The last flame

di B e l l e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Back to reality ***
Capitolo 2: *** Lost again ***
Capitolo 3: *** All in ***
Capitolo 4: *** Just you and me ***
Capitolo 5: *** Is that the truth? ***



Capitolo 1
*** Back to reality ***


The last flame





Back to reality

 

 

 

Chicago, 29 aprile 2014

 

Piove. Non avevo dubbi. Ci mancava il diluvio universale in una giornata pessima come questa. Chicago ti odio e ti odierò sempre.
L'autobus mi ha lasciata a dieci isolati da casa e non ho nemmeno un misero ombrello; ho perso il cellulare all'aeroporto di San Francisco, o forse prima, e nessuno mi aspetta a casa. Fanculo tutto. Ecco il nuovo graffito che farò: Fuck the world. 
Prima non nutrivi tutto questo risentimento verso la tua città natale.
Prima vivevi felice qui.
Prima l'arte era solo un hobby che praticavi con i tuoi amici e non comprendeva bombolette spray.
Stringo la testa tra le mani, cercando di zittire la fastidiosa voce della mia coscienza che mi tormenta da anni.
"Ci sarà un motivo per cui sono andata via, no?" dico ad alta voce, incurante dei passanti che mi vedono camminare a passo svelto, fradicia fino alle mutande, e parlare da sola come una pazza.
Un tuono squarcia il cielo grigio e io rimpiango sempre di più il tiepido sole primaverile di San Francisco.
Perché sei tornata?
Già, quando diavolo mi è venuto in mente di tornare a casa? L'America è tanto grande, il mondo è immenso.
Di tutti i posti, proprio Chicago? Proprio qui, in questo quartiere maledetto? In quella casa, dalla quale sei uscita in lacrime, gridando che non saresti tornata mai più?
"Ero solo una fottuta ragazzina!" esclamo a me stessa, spaventando una signora ferma sotto una tettoia.
Passo davanti alla vetrina di una pasticceria italiana e vedo il mio riflesso. Mi fermo a contemplare l'orribile spettacolo che mi si prospetta. Sembro una sbandata: i jeans larghi e zuppi, sporchi e strappati; le etnies che da bianche sono diventate marroni per il fango e le pozzanghere in cui sono sprofondata durante tutto il tragitto, dalla fermata dell'autobus a qui; i capelli arruffati e annodati in una coda sfatta; il trucco sciolto. Un mostro, insomma. Forse l'aspetto esteriore riproduce semplicemente ciò che ho dentro in questo momento: mi sento da schifo e... faccio schifo.
Proseguo dritta e, finalmente, vedo casa mia a poche decine di metri. Faccio un sospiro, cerco di ingoiare il groppo che si è creato nella mia gola e mi avvicino.
"Milady?!" sento gridare alle mie spalle. Diavolo, quanto tempo è che nessuno mi chiama più Milady? Forse non vogliono me. Ci sarà un'altra persona soprannominata così. E poi, in questo momento, non ho affatto un aspetto rispettabile e degno di un nome del genere. Non sono io, non sono più La Lady. Non faccio più parte di quel gruppo.
Non mi volto, continuo a camminare.
"Mandy!"
Cavolo, vogliono proprio me, allora. Non voglio vedere nessuno, voglio solo rintanarmi in soffitta.
"Amanda Riders!" una mano mi stringe la spalla. "Perché fai finta di non sentirmi?"
È Savannah, lo sapevo. Non posso negarmi, in fin dei conti lei non c'era neanche, quando ho lasciato Chicago.
"Ciao Save" la saluto, voltandomi. Poi mi lamento se mi chiamano ancora Milady... io stessa uso il soprannome. Faccio una smorfia tra me e accenno un sorriso alla mia amica.
Si butta tra le mie braccia, facendo cadere l'ombrello, incurante del mio pietoso stato.
"Sei tornata? Dimmi che resti a Chicago. Non sai quanto mi sei mancata..."
Avevo quasi dimenticato la sua esuberanza: un fiume di parole mi travolge, mentre io non posso che guardarla attonita.
"Sono appena arrivata e... non so se resto" rispondo, in fine.
"Come non sai se resti? Devi raccontarmi tutto, non ti sei fatta sentire per..."
"Quasi tre anni!" concludo la frase per lei.
"Ecco, ti pare? Perché sei andata via così? Perché non mi hai fatto neanche una telefonata?"
Mentre parla, mi chiedo se è necessario continuare questo discorso – interrogatorio – in mezzo alla strada, sotto la pioggia incessante, ma non la interrompo.
"Dove sei stata fino ad ora? Tua madre mi disse che non volevi più sentire nessuno..."
Devo fermarla, altrimenti sarebbe capace di continuare a fare domande fino a notte fonda.
"Savannah! È una storia lunga, avremo tempo di parlare..." la interrompo.
Lei mi guarda male: sa che sto cercando di liquidarla, ma non si lascia scoraggiare.
"Dimmi almeno dove sei stata, con chi e perché, grazie al cielo, sei tornata!" mi scuote per le spalle.
"Ho fatto una specie di coast to coast, i primi mesi, poi ho conosciuto un ragazzo e mi sono trasferita con lui a San Francisco" riassumo brevemente. Ci sarebbe così tanto da dire su questi tre anni, ma non ho nessuna intenzione di parlarne, né qui, né ora.
"Chi è questo ragazzo? È rimasto in California?" mi chiede ancora. Alzo gli occhi al cielo.
"Mi ha lasciata ieri sera, ok? Ecco perché sono tornata, altrimenti sarei rimasta al sole di San Francisco!" esclamo alterata "Chicago non mi mancava per niente".
Savannah abbassa gli occhi per un attimo. Si sente ferita, lo so. Mi ha sempre voluto un gran bene e io a lei, ma conosce anche il mio caratteraccio e, vedendomi così, evita di rispondermi a tono.
"Qui sono cambiate tante cose, noi del gruppo non ci vediamo più così spesso" continua.
Mi dispiace per loro, ma io non ne faccio più parte. Non voglio sapere niente.
"Il Maestro è volato in Europa, a Parigi, lavora in un ristorante stellato..." ecco appunto, come non detto. Il Maestro è partito?
"Come è a Parigi?" chiedo, ormai incuriosita. Il Maestro è colui che mi ha insegnato a 'giocare col fuoco'. È il giocoliere e lo sputafuoco più bravo che io conosca e la sua arte mi è entrata dentro dalla prima volta che l'ho visto esibirsi in strada. Mi ha insegnato tutte le acrobazie, i dettagli, i rischi e come evitarli... mi ha insegnato addirittura a sputare il fuoco, e io mi esibivo con lui nelle periferie della città. Ero brava... un tempo.
"Già, ha deciso di pensare alla carriera ed è convinto che qui non possa crescere più... contento lui... manca a tutti" continua Savannah.
Ho capito, non me ne libererò tanto facilmente. Muore dalla voglia di aggiornarmi su ogni componente del gruppo, glielo leggo negli occhi.
Siamo fradice. Tossisco.
"Possiamo spostarci, magari, sotto il portico?" chiedo, indicando casa mia.
La mia amica annuisce e, finalmente, ci ritroviamo con un tetto sopra la testa. Butto lo zaino, che mi stava spaccando la schiena, e cerco di sistemarmi alla meno peggio i capelli gocciolanti.
"T-Jay lavora sempre al Wyndham Gran Chicago, per farsi un curriculum decente. Lo stanno spremendo, non ha più tempo per fare lo scemo in giro. Poi adesso è fidanzato... lo sai?"
Mpf. T-Jay fidanzato? Siamo proprio al delirio.
Non le rispondo e attendo che prosegua.
"Io sto facendo un corso di fotografia, per perfezionare lo stile, ma per te troverei il tempo. Ricordi quanto mi piaceva fotografarti col fuoco? Ti esibisci ancora?"
Già, avevo la fotografa personale. Non gioco più, però.
"No, mi sono data ai graffiti" rispondo piatta. "Se hai finito di raccontare, vorrei entrare a fare una doccia..." provo di nuovo a fuggire, invano.
"Non vuoi sapere di Jenny? Eravate inseparabili... e di May? Non sta passando un bel periodo, sai?"
Il mio cuore manca un battito a sentir nominare May. Accostato a Jennifer, poi... era proprio ciò che volevo evitare di sentire. Giro lo sguardo e fisso la porta di casa. La guardo, ma non la vedo: nella mia mente, adesso, ci sono solo due fari verdi. Solo gli occhi di Simon 'May', altrimenti detto Il Napoletano, per le origini della sua famiglia.
"Lady?" Save richiama la mia attenzione. La guardo con gli occhi leggermente velati. Non voglio sapere niente di May, che diamine!
"Nella carriera ha svoltato: ha iniziato la stagione al Alinea, tre stelle Michelin, ma è sempre triste. Non esce quasi più con nessuno di noi, tranne T-Jay, qualche volta, ma come ti ho detto, T-Jay si è fidanzato... con Jenny!"
Che cosa?! Ted e Jennifer? Non è possibile.
"Come?" esclamo stupita. Ora capisco perche May è così triste.
"Sì, si sono messi insieme l'anno scorso. Se tu avessi risposto alle email e alle chiamate di Jenny lo sapresti. In questi tre anni non ha fatto altro che chiedere di te, a chiunque, ogni giorno. Le manchi da morire. Sai che non aveva affinità col fuoco, ma è entrata nel gruppo per stare con te. Era la tua migliore amica, Mandy!"
"Hai detto bene, era!" rispondo a tono. "Adesso, Save, se non ti dispiace, vorrei proprio rilassarmi. Ho passato una nottata e una giornata pessime, sono in uno stato pietoso e sto morendo di freddo".
Savannah mi sorride tristemente. "Promettimi che la chiamerai, non la sento da qualche giorno" insiste.
"D'accordo, se ho tempo, stasera le faccio uno squillo. Contenta?"
Savannah sorride e finalmente, dopo saluti e raccomandazioni di non sparire di nuovo, mi lascia sola.
Se possibile, sono ancora più infastidita di prima. Mi ha fatto piacere vedere Save, mi è mancata come tutti gli altri, ma quando ho lasciato Chicago ho deciso di non avere più niente a che fare con quel gruppo e così deve essere.
Adesso sto mandando i peggiori accidenti a Stefan. È tutta colpa sua. Se non mi avesse lasciato per quella troietta, adesso sarei affacciata alla terrazza del suo attico a godermi la vista del Golden Gate. Fanculo. Sono superficiale? Può darsi.
Sì, ero innamorata di Stefan, ma ho pianto già abbastanza. Adesso ci mancava Savannah a risvegliare vecchi sentimenti ed emozioni perse. Non vedo l'ora che finisca questa dannata giornata. Non che mi aspetti che domani vada meglio. Domani saranno esattamente tre anni dal giorno in cui ho lasciato la città. Dal giorno in cui mi si è spezzato il cuore. Dal giorno in cui ho deciso che non sarei più tornata. Invece eccomi qua a ricordare The Flames, a ricordare Il Maestro, T-Jay, Save, Jenny... e May. A sentirmi chiamare Milady. A piangere ancora.

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice.

Ciao a tutti! È la prima volta che scrivo un giallo e questo è un tentativo senza pretese. Ho colto l'occasione leggendo il bando del bellissimo contest di Faejer sul forum di EFP e ho pensato 'perché non provarci?'. Siate clementi, anche perché è la prima long originale che pubblico.
Dettagli importanti: la città, la stagione e la professione della protagonista sono dovuti al pacchetto che mi è capitato; la story-line è dettata dal giudice, quindi la mia storia si svilupperà secondo le tracce dei turni.
Spero di riusciva a fare un lavoro almeno 'accettabile'.
Se lasciate una recensione mi fate davvero contenta.
A presto^^

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Capitolo 2
*** Lost again ***


 Lost again

 

Mi gratto la testa bagnata. Sotto quale vaso è nascosta la chiave di riserva? E soprattutto, c'è sempre una chiave di riserva nascosta sotto un vaso? Tre anni fa era il terzo a destra. Mi accuccio e lo sollevo. Niente. Non c'è nessuna maledetta chiave là sotto.
E adesso? Mi maledico ancora e ancora per essere tornata a Chicago. In particolar modo, per essere tornata proprio adesso che i miei sono a Manhattan. Non potevo prevederlo. Non potevo sapere che Stefan mi avrebbe lasciata proprio la sera stessa che mia madre e mio padre sarebbero partiti alla volta di New York per il corso d'aggiornamento, e nella furia di levarmi di torno non ci ho affatto pensato. Sono completamente distrutta. Fanculo, voglio solo entrare in casa mia. Dopo una nottata a litigare e a piangere, finita sulle scomode poltroncine dell'aeroporto con uno zaino riempito dello stretto indispensabile – cose che non avrei mai lasciato nell'attico di Stefan; dopo un viaggio di sei ore, seguito da altre due di attesa per controlli a due stranieri dall'aria losca, il traffico, la pioggia incessante... dopo tutto questo, non merito una doccia e una cioccolata calda, rannicchiata in soffitta?
Invece di piangerti addosso, guarda sotto gli altri vasi, idiota! – mi dico, schiaffeggiandomi mentalmente.

Passo in rassegna tutte le piante posizionate con cura sul portico dalla signora delle pulizie – sarà sempre Dora? Nelle rare telefonate, i miei genitori non hanno mai fatto riferimeto a cambiamenti di questo tipo, ma d'altronde, come hanno cambiato la posizione della chiave, possono aver cambiato anche il personale. Analizzo ogni gamba del tavolo, rovescio le sedie, frugo tra le siepi che circondano il portico, alzo il tappetino. ARGH! Niente di niente! Sembro una pazza schizzofrenica, o peggio, una ladra. Ma io voglio solo entrare in casa mia, maledetta la miseria! Sto per scoppiare in lacrime dalla disperazione. I miei dovrebbero tornare fra tre giorni, sempre se non viene loro in mente di passare a New York il fine settimana. Non c'è una cabina telefonica nel giro di miglia – chi le usa più – e il mio cellulare, chissà che fine ha fatto. Sono completamente nella merda! Mi siedo sfinita sul dondolo e chiudo gli occhi, cercando di trovare una soluzione. Poi mi viene chiesto perché odio tanto Chicago.
La soffitta! Certo, se passa qualcuno vengo davvero scambiata per una ladra, ma... può essere l'ultima speranza.
La soffitta, grande quanto un monolocale – probabilmente progettata per essere una depandance – ha anche un'entrata esterna, oltre alla porta in cima alle scale del secondo piano. Non è collegata all'allarme, inoltre la serratura è vecchia. Con una forcina dovrebbe aprirsi.
Raccatto lo zaino e salgo le scale esterne fino alla porta della soffitta. Mi tolgo una forcina dall'ammasso informe di capelli bagnati e annodati e faccio per infilarla nella serratura. Quasi cado in avanti, quando, appoggiando la mano sulla maniglia della porta, quest'ultima, cigolando, si apre. Chi diavolo ha lasciato la porta della soffitta aperta?
Non ho tempo per queste domande. Un'incredibile puzza di bruciato mi invade le narici e, sbirciando nell'oscurità, dietro la porta, riesco a vedere solo fumo.
Bene, è andata a fuoco la soffitta. Com'è possibile?
Mi alzo il foulard fino alla punta del naso ed entro, tastando il muro per cercare l'interruttore della luce. Se mi vedesse quello scemo di T-Jay, direbbe che sembro uno di quegli hooligans inglesi degli anni ottanta. Pff. L'Europa. Perché non ci ho pensato prima. Invece di tornare a Chicago sarei potuta partire per l'Inghilterra o per l'Italia, magari per la Francia, come Il Maestro. Ma cosa ne sapevo io che Il Maestro era volato a Parigi?
Finalmente, dopo aver percorso mezza soffitta, attaccata al muro in cerca di un interruttore, inciampando di qua e di là, riesco ad accendere la luce.
Un urlo mi si strozza in gola. Rimango senza fiato, la bocca spalancata, l'espressione di terrore negli occhi. Le gambe mi cedono e cado in ginocchio. Lo spettacolo che mi si prospetta davanti è tanto assurdo, quanto, purtroppo, reale. Provo a sbattere gli occhi, ma tutto resta com'è. Non è la stanchezza che mi gioca brutti scherzi. È tutto vero.
Steso davanti a me, sul pavimento in pietra, un corpo semicarbonizzato con gli occhi scuri spalancati, fissi su di me. La puzza di bruciato è incredibilmente forte, a quella distanza, e il fumo che avvolge il cadavere rende il tutto più surreale.
Rimango pietrificata a fissare il viso inerme di quella che un tempo era la mia migliore amica. Non riesco a capacitarmi di avere davanti il corpo senza vita della persona con cui sono cresciuta, con cui ho vissuto ogni momento, bello o brutto che fosse, della mia vita fino a tre anni fa. La persona che accusai di tradimento, quel giorno di fine aprile, senza ascoltare la sua versione dei fatti – non che ciò che mi ero trovata davanti lasciasse troppo all'immaginazione – e che lasciai, senza una parola, per qualcosa che, probabilmente, la maggior parte delle persone reputa irrilevante rispetto ad un'amicizia durata più di dieci anni, si trova qui, davanti a me, priva di vita ed io non... non vedo più niente.

 

"È viva! È solo svenuta"

...


"Signorina, mi sente? Si svegli, signorina"

...

Sento un dolore alla testa, come se avessi sbattuto forte contro qualcosa di duro... e delle voci.
Qualcuno mi scuote e mi schiaffeggia piano. Sento dei passi e altre voci confuse. La puzza di bruciato invade di nuovo le mie narici. Mi torna in mente ciò che ho visto appena entrata in soffitta, ma ancora non riesco a realizzarlo.
Apro gli occhi e mi trovo davanti due grandi iridi azzurre, a pochi centimetri dal mio viso, che mi scrutano.
"Va bene, agente, faccio io"
Vedo il padrone di quegli occhi alzarsi ed allontanarsi di poco, mentre un altro signore, più anziano, mi si avvicina e si accovaccia davanti a me.
"Sa dirmi il suo nome, signorina?" mi chiede, scrutandomi con attenzione.
"Amanda Riders" rispondo confusa, tirandomi su, a sedere, e guardandomi intorno per la prima volta da quando ho aperto gli occhi.
La mia soffitta è piena di gente: oltre all'uomo davanti a me, ci sono due poliziotti in divisa, tre portantini dell'ambulanza e un uomo con un camice, piegato sul corpo semicarbonizzato della mia migliore amica.
"Co... cosa diavolo...?" provo a dire, guardando l'uomo più vicino a me.
"Lei è svenuta. Ci abbiamo messo una buona mezz'ora per farla rinvenire" risponde lui in tono pacato. Poi, come se sapesse già cosa stavo per chiedere, mi mostra il distintivo. "Polizia di Chicago. Siamo stati avvisati da un testimone che ha detto di aver visto del fumo uscire da una soffitta. Sono il Commissario Stevens e devo chiederle di seguirmi in centrale, dove chiariremo tutta questa situazione".
Spalanco gli occhi e mi giro di scatto verso il corpo di Jenny, ormai coperto completamente. Finalmente realizzo cosa è successo. Realizzo che la mia migliore amica è... morta. Non c'è più.
Un dolore atroce invade il mio petto e gli occhi mi si riempiono di lacrime.
"S..sono in arresto?" mi rivolgo di nuovo al commissario, con voce tremante, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
"No, signorina. È solo un fermo. D'altronde, è stata trovata sulla scena del crimine e, anche se crediamo si tratti di suicidio, non possiamo escludere nessuna pista".


Suicidio? Jennifer non lo avrebbe mai fatto. Jenny amava la vita. Come può essere cambiata così tanto in questi tre anni? Cosa le può essere successo di così grave da farle desiderare di morire?
Sono seduta davanti alla scrivania del commissario Stevens, con una coperta addosso, in attesa dell'interrogatorio, e non posso far a meno di pensare alla mia migliore amica. Le lacrime sono riuscite a scappare e mi hanno rigato il viso per tutto il tragitto in volante. Grazie al cielo, mi hanno risparmiato le manette. Non posso credere di trovarmi in una centrale di polizia, appena messo piede a Chicago, con dei sospetti sul fatto che possa aver ucciso una persona. Okay, nessuno mi ha ancora accusata, ma poco ci manca. Sono furiosa, distrutta moralmente, stanca morta – ci hanno messo mezz'ora a farmi riprendere i sensi – bagnata e sporca. Può andare peggio di così? Sì, potrebbero rinchiudermi davvero e addio Mandy.
Finalmente il commissario si decide a parlare.
"Allora, signorina Riders. La soffitta dove abbiamo trovato lei e un cadavere semicarbonizzato, è casa sua?" chiede.
"Sì" rispondo lievemente.
"Conosceva la vittima?"
"Sì" ripeto.
"Può dirmi il suo nome? Non abbiamo trovato documenti sul corpo".
"J..Jennifer Lewis, nata a Chicago il dieci novembre del novanta" dico automaticamente, con voce tremante. Jenny è morta, non ci posso credere.
"Bene. Quando è arrivata in soffitta, la signorina Lewis era viva?" chiede.
"No. Ho trovato la porta della soffitta aperta e, quando ho acceso la luce, mi sono trovata il suo corpo davanti, avvolto dal fumo" racconto.
"C'era qualcun altro in casa? Vive sola?"
"Non c'era nessuno, per quanto ne so, i miei genitori sono a New York da ieri sera".
Vedo il viso del commissario farsi pensieroso. "La morte pare risalga a non più di qualche ora fa, ma saremo più precisi dopo l'autopsia. Comunque, provvederemo a contattarli. Da quanto non entrava in soffitta?".
"Da tre anni!" rispondo.
Il commissario mi guarda perplesso, così proseguo: "Ho lasciato Chicago tre anni fa e sono arrivata solo da poche ore, con un volo da San Francisco".
"Quante ore fa?" chiede ancora. Sta per caso insinuando qualcosa?
"Mah... il volo doveva atterrare all'una del pomeriggio, ma temo sia arrivato in ritardo. Poi, sono stata due ore in attesa per uscire dal terminal, poi il pullman, il traffico... credo di essere entrata in casa per le sei" spiego, cercando di ricordare ogni dettaglio del mio rientro.
Il commissario incrocia le braccia e mi guarda serio.
"Dunque, lei non ha un alibi concreto, se non l'orario stampato sul biglietto aereo". Ecco, adesso sta insinuando qualcosa. Spalanco gli occhi. Non ho mai amato la polizia, anzi, mi è sempre stata parecchio sulle scatole, tanto per non essere volgare.
"Senta, sono distrutta fisicamente e moralmente. Le pare il caso di accusarmi di omicidio? Jennifer era la mia migliore amica! Non la vedevo e non la sentivo da tre anni, sono arrivata in soffitta e l'ho trovata morta!" Le lacrime cominciano a scendere di nuovo sul mio viso e faccio fatica a continuare il discorso.
"Perché non ha chiamato il 911, quando ha trovato il cadavere?" chiede ancora il commissario, non curandosi del mio stato emotivo.
"Perché sono rimasta scioccata e... a quanto pare sono svenuta!" quasi urlo in faccia a quel maledetto poliziotto. Sono sfinita, non ne posso più.
Squilla il telefono e Stevens risponde. Dice a qualcuno di portare qualcosa dentro e poco dopo entrano due agenti. Il primo ha in mano due bastoni, con due calzini bruciati appallottolati ai lati di ognuno. L'altro ha una bottiglia. Guardo gli agenti appoggiare sulla scrivania gli attrezzi e vedo il commissario esaminarli.
"Conosce questa roba, signorina?" mi chiede, posando di nuovo gli occhi su di me.
"Sì" rispondo "sono i miei vecchi attrezzi per giocare col fuoco... sa, sputafuoco e roba varia..." la faccio semplice. Voglio uscire da quel posto il prima possibile.
"Lei sa giocare col fuoco? E la sua amica?"
"Io sì, Jenny no. Ha sempre avuto paura. Non capisco come possa aver trovato il coraggio di prendere in mano un bastone infuocato..." dico, più a me stessa che a lui.
"Pensa che la signorina Lewis possa essersi suicidata, usando quei bastoni?" chiede ancora il commissario, stirandosi i baffi con le dita.
"Assolutamente no. A meno che in questi tre anni, Jennifer non sia cambiata completamente, posso ciecamente escludere che si sia avvicinata al fuoco e, soprattutto, che si sia suicidata". Chiudo gli occhi, poi li riapro e vedo il commissario alzarsi e posizionarsi davanti a me.
"Capirà, signorina Riders, che se escludiamo l'ipotesi suicidio, lei rimane la prima indiziata. Nonostante ciò, prendiamo atto della sua deposizione. Le indagini proseguiranno, interrogheremo tutte le persone vicine alla vittima. Finché la sua innocenza non verrà confermata, non ha il permesso di lasciare la città e deve tenersi a disposizione per nuovi interrogatori" conclude.
Sospiro e annuisco. Mi chiede i recapiti telefonici, ma posso dargli solo quello di casa, con la promessa di presentarmi domani, dopo aver comprato un cellulare nuovo, per lasciare il numero.
"La scena del crimine deve rimanere intatta. Abbiamo provveduto a chiudere entrambe le porte che conducono di sopra. Può tornare tranquillamente a casa sua, ma non deve per nessun motivo entrare in soffitta". Annuisco e faccio per togliermi la coperta dalle spalle, ma mi blocco. Non posso entrare in casa. Spiego al commissario la situazione delle chiavi: "le assicuro che ne ho una copia in camera, da qualche parte, ma devo passare dalla soffitta per entrare".
Risolvo la situazione facendomi accompagnare in casa da un agente, che attende finché non trovo il mazzo di riserva e che chiude di nuovo la soffitta portandosi via le chiavi di entrambe le porte. Tanto, non ci sarei entrata comunque. Non so se avrò mai più il coraggio di salire lassù.


Sono digiuna da tutto il giorno, ma non ho intenzione di cenare. Ho buttato tutti i vestiti in lavatrice, sono stata un ora sotto la doccia e mi sono fatta una tazza di cioccolata calda. Adesso la sto sorseggiando sotto le coperte del mio letto. I miei genitori non hanno spostano neanche un soprammobile mentre ero via e la mia camera è pulita e ordinata. Mh, forse qualcosa hanno spostato, perché io, ordinata, non sono mai stata. Sorrido amaramente. Sono in casa mia, nel mio letto, al sicuro... ma mi sento persa. Di nuovo. Persa come tre anni fa, quando scappai.
Al piano di sopra si è consumato un omicidio, mentre cercavo di tornare a casa. Sì, un omicidio. Mi rifiuto di credere che Jennifer Lewis si sia suicidata. Pensare che, fino a poche ore fa, non avrei nemmeno voluto sentirla nominare, mentre adesso mi pento di non aver mai ascoltato ciò che aveva da dirmi, di non aver mai letto le sue email o risposto alle sue telefonate. Adesso che Jenny non c'è più, sento forte il bisogno di abbracciare quella che era la mia migliore amica. Quella che ho abbandonato tre anni fa. Vorrei tornare a quel giorno e cambiare le cose: fermarmi a capire cosa è successo. Ormai è troppo tardi.
Finisco la cioccolata e poso la tazza sul comodino. La polizia interrogherà tutti i membri del The Flames. Volente o nolente dovrò rivederli. Può essere stato uno del gruppo a farla fuori? E perché poi? Savannah ha detto che si è fidanzata con T-Jay... oddio, stento ancora a crederci. T-Jay è irascibile, permaloso e rissoso, ma non credo che arriverebbe mai a tanto. Save non farebbe del male ad una mosca. Il Maestro è a Parigi. May... no: Simon è la persona più buona del mondo e poi... da quanto avevo capito, si era innamorato di lei. Perché ucciderla dopo tre anni? Chiunque sia stato, che tempismo! Voleva incastrarmi per caso? Chi ce la può avere tanto con me e Jenny per ucciderne una ed incastrare l'altra? Sbuffo. Nessuno poteva incastrarmi intenzionalmente perché nessuno sapeva che sarei tornata. Nessuno. Nemmeno i miei genitori. Nemmeno Stefan sapeva che sarei tornata a Chicago.
Sbadiglio. Sono distrutta. Ci penserò domani.
Buonanotte mondo crudele e... VAFFANCULO!



 

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Capitolo 3
*** All in ***


All In

 


Chicago, 30 aprile 2014

 

Finalmente fuori. Non ne potevo più di stare dentro quelle mura, tempestata di domande su domande. Dopo tutto quello che è successo, ci mancavano solo i miei.
Questa mattina sono stata svegliata di soprassalto da mia madre, rientrata in anticipo da New York, su richiesta della Polizia di Chicago, insieme a mio padre, e da quando ho aperto gli occhi, di malavoglia, non ho avuto un attimo di tregua. Come possono pretendere che io racconti dettagliatamente gli ultimi tre anni della mia vita in una mattinata? Come possono solo lontanamente pensare che io abbia voglia di ripetere ancora e ancora i motivi per cui sono tempestivamente tornata in città e, soprattutto, che io spieghi per filo e per segno gli avvenimenti che si sono susseguiti dal mio rientro a casa, ieri pomeriggio?
Bene, dal loro punto di vista hanno ragione: la loro bambina compare dal nulla, dopo tanto tempo, e la Polizia li richiama dalla Grande Mela, comunicandogli che nella loro soffitta si è consumato un omicidio/suicidio o qualcosa del genere. Chiunque sarebbe preoccupato, chiunque chiederebbe spiegazioni. Ma, a nessuno viene in mente che io possa essere traumatizzata? Ho solo trovato il cadavere semicarbonizzato della mia migliore amica e gli agenti mi hanno chiaramente fatto capire che sono la prima indiziata con l'accusa di omicidio volontario e, magari, anche premeditato... dettagli, vero? Grazie al cielo, nello Stato dell'Illinois è stata abolita la pena di morte... non si sa mai.
Da quanto ho capito, i miei genitori sono stati interrogati questa mattina, mentre io dormivo. Sono stati convocati in centrale e hanno risposto a domande sulla partenza per il loro viaggio a New York, sulla soffitta, su di me e sulla mia pemanenza lontano da Chicago. Poveracci, non posso biasimarli se vogliono capirci qualcosa. Loro, davvero, non c'entrano niente con tutto questo. Loro adoravano Jenny: la consideravano come una seconda figlia. Mi hanno raccontato che, qualche volta, quando era triste, la mia amica si andava a rifugiare su in soffitta. Nella nostra soffitta. Ultimamente, pare succedesse più spesso del solito. Dora, la donna delle pulizie, la trovava raggomitolata in un angolo, con un cuscino tra le braccia, che fissava i miei vecchi strumenti per il fuoco.
Tutto ciò è alquanto strano: Jenny è sempre stata una ragazza solare, prendeva ciò che la vita le portava con allegria, non si lasciava abbattere facilmente. In più, se ero io la causa del suo sconforto, come mai, solo ultimamente, le sue visite erano diventate frequenti? Non sarebbe dovuto succedere all'inizio, quando sono partita?
Anche se non ho fatto niente, mi sento un po' in colpa per i miei genitori. Dopo la mia fuga, la mia lontananza, non possono godersi la goia del mio ritorno.
Almeno, grazie a mio padre, mi sono risparmiata il temporale. Prima di pranzo, è uscito di nuovo per comprarmi un cellulare e per far avere il mio numero alla Polizia. Grand uomo mio padre. Come sei ruffiana, Mandy!
Comunque, la fatidica telefonata non ha tardato ad arrivare. Sono stata convocata per le cinque di questo pomeriggio, di nuovo in centrale, per un altro interrogartorio. Come se non avessi già detto tutto. Cosa vogliono da me, ancora? Sono innocente, come provarlo? Savannah mi ha vista arrivare, abbiamo anche parlato di Jennifer. Se interrogassero lei, potrebbe riferirlo. Non voglio metterla in mezzo, però. Già... cosa ci faceva Save davanti a casa mia, prima del mio arrivo?
Cretina! Come puoi solo pensarlo? Scuoto la testa, non è possibile.

Menomale che ha smesso di piovere. Sono fuori dalla porta di casa di Jennifer, a pochi isolati dalla mia. Non ho la forza di bussare. Cosa penseranno di me sua madre e suo fratello? Mi accuseranno? Crederanno alla mia innocenza? Mi scaricheranno addosso il loro dolore? La loro rabbia?
Tiro fuori tutto il coraggio che posso trovare dentro di me e suono il campanello. È mio dovere far visita alla famiglia che mi ha accolto tanti anni fa e che mi ha sempre trattato come una di casa.
Mi apre la signora Lewis, gli occhi rossi e gonfi, una vestaglia e un fazzoletto in mano.
"Salve Mary" saluto incerta.
"Amanda, bambina mia!" esclama la mamma di Jenny, buttandosi tra le mie braccia e scoppiando in lacrime.
La stringo imbarazzata. Non mi aspettavo affatto questo tipo di reazione.
Mi invita ad entrare e mi prepara una tazza di caffé, in silenzio, mentre io mi siedo al solito posto.

Si nota da come mi guarda che, non solo non nutre alcun sospetto su di me, ma non prova neanche nessun tipo di rancore nei miei confronti. Forse dovrebbe. Ho abbandonato sua figlia, non mi sono più fatta viva, ho causato moti di tristezza nel cuore di Jenny... mi sembra abbastanza per avercela un po' con me. Invece, lei mi guarda come se fossi un miracolo. Mi sento in colpa. Dio, quanto mi sento in colpa.
"Ti ringrazio per il caffé, Mary. Sono venuta solo a vedere come state e... a farvi le mie più sentite condoglianze" le ultime parole mi escono in un sussurro. Abbasso gli occhi, non so cosa dire.
"Amanda, nonostante tutto, questa sarà sempre un po' anche casa tua. Non ti peritare a venirci a trovare, se vuoi. E, soprattutto, vorrei che tu sapessi che nessuno di noi crede alle accuse della Polizia. Ti conosco troppo bene, tesoro mio. Non avresti mai toccato Jenny, anche se non volevi più vederla."
Le parole della signora Lewis mi tranquillizzano. La cosa più importante per me è questa: se le persone a cui tengo credono alla mia innocenza, avrò la forza di provarla.
Abbraccio Mary, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Ho bisogno di schiarirmi le idee, di trovare qualcosa che possa portarmi sulle tracce dell'assassino.
Ti troverò, bastardo!

Adesso, mi trovo a passare davanti al bar che frequentavamo anni fa. Il The Flames si riuniva là dentro e, tra una birra, una sigaretta e tante risate, passavamo i pomeriggi di pioggia, quelli in cui non potevamo scorrazzare fuori o esibirci col fuoco. Cercavamo sempre di trovare un giorno che andasse bene a tutti, per i nostri ritrovi, anche se era quasi impossibile: quando Il Maestro e T-Jay avevano il giorno libero, May aveva solo mezza giornata. Quando era libero May, gli altri due dovevano scappare a lavoro nel primo pomeriggio. Trovavamo, però, il modo di riunirci tutti, anche per un'ora.
Sorrido a quei ricordi che affiorano nella mia mente e mi accorgo di essermi fermata a fissare l'insegna del bar. Le luci blu al neon fulminate, come tre anni fa. All'apparenza non è cambiato niente, come se il tempo si fosse fermato. Invece, niente è più come prima. Il tavolino all'angolo ospita un gruppetto di adolescenti seduti composti; non c'è più T-Jay a gambe larghe, Save immersa nella propria borsa a cercare chissà che cosa, Il Maestro intento a ordinare per tutti, May con le braccia dietro la testa e lo sguardo sognante e Jenny appoggiata alla mia spalla. Tutto finito, rotto, spezzato. Tutto è sfumato questo stesso giorno di tre anni fa.
"Mandy!" una voce alle mie spalle interrompe i miei pensieri. Mi volto e mi trovo davanti Thomas, il fratello di Jennifer. Non è cambiato di una virgola: i ricci scuri, sempre un po' troppo lunghi, che gli ricadono sugli occhi, i jeans sformati e la solita maglia dei Chicago Bulls sotto la felpa. Il solito Tom, insomma.
Mi invita al tavolo e mi offre da bere. Accetto di sedermi, per non sembrare scortese, ma declino la birra. Devo andare in centrale e ci manca solo che mi facciano l'alcol test. Cosa diavolo stai farneticando? Comunque, rifiuto la bevanda.

Thomas mi sorride, sono sicura che si sta chiedendo dov'è finita la mia parlantina. Beh, in realtà non ho voglia di parlare proprio con nessuno. Lo capiranno mai? Maledico ancora la mia mente malata che ha deciso di tornare a Chicago. Tutto questo non sarebbe successo, o meglio, sarebbe accaduto senza di me. Ma no, figuriamoci, senza Mandy dov'è il divertimento?
"Sai, Mandy" pausa. "Jenny era una ragazza piena di vita, ma ultimamente era cambiata. Come se... la fiamma si fosse spenta."
Il mio cuore manca un battito. Cosa intende dire?
"Io... io non escludo il suicidio" continua.
Spalanco gli occhi, apro la bocca per parlare, ma non esce niente. Jenny era l'ultima persona al mondo che potesse anche solo pensare al suicidio. Non ci crederò mai, MAI!
"Cosa le è successo?" è l'unica cosa che riesco a chiedere, mentre il mio cervello si rifiuta di accettare tutto ciò.
"Da quando sei partita, tre anni fa, mia sorella si è spenta piano piano. Con il passare del tempo, il peso della tua assenza e il suo senso di colpa sono diventati insopportabili per lei. C'erano giorni in cui non si vedeva neanche ai pasti: se ne stava rinchiusa in camera sua tutto il tempo. Hey, non ti sto accusando di niente, Mandy..." aggiunge, vedendo i miei occhi riempirsi di lacrime. "Sto solo ricordando..."
"Poi," prosegue "si è messa con quel tipo, quel T-Jay amico vostro, e le cose, invece di migliorare, a mio avviso sono peggiorate. Negli ultimi mesi litigavano spesso, lui non c'era mai, non le dimostrava mai affetto e lei si sfogava con me. Le ho detto più di una volta di lasciarlo, ma non voleva darmi retta. Diceva che, quando erano insieme, stavano bene..." dai suoi occhi si capiva che non ci credeva neanche un po'.
"Mia madre ha detto che Jenny si rifugiava nella nostra soffitta, quando era triste..." la butto lì, sperando che Thomas ne sappia qualcosa.
"Già, ultimamente spariva spesso. Non lo sapeva nessuno dove andava. T-Jay dava di matto, quando non la trovava, ma lei lo ha detto solo a me. Andava a casa tua, su in soffitta: lì si sentiva al sicuro, lì poteva stare da sola, senza che nessuno la disturbasse, finché non se la fosse sentita di tornare nel mondo reale. Per questo ti dico che, dopo l'ennesimo litigio col suo ragazzo, potrebbe aver deciso di... di..." non riesce a finire la frase. Si mette entrambe le mani in faccia, sopraffatto dal dolore.
Mi fa male vederlo così, mi fa male non poterlo aiutare.
Mi cade l'occhio sulle lancette del suo orologio. Le cinque meno un quarto. Merda!
"Tom, perdonami, devo scappare. Ti prometto che scoprirò cos'è successo. Te lo giuro, Tom!" grido, mentre corro via. Ormai, tornare a casa a prendere la macchina è inutile, arriverei tardi comunque.

Arrivo trafelata in centrale e, dopo essermi annunciata, entro nell'ufficio del commissario Stevens. Rimango interdetta, sull'uscio, con un'espressione – me lo sento – da ebete.
Porca puttana ladra, cosa ci fanno loro qui?
Davanti a me trovo Save e T-jay, lei con lo sguardo basso e lui con gli occhi rossi e gonfi.
Cos'è, un'imboscata?
No, se lo fosse, sarebbe stata fatta per bene. Poteva andare peggio.
"Buonasera" saluto il commissario. Faccio cenno ai miei amici, che ricambiano con un mezzo sorriso, e mi siedo accanto a Savannah. Lei poggia una mano sulla mia gamba, come a confortarmi e T-Jay mi guarda fisso negli occhi, come se fosse sorpreso di vedermi. Fu lui ad accompagnarmi alla stazione, quando partii tre anni fa. Sarebbe stato più carino ritrovarsi in una situazione più felice, ma questo è quanto.
Il silenzio regna. Allora? Cosa siamo venuti a fare? Si gioca a chi ride prima?
Non vedo l'ora che tutto finisca. Non tornerò a casa subito, cercherò altri indizzi. Ho promesso a me stessa e a Thomas di capire chi ha ucciso Jennifer e lo farò.
"Commissario, mi scusi, se siamo tutti, possiamo iniziare?" chiedo speranzosa.
"In realtà, manca ancora una persona". Non ho neanche il tempo di metabolizzare quella risposta che la porta si apre. Mi sento gelare il sangue e, un attimo dopo, bollire dentro le vene.
I miei occhi castani si incrociano, o meglio, si scontrano con i suoi verdi ed è come se tutto in torno a me si fermassse. Sono spariti sia Stevens che Save e T-Jay, è scomparso l'ufficio. Sono solo io, persa in quella scia smeraldina che termina nelle meravigliose iridi di May e da luce ai bei lineamenti del suo viso. Sapevo che rivederlo mi avrebbe fatto un certo effetto, ma non mi aspettavo una cosa del genere. Per quelle che mi sembrano ore, non riesco a muovere un muscolo, a chiudere la bocca che mi si è leggermente aperta, a spiccicare parola, a interrompere il contatto visivo con lui. Poi, la voce del commissario mi riporta alla realtà e mi accorgo che lo sguardo tra di noi è durato sì e no cinque secondi. Ora che l'incantesimo che sembrava avermi avvolto si è spezzato, noto la sorpresa nei suoi occhi, esattamente come in quelli di T-Jay. No, non è vero. Molto di più. Si vede che non aveva veramente idea che fossi tornata. È ingrassato, ma questo non ha tolto la bellezza dal suo volto, anzi, lo ha reso se possibile più dolce.
Cosa stavi dicendo? Poteva andare peggio? Già. L'imboscata è completa.
May si siede accanto a T-Jay e, finalmente il commissario prende la parola.
"Molto bene, adesso che siamo tutti possiamo iniziare. Siete già stati interrogati individualmente, ma tra le varie indagini, abbiamo scoperto che facevate parte di un gruppo chiamato..." sfoglia delle pagine "The Flames. Giusto?". Annuisco e vedo che i miei amici mi imitano, senza proferire parola.
"Bene, abbiamo qui signor Theodor Junior Barnes, detto Ted o T-Jay, il signor Simon Maione, detto May o Il Napoletano," il mio cuore manca un battito a sentir pronunciare il suo nome completo. "la signorina Savannah Campbell, detta Save e la signorina Amanda Riders, detta Milady o semplicemente Lady. Mancano, ovviamente, la signorina Jennifer Lewis e il signor Patrick Edwards, detto Il Maestro, che si trova in Europa da mesi – abbiamo controllato."
"Come fa a sapere tutti questi dettagli?" chiede May indignato. È sempre stato un ragazzo riservato e sentire il commissario elencare tutti i nostri soprannomi deve dargli ai nervi, se lo conosco un minimo.
"Come ho detto, abbiamo fatto delle ricerche. Non abbiamo ancora stabilito se si tratti di omicidio o suicidio, ma nel primo caso, la cerchia si restringerebbe a voi tre presenti. Siete le persone più vicine alla vittima, se non contiamo la sua famiglia, che comunque dispone di un ottimo alibi." spiega Stevens. May non ribatte, ma la sua espressione non cambia.
"Intanto, vorrei sapere il perché dei vostri soprannomi. Per esempio, signorina Riders, perché la chiamano Lady? È il capo del gruppo? Comanda lei?"
Prego? Io non ho mai comandato e mai comanderò nessuno. Loro erano i miei amici, mica i miei schiavi. Mi ha sempre dato ai nervi la Polizia...
"Veramente no. Mi chiamavano Lady un po' per i miei modi, a volte, regali, un po' perché ero il punto di riferimento del gruppo." rispondo piano.
"E Il Maestro?" continua Stevens.
"Siamo qui per fare il gioco dei nomi?" sbotta T-Jay. "Non che sia affar suo, ma sono semplicemente dei soprannomi dovuti ad abbreviazioni o caratteristiche. Non c'è niente che la riguardi in questo, il gruppo non c'è più."
Stevens si volta per un attimo verso il ragazzo, poi torna a guardarmi. Perché parla solo con me, questo? Mi sto innervosendo.
"Come mai il gruppo non esiste più?" chiede ancora guardando me.
"Io sono andata via tre anni fa e sono tornata a Chicago solo ieri, come ben sa, quindi non lo chieda a me!" rispondo esasperata.
"Il gruppo si è sfasciato piano piano, dal momento che Mandy era sparita, io ero sempre impegnata con il College, May, T-Jay e Il Maestro avevano turni diversi a lavoro..." interviene Save.
"Continuo a non capire cosa c'entra tutto questo con la morte della mia ragazza" tuona T-Jay. Vedo May mandargli un'occhiata come a dirgli di stare calmo. Però, ha ragione. Perché la Polizia sta scavando così a fondo? Cosa ci può essere di così importante nel nostro gruppo?
"Bene signor Barnes, arriviamo al dunque. La vittima, ultimamente, spariva dalla circolazione per ore. Qualcuno di voi è a conoscenza del motivo o del luogo in cui si rintanava?" va avanti il commissario.
Silenzio. Nessuno risponde. Io l'ho scoperto questo pomeriggio, ma non ho intenzione di dirlo. Tanto, comunque, io non ero presente. E poi, se la Polizia lo chiede a noi, significa che né i miei, né Tom hanno risposto a questa domanda.
"Nessuno?"
"No, alcune volte mi sono anche messo a cercarla, ma niente" risponde T-Jay.
"Potrebbe aver trovato altri amici?"
"Non credo, so che non usciva molto da tre anni a questa parte. Nell'ultimo anno poi, usciva solo con il suo ragazzo" indica T-Jay. "Questo è quello che mi ha sempre detto lei" replica Save.
"Ho già fatto questa domanda a tutti gli altri e non credo che lei possa confermare la loro versione o smentirla, dal momento che non era in città. In che rapporti era con Jennifer Lewis, signorina Riders?". Bene Mandy, preparati all'aumento di sospetti sul tuo conto.
"Beh, io e Jenny non ci sentivamo più. Esattamente oggi di tre anni fa, l'ho lasciata che dormiva nel suo letto, sono tornata a casa, ho fatto i bagagli e sono partita."
"Per quale motivo?"
"Affari miei."
"Eh no, signorina Riders. Dal momento che il vostro litigio potrebbe essere il movente per l'omicidio o per il suicidio, sono anche affari nostri." mi riprende il commissario.
"Sono passati tre anni. Capisce? Tre anni. Si cresce, si cambia. I problemi passati tra me e la mia migliore amica non c'entrano niente adesso. Qualsiasi cosa mi avesse fatto, non sarei mai stata capace di ucciderla, né lei, né nessun altro."
"Però sei stata l'ultima a vederla" mi accusa T-Jay, gli occhi ancora gonfi.
"T-Jay!" esclama Save sconvolta.
"Sono stata la prima a vederla morta, semmai! Anzi, la seconda... dopo l'assassino" rispondo a tono. Ci manca solo lui che mi accusa, così siamo a posto. Cosa gli prende?
"Signorina Riders, dove si trovava tra le quattro e le cinque di ieri pomeriggio?" mi chiede Stevens, ignorando il battibecco tra me e lui.
"Come le ho gia detto, in mezzo di strada. Tra l'autobus dall'aeroporto e i dieci isolati che separano casa mia dalla fermata."
Vedo T-Jay fare un gesto con le mani, alludendo alla mia mancanza di alibi concreto.
"E TU DOV'ERI FOTTUTO IDIOTA?" ora sono incazzata. "Glielo hai detto alla Polizia che tu e la tua ragazza non facevate altro che litigare?"
"COME TI PERMETTI? IO VOLEVO BENE A JENNIFER, MICA COME TE CHE LE HAI SPEZZATO IL CUORE!" T-Jay si alza, gridando. Lo imito. Se vuole fare a botte, non mi tiro certo indietro. Non avrei mai creduto che un amico mi avrebbe accusata in questo modo. E poi, io le avrei spezzato il cuore? Beh, diciamo che lei prima ha spezzato il mio.
Savannah afferra il mio braccio, mentre Simon si para davanti a Ted.
"SILENZIO!" tuona il commissario e vedo T-Jay sedersi di nuovo. "Il signor Barnes ha un alibi. Era a lavoro, esattamente come il signor Maione. La signorina Campbell si trovava al corso di fotografia fino alle cinque, mentre lei non ha un alibi." indica prima Save, poi me.
"Posso confermare di aver visto Mandy arrivare a casa, dovevano essere più o meno le cinque e trenta." interviene Savannah in mia difesa.
"Ma non sa dove si trovava prima delle cinque." conclude il commissario.
Non c'è altro da aggiungere. È vero, porca puttana. Nessuno può confermare la mia presenza da qualche parte, visto che ero in mezzo di strada, pioveva e, generalmente, i passanti non guardano prima me e poi l'orologio, immaginando di dover raccontare qualcosa alla Polizia.
"D'accordo, senta. Io non posso provare il mio alibi, ma le posso garantire che sono innocente. Non volevo nemmeno tornare a Chicago, speravo di non dover tornare mai più. Sono andata a casa e ho trovato il cadavere di Jennifer, mi creda è stato uno shock. Non me posso più." la mia voce trema e le lacrime cominciano a rigarmi il viso. La mano di Save stringe il mio ginocchio per consolarmi, mentre sento gli occhi di tutti addosso, soprattutto quelli di May.
"D'accordo. Se escludiamo lei, rimane solo l'ipotesi suicidio, ma lei stessa ha detto che non è possibile." insiste Stevens.
"E continuo a dirlo. Nonostante mi abbiano detto che la mia amica è cambiata molto, non credo che sarebbe mai arrivata al suicidio."
Un tuono squarcia il cielo di Chicago, così forte da sembrare esattamente sopra le nostre teste.
Ha ricominciato a piovere. Che bella serata mi aspetta.

TO BE CONTINUED...

 

 

Note dell'autrice.

Ho deciso di dividere questo turno in due capitoli. Questo è il primo e, a breve, pubblicherò il secondo.
Grazie a chi segue questa storia e, soprattutto, a chi lascia un commento.
A presto^^

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Capitolo 4
*** Just you and me ***


Just you and me


L'interrogatorio è durato ancora per un'ora abbondante, ma finalmente sono libera di andarmene. Il commissario Stevens non è affatto convinto della mia innocenza, ma non ha prove concrete per incastrarmi. Il problema è che, essendo la prima e, a quanto pare, l'unica indiziata, se non trovo un modo per incriminare il vero colpevole, beh... finisco dentro. Mi becco l'ergastolo. Addio giovinezza, addio vita. Fanculo!
Sei un'idiota, sai? Potevi confermare l'ipotesi suicidio e toglierti di dosso tutte le accuse.
Sì, ma qui non si parla di un'estranea, si parla della persona con cui sono cresciuta. Al diavolo le divergenze, al diavolo il motivo per cui ho abbandonato tutto. Ancora, dopo tre anni, non so di preciso cosa è successo quella notte, come non so cos'è successo ieri pomeriggio nella mia soffitta. Non posso permettere che l'avventatezza di una ragazzina, – fin troppo impulsiva, tra l'altro – quale ero, mi lasci all'oscuro di due avvenimenti che hanno cambiato e cambieranno la mia vita. Quando sarà finito tutto, se non verrò rinchiusa, chiederò spiegazioni all'unica persona che può sapere esattamente cosa è successo e, dopo tre fottuti anni, non mi mentirà. Adesso devo concentrarmi su questo caso. Chi l'avrebbe mai detto? Io ad indagare come un dannato poliziotto da quattro soldi. Bleah, come ti sei ridotta male.
Devo pur salvarmi le chiappe, no?
Vai che ci risiamo. Parlo con la mia coscienza. Siamo a posto.
Sono uscita dalla centrale senza salutare nessuno. Dopo l'affronto di T-Jay, sono ancora più convinta di non voler avere niente a che fare con tutti loro. Neanche con Save, che mi ha sempre voluto un gran bene, né con May...
Dici?
Dico, dico! Fottuta coscienza! Mi è bastato quello sguardo, la sua voce, il suo nome, i ricordi.
PORCA PUTTANA. Vorrei urlare, ma sono ancora troppo vicina alla stazione di Polizia e non vorrei destare inutili sospetti sulla mia salute mentale.
Comunque, stavo dicendo... non voglio avere niente a che fare neanche con lui.
"Hey"
D'accordo, mi prendete per il culo? Dio, ti diverti?
"Hey, Mandy..."
Sono sicura di sembrare una scema, impalata, che fissa un punto sul marciapiede. Mi costringo ad alzare gli occhi e, di nuovo, mi perdo nelle iridi verdi di May. Ho la gola secca e mi rendo conto che sto trattenendo il respiro. Lui apre l'ombrello e si avvicina a me, che sono proprio al limite della tettoia, senza uno straccio di impermeabile o ombrello.
"Hai bisogno di un passaggio?" mi chiede gentilmente.
"No, grazie. Non sto andando a casa, faccio un giro" rispondo, cercando di mantenere la voce ferma e di continuare a guardarlo negli occhi.
"Mandy..." eccolo, quello sguardo... e quel tono. Perché mi si deve leggere negli occhi, quando cerco di evitare qualcuno? Smetto di guardarlo.
"Senti, devo andare..." faccio per allontanarmi, ma lui mi prende il braccio. Un brivido percorre tutto il mio corpo e il mio cuore sussulta. FOTTITI, MAY.
"Pizza napoletana? Cucino io". Lo sapevo. Mi prende per la gola. Il potere degli chef è infinito, il suo poi... su di me... non ne parliamo affatto.
Mi volto di nuovo a guardarlo. Lo sto odiando.
"Vieni, dai!" sorride e mi tiene l'ombrello sopra la testa, mentre lo seguo alla macchina, ormai rapita.
Sono in auto con May. Io e lui. Dopo tre anni. Mi sto tormentando le mani, il mio cuore ha accelerato i battiti e sto fissando un punto davanti a me, senza vedere niente. Lui guida in silenzio e, anche se non lo guardo, sento che mi manda qualche occhiata.
Perché non riesci a dirgli di no? Perché ti sei cacciata in questa situazione, decisamente imbarazzante?
Posso farcela. D'altronde, prima di sparire dalla circolazione, io e lui avevamo un bel rapporto, parlavamo, ci vedevamo spesso... una serata non sarà così deleteria, no?
"Ho un sacco di birra in casa. Dovevamo organizzare una cena, io e T-Jay, ma dopo quello che è successo... non mi pareva il caso" spiega. E con me, dopo tutto quello che è successo, ti pare il caso? Vorrei rispondergli così, ma rimango in silenzio. Alla fine, cos'è successo tre anni fa? Non ne abbiamo mai parlato, non so neanche se ha capito perché sono andata via. Dovrei affrontare l'argomento, forse, ma non mi va affatto.
Arriviamo a casa sua e mi fa accomodare. Io e lui. In casa sua. Da soli. Ok, sto realizzando solo adesso in che razza di situazione mi sono messa. Suvvia, ci sono già stata da sola con lui, cosa sarà mai? Calma, Mandy. Devo stare calma.
Apre il frigo e vedo una decina di bottiglie di birra, forse di più, ad alta gradazione alcolica. Bene, forse così riuscirò a sciogliermi. In passato, l'alcol mi ha fatto fare delle discrete figure di merda. Con lui in particolar modo. Si prospetta una serata deliziosa. Mh, proprio deliziosa.
Sospiro. Sono nella merda.
Apre due bottiglie e me ne passa una. "Tanto per cominciare" dice. Ma sì, iniziamo subito. La prendo e bevo. Lui prepara la pizza. Mi è sempre piaciuto guardare gli uomini in cucina, hanno un gran fascino, a mio parere.
Mentre la impasta, mi perdo nel movimento delle sue mani: vorrei sentirle muovere sul mio corpo in quel modo. Ok, sto invidiando la pasta per la pizza, sono proprio messa male.
Continuo a fissarlo, mentre bevo. I miei movimenti sono rallentati, nel portarmi la birra alla bocca, e non riesco a staccargli gli occhi di dosso. Sono ipnotizzata da lui.
Mi risveglio dal torpore solo quando mi rendo conto che sto bevendo da una bottiglia vuota.
Ne prendo un'altra.
Due.
Tre.
Quattro.

Abbiamo finito di mangiare da un pezzo, l'orologio alla parete segna l'una. Il tavolo pieno di piatti, bicchieri e bottiglie. Noi seduti per terra, appoggiati con la schiena al divano, l'ennesima birra in mano...
"Mi sei mancata, sai?" sussurra May, dopo aver parlato tutta la sera del più e del meno.
Dev'essere l'effetto dell'alcol: non mi aspettavo, da lui, una rivelazione simile.
Prendo un altro sorso. "Anche tu, non sai quanto" rispondo.
Mi guarda, lo guardo. Ha gli occhi lucidi, come credo di avere anche io.
"Perché sei andata via, senza dire niente a nessuno?" mi chiede. "Perché non ti sei fatta viva per tutto questo tempo?". Ecco, ci siamo. Prima o poi andava affrontato questo argomento e l'alcol non aiuta. O meglio, l'alcol aiuta fin troppo: ho paura di rivelare sentimenti che ho cercato di celare, ho paura di scoppiare in lacrime a causa di ricordi che ho tentato di affossare, ma che sono sempre vivi in una parte della mia mente... e del mio cuore.
"Cosa ricordi di quella notte, May?" cerco di far parlare lui. Non voglio raccontare un bel niente.
"Ben poco. Ero ubriaco fradicio. Ricordo che Jenny aveva casa libera e che organizzammo una cena solo noi del gruppo. Per miracolo, eravamo tutti liberi quella sera. Cucinammo io e Il Maestro. Mancava solo Save, perché si trovava negli Hamptons a lavorare."
Annuisco mentre parla e la mia mente naviga verso quella sera di tanto tempo fa.
"C'era alcol a volontà, mangiammo giapponese, la mia specialità dopo la pizza, e ci mettemmo a cantare come pazzi" ride al ricordo e fa sorridere anche me.

Vieni, Lady! Canta con me O' Sole Mio.
Voi? Voglio proprio sentire...
Napoletano, perché non la canti tu? Visto che hai da ridire?

"Cantai O' Sole Mio, ricordi? Jenny voleva cantarla con te, ma io vi ho sminuito. Lo spettacolo fu pessimo" ride ancora.
Mentre lui parla, sento nella mia testa i discorsi di quella sera. Chiudo gli occhi e vedo le immagini chiare nella mente.
"Il Maestro se ne andò presto, il giorno dopo lavorava. Io e Jenny eravamo i più ubriachi."

Ma guarda quella, rotola per terra, quanto ride!
Non che May stia meglio, sta tentando da un'ora di attaccare il caricabatterie del cellulare alla spina, ma manca la presa.

E giù risate, nella mia testa. Quanto ridemmo quella sera.
"Poi tu e T-Jay siete spariti. Non ho assolutamente idea di dove siate andati. Me lo avrete anche detto, ma io ero proprio fuori. Non capivo più niente."

Lady, andiamo a sputare un po' di fiamme!
Chiama i ragazzi.
No, sono fusi, andiamo noi... con tutto l'alcol che hanno in corpo prenderebbero fuoco.

"Ho un vuoto totale del resto. Beh, non proprio del tutto... ricordo che Jenny ha vomitato l'anima. Le ho dovuto togliere la maglietta. Era sporchissima..."

Torniamo a casa, tra poco è l'alba.
Spengi il fuoco o vuoi entrare e sputarlo in faccia ai ragazzi?

Quelli si saranno addormentati per terra...

"Poi niente, l'ho messa a letto e... boh, credo di essermi sdraiato anche io... non ricordo altro."

Che diavolo...?
T-Jay, io me ne vado.
Dove vai?
Non lo so, ma via da questa merda...
Ti accompagno?
Fai come ti pare...

"Mi prendi per il culo, May? Dimmi la verità, ti prego.." esclamo appena finisce di raccontare. Io ricordo di essere entrata in casa di Jenny con T-Jay e di aver visto i miei amici a letto insieme, mezzi nudi, abbracciati. Il resto si immagina facilmente, no? Ricordo la sensazione del cuore che si spezza... un dolore così forte, penso di non averlo mai provato in vita mia. Vedere la mia migliore amica a letto con l'uomo che amavo da tempo fu troppo...
Guarda tu se ho toppato di brutto e ho passato gli ultimi tre anni in giro per il paese per niente!
"Non ti prendo per il culo, Mandy. È tutto quello che ricordo." risponde lui.
"Ma tu eri innamorato di lei..." l'alcol si fa sentire di brutto. Comincio a parlare a sproposito, me ne rendo conto, ma non riesco a fermare la lingua.
"E tu eri innamorata di me!"
Il mio cuore manca un battito. Che cosa? Vabbeh, può darsi che se ne sia accorto, ma... me lo sbatte in faccia in questo modo? Maledette birre. Cercherò di far finta di niente.
"Rispondimi, May. Tu eri innamorato di lei, vero? Ci hai fatto sesso quella notte? Dimmi la verità."
"No, non ci ho fatto sesso. Né quella notte, né mai. Lei non mi ha mai neanche guardato, Mandy. Pensavo lo sapessi. A lei non sono mai piaciuto e, anche se mi avesse trovato interessante, non lo avrebbe mai fatto... per rispetto nei tuoi confronti."
CAZZO, CAZZO, CAZZO. Lui sa tutto. Sa che ero innamorata di lui. Sa che la mia migliore amica non lo avrebbe considerato neanche se le fosse piaciuto un minimo, solo per me. CAZZO!
Rimango in silenzio. Ho davvero toppato di brutto. Ho abbandonato tutto e tutti per una stronzata del genere e, in più, ci ho visto male. Ho sbagliato in pieno. Loro erano semplicemente troppo ubriachi per restare in piedi. Perché non ho voluto ascoltare? Perché non ho chiesto spiegazioni, prima di sparire in quel modo? Perché ho dubitato della mia migliore amica?
In quel periodo, mi sentivo talmente fuori luogo che, probabilmente, presi quella notte come una scusa per andarmene, per cambiare vita. Non sono andata al College, il ragazzo che amavo – May – non mi guardava neanche, non avevo uno straccio di lavoro, le esibizioni col fuoco rendevano poco... volevo andare via e non aspettavo altro che una scusa. E così fu, ma quel dolore non lo dimentcherò mai.
Sento le lacrime scorrere sulle mie guance. Mi fa male ricordare e mi sento in colpa nei confronti di Jennifer. Come ho potuto dubitare di lei in quel modo?
La mano di May sfiora la mia guancia, dolcemente. È davanti a me. Vicino, troppo vicino.
"Dimmi che non sei sparita perché mi hai visto a letto con lei... dimmi che non è così, ti prego."
Devo dire una bugia? No, non ci riesco. "Sono ubriaca, cazzo!" lo dico ad alta voce. Che cogliona!
"Mandy, rispondi alla mia domanda" insiste May.
Cosa devo dire? Sì, cazzo, ero innamorata di te e quella scena mi ha spezzato il cuore. No, non lo devo dire. Non dirlo, Mandy. Non lo dire.
In effetti, non l'ho detto, ma mi sto avvicinando a lui, troppo... fino a sfiorare le sue labbra con le mie. Sento la sua mano che accarezza la mia guancia e la sua bocca che incontra la mia. Mi sta baciando, cazzo. E io non ho risposto alla sua domanda.
Lo dici te che non hai risposto, stupida! La mia coscienza non è ubriaca, a quanto pare. Secondo lei ho risposto. Ma io non ho detto né sì, né no.
"Mi sei mancata, Mandy" sussurra, per la seconda volta quella sera, sulle mie labbra, penetrandole con la lingua. Ricambio quel bacio agognato per tanto tempo: per anni ho sognato la sua bocca carnosa sulla mia. Pensavo fosse impossibile che ciò accadesse. Chissà perché lo sta facendo. Non voglio più pensare, voglio solo lasciarmi andare.
Le sue mani accarezzano il mio collo e i miei capelli, mentre io lo bacio con un'intensità tale da togliergli il fiato. Ho paura che questo sogno finisca, perché, sì, può trattarsi solo di un sogno: devo essermi addormentata mentre raccontava.
Invece no, sono sveglissima. Sento le sue mani scivolare dal mio collo, fino alle mie spalle, per arrivare ai miei fianchi. Mi sento andare giù e lui cade con me, sopra di me, sul pavimento. Abbandono la testa contro le mattonelle, mentre lui continua a baciarmi con impeto. Lo stringo a me, come per paura che vada via, che tutto finisca.
Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo... la mia mente non riesce a partorire altro. Quella fiamma così potente non si è mai spenta del tutto: si era solo affievolita e adesso è tornata più ardente che mai.
"Quando sei sparita, ho capito quanto importante tu fossi per me. Inizialmente pensavo fosse solo per amicizia, ma col passare del tempo mi sono accorto che mi mancava tutto di te." sussurra nel mio orecchio, per poi baciarmi il collo e tornare sulle mie labbra.
Un "Ti amo!" sfugge involontariamente dalla mia bocca, contro la sua.
Si stacca dalle mie labbra e a me scappa un mugolio contrariato. Cazzo! Non dovevo dirlo, ho rovinato tutto. CAZZO!
Un attimo dopo mi accorgo che si è alzato solo per prendermi in braccio e portarmi in camera. Mi adagia sul letto e si stende di nuovo sopra di me, riprendendo a baciarmi.
Non ci posso credere. Sto davvero per fare l'amore con May? Sento la sua erezione tra le mie gambe, attraverso i vari strati di stoffa che ci dividono. Sì, l'intenzione è decisamente quella. Dio, sì! Sento le sue mani ovunque, mentre circondo il suo bacino con le gambe per sentirlo più vicino.
Farò l'amore con May. Perché l'ho sempre amato; perché ho sofferto troppo; perché mi è mancato in maniera indescrivibile; perché, anche se non l'ho mai voluto ammettere, ho pensato a lui almeno una volta al giorno, negli ultimi tre anni; perché in fondo non ero innamorata di Stefan, anche se credevo di sì; perché lo amo ancora, come prima, più di prima; perché quando Stefan mi ha lasciato non ho sentito nemmeno la metà del dolore che ho provato per lui. Farò l'amore con May, anche se sono ubriaca, anche se è sbagliato. Farò l'amore con May perché ho bisogno di lui.
"Ti amo, Mandy" la sua voce roca mi spedisce dritta in paradiso, mentre mi penetra con forza. Quelle tre parole sono tutto ciò di cui ho bisogno. May è tutto ciò che ho sempre voluto e che voglio adesso. Che sia per una notte o per tutta la vita, adesso voglio solo rimanere tra le sue braccia.

 

Note dell'autrice.
Mi sono ritrovata a scrivere la fine di questo capitolo che, insieme al precedente, forma il terzo turno del contest a cui la mia storia partecipa, a notte fonda. È quasi l'alba e il mio cervello chiede pietà. Non sono affatto soddisfatta (e pensare che non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo), ma purtroppo mi sono ritrovata all'ultimo minuto e questo è quanto.
Le parti in corsivo spostate a destra sono i discorsi che Mandy ricorda di tre anni prima. Ricordi confusi dal tempo, per questo non ho descritto l'ambientazione e le immagini sfocate che lei vede nella sua testa. Mandy è ubriaca, quindi i pensieri (quelli attuali) sono un po' spezzati e sconnessi.
Non è importante ai fini di QUESTA storia, ma credo che scriverò un MissingMoment a proposito di quella serata di tre anni prima. Così, perché mi va. Chi fosse interessato alla storia dei personaggi al di fuori di questo giallo, potrà leggerla in quella One-shot.
A presto^^

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Capitolo 5
*** Is that the truth? ***


 Is that the truth?


Chicago, 1 maggio 2014
 

Cristo santo, che mal di testa! E questa dannata coperta... Dio, che caldo. La scalcio via e provo a tirarmi su, senza aprire gli occhi, ma un senso di nausea mi coglie impreparata. Apro gli occhi e vedo il soffitto della stanza girare. "Accidenti..." sussurro con voce roca dal sonno. Chiudo di nuovo gli occhi, nella speranza che la voglia di vomitare mi lasci in pace, invano. Mi passo una mano sulla faccia e mi accorgo di essere sudata. Sento la pioggia sbattere sui vetri chiusi e, con uno sforzo immane, giro la testa verso l'orologio. Le lancette risultano tremolanti ai miei occhi, ma distinguo la più corta che punta il numero otto. Che diamine, le otto del mattino... è l'alba! Mugolo infastidita, strizzando gli occhi e girandomi su un fianco. Quando li riapro, mi trovo davanti la grossa figura di May, imponente e addormentata. "Porca puttana!"
Ti fa male l'alcol, Mandy. Mal di testa, voltastomaco e allucinazioni... sudori freddi e sveglia all'alba. Devi decisamente smetterla. Ma cos'è successo ieri sera? Oddio, mi scoppia il cervello. Non riesco a ricordare niente, se non immagini sfocate che non fanno bene alla mia testa.
Mi giro dall'altro lato e...


Dlin dlon.


........................


DLIN DLON.

............................................

 

DLIN DLON. DLIN DLON. DLIN DLON. DLIN DLON.


"FANCULO!" grido, infilando la testa dolorante sotto il cuscino. Come se non bastasse il post-sbornia, il campanello che suona all'impazzata è proprio la ciliegina sulla torta.
"Mmmmh" sento mugolare al mio fianco. Che cosa succede? Non riesco ancora a mettere bene a fuoco la mia situazione: dove mi trovo, con chi e cos'è successo ieri sera. Ricordo solo tanto alcol e sento solo un gran mal di testa, oltre alla pioggia incessante che sbatte sui vetri.

DLIN DLON.

"Ma chi diavolo è all'alba?" mi chiedo ad alta voce.
"Sono le undici e mezzo, non è l'alba" sento la voce di May che risponde alla mia domanda. Rimango interdetta. O le allucinazioni sono tornate all'attacco e, dopo aver conquistato i miei occhi, sono passate alle orecchie, oppure il peso che abbandona il letto in questo momento è davvero May.
Tiro fuori la testa da sotto il cuscino, in uno scatto improvviso che non giova al mio mal di testa, e strizzo gli occhi più volte, mentre fisso la schiena di Simon, che si infila un paio di boxer e una maglietta bianca ed esce dalla stanza diretto alla porta di casa sua.
Mi struscio gli occhi e mi stiracchio, senza neanche provare a mettermi seduta; la nausea è più leggera, ma persiste.
Le immagini della sera prima iniziano a tornarmi in mente dal principio e subito mi viene una voglia incredibile di prendermi a schiaffi: ho toppato di brutto tre anni fa; la mia migliore amica non ha mai neanche pensato di sfiorate May; sono scappata come una ragazzina stupida – quale ero – abbandonando tutto e tutti per un incredibile errore.
Il senso di frustrazione viene, però, sovrastato da un ricordo più dolce.
Ho fatto l'amore con May. Ho davvero fatto l'amore con May. Sento la mia bocca allargarsi in un sorriso a trentadue denti e – ne sono sicura – sembro un ebete che fissa il vuoto. Mi tornano alla mente le sue mani grandi, ma delicate sul mio corpo, la sua bocca morbida e avvolgente sulla mia, il suo respiro caldo contro il mio. Certo, non è stata sicuramente la miglior performance della nostra vita, – lo spero per lui – ma è stato ugualmente meraviglioso, perché inaspettato e, almeno da parte mia, desiderato per tanto, troppo tempo. Un pizzico di gioia, che in un altro momento sarebbe stata immensa, in questi giorni bui ci voleva.

Sento May aprire la porta.
"Hey, ti ho portato la colazione... ma eri sempre a letto? C'hai una faccia, amico..."
È la voce di T-Jay. Uff, ci mancava lui. Stramaledetto T-Jay! In questo momento, vorrei solo che May tornasse a letto con me.
No, non ci sperare troppo. È entrato, si capisce dal commento: "Ma cos'è questo macello? Hai organizzato una festa senza di me?"
Sento May che borbotta qualche scusa, sembra stia cercando di mandarlo via. Perché? Vabbeh che sono nuda, ma posso infilarmi qualcosa. Non che mi dispiaccia se va via... ma non capisco. Sono tanto amici, perché non dovrebbe comunicargli la mia presenza?
"Sei con qualcuno? Chi c'è?"
Mi tiro istintivamente la coperta fino al mento, un attimo prima che T-Jay si affacci in camera. La sua espressione sbalordita parla per lui, quando mi vede. È completamente fradicio, dal cappuccio e dall'orlo dell'impermeabile cadono gocce d'acqua che lasciano una scia dietro di lui. Fottuto idiota.
"Beh?" lo sfido a parlare.
T-Jay non dice niente, sparisce di nuovo dalla mia visuale. Spero sia almeno un po' imbarazzato, quel coglione patentato.
"Ero ubriaco, T-Jay... è successo... io n..non..."
Che cosa?! Non ci credo... Mi sta crollando di nuovo il mondo addosso. Allora non è vero che mi ama? Non gli sono mancata? Non voleva davvero fare l'amore con me... Pezzo di merda. Una scopata da ubriachi sono stata? Figlio di puttana...
Mi alzò in cerca dei miei vestiti, mentre reprimo a forza le lacrime. Non voglio più piangere per lui, basta...
Sento la porta sbattere e i passi di May che torna in camera. Non alzo lo sguardo, ignoro anche il mal di stomaco. Voglio andarmene.
"Hey, dove vai?" mi chiede lui, entrando.
"Me ne vado..."
"Perché?" si avvicina e cerca di prendermi un braccio. Lo schivo.
"Perché?! Me lo chiedi, stronzo?" lo guardo negli occhi e mi mordo un labbro, cercando ancora di non piangere. "Ti ho sentito, cosa credi? È stato solo un errore stanotte, vero? Tutte le tue parole... tutto falso, vero?" distolgo lo sguardo, perché sento di non riuscire a trattenere oltre le lacrime.
"Hey, hey, hey... non è così, ascoltami!" mi blocca per le braccia e mi volta verso di lui. Lo spingo via, ma lui mi riprende e cerca di stringermi contro il suo petto. "È complicato, io non intendevo quello che ho dett..."
"NON INTENDEVI QUELLO CHE HAI DETTO, EH? E ALLORA COSA INTENDEVI? TI HO SENTITO, HAI DETTO CHE È SUCCESSO PERCHÉ ERI UBRIACO!"
"Hey... hey... calmati, Mandy, per piacere! Fammi spiegare..." mi tiene ancora per le braccia con le sue mani forti, non riesco a liberarmi, ma le mie lacrime sono riuscite a scappare giù per le guance.
Fottute lacrime, fottuto Simon, fottuto T-Jay! Maledetta città di merda!
"A parte il fatto che non dovresti giustificarti con quel coglione del tuo amichetto. Seconda cosa, se ti vergogni tanto di aver fatto sesso – perché, a questo punto, era solo sesso – con me, lasciami andare" gli parlo ad un centimetro dalla bocca, con voce incredibilmente ferma, nonostante il pianto silenzioso.
"Non è così! Mandy, io ti amo" mi bacia all'improvviso e mi stringe forte contro il suo petto. "Ti prego, non lasciare che T-Jay rovini tutto..."
Mi abbandono al pianto, con la testa appoggiata al suo petto. "Non è T-Jay a rovinare tutto, sei tu... perché gli hai detto così? Che problema c'è?" la mia voce adesso è rotta. Non voglio piangere, cazzo! Sento che il suo cuore batte all'impazzata, la sua voce trema.
"Non voglio perdere anche te, per colpa di quello psicopatico..."
La frase di Simon, appena sussurrata, rimane in sospeso, senza un seguito, senza una risposta. Rimango appoggiata a lui, finché entrambi non ci calmiamo.
"Cosa vuol dire?" lo guardo interrogativa, dopo un po'.
Lui abbassa gli occhi, si passa una mano tra i capelli e si volta.
"Vai a farti una doccia, io pulisco in cucina", e se ne va.
Rimango interdetta, ma faccio come dice.

Immobile sotto il getto d'acqua tiepida, con gli occhi chiusi, penso e ripenso a quella frase lasciata in sospeso. Simon non vuole perdere ANCHE me, per COLPA di quello PSICOPATICO. Chi ha già perso per colpa di T-Jay? E perché sarebbe uno psicopatico? Alzo un sopracciglio inconsciamente: Ted è un vero coglioncello, molto irascibile e permaloso... ma è sempre stato un suo grande amico, perché definirlo addirittura psicopatico? Forse è successo qualcosa che non so, in questi tre anni... Avranno litigato per una donna? Per il lavoro è impossibile: non lavorano più insieme e May è decisamente di un altro livello rispetto a T-Jay, dunque non sarà quello scemo a far perdere il posto al grande chef. Mi sento tanto Sherlock Holmes in questo momento... senza le sue abilità, però. Non sono riuscita a cavare un ragno dal buco neanche per l'omicidio di Jenny, figuriamoci se posso scoprire dettagli segreti sulla vita privata di quei due, qualcosa che è successo quando non c'ero. May è così riservato...
Spalanco la bocca improvvisamente.
L'omicidio di Jennifer. Che si riferisse a quello?
"Spfuu" sputo l'acqua che mi è entrata in bocca in quell'illuminazione improvvisa. L'ho sempre detto che le idee migliori vengono quando stiamo per addormentarci o sotto la doccia. Sono un fottuto genio!
Però non ha senso. Perché T-Jay avrebbe dovuto far fuori la sua ragazza? Cosa c'entriamo io e May in tutto questo? Perché Simon dovrebbe perdermi per colpa di Ted, solo perché mi ha vista nel suo letto?
Smetto di esultare per le mie abilità investigative e mi concentro, mentre l'acqua scende ancora sulla mia testa; c'è poco da essere felici... si tratta sempre dell'omicidio della mia migliore amica e, inoltre, la mia teoria non ha il ben che minimo senso. Mi concentro. T-Jay, un ragazzo normale... non ha mai dato segni di schizzofrenia, ma neanche segni di interesse nei confronti di Jenny – con cui non aveva neanche tutta questa confidenza – o nei miei... finché sono stata a Chicago. Questo buco di tre anni non aiuta; non posso sapere cosa è cambiato, cos'è successo in particolare, perché qualcosa deve essere successo se questi si sono messi insieme. E May cosa diavolo c'entra?
Se escludiamo i vari alibi e se restringiamo la ricerca al nostro gruppo, T-Jay è l'unico di cui potrei sospettare perché Il Maestro non è negli Stati Uniti, Save non ce la vedo proprio e May non farebbe del male a una mosca, ne sono sicura. Peccato che la polizia sospetta solo di me...
Un'immagine dolorosa lampeggia nella mia mente per poi sparite di nuovo; un pensiero fugace, ma significativo. Anche Jenny era a letto con May tre anni fa. D'accordo, ma non capisco il nesso.
Le mie abilità sherlockholmiche finiscono qui. Il Napoletano dovrà darmi una spiegazione. Devo scoprire perché T-Jay ha ucciso Jenny e perché, secondo May, potrei essere la prossima.
Sherlockholmiche? Sul serio, Mandy?

 

 

Note dell'autrice.
Ok, questo capitolo non è molto lungo, ma spero vi sia piaciuto. Inutile dire che mi sono trovata all'ultimo minuto anche questa volta (ormai è una costante) e che non sono soddisfatta. Mi piacerebbe avere l'opinione di chi legge questa storia.
A presto.

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