Non potrai uscire da questa foresta. Mai. Se vedrò o verrò a sapere che hai superato i confini, sarai cacciato dalla dimensione. Oppure,- mi fissò torva, aggrottando le sopracciglia –ti ucciderò-.

-Tutto chiaro?- mi chiese. La scrutai attentamente. Poi le porsi la mano. – Non sono qui per fare problemi, mi sembrava di avertelo già detto già detto. Starò alle tue regole-. Lei fissò sospettosa la mia mano.  

-Ne sono felice-. Mi diede le spalle e iniziò ad incamminarsi verso l’immensa prateria. Rimasi leggermente sbigottito, osservandola allontanarsi. Prima di arrivare nuovamente in questa dimensione, dubitavo che sarei riuscito a convincerla a farmi rimanere qui. Ma incredibilmente, ci ero riuscito. Certo, non potevo uscire da quella dannata foresta. Ma… l’avevo convinta.

-Comandante,- richiamai –ci sono riuscito-.

 

Blaze

Nervosa. Una delle poche parole che avrebbe potuto descrivere perfettamente il mio stato d’animo in quel momento. Furia. A causa di tutti gli strani eventi di quel periodo. Odio. Quello che provavo per quel dannato riccio. Quel insopportabile essere che era venuto nel mio mondo, a distruggere la sua quiete. Eppure…

-Mia signora!- sentii urlare, da una voce perennemente tesa. Mi voltai, osservando la figura di Gardon che mi correva incontro. –Maestà- disse lui, mettendosi una mano sul petto e facendo un veloce inchino. Roteai gli occhi.

-Gardon, ti ho detto di non chiamarmi  in quel modo-. Lui mi fissò leggermente intimorito. Tipico di Gardon. –Mi scusi- sospirò, cercando di riprendere fiato. –Non riuscivo a trovarvi. Vi ho cercata dappertutto- spiegò, osservandomi.

-Ero andata nella foresta-. Lui spalancò leggermente gli occhi.

-Un’altra volta?-

-Sì. Quel riccio… è tornato- dichiarai. Il koala muoveva nervosamente le mani, in preda all’agitazione.

–E…com’è andata?-

Sospirai. –Ho deciso che potrà rimanere, Gardon-. Lui spalancò la bocca, fissandomi

–Maestà…- iniziò, pronto a mettere in discussione la mia scelta azzardata.

-Chiamami Blaze e basta. Sono anni che te lo ripeto-. Lui inspirò profondamente.

–Bene. Blaze, non credo che questa sia una buona idea. Insomma, come possiamo fidarci di lui?-

-Lo so Gardon. Non mi fido neanche io. Ma anche se lo avessimo cacciato nuovamente, credo che sarebbe stato completamente inutile. Mi sembra un tipo che non demorde facilmente. Avrebbero continuato a tentare finché non gli avessimo concesso il permesso. Oppure avrebbero ricorso alla violenza- iniziai a camminare per i corridoi, con il Koala al mio fianco.

-Purtroppo non tutti gli stranieri che arrivano qui sono come Sonic- dissi, mentre i ricordi delle avventure di qualche anno prima mi riaffioravano alla mente.

-E cosa intende fare?- chiese Gardon.

-Lo osserverò. Terrò sempre un occhio su di lui, non sarà difficile. Gli ho proibito di oltrepassare il limite della foresta- Gardon annuì.

-Crede che quel riccio riuscirà a sopravvivere?- Io feci un sorriso di scherno.

-Sì. Ce la farà sicuramente-. Quello di cui avevo paura, alla fine dei conti non era lui. Su di lui avevo concentrato la mia agitazione per ciò che stava accadendo al mio regno. Un impero millenario, le cui bellicose conquiste ebbero  fine solo da qualche secolo. E non c’è nulla di più difficile che mantenere la pace in un luogo così vasto. Sapere che c’era qualcuno che stava giocando impropriamente con questo giovane e fragile equilibrio, era inquietante. Ancora più inquietante era sapere chi stava dietro quei problemi.

Una guerra con un altro mondo avrebbe significato combatterlo uniti, come un unico Impero.

Ma c’è anche chi crea scompiglio da dietro le quinte, e lo fa per vari, viscidi motivi: perché ha paura di combattere contro un nemico a lui superiore, per indebolire a sufficienza il suo nemico prima di colpirlo con forza… oppure per seminare zizzania, distruggendo ciò per cui la mia dinastia ha combattuto duramente.

 

 

Eggman Nega

Sapete qual’ è l’aspetto migliore dell’essere me? Un uomo affascinante, elegante, educato, colto, con baffi più lunghi del suo intestino tenue, ed in grado di sviluppare tecnologie più o meno centocinquant’anni più avanzate rispetto al resto del suo mondo? Che non ci sono altri come me. Circondato da esseri che non batterebbero ciglio a sacrificarsi per me. Non hanno abbastanza libertà per poter concepire il libero arbitrio. Dopo tutto, li ho programmati per questo.

Ero a tavola, nella mia lussuosissima sala da pranzo, nel mio bellissimo nascondiglio segreto sotterraneo. Osservai con divertimento uno dei miei bio-robot, vestito di tutto punto, con abito da pinguino, cravatta, e tutto ciò che conviene ad un bravo maggiordomo. Quella lurida macchina sembrava quasi piacevole da vedere, ma solo come simbolo del mio potere.

Lo vidi arrivare con il suo solito vassoio. L’avevo programmato per portarmi ogni sera un aperitivo prima della cena, nonché per eseguire varie pulizie, e per continuare finché non avesse finito, avesse anche dovuto continuare per notti intere. Il suo programma gli imponeva di portarmi due bicchieri di spumante alla sera, e di aspettare immobile finché non avessi bevuto entrambi i calici. E la cosa divertente, è che io ne prendevo sempre solo uno, quindi rimaneva bloccato lì anche per ore ed ore, a volte finché non finivo di cenare. Per carità, quello non era un bug. Lo avevo programmato apposta, perché mi divertivo a vedere la sua forzata devozione. O meglio, come il mio genio avesse imposto lui devozione verso il sottoscritto.

 Mi voltai, mentre uno dei miei altri robot mi porgeva un telecomando. Glielo strappai velocemente dalle mani, schiacciando il pulsante che avrebbe acceso l’enorme televisore posto davanti al tavolo.

Ah, cosa c’è di meglio di vedere il tuo programma preferito mentre attendi la cena? Voi quale preferite? Ovviamente non vi ascolterò minimamente, voi ingenue marionette del mio carisma, ma è sempre bello ascoltarmi! Il mio genere preferito erano le notizie di attualità.

Vidi apparire il mio marchio personalizzato, la “Nega production”, da me creata e da me approvata.

Poi lo show iniziò, e LUI apparì in tutto il suo oscuro orgoglio. Potente, furbo, agile, fiero, resistente al dolore. E dannatamente simile ad un essere che avevo già visto. Un essere per il quale avrei distrutto il mio mondo, pur di vederlo morto. Ma questa volta era diverso. Vedevo quella creatura che contrastava senza alcun problema il potere dell’imperatrice. E non lo avevo mai visto qualcuno di quel calibro in quel mondo.

Con tutta probabilità, era fuoriuscito da quell’anomalia che avevo rivelato fino a poco tempo prima. E la gatta è stata furba, non appena ha percepito che c’era qualcosa che non andava, ha controllato immediatamente. E la sua curiosità è stata soddisfatta. Ovviamente anche io mi sono dato da fare. E a differenza sua, io sono stato molto più curioso. Non avevo idea di chi o che cosa fosse quel riccio. Sapevo solo una cosa: guardandolo, riuscivo a percepire il potere che sprizzava da ogni poro del suo corpo. Lo avrei studiato, e avrei avuto tutto il tempo per farlo. Dovevo solo fare in modo che non si accorgesse di me.

Pensavo questo, mentre gustavo l’ultima forchettata del mio pasto. Però era quasi mezzanotte, e decisi di andare a dormire, almeno dopo aver sfruttato il mio anti-stress personale. Decisamente il mio passatempo preferito: “Osservare gli ingredienti”. Mi alzai dalla sedia dirigendomi verso i piani inferiori della mia base. Dopo aver attraversato un corridoio con il soffitto ricoperto dei cavi di alimentazione dei miei macchinari, arrivai davanti a una stanza protetta da una porta di sicurezza. Inserii velocemente la password, sorpassando i robot che facevano da sentinella.

Quando il portone si aprii, entrai in un enorme stanza, avvolta da un’oscurità profonda.

Le luci automatiche si accesero, e finalmente potei osservarli, quei poveri, indifesi esseri addormentati all’interno delle capsule di triplo vetro, e collegati alle flebo che li mantenevano stabili in quello stato.

Erano così teneri, in quella costante posizione fetale.

Mi avvicinai ad una delle cilindriche capsule, ed appoggiai la mano contro il vetro, guardando l’essere al suo interno.

Pensai: “Dormi, bambino mio. Goditi ogni momento nel quale i tuoi occhi rimangono chiusi. Perché quando li riaprirai, sarai rinato.”

 

 

Blaze

Sospirai, sentendomi stranamente rilassata, seduta sul mio trono. Una delle poche volte nella mia vita in cui potevo stare tranquilla. Nel regno era tutto tranquillo. Nessuno aveva attentato alla mia vita, il commercio proseguiva fiorente, e riuscivo a coordinare perfettamente i vari comuni dell’Impero tra loro. E riuscivo ad avere più tempo libero per me. Era tutto meraviglioso. Quel giorno come le due settimane precedenti.

 Era tutto troppo strano. Da quando era arrivato quello strano riccio, era diventato tutto troppo tranquillo nel regno.  Aveva rispettato i patti, evidentemente. Oppure era morto, ed avrei dovuto dar ragione ai sospetti di Gardon.

Sentii arrivare qualcuno dal portone d’ingresso della vastissima sala del trono.

Era Gardon. -Buongiorno, sua Maestà-.

-Gardon…-

-…Blaze. Ha passato un buon sonno?-

-Oserei dire meraviglioso- sospirai.

-Davvero? È sicura di stare bene? La vedo incredibilmente solare oggidì. Davvero, se desidera posso far licenziare le domestiche…- io scossi la testa, con un leggero sorriso sulle labbra.

-Te lo assicuro Gardon, sto bene-.

-Mi scusi maestà…- ebbe un secondo di ripensamento.  –Blaze!- si corresse. -È solo che non mi è solito vederla così…ehm, solare- disse, gesticolando leggermente.

Mi alzai dal trono, stirandomi le gambe intorpidite. –Esco- dissi, sorpassando il koala.

 

–Blaze, dove sta andando?- mi chiese lui, seguendomi con lo sguardo.

-A controllare quel riccio- spiegai senza voltarmi, continuando imperterrita per la mia strada. Sapevo che Gardon avrebbe ribattuto, ma il portone della sala si richiuse prima che potesse rispondere. Certe volte era troppo protettivo, nonostante sapesse perfettamente che potevo difendermi da sola, senza l’aiuto di decine di scorte al mio fianco.

Al mio passaggio, le guardie alzarono le lance e le asce, in segno di rispetto per la loro regina.

-Aprite la porta!- urlò il capoguardia appena mi vide. Meritava una promozione quel tipo. Osservai il paesaggio, dopo che i portoni del castello furono aperti. Una pioggia torrenziale partì dal nulla. Le sue gocce mi bagnavano la faccia e il pelo. La gente non restò ad ammirarmi per molto come se fossi un qualcosa di anormale, visto che anche loro non volevano bagnarsi.

A quel punto aumentai la velocità, attraversando l’imponente strada maestra e dirigendomi verso le mura della città, dove era situato il portone d’ingresso. Le sentinelle per la sicurezza della capitale mi aprirono il passaggio. Appena fui uscita dai confini della città, iniziai a correre in direzione della foresta. Speravo vivamente che il riccio fosse rimasto dove gli avevo ordinato. Lo speravo per lui.

Mi distolsi dai miei pensieri, notando che adesso proseguire nella pioggia sembrava quasi come camminare contro la corrente di un fiume. Quello che pochi minuti prima mi sembrava un diluvio, ora sembrava quasi  un lago che precipitava dal cielo. Scrollai nervosamente la pelliccia che avevo sulle braccia, cercando di allievare leggermente il fastidio causato dal pelo gonfio. Sbuffai, appiccando della fiamme sul mio corpo nel bel mezzo della corsa. Vampate troppo potenti per poter anche solo essere scalfite dalla pioggia.

E in un attimo, io e il fuoco fummo tutt’uno.

Attraversai tutta la prateria, quella che i contadini, secoli fa, chiamavano ”anticamera dell’Eden”, nome che rappresentava sia la bellezza del luogo, sia il rispetto degli abitanti per la città capitale, Flaritas, la casa della famiglia reale.

Quando arrivai in prossimità della foresta, spensi le fiamme. Non potevo assolutamente rischiare di ferire ulteriormente quel luogo. Se correvo e prendevo delle scorciatoie potevo arrivare in una mezz’ora nel luogo in cui si era accampato il ragazzo. Non potevo fare a meno di sperare che fosse ancora vivo. I suoi alleati avrebbero potuto credere che lo avessimo ucciso noi in qualche modo, e sapevo perfettamente che tutto questo poteva inevitabilmente causare una guerra. Scossi la testa, cercando di non pensare a cose che potessero accrescere la mia preoccupazione. Mi guardai intorno, notando che mi ero avvicinata notevolmente al luogo in cui avevo ordinato di rimanere a quell’essere. Rallentai, fino a fermarmi definitivamente. La meravigliosa spiaggia dell’isola Elisse era oscurata di fronte al violento acquazzone.

Ero fradicia e dovevo ancora trovare quell’uomo, per questo cominciai ad esplorare la spiaggia che costeggiava circa metà dell’isola.

Ad un certo punto vidi un capannino situato a qualche metro di distanza dal mare. Non aveva nemmeno le pareti, era solo composto da vari rametti legati tra loro che sostenevano una grossa foglia di palma che faceva da tetto, e c’era qualcuno lì sotto. Il riccio se ne stavo tranquillo sotto il suo accampamento di fortuna. Poco più avanti, c’erano delle braci dalle quali fuoriusciva molto fumo. Evidentemente, poco prima che iniziasse quel diluvio, aveva acceso un fuoco.

-Ehi- Lo chiamai per avvertirlo della mia presenza, senza successo. –Ehi!- urlai questa volta, vedendo che finalmente cominciava a voltarsi verso di me. Il suo sguardo era feroce, ma non meno determinato di quando lo lasciai qui, due settimane prima. Il suo aspetto era molto trasandato, le spine erano disordinate, seppur quelle situate sulla testa avessero pressoché mantenuto la stessa posizione. Ma non erano quelle le prime cose che notai. Aveva tra le mani una piccola e lunga creatura mezza mangiata, probabilmente un serpente. Non aveva l’aria di essere molto cotta.  

-Buongiorno. Lo sai che esistono gli ombrelli?- Dopo che pronunciò quelle parole, mi toccai il viso, e vidi che il mio pelo era bagnato e pendente.

–Non ne ho bisogno- dissi solamente, avvicinandomi a lui di qualche passo. –E tu lo sai che esistono i pettini?- chiesi, fissandolo. Lui roteò gli occhi.

–Non in natura. Se sei venuta qui soltanto per infastidirmi, allora puoi anche andartene- mormorò, sedendosi sotto la sua specie di capanna e mangiando un altro pezzo di carne. Incrociai le braccia al petto, cercando di non mostrare tutto il nervosismo che provavo in quel momento. Quel tipo riusciva a rendermi inquieta con un solo sguardo. C’era qualcosa, nelle sue iridi rosse, che mi era familiare. Un barlume che avevo visto più volte nei miei stessi occhi. …Dolore?

-Ero venuta a cercarti per constatare se eri ancora vivo- dissi, cercando di distrarmi dai pensieri che mi imperversavano la mente. Lui non parlò, fissandomi di sottecchi. Sospirai, esaminando i nuvoloni scuri all’orizzonte. –Questi saranno giorni di tempesta. Non ti consiglio di restare sulla spiaggia-.  

Lui sbuffò. -Questo posto è decisamente più sicuro della foresta-.

-Quando la marea inizierà a salire non la penserai allo stesso modo. E la pioggia potrebbe continuare per giorni. Come cuocerai il cibo?- Lui rimase in silenzio, osservando il cielo. Apparve un lampo improvviso, accompagnato da un tuono. Poi sospirò, scuotendo la testa. Vederlo in quella situazione dava un’impressione diversa. Con le spine arruffate e la pelliccia completamente inzuppata, mi faceva leggermente pena. Il vento cominciò a soffiare con più vigore, e i tronchi degli alberi iniziarono ad ondeggiare. Le onde del mare colpirono con più vigore la spiaggia, mentre la marea saliva lenta ma inesorabile. Il riccio incrociò le braccia al petto, mentre un impercettibile tremito gli scuoteva il corpo.

…Lo ammetto. Mi faceva decisamente pena.

-Allora, è finito il mio periodo di prova in questo posto?- mi chiese lui con tono lievemente ironico.  Continuai a osservarlo, ignorando la sua domanda. Mi stava passando per la mente un pensiero su di lui, che poteva mettere in pericolo tutti quelli che amavo, che avrebbe potuto distruggere tutto quello che conoscevo. Ma c’era qualcosa dentro di me, che mi guidava. Che mi stava dicendo cosa fare. Che quello che avrei detto non sarebbe stata la disgrazia del mio regno.

-Tsk. Complimenti straniero, hai superato la prima prova. Puoi passare al prossimo stage. Seguimi-.

Sospettoso, si accennò ad alzarsi e ad avvicinarsi a me. –Alt- lo fermai, –prima voglio sapere il tuo nome-.

Lui mi guardò un attimo con il suo sguardo imperscrutabile, e mi rispose. –Shadow the Hedgehog.-

 

 

 

Shadow

Dopo giorni in quel buco maledetto, finalmente l’avevo convinta a portarmi in un luogo che probabilmente, aveva per loro maggior importanza di quel “bene indispensabile’’ che era per loro quella foresta.

Attraversammo tutta la foresta nel giro di mezz’ora. A tutta velocità era tutta un’altra storia. Era molto veloce, non meno di Sonic, Metal Sonic, o di me.

Non avevo ancora visto la prateria nella sua integrità, ma quando la attraversai rimasi basito. Persino nella pioggia, e con i nuvoloni grigi, questo luogo mi attraeva, e la corsa, accompagnata dalla pioggia che cadeva nel mio stesso senso di marcia, sembrava una discesa per un fiume. Era dunque questo ciò che LUI provava? Era quella la libertà che Sonic predicava continuamente? Poi vidi qualcosa di nuovo espandersi davanti ai miei occhi. Ciò che da lontano sembrava un recinto, era in realtà un’enorme muraglia.

-Siamo quasi arrivati- urlò la gatta, cercando di sovrastare il rumore della pioggia. Mi voltai verso di lei.

-Dove mi stai portando?- chiesi.

Lei fece un cenno verso le mura. –Laggiù-. Stemmo in silenzio per il poco tempo in cui continuammo la nostra corsa.

Quando fummo davanti alla porta principale, da una delle torri circolari che contornavano strategicamente il muro, uscì una figura, che da quella distanza non riuscivo a descrivere bene, anche se si trattava probabilmente di una guardia. Ci fissò per qualche momento, prima che la gatta alzasse una mano al cielo, infiammandola nonostante quel diluvio.

Pareva che quell’individuo l’avesse riconosciuta. “Sul serio, chi è questa ragazza?” pensai.

L’immenso, massiccio portone si aprì, ed una larga strada tappezzata di grosse pietre, mi si parò davanti,  con ai lati alte ma rudimentali case. Ai miei lati, altre due stradine laterali. Sembrava di essere al Festival di rievocazione della Station Square medievale.

Iniziammo a correre per la strada principale, pur non alle velocità di prima, fino ad arrivare in una piazza circolare, circondata da varie case e con al centro un grosso piedistallo, ma curiosamente, senza niente sopra.

Proseguimmo ancora qualche chilometro, ed infine ci trovammo davanti a quella che forse, era la nostra destinazione: un’imponente castello, la cui altezza massima era raggiunta dai suoi quattro alti pinnacoli.

Il portone d’entrata era sorvegliato da un paio di guardie, con il viso coperto da un elmo ed armati di alabarde.

La scena si ripeté, e non appena le guardie la videro alzarono subito le armi, e vidi il portone aprirci la strada.

Il corridoio davanti a me era ampio, e illuminato dalle aperture poste nelle parti alte delle pareti a lato.

Nella nostra camminata, in modo del tutto inaspettato, un koala a me sconosciuto ci venne incontro, con aria piuttosto preoccupata. Ed ero quasi certo che non fosse stato in pensiero per me.

-Imperatrice!-

 ’Cosa…imperatrice?’’

La gatta scosse la testa, scocciata. -Poiché abbiamo un ospite, Gardon, in maniera del tutto eccezionale non mi lamenterò del modo in cui ti prego costantemente, per la mia sacrosanta volontà di buonumore giornaliero, di non chiamarmi per almeno una trentina di volte alla mezz’ora-. Il koala agitò leggermente, poi sembrò accorgersi della mia presenza.

-Chi è costui?- le chiese, guardandomi con sguardo introspettivo, quasi stesse cercando di riconoscere qualcuno.

–Oh, giusto. Gardon, ti presento Shadow the Hedgehog, “ambasciatore” dall’altro mondo, con un capiente carico di intenzioni non ancora del tutto chiare. Shadow, ti presento Gardon, Consigliere-Mentore-Insegnante-Protettore-Direttore della servitù reale, il quale riferisce a me e solo a me ciò che succede in ogni angolo del regno- spiegò come una cantilena, facendo un cenno al koala.

-Piacere- risposi, senza lasciar trasparire alcun tipo di confidenza. Lui sembrò irritato, rivolgendo un’occhiata interrogativa alla giovane donna.

–Maestà, posso chiedervi il perché questo straniero sia nel castello?- chiese.

-Verrà a vivere al castello per un po’ di tempo- decretò la gatta. Mi voltai incredulo verso di lei, esattamente come fece il koala.

–Cosa?!- abbaiò quest’ultimo. La ragazza fece ondeggiare bruscamente la lunga coda.

–Hai capito perfettamente. Rimarrà da noi per un po’ di tempo-. Poi si rivolse a me. –Ovviamente se è d’accordo-. Probabilmente quella sarebbe stata l’unica possibilità che mi sarebbe stata concessa. Annuii deciso, accettando la sua offerta.

-Perfetto- disse, non rivolgendomi più molta attenzione. Il koala sbarrò gli occhi.

–Maestà, non sono affatto d’accordo!- sibilò. –Come può pensare di portare qui, nel Castello della Capitale, un perfetto sconosciuto potenzialmente pericoloso!? Potrebbe essere una spia, un infiltrato, un folle malintenzionato! Senza offesa ovviamente, signore-.

Alzai un sopracciglio, alla strana reazione di quel lunatico. -Nessun problema-. Anche perché, relativamente alle prime parti del suo sbraitare, non aveva tutti i torti.

-Gardon, ora basta!- alzò la voce la gatta, indispettita.

–Ma, signora…-

-La sovrana che sta risollevando questo regno dal caos è anche la sovrana che oggi ha preso questa decisione! Non sarei una brava reggente, ma una despota, se non dessi almeno UNA possibilità a chiunque lo richieda sinceramente. E poi sai quanto dobbiamo a Mobius. Forse con la nostra chiusura mentale ci stiamo privando dell’unica possibilità di ricambiare-.

 Mobius!? Conoscevano il nome del nostro mondo! Com’era possibile, avevamo già avuto a che fare con loro?

Il koala sospirò, massaggiandosi le tempie e mormorando qualcosa. –Bene. E allora cosa intende farne di lui? Vuole che sia il suo animale domestico, oppure il suo giullare?- chiese, con dell’ironia tangibile nella sua voce.

-Non dire sciocchezze, Gardon.- ridacchiò lievemente lei, come se avesse accettato il pessimo umorismo di quell’uomo.  -Già a partire da domani dovrà rendersi utile- sibilò, zittendolo.

-In che modo?- chiese.

-Pulirà gli ambienti del castello. Mostragli le zone di cui è responsabile- illustrò la gatta, rivolgendomi un’occhiata.

–Ora, se volete scusami, ho dei lavori da svolgere- spiegò. -Ti auguro buona permanenza- mi disse, con un tono freddo. Ci diede le spalle, incamminandosi verso uno dei corridoi del castello. Sembrava tutto troppo strano. Essere riuscito ad arrivare quel punto sembrava un sogno, ma nonostante tutto quello che fossi riuscito a fare in quella giornata, volevo togliermi un’ultima curiosità.

-Come ti chiami?- chiesi. La mia voce rimbalzò tra le pareti del castello, mentre la ragazza fermò la sua camminata. Si voltò lievemente, non degnandomi di uno sguardo.

-Blaze- borbottò con un filo di voce, prima di andarsene. La osservai per qualche secondo, sentendomi stranamente soddisfatto.

-Avremo parecchie cose di cui discutere, giovanotto. Ora vieni, sbrigati!- grugnì il koala in tono di nervosismo, mentre ci incamminavamo nella direzione opposta a quella della ragazza, o Blaze che dir si voglia.

– In questo momento ci stiamo dirigendo agli alloggi della servitù, dove ci troverai anche il tuo. Al suo interno vi troverai una doccia, un letto, ed un tavolino, sopra il quale ci sarà una piantina del castello. D’ora in poi ti sarà affidata la responsabilità di pulire e tenere in ordine i seguenti ambienti: la cucina, il cortile reale situato al centro del castello e l’area di addestramento delle reclute. Se non ce la fai a pulirle entro la fine della giornata, te ne vai da questo posto. Avrai a disposizione una volta al giorno, se lo desidererai, un’ ora di libera uscita. Decidi tu quale questa dovrebbe essere.

Quando uscirai, sarai per tutto il tempo accompagnato da un paio di guardie. Se provi a scappare, ti allontani troppo o non ascolti i loro ordini, sei fuori. Se le guardie notano in te qualcosa di minimamente sospetto, sei fuori. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, di solito mi trovi nella sala del trono. È segnata anche quella sulla mappa. Buona fortuna e…ti tengo d’occhio-.

 

 Ed io che pensavo al Comandante come a un despota. Una cosa era certa, io non piacevo a quel tipo, e di sicuro lui non piaceva a me. Avrebbe cercato qualsiasi scusa, ed avrebbe sfruttato qualsiasi mio errore per allontanarmi. Dovevo stare attento.

Ci fermammo davanti a una porta in legno di color avorio. –Questo è il tuo alloggio. Non dimenticartene-. Indicò l’ingresso della mia stanza.

–Ti ringrazio.- borbottai, sempre limitando il discorso il più possibile.

–Passa una buona notte- mugugnò, subito prima di andarsene. Mi addentrai nella stanza, non aspettandomi nulla di particolarmente lussuoso. Ma in parte dovetti ricredermi. I muri, verniciati di grigio, non erano minimamente crepati, e seppure potessi confermare la presenza del davvero pochissimo mobilio, era tutto in buono stato. Non sapevo se fosse davvero un’imperatrice, ma in quel caso sembrava abbastanza furba da trattare bene la servitù. La doccia…dopo due settimane infernali finalmente avrei potuto farmi un bagno caldo.

 Ma in quel momento avevo cose ben più importanti da fare.

Mi misi la mano nell’orecchio, attivando la ricetrasmittente -Agente, com’è la situazione?-

-Abbiamo dei risvolti, Comandante-.

 

***

 

Passai un’ottima nottata, o perlomeno la migliore delle ultime quattordici trascorse in quella foresta.

Presi la mappa dal tavolo, mi diressi verso l’uscio della stanza per poi oltrepassarlo.

–Buona fortuna, Agente- esclamai sottovoce tra me e me, mentre dopo averla aperta, osservavo la mappa che avevo con me

-Vediamo…le cucine…- notai che quello era il luogo più lontano tra gli ambienti che dovevo pulire, quindi optai per la seconda scelta, guarda caso la più vicina alla mia posizione, cioè il giardino.

Mi sarei preso quella giornata per imparare il loro modus operandi, così a breve sarei stato in grado di capire meglio la loro società, e così se avrebbero potuto rappresentare un rischio per la nostra dimensione.

Mancava ancora un po’di tempo perché iniziasse il mio turno di lavoro, ma decisi di partire in anticipo per non rischiare di prendere sottogamba la situazione, in caso gli ambienti fossero più vasti del previsto.

Capii di essere quasi arrivato dal fatto che la mappa indicava la posizione del giardino al centro del complesso, e che vi si poteva accedere attraverso dei portici che collegavano direttamente l’interno e l’esterno, ed avendo seguito tutte le indicazioni, presumibilmente mi trovavo nel posto giusto. Anche considerando che nella parte terminale del corridoio vi erano appoggiate delle serie di scope, palette e un tagliaerba manuale.

Come immaginavo, il giardino era ampio ed aveva dei marciapiedi ai contorni, nei lati dove le pareti toccavano il terreno.  Al centro, grandi sculture scolpite  nei cespugli, imponenti statue composte di foglie raffiguranti cavalieri, arcieri e vari animali, come linci e serpenti, tutte all’interno di un medio-basso recinto anch’esso di foglie. Mi diressi verso il centro del giardino, accingendomi a cominciare quell’ingrato lavoro. Afferrai una delle scope ed entrai all’interno di quel recinto di fogliame, iniziando ad ammucchiare in un piccolo gruppo tutte le foglie che erano presenti sul prato. Mi stupivo di come, nonostante il perenne caldo che aleggiava in quello strano mondo, potessero cadere così tante foglie. Sembrava un complotto affinché non riuscissi a finire i miei compiti prima  del termine della giornata. Quello era decisamente uno dei lavori più umilianti che mi era capitato di fare in più di cinquant’anni, pur considerando che buona parte della mia vita l’ho passata in stasi.

Il caldo mi distruggeva, ed il lavoro era tanto, ma non potevo fermarmi, non avevo questo lusso. Ma dopo  novanta minuti circa passati a pulire, la mia attenzione fu catturata da una piccola ospite: vidi una bambina, una giovane ragazza procione uscire da uno dei quattro porticati collegati al giardino, e nascondersi in tutta fretta dietro una delle pareti di cespugli. Subito dopo mi guardò, mettendosi il dito indice davanti alle labbra, facendomi segno di fare silenzio.

-MARINE!- sentii urlare, prima di vedere un anziano koala camminare velocemente per il porticato, seguito da un paio di guardie. –Marine! Dove sei?!- abbaiò, guardandosi intorno. La ragazzina tentò di appiattirsi il più possibile contro i cespugli.

-Ehi tu!- mi urlò contro l’anziano. Lo fissai stizzito, cercando di ignorare il tempo che stavo perdendo in quel momento. –Hai visto una bambina passare da queste parti?- Rivolsi un’impercettibile occhiata alla ragazzina, che mi fissava implorante. Sospirai esasperato.

-No. Non ho visto nessuno- sibilai, ricominciando a spazzare il terreno. L’anziano imprecò, continuando per la sua strada lungo i porticati. La bambina rimase nascosta ancora per qualche secondo, prima che vedessi spuntare la sua testa dal cespuglio.

-Se ne sono andati?- mi chiese, con un forte accento che non riuscivo a distinguere. Io annuii, alzando lo sguardo verso di lei. Le spuntò sulle labbra un sorriso enorme. Uscì dal suo nascondiglio, camminando allegramente verso di me. –Ti ringrazio compare!- ridacchiò, porgendomi una mano. Alzai un sopracciglio, infastidito della sua affermazione.

-Io sono Marine!- esclamò. Ora che la vedevo da vicino, mi sembrava strano che una bambina scappasse in questo modo da delle guardie di un castello. Eppure mi sembrava innocente, mentre mi fissava con quegli occhi azzurri limpidi.

-Tu come ti chiami? Non ti ho mai visto prima d’ora, quando sei arrivato?- mi chiese subito dopo, con aria solare.

-…Shadow. E sì, sono arrivato giusto ieri. Ad ogni modo, perché ti stavano inseguendo?-

Lei mosse la mano, come se stesse cercando di scacciare dalla mente quello che le stavo dicendo. -Non ti preoccupare, era il mio insegnante. È un buon uomo, ma qualche volta le sue lezioni tendono ad essere troppo lunghe, così cerco di sgattaiolare via di nascosto…-

 -…Non sempre riuscendoci, giusto?-

-Giusto! È molto furbo, sta imparando tutti i miei trucchi!- farfugliò, con una faccia leggermente imbronciata.

-Quindi non è la prima volta che scappi-.

Lei sorrise ironica. –Sei un tipo perspicace!- dopo che ebbe detto questo, si allontanò di qualche passo. –Ora scusami, ma non posso stare troppo a lungo nello stesso luogo. Devo nascondermi finché non è finito l’orario di lezione- spiegò, salutandomi con un gesto della mano. –Ci vediamo!- urlò, prima di correre via.

Quel posto era pieno di gente strana, mi sarei dovuto abituare. A quel punto avevo già perso abbastanza tempo, quindi mi rimisi all’opera . Quello sarebbe stato un lungo primo giorno lavorativo.

 

***

Quando ebbi finalmente finito di pulire il giardino, dopo quattro abbondanti ore di lavoro, mi diressi verso il mio secondo obbiettivo: l’area di addestramento.

Dopo aver camminato per una discreta scarpinata, vidi con mia somma sorpresa che ero arrivato in un momento interessante. Un centinaio di reclute si stavano allenando al centro del campo, muovendosi come se quello fosse il loro elemento naturale.

-Alza di più quel braccio, soldato!- sbraitò una voce roca, da una delle pareti più alte dell’area.

-Sì signore!- rispose uno dei tanti ragazzi che si stavano allenando in quella specie di arena. Li osservai per qualche minuto, e notai una cosa mentre si allenavano nelle mosse base per la battaglia, tutti armati con spade di legno.

Eseguivano coordinatamente la stessa serie di fendenti: colpo a destra, colpo a sinistra, affondo con la spada.

Non sapevo se stessi assistendo ad un’ottima farsa, o ad un pessimo videogioco. Dopo un’ora che pulivo le parti più esterne del campo per non disturbarli, non riuscii a non rimanere irritato per la maniera in cui quell’allenatore parlava ormai da una mezz’ora buona con i suoi superiori, mentre continuava a far eseguire a quei giovani sempre la stessa sequenza: destra, sinistra, affondo, destra, sinistra, affondo.

Me la sarei sognata la notte di quel passo. I soldati dovrebbero essere assassini imprevedibili, non ballerini di hip-hop. Non vedevo l’ora che finissero il turno, così quello spettacolo ridicolo sarebbe terminato. Preferivo pulire rispetto all’osservare quello strazio. Tra una difficoltà e l’altra, ci misi altre quattro ore a pulire la sezione a me affidata.

 

***

Mentre sciacquavo le ultime pentole rimaste nella cucina, capii che se il tempo passava allo stesso modo nel nostro e nel loro mondo, in quel momento avrebbero dovuto essere più o meno le nove, ed ero incredibilmente riuscito a rispettare la mia tabella di marcia e a farla in barba a quel dannato koala.

Tornai verso i miei alloggi con una stanchezza inimmaginabile sulle spalle. In teoria sarei potuto uscire per esplorare i dintorni della città, ma avrei destato dei sospetti se avessi avuto troppa fretta nel farlo. Inoltre mi sentivo realmente distrutto, molto più di quando salvai il mio mondo diverse volte.

Comunque sia, avrei cercato di velocizzarmi nei miei lavori ed esplorare il resto del castello nel tempo libero.

Una volta arrivato davanti alla mia stanza, vidi Gardon esattamente davanti alla mia porta, quasi come se mi avesse aspettato tutto il tempo, anche se certamente non era così. Mi guardava fisso, scrutandomi. – Vedo che ci sei riuscito, alla fine. Non ci speravo. Ti ho assegnato gli ambienti più ampi di tutto il castello, e le persone che ci lavorano hanno gli orari più improbabili-.

Incrociai le braccia, in attesa che si togliesse dalla mia strada. –Dove stai andando?- mi chiese lui, notando la mia impazienza.

-Se ti sposti di qualche centimetro capirai- spiegai, trattenendomi a fatica dal prenderlo a schiaffi. Lui ridacchiò tagliente, non distogliendo lo sguardo da me.

-Ti faccio i miei complimenti ragazzo. E ricordati sempre che ti tengo d’occhio-. Mi fece un cenno con la testa, congedandosi.

- Buonanotte-.

 

***

 

Così passò un mese. E io non avevo ancora messo piede fuori dal castello. Lo avevo esplorato da cima a fondo, e non avevo trovato niente di sospetto, nemmeno nella maestosa sala del trono. E il Comandante, così come gli Alti Comandi, non erano felici di questo. Era semplicemente un normalissimo castello medievale. Pertanto, presto avrei indagato nella città per scoprire eventualmente qualcosa di più.

Ma fino a quel momento, avrei dovuto continuare con la solita routine. Ed era arrivato il momento più frustrante della giornata, vale a dire l’orario di addestramento delle reclute. Arrivato nell’area predestinata alle pulizie, come al solito presi una delle scope presenti nei porticati e iniziai a spazzare i lati più esterni del campo.

Lanciai un’occhiata ai giovani ragazzi, mentre facevano i soliti allenamenti. Ed era esattamente questo che mi innervosiva. Cercando di ignorarli, pulii le aree esterne per circa due ore, quindi mi avvicinai man mano ai soldati. Dopo aver sentito l’ennesimo ordine del loro comandante, strinsi il manico della scopa tentando di trattenere il nervosismo.

Avevo osservato quei ragazzi per quattro ore al GIORNO, per trenta GIORNI, ogni GIORNO, senza un attimo di riposo, per un totale di centoventi ore, equivalenti a cinque GIORNI passati ad osservare soltanto loro. Cinque giorni della mia vita sprecati in questo modo, e nemmeno l’eternità meritava un simile abuso. Dovevo porre rimedio. Quindi mi avvicinai ancora un po’, mentre continuavo a pulire in maniera fintamente distaccata i dintorni, e dissi ad alta voce, senza alzare la testa: -Non si fa così-.

 Vidi pochi di loro che si guardarono in giro per un paio di secondi, mentre gli altri non mi avevano neanche sentito, quindi alzai la voce.

 -Sul serio, parlo con voi. Ehi!!- dopo che ebbi urlato, finalmente quasi tutti i ragazzi si voltarono verso di me, lanciandosi sguardi interrogativi tra loro.

-Non guardatevi intorno, ci sono solo io ragazzi- sbuffai. Uno di loro fece un passo avanti, fissandomi innervosito.

-Che cosa vuoi, spazzino?- ringhiò, squadrandomi con aria di superiorità. Io scossi la testa, esasperato.

- Nulla. Voglio solo dirvi che state sprecando inutilmente il vostro tempo- chiarii, continuando a spazzare il terreno come se niente fosse.

-Di che cosa diavolo stai parlando?-

 -Davvero non ci arrivi da solo? Il vostro allenamento, ecco di cosa parlo. È da un mese che vedo allenarvi in questo modo, e se tutto l’esercito reale si comporta come voi, allora siete nei guai. Così come tutta la capitale. Tant’è che in effetti, mi chiedo se l’imperatrice sia al corrente di quello che fate ogni giorno-.

Come previsto, li vidi ridere tutti di gusto, uno dopo l’altro. Almeno finché non vidi il loro addestratore che si faceva strada nella massa –Toglietevi di mezzo, subito!- Mi arrivò dritto davanti un grosso ed alto koala, che in modo praticamente identico al suo studente, mi squadrava dall’alto al basso, prova del fatto che non c’è nulla di più facile da ereditare della superbia. Era solamente molto più arrabbiato.

 –Come osi anche solo fare riferimento alla reggente, sguattero! Chi sei tu per giudicare i miei uomini?!- lo fissai attentamente negli occhi, cercando di trattenere l’impulso di dirgli chi fossi al di fuori di quella dimensione.

-Uno sguattero. È proprio questo che vi dovrebbe preoccupare. Persino io vi potrei battere. I suoi soldati sono così ‘’svegli’’ che probabilmente non si sono nemmeno accorti che ci sono sempre stato io a pulire da queste parti mentre si allenavano-. L’uomo fece una smorfia, guardandomi snervato.

-Ah! L’unico motivo per cui nessuno si è accorto della tua presenza, è solo perché questa è talmente infima ed insulsa che nessuno riuscirebbe mai a farci caso. Sai ragazzo, potrei farti rinchiudere per i prossimi vent’anni nelle prigioni reali per un simile affronto. Se vuoi salvare la tua dignità, vattene ora, e la tua punizione si limiterà al licenziamento immediato- rise lui, sorridendo soddisfatto. Sospirai tra me e me. Com’era possibile che le persone snervanti e insopportabili mi perseguitassero?

-Quindi non vuoi nemmeno lasciarmi verificare se ho ragione?- domandai.

-Scusa?-

-Fammi affrontare uno di loro. Uno qualsiasi, anche due o tre se preferisci- gli dissi.

Lui fece una faccia quasi allibita, sembrava non credere alle mie parole. –Aspetta, fammi capire-. Poi lo stupore venne sostituito dall’ironia.

 –Ti senti in vena di farti prendere a calci da un centinaio di giovani soldati?- Cominciò a far partire una risata che proveniva dal profondo dei suoi polmoni, che aumentava poco alla volta, e gradualmente tutti i suoi studenti lo accompagnarono. –Ma dove diavolo ti hanno trovato? Sai una cosa, non ti faccio nemmeno licenziare, se fai il bravo chiederò personalmente la tua promozione a giullare di corte!-

-Ma davvero? Stavo giusto pensando di fare la stessa cosa con te-.

L’idiota smise di ridere di colpo, e i suoi studenti sembravano quasi inquieti di fronte a ciò. Girò la testa verso uno dei ragazzi a caso. –Tu, fallo stare zitto. Osservate il risultato del vostro allenamento, uomini!- urlò, incoraggiandolo.

La recluta avanzò verso di me, stringendo fermamente la spada di legno tra le mani. Tenevo con una sola mano la scopa che usavo fino a poco prima per lavorare, fissando pazientemente il ragazzo. Dopo qualche secondo, lui mi corse incontro, minacciando di colpirmi con la spada. Non mi spostai neanche di un millimetro, capendo che il ragazzo stava solo cercando di spaventarmi. Mossi velocemente il braccio, assestandogli una bastonata abbastanza leggera sulla testa. La cosa fece ridere gli altri e arrabbiare lui, che mi attaccò con furore notevole con una spazzata della sua spada, che schivai prontamente saltando all’indietro. Fece la stessa cosa un altro paio di  volte, ma non ebbi problemi ad evitare i suoi colpi, prima con una schivata, poi con un salto. Non avevo nemmeno bisogno di parare i suoi colpi.

Provò a  colpire il mio fianco destro, seguito subito dopo da un fendente da sinistra, a cui ovviamente sarebbe seguito un: -Affondo!- gridò il mio avversario, pensando di spiazzarmi, e confermando la sua stupidità. Io mi spostai verso destra, mi avvicinai a lui, appoggiandogli il manico della scopa sulla spalla.

-Sei morto. Due volte. La prima è stata quando ti ho colpito sul cranio- sussurrai. La sua faccia era mortificata, il suo animo umiliato. Gli altri erano quantomeno stupiti, anche se forse la parola giusta era “spaventati a morte”,  dal fatto che, se il giorno dopo fosse scoppiata una guerra, loro sarebbero stati i primi a non rivedere più le loro famiglie.

–Non dovresti urlare le mosse che stai per eseguire. È inappropriato e piuttosto imbarazzante-  gli dissi con serietà. Lui chinò il capo, senza dire nulla, e con la faccia completamente rossa.

Sentii all’improvviso dei gemiti di rabbia, e quando mi girai vidi il gran guru della guerra che mi caricava a spada tratta. Una spada di ferro.

 

-Come ti permetti! Ti farò a pezzi, e nasconderò ciò che rimarrà di te sottoterra, diverrai cibo per vermi! Chi sei tu?!- Era leggermente più difficile combatterlo rispetto al suo allievo, in quanto non avrei comunque potuto contrastare il ferro con il legno. Schivavo senza soluzione di continuità tutti i colpi che mi mandava contro, molto più fluidi di quelli del ragazzo, mentre continuava a sbraitare come un cane impazzito tutto quello che aveva in testa. –Scura, sporca, batuffolosa termite, smettila di muoverti e fatti ammazzare!- ringhiò. Dopo che ebbe sprecato tutte le sue energie in un vergognoso impeto di due minuti, cominciò a rallentare la frequenza dei colpi, finché alla fine non decise di alzare la spada verso l’alto, tentando di colpirmi verticalmente. L’arma cadde con un tonfo goffo, piantandosi nel pavimento di cemento, e di conseguenza, bloccando per qualche secondo il koala. Mentre cercava di estrarla dal terreno, ne approfittai e,  gli colpii impetuosamente le dita con il manico della scopa. Lasciò immediatamente la spada, stringendosi il punto colpito con l’altra mano e trattenendo un urlo di dolore. Sempre con il manico, lo colpii da dietro le gambe, mettendolo in ginocchio.  Gli presi la testa con entrambe le mani, trascinandola rapidamente contro il mio ginocchio, e rompendogli il naso e qualche dente. A quel punto lo vidi cadere a terra, e coprirsi il muso con la mano buona, mentre grugniva come un porcellino.

Mi voltai verso le reclute. –Buona fortuna in guerra-.

 Lo spavento nei loro volti era diventato terrore. Quando mi girai, vidi lo stesso soldato che avevo sconfitto poco prima tornare con due guardie al suo fianco, come quelle che facevano la posta al portone principale, e non fu difficile capire che erano venute per me. Come avevo potuto fare una cosa tanto stupida? Semplice. Era la cosa giusta per loro. E sotto un certo punto di vista, per il piano. Mi afferrarono per le braccia, trascinandomi con loro.

Non feci resistenza, e li seguii senza fiatare. Mentre mi portavano all’interno del castello, probabilmente per mostrarmi il mio nuovo alloggio in cella, venimmo intercettati da un’altra guardia.

 –Fermi. La Reggente vuole occuparsene personalmente. Desidera che lo portiate nella sala del trono, immediatamente.- Dapprima uno dei miei accompagnatori mi osservò muto, ma poi riprendemmo la marcia.

Una volta arrivati davanti all’enorme, scarlatto portone, alto non meno di otto metri, le guardie mi spinsero, posizionandomi giusto davanti ad esso. Una di loro bussò, sbattendo i pugni per farsi udire. Lentamente, mi apparì il salone davanti agli occhi, completamente bianco, vastissimo, e con molte aperture situate nelle parti alte delle pareti.

Il sole mi assalì, come se avesse voluto insistere a farmi ammirare la bellezza austera di quel luogo. Poi arrivò lei, al centro della sala. Fendeva quella luce con la sua sola sagoma, ed il portone mi si chiuse alle spalle, quasi all’improvviso.

-Desidero una spiegazione. Subito-. disse, con un tono stranamente pacato. Ma non ne ero affatto certo. Quella ragazza era straordinariamente brava a nascondere le proprie emozioni. -Perché lo hai fatto?- sibilò.

 Io scossi la testa. –Tu lo sai cosa accade lì?-

Lei aggrottò la fronte, incrociando le braccia. –Spiegati meglio-.

-Pulisco quel posto da più di un mese, e per tutto questo tempo quei ragazzi non hanno cambiato stile di allenamento. L’unico motivo per cui ho fatto tutto questo è perché volevo aiutarli-.

Il suo volto sembrò ammorbidirsi per qualche attimo, ma riprese subito il suo cipiglio serio. –Hai distrutto il loro allenatore-.

-Era un idiota.-

Lei sospirò. –Lo so. Ma ci sono diversi modi per esprimere i propri pensieri. E noi due eravamo stati chiari. Se avessi fatto un errore, te ne saresti andato. Secondo te, come mi dovrei comportare ora?- chiese, fissandomi con attenzione.

-Dovresti trovare un nuovo allenatore-.

-Io mi riferivo a te- insistette, alzando leggermente il mento.

-Beh,- cominciai -dovresti giudicare con attenzione quello che ho fatto. E cercare di capire se ho fatto più danni io oggi, o se avrebbe fatto più danni lui in futuro. Sul serio, chi era quel tipo?-

- Un giovane rampollo di una famiglia nobiliare di corte- mormorò. Feci un ghigno ironico.

- Una maniera soft per dirmi che era un raccomandato?-

Lei scrollò le spalle, distogliendo per un attimo lo sguardo. - In un certo qual modo-.

Dopo aver fatto questa constatazione, riportò l’attenzione su di me. -Sai, penso che se tu avessi davvero avuto un piano per procurare problemi a questo regno, te ne saresti rimasto buono più a lungo. Mi sembri troppo stupido, troppo impulsivo per essere venuto qui a creare dei problemi. Sapevi che ti avremmo cacciato via. Oppure,- spiegò, mettendosi il dorso della mano sotto il mento -sei molto più intelligente di quello che pensavo e stai cercando di raggirarmi-.

Io sbuffai, notando l’occhiata diffidente che mi stava rivolgendo in quel momento.

-Quindi? Qual è il tuo verdetto?- domandai. Vidi il più minimo accenno di quello che qualcuno avrebbe potuto considerare un sorriso comparirle sulle labbra.

 

***

 

Uscii dalla sala del trono, avviandomi per l’immenso corridoio. Trovai la figura familiare di Gardon aspettarmi poco lontano dai portoni. Aveva la schiena appoggiata contro il muro, e un sorriso stranamente soddisfatto sul volto.

-È stato un piacere conoscerla.- dichiarò lui felicemente, dandomi improvvisamente del ‘’lei’’. Io continuai la mia camminata, sorpassandolo.

-Anche per me Gardon. A domani-.  Sentii che improvvisamente iniziò a seguirmi di corsa, affiancandomisi.

-Scusami? Tu te ne vai oggi- sibilò, quasi come se mi volesse prendere a pugni. Io scrollai la testa.

–Non credo. Mi hanno appena promosso-. La sua faccia era una via di mezza tra “incredula” ed “assolutamente contrariata”. Non disse nulla, ma il modo in cui mi guardava lasciava intravedere il desiderio che fossi io a spiegargli cos’era accaduto, cosa che…

 -Ora scusa, ma devo abituarmi subito al mio nuovo percorso mattutino, quello verso l’armeria-. …amai fare con calma.

Non rispose, ma cominciava ad intravedere l’agghiacciante verità.

-Sono una guardia reale, Boss. Buona giornata-. La sua faccia si fece seria, si voltò per un attimo, e poi si allontanò velocemente da me, in direzione opposta alla mia, finalmente senza dire assolutamente nulla.

 Finito il mio giro di ricognizione, ero tornato davanti alla porta del mio alloggio, il quale, alla fine dei conti, mi andava benissimo.

-Congratulazioni, sei salito di livello-  pensai tra me e me, mentre aprivo la porta.

 

 

***

 

Il giorno successivo, dopo essermi alzato, ero davanti all’armeria, dove mi aspettava il mio equipaggiamento. Quindi entrai e mi preparai. Il luogo era scuro, provvisto solo dell’illuminazione più indispensabile donata dalle finestre. Trovare ciò che mi serviva non fu difficile. Era tutto organizzato in scaffali, molti scaffali. Le armi erano molte, ma poiché le guardie che avevano funzione di sorveglianza avevano sempre con loro delle alabarde, credetti che fossero quelle che dovevo maneggiare. Insieme a me c’erano molte altre persone, ovviamente tutti maschi, che indossavano l’armatura e mi fissavano stupiti. Probabilmente erano incuriositi dal vedere un volto nuovo. Non avevo motivo di intrattenere qualsivoglia relazione con loro, quindi mi limitai a dare un’occhiata alla mappa personalizzata ed esclusiva per ogni buon cavaliere che si rispetti, ed inclusa nel set di oggetti che avevo a disposizione, e le diedi un’occhiata veloce, per capire la mia prima destinazione.

La tesoreria reale, l’unico luogo nel quale non ebbi ancora avuto il tempo di controllare approfonditamente, a causa della pesantissima sorveglianza della quale ironicamente facevo parte. Ancor più ironico era il fatto che sarebbe stato ancora più difficile darle un’occhiata in quel momento, visto che, come mi spiegò Blaze la sera prima, sarei stato sempre accompagnato da un compagno che mi avrebbe guardato le spalle. Era ovvia la sua intenzione di farmi sorvegliare da vicino, tanto che cominciai a pensare che la fiducia che mi ripose fosse in realtà un pretesto per sorvegliarmi ancora più strettamente.

In ogni caso, forse con il tempo avrei avuto più libertà nel girare liberamente e quindi di capire se c’era qualcosa che potesse regalarci delle informazioni utili. D’altro canto, se quel mondo era parallelo al nostro, potevamo benissimo non essere gli unici a possedere dei “gioielli speciali”.

Mi diressi verso i sotterranei, dove era appunto situata la tesoreria, e con me c’era qualcuno, il cui viso era già coperto dall’elmo. Il mio compagno d’armi.

Una volta superato l’angusto e buio vano scala, la visuale non era migliorata. Una specie di lungo scantinato, con al fondo la solita gigantesca porta di legno massiccio, in questo caso non colorata. Ad altezza d’uomo, vi era un’iscrizione forgiata nell’oro, che recitava: “Badi, chi ora berrà il sangue imperiale”.

-Posizionati a sinistra del portone, io sto a destra- brontolò l’uomo coperto dall’elmo, la cui voce era più giovanile di quanto non si potesse pensare prima di sentirlo parlare

 –Va bene-. Mi mossi nella direzione da lui indicatami, trascinandomi l’arma dietro. Di sicuro trasportarla non era la fatica più titanica che avessi intrapreso in vita mia, ma dovevo ammettere che la scopa che avevo prima era più leggera. Il metallo di cui era composto quell’equipaggiamento, sia dell’armatura che dell’alabarda, era particolarmente pesante, ma in vita mia avevo già maneggiato armi bianche, una volta persino una katana. Comunque poteva essere composta di un materiale ignoto nel nostro mondo, qualcosa che noi non abbiamo mai sintetizzato, o che addirittura non esisteva del tutto a Mobius.

-Quand’è il primo cambio?- chiesi al ragazzo.

 –Come sarebbe? Non ti sei informato?- mi rispose lui con aria di sufficienza.

 –Ieri è stata una giornata pesante, e comunque non sono affari tuoi. E poi tra compagni non bisognerebbe essere più solidali? Ricordati che non sei il mio capo-  gli risposi, cercando di chiarire subito la faccenda.

 -…Hai ragione, non ti sono superiore. Ma un servo non sarà mai mio compagno, spazzino-.

-Il mio nome è Shadow, non... aspetta, come fai a sapere…- Prima che avessi finito di parlare, lui si stava già togliendo l’elmo, e quando lo fece lo riconobbi subito. Era il ragazzino che affrontai il giorno prima, un cane dal pelo folto e bruno. Pur sapendo che era banale, pensai: ‘’Perché? Perché tra tutti proprio lui?’’

-Questo spiega tutto. Beh, ti conviene abituartici, è così che stanno le cose. Che ti piaccia o meno, lavoriamo insieme-. Non ricevetti alcuna risposta, e la sua testa era girata in posizione opposta alla mia, quasi per auto-convincersi della mia inesistenza.

 –Comunque, non hai risposto alla mia domanda. Il turno-. Vidi un sorriso spuntare dalla metà visibile del suo volto ironico. Soffocai il meraviglioso impulso di levargli quel ghigno dal volto a suon di pugni e mi trattenni, emettendo un sospiro tremendamente frustrato.

Dopo qualche secondo, sentii dei passi risuonare tra le pareti, e una sagoma emergere dalle ombre che circondavano quel luogo. Prima che quest’ultima potesse avvicinarsi troppo ai portoni, il ragazzo accanto a me le si lanciò contro, bloccandola.

-Ehi, attento!- urlò una vocetta infantile. La figura che poco prima era avvolta dall’oscurità, ora era illuminata dalla flebile luce delle torce agganciate al muro.

-Marine?- sussurrai , osservando la ragazzina che continuava a contorcersi nella stretta della guardia.

-Stai ferma! Non puoi restare in questo posto! Si può sapere che cosa ci fa una bambina qui?!- strillò il ragazzo, mantenendo salda la presa sulle braccia della bambina procione.

-Lasciami andare, è una questione di sicurezza nazionale!- urlò lei, sillabando attentamente le ultime parole

 

-Fermati- dissi alla guardia, -la conosco. Ci parlo io-.  Il volto del cane si rabbuiò sentendomi parlare.

- Solo perché tu la conosci non significa che hai l’autorità di farci quello che vuoi. Non sei il mio superiore-.Ignorai le sue parole e mi portai davanti alla ragazzina.

-Ehi, cosa ci fai qui?- le chiesi. Mi scrutò per qualche momento.

- Un momento. Io… io ti conosco! Tu sei lo spazzino!- esclamò. La guardia ridacchiò, lasciando di scatto la presa che aveva su Marine.

-Mi piace il tuo stile, fanciulla. Ok, la lascio a te- rise, lavandosene le mani e ritornando alla sua postazione vicino alla porta. Strinsi una mano a pugno, cercando di sfogare tutto il mio nervosismo con quel gesto.

Marine mi osservò incuriosita. - Non dovresti essere fuori a pulire?-

-E tu non dovresti essere ovunque tranne che qui?-

-Ehm..-

-Stavi scappando-.

-Mhhm…-

-Da una lezione-.

-Mhhhm…-

-In anticipo-.

-Mhhhhm…-

-Un’altra volta-.

Si grattò imbarazzata la testa, abbassando per un attimo lo sguardo. -…Sì.-

-Seriamente, non è che passi più tempo a cercare di scappare dalle lezioni rispetto a quello in cui effettivamente le svolgi?-

Lei si innervosì, mettendosi le mani sui fianchi e guardandomi fissò negli occhi. -Tu non hai idea di quanto quel tipo sia tedioso, non fa che parlare di cose che so già. Gliel’ho già detto ma lui insiste, non mi ascolta e continua per la sua strada. Quindi io prendo e scappo!-

Il cane ci osservò confuso. –Uh…credo di essere l’unico a non capire che cosa sta succedendo- borbottò. Seguii l’esempio di prima e ignorai nuovamente la sua affermazione. Emisi uno sbuffo sommesso, notando la maniera supplichevole in cui mi fissava la prociona.

-Va bene, passi stavolta. Ma non puoi rimanere qui, hai visto la reazione del pivello, potresti finire nei guai- sibilai, facendo un cenno dietro di me. Sul volto le comparve un sorriso da orecchio a orecchio.

-Va bene, ok, messaggio ricevuto, ciao ciao, sayonara, addio, arrivederci, au revoir…- continuò con molte altre lingue, alcune delle quali non conoscevo, mentre si allontanava camminando all’indietro. La osservai snervato mentre si allontanava, tornandomene alla mia postazione. Passarono alcuni minuti di meraviglioso silenzio, in cui l’unico rumore udibile era lo scoppiettare delle fiamme sulle torce.

-Chi era, la conoscevi?- mi domandò il cane, distruggendo quel sacro silenzio che si era finalmente creato.

-Più o meno. Ritornando al discorso di prima…-

-Tra un’ora esatta, al campo addestramento. Contento?-

Scrollai le spalle. -Non ancora. Come ti chiami?-

Quell’odioso ghigno, un misto tra divertimento sadico e pessimo umorismo, gli ritornò sulle labbra. -Tsk, ne dovrà passare di acqua sotto i ponti prima che uno spa…-

-Non era una richiesta. Ho il diritto di sapere chi mi copre e a chi copro le spalle- ribattei. Lui abbassò le orecchie con fare offeso.

-Paladino Terzo dei Baskerville,- mormorò -ma gli amici mi chiamano Pal-. Alzai gli occhi al cielo, per quell’informazione assolutamente superflua.

-Allora suppongo che ti chiamerò in questo modo pochissime volte.-

Un’ora dopo, io e “Pal” ci incamminammo alla seconda tappa della nostra ronda. Sperai vivamente che il piccolo diverbio che avevo avuto con l’allenatore delle guardie l’ultima volta non avrebbe influito sul mio nuovo incarico come guardia.  Arrivati là, denotai con piacere un piccolo “cambio di personale” e di stile.

Del koala con cui avevo combattuto non c’era traccia, e le reclute stavano usando delle armi vere, per allenarsi.

Fortunatamente, per quella volta non mi notarono. Non perché i loro sensi erano addormentati, ma per l’immensa fatica che potevo leggere nei loro occhi.

Forse quei ragazzini sarebbero sopravvissuti qualche minuto più a lungo in battaglia.

 

 

***

 

Si fece sera, quando il mio turno si concluse per quelle che approssimativamente potevano essere le sette o le otto, quando decisi, questa volta, di andare io a cercare Gardon, per poter sfruttare la possibilità che mi offrì settimane addietro.

Mi aveva detto di cercarlo nella Sala del Trono, che avrei potuto trovarlo lì. Infatti, non appena feci per entrare dal portone… -Cercava me, giovane riccio?- sentii dire da una voce attorniata del tipico modo alla “gentiluomo inglese”, che apparteneva al mio temporaneo capo.

 

 -Sì. Sì, cercavo proprio lei, vecchio.-

La sua faccia si irrigidì mentre mi scrutava. –Che cosa vuoi?-

-Quando sono arrivato qui mi offristi un’ora di libera uscita al giorno. E ora voglio sfruttarla- spiegai. Lui mi passò affianco, uscendo dalla sala con passo affrettato. Lo guardai confuso, mentre si allontanava. Aspettai un paio di minuti, e dopo questi vidi ritornare il koala, accompagnato da due guardie. 

-Loro,- disse, facendo un cenno seccato verso i due uomini, -ti accompagneranno per la tua scampagnata in città.-

Lanciai una rapida occhiata ai due, che mi osservavano incuriositi.

Gardon mi sorrise in un modo per niente accattivante, facendo trapelare tutto il disprezzo che provava nei miei confronti. -Buona serata, ragazzo-. Io feci lo stesso.

 

-Anche a lei, Gardon-.

 

 

***

 

Mentre per la prima volta in questo lungo mese mettevo piede fuori dalla fortezza, e finalmente potevo di nuovo riempire i miei polmoni con l’aria pulita dell’esterno, la guardia più grossa si fermò e mi afferrò per la spalla.

 –Stammi a sentire, il Consigliere in persona ci ha gentilmente intimato di non perderti di vista, in caso contrario: l’imprigionamento immediato. Quindi vedi di non fare sciocchezze e di starci vicino tutto il tempo, perché se finiremo in cella a causa tua, sappi che ti riterrò personalmente responsabile, e non importa dove scapperai, io ti troverò e ti ucciderò. Sono stato chiaro pellicciotto?- mi minacciò.

 

 -Non ho motivo per mettere a rischio la libertà di due bravi ragazzi come voi. Ora muoviamoci, non intendo sprecare la mia ora libera ad ascoltare il vostro tutorial personale-. Ovviamente non la presero bene, ma feci ciò che mi contraddistingueva più di ogni altra: fregarmene altamente.

 

Quando finalmente arrivammo in città, ne rimasi parzialmente deluso. Non era spettacolare come credevo, e non soddisfò tutte le mie aspettative. Le case erano le une molto vicine alle altre, e si trovavano ai lati di un ampia strada maestra, la stessa che percorsi per arrivare al castello. Ad un certo punto, giunsi sulla stessa piazza che notai la prima volta che arrivai in quella città, e ortogonalmente alla strada che avevo percorso poco prima, ne era presente un'altra della stessa ampiezza. Le case erano posizionate come se qualcuno avesse continuamente fatto un ‘’copia e incolla’’.

Ma ciò che mi colpì maggiormente, fu la piazza. Era molto ampia e di forma circolare, accerchiata da grandi edifici, diversi e molto più alti e larghi rispetto alle case che avevo visto fino a quel momento, due dei quali potevano benissimo essere delle cattedrali in stile gotico.

 

Quello che attirò la mia attenzione, non furono quegli enormi edifici, quanto qualcosa di molto più umile, che avevo già notato tempo addietro, situato al centro della piazza. Un piedistallo rettangolare, alto un paio di metri, senza nulla sopra. Quindi decisi di approfondire le questione, e chiesi informazioni ad una delle guardie che mi accompagnavano. Ovviamente non a quella che mi aveva aggredito poco prima.

 

-Perché quel piedistallo è vuoto?-

-Mi chiedi perché quel piedistallo è vuoto? Si Può sapere in che razza di mondo vivi?-

Scrollai le spalle, indifferente. -Tendo a disinteressarmi delle faccende sociali-.

La guardia che mi aveva minacciato sospirò, osservando con sguardo assorto il basamento di roccia.

-Sappi che un tempo questo glorioso monumento in pietra faceva da sostegno alle statue dedicate ai più grandi re e imperatori, coloro che possederono tutto ciò su cui possiamo camminare, nuotare, e navigare-. abbassò lo sguardo, rimanendo in silenzio per qualche momento.

-E cos’è successo poi?- chiesi, spronandolo a continuare.

-…Arrivò lui. Lui e la sua armata di anime dannate. Molti innocenti non sopravvissero, e fu così anche per le successive volte in cui tornò-.

-Di chi stai parlando?                                                                

I suoi occhi si riempirono di odio e di ferocia. -Lo scienziato-. Il sangue mi si ghiacciò nelle vene, mentre una lenta e orribile consapevolezza si faceva strada nella mia mente. Eggman. Se davvero quello psicopatico avesse trovato un varco per entrare in questa dimensione, allora ci doveva essere qualcosa di molto più importante e prezioso di un castello medievale e qualche cattedrale. 

-Scienziato?-

-Sì, lo scienziato. Il suo aspetto è goffo, quasi buffo a dire la verità. Ma quando ordinò alle sue guardie di attaccare, distruggere e bruciare qualsiasi cosa, non c’era altro che terrore negli occhi di tutti quanti. Ricordo quel giorno come se fosse ieri- sussurrò, mentre quelle scene gli scorrevano davanti agli occhi.

-Mia madre non sopravvisse. Venne travolta dalle stesse macerie della nostra casa. E chi non fu annientato, o non riuscì a scappare, venne portato via. Nessuno seppe più nulla di loro. Soldati, cittadini, non faceva distinzione. E poi, prima di andarsene, come monito per tutti noi, fece bombardare la statua dell’ex imperatore. La regina decise di non farla ricostruire finché lui non sarebbe più stato in circolazione-.

 Se davvero Eggman era riuscito ad arrivare fin lì, allora la situazione era peggiore del previsto. Se avessi avvisato la G.U.N. non avrebbero esitato ad un’invasione in larga scala, vanificando tutto ciò che avevo fatto finora e, conoscendo il Dottore, rendendolo partecipe del nostro arrivo. Non sarebbe servito a nulla, anzi, i danni sarebbero stati enormi. Per questo decisi che la cosa migliore era tenere per me quest’informazione, e scoprire da solo cosa stava succedendo, poiché la cosa poteva riguardare anche noi.

L’altra guardia, notando lo sguardo perso del compagno, prese in mano la situazione. -Spero che ti sia piaciuta questa gita culturale, perché ora torni a casa. Senza discutere- sbottò, afferrandomi per un braccio e trascinandomi dietro di sé. Poco dopo ci seguì anche il suo collega.

 

-So camminare da solo- ringhiai, scostandomi bruscamente. Fu una voce femminile, quella che mi distrasse dalla mia marcia.

 

-Credo che il nostro ospite non abbia bisogno di una nutrice che gli stia accanto per i suoi primi passi- sentii dire alle mie spalle. Sembrò quasi che la piazza fosse diventata improvvisamente silenziosa. O forse era soltanto un’impressione. Io e i miei accompagnatori ci voltammo, e la sagoma regale di sua maestà in persona si mostrò ai nostri occhi.

-Mia signora!- esclamarono le due guardie, facendo un inchino. La ragazza roteò gli occhi, osservando i suoi due fedeli sudditi mentre svolgevano le dovute riverenze. Poi portò lo sguardo su di me.

-Ora ci penso io a lui. Potete andare- spiegò, muovendo un braccio in direzione del castello. Loro si lanciarono un’occhiata dubbiosa.

 

-Vi sto congedando- rispose questa volta la regina, seccata. Quelle sottospecie di guardie del corpo chinarono per un’ultima volta il capo in segno di rispetto e se ne andarono. A quel punto, la gatta si mise a squadrarmi.

 

-Era ora che mettessi il naso fuori da quel castello- mi schernì.

-Sì, certo. E mi incuriosisce il fatto che anche l’imperatrice, sua maestà, abbia avuto il tempo di farlo.

Toglimi una curiosità, perché non me lo hai detto prima?-

Lei alzò un sopracciglio. -Che cosa?-

 

-Che sei la padrona di questo luogo.-

 

-Risponderò alla tua domanda con un'altra domanda. Cosa avresti fatto tu al mio posto? Cosa avresti fatto se fossi stato tu il sovrano, e se io fossi stata l’intrusa?-

-Ti avrei ucciso subito, e poi avrei fatto fuori anche i tuoi compagni che sarebbero venuti a cercarti. E poi anche chi sarebbe venuto a cercare loro, finché non avrebbero capito che devono lasciare in pace il mio mondo- dissi onestamente, mentre la gatta non distolse minimamente gli occhi da me.

- Avresti potuto fermarmi quel giorno. Avresti potuto uccidermi, la prima volta che sono venuto qui. Perché non l’hai fatto?-

Incrociò le braccia . -Sono una reggente, non una dea. Sbaglio anche io a volte. Ma posso correggere questo errore in qualsiasi momento. Ricordatelo, la prossima volta che deciderai di fare di testa tua.-

Annuii lentamente. -Piuttosto, perché sei venuta qui? Se dedicassi la stessa attenzione a tutte le tue reclute, probabilmente non dormiresti più la notte-. Lei si mise a fissare il terreno, riflettendo su cosa dire, per poi ritornare a guardarmi.

-Volevo farti vedere una cosa. Però qui siamo in pieno centro. Non voglio che le persone mi vedano star ferma troppo a lungo-. Mi diede le spalle, iniziando ad incamminarsi. Si voltò per un attimo verso di me, e lo presi come un invito ad andarle dietro.

E un'altra volta mi ritrovai a doverla seguire. Mentre gli zampilli delle sue fiamme mi punzecchiavano la faccia, notai che stavamo uscendo dalla città, e che una volta oltrepassate le sue mura, ci dirigemmo a nord-est. La corsa diventò leggermente più faticosa, probabilmente perché la quota e la pendenza aumentavano. Una volta arrivati, potei vedere tutta la vasta città dall’alto, una prospettiva fantastica. Saremo stati almeno a trecento metri più in alto rispetto a prima. 

Respirai a fondo quell’aria pura, e un misto di odori tra acqua di mare e foglie mi invase le narici. Ci furono momenti di silenzio, in cui mi dimenticai quasi della presenza della gatta.

  -Vieni a vedere una cosa- mi richiamò. E così vidi quel luogo in tutto il suo immenso splendore. Mura che si stagliavano per chilometri e chilometri, parti di città che a volte avevano case differenti rispetto alle altre sezioni. Il tutto protetto da una bassa e spessa muraglia accompagnata dalle torri, che di tanto in tanto la interrompevano. E il castello, un immensa opera architettonica la cui altezza era superata solo da quella del sole, ormai basso all’orizzonte, e che illuminava tutta la visuale di un rosa-arancio. Avevo, già provato questa sensazione, questo desiderio di fare parte di qualcosa. Ma non ricordo quando, né il contesto. Però mi piaceva. Mi dava pace.

E in quel momento non mi sembrava importante il passato.

-Qual è il suo nome?- chiesi.

-Ti ho già detto il mio nome. E perché mi dai del lei? Sono solo l’imperatrice- mi rispose di fianco a me, con un ghigno ironico sul volto.

-La città, la tua terra. Come si chiama?-

-…Flaritas.- disse, esitante.

Le rivolsi un’occhiata silenziosa, osservandola nella luce calante. -Perché mi hai portato qui?

-Il castello è molto pulito grazie a te. E mi hai dato l’occasione di eseguire un cambio di personale. Diciamo che ti dovevo un favore. Ora almeno hai un posto dove andare quando vuoi uscire-.

In quel momento, dimenticai quello che stavo facendo e il motivo per cui ero venuto ad esplorare quel luogo. Dimenticai di avere una ricetrasmittente collegata ai muscoli più sensibili del mio orecchio. Quel che facevo non aveva utilità per la mia missione. In quel quarto d’ora, non ero l’agente Shadow, ma una guardia durante la sua ora libera.

 

***

 

Erano ormai cinque i mesi che passarono da quando arrivai. Era bello poter vedere delle persone che non ti trattavano come l’ultima trovata scientifica, e che non abbassavano la testa quando ti guardavano.

Nella gentilezza ed ingenuità di alcuni, come nella superbia ed antipatia di altri, vedevo tanto orgoglio quanto ne avevo io per me stesso. Era un bene che non sapessero chi fossi.

Persino Pal cominciava a diventare quasi sopportabile. Un altro fatto strano, era l’attenzione particolare che riponesse Blaze in quel periodo per me. Mi spaventava l’ossessione di quella ragazza nel tenermi d’occhio. Era raro rimanere da solo quando andavo sulla collina che mi aveva consigliato, e non capivo che cosa volesse da me. Andava bene tenermi d’occhio, ma non mi sembrava una tipa che avesse continuamente bisogno della compagnia di uno straniero. Ma tutto ciò non poteva durare.

La mattina ricevetti una sorpresa,  preannunciata da un tremolio nel mio orecchio.

-Agente Shadow, mi riceve? Ha fatto un buon riposo?-

 -Come sempre Comandante, lei?-

-Come puoi riposarti, mentre il novanta percento dell’Agenzia ti è contro perché esige dei risultati? Cosa mi puoi riportare?-

-Posso confermarle che le loro tradizioni sono prettamente medievali, rispetto alle nostre. Al contrario, possiedono un discretamente elevato livello tecnologico dal punto di vista dei trasporti, sia marittimi che terrestri, mentre sembra che siano piuttosto indietro nella tecnologia aerea-.

-Agente? Quanto credi che spenda la G.U.N. per mantenere stabile il portale che non ti fa rimanere intrappolato in quel buco? Sono cinque mesi, e non hai fatto altro che parlare di architettura ed usanze. Che cos’hai per la testa, soldato?- disse con tono irato.

-Signore…-

-Hai un giorno per portarmi dei risultati. Poi dovrai tornare, altrimenti manderò un’unità a riprenderti, volente o nolente. Non mi deludere-. La trasmissione si interruppe subito dopo. Da molto tempo non mi sentivo così in trappola, ma sapevo che cosa fare. Avevo ancora una possibilità.

Negli ultimi mesi, avevo notato che durante il mio turno, ad un orario preciso il quale variava a seconda dei giorni della settimana, una delle guardie non si limitava a posizionarsi davanti alla sala del trono, ma vi entrava. Poteva essere una coincidenza, oppure poteva andare lì per controllare qualcosa.

 Era una flebile speranza, ma era anche la mia unica possibilità per poter fornire informazioni al quartier generale.

Se volevo agire, dovevo entrare in azione quella notte stessa, quando c’erano meno persone in giro, ma quando comunque la sorveglianza era più rigida.

La giornata andò liscia. Avevo il mio piano ben impresso in testa. Poi, Pal mi fece una proposta.

-Ehi, sei libero questa sera?- mi chiese.

-Scusami?-

-Ti ho chiesto se hai impegni per questa sera-.

-Perdonami, ma non capisco il senso della tua domanda-.

-Beh, io e alcuni miei amici volevamo andare in un localino giù in città. Le cameriere non sono male e le riserve di alcool sono più che adeguate per un branco di guardie esauste alla fine della giornata-.

-A dire la verità questa sera avrei un piccolo impegno- dissi, cercando di dissuaderlo dal suo intento.

-Oh, fammi il piacere. È da mesi che sei qui, questa è  la prima volta che cerco di essere amichevole nei tuoi confronti e rifiuti la mia offerta? E poi non ci andiamo molto tardi, usciremo dal castello verso le sette, quindi se hai ancora qualcosa da fare alla fine della serata lo puoi fare. E non sei costretto ad ubriacarti, suvvia. Una volta mi hai detto che mi avresti coperto le spalle, ma non posso conoscere chi mi copre le spalle se prima non ci sbronziamo tutti insieme. E daaaai!-

Mi aveva messo alle strette, ma forse non aveva tutti i torti. Avrei potuto mantenere un certo controllo. E poi dovevo stare al gioco se non volevo che sospettassero di me.

-Ok, va bene, ci sto. Fammi tu strada questa sera-.

-Ah! Finalmente il solitario che accetta di passare una serata tra amici!- roteai gli occhi, infastidito.

Ma sì. In fondo cosa poteva andare storto? Era quello che pensai prima che il mio turno finisse, alle sette in punto. Io e Lord Paladino Terzo ci incamminammo verso quella che, con tutta probabilità, nel nostro mondo avremmo considerato una bettola. Su suo consiglio avevo tenuto l’armatura indosso, dicendo che tendenzialmente i baristi in quel locale scontano le ordinazioni dei soldati, per una questione di rispetto. Peccato che lui non avesse un bottone di ferro, ma fosse vestito da “persona normale”, con maglia e pantaloni sobri. Questa, pensai, sarà la serata in cui tutti ti ridono dietro perché ti piace fare lo spaccone e mostrare a tutti che sei un militare. Perché mi sono fidato?  

-Eccoci-. Alzai lo sguardo, e vidi un’insegna con su scritto “Il Ranger in fiamme”, con disegnato uno scheletro vestito da soldato che aveva delle fiammelle disegnate qui e la. –Prima le signore- mi disse, inchinandosi e lasciandomi lo spazio per entrare.

Il luogo era verniciato di rosso, e la luce di qualche lampadina illuminava tutto il locale. L’interno era meno sporco di quello che credevo per una città pseudo-medievale.  C’era molto chiasso, e ovviamente, noi ci stavamo dirigendo direttamente al centro di quella confusione, ossia un tavolo pieno di persone più alte o massicce di me, tutte senza armatura.

-Signori, abbiamo un nuovo membro nella società degli ubriaconi.- Disse Pal, cingendomi amichevolmente la spalle con un braccio. Ovviamente uno di loro disse subito: -Ehi, non hai caldo con quell’armatura?-

-Sapete, non sa separarsene. La adora- spiegò Pal, con un sorriso maligno sulle labbra.

–Sei un idiota- mormorai sotto il mio respiro.

 

Mi sedetti, non più in grado di prevedere come sarebbe andata avanti la serata. Vidi arrivare un tipetto basso, quello che su Mobius avremmo potuto chiamare come un cameriere di un bar dei bassifondi. Portava un larghissimo vassoio pieno di enormi calici di birra. E ovviamente, Pal prese l’iniziativa e ordinò al mio posto.

-Ehi barista! Porta un altro calice per il mio amico!-

-No, per me niente. Io non bevo.-

-Stai scherzando? Vuoi essere l’unico sobrio in un gruppo di beoni? Lasciati andare!- mi diede un’esagerata pacca sulla spalla..

Non avevo mai toccato un goccio di alcool in tutta la mia vita. Non ho mai avuto motivo o interesse nel farlo, non c’era nulla che mi facesse attrarre l’idea. Ma d’altro canto, sono la forma di vita suprema, e pensai che forse un calice avrei potuto anche sopportarlo. Quindi diedi il mio consenso a Pal.

Mi consegnarono il boccale, osservandomi divertiti. Quello che per gli altri poteva sembrare un bicchierino d’acqua, per me era una sorgente. Ma ormai non potevo tirarmi indietro, quindi bevetti il primo sorso.  Peccato che il tale che mi stava accanto mi alzò il calice per farmi bere tutto il resto, lasciandomi cadere parte del liquido addosso.

Nonostante questo, sembrava tutto a posto. E mentre ascoltavo gli altri che parlottavano della loro giornata, di famiglia e di donne, i problemi iniziarono. Non ero disinteressato da quello che dicevano, e questo era strano. La mia testa era rilassata, e questo era ancora più strano. E quando provai a mettermi seduto composto, poiché ero scomodo in quel momento, potei sentire tutto il peso dell’armatura per la prima volta in cinque mesi. Pal, senza dirmi nulla, mi aveva ordinato un altro calice, e io, pur riluttante nei primi momenti, ed opponendomi alla sua offerta solo dopo che mi arrivò il calice, contro ogni logica ripetei la stessa azione di prima, svuotandolo.

A quel punto, tutto quello che mi rimane in testa, sono immagini annebbiate e confuse, spintonate, e molte risate tutte attorno a me. Mi addormentai senza accorgermi di nulla, e l’unica cosa che riuscì a svegliarmi fu Pal, che mi dava degli schiaffetti in testa.

-Che cosa diamine succede?- borbottai, massaggiandomi una tempia.

-Hai alzato un po’ il gomito, amico. Sei crollato dopo il quarto bicchiere.-

-Che cosa?-

-Sei sbronzo, non l’hai capito?-

Mi guardai intorno, notando che la taverna si era svuotata di ogni parvenza di vita.

E Pal mi domandò nuovamente: - ‘di la verità, non hai mai bevuto un goccio in vita tua, non è vero?

Non risposi, troppo confuso da quello che avevo intorno, e in grado a malapena di biascicare qualche parola.

 

-Che ore sono?- chiesi.

-È ora che tu vada a fare la nanna, Shadow. Seduta stante, se vuoi essere in condizione appropriate per domani. Escluso il mal di testa, ovvio.-

La situazione in quel momento era critica. Per la prima volta in vita mia, credo di aver messo a rischio una missione. E la cosa peggiore, era che la missione non era ancora iniziata ed ero già esausto. Però, come ho già detto, quella era l’ultima possibilità che avevo di portare buone informazioni al Comandante. Non avevo scelta, dovevo sfruttare i mezzi che avevo. Quindi mi feci accompagnare da Pal al mio alloggio, lo salutai, e feci tutto ciò che pensavo fosse utile per riprendermi.

Provai persino a fare una doccia ghiacciata. Era notte fonda, non c’era più nessuno in giro, a parte le guardie che pattugliavano il castello in orario notturno, che fortunatamente, stavolta non toccava a me.

Era ora. Mi diedi vari schiaffi in faccia e partii, cercando di raccogliere tutta la concentrazione che avevo. Uscii dal mio alloggio, fin qui tutto facile.

Mi muovevo tra i bui corridoi del castello, nascondendomi tra gli angoli e cercando di evitare la ronda delle guardie. Cercavo di percepire tutti i suoni che erano intorno a me, per capire se qualcuno si stava avvicinando. Arrivai dietro la sporgenza di un muro, cercando di trattenere al meglio i barcollii. Mi sporsi leggermente dall’angolo dietro cui ero nascosto, e come immaginavo, notai che due guardie sorvegliavano il portone davanti alla sala del trono. Il piano era di aspettare che finissero il loro turno e approfittare dell’ intervallo in cui non c’era nessuno per passare. Ma il destino volle che andasse diversamente.

Mentre mi allontanavo dal mio nascondiglio, colpii una delle armature ai fianchi del muro, facendo parecchio chiasso. Come se non bastasse, dovevo aver fatto un movimento incontrollato, perché l’armatura cadde e i suoi pezzi si sparpagliarono per il corridoio.

Ovviamente attirò immediatamente l’attenzione delle guardie. Tuttavia, riuscii comunque a pensare in tempo, prima che arrivassero a controllare. Scostai leggermente un’armatura e mi ci nascosi dietro. Il colore del mio pelo e delle mie spine probabilmente mi avrebbe aiutato a mimetizzarmi con l’oscurità circostante. Arrivarono correndo, e fortunatamente superarono il punto in cui mi ero nascosto, andando a controllare la corazza più avanti.

Era la mia occasione. L’adrenalina e la tensione mi facevano andare avanti, facendomi riprendere un minimo di concentrazione. Silenziosamente, mi mossi verso il loro posto di guardia, e aprii con più parsimonia possibile la porta d’ingresso personale delle guardie, costituito, ironicamente, da una piccola porticina intagliata più o meno al centro del portone. Un’entrata più umile, ma sicuramente più funzionale per quello che dovevo fare.

La sala era buia e disabitata, non c’era nessuno all’interno, segno che la sorveglianza era solamente all’esterno. Non era un bel segno. Avrei potuto sbagliarmi, e il mio sospetto che ci fosse qualcosa di interessante poteva essere errato. Ma non mi arresi, e decisi comunque di dare un’occhiata, che purtroppo fu vana.

Cercai ovunque: sulle pareti, vicino ai troni... ma non trovai nulla. Ero brillo, ma riuscivo a capire che la situazione era nera. Peggiorò soltanto, quando sentii la porticina che cominciava ad aprirsi. Ero vicino al trono, quindi mi nascosi dietro di esso. Non sapevo chi fosse, ma costui salì i  tre scalini che portavano al trono reale, e mosse qualcosa. Dopo poco sentii il trono che spingeva contro la mia schiena, e che in qualche modo slittava leggermente sul terreno. Sentii che quella persona iniziò a scendere delle scale, con i suoi passi che ticchettavano nell’enorme sala. Forse avevo trovato la prova che cercavo. Aspettai qualche minuto, aspettando che quella persona uscisse, cosa che avvenne dopo un quarto d’ora, nel giro del quale lottai contro la confusione ed il sonno. Mi sporsi da dietro al trono, e notai che chi aveva appena risalito quel nascondiglio era una guardia. Compresi finalmente il perché delle guardie che entravano continuamente in quella stanza

Quel tipo uscì dalla porta, e il trono poco a poco ritornò alla sua posizione normale. Esaminai attentamente la poltrona reale, sfiorandone i bordi. Cercai un modo per attivare il meccanismo di poco prima. Dopo un minuto circa di osservazione, roteai uno dei pomelli che erano presenti sui braccioli del trono. Dopo che lo ebbi fatto, il congegno si rimise in azione. Scesi le scale nascoste, che mi portarono in uno stretto corridoio illuminato da numerose torce.

Non ci volle molto, prima che arrivassi in una stanzetta circolare. Ciò che mi si parò davanti fu sbalorditivo, nonostante tutti i sospetti che già avessi. C’era un gioiello rosso di forma rettangolare e della grandezza di una mano, che volteggiava sopra un altare. Finalmente avevo trovato ciò che mi serviva. qualunque cosa fosse, era ben sorvegliata. Di conseguenza doveva servire a qualcosa. Pensai che sarei rimasto in questa dimensione un po’ più a lungo. Provai a toccare quella strana gemma, e sentii un potere particolare. Una strana sensazione mi avvolse, come se delle piccole lingue di fuoco mi stessero attraversando le vene, senza farmi male. Provai a capire se fossi in grado di controllarne il potere, ma quando ci provai, sentii come se il corpo mi stesse incenerendo dentro. Provavo dolore dappertutto, e mi sembrava di star bruciando vivo. Lo lasciai di scatto, riponendolo nuovamente sulla sua piattaforma e decisi di andarmene.

Dopo che fui tornato nella sala del trono, cercai di riflettere su come uscire da quel luogo senza che nessuno se ne accorgesse. E la risposta mi fu data  dalla luce della luna. Uno spiraglio del suo chiarore sbucò fuori da una delle alte finestre, infastidendomi gli occhi. La finestra, quella, era la risposta. Non ci riflettei neanche per un attimo e attivai i propulsori dei miei pattini, che mi alzarono facilmente nell’aria. Una terribile emicrania mi colpì all’improvviso, facendomi provare i postumi della sbronza.

Maledissi Pal e tutte le guardie che mi avevano incoraggiato a bere, dal primo fino all’ultimo, mentre cercavo di atterrare nel modo migliore possibile nei cortili del castello. L’impatto con il terreno erboso e soffice fu per la mia testa come l’impatto di un martello d’acciaio.

 

***

 

La sera prima avevo comunicato ai miei alleati l’esistenza di quel particolare gioiello rosso, e che li avrei avvisati di qualsiasi altra novità. Era evidente che al Comandante non importasse più molto delle “lotte burocratiche’’ che doveva giornalmente affrontare con i membri dell’associazione, se come ricompensa vi era una fonte energetica nuova di zecca, in grado di cambiare le già radiose sorti del pianeta.

Sbadigliai sonoramente, nonostante non avessi esattamente voglia di dormire per colpa del fastidioso mal di testa che mi affliggeva.  Chiunque passasse e mi guardasse in faccia avrebbe potuto pensare che avessi subìto un lutto. Tranne Pal, che era tanto divertito tanto quanto leggermente pentito di avermi coinvolto in quella situazione.

-Potevi dirmelo che non avevi mai bevuto alcool in vita tua- sbottò.

-In quel caso che sarei venuto a fare?

Lui ridacchiò, alzando le spalle. -Touché-.

In quel momento eravamo davanti alla sala del trono. Vidi entrare Gardon, che mi guardò in un modo molto più sospettoso di quanto non fosse di solito, probabilmente per via della mia faccia. Gli aprimmo la strada con le armi, come era solito fare durante il giorno quando una persona importante doveva passare dove ci trovavamo noi. Il portone si aprì dietro di me, e quando mi si chiuse dietro, ero sollevato di non avere più vicino quel koala.

Porsi una domanda a Pal, una cosa che in effetti mi chiedevo già da un po’ di tempo.

-Perdonami, ma come mai i sotterranei del castello sono illuminati da delle torce se buona parte della città è dotata di energia elettrica?- chiesi

-Questioni di atmosfera, per rendere l’idea- rispose semplicemente

-Uh, capito-.

Poco tempo dopo, potei sentire delle urla femminili provenire da dietro la spessa porta di prima.

Erano incontrollate, quasi come se la persona che le stesse facendo si stesse sfogando Non riuscii a capire tutto, ma mi sforzai di percepire il maggior numero di cose possibili.

 -Come puoi chiedermi di stare calma?! Come puoi essere tu così calmo, quando questa città sta cadendo a pezzi?! Tutto il regno sta crollando! La gente sparisce e sembri più agitato quando ritardo di un minuto l’inizio del pranzo!- urlò.

Non riuscii a sentire altro, perché i toni si calmarono a quel punto. Vidi solo Blaze che aprì di botto la porticina, senza chiuderla, camminando velocemente diretta da qualche parte a me sconosciuta.

-Blaze!- senti strillare da Gardon.  Non avevo idea di quello che fosse successo, tutto quello che vidi, fu del fumo fuoriuscire dalla porta ormai aperta. Sia io che Pal ci lanciammo un’occhiata, inquietati da quello che era appena accaduto.

Ero incuriosito da questa faccenda, e volevo sapere che cosa avesse provocato tale reazione nella ragazza. Poteva essere qualcosa di importante.

Volevo capire cosa stesse succedendo, pertanto aspettai che fosse sera. Decisi che sarei uscito da solo e di nascosto, libero della sorveglianza delle guardie.

Non fu facile, ma riuscii ad uscire di soppiatto dalla città. La parte più complessa fu arrampicarmi sulle mura senza farmi notare da nessuno, soprattutto dalle guardie. Sapevo che stavolta, qualunque cosa Blaze avesse, avrei dovuto essere io ad andare da lei. In più sapevo dove trovarla. Corsi il più velocemente possibile, salendo di quota secondo dopo secondo, mentre i miei pattini sferzavano il terreno. Quando finalmente raggiunsi la cima della collina, mia accorsi di avere ragione. Lei era lì, che guardava assorta il tramonto, con la sua pelliccia viola che si muoveva al vento.

-Ehi- Salutai, camminando verso di lei.

Si girò velocemente e mi vide. Mosse nervosamente orecchie, riportando lo sguardo sulla sua città.

-Ciao- rispose. -Com’è andato il turno di guardia?-

-Tutto bene. Bambine che scappano, qualche ladruncolo che di tanto in tanto vuole rubare un po’ di vasellame sperando di trovarvi qualcosa, ma nient’altro-. Feci una pausa, osservando la sua figura stare in piedi, con la luce del sole che la illuminava. -Mi sembra invece che tu abbia avuto invece una giornata più caotica-.

Lei scosse la testa. -Non ti devi preoccupare. Sono problemi di una regina, ho affrontato di peggio-.

-Peggio di cosa? Si tratta dello scienziato, vero?-

Lei abbassò le orecchie, guardandomi con la coda dell’occhio. -Come fai a sapere dello scienziato?-

-Lo sai che mi piace informarmi. So che avete dei problemi con lui- spiegai brevemente. –Comunque, che cosa ti è preso oggi?- le chiesi, cercando di riportare il discorso nella direzione da me voluta. Si voltò di scatto verso di me, guardandomi con ferocia.

-Ti ho detto che non sono cose che ti riguardano!- urlò, provando a tirarmi uno schiaffo in faccia, cosa che non le riuscì. Le afferrai il polso in tempo, stringendolo abbastanza forte da non farlo più muovere. La scrutai negli occhi, cercando di capire se fossi io, la fonte di tutto il suo nervosismo.

-Adesso calmati… e spiegami tutto.-

Lei sospirò, abbassando lo sguardo e rilassando il braccio lungo i fianchi. Si sedette sull’erba, non rivolgendomi un minimo accenno di contatto visivo. Mi accomodai di fianco a lei, mentre osservava il terreno ai suoi piedi. Stemmo così per qualche minuto, io che fissavo lei, e lei che fissava i ciuffi d’erba che spuntavano dalla terra. Poi si decise a parlare.

-Ultimamente stanno succedendo delle cose strane a Flaritas e nel resto del regno. La gente sparisce nel nulla, senza lasciare tracce. E non devono nemmeno uscire dalla città perché questo avvenga. Succede nelle strade, e non capiamo come sia possibile. È successo anche ieri sera- spiegò.

- Cosa? Quante ne sono scomparse?

-Ieri sera, sei. Nell’ultimo mese, cinquantotto.-

-Eppure non vedo molte guardie per strada. Non potreste farle pattugliare? Forse riusciremmo capire cosa sta succedendo.-

-L’ho fatto. Abbiamo sempre mandato delle guardie a protezione dei sudditi. Ma non serve a nulla. Muoiono, o spariscono anche loro. Per questo tu non sei ancora sparito, perché sei tra quelli che non abbiamo mai inviato a svolgere quell’incarico. È solo per volontari, perché con tutta probabilità non si durerà a lungo. E il punto è che i volontari stanno diminuendo. Tra poco vi dovrò davvero imporre questa missione suicida- mormorò, sembrando disgustata delle sue stesse parole.

-Da cosa è cominciato tutto questo? Pensi che lo scienziato sia il responsabile?-

Lei si portò le ginocchia al petto e cominciò stringerle con le braccia, come se stesse cercando un appiglio per salvarsi la vita.

-Cominciò tutto tredici anni fa. Era una giornata normalissima, ed io ero nei giardini con i miei genitori, gli allora regnanti. Non avevo idea di come girasse il mondo e di come funzionassero i miei poteri, ero solamente una bambina. Poi sentii un rumore, come il rombo di un tuono. Era lontano, ma avevo comunque paura. Mi strinsi tra la braccia di mia madre. Pensavo che fosse un temporale, ma mio padre la vedeva diversamente. Una guardia ci raggiunse subito nel giardino centrale, e ci disse di dirigerci immediatamente nella sala del trono. Non c’erano luoghi più sicuri di quello, il portone era resistente e la sorveglianza numerosa. I boati si facevano sempre più vicini, e ad un certo punto sentii delle urla straziate al di fuori dalla porta. Chiusi gli occhi, sperando di svegliarmi nel mio letto e di poter ridere di quello strano sogno che avevo appena fatto.- si fermò per qualche secondo, riordinando i pensieri.

-Purtroppo non fu così. Poi ci fu il boato più spaventoso. Il portone venne sfondato, ridotto in pezzi, e non c’era più nessuna guardia a proteggerci. Vedevo degli strani esseri equipaggiati con strane armi automatiche che ci si avvicinavano. Erano piccoli, magri e ricoperti di metallo. E dopo di loro, un enorme mostro apparì. Un abominio spaventoso come un orco, avanzò lentamente verso di noi. Ad un certo punto si abbassò, e dal suo torace fuoriuscì una grossa sfera di colore azzurro. Questa si aprì, e vidi uscirne un uomo con dei grandi baffi grigi, grasso ma dalle gambe lunghe e magre. Ci fece un falso inchino, e si presentò.

Si faceva chiamare: Eggman Nega.

Diceva follie, di essere l’ambasciatore della distruzione, nonché il nuovo responsabile del nostro impero. A quel punto, la sfera in cui risiedeva si chiuse di nuovo, e quella specie di ‘’cosa’’ che stava controllando aprì la sua pancia, e ne uscirono miriadi di cavi, piccoli e stretti. Così tanti che oscuravano la luce del sole.

Mio padre non poté fare nulla, perché venne subito afferrato per gli arti. Ricordo solo che iniziò a gridare, non ho mai capito perché. Fu un urlo che non riuscirò mai a scordarmi, pieno di dolore e sofferenza. Mia madre fissò terrorizzata la scena, e mi lasciò andare all’improvviso, dicendomi di correre via e di non voltarmi per nessun motivo. Ricordo che a quel punto un giovane ragazzo, un koala, mi prese in braccio e corse a tutta velocità fuori dal castello. Non importava gli ostacoli che gli si paravano davanti, lui li superava. Correvamo via, lontani da tutta quella sofferenza. Quello era Gardon. E quella è stata l’ultima volta che ho visto i miei genitori-.

 

-… Mi dispiace-.

 

-Da allora ho continuato a cercarli. Sviluppai i miei poteri, e assunsi il loro controllo. Volevo trovare e salvare i miei genitori. Ma la prima volta che riuscii ad affrontare autonomamente Nega e le sue armate, riuscendo addirittura a vincere la battaglia contro di lui, scoprii ciò che aveva fatto alle persone che aveva rapito quel giorno, ed a quelle che avrebbe continuato a rapire successivamente.

Le trovai addormentate in delle capsule di vetro, e con parte del loro corpo completamente meccanizzato. Provai a liberarne uno, a farlo svegliare. Ci riuscii. E lui mi attaccò con ferocia. Non parlava, urlava soltanto. Faceva tutto ciò che era in suo potere per attaccarmi. Quindi lo distrussi. Riprovai a fare la stessa cosa con decine e decine di altre persone chiuse in quelle dannate capsule, presa dalla disperazione e da una vana speranza che potessero ancora ritornare normali. Ma il risultato non cambiava. Non ero riuscita a fare nulla. Non avrei potuto né salvare i cittadini che Nega continuava a rapire, né i miei genitori.

Potevano benissimo essere due di quei soldati che avevo distrutto poco prima,  forse li avevo trasformati in macerie. Capii che non li avrei più rivisti. Da allora affrontai Nega molte volte, due delle quali si alleò con un altro uomo, proveniente proprio dal tuo mondo-.

Soltanto allora capii perché Gardon non poteva minimamente stare vicino a me. Mi vedeva come una delle origini della sofferenza della sua protetta.

-Ciò che Gardon non ha mai capito davvero, è che così come il tuo mondo ci è andato contro un tempo, ha provato a rimediare ai suoi errori-. Cercai di interpretare la sua ultima informazione, provando a capire a cosa si riferisse.

-Comunque non avrò pace, finché non avrò distrutto quel vecchio, quel rifiuto della vita che è Eggman Nega, dovessi anche continuare fino alla morte. Il mio unico rimpianto è che non potrò risolvere tutti i problemi che ha causato, anche quando lo avrò sconfitto-.

Inspirai profondamente, rivolgendo lo sguardo verso il sole calante. -Se ti può consolare, so cosa vuol dire dover vivere sapendo che chi ami non c’è più, quando la vita ti viene stata strappata dalle mani senza che tu possa far niente. Ma una volta che ci siamo lasciati il passato alle spalle, l’unica cosa che possiamo fare è andare avanti, oppure cambiare direzione, ma senza mai guardare indietro-. Mi girai a osservarla, notando che un piccolo tremolio le scosse il corpo.

 

Vidi una piccola e silenziosa lacrima scivolare lentamente sulla sua guancia destra. Sembrò non accorgersene immediatamente, ma quando lo fece  si voltò, dandomi la schiena e passandosi velocemente il dorso della mano sugli occhi. Poi si voltò pacatamente verso di me, guardandomi direttamente negli occhi.

E per la prima volta in cinque mesi, mi rivolse un gesto che non le avevo visto fare verso nessun’altro.

 

Mi sorrise.

 

 

***

 

Le giornate passavano lisce, e molte erano le esperienze che avevo potuto vivere fino a quel punto. Ebbi anche la possibilità di imparare a reggere di più l’alcool, visto che fui invitato ad altre serate con Pal e la sua compagnia. Evidentemente ero piaciuto alla sua comitiva, anche se non ho ancora idea di quello che feci. Le giornate spesso erano ripetitive, sempre uguali, eppure mi sentivo tranquillo. Mi ero fatto delle conoscenze nel paese, ma non tutto era positivo.

Erano passati tre mesi dalla sera in cui Blaze mi aveva parlato dei problemi che stava percorrendo il regno, ma le sparizioni continuavano, e non riuscivamo a far nulla per evitarlo. Nemmeno io riuscivo a capire come ciò potesse accadere sotto gli occhi di tutti. Ero inquieto, però nonostante la mia relativa tranquillità, c’era qualcosa che mi infastidiva dentro, che lottava per avvertirmi della sua presenza.

Il mio animo era in subbuglio, sapevo che qualcosa stava per accadere, e non mi sbaglio mai quando si parla di queste cose. Se davvero questo scienziato era il responsabile di quelle sparizioni, dovevo fermarlo. 

E se il Dottor Eggman Nega era collegato al nostro Eggman, o addirittura, era lui stesso il nostro Eggman, allora senza dubbio anche il mio mondo era in pericolo. Dovevo indagare, ma non sapevo come o cosa fare. Ero vincolato al mio dovere in quel posto. A quel punto non ero più solamente un agente di Mobius.

Anche la vita di questa gente, era nelle mia mani. Mi sentivo tra l’incudine e il martello, il cervello che mi ordinava di fare una cosa, mentre il cuore me ne diceva un’altra.

 

Nella mia solita passeggiata serale, in cui ero sempre più teso per paura che qualcuno venisse rapito sotto il mio naso, Blaze venne da me, congedò le guardie, e mi disse che doveva parlarmi.

Sopraggiunti nella nostra collina, come al solito deserta, il discorso che mi fece fu diverso dal solito.

 

-Congratulazioni, hai passato la prova.- disse.

-Che cosa intendi dire?-

-Sei arrivato come invasore, e ti sei guadagnato un posto di fiducia in questo mondo. Non hai fatto nulla di così terribile da farti cacciare via. Ti ricordi quando te lo dicemmo?-

-Sì. È stato…beh, non me lo ricordo-.

-È passato meno tempo di quanto tu creda. Ora hai fatto le tue ricerche? Ti sei convinto della nostra “innocuità”?-

Scossi la testa. -Ho fatto molto di più. Ho conosciuto Flaritas. Ricordo tutto del mio mondo, ma l’idea di doverci tornare non mi attira più-.

Lei mi rivolse uno sguardo incuriosito. Sembrava si stesse trattenendo dal fremere di felicità. -E…perché?-

-Perché conosco tutto di questa città, ma non ho mai visto nient’altro. Voglio viaggiare, e vedere ogni particolare di questo splendido mondo. E poi tornare qui a fare le mie ronde e ad allenarmi insieme ai miei compagni.-

-È per questo che ti ho fatto venire qui. Considerati promosso allo stage successivo.- disse, sorridendo con un pizzico di complicità.

 -Non ti seguo.-

 -Sono a conoscenza delle tue abilità in battaglia, e Nega presto potrebbe farsi vivo. I soldati devono essere pronti, e nessuno può prepararli come te. Voglio che sia tu a guidarli. Voglio che sia tu il loro comandante.-

 -Mi onori ma…-

-L’hai detto tu, no? Vuoi rimanere-.

 -Io…non posso restare. Se non tornerò, verranno loro a prendermi. Potrebbero fare danni alla dimensione e a voi, e non voglio che accada. E poi non ho idea di come funzionino le cose qui-.

-Gardon ti darà una mano- insistette, avvicinandomisi di un passo.

 -Io non…- lei mise rapidamente le mani sulle mie guance, e posò le sue labbra sulle mie. Sbarrai gli occhi, sconcertato. Mi prese alla sprovvista un’altra volta. Le misi una mano dietro la nuca, e mentre lei chiudeva gli occhi, io li tenevo ancora leggermente aperti, continuando a guardarla. Quando ci separammo, ci guardammo per qualche secondo. Fu a quel punto che compresi che, pur essendo onnipotente, non avevo mai provato nulla. Non di normale, quanto meno. Niente che fosse nella norma come quello che avevo provato da quando ero arrivato in quella dimensione, niente di spontaneo come quello che avevo appena fatto.

Le sue gote diventarono di un rosso acceso mentre si allontanava di qualche passo da me. Abbassò lo sguardo, mentre si frugava in una tasca del cappotto per cercare qualcosa. Qualche secondo dopo, estrasse la mano dalle tasche, e allungò il braccio verso di me. Schiuse la mano, e notai che sul palmo teneva un piccolo gioiello a forma di rombo, di un color cremisi.

-Era il gioiello di mia madre- mi spiegò. Lo osservai per qualche secondo, prima di riportare il mio sguardo su di lei, stranito.

-Prendilo.-  disse solamente.

-Non posso accettare.- dissi, allontanando il suo braccio. Lei mi prese con decisione una mano, posandovi sopra la gemma. -Sì che puoi. Voglio che tu abbia un ricordo di questo mondo. Ti prego- disse, fissandomi quasi implorante.

-… e va bene.- dissi rassegnato, stringendo la pietra tra le mani con delicatezza.

-–Ma sta attento. È altamente esplosivo. Se lo lasciassi cadere, provocheresti una discreta esplosione. E in più i pezzi verrebbero inceneriti. È il nostro combustibile più prezioso all’interno del regno, la nostra fonte di energia principale- farfugliò, leggermente impacciata.

Non ci dicemmo molte altre cose dopo. E ad un certo punto ce ne andammo, con un misto di contentezza ed imbarazzo, come sempre tornando al castello per strade differenti. La cosa certa, è che le cose non sarebbero più state come prima. Ma non potevo  immaginare che quella sera tutto sarebbe cambiato in una maniera spaventosa. Che io, sarei cambiato.

Qualche ora dopo ero a letto, nel mio piccolo ma adorato alloggio, dove avevo vissuto di tutto e di più. Mi misi quindi a dormire, ma non fu una notte tranquilla.

All’improvviso mi ritrovai in un luogo oscuro, non c’erano né pareti, né cielo, né un vero e proprio pavimento, ma continuavo a camminare, senza un motivo preciso.

E un essere nero, senza una faccia, mi si parò improvvisamente davanti, e mi disse molto chiaramente: -Sto venendo a prenderti-.

Aprii gli occhi all’improvviso, ma non ebbi pace dal mio incubo. Proprio sopra il mio letto, c’era uno strano essere con due occhi tondi e rossi, che luccicavano nell’oscurità. Mi afferrò per il collo e sembrò che gli fossero apparsi degli aghi sulle dita dell’altra mano.

Presi la lampada sul mio comodino e lo colpii in testa, buttandolo per terra e facendo in modo che mollasse la presa. A quel punto si stava già alzando dal pavimento per assalirmi furiosamente, ma agii per primo. Stavolta fui io a sottometterlo, quindi gli afferrai la faccia e gli sbattei la testa contro il pavimento diverse volte, e poi lo graziai staccandogli la testa con le mie stesse mani. C’era ovviamente qualcosa che non andava, quindi uscii dall’alloggio e corsi alla sala del trono. Mentre correvo per i bui corridoi, diverse porte davanti a me di alloggi di altre guardie si sfondarono, e uscirono degli esseri uguali a quello che avevo affrontato poco prima. Non potevo combatterli tutti quanti, quindi saltai, mi appallottolai e li colpii tutti sulla testa, distruggendogli completamente la parte superiore del corpo.

Assomigliavano alle creature di cui mi aveva parlato Blaze. Quegli esseri mi ricordavano i Badniks di Eggman, solo molto che erano più abili, ed in qualche modo, il processo di robotizzazione non era reversibile. Entrai in uno degli alloggi da cui erano usciti quegli automi, per controllare se chi si trovava all’interno della stanza stesse bene. Tuttavia, non vi trovai nessuno. Ero dispiaciuto per loro, ma non potevo fermarmi.

Andai di corsa alla sala del trono, sperando di trovarvi qualcuno, e che la maggior parte delle persone presenti nel castello si fossero già  accorte dell’assalto. Ma non c’era nessuno. Era tutto buio e calmo come al solito, però sentivo dei rumori e delle esplosioni da fuori. Attivai quindi i propulsori dei pattini per sporgermi da una delle aperture in alto e per capire cosa stesse succedendo all’esterno.

La parte iniziale delle mura per la protezione della città era rasa al suolo, e le case vicine ad esse stavano bruciando. Un mini-esercito composto da almeno duecento androidi stava marciando dalla via maestra fino al castello.

Qualche metro sotto di me, sentii qualcuno che mi chiamava.  -Ehi, Shadow!- mi girai, e vidi che era Gardon, agitato e spaventato.

-Scendi subito!-

Quando arrivai al suolo, mi avvicinai al koala. -Gardon, tutto bene?-

-Sì. Ci vuole altro per mettere k.o. un guerriero come me-.

-Sai quando è iniziato l’attacco?-

-No, non so nulla. Dov’è sua maestà?-

Abbassai le orecchie, fissandolo inquieto. -Pensavo che fosse con te-.

-Maledizione,-sibilò, indicando dietro di me. –Signorina!- urlò. Ma non vidi nessuno. È a quel punto che il mio istinto mi disse di schivare leggermente a destra e di afferrare il braccio di chi mi stava attaccando. Vidi la faccia di Gardon infuriata, e cui gli occhi stavano diventando di un rosso acceso, mentre il resto del viso sembrava quasi scomparire, lasciando il posto a una superfice metallica. Sembrava quasi un ologramma che scompariva. La mano che gli avevo afferrato aveva un pugnale che gli fuoriusciva dal dorso della mano.

Quindi mi girai e gli dissi: -Per te non sono ‘’Shadow’’,- gli tirai una testata, con una mano gli presi la lama con cui voleva assassinarmi e gliela spezzai come se fosse un bastoncino di legno, -per te, sono il ‘’giovanotto’’- e gliela piantai nel cranio metallico. Gardon non mi avrebbe mai dato tanta confidenza. La scena di prima mi fece notare, con mio grande spavento, un dettaglio agghiacciante. Quei cosi potevano mimetizzarsi, fingersi altre persone. Alcuni di loro erano i miei compagni. Questo spiega come avesse fatto quel maledetto Dottore a continuare a prelevare i cittadini senza farsi notare. Aveva delle spie al suo servizio.

 Risolta la faccenda con il falso Gardon, la prima cosa che pensai di fare fu di andare nella sala segreta, pensando che Blaze fosse andata lì, conoscendola. Ma percepii qualcosa che mi strisciava vicino ai piedi. Mi abbassai per controllare, ma non vidi nulla, solo un’ombra che se ne andò molto velocemente, come se fosse stata un’allucinazione. Ma sapevo di non essermi sbagliato. Sentivo però un lieve strascicare che si muoveva velocemente per tutta la stanza, ma non riuscivo a tenerlo d’occhio, vedevo solo una piccola sagoma che a volte si muoveva.

E poi sentii una voce colloquiale. –Shadow-.

Mi guardai intorno, cercando di capire di chi fosse quella voce. -Chi sei tu?-

-Dipende da cosa tu vuoi che io sia. Posso essere un grande alleato o un terribile nemico. Quello che preferisci-.

-No. Tu… tu sei Eggman Nega-.

Sentii ridere di gusto quella dannata voce. -Ok, il primo passo era facile. Vediamo cosa deciderai di fare quando vedrai questo-. Le luci si accesero, l’imponente lampadario al centro del soffitto si illuminò. Ma ancora non vedevo nessuno all’interno della sala. Improvvisamente vidi dei cavi, apparentemente collegati al nulla, che stringevano tra le loro grinfie due persone di mia conoscenza.

Gardon e Blaze.  Lei era svenuta, mentre Gardon invece era cosciente.

-Ora hai tre possibilità. Puoi lavorare insieme a me, e in quel caso tutto andrà per il verso giusto. Oppure, puoi metterti contro di me, e in quel caso ti si aprono addirittura altre due possibilità. Puoi salvare la tua amata, lasciando morire tutto ciò a cui lei tiene di più, cosicché quando si sveglierà, potrà odiare te più di quanto non abbia odiato me finora. Oppure,- continuò, mentre quei cavi stringevano la presa attorno al koala, -puoi salvare Gardon, e convincermi a risparmiare tutto ciò a cui la tua donna tiene, ma tu dovrai vivere con il rimorso di aver lasciato morire la ragazza della tua vita. In ognuno dei due casi, io ti catturerò, che tu lo voglia oppure no- sostenne.

-E qual è la terza scelta?- chiesi, cercando di mantenere i nervi saldi.

-Potete morire tutti. In ognuno dei tre casi, io non ci perdo nulla.- A quel punto, i cavi che li tenevano intrappolati cominciarono a fare uno strano rumore, e Gardon cominciò ad urlare, mentre Blaze ad avere degli spasmi.

Aveva elettrificato i cavi.

 

-Non ti preoccupare Shadow, hai tempo di scegliere finché sono vivi entrambi-.

Ascoltai strillare Gardon. -Non essere sciocco, salva Blaze! È tutto quello che ho!- urlò, straziato dal dolore. Ma non avevo la minima intenzione di perdere nessuno dei due. Saltai sulla parete a lato, mi slanciai verso i cavi che tenevano Gardon e li afferrai, e con lo stesso slancio riuscii a fatica ad arrivare anche a Blaze.

-Che peccato, sembra che tu abbia scelto l’opzione numero tre. Ora scusami se aumenterò un pochino il voltaggio, ma ci tenevo tanto ad averti come schiavo- borbottò quel pazzo. Il dolore che provavo era indescrivibile, e per quanto provassi a tirare via quei cavi e a strapparli via dai loro corpi, non riuscivo a liberarli. Provai a svegliare Blaze, per farle liquefare i cavi con i suoi poteri.

-Blaze! Nega è qui!- urlavo con tutta la forza che avevo in corpo. –Sta uccidendo tutti! Me, Gardon, tutti!- vidi i suoi occhi cominciare ad aprirsi, probabilmente anche per lo stimolo ricevuto dal dolore.

-BLAZE! USA IL FUOCO!- tutto si fece più caldo a quel punto, e il dolore provocato dall’elettricità si interruppe all’improvviso, mentre vedevo noi e i cavi cadere a terra. Dopo essere atterrati malamente, provai ad agitare Blaze per vedere se stava bene e se era sveglia. Lei mi spinse via, e si rialzò infuriata, pronunciando queste parole: -Questa è l’ultima volta! Non ci incontreremo più dopo oggi, demonio!- urlò, rivolta a Nega.

Dei colori cominciarono ad apparire dal nulla. Si rivelarono infine un enorme armatura rossa, con sotto al busto un enorme coda serpentina colorata di grigio scuro. Era un gigantesco robot, alto tra i sette e gli otto metri. Aveva una specie di testolina con un occhio di vetro, e il suo braccio sinistro era formato da una sciabola, mentre da quello destro si poteva chiaramente scorgere una spessissima catena, i cui singoli anelli erano grandi all’incirca come una vasca da bagno. Il suo ventre era aperto, e mi fu chiaro che era da lì che fuoriuscivano i cavi. La grossa sfera presente nel suo petto si aprì, rivelando il nostro avversario, uguale ad Eggman in tutto e per tutto, tranne che per i baffi, che erano grigi, per gli occhiali e per i vestiti, i quali erano composti da una calzamaglia rossa con sopra una giacca nera e gialla e delle scarpe striate degli stessi colori della giacca. -Notevole- disse. –Hai trovato una quarta scelta: mi hai fatto arrabbiare-.

Blaze fissò Nega con disgusto. -Sei vecchio, pensavo che con il tempo ti saresti ravveduto, che un giorno tutto ciò che avevi fatto ti sarebbe tornato indietro, e che avremmo finito questo conflitto. Ma ora che so che non ne vuoi proprio sapere, ci penserò io a chiudere la faccenda-.

Vidi la gatta che saltò addosso a quell’essere, provando a ferirlo. La sfera si richiuse immediatamente, e il robot strisciò di lato in una frazione di secondo, alzando l’enorme sciabola e preparandosi ad affettare la ragazza. Saltai verso il petto del robot e lo colpii con entrambi i piedi con tutta la forza che avevo, allontanandolo.

-La faccenda riguarda anche il sottoscritto. Che cosa vuoi da me, Nega?-

-Finalmente una domanda intelligente. È molto tempo che osservo le anomalie tra i nostri mondi, Shadow the Hedgehog. E come te, ero voglioso di sfruttarle per i miei piani. Ma sembra che sia stato proprio il tuo mondo a venire da me, e con un piatto davvero ricco. Ti ho osservato, Shadow. Fin da quando sei arrivato qui. La tua potenza non è naturale, forse è persino superiore a quella di Sonic-.

-Come fai a conoscere Sonic?-

-Blaze non ti ha forse raccontato del giorno in cui invasi il vostro mondo? Dovette combattere al fianco di Sonic per contrastarmi. Ma tu… tu sei diverso. E vedo molte cose in comune tra noi. Siamo due persone in cerca di uno scopo.

Non capisci che se lavorassimo insieme, potremmo addirittura migliorare questo mondo e il tuo? Potrei addirittura ripensare ai miei progetti di distruzione di massa, e sarebbe già un grande passo in avanti.  Riesce ad elaborare la tua stupida testolina, che non esiste, in tutto l’universo, forma di vita elaborata come te?- spiegò.

 

-Ti sbagli. Non sono più la forma di vita suprema- dissi mentre mi preparavo alla battaglia.

-Ma certo che lo sei. Devo solo ricordartelo sculacciandoti un po’-.

Ci venne addosso con tutta quell’ammasso metallico ad un’elevatissima velocità, considerando la sua massa.

-Forse è tempo che facciate conoscenza con il mio giocattolo favorito! Il mio fiore all’occhiello, la mia invenzione più letale! Vi presento il “Nega Slayer”!-

La testolina presente sulla cima del robot cominciò ad emettere un raggio laser di colore giallo acceso, che veniva verso di me, bruciando il pavimento con cui veniva a contatto. Iniziai a correre per la stanza, schivando il raggio. Poco dopo, Blaze lanciò una palla di fuoco abbastanza grande e potente da colpire il petto del robot, facendolo sbilanciare all’indietro, così che il laser venisse deviato verso il centro soffitto, sul lampadario. Dopo qualche secondo, il lampadario iniziò a cadere velocemente verso di me.

-Copriti gli occhi!- urlai a Blaze, correndo il più lontano possibile. Il lampadario cadde al suolo con un fracasso tremendo, e miliardi di schegge di vetro schizzarono per la stanza, e alcune di queste si conficcarono nella mia schiena.

Mi fermai per un secondo, cercando di ignorare il dolore, e notai vicino a me un’armatura antica. Guardai il robot, e approfittai dell’occasione che mi era stata data. Afferrai in tutta fretta la spada accanto all’armatura e mi diressi velocemente verso il mio nemico.

Lui sollevò la catena, cercando di abbatterla su di me. La evitai velocemente, e quando quella specie di frusta colpii il suolo, mi affrettai e ci saltai sopra, iniziando a slittare fino alla cima di quel mostro.

Quando fui a pochi passi dalla sua testa, mossi di lato la spada e tirai un colpo secco alla testa da cui fuoriusciva quel laser, tranciandola di netto, e vedendola cadere a terra insieme a me. Scesi giù e cominciai a colpire quell’enorme creatura con una raffica di Chaos Spear, che però non sembravano creargli troppi danni. Blaze si aggiunse ai miei colpi, tirando delle palle di fuoco. Il nostro nemico cambiò obbiettivo, tentando di colpire Blaze con un fendente orizzontale della spada. Lei lo schivò di striscio con un salto all’indietro, e vidi che la fiamme iniziarono a girare velocemente intorno alla ragazza. Dopo qualche secondo avevano preso la forma di un tornado, e Blaze ne era esattamente al centro, ricoperta da quel fuoco. Nega preparò un altro colpo da scagliare contro la gatta, che però non fermò quello strano tornado. Appena la spada fece contatto con le sue fiamme, il tornado divenne immensamente più grande, fece resistenza alla lame dell’arma, e iniziò una lotta per la prevalenza.

Dopo un minuto che mi sembrò eterno, la spada di Nega sembrò cedere alla potenza delle fiamme di Blaze e si ruppe, lasciando libertà alla ragazza di avvicinarsi al suo robot e colpirlo con quel turbinio di fiamme. Sembrava funzionare, perché il robot  in quel momento pareva danneggiato. La coda di quel mostro si avvicinò con una velocità inaudita a Blaze, colpendola e fiondandola contro il muro. Lei sbarrò gli occhi, stringendosi con forza le costole.

Il Dottore riportò l’attenzione su di me, provando a schiacciarmi con la catena. Mi ero stufato di quello stupido gioco che stavamo facendo da troppo tempo, per i miei gusti.

Decisi di usare il mio massimo potenziale, quindi mi concentrai,  e vidi che il mio corpo si stava ricoprendo di un aura rossa. Avevo attivato il Chaos Boost- Poco prima che la catena mi colpisse, la afferrai, sentendo tutta la pressione del colpo che tentava di schiacciarmi il corpo. Strinsi come meglio potevo uno degli anelli, e con tutta la forza che trovai nella braccia, iniziai a far roteare il robot per la stanza. Lo feci scontrare contro due enormi colonne nella stanza, prima di mandarlo a sbattere violentemente contro il muro. Iniziai a lanciargli dei Chaos Spear, molto più potenti rispetto a quelli di prima, e lo colpii su tutto il corpo, compresa la catena. Dopo un paio di colpi, la sua arma si ruppe e io mi fermai.

Nega era visibilmente sconfitto, non più in grado di combattere.

–Facciamola finita- dissi mentre mi avvicinavo a lui, furioso come non mai.

-Sono d’accordo- esclamò Nega, subito prima che il ventre di quell’essere si aprisse, facendovi uscire miriadi di cavi. Mi afferrarono alla velocità della luce sia le gambe che, prima che potessi reagire, gli avambracci. Mi avvicinarono al suo petto, ed aprì il nucleo centrale, parlando con me faccia a faccia.

-Fiuuu!- fischiettava ironicamente Nega. -Giusto cielo, amico mio. Che brutta situazione nella quale ti sei volutamente cacciato. Guardati, potevi essere il mio vassallo. Ora invece sei solo carne da macello-.  Vidi Blaze che correva verso di me per liberarmi, ma lo scienziato interpose un muro di cavi tra noi e lei.

–Avanti, distruggimi. Fallo Nega, distruggi tutto quello che ti circonda, senza una ragione. Divertiti. Un giorno ti renderai conto che non rimarrà più nulla da obliterare, e capirai quanto sei vuoto- sputai, fissandolo sprezzante negli occhi.

-Ah, ma sentilo, quando perde la battaglia partono subito i tentativi per convincermi ad avere pietà della sua vita! Io sono un povero pazzo, adoro la compagnia della morte ma non agisco senza scopi precisi. Questo mondo è stato in guerra per buona parte della sua esistenza, e nessuno se ne è mai lamentato così tanto, nessuno ha mai smesso di odiare i suoi nemici. Poi arrivo io, vengo al mondo e *puff!*  guerra sparita! Pace! Peace and Love! Beh, non funziona così. Non sai quanto mi disgusta esistere in questo mondo pieno di falsa bontà. Anzi, ti chiedo questo: quanto credi che durerebbe la pace se comunque…beeeh…io non ci fossi? È una domanda anche per te Blaze, mi senti?! Ehi! Cavolo, credo che non mi senta. Non importa. Voglio solo lasciare un messaggio-. Scosse la testa, ridacchiando.

-Davvero non ci arrivi, non è vero? Oggi sono qui a far esplodere le cose per chiederti di essere il mio messaggero, il mio vassallo. La gente oggi muore perché tu mi hai convinto a farla morire!! Sei tu che sei venuto qui, la gente muore a causa tua, non solo mia! Maledizione, pensaci riccio!!- mentre ero inerme, non avevo alternativa se non ascoltare i suoi disturbanti discorsi.

–Ed altre persone moriranno per colpa tua. La gente che oggi preleverò, diverrà il risultato di una nuova generazione di Bio-Mech, dopo che avrò studiato come legarli ai tuoi poteri-. Lui posò la mano su una tastiera.

-Addio, Shadow the Hedgehog-. Vidi che avvicinava il dito ad un pulsante, e quando lo premette, una scossa ancora più violenta di quella precedente mi attraversò i muscoli. Non riuscivo a respirare, né tantomeno a gridare. Ma, tra le grasse risate di Nega, riuscivo a sentire la voce di Blaze che urlava, disperata e furiosa.

-NOOOOOO!!- E alla fine, tutto si fece buio.

 

Blaze

 

Shadow svenne dallo shock, e venne portato dentro la pancia dello Slayer insieme a tutti i cavi, e chiusovi dentro. No. No, no, no, no. L’incubo si stava ripetendo per la seconda volta. Non ero riuscita a proteggerlo. Aveva preso anche lui, e non sapevo come salvarlo.

–Blaze. Io e te, faccia a faccia, un’altra volta. Ed ogni volta che ciò accade, qualcuno a cui tieni se ne va. Perché non ti appiccichi addosso un foglietto con su scritto “Attenzione, non amarmi o muori”?- mi domandò Nega, ridendo con gusto. Improvvisamente, il macchinario si fece luminoso, quello che prima era un metallo color rosso acceso assunse delle sfumature arancioni. –Sììì. Posso sentirlo anche se sono solo ai comandi, il potere! Mi scorre nelle vene!- Notai che tutti i pezzi di ferraglia che erano sparsi per la sala gli tornarono tutti addosso, ricomponendo la testa e le braccia, come se fossero appena state costruite.

–La coda ricresce sempre alle lucertole-. Pronunciai, con falsa spavalderia. Poi mi scaraventò via con un colpo di catena. Dopo l’impatto contro il muro ero sorpresa di essere ancora viva, seppur debole e dolorante.

–Coraggio, tutto qui? I Sol Emerald, maledizione, usali! Diventa quella rossa focosa che tanto mi piace, fai felice quest’uomo! Oh, dimenticavo. Non puoi, non qui. Peccato-.

Non riuscivo nemmeno più a lanciare una palla di fuoco di piccole proporzioni, anche se ci provai.

-Perché?- Gli chiesi, in un attimo di disperazione. –Perché fai tutto questo?- Potei, in qualche modo, intravedere la sua faccia mutare, la sua espressione euforica si trasformò in una quasi depressa. –Quanto vorrei dirtelo. Se solo lo sapessi, principessa-. La mia rabbia esplose, e capii che non potevo ancora finirla in quel modo. Volevo salvare Shadow. Raddrizzai il busto, emisi un profondo respiro, sporsi in avanti le mani, e gli scagliai contro tutto il fuoco che avevo in corpo. Lo attaccai con il fuoco della mia anima sul ventre, facendolo indietreggiare, ma senza danneggiarlo minimamente. –Non morirò tra le tue fiamme!-

 

Shadow

 

Quando riaprii gli occhi, mi trovavo su uno sfondo bianco. Ero da solo, ma quando mi girai a destra, vidi Rouge, Omega, il Comandante e tutti quelli che conoscevo a Mobius. Quando mi girai a sinistra, vidi Blaze, Gardon, Marine, Pal e quelli che per mesi erano stati i miei compagni. E io ero al centro. Non sapevo se questo volesse rappresentare una scelta, ma in quell’esatto momento, volevo salvare tutti. Mi guardai il corpo, e vidi che ero avvolto dalle fiamme, ma stranamente non provavo dolore. Era come se mi stessero abbracciando. Poi mi svegliai di scatto, e vidi che la mia situazione era totalmente diversa rispetto a prima,                         e mi ricordai che cos’era successo. Ero legato da cavi, non riuscivo a muovere un muscolo, e mi tenevano rigido il corpo.

Per giunta, sentivo molto calore.

 

Avevo capito che Nega era riuscito ad assorbirmi. Provai a ritirare verso di me il braccio sinistro, ma una forte scossa mi bloccò, cercando di farmi calmare. Tirai ancora più forte, e il voltaggio aumentò, però quella volta non mi fermai. Tanto era il dolore che ricevevo, quanta la determinazione a liberarmi il braccio. Alla fine, riuscii a scollegare tutti i cavi, liberandomi dalla loro stretta. E con questo, cercai di sbloccarmi anche il braccio destro, mentre la scossa diventava sempre più intensa. Ma sarei morto piuttosto che svenire di nuovo, in quel momento.

E sforzandomi al massimo, riuscii a strappare il fittissimo nodo che si era creato. Con lo sguardo annebbiato e privo di forze, non potevo rimettermi comunque a combattere. Quindi feci ciò che ritenni necessario. Mi rimossi il primo anello inibitore che avevo al polso, e feci la stessa cosa con il secondo. E mentre il battito cardiaco aumentava poco a poco, fino a percepire quasi le vene che mi scoppiavano, la mia energia cresceva, e mi preparavo a rilasciarla tutta in un solo colpo.

 

Blaze

Sentii un tremito nelle braccia, e smisi di emettere fuoco, cadendo in ginocchio.

-Hai finito? Bene, perché…- all’improvviso vidi il ventre del macchinario che si era leggermente gonfiato. Sembrava una cosa non voluta da Nega, visto che fece capire chiaramente la sua confusione a riguardo.

-Ma che…che cosa?-

Il ventre si gonfiò un'altra volta, e all’improvviso, il robot si divise in due, liberando Shadow e un onda d’urto che danneggiò tutti gli interni della sala del trono, innalzando un grande polverone. Le due metà del robot caddero a terra, e la sfera contenente Eggman Nega venne scaraventata in fondo alla sala. Il corpo di Shadow volteggiava, e si avvicinava poco a poco a terra, tra le ferraglie ormai distrutte di quel mostro metallico.

Corsi verso di lui per sorreggerlo.

-Eccomi, sono qui-. Sussurrai, mettendomi un suo braccio intorno alle spalle e mantenendolo in piedi a fatica. Mi rivolse un’occhiata stanca, incapace di dire qualcosa. Era messo peggio di me. Decidemmo quindi di uscire dal castello, per vedere come andavano le cose all’esterno.

 

 

Eggman Nega

Infine, ero di nuovo tra i rottami. Completamente solo. Ma non avevo intenzione di arrendermi. Attivai l’espulsione rapida per tornare alla mia base in quell’esatto momento. Ma mi inquietai quando vidi il messaggio che ne indicava il malfunzionamento. Ed ebbi il crepacuore, quando vidi un altro messaggio, che indicava contemporaneamente una perdita d’olio e la combustione dei sistemi.

Persi il sangue freddo, e dal vetro vidi che quei due erano ancora nella sala, e che se ne stavano andando. Cominciai a sbattere le mani sul vetro, a prenderlo a pugni, nella speranza che si rompesse o che riuscissero a sentirmi e mi aiutassero.

-Sono qui, tiratemi fuori! Vi prego, aiuto!- strillai, solo per rendermi conto dopo pochi secondi, che io stesso avevo creato quel vetro perché neanche un carro armato potesse scalfirlo. E che nessuno mi avrebbe mai aiutato volontariamente, e anche se quei due avessero voluto farlo, non sarebbero riusciti a sentirmi.

Quindi mi rilassai, mi misi comodo, e sfoderai un radioso sorriso quasi involontario. Poi cominciai a ridacchiare. E porsi i miei saluti a quei due adorabili ficcanaso.

-Lunga vita alla regina- dissi, alzando una mano verso di lei. E aspettai, accarezzandomi i baffi.

 

 

Blaze

Ci allontanavamo a fatica. Shadow era ferito, oltre che stanco, e non riuscivamo a camminare senza incespicare in qualche rottame. E quando pensavo che la battaglia fosse finita, un’ultima esplosione ci fece sbalzare via, e ci intontì. Mi girai, nel punto in cui prima era situato Eggman Nega, era presente solamente la sua navicella, ormai distrutta e in fiamme.

Capii che in quel momento era davvero finita. Mi rialzai, e diedi le spalle a quella funerea visione, prendendo nuovamente sotto braccio Shadow e attraversando uno ad uno i lunghi corridoi del castello.  Una volta fuori, la freschezza dell’aria era resa più amara dall’odore della fuliggine e della cenere.

Per uscire fuori non dovetti neanche far aprire il portone. Era stato distrutto.  Andammo avanti imperterriti, e quando Gardon notò la mia presenza, mi venne contrò e mi abbracciò.

 

Feci un cenno verso Shadow, che si era aggrappato a me con le uniche forze rimastegli. -Tienilo tu, per favore- dissi, e lui non ci pensò due volte. Immediatamente davanti alle porte del castello, risiedevano decine di guardie a terra, e centinai di quelli che un tempo erano le persone che avrei dovuto proteggere, diventati Mech senz’anima, erano con loro. Chiusi gli occhi, in segno di reverenza. Se volevo far morire per me tanto i miei alleati quanto i miei nemici, avevo raggiunto il mio obbiettivo.

-Riposate in pace. Avete svolto degnamente il vostro compito. Grazie.- mentre notavo i feriti e gli impaurit che giravano per la strada, andavo dritta, per la strada maestra, per guardare pezzo per pezzo, la distruzione era arrivata a noi quel giorno. E ciò che mi torturava più di tutto lo spirito, era che riuscivo a provare un immenso sollievo nonostante tutto quello che era accaduto. Sollievo per essere viva. Sollievo per aver vinto la mia battaglia.

 

***

 

Shadow

Era ormai molto che mi stavo riposando, e in tutto quel tempo non avevo avuto nemmeno il permesso di aiutare nelle ricostruzioni della città poiché non me ne avevano dato il permesso. Portavo il busto bendato per via delle ferite sulla mia schiena, e dovevo prendere giornalmente delle medicine per via degli shock che avevo ricevuto nei giorni precedenti.

L’unica cosa che ero riuscito a fare, era pensare e riflettere su quello che mi aveva detto quell’uomo. Per quanto fossi a conoscenza della sua scarsa sanità mentale, aveva ragione. Potevo credere di essere parte di questo mondo, ma non era vero. Ero un invasore, e tale sarei rimasto. E la colpa di tutte quelle vite perse, ricadeva sulle mie spalle. Come potevo credere di appartenere ad un mondo diverso da quello in cui sono nato, se tra poco non riuscivo a sentirmi parte nemmeno di quello?

Decisi di fare ciò che era giusto.  Mi tolsi le bende, ed attivai il mio auricolare. –Pronto? Base, mi ricevete?-

 -Agente. Come procedono le cose?-

 -Comandante, ho ciò per cui sono venuto. Non c’è altro che può essere rilevante per noi in questo posto-.

-Richiede l’apertura del portale?-

Deglutii a fatica, pronunciando con grande sforzo le parole fatidiche. -Sì. Adesso-.

-Ricevuto. Si presenti alla spiaggia alle stesse coordinate dell’ultimo viaggio. Passo e chiudo-.

Mi guardai intorno stranito, e faticai a recepire il fatto che la vita che mi ero costruito fino a quel momento mi stava scivolando dalle mani un’altra volta, dopo una semplice chiamata. Feci un respiro profondo, e mi lasciai tutto alle spalle, uscendo dalla porta. Avrei voluto camminare lentamente, attraversare secondo dopo secondo per l’ultima volta quei larghi corridoi. Ma volevo che non sapessero nulla. Non volevo dire addio a nessuno. Volevo andarmene come ero arrivato. Da solo.

Forse così mi avrebbero dimenticato più facilmente. Quando andai all’ingresso, le guardie mi lasciarono passare, per un motivo che non ero in grado di spiegarmi. Forse perché a quel punto si fidavano di me.

Aprirono le porte e mi permisero di uscire. Corsi verso l’uscita attraverso la solita strada maestra. Distrutta, ma non meno affascinante ai miei occhi. Con i suoi edifici che pur non essendo particolarmente belli, non ne avevo visti altri che mi piacessero così tanto.

Pur provando un po’di dolore durante la corsa, non mi fermai, e una volta fuori dalla città, continuai a correre. Il vento, l’odore dell’erba e un principio di acquazzone mi sferzavano la faccia, così che io potessi inalarne gli odori. Dentro la foresta, quando ormai la leggera pioggia era diventata un’alluvione, gli odori si fecero ancora più variegati ed intensi. L’umidità rendeva il tutto più fresco, cosicché ogni volta il mio corpo sfiorava, anche se pur lievemente, le foglie delle piante, esso si riempiva di goccioline.

E quindi ero di nuovo lì, dove tutto era iniziato. Potevo vedere il mio piccolo rifugio, ormai  distrutto per volere della natura. Ma non mi aspettavo di trovarvi LEI qui. –Blaze? Come…-

-Me l’ha detto Gardon. Dove stai andando?-

-…Ascolta. Non posso rimanere. Non sai che cosa sono, ma hai visto che ho dei poteri. Poteri che molte persone desiderano. Non conoscevo Nega, ma non ha esitato a mettere in pericolo tutti per me.-

Strinse i pugni, mentre lo sguardo le si riempiva di rabbia. -E quindi te ne vuoi andare, senza nemmeno salutare?-

-Odio gli addii. Tu non sai quanto.-

-Allora che diavolo di senso ha avuto tutto ciò!?-

-Di farmi capire che devo stare lontano da chi amo, se lo amo davvero.-

Lei chinò il capo, fissando la terra infangata. -So com’è il tuo mondo, e se vi vuoi tornare, sappi che non ti biasimerei, né ti fermerei. Eppure, ho la sensazione che non c’è nulla di cui ti pentiresti di più, un giorno, dell’andartene da qui. Qui c’è il tuo letto, quando hai bisogno di dormire. C’è il tuo cibo, quando hai fame. E ci sono persone che tengono a te, quando ti senti solo. Abbiamo bisogno di te-. I suoi occhi incontrarono i miei, fissandoli con le avevo mai visto fare.

-Io ho bisogno di te. Ciò nonostante…-

-Che cosa?-

-Dovrai passare sul mio corpo se vuoi proseguire!- si posizionò come se avesse dovuto combattere contro un nemico. Davanti a me, lei. Dietro di lei, il portale. Attivai i pattini, mi misi a correre, e a pochi centimetri da lei…-Addio, Blaze-. Saltai. E tutto fu bianco.

Dopo la calda sensazione che quella miriade di colori mi dava, potei ammirare nuovamente quelle vecchie colline da cui ero partito, e nelle vicinanze,  mi osservavano molti soldati, alcuni dei quali conoscevo molto bene. E come sempre, tra loro c’era il Comandante, che mi si avvicinò con aria solenne.

-Agente Shadow. Le mie congratulazioni. Bentornato a casa-.

-…Grazie Comandante.-

-Non ha una bella cera. È successo qualcosa?

-No, tutto tranquillo Comandante. Sono solo un po’scosso-.

-Perdoni la mia impulsività agente, ma ha con se il gioiello di cui ci ha parlato?-

Trattenni per un attimo il respiro, cercando una soluzione il più velocemente possibile. -…Sì. Ce l’ho con me-.

 -Me lo faccia vedere-.

Presi il gioiello che mi diede Blaze, al posto del vero smeraldo di cui avevo parlato alla G.U.N., che era rimasto al suo posto.

-Me lo consegni-. Disse il Comandante, porgendomi la mano. Capii che accettare questo dono da Blaze fu un grande errore, così come parlare alla G.U.N. dell’esistenza della reliquia. Se avessero scoperto l’energia che si poteva ricavare dalla gemma che avevo ricevuto in dono, probabilmente avrebbero fatto incurisione nell’altro mondo per prendersene quantità più consistenti.

-Perdonami Blaze-, pronunciai sottovoce. Strinsi il gioiello nel mio pugno, lo buttai a terra e lo pestai. E da sotto il mio piede, partì un elevato urto, che fece cadere al suolo tutti quelli che erano nelle vicinanze, e che mi fece letteralmente fare un balzo in aria.

Quando ricaddi sul terreno, mi sentivo stordito, come se una granata mi fosse esplosa vicino. Tutti mi guardavano straniti e confusi, ma nessuno di loro lo era quanto me. Mi fecero tornare subito nel mio alloggio, e passai la notte lì. Ma non prima di rivedere i miei vecchi compagni del Team Dark.

Rouge mi venne incontro gioiosa, ma il suo iniziale entusiasmo finì per scemare, come se avesse capito che c’era qualcosa che non andava in me. Mentre Omega, beh… si comportava normalmente.

Fu una strana giornata. Non pensavo che sarei riuscito a dormire, cosa che invece avvenne. I

Il Comandante mi voleva vedere, come mi disse il giorno prima. Mi diressi subito verso il suo ufficio, attraversando i freddi corridoi della base della G.U.N., che diventavano ancora più inospitali e inquietanti se si osservavano gli scienziati mentre lavoravano ad invenzioni e macchinari vari.

-Ciao Adrianne. Ti sono mancato?- dissi alla solita segretaria davanti all’ufficio del Comandante.

-Come non mai, Agente Shadow. Può entrare, il Comandante è libero-.

-Grazie e buona giornata-. Adrianne sembrò incredula della mia loquacità. Aprii la porta, e vidi lui, seduto dietro la sua scrivania come al solito. Ma notai che aveva cambiato lampada.

-Si sieda-.

-Signore-.

-Voglio che tu mi spieghi per filo e per segno cos’è successo in quel posto, e perché hai fatto ciò che hai fatto-.

-Ho solo eseguito gli ordini-.

-Gli ordini non implicavano la distruzione di un eventuale nuova forma energetica. Te lo ripeto un’altra volta. Agente, sul serio, cosa ti passa per la testa?-

-Beh, non ci crederà ma…- dissi, aspettando qualche secondo. –prima avevo seri dubbi su cos’ero o sul perché della mia esistenza. Ora…non so nemmeno più che cosa voglio-. Spiegai, abbassando lo sguardo.

-Guardami negli occhi quando ti parlo, Agente.- mi osservò per qualche secondo, pensando a qualcosa.

–Agente, un simile oltraggio e atto di mancata disciplina nei confronti del proprio superiore e dell’agenzia, non possono essere tollerati. Lei è sospeso dal suo incarico a tempo indeterminato.- incrociò le braccia dietro la schiena, fissandomi con aria di sufficienza.

-Lei è licenziato, Agente. Ha un giorno per prendere la sua roba e andarsene. Ho finito-. Mi alzai, senza dire nulla e mi preparai ad andarmene.

-Shadow-. mi senti chiamare da dietro. Lui si alzò, e mi fece il saluto militare, dicendomi: -Che la buona stella di Mobius ti accompagni sempre-.

 Ricambiai il saluto e me ne andai. Odio gli addii.

 

***

 

Si fece notte, e decisi di andare alla spiaggia di Station Square, appena davanti alla stazione, ad osservare il mare. Avevo conosciuto due mondi, e li avevo deliberatamente buttati entrambi nella spazzatura. Ero al punto di partenza. Ero di nuovo solo. Non avevo idea di quando avrei smesso di osservare quell’immensa distessa color pece davanti a me. Respirai a pieni polmoni l’aria salmastra, lasciando che ogni sua più piccola particella mi inebriasse. Poi, una mano mi toccò la spalla.

-Riesci sempre a cogliermi di sorpresa-. dissi, sapendo perfettamente che quella mano apparteneva a Rouge.

-Non farei bene il mio lavoro se non ci riuscissi-.

Riuscii a udire dei passi pesanti avvicinarsi a me, dalla mia destra. Avevo Rouge alla mia sinistra, mentre Omega stava dalla parte opposta. Tutti e tre sotto un cielo stellato.

-Quindi-, esclamò Rouge, cercando di iniziare il discorso nella maniera meno drastica possibile. -Che cos’è successo là di così grave da rattristare la forma di vita suprema?- Non sapevo esattamente cosa dovevo rispondere. Non sapevo proprio più come comportarmi. Avevo esaurito le risorse. Quindi mi limitai a dire le cose come stavano.

-Nel momento stesso in cui sono entrato in quel mondo, mi si è aperto un nuovo orizzonte. E non mi riferisco solamente al ambiente, al paesaggio e alle persone. Sentivo che qualcosa doveva cambiare nella mia vita. È già successo, ma stavolta ero certo che mi avrebbe portato finalmente alla pace. Eppure, tutto quello che sono riuscito fare per loro, è stato impedire al nostro mondo di rovinare il loro. Ma non sono riuscito a proteggerli da me stesso, e da chi vuole il mio potere. Eppure, per la seconda volta in vita mia, non riesco a mettermi il passato alle spalle. Ci provo in tutti i modi ma non riesco a smettere di pensarci-. Sentivo lo sguardo di Rouge scrutarmi con interesse.

-Devo tornare là, Rouge. So di doverci tornare-. Dissi, mentre l’unico rumore che infrangeva le mie parole era quello delle onde.

-Io… non me ne intendo di queste cose. Mi basta un gioiello per essere soddisfatta, ma non un gioiello qualunque. Il tesoro che riesci ad ottenere evitando tutte le sciocche guardie di un museo. E non potrei mai rinunciarvi, perché è nella mia essenza. Se senti di dover tornare là Shadow, allora perché sei qui a chiedere consiglio ad una ladra? Lo capisci che è molto più facile che tu possa proteggerli piuttosto che metterli in pericolo? Ti ho sempre visto fare tutto per ottenere ci che volevi, non conosco nessuno più determinato di te. E se sarà necessario, ti aiuterò. Non importa che tu sia o non sia del team, sei sempre un compagno. Non ti arrendere, Shadow-. Dichiarò la pipistrella.

Io annuii deciso. -Grazie Rouge-. Il mio spirito si era rialzato. Mi allontanai, e salutai il mio team per l’ultima volta.

-È stato un onore combattere insieme a voi.- Rouge sorrise, mentre Omega, goffamente, viste le poche volte che eseguì questa azione, cercò di compiere il saluto militare. E io risposi con piacere. Quindi mi girai, attivai i pattini, e tornai di nuovo in quelle colline. Ci misi poco tempo ad arrivare lì. Il portale, di forma circolare e inattivo, mi stava davanti agli occhi, inattivo. Probabilmente lo avevano già smontato. Non sapevo se fosse ancora possibile attivarlo, d comunque, non avrei saputo come fare. E mentre pensavo a chi avrei dovuto prendere in ostaggio per costringere ad attivarlo, fui sorpreso nel constatare che una luce a me troppo famigliare cominciava a generarsi dal centro di quel macchinario. Guardai verso il tendone per capire chi potesse essere l’artefice di tale atto, e dalle labbra mi uscì spontaneamente una parola.

-Grazie-. E mentre mi trovavo sotto le stelle, iniziai a correre senza pensarci due volte. Poi fu tutto bianco, per l’ultima volta.

 

Comandante

Ho sempre pensato che la nostra lealtà e il nostro destino andassero al luogo in cui siamo nati. Non al nostro mondo, non al nostro paese, ma alle persone che tenevano a noi, che ci hanno generato e ci hanno cresciuti, nonché a tutte le persone che tengono a noi.

Ma quel giorno, imparai che qualche volta, anche un uomo come me, che ha affrontato ogni battaglia in qualsiasi contesto, può sbagliarsi. A volte possiamo trovare qualcosa da proteggere in luoghi in cui, fino a poco tempo prima, non potevamo nemmeno immaginare.

E in alcuni rari, inconsueti casi, possiamo lasciare tutto il resto dietro di noi, lasciarci il passato dietro alle spalle, pur senza dimenticarci da dove proveniamo. A volte, noi possiamo nascere e rinascere in due differenti mondi, ed amarli entrambi pur scegliendone uno solo.

 È questo che successe a Shadow. La verità è che in più di cinquant’anni non era mai vissuto davvero, non era mai nato, era solo un bozzolo. Quelli erano stati i suoi primi veri nove mesi di vita, era un neonato, e come tale poteva vivere tutte le esperienze che voleva. Aveva appena iniziato un viaggio.

Per questo, mi convinsi a dirigermi quel primo pomeriggio all’accampamento, aspettare fino a sera,  portare con me la chiavetta speciale di permesso per attivare il macchinario multidimensionale e attivarlo. Non so se Shadow seppe mai ciò che feci per lui.

Al diavolo, sono un soldato. Non un filosofo, né un melodrammatico.

 

Sayonara, Shadow the Hedgehog.

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Capitolo 15
*** Ognuno ha i suoi problemi ***


capitolo 15

Althea
La faccenda dei Chao mi lasciava perplessa. Ci stavo ancora pensando il giorno successivo, mentre ero a tavola per la colazione. Fissai la tazza di caffè fumante davanti a me, assorta nei miei pensieri. Insomma, cosa avrebbe potuto far irritare in quel modo delle creature così miti? Doveva star succedendo qualcosa di strano per farli inquietare. ‘’Ma cosa?’’
I miei pensieri vennero interrotti dalla vocina chiara di quella ragazza, Emily, che guarda caso era rivolta proprio a me.
-Salve! Hai fatto sogni d’oro? Hai dormito bene, vero?- Mi aveva fatto  due domande nel giro di cinque secondi esatti, lasciandomi leggermente perplessa sull’eventuale risposta
–Io…-
-Hai avuto degli incubi?!! No, lo sapevo, lo dicevo a mia madre che quelle lenzuola erano maledette, ma lei te le ha date comunque! Mi dispiace tantissimo! Ma la sai una cosa? Guarda che giornata fantastica per dimenticare degli incubi terrificanti!- Aprì di scatto la finestra, facendo entrare nella stanza una luce abbagliante e stordendo i miei occhi per qualche secondo, visto che le pupille erano ancora un po’ dilatate per il sonno. Eppure, lei continuava a parlare come se si fosse appiccicata alle braccia qualche decina di cerotti alla caffeina subito dopo essersi svegliata.
 Se prima ero perplessa, ora ero confusa. Non avevo idea di come rispondere alla sua domanda, più che altro perché era riuscita a farmela dimenticare. Involontariamente, mi limitai a guardarla senza dire nulla, con le labbra leggermente socchiuse.
-Vuoi passare la giornata con me?- mi chiese, parlando molto velocemente. Mi accorsi di essere rimasta a bocca aperta, guardando incredula quella riccia.
-Ti senti bene ragazzina?- chiesi stizzita, bevendo un sorso del mio caffè e rivolgendole un’occhiata intimidatoria. Lei ridacchiò, appoggiandosi il volto tra le mani e guardandomi felice.
-Benissimo! Allora, vuoi venire a fare un giro insieme a me?-
Io mi alzai dalla sedia, dirigendomi con noncuranza verso la porta d’uscita nella cucina.
-Spiacente, oggi ho da fare-.  Mentre uscivo, speravo che la faccenda si fosse conclusa in quel modo. Ma il mio desiderio era mal riposto. Avevo chiuso la porta, ma mi vennero i sudori freddi quando sentii che la porta si richiuse un'altra volta. Subito dietro me, risentii quella vocina.
-Ci divertiremo un sacco se tu mi seguissi! Sul serio, dai! Mi stai ascoltando? Ehi! Ehi! Ehi!- Serrai con forza i pugni.
-Se io ti dicessi di sì, dove vorresti andare?-
-Al centro commerciale, dove sennò?-
Continuai a camminare, ignorando la sua presenza irritante. -Scordatelo. Non sono una fan di quei luoghi, quindi grazie, ma la risposta è no-.
-Ti prego, sarà divertente! E poi hai bisogno di passare un po’ di tempo con degli amici, no?- chiese.
Mi voltai di scatto verso di lei, fermandomi dalla mia camminata e guardandola accigliata. -Te l’ha chiesto tua madre questo, vero?-
-Nooooo… forse-. ‘’Questa famiglia inizia a darmi decisamente sui nervi.’’
-No. Non ci vengo-.
Lei mise il broncio, incrociando le braccia al petto. -Sei snervante, lo sai? Hai passato delle belle giornate insieme a noi, perché non ti metti in testa che insieme potremmo anche divertirci? Dammi una possibilità, forza! Potresti anche trovare dei souvenir da portare nel tuo mondo, come una cartolina, o cose così-. In effetti ad Alexis avrebbe anche potuto interessare… no, decisamente no.
-Ok, allora ti porto con me comunque!- mi afferrò la mano e mi trascinò in una corsa forsennata. Provai a
ritirare il braccio dalla sua stretta, ma la forza di quella ragazzina era incredibile. Piantai i piedi per terra cercando di fermarla, ma sembrava che per lei non facesse alcuna differenza. Mi trascinò fino alla macchina di sua madre, mi legò strettissima con la cintura e si mise alla guida, uscendo di corsa dal garage e facendo una derapata che disintegrò il prato sottostante.

Ero piuttosto inquietata dalla sua reazione, anche perché andava ad una velocità spaventosa e non riusciva a mantenere una traiettoria completamente retta, e in generale anche per colpa dell’assenza di una strada asfaltata. E io non riuscivo a muovermi. Che razza di cinture erano quelle?!
-Sai come si guida, vero?- chiesi, affondando con forza le unghie nel sedile della macchina.
-Ho visto mia madre farlo un centinaio di volte, credo di aver capito come si fa, no?- disse, più a sé stessa che a me. ‘’Spiriti del Sol, per favore, fatemi arrivare viva a destinazione’’ pregai in silenzio.
Fece una curva stretta, mandandomi a sbattere contro la portiera.
-Allora perché vai così veloce?!-
-Perché questo è il pedale che ricordo meglio dei tre!- schiacciò l’acceleratore con foga, sbalzandomi contro il cruscotto. Dopo qualche interminabile minuto infernale, la riccia fermò la macchina davanti ad un grande edificio.
-Sei pazza. Tu sei completamente pazza- mormorai, slacciandomi velocemente la cintura e scendendo il più rapidamente possibile da quella macchina infernale.
-I miei fratelli me lo dicono spesso. Ora seguimi! Ecco a te il centro commerciale!-
-Sii breve e concisa. Come funziona?-
-Si va lì dentro e ci si passa la giornata-.
-Puoi essere meno generale?-

Lei alzò gli occhi al cielo. -Seguimi!- Pensando a come era iniziata la giornata, mi era difficile scovare un nesso che mi permettesse di collegare gli eventi che mi avevano portato qui. Ma ormai c’ero, e tanto valeva andare avanti. Altrimenti Emily lei mi avrebbe trascinato con la forza.
-Esattamente i tuoi genitori sanno che ti trovi qui?-
-Di solito quando sparisce la macchina sanno che sono io, quindi non c’è da preoccuparsi. Shopping!-  

***
Dash
Come era tipico in quelle colline, il tempo era fantastico. Ero completamente rilassato per due motivi: il primo, perché l’aria di campagna mi rendeva rilassato, e come ciliegina sulla torta avevamo scoperto che la macchina era sparita, quindi probabilmente Emily era andata al centro commerciale e si era portata con sé la gatta.
Ok, era arrivato il mio momento di svago preferito: correre fino a Seaside Hill. Per raggiungere quella spiaggia c’erano solo una decina di chilometri di distanza, nulla di che. E una volta arrivato, avrei corso ancora. Nulla era più soddisfacente di schizzare in riva al mare e vedere degli enormi paguri alzarsi in aria insieme a tutta la sabbia per via dell’onda d’urto.
Salutai velocemente i miei genitori e me ne andai. Tanto avrebbero saputo dalla rottura del muro del suono che ero partito. Ah, cosa puoi volere di più dalla vita?
Senza pensieri! 

Althea
Seguii la ragazza fino all’entrata, composta da una porta scorrevole molto larga nella quale entrammo velocemente. Nei successivi sette secondi fummo soffocate da una mandria di altre persone che spingevano per entrare per primi.
-Allora, che te ne pare?- strillò.
-È… è…psichedelico-. Il posto si estendeva per una lunghezza molto elevata, e a malapena riuscivo a vederne il fondo. Era formato da più piani, collegati da scale e ascensori. Davanti a me, si ergeva un grosso palco vuoto al centro della sala, dove c’erano degli addetti ai lavori.
-Ehi, stai bene? Ti si sono ristrette le pupille- mi chiese Emily. Non percepii immediatamente quello che mi stava dicendo, visto che ero piuttosto confusa dalla luce e dai rumori dell’ambiente. Scossi la testa, risvegliandomi dalla mia trance rispondendole.
-Sì, sto bene. Perché c’è tutta questa luce?- Non ero abituata a tutta quella confusione nel mio mondo, anche perché raramente ero riuscita partecipare a delle fiere o a dei mercati.
-Serve ad attirare i clienti. È una cosa psicologica, o roba del genere-. Annuii in risposta, non dando troppa importanza alla sua risposta vaga.
-Allora, da dove vuoi cominciare?- chiesi, volendo finire il prima possibile quella giornata. Con il dito indicò il secondo piano.
-Lassù!- …Era evidente che conosceva perfettamente il posto.
Salimmo velocemente le scale, e la seguii fino a quando non arrivammo davanti ad un negozio con… non so bene come spiegarlo… l’insegna aveva uno strano dolce con la testa a forma di gatto che seminava un arcobaleno dietro di sé. Ero spaventata. Non riuscivo a capire se fosse un girone infernale o un semplice negozio. Nessuno, nemmeno i più bizzarri stregoni pagani nel mio regno avrebbero mai messo un insegna del genere a loro presentazione.
Entrammo, e mentre Emily era perfettamente a suo agio, la musica all’interno del negozio sembrava volermi sciogliere il cervello, versarselo all’interno di una tazzina da tè e berselo lentamente.

Emily mi guardava come se si aspettasse questa mia reazione.

-Non ti preoccupare, la prima volta succede a tutti. Dopo un po’ ti ci abitui- ridacchiò. Io non ci sarei più venuta in quel posto, non in quel negozio quanto meno. C’erano arcobaleni ovunque, e la cosa era leggermente inquietante. Non era il fatto di trovarmi in un negozio di bigiotteria che mi dava questa impressione, quanto più il fatto che il proprietario di tale negozio avesse un pessimo gusto.

Emily non ci mise molto per separarsi da me, quindi ne approfittai per guardarmi in giro. Trovai vari tipi di gioiellini, ma non c’era nulla che potesse minimamente interessare a me o alla mia famiglia, quindi lasciai perdere. Quando ci dirigemmo alla cassa, notai che il cassiere, sovrappeso e annoiato, ci guardava quasi come se fossimo delle sagome senza faccia. Gli rivolsi la stessa occhiata con cui ci stava guardando poco prima, sperando che potesse spronarlo a sbrigarsi. Emily pagò, mettendo i suoi acquisti in una borsa di plastica. Contrariamente a me, aveva preso cinque o sei braccialetti, tutti di diverse forme e colori.
-Tu non hai preso nulla?- mi domandò la riccia.
-No, niente-. Se voleva farmi divertire, non era ancora riuscita nel suo intento. Con mio grande sollievo uscimmo dal negozio
-Decidi tu ora- disse.
-Cosa?-
-Dove dovremmo andare. Sii intraprendente, forza! Dimmi la prima cosa che ti piace!-
-Beh… fino ad adesso ho bevuto solo un caffè, quindi mi piacerebbe mettere qualcosa sotto i denti-.
-Gelato! So dove trovarlo, seguimi!-  ‘’Un… cosa?’’
Mi portò in un piccolo bar, dove un giovane riccio ci servì le nostre ordinazioni. Malgrado fosse abbastanza affascinante, non fui particolarmente attratta da lui, al contrario di Emily che sfruttava tutta la sua parlantina nell’intervallo tra la nostra richiesta e il servizio per provarci spudoratamente con lui.

Non funzionò, ma Emily lo dimenticò non appena ebbe il suo strano alimento tra le mani. Una specie di cono fatto a cialda con delle palline sopra.
-Che diavolo è questo?- domandai, osservandolo sospettosa.
-È un gelato. Forza, assaggialo!- Aprii la bocca e mi preparai a dargli un morso.
-Ferma! Non addentarlo!- Peccato che mi avesse avvertito in ritardo. Le mie gengive erano come invase da una scossa elettrica, e un freddo gelido mi percorse tutto il corpo. Fu una delle poche volte in vita mia in cui potei davvero sentire il freddo.
-Ehi, hai la pelliccia tutta dritta!- esclamò Emily. ‘’…Dannazione.’’ Si era gonfiata per via del freddo. Ho sempre odiato quando succedeva, anche perché tutte le persone che ho intorno tendono ad osservarmi.
Emily mi guardò preoccupata. -Hai bisogno di un medico? Tutto bene?-
-Dopo un po’ mi passa, non ti preoccupare- borbottai, passandomi una mano sulle braccia e cercando di abbassarne i peli.
-Non è così che si mangia un gelato, devi… ehi, dov’è finito il tuo cono?-
Abbassai lo sguardo e vidi che le palline erano scomparse, e che c’era crema sparsa sia all’interno del cono, sia sul pavimento.
Emily prese in tutta fretta un tovagliolo, si chinò e iniziò a ripulire la macchia di crema. -Aspetta, lasciami dare una pulita. Vuoi che ne prendiamo un altro?- mi domandò.
Scossi la testa. -No, tanto non avevo più fame, non ti preoccupare- dissi sorridendole, quasi scaldata dalla sua gentilezza. Lei ricambiò il sorriso, rivolgendomi un’occhiata vivace.
-Dove dobbiamo andare adesso?-  le chiesi, riprendendo la serietà che avevo prima e facendo scomparire la momentanea serenità dal mio volto.
Lei mi prese per mano, decisa a non lasciarmi, e la seguii in un luogo non ben specificato. Abbassai le orecchie, a disagio, cercando in tutti i modi di riprendere possesso del mio arto. Dannazione, mi sembrava di essere ritornata bambina, ai tempi in cui imploravo mio padre di prendermi in braccio.
-Eccoci qui!- esclamò Emily, fermandosi davanti a un enorme negozio pieno di abiti in vetrina, indossati da dei manichini bianchi e immacolati.
Abbassai di scatto le orecchie. -Oh no-.
-Oh sì!- ridacchiò lei, superando le porte scorrevoli e trascinandomi con sé.
-No, aspetta un secondo…- dissi esitante, osservando la miriade di vestiti che mi circondava.
-Ti piacerà, fidati di me- affermò.
Dopo aver finalmente rilasciato la mia mano dalla sua presa micidiale, non mi si allontanò di un millimetro, osservando incuriosita me e subito dopo gli abiti.
-Questo posto è il paradiso!- dichiarò, guardandosi intorno. Alzai un sopracciglio, incrociando le braccia. Non riuscivo proprio a capire come quella riccia potesse essere così felice e allegra solamente perché si trovava in un centro commerciale. 

Girava per tutto il negozio, cercando abiti che potessero interessarle. Alcuni di questi erano semplicemente ridicoli, pieni di disegni e faccine, altri decisamente migliori, che avrei potuto definire di buon gusto. Erano un probabile segno dell’eventuale presenza di una doppia personalità nella ragazzina.
-Non vorrai comprarti tutta questa roba, vero?- chiesi, osservando il numero impressionante di vestiti che teneva tra le braccia.
-No, sono venuta solo per provare come mi stanno. Provane qualcuno anche tu, per esempio… questi!- Era una maglietta bianca a maniche corte insieme dei jeans blu chiari.

Sorrise radiosa. -Mi sembri una persona a cui piace vestirsi sobria, o sbaglio?-
La guardai con poca convinzione, incerta sul da farsi. -No, in effetti non sbagli, però… e va bene, dammi un secondo- borbottai.
Aveva preso vestiti per entrambe, non solo per lei. Ci provammo un po’ di vestiti. I suoi erano colorati e fantasiosi, a volte anche eccessivamente larghi, mentre i miei erano “normali”, né troppo vistosi né mediocri. E per una volta, riuscii a sentirmi come una persona nella media. ‘’… Non è malaccio.’’  
A un certo punto ci stancammo, e decidemmo di rivestirci e di andare da qualche altra parte. Ma ad un certo punto vidi un gruppo di tre ragazzine, circa dell’età di Emily, avvicinarsi a noi.
Quella nel mezzo, una volpe fucsia, sorrideva, e andò ad abbracciare Emily. La riccia ricambiò, mostrando solo un momento di esitazione. Sembravano essere vecchie amiche.
-Emily, da quanto tempo! Ti sei portata dietro un’amica per una volta, vedo- sghignazzò. ‘’Cosa… per una
volta?
’’
-Oh, sì. Ivy, ti presento Althea- disse la riccia rosa, voltandosi verso di me e sorridendo. Corrucciai leggermente le sopracciglia, cercando di chiederle una silenziosa spiegazione.
La volpe si fece avanti, muovendo la voluttuosa coda.
-Ciao, non ti ho mai visto da queste parti- mormorò, squadrandomi attentamente.
-Vengo da lontano. Sono qui in vacanza. Hai detto di  chiamarti Ivy, giusto?- Non mi piaceva. Non mi piaceva, decisamente no.
-Sì e…wow, ti vesti bene. Sembri mia madre quando va a recitare- mi schernì, parandosi una mano davanti alla bocca per fingersi stupita. Il fatto che sapessi di essere superiore, più potente e più politicamente influente di lei, non mi distoglieva dalla mia volontà di ucciderla.
Come fai a parlare così a una persona la prima volta che la vedi? O sei ricca sfondata o una disadattata sociale. Oppure entrambe le cose, il che sarebbe stato molto peggio. Emily era visibilmente imbarazzata, tanto che cercò di distogliere l’attenzione da ciò che aveva appena detto la ragazza.
-Ehi Ivy, come vanno le cose con il tuo ragazzo?- le chiese.
-Oh sì, molto bene. Tu piuttosto, ne hai trovato uno?-
Emily abbassò le orecchie di scatto, mentre un leggero rossore le invadeva le guance. -Beh…no, non ancora. Ma suppongo che arriverà il mio momento-.
-Beh, vedi di non fartelo scappare allora, non credo che ne avrai ancora molte di occasioni. Cambiando argomento, tuo padre ha trovato un lavoro?- domandò la volpe.
-Veramente mio padre ce l’ha già- borbottò Emily.
-Dico un lavoro serio-.
Lei e le due ragazze risero, e anche Emily lo fece, anche se in un modo terribilmente forzato.

Sentii uno strano calore pervadermi il corpo, e vidi una scintilla di un rosso acceso sprizzare fuori dalla mia coda. ‘’No. Non ora, ti prego.’’ Misi le mani dietro la schiena perché non notassero le fiammelle che scoppiettavano sulle mie dita. Sapevo che stavano cercando di liberarsi dal mio controllo, anche se non le avevo guardate direttamente. Era come se le dita mi stessero gocciolando.
Qualcosa sarebbe bruciato, ma non sapevo cosa. O forse avrei bruciato tutto ciò che era intorno a me, ed era probabile che il tutto sarebbe stato solo questione di secondi. Era come dover andare in bagno e non avere più il tempo di arrivarci.
-Non fare troppi danni…- sussurrai impercettibilmente con una nota di panico. Guardai la prima cosa non-viva attorno a me. Concentrai la mia attenzione sulla borsa della volpe, cercando di trattenere la paura che qualcosa potesse andare storto.
La tracolla sulla sua spalla iniziò a sciogliersi lentamente sotto un mio leggero ghigno e sotto le sue ignoranti risate. Aspettavo pazientemente, e la mia attesa fu premiata quando la sua borsetta scoppiò in un esplosione di pezzi ardenti e fiamme. Ivy batté istintivamente la mano contro la borsa per spegnere il fuoco, per poi buttarla a terra e scappare via con le sue due complici che la seguirono poco dopo. Se n’erano andate senza nemmeno un salutino, che peccato.

Presto sia io che Emily venimmo bagnate dall’acqua che fuoriusciva dall’sistema antincendio. Incitai la ragazza ad andarcene il più velocemente possibile, afferrandola per l’avanbraccio.
-Vieni!- sibilai. Tutte infradiciate uscimmo dal negozio in fretta e furia, io consapevole di quello che era successo, Emily un po’ meno.
-Sei stata tu, non è vero?- mi chiese, infreddolita e lievemente spaventata.
-…È importante?-
-Sì. Sì è importante. Perché… perché è stata la più grande figata che abbia mai visto!- urlò, parandomisi davanti.
–Sei stata tu?-
Io distolsi lo sguardo. -Forse-.
-Dovresti rifarlo un giorno che usciamo di nuovo insieme, perché credo che purtroppo per oggi finisca qui. Mi spiace, avrei voluto portarti a vedere più cose-.
La guardai di soppiatto, mentre lei si strinse le mani in grembo, rattristita.
Alzai le spalle, mostrandomi indifferente. – Non importa-.

***

Dash
Non mi ero fermato un secondo prima di arrivare a destinazione.
‘’Sabbia…nelle scarpe…Uff…devo toglierla…’’ ansimai tra me e me, quando all’improvviso vidi un polverone alzarsi da lontano e venirmi incontro alla velocità della luce. Letteralmente. Ad un paio di metri da me, quello strano ammasso di polvere e detriti smise di proseguire, e mi riempì di sabbia e terra su tutto il corpo.
-Ora sì che le scarpe mi danno fastidio. Per un attimo ho creduto che fossero un gruppo di Badniks, pa'-. Ovviamente era mio padre, che chissà come, era riuscito a trovare il mio nascondiglio. Aveva forse seguito la scia di paguri ribaltati?
-Come diavolo fai a confondermi con degli insetti giganti?- ridacchiò, picchiettando un piede sulla sabbia. -Hai ancora un po’ di forza nella gambe?-
-Perché mai dovrei averla persa?-
Lui ghignò. –A chi arriva prima in cima a quella montagna, che ne dici?-
-Dico che parli troppo-. Iniziai a correre, partendo all’improvviso, anche se lui mi raggiunse presto. Non vedevo nulla dietro di noi, ma il paesaggio che ci scorreva davanti ad una velocità pazzesca era l’unica cosa che mi doveva interessare in quel momento. E per un attimo notai la forma a spirale che avevano assunto le nostre gambe. Ora si iniziava a correre.
-Ti concedo del riscaldamento per ancora un paio di minuti, poi si fa sul serio- disse, sovrastando il fracasso che stavamo facendo.
-Cosa stai dicendo? Non abbiamo ancora iniziato a scaldarci-. Ovviamente non passò molto tempo prima che davanti a noi, orde di Badnik, volanti e terrestri, si parassero dinnanzi a noi.
Guardai mio padre con sguardo d’intesa, dicendogli: -Trucco della trottola?-
-Non devi neanche chiederlo-. Proprio durante la corsa, ci appallottolammo su noi stessi e cominciammo a trapassare quelle ferraglie come se fossero burro, e al polverone che noi creavamo si aggiunsero i Flickies e altri animaletti che uscivano dalle carcasse metalliche senza vita. Esplosioni su esplosioni ci riempivano le orecchie, e noi correvamo senza essere colpiti una sola volta dai tanti proiettili che quei robot ci scagliavano contro. Una volta fuori da quell’orda, intravedemmo un ponte. Un vecchio insieme di tronchi, al quale sottostava un fiumiciattolo.
-Ok Dash, ponte significa acqua, acqua significa…- prima che finisse di parlare, degli strani robot acquatici saltarono sul ponte.
-Chopper. Lo so-.
-Allora preparati a saltare!- E mentre quegli stupidi piranha ci saltano addosso per divorarci, sia io che mio padre ci appallottolammo nuovamente e iniziammo a muoverci a spirale contemporaneamente, formando un tornado, respingendo tutti quei piranha e rimandandoli in acqua.
Una volta atterrati scattammo immediatamente in avanti. -Ho imparato bene, eh?- chiesi, un sorriso sbruffone che mi incorniciava il volto.
-Guarda indietro-. Voltai la testa confuso, e notai che un Chopper mi si era attaccato alla coda. Con i denti.
-Gah!- 

***
Althea
Ci dirigemmo  verso le scale, quando sentimmo un rumorosissimo brusio al loro fondo. Ci sporgemmo, e vidi una folla, formata principalmente da ragazze, che continuava a ripetere un nome che non conoscevo. -No…- disse tra sé e sé Emily
-Che ti prende?- chiesi io, preoccupata che fosse successo qualcosa di spiacevole.
-È lui!!! Scendi subito, vieni!- Quando fummo in mezzo alla calca di ragazzine, fu impossibile non essere spinte da chiunque avessimo intorno. Tra l’altro era imbarazzante doversi trovare in mezzo a loro completamente fradicie. Ma Emily sembrava non farci molto caso. A un certo punto, quando sembrò rendersi conto di dove eravamo arrivate, cosa che io non avevo ancora fatto,  cominciò ad urlare e a saltare, emettendo un acuto che avrebbe potuto far saltare in aria i timpani di un elefante. Mi prese per le spalle e iniziò a scrollarmi.
-Non ti rendi conto di dove ci troviamo ora! È fantastico!-
-Si può sapere che diavolo succede?-
-È lui!- disse qualcuno in prima fila. Vidi un ragazzo che, anche se ero lontana, potevo ben notare essere un castoro giallo con i capelli a caschetto, che velocemente stava salendo sul palco, salutando apertamente la folla e avvicinandosi al microfono poco più avanti.

-Ristar Beaver!  Ristar Beaver!- ripetevano Emily e tutto il resto della folla a braccia alzate, invocando il suo nome come se fosse una divinità.
-Si può sapere chi è questo ragazzino?- chiesi, facendo un cenno scocciato con la testa verso di lui.
-È semplicemente il cantante più figo figo figo di tutti i tempi!-
Mossi nervosamente le orecchie. ‘’Perché deve succedere a me?’’ Avevo capito che sarebbe stata una faccenda più lunga del previsto, quindi feci una domanda ad Emily: -Posso almeno asciugare i nostri abiti?-  

Dash
Le praterie fiorite e i fiumiciattoli cominciarono a diradarsi mentre salivamo di quota a grande velocità, fino ad essere completamente sostituiti dal terreno roccioso della Montagna dell’Ascesa. In quel momento eravamo io e mio padre che combattevamo contro di noi e contro il vento. Aumentai la velocità al fine di batterlo. Nessuno mi avrebbe fermato, nemmeno lui, nemmeno Sonic.
Mancavano pochi metri, e il vento sferzava contro di noi con così tanta potenza che assumeva una colorazione azzurra. Entrambi superammo il muro del suono, spaventando gli uccelli nei dintorni e facendoli volare via. Ma solo uno di noi avrebbe vinto in quel momento, in quell’esatto momento. 

Althea
-Mio Dio, che razza di caos! Non posso credere che abbiano interrotto lo show- disse Emily.
-Se qualcuno mi lanciasse una bottiglia di vetro sui denti credo che anche io mi prenderei un giorno di stacco- borbottai in risposta.
-Beh, suppongo che la serata alla fine sia finita in bellezza. Torniamo a casa, ho parcheggiato in sosta vietata e non vorrei che mi avessero rimosso la macchina- ridacchiò lei. Cominciò a dirigersi in fretta e furia verso l’auto che avrebbe dovuto essere di sua madre. Almeno per quella volta non mi aveva trascinato con la forza. Dovetti camminare molto velocemente per riuscire a stare al suo passo. Salimmo in macchina, ed Emily la mise in moto con delle chiavi che erano attaccate ad un portachiavi raffigurante un grasso gatto viola. L’auto partì con un rapido scatto, e tornammo immediatamente nell’autostrada di quando eravamo uscite di casa quella mattina. Io e la giovane riccia stavamo in silenzio per la prima volta nella giornata, e la macchina andava incontro al sole nei suoi ultimi istanti di vita, che calava lentamente all’orizzonte, espandendo un immenso cielo rosso-arancio davanti ai nostri occhi. Un pensiero mi attraversò la mente: le parole che aveva detto quella volpe a Emily.
-Chi erano quelle ragazze?- chiesi dopo qualche minuto, voltandomi verso la ragazzina.
-Oh, erano delle mie amiche. Simpatiche, vero?- La guardai con aria saccente, ovviamente per sottolineare il fatto che quello che aveva appena detto era una sciocchezza.
-Suppongo che fosse da molto tempo che non vi vedevate-.
-Un mese circa-.
Alzai un sopracciglio. -Ti trattano spesso così?-
-Trattare come?-
-Come ti hanno trattato oggi. Ho visto scarafaggi essere trattati meglio da disinfestatori-. Ridacchiò, prendendola come una battuta.
-Adesso sei troppo tragica. Ivy ha solo un carattere un po’… difficile-.
-A me sembrava che la stessero prendendo tutte e tre con grande serenità. Non sei così stupida da essere obbligata a farti trattare così-.
-No, è solo stato un periodo un po’ complicato per lei. Ultimamente si è trasferita, quindi magari tende a sfogare i suoi problemi su di me. Noi… siamo sempre state amiche-.
Smisi di guardarla e riportai lo sguardo davanti a me, sospirando. -E da quando è iniziata esattamente questa ‘’stupenda’’ amicizia?-
-Circa… otto anni fa-. Abbassò leggermente la testa in segno di imbarazzo. Mi girai di lato, osservando Emily tramite il suo riflesso nel finestrino.
-Devi sapere che a volte le amicizie tengono a variare nel tempo- spiegai brevemente.
Lei rise tristemente, guardandomi di sbieco. -E in che modo?-
-Si deformano-. Le rivolsi un’occhiata fredda, cercando di essere il più concisa possibile. Lei stette in silenzio, senza replicare, e dentro di lei, probabilmente, sperava che io non replicassi a mia volta.
-Ti conviene svegliarti, o diventerai il loro svago preferito, poco alla volta. A meno che tu non lo sia già. Ho già visto succedere cose del genere-. 

Emily sterzò all’improvviso e parcheggiò velocemente a lato del guard-rail. Contromano.
-Voglio darti una cosa-. Frugò all’interno delle tasche dei suoi pantaloni, senza dare alcuna importanza a dove ci trovavamo. Diedi una rapida occhiata all’ambiente esterno e le chiesi, nervosa, quasi come se fossimo circondate da una folla invisibile: -Di solito qui non passano le macchine dalla  direzione opposta?-
Lei ignorò completamente la mia domanda.
-Tieni- disse,  porgendomi un bracciale colorato di argento.  Mi sorrise gioiosa, probabilmente cercando di dissipare l’atmosfera tesa di qualche attimo prima. -Mi spiaceva che non avessi preso nulla al negozio, quindi l’ho fatto io per te-.
-Emily, sai che non posso accettare-.
-Non fare tante storie!- Il braccialetto raffigurava lo stesso gatto con il corpo da dolcetto che lasciava dietro di sé una scia di arcobaleno che avevo visto al negozio di gioielleria. Lo scrutai fisso per qualche secondo, e per tutto il tempo sentii una musichetta irritante che mi rimbombava nella testa.
-Avrai pur bisogno di un souvenir quando tornerai a casa, no?-
Mi accorsi di essermi incantata per un attimo, fissando quel regalo inatteso.
-Ti ringrazio. Lo terrò sempre con me-.

 Dash
Ero in ginocchio, le gambe a pieno contatto con il terreno ruvido e polveroso, dopo aver sfruttato tutte le mie capacità. Ed era proprio questo ciò che mi amareggiava di più, il fatto di non poter continuare a correre. Per quanto ci provassi, non ci riuscivo.
Sonic invece era in forze, pimpante, e pronto a tornare a casa, mentre sopra di noi brillava un cielo stellato praticamente appena nato.
-Forza, la mamma è rimasta da sola a casa, e mi preoccupa a volte lasciarla troppo tempo senza qualcuno che possa controllarla- disse allegro. 

Ero sporco, pieno di terra e, stranamente, sfinito. Ma nonostante la stanchezza, mi rialzai. Le gambe mi tremavano e non riuscivo a stare in piedi senza che un tremito continuo mi percorresse il corpo. Per ignorare quella sensazione, seguii mio padre, che iniziò a correre, ma sembrava che volesse seguire la mia andatura. Infatti non correvo più veloce come prima, e a malapena riuscivo a raggiungere i venticinque chilometri orari.                                                                                                                                                                        

-Dash, va tutto bene?- mi domandò papà. Non gli risposi, continuando a guardare fisso davanti a me. L’unica cosa che volevo fare in quel momento era ritornare a casa mia e dimenticarmi di quella pessima giornata, insieme a tutto il nervosismo che mi pesava sulle spalle.
Quando finalmente arrivammo davanti alla nostra villetta, mia madre apparve davanti all’uscio della porta. Aveva un’aria seccata, e per sottolineare il suo nervosismo, picchiettava un piede sul pavimento.
-Dove siete stati voi due tutto il giorno?- sibilò, osservandoci con uno sguardo inquisitore.
-Io ho corso- risposi.
-Stamattina sono andato a distruggere Badnick, poi ho raggiunto Dash per correre e basta- si giustificò papà alzando le mani davanti a sé. 
Io ridacchiai. -Dai mamma, non arrabbiarti. Stamattina lo sapevi che me ne ero andato fuori-.
Lei corrucciò le sopracciglia, incrociando le braccia. -Solo perché hai rotto il muro del suono non significa che io non gradisca un saluto prima che tu esca-. Si massaggiò le tempie, emettendo un sospiro esasperato. -Forza, vai a darti una ripulita. La cena sarà pronta tra poco-.

Entrai velocemente in casa, sedendomi su una delle sedie disposte intorno al lungo tavolo di legno del soggiorno. Ci appoggiai i piedi sopra, incrociando le braccia dietro la testa e distendendo finalmente i nervi.
Poco dopo sentii chiaramente il rumore di un motore di una macchina che si avvicinava alla casa. Nell’aria risuonò uno strisciare secco di pneumatici che si dirigeva man mano verso il garage.
A quanto pare le ragazze erano tornate.
Althea probabilmente era sfinita da quell’intensa giornata. Potevo immaginarlo. E potevo capirla.
Emily entrò in casa correndo, come sempre. Sembrava un cagnolino che ritornava alla sua tana dopo un giorno di scorribande. Althea invece aveva un passo molto più tranquillo e felpato. Entrambe salutarono, e mentre Emily si diresse verso la cucina per vedere capire cosa c’era per cena, Althea si sedette al tavolo insieme a me, però dal lato opposto.
Mi fissò per qualche secondo, esaminandomi.
-Sei sporco da far schifo- commentò con la sua innata delicatezza.
-Detto da te lo devo prendere come un complimento-. Il suo voltò si indurì all’improvviso, ma non sembrò particolarmente innervosita dalla mia offesa.
Ci fu uno strano momento di silenzio tra noi, in cui Althea guardò di sottecchi i miei genitori e Emily. Sembrava che stesse cercando di vedere qualcosa in loro. Forse voleva trovare qualcosa di simile a quello che aveva sempre conosciuto nel suo mondo.
-Quindi-, esclamai, snervato da quel silenzio che si era creato. –che tipo di scuse hai trovato per lamentarti oggi?-                  
Lei scrollò le spalle, rivolgendomi un’occhiata infastidita. –Devo dire che è stato divertente-borbottò. Abbassai le orecchie, non potendo assimilare una notizia tanto sconvolgente.
-Ripetilo-.
-È stato bello. Mi-è-piaciuto- sillabò. 
-Non ci credo-.
Sbuffò. -Nemmeno io-. Poi mi guardò negli occhi, sembrando finalmente accorgersi che davanti a lei si trovava una persona, e non solamente una voce irritante che le squillava nelle orecchie.
-Ed è stanchezza quella che ti vedo addosso o hai avuto una brutta giornata?- domandò. Io sospirai, mentre il nervosismo di tutte quelle ore mi ricadeva addosso come un macigno.
-Possiamo fare finta che tu non mi abbia mai fatto questa domanda?-
Lei inarcò un sopracciglio, distogliendo improvvisamente lo sguardo. –Beh, se non vuoi parlarne, a me non interessa più di tanto-.

Ci fu nuovamente silenzio, finché, dopo aver pensato se risponderle oppure no, cedetti alla tentazione, e mi misi a dirle ciò che pensavo.
-Ti sei mai trovata nella situazione di dover fare qualcosa, di provarci costantemente ma senza mai riuscirci? Di avere l’impressione che più tu migliori, più il tuo obbiettivo diventi sempre più difficile da raggiungere?-
-Sì, tutti i giorni. Perché me lo chiedi?- mi rispose lei prontamente, capendo che c’era qualcosa che non andava, ma sempre con un lieve accento sarcastico. Ma non volevo espormi del tutto, non subito, anche se ciò significava usare una scusa che poteva andare bene come minimo centocinquant’anni prima.
-Era solo per curiosità. Un mio amico si trova in questa situazione- balbettai, grattandomi il naso.
 Lei chiuse gli occhi, e sulla sua bocca proruppe un ghigno, quasi come se avesse pensato che ero giunto al fondo del barile pur di non chiederle direttamente aiuto.
‘’… E forse non ha tutti i torti.’’           

-Beh, io nel tuo caso avrei due opzioni. Cercherei un sistema alternativo per raggiungere il mio obbiettivo, un’altra strada. Altrimenti… continuerei a provarci fino alla morte. Di’ al tuo amico che non sta sbagliando. Di solito, in questi casi, si raggiunge ciò a cui si aspira. O almeno…mio padre mi dice così- spiegò fredda, facendomi un cenno scocciato con la testa.
La guardai stupito, cercando con tutte le forze di trattenere un ghigno vittorioso. Quella era la prima conversazione civile che ero riuscito a scucirle dalla bocca senza ricevere una minaccia di morte. Un punto per me.
Feci per aprire bocca, ma la voce squillante di mamma mi precedette. –La cena è pronta!-
Althea si alzò rapidamente dal tavolo, ansiosa di potersi allontanare dal salotto.
Aspettai ancora qualche secondo prima di seguirla, sospirando tra me e me e lasciandomi dietro le spalle tutta la frustrazione della giornata. Dopo tutto, finita una lunga corsa, non c’è niente di meglio di un po’di relax per distendere i nervi, una corposa cena e una bella dormita. Bisogna guardare alla giornata.
Almeno, questo è quello che dice mio padre.

Pal
Il buio mi avvolgeva, e una strana sensazione, a metà tra l’essere confuso e il rilassato, mi aveva attanagliato con decisione il corpo. Ero sdraiato su un freddo pavimento in piastrelle di ceramica. Attorno a me, potevo udire un confuso brusio di persone che parlavano concitate tra loro. Pensai intensamente che quella fosse la mia giornata libera, e che dopo essermi svegliato avrei potuto passeggiare, ubriacarmi e chiedere a qualche donzella di uscire con me.
Invece, quando aprii gli occhi, potei chiaramente constatare, nonostante tutto quello che avessi intorno fosse offuscato, che non ero nella mia stanza. Quello che si espandeva sopra di me era il soffitto del tempio, e attorno a me le guardie erano agitate e spaventate.
Non riuscivo a muovermi normalmente. Era come se una parte del mio corpo si fosse addormentata e non avesse la minima intenzione di ascoltare i miei comandi. Sentii un lieve punzecchiare sul collo, e quando cercai la fonte del mio fastidio, notai uno strano dardo ancora piantato nella mia carne, in prossimità della giugulare. Me lo rimossi con forza e lo lanciai lontano da me. Udii il richiamo di due guardie a qualche metro di distanza da me, anche se mi sembravano terribilmente distanti.
-Sergente!- Uno dei due ragazzi, un giovane falco, mi corse incontro.
-Soldato, si può sapere che cos’è successo?- mugugnai con la bocca impastata, cercando di far valere la mia autorità nonostante l’assopimento.
-Non ne abbiamo idea signore. Sembra che le guardie siano state addormentate da qualcosa-. Mi premetti una mano sulla testa, dolorante.
-No, da qualcuno- lo corressi, rivolgendo una rapida occhiata al dardo sul pavimento.
Subito dopo mi venne in mente qualcosa di molto più importante dell’incolumità mia e delle mie reclute: lo smeraldo.
-In che condizioni è lo smeraldo?- domandai
-…Non lo so, signore. Mi sono risvegliato da poco anche io-. Il sangue mi salì al cervello, e cominciai a sentire i sudori freddi attraversarmi la spina dorsale. Un’improvvisa paura mi si appiccicò addosso.
-Maledizione, seguimi!- abbaiai. Tentai di camminare, ma caddi rovinosamente sul ginocchio. Evidentemente non ero ancora in grado di poter sopportare il mio tipico passo spedito.

Il ragazzino mi guardò spaventato. -Sergente!- esclamò. Si avvicinò a me per aiutarmi a proseguire.
-No, non aiutarmi! I tuoi compagni sono già in grado di correre. Come minimo io dovrei saper volare. Quindi allontanati subito- ringhiai. Lui si ritrasse immediatamente, mortificato. Continuai a camminare, ma proseguendo notai che riuscivo a controllare solamente la parte sinistra del mio corpo, quindi cambiai leggermente i miei ordini.
-Ripensandoci, puoi mettere alla prova la tua solidarietà verso il tuo superiore e darmi una mano-. Sul suo volto comparve un espressione confusa, ma nonostante tutto camminò verso di me, titubante.
–Forza, svelto!-
Si mise un mio braccio attorno alle spalle, aiutandomi a reggermi in piedi.
-Dove dobbiamo andare?- chiese.
-A berci una birra al bar, che ne dici?- risposi, ironizzando spudoratamente. Lui abbassò lo sguardo, imbarazzato. ‘’Perché ogni volta mi devo ritrovare degli infanti come reclute?’’
Ci dirigemmo rapidamente verso la sala principale al centro del tempio e scendemmo con fatica le scale che portavano al sotterraneo, illuminato solo dalla luce delle torce. Notai che per via della mia mascella leggermente addormentata, stavo sbavando sulla spalla del ragazzo, che non ne sembrava molto contento. Una volta arrivati a destinazione, alzai lo sguardo, mi fermai a fissare l’altare, e lasciai definitivamente cadere la mascella a terra. Lo smeraldo era sparito.
-No…- mormorai spontaneamente, mentre le guardie intorno a me si scrutavano, visibilmente turbate. Heh, dilettanti. –Cosa facciamo, signore?- mi domandò la recluta.
Lo guardai inquieto. -Qualcuno deve avvertire i regi. Lo farei io, ma devo coordinare la situazione. Qui c’è il caos più totale-. ‘’E il mio sistema nervoso è in coma, tra le altre cose.’’ Almeno non mi sarei dovuto sorbire l’ira di entrambi i regnanti.
Cercai di trovare una soluzione, esaminando ogni possibilità. E mi accorsi che la risoluzione ai nostri problemi mi stava aiutando a reggermi in piedi esattamente in quel momento.
Sghignazzai nervosamente, guardando il ragazzo al mio fianco. Lui ricambiò la mia occhiata deliberatamente sadica nei suoi confronti con un’espressione splendidamente inquieta e agitata.
-…Sergente?- chiese in un lieve sussurro. Io ridacchiai, dandogli una pacca sulla spalla con il braccio ancora reattivo ai miei comandi.
-Ragazzo mio, siccome le mie funzioni fisiche non sono ancora nel pieno della loro funzionalità, concedo a te, l’onore di andare ad avvertire i regnanti-.  Lui spalancò gli occhi, boccheggiando spaventato.
-Non abbiamo tempo, vai e sbrigati!- gli urlai contro, cacciandolo dal tempio. Si diresse rapidamente verso l’uscita, diretto al motoscafo più vicino. Mi appoggiai fiaccamente ad uno dei pilastri che circondavano l’altare, cercando di sorreggermi come meglio potevo. Mi guardai intorno, cercando di riordinare i pensieri tra la varia confusione che stavano facendo le guardie in quel momento.
‘’…E ora che diamine faccio?!’’

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Capitolo 16
*** Il Principe e la Ladra ***


Amethist

Blaze
Una giornata stupenda per regnare. Quella mattina feci una consistente colazione, per poi riunirmi in Consiglio per discutere degli imponenti interventi di ristrutturazione che avevamo in programma per Flaritas, nonché in tutte le altre città. Infondo, perché non sfruttare il vantaggio di avere un monarca illuminato, in grado di comprendere cose e tecnologie a noi fino ad allora sconosciute o poco approfondite?

E ovviamente, il nostro principino non si era nemmeno fatto sentire dall’inizio della mattinata, probabilmente impegnato a divertirsi da qualche parte, ad allenarsi, o a studiare politica e giurisdizione imperiale. Senza nemmeno aver salutato sua madre e regina! Adorabile, il mio Alexis.
La mia anima però era inquieta. Sentivo un fremito in essa, come se qualcosa fosse fuori posto. E non sapevo che cosa fosse.
Tuttavia, inspirai profondamente, scacciando quei pensieri, rilassata da una mattinata soleggiata e tranquilla come quella. 
Camminavo rapidamente, osservando il paesaggio fuori dalle varie finestre e lasciando che il sole mi scaldasse la pelle negli occasionali fasci di luce che filtravano nei corridoi. Quando passai per l’ennesima volta sotto i raggi del sole, la mia attenzione fu catturata dall’insistente luccichio dell’anello che portavo all’anulare della mano sinistra, e mi concessi di lasciar vagare in tranquillità la mia mente tra i ricordi. ‘’Non posso credere che siano cambiate così tante cose nel corso di pochi anni…’’
Mi accorsi di essermi imbambolata in mezzo al corridoio mentre osservavo la mia fede al dito. Mi ridestai immediatamente, ricordandomi il motivo per cui stavo vagando per il castello. Mi diressi verso la Sala del trono, e quando arrivai davanti ai suoi enormi portoni, le guardie che ne impedivano l’accesso con delle lance si ritirarono, indietreggiando di un passo e chinando con rispetto il capo.
Prima che potessero dare l’ordine di aprire le porte attraversai l’entrata più piccola incisa tra esse. Arrivata nella stanza notai immediatamente una decina di ingegneri attorniati a Shadow, che stringeva tra le mani numerosi appunti e progetti e discuteva con le persone vicine a lui. Quando sentì richiudersi la porta, alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi. Mi sorrise di soppiatto prima di rivolgersi nuovamente alla piccola folla ai suoi lati.
-Vi ringrazio per le vostre impeccabili spiegazioni, signori. Ma ora avrei bisogno di stare da solo e di riflettere attentamente per poter prendere la decisione adeguata- disse Shadow, congedandoli tutti con particolare eleganza. Loro fecero un breve inchino, uscendo rapidamente dalla sala.
Lui si voltò verso di me, un sorriso aperto sul volto. Ricambiai il gesto, salendo i pochi gradini che portavano ai nostri troni e avvicinandomi a lui.
-Beh? Come procedono le cose?- gli chiesi. Lui scrollò le spalle, stirandosi con stanchezza la schiena. 
-Bene. Ho passato una mattinata intensa-.
-Non dirlo a me, ti prego-. Lui alzò un sopracciglio con fare interrogatorio, mentre un’aria tremendamente divertita gli aleggiava sul volto.
-Hai avuto una brutta giornata?- chiese.
-No, non esattamente. Solo stancante- mormorai, appoggiandomi a uno dei braccioli del trono. Mi presi un secondo per osservare mio marito. I vestiti imperiali che era tradizione indossare dai sovrani, nel suo caso una veste nera con i bordi e i bottoni color oro che gli arrivava fino ai polpacci e con dei pantaloni anche loro neri, mettevano in risalto la sua aria potente. I primi due bottoni della veste erano slacciati, permettendo ad alcuni dei suoi ciuffi bianchi sul petto di  essere visti.
-Il Consiglio è stato aggressivo? Ti ha dato dei problemi?- mi chiese, riportando la mia attenzione sul discorso.
Mi strinsi nelle spalle. -Stranamente sono stati abbastanza docili oggi. Non hanno criticato le nostre proposte riguardo alle ristrutturazioni e le hanno accettate praticamente senza replicare. Com’è stata la tua mattinata ‘’avvincente’’, invece?- chiesi, mimando le virgolette con le dita. Era bello potersi concedere un minuto di relax e intrattenere un discorso tranquillo con lui durante la giornata senza avere la preoccupazione di una riunione imminente o un’improvvisa ribellione dei membri facenti parte del Consiglio di corte.
- Sono andato a parlare con Marine e con gli altri meccanici degli  aereo-velivoli in fase sperimentale-.
-Suppongo che lei fosse entusiasta di poter rispolverare i vecchi progetti di Tails- dissi. Lui annuì con risolutezza.
-Sì, decisamente. Le brillavano gli occhi mentre mi spiegava cosa aveva intenzione di costruire. E come per incanto, la sua personalità logorroica si è risvegliata. Era da anni che non sbagliava a pronunciare le parole che diceva in un discorso... sembra che ora abbia ricominciato- mormorò. Io ridacchiai, immaginandomi un genio della meccanica come lei sbagliare alcune semplici definizioni. Gli errori erano per giunta accentuati dalla sua rapida parlantina con quell’accento particolare. ''Oh, Marine...'' sospirai divertita tra me e me
-Cambiando discorso, hai visto Alexis da qualche parte?-domandai. Shadow scosse la testa desolato.
-No. Ma novanta probabilità su cento si è alzato qualche ora prima di noi per evitare che lo fermassimo-. Alzai un sopracciglio e lo guardai corrucciata.
-Che lo fermassimo dal fare cosa?-
Lui ghignò con un lieve accenno di divertimento sulle labbra. -Dal fare quel che diavolo gli viene in mente in quel momento-.
Alzai gli occhi al cielo, massaggiandomi le tempie. -Quel ragazzino mi farà impazzire prima o poi. Ma devo essere sincera: mi piace la sua intraprendenza-.
Shadow rise ironico. -Certo, nel fare solo ed esclusivamente quello che gli piace è intraprendente, giusto- ridacchiò. Parlare di Alexis mi fece venire in mente un altro argomento che in questo periodo mi tormentava. ‘’Althea’’.
-Come starà la nostra principessa?- dissi, aspettandomi una risposta vaga, del tipo: Sono certo che stia bene.
-Althea? Sappiamo di poterci fidare di lei, e siamo entrambi consapevoli che Sonic è un tipo molto aperto. Lo sarà anche davanti alla superbia di nostra figlia. Sono convinto che lei si stia sentendo a suo agio-. 
Tendevamo a comportarci fieramente, a mostrarci indifferenti… ma Althea mancava a tutti e due, ogni giorno, e lo stesso valeva anche da parte del fratello.
La nostra conversazione fu interrotta da un improvviso strillo di una guardia. -Aprite il portone!-
-Non è necessario, passo per l’altro l’ingresso- sentii dire da qualcun altro, e vidi la porticina di mezzo aprirsi. Apparve un ragazzo di circa trent’anni che si inchinò rapidamente.
-Vostra maestà, è appena arrivata una guardia che dice di arrivare da lontano e di dovervi riferire personalmente una notizia importante- ci spiegò.
-Va bene, fatela passare. Accompagnatelo verso la sala del trono. Lo riceveremo subito- disse Shadow.
Lo guardai con una lieve preoccupazione dipinta sul volto. -Cosa può essere successo di così importante?- domandai, più a me stessa che a lui.
-Non sappiamo nemmeno da dove provenga la guardia, se è una dei nostri o di uno stabilimento esterno. È ovvio che lo scopriremo solo quando sarà qui- mormorò in risposta.
Udimmo delle persone che discutevano concitate tra loro. -Aprite il portone!- dissero nuovamente.
-Levatevi di mezzo!- urlò una voce maschile. La stessa porta di prima si aprì di scatto, tanto da sbattere contro la superfice retrostante, producendo un tonfo secco.
-Vostra maestà!- strillò una giovane guardia, probabilmente appena oltre i vent’anni, che corse verso di noi in modo concitato e goffo, quando all’improvviso si fermò, inciampando su sé stesso.
-Vostra maestà- ansimò nuovamente, cercando di riprendere fiato. Aveva gli occhi sbarrati per l’agitazione e il pelo arruffato e piuttosto sporco. Doveva aver affrontato mille insidie per poter raggiungerci fin lì. Parlai io per prima. –Da dove vieni, recluta?-
Alzò con timore gli occhi. -Tempio del blocco delle isole Nord-est, mia regina-.
-È un viaggio lontano. Cosa ti porta qui?-
-A...ancora non posso credere di essere arrivato vivo, sono tre giorni che viaggio… il tempio ha subito un attacco. Non ci sono state vittime o danni ma… hanno rubato la reliquia-. Sentii il sangue defluire dal volto e il cuore perdere un battito.
Shadow si raggelò. -Hanno rubato lo smeraldo?- sussurrò. Era visibilmente spaventato, e potevo capirlo benissimo. I suoi occhi riflettevano quelli di un uomo che, per la prima volta, si trova ad affrontare un nuovo tipo di sfida. Shadow era un Re che fino a quel momento aveva dominato solo in tempo di pace. Qualunque cosa stesse succedendo, dovevamo capire di più. E agire immediatamente. Shadow si sforzò di sbloccarsi dallo shock iniziale, e pose una domanda al messaggero.
-Ci sono degli indizi su chi potrebbe essere stato? Qualsiasi cosa, anche la più elementare-.
-Dardi. C’erano dei dardi soporiferi. Come ho già detto non ci sono state vittime, signore-. Shadow sembrò leggermente sollevato dall’assenza di spargimenti di sangue, ma sapevamo entrambi che tutto quello che era successo era grave, e avrebbe potuto peggiorare di minuto in minuto se non avessimo fatto qualcosa.
Shadow inspirò profondamente, cercando di mantenere il controllo. -Guardie! Portate questo ragazzo in infermeria e dategli qualcosa da mangiare. Sei congedato-ordinò.
-Grazie, sua maestà-.
Vidi Shadow avvicinarsi al suo trono, e sedercisi sopra lasciandosi cadere pesantemente. Si mise una mano in fronte per poi stropicciarsi gli occhi.
-Shadow…- sussurrai con un fil di voce.
-Convochiamo il Consiglio. Immediatamente-. 

***
???
-Basta! Vi prego, basta!- singhiozzai, coprendomi il volto con le mani per cercare di difendermi dai calci e dai pugni che stavo ricevendo. I bambini intorno a me ridevano, godendosi pienamente la scena patetica davanti ai loro occhi.
-Per favore, lasciatemi stare!- urlai, sperando che qualcuno mi sentisse. Uno dei cinque ragazzi, un gatto dalla pelliccia marrone scuro e rada mi spintonò, facendomi cadere su un mucchio di sacchi della spazzatura ammucchiati a  terra.
-Perché? Ci stiamo divertendo così tanto noi due…- mormorò. Mi tirò le penne sulla testa, costringendomi a guardarlo. -Non è vero?-
Singhiozzai forte, cercando di non pensare a tutto quello che stava succedendo... di nuovo. Mi rannicchiai a terra, coprendomi la testa e serrando gli occhi. -Ma che fai?- ridacchiò il gatto, soddisfatto della mia sottomissione.
-Ehilà? C’è qualcuno?- sentii dire. Ma non era uno dei bulli che mi stavano picchiando in quel momento. Nel vicolo in cui stava accadendo il tutto, risuonarono dei passi che si avvicinavano, lenti ma sicuri. Si fermarono all’improvviso.
-Cosa state facendo?- ringhiò lo sconosciuto.
-Vattene moccioso- sputò il ragazzo che torreggiava su di me.
-Moccioso?! Come osi!-urlò il nuovo arrivato in preda ad una furia cieca, e potei percepire dai suoi passi che iniziò a correre verso di loro. Aprii per un secondo le palpebre e notai che il bambino attaccò subito il più massiccio tra i ragazzi presenti. Mi ricoprii subito gli occhi. Ero terrorizzato all’idea che si stessero solo contendendo la preda tra loro, quindi cercai di non pensare affatto. Era buio tanto davanti ai miei occhi quanto nella mia testa. E in quel buio riecheggiavano i colpi che si stavano dando in quel momento i ragazzini davanti a me. A un certo punto riaprii nuovamente gli occhi, e vidi il nuovo arrivato messo al muro dal mio aggressore. Nonostante questo, il bambino non sembrava spaventato. Guardò il suo avversario con aria spavalda e gli disse qualcosa.
-Di’ la verità, i tuoi genitori ti picchiano quando arrivi a casa, non è vero? Quasi quasi li capisco-. Gli sputò in faccia e lo colpiì immediatamente con una testata, e io serrai immediatamente le palpebre, per poi sentire quei ragazzini che mi avevano attaccato poco prima mentre esprimevano il loro terrore.
-Che gli succede?! Ha preso fuoco!- urlò uno di loro. Sentii la temperatura aumentare, e avvertivo uno strano sfarfallio davanti agli occhi.
-Andate via!- gridò. E la situazione sembrò calmarsi. Avvertii dei passi avvicinarmisi molto lentamente.
-Ehi, se ne sono andati-. Non capii subito cosa stesse succedendo. Ma… mi sembra di ricordare che lui cominciò a darmi dei calcetti leggeri sulle braccia.
-Ehi, specie di... feto. Puoi rialzarti, forza-. Aprii lentamente gli occhi, e vidi degli stivaletti neri adornati da fiamme gialle. Alzai gli occhi e mi prese un colpo. Quello che mi si parava davanti era uno strano bambino dagli occhi di due colori diversi, completamente ricoperto di fiamme. Cominciai a gridare senza controllo e strisciai all’indietro, preso dal panico.
-Ehiehiehi, stai calmo! Che diavolo ti prende?- mi domandò, sorpreso. Raggiunsi la fine del vicolo, ma ero talmente preso dal panico che continuai a strisciare ancora per qualche momento.
-Diamine, stai calmo, non puoi strisciare oltre il muro. Ho appena impedito che ti cambiassero i connotati. Gratis per giunta. Si può sapere che ti prende?- Gesticolando, alzò la mano, ancora in fiamme e girò lo sguardo verso di essa.
-Oh, ora ho capito. Scusa, a volte tendo a dimenticarmene-. Fece un breve sospiro e le fiamme intorno a lui si diradarono molto velocemente, fatta eccezione per qualche fiammella sulla sua testa che spense prontamente scompigliandosi le spine.
Lui sorrise. -Visto? Non sono uno spirito infernale. Ora posso aiutarti ad alzarti-. Ero più tranquillo, ma sempre piuttosto incredulo.
Lui sospirò snervato. -Non sei un tipo che parla molto, vero?-
Deglutii a fatica, cercando di fissarlo negli occhi. -…Che cosa sei?- chiesi.
-Una persona molto speciale. E c’è qualcuno a casa che mi chiama scherzo della natura. Però il mio nome è Alexis. E tu come ti chiami?- Mi porse la mano, ma avevo paura a stringergliela per il timore che scottasse o che riprendesse di nuovo fuoco. Si sporse leggermente verso di me, sussurrandomi qualcosa con un sorriso stampato in faccia.
-Di solito a questo punto mi dovresti dire il tuo nome-.
Presi coraggio e gli afferrai la mano con forza. -Galis-.
 

***
Alexis
Una giornata stupenda per ciondolare. Non lo facevo spesso, quindi valeva la pena approfittarne quando potevo.
-Non fare rumore…- sussurrai a Galis, mentre ci nascondevamo in un cespuglietto nel bosco ad osservare un branco di Dromidi.
-Lo sai che finirà male, non è vero?- mormorò insicuro.
Io ghignai. -È quella la parte migliore…- Il giovane pappagallo dalle piume candide e bianche mi osservò con i suoi occhi di un azzurro ghiaccio, scuotendo rassegnato la testa.
-Non c’è nulla di più pericoloso di un branco di quegli uccellacci arrabbiati- borbottò.
-In teoria anche tu sei un uccello, quindi ti sei appena reso colpevole di aver alzato un offesa alla tua etnia. E comunque sì, è pericoloso e divertente- risposi. Galis fece una smorfia di insicurezza mista a puro terrore. Guardai molto attentamente il mucchio di foglie secche che avevamo accumulato e compattato poco prima.
Preparai il pollice e il medio. Avevo gli occhi fissi al centro di quel branco, e schioccai le dita. Il mucchio di foglie esplose, con scintille che si sparsero ovunque, spaventando quel branco di animali. Alcuni di loro scivolarono sul posto e cominciarono a correre da tutte le parti. Purtroppo ci sono rischi nel fare queste cose, e uno di loro travolse il cespuglio in cui eravamo nascosti, sbalzandoci qualche metro lontano da esso e scivolando proprio in mezzo a noi, raschiando sul terreno.
Dopo esserci ripresi un attimo dalla botta cominciammo a ridere entrambi sonoramente, mentre quel grosso rapace si rialzava, allontanandosi il più possibile con la sua goffa andatura.
Mi misi una mano sulla pancia cercando di placare le risate. -Smettila di ridere… è finita male- ansimai, cercando di riprendere fiato.
-Sì sua maestà. Ok, il momento alto della giornata è passato. Che si fa ora?- mi chiese Galis in tono ironico.
-Il tuo momento alto è finito, il mio deve ancora iniziare. Devo dare un’occhiata alle scartoffie oggi- ghignai.
Lui scosse con noncuranza le spalle. -Non sei l’unico. Marine ha chiesto il mio aiuto per questo pomeriggio-.
-Nel tuo giorno libero?-
-Nei miei giorni liberi. Mi ha chiamato anche per domani, e non posso ritardare, quindi torniamo a casa-.
 Io annuii, alzandomi dal suolo e porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. Ci incamminammo quindi per la strada di ritorno verso Flaritas.
Galis era un tipo che sapeva intrattenere. Gradevole con chiunque, caparbio, educato, molto intelligente. Non c’era una persona che stando vicino a lui, non importava quanto, non si sarebbe divertito. Era il primo ed unico erede di una famiglia medio-borghese che si occupava della produzione di stoffe. La stessa famiglia reale, da varie generazioni, acquistava i loro prodotti in massa. Attualmente la Società di famiglia nuotava in cattive acque, soprattutto a seguito del fatto che la Famiglia reale aveva tagliato gli acquisti da un po’, sia per concentrarsi su affari di stato, sia per il recente aumento della tassazione imposta ai sudditi. Non si voglia mai che il popolo sia infastidito nel vedere i loro signori fare grandi acquisti mentre loro devono tirare la cinghia. Risultato: le vendite e la qualità della stoffa crollarono.
E Galis ebbe l’esigenza di trovarsi un lavoro per aiutare la famiglia ad arrivare alla fine del mese. Così, all’età di circa dodici anni, implorò Marine di permettergli di lavorare con lei, sostenendo di poterle essere di aiuto in laboratorio. E Marine accettò. Così Galis diventò suo apprendista, e contemporaneamente studiando da autodidatta, appassionandosi particolarmente alla storia e alle lingue antiche e imparando inoltre meccanica e ingegneria. Aveva solo un unico difetto: non aveva mai imparato a combattere da solo le proprie battaglie.
E non era bravo a trattare con le ragazze, tra i dettagli.
-Oggi passerò la giornata in officina. Domani credo che riuscirò a fare un salto in biblioteca- spiegò Galis. Alzai lo sguardo, e notai che oramai eravamo arrivati davanti a casa sua. Strano. Non me n’ero neanche accorto.
-Ok. A domani allora-. Gli feci un cenno con la testa, salutandolo, e mi avviai per la strada verso il castello.
Non ci volle molto per attraversare la ormai crepuscolare città e tornare a casa. Non avevo ancora visto i miei genitori quel giorno, e mi chiedevo come stessero. Ordinai di aprire le porte, e le guardie, come sempre con riverenza, mi fecero entrare. Una volta dentro, tenendo alto il portamento e camminando con fare deciso, mi mossi in direzione opposta alle persone che attraversavano il vasto corridoio centrale.
Ero diretto alle mie stanze, pronto per qualche ora di studio intenso. Mentre marciavo con passo spedito, incrociai lo sguardo di due avvenenti fanciulle. Loro ricambiarono la mia occhiata, lanciandomi dei sorrisi maliziosi. Erano probabilmente le figlie di qualche nobile di corte, visto il  loro modo di comportarsi. Heh, la mia tipica routine. Mi succedeva spesso di ricevere tali ammiccamenti dal gentil sesso. Strano… non ero una così brava persona, dopo tutto. Ma forse le nobildonne non guardano queste cose. Entrai nella mia stanza, e subito notai l’enorme cumolo di libri ammucchiati sul letto e sulla scrivania. Mi sedetti davanti a quest’ultima, afferrando il manoscritto che avevo iniziato a sfogliare qualche giorno prima e cominciando a leggerlo.
’Leggere? Per imparare cosa? I compiti di un re? Quello che non potrai diventare? Te lo ricordi… vero?’’
Era quello il nocciolo della questione: cosa volevo diventare e quello che non potevo essere. Potevo avere tutto… ma per quanto lo avessi voluto, non sarei mai asceso al trono. E la cosa mi faceva infuriare.
Mia sorella aveva il privilegio di poter diventare sovrana dell’intero regno… eppure non era felice. Anzi, odiava il fatto di dover diventare una regina. Lo capivo dal modo in cui si irrigidiva quando si parlava si successione, di governare… e dalla paura che le si leggeva nello sguardo quando si nominava la sua Incoronazione imminente.    
Ma nonostante fossi a conoscenza del suo odio per quel ruolo, ero invidioso. E arrabbiato. A lei non gliene importava nulla di diventare regina, mentre io avrei dato qualsiasi cosa pur di essere al suo posto. Ma la mia rabbia celata non era rivolta solo verso di lei. Anche i miei genitori erano compresi nel pacchetto. Cosa avevano fatto finora oltre che rispettare per filo e per segno le tradizioni?

E per sfogare la tensione usavo qualsiasi cosa a mia disposizione: lo studio, le ragazze, combattere… oh, sì. Combattere. Il migliore antistress che esista. Cosa c’è di meglio di cogliere di sorpresa qualche gruppetto di ladri e banditi, o ancora meglio, di pirati, e massacrarli uno ad uno? Lanciare i propri uomini all’attacco e confondersi nella mischia. Gli zampilli delle mie fiamme che volteggiano ovunque e le urla dei miei avversari mentre ne vengono avvolti, il suono delle spade che si colpiscono, il sangue che si sparge nel campo di battaglia, non importa se nemico o amico, il calore che si espande ovunque… lì sono davvero un re. Ma un re non può solo uccidere per essere considerato tale. Quelli sono gli assassini.
E per quello che mi riguarda, questo è tutto ciò a cui posso aspirare.
Se la mia ira è destinata a permanere, i miei avversari bruceranno con essa.
Sempre. 

***  
Amethist
Atterrai con grazia sul pavimento del negozio, non emettendo alcun suono.  Lasciai socchiusa la finestra del negozio in cui mi ero appena intrufolata, avviandomi nella stanza principale della gioielleria. ‘’Perfetto’’.
Appena varcai la soglia della porta, mi apparvero davanti decine di vetrine contenenti gioielli di tutti i tipi. Sorrisi lascivamente, mentre mi incamminavo cautamente verso una di queste. La luce lunare rimbalzava contro le miriadi di pietre preziose del negozio riflettendosi sulle pareti circostanti.
Mi avvicinai rapidamente, ma cautamente, ad una delle vetrine contenente il diamante più grosso e bello tra i presenti, chinandomi e preparandomi ad alzare il doppio vetro. Un improvviso trillo acuto mi colpì i timpani, facendomi balzare il cuore. Tutte le vie d’uscita furono serrate improvvisamente da delle sbarre di sicurezza.
’No!’’ urlai nella mia mente. Tirai un calcio alle sbarre, sapendo perfettamente che non avrebbe sortito alcun effetto. Corsi velocemente verso la finestra da cui ero entrata, ma ritrovai anche questa bloccata.
-Stiamo scherzando?!- E poi l’improvviso suono delle sirene della Polizia si fece strada nelle mie orecchie…
Poco dopo, mentre mi trovavo nella cella del penitenziario, ciondolavo e tentavo di combattere la noia mentre aspettavo. 
-Vedo che hai fatto progressi, Amethist- mi disse il commissario, appena tornato da un’indagine importante svolta nel Nord-Est di Mobius. -Non eri ancora arrivata al punto di rimuovere il vetro senza far scattare qualcosa.- ridacchiò con tono di superiorità e saccenza.
-Lei è un vero gentiluomo, Osman. Com’è andato il lavoro per cui è stato via per giorni?-
-Heh, ti ricordo che sei una ladra, non dovresti avere tutta questa confidenza con noi- rispose freddamente.
-Al contrario: nessuno, più di me, dovrebbe conoscere un uomo di legge da vicino-. Mi guardò male dopo che ebbi finito la frase.
-Ohh, la prego…- mormorai, facendo gli occhi da triglia. Lui si gratto la testa, scocciato.  
-Beh… diciamo che è successo qualcosa di preoccupante, e che qualcuno di molto importante, di conseguenza si è preoccupato-.
-Così preoccupato da richiamare il commissario dalla sperduta Sea’s Jewel Town per investigare?-
-ORA stai scavando troppo a fondo. Comunque, non ero l’unico laggiù. Era pieno di investigatori provenienti da ogni parte di Mobius-. La conversazione si concluse quando sentimmo il campanello suonare, poiché sapevo esattamente chi era arrivato.

***
Guardai il paesaggio scorrere davanti ai miei occhi, mentre l’auto di mia madre avanzava velocemente sulle strade.
-È la terza volta questo mese. Devi smetterla. Spendiamo di più per pagarti la cauzione che per mantenerti- ringhiò inviperita mamma. -Se credi che continueremo così per sempre, ti sbagli. In più non hai ancora la più pallida idea si cosa vorrai fare in futuro. Hai quasi diciott’anni, mi sembra ora di darsi una mossa- continuò. Sospirai frustrata, non degnando di uno sguardo le figure dei miei genitori nei sedili davanti. Mamma mi guardava occasionalmente dagli specchietti retrovisori, per poi riportare lo sguardo sulla strada e continuando a guidare.
-Gradirei una risposta- sputò lei. La guardai con rabbia.
-Vuoi una risposta? Va bene. Chi sei tu per poter giudicare quello che faccio? Mia madre è stata la ladra più abile degli ultimi cinquant’anni, e hai il coraggio di criticare me?- dissi, la voce cupa per la rabbia.
Rouge ridacchiò sarcastica. -Abile, hai detto bene-.
Papà fece una smorfia con il viso. -Questa era crudele- mormorò. Serrai i pugni, cercando di ignorare i loro commenti.
-Non ho intenzione di continuare questa conversazione- sibilai, incrociando le braccia e riportando lo sguardo sul paesaggio. 

***
Osservai l’immensità del cielo notturno, puntellato di stelle. Appoggiai il volto tra le mani, seduta a gambe incrociate al limite di una delle scogliere di Angel Island.
I miei genitori non riuscivano a capirmi. Nessuno lo faceva pienamente. Ero sempre stata indecisa su quello che avrei voluto fare nel futuro. Mio padre mi spingeva nella direzione per diventare la nuova guardiana del Master Emerald, mentre io… apprezzavo anche il lavoro di ladra, ecco. Ero divisa tra due fuochi, completamente terrorizzata da quello che mi avrebbe riservato il futuro se non avessi fatto una scelta.
Era come se mi sentissi sola, abbandonata, lasciata a vivere autonomamente la mia vita anche se non avevo la minima idea di come fare.  Volevo avere una guida, qualcuno che scegliesse al posto mio la direzione giusta da seguire. Da anni desideravo l’esistenza di un potere superiore che guidasse le nostre volontà e decisioni, così nessuno sarebbe stato responsabile di ciò che avrebbe commesso, e io avrei trovato la pace. Ma se così non fosse stato? Se davvero noi fossimo i soli artefici della nostra sorte? Avevo paura delle conseguenze delle mie scelte. Diventare una guardiana per proteggere l’equilibrio a costo della mia libertà. Diventare una ladra, per scegliere la direzione da intraprendere ogni secondo della mia vita, lasciando incustodito un potere in grado di mettere in pericolo ciò che amo. Che senso ha essere liberi se poi il futuro ti riserva solo rimorso?
Le mie riflessioni furono interrotte da una strana luce rossiccia sul mare. Corrucciai le sopracciglia, sporgendomi dalla scogliera e cercando di capire cosa fosse. Potevo intravedere una strana, enorme sagoma che ondeggiava sulle onde. ‘’Ok. Questo è strano.’’ Provai una profonda curiosità per quello che avevo appena visto. Mi guardai intorno, cercando di capire se i miei genitori fossero nei paraggi. Probabilmente erano andati a dormire.
Sentii sorgere un sorriso sbarazzino sulle labbra mentre mettevo una gamba nel vuoto, pronta a saltare. ‘’È tempo di divertirsi.’’ 

*** 
Ero in volo ormai da una ventina di minuti, mentre solcavo i cieli notturni nei paraggi di Angel Island, belli ma inquietanti nella loro vastità.
Man mano che mi avvicinavo, notavo che la sempre più chiara sagoma era quella di una grossa nave, la cui verniciatura rossa scura le permetteva stranamente di mimetizzarsi con il mare ed i cieli notturni… peccato per la presenza di una luce lampeggiante che mi aveva permesso di notarla.
Una volta sopra ad essa, abbassai sempre di più la quota di volo, fino ad atterrare sull’ampio ponte di camminamento. Mi guardai incuriosita intorno, cercando la presenza di qualcuno nei paraggi. Non c’era l’ombra di nessuno in vista, ma optai per mantenere comunque un basso profilo e di trovare in fretta un nascondiglio.

La nave sembrava come inattiva, in balia delle onde, quasi come se fosse stata abbandonata. La visione mi inquietava: ero sul ponte di una nave potenzialmente abitata da sconosciuti, circondata dal buio della notte e dal mare, in cui il riflesso nero del cielo si estendeva all’infinito. Notai, una decina di metri davanti a me, una cabina con una porta di legno massiccio, e decisi che quella mi avrebbe fatto da ingresso. Di solito non era nel mio stile entrare dalla porta principale, ma la situazione era particolare, e richiedeva misure particolari. Davanti  all'entrata, mi abbassai per controllare dalla serratura se ci fosse qualcuno, ma le mie paure si rivelarono infondate. Girai il pomello dorato, che contro ogni mia previsione, mi rivelò che non era stata chiusa a chiave. Entrai molto cautamente. Davanti a me vi era solo una rampa di scale schiacciata da due strette pareti, i cui muri cominciavano a perdere la vernice bianca, rivelandone l’intonaco. Il tutto era illuminato  da una serie di applique situate ai lati del muro.
Una volta scesa e arrivata in un corridoio discretamente largo, notai che i muri, tappezzati di uno strano giallo senape e anch’essi illuminati da luci artificiali, erano in perfetto stato al contrario di quelli della scalinata. segno che la nave poteva non essere disabitata, a dispetto di ciò che pensavo. Non sentivo vibrazioni o dondolii di alcun genere, quindi dedussi che la nave era ferma, per qualche motivo a  me sconosciuto. La curiosità di scoprire qualcosa in più di quel posto era mitigata dal mio terrore di essere scoperta, anche perché stavolta non credo che sarebbe semplicemente arrivata la polizia ad arrestarmi. Mi muovevo con cautela, attenta a non destare sospetti o provocare rumori. Nel corso della sua lunghezza, ai lati del corridoio erano presenti varie porte che destarono il mio interesse.

Mi accertai, come avevo fatto poco prima, che non ci fosse nessuno dall’altra parte della soglia, controllando dalla serratura. Ruotai il pomello della prima porta, notando con stupore che era aperta, evitandomi il lavoro di scassinarla con il mio grimaldello. La stanza in cui entrai era vasta, ma piena di scatole di legno e sacchi, rendendo quel posto quasi un labirinto. Le scatole erano chiuse ermeticamente, rendendomi impossibile controllarle senza doverle distruggere. Adocchiai i sacchi, ci infilai una mano dentro e ne tirai fuori una manciata di quelli che sembravano  fagioli. Ero evidentemente penetrata nella stanza delle provviste. Quei legumi erano freschi, presi da poco, quindi era praticamente certo che quella nave non fosse abbandonata. ‘’Oppure è successo qualcosa di strano.’’ Pessima notizia.
Uscii rapidamente dalla stanza, dirigendomi verso una delle altre porte. Questa volta, il luogo in cui entrai era una larga sala, anche questa con numerosi sacchi sparsi per tutto il pavimento. Appoggiati su delle mensole, si trovavano numerosi cofanetti di vari colori. Ne aprii lentamente uno, e sussultai. Era pieno di pietre preziose di ogni tipo. Ne aprii un altro, trovandoci dentro delle perle.
‘’Oh mio Dio… trattieniti Amethist. Non cedere alla tentazione.’’ In che diavolo di posto ero finita? Cercai di distogliere la mia attenzione da quelle dannatamente allettanti scatoline, aprendo uno dei sacchi.
-Non… è… possibile…- sussurrai incredula. –È stracolmo di ring…-
Mi sentii tremare le gambe per l’emozione, ma decisi che sarebbe stato molto meglio se me ne fossi andata via da quella camera. Immediatamente. Uscii e mi richiusi delicatamente la porta dietro le spalle. Una volta fuori da quella che poteva benissimo essere una sala del tesoro, e mentre mi accingevo ad entrare in un’altra stanza ignorando l’emozione che stava cominciando a prevalere sulla mia curiosità, notai sul muro alla fine del disimpegno quella che sembrava una tavola da surf. Aumentai il passo, decidendo che quella sarebbe stata la mia ultima scoperta della serata prima di darmela a gambe. Ero stata già abbastanza fortunata.
Da vicino, il mio sospetto  fu confermato: erano proprio tavole da surf, disposte in riga, tutte di colori diversi, che andavano dal giallo al rosso, e dal bianco al nero. Però erano strane. Quando ne presi una viola in mano, la girai dal verso opposto, e notai che sembrava avere incorporata una specie di marchingegno simile ad un propulsore proprio sotto di essa. Poi qualcosa mi spaventò: il rumore di passi che si avvicinavano dalla direzione opposta rispetto a quella in cui ero arrivata. Se fossi restata lì mi avrebbero notato subito. Feci per rimettere subito la tavola al suo posto, quando, per la fretta, questa mi cadde per terra, facendo un gran rumore. I passi, da lenti, si fecero molto rapidi, segno evidente che mi avevano sentita. La raccolsi, ma notai con spavento che era cambiata. Il congegno sotto la tavola si era illuminato di una strana luce azzurrina, emettendo inoltre un forte suono, simile a quello di un motore che si accende. ‘’Oh, andiamo!’’
Pestai la tavola con violenza, cercando di far cessare quel rumore assordante.
-Chi è là?!- urlò una voce molto scura e roca. Mi sentii prendere dal panico mentre contemporaneamente continuavo a colpire con i piedi quella sottospecie di skateboard.
-Andiamo!- ringhiai, dando un ultimo e potente colpo. La tavola schizzò in avanti all’improvviso, con il mio piede ancora sopra di lei. Iniziò a trascinarmi con lei ad una velocità inaudita. Mi fece sbilanciare, e istintivamente mi venne di afferrarla con le mani. Ero aggrappata ad un oggetto del quale non conoscevo il funzionamento, che correva con una rapidità spaventosa. Cercai con fatica di arrampicarmi su di essa, provando in ogni modo a non lasciare la presa. Una volta in piedi sopra quell’aggeggio, riuscii a stento a mantenere l’equilibrio. Ma se cadevo sarei stata in balia del mio inseguitore, quindi dovevo resistere. La mia intenzione era ostacolata dalla forma del corridoio, lunga e molto irregolare, che mi costringeva a cambiare spesso direzione. Sembrava quasi che la tavola fluttuasse circa ad un metro di altezza rispetto al pavimento. Inaspettatamente, me la cavavo piuttosto bene, tanto che quando ripresi la calma, mi girai velocemente per controllare la situazione dietro di me. Non vidi nessuno. Purtroppo non notai che il corridoio davanti a me era terminato, parandomi davanti uno spesso muro. Non feci in tempo a cambiare direzione, e sbattei violentemente contro la parete, cadendo dal mio mezzo di salvezza e crollando pesantemente sul pavimento.

Mi massaggiai la testa dolorante, sedendomi a fatica con la schiena contro il muro. ‘’Dove sono finita?’’
-Cosa sta succedendo?!- sentii strillare. Alla fine del corridoio apparve una figura alta e snella.
-Cosa…- mormorò, avvicinandosi a passo svelto verso di me. Soltanto quando mi fu più vicina notai che era una rondine di un viola scuro. Indossava una canottiera bianca e dei pantaloni attillati dello stesso colore. In testa portava degli occhiali da sole arancioni. Volse una veloce occhiata alla tavola di fianco a me, prima di guardarmi minacciosa e di afferrarmi per le spine della testa, costringendomi ad alzarmi.
-Tu, vieni con me- ringhiò infuriata.
-Lasciami! Chi ti credi di essere?!- urlai. Mi trascinò con rudezza per alcuni minuti, e se osavo rallentare il passo lei mi strattonava i capelli. Ci fermammo improvvisamente davanti a una porta, stranamente isolata dalle altre.
-Jet!- urlò la rondine irrompendo nella stanza. Per colpa della sua mano che mi teneva per i capelli tenetti per la maggior parte del tempo la testa abbassata, ma nei pochi attimi in cui riuscii a controllare la situazione vidi un grosso volatile grigio accanto ad una scrivania, dietro alla quale era seduto qualcuno che non riuscì a riconoscere, visto che la sedia era girata verso la grossa vetrata che dava all’esterno. La stanza era ben addobbata, e sopra la scrivania, attaccato alla parete, c’era un affresco ritraente uno strano individuo, forse un falco. –Uff… che succede Wave?-
-Abbiamo un problema-.
-Wave… lo sai che questa è l’ora di siesta del capitano. Ho guardato scartoffie tutto il giorno...- le rispose una voce scura ed annoiata
-Nascondendoci dentro quale fumetto?- ringhiò la donna.  
-Dio… Storm, diglielo tu che non voglio problemi-.
-Il capo non vuole problemi- disse quello che sembrava il suo aiutante. –Grazie, Storm.- Rispose nuovamente quello che probabilmente  era il leader.
Sentii una stretta molto più decisa sui miei capelli da parte della rondine. -Storm, di' al capo che abbiamo un intruso-.
-Capo, abbiamo un in… come?-
La sedia si girò velocemente quando il tizio non troppo sveglio si interruppe. Dei passi si avvicinarono lentamente a me. Alzai lo sguardo, titubante. Un falco alto e dalle piume verdi mi fissava stoico. Uno dei suoi occhi era completamente bianco, attraversato da un’evidente cicatrice.
-E chi sarebbe questo ‘’intruso’’?- chiese lui ironico, avvicinando di colpo il volto a me e scrutandomi divertito.
-Non ne ho idea. Ma stava rubando i nuovi Gear- rispose lei.
Sbarrai gli occhi. -Cosa?! Io non volevo rubare niente! E poi non ho la più pallida idea di quello di cui state parlando!-
-E ne ha distrutta una- continuò Miss ”mi piace tirarti per i capelli”.
Il falco sospiro pesantemente, scuotendo esasperato la testa. -Quale?-
-Quella con il  nuovo prototipo del propulsore a cuscino d’aria-.
Quello strano uomo si prese la testa fra le mani. –No, quella no! Avevo appena comprato degli adesivi per decorarla!- mormorò disperato.
Osservai per qualche momento quel trio prima di prendere parola. –Non sono venuta qui per rubare,- dissi con un filo di voce. –Ero soltanto incuriosita dalla luce che avevo visto in lontananza. Voglio solamente tornare a casa-.
Il falco sembrò calmarsi, e mi guardò divertito. ‘’Oh, non ti preoccupare.’’
-Ci tornerai,- affermò. –ma solo quando i tuoi genitori avranno pagato un riscatto tale da ripagare l’equivalente di cinque o sei modelli di quella tavola che hai distrutto-. Ghignò. –Spero che tu sia di buona famiglia-.
Sentii un brivido attraversarmi la spina dorsale. ‘’Perfetto. Sono fregata.’’
Il volatile verde tornò a sedersi alla sua scrivania, posandoci le gambe sopra, aprendo un cassetto e prendendo un sigaro, che si mise subito in bocca. –Wave…- mormorò, per poi sporgere la testa verso il suo assistente, che subito prese un accendino e glielo accese. Sputò fuori una nuvola di fumo.
-…Accompagnala nella stanza degli ospiti. Credo che rimarrà con noi per un po’ di tempo-.

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Capitolo 17
*** Linee di Confine ***


Linee di confine Eggman
Scrutai per la milionesima volta le stesse immagini che osservavo praticamente ogni giorno. Quello stile di combattimento, quella potenza, tutta quell’incredibile forza distruttiva incanalata in una singola ragazza…
-Sta studiando i movimenti del nostro nemico, Dottore?- mi chiese Orbot. Annuii lentamente, non prestandogli molta attenzione.
-Come al solito Sonic, immagino- mormorò.
-Ma cosa stai dicendo?- borbottò Cubot, apparso magicamente al fianco dell’altro robot. -Si vede chiaramente che non è lui. La differenza è evidente-. Orbot gli rivolse un’occhiata scettica.
-Sarebbe?-
-Sonic non indossa il gilet-.
Orbot scosse esasperato la testa.
-Chiudete la bocca entrambi!- sibilai, scoccandogli un avvertimento con lo sguardo. -Non sto osservando Sonic. Men che meno Dash-. Mi sporsi verso l’enorme schermata del computer, indicando la gatta dagli occhi rossi che si muoveva velocemente sul campo di battaglia, scappando insieme a Dash dall’orda di Badnik che li stava inseguendo. -Ma lei sì-.
Orbot strinse gli occhi. -La mezza gatta?-
-Esatto. Ha un potere a dir poco spaventoso- dissi. -A quanto pare ha ereditato le parti migliori dei suoi genitori…-
Cubot mi guardò inquietato. -Crede che potrebbe essere un problema per il funzionamento del piano?-
-Forse. Dipende tutto da come giochiamo le nostre carte. Potrebbe essere la nostra migliore amica… o la nostra peggior nemica-.
 Cambiai l’inquadratura, sostituendola con un’immagine che mostrava Althea nell’intento di colpire un Badnik con una palla di fuoco.
-Ho notato che i suoi poteri sono molto instabili. Penso che se in qualche modo riuscissimo a spingerla al limite del loro controllo, potrebbero diventare un' ottima arma di distruzione di massa- affermai. -È solo un’ipotesi, ma credo che se sprigionassimo il massimo delle sue potenzialità in una sola volta, si creerebbe un esplosione così potente in grado di coinvolgere ogni cosa nel raggio di qualche centinaio di chilometri-.
Orbot fischiò, stupito. -Impressionante-.
-Comunque non sono affari vostri- ringhiai, disattivando il video e le immagini che stavano scorrendo sui monitor. -In che condizioni siamo con le Riserve?- chiesi in un ringhio scuro.
Cubot lesse attentamente un documento che si era portato dietro. -Rimangono esattamente 5683 abitanti delle valli non ancora trasformati. Possiamo infoltire ancora un po’ l’esercito, Dottore-.
-E a che punto sono le unità di ricerca?-
-Oggi hanno catturato diverse centinaia di Flickies e altre varietà di animali, ma Green Hill comincia ad avere sempre meno risorse- disse.
-Dovremmo iniziare ad espandere le nostre zone di ricerca- proruppe Orbot.
Gli feci un cenno con la testa, accettando la sua proposta. -E come procede il ‘’Progetto Perdono ’’?- chiesi. I due robot si lanciarono un’occhiata. -Il soggetto non ha ancora dato prova delle sue complete potenzialità. Per ora si è solo limitato a girovagare per varie parti del mondo, escludendo tutte le zone comprendenti aree urbane maggiori, o sorvegliate dalle truppe dell’esercito o della G.U.N - disse Cubot.
-Ottimo. Proprio come volevo- ghignai.
-Però,- mi interruppe Orbot -deve sapere che è stato rilevato molto vicino alle aree di confine delle Green Hill. Di questo passo potrebbe incappare nelle zone di corsa del porcospino e della sua famiglia. Dobbiamo impartirgli l’ordine di cambiare zona per le sue scampagnate?-
Corrucciai le sopracciglia, fissandoli entrambi con aria truce.
-No. Lasciatelo fare.-
Orbot mi guardò, incuriosito dalla mia decisione. -Ha in mente qualcosa, signore?-
-Era da un po’ di tempo che volevo testare gli strumenti a mia disposizione, e quest’occasione è perfetta, soprattutto perché siamo in attesa che le truppe siano organizzate per il secondo attacco alle basi-. 
-Vuole che gli ordiniamo di catturare la ragazza?-
-No. Rischieremmo solo di attirare l’attenzione dei nostri nemici verso il mio covo di fortuna. È già un miracolo se fino ad ora siamo riusciti a nasconderci a sguardi indiscreti. Tra l’altro, attireremmo le ire sia della famiglia di Sonic che di quella della ragazza. Non siamo ancora pronti per un approccio così diretto, ci distruggerebbero-.
Cubot allora intervenne. -Allora cos’ha in mente?- Sulla mia faccia comparve un largo ghigno. Non riuscivo a trattenere un radioso sorriso. I miei denti riflettevano la luce emessa dai computer. -Fare un investimento per la nostra causa. Fateli interagire e vediamo cosa accade. Se vinciamo, elimineremo dei nemici. Se perdiamo, allora saprò qualcosa in più su di loro-.
-Oppure non succederà nulla…- borbottò Orbot, disilluso, quasi implicando un inevitabile fallimento dovuto ad un imprevisto.
L’unico motivo per cui tenevo ancora attivi quei due era perché mi fidavo  di loro, e perché loro avevano bisogno di me. Non mi avrebbero tradito facilmente.
-Comunque sia, per ora…lasciate scorrere gli eventi-.
***
Dash
Era ovvio che la giornata fosse iniziata fin troppo tranquillamente per poter continuare così.
-‘’Vado a farmi un giro qui vicino ’’ aveva detto lei- ringhiai sotto il mio respiro. -‘’Torno tra un po’. Non aspettatemi per pranzo ’’. Crede davvero che mia madre ci faccia pranzare senza di lei?!- borbottai tra me e me. Rallentai la mia camminata, cercando di non farmi notare.
‘‘Dove stai andando?’’ mi chiesi, osservando Althea mentre marciava a passo spedito verso una direzione che portava chissà dove, come se avesse scelto il luogo in cui andare in  modo completamente casuale. Aveva addirittura attivato i pattini ad alta velocità per arrivare fin qui. Ed è particolarmente difficile seguire una persona a velocità supersonica senza farsi scoprire. C’è sempre il rischio di frantumare il muro del suono.
La cosa strana era che si stava dirigendo proprio al bosco di confine, rendendomi difficile comprendere le sue vere intenzioni. Voleva forse andarsene? Dovevo seguirla  per scoprirlo.
-So che sei tu. Vieni fuori- disse alzando la voce. Piano B.
-Ok, come diavolo facevi a saperlo?-
-Sapevo di essere seguita. Ma da chi, me l’hai detto tu adesso- disse, voltandosi verso di me, socchiudendo gli occhi, mostrandomi il suo sgargiante, ma allo stesso tempo ironico sorriso di vittoria e gesticolando con la mano destra. Si rigirò subito dopo, proseguendo per la sua strada.
-A-a-ah!- esclamai, parandomi davanti a lei e fermandola. -Credevo che dopo averti trovata, la questione sarebbe finita con un ‘’Torniamo pacificamente a casa’’, non con un ‘’Freghiamocene completamente e continuiamo per la nostra strada‘’- dissi. Lei alzò un sopracciglio.
-Levati di mezzo, ho da fare- ringhiò scostandomi bruscamente con un braccio. La guardai stizzito.
-Mio padre ci ha vietato di allontanarci troppo da casa-.
-Non dimenticarti del perché mi ospitate. Non posso passare tutte le mie giornate relegata in casa o andando in giro a svagarmi. Per avere il pieno controllo dei miei poteri devo allenarmi- sibilò scocciata, le labbra strette in una linea dura e sottile.
Mi parai di nuovo dinnanzi a lei. -E perché proprio in una foresta?-
Lei si strinse nelle spalle. -Beh, forse essere circondata da cose che si incendiano con facilità sarebbe un incentivo per tenere meglio a bada il fuoco. Quindi mi dispiace, ma devo andare- mormorò, afferrandomi con forza per le spalle e scostandomi di lato.
Mossi nervosamente un orecchio, mentre lei si allontanava con passo incredibilmente silenzioso.
-Ci si può perdere facilmente in quella foresta- dissi, sperando che almeno quello avrebbe potuto scoraggiarla. Lei si voltò lievemente verso di me, le spine che le coprivano parte del volto.
-Questo non è un problema. Ho un ottimo senso dell’orientamento- rispose, mostrandomi un mezzo sorriso accompagnato da un’espressione da spaccona.
Mi misi le mani in tasca, guardandola divertito. -Non lo metto in dubbio. Comunque sia non sono intenzionato a farti andare là dentro da sola-.
Lei sospirò, alzando gli occhi al cielo. -Che cosa devo fare per essere lasciata in pace da te?- chiese in un ringhio infastidito. Ghignai.
-Per prima cosa, io verrò con te-.
-Bene, affare fatto. Andiamo- sibilò scocciata ed affrettata, prima che la interrompessi.
-Poi…quando torneremo da lì, mi dovrai insegnare ad usare il fuoco-.
Lei corrucciò le sopracciglia, confusa. -Ma…- balbettò. Poi, uno sprazzo di divertimento le attraversò gli occhi. -…e va bene. Ora sbrigati-.
-Sì!- Esclamai tra me e me quando lei si fu girata.
Quindi, ci avviammo verso la selva oscura.
I primi alberi mostravano un ambiente misterioso, una brezza fresca e leggera ci sferzava contro con dolcezza, mentre la luce solare che penetrava le foglie ci immergeva nel verde. Già quella visione, pur gradevole, si allontanava da ciò che normalmente chi abita nelle Valli si aspettava di vedere. Davanti a noi però, sembrava che luce si diradasse sempre di più, e che l’oscurità gradualmente vincesse la sua battaglia contro i raggi solari. Man mano che i minuti passavano e che noi ci addentravamo sempre di più nei meandri della foresta, una strana umidità cominciò ad appiccicarsi ai nostri corpi, e la nebbia si infittiva, fino a limitare la nostra visuale a pochi metri davanti a noi. Sembrava essere diventata improvvisamente notte nonostante avessimo superato di poco mezzogiorno.
-Adesso capisco il perché di quelle voci che girano su questo posto- sussurrai, guardandomi intorno. Althea mi rivolse uno sguardo dubbioso.
-Quali voci?-
-C’è una leggenda secondo cui questa foresta provenga da un’altra dimensione. È l’unico luogo in tutta Green Hill in cui si può trovare la nebbia- spiegai. -In effetti tutto quello che arriva da un’altra dimensione è tetro e spaventoso- aggiunsi, punzecchiandola di proposito.
Lei mi fulminò velocemente con lo sguardo. -Dobbiamo trovare uno spiazzo libero da alberi. Sbrigati- rispose fredda, accelerando l’andatura.

***
-È da un’ora che stiamo camminando. Come puoi aspettarti di trovare uno spiano senza ostacoli in una foresta?- grugnii annoiato. Lei roteò gli occhi.
-Smettila di lamentarti. Stai facendo seri danni al mio sistema nervoso-.
-Vorrei ricordarti che è per colpa tua se adesso non sono a casa mia per pranzare-.
Lei sbuffò. -Di certo non ti farà male. Sai, hai un po’ di roba da smaltire lì- indicò con il pollice la mia pancia. Spalancai la bocca, fissandola con gli occhi sbarrati. -Che cosa stai insinuando?- ringhiai. Lei si fermò di scatto, guardando fisso davanti a sé.
-Tu sei l’ultima che può…Mph!- fui zittito dalla sua mano improvvisamente pressata sulle mie labbra. Strinse gli occhi, come se stesse cercando di accertarsi di qualcosa.
-Fai silenzio… e non muoverti…- sussurrò, muovendo convulsamente un orecchio. La guardai confuso. E poi li sentii anch’io. Dei passi pesanti risuonavano ritmici nell’aria, rompendo il silenzio.
Mi voltai velocemente verso Althea, scostando la sua mano ancora premuta sulla mia bocca. All’improvviso quei passi si fermarono, ma non vedevamo ancora nulla. Al loro posto, una piccola luce rossa simile ad un laser si accese, trapassando la nebbia. Non sembrava pericolosa, ma non sapevamo cosa fosse.
Si muoveva in varie direzioni, sembrando esaminare il posto. Poi iniziò a dirigersi verso la nostra posizione.
-Abbassati!- mi ordinò Althea, premendomi una mano sulla testa e tirandomi giù a forza. Il laser passò sopra di noi, non rilevandoci.
Eppure continuava a muoversi, cercando lì attorno qualcosa. A volte si avvicinava a noi, altre volte si allontanava. Ad un certo punto stava quasi per sfiorare l’orecchio di Althea. Lei non lo aveva ancora notato, quindi dovetti intervenire
-Psss-. Feci per avvertirla, soprattutto indicandole con lo sguardo di abbassare l’orecchio. Lei sbarrò gli occhi, abbassandolo velocemente. Potevo chiaramente intravedere la sua paura nel pensare a ciò che sarebbe successo se fosse stata sfiorata.
Quando il laser sembrò allontanarsi da noi, iniziammo a strisciare lentamente lontano da quel luogo. Le foglie secche sul terreno e i rovi mi graffiavano le gambe, facendomi trattenere a stento dei gemiti di dolore.
-Sono questi i momenti in cui mi odio per non indossare i pantaloni- sussurrai, una smorfia di dolore sul volto.
Althea mi guardò in un modo strano. Confusa e… leggermente disturbata da quello che avevo affermato.
Quando ci fummo allontanati abbastanza, Althea si alzò in piedi, dandosi una rapidissima spolverata ai vestiti.
-Alzati- sussurrò. Mi fece un cenno con la testa. -Andiamocene-. Quando feci per scattare, lei si parò in parte davanti a me. -Non troppo veloce. Non deve sentirci- specificò.
Io annuii, osservando la sua mano mentre faceva il conto alla rovescia per la nostra partenza.
-Uno,- mimò con le labbra. -due…-
I suoi pattini iniziarono ad attivarsi. -Tre-. Sbatté il piede sul terreno per dare un po’di frizione e riuscire a partire, e iniziammo a correre in contemporanea.
Dopo qualche minuto di corsa relativamente lenta, ci fermammo e cercammo di riorganizzare le idee.
-Che cos’era?- chiesi spaventato.
-Speravo che tu lo sapessi. Non ne parlano nelle leggende?-
-Mai sentito di uno spettro da queste parti-.
-Quello non era uno spettro…- mormorò lei, con la tensione che trasudava dalle sue parole, nonostante cercasse di trattenerla con tutte le sue forze.
-Come fai a dirlo?-
-I fantasmi non sputano raggi a infrarossi. Qualunque cosa fosse, stava cercando qualcosa, o qualcuno-.
-Personalmente non voglio scoprire il perché. Andiamocene, prima che ritorni-. Ci guardammo intorno, e sentii salirmi leggermente il panico.
-… Da che parte è l’uscita?-
Althea deglutì. -Tu non lo sai?- chiese in un sussurro strozzato.
Reclinai all’indietro la testa, sospirando sommessamente. -E che fine ha fatto il tuo ‘’straordinario’’ senso dell’orientamento?-
Lei mi guardò innervosita. -Non è il momento adesso. Dobbiamo uscire subito da questa foresta-.
Si posò l’indice sul labbro inferiore, riflettendo. Poi mi guardò decisa. –Corriamo il più velocemente possibile. Non importa la direzione. Prima o poi riusciremo ad uscire di qui-.

***
-Tutto questo non è assolutamente possibile!- sbottai. Avevamo corso con i nostri soliti ritmi, evitando accuratamente il luogo in cui prima avevamo visto quel laser, ma… non eravamo  riusciti ad uscire da lì.
-C’è decisamente qualcosa che non va- bofonchiò la gatta. -Avremmo almeno dovuto intravedere la luce del sole tra gli alberi mano a mano che avanzavamo, eppure non è così-.
Mi passai una mano tra le spine, scompigliandole nervosamente.
-Senti, i tuoi pattini hanno dei razzi incorporati, giusto?- chiesi, dopo che mi venne un’idea in mente.
Lei corrucciò le sopracciglia. -Sì, perché?-
-Puoi utilizzarli anche per volare? Potresti farlo per vedere al di sopra quegli alberi e trovare la strada da cui siamo arrivati-.
Si irrigidì improvvisamente. -Per volare? Beh, sì, in teoria… ma…- bofonchiò, una scintilla di panico nello sguardo. Si massaggiò nervosamente un braccio.
-Cosa? Qual è il problema?- chiesi incuriosito, notando la sua reazione. -Ok, sputa il rospo-.
Lei mi guardò esitante, muovendo nervosamente la coda. -Il fatto è… che ho utilizzato buona parte del carburante per arrivare fin qui, e rischio di rimanere a secco nel caso in cui tornasse quel tipo-.
Alzai un sopracciglio, ridacchiando. -Carburante? Diamine, una volta abbiamo corso praticamente per una giornata intera senza fermarci, e ora mi dici…- Venni improvvisamente interrotto da uno stormo di uccelli che volava via, impaurito. Mi prese un colpo, e istintivamente mi voltai verso la loro direzione per capire cosa fosse successo.
-Woah… solo uccelli, meno male. Beh, torniamo al discorso di prima…- Quando mi rigirai, Althea non c’era più. Mi guardai intorno, da tutte le parti, ma non la vidi.
-Althea?- la chiamai. Nessuna risposta. Sentii il cuore fermarsi di colpo. -Althea!- urlai, sperando come non mai di averla vicino.
All’improvviso vidi qualcosa cadermi davanti agli occhi, spargendosi sul terreno. Era una goccia di uno strano liquido nero e denso. Ne cadde un’altra. Alle mie spalle sentii il rumore di vari sgocciolii. Mi voltai. Dai rami degli alti alberi stava sdrucciolando lentamente una sostanza nera e disgustosa, che andava a posarsi per terra. Una lieve brezza, simile a quella di quando ci trovavamo all’entrata della selva, solo più calda e afosa, si ripresentò. Ma stavolta non era la pace il messaggio che mi portava. Se prima la foresta era buia, almeno ero stato in grado di vedere gli alberi in lontananza. Ma adesso, sembrava quasi che quel vento, come un respiro oscuro, trasportasse il buio della foresta tutto attorno a me. Potevo intravedere solo le piante poco distanti, mentre tutto il resto era coperto da una tenebra impenetrabile, insondabile ed angosciosa. Era come quando si è bambini, ci si sveglia nel mezzo della notte e ci si rende conto che si ha sete, e bisogna addentrarsi nel buio, da soli, per non svegliare nessuno e per riuscire a dissetarsi.
Mi sembrava di trovarmi nella foresta di notte fonda, nonostante fosse pieno giorno.
Le gocce nere iniziarono a scivolare, quasi a… muoversi lascive sul terreno, unendosi in piccoli  corsi che si muovevano tutti verso un unico punto davanti a me, formando nel loro andare dei meandri, come dei piccoli fiumiciattoli.
Si era formata una densa pozza nero pece, che stava cominciando ad assumere una forma più compiuta. La chiazza divenne una sagoma, e dalla sagoma comparvero braccia e gambe, poi si definirono un busto, delle mani, dei piedi e una testa. Una figura nera e gracile, che sembrava inconsapevole d’essere nata. Le mie gambe erano bloccate, il mio cervello non pensava, e i miei occhi non volevano guardare, ma ero in stasi, così come il mio sguardo. La figura cominciò a muovere le braccia e le gambe con grande fatica. Sentii uno strano gelo pervadermi le ossa.
Quell’essere stava provando con tutte le sue forze ad alzarsi in una posizione eretta, ma sembrava quasi scivolare lui stesso sul terreno. Dopo qualche tentativo, si posò su un ginocchio, alzandosi pian piano. Le gambe non riuscivano a stargli dritte, e teneva la schiena completamente gobba.
Mi guardò, e solo in quel momento mi accorsi con orrore di una cosa: non aveva gli occhi.
Sul suo volto c’era solamente un enorme bocca, che però teneva serrata. Dopo avermi fissato per qualche momento, le sue labbra cominciarono ad incresparsi molto lentamente.
Stava provando a… sorridere? La bocca era allargata da quella sua smorfia, lasciandomi vedere quello che prima non avrei potuto: aveva dei denti candidi, lunghi e acuminati. Allungò un braccio verso di me, mentre la testa, reclinata all’indietro, era in preda di violenti spasmi nervosi che la facevano muovere in modo del tutto casuale.
-Io… sarò… il tuo…Dio…- sussurrò in un ringhio, respirando affannosamente. Potevo quasi vedere il vapore provocato dal freddo fuoriuscire dalla sua bocca.

Sentii qualcosa toccarmi la spalla. Mi voltai di scatto, terrorizzato. Althea mi guardò stranita , e rimosse la mano dalla mia spalla.
-Tutto bene?- mi chiese, un tono di voce strano. Mi accorsi di avere gli occhi spalancati e il respiro veloce e quasi affannato.
-Io…- Mi voltai verso il punto in cui pochi secondi prima era sdraiato quell’essere… ma sul terreno c’era soltanto uno spazio vuoto.
Althea mi si affiancò, guardando nel mio stesso punto. -Ti sei incantato per un po’. Che ti è successo?- mi chiese.
-Do…dobbiamo andarcene da qui...- Avevo il sudore che trasudava dal mio corpo, ed Althea sembrava spaventata da ciò.
-Fino ad un minuto fa stavi bene, cosa ti prende?-
Non potevo rispondere alle sue domande. Non ancora. Era l’ultimo dei miei problemi, dopo che vidi che eravamo stati rintracciati. Allungai la mano nella direzione opposta ad Althea, puntando con il dito.
-Lui è qui-.

Eggman
-Tutto è andato esattamente come volevo io- dissi ai miei due piccoli vassalli. -Riuscire a ricatturare il fuggitivo non è stato per niente facile, ma alla fine ci siamo riusciti. Alla fine dei conti, sembra che nessuno possa scappare per sempre, non credete?-
-Devo ammettere che il congegno che ha creato funziona piuttosto bene. Perché non ci ha pensato prima?- chiese Orbot, stuzzicandomi. Non gli risposi, e lanciai un’occhiata a Cubot.
-In che condizioni è il nostro amico?- chiesi.
-È al massimo delle sue potenzialità- rispose
Ridacchiai. -Bene. Vi annuncio che il Progetto Perdono è completamente operativo-. Mi avvicinai un microfono per le comunicazioni alla bocca.
-E-123 Omega: attacca-.

***
Althea
Il nostro inseguitore ci fissò per qualche eterno secondo con due occhi piccoli e rossi. La verniciatura rossa di una parte della sua corazza era a malapena visibile, nella penombra. Dall’oscurità vidi spuntare due grandi braccia di metallo, puntate verso di noi. Le sue argentee mani si ritirarono, ed al posto delle acuminate dita comparirono delle armi. Non ce n’erano di così nel mio mondo… ma era abbastanza semplice intuire cosa fossero. Sbarrai gli occhi e guardai rapidamente Dash, che sembrava ancora spaesato. ‘’Ma che…?!’’
Gli afferrai prontamente il polso, strattonandolo per farmi seguire, e il ragazzo sembrò finalmente risvegliarsi dalla sua trance. Il rumore assordante di degli spari mi frastornò.
-Sbrigati!- strillai. Sentii un sibilo acuto vicino all’orecchio, seguito un dolore terribile alla spalla. Grugnii per il dolore, portandomi una mano nella zona interessata. Mi aveva colpito di striscio, ma la ferita era abbastanza profonda.
Ci riparammo appena in tempo dietro un albero per non essere colpiti ulteriormente dalle pallottole.
-Stai bene?- sussultò Dash, guardando con attenzione lo strappo che avevo adesso sulla giacca e da cui si intravedeva la carne viva. Esaminai la mano che ci avevo premuto sopra poco prima. Era zuppa di sangue.
-È solo un graffio- mormorai con un grugnito di dolore in risposta. Gli spari cessarono all’improvviso. Dopo qualche secondo, un rumore simile ad una forte esplosione risuonò tra gli alberi, colpendo i tronchi vicini e quello dietro cui eravamo riparati. La corteccia saltò via con facilità, seguita dagli strati più interni dell’albero.
-Se non ce ne andiamo siamo carne morta- disse Dash, che ormai sembrava aver perso la sua tipica attitudine da spaccone. Nonostante fossimo in una situazione pericolosa, mi incuriosiva cosa avesse potuto turbarlo tanto.
-Se ce ne andiamo, continuerà a seguirci e ci ritroverà. Non mi sembra il tipo che si arrende facilmente- disse.
-Sì, hai ragione-. Un altro sparo fece cigolare l’albero, che si inclinò leggermente verso di noi.
-Allora che facciamo?- chiese impaurito. Con lo sguardo determinato e con l’adrenalina a mille affermai: -Lo plachiamo. Ascolta…-

***
-Ehi robottone! Guarda, sono qui!- urlò Dash, agitando le braccia in aria per farsi notare dal nostro nemico. Mi mossi cautamente su uno dei rami più sottili dell’albero, sporgendomi verso la sua estremità. Dash mi lanciò un occhiata. ‘’Sicura di quello che stai facendo?’’ mi chiese silenziosamente. Io roteai gli occhi. Credeva che io mi stessi per caso divertendo? Non su quell’albero. E non a quell’altezza. Il ramo scricchiolò. ‘’Fai in fretta riccio. Sbrigati.’’ pregai mentalmente.
Il robot puntò le armi verso Dash cominciando a sparargli contro. -Bravo ragazzo!- strillò Dash, che cominciò a schivare i proiettili, correndo in direzione dell’albero su cui mi ero nascosta. L’automa attivò dei razzi nel retro della sua schiena, e scattò velocemente verso di lui, serrando la mano a pugno.
-Che c’è, non riesci a starmi… oh, cavolo- strillò Dash, quando si accorse che il robot era a pochi centimetri da lui, e che il suo pugno stava per schiacciarlo. Lo schivò giusto in tempo, ma quando il pugno raggiunse il terreno, l’impatto fu fortissimo, tanto da sollevare parte della terra sottostante e da travolgere anche Dash.
Ma ormai il nostro cacciatore si trovava nel punto da noi prestabilito, sottostante al ramo sopra cui ero rannicchiata.
‘’Io e le mie stupide, stupidissime idee’’. Mi lanciai velocemente nel vuoto, infuocando le gambe. Quando arrivai vicino al robot, gli tirai un potente calcio sulla faccia, colpendo i suoi occhi. Il robot si sbilanciò per un attimo all’indietro.
-Hah!- esclamò Dash, un sorriso vittorioso sul volto. Ma il robot non aveva un solo graffio sulla sua corazza. Tuttavia, sembrava abbastanza confuso, e la luce rossa che prima brillava su quelli che sembravano degli occhi era ormai solo lampeggiante.
-Credo di averlo accecato- dissi dopo un profondo sospiro, per scaricare la tensione. Tuttavia, poco dopo il robot si riprese subito, quasi come se cercasse di riorientarsi, mantenendo la calma e cercando un’alternativa. Sicuramente era diverso dai robot che avevamo affrontato fino a quel momento.
-Oh, andiamo- sbuffò Dash. Le armi dell’essere furono sostituite da delle specie trivelle, che ci puntò prontamente contro. Ricominciammo di nuovo a fuggire. Mi spostai di lato, schivando una di quelle trivelle. Poco dopo che la trivella toccò il terreno, impiantandosi in esso, esplose, sparando i suoi pezzi nelle vicinanze.
-Ce le sta sparando contro?!- urlò Dash.
-Meriti un premio per l’arguzia-. Dash riflesse per un attimo, stando in silenzio. Poi mi fissò con decisione. ‘’Perché quello sguardo?’’
-Tu continua a correre- mi disse.
Lo guardai dubbiosa. -E tu smettila di camminare- ribattei ironica. Lui ridacchiò, frenando di scatto e voltandosi in direzione del nemico. ‘’Cosa?!’
Mi fermai anch’io. -Sei impazzito?!- urlai. Lui sorrise sbruffone.
-Forse-.
Prima che la trivella lo colpisse, lui la afferro con prontezza, e i suoi piedi slittarono sul terreno a causa della spinta. Per quanto cercasse di resistere, sembrava non avere abbastanza forza per resistere alla propulsione. Tanto che, alla fine, lo vidi sbalzare via ad una velocità elevatissima, trasportato da quell’arma.
-Aiutami!- strillò. Schizzava via ovunque, fino a finire sopra le cime degli alberi e sorpassandole, finché non riuscii più a vederlo. Il robot, a quel punto, si voltò verso di me, puntandomi nuovamente il braccio contro. Fummo distratti dal ritorno di un rumore famigliare. Non ebbi neanche il tempo di pensare cosa potesse essere che la trivella trapassò i rami sovrastanti, fino a colpire con violenza inaudita il nostro avversario. Lui fu sbalzato all’indietro per l’impatto, andando a sbattere contro un albero.
Dash si era lasciato cadere poco prima, quindi mi avvicinai a lui e lo aiutai a rialzarsi. Lui si pulì le mani, emettendo una risatina roca. -Nessuno si deve mettere contro Dash the…-
Il robot si alzò in piedi di scatto, cambiando nuovamente arma. -Non ha neanche un graffio!- urlò esterrefatto il riccio.
-Ti sbagli. Guarda il suo fianco- Il punto colpito era leggermente scheggiato, segno che la migliore arma contro quell’essere era sé stesso. Da una delle mani fredde e meccaniche di quell’essere apparve un tubicino sul suo polso. Allungò il braccio verso Dash, e da quel piccolo tubo uscì una scintilla. Sbarrai gli occhi, guardando con terrore la scena.
-Spostati di lì!- ringhiai con voce rauca a Dash e parandomi appena in tempo davanti a lui, prima che un ondata di fiamme ci venisse incontro. Avanzai le mani davanti a me, e il fuoco iniziò a raggrupparsi obbediente sui miei palmi. Cominciai a modellarlo velocemente, dandogli la forma di una palla. Lanciai una rapidissima occhiata all’incrinatura sulla sua armatura, e sparai l’ormai enorme palla di fuoco contro di lui, che lo colpì esattamente dove volevo io. Il metallo sembrò fondersi immediatamente e diventare più morbido.
-Forza, colpiscilo- sibilai a Dash tra i respiri affannati per la stanchezza causata da un colpo così impegnativo. Lui guizzò in avanti, correndo verso il suo nemico. Quando quella specie di mostro provò a tirargli un pugno, lui lo schivò abbassandosi rapidamente, e con un ghignò dipinto in volto, lo colpì dove era già stato ammaccato prima. Il pugno di Dash gli passò attraverso la schiena.
Gli occhi luccicanti del robot smisero definitivamente di lampeggiare della loro luce, e si immobilizzò. Cadde lentamente addosso a Dash, il quale emise un gemito soffocato sentendo il peso di quella ferraglia schiacciargli il corpo.
-Argh! A…aiutami!- esalò con un suono strozzato. Scossi esasperatamente la testa, aiutando Dash a spostare la carcassa del robot con un piede. Inspirò profondamente quando finalmente fu libero da quella pressione. Si alzò in piedi, spolverandosi il gilet e guardandomi con quell’irritante aria da gradasso.
-Grazie-. Non capii esattamente per cosa mi stesse ringraziando, ma non ci feci molto caso. Mi sorrise, ravvivandosi con gesto pratico le spine. Gli rivolsi un rapido cenno con la testa, leggermente a disagio.
-E sai qual è la cosa migliore? Non hai perso il controllo dei tuoi poteri- disse, le braccia incrociate dietro la testa con fare rilassato. ‘’Questo ragazzo è Mr. Lunatico.’’ pensai. ‘’Prima era così turbato e sotto shock, e ora…’’
-Sì. Hai ragione- concordai, sovrappensiero. Lui ghignò e socchiuse gli occhi.
-Bene. Così quando ci avrai preso un po’ di manualità potrai finalmente insegnarmi a controllare il fuoco!-
Mi morsi con forza il labbro, tentando con tutte le forze di non scoppiargli a ridere in faccia.
-Cambiando discorso, che ne facciamo di lui?- mi domandò Dash, indicando con il pollice i rottami del nostro avversario alle sue spalle.
-Lasciamolo riposare in pace- dissi sottovoce.
Lui si strinse nelle spalle. -Come preferisci-. Si voltò, guardando dritto davanti a lui. -Guarda!- esclamò allegro. Seguii la direzione del suo sguardo, e le mie pupille furono accolte dalla luce della fine della foresta.
-L’uscita- sospirai sollevata. -Prima non era lì-.
-Chi se ne importa!-
 Gli rivolsi un’occhiata stizzita per tutto l’entusiasmo che mostrava in quel momento. Lui abbassò impercettibilmente le orecchie, un lampo di leggero imbarazzo che gli attraversò lo sguardo. -Ok, ok!- ridacchiò nervosamente. La ferita sulla spalla mi fece tornare dolorosamente alla realtà. -Forza…
andiamocene di qui- dissi debolmente, premendomi con forza la mano sulla zona ferita.
Così ci incamminammo, insieme, verso la luce accecante, mentre i raggi di sole ci scaldavano dolcemente la pelle e ci alleggerivano il cuore.

***
Blaze
Nella mia mente albergava la confusione. Era stato così per tutta la giornata, un caos tale da farmi dimenticare tutto il resto. Me ne resi conto quando la pace della notte fu turbata dal mio risveglio turbolento. Ero sudata, e il cuore mi batteva all’impazzata. Avevo il respiro pesante. Mi guardai intorno, scrutando il buio della stanza. Volevo essere certa di aver davvero vissuto solamente un incubo.
Era quella particolare sensazione di folle lucidità che ti spinge a pensare di essere ancora dentro al tormento del sogno nonostante tu ti sia appena svegliato. In un certo senso era così.
Shadow aveva avuto una giornata sfinente, piena di pensieri e preoccupazioni, ed era  da molto tempo che non avevamo un nemico di cui preoccuparci anche mentre dormivamo. Non mi stupii del fatto che non si svegliò. Presi una decisione disperata. Dovevo controllare una cosa. Scesi dal letto e mi misi rapidamente i miei vestiti reali. Camminai silenziosamente verso la porta, voltandomi. Shadow mugugnò nel sonno, muovendosi leggermente e spostando il braccio sul mio cuscino. ‘’…Devo tornare il prima possibile.’’ pensai. Mi richiusi delicatamente la porta alle spalle. ‘’Non devi farti vedere da nessuno.’’
Rivolsi una rapida occhiata ad una delle finestre presenti nel corridoio. Non ci pensai due volte, e cominciai a correre verso il muro. Presi una rincorsa sufficiente a farmi fare qualche passo in verticale su di esso, poi saltai nella direzione opposta, raggiungendo la parete che stava alle mie spalle. Continuai così fino ad arrivare alla cima della finestra, poi saltai, nonostante l’elevata altezza. Durante la mia caduta, a causa dell’attrito potevo sentire l’aria sferzarmi contro il corpo, che tuttavia non era tangibile come l’angoscia che si prova nel cadere per diversi secondi nel vuoto, un’inevitabile sensazione d’impotenza. Ovviamente, caddi con i piedi per terra, producendo solo il rumore di un velato tonfo.
Nessuno, fino a quel momento, aveva il sospetto che la regina fosse scappata di casa.
La sorveglianza era più stretta del solito, e le guardie pattugliavano costantemente la città. Nonostante ciò, mi fermai a guardare uno dei traguardi simbolici più importanti di cui fossimo stati autori: le statue di Re Taurus V. e della Regina Pyras, situate in un unico piedistallo. I miei genitori.
Sentii un groppo in gola. Quelle statue erano la dimostrazione che tutto era finito più di vent’anni prima, e che io e Shadow avevamo vinto il nostro passato tormentato guardando al futuro.
Ma avevo paura. Paura che il passato tornasse a bussare alla mia porta e che si portasse via la mia famiglia, insieme a tutti coloro che amavo. Di nuovo.
Scacciai il pensiero scuotendo la testa, andando avanti, protetta dalle ombre.

***
Quando fui lontana dalla città, iniziai a correre. Circondata dalle tenebre, il mio fuoco era l’unica luce che mi permetteva di proseguire. Il terreno bruciava sotto i miei piedi mentre proseguivo imperterrita per la mia strada.
Era moltissimo tempo che non mi allontanavo così tanto dalla mia città, ed era da ancora più tempo che non andavo là, ad Est di Flaritas, un luogo per me pieno di ricordi. Attorno a me, il colorito arancione delle mie fiamme contrastava con l’oscurità del cielo, illuminato soltanto dalle stelle e dalla mezza luna, limpide e luminose nel cielo. Dopo mezz’ora di corsa, davanti a me, apparve una caverna che speravo di non rivedere mai più.
Ma le cose cambiano quando arrivi ad un punto tale da non voler più scappare, da voler affrontare di nuovo le tue sofferenze, con la consapevolezza che ti potresti ferire di nuovo. Mi immersi tra le ombre della grotta, illuminandomi la strada con una piccola fiammella sul palmo della mano.
Dopo qualche minuto di camminata tra l’umidità e l’olezzo di quella specie di fessura nella pietra, trovai finalmente quello che cercavo: delle scale scavate nel suolo roccioso. Iniziai a scendere in profondità, nei meandri di quel luogo.
Più procedevo per la mia discesa e più il senso opprimente delle strette pareti di quella grotta mi attanagliava.
Quando scesi dall’ultimo gradino, mi trovai davanti una porta completamente distrutta. ‘’Merito mio e delle guardie’’ pensai ironicamente, cercando di rilassarmi almeno un poco.
Oltrepassai quegli scarti di legno e metallo, addentrandomi all’interno della stanza. Sospirai, guardandomi intorno e osservando quel luogo a me così familiare.
-Di nuovo nella tua base, Nega- sussurrai.
Davanti a me si trovavano due porte, mentre sia alla mia destra che alla mia sinistra ce n’era solamente una per lato. Ovviamente l’elettricità aveva smesso di funzionare molti anni prima, e l’unica cosa che stranamente portava un po’ di chiarore all’interno della sala erano delle piccole luci al led sopra ogni porta, posizionate lì per indicare in quale stanza si stesse per entrare. Poco al di sotto di esse si poteva leggere la scritta lampeggiante: Nega Production
-Megalomane- borbottai. Mi diressi verso la porta con sopra la scritta ‘’Biblioteca’’. La porta si aprì automaticamente quando mi ci posizionai davanti, e istintivamente mi aspettai di trovarci qualcuno dietro. Ma non vi trovai nessuno. Ero l’unica presenza in quel luogo silenzioso e buio. La sola cosa che mi faceva compagnia erano centinai di enormi scaffali, riempiti da un’infinità di libri. Era probabilmente la stanza più cara a Nega in tutta la sua base.
I suoi libri: quello che amava più di ogni altra cosa. Avrebbe ucciso pur di poterli mantenere in sicurezza. Non stentavo a crederci.
Sentii un improvviso moto di rabbia percorrermi il corpo. Afferrai con presa salda i lati di uno scaffale e lo spinsi con forza. Questo iniziò a cadere lentamente, scontrandosi con la libreria davanti a lui e creando una reazione a catena.
Scatenando un grande frastuono, tutti gli scaffali, uno dopo l’altro, caddero a terra, lasciando sul pavimento un oceano di schegge, carta e copertine.
 Ma un ultimo suono aleggiò nell’aria, solleticandomi i timpani. Uno sfarfallio delicato, proveniente dall’alto. Alzai gli occhi, e feci in tempo a notare un biglietto che continuava a danzare nell’aria nonostante il caos generale. Come se il destino avesse voluto che lo leggessi, poco a poco esso si avvicinò a me, fino ad atterrarmi sopra la mano. Ciò che c’era scritto sopra era bizzarro: “Lunga Vita Alla Regina”.
Non avevo idea di che cosa potesse significare, ma tenni il foglietto con me. Immaginavo a cosa potesse servire, ma me ne sarei preoccupata più tardi.

***
Avevo esaminato tutte le stanze della base, non una esclusa. Non avevo trovato niente. Ma continuavo ad essere inquieta. Le mie paure erano già state sfatate dal principio, anni prima. Ma tutto quello che stava succedendo in quel periodo…
Per la prima volta dopo tanto tempo, avevo paura. Alzai lo sguardo, e vidi una grande porta di legno e metallo. Non ci avevo fatto immediatamente caso, prima.
‘’Questa non eravamo riuscita a distruggerla’’ riflettei sconsolata. Non eravamo mai riusciti a scoprire cosa ci fosse oltre la sua soglia. Osservai il piccolo terminal che era attaccato su una delle due porte. Mi frugai in una delle tasche della giacca, estraendone il foglietto che avevo trovato un’ora prima circa.
Lunga Vita Alla Regina. Un brivido mi percorse la schiena dorsale. Digitai l’intera frase sul piccolo computer e schiacciai il pulsante Invio. Sul display apparse la frase ‘’Password negata’’. Osservai meglio il biglietto.
Notai solo in quel momento che ogni parola scritta sopra di esso aveva la prima lettera scritta in maiuscolo.
Digitai solo iniziali: LVAR. E come per magia, la porta si aprì.
‘’Cosa?’’ Quella che mi si parava davanti era una normalissima sala da pranzo. Certo, non piccolissima. Vasta, tappezzata alle pareti di tende rosse lunghe e pregiate, nonostante queste non fossero accompagnate da finestre di sorta a risaltarle. Nelle varie parti della stanza vi erano portine che probabilmente conducevano alle cucine ed ad altri locali. Al centro c’era una lunghissima tavola, simile a quella che avevamo noi al castello, sparecchiata, con molte sedie ai lati. Bizzarro, considerato che Nega non aveva amici.
Tra l’oscurità, intravidi una sagoma alta e magra in piedi a capotavola. Una paura folle e irrazionale mi artigliò il cuore, e tutti i miei sensi si misero all’erta. ‘’Nega è morto. Calmati. Rifletti.’’  Infuocai la mia mano, illuminando praticamente tutta la stanza. Rilassai leggermente i muscoli, notando immediatamente che quell’essere non era Nega, bensì uno dei suoi robot. La sua faccia, senza alcun volto, guardava nella mia direzione. Era vestitto elegantemente, ma arrugginito e impolverato per tutti gli anni passati. In mano, teneva un vassoio con due calici ripieni. Mi avvicinai cautamente, guardandolo attentamente. Non sembrava voler attaccarmi, anzi.
-Sei qui da tutti questi anni…- mormorai tra me e me. Lui continuò a fissarmi inespressivo. Nega aveva trasformato i miei sudditi in quegli esseri senz’anima, utili soltanto a dilettarlo. Mi sentii ribollire il sangue nelle vene. Erano state persone che avevano una famiglia, una vita, forse dei figli. Esattamente come i miei genitori. ‘’Finché le creazioni di Nega sono vive, lui è vivo’’.
Mi avvicinai rapidamente al robot, tirandogli un calcio infuocato in testa e spedendolo contro il muro. Non si rialzò. Si accasciò mollemente al suolo, senza vita.
Avevo il respiro accelerato per il nervosismo e la paura. Mi tremavano  le gambe, e la testa mi girava. ‘’È morto. Non tornerà più, Blaze. Nega è morto.’’

***
Aprii adagio la porta della mia stanza. Shadow era ancora profondamente addormentato, e grazie al cielo non si era accorto della mia assenza prolungata. Mi tolsi i vestiti, le scarpe e i guanti e mi rimisi il pigiama. Mi diressi verso il bagno che comunicava con la nostra stanza e aprii il lavandino. Mi lavai la faccia con dell’acqua gelida. Guardai il mio riflesso nello specchio. Avevo gli occhi cerchiati da delle leggere occhiaie. ‘’Oh, perfetto…’’ Ritornai nella camera da letto, mi sciolsi i capelli dalla coda di cavallo e mi sdraiai sotto le coperte. Fissai per qualche momento Shadow, che in quel momento mi sembrava incredibilmente rilassato e sereno, con il respiro lento e i lineamenti giovanili del volto a riposo.
Aprì di scatto le palpebre. Mi ritrassi leggermente, spaventata.
-Blaze…?- farfugliò, ancora in dormiveglia, sbattendo un paio di volte le palpebre.
Io gli sorrisi. -Sono andata solo un attimo in bagno. Continua a dormire- sussurrai. Lui socchiuse nuovamente gli occhi, prima di addormentarsi di nuovo un secondo dopo. Tirai un leggero sospiro di sollievo, stringendomi tra le coperte.
‘’L’hai visto con i tuoi occhi. Nega è andato. Morto. Non tornerà a farti del male. Mai più’’.

***
E-123 Omega
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***&%/477DFVHCondiz…………….865fvgh…..Critiche……’’’09877654321234676574.***
***++Attivaz…^ì^^^776ytyausiliaria……………………………***
***Sistemi visivi alternativi: Attivi.***
***Livello di energia: 15%.***
***Armatura: Gravemente danneggiata.***
***Si necessita di assistenza immediata da terzi…..Ricerca…..Team Dark: Shadow the Hedgehog (non disponibile)….. Rouge the Bat (non disponibile).***
***Ricerca automatica attivata*** Ripristinare obiettivi originali:
***Obiettivo attuale: Riparazione, evitare lo spegnimento ad ogni costo.***
***Obiettivo principale: Eliminare obiettivo*****obiettivo non selezionato, ricerca******Nome: Ivo Julian Robotnik, “Eggman”; Professione: Ingegnere, scienziato; Particolarità: Deformazione corporale cooooongenita; Anni:???, Status: Attivo***
***Obiettivo principale: Eliminare Dr. Eggman***

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Capitolo 18
*** I Pirati SolcaCieli ***


Amethist 2

Amethist
Un'altra volta in quella situazione. Tuttavia questa volta c’erano differenze. Per esempio non mi avevano portato qui con delle manette, ma tirandomi per i capelli. La mia prigione non era buia e fredda, anzi: era anche più bella della mia stanza a casa.
Infine, stavolta, quelli che mi detenevano avrebbero potuto uccidermi in qualsiasi momento. Ero talmente confusa che non avevo nemmeno escogitato un piano per andarmene. E poi mi avevano offerto delle fette biscottate meravigliose quella mattina.
Sbuffai, osservando i dintorni con noncuranza mentre stavo comodamente seduta sul letto. Una parte di me voleva tornarsene a casa, dovei miei genitori mi avrebbero irrimediabilmente gridato contro dei rimproveri, messa in punizione, chiusa nella mia stanza e buttato via la chiave. ‘’In fondo non è molto differente da qui…’’
Sentii un improvviso bussare alla porta. Lo spioncino si aprì rapidamente, e apparvero due grandi occhi azzurri che mi fissavano annoiati.
-Ben svegliata- mi salutò una voce femminile. -Ti è piaciuta la colazione?- Le rivolsi un’occhiata diffidente. -Scusa per la faccenda dei capelli ieri. Ti fa ancora male la testa?- mi chiese. Corrucciai le sopracciglia. ‘’Tu cosa ne pensi?’’ -Credi che la tua famiglia sia in grado di pagare il riscatto?- mi chiese di nuovo. Io distolsi lo sguardo, voltando di scatto la testa e ignorandola.
La rondine si innervosì, fulminandomi con un’occhiata. -Ascoltami ragazzina, divertiti quanto vuoi a fare il gioco del silenzio con me, ma l’unica che ne pagherà le conseguenze sei tu. Puoi non rispondere a tutte le domande che ti faccio, ma devi dirmi assolutamente se conosci un modo di contattare i tuoi genitori-. Continuai a ignorarla, anche se dentro di me iniziavo a provare una leggera inquietudine. La donna sbatté con forza un pugno sulla porta. -Va bene, vuoi la guerra? Se non avrò una risposta chiara entro questa sera, ti butteremo in mare-.
Lo spioncino si chiuse, lasciandomi di nuovo sola all’interno della stanza. Mi strinsi le gambe al petto, leggermente spaventata. Stavano dicendo sul serio? Oppure stavano soltanto cercando di spaventarmi? Non lo sapevo. Ma erano delle persone sconosciute che mi avevano rapito, quindi era decisamente meglio assecondarli.
Una decina di minuti dopo sentii nuovamente bussare alla porta. -La volete piantare di rompere?! Ho afferrato il concetto!- strillai, alzandomi dal materasso, dirigendomi verso la porta e aprendo con rabbia lo spioncino.
-Ciao-.
Mi venne quasi un infarto, poiché al posto di quegli occhi azzurri e limpidi della donna di prima, apparirono dei piccoli occhietti con delle pupille così minuscole da sembrare delle punte di spilli. Mi spaventai così tanto da indietreggiare violentemente subito dopo aver chiuso lo spioncino in faccia a quel tipo dalla voce roca e scura.
-Tutto bene?- mi chiese con un tono incredibilmente pacato, considerando il suo ruolo di rapitore.
-Chi sei?- dissi quasi strillando. Aspettò un po’ prima di rispondere, forse cercando le parole giuste per rispondere. Che razza di parole ci sono da cercare?!
-Mi chiamo Storm. Qual è il tuo nome, invece?- Ma chi era quel tizio?
-Ehm… Amethist. Piacere-.
-È un piacere anche per me! Sai, non abbiamo ospiti molto spesso, e qualche volta il capo diventa piuttosto noioso. Perché sei venuta fin qui?-
-Be'… diciamo che sto cominciando a chiedermelo anch’io. Ero venuta solo per curiosità-.
-Scommetto che hai notato la lucina lampeggiante, non è vero? Ho detto al capo che sarebbe stato il caso di toglierla, ma è troppo pigro, e riesce sempre a trovare una scusa per non farlo-. Mi avvicinai alla porta, aprendo lievemente lo spioncino. Mi ritrovai davanti il muso felicemente infantile del volatile grigio. Mi salutò allegramente con la mano.
-Che ci facevate fermi nel bel mezzo del mare?- gli domandai. Lui ridacchiò.
-C’è stato un guasto al motore e non siamo riusciti a continuare con il nostro volo-. ‘’Volare? Questa specie di nave sa volare?’’ Ma per il momento, decisi di far cadere la faccenda.
-Cambiando discorso, che personalità ha il tuo capitano?- chiesi, appoggiando le braccia sulla porta e sorreggendomi.
-Jet? Beh, è verde, piumato, è dipendente dal fumo e gli piace la velocità-.
Lo guardai confusa. -No, volevo dire… che tipo è?-
-È un falco-.
Serrai la mascella, esasperata. ‘’Lo uccido. Butto giù la porta e lo uccido.’’ -Quello che intendevo chiederti è che tipo di carattere lui abbia- sbottai, cercando di mantenere un’aria tranquilla.
-Oh!- esclamò. -Jet è molto impavido. È anche un tipo simpatico quando non si toccano le sue tavole-. Deglutii a fatica. ‘’Oh no’’.
Sentii un improvviso gracchiare meccanico. -Attenzione: il guasto alla nave è stato finalmente riparato- disse una voce maschile al megafono, rimbombando per tutta la nave.
-Finalmente?- ringhiò la voce della rondine in sottofondo. Sentii sospirare.
-Ok… la nave è stata riparata con un tempismo perfetto, e colei che ci ha dato questa benedizione deve andarsene dal mio ufficio. Ora- disse scocciato. Ci fu qualche attimo di silenzio.
-A proposito: Storm, sei richiamato nell’ufficio del capitano- concluse. L’albatros mi rivolse un’occhiata dispiaciuta.
-Sono davvero spiacente, ma il capo mi sta chiamando. Comunque tornerò a trovarti!- Mi salutò e si allontanò con passo goffo.
Mi sedetti sul pavimento, stringendomi la testa tra le mani. ‘’In che cosa mi sono andata a cacciare?’’
All’improvviso, sembrò che tutto avesse iniziato a tremare…

***
Rouge
Salii lentamente le scale, preparandomi mentalmente il discorso da fare ad Amethist. Devi riflettere attentamente sulle tue scelte, sono stufa di tirarti fuori dalla galera ogni due giorni, sei troppo giovane per poter decidere di intraprendere una strada del genere. ‘’…da che pulpito’’ disse la vocina all’interno della mia testa. Mi fermai davanti alla porta della stanza di Amethist, prendendo un respiro profondo.
-Amethist?- Bussai delicatamente sulla porta. Non mi rispose. -…Ame, andiamo- sbuffai. Totale silenzio. Bussai ancora, chiamandola ripetutamente per un minuto buono. Ma continuai a non sentire alcuna risposta. Sospirai, allontanandomi sconsolata e tornando nel salotto al piano inferiore.
Knuckles mi guardò speranzoso quando lo raggiunsi al tavolo. -Allora?-
-Mi ha ignorato completamente-. Mi massaggiai le tempie, chiudendo gli occhi e cercando di non farmi venire un emicrania.
Knuckles si strofinò nervosamente il collo con una mano. -Rouge, sai che è combattuta. Deve ancora trovare la sua strada-.
Gli lanciai un’occhiataccia. -Questo non è un buon motivo per finire in prigione. Praticamente ogni ragazzo della sua età attraversa questo periodo, ma non significa che i loro genitori corrano loro dietro come dei cagnolini per scagionarli dalla galera per qualche furto di basso rango. E poi ci sono molti lavori onesti che non comprendono il rubare- sibilai. Lui ridacchiò con voce scura, appoggiandosi una guancia sulla mano e fissandomi divertito.
-Detto da te è strano. Dovresti essere la prima a capirla. Forse voi due dovreste parlare chiaramente per una volta. Vai a fare una chiacchierata con lei, spiegale come stanno le cose e passate un po’ di tempo insieme. Provate a fare una pazzia per una volta. Potresti insegnarle i segreti del mestiere-.
Alzai un sopracciglio. -Stai scherzando, non è vero?- ringhiai scocciata. Lui alzò i palmi delle mani davanti a me.
-Non ho mai detto che dovete entrare in un museo e svaligiarlo. Anche un negozio di giocattoli andrebbe bene-. Mi accarezzò l’avanbraccio sorridendo. -Forza, vai a parlarle. Credo che ormai si sia data una calmata-. Risposi al gesto e sorrisi debolmente.
-E va bene-. Mi diressi nuovamente al piano superiore e bussai per l’ennesima volta alla porta di Amethist. Silenzio. -Mobius chiama Ame, rispondi!-  Provai ad aprirla, ma non si mosse di un solo millimetro. ‘’Chiusa a chiave’’. Iniziai a sentirmi inquieta. Scesi velocemente le scale e uscii dalla porta  principale che dava sul giardino. Mi diressi dal lato opposto della casa e diedi un rapido colpo d’ali, cominciando a volare fino al secondo piano. Atterrai sul balcone della sua stanza e cercai di aprire la finestra: si aprì senza alcun problema. ‘’Perché non era serrata?’’ Entrai velocemente, e mi si gelò il cuore. Non c’era nessuno. Mi guardai intorno, cercando una qualsiasi traccia di mia figlia. -Amethist?- la chiamai. Non ricevetti risposta. Guardai dentro l’armadio, sperando di trovarvela nascosta dentro. -Amethist?!- dissi più forte. Scesi immediatamente nel giardino e entrai in casa sbattendo la porta.
Knuckles si voltò, guardandomi leggermente sorpreso. -Allora, com’è anda…-
-Non c’è- dissi in un soffio. Lui mi guardò stranito.
-In che senso non c’è?- chiese con un sorrisetto nervoso.
-Non c’è. Non è nella sua stanza- bafugliai. Lui strabuzzò gli occhi, impallidendo.
-Ieri ti ha detto che andava da qualche parte?- chiesi.
-No-. Ci guardammo per qualche secondo in un silenzio inquietante.
-Tu cercala nelle vicinanze, io vado a Station Square. Teniamoci in contatto. Forse so dove trovarla- dissi, con il cuore e la testa immersi nella paura che mia figlia se ne fosse andata. 

***
-Buongiorno- dissi in tutta fretta rivolta al commissario. Lui mi guardò confuso, inarcando un sopracciglio.
-Buongiorno…?-
-Devo pagare la cauzione di Amethist- mormorai. Mi guardò ancora più confuso di prima.
-Amethist? Questa notte non siamo intervenuti per nessun furto nei paraggi. Non abbiamo messo in cella sua figlia- disse, stringendosi nelle spalle.
Mormorai un veloce ringraziamento e uscii dalla centrale. ‘’Amethist… dove sei?’’ 

***
Amethist
Era ormai sopraggiunta la sera, e io avevo ben chiaro in testa cosa dovevo fare.
Di li a poco avrei dettato loro le mie leggi. Nessuno poteva rapirmi e sperare che non ci fossero conseguenze. Sentii dei passi avvicinarsi con una frequenza che avevo imparato ad odiare in meno di due giorni.
Bussarono alla porta e subito dopo una voce femminile riecheggiò nei corridoi: -Ragazzina. Ehi, mi senti?-
-Come se potesse esistere un modo per non riuscirci…-
Lei perse la pazienza molto in fretta. -Stai attenta a non tirare troppo la corda! Il capitano desidera limitare il più possibile la morte di ostaggi- mi minacciò.
Leggermente intimorita, ma desiderosa di mantenere la calma, mi sedetti composta sul letto, in attesa di ascoltare cosa aveva da dirmi Lady Bracconiera una volta entrata nella stanza. Aprì con foga la porta, richiudendola con poca delicatezza dietro di sé.
Incrociò le braccia, guardandomi con aria truce. -Spero che tu ti sia finalmente decisa a darmi una risposta- ringhiò. Io annuii.
-Finalmente- esclamò lei. Ghignai, alzandomi dal letto e avvicinandomi di qualche passo alla rondine.
-Sono disposta a farlo... a delle condizioni-.
Lei ridacchiò guardandomi con aria di sufficienza. -Tu? Porre delle condizioni a noi?- rise. Poi mi guardò seria. -Non sei nella posizione per poter contrattare-.
Serrai la mascella con rabbia a stento trattenuta. -Almeno dammi la possibilità di provarci-. Lei ci penso per un attimo.
-Va bene-.
Mi schiarii leggermente la voce. -Sarò disposta a contattare i miei genitori a patto che voi mi insegnate a usare quelle tavole- dissi.
Sulla sua faccia comparve un’espressione confusa. -Non vedo il motivo di questa richiesta. Si può sapere perché ti interessa imparare ad usarle?-
-Voi siete dei rapitori e dei ladri da quel che ho visto, e usate quelle tavole. Forse potrebbe essere utile anche per me imparare qualcosa in più su di loro. E poi… voglio che voi mi insegnate a rubare con quegli affari, oltre che saperli utilizzare-. Mi misi le mani sui fianchi. -Queste sono le regole. Prendere o lasciare-.
Sentii un moto di soddisfazione pervadermi le vene. Ero certe di essermi fatta finalmente valere. Ormai era fatta. 

***
-Lasciami andare immediatamente!- strillai a pieni polmoni. Mi dibattevo, cercando di liberare le spine dalla stretta di quella strega, che camminava a passo veloce per i corridoi.
-Lasciami, ORA!- gridai con un ringhio proprio nel momento in cui lei mi spinse all’interno della stessa cabina in cui avevo incontrato il falco.
Alzai con fatica la testa, ancora trattenuta dalla stretta della donna. -Jet!- ringhiò lei-.
-Wave, quante volte sei venuta nel mio ufficio oggi soltanto per lamentarti? Per caso sei in quel brutto periodo del mese?- chiese con un sorriso ironico il falco.
Lei mi tirò i capelli con rabbia, costringendomi a reclinare all’indietro la testa e ad avanzare fino alla scrivania del falco e portandomi giusto davanti a lui. -Non fare l’idiota e ascoltami. La nostra ospite avrebbe qualcosa di cui parlarti. Ha una proposta da fare-.
Il falco incrociò le mani, appoggiandovi il becco sopra e guardandomi. -Interessante. Che tipo di proposta avrebbe aizzato la nostra bambolina spacca-tavole?- chiese con un sorriso sbruffone.
Ripetei le stesse cose che avevo detto poco prima alla rondine e osservai la reazione dell’uomo. Lui annuiva pacatamente ad ogni cosa che gli dicevo, guardandomi attentamente e rimanendo in silenzio. Quando finii si mise a sghignazzare, fino a prorompere in una vera e propria risata.
-Aspetta un secondo,- mormorò tra le risate, asciugandosi gli occhi. -mi stai dicendo che prima spacchi le nostre tavole, poi mangi a sbafo da noi e pretendi pure di farti dare delle lezioni di guida gratis?- Afferrò qualcosa da sotto la scrivania. Sentii scatenarsi la pelle d’oca su tutto il corpo quando capii cosa fosse. ‘’Un coltellino’’. Me lo puntò sul collo, in direzione perfetta per potermi recidere la giugulare.
-Hai fegato ragazza. Troppo fegato per una prigioniera- disse, avvicinandosi leggermente vicino a me. Cercai di resistere all’impulso di tirargli un pugno e lo guardai, congelata.
-E la cosa mi piace!- urlò a qualche centimetro dal mio orecchio. -Affare fatto!- strillò allegro, allontanandosi di scatto e afferrandomi una mano, scuotendola con enfasi.
-Jet?!- urlò incredula la rondine. -E sentiamo, chi si dovrebbe preoccupare di istruirla? Dovrebbe essere una fonte di guadagno, non di disagi!-.
Il falco, trasudante di allegria da ogni poro, le mise una mano sulla spalla. -Tu, ovviamente-.
-Che cosa?!- urlammo entrambe all’unisono.
-Mi sembra che finora abbiate avuto un buon rapporto-. Mi guardò con un sorriso. -Con te è stata molto gentile e simpatica. L’ho vista fare di peggio-.
Lei strinse i denti, guardandolo infuriata. -Tu sei pazzo Jet!- strillò, trascinandomi fuori dall’ufficio. -Sei molto peggio rispetto a quando avevi quattordici anni!- Chiuse di botto la porta, portandomi con sé e borbottando delle imprecazioni per tutta la strada fino alla mia stanza. Mi spinse dentro con violenza, rischiando di farmi inciampare.
-Piantala di spingermi!- sibilai stizzita.
-Tieniti pronta, inizieremo gli allenamenti molto presto. Fino a quel momento riposati-. Se ne andò rapidamente, sbattendo la porta e chiudendola a chiave. Quella vecchia pazza non aveva la più pallida idea di con chi avesse a che fare. Mi buttai sul letto, coricandomi a pancia in giù e sorridendo soddisfatta. ‘’Ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta!’’ esultai. ‘’Mamma… ora vedremo chi è la ladra abile tra le due’’.
Non passarono neanche cinque minuti che sentii scattare la serratura della porta. La Strega apparve in tutta la sua presunzione, avvicinandosi verso di me. Mi tirò di nuovo le spine sulla testa, buttandomi giù dal letto. 

***
-Lasciami andare immediatamente!- sillabai, rossa dalla rabbia. Stetti per ricominciare ad urlare, quando le parole mi sembrarono morire in gola. Eravamo uscite sul ponte della nave, e davanti a me non si più estendeva per chilometri e chilometri l’oceano, ma un immenso cielo pezzato di nuvole. Mi sentii mancare il fiato. La Pazza mi lasciò dalla sua presa micidiale, e io mi aggrappai istintivamente alla ringhiera più vicina a me.
-Stiamo volando- borbottai senza fiato. Ecco perchè avevo sentito tremare la nave quella volta... 
La rondine si diresse al centro del ponte, dove si trovava una piccola leva. La tirò, e improvvisamente, tutto il ponte iniziò a trasformarsi. In alcuni punti, il pavimento si aprì, e quella che sembrava più le rotaie di delle montagne russe che una pista si alzava lentamente dal buco venutosi a creare. Il posto sembrò diventare un campo di corsa di piccole dimensioni, ondulato e stretto.
-Qui è dove ti allenerai- mi disse la donna. Mi si avvicinò, posandomi tra le mani una di quelle tavole, mentre lei ne teneva sottobraccio una fucsia.
-Prima cosa: queste non si chiamano ‘’tavole’’, ma Extreme-Gear. E ora sbrigati a salirci sopra-. La posai a terra, facendo come mi aveva detto lei.
-Come si attiva?- chiesi. Lei sospirò, girandomi intorno e fermandosi dietro di me.
-Lascia, faccio io-.
-Aspetta, non intendi spiegarmi niente di come si faccia a manovrarla?-
Lei ghignò divertita. -Credo che il modo migliore per imparare sia farlo sul campo-. Pestò il retro della tavola, facendole fare frizione con il suolo. Scattai in avanti, partendo all’improvviso.
Mossi convulsamente le braccia nel vuoto, cercando in tutti i modi di mantenermi in equilibrio. Dopo essermi abituata al vento che mi sferzava contro e agli ondeggiamenti del Gear, riuscii finalmente a mantenere una rotta stabile. Mi rilassai. Ci stavo riuscendo. Davanti a me vidi una curva. ‘’Ok, facciamolo’’. Mi sporsi di lato, cercando di girare. Ma qualcosa era andato storto, e la tavola uscì di pista. All’improvviso sentii mancare il contatto dei miei piedi con la tavola. Stavo cadendo... dalla nave. Urlai, e vidi che mi stavo avvicinando molto velocemente al mare. Provai un dolore acuto alla testa, e la mia discesa nel vuoto si fermò all’improvviso. Alzai gli occhi, e vidi che la rondine, in sella al suo Gear, mi aveva afferrato appena in tempo per le spine.
-Ti ho presa- affermò vittoriosa. Quando guardai giusto di fronte a me, notai che il ponte sembrava essere sparito, e che la carrozzeria della nave possedeva lo stesso colore del cielo. ''Com'è possibile?''
-Come puoi vedere non sei ancora così tanto abile da poter fare la spavalda con noi. Trova un po’ di umiltà-. Mi sollevò fino alla sua altezza, e poi mi lanciò sul ponte.
Avevo lo scalpo dolorante, e la botta mi aveva procurato qualche livido sulle gambe. Eppure, ero indecisa se insultarla o ringraziarla. Sindrome di Stoccolma? La sentii sfogarsi in una grassa risata, prima che si rivolgesse di nuovo a me
-Questo era un avvertimento. Ormai anche la seconda tavola è andata. Ma dalla terza in poi peserà tutto sul conto dei tuoi.- Subito dopo si avvicinò a me, guardandomi dall’alto verso il basso. -Consideralo un incentivo all’impegno.- La vidi riprendere la serietà in un secondo mentre mi diceva quelle controverse parole d’incoraggiamento. Subito dopo si chinò verso di me, porgendomi la mano -Alzati, questo è solo l’inizio- Mi disse freddamente, ma con un accenno di noia nella voce, che probabilmente si era andato a sostituire all’ira di poc’anzi. -Torna nella tua stanza, e rifletti su ciò che ti ho appena detto. Domani ne riparleremo.- Fantastico. Mi ero trovata un'altra persona uguale a mia madre, forse anche peggiore. 

***
Ormai era notte, ed ero stanca. Sarei andata a dormire a breve, finché non sentii un'altro inaspettato bussare ala porta. 
-Senti, strega, so che sei tu, sappi che non ho pensato nemmeno un pò alla tua ramanzi...- Guardai dallo spioncino, e rivedetti quell'energumeno di quache giorno fa. -...na?- 
-Veramente io mi chiamo Storm-. 
-Io...ti chiedo scusa, pensavo che fossi qualcun'altro. Aspetta, che ci fai tu qui?- Sembrava piuttosto imbarazzato a seguito di questa domanda, per motivi che mi inquietava non sapere. 
-Beeeh...avevo finito i lavori, per oggi, e, poiché potresti stare con noi per un bel pò, volevo fare una chiacchierata!- Come ho già detto, ero stranita da quello strano comportamento. 
-Sssi...va bene, ma domani avrei una giornata pesante, quindi...- 
-Oh, solo cinque minuti...Ti prego!- cominciò a supplicarmi. 
-Uff...ok, ma...cinque minuti...e tu rimani fuori, chiaro?- 
-Chiaro, ricevuto-. Mi misi in ginocchio, preparandomi a levarmi quella seccatura 
-Beeene... di cosa vuoi parlare?- 
-Oh, eeehh...cavolo. Di solito gli altri mi mandano via quasi subito, quindi mi aspettavo che sarebbe finita allo stesso modo anche con te. Ero impreparato per l'argomento-. Ok, quel tipo non era un malintenzionato, era solo un'idiota. Avevo l'opportunità di mandarlo via ed andare a dormire, perché? Perché?! 
-Allora comincio io, eeh...tu cosa fai qui? Tipo, pulisci le toilettes, cucini la sbobba...? Eh...?- 
-Oh no, non solo quello. Mi occupo anche del magazzino e delle pulizie generali-. Bene, stavo facendo amicizia con lo sguattero di bordo. Ma in fondo, mi sembrava piuttosto innocuo. Abbastanza da poter aprire la bocca un pochino più del dovuto. 
-Senti, tu non hai degli amici?- mi chiese, incuriosito da quello che poteva sentire. 
-Io? Definisci "amici"- dissi,  ironicamente. Le compagnie che frequentavo non erano esattamente le migliori per trovarsi un amico del cuore. 
-Persone da cui andare quando hai dei problemi. O quando ti annoi-. Distolsi lo sguardo per un istante, poi lo riguardai con un'occhiata molto meno diffidente rispetto a prima. 
-Beh, sì, se la mettiamo in questi termini. Diciamo che, però...avevo bisogno di capire delle cose-. 
-E non potevi chiederle a loro? Suppongo che gli amici servano anche a questo-. 
-Eh. Non so se la parola "amici" è la più appropriata in questo momento, ma no...loro non avrebbero capito.Non lo fanno di solito-. 
-Per me avrebbero capito, se ci avessi provato-. Adorabile, mi chiesi perché non ci avevano ancora fatto una linea di pupazzetti kawaii di quel tipo. Poi decisi io di cominciare a parlare 
-Dimmi un po'. Quella tipa, la strega, fa sempre così?- 
-Quale tipa?- 
-L'unica tipa che avete a bordo...- 
-Oh, Wave! Oh, lei non è una strega, è la vice-capitano. Lo so che può sembrare un po' aggressiva la prima volta, ma sia io che il capitano le affideremmo a nostra vita se fosse necessario-. ''Forse, considerando che è anche l'unica persona con un barlume di affidabilità su questa nave...'' 
-L'unico motivo per cui è così dura con te è perché vuole prepararti al meglio per...in cosa vi state allenando, già?- 
-Extreme Gear-. 
-Oh, cavolo, così è molto peggio!- Probabilmente, vedendo il mio spavento a riguardo, si corresse leggermente. 
-...Ma, ma non ti preoccupare! Sono certo che ti preparerà al meglio!- Già, ne ero certa. Non so ancora come fu possibile, ma finimmo per parlare per delle ore, finché lui non smise improvvisamente di parlare. Si era addormentato. E anch'io avevo bisogno di dormire...

***
Mi svegliai al violento bussare della porta. Sapevo bene chi era. Mi alzai, aprii di tutta fretta e me la trovai davanti. Ci guardavamo con sguardo di sfida, senza nemmeno salutarci. Nemmeno nella maniera più formale e distaccata.
-Seguimi. Conosco un posto più adatto alle tue… capacità.- Stavolta muovendomi senza nessuno a trascinarmi per le spine, ero terrorizzata da ciò che avrei trovato una volta giunta  a destinazione… forse era per quello che l’adrenalina mi scorreva nel sangue, muovendosi per tutto il mio corpo, in contrasto con quella piacevole e disturbante sensazione di affrontare qualcosa di nuovo.
Scendemmo le scale di tutta la nave, e in quel mentre, mi venne da farle una domanda. -Voi siete…tipo dei pirati, giusto? Come fate a volare in giro per il mondo senza farvi notare da nessuno? Se ricordo bene da queste parti siamo ancora in giurisdizione della G.U.N.-
-Dici bene. Ma mi sembra inopportuno che tu chieda qualcosa di così confidenziale proprio a me. Potevi tentare con Storm…- Capii che era il momento di stare zitti, quando ricominciò a parlare senza preavviso.
-Specchi mimetici. Riflettono la frequenza di raggi solari soprastanti alla nave, espandendoli a tutta la sua superficie. In pratica, la nave assume lo stesso colore del cielo. La notte scorsa abbiamo avuto un guasto, per questo siamo atterrati-. Rimanemmo in silenzio per il resto della discesa, arrivando fino al suo fondo.
Era completamente buio, e non riuscivo a vedere ad un palmo dal mio naso.
-Benvenuta nella stiva della nave-. Schiacciò un piccolo interruttore, che accese le varie luci. -O meglio definita: la Sala d’addestramento per principianti. O per persone troppo pigre per uscire sul ponte quando è inverno- disse, mostrandomi con un gesto del braccio il nuovo ambiente. Era una stanza enorme, che occupava tutta la stiva. Sembrava un comune percorso ad ostacoli come quello che avevo visto poco prima, ma questo, al contrario, era di dimensioni ridotte e più semplice, senza troppe curve e intralci. Appesi ai muri, si potevano vedere distintamente dei Gear di vari colori. Mi diressi verso uno di questi, facendo per afferrarlo.
-No- mi fermò la rondine. -Tu non sei ancora pronta per quelli-. Mi porse due bacchette e altrettanti piatti, sorridendo furbetta. -Ma questi sono più che perfetti per una come te-.
Li afferrai titubante, rivolgendole un’occhiata confusa.
-Se vuoi imparare a guidare i Gear, dovrai prima capire come starci in equilibrio sopra-. Ghignò, sinceramente soddisfatta. -Fai ruotare quei piatti sulle bacchette. Quando riuscirai a non farne cadere neanche uno, vorrà dire che avrai appreso appieno la postura e l’equilibrio che devi mantenere quando sei su un Gear-.
‘’Che cosa?!’’ La guardai con la bocca semi-aperta. -Mi stai prendendo in giro?!-
Lei si sedette sul pavimento. -Spiacente ma no. Buon lavoro-. Ero incredula, ma determinata a riuscire nel mio intento. I piatti non erano così leggeri come sembravano. Le bacchette, invece, lo erano un po’ troppo. Avevo difficoltà a capire come dovevo iniziare.
-Non ti preoccupare. Di solito le prime ore sono dedicate ad iniziarli a far girare. POI, potrai iniziare il vero addestramento-.
 La rabbia e la noia si fondevano nei miei nervi, mentre cominciava a farsi largo nella mia testa il desiderio di mandarla al diavolo. Misi i piatti sopra le bacchette, cominciando ad imprimere un approssimato movimento rotatorio alle bacchette, sperando che i piatti non cadessero. Speranza che si spezzò in tanti, piccoli pezzi di ceramica sparsi sul pavimento. -Ricomincia- mi ordinò lei.
… Evidentemente ci sarebbe voluto un po’ di tempo.

***
Rouge
Avevo cercato ovunque: in tutte le gioiellerie della città, in ogni museo, in ogni carcere. Ma non ero riuscita a trovarla da nessuna parte. Estrassi velocemente il cellulare dalla tasca dei pantaloni, componendo il numero di Knuckles. Rispose immediatamente.
-L’hai trovata?- mi chiese, la voce piena di preoccupazione.
-No-. Avevo il cuore in gola per la paura.
-Rouge, l’ho cercata per tutta l’isola, anche a Mistic Ruins. Non ho la più pallida idea di dove possa essere, non ha lasciato nessuna traccia-. Mi guardai intorno. Ormai si era fatto buio. La mano che teneva il cellulare mi tremava.
-Vado a fare denuncia alla polizia- mormorai con un filo di voce.
-Ti raggiungo-.
-No, resta lì. Amethist potrebbe farsi viva-.
-…Va bene-.
Stemmo in silenzio per qualche secondo. -Se non torna entro questa sera, ho intenzione di rimettermi in contatto con dei miei vecchi amici- affermai.
Knuckles non mi rispose immediatamente, zittendosi. -Rouge, stai attenta. Non fare sciocchezze-.
-…Sì. Tienimi informata-. Chiusi la conversazione e mi diressi con convinzione verso la centrale di polizia più vicina. ‘’Ti prego, fa che stia bene. Fa che la mia bambina stia bene’’. 

***
Anche per quella notte Amethist non si fece vedere. Io e Knuckles eravamo rimasti svegli per tutto il tempo, sperando che lei ritornasse a casa.
Ma non era successo. Non riuscivo a provare sonno, nemmeno nei rarissimi attimi in cui sbattevo le palpebre. La polizia non ci aveva ancora fatto avere alcuna notizia. Non potevo attendere oltre, ogni secondo era vitale. Ma non potevo passare per una barbona nel luogo dove stavo per andare. Mi detti una ripulita, e poi mi preparai. Mi vestii con un vecchio completo nero da segretaria che utilizzai tempo addietro per infiltrarmi nella sede di una multinazionale. Presi dal comodino qualche utensile che mi sarebbe potuto essere utile, e mi preparai per partire, quando Knuckles mi fermò.
-Mentre tu sarai via, io continuerò le ricerche a modo mio. Potrei trovarmi in luoghi improbabili, quindi non preoccuparti se non riusciremo a contattarci, va bene?-
Annuii. -Va bene.- Poi mi fermò un’altra volta, afferrandomi la mano
-Non finire nei guai Rouge. Non voglio rischiare di perdere anche te…- Nell’udire quelle parole, ritrassi di scatto la mano e alzai la voce.
-Lei non è persa!- Knuckles chinò il capo, lo sguardo pieno di dolore represso. Rimanemmo in silenzio qualche secondo, quando lui alzò nuovamente la testa, rispondendomi.
-Sì. Hai ragione. Ma fai attenzione-.
Risoluta, prima di entrare in azione, replicai: -L’attenzione ce l’ho nel sangue-.  

***
Guardai per qualche secondo l’edificio che si parava davanti a me, in tutta la sua magnificenza e inquietante eleganza. ‘’La base della G.U.N. Alla fine ci sei ritornata.’’ Respirai profondamente, incamminandomi. Superai la porta scorrevole e mi diressi immediatamente verso la reception.
-Ho bisogno di incontrare il Comandante- dissi alla segretaria lì presente, sperando che non mi avrebbe creato problemi.
-Certo, ma… mi scusi, lei chi sarebbe? Ha forse un appuntamento?-
-No, ma sono certa che la cosa si possa risolvere-. Le mostrai la mia vecchia tessera d’agente. Mai lasciare cercare al computer ad una novizia, si potrebbero creare delle complicazioni.
-Lei è un ex-agente, Rouge the Bat…dipartimento “Dark”? Era la sezione d’élite, prima che venisse sciolta-.
‘’ Purtroppo, su questo hai ragione’’. -Allora? Mi lascia passare?-
-Mi lasci solo controllare nel registro-. Ma queste giovani donne sono così attaccate alla tecnologia?
-Sì, è vero, lei ha lavorato qui. Ma oggi il Comandante è pieno d’impegni, se vuole la posso inserire per i prossimi giorni…-
La interruppi subito. -Mi inserisca anche all’ultimo posto se è necessario, ma si sbrighi, è urgente.- Riuscii a sbrigarmela alla fine. Dovevo solo sperare che non avessero spostato l’ufficio, d’altronde era passato diverso tempo. Presi l’ascensore, e mi diressi verso il piano superiore dell’edificio. Una volta arrivata a destinazione, davanti a me, nell’anticamera che mi avrebbe dovuto condurre senza problemi al mio obbiettivo, vidi una trentina di persone sedute su delle sedie lì vicino mentre leggevano tranquillamente delle riviste o chiacchieravano tra loro, in attesa che il Comandante le ricevesse. Mi sedetti in una sedia in disparte, sospirando stancamente. ‘’Non è possibile’’.

 ***
Aspettai cinque, interminabili minuti, in cui la mia mente non poteva far altro che ritornare al pensiero che ogni secondo in cui stavo seduta in quella sala, stavo perdendo tempo prezioso in cui mia figlia stava possibilmente rischiando la vita. Mi alzai rapidamente, camminando con furia verso la dannata porta del dannatissimo ufficio. La aprii di scatto, facendola sbattere violentemente.
Dietro la scrivania del Comandante ritrovai un giovane ragazzo di al massimo trent’anni, capelli castani e corti e occhi verdi e penetranti.
Lui e un altro uomo, seduto dalla parte opposta, mi guardarono confusi.
-Lei chi è?- sibilò Gibson, continuando a stare seduto e composto sulla sua sedia.
-Ho bisogno del suo aiuto- dissi.
-Non credo che il suo sia uno degli atteggiamenti più adatti per chiedermelo-. Scosse sconsolato la testa, schiacciando un pulsante sulla sua scrivania. -La sicurezza si diriga…- mormorò annoiato. Poi la sua espressione cambiò, e smise di parlare. Mi guardo con più attenzione, stringendo gli occhi per osservare meglio il mio volto.
-Un momento…- Il suo volto si illuminò, e rischiacciò il pulsante. -Ritiro l’ordine dato- disse secco. Si rivolse all’altro uomo, facendogli un gesto verso l’uscita. -Continueremo il nostro discorso tra una ventina di minuti-. Appena l’uomo uscì dalla stanza, borbottando nervosamente qualcosa, Gibson mi invitò a sedermi.
-Io la conosco. Lei era una nostra ex-agente, membro del Team Dark- borbottò.
-Sì. E sono venuta qui per chiederle aiuto-. Lui alzò un sopracciglio.
-Che genere di aiuto?-
-Mia figlia è scomparsa-.
Lui incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale della sua sedia. -Quindi lei vuole…?-
-Dovete aiutarmi a ritrovarla- sibilai scocciata.
-Non posso-. Mi sentii gelare il sangue, e fissai quella sottospecie di bambino ad occhi strabuzzati.
Iniziai ad estrarre di nascosto dalla tasca uno dei miei utensili preferiti, adatti alla persone che non volevano collaborare: un rossetto. -Gibson, mi ascolti…-
-No, mi ascolti lei. Non posso assolutamente sprecare parte delle mie risorse per una faccenda mirata al ritrovo di una ragazzina andata a gironzolare chissà dove-.
Abbassai lo sguardo, consapevole che il mio rapporto con l’agenzia governativa stavolta non sarebbe servito a nulla. Alzando lo sguardo, mi rivolsi a lui con aria quasi supplichevole -E lei cosa crede che dovrei fare?-
-Ha provato a rivolgersi alla polizia?-
-Sì. Ma non so quanto possano essermi utili-.
-Allora le conviene avere fiducia. So che in questo momento le sembro un orco, ma se lei fosse a conoscenza della nostra situazione attuale potrebbe capirmi-.
-E lei non sta provando a capire come mi sento io, in questo momento, mentre le mie ultime speranze si stanno volatilizzando?!- Dopo che fece un attimo di silenzio, in cui forse cercava di digerire ciò che stava per dirmi di li a poco, mi rispose.
-Il mio lavoro mi impone delle scelte. E mi indirizza sempre verso la strada da seguire. Non posso aiutarla, Bat-.
Mentre era distratto, da sotto la scrivania, sparai un piccolo dardo soporifero, che andò a conficcarsi nella gamba del Comandante.  

***
Dovevo fare in fretta, il sonnifero che gli avevo somministrato aveva principalmente lo scopo di affievolire i nemici per poterli paralizzare, quindi la sua durata era molto breve. Inoltre, anche se Gibson sarebbe rimasto buono per un po’, chi aspettava fuori dalla porta si sarebbe spazientito presto. Cominciai a perquisirlo, cercando nelle tasche il migliore amico di un Comandante. Lo rimisi in una posizione tale da far sembrare che si fosse addormentato sulla scrivania… cosa  che effettivamente stava facendo. Non che servisse a molto, ad essere sinceri. Fissai rimirante l’oggetto delle mie ricerche: il passpartout della G.U.N., un oggetto che ogni comandante doveva tenere con sé per poter accedere a qualsiasi area della base in qualsiasi momento da questi ritenuto opportuno.
Uscii rapidamente dalla stanza, camminando a testa alta verso l’ascensore. Schiacciai il tasto per il piano 53: sala sezione d’utenza satellitare.
Dopo un interminabile minuto, le porte si aprirono. Schizzai fuori, trovandomi nei soliti, monotoni corridoi grigi. Andavo a memoria, sperando, come prima, che tutto fosse ancora al suo posto, ed effettivamente era così. Una volta davanti alla porta che cercavo, passai la tessera nella serratura elettronica. La luce verde che emise fu il segno che potevo passare. Mi ritrovai in una larga sala con degli enormi schermi di computer sui muri. Le persone trottavano frenetiche con centinaia di documenti tra le mani o osservavano gli schermi con aria assorta.
Io sarei passata inosservata solo finché non avessero mandato un avviso generale sulla mia presenza, quindi presi subito i miei occhiali da sole. Non perché mi avrebbero tenuta nascosta, ma per una loro  particolare proprietà: potevano immagazzinare e registrare immagini, anche in movimento. In breve erano praticamente delle macchine fotografiche che non davano nell’ “occhio”. Comunque sia, conosco le abilità di mio marito: se Amethist si fosse semplicemente allontanata, o fosse stata presa da un gruppetto di delinquenti qualunque, lui sarebbe quantomeno riuscito a trovare degli indizi nelle vicinanze. Quindi dovevano essere dei banditi seri. Quindi, la G.U.N. sarebbe stata la prima a tenerli d’occhio, anche via satellite se necessario.
Cominciai a cercare computer che fossero liberi, senza fortuna. Le mie camminate si facevano poco a poco spasmodiche, segno forse che il tempo aveva corroso la mia capacità di mantenere la calma in situazioni di pericolo. O forse perché questa situazione era insostenibile anche per me.
Poi qualcosa catturò la mia attenzione: l’immagine di una nave a mollo sul mare, non molto definita poiché coperta dal manto di tenebre della notte. Molto probabilmente era ferma, visto che non notavo scie d’acqua in movimento di alcun genere. E guardando meglio, vidi una macchiolina un po’ più chiara, a qualche metro di distanza dalla nave. Più le immagini scorrevano, più quella ‘’macchia’’ si avvicinava al ponte, fino a salirvi sopra.

L’avevo trovata. Era lei. Iniziai a scattare foto della nave, sperando che, per curiosità, gli agenti avrebbero zoomato su quel puntino bianco per capire cosa stava svolazzando lì vicino. Non successe. Probabilmente la confusero con un gabbiano. Comunque, io speravo che non fosse un gabbiano con delle ali strane. Improvvisamente, un allarme colorò di rosso l’ambiente: -Attenzione, intruso nell’edificio, rimanere allerta. Segnalate ogni individuo sospetto  immediatamente…Attenzione…-. Mentre la gente cominciava a guardarsi attorno spaventata, alcuni avevano già cominciato a puntare lo sguardo su di me, segnale che mi convinse ad andarmene. Cominciai a marciare velocemente, ripercorrendo la strada che avevo fatto poco prima, e mi diressi verso la porta d’uscita della stanza. Poco prima che potessi aprire la mia unica via d’uscita, questa si aprì da sola, e subito dopo un uomo in divisa da poliziotto, una guardia di livello basso, mi puntò una pistola contro.
-Ferma dove sei, tieni le mani dove possa vederle!- strillò. Era evidente di come il Comandante si fosse già ripreso. 
-Qui agente sezione d’utenza satellitare numero 2. Ho preso l’intrusa, mi preparo ad immobilizzarla-.
In quel breve lasso di tempo mi sbilanciai e tirai un calcio all’arma, disarmando l’uomo, per poi colpirlo con un altro calcio sul ventre e facendolo cadere a terra. Dovevo aver perso un po’ di manualità con il passare degli anni, perché non mi accorsi immediatamente che la guardia si era alzata e si era armata di un taser. Cercò di colpirmi con esso, rilasciando il cavo elettrico dell’arma, ma riuscii a schivarlo appena in tempo. Quindi lo colpii con un calcio dietro i polpacci per fargli perdere l’equilibrio, facendolo crollare sulle ginocchia e dandogli il colpo di grazia con una testata sul cranio che gli fece perdere i sensi. Presto sarebbero arrivati i rinforzi, quindi cominciai a correre. Ormai avevano capito chi era la persona di troppo. Misi in tasca gli occhiali per proteggerli. Erano la mia unica speranza per poterla ritrovare.
-Ferma!- strillarono alle mie spalle. Presi dalle tasche dei piccoli dischetti e li attivai, schiacciando un piccolo pulsante sopra di essi. Li lanciai contro la vetrata distante qualche metro da me.
-Ferma! Non costringerci ad aprire il fuoco!- Mentre mi urlavano contro, sentii il picchiettare del vetro, segno che cominciava a rompersi sotto l’effetto dei dischi ad ago di titanio. Quello che sembrava il leader cominciò ad avvicinarsi a me molto velocemente. Fortunatamente, sotto la divisa aveva portato con me gli indumenti che un tempo indossavo durante i miei colpi. Mi rimossi la parte superiore della veste, lanciandola contro quel ‘uomo. Quando cominciarono a spararmi contro, in un azione rapidissima, io stavo correndo contro la finestrata, saltando poi verso di essa. L’impatto con il mio corpo la distrusse, dopo che fu indebolita, e potei finamente saltare giù. Mentre ero in discesa libera, aspettai qualche secondo, poi aprii rapidamente le ali, cominciando a riprendere quota, mentre i soldati cercavano di colpirmi a distanza. Ma non era finita. Sapevano chi ero e dove vivevo ora che avevo la fedina penale pulita. Dovevo allontanarmi, e avvertire Knuckles di allontanarsi da Angel Island. Sapevo esattamente dove andare.

***
Tails
Ce l’avevo fatta, finalmente. Dopo settimane di studi infiniti e giornate intere passate sopra al microscopio, avevo ciò che Shadow voleva! Ciò che caratterizzava gli alieni era una moria di cellule dieci volte più lenta rispetto a quella dei mobiani. Tutto questo ero garantito da un particolare enzima presente nel loro apparato circolatorio, che nutriva le cellule. Ciò dava loro un’aspettativa di vita pressoché infinita, forse uno dei motivi per cui erano inclini ad invadere altri pianeti, considerata la loro illimitata tendenza alla riproduzione asessuata. Shadow, ovviamente, era provvisto dell’enzima per via genetica.
Era bastato semplicemente trovare un modo per rimuoverlo dal loro sangue, una fatica che mi ricorderà di non avere mai più a che fare con la biologia. Quello che mi rimaneva da fare era  aspettare di essere contattato da Shadow.
Poco prima che potessi tornare al lavoro, sentii il campanello di casa suonare e, pensando che fosse qualche agente della G.U.N. che stava per darmi l’ennesimo ultimatum per farsi restituire i campioni del sangue di Black Arm che avevo preso in prestito, mi affrettai ad andare ad aprire. Afferrai con violenza la maniglia della porta, senza nemmeno guardare dallo spioncino a causa del nervosismo che mi pervadeva in quel momento. 
-Ok, vi ho già detto che ho finito, ve li stavo… Knuckles? Rouge? Che ci fate qui? Che sorpresa…- Knuckles mi interruppe subito, quasi cercando di intimarmi il silenzio.
-Tails, ti prego, facci entrare. È un’emergenza-. Ovviamente non mi opposi; per Knuckles avrei fatto questo e altro. Non sapevo che stavano per rifilarmi un’altra gatta da pelare…

*** 
Amethist
Il piatto non era ancora caduto. Continuava a ruotare insistente e doveva continuare a farlo. Era il secondo giorno che continuavo a esercitarmi ininterrottamente con Wave che mi teneva bene d’occhio affinché non mollassi tutto sul più bello e scappassi chissà dove. Non chiudevo le palpebre da due giorni, e ormai i miei occhi non guardavano il piatto, ma il vuoto, nel disperato tentativo di non chiudersi. Erano passate cinque ore dall’ultima ora che avevo fatto cadere un piatto, spargendo i suoi pezzi per tutto pavimento. Ero ormai al limite e stavo per esaurire le poche forze che mi erano rimaste. Avevo fatto tutto ciò che il corpo di una diciasettenne poteva fare, e sapevo che il sonno avrebbe avuto la meglio su di me molto presto. I miei occhi si stavano chiudendo lenti e inesorabili.
-Basta così!- Li sbarrai improvvisamente, sentendo Wave sbraitare con la sua voce acuta, e il mio cuore sobbalzò. Feci saltare il piatto in aria, mentre ancora girava su sé stesso. Ma non pensavo che sarebbe finita male. Ad essere sincera, non pensavo affatto.
Lo seguii con lo sguardo, alzai la mano che impugnava la bacchetta, e il piatto, nonostante la sua pesantezza, sembrò appoggiarvisi delicatamente sopra. Non riuscivo nemmeno più a sentirne il peso. Continuò a girare con noncuranza.
-Ora sei pronta- disse con un sorriso di soddisfazione, o di felicità, stampati sul becco. Erano probabilmente dovuti alla stanchezza, visto che anche lei non chiudeva occhio da un paio di giorni.
Non ne vedevo l’importanza… in fondo, le streghe non provano sentimenti, no?.
-In che senso? Vuoi dire “pronta”, o “pronta pronta”?- bafugliai, un po’ incredula nel sentire quelle parole. 
-Pronta ad allenarti seriamente. Non illuderti, c’è ancora molto lavoro da fare con te-.
-Quando iniziamo?-
-Immediatamente-. Non potevo credere che stesse dicendo sul serio. Ero esausta, e lo sapeva perfettamente.
Ma l’immagine di mia madre che mi sfotteva sul quanto io fossi nulla al suo confronto continuava a tormentarmi la mente. E la stanchezza certo non aiutava a farla scomparire. -Beh, passami una tav…un’Extreme Gear-.
-Non qui-.
-E dove allora?-
-Lo sai bene dove…- Voleva farmi tornare sul ponte?
-Ma allora si può sapere perché mi hai portato su una pista più semplice se il tuo scopo era quello di non farmici nemmeno salire sopra?- Lei sorrise maliziosamente, mi si avvicinò e poi parlò. 
-Volevo solo illuderti che ti avrei reso la vita più semplice. Non abbiamo così tanto tempo, quindi sbrigati-. ‘’Ti odio, ti odio, ti odio!’’
Però, alla fine dei conti aveva ragione. Fu solo in que momento che mi resi conto che, per tutto il tempo in cui ero rimasta volontariamente prigioniera, non avevo pensato neanche lontanamente ai miei genitori. Non in modo approfondito, almeno. Wave mi lanciò tra le braccia un’Extreme Gear.
-Forza, diamoci una mossa-. 

***
-Io non credo di essere in grado di fare questa cosa. Non adesso. Negli ultimi giorni non ho chiuso occhio, sono troppo stanca- mormorai debolmente, osservando la rondine mentre tirava verso di sé la leva al centro del ponte della nave.
-Oh, non dire sciocchezze. Sei stanca, è vero-. Il percorso cominciò a materializzarsi sotto i miei occhi. -Ma sono certa che tu non vorrai cadere, non è così?-
Quando il campo d’allenamento si fu formato completamente, Wave si guardò intorno soddisfatta. -Bene!- Si voltò verso di me, alzando un dito per aria. -Ci sono delle regole quando sei sulla mia pista. La prima: non cadere. Sappi che non verrò più a salvarti-. 
Alzò un secondo dito. -Seconda: devi finire il percorso restandoci sopra. Come terza e ultima regola: non devi assolutamente arrivare al traguardo senza aver preso prima quel gioiello- disse, indicando quella che mi sembrava una piccola pietra appesa tramite un filo di ferro alla parte superiore del terzo percorso a chiocciola della pista. L’ultimo, per l’esattezza. Era posizionato giusto qualche metro prima della linea di arrivo.
La guardavo con un’espressione ebete, intontita, e veramente poco incline a continuare. Wave mi alzò l’avambraccio destro di scatto, il che mi fece svegliare. Poi mi tirò i capelli.
-Non mi aspetto che tu ce la faccia, stupida ragazza…- mi disse presuntuosamente, facendomi sobbalzare in modo impercettibile. Mi guardò fissa. -Dimostrami che mi sbaglio-. 
Mi diressi alla partenza di quella pista gialla. Imbracciai il Gear, lo appoggiai a terra, e ci salii sopra. Gli diedi un colpetto di tallone, e vidi la prospettiva alzarsi lentamente, senza che muovessi un solo muscolo. Lanciai un’occhiata verso il basso, e vidi che mi ero già sollevata dal suolo, senza essere scattata in avanti e senza aver perso l’equilibrio.
-Non chinarti, guarda davanti a te!- Ascoltai subito il suo consiglio. -Porta in avanti il busto, lentamente-.
Nonostante le prime difficoltà iniziali, riuscii ad avanzare a velocità spedita per tutto il rettilineo iniziale. E poi non ero ancora scivolata, quindi tutto andava perfettamente.
Poi arrivò il momento fatidico: la curva. La stessa per cui ero quasi caduta in mare la volta prima. Accelerai leggermente, mantenendo una traiettoria stabile.
-Stai attenta, non strafare!- urlò Wave. Non riuscivo a sentirla bene: ero troppo stanca per recepire il messaggio, e il suo urlo era per le mie orecchie poco più che un bisbiglio. Quando arrivai nel tratto critico, non riuscii a rallentare, e lo superai continuando ad andare dritta, nel vuoto. Le mie palpebre si alzarono all’improvviso. Guardai velocemente sotto di me, per vedere un immenso mare blu che mi stava invitando ad abbracciarlo e ad affondare tra le sue onde.
-Attenta!- strillò la rondine, la voce che si era fatta improvvisamente più acuta. Diedi una forte spinta con il piede al Gear, attivandone il propulsore. Una spinta improvvisa la fece scattare in avanti molto velocemente, riportandomi sulla pista. Il resto del percorso  fu relativamente semplice. Riuscii ad affrontare tutte le curve e i rialzamenti nel terreno senza troppi problemi. Evidentemente l’essere intontita mi faceva bene. Quando arrivai alla fine della pista, davanti a me si pararono le tre giravolte. ‘’Calma Amethist. Rilassati’’. Svuotai la mente e chiusi gli occhi. Pensai a qualsiasi cosa che mi venisse in mente che mi avrebbe fatto dimenticare di essere lì in quel momento.
Superai la prima giravolta. Un senso di vuoto mi pervase ogni vena del corpo per qualche secondo, solleticandomi, dandomi una sensazione d’impotenza eppure di controllo... dandomi la sensazione di volare. Dopo poco, tutto ritornò normale.
Provai a immaginare a come i miei genitori avrebbero reagito vedendomi ritornare a casa. Mi avrebbero strillato contro o mi avrebbero accolto di nuovo tra le loro braccia?
Superai anche la seconda. La sensazione di vuoto si ripresentò nel mio stomaco, questa volta. Era il turno del terzo e ultimo ostacolo.
Schiusi debolmente gli occhi. Il tempo sembrò rallentare. Ero stanca… molto. E non sapevo se quello che stavo facendo era la cosa giusta. Fui combattuta sul decidere se addormentarmi oppure aprire gli occhi in cerca della forza che mi serviva. ‘’Se riesci a prendere quel gioiello, avrai compiuto il primo passo per diventare una ladra. Una vera ladra’’.
Aprì con tutta la forza che mi rimaneva le palpebre e accelerai di scatto. -Al diavolo!- Ero nella parte più alta di quella pista a chiocciola, in quella breve sezione in cui ero perfettamente a testa in giù. Saltai all’indietro con la tavola, capovolgendola. Allungai un braccio per arrivare fino al gioiello e lo afferrai con forza, staccandolo da quel dannato filo. Riatterrai pesantemente sul pavimento, continuando ad avanzare rapidamente verso il traguardo e superandolo. ‘’Rallenta!’’ mi avvisò una vocina nella mia testa. Non appena mi accorsi della velocità spaventosa a cui stavo andando, raschiai la tavola contro il pavimento, cercando di creare attrito. Riuscii a fermarmi giusto qualche momento prima di andare a sbattere contro la parete.
Scesi dalla tavola e la tenni in mano posizionata verticalmente.
-Oh mio Dio, ce l’hai fatta!- strillò Wave correndomi incontro, presa dall’entusiasmo. Io la guardai spaesata, con un sorriso intontito sulle labbra.
-Eh…?- mormorai. La tavola si sgretolò improvvisamente sotto la mia presa. A malapena me ne accorsi.
-Ce l’hai fatta- ripeté Wave con un sorriso nonostante quella fosse la terza tavola che distruggevo.
-…Ce l’ho che…?- Risposi, combattuta tra il sonno e lo stupore
-Ce l’hai fatta, corpo di mille balene!- disse lei in un iniziale attimo di entusiasmo, dopo il quale cercò quasi di ricomporsi, come se avesse appena violato qualche protocollo. Poi sorrisi pacatamente.
-Bello. Ora scusa, ma svengo un attimino-. 

***
Furono le vibrazioni persistenti della nave a svegliarmi quella mattina. Aprii le palpebre a fatica, alzandomi a sedere sul letto. Mi guardai un attimo intorno, disorientata. Qualcuno mi aveva evidentemente portato nella mia stanza.
-Finalmente sei sveglia-. Mi voltai, e vidi Wave seduta su una sedia posizionata vicino al mio letto.
-Ciao- mormorai in uno sbadiglio sonoro. -Cosa ci faccio qui?-
-Quando abbiamo finito l’allenamento sei crollata addormentata sul ponte, quindi ti ho portato qui- rispose secca. -Se hai fame, lì c’è la colazione-. Fece un cenno a un vassoio posato ai piedi del letto. Mi ci fiondai praticamente sopra. Non ricordavo di aver mai avuto tanta fame.
-Wave?- borbottai con la bocca piena dopo qualche minuto di silenzio.
-Mhh?-
Buttai giù un boccone di cibo. -Cosa succederebbe se i miei genitori non avessero abbastanza soldi?-
Lei alzò dubbiosa un sopracciglio. -Perché mi fai questa domanda?-
-Mi uccidereste?-
-Beh, diciamo che saremmo costretti a tenerti per  ancora un po’ di tempo. Ma sono certa che i tuoi saranno in grado di trovare le finanze necessarie, giusto?- sospirò con l’accenno di un sorriso sulle labbra.
Io abbassai lo sguardo, ignorando il groppo in gola che si era appena formato. -Sì, giusto-.
-Comunque, non hai ancora rispettato la tua parte del patto. Come possiamo contattare i tuoi genitori? Hai un cellulare, no? Non abbiamo nemmeno potuto avvisare che siamo stati noi a prenderti. Saranno terrorizzati. Anche perché negli ultimi giorni sei sparita dalla faccia della terra. Almeno dimmi dove vivono-.
-Angel Island-.
Wave si irrigidì improvvisamente, gli occhi strabuzzati. -È dove si trova il Master Emerald- mormorò con il volto leggermente impallidito. Si fermò a osservarmi per qualche momento. Sembrava aver realizzato solo in quel momento un orribile verità. Si mordicchiò nervosamente l’indice, mettendosi a riflettere. Si alzò immediatamente dalla sedia e si diresse verso la porta.
-Ora devo andare a parlare con il capitano. Ci vediamo dopo- disse, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle e senza aspettare il mio saluto. ‘’Cosa sta succedendo?’’ 

***
Storm
A volte non capivo proprio il capitano. Partiva con un obiettivo preciso in mente, e nel corso di una giornata era in grado di pianificare qualcosa di totalmente opposto! Ma io avrei sempre eseguito il suo volere, non importava quanto ciò sarebbe stato difficile. Come da ordini ricevuti, mi diressi quindi verso la sala caldaie, proprio accanto alla sala da allenamento invernale. Invertii la rotta, facendo girare la nave nella direzione opposta. Era tardi ed ero piuttosto assonnato, motivo per cui, in questi casi, nascondevo sempre in ogni stanza una tazzina di caffè per le emergenze. Wave le trovava pochissime volte, quindi continuavo a farlo. Quella volta però non ricordavo proprio dove l’avevo messa. Mi stirai, alzando le braccia in aria, e per sbaglio urtai qualcosa. Era caffè. Asciugai velocemente per terra e anche sopra ai macchinari su cui si era riversato.
-Sono certo che sia tutto a posto…- bafugliai, cercando di chiudere lì la faccenda. Quindi me ne andai a letto.  

***
Rouge
Gli ultimi giorni erano stati confortanti seppur connotati da una certa tensione. Tails si era nuovamente dimostrato affidabile nei nostri confronti. Ci aveva ospitato a casa sua malgrado fossimo dei fuggitivi ricercati, e ci aveva nascosto dai vari agenti che, come prevedibile, avrebbero pensato tra i primi luoghi in cui andare a cercarci il suo laboratorio. Non che avessimo molti altri posti dove rifugiarci.
Negli ultimi giorni non avevamo fatto altro che cercare di ottenere informazioni su chi avesse potuto rapire Amethist e perché.
-Venite qui- ci richiamò Tails dalla stanza più isolata della sua casa: quella in cui progettava le sue nuove creazioni.
Io e Knuckles ci dirigemmo in tutta fretta da lui, sperando che ci portasse buone notizie. Tails era seduto su una poltrona nera girevole. Ci guardò con un sorriso.
-Ho scoperto di chi è la nave-.
-Davvero?- esclamò Knuckles incredulo, fiondandosi al suo fianco. Lo seguii prontamente.
Tails si piegò sul suo computer, che sullo schermo aveva impressa la foto che ero riuscita a ricavare dalla G.U.N.
-Lo vedete questo?- Il ragazzo indicò un simbolo sul lato della nave. -Ero sicuro di averlo già visto da qualche parte tempo fa, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a ricordarmi a chi appartenesse. Ho fatto qualche ricerca, e indovinate?- Buttò sul tavolo della scrivania una manciata di fogli pieni di informazioni e appunti a matita cancellati in malo modo. -Sono i Babylon Rogues-.
Spalancai la bocca. -Loro?!- strillai infuriata.
-Razza di luridi traditori!- Knuckles strinse con forza i pugni, cercando di trattenere la rabbia.
-Guardate qui- Afferrò una penna e indicò qualcosa di molto piccolo sul monitor. -Quell’affare che hanno ai lati della nave è una nuova tecnologia che gira comunemente per il mercato nero. È una specie di specchio rifrangente. Permette di non essere visti all’esterno, ma dall’interno del luogo in cui si sono installati è possibile vedere tutto-.
-Quindi?- chiese Knuckles snervato.
-Quindi loro li avevano disattivati, o hanno avuto un malfunzionamento se siete riusciti ad ottenere questa foto, e loro erano visibili. Credo che abbiano un piano in mente-.
-Cosa te lo fa pensare?- chiesi, con la speranza che finalmente si faceva di nuovo tangibile.
-Osservate- Attivò dei monitor, sui quali potemmo chiaramente vedere la stessa nave della foto. Solo che stava volando. -Queste immagini sono in tempo reale-.
-Vuol dire che li stai filmando in questo momento?!- chiesi agitata.
-Esatto. Solo, non capisco come ciò sia possibile-.
-Non ti seguo- disse Knuckles, sempre più confuso sulla situazione.
-Non capisco come possa riuscire a captarli. L’unica opzione è che i loro scudi, proprio in questo momento, siano disattivati. O, più precisamente, difettosi.  È come se lampeggiassero-.
-E dove sarebbe il problema in tutto ciò?- chiesi.
-Il problema sta nella loro direzione di viaggio-.
-Che sarebbe?- sputò Knuckles, stizzito. Potei chiaramente sentirlo ringhiare.
-Angel Island-. Cominciai ad avere paura, e aumentai senza neanche accorgermene la frequenza delle domande.
-Qualcosa non quadra. Prima hanno rapito Amethist, poi ce la riportano indietro nonostante siano completamente indifesi. Perché?-
Tails si fece sempre più serio, man mano che la conversazione proseguiva. -Vedete, per avere un quadro più chiaro ho dovuto calcolare la direzione e la velocità del vento, unitamente a quella alla quale si stanno muovendo. Tutto sommato, saranno a terra entro questo tardo pomeriggio. E qui torniamo a parlare di quello che potrebbe essere il loro piano-. Deglutii a fatica, cercando di tenere a bada il battito cardiaco accelerato.
-Vai al punto- lo intimò Knuckles. Tails gli lanciò un’occhiata poco cordiale per averlo interrotto.
-Sull’isola c’è il Master Emerald. Loro sono dei ladri, e potrebbero avere intenzione di rubarlo utilizzando Amethist come ostaggio-. Knuckles smise di respirare, ogni muscolo del corpo teso al massimo.
-Andiamo a riprendercela- disse risoluto.
-Ho la loro posizione e so a che velocità viaggiano. Ma è comunque troppo rischioso. Con gli anni possono essere diventati più scaltri e più abili. Riuscivi a competere con Storm anni fa, ma potrebbero avere aggiunto qualche nuovo membro alla banda. In più stanno volando nel bel mezzo dell’oceano. Non riuscireste mai a stare al loro passo- disse Tails.
Serrai la mascella con rabbia. Poi io e Knuckles ci guardammo in contemporanea. Sapevamo cosa dovevamo fare. -Abbiamo bisogno d’aiuto- sussurrai, sapendo che Knuckles avrebbe capito.

***
Sonic
Green Hill stava cambiando. Un tempo potevi aspettarti di tutto da queste terre, poiché spesso erano il luogo di nascita, insieme ai suoi dintorni, di svariate minacce. Tuttavia, erano sostanzialmente un posto pacifico per il resto del tempo.
Ormai erano diventate un terreno di caccia continuo per i Badnik. Erano anni che gli abitanti di quelle terre che non sarebbero riusciti a contrastarli non vivevano più tranquilli, nel terrore di venire catturati e trasformati.
Qui entravo in gioco io. Era solo una questione di tempo relativamente breve prima che raggiungessi il luogo in cui c’era bisogno del mio aiuto, o al limite dalle truppe G.U.N., e quindi a liberarli, ridonando loro la libertà. Ma non era comunque molto confortante sapere che, da qualche parte, nel mondo, c’è uno scienziato pazzo il cui scopo è di catturarti e renderti suo schiavo. E per la prima volta, sapevo che Eggman stava aumentando la sua attività, che aveva in mente qualcosa.
Ma non sapevo dove trovarlo. Quel grosso uovo parlante si faceva beffe di me e di tutto il mondo e io non potevo farci nulla. Ormai non potevamo nemmeno più girare eccessivamente liberi a casa nostra. Il culmine fu raggiunto un paio di giorni prima, quando un due agenti della G.U.N. armati di mandato di perquisizione, cominciarono a controllare per lungo e per largo casa nostra, scatenando le ire di mia moglie. Non ci dissero neanche che cosa volevano, poiché a loro dire era “Questione di sicurezza nazionale”.
Come ciliegina sulla torta, quando venni a scoprire che quegli sconsiderati di Dash e Althea erano tornati dalla loro scampagnata nella Foresta di Confine, fui talmente furioso che proibii loro la libera uscita. In fondo, sapevo che Shadow avrebbe fatto la stessa cosa se avesse visto in che condizioni era ridotta la spalla di sua figlia. Green Hill stava cambiando. Un tempo dissi ad un’amica che tutte le cose sono destinate a nascere, a vivere e poi a morire. Però devo ammettere che vedere la propria terra impazzire gradualmente non era facile né piacevole.
Guardai pensieroso fuori dalla finestra. Anni prima non mi facevo così tanti problemi su come e quando avrei dovuto proteggere il mondo. Evidentemente invecchiare non mi faceva un bell’effetto.
Riflettendoci, non avevo mai pensato a cosa avrei fatto quando, un giorno, io non sarei più stato in grado di fare il mio dovere. Quando non sarei più stato più in grado di correre.
-Sonic?- Mi girai. Amy mi guardò preoccupata mentre si avvicinava lentamente a me. Era cambiata nel corso del tempo. Le spine le si erano allungate un poco, si era alzata, le forme si erano fatte più evidenti e i lineamenti del volto erano diventati più decisi, ma rimanendo allo stesso tempo delicati. Era maturata in tutto: fisico e mente.
-Qualcosa non va?- mi chiese, posandomi una mano sul braccio. Scossi la testa, sospirando e sorridendole.
-Niente. Sto bene-.
Lei alzò un sopracciglio. -Ti conosco da quando ero una ragazzina. Credo di avere capito quando c’è qualcosa che ti turba-.
L’ultima cosa che volevo e di cui avevo bisogno era metterla ulteriormente in ansia con le mie paure. Le sorrisi rassicurante, avvolgendole un braccio intorno alle spalle e stringendomela contro. 
-Stavo pensando che stanno iniziando a comparirmi le prime rughe sulla faccia. Mi rendono meno affascinante secondo te?- dissi teatrale, con un sorriso smagliante sulle labbra.
Amy rise, scuotendo rassegnata la testa. -Non credo proprio-.
Mi distrassi dalla nostra chiacchierata solamente quando sentii bussare pesantemente alla porta d’ingresso. Grugnii scocciato, sciogliendo la stretta che aveva il mio braccio su Amy e andando ad aprire.
-Knuckles?- esclamai sorpreso appena vidi il volto del mio amico. L’echidna sembrava stremato, con la faccia pallida e gli occhi cerchiati dalle occhiaie. -Hai un aspetto orribile. Che cosa ti è successo?-
-Loro sono qui?- chiese. Io lo guardai confuso mentre Amy mi si affiancò.
-Loro…?-
-Gli agenti della G.U.N. Stanno cercando me e Rouge-. Lo afferrai per un braccio, trascinandolo velocemente in casa.
-Cosa diavolo avete fatto?- chiesi, richiudendo la porta tirandole un calcio non esattamente delicato con il tallone.
-Amethist è sparita- spiegò, premendosi una mano sulla fronte, probabilmente a causa di un’emicrania.
-Sparita?- sussurrò Amy scioccata.
-L’hanno rapita- ringhiò Knuckles nervoso.
Lo accompagnai con un gesto del braccio verso il divano. -Adesso ci sediamo un attimo… e mi spieghi ogni cosa-. 

***
-I Babylon Rogues?- disse Amy incredula. -Come hanno potuto?-
-Knuckles… sei sicuro che le cose stiano davvero così?- gli chiesi, essendo a conoscenza della  tendenza di Knuckles a prendere granchi e crostacei vari. Il mio vecchio amico impose la sua elaborata ipotesi, come suo solito trattenendo a stento la rabbia
-Non mi interessa quale sia il motivo che li ha spinti a fare questo, hanno mia figlia e ora la stanno usando contro di me per privarmi anche dello smeraldo. Vecchi amici o no, li farò a pezzi se creeranno problemi!- 
Cercai di calmarlo, poiché sembrava quasi volermi assalire. -Whoa, calmo amico! Ti daremo una mano a risolvere la situazione, ma sono più che sicuro che ci sia una spiegazione logica a tutto questo!-
Dopo che riprese fiato per quella scenata fatta davanti a Amy e le mie figlie, recuperò la parola. -Ti ringrazio, Sonic-.
-Posso venire anch’io?!- Sentimmo una voce provenire da qualche parte che fece questa domanda, poco prima di udire un tonfo sordo nel giardino.
Uscimmo velocemente di casa. -Oh mio Dio, Dash!- strillò Amy, dirigendosi verso il giovane riccio disteso con la faccia schiacciata al suolo e scuotendolo. Sunny ed Emily scoppiarono inavvertitamente a ridere, immediatamente zittite da un’occhiata della madre. Dash si alzò a fatica, massaggiandosi il capo dolorante. 
-Allora, posso venire anch’io con voi?- chiese, scordandosi improvvisamente di essere caduto dalla finestra del primo piano, guardandomi con gli occhi luccicanti per l’eccitazione.
-No- risposi secco.
-Andiamo, perché no?- sbuffò con fare offeso.
-Perché sei in punizione per aver deliberatamente disubbidito ai miei ordini-.
-Ma io potrei esservi utile!- ribadì deciso. Quel ragazzo era decisamente in astinenza dal poter uscire all’aperto e correre.
-Non credo che sia il caso, Dash-.
-Papà, avrete bisogno del maggior aiuto possibile. Insomma, cos’è più importante per te, tenermi in punizione o salvare la ragazza?- chiese con un sorriso sbruffone, conoscendo perfettamente la mia risposta.
-Ma…-

-Forza pa’, infondo sono solo un ragazzo che ama le avventure- disse alzando l’indice e strizzandomi con fare quasi cospiratorio l’occhio. Per un attimo fui quasi inquietato dalla nostra spaventosa somiglianza quando mi imitava.
Ero tentato dal negargli di nuovo il permesso di accompagnarmi, ma mi vennero in mente i pensieri che avevo avuto poco prima che Knuckles ci portasse quelle brutte notizie: il tempo che abbiamo per poter fare e diventare tutto quello che vogliamo non è infinito. E Dash era proprio nell’età in cui avrebbe dovuto schiarirsi le idee. Se bloccavo le poche occasioni in cui poteva accompagnarmi in missione allora non avrebbe avuto più molte opportunità per decidere cosa fare in futuro. Amava correre alla follia e io gli stavo negando quella passione.
-…Ok, puoi venire con noi. Ma dovrai ubbidirmi, è chiaro? Non fare di testa tua-.  Dash annuì entusiasta, zampettandomi allegramente vicino.
-Partiamo immediatamente Knuckles. Dov’è Rouge?- chiesi.
-Abbiamo deciso che fosse meglio se soltanto uno dei due venisse a chiederti aiuto. Non potevamo rischiare che la G.U.N. ci scoprisse e ci catturasse entrambi-.
Annuii. -Verso che ora dovrebbero arrivare sull’isola i Babylon?-
-Tails crede che atterreranno nel tardo pomeriggio-.
Dash alzò il braccio con la mano stretta a pugno. -Andiamo a riprenderci tua figlia, Knuckles!- esclamò come grido di battaglia.

***
Frenai di scatto, derapando vicino al bordo della scogliera e alzando un immenso nuvolone di detriti. Dash si fermò qualche metro prima di me, guardandomi spaesato.
-Perché siamo qui?- chiese con una nota di panico, completamente paralizzato mentre fissava a disagio il mare, il quale sembrava dominato da quella grossa arma volante.
-Perché dovremo rincorrere la nave, che in questo momento è laggiù- spiegai, indicandogli con il dito un piccolo, distante puntino già visibile nel cielo. 
-Tu resterai qui. Se ci mettiamo troppo tempo per tornare, vai ad avvertire Rouge e veniteci a cercare- dissi. Knuckles salì sulla piccola navicella volante che Tails gli aveva fornito per riuscire a tenere il mio passo quando saremmo stati in mare. Se la situazione non fosse stata così rischiosa avrei già iniziato a sfotterlo.
-Cosa?! Papà, aspetta un attimo!- provò a fermarmi Dash.
Mi avvicinai al bordo della scogliera, finché le mie scarpe non furono per metà nel vuoto. -Fai come ti ho detto-.
Poi mi buttai giù, senza pensarci troppo. Poco prima di affondare il corpo nell’acqua, cominciai a correre, e dopo qualche attimo avevo già preso contatto con quell’enorme massa liquida di acqua che una volta era capace di farmi cadere in ginocchio, ai suoi piedi. Potevo avvertire l’enorme scia che mi lasciavo dietro. Knuckles mi raggiunse dopo poco, anche se stava provando in ogni modo di mantenere la navicella in una traiettoria stabile.
-Da quando hai cominciato a correre a pelo d’acqua spontaneamente?- strillò, cercando di farsi sentire sopra il rumore dell’acqua che veniva sollevata dietro di me. Alzai le spalle, sorridendogli con fare sbruffone.
Passarono solo pochi minuti dalla nostra partenza quando fummo a praticamente due passi dalla nave.
-Come facciamo?- mi chiese Knuckles, pensando che sapessi dargli una risposta.
-Sali sulla nave-.
-È troppo in alto, come dovrei fare!?- A quel punto cominciai a rotolare su me stesso, spiccando un altissimo balzo e arrivando quasi all’altezza del nostro obiettivo. Continuavo a salire a velocità elevatissima, finché non avvertii un violento impatto che mi scosse tutto il corpo, il tutto seguito da un’esplosione. Capii di aver appena attraversato la nave dal basso verso l’alto, poiché poi rividi il cielo azzurro sopra di me dopo qualche momento. Mi preparai per atterrare sul ponte, vedendo che Knuckles stava facendo lo stesso visto che la nave si era abbassata gradualmente.
-Bella mossa- mi disse mentre scendeva da quel mezzo.
-Ne dubitavi?-
Guardammo entrambi davanti a noi, prima di rivolgerci la parola, consapevoli che il vacillare improvviso della nave poteva solo significare che saremmo “atterrati” presto in acqua.
-Io entro e cerco Amethist.- disse determinato il mio amico
-Io invece cerco quei bravi ragazzi e poi ci faccio una bella chiacchierata-.
-Va bene. Seguimi!-
-No, tranquillo, prendo la scorciatoia- ridacchiai, lasciandomi cadere nel buco che ero appena andato a creare. Una volta toccata terra, vidi che avevo letteralmente distrutto la sala di controllo, o roba del genere. Non saremmo rimasti in aria ancora a lungo, quindi cominciai a correre. Vagai per tutta l’ala ovest della nave, cercando di trovare con una fretta disperata i miei obbiettivi. Delle sirene rosse illuminarono i corridoi, facendo un gran fracasso. Subito dopo, il loro insopportabile rumore fu sostituito da un gracchiare elettronico.
-Sonic, da quanto tempo!- strillò allegra quella che probabilmente era la voce di Jet.
-Da quando la tua voce è così scura? Me la ricordavo molto più stridula e acuta- dissi di rimando, consapevole del fatto che lui probabilmente potesse sentirmi.
-Mooolto simpatico. Adesso ascoltami: so che questa situazione ti può sembrare strana, ma posso spiegarti tutto. Niente è come sembra-.
-Sì, certo. Nulla è reale, tutto è lecito, come vuoi.- Lo ignorai e continuai per la mia strada.
-Andiamo Sonic, parliamone con calma- sbuffò. Davanti a me, una decina di spesse porte blindate cominciarono ad abbassarsi rapidamente. Accelerai, sorpassandole prima che mi tagliassero fuori. Feci una scivolata per oltrepassare l’ultima porta, che si chiuse pesantemente a qualche centimetro da me.
Ripresi immediatamente a correre, diretto verso l’ultima porta del corridoio, isolata da tutto il resto.
-Jet!- 

***
Knuckles
Mi catapultai immediatamente giù dalle scale sfondando l’entrata, cominciando ad aprire ogni porta che trovavo e a cercare nella sua rispettiva stanza.
-Amethist!- gridai, sperando con tutto il cuore di trovarla. I minuti passavano, la nave precipitava poco a poco e l’ansia per ritrovare mia figlia mi annebbiava la mente.
Quando uscii dall’ennesima camera senza aver trovato nulla, vidi che al termine del corridoio mi aspettava una piacevole sorpresa.
-Storm- sussurrai in un ringhio impercettibile.
-So che tutto questo ti può sembrare strano, ma se ti calmi un attimo potrò spiegarti tutto quello che è successo- bofonchiò con la sua vociona.
-RIDAMMI MIA FIGLIA!- urlai a pieni polmoni, lanciandomi di corsa contro di lui.
-Aspetta un…- Lo zittii con un potente pugno sulla mascella, che lo catapultò contro il muro opposto. Cadde a terra con un potente tonfo.
-Dimmi. Dov’è. MIA FIGLIA!-
L’albatros si rialzò, scrocchiandosi il collo con una mano. -Vedo che vuoi risolvere le cose alla vecchia maniera… va bene. Facciamolo- rise lui.
Mi scrocchiai le nocche e le spalle, sfidandolo apertamente con lo sguardo. -Fatti sotto-.
Storm mi lanciò contro una tavola di quelle appese al muro. La afferrai in tempo, ma il volatile mi si era già avvicinato, colpendomi lo stomaco con una ginocchiata. Fui senza fiato per diversi secondi. Gli colpii la faccia con la tavola, spaccandola in due e confondendolo. Approfittai della sua momentanea cecità e lo riempii di pugni sul becco. Mi afferrò per un braccio e mi lanciò con violenza contro una porta distante qualche metro da me, distruggendola. Mi rialzai.
Lui mi saltò addosso, facendoci entrare nella stanza rotolando e continuando a picchiarci a vicenda. Ero schiacciato dal suo peso, quindi gli tirai un calcio nello stomaco. Lui si strinse la pancia e io ne approfittai per sbalzarlo via.
Afferrai una sedia vicino a me e gliela sfasciai sulla schiena. Storm mi afferrò per le spine e mi fece girare attorno alla stanza, facendomi sbattere per tutti gli spigoli della stanza. Mi diedi una spinta con i piedi contro il muro e colpii l’albatros con una testata, mandandolo a terra.

***
Sonic
Distrussi la porta dell’ufficio di Jet con uno Spin-Dash. Mi rialzai e mi spolverai le ginocchia.
-Ora, mi devi delle spiegazioni-.
Jet incrociò le mani, facendomi segno di aspettare. -Certamente. Ma prima dobbiamo atterrare-. 

***
Knuckles
Stavamo di nuovo per attaccarci a vicenda, quando un improvviso urto ci vece cadere entrambi a terra. Quel violento scossone durò per un minuto circa. Quando finalmente tutto fu più calmo, io e Storm ci calmammo.
-Credo che sia il caso di darsi una calmata e di parlare con calma di quello che è successo- borbottò, stirandosi la schiena. -Anche perché credo che la nave si sia appena schiantata sul mare-.
-Va bene. Ora portami da mia figlia-.

 ***
Sonic
Jet mi portò fino alla stanza di Amethist, accompagnato da Wave. Dovevo ammettere che ero stato sorpreso nel vedere come fossero cambiati entrambi nel corso del tempo. Wave bussò alla porta.
-Chi è?- domandò la voce di Amethist dall’altra parte. La rondine aprì la porta, aprendomi una camera per niente male, che avrei potuto definire piuttosto lussuosa.
Amethist ci guardò leggermente confusa, seduta su un letto abbastanza grande. -Cosa ci fate tutti qui?- Poi mi guardò. -Un momento… credo ci averla già vista da qualche parte- rifletté.
-Sono un amico di tuo padre, che tra l’altro è venuto qui per riportarti indietro-.
-Cosa?-
Fummo interrotti da il rumore di passi che proveniva da fuori la stanza. Storm e Knuckles apparirono improvvisamente nella camera.
-Amethist!- ansimò Knuckles con il fiatone, appoggiandosi allo stipite della porta.
La ragazza sorrise gioiosa, alzandosi dal letto. -Papà!-
Knuckles quasi la fece cadere a terra per lo slancio con cui le si era praticamente buttato addosso, abbracciandola con forza. -Oh Dio, grazie- borbottò, sembrando voler cullare la giovane echidna tra le sue braccia. -Sei viva. Stai bene-.
Amethist ridacchiò imbarazzata. -Certo che sto bene-.
Knuckles  si allontanò leggermente, il volto che sembrava aver finalmente ripreso un po’ di colore e le spalle rilassate.
-Torniamo a casa ora. Tua madre e io siamo morti un paio di volte in questi giorni-.
Amethist si morse il labbro, guardandoci incerta. -Ecco, a questo proposito…- sussurrò, grattandosi una guancia. -…non voglio tornare indietro-. Knuckles strabuzzò gli occhi, guardandola scioccato.
-Finalmente qui posso trovare qualcuno che mi insegni cosa voglio fare nel mio futuro, e lo sto imparando in un modo che mi piace. Io voglio…-
Wave le pizzicò con forza il collo, roteando la mano in un movimento circolare. Amethist si bloccò all’improvviso, cadendo di botto sul pavimento, svenuta.
-Sei troppo giovane per rovinarti la vita in questo modo- ridacchiò tristemente Wave. Poi guardò me e Knuckles. -Prima abbiamo spiegato a Sonic perché ci stessimo dirigendo verso Angel Island, Knuckles. Volevamo solo riportarti tua figlia. Ci abbiamo messo tutto questo tempo solo perché lei non era intenzionata a dirci chi erano i suoi genitori- disse.
Knuckles mi guardò incerto, e io annuii, rispondendo alla sua silenziosa domanda: Dobbiamo fidarci?
-Bene. Allora noi ce ne andiamo- dissi. 

***
Jet
Io e Wave stemmo sul ponte della nave, osservando mentre Sonic e l’echidna se ne andavano velocemente dalla nostra casa. Knuckles caricò sua figlia su quella piccola navetta con cui era arrivato lì, attivandola e volando via. Sonic partì, alzando un enorme quantità d’acqua che ci bagnò solo lievemente.
-Storm, prepariamo il necessario alle riparazioni, dobbiamo occultarci al più presto- ordinai.
-Sì signore!- disse prima di dileguarsi.
Wave era muta, mentre osservava mentre quei tre si allontanavano. Le diedi un piccolo e amichevole pugno sul braccio.
-Se vuoi ne possiamo sempre rapire un’altra- le dissi, cercando di provocarla e di farla sorridere. Ma rimase seria, in silenzio, continuando a fissare Amethist mentre se ne andava, contro la sua volontà e svenuta.
Ci sono cose che nemmeno un Capitano può fare per la sua ciurma. Solo la solitudine poteva aiutare la mia amica in quel momento. 

***
Amethist
Non ricordo cosa successe. Non riuscii mai a capirlo appieno. La cosa più sensata che mi veniva in mente fu che la stanchezza mi aveva tradito, ma ci credevo ben poco.
Sentivo delle voci mentre dormivo, e l’aria salmastra che mi graffiava un po’ le narici. Quando mi svegliai, vidi un ragazzo che mi stava osservando, seduto su una sedia vicino al letto in cui ero sdraiata. Ricordavo di averlo già visto altrove, anche se non mi concentrai subito su tutte le sue caratteristiche.
-Svegliata?- mi disse dolcemente. Mi stropicciai gli occhi con le dita, confusa ed esausta. Dopo essermi ripresa un attimo dalla confusione e quando la vista smise di essere appannata, riuscii a inquadrare il ragazzo che avevo davanti. Un riccio dalle spine lunghe e dalla pelliccia blu mi guardava interessato con degli occhi davvero belli, di un colore verde smeraldo. ‘‘Interessanti…’’
-Tu… chi sei?- chiesi leggermente imbarazzata per la situazione.
-Ero uno dei maschi presenti a quella festa a cui hai partecipato qualche tempo fa con i tuoi genitori- disse sorridendo.
-Mhh…-
-Ero uno di quelli blu-.
-Mhhh…-
-Quello più blu!-
-Oh, ora ricordo!- ridacchiai.
Lui rispose al riso, guardandomi divertito. Aveva una bella risata: calda, solare e quasi amorevole.  -Beh, va tutto bene?- domandò lui.
-Sì, da favola. Esattamente, come ci sono arrivata qui?-
-Non ne ho idea. Mio padre e gli altri non me l’hanno voluto raccontare-.
-Perché no?-
Lui si strinse nelle spalle. -Credo che stiano parlando di altre cose, urgenti probabilmente-. Poi ritornò a guardarmi interessato. -Toglimi una curiosità: sono vere quelle storie sui rapimenti? Cioè che ti chiudono in una stiva senza né pane né acqua e ti lasciano lì per giorni?-
Ridacchiai. -Sì, qualcosa del genere-. Sembrò davvero crederci. Fischiò ammirato, incrociando le gambe sulla sedia. -Però sembra che tu non te la sia cavata tanto male, no?- affermò, squadrandomi dall’alto verso il basso.
-Giusto- risposi, cercando di non mostrarmi troppo divertita.
-Non voglio sembrarti troppo rude, ma…com’è successo?-
 -…In che senso?- dissi, confusa per un momento su quello che mi volesse chiedere, anche se a dire la verità potevo già immaginarlo.
-Perché ti hanno rapita, com’è andata?-
-Rapita? Diciamo che in un certo senso sono io quella che è andata da loro…-
-In quale dei tanti possibili sensi?-
-Avevo visto… una luce in lontananza, e ho seguito l’istinto, decidendo di seguirla. Sto ancora cercando di capire il perché ad essere sincera-.
Vidi la sua faccia che cominciava a velarsi di un alone di divertimento. -Cioè? Posso capire la curiosità, ma eri da sola, a tarda notte, hai volato in mezzo al mare, e ti sei ritrovata da sola in una nave di cui nemmeno sapevi la provenienza, o chi vi risiedesse sopra. Cosa ti è passato per la testa?!-
-Forse era curiosità, come dicevi tu. Ma…credo di aver avuto in mente…non so…un modello che volevo superare a tutti i costi-.
La sua espressione cominciò a farsi seria. -Tu…capisci ciò che voglio dire?- mormorai, studiando il suo volto.  
Mi guardò sorridendo. Non l’ho mai dimenticato quello sguardo. -Sì. Sì, credo di capire molto bene-.
E fu solo in quel momento che vidi una parte di lui che prima non avevo notato. C’era qualcosa che ci rendeva incredibilmente simili. C’era qualcosa che ci legava inevitabilmente, una specie di connessione tra le nostre anime. Lui capiva. Capiva come mi sentivo, capiva come mi ero sempre sentita. Capiva chi ero.
Dal momento in cui mi ero svegliata fino a quando non avevo iniziato a studiarlo attentamente non avevo parlato a vanvera. Lui mi capiva.
‘’Inoltre… è piuttosto carino’’ pensai con un pizzico di malizia.
Il nostro momento fu interrotto dal violento sbattere della porta della mia camera. Mia madre mi fissava distrutta, letteralmente a pezzi. Crollò in ginocchio davanti a me, abbracciandomi con forza. Dopo un attimo la seguii a ruota, ricambiando l’abbraccio.
-Sei scappata senza dirci nulla e senza che nessuno se ne accorgesse. Sei la ladra migliore che io conosca- disse, lasciandosi scappare dei gemiti piagnucolosi dovuti al magone del momento. -Non farlo mai più-. Ammetto che qualche lacrima me la lasciai scappare anch’io.
-Dove siamo, mamma?- chiesi, guardando con attenzione la stanza in cui mi trovavo.
Lei mi sorrise, gli occhi lucidi per le lacrime trattenute troppo a lungo. -A casa di un amico. Staremo da lui per un po’ di tempo-.
-Cosa? Perché?-
-Sono successe un po’ di cose mentre eri via. Ti racconterò tutto dopo, con calma. Ora riposati- disse, scoccandomi un bacio sulla fronte. Il riccio ghignò divertito, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa contro il muro con aria spensierata. Arrossii lievemente per la manifestazione d’affetto di mia madre ricevuta in sua presenza.
-Mamma…- borbottai imbarazzata. Lei mi guardò con aria interrogativa, prima di rivolgere una veloce occhiata al riccio e chiedendomi un silenzioso e non propriamente sincero perdono.
-Dash, tuo padre ha detto che era ora di tornare a casa- disse lei rivolta al ragazzo.‘’Dash! Ecco come si chiama!’’
Lui saltò giù dalla sedia con un balzo, sorridendomi. -Beh, è stato un piacere rincontrarti…-
-Amethist!- dissi, forse con un po’ troppa enfasi. Lui ridacchiò.
-Amethist, giusto-. Mi salutò allegramente con la mano. -Allora ci si vede in giro-. Se ne andò, strizzandomi l’occhio. ‘’Dash… sei un ragazzo interessante. Un tipo un po’ ingenuo.’’
Sorrisi tra me e me, piegando un poco la testa di lato e osservandolo mentre se ne andava. ‘’E la cosa mi piace’’. 

***
Sapevo che non dovevo uscire di casa. Molto probabilmente, proprio in quel momento quegli uomini ci stavano cercando. Ma c’era un’ultima cosa che dovevo fare. Uscii di nascosto dalla casa di Tails. Era notte fonda, e in casa erano tutti stanchi morti, quindi nessuno avrebbe pensato che avessi ancora voglia di fare queste cavolate. Ma si sbagliavano di grosso.
L’aria notturna cittadina era, come sempre, fredda e solitaria, ma non erano i gioielli che cercavo. Mi coprii per bene con degli abiti pesanti prima di uscire, non perché avessi freddo, ma perché non mi veniva niente di meglio in mente che mi potesse nascondere agli occhi che fosse rapido, silenzioso, e che mi tenesse per un po’ di tempo lontana dagli occhi di quell’attenta agenzia. Presi la linea notturna ad alta velocità che portava a Mistic Ruins, e riuscii ad arrivarci in circa mezz’ora: poco, considerando la differenza tra il luogo di partenza e di arrivo.
Seguii il passaggio, piuttosto bizzarro, a dire il vero, visto che bisogna letteralmente farsi trasportare in alto da una corrente d’aria, che portava a casa mia, Angel Island. Attraversai il ponte, sorpassando la piccola casa in cui avevamo risieduto fino a poco tempo prima. Trovai strano che la G.U.N. avesse già interrotto le ricerche in quel luogo o che non mi stesse aspettando, ma mi rassicurai quando mi tolsi il copertone che mi ero portata fin lì. L’unica luce nelle vicinanze era quella del Master Emerald, verde ed intensa, che dominava sull’altare su cui mio padre eseguiva il suo compito di guardiano. Smisi di ammirarlo, e cominciai a guardare il mare.
Infine, ero nuovamente lì, ad osservare l’immensità del cielo notturno puntellato di stelle. Mi presi il volto tra mani, seduta a gambe incrociate al limite di una delle scogliere di Angel Island. 
Il nostro destino lo possiamo decidere solo noi. Non vi era nessun potere superiore che ci faceva da guida. Sapevo che avrei dovuto essere cresciuta, dopo quell’esperienza. Che avrei dovuto accettarlo. Ma ci sono tesori che nessuno può ottenere, non importa quanto li cerchi.
Avevo sempre avuto paura di ciò che mi avrebbe riservato il futuro. Ma da quel momento…non avrei avuto pietà, e sarei stata io a tirarlo per i capelli, non il contrario. Avrei deciso io.
Fu una famigliare luce rossa ad attirare la mia attenzione. Come la prima volta che l’avevo vista, galleggiava nel bel mezzo dell’oceano, lontanissima da me e incurante dell’acqua che sballottava da un lato all’altro la nave su cui era installata. Dopo qualche minuto quella piccola lucina cominciò a salire alta nel cielo, segno che la nave stava salpando. Quel quasi impercettibile bagliore rosso cominciò a lampeggiare, sempre più velocemente, fino a che non scomparì del tutto. Avevano attivato gli specchi.
Sospirai, consapevole che di lì a poco se ne sarebbero andati per sempre dalla mia vita, togliendomi ogni possibilità di poterli rivedere di nuovo.
Ma nonostante in quel momento io non li vedessi, sapevo che erano lì, mimetizzati tra le stelle. 
E una parte di me sperava che anche loro mi stessero osservando dall’alto, dandomi un silenzioso addio, andandosene dalla mia vita come ci erano entrati: contro la mia volontà.

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Capitolo 19
*** La Bestia in gabbia ***


Anelli Inibitori

Note d'Autrice (per una volta è relativamente importante.): Salve a tutti, gente. Esattamente, sono ancora viva! Una Nota d'Autrice a inizio capitolo, ma perchè mai, cosa sta succedendo, cosa dovrò mangiare stasera, c'è un gatto fuori dalla finestra, tu non puoi passare, vieni con me se vuoi vivere, a cosa serve questa Nota d'Autrice, vi starete chiedendo nella testolina. Esatto, e la sua inutile presenza non è del tutto inutile. Circa. Allora, è qui per tre motivi. 
Il primo è che mi voglio scusare per tutto questo ritardo. Chiedo venia, ma negli ultimi giorni di scuola ho dovuto studiare come una dannata. Ma posso dire felicemente che adesso che sono ufficialmente iniziate le vacanze potrò aggiornare mooolto di più e più in fretta.
Il secondo: in queste vacanze ci saranno due settimane in cui non potrò aggiornare perchè me ne andrò in una vacanza studio in Irlanda, quindi... no, sarò impossibilitata. Ma appena torno potrò aggiornare come ai beeei vecchi tempi :3
E come terza e ultima cosa, ma assolutamente non meno importante: devo ringraziare shinichi e ran amore e Kiara_Wolf per avermi consigliato una delle idee presenti in questo capitolo (che al momento non spoilero). Siete onorati? Siete onorati eh? Eh? Ammettetelo. Io non sono Miss Modestia, non siatelo neanche voi. Ringrazio ancora una volta loro e tutte le persone che continuano a regalarmi consigli e a seguirmi con pazienza! Detto questo e dopo aver scritto questo tomo (che spero vivamente abbiate letto), vi lascio alla lettura del capitolo :D Thanks Bro. 

Rain of Truth

***

Shadow
‘’-Per favore, state tutti calmi. Non è il caso di agitarsi- disse Blaze ad alta voce, cercando di catturare l’attenzione di tutte le persone nella sala e di far cessare il loro persistente brusio fastidioso.
-Siamo tutti consapevoli che la nostra condizione potrebbe degenerare a breve. Ci troviamo oggi ad affrontare una situazione che da molti anni sembrava non dovesse più ripetersi-. Mentre parlava, il silenzio regnava sovrano, quello che lei aveva ristabilito all’interno della sala.
-Di questo, mia signora, già ne siamo consapevoli. Il vero problema sta nel rispondere alla situazione nella maniera opportuna-.
-Forse sua signoria Lord Mengel dovrebbe tirare fuori qualche buona idea invece di colorire ovvietà assolute con linguaggi forbiti!- disse un altro parlamentare, riferendosi al precedente. In un attimo il brusio riprese, come e più forte di prima. Mi battei il palmo della mano sulla fronte, sospirando frustrato. Blaze scosse la test, esasperata.
-Fate silenzio!- urlai, sbattendo il pugno sul tavolo della Sala Riunioni. -Siamo qui riuniti per parlare di come risolvere un grave problema che, se ignorato, potrebbe portare alla distruzione del regno, non per discutere per delle sciocchezze, chiaro?- tuonai. Tutti nella stanza si zittirono improvvisamente, abbassando lo sguardo.
-Bene. Ora, c’è qualche proposta che possa esserci di aiuto?- continuò Blaze.
-Se mi permette, mia signora, avrei una proposta. Essendo l’attacco avvenuto nel tempio, è più che probabile che ve ne saranno altri con lo stesso bersaglio. Ritengo quindi essenziale incrementare la sicurezza degli stessi-.
-Lei è consapevole, Lord Ferguson, che ciò comporterebbe la necessità di trasferire parte delle risorse, dei tecnici e dei soldati interni alle città nei suddetti luoghi, non è vero? Molti dei progetti a cui stiamo lavorando ultimamente dovrebbero essere posticipati- disse Blaze, con aria preoccupata.
-Con tutto il rispetto mia Regina, ma credo che la prevenzione di un’eventuale crisi abbia la priorità sullo sviluppo del regno. Dobbiamo dare maggiore importanza alla protezione di ciò che abbiamo ottenuto negli anni recenti rispetto a ciò che possiamo ancora ottenere, se vogliamo evitare ulteriori danni-. Blaze annuì.
-Sostengo che i progetti per l’ammodernamento per la città debbano essere temporaneamente messi in secondo piano e ripresi tra qualche tempo per poter concentrare tutte le nostre forze in nome del potenziamento della sicurezza nei rimanenti sei templi in cui risiedono gli smeraldi tramite il trasferimento di guardie adibite alla protezione delle varie città, assegnandole temporaneamente all’incarico di protettori delle gemme, il tutto con una particolare concentrazione delle guardie nel castello di Flaritas- finì il parlamentare.
-Nega potrebbe essere benissimo sopravvissuto in qualche modo anni fa, aspettando soltanto il momento propizio in cui poter attaccare- proruppe una giovane donna, da poco entrata a far parte del nostro Consiglio. -Oppure potrebbe aver lasciato un discepolo o un apprendista che riprendesse le redini del suo sporco lavoro-.
Blaze si irrigidì per un momento a quelle parole. -Ne siamo consapevoli,- disse, dopo un attimo di esitazione. -ed è per questo che consigliamo di agire con la massima prudenza-. Notai solo in quel momento che le mani le stavano tremando lievemente.
-Qualcun altro vuole intervenire?- chiese lei. Il silenzio continuò a regnare sovrano.
-Bene. Allora procediamo al voto- dissi. -Chi crede che le proposte dichiarate oggi debbano venire attuate, alzi la mano-.Uno sciame di braccia si alzò verso il soffitto per tutta la lunghezza del tavolo nella sala. ‘’Molti più della metà’’.
-Bene. Allora procederemo a mettere in atto quanto detto- sentenziò Blaze in conclusione.’’ 

***
Era passato un po’ di tempo da allora. Avevamo ben pensato di agire subito, quindi i templi avevano già ricevuto le attenzioni necessarie. Tutti sembravano piuttosto positivi. Strano da dire, ma chiunque fosse intorno a me era certo che le innovazioni apportate negli anni precedenti potessero prevenire il peggiorare di questa situazione, tanto che forse anch’io di lì a poco avrei cominciato a crederlo. Però non ero tranquillo. Ero  sicuro  che non sarebbe stato così semplice. Anche mio figlio era del mio stesso parere, per qualche motivo. Era quasi come se avesse messo temporaneamente da parte la solarità che lo contraddistingueva.  
-Shadow?-
Sussultai leggermente e mi voltai verso Blaze. -Cosa c’è?-
Lei inspirò profondamente, guardandomi incerta. -Se questa storia degli smeraldi finirà bene e possibilmente in fretta, che ne dici di provare a dire la verità ai ragazzi?-
-Quale verità?- Deglutii, cercando di negare a me stesso di non sapere la risposta.
Sul suo volto comparve un’espressione che tentava di nascondere un alone di tristezza, rimarcando l’ovvietà di quanto quella domanda dovesse sembrare patetica uscita dalle mie labbra. -Delle tue origini, ovvio-.
Sospirai, massaggiandomi nervosamente il collo. -Blaze, sono dei ragazzi che hanno il peso di un intero regno sulle spalle e dei poteri sovrannaturali. Forse sarebbe il caso di evitare loro questa ulteriore perdita di normalità-.
-Sì, questo è vero. Ma sono certa che anche se tu glielo dicessi il loro parere su di te non cambierebbe- disse con un sorriso dolce sulle labbra.
Risposi al sorriso con uno leggermente tirato, abbassando lo sguardo. -Ci penserò su-.
Era da anni che cercavo il momento giusto per riuscire a parlare ad Althea e ad Alexis riguardo al mio passato non esattamente normale, a come ero nato e da dove provenivo realmente. Ma riuscivo sempre a trovare una scusa per non farlo. Prima erano troppo giovani e non avrebbero capito, e ora avevano già troppe preoccupazioni di cui doversi occupare. La loro vita era abbastanza travagliata senza che io mi mettessi in mezzo a mettere scompiglio tra i loro pensieri, distruggendo quel poco che credevano di sapere su di me.
Ma sapevo che queste erano solo delle futili scuse per non parlargliene, per rinviare il momento in cui avrei dovuto mettere a nudo la vita che ero riuscito a lasciare dietro le mie orme. Solo in quel momento mi resi davvero conto che il mio era un problema serio: desideravo dirglielo con tutto il cuore ma non riuscivo a farlo. Volevo davvero distruggere quel poco che riusciva a farli a stare a galla in un mondo di offese e pregiudizi?
No. Ma meritavano di sapere chi fosse realmente loro padre.

***
Il pomeriggio arrivò tranquillo e senza intoppi. La vita scorreva tranquilla come sempre e non c’erano novità allarmanti. Tutto sembrava voler farmi scordare l’enorme pericolo che stava incombendo in quel momento sul nostro mondo. Parte dei soldati e gran parte degli ingegneri ed architetti con cui avevo discusso fino a poco tempo prima era stata immediatamente inviata a proteggere i templi, subito dopo la nostra riunione con il Consiglio.
Poi accadde qualcosa. Una sentinella corse affannata verso di me e Blaze in un modo orribilmente famigliare, informandoci che due guardie richiedevano urgentemente la nostra presenza. Due giovani ragazzi entrarono agitati all’interno della Sala del Trono, guardandoci stravolti. Uno di loro sembrava in condizioni simili al ragazzo che era venuto da noi in precedenza. L’altro, invece, era chiazzato di sangue in faccia e in svariati punti della sua divisa, ormai praticamente ridotta a brandelli. Il suo braccio destro era ridotto in condizioni spaventose: era in una posizione innaturale, era macchiato di sangue secco ed era stato bendato spartanamente: sicuramente era rotto.
-Cos’è successo?- chiese Blaze spaventata.
-Miei Signori!- strillò quasi la guardia in buone condizioni. -Il nostro tempio è stato assaltato. Hanno rubato lo smeraldo- disse tutto d’un fiato. Il sangue mi si ghiaccio nelle vene.
Quello che raccontò il giovane fu un attacco simile a quello che avevamo subito quando il primo smeraldo fu rubato. Nessuna vittima, tutte le persone nel tempio erano state addormentate.
Dopo che ebbe finito il suo racconto mi voltai verso la guardia con il braccio rotto. -Perché sei in quelle condizioni?- chiesi, cercando di trattenere il panico.
-Maestà- sussurrò con un filo di voce. -Il tempio che stavo sorvegliando è stato attaccato. Io sono stato addormentato da qualcosa, ma sono riuscito a stare vigile abbastanza per riuscire a vedere i miei compagni che davano l’allarme. Quando mi sono risvegliato, mi sono ritrovato circondato da cadaveri- spiegò con voce roca e a malapena udibile. -Il tempio era in fiamme, e lo smeraldo non era più sull’altare-.
Blaze sbarrò gli occhi. -In quanti siete sopravvissuti?-
-Solo io-.
Blaze mi guardò terrorizzata, la paura che si stava facendo strada nel suo sguardo.
Non era solo il nemico che mi preoccupava. Era il modo in cui agiva. Attacchi effettuati in date senza significato, in luoghi lontani tra loro. Solo allora mi resi conto di quanto avremmo dovuto migliorare la comunicazione tra i templi, così da rendere più rapida la venuta a conoscenza di questi eventi. I mezzi  di trasporto per muoversi in quel mondo non erano evoluti come quelli a Mobius, e a volte per riuscire a ricevere una notizia da un’isola lontana poteva passare diverso tempo. Quegli attacchi potevano essere avvenuti giorni prima e noi non ne avevamo saputo nulla, eravamo stati tranquilli, a discutere di tutt’altro. Richiamai con un segno della mano una delle guardie ai lati della stanza e gli sussurrai dei comandi.
-Porta questi uomini all’infermeria. Poi avvisa le altre guardie e chiamate uno ad uno i membri del Consiglio. Non importa quanto si opporranno a venire, e fregatene se ti dicono che è troppo tardi per una riunione a quest’ora. È un’emergenza, sono stato chiaro?- Mi fece segno di sì con la testa e andò subito a fare quanto gli avevo ordinato. Con la tensione che aveva raggiunto il limite, mi rivolsi a Blaze.
-Non credo che questa storia finirà presto-. 

***
Althea
Cercai di tenere a bada uno sbadiglio imminente mordendomi l’interno della guancia. Non riuscivo proprio a spiegarmi come Dash e le altre due ragazzine fossero riusciti a convincermi a giocare con loro a “Panzer Dragon Saga”, uno stupidissimo gioco da tavolo. Certe volte mi chiedevo se tutti gli anni in cui avevo studiato per succedere al trono mi sarebbero effettivamente serviti a qualcosa, vista la situazione in cui mi ritrovavo in quel momento.
-Non ce la farete mai a vincere- si vantò Sunny con un tono da sbruffona. Alzai gli occhi al cielo, sbuffando e appoggiando il mento sul palmo della mano.
Dash fece per muovere la sua pedina.
-Dash, è inutile. Lo vuoi capire?- disse ancora una volta la riccia azzurra. Dash le lanciò un’occhiataccia.
-Se non chiudi la bocca giuro che ti rovescio la bibita in faccia-.
Lei sorrise furbetta, socchiudendo gli occhi. -Non lo faresti mai-.
-Smettila-.
-Visto? Non lo faresti mai!-
-Certe volte sei tremendamente irritante-.
-Ma senti chi parla- borbottai, giocherellando con la cannuccia nel bicchiere dove prima c’era una bevanda gassata. Era la prima volta che potevo mangiare o bere qualcosa che non potesse essere definito esattamente salutare senza dovermi sorbire le urla di qualche dietologa che tentava di farmi vivere a pane e acqua per mantenere la linea. Infondo era questa per loro la cosa importante, no? L’aspetto. Una sovrana poteva anche essere una dittatrice, ma se rimaneva in forma era tutto a posto.
-Tu stai zitta- sibilò Dash scocciato.
-A quanto pare non sai accettare le sconfitte- continuò a stuzzicarlo Sunny.
-Andiamo, smettetela!- trillò Emily.
‘’Oh Chaos, non è possibile’’ pensai esasperatamente tra me e me. ‘’In che razza di branco di mocciosi sono finita? Sono uno peggiore dell’altro’’. Fu solo in quel momento che mi colpì il tremendo dubbio che avessero all’incirca la mia età. Il che sarebbe stato duro colpo alla mia dignità.
Era arrivato il turno di Emily, che sembrava aver fatto la mossa giusta per mettere in scacco la sorella più grande.
-Hah! Ora il mio drago ha un livello più alto del tuo!- disse lei, esultante.
-Il tuo drago può colpire due caselle più avanti della sua?- ridacchiò Sunny saccente, inarcando un sopracciglio.
-Sìììì!...No…-
-Allora… il tuo è fuori-.
-Ahhh!!! Certe volte sei tremendamente irritante!!!- rispose nuovamente la ragazzina, furiosa.
-Ed essendo arrivata al centro…ho vinto ancora!-
-Oh, ma dai!- inveì Dash.
-È la quarta volta che vinci, cambiamo gioco!- Il brusio, incredibilmente fastidioso ed elevato, cominciò a serpeggiare per tutta la stanza, lasciando solamente a me il sacrosanto dono del silenzio.
Li lasciai strillare per qualche minuto, sperando di riuscire a resistere all’irruenza di quei ragazzini. Chiusi gli occhi, mettendomi la mano sulla fronte.
-Basta…- mormorai con voce scura. I ragazzi continuarono a litigare tra loro.
-Basta- dissi a voce più alta. I tre fratelli mi ignorarono. Ero certa che parlare con un muro sarebbe stato molto più gratificante che farlo con loro.
-BASTA!- urlai, alzandomi di scatto dalla sedia e sbattendo le mani sul tavolo. Un improvviso moto d’ira colpì i miei già abbastanza irascibili nervi.  Il gioco davanti a noi prese improvvisamente fuoco. Emily strillò per la sorpresa e tutti e tre i ricci indietreggiarono pesantemente.
-No!- Parai le mani davanti a me, provando a spegnere le fiamme. Ma senza successo. Il panico si insinuò in ogni mia vena. -No, non qui!-
-Ragazzi, è pronto il pranzo, venite a tavola!- disse Amy, sporgendosi dalla porta della cucina con la testa e mostrandoci la teglia con l’arrosto che aveva appena finito di cucinare. La guardai spaventata, il battito cardiaco a mille. Il cibo che aveva tra le mani prese immediatamente fuoco. La riccia rosa lo lasciò cadere immediatamente sul pavimento -Oh cavolo!-
Mi misi le mani tra le spine, stringendomi con forza la testa, che pulsava dolorosamente. Ebbi un improvviso capogiro per l’agitazione e caddi in ginocchio.
-Stai calma!- disse Dash, facendo per mettermi una mano sulla spalla-
-NON TOCCARMI!- urlai, reclinando la testa in preda a una fitta di dolore terribile. La porta d’ingresso si aprì di colpo.
-Sono tornato a casa!- disse allegro Sonic, salutandoci con un sorriso. Mi voltai di scatto verso di lui e il divano prese fuoco. Sonic si ritrasse, sorpreso.
 -Oh cavolo!- 

***
L’aria fresca mi sferzava il volto dopo che finalmente eravamo riusciti a spegnere l’incendio. Ci trovavamo nel cortile della casa, mentre avevamo lasciato la casa ad arieggiare dopo il mio piccolo incidente.
-Fiuu! Per fortuna è andato tutto bene- disse Sonic, asciugandosi il sudore sulla fronte con l’avanbraccio. Chinai la testa e abbassai le orecchie, tremendamente a disagio.
-Io… scusatemi. Non avrei mai voluto che una cosa del genere accadesse in casa vostra, davvero…- mormorai imbarazzata.
-Non ti preoccupare, non ci sono stati troppo danni. Tutto quello che abbiamo perso era un brutto gioco da tavolo e il pranzo- disse Dash, sorridendomi rassicurante.
-E il divano. Già… il divano- sospirò Sonic, improvvisamente demoralizzato.
-Non è successo nulla di male, non preoccuparti- continuò Dash rivolgendosi a me.
-Mi dispiace dovertelo dire, ma non sono d’accordo- intervenne Sunny. -In qualunque modo la metterai, Dash, dobbiamo ammettere che ci ha quasi bruciato la casa-.
-Sai che non è stata colpa sua- sibilò secco.
-Sono convinta che abbia bisogno di aiuto. Non possiamo lasciarla vagare come una mina per casa nostra rischiando che faccia altri danni-.
-Smettila Sunny. Ora-.
-Sunny non ha tutti i torti- disse Sonic, con aria molto seria.
-Papà…?-
-Non fraintendermi, Dash-. Poi si voltò verso di me. -Althea, sappi che ti ammiro molto. Sei una ragazza gentile ed educata-. Be’…almeno con lui lo ero.
-Ma il tuo potere è grande. Molto grande. Anche se sono certo che riuscirai a domarlo un giorno, tuo padre ti ha affidato a noi. Quindi è anche compito nostro darti una mano-.
-Dove vuole arrivare, signor Sonic?- chiesi. Sonic tirò fuori uno dei suoi sorrisi sornioni quando io finii di parlare.
-Ti prego, chiamami Sonic e basta. Intendo dire che è arrivato il momento di cercare seriamente una soluzione al tuo problema-.
-Ma…-
-Che non si limiti all’allenamento e in cui tutti noi potremo darti man forte attivamente-. Abbassai leggermente la testa, come se fossi confusa sul da farsi, come se avessi avuto la sensazione di aver sbagliato tutto fino a quel momento, come se avessi affrontato la mia situazione con l’approccio sbagliato. Sunny, quasi come se si fosse accorta di essere stata troppo dura nei miei confronti, cosa che comunque non trovavo vera, prese nuovamente parte alla conversazione
-In effetti…pa’, tu non conoscevi un genio della meccanica?-
-Stai parlando di Tails? Sì, certo, ma cosa centra lui in tutto questo?-
-Beh, potresti chiedergli un aiutino per risolvere il nostro problema-. Devo essere sincera, mi piaceva il tono diretto di quella ragazza.
-Uhm… non saprei. Tails in questo momento è molto occupato. E poi siamo soprattutto noi quelli che hanno il dovere di aiutarla. Lui ha un sacco di pensieri per la testa in questo periodo, non credo sia il caso di occuparlo ulteriormente-.
-Papà, lei ha bisogno di aiuto- disse, accentuando ogni parola della sua frase. Non stavo partecipando al discorso che riguardava me in primo piano, e la cosa mi faceva strano. Quelle persone stavano lottando attivamente per me e non ne capivo il motivo.
-Tails potrebbe essere l’unico che potrebbe davvero aiutarci- intervenne Emily, sbucata improvvisamente al mio fianco.
-E la prossima volta potremmo non essere così fortunati come lo siamo stati oggi- continuò Sunny.
-Beh…- Sonic si sfregò il collo con la mano. -E va bene-.
-Sì!- esultò Dash.
Sospirai, scuotendo la testa. -Io non voglio il suo aiuto- dissi. Tutti mi guardarono straniti.
-Ma…- balbettò Emily.
La fermai, interrompendola con un gesto della mano. -No. Non voglio infastidire nessuno con i miei problemi-.
Amy si schiarì la voce, fissandomi con un’aria stranamente intimidatrice. -Mi sembrava che ne avessimo già parlato. Che cosa abbiamo detto? ‘’Non posso fare tutto da sola’’-.
-Questo è vero, però…-
Lei sorrise radiosa. -Visto che te lo ricordi?-
-Ti prego, accetta l’aiuto di Tails!- mi implorò Emily con gli occhi lucidi per le lacrime. Ma come diavolo faceva? Roteai impercettibilmente gli occhi, sbuffando.
-E va bene- grugnii di malavoglia.
-Dash, accompagnala tu- disse Sonic
-Cosa?! Perché io?-
-Perché sei più veloce delle tue sorelle e perché non mi va che Emily usi la macchina troppe volte al mese-.
-Uff…ok, va bene, messaggio ricevuto. 1,2,3, via!- Appena ebbe finito di parlare lo vidi partire come un razzo, mentre io ero rimasta lì, ferma come un pesce lesso.
-Credo che ti convenga seguirlo- ridacchiò Amy, con il solito sorriso in faccia. Attivai i pattini e mi affrettai a seguire il suo consiglio.  

***
Poco dopo ci trovavamo davanti a una casa abbastanza grande nei pressi di Station Square.
-Questo è il posto- disse Dash, avviandosi verso la porta e battendoci violentemente sopra un pugno. Non ci rispose nessuno. Aspettammo ancora qualche minuto, ma invano. La pazienza cominciò a venirmi meno.
Provai a ruotare la maniglia della porta e, sorprendentemente, quest’ultima si socchiuse.
-È aperta- riflettei, entrando in casa. Mi guardai rapidamente intorno e notai che quella in cui ci eravamo praticamente infiltrati non era affatto un’abitazione ordinata da come poteva sembrare all’esterno. Fogli colmi di scritte pressoché illeggibili erano sparpagliati per tutto il salone principale, grandi progetti stampati su carta buttati con fare affrettato in qualsiasi angolo o spigolo che non fosse già stato occupato da qualche libro. Persino la più intrepida delle mie domestiche si sarebbe sentita scoraggiata davanti a una mole tale di lavoro.
-Taaails!- urlò Dash. -C’è qualcuno?-
Al posto di una persona, ci rispose una forte esplosione proveniente dalla stanza che nascosta dietro l’angolo delle scale che portavano al piano superiore. Sentii dei violenti colpi di tosse e, prima che me ne accorgessi, un fumo pesante e scuro si diffuse in un attimo per tutta la stanza.
Un trillo acuto mi trapassò le orecchie e immediatamente ci investì una pesante dose d’acqua dal soffitto.
-Stupidi sistemi antincendio!- ringhiò qualcuno. Prima che Dash o io potessimo ribattere, davanti a noi apparve una giovane volpe a due code. Era un uomo alto, slanciato, dalla pelliccia di un bel color oro. I suoi occhi erano azzurri, limpidi e risaltavano con il camice bianco che indossava in quel momento.
-Dash?- riuscì a dire lui tra i tossii. L’acqua finalmente smise di scorrere e di inzupparmi i vestiti.
-Tails! Che diavolo è successo?!- urlò Dash, tossendo incessantemente.
-State tutti bene? Scusate, non mi aspettavo visite-.
-Scusi la domanda, ma si può sapere cos’è successo?- chiesi con tono piuttosto irritato per essere stata affumicata e infradiciata.
-Ah, ordinaria amministrazione. Mi spiace che ne siate state coinvolti-.
Dash, ovviamente con aria sbruffona, ribatté subito. -Non ti devi preoccupare per questo, siamo delle rocce io e lei! Soprattutto io-.
Probabilmente non aveva la più pallida idea dei problemi che mi dava quella dannata pelliccia che mi ritrovavo dalla nascita. A contatto con l’acqua pendeva per il corpo e sembravo diventare un uomo barbuto di mezz’età. Erano quelli i momenti in cui rimpiangevo di essere nata per metà felino. O anche quando annusavo dell’erba gatta o mi ritrovavo involontariamente a… fare le fusa. Certe volte era una cosa incontrollata. Sempre umiliante e indignitoso.
-Ma ditemi, avete bisogno di qualcosa?-
Dash si fece avanti, temendo che io prendessi l’iniziativa e rispondessi negativamente alla domanda. -Sì, ad essere schietti-.  La volpe alzò un sopracciglio con fare curioso.
-Vedi, la ragazza qui ha un enorme problema- continuò il riccio.
-Oh, fammi il piacere- sbuffai, roteando gli occhi.
-Be’, in poche parole: ha dei problemi a controllare il suo potere-.
Tails aggrottò la fronte, guardandomi. -Tu sei la figlia di Blaze se non sbaglio. Althea, giusto?- Fui sicura dal suo tono di voce che sapesse già quale fosse la risposta.
-Sì-.
-Giusto, mi ricordo della rissa che avete improvvisato tu e Dash. Quindi il tuo problema è il fuoco- rifletté pensieroso.
Dash batté ripetutamente un piede sul pavimento, snervato dal cambio di argomento. -Tails, abbiamo un urgente bisogno del tuo aiuto. Non riesce più a tenere a bada le fiamme, ci serve una delle tue invenzioni-.
Tails si grattò la nuca. -Ragazzi, credo di non potervi essere d’aiuto-.
-Cosa?!- urlò incredulo Dash.
-Mi dispiace, ma non posso proprio. In questo periodo sono strapieno di problemi, e il governo mi sta dando degli ultimatum per finire dei progetti rilevanti. Devo anche aiutare un amico… diciamo, diversi amici per una faccenda importante, quindi…- Mi guardò esitante, sinceramente dispiaciuto.
-Ma questa è una faccenda importante! Ti prego Tails, non puoi farci questo!- implorò il riccio con un tono disperato.
-Non importa- sospirai. Dash mi guardò con gli occhi sbarrati.
-Ma tu…-
-Stai zitto! Non immischiarti in faccende che non ti riguardano. Questo è un mio affare, non tuo!- Credo che la mia risposta secca lo avesse leggermente ferito, anche perché abbassò momentaneamente lo sguardo in segno di imbarazzo. Mi voltai verso Tails, rivolgendomi direttamente a lui.
-Senta, mi dispiace se siamo venuti a disturbarla fino qui, ma davvero, non è necessario il suo intervento. Questa è una cosa che posso gestire da…-
Una rapidissima gomitata nello stomaco mi zittì. Non riuscii a respirare per qualche secondo, e il colpo inaspettato mi aveva mandato in un breve stato di panico. ‘’Stupido riccio…!’’
Sentii una forte vampata di fiamme farsi strada sulla mia schiena e sulle spalle, alzandosi fino al soffitto. Il mio pelo si asciugò all’istante, e poi si gonfiò. Subito dopo, l’acqua cominciò nuovamente a sgorgare dal sistema antincendio.
-Apparecchio sensibile, eh?- disse Dash, quasi divertito .
-Ci sto lavorando…- rispose la volpe con tono scocciato.
-Perché diamine l’hai fatto?!- riuscii ad ansimare quando finalmente l’aria mi riempì di nuovo i polmoni.
Dash sorrise vittorioso. -Visto Tails? Non riesce a controllare i suoi poteri-.
-Sì. In effetti non deve essere facile per te, Althea-. A quel punto mi limitai a non guardarlo direttamente negli occhi, senza rispondere.
-Allora, puoi aiutarci?- chiese un'altra volta quell’idiota di un violento di un ragazzino maledetto di un riccio dannato.
-Beh…tutto sommato credo di poter fare qualcosa. Datemi solo un po’ di tempo-.
-Sai dirci quando possiamo tornare?-
-Domattina alla stessa ora, se le cose vanno a rilento-.
L’ultima frase ci lasciò piuttosto sbigottiti. -Sta scherzando? Come può…- cominciai io.
-Ho i miei mezzi, non vi preoccupate- rispose, strizzandoci stancamente un occhio.
-Allora… la ringrazio- dissi con riverenza, chinando in modo rispettoso il capo. Dopo che Dash ebbe fatto gli ultimi saluti alla volpe, uscimmo dal suo laboratorio e iniziammo a camminare sulla strada del ritorno a casa. Dash si voltò sorridente verso di me.
-Hai visto? Te l’avevo detto che ci avrebbe aiut…- Mi avvicinai rapidamente a lui e gli tirai un pugno in pancia. Il ragazzo si piegò su sé stesso, stringendosi lo stomaco.
-Perché l’hai fatto…?!- esalò.
Io feci un sorrisetto ironico.-Almeno un’ultima soddisfazione me la volevo togliere-.

***
Dash
La mattina dopo eravamo di nuovo lì, davanti all’accogliente casa di Tails. Ci apprestammo ad entrare, e nel frattempo mi tenevo bene a mente che non avrei mai più dovuto fare esempi sul controllo dei poteri di Althea.
-Buongiorno ragazzi- ci salutò Tails sulla soglia della porta. Ci fece entrare in casa, facendoci accomodare sul divano. -Avete già fatto colazione?- ci chiese con uno sbadiglio malamente trattenuto.
Io annuii, sentendomi leggermente in colpa. ‘’Almeno io l’ho fatta’’.
Quando, qualche minuto prima, eravamo in casa mia, seduti a tavola per mangiare, Althea non aveva toccato cibo. Era stata in silenzio, con lo sguardo basso e la testa china. Mi era sembrata nervosa, in ansia.
-Bene. Come promesso, vi ho portato quello di cui avete bisogno- ci disse la volpe con un fiacco sorriso.
-Vado a prenderli, aspettate un attimo-. Si diresse verso la stanza da cui il giorno prima era fuoriuscito tutto quel fumo. Intanto, mi venne voglia di capire che cosa passasse per la mente di Althea.
-Ehi, che ti succede? Ti vedo preoccupata-.
Althea alzò con esitazione lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore e nel frattempo torcendosi le mani con nervosismo. -Cosa succederà se non avrà effetto l’intervento del signor Prower? La sua si tratta pur sempre di una soluzione improvvisata ad un problema delicato-.
-In primo luogo, lui è “Tails”. In secondo luogo, devi tranquillizzarti. Lui è uno specialista in soluzioni improvvisate a problemi delicati. Il tuo è una bazzecola rispetto a ciò che mi raccontava mio padre di lui-.
-Tsk, per esempio?- disse con sguardo scettico.
-Beh, vediamo…oh sì, una volta stavano inseguendo in aereo un’enorme aeronave, e…-
-E ho trasformato il mio vecchio e caro aereo in modalità di combattimento, lo so- rise genuinamente Tails, ricomparso improvvisamente nel salotto.
-Sì, stile Transformers, o roba simile!- dissi, lasciandomi trasportare dall’entusiasmo. Adoravo quella storia. -Ti prego Dash, avrò sentito tuo padre raccontare questo episodio almeno un migliaio di volte quando eri piccolo- ridacchiò la volpe.
Althea ci guardò confusa e disinteressata allo stesso tempo.
-Comunque,- disse Tails, schiarendosi la voce e ritornando sul motivo per cui eravamo venuti da lui. -Questi sono per te-. Porse ad Althea due bracciali d’oro.
-Dei bracciali?- farfugliò confusa.
-Non semplici bracciali. Sono Anelli Inibitori- la corresse Tails. -Hai mai notato che tuo padre ne indossa un paio di simili continuamente?- Lei annuì, non troppo decisa.
-Bene. Li ho costruiti sulla base del loro modello. Credo che potranno servire a contenere i tuoi poteri, esattamente come fanno i suoi-. Tails le sorrise. -Prova ad indossarli-.
Althea inspirò profondamente. -Ok-. Fece passare la mano destra all’interno di uno di quegli anelli e lo fece scattare attorno al suo polso. Ci fu qualche secondo di attesa, in cui il tempo sembrò essersi fermato.
-Come vanno?- chiesi. Lei rimirò per un attimo il bracciale che stava indossando con aria assente.
-Non sento niente-. Detto questo, indossò anche l’ultimo dei due anelli.
-Forza, prova a fare qualcosa!- proruppe impaziente Tails.
-Qui in casa?- chiese confusa lei.
-Sì, andiamo! Posso permettermi di avere un po’ di cenere sul pavimento-.La gatta mi lanciò un rapida occhiata in cui mi espresse tutto il dubbio per la persona con cui ci eravamo messi in affari. Io mi strinsi le spalle e le sorrisi, fingendo di sapere quale sarebbe stata una possibile strana richiesta da parte del nostro scienziato.
-E va bene…- Althea chiuse lentamente gli occhi, rilassando le spalle. Dopo qualche secondo, fu interamente avvolta dalle fiamme.
-Come ti senti?- le domandò Tails.
-Uhm… bene, suppongo-. Riaprì gli occhi, come se, poco a poco, si stesse illudendo di essere guarita. Aveva paura, glielo leggevo nello sguardo. Ma era anche piena di speranza. Poco a poco fece sparire il fuoco dalla sua pelle, e ci guardò con gioia quasi infantile. Poi notai che le si erano accese delle minuscole fiammelle nell’incavo del collo, vicino alla spalla destra, simili a quelle che compaiono alla fine dell’incubo che lascia dietro di sé un incendio.
-Ehm Althea… ne hai ancora un po’ sulla spalla- dissi.
-Cosa?- Le spense subito, facendo un piccolo sforzo. -Ti ringrazio-.
Tails sembrava soddisfatto del suo lavoro, e subito si rivolse ad Althea. -Bene, ora mi raccomando: in questi giorni non strafare. Fai in modo che i tuoi poteri si adattino agli anelli poco a poco, va bene? Ricordati che erano stati creati per aiutare il controllo di tuo padre, non il tuo, quindi potrebbero essere più instabili all'inizio-.
-Sì… grazie Tails- disse questo Althea, mentre un tenero sorriso, forse il più spontaneo che avessi visto da parte sua fino a quel momento, le coloriva le labbra e la faccia della speranza in cui non aveva mai creduto fino a quel momento.
-Grazie di tutto Tails. Credo che ora sia ora di andare- ci congedai. Tails annuì con un sorriso.
-Va bene. Porta i miei saluti a Sonic-.
Prima che potessi uscire, notai che la pelliccia di Althea era illuminata da una fioca luce blu dovuta a dei piccoli sprazzi di fuoco azzurrognoli che le si erano appiccati addosso.
-Althea, Tails ti ha appena detto di non esagerare. Non credi che almeno dovresti esercitarti fuori da casa sua?- chiesi, divertito per quello che credevo fosse solo entusiasmo.
Lei inarcò un sopracciglio. -Cosa…?- Si guardò gli avanbracci, e il suo voltò si irrigidì improvvisamente per la paura. -Non sono io- sussurrò.
Mi avvicinai per guardare meglio cosa avesse. Poi la sua reazione mi spaventò. Si allontanò da me barcollando.
-Ehi! Che succede, stai bene?-
-Sì…- rispose lei in un bisbiglio. Aveva la faccia funerea e tremendamente pallida, come se stesse provando dei forti dolori.
-No, non stai bene. Tails, aiutami a rimuoverle gli anelli!- Io e Tails ci avvicinammo velocemente ad Althea, consapevoli di dover agire subito, anche perché si era verificato un evento imprevisto. Mentre correvamo quei pochi metri che ci separavano da lei, Althea sbarrò gli occhi all’improvviso e ci urlò contro.
-State lontani!-
Infine, una violentissima vampata di fiamme, chiarissime e incredibilmente calde, fuoriuscì dalla ragazza. I grossi zampilli si muovevano furenti, come se finalmente avessero ottenuto un’agognata libertà. Ma certamente non pensavo a queste cose in quel momento. La stanza era praticamente sottomessa alle fiamme. Althea si strinse una mano sulla testa e una sullo stomaco. Il volto era vuoto, come se, in quel momento, stesse provando un dolore così immenso che tutto quello a cui riusciva a pensare era una maniera per attenuarlo. Sembrava non essersi accorta di quello che stava succedendo attorno a lei. Poi le fiamme cominciarono ad assumere una forma più compiuta. Quell’aurea che prima circondava Althea, ora si stava raggruppando nella parte destra del suo corpo, lasciando la sinistra libera.
Mentre il lato sinistro delle sue labbra era impassibile, quello a destra stava formando un grottesco sorriso. Il suo corpo era, in un certo senso, diviso in due, ma ancora unito. Le fiamme erano così ben raggruppate che nascosero completamente la pelliccia nera di tutta quella sezione di lei. Althea raddrizzò la schiena, guardandoci e trapassandoci con lo sguardo.
-Tails, via di lì!- gli urlai, subito prima di spintonarlo via dal punto in cui, subito dopo, si verificò una piccola esplosione di fiamme, che si sparpagliarono nelle vicinanze. Ad un certo punto lei emise un verso, che sembrava composto da tante voci femminili tutte uguali alla sua, che urlavano all’unisono. Era come se stesse ruggendo.
-Ok, Althea… stai calma, va bene?- sussurrai mentre le sorridevo tranquillamente, protendendo le mani in avanti nella speranza che la calmassero. Lei cominciò a squadrarmi, facendo avanzare un poco la parte infuocata, con la quale mi osservava più attentamente che con quella rimasta normale. Avevo capito che qualcosa la stava controllando, perché sembrava che solo l’occhio destro mi stesse vedendo.
Però si era fermata un secondo… -Ora ti tolgo i bracciali…- …solo per riprendersi all’improvviso e attaccarmi. Aveva letteralmente allungato il suo braccio verso di me, aumentandone significativamente le dimensioni e la lunghezza. Riuscii a schivare il suo attacco solo perché avevo un buon istinto, altrimenti sarei morto su colpo a quei tempi.
Mi girai e vidi quell’abominevole braccio trapassare la parete del lato opposto della stanza rispetto a quello dove si trovava la mia amica.
Richiamò a sé il braccio. Quando quest’ultimo tornò al suo legittimo posto, sentii uno scrocchiare di ossa quasi inquietante. Althea si voltò di profilo, mostrandomi solo il suo lato sinistro, e mi ringhiò contro.
Il sistema antincendio si attivò per l’ennesima volta. Althea si parò un braccio davanti agli occhi, scosse la testa scrollandosi l’acqua di dosso e grugnì infastidita. Mi guardò fisso ed emise un ultimo, gutturale gorgoglio. Poi piegò le ginocchia e saltò, scontrandosi contro il soffitto e trapassandolo, e con esso tutti i piani restanti della casa.
-Tu spegni l’incendio e porta al sicuro Knuckles e le altre!- strillai rivolto verso Tails. -Io vado a riprenderla-. La volpe annuì decisa, e io corsi immediatamente fuori dalla porta.
Appena fui all’aperto, non mi fu difficile indovinare in quale direzione fosse andata Althea: la strada che portava verso Station Square era ricoperta da fiamme, e del terreno su cui aveva camminato rimaneva solo cenere. Decisi saggiamente di correre seguendo quella pista. Già dopo pochi secondi fui in grado di scorgere la figura di Althea avvolta dal fuoco. I suoi piedi non toccavano terra, e fluttuava ad una velocità spaventosamente alta, paragonabile alla mia.
-Althea! Fermati e ascoltami!- Lei non si voltò nel solito modo stizzito come usava fare di solito, né mi rispose in modo discutibile. Mi ignorò e basta. Ormai eravamo entrati nel centro della città.
-Maledizione, Althea!- Corsi più vicino a lei, che se ne accorse subito. Il suo braccio si allungò nuovamente, muovendosi sinuosamente come una frusta nell’aria in tutte le direzioni e colpendo tutto ciò che aveva intorno: pareti di edifici, lampioni, vetrine, venivano fuse e spazzate via come nulla. Con lo stesso, eseguì una spazzata laterale verso di me. Come poco prima, saltai giusto in tempo per evitarla. Ripeté un’altra volta la stessa azione, stavolta cercando di colpirmi dall’alto. Aumentai la velocità, riuscendo ad evitare il violentissimo colpo con uno scatto.
-Allora, ti senti fortunata? Prova ancora!- Mentre la sbeffeggiavo, vidi che dal suo avambraccio si muoveva, verso il grosso palmo della mano, un gonfiore interno, come se fosse acqua che usciva da una gomma.
Mi spaventai, e qualcosa mi disse che dovevo abbassarmi. Feci subito una scivolata. Vidi la sua mano che sparava una grande palla di fuoco, molto più grossa di quelle che aveva prodotto fino a quel momento, quando era nel suo stato normale. Mi passò ad un palmo dal naso, e per pochissimi istanti avvertii un elevatissimo calore passarmi vicino. I miei occhi furono storditi alla vista ravvicinata di quel bagliore. La sfera colpì l’edificio dietro di me, scatenando un’esplosione di fuoco, a cui seguì una forte onda d’urto che mi sbalzò via, facendomi rotolare per terra per vari metri, mentre Althea proseguiva la sua corsa selvaggia. Mi aveva colpito nonostante non mi avesse nemmeno toccato. Era la quarta volta che rischiavo di morire quel giorno. Dovevo fermarla.
Mi sentivo frustrato per non esserci riuscito subito, ero furioso. Sentii il sangue salirmi alla testa per la rabbia.  Sbattei il pugno sul terreno con tutta la forza che avevo. In lontananza, sentii delle sirene suonare, e mentre mi rialzavo, delle volanti della polizia mi passarono di fianco velocemente, lasciando al loro passaggio solo una forte ventata d’aria.
Corsi a tutta velocità, seguendo la scia di distruzione che Althea aveva lasciato dietro di sé. Dopo poco la riuscii già a trovare. Era circondata da almeno una decina di auto della polizia parcheggiate in modo totalmente casuale, e ogni via di fuga le era stata tagliata. Molti poliziotti le stavano davanti, guardandola con un misto di stupore e paura. Althea inarcò leggermente la schiena, ringhiando. Si sentiva in trappola, e non osavo immaginare che cosa avrebbe fatto pur di liberarsi.
-Althea!- urlai, dandomi la spinta per scavalcare la macchina che avevo davanti a me. Ma mi sentii afferrare per le spalle da due paia di braccia.
-Sei impazzito?!- mi urlò contro uno dei due poliziotti che mi teneva fermo per un braccio.
-Lasciatela stare, peggiorerete le cose!- gli ringhiai contro.
Un uomo in uniforme prese un megafono e lo accese. -Tu! Arrenditi immediatamente o facciamo fuoco!- disse con tono minaccioso rivolto ad Althea.
-Cosa?! No!- Mi divincolai violentemente dalle braccia di quei due tipi, ma senza successo. Tutto il corpo della polizia estrasse le pistole dalle fondine e le puntò contro la ragazza. Lei mi guardò per un attimo.
-Smettila di fare tutto questo! Ti vogliono ammazzare!- urlai nel panico. Distolse lo sguardo. In qualche secondo, la base dell’edificio dietro di lei prese fuoco.
-Sparate!- ordinò l’uomo, e subito l’ambiente fu ricoperto dagli assordanti boati delle armi da fuoco, pistole, mitragliatrici, fucili, tutti addosso a lei. La mia disperazione si diradò, insieme alla folta nuvola di fumo intorno ad Althea, quando vidi che lei era ancora in piedi.
-Le nostre armi sono…no…non di nuovo…-  disse il capo, che aveva inconsciamente lasciato il megafono vicino alla bocca in preda alla paura. Il braccio della gatta si ingrossò, e mentre puntava la sua mano aperta contro di me, notai su di esso un gonfiore famigliare. Mi liberai con violenza dalla presa dei due poliziotti, allentata a causa dello stupore nel vedere che il loro attacco non aveva fatto un graffio alla loro nemica e mi diressi velocemente lontano da quel punto.
-Allontanatevi!- urlai loro, subito prima che la macchina dietro di me esplodesse in un mare di fiamme. Quando mi girai, i due uomini erano svenuti, a terra, in due punti piuttosto lontani tra loro.
-Maledizione! Tutto il personale, indietro! Ritirata!- esclamò il capo prima di sparare ancora un paio di colpi sulla mia fiammante amica. Erano scappati via letteralmente a gambe levate, lasciando le volanti ed i loro uomini indietro. Era meglio sbrigarsi, quei due potevano aver bisogno d’aiuto.
Io e il mio obiettivo: c’era un muro di fiamme a isolarci dal mondo. O la va, o la spacca.  Althea mi stava osservando circospetta.
-Finalmente ci rivediamo- risi. -Devo ammettere che mi sei mancata-. Mi avvicinai molto lentamente di un passo. Lei indietreggiò, ringhiandomi contro e arricciando il naso.
-Ok! Ok…tranquilla- sospirai. -Non so che cosa ti stia succedendo, Althea. Ma ti giuro che insieme lo possiamo risolvere-. Camminai cautamente verso di lei, allungando un braccio. Lei scansò la testa, scoprendo i denti e mostrando in bella vista i canini. Ma non si spostò. Rimase a guardarmi attenta, attratta dai miei movimenti delicati.
-Devi soltanto fidarti di me…- sussurrai. Ero vicino, mancavano davvero pochissimi centimetri per permettermi di toglierle i bracciali. Il calore del suo fuoco, così vicino, mi scaldava in modo quasi rilassante la pelle. Le sfiorai la mano ancora normale, letteralmente ad un passo dal mio obbiettivo, e feci per stringerla molto delicatamente per farle capire che non volevo farle del male. 
-Ora, lasciami solo toglierti questi anelli…- I suoi occhi si dilatarono e le si ricoprirono di vene, come se avesse avvertito un pericolo in vicinanza. Mi spaventò ringhiandomi contro ed emettendo dal suo corpo un’improvvisa vampata di fiamme che mi fece indietreggiare di qualche metro.
-…Concentrati!...ti sta controllando, ragazza…- Allungò all’indietro il braccio, afferrando un intero lampione e lanciandomelo contro.
-Oh, non ci provare…- Poco prima che mi raggiungesse, saltai proprio sopra l’asta in ferro dell’oggetto, corsi fino alla sua cima e saltai dandomi la rincorsa, così da poter atterrare proprio davanti ad Althea. Ma lei, con il suo braccio, afferrò il balcone di un palazzo, trascinandosi velocemente verso di esso e rimanendovi aggrappata. Saltò agilmente sopra la ringhiera e vi rimase in equilibrio, solo per saltare subito dopo sul tetto della casa. Alzò la testa verso il cielo e ruggì con forza, emettendo lo stesso coro di echi di prima. Poi si mise a fissarmi.
-Ti voglio solo aiutare! Cerca di fermarti a riflettere!- Non sono davvero certo del motivo per cui continuassi a parlarle. Sapevo che non riusciva a capire quello che le stessi dicendo, ma in qualche modo ero certo che una parte di lei stesse sentendo ogni mia parola e che stesse racchiudendo tutto in una parte della sua memoria. Per qualche strana ragione ero certo che, sotto sotto, Althea non fosse niente di più che una bambina. E in quel momento stava soltanto dando conferma ai miei pensieri.
Fu il suo braccio improvvisamente puntato contro di me che mi riscosse dalle mie riflessioni non esattamente adatte al momento. Evidentemente avrei dovuto pensare più tardi ai sentimentalismi.
-Non pensarci neanche, tesoro!- sghignazzai ironico, rimarcando volutamente l’ultima parola. Cominciai a correre in cerchio per tutta l’ampiezza della piccola piazza in cui ci trovavamo, formando una folata di vento quasi simile ad un tornado. Althea ringhiò frustrata, incapace di prendere la mira contro di me. Man mano che aumentavo la velocità, mi spostai sulla parte esterna di uno degli edifici vicino a me e corsi su di esso in verticale. Mi ero dato abbastanza spinta da farmi saltare e da sospendermi in aria per qualche secondo.
-Vengo a prenderti!- esclamai con un sorriso. Althea fece un passo indietro, digrignando i denti. Mi diede le spalle e saltò sull’edificio davanti a lei, sfuggendomi per un’altra volta. Così iniziai a rincorrerla. Saltavamo di tetto in tetto, lei per scapparmi dalle mani e io per aiutarla. Sembravamo cacciatore e preda, leone e gazzella. Peccato che fosse lei quella con il coltello dalla parte del manico.
Voltò lievemente la faccia verso di me nel mentre della sua rocambolesca corsa e allungò il braccio, cercando di colpirmi con una spazzata dall’alto. Abbassai la testa giusto in tempo.
L’edificio che si parava davanti a noi faceva parte di un altro quartiere di Station Square, e di conseguenza era molto più distante rispetto a quelli che avevamo superato prima.
Althea, avanti a me di solo qualche metro, saltò con un’abilità e una facilità sorprendente. Quanto a me… be’, fui sul punto di cadere nel vuoto. Preso dal panico di poter davvero precipitare, decisi di usare il mio asso nella manica, una mossa che mio padre mi aveva insegnato ad utilizzare fin dai primi anni di vita: la Spinta Sonica.
Feci quanto mi era stato sempre insegnato da lui e la attivai. Il mio corpo subì come una specie di scossone, e mi catapultai in avanti a gran velocità. Senza neanche volerlo, travolsi Althea e ci mandai a sbattere contro una casa e ricademmo pesantemente al suolo. Mi rialzai a fatica, ma fui bloccato da un dolore bruciante che si era scatenato per tutta la mia caviglia. Althea si era aggrappata con la mano infiammata a me. Con una forza che non potevo immaginare possedesse, mi trascinò nuovamente per terra. Si rialzò e, afferrandomi con entrambe le mani, cominciò a farmi roteare sul terreno. Mi stava praticamente spellando la schiena contro il cemento, e avrei voluto staccarmi direttamente la caviglia dalla gamba per il troppo dolore.
-Althea, ti prego!- Il mio era un urlo disperato. Non so il perché, se fosse per il mio volto contorto dal dolore o altro, ma Althea si fermò per un secondo. Emise uno strano verso quasi simile ad un uggiolio, guardandomi confusa e con la testa leggermente piegata da un lato. In quel momento non mi sembrava un mostro, quanto più un cucciolo che cercava di capire dove avesse sbagliato nel suo gioco. Ma sapevo che sarebbe stata solo questione di pochi secondi. Aveva allentato inconsapevolmente la presa, quindi colsi l’occasione al volo e le tirai un calcio sulla mascella. Speravo che se tutto fosse tornato come prima, non avrebbe provato ad uccidermi per quello che le avevo appena fatto.
La ragazza lasciò definitivamente la mia gamba e si premette le mani sulla guancia. Mi allontanai il più possibile, strisciando lontano da lei e stringendomi la caviglia in preda al dolore. 
Althea riportò lo sguardo su di me, ringhiando con ferocia. Allungò per l’ennesima volta il braccio, il quale iniziò a gonfiarsi.
Schivai appena in tempo la palla di fuoco che mi veniva contro, la quale fece esplodere le vetrine di un negozio dietro di me. Fu solo in quel momento che vidi quella che probabilmente sarebbe stata la mia unica via di salvezza: un bidone dalla spazzatura.
Althea chiuse gli occhi, serrò i pugni, ed emise il lamento più acuto che abbia mai sentito. Vicino a lei esplose una porzione di terreno, scagliando i detriti di sporcizia e cemento per aria. Su un edificio vicino si scatenò un’altra esplosione. E subito dopo si scatenò il putiferio.
Miriadi di scoppi simili a spari cominciarono a manifestarsi intorno a noi e sulle case nei dintorni. Potevo udire distintamente le urla delle persone spaventate che scappavano in strada o che cercavano riparo dai frammenti di vetri rotti che cadevano leggiadri dai grattacieli. Forse c’erano già delle vittime e io nemmeno lo sapevo. E se non mi sbrigavo, ci avrebbe pensato mio padre a risolvere la faccenda.
Ci fu un’esplosione a meno di un metro di me. Afferrai deciso il coperchio del bidone affianco a me e mirai al bracciale della parte di Althea che non era ancora infiammata. Cercai di mantenere il sangue freddo. ‘’Papà ce la farebbe. Anzi, avrebbe già risolto il problema e chiuso la faccenda con una battuta’’. A quel pensiero la mano mi tremò. ‘’Non essere da meno’’.
Lanciai il coperchio come si farebbe con un frisbee e, come se qualcuno avesse ascoltato le mie preghiere, riuscii a colpire il bracciale, che scattò e cadde a terra con un tintinnio.
Althea sbarrò gli occhi e ruggì, mentre il suo corpo era preso dagli spasmi. Passò qualche secondo prima che cadesse sdraiata sul fianco infiammato. Decisi di andare da lei, anche se con una leggera esitazione, preoccupato che avrebbe ricominciato ad attaccarmi. Appena mi rialzai sentii un’immensa fitta di dolore alla caviglia, ma mi rifiutai di guardare in quali condizioni fosse. Zoppicai fino ad arrivare al corpo di Althea, steso, apparentemente inerme e ancora in fiamme. Deglutii a fatica, scuotendole la spalla. Avevo le labbra secche e il cuore a mille per la paura. Althea riaprì velocemente gli occhi, alzandosi a sedere e premendosi una mano sulla fronte.
-Cosa…? Cosa?!- strillò, guardando la metà destra del suo corpo con terrore e disgusto. -Cosa sta succedendo?!- Poi sembrò notarmi. -E perché siamo qui?- Abbassò lo sguardo e la sua faccia perse un po’ di colore. -Cosa ti è successo?- sussurrò, guardando la mia gamba. Io scossi la testa con dolcezza ma allo stesso tempo in modo deciso, sottintendendo che non era il momento per parlarne.
-Ci penseremo dopo. Ora devo aiutarti- Le feci un sorriso cercando di sembrare tranquillo. Cosa che non era vera. Mantenne ancora per qualche attimo lo sguardo sulla mia ferita, poi osservò il mondo intorno a sé.
-No…- mormorò. -No… sono… sono stata io? Ho fatto io tutto questo?- Il respiro le divenne improvvisamente affannoso e le mani cominciarono a tremarle quando la risposta le si formò sotto gli occhi.  Il  braccio ricoperto dalle fiamme non rispondeva ai suoi comandi. -Cosa diavolo ho fatto?! Rispondimi!- mi urlò contro, completamente fuori di sé. -Ho… ho ucciso qualcuno?- chiese in preda al terrore. Negli occhi le era comparsa una paura indescrivibile. Era la prima volta in cui la vedevo così fragile, così indifesa.
La afferrai per una spalla, guardandola con fermezza. -Nessuno. Ma dobbiamo risolvere questa faccenda prima che tu lo faccia- mentii. Non avevo la più pallida idea se qualcuno fosse morto, ma la presi come una possibilità quasi certa. -Siamo d’accordo?-
Althea annuì, non troppo convinta delle mie parole -Va bene-. Si rimise in piedi barcollando. -Aiutami a togliere questo affare- borbottò, trafficando con il bracciale sul suo polso. Un’ondata di calore mi avvolse non appena mi avvicinai all’altra parte di Althea. Quel mostro che la stava controllando si stava opponendo, e muoveva con forza il braccio cercando di toglierci dalla sua strada. Althea non poté fare a meno di premersi una mano sulla tempia, combattuta tra il suo potere che reclamava di poter liberarsi e la consapevolezza che, se avesse dato retta a quella parte della sua mente, avrebbe ucciso tutti.
Quando le afferrai il braccio, non provai molto dolore. Era caldo, sì, ma non incandescente. L’arto cominciò immediatamente a divincolarsi dalle mie mani, quindi mi ci aggrappai con tutto il corpo, stringendolo al petto. Althea emise un leggero ringhio senza accorgersene e le pupille le si restrinsero. Il calore del braccio aumentò di colpo, cominciando a bruciare sul serio. Provai ad allungare un mano verso il suo polso, ma la forza con cui si stava dibattendo era incredibile. Era come provare a trattenere un toro imbizzarrito per le corna ed essere inevitabilmente buttato a terra giusto in tempo per essere incornato.
-Tienilo fermo!- urlai ad Althea, sfogandomi e cercando di soffocare in qualche modo le urla di dolore.
-Non… non ce la faccio-. Abbassò la testa per la vergogna.
-Cosa?!-
-È diverso stavolta… vuole uscire fuori!- Non riusciva a pensare in modo lucido, e sembrava che stavolta dovesse davvero scoppiare. Inoltre, il calore non era più sopportabile.
-Non riesco a tenerlo fermo! E credo mi voglia bruciare vivo!- dissi, lasciandomi scappare un acuto gemito straziato. Non ricordo bene, ma forse mi sfuggì qualche lacrima di dolore. Althea stette in silenzio per un po’, forse cercando di riprendere la calma e di pensare ad un piano.
Chiuse gli occhi e si concentrò. Il calore del braccio perse gradualmente intensità, così come la forza con cui si dimenava. Quando sembrò sottomettersi a lei, Althea aveva già ripreso un po’ di calma, e quella metà di lei che prima aveva fattezze mostruose, ora aveva parzialmente ripreso colore. -Adesso- disse in un sussurro, segno che stava facendo un grosso sforzo per mantenere stabile quella delicata situazione. Afferrai con forza l’anello rimasto e tentai di aprirlo con entrambe le mani.
  resistente…!- grugnii mentre tutte le forze che avevo in corpo erano mirate a far scattare quell’aggeggio. All’improvviso, una terza mano si unì a me a tirare. Era Althea, che mi guardò con quell’unico occhio che aveva ancora disponibile, facendomi intuire che anche lei voleva fare la sua parte. Tirammo insieme nelle due parti opposte, mettendocela tutta e stringendo i denti, mentre quel braccio cominciava a riprendersi e ad emettere calore, insieme a versi mostruosi, pieni di rabbia, da cui si intuiva la sua volontà di essere libero, di espandersi all’infinito, di bruciare tutto ciò che avrebbe incontrato sul suo cammino. Malgrado ciò, noi continuammo a lottare contro quella bestia simbiotica. All’improvviso, sentii nuovamente quell’acutissimo urlo di prima. Le esplosioni ricominciarono ad invadere il campo di battaglia, le case, l’asfalto, facendo gravi danni e avvicinandosi sempre più al punto dove ci trovavamo noi. E poi quel rumore, tlac, seguito dal tintinnio dell’anello che cadde mi riempì la testa di relax. Almeno finché un’esplosione non mi sbalzò via. Le fiamme si erano gonfiate così tanto da arrivare in cima ad un palazzo di cinque piani. Althea si era sollevata dal suolo, come se avesse iniziato a volteggiare per aria, e quell’immensa colonna di fiamme, insieme a tutte le piccole fiammelle e incendi che avevamo intorno a noi, tornò dentro di lei, poco a poco risucchiati dal potente legame che coesisteva tra la gatta e il potere che lei aveva il compito di controllare. E poi, quando l’ambiente fu libero anche dal più piccolo principio d’incendio, Althea cominciò a scendere verso il suolo, sempre più velocemente. La sua non era una caduta, quanto più una rapida discesa. Mi avviai velocemente verso di lei, volendo evitare che si ferisse ulteriormente. Mi parai davanti a lei, e non appena i suoi piedi toccarono terra con colpo secco, Althea cadde in avanti, priva di sensi. La afferrai appena in tempo e sentii la sua testa scivolare sulla mia spalla. Sostenni il suo corpo con facilità, e dovetti constatare controvoglia che era molto più leggero e apparentemente gracile di quanto avrei mai pensato. La appoggiai delicatamente al suolo, sorreggendole il capo con una mano. Mi misi in ginocchio per riprendere fiato un secondo.
-Troveremo un altro sistema. Te lo prometto- le dissi, nonostante sapessi che non avrebbe mai sentito le mie parole. 

***
Shadow
Aprii la porta che mi avrebbe portato nella Sala del trono. Il buio avvolgeva la stanza, nascondendo nella sua oscurità le guardie che si trovavano giusto al di sotto dell’enorme lampadario nel centro del soffitto. Involontariamente, mi misi a ricordare di quando, un tempo, ero stato costretto a strisciare furtivamente tra le ombre del castello nel tentativo di non farmi rilevare dalle guardie o da Blaze.
Anche dopo che ero riuscito a chiudere la faccenda della G.U.N. e a sistemarmi permanentemente all’interno di quel nuovo mondo, avevo continuato a comportarmi in modo guardingo e prudente, terrorizzato del fatto che qualcuno avesse potuto sospettare chi fossi in realtà o da dove venissi, e che Blaze mi potesse cacciare fuori di lì a calci per qualsiasi errore avessi fatto. Effettivamente ci misi un po’ di tempo a capire quali fossero i suoi reali obbiettivi nei miei confronti. Ma ormai era diverso.
Lei era la donna della mia vita. Per quanto odiassi me stesso per nascondere a mia moglie ciò che facevo ogni notte, non volevo che dopo le pesanti giornate a cui eravamo sottoposti, lei ancora dovesse sostenere il peso delle notizie che potevano arrivare a seguito delle mie “riunioni transdimensionali” private, e tantomeno dei metodi che sfruttavo per poterle attuare.
Le guardie davanti al quel vecchio, segreto passaggio nascosto sotto il mio trono raddrizzarono le loro armi alla mia vista.
-Aprite la stanza- dissi con autorità, ma senza esagerare con il tono. Era un periodo in cui tendevo ad abbassare la voce, proprio quando in realtà avrei dovuto alzarla più che mai. Cosa avrebbero pensato i nostri sudditi sapendo che il loro Re era così inetto? Era quella la mia preoccupazione, quella che, tra le tante, strisciava in mezzo alle altre, subdola e silenziosa, mostrandomi la sua dolorosa presenza e la mia incapacità di tenerla a freno, anche nei momenti più densi di impegni, anche in quella tremenda crisi.
Le guardie annuirono, ignorando totalmente una cosa così futile come il mio tono di voce. Attivarono il meccanismo e il trono si spostò. Prima di incamminarmi, mi rivolsi ai due uomini.
-Come al solito vi richiedo il massimo silenzio- mormorai a bassa voce. I due uomini annuirono nuovamente, chinando il capo e tenendo basso lo sguardo.
Mi avviai per le scale che mi avrebbero portato nei sotterranei, e subito i miei occhi furono colpiti dalla luce delle torce e la mia pelliccia punzecchiata dallo sfavillare del loro fuoco. Marciai con decisione fasulla nel cuore fino alla piccola stanza circolare in cui risiedeva il nostro tesoro più prezioso.
Inspirai profondamente, avvicinandomi con cautela all’altare su cui risiedeva il Sol Emerald e prendendolo tra le mani. Una sensazione stranamente dolce e rilassante mi trapassò ogni muscolo, cullandomi nel tepore che mi si instaurava nelle vene ogni volta che impugnavo quella pietra cremisi. Purtroppo sapevo che quella sensazione di sollievo non avrebbe avuto vita lunga.
Strinsi con più decisione lo smeraldo prima di riporlo al sicuro in una delle tasche della mia giacca.
-Facciamo questa cosa-. 

***   
Bussai delicatamente alla porta del laboratorio di Marine, attendendo per una risposta. Aspettai per qualche minuto, ma all’interno della stanza regnava il silenzio. Battei il pugno con più forza e sperai che nessuno mi sentisse. Dopo qualche secondo la porta si aprì di scatto, e una Marine stanca, in un pigiama di un verde scuro che le scopriva l’ombelico e con i capelli raccolti una bassa coda di cavallo fatta velocemente mi apparve davanti. Si stropicciò gli occhi prima di guadarmi e sbatté un paio di volte le palpebre.
-Shadow?- sbadigliò senza preoccuparsi di mettersi una mano davanti alla bocca. La afferrai con una presa decisa per le spalle, la spinsi all’interno della stanza sperando che nessuno ci vedesse e richiusi la porta con un calcio.
-Ehi! Che stai facendo?!- sibilò stizzita. Non sembrava ancora completamente sveglia, quindi sorvolai su quello che potesse stare pensando in quel momento.
-Svegliati Marine!- ringhiai innervosito, scuotendola con impeto.
-Ok! Ok, ci sono!- Scosse leggermente la testa per svegliarsi. -Che ore sono?-
-Le tre-.
Lei aggrottò le sopracciglia, sembrando confusa. Estrassi dalla tasca lo smeraldo e glielo mostrai.
Appena lo ebbe visto, Marine si batté il palmo della mano sulla fronte, esclamando un’imprecazione. -Dannazione, me ne ero completamente scordata! Scusami Shadow, non sarei dovuta andare a dormire ma…-
-Marine, tranquilla. Voglio soltanto finire questa storia e tornare a dormire prima che Blaze si accorga che non ci sono-.
Marine annuì anche se non troppo convinta, andando a sedersi su uno sgabello davanti alla sua postazione di lavoro. Mi posizionai al centro della stanza, stringendo con forza il Sol Emerald e preparandomi a quello che avrei dovuto fare.
Sentii Marine sospirare mentre attivava il macchinario che ci serviva. -Non credo che tu debba farlo-.
Mi voltai verso di lei, guardandola con aria infastidita. -Per favore, ne abbiamo già parlato-.
-Ma ogni volta che provi ad utilizzare il potere dello smeraldo ferisci il tuo fisico. Sai perfettamente che è una cosa rischiosa, e in più in questo periodo sei esposto a una forte dose di stress. Non possiamo rischiare che qualcosa vada storto, e poi…-
-Taglia corto-.                                  
Si mise le mani sui fianchi, guardandomi con aria snervata. -Non sono d’accordo con quello che stai facendo-.
-Neanche io. Ma è l’unico modo che abbiamo per comunicare con Tails-.
-Possiamo sempre trovare un altro metodo. Certo, ci vorrà del tempo ma…-
-Noi non abbiamo tempo. È da anni che aspetto questo momento-. Mi voltai nuovamente, dandole le spalle. -Ti ringrazio per l’interessamento Marine, ma non ho intenzione di fermarmi-. Ero spaventato che avesse ragione. Se per qualche motivo qualcosa non fosse andato come dovrebbe, il regno si sarebbe trovato senza un re in un periodo di guerra.
Lei fece per aprire di nuovo bocca, ma si zittì. -Va bene-.
Marine schiacciò dei pulsanti sul macchinario davanti a lei, tirando poi una piccola leva. -Comincia pure-.
Mi concentrai, prendendo fiato per un istante e stringendo dita e denti. Attivai il Chaos Control con il Sol Emerald, e l’incubo iniziò. La testa, gli occhi, la gola, gli arti, tutto cominciò a bruciare. Non vi erano fiamme né calore, ma mi sembrava di avere qualcosa che volesse incenerirmi da dentro. In fondo, quella era un’operazione da effettuarsi tra più pietre, non tra una pietra ed un essere vivente. Non potevo nemmeno respirare né urlare, poiché, quando aprivo la bocca, mi sembrava di inghiottire del fuoco, aumentando il dolore. Era troppo persino per me. Quando finalmente vidi aprirsi un piccolo, lucente portale, mi lasciai cadere in ginocchio, straziato dal dolore. Ma non mi importava più di tanto. Ero riuscito un’altra volta a raggiungere il mio obbiettivo: aprire una finestra per l’altro mondo. Da quando erano stati rubati dei Sol Emerald, creare un portale per Mobius era diventato praticamente impossibile visto che servivano tutti e sette i gioielli, e io avevo urgenza di parlare ogni notte con Tails per poter scoprire come proseguivano le ricerche sulla mia cura. Così, chiesi a Marine di aiutarmi ad incanalare il mio potere e quello dell’unico smeraldo in nostro possesso per poter ricreare dei portali di minor potenza rispetto agli originali, delle “finestre extradimensionali”, per come li chiama Marine, ma che almeno mi avrebbero permesso di comunicare con Tails facendocelo vedere dal vivo.
-No!- sentii a malapena dire da Marine. Mi mise le mani sulle spalle, inginocchiandosi al mio fianco e cercando di essermi d’aiuto. -Vado a chiamare un medico!- borbottò ad alta voce, alzandosi di scatto e dirigendosi dalla porta.
-No- mugugnai a fatica e afferrandole il polso. Lei mi guardò stranita ma allo stesso tempo consapevole di quello che le stessi dicendo.
-Ma il tuo corpo sta reagendo in modo peggiore delle altre volte!- balbettò lei agitatissima. -I tuoi occhi…- continuò -…sono gonfi e violacei-.
-No- ribadii, alzandomi con un incredibile sforzo e appoggiandomi al tavolo vicino a me, cercando di sorreggermi. -Non chiamare nessuno. Nessuno lo deve sapere-.  Lei sembrò indecisa, infatti distolse lo sguardo.
-Cosa credi che penserebbero vedendo che sono nella tua officina a quest’ora di notte?- sibilai, sorridendo in maniera quasi maligna, probabilmente più una smorfia dovuta alla fatica a cui mi ero sottoposto. Marine mi guardò combattuta ma anche inquietata dalla prospettiva che le stavo mostrando. -Si spargerebbero delle male-voci e dei pettegolezzi. E a quel punto sarebbe tutto finito. Blaze molto probabilmente non ci crederebbe, ma sarei costretto a dirle la verità. E io non voglio farlo-. Aumentai la stretta sul polso della ragazza.
-Non lo devi dire a nessuno. Me lo avevi promesso Marine- ripetei. Lei si morse un labbro, sospirando.
-Hai… hai ragione. È solo che… non so come comportarmi- mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
-Ricorda, Marine…- sussurrai, ormai riottenendo parte delle mie forze, seppur tra il fiatone. -…che quello che mi fai non è un favore. Te lo sto ordinando-. Lei mi guardò seria per un attimo.
-Non sei responsabile di nulla di ciò che è avvenuto e che avverrà. Chiaro?-
-Sì, Shadow-. Strano. Mi aspettavo che avrebbe capito, ma nonostante tutto continuava a rimanere seria, come a voler mostrarmi la sua convinzione a riguardo della nostra discussione. Pur apprezzando la sua determinazione, anch’io le avrei mostrato quanto ero convinto di quello che facevo.
-Piuttosto, ormai il collegamento è stato effettuato. Perché Tails non è lì?-
-Si è appena aperto, magari sta arrivando-. All’improvviso, la volpe si manifestò davanti allo schermo, visibilmente affaticata.
-Ehi! C’è ancora qualcuno in linea?!- Era ovvio il fatto che avesse corso per arrivare in tempo.
-Miles, sono Shadow, ti ricevo. Non ti preoccupare, ci siamo tutti-.
-Ah, uff…grazie al cielo, sono ancora in tempo…oh, ciao Marine- ansimò, probabilmente poiché si era accorto all’ultimo momento della presenza della prociona.
-Ciao Tails. Perché questo affanno?- chiese lei con un sorriso divertito, notando i capelli scompigliati di Tails e il fiatone quasi paragonabile al mio di poco prima.
La volpe si schiacciò il ciuffo ribelle che aveva sempre avuto in testa cercando di domarlo e si schiarì imbarazzato la voce.
-Be’, avevo chiuso per qualche secondo gli occhi per rilassarmi… ma mi sono addormentato sul divano- ridacchiò. Solo in quel momento notai le evidenti occhiaie che sotto gli occhi gli occhi per la mancanza di sonno. Marine rise, scuotendo con fare divertito la testa. -Lo sapevo. Eri e continui ad essere un bambinetto-.
Tails si appoggiò il mento sul dorso della mano, un ghigno ironico si faceva strada sulle sue labbra mentre scrutava attentamente Marine dal basso verso l’alto. -E comunque non mi sembra che tu sia messa in una situazione molto diversa dalla mia, Marine…- sogghignò, riferendosi chiaramente all'abbigliamento con cui si era presentata. Lei arrossì pesantemente, gli occhi azzurri strabuzzati per la sorpresa. Poi sbuffò fintamente indispettita.
-Bene Mister Casanova. Hai qualche notizia da darci?- chiese lei cambiando discorso con aria professionale nonostante fosse ancora visibilmente rossa sulle guance. Forse potevo aver frainteso la situazione, ma mi sembrava di ritrovarmi in mezzo a quello che poteva sembrare quasi uno strano flirt, e di essere il terzo incomodo.
Tails sorrise. -Questa sera sì-. Si allontanò di qualche passo, uscendo dalla nostra visuale e riapparendo qualche secondo dopo. Tra le mani stringeva una piccola fialetta con dentro un denso liquido tendente al verdognolo. Il sangue cominciò a pulsarmi con più foga nelle vene.
-È…-
-Sì. È la tua cura Shadow. Ce l’abbiamo fatta-. ‘’Ci è riuscito. Ci è riuscito davvero’’
Tails sorrise apertamente, guardando a turno me e Marine, la quale saltò giù dallo sgabello ed esultò. Un enorme peso sembrò togliersi dal mio cuore e, per la prima volta in quei giorni, riuscii a rilassarmi e a sorridere sinceramente.
-Sei un grande Tails!- strillò Marine su di giri. Tails si grattò il capo con un sorriso imbarazzato a causa dei complimenti, rivolgendo poi la sua attenzione verso di me. -Ho il medicinale. Devi soltanto dirmi quando vi devo raggiungere-.
-Immediatamente- dissi, il cuore che batteva rapidamente in preda all’euforia.
Marine mi guardò confusa e sgomenta.  -Shadow, non possiamo creare un portale finché non ritroviamo tutti gli Smeraldi-. Si accorse in ritardo di aver parlato troppo. Si mise una mano davanti alle labbra, come se con quel gesto potesse ricacciarsi in bocca le parole dette di troppo.
-Perché? Che è successo agli Smeraldi?- chiese Tails con un sopracciglio alzato.
-Troverò un modo per farti venire qui entro stasera, Miles. Mantieni attivo il segnale e tieniti pronto- gli dissi velocemente, tentando di sviare l’argomento. Quello era un nostro problema, non suo. Aveva fatto fin troppo. Mi voltai verso Marine, trucidandola con lo sguardo e prendendo nuovamente in mano lo Smeraldo del Sol. Lei mi guardò terrorizzata.
-Non vorrai creare tu un portale, vero?-
Le feci un ghigno sarcastico. Avevo i muscoli del viso tesi, già pronti per il dolore che avrebbero dovuto sopportare. Delle piccole fiammelle si stavano facendo strada sulle mia braccia senza bruciarmi… per il momento.
-Tu cosa credi?- sghignazzai, mentre un dolore bruciante cominciava a strapparmi di nuovo dal mondo e dalla realtà. Non avevo percezione di quello che stava accadendo. L’unica cosa che sentivo era il mio corpo mentre veniva carbonizzato da delle fiamme che non potevo né vedere né combattere. Grugnii e serrai la mascella. In confronto a quello, creare una finestra per l’altro mondo era una passeggiata nei giardini del castello. La testa mi pulsava come se volesse scoppiare, e ogni  respiro era una pugnalata nei polmoni. Strinsi con sempre più forza il Sol Emerald e ci concentrai più energia, così tanta che per un momento temetti di poterlo distruggere in mille pezzi. E il dolore mi tentò quasi di farlo.
Crollai di nuovo sul pavimento quando vidi che il rituale aveva avuto successo e che si era creato un varco per i due mondi. Tenni la testa bassa e gli occhi chiusi. Ero ansante, sfinito, con la fronte imperlata di sudore. Il dolore non accennava a scollarsi dalla mia pelle, e io mi stringevo le braccia intorno al busto, cercando di attenuare in qualche inutile modo la mia sofferenza.
-Oh mio Dio…- farfugliò Marine, serrando gli occhi per non vedermi e di conseguenza per non urlarmi contro le stupidaggini che stessi facendo.
Alzai con riluttanza le palpebre. Tails mi fissava con terrore dal piccolo portale che usavamo per comunicare, ora affiancato da uno più grande, attraverso il quale la volpe sarebbe dovuta venire nel nostro mondo. Dietro di lui, nell’altra dimensione, si era formato un altro di quelle fenditure nello spazio-tempo.
-Shadow…- mormorò Tails, senza parole.
Io scossi energicamente la testa, dicendogli chiaramente che non volevo sentire nient’altro. Lo guardai con decisione, facendogli cenno al portale alle sue spalle.
-Quando vuoi, Miles. Raggiungici-.

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Capitolo 20
*** Il cuore della Tenebra ***


Sunny

Note d'Autrice: Salve a tutti! Ebbene sì, ho deciso di aggiornare proprio prima di partire per l'Irlanda, fatto che avverrà il 6. Quindi per due settimane non mi sentirete più, eh già. MA, c'è un ma. Dopo numerosi tentativi sono riuscita a crearmi un dannato account su Twitter. L'ho fatto soprattutto perché ho deciso che voglio avere un rapporto più profondo con i miei lettori e per poter interagire con voi. Quindi, per chi è interessato, mi può trovare con il nome Rain_of_Truth. Se mai decideste di seguirmi anche lì, potremo finalmente interagire in modo migliore e più diretto, potrete vedere in modo più comodo quando ho fatto un aggiornamento e farmi domande o darmi consigli. O cosa cavolo altro volete :D Mi farebbe molto piacere e mi darebbe un aiuto enorme per riuscire ad accontentarvi nel modo giusto! Detto questo vi lascio alla lettura, e ci rivediamo tra due settimane, belli!

***

Sunny
Non avete idea di quanto quegli ultimi giorni siano stati intensi e non proprio piacevoli. Non fui d’accordo con papà quando decise di tenere con sé una perfetta sconosciuta, ma credo che lui fosse sempre stato troppo buono per ignorare le richieste d’aiuto di qualcuno.
Inoltre, credo si sentisse già più a suo agio rispetto a quando partecipai allo scambio interculturale tra studenti, quando ero più piccola: andai nella regione di Holoska, e qui in casa arrivò un giovane orso bianco. Per due settimane, pa’ dovette lavorare tre volte più del solito per potersi permettere tutto quel pesce. Non che io stessi molto meglio. Mi era sempre piaciuto viaggiare, ma Holoska aveva un clima troppo rigido persino per me. È da quel momento che io non volli più sentir parlare di igloo e mio padre ripudiò il pesce. Ma forse sto divagando rispetto al discorso iniziale. 
Quella mattina mi ero alzata presto come al solito ed ero scesa in cucina per fare colazione con la mia famiglia. Stranamente, quel giorno Dash non stava stuzzicando Althea come gli era solito fare, ma era in silenzio a fissare il suo piatto. Qualche volta lanciava delle occhiate fugaci alla gatta, ma il suo sguardo ritornava inesorabilmente sul suo cibo intatto. Althea ascoltava distrattamente i dialoghi amichevoli che Emily cercava di imporle, la quale era decisa ad entrare nelle grazie della solitaria nuova arrivata in famiglia. Forse le chiacchere di mia sorella erano l’unica cosa che riusciva a dissipare leggermente l’aria tesa che c’era quella mattina in cucina. La sera prima avevo ascoltato di nascosto una conversazione tra i miei genitori e Althea. Discutevano di come le cose fossero degenerate in quella giornata e di come poterle risolvere. Althea si vergognava terribilmente di quello che aveva causato in città e per quello che aveva fatto alla gamba di Dash, soprattutto dopo che aveva lui cercato di salvarla. Non sembrava che volesse davvero trovare una soluzione per quanto aveva fatto, quanto più che volesse chiedere un consiglio implicito a qualcuno. 
-So che ho sbagliato tutto. Ma troverò un modo per farmi perdonare da tutti voi e di ripagarvi- aveva detto Althea e, da quanto ero riuscita a vedere, visto che ero nascosta dal muro, aveva il capo chino e lo sguardo basso. Riuscii quasi a percepire il sorriso dolce di mio padre.
-Se una delle faccende che ti preme è Dash, perché non vai a ringraziarlo?-
Dopo quella frase c’era stato un momento di esitazione da parte di Althea, quasi timida. -…Lo farò-.
Ma il silenzio che era regnato a tavola era la prova evidente che non lo aveva fatto. Se Dash era riuscito a stare zitto per tutto il tempo, voleva dire che neanche lui sapeva esattamente cosa fare. Tra l’altro, ero assolutamente certa che anche lui avesse origliato la conversazione. Comunque stessero le cose, non erano affari miei e non mi ci sarei dovuta immischiare. Emily, al contrario, sembrava essere molto interessata. Aveva continuato a tartassare suo fratello e la gatta di domande, visto che quel giorno erano i più silenziosi a tavola. E visto la scarsa delicatezza di mia sorella, le sue domande erano state molto chiare ed esplicite nel loro genere. 
-Non è che voi due avete fatto insieme qualcosa di cui non volete parlarci?- aveva chiesto molto, molto ingenuamente Emily ad un certo punto, con un sorrisetto sulle labbra. Dopo aver sentito questo Althea si era bloccata, sbarrando gli occhi e tenendo le spalle più dritte e rigide del solito. Si era alzata violentemente, facendo strisciare con violenza le gambe della sedia, provocando un gran fracasso e rischiando di farla cadere. Era uscita a grandi passi dalla cucina, pestando con forza i piedi mentre saliva le scale. Poco dopo sentimmo la porta della sua camera sbattere e la serratura scattare, segno che si era chiusa a chiave dentro. Dash aveva sospirato, scuotendo la testa e poggiandosela sul palmo della mano mentre rivolgeva ad Emily un’occhiata piena di stizza. Dopo aver assistito a questi dialoghi muti apparentemente segreti e ai tentativi falliti di mia madre di alleggerire in qualche modo l‘atmosfera, sono uscita di casa per dirigermi in un luogo più consono alle mie necessità: Blue Ridge City. Ed era proprio lì che mi ritrovavo in quel momento, mentre ripensavo a tutti gli avvenimenti accaduti quella mattina. 
-Desiderate altro, signori?- chiesi ad un cliente abituale seduto insieme alla sua compagna ad un tavolo del ristorantino in cui lavoravo mentre tenevo abilmente in mano taccuino, penna e un piatto da portare a lavare nelle cucine insieme ad un calice che puzzava di vino.
-No, la ringrazio signorina. Però potrebbe portarci due caffè per favore?-.
-Certamente, arrivano-. Mi dileguai velocemente, visto il pieno di clienti di quella giornata soleggiata. Mentre mi stavo dirigendo verso le cucine, sentii qualcosa di una consistenza appiccicosa colpirmi la schiena. Quando mi girai vidi, tra i vari tavoli, uno con un gruppetto di sei ragazzini, quattro dei quali rimanevano seri, o quantomeno ci provavano, mentre gli ultimi due se la sghignazzavano per motivi a me sconosciuti. Non che una che faceva il mio mestiere potesse interessarsi ad ogni discorso che facevano i suoi clienti. Delle persone ai tavoli vicini mi guardarono in attesa di una reazione, uno strillo, qualsiasi cosa. Tirai fuori uno dei miei migliori sorrisi e mi rivolsi al gruppo di ragazzini.
-Desiderate?- chiesi con tono quasi smielato. Uno dei ragazzi guardò divertito quello che sembrava il più vecchio fra di loro, un massiccio husky marrone che avrà potuto avere al massimo quindici anni.
-Ci potresti portare un altro dolce per favore? Come puoi vedere, il mio mi è caduto per sbaglio- disse con fare fintamente teatrale e appoggiandosi allo schienale della sedia su cui era seduto con aria sbruffona. Uno dei suoi amici scoppiò a ridere, cercando di coprirsi la bocca. 
Sorrisi nuovamente, annuendo. -Subito-. Mi diressi il più velocemente possibile in cucina e strinsi i denti e pugni, cercando di trattenere il senso di rabbia furente e di disagio che mi aveva attanagliato. Portai gli ordini che avevo ricevuto al bancone, e dopo qualche minuto ricevetti il cibo. 
-E sentiamo, cosa ti avrebbero fatto?- sentii dire da una voce maschile e leggermente roca che ormai riconoscevo fin troppo bene. Vi presento Jorge, il cuoco. Era raro trovare un ristoratore con una pazienza come la sua che riuscisse a far andare avanti un ristorante nella maniera giusta. Nel senso che, se ce n’erano altri, io non li avevo mi incontrati.
Oh, ti prego, lasciamo perdere. Ero andata giusto ieri a ritirarli dalla lavanderia, non posso credere che mi abbiano lanciato il dessert addosso-. 
-Sono ragazzini, un giorno capiranno che hanno fatto una cavolata. Diciamo che lo faranno quando avrai circa vent’anni e ti sbaveranno dietro-. 
-Uff…sì, ma anch’io sono una ragazzina se guardiamo la loro età media…- 
-Vero. Beh, mettila così: sono anche clienti. Non ti arrabbiare, persone così ci sono ovunque, non solo qui-. Mi passò il piatto con il dolce, rivolgendomi uno dei suoi tipici sorrisi in cui c’era nascosto un implicito augurio di mantenere la calma, se volevo tenermi il lavoro. Ho detto che era paziente, non perfetto. 
-Già… ok, augurami buona fortuna-. 
-Tu non ne hai bisogno, Sunny. Lo sai bene. Ora sbrigati, non voglio perdere clienti! Forza, va’!- Mi affrettai a raggiungere quel tavolo pieno di cani rognosi, così da poter servire qualcuno un po’ più civile. Appoggiai delicatamente il piatto al centro del tavolo.
-Grazie cara- sghignazzò un membro di quella banda di mocciosi con un tono da anziano. I suoi amici ridacchiarono compiaciuti, scrutandomi. E io che avevo sempre creduto che Dash fosse un immaturo con le ragazze… ci sarà stato effettivamente un motivo se in diciassette anni di vita ce ne aveva portate a conoscere a casa solamente un paio.
Mi voltai e mi allontanai con passo svelto. Ma quando fui sul punto di sparecchiare uno dei tavoli da cui si era appena alzati dei clienti, sentii di nuovo qualcosa scontrarsi contro la mia schiena. Mi voltai di scatto, senza riuscire a reprimere un esclamazione scocciata, e mi ritrovai davanti di nuovo i visi dei ragazzi che mi ridevano in faccia, guardandomi con una certa soddisfazione. Riuscii però a reprimere tutto il resto. Mi voltai nuovamente e cercai di pensare alla grassa giornata di quel giorno, piena di clienti che volevano essere  serviti e che mi avrebbe permesso di guadagnare un po’ per conto mio.
Quel giorno Jorge mi aveva liberato un po’ prima del solito. Chissà cosa lo aveva spinto a farlo. Mi piaceva pensare che lo avesse fatto perché aveva capito ciò che era successo. Era questo che lo rendeva speciale: capire quando un dipendente non rende più abbastanza in certe giornate. Inoltre, aveva abbastanza personale da poter continuare senza di me, almeno quel giorno, senza doverlo necessariamente licenziare in blocco. Non era da me prendermela così tanto, non che lo avessi dato a vedere, ma lui poteva leggere gli stati d’animo delle persone, cosa che lo rendeva un grande imprenditore. Ma credo di aver speso davvero troppe parole parlando di lui, per quanto se lo meriti. Ora tocca a me.

***
Cercai di mantenere il braccio teso senza farlo tremare e scoccai la freccia, mandandola a conficcarsi all’estremo del bersaglio.
-Maledizione…- ringhiai.
-Oggi non sembri proprio in forma o sbaglio?- La voce che mi aveva fatto questa domanda apparteneva ad uno dei ragazzi che spesso incontravo mentre facevo l’attività che più preferivo: il tiro con l’arco. Comunque si chiamava Robin. Non era malaccio. Pensavo che di li a qualche tempo mi avrebbe chiesto probabilmente di uscire, ma rimaneva  il fatto che restava inferiore a me con l’arco. 
-Ho avuto una giornataccia, ma poteva andare peggio-. 
-Forse. Ma con le prestazioni che stai dimostrando ora la stai effettivamente facendo andare peggio- disse con tono presuntuoso ma ironico, tipico di lui.
Estrassi un’altra freccia dalla faretra e la tirai, ma questa volta mancai addirittura il bersaglio. Reclinai la testa verso l’alto, ma mi voltai subito e sentii un lamento da dietro di me. 
-Aaah Dio! Il mio occhio!- Preferii non girarmi, limitandomi a fare una smorfia di dolore. Robin osservò la scena mostrando un’espressione disgustata e serrando la mascella, inspirando sonoramente fra i denti.
-Uhh… quello deve aver fatto male- mormorò arricciando il naso. Poi si rimise a guardarmi. 
-Oggi va proprio tutto da schifo- sputai, aumentando la presa che avevo sull’arco. Robin ridacchiò, stringendosi nelle spalle. 
-Guarda il lato positivo: la tua giornata sarà sempre migliore di quella di quel tizio- disse, indicando con un dito nella direzione in cui si era sentita quell’esclamazione di dolore. Roteai gli occhi e gemetti, rivolgendogli un’occhiata scocciata. 
-Taci Robin-.
-Sei davvero inconsolabile oggi, eh?- rise lui, scuotendo la testa. Poi il suo sguardo si illuminò, e mi fissò con un accenno di malizia sbarazzina. -Ti va di fare una scommessa?-
Le mie orecchie si alzarono inconsapevolmente, e mi voltai a guardarlo con un vago interesse. -Che genere di scommessa?-  
Lui piegò le labbra in un sorriso soddisfatto e mi fece cenno con la testa verso il bersaglio. -Se conficchi almeno una freccia esattamente al centro ti offro un caffè-. 
-Macchiato?- chiesi con un accenno di sarcasmo.
-Macchiato. O come cavolo lo preferisci-.
Presi una freccia dalla faretra e me la feci roteare tra le dita, pregustando già una vittoria. -E se manco il bersaglio?-
Robin sorrise con malizia, mentre cercava di mostrarsi abbastanza rilassato. -Hai programmi per domani sera?- mi chiese, mentre la voce lo abbandonò per un attimo dalla sua solita decisione. 
Alzai un sopracciglio e socchiusi gli occhi, incrociando le braccia al petto. Un appuntamento? Con lui? Una persona che consideravo al massimo come un mio “amichevole conoscente”? E poi non potevo crederci che ci stesse davvero provando in quel modo. Ma decisi di stare al gioco. Tanto, cosa avevo da perdere se non un po’ di dignità?
-Be’ Rob…- Mi grattai una guancia e mi posai una mano sul fianco, divertendomi nello stuzzicarlo in quel modo così crudele e forse un po’ sadico da parte mia. Decisamente un comportamento che non mi rispecchiava. Mi bacchettai delicatamente la punta della freccia sul labbro inferiore, ghignando con fare sbarazzino. -E va bene, ci sto-.
Mi girai verso i bersagli, prendendo subito posizione con le braccia. La corda era  già tesa, e la freccia tirava così tanto che sembrava non vedere l’ora di avventarsi contro la sua preda. 
-Sei sicura di potercela fare?- domandò Robin, forse in un tentativo di distrarmi così da poter aumentare le sue possibilità di incassare la scommessa. Di tutta risposta indietreggiai di cinque passi, aumentando la distanza. 
-Come preferisci…- mormorò. Chiusi l’occhio sinistro, stringendolo tra le palpebre mentre focalizzavo il mio obiettivo. La freccia scivolò rapidamente dalle mie dita, andando a scontrarsi contro la mia vittima. Colpii il contorno esterno del marchio centrale del bersaglio. Robin sospirò frustrato. -Ok, hai vinto-. 
Non mi voltai a guardarlo e incoccai un’altra freccia. Non era un centro perfetto quello che avevo fatto. Mi concentrai nuovamente e solo pochi secondi dopo un’altra freccia schizzò dall’arco contro il bersaglio, colpendolo esattamente dove volevo io. Quello era un centro perfetto.  Senza neanche fermarmi, scoccai in sequenza un altro dardo.
Centro. Tre colpi. Tre andati a segno. 
Solo allora mi ritenni davvero soddisfatta. Mi feci passare l’arma sopra la testa e me la misi in spalla. Poi mi voltai sorridente verso il ragazzo dietro di me, che mi guardava in un misto di stupore e delusione.
-Mi devi tre caffè-.  

***
Mi ero ormai incamminata verso casa, dopo aver vissuto quella controversa giornata. Mi era dispiaciuto lasciare Robin così deluso, ma una scommessa è sempre una scommessa. Pensai che forse, un giorno, gliela avrei concessa comunque una possibilità. Mi era sempre sembrato un bravo ragazzo e credevo che anche i miei avrebbero pensato lo stesso. Varcai la porta di casa, solo per percepire che un innaturale silenzio aleggiava in essa. 
Mia madre non mi salutò nemmeno. -Ciao anche a te mamma, la tua giornata com’è andata invece?- Lei si girò di scatto. 
-Ah! Ciao Sunny! Scusami, non mi ero accorta del tuo arrivo-. Mia madre tendeva ad essere sbadata e con la testa tra le nuvole, ma stavolta la sua faccia, a chi la guardava, poteva far pensare che avesse perso ogni contatto con il nostro mondo. 
-Si può sapere che cosa ti prende? Sono rimasta a fissarti per tre minuti esatti senza che tu ti accorgessi di nulla. Sul serio, li ho contati-. 
-Mi dispiace Sunny. È solo che non posso fare a meno di pensare a quei due. So di essere un’impicciona e che sono abbastanza grandi da risolversela da soli, ma è nella mia natura impicciarmi negli affari altrui!- 
-Ancora non si sono parlati!?- 
-No. Althea sembra avere la criniera alzata tanto è tesa, mentre Dash è come appallottolato su sé stesso. Mi spiace per loro-. Un po’ dispiaceva anche a me per quei due, ma ero più discreta di mia madre e decisi quindi di ritirarmi. 
-Anche a me, ma ora sono esausta. È  stata una giornata pesante oggi, ci sentiamo dopo. Vado nella mia stanza-. 
-Ok, a dopo!-
 Salii i gradini delle scale zampettandoci velocemente sopra. Quando passai davanti alle camere di Dash e di Althea, l’unica cosa che sentii fu un silenzio di tomba. La cosa mi inquietò leggermente. La mia non era mai stata una casa tranquilla, e non sentir volare una mosca per i suoi corridoi era quasi spaventoso. Ero quasi certa che Althea non avesse messo piede fuori dalla sua stanza da quella mattina pur di non incontrare l’individuo causa del suo nervosismo. E ora che ci prestavo attenzione, riuscivo a sentire un debole mormorio provenire dalla stanza di Dash. O si stava preparando il discorso con cui affrontare l’argomento tanto temuto sia da lui che dalla gatta, o era impazzito e aveva cominciato a parlare da solo. Non sapevo quale possibilità ritenere più attendibile. Decisi di sorvolare su quelli che non erano affari miei e mi diressi nella mia camera. Che per mia sfortuna condividevo con Emily. Quando aprii la porta, per fortuna notai che di mia sorella non c’era ancora traccia, quindi mi buttai violentemente sul mio letto e mi ci stravaccai sopra. 
Scalciai via le scarpe e mi rannicchiai contro il cuscino. Guardai per un attimo di fianco a me, e notai lo specchio nella parte di stanza di Emily. Mi alzai e mi ci posizionai davanti. Il mio riflesso mi innervosiva. Non avevo un minimo di fisico. Persino mia sorella minore aveva le curve più pronunciate delle mie. Il mio corpo era… strano. Sportivo, elastico, forse leggermente muscoloso. Assolutamente niente che mi facesse sentire in sintonia con le persone della mia età. Non ero femminile, non ero elegante e non ero raffinata. Ma non mi sentivo esattamente a disagio per questo. Più che altro mi infastidiva. Ma forse era il mio ego a impedirmi di farmici riflettere sopra. Forse era il mio stesso ego che mi impediva di avere dei veri rapporti con qualcuno. Chiunque mi stesse vicino e chiunque cercasse di conoscermi… credo non riuscisse davvero a farsi un’idea precisa della persona che aveva davanti. C’è chi mi vedeva come la ragazza più solare e simpatica che ci fosse. Altri percepivano una certa insicurezza in me, anche se non avevo mai cercato di ostentarla, anzi, la nascondevo come meglio potevo, tenendola occultata dentro al mio spirito. Robin…non ho mai capito che cosa provasse. Credo che mi considerasse una cara amica, potevo sentirlo. Quel giorno però, è stato come se si fosse tolto un peso, come se avesse cercato di dirmi che non ero solo un’amica. Ma io non… credo di aver provato le stesse cose. Come ho già detto, era un amichevole conoscente. Forse, non c’era davvero qualcuno che riuscissi a sentire abbastanza vicino a me da poterlo chiamare “amico” o “amica”. Certo non mi relegavo in casa a giocare a videogiochi e browser game tutto il giorno, ma forse mi sentivo persino più sola di quella categoria di persone. Uscivo, facevo quello che mi piaceva, ma in qualche modo ero sola. Io volevo trovare qualcuno che mi capisse davvero. Non mi interessava se quella persona sarebbe stata identica a me o completamente diversa. Volevo qualcuno che portasse delle emozioni nella mia vita, non mi importava se queste fossero state positive o negative.
Volevo un amico. Che mi avrebbe accettato, che mi avrebbe fatto divertire, piangere, ridere, infuriare. Volevo qualcuno che mi facesse davvero sentireviva. Forse era una cosa sbagliata ricercare delle emozioni che mi avrebbero potuto far soffrire quando si ha una vita pressoché perfetta. Infondo, questa è una cosa che mi ha sempre fatto disgusto. La perfezione… la perfezione non esiste. Nessuno è perfetto. Chi crede di esserlo è solo un arrogante megalomane. Io non ricercavo la perfezione. 
Io ricercavo il difetto. Il difetto nell’incanto.

 ***
Charmy
Ci sono cose nella vita che si apprezzano più di altre. Finire di svolgere un lavoro importante anziché posticiparlo continuamente è una di queste. Imparare a fare cose nuove ogni giorno è un altro ottimo esempio. Per me, tuttavia, le cose risultano molto più semplici. Avere un lavoro da fare e non farlo? Sìììì... veramente fantastico. Non era la prima volta che Vector mi dava un lavoro da fare. Non era la prima volta che lo evitavo come la peste. Dovevo andare a ritirare i suoi vestiti in lavanderia. Se per “vestiti” si intendono i suoi guanti e le sue scarpe, ben inteso. Supposi che avrebbe potuto sopravvivere per un po’ anche con quelli di riserva. Infatti ero lì, sul tetto dell’edificio, a leggere il mio romanzo di culto preferito:“Dr.Slump e Arale”, che come poche altre cose al mondo riusciva a mettere in movimento le cellule cerebrali. Un capolavoro, ancora enfatizzato se letto, come quel giorno, sotto il sole, in una giornata serena come quella. Alzai per un attimo gli occhi dal manga e mi venne quasi un infarto.
-Ciao Charmy-. Espio mi guardava con fare scocciato, a braccia incrociate. Mi portai una mano sul petto, cercando di capire se il cuore fosse ancora nel pieno della sua funzionalità.
-Devi smetterla di apparirmi davanti in questo modo- ansimai. -E poi come facevi a sapere che ero sul tetto?-
Lui mi sorrise con fare canzonatorio. -Ho i miei metodi. E tu non avevi un lavoro da fare?-
-Sì, certo. Stavo giusto per andare-. 
Alzò un sopracciglio. -Ne sono sicuro…- borbottò. -Comunque. Vector ti vuole parlare, quindi è meglio che ti dia una mossa-.
Io grugnii, reclinando all’indietro la testa. -Non potresti dirgli che ho da fare? Tra cinque minuti sono da lui- farfugliai, ricominciando a leggere subito dopo, come se nulla fosse successo. 
Espio sospirò sonoramente. -Slump e Midori si sposano alla fine del capitolo-.
Il manoscritto mi scivolò inconsapevolmente dalle mani. -Oh, stai scherzando. E come fai a sapere in che punto…-
-Ho i miei metodi. Vai-.
Mi alzai da terra con un mugolio svogliato e mi avviai verso la scala che portava in soffitta. Espio mi parò una mano davanti. 
-A-ah-. Fece un cenno verso il mio prezioso manga. -Il fumetto-. 

***
Bussai alla porta dell’ufficio di Vector e aprii lentamente la porta, infilando la testa all’interno della stanza. 
-Heilà?- 
-Sbrigati Charmy- ringhiò la voce scura del mio amico coccodrillo. 
-Calma amico! Come mai sei così nervoso? Vanilla ti ha dato buca per la cena di stasera?-
Vector si alzò di scatto dalla poltrona dietro la sua scrivania. -Vanilla non c’entra niente in questa storia, lo sai benissimo!- strillò. ‘’Wow… nervosetto oggi il rettile.’’
-Sei tu quello che mi fa uscire di testa!- Spostò bruscamente la sua tanto amata sedia girevole nera e mi si piazzò davanti. -Sei in assoluto la persona più irresponsabile che conosca. Ogni volta che ti affido un incarico o lo rimandi, o non lo fai proprio. Se non ci fossero Cream ed Espio questo posto sarebbe già allo sbando! Ho dovuto mandare Espio a ritirare la roba in lavanderia, ti rendi conto? Espio!-
-Ad essere completamente sinceri, quella sarebbe la tua roba- ridacchiai.
Vector mugugnò infuriato, camminando nervosamente per tutta la stanza. -Si può sapere come…-
‘’Bla, bla, bla. Sempre la solita ramanzina. Ma non l’ha capito che non lo sto più ascoltando? Sto già pensando in quale posizione sdraiarmi quando ritornerò sul tetto. A proposito… chissà come faceva Espio a sapere come finiva il fumetto. Non lo avrà mica…”
-Mi stai ascoltando sì o no?!- urlò Vector sbattendo un pugno sul muro. Poi scosse desolato la testa. -Mi hai stufato. Ti ho chiamato nel mio ufficio per dirti che Gibson ci ha invitati a tornare di nuovo alla base oggi-. 
-Davvero? Finalmente! Se sarà semplice come la scorsa volta, non avremo problemi-.
-L’altra volta ti hanno quasi ucciso-. Si sedette con un tonfo sulla sedia, facendomi gesto di uscire. -Vai a chiamare Cream e poi andiamo-.
-Ed Espio?-
-Sono sicuro che sappia già dove dobbiamo andare. Ora datti una mossa e vai a fare almeno questo-. Annuii in risposta e uscii dalla stanza. Ma riuscii a sentire Vector mentre borbottava un ultimo: Dove ho sbagliato con lui?

***
Sbadigliai sonoramente, affondando nel sedile posteriore dell’auto. 
-Siamo arrivati?- chiesi a Vector, aspettandomi la sua tipica risposta. 
-No-. 
-Oh…- Rimasi deluso da ciò che mi disse. Saremmo dovuti andare a piedi, sarebbe stato più divertente. 
-Siamo arrivati?- chiesi dopo venti secondi di assoluto silenzio da parte di Cream e Vector. 
-No-. 
-…Siamo arrivati?-
-No…!- 
-Sia…- 
-Ascoltami bene Charmy, finisci quella frase e ti faccio scendere dalla Vector-mobile, e ti continui il viaggio fino in centro a piedi!- urlò lui, furioso come raramente l’ho visto. Ci fu un silenzio di tomba per un minuto circa. -…Siamo arrivati?- Oltre a Vector, anche Cream mi rispose con decisione. -No!- 
Sentii una voce alla mia sinistra lamentarsi in maniera non usuale. Era Espio, che fino a pochi secondi prima non si trovava accanto a me. 
-Dio, no! Non siamo ancora arrivati, sta zitto Charmy, chiudi la bocca!- urlò. Non risposi per diversi istanti, poi replicai. -…Quando sei arrivato qui?- 
-Uff…- Fu uno sbuffo la sua risposta. 
-Piaciuto il fumetto?- sghignazzai, ricevendo in cambio solo un mugolio pieno di aggressività.
-Ehi, siamo arrivati?- chiesi un’altra volta. 
-Sì-. Vector si slacciò velocemente la cintura, stizzito. -Giù dalla macchina. Pensavo di offrire un caffè a tutti, ma mi si è chiuso lo stomaco-. 
-Offrire un caffè a tutti? È un pensiero molto gentile, considerando che avresti dovuto rinunciare alle spese delle prossime settimane per farlo. Ti ringrazio a nome di tutti-. Ci dirigemmo nuovamente verso quel grosso edificio, pronti al nostro nuovo colloquio con quell’infido uomo. 
Vector si fermò per un attimo a guardare la base davanti a noi, poi si voltò, guardandoci con della determinazione pura negli occhi. -Ok ragazzi, sapete come funziona. Voi zitti, io parlo-. 
Mi sentii di intervenire anche quella volta. -Vector, non credi che potrei parlare io stavolta?- Prima di passo spedito, il gruppo rallentò leggermente il proprio andamento. 
-No-.La risposta, anche se ritardata, fu secca e unanime da parte di Vector e Espio. 
-Cosa?! Perché no?- 
-Due parole: Banca. Rotta.- 
Cream non ci mise molto ad intromettersi nella conversazione. -In teoria hai appena separato un’unica parola di uso comune in due diverse, anche se, grammaticalmente, sono effettivamente parole differenti…- 
-Dopo, Cream-  replicò il capo.
-Oh, ti prego Vector, lo sai che scherzavo prima. Voglio solo provarti le mie capacità. Non potresti darmi fiducia? Ti prego-. 
-Charmy. Io ti rispetto molto, sei un amico e un collaboratore, ma… c’è un ma…ti lascerò gestire una faccenda così complicata solo quando vedrò il buon Dio che balla il moonwalk. Capito il concetto?-. Incrociai le braccia al petto e misi il broncio migliore di cui fui capace. Vector scosse la testa ridacchiando e ricominciò a camminare. 
-Il trucco del broncio non funziona più da quando hai superato i quattordici anni-.
Sbuffai scocciato. -Un giorno dovrai pur lasciarmi le redini dell’agenzia! Sai, quando sarai vecchio, la pelle comincerà a diventarti giallognola e a penderti dalle braccia e le scaglie a diventare ruvide... cose che succederanno quando arriverai ai cinquant’anni. Cioè tra non molto-.
Il coccodrillo si voltò di scatto. -A cinquant’anni non si è ‘’vecchi’’! Si diventa solo maturi!- strillò. Si mise i pugni sui fianchi, alzando il mento e sorridendo sornione. -E alle donne piacciono gli uomini maturi-.
Cream si sbatté una mano in faccia, mugolando un verso imbarazzato. -Vector, ti prego…-
Il nostro capo si fece un grassa risata. -Visto? Per esempio, Vanilla esce con me per il mio fascino-. "Ti prego, fai che non ricominci questa storiaÈ imbarazzante quasi quanto quando gli ho chiesto come nascono i bambini". Poi si rivolse nuovamente a me. -Comunque sia, la risposta è no, Charmy. Mentre parlo con Gibson devi stare muto-. Io e il resto della comitiva ricominciammo a camminare verso il nostro obbiettivo, ma non riuscii a nascondere una punta di delusione dopo le parole di Vector. Tenni lo sguardo rivolto verso il terreno. Mi considerava davvero in quel modo così scadente? Sentii qualcuno darmi un colpetto sul braccio. Alzai gli occhi e vidi Cream sorridermi allegra. 
-Sai, penso che ci siano momenti, come questo per esempio, in cui avresti bisogno del gadget più potente e utile che esista al mondo-. Lei sospirò, quasi fingendosi addolorata. -Purtroppo io non sono in grado di fornirtelo-. 
Alzai un sopracciglio, sorridendole di rimando. -Cioè?-
Lei ridacchiò con fare furbetto, socchiudendo le palpebre con un fare che mi sembrò terribilmente seducente. -Il buonsenso-.
Sbuffai come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo e mi battei fieramente un pugno sul petto. -Non preoccuparti Bambolina, non ne ho bisogno- dissi con tono virile. Cream rise allegramente, scuotendo con aria falsamente esasperata la testa.
Qualche metro davanti a noi, Vector ed Espio si trattennero a malapena dallo scoppiare a ridere. -Datevi una mossa voi due- ordinò Vector con voce più acuta del solito a causa delle risate trattenute. -Abbiamo un colloquio che ci aspetta!- 
Una volta dentro alla Base, nulla era cambiato rispetto all’ultima volta in cui ci eravamo stati: grosso edificio, persone impegnate, ciao. Una volta alla reception, Vector aveva ovviamente in mente di parlare per primo. Il mio inequivocabile talento nel non-ascoltarlo tuttavia, stava per prendere nuovamente il sopravvento. Finché non mi resi conto che, malgrado le mie corde vocali si stessero sforzando e tendendo, dalla mia bocca non usciva una parola. Dapprima pensai al nervosismo. Poi mi guardai in giro. Vidi Cream che mi salutò vivacemente e dietro di lei Espio, che stava facendo degli strani segni con le mani mentre pronunciava sottovoce parole a me incomprensibili. 
-La ringrazio, signorina- concluse infine il nostro capo prima di farci segno con la mano di dirigerci verso l’ascensore. Nel corso della camminata, chiesi spiegazioni per l’accaduto. 
-Da quando hai imparato quella tecnica?- 
-Da un po’- rispose Espio, che come sempre manteneva il riserbo su tutte le risposte che dava a chiunque. 
-Ma…perché?!- 
-Perché sapevo che avresti cercato di intrometterti, Maia-. 
-Non osare…!- La mia voce si bloccò nuovamente, mentre Espio ripeteva quella tecnica Ninja. -…Smettila subito! Sembra che tu l’abbia inventata solo per me!- 
-No. In certi casi bisogna tirare fuori la propria abilità persuasiva per far parlare le persone. Altre volte si rivela necessario chiuder loro la bocca-. 
‘’Touché, Espio. Per stavolta. Sto leggendo anche Naruto, e quando avrò imparato lo Sharingan te la farò vedere. Preparati. Io conquisterò il mondo. Io, Charmy, sarò l’imperatore più potente che…’’
-
Charmy, premi il maledetto pulsante dell’ascensore!- gridò Vector. 
-Sì, capo!- E mentre nelle nostre orecchie scorreva sinuosamente il suono della musica da ascensore, sapevo che, forse, non ero davvero ancora pronto a dialogare con quell’uomo dagli occhi di ghiaccio. Per ora.

***
Vector
Dopo aver ottenuto il permesso di poter ricevere Gibson e dopo aver bussato alla porta del suo ufficio, entrammo.
-Buongiorno signori-. L’alta e slanciata figura del Comandante ci accolse in quella stanza fredda e quasi sterile, molto diversa dalle camere disordinate della nostra agenzia.
-Buongiorno Comandante-. Davanti alla sua scrivania erano posizionate quattro sedie sulle quali io e la mia squadra ci sedemmo immediatamente. Passò un minuto buono in cui, tranne Charmy, non volò una mosca, nel quale Gibson continuò a leggere con indifferenza delle scartoffie piene di appunti. Lanciai delle rapide occhiate ai miei compagni, che sembravano spaesati quanto me. Charmy stava già muovendo nervosamente le gambe, snervato dall’attesa. Avevo il terrore che di li a poco avrebbe cominciato a parlare.
-Ovviamente vi starete chiedendo il perché della vostra convocazione qui- proruppe Gibson dopo un paio di minuti.
-È ovvio…- mormorò Charmy sottovoce, emettendo un sussulto di dolore subito dopo.
-Lo scusi, Comandante-. Il tono angelico con cui Cream disse quella frase era la prova evidente che era stata lei a tirare un calcio all’ape. Gibson si alzò dalla sua poltrona, incrociando le mani dietro la schiena e osservando con sguardo vacuo fuori dalla finestra. Con la luce proveniente dall’esterno puntata sul volto, riuscii a notare quanto i suoi lineamenti fossero tesi e le rughe d’espressione pronunciate.
-Altre due delle nostre basi sono state attaccate- disse. L’aria già tesa della stanza sembrò appesantirsi ancora di più. Riuscivo persino a sentire il lieve ticchettio delle lancette dell’orologio appeso al muro. -Sono stati rubati altri due Smeraldi. Abbiamo esaminato il luogo dell’accaduto e abbiamo constatato che le caratteristiche di questi due attacchi coincidono con quello precedentemente avvenuto-.
Gibson ruotò lievemente la testa, scrutandoci tutti attentamente. -Quindi, sono state ritrovate anche le stesse munizioni di cui vi avevo già parlato. Ma questa volta c’è di più-. 
Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. -Spero che vi ricordiate del nostro ospite, Nack-. Io annuii, spronandolo a continuare. -Bene. Diciamo che abbiamo trovato un compromesso con lui-.
-Sarebbe?- chiese Espio.
-Una riduzione della pena in cambio della lista di tutti i suoi clienti. Ha accettato, così ora siamo in possesso dei suoi contatti. E siamo venuti a conoscenza del fatto che soltanto una manciata di tutti i suoi abituali clienti hanno comprato quel tipo di munizioni. Abbiamo trovato il maggiore acquirente tra di essi-. Ci fece cenno ai fogli presenti sulla scrivania. Cream iniziò a leggerli velocemente, prima di fermarsi di scatto.
-Eggman?!-esclamò.
-Sì, lui.- Persino Charmy si zittì.
-Qual è il nostro compito a riguardo?- chiesi.
-È molto semplice: trovatelo.- Ci fu un ALTRO attimo di silenzio, il che cominciava a diventare tedioso, considerando che questa storia ne è piena. 
-…tutto qui?- 
-Sì. Cioè indagare, interrogare testimoni, trovarlo, picchiarlo, le cose che fate di solito-. 
-Sentendo questo mi viene il sospetto che Nack non vi abbia detto nulla riguardo la posizione attuale del Dottore-. 
-È ovvio. Non credo che quei due abbiano contrattato nel covo segreto di Robotnik. E anche se così fosse, è possibile che l’abbia cambiato. E se per caso non fosse il Dottore il colpevole, voglio che mi troviate chi c’è dietro tutto questo schifo. Dopo che lo avrete fatto riceverete il resto della ricompensa-. Dopo che ci ebbe ordinato quale sarebbe stato il nostro incarico, io e i miei ragazzi gli stringemmo la mano e ci congedammo.
-Se c’è Robotnik dietro tutto questo vuol dire che stiamo andando incontro a qualcosa di grosso- rifletté Cream preoccupata. 
-Naah, non credo ci sia da preoccuparsi molto- risi, cercando di tranquillizzarla.
-Infondo stiamo sempre parlando di Eggman, no? L’uomo che cattura adorabili animaletti per costruire robot altrettanto adorabili- disse Charmy, cercando di dissipare la tensione. 
Espio incrociò le braccia al petto, fissando preoccupato il suolo. -L’uomo che pur di raggiungere il suo obbiettivo ha diviso in più parti il pianeta-.
Dopo che lo ebbe detto, nessuno di noi ebbe più il coraggio di aprire bocca. Non c’era nient’altro che potessimo dire. Per quanto evitassimo di parlarne esplicitamente, eravamo tutti in pericolo in quel momento. 

***
Espio
Mi sentivo strano. Era così da qualche tempo. Ero consapevole del fatto che stesse per succedere qualcosa. Non sapevo quando. Non sapevo come. Ma stava per succedere. Stavo meditando sul pavimento della mia stanza nel bel mezzo della notte. Era una cosa che mi faceva rilassare, che mi distendeva i nervi. Quello era un periodo in cui il mio animo era inquieto, ma la meditazione mi faceva ritrovare la pace che tanto avevo agognato in giovinezza. Però qualcosa era cambiato quella notte. Non riuscii a ritrovare il sonno perduto né a calmare il battito frenetico e irrequieto del cuore. Avevo paura che tutti i miei presentimenti fossero fondati.
Un improvviso scricchiolio secco risuonò all’interno della stanza, facendomi sobbalzare. Lanciai rapidamente degli shuriken in direzione di quello strano suono e immediatamente il rumore del metallo conficcato nel mio obbiettivo mi riempì le orecchie. Riaprii gli occhi e notai con mio grande sollievo che il mio nemico non era un qualcosa di vivo, ma uno dei bersagli che si attivavano ogni decina di minuti che aveva creato Cream appositamente per i miei allenamenti. Solitamente li utilizzavo quando Charmy non era nei paraggi.
Tirai un sospiro di sollievo. ‘’Seriamente, hai bisogno di calmarti. Torna a meditare e poi vattene a dormire’’. Abbassai nuovamente le palpebre. Calmati. Inspira. Espira. Rilassati. Strinsi con più decisione il tomo che tenevo nella mano sinistra e chiusi a pugno la mano destra, lasciando alzati l’indice e il medio e posizionandola davanti al mio muso. ‘’Rilassati…’’. Poi spostai la mano verso l’elsa di una delle mie due spade. Un’altra azione che solitamente mi rilassava. Le mie spade erano come le due facce di una stessa moneta. Una di queste apparteneva al mio clan, che mi venne donata dopo che dimostrai il mio valore. Poco tempo dopo decisi di lasciare il luogo in cui ero nato, dopo che mi resi conto che il mio posto non poteva limitarsi ad un piccolo villaggio e che non era quello il luogo in cui i miei tormenti avrebbero avuto fine. Gli abitanti chiamavano quell’arma “Reiseina”. Ero un giovane impulsivo allora, perciò ci misi un po’ di tempo per imparare ad usarla. Ma ero inevitabilmente attratto dallo splendore argenteo di quell’arma che per me, in realtà, era sempre stata più una compagna. Si diceva che fosse talmente potente che persino la roccia più spessa potesse essere tagliata come burro sotto la sua potenza. Questo se la si sa usare. E io la sapevo usare. La modernità della seconda contrastava con le antiche origini della prima. Era stata Cream a forgiarla per me. Non avevo la più pallida idea di come avesse fatto, ma so per certo che il materiale di cui era composta era principalmente metallo di Ring, da cui era dovuto il suo colorito dorato. Straordinariamente, non era meno forte di Reiseina. Erano come oro e argento. Mi piaceva chiamarla “Ring Sword”. Entrambe le lame riposavano all’interno delle loro else e, grazie ad un meccanismo retrattile ad alta velocità grazie al quale, se si faceva pressione su di un piccolo pulsante, esse si mostravano.
Poi, il lievissimo cigolio di una trave di legno. Estrassi la katana al mio fianco e a sfoderai dall'elsa, puntandola verso la porta. Questa volta, quando riaprii gli occhi, mi ritrovai davanti Vector con le mani protese davanti a lui, mentre guardava terrorizzato la lama vicino alla sua gola.
-Calma amico, sono io- disse sottovoce. Il suo sguardo si rivolse alla mia mano sinistra. -Ehi, è un fumetto quello?- Chiusi di scatto il giornalino, gemendo innervosito. 
-Perché sei venuto qui?-
-Cream mi ha mandato a svegliarvi tutti. Dice di aver fatto una scoperta e di volerci parlare-. Annuii, alzandomi dal terreno. 
-Ok. Arrivo-.
Quando arrivai nel salotto della nostra piccola agenzia, la prima cosa che vidi fu la gracile figura di Cream seduta su una sedia e chinata sul suo computer portatile. Sbadigliò sonoramente e si appoggiò il mento sul palmo della mano. Mi avvicinai lentamente a lei, stringendole delicatamente una spalla. 
-Tutto bene?-
Si voltò verso di me, sorridendo debolmente e guardandomi con occhi gonfi e stanchi. -Sì. Sono solo stata sveglia più del dovuto-.
-Tutta la notte, vero? Ormai abbiamo ampiamente superato l'ora dell'alba-.
Lei ridacchiò, stringendosi nelle spalle. -Abbiamo bisogno di quei soldi-. Poi si guardò intorno. -E dov’è Charmy?-
Neanche due secondi dopo sentimmo un pesante strisciare sul pavimento. -Ok, ok, smettila! Lasciami andare Vector, cavolo!- strillò Charmy, divincolandosi tra le coperte che ancora aveva addosso e dalla presa di Vector sulle sue caviglie mentre lo trascinava a forza con sé. 
-Come vuoi-. Il coccodrillo lo lasciò di scatto, facendo sbattere gli stinchi di Charmy sul pavimento. L’ape fece un esclamazione di dolore, alzandosi a fatica. -Si può sapere che cosa c’è di tanto urgente? Ho sonno- grugnì, ravvivandosi i capelli neri pece liberi dal solito casco che gravava su di loro. Poi guardò Cream. -Hai davvero un’aria orribile. Che hai fatto tutta la notte?-
Cream lo fulminò con lo sguardò. -Stai zitto o giuro che ti ammazzo-. Vector si spolverò le mani, appoggiandosi allo schienale della sedia su cui era seduta la coniglia. -Quindi, cosa ci volevi comunicare?- domandò, cercando di evitare una probabile rissa.
Cream si schiarì la voce, sistemandosi in una posizione più comoda. -Ho fatto un paio di ricerche. Visto che Gibson sostiene che il responsabile dei furti degli Smeraldi sia Eggman, ho voluto cominciare a dare un’occhiata alle varie statistiche-.
-Che genere di statistiche?- chiesi.
-Eggman è solito creare le sue armate di robot grazie a esseri come i Flickies, giusto? Quindi ho ricercato i vari luoghi in cui ci sono stati il maggior numero dei loro rapimenti-. Schiacciò un paio di pulsanti sulla tastiera del computer e fece apparire sullo schermo un grafico che indicava quali zone fossero state sotto l’interesse dello Scienziato.
-Green Hill è stato il luogo più colpito-. Cheese e Chocola, che fino a quel momento erano rimasti accucciati nel grembo di Cream, cominciarono a svolazzare per la stanza con fare inquieto, schiamazzando i loro versetti. Charmy sembrò volersi mettere le mani davanti. 
-Giuro che stavolta non gli ho dato le noccioline per cena-. 
Cream rispose subito a questo tentativo di discolparsi. -Non è colpa tua. In questo periodo sono particolarmente agitati, anche se non ne capisco il motivo-. Evidentemente non ero l’unico ad essere spaventato. Ad ogni modo, Vector riprese subito a parlare e a fare domande. 
-Comunque sia… Cream, non ci sarebbe qualche altro posto da cui cominciare?- 
-Perché mi fai questa domanda?-
-Questioni di tempo, insomma… Non c’è un luogo più vicino da cui cominciare?- 
-Green Hill è il posto più vicino a Station Square che esista, non so…- 
-Beh, c’è sì o no?- Vector odiava quel luogo. Non nel senso stretto del termine, però. Diciamo che non poteva più sentirlo nominare da quando, qualche anno prima, un “Vento Blu” gli aveva portato via il sandwich. Una brezza che poi si è fermata a salutarlo e a dargli del tonto, almeno da come la raccontava lui. 
-Beh… ci sarebbero posti come Marble Zone, o la Mushroom Hill Zone… ma il numero dei rapimenti di Flickies è notevolmente inferiore a quello di Green Hill. Quindi credo che sia meglio iniziare proprio con quest’ultima-.
Vector mugolò scocciato, ma si entusiasmò subito dopo, indicando la porta. -Ok ragazzi, sembra proprio che sia ora di andare! Alla Vector-Mobile!- 

***
Vector
Fu così che ci ritrovammo nuovamente in quel pacifico posto dimenticato da Dio. Durante il nostro viaggio in macchina era spuntato in cielo un Sole che spaccava le pietre, nonostante fosse mattina presto. Erano tutti particolarmente rallegrati dal trovarsi in quel luogo così naturale e assolato, completamente ricoperto dal verde. Cream aveva gli occhi che brillavano dall’emozione, Charmy svolazzava da un fiore all’altro senza tregua, come un gatto attratto dall’omonima erba, ed Espio…lui meditava come sempre, ma ero certo che lo facesse in modo molto più allegro del solito. Anche se non sembrava. 
-Ok, ragazzi, è il momento di mettersi al lavoro. Per prima cosa…- Uno dei motivi per cui odiavo quel posto, era che i miei uomini non mi ascoltavano più una volta arrivati, ninja compreso. Era come liberare un branco di piccoli animaletti morbidi e coccolosi in un luogo morbido e coccoloso, scatenando un’esplosione atomica di morbidezza e coccolosità devastante. Erano davvero spaventosi. Però una volta li avevo trovati così divertenti che li avevo fotografati e li avevo postati su Facebook, ricevendo una cinquantina di “Mi piace”. 
-Ragazzi!- Fu a quel punto che cominciarono a svegliarsi e a disporsi in fila, pronti a ricevere ordini. -Ritengo opportuno ricordarvi che proprio in questo momento ci troviamo coinvolti nel più importante affare della nostra vita! Quindi vi voglio PRONTI! SVEGLI! Il meno TENERI possibile! E OBBEDIENTI! Soprattutto OBBEDIENTI. Questo vale soprattutto per te Charmy-. Quest'ultimo sembrava distratto da qualcosa in lontananza, che subito ci illustrò con linguaggio colto. 
-Laggiù c’è una pazza che guida una macchina per le colline, fa dei salti incredibili-. Ovviamente cercai subito di rimetterlo in riga. 
-Naturalmente non hai ascoltato una singola *Uh, wow, hai ragione, quella è matta forte*, ma permane il fatto che non mi ascolti mai!- Tirai un sospiro nervoso e cominciai a fare il punto della situazione. 
-Ok ragazzi, abbiamo bisogno di testimoni. Qualche idea?- Espio fu il primo ad alzare la mano, come previsto. 
-Bene Espio, sputa il rospo-. 
-Potremmo provare in quella casa laggiù-. Mi girai e vidi una capanna ad una ventina di metri da noi. 
-Oh…ma certo, quella che avevo avvistato da quando siamo qui… Ahah! Volevo solo vedere quanto tempo ci avreste messo voi a notarla!- Lo sapevo che non sarebbe stata la mia giornata…-Forza ragazzi, alla Vector-mobile!- 
Cream mi guardò confusa e intervenne subito. -Vector, è molto vicina, possiamo farla a piedi…- 
-Alla Vector-mobile!- ripetei come risposta. Sono io il Boss, piccola.  

***
Dopo essere saliti e scesi dalla macchina per l’ennesima volta in quella giornata e dopo aver ascoltato le lamentele di Cream su quanto fossi incosciente nello sprecare in quel modo la benzina che per riuscire a pagare ogni volta che andavamo a fare un pieno dovevamo cavarci un occhio, arrivammo davanti a quella piccola casetta trasandata in cima alla collina. Charmy si fece avanti e bussò alla porta, però non ci rispose nessuno. Charmy continuo imperterrito nella sua impresa. 
-Ehi! C’è qualcuno sì o no?- urlò, battendo con violenza il pugno contro la superfice legnosa dell’uscio della casa. La porta si aprì all’improvviso. Davanti a noi comparve un anatra che avrà avuto al massimo sui trentacinque anni con un becco piccolo e stretto, dalle piume di un verde scuro e gli occhi neri pece. Un ciuffo di capelli gli ricadeva sulla fronte mentre ci guardava scocciato. 
-Che diavolo…!- Charmy sussultò alla vista di quell’uomo trasandato e inquietante, e svolazzò velocemente dietro la schiena di Espio.
-È da dieci minuti che questo moccioso sta bussando alla dannata porta. Si può sapere chi diamine siete?- sputò, stringendo tra le labbra una cicca di sigaretta. Cream mi guardò allarmata, mentre Espio sembrava pensieroso mentre osservava il nostro simpaticissimo collaboratore.
-Buongiorno anche a lei- dissi con un falso sorriso, estraendo dal mio portafoglio il biglietto da visita della nostra agenzia e porgendoglielo. L’anatra la guardò per qualche secondo per poi lanciarmi un’occhiata scettica. -Qui c’è un coccodrillo che si taglia le unghie-.
Charmy trattenne a malapena una risata, sputacchiando nel trattenersi. -Oh, scusate. Questa è mia- ridacchiò, prendendo dalle mani dell’uomo una foto che mi ritraeva in uno dei miei momenti di riflessione profonda. Mugugnai sottovoce delle offese, lanciai un’occhiata di profondo odio verso Charmy e porsi all’anatra l’altra carta. -Questa, è quella giusta-.
L’anatra la prese, guardandola. -Qui c’è un coccodrillo che sta mangiando pane e marmellata-.
Cream gliela sfilò dalle mani, sorridendo nervosamente e nascondendo la foto dietro la schiena. -Heh. Scusate. Quella è mia-.
La guardai umiliato. -Questa davvero non me l’aspettavo da te-.
Presi di nuovo mano al portafoglio e estrassi l’ultimo pezzo di carta che ci fosse dentro e lo misi direttamente nel palmo del volatile. Dentro di me sperai profondamente che non mi ritraesse in situazioni peggiori di quelle di prima.
-Qui c’è un logo scritto con il pastello- disse.
Ridacchiai, incrociando le braccia al petto. -Sì, è decisamente quella giusta-.
-…Team Chaotix…? Ora ho capito chi siete. Che volete?- chiese lui con aria molto svogliata e scocciata, come se avesse sperato per tutto il giorno di non ricevere visite di alcun genere. 
-Informazioni-. 
-Che genere di informazioni?- 
-Dobbiamo sapere il maggior numero di dettagli possibili relativi ai risaputi fenomeni di sparizioni che avvengono in questa zona da un po’ di tempo a questa parte. Ha mai assistito a qualcuno di questi? Ci dica tutto quello che le viene in mente, anche ciò che sembra trascurabile-. 
-Io? Cosa potrei sapere io di quello che sta succedendo?- 
-Le stesse cose che sanno tutti gli altri che abitano stabilmente questa zona-. 
-Ah, certo. La verità è che tutti quanti non hanno la più pallida idea di ciò che sta succedendo-. 
Espio si mise a guardarlo più attentamente, come per riconoscere dei particolari a lui famigliari. Ad un certo punto quel pazzoide riprese a parlare nel suo scorbutico tono. 
-E comunque, per quanto ne so io, potreste essere dei malintenzionati. Non sarei l’unico a pensarlo infondo, vista la vostra reputazione. Quindi perché dovrei sprecare solo un altro minuto del mio tempo per voi? Arrivederci-. Fece per chiudere la porta, quando Espio la bloccò con la sua mano, riaprendola lentamente. 
-Se vuole mandarci via, lo faccia pure, poiché è nei suoi diritti impedirci l’ingresso alla sua dimora. Ma quantomeno mostri un po’ d’educazione nei nostri confronti-. Anche quell’uomo sembrava guardare Espio con curiosità. Il suo sguardo cambiò, mostrandosi leggermente spaventato. 
-Beh, ripensandoci, vediamo cosa può fare per voi questo eremita-. L’anatra aprì completamente la porta, appoggiandosi allo stipite con un gomito. -Non posso darvi un’informazione precisa riguardo al luogo dei rapimenti. Sarebbe impossibile. Tutta Green Hill è stata colpita, non c’è una zona in cui sia successo di più rispetto ad un’altra. Non che questo sia mai stato un posto tranquillo… ma negli ultimi tempi è degenerato. Ci sono sempre meno animali qui intorno-. Lui sospirò, facendo un’alzata di spalle. -Non saprei cos’altro dirvi-.
-Non c’è proprio nient’altro che ci possa essere d’aiuto?- chiese speranzosa Cream, facendo un passo avanti. -Qualunque cosa-.
Il volatile grugnì. -Perché mi state chiedendo queste cose? Perché vi serve saperlo?-
-Questioni private- rispose secco Espio.
Dopo il suo intervento, il nostro interlocutore tornò nuovamente a fare il bravo bambino, stando dove doveva stare e chiudendo la bocca. -Però… in effetti è successo qualcosa interessante-.
Tirai una lieve gomitata nel fianco ad Espio dicendogli con lo sguardo: ''In questo momento ti sto adorando''.
-Esiste una foresta nel confine tra Green Hill e la Marble Zone nella quale si dice che succedano fatti strani. Alcuni di quelli che vi si addentrano ricevono risposte e verità a lungo cercate, inenarrabili da chiunque altro. Altri ci rimangono dentro per giorni nonostante si siano segnati la strada che hanno fatto per entrare e poi puff!, come per magia trovano l’uscita dove prima non c’era. La foresta non lascia uscire nessuno fino a che non lo vuole lei, fino a che ha ancora qualcosa da dirti-. L’uomo ci guardò lentamente, uno ad uno. -O almeno questo dicono le voci-.
-E cos’ha a che fare tutto questo con noi?- chiesi.
-Negli ultimi tempi qualcuno ha detto di aver udito dei rumori molto forti provenire dalla foresta. La maggior parte delle persone crede che siano spiriti o entità di vario genere. Ma vi posso assicurare che gli spettri non utilizzano mitragliatrici e missili. E io conosco bene il rumore delle esplosioni, anche perché ero da quelle parti quando le ho sentite-. 
-Cosa dobbiamo fare, quindi?- disse Cream.
-Non vi preoccupate, nel momento in cui sarete lì dentro troverete ciò che state cercando. Non vi è dato sapere quando, basta che cerchiate-. Quello strano pennuto indietreggiò di un passo, e cominciò a chiudere lentamente la porta, ridacchiando.
Espio inarcò un sopracciglio, sbuffando. -Grazie mille per l’aiuto Bean-.
-No, dannazione, mi hai riconosciuto!- urlò l’anatra chiudendo con un calcio la porta. Cream aprì la bocca almeno un paio di volte, ma senza proferire parola, troppo stranita per emettere anche il più stridulo dei suoni.
-Ok, questo era strano, andiamocene- disse sbrigativo Charmy, incamminandosi il più velocemente possibile verso la nostra macchina.
Mi rivolsi ad Espio, confuso. -Conoscevi quel tizio?-
Lui non si tolse un ghigno soddisfatto dalle labbra per qualche minuto. -È un vecchio amico-.

 ***
Espio
In una giornata così soleggiata e rovente, le fronde degli alberi non facevano altro che regalare sollievo grazie alla frescura che creavano. 
-È scuro là dentro, eh?- scherzò Charmy. Si vedeva benissimo che era teso. Aveva le spalle rigide e la schiena drizzata in un modo degno di un nobile. Evidentemente gli erano rimaste ben salde in mente le storie dell’orrore che gli raccontavamo io e Vector nelle sere d’estate, quando aveva cinque anni. Se il racconto lo aveva particolarmente turbato, sgusciava nel mio letto o in quello del mio amico coccodrillo per dormire con noi. A volte glielo permettevo, ma di solito lo buttavo fuori dalla mia stanza a calci.
-Forza, muoviamoci- esordì Vector, incamminandosi all’interno dell’oscura foresta. Gli altri eseguirono subito l’ordine. 
Io invece aspettai ancora un secondo e forse, a mia insaputa, fermai anche l’avanzata degli altri. Estrassi dalla mia cintura uno di quelli che, insieme alla mia spada, erano i miei doni più preziosi. Una vecchia collana formata esclusivamente da una cordicella da cui pendeva un gioiello verde acqua, simile ad un artiglio o ad una zanna, grosso come un pollice. Quel ciondolo... nessuno conosceva la sua storia, il perchè avrei dato la mia vita pur di tenermelo stretto al petto. Lo strinsi nella mano destra, pregandolo di prestarmi un'altra po’di fortuna. C’era qualcosa di cui non ero a conoscenza in quella foresta. E per una volta, il fascino della scoperta che spesso mi caratterizzava aveva lasciato il posto al terrore più nero. 
-Espio, muoviti, abbiamo meno tempo di quel che credi!- mi intimò il mio capo per spingermi ad andare avanti. E più avanzavamo, più la luce sembrava un lontano ricordo. 
Avvertii gli altri.  -Tenete gli occhi aperti-.
I minuti passavano lenti e inesorabili, ma all’interno di quel luogo, tutto sembrava essersi fermato. Non il fruscio di una foglia, non il canto degli uccelli, non lo scrocchiare delle foglie sul terreno potevano essere sentiti. Niente. Era come trovarsi nel vuoto assoluto. 
Charmy si strofinò le mani sulla braccia. -Sbaglio o comincia a fare più freddo?- 
Cream abbassò lo sguardo e si fermò di colpo. -Sta scendendo la nebbia-.
Charmy gemette, voltandosi con gli occhi sbarrati verso Vector. -Ti prego, andiamocene subito-.
Vector si portò in testa al gruppo, ridendo. -Ragazzi, vi siete fatti condizionare dalle storie di quel vecchio pazzo! Neanche dei ragazzini reagirebbero come voi-. 
Dopo un eterno paio d’ore di ricerca, alzai lo sguardo verso il cielo. Le ombre erano così fitte da impedirmi di vedere la luce filtrare tra i rami. Poi sentii qualcosa muoversi rapidamente nelle vicinanze. Mi fermai di scatto e misi in allerta i sensi. I resto del gruppo mi guardò confuso. 
-Cosa c’è?- chiese Cream, visibilmente tesa.
-Silenzio-. Con passo lento e felpato e con la mano sulla mia elsa, mi sforzavo di capire cosa si muovesse nei dintorni. 
-Aaah!- Charmy emise uno schiamazzo di terrore e cominciò a parlarci ad alta voce, completamente allarmato. -Attenti! Laggiù vedo un gruppetto formato da Freezer, Megatron e il Teschio Rosso! Scappate!- Completamente terrorizzato, si mise a svolazzare, cominciando ad allontanarsi da noi. Vector intervenne subito con diligenza 
-Charmy. Sono degli alberi.- A dire la verità lo avevamo notato tutti fin dall’inizio. Era Charmy ad essere facilmente influenzabile. Sentita la rivelazione, l’insetto tornò velocemente indietro, ansante.
-Uff…davvero?...Sì, è vero…oh, wow, e per un attimo mi è sembrato che il Joker si fosse unito alla combriccola-. 
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Cream cominciò a ridere come una matta, ignorando il lato del suo carattere solitamente ligio al dovere, seguita subito a ruota da Vector. Sorrisi dopo aver visto che il muso di Charmy era arrossito pesantemente dopo che la coniglia aveva cominciato a ridere. Rilassato, ritirai l’elsa. Grazie a quella piccola uscita da parte dell’ape, l’atmosfera si era alleggerita. Mi voltai verso il punto in cui avevo sentito dei movimenti poco prima. C’era qualcosa, ne ero certo. Mi allontanai di qualche metro dai ragazzi, esaminando attentamente dietro il tronco di ogni albero. Prima qualcosa ci era passato vicino. Forse mi stavo immaginando tutto, la faccenda era nella mia mente. Forse ero solo stanco. Forse… forse. Sfiorai la corteccia dell’albero alla mia destra.
-Falso allarme ragazzi. Qui non c’è niente- dissi, voltandomi per essere accolto dai visi sorridenti dei miei compagni. Ma non fu così. Le risate erano scomparse. Così come loro. -Ragazzi?- Tornai dove poco prima tutti e tre si stavano reggendo l’uno con l’altro per non rotolarsi a terra per le troppe risa.
-Charmy, se è uno scherzo giuro che stanotte ti faccio dormire per strada- dissi a voce più alta. No… c’era qualcosa di strano, di sbagliato. Percepii un ramo di un albero spezzarsi. Misi rapidamente mano sulla spada e mi voltai rapidamente. Era impossibile riuscire a vedere qualsiasi cosa che fosse distante da me più di due metri. Strinsi gli occhi, sforzandomi. E la vidi. In lontananza, protetta dall’oscurità, si stagliava una gracile sagoma, gobba su sé stessa. Senza occhi, senza naso, senza volto, così nera che la si poteva distinguere a malapena tra la tenebra. Solo una bocca da cui scaturì un flebile sorriso. Un sudore freddo e appiccicaticcio mi imperlò la fronte. Quello, si avvicinava ostinatamente a me, anche se a fatica. Era come se zoppicasse. A volte cadeva su sé stesso, come se ancora non avesse imparato a camminare bene. La mia mano tremava, pur essendo ben pronta a sfoderare la lama. Quell’essere ansimava, potevo capirlo dalla nebbiolina che fuoriusciva dai suoi aguzzi denti, provocata dal drastico e improvviso abbassamento della temperatura. Notai che stava sussurrando qualcosa mentre, poco a poco, cominciava ad acquisire sempre maggiore sicurezza nella camminata. -…vidi…-. Il mio cuore accelerò nella sua corsa, e lo sentii rimbombare fino alle orecchie.
Continuava a ripeterlo, ma non capivo tutta la frase. Non era il mio primo pensiero. La mia mente poi mi mise in allerta ancora più di quanto già non fossi. Infatti, quando girai la testa poco più a sinistra, vidi un altro essere. Mi voltai a destra e ne vidi un terzo. -…ividi…- continuavano a sussurrrare, in modo scoordinato  e disorganizzato tra loro. Tre creature dallo stesso identico comportamento. Ansimanti, zoppicanti, e nere più della tenebra stessa. Nonostante la tensione, potei chiaramente sentire qualcosa dietro di me. Quando mi girai, ne trovai altri cinque che si avvicinavano. -…vidi…dividi…vidi…-insistevano, cercando di comunicarmi qualcosa. All’improvviso, le loro teste cominciarono ad essere preda di improvvisi e continui spasmi. Cominciarono a svanire, per poi ricomparire più vicini a me. Erano come delle luci ad intermittenza. Agli otto che già c’erano se ne aggiungevano sempre di più: dieci, quindici, venticinque, quaranta... mi avevano circondato, senza lasciarmi via d’uscita Un brivido che non riuscii a controllare mi attraversò la spina dorsale, che causò ad un tremito di terrore di squotermi tutto il corpo. Poi una delle creature apparve proprio davanti a me. Mi scrutava dall’alto verso il basso, e così facevo io dal basso verso l’alto. Poi ripeté quella parola che prima non ero riuscito a recepire. -…Condividi…- 
Alzò rapidamente un braccio, pronto ad abbassarlo con violenza contro di me, così da colpirmi con i suoi acuminati artigli disposti sulle sue mani grosse e affusolate. Senza neanche rifletterci sopra, feci scattare la lama dorata della spada e nel giro di qualche attimo quell’essere si fermò di colpo, mentre la parte superiore del suo corpo scivolava lentamente per terra dal punto in cui avrebbe dovuto avere le costole, affettato da un mio fendente. Il mio braccio era teso verso destra mentre impugnava la spada, che era l’unica fonte di luce in quel contesto. Il mio respiro stava riprendendo il suo ritmo regolare e il mio sguardo era nuovamente fisso e concentrato. I miei osservatori si fermarono per un attimo, come stupiti da ciò che si era appena verificato. Poi ricominciarono a fare rumore. Uscivano strani rumori gutturali dalla loro bocca, mentre in coro sembrava che… ridessero. Poi si misero ad urlare, come a ruggire in modo molto acuto, puntandomi con la loro faccia senza occhi. Avevo già impugnato la spada a due mani. Come ad eseguire un tacito comando, mi si lanciarono tutti contro ringhiando sempre la stessa parola. Cominciai a colpirli uno ad uno, uccidendoli senza riguardo. Erano ovunque. Mi avevano circondato su ogni fronte, non lasciandomi la speranza di poter trovare un’uscita da quell’incubo. Provavano a colpirmi, a mordermi, a squarciarmi la pelle. Ma non riuscivano ad avvicinarsi che di qualche misero millimetro al mio corpo che erano già stesi a terra senza vita. Dopo che cadevano al suolo morti, si scioglievano in una strana e disgustosa sostanza nera. Non passò che qualche minuto, e il mio corpo era ricoperto dalla stessa sostanza. Ma quando mi guardai intorno, mi accorsi con terrore che il loro numero non era diminuito, anzi, erano addirittura aumentati. Avevano cominciato a saltarmi addosso da qualunque direzione. Sfoderai l’altra elsa e ne estrassi la lama d’argento. Portai questa in orizzontale davanti al petto e feci la stessa cosa con quella dorata, ma dietro la mia schiena. Cominciai a girare su me stesso il più velocemente possibile, e i nemici che mi si avvicinavano finivano inevitabilmente per essere lacerati da entrambe le spade. Ma sentii un brivido di paura quando vidi una goccia di liquido nero cadere dall’alto di un albero. Alzai di scatto la testa giusto per vedere uno di quegli esseri accovacciato su un ramo che si era buttato nel vuoto per mordermi il volto. Alzai Reiseina e gli trafissi la gola facendogli ingoiare la lama, lasciandolo sospeso per aria. Mi voltai velocemente verso i suoi compagni e feci un violento fendente, scaraventando il suo cadavere contro di loro. Decine di mostri cominciarono a scendere dagli alberi, aggiungendosi agli altri e cominciando ad avvicinarsi pericolosamente. Tentando di tenere a bada il panico, infilzai la Ring Sword nel terreno arido e secco. Mi afferrai fermamente ad essa, e con la mano libera impugnai Reiseina. Cominciai a girare intorno alla spada dorata, continuando a mantenerla stretta nella mia presa come se fosse il mio unico appiglio per la vita e, dopo essermi dato un potente slancio con i piedi contro un albero, mi allontanai dal suolo e iniziai a girare molto velocemente intorno alla Ring Sword, mantenendo teso il braccio con Reiseina e colpendo tutti i nemici intorno a me. Fu un piccolo luccichio che mi passò davanti agli occhi a distrarmi. La mia collana. Il laccio che la teneva legata al mio polso si era strappato, e ora era a terra, a qualche metro di distanza. ''No...!'' 
Mi bloccai di scatto e saltai sopra l’estremità dall’elsa della Ring Sword, standoci accovacciato sopra. Pur di non perdere quel ciondolo mi sarei tagliato una mano. Mi diedi lo slancio e balzai in direzione del mio gioiello, caduto tra due creature. Quando stetti per atterrare, trafissi il cranio di uno dei due e, mentre ancora la lama era incastrata nel mio nemico, puntai la mia polsiera verso l’altro. La mano destra girò l’apposita rotellina, e partì un proiettile a velocità immensa, che portò via al mio nemico tutta la testa e parte del torace. Poi rimossi la spada dal cranio dell’altro, e poggiai subito la mano sul punto in cui era caduta la mia collana. Quando rialzai lo sguardo, tutto era calmo. Attorno a me non c’era anima viva. Tutti gli esseri che avevo combattuto fino a pochi istanti prima, tutti i corpi in liquefazione, erano spariti nel nulla, come se non fosse mai successo niente. Mi guardai intorno, mentre le mie orecchie udivano ormai un silenzio assordante per la sua intensità. Quando portai lo sguardo davanti a me, uno di loro era lì, di nuovo a fissarmi dall’alto al basso. Afferrai Reiseina, ma lui fu più veloce. Vidi i suoi artigli muoversi verso il mio cuore a tutta velocità. 
-Espio!- Charmy mi apparve davanti all’improvviso, chiamandomi con insistenza. -Espio, ci sei?!- 
Sentii le pupille restringersi improvvisamente e la schiena ricoperta di un sudore gelido. -Charmy? Dove eravate finiti?- sussultai. 
Lui mi guardò piuttosto confuso. -Stai scherzando? Sono almeno sette secondi che ti sto chiamando. Sembravi addormentato-. Quello che aveva detto mi aveva fatto rimanere di sasso. Tanto che, per una volta, non fu per saccenza che ritardai a rispondere. 
-Sette secondi, eh? Scusatemi. È solo che credo che questo posto abbia qualcosa che non va-. Cercavo con tutte le mie forze di mostrarmi disperatamente tranquillo. Il battito del cuore non aveva ancor accennato a dimuire, e sembrava che non avesse alcuna intenzione di farlo.
Vector mi raggiunse e continuò la conversazione insieme a Charmy. -Questo lo credevi già da prima, amico. Si vedeva che eri teso. Non come Charmy, ma avevi la guardia ben alzata. Dio, hai una brutta cera…-. Per quanto odiassi ammetterlo, aveva ragione: ero turbato. Ora sapevo da cosa. 
-Ugh… avete trovato qualcosa?- Vector, come suo solito, tendeva a rispondere a domande stupide in maniera inconsapevolmente ancora più stupida. 
-Ah. Negli ultimi istanti, dici? No. Non io e Charmy almeno-. Dovevo spronare gli altri ad allontanarci da quel posto. Non è comune per un asceta avere tali visioni. Ci vuole qualcuno o qualcosa di abbastanza potente da penetrare una mente allenata ad affrontare qualsiasi tipo di situazione. E forse l’avevo appena incontrata. Mi rivolsi a Cream, inginocchiata a qualche metro da noi, sperando che almeno lei avesse scoperto qualcosa. -Novità?- 
Lei non mi rispose subito. Non mi aveva sentito, oppure trovato qualcosa. 
-Ragazzi…abbiamo un indizio-. 
All’udire  quelle parole, ci avvicinammo subito, e vedemmo ciò che ci interessava. 
-Una macchia?- domandai. Dal sorriso che aleggiava sulle labbra della ragazza capii che non aspettava altro che una domanda del genere
-Non una macchia qualunque. È olio da motore. Per di più, guardatevi intorno-. Vicino a dov’era accucciata Cream, c’erano sparsi vari piccoli pezzi di quella che sembrava il rimasuglio di una ferraglia rossa cremisi. Ma i resti erano così pochi e così malridotti che veniva impossibile riconoscere a chi o a che cosa potessero appartenere. 
-Dei bulloni? Tutto qui?- sbottò innervosito Vector.
-Ma non capisci? Ora almeno sappiamo che le esplosioni che sono state sentite dagli abitanti delle Valli sono state causate da un essere meccanico e non da qualche strano spirito presente nelle leggende popolari- spiegò la coniglia. -E poi guardate qui-. Si rialzò dandosi la spinta con le ginocchia e fece qualche passo in avanti, puntando un dito sul terreno. In una scia continua erano presenti numerose goccioline di olio che si susseguivano l’una all’altra in un percorso che continuava oltre il nostro campo visivo. Vector era senz’altro incuriosito, non mi era difficile capirlo, ma era anche piuttosto dubbioso. 
-Notevole Cream, ben fatto. Chaotix, in marcia!- Seguimmo a ruota l’incedere del boss, senza indulgere ulteriormente. Cream si portò davanti a tutti e piegò la schiena, stringendo una lente d’ingrandimento tra le mani e continuando ad marciare avanti e a seguire le tracce con il naso appiccicato al terreno. L’unico motivo per cui riuscivo a distinguere le macchie nere in quell’oscurità era perché i miei occhi erano altamente addestrati a questo. Lo avevo confermato fino a pochi istanti e sette secondi prima. Più proseguivamo più, all’opposto di prima, la luce trapassava le fronde degli alberi, formando tanti sprazzi chiari a ridosso del terreno intorno a noi. E più avanzavamo, più il nostro indizio si faceva flebile e invisibile, mostrandosi sempre più di rado. L’aria, fresca e portatrice di serenità, finalmente cominciava a tornare, sferzandomi sulla faccia e portando via con sé tutta la paura. Poi la luce mi colpì con tutta la sua delicata forza, spingendomi a chiudere gli occhi prima di riaprirli per poter ammirare il meraviglioso paesaggio davanti a me. Alberi, prati e cielo azzurro. Ma non tutto era rose e fiori, come ci comunicò Cream di lì a poco. 
-Ragazzi, cattive notizie-. 
Lo notai prima che lo dicesse apertamente. -Già. Il sole deve aver cancellato le macchie con il passare del tempo- proruppi, pur sempre rasserenato per l'essere uscito da quell’incubo. Vector nonostante tutto sembrava piuttosto ottimista, tant’è che sorrideva sornione. 
-Cream, sai cosa fare-. 
-Sì, capo.- Cream afferò dalla sua cintura uno strano apparecchio che, osservandolo meglio, assomigliava a degli occhiali da sole. Cream premette un bottone e dalle lenti avanzò una copertura che finì col ricoprire completamente tutta la testa dell’inventrice. Almeno finché, poco dopo, non si aprirono automaticamente due fori che fecero fuoriuscire violentemente le sue orecchie. Charmy si avvicinò subito, incuriosito come una mosca da una lampada a gas. 
-Come pensi che ci possa servire un Oculus Rift in una situazione del genere?- 
-Questi…- cominciò con il spiegargli -…sono occhiali a visione organica avanzata.- Charmy, io e probabilmente anche Vector, che sembrava però sapere della funzione di quell’oggetto, eravamo piuttosto preoccupati di come Cream ci avrebbe riempito la testa delle sue nozioni di meccanica. Soprattutto Charmy. -Traduzione?- 
-Occhiali che isolano tutto quello che passa per il loro punto focale, rendendolo inosservabile… tranne la materia organica. L’ho progettato perché visionasse diversi tipi di sostanze a seconda di come lo calibro, anche quelle poco recenti. Cellulosa, carne, sangue… o, se giro questa rotellina nella maniera giusta… combustibili fossili e derivati-. 
Vector continuò per lei. -Che sono esattamente ciò che stavamo seguendo-.
Cream annuì con entusiasmo. -Esatto!- 
Vector sembrava piuttosto eccitato dalla piega che stavano prendendo gli eventi -Sapete tutti questo cosa significa, non è vero?- Tutti ci sbattemmo una mano sulla fronte, sapendo cosa stava per accadere. 
-Alla Vector-mo…- Charmy lo interruppe prima di lasciargli finire la frase, cosa molto coraggiosa da parte sua. 
-Vector, dove? Non l’avevamo parcheggiata qui-. 
-Ah no? E cos’è quella?- Indicò con l’indice alla nostra destra e tutti, con immenso stupore, vedemmo quel ridicolo mezzo di trasporto che così spesso negli ultimi anni ci aveva sempre accompagnato nei nostri spostamenti. Davvero molto spesso. Strano che si trovasse proprio lì. Eravamo usciti dallo stesso punto da cui eravamo entrati? Allora come mai prima nessuno di noi, nemmeno io, aveva notato quelle macchie d’olio prima? Era probabile che la foresta avesse giocato con noi tutto il tempo. Se così fosse stato, quanto di quello che avevo visto era reale?

 ***
Sbuffai infastidito. -Smettila-.
-Di fare cosa?-
-Lo sai cosa- ringhiai, guardando con fare truce Charmy. L’ape sbuffò, alzando gli occhi al cielo e ritirando il gomito che per sbaglio continuava a puntarmi nelle costole. -Ok, ok-.
Non erano passati neanche quindici secondi da quello che gli aveva detto che il suo gomito scivolò di nuovo vicino a me, sfiorandomi in modo fastidioso.
-Piantala!- sibilai, triandogli uno schiaffo sulla mano e spingendolo il più possibile all’opposto del sedile della macchina. 
-Non lo faccio apposta!- 
Affondai la schiena tra i sedili, chiudendo gli occhi e sospirando frustrato. Non ero nel migliore degli umori per poter scherzare con un essere così irritante. Charmy cominciò a muovere la gamba ad un miglio al minuto. Non riuscii più a trattenermi.
-Dio, Charmy, piantala!- urlai.
-Non ho fatto niente, piantala tu!- 
Cream emise un gemito frustrato dai sedili davanti. Era sporta con la metà superiore del corpo fuori dal finestrino per poter osservare meglio le macchie d’olio che c’erano sull’asfalto. -Volete cortesemente stare zitti?- disse ad alta voce, cercando di sovrastare il rumore della nostra auto.
Charmy incrociò le braccia al petto, guardandomi con stizza. Dopo qualche minuto di sacrosanto silenzio e relativa tranquillità, sentii di nuovo che qualcosa mi stava puntellando le costole. Charmy sorrise compiaciuto, osservando con falso interesse il paesaggio fuori dal suo finestrino.
-Ok, questo è troppo!-
-Cosa stai…?!- strillò quando gli afferrai il collo, trascinandolo a forza fuori dal finestrino e avvicinando la sua faccia all’asfalto in movimento. Cominciò a gridare, terrorizzato. -Okokokok! Espio! Lasciami! Stai calmo!- continuò ad urlare e a divincolarsi. 
-È l’ultima volta che viaggio vicino a te, chiaro?!-
-STATE ZITTI!- urlò Vector, girandosi violentemente verso di noi e lasciando il volante. La macchina sbandò pericolosamente, facendo sbilanciare Cream più verso l’esterno che verso l’interno della vettura e costringendomi a ritirare su Charmy. La coniglia strillò, e Charmy e io ci slanciammo, afferrandola per la vita. Per ricambiare il favore all’ape, sorrisi sornione e lo guardai.
-Dillo che questo era uno dei tuoi sogni da sempre-. Sbarrò gli occhi, sperando che Cream non avesse sentito nulla e poi, dopo essere leggermente arrossito, se ne stette zitto. Grazie ancora, Vector, per aver corrotto l’esaminatore di scuola-guida per farti dare la patente. Mi hai salvato. 
-Vi siete calmati?! Sì?!- Vector sembrava seriamente innervosito quella volta. -Un uomo adulto e saggio e un altro che dovrebbe esserlo da un pezzo ormai, che litigano come due poppanti! Ecco che cosa vedo!- Abbassammo entrambi la testa, e nel frattempo mi ricordai che Vector non era solo un fratello per me, ma anche un leader. Un leader che a volte non rispettavo abbastanza, visto tutto quello che faceva per noi. E anche piuttosto avido, ad essere sinceri. 
-Sapete cosa stiamo facendo!?- Si fermò per un secondo, aspettando una risposta da parte nostra, la quale non arrivò. -Ci stiamo dirigendo nel luogo che forse, e dico forse, ci permetterà di ristrutturare il locale, vivere una vita dignitosa e chissà, magari anche di ripulire leggermente la nostra reputazione per non sentirmi dire da ogni persona che incontriamo che siamo dei detective da strapazzo o, nel migliore dei casi, dei mascalzoni! Voi credete di esserlo?! Pensate di essere degli incompetenti? Dei mascalzoni?- Charmy, un po’ dimesso, gli rispose. -No-. 
-Allora fate i bravi e fate almeno finta di prendere seriamente la situazione! Sono stato abbastanza chiaro?- Annuimmo entrambi con riverenza. -Bene. Ritrova le tracce, Cream-.
La ragazza si sporse nuovamente fuori dalla vettura ed emise un sospiro. -Nord-Est, Vector-. 
-Bene- disse lui subito prima di far ripartire l’auto e di derapare violentemente nella direzione indicatagli da Cream. Dopo aver tratto un sospiro di sollievo e aver notato che Charmy si era seriamente calmato, almeno per il momento, pensai quanto fosse strano che le tracce si prolungassero per un così lungo periodo, e che le colline e i prati stessero lasciando il posto a palazzi e grattacieli. 
-Station Square- pronunciai quando capii dove ci trovavamo. Molte erano le domande che ci stavamo ponendo. Anche Charmy era stranito. 
-Ma è assurdo. Perché mai una macchina di Eggman si sarebbe dovuta avvicinare ad un luogo così popolato?- 
-Hai mai patito la sete, Charmy? O sei mai stato ferito a morte?- disse Vector. Charmy, strabuzzò leggermente gli occhi, ascoltandolo. -Quando stai per morire, non puoi che comportarti in due maniere: Arrenderti e attendere la morte, aspettando che finisca tutto. Oppure continuare ad andare avanti, anche senza sapere ciò che ti aspetta, anche continuando per chilometri pur di sfruttare l’ultima speranza che ti resta, l’ultima possibilità per sopravvivere. Non importa che tu sia fatto di carne, di metallo, o di chissà che altro tipo di materia.-. 
Nel frattempo, Cream continuava a seguire delle tracce che sembravano proseguire all’infinito e che solo grazie a lei riuscivamo a tenere bene d’occhio, poiché persino io cominciavo a perderle di vista. Poi Vector si fermò in un parcheggio vicino e ci fece scendere tutti. 
-Ok ragazzi, tutti giù. Continuiamo a piedi-. Dopo esserci sgranchiti un po’ le gambe per riprenderci dal lungo viaggio, continuammo a seguire Cream. Charmy espresse il suo personale parere riguardo a ciò che poteva essere successo. 
-Quel robot è stato furbo. Probabilmente, se lo troveremo, sarà proprio qui in periferia. Addentrarsi oltre gli avrebbe reso impossibile nascondersi alla vista di tutti-. 
Era più intelligente di quanto a volte volesse lasciar intendere. Nessuno di noi aveva il diritto di sottovalutarlo. Solo che a volte era così fastidioso… 
-FERMI!- avvisò la coniglietta con decisione. -Le tracce arrivano fin là.- Guardando avanti, una casa piuttosto grande e con un bel giardinetto si delineava di fronte al nostro sguardo. Cream, dopo essersi tolta gli occhiali, non distolse nemmeno un attimo lo sguardo da quell’edificio. Charmy fece lo stesso, socchiudendo le palpebre e concentrando lo sguardo.
-Ma…quella casa non è anche l’officina…- fece Cream. 
Vector la interruppe subito, per dire ciò che tutti sapevamo -Sì. È proprio la sua-.

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Capitolo 21
*** Non sempre Rose e Fiori ***


Cap. 22- Non sempre rose e fiori

Note d'Autrice: Salve a tutti! Allora chiedo scusa per il ritardo con cui sto aggiornando in questo periodo, ma tra il ritorno dall'Ilranda e il fatto che ho dovuto sistemare le varie cose inerenti ad esso, ho avuto un po' di difficoltà nel finire nel capitolo e nel correggerlo. Ma alla fine ce l'ho fatta e spero di riuscire a darmi una mossa in futuro. Un'altra cosa che volevo dire è che, per farmi perdonare di questo ritardo, il prossimo capitolo sarà uno speciale. Solo per dire. Detto questo vi ringrazio e vi saluto. Buona lettura!

Shadow
“Com’è strana la vita. Fino a poco tempo fa stavamo rinnovando in ogni suo aspetto il regno. Stavamo per farlo passare ad una nuova era. Stavamo per far comprendere ai cittadini i loro diritti, per fare un salto tecnologico leggendario. E forse in seguito saremmo anche riusciti a far approvare una costituzione abbastanza solida da poter essere chiamata tale. E ciò avrebbe finalmente elevato i nostri sudditi al rango di cittadini veri e propri, con i loro diritti e i loro doveri. Oggi invece stiamo rischiando di partire dal punto di partenza. Forse anche prima. E le cose peggioreranno dopo che avrò preso quel medicinale. So che dovrei aspettare e che sto rischiando tutto quello che ho. Ma sono stufo. Stufo di rimandare, di vedermi scivolare ogni possibilità di veder realizzare quello che voglio tra le dita e stufo di vivere ogni minuto con la paura e la consapevolezza che un giorno mi vedrò morire davanti agli occhi i miei figli. Forse, alla fine dei conti, non c’è momento migliore per assumere il medicinale se non ora’’.  
-Mi stai ascoltando sì o no?- Tre schioccate di dita davanti al mio naso mi riportarono subito alla realtà.
-Scusami. Stavo pensando a una cosa-.
Gardon ebbe un lieve tic e alzò impercettibilmente il sopracciglio, incrociando le braccia al petto. Due gesti che con gli anni avevo capito riconducessero ad un suo stato di nervosismo o ad un’imminente esplosione di rabbia. Però quel giorno non sembrò volermi comunicare questo. Mi sembrò incuriosito e allo stesso tempo preoccupato.
-Sei distratto oggi. Qualcosa non va?- mi chiese. Scossi la testa e feci un sorriso tirato.
-No. Continua pure il discorso-.
Lui esitò per un attimo, ma sembrò decidere di voler eclissare la conversazione per il momento. -Abbiamo inviato altre truppe per sorvegliare i templi. Inoltre, parte dei nostri soldati e stata spedita a indagare nelle parti settentrionali e orientali del regno. Abbiamo intenzione di setacciare ogni angolo dell’impero pur di trovare il responsabile dei furti e di queste carneficine-.
Annuii con decisione. -Molto bene. Continua a coordinare le operazioni come stai facendo ora-.
Gardon mi esaminò velocemente, squadrandomi. -Hai una brutta cera. Sicuro vada tutto bene?-
-Sì. Da quando sei così dubbioso?- lo stuzzicai, cercando di continuare a sorridere.
-Ti tremano le mani-. Abbassai lo sguardo. Aveva ragione. Misi le mani nelle tasche con un gesto naturale, fingendo indifferenza.
-E hai le borse sotto gli occhi- continuò con quel suo dannato sguardo inquisitore. Avevo dovuto ammettere a me stesso che quella sua occhiata mi aveva sempre incusso timore, soprattutto nei primi giorni in cui ero ritornato a Flaritas dopo il mio breve addio a quel luogo.
-È solo un po’ d’insonnia, Gardon-.
-Provocata da cosa?- Ridacchiai leggermente, tentando inutilmente di aggiungere un po’ di ironia alla situazione.
Sulle labbra del koala comparve l’ombra di un sorriso comprensivo. -So cosa vuol dire trovarsi per la prima volta in una situazione scomoda e so che effetti ha. Ma… tu non sembri stare tanto bene-.
-È che… ho solo bisogno di vederci più chiaro. L’impero si merita un sovrano degno-.
-Allora è stato più che accontentato- mi rispose lui, guardandomi fisso dall’alto verso il basso. Ho sempre ammirato quell’uomo proprio per la sua capacità di guardare all’anima, non al rango o al grado sociale. Poco dopo, riprese a discorrere. -Ma oggi, per qualche ora, dovrà farne a meno. Riposati, ragazzo-. Mi stupì. In tutti quegli anni non mi aveva mai proposto una cosa del genere. Del tipo… mai.
-Che razza di re dorme mentre il suo regno brucia?- risposi sempre provando a ironizzare, e mostrai nuovamente un sorrisetto.
-Quale regno sopravvive con un re esausto?- Detto questo era riuscito a zittirmi, come spesso faceva. Non sempre, ma spesso.
-Ci penserò su- borbottai, volendo lasciargli il beneficio del  dubbio sul fatto che io seguissi il suo consiglio o meno. Lui annuì, si girò velocemente e si allontanò. Appena le porte si furono richiuse dietro di lui sospirai di sollievo, godendomi la mia solitaria intimità. Sapevo con certezza che di li a poco sarebbe andato a vedere come stesse Blaze usando una scusa per far sembrare il tutto più formale nei suoi confronti e per non fare la figura del padre preoccupato. Blaze… dovevo stare attento. Comportarmi in modo strano con lei avrebbe significato rischiare di mandare all’aria tutto quello che avevo fatto per ricevere la medicina. E lei era dannatamente brava a capire come mi sentissi. Tuttavia, non avrebbe avuto molti momenti per farmi il quarto grado se avesse notato che qualcosa non andava. Da quando ci era giunta la notizia che in uno degli ultimi templi non c’erano stati superstiti, avevamo cominciato a lavorare fino allo sfinimento. Io mi potevo ritrovare a partecipare a più riunioni in una stessa giornata e Blaze a non assistere a nessuna di esse, andando a risolvere problemi completamente diversi. Praticamente riuscivamo ad avere una vera e propria conversazione soltanto di sera o a notte fonda, se uno dei due non era già andato a dormire, sfinito. Tutto quello che potevamo fare era adeguarci alla nuova routine. Per la prima volta in tanti anni, non avevo più il controllo su quello che potesse succedere. Ero spaventato. Non avere il controllo su tutto era veramente terrorizzante. Sapere di avere sulle spalle la responsabilità di miliardi di vite era qualcosa che sarebbe riuscito a frenare nella sua impresa anche i più impavido dei guerrieri. Quel giorno avevo molte cose da fare, abbastanza da permettermi a mio malgrado di non ascoltare il consiglio del mio braccio destro. Ma prima mi sarei concesso qualche minuto per me. C’era una faccenda di cui mi dovevo occupare da solo.

***
Giunsi in camera mia in un momento in cui nessuno era lì presente. Afferrai dalla tasca una delle due siringhe contenenti il vaccino di Tails. Prima di andarsene si era ben raccomandato di usarne inizialmente solo una e di comunicargli ogni minimo cambiamento che avrei presentato, visto il rischio verso cui andavo incontro. La seconda doveva servire solo come riserva, in caso gli effetti non si facessero sentire. Avrei volentieri lasciato l’operazione a Marine, che forse possedeva un po’ più di esperienza rispetto a me in campo medico, ma non credevo che sarebbe stata molto d’accordo. Decisi quindi di agire da solo. Tesi l’avambraccio sinistro e con il destro mirai per bene nell’incavatura interna del braccio, per essere sicuro di colpire la vena. Infilai l’ago nella carne, totalmente insicuro di essere riuscito nel mio intento e, dopo aver inspirato profondamente, iniettai il liquido, per poi liberare tutto il fiato che avevo trattenuto a causa della tensione. Questa comunque non diminuì quando mi accorsi, aspettando qualche minuto, che non stava succedendo nulla. Era quella strana sensazione di quando sai di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma non puoi più tornare indietro per rimediare. Ero combattuto tra il desiderio che la medicina funzionasse e la speranza che non succedesse nulla di brutto. Avevo comunque paura. Ma la mia “pausa” era finita. Avevo molte cose da fare e non potevo ancora fermarmi. 

 ***
Espio
Una volta che lo stupore generale si fu dissipato, ci affrettammo ad avviarci verso l’uscio di quella casa. Sapendo che i nostri sospetti erano probabilmente corretti, avevamo già elaborato un piccolo piano da mettere in atto una volta varcata quella soglia. Vector suonò il campanello, da cui partì un’orecchiabile canzoncina che durò qualche secondo. "Bizzarro". Aspettammo un minuto, ma nessuno si fece avanti per aprirci. Vector si era incrociato le mani dietro la testa, mentre Cream muoveva la gamba un po’ in tutte le direzioni, chiari segni d’impazienza che li contraddistinguevano. Charmy invece passò all’azione e si mise a premere ripetutamente il pulsante. Vector cercò subito di fermarlo dopo che l'ape lo aveva premuto già per quattro volte di seguito, ma fece l’errore di farlo con troppa violenza: Charmy tolse subito il dito, e Vector andò a premere lui stesso il pulsante per l’ennesima volta per sbaglio. Mentre Charmy se la rideva soddisfatto, Vector sbuffò di rabbia. Subito dopo, la porta si aprì.
-Salve, come posso… ragazzi?-
Vector fu il primo ad approcciarsi al nostro interlocutore. -Ciao Tails-.
-Ragazzi! …Questa proprio non me l’aspettavo. Come va?- Il tono con cui si rivolgeva a noi era ambiguo, lasciava trasparire un po’ di agitazione.  Ma potevo  notare nel suo sguardo una buona dose di  stanchezza. Forse era lo sfinimento che lo faceva parlare così, ma non erano di certo queste ipotesi che ci facevano arrivare alla fine del mese.
-Noi non potremmo stare meglio di così, vecchio volpone. Tu invece sembri, eh…strano-.
-Ah, ti riferisci a queste?- disse, indicandosi le borse sotto agli occhi. -È un periodo pieno per me. Non ne hai idea-.
Fu con quella frase che cominciò a sorgermi un dubbio. Ci stava nascondendo qualcosa.
-Ditemi, avete bisogno di qualcosa?-
Vector non aspettò un istante ad esporre i nostri “motivi non proprio corrispondenti alla realtà”. -Abbiamo bisogno di informazioni. Sono successe… cose, in questi giorni, e pensiamo che tu sia la persona più adatta con cui parlarne-.
-Che cosa vuoi dire?-
Vector si guardò bene intorno, più per fare scena che per motivi di sicurezza nazionale e poi gli si avvicinò, rispondendogli a voce discretamente bassa. -Eggman-.
La volpe, prevedibilmente, si allarmò in maniera piuttosto evidente -Entrate dentro-.

***
-Che cosa sta succedendo?- chiese Tails, muovendo nervosamente entrambe le code.
-Non possiamo dirti troppo per questione di sicurezza, ma crediamo che Eggman possa avere ripreso la sua vecchia attività- spiegò Vector sedendosi sul divano, seguito a ruota da noi tre.
-Ma… come? Non riesco a capire perché dovrebbe…- mormorò, prendendosi la testa tra le mani e sospirando frustrato. -Perché dev’essere sempre tutto così complicato?-
Charmy gli sorrise rassicurante. -Calma amico! Non ti ho mai visto con i nervi così a fior di pelle. Non siamo venuti qui per farti l’interrogatorio-.
Cream annuì. -Charmy ha ragione. Vogliamo soltanto che ci aiuti a capire di più sulla faccenda-. Forse quei due ragazzi erano la nostra più grande risorsa all’interno del gruppo. Avevano più o meno la stessa età di Tails e lo conoscevano da molto tempo. Se si fidava di noi sarebbe stato più disponibile a darci informazioni, cosa di cui avevamo un disperato bisogno. Tails alzò lo sguardo, guardandoli. -Se Eggman è tornato all’azione deve avere qualcosa in mente… qualcosa di grosso- borbottò tra sé. Sospirò nuovamente e ci mostrò un sorriso preoccupato. -Scusate, mi sono scordato di chiedervelo. Volete qualcosa da bere?-
-Sì, grazie- si affrettò a rispondere Cream, seguendo alla perfezione il nostro piano. Dopo che Tails si fu girato per dirigersi in cucina, Vector mi lanciò un’occhiata seria per incitarmi a muovermi. Mi alzai velocemente ma restando cauto e cercando di non creare troppo rumore, e me ne andai dal salotto. Mi sembrava di ricordare che, anni prima, Tails ci avesse raccontato della nuova postazione del suo laboratorio. O meglio, Tails lo aveva raccontato ad Amy, Amy lo aveva raccontato a Cream, Cream viveva già da noi, di conseguenza, sentii la conversazione. È bello avere una memoria fuori dal normale, certe volte. Comunque, Tails aveva creato due entrate, una per l’uso quotidiano e l’altra in caso ci fossero state delle emergenze. Appena entrati in casa sua avevo notato una piccola porta in legno non troppo grande nascosta tra il muro e le scale, posizionata lì giusto per non dare nell’occhio, quindi supposi che quella fosse una delle due entrate per il laboratorio. Ma era troppo rischioso provare ad arrivare al mio obbiettivo da quella strada, visto che sarei dovuto passare davanti alla cucina che dava sul salotto, e anche se fossi diventato invisibile, Miles avrebbe notato che una porta si apriva giusto giusto davanti ai suoi occhi. Quindi decisi di optare per un’altra strada. Mi diressi a passo felpato in un corridoio completamente dipinto di una vernice giallo senape, e sapevo che tra tutte quelle stanze ce n’era una soltanto di cui mi importasse in modo particolare. Cominciai ad aprire tutte le porte che potevo, piuttosto semplice considerando che erano praticamente tutte già aperte. Effettivamente era comprensibile che un single così impegnato come Tails non avesse voglia di chiudere sempre a chiave tutte le camere di casa sua. Arrivai al fondo del corridoio senza aver trovato nulla. Ma quando feci per aprire l’ultima delle porte presenti, sentii il ronzio del processore di un computer provenire dall’interno della stanza. "Bingo’’.

***
Tails
-Quindi, di che genere di informazioni avete bisogno?- chiesi nervosamente. “Non mostrarti troppo sulle spine”, continuavo a ripetermi tra me e me. Ero sicuramente felice di rivedere i miei amici dopo tutto quel tempo, ma non era esattamente il periodo più adatto perché dei detective irrompessero in casa mia mentre tenevo un siero illegale in laboratorio e dei fuggitivi dal governo al piano di sopra. Vector alzò per un attimo l’indice, facendomi segno di aspettare e bevendosi un gran sorso del suo tè freddo al limone. 
-Vogliamo sapere qualcosa di più su quello che è successo negli ultimi tempi qui nei dintorni e su Eggman. Puoi darci qualche aiuto?- disse poi, dopo aver fatto un mormorio di apprezzamento per la bevanda appena ingurgitata.
Scrollai le spalle e mi grattai la nuca con un gesto irrequieto. -Su Eggman non posso dirvi nulla. Qui in città ci sono stati solo piccoli furti e non da parte sua. La cosa più grave che è avvenuta ultimamente riguarda l’attività di alcuni piromani in centro-. Quella frase mi fece sentire nuovamente il senso di colpa gravarmi nel petto. Ero convinto che sarei riuscito ad aiutare Althea in qualche modo. Ero certo, assolutamente certo, che gli Anelli che le avevo donato l’avrebbero aiutata. Mi sbagliavo. Ero riuscito a farle distruggere il tetto di casa mia, che avevo riparato in modo improvvisato, e mezza città. Probabilmente in quel momento quella ragazza mi stava odiando. E un giorno mi avrebbe odiato anche di più, sapendo quello che stavo aiutando a fare a suo padre. Ma non sempre la vita è facile. La mia men che meno.
-Perché me lo chiedete?- domandai.
-Semplici indagini- mi rispose subito Vector. -Sai bene dei rapimenti che continuano ad avvenire da diversi anni a questa parte. Abbiamo dei clienti a cui hanno rapito mogli, figli, animali da compagnia…-
-Sì, capisco. Il punto è che non so come aiutarvi. Ormai è da un po’ che non seguo da vicino gli avvenimenti riguardanti questa faccenda, e di solito le aree urbane non ne vengono coinvolte-.
Charmy, forse a scopo consolatorio o più probabilmente per mettersi in mostra, mi rispose al posto del coccodrillo. -Non ti devi preoccupare per questo, Miles. Posso chiamarti Miles?-
-Ma ce…- feci per rispondere, poco prima che Charmy riprendesse subito a parlare sorseggiando con falsa sicurezza la sua bevanda.
-L’ultima cosa che desideriamo è di incappare improvvisamente in casa tua e metterti a disagio con domande a cui non sei in grado di rispondere-. Era ovvio che mi trovavo a mio agio. Io ero in casa mia. Potei capire il perché degli sguardi straniti dei suoi compagni, e fu proprio osservandoli tutti insieme che mi venne un dubbio.
-Ragazzi, ma non eravate in quattro?- Possibile che fossi talmente rintronato da non notare la scomparsa di una persona che fino a pochi istanti prima avevo accolto in casa mia? Certo, Espio era una persona silenziosa, in grado di nascondersi alla vista e molto cauta, ma non era da me.
-Oh, mi dispiace, mi sono dimenticato di dirtelo, ha avuto un “momento di crisi”, non so se mi spiego…- disse abbassando la voce, quasi come se pensasse che potesse apparirgli improvvisamente dietro. Ipotesi plausibile, tra l’altro.
-Sì… e ricorda ancora dov’è il bagno?-
-Oh, sai bene che razza di memoria ha Espio. E poi stamattina si è bevuto un gallone di succo di mela, quindi sai… quando scappa, scappa-. Decisi di tralasciare il fatto che un camaleonte aveva deciso di utilizzare il mio bagno senza nemmeno chiedermelo e cercai di concentrarmi sulle loro domande. Dopo qualche minuto però, il senso di angoscia cominciò a crescere. Perché diamine Espio non tornava? Il terrore che si fosse messo a curiosare per casa mi pietrificò. Poteva trovare Knuckles e le altre da un minuto all’altro, i miei progetti… o peggio. Poteva trovare lui. Mi alzai velocemente dal divano, il cuore che mi batteva all’impazzata per la paura.
-È da un po’ che è via. Vado a controllare se sta bene- dissi nervosamente. Cream sussultò e sembrò tentata di afferrarmi la mano per fermarmi, ma poi fu trattenuta.
-Va… va bene- balbettò Charmy con un tono stranamente serio, anche lui sulle spine, posando una mano sul polso della coniglia per non farla muovere, un gesto che sembrò placarla da quello che voleva fare. Vector annuì con un sorriso leggermente tirato. Vedere quelle reazioni meccaniche insieme ai motivi non approfonditi del perché quei quattro mi fossero venuti a trovare mi fece capire tutto. Mi diedi una svelta e mi misi quasi a correre quando arrivai nel corridoio. Bussai abbastanza violentemente alla porta del bagno, sperando di sbagliarmi.
-Espio?- Non arrivò alcuna risposta. -Espio!? Stai bene?- gli chiesi, continuando inutilmente a bussare. Capii che qualcosa non andava e decisi di dirigermi immediatamente nella stanza più delicata della casa: il laboratorio. Ero talmente agitato che mi misi seriamente a correre, facendomi prendere in parte dal panico. Non che non ci fossi abituato, era già molto più semplice che dover inseguire Sonic per mezzo mondo beccandosi dozzine di proiettili, spuntoni di acciaio e semi-annegamenti perché non riuscivo a stargli dietro. Bei tempi. Non appena varcai la porta, non vidi nessuno all’interno della stanza, né oggetti in disordine. Sembrava tutto a posto. Nella mia testa si faceva largo una sempre maggiore tranquillità. Tirai un sospiro di sollievo, ma poi per distrazione colpii una fialetta di vetro vuoto che mi ero dimenticato sul tavolo quella stessa mattina facendola cadere per terra e spargendo i suoi frammenti tutt’attorno a me. Facendo attenzione a non pestarli, mi girai e mi diressi a prendere scopa e paletta per pulire quel macello. Poi mi venne un colpo, vedendo chi se la stava silenziosamente filando dal laboratorio. -Espio!- Lui irrigidì improvvisamente le spalle, voltandosi lentamente verso di me.
-Ehi- mi salutò senza un accenno di nervosismo. Mi avvicinai pericolosamente a lui, sperando che la mia statura di un metro e ottanta mi fosse utile in quell’occasione.
-Che cosa stai facendo?- chiesi in un ringhio basso. Espio inarcò un sopracciglio e notai un barlume di sorpresa nel suo sguardo.
-Ti chiedo scusa, stavo cercando il bagno. È che la tua casa è così grande che a volte faccio fatica ad orientarmici, quindi… eccomi qui-.  Dopo che aveva detto l’esatta cosa opposta rispetto a ciò che aveva affermato poco prima Vector lo squadrai per bene, in cerca di un qualche segno di irrequietezza, uno qualsiasi. Ma i suoi occhi non lasciavano trasparire paura. Erano assolutamente calmi, freddi. Quindi, pur essendo sicuro che la sua fosse una ridicola scusa per provare la mia colpevolezza in qualcosa, allentai la presa per non rischiare di lasciare io stesso il fianco scoperto.
-Non ti preoccupare. Certe volte mi perdo anch’io qui dentro. Mi sono agitato un attimo visto che non avevi dato segni di vita nella toilette-. Ci fu un attimo di silenzio quasi imbarazzante, in cui ognuno cercava le parole giuste da dire guardandosi anche un po’ intorno, in uno sciocco tentativo di evitare lo sguardo diretto dell’altro.
-Allora… come ti va la vita?- chiese lui, prendendo la parola per primo.
-Ah, molto impegnata… è un periodo intenso…-
-Sì… immagino…- Potei quasi avvertire dei grilli che canticchiavano allegri la loro melodia in casa quando il silenzio tornò presto a fare da padrone. Espio si sgranchì la schiena, sempre evitando accuratamente il mio sguardo e poi cominciò a camminare in giro quasi a casaccio.
-Sai, hai un bel laboratorio. È molto più vasto di quello che abbiamo noi-.
-Voi avete un laboratorio?-
-Si, Cream ne ha preparato uno. Più che un laboratorio vero e proprio è la sua stanza piena di provette e strumenti vari sparsi a casaccio, ma per gli altri del gruppo ciò è più che sufficiente per poterlo chiamare così-. Non mi piaceva la maniera in cui curiosava cercando in tutti i modi di non darlo a vedere. Era come se stesse cercando disperatamente qualcosa. Solo che lui stesso sembrava confuso su cosa stesse cercando. Apriva i cassetti cercando di farmi confondere i suoi intenti con la semplice curiosità. Sapevo che erano bizzarri, ma Espio… Comunque sia, cercando di tenere d’occhio i suoi  movimenti, ripresi a parlare.
-Beh, sono certo che una come Cream sappia cavarsela benissimo anche con dei mezzi un po’ ristretti. Da quando ha cominciato a studiare ha fatto progressi da gigante, ho sentito-.
-Già. Non ci ha messo molto a trovare lavoro, ma non è andata benissimo…-
-Che vuoi dire?-
-All’inizio ha provato diversi lavori che concernevano tutti la costruzione e progettazione di giocattoli ed elettrodomestici. Sembra però che si sentisse un po’ ristretta in quell’ambito, quindi Vanilla si è rivolta ad un vecchio amico che ha raccomandato immediatamente sua figlia. E poi assunta-.
-Vector?-
-Già. Figurati se si sarebbe permesso di dire di no a Vanilla-. Espio era sempre stato un bravo interlocutore, tanto che era riuscito a farmi prendere dal discorso. Poi vidi che stava bazzicando con una provetta molto speciale.
-Non toccarla!-
-Come?- Ma era troppo tardi. La sua mano aveva appena tirato su la fialetta vuota dal porta-provette che, anche se lui non se ne era ancora accorto, era attaccato al tavolo, la cui parte inferiore era coperta da uno strato di legno. Pensavo che fosse ben nascosto, ma evidentemente mi sbagliavo. Espio rimase freddo quando la parete cominciò a ruotare, osservandola con calma e con sguardo fisso. Io, invece, provavo la tipica sensazione che si prova quando si viene beccati in flagrante a fare qualcosa di brutto. Sensazione che, ad essere sinceri venne solo peggiorata dalla consapevolezza che chi mi aveva scoperto poteva mandare all’aria tutto il mio lavoro. E mandarmi  in prigione. Ad un certo punto, dopo che il muro fece un giro di centottanta gradi, mostrando  il lato opposto rispetto a quello di prima, capii che la mia volontà di tenerlo segreto era fallita. Espio alzò leggermente lo sguardo, pur rimanendo impassibile davanti allo svolgere degli eventi. Però, un barlume di stupore scaturì dalla parola che uscì dalla sua bocca. -Omega-. 
Gli occhi del robot, il quale era agganciato al muro con dei bracciali di acciaio, si accesero, mostrando una scintilla rosso acceso, e cominciarono ad osservare in tutte le direzioni, per poi soffermarsi su di me e sul nostro ospite. Anche se appena sveglio, sembrava che riuscisse ancora ad analizzare la situazione nel migliore dei modi. Quando si dice “svegliarsi di soprassalto”. 
-*Soggetto: Espio the Chameleon; Luogo di residenza: Forgotten Park, periferia estrema di Station Square…*- 
-Hai un bel giocattolo qui, Miles…- disse Espio ironicamente e senza mai distogliere lo sguardo dalla macchina senziente davanti a lui. 
-*Mestiere: Investigatore/Dipendente dell’Agenzia investigativa “C.H.A.O.T.I.X”*. *Attivazione Vocabolario Informale*: Io mi ricordo di te.- disse Omega riferendosi al mio roseo “amico”. 
-Per me questo è un onore, E-123 Omega. Ti stavamo cercando-. Da ciò dedussi che forse avevano saputo tutto fin dall’inizio. 
-Mi stai dicendo che avete sempre saputo che custodivo Omega? Come…-
-Non da subito. E non sapevamo “chi”. Ma ora ciò è irrilevante.- Espio fece qualche passo verso Omega, con delle intenzioni a me sconosciute. 
-Omega, abbiamo bisogno di te. Ci sono cose che dobbiamo sapere e che forse solo tu ci puoi spiegare-. 
Omega non rispose subito, rimanendo a fissarlo con attenzione per diversi attimi. -*…Mi dispiace, ma ciò non è possibile.*- 
-Come?- 
-*La mia permanenza qui è Top-Secret e tale deve rimanere. I testimoni imprevisti vanno obliterati.*- La giornata era iniziata male e stava per finire peggio. Dovevo intervenire. 
-Omega, NO!- 
-*Attivare “Assetto da Combattimento”*- Omega spaccò con la sola forza bruta i bracciali che lo inchiodavano al muro, cadendo con un rumoroso tonfo a terra ma alzandosi subito dopo e cominciando a puntare il braccio contro Espio. Il suo stesso braccio, pochi istanti dopo, con una velocità sorprendente assunse le fattezze di un fucile di grossa taglia, che puntava dritto sul cranio di Espio… 
-Obliterare?- …che ovviamente non si fece attendere poiché, con grande agilità, afferrò quella che sembrava l’elsa di una spada dalla quale, con mia sorpresa, si formò molto velocemente una lama molto affilata, completamente dorata, che il guerriero a sua volta puntava molto vicino al cranio del robot.
-Prima dovresti aggiornare il tuo vocabolario-. Come potevo facilmente prevedere, dei passi si avvicinarono rapidamente alla nostra posizione. La voce di Vector fu la prima, tra quelle del gruppo, che si fece sentire. 
-Heiheihei, che succede qui-oh cappio! Sento puzza di rissa!- Il gruppo era leggermente indietreggiato dopo aver percepito l’aria tesa che aleggiava in quel momento. Mi avviai in mezzo a quei due per far desistere Omega dal suo scopo. -Omega, calmo! ...non è un nemico.- Lui mi osservò per un secondo, per poi tornare immediatamente a puntare l’arma verso Espio. -Omega! Probabilmente è stato mandato da qualcuno…- continuavo a parlare, interrompendomi spesso a causa del fiatone e dell’agitazione generale -…se spari, ci faremo un nemico…ok?- 
Omega aveva lo sguardo fisso su Espio e non diceva nulla. -*Affermazione…accettata.*- Abbassò l’arma e lo stesso fece Espio, facendo girare con abilità la lama nel palmo della mano e posizionandola proprio dietro la schiena. A quel punto, dopo aver sospirato per il sollievo, feci una proposta. 
-Forse, ora dovremmo metterci seduti e parlare tutti in modo chiaro d’ora in avanti, così da capire che diavolo. Sta. Succedendo. Ok?- Gli altri annuirono, mentre Omega, beh… non faceva nulla. Elaborava? 

***
Cream 
La situazione si era decisamente calmata grazie all’intervento di Tails. Se non fosse stato per lui, nella migliore delle ipotesi avremmo potuto perdere un preziosissimo testimone, forse l’unico che c’era. Ci trovavamo sempre nel laboratorio, in piedi, cercando di capire se, in effetti, tutto quel trambusto fosse effettivamente servito a qualcosa. Vector, come sempre, iniziò per primo a fare le domande, anche se in questo caso sarebbe stato difficile giocare al poliziotto buono e a quello cattivo come facevamo a volte. 
-Bene pupone, ora parliamo di cose serie. Abbiamo bisogno di informazioni su Eggman e forse tu puoi darcele. Te la senti?- 
-*Elaborazione risposta…..*- I suoi occhi, da rosso acceso assunsero una colorazione verde brillante per motivi che non sapevamo spiegarci. Tails, con fare imbarazzato, intervenne subito. 
-Oops. Scusate. Non ho ancora riparato del tutto il programma che consente le relazioni sociali. Ci metterà un po’ a rispondere alle vostre domande-. 
Si poteva intuire che sarebbe stato un lungo e difficile processo di raccolta dati. Dopo un minuto circa di attesa finalmente il bagliore rosso tornò ad alberare negli occhi dell’interrogato. 
-…..*Si*-. Rimanemmo tutti in silenzio per qualche secondo poiché avevamo capito che sarebbe stato molto lungo e difficile. Vector riprese alacremente a fare domande. 
-…Quindi… per prima cosa dicci molto chiaramente perché ti trovavi nella Foresta di Confine di Green Hill-. Pur mantenendo gli occhi di colore rosso, ci mise un po’ a rispondere. 
-*…Non lo so…*- 
-E…questo non è un bell’inizio, ma sono ottimista per il seguito-. Charmy, sorprendentemente, volle approfondire la faccenda. 
-Intendi che, pur essendoti svegliato ferito a morte, non hai la minima idea né del come né del perché sei finito lì? Come può essere?- I suoi occhi assunsero nuovamente un colorito verde, facendoci indietreggiare e sospirare dalla frustrazione, creando un coro involontario e desincronizzato di espressioni quali “Oh, ma dai!”, “Non è possibile!”, e via dicendo. Finalmente, cambiato nuovamente colore, ottenemmo la nostra aspirata risposta. 
-…*Non lo so*…- Eravamo piuttosto sconsolati dall’andamento della faccenda, e avevamo cominciato a malapena tre minuti prima. 
-*…Tuttavia…*- riprese lui, facendoci nuovamente alzare lo sguardo e rizzare le orecchie. -*…Ricordo ciò che successe dopo…*- L’interesse tornò nella stanza, lo si poteva sentire nell’aria, mentre Vector continuava con le domande. 
-Benissimo. Racconta. Nei dettagli-. 
-*I miei sistemi tornarono attivi all’incirca alle 18:12 e trentotto secondi.*-*La prima cosa che ritenni necessaria attuare immediatamente fu l’analisi dell’integrità degli stessi.*-*Una volta terminata, potei notare una lunga serie di malfunzionamenti in grado di compromettere significativamente la mia funzionalità.*-*Primo fra tutti il mio apparato ottico, che dovetti sostituire con quello di riserva a causa delle pessime condizioni in cui versava e che lo rendevano inutilizzabile.*-*Nonostante ciò, sono stato programmato per eseguire l’autoriparazione solamente su una parte limitata della mia struttura complessiva.*-*Avevo bisogno di aiuto*.- 
A quel punto entrai in gioco io. - È comprensibile, ma perché proprio Tails? Da quel che ne so, eri in buoni rapporti con G.U.N. fino a qualche tempo fa-. -*Affermativo*-*Tuttavia i miei livelli energetici erano molto bassi al mio risveglio, rallentando di fatto la mia avanzata.*-*Quando arrivai giusto alla periferia, avevano ormai raggiunto livelli critici*-*La situazione era classificabile in EMERGENZA.A.A.*-*Inoltre, pur confermando la mia passata esperienza con i servizi governativi, era più che plausibile aspettarsi che le reclute di grado inferiore non sarebbero state in grado di riconoscermi immediatamente e che erroneamente avrebbero potuto confondermi per un comune badnik di EGGMAA-AAAN, aprire il fuoco su di me, e terminare di conseguenza le mie attività complessive*- 
Dopo esserci guardati tutti a vicenda, mi rivolsi a Tails per sapere questa parte dal suo punto di vista. -E qui sei entrato in gioco tu Miles, sbaglio?- 
-Non sbagli. In effetti fui piuttosto sorpreso nell’aprire la porta e trovarmi proprio Omega davanti, dopo tutto il tempo in cui non si era fatto vedere-. 
-*Gli unici motivi che mi spingevano a collaborare con la G.U.N. erano la presenza degli altri membri del Team Dark, e la spi-spi-spi-spiccata rivalità che questa aveva con *analisi obiettivo: Dr Eggman; Mestiere: Ingegn*-*Chiedo venia*-*Una volta che la squadra è stata sciolta e l’avvento dell’apparente calma di Robotnik, non avevo più alcun vincolo che mi legasse a loro*- 
Espio continuò a parlare. -E quindi te ne sei andato. E cos'hai fatto dopo aver lasciato la G.U.N.?- Dopo che Omega si prese una pausa di riflessione, se così si poteva chiamare, riprese a raccontarci la sua storia. Trovai però strano che, nonostante avesse affermato di non ricordare nulla dopo il suo risveglio, riuscisse a descriverci questi particolari. 
-*Purtroppo, contrariamente a quanto avviene per gli esseri composti di materia organica attiva e funzionante, le macchine, indipendentemente dal grado di sviluppo e consapevolezza raggiunta dalla loro memoria, non possiedono vere e proprie tutele giuridiche, né diritti che stabiliscano il loro personale, come voi tendete comunemente a chiamarlo, “Libero Arbitrio”*-*Il mio corpo e i miei armamenti, nonché la mia tecnologia in sé ormai appartenevano per diritto alla G.U.N.*-*Decisi di fuggire dallo stabilimento senza destare sospetti ma mio malgrado, Eggman non mi aveva progettato per attacchi o azioni furtive.*-*Il mio piano fallì miseramente e dovetti farmi strada con le armi.*-*Vi furono molte perdite umane.*- 
Charmy, il cui interesse fu particolarmente stimolato da quell’affermazione, intervenne subito. -Sì, me lo ricordo! Avevano dato la notizia al telegiornale di un attacco in grande stile alla sede centrale di Station Square, ma avevano parlato di una cella di terroristi che erano penetrati all’interno, nulla che potesse far risalire a te-. 
-*Ammissibile.*...*Il tentativo della G.U.N. di coprire la perdita di mano della situazione era più che plausibile.*- 
Vector, nei cui occhi potevo chiaramente capire che ormai cominciava a vedere da lontano la fine di questa storia, proseguì con la nostra “intervista”. -Fantastico. Ora però dimmi, perché tutta questa urgenza quando si poteva chiaramente prevedere un periodo di  pace duraturo?- 
-*Conosco il Dottore*-*Finché sarà vivo creerà problemi*-*E da quando è scomparso, non sono stati trovati cadaveri*-*Questo, unito al fattore dell’aumento dei Badnik in tutte le zone rurali e/o poco abitate di Mobius, nonché alla sua aspettativa di vita media che lui stesso, visto il suo elevatissimo quoziente intellettivo, potrebbe aumentare, mi permette di calcolare per via statistica una possibilità del 75,38% che sia ancora in vita e che stia progettando un ritorno.*-*Lo scopo primario del mio programma è la sua eliminazione totale, pertanto non potrò fermarmi finché lui vivrà*-*Motivo per cui mi misi a cercarlo di mia iniziativa*-*Ma tutto quello che riuscii a trovare nel corso di più di dieci anni di costante ricerca furono macchine di rango minore e, più raramente, esemplari che come me appartenevano alle classi elitarie, la cosiddetta “Serie E”.*-*Nulla che, malgrado la mia tecnologia ormai obsoleta rispetto alle serie E di ultima generazione potesse crearmi particolari perdite di tempo.*-*Ma non sono mai riuscito a rintracciare il dottore.*- 
-Poi cosa successe?- 
*-………….-* I suoi occhi tornarono verdi. Era peggio di quando Charmy riusciva ad installarmi dei virus nel computer quando scaricava illegalmente film e videogiochi. Vector si era ormai rassegnato -Ehi Tails, non voglio approfittarmene, ma non è che avresti del caffè? Qui durerà più del previsto…-

***
Dopo cinque, interminabili minuti nei quali Tails aveva davvero trovato il tempo di prepararci caffè e pasticcini, nonché di iniziare a consumarli allegramente insieme a noi, finalmente l’APPCRASH di Omega si interruppe improvvisamente e il robot ricominciò a parlare, facendoci sobbalzare dalle sedie disposte velocemente lì per il nostro breve break e facendo rovesciare a Vector la sua caldissima bevanda sulle gambe. Ancora oggi mi chiedo che cosa avesse da urlare. Ancora oggi mi chiedo che cosa avesse urlato. 
-OH, SANTA PIGNATTA! SI ESTINGUANO I MITOCONDRI! MONDO, DISSOLVITI!- Ci allontanammo tutti di un metro circa finché, poco dopo, non si calmò. -Ah, dolore…Ah…- 
Tails rimase stupito da quella reazione forse eccessiva -Fa sempre così?- 
Vector, invece, irritato. -E tu dove lo prepari il caffè, su un vulcano attivo?- 
-…*Come dicevo*…*Dopo anni di ricerca non andata a buon fine*…*dopo_dod_dodopo…*- Quella strana reazione ci turbò tutti, in quella stanza. -*Ogni volta che provo ad accedere a questi file informativi, il mio sistema rischia il Crash immediato*…*Pensavo che Prower sarebbe stato in grado di riparare questo difetto*…- 
-No, purtroppo. Non è la prima volta che gli accade, e l’ultima volta che gli ho fatto la stessa domanda sembrava quasi che dovesse esplodere da un momento all’altro. Contavo sul fatto che ciò fosse dovuto ad un danno della scheda madre, ma quando l’ho controllata era integra. Non capisco quale sia il problema-. 
Vector non si arrese dopo tutta quella fatica, e decise di andare in fondo a quella storia. -Quindi mi stai dicendo che è tutto quello che ricordi? Non hai altre immagini, o cose simili?- 
-…*Ricerca immagini/filmati*…*Dopo di ciò, mi risvegliai nel mezzo della foresta di confine di Green Hill Zone, accorgendomi di quanto la mia corazza e i miei sistemi complessivi fossero danneggiati, e decisi di ricercare aiuto*…- 
-No, non le hai…- borbottò Vector sospirando di frustrazione. Io, tuttavia, avevo già in mente un piano di emergenza. 
-Credo che sia necessario analizzare direttamente la scheda madre-. Vector, incuriosito ma stancato dall’interrogatorio, si rivolse subito a me dopo che finii di parlare, guardandomi con un solo occhio aperto. -Che vuoi dire?- 
-Intendo dire che qualcosa deve aver danneggiato i riproduttori visivi e sonori interni di Omega, ma ciò non implica che ciò che stiamo cercando sia andato perduto. Potrebbe semplicemente essere irriproducibile da Omega-. 
Tails, sentito il discorso, sembrò essersi ricordato di un particolare. -Hai ragione. In effetti, Omega era così danneggiato che l’unica cosa di cui mi sono occupato fino ad oggi è stata la riparazione dei suoi apparati primari, non mi era nemmeno venuto in mente di controllare i file grafici e sonori-. 
Espio se ne era rimasto zitto a lungo, ma lì si mise a parlare, giusto per chiedermi qualcosa di essenziale. -Puoi farlo, Cream?- 
-Credo di sì. Ma ci vorrà un po’. Tails, ci permetti di rimanere ancora un po’?- Dopo qualche attimo di silenzio in cui abbassò la testa, forse in segno di riflessione… 
-Sì, va bene, nessun problema. Se Eggman centra in tutto questo, allora anch’io mi trovo in prima linea. Ditemi tutto ciò di cui avete bisogno per la causa-. Vector, sollevato dal nuovo piano, rispose subito al meccanico. -Grazie, amico-.

***
Charmy
Come previsto, le cose si stavano prolungando parecchio. Cream aveva dovuto prelevare la scheda madre di Omega, mandandolo in stand-by per un po’ di tempo. Omega, per qualche motivo, non fu subito d’accordo, ma alla fine accettò il compromesso quando gli facemmo capire che quello era l’unico modo per arrivare al Dottore. Ormai eravamo lì da quasi ventiquattr'ore e Cream non si è fermata nemmeno per un secondo, cercando anche la più sfocata immagine in quel riproduttore che aveva accorpato al computer. Tails, nonostante tutto, le diede una mano. Avrei voluto aiutarla anch’io, ma non me ne intendevo affatto di quelle cose. Un’altra volta in cui mi sono sentito praticamente inutile. Non che io facessi molto per sentirmi diversamente, ma ci sono momenti in cui me ne rendevo più conto che in altri. Purtroppo, fino a quel momento non c'erano stati sviluppi di nessun tipo. Almeno finché Tails, agitato, per non dire sconvolto, non arrivò a chiamarci dal salotto in cui ci eravamo stazionati per la notte. A dir la verità, era strano che in una casa così grande non fosse nemmeno una stanzetta per gli ospiti, ma supposi che le tenesse occupate con i suoi attrezzi e altre robe scientifiche. 
-Oh mio Dio ragazzi, ancora non ci posso credere! Ci sono novità, ahah!- rise la volpe. Aveva bisogno di una vacanza, il più presto possibile. Vector, quasi di riflesso, reagì immediatamente. 
-Avete scoperto qualcosa?!- 
-Puoi dirlo che l’abbiamo fatto! Scoperto qualcosa, intendo-. Finiti i convenevoli, ci dirigemmo in laboratorio, il posto migliore per Cream per lavorare. La visione che ci si parò davanti non ci era per niente nuova: Cream con le occhiaie che ci guardava in modo assente, come se per lei fossimo trasparenti. Mi sentii in vena di darle una parola di conforto o quantomeno di capire in che condizioni si trovava il suo sistema nervoso. 
-Heilà Cream… tutto be…- 
-Non dire nulla Charmy, non sono in grado di trattenermi quando ho sonno, quindi sta’zitto, va bene?- Era pericoloso stuzzicare, parlare, guardare o respirare nei dintorni di Cream quando lavorava notti intere, anche se si trattava di essere gentili con lei. Persino Vector ne aveva timore, anche se, stavolta, doveva farsi avanti per forza. 
-Buone notizie?- 
-Più o meno. Se più o più meno decidete voi-. Ci avvicinammo tutti e quattro al monitor, ma riuscii ad intravedere solo uno schermo nero, senza niente a colorarlo. A mio rischio e pericolo, avanzai un quesito. -Che…cosa dovremmo vedere?- 
-Solo una cosa…osservate la data-. Premette un pulsante e notammo che la data continuava ad avvicinarsi al quella attuale, avanzando sempre di più. Mi resi conto poco dopo che su quell’indicatore erano indicati i secondi, le ore, i giorni, i mesi… gli anni che Omega aveva vissuto fino a dieci anni prima, fino a dove aveva ricordo delle sue ricerche. Eppure, nessuna immagine. 
-Aspetta, torno indietro di un po’… Guarda meglio, ora-. Stavolta governò lei la velocità, premendo diverse volte il pulsante. E in effetti, vidi uno scatto passare molto brevemente sullo schermo. 
-Visto?- disse, piuttosto seria in viso. Espio era incuriosito dalla faccenda. 
-Puoi fermare l’immagine?- 
-Sssì… devo solo beccare il momento g… fatto-. In quel preciso ferma-immagine si poteva chiaramente distinguere una prateria sovrastata da un cielo limpido e qualche raro alberello. La data indicava che l’immagine risaliva a nove anni e qualche mese prima del preciso istante in cui la stavamo osservando. -E questa è solo la prima, ragazzi-. Ricominciò a premere a velocità supersonica il dito sul pulsante della tastiera, quasi come se questo fosse preda di un tic. Poi lo fermò di nuovo e mise in pausa la nuova immagine che venne fuori.-Lustratevi gli occhi-. 
Questa volta dallo schermo si poteva osservare quello che aveva tutte le sembianze di un landa desolata e ghiacciata, che poteva ricordare luoghi come la Ice Cap Zone o l’ambiente tipico di Holoska. Stavolta la data era andata avanti di un paio d’anni. Cominciavamo ad avere le idee più chiare. Di nuovo dopo qualche secondo di attesa, un’altra immagine, completamente diversa dalle precedenti, si fece avanti nei nostri sguardi, e Vector fu il primo a capire di cosa si trattasse. -Luci a volontà, insegne bizzarre, forte odore di vite patetiche e di alcool… Sì, so riconoscere un casinò quando ne vedo uno. Quella è Carnival Night, la zona precedentemente posseduta da Eggman. Una delle sue maggiori fonti di profitto e guadagno… almeno finché non è sparito senza lasciare traccia-. 
Ora la faccenda aveva senso. La data era avanzata poco meno di un anno. -Ora, date un’occhiata alla prossima-. 
L’immagine seguente mostrava una scogliera prospiciente al mare che si interrompeva bruscamente e nei cui pochi tratti di terra era ben visibile dell’erba ancora verde. La data era di pochi giorni successivi rispetto alla precedente. Quelli erano i luoghi che Omega aveva visitato nel corso di tutto quel tempo. Le immagini che si susseguirono non fecero altro che mostrarci altre zone apparentemente casuali e sparse per tutto il mondo, mai eccessivamente vicine ai centri abitati maggiori. E in ogni caso, nessuna tra queste poteva far pensare che Omega avesse potuto commettere i tipici “rapimenti di massa” solitamente effettuati dal Dottore. Ipotesi che ci allontanava leggermente dal sospetto che fosse stato Robotnik a provocare questi problemi di amnesia in Omega. Ma c’erano delle immagini, due precise immagini che, al contrario delle altre, si ripetevano ad intervalli irregolari: una relativa alla prateria, l’altra alla scogliera che guardava al mare. Quei due luoghi dovevano significare qualcosa. Vector cercò immediatamente di capire dove potessero trovarsi quelle locazioni.
-Omega, sai dove possono trovarsi questi posti?-
-*Sono spiacente. Temo che le immagini siano troppo generali perché il mio database possa riconoscere degli elementi tipici di un certo ecosistema*- La risposta fu più che esaustiva. -*Tuttavia, posso provare un’ultima strategia, comune a voi viventi.*- Cream, curiosa di scoprire quale funzionalità potesse avere Omega di cui lei ancora non fosse venuta al corrente, si fece avanti. -Quale?-
-*Posso provarci.*- 

***
Vector
Finalmente le cose stavano girando nel verso giusto. Giravano come due ruote. Due ruote spesse, resistenti, nerissime, montate su una meravigliosa carrozzeria verde chiaro. Sto parlando della macchina. E, ancora meglio, ci stavamo allontanando da Station Square e dalle verdi valli insieme ad Omega.
-Splash Hill Zone. Non sono mai stato così felice di andare in quel posto così bagnato e assolato-. Sapevo bene che tutti sarebbero stati d’accordo con me, compreso Charmy.
-Splash Hill? Vuoi dire quella penisola molto vicina a Green Hill, con la stessa fauna e flora di Green Hill e leggermente più “bagnata” di Green Hill? Hai ragione di essere felice: completamente diversa-.
-Cos’è quest’impertinenza?! Questa zona è stata progettata e realizzata artificialmente con dei lavori proprio per essere tutto ciò che Green Hill non è mai stata.-
-Priva di pesti blu?-
-Sì. Cioè, no! Moderna!-
-Parli come se “moderno” sia sempre sinonimo di “migliore”-. Sapevo di dovermi concentrare sulla strada. Se davvero ogni volta che Charmy avesse parlato mi fossi fermato derapando, non avrei più avuto i soldi per poter corr-*ripagare* le multe che mi facevano. Strinsi con decisione il volante, sospirando frustrato e lanciando una rapida occhiata al robot dallo specchietto retrovisore. Avevamo deciso insieme a Tails, rimasto in laboratorio pronto a darci nuove dritte su come proseguire, di portarci dietro Omega, l’unico che fosse in grado di ricordare i posti in cui era stato in tutti quegli anni. E visto che la sua memoria danneggiata non ci poteva essere di alcun aiuto, avevamo ben pensato: perché non portarlo a spasso per vedere se riesce a riconoscere almeno uno dei luoghi in cui è passato durante la sua scappatella?
-Vector!- mi richiamò Cream, mentre osservava le reazioni di Omega mano a mano che quest’ultimo vedeva i paesaggi scorrergli davanti agli occhi meccanici. Proprio questi infatti si erano illuminati di una luce verde accesa. -…*Luogo riconosciuto: Entrata Labora-aa-*…- Il corpo di Omega tremò leggermente mano a mano che i ricordi cominciavano a riaffiorargli alla mente.
-Ferma la macchina- proruppe Espio. Feci quanto detto e mi fermai nel primo spiazzo libero di terra che trovai lontano dalla strada. Scendemmo tutti e cinque dal veicolo, robot compreso, e ci guardammo intorno.
-La scogliera. È quella che abbiamo visto nelle immagini- disse Cream, incamminandosi verso la sporgenza che portava sul mare. La coniglia si fermò qualche centimetro dal suo bordo, inginocchiandosi e cercando qualche cosa che ci potesse essere d’aiuto. Omega nel frattempo continuava a restare immobile, mentre i suoi circuiti stavano cominciando a riconoscere il posto.
-*Corrispondenze tra memoria fotografica e luogo attuale: 100%...- mormorò lui con il suo vociare meccanico.
Cream cominciò a sorridere vittoriosa, battendosi l’indice sul labbro inferiore mentre rifletteva. -...Bene!- esclamò poi con gli occhi illuminati dall’entusiasmo. Cosa strana visto che non aveva chiuso occhio. -Io resto qui ad analizzare il posto, voi andate alla ricerca del luogo che corrisponda all’altra immagine che abbiamo a disposizione!-
Charmy annuì con il suo stesso entusiasmo, probabilmente sollevato dal fatto che l’umore di Cream fosse migliorato radicalmente. -Si! Sarà un ottima scusa per assaggiare il polline locale!-
Portammo con noi Ultra-Pattumiera e ci incamminammo da qualche parte, per cercare in un’area di 25 chilometri quadrati una singola immagine di un luogo in cui non eravamo praticamente mai stati. Beh, forse, finita quella storia mi sarei fatto un bagnetto da qualche parte, di nascosto dagli altri. 

***
Espio sospirò sonoramente, stirandosi la schiena. -Qualcosa ti sembra famigliare?- chiese in un mugugno stanco.
Omega mosse un braccio fino a portarselo sulla testa. Qualche rumore non esattamente rassicurante provenne dal suo corpo prima che ci rispondesse. -*Negativo*-
Reclinai all’indietro la testa, lasciando che la frustrazione mi attraversasse ogni nervo. Ormai era da tutto il dannatissimo giorno che vagavamo per le colline cercando qualcosa che lo facesse ridestare dalla sua crisi d’identità, ma niente. Assolutamente, inevitabilmente, pienamente niente.  Non un solo posto che Omega riuscisse a riconoscere con un meraviglioso 100%.
-*Corrispondenze tra memoria fotografica e luogo attuale: 63%*- disse il robot. Charmy ridacchiò in un modo strano, come se avesse bevuto almeno una decina di calici di birra.
-Non ti ci mettere anche tu ragazzo. Abbiamo già abbastanza problemi- ringhiai. Sulle labbra di Charmy comparve un sorrisetto ebete, mentre con la schiena stava leggermente curvo. Le pupille gli si erano dilatate e non riusciva a stare fermo da almeno due ore, continuando a volare e disegnando per aria il simbolo dell’infinito.
-Non avremmo dovuto lasciargli assaggiare il polline da quel fiore. Te lo avevo detto che era troppo strano- si lamentò Espio, guardandomi con quell’aria in stile: Te lo avevo detto.
Fui sul punto di ribattere, ma sentii squillare il cellulare nella tasca del giubbotto di Charmy, l’unico tra noi che avesse effettivamente dei vestiti con le tasche. Afferrai l’ape per una gamba e lo riportai a terra con uno strattone, tenendolo fermo con la forza e rubandogli il cellulare.
-Che diavolo fai?- mi chiese con voce biascicata e molto più roca del solito. Gli lanciai un’occhiataccia, facendogli cenno di tacere.
-Ragazzi, dovete tornare subito qui- mi informò Cream quando risposi alla chiamata, senza neanche un saluto da parte sua.
-Ciao anche a te Cream-.
-Vector, è una cosa seria! Abbiamo fatto un enorme casino. E perché rispondi tu al cellulare di Charmy?-
-Il ragazzo è un po’stordito al momento. Cos’è successo?-
-Venite subito. Tutti quanti-. Fortunatamente era riuscita a mettermi in allarme quanto bastava per farmi dare una mossa.
-Ok ragazzi, si torna indietro. Espio, trascina Charmy, con violenza se necessario. Omega, si torna al punto di partenza-.
-*Affermativo*.- Cominciammo a sentire il tipico umore di un reattore che si attiva. Omega accese dei razzi presenti sulla sua schiena e partì a grande velocità, lasciandoci indietro e parzialmente sbigottiti.
-Non sapevi dei razzi?- mi chiese Espio, leggermente frustrato.
-Adesso sì-.

***
-Non posso credere di essere stata così cieca!- gemette Cream, stringendosi la testa tra le mani. Le poggiai tranquillamente una mano sulla spalla. Eravamo ritornati esattamente da dove eravamo partiti da neanche un minuto e già ci stavamo godendo una delle crisi di nervi di Cream.
-Forse se ti degnassi di raccontarci cos’è successo potremmo evitare di osservarti mentre inveisci contro il cielo-.
La coniglia prese un paio di respiri profondi, premendosi una mano sul cuore. -Ok. Scusami-. Ma sembrò di nuovo andare nel panico quando si accorse delle condizioni di Charmy. -E che diavolo è successo a lui invece?-
-Te lo spieghiamo dopo. Ora, dimmi immediatamente che cosa sta succedendo- ringhiai. Lei sospirò nervosamente.
-Guarda tu stesso. Forza, girati- Ci girammo tutti all’udire di quel “comando”, senza notare nulla. Quindi mi rigirai nuovamente verso di lei.
-Ok, ci siamo girati e non… oh no-. Mi rigirai nuovamente verso il paesaggio retrostante. E poi di nuovo verso Cream. E verso il paesaggio. Detti un ordine rassegnato ad Omega.
-Omega, eseguire corrispondenza.-
-*Affermativo.**Corrispondenza tra memoria fotografica e luogo attuale: 100%*-
-Lo abbiamo cercato per tutto il giorno… e i due luoghi erano in realtà lo stesso…?- mormorai con un filo di voce.
Stemmo tutti zitti per qualche attimo, mentre Cream si era pestata il palmo della mano sulla fronte e Charmy sbavava. Espio sembrava leggermente preoccupato per me. -Conosco quella faccia. Cosa vuoi dire?-
-Voglio la pensione anticipata. E un drink pesante.- Poi mi girai verso Omega, arrabbiato come un caimano.
-Perché non ce l’hai detto prima?!- Gli occhi di Omega si colorarono di verde, negandomi una risposta. -Sul serio?!- 
Cream cercò di calmarmi, poiché aveva capito che avevo raggiunto il limite della sopportazione. -Vector, il suo sistema non è ancora del tutto operativo, calmati-.
-Allora non si accorgerà se lo trasformerò in una toilette portatile-. Per i successivi cinque minuti cercarono di tenermi fermo come meglio potevano.

***  
Cream
-Ok, ecco i fatti: abbiamo perso ore preziose, nessuno lo ha saputo, Omega non ha caricato la risposta, Vector si è calmato e finalmente abbiamo degli indizi utili-. All’improvviso, gli occhi di Omega ritornarono rossi.
-*Non mi è stato richiesto di eseguire alcuna scansione.*-
-Aaaaah, bastardo!- Dopo aver passato un altro minuto a cercare di calmare Vector, finalmente tornammo a parlare del discorso principale. Mi permisi di posare la prima pietra in proposito.
-Bene ragazzi, siamo sopra il luogo chiave di tutta questa storia. Ora dobbiamo solo capire perché sia così importante-.
Ci lanciammo a turno un’occhiata interrogativa. Era più che ovvio che nessuno tra di noi avesse la più pallida idea di che cosa fare. Mentre ero assorta nei miei pensieri, sentii un movimento di circuiti da parte di Omega.
-*Riattivazione memoria non completa. Stima tempo impiegato per la totale riattivazione: indefinito.-* Grugnii scocciata. Non aspettavo altro che Tails facesse il suo lavoro di genio e che rimettesse a posto quel dannatissimo robot. Cominciava a darmi seriamente sui nervi. Ma Omega non aveva ancora finito.-*Sono riuscito a reperire parte dei miei ricordi-* Drizzai di scatto le orecchie e lo guardai estasiata.
-Cosa? Quali?- chiesi entusiasta, afferrandolo per le spalle metalliche. Per un attimo gli occhi di Omega diventarono verdi, cosa che mi fece temere in un altro dei suoi momenti di stasi. Per fortuna, tornarono praticamente subito del loro colore originario.
-*Nella mia memoria non sono presenti dettagli significanti riguardo a questo luogo. Ma… ho dei sospetti su…. il mare--scogli…*- Un leggero velo di fumo cominciò a salire vellutato verso il cielo dalla sua testa.
-Ok, ok. Non ti sforzare troppo signorina- disse Vector, dandogli una pacca sulla schiena. Mi sporsi verso la scogliera, guardando mentre il mare si scagliava su quelli scogli frastagliati.
-Credo che volesse dire che c’è qualcosa che non va nell’acqua- spiegai pensierosa.
-Non ho intenzione di essere io quello che andrà là sotto Vector, sia chiaro- intervenne subito Espio, parandosi le mani davanti. Schioccai le dita mentre una delle mie solite e geniali idee mi affiorava nella mente. Scostai un poco la mia maglia per riuscire a scoprire la cintura dei jeans, e da questa estrassi uno dei miei gadget.
-Oh Dio, questa Charmy se la perde- rise Vector, guardandomi incuriosito. -Sentiamo, cosa sarebbe quell’affare?-
-Una semplice ed efficientissima videocamera- dissi con un sorriso soddisfatto sulle labbra, mostrando ai miei compagni il mio minuscolo ingegno tecnologico. Espio inarcò un sopracciglio. -Solo una videocamera?-
-Che è in grado di volare ed è repellente all’acqua- aggiunsi. -L’ho costruita dopo aver avuto quel piccolo diverbio con Nack nel suo ufficio. Non ho più intenzione di mandare Espio o chiunque altro di noi a spiare qualcuno alla cieca senza sapere esattamente su quale campo di battaglia stiamo giocando-.
Allungai il braccio nel vuoto e lanciai il marchingegno abbastanza lontano perché non si scontrasse con il fondo marino.
-Vector, potresti andare a prendermi un attimo il mio computer in macchina?- chiesi, estraendo dalla mia cintura un piccolo telecomando portatile con cui avrei comandato i movimenti della telecamera.  Dopo qualche minuto il coccodrillo tornò con l’oggetto della mia richiesta.
-Sicura che troveremo qualcosa?- mi domandò Espio. Accesi il mio portatile, preparando già l’applicazione con cui avremmo visto esattamente quello che vedeva il visore del mio gadget.
-Assolutamente no-.

 ***
-Cos’è che stiamo cercando esattamente?- mi domandò Vector con voce roca per la stanchezza.
-Non lo so con certezza. Qualcosa di strano o sospetto, suppongo-. Affianco a noi nel frattempo, Charmy si stava riprendendo lentamente dallo strano polline che Vector e Espio mi avevano raccontato avesse assunto. Espio gli punzecchiò il fianco con un piede, in cerca di una reazione.
-È ora di cena?- mugugnò l’ape con voce impastata e un rivolo di saliva che gli scendeva dall’angolo della bocca.
-È proprio fatto- constatò con aria esasperata il coccodrillo. Feci scendere la nostra videocamera di metro in metro in profondità, fino a quando la luce non cominciò a scarseggiare e non fui costretta ad attivare la torcia che avevo personalmente incorporato nella videocamera. Vector si sporse sopra la mia spalla, aguzzando lo sguardo. -Trovato nulla di interessante?-
-Fatta eccezione per i pesci, no-. Per svariati, interminabili minuti, che poi si trasformarono in ore, rimanemmo con le facce incollate allo schermo del computer, cercando invano qualcosa che ci potesse essere d’aiuto. Ma fu dopo due esasperanti ore di ricerca che finalmente ci furono dei risultati.
-Ehi… ehi guardate lì!- esclamai, puntando il dito in un punto dello schermo. Espio e Vector accorsero immediatamente. Alla destra della telecamera era presente una parete di rocce, e in questa vi era infossata una rientranza evidente che si sarebbe quasi potuta definire una grotta. Feci dirigere il gadget verso quella scavatura e ve lo feci slittare abilmente all’interno. Mano a mano che avanzavamo nell’oscurità, vedevamo che quel buio antro si allargava poco a poco, diventando sempre più ampio e spazioso, formando una vera e propria caverna. Avanzati di qualche metro dall’entrata, trovammo qualcosa che ci fece restare letteralmente a bocca aperta.
-Cosa diamine è quella?- boccheggiò Vector, senza parole. Mi venne spontaneo sorridere..
-Quello che stavamo cercando-. Un’enorme e larga porta in titanio chiusa si innalzava nel nostro schermo.
-Quella è una porta- mormorò ancora Vector. Espio annuì, in stasi quanto noi.
-In mezzo al mare- continuò il coccodrillo.
-Stai zitto, Vector- sibilò Espio. -Lasciami godere un attimo il momento-.
Alzai al cielo gli occhi. -Spiacente Espio, ma se è la porta che ti entusiasma tanto la devo togliere di mezzo-.
Feci avvicinare il più possibile la telecamera alla porta e schiacciai un piccolo pulsante sul telecomando che la controllava e da essa uscì un piccolo laser che cominciò a perforare il metallo della porta, formando un piccolo cerchio a causa dell’intenso calore.
Vector mi guardò confuso. -Un laser? Sott’acqua? Come diavolo hai fatto a…-
-Non sottovalutarmi, Capo. Mai- ghignai. Una volta che la telecamera ebbe fatto il suo lavoro e che ebbe creato uno spiraglio per il suo accesso, entrò.
Un installazione subacquea inattiva. Decine e decine di macchinari rotti e spenti, senza alcuna apparente utilità, si espandevano per un’ampia stanza. Computer, apparecchiature, perfino alcuni vecchi robot ricoprivano ogni centimetro delle pareti e del pavimento, donando al tutto un’aria desolata e abbandonata.
-È… è una base- dissi in un bisbiglio, incredula. Continuando a vagare per quel luogo deserto riuscii a trovare numerosi prototipi arrugginiti e inservibili dei robot con stampato il tipico ed egocentrico stemma della faccia di Eggman, vecchi progetti stampati su fogli plastificati che l’acqua aveva ormai reso inservibili e vecchi e ammuffiti libri galleggiavano, praticamente disintegrati, a qualche centimetro dal pavimento in metallo insieme a spessi tomi. Ma del Dottore non c’era alcuna traccia. In tutto quel macello non c’era niente che ci suggerisse che quel pazzo fosse stato ancora in attività o, addirittura, ancora vivo.
-Qui non c’è nulla-. Avevo controllato tutte le stanze che c’erano e avevo persino passato un bel po’ di tempo ad assicurarmi che non ci fossero passaggi segreti o stanze occultate. Quell’installazione era stata sicuramente abbandonata a sé stessa cosa che rendeva plausibile l’ipotesi di Gibson sulla tendenza di Eggman ad abbandonare periodicamente le sue basi. Ma almeno avevamo le basi, che ci assicuravano un coinvolgimento del dottore in tutto quello. O meglio… le avremmo avute qualche istante più tardi, grazie agli spasmi di cui Omega fu preda.
-Omega, che succede?- Il robot non rispose alla mia domanda, anche se i suoi occhi rimasero rossi. Poi mi colpì in pieno muso con gli artigli, provocandomi un brutto graffio.
-Dannato!- Charmy, rialzatosi all’improvviso dopo aver sentito la mia esclamazione di dolore, stette per attaccarlo frontalmente…
-Charmy, no!- …Quando intervenne Espio, saltando per primo in testa al robot, il quale continuava a dimenarsi.
-*Ppp.pprototipo…*Dist.st.st.st. testimoni.*- Vector mi aiutò a rialzarmi e ad allontanarmi prima che ci facessimo male. Espio si teneva ben saldo al capo di Omega, facendomi sospettare che di li a poco glielo glielo avrebbe staccato a mani nude. Decisi di intervenire, prima che la nostra unica fonte di informazioni andasse a farsi benedire.
-Espio, prendi!- Gli lanciai una delle mie “mini-EMP” che lui afferrò al volo nonostante la situazione impervia. -Agganciala alla nuca!-
-La mia!?-
-La sua!- Espio non era un genio dell’informatica, bisognava aver pazienza. Dopo che Espio la appoggiò proprio dietro alla testa della macchina, la piccola bomba aderì perfettamente.
-Ora scendi subito da lì!- Espio si lasciò sbalzare via, colpendo il terreno ma rimettendosi subito in piedi, facendo una strisciata sul terreno. Omega sembrava aver capito il pericolo, in quanto attivò subito le sue mitragliatrici per poi puntarmele contro.

-*P.pp.prrrrgg. “Perdono”*- Avevo già preso il comando manuale, e mentre le sue canne da fuoco avevano cominciato a girare premetti il pulsante. Da Omega partì una lieve onda d’urto che smosse l’erba attorno a lui e lo fece cadere per terra, provocando un grosso tonfo. La cosa era strana, per non dire allarmante. Vector mi era rimasto vicino per controllare la mia ferita
-Hai un brutto taglio. Bisogna coprirlo subito- Mi toccai la guancia sinistra, dolorante come tutta la mascella, per capire in che condizioni versava, ma Espio cercò di farmi desistere.
-Non toccarla. Non hai le mani pulite-. Mi guardai la mano e la vidi tutta sporca di sangue. Charmy, che sembrava finalmente essersi ripreso completamente, si avvicinò cautamente al robot, completamente sedato.
-Che cos'è successo? Perché ha attaccato?- Espio, come sempre, aveva prestato più attenzione di noi anche in quela situazione di emergenza .
-Ha pronunciato diverse parole disconnesse, del tipo “prototipo” o “Perdono”. Forse era cosciente mentre ha attaccato-. Avevo capito qual'era il problema. Pertanto, mi avvicinai per esporlo.
-No, non erano parole a caso-. Vector, preoccupato, mi fermò subito.
-Non mi hai sentito? Non muoverti, e tu Espio, puoi ricucirle la ferita?- Espio aveva già preparato degli unguenti e stava tendendo il filo.
-Aspetta un attimo Vector, è importante. Quelle parole non erano buttate a casaccio, facevano parte di un discorso. E anche se lo fossero state, hanno cominciato a venire fuori dopo che Omega ha visto le immagini sul computer-. Vector, visibilmente spaventato dal fatto che, forse, c’era qualcuno che volesse impedirci di scoprire informazioni scomode, non poté che mostrare la sua confusione in merito.
-Quindi? C’è qualcuno che ci vuole morti? Di nuovo? Eggman?-
-È probabile. Ma non credo che sia stato lui ad attivare quell’istinto omicida in Omega. Non in questo esatto momento, almeno. È come se si fosse attivata una difesa automatica per impedirgli di ricordare ciò che aveva visto o fatto in quel periodo di tempo-. Rimanemmo tutti muti per qualche secondo, lanciandoci occhiate allarmate. Ognuno di noi vagava con la propria mente, in cerca di qualcosa che potesse tranquillizzarci per un po’ in attesa di trovare una soluzione, quando in realtà, più che tranquillizzarci, il nostro compito era di scovare il colpevole prima che questi scovasse noi. E i tempi cominciavano a stringersi. Persino la tipica temerarietà di Vector aveva lasciato il posto ad un po’ di timore.
-Intanto dovremmo cominciare a muoverci e riportare il ferro vecchio da Tails.  Forse lo hai fritto un po’ troppo, Cream-.
-Nah, è solo svenuto. È vero, ho dovuto danneggiare certi circuiti, ma quella bomba non è potente come le EMP normali. La memoria centrale quindi dovrebbe essere a posto. Nulla che Tails non possa riparare. Certo, non ne sarà entusiasta-.
-Chi se ne importa- sbottò Charmy, afferrando Omega per un braccio e trascinandolo, con immane fatica,  fino alla macchina. -Per me questo rottame ha già fatto abbastanza-. Espio mi guardò, cercando di comunicarmi con lo sguardo che era il momento di curarmi. Mi fece sedere per terra, mentre lui mi si mise in ginocchio davanti. Odiavo quegli unguenti.
-Non ti mentirò: la ferita è profonda, quindi stavolta le cure saranno particolarmente dolorose. Ma poi starai meglio-. Si avvicinò e scrutò con più attenzione il taglio. -Heh…quel tipo è formidabile, sarebbe utile al Team-. Io, mentre mi preparavo al dolore imminente, cercavo di distrarmi dall’idea dei dolorosi disinfettanti di Espio.
-Forse… dopo che lo avremo ripulito per bene. Ora è troppo pericoloso- borbottai mentre Espio mi passava la salvietta impregnata di liquido. Ci eravamo trovati costretti ad implorare l’aiuto di Tails, e nonostante tutto ciò che stava facendo per noi, gli stavamo anche nascondendo i nostri committenti per paura che si sarebbe tirato indietro. Non sapevo gli altri, ma non potevo negare che questo non stava facendo bene alla mia coscienza. Avevamo fatto diverse scoperte, ma nulla che potesse rendere particolarmente contenti i nostri. E tra l’altro, lentamente mi stavo rendendo conto che, per ogni passo in avanti che facevamo in quell’indagine, ci stavamo creando dei nemici pericolosi. Quel giorno avevamo rischiato la vita. Certo, non era raro, ma le cose si stanno facendo più infide, più imprevedibili. Non sapevamo ciò che ci attendeva, non potevamo nemmeno immaginare come le cose avrebbero preso una piega del tutto inaspettata, con eventi fuori dalla nostra comprensione da ogni punto di vista. Ma potevamo solo proseguire per scoprirli.

***  
Eggman
Nella tranquilla penombra della stanza mi stavo godendo il rilassante massaggio alle tempie che in quel momento le mani gelide e metalliche di uno di miei robot mi stava facendo. Sospirai soddisfatto, affondando la schiena nella mia comoda poltrona. Un altro dei miei robot nel frattempo mi stava aggiustando un poco i baffi, dandogli una leggera sfoltitina. La porta della mia stanza si aprì improvvisamente.
-Vi ho detto mille volte che non voglio che nessuno mi interrompa nella mia sacra ora di relax!-sbraitai, alzandomi in piedi dando un pugno sul bracciolo della poltrona e voltandomi verso lo stolto che aveva osato fare un’eresia del genere. Orbot mi guardò indifferente, abituato ad anni e anni di ascessi di rabbia da parte mia.
-Dottore, non per essere inopportuno, ma non ha avuto alcuna interiezione con nessun essere vivente per più di vent’anni e quelle che ha avuto in precedenza sono state esclusivamente con i suoi arci-nemici. Non mi sembra il caso di farsi fare una pulizia del viso da alcuni dei nostri soldati in un momento come questo-. Incrociai le braccia e mi stirai la schiena, lanciando un’occhiata scocciata ad Orbot.
-Non dire sciocchezze, Orbot. Mi sto facendo bello per la mia imminente entrata in scena-. Mi risistemai gli occhiali sul naso con un gesto quasi meccanico e congedai i due robot che mi stavano aiutando nel mio intento di distendere i nervi. Era lecito essere così preoccupato in quel periodo. Infondo avevo solo una possibilità per la riuscita del piano e questa volta non si poteva tentare la sorte una seconda volta.
-Come stanno gli Smeraldi del Sol e del Chaos?- chiesi. Ormai la nostra meta era vicina. Avevamo quasi quasi rubato tutte le Pietre con successo e senza troppi intoppi… tranne per quelle poche basi che avevamo necessariamente dovuto radere al suolo e per quella manciatina di cadaveri che abbiamo dovuto forzatamente lasciarci alle spalle.
-In ottime condizioni, signore. Li abbiamo messi nelle capsule di contenimento per mantenere stabile il loro potere ed evitare che interferissero con i nostri macchinari-.
Annuii sollevato. -E i nostri fiori all’occhiello?-
-Se parla dei due Progetti “Fedeltà” e “Neonato”, bene. Le modifiche che ha richiesto saranno ultimate a breve- spiegò.
-Bene. Non posso permettere che quello che è successo con il “Progetto Perdono”, o “E-123 Omega”, se preferisci, succeda di nuovo con quei due- ringhiai, stringendo i pugni con rabbia. Scossi la testa e cercai di rimanere lucido. -Orbot, dimmi perché sei qui. Hai qualcosa da dirmi?-
Il robot mi rotolò un po’ più vicino, guardandomi dalla sua bassa statura. -Sì, Dottore. Le nostre telecamere hanno rilevato una tentata intrusione, e…-
-Non continuare. Lo so già-. Dal bracciolo della poltrona afferrai un piccolo telecomando e ne schiacciai un pulsante. Gli schermi dei computer della nostra base si illuminarono improvvisamente, mostrando una sequenza di immagini registrate rappresentanti una piccola, quasi microscopica, telecamera che vagava nelle vastità del mare e che si infiltrava tra le rocce.
-È preparato a quanto vedo- si complimentò Orbot con quel suo solito sorriso. Se sorriso si poteva chiamare, visto che era privo di labbra. Feci un cenno con la testa verso i computer.
-Non so a chi appartenga quell’affare, ma chiunque sia ci sta cercando e si sta avvicinando a noi. Abbiamo fatto bene a costruire il nuovo quartier generale così vicino a quello precedente. È improbabile che ricontrollino in questa zona-.
-Ma non impossibile- continuò Orbot, dicendo ad alta voce la mia più grande paura. -Spero che lei sia consapevole che essere scoperti ora significherebbe la nostra fine-. E tutto il nervosismo che avevo cercato di reprimere per il bene nel mio corpo era finalmente uscito come una nuvola di vapore.
-Non parlare in questa maniera- sibilai in un ringhio. -La negatività è l’ultima cosa che ci serve in questo momento. In ogni caso, non hai tutti i torti. Ma non ho intenzione di spostare la base adesso che siamo così vicini alle battute finali della corsa-. Rivolsi uno sguardo interrogativo ad Orbot, cercando di calmarmi. -Dimmi, come stanno le truppe?-
-Dure e determinate come il ferro. Oserei dire come l’acciaio, in certi casi-.
-Bene. Preparatevi: con il prossimo colpo prendiamo tutti gli Smeraldi che rimangono. Sarà l’attacco più massiccio eseguito fino ad ora… e se non ci riusciamo, l’ultimo. Non voglio errori, o i soldati si pentiranno che li abbia anche solo assemblati. Comunicaglielo, prima che partano-.
Orbot annuì con fare stranamente sottomesso. Potevo chiaramente capire che anche lui e probabilmente Cubot fossero turbati. La mia ultima sconfitta significava anche il loro probabile spegnimento. -Come desidera, Dottore-.
“Presto questo vecchio e debole corpo sarà sostituito da quello di una divinità. Quando avrò ottenuto tutti e quattordici gli Smeraldi tutto il mondo, no, anzi, l’intero universo verrà identificato sotto l’etichetta “Eggman Land”. E ci sarà un nuovo Dio a comandarlo. Tutto questo, sempre se la profezia è stata veritiera. In caso contrario, tutti i nostri sforzi saranno stati inutili. Ma dobbiamo tenere acceso il nostro unico barlume di speranza. Non abbiamo altra scelta’’.

***
Althea
Presi un respiro profondo, raddrizzando le spalle e guardando con aria convinta la porta della stanza di Dash. Ormai era qualche giorno che cercavo di evitarlo disperatamente, ma non potevo più rimandare l’inevitabile. Ma che diavolo avrei dovuto dirgli? Ciao Dash, scusa se ti ho evitato per tutto il giorno ma volevo chiederti scusa dal più profondo del mio cuore per averti carbonizzato mezza gamba?
No, decisamente no. Mi ero anche rinchiusa come… come un’idiota nella mia stanza per esercitarmi a chiedergli dannatamente perdono, ma mi sentivo stranamente in soggezione e in imbarazzo a doverlo fare adesso, davanti a lui. Non era esattamente una delle cose che ero abituata a fare… di solito, se facevo qualche danno nella mia dimensione, ci pensava qualche membro di corte a risarcire personalmente la persona a cui avevo bruciato qualche arto o i suoi effetti personali e a chiedergli scusa da parte mia. Altro motivo per cui non andavo molto spesso in giro per la città. Feci per alzare il braccio e bussare alla porta ma mi bloccai, sentendo un imbarazzo profondo farsi strada nelle mie vene. Non ci riuscivo. Per quanto fosse una faccenda stupida mi vergognavo troppo di quello che avevo fatto. Sospirai, riabbassando immediatamente il braccio. “Oh Dio. Non è possibile, non è possibile! Sei una regina, datti un po’di contegno, dannazione. Hai fatto cose più imbarazzanti.’’ Strinsi i denti e mi apprestai a bussare per la seconda volta. Prima che mi riuscissi a muovere, la porta si aprì violentemente e mi colpì in faccia con lo spigolo. Caddi a terra disorientata e mi portai una mano sul volto.
-Lurido pezzo di…- sbraitai, trattenendomi a stento per il dolore insopportabile che si era sfoderato sul mio naso.
Dash mi guardò stranito. -Althea?- esclamò confuso, prima di capire cosa fosse successo. -Oddio, come stai?- chiese, inginocchiandosi subito davanti a me. -Tutto bene?-
-Sì… abbastanza-. Lasciai la presa che avevo fatto sul mio naso per alleviare leggermente il dolore e mi premetti una mano sulla testa.
Dash mi guardò spaventato la faccia. -Oh no-.
-Che c’è?-
-Niente. Seguimi-. Mi afferrò prontamente per un polso, aiutandomi ad alzarmi e trascinandomi dietro di sé. Scendemmo le scale praticamente saltando direttamente al piano terra.
-Dash? Sei impazzito?!- esclamai quando a malapena riuscii a mantenere l’equilibrio dopo che ebbe sceso con un salto gli ultimi tre scalini. Con un leggero strattone mi costrinse a continuare la nostra scarrozzata.
-Mamma?- disse ad alta voce il riccio. Dalla cucina si sentì un rumore di varie stoviglie che venivano buttate a mo’ di peso nel lavandino e dell’acqua che stava scorrendo da quest’ultimo.
-Oh, tesoro!- esclamò Amy. Lo scroscio dell’acqua venne interrotto. -Capiti proprio a fagiolo! Voglio parlarti un attimo riguardo ad Al…- Quando la riccia rosa apparve oltre la soglia della cucina e mi guardò, sul volto le comparve un’espressione come quella di qualcuno che viene colto sul fatto, poi sgomenta.
-Oh mio Dio, Dash! Che diamine è successo?!- strillò, buttando dietro di sé lo strofinaccio con cui si stava asciugando le mani poco prima e avvicinandosi a me. Aggrottai le sopracciglia, chiedendomi se forse tutti fossero impazziti. Ma mi accorsi solo in quel momento che qualcosa mi stava colando abbondantemente dalle narici. Mi tastai allarmata il labbro superiore su cui ormai il gusto di quella sostanza si era già espanso, e quando la guardai le dita si erano colorate di un rosso scuro. “Oh no.’’
-Le… le ho sbattuto la porta in faccia- spiegò Dash imbarazzato, abbassando lievemente la testa. Amy lo guardò infuriata con un cipiglio severo sul volto.  
-Sei forse impazzito?! Ok, capisco che tu abbia dei motivi per essere nervoso, ma picchiare una ragazza?! Che razza di figlio ho cresciuto?!-
-Signora, non è andata cos…-
-Oh, cara, tu siediti e stai tranquilla. Corro a prendere la cassetta medica-. Poco dopo che si fu allontanata Dash mi si avvicinò, passandomi uno straccio arrotolato attorno a del ghiaccio.
-Premilo contro il naso, dovrebbe aiutare-.
-Ti ringrazio. Che ha tua madre oggi?-
-Lascia stare, si agita sempre quando vede del sangue. Cerca di mantenere la calma, ma tende a cadere ancora più nel panico. E smette di ragionare-. Mi lasciai volontariamente scappare una risatina ironica.
-Va bene, ma la prossima volta che mi “picchierai brutalmente”, cerca almeno di non trascinarmi giù per le scale. Potevi uccidermi davvero-.
-Ops. Pardon, colpa mia-. Ci fu un attimo di silenzio in cui, come facevamo spesso in quel periodo, facevamo di tutto per non guardarci direttamente. Poi lui si fece avanti.     
-Beh, allora… uhm… com’è il tuo mondo?- mi domandò, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. In effetti c’era un’aria vagamente tesa all’interno della stanza.
-Pensavo di avertelo già detto-. Lui sorrise nervosamente, spostando la grattata alla cima del capo.
-Sì, sì.  Ma come lo vedi tu?- Il mio orecchio si contrasse in uno scatto involontario mentre cercavo di capire perché gli interessasse tanto la mia storia. Mi premetti il ghiaccio delicatamente sul naso, chiudendo gli occhi e riflettendo.
-Beh… ogni volta che ho la possibilità di uscire dalle mura, la prima cosa che faccio è andare sulla collina poco lontana da casa e allargare le braccia, godendomi appieno il vento e il panorama che si vede da lì- sospirai, sentendomi invadere di una strana pace il petto. -Sai, la mia città è molto bella vista dall’alto. Soprattutto quando c’è bel tempo-.
Dash inarcò un sopracciglio. -In che senso quando puoi uscire dalle mura?-
Mi irrigidii, capendo che ero riuscita a fregarmi da sola. -Mura… mura in senso metaforico, mura di casa. Io ho molti impegni, i miei hanno molti impegni, sai com’è…- blaterai, ridacchiando nervosamente e mordendomi un labbro. Parlai così velocemente che per un attimo mi sembrò di essere diventata Emily.
Dash appoggiò la guancia sul palmo della mano, guardandomi con un sorriso furbetto sulle labbra. -Ma davvero?- chiese con un tocco di stuzzicante ironia.
-Inoltre, quando ne abbiamo la possibilità io e la mia famiglia viaggiamo in città lontane o in altri continenti. Quando vivi a lungo in un solo posto è bello cambiare per un po’ panorama- continuai, ignorando volutamente i suoi sorrisi che cercavano di provocarmi.
Lui si risistemò sulla sedia, appoggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi verso di me. -A proposito dei tuoi genitori, ma non ti mancano neanche un po’? Dico, non senti la loro mancanza?-
-No. Sono delle persone violente e aggressive. Spesso mi maltrattano-.
Il riccio sbarrò gli occhi, perdendo ogni traccia dell’allegria che aveva prima. -Davvero?-
Feci un sorrisetto ironico. -No. E ad essere sincera, mi mancano un po’-. Sembrò sollevato delle mie parole e si rilassò sulla sedia. Dopo quello, nessuno dei due continuò il discorso. Nella stanza cominciò a regnare di nuovo quell’odioso silenzio che compare quando due persone cercano di introdurre un discorso ma non sanno come fare. Abbassai lo sguardo e mi tolsi il ghiaccio dalla faccia, schiarendomi la voce per quanto nasale potesse essere.
-Ehm… Dash… lo so che non centra molto ma…- borbottai con la voce che mi era improvvisamente venuta meno. Cominciai a tormentarmi inconsapevolmente le mani da sotto il tavolo e sentii un calore a me non famigliare sulle guance. Oh cavolo, sarà stato da almeno dodici anni che non arrossivo.
-Cosa? Ti maltrattano davvero? È questo che vuoi dirmi?-
-No!- Presi un bel respiro e lasciai andare tutto quello che ancora mi tratteneva. -Scusami-.
-…”scusami” per cosa?-
Indurii la mia espressione e lo guardai un po'innervosita. -Per cosa, secondo te? Per la gamba-.
-Oh, per questa?- disse, quasi si stesse mettendo a ridere e abbassando la testa. -Te l’ho detto: sono una roccia! E poi è già quasi guarita-. Il suo atteggiamento mi risollevò un po’. Mi voltai di lato, cercando di coprire il fatto che sul mio viso stava nascendo un lieve sorriso. Pensavo che a momenti avrei anche potuto chiudere gli occhi tanto ero rilassata. Poi sospirai, riportata alla realtà.
-Ma resta il fatto che ho distrutto parte della città. Ho ferito molte persone-.
Dash scosse energicamente la testa. -Non sei stata tu. È stato quell’essere-. Le sue parole mi stupirono. Davvero non mi giudicava responsabile? Riponeva così tanta fiducia in me?
-Quell’essere fa parte di me, Dash. Se io esisto, esiste anche lui-. Alzai lo sguardo e vidi che Dash stava praticamente pendendo dalle mie labbra. - Ho anche parlato con i tuoi genitori-.
Lui rise soddisfatto. -Oh, lo so- mormorò tra sé.
-Come?-
-Heh... niente. Continua pure-.
Lo guardai con sospetto, ma evitai di chiedergli ulteriori informazioni a riguardo. -Tuo padre ha discusso riguardo il problema con il signor Miles, il quale sostiene che i miei poteri si siano sentiti… intrappolati, quando abbiamo provati a tenerli a bada con quegli anelli. Così, si sono ribellati. Hanno provato a prendere il controllo su di me, a controllarmi- dissi, piena di vergogna per essere così… diversa. Certe volte avrei voluto essere un adolescente normale, con i suoi stupidi e insulsi problemi. E invece ero sempre accompagnata  dalla preoccupazione di poter essere la responsabile di un genocidio ogni volta che andavo a fare una passeggiata per strada. -Quella cosa… quella bestia è venuta da dentro di me. Ed è ancora lì. La sento- sussurrai.
La mano di Dash si poggiò sulla mia. -Bene- disse lui di rimando, sorridendo dolcemente. -Avere quella cosa dentro non fa di te un mostro. Ma sapere quando lasciarla andare; questo è quello che fa di te una brava persona-.
Schiusi le labbra per dire qualcosa ma, per la prima volta, Dash era riuscito a farmi restare senza parole. Abbassai lo sguardo e rimasi lì, a boccheggiare come un pesce, cercando di dire qualcosa che non suonasse incredibilmente stupido al momento. Poi alzai gli occhi e gli sorrisi sinceramente.
-Grazie-. 
Amy irruppe improvvisamente nella stanza, facendoci sobbalzare. -Eccomi qui! Scusa il ritardo Althea, ma non riuscivo a trovare la…- La riccia guardò la mano di Dash ancora poggiata sulla mia con un misto di confusione e contentezza. Ritirai di scatto il braccio, sentendomi nuovamente avvampare pesantemente. Sapevo che probabilmente aveva frainteso cosa fosse successo, e sapevo anche che prima o poi avrebbe intavolato il discorso con uno dei due per cercare di vederci più chiaro nella faccenda.
-…cassetta medica- terminò, con la bocca praticamente spalancata lei. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di riscuotersi dalla sua trance e di avvicinarsi a me con in mano del cotone umido e un disinfettante.
Mi si fermò davanti e mi ordinò di reclinare la testa all’indietro per poter controllare i danni della mia presunta zuffa con il figlio. Quando fui a testa in giù riuscii a notare che Dash mi stava fissando ad occhi socchiusi. Sulle labbra aveva un sorriso furbo, divertito, curioso. E lo capii solo in quel momento. Per lui il nostro gioco era finito. Avevo smesso di essere solo una sfida con cui confrontarsi e mi ero elevata ad un altro livello. Ricambiai il sorriso con un ghigno altrettanto sbruffone, incrociando le braccia al petto. Era come se ci stessimo parlando solo con gli occhi. Ma la nostra battaglia era iniziata già molto prima che ce ne accorgessimo. Tutto stava cambiando, ogni cosa. Quello che potevamo e non potevamo controllare, tutto.
E non ci sarebbe stato l’eroe a fermare l’ira del mostro questa volta.

***
Shadow
Che giornata. Una di quelle che ti tenta di farti lasciare tutto alle spalle per andare a fare una passeggiata nei dintorni. D’altro canto, non avevo più tempo per le passeggiate e avevo troppi pensieri per la testa. Soprattutto dopo che mi ero reso conto che ciò che avevo fatto non era reversibile. Ero partito con le migliori intenzioni, ma nonostante tutto provavo rimorso. Mi chiedo tuttora se, indipendentemente da quanto onorevole possa essere un fine, sia normale dopo aver oltrepassato un punto di non-ritorno comprendere tutte le sfaccettature negative di quel gesto e concentrarsi solo su quelle. Questi  pensieri mi tormentarono per tutta giornata. E nonostante questo, mi sembrava tutto nella norma: nessun effetto collaterale, nessuna stanchezza o giramento di testa, nulla. Forse tutti gli sforzi che avevo fatto per riuscire ad ottenere il vaccino erano stati inutili...
Peggio ancora, Gardon detesta quando un suo consiglio non viene seguito. Mi venne in mente quando vidi l’ormai anziano koala dirigersi verso di me con uno dei suoi sorrisetti per l’ennesima volta.
-Allora? Com’è andata la giornata, Shadow?- mi chiese. -Rilassante?- Mi massaggiai il collo con un movimento stanco della mano.
-Ad essere sincero, ho deciso di non ascoltare il tuo consiglio oggi-. Gardon, sentendo queste parole, raddrizzò la schiena con un movimento automatico e ci incrociò dietro le mani. Nonostante la sua espressione si fosse indurita notevolmente, non riuscii a capire se volesse rimproverarmi o lodarmi per la mia scelta.
Feci un sorriso che forse al momento avrebbe potuto sembrare come un atto di sfida. -Hai intenzione di farmi la predica a riguardo?-
Gardon scosse con un movimento lieve la testa. -Ciò che penso io non ha importanza. Il re qui sei tu. Ma per quanto tu ti stia occupando a meraviglia di un intero regno, di una stupenda famiglia, di centinaia di migliaia di persone di cui non hai nemmeno mai visto il volto né conosci il nome, continui ad ignorare te stesso. Credi sia giusto?-
Incrociai le braccia e serrai la mascella. -Hai una considerazione di me più alta di quanto dovresti. Infondo penso a me stesso più di quanto tu possa credere-.
Gardon cominciò ad irritarsi. -Allora non è abbastanza. Ma fai come ritieni opportuno-.
Sospirai, abbassando il capo. Forse Gardon aveva ragione. In più, avrei potuto afferrare la palla  al balzo e approfittare del suo discorso. -Ora che mi ci fai pensare, devo andare un attimo nei miei alloggi. C’è una cosa che devo controllare-.
Nonostante avessi lo sguardo ancora abbassato, potei chiaramente percepire il sorriso soddisfatto di Gardon. -Suppongo che sia un gradevole inizio. La lascio ai suoi affari, maestà-. Quando rialzai la testa per ringraziarlo, Gardon se n’era già andato. Questo mi ricordò dei miei anni alla G.U.N., quando mi ritrovavo a minacciare e a interrogare uno dei nostri nemici e a sparire un attimo dopo tra le ombre. “Quindi è questo l’effetto che fa…’’

***
A volte mi dimenticavo di come fosse difficile arrivare agli alloggi reali, situati al piano più alto del castello, senza svenire dalla stanchezza prima. Mi ero già accorto da tempo di essere decisamente fuori allenamento. Una volta terminata l’infinita salita mi diressi velocemente verso le mie stanze, notando che ogni volta che qualche gruppo di guardie che fino a qualche attimo prima conversavano amabilmente di chissà quale scurrile e sciocco argomento, da lontano notavano la mia presenza improvvisamente si zittivano, mostrandomi il loro rispetto e fedeltà. Mi ricordavo la sensazione e ciò che loro stessi durante e dopo l’orario di lavoro provavano, e ciò in qualche modo mi faceva sentire ancor più responsabile della loro sicurezza. Improvvisamente, la nostalgia cominciò a pervadermi la mente e mi fece preoccupare delle condizioni in cui potesse trovarsi in quel momento Pal. Una spinta in più a trovare in fretta i colpevoli degli efferati omicidi avvenuti nel tempio l’ultima volta. E finalmente, mi trovai davanti all’elegante uscio della porta delle stanze reali, decorato di metalli e pietre preziose e con incisi dei disegni simbolici… di cui non ricordavo io stesso il significato malgrado le varie e noiosissime lezioni che ricevetti dai sermoni reali poco prima del mio matrimonio e dopo che Blaze, scavalcando ostacoli titanici rappresentati dai membri del Consiglio e dai nobili puri, riuscì ad elevarmi al titolo di Duca dei territori adiacenti a Flaritas.
Aprii delicatamente la porta, guardando attraverso un piccolo spiraglio se Blaze fosse tornata dopo la sua giornata lavorativa, cosa probabile visto che era ormai notte inoltrata. Entrai all’interno della stanza e mi richiusi  delicatamente dietro le spalle la porta, la quale nel farlo emise un lieve clack. Tesi i nervi a questo impercettibile rumore. Nel letto a due piazze davanti a me, vidi una Blaze addormentata sopra le coperte in posizione fetale, con ancora i vestiti da giorno composti da un cappotto lungo viola con i bordi colorati di un porpora scuro e da dei pantaloni neri attillati, e le scarpe con il tacco basso dello stesso colore dei bordi della giacca addosso. Probabilmente si era appisolata per un minuto stendendosi sul letto e non era riuscita a reggere la stanchezza. Un piccolo sorriso mi comparve sulle labbra, ma scomparve subito quando mi ricordai perché ero tornato nella mia camera. Mi diressi immediatamente e nel modo più silenzioso possibile nel bagno. Accesi la luce e mi tolsi la giacca, appallottolandola e buttandola sul pavimento in malo modo per la fretta. Presi un breve respiro di incoraggiamento e mi guardai il braccio su cui mi ero fatto la puntura. Niente. Nessun segno, nessun livido, nessun gonfiore, niente. Come se la cosa non fosse mai successa. Per un attimo mi chiesi se avessi sbagliato qualcosa nell’iniettarmelo, ma poi alzai gli occhi verso lo specchio. La mia faccia. Avevo delle occhiaie che ora più che mai spiccavano spaventosamente bene sul mio volto da perenne venticinquenne e delle rughe pronunciate che prima non avevo mai visto. Il battito cardiaco cominciò a risuonarmi sordo nelle orecchie per tutto il silenzio che c’era. Cercai di essere ottimista, di pensare che il tutto fosse dovuto alla stanchezza. Volevo sinceramente crederlo. Lo speravo perché quella che temevo era l'altra ipotesi.
Effetti collaterali.

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