Lilium

di Drosophila Melanogaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Blue ***
Capitolo 3: *** Yellow ***
Capitolo 4: *** Red ***
Capitolo 5: *** Green ***
Capitolo 6: *** White ***
Capitolo 7: *** Black ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1


Marzo.
Pioggia sulle campagne. Le città soffrono i tremendi acquazzoni, ingabbiate nelle loro scatole di ferro.
Automobili, grattacieli. Luoghi in cui le persone normali si sentono protette, al sicuro.
E dietro queste persone protette, dietro quei sorrisi falsi, privi di emozione, dietro le scatole di ferro, manipolandole, distorcendo la loro forma al semplice muoversi delle dita, stava Erik Lehnsherr.
E covava odio. Odio in quella specie retrocessa, quella sottospecie di primati che si beavano della loro tecnologia. Tecnologia basata su elementi che poteva ritorcere contro di loro solo volendolo.
E lo voleva.
Così, accadeva che cadesse un ponte. Che la struttura portante di un edificio cedesse.
E manciata dopo manciata, i nemici dei mutanti, morivano.


Poi era arrivata la guerra.
L'avevano vista cominciare insieme al telegiornale. Le immagini erano orribili quasi quanto quelle viste sui libri di storia: mitragliatori, uomini in uniforme che andavano ad uccidere altri uomini e nessuno di loro aveva colpa di tutto quello che stava accadendo.
Erano seduti sul divano, lui, Hank, Janos e Sean, proprio nella stessa in cui lui stava a ricordare, Charles non lo avrebbe mai dimenticato.
Ricordava anche di aver detto ai due ragazzi di non preoccuparsi, che sarebbe tutto finito presto e loro neanche se ne sarebbero accorti.
Ma la guerra non era finita presto come lui aveva sperato e l'America aveva avuto bisogno di braccia forti e cuori impavidi che combattessero per lei, persone che, paradossalmente, forse neanche sapevano per che cosa sarebbero andati a morire.
Il primo ad essere chiamato era stato Janos: era arrivata una lettera, la carta bianca intestata di blu indirizzata al ragazzo, le lettere nere che componevano le parole che invitavano il ragazzo a presentarsi alla visita medica per entrare nell'esercito ed essere mandato in Vietnam ancora bruciavano nella mente del professore.
Lo aveva salutato con un sorriso, un bacio sulla fronte e a richiesta di qualche chiamata ogni tanto.
Poi cercarono anche Sean, un'altra lettera, identica a quella precedente, con le stesse esatte parole stampate da una macchina a cui non importava quanti anni avessero i due ragazzi, se erano bravi a scuola oppure no, se facevano storie per la cena o se erano diversi da ogni altro ragazzo sul pianeta perché erano mutanti.
Arrivarono i secondi saluti, un altro bacio sulla fronte, altre telefonate promesse.
Le porte della scuola si chiusero e, dopo poco, si aprì la bottiglia.


La porta di metallo pesante si aprì. Una splendida creatura dalla livrea blu cobalto arrivò fino alle sue spalle. Le sue mani, un tempo delicate, vi si posarono sopra, labbra cianotiche scorsero sul collo. Baci insipidi. Un mero "bentornato".
-Il tuo vecchio amico, Charles, diceva che l'evoluzione sta nella mutazione, Erik.-
- È così. Siamo una specie del tutto nuova, l'essere umano è spaventato.-
Schiocchi di pelle bagnata. Risucchi, marchi rossi sulla pelle ariana e mutante di Magneto.
-Hai trovato quello che ti ho chiesto?-
-Sai quanto Charles sia bravo a mettermi fuori strada, ma... Io so aggirare i suoi giochetti.- disse la mutante picchiettandosi la tempia con due dita.
- Sembra che il piccolo ratto di laboratorio stia cercando qualcosa per tornare... Umano.-
Sulla scrivania scivolarono alcune istantanee. Una enorme palla di pelo bluastra, provette e un uomo, con la barba incolta e i capelli unticci, e tutta l'aria di essersi preso uno scotch di troppo.

Sentiva voci di morte, voci che preannunciavano una disgrazia che magari non sarebbe mai arrivata, tutte le voci di quei padri e quelle madri che si erano visti sottrarre i propri figli da quella guerra.
L'alcol le mandava via, le sentiva confondersi con i propri pensieri e quando vomitava tutto quello che aveva bevuto le sentiva scivolare fino a che non scomparivano del tutto dalla sua testa in quel sonno pesante, scomodo e pieno di incubi che aggiungeva, la mattina, al dolore delle urla nella sua testa il dolore fisico che smesso non lo faceva neanche muovere dal LETTO: a cosa serviva alzarsi per cadere prima ancora di raggiungere la sedia a rotelle sistemata accanto al letto perché gli girava la testa?
Anche Hank aveva smesso di cercare di tirargli su il morale: per un po' le sue parole avevano funzionato, poi erano diventate inutili.
"Torneranno presto, ne sono sicuro, non può durare in eterno"
Torneranno, diceva, ma non tornavano mai.
Ogni giorno a Charles sembrava un anno. Ogni giorno viveva con il dolore di una morte. Sapeva che il ragazzo che stavano seppellendo quel giorno, un altro giorno sarebbe potuto essere uno dei suoi ragazzi.
Il suo dolore era amplificato da quello degli altri, trasportato dai pianti così forti che partivano da chissà dove e finivano nella sua testa e, se in un primo tempo aveva provato a resistervi poi aveva smesso e singhiozzava anche lui.
Aveva smesso di curarsi, non si tagliava la barba da mesi, non si tagliava i capelli, a malapena cambiava maglietta, si lavava poco. Spesso fissava la televisione senza guardarla, le orecchie ad aspettare il rumore della porta, sussultando ogni volta che passava il postino nel timore che qualcuno venisse a comunicargli che qualcun altro era morto.
Fissava la porta anche quel giorno.
Hank gli si era avvicinato con discrezione, come faceva sempre, e gli aveva poggiato le mani blu e pelose sulle spalle, - Penso di poter migliorare la formula. -
Charles non rispose, gli chi azzurri spenti sulla porta.
- La formula, - riprese Hank imperturbabile, - Potrei farti camminare di nuovo. -
Ancora silenzio.
- E oltre a farti camminare potrei far sparire le voci. -
Fu un sussurro ma Hank era abbastanza vicino alle orecchie del professore da sovrastare il rumore scombinato della televisione.
Charles smise di controllare la porta. "Aiuto". "Ti voglio bene". "chiama presto". "Tornerà, vero?". "Signora, suo figlio è morto".
- Puoi farlo davvero? - La voce era roca, distorta dalle lacrime e dall'alcol.
Hank strinse solo un po' le mani sulle spalle del professore ma non fece in tempo a rispondere che l'uomo parlò di nuovo.


-Se ti ha lasciato prendere queste, é anche rimasto fuori dalla tua testa.- guardó le foto, gli occhi scorsero amaramente su quel volto sfatto.
-Charles ha promesso che non avrebbe mai letto i miei pensieri.- la donna soffiò irritata, sul volto di Erik si dipinse un sorriso tagliente.
-L'aveva promesso anche a me, Mystica. Ed è entrato comunque.- il sorriso si fece più largo, malizioso, insolente.
-Quindi o la nostra cavia vuole essere trovata, o vuole essere fermata.-

- Fallo. -

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Capitolo 2
*** Blue ***


Fissava imperterrito fuori dalla finestra.

Grossi goccioloni facevano a gara sul vetro. Si avvicinò, ancora in attesa che Hank trovasse la soluzione, spingendo con le braccia la carrozzella.
Passò l'indice sulle scie bagnate della pioggia sulla superficie liscia.
Non diede importanza al rumore fioco della serratura. Chiuse gli occhi e gettò indietro la testa, facendosi ricadere dietro le orecchie la matassa di capelli disordinati.
Riempì i polmoni d'aria e sentì distintamente la pesantezza salire dallo stomaco al petto.
Si sporse di lato temendo di poter rimettere anche se erano ore che non ingeriva qualcosa.
Quando la porta alle sue spalle si aprì fu solo in grado di serrare i pugni ed ascoltare passi familiari attraversare la stanza.

Conoscevano la strada quasi quanto le loro tasche, la lontananza di quegli anni non aveva tolto il ricordo.
I passi di entrambi erano sicuri sul selciato di pietre chiare, quelli di Mistica erano più leggeri, il piede nudo li rendeva quasi impossibili da percepire vicino al suono secco e ritmato delle suole di Erik.
La grande villa, il suo giardino, gli alberi che la circondavano comparvero poco dopo ai loro occhi.
Tutto sembrava tenuto peggio di quello che Erik ricordava, ma dalle foto che Mystica aveva riportato, l'edificio e il suo sciattume erano solo il riflesso del loro proprietario.
Su un muricciolo, proprio accanto alle scale che li separavano dalla porta principale, era stato appeso un cartello "Xavier's schola for gifted youngsters" ma sembrava essere strappato da qualcuno e penzolava appeso solo per un angolo, sostenuto da un unico chiodo che non erano riusciti a togliere.
Giunti a quel punto Erik si chiese cosa davvero si sarebbe trovato davanti una volta varcata la soglia.
Poco male, lo avrebbe scoperto presto.
Alzò ambedue le mani davanti a sé con un gesto veloce e rapido, la serratura girò con un cigolio senza bisogno che si inserisse la chiave, la maniglia, fortunatamente di acciaio, si girò da sola e le porte si spalancarono lasciando loro la vista sull'atrio della villa.
Pesanti tende di velluto impedivano alla luce esterna di entrare e nessuno si era curato di accendere la luce elettrica.
I passi rimbombavano ancora di più.
- Resta qui e, se necessario, impedisci a Bestia di mettermi - fece una pausa e un lieve sorriso, - di mettere i bastoni tra le ruote della carrozzella. -
La sua voce fu poco più di un sussurro e si dilatò nel grande atrio coperta, di nuovo, dai passi dell'uomo che entrava nella stanza accanto.
Charles era solo a guardare fuori dalla finestra.

-Sei tornato.- sussurrò a mezza voce, senza voltarsi, quasi non volendolo.
Tirò dritta la schiena e assunse un'espressione contrariata.
-E tu sei lo stesso ragazzo sognatore che guarda la pioggia fuori dalla finestra?- domandò il mutante dietro di lui, il tono glaciale e pungente.
-Sono cambiato, Lehnsherr.- i passi ripresero, sentì lo scricchiolio dei guanti in pelle dell'uomo stringersi alla carrozzella. Lentamente venne spostato, trovandosi davanti alla porta e con le spalle piene della presenza di Magneto.
Sulla punta della lingua premevano le domande che in quei mesi si era rimangiato, intenzionato a dimenticarle.
Di nuovo, resistette alla voglia di voltarsi verso colui che lo stava lentamente portando fuori da quella stanza.
Questo odiava della sua situazione, il non poter prendere decisione. L'essere in balia degli eventi e dipendere da qualcuno.
Hank era stato un buon amico, ma odiava dover elemosinare il suo aiuto. Così come odiava l'essere spostato come una bambola di pezza senza volontà.
-Cosa sei venuto a fare?- parole dure, arrabbiate.
-Questo, professore, dovrebbe dirmelo lei.- una risata forzata lo raggiunse da dietro.

Charles era incredibilmente freddo, freddo e diverso, e non c'era bisogno di ascoltarne le parole per capirlo.
Le sue mani si erano strette intorno ai manici della sedia la rotelle e sul viso gli si era dipinto un sorriso invisibile.
- Io non ti ho detto di venire qui. -
No, non lo aveva detto, tuttavia era un pensiero così evidente che non era necessario essere un telepate per coglierlo.
- Sono venuto ad esaudire il suo desiderio, professore. - sussurrò Erik, la voce melliflua e graffiante al tempo stesso.
Fece qualche passo avanti spingendo la carrozzella lungo tutta la stanza: in essa erano sistemate alcune provette contenenti, forse, proprio quel piccolo tentativo del mutante di non essere più se steso.
Magneto le guardava, erano vetro sistemato in comodi contenitori che, guarda caso, erano proprio fatti di metallo. Riusciva a sentirne l'attrazione anche da lontano.
- Voglio che mi lasci stare. -
Il mutante però non sentì le parole del telepate.
Le mani rimasero strette alle maniglie di plastica della SEDIA a rotelle, ma uno ad uno i porta provette cominciarono a cadere a terra rompendo i piccoli contenitori di vetro e spargendo i liquidi di diversi colori su tutto il pavimento fino a che il marmo bianco non prese un colore bluastro.
Blu come gli occhi di entrambi, come il mare nel quale si erano trovati e quello davanti al quale si erano divisi.
- No! - questa volta la voce di Charles fu troppo forte per essere ignorata, - Smettila! Smettila subito! - erano ordini, certo, ma non avevano forza; Magneto continuava a far cadere le provette e gli apparecchi proprio come se fosse dietro di essi a spingerli con la mano.
- E' la mia unica possibilità di essere normale! - era quasi disperata la voce del piccolo topo da laboratorio.
- Oh, vecchio amico mio, non hai mai avuto questa chance. -

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Capitolo 3
*** Yellow ***


Il peso del busto del professore si spostò pericolosamente in avanti. Desiderò con tutto se stesso di avere il potere di aggiustare le cose, quel potere che aveva sempre provato di simulare portando speranza nelle menti di giovani ragazzi che ora stavano combattendo guerre non loro.

Avrebbe voluto stringere quei cocci di vetro e riportare ogni cosa a qualche istante prima che Magneto distruggesse tutte le sue possibilità.
Crollò in avanti. Gli sembrò di assomigliare ad un verme, molle, strisciante, inerme e disperato.
Si macchiò le dita di quel blu intenso che andava ossidandosi formando striature verdognole sul pavimento, intramezzate da pozze blu.
- Hai distrutto ogni cosa. - la risata che seguì si tinse di isterica ironia. - Sei abituato a distruggere le mie aspettative non è vero? -
- Le fantasie di un bambino, Charles. -
Strisciando sul ventre, trascinandosi dietro le gambe immobili, il telepate si ancorò ad uno dei tavoli. Sollevò il torace e si voltò a guardare quel volto aspro e squadrato. Sopra la sua testa un vaso si rovesciò per l'urto. Petali gialli e acqua che colava caddero a picco sulla sua testa.
Gocciolava, poteva lasciar fuggire qualche lacrima salata.
- Tu mi hai strappato ogni sogno. -

"Sogno, cosa ne sai tu di sogni?
Hai dato un mondo a chi non lo ha mai avuto solo per dirgli di nascondersi.
Hai promesso felicità a chi è capace di stare zitto, a chi sa abbassare la testa davanti agli umani, davanti a quelli che non esiterebbero un solo istante a ucciderci.
A ucciderti."
Il pensiero era forte, vicino, saporito, così tanto che Charles in un primo momento non era riuscito a rimandarlo indietro, a ignorarlo, a non curarsi di esso.
Fissò gli occhi acquosi in quelli ghiacciati dell'altro.

Erik lasciò la SEDIA. Si diresse verso di lui. Sorrideva. Si chinò, le ginocchia sfioravano le braccia tese e tremanti per lo sforzo del giovane professore.
La mano guantata di nero spostò il ciuffo di capelli che impediva al blu del suo sguardo di perdersi nel suo grigio metallico e liquido di compassione. Prese il gambo di un fiore che pendeva sulla sua spalla, lo schiacciò tra le dita.
-Hai creato illusioni, Charles.-
A riempire gli istanti successivi del professore fu il sapore di ferro sulla lingua. Sapore di sangue lungo la trachea.
Il colpo che era arrivato all'altezza dello stomaco gli aveva fatto rivoltare gli occhi, dalla gola erano sgorgati un rivolo vermiglio e un gorgolio che suggeriva l'impossibilità dell'aria di raggiungere i bronchi.
-Ed ora sentirai tutto, ogni cosa che con quella roba volevi impedirti di sentire.-
I muscoli dell'addome di Charles non ressero più e lo lasciarono disteso sul pavimento umido. Le suole delle scarpe di Erik erano la sola cosa che occupava il suo campo visivo. La mano magra e solcata da vene bluastre si mosse fino a quella caviglia che era due volte il suo polso. La strinse come se potesse davvero fargli male.
Le voci si riversavano nella sua testa ma era troppo provato, il dolore era troppo intenso per poterle respingere. Poi, in un lampo color del sole, un giallo fluorescente e insostenibile, che accecava gli occhi, nella sua mente fecero breccia pensieri che aveva promesso di non guardare.

Ed erano gialli anche i pensieri, immagini colorate di un vissuto sbiadito.
Una spiaggia che risplendeva del caldo sole estivo comparve per poi sparire l'attimo successivo ed essere sostituita da una porta scorrevole giallo scuro su cui era scritto il numero 21.
La mano del protagonista dei pensieri, che Charles cercava inutilmente di scacciare, si mosse di lato facendo scorrere la porta che non era neanche stata chiusa. Entrò.
Nella stanza vi era un LETTO accanto al quale era uno schermo sul quale era indicato il battito cardiaco dell'uomo che dormiva, sotto l'effetto di chissà quale farmaco, nel letto accanto alla finestra.
Gli ci vollero davvero pochi passi per raggiungerlo.
Il mutante perse solo qualche istante ad osservare la figura dell'uomo disteso sulla schiena, gli occhi che ricordava essere blu chiusi in quel sonno probabilmente colmi di sogni che non erano neanche suoi ma del vicino di camera.
Charles riuscì a riconoscere se stesso anche se illuminato solo dalla luce dello schermo che distorceva con le sue diverse luci i lineamenti.
La mano di Erik si posò sul comodino lasciandoci cadere un fiore giallo, un lilium credeva, prima di uscire.
Era di nuovo giorno.
Magneto era scosso, più scosso di quanto lui stesso avrebbe mai potuto pensare di essere: si sentiva incredibilmente solo pur avendo tre affidabili compagni con cui condividere il suo odio.
Eppure sapeva che l'odio che lui provava non era equiparabile a quello altrui, lo vedeva nei loro occhi, nelle loro azioni i suoi compagni erano abituati ad ubbidire, in un certo senso erano stati addestrati a quello, ma lui, lui no.
La città lo metteva a disagio, ovunque si girasse vedeva umani, umani pronti a mettersi contro di lui, umani che lo odiavano senza conoscerlo e presto anche i loro occhi, i loro sorrisi, i loro "grazie" o "arrivederci" divennero insopportabili alle orecchie del mutante.
A tutto quel trambusto si sommava la figura di Charles: lo vedeva in ogni gruppo di persone che incontrava che essi fossero in piedi o seduti, che ridessero o piangessero, lo vedeva lì a curarsi di loro e si chiedeva solo perché, perché e con quale forza quel coglione si occupasse di qualcuno che non meritava altro che la morte?
Fu quando lo vide a sedere su un divano davanti ad una televisione con programmi molto scadenti insieme ad una coppia con un paio di bambini che non comprese più quello che realmente stava accadendo: era entrato in quella casa di sera facendo scattare la serratura.
I pensieri erano diventati confusi.
"Walsh" era la scritta sul campanello, non riusciva a ricordare altro di quell'appartamento, forse a carta da parati era color pesca, ma non era sicuro.
Sapeva di essere entrato, entrambi lo videro tra quei ricordi confusi, sapeva anche di aver ucciso i due coniugi, ma non aveva idea di come lo avesse fatto, forse strangolati, forse colpiti alla testa ripetutamente dalle lampade ai lati della stanza, forse Charles non voleva vederlo e stava chiudendo in ogni modo a sua disposizione quel ricordo cercando di rimuoverlo dalla mente stessa di Erik.
Tuttavia ricordava benissimo il sangue dei coniugi Walsh sulla parete e gli occhi pieni di terrore delle piccole creature che aveva risparmiato solo per far provare in loro lo stesso odio che aveva provato lui, come se con quel gesto potesse riempire il vuoto lasciato dall'unica persona che pareva averlo capito davvero per un brevissimo lasso di tempo.

La stanza, il sangue, l'orrore, lo spavento sparirono.
Charles, ancora accasciato a terra tremava, tremava come se fosse stato davvero là quel giorno e non come l'allucinazione che Magneto aveva visto.
Dalla bocca di Erik, un solo sussurro: - Se io ti ho strappato ogni sogno, tu mi hai letteralmente distrutto. -





Note: Volevamo solo ringraziare tutti voi lettori che vi sorbite questi deliri <3 buona continuazione
L&R

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Capitolo 4
*** Red ***


Un movimento della caviglia ed essa fu libera dalla mano di Charles. Un altro lieve movimento e la punta della scarpa di Erik si piantò nello stomaco del giovane professore, di nuovo. Altro sangue finì a coprire il pavimento di marmo bianco.
Perché? Perché si comportava in quel modo? Nella testa di Charles risplendevano ancora gli occhi verdi dei due bambini, pieni di terrore, di lacrime. Le due creature piangevano e poteva quasi sentirne le lacrime calde e salate sulle mani, quasi fosse colpa sua.
Le dita affusolate di Charles si poggiarono sulla macchia di sangue uscita dalla sua bocce e le sue dita si sporcarono di rosso, un rosso cupo, simile a quello delle tende che teneva sempre chiuse sulla finestra dell'atrio. - Cosa ti è successo? - Bisbigliò dunque, la bocca impastata dal dolore e ormai impossibilitato a muoversi, gli occhi azzurri acquosi e rossi allo stesso tempo per la vicinanza con il medicinale ancora in fase di sperimentazione. - Mi sei successo tu. -
La mano di Erik si posò in modo delicato sulla guancia di Charles a pulirgli uno schizzo di sangue. Trascinò il dito sulla guancia rosea trascinano la goccia di sangue e sporcandolo persino di più.- Ma guarda che disastro. - Sussurrò portando il pollice coperto dal guanto nero alle labbra e bagnando la stoffa con la lingua prima di frizionare sulla guancia dell'amico per pulirlo da quella macchia che deturpava così tanto il suo bel viso.
- Lasciami in pace. - mormorò sommessamente Charles cercando quasi di sottrarsi a quel tocco che non lo faceva affatto sentire al sicuro come avrebbe dovuto essere. - Non posso certo lasciare che ti sporchi, lo sai, il sangue non va via. - La mano del professore si strinse attorno al polso del mutante in un tentativo disperato di allontanarlo da se. Era paura quella che Erik vedeva? Charles aveva davvero paura di lui? Cosa poteva mai essere successo a quel piccolo topo da laboratorio incredibilmente coraggioso per farlo spaventare a tal punto? Cosa c'era esattamente dietro il suo tentativo di fuggire da se stesso?
Ogni domanda avrebbe potuto avere una risposta in quel momento, erano così vicini che i pensieri di uno passavano nella mente dell'altro e viceversa quasi senza soluzione di continuità perché Charles, troppo debole in quel momento, non era in grado di controllarli, di controllarsi. La mano di Erik si strinse attorno al polso del professore e sul suo viso si dipinse un tenero, lieve sorriso. Poi un rumore. Le porte si spalancarono di colpo e si sentirono distintamente i passi bagnati di un nuovo ospite. Erik si girò allontanandosi immediatamente dal professore ancora steso a terra, i suoi occhi grigi fissi sulla sagoma di un uomo. L'uomo era bagnato fradicio, doveva aver camminato sotto la pioggia fino a quel momento, i capelli rossi, lunghi, gli si erano appiccicati al viso e nei suoi occhi verdi si vedevano la tempesta e il dolore. Il nuovo arrivato non dovette scrutare a lungo la stanza, il pavimento era sporco di sangue, seguì la striscia ed eccoli lì: l'uomo che odiava e la sua innocente vittima.

La luce penetrava da una fessura nel soffitto di quella che era diventata la sua cella. I lunghi capelli ramati ricadevano pesanti sulla sua fronte, le dita magre stringevano il polso del fratello che dormiva. La scia delle lacrime sulle guance paffute trascinava via lo strato di sporco che gli nascondeva la faccia. Il labbro emaciato e violaceo piangeva sangue dopo l'ultimo incontro con il Maestro. Lo portava a vedere la televisione. Gli mostrava la guerra in tutto il suo orrore. Aveva visto la morte in faccia, quella brutta donna che sorrideva coi suoi denti storti, ed ogni volta che distoglieva lo sguardo il Maestro si accaniva su di lui. Strappava i suoi capelli, ammaccava i suoi zigomi una volta rosei e paffuti. Poi lo ributtava nel buco. Suo frTello maggiore dormiva sempre. A lui non portavano da mangiare. E non potevano dividersi nulla, mangiavano in stanze separate. Quando si ritrovavano suo fratello era più stanco, debole, cadeva sulle ginocchia e dormiva tutto il giorno scosso da sogni violenti. Il Maestro era un uomo giovane. Con grandi mani che puntava davanti a se e con le quali compiva magie spaventose. "Sei di una razza inferiore. Lo scarto della mia potenza. E imparerai ad odiare come odio io, per sentirti di un passo più vicino alla nostra grandezza." La sua voce gli incuteva terrore.
Ascoltava ogni sua parola senza fiatare, stringeva i pugni e piangeva in silenzio.

-Sei un mostro.-
Le parole del giovane Walsh rimbombarono ancora una volta nelle orecchie di Magneto. Quella frase che il bambino rosso gli ripeteva tra i singhiozzi, la frase che aveva gridato stringendo la carcassa gonfia del fratello, che aveva inciso sul proprio petto con cicatrici sanguigne. Le parole che aveva udito il giorno in cui lo aveva abbandonato in una grande città, colmo d'odio e rabbia.
-Boetius.-


Nd.A.
Il bell'uomo che potete ammirare nell'immagine (non che gli altri non lo siano...), è il volto che abbiamo immaginato per il nostro Boetius.
Un ringraziamento a chi coninua a leggere, siete adorabili :)
Buona continuazione,
L&R

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Capitolo 5
*** Green ***


Gli occhi verdi e scuri del giovane uomo sulla soglia si puntarono in quelli di Magneto per poi scendere e incontrare Charles. Gli sembrava di vedere in quell'uomo sfatto e steso a terra un fantasma tremulo e in procinto di evaporare.

Strinse nel pugno, nascosto dalla tasca del cappotto, una lama di ceramica appuntita. Il labbro superiore scattò in un sibilo venefico mentre percorreva a passi veloci la distanza che separava la sua mano dalla gola del Maestro.
-È qui per ucciderti.-
Parole inferme e quasi gridate arrivarono alle orecchie di Erik e Boetius. Le dita di Charles si arrampicarono lungo le gambe del signore dei metalli, costringendolo a fare due passi indietro e ad inciampare su se stesso, mentre osservavano il colpo fatale abbattersi sul marmo del pavimento e accartocciarsi su se stesso.
-Come lo sapevi?- fu un ringhio quello che uscì dalla gola del ragazzo Walsh, mentre si ritirava sulle ginocchia e puntava con gli occhi la figura di Charles pateticamente aggrappata ad Erik.
Le iridi azzurrognole e vacue del professore furono celate dalle palpebre. Tra fitte lancinanti al petto sotto i suoi piedi si formò uno scenario di terrore.

Un ragazzo vomitava grumi di sangue. La sua vista era appannata e si guardava in uno specchio. Sul petto aveva tatuato un nome di uomo e la parola mostro. Una catena spezzata pendeva dal passante dei suoi pantaloni e cigolava ad ogni passo.
I suoi pensieri erano confusi e iracondi. C'era morte e distruzione ovunque. Funerali e gigli verdognoli a portare colore in pozzi grigi pieni di carcasse comuni. C'erano due gabbie, con chiodi sporgenti e legacci di cuoio. Bambini dalla testa rossa legati e trapassati da aghi bollenti.

-Ucciderlo non ti renderà migliore.- fu il bisbiglio che suonò flebile tra le quattro mura della stanza quando i suoi occhi si riaprirono.
Il sussurro risuonò più volte riempiendo l'aria tanto da chiedersi se non fossero più di uno a parlare da diverse direzioni.
- Fermati, Boetius -
Nessuno parlava ma il sussurro echeggiava, rimbombava.
Che dolce era quel suono, si insinuava nella mente di Boetius e lui non poteva non credere che seguirlo fosse la sola cosa giusta.
Ma da dove veniva quel suono celeste? Possibile che un angelo stesse parlando proprio a lui?
- Non è la strada giusta - sussurrava l'angelo che solo il rosso poteva sentire, - non sarà mai la strada giusta -
La voce era ogni volta più dolce, gli infondeva il bene nel cuore, gli faceva desiderare di perdonare ogni male, di non commettere mai più torto alcuno.
Ma poi vide l'angelo.
L'Angelo era l'uomo dai grandi occhi blu steso a terra.
Seguì con gli occhi il profilo dell'uomo: egli era in una posizione scomposta e le braccia erano avvolte una attorno ad una gamba del Maestro e l'altra al suo braccio, il busto pareva reggersi per miracolo in una posa semi distesa.
La mano del giovane si strinse attorno al manico del coltello ma la voce dolce gli impediva si muovere il braccio.
Era costretto dalle parole dell'angelo, dai suoi no, dalle sue imposizioni, dal suo impedirgli di muoversi.
E di colpo la voce flebile dell'angelo divenne un ordine fastidioso, un grido, un'ordine a cui voleva sottrarsi con tutto se stesso: odiava quell'angelo perché era uguale al Maestro e Boetius non riusciva a pensare che uno solo di loro potesse avere un cuore buono.
-ci ucciderà entrambi. - le parole uscirono strozzate dalla bocca di Charles.

Le mani di Magneto si strinsero a pugno e il suo sguardo saettò sul corpo immobile di Charles ai suoi piedi.
La lama di ceramica tagliente ritornò a puntare verso le loro gole quando il telepate fu troppo debole per contrastare l'odio che intossicava quella giovane mente. Vedeva rosso attraverso i suoi occhi e stringeva di più le mani alla stoffa dei pantaloni di Erik, arrampicandosi strisciante. Una richiesta d'aiuto singhiozzata si insinuava nelle loro menti fino a quando la paura fu troppa. Troppa per permettere che le sue gambe immobili impedissero la loro fuga, troppa perché pensasse di poterla sostenere ancora a lungo, mischiata con la solitudine.
Boetius si faceva vicino, a passi lenti e a testa bassa. La lunga chioma rossa, umida, gocciolava dalla sua fronte con suoni che andavano ad accompagnare quelli delle suole bagnate.
Charles si buttò a terra, spingendo con gli avambracci le gambe di Magneto, permettendogli di indietreggiare e allontanarsi di qualche passo.
Il mutante dei metalli fissò glaciale il corpo molle di Charles strisciare verso il ragazzo.
Era l'ennesimo gesto disperato, smanioso di fare la cosa giusta, impuntato al sacrificio in nome di una fratellanza marcita come quel giglio giallo che aveva lasciato sul comodino.

Tra Magneto e il rosso c'erano davvero pochi metri, così pochi che con soli tre, quattro passi, i due si sarebbero scontrati.
Eppure tra di loro Charles sembrava dare una distanza infinita.
Boetius rigirò il coltello di ceramica nella mano un paio di volte: era chiaro che prima di arrivare alla sua vendetta si sarebbe dovuto scontrare con un nemico diverso.
Era solo un peccato che quel nemico fosse così inerme.
I suoi occhi verdi non riuscivano neanche a vedere il viso dell'altro, i capelli castani coprivano il volto già abbassato dell'uomo che aspettava ciò che pareva inevitabile.
Boetius alzò la lama di nuovo e quella volta nessuna voce poteva infastidire i suoi pensieri o mettere un freno alla sua volontà.
Charles ne sentiva i pensieri ed era inquietato da quanto simili fossero a quelli che ricordava appartenere ad Erik, quello che il ragazzo chiamava "maestro", quello che non pareva intenzionato a scappare nonostante ne stesse avendo ampiamente la possibilità.
Charles avrebbe dovuto immaginare che un Dio non sarebbe mai fuggito davanti ad un verme, per quanto il verme potesse sembrare pericoloso.
Non fuggì, il colpo che Charles aspettava non arrivò mai.
Magneto non poteva controllare l'arma o il ragazzo, che pareva essersi attrezzato al meglio per non avere neanche una moneta che lo rendesse schiavo del maestro dei metalli, tuttavia aveva un'intera stanza in cui cercare e trovare: uno dei molti porta provette in metallo si abbatté con forza contro il viso del ragazzo che, tuttavia, non si fece distrarre dal suo intento.
Il professore gemette dal dolore ma non perché il coltello avesse attraversato il suo corpo quanto per il peso che gli era caduto addosso: prima che il coltello lo toccasse e gli strappasse la vita Magneto gli si era letteralmente gettato addosso e lo aveva coperto cadendo poi a peso morto per il colpo ricevuto alla schiena.
La situazione era completamente uscita dal controllo di Boetius che, oltre al dolore per il colpo dal porta provette, recava diverse ferite sul viso date dagli oggetti che magneti era riuscito a lanciargli contro prima di cadere.
Il ragazzo aveva male, aveva male ed era certo di aver appena ucciso l'uomo che aveva creato lui infinite sofferenze; per l'altro poteva tornare in un momento diverso.
Il ragazzo dagli occhi verdi scappò in fretta sentendo altri passi arrivare dalle scale del piano di sopra, il professore si ritrovò steso sulla schiena e guardare con terrore gli occhi grigi del mutante che giaceva sopra al suo petto.

- Va… va tutto bene. - mormorò Charles allungando la mano verso quella dell'altro lasciando che lui la stringesse, Magneto aveva il respiro così flebile da non poter quasi essere udito.

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Capitolo 6
*** White ***




La mente divenne opaca a pochi passi dalla porta, sulla soglia i passi si fecero confusi, la testa girava e doleva. Le mani tremule del rosso si portarono agli zigomi macchiati di sangue, strofinarono forte, poi le ginocchia cedettero e si abbatterono sul sentiero di ghiaia. La pioggia martellava violenta la sua schiena e inzuppava gli abiti.
Voltò il collo di lato vedendo tra le palpebre socchiuse un paio di mani bluastre afferrargli le spalle.
Poi scese il buio.

Hank e Mystica erano rimasti lontani troppo a lungo: i rumori forti del piano di sotto avevano fatto scattare un campanello d'allarme anche nella mutante il cui compito era evitare in ogni modo che quella sottospecie di orso blu scendesse le scale.
Raggiunto l'atrio, poi, la presenza dell'uomo con i capelli rossi non aveva aiutato nessuno dei due: Hank si era precipitato, con il suo passo sgraziato e pesante nonostante silenzioso per la presenza della peluria blu, verso il ragazzo stramazzato al suolo; Mystica aveva girato verso il laboratorio trovandosi davanti una scena ricolma di sangue e due corpi stesi l'uno contro l'altro.
Charles mosse il busto di qualche centimetro, allungò il braccio lungo la schiena di Erik sentendo subito il palmo bagnato. Non ebbe il coraggio di guardarsi la mano rossa di sangue che avrebbe dovuto essere il proprio e non quello del mutante che ansimava debolmente cercando l'aria con le labbra spalancate. La sua mente fu investita dalle paure dell'uomo che giaceva inerme sopra di se.
Sentiva sulla lingua il sapore della sua soddisfazione personale. Il sapore familiare del pensiero di aver saldato un debito e aver creato la copia esatta di se stesso. Sentì l'orgoglio di un padre violento fiero nel vedere suo figlio in preda all'istinto distruttivo di cui era l'artefice.
Qualcosa, qualcuno, sollevò quella carcassa di respiri dal suo busto. Mani esperte strapparono frettolose la stoffa della maglia a collo alto del mutante per scoprire copiose ferite che piangevano scarlatto. Nella testa del telepate fu tutto di un bianco doloroso per una manciata di secondi.
Poi un sussurro, passi infermi, altri sussurri.

-È ancora qui.-

Gli occhi azzurri del telepate cercarono dapprima Boetius, il pericolo che quel ragazzo aveva rappresentato era fors'anche maggiore di quello che Erik avesse mai potuto immaginare, non trovandone traccia si concentrò sulla figura che aveva spostato il peso di quel corpo quasi senza vita dal suo. Era certo di trovare il viso peloso e rassicurante di Hank e un suo sorriso che più di ogni altra cosa in quegli anni aveva significato tranquillità, ma ciò che trovò fu diverso: il viso era blu ma su di esso non vi era traccia alcuna di peluria, capelli rossi lo circondavano.
Forse era la sua mente che gli giocava qualche brutto scherzo, perchè era impensabile che oltre ad Erik avesse davvero ritrovato anche Raven. Girò il viso di lato lasciandosi sfuggire un colpo di tosse accompagnato da schizzi di sangue e un gemito di dolore. Dei passi raggiunsero velocemente le orecchie di Charles, qualche istante dopo egli si sentì sollevare da terra. Nonostante sapesse ormai di essere al sicuro, la mente del telepate non riusciva a darsi pace e scavava, quasi involontariamente, nella mente dell'uomo morente a terra.
Chiuse gli occhi.
Nella testa di Erik era tutto nero, lui stesso non riusciva a scorgevi niente e si chiese se forse non era morto davvero.
Era fermo, solo, e non era neanche più certo di sentirci o di poter parlare, ma poi parlare o ascoltare chi? Nessuno lo avrebbe mai cercato.
Davanti a lui non restava altro che il nulla. Ma di colpo una luce spezzò il buio costringendolo a chiudere gli occhi in un primo per non rimanerne abbagliato, lui che faceva così parte di quel buio da aver dimenticato per un po' cos'era la luce.
Quella luce, che non era neanche tanto forte una volta che ci si era abituati, veniva da una figura che avrebbe riconosciuto tra mille altre: era Charles e, sebbene sembrasse incredibilmente lontano e irraggiungibile, era l'unica cosa che portasse chiarore a quel buio mortale.
-Ti ho sempre voluto al mio fianco - sussurrò la voce nel buio, - perché non credo che ci sia qualcun altro che potrebbe mai desiderare quanto te di salvarci… di salvarmi.-

I sussurri si spandevano in quel nulla fino a raggiungere la figura bianca ed eterea che, zitta e immobile, ascoltava le parole, quando le sue labbra si muovevano non ne usciva alcun suono, o forse era Erik a non sentirlo. - E anche se non l'ho mai dato a vedere abbastanza tu sei sempre stato la mia forza e il mio più grande punto debole. - Le due ombre si avvicinarono quasi attratte in modo irresistibile l'una dall'altra. - E proteggerti è una promessa che manterrò per sempre. - La mano dell'ombra nera di Erik si posò sulla guancia bianca di Charles e si illuminò anch'essa di quel candore. Ma l'ombra del professore svaniva piano piano mentre Magneto cercava di afferrarlo e, proprio quando le labbra si stavano per posare su quelle di nuvola dell'altro, Erik si trovò a stringere il nulla di nuovo solo nel buio


                                                                         
Schifosamente in ritardo nei confronti di chi leggeva prima del trasferimento, ci scusiamo infinitamente ma R è in vacanza (non ditele che le ho dato la colpa v.v) ed L è decisamente pigra, pigrissima, e ci ha messo vent'anni per ricopiare tutto. 
Perdonate, se tutto andrà come previsto ricominceremo a pubblicare entro lass
i di tempo decenti <3 

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Capitolo 7
*** Black ***



Aprì gli occhi: era in una stanza ma non avrebbe saputo dire di chi la stanza fosse, in un letto, ma non sapeva come ci fosse finito. Boetius si guardò intorno cercando un qualsiasi punto di riferimento. 
Il soffitto era alto, le pareti ricoperte di carta da parati azzurra, quasi bianca, le tende, attorno all'unica finestra, erano blu con un bordino oro. Poi c'era uno specchio. 
I suoi occhi si fermarono su di esso atterriti. 
I capelli erano di fatto i suoi, castano ramato, lunghi e disordinati. Ma il resto? Il viso era pallido e proprio dove c'era il piccolo taglio, quello lasciatogli dalle provette che si erano infrante sul suo volto, da lì partivano dei segni verdi. 
Squame. 
Portò una mano sulla guancia per accertarsi di aver visto bene, ma anche il suo tocco non fu come lui si aspettava: era rigido, viscido e rigido. C'erano squame anche sulle sue dita. Verdi, viscide, le sue unghie si erano trasformate in artigli. Si alzò titubante e con passi incerti si diresse allo specchio. 
Un ringhio terribile uscì dal fondo della sua gola mentre ammirava i suoi occhi che erano più quelli di un animale, di un serpente che i suoi. Quel mostro era riuscito a renderlo come se stesso, Boetius non poteva quasi crederci, se il dolore non fosse stato così tanto, grande ed inteso avrebbe certo pensato che fosse tutto un sogno. 
Ma no, ma no era realtà: il maestro lo aveva in qualche modo tramutato in un mostro come lui, come se le sofferenze che gli aveva causato in precedenza non fossero state abbastanza. 
Le unghie si strinsero sulle squame del viso e cominciarono a sfregare e sfregare con forza sperando di potersi levare quella pelle non sua di dosso, di poter tornare come prima. Di poter tornare umano. 
A fermare quella carneficina che cominciava a tingersi di rosso, un paio di mani morbide, del colore dei lapislazzuli, e un volto scimmiesco riflesso nello specchio, poco più in alto della sua testa. 

Stringeva i pugni sentendo l'aria farsi rada nei polmoni, i bronchi bruciare terribilmente. 
Un sorriso debole si dipinse sulle labbra sottili prima che un capogiro gli facesse perdere i sensi. Charles era ancora incatenato all'immagine delle labbra del mutante così vicine ed evanescenti. Lottava perchè non sparissero dalla sua mente e allo stesso tempo provava disgusto per quello che erano diventati. 
Un prolungamento dannoso l'uno dell'altro. Frutti marciti dello stesso albero. Charles aveva messo radici nel cuore nero di Erik spaccandolo col suo candore, rendendolo spietato, alla continua ricerca del conto da saldare, del collante grigio pallido con cui legarsi. 
Tossì sangue mentre la splendida chioma fulva di Mystica entrava nel suo campo visivo. Si pulì le labbra strusciando il volto sul suo petto con occhi che supplicavano una morte veloce. Gli occhi felini della donna piangevano dolore e negavano con tutta la loro luce. 
Fu sollevato di peso, fu messo su qualcosa di duro e freddo, coperto da teli di cotone ruvido, girato sulla pancia. Poi sentì le ferite bruciare, dall'esterno Charles udiva solo strazianti grida di dolore. 
Si spinse da solo, con le braccia deboli, verso il tavolo di metallo freddo. Si portò davanti al volto del mutante, la cui bocca era distorta in una smorfia terrificante e allungò la mano tremante verso la sua, che stringeva convulsamente l'acciaio, piegandolo sotto la forza delle dita. Fissó gli occhi in quelli apatici e senza vita dell'altro, vedendo ogni scintilla del suo odio ardente spegnersi assieme al suo respiro. 
La mano di Magneto si spinse furiosa ad afferrare la sua. Lo tirò, facendolo cadere in ginocchio, tenne stretta la mano dell'altro e baciò il dorso segnato dalle vene bluastre. Continuò a baciare la sua mano, lacrime calde cadevano dal volto di Charles in una pioggia cristallina. 
Aspettava di sentirlo parlare, di vederlo alzarsi, respirare. Rimaneva ancorato dentro la sua testa, sentiva la morte spingerlo fuori. 
Ad un tratto ogni cosa fu nera. 
Nere le labbra ora ferme, appoggiate sulle sue nocche. Neri i pensieri, nere le parole. Neri gli occhi gonfi che in penombra piangevano ancora, nero il grido di Mystica, che si levava alto e disperato sopra le loro teste come un denso fumo velenoso. 
Charles non aveva forza di gridare o per ritirare la mano. Rimase immobile davanti a quello scenario di morte, la mente spezzata e il cuore incerto. Vide gli occhi metallici diventare pozzi invisibili, rivoltarsi. Alle sue orecchia arrivò il suo ultimo respiro. Era spirato su un bancone freddo, un lago di sangue. 
Quell'ultimo, rabbioso sospiro aleggiava ancora tra quelle pareti.

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