I'll always find You

di Aredhel92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una promessa ***
Capitolo 2: *** Ti troverò sempre ***
Capitolo 3: *** Iniziare a vivere ***
Capitolo 4: *** Doppia attesa ***
Capitolo 5: *** Aria di morte ***
Capitolo 6: *** Una storia destinata a ripetersi ***
Capitolo 7: *** Una vita per una vita ***
Capitolo 8: *** Il figlio di un altro ***
Capitolo 9: *** Preludio di una tragedia ***



Capitolo 1
*** Una promessa ***


I'll always find You




 
1. Una promessa



Il giorno in cui Naraku venne sconfitto, le dense e oscure nubi che impedivano di vedere il cielo iniziarono lentamente a diradarsi. Un sottile raggio di sole illuminò una piccola zolla di terra e man mano che i secondi passavano, questa finì con l’ingrandirsi sempre di più, rivelando una giornata limpida e calda. La luce li costrinse ad abbassare gli occhi, stanchi e provati, ma i sorrisi non volevano abbandonare i loro volti.
Erano deboli, stremati e decisamente malconci: il veleno respirato, i graffi e i lividi riportati, l’enorme fatica di aver combattuto al meglio delle proprie forze, senza potersi permettere il lusso di abbassare la guardia neppure per un attimo, li aveva distrutti; sempre con la costante paura di star combattendo per la vita e con l’ansia dell’eventualità – rifiutata a prescindere, ma purtroppo sempre presente e assillante - di perdere qualcuno di insostituibile.

Erano stati attimi - giorni, minuti, secondi? Non lo sapevano - di grande paura, durante i quali stringere i denti era diventata la priorità assoluta, l’unico grande imperativo: resistere per cambiare le cose, per vendicarsi, per vincere e poter ricominciare.

Naraku era morto e anche il suo ultimo subdolo tentativo di diffondere il dolore, distruggere un villaggio innocente, colpevole solo di averlo accolto su quello stesso suolo, era morto con lui.
Nessuno avrebbe più sentito parlare del mezzo-demone Naraku, nessuno avrebbe più sofferto a causa dei suoi piani meschini.
Era tutto finito. E anche se era praticamente impossibile crederci, senza avere il dubbio che fosse tutto un sogno, quell’intenso sole, che scaldava la loro pelle, era la prova della loro vittoria.

Si erano accasciati per terra, senza più la forza di tenersi in piedi, con ogni muscolo del corpo dolorante, ma quell’immancabile sorriso sulle labbra.
Per la prima volta l’idea del futuro non li spaventava più. Improvvisamente non era più collegato ad opprimenti sentimenti d’angoscia. Non era più un argomento ostico, un tabù da evitare accuratamente, perché troppo incerto ed oscuro.
Potevano vivere una vita piena, senza preoccuparsi di morti premature, maledizioni, avvelenamenti, inganni e logoranti vendette.

Naraku era stato sconfitto e una nuova vita poteva finalmente iniziare.

Il cielo così blu e le risate dei bambini nel villaggio vicino, che uscivano fuori a giocare, ora che il pericolo era passato, lasciavano immaginare uno splendido futuro di pace.

Era stata un’avventura lunga, quasi interminabile a dirla tutta, ma era stata anche molto divertente.

Avevano lottato, riso e pianto, conosciuto tantissime persone, stretto rapporti significativi e profondi. Erano cresciuti molto e quasi senza accorgersene erano praticamente diventati una famiglia - loro, che una famiglia non l’avevano mai avuta o che ne erano stati privati troppo presto.
Era bastato guardarsi negli occhi perché tutta la stanchezza e l’ansia scivolassero via, lasciando il posto ad una risata liberatoria e senza freni, tanto che dovettero presto tenersi la pancia per il dolore.

Sesshomaru si era allontanato subito, non potendo sopportare oltre la presenza di tutti quegli sciocchi umani, che ridevano come se avessero appena compiuto la più grande tra le imprese. Naraku era solo un insignificante mezzo-demone, esattamente come Inuyasha. Ora che era morto e il grande demone aveva portato a termine il suo obiettivo, avrebbe semplicemente cercato qualcuno più forte da sconfiggere, per potenziare la sua Bakusaiga e arrivare un giorno ad eguagliare la fama e la forza di suo padre.

Inuyasha si diresse verso i compagni, dopo aver visto Rin e Jaken seguire il fratellastro, zampettando allegramente e agitando la mano in segno di saluto.
Sentendo la risata cristallina di Kagome non poté fare a meno di sorridere anche lui. Le si avvicinò e dopo averle mostrato la sfera, allungò una mano per lasciarla a lei, l’unica che, dopo Kikyo, aveva il diritto di custodirla e di decidere.

Le dita si sfiorarono a contatto con il gioiello. Poi nello spazio di un battito di ciglia, un’inaspettata e intensa scarica di energia li travolse, costringendoli ad allontanarsi per il dolore provocato.

«Cos’è successo?» chiese Sango, smettendo subito di ridere, ma avvicinandosi preoccupata, «Kagome, Inuyasha, state bene?»

«Kagome, stai bene?» le fece eco il piccolo Shippo, anche lui seriamente in apprensione.

I due annuirono, guardandosi confusi.

La sfera, caduta per terra tra di loro, brillava più del solito.

Kagome cercò di raccoglierla, ma una nuova scarica la costrinse ad allontanare subito la mano ferita. Le punte delle dita formicolavano fastidiosamente, mentre la sensazione che si fosse appena ustionata le fece lacrimare gli occhi. 

«Perché non posso prendere in mano la sfera?» domandò incerta, senza riuscire a venire a capo di quell’ennesima novità.

Miroku si fece avanti e dopo averla raccolta tranquillamente, la consegnò ad Inuyasha.
Tutti si guardarono incerti senza sapere cosa dire o cosa fare, mentre una pesante tensione si faceva largo tra loro.

«Credo che dovremmo parlarne con la vecchia Kaede… immediatamente.» propose Miroku, non dando alcun tipo di spiegazione; ma il suo sguardo, preoccupato e fin troppo pensieroso, non lasciava presagire nulla di buono.

Inuyasha annuì, sentendo la gola farsi improvvisamente secca e una strana ansia attanagliargli lo stomaco.

Possibile che non fosse ancora finita?

Dopo pochissimi minuti erano tutti nella capanna della venerabile Kaede, raccolti in cerchio, davanti ad una tazza di tè fumante.

«Capisco» disse l’anziana sacerdotessa, dopo che ebbero finito di raccontarle gli ultimi avvenimenti.

«Sapete darci una spiegazione, Venerabile Kaede?» chiese subito il monaco, immaginando giustamente che se la donna non si fosse sbrigata a parlare, Inuyasha l’avrebbe presto presa a pugni senza tanti convenevoli.

«Immaginavo che sarebbe accaduto qualcosa di simile, presto o tardi. Non ho la certezza assoluta di quanto sto per dirvi, ma… io credo che il comportamento della sfera sia dovuto al fatto che Kagome non appartiene a questo tempo.»

«Che vuol dire? Non capisco. La sfera non ha mai fatto così prima d’ora. Perché…?»

«Tu sei stata portata qui dalla sfera.» ricordò Kaede con la voce impregnata di saggezza, come se questo fosse sufficiente a chiarire ogni cosa, ma i volti confusi e insistenti del gruppo la spinsero a spiegarsi meglio, «Credo che la sfera sia arrivata a te nel futuro, con il preciso scopo di portarti qui per sconfiggere Naraku. Ora che è stato sconfitto, il tuo compito è terminato. La sfera ti respinge perché questo è il suo modo per dirti che non appartieni a questo tempo.»

«Vuol dire che non posso rimanere qui?!» chiese Kagome con la voce tremolante e un nodo in gola, «Che devo tornare nel futuro?»

Kaede scosse appena la testa, guardando con incertezza il mezzo-demone, intento a studiare le assi di legno del pavimento con grande minuzia, ben attento a non distogliere lo sguardo neppure di un millimetro, neppure per un secondo.

«C’è dell’altro, vero?!» si intromise Sango, intuendo qualcosa di strano nel comportamento dell’anziana.

«Vi prego Venerabile Kaede, dobbiamo sapere.» la implorò Miroku, vedendola poi annuire e sospirare.

«Tu non appartieni a questo tempo e come tale non ti è concesso di restare» si decise infine a spiegare, «ma il tuo arrivo qui ha modificato il passato e ha fatto sì che il futuro, come tu lo conosci, non esistesse più.»

«Che… che significa?» le domandò con la voce tremula, mentre tutti gli altri la guardavano increduli, sperando in un brutto quanto inusuale scherzo.

«Significa che il tempo a cui appartieni deve ancora arrivare. Non avrei voluto turbarti cos» tentò di dire, vedendo i suoi occhi fissi e sgranati, improvvisamente terrorizzati, ma Inuyasha la fermò prima che potesse terminare.

«No. Non crederò mai ad una cosa del genere! Mai!»

«Inuyasha…»

«No! Cercheremo qualcuno che sappia dirci qualcosa, qualcuno che sappia come stanno veramente le cose!»

«È stata Kikyo a dirmelo.» disse l’anziana donna, stroncando così ogni ulteriore protesta.

E il silenzio calò improvviso.

«È… è stata Kikyo?» sussurrò Inuyasha, non riuscendo a crederci.

«Non ne era sicura… forse non ve ne ha mai parlato per non farvi preoccupare prematuramente o forse perché sconfiggere Naraku doveva essere la priorità. Le sembrava strano che la sfera avesse fatto in modo di tornare nel passato e perciò aveva fatto delle ricerche. Credeva che la sfera volesse cambiare il futuro e per farlo era necessario che qualcuno sconfiggesse Naraku. Una volta portato a termine il compito, tutto sarebbe ripartito dal principio, da qui, come se le cose non fossero mai andate diversamente, come se il futuro non fosse mai esistito. E ora, vedendo come la sfera ti respinge, credo proprio che avesse ragione: ormai tu non appartieni più a nessun tempo.»

«Quindi che cosa accadrà?!» si intromise Inuyasha, non sopportando più quei giri di parole.

Aveva bisogno che la vecchia arrivasse al punto e gli dicesse chiaramente come stavano le cose.
Kagome spostò lo sguardo su di lui per un secondo, scoprendolo teso come mai prima d’ora; dopodiché tornò a rivolgerlo alla donna, che si arrese sospirando.

«Tu… scomparirai.»

Kagome sussultò.

«È ciò che vuole la sfera.»

Un brivido le scese lungo la schiena e il cuore iniziò a battere furiosamente nel petto, per il terrore che quelle parole avevano scaturito in lei.

“La sfera degli Shikon non ti ha permesso di realizzare ciò che realmente volevi, vero?”

“La sfera non scomparirà mai, neppure se io stesso, Naraku, dovessi scomparire.”

“Io quella volta ho espresso un desiderio alla sfera. Quando Byakuya ti ha trafitta, è accaduto in quel momento. Alla mia morte quel desiderio si dovrebbe realizzare… la sfera mi ha indotto a desiderare ciò che lei stessa voleva.” *

«Che ti stai inventando, vecchiaccia?! Kagome non può scomparire così! Io questo non lo permetterò mai!» urlò il mezzo-demone, alzandosi in piedi di scatto, con i pugni chiusi, stretti lungo i fianchi e tremanti a causa della rabbia.

«Inuyasha ha ragione, Kagome non può scomparire!» si intromise Sango, mentre Shippo sull’orlo delle lacrime aveva iniziato a tremare come una foglia.

«Ci deve pur essere qualcosa che possiamo fare.» tentò di ragionare il monaco.

La vecchia Kaede scosse la testa, guardando quella strana ragazza che tanto tempo prima aveva scambiato per la sua amata sorella e che ora fissava il vuoto con gli occhi spenti.

«Non c’è nulla che si possa fare. Come ho detto, il suo tempo non è ancora arrivato: lei deve ancora nascere.»

«Naraku lo sapeva…» sussurrò Kagome con un filo di voce, non riuscendo a capacitarsi di ciò che la sua stessa mente aveva appena pensato, «Lui ha esaudito il desiderio della sfera. Ha scelto di morire perché sapeva che, se lo avesse fatto, io sarei scomparsa… l’ha fatto per far soffrire ancora una volta… tutti noi… Questa era la sua ultima vendetta…»

Guardò uno per uno gli occhi dei suoi amici, sconvolti e improvvisamente consapevoli di quella verità a cui era arrivata, fino a che non incrociò lo sguardo di Inuyasha.
Durò solo un secondo.
Un unico secondo carico di una straziante disperazione, prima che lui si tirasse indietro.

«Non lo accetterò mai.» disse, uscendo fuori dalla capanna, scappando da quella verità che rifiutava con tutta le forze che aveva.

Kagome era rimasta immobile, con lo sguardo perso nel vuoto e una sempre più insopprimibile sensazione di nausea.
Si chiedeva che senso avesse avuto tutto quello? Farla vivere, crescere, tornare nel passato, farla innamorare… per cosa?
Fino a quel momento era stata sicura che alla fine di quella storia avrebbe avuto una scelta da fare: il passato o il futuro, la sua famiglia o Inuyasha. Non avrebbe mai potuto immaginare che non ci sarebbe stata nessuna scelta da fare, che avrebbe semplicemente smesso di esistere.
Quale creatura poteva essere così crudele da ordire un simile piano: sottoporla a tutte quelle prove, per poi riservarle un simile destino?

Aveva visto Inuyasha alzarsi furioso e andarsene via, sotto lo sguardo preoccupato e sofferente di tutti e aveva realizzato improvvisamente che c’era un elemento, in quel tremendo destino che le era appena stato prospettato, che forse era addirittura peggiore e più crudele del suo: Inuyasha sarebbe rimasto solo.

Si alzò, ignorando le parole degli amici che tentavano di fermarla, e corse da lui.
L’unica persona con cui voleva stare, l’unica insieme alla quale non sarebbe mai più potuta essere.
Non si fermò neanche quando le lacrime le offuscarono completamente la vista, rischiando di farla inciampare nelle radici degli alberi. Non era certa che la direzione fosse giusta, ma in quel momento non riusciva a fare altro che correre.

Arrivò lì, dove tutto era cominciato, ai piedi di quell’albero sacro, dove l’aveva visto per la prima volta, dove aveva capito di amarlo e dove ora sarebbe stata costretta a dirgli addio.
Si asciugò le lacrime e tentando di calmare il respiro, affannoso per la corsa, si avvicinò ulteriormente, cercando l’immagine del mezzo-demone fra i rami più alti dell’albero.

«Non cambierai mai Inuyasha.» disse, cercando di sorridere, ma lui capì immediatamente quanto si stesse sforzando in quel momento, «Si può sapere che fai qui, tutto solo?»

«Tzè! Sto da solo, non si vede?!» le rispose duramente, stringendo i pugni.

Non avrebbe voluto farlo, risponderle male, litigare con lei, soprattutto in un momento così difficile. Non avrebbe mai voluto, ma non riusciva a smettere di pensare a quanto la vita era stata crudele con lui, privandolo prematuramente per la seconda volta della persona più importante.

«Riusciamo a litigare anche quando stiamo per dirci addio…»

Fu solo un sussurro, ma lui la sentì ugualmente e con un balzo scese dall’albero, atterrando a pochi centimetri da lei, con le orecchie abbassate e lo sguardo colpevole.

Anche se Inuyasha chiedeva perdono raramente, Kagome aveva imparato che quell’espressione valeva più di mille parole.
Gli sorrise, sentendosi improvvisamente felice e il mezzo-demone ancora una volta percepì l’amore che quella strana ragazza provava per lui e il dolore per quello stesso amore che non avrebbero mai potuto vivere.

«Perdonami Inuyasha.» disse ad un tratto Kagome, sorprendendolo.

«Cosa dovrei perdonarti?»

«Credo proprio che non riuscirò a mantenere quella promessa...»

“Starai…al mio fianco per sempre?”

Inuyasha non resistette oltre e la strinse a sé con forza, togliendole il respiro.

«Sei una stupida… non devi neanche pensarlo, tu sei stata l’unica che…»

La sentì piangere sulla sua spalla e non riuscì a continuare.

Entrambi erano a conoscenza dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra. Non che ne avessero mai parlato chiaramente, quello no, però per qualche ragione lo sapevano, lo sentivano dentro, come se fosse la verità più ovvia del mondo, più ovvia addirittura del sorgere del sole la mattina.

Sapevano di amarsi.
Sapevano che, se avessero potuto, sarebbero rimasti insieme per sempre: avrebbero vissuto insieme, si sarebbero sposati e avrebbero avuti tanti bambini, la fusione perfetta del loro amore.
Sapevano tutto e le parole tra di loro non erano mai state meno necessarie.

Ad un tratto Kagome sentì il caldo respiro di Inuyasha sfiorarle il collo e quella sensazione, quel contatto così intimo, la fece rabbrividire.

«Non permetterò che questa sia la fine.»

«Non c’è modo per impedirlo…» sussurrò lei di rimando.

«Sì invece! Esprimerò un desiderio alla sfera.»

«Hai sentito la vecchia Kaede: la sfera non sopporta la mia presenza qui… non esaudirà mai il tuo desiderio.»

«Allora chiederò un’altra cosa.» affermò lui sicuro, scostandola leggermente da sé, per guardarla.

In quel momento, in quegli occhi, ardeva il fuoco. Un fuoco caldo ed intenso, che la spinse a sperare che una soluzione potesse realmente esistere.

«Cosa… cosa le chiederai?» domandò con la voce che tentennava per l’emozione e la paura.

«Chiederò di diventare un demone completo.»

Kagome strabuzzò gli occhi, allontanandosi ancora di più e agitandosi.
Iniziò a farfugliare che non capiva, che lui non doveva cambiare, che dopo tutto quello che avevano passato, non era possibile che non avesse ancora compreso di essere perfetto così com’era, un mezzo-demone. Poi si zittì, con un’espressione contrariata in volto, vedendolo sorridere dei suoi vani tentativi, sentendosi presa in giro.

«Sai che i demoni completi possono vivere molto più a lungo dei mezzi-demoni?» le chiese divertito.

«E allora?» ribatté lei stizzita, non capendo il nesso.

«Se io diventassi un demone completo sarei imbattibile e nessuno potrebbe mai sconfiggermi.»

Kagome continuò a guardarlo stranita, come se stesse parlando in una qualche lingua aliena che lei non comprendeva.

«Non capisco dove vuoi…» tentò di chiedere, ma si bloccò improvvisamente, come se un fulmine a ciel sereno l’avesse appena colpita in pieno.

«Vivrò fino al giorno della tua nascita e allora potremmo incontrarci.»

Kagome lo guardò stupita e per un attimo un barlume di felicità le fece risplendere gli occhi. L’ombra di un sorriso fece appena in tempo a delinearsi, prima di essere ucciso sul nascere da una nuova tonnellata di dubbi.

«Ma… è una follia! Dovrai aspettare davvero tanto tempo, lo sai?! Sono…» disse, facendo una piccola pausa, per poi continuare, con la voce di un’ottava più alta, a causa della sorpresa e dello sconforto, «cinquecento anni!»

«Tzè! Che vuoi che sia qualche annetto?» rispose lui, sbuffando, con la solita aria di superiorità.

«E i demoni non esistono nel mio tempo. Se non riuscissi a…»

Kagome si intristì, non riuscendo a completare quella domanda così dolorosa.

Se lui non fosse sopravvissuto… era certa che avrebbe vissuto tutta la sua vita con la certezza che le mancasse qualcosa di fondamentale, ma senza sapere cosa fosse.
Sarebbe stata una tortura.

«Non starai dubitando di me, vero?!» esordì spavaldo il mezzo-demone, facendole tornare il sorriso, «Devo forse ricordarti quanto sono forte? Ho appena sconfitto Naraku come un semplice mezzo-demone! Pensa cosa potrei fare se fossi un demone completo! E poi sono sicuro che i demoni esistano anche nella tua epoca, solo che si nascondono sotto diverse sembianze. Fidati di me, io posso fare qualunque cosa!»

«E se il problema fossi io? Se non dovessi nascere? Se il futuro fosse diverso…»

«Nascerai assolutamente!» disse deciso, non riuscendo a concepire il contrario, «E io ti cercherò in ogni luogo e tempo.» aggiunse poi con voce più bassa, arrossendo e facendo arrossire anche Kagome.

«Se anche nascessi sarei comunque umana… avremmo poco tempo.»

«Questo non ha la minima importanza!» urlò, prendendola per le spalle e stringendola a sé con forza, nascondendo il viso nei suoi capelli, per non mostrare il rossore sempre più intenso che gli colorava le guance, «Farei tutto questo anche solo per cinque minuti.» sussurrò, sentendosi incredibilmente stupido.

«Non ricorderei niente di te… non saprei chi…»

La strinse ancora di più, prendendo un respiro profondo, sicuro di essere sul punto di morire per il troppo imbarazzo.

«Ti farò innamorare di me ancora una volta, altre mille volte se sarà necessario. Non importa cosa accadrà, ti troverò e staremo insieme.»

Kagome annuì semplicemente, nascondendo il volto nella sua spalla e stringendosi a lui, mentre una lacrima solitaria le solcava la guancia e un leggero sorriso le increspava le labbra.
Voleva credergli.
Voleva fidarsi delle sue parole e sperare davvero di poter avere una possibilità. In fondo erano due anime nate in due tempi molto diversi e distanti tra loro: non era forse già un miracolo essersi incontrati?

Ci sarebbero riusciti ancora, proprio come aveva detto Inuyasha.

Se fosse stato necessario, si sarebbero trovati altre mille volte, pur di poter finalmente stare insieme e vivere il loro amore.

 

 

 

 

* Queste tre frasi sono citazioni del manga, se non sbaglio dell’ultimo numero. Si adattavano alla mia idea in modo quasi terrificante, perciò ho pensato di sfruttarle. :P

 

 

 

Informazioni random!

Il manga di Inuyasha dovrebbe essere ambientato intorno alla metà del 1500, purtroppo per non avere seri problemi di cronologia sono stata costretta ad immaginare che fosse ambientato alla fine del secolo. Più precisamente, Naraku schiatta una volta per tutte nel 1597. Per le altre date vi informerò mano mano. ;)

Spero davvero che vi emozioniate a leggere questa piccola e folle nuova creazione, tanto quanto io mi sono emozionata a scriverla. :)
Un bacio grande a tutti e se vorrete farmi sapere cosa ne pensate (dubbi, considerazioni, riferimenti che credete di vedere, atrocità, imperfezioni) sappiate che uno scambio di opinioni è sempre molto apprezzato e soprattutto desiderato. *-*

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Capitolo 2
*** Ti troverò sempre ***


I'll always find You










2. Ti troverò sempre





 

Inuyasha era rimasto abbracciato a lei a lungo, respirando profondamente il suo profumo nel tentativo di imprimerlo nella sua mente e non scordarlo mai per i prossimi quattrocento anni, anche se era certo che non sarebbe mai riuscito a dimenticare niente di lei.

L’aveva tenuta stretta a sé fino a che Sango, Shippo e Miroku non li avevano raggiunti.

Le due ragazze si erano abbracciate, con il cuore spezzato e le lacrime agli occhi. Kagome aveva solo potuto dir loro quanto fosse stata felice di conoscerli, prima che i singhiozzi le impedissero di continuare.
Anche Miroku l’aveva abbracciata, sotto lo sguardo attento e scrupoloso di Inuyasha e Sango, evitando, forse per la prima volta in vita sua, di approfittare della situazione.
Cercando di non farsi sentire dagli altri, per quanto possibile, il monaco le aveva sussurrato un’idea, un progetto a cui aveva appena pensato, ma che era certo fosse il modo migliore per ringraziarla e per farle capire quanto la sua presenza fosse stata preziosa e fondamentale. E anche se era un’idea avventata e prematura, era sicuro che Sango sarebbe stata completamente d’accordo: il nome della loro prima bambina sarebbe stato Kagome.

La ragazza sorrise, sentendo un moto di orgoglio e gratitudine crescere con forza dentro di lei.

Prima ancora che avesse modo di riprendersi, il piccolo Shippo si fiondò tra le sue braccia, piangendo a dirotto e supplicandola di non andarsene.
Kagome gli accarezzò la testa, ripetendogli come una cantilena di stare tranquillo, che tutto sarebbe andato bene e che non sarebbe rimasto solo, perché aveva tante persone accanto, che gli volevano molto bene e che non lo avrebbero mai lasciato. Sentendolo ancora singhiozzare senza tregua, sciolse il fiocco rosso dalla sua divisa, poggiandolo sulla sua testa con una carezza.
Shippo le rivolse un’occhiata confusa, tirando su col naso e smettendo di piangere all’istante.

- Così quando ti sentirai solo e penserai a me, stringerai questo e sarà come se io fossi lì con te. - gli disse semplicemente, cercando di nascondere gli occhi lucidi con un grande sorriso.

Il piccolo demone annuì, ricacciando indietro le lacrime con un enorme forza di volontà, ripetendosi di non piangere più, per non rendere ulteriormente triste quella per lui, in tutto quel tempo, era diventata una seconda mamma.  

Kagome guardò ancora una volta Inuyasha, prendendo un lungo respiro e asciugandosi gli ultimi residui di lacrime sulle guance arrossate; mentre Miroku propose di andare a chiamare la vecchia Kaede, in modo che Kagome potesse salutare anche lei.
Immediatamente si allontanò, trascinandosi dietro Sango e Shippo e lanciando un’occhiatina maliziosa ad Inuyasha.

Il mezzo-demone arrossì a dismisura e inconsciamente si ritrovò a borbottare dei “velati” insulti contro quel dannato monaco maniaco che non si faceva mai gli affari suoi.
Che diavolo aveva voluto dirgli con quell’occhiatina? Che si aspettava che facesse, lì all’aria aperta, con una miriade di guardoni pronti a spuntare fuori da un momento all’altro e con il tempo a loro disposizione che scarseggiava pericolosamente?!

Troppo preso dai suoi pensieri non si era accorto che Kagome aveva cercato di attirare la sua attenzione, chiamandolo inutilmente; ed ora se la ritrovava ad un palmo dal naso, che lo guardava dal basso verso l’alto, con aria curiosa e indispettita.
Accidenti a quel monaco!, pensò Inuyasha, arrossendo ancora di più.
Sì, perché lui non stava pensando a niente, fino a che quel ficcanaso non gli aveva lanciato quell’occhiata maliziosa, sottintendendo chissà che cosa; e invece ora si trovava a fare i salti mortali per non guardare la leggera scollatura, che lo strano vestito di Kagome, ormai privo di quel fiocco, lasciava intravedere. E a dirla tutta, con scarsi, scarsissimi risultati. Non che si vedesse chissà che cosa, pensò un po’ amareggiato e un po’ sollevato, però era pur sempre di Kagome che si trattava! Della sua Kagome!

La ragazza inconsciamente si era piegata leggermente in avanti, per cercare di attirare la sua attenzione, ma questo aveva solo peggiorato la situazione per Inuyasha, che si trovava ora con una visuale perfetta e decisamente impossibile da ignorare.
Tutta colpa di quello stupido monaco e di quel demone nanerottolo!
Non avrebbe dovuto avere quei pensieri! Li aveva avuti, certo, ma prima! Quando viaggiavano per cercare di recuperare gli ultimi frammenti, quando aveva capito di provare qualcosa di molto forte per la ragazza venuta dal futuro, quando esisteva ancora la scelta tra passato e futuro. Erano più che altro fantasie sul passare la vita con lei, sul vederla finalmente diventare la sua donna, sull’avere una famiglia con lei. E sì, aveva pensato, o meglio fantasticato, anche su quello, sul fare l’amore con lei. Sul sentirla completamente sua, sul sentire i suoi gemiti e il suo nome invocato con urgenza e desiderio, sul sentire la morbidezza e il profumo del suo corpo, sul perdersi in lei.
Certo che ci aveva pensato, e lo aveva desiderato così intensamente da far male, ma era prima che il destino si prendesse gioco di lui, facendogli la linguaccia e gridandogli con un’odiosa vocetta stridula: bravo stupido! Ora aspetta quattrocento anni!

Qua…quattrocento… ANNI?!

Dannazione Miroku! Lo avrebbe preso a pugni. E no, non era un semplice desiderio, era una certezza: prima o poi lo avrebbe preso a pugni e lo avrebbe costretto a rimpiangere amaramente quella maledetta occhiatina maliziosa.

Solo ora sembrava rifletterci seriamente: come avrebbe fatto a stare senza di lei per quattrocento anni?

- Inuyasha mi spieghi che hai? Sei tutto rosso. – osservò Kagome sinceramente stupita, portandogli una mano sulla fronte, per sincerarsi che non avesse la febbre, facendolo invece sobbalzare per la sorpresa.

Come risvegliatosi da un sogno, le prese la mano, guardandosi intorno con fare circospetto.

- Posso sapere cosa…? -

- Vieni con me. – le disse solamente, facendola salire sulla schiena e sfrecciando poi a tutta velocità nella foresta.

Kagome chiuse gli occhi d’istinto, mentre un sorriso si delineava sulle labbra.
Quella sensazione così familiare di stargli accanto, quella sensazione che tanto amava, sarebbe scomparsa con lei?
Non riusciva ad immaginare come sarebbe stato non esistere. E se un giorno fossero riusciti ad incontrarsi di nuovo, davvero non avrebbe ricordato niente? Quelle sensazioni, quei profondi e intensi sentimenti, quei battiti accelerati del suo cuore. Com’era possibile dimenticare un amore così grande? Si domandò, stringendosi più forte al ragazzo.

 

Improvvisamente Inuyasha si fermò. La fece scendere con delicatezza e mentre lei apriva lentamente gli occhi, automaticamente il sorriso scompariva dalle sue labbra.

- Ma sei impazzito!? Perché mi hai portata su un albero?! – gridò, cercando di mantenere l’equilibrio, mandando all’aria tutti i suoi sforzi semplicemente guardando verso il basso.

Erano in alto, tremendamente in alto, tanto che se per sbaglio fosse scivolata e caduta, durante la discesa fino a terra, avrebbe fatto in tempo a rimpiangere il suo ultimo pasto non avvenuto, ad esprimere l’ultimo desiderio e a ringraziare tutte le persone che amava per esserle stata accanto; e probabilmente verso gli ultimi metri, Inuyasha avrebbe anche fatto in tempo a gettarsi dal ramo e a salvarla prima che si sfracellasse al suolo.

Il mezzo-demone la strinse per le braccia, costringendola a guardarlo negli occhi nel tentativo di farla stare ferma. Dopodiché la aiutò a sedersi e Kagome si stupì di quanto effettivamente fosse grande e robusto quel ramo. Lasciò le gambe oscillare nel vuoto e con minuscoli spostamenti di pochi millimetri alla volta si appiccicò ad Inuyasha.

- Beh, che c’è?! Ho paura di cadere! Io non ho poteri demoniaci come te! Se cado mi faccio male! – urlò, arrossendo un po’ per l’indignazione, un po’ perché Inuyasha non smetteva di guardarla ed erano davvero rare le volte in cui si erano trovati ad avere una simile vicinanza per più di qualche secondo.

- Allora… - continuò poi, vedendo che il ragazzo non accennava ad uscire dal suo mutismo, - perché mi hai portata qui? –

Inuyasha arrossì, sforzandosi però di non distogliere lo sguardo.

- Toglimi il rosario. – disse ad un tratto lapidario, vedendo poi la ragazza guardarlo come se fosse un fantasma.

- No. – ribatté indignata e decisa.

- Ma ormai non servirà più a niente! Tu sei l’unica in grado di farlo funzionare! –

- Mi hai portata sull’albero per questo?! Di’ la verità: vuoi buttarmi di sotto, se non ti tolgo il rosario, è così?! -

- Certo che no, razza di stupida, ma che idee ti vengono! –

- Bene, allora niente da fare. Il rosario resta lì dov’è. –

Inuyasha sbuffò sonoramente. Come immaginava non sarebbe stato facile.

- Bene. Allora prometti di non mandarmi a cuccia! -

- P-perché dovrei prometterlo? – balbettò Kagome, sentendosi improvvisamente spaventata.

Che diavolo aveva in mente!?

- Perché… perché… perché sì! Tu promettilo e basta! -

- Uffa, che noioso! Va bene, lo prometto! Contento? –

Inuyasha assentì soddisfatto, rivolgendole un sorriso che la destabilizzò, facendole aumentare a dismisura i battiti del cuore.

- Ora, - riprese poi lui, tornando serio, - chiudi gli occhi. -

- Scordatelo. -

- Ka…go…me! – scandì lui minacciosamente, con i nervi a fior di pelle.

- Non ci penso nemmeno! Sono in cima ad un albero! Mi sembra di essere quasi più vicina al cielo che alla terra, e tu vuoi che chiuda gli occhi!? Scordatelo! –

- Ti fidi di me? –

- Così non vale! Certo che mi fido, ma… -

- Allora niente ma! Non ti succederà niente. Ora, per favore… li chiudi questi maledetti occhi!? –

Kagome sospirò sconsolata, arrendendosi. Infondo aveva anche detto per favore, no? Quante volte glielo aveva sentito dire da quando lo conosceva? Due? Tre? Era un evento!

Chiuse gli occhi e in quell’istante il suo cuore iniziò a battere più forte.

Inuyasha deglutì rumorosamente.

Aveva un nodo allo stomaco, i palmi delle mani sudati e la certezza di essersi messo in una brutta situazione tutto da solo; ma ora che era arrivato a quel punto non aveva senso fermarsi o ancora peggio, fare marcia indietro.

No, doveva farlo. Ora.

Si chinò con estrema lentezza verso di lei, lasciandosi cullare ogni secondo di più dal suo dolce profumo.

Un leggero alito di vento li accarezzò, scompigliando i loro capelli.

Chiuse gli occhi e azzerò quella ridicola distanza.

Posò le sue labbra della ragazza, sorprendendosi di quanto fossero morbide. Fu un semplice sfiorarsi, dolce e delicato. Qualche secondo appena. Giusto il tempo che il suo cuore si fermasse, per poi riprendere a battere al doppio della velocità.

Inuyasha si allontanò, evitando di guardarla in volto, visibilmente imbarazzato; Kagome invece continuò a guardarlo a bocca aperta, con le gote tremendamente arrossate e il cuore che batteva a mille.

Si sfiorò le labbra con le dita, chiedendosi se per caso non fosse stato tutto un sogno. Magari si sarebbe svegliata presto e avrebbe scoperto che Naraku non era affatto morto e che la ricerca continuava.
Poi ad un tratto un pensiero le passò per la testa, facendola sorridere.

- È per… per questo… che mi hai portata su quest’albero e volevi… che ti togliessi il rosario? – gli domandò imbarazzata e divertita, non riuscendo a mantenere la voce ferma.

- Tzè! Lo sai come sono fatti quei due, sono dei guardoni! Si sarebbero appostati dietro un cespuglio, in attesa del momento perfetto per saltar fuori. –

- Già… - sussurrò Kagome, ridendo debolmente.

Era felice. Lo era davvero.
Niente più Kikyo, né Naraku, né frammenti della sfera. Solo Kagome e Inuyasha.
Perché non poteva rimanere così per sempre?

- Sarà meglio tornare… - sussurrò Inuyasha con un velo di tristezza, come se improvvisamente i pensieri dell’una fossero diventati anche i pensieri dell’altro.

Kagome annuì, affidandosi completamente a lui per poter scendere dall’albero.
Toccò terra e in quell’istante si rese conto che quel momento di totale perfezione, che il cielo le aveva regalato, era appena finito. La terra la riportava alla realtà, richiamandola a sé con forza.
Era stato solo un momento, solo un attimo, ma il più importante e perfetto di tutta la sua vita.

Vide Inuyasha incamminarsi.
Guardò il profilo delle sue spalle, leggermente incurvate e immaginò chiaramente i pensieri che lo dovevano tormentare, come se li vedesse realmente.
Rimase indietro, ferma, dove lui l’aveva lasciata.

- Inuyasha! -

Il mezzo-demone si voltò.

Non voleva che quel momento fosse l’ultimo.

Gli corse incontro.

Voleva che ce ne fossero altri! Mille altri! Momenti snervanti, dolci, romantici, passionali, momenti pieni di lui.

Una lacrima le scese lungo la guancia.

Voleva lui. Avrebbe sempre voluto lui.

Lo abbracciò, circondandogli il collo con le braccia e stringendolo.

- Ti amo! – gli disse d’istinto tra le lacrime, come se avesse voluto urlarlo per quanto era forte ciò che provava.

Non c’era mai stato bisogno di parole, ma in quel momento era il suo stesso cuore a richiedere che le dicesse, che desse voce a quel sentimento che ora provava quasi con dolore. 

Inuyasha la strinse a sé con disperazione, prima di unire nuovamente le loro labbra, senza più dolcezza o delicatezza.

Fu un bacio irruento e passionale, una ricerca continua e instancabile, che simboleggiava le loro stesse vite. Un bacio pieno di disperazione per una separazione che nessuno dei due avrebbe mai voluto; pieno di speranze per un futuro che avrebbero voluto poter vivere insieme.

Un bacio semplicemente pieno d’amore.

Rimasero presto senza fiato a specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra, con le fronti unite e il respiro affannoso.

- Ti troverò. – soffiò Inuyasha sulle sue labbra, - Non importa quanto tempo dovrà passare. Io ti troverò sempre. -

 

 

Tornarono indietro insieme, mano nella mano.

Ormai non c’era più niente da dire e il tempo era quasi finito.
La vecchia Kaede si avvicinò ad Inuyasha con la sfera in mano, spiegandogli brevemente cosa sarebbe successo nel giro di pochi secondi. Era semplice, troppo semplice: non appena Kagome fosse entrata in contatto con la sfera, sarebbe scomparsa.

E tutto sarebbe finito.

- No. – rispose secco lui, rifiutandosi di prendere il mano il gioiello.

- Inuyasha… - lo chiamò Kagome, ma lui subito la interruppe.

- No! Non sarò io a…. - le parole gli morirono in gola, - Non sarò io. –

- Venerabile Kaede, credo che dovreste farlo voi. – si intromise Miroku, ricevendo occhiate di approvazione e gratitudine.

- Bene, allora ci siamo. Sei pronta? – domandò l’anziana donna, avvicinandosi a Kagome che per tutta risposta trattenne il respiro.

- Ma ti sembra una domanda da fare, dannata vecchiaccia?! – urlò Inuyasha nervoso.

- Non ha tutti i torti questa volta. – sussurrò il piccolo Shippo a Sango, che annuì fermamente.

- Dovrai solo prendere in mano la sfera. Non sentirai niente. – le spiegò, ignorando palesemente il gruppo accanto a lei.

Kagome tremò leggermente. I suoi occhi erano fissi su quelli di Inuyasha, in cerca di coraggio. Annuì, unendo le mani, per ricevere la sfera.

Era il momento.

La vecchia Kaede lasciò cadere il prezioso gioiello e tutti trattennero il fiato.
La sfera toccò le mani di Kagome e una luce fortissima si sprigionò da essa, andando ad inglobare tutti.
Vide Inuyasha fare un passo verso di lei e desiderò ancora una volta che quello non fosse altro che un brutto scherzo. Desiderò di poter restare con lui e vivere altre avventure.
La sfera brillò più forte, costringendo tutti i presenti a chiudere gli occhi.
Desiderò che Inuyasha e i sentimenti d’amore che la legavano a lui non cambiassero mai, che potesse ricordarli sempre e che un giorno, chissà quando, lui riuscisse davvero a trovarla.

- Ti aspetterò… - sussurrò, sorridendogli per l’ultima volta.

La luce scomparve e la sfera cadde a terra.

Kagome non c’era più.

Era scomparsa. Come se non fosse mai arrivata, esattamente come se non fosse mai esistita.

 

 

 

Inuyasha si era allontanato immediatamente, senza che né Sango né Miroku riuscissero a fermarlo.
Se ne era andato per non vedere le loro lacrime, per non mostrare le sue.

Kagome gli aveva insegnato che condividere un dolore con altre persone poteva essere d’aiuto, perché il pensiero che altri potessero provare il medesimo dolore poteva far sentire di non essere soli.
Sapeva che aveva ragione, lo aveva capito nel momento stesso in cui aveva realizzato di avere degli amici per la prima volta nella sua vita; ma in quel momento era anche certo che niente avrebbe potuto alleviare quel dolore o riempire quella sensazione di vuoto.

Al villaggio trascorsero alcune settimane, durante le quali nessuno sembrava avere notizie del mezzo-demone.
Miroku, che aveva inizialmente proposto di lasciargli i suoi spazi e il tempo necessario per digerire la situazione, iniziava ora a sentire un insopprimibile senso di colpa e preoccupazione crescere con prepotenza dentro di lui. Aveva cercato di appoggiare la sua idea, ma era anche sicuro che sarebbe tornato prima o poi e invece i giorni passavano e di lui non si aveva la minima notizia.
Sango aveva segretamente mandato Kohaku e Kirara ad indagare, ma i due non erano tornati con le risposte che si sarebbe aspettata.
Erano invece entrati nel villaggio senza nessuna novità, ma con Koga al seguito, giunto lì con l’intenzione di sentire la storia della morte di Naraku direttamente da loro e per mettere in chiaro una volta per tutte le questioni rimaste in sospeso con Kagome.

Era toccato a Sango e Miroku rivelare come si erano svolti i fatti: della morte di Naraku, del volere della sfera, della scomparsa della ragazza e della sofferenza di Inuyasha.
Koga li aveva ascoltati senza aprire bocca. Aveva lasciato che concludessero il racconto, dopodiché si era alzato e senza dire una parola, era sparito nella foresta.

Solo un paio di giorni dopo, alcuni contadini, che si erano spinti più in profondità nel bosco per andare a caccia, riferirono, preoccupati dell’attacco di qualche demone feroce, di un’immensa porzione di foresta sradicata e rasa al suolo.
Sango e Miroku compresero all’istante e per non farli preoccupare eccessivamente dissero che se ne sarebbero occupati loro personalmente.

Era ormai passato più di un mese, quando Inuyasha fece il suo ritorno al villaggio, con un aspetto a dir poco irriconoscibile.
Entrò zoppicando, interamente ricoperto di sangue, fresco o rappreso che fosse, con gli occhi vitrei, un grande squarcio sul petto, che avrebbe fatto invidia alla peggiore delle ferite mortali, e un braccio lasciato inerme lungo il fianco, stretto con forza dall’altro, forse per non provare troppo dolore ad ogni passo.

Kirara fu la prima a fiutare il suo odore. Corse fuori dalla capanna, trasformandosi sotto gli sguardi stupiti del monaco e della sterminatrice. Seguì quella traccia di sangue, fino a che non lo vide.
Gli atterrò a meno di due passi di distanza e Inuyasha, senza neppure vederla, le cadde addosso, come un peso morto, perdendo immediatamente i sensi per quell’insieme di dolore, stanchezza e ferite che avevano messo a dura prova il suo ritorno al villaggio.

Quando Sango lo vide, steso sul dorso di Kirara, inerme e pieno di sangue, lanciò un urlo, facendo immediatamente uscire tutti dalle case, con il pensiero di un pericolo imminente.
Miroku e gli altri abitanti del villaggio, dopo averlo riconosciuto, lo portarono nella capanna della vecchia Kaede, dove lei si affrettò a dargli immediatamente tutte le cure necessarie.

Quando il mezzo-demone riaprì gli occhi, senza sapere se fosse ancora vivo o meno, né quanto tempo fosse passato, sentì una voce dolce e melodiosa cantare.

- K…Ka…go… me. – sussurrò, immaginando la figura della donna che neppure un attimo aveva lasciato i suoi sogni.

- Finalmente vi siete svegliato, signor Inuyasha! – esordì una voce squillante, nella quale il mezzo-demone riconobbe senza ombra di dubbio quella di una bambina.

Tentò di alzarsi e ne cercò la provenienza con lo sguardo, cercando di mettere a fuoco i dettagli dell’abitazione, ma subito la piccola gli fu accanto, e gli consigliò di riposare ancora, perché il suo corpo non aveva ancora ripreso le forze.

Senza neppure darle il tempo di finire di parlare, il mondo dei sogni aveva nuovamente catturato la sua anima.

Quando si svegliò per la seconda volta, decisamente più in forze della prima, riuscì a vedere chiaramente l’ambiente che lo circondava senza essere costretto a fare ulteriori sforzi.
Vide la vecchia Kaede e quella bambina che riconobbe immediatamente. Si domandò perché lei si trovasse lì. Che Sesshomaru fosse al villaggio?

- Vecchia Kaede ti ho porta… - sentì dire da una voce familiare, che fece in quello stesso istante il suo ingresso nella capanna, - Inuyasha! Vecchia Kaede, Inuyasha è sveglio! – urlò, precipitandosi al suo fianco.

L’anziana sacerdotessa controllò le ferite, mentre Rin gli porse gentilmente dell’acqua, aiutandolo a bere.

- Come ti senti Inuyasha? – domandò Kaede, dopo aver appurato che il suo corpo aveva ormai ripreso un minimo le forze.

- Bene… - disse, dopo aver voltato la testa dall’altra parte ed essere sfuggito ai loro sguardi.

Sango non si lasciò commuovere e subito gli assestò un pugno sulla testa, stando attenta a non metterci la solita forza.

- Sei uno stupido! – gli urlò poi, mentre Kaede e Rin uscivano, lasciandoli soli, - Sei solo uno stupido! Andartene così e ritornare conciato in quel modo! E tutti quei bei discorsi fatti a Kagome, eh?! Credi che sarebbe fiera di te ora!? Le hai detto che avresti lottato per rimanere in vita per lei, per incontrarla di nuovo, e non appena se ne va, la prima cosa che provi a fare è ucciderti!? Sei uno stupido! -

- Non stavo tentando di uccidermi. – biascicò Inuyasha, tentando di difendersi, ma non avendo ancora sufficienti energie, - E poi tu che ne sai di cosa le ho detto?! –

- E ti stupisci ancora? Io e Miroku vi stavamo ascoltando! Sai quanto ci hai fatti preoccupare!? Vorrei davvero poterti mandare a cuccia, razza di idiota! – disse e per un secondo le parve che Inuyasha accennasse un sorriso, cosa che fece sorridere anche lei.

- Sai, - continuò poi, più tranquillamente, sospirando, - Kagome manca da morire a tutti noi. Era come una sorella per me... – ammise, cercando di trattenere le lacrime.

Inuyasha chiuse gli occhi, respirando profondamente.

- Inuyasha… - lo chiamò, attirando la sua attenzione, decisa a non toccare più l’argomento, - non andare più via in quel modo. – gli chiese sorridendo, come se in realtà lo stesse supplicandolo.

Il mezzo-demone si ritrovò costretto ad annuire debolmente, rendendosi conto dell’ulteriore dolore e della preoccupazione che aveva causato con il suo atteggiamento, prima di chiudere gli occhi e scivolare nuovamente in un lungo e profondo oblio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino di Aredhel

 

 



Informazioni e curiosità sul capitolo e sulla storia: (anche chiamate: La mente malata torna temporaneamente in sé.)
Ed ecco qui il secondo capitolo!!!
Con questo finisce ufficialmente il prologo e diciamo bye bye a Kagome. :P Sono sicura che in questo momento Inuyasha mi sta odiando a morte… ma andiamo avanti! E poi almeno un misero bacio decente gliel’ho fatto scambiare, no? Magari deciderà di risparmiarmi e ignorerà il fatto che l’ho quasi mandato a suicidarsi! :P
Purtroppo nessuno ha indovinato da dove è preso il titolo di questa storia. Beh, pazienza, ve lo dico io! :P
È una citazione diretta di… (rullo di tamburi)… Once upon a time! (tra parentesi, da ieri è ufficialmente iniziata la pausa invernale… T_T mamma che tristezza!) Ormai ho perso il conto di tutte le volte che Snow o Charming hanno usato questa frase ahahah. Comunque sia, mi piace la frase, mi piace da morire la serie e così le ho reso onore! (?) :P
Alcuni di voi mi hanno chiesto se I’ll always find You è collegata a Scrivo per raggiungerti. Lo dico anche qua, in caso venga lo stesso dubbio anche ad altri: per il momento le due storie non sono collegate. Forse, ed è un forse enorme, (quasi gigantesco, in grado probabilmente di far concorrenza ad un grattacielo di 300 piani) potrebbero diventarlo in futuro, in caso mi venisse in mente un buon modo per farle funzionare insieme. Visto però che al momento non voglio darvi false speranze, continuate a vederle come due storie diverse. :P
L’ultima cosa di cui volevo avvisarvi è che questa storia sarà lunga poco più di dieci capitoli e il motivo per cui ve lo sto dicendo sostanzialmente è per prepararvi al fatto che ben presto inizierete a notare il tempo che scorre a grandissima velocità. L’effetto complessivo a me non sembra malaccio, ma mi direte poi voi se è passabile o assolutamente pessimo.
Vi ringrazio ancora infinitamente per i commenti. Sono stati tutti assolutamente splendidi e mi hanno davvero commossa! Non credevo che vi sarebbe piaciuta tanto e ne sono estremamente felice! :)
Ringrazio tantissimo anche tutti quelli che hanno mezzo la storia tra le preferite e tra le seguite! Spero che continuerete a seguirmi e a farmi sapere cosa ne pensate.
Detto ciò, mi eclisso e ci vediamo col prossimo capitolo tra qualche giorno: sicuramente lo posterò prima di Natale.
Un bacio grande a tutti,
Aredhel <3

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Capitolo 3
*** Iniziare a vivere ***


I'll always find You










3. Iniziare a vivere






 

Il mezzo-demone vide l’alba sorgere altre tre volte, prima che ricominciasse a sentire completamente i muscoli del suo corpo e prima che questi riprendessero ad assecondare le sue intenzioni, iniziando a fare minuscoli e lenti movimenti.

Per tutto quel tempo, non un solo secondo l’avevano lasciato solo, forse temendo altri gesti sconsiderati: Miroku, Sango, Rin, la vecchia Kaede e persino Shippo e Kirara si alternavano per tenergli compagnia.
Gli avevano spiegato che era rimasto privo di sensi per quasi un mese, durante il quale li aveva fatti preoccupare enormemente. Il momento peggiore era sicuramente stato durante la notte di luna nuova: notte, durante la quale, la febbre aveva raggiunto vette elevatissime e le ferite si erano infettate, producendo un drastico aggravamento delle condizioni generali.
La vecchia Kaede aveva proceduto a disinfettare più volte le ferite nell’arco di qualche ora, ma l’infezione sembrava volersi ricreare sempre più aggressivamente, ogni volta sempre in fretta, rendendo vani i suoi sforzi.

Dopo appena poche ore dal momento del tramonto, Inuyasha aveva iniziato ad avere i battiti cardiaci al triplo della velocità considerata normale per dei semplici umani, seguiti poco dopo da seri problemi respiratori. Quando poi aveva iniziato a delirare, nei pensieri di tutti si era palesata la possibilità che l’amico non avrebbe superato la notte.

Avevano continuato a vegliarlo senza sosta, sperando e pregando in un miracolo, e alla fine, quando il sole era finalmente sorto, dietro le montagne, e il suo cuore aveva mostrato un minimo accenno di battito, anche se debolissimo e incredibilmente lento, avevano tirato un sospiro di sollievo, ritrovandosi a festeggiare e a piangere di gioia per il pericolo scampato.

Fortunatamente, aveva commentato Shippo, il mezzo-demone aveva la pellaccia dura anche da umano.

Inuyasha aveva anche appreso, durante quelle lunghe giornate di guarigione, che Sesshomaru era stato al villaggio e che, con grande sorpresa di tutti, aveva lasciato la piccola Rin con loro.
Kaede aveva subito accettato di accudirla, ritenendo che per la bambina fosse più saggio crescere un po’ in mezzo agli umani, cosicché poi in futuro potesse scegliere quale vita seguire.
Da quando Sesshomaru l’aveva lasciata, Rin aveva legato profondamente con la sterminatrice e con l’anziana sacerdotessa; ma, secondo le due donne, la persona a cui la bambina si sentiva più legata era proprio Inuyasha.
Da quando l’aveva visto, così malato, in quella piccola stanza, non era passato un solo giorno che non si fosse presa cura di lui, anche semplicemente vegliando il suo sonno o asciugandogli il sudore.

A sentire Sango e Miroku il motivo poteva essere che la bambina era più portata a stabilire rapporti di fiducia con i demoni piuttosto che con gli umani; secondo Kaede, invece, il fatto che Inuyasha fosse il fratellastro del suo adorato Sesshomaru, gli aveva fatto guadagnare subito le sue simpatie.

Il mezzo-demone aveva ascoltato tutte quelle notizie e quelle teorie rimanendone completamente indifferente. Per il momento, quella bambina sempre solare e sorridente, delle volte un po’ petulante, non gli causava fastidi e tanto gli bastava.

 

Qualche giorno dopo la sua completa guarigione, si accorse che i suoi amici tramavano qualcosa. Capitava spesso che scoprisse Sango e Miroku intenti a confabulare segretamente, attentissimi a non farsi sentire dalle sue sensibili orecchie. Li aveva scoperti anche a parlare con la vecchia Kaede, sempre in gran segreto. Aveva cercato di capire cosa stesse accadendo, ma proprio quando si era deciso ad andare da loro per chiederlo una volta per tutte, li aveva trovati ad aspettarlo, con i volti incredibilmente seri e preoccupati.

- Inuyasha, noi vogliamo sposarci! – era esploso Miroku improvvisamente, guardandolo contemporaneamente con decisione e titubanza.

Il mezzo-demone era rimasto a fissarli confuso, senza capire cosa si aspettassero che facesse lui con quell’informazione, che da giorni gli tenevano nascosta, come se fosse il segreto della vita dell’universo.

- Tzè! Era ora! – borbottò, incrociando le braccia e guardandoli sospirare di sollievo, - Si può sapere che vi prende?! -

- Che ci prende? Stai scherzando spero! L’altra volta per poco non sei morto! – protestò Sango furiosa, - Vorremmo evitare di correre di nuovo il rischio. –

- Ah, ma che noiosi! Ve l’ho già promesso mi pare o no?! Non farò niente di stupido, perciò smettetela di preoccuparvi! – concluse, e almeno per quella volta i due si fidarono sulla parola.

Vedendo come la situazione fosse più tranquilla del previsto, procedettero a spiegargli che volevano sposarsi il prima possibile.

Gli dissero che all’inizio non se la sentivano, perché il ricordo di Kagome e l’idea che lei non ci fosse era troppo doloroso; poi avevano deciso di aspettare fino a che lui non fosse stato meglio sia fisicamente che mentalmente: volevano che il mezzo-demone fosse presente al matrimonio, perché infondo, gli dissero, era merito suo e di Kagome se si erano incontrati. Dovevano ad entrambi la loro felicità presente e futura.

Inuyasha li aveva ascoltati senza scomporsi più di tanto e alla fine aveva approvato la loro scelta di sposarsi nel giro di un paio di settimane: giusto il tempo di portare a termine i preparativi.

- Ho una sola condizione: – disse ad un tratto, facendoli rabbrividire, - è da un po’ che ci penso, ormai sto bene e non ha più senso rimandare… aspetterò fino al giorno del vostro matrimonio, ma subito dopo esprimerò il desiderio alla sfera. È ora che il suo potere si esaurisca una volta per tutte.-

- Sì, certo, mi sembra una buona idea. Infondo sapevamo che questo momento sarebbe arrivato… - disse Miroku, ricevendo un’occhiata di approvazione anche da Sango.

- C’è un’altra cosa. – lo interruppe Inuyasha, deciso a mettere in chiaro tutto il prima possibile.

C’era un ultimo particolare, un elemento che aveva volontariamente omesso, anche con Kagome stessa, rifiutandosi di dirlo a voce alta, forse per evitare di renderlo una possibilità concreta, ma ormai il tempo stava per scadere e non aveva senso continuare a far finta di non preoccuparsene.

- Quando esprimerò il desiderio alla sfera, dovrete essere lì con me. –

Sango guardò perplessa alternativamente lui e il suo futuro marito, per poi annuire leggermente confusa.

- D’accordo, va bene… -

- Aspetta. Perché ci stai dicendo questo? – la interruppe subito Miroku, intuendo qualcosa di strano.

- Perché se qualcosa andasse storto… dovrete uccidermi. – concluse con estrema sicurezza.

- Stai scherzando vero? –

Sango lo guardò minacciosa.

- Temi che la sfera possa trasformarti in un mostro assetato di sangue? – chiese il monaco, ponderando con più razionalità la situazione.

- Non ho modo di sapere cosa accadrà, per questo ve lo sto dicendo. Allora, posso contare su di voi, sì o no? –

I due ragazzi furono loro malgrado costretti ad annuire.

Per quanto odiassero quella situazione, non sarebbero comunque riusciti a far cambiare idea ad Inuyasha e se la sfera lo avesse davvero trasformato in un mostro, il problema non sarebbe stato più soltanto loro, ma di tutti. In quel caso, anche se il solo pensiero era folle e doloroso, avrebbero dovuto prendere dei drastici provvedimenti.

 

Il giorno del matrimonio arrivò molto prima di quanto Inuyasha avesse immaginato. Per tutto il tempo Miroku non aveva fatto altro che affidargli un compito dopo l’altro, tenendolo impegnato praticamente giorno e notte.

- Inuyasha, mi daresti una mano a costruire la capanna? –

E lui l’aveva aiutato: aveva procurato le materie prime, le aveva portate nel luogo che Miroku aveva appositamente scelto e aveva iniziato a costruire una capanna, sotto lo sguardo vigile e scrupoloso dell’amico che gli ripeteva cosa fare e come farlo, ma che non si azzardava ad alzare un dito, neppure quando, proprio come era accaduto, una pesantissima asse di legno gli era caduta sulla testa, procurandogli un bernoccolo di proporzioni sensazionali.
Aveva, inoltre, rischiato più volte di rimanere sommerso da tutte quelle assi, non ancora fissate, che andavano per conto loro invece che seguire il suo volere; ma tutto quello che Miroku era stato in grado di dirgli era stato:

- Inuyasha, è una cosa seria! Smettila di giocare, altrimenti non sarà mai pronta per il matrimonio! – ed era tornato a rivolgere la sua attenzione a due belle fanciulle che proprio in quel momento passavano di lì.

Il mezzo-demone aveva sbuffato, continuando a lavorare, pensando con una buona dose di sadismo che il debito che Miroku aveva nei suoi confronti aumentava sempre di più e che un giorno gliele avrebbe fatte pagare tutte. Se le appuntava a mente e nel frattempo le richieste, o per meglio dire gli ordini senza possibilità di appello, aumentavano a dismisura.

- Inuyasha, tieni impegnata Sango mentre parlo con quelle belle fanciulle! -

- Inuyasha, vai tu a prendere il Venerabile Mushin. Ho ancora tante cose da preparare per il matrimonio, non riesco ad andarci io. –

- Visto che sei di strada, potresti andare a cercare anche Shippo e Kohaku? E di’ loro che abbiamo deciso la data del matrimonio! –

- Inuyasha… -

- Inuyasha? –

- Inuyasha! –

La testa aveva iniziato ad esplodergli.
All’inizio aveva avuto la sensazione che lo facessero per lui, per tenerlo impegnato e non farlo pensare a Kagome, ma con il passare del tempo quella situazione lo aveva urtato sempre di più e aveva iniziato a pensare che i suoi “amici” se ne stessero semplicemente approfittando.
In un’altra occasione forse gliel’avrebbe fatta pagare, ma con il matrimonio e la possibilità di diventare un mostro assetato di sangue, ormai alle porte, non se l’era sentita e alla fine aveva deciso di accontentarli, senza fare tante storie.

Il villaggio era stato animato da un grande fermento per giorni e tutti si era impegnati per far sentire i due futuri sposi a casa propria. Infondo nessuno dei due aveva un luogo a cui far ritorno: anche se in modo diverso, entrambi avevano chiuso con il proprio passato.
Quando Naraku era finalmente morto e avevano potuto seriamente pensare al futuro e fare progetti, ad entrambi stabilirsi nel villaggio di Musashi era sembrata la scelta più ovvia, come se non ne fossero mai esistite altre.
Infondo non avevano una casa, una famiglia o degli amici in altri luoghi, eccetto Kohaku che aveva iniziato a viaggiare con Kirara e il vecchio Mushin che era praticamente un eremita. I villaggi erano tutti uguali, ma Musashi era stato il fulcro delle loro avventure negli ultimi anni e in un certo senso vi erano affezionati.

Lì tutto era iniziato e tutto era finito. Sapevano inoltre che da lì Inuyasha non si sarebbe mai mosso: non glielo avrebbero neppure chiesto, né sarebbero mai stati in grado di lasciare il mezzo-demone completamente solo per trasferirsi chissà dove. L’avevano promesso a Kagome, in un tacito accordo, prima che scomparisse: si sarebbero presi cura di lui, aiutandolo a superare il difficile momento e a vivere.

Per questo avevano immediatamente parlato con Kaede sulla possibilità di vivere lì e l’anziana sacerdotessa si era rivelata subito estremamente entusiasta. Un monaco e una sterminatrice al villaggio avrebbero reso tutti molto più sicuri nei confronti di eventuali attacchi esterni. Inoltre, essendo lei ormai molto vecchia, avrebbe potuto contare sul loro aiuto per occuparsi della piccola Rin e, a suo dire, non avrebbe dovuto passare gli ultimi anni di vita che le restavano a fare da balia ad un mezzo-demone di duecento anni con la maturità di un poppante. 

Per questi motivi, tutti gli abitanti, senza esclusione, si erano impegnati con tutte le loro forze per far sì che i due iniziassero al meglio la loro nuova vita e che fossero felici e soddisfatti di poter chiamare quel luogo “casa”.

 

Il giorno prima delle nozze era stata organizzata una cena, che avrebbe dovuto essere di buon augurio per i due futuri sposi. In pochissimo tempo però la cena si era trasformata in una grande festa, per celebrare il ritorno di Kohaku, la riunione di tutta la famiglia, la sconfitta di Naraku e la gioia di essere insieme per vivere quel momento.

Inuyasha era uscito dalla capanna della vecchia Kaede in completo silenzio, stando ben attento a non far notare la sua presenza. Era felice per loro, ma non capiva il senso di continuare a festeggiare in quel modo, o forse semplicemente per lui era impossibile sentirsi sereno e far finta di non aver nessun problema.
Si appollaiò su un albero, come suo solito, guardando alternativamente le stelle e i suoi amici, in attesa che anche quella notte trascorresse, segnando un ulteriore avvicinamento al momento della trasformazione.

Era preso dai suoi pensieri, quando ad un tratto vide la piccola Rin uscire di corsa dalla capanna e precipitarsi verso la foresta in tutta fretta. Incuriosito la seguì con lo sguardo, assicurandosi in questo modo che non corresse rischi.
Improvvisamente la vide fermarsi, per poi guardarsi intorno con il sorriso sulle labbra e l’impazienza negli occhi. Un odore estremamente familiare gli arrivò alle narici e automaticamente storse la bocca, infastidito.

- Signor Sesshomaru! – la sentì gridare, mentre gli correva incontro, fermandosi a pochi passi da lui e guardando verso l’alto, per poter incrociare il suo sguardo.

Lui, come suo solito non disse una parola, rimanendo impassibile, ma per qualche strana ragione Rin non gli diede il minimo peso, sfoderando, se possibile, un sorriso ancora più grande e guardandolo estasiata.

- Sapevo che avreste mantenuto la promessa! – gli disse ingenuamente, non smettendo di ridere.

Un lampo attraversò gli occhi del demone e solo per un attimo ad Inuyasha sembrò che Sesshomaru fosse divertito, che sotto quello sguardo gelido e tagliente se ne celasse uno più calmo e sereno. Un’espressione che solo quella bambina umana era in grado di far emergere.

- Rin. – la chiamò lui, sembrando molto più serio di quanto probabilmente avesse voluto.

- Ditemi. – chiese, anche lei improvvisamente seria.

- Ti trovi bene al villaggio? -

La bambina abbassò lo sguardo, riflettendo attentamente sulla risposta da dare, prima di tornare a guardare negli occhi il grande demone, con sicurezza e ingenuità.

- Sì, sono tutti molto buoni con me. La Venerabile Kaede ha detto che posso considerare casa sua come casa mia. Durante il giorno poi mi insegna un sacco di cose e mi permette di aiutarla quando deve lavorare. Anche la signorina Sango e il signor Miroku si prendono cura di me, sapete? La signorina Sango l’altro giorno mi ha detto ha detto che sono come una sorellina ed è sempre molto gentile. E poi c’è anche il signor Inuyasha che si prende cura di me. Lui veglia su tutti e mi protegge sempre se rischio di farmi male. E poi ci sono anche Shippo, Kirara e Kohaku… -

- Sembra che ti piaccia vivere qui. –

Rin abbassò la testa, mordendosi il labbro inferiore e sfregandosi i pugni contro i fianchi, sentendosi improvvisamente a disagio, tanto che il demone stesso si sorprese di quell’atteggiamento, che solo in rari casi le aveva visto. Forse avrebbe potuto contarli sulle dita di una mano e tutte le volte erano il segno che Rin voleva metterlo al corrente di una questione che per lei era estremamente importante e che, forse per questo, la impensieriva particolarmente.

- Signor Sesshomaru, voi mantenete sempre le promesse, vero? - chiese semplicemente tutt’un tratto e lui non poté fare a meno di guardarla con lo stupore dipinto sul volto.

- Perché me lo domandi? –

- Perché quando mi avete lasciata al villaggio, avete promesso che una volta grande avrei potuto decidere io cosa fare della mia vita, anche ricominciare a viaggiare con voi. Lo avete promesso, ricordate? –

Sesshomaru la guardò dritta negli occhi, abbassando piano la testa, riportando alla memoria quel giorno in cui Rin, o per meglio dire, i suoi tristi occhi sull’orlo delle lacrime gli avevano strappato quella promessa.

- Manterrete la promessa, signor Sesshomaru? – chiese di nuovo, leggermente spaventata, con la voce carica di aspettative.

Ancora una volta, il potente demone si sentì intrappolato da quello sguardo così speranzoso e innocente.
Dire bugie non era nella sua natura e infrangere le promesse lo era ancora meno. Il grande Sesshomaru non si sarebbe mai abbassato a simili e miseri livelli. Perciò, anche se l’ultima cosa che desiderava era che Rin vivesse aggrappandosi a simili speranze, per lui era semplicemente impossibile impedirle di prendere le sue scelte.

- Sì Rin, manterrò la promessa. Sarai tu a decidere. - e lui avrebbe accettato qualsiasi cosa lei avesse voluto, incerto su cosa augurarsi di preciso.

La bambina gli sorrise radiosa, sentendo quel peso che aveva sul cuore scomparire all’istante. Non avrebbe mai dovuto dubitare del suo signor Sesshomaru e sicuramente non l’avrebbe mai più fatto.

Ad un tratto vide il demone fissare un punto lontano, dietro di sé, con grande concentrazione e per un attimo fu come se intuisse i suoi stessi pensieri.

- Sapete, signor Sesshomaru, domani il signor Miroku e la signorina Sango si sposano! La signorina Sango mi ha chiesto di assisterla durante la cerimonia per il cambio d’abiti. Io le ho detto che sicuramente non sarei stata di alcun aiuto, perché non sono brava: non ho mai visto un matrimonio e non so neanche cosa si dovrebbe indossare. Le ho detto che non avrei dovuto partecipare, però lei ha insistito tanto! E anche il signor Miroku! Hanno voluto a tutti i costi che ci fossi anche io. Sono brave persone, vero signor Sesshomaru? -

La bambina continuò a parlare senza sosta, raccontandogli ogni singola cosa che le passasse per la mente, riempiendo l’aria con il suono melodioso della sua voce, dimenticando quasi di prendere fiato. Avrebbe potuto continuare anche per tutta la notte se avesse voluto, perché sapeva che, nel momento stesso in cui avesse finito le parole, il demone sarebbe scomparso alla sua vista, per poi fare ritorno chissà quando.
Così, anche se sapeva che al grande Sesshomaru non importava nulla della vita di un misero villaggio umano, si sforzò di raccontare anche le cose più banali come se fossero degli eventi straordinari, sicura che lui la stesse ascoltando attentamente, anche se in apparenza sembrava incredibilmente lontano e disinteressato.

Quando, diversi minuti dopo, Inuyasha la vide ripercorrere a ritroso i suoi stessi passi per ritornare alla capanna, con lo sguardo rivolto verso il terreno, non poté fare a meno di chiedersi cosa legasse una bambina umana come Rin ad un demone come Sesshomaru.
Non riuscì a trovare una risposta o forse semplicemente non volle conoscerla, ma in quel momento sperò che la bambina potesse trovare nel villaggio umano qualsiasi cosa avesse prima trovato in Sesshomaru.

Con questi pensieri scivolò nel mondo dei sogni, con la consapevolezza che il giorno seguente in un modo o nell’altro tutto sarebbe cambiato.

 

 

La stessa mattina Inuyasha fu svegliato di soprassalto da una serie di piccole, ma incredibilmente stridule, urla di gioia. Per lo spavento rischiò seriamente di cadere dal ramo su cui aveva dormito, ma dopo aver ripreso a fatica un minimo di equilibrio, si gettò di sotto volontariamente, toccando terra tranquillamente, come se in realtà non avesse appena fatto un volo di decine e decine di metri.

Si diresse verso la capanna, incuriosito e stranito da quell’inaspettato evento che gli aveva, anche se di poco, alterato il ritmo dei battiti cardiaci.
Come lui, anche altri abitanti si erano affacciati dalle loro abitazioni o dai luoghi di lavoro, curiosi di sapere cosa stesse accadendo.

Vide Miroku, in compagnia della vecchia Kaede, a pochi passi dalla capanna, accelerare il passo, dopo avergli rivolto uno sguardo confuso.

Erano sul punto di spostare la stuoia per fare il loro ingresso, quando una piccola furia, alta un metro o poco più, dai lunghi capelli castani e gli occhi vivaci si catapultò all’esterno, saltellando da una parte all’altra, ridendo e stringendo al petto una splendida stoffa, all’apparenza molto pregiata.

- Guardate, guardate! Non è bellissimo?! – esclamò, dispiegando il preziosissimo oggetto che aveva tra le mani, per permettere a tutti di ammirarlo in tutto il suo splendore, sentendosi la bambina più felice del mondo.

- È un regalo del signor Sesshomaru, sapete?! Non è meraviglioso? – continuò con gli occhi che le brillavano.

Era un kimono. Uno splendido kimono di seta pregiata. Di un bianco perla così puro che avrebbe potuto fare concorrenza all’incredibile lucentezza di una grandissima luna piena, immersa nell’oscurità totale della notte fonda. Era ornato con una serie di finissimi ricami in varie sfumature di rosa, che andavano a disegnare degli splendidi petali di fiori di ciliegio, ricamati in modo tale da creare l’idea del movimento, dando la sensazione che ci fosse un vento leggero a sospingerli e cullarli. Per concludere, un obi di seta, anch’esso di un rosa tenue, ma non meno lucente, chiudeva il tutto.

- È davvero molto bello, Rin! – esclamò Miroku, sorridendole paternamente e immediatamente, se possibile, il sorriso della bambina si fece ancora più raggiante.

- Lo pensate davvero? – domandò ancora emozionata, guardando tutti, uno dopo l’altro, - Anche voi pensate che sia bello, signor Inuyasha? –

Il mezzo-demone si preparò a lanciarle uno sguardo storto, ma subito sentì una presenza cingergli il collo e quasi senza accorgersene, si ritrovò Miroku che tentava di stringere la presa per strozzarlo.

- Ma certo che sì, Rin! Non è forse vero, signor Inuyasha!? – esclamò col sorriso sulle labbra e un lieve, quasi impercettibile, cenno di minaccia nella voce; spingendo poi leggermente in avanti la testa del mezzo-demone in modo da far sembrare che stesse annuendo.

Non appena la bambina distolse lo sguardo, convinta da Kaede ad andare subito ad indossare il meraviglioso kimono, Inuyasha poté sbuffare liberamente, rivolgendo uno sguardo omicida al monaco al suo fianco.

Miroku si limitò ad allontanarsi, alzando le mani in segno di resa, accennando un sorriso imbarazzato.

- Avanti Inuyasha, è il giorno del mio matrimonio. Non vorrai uccidermi proprio oggi, no? Lasciami almeno vivere la prima notte di nozze! – lo supplicò, quasi implorante, ma il mezzo-demone continuò a guardarlo con istinti omicidi, mentre produceva un suono gutturale rauco, a stento trattenuto, che Miroku sapeva benissimo essere un ringhio.

Forse aveva esagerato, pensò il monaco, iniziando a temere seriamente per la propria vita.

- Dai Inuyasha, l’hai vista anche tu, no? L’avresti resa triste se le avessi risposto male. -

Il mezzo-demone sbuffò voltandosi, estremamente seccato a causa di quella situazione.

Certo, il monaco aveva ragione: Rin ci sarebbe rimasta molto male, ma non era di gran lunga peggiore il comportamento di Sesshomaru? Farle simili regali, sparire per mesi e poi ricomparire nella sua vita come se nulla fosse, non significava forse illuderla?

Il problema era che solo lui sembrava essere consapevole della realtà, mentre tutti per un motivo o per un altro, non facevano altro che ignorare o incoraggiare quella bizzarra situazione.

Quando aveva provato a chiedere spiegazioni, mettendo in luce il suo punto di vista, che a suo parere era assolutamente veritiero, Miroku gli si era avvicinato con un’espressione allo stesso tempo sconsolata e saccente, come solo lui era in grado di fare; gli aveva poggiato una mano sulla spalla e scuotendo piano la testa, aveva sentenziato: “Inuyasha, tu ancora non puoi capire.”

Inutile dire che la pazienza aveva velocemente lasciato il posto ad un rabbia smisurata.

Che cos’era che non poteva capire? Pensavano forse che fosse stupido?! Se ne era andato stizzito, borbottando che non era lui a dover capire.

Aveva osservato il comportamento di Rin e Sesshomaru ed era arrivato alla conclusione che aveva capito fin troppo bene come stavano le cose.
Il suo odiato fratellastro era un demone completo. Rin era un’umana. Non doveva di certo ripensare a tutte le volte che Sesshomaru aveva denigrato l’esistenza di tutte le creature a lui inferiori, giudicandola priva di senso e degna solo di avere una fine miserevole; non gli serviva riportare alla mente le parole d’odio pronunciate contro sua madre, un’inutile umana che aveva portato alla morte uno dei più grandi demoni che fossero mai esistiti, o contro lui stesso, un mezzo-demone che non meritava la vita; non gli serviva niente del genere per capire che Sesshomaru si stava solamente divertendo con Rin, che la stava illudendo, mettendo le basi per la futura distruzione a cui l’avrebbe portata una volta che l’avesse abbandonata a se stessa, ritornando l’arido e crudele demone di ghiaccio che era sempre stato. Ma tanto lui non poteva capire, no?

In realtà l’unica cosa di tutto quel discorso che Inuyasha non riusciva a capire era il perché Sesshomaru si stesse servendo di una bambina come Rin. Infondo se avesse voluto solo divertirsi avrebbe potuto trovare milioni di altri umani, pronti a cadere nei tranelli di un demone.

Purtroppo la risposta continuava a sfuggirgli e così non poteva fare altro che starsene con le mani in mano ad osservare e ad aspettare eventuali negativi sviluppi, sicuro che prima o poi sarebbero inevitabilmente arrivati.

 

 

Inuyasha rimase per tutto leggermente isolato, sforzandosi comunque di rimanere sempre presente, per non far preoccupare gli amici e non intaccare la loro serenità. Vedeva i loro volti passare alternativamente dall’ansia più nera ad un’incontenibile felicità, mentre tutti si aggiravano indaffarati per ultimare i preparativi.

Rin dopo aver fatto il giro dell’intero villaggio, per mostrare il suo splendido kimono nuovo, si era infine calmata e dopo un respiro profondo, aveva riservato tutte le sue attenzione per la futura sposa, aiutandola a vestirsi e ripetendole spesso quanto fosse immensamente bella.

La bambina vedeva la luce che la sterminatrice emanava e ne era inevitabilmente attirata e affascinata. Si trovò a chiedersi se anche lei un giorno sarebbe stata in grado di emanare quella stessa luce e desiderò con tutto il cuore che accadesse davvero, perché se ciò fosse accaduto sicuramente sarebbe stata la persona più felice del mondo, come era certo che lo fosse Sango in quel momento.

In un’altra capanna, non troppo lontano da lì, Miroku, solitamente dotato di una calma a dir poco eccezionale, aveva iniziato a mostrare evidenti segni di una follia prima latente.
Camminava da una parte all’altra della stanza, non staccando gli occhi dal pavimento neppure per un secondo; si fermava poi di colpo davanti al vecchio Mushin, incollato come sempre al suo prezioso sakè, gli dava un pugno in testa, intimandogli di smetterla di bere e togliendogli di mano la bevanda, tornava indietro sui suoi passi.
Il vecchio Mushin riprendeva allora il sakè, mentre il monaco era voltato di spalle, ricominciando a bere e rassicurandolo, quando quest’ultimo gli lanciava sguardi infuocati di rimprovero, che era l’ultimo sorso. Miroku tornava allora verso di lui e tutti ricominciava dall’inizio.

Questa scena si ripeté una decina di volte sotto gli occhi stupiti e disperati di Inuyasha, che non poteva fare a meno di chiedersi cosa avesse fatto di male per essere finito lì in mezzo.

- Adesso basta! – tuonò Miroku ad un tratto, percorrendo a passo di marcia i metri che lo separavano dall’anziano.

Ancora una volta gli tolse di mano il sakè, ignorando lo sguardo supplichevole e ubriaco del monaco, ma prima che questo avesse modo di aprire bocca per dire qualcosa, Miroku ne bevve tutto il contenuto, restituendogliela completamente vuota e traballando un po’ per un improvviso giramento di testa.

Inuyasha sospirò affranto: decisamente Miroku non era in sé.

Neppure due secondi dopo l’anziano monaco aveva ripreso a bere, sotto lo sguardo allibito dei due, che non poterono fare a meno di chiedersi se quello che avevano davanti non fosse in realtà un umano, ma un demone con l’innata capacità di produrre sakè dal nulla.

Si arresero semplicemente all’evidenza e al pensiero che quella lunghissima giornata era solo all’inizio.

 

 

A discapito del pensiero iniziale la giornata passò molto più rapidamente del previsto ed Inuyasha ebbe quasi la sensazione di viaggiare nel tempo, ritrovandosi improvvisamente catapultato in situazioni nuove di volta in volta, senza sapersi spiegare come avesse fatto ad arrivare fin lì.

In realtà il motivo era molto semplice: Miroku lo trascinava da una parte all’altra alla velocità della luce, affidandogli compiti su compiti, non dandogli la possibilità neppure di chiedersi cosa stesse facendo o dove si trovasse.

Capitava così che un secondo prima Inuyasha si trovasse a parlare con la vecchia Kaede e un secondo dopo era indaffarato a tenere un tavolo in mano, senza sapere come ci fosse finito. Si ritrovò, con suo enorme stupore, a guardare Sango che gli sorrideva imbarazzata nel suo splendido vestito da sposa e un attimo dopo era tartassato dalle domande di Miroku, che lo imploravano di dirgli se la sua futura sposa fosse ancora convinta di diventare sua moglie o se non stesse preparando una fuga in grande stile. O ancora era intento a guardare Rin e Kohaku che parlavano tranquillamente, quando improvvisamente si ritrovò Miroku che gli lasciava cadere addosso il corpo, grasso, pesante e fastidiosamente puzzolente, del monaco che l’aveva cresciuto come un figlio, mentre gli ordinava di gettarlo nel fiume, senza preoccuparsi di usare le buone maniere, per farlo riprendere da quella colossale sbronza; e lo pregava, perché – sue testuali parole – “il matrimonio era nella sue mani.”

Quando improvvisamente intorno a sé non vide altro che calma e silenzio, si domandò se non avesse sterminato tutti in un improvviso attacco d’isteria, ma un brusio in sottofondo di sorpresa ed emozione lo distolse dai suoi pensieri, facendogli realizzare che il matrimonio stava finalmente iniziando.

Vide i suoi amici guardarsi negli occhi carichi d’emozione e una dolorosa fitta al petto gli bloccò il respiro, mentre un unico pensiero si faceva strada nella sua mente: Kagome avrebbe dovuto essere lì.

Osservò il matrimonio, come se non fosse realmente presente, con i pensieri proiettati verso un futuro che aveva sempre sognato e che aveva sempre creduto di non poter avere: inizialmente perché era un mezzo-demone e credeva che nessuno l’avrebbe accettato, poi perché Kikyo l’aveva tradito e lui aveva deciso che non avrebbe più dato fiducia a nessuno, ma alla fine Kagome era entrata con prepotenza nel suo cuore, e prima che avesse modo di rendersene conto, lei lo aveva riscaldato, riempiendolo d’amore e regalandogli la vita che aveva sempre voluto.

Il suo desiderio gli era stato strappato dalla mani ancora una volta, ma arrivati a quel punto si trattava solo di aspettare e di impegnarsi con tutte le forze per avverare quel sogno, perché adesso toccava a lui e solo a lui crederci e lottare per farlo diventare la sua realtà.

Quando il matrimonio finì i due sposi furono immediatamente accerchiati da tutti gli amici e i conoscenti che si congratulavano con loro, profondendosi in felicitazione, auguri e buoni auspici per il futuro, imbarazzandoli leggermente per tutte quelle attenzioni a cui non erano assolutamente abituati.

La vecchia Kaede diede inizio al banchetto e il villaggio ripiombò nella stessa confusione e nella stessa atmosfera caotica che aveva segnato le ore precedenti la cerimonia.

Inuyasha si sforzò di resistere ancora, mentre la testa iniziava a martellargli paurosamente, tanto da spingerlo a chiedersi se anche i demoni soffrissero di mal di testa. Scambiò qualche monosillabo con qualcuno, mangiò qualcosa, aspettando che il tempo passasse.

Quando infine Miroku gli andò vicino con lo sguardo affranto e una guancia più rossa della sua veste, chiedendogli con un’espressione fin troppo innocente perché secondo lui Sango se la fosse presa tanto solo per aver allungato un po’ troppo le mani – infondo, gli disse, ora erano sposati, - e lamentandosi sulle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare, Inuyasha decise che aveva pazientato anche troppo.

In men che non si dica si dileguò, pensando che sì, aveva degli amici e sì, era una vera fortuna, ma quando gli amici erano dei folli senza speranza, poteva ancora dirsi una fortuna?

Dopo essersi allontanato si era seduto, come suo solito, su un albero, stabilendo che, per tutto quello che aveva fatto, meritava un po’ di riposo e soprattutto di silenzio.

Aveva così iniziato ad osservarli da lontano, contento del fatto che le voci gli giungessero come ovattate, impegnato a rigirarsi la sfera tra le mani, guardando quella luce rosa brillante e pura. Aveva detto che dopo il matrimonio avrebbe espresso il desiderio e il matrimonio era finalmente terminato, ma qualcosa lo tratteneva ancora. Chiuse gli occhi, incrociando le braccia nelle ampie maniche, giungendo alla conclusione che dopotutto giorno più giorno meno non faceva differenza e che poteva aspettare fino a alla mattina seguente.

Sango e Miroku meritavano quel giorno di felicità. Se fosse accaduto qualcosa, se si fosse trasformato in un mostro, non voleva rischiare che il giorno del loro matrimonio fosse associato ad un brutto ricordo, come quello della sua morte.

Infondo se Miroku gli aveva regalato l’opportunità di baciare Kagome, lasciando loro un po’ di tempo da soli, prima che lei scomparisse, lui poteva anche chiudere un occhio e regalargli quella prima notte in totale tranquillità. E così fece.

 

 

Il mattino seguente, di buon’ora, li andò a chiamare e dopo aver pronunciato poco più di tre parole in fila, si misero in viaggio, con l’intenzione di allontanarsi il più possibile dai villaggi della zona.

In poche ore raggiunsero una piccola radura immersa nel nulla.

Sango e Miroku scesero subito dal dorso di Kirara guardandosi preoccupati. Era arrivato il momento. La sfera avrebbe esaudito il tanto atteso desiderio e sarebbe scomparsa per sempre.

Inuyasha si allontanò da loro di qualche passo, sentendo l’ansia crescere ogni secondo di più. Strinse a sé Tessaiga, legata saldamente al suo fianco. Solo pochi minuti prima, lungo il tragitto, Miroku gli aveva proposto di tenerla con sé. Se fosse diventato un demone sanguinario, Tessaiga lo avrebbe respinto immediatamente e loro avrebbero avuto modo e tempo di agire.

- Inuyasha, sei davvero sicuro? – gli domandò Sango, per l’ennesima volta da quella mattina.

Non era difficile immaginare il motivo di tale incertezza: anche se a malincuore avevano accettato di appoggiarlo in quella folle idea, il terrore che le cose potessero andare male e che fosse necessario ucciderlo per loro rimaneva comunque impensabile.

Inuyasha confidava solo nel fatto che, messi di fronte alla dura realtà, alla fine avrebbero fatto la scelta giusta.

Annuì con convinzione, con la costante immagine di Kagome nella testa.

Doveva farlo per lei, per loro.

Strinse con forza la sfera tra le mani.

- Pronti? –

I due annuirono.

Chiuse gli occhi e desiderò di diventare un demone completo.

La sfera brillò, inglobandolo completamente, in una luce rosata quasi accecante.

Fu solo il tempo di un battito di ciglia: la sfera si trasformò in una polvere finissima che scivolò via dalle sue mani e tutto tornò alla normalità.

Il silenzio regnava ovunque e Sango e Miroku non potevano fare a meno di guardarlo con un nodo alla gola, scambiandosi occhiate incerte, per poi tornare ad osservare anche il più microscopico movimento compiuto dall’amico.

Inuyasha aprì gli occhi con estrema lentezza e immediatamente il monaco e la sterminatrice sussultarono contemporaneamente, stringendo la presa sulle reciproche armi.

Il demone si guardò intorno incerto: non avrebbe mai saputo dire se avesse funzionato o meno, fino a che un universo di percezioni, che prima non aveva mai avuto, lo investì in pieno, con la potenza di un pugno nello stomaco.

Improvvisamente iniziò a sentire il battito della terra sotto i piedi, come un cuore che pulsava donando vita e garantendo il moto dell’intero universo. Sentiva le parole che il vento creava, passando tra le fronde degli alberi. Sentiva il vociare della gente nel villaggio vicino, e in quello successivo. Avrebbe percepito un pericolo forse tre giorni prima che questo arrivasse. Percepiva ogni cosa, comprendendone allo stesso tempo l’ordine e il perché.

Si ritrovò a pensare che non aveva mai compreso il comportamento di Sesshomaru, fino a quel momento: ora capiva perché non si scomponesse mai, perché niente sembrasse turbarlo.

Era come conoscere ogni cosa e allo stesso tempo poterla controllare.

Vide Sango e Miroku che lo guardavano perplessi e incerti, pronti ad attaccare al minimo cenno di movimento, e gli venne da ridere al pensiero di quanto fosse futile e priva di senso quella contromisura: nessuno sarebbe mai riuscito a sconfiggerlo, né demoni né umani. Se avesse assecondato il suo sangue nessuno avrebbe mai più potuto fermarlo, eccetto un pensiero.

Il pensiero costante di lei che gli ripeteva che era perfetto così com’era, come era sempre stato.

- Inuyasha…? – lo chiamò Sango titubante.

Era chiaramente in allerta, alla ricerca del minimo segnale che le potesse rivelare chi avesse davanti.

- Beh, allora?! Che avete da guardare così?! Il mio aspetto è cambiato così tanto? – chiese, vedendo l’incertezza e la confusione nei loro occhi.

I due tirarono un sospiro di sollievo, accasciandosi a terra e ridendo: improvvisamente tutta la paura e la tensione era sfumata via.

Era il solito Inuyasha di sempre.

- No, niente affatto, anzi! – prese la parola Miroku, smettendo di ridere e avvicinandosi ora perplesso, - Sei sicuro che abbia funzionato? –

- Hai sempre le solite orecchie e anche il colore degli occhi non è cambiato. Niente segni violacei come quando ti trasformavi prima… Sei sempre lo stesso. – lo studiò per bene Sango.

Inuyasha tentò di guardare il suo stesso corpo, girando le mani e muovendo le orecchie, scoprendo che avevano ragione: era sempre lui.

Era sicuro che la trasformazione fosse riuscita. Lo sentiva chiaramente, nel sangue che gli scorreva nelle vene, nella sensazione di essere imbattibile, nell’incredibile quantità di percezioni che lo avvolgevano.

Non sapeva perché la trasformazione non fosse avvenuta anche nell’aspetto fisico, così come era avvenuto invece in passato. Pensò che probabilmente era collegato al fatto che la sua anima era sempre la stessa, che non era stata trasformata in quella di un mostro assassino. Non sapeva di preciso il perché, ma gli piaceva pensare che la sfera, oltre al suo desiderio, avesse esaudito in parte anche il desiderio di Kagome: quello di non vederlo cambiare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino di Aredhel

 

 

 

 

 

 

Buongiorno a tutti!

Vi chiedo infinitamente scusa per il ritardo! Ero sicurissima di riuscire ad aggiornare prima, ma ho avuto un piccolo (enorme) contrattempo, chiamato Naruto, che mi ha scombussolato a tal punto da non riuscire a mettere due parole in fila. Ho iniziato a vederlo e a seguirlo decentemente, a differenza di come avevo sempre fatto e il risultato è che l’ho talmente adorato da non riuscire a dedicarmi ad altro. Quando mi fisso su qualcosa in genere non vedo altro che quello, così quando ho riaperto questo terzo capitolo, avendo in mente solo ninja e guerre, ritrovarmi nell’epoca Sengoku è stato un po’ traumatico. Per questo ci ho messo più del previsto ad ultimare e correggere il capitolo. E non sono neppure riuscita a rispondere alle vostre splendide recensioni o a scriverne a mia volta... Perdonoooo!!! T_T Vi chiedo ancora scusa e vi prometto che lo farò il prima possibile, nel frattempo vi ringrazio infinitamente, perché siete sempre tutte assolutamente fantastiche!

Tornando a noi, il capitolo non mi convince moltissimo se devo essere sincera, comunque sia mi serviva per introdurre degli elementi importanti: il matrimonio, il rapporto tra Sesshomaru e Rin e naturalmente il desiderio alla sfera.
Spero che vi sia piaciuta l’idea di lasciare Inuyasha con il solito aspetto: per quanto sia affascinante con l’aspetto di un demone sanguinario non mi sarei mai perdonata se l’avessi fatto cambiare tanto. :P
E poi meglio così, no? È sempre lui, solo più forte.

Il titolo è un po’ banale e sono stata incerta fino all’ultimo, ma alla fine l’ho scelto per un motivo preciso: questo capitolo è sostanzialmente un inizio per tutti i personaggi. Inuyasha inizia la sua nuova vita senza Kagome e come demone completo, Sango e Miroku si sposano e quindi anche qui nuova vita e infine credo che si adatti abbastanza bene anche a Sesshomaru e Rin, che hanno appena iniziato un qualcosa di nuovo, rispetto a ciò che avevano prima, inaugurando una sorta di tradizione – se così si può chiamare :P -, quella del kimono. Mi piaceva l’idea di trovare un’origine a questa fantastica idea di Rumiko. ;)

Ok, a questo punto vi saluto, vi auguro un felicissimo Buon Natale e se non ci sentiamo prima, anche un felicissimo anno nuovo, migliore di tutti i precedenti! :)
Ci vediamo nel prossimo capitolo, di cui, con un ghigno malefico stampato in volto, vi anticipo il titolo, perché mi va di farvi un regalo, perché mi va di farvi penare un po’ nell’attesa e perché mi va di farvi crogiolare in eventuali ipotesi uhuhuhu.

Il prossimo capitolo si chiamerà… “Doppia attesa”! Non perdetelo!

Ora ho ufficialmente toccato il fondo, perciò...

Un bacio grande e ancora tanti tanti tanti auguri!!! :)

 

 

 

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Capitolo 4
*** Doppia attesa ***


I'll always find You










4. Doppia attesa






 
  I giorni iniziarono a passare più velocemente e prima che se ne potesse rendere conto l’autunno era già finito. All’inizio aveva creduto che fosse solo una sua impressione, ma più il tempo passava più si rendeva conto che era la sua nuova natura demoniaca a fargli percepire la durata del giorno in modo diverso. Possibile che ora che potesse vivere molto più a lungo, il naturale scorrere del tempo gli apparisse così rapido? Non aveva trovato una risposta, né l’avrebbe trovata; ma quella strana consapevolezza lo convinse a rimanere al villaggio il più possibile. Era stato un avvenimento in particolare a fargli prendere quella decisione: un battito, lento e silenzioso, che diventava più veloce e più forte giorno dopo giorno.

Si accorse che Sango era in dolce attesa molto prima che se ne accorgesse lei stessa e quell’avvenimento in un certo senso lo sconvolse: iniziò a pensare, per la prima volta da quando Naraku era stato sconfitto, che tutti i suoi amici, la sua unica famiglia, non avevano ancora molto tempo da passare in vita, prima che il soffio gelido della morte venisse a far loro visita. Per questo motivo decise di rimanere al villaggio: per proteggere tutti loro, finché gli fosse stato possibile, per non sprecare neppure un secondo.

Alla fine perse il conto di tutte le volte in cui protesse il villaggio, sia da demoni così inferiori per cui erano sufficienti gli artigli, sia da demoni più potenti che gli permisero di tenere in allenamento la sua Tessaiga.

La prima volta che l’aveva estratta, dopo la trasformazione, era rimasto sorpreso di riuscire ad impugnarla tranquillamente, come se niente fosse cambiato.
Si era interrogato per giorni, testandone la forza e ritrovandosi ogni volta a dover ammettere che tutto era esattamente uguale a come era sempre stato: lui, la sua forza, la spada. Se non fosse stato per le nuove percezioni avrebbe davvero iniziato a dubitare di essere un demone completo.

Per questo, quando uno di quei giorni si era ritrovato a guardare la lama della sua spada con uno sguardo a metà tra l’implorante e l’esasperato, sperando forse che questa tutt’un tratto miracolosamente gli facesse il grande favore di mettersi a parlare e rispondesse una buona volta a tutti i suoi dubbi, si era finalmente deciso e si era messo in viaggio: era partito per andare a chiedere spiegazioni a Totosai, l’unica persona al mondo in grado di capire la spada con un solo sguardo e dargli tutte le risposte che cercava.

Il vecchio lo aveva accolto con un’esclamazione di incredulità e stupore.

- Sei un demone completo! – proruppe alla fine, dopo un attento e snervante esame che gli fece meritare un paio di pugni di ammonimento.

Inuyasha gli spiegò molto brevemente che aveva usato il potere della sfera e alla fine gli porse Tessaiga, limitandosi a sedersi con le gambe incrociate e a fissarlo con impazienza.

Il vecchio fabbro si rigirò l’arma tra le mani, affilandola e studiandone la lama e mugugnando ogni tanto versi di stupore o approvazione.

- Beh, mi pare che sia tutto apposto, no? – se ne uscì infine dopo un tempo interminabile, urtando Inuyasha oltre ogni limite.

- Certo che è tutto apposto, dannato vecchio! Voglio solo sapere perché posso ancora impugnarla, ora che sono un demone completo! –

- Ah… volevi sapere solo questo? – gli chiese con una punta di delusione, per poi continuare, porgendogli la spada, - Immagino che sia ancora troppo presto… Beh, per quanto riguardo la tua domanda, è facile e mi stupisce che tu non ci sia arrivato da solo. –

- Hei! –

- È la volontà della spada. – si affrettò a spiegare prima che un nuovo pugno si abbattesse sulla sua vecchia e fragile testa, - Anche tuo padre combatteva con Tessaiga e lui era una demone maggiore, ci hai mai pensato? Hai scelto di diventare un demone per amore, giusto? Tessaiga è una spada che percepisce il desiderio di proteggere le persone che si amano: proprio per questo motivo la spada ha scelto di restare al tuo fianco e combattere ancora con te. Semplicemente non voleva lasciarti. –

Inuyasha annuì, specchiandosi su quella lama, ora completamente lucidata. La spada sembrò come brillare tra le sue mani e per un singolo istante gli parve di percepire il suo calore. Pensò che troppo spesso gli capitava di dimenticare che era stata la spada a sceglierlo come suo padrone e non il contrario.

Si alzò in piedi, riponendola nel fodero e ringraziando Totosai per l’informazione, quando ad un tratto ricordò qualcosa che non aveva ancora avuto modo di chiedere.

- Che volevi dire prima quando hai detto che è ancora presto? -

Totosai si grattò la testa quasi calva con un’espressione confusa sul volto.

- L’ho detto? -

- Ah, accidenti a te Totosai! Sei sempre il solito! – bofonchiò, evidentemente costretto ad arrendersi e andandosene via.

Quel vecchio era sempre stato un po’ tonto, ma nell’ultimo periodo di sembrava addirittura peggiorato! Che la sua ora si avvicinasse? Non se ne sarebbe affatto sorpreso: infondo Totosai era già in età avanzata quando aveva servito suo padre! A meno che non fosse immortale, quella longevità era davvero rara e difficile da spiegare.

Con quei pensieri scese il crinale della montagna, nuovamente diretto al villaggio.

Nel frattempo Totosai non lo aveva perso di vista neppure per un secondo, guardandolo allontanarsi e con un profondo sospiro era rimasto a guardare il cielo che imbruniva.

- Mi domando tra quanto tempo riuscirà ad usare la vera forza di Tessaiga… - 

- Corri sempre troppo, vecchio Totosai! – esordì una piccola voce.

- Myoga, sei qui? – constatò il demone, guardandosi ai piedi.

Il piccolo demone pulce annuì, guardando l’orizzonte.

- Il signorino Inuyasha non ha ancora raggiunto il livello per poter usare tutto il potere di Tessaiga: come è stato per il signorino Sesshomaru, anche lui dovrà avere la forza per raggiungere una spada che sia veramente sua. - 

- Eh, non sarà facile. Ottuso com’è, non capirà mai cosa fare… Tienimi aggiornato sui suoi progressi Myoga. –

La vecchia pulce annuì nuovamente, lasciando la montagna e seguendo le tracce del demone.

 

 

 

***

 

 

 

Il tempo passò velocemente e senza quasi che se ne accorgesse era arrivata la primavera.

Fu proprio durante una di quelle mattine, che Sango, dopo aver sofferto ininterrottamente per tutta la notte, diede alla luce due bellissime bambine, che somigliavano in tutto e per tutto a lei, con grande gioia di Miroku.

Quando appena un paio di giorni dopo Inuyasha venne a conoscenza dell’idea dei suoi amici di chiamare la primogenita con il nome di Kagome, per poco non si strozzò, morendo soffocato. Per i giorni successivi pregò entrambi di trovarle un altro nome, arrivando addirittura a minacciare Miroku di tagliargli gli attributi e ad implorare Sango, ma entrambi aveva resistito imperterriti e alla fine la disarmante logica della sterminatrice del “Kagome ne sarebbe stata felice” lo aveva fatto capitolare, deluso e rassegnato.

Aveva ceduto, deponendo le armi, ma aveva giurato su qualsiasi cosa esistesse al mondo che mai e poi mai avrebbe chiamato quella mocciosa Kagome: per lui sarebbe stata sempre e solo “mocciosa”; e per non rischiare di farla sentire inferiore alla sorella, che al contrario di lei avrebbe avuto per il demone un nome normalissimo e pronunciabile, le avrebbe chiamate semplicemente “mocciosa numero uno” e “mocciosa numero due”.

Sango e Miroku dovettero accettare anche se a malincuore quello strano accordo, iniziando sin da subito a cercare un modo per far capire alle figlie che, se lo zio Inuyasha le chiamava così, non era certo perché non voleva loro bene, ma solo perché era una persona molto strana e particolare e loro avrebbero dovuto imparare ad accettare questa stranezza, dimostrando così di volere comunque bene allo zio.

 

Le gemelle crescevano e le stagioni si alternavano a gran velocità. Nell’ultimo periodo e sempre con maggiore frequenza capitava che numerosi forestieri arrivassero al villaggio, portando notizie di un grande evento, che, secondo il loro parere, avrebbe cambiato le sorti dell’intero Giappone, inaugurando una nuova epoca.

Parlavano di una grande battaglia che si era appena conclusa nei territori ad ovest: una guerra come poche se ne erano viste in passato. Un semplice essere umano ne era stato l’unico e grande vincitore; ma benché fosse solo un umano tutti acclamavano quel tale di nome Ieyasu Tokugawa come un eroe, come un salvatore. Egli era in realtà un semplice stratega, un abile condottiero che si era fatto valere con coraggio e determinazione, riuscendo dove moltissimi altri prima di lui avevano fallito: aveva acquisito un potere immenso ed era riuscito a sottomettere al suo volere tutti i più grandi signori locali.

La gente vedeva in lui la speranza per una pace finalmente duratura e i loro desideri non vennero delusi quando, solo pochi anni dopo, quello stesso uomo ottenne il titolo di Shogun dall’imperatore, riuscendo così a porre le basi per avere un paese finalmente unito e in pace.

Dal momento stesso in cui lo Shogun pose il fulcro del suo potere nella vicina cittadina di Edo, un sempre più incredibile numero di persone iniziò a trasferirsi lì: dove le possibilità sembravano infinite, dove la protezione da banditi, mercenari o demoni era assicurata, dove c’era una nuova vita e dove si era più vicini al futuro.

La piccola cittadina di Edo iniziò così ad allargare i suoi confini ad una velocità mai vista prima, inglobando i piccoli villaggi che trovava sul suo cammino.

Fu sempre in quel periodo che il villaggio di Musashi si trovò ad affrontare la stessa espansione, anche se più lenta e graduale: sempre più gente infatti arrivava da ogni dove, da terre vicine e lontane, spinta dalle voci che si erano sparse per il paese riguardo un grande demone che proteggeva gli esseri umani. Fu sostanzialmente questo a far sì che i confini del villaggio si allargassero arrivando da una parte fin dentro la foresta, dall’altra ad inglobare altri piccoli villaggi, costituiti da poche decine di abitazioni.

Il villaggio di Musashi divenne ben presto una città e a tutti apparve chiaro il destino comune che la legava ad Edo: se quell’inarrestabile espansione non si fosse fermata, presto le due città si sarebbero fuse, dando vita ad un qualcosa di totalmente nuovo, mai visto prima.

 

 
Nel frattempo la vita continuava e la pace che aveva sempre regnato si venne a colorare nuovamente di urla di piccole pesti sbraitanti.

Miroku aveva realizzato il suo sogno di avere una famiglia numerosa e anche se non aveva perso le sue abitudini da maniaco era palese che amasse la sua vita.

Inuyasha lo seppe con certezza quando un giorno, dopo la nascita del suo terzo figlio – un maschio, a cui, con sua somma gioia, a suo dire, avrebbe insegnato tutti i segreti per conquistare le belle donne; o per essere un maniaco provetto, a dire di Inuyasha -  lo vide inginocchiato ai piedi del Buddha, a pregare: ringraziava per la vita che gli era stata donata; ringraziava ogni singolo giorno prima dell’alba, prima che tutti si svegliassero.

Ogni volta che Inuyasha vedeva lo sguardo del monaco posarsi su uno dei suoi figli, vedeva brillare nei suoi occhi una luce, che non poteva capire completamente, ma che per qualche ragione non poteva fare a meno di invidiare. In quei momenti lui semplicemente scompariva, per ore o per giorni: non che non fosse felice per l’amico, anzi! Solo che non riusciva a non pensare a quanto quel suo stesso sogno fosse lontano.

Quando i pensieri di sconforto lo catturavano, annebbiandogli la mente, si rintanava allora sul Goshimboku, dove nessuno l’avrebbe visto, e guardava il cielo.

Rin era stata l’unica a scoprire quel suo segreto.

Dopo aver viaggiato per tanto tempo con Sesshomaru la piccola era abituata ai boschi, a dormire sotto gli alberi, all’aria aperta; il villaggio con le sue case così affollate le stava stretto: le ricordava il villaggio dove era nata e questo le metteva tristezza, le faceva pensare che il signor Sesshomaru non fosse mai venuto a salvarla, che lui non fosse stato altro che un miraggio - così gli aveva rivelato quando per la prima volta aveva scoperto il suo nascondiglio.

- Che cosa fate qui, signor Inuyasha? – gli aveva chiesto un giorno con la voce squillante e il sorriso sulle labbra.

- …Sto aspettando. ­- le aveva risposto semplicemente, vedendo subito il sorriso scomparire per lasciare il posto ad un’infantile curiosità.

- Che cosa aspettate? – chiese nuovamente seria, con meno ­entusiasmo.

- …che gli anni passino. –

L’aveva vista annuire con aria attenta e pensierosa, come se avesse appena compreso una verità troppo grande per la sua giovane età.

- Vi dispiace se aspetto con voi? -

Da quel momento si sentì stranamente legato a quella bambina. Presero l’abitudine di trovarsi lì: un posto come un altro dove aspettare, insieme o da soli.

 

Aveva visto Rin crescere, forse troppo velocemente e lo sguardo di Sesshomaru iniziare ad infrangersi sotto il gelido peso di quello che gli umani chiamavano paura.

Dieci anni dopo la sconfitta di Naraku, la vecchia Kaede era venuta a mancare ed era stata sepolta con tutti gli onori accanto alla tomba di Kikyo.

Non erano passato neppure un mese da quel momento che i primi pretendenti si erano presentati alla porta della casa di Rin, con doni e promesse d’ogni tipo, per chiederla in moglie.

Kaede fino a quel momento aveva sfavorito proposte di quel tipo, essendo a conoscenza dei sentimenti che la ragazza nutriva per il grande demone, ma una volta morta non c’era stato più nessuno che impedisse loro di farsi avanti.

Quando Sesshomaru l’aveva scoperto era rimasto semplicemente impassibile, ma Inuyasha aveva visto chiaramente quel lampo di rabbia infiammargli lo sguardo e andando contro a tutto ciò che la testa in quel momento gli diceva di fare, si era messo a corrergli dietro, mettendo a tacere tutti i suoi principi, ripetendosi che doveva fare almeno un tentativo, per Rin.

- Che vuoi, mezzo-demone?! -

Da quando la sfera lo aveva trasformato, non una sola volta lui lo aveva chiamato in modo diverso, forse a voler rimarcare che per quanto si impegnasse, qualsiasi cosa facesse, per lui sarebbe sempre stato un insulso mezzo-demone.

- Lascerai che lei diventi la compagna di uno di quegli idioti?! – gli aveva urlato rabbioso.

- Non sono affari che ti riguardano. – rispose semplicemente, dandogli le spalle e andando via, rifiutando tutte quelle situazioni che non voleva vivere né capire.

- Pensi ancora che sia una maledizione, Sesshomaru… - sussurrò Inuyasha, riflettendo tra sé e sé, ma quelle parole arrivarono forti e chiare al potente demone.

Era assolutamente convinto che quella fosse una maledizione tramandatagli dal padre, l’ennesima dimostrazione di quanto poco il grande demone fosse legato al figlio; eppure anche se ne era davvero convinto, era sufficiente associare la persona di Rin a quella maledizione per crederci ogni volta sempre un po’ di meno.

Per quanto si sforzasse, Inuyasha non riusciva a comprendere quale istinto muovesse le azioni del grande demone: era sicuro che Rin avrebbe sofferto amaramente prima che quello stupido si fosse reso conto che quella che chiamava maledizione in realtà era la sua unica possibilità per conoscere la vera felicità.

A discapito di quanto ipotizzava però, non ci volle molto tempo prima che la situazione subisse un drastico cambiamento.

 

 

Una mattina aveva percepito qualcosa di diverso dal solito: una moltitudine di odori nuovi e diversi e un chiacchiericcio fastidioso e perenne lo avevano distolto dal suo dolce far niente, costringendolo ad assicurarsi che non ci fossero problemi in arrivo.

Era arrivato all’entrata del villaggio e si era improvvisamente trovato davanti un’incredibile folla di esseri umani che parlavano, ridevano, giocavano e invitavano gli abitanti ad uscire dalle loro case, chi per chiedere informazioni e ospitalità, chi per vendere prodotti rari e pregiati che difficilmente avrebbero potuto trovare altrove.

Alcuni erano mercanti, altri semplici viaggiatori che si spostavano per il semplice gusto di viaggiare, mettendo le loro abilità e loro conoscenze al servizio degli altri, creando così una sorta di villaggio ambulante.

Inuyasha rimase a fissarli curioso e stranito, mentre quelli venivano accolti calorosamente dagli abitanti che si offrivano di aiutarli o compravano da loro.

Quando Sango gli chiese dove fosse finita Rin, si rese conto improvvisamente che tutta quella gente aveva offuscato le sue percezioni, facendogli perdere completamente la posizione della ragazza.
Si mise a cercarla sbuffando irritato per quello spiacevole imprevisto, cercando di passare in mezzo alla folla e allo stesso tempo di ignorare tutte quelle persone che avevano la capacità di confonderlo.

Non appena la trovò, intenta camminare serenamente lungo la sponda del fiume, tirò un sospiro di sollievo, ma subito si mise in allerta, non appena vide un giovane uomo, sicuramente uno degli stranieri appena arrivati al villaggio, camminarle accanto aiutandola a portare delle ceste piene di erbe medicinali.

Sembrava che parlassero tranquillamente, sorridendosi ogni tanto e ascoltando con interesse ciò che l’altro aveva da dire.

Continuò a seguirli, rimanendo nascosto e percependo allo stesso tempo il nauseante odore del fratello provenire da dentro la foresta: forse anche lui aveva percepito l’arrivo di tutta quella gente e aveva iniziato a seguire Rin per accertarsi che non le capitasse niente.

Il ragazzo parlava ininterrottamente dei numerosi viaggi che aveva compiuto, narrava di terre da vedere e luoghi che sembravano magici, descrivendole con minuzia di particolari tutto ciò che aveva visto e che lo aveva colpito. Lei lo ascoltava attenta a volte incuriosita a volte rapita da tanto entusiasmo, facendo domande o aggiungendo a sua volta dei particolari derivati dai numerosi viaggi fatti con Sesshomaru.

Ad un tratto vide Rin fermarsi, posando la cesta a terra e prima che potesse riprenderla anche il giovane si era fermato, guardandola improvvisamente con estrema determinazione.

- Venite con me! – le propose improvvisamente con entusiasmo, facendola immediatamente irrigidire.

- Cosa? –

- Voi non siete fatta per vivere reclusa in un villaggio, dovete conoscere la libertà! Venite con me, viaggeremo e andremo ovunque voi vorrete; qualsiasi desiderio esprimerete lo realizzerò, solo per poter vedere sempre il vostro splendido sorriso. Credetemi, mia signora, io vi renderò felice. –

Rin lo guardò perplessa e sorpresa per quelle parole che non avrebbe mai neppure immaginato di sentire.

- Non dovreste parlare così, voi non mi conoscete neppure… - gli rispose, intrecciando le mani nervosamente.

- Non è vero, io so tutto ciò che mi occorre sapere. So che i vostri occhi sono splendidi: non ne ho mai visti di così limpidi, caldi e sinceri, capaci di rivelare ogni emozione e infondere felicità; e so che il vostro sorriso illumina più del sole stesso in una torrida giornata estiva; so che siete la donna più bella che io abbia mai visto e so che solamente un folle riuscirebbe ad ignorare la vostra persona. Visto, di che altro ho bisogno? So tutto ciò che mi occorre sapere per poter affermare che mi sentirei profondamente onorato di potervi avere al mio fianco per sempre. –

Rimase a guardarlo senza riuscire ad aggiungere una sola parola, stregata dal suo sorriso e dal suo particolare discorso, ma più che decisa a mettere in chiaro i suoi sentimenti.

- Io… sono davvero lusingata dalle vostre parole, però vedete… -

- Non dite niente, vi prego! – la interruppe bruscamente, allontanandosi di qualche passo, - Lasciatemi illudere che verrete con me, almeno fino a domattina. Ripartiremo all’alba e se per allora avrete deciso di volermi dare una possibilità, raggiungetemi all’inizio del villaggio, altrimenti saprò che avrete fatto la vostra scelta e partirò con il ricordo del vostro dolce sorriso impresso nel cuore. –

Lo vide inchinarsi e salutarla senza mai perdere l’entusiasmo, prima di correre via e lasciarla da sola e confusa come poche volte nella vita lo era stata.

Sembrava una bella persona, gentile, piena d’entusiasmo e di vitalità. Forse per chiunque avesse assistito a quella breve conversazione sarebbe sembrata più che logica la scelta da fare e magari qualcuno l’avrebbe anche chiamata pazza per non aver accettato subito, ma lei non poteva compiere quella scelta, non avrebbe mai potuto neppure prenderla in considerazione, perché la sua unica scelta sarebbe stata sempre e solo per il suo Sesshomaru. Anche se lui l’avesse rifiutata, perché umana, debole e mille volte inferiore rispetto ad una qualunque donna demone, lei avrebbe comunque preferito vivere nella scelta di quel suo amore impossibile, piuttosto che rinunciare a se stessa.

Sospirò sorridendo tristemente, specchiandosi sulla superficie dell’acqua.

Una folata di vento le scompigliò i capelli e per un istante le parve di vedere un secondo riflesso. Si voltò improvvisamente con la sorpresa negli occhi e la felicità nel cuore.

- Signor Sesshomaru! – esclamò sorridendogli e facendo qualche passo verso di lui.

Si fermò quando gli fu vicino e il suo sorriso di colpo si spense, mentre un senso di smarrimento e paura iniziava gradualmente a crescere.

I suoi occhi erano freddi, davvero freddi. Non li vedeva così forse dal giorno del loro primo incontro quando ancora non si conoscevano e lui tentava in ogni modo di allontanarla.

Si strinse istintivamente le braccia, rabbrividendo come se con una semplice occhiata lui fosse riuscito a trasmetterle tutto il gelo che provava.
Che non fosse felice di vederla? Si domandò, non riuscendo a non pensare alla sua espressione tutte le volte che veniva a trovarla: nessuno con un briciolo di attaccamento per la propria vita lo avrebbe mai definito felice, eppure lei era certa che in quei momenti anche lui fosse almeno un po’ contento di vederla.

Ad un tratto vide il gelo scomparire dagli occhi ambrati e un sottile velo di tristezza le permise di comprendere la verità: il loro rapporto fino a quel momento era rimasto come congelato, sigillato in uno scrigno, in attesa che arrivasse il momento giusto per affrontarlo. Il discorso che aveva appena concluso con quel giovane straniero aveva aperto quello scrigno ed ora nessuno dei due avrebbe più potuto chiuderlo o far finta di niente. 

Rimasero immobili, gli occhi dell’una fissi in quelli dell’altro, senza la capacità né l’intenzione di fare altro, come se il tempo intorno a loro fosse stato improvvisamente fermato.

Rin sentì un brivido scivolarle lungo la schiena e un peso doloroso nascere all’altezza dello stomaco. Era sempre stata capace di capire il suo demone con un solo sguardo e di questo ne era sempre stata profondamente orgogliosa; neppure quella volta era stata differente, ma per la prima volta l’incertezza generata da ciò che lesse le bloccò il respiro.

Sapeva che quel momento sarebbe infine giunto. Avrebbe voluto più tempo? Forse, ma infondo più tempo per fare cosa, per essere costretta a stare ancora senza l’unica persona che amava?

No, non le serviva più tempo, non le era mai servito, non a lei, ma in quel momento capì che non era mai stata sua la scelta. Tutto fin dall’inizio era stato solo una bella illusione e lei fino a quel momento aveva vissuto nel desiderio di poter decidere la vita da seguire, senza capire realmente che tutto ancora una volta sarebbe dipeso solo da Sesshomaru.

- Dovresti decidere per il tuo futuro, Rin. -

Lo aveva fatto, aveva posto la questione una volta per tutte ed ora nessuno dei due avrebbe più potuto nascondersi dietro l’attesa o la speranza. Era il momento della verità e quelle parole costituivano la prima menzogna.

Sentì solo un dolore al cuore e le lacrime che le pizzicavano gli occhi furono prepotentemente spinte indietro.

Per la prima volta Rin non riuscì a rispondergli. Per la prima volta fu lei a ricercare il silenzio, a lasciare che fosse l’altro a parlare. Lasciò solo che un debole e triste sorriso le affiorasse sul volto.
Avrebbe tanto voluto chiedergli di non prenderla in giro, di non ingannarla in quel modo, ma forse Sesshomaru non stava ingannando lei, ma se stesso.

- Voi cosa desiderate, signor Sesshomaru? – riuscì a domandargli con la voce che tremava ad ogni parola sempre di più.

Lesse la sorpresa nei suoi occhi e per un istante fu quasi tentata di ridere per quell’incredibile quanto rara dimostrazione di umanità, ma rimase composta come lo era sempre lui.

- Hai ricevuto delle proposte di matrimonio. – rispose, sentendo la rabbia crescere sempre di più ad ogni parola, - Potresti restare al villaggio o andartene e qualcuno si prenderebbe cura di te. -

- Oh… - sussurrò sentendo chiaramente qualcosa dentro di sé spezzarsi dolorosamente.

Eccolo, il suo desiderio. Infondo che si aspettava, che le chiedesse davvero di restare con lui?

Rin abbassò la testa, incapace di reggere oltre quello sguardo che amava e sognava ormai giorno e notte.

- Se è davvero questo che volete… resterò al villaggio. Non dovrete più preoccuparvi per me, ma io… io non desidero affatto sposarmi. – ammise tornando nuovamente a specchiarsi in quelle meravigliose pozze ambrate con una sicurezza e una determinazione tale che riuscirono nuovamente a sorprendere il demone.

Sesshomaru confrontò istintivamente la persona che aveva di fronte con la bambina dei suoi ricordi. Era cresciuta, nessuno avrebbe mai potuto dire il contrario.

Le aveva salvato la vita con il pretesto di testare il vero potere di Tenseiga, ma quando lei aveva iniziato silenziosamente a seguirlo, faticando di tanto in tanto a tenere il suo passo, ma senza mai arrendersi né perdersi d’animo, lui l’aveva lasciata fare; non le aveva detto nulla, aveva lasciato che lo seguisse e mille volte da quel momento una sola domanda lo aveva tormentato: perché? Avrebbe potuto fermarla, lasciarla in uno qualsiasi dei villaggi umani che aveva incontrato lungo il cammino, invece l’aveva sempre fatto scegliere, accettando i suoi desideri e donandole un potere che nessuno mai prima di lei aveva avuto né mai dopo avrebbe avuto.

Aveva camminato fianco a fianco con una bambina umana, che raramente rispettava il silenzio e illuminava il mondo con i suoi sorrisi; una bambina debole, che chiedeva protezione con un solo sguardo e cercava di dimostrarsi forte anche quando era bloccata dalla paura.
Aveva visto quella bambina crescere e diventare davvero più forte, l’aveva vista imparare a conoscere e rispettare i suoi silenzi e riuscire a cavarsela da sola quasi in ogni situazione, ma anche crescendo, neppure una volta aveva smesso di sorridergli in quel modo così puro e infantile che solo lei sembrava conoscere.
Riuscivano a sciogliere il ghiaccio quei sorrisi e lui lo sapeva bene, perché senza rendersene conto il suo cuore prima chiuso e freddo aveva già permesso che lei entrasse e lo riscaldasse.

Ora Rin era lì, di fronte a lui; una donna, una bellissima donna, forte, sicura di sé e ancora una volta sempre sorridente, senza il minimo timore ma con una determinazione nello sguardo che avrebbe fatto invidia ai più grandi demoni. Era forse orgoglio quello che leggeva nei suoi occhi?
Un orgoglio tale da riuscire persino a competere con il suo. Come poteva una semplice umana essere tutto quello?

Eppure anche se non conosceva la risposta, sapeva che Rin era l’unica persona in grado di sostenere il suo sguardo, l’unica ad essere al suo stesso livello.

Avrebbe messo a tacere l’orgoglio per un volta, quella voce che gli ripeteva costantemente che un grande demone come lui non poteva abbassarsi a ripercorrere gli errori di suo padre; quella voce che gli ripeteva che quell’umana era solo un peso insignificante.

La mise a tacere, perché lui sapeva che Rin era tutto fuorché insignificante.

- Che cosa desideri, Rin? – le chiese avvicinandosi tanto da lasciare appena lo spazio per respirare tra di loro e lei non poté fare a meno di guardarlo con gli occhi pieni di stupore.

Che si fosse sbagliata?

Le stava davvero permettendo di scegliere e forse - lo sperò con tutto il cuore - avrebbe persino accettato la sua scelta.

Possibile che lui non avesse ancora compreso il suo più grande desiderio?

L’avrebbe fatto, glielo avrebbe detto nella speranza che attraverso gli occhi i suoi sentimenti arrivassero a scaldare ancora una volta il cuore del demone.

- Voglio voi… Sesshomaru. -

Forse era una maledizione quella che aveva ereditato dal suo ammirato e odiato padre, ma in quel momento non importava, perché gli sembrava la maledizione più bella che avesse mai visto.

Inuyasha si era allontanato nello stesso momento in cui aveva visto il fratello ridurre quella ridicola distanza e baciare Rin per la prima volta. Sesshomaru aveva di sicuro sentito la sua presenza e non sarebbe stato felice nel saperlo ancora lì a guardarli.

Un misto di emozioni contrastanti lo laceravano e confondevano. Tra tutte prevaleva sicuramente il disgusto, ma c’era anche una buona dose di invidia, dettata dal fatto che persino Sesshomaru avrebbe avuto la possibilità di stare con la donna che amava, e di felicità per Rin, che finalmente avrebbe potuto smettere di aspettare e di soffrire per un amore impossibile.

Quando tornò al villaggio, alle domande di Sango che chiedeva insistentemente di Rin, rispose solo che la ragazza sarebbe stata via per un tempo indefinito: non aveva idea infatti di quali fossero le reali intenzioni di Sesshomaru e di certo non aveva la minima intenzione di chiederglielo.

Accettò semplicemente di restare all’oscuro di tutto, continuando la sua vita come aveva sempre fatto, impegnando le sue giornate aiutando il villaggio nei lavori più svariati, accompagnando Miroku in giro e sostenendolo nelle assurdità che inventava solo per poter avere una qualche ricompensa, allenandosi con Shippo che, esattamente come i tre bambini di Sango e del monaco, cresceva a vista d’occhio e cercando demoni che fossero maggiormente alla sua altezza per poter diventare ancora più forte.

Infine, non era assolutamente raro che si trovasse, senza sapere né come né perché, a fare da balia a decine di cuccioli umani urlanti, che non facevano altro che torturargli le orecchie, rompendogli i timpani e facendo di tutto per stargli il più possibile appiccicati.

Capitava, purtroppo spesso, che Miroku e Sango gli lasciassero i figli e avendo anche la compagnia di Shippo i bambini diventavano quattro. Inoltre, secondo l’ipotesi di Inuyasha, negli ultimi tempi doveva esser stata rilasciata nell’aria una qualche sostanza velenosa che aveva letteralmente raddoppiato le nascite, tanto che ormai vedeva e sentiva bambini da ogni parte, ovunque volgesse lo sguardo.

All’inizio aveva pensato di essere impazzito, ma c’erano i fatti a parlare per lui: da quando doveva badare a quattro bambini si era ritrovato a controllarne sei, poi dieci, poi quindici. Se i confini del villaggio non fossero stati ripetutamente allargati - Inuyasha ne era certo - Musashi sarebbe esploso da tempo.

Non sapeva da dove fossero spuntati tutti quei bambini, ma di sicuro aveva iniziato a rimpiangere il tempo in cui gli umani lo temevano, scappando da lui per timore di chissà cosa - forse che li mangiasse, non lo aveva mai realmente capito.

L’unica cosa di cui era certo era che fosse tutta colpa di Sango e Miroku, sicuramente e specialmente di quest’ultimo: era arrivato alla conclusione che il suo essere così maniaco doveva per forza essere contagioso.

 

 

 

Fu con questa atmosfera che gli anni passarono e prima ancora che se accorgesse si ritrovò a guardare le figure di Rin e Sesshomaru fare il loro ritorno al villaggio.

Evitò i commenti: si limitò semplicemente a guardare male il fratellastro - come sempre - e a fare un debole sorriso a Rin.

La ragazza aveva le mani intrecciate sul ventre, nascoste nelle ampie maniche di un nuovo e pregiato kimono, e il demone le camminava accanto, lentamente, rivolgendole ogni tanto qualche occhiata come per assicurarsi che non rimanesse indietro.  

- Cosa ti porta di nuovo qui, Sesshomaru? – chiese Inuyasha incuriosito e indignato allo stesso tempo.

Aveva una sensazione strana: percepiva qualcosa di diverso, qualcosa che la sua mente non riusciva ad elaborare del tutto, ma che per qualche motivo lo metteva in allerta.

- Rin resterà qui per il momento. –

Inuyasha guardò la ragazza confuso.

Ci volle solo un secondo, perché quella strana sensazione prendesse forma nella sua mente e mentre una strana rabbia si impossessava di lui, un’unica parola gli rimbombava dolorosamente nella testa: mezzo-demone.

- Rin, va’ da Sango. – le disse freddamente stringendo i pugni, mentre lei, dopo essersi scambiata un’occhiata incerta con Sesshomaru, fece quanto ordinato.

Inuyasha portò la mano destra sull’elsa di Tessaiga, pronto ad estrarla al momento opportuno.

- Ti sei divertito Sesshomaru?! – lo attaccò sentendo il sangue ribollire, - Cosa c’è: ora che è in attesa di un mezzo-demone, la abbandonerai a se stessa!? Non puoi certo permettere che il tuo prezioso sangue demoniaco venga macchiato da una creatura inferiore! -

Il demone si scagliò con rabbia contro di lui senza attendere oltre e Inuyasha estrasse automaticamente Tessaiga, rispondendo all’attacco.

Le spade si incrociarono più volte, provocando uno scontro di auree demoniache che fece tremare il terreno sotto i piedi.

Subito tutti gli abitanti uscirono spaventati dalle case, per vedere cosa stesse accadendo e Miroku e Sango si precipitarono a tutta velocità nel luogo dello scontro, chiamati precedentemente da Rin.

Dopo una serie di colpi andati a vuoto Inuyasha riuscì a colpire Sesshomaru, ma quest’ultimo usando tutto il potere distruttivo della sua Bakusaiga, riuscì ad indirizzare l’attacco vero il rivale. Inuyasha si difese, preparandosi a rispedire il colpo al mittente, ma anziché riuscire nel tentativo, il Bakuryuha bloccò semplicemente l’attacco di Sesshomaru e prima che Inuyasha potesse capire cosa fosse successo si ritrovò steso a terra, con Tessaiga scagliata chissà dove e con la spada del fratello puntata alla gola.

Il silenzio li avvolgeva completamente, mentre entrambi riuscivano a sentire unicamente il battito dei loro cuori e i respiri leggermente affannati. Rimanevano perfettamente immobili forse per l’indecisione, forse semplicemente per l’attesa.

Sesshomaru continuava a fissare quel volto, tenendo la spada in tensione pronto a colpire al minimo segnale. Quell’accenno di combattimento l’aveva in un certo senso confuso: sapeva che la vittoria sarebbe stata sua in ogni caso – non cambiava niente che Inuyasha fosse un demone o un mezzo-demone - ma si aspettava comunque che qualche differenza rispetto a prima esistesse, invece il fratellastro non era diventato minimamente più forte e questo Sesshomaru non riusciva a spiegarselo in alcun modo. 

Ad un tratto la voce di Inuyasha lo riscosse dai suoi pensieri, ricordandogli la causa del combattimento e generando una nuova ondata di rabbia.

- Che cosa aspetti?! – lo provocò con un ghigno dipinto sul volto e per meno di un secondo gli sembrò che la spada si stesse ulteriormente avvicinando alla sua pelle, ma la voce di Rin, che urlava il nome di Sesshomaru e si stava avvicinando velocemente, lo costrinse ad allontanare l’arma.

- È di mio figlio che stai parlando, mezzo-demone. Lui non sarà mai un essere inferiore. – disse semplicemente allontanandosi da lui e riponendo Bakusaiga nel fodero, non riuscendo a celare completamente la rabbia.

Si incamminò verso Rin che subito gli sorrise con uno sguardo pieno d’amore, come solo lei era in grado di fare.

Non appena la situazione si fu tranquillizzata, la ragazza passò a spiegare che un nemico molto potente stava dando da giorni la caccia a Sesshomaru e il demone aveva per questo motivo deciso di lasciarla al villaggio, dove sapeva che sarebbe stata maggiormente al sicuro. Inoltre, essendo lei in dolce attesa, sarebbe stato più saggio garantirle un periodo di riposo, almeno fino al momento del parto, invece di lunghe camminate su terreni accidentati e battaglie interminabili.

Sango la abbracciò subito, felice di poter passare un po’ di tempo insieme e garantì che si sarebbero presi cura di Rin ad ogni costo.

- Sesshomaru! – lo chiamò la ragazza vedendolo andar via.

- Tornerò presto. – le rispose, accennando quello che, solo ad un occhio esperto come quello di Rin, poteva sembrare un sorriso.

Il potente demone si diresse verso la foresta, deciso a ripercorrere la strada dalla quale era arrivato, ma prima di sparire, Inuyasha lo vide fermarsi un’ultima volta.

- Mezzo-demone… se le capiterà qualcosa, ti ucciderò. -

- Tzè, al solito! – borbottò irritato per quel modo che aveva di trattarlo, come se stesse parlando con il suo peggiore servo, - Piuttosto, non ti sembra arrivato il momento di smetterla di chiamarmi in questo modo? –

- Lui non sarà mai come te. –

Se ne andò così, sparendo completamente alla vista e Inuyasha non poté fare a meno di sbuffare ancora più irritato. In quel momento si sentì tremendamente usato e pensò che forse gli mancavano i tempi in cui il fratello tentava di rubargli Tessaiga ed era mosso dal desiderio di porre fine alla sua vita.

Dopotutto però, non poteva farci nulla e infondo, pensò mentre vedeva Rin sorridere raggiante, la cosa più importante era che si prendesse cura di lei e di quel bambino che giorno dopo giorno sarebbe cresciuto in un mondo a lui ostile.

 

A quel tempo nessuno avrebbe mai immaginato la dura prova che di lì a poco Rin sarebbe stata costretta ad affrontare.

 

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

ANGOLINO DI AREDHEL

 

Oh mamma sono riuscita a finirlo. T_T
Non mi pare vero e sono esausta! Non so perché ma scrivere questo capitolo mi ha ucciso! D’accordo, ora mi tranquillizzo e… Ciao a tutti! *-* mi è mancato aggiornare!

Vi chiedo mille volte scusa per il tremendo ritardo! Il capitolo era pronto già da un po’, mancavano solo un paio di correzioni e un piccolo pezzetto da scrivere, ma purtroppo la parte tra Rin e Sesshomaru non mi convinceva del tutto, così alla fine mi sono trovata a stravolgerla completamente e a riscriverla dall’inizio. Il risultato è stato che ho impiegato molto più tempo del previsto per aggiornare e il capitolo è uscito di tre pagine più lungo. :P

Spero tanto, ma tanto tanto tanto che vi piaccia, anche se è un capitolo più che altro di collegamento e forse proprio per questo estremamente (forse troppo) descrittivo.

Non so quanto vi possa interessare, ma io ve lo dico lo stesso: in questo capitolo passano la bellezza di quattordici anni! Ora siamo ufficialmente nel 1612. :P Quindi, come vedete, si inizia a correre.

Il titolo richiede una piccola spiegazione: come avrete notato, il capitolo, è interamente basato sull’attesa; ho voluto però chiamarlo doppia attesa per creare una sorta di “opposizione” (non è il termine giusto ma il mio cervello al momento è troppo fuso per pensare): si parla dell’attesa di Inuyasha, di Totosai e di Rin, che semplicemente aspettano che il tempo passi, mentre dall’altra parte c’è la più ovvia attesa da parte di Sango e soprattutto Rin.

Che dite, è troppo bastarda la fine? :P Diciamo che è un po’ una semi-anticipazione eheh.

Bene, detto ciò mi dileguo.
Ringrazio ancora immensamente tutti voi che mi seguite, che leggete, che commentate e che tutto. :P
Presto finirò di rispondere ai commenti che sono ancora in attesa e perdonatemi se ci sto mettendo tanto! Infine vi invito a farmi sapere ancora cosa ne pensate, perché i vostri commenti sono splendidi e mi rendono davvero molto felice. *-* (per capirci, sono ai livelli di un bambino di cinque anni in un mondo dove si mangiano solo dolci, zucchero e caramelle *-*)

Bacioni, Aredhel <3

 

 

 

UN PO’ DI STORIA (tanto perché siamo masochisti. :P Se vi interessa, leggete)

E a questo punto della fanfiction inizio a darvi anche un altro tipo di informazione per la vostra gioia: i riferimenti storici! Yeee! (-_- ma dove?)

Allora, la battaglia a cui faccio riferimento nel capitolo altro non è che la famosa battaglia di Sekigahara del 1600, che ha determinato la fine dell’epoca Sengoku e ha effettivamente portato al potere la dinastia dei Tokugawa.
Ieyasu Tokugawa, sconfiggendo o assoggettando al suo potere tutti i daimyo, i signori locali, che si erano fatti costantemente guerra tra loro in tutta l’epoca precedente, è stato nominato Shogun dall’imperatore nel 1603 ed ha rappresentato davvero una grande svolta per il paese che si è finalmente trovato in un lungo periodo di pace e stabilità.
Ieyasu, come ho scritto, ha stabilito il fulcro del suo potere nella città (credo fosse già una città) di Edo ed è proprio da questo che prende il nome la nuova epoca in cui siamo appena entrati: epoca o periodo Edo.
Edo, infine, è il vecchio nome dell’attuale Tokyo e dal momento che Kagome vive a Tokyo ho immaginato che Musashi ne facesse parte per forza di cose. Per questo ho immaginato che le due “città” si fossero fuse nel corso della loro espansione, preparandosi a diventare un’unica grande metropoli.
La dinastia dei Tokugawa rimane al potere per più di due secoli (fino al 1868) e costituisce l’ultimo shogunato prima che l’imperatore riprenda il potere. Eh sì, perché l’imperatore è sempre esistito, ma fino al 1868 se lo sognava di avere il potere dello Shogun.

Bene, detto ciò, per il presente capitolo ho finito con i riferimenti storici, perciò ci vediamo con la prossima lezione nel prossimo. :P
Se avete comunque delle curiosità chiedete pure. :)

 

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Capitolo 5
*** Aria di morte ***


I'll always find You










5. Aria di morte






 
  A quel tempo nessuno avrebbe mai immaginato la dura prova che di lì a poco Rin sarebbe stata costretta ad affrontare.

Negli ultimi mesi per il paese si erano velocemente sparse delle voci, preoccupate oltremisura, provenienti dai villaggi vicini: parlavano di una strana malattia che colpiva improvvisamente, non lasciando quasi la minima possibilità di sopravvivenza, prospettando invece mesi di gravissime sofferenze a scandire il poco tempo rimanente. Neppure i migliori monaci e sacerdotesse con i loro poteri spirituali erano stati in grado di trovare una soluzione al problema: potevano creare barriere in grado di proteggere grandi città, potevano sconfiggere potentissimi demoni, ma contro un nemico invisibile ed inesorabile, l’unica capacità che avevano era alleviare il dolore.

Non mancavano ormai molti mesi al parto, quando Rin si ammalò.

Inuyasha la sorprese vicino all’ansa del fiume, inginocchiata e rannicchiata su se stessa. La schiena era scossa da colpi di tosse così violenti, che sembravano volerle toglierle il respiro. Non fece che due soli passi, prima che l’odore intenso e ferroso del sangue arrivasse al suo sensibile naso, paralizzandolo di colpo.

L’aveva immediatamente riportata al villaggio, nella sua casa, cercando di calmare la preoccupazione e di essere il più possibile fiducioso, ma il volto di Miroku, non appena la vide, riconoscendone i sintomi, fece crollare in un solo colpo tutte le sue buone speranze. 

Lasciò la capanna sotto lo sguardo allibito e preoccupato dei suoi amici, che ebbero appena il tempo per rendersi conto di non esser stati minimamente considerati, prima di vederlo sparire dietro la stuoia di paglia finemente intrecciata.

Il demone uscì all’aria aperta, rifiutandosi di ascoltare e percepire alcun tipo di suono che non fosse il veloce e ritmico battito del suo cuore. Senza pensare, corse più veloce che poteva, lasciando il villaggio, senza mai fermarsi, neppure quando i muscoli delle gambe iniziarono a bruciargli per il dolore, come se qualcosa li stesse arroventando con un fuoco eterno.

Per due giorni e due notti vagò da un capo all’altro del paese, cercando con un’impazienza mista a disperazione il minimo segnale di tracce o indizi, fino a che finalmente il suo sensibile olfatto non lo condusse dall’oggetto delle sue ricerche.

Sesshomaru si trovava impegnato in uno scontro non troppo difficile con un demone sicuramente non alla sua altezza, quando l’arrivo trafelato di Inuyasha in quel luogo così lontano da casa ebbe il potere di destabilizzarlo completamente.

Il demone ne approfittò per attaccarlo, riuscendo a colpirlo con un pugno ben assestato.

Sesshomaru volse con estrema lentezza lo sguardo verso di lui, gelido, impassibile. Neppure un secondo dopo la testa del demone si trovava a svariati metri di distanza dal corpo, che invece giaceva inerme ai suoi piedi.

Lentamente si volse quindi al fratello, sentendo chiaramente il suo cuore - quello strano muscolo che, prima di incontrare Rin, mai una volta aveva sentito cambiare ritmo - perdere dei battiti, come se fosse stato seriamente intenzionato a fermarsi; senza riuscire a celare completamente la preoccupazione nata dal non sapere per cosa essere preoccupato, attese che parlasse, che dicesse una qualsiasi cosa.

Solo una parola uscì allora dalle labbra di Inuyasha.

- Rin. -

Una parola di sole tre lettere, che, anche se non chiariva nulla riguardo la situazione, per un attimo gli diede la sensazione di ricevere un pugno in pieno stomaco, il pugno più forte e doloroso di tutta la sua vita.   

Inuyasha non ebbe né modo né tempo per dire altro che subito vide Sesshomaru volare via.

 

Doveva sbrigarsi, pensava.

Doveva arrivare il prima possibile, il più velocemente possibile, ma allora perché gli sembrava di andare così piano?!

Aveva distanziato Inuyasha, lo aveva lasciato parecchio indietro, ma aveva lo stesso la sensazione di essere lentissimo. Sentiva il mondo circostante correre più veloce di lui e al contrario la strada davanti a sé allungarsi sempre più.

Correva, correva, ma sentiva di essere fermo.

Si impose di prendere un respiro profondo, rendendosi conto di aver trattenuto il fiato da quando aveva visto arrivare l’immagine trafelata del fratello.

Che gli stava succedendo?

Strinse i pugni, sforzando di eliminare ogni pensiero dalla sua mente, ma prima di rendersene conto si ritrovò a guardare i palmi delle sue mani con enorme stupore. Stava sudando! Lui, il grande Sesshomaru, l’essere più controllato e impassibile dell’universo, lui stava sudando.

Ricordava quegli strani sintomi: non li aveva mai provati, ma ricordava chiaramente di averli già visti. Ogni volta che un umano sfortunato capitava sul suo cammino, la reazione era sempre la stessa: alterazione del battito cardiaco, frammentazione del respiro, aumento della sudorazione, pupille dilatate, totale incapacità di pensiero o azione e a volte anche tremori.

Era paura.

No, non era semplice paura, era puro terrore.

Il terrore di trovarsi ad un soffio dalla morte, senza la minima possibilità di scampo.

Possibile che lui, uno dei demoni più potenti esistenti, figlio di una vera e propria leggenda, stesse provando un’emozione così umana come il terrore? Terrore per cosa poi?! Non era di certo prossimo alla morte e anche se lo fosse stato non si sarebbe di certo spaventato come un inutile umano.

Eppure ciò che provava era innegabile, era il suo stesso corpo a dargliene dimostrazione; ma quale ne era la causa? Non riusciva a trovare la risposta, per quanti sforzi facesse.

Con un moto di stizza pensò che se il suo corpo non ne voleva sapere di calmarsi e riprendere la solita compostezza, la sua mente lo avrebbe costretto: con forza si impose di non provare nulla, assumendo una rigidità sia fisica che mentale esagerata anche per uno come lui e ricacciando nelle profondità della sua anima tutti quei sintomi e quelle domande che non sapeva spiegare – perché a suo dire, il fatto che non avessero una spiegazione significa solamente una cosa: cioè che tutte quelle cose non avevano la minima importanza.

Solo un’ultima immagine affiorò alla sua mente, un’immagine a cui non pensava da tempo: l’ultimo incontro con suo padre, pochi istanti prima che decidesse di perdere la vita per salvare un’umana e il figlio illegittimo avuto da questa. Rivide quell’immagine: i pugni tremanti del grande demone stringersi intorno alla spada, rivide l’ansia che aveva percepito venire da lui in quel momento.

La ignorò, non capendo perché gli fosse rivenuta in mente proprio in quel momento.

La ignorò semplicemente perché aveva altre priorità.

 

 

Inuyasha lo seguì immediatamente, correndo e dandosi ripetutamente dell’idiota senza speranze. Che si aspettava? Che Sesshomaru gli lasciasse il tempo di spiegare o che almeno non lo lasciasse indietro come uno scemo?

Era ovvio che non appena avesse pronunciato il nome di Rin lui sarebbe sparito senza dargli neppure il tempo di finire di parlare e di prepararlo a ciò che avrebbe affrontato una volta al villaggio. Era dannatamente ovvio, ma lui semplicemente non ci era arrivato: non aveva calcolato quell’ipotesi, aveva semplicemente e come sempre agito senza pensare e ora si ritrovava tra le mani il preludio di una strage. Perché, Inuyasha ne era ormai sicuro, se non avesse trovato in fretta un modo per calmarlo al suo arrivo, Sesshomaru avrebbe benissimo potuto distruggere all’istante l’intero villaggio.

Quando alla fine giunse a destinazione seguì il suo odore, fino a che non lo sentì all’interno della capanna, accanto a quello di Rin.

Per un attimo tirò un sospiro di sollievo, ma subito il pensiero della malattia lo fece ripiombare nello sconforto.

Vide Sango e Miroku avvicinarsi lentamente con l’espressione triste dipinta in volto.

- Come sta? – domandò subito, guardandoli poi negare con testa.

- Non molto bene: ha sempre la febbre troppo alta e respira con difficoltà… è stata visitata da un dottore… dice che non ci sono dubbi, è proprio la malattia che temevamo. – spiegò Miroku.

- Possibile che non possa fare nulla per guarirla?! – domandò arrabbiato, ma conosceva fin troppo bene la risposta.

- Non esiste una cura e anche se volesse provare qualcosa di più sperimentale, al momento non potrebbe. Può solo darle qualcosa per il dolore. –

- Che significa per il momento? –

Miroku sospirò demoralizzato.

Erano giorni che insieme al dottore cercavano una qualsiasi soluzione a quel problema, ma le vie d’uscita non c’erano e le strade da prendere erano tutte ugualmente impensabili.

- È per via della gravidanza. Non sappiamo che effetti potrebbe avere la malattia sul bambino. Gli umani non avrebbero speranze, ma avendo sangue demoniaco… non lo sappiamo. Per il momento non sappiamo niente. – concluse poi arrendendosi all’evidenza che ogni frase che pronunciava, che ogni pensiero che formulava poteva rivelarsi solamente l’ennesima falsa speranza. 

- C’è anche un’altra cosa… - proseguì Sango guardando il terreno, come se in esso cercasse le parole, - il dottore ha detto che sarebbe meglio isolarla… -

- Tzè! Che idea stupida! –

- Glielo abbiamo detto. – intervenne il monaco, stranito dal comportamento arrogante dell’amico, - gli abbiamo detto che non se ne parlava e che era assolutamente fuori discussione, però lui dice che può contagiare altra gente. Inuyasha, non dovrei essere io a dirtelo: gli abitanti del villaggio hanno già iniziato a parlare e…-

Il demone gli rivolse un’occhiata furente, intimandogli di tacere. Si voltò stizzito, cercando inutilmente di ignorare quelle parole senza avere troppo successo. Sapeva perfettamente quale fosse il sottinteso che, anche se rifiutava di ascoltare, conosceva fin troppo bene: era un discorso con il quale era nato e cresciuto, che aveva sentito ripetere da ogni persona che avesse incrociato il suo cammino.

Gli umani che si legavano ai demoni non erano mai stati visti di buon occhio e le cose nel corso degli anni non erano cambiate poi molto: se la malattia si fosse diffusa nel villaggio, agli occhi degli abitanti, chiusi e fissi su false verità, sarebbe sembrata senz’altro una punizione divina; la punizione per aver accolto una peccatrice, che sfidando il buonsenso comune aveva osato cedere il suo cuore e il suo corpo ad un demone, lasciandosi ingravidare e mettendo così al mondo un essere che in altri tempi sarebbe stato giudicato immorale e proibito.

Non avrebbe avuto alcuna importanza che quello non era né il primo né l’ultimo villaggio colpito dalla malattia, avrebbero ritenuto Rin colpevole di tutto e avrebbero tentato di cacciarla, additandola come una poco di buono, che andava con i demoni e che contaminava il villaggio con la sua lascivia e la sua indecenza.

O almeno avrebbero tentato, ma Sesshomaru li avrebbe sterminati sicuramente prima.

In entrambi i casi la situazione non era affatto positiva.

- Puoi creare una barriera. – disse infine Inuyasha rivolto a Miroku, più come un ordine che come richiesta, - La porteremo lontano dalle case e lì erigerai una barriera per nasconderla. Lo puoi fare, no? -

Sango sembrò riflettere su quelle parole con un’aria vagamente sorpresa, guardando il marito speranzosa.

- Non so se sono in grado di creare una barriera del genere, ma posso provarci. Probabilmente avrò bisogno d’aiuto, ma per il momento penso che questa potrebbe essere la soluzione migliore. –

 

Sesshomaru rimase per tutto il tempo a vegliare su Rin, passando le giornate accanto a lei, semplicemente stando in silenzio o ascoltandola parlare. Più volte la ragazza aveva tentato di allontanarlo, preoccupandosi di cose futili, come dei fastidi che a suo dire gli procurava stando male o degli impegni che il grande demone poteva avere, ma Sesshomaru non aveva fatto la minima piega: neppure una singola volta si era scomposto, dimostrandole più volte che quello era l’unico posto dove doveva e voleva stare.

Fu proprio durante uno di quei giorni che, più o meno verso l’ora di pranzo, il medico venne nuovamente a far visita alla ragazza.

Sesshomaru si mise in un angolo, come ogni volta che lo vedeva arrivare, osservandolo freddamente e scrutando ogni sua mossa, non perdendolo di vista neppure per un secondo.

Rin sorrise appena, sentendosi ancora una volta sorpresa e felice per quelle piccole attenzioni che Sesshomaru le regalava ogni volta.

Lasciò che il dottore la visitasse, misurandole la temperatura, sentendo i battiti del cuore suoi e successivamente del bambino, facendole degli impacchi con erbe lenitive da porre sopra ai piccoli eritemi, presenti al momento solo su schiena e braccia, che iniziavano giorno dopo giorno ad espandersi.

Rin cercò di imporsi la calma ad ogni respiro e ad ogni singolo movimento, ma ad un tratto l’espressione preoccupata dell’uomo ebbe il potere di farle crollare il mondo addosso.

- C’è qualcosa che non va? Il mio bambino sta bene? Vi prego ditemelo! – lo implorò Rin con seria preoccupazione, tirandolo per una manica della veste e guardandolo dritto negli occhi.

- Non dovete assolutamente preoccuparvene. Ora dovete solo stare a riposo e pensare a recuperare le forze. –

Le aveva risposto sbrigativamente, raccogliendo i suoi attrezzi altrettanto di corsa, come se andasse molto di fretta. Si congedò da lei, raccomandandole ancora una volta riposo e dicendole che sarebbe tornato a distanza di qualche giorno per un’altra visita.

Indirizzò una strana occhiata a Sesshomaru e uscì dalla capanna.

 

In quel momento Inuyasha aveva da poco lasciato la casa di Sango e Miroku, per andare, come ormai ogni giorno, a trovare Rin e a sincerarsi delle sue condizioni.

Trovò senza la minima difficoltà l’entrata della barriera ed entrò in quella piccola zona di territorio nascosta agli occhi del resto del mondo.

Miroku alla fine era riuscito ad erigerla senza eccessive difficoltà. La zona circoscritta era delimitata da cinque piccole pietre, poste in modo da formare un pentagono e mantenere nascosta al centro la posizione di Rin. Su ogni pietra Miroku aveva posto un fuda e successivamente aveva cosparso e circondato le pietre con un po’ della terra tombale della sacerdotessa Kaede. Non era stato facile convincerlo: infondo disturbare i defunti non era una cosa che si potesse fare a cuore leggere, e anche se Miroku era un vero e proprio libertino, che difficilmente poteva essere considerato un vero monaco, in certi insegnamenti di grande spiritualità, lui sembrava credere davvero.

Alla fine Inuyasha gli aveva detto che Kaede dal regno dei morti non se la sarebbe certo presa se la sua tomba fosse stata leggermente scossa per una buona causa, come quella di proteggere Rin, così il monaco aveva acconsentito e da quel giorno la barriera proteggeva perfettamente la ragazza, permettendole di pensare solo alla sua guarigione.

Era ormai arrivato a destinazione, quando delle voci lo costrinsero a fermarsi e a prestare attenzione.

- … è il sangue del bambino. -

- Che vuol dire che mio figlio la sta tenendo in vita?! – sentì dire a Sesshomaru con un tono talmente gelido e tagliente che per un attimo non si preoccupò neppure del contenuto di quelle parole, ma unicamente della vita del medico.

- Il… il sangue demoniaco… - lo sentì dire, balbettando fortemente a disagio, - gli permette di non ammalarsi e… e rallenta anche la progressione della malattia sulla madre, permettendole di non aggravarsi ulteriormente, però… nel momento in cui il bambino dovesse nascere… -

- Stai forse dicendo che lei morirà?! –

Inuyasha ebbe appena il tempo di sentire un gemito strozzato, prima che il suo istinto prendesse il sopravvento, portandolo a scagliarsi con tutta la forza contro il fratello.
Il corpo del medico si accasciò a terra ansimante, cercando di respirare profondamente a pieni polmoni, con una mano premuta con incredulità su quel collo che era sicuro che non avrebbe più sentito.

Inuyasha con un unico colpo era riuscito, cogliendolo di sorpresa, ad allontanare il fratello a sufficienza dal povero malcapitato.
Sesshomaru gli aveva quindi rivolto tutte le sue attenzioni, furioso per quell’intervento assolutamente non richiesto e non gradito.
Tutte le sensazioni che giorni prima aveva represso, giudicandole di poca importanza, vennero a galla più forti e intense di prima.
Ora improvvisamente le capiva. La risposta che non era riuscito a trovare la vedeva davanti ai suoi occhi come se fosse diventata ad un tratto tangibile.

Era per Rin.

Era il terrore di perdere Rin a fargli provare tutte quelle sensazioni così nuove.

Una rabbia feroce e smisurata si impossessò di lui, consumandolo piano dall’interno. Ormai non sarebbe più stato in grado di reprimere nulla.

Gli bastò una singola occhiata per prendere una drastica decisione: tutta quella rabbia l’avrebbe riversata su quel suo odiato fratellastro mezzo-demone che per l’ennesima volta si era messo in mezzo, guardandolo con aria di superiorità, come se credesse improvvisamente di essere degno di vivere.  

Sesshomaru rimaneva immobile, limitandosi a guardarlo con un odio che Inuyasha era sicuro di non avergli mai visto, neppure quando voleva seriamente ucciderlo per la questione delle spade.

Suo malgrado si ritrovò a ghignare al pensiero che infondo il loro rapporto non era affatto cambiato, ma si nascondeva dietro un’effimera e labile tregua, che anche un soffio di vento, se diretto nella direzione giusta, avrebbe potuto spezzare.

Improvvisamente sentì il sangue ribollire nelle vene, mentre portava la mano a posarsi saldamente sull’elsa della spada.
Sentiva una voce dentro di lui, proveniente dalle profondità della mente, che gli urlava a gran voce di attaccare e reclamava il sangue.

Si rese conto di non aver mai desiderato uno scontro con una tale intensità.

Gli venne il dubbio che c’entrasse la sua natura di demone completo, ma l’immediato attacco di Sesshomaru non gli permise di pensarci oltre.

Si difese, estraendo Tessaiga e parando i suoi colpi incalzanti, uno dopo l’altro, trovandosi costretto ad indietreggiare, prima di riuscire a riprendere il controllo e attaccarlo a sua volta.

- Tutto qui quello che sai fare, Sesshomaru?! – lo provocò vedendo che non si decideva ad attaccare seriamente.

Il demone in risposta gli lanciò un’occhiataccia scocciata, uscendo dalla barriera e addentrandosi nel bosco.

- Preparati mezzo-demone. – gli intimò prima di partire nuovamente all’attacco, ormai senza più freni.

- Tzè! Non aspettavo altro dannato! Cicatrice del vento! – urlò agitando la spada e scagliandosi contro di lui con tutte le sue forze.

Come di consueto Tessaiga fu avvolta da una fortissima corrente di vento, che si diresse a tutta velocità verso il nemico. Sesshomaru riuscì a respingerla con estrema facilità semplicemente estraendo la sua Bakusaiga.

- Non sembri affatto più forte di prima. Demone o mezzo-demone resti solo un incapace! Non sei degno del sangue di nostro padre! Bakusaiga!-

- Bakuryuha! – tentò di difendersi, ma prima che riuscisse a vedere gli effetti del suo colpo, Sesshomaru lo attaccò nuovamente spazzandolo via, insieme ad un’intera porzione di foresta.

Il demone attese che la polvere si abbassasse, guardando dritto nel centro.

La mano si strinse con più forza sulla spada e le nocche diventarono completamente bianche.

Cosa doveva fare perché quel maledetto si decidesse una buona volta a morire?!

- La prossima volta non ci sarà quello stupido fodero a salvarti la vita. – lo avvisò notando il suddetto fodero di Tessaiga spaccato irrimediabilmente a metà.

- Dannato… - protestò rialzandosi a fatica, stringendo una parte del fodero ancora in mano e gettandola via, - allora vuoi proprio uccidermi, eh?! –

- Tu no? Vedo che ancora non hai usato il Meido. Che c’è Inuyasha, non vuoi rischiare di ferire il tuo stesso fratello?! – chiese ironicamente partendo all’attacco e facendo incrociare le rispettive spade.

- Maledetto… se volevi morire, non dovevi fare altro che dirmelo! Meidozanghetsua! –

“Illuso! Credi di riuscire a mandare me, il grande Sesshomaru, all’altro mondo?!”, pensò prima di saltare oltre la sua testa, evitando così di essere colpito dalle molteplici lame prodotte da Tessaiga.

- Eri là sopra dannato! -

Inuyasha si accorse dello spostamento dell’avversario e senza attendere oltre gli diresse un nuovo attacco.

Un’infinità di scaglie di diamante volò verso di lui.

Inuyasha riuscì a vedere solo un ghigno dipinto sul volto del suo avversario, prima che un’enorme energia distruttiva si sprigionasse dalla spada, andando a distruggere uno dopo l’altro tutte le scaglie, per poi dirigersi a tutta velocità verso di lui.

“Questa volta non riuscirai a scappare Inuyasha. È la tua fine!”

Guardò l’attacco venire velocemente verso di lui e fu solo un attimo.

Accadde tutto così velocemente che ebbe a malapena il tempo di pensare.

Sentì Tessaiga pulsare e iniziare a bruciare tra le sue mani. Lasciò la presa e immediatamente la spada tornò un vecchio ferro arrugginito, che si conficcò nel terreno a qualche metro dal proprietario.

Osservò i palmi ustionati delle sue mani guarire istantaneamente e non fece in tempo a chiedersi cosa stesse accadendo che subito percepì un’incredibile ed intensa energia demoniaca crescere dentro di lui e sprigionarsi.

Vide le sue braccia trasformarsi in lunghe zampe, ricoperte di pelo bianco, dotate di grandi artigli acuminati, capaci di sgozzare un intero esercito con un solo colpo.

Vide Sesshomaru guardarlo, prima confuso, poi furioso, mentre riponeva Bakusaiga nel fodero, con un moto di stizza. Improvvisamente lo vide rimpicciolirsi, ogni secondo di più, fino a diventare grande quanto una pulce; una pulce che avrebbe benissimo potuto calpestare.

Si chiese cosa stesse accadendo e guardandosi intorno con incertezza, capì che non era Sesshomaru ad essersi rimpicciolito, né gli alberi, né le case, né tutto ciò che lo circondava, ma era lui stesso ad essere diventato enorme.

Si era trasformato!

- Sei troppo insistente, mezzo-demone! – ruggì Sesshomaru, iniziando a trasformarsi a sua volta, raggiungendo il suo stello livello e attirando completamente la sua attenzione ormai presa dagli ultimi sviluppi.

Inuyasha ringhiò, scagliandosi con ferocia verso di lui, riprendendo lo scontro.

Ormai era chiaro ad entrambi che inevitabilmente quel combattimento non si sarebbe concluso se non con la morte definitiva di uno dei due.

Si scontrarono a mezz’aria, combattendo all’incirca alla pari, ferendosi ripetutamente.

L’energia demoniaca che si generò nell’impatto rase al suolo un’altra porzione di foresta, mettendo immediatamente in allerta monaci e sacerdotesse dei villaggi adiacenti, ignari e preoccupati per l’eventuale pericolo.

Si colpirono nuovamente: Inuyasha riuscì a ferire Sesshomaru ad una zampa, ma quest’ultimo lo fece schiantare al suolo, facendolo precipitare da un’altezza di svariati metri.

Il demone si preparò per attaccarlo di nuovo, ma Inuyasha, come se nell’impatto non avesse sentito nulla, era già in piedi pronto a rispondere.

Tutt’un tratto, contemporaneamente, si fermarono.

 

- Ora basta! Smettetela subito per favore! Tutti e due, vi prego! –

 

- Rin! – urlarono Sango e Miroku, correndole dietro, accorrendo sul posto preoccupati.

Videro la ragazza accasciarsi al suolo e neppure un secondo dopo Sesshomaru, tornato normale, le fu accanto, prendendola tra le braccia.

- Non saresti dovuta uscire Rin. – le disse vedendola stare male.

La rabbia era completamente esaurita. Ora non sentiva altro che preoccupazione.

- Sango, guarda! – le indicò Miroku, mostrandole Inuyasha che stava pian piano tornando normale, - non sapevo che fossi capace di trasformarti così. – continuò poi rivolto all’amico.

- Tzè! Che credi!? Non lo sapevo neanche io. È la prima volta che succede. Evidentemente non volevo che quest’idiota vincesse. –

- Sei stato davvero uno stupido! Tutti e due! – li attaccò Sango, ricevendo in cambio un’occhiataccia da Sesshomaru, - Dovreste pensare a Rin, a farla stare tranquilla e non a darle ulteriori preoccupazioni! –

- Mi… mi dispiace se sono uscita… ma non volevo che… che vi faceste male. Siete fratelli, non… voi non dovete uccidervi… - sussurrò debolmente, venendo poi scossa da dolorosi colpi di tosse.

Sesshomaru sentì subito l’odore del sangue e vide la mano con la quale Rin si copriva la bocca tingersi di rosso.
Nuovamente quella sgradevole sensazione di terrore tornò ad accendersi e a fargli visita e lui si rese conto che non poteva fare altro che conviverci.

Guardò Rin, così debole e sofferente tra le sue braccia. Non riusciva a capire perché gli umani dovessero essere così deboli, tanto che anche un banale soffio di vento avrebbe potuto ucciderli.
Respirava affannosamente, tremando appena. La strinse maggiormente, andando poi a sfiorare con il palmo della mano il ventre rigonfio.

Ad un tratto sussultò.

Un movimento.

Leggero, appena accennato, ma qualcosa si era mosso. Le parole che il medico gli aveva detto solo qualche minuto prima gli martellarono dolorosamente nella testa e fu inevitabile per lui pensare che quel qualcosa avrebbe finito con l’uccidere la sua Rin.

Allontanò la mano rapidamente, come se il solo contatto l’avesse scottato.

Guardò con rabbia e dolore quel punto esatto dove l’aveva sentito muoversi e improvvisamente capì cosa doveva fare.

Fece segno a Sango di avvicinarsi e si alzò, lasciandole Rin.

- Sesshomaru… - sussurrò lei spaventata da quegli strani comportamenti che forse per la prima volta non riusciva a decifrare.

- Troverò una soluzione e tornerò prima… prima che lui nasca. – le disse semplicemente, concludendo le ultime parole con astio represso, spostando lo sguardo da lei, al suo ventre, al terreno, prima di darle le spalle.

- Sesshomaru! – lo richiamò immediatamente lei, con la voce rotta per la preoccupazione, andando ad avvolgere le braccia intorno al ventre, come se volesse abbracciare il piccolo, - Ti scongiuro, non odiarlo! Lui… lui avrà bisogno di suo padre! –

Sesshomaru si fermò preso alla sprovvista.

Rin si era rivolta a lui, dimenticando tutte quelle formalità che avevano caratterizzato le loro conversazioni sin dal primo giorno. In quel momento lui non era un grande e potente demone che incuteva rispetto e paura, né lei era solo una debole umana; c’erano solo loro due: un uomo e una donna.

Lei gli aveva parlato mettendosi per la prima volta al suo stesso livello, senza pudore o incertezza, manifestando con coraggio un dubbio e una verità che Sesshomaru stesso si era rifiutato di formulare, ma che sapeva essere tremendamente reale. Se quel bambino con la sua nascita avesse condannato Rin a morte, lui sarebbe stato in grado di non odiarlo?

Non sapeva la risposta. Forse non l’avrebbe odiato, ma non avrebbe potuto sopportare di guardarlo negli occhi, di rivedere lei in essi e di chiamarlo figlio.  

Strinse i pugni rendendosi conto di un elemento a cui non aveva fatto particolarmente caso: se Rin aveva detto una frase del genere significava soltanto una cosa, e cioè che anche lei era consapevole di essere ancora in vita solo grazie al piccolo.

Doveva trovare un modo per guarirla.

Doveva trovarlo a tutti i costi e non avrebbe permesso che il bambino nascesse prima di quel momento, decretando così la morte dell’unica persona che avesse mai amato.

Riprese a camminare, senza voltarsi indietro neppure una volta, sentendo affievolirsi man mano sempre di più il pianto disperato di Rin, che si era gettata tra le braccia di Sango, sfogando tutto il suo dolore.

 

 

Quando il sole era ormai prossimo al tramonto, decisero di riportare Rin dentro casa.

Tutte le parole dette nel tentativo di tranquillizzarla sembravano completamente inutili e prive di senso; inoltre come se non bastasse avevano serie difficoltà a credere che Sesshomaru avrebbe trovato un rimedio con il poco tempo che era rimasto.

Sango e Miroku le tennero compagnia per un po’, ma la presenza dei bambini, rimasti soli a casa per troppo tempo, li costrinse a salutarla presto.

- Tu non vai Inuyasha? – gli domandò ad un tratto Rin, dopo aver salutato gli amici ed essersi rimessa a riposo.

- Scema! Come se potessi lasciarti qui da sola! – protestò indignato facendola sorridere debolmente, - Quell’idiota me la farebbe sicuramente pagare… -

Rin tornò immediatamente seria, guardando fisso un punto davanti a sé, tanto che ad Inuyasha venne il dubbio, misto a timore, di aver detto qualcosa di sbagliato.

- Ascolta Inuyasha… se… se dovesse succedermi qualcosa, tu… -

- Tzè! Piantala di fare discorsi stupidi! –

- No, ascolta, per favore! Promettimi solo che… che ti prenderai cura del mio bambino e di Sesshomaru. – lo implorò guardandolo dritto negli occhi.

- Spero che tu stai scherzando! Prendermi cura di Sesshomaru!? Tzè! Neanche morto! Piuttosto, sai che ti ucciderebbe, se ti sentisse parlare così? – la provocò facendola ridere, ignorando volontariamente la morsa che gli aveva attanagliato lo stomaco dopo quello sguardo e quelle parole.

- Lo so, perciò credo che sia una fortuna che ora non sia qui. –

- Razza di scema… guarda tu cosa mi tocca sentire! –

- Inuyasha… – lo chiamò nuovamente con estrema serietà, - grazie di tutto. –

Il demone arrossì a dismisura, voltandosi di spalle e iniziando a borbottare frasi senza senso che la fecero nuovamente ridere.

- Vedrai, quell’imbecille troverà un rimedio e riuscirà a salvarti. È l’unico che può riuscirci… quindi ora smettila con questi discorsi strani e dormi! - le ordinò poi, uscendo e sedendosi per terra con la schiena poggiata alla parete di legno.

Non sopportava Sesshomaru e ancora meno tollerava l’idea di avere il suo stesso sangue, ma in quel momento poteva solo fidarsi di lui e sperare che riuscisse a trovare un modo per salvare la vita di Rin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino (molto ino questa volta) di Aredhel

 

Non fucilatemi!

*va a nascondersi dietro il divano, mentre si sforza per farsi venire gli occhioni in stile manga*

 

 

UN PO’ DI STORIA!

Pronti per la seconda lezione? Dopo questo capitolo credo che non ve ne fregherà proprio una beneamata ceppa (?) (ma come sto parlando… T_T)

Allora… ehm… arriviamo alle noti dolenti… la malattia di Rin...

È stato molto difficile trovare la malattia adatta e non potete immaginare che depressione che m’è presa dopo aver cercato su google tra centinaia di epidemie che hanno colpito varie parti del mondo in varie epoche… una tragedia! Soprattutto perché alla fine non sono riuscita a trovare nulla. La malattia che più si avvicinava a ciò che cercavo è la dengue, che probabilmente vi sarà capitato di sentire da qualche parte.
In realtà non ci sono notizie certe, precise e documentate, ma abbiamo solo alcune descrizioni di un’epidemia, di dengue appunto, che avrebbe colpito nel XVII secolo in Asia. Tutto ciò è decisamente troppo generico, ma purtroppo nessun’altra malattia rispettava i requisiti richiesti, quindi alla fine ho optato per questa con un po’ di fantasia: infondo anticipando all’inizio del XVII secolo, le date coinciderebbero e anche se parlava di Asia in generale possiamo anche far finta che avesse colpito il Giappone, no? :P

Più o meno i sintomi sono quelli descritti più altri: febbre elevata, mal di testa, eritemi come quando si ha il morbillo, emorragie, convulsione, alterazioni di coscienza… insomma, una bella robetta. Naturalmente per quel tempo era assolutamente letale.   

Se non mi uccidete prima :P ci vediamo al prossimo capitolo!

Bacioni, Aredhel <3

 

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Capitolo 6
*** Una storia destinata a ripetersi ***


I'll always find You










6. Una storia destinata a ripetersi






 

“Inseguirò per sempre la tua immagine.
Nei miei sogni, il tuo profilo è uguale a come era allora.
Sei fuggito via nell'erba alta e sei scomparsa;
Ti ho rincorso proprio come quando si cerca di afferrare un ricordo.
Sono rimasto senza fiato. Mi maledico ogni giorno per non essere riuscito a raggiungerti
Eri così lontana

 

Sono passati tanti anni da allora…
Ora non riuscirò più a tornare in quel posto,
Dove ho lasciato il mio cuore

Se è stato davvero un sogno, se non riuscissi più a riviverlo,
Come potrò convivere con questi miei sentimenti?
Continuo ad inseguire l'immagine di quel giorno
Ed ogni istante è un rimpianto,
Perché sto vivendo in questo mondo senza di te.”

 

 

(Traduzione di Moshimo, di Daisuke – Naruto Shippuden opening 12) *

 

 

 

 

 

Sesshomaru era partito ormai da quasi due mesi e i giorni passavano con una lentezza esasperante, senza che di lui si avesse la minima traccia: sembrava essersi volatilizzato nel nulla.

L’umore di Rin andava peggiorando man mano che la gravidanza si avviava al suo termine. Restava ore sdraiata immobile sul futon a guardare l’orizzonte, pregando di veder apparire la figura del demone in qualsiasi momento.

Sango doveva spesso costringerla ad alzarsi in piedi o a mangiare qualcosa, ripetendole che se non si fosse presa cura del suo corpo il bambino ne avrebbe sicuramente risentito; allora Rin si sforzava di seguire le sue indicazioni, assecondandola per qualche minuto, ma subito riprendeva ad osservare l’orizzonte con sguardo vacuo e assente, come se in quel nulla potesse davvero vedere la realizzazione dei suoi pensieri e dei suoi desideri.

Il medico l’aveva visitata più volte nell’arco di quei giorni e aveva constato come il decorso della malattia fosse rallentato rispetto a quello di un comune umano: il sangue demoniaco la aiutava davvero a sopravvivere e a non farle provare troppo dolore. Il termine che aveva usato era: il bambino permetteva a Rin di resistere, almeno per il momento, aveva aggiunto.

Ciò che davvero lo preoccupava però non era la malattia in sé, quanto piuttosto l’umore della ragazza: ogni giorno sempre di più sembrava che si stesse arrendendo. Aveva abbandonato ogni speranza, niente le dava più la minima gioia, i suoi occhi erano spenti e non brillavano più.

Di lei sembrava che fosse rimasto solo un guscio vuoto.

- Buongiorno Rin! – esordì Sango, entrando nella piccola capanna, con un cesto pieno di frutta, - Come ti senti oggi? –

La ragazza non rispose, non distogliendo lo sguardo dal paesaggio.

- Guarda cosa ti ho portato. – continuò poi imperterrita indicandole il cesto, - Me lo ha regalato una donna del villaggio. Dice che Miroku l’ha aiutata tanto con uno spirito piuttosto insistente e così ha voluto sdebitarsi. Ti va di mangiare qualcosa? Guarda! Dall’aspetto sembrano buonissime, vero? –

Senza aspettare la minima risposta, che tanto sapeva non sarebbe giunta, iniziò a sbucciare un’arancia, continuando a chiacchierare di ogni cosa le passasse per la testa, sperando che una qualsiasi di quelle cose riuscisse a destare la curiosità dell’amica, risvegliandola da quello stato catatonico in cui era caduta.

Una volta sbucciato per bene il frutto, la aiutò ad alzarsi ponendole una mano dietro le spalle e una poggiata delicatamente sul ventre, per permetterle di mettersi seduta comodamente.

Ad un tratto sobbalzò, guardando subito l’espressione di Rin, sperando in un minimo cambiamento, ma la ragazza rimase col volto abbassato, completamente estranea ad ogni mutamento.

- L’hai sentito Rin? Ha tirato un calcio! – esordì con entusiasmo, - Certo che deve essere già molto forte questo piccolino: si vede proprio che è figlio di un demone! Avete pensato ad un nome? Mi domando se Sesshomaru preferisca un maschio o una femmina… tu che…? -

- Basta, smettila! – urlò improvvisamente, chiudendo gli occhi e coprendosi le orecchie, facendola tacere.

- Rin… -

- Smettila, non voglio ascoltare, non voglio sapere niente. – ripeté scuotendo la testa, mentre le lacrime avevano preso a solcarle le guance senza più freni.

- Rin, io… -

- No! – singhiozzò, coprendosi il volto con le mani, - No… perché? Io… - balbettò faticando addirittura a respirare per i violenti singhiozzi che ormai la scuotevano.

Sango le accarezzò piano la testa e a quel punto Rin puntò gli occhi arrossati e stracolmi di lacrime nei suoi, ora lucidi e consapevoli, che sembravano implorarla con una muta richiesta: “non tenerti tutto dentro. Sfogati.”, e Rin non si trattenne più.

- Voglio stare con lui, Sango! Voglio vederlo crescere e voglio sentirmi chiamare mamma, voglio vedere i suoi primi passi, voglio poterlo abbracciare quando la notte avrà degli incubi e voglio stargli accanto e… voglio… voglio… - si bloccò, ansimando e portando una mano al petto, guardando terrorizzata l’amica.

- Va bene, va bene, calmati ora. – le disse abbracciandola, accarezzandole piano la schiena ritmicamente, - Tranquilla. Respira, con calma, così. Respira… –

Rimase a cullarla per svariati minuti, aspettando che i singhiozzi si placassero e che riprendesse a respirare normalmente.

Avrebbe voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, di non arrendersi perché c’era ancora una speranza, ma sapeva che Rin non le avrebbe creduto: sapeva fin troppo bene quanto scarse fossero le possibilità di sopravvivere - praticamente quasi nulle - e qualsiasi cosa le avesse detto, le sarebbe sembrata solo una crudele illusione.

- Non è giusto Sango. – la sentì sussurrare, leggermente più calma, dopo un tempo che sembrò infinito, - Perché è successo? Io… avrei così tanto voluto conoscere il mio bambino. –

Continuò ad accarezzarle i capelli, lasciandosi sfuggire un’unica lacrima, nella quale racchiuse tutti i sentimenti di rabbia e solidarietà che provava ormai da mesi.

Quanta altra sofferenza avrebbero dovuto sopportare prima che le cose si decidessero ad andare finalmente nel verso giusto?

Rin si allontanò leggermente, asciugandosi gli ultimi residui di lacrime e lasciando affiorare un triste sorriso consapevole sul volto.

- Il bambino… sai, lui… sarà un maschio. Ne sono sicura. -

Sango le vide gli occhi brillare come per riflesso a quelle parole e pensò in quel momento che Rin fosse la persona più forte e tenace che conoscesse.

Per quanto le possibilità e le speranze fossero scarse, anzi scarsissime, sarebbe stato sufficiente che ce ne fosse solo una, anche se misera e impossibile: si sarebbero aggrappati a quell’unica possibilità con tutte le loro forze.

 

 

 
***

 

 

 

Sesshomaru era partito pensando che avrebbe cercato in ogni singolo angolo di mondo, senza mai arrendersi né perdersi d’animo: era sicuro che esistesse un modo per salvarle la vita e nessuno più di lui era in grado di trovarlo. Rin non poteva morire così, non dopo che lui aveva finalmente imparato ad amare.

Fu Totosai, qualche tempo dopo l’inizio della sua ricerca, a dargli una pista da seguire. Gli disse che in passato già una volta Inuyasha si era rivolto a lui e il suo aiuto gli era tornato moto utile. Probabilmente quell’eccentrico eremita di nome Yakuro Dokusen * era la sua unica speranza, ma l’unico problema, gli disse Totosai, sarebbe stato convincerlo a prestare i suoi servigi, dal momento che difficilmente un tipo come Sesshomaru gli sarebbe risultato simpatico.

Il grande demone non fece minimamente caso alle sue parole e alla sua titubanza, mettendosi immediatamente in cammino.

Chiunque fosse quel tipo lo avrebbe costretto ad aiutarlo, a qualsiasi costo, o in caso contrario lo avrebbe ucciso senza neppure pensarci due volte.

Dopo pochi giorni di ricerca riuscì finalmente a rintracciarlo.

Proprio come gli aveva detto Totosai, l’odore di sakè che impregnava tutta la montagna era una traccia inconfondibile.

Storcendo il naso, infastidito da quell’odore così forte e penetrante, arrivò ai piedi di un’altissima cascata. Davanti a lui, una distesa di decine e decine di giare, tutte piene fino all’orlo di un liquido tra i più trasparenti e limpidi che avesse mai visto, si apriva ai suoi occhi.

Si guardò intorno, cercando di individuare il famoso Yakuro Dokusen, ma quell’odore così fastidioso gli rendeva impossibile affidarsi al suo naso.

- Demone. – disse ad un tratto, stanco di quel suo nascondersi chissà dove, sicuro che l’altro l’avrebbe sentito, - Esci fuori o ti distruggo. – continuò estraendo la spada, senza alcuna remora.

Una superficie tonda, lucida e calva fece capolino da uno dei grandi vasi, lasciando che i suoi occhi oltrepassassero il bordo per sbirciare timorosi la situazione circostante.

- Mmh… interessante. – bofonchiò, decidendosi poi ad alzare completamente la testa e ad uscire, - Così, tu sei il famoso Sesshomaru. -

Il demone si limitò a fissarlo imperterrito.

- Totosai mi ha parlato di te e del tuo problema. Hai bisogno di un antidoto, giusto? - domandò sorseggiando rumorosamente da una ciotola di sakè.

- Non ho tempo da perdere, vecchio, quindi arriva al punto: puoi creare l’antidoto o no? –

L’anziano demone sospirò, finendo di trangugiare il contenuto della piccola ciotola, perdendosi poi nella contemplazione del cielo azzurro.

- Nella vostra famiglia la pazienza non sapete proprio cosa sia, eh? Beh, no, non posso aiutarti. -

Sesshomaru ridusse gli occhi a due fessure, mentre sentiva la rabbia crescere dentro di lui.

- Le minacce non serviranno a niente. – aggiunse poi, come se avesse percepito il desiderio di ucciderlo da parte del demone che aveva di fronte, - Le mie pozioni funzionano esclusivamente grazie all’aiuto di coloro che me le chiedono. Tu non riusciresti mai a produrre l’antidoto che ti serve, perciò non posso aiutarti. -

Sesshomaru continuò a guardarlo, rimanendo in attesa, fino a che la sua attenzione non venne completamente catturata da uno strano battito, lungo il suo fianco sinistro, emanato da Tenseiga, la quale si stava rapidamente scaldando.

- Oh! Quella è forse una spada che riporta i defunti nel mondo dei vivi? – domandò Yakuro Dokusen meravigliato, avvicinandosi senza timore.

- Cosa ne sai tu di Tenseiga? –

- Se possiedi una simile spada e non hai pensato di usarla, vuol dire che lei non può più salvare la vita di quella persona, vero? –

Lo vide annuire semplicemente e sospirò sconsolato.

- Totosai avrebbe anche potuto dirmi qualcosa in più, strapparti le parole di bocca è un’impresa! Beh, poco male, penso di poter fare un tentativo, ma dal momento che quella persona è già stata aiutata dalla spada, non so dirti quanto tempo durerà l’antidoto. Potrebbe darti qualche mese o… qualche anno! – si affrettò ad aggiungere spaventato dallo sguardo assassino del demone, - Una volta che l’antidoto sarà pronto, dipenderà tutto da quella persona. Se accetti, sappi però che dovrai sacrificare la tua Tenseiga e non c’è garanzia che riesca a produrre l’antidoto di cui hai bisogno. -

Sesshomaru estrasse la spada dal fodero senza neppure riflettere. Lo scopo di Tenseiga era salvare la vita e se Rin fosse morta, Tenseiga non avrebbe comunque avuto più ragione d’esistere.

Questo era il motivo per cui la spada stava pulsando: il suo desiderio era sacrificarsi per quella vita, per quell’amore.

 

 

Il vecchio eremita osservò la spada, rigirandosela tra le mani, specchiandosi su quella superficie completamente liscia e lucida, senza il minimo graffio o ammaccatura.

Si passò una mano sotto il mento, lisciandosi la lunga barba bianca con atteggiamento pensieroso, poi improvvisamente allungò un braccio e quello si estese per vari metri, come se la pelle fosse stata elastica, senza la minima presenza di ossa al suo interno.

Afferrò uno dei vasi e ritirando il braccio lo portò davanti a sé.

Senza aspettare oltre, gettò sbrigativamente la spada al suo interno, guardandola poi sciogliersi ad un’incredibile velocità. La lama si illuminò di un blu splendente e luminoso e colorò subito tutto il sakè nel quale era immersa, fino a che di essa non rimase più nulla, eccetto quel colore così particolare e brillante.

I due attesero con uguale impazienza che accadesse qualcosa, ma tutto appariva immobile e il vento stesso sembrava essersi fermato.

Quando Sesshomaru sentì il vecchio accanto a sé sospirare sconsolato, avvertì una morsa gelida stringersi intorno al suo cuore e un freddo incredibile propagarsi nelle sue ossa, irradiandosi poi in tutto il corpo.

Se non avesse funzionato, cos’altro avrebbe potuto fare?

Aveva promesso che ci sarebbe riuscito, che sarebbe tornato in tempo e con un antidoto. Il grande Sesshomaru non poteva fallire! Che lui non riuscisse in qualcosa, che si facesse sconfiggere così era assolutamente inconcepibile. Quale poteva mai essere il senso di tutto quel potere, di quel diventare sempre più forte, se poi non riusciva a salvare un’unica persona?

Abbassò lo sguardo, furioso col mondo e con se stesso.

L’immagine di suo padre gli affiorò alla mente con prepotenza e improvvisamente capì una verità che per secoli aveva cercato di negare. Non aveva mai smesso, dopo la morte del genitore, di chiedersi il perché: perché una semplice umana avesse avuto il potere di decidere della sua vita, perché suo padre - il grande generale, signore delle terre dell’ovest, il cui potere era assolutamente sconfinato e la cui fama non era eguagliata da nessuno - perché proprio lui si fosse sacrificato per la vita di una semplice donna umana, il cui destino sarebbe comunque stato quello di morire più rapidamente di un soffio di vento.

Era il suo idolo, il suo rivale, la persona che più ammirava e che più odiava ed era morto per amore, per il folle desiderio di proteggere ad ogni costo quella donna.

Sesshomaru non era mai riuscito a comprenderlo, fino a quel momento, quando per la prima volta si ritrovò a pensare che avrebbe dato la sua stessa vita pur di salvare quella di Rin.

Ora lo capiva, perché anche lui aveva finalmente qualcuno da proteggere.

Un’incredibile luce azzurra si irradiò dalla giara, andando ad avvolgere tutta la zona circostante, costringendo i due demoni a socchiudere gli occhi per non rimanerne accecati.

- Sembra che dopotutto abbia iniziato a funzionare. – constatò l’eremita sorridente, mentre Sesshomaru non poteva fare a meno di guardare quella strana luce, così calda ed estremamente familiare, con infinito stupore: l’ultima volta che l’aveva vista, dopo lo scontro con la spada Sounga, era stato fermamente sicuro che quella sarebbe stata l’ultima volta.

- Sesshomaru. – tuonò una voce, dal centro di quell’incredibile luminosità.

- Padre… - sussurrò lui, ancora sorpreso, guardando la figura maestosa del demone che gli aveva donato la vita ergersi davanti a lui in tutta la sua forza.

- Oh… sembra che la spada contenesse una parte della sua anima! – spiegò l’eremita con tono meravigliato.

- Hai scelto di sacrificare Tenseiga. – constatò il potente demone guardandolo freddamente, - E così, Sesshomaru, esiste una persona che vuoi salvare al punto da sacrificare la tua spada? Devo forse dedurre, figlio mio, che hai finalmente trovato la risposta a quella domanda? –

Il vecchio eremita spostò lo sguardo confuso dall’uno all’altro, lisciandosi la barba pensieroso.

- Di che domanda parla? – domandò, ma venne palesemente ignorato.

- Non siete stato voi a lasciarmi Tenseiga in eredità? Non l’avete forse fatto affinché trovassi la risposta a quella domanda? Sì, padre, l’ho trovata. Ora ho anche io qualcosa da proteggere. – disse deciso e per un attimo gli sembrò di scorgere l’accenno di un sorriso compiaciuto sul volto dell’uomo.

- Ti sbagli Sesshomaru. Non ti ho lasciato Tenseiga perché trovassi la risposta, ti ho lasciato Tenseiga perché sapevo che l’avresti trovata. –

Ascoltò quelle poche parole, intuendone il senso e la rabbia crebbe prepotente e inarrestabile dentro di lui.

- Che cosa… che cosa significa questo!? – strinse i pugni con forza, imponendosi di riprendere la calma.

Si sentiva manipolato, esattamente come si era sempre sentito.

Ancora una volta, le decisioni di quell’uomo influenzavano la sua vita e lui non poteva fare altro che guardare immobile l’avverarsi delle sue previsioni.

Suo padre lo aveva cresciuto, indirizzandolo dove desiderava, facendogli percorrere una strada già scritta, con una mano poggiata sulla spalla e l’altra ad indicargli il percorso, dandogli solo apparentemente l’illusione che fosse tutta una sua scelta.

Sesshomaru si era allontanato da lui, dalla sua presenza, dalla sua figura, in giovane età, guardandolo come l’avversario che era sempre stato, il rivale più forte, quello con cui misurarsi per saggiare i propri limiti. Si era allontanato per essere riconosciuto, per dimostrargli chi fosse davvero e di cosa fosse in grado, per fargli capire di non avere bisogno della sua guida, ma il grande demone ancora una volta aveva deciso spontaneamente di mischiare le carte in tavola: era morto, privando così Sesshomaru del piacere di sconfiggerlo e anche nell’aldilà il suo spirito aveva continuato a fare la stessa cosa, influenzando e guidando la vita del figlio. 

Sesshomaru si era ritrovato così in mano Tenseiga, una spada inutile per un demone potente e feroce come lui e aveva iniziato a rivaleggiare contro il suo insulso fratello mezzo-demone per quella che sarebbe invece dovuta essere la sua vera eredità.

Aveva combattuto contro Inuyasha, spinto dal desiderio di ucciderlo e prendersi Tessaiga, ignorando che l’intento di suo padre fosse proprio quello di farli combattere: sì, ma per fare in modo che Inuyasha diventasse più forte.

Voleva che Sesshomaru riconoscesse nel fratello il suo più grande rivale e lui lo aveva accontentato, inconsciamente certo, ma lo aveva fatto: ogni volta era caduto negli assurdi piani di suo padre. Aveva combattuto Inuyasha, lo aveva visto rialzarsi dopo ogni colpo e diventare sempre più forte dopo ogni combattimento. Prima che avesse modo di rendersene conto, vincere contro il fratellastro era diventato il suo scopo primario, esattamente come lo era stato tempo prima vincere contro suo padre; e non era importante che in realtà vincesse ogni volta, non era mai sufficiente, perché sapeva che la volta successiva sarebbe stato più difficile, che avrebbe dovuto faticare sempre di più.

Suo padre voleva che lo rendesse più forte e lui l’aveva fatto, arrivando addirittura a donargli il Meidou Zangetsuha.

Quel giorno Sesshomaru aveva finalmente capito tutto. Si era reso conto per la prima volta di come dietro ogni sua azione ci fosse sempre stata l’ombra del padre. Lo aveva realizzato improvvisamente e una rabbia cieca si era fatta strada in lui, pronta ad esplodere e a distruggere ogni cosa sul suo passaggio.

Aveva spedito Inuyasha ad un passo dalla morte e lo avrebbe anche lasciato morire, se non fosse stato che in quel momento qualcosa era scattato dentro di lui. La rabbia era divenuta consapevolezza e la mano del genitore che lo guidava la sua sfida.

Va bene padre, vediamo dove mi porterai.”, aveva pensato, placando solo per un secondo l’orgoglio che gli corrodeva lo stomaco e si era arreso.

Aveva permesso ad Inuyasha di strappargli il Meidou e aveva riconosciuto in lui il suo più grande rivale.

Si era arreso alla volontà di suo padre.

Riscuotendosi dai suoi pensieri, strinse l’elsa di Bakusaiga come di riflesso. Era lì che suo padre lo aveva condotto, passo dopo passo, per fargli raggiungere la vera forza. 

Aveva davvero creduto in quel momento, quando aveva finalmente ottenuto una spada tutta sua, di essersi liberato da quella mano costantemente posata sulla sua spalla, sempre pronta ad indicargli il percorso da seguire?

No, era ancora lì, con quel peso che lo opprimeva e lo faceva sentire debole, perché suo padre sapeva tutto, anzi no, lui prevedeva tutto; invece Sesshomaru non riusciva a fare altro che farsi guidare come un burattino, rimanendo cieco davanti a quei disegni così grandi che i suoi occhi non erano mai stati in grado di leggere.

- Come fate a conoscere cose che devono ancora accadere? – chiese tutt’un tratto, trovandosi a sussurrare quelle poche parole prima che l’orgoglio glielo impedisse.

Ancora una volta si era arreso di fronte a lui.

Il demone abbozzò un leggero sorriso, leggermente malinconico, tristemente consapevole della confusione che albergava nella mente del figlio.

- Sbagli a credere che io conosca tutto Sesshomaru. – disse, ma il lampo d’ira che scorse negli occhi del figlio lo costrinse a fornirgli altre spiegazioni, - Sin da quando eri piccolo, sei sempre stato incredibilmente simile a me. Il rapporto che noi avevamo mi ricordava quello che c’era tra me e mio padre. Per questo motivo sapevo come avresti agito. Non sono stato io a guidare le tue azioni Sesshomaru, sei sempre stato libero e sei arrivato qui dove sei ora con le tue sole forze. Io ho solo fatto in modo di starti accanto qualsiasi cosa tu avessi fatto, per aiutarti in caso ne avessi avuto bisogno, per fare in modo che non cadessi. Sapevo che un giorno avresti trovato la risposta a quella domanda, esattamente come la trovai io; sapevo che avresti provato il desiderio di voler fare di tutto pur di proteggere una persona e allora ho fatto in modo che una parte di me restasse in Tenseiga, nella spada che ti ho lasciato in eredità, per poterti aiutare se ne avessi avuto bisogno. -

Un profondo silenzio seguì quelle parole e Sesshomaru si sentì completamente svuotato, privo di forze.

Nella sua mente, l’immagine di suo padre che aveva avuto per tutta la vita si stava ora scontrando ferocemente con l’immagine che aveva davanti agli occhi. Si confrontavano senza esitazione di colpi, richiamando alla mente ricordi di un passato lontano.

Non sapeva quale delle due avrebbe prevalso sull’altra.

Non sapeva quale delle due avrebbe fatto prevalere, si corresse sentendo uno strano senso di consapevolezza e libertà avvolgerlo.

- Credo proprio che non sia necessario aggiungere altro. È ora che torni indietro, Sesshomaru: quella persona ti aspetta. - disse, ma rimase immobile con un accenno di incertezza negli occhi, come se ci fosse qualcosa a tormentarlo.   

Se Sesshomaru fosse stato una persona abituata a mostrare le sue emozioni avrebbe probabilmente alzato gli occhi al cielo, sbuffando; in altri casi invece si sarebbe forse sentito irritato da quell’inutile attesa, ma quel giorno suo padre gli aveva fatto un regalo, permettendogli di avere una possibilità concreta per salvare la vita di Rin, perciò non fece niente di tutto ciò.

- Lui sta bene. È diventato un demone completo, per aspettare una femmina. – disse, riuscendo forse per la prima volta a intuirne i pensieri. Vide i suoi occhi sgranarsi leggermente prima di farsi più dolci e - Non gli porterò nessun messaggio. – si affrettò ad aggiungere con uno sguardo che non ammetteva repliche, prevenendo ogni possibile richiesta.

Il grande demone sorrise appena, iniziando lentamente a scomparire, sentendosi orgoglioso di come i suoi due figli avessero trovato infine un modo per convivere ed accettare l’esistenza l’uno dell’altro.

- Sarai un bravo padre, Sesshomaru. – scomparve e nello stesso tempo la giara si riempì di uno strano liquido azzurro, limpido come il cielo.

 

  

 

***

  

 

 

Molto lontano da lì, in una piccola radura, lontana dal villaggio, delle strazianti urla di dolore si mescolavano a copiose lacrime di disperazione e frasi di incoraggiamento e speranza.

- Inuyasha mi dispiace, ma non possiamo più rimandare! Lo vedi anche tu quanto sta soffrendo! Se non permettiamo alla levatrice di intervenire subito, Rin morirà dissanguata e perderà il bambino! – urlò Sango, sovrastando con la sua voce le urla dell’amica.

- Devi dargli ancora un po’ di tempo! Lui… - si interruppe bruscamente, quando l’ennesimo grido gli strinse il cuore in una morsa.

- Inuyasha mi dispiace, ma non c’è più tempo! Non possiamo fermare la natura! – tentò di spingerlo fuori dall’abitazione.

- Inu…Inuyasha… - lo richiamò Rin respirando affannosamente, - di’… di’ a Sesshomaru che… ci ho provato. Digli che avrei… che avrei voluto rivederlo, ancora un’ultima volta e che… mi dispiace che… - continuò non riuscendo a trattenere un grido mezzo soffocato tra lacrime e i singhiozzi, - che dovrà crescere il bambino da solo. –

- Stai zitta Rin, smettila! – urlò il ragazzo colpendo la parete con il pugno chiuso, causando una rottura nella fragile struttura di legno, - Tu non morirai! Avrai questo bambino e lo crescerai, capito!? –

Rin gli rivolse un flebile sorriso, prima che una nuova contrazione le bloccasse il respiro in gola.

- Facciamolo nascere, ora. – si intromise Sango, rivolgendosi alla levatrice.

- A…Aspetta, Inuyasha! – lo richiamò con la voce incrinata da una punta di disperazione, - Il nome del bambino, dillo a Sesshomaru… il nome del bambino è… Keiichi.-

Il demone uscì dall’abitazione sentendo la rabbia crescere ogni secondo di più.

Urlò con tutta la voce che aveva in corpo. Un grido pieno di rabbia e frustrazione, ma non servì a niente. Quel peso che si era annidato nel suo petto, artigliando il cuore in una morsa, pronto a stringerlo con forza, come a volerlo soffocare, non voleva andarsene.

Un’immagine gli era entrata nella mente. Un’immagine a cui non pensava da tanto, troppo tempo e che in cuor suo non avrebbe più voluto rivedere.

“Perché proprio ora?!”, si domandò al culmine della frustrazione, scaricando con forza un pugno sul terreno.

 

 

- Era notte, una notte di un freddo e gelido inverno.

La luna piena era alta nel cielo, ma quella notte, per qualche minuto, il suo chiarore scomparve, gettando tutto nell’oscurità.

Tu avevi fretta di nascere, figlio mio, e ormai non c’era più tempo per aspettare. Tuo padre era molto lontano: aveva combattuto molto duramente ed era rimasto ferito, ma non ci avrebbe mai lasciati.

È venuto da noi, per salvarci.

Ha permesso che vivessimo e fuggissimo insieme, donando in cambio la sua vita.

Lui desiderava solo vederti crescere e passare quanto più tempo possibile con noi. Perciò non credere a chi ti dice che lui non ti voleva per la tua natura, perché tuo padre ti amava moltissimo. – continuò poi vedendo quei grandi occhi ambrati, così simili a quelli che tanto aveva amato, offuscati dall’incertezza e dal dubbio, - Sai che è stato proprio lui a chiamarti così? Inuyasha…

Le sue ultime parole sono state il tuo nome, figlio mio. Tu eri il suo sogno. -

 

 

Quante volte sua madre gli aveva raccontato quella storia? Voleva che crescesse con la consapevolezza di che grande demone fosse suo padre, come se la sua figura, così leggendaria e piena di magnificenza, non fosse già ineguagliabile di per sé.

Quante volte aveva immaginato quel momento? Suo padre che con orgoglio e amore pronunciava il suo nome.

“Inuyasha. Il nome del bambino… è Inuyasha.”

- Keiichi… - sussurrò al vento con voce spezzata.

Perché era così dannatamente simile alla sua storia?

Non sarebbe dovuta andare così! Non avrebbe dovuto rispecchiarsi in quel bambino!

Keiichi avrebbe dovuto avere entrambi i genitori accanto, avrebbe dovuto vivere felice. La morte, la solitudine, la sua natura di mezzo-demone non sarebbero dovuti essere suoi problemi.

Perché stava succedendo tutto quello?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino di Aredhel

 

 

Perché l’autrice è sadica. T_T
Ma quanto sono stata bastarda a farlo finire così? Mi dispiace tantissimo per l’enorme ritardo e purtroppo non garantisco sul fatto che il prossimo arrivi prima, visto che non ho scritto neppure una parola. T_T
Però per farmi perdonare per il ritardo che già so accumulerò vi prometto una sorpresa: un bel disegno! (se scopro come si inseriscono XD) Non sono per niente capace a disegnare, ma in compenso me la cavo piuttosto bene a ricalcare (T_T no, non ne vado fiera): ho fatto una fusione tra varie immagini trovate su google, più qualche aggiunta personale e… *-* a me piace da morire! Ma giudicherete voi. XD

Parlando del capitolo: Sesshomaru incontra il padre! Qualcuno se lo aspettava? Eheh! Che ve ne è sembrato del loro confronto? (Naruto mi influenza troppo T_T mi sembrava di scrivere su Itachi! Spero di non essermi fatta prendere troppo la mano. :P) Comunque Sesshomaru sarà anche un demone di quattrocento e passa anni, ma fondamentalmente è ancora un adolescente. U_U

Invece del nome del bambino, che mi dite? Nel prossimo vi dirò il significato, ma se volete potete andare a sbirciarlo. A proposito, vi piace il fatto che l’abbia scelto Rin? Credete che sia eccessivamente forzato il confronto tra Inuyasha e Keiichi o anche voi avete notato le stesse somiglianze?

Lo so, vi ho riempito di domande, ma questo capitolo mi è piaciuto particolarmente, quindi ci tengo a sapere se su di voi ha avuto lo stesso effetto. :P

 

* Yakuro Dokusen lo ricordate vero? Il vecchietto maniaco che produce antidoti col sakè, “aggiusta” Hiraikotsu e “cura” Miroku (wow quante virgolette :P)

 

Al prossimo capitolo con: Una vita per una vita! (titolo strambo XD)

Bacioni, Aredhel <3

 

Ps. Non trovate che la canzone all’inizio si adatti in maniera terrificante ad I’ll always? *-* Me ne sono innamorata non appena ho letto le parole!

 

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Capitolo 7
*** Una vita per una vita ***


I’ll always find you
 
 








7. Una vita per una vita
 







  [Anno 1612]

 

- Sesshomaru… - fu un semplice e debole sussurro che si perse nell’aria.

 

- Inuyasha mi dispiace, ma non possiamo più rimandare! Lo vedi anche tu quanto sta soffrendo! Se non permettiamo alla levatrice di intervenire subito, Rin morirà dissanguata e perderà il bambino!- urlò Sango, sovrastando con la sua voce le urla dell’amica.
- Devi dargli ancora un po’ di tempo! Lui… - si interruppe bruscamente, quando l’ennesimo grido gli strinse il cuore in una morsa.
- Inuyasha mi dispiace, ma non c’è più tempo! Non possiamo fermare la natura! – tentò di spingerlo fuori dall’abitazione.
- Inu…Inuyasha… - lo richiamò Rin respirando affannosamente, - di’… di’ a Sesshomaru che… ci ho provato. Digli che avrei… che avrei voluto rivederlo, ancora un’ultima volta e che… mi dispiace che… - continuò non riuscendo a trattenere un grido mezzo soffocato tra lacrime e i singhiozzi, - che dovrà crescere il bambino da solo. –

 

- Sesshomaru io… -

 

- Stai zitta Rin, smettila! – urlò il ragazzo colpendo la parete con il pugno chiuso, causando una rottura nella fragile struttura di legno, - Tu non morirai! Avrai questo bambino e lo crescerai, capito!? –
Rin gli rivolse un flebile sorriso, prima che una nuova contrazione le bloccasse il respiro in gola.
- Facciamolo nascere, ora. – si intromise Sango, rivolgendosi alla levatrice.
- A…Aspetta, Inuyasha! – lo richiamò con la voce incrinata da una punta di disperazione, - Il nome del bambino, dillo a Sesshomaru… il nome del bambino è… Keiichi.-

 

- Sono morta…? -

- Non dire sciocchezze, Rin. –

 

Ricordava tutto in modo tremendamente confuso: l’agitazione, le parole di paura e quelle di incoraggiamento, il panno umido e fresco sulla fronte che le dava un minimo di sollievo, mentre il resto del corpo andava a fuoco, i muscoli tesi fino allo stremo, la gola che bruciava a causa delle urla soffocate e di quelle liberate con forza. 
Solo una cosa tra tutte ricordava con una assoluta ed estrema chiarezza: il dolore. Un dolore intenso, il più grande che avesse mai provato, che le aveva fatto desiderare più volte di morire, pur di non dover sopportare oltre quella tortura.

Delle voci confuse la incitavano a resistere, a farsi forza, a stringere i denti e continuare a combattere, ma lei non voleva più sentirle. Era stanca. Si sentiva lacerata nel corpo come nell’anima e l’unica cosa che l’avrebbe fatta stare meglio, l’unica motivazione che avrebbe potuto darle la forza sufficiente a combattere, a non arrendersi, era quella che più di tutte le faceva male e lentamente la uccideva. 
Il pensiero del suo bambino - del suo piccolo, adorabile, dolce bambino - la straziava nel profondo, come la punta di un freccia acuminata premuta e rigirata con forza su una ferita ancora aperta, che non aveva possibilità di guarire, ma solo di sanguinare e sanguinare ancora.

Il dolore che provava al cuore era in grado di annullare il resto del mondo circostante e lei piangeva e singhiozzava, ansimando pesantemente, cercando di recuperare quanta più aria possibile tra un respiro e l’altro; ma l’aria non bastava. Non bastava mai. 
I polmoni si svuotavano troppo velocemente e il torace si richiudeva su se stesso, stritolandosi in una morsa ferrea. Forse aveva un attacco di panico, forse il suo cuore era sul punto di fermarsi per sempre. Non lo sapeva. Sentiva solo il dolore.

E allora aveva spinto e aveva urlato, pianto e poi spinto un’altra volta ancora, per l’ultima volta.

Le palpebre degli occhi si erano abbassate lentamente fino a serrarsi del tutto, inondando la mente di oscurità. La coscienza era scivolata via, lontana dal presente, lontana dal corpo, verso un mondo privo di dolore, dove aveva sperato con tutto il cuore di potersi un giorno ricongiungere con i due grandi amori della sua vita.

- Sei arrivato in tempo. – pensò ad alta voce e in quella frase non vi era il minimo accenno di sorpresa, ma solo una grande indescrivibile gioia. Gioia per aver rivisto il volto dell’uomo che amava, per aver risentito la sua voce ancora una volta, gioia per essere ancora viva e per quella possibilità che sognava da mesi e che si era vista scivolare via dalle mani troppo presto.

- E il bambino? Sta bene? Dov’è? – si agitò guardandosi intorno freneticamente, ignorando ogni singolo muscolo del suo corpo, che pulsava dolorosamente.

Sesshomaru si sporse appena verso l’ingresso di un’altra stanza, celando il sollievo che il risveglio della ragazza aveva portato sul suo cuore, come un vento tiepido che soffiando dolcemente era riuscito a far spostare quel peso che da mesi lo opprimeva.

Sango si avvicinò senza dire una parola, con il sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi per l’emozione. Tra le braccia stringeva un piccolo fagotto, avvolto da una calda coperta rossa.

- Congratulazioni Rin. – le sussurrò lasciando scivolare il piccolo fra le braccia della madre, mentre una lacrima di commozione le solcava la guancia, - Puoi stare tranquilla, lui sta benissimo. – continuò scostando una ciocca ribelle dal volto del neonato, in una carezza appena accenta, per poi uscire e lasciarli soli.

Rin guardò il suo bambino e istantaneamente il resto del mondo scomparve.

Ogni notte aveva sognato il suo viso, immaginandolo in ogni singolo tratto, fin nel più piccolo dettaglio, non arrivando mai a concepire pienamente la bellezza e la perfezione che contemplava ora con i suoi stessi occhi. E così continuava a guardarlo, ad incantarsi e a perdersi completamente in ogni suo respiro. Le sue guance rosee e paffute, i tratti tondi e gentili, le labbra piene e leggermente dischiuse che tanto ricordavano le sue. I capelli corti ma folti, uguali a quelli del padre, che lasciavano scoperto sulla fronte uno spicchio di luna. E sulla testa, due piccole orecchie canine, che fremevano velocissime, come se cercassero di sentire tutti i suoni del mondo nel quale era appena entrato, in perfetta sincronia con il movimento delle minuscole manine che si chiudevano a pugno per poi riaprirsi nuovamente, nel tentativo di afferrare tutta l’aria circostante.

- Keiichi. – sentì sussurrare improvvisamente e subito si riscosse, - È così che volevi chiamarlo? -

- Mi dispiace! – sussultò affrettandosi a rispondere, spaventata che quella decisione, totalmente arbitraria ed estremamente poco rispettosa, potesse infastidire Sesshomaru, - Non volevo privarti di un tuo diritto. – procedette poi a spiegargli il motivo di un tale e presuntuoso comportamento:
- Io pensavo davvero di morire. Credevo che non avrei avuto neppure l’opportunità di vederlo, così… ecco io… volevo che avesse qualcosa di mio, capisci? Volevo che potesse avere un mio ricordo, per tutte le volte in cui si sarebbe sentito solo, per quando avrebbe sentito la mia mancanza, qualcosa che gli ricordasse che lo amavo, anche se non potevo essere lì con lui e che gli facesse capire che lui per me era la cosa più preziosa e che se avessi potuto, sarei rimasta con lui il più possibile. È sciocco, lo so… - ammise poi arrossendo, sentendosi ancora più in soggezione, a causa dello sguardo penetrante che Sesshomaru le stava rivolgendo.

Il demone era rimasto a fissarla per tutto il tempo. Aveva deciso semplicemente di farla parlare, fino a che non avesse esaurito tutte le parole, anche se, ne era certo, ci sarebbe voluto molto tempo prima che le esaurisse tutte. 
Questa volta aveva rischiato troppo. Aveva dubitato delle sue capacità per la prima volta in vita sua, sentendosi impotente, e l’aveva odiato. Nonostante ciò, era andata bene: aveva potuto rivedere il sorriso di Rin, sentire ancora una volta la sua dolce voce e per il momento quello era tutto ciò che desiderava.

- Comunque ora sto bene, grazie a te. Potrò stare con lui e vederlo crescere e… potrò stare… anche con te, vero? – chiese sembrando ad un tratto impaurita e imbarazzata.

Sesshomaru non ne capì il motivo; semplicemente si limitò a lanciarle un’occhiata confusa, seguita immediatamente da una di rimprovero. Rin gli fece uno dei suoi sorrisi più belli, riacquistando sicurezza e riprendendo poi a cullare dolcemente il piccolo.

- Vorrei che fossi tu a scegliere il suo nome. -

Sesshomaru rimase impassibile per un tempo che sembrò un’eternità, intento ad osservare la scena praticamente perfetta che si svolgeva davanti ai suoi occhi, percependo quell’incredibile emozione d’amore, come se potesse toccarla con mano, tanto era forte e intensa.

Tra i due calò un silenzio quasi sacro, che neppure il neonato osò infrangere, pensando bene di continuare a dormire placidamente e Rin aspettò con estrema pazienza, perdendosi ancora una volta nella contemplazione dei dolcissimi tratti del suo bambino.

- Keiichi. – disse infine il demone, cogliendo di sorpresa la ragazza, che lo guardò confusa senza capire, - Keiichi va bene. -

Non ne avrebbe mai scelto un altro. Non gli importava che fosse stata una femmina e per di più umana a scegliere il nome di suo figlio; non gli importava, perché quel nome l’aveva scelto Rin.

 

 

Quelli furono forse per tutti gli anni più felici. Ogni cattivo pensiero, preoccupazione o presagio che qualcosa potesse rovinare quella pace così desiderata e amata erano semplicemente sfumati via. Tutto si era nuovamente stabilizzato. Non esistevano più impegni o pericoli, solo amore e famiglia. E risate, tante risate. Perché era bello svegliarsi la mattina con la consapevolezza di essere amati e necessari, di avere qualcuno accanto su cui poter sempre contare, nonostante le difficoltà.

Quell’incubo appena finito aveva, chissà come, rinsaldato ancora di più quei legami che si erano creati anni prima quasi per caso. 
Erano persone diverse, con differenti esperienze alle spalle e un modo diverso di vedere e vivere la vita, ma si erano trovate unite prima da un obiettivo comune, poi dal dolore e infine c’era stata solo la gioia. Erano ancora insieme e si consideravano una famiglia, perché non potevano farne a meno, perché ai loro occhi quella era l’unica verità possibile. 
Così Rin non si sorprese quando, parlando con Sesshomaru del loro prossimo futuro, dopo aver espresso il desiderio di rimanere al villaggio con quella che ormai considerava parte della sua famiglia, non solo vide il demone accettare senza fare domande o obiezioni, ma lo sentì affermare che anche lui sarebbe rimasto. Non avrebbe ricominciato a viaggiare, non si sarebbe più allontanato da lei, da loro, si sarebbe impegnato per vivere quella pace fino in fondo, senza perdere neppure un secondo.

Fu così che rimasero in quella casa che aveva ospitato e protetto Rin durante quei mesi di malattia. Lontano dal villaggio e dagli occhi della gente, quanto bastava per permettere loro di costruirsi il proprio mondo, ma abbastanza vicino per poter restare con quella strana, numerosa e variegata famiglia, la cui presenza Sesshomaru riusciva ormai a tollerare senza troppi problemi, fino a trovarla a tratti stranamente gradevole.

“Anche Inuyasha, dopotutto”, si ritrovò a pensare, quando lo vide guardare suo figlio per la prima volta. La stessa quantità di meraviglia e paura impressa chiaramente sul volto, gli occhi sgranati e le mani tremanti alla vista di quel piccolo miracolo.

- Keiichi, guarda, lui è lo zio Inuyasha. – aveva detto Rin sorridendo dolcemente, salvo poi scoppiare a ridere a causa delle reazioni scatenate da quelle semplici parole, provocando così il turbamento del neonato, irritato da quel tremore che l’aveva scosso dal suo sonno profondo.

Non le erano sfuggiti infatti il ringhio soffocato di Sesshomaru che si era voltato stizzito, né il disgusto sul volto di Inuyasha, che dopo aver lanciato un’occhiataccia al fratellastro, era tornato a guardare quello che, suo malgrado, era suo nipote a tutti gli effetti. Ma a Rin non era sfuggita neppure la verità, quella che quei due, troppo testardi ed orgogliosi, non avrebbero mai ammesso, ma che ormai era fin troppo palese: entrambi avevano reciprocamente accettato il ruolo e la presenza dell’altro nella propria vita. E forse non avrebbero mai smesso di mantenere quella parvenza di irritazione ogniqualvolta si fossero trovati vicini o uno dei due avesse aperto bocca, ma sapevano entrambi che quel piccolo bambino li avrebbe uniti ancora di più, portandoli ad essere fratelli come mai lo erano stati prima.

 

 

Così i giorni passarono ad una velocità vertiginosa, immersi in un’atmosfera di tranquillità quasi surreale, scanditi dai cambiamenti di un piccolo Keiichi che cresceva a vista d’occhio.
Sembrò infatti che fossero trascorsi pochi secondi appena dal giorno della sua nascita ai giorni in cui il bambino aveva iniziato a dispensare sorrisi a tutto il mondo, contagiando chiunque avesse intorno con quella risata così limpida e dolce.
E all’inizio, avevano dovuto ammetterlo, ne erano rimasti tutti profondamente stupiti. Vedere quell’espressione, così ricca di gioia sul quel viso dai tratti così simili a quelli paterni, avrebbe probabilmente preso in contropiede chiunque. 
Sesshomaru era sempre impassibile, eccetto poche e rare occasioni in cui si era lasciato scappare qualche emozione di troppo; Inuyasha era permaloso, testardo e arrogante, sempre con quel cipiglio imbronciato o contrariato. Certo, lui sorrideva un po’ più spesso rispetto al fratellastro, ma non si poteva certo dire che fosse un esempio di cordialità. Infine anche la misteriosa figura di Inu no Taisho non lasciava certo immaginare un padre amorevole che si prendeva cura dei figli con tenerezze e premure varie.
Partendo da questi presupposti, il pensiero che determinati comportamenti fossero un’eredità di famiglia era sorto spontaneo e Rin si era rivelata anche piuttosto spaventata all’idea di dover fare i conti con un impegno del genere.
Keiichi invece sorprendentemente aveva infranto del tutto quella strana tradizione. Lui rideva. Rideva sempre. Quando stava a casa, quando lo portavano in giro, quando mangiava, quando lo prendevano in braccio. Rideva indistintamente con tutti, che fossero familiari o estranei, sia che gli dessero attenzioni, sia che lo lasciassero un po’ in disparte. Riusciva ad attirare l’attenzione di tutti su di sé e soprattutto riusciva a farsi adorare da ogni persona che lo vedesse anche solo per pochi istanti.

A Sango venne naturale constatare quanto Rin fosse stata fortunata a non essersi dovuta sorbire tutti quei pianti disperati, che invece erano toccati a lei con i suoi tre figli. Keiichi era un bambino a dir poco adorabile, a detta di tutti. E questo semplice dato di fatto li aveva spinti a riconsiderare le loro precedenti convinzioni: se Inuyasha, Sesshomaru e Inu no Taisho erano accumunati dallo stesso intrattabile e severo carattere, non voleva certo dire che fosse sempre stato così. Magari erano cambiati una volta diventati adulti…

A questo punto il pensiero di un Sesshomaru e di un Inuyasha bambini, che ridevano sguaiatamente, aveva invaso le loro menti, decretando l’inizio di un’ilarità generale che era andata avanti per giorni e giorni. Non potevano guardare in faccia l’uno o l’altro senza rischiare di strozzarsi nel tentativo di celare le risate. Inutile dire che nessuno dei due reagì pacificamente a quei pettegolezzi, che rischiavano di minare la loro apparenza di grandi demoni. Così, per mettere fine a quell’atmosfera di scherno, che ormai lo seguiva come un’ombra, Inuyasha stabilì semplicemente che Keiichi era tanto adorabile solo perché – e grazie al cielo!, aveva aggiunto – non aveva ripreso niente da Sesshomaru. In cambio si era guadagnato un’occhiataccia pregna di disprezzo e una chiara minaccia di morte, ma per lo meno era riuscito a chiudere definitivamente la questione.

 

 

Furono sufficienti appena pochi mesi di tempo però, affinché Inuyasha cambiasse completamente opinione, trovandosi costretto a ritrattare ogni singola considerazione o pensiero che avesse precedentemente formulato.

Aveva definito o anche solo pensato che Keiichi fosse adorabile? Un bravo bambino, buono con tutti? Bene, non esisteva niente di più errato.

La nuova consapevolezza era semplice e concisa: Keiichi era un mostro. Non un mostro come quelli che si sentivano nei racconti che gli anziani del villaggio utilizzavano per spaventare o educare i bambini, e neppure un mostro in senso dispregiativo come erano spesso definiti i demoni o quelli affini alla loro specie. No, Keiichi era un mostro vero.

Dopo aver da poco imparato a gattonare, se ne andava in giro per tutto il villaggio, spargendo sorrisi mezzi sdentati a tutti e gridolini di gioia, incantando persone di ogni sesso o età, con quei suoi grandi occhi così luminosi che brillavano di luce propria. 
Tutti, nessuno escluso, perdevano completamente la testa, arrivando persino ad affermare che fosse il bambino più bello che avessero mai visto in vita loro. Tutti cadevano sotto il suo malvagio sortilegio, tutti tranne lui.
Inuyasha non si lasciava certo ingannare da quel faccino, da quegli occhioni o da quei sorrisi. Lui era l’unico che riusciva a vedere la verità attraverso tutto ciò e quello che vedeva con estrema chiarezza era che suo nipote era l’incarnazione del male.

I tratti così dolci e quei particolari che riuscivano ad incantare con un solo sguardo non erano altro che una trappola: attirava le sue prede con mille e più moine, sfoderando le sue armi migliori, e quando l’avversario abbassava la guardia, completamente ipnotizzato, il moccioso attaccava senza lasciare scampo.

Solo lui era immune ai suoi assurdi poteri e Keiichi di questo si era sicuramente accorto. Oh, se se ne era accorto! Per questo motivo l’obiettivo principale del bambino era divenuto attentare ripetutamente alla sua testa. Voleva mangiarlo! Ormai ne era sicuro, Keiichi voleva strappargli la testa a morsi! Perché se non poteva farlo cadere nella sua trappola, allora non poteva permettersi di lasciarlo in vita.
Così cercava in ogni modo di ucciderlo: gattonando davanti ai suoi piedi mentre lui camminava, cercando di farlo cadere e fargli rompere l’osso del collo; vomitandogli addosso una roba nauseante, che aveva il potere di stordirlo il tempo sufficiente ad attaccare; usando quei due primissimi denti - o come li aveva soprannominati lui, le armi del nemico - che gli erano da poco spuntati, per lacerargli la carne a morsi; per non parlare poi dei numerosi tentativi di cavargli gli occhi o strappargli tutti i capelli, con quelle manine fin troppo agili che si muovevano inarrestabili, tanto da farlo apparire quasi un polpo. Tentacoli! Veri e proprio tentacoli, altro che tenere e dolci manine!

Come se non fosse sufficiente, Keiichi era anche straordinariamente intelligente. Aveva infatti compreso quasi subito che per quanto i suoi tentativi fossero ingegnosi e ben studiati, non sarebbero mai riusciti a provocare seri danni. Così il moccioso aveva elaborato una strategia a lungo andare infallibile e altamente distruttiva. Provocava Inuyasha fino a portarlo alla stremo delle forze e quando a quest’ultimo iniziava a fumare il cervello dalla rabbia, la pazienza ormai totalmente esaurita, nel momento stesso in cui stava per esplodere e sgridarlo, ecco spuntare Sesshomaru. A quel punto era in trappola e Keiichi lo sapeva benissimo, perché ghignava spudoratamente al suo indirizzo.

Inuyasha non poteva rimproverarlo, né spiegare la situazione, né fare alcunché, perché Sesshomaru si limitava a fissarlo con quell’occhiata di puro odio e rimprovero, che aveva da tempo imparato ad interpretare con uno “sta’ zitto o ti uccido”. Non si aspettava certo che il fratello prendesse le sue difese, né tantomeno che fosse disposto ad ascoltarlo, ma non era certo lui il genio del male lì dentro!

Poi il fratello se ne andava stizzito per essere stato interrotto in qualsiasi cosa stesse facendo e la lenta e inesorabile tortura di Keiichi ricominciava dall’inizio: prima o poi sarebbe sicuramente riuscito ad aizzare Sesshomaru contro di lui, era solo questione di tempo.

- Maledetto moccioso questa me la paghi… – brontolò a mezza bocca, cercando di incenerire con gli occhi quel demone assetato del suo sangue che aveva per nipote, mentre lo vedeva gattonare tranquillamente ai suoi piedi.

- Inuyasha, ma devi metterti a discutere con un bambino? Non ti sembra di essere cresciuto ormai? - lo riprese Rin, finendo di sistemare i panni che avevano appena finito di asciugarsi alla luce del sole.  

- Certo vero?! Tuo figlio è l’incarnazione del male e le occhiatacce me le becco io! – protestò il demone di fronte alle continue ingiustizie di cui era vittima negli ultimi tempi.

- Inuyasha, andiamo, è solo un bambino! – lo prese in braccio coccolandolo, - Non starai esagerando? –

- Un bambino?! No Rin, guardalo, guardalo! Lo vedi? – lo indicò avvicinando un artiglio, che fu subito stretto tra le mani di Keiichi, contento di avere un nuovo gioco da stritolare e rompere.

- Sì, sta ridendo. E allora? – chiese Rin divertita, non capendo dove volesse arrivare con quello strano discorso.

- Piantala moccioso! – lo rimproverò, iniziando ad avvertire l’unghia piegarsi pericolosamente, sotto la presa di quelle mani piccole, ma già fin troppo violente, - Quello non è un sorriso, Rin, è un ghigno! Tuo figlio sta ghignando, in modo malefico, mentre mi guarda! E intanto progetta un piano per farmi fuori. –

Rin guardò alternativamente i due, chiedendosi se non fosse il caso di chiedere consiglio a Sango riguardo gli strani comportamenti che Inuyasha aveva iniziato a mostrare negli ultimi giorni: i demoni erano in grado di impazzire? Il suo bambino sorrideva felice e non c’era niente di malvagio o sinistro nel suo dolce e tenero viso, che guardava il mondo circostante con incredibile curiosità e voglia di toccare ogni cosa che lo circondasse.

- Keiichi, ma che ti dice lo zio Inuyasha, eh? – lo cullò piano facendolo ridere di gusto, - Facciamo vedere allo zio brontolone che bravo bambino che sei? Ti va? – continuò poi, mettendo il piccolo tra le braccia di Inuyasha e lasciandolo prima che lui avesse modo di protestare per quell’invasione non prevista.

- Ecco fatto! Lo vedi? Non è adorabile? È solo un bambino, non vuole farti alcun male. – spiegò poi con voce materna, come se stesse parlando ad un altro figlio, costretta a spiegare la cosa più ovvia del mondo.

Keiichi intanto continuava a sorridere, affascinato da quelle lunghe ciocche di capelli che incorniciavano il viso di Inuyasha e arrivavano all’altezza delle spalle. Doveva assolutamente afferrarle. Era sicuramente questo che pensava mentre alzava il braccio, aprendo e chiudendo la mano, con espressione imbronciata a causa di quel compito che si stava rivelando più difficile del previsto.

Ad un tratto una voce dall’esterno chiamò Rin, che si vide costretta ad allontanarsi, lasciando soli i due, non prima di aver detto loro che sarebbe tornata in pochissimi minuti.

Inuyasha lasciò che un’espressione afflitta gli contraesse il volto, tornando poi a rivolgere tutta la sua attenzione al nemico, sussultando quando gli vide negli occhi quella stessa espressione, tutta di Sesshomaru, quando in combattimento decideva che era arrivato il momento di uccidere una volta per tutte l’avversario.
Non fece in tempo a fare nulla che subito Keiichi riuscì ad afferrare una ciocca. La strinse con tutte le forze che aveva e la tirò a sé, costringendo Inuyasha a gemere di dolore e ad abbassare la testa, per non rischiare di vedersi strappati tutti i capelli.
Poi accadde tutto in un attimo.
Facendo leva su quell’unica ciocca, Keiichi riuscì a sgusciare dalla presa dello zio, arrampicandosi sui suoi capelli, andando a posizionarsi, in appena un paio di secondi, sulla sua testa.

Ed eccolo, il suo obiettivo.

Spalancò la bocca avvicinandosi sempre di più, pregustando il momento tanto atteso.

- Staccati! Staccati subito moccioso! – urlò Inuyasha, cercando di afferrarlo e tirarlo via, ma più tirava, più Keiichi serrava la presa intorno al suo orecchio, mordendo ferocemente.

- Che succede? – rientrò Rin preoccupata, attirata dalle urla.

- Toglimelo di dosso! –

- Inuyasha! Smettila di agitarlo così! Poi non riuscirò mai a farlo addormentare! -

- Agitarlo?! Agitarlo?! Lui vuole staccarmi le orecchie a morsi e sono io che lo agito?! –

Rin sbuffò, ignorando quegli inutili isterismi e afferrò Keiichi, che immediatamente si staccò per rifugiarsi felice tra le braccia della madre.

- Sei proprio un bambino! – lo rimproverò arrabbiata, portando poi il figlio in un’altra stanza.

Lo adagiò delicatamente sul tatami situato proprio nel centro e si sedette vicino a lui, accarezzandogli dolcemente le piccole orecchie, in quel semplice gesto che aveva capito essere il sistema più efficace per farlo rilassare e addormentare.

- Oh, ma guarda! – esclamò poi sorpresa e Inuyasha si avvicinò ancora arrabbiato, ma anche abbastanza incuriosito.

- Che c’è ancora? –

- Gli stanno spuntando altri denti. – osservò indicando i piccoli canini superiori, che fuoriuscivano appena dalla gengiva un po’ infiammata, - Ecco perché ti mordeva le orecchie. Ti fanno tanto male, non è vero Kei? – uscì poi dalla stanza alla ricerca di una qualche erba medicinale con cui preparare un estratto che potesse lenirgli il dolore.

Inuyasha ancora una volta rimase faccia a faccia con il suo acerrimo nemico, mentre quest’ultimo gli sorrideva con l’espressione più innocente che fosse in grado di fare.

- Preparati moccioso, perché quando crescerai questi affronti me li pagherai tutti, dal primo all’ultimo. – lo minacciò ghignando allo sguardo confuso dell’altro, uscendo poi dall’abitazione, deciso più che mai ad elaborare piani di vendetta. Una vendetta lenta, che avrebbe richiesto anni per esser preparata in ogni singolo dettaglio. Sarebbe stata inesorabile e crudele – oh, se lo sarebbe stata! – proprio come lo era stato Keiichi con lui.

Già pregustava la sua vittoria…

 

 

 

***

 

[Anno 1615]

 

Fare il padre non era affatto semplice, - non che Sesshomaru avesse mai pensato che lo sarebbe stato o che lui sarebbe stato un buon padre, no, questo mai. - ma non avrebbe neppure lontanamente ipotizzato che sarebbe stato così difficile. Praticamente impossibile, per dire le cose con sincerità e senza usare mezzi termini. E questo per un motivo tanto semplice quanto disastroso nelle sue dirette conseguenze.

Suo figlio aveva paura di lui.

Si arrampicava sugli alberi, rischiando di cadere e spezzarsi l’osso del collo, si tuffava nei ruscelli, rischiando di morire annegato o di essere trascinato via dalla corrente, faceva i peggiori dispetti ai tanti demoni inferiori che vivevano nella foresta, aprendo la porta ad una miriade di pessime e terribili conseguenze che non voleva neppure ipotizzare. Aveva appena tre anni ed era già fiero, testardo e temerario come solo un demone adolescente poteva e sapeva essere, ma nonostante tutto era terrorizzato da lui, dal suo stesso padre.

Non lo aveva mai chiamato, neppure una volta. Mai un “papà”, “padre”, “Sesshomaru”, “genitore che hai contribuito in qualche modo a mettermi al mondo” o un qualsiasi nomignolo con cui i bambini erano soliti riferirsi alla figura paterna. Lui mai niente. Non lo chiamava, non lo cercava, faceva semplicemente in modo di stargli il più distante possibile e di evitare il suo sguardo.

Era capitato solo una volta, quando era molto piccolo e aveva meno di un anno: Rin giocava con lui, facendolo ridere e intanto lo incitava a dire le sue prime parole.

- Lo sai dire mamma? Mam…ma, mam… ma. -

Il piccolo aveva risposto in un borbottio sorridente, con un “maahaa” talmente pieno di vocali che chiunque si sarebbe chiesto se in realtà non stesse semplicemente ridendo. Ci aveva provato più e più volte, senza riuscirci mai e finendo per storpiare sempre più quella semplice parola, ma il fatto che la prima consonante fosse quasi sempre quella giusta lasciava presagire che, per lo meno, il piccolo avesse compreso quale fosse la parola da dire e cercasse in tutti i modi di riprodurla.

Alla fine Keiichi aveva detto finalmente la parola mamma dopo giorni e giorni pieni di tentativi.

Rin aveva sorriso con le lacrime che le rigavano le guance e gli occhi che brillavano e Sesshomaru aveva sempre considerato quell’immagine uno dei suoi ricordi più preziosi.

Keiichi aveva continuato a ripetere quella singola parola, quasi con orgoglio, come se volesse mostrare il grandissimo traguardo che aveva raggiunto, spronato forse dalla gioia e dal calore dell’abbraccio della madre, che lo cullava riempiendolo di baci.

Non appena l’euforia del momento era passata, Rin era immediatamente tornata all’attacco con una nuova luce di determinazione negli occhi. Aveva deciso che anche Sesshomaru avrebbe dovuto provare la stessa gioia, la stessa sensazione di completezza.

- Ora prova a dire “papà”. Lo sai dire? Pa…pà. -

- Ha-ah! –

Quella fu la prima e ultima che Keiichi tentò di pronunciare quella parola.

Sesshomaru non capì mai di preciso cosa fosse successo, ma da quel giorno iniziò a pensare seriamente che suo figlio in realtà lo odiasse.

Ogni volta che entrava dentro casa o semplicemente si avvicinava a Rin, il piccolo iniziava a piangere disperatamente, arrivando addirittura a sgolarsi.

Le prime volte l’aveva guardato stranito da quel comportamento, ma aveva voluto credere alle parole di Rin che gli ripetevano che non era colpa sua, che per un bambino era normale. 
Con il passare del tempo però la situazione era diventata sempre più palese e difficile da negare: Sesshomaru si avvicinava, Keiichi piangeva, Sesshomaru si allontanava, Keiichi sorrideva. 
Il rapporto di causa effetto che legava le due situazioni era ormai fin troppo evidente per essere ignorato o scusato. Suo figlio lo odiava profondamente e si impegnava con tutte le sue forze per non stargli troppo vicino, scappando a gambe levate ogniqualvolta rimanessero soli.

Sesshomaru non aveva la minima idea di cosa potesse aver fatto di male per farsi detestare in quel modo. In tutta la sua vita – complice forse il fatto che fosse in vita da più di cinquecento anni - si era inimicato una quantità inaudita di gente. Che lo odiassero per mascherare la paura o che lo odiassero in seguito ad un qualche torto o atteggiamento non proprio amichevole, non faceva poi questa grande differenza. 
Il punto era che lui sapeva perfettamente, per ciascuno di loro, quale fosse la causa di tanto odio e conoscendola non poteva certo biasimarli, anzi riusciva a trarre un segreto piacere ogni volta che incontrava negli occhi di un qualsiasi avversario quel lampo di odio e cieca furia. Era come un affermazione di superiorità, più si sentiva odiato più sapeva di essere superiore. E lui lo era davvero. Per questo in tutta la sua vita aveva mostrato il suo disprezzo solamente in pochissimi casi particolari.
Il problema reale si presentava però nel momento in cui quello stesso sguardo, che aveva sempre ricercato con soddisfazione, lo vedeva negli occhi del suo stesso figlio, l’ultima persona sulla quale avrebbe voluto vederlo. Se solo ci fosse stata una ragione valida, un motivo dietro quel comportamento così strano, forse avrebbe potuto fare qualcosa, anche solo capire e mettersi l’anima in pace; ma così non riusciva proprio a venirne a capo.

Keiichi odiava la sua presenza e il suo odio era del tutto immotivato. 

Stando così le cose, lui che avrebbe dovuto fare? Non conosceva la risposta giusta. A dirla tutta, non sapeva neppure se ci fosse una risposta giusta, così semplicemente lo lasciò fare, cercando di non stargli troppo vicino, lasciandogli i suoi spazi, cercando di ignorare il fatto che preferisse passare il suo tempo con chiunque piuttosto che stare anche solo pochi secondi con lui.
Rimaneva a guardarlo da lontano, seguendolo e controllandolo in segreto, mentre lo vedeva ridere con Rin, seguire Inuyasha nella foresta e offrirsi di aiutarlo, giocare insieme ai figli di Sango e Miroku e atteggiarsi a fratello maggiore con il loro quarto ed ultimo figlio, Daisuke, di appena un anno più piccolo. 
Lo vedeva circondato da una vera famiglia, da persone che lo amavano profondamente e pensava che dopotutto andava bene anche così, anche se lui non era compreso.

Se Keiichi era felice, andava bene.

Un giorno poi lo vide uscire furtivamente di casa, guardandosi intorno alla ricerca del minimo movimento, sicuro che se qualcuno l’avesse visto, niente gli avrebbe evitato una bel rimprovero e forse una punizione. Lo vide ghignare soddisfatto e iniziare a correre da solo verso la foresta.

Sesshomaru rimase per svariati secondi a guardare il profilo degli alberi che ondeggiavano al vento, riflettendo sul da farsi. Avrebbe benissimo potuto fermarlo immediatamente: un semplice salto e l’avrebbe riportato a casa senza tante cerimonie. Sarebbe stato più facile e avrebbe potuto evitare di avere tanti pensieri per la testa, ma allo stesso tempo una parte di lui, intrisa d’orgoglio, glielo impediva fermamente. Quel bambino era un demone, figlio del grande Sesshomaru, principe dei demoni e nipote del generale Inu no Taisho. Nel suo sangue c’era la grandezza. Avrebbe dovuto lasciare che si formasse da solo, che corresse pericoli e imparasse a cavarsela, così come era stato per lui a suo tempo.

Aveva deciso che non lo avrebbe seguito, quando inconsapevolmente si trovò a muovere un primo passo verso la foresta; la scusa pronta, che lo stava facendo per scrupolo, per osservare lo svolgersi degli eventi senza intervenire.

Lo vide correre e arrampicarsi sugli alberi, cercando di saltare da un ramo all’altro, divertendosi poi ad inseguire gli animali della zona, terrorizzando a morte una famiglia di conigli che si rifugiò di corsa nelle tane, ben attenta a non uscirne per nessun motivo al mondo. Cercò di catturare una farfalla, senza ottenere dei risultati concreti e si fermò poi ad osservare alcuni vermi che strisciavano tranquilli sul terreno.

Sesshomaru era quasi deciso ad andarsene. Suo figlio se la stava cavando benissimo anche da solo, non avrebbe avuto bisogno in ogni caso del suo aiuto e quella perdita di tempo lo stava profondamente annoiando. Stava per tornare sui suoi passi, quando improvvisamente uno strano fruscio attirò la sua attenzione. 
Affinò i sensi cercando di capire la provenienza di quel suono, con uno strano presentimento. Non avrebbe saputo dire se fosse stato un demone o un animale a provocarlo – non che facesse poi tutta questa differenza, dal momento che per lo più i demoni della foresta avevano sembianze di animali – ma di una cosa era sicuro: si stava avvicinando ed era veloce. Dannatamente veloce.

Ebbe appena il tempo sufficiente per spostare nuovamente gli occhi su Keiichi, intento ad osservare qualcosa nei pressi di un albero con particolare interesse, che subito una gigantesca folata di vento si trasformò in un piccolo tornado, grande abbastanza da scalfire gli alberi e sradicare completamente i cespugli.

Infine la vide. Un’enorme mantide, troppo grande per non essere un demone, di una tonalità verde quasi brillante, le ali semitrasparenti spalancate in tutta la loro maestosità.  
Vide quei grandi occhi muoversi freneticamente, guardando a destra e a sinistra, in perfetta sincronia con le lunghe antenne sulla superficie della testa. La vide procedere lentamente, tastando il terreno con le zampe, producendo il suono di un fastidioso ronzio con le ali. Infine il demone si fermò, immobile, in perfetto silenzio, lo sguardo dritto davanti a sé e Sesshomaru fu invaso da un unico pensiero.

Keiichi. Lo cercò, ma non era più dove l’aveva visto l’ultima volta. Dove se ne era andato?!

Ignorando completamente il demone, concentrò tutti i suoi sensi sul problema più urgente. Doveva assolutamente trovarlo, prima che si inoltrasse troppo nella foresta, incontrando altri pericoli, o prima che lo trovasse la mantide.

Sorvolò la zona circostante, sentendo quella strana emozione, che odiava più di ogni altra cosa, crescere nel petto sempre di più. La stessa che aveva già provato per Rin diversi anni prima. 
Ad un tratto lo vide. Stava correndo, più veloce che poteva, cercando di non perdere l’equilibrio e cadere rovinosamente a terra. Si guardava indietro spaventato, ansimando per lo sforzo, cercando di capire se quel demone lo stesse seguendo, se stesse andando nella direzione giusto, se fosse ancora in pericolo. Non si era reso conto che mentre a pochi metri di distanza la mantide lo inseguiva, c’era un altro demone più avanti, né che lui gli stava andando incontro.

Senza attendere oltre e senza preoccuparsi troppo di quale fosse il modo migliore di agire, Sesshomaru estrasse Bakusaiga, facendola risplendere ai raggi del sole. Si scagliò con tutte le sue forze contro il secondo demone, riuscendo a trafiggerlo e ucciderlo con un unico attacco.

La carcassa cadde al suolo in un tonfo e la foresta si ritrovò immersa nel silenzio più totale.

Era quasi surreale tutto quel silenzio improvviso…

Sesshomaru realizzò con un moto di paura che c’era qualcosa che non andava: Keiichi sarebbe dovuto essere lì con lui, ma non c’era. L’aveva anticipato di appena pochi secondi, come poteva essere sparito, in quel brevissimo lasso di tempo in cui si era distratto!?

Strinse rabbiosamente la presa sull’elsa, imponendosi di non radere al suolo l’intera foresta con il rischio di ferirlo. 
Al diavolo se suo figlio lo odiava, se aveva paura di lui o chissà che altro! Non appena l’avesse trovato gli avrebbe fatto un rimprovero degno di questo nome e allora sì che avrebbe avuto una valida ragione per temerlo!

Saltò verso l’alto per avere una visuale più completa, cercando di raggiungere il luogo dove l’aveva perso di vista e continuando a tenere la mano serrata sulla spada, più per evitare di conficcarsi gli artigli nella carne che per una reale necessità.  
Lo vide rannicchiato vicino un cespuglio, con la faccia rivolta verso il terreno, sporco di terra e fango dalla testa ai piedi, mentre tremava appena. Pensò che doveva essersi ferito, ma un problema più grande si presentò alla sua attenzione: non era il solo ad essersi accorto di lui. 
La mantide lo aveva individuato e puntava a tutta velocità su di lui, sfruttando l’accelerazione fornita dal continuo sbattere delle ali.

“Alzati! Muoviti da lì!” urlò mentalmente, mentre si precipitava verso il figlio, sentendo l’odore fresco del sangue, mischiato a quello delle lacrime, arrivargli alle narici.

La mantide era sopra di lui. La sua mente si oscurò completamente. Lanciò la spada con forza e afferrò Keiichi per le vesti, portandolo via.

Il demone si dimenò furiosamente, mentre con le chele tentava di togliere quella spada che aveva conficcata sulla testa, proprio in mezzo ai due occhi. Fu solo una questione di secondi prima che si accasciasse a terra, esalando l’ultimo respiro.

Sesshomaru, sentendo scemare l’orribile presentimento che aveva avuto fino a quel momento, si permise di tirare un sospiro di sollievo, concentrando poi tutta la sua attenzione sul piccolo bambino terrorizzato e singhiozzante che aveva tra le braccia.  
Per la prima volta in vita sua fu davvero tentato di urlare. Avrebbe volentieri voluto perdere la pazienza e quell’espressione impassibile che lo caratterizzava, per dirgli a gran voce che era stato uno stupido, che un bambino della sua età non poteva permettersi di allontanarsi da solo in luoghi pericolosi, soprattutto se il bambino in questione, pur avendo sangue demoniaco, era totalmente inesperto in questioni di combattimento e sopravvivenza. 
Avrebbe davvero voluto urlargli contro e rimproverarlo per averlo costretto ancora una volta a provare delle maledettissime emozioni umane, ma non fece assolutamente niente. 
Rimase solo a guardarlo, sentendo il cuore riempirsi, suo malgrado, di sollievo e affetto per quel poppante che, anche se in sua presenza non faceva altro che piangere, aveva il potere di stregarlo completamente.

Fu in quel momento che gli tornò in mente suo padre, l’uomo del suo passato e l’uomo che lo aveva aiutato a salvare Rin. Il binomio, che non era mai riuscito a risolvere, ora lo vedeva chiaramente, come un nodo che dopo tempo immemore aveva iniziato a districarsi. Le due immagini iniziavano a sovrapporsi.

“Io ho solo fatto in modo di starti accanto qualsiasi cosa avessi fatto, per aiutarti in caso ne avessi avuto bisogno, per fare in modo che non cadessi.”, così gli aveva detto e lui aveva ascoltato quelle frasi senza capirle, senza riuscire a coglierne il vero significato. Ora invece lo capiva, perché era ciò che aveva fatto lui per Keiichi, era ciò che avrebbe sempre fatto per suo figlio: il dovere di un padre.

Lentamente e con delicatezza gli lasciò cadere una mano sulla testa, dandogli un leggero colpetto.

- Sei ferito? – gli chiese e si stupì lui stesso di riuscire ad imprimere quella dolcezza nel timbro di voce.

Il piccolo mezzo-demone lo guardò un po’ sorpreso, un po’ spaventato, prima di mettersi a piangere ancora più disperatamente e annuire. Sesshomaru gli fece scorrere piano la mano sui capelli, simulando una leggera carezza.

- Ti fa male? – indicò poi con lo sguardo la sbucciatura che aveva sul ginocchio, che ancora sanguinava.

Keiichi abbassò lo sguardo, sforzandosi di trattenere i singhiozzi e rifletté con serietà sulla domanda premurosa che gli era stata posta. Realizzò improvvisamente che in effetti non aveva alcun motivo per piangere: il ginocchio aveva bruciato solo un po’ durante la caduta, ma il dolore era passato subito. Strofinandosi forte gli occhi per asciugarli completamente dalle lacrime, negò con convinzione e Sesshomaru si lasciò scappare un mezzo sorriso soddisfatto, riconoscendo per un attimo negli occhi ambrati del figlio quella luce di fierezza e orgoglio tipica dei più grandi demoni.

- Bene. – lasciò scivolare la mano, per cercare di farlo sistemare meglio tra le sue braccia, - Torniamo a casa. -

Keiichi appoggiò lievemente la testa nell’incavo del collo, spiando con la coda dell’occhio se al padre desse fastidio quel suo comportamento, ma Sesshomaru fece finta di niente, mostrandosi invece piuttosto impegnato nelle azioni di riprendere la spada e incamminarsi verso il villaggio. 
Allora Keiichi decise che per una volta poteva anche permettersi di dargli fiducia – in fondo il fatto che non si fosse arrabbiato e che non l’avesse sgridato era un buon segno, no? 
Portò le piccole braccia al collo del demone, stringendo forte la veste nei piccoli pugni, e nascose il volto contro la pelle, non riuscendo ad evitare di sgranare gli occhi per la sorpresa. Gli si strinse maggiormente addosso, strusciando il naso e lasciando che un sorriso di pura felicità illuminasse il suo volto alla semplice costatazione che gli riempì la testa.

Il suo papà era caldo.

 

 

 

- Che è successo?! – gridò Rin precipitandosi fuori dalla capanna, i lineamenti del volto contratti dal puro terrore, - Sta bene? -

Per quanto cercasse di mostrarsi positiva con Sesshomaru sui comportamenti del suo bambino, sapeva benissimo che Keiichi nutriva un forte timore nei confronti del genitore, timore che lo portava ad evitarlo, se possibile, come la peste. 
Sapeva inoltre che Sesshomaru, da orgoglioso demone quale era, non avrebbe mai preso in braccio suo figlio di ben tre anni, in nome del fatto che il bambino avrebbe dovuto farsi le ossa, per non crescere debole e avere così problemi in futuro. 
Fu esattamente per questi fondamentali motivi che la visione del demone, che camminava stringendo un Keiichi avvinghiato al suo collo, ebbe per un attimo il potere di farla letteralmente morire di paura.

- Tesoro, stai bene? – chiese ancora accarezzando i capelli del suo bambino.

Il piccolo mezzo-demone annuì appena, tenendo la testa ben nascosta nell’incavo del collo del genitore, mentre Rin rivolgeva a Sesshomaru l’ennesimo sguardo preoccupato, pretendendo tacitamente delle spiegazioni.

- Lo ha attaccato un demone nella foresta. Sta bene, non si è fatto niente. -

- Per fortuna. – sospirò di sollievo, ringraziando tacitamente Sesshomaru con un sorriso, - Kei, lo sai che non devi andare nella foresta da solo, te l’ho detto tante volte: è pericoloso e ai demoni che ci sono lì non importa niente che tu sia solo un bambino. – gli accarezzò la testa, non riuscendo però a mostrarsi arrabbiata di fronte al piccolo broncio, un po’ colpevole, un po’ infastidito, che il suo bambino aveva messo su.

- ‘Cusa mamma, non lo faccio più. –

- Va bene, non importa, ciò che conta ora è che tu stia bene. Vuoi venire ad aiutare la mamma a preparare qualcosa da mangiare per pranzo? – gli domandò poi preparandosi a prenderlo in braccio, ma subito il bambino strinse con più forza le braccia intorno al collo del padre, negando ripetutamente con la testa.

- Non ti va di aiutare la mamma? – chiese ancora perplessa e un po’ dispiaciuta.

Keiichi adorava aiutarla a cucinare, ma soprattutto Rin era abituata al fatto che lui la seguisse sempre. Trovava strano che improvvisamente il piccolo non volesse stare in sua compagnia. Guardò Sesshomaru, sperando che lui sapesse qualcosa e che le potesse dare una spiegazione, ma il demone era sorpreso quanto lei. Da quanto poteva ricordare, quella era la prima volta che Keiichi non voleva seguire la madre.

- Che cosa vuoi fare allora? – gli domandò Rin, sorridendogli incoraggiante.

Keiichi biascicò qualcosa di incomprensibile, fondendo parole e lasciando che il suono si scontrasse contro l’incavo del collo di Sesshomaru, uscendo fuori ovattato.

- Keiichi non ti preoccupare, puoi dire tutto quello che vuoi. Anche il papà è d’accordo, vero Sesshomaru? – lo spronò ad incoraggiarlo a sua volta e in un attimo il demone si trovò un penetrante sguardo ambrato, identico al suo, puntato nei suoi occhi in attesa di una mossa.

Annuì piano senza dire nulla, non sapendo quale fosse il modo giusto per comportarsi in una situazione come quella che stava vivendo. Keiichi parve soddisfatto e dopo aver abbassato lo sguardo e stretto tra i pugni la veste, raccolse tutto il suo coraggio.

 - Voglio stare con papà. – disse e per Sesshomaru fu quasi come ricevere un pugno nello stomaco.

Fissò Rin con l’espressione più sorpresa che avesse mai fatto in vita sua e la trovò a sorridere emozionata, sicuro che si stesse trattenendo per non mettersi a saltare di gioia, mentre con gli occhi gli intimava di dire qualcosa, una qualsiasi cosa, purché non rimasse immobile come uno stoccafisso. Ma lui non era davvero in grado di dire nulla. 
Teneva tra le braccia quel bambino così simile a lui d’aspetto, ma così diverso caratterialmente e temeva che una sua sola parola avrebbe distrutto quell’atmosfera di fiducia che sembrava aver conquistato a fatica, senza saper bene come.

- Posso? Non ti disturbo! Starò buono e zitto, promesso! Non ti darò fastidio… - lo sentì chiedere pieno di speranza e l’istinto prese il sopravvento.

- Va bene. – rispose e si ritrovò inconsciamente ad abbozzare un sorriso, alla vista di quegli occhi che si riempivano di entusiasmo, diventando ancora più grandi.

- E a te mamma? A te va bene se oggi sto con papà? Non ti arrabbi? Non diventi triste? – la tartassò di domande, preoccupato di ferirla in qualche modo, mentre Sesshomaru veniva inondato da un intenso calore al suono di quella semplice parola, pronunciata solo per la seconda volta.

- No tesoro mio, sono tanto tanto felice se stai con papà. – si avvicinò per posargli un lieve bacio sulla testa, facendolo ridere contento.

Keiichi allora si sbilanciò, portando un braccio a cingere anche il collo della madre e stringendo forte, costrinse entrambi ad avvicinarsi a lui, esprimendo con quell’abbraccio tutto l’amore che provava per loro.

Quel giorno Sesshomaru si sentì per la prima volta un padre e comprese chiaramente, come non aveva mai fatto prima, cos’era a spingere Inuyasha a compiere una folle assurdità come aspettare una femmina per quasi mezzo millennio. Per vivere quell’unico momento, lui sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa.

Quel giorno Sesshomaru agli occhi di suo figlio divenne un eroe.

 

 
 

***

  

 

[Anno 1624]

 

- Dai Kei, muoviti! Andiamo a giocare! –

Ogni mattina era sempre la stessa storia, ma quel giorno in particolare il suo migliore amico si doveva essersi svegliato con il preciso scopo di esasperarlo, altrimenti non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che, in appena trenta minuti, avesse già vagliato mille e più modi per farlo fuori e tappargli la bocca per sempre.

Daisuke si era presentato a casa sua praticamente all’alba, rubandogli la colazione da sotto il naso, sotto lo sguardo divertito di Rin che si era gentilmente offerta di preparare altro cibo in più, giustificando poi quel suo continuo approfittarsi della loro ospitalità con la solita scusa: la sua casa era costantemente invasa da un esercito di minuscole calamità sbraitanti, che si divertivano a torturarlo e a rubargli tutto il cibo.

A dire la verità Keiichi non se la sentiva neppure tanto di biasimarlo: lui era figlio unico e non poteva neppure lontanamente immaginare come fosse avere dei fratelli. Quando era molto piccolo ricordava di averne avuto per un po’ il desiderio, ma adesso sentiva di essere più che soddisfatto della sua condizione di figlio unico. Anche perché, con l’esempio che in tutti quegli anni gli avevano fornito suo padre e suo zio, aveva finito col dedurre una cosa fondamentale: e cioè che c’era poco da stare tranquilli nell’avere un fratello. Visti i suoi geni, probabilmente se l’avesse avuto, quest’ultimo lo avrebbe odiato a morte o avrebbe tentato di ucciderlo nel sonno.
Quando si soffermava a pensarci, Keiichi era davvero contento di essere figlio unico.

Un discorso completamente diverso era invece quello di Daisuke, la cui famiglia costituiva, praticamente da sola, la metà della popolazione del villaggio, tanto che appena pochi anni prima, per non rischiare un’implosione in grande stile, era stata costretta a trasferirsi in un’abitazione che sembrava in tutto e per tutto un castello.  
Le due primogenite di Sango e Miroku si erano ormai sposate da diverso tempo e praticamente da subito avevano iniziato a fare a gara a chi delle due sfornasse più marmocchi urlanti – uno peggio dell’altro, a sentire Daisuke. Non si erano però trasferite in un altro villaggio o in un’altra abitazione, no, avevano anzi fatto in modo di restare il più possibile vicino alla casa dei genitori, facendosi regalare un’ala apposita di quella gigantesca villa.
Sango e Miroku si erano così ritrovati a fare i nonni a tempo pieno, con un esercito di marmocchi, che richiedeva a gran voce le loro attenzioni e il più totale disappunto di Daisuke, che mal tollerava i bambini.

In più Daisuke era costretto a vivere con suo fratello maggiore - copia sputata di suo padre - che si divertiva un mondo a torturarlo, solo perché, a ben undici anni, non aveva ancora chiesto ad una ragazza di fare un figlio. Hiroshi era stato un maniaco precoce e Miroku ne era sempre stato immensamente fiero, se non per un piccolissimo particolare che aveva iniziato di recente ad impensierirlo: il figlio infatti aveva ormai ventitré anni e di sistemarsi seriamente neppure l’intenzione.

Per concludere in bellezza poi i suoi genitori, sicuramente resi folli da quella mandria di nipotini che allietava (torturava) le loro giornate, avevano deciso di avere un altro bambino. E così, appena tre anni prima, era nato Kouta. Il bambino più insopportabile, capriccioso e impiccione che Daisuke avesse mai avuto la sfortuna di incontrare. A mettere a dura prova la sua pazienza, c’era poi il fatto che i genitori costringessero sempre lui ad occuparsene - neanche fosse suo figlio!

Inoltre la nuova casa era divenuta il luogo di ritrovo di tutti quei conoscenti o familiari, che si erano, per vari motivi, allontanati dal villaggio, ma che tornavano di tanto in tanto a far visita. Così capitava spesso che, per qualche mese all’anno, fossero loro ospiti Kohaku con tutta la sua famiglia al seguito e Shippo, che di volta in volta tornava con qualche nuova conquista.

Tra una cosa e l’altra, Daisuke finiva sempre per passare le giornate a casa del suo migliore amico o in giro per il villaggio, deciso più che mai a farsi torturare il meno possibile da quella strana e sadica famiglia in cui era nato. 
Quella mattina in particolare poi doveva aver davvero raggiunto il limite di sopportazione, visto con quanta forza lo stava trascinando in giro: dopo aver finito l’abbondante colazione infatti lo aveva preso per la manica della veste e se lo era portato dietro di peso per tutto il villaggio. 
Quando Keiichi aveva capito le sue intenzioni di andare in piazza a giocare con altri bambini, loro coetanei, aveva puntato i piedi con forza, arrivando addirittura a sedersi per terra, pur di non muovere un altro passo.

- Non mi va per niente! – protestò indispettito, - Perché dobbiamo andare da quelli? Potevamo starcene per i fatti nostri! Anche tuo fratello voleva che rimanessimo con lui… potevamo anche accontentarlo per una volta. – continuò, alludendo a ciò di cui l’amico, solo pochi minuti, prima si era lamentato.

- È un moccioso di tre anni, Kei! Piange subito appena gli dici qualcosa e poi è appiccicoso! È più divertente così, fidati! –

- Dais’ke, dico sul serio, non mi… –

- Avanti andiamo, ci divertiremo! – riprese a trascinarlo sicuro di sé, non accorgendosi dello sguardo affranto che Keiichi gli rivolse, costretto a seguirlo in mancanza di solide argomentazione, con cui apporre il suo categorico rifiuto.

Arrivarono nella piazza in pochi minuti, dove una decina di bambini in tutto stava cercando di dividersi in due gruppi, in un fragore generale di urla, che tentavano di sovrastarsi a vicenda.

- Ciao ragazzi! Possiamo giocare anche noi? – esordì Daisuke, salutandoli con la mano e avvicinandosi al centro del gruppo.

Keiichi rimase indietro, leggermente nascosto, con lo sguardo basso, ancorato ai ciottoli di pietra, presenti lungo tutto il perimetro della piazza, per nulla intenzionato ad attirare l’attenzione su di sé. Ma per quanto volesse scomparire, era fin troppo visibile, con quei capelli argentati, che si notavano a metri e metri di distanza e quegli occhi ambrati troppo brillanti per non catturare gli sguardi della gente. Per non parlare poi di quelle orecchie…

Li vide subito e ancor prima di vederli, lo avvertì chiaramente, il presentimento di ciò che stava per succedere. Non era la prima volta, ma fino a quel momento era sempre riuscito, bene o male, a nasconderlo, a fare in modo che nessuno della sua famiglia se ne accorgesse. Questa volta non sarebbe riuscito ad evitarlo. 
Quattro bambini si staccarono dal gruppo, avvicinandosi a loro con uno sguardo di disgusto negli occhi e un ghigno di sfida sulle labbra.

- Certo, vai pure dagli altri a giocare. – esordì ghignando malignamente uno di loro, che a occhio doveva essere il più grande del gruppo, rivolgendosi direttamente a Daisuke.

Keiichi lo vide sussultare sorpreso e in un attimo si ritrovò a guardare i suoi occhi confusi, che chiedevano spiegazioni. Non gli rispose.

- C’è forse qualcosa che non va? – si azzardò allora a domandare Daisuke, accorgendosi improvvisamente del comportamento astioso che quei quattro mostravano. Non gli piaceva per niente quell’atmosfera.

- Kei, vieni. – continuò poi, intenzionato a non prestare loro più attenzioni, per dirigersi insieme dal resto del gruppo, ma quello stesso bambino gli si parò davanti, bloccando il passaggio.

- Temo proprio che non ci siamo capiti. –

- No, infatti. Non vi capisco. –

- Che c’è, sei forse stupido? – lo schernì un altro bambino ridendo.

- Hibiki, certo che è stupido, altrimenti perché mai dovrebbe accompagnarsi ad un disgustoso mezzo-demone? –

Keiichi sussultò. Poi vide solo Daisuke stringere i pugni e avvicinarsi ancora di più a quei quattro.

- Prova a ripeterlo se hai il coraggio. -

- Che cosa? Che sei stupido o che il tuo amichetto è un disgustoso mezzo-demone? –

Daisuke lo afferrò per le vesti, pronto a colpirlo, ma il bambino più grande si mise in mezzo allontanandoli.

- Calma calma, non è necessario scaldarsi così. Te l’ho già detto, non abbiamo problemi con te: tu puoi giocare tranquillamente, ma lui deve andarsene. Sai com’è, vorrei evitare di respirare la sua stessa aria. Anzi, lo vorremmo tutti. Non abbiamo bisogno che uno schifoso mezzo-demone appesti il nostro villag… -

Lo colpì con tutte le sue forze. Non gli sarebbe importato niente di rompersi una mano, se il giorno seguente avesse avuto la possibilità di vedere quel ragazzo girare per il villaggio con il naso rotto e sanguinante.

Vide gli altri tre tentare di aiutarlo, mentre questo urlava e piangeva per il dolore. Subito Daisuke si girò con un ghigno di trionfo verso l’amico, ma lui non c’era più.

 

 

 

Keiichi si era allontanato il più possibile, a passo svelto, senza voltarsi indietro neppure una volta, ignorando la gente che incrociava sul suo cammino, evitando i loro sguardi, ma immaginandone i pensieri nella testa.

Si fermò solo quando fu fuori dal centro abitato, lì dove iniziava la distesa di campi coltivati, a ridosso della foresta. Si fermò e solo in quel momento si accorse di Daisuke, che lo aveva inseguito correndo e che ora, con i palmi delle mani poggiati sulle ginocchia, tentava di riprendere fiato, facendo profondi respiri.

- Che ti è preso, si può sapere? Scappare in quel modo… - riuscì a dire con il cuore a mille, guardandolo di sottecchi.

Keiichi non rispose. Si limitò a fissare il terreno, gli occhi di un colore più chiaro del solito, più gelido, ridotti a due fessure, la mente altrove.

- Perché non hai detto niente? Quegli idioti ti insultano e tu te ne resti in silenzio, senza muovere un muscolo… perché?! Non puoi farti trattare in questo modo! -

- Non sono affari tuoi. – sibilò, accompagnando quelle parole con un’occhiata di puro gelo, intenzionato da subito a non sostenere oltre quella conversazione.

Gli diede le spalle, deciso ad allontanarsi, inconsapevole del dolore che quella frecciata aveva provocato nell’amico.

- Che diavolo stai dicendo?! Ti vuoi fermare?! Keiichi! – lo afferrò per una spalla, strattonandolo con forza e costringendolo a voltarsi per guardarlo negli occhi, quelli occhi così inespressivi e freddi, che sembravano davvero due pezzi di ghiaccio.

- Sono affari miei, sì, razza di idiota! - lo spinse ferocemente, rischiando quasi di farlo cadere, - Non possono comportarsi così! Dovremmo dirlo ai nostri genitori, se non ti va di dirlo a tuo padre potremmo rivolgerci al mio o a tuo zio. Non è giusto che… -

Le parole gli si spezzarono in gola in un gemito di dolore. Si ritrovò con la schiena premuta con forza contro il tronco di un albero e il respiro mozzato.

- Taci. – gli intimò Keiichi, tenendolo per le vesti all’altezza del collo, - Noi non faremo proprio un bel niente. Terrai la bocca chiusa e faremo finta che oggi non sia mai esistito. Sono stato chiaro? -

Daisuke scrollò le spalle, deciso a non dargliela vinta, sostenendo quella sfida, guardandolo dritto negli occhi senza alcun timore, allontanandolo poi da sé con una spinta.

- Ma non è giusto, non capisci?! Non possono trattarti così! Solo perché sei un mezzo-demone, ma che significa?! Non mi importa di quello che pensi, non posso restare fermo senza fare niente! Tu sei il mio migliore amico! –

Keiichi si riscosse a quelle parole, distogliendo immediatamente lo sguardo da quello furioso dell’altro, sentendo il senso di colpa crescere dentro di lui. Daisuke d’altro canto sospirò, cercando di recuperare la calma, per non far precipitare nuovamente la situazione.

- Perché non vuoi farlo sapere? –

- Dais’ke, a me non importa, va bene? Non mi importa niente. –

- Che vuol dire che non ti importa? –

- Non sto cercando di farmi altri amici: ho già te e mia madre, mio padre, Inuyasha, la tua numerosissima famiglia, per non parlare della marea di conoscenze che vanno e vengono periodicamente dal villaggio come niente. Ho tutto quello che desidero e non mi serve che degli idioti come quelli mi accettino. Perciò, per favore, dimentica tutto. Non c’è bisogno di alzare un polverone per una cosa che non ha la minima importanza. –

- E tu stai bene? Stai davvero bene così? – gli domandò perplesso, studiando attentamente ogni sua espressione per capire se fosse la verità.

- Sì. – annuì e gli sorrise riconoscente, sicuro che l’altro non avrebbe indagato oltre, né sarebbe andato contro il suo volere.

Ripresero a camminare, uno accanto all’altro, entrambi in totale silenzio, impegnati a fare il più possibile finta di niente, per mascherare il leggero imbarazzo e il senso di colpa per quell’incomprensione che avevano avuto. Tra loro non c’erano mai stati in passato screzi come quello, soprattutto perché riuscivano a far diventare ogni più piccolo battibecco un gioco e questo grazie al fatto che bastava una singola occhiata per capirsi alla perfezione. Per questo motivo Keiichi sentiva chiaramente di aver esagerato, dicendo delle cose che non pensava, spinto unicamente dalla rabbia. Non si sarebbe mai perdonato, se qualcosa avesse incrinato la sua amicizia con Daisuke.

- Non dirai niente allora, me l’hai promesso, giusto? – ruppe ad un tratto il silenzio, una volta nei pressi della sua casa, sforzandosi di trovare un modo per riportare le cose alla normalità.

- Dire cosa? – sorrise sghembo Daisuke, mettendo poi su una perfetta e assolutamente credibile aria pensierosa, - Non è successo niente, no? –

E Keiichi non poté fare a meno di sorridergli riconoscente, tirando un sospiro di sollievo.

- A proposito, sai che quando ti arrabbi, sei davvero uguale a tuo padre? Per un attimo i tuoi occhi mi sono sembrati i suoi. Avevo quasi paura che volessi uccidermi. – lo prese in giro Daisuke, riportando alla mente quell’immagine, che aveva avuto il potere di farlo rabbrividire.

- Idiota! Ti pare che potrei ucciderti così!? Non sarebbe leale! Magari in un combattimento… – gli rispose con un’alzata di spalle, ghignando appena alla faccia indignata dell’altro.

- Ma… ma che razza di amico che mi ritrovo! E poi grazie tante per la considerazione! Come se fosse così facile sconfiggermi! –

- Ma davvero? Che strano… eppure ricordo bene che da bambini non resistevi cinque minuti a combattere contro di me. Com’è che dicevi? “Non vale Kei! Io non sono un mezzo-demone! Non riuscirò mai a sconfiggerti!” –

- Ti stai inventando tutto! – arrossì per la vergogna, punto sul vivo.

- E quella volta che ti sei quasi spezzato l’osso del collo, dopo esserti arrampicato su un albero, solo perché avevi avuto la brillante idea di cogliermi di sorpresa? –

- Hei, non è stata colpa mia se il ramo si è spezzato! – protestò Daisuke imbronciandosi.

- Tua sorella si è incavolata talmente tanto che credevo ci avrebbe ucciso! –

- Già, in quel momento somigliava proprio alla mamma. –

- Pensa, anche lei era più forte di te! –

- Ora basta! Me la pagherai Keiichi, questa è una promessa! Io diventerò il più grande sterminatore di demoni del mondo e allora vedremo se ti prenderai ancora gioco di me. –

- Il più grande sterminatore del mondo, eh? Allora io diventerò più forte di tutti i demoni in circolazione. Supererò tutti e a quel punto combatteremo! –

Fare quella semplice promessa li rese, in qualche modo, ancora più sicuri che sarebbero rimasti amici per sempre, che niente sarebbe mai stato in grado di spezzare il forte legame che li univa.

Keiichi era figlio unico, non aveva fratelli, né li desiderava, ma in quel momento, pensando all’idea di un fratello, si rese conto di pensare a Daisuke.  

 
 

  

***

 
 

[Anno 1625]

 

Solo l’anno prima Keiichi aveva creduto fermamente in quelle parole che aveva pronunciato con determinazione e una punta di soddisfazione personale. 

La sua vita gli piaceva molto, gli amici, la famiglia, il villaggio. Sentiva di essere amato ed era consapevole che in tutto l’universo non esistesse un altro luogo migliore di quello in cui viveva: era il suo personale posto nel mondo ed era felice di poterlo condividere con la sua famiglia. 
Per questo, il fatto di essere considerato uno scarto, un disgustoso mezzo-demone, non aveva la minima importanza. Avrebbero potuto dirgli qualsiasi cosa, trattarlo sempre come un escluso, come un pezzente, ma a lui non sarebbe mai importato. Non avrebbe mai messo a rischio la sua splendida vita per qualcosa che non aveva il minimo valore. Aveva infatti capito sin da subito che, anche se non sarebbero state molte le persone capaci di accettare la sua compagnia senza battere ciglio, non aveva alcun senso abbattersi o desiderare di essere qualcosa di differente da ciò che era. Aveva capito che avrebbe dovuto cercare quelle poche persone che lo avrebbero accettato incondizionatamente, senza perdersi d’animo di fronte ad un compito che effettivamente non era proprio il massimo della semplicità.

Non era sicuro che questo suo atteggiamento positivo fosse dovuto all’essere sempre stato circondato, sin da bambino, da persone meravigliose, che lo avevano riempito d’attenzioni e d’amore, ma era sicuro che quello che aveva era troppo importante e appagante, perché delle semplici parole, intrise d’odio, potessero colpirlo, arrivando a ferirlo.

A quel tempo in effetti tutto sembrava semplicemente troppo bello per essere vero e probabilmente fu per questo che, quando sopraggiunse la tragedia, nessuno fu in grado di fare qualcosa che non fosse guardare attonitamente il mondo sgretolarsi in infiniti minuscoli frammenti. 
Fu tutto veloce. Troppo veloce. E se ne accorsero subito, ma era già tardi. Non avrebbero mai potuto fare niente per porre rimedio all’inesorabile scorrere del tempo. Fu semplicemente come risvegliarsi da un sogno, uno splendido sogno, come se gli ultimi tredici anni in realtà non fossero mai esistiti e tutto fosse stato esattamente come allora.

Il dolore, l’angoscia, la malattia.

Avevano accolto la notizia con un sorriso di tristezza sul volto e la disperazione nel cuore, perché non aveva neppure più senso sperare e farsi illusioni. Si trattava solo di aspettare l’inevitabile e anche se faceva così male che avrebbero voluto urlare tutto il loro dolore per strapparlo da sé, non poterono fare altro che nascondere tutto dietro un sorriso carico di amore e sostegno.  
Erano lì per lei, solo questo. Sarebbero sempre stati lì per lei. Ma in realtà, fino all’ultimo, fu Rin ad essere lì per loro, ad impedire che cadessero, distruggendosi in tanti piccoli pezzi, che difficilmente sarebbero stati in grado di rimettere insieme. Li strinse a sé con i suoi sorrisi e il suo entusiasmo, facendo in modo che si appoggiassero gli uni sugli altri o almeno ci provò. Ci provò con tutta se stessa, perché non desiderava che a causa sua la sua famiglia andasse in pezzi, perché voleva vedere la luce della determinazione nei loro occhi, mentre le promettevano che si sarebbero rialzati, che sarebbero andati avanti, prendendosi cura di ciò che lei era costretta a lasciare.

Fu con questi desideri nel cuore che Rin disse loro addio.  

- Ti trovo bene. – esordì Inuyasha imbarazzato, evitando in tutti i modi di guardarla negli occhi.

- Che ti succede? Ti metti a farmi i complimenti, dopo trent’anni che ci conosciamo? –

- Tzè! Scema… - brontolò offeso, ma era palese che non avesse la forza di aggiungere altro, neppure per risponderle a tono.

- Ti ricordi… - iniziò a dire Rin, stuzzicando la sua curiosità, - quel giorno… prima che Keiichi nascesse, prima che Sesshomaru se ne andasse, io ti ho chiesto una cosa. La ricordi? –

Inuyasha la guardò sorpreso, limitandosi ad annuire. Non avrebbe mai potuto dimenticarlo, ma non capiva perché lei gliene stesse parlando proprio in quel momento.

- Lo farai per me? –

E forse fu per il modo in cui lo chiese - con quello sguardo implorante e la voce incrinata che tentava ad ogni costo di mantenere ferma - che non riversò tutta la rabbia e la frustrazione su di lei, accettando invece le sue ultime richieste.

- Te lo prometto. –

Rin gli sorrise felice con gli occhi lucidi e paradossalmente con una forza che non aveva mai avuto prima. C’era tutta la sua gratitudine in quel sorriso e Inuyasha non ne sopportò la vista.

- Inuyasha. - lo richiamò lei per l’ultima volta, - Devi promettermi anche un’altra cosa ed è di vitale importanza. -

- Cosa? – le chiese senza voltarsi, cercando di nascondere le lacrime, che prepotenti tentavano di uscire.

- Continua ad aspettare che gli anni passino, continua a non arrenderti e Inuyasha… trovala. –

Il demone sussultò.

- Mi prometti che continuerai a cercarla, anche se sarà difficile, anche se ti sentirai stanco e sarai sul punto di lasciar perdere? –

Strinse i pugni con il preciso intento di farsi male per non piangere, perché ancora una volta, nonostante non le restasse più tempo, lei pensava a lui, preoccupandosi per il suo futuro. E Inuyasha riusciva solo a pensare che Rin per lui era stata una persona straordinaria, un’amica, una confidente, una sorella, una madre, semplicemente una delle persone più importanti della sua vita.

- Sempre. – rispose con voce spezzata, - La cercherò… sempre. -  

Non l’avrebbe mai dimenticata.

E a qualsiasi costo avrebbe mantenuto quelle promesse: si sarebbe preso cura di Keiichi, impegnandosi con tutte le sue forze per essergli di sostegno, per rappresentare un punto fermo. 
Fu questo che pensò mentre lo vide entrare nella sua casa e sedersi accanto a Rin, con gli occhi gonfi e fortemente arrossati, unico e chiaro sintomo del fatto che erano giorni ormai che le lacrime non smettevano di torturarlo tutte le notti.

- Keiichi, me la fai una promessa? – gli chiese Rin in un sussurro, accarezzandogli piano i capelli e sfiorandogli di tanto in tanto le orecchie. Il mezzo-demone annuì, stringendo con forza il labbro inferiore tra i denti, trattenendo i singhiozzi e le lacrime che sapeva lo avrebbero scosso da lì a poco.

- Promettimi che proverai ad essere felice, anche se non sarà facile, anche se ti sembrerà la cosa più difficile del mondo. – e avrebbe voluto fermarla, interromperla per gridarle che sarebbe stato impossibile, che non ne sarebbe stato in grado, ma l’infinità dolcezza che vide trasparire dai suoi occhi gli bloccò le parole in gola.

- Promettilo! Perché io voglio davvero che tu sia felice. Questo è il mio desiderio più grande. E per quanto riguarda tuo padre… lo sai anche tu com’è fatto, lui si chiuderà completamente, ma non pensare mai che non ti voglia bene. Ricordati solo che lui ti adora. Ti ha sempre adorato e anche se non sa dimostrarlo, ti vorrà bene per sempre, quindi se puoi, abbi pazienza con lui, aiutalo e… fai in modo che ogni tanto gli scappi qualche sorriso, va bene? -

Sentì le lacrime rigargli le guance, senza che avesse modo di fermarle o ricacciarle indietro. Gli occhi erano completamente appannati e il cuore faceva male. Si gettò tra le braccia della madre, singhiozzando disperatamente. Non gli importava di essere un uomo, non gli importava di essere per metà un demone, non gli importava di chi fosse figlio, del cognome, dell’orgoglio, dell’onore o di altre parole che al momento gli apparivano totalmente prive di significato.

In quel momento c’era solo lei, la persona che amava di più al mondo e lei stava per andarsene via, per sempre.

- Keiichi… non so dirti quanto sia felice di aver potuto trascorrere questi anni con te. Essere tua madre è stato il regalo più grande che la vita mi abbia fatto e sono felice… sono così felice di averti conosciuto… - gli disse con la voce incrinata, - grazie, grazie davvero, per tutto. -

Rin lo strinse a sé cullandolo con dolcezza, come quando era piccolo, continuando a sorridergli incoraggiante, mettendo in quel semplice abbraccio tutte le parole che avrebbe voluto dire, ma che era troppo difficile pronunciare. 
Rimasero abbracciati per ore, ignorando ogni cosa che non fosse il loro reciproco calore, finché alla fine Keiichi non crollò esausto, addormentandosi in quell’abbraccio, sentendosi in pace per la prima volta, da quando l’ombra della morte si era affacciata nelle loro vite.

Fu Sesshomaru a portarlo in un’altra stanza, per lasciarlo riposare tranquillamente, mentre prendeva il suo posto accanto a Rin. E non disse una sola parola, per tutto il tempo. Né ci sarebbe stato niente di strano in questo, se non fosse che Rin era sempre stata in grado di vedere oltre la sua scorza di gelida indifferenza e in quel momento riusciva a vedere chiaramente che il demone, che aveva davanti, era diverso da quello che negli ultimi anni le era stato accanto. 
Non gli chiese di tornare ad essere la persona che amava, non le importava che lui la stesse allontanando. Lo conosceva troppo bene ormai e poteva capire ogni ragione, ogni perché, dietro i suoi comportamenti.

- Ti amerò per sempre. – gli disse semplicemente, dando voce a tutto ciò che si dicevano continuamente in silenzio.

E avrebbe voluto dirgli altre cose, alcune stupide, altre importanti, ma la realtà era che non poteva dire altro. Semplicemente perché tutte le parole del mondo non avrebbero avuto alcun significato, non in quel momento, non con lui che si era richiuso in se stesso, tornando la persona di quel passato lontano che non aveva conosciuto, solo per la speranza di proteggersi.

Gli sorrise e Sesshomaru abbassò lo sguardo.

Per la prima volta in tutta la sua vita fu debole e come un qualunque essere umano si spezzò, ma non gli importò.

 

 

 

Quel giorno pioveva, così come continuò a piovere per i tre giorni successivi. Il sole sembrava esser diventato ormai un lontano ricordo, mentre i campi si allagavano, distruggendo il raccolto e i fiumi si inondavano.

Si chiedevano, sperando e pregando, se sarebbe mai tornato ad illuminare i loro volti stanchi e sofferenti, portando con sé magari un flebile sorriso, ma il sole restava nascosto e le lacrime solcavano il viso, fondendosi con quelle gocce di pioggia che le facevano scivolare veloci fino a terra.

Sesshomaru guardava quel piccolo cumulo di terra con occhi vitrei, totalmente inespressivi. La cosa più preziosa se ne era appena andata e niente avrebbe più potuto portarla in vita.
Non seppe di preciso come o perché, ma si ritrovò a pensare al passato, al suo passato e un sentimento di odio lo colse impreparato. Da quanto tempo non provava odio? 
Era cambiato, si era lasciato cambiare, scegliendo di vivere una vita diversa, piena, forse felice e ora che tutto era tornato come prima, ora che era nuovamente solo, non ricordava più come fosse la sua vita prima di incontrare Rin.

Come era riuscito ad andare avanti, a vivere, a camminare? Che cos’era che lo avevo spinto? Possibile che non lo ricordasse? E se non fosse riuscito a ricordarlo, come avrebbe fatto ad andare avanti?

Si odiava per questo, per essersi permesso di cambiare. E odiava Rin. In quel momento odiava Rin, perché aveva stravolto il suo mondo e il suo modo di essere: lo aveva cambiato e lo aveva lasciato solo, a fare i conti con una coscienza con cui solo lei era mai stata capace di andare d’accordo.

Sentì la presenza degli altri dietro di sé e lasciò che il suo sguardo si posasse sulla foresta e poi vagasse oltre, fin dove riusciva a vedere, verso i territori dell’ovest e i luoghi da cui proveniva. Lontano da quel villaggio, dagli esseri umani, dai legami e da tutto ciò che era stato semplicemente trasformato in un cumulo di terra e pietre.

Mosse un primo passo verso quella nuova vita, che aveva l’amaro retrogusto del passato - la vita senza di lei. E sentiva di non aver guadagnato niente, ma di aver perso tutto, mentre muoveva un secondo passo e poi ancora un terzo.  

- Papà… - sussurrò Keiichi, non distogliendo gli occhi da lui e subito il suo cuore sembrò volersi arrestare, mentre si sentiva sprofondare, trascinato a fondo nelle profondità dell’oceano, dove l’unica cosa che poteva fare era continuare ad annaspare, cercando di combattere inutilmente quella forza che voleva a tutti i costi impedirgli di risalire e respirare.

- Papà. – lo chiamò di nuovo, con una nota di urgenza nella voce, ma Sesshomaru non la avvertì o non volle fermarsi.

Sentì le gambe tremargli e allora gli corse incontro, sentendo il panico crescere ogni secondo di più.

- Keiichi. – tentò di richiamarlo Inuyasha, ma non gli importava.

- Papà! Aspetta! – lo raggiunse bloccandogli il passaggio, - Dove stai andando? Perché? Io non… -

Rimase a specchiarsi nei suoi occhi, senza trovare il coraggio di aggiungere altro, sicuro che anche una sola parola lo avrebbe fatto andare in pezzi. 
E Sesshomaru continuava a guardarlo, ma in realtà non era lì. Non era più lì da quando Rin si era ammalata. Non c’era dolore, non c’era rabbia, non c’era tristezza o dispiacere in quegli occhi che avevano perso improvvisamente tutta la loro profondità. C’era solo il vuoto, un immenso e terrificante vuoto. Sesshomaru stava annegando, proprio come lui, veniva trascinato a fondo, ma non opponeva resistenza, lui ormai non combatteva più, lasciava solo che fosse la corrente a condurlo nell’oscurità più intensa.

- Keiichi. – sentì Inuyasha che lo affiancava preoccupato e come lui ora guardava Sesshomaru, incapace di dare voce ad uno qualsiasi dei pensieri che gli affollavano la mente.

Sesshomaru li superò, ignorando le mille domande che leggeva nei loro occhi.

Keiichi guardò il profilo delle sue spalle allontanarsi e il pensiero della sua famiglia, di loro tre insieme, gli arrivò forte come una pugnalata nel petto.

Se ne stava andando. Anche lui lo stava abbandonando, proprio come aveva fatto lei. La sua perfezione, la sua casa, il suo mondo, tutto era in pezzi.

- Ti prego. – sussurrò e nella sua mente urlò e implorò che si fermasse, che sua madre lo aiutasse, che impedisse a Sesshomaru di andarsene e lasciarlo solo. Ma Sesshomaru non tornò indietro. Guardò solo Inuyasha, per l’ultima volta.

- Prenditi cura di lui. – disse. E se ne andò.

Il silenzio li avvolse completamente. Nessuno aveva più la forza per parlare o semplicemente per credere – credere che le cose sarebbero andate meglio, che tutto in un modo o nell’altro si sarebbe aggiustato. Erano tutti troppo stanchi.

- Andiamo Keiichi. Torniamo a casa. – lo chiamò Inuyasha, posandogli una mano sulla spalla e aspettando di sentirlo muoversi.

Keiichi camminò, per la sola forza di inerzia, strusciando i piedi e sentendo ad ogni passo di più la sua coscienza farsi lontana. Sentì distrattamente la presenza di Sango e Daisuke affiancarlo, poi più nulla. Ogni suono, ogni rumore era completamente scomparso. Intorno a sé l’oscurità più totale e nella testa il martellare insistente di un unico, logorante pensiero.

Avrebbe ancora avuto una casa?

 

 
 

 

 

 

Rin, 1588 – 1625

 

 

 

 

 
 

 

 

Angolino di Aredhel

 

 

Tutte le volte che ho letto il capitolo per correggerlo, questo finale mi ha lasciato leggermente scossa e con le lacrime agli occhi, quindi immagino che anche per voi sia stato un po’ una mazzata in pieno stomaco.

Potrei dirvi tante cose su questo capitolo, ma non dirò niente, per lasciarvi digerire con calma la suddetta mazzata e perché sono profondamente curiosa di sapere l’effetto che ha avuto su di voi: ascoltare le vostre opinioni, lamentele, critiche, minacce di morte o magari apprezzamenti (ma dove?! -_-)

Vi dirò soltanto che mi dispiace di averci messo tanti mesi per scriverlo, ma la verità è che questo capitolo non era previsto: Rin sarebbe dovuta morire subito e Keiichi sarebbe dovuto essere già grande. Invece semplicemente mi è venuta voglia di immaginarlo da piccolo e di regalare a tutti loro tredici anni pieni di gioia, prima di distruggere le loro vite. Inoltre, come potete notare, è un capitolo chilometrico, il più lungo che abbia mai scritto a dire la verità, ma non mi era possibile in alcun modo spezzarlo in due parti.

Vi comunico, infine, che siamo ufficialmente a metà di questa strampalata storia, nata per gioco come one-shot (sì, la cosa mi sconvolge ancora). Il prossimo capitolo non arriverà prima di giugno purtroppo, ma vi anticipo che si intitolerà “Il figlio di un altro” e beh… che saranno passati cinque anni dalla morte di Rin.

Un bacio grande a tutti,

Aredhel *che vi vuole tanto bene e spera davvero di non morire* <3 <3 <3

  
Altre informazioni generali:

Keiichi - Figlio prezioso come un gioiello.
Daisuke - Grande aiuto
Hibiki - Eco, suono

Kouta - Grande pace
Hiroshi - Generoso, tollerante; prospero.

Tatami: ho scoperto che in Giappone, fino al 1800 inoltrato, non esistevano le culle per i neonati. I bambini dormivano, come tutti, su dei normalissimi tatami (da Wikipedia: un tipo di pavimentazione, composta da pannelli rettangolari affiancati, fatti con paglia di riso intrecciata e pressata), l’equivalente dei nostri letti, insomma. :P
Inoltre prima del 1600 il tatami era in uso solamente presso le abitazioni dei nobili, ma con lo shogunato Tokugawa, il loro utilizzo si è esteso rapidamente a tutti, quindi ho supposto senza troppi problemi che per Rin fosse più che normale averne uno dentro casa.

Vi avevo promesso un disegno di Keiichi appena nato, ma non riesco ad inserirlo su efp perché il formato è troppo grande. Chi di voi è sul gruppo di Vanilla91, avrà la possibilità di vederlo lì. :)

 

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Capitolo 8
*** Il figlio di un altro ***


I'll always find You








8. Il figlio di un altro




  [Anno 1630]

 

 

- Fai schifo, mezzo-demone! –

 

Quanti anni erano passati?

 

- Sparisci e non provare mai più a passare davanti la mia casa, sei disgustoso! -

 

Troppo tempo.

 

- Lo sanno tutti che neppure i tuoi genitori ti volevano! Tua madre si è uccisa perché non sopportava una simile vergogna e anche tuo padre ti ha gettato via come un rifiuto! –

 

Cinque anni…

 

- Dovresti andartene una volta per tutte dal nostro villaggio. Noi non ti vogliamo qui, nessuno ti vuole qui, è chiaro?! –

 
- Dovrebbe davvero sparire dalla faccia della terra. Farebbe un favore al mondo, se si uccidesse. -

 

Cinque maledetti anni, in cui il suo mondo era crollato. Disintegrato in minuscoli frammenti, che si erano dissolti rapidamente, trasformandosi in una polvere talmente leggera che era bastata una singola folata di vento per farla scomparire.

Di lui, della sua vita, del suo intero mondo non era rimasto che cenere.

All’inizio aveva pregato che qualcuno lo aiutasse, che lo salvasse dall’oscurità che lo stava inghiottendo. Aveva sperato, con tutto se stesso, che accadesse qualcosa di bello, anche solo una qualsiasi cosa bella, che lo rendesse ancora felice di essere vivo, anche se per pochi secondi appena. Purtroppo, aveva capito fin troppo presto che non sarebbe successo niente del genere: non esisteva nessuno in tutto l’universo in grado di fare qualcosa, di porre un rimedio e far tornare le cose al loro posto. Nonostante gli incredibili sforzi di quell’unica famiglia che gli era rimasta, nonostante l’amore e la sicurezza che cercavano di trasmettergli, lui continuava a rimanere solo in quell’oscurità opprimente, che lo intrappolava gelosamente a sé.

Se non avesse avuto ancora un briciolo della sua sanità mentale, sarebbe stato quasi spronato a pensare che quell’oscurità si comportava con lui come una seconda madre. Lei c’era sempre, in ogni momento. Lo proteggeva, isolandolo dalle cattiverie e dalle crudeltà della vita, costruendogli intorno un mondo di illusioni, dove avrebbe potuto essere chiunque avesse voluto e realizzare qualsiasi suo desiderio.
L’oscurità lo amava incondizionatamente e possessivamente, più di chiunque altro. Certo, teneva legata a sé la sua anima e si cibava della sua stessa energia vitale, ma in cambio gli dava tutto ciò che aveva: la sicurezza, la serenità, l’illusione che il presente fosse come lo desiderava e che tutto nel futuro sarebbe andato bene, finché fosse rimasto con lei.
L’oscurità era la trappola più seducente che Keiichi avesse mai affrontato. Era testarda, non si arrendeva mai e colpiva nei momenti in cui era più vulnerabile, ammaliandolo con le sue promesse e con le sue illusioni, costruite ad arte.

Ogni giorno che passava, Keiichi sentiva di abbandonarsi a lei sempre un po’ di più. Ogni frecciata, ogni parola malevola, ogni singolo insulto non era altro che un nuovo frammento di sé che scivolava nelle profondità più oscure. Ed erano cinque maledetti anni ormai che non vedeva la luce. Continuando in quel modo, presto o tardi sarebbe scomparso completamente, non lasciando altra traccia di sé che non fosse un’eco indistinta di urla di dolore soffocate.  

Razionalmente, sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa, ma era stanco, davvero troppo stanco.
Di dover mentire, indossando decine di maschere, per celare a tutti il vero se stesso: quello apatico e deluso dall’intero universo. Stanco di fingere di stare bene, solo per non far preoccupare tutti, per non creare problemi, per avere la possibilità di non fare niente e continuare a nascondersi in ogni momento libero. Era stanco di passare le giornate facendosi trascinare dalla vita ed era stanco di viverla, quella maledetta vita.

Forse avrebbe dovuto seguire l’adorabile consiglio dei ragazzi del villaggio, ponendo una volta per tutte fine alla sua inutile e miserabile esistenza di disgustoso mezzo-demone.
Lo aveva desiderato. Oh se lo aveva desiderato! Quante volte ormai? Infinite, forse. Ma alla fine non aveva fatto niente e si era anche dato del codardo per questo. Perché era per codardia se continuava a vivere, nonostante non avesse ragioni per farlo.
Era un codardo, perché aveva paura di deluderla. Perché ogni volta che pensava alla morte, davanti ai suoi occhi si presentava l’immagine sorridente della donna che più di tutti l’aveva amato. E allora poteva ingannarsi quanto voleva, dicendosi che la sua vita era inutile, che gli abitanti del villaggio avevano ragione, che non esisteva significato dietro quell’immenso dolore, ma nel profondo del suo cuore, lui aveva l’assoluta certezza che sua madre l’avesse amato infinitamente, che l’avesse voluto con tutta se stessa, non preoccupandosi minimamente della sua natura di mezzo-demone.
E allora non poteva deluderla. Non riusciva a deluderla, privando se stesso della cosa che per lei era la più importante di tutte: la sua vita.

Così niente cambiava e ogni giorno trascorreva uguale al precedente. Tra gli insulti dei suoi coetanei, sui quali passava sopra, fingendo di non sentire; tra i pranzi e le cene in famiglia, ai quali partecipava con un sorriso di circostanza e un finto entusiasmo; tra gli allenamenti con Inuyasha, durante i quali sfogava, almeno in parte, la frustrazione che si portava dietro e che lo divorava lentamente.

E poi c’era Daisuke. Aveva finto anche con lui, all’inizio, mostrandosi forte e sorridente, cercando di sembrare il Keiichi di sempre, celando il fatto che in realtà il vero Keiichi fosse morto quel giorno di cinque anni prima, insieme alla donna che gli aveva dato la vita.
Daisuke, però, era intelligente e perspicace o forse, più semplicemente, era la persona che lo conosceva meglio e che gli era stata più accanto. Lui sapeva perfettamente che quel sorriso era una maschera – e neppure una di quelle buone, a giudicare dal poco tempo che ci aveva messo per accorgersene – così gli aveva chiesto di non mentirgli più, di non sforzarsi ad essere qualcun altro in sua presenza, ma di essere chi e come desiderava, a prescindere da tutto.

In quel momento, Keiichi gli era stato grato per esser stato capace di vedere dietro la maschera. Esattamente come gli era stato grato tutte le volte in cui si era seduto con lui, in riva al fiume, a guardare l’acqua scorrere per ore e ore, rimanendo perfettamente immobili, senza dire una sola parola.
Non glielo aveva mai detto, ma era sicuro che in parte fosse merito suo, se ancora non si era totalmente arreso all’oscurità che lo circondava. Peccato che invece di fargli sapere quanto gli fosse riconoscente e quanto apprezzasse il suo aiuto, continuasse a trattarlo come la persona peggiore dell’universo, finendo poi per odiarsi e sentirsi uno schifo per tutto il giorno.
Se Daisuke si fosse stancato di stargli dietro e fargli da balia, sarebbe stato perfettamente comprensibile e non avrebbe potuto fare niente per porre rimedio, perché sarebbe stata tutta unicamente colpa sua.

Ma in fondo, quella era la sua più grande capacità, no? Sì, senza alcun dubbio: negli ultimi anni, era diventato davvero bravissimo ad allontanare le persone.

Ma dopotutto che male c’era ad allontanarlo? Sarebbe stato meglio se non l’avesse avuto più fra i piedi. Una persona in meno, costretta a compatirlo per il miserabile essere quale era. No, decisamente non ne aveva bisogno. Lui sarebbe stato bene da solo, avrebbe fatto quello che più desiderava e non si sarebbe più dovuto preoccupare di cosa dire o non dire, di come comportarsi o di ferire qualcuno.

Sarebbe stato bene, da solo… nell’oscurità.

- Davvero bene… - sussurrò al vento in una smorfia malcelata, chiudendo gli occhi e poggiando la schiena contro il tronco di un grande albero, imponendosi di non pensare più a niente, almeno per qualche ora soltanto.

 
 

 

***

 

 
 

Inuyasha girava per le vie del villaggio ormai da venti minuti, non potendo fare a meno di sbuffare ripetutamente e sbattere i piedi ogniqualvolta non riuscisse a trovare ciò che desiderava. Ormai aveva fatto il giro del villaggio per ben due volte: aveva controllato la foresta, il corso del fiume, era poi andato nella piazza principale, aveva girovagato nei dintorni e infine era tornato al punto di partenza, senza aver trovato neppure una misera pista da seguire.  

Keiichi era scomparso nel nulla.

Non era strano che il nipote si allontanasse, evitando di farsi trovare, desideroso di starsene per qualche ora per conto suo, senza avere la costante presenza dei familiari che gli alitavano sul collo. In genere, però, quando accadeva, faceva sempre in modo di far sapere dove fosse diretto o quantomeno si rendeva rintracciabile in qualche modo, per non farli preoccupare.

Quel giorno, invece, Keiichi sembrava essere completamente scomparso e per quanto Inuyasha continuasse a cercarlo, sforzando i suoi sensi e annusando l’aria circostante, non riusciva proprio a percepirlo da nessuna parte.

Normalmente avrebbe fatto finta di niente, aspettando pazientemente, preoccupandosi di sgridarlo una volta che fosse tornato a casa, ma quel giorno era diverso. Lui si sentiva diverso. Da un po’ di tempo a quella parte aveva uno strano presentimento: come se stesse accadendo qualcosa che avrebbe dovuto sapere, ma della quale, per qualche ragione sconosciuta, era totalmente ignaro.

Inutile dire che era una sensazione a dir poco orribile. Come se si trovasse davanti un ostacolo gigante, ma invisibile e per quanto lui continuasse a camminare, alla ricerca del modo per oltrepassarlo, quello continuava a rimanere celato. Così non faceva altro che sbattere ripetutamente la testa contro quella parete, ma non arrivava mai a vederla. Si sentiva debole. Ed era assurdo e frustrante che un ostacolo che, probabilmente, neppure esisteva lo facesse sentire in quel modo. Insomma, se non esisteva nessun ostacolo, perché mai avrebbe dovuto avere quella sensazione di impotenza che gli opprimeva il petto, rendendo ogni giorno che passava così pieno d’angoscia?
Qualsiasi cosa fosse – e non aveva la minima idea di cosa fosse – era sicuro che riguardasse Keiichi o comunque, che in qualche modo il nipote ne fosse una parte rilevante.

Per questo, quel giorno si era messo a cercarlo disperatamente. Per questo, non riusciva a fare finta di niente.
Cosa gli stava sfuggendo?

- Hei, avete visto Keiichi? – fece improvvisamente irruzione nella casa di Sango e Miroku, spalancando la porta senza un minimo di grazia, guardandoli come se niente fosse.

I due sobbalzarono sorpresi, limitandosi a rivolgergli subito dopo un’occhiata di rimprovero. Ancora una volta non poterono fare a meno di chiedersi perché Inuyasha dovesse sempre irrompere in casa loro con la grazia di un elefante. Furono quasi tentati di ripetergli per l’ennesima volta il discorsetto sulla delicatezza e sui comportamenti più consoni da tenere con le altre persone, ma lo sguardo preoccupato dell’amico li fece desistere.

- No, non mi pare. – rispose pensierosa Sango, - Era con noi ieri sera, ma poi è tornato a casa. – concluse cercando conferma nel marito, che subito annuì. 

- Dove diavolo è finito… - sussurrò poi distrattamente Inuyasha, sforzando al massimo ancora una volta i suoi sensi, in un ultimo inutile tentativo.

- È forse successo qualcosa? – chiese ad un tratto Miroku, iniziando, forse per empatia, ad avvertire il medesimo brutto presentimento.

Era raro che Inuyasha si preoccupasse per qualcosa. In genere aveva l’abitudine di sminuire e prendere troppo sotto gamba ogni problema che si presentasse ai loro occhi. Se era arrivato a preoccuparsi in quel modo, probabilmente la questione era più grave di quanto si potesse ipotizzare.

- Non ne sono sicuro… potrebbe semplicemente aver scelto di non farsi trovare. Ha imparato piuttosto bene ad occultare la sua presenza in allenamento… -

- Non sembri molto convinto però. – lo istigò ancora una volta il monaco.

- È solo che… - iniziò a dire, ma fu interrotto dall’improvviso cigolio della porta d’ingresso.

- Sono a casa. – sentirono ad un tratto una voce provenire dal fondo del corridoio e contemporaneamente tutti si voltarono in quella direzione, pronti ad accogliere il nuovo arrivato.

- Ciao Daisuke, bentornato. – lo accolse Sango con un sorriso un po’ troppo forzato.

- Che facce che avete! È successo qualcosa? – chiese immediatamente il ragazzo, notando gli sguardi pensierosi dei genitori e la strana atmosfera che si respirava in casa.

- No, non è successo nulla. Piuttosto dove sei stato finora? – mentì rapidamente la madre, cercando di saperne qualcosa di più, senza allarmarlo inutilmente.

- La vecchia Umeko mi ha tenuto di nuovo bloccato tutto il pomeriggio. È la terza volta questo mese! Era convinta che ci fosse uno spirito maligno all’interno delle sue riserve di riso, così sono andato a dare un’occhiata per sicurezza e alla fine, con il pretesto di controllare se ci fossero altre presenze, mi ha costretto a pulire ogni centimetro della sua casa. La prossima volta lascerò che lo spirito se la mangi. Non sarebbe poi una gran perdita, no? – concluse cercando di alleggerire la tensione, ma in cambio ricevette solo sospiri e occhiate preoccupate.

- Hei stavo scherzando! Non c’è bisogno di essere così seri! –

- No, non è questo… - rispose Sango, per poi cambiare discorso e strategia, andando dritta al punto della questione, - Sei stato impegnato tutto il giorno? Non sei stato con Keiichi oggi? –

Daisuke sussultò, dando loro le spalle e prendendo qualcosa da mangiare, cercando di sembrare naturale.  

- No, oggi non l’ho visto. – rispose addentando una mela, sforzandosi per mantenere un tono di voce normale, ma nessuno dei presenti si fece ingannare.

- È strano, eppure vi vedete sempre. –

- Sì, beh, oggi avevo da fare, tutto qua. –

- E non sai dove possa essere? – chiese ad un tratto Miroku.

Daisuke si voltò di scatto, sgranando gli occhi, iniziando a preoccuparsi per quell’interrogatorio improvviso.

- Perché mi state chiedendo di Keiichi? Gli è successo qualcosa? –

- No, non è successo nulla, ma… -

- Ora basta, fatela finita! – li zittì Inuyasha, frapponendosi fra loro e Daisuke, guardando quest’ultimo con aria minacciosa, - Keiichi è sparito e non riesco a percepire la sua presenza da nessuna parte. Ora, parla. –

- Inuyasha sei il solito esagerato. Hai detto anche tu che il fatto che non riesci a percepirlo potrebbe non significare niente, no? Siamo solo in pensiero per lui. – aggiunse poi Sango, ricambiando il demone con la medesima occhiataccia. – Per questo ti stiamo chiedendo se sai dove sia andato o se, magari, gli è successo qualcosa che lo ha spinto ad allontanarsi. –

- Non so niente. – rispose infine Keiichi, abbassando il capo e scuotendo la testa, - A dire la verità, oggi… abbiamo litigato. –

I tre si scambiarono occhiate confuse e preoccupate, tornando poi ad interrogarlo.

- Non è stato un vero e proprio litigio, più un’incomprensione… I ragazzi del villaggio… - tentò di continuare, ma improvvisamente si fermò, mordendosi il labbro per impedirsi di parlare troppo.

Aveva passato gli ultimi cinque anni a mantenere quel segreto e ogni volta aveva finito con l’odiarsi sempre di più, perché Keiichi non era più la stessa persona che era all’epoca di quella promessa. Si era chiuso in se stesso, allontanando tutti e anche se diceva di poter affrontare tutto da solo, Daisuke, da un po’ di tempo a quella parte, aveva iniziato seriamente a dubitare di tale capacità.
Sango si limitò a guardare dubbiosa il figlio, aspettandosi che Inuyasha dicesse qualcosa, ma il demone per qualche ragione sembrava essersi paralizzato sul posto.

- Dais’ke, se c’è qualcosa che non va, puoi dircelo, lo sai vero? Qualsiasi cosa sia, ne possiamo parlare insieme e trovare una soluzione. Non ha senso tenersi tutto dentro, non ti pare? – tentò di convincerlo Sango, mentre Inuyasha con gli occhi sgranati continuava a fissare un punto davanti a sé.

Quello strano presentimento si era fatto di colpo più intenso. L’ostacolo invisibile si stava richiudendo su se stesso, accartocciandosi sempre di più e intrappolandolo. Non poteva più ignorarlo in alcun modo. Era invisibile, ma esisteva, esisteva eccome! E lo stava schiacciando.
Dannazione, imprecò mordendosi l’interno della guancia fino a sanguinare. Era qualcosa di davvero importante e di un’ovvietà disarmante, ma allora perché, perché non riusciva a capire?!

- Ho promesso a Keiichi che avrei mantenuto il segreto… - sussurrò ad un tratto Daisuke, fortemente indeciso su come comportarsi.

- Anche se glielo hai promesso, se Keiichi sta male per qualcosa, forse il modo migliore per aiutarlo non è mantenere il segreto. – lo esortò ancora Sango e quando lo vide abbassare lo sguardo e sospirare, capì di essere riuscita a convincerlo.

- Avrei voluto parlarvene prima… so che sembra una scusa, ma non lo è: avrei davvero voluto parlarvene prima, ma lui non voleva farlo sapere. – iniziò a dire caoticamente, mangiandosi qualche parola e sentendo l’agitazione crescere ogni secondo di più. Era stato davvero uno stupido a non dire nulla, non avrebbe mai dovuto mantenere quel segreto. - Non gli importava di ciò che dicevano gli altri, non gli importava niente, perché stava bene, me lo aveva giurato! Essere un mezzo-demone non era un problema… -

Inuyasha sussultò, sgranando gli occhi.

Mezzo-demone… la parola gli risuonò a lungo nella testa, risvegliando una moltitudine di spiacevoli ricordi ad essa legati.

- Poi però, la zia Rin è morta e Sesshomaru se ne è andato e tutto è diventato così… complicato. – continuò a dire mestamente, mentre le espressioni dei tre divenivano sempre più consapevoli e addolorati.

- Scusa Daisuke, ma da quanto tempo sai questa storia? – lo interruppe Miroku, rivolgendo un’occhiata preoccupata all’aura omicida che Inuyasha, forse inconsciamente, aveva iniziato ad emanare.

- L’ho scoperto per caso sei anni fa, ma credo che andasse avanti già da prima: per Keiichi non sembrava una novità. Era come se fosse… infastidito dal fatto che avessi scoperto tutto. Mi ha fatto promettere di non farne mai parola con nessuno… -

- Prima hai nominato i ragazzi del villaggio… -

- Lo trattano male, continuamente! – esclamò, iniziando a tremare di rabbia al solo pensiero, - Lo prendono in giro, lo accusano per il fatto di essere un mezzo-demone e gli dicono cose terribili… dicono che è colpa sua se sua madre è morta… che si è uccisa per la vergogna di avere un mezzo-demone come figlio e che suo padre... lo ha abbandonato.-

Tutti rimasero ammutoliti e sconvolti da quella verità che troppo a lungo avevano ignorato.

- Keiichi non risponde mai. Mai, neppure una volta. Non si difende, non gli dice niente contro. Resta in silenzio ad ascoltare a testa bassa, aspetta che se ne vadano, che lo lascino in pace e se provo io a difenderlo, se la prende con me e scompare per tutto il giorno. Non capisco perché lo faccia e non so come risolvere la situazione. Ci ho provato un’infinità di volte, a farli smettere, ad aiutarlo, ma quelli… quelli non la smettono mai! -

Poi sentì solo la mano amorevole di Sango che gli accarezzava i capelli e quando Daisuke incrociò il suo sguardo, seppe con certezza che in un modo o nell’altro tutto sarebbe finito bene.

- Mi dispiace… - sussurrò, prima che un rumore attirasse completamente la loro attenzione.

- Inuyasha aspetta! Che vuoi fare?! – lo fermò Miroku, prima che uscisse, consumato da una rabbia che non gli vedeva negli occhi dai tempi di Naraku.

- Tranquillo, non vado di certo ad uccidere quei mocciosi, se è questo che ti preoccupa. – gli rispose, ma con quel suo tono, non c’era da stare affatto tranquilli.

Miroku sospirò lasciandolo andare, sperando che fosse la decisione giusta e che non si ritrovasse poi con dei cadaveri tra le mani da dover spiegare. In fondo, il vecchio Inuyasha non ci avrebbe pensato neppure un secondo prima di dare una bella lezione a quei ragazzi; anche se era un po’ strano da ammettere, forse almeno un po’, quel demone testardo e scorbutico era cresciuto.  

 

 

***

 

 
 

Inuyasha uscì dalla casa, diretto verso i confini del villaggio. Viste le ultime informazioni, era piuttosto sicuro che non avrebbe mai trovato il nipote in un luogo pieno di gente, ma in ogni caso sperava che, conoscendo la verità, fosse più semplice riuscire a rintracciarlo. Purtroppo per lui, continuò a girare a vuoto per diverse decine di minuti.

Almeno poteva essere soddisfatto di come gli aveva insegnato a mascherare la sua presenza, dal momento che sul resto aveva fallito miseramente, pensò ironicamente sentendo una stretta al cuore.

Era consapevole del fatto che il nipote fosse un mezzo-demone e ricordava perfettamente quell’orribile sensazione, come se la provasse ancora, nonostante tutto il tempo passato e i cambiamenti avvenuti. Anche tenendo conto ciò, non una sola volta, il pensiero che Keiichi stesse passando ciò che secoli prima aveva affrontato lui, l’aveva sfiorato.
Forse perché credeva che i tempi fossero cambiati, rispetto a quando lui era bambino o forse perché non aveva avuto la minima avvisaglia di ciò che stava avvenendo… No, a pensarci bene, era stato davvero uno stupido: di avvertimenti ce ne erano stati eccome!, ma lui non ne aveva visto neppure uno, giustificandoli con altri pretesti, passandoci sopra senza riflettere accuratamente.

Aveva dimenticato una verità fondamentale, che sin da bambino aveva continuato a ripetersi: per quanto tempo potesse passare, gli umani non sarebbero mai cambiati. Avrebbero continuato ad essere ciechi, egoisti e crudeli, esattamente come lo erano il primo giorno in cui la loro specie era nata, come se esistessero dei ruoli prestabiliti che li definivano e che loro non potevano assolutamente abbandonare. Non era forse questo a mantenerli ancora in vita, in fondo?
Senza queste caratteristiche si sarebbero probabilmente estinti da tempo.

Ad un tratto, improvvisamente, l’odore di Keiichi gli arrivò con estrema chiarezza, prima di scomparire nuovamente. Era stato solo un secondo o poco più, ma era riuscito comunque ad individuarlo. Pensò che probabilmente il ragazzo doveva essersi distratto di colpo, a giudicare dalla pronta reazione nel mascherare nuovamente la propria presenza.

Seguì la traccia per qualche metro, quando con enorme disappunto realizzò dove fosse diretto. Quello era forse l’ultimo posto dove si aspettava di trovarlo, sicuramente l’ultimo dove pensava di tornare.

Entrò in quella piccola radura che tanti anni prima era stato uno dei suoi luoghi preferiti, ma dove, dopo la scomparsa di Kagome, non vi aveva più messo piede.
Aveva protetto quella zona, impedendo che la gente del villaggio vi costruisse delle abitazioni, ma poi anche lui aveva smesso di andarci. Ogni cosa ricordava lei in modo estremamente vivido e in quel luogo, il confronto con la realtà iniziava a fare troppo male.

Camminò lentamente, guardandosi intorno con tristezza e nostalgia.

Era rimasto tutto uguale, come se il tempo lì si fosse fermato. C’era ancora la fossa dove Kagome lo aveva mandato a cuccia tutte quelle volte e dove lui si era distrutto la schiena, a causa di quell’enorme masso che voleva usare per impedirle di andar via.
Stranamente, in quel punto, l’erba non era mai ricresciuta.
Guardò poi il pozzo, che per un crudele miracolo gli aveva portato l’amore. Ai suoi piedi, l’aveva abbracciata per la prima volta e da quel momento aveva cercato spesso e con insistenza di ricreare un contatto simile. La sensazione di averla tra le braccia si era impressa a fuoco nella sua anima, come se in quel semplice gesto si trovasse la ragione di tutta la sua vita.
Il pensiero che a quel tempo l’avesse abbracciata solo per rubarle la sfera e farla andar via gli procurò una nuova stretta al cuore, anche se, si ripeté, l’aveva fatto solo per proteggerla.

Era vero: il tutto era avvenuto a seguito di uno scontro con Sesshomaru. Quella volta si era davvero preoccupato per le sorti di quella strana ragazza, venuta dal futuro.

In quel periodo Sesshomaru era davvero spietato e senza riguardi per nessuno. Sembrava folle e incredibile il pensiero che proprio lui si fosse innamorato di un’umana e che avesse avuto da lei un mezzosangue. Proprio lui che a quel tempo aveva in mente solo Tessaiga e l’affronto che suo padre gli aveva arrecato, lasciando la sua eredità più importante ad un misero mezzo-demone che ne rappresentava il più grande disonore.

Il Sesshomaru di allora non avrebbe avuto pietà per nessuno: per questo, mandar via Kagome gli era sembrata la scelta migliore. Nonostante ciò, anche se aveva voluto solo proteggerla, nel momento in cui lei era tornata, si era sentito davvero felice, come non gli capitava da troppo tempo.

Ogni volta che ripensava a quei momenti, sentiva solo la nostalgia e un vuoto enorme che lo lasciava senza forze. Gli mancavano più di quanto fosse in grado di esprimere.
Per questo motivo aveva smesso di andare in quella radura, per non dover più essere costretto a rivivere quei dolorosi ricordi, ma in quel momento la necessità lo aveva portato fin là e lui non poteva permettersi di restare con la mente nel passato.

Improvvisamente, vide Keiichi uscire dal folto degli alberi, prima ancora che lo chiamasse. Evidentemente si era reso conto che, una volta scoperto, non aveva più senso restarsene nascosti. Lo vide camminargli incontro e per la prima volta Inuyasha si rese davvero conto di quanto fosse triste il suo sguardo. La maschera che si ostinava a portare non impediva più di scorgere la verità. E anche Keiichi, in qualche modo, sembrò capirlo, tanto che si fermò di colpo, in attesa della noiosa ramanzina che si sarebbe sorbito di lì a poco.

- Daisuke ci ha detto di te e dei ragazzi del villaggio. -

Ed eccola arrivare. Il mezzo-demone sbuffò, assottigliando lo sguardo, infastidito da quella situazione. Si sedette poi sul bordo del pozzo e strinse le braccia al petto.

- Non avrebbe dovuto. -

- Certo, perché avresti dovuto parlarcene tu. –

Vedendo che il ragazzo non accennava a volersi spiegare, Inuyasha prese posto accanto a lui, guardando il cielo sereno con aria pensierosa. Se lo avesse incalzato a parlare, attaccandolo bruscamente, sicuramente Keiichi si sarebbe rinchiuso ancora di più e lui non ne avrebbe ricavato niente. Sospirò profondamente, imponendosi di stare calmo. Sicuramente, era l’unico modo per riuscire a parlare con il ragazzo.

- Perché non ti difendi? – domandò ad un tratto, ricordandosi di quel comportamento particolare che da subito lo aveva confuso.

- Perché hanno ragione. – ammise infine Keiichi con un sospiro, guardando anche lui il cielo.

- Hanno ragione su cosa? –

- Su tutto! Ho sentito le storie che raccontano su mio padre, su quante persone abbia ucciso e su quanto disprezzi umani e mezzi-demoni. Forse si sarà anche innamorato di mia madre, ma evidentemente, il pensiero di avere un inutile mezzo-demone come figlio per lui è insopportabile, tanto che non si è fatto il minimo scrupolo ad abbandonarmi. –

- Ma si può sapere da chi hai sentito tutte queste cavolate?! – domandò Inuyasha arrabbiato, non potendo credere a ciò che stava ascoltando.

Avrebbe tanto voluto avere sottomano quegli idioti che andavano in giro a parlare degli altri come se fosse affar loro. Il fatto di essere crudeli ed egoisti a loro non bastava! No, dovevano essere anche impiccioni e pettegoli oltre ogni limite.

- Dagli anziani del villaggio, li ho sentiti che parlavano tra di loro. -

- Tzè! Non dovresti ascoltare i discorsi di quegli stupidi! Tuo padre non ti ha abbandonato e posso assicurarti che il fatto che tu sia un mezzo-demone non c’entra minimamente con il motivo per cui ora lui non è qui con te. –

- Che ne sai tu? Non mi pare che in tutto questo tempo si sia fatto vedere, o sbaglio?! Non è venuto neppure una volta per sapere se stessi bene. Potrei essere morto e lui non lo saprebbe! Come puoi dire che gli importa qualcosa di me?! -

- Perché… perché lo so e basta! – esclamò, tornando poi a parlargli con più calma, - Tu non hai idea di come fosse tuo padre in passato, ma lui è cambiato tantissimo grazie alla vicinanza di tua madre e ora… ascolta Keiichi, sono bene come ti senti, però… -

- No, non lo sai! – lo interruppe il mezzo-demone, alzandosi di scatto e guardandolo con occhi pieni di rabbia e rancore, - Tu non sai un bel niente su come ci si sente! Sei un demone proprio come mio padre! Vi importa solo di voi stessi! Tu non hai la minima idea di cosa significhi essere come me, un qualcosa di sbagliato, che non sarebbe mai dovuto venire al mondo! Non sai cosa si prova ad essere guardato con disprezzo o paura, ad essere odiato e allontanato da tutti. Non sai che vuol… –

- Sì che lo so invece, razza di stupido! – urlò, colpendolo con forza sulla testa e al diavolo la calma.

- Hei! Mi hai fatto male! –

- Ti sta bene! E ora vuoi farmi finire di parlare, ragazzino!? –

Keiichi annuì imbronciandosi appena e massaggiandosi la testa dolorante, preparandosi ad ascoltare la predica, con un’attenzione decisamente scarsa.

- Perché credi che tuo padre ce l’avesse tanto con i mezzi-demoni, eh?! -

- Perché sono esseri inferiori. –

- Sbagliato, moccioso, non è per questo. - sospirò Inuyasha prima di continuare, - È a causa mia. –

Keiichi lo guardò sbalordito, chiedendosi se lo stesse prendendo in giro o se fosse impazzito del tutto. Cosa poteva mai avere a che fare suo zio con il comportamento di suo padre?

- Perché io sono un mezzo-demone… lo ero. – lo anticipò Inuyasha, immaginando chiaramente la domanda.

Keiichi lo fissò con gli occhi spalancati per qualche istante, sforzandosi di mettere insieme quelle informazioni appena apprese. Suo padre odiava i mezzi-demoni, a causa di suo fratello che era un mezzo-demone. Sembrava tornare tutto… o quasi.

- Che cosa?! – urlò improvvisamente guardando con estrema incredulità quegli stessi occhi ambrati così simili ai suoi. Inuyasha un mezzo-demone?!, si limitò a pensare, sconvolto da quell’affermazione.

- Tzè! Finalmente ho la tua attenzione. –

- È uno scherzo vero? Come è possibile? –

- Ti sembra che stia scherzando, moccioso?! –

- Ma sei un demone completo, come è possibile? –

- Hai mai sentito parlare della sfera dei quattro spiriti? –

- Sì, mi sembra che uno degli anziani del villaggio ne abbia parlato una volta. –

- Era un oggetto potente, in grado di accrescere il potere di chi la utilizzava. Inoltre, poteva esaudire i desideri e… -

- Aspetta! – lo fermò, anticipando da solo la fine del discorso, - Le hai chiesto di trasformarti in un demone completo? –

- Sì, ma… -

- Perché l’hai fatto? – chiese ancora con insistenza, faticando a trattenere l’enorme curiosità che lo divorava.

- Moccioso, la smetti di interrompermi!? Non ho la minima intenzione di rivelarti il… -

- Perché non vuoi dirmelo? –

- Perché no, non mi va di dirtelo! – lo picchiò di nuovo al culmine dell’esasperazione.

Aveva sempre odiato la miriade di domande a raffica che Keiichi era in grado di fare, sin da quando era piccolo. Non aspettava neppure le risposte, faceva domande e basta. E starlo a sentire era decisamente estenuante.

- Ora piantala con tutti questi perché e taci. L’unica cosa che ti dirò è che l’ho fatto per un motivo più che valido e su questa storia non aggiungerò altro. E poi, fammi capire, non ti interessava sapere di tuo padre? –

- D’accordo… - sbuffò Keiichi, tornando a sedersi, leggermente deluso, - quindi eri un mezzo-demone, eh? –

- Sì, sono nato come mezzo-demone, mia madre era umana. Io e tuo padre in realtà siamo… fratellastri. Lui ha sempre incolpato nostro padre per essersi innamorato di un’umana. Lo ha visto come una debolezza, credo. E quando poi lui è morto in combattimento per proteggerla, per proteggere anche me… il suo odio è cresciuto a dismisura. Ha cercato di uccidermi non so neppure quante volte… - sussurrò preso dai ricordi e si rese conto di ciò che stava dicendo solo quando vide Keiichi sussultare.

- Lui… lui ha davvero cercato di ucciderti? –

- Sì, beh, non è poi così drammatico. Anche io ho cercato di ucciderlo spesso. Suppongo che si possa dire che semplicemente non ci sopportavamo. –

- Accidenti… ho sempre pensato che aveste un pessimo rapporto, ma non avrei mai pensato che fosse così brutto. –

- Già, decisamente non era il massimo, però… è successo anni fa. Con l’arrivo di tua madre le cose hanno iniziato pian piano a cambiare e puoi credermi se ti dico che tuo padre era davvero felice e orgoglioso di avere un figlio, a prescindere dal fatto che fosse un mezzo-demone. Non gli importava affatto! Ne sono più che sicuro, anche perché in caso contrario, sicuramente non gli avrei permesso di rimanere accanto a te e a tua madre, ma l’avrei ucciso il giorno stesso in cui Rin è tornata al villaggio incinta di te. –

Keiichi abbassò lo sguardo sentendo solo una grande confusione nella testa. Voleva credere alle parole di Inuyasha, lo voleva con tutto il cuore, ma la verità era che negli ultimi anni suo padre non aveva fatto niente per dimostrare che le cose stessero davvero così.

- Quel giorno, quando li ho visti tornare al villaggio e lei era incinta, - continuò a raccontare Inuyasha, - ho davvero creduto che lui la stesse abbandonando. Prima di quel momento, io non mi ero reso conto di quanto Sesshomaru fosse realmente cambiato. Lo vedevo ancora come il fratello che desiderava la mia morte, quello che odiava umani e mezzi-demoni. Prima di quel momento, non ho mai capito cosa lo legasse veramente a tua madre. Credevo che per lui fosse un gioco, che si stesse divertendo, ma non era così. La amava davvero. –

- D’accordo, ma… te l’ho già detto: forse amava lei, ma io… -

- Ah! Piantala di pensare alle parole di quegli idioti e pensa piuttosto agli anni che hai passato con lui, a quando vi allenavate insieme, a quando ti facevi male, a quando tornava a casa ogni sera per stare con te e tua madre, anche quando diversi impegni richiedevano la sua presenza altrove. Keiichi, credi davvero che lui non ti voglia bene? – concluse guardandolo dritto negli occhi, aspettando di vedervi impressa quella consapevolezza che, lo sapeva, sarebbe presto arrivata.

“E per quanto riguarda tuo padre… lo sai anche tu com’è fatto, lui si chiuderà completamente, ma non pensare mai che non ti voglia bene. Ricordati solo che lui ti adora. Ti ha sempre adorato e anche se non sa dimostrarlo, ti vorrà bene per sempre.”

Quelle erano state le ultime parole che sua madre gli aveva rivolto. Possibile che lei stessa, in punto di morte, avesse ipotizzato una simile svolta per il loro futuro. Possibile che, per tutto quel tempo, avesse frainteso le motivazione di suo padre?

- Quel giorno, pensando che vi stesse abbandonando, io l’ho attaccato e vuoi sapere cosa mi ha risposto? –

- Cosa? – chiese Keiichi confuso e curioso.

Improvvisamente voleva sapere di più. Voleva sapere tutto su suo padre. Conoscere i suoi pensieri e che cosa lo muoveva. Per la prima volta dalla morte di Rin, voleva conoscere la verità.

- È di mio figlio che stai parlando. Lui non sarà mai un essere inferiore. –

Keiichi sussultò, sentendo il suo cuore accelerare i battiti, mentre una sensazione di calore si faceva strada dentro di lui, riscaldandolo completamente.

- Lui… lui ha davvero detto questo? –

- Sì. E puoi credermi se ti dico che neppure per un secondo Sesshomaru si è pentito di te. –

Era stato stupido. Avrebbe dovuto avere più fiducia nelle parole di sua madre e avrebbe dovuto avere più fiducia anche in suo padre. Inuyasha aveva ragione, non avrebbe mai dovuto dare ascolto alle dicerie degli abitanti del villaggio, perché loro non sapevano la verità, loro non avevano vissuto con la sua famiglia.

- Io credevo… credevo davvero che lui mi… odiasse. – iniziò a dire, sentendosi però incredibilmente più leggero, - Sentivo continuamente quelli del villaggio parlarne male, di lui, di mia madre, di me. All’inizio non ci facevo caso, cercavo di ignorarli, ma poi… non lo so, sono cinque anni che non si fa vivo e allora ho iniziato a pensare che forse in quelle voci potesse esserci un fondo di verità. -

- Ma perché non ne hai parlato con qualcuno? Con me, per esempio? –

Ancora una volta, Inuyasha aveva ragione. Avrebbe dovuto farlo subito, invece di distruggersi in quel modo, però…

- Volevo cavarmela da solo, non volevo preoccuparvi. - sussurrò, per poi scuotere energicamente la testa, - No, non è solo questo: forse avevo solo paura che fosse tutto vero. Finché fosse rimasto tutto nella mia testa, avrei potuto credere quel che mi pareva senza averne la certezza, ma se parlandone, avessi scoperto che era tutto vero, se mi aveste detto che mio padre non mi voleva… preferivo non averne la conferma, tutto qua. –

- Sei davvero un caso perso, non c’è che dire. – ghignò Inuyasha, scompigliandogli appena i capelli in un gesto che Keiichi aveva sempre odiato sin da bambino.

- Hei! –

- Keiichi, essere un mezzo-demone è orribile. – tornò immediatamente serio, mentre il ragazzo sbuffava riabbassandosi i ciuffi scompigliati.

- Sai che scoperta! –

- Lo era trecento anni fa e lo è anche oggi. Sembra assurdo, ma da allora non è cambiato assolutamente nulla. La gente ti odierà e avrà paura di te a prescindere da chi sei e da cosa fai. Cercheranno continuamente di escluderti e sminuirti, ti porteranno a mettere in dubbio ogni cosa, alimentando dentro di te un vuoto immenso, finché non ti trasformerai in un concentrato d’odio che desidera unicamente portare la morte. –

- Che prospettiva divertente… -

- Comunque, sono sicuro che te ne sei già accorto da solo, del modo per resistere a tutto questo. –

Keiichi lo guardò pensieroso, per poi annuire debolmente. Era solo una sensazione, ma sentiva di conoscere il significato di quelle parole.

- Devi avere delle certezze, qualcosa che non vacilli mai, nonostante ciò che ti possano dire o fare. Qualcosa in grado di riempire quel vuoto e farti pensare che le cose andranno meglio, anche nei momenti peggiori. –

- Sì, me ne ero accorto… beh, più o meno. Anche quando ascoltavo gli insulti dei ragazzi del villaggio, mi ritrovavo a pensare al fatto che mia madre mi avesse amato immensamente e che per questo motivo non avrei dovuto arrendermi. Questa è una certezza? – domandò poi con aria quasi smarrita e Inuyasha annuì incoraggiante.

- Allora non sei poi così idiota. – lo derise, pensando ancora una volta a quanto quel moccioso gli somigliasse e a quante volte, da piccolo, era stato salvato dalla medesima e incrollabile convinzione.

- Ma piantala! –

- Tzè. Piuttosto, - continuò poi, cambiando radicalmente espressione e scrocchiandosi le dita con aria minacciosa, - Vedi di farti entrare in quella testa vuota che hai anche altre certezze nella tua vita. A differenza mia, hai la fortuna di essere circondato da persone che ti amano e farebbero di tutto per aiutarti. –

Keiichi sussultò sorpreso e Inuyasha capì che non era necessario aggiungere altro: suo nipote aveva capito perfettamente e sicuramente non l’avrebbe più dimenticato.

I successivi minuti li passarono in completo silenzio, impegnati a guardare semplicemente il cielo e le nuvole che si alternavano sopra le loro teste. Tutto sembrava essere stranamente in pace, eppure Inuyasha non poteva fare a meno di avere un pensiero a tormentarlo.
A dire la verità, non era una novità che quel pensiero lo tormentasse. Ci pensava già da diverso tempo, ma ogni volta aveva finito con l’accantonarlo. Stava solamente rimandando l’inevitabile, lo sapeva bene. E ormai era arrivato il momento di farci i conti: non poteva più far finta di niente.

Abbassò lo sguardo tristemente, alzandosi dal pozzo e incamminandosi verso casa. Era la cosa giusta da fare, continuava a ripeterselo come una cantilena, nonostante quel peso sul petto lo opprimesse.

- Keiichi… - sussurrò, continuando a dargli le spalle. Era la cosa giusta ed era inevitabile.

- Cosa c’è? –

- Stasera prepara le tue cose e saluta tutti. Domani mattina all’alba partiamo. - disse dopo un tempo infinito.

Pronunciare quelle poche parole gli era costato uno sforzo immenso, ma non avrebbe permesso che Keiichi crescesse come era cresciuto lui, non quando esisteva un modo per evitarlo.

- Che cosa?! Perché? Che ti stai inventando? Vuoi andartene anche tu adesso? – lo tartassò Keiichi, non prestando attenzione più di tante alle sue parole, ma sentendo il panico impossessarsi di lui all’idea di restare solo.

- Razza di idiota, non ho intenzione di sparire da nessuna parte, ficcatelo in testa! Io ci sarò sempre per te. – si voltò a fronteggiarlo furioso.

- E allora… -

- Tzè, mi pare ovvio… ti riporto da tuo padre. – sussurrò poi andandosene e lasciandolo solo, confuso su ciò che avrebbe dovuto provare in quel momento.

Sesshomaru avrebbe capito o lo avrebbe costretto ad aprire gli occhi, in qualche modo, perché quella era l’unica cosa giusta.

Inuyasha tornò sui suoi passi, per poi salire su uno degli alberi vicini alla sua casa, su uno dei rami più alti, da dove avrebbe potuto tenere d’occhio la sua famiglia e allo stesso tempo rimanere da solo con i suoi pensieri.
Appoggiò la schiena contro il tronco e guardò nuovamente il cielo.

Era davvero dolorosa quella decisione, più di quanto avesse pensato. Quando Sesshomaru se ne era andato affidandogli suo figlio, Inuyasha era ben consapevole che prima o poi sarebbe tornato a prenderlo. Sapeva che era solo questione di tempo prima che i due si riunissero e che il suo ruolo nella vita del ragazzo terminasse. Lo sapeva benissimo, per questo si era impegnato ogni singolo giorno per prepararsi a quel momento e invece, l’unico risultato che aveva raggiunto era stato quello di affezionarsi a Keiichi sempre di più. Fino a che, un giorno, si era reso conto, quasi con stupore, di considerarlo come un figlio.

Era stata una bella sensazione sentirsi padre. E forse era stato proprio per questo motivo che non si era più preoccupato del momento in cui avrebbe dovuto dirgli addio. Aveva deciso che si sarebbe goduto quel tempo con lui a prescindere dal futuro, ma la consapevolezza che per niente al mondo sarebbe mai riuscito a prendere il posto di Sesshomaru, era rimasta sempre presente in un angolino della sua testa. Era consapevole del fatto che avrebbe potuto smuovere mari e monti, ma quello di cui Keiichi aveva realmente bisogno era la presenza di suo padre e Inuyasha non era minimamente compreso in quella necessità. 

Sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe avuto un figlio, un figlio suo e di Kagome, frutto del loro amore, che avrebbe tenuto con sé il più possibile e che non avrebbe allontanato per niente al mondo, ma non era ancora arrivato quel momento. Ed ora, doveva fare ciò che era meglio per Keiichi, anche se era una scelta dolorosa.

Per tutta la notte rimase su quell’albero, a riflettere e dormire. Non scese neppure quando sentì Miroku chiamarlo per chiedergli di andare a cena da loro. Ascoltò distrattamente le parole del nipote mentre spiegava la sua decisione di riportarlo dal padre e quando l’immagine dei volti dei suoi amici, pieni di tristezza e preoccupazione, gli invase la mente, sbuffò seccato, sforzandosi di non ascoltare più.

Sarebbe stato bene. Infondo aveva passato gran parte della sua vita da solo. Il fatto che Keiichi se ne andasse non cambiava proprio nulla. Non aveva bisogno che qualcuno gli dimostrasse compassione. Sarebbe senz’altro stato bene.

 

 

Quando i primi raggi del sole filtrarono attraverso i rami dell’albero, colpendolo dritto sul volto, si rese conto di essersi addormentato. Il sole non era molto alto, segno che l’alba doveva essere passato da poco. Senza aspettare oltre si lasciò cadere, atterrando ai piedi del tronco con estrema grazia, nonostante il volo di svariati metri.

Seguì l’odore di Keiichi fino alla capanna, stupendosi di vedere già tutti in piedi, ad aspettarlo.

- Sono pronto. – lo sentì dire, non appena si accorse della sua presenza.

Annuì semplicemente, rivolgendo poi un’occhiata a Sango e Miroku. Sui volti di entrambi si leggeva una grande incertezza, ma nessuno dei due diede voce a quei dubbi. Sapevano che, anche se era doloroso, era lui a dover decidere e che in quel momento stava facendo la cosa migliore per il giovane mezzo-demone.
Tutti lo salutarono con le lacrime agli occhi e Inuyasha quasi si divertì nel notare l’imbarazzo che il ragazzo stava man mano accumulando. Fu quando poi Sango lo abbracciò che lo vide arrossire a dismisura e pensò che forse era arrivato il momento di salvarlo.

- Ah, ma quanto la state facendo lunga! Non vi state mica dicendo addio! Tornerà a trovarci spesso, non se ne sta andando via per sempre! – protestò Inuyasha infastidito, ricevendo un’occhiata di gratitudine dal nipote, ancora stretto dall’abbraccio stritolante della sterminatrice.

- Promettilo! – gli chiese Sango, allontanandolo leggermente, - Prometti che tornerai a trovarci! –

E Keiichi annuì con convinzione, guardando prima lei e poi il suo migliore amico, che gli sorrise di rimando.

Avevano passato tutta la notte a parlare, dopo essersi chiesti scusa a vicenda ed essere scoppiati a ridere insieme, come quando erano piccoli. L’idea di doversi separare non era andata particolarmente a genio a nessuno dei due, ma entrambi l’avevano accettata pensando che fosse la cosa migliore e il fatto di essere ancora legati da quella promessa stipulata anni prima, li rese stranamente fiduciosi ed entusiasti per il prossimo futuro.

- Lo prometto. – sussurrò Keiichi sorridendo.

In fondo, era cresciuto con quella strana, caotica e numerosa famiglia. Loro si erano presi cura di lui quando sua madre era morta e quando suo padre se ne era andato. Lo amavano incondizionatamente. Erano la sua famiglia a tutti gli effetti e non avrebbe mai permesso che quello fosse un addio. Inuyasha aveva ragione: ognuno di loro rappresentava una certezza.

Fu con questi pensieri per la testa che Keiichi e Inuyasha si misero in viaggio, diretti ad ovest.

 

 

***

 

 

Per diversi giorni i due camminarono spediti, fermandosi la notte per riposare qualche ora, scontrandosi solo raramente con demoni di rango inferiore e fermandosi nei villaggi che incontravano lungo la strada, unicamente in caso di necessità.

Più si avvicinavano ai confini con il grande regno dell’ovest, destinazione finale del loro viaggio, più il nervosismo di Keiichi diventava palese e difficile da ignorare.
Per tutto il tempo Inuyasha aveva fatto finta di niente, ignorandolo o cercando di distrarlo, ma la situazione continuava a peggiorare ed evitare di parlarne aveva avuto l’unico effetto di innervosire anche lui. Così entrambi si erano ritrovati di punto in bianco con i nervi a fior di pelle, pronti a scattare alla minima parola storta che si sentivano rivolgere.
Fu per questo che un giorno Inuyasha prese la drastica decisione di fermarsi di colpo nel bel mezzo della strada, con le mani tremanti stese lungo i fianchi e il fumo che gli usciva dalla testa. Si girò verso il nipote, confuso per quell’imprevisto e gli assestò un poderoso pugno in testa.

- Si può sapere qual è il problema?! – gli urlò prima che il ragazzo avesse modo di lamentarsi.

L’occhiataccia che Keiichi gli lanciò di rimando fu così gelida che per un momento in essa riconobbe l’espressione di Sesshomaru, ma immediatamente lo vide abbassare lo sguardo, come se ci avesse ripensato.

- Non ti leggo nel pensiero. – protestò poi indignato, senza tanti giri di parole, - Uffa, quando fai così sei peggio di tuo padre! -

Notò un lampo di soddisfazione e di entusiasmo attraversargli il volto e si ritrovò a pensare, con un moto di stizza, che somigliare a Sesshomaru non era certo una cosa di cui andare così tanto fieri. Stava quasi per andarsene, più infastidito di prima, quando finalmente Keiichi parlò:

- Zio… - lo chiamò e Inuyasha seppe con certezza che in quel momento il nipote era più fragile del solito, dal momento che solo in pochi casi si era sentito chiamare in quel modo e tutte le volte era stato guidato dal bisogno di avere delle rassicurazioni, - non pensi che lui non vorrà saperne di me? Sì, insomma, potrebbe anche mandarmi via… -

Inuyasha si ritrovò spiazzato da quel pensiero. In effetti non sapeva se Sesshomaru l’avrebbe tenuto con sé, aveva semplicemente dato per scontato che l’avrebbe fatto.

- In un modo o nell’altro, lo farà. – gli disse semplicemente, riprendendo a camminare.

Forse ci avrebbe messo del tempo per accettare la sua presenza, forse all’inizio lo avrebbe ritenuto un peso, ma alla fine, ne era certo, si sarebbe abituato alla sua presenza, esattamente come era accaduto con Rin.

Keiichi non riprese più il discorso, sapeva che Inuyasha non l’avrebbe mai ingannato, dicendogli che sarebbe andato tutto bene, con il rischio magari di dargli false speranze, ma in un certo senso, anche se non aveva avuto rassicurazioni, si sentì più tranquillo. Inuyasha avrebbe provato con tutto se stesso a convincere suo padre e questo per il momento gli bastava.  

Una volta arrivati sufficientemente vicini alle terre dell’ovest, iniziarono ad informarsi e a chiedere notizie di demoni presenti in zona, sicuri che la presenza di Sesshomaru o i suoi spostamenti non passassero completamente inosservati.
Fu proprio in uno dei villaggi più vicini al confine che un gruppo di uomini, guidati da un anziano fin troppo in là con l’età, si avvicinò a loro, dopo aver sentito una descrizione di Sesshomaru.

- Anche voi fate parte di quel grande gruppo di demoni venuto qui tre giorni fa? – domandò il vecchio, ricevendo in cambio solo sguardi confusi.

- Un gruppo di demoni? Chi erano? – domandò Inuyasha incuriosito.

- Non lo sappiamo. – parlò un altro, - Saranno stati una cinquantina, demoni di ogni specie, ma molto simili a voi. Anche loro avevano sembianze simili a quelle umane. –

- A me hanno dato l’impressione di provenire da molto lontano e inoltre, non sembravano conoscersi bene: a dire la verità, era come se si fossero trovati insieme per caso. – aggiunse un altro, ricevendo cenni di approvazione.

- Cosa volevano? Vi hanno attaccati? – domandò Keiichi, scambiandosi un’occhiata perplessa con Inuyasha.

- No, hanno solo chiesto informazioni, proprio come voi, su quel demone di cui stavate parlando. –

- Chiedevano informazioni su mio padre?! – fece eco Keiichi.

- Cosa volevano da lui? – si intromise nuovamente Inuyasha, rivolgendosi direttamente al vecchio, - Hanno detto qualcosa a riguardo? –

- No, volevano soltanto sapere quanto fosse forte e hanno chiesto quali fossero i confini del suo regno. –

- Hanno domandato anche quell’altra cosa. – gli ricordò poi un ragazzo forse poco più grande di Keiichi.

- Già, è vero. Hanno anche chiesto se negli ultimi tempi fosse mai accaduto qualcosa di strano ai demoni di questa zona. –

- Qualcosa di strano? Di che tipo? – domandò ancora Inuyasha.

- Abbiamo provato a domandarglielo, ma quelli hanno risposto che se fosse accaduto qualcosa ce ne saremmo sicuramente accorti. –

Inuyasha e Keiichi li ringraziarono per l’aiuto, allontanandosi e proseguendo nella direzione che quegli uomini avevano indicato loro, la stessa dove erano diretti quei demoni.

- Che significa secondo te? – domandò ad un tratto Keiichi, rompendo quel silenzio ormai divenuto insopportabile.

- Non ne ho idea. –

- Volevano sapere di mio padre e probabilmente si staranno dirigendo da lui in questo momento. E poi quella strana domanda… che dovrebbe essere successo ai demoni della zona? Inoltre, non è strano che viaggiassero insieme? Per quanto ne so, è quasi impossibile che demoni di quel tipo si uniscano in gruppi. -

- Sono d’accordo con te. Non è affatto normale… -

In tutta la sua vita Inuyasha aveva osservato i comportamenti dei demoni nei confronti dei loro simili e del resto del mondo. Non era raro che dei demoni si unissero in gruppi, ma questo riguardava soltanto quelli di rango inferiore, dall’aspetto di animali o demoni appartenenti ad una stessa specie, come quelli delle tribù. Mai nella storia aveva visto demoni dalle sembianze umane e di specie diverse unirsi in un gruppo tanto grande. Il naturale istinto alla supremazia e ad accumulare più forza avrebbe dovuto impedire ogni eventuale collaborazione.

Che cosa stava succedendo?

 

 
 

***

 
 

 

Fu dopo dieci giorni esatti dalla loro partenza che finalmente oltrepassarono il confine con le terre dell’ovest e la presenza di Sesshomaru iniziò a farsi sempre più forte. Per qualche ragione, nel giro di pochi passi soltanto, l’aria cambiò radicalmente e un vento gelido si alzò, portando con sé odore di sangue e disperazione.

Inuyasha iniziò a correre ancora prima di capire cosa fosse. Sentiva solo che doveva sbrigarsi. Qualsiasi cosa stesse accadendo doveva essere sicuramente collegata con Sesshomaru e per qualche ragione, non era niente di buono.
Keiichi lo seguì in silenzio tenendo il passo, immaginandone i pensieri e sentendo una morsa serrargli la gola. Poi improvvisamente una grande radura si spalancò davanti ai loro occhi e Inuyasha si fermò di colpo, impedendogli di proseguire.

- Vai lì e non muoverti finché non te lo dico io. – gli ordinò, indicandogli un punto dietro gli alberi.

- No, aspetta, io… -

- Vai lì! È un ordine! –

Keiichi annuì arrabbiato, guardandolo allontanarsi rapidamente. Non capiva. Perché doveva nascondersi? Non riuscì a pensare altro che subito una dirompente folata di vento lo costrinse a serrare gli occhi. Fece appena in tempo a collegare quel vento con la tecnica di Tessaiga, quando l’impatto di due spade che cozzavano ripetutamente fra di loro attirò la sua attenzione. E fu lì che lo vide. Uguale a quando se ne era andato. Lo stesso portamento fiero, la stessa rigidità nell’espressione.

- Padre… - sussurrò e non riuscì ad elaborare altro che non fosse l’immagine del genitore e di suo zio che combattevano.

 

Inuyasha aveva visto distrattamente Bakusaiga prepararsi a scagliare il suo attacco e decine di demoni, chiaramente non interessati ad un combattimento, sul punto di morire. Non aveva capito niente, né si era preoccupato di dover capire. Aveva lanciato la cicatrice del vento e si era scagliato con violenza su Sesshomaru quasi contemporaneamente, non lasciandogli il tempo di riprendersi per la sorpresa.

- Ma hai perso completamente il cervello?! – gli urlò, cercando di disarmarlo.

- Che ci fai tu qui? – rispose gelidamente Sesshomaru assottigliando lo sguardo.

- Non provare a cambiare discorso! Che diavolo ti sei messo in testa, si può sapere!? Cosa c’è, stai progettando uno sterminio di massa per passare il tuo tempo libero?! –

- Non è affare che ti riguarda quello che faccio nel mio tempo libero. –

Poi contemporaneamente i due si fermarono, limitandosi a squadrarsi, pronti ad un nuovo attacco.

- Hei voi! – urlò Inuyasha non distogliendo l’attenzione dal fratellastro, ma facendo solo un cenno con la coda dell’occhio al numeroso gruppo di demoni dietro di lui, - Sì, dico proprio a voi! Se ci tenete alla vostra pellaccia, cercate di sparire e in fretta. -

- Tu non devi intrometterti. – sibilò minaccioso Sesshomaru, ma i demoni avevano iniziato già a dileguarsi.

- Peccato. – ghignò Inuyasha, - Chissà, magari se me l’avessi detto prima… Mi dispiace Sesshomaru, ma almeno per oggi dovrai vivere senza il tuo omicidio quotidiano. –

Il demone si limitò ad un’espressione seccata, prima di riporre nel fodero la sua spada e voltarsi.

- Non pensare di andartene così! Non ho fatto tutta questa strada solo per prendere un po’ d’aria fresca. Ho una faccenda importante da discutere con te, ma prima voglio assolutamente sapere cosa ti passa per la testa! Chi diavolo erano quelli? –

- Nemici. –

- Non dire assurdità, Sesshomaru! C’erano dei bambini in quel gruppo! Non credo che un nemico si porti appresso dei cuccioli! –

- Forse. – rispose in modo enigmatico, guardandolo con quell’aria di superiorità che riusciva a mandare Inuyasha letteralmente fuori di testa.

Ora ne era davvero sicuro: lo avrebbe ucciso. All’istante. In modo veloce e indolore. Non gli interessava che soffrisse, non era importante vederlo steso a terra, agonizzante, nell’ultimo superfluo tentativo di implorare pietà. Nonostante una simile scena fosse il suo sogno segreto da secoli, avrebbe anche potuto rinunciarvi in quel momento. Tutto, pur di ucciderlo davvero.

- Che diavolo vuol dire forse?! Volevi ucciderli! Pensavi fossero nemici!? Che ti è successo? -

- Sai mezzo-demone… - e il diretto interessato sussultò, perché per quanto ne potesse dire, erano anni che Sesshomaru non lo chiamava in quel modo, - non importa quanto tempo possa passare, tu resti sempre il più grande fra gli ottusi. –

- Bastardo, che cosa hai detto?! –

Inuyasha si mise in posizione d’attacco, guardandolo minaccioso, ma Sesshomaru agitò appena una mano, invitandolo a calmarsi.

- Non te lo consiglio. Attaccarmi, intendo. Ora come ora, non hai nessun valore per me. La tua esistenza, mezzo-demone, è inutile. Non esiterei un solo istante a farti fuori e credimi, non riusciresti neppure a difenderti. Perciò, non attaccarmi, se non vuoi morire. –

Inuyasha sussultò, finendo inevitabilmente con il seguire il consiglio. Non sapeva per quale ragione, ma solo guardandolo negli occhi, era sicuro che Sesshomaru non stesse affatto mentendo. Se avesse fatto qualcosa di sbagliato, lui l’avrebbe attaccato senza esitare, e probabilmente, a differenza dei loro ultimi scontri, questa volta sarebbe riuscito ad ucciderlo davvero.

Possibile che fosse cambiato così tanto?

- Ti fidi sempre troppo, mezzo-demone. Di me, di quei demoni, degli umani… Quegli inutili esseri pretendevano il mio territorio e che io sprecassi energie per difenderli. Non meritavano di vivere. E per quanto riguarda te, pensavi forse che le cose fra noi fossero cambiate? Che ti considerassi… mio fratello? -

Inuyasha sentì il suo cuore colmarsi di delusione e improvvisamente si rese conto che, anche se poteva sembrare strano, la risposta a quella domanda era molto diversa da quella che avrebbe dato in passato.

Sì, lo aveva pensato. Inconsciamente, negli ultimi anni, aveva iniziato a vedere Sesshomaru non per il demone bastardo, assetato di sangue, che voleva la sua morte, ma come il fratello antipatico che comunque tollerava la sua presenza. Nella sua mente, la sua immagine era cambiata a poco a poco ed era vero quello che Sesshomaru diceva: alla fine aveva iniziato a fidarsi di lui. Non era stato un percorso immediato, anzi, tutto il contrario, eppure ogni volta sempre di più aveva finito con l’abbassare la guardia in sua presenza, a credere che non fosse in pericolo, perché dopotutto. per la prima volta, erano dalla stessa parte e condividevano qualcosa.

Inuyasha si fidava di Sesshomaru.

- Vedrò di non dimenticarlo più. – disse solo, sostenendo il suo stesso sguardo, separando l’immagine del vecchio Sesshomaru da quella dell’individuo che si trovava davanti, trattandolo nuovamente per quello che era: un estraneo, un nemico.

Improvvisamente fu solo il vento a fare da testimone a quello scontro silenzioso, mettendo a tacere domande che non avrebbero mai avuto risposta e dolorosi rimorsi che avrebbero continuato a crescere ed intensificarsi, fino a trasformarsi in urla strazianti di disperazione. Poi ad un tratto ci fu un cambiamento nell’aria ed entrambi lo notarono, sussultando.

- Portalo via. – disse lapidario Sesshomaru ed Inuyasha strinse i pugni, fremendo di rabbia.

Non lo avrebbe considerato suo fratello. Non lo avrebbe considerato un alleato. Avrebbe fatto in modo di non rivederlo mai più, per tutto il tempo che gli restava da vivere, ma Keiichi… lui non avrebbe avuto quel trattamento, ad ogni costo.

- Non lo farò. –

- Mezzo-demone, pensi che mi farò forse problemi ad abbandonarlo a se stesso? – lo sfidò Sesshomaru, mentre un nuovo grido nella sua testa veniva soppresso con forza.

Inuyasha dovette impegnarsi con tutto se stesso, per evitare che la rabbia incontrollata che provava esplodesse.

- Anni fa hai detto che io e Keiichi siamo diversi. – disse, mentre un lampo d’odio gli infiammava lo sguardo, - Hai detto che Keiichi non sarà mai come me. Che vuoi fare ora?! Vuoi che lui diventi come me? Senza una madre e senza un padre, solo al mondo, costretto a dover sopportare l’odio di chiunque incontrerà sul suo cammino?! È questo che vuoi?! –

- Se la caverà da solo. –

- Se la caverà da solo!? È tutto qui quello che sai dire?! Pensi che Rin sarebbe felice di questo?! –

E fu solo un attimo, prima che si ritrovasse ad annaspare disperatamente in cerca d’aria.

- Non osare nominarla. –

Inuyasha si ritrovò steso a terra a tossire convulsamente, nel tentativo di tornare a respirare normalmente.

- Se sei così preoccupato per lui, continua ad occupartene come hai fatto finora e non venire più ad importunare me. –

- Dannazione, Sesshomaru… - sussurrò, spingendo con forza i pugni contro la terra, rialzandosi lentamente, - lo vuoi capire che io… io non vado bene… io non sono suo padre! – urlò improvvisamente e in quella frase, lasciò trapelare tutto il dolore che provava, per quella separazione che si stava costringendo a fare, - Per quanto possa vederlo come un figlio, per quanto possa prendermi cura di lui, io non sono suo padre… non è di me che ha bisogno! Keiichi è tuo figlio, tuo figlio, maledizione! Tuo e di Rin! Perciò smettila di fare la vittima incompresa e prenditi cura di lui come avrebbe voluto lei, come avrebbe fatto lei! E non mi importa se ora mi ucciderai, ma devi aprire gli occhi! Perché Rin lo amava più di ogni altra cosa e se ora lo lasci andare, se lo abbandoni a se stesso, devi essere consapevole del fatto che stai gettando via ciò che lei più amava! Te ne rendi conto, Sesshomaru!? –

Il demone non rispose. Rimase immobile e impassibile come sempre. Poi si voltò semplicemente verso gli alberi, dove poco prima aveva sentito la presenza di suo figlio.

Era cresciuto così tanto… pensò, non staccando gli occhi da lui. Gli somigliava, gli somigliava in un modo incredibile: i capelli, gli occhi, quei segni demoniaci sulle guance, l’espressione e l’atteggiamento inconsapevolmente fiero, ma dietro a tutto quello che si vedeva in apparenza, Sesshomaru riuscì a scorgere chiaramente l’immagine di Rin. Nei lineamenti fini del volto, nella dolcezza che esprimevano i suoi occhi, nell’impazienza che sembrava torturarlo.

Quello era… il loro bambino. Lo stesso che lo aveva chiamato papà a tre anni suonati e lo aveva abbracciato inondandogli il cuore d’amore, lo stesso che aveva espresso il desiderio, a cinque anni, di voler essere un demone forte come lui, così da renderlo orgoglioso; lo stesso che, a sette anni, aveva giurato vendetta ad un demone ormai morto stecchito solo per aver osato fare un graffio sul bracciò del suo papà; lo stesso che Sesshomaru aveva abbandonato, perché guardarlo negli occhi era diventato improvvisamente troppo doloroso.

Ma ora, quelle urla… quel rimorso… dovevano assolutamente smettere di esistere.

Inuyasha si allontanò da lui senza aspettare una risposta, positiva o negativa che fosse. Dopotutto, aveva una buona sensazione, o quantomeno, era abbastanza sicuro che in caso contrario non sarebbe stato ancora in vita per formulare quei pensieri.
Così gli voltò le spalle. Aveva fatto tutto il possibile, il resto spettava unicamente a Sesshomaru e alla presenza di Keiichi. Continuò a camminare verso il nipote, con un accenno di sorriso sulle labbra e quando lo vide corrergli incontro con lo sguardo preoccupato e speranzoso, mise su la migliore delle espressioni vittoriose, scompigliandogli poi i capelli, nascondendo la nostalgia e il dolore che già avevano preso in ostaggio il suo cuore.

- È andata bene? Che ha detto? Lui… ? -

- Idiota. – lo interruppe con un leggero pugno sulla testa, meritandosi un’occhiata di rimprovero e un broncio profondamente offeso, - Te l’avevo detto che si sarebbe preso cura di te, a prescindere che lo volesse o meno, no? Non sarà per niente facile, ma la tua presenza lo aiuterà a tornare quello di prima. Devi solo avere un po’ di pazienza. – lo incoraggiò poi, pensando che per fortuna aveva avuto l’idea di farlo nascondere in un punto sottovento, in modo che non ascoltasse la loro conversazione.

- Lo aveva detto anche la mamma… - sussurrò Keiichi sorridendo appena.

- Ora vai moccioso, muoviti, prima che se ne vada e ti lasci qui. – lo spinse improvvisamente, riprendendo a camminare nella direzione opposta, senza voltarsi indietro.

Quel momento era fin troppo doloroso di per sé, non avrebbe contribuito a renderlo ancora più straziante, riempiendolo di parole smielate e raccomandazioni superflue.

Improvvisamente si ritrovò a constatare che anche quella storia era finita. Era finita davvero. Un altro nome si era aggiunto alla lista delle persone che avevano fatto parte della sua vita e che l’avevano abbandonato, ma andava bene così, era la cosa più giusta.
Avrebbe riscoperto cosa si provava a starsene da soli, senza nessuno a cui dover badare, senza nessuno di cui doversi preoccupare. Avrebbe riscoperto il silenzio.
Beh, almeno per il tempo del viaggio di ritorno. Una volta al villaggio sarebbe ripiombato nel folle caos, generato da poppanti urlanti e adulti fuori di testa, che era la famiglia di Sango e Miroku. Avrebbe davvero dovuto impegnarsi per non mostrare loro il dolore che la separazione con Keiichi gli stava procurando e se li conosceva almeno un po’, era sicuro che sarebbe stato tutto inutile. Lo avrebbero tartassato e trattato con mille e più premure, proprio come quando se ne era andata via Kagome.
Forse avrebbe fatto meglio a godersi la poca tranquillità durante quel breve viaggio di ritorno.

- Inuyasha! – si sentì chiamare improvvisamente e tremò all’eventualità che tutto il discorso di poco prima non avesse avuto il minimo effetto su Sesshomaru.

Vide Keiichi corrergli incontro, fermandosi proprio davanti a lui. Sembrava vagamente pensieroso e titubante, mentre spostava il peso da una gamba all’altra. Poi ad un tratto lo guardò dritto negli occhi con rinnovata decisione.

- Non andare a sud. –

Inuyasha sgranò gli occhi, sbattendoli ripetutamente. Avrebbe voluto chiedere cosa volesse dire quella frase, ma tutto quello che riuscì a dire fu:

- Eh? –

- Non guardare me! Io non ne ho proprio idea. Parla ancora meno di prima! Sarà una fatica enorme riuscire a capirlo! – cercò di lamentarsi Keiichi, ma dal sorriso che affiorava spontaneamente sul suo volto non sembrava essere poi tanto disturbato da quella nuova scoperta, - Ha detto solo: non andare a sud. Quindi, beh, suppongo che non dovresti andarci. Tutto qui. –

Inuyasha lo voleva uccidere. Kami-sama se lo voleva uccidere!

- Tzè. Poteva anche risparmiarselo. – borbottò, voltandosi arrabbiato, ma ancora una volta Keiichi lo fermò.

- Che c’è ancora?! –

Il mezzo-demone abbassò lo sguardo imbarazzato, torturandosi appena le mani.

- Ecco, io… volevo dirti… grazie… sì, insomma, per tutto quello che hai fatto. Grazie. –

- Tzè! Ma senti che moccioso idiota. – arrossì a dismisura, sforzandosi di non sorridere, – Ritiro quello che ho detto prima: non gli assomigli proprio. Piuttosto… vedi di non sparire e fatti vivo ogni tanto. -

- Lo farò. È una promessa! –

 

 
 

***

 

 
 

Quanto tempo era passato?, si chiese Inuyasha ripercorrendo la strada verso casa.

Trentatré anni…

Poco, troppo poco. Un tempo infinitamente breve.

Il momento del suo ricongiungimento con Kagome gli sembrava lontano come un miraggio e ogni giorno che passava, invece di essere un ulteriore scalino che lo avrebbe portato in cima, non era altro che un nuovo peso che si posava sulle sue spalle, complicandogli il già difficile cammino.

Tutte le persone più importanti della sua vita continuavano a morire o a scomparire nel nulla. Suo padre e sua madre, Kikyo, Kagome, Rin, Keiichi e Sesshomaru. Tra non molto tempo era sicuro che avrebbe dovuto dire definitivamente addio anche a Sango e Miroku.
Tutti se ne andavano e lui continuava a vivere. Che avrebbe fatto quando anche loro lo avrebbero lasciato?

Rimanere completamente solo… sarebbe stato in grado di sopportarlo?

 

 

 

 

 

 
 

 

 

Angolino di Aredhel

 

 

 

No, non sono un miraggio, ma quasi. :P

Nuovamente (sì, lo so, sto diventando ripetitiva) vi chiedo immensamente scusa per il ritardo. Credevo che sarei stata un po’ più libera con la fine dell’università e invece ho avuto diversi imprevisti. :P Comunque, spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo lungo quasi quanto il precedente. A me, personalmente, non fa impazzire, quindi vi chiedo un giudizio brutale e sincero: che ne pensate?

Sono molto tentata di lasciarvi il solito siparietto-lezioncina di storia, (anche una di geografia inizia ad essere necessaria) ma temo proprio che stavolta dovrò trattenermi per non anticipare troppo ciò che avverrà effettivamente nel prossimo capitolo. In ogni caso, vi ho lasciate qualche indizio sparso nel capitolo. Qualcuno vuole fare delle ipotesi? Che cosa pensate che accadrà?

Il prossimo capitolo, che spero arrivi presto, ma non prometto niente, perché a quanto pare mi porto sfortuna da sola, si intitolerà… eheh… no facciamo così, vi do due indizi perché sono tanto buona: il primo titolo che avevo messo al capitolo, ma che ho recentemente scartato, era Un incontro inaspettato (chi indovina di chi si parla?), ma il nuovo e decisamente più sadico titolo è… Preludio di una tragedia… muahahah. Sì, ci saranno tanto amore e risate. :P

Un bacio grande a tutti e un grazie infinito a chi continua a seguirmi nonostante i tremendi ritardi. Vi adoro!

 

Aredhel

 

PS. Se qualcuno di voi ricorda ancora l’altra mia storia… bravi, quella piena di rapimenti e follie :P non ho idea di quando la aggiornerò. Sono bloccata, ma bloccata che non potrei essere più bloccata, quindi non so, armatevi di tanta pazienza e perdonatemi. Prometto che ritornerò anche con quella. ;)

 


 

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Capitolo 9
*** Preludio di una tragedia ***


AVVISO: Visto che mi sono arrivate diverse domande/richieste riguardo il personaggio di Kagome, ho pensato di fare qui una piccolissima precisazione sulla storia, in modo che tutti possano leggerla. I’ll always find you non è incentrata sulla coppia InuyashaxKagome, sebbene tale coppia sia presente, ma è incentrata solo ed unicamente su Inuyasha. Lui è il personaggio principale, tutti gli altri hanno il ruolo di comparse, più o meno importanti, della sua lunghissima vita. Lo stesso discorso vale quindi per Kagome: lei è solo la meta di Inuyasha, è il pretesto della ricerca e dell’attesa. Per questo motivo non viene dato molto spazio alla loro coppia e anche a tutte le altre.

Ps. Come avrete notato, ho alzato il rating ad arancione. Forse è eccessivo, forse no. Comunque, è dovuto ad alcune descrizioni piuttosto pesanti, presenti in questo capitolo e molto probabilmente anche nel prossimo. Mi sono impressionata da sola scrivendole, quindi ho voluto avvertivi. :)  





 
I'll always find You








9. Preludio di una tragedia





  [Anno 1813]

 

Doveva essersi perso qualche passaggio. Questo pensava Inuyasha guardando il piccolo, ma compatto gruppo di samurai che lo aveva circondato. Armati fino ai denti, vestiti con pesanti abiti che ne rendevano irriconoscibile persino l’aspetto. Lo guardavano dritto negli occhi, senza mostrare il minimo accenno di timore o indecisione. Gli avevano ordinato di non muoversi di un solo passo o in caso contrario avrebbero dovuto attaccare; e la posizione da combattimento che avevano assunto, con le katane strette saldamente e le frecce pronte per essere scagliate, non lasciava dubbi riguardo le loro intenzioni. 

Stolti, aveva pensato. Deboli umani che osavano attaccare un demone come lui? Dovevano essere ubriachi, non potevano esserci altre spiegazioni. Non sembravano per nulla forti o dotati di qualche potere speciale; spazzarli via definitivamente sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Eppure, nonostante questa sua convinzione, Inuyasha era in attesa. Sorprendentemente, l’incredibile sicurezza che riusciva a leggere nei loro occhi lo stava facendo tentennare più del previsto.
Perché non avevano alcun timore di fronteggiare un essere che avrebbe potuto ucciderli tutti semplicemente con un colpo? Non riusciva a spiegarselo. Né riusciva a spiegarsi quella calma surreale che li aveva completamente inglobati, estraniandoli dal resto del mondo circostante. Chi diavolo erano quei soldati? Che cosa potevano mai volere? Aveva un brutto presentimento, non poteva negarlo, ma nonostante tutto, non poteva fare a meno di ripetersi quanto una sua vittoria schiacciante fosse assolutamente scontata: era lui il demone, dopotutto!

- Siamo pronti, signore. Attendiamo i suoi ordini. – sentì dire ad un tratto uno di loro. La voce resa irriconoscibile ed ovattata, a causa dell’ingombrante maschera che copriva quasi interamente il volto, rivelando solo i sottilissimi occhi, ridotti a due fessure per l’eccessiva concentrazione.

- Sembra abbastanza forte, non è vero? – constatò il diretto interessato, seguendo un ragionamento tutto suo, senza aspettarsi conferme o smentite. A passo lento, si avvicinò al demone, liberando mano a mano il volto da quell’impedimento troppo ingombrante, che gli impediva di confrontarsi faccia a faccia con la sua preda.

Per gli istanti successivi, Inuyasha e il misterioso sconosciuto si limitarono a scrutarsi attentamente, studiandosi fin nei minimi dettagli, cercando di leggere, ognuno nella mente dell’altro, quella che sarebbe stata la mossa successiva. Infine, lo sconosciuto piegò le labbra in un ghigno tutt’altro che rassicurante.

Doveva avere una trentina d’anni, o forse poco più, constatò Inuyasha. I lineamenti marcati e gli zigomi piuttosto pronunciati sembravano quasi mettere in risalto la piega che le labbra sottili avevano assunto. I capelli neri e lisci, che terminavano alla base della nuca, gli ricadevano leggermente sul volto, lasciando intravedere due occhi di un nero brillante, dotati di una straordinaria profondità.
Senza neppure sapere il perché ad Inuyasha venne naturale paragonarli a quella che per tanti anni era stata la maledizione di Miroku. Solo poche volte si era trovato faccia a faccia con il vortice del vento, ma quell’incredibile oscurità, proprio nel punto centrale di quel tremendo potere, non l’aveva più dimenticata. Ed ora quegli occhi gliela ricordavano in un modo incredibile. Guardandoli, poteva provare la stessa identica sensazione di venir catturato, di perdersi, come se la sua stessa anima venisse realmente risucchiata al loro interno.

Si ripeté mentalmente di stare all’erta e prestare la massima attenzione a qualsiasi movimento di quell’ultimo arrivato. Nonostante fosse solo un umano, aveva la sensazione che fosse diverso da tutti gli altri e come a voler confermare la sua impressione, il brutto presentimento che aveva sentito fino a quel momento si era di colpo acuito.

- Era tanto che cercavo un tipo come te, sai? – gli disse ad un tratto, guardandolo con un entusiasmo che Inuyasha definì quasi terrificante. – Iniziavo a stufarmi: incontrare sempre i soliti demoni da due soldi, sconfiggerli con un unico colpo… non è molto divertente, non ti pare? Sono certo che puoi capirmi, deve essere sicuramente capitato tante volte anche a te. Noi abbiamo bisogno di un avversario al nostro livello per entusiasmarci. Non sei d’accordo, cagnolino? -

- Tzè, non farmi ridere! Sei un povero illuso se credi veramente di essere al mio livello! – ringhiò Inuyasha minacciosamente, scrocchiandosi le dita e andando a posare la mano sull’elsa della spada, pronto ad estrarla da un momento all’altro.

Quel tipo era riuscito ad urtarlo in appena cinque secondi di conversazione. E il luccichio sinistro che gli leggeva negli occhi, unito a quel fastidiosissimo sorrisetto di scherno, non faceva altro che peggiorare il tutto, incrementando all’inverosimile la sua voglia di ucciderlo all’istante.

- Oh, oh! Il cagnolino ha tirato fuori gli artigli! Mi piace… - sussurrò sadicamente, per poi rivolgersi ai suoi compagni, - Potrebbe essere il candidato adatto per il nostro piccolo esperimento. Procedete pure con la dose massima. –

- Sì signore. –

Immediatamente l’uomo interpellato si dileguò, riponendo le armi e contemporaneamente un altro prese il suo posto, completando nuovamente il cerchio.

- E ora torniamo a noi… cagnolino. - lo sentì dire ancora e Inuyasha dovette resistere all’impulso di strappargli con i suoi stessi artigli quel ghigno dal volto, - Sei decisamente un tipo interessante. -

- Spiacente di non poter dire altrettanto: tu mi hai decisamente stufato. –

- Oh, beh, questo mi ferisce molto. – e mentre lo diceva, chiunque avrebbe potuto pensare che ne fosse realmente dispiaciuto, - Ma vedrai demone, saprò farti cambiare idea. –

Inuyasha non riuscì a non lasciar trapelare tutto il suo disgusto, prima di stabilire che a quel tipo odioso aveva dedicato già fin troppo tempo ed attenzioni. Presentimenti o meno, era il momento di farla finita con quella stupida recita.

Rapidamente si guardò intorno, esaminando la situazione: quei soldati non gli avevano lasciato spiragli o vie di fuga, perciò se avesse voluto andarsene, avrebbe sicuramente dovuto usare la forza. Avrebbe potuto trasformarsi in appena pochi secondi: li avrebbe colti tutti di sorpresa e avrebbe fatto in modo di spazzarli via contemporaneamente. O in alternativa, avrebbe potuto utilizzare Tessaiga. L’attacco avrebbe richiesto meno tempo e l’effetto sarebbe stato ugualmente devastante.

- Mi dispiace, ma credo proprio che dovrò rifiutare. Non mi interessa sapere un bel niente sul tuo conto. – serrò le dita con forza, lasciando scivolare la lama con studiata lentezza, senza staccare gli occhi dal soldato. Avrebbe lanciato la cicatrice del vento prima ancora di terminare la frase. - E poi, sai… in questo periodo… sono troppo impegnato a farmi i fatti miei, per ascoltare gli sproloqui di un folle! Cicatrice del ven… -

Fu un attimo.

Il respiro gli si mozzò in gola e un sorriso di vittoria si delineò sul volto dell’uomo misterioso. Inuyasha si ritrovò a terra, le ginocchia conficcate nel terreno, Tessaiga al suo fianco, tornata una semplice spada arrugginita.

Prima ancora di capire cosa fosse accaduto, il demone iniziò a sentire il suo respiro farsi sempre più affannoso, mentre le mani e subito dopo tutto il resto del suo corpo iniziavano a tremare. Con estrema velocità si propagò in lui la sensazione che il fuoco lo stesso circondando, bruciando vivo, mentre gli rubava tutta l’aria necessaria per portare a termine il respiro. E improvvisamente, non sentì altro che un dolore lancinante, che si irradiava dalle punte dei piedi fino al cervello.

Se avesse avuto sufficiente aria nei polmoni, avrebbe urlato. Se avesse avuto ancora la forza, si sarebbe conficcato gli artigli nella carne, ferendosi e strappandosi la pelle, nel tentativo di procurarsi un dolore più inteso di quello che stava provando. Invece, non riuscì a far altro che accasciarsi al suolo ancora di più, emettendo un unico flebile gemito di dolore.

- Bum! – lo schernì l’uomo, allargando le braccia sopra la sua testa, simulando un’esplosione, – Accidenti, mi hai fatto davvero male, sai? L’attacco più potente che abbia mai visto! Non è vero, uomini? – li interpellò, facendo scoppiare una sguaiata risata di gruppo.

- B…ast…ardo… - riuscì a biascicare Inuyasha, sempre meno consapevole della realtà che lo circondava. Velocemente anche la vista lo stava abbandonando, mentre tutto intorno a lui diventava sempre più sfocato e indistinto. Gli girava la testa.

- Che diavolo… mi hai fatto? –

- Mettete pure giù le armi. Il cagnolino ora è innocuo. –

Inuyasha mosse la mano per riprendere Tessaiga, stringendo la presa nel vano tentativo di sollevarsi, ma la spada sorprendentemente non si trasformò e nuovamente le forze lo abbandonarono, costringendolo al suolo. Non riusciva più a reggersi neppure sulle sole braccia e ad ogni respiro che prendeva, l’aria che entrava nei polmoni era sempre di meno. Aveva la sensazione di soffocare e iniziava a sudare freddo.   

- Dimmi che… mi hai fatto… maledetto! -

- Certo che sei resistente, eh! – esclamò il soldato sinceramente stupito, non nascondendo un accenno di soddisfazione nella voce, - Sei davvero forte. Pensa che a quest’ora i tuoi simili erano già belli che ridotti in cenere! Suppongo che tu sia molto diverso da loro… però mi dispiace, per quanto tu possa resistere, non riuscirai a sopravvivere. –

Inuyasha vide l’ombra indistinta dell’uomo avvicinarsi sempre di più, fino a che non si fermò proprio davanti a lui. Non riusciva a capire. Chi diavolo era quel tipo?

- Ti abbiamo iniettato un veleno molto particolare. – spiegò dopo essersi accucciato, per portarsi alla sua stessa altezza e riuscire così a guardarlo dritto in volto, - Pensa, è stato ideato appositamente per far fuori gli esseri come voi e tu hai avuto l’incredibile fortuna di essere stato la cavia di un mio piccolo esperimento. Non è fantastico? Diciamo che ho modificato un po’ la formula di base, per renderla più efficace. – continuò poi, sbuffando e sembrando quasi annoiato da quegli inutili dettagli tecnici, che di certo non voleva perder tempo ad elencare o ricordare, - L’ho testata anche su demoni minori, sai? Ma non è stato affatto divertente! Quelli hanno preso fuoco e si sono dissolti in cenere nel giro di appena tre secondi. Tre secondi! Ci credi? – allargò le braccia, enfatizzando il concetto, come se stesse raccontando la notizia più sconvolgente dell’intero universo. – Niente sangue, niente preghiere, niente dolore. Sai, io speravo di sentirli implorare pietà o di vederli agonizzare a terra e invece… puf. Solo polvere. Non puoi capire che delusione! E credimi, ero quasi tentato di abbandonare tutto, ma poi… eccoti arrivare! E io lo sapevo che saresti stato diverso da tutti quegli altri! Me lo sentivo! – si entusiasmò nuovamente, tornando a dedicargli tutte le sue attenzioni, - Ma dimmi, dimmi, cosa stai provando? Lo senti il dolore? Cos’è che fa più male? Ti sembra di bruciare o di annegare? E la testa, senti come se ci fossero tanti piccoli aghi o è più come se ti stessero mangiando vivo? -

Inuyasha si limitò ad abbassare la testa, poggiando la fronte a terra. Non sarebbe riuscito a parlare, non di nuovo. L’aria era quasi completamente esaurita e il dolore era aumentato sempre di più ad ogni parola che quel maledetto gli aveva rivolto. Era solo un umano, dannazione! Come era riuscito a farlo strisciare per terra, come un verme, senza aver alzato neppure un dito?  

- Non riesci a parlare? Oh… peccato. – fece l’altro sinceramente dispiaciuto, portandosi una mano a sostenere il mento, - Accidenti. Forse è davvero troppo forte come veleno, se neanche uno come te riesce a resistere un po’ di più… mi domando con quali altri demoni potrei mai fare i miei esperimenti… -

No, non poteva lasciarsi andare, non poteva lasciarsi sopraffare dal veleno, ma soprattutto non poteva fare ancora i comodi di quel tipo che lo guardava dall’alto in basso, credendosi il padrone dell’universo. Doveva fare qualcosa. Una qualsiasi cosa, o sarebbe stato completamente spacciato. Doveva muoversi. Doveva!  

- Apprezzo il tuo sforzo per farmi divertire ancora un po’, cagnolino, dico davvero; ma temo che ormai non ti resti molto, sai? Dovresti proprio arrenderti, così soffriresti di meno. –

Non poteva assolutamente arrendersi. Non poteva morire. Per nessuna ragione al mondo poteva infrangere quella promessa!

Con inimmaginabile fatica sollevò il busto, facendo perno sulle braccia, alimentando la sua volontà con tutto l’odio che aveva iniziato a provare per quel tipo strafottente che giocava con la vita.

Arrendersi… tzè! Col cavolo che si sarebbe arreso!

- Non ho… alcun intenzione… di morire qui. – sibilò, sollevandosi di un altro centimetro, riuscendo a parlare unicamente grazie alla sua forza di volontà, ma di nuovo fu tutto inutile e il peso del suo stesso corpo lo schiacciò a terra.     

Ad un tratto il dolore che aveva provato fino a quel momento sembrò assestarsi, ma ormai Inuyasha sapeva di essere completamente spacciato. Non aveva più forze, non riusciva a vedere niente che non fosse ad un palmo di distanza dal suo naso e anche i suoni circostanti erano scomparsi, uno ad uno, lasciando solo quelli nelle immediate vicinanze. Gli stessi odori si erano dissolti nell’aria, tanto che ormai riusciva solo a sentire il penetrante profumo della terra sotto di sé. Era certo che sarebbe svenuto in pochissimi istanti. Questa volta, la forza di volontà non sarebbe stata sufficiente.

Un violento colpo di tosse lo scosse e subito avvertì chiaramente il ritmo del suo cuore cambiare, perdere un battito e farsi più lento, mentre una nuova fitta di dolore gli attraversava il petto.

Pensò che fosse la fine.

Poi, ad un tratto, guardò la sua mano, chiusa a pugno nel tentativo di resistere a quel nuovo ed intenso dolore e sbalordito, sgranò gli occhi. Gli artigli stavano scomparendo! Si riducevano sempre di più, fino a prendere le sembianze di normalissime unghie… umane. Con un moto di sorpresa e terrore, cercò di afferrare una ciocca di capelli e portarsela davanti agli occhi. Si stavano scurendo, velocemente, dalla radice fino alle punte. Stavano diventando neri.

“Sto diventando… umano?!”

- Oh! Questa sì che è una sorpresa! – esordì l’uomo, tornando a dedicargli tutte le sue attenzioni ed esaminandolo nel dettaglio, - Non me lo sarei mai aspettato! Allora avevo ragione a definirti un tipo interessante. Sei davvero incredibile! Quindi non sei un demone come gli altri, eh? Davvero divertente! – poi, senza attendere oltre, si girò verso i suoi compagni, con gli occhi che brillavano per l’emozione da quant’era felice, - Uomini, ci sono nuovi ordini! Avvisate immediatamente la base: dite che si preparino a ricevere un nuovo ospite tra tre giorni. Comunicate anche che sarò io stesso ad occuparmene personalmente. – ordinò per poi tornare dal demone, trasformando quel sorriso radioso in un’espressione seria e pensierosa.

- Però, stando così le cose, temo che finirai col darci qualche problemino. Non te la prendi se ti faccio fare un sonnellino, vero cagnolino? Prendilo come un favore personale, che nella mia immensa bontà ti sto facendo. Sì, come un premio per essere riuscito a rimanere in vita e avermi davvero sorpreso: in fondo, se ti lascio stare così, continuerai a sentire solo dolore e non riusciremo a farci neppure una chiacchierata decente. –

Detto ciò, fece cenno ad uno dei suoi uomini di avvicinarsi, prendendo dalle sue mani una fiala di vetro, con uno strano liquido giallognolo al suo interno.

- M…aledetto… si può sapere…chi diavolo sei…? –

- Eh no, non sei carino proprio per niente. – sospirò affranto, - E io che volevo solo aiutarti, sei crudele e anche ingrato! Ma pazienza, con tutto il tempo che passeremo insieme, immagino che prima o poi ti abituerai a me. – ghignò, sentendosi stranamente felice solo all’idea. – E per rispondere alla tua domanda… a dire la verità non sono nessuno di importante, ma visto che proprio ci tieni… - si avvicinò al suo orecchio, premendo contemporaneamente con forza sul braccio, per immettergli il contenuto della fiala nel sangue, - puoi chiamarmi Kuro.* –

Inuyasha sentì solo un lieve pizzico, prima di iniziare a perdere completamente il contatto con la realtà.

- E da oggi… sarò il tuo incubo personale. –

 

Doveva per forza essersi perso qualcosa. Senza il minimo dubbio. Pensò, prima di scivolare in un sonno profondo. Magari qualche avvenimento di fondamentale importanza, che unito a diversi fatti contingenti, aveva prodotto quel risultato totalmente imprevedibile e per nulla positivo.  

Già, ma che cosa lo aveva condotto lì? Che cosa era successo?

 

 

 

***

 

 

 

[Anno 1641]

 

Da quando Inuyasha aveva riportato Keiichi da suo padre, la vita nel villaggio scorreva con una lentezza disarmante, carica di una noia che entrava fin dentro le vene, come una malattia da cui non ci si poteva riprendere. Si allenava, aiutava con i lavori pesanti, mangiava a casa dei suoi amici: tutto era come era sempre stato e di cambiamenti all’orizzonte non se ne vedeva neppure l’ombra. Per questo fu tanto più sorpreso, quando l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato arrivò a stravolgergli completamente l’esistenza.

- Inuyasha, dobbiamo parlarti. –

Così era iniziata la giornata che aveva dato il via a tutto. Con quella frase che per Inuyasha era diventata peggio di un pugno in pieno stomaco, dopo un’abbuffata in grande stile, quando ancora si era così pieni da avere davvero la sensazione di poter esplodere e rigettare tutto quello che era stato appena ingurgitato.

“Inuyasha, dobbiamo parlarti. Ci sposiamo.”

“Inuyasha, dobbiamo parlarti. Aspettiamo un bambino.”

“Inuyasha, dobbiamo parlarti. Nostra figlia si chiamerà Kagome.”

“Inuyasha, dobbiamo parlarti. Visto che continuiamo a sfornare mocciosi urlanti e diventa difficile star loro dietro, ci farebbe tanto piacere se ci dessi un aiuto.”

La situazione dopo tutti quegli anni era fin troppo semplice e prevedibile: quella maledetta frase non prometteva mai niente di buono per lui. Solo cambiamenti e nuove torture a cui sarebbe stato sottoposto, volente o nolente.

Prese un respiro profondo, preparandosi mentalmente ad affrontare qualsiasi cosa quei due folli dei suoi amici avessero in serbo per lui.

- Ci abbiamo pensato tantissimo prima di prendere questa decisione e anche se è difficile, pensiamo che per te sia la cosa migliore. – iniziò Sango, senza riuscire ad arrivare al punto, mostrandosi più indecisa di quanto non avesse voluto. 

- Quello che stiamo cercando di dirti è che… - si bloccò Miroku, facendo un respiro profondo, - noi ti siamo grati per tutto quello che hai fatto finora. Se non ti avessimo incontrato, non sarebbe mai avvenuto niente di tutto questo, non saremmo stati così felici… a dire la verità forse non saremmo stati neppure vivi. – proseguì subito dopo e Sango annuì con decisione, stirando le labbra in un sorriso fin troppo forzato.

Inuyasha non si sentiva affatto tranquillo e più loro parlavano, più tutte le sue certezze crollavano, facendogli temere il peggio.

- Però… ecco, noi abbiamo pensato che… anche se ti siamo così tanto grati eh! –

- Oh, ma finitela! – esplose il demone ormai stremato. – Dite le cose come stanno e basta! –

- Vogliamo che tu te ne vada! – dissero in coro, in un unico respiro, e Inuyasha riuscì solamente a guardarli con gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Ogni singolo pensiero o ipotesi, che aveva precedentemente formulato, si era dissolto con una rapidità estrema.

Erano impazziti. Sango e Miroku era definitivamente impazziti. Inuyasha sapeva che sarebbe successo, prima o poi, che era solamente una questione di giorni, prima che tutti quegli anni passati ad ascoltare le urla strazianti dei loro insopportabili mocciosi iniziassero a mostrare gli effetti sulle loro menti. 

- Cerca di capire, per te non c’è più niente qui. Passi le giornate trascinandoti come un cadavere ambulante, in attesa di dare l’ultimo respiro. Non ci sono demoni al tuo livello con cui valga la pena sgranchirsi le ossa, né problemi che ti tengano impegnato. Finché Keiichi e i ragazzi sono rimasti qui ha avuto senso, ma ora se ne sono andati quasi tutti e non puoi certo affermare che ti piaccia stare qui. – proseguì Sango.

Inuyasha abbassò lo sguardo a quelle parole. Sapeva che c’era del vero in quanto dicevano. Quella vita per lui era forse troppo tranquilla, ed era anche vero che si stava arrendendo alla consapevolezza di un’attesa infinita, però…

- Sappiamo che lo fai per Kagome, ma Inuyasha, lei non nascerà tanto presto e tu non puoi continuare così. Inoltre… -  e continuò, dopo aver ricevuto un cenno di assenso da parte del marito, - c’è anche un altro problema: tu continui a far finta di niente, ma sia io che Miroku sappiamo benissimo quanto hai sofferto per la morte di Rin e per l’allontanamento di Keiichi e Sesshomaru. Erano la tua famiglia e il dolore che hai provato, anche se hai cercato di nasconderlo, è perfettamente comprensibile. Per questo vogliamo che tu te ne vada. Noi siamo umani, Inuyasha e ormai siamo vecchi. Non possiamo sapere quanto tempo ci resti da vivere. Non vogliamo per nessun motivo al mondo che tu quel giorno sia qui. Preferiamo salutarti ora che stiamo bene. Non vogliamo che tu debba affrontare anche la nostra perdita. –

- Non devi decidere ora. - intervenne immediatamente Miroku, notando lo sguardo perso dell’amico - Ma dovresti iniziare a pensarci seriamente: è una verità che non puoi più ignorare. –

In quel momento, Inuyasha non aveva detto niente. Si era limitato ad allontanarsi, desideroso di restarsene a pensare per conto suo.

Miroku e Sango avevano sollevato una questione a cui lui, già da diversi anni, aveva iniziato a pensare, precisamente da quando aveva salutato Keiichi. Era consapevole che i suoi amici avessero un tempo limitato, così come era consapevole del fatto che, a prescindere dalla sua volontà, sarebbe rimasto solo. Era la scelta che aveva fatto all’inizio, la promessa con cui si era legato a Kagome. E per quanto fosse difficile, non se ne era mai pentito.
Aveva sempre saputo che, al momento della morte dei due, avrebbe dovuto lasciare il villaggio. Qualcosa nella sua testa gli diceva che era giusto così, perché quel luogo pieno di ricordi non faceva altro che incatenarlo al passato, immobilizzando il tempo in tutti quei momenti che aveva vissuto con lei, impedendogli anche solo di guardare al futuro. E per trovare Kagome, lui avrebbe necessariamente dovuto guardare al futuro. Non l’avrebbe mai trovata restando lì e cercando nei ricordi di un passato ormai lontano.
Così aveva vissuto aspettando il momento in cui andar via dalla sua casa, ma non si aspettava che quel momento fosse così vicino, che il momento di dire addio a Sango e a Miroku fosse così vicino.

Eppure non poteva fare a meno di pensare che ancora una volta quei due lo stavano salvando. Gli stavano offrendo l’opportunità di non provare lo stesso atroce dolore che aveva provato per Rin. Gli stavano dando l’ultima spinta per andare avanti e per procedere da solo.
Avrebbe dovuto rispettare quel loro desiderio? Approfittarsi di ciò che gli stavano offrendo, pensando solo a se stesso… poteva davvero farlo, senza poi rimpiangerlo in futuro?

- Inuyasha? -

Il demone spalancò gli occhi di soprassalto, guardandosi intorno confuso. Era così concentrato da non aver percepito minimamente la presenza del monaco che si avvicinava.

- Scendi dall’albero, devo dirti una cosa. -

Inuyasha lo guardò perplesso, prima di realizzare con sgomento che fosse notte fonda e che per essere venuto a cercarlo da solo a quell’ora, non poteva essere niente di positivo.

Non appena toccò terra con i piedi, Miroku si guardò intorno con fare circospetto, facendogli poi cenno di fare silenzio e di seguirlo.

- Cosa…? – cercò di dire Inuyasha, ma subito il monaco lo trascinò nella foresta, allontanandosi dalle case, - Hei Miroku, la smetti! Dove stiamo andando?! -

- Sango ci sta seguendo? – chiese di rimando, continuando a camminare.

- Ma sei impazzito?! Si può sapere che ti prende? –

Il monaco non rispose e Inuyasha si trovò costretto, suo malgrado, a seguirlo, dopo aver naturalmente alzato gli occhi al cielo e sbuffato, con l’espressione più infastidita che sapesse fare.  

- Posso sapere almeno dove mi stai trascinando? –

- E smettila di lamentarti! Non ti sto mica rapendo! -

- Che diavolo devi dirmi di così segreto?! – e nel chiederlo, ipotizzò mille e più scenari, uno più fantasioso dell’altro, quando ad un tratto una possibilità tra tutte si impresse con forza nella mente, costringendolo a fermarsi di colpo.

- Oddio, non dirmelo! Non dirmelo! – quasi urlò, facendo fermare anche Miroku.

- Cosa? –

- Non dirmelo, non voglio sentire! – si appiattì le orecchie sulle testa.

- Ma cosa? Cosa? –

- Hai tradito Sango, vero? Miroku, quella ti ammazza! –

- Ma sei idiota!? – urlò il monaco, colpendolo ripetutamente alla testa, - Non tradirei mai Sango! Mai! –

- Fermo, fermo! Maledetto, è colpa tua! Potevi anche dirlo prima! Mi hai trascinato via in quel modo e poi, lasciatelo dire, quella faccia non è proprio da te. –

- Sei un caso perso. – sospirò il monaco, stranamente felice del fatto che, dopo tutti quegli anni, la stupidità di Inuyasha riuscisse ancora a sorprenderlo.

- Sì, ma tu continui a girarci intorno. Vuoi dirmi che succede, sì o no? –

E il monaco non poté far altro che arrendersi, preparandosi a rivelare quel segreto che custodiva ormai da più di quarant’anni.

- Ti devo parlare di una cosa… è più un presentimento in realtà, ma non volevo che Sango si preoccupasse inutilmente. Lei è convintissima che riuscirai ad incontrare Kagome quando nascerà e io non voglio incrinare questa sua sicurezza. – concluse e Inuyasha sentì solo il suo cuore fermarsi, prima che gli si formasse un groppo in gola.

- Che stai dicendo? Pensi che… tu pensi che non riuscirò ad incontrarla?! –

- No, no, non è questo. – cercò di calmarlo, vedendolo già più agitato di quanto avesse ipotizzato, - O almeno non del tutto… Non posso sapere se sarai in grado di incontrarla o meno, ovviamente lo spero, ma c’è un pensiero, un presentimento, che mi tormenta sin dal giorno in cui è scomparsa. –

- Un presentimento? – lo guardò sorpreso e lo vide annuire tristemente.

- Ho aspettato a parlartene, perché non vedevo la ragione di creare inutili allarmismi. Volevo avere delle prove concrete, cercare delle risposte, ma in tutti questi anni, l’unica cosa che ho ottenuto sono state altre domande. Ora tu stai per andartene… -

- Hei, io non ho ancora… -

- Lo farai. Ti abbiamo detto che era una tua scelta, ma in realtà non lo è. Restare qui… restare qui per noi, non ha senso. Devi andare, specialmente perché, dopo che ti avrò detto questa cosa, dovrai essere tu a continuare le ricerche al posto mio. Ne va della promessa che hai fatto a Kagome. –

- Ma voi… -

- Niente ma. Ti caccerò dal villaggio a calci, se necessario. Quindi ora apri bene le orecchie e ascolta. –

Inuyasha sbuffò, combattuto tra il desiderio di imporre la sua scelta e quello di ascoltare il resto del discorso. Alla fine, la curiosità prese il sopravvento e lui si preparò ad ascoltare quello che sapeva essere di certo un nuovo grande problema da affrontare.

- Immagino che ti ricorderai che la sfera dei quattro spiriti non esaudisce i desideri più autentici, vero? – e dopo averlo visto annuire, continuò: - Ogni persona o demone che sia entrata in contatto con il gioiello ha inevitabilmente finito col divenire vittima del suo potere. Kikyo aveva desiderato che la sfera scomparisse con lei, per non dover più combattere, ma come ben sappiamo, la sfera ha ignorato il suo desiderio, facendo in modo di tornare nel passato attraverso Kagome. Naraku poi, che desiderava l’anima di Kikyo, non ha realizzato il suo desiderio, ma è stato spinto dalla sfera stessa a chiedere un’altra cosa. È stato costretto ad esprimere un desiderio che coincidesse pienamente con il volere della sfera. E poi ci sei tu… -

- Sì, ma la sfera ha esaudito il mio vero desiderio: io sono diventato un demone completo. – affermò Inuyasha, non riuscendo a capire le preoccupazioni dell’amico.

- È proprio questo il problema, non capisci? – lo riprese subito Miroku, - Se la sfera non esaudisce i reali desideri, allora perché il tuo l’ha esaudito? –

- Pensi che in realtà non l’abbia esaudito? –

- No, no, non hai capito. Ora sei sicuramente un demone completo, su questo non c’è nulla da dire. Quello che sto cercando di dire è che probabilmente la sfera ha esaudito il tuo desiderio, perché era ciò che lei stessa voleva. –

- La sfera voleva che mi trasformassi in un demone completo? –

- Sì, ma non è solo questo, c’è di più. Ricordi le parole della vecchia Kaede, il giorno in cui Kagome è scomparsa? Ha detto che la sfera aveva fatto in modo di tornare nel passato… –

- Sì, e allora? –

- Ho riflettuto a lungo su quelle parole… Perché la sfera è tornata nel passato? Perché portare qui Kagome? Pensaci: se la sfera non fosse tornata nel passato, cosa sarebbe successo? –

- Accidenti Miroku, vuoi parlare in modo più chiaro!? Non ci sto capendo niente! Se la sfera non fosse tornata indietro… non sarebbe successo niente, credo. –

- Esatto, niente di niente. Kagome non sarebbe arrivata qui, quindi non ti avrebbe mai svegliato e tu saresti rimasto attaccato a quell’albero per l’eternità. In più, Naraku, che a quel tempo era vivo, avrebbe continuato a fare i suoi comodi, manipolando ogni essere vivente che si fosse messo sul suo cammino. Probabilmente, non sarebbe mai stato sconfitto, dal momento che, anche senza il potere della sfera, sarebbe stato più forte di chiunque altro in circolazione. –

- Pensi che la sfera abbia fatto in modo di tornare per sconfiggere Naraku, perché era una minaccia troppo grande? – chiese Inuyasha, cercando di seguire il filo logico di quel discorso fin troppo aggrovigliato.

- Lo pensavo, all’inizio lo pensavo. – ammise sospirando.

- E ora? –

- Ora penso che potrebbe esserci un altro motivo. – disse poi guardandolo dritto negli occhi, come se lo stesso studiando, - Se la sfera avesse voluto solo la morte di Naraku, allora non avrebbe avuto ragione di farti diventare un demone completo, sbaglio? –

- Dannazione Miroku, arriva al punto! –

Miroku sospirò, cercando di compiere l’impossibile operazione di trovare delle parole semplici con cui spiegare la questione.

- Io penso… penso che la sfera sia tornata qui per te, per risvegliarti, per farti sconfiggere Naraku, ma anche per un altro motivo. –

- Quale? –

- È questo il problema: non ne ho idea! Ma la sfera ti ha trasformato in un demone completo, e questo probabilmente perché voleva che tu vivessi, che vivessi molto a lungo, tanto da arrivare fino all’epoca alla quale Kagome appartiene; e che fossi il più forte possibile. Per questi motivi, penso che la sfera ti abbia reso un demone completo. –

- Perché avrebbe dovuto volere una cosa del genere? A cosa le servo? –

- Come ti ho già detto, questo non lo so. Nelle indagini che ho fatto, non sono riuscito a capire niente di più, ma posso dirti le ipotesi che mi sono fatto. Se ho ragione, accadrà qualcosa in futuro, non posso sapere cosa o quando, ma accadrà qualcosa per cui potresti essere determinante, qualcosa di enorme, che chiarirà una volta per tutte il motivo per cui la sfera ha voluto che tu vivessi. Più di così, purtroppo, non so dirti. –

Inuyasha rimase ad osservarlo, sentendo il peso di quelle parole gravare sulle proprie spalle.

- Per questo pensi che non riuscirò ad incontrare Kagome... perché se questa minaccia è così grande da far prendere alla sfera stessa delle precauzioni, io potrei anche non sopravvivere… –

- Non ho mai detto questo! Penso solo che ciò che dovrai affrontare sarà la cosa più difficile della tua vita e che la sfera ti ha dato più forza proprio per questo motivo. Credo che dovrai stare davvero attento e prepararti ad affrontare ogni tipo di minaccia. È anche per questo che penso che dovresti andare: qualsiasi informazione riuscirai a raccogliere, qualsiasi cosa riuscirai a scoprire, potrà esserti utile per affrontare il tuo futuro. E per quanto riguarda Kagome… io… io spero davvero che riuscirai ad incontrarla. -   

A prescindere da come Inuyasha guardasse la sua situazione futura, indipendentemente da quale angolazione usasse per studiarla, quella nuova scoperta faceva profondamente schifo.

- Te l’hanno mai detto che sei il migliore nel complicare la vita alla gente? Accidenti a te! – sbuffò, tentando di sopprimere il desiderio di strapparsi i capelli.

Miroku gli sorrise tristemente, consapevole dei pensieri che gli stavano passando per la testa in quel momento, dopodiché si voltò tornando sui suoi stessi passi. Avrebbe voluto evitare quel discorso. Se solo avesse potuto, non gli avrebbe detto niente, o per lo meno lo avrebbe fatto dopo aver avuto delle certezze, ma il tempo a sua disposizione per compiere altre ricerche era terminato e doveva metterlo in guardia, doveva fare in modo che stesse all’erta, pronto ad affrontare qualsiasi cosa il destino avesse in serbo per lui.   

- Miroku! - lo richiamò improvvisamente Inuyasha, consapevole del fatto che ancora una volta, forse per l’ultima volta, l’amico lo stava aiutando in ogni modo possibile, - Grazie. -

 

 

 

***

 

 

 

[Anno 1757]

 

Inuyasha si fece largo in mezzo al campo di battaglia, evitando di incrociare il suo cammino con il campo d’azione dei soldati delle due fazioni. Non sapeva di preciso come fosse finito lì in mezzo.

Dopo aver lasciato quella che ormai era a tutti gli effetti la città di Edo, si era messo in viaggio, con le parole di Miroku ben impresse nella mente e la convinzione che qualsiasi cosa ci fosse nel suo futuro, l’avrebbe affrontata e superata.
Facendo l’esatto opposto di ciò che diversi anni prima Sesshomaru si era raccomandato di non fare, era andato a sud. Non sapeva per quale motivo, ma la prima cosa che aveva pensato di fare era stata assicurarsi che l’avvertimento del fratello non fosse in alcun modo collegato con quello del monaco.

Era stato in quelle terre per anni, alla ricerca di… beh, di qualsiasi cosa, dal momento che era totalmente sprovvisto di piste da seguire. In quel modo, si era reso conto che, come era stato per la città di Edo, anche altri villaggi erano cresciuti a dismisura, trasformandosi radicalmente, ampliando i loro territori e fondendosi gli uni con gli altri.
Si era spostato di città in città, di villaggio in villaggio; aveva visitato isole e montagne e interrogato migliaia di persone sulle condizioni di vita del paese, su eventuali contrasti o minacce.

Durante quel lungo periodo, gli era capitato diverse volte di assistere a delle vere e proprie esecuzioni pubbliche. Umani che davano la caccia ad altri umani. Non aveva capito molto, né si era interessato molto. Sapeva solo che quella gente, proveniente da molto lontano, talmente lontano da sembrare quasi un altro universo, incuteva paura, come se di colpo, la loro presenza avesse potuto far ricominciare le guerre sanguinarie che avevano devastato il paese diversi secoli prima.
Sebbene si uccidessero a vicenda però, il numero degli umani che abitavano le città non sembrava calare poi di molto. La loro specie aveva iniziato una crescita che sembrava inarrestabile e che niente, né le carestie, né i piccoli focolai di epidemie, né gli omicidi di massa, sembrava in grado di fermare.

Al contrario, Inuyasha si era reso conto, con un accenno di sorpresa, che un simile fenomeno non era affatto avvenuto per i demoni. Il loro numero era rimasto pressappoco invariato rispetto al passato, tranne in rari casi in cui aveva avuto la sensazione che fosse addirittura diminuito. Se ne era accorto girovagando per le terre del sud, quando gli era capitato di passare intere giornate senza incontrare la minima traccia di pericoli. I demoni che c’erano, per la maggior parte, vivevano lontani dai centri abitati e per qualche ragione si tenevano il più lontano possibile dagli esseri umani. Altri invece, forse più abituati al contatto con gli uomini, non si facevano problemi a vivere in città, omologandosi alla massa e iniziando pian piano a perdere la natura selvaggia che li aveva sempre caratterizzati, a favore di maggiori comodità.
Di quei demoni che si erano quasi scontrati con Sesshomaru diversi anni prima, non aveva visto neppure l’ombra, ma aveva ipotizzato che avessero proseguito il loro viaggio altrove, rivolgendosi ad altri, per avere ciò di cui avevano bisogno.

Dopo diversi anni, Inuyasha dovette a malincuore accettare il fatto che non aveva la benché minima idea di cosa quei demoni volessero dal fratellastro, né di quale fosse il motivo per cui, sempre secondo Sesshomaru, avrebbe dovuto mantenersi alla larga da quelle terre.
Allo stesso modo, non aveva fatto il minimo progresso per quanto riguardava gli avvertimenti di Miroku. Nonostante i problemi che il paese si trovava ad affrontare, non sembrava esserci niente di così tragico da avvalorare i timori della sfera e quindi anche da giustificare il fatto che fosse un demone completo.

Fondamentalmente fu questo il motivo che lo spinse ad allontanarsi dalle terre del sud e dirigersi in un’altra zona, con la speranza che cambiando luogo potesse anche arrivare a scoprire qualcosa di nuovo.

Fu più o meno così che un bel giorno si ritrovò nel pieno di una battaglia. Era vicino al confine tra le terre ad est e quelle a nord, quando aveva sentito da lontano l’odore e il suono di un branco di stolti umani che si uccidevano tra loro.
Per un attimo era stato tentato di cambiare strada e lasciarli perdere, ma poi aveva deciso che di allungare il suo tragitto, anche se solo di pochi giorni, non gli andava per niente, perciò dopo aver preso un respiro profondo e aver incrociato le braccia al petto, con aria annoiata, si era deciso a tagliare di netto il campo di battaglia.

Camminava tranquillamente, senza che nessuno si scontrasse con lui o facesse caso alla sua presenza. Ed era piuttosto paradossale come scena, tanto che per un attimo non si sentì molto diverso da uno spettro.
Intorno a lui centinaia di persone, vestite nello stesso identico modo, si uccidevano tra di loro. Inuyasha ipotizzò che si potesse trattare di un conflitto fra due signori locali, per l’appropriazione di una piccola porzione di terra in comune, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Continuò a procedere dritto, quando improvvisamente un odore diverso dal solito odore umano lo attirò e incuriosì, costringendolo a cambiare strada.

Iniziò ad avanzare, scansando chiunque capitasse lungo il suo cammino, fino a che non individuò la fonte di quell’odore.

Un ragazzo, un demone, piuttosto giovane a giudicare dall’aspetto. Aveva corti capelli scuri, occhi di un verde smeraldo particolarmente intenso e una folta coda rossiccia. Con lunghi artigli affilati, combatteva contro gli umani, uccidendoli o ferendoli, più o meno gravemente.

Quando lo sguardo del giovane incrociò quello di Inuyasha, il ragazzo ebbe un attimo di esitazione, ma subito partì all’attacco, scaraventandosi con tutte le sue forza contro l’avversario.
Inuyasha evitò il colpo con estrema facilità, decidendo all’istante che contro quel moccioso non sarebbe stato necessario estrarre Tessaiga. Continuò a parare la raffica di colpi che veniva sparata senza un preciso schema di combattimento nella mente, né tantomeno con un briciolo di filo logico.
Il ragazzo però non sembrava essere particolarmente scoraggiato da quella differenza abissale di forza che esisteva tra lui e il suo avversario; anzi, continuava ad incalzarlo, non dandogli, almeno nella sua mente di presuntuoso adolescente, un attimo di respiro.

Inuyasha si ritrovò inconsciamente a sorridere, quando nella sua testa l’immagine di quel ragazzino si sovrappose a quella di Keiichi. Glielo ricordava terribilmente. Il mezzo-demone infatti, quando era ancora all’inizio del suo allenamento e combatteva con Inuyasha, per imparare come muoversi al meglio e come rispondere alle mosse dell’avversario, faceva gli stessi identici movimenti sconclusionati e terribilmente affrettati che vedeva fare ora al suo avversario. Entrambi si muovevano in modo esagerato, dimenticando quasi che l’obiettivo primario era mettere il nemico in condizione di non combattere più.

Quando improvvisamente il primo colpo del piccolo demone andò a segno, Inuyasha si riscosse dai suoi pensieri, decidendo che era arrivato il momento di smetterla di giocare.

- Hei ragazzino, si può sapere chi sei!? Perché stai combattendo contro gli umani? – riuscì a chiedergli, mentre tornava a schivare i suoi attacchi.

- Potrei chiederti la stessa cosa, cagnaccio! –

Inuyasha, come se fosse stato colpito da un fulmine a ciel sereno, smise di evitarlo, bloccandogli un braccio, proprio mentre quello stava per colpirlo.

- Come mi hai chiamato? – chiese più curioso che arrabbiato.

- Hei tu! – proruppe improvvisamente una voce alla sue spalle, - Lascia subito mio figlio se tieni alla tua vita! –

Inuyasha ghignò lasciandolo andare, ormai consapevole del perché quell’odore, che lo aveva subito attirato, gli era sembrato familiare.

- Non ci credo! Sei davvero tu botolo?! -

- Ma guarda, e così questo è tuo figlio. Non credevo che fossi ancora in vita, lupastro! –

I due vecchi rivali si squadrarono a vicenda, ghignando, e per un attimo ad entrambi sembrò di essere tornati indietro di quasi duecento anni, a quando lo spirito di competizione e la gelosia caratterizzavano il loro rapporto.

- Questo dovrei dirlo io a te! A quanto pare la tua pellaccia è più dura di quanto pensassi. – constatò Koga avvicinandosi, ignorando i molti combattimenti corpo a corpo che avvenivano tutt’intorno.

- Papà, tu conosci questo demone? – domandò poi il giovane demone, affiancando il genitore.

- Sì, è una vecchia conoscenza. –

- Si può sapere che ci fai qui, a combattere gli umani, con un moccioso appresso? – chiese Inuyasha, indicando distrattamente il ragazzino al suo fianco.

- Moccioso a chi?! Se mio padre non ci avesse fermato, saresti morto! – protestò lui minaccioso, imbronciandosi appena, a causa della poca considerazione che riceveva costantemente, tanto da parte degli estranei, quanto da parte dei suoi stessi fratelli.

- Tzè! Ma che dici, ragazzino? Se non riuscivi neppure a colpirmi! –

- Ah sì?! Vogliamo scommettere, stupido cane?! –

- Non sei male piccoletto, per lo meno non sei un codardo come tuo padre, ma sappi che contro di me non hai speranza. –

- Ripetilo se hai il coraggio! Mio padre non è un codardo! – urlò scagliandosi contro l’avversario, ma Koga, dando prova di non aver minimamente perso la sua velocità in tutti quegli anni, si frappose tra i due.

- Ora basta, Shun!** Piuttosto, voglio prima sapere perché tu stai partecipando a questa battaglia. Come hai detto, è una faccenda da umani, non dovrebbe interessare anche te, eppure sei qui… -

- Non stavo combattendo, ero solo diretto a nord e la strada più veloce passava proprio in mezzo ai soldati. Poi ho sentito il moccioso e mi sono incuriosito. –

- Ma guarda… quindi te ne vai in giro tutto tranquillo come se niente fosse. E io che ti immaginavo morto, o da qualche parte a struggerti per lei. –

Inconsciamente Inuyasha si trovò a stringere i pugni, fino a che le nocche non divennero bianche. Da quanto tempo non parlava ad alta voce di lei? Anche quando i suoi amici erano in vita, raramente avevano toccato l’argomento, come se ci fosse un tacito accordo che impediva loro di parlarne. Ma dopo aver lasciato il villaggio, non una sola volta era capitato che qualcuno accennasse a Kagome: e questo, principalmente, perché la maggior parte di coloro che sapevano erano morti. Sentirla nominare, dopo tutto quel tempo, era incredibilmente strano e forse, almeno in parte, quasi piacevole. O per lo meno, era piacevole il pensiero che qualcuno del suo passato fosse ancora vivo.   

- Shun, raggiungi i tuoi fratelli. Per oggi non combattiamo più. – si decise poi ad aggiungere Koga, non distogliendo neppure per un secondo lo sguardo da Inuyasha.

- Ma io voglio combattere ancora! –

- Non serve, chi cerchiamo non è qui. Lascia che si uccidano da soli. Vai, io ti raggiungo subito. –

Il giovane demone sbuffò, seguendo stizzito l’ordine del padre, lasciando il campo di battaglia per dirigersi verso le montagne.

Una volta che il figlio si fu allontanato a sufficienza, Koga tornò a rivolgere la sua attenzione ad Inuyasha e i due restarono a fissarsi per quello che sembrò un tempo interminabile.

- Tra quanto nascerà? – gli domandò infine Koga, facendo finta di guardarsi attorno con noncuranza. Aveva visto perfettamente l’espressione afflitta che era comparsa non appena aveva accennato a Kagome e senza saperne precisamente il perché, quello sguardo lo aveva urtato. L’Inuyasha che si piangeva addosso, quello che non tirava fuori la grinta, lo detestava più di chiunque altro. Semplicemente non era Inuyasha! E sicuramente una persona del genere non meritava di stare accanto a Kagome.   

- Di certo non vengo a dirlo a te, stupido lupo! –

- Pazienza, ma se credi di riuscire a fermarmi con così poco ti sbagli di grosso. Non hai ancora vinto e io non ti lascerò la via libera senza combattere. Kagome non ha mai fatto la sua scelta e dal momento che, quando nascerà, non conoscerà né te né me, vorrà dire che saremo pari e che avrò le tue stesse possibilità con lei. –

- Sei forse uscito fuori di testa, dannato!? Tu sei già sposato! –

Koga alzò gli occhi al cielo, guardando la limpida distesa azzurra dietro la coltre di nubi, riflettendo sulla risposta da dare, mentre un velo di tristezza gli attraversava il volto. Sì, lui era sposato…

- Ayame è morta. -

Lo era stato…

In un passato recente, che ai suoi occhi sembrava già troppo lontano. E gli mancava ogni singolo giorno, quel passato. Tanto quanto gli mancava lei, la sua risata, la sua spontaneità, il suo essere assolutamente perfetta per lui.

Inuyasha spalancò gli occhi, boccheggiando e farfugliando sillabe senza senso. Era così incredulo che per un momento fu addirittura tentato di domandargli se fosse la verità, ma lo sguardo del suo vecchio rivale era troppo sincero e troppo disperato, per credere che le cose stessero diversamente.

- Per questo sto partecipando a questa battaglia. E anche a molte altre. - aggiunse poi, riducendo gli occhi a due fessure e fremendo di rabbia, - Per ucciderli tutti. -

- Sono stati degli umani?! –

Inuyasha non riuscì a non chiederlo. La sua voce fu più rapida dei pensieri, che arrivarono solo il secondo successivo ad intimargli di tacere.

- Sì… anche se, non so come. – fissò un punto all’orizzonte, lungo il crinale di una montagna, riflettendo su ogni singola parola da pronunciare, come se ogni lettera gli costasse uno sforzo incredibile, - La foresta è stata avvolta dalle fiamme… abbiamo provato a scappare, ma il fuoco era troppo veloce… Ho perso metà della mia tribù, quella notte… e Ayame… lei è tornata indietro, ha salvato nostra figlia, ma… - si bloccò incapace di proseguire oltre, consapevole del fatto che Inuyasha avrebbe compreso da solo il resto della storia, - Poi c’è stata un’imboscata. – continuò, sentendo la rabbia tornare a crescere più feroce di prima, - Gli umani erano in attesa dei sopravvissuti ed erano pronti a combattere. –

- Come… -

- Non lo so! Non ne ho idea! Hanno sconfitto i più forti come se non fossero altro che mosche! Quando sono arrivato da loro… era già tardi. Avevo perso tutto… la foresta, i miei compagni e… lei. Non so come abbiano fatto, ma era tutto un loro piano, li ho sentiti! E in quel momento, ho memorizzato i loro odori. – ghignò al ricordo della promessa che aveva fatto quella stessa notte col suo sangue, - E ho giurato che a costo della mia stessa vita, li avrei uccisi tutti, dal primo all’ultimo.-

Quando alla fine tornò a rivolgere la sua attenzione ad Inuyasha, sembrò come se il tempo per loro si fosse fermato, mentre tutt’intorno la tragedia continuava ad infuriare.

- Ah, non ti sopporto proprio, cagnaccio pulcioso! – esclamò Koga improvvisamente e Inuyasha non poté fare a meno di sobbalzare, a causa dell’inaspettato e repentino cambio d’umore. - Non ho bisogno della tua pietà, chiaro?! – continuò, con la voce carica di disprezzo per quello sguardo mesto che si vedeva rivolgere, - Piuttosto faresti meglio a preoccuparti di trovare un modo per conquistare Kagome, perché quando nascerà puoi star certo che non mi tirerò indietro con lei. –

Nessuno doveva permettersi di guardarlo con pietà, specialmente uno stupido botolo buono a nulla! Avrebbe fatto meglio a preoccuparsi di sé stesso, piuttosto!

- Dannato lupastro… non mi sembri poi così afflitto. –

- Quanto mancherà alla sua nascita? Cento anni? Duecento anni? Per allora starò più che bene, credimi, e tu non avrai la minima possibilità. – concluse sbeffeggiandolo, spiccando poi un balzo che lo portò dall’altro lato del campo di battaglia.

- Ci vediamo, botolo! – gli urlò correndo via come il vento, lasciando un imbambolato e perplesso Inuyasha a fissare il punto dove l’aveva visto sparire.

Che diavolo era successo? Non poteva fare a meno di chiederselo.

Stava solo andando per la sua strada ed ora doveva anche preoccuparsi che quello stupido gli mettesse i bastoni tra le ruote con Kagome?!

Aveva la sensazione che Koga l’avesse detto solo per provocarlo, ma temeva anche che, dietro quelle parole, potesse esserci un fondo di verità. D’altra parte, nel momento in cui Kagome fosse venuta al mondo, sarebbero stati due perfetti estranei per lei e se Koga si fosse messo in testa di conquistarla veramente? Lui non avrebbe certo potuto fare affidamento sul passato che li aveva uniti, sulle avventure vissute, sul destino o su altro che non fosse solamente nella sua testa. E con il suo caratteraccio poi… E se Kagome si fosse innamorata di Koga?

Il pensiero lo urtò in modo inimmaginabile, portandolo a sfogarsi contro gli stupidi e deboli soldati che lo circondavano e che si ritrovarono stesi a terra, ansimanti e sconvolti da quella furia che era esplosa improvvisamente e aveva quasi fatto fermare lo svolgimento di un’intera battaglia.
Non appena Inuyasha si rese conto di aver fatto piazza pulita intorno a sé, si fermò. Non trovava giusto che Koga avesse le sue stesse possibilità con Kagome, non dopo tutto quello che aveva passato, ma decise in quel momento che se quel lupastro da quattro soldi voleva la guerra non gli avrebbe certo reso le cose facili. Si sarebbe battuto al meglio di sé e in caso le buone maniere non fossero servite, l’avrebbe ucciso: infondo erano secoli ormai che desiderava farlo fuori, no?

 

 

 

***

 

 

 

[Anno 1813]

 

- Signore, il prigioniero sta riprendendo i sensi. -

Era confuso e la testa pulsava dolorosamente. Dove si trovava?

- Bene. Lasciamo pure che si risvegli, ma inizia a preparare la terza fiala di sedativo, potrebbe essere necessaria. -

Che cosa era successo? Perché non riusciva a ricordare?

- Ben svegliato, cagnolino. Spero proprio che tu abbia fatto dei bei sogni. -

Sentiva solo suoni confusi ed ovattati. Qualcuno stava parlando? Chi era? Una densa ed impenetrabile nebbia lo avvolgeva completamente, ottenebrandogli i pensieri.

- Abbiamo fatto in modo di non turbarti troppo durante il viaggio, ma ci sono stati un po’ di imprevisti… -

Quella voce… quel timbro profondo, ma allo stesso tempo carico di una vena derisoria… non ricordava, ma inspiegabilmente nella sua testa era associato ad una brutta sensazione. Quella voce era familiare. La conosceva? Chi era?

- Anzi, diciamo pure che sei stato tu l’imprevisto. Non ci aspettavamo che riacquistassi la tua natura demoniaca, né che la riacquistassi in così breve tempo. Come avevo ipotizzato, sei davvero un caso eccezionale. Pensa, sei un esperimento talmente divertente, che ho chiesto espressamente di potermi occupare solo di te. Dovresti sentirti onorato di avere la mia completa attenzione, sai? –

Ne era sempre più sicuro: aveva già sentito quella voce. Si sforzò di mettere a fuoco l’immagine dell’uomo davanti ai suoi occhi. Non era molto alto, né tantomeno si poteva dire che fosse imponente. Indossava un abbigliamento comodo, con vestiti forse eccessivamente grandi per la sua esile corporatura. Ad una prima occhiata sarebbe potuto sembrare inesperto in materia di combattimento, il classico principiante, ma ad uno sguardo più attento, si poteva notare immediatamente la muscolatura perfettamente scolpita, segno di un intenso e costante allenamento, come anche le decine di cicatrici e ferite, evidenti regali di scontri passati e recenti. La carnagione chiara poi faceva risaltare, lungo tutto l’avambraccio, un disegno piuttosto articolato, inciso sulla pelle, raffigurante un fiore di loto, con il prolungamento del gambo che, girando intorno al polso, arrivava al centro del palmo della mano.
Prima ancora che riuscisse ad osservarne il volto, un nome si impresse a fuoco nella sua mente e alcune rapide immagini lo assalirono con violenza.

- K…Ku…ro. –

- Ma che bravo! – si entusiasmò l’uomo, ghignando soddisfatto, - Riesci già a parlare e ricordi addirittura il mio nome. Sono davvero colpito. –

- Do…dov…e… - tentò di dire agitandosi, ma la voce, così come i suoi stessi pensieri, non sembravano essere sotto il suo diretto controllo.

Kuro lo osservò pensieroso per qualche secondo, prima di rivolgersi ad altri due uomini dietro di lui, che si affaccendavano mischiando tra loro diversi liquidi, contenuti in piccole ampolle di vetro. 

- Lascialo lì. Per il momento non mi sembra che ne abbia bisogno. Le sue funzioni sono ancora rallentate dal veleno in circolo. –

- Signore, potrebbe essere rischioso, il demone… -

- È un ordine. O mi hai forse sentito chiedere il tuo parere? – lo gelò, assottigliando lo sguardo e abbassando il tono della voce ad un sussurro, provocando uno stato di ansia in tutti i presenti. – Non c’è necessità di sedarlo prima del tempo… anche perché, in caso contrario, non potrei chiacchierare con il mio nuovo amico. - continuò, tornando poi a rivolgersi ad Inuyasha con il solito ghigno. - E a proposito, cagnolino, ti do un consiglio personale, vedi di non sforzarti troppo, se non vuoi rischiare di ucciderti con le tue stesse mani. Non vorrai mica morire davanti ai miei occhi, senza prima aver avuto almeno la possibilità di divertirci un pochino, ti pare? Detto ciò, suppongo di poter rispondere alla tua domanda, visto che sei stato così bravo da ricordarti di me. –

Fece un paio di passi all’indietro, allargando le braccia e indicando lo spazio che li circondava.

- Sono onorato di darti il benvenuto nel principale centro sotterraneo di ricerca del paese! Ma puoi vederlo tu stesso: non dovresti avere ancora problemi con la vista, o sbaglio? –

Inuyasha, suo malgrado, si trovò costretto ad ubbidire, cercando contemporaneamente di riportare alla mente tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni e di trovare un modo per tornare in forze e fuggire.

Era uno spazio ristretto, quello in cui si trovava. Scarsamente illuminato da poche candele e lampade ad olio, che venivano spostate a seconda delle necessità, finendo di volta in volta per illuminare o oscurare completamente un angolo della stanza. Il tutto creava un inquietante gioco di ombre, che contribuì a produrre nel demone una sensazione di disperazione crescente.

Vi erano circa cinque persone nella stanza e tutte lo guardavano con gli stessi occhi impauriti e disgustati. Tre di loro erano in piedi dietro un tavolo da lavoro, intenti a trafficare con ampolle piene di liquidi colorati. Un altro era vicino a lui. Lo guardava dall’alto in basso, non perdendolo un secondo di vista e a differenza di tutti gli altri, era ancora vestito per la battaglia, con le armi ben riposte, ma pronte in qualsiasi momento ad entrare in azione. Infine, accanto a lui… Kuro.

Immediatamente Inuyasha distolse lo sguardo continuando la sua ispezione. Ogni volta che incontrava quegli occhi, sentiva la rabbia assalirlo e non poteva assolutamente permettere che fosse la furia cieca a guidarlo o avrebbe bruciato miseramente ogni sua possibilità di liberarsi. Doveva ragionare. Doveva rimanere lucido.

Respirò profondamente, nel tentativo di calmarsi, quando improvvisamente un odore intenso di ferro e marciume lo colpì con violenza, facendogli torcere lo stomaco. Non lo aveva notato prima, ma l’intera stanza era impregnata di quell’odore nauseabondo. A forza, soppresse i conati di vomito, sforzandosi di resistere senza respirare ulteriormente.
Kuro si avvicinò, ghignando soddisfatto, alla vista di quel demone totalmente in suo potere e Inuyasha si decise ad osservare il punto esatto della stanza da cui proveniva quel fetore.

Non fu una sorpresa. Lo aveva capito immediatamente, ma nonostante ciò non poté fare a meno di sentirsi ancora più male. Un mucchio di cadaveri di demoni era ammassato in un angolo. Tutti ricoperti di sangue, impilati uno sopra l’altro. Vittime di indicibili torture che si erano protratte per mesi, se non di più.
Alcuni erano stati smembrati, privati di diverse parti del corpo che giacevano ammassate a pochi metri di distanza, in un insieme di arti di cui sarebbe stato impossibile stabilirne l’appartenenza. Ad altri demoni era stata strappata via tutta la pelle dal corpo e in base ad alcuni tagli più profondi, facilmente individuabili, si potevano riconoscere le numerose incisioni che erano state fatte prima di procedere con lo scuoiamento. Infine, e Inuyasha poté solo immaginarlo dalla vista di un altro piccolo cumulo, costituito interamente da organi interni di ogni tipo e dimensione, una gran parte di quei demoni doveva essere stata aperta e ripulita dall’interno, in ogni singola parte.  

- Sì, lo so, non è molto bello. – disse ad un tratto Kuro, piegando le sue labbra in una smorfia e riportando l’attenzione su di sé, - Ho chiesto di poterlo sistemare un pochino, ma purtroppo hanno bocciato la mia idea. Vogliono usare i cadaveri per fare altri esperimenti. Ho provato a spiegar loro che è noioso lavorare sui morti, che è molto più divertente farlo sui vivi e vedere la disperazione oscurare completamente i loro occhi, mentre si sottomettono completamente, implorando di poter essere uccisi. Io l’ho spiegato! Ma nessuno mi ha dato retta… quindi mi dispiace, ma dovrai condividere la stanza con i tuoi simili. Oh, non fare così! - proseguì poi, sempre più divertito dalle espressioni di disgusto e rabbia che riusciva chiaramente a leggere sul volto del demone, - Loro sono così contenti di averti qui! Non vedi i loro sorrisi? – indicò i volti lacerati e sfigurati, sui quali le espressioni di terrore e disperazione sarebbero rimaste impresse per l’eternità.

Inuyasha non voleva crederci. Quella che stava vivendo non era la realtà. Non poteva essere reale! Perché quei morti? Perché quegli esperimenti? Possibile che dopo tutte le fatiche fatte e il dolore subito, il suo destino fosse davvero divenire parte di quel mucchio? Uno tra tanti, lasciato a marcire nelle profondità della terra, destinato a diventare un frammento di ossa senza nome, fra mille altri frammenti di ossa senza nome?

No. Si rifiutava di crederci. Non poteva essere quello il suo futuro. Doveva reagire, doveva andarsene.

- Piuttosto… - ricominciò a parlare Kuro, nel tentativo di allontanare la mente del suo prigioniero dai pensieri di rivolta che già gli leggeva negli occhi. Si sarebbe divertito un mondo a spegnere una volta per tutte quel fuoco. - visto che ho risposto ad una tua domanda, che ne dici di rispondere tu ad una mia? – e non poté fare a meno di guardarlo con una lacerante curiosità, - Che cosa sei? -

Inuyasha, stranito, distolse lo sguardo, ignorando quasi subito la domanda, cercando di impiegare tutte le sue energie nel tentativo di fare un movimento, un qualsiasi movimento.  

- Sul fatto che sei un demone non ci sono dubbi. - lo studiò con particolare attenzione e lentezza, facendo vagare lo sguardo sul suo corpo, - I capelli, le orecchie e gli artigli parlano fin troppo chiaro. Inoltre abbiamo già confermato che la composizione del tuo sangue è tipicamente demoniaca. Eppure non puoi essere un demone normale. Il veleno che ti abbiamo dato avrebbe dovuto attaccare tutte le cellule demoniache presenti nel tuo corpo e tu saresti dovuto morire al massimo nel giro di qualche minuto. Quindi, cosa sei? Come hai fatto a sopravvivere? –

Se chiudeva gli occhi era quasi sicuro di poterci riuscire. Solo un movimento. Solo un piccolo movimento. Un piccolo…

- Hei, hei, cagnolino. Andiamo, non si fa così! – lo rimproverò senza il minimo timore nella voce, - Mi costringi a farti male, se ti agiti in questo modo. La vedi tutta questa gente intorno a te? Tutti loro hanno una paura folle che tu possa attaccarli, perciò capisci bene che, se ti agiti, loro potrebbero anche farsi prendere dal panico e ucciderti per errore. Non vorrai certo avere la sfortuna di morire proprio ora che ti ho catturato, vero? Abbiamo ancora tanto di quel tempo per divertirci, tu ed io. -

- Bastardo… -

L’uomo sospirò scuotendo la testa sconsolato.

- Vedo che non riesci proprio ad essere un po’ più gentile con chi cerca di aiutarti, eh? Lo sai, lo dico per il tuo bene, è inutile che ti impegni, non esiste una sola possibilità in tutto l’universo che ti consenta di uscire vivo da qui. –

E a quelle parole, vide la sua nuovissima preda sussultare e un ghigno affiorò spontaneamente sul suo volto. Quel demone era così divertente.

- Le senti queste catene? – chiese ancora, toccandogli distrattamente i polsi e le caviglie, non perdendo neppure per un secondo quell’aria vittoriosa, che aveva avuto sin dal primo momento in cui l’aveva incontrato.

Inuyasha sgranò gli occhi sbalordito, osservando il punto indicato. Non le aveva sentite. Non aveva percepito nulla, fino a che Kuro non le aveva sfiorate. Aveva sentito i muscoli pesanti e si era accorto che non rispondevano ai suoi comandi, ma non si era minimamente accorto delle catene. Possibile che l’effetto del veleno dentro il suo corpo fosse ancora così forte, tanto da non fargli percepire neppure qualcosa che lo teneva immobilizzato?

- Le abbiamo sottratte ad un demone diversi anni fa… il poverino si trovava qui, proprio dove ora ti trovi te. Era piuttosto resistente, nonostante fosse solo un demone di razza inferiore, ma nonostante ciò, è stato molto divertente giocare con lui. Alla fine si è arreso e proprio prima di morire, ci ha rivelato la particolarità di queste catene. Sono degli oggetti davvero meravigliosi, in grado di assorbire l’energia demoniaca: più tu ti agiterai, più loro ti prosciugheranno, completamente. Quindi, come vedi, non c’è possibilità che tu esca da qui. Ora, cagnolino, perché non rispondi alla mia domanda? Come hai fatto a resistere al veleno? -

Kuro aveva una teoria. O forse era più giusto chiamarla una sensazione. L’aveva formulata nel momento stesso in cui aveva visto Inuyasha diventare umano e contemporaneamente, aveva anche compreso le numerose implicazioni, che quella sua idea avrebbe avuto sul futuro e sulla loro missione. Doveva soltanto avere una conferma. E averla da quel demone, che perdeva la testa alla minima provocazione e che ai suoi occhi era come un libro aperto, sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Inuyasha respirò profondamente, cercando di calmare il cuore che batteva impazzito e la sensazione di nausea che gli offuscava le idee.

Sentiva il discorso di quell’uomo risuonargli nella testa e sapeva che ogni singola parola detta era l’assoluta verità. Sentiva tutto il suo potere confluire verso quelle catene e venir risucchiato rapidamente. Inoltre, gli uomini che lo circondavano, per quanto sembrassero intenti nei loro lavori, non lo perdevano di vista un solo secondo. Sicuramente, in quel covo maledetto, dovevano essere attrezzati per eliminarlo all’istante, in caso desse problemi di qualsiasi tipo.

Non aveva alcuna possibilità di riuscire a fuggire, realizzò con sgomento.

- Cagnolino? Ci sei? – chiese, agitandogli una mano di fronte agli occhi, ricevendo in cambio uno sguardo di puro odio, - Mi rispondi? -  

- Che vuoi che ne sappia… del tuo stupido veleno! –

- Oh… forse non hai tutti i torti. In fondo non puoi aiutarmi, se non capisci neppure di cosa sto parlando, giusto? –

L’ottusità di quel demone giocava decisamente a suo sfavore, ma dopotutto si trattava solo di condurre il discorso lì dove desiderava e dove era certo che avrebbe avuto la sua conferma.

- Ricordi quando ti ho detto che sugli altri demoni su cui è stato testato, il veleno ha distrutto le cellule demoniache nel giro di pochi secondi, riducendoli in cenere? Ho fatto degli esami anche su di te e devi sapere che il veleno ha attaccato le tue cellule, ma invece di ucciderle, le ha solo private del loro potere. In questo modo, solo per poche ore, tu sei diventato perfettamente umano. – concluse enfatizzando l’ultima parola, celando un sorrisetto compiaciuto nel momento in cui vide Inuyasha distogliere lo sguardo. Una conferma e se avesse avuto ragione, avrebbe ottenuto il più grande tesoro di tutti i tempi: un’arma, che avrebbe segnato la definitiva vittoria dell’uomo su qualunque tipo di demone.

- Non sembri molto sorpreso, cagnolino. – gli sussurrò all’orecchio, dopo essersi chinato su di lui, ridacchiando appena al pensiero che quel presentimento sarebbe diventato certezza.

- Si può sapere che diavolo vuoi?! –

- Ti ho appena detto che sei diventato umano per qualche ora e tu non hai fatto la minima piega. –

- E allora? –

- Allora, non siete forse noti per disprezzare gli umani, voi demoni? –

- Tzè… non sono certo come te, razza di bastardo. –

- Interessante… quindi non disprezzi gli umani, né sei sorpreso di essere diventato uno di loro per un po’ di tempo… Lo sai, cagnolino, in quest’ultimo periodo mi sono interessato molto a delle voci, delle antiche leggende, riguardo il frutto dell’unione di demoni e umani. Si dice che queste creature, questi mezzi-demoni, in determinati periodi, perdano i loro poteri demoniaci, divenendo totalmente umani… -

Lo studiò attentamente, per coglierne anche la minima reazione, per poi continuare:

- E sai, se non sapessi che sei un demone completo, potrei quasi supporre che nelle tue vene scorra il sangue... di un mezzo-demone. – e osservò con immensa soddisfazione i suoi occhi dilatarsi appena, - Dimmi, hai idea di cosa capiti a questi mezzi-demoni, quando entrano in contatto con il veleno, cagnolino? – ghignò sadicamente e prima ancora di sentire la risposta, la sua risata divertita e vittoriosa si propagò per tutta la stanza.

- Scusa, scusa. – respirò poi affannosamente, asciugandosi le lacrime e cercando di calmare l’attacco di risa. – Non è carino ridere così, ma cagnolino, sei troppo divertente! Scommetto che muori dalla voglia di ascoltare una storia, vero? – disse e si sedette accanto a lui, incrociando le gambe e le braccia.

- Devi sapere che ormai è parecchio tempo che noi umani facciamo esperimenti sui demoni. Cercavamo qualcosa in grado di annientarvi completamente e all’istante. Siete una razza estremamente pericolosa e se vi si lascia anche solo l’attimo di respirare, riuscite a capovolgere una situazione tragica in vostro favore. Lo ammetto, i primi tentativi sono stati un vero disastro, tanto che spesso sono stati gli stessi umani ad avere la peggio. Ma alla fine abbiamo trovato un modo: usando il vostro stesso sangue, abbiamo creato un’arma in grado di distruggervi e per un po’ ci siamo creduti invincibili. Poi, improvvisamente, la scoperta! Non siete tutti uguali! Lo ammetto, è stato un po’ scioccante scoprirlo e capire che sarebbe stato necessario trovare diversi modi per farvi fuori. Con i demoni comuni non avevamo problemi: per quanto fossero forti, alla fine riuscivamo sempre ad avere la meglio. Lo stesso discorso non valeva però per altre due categorie. Sono sicuro che puoi indovinarle. – fece una pausa, aspettando una risposta che però non venne, - No? Bene, allora te lo dico. La prima categoria è costituita da quelli che voi chiamate demoni maggiori. Creature davvero splendide. Hanno una fierezza e una tenacia incredibili, superiori a quelle di qualsiasi altro essere vivente. Per non parlare poi del loro attaccamento alla vita! È grande quasi quanto il loro smisurato orgoglio. Riuscire a farne fuori uno è stata la gioia più grande della mia vita. Ah… quando ho visto arrivare la consapevolezza della morte e la luce abbandonare i suoi occhi! Non ha detto una sola parola, sai? È rimasto in silenzio, mantenendo intatta la sua fierezza fino alla fine, ma i suoi occhi… Kami, se parlavano i suoi occhi! Ah… scusami sto divagando, ma sono davvero bei ricordi. Anche se quella volta ho quasi rischiato di morire, ne è valsa davvero la pena! Non mi ero mai divertito tanto! –

- Tu sei pazzo! – ringhiò Inuyasha agitandosi, ma le catene gli impedirono anche il più piccolo movimento.

- Cagnolino! Non serve essere gelosi! Anche io e te ci divertiremo tanto, promesso. –

E ancora una volta il demone sentì solo il disgusto e l’insopprimibile desiderio di piantargli gli artigli nella carne.

- Dove ero rimasto? Ah, certo! I demoni maggiori. Sai, è per loro che ho voluto perfezionare il veleno, per renderlo ancora più letale, un qualcosa contro cui neppure loro avrebbero potuto resistere. E pensavo davvero di esserci riuscito, vedendo la tua prima reazione, ma poi… accidenti! Hai distrutto tutti i miei sogni! –

- Quanto mi dispiace… il tuo stupido veleno non funziona poi così bene. – ghignò, sentendo una leggera punta di soddisfazione all’idea di averlo urtato almeno un pochino.

- Oh… cagnolino, cagnolino, sei uno spasso. Il mio veleno funziona perfettamente. Il problema sei tu. O forse sarebbe meglio dire che la chiave di tutto sei tu. Ricordi che avevo nominato due categorie di demoni vero? Sembra quasi un paradosso non ti pare? Potevamo sconfiggerli tutti, tranne i più forti e… i più deboli. Assurdo! L’ultimo scalino della nostra società, inutili mezzi-demoni, ritenuti un crimine e un affronto da entrambe le razze, riuscivano a sopravvivere grazie al loro sangue umano. E indovina, cagnolino? A contatto con il veleno, diventavano umani, proprio come te. Eravamo sorpresi, all’inizio, ma non sembravano una così grande minaccia: una volta trasformati in umani mantenevano quella forma, come se non fossero mai stato altro. Riuscivano a ritornare mezzi-demoni, solo se entravano in contatto con altro sangue demoniaco. Nessuno li vedeva come una minaccia, ma io ho fatto in modo di tenerli d’occhio: sospettavo infatti che prima o poi uno di loro avrebbe mostrato una capacità completamente diversa dagli altri, che si sarebbe verificato un cambiamento nel funzionamento del loro organismo. Ero sicuro che qualcuno si sarebbe ritrasformato in mezzo-demone spontaneamente e a quel punto anche gli altri sarebbero stati in grado di compiere una simile evoluzione. Aspettavo con impazienza l’arrivo di questo qualcuno, ma tu sei andato al di là di ogni mia immaginazione! Tu che sei un demone, sei riuscito a non soccombere al veleno, diventando umano, come se fossi un semplice mezzo-demone; e poi, non contento di avermi sorpreso, ti sei addirittura ritrasformato e tutto da solo! Sai questo cosa significa?! – gli domandò, esplodendo per l’entusiasmo, - Non so ancora come un fenomeno simile sia possibile. Non so se considerarti un’eccezione, un’anomalia o il miracolo che la tua specie stava aspettando, ma il tuo sangue, il tuo preziosissimo sangue, è la chiave di tutto! Grazie a te, riuscirò a creare un veleno che avrà effetto anche sui mezzi-demoni, impedendo la trasformazione. Finalmente anche loro moriranno all’istante e definitivamente! E a quel punto nessuno potrà più fermarci! -

- Sei solo un lurido bastardo! Non te lo permetterò mai! Ti ucciderò prima che tu possa anche solo provarci! -

- Cagnolino, - sussurrò Kuro, allontanandosi e tornando poi con la fiala di sedativo pronta per essere usata, - Sarà un vero onore essere ucciso da te e credimi, aspetterò con ansia quel giorno. –

Esattamente come era successo solo pochi giorni prima, fece pressione sul braccio, mentre Inuyasha si limitava a fissarlo confuso e sbalordito. Non c’era il minimo accenno di ironia nella frase che aveva pronunciato. Possibile che fosse sincero? Che desiderasse davvero la morte?

- Però, permettermi di dirti un’ultima cosa: è un avvertimento. Sai, non vorrei che ci rimassi male in futuro. Se pensi che tutto questo finirà con me, ti sbagli di grosso. – ghignò, riducendo la sua voce ad un sussurro, - Io non sono nessuno; qualcuno molto più in alto di me muove i fili e non c’è modo che tu riesca ad impedire il raggiungimento dei nostri obiettivi. Nessuno, nessuno in tutto l’universo ci impedirà di realizzare il nostro desiderio. -

- Che cosa… volete? – chiese Inuyasha in un sussurro, iniziando a perdere nuovamente contatto con la realtà.

- Lo sterminio dell’intera razza demoniaca. -

 

 

 

 

 

 

 

 

* Kuro: nero.

** Shun: velocità.

 

 

Angolino (chilometrico) di Aredhel

 

Siete adorabili! Siete maledettamente adorabili, sappiatelo. Insieme ad un’altra marea di aggettivi, tutti estremamente positivi e lusinghieri. Mi avete reso felice, che felice è dire poco, perché mi avete scritto dei commenti spettacolari, che davvero mi hanno lasciato a bocca aperta. Ho cercato di non farvi aspettare un’eternità, purtroppo con scarso successo. :( Spero comunque che il nuovo capitolo vi sia piaciuto e passando a cose serie… *^* ditemi, ditemi, Kuro non vi piace da impazzire? *^* Perché io lo sto adorando! Non doveva neanche esistere, ma poi è successo che ero completamente bloccata e non mi veniva l’ispirazione per continuare a scrivere, allora ho pensato: va bene, che male c’è?, facciamo parlare almeno uno di quei soldati che catturano Inuyasha, così magari rendo le cose più interessanti. E non mi sono più fermata! È sadico da far paura, con un cervello grande quanto un pianeta, un bastardo come pochi e per cattiveria… ok non fa concorrenza a Naraku, almeno credo… per il momento :P ma ci si avvicina moltissimo! Ed è stupendo! No ok, sono impazzita per questo personaggio, il che non è affatto un bene eheh. Vi premetto solo che il suo comportamento così crudele avrà delle… attenuanti, chiamiamole così. La mia pazza mente, non contenta di averlo semplicemente presentato, gli ha ricamato dietro tutta una storia con i fiocchi, che si scoprirà nel prossimo capitolo e sinceramente spero di farvelo piacere tanto quanto sta piacendo a me.
Dell’incontro con Koga, invece, che ne pensate? E più importante, la tremenda rivelazione di Miroku! Ora capite perché l’incontro con Kagome non è così scontato come poteva sembrare?
E infine, quanti di voi, guardando Inuyasha, si sono chiesti per quale caspita di motivo i demoni non esistano nell’epoca di Kagome? Io almeno un milione di volte! Così ci ho ricamato un po’ sopra. :P Spero che la mia idea vi sia piaciuta.
Si preannunciano tempi mooooooooooooooolto duri per il povero Inuyasha, che non se la passerà affatto bene (per dirla in modo gentile).

 
A questo punto, mi dispiace ma vi tocca, torna il vostro angolino preferito! Al solito, se vi interessa per capire qualcosa in più sul contesto generale, leggete, altrimenti ci si vede direttamente nel prossimo capitolo, il cui titolo è ignoto persino a me. :P

UN PO’ DI STORIA!

Vi ricordate quando in uno dei capitoli precedenti vi ho parlato della battaglia di Sekigahara del 1600, che segnò l’inizio dello shogunato Tokugawa? Vi ho anche scritto che i Tokugawa regnarono per circa due secoli, cioè fino al 1868 e che l’imperatore, sebbene per tutto questo tempo fosse fisicamente presente, di fatto non aveva potere.
I Tokugawa, possiamo dire praticamente da subito, iniziarono a temere per il loro potere. Diciamo che è una cosa abbastanza normale e frequente nella storia: più accumuli potere e arrivi a detenere certe posizioni di rilievo, più inizi a vedere minacce e nemici ovunque intorno a te. Quindi, iniziarono a sentire una certa pressione e si sentirono minacciati tanto dalla figura dell’imperatore che avrebbe potuto reclamare il potere in qualunque momento, quanto dagli stranieri che arrivavano sempre più numerosi nel loro paese. E a proposito degli stranieri, in particolare c’è da fare una precisione: dal 1549 i Gesuiti avevano iniziato ad approdare sulle coste giapponesi con l’intento di convertire quei popoli. Niente di nuovo insomma, se non fosse che il grande numero di stranieri e di conversioni fu visto come una minaccia per lo shogunato, prima dallo shogun Hideyoshi e poi anche dai Tokugawa stessi, che temevano una loro alleanza con l’imperatore. Fu così che nel 1597 iniziarono le persecuzioni cristiane, che continuarono per ben due secoli; nel 1614 poi il Cristianesimo venne bandito e infine si arrivò al 1641 (la data in cui Miroku fa il bel discorsetto ad Inuyasha. Non è un caso. Diciamo che Miroku da bravo osservatore aveva iniziato ad avvertire, seppure debolmente, il peso di quel nuovo cambiamento all’orizzonte).
Proprio nel 1641, Tokugawa Iemitsu varò un decreto con cui diede inizio alla politica di isolazionismo nota con il nome di Sakoku (paese blindato). Sostanzialmente era vietato ogni tipo di contatto (di qualsivoglia tipo) con gli stranieri: a loro era proibito entrare (e per chiunque venisse preso c’era la pena di morte), ai giapponesi era proibito uscire.
Ora, sfruttando ampiamente la licenza poetica normalmente concessa, mi sono permessa di collegare queste persecuzioni alle persecuzioni dei demoni. È infatti plausibile, nella mia mente e spero anche nella vostra, che i Tokugawa potessero vedere nei demoni un potere troppo grande e quindi una minaccia di gran lunga più temibile di quella che era rappresentata da semplici stranieri per lo shogunato. Ho immaginato così che le persecuzioni dei demoni potrebbero iniziare seriamente intorno al 1750 (ossia quando quella dei Cristiani era ormai quasi alla fine), fatta eccezione per alcuni piccoli… esperimenti(?), avvenuti precedentemente rispetto a questa data: vedi il gruppo di demoni che chiedeva aiuto a Sesshomaru e vedi anche la morte di Ayame avvenuta circa nel 1730.
 

Volevo poi farvi una piccola precisazione: le armi da fuoco (che mi hanno fatto dannare come un’ossessa, perché a me serviva qualcosa di pericoloso e quasi letale e invece qui mi combattono tranquillamente con le spade fino al 1800!) dicevo, le armi da fuoco esistono ed esistono precisamente dal 1543, quando i portoghesi le importarono (ricordate che la squadra dei setti ne fa già uso, vero?).
Nonostante ciò, però, sotto i Tokugawa l’uso e la produzione delle armi da fuoco fu molto limitato: katane, lance e frecce erano l’armamentario all’ordine del giorno. Solo nella seconda metà dell’800 la presenza delle armi da fuoco diviene significativa, perché si stavano affacciando gli Stati Uniti e il Giappone aveva un serio bisogno di difendersi.
In generale sto cercando di rispettare questa quasi assenza di armi da fuoco, lasciando il momento migliore per dopo, ma qualcuna qua e là comparirà necessariamente, anche perché sono dell’idea che Inuyasha un samurai con la katana se lo mangia a colazione, un tizio che gli spara un proiettile in pieno petto… eh, magari qualche problemino glielo dà; voi che dite? XD

 
Ultima informazione “storica”: i riferimenti medici (quei maledetti!) sono stati impossibili da trovare! Tutto quello che ho scritto di sedativi, veleni, e somministrazioni varie è unicamente frutto di mie ipotesi e fantasie, perché come ho già detto mi sono scervellata senza riuscire a trovare un accidente! Se sapete qualcosa voi, illuminatemi vi prego! Esistevano i sedativi in quell’epoca in Giappone?! E le siringhe?! Venivano fatti i prelievi di sangue?! T_T

 
MINI ANGOLINO DI GEOGRAFIA (ve lo avevo anticipato ed è necessario, ma poi vi giuro che sparisco!)

Ipotizzando come centro la città di Edo/Tokyo, ad est ci sono le terre dove risiede la tribù di Koga, i regni ad ovest sono sotto il controllo di Sesshomaru e a sud c’è l’isola di Kyushu, che è estremamente importante! È infatti proprio su quest’isola che sbarcano gli stranieri e i Gesuiti! Ed è proprio lì che ho deciso di fare partire le persecuzioni. In particolare i Gesuiti fondano il centro della loro opera di evangelizzazione nella città di Nagasaki, principale città costiera dell’isola. Ecco svelato il mistero dietro la frase di Sesshomaru dello scorso capitolo: “non andare a sud” era riferito proprio al fatto che le primissime persecuzioni iniziano lì.

 

Se siete arrivati fin qui, vi adoro! <3 <3 <3 <3

Baci, Aredhel

 

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