Attenti a quei due

di Ignis_eye
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A volte la sconfitta non è così amara ***
Capitolo 2: *** Il nano fascista ***



Capitolo 1
*** A volte la sconfitta non è così amara ***



«Ufaaaaaaa! Mi sto stufando!».
«Elsa, porta pazienza» disse Damiano incrociando le braccia «Prima o poi smetterà di piovere».
La bambina sbuffò spazientita: erano appena cominciate le vacanze estive della terza elementare, possibile che dovesse per forza piovere?
Il suo faccino dai tratti morbidi  era bloccato in una smorfia di stizza, con la fronte aggrottata e le labbra serrate.
«Bambini, fate i bravi» li ammonì Gioia dalla cucina «Se farete i buoni, dopo potrete avere un po’ della torta che sto facendo».
Alla magica parola “torta” i due cugini saltarono come molle.
«Zia, davvero fai una torta?» domandò Damiano tutto contento «A che gusto?».
«Sì mamma, a che gusto? La fai al cioccolato?».
«E’ una sorpresa…».
«Mamma, dai diccelo!».
«No, lo scoprirete quando sarà pronta» stabilì sbucando con la testa dalla porta della cucina «adesso andate di sopra a giocare, quando è pronta vi chiamo».
«Ok».
«E un’altra cosa: non fiutate l’aria qua attorno per cercare di capire cosa sia, deve essere una sorpresa!» esclamò allegra «quindi andate e divertitevi».
«Va bene, mamma».
Corsero tutti e due al piano di sopra, azzuffandosi per le scale e in corridoio per vincere la gara di velocità.
«Arrivo prima io!».
«Damiano, smettila di spingermi o mi trasformo in lupo e ti mangio».
«Provaci!» la sfidò «tanto non ce la fai a-».
La frase gli restò in bocca quando una lupacchiotta dal pelo marrone con striature più chiare gli saltò sulla schiena, facendolo cadere.
Balzò due metri più avanti e toccò la porta del bagno, il traguardo della gara.
«Visto?» gorgheggiò «Ho vinto io!».
«Ma non vale, ti sei trasformata!».
«E tu mi hai spinto. Siamo pari».
Il cugino sbuffò: non c’era modo di averla vinta, tuttavia…
«Hey, ma che-» si lamentò Elsa «smettila di mordermi l’orecchio!».
Anche Damiano si era trasformato in un lupetto grande quanto un cane, ma stranamente non aveva il pelo nero come i suoi capelli, bensì grigio. Era raro che un licantropo avesse i capelli e il pelo di un colore diverso, ma lui non se ne preoccupava.
«Facciamo la lotta!» esordì scodinzolando «chi vince mangia la prima fetta di torta».
«Va bene, e oltre a mangiare la prima, può averla anche più grossa!».
Elsa era sicura di vincere, perciò alzò la posta.
La sua era una famiglia di licantropi guerrieri, aveva cominciato ad allenarsi già da piccolissima, aveva talento per la battaglia e gli scontri.
Damiano, invece, era più propenso a contrattare a parole, ma da quando viveva con la famiglia di suo zio, aveva capito che con la cugina non erano molte le chance di compromessi vantaggiosi, testarda com’era.
I suoi genitori erano stati uccisi l’anno prima da un branco di lupi mannari, eterni nemici dei licantropi, invidiosi della loro capacità di trasformarsi a piacimento.
Era stata dura per lui, ma in quella casa gli volevano bene ed Elsa, otto anni come lui, lo trattava come un fratello.
«Va bene, ci sto!».
Si acquattarono al pavimento ringhiando e schioccando le mascelle, pronti a saltare addosso all’avversario.
Elsa attaccò per prima, mordendogli il collo, ma Damiano si liberò in fretta e le diede una zampata sulla testa.
La lupacchiotta lo spintonò facendolo ruzzolare, ma lui l’afferrò per la coda con un morso e se la trascinò dietro giù per le scale.
Il caso volle che cadendo, Elsa rimanesse schiacciata sotto il cugino senza riuscire a rialzarsi, perdendo così lo scontro.
«Bambini, smettetela di azzuffarvi! Questo mese è già la seconda volta che rovinate i gradini delle scale» li rimproverò la madre dalla cucina «Andate a giocare senza trasformarvi».
«Uffa» sbuffò Elsa ritornando umana «ho perso solo perché sei pesante, sennò avrei vinto io».
Damiano le rispose con una linguaccia e tirandole scherzosamente una ciocca riccioluta.
«Sarà stata solo fortuna, fatto sta che la fetta più grande la mangio io».
«Dai, andiamo su» tagliò corto Elsa, frettolosa di metterlo a tacere.
Questa seconda volta salirono le scale come la gente normale, andando a giocare in camera di Damiano.
Passarono un’oretta con le macchinine e i soldatini, inventando battaglie e corse fantastiche, ma si stancarono presto.
«Elsa, cosa facciamo?».
«Boh» rispose sospirando.
La bambina guardava la pioggia fuori dalla finestra, domandandosi se sarebbe finita prima di sera: ormai erano le tre del pomeriggio e cominciava a non poterne più di stare in casa.
Le gocce di pioggia sul vetro scendevano fondendosi tra loro fino a diventare più grosse e veloci, arrestando la loro corsa sul bordo inferiore della finestra.
Erano belle da guardare: tutti e due si misero a fare il tifo per una goccia, sperando che la propria arrivasse prima di quella dell’altro, ma ancora una volta la noia prese il sopravvento.
«Io vorrei andar fuori…».
«Anche io, ma la zia ha detto che i bambini umani non vanno fuori con la pioggia e allora non dobbiamo farlo neanche noi».
«Che noia, però. Sarebbe divertente».
«Sì, ma non possiamo attirare sospetti hanno detto gli zii».
Elsa non obiettò oltre: sapeva quanto fosse importante restare nascosti agli occhi degli umani, era necessario per permettere a tutti i licantropi di vivere abbastanza tranquillamente.
Passarono ancora qualche minuto a guardare le gocce che si rincorrevano sui vetri bagnati, finché…
«El».
Sapeva che la cugina odiava essere chiamata “El”, perciò sperava di infastidirla e ricominciare a fare la lotta.
«Da!».
Gli rispose lei, stando al gioco esclamando solo le prime due lettere del suo nome.
«Sa!».
«Mi!».
«El-sa sal-sa» la schernì lui.
«Ano!».
Si zittirono tutti e due di colpo. Neanche lo avesse fatto apposta.
«Elsa?».
«Sì?».
«Non mi piace più questo gioco».
La bambina scoppiò a ridere e lo prese in giro:
«Ahahaha! hai cominciato tu e ti sta bene!».
«Uffa» si lamentò il bambino diventando rosso di vergogna
«Ahahaha!».
Anche se adesso veniva preso in giro, nemmeno seppe trattenersi dalle risate, perché che i bambini siano umani, licantropi, elfi o nani, certi argomenti fanno sempre ridere.
«Adesso però pensiamo a un gioco bello» concluse tenendosi ancora la pancia.
«Mmm… ci sono!» esclamò come colpita da una scossa elettrica «Giochiamo a nascondino!».
«Va bene, ma chi conta?».
Fecero sasso carta e forbice e questa volta la fortuna parteggiò per Elsa, lasciando a Damiano l’ingrato compito di cercare per primo.
«Conta fino a trenta e non sbirciare».
«Sì sì. Adesso comincio».
Indossò un paraorecchie regalatogli dallo zio: era magico e bloccava completamente qualunque rumore.
Essendo solo un bambino, non avrebbe potuto avere oggetti magici, ma il paraorecchie lo aveva aiutato nelle notti agitate, quelle in cui i ricordi dell’omicidio dei genitori si facevano insopportabili, impedendogli di sentire i rami che picchiettavano in modo inquietante contro il vetro o le imposte che scricchiolavano.
Ora non ne aveva più bisogno, e lo usavano entrambi quando si giocava a nascondino: avendo l’udito fine, avrebbero potuto sentire i passi e scoprire subito dove si nascondeva l’altro, ma così le partite duravano di più.
Damiano appoggiò le braccia alla parete nascondendovi dentro il viso e cominciando la conta:
«Uno, due, tre…».
Elsa corse fuori dalla stanza cercando un buon posto per nascondersi. Era davvero brava a nascondino, a scuola vinceva sempre durante la ricreazione: un po’ per via dei suoi sensi sviluppati, un po’ perché gli alti bambini erano poco portati per il gioco.
Anche quando toccava a lei contare, li trovava sempre tutti, non c’era modo di scappare da lei. D'altronde, era una licantropa, una cacciatrice nata.
«Dieci, undici, dodici…».
Colpo di genio: la soffitta!
Aprì la botola con la cordicella e saltò su senza nemmeno abbassare la scala: tanto non le serviva, la sua forza era spaventosa già ad otto anni.
Superò agilmente gi scatoloni impolverati e le ragnatele che ricoprivano ogni angolo, accucciandosi dietro un vecchio mobile tarlato.
«Ventiquattro, venticinque, ventisei…».
Le parole di Damiano le arrivavano attutite attraverso i muri, e l’aria polverosa le dava un po’ fastidio.
«Ventinove, trenta! Arrivo!».
Sentì i passi lungo il corridoio e indugiare sotto di lei.
«Elsa?».
Ok, l’aveva beccata subito,era chiaro.
«Sì?».
«Non mi piace giocare a nascondino in casa, è noioso».
«La cordicella, vero?» domandò come chi sa già cosa ha sbagliato.
«Sì. Si muove ancora, è per questo che ti ho trovata. Adesso però vieni giù».
Scese e si diede dei colpetti sui vestiti e sui capelli riccioluti per togliere la polvere.
«Cosa facciamo? Fuori piove ancora…».
«Boh… ».
Il malumore stava per prendere il sopravvento quando Gioia li chiamò in cucina:
«Ragazzi, la torta è pronta!».
«Sì, finalmente!» urlarono in coro.
«Chissà a che gusto è!».
«Secondo me è alla marmellata!».
Corsero in cucina come due saette, soprattutto Damiano, che non vedeva l’ora di avere la prima fetta, nonché la più grossa.
Una volta in cucina, sentirono un odore nuovo, mai sentito prima. Curiosi come non mai, si sedettero subito a tavola, pronti a sbafare la loro parte.
Gioia portò loro due piattini e dei tovaglioli, facendo tutto con calma per tenerli sulle spine, poi finalmente, posò sulla tavola il dolce.
«Ecco qui una torta nuova, una torta al rabarbaro e cioccolato fondente!».
«Ah. Cos’è il rabar… rabarbaro?» domandò Elsa diffidente.
«E’ un’erba. Fidatevi, è buonissima!» li incoraggiò la madre «Almeno mangerete un dolce diverso dal solito».
I due bambini si guardarono: non era il caso di farci rimanere male Gioia, e magari era buona davvero.
«Beh, Damiano vuole la prima fetta. Vero?» gli domandò con uno strano sorriso «E prima ha detto che ha tantissima fame».
«Bene, allora gli darò una fetta bella grossa».
E così dicendo gli servì una bella porzione sostanziosa, mentre Damiano fissava la cugina come un cane guarda un gatto prima di saltargli addosso. Elsa si stava vendicando per aver perso.
Sorrise alla zia e assaggiò il primo pezzo, ma dalla faccia che fece, Elsa capì che non doveva essere troppo buona. Forse per il gusto particolare del rabarbaro e per l’amarezza del cioccolato fondente, non aveva un sapore gradito ai bambini, ghiotti solo di ciò che è dolce.
«Grazie zia, è davvero buona. Danne una fetta anche ad Elsa».
E prima che questa potesse replicare, si ritrovò nel piatto una porzione triangolare, ma non grande come quella di Damiano perché anche se era affamata, aveva avuto il buon senso di non dirlo.
«Voi mangiate pure, io vado a fare una lavatrice, sperando che poi smetta di piovere e possa stendere i panni».
«Ok mamma».
Gioia chiuse la porta scorrevole e salì al piano di sopra, lasciando i due pargoli a fare merenda.
Elsa scoppiò a ridere:
«Ahahahah! Anche se hai vinto alla lotta non ti è servito a niente! Anzi, ti tocca soffrire più di me! Ahahahah!».
Si sganasciava dalle risate, non riusciva più a fermarsi, finché Damiano non le ficcò in bocca una fetta di torta, facendola smettere di botto.
«Ahahah! Adesso anche tu hai mangiato un bel boccone».
La bambina masticò controvoglia, facendo facce strane e disgustate.
«Ha un saporaccio…».
«Già. Mi sa che piace solo ai grandi» aggiunse lui.
«Damiano…».
«Dimmi».
«E’ rimasta della nutella in dispensa, vero?» chiese speranzosa.
«Sì» la rassicurò lui con un sorriso «ma la prima cucchiaiata la mangio io».
 
 
 
 
 
 Angolo dell'autrice:
Era da tanto che volevo farlo, e finalmente eccolo!
Nella storia principale, "Guerra del plenilunio", vengono citati degli episodi di quando i due cugini erano bambini, ma non viene raccontati per intero.
Lo scopo di questa raccolta, è quindi quello di raccontare per filo e per segno alcune loro avventure già citate e altre del tutto inaudite;)
Sefora, ovviamente, non sarà presente, perchè quando erano bambini, i cugini non la conoscevano ancora.
Elsa sarà solo una bambina, ma è già un bel tipetto, testarda e furbetta come da adolscente XD 
Spero che questa storia vi sia piaciuta.
Le recensioni (belle e brutte) sono sempre gradite:)

Ignis_eye

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Capitolo 2
*** Il nano fascista ***


«Elsa, sei pronta?» domandò Gioia entrando in camera sua.
«Sì» rispose tentando si infilarsi il suo maglioncino blu per la millesima volta. Ci provò in tutte le maniere, ma l’unica cosa che ottenne fu di incastrarselo in testa.
«Uffa».
La madre ridacchiò perché quel maglioncino era il suo preferito, e sebbene le andasse leggermente stretto di collo, Elsa non voleva sentir ragioni: quel maglione voleva e quel maglione indossava.
Così, conscia di non poter convincere quella testa dura di sua figlia a cambiarlo, l’aiutò a infilarselo, allargando con delicatezza il buco per la testa.
«Ecco fatto. Adesso siamo pronte per il tocco finale, vero?».
Alla bambina si illuminarono gli occhi.
«Sì, che bello!» prese la mamma per mano e la portò nella camera dei genitori «Forza, mamma, prendili!».
«Un attimo» la tranquillizzò sorridendo «aspetta un secondo».
Si sedette davanti allo specchio, si mise un filo di matita sugli occhi e un po’ d’ombretto sulle palpebre. Sistemò qualche ciocca castana dai riflessi ramati e passò il rossetto sulle labbra, il tutto mentre Elsa guardava con i gomiti appoggiati al letto.
«Io ho finito, adesso siamo proprio pronte per il tocco finale!».
Risvegliò in un secondo la curiosità di Elsa, che seguiva passo passo quello che faceva: Gioia aprì il secondo cassetto del comò, tirò fuori due scatoline di velluto e le poggiò davanti allo specchio.
Aprì la prima: conteneva due orecchini a goccia con incastonati un paio di rubini. Li indossò e annuì alla sua immagine riflessa, come per approvare l’outfit di quel giorno.
Fece per aprire anche la seconda, ma venne fermata dalla figlia:
«Mamma, i miei me li metto io».
La bambina, intraprendente, tirò fuori due orecchini di oro bianco che sorreggevano ognuno un rubino dal colore molto intenso.
I licantropi, per ostentare l’appartenenza ad un clan, sfoggiano dei gioielli: il clan di Elsa e di sua madre era quello delle Desdemoni, licantrope guerriere e la loro pietra-simbolo era il rubino.
I figli prendendo il cognome del genitore dello stesso sesso, fanno parte del suo clan, perciò la piccola licantropa aveva un gioiello diverso da quello del padre, un Mercanti, il quale portava un anello con smeraldi.
«Come sto?» chiese pavoneggiandosi «Vero che anche io sembro una guerriera?».
«Elsa, tu sei una guerriera. In formato tascabile».
«Mamma!» si lamentò ridacchiando «Non è vero!».
Gioia cercò di sistemarle i capelli riccioluti che però tornavano come prima ogni volta che la piccola licantropa spostava la testa mentre rideva. Quella chioma indomabile era proprio come la sua bambina, sembrava che riflettesse il suo carattere: testarda, un po’ prepotente ed energica, ma per quanto quei capelli fossero disordinati non apparivano mai trascurati, anzi, era la loro bellezza.
«Dai che il papà è già là che ci aspetta. Mettiti il giubbino e la sciarpa».
«Ma mamma, io non ho freddo» si lamentò la piccola.
«E’ gennaio e gli umani hanno freddo, dobbiamo vestirci come loro» le ricordò «quindi vestiti pesante».
Elsa, svogliata, si strinse la sciarpa di lana attorno al collo, lamentandosi perché pizzicava. Se doveva per forza metterla, che fosse comoda almeno!
Sbuffando seguì la mamma che usciva di casa e salì in macchina, sedendosi dietro, sul seggiolino. Altra cosa che non le andava a genio, tra le altre. Si domandava come mai dovesse ancora usarlo nonostante avesse già ben sei anni.
«Elsa» la riprese Gioia, prevedendo già quel che avrebbe detto «devi stare sul seggiolino finché non sarai abbastanza alta».
Sbuffò.
Anche questa volta aveva vinto lei, ma prima o poi l’avrebbe convinta a togliere quell’aggeggio.

 

 
L’assemblea si teneva nella villa di un licantropo di nome Mario , un imprenditore locale molto ricco.
Almeno una quarantina di persone tra licantropi e nani occupava il pianterreno discorrendo del più e del meno, in attesa che arrivassero tutti.
Tra loro, uno solo attirò l’attenzione di Elsa.
«Damiano! Ciao!» urlacchiò allegra correndogli incontro.
«Ciao!».
Aveva accettato così di buon grado di andare alla riunione solo perché ci sarebbe stato anche suo cugino Damiano, figlio del fratello di suo papà.
«Guarda, ti piace il mio anello con lo smeraldo?» chiese tutto orgoglioso «Il mio papà me lo ha comprato apposta».
«Che bello!» disse meravigliata dalla sua brillantezza «Questi invece sono i miei orecchini».
«Mi piacciono, ma la mia pietra è più grande delle tue».
«Eh?». Elsa sentiva già il tic nervoso all’occhio sinistro.
Come osava dire che erano piccole? E poi lo sapevano tutti che i rubini valgono di più degli smeraldi.
Stava per ingaggiare battaglia ma sua madre la fermò, dicendole che la riunione dei grandi stava per cominciare e che loro due sarebbero dovuti andare fuori con gli altri.
Fuori in giardino li aspettavano altri quattro bambini, due licantropi e due nani. Stavano giocando a pallone o meglio, i bambini-lupo giocavano: forti della loro superiorità fisica, tenevano il controllo della palla da quando avevano iniziato, facendo arrabbiare non poco i bambini nani già permalosi di natura.
Una volta suo papà aveva detto che sono così suscettibili perché la loro grande personalità non ci sta nel loro piccolo corpo e in qualche modo deve pur uscire. Sua madre gli aveva lanciato un’occhiataccia assassina ma Elsa non capì perché: il ragionamento di suo papà le sembrava sensato.
“Credevo fossero molto più piccoli” pensò la piccola licantropa, che non aveva mai visto dei nani bambini “Chissà se possono saltare, con quelle gambe così corte…”.
«Elsa, andiamo a giocare anche noi» propose. Dalla sua bocca uscì una nuvoletta di fumo, complici il freddo invernale e la sua temperatura corporea più alta del normale.
«Sì. Stiamo in squadra insieme?».
«Va bene».
I loro amici li accolsero subito passando loro la palla, ma i due nani li fulminarono con lo sguardo: ne avevano già abbastanza con due licantropi, quattro erano decisamente troppi.
«Che ne dite se cambiamo gioco?» chiese uno dei due, il maschietto.
«Ok, cosa vi va di fare?».
«Giochiamo a nascondino» propose Damiano.
«E noi due giochiamo con le Barbie!» trillò allegra l’altra nana rivolta ad Elsa.
«No!» si affrettò a dire. Era allergica alle bambole, a meno che non fosse il suo bambolotto di Zorro, allora andava bene.
«Uffa! Ma io voglio giocare con la mia Barbie!».
 
«Elsa, ricordati una cosa» disse sua madre mentre parcheggiava «Ci saranno dei bambini nani della tua età. Fai la brava con loro, questa riunione è importante».
La piccola incrociò le braccia un po’ stizzita.
«Ok».
«Sicura?» si raccomandò Gioia guardandola dallo specchietto retrovisore.
«Sì».
 
Memore della discussione con la mamma, Elsa guardò il cugino con occhi imploranti, come per dire “fai qualcosa, aiutami!” ma Damiano era già a giocare a nascondino con gli altri, lasciandola sola assieme a quella piaga.
«Va bene» acconsentì svogliata.
«Sì, evviva!».
La guidò sotto il portico, dove aveva lasciato due bambole su una sedia in ferro battuto. Una era una Barbie “magia d’inverno” e l’altra “veterinaria” come le spiegò la smorfiosetta.
La obbligò a giocare facendo delle stupide scenette in cui il cavallo della “magia d’inverno” si azzoppava e la “veterinaria” lo guariva.
Prima che perdesse la pazienza, sentì parlare sulle scale che portavano al pianterreno, capendo al volo che la riunione era terminata e lei era salva.
Si alzò in un secondo e schizzò dentro, lasciando sola la bambina, che non avendo un udito fino come il suo, si domandava come mai se ne fosse andata.
«Mamma!»
«Allora Elsa, com’è andata? Ti sei divertita?».
«No».
Si aspettava una certa schiettezza da parte della figlia, non avrebbe dovuto farle una domanda simile. Sperò che nessuno l’avesse sentita o che almeno nessuno ci avesse fatto caso.
«Voglio andare a casa».
«Certo, abbiamo quasi finito. Altri cinque minuti e poi andiamo» assicurò la madre.
Elsa scrollò le spalle: con gli adulti ci voleva pazienza, non erano mai stanchi di annoiarsi con questioni inutili.
Si allontanò per uscire di nuovo ma un nano le si parò davanti all’improvviso. Lei lo guardò storto, curiosa.
Li aveva visti da lontano prima della riunione e pensava che da vicino fossero un po’ più alti.
Si sbagliava.
“Neanche i loro grandi sono alti” pensò “Scommetto che neanche loro corrono veloce”.
«Ciao, come ti chiami?» chiese con semplicità «Io sono Elsa Desdemoni e quella là in fondo è la mia mamma».
«Io mi chiamo Marcus, bambina» rispose con un ambiguo sorriso.
«Cosa vuoi?» disse con tranquillità.
Il nano la guardò un po’ stranito, la sua schiettezza era disarmante. Si ricompose e si lisciò la barba riccioluta.
«Ho visto che hai dei bellissimi orecchini» cominciò «io non ne ho mai avuti di così belli».
I denti storti e il ghigno che aveva in faccia non aiutavano Elsa a trovarlo simpatico. Sorrideva come se stesse per farle un brutto scherzo.
Vedendo che la bambina non rispondeva nulla, andò avanti.
«Che ne dici di scambiarli con questo bellissimo portachiavi?».
Tirò fuori dalla tasca un gingillo di acciaio con una pallina di plastica multicolore piena di brillantini.
La piccola licantropa lo guardò ancora peggio, non sapeva se stesse scherzando o se fosse serio.
«Allora? Ti piace?».
«No».
E nemmeno lui le piaceva, anzi, la sua smorfia sorridente la inquietava non poco e il naso a patata faceva somigliare il suo viso a una caricatura.
Alla risposta negativa, il nano corrucciò la fronte e inarcò le folte sopracciglia nere.
«Ma come no? Non vedi quanto è bello?».
«A me non piace» tagliò corto la piccina incrociando le braccia «Non lo voglio, è brutto».
A quel punto Marcus gonfiò il petto, quasi offeso, e il viso gli diventò rosso come un pomodoro. Insistette ancora qualche volta avvicinando sempre di più il piccolo portachiavi al viso della piccolina, finché questa perse la pazienza e gli puntò il dito contro.
«Smettila, ti ho detto che è brutto!».
«Ma cosa dici! Scambialo con i tuoi orecchini, farai un affare!».
«Sei un fascista!» esplose lei, rossa di rabbia.
Tutti tacquero all’istante e si voltarono verso i due. Dove aveva sentito quella parola? Nessuno lo sapeva e lei nemmeno era cosciente del significato di “fascista” ma le pareva che fosse una brutta parola, una di quelle che non si dovevano mai dire. E quello era il momento giusto per spararle grosse.
«Non mi piace il tuo portachiavi, mi fa schifo!».
«Piccola maleducata!» esclamò il nano «Come ti permetti!».
Gioia si frappose tra i due per evitare una discussione inopportuna e, soprattutto, ridicola.
«Sua figlia è una gran maleducata!» urlava paonazzo in viso «E’ così che voi licantropi allevate i vostri figlia?!».
Gioia, tirata in causa, stava per ribattere ma la bambina fu più veloce.
«E tu sei un imbroglione!».
«Cosa?!».
«Sì, volevi imbrogliarmi!» lo accusò. Poi, rivolta alla madre, disse:
«Mamma, voleva i miei orecchini! Voleva darmi il portachiavi!».
A quel punto la folla si fece più vicina, irritata e divertita dal bisticcio. Per fortuna il padrone di casa riuscì a sedare gli animi e a calmare le due parti, altrimenti sarebbe potuto scoppiare un putiferio.
Gioia prese da parte la figlia e la rimproverò.
«Ma ha cominciato lui!» sbottò paonazza.
«Non mi interessa chi ha cominciato, non devi dire quelle parole» ordinò con fermezza «soprattutto quando siamo in riunione con dei nani» aggiunse abbassando la voce.
Elsa incrociò le braccia, arrabbiatissima.
Lei non aveva fatto nulla di male! E per di più, aveva sentito alcuni licantropi che parlavano di quanto i nani fossero approfittatori e meschini.
Nessuno se l’era presa con lei e ciò voleva dire che erano d’accordo. Aveva capito che nessuno li sopportava, non comprendeva però perché nessuno lo dicesse apertamente.
Era ancora troppo piccola per capire la diplomazia.
Dopo poco arrivò suo padre con uno sguardo serio ma non cattivo, anzi, quando Gioia si fu allontanata per scusarsi con i nani, le sorrise.
«Elsa, dove hai sentito questa parola?».
«In televisione» rispose sincera «un signore lo diceva a un altro mentre litigavano».
Lui annuì e si sedette sulla panca, accanto a lei.
Sapeva che la figlia non aveva colpe, semplicemente era piccola e con poca pazienza. Avrebbe dovuto stare più attento e tenerla d’occhio, invece si era distratto e aveva chiacchierato con gli altri uomini.
La vide un po’ mogia e le accarezzò la testina riccioluta strappandole un sorriso.
«Certo che questi nani sono suscettibili…» disse il padre sottovoce.
«Sarà che la loro grande personalità non ci sta nel loro piccolo corpo».
E scoppiarono a ridere insieme.









Angolo dell'autrice:
Eccomi con il secondo (e forse penultimo) capitolo!
Ci ho messo un sacco ad aggiornare ma tra altre storie e impegni vari è difficile scrivere con costanza.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto:)


Ignis_eye

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