Back to the Origins

di Andy Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** Prologo - L'inizio della fine 2°Parte ***
Capitolo 3: *** Capitolo Primo: Risveglio ***
Capitolo 4: *** Capitolo Primo: Risveglio 2°Parte ***
Capitolo 5: *** Capitolo Secondo: Impulsi ***
Capitolo 6: *** Capitolo Secondo: Impulsi 2°Parte ***
Capitolo 7: *** Primo Interludio ***
Capitolo 8: *** Capitolo Terzo: Vibrazioni ***
Capitolo 9: *** Capitolo Terzo: Vibrazioni 2°Parte ***
Capitolo 10: *** Secondo Interludio ***
Capitolo 11: *** Secondo Interludio 2°Parte ***
Capitolo 12: *** Capitolo Quarto: Decisioni ***
Capitolo 13: *** Capitolo Quarto: Decisioni 2°Parte ***
Capitolo 14: *** Terzo Interludio ***
Capitolo 15: *** Terzo Interludio 2°Parte ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quinto: Trasformazioni ***
Capitolo 17: *** Capitolo Quinto: Trasformazioni 2°Parte ***
Capitolo 18: *** Quarto Interludio ***
Capitolo 19: *** Quarto Interludio 2°Parte ***
Capitolo 20: *** Capitolo Sesto: Ritrovamento ***
Capitolo 21: *** Capitolo Sesto: Ritrovamento 2°Parte ***
Capitolo 22: *** Capitolo Settimo: Limiti ***
Capitolo 23: *** Capitolo Settimo: Limiti 2°Parte ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ottavo: Ardere ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ottavo: Ardere 2°Parte ***
Capitolo 26: *** Capitolo Nono: Chiarezza ***
Capitolo 27: *** Capitolo Nono: Chiarezza 2°Parte ***
Capitolo 28: *** Capitolo Decimo: Nevica ***
Capitolo 29: *** Capitolo Decimo: Nevica 2°Parte ***
Capitolo 30: *** Capitolo Undicesimo: Fuga ***
Capitolo 31: *** Capitolo Undicesimo: Fuga 2°Parte ***
Capitolo 32: *** Quinto Interludio ***
Capitolo 33: *** Capitolo Dodicesimo: Emily 1°Parte ***
Capitolo 34: *** Capitolo Dodicesimo: Emily 2° Parte ***
Capitolo 35: *** Capitolo Tredicesimo: Vapore ***
Capitolo 36: *** Capitolo Tredicesimo: Vapore 2°Parte ***
Capitolo 37: *** Capitolo Quattordicesimo: Climax ***
Capitolo 38: *** Capitolo Quattordicesimo: Climax 2° parte ***
Capitolo 39: *** Capitolo Quattordicesimo: Climax 3° parte ***
Capitolo 40: *** Capitolo Quindicesimo: Panico 1° parte ***
Capitolo 41: *** Capitolo Quindicesimo: Panico 2°Parte ***
Capitolo 42: *** Capitolo Sedicesimo: Convinzioni ***
Capitolo 43: *** Capitolo Sedicesimo: Convinzioni 2°Parte ***
Capitolo 44: *** Capitolo Diciassettesimo: Oppressione ***
Capitolo 45: *** Capitolo Diciassettesimo: Oppressione 2°Parte ***
Capitolo 46: *** Capitolo Diciottesimo: Preparativi ***
Capitolo 47: *** Capitolo Diciottesimo: Preparativi 2°Parte ***
Capitolo 48: *** Capitolo Diciannovesimo: Contromisure ***
Capitolo 49: *** Capitolo Diciannovesimo: Contromisure 2°Parte ***
Capitolo 50: *** Capitolo Ventesimo: Rincontri ***
Capitolo 51: *** Capitolo Ventesimo: Rincontri 2°parte ***
Capitolo 52: *** Capitolo 21 - Gelo ***
Capitolo 53: *** Capitolo 22 - Motivazioni ***
Capitolo 54: *** Capitolo 23 - Paura ***
Capitolo 55: *** Capitolo 24 - Indietro ***
Capitolo 56: *** Capitolo 25 - Lacrime ***
Capitolo 57: *** Ultimo Capitolo - The end has to come ***
Capitolo 58: *** Goodbye ***
Capitolo 59: *** Manga - 0 ***
Capitolo 60: *** Manga - 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo - L'inizio della fine ***


L'inizio della fine - pt. 1



“Guerra. Guerra e Fuoco. Guerra e fuoco, più odio e rabbia. Rancore.
 
No. Non ho creato la terra per questo. Non ho creato il mondo per riempirlo di lacrime.
Non ho creato i Pokémon per servirvene.
Ho creato tutto ciò per raggiungere la serenità dell’anima, dello spirito. Io mi riempio dei vostri sorrisi, e della vostra serenità.
E la guerra mi fa male.
Mi ferisce vedere le mie creature che si ammazzano tra di loro. Per cosa, poi? Per il potere?”
E poi l’oracolo lo sentì ridere.
“No. Non avete potere. L’unico potere che avete è quello di rompere equilibri ed armonie. E la colpa non può che essere vostra, degli umani, dato che i Pokémon sono creature buone. Siete voi umani ad essere cattivi, a riempire i vostri cuori di brama e desideri che imputridiscono le vostre anime, sporcandovi anche il volto. È una vergogna girare col volto sporco. Nessuno dovrebbe farlo”
“Lo so”. La voce dell’oracolo era dolce e debole allo stesso tempo. La ragazza sostava in ginocchio, timorata per le parole della divinità.
“Gli altri dovrebbero avere la tua coscienza. Invece c’è chi punta a farmi del male” riprese l’altro.
“Gli altri sono come sono perché tu sei stato troppo generoso con loro. Gli hai offerto una terra piena di ricchezze, li hai messi in condizione di poter sorridere ogni giorno, e di godere della compagnia dei Pokémon oltre che della tua benevolenza”
“Mai le tue parole furono più esatte. E la generosità da oggi è finita. Guerre tra umani che utilizzano Pokémon per uccidersi a vicenda... non vi ho donato il mondo per questo motivo. E siccome la mia benevolenza non è stata ben percepita, da ora è finita. Vai fuori, ora, e grida al mondo la profezia che adesso suggerirò alla tua anima”
L’oracolo vide il cristallo dell’armonia illuminarsi di bianco. Tramite quello, Prima era in grado di parlare con la divinità. La luce bianca si espanse in maniera vertiginosa, fino a quando due fasci illuminarono il cuore e la testa di quella.
Dolore e piacere si univano nel suo corpo, fino a sfibrarla. Si sentiva debole e forte, assetata di conoscenza ed al contempo piena di verità. Accadeva questo quando Lui voleva farle conoscere qualcosa. Prima urlò, come non aveva mai fatto, poi si abbandonò all'immenso potere che stava defluendo in lei, mentre i fasci si riempivano di luminosità sempre più velocemente, fino a diventare tutto candido, tutto bianco, come se tutto ancora dovesse esserci stato. Si vedeva solo Prima, che prese a fluttuare per aria.
Le vergini, che si occupavano di lei, si spaventarono.
Prima sbarrò gli occhi, ed aprì mani e bocca, stupore e paura si dipinsero sul suo sguardo, fino a che la luce sparì, e debolmente Prima si adagiò verso il pavimento di pietra. Le vergini guardavano il loro oracolo impaurite. Erano poche le volte che il potente Arceus decideva di mettersi in contatto con loro, ed ogni volta che entrava nell'oracolo succedeva qualcosa di inaspettato, che le lasciava a bocca aperta. Quello rappresentava da sempre un mistero per loro. Si chiedevano come potesse essere possibile che Arceus, il grande Arceus, entrasse all'interno di Prima, la sacra vergine, l’oracolo, e parlasse con la sua anima.
Quelle guardavano la scena, a metà tra lo stupore e l’orrore.
Prima sbarrò di nuovo gli occhi, e prese ad urlare terrorizzata. Una delle vergini, impaurita da quella reazione, volle avvicinarsi a lei. Voleva svegliarla, voleva che finisse di urlare. Un’altra adepta, la più anziana, la trattenne per un braccio.
“Arceus sta parlando. Non interrompere mai Arceus” disse.
La più giovane abbassò la testa, in segno di scuse, e tornò ad inginocchiarsi al suo posto.
Prima continuava ad urlare, un po’ di sangue cadeva a piccole gocce dai palmi delle sue mani. Anche le lacrime fuoriuscivano, ma a fiotti. Sembrava stesse per partorire il demonio.
E poi tutto finì.
Prima si agitava per terra, in preda alle convulsioni, mentre tutte le adepte disorientate guardavano la più anziana.
“Prendetela e portatela nella sua stanza. Curatele le ferite, ed assicuratevi che beva. Quando si sveglierà dovrete chiamarmi prontamente”
“Sì, Olimpia” rispose una di quelle. Le giovani raccolsero Prima da terra, per adempiere agli ordini della più anziana tra le vergini dell’oracolo.
Olimpia pulì il sangue dell’oracolo, e guardò il cristallo. La causa di tutto.
Quel cristallo era il portale spirituale per connettersi con Arceus. In qualche modo era l’unico modo per comunicare con lui, e se un animo buono fosse riuscito ad invocarlo, qualcuno avrebbe potuto catturarlo e servirsi dei suoi immensi poteri.
L’anziana si avvicinò a piccoli passi verso l’arco d’ingresso del tempio, i suoi piedi scalzi calpestavano le lastre di pietra dura e fredda del pavimento, ed intanto si guardava attorno. Un Medicham levitava tra due colonne, mentre l’Abra di Prima giocava rincorrendo un Glameow. Attimi di distrazione, prima che la preoccupazione la mangiasse.
Arrivata fuori al tempio, Olimpia godette dei baci del sole, che prontamente inondò il suo viso sapiente. Dall'alto del Monte Trave, la vergine guardava colonne enormi di fumo alzarsi e levarsi in aria, trasportate dal vento.
L’intera regione di Adamanta bruciava sotto il fuoco degli ingiusti, quei rivoluzionari irragionevoli e senza scrupoli. Si avvicinò alle pendici del precipizio, il vento soffiava sulle sue vesti, che si ritraevano sul corpo della donna come fossero bambini impauriti. Poco lontano dall'interminabile scalinata che collegava il tempio del Monte Trave con la città di Palladium, l’esercito dei templari si batteva valorosamente contro quello degli ingiusti. Facevano combattere i loro Pokémon tra di loro, cosa insensata. Si chiedeva perché non potessero godersi la tranquillità e la bellezza di quel paesaggio tutti assieme.
Lunghi rivoli d’acqua si gonfiavano e quando si univano facevano spazio al fiume, che saltava coraggioso da un’enorme cascata e si ritirava in un ampio lago. Ampie pianure davano la possibilità di coltivare la terra, e le valli permettevano di costruire abitazioni, per coesistere insieme e bearsi della benevolenza di Arceus, generoso creatore di Adamanta e delle altre terre sinora conosciute.
Ed invece Adamanta bruciava.
Olimpia sospirò, pregando che i templari resistessero alla morsa degli ingiusti, anche se la vita era riuscita nell'insegnarle una delle lezioni più importanti sugli umani: l’ambizione non guarda in faccia nessuno. Nemmeno chi ce l’ha.
Alzò gli occhi, il sole stava per tramontare ma il forte calore non accennava a diminuire. Si girò, il tempio era sovrastato da un cielo dalle mille sfumature, ammorbidito da batuffoli di nuvole.
Rientrò dentro, il sonno sarebbe stato l’unico modo per rinfrancare quelle giornate, ricche solo di paure e delusioni.
 
Nel cuore della notte Sandra, la più giovane tra le vergini, andò a svegliare Olimpia. Il viso della donna anziana sembrava stropicciato. Non riusciva a riposare bene, e non sapeva se dipendesse dalla profezia di Arceus, o dalle urla di disperazione di Pokémon e persone, che spesso le attanagliavano la mente, stringendola in una morsa inesorabile.
“Olimpia, Prima si è svegliata”
“Sì, Sandra. Avete provveduto a lavarla e nutrirla?”
“Olimpia, conosci Prima. Abbiamo potuto lavarla solo perché era caduta nel profondo sonno, che sempre la divora dopo i contatti con la divinità. Abbiamo potuto anche farle bere un po’ d’acqua, ma ora le altre vergini si trovano in difficoltà a trattenere la sua furia”
“Furia? Di che stai parlando, Sandra?”
“Sembra non essere in sé. Le altre vergini la stanno trattenendo, spingendola contro il muro, mentre lei si dimena per liberarsi”
“Andiamo da lei”. La più anziana scese dal suo piccolo giaciglio, la veste ricadde lunga verso la pietra, e fece spaventare Glameow, che riposava lì nei pressi.
Sandra ed Olimpia camminavano spedite verso la Stanza del Riposo, dove abitualmente Prima si riprendeva dopo i contatti con la divinità, ma furono le grida del giovane oracolo ad accoglierle, parecchi metri prima dell’ingresso.
La stanza del riposo era fondamentalmente una camera dotata di un morbido letto, di un banchetto e di una vasca ripiena di acqua piovana. Varie torce illuminavano l’ambiente in maniera sommaria, ma Olimpia fu benissimo in grado di vedere il volto di Prima. Era fuori di sé.
“Lasciatemi! Lasciatemi!” urlava quella, le lacrime sul suo volto a deturparne la bellezza intoccabile. Gli occhi verdi, dilatati al massimo, erano l’elemento di maggiore espressività del suo viso, la pelle candida li faceva risaltare ancora di più. I lunghi capelli castani donavano all'oracolo un’estrema femminilità, aiutata dai suoi movimenti aggraziati e dalle labbra rosee, gonfie di parole.
“Olimpia! Ordina alle vergini di lasciarmi andare!” urlava Prima.
“Lo farò se mi dirai cosa il divino Arceus ha in serbo per noi”
“La distruzione di tutto! Ora devo andare ad avvertire Timoteo!”
“Lo farà qualcun altro al posto tuo. Non possiamo rischiare che tu perda la vita”
“Timoteo ha bisogno di me!” urlò Prima, e con incredibile forza riuscì a divincolarsi dalle tre vergini che la mantenevano. Uscì velocemente dalla stanza, e prese a correre per il corridoio male illuminato del tempio.
“Abra! Vieni qui!” urlò, mentre correva verso l’enorme arco di ingresso. La ragazza uscì fuori, i piedi scalzi dolevano per la corsa. Si fermò sul primo gradino dell’enorme scalinata.
“Abra! Teletrasportami da Timoteo!”
Il Pokémon alzò gli occhi verso il cielo, e dopo pochi istanti fece smaterializzare Prima dalla cima del Monte Trave, sotto gli occhi affannati delle vergini che l’avevano inseguita.
 


La storia è scritta a quattro mani da Andy Black & Rachel Aori 

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Capitolo 2
*** Prologo - L'inizio della fine 2°Parte ***


L'inizio della fine - Pt. 2



Prima comparve ai piedi del letto di Timoteo. Una torcia illuminava il vasto dormitorio, condiviso da centinaia di soldati.
“Timoteo! Svegliati!” urlò l’oracolo.
Quello balzò in piedi, brandendo la spada che aveva accanto alla branda. Anche gli altri soldati si svegliarono.
Timoteo era il classico stereotipo dell’eroe. Capelli neri, corti, arruffati, barba corta dello stesso colore, labbra grandi, naso importante, occhi marroni. E fisico statuario.
Timoteo aveva donato la sua vita alla protezione dell’oracolo e delle vergini. E del tempio, naturalmente. Conosceva Prima da quando erano bambini, ma le capacità della ragazza si intromisero nei loro progetti di vita. Volevano sposarsi, vivere insieme, crescere dei bambini. I doni purtroppo non si scelgono. Quando fu reso noto che Prima fosse in grado di predire il futuro e parlare con Arceus, Olimpia andò personalmente a prelevarla dalla sua piccola casetta.
“Prima! Cosa ci fai qui?! Se gli Ingiusti scoprono che sei qui è la fine!”
“Dovete terminare questa guerra! Arceus ha maledetto le nostre terre!”
“Cosa?!”
“Ho... ho avuto un contatto con la divinità”
Timoteo lasciò cadere la spada per terra, che tintinnò al contatto con il pavimento. “Che diamine ti ha detto?!” urlò, scuotendo Prima per le spalle.
“Mi ha detto chiaramente che il mondo che lui ha creato per noi non è stato ideato per essere utilizzato come campo di battaglia! Vuole che finiamo di combattere! I Pokémon, gli uomini, non devono morire per via di altre persone e Pokémon!”
“Prima... se noi finissimo di combattere, quelli prenderebbero il tempio”
“Sì. Lo so. È per questo che devo parlare con il capo degli ingiusti, Adamo, per fargli terminare questa guerra inutile”
“Non parlerai con nessuno. Non posso permettere che tu rischi la tua vita. Quelle sono persone senza scrupoli”. Timoteo guardò negli occhi Prima, e le toccò la mano. I loro sguardi erano dolci.
“Devo parlare con Adamo”
Timoteo sospirò, abbassò il volto e strinse la mano della ragazza. “Non puoi farlo”
“È l’unico modo per salvarci”
“Arceus ucciderà tutti?”
“Si riprenderà quello che era suo, e lo chiuderà nell’Uovo della Vita”
“Ma... è l’uovo dal quale è nato!”
“Esatto”
“Dopodiché non ci sarà più nulla...” ringhiò Timoteo.
“Lasciami andare” la voce della ragazza si addolciva ogni volta di più.
“Verrò anche io con te. Per sicurezza”
“Grazie”, e gli occhi di Prima si riempirono di riconoscenza. Timoteo indossò la sua armatura, tralasciando l’elmo, infilò la spada nel suo fodero e sospirò.
“Ragazzi, state in allerta” disse infine alle sue truppe. Del resto, era un generale. “Haxorus, seguici” continuò. Guardò Prima, che annuì al suo sguardo.
“Abra, teletrasportaci da Adamo”
E sparirono.
 
Adamo sospirava, non riusciva a dormire. I biondi capelli, lunghi fino alle spalle, catturavano troppo calore. E questo non andava bene quando il caldo era troppo.
Decise di alzarsi, e sapeva quanto potesse essere faticoso, dato che non levava mai quell'armatura rossa e nera da dosso. Aveva paura di un attacco da parte di nemici. La sua tenda era vuota.
Si guardò le mani, piene di tagli.
La guerra.
Dovevano conquistare il Monte Trave. Dovevano farlo per Nestore. Lui aveva promesso loro fama, potere, denaro, cibo, donne, e tutto ciò che poteva rendere la loro esistenza migliore.
Era perso nei suoi pensieri, quando d’un tratto si rese conto che il suo peggior nemico era nella sua tenda. La punta della spada di Timoteo pungeva il pomo ad Adamo. Che ironia.
Quest’ultimo mosse gli occhi, neri come la pece, incuriosito dalla figura accanto al templare.
“Lei... lei è l’oracolo” osservò sorridente e stupito quello. “Avete del fegato a venire qui”
“A dispetto di quello che sembra veniamo in pace” disse serio Timoteo.
“Allora levami la spada dal collo”
Beh. Ovvio.
Timoteo abbassò l’arma, e guardò Haxorus. Aveva paura che il Gengar di Adamo fosse nascosto nell'ombra ed attaccasse all'improvviso.
“Che vi porta qui?” domandò Adamo.
“L’oracolo è entrata in contatto con Arceus” rispose l’altro.
“Oh... Arceus. Cosa vorrà mai, da noi?” fece lui, tutto sorridente.
Prima sospirò. “Ecco. La profezia è chiara. Il mondo così come lo conosciamo è stato un dono della benevolenza del grande Arceus. Ci ha donato i fiumi, per dissetarci, la terra, per sfamarci, e soprattutto i Pokémon, perché siano fedeli compagni ed amici. La grande guerra che state scatenando per il Cristallo dell’Armonia ha portato solo la morte di tantissime persone. E di Pokémon. Lui non ha creato i Pokémon per utilizzarli come armi. Li ha creati per far sì che entrino in simbiosi con noi. Perché diventino nostri fedeli alleati nella vita di tutti i giorni. Ebbene, la pazienza di Arceus è finita. La profezia di Arceus si avvererà e per noi sarà la fine”
“Quale profezia?” chiesero in coro Timoteo ed Adamo.
“Nessun’anima avrebbe dovuto separarsi dal suo corpo. Nessuna. Ora vuole che la sua benevolenza sia ripagato dalla fede che noi abbiamo in lui. Sono mille anni, quelli che ci ha concesso. Se entro mille anni non finirete di utilizzare i Pokémon a scopo di guerra, gli elementi si rivolteranno contro di noi, annientando ogni persona e Pokémon, e facendo sì che tutto il creato torni a fare parte di lui, imprigionandolo nell'Uovo della Vita”
Adamo rise di gusto.
“Tra mille anni io sarò già morto”
Prima spalancò gli occhi. Non riusciva a credere di aver ricevuto una risposta del genere.
“Ma i tuoi discendenti moriranno! E non ci sarà più nulla per cui combattere!”
“Oracolo, fatti da parte. Ho un tempio da conquistare” disse quello, sguainando la spada, ma prontamente Timoteo rialzò la sua al collo di Adamo.
“Siamo venuti in pace. E ce ne andremo in pace”
“Non penso. Gengar, usa Malosguardo”
Improvvisamente due occhi ed un sorriso arcigno apparvero su di una larga ombra sul pavimento. Nessuno riusciva più a muoversi.
“No! Sei un vigliacco!” urlò Timoteo, mentre il volto di Prima sbiancò.
Intanto Haxorus ruggiva di rabbia, sentiva le mani infide del fantasma toccargli la coda. Riusciva solo a muovere la bocca, il suo corpo era paralizzato lì.
“Lascia stare Haxorus, bastardo!” urlò il templare.
“Abra! Dobbiamo fermare Gengar! Usa Ipnosi!” ordinò Prima.
I poteri psichici di Abra fecero effetto, e Gengar si addormentò.
“No! Gengar, sveglio!” urlò Adamo, mentre combatteva a colpi di spada contro Timoteo.
“Dobbiamo andare via da qui!” urlò Prima. “Abra! Teletrasporto!”
E sparirono di lì.
“No! Truppe! Attacchiamo!” urlò Adamo, ed il suo urlo si espanse attorno a lui come fiamme in un campo di grano.
 
Prima e Timoteo, assieme ai loro Pokémon, si materializzarono nell'accampamento dei templari. Questi si spaventarono, di primo acchito, quando li videro apparire, poi riconobbero il generale e si tranquillizzarono.
La tensione era papabile. Timoteo aveva voglia di urlare. Si voltò verso le sue truppe.
“Uomini. Dobbiamo prepararci a combattere. Questa notte sarà lunga. E noi dobbiamo necessariamente vedere il sole domattina”
Tutti obbedirono agli ordini, e si schierarono sulle proprie linee, aspettando i comandi del generale.
“Prima. Devi tornare al tempio”
Quella affannava vistosamente, il cuore le martellava nel petto, e sussultò quando incontrò gli occhi dell’uomo.
“Timoteo... devi seguirmi”
“E perché?”
“Vieni con me al tempio, ti prego. Per un attimo, ma vieni con me”
Prima sembrava disperata.
“Non posso lasciare i miei uomini qui”
Ma l’oracolo così decise, quindi Abra li teletrasportò sul Monte Trave, davanti la porta del tempio. Il cielo era scuro e denso, due fiaccole accostavano l’ingresso del luogo sacro. Timoteo pareva visibilmente contrariato.
“Dannazione, Prima! Ti ho detto che non volevo lasciare i miei uomini!”
E fu allora che Prima si lasciò andare ancora al pianto. Troppe emozioni. Guardare il futuro con gli occhi di una donna acerba era difficile. Non riusciva a mantenere sulle spalle il peso di ciò che riusciva a vedere.
“Prima... calmati” fu meno ruvido l’uomo.
“Timoteo... se tu lotterai, stanotte, verrai ucciso”
Timoteo sbiancò. “Cosa?!”
“Verrai ucciso dal fuoco”
“Fuoco? Verrò ucciso dal fuoco?”
“Ti prego, non andare!” urlò quella, stringendolo, poggiando la faccia sulla fredda armatura. Avrebbe voluto che quella non ci fosse, in quel momento.
“Prima...”
“Non andare lì. So che vuoi andarci, so che vuoi lottare. Ma desisti. Rimani con me!”
“Prima, io non posso lasciare i miei uomini da soli”
“Non lasciare sola me”
“Tu non sei sola. Io sarò sempre con te”
“No, Timoteo. Morirai. E non sarò più in grado di amare un uomo con l’animo limpido come il tuo”
Quello abbassò la testa, come se fosse stato sconfitto. “Anche io ti amo, Prima”. Il suo destino era segnato. Questo perché sarebbe andato a combattere.
“Non andare”
“Posso solo garantirti che sarai l’ultimo pensiero, prima di morire”
Quella spalancò gli occhi, e schiuse la bocca. La mano piccola e affusolata andò a toccargli la barba.
“Timoteo...”
Le lacrime le laceravano il viso, sembravano tagliarle le guance in due parti distinte. La felicità. Desiderava quella. Desiderava vedersi madre, donna, desiderava vedere il mare, non c’era mai riuscita, desiderava avere per sé quel bellissimo uomo. Desiderava fare l’amore con lui, ma ormai era inutile. Lui aveva preso la sua decisione. Aveva deciso il suo futuro. Ed in quel futuro non c’era Prima.
Ma intanto c’era il presente. Un presente speciale, di quelli che ti scappano dalle mani quando meno te lo aspetti, fatto di sorrisi, belle labbra e desideri inespressi.
La vita è un qualcosa di troppo prezioso da gettare così.
Lui era l’unica persona in questo mondo che, pur sapendo che sarebbe dovuto morire, non si perse d’animo, cercando di fare più danni possibili prima che le fiamme lo inghiottissero.
Guardò il manico della sua spada, compagna di tante avventure.
Poi guardò Prima. Compagna di tante fantasie. Fantasie che andavano oltre le loro possibilità. Lei non poteva amarlo, tante responsabilità caricavano il suo esile corpo di pesi che non era in grado di portare senza la massima concentrazione.
Lui invece la amava. Ma non poteva averla. Decise che la cosa migliore da fare era dare tutto in battaglia. La sua ultima battaglia. Si girò e fece per andarsene, quando la voce della ragazza lo fermò.
“Tu potresti rimanere qui con me. Ma hai un ruolo. Hai un orgoglio, e sei un esempio da seguire per quei giovani soldati. Non puoi rimanere”
Timoteo annuì, confuso.
“Ci conosciamo da tanto. E durante tutto questo tempo mi hai regalato delle emozioni bellissime. E tanti sorrisi. Mi hai protetta, come una sorella, come una figlia. Ma devi sapere che ti amo”
“Anche io ti amo” disse a testa bassa lui.
“Donami per l’ultima volta qualcosa. Donami quelle sensazioni che non mi hai dato mai”
Timoteo schiuse le labbra, tirandola a se. La baciò, stringendola vigorosamente.
Fu forte.
Poi lei lo prese per mano, tirandolo in una stanza del tempio, dove nessuno tranne l’oracolo poteva entrare.
E lì lui le donò qualcosa che sopravviveva ad ogni disastro.
Lui le donò l’amore.
Ma come se fossero stati in una bolla di sapone e questa fosse scoppiata, tutto finì. Si resero presentabili, tornando di nuovo davanti al tempio.
“Ti amo. Vai” disse lei.
“Ciao” rispose quello, baciandola, spingendola contro il suo corpo, freddo sotto le mani della giovane donna per via dell’armatura. La croce rossa dipinta su di essa sembrava essere incandescente.
“Non dimenticarti mai di me” disse quella.
“Non lo farò mai”
Infine Timoteo impugnò la sua spada, e cominciò a scendere i mille gradini degli eroi. Ogni gradino aveva inciso il nome di uno dei 1000 eroi di Adamanta. Ma Prima lo sapeva, ne prese coscienza mentre lo guardava scendere le scale a testa alta.
Lui sarebbe divenuto il più grande tra tutti quelli.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Primo: Risveglio ***


Risveglio - Pt. 1



“No...”. Una voce femminile tagliò la tranquillità di quella notte. “Basta...”
Qualcosa la turbava.
Rintanata sotto uno spesso strato di coperte, una ragazza dormiva un sonno agitato. Si lamentava di continuo ed il silenzio notturno faceva rimbalzare i suoi mugolii contro le bianche mura della stanza.
Dei lunghi capelli corvini erano sparsi a raggiera sulle lenzuola bianche, mentre la sua pelle candida era segnata da alcune goccioline di sudore, che le imperlavano la fronte e scintillavano nell'aria illuminata dalla luna.
Era stanca. Stanca di agitarsi. Voleva dormire. E qualcosa o qualcuno esaudì il suo desiderio.
Improvvisamente, smise di lamentarsi e rimase immobile nel silenzio, riprendendo a respirare tranquillamente.
Fra le sue braccia stringeva un ragazzino. Avrà avuto al massimo sei anni. Si svegliò, stirando leggermente le spalle e osservando il sonno della ragazza con aria interrogativa.
Il ragazzino aveva grandi occhi cerulei, i capelli rossi erano spettinati, arruffati sulla fronte, e vestiva una maglia, decisamente troppo grande per lui, che gli lasciava metà del busto scoperto, calandogli su una delle gracili spalle. Fissò la ragazza per qualche secondo, senza emettere alcun suono, poi, piegando nuovamente la testa di lato, le scosse debolmente una spalla, tentando di svegliarla, come se si fosse preoccupato per l’improvvisa mancanza di suoni della giovane. Non ottenendo risposta al primo scrollone, decise di riprovare con maggior veemenza, facendo emettere un gemito alla ragazza che si limitò a lamentarsi con voce impastata sul fatto che fosse troppo presto per svegliarsi. Adesso il piccolo sembrava decisamente contrariato, quindi si mise in piedi sul letto e iniziò a saltare, in modo da smuoverla definitivamente. Questa volta il suo tentativo ebbe effetto tant'è che la ragazza desistette dall'idea di dormire ancora e aprì gli occhi, osservando con aria seccata il ragazzino e piantando gli occhi di ghiaccio in quelli del bimbo che la fissava soddisfatto. Con un ultimo salto cadde sulle ginocchia, davanti a lei, mostrandole un sorriso furbo.
“Ma si può sapere cos'hai da saltellare alle...”. La ragazza, con voce assonnata si girò verso il comodino. Una sveglia al led segnava le quattro del mattino.
Prima di parlare emise un lamento. “...diamine, Zorua, non sono nemmeno le sei, torna a dormire, per favore...”
Il Pokémon, che come tutte le notti per dormirle accanto prendeva sembianze umane, scrollò nuovamente la testa, e indicò fuori dalla finestra. La camera della ragazza divideva con quella del fratello la piccola mansarda di una casa a tre piani e dalla finestra che prendeva buona parte del soffitto spiovente si poteva ammirare sia il cielo che il paesaggio sottostante. Quella notte non aveva nevicato, ma un sottile strato di brina  si era posato sul vetro. La ragazza vi pose sopra la mano, senza ritrarla quando il contatto col vetro gelido le trasmise un brivido per tutto il braccio. Il Pokémon le si avvicinò abbracciandola da dietro e guardando fuori con lei.
“Se stai pensando di uscire, piccolo disgraziato, sappi che puoi scordartelo” lo avvertì subito, mentre si sistemava una felpa sulla maglia del pigiama. Il suo fiato formava timide nuvolette nell'aria e intuiva il gelo esterno dalla mano posata sul vetro. Nossignore, non era davvero il caso di uscire, per niente al mondo.
Si rimise a letto, dando le spalle al ragazzino, che continuava a fissarla, senza spostare lo sguardo di un solo millimetro dal centro delle sua scapole.
Dopo un quarto d’ora il Pokémon era tornato ad avere il suo aspetto originario e la ragazza si stava cambiando, maledicendo a bassa voce la sua incapacità nel negare qualcosa al piccolo Pokémon.
La ragazza si muoveva silenziosamente, attenta a non fare il minimo rumore, eppure le sembrava che ogni passo risuonasse amplificato, quasi stridulo. Lasciò un post-it attaccato alla porta della propria camera:
 
Torno fra poco, Zorua ha uno dei suoi momenti no. Cerca di non preoccuparti.
Rachel
 
S'infilò il cappotto e si avvolse la lunga sciarpa attorno al collo sottile, quindi si immerse nel buio della città.
La loro casa era in periferia, e appena un centinaio di metri più avanti si intravedevano gli alberi che costellavano lo stretto e tortuoso sentiero, usato dai pochi folli che non volevano usare mezzi di trasporto per arrivare alla periferia della metropoli della regione. Gli alberi sembravano inglobare la luce lunare, che non riuscendo a penetrare con i suoi raggi argentei la fitta vegetazione, sembrava ritirarsene sdegnata. Zorua sembrava osservare anch'esso la piccola voragine oscura. Per lui, un Pokémon di tipo buio tutto ciò era il suo ambiente naturale, ma Rachel preferiva starsene alla larga, si sentiva inquieta quando gli si avvicinava ed ora, alle quattro e mezza del mattino, non sembrava una buona idea avventurarvisi.
“No, tutto tranne quello e sappi che stavolta sono seria”
Ogni parola era una nuvoletta nell'aria gelida e la ragazza stava per iniziare a tremare, si pentì immediatamente di non aver preso i guanti e si infilò le mani ghiacciate nelle tasche del cappotto, trovando immediato sollievo. Zorua osservò ancora per qualche secondo il baratro nero del bosco, poi decise di risparmiare alla ragazza quell'ulteriore seccatura e le trotterellò accanto, strusciandosi contro le gambe slanciate della sua allenatrice. La passeggiata li portò nelle vie interne della città, esplorando quei vicoli che ormai la ragazza conosceva bene e che erano spesso meta delle loro camminate. Rachel amava camminare, adorava i vicoli stretti di quella città antica, le viuzze con quelle mura alte che permettevano brevi sprazzi di cielo la proteggevano e la tranquillizzavano, dandole l’impressione che tutto ciò che la circondava esistesse al solo fine di farla sentire sicura e lontana da ogni possibile problema.
Continuò a camminare fino circa all'alba, quando Zorua sembrò ritenersi soddisfatto dell’escursione.
La ragazza non si sentiva più i piedi. Non sapeva se fosse più per il freddo o per la stanchezza. Desiderava solo il suo letto e poter dormire di nuovo quel sonno profondo che aveva prima di svegliarsi. Per un attimo si fermò a pensare, era stato davvero un sonno scuro e pesante, quello che aveva avuto quella notte? Si bloccò un attimo a riflettere, cercando di concentrarsi sulla sensazione provata appena sveglia, ma le sfuggiva. Decise di rinunciare e tornò a casa, percorrendo in fretta gli ultimi passi che la separavano dalla porta.
Il ritorno è sempre più breve’ Pensò mentre infilava la chiave nella serratura, facendola girare due volte ed entrando nel familiare ambiente riscaldato che era il salotto. Velocemente si richiuse la porta alle spalle, beandosi del calore della casa, senza notare la luce accesa che dalla cucina illuminava anche la sala.
“Ce ne hai messo di tempo!”
La voce maschile che veniva dalle sue spalle la fece sobbalzare, facendole quasi perdere la presa sulle chiavi, che riuscì a reggere per puro istinto. Si voltò di scatto, verso il ragazzo coi capelli dorati e gli occhi cremisi, che la fissava con aria divertita.
Con un gesto fluido le prese le chiavi dalle mani e le ripose sulla griglia accanto alla porta. In quel momento Rachel notò che aveva in mano il biglietto che aveva lasciato poche ore fa quando era uscita. Era notevolmente stropicciato, come se il ragazzo l’avesse tenuto per tutto il tempo.
“È da tanto che sei sveglio?” si limitò a chiedergli con aria innocente.
Lui la guardò da sopra la spalla, accennando al fatto che l’aveva sentita uscire e si era preoccupato. Dopodiché sembrò voler chiudere il discorso, indicandole l’orologio e facendole notare che se correva a letto aveva almeno altre due ore di sonno. La ragazza lo guardò brevemente, poi annuì e si diresse in camera sua, salendo silenziosamente le due rampe di scale che la separavano dalla sua stanza e buttandosi sul letto.
Il sonno la stava riaccogliendo tra le sue braccia, ed intanto lei si abbandonava ai suoi soliti pensieri sulla sua vita.
Aveva diciassette anni e la vita le sembrava incredibilmente vuota. Viveva nella città di Primaluce da sempre, senza mai essersi spostata o trasferita, era rimasta orfana assieme a suo fratello tre anni prima, in seguito ad un incidente stradale che aveva coinvolto i loro genitori. Era stato un periodo buio, ma piano piano, forse, ne erano usciti, facendosi forza l’uno con l’altra. Oltre quello in lei non c’era niente di strano, nessuna malattia, nessun problema.
Sospirò e tornò a ragionare. Era contenta di avere una vita tranquilla, non chiedeva niente di eccessivo, ma a volte si sentiva incapace di apprezzare quella tranquillità, e segretamente se ne vergognava.
Poi crollò.
Due ore dopo si svegliò ancora più confusa, tanto da chiedersi perché si fosse addormentata vestita e ricordando solo dopo una manciata di secondi cosa fosse accaduto durante la notte. Erano le otto del mattino e la casa era nuovamente vuota. Nessun foglietto in casa stavolta e nessuna voce provenente dal corridoio: Ryan era in giro ad allenarsi. Decise di prepararsi un rapido pranzo al sacco, un paio di panini e uscire in strada col suo Pokémon.
Il sole stavolta l’accolse abbagliandola. Aveva asciugato tutta la brina della notte e dal pallido cerchio bianco che era all'alba adesso si mostrava un disco d’oro ed iniziava ad imporsi sulla città, illuminando il sabato mattina invernale di una luce quasi primaverile. Una volta arrivata al limite del percorso buio della notte, Rachel constatò che la prepotente luce del sole era riuscita laddove quella della luna aveva fallito, ora il sentiero era chiaramente visibile e non la spaventava più. Si limitò a lanciare un occhiata a Zorua, che le annuì di rimando e si inoltrarono nel fitto della vegetazione.
Era stato suo fratello, anni prima, ad insegnarle a combattere, ed a farle capire che se si voleva davvero diventare bravi bisognava allenarsi quotidianamente; quindi la ragazza, ogni sabato mattina, quando non aveva da fare in casa, si concedeva qualche ora nel bosco, ad affinare le capacità di Zorua.
 
Il sentiero si perdeva nel fitto della boscaglia e continuava così fino alla città successiva, tuttavia se si seguiva una stradina secondaria dopo essersi inoltrati per il bosco si arrivava in una piccola radura. Era lì che andava ad allenarsi, quasi sempre da sola. Ricordava vagamente di una volta in cui Ryan l’aveva seguita e lei l’aveva scacciato arrabbiata per l’intrusione in quello che considerava una specie di luogo segreto.
Come sempre buona parte del suo allenamento con Zorua era volto ad incrementare la potenza dei suoi attacchi, l’altra per le sue abilità fisiche, come velocità e resistenza. Era con quest’ultime che aveva iniziato quella giornata. Zorua si muoveva agile, saltando da una roccia all'altra dello spiazzo, e cercando di afferrare dei piccoli oggetti che l’allenatrice gli tirava in rapida successione. Era migliorato da quando avevano iniziato ad allenarsi, ma Rachel sapeva che l’unico vero modo per testare le proprie abilità era in un vero combattimento, ma fino ad allora non ne avevano mai fatto nemmeno uno.
Zorua decise che era arrivato il momento di concedersi una pausa, e repentinamente si fermò acciambellandosi su se stesso e trovandosi un bel posticino all'ombra. Rachel, avvolta nel suo cappotto non capiva come potesse starsene al riparo dal sole con un freddo tanto pungente. Fu mentre rifletteva su questo ininfluente dramma esistenziale che sentì una voce alle sue spalle.
“Ma allora ci viene davvero qualcuno qui!”
Rachel si voltò di scatto, allarmata. Anche Zorua reagì prontamente affiancandola. Dal fitto del bosco uscì fuori un ragazzo, sembrava avere al massimo un paio d’anni più della ragazza e aveva capelli castani scompigliati, un piumino verde oliva corto, e un semplice paio di jeans, gli occhi erano chiari, ma il ragazzo aveva la luce del sole sul viso e li socchiudeva, quindi la ragazza non riuscì a distinguerne il colore. Sembrava essere più alto di lei di una manciata di centimetri.
“Scusate, non era mia intenzione spaventarvi”
Il ragazzo alzò le mani, con fare scherzoso, aveva un sorriso caldo, solare, ma la ragazza non poté fare a meno di vederlo come un intruso.
“Sei un’allenatrice, vero? Oh, uno Zorua, è raro trovarne! So che sono capaci di creare illusioni davvero realistiche ma non le ho mai viste! Comunque fa freddo qui, eh? E che allenamento stavate facendo? Una specie di prova di agility? E da quanto vi allenate?”
Il ragazzo iniziò a sparare domande a raffica, tanto che Rachel inconsciamente fece un passo indietro, non aveva mai visto persone che si dimostravano tanto loquaci col primo che incontravano, cercò di blaterare una qualche risposta, ma la parlantina del ragazzo sembrava sommergerla tanto da paralizzarla. Improvvisamente il ragazzo tacque, per un breve secondo, come se stesse pensando a qualcosa di importante, poi risollevò lo sguardo sulla ragazza.
“Che ne dici di una lotta?”
Lo propose col tono allegro che aveva avuto fino a poco fa, e con lo sguardo che gli brillava.
Rachel era tentata, aveva bisogno di allenarsi, ma d’altra parte né lei né Zorua avevano mai combattuto seriamente prima di allora.
Il ragazzo sembrò intuire la sua indecisione e le venne incontro.
“Non sto dicendo una lotta all'ultimo sangue, tranquilla!” si limitò a dirle sorridendo “Giusto un modo diverso per allenarsi, un’amichevole!”
Rachel guardò Zorua, che annuì lievemente. Se il suo Pokémon voleva lottare... Bé, lei non si sarebbe tirata certo indietro!
“Okay... va bene, accetto!”
Non sapeva che tipo di Pokémon avrebbe usato il suo avversario, ma sapeva che Zorua era un Pokémon abbastanza versatile, quindi non era eccessivamente preoccupata.
Il ragazzo le sorrise, contento del suo entusiasmo, e tirò fuori la sua Poké Ball.
“Bene, iniziamo! Non ci sono regole, ma cerchiamo di non farci troppo male e ricordiamoci che questo è un allenamento!”
Si limitò a dirle mentre lanciava la ball in campo. Da quella uscì un Growlithe piuttosto arzillo, il pelo era stato lasciato crescere un po’ più lungo del classico e aveva la stessa aria arruffata dei capelli del suo proprietario. Ma soprattutto era di un colore alquanto particolare, la ragazza non aveva mai visto molti Growlithe (forse nessuno) ma era sicura che c’era qualcosa di sbagliato nel colore di quell'esemplare. Tuttavia cercò di tralasciare quella questione, sapeva sì che Zorua era un Pokémon abbastanza versatile, ma sapeva di non avere alcuna mossa efficace contro il suo tipo. Guardò di nuovo il suo Pokémon, ma Zorua sembrava abbastanza sicuro di sé da trasmettere fiducia anche a lei. Fu di nuovo il suo avversario a parlare.
“Quando ti senti pronta possiamo iniziare, dal canto nostro, noi siamo nati pronti!”
Aveva un entusiasmo inarrestabile, la ragazza dovette ammetterlo.
“Siamo pronti anche noi, vero Zorua?” Zorua rispose mettendosi in posizione, piantandosi bene a terra, pronto ad eseguire l’ordine della sua allenatrice.
“Bene...” proseguì il ragazzo “Allora pronti... Via!” diede l’attacco ed entrambi i Pokémon scattarono in avanti, pronti a ricevere istruzioni sul da farsi. Rachel fu la prima ad imporsi.
“Zorua, Agilità, subito!”
La piccola volpe oscura eseguì immediatamente l’attacco, iniziando a correre ed aumentando sempre di più la propria velocità.
“Una mossa strategica... buon inizio, ma non ci spaventa! Growlithe, Ruotafuoco!”
Il contrattacco del giovane non tardò a farsi vedere, e il canide attaccò il volpino a piena potenza dopo essersi ricoperto di fiamme. Rachel stava per farsi prendere dal panico, ma poco prima che l’attacco riuscisse a raggiungere il suo Pokémon riuscì a pensare ad una difesa.
“Zorua, Protezione!”
Zorua riuscì ad uscire illeso dall'attacco avversario e sfruttò la sua velocità per portarsi a distanza di sicurezza dal Pokémon infuocato. Il suo avversario sembrò voler temporeggiare, dando il tempo a Rachel di chiamare un attacco. Era sicuramente più esperto di lei e già da quei due primi colpi se ne era probabilmente reso conto anche lui, e forse per cavalleria le concedeva più tempo per pensare ai propri attacchi. Poco male, pensò la ragazza, sarebbe riuscita a sfruttare questa sua galanteria per provare a sconfiggerlo sul serio.
“Zorua, non c’è tempo per riposare, attacca con Finta!”
Il Pokémon attaccò frontalmente il Growlithe nemico, svanendo all'ultimo momento, tanto che il Pokémon avversario e il suo allenatore rimasero spiazzati, per qualche secondo, che gli impedì di notare il piccolo Pokémon apparire alle spalle del suo avversario e colpirlo alla massima potenza. Il Pokémon cagnolino subì in pieno il colpo, restando un poco stordito e scuotendo la testa per riprendersi.
“Però” fece eco il ragazzo “credevo di avere davanti una principiante e invece direi che le basi le conosci più che bene!” sembrava sinceramente stupito. Gli occhi, che Rachel adesso riuscì a identificare come verdi erano genuinamente sorpresi.
“Comunque, signorina, non credere che sarà così facile, adesso il contrattacco è mio e non potrai difenderti di nuovo come prima! Avanti, Growlithe attacca con Rogodenti”
Stavolta Rachel non poté far nulla. L’attacco colpi diretto e preciso, lasciando Zorua incapace di reagire e scottato.
“Zorua!”
Rachel lo gridò senza rendersene conto: era la prima volta che vedeva il suo Pokémon subire un attacco e venir ferito e si accorse anche di non aver rimedi con sé per curarlo, probabilmente Ryan ne aveva ma non era con lei in quel momento. La ragazza rimase pietrificata per qualche secondo finché il ragazzo non richiamò il suo Pokémon nella sua sfera.
“Basta così” si limitò a dire quello. Rachel voleva protestare, ma lui la fermò con un gesto della mano.
“È solo un allenamento, mica una lotta vera, non dobbiamo continuare finché uno dei due non finisce esausto. Rilassati.” il suono tono era rassicurante, calmo. Si avvicinò a lei con una bacca in mano, Rachel non riuscì a distinguerla finché il ragazzo non gliela posò direttamente in mano.
“È per la scottatura, fagliela mangiare, non è molto buona ma vedrai che gli farà bene!” le sorrise cercando di rassicurarla e le mise una mano sulla testa “Te la sei cavata bene per essere una principiante, sul serio, ma cerca di tranquillizzarti un po’ e di rilassarti, in battaglia ci si deve divertire, non bisogna farne una questione di vita o di morte!” La ragazza lo ascoltava un po’ assente, fissando la bacca nella sua mano. Alzando lo sguardo incrociò un ciondolo bizzarro che il ragazzo portava al collo. Era una pietra ovale, di circa cinque centimetri di grandezza, sotto la luce del sole sembrava cambiare colore, come gli occhi cangianti dei gatti, passando da un verde smeraldo ad un viola, ad un blu, un giallo e... sbatté gli occhi, staccandoli dal ciondolo del ragazzo, cercando di rimettere a fuoco quello che le stava dicendo.
“Sì, hai ragione, grazie mille” si limitò a rispondere sperando di apparire anche solo vagamente convincente. Il ragazzo sembrò soddisfatto, quindi le batté delicatamente la mano sulla testa prima di andarsene.
“Stammi bene!” esclamò allontanandosi mentre la salutava con un cenno della mano.
Rachel rimase ancora imbambolata per qualche istante poi si ricordò della bacca nella sua mano e del suo Pokémon che, più in forma di quanto pensasse, si leccava la ferita sulla zampa che Growlithe gli aveva procurato. Gli si inginocchiò accanto, guardando con aria perplessa la bacca che teneva in mano e la ferita di Zorua, fu quest’ultimo a venirle in aiuto, mordendo la bacca e leccandosi poi la ferita. Una volta intuito come funzionasse fu la ragazza stessa a medicargliela. Mentre aspettava che facesse effetto mangiarono entrambi. Il sole ormai era arrivato allo zenit e entrambi erano stanchi. Rachel non dovette chiedere al suo Pokémon per capire che era il caso di tornare a casa.
Camminò lentamente per il percorso di ritorno, Zorua adesso riposava nella sua Ball e la giovane dovette attraversare il percorso da sola. Pensava a quello strano tipo e al fatto che l’avesse sconfitta, perché non era né un pareggio né una vittoria, lo sapeva bene. Aveva avuto la sua prima lotta. E l’aveva persa. Stava iniziando a rendersi conto solo adesso della cosa e non le piaceva affatto. Non voleva far ferire il suo Pokémon, non voleva perdere, non voleva restare paralizzata tanto da non capire cosa fare.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Primo: Risveglio 2°Parte ***


Risveglio - Pt. 2


Tornò a casa dopo una mezz’ora passata a camminare con una lentezza quasi allarmante, aveva la testa completamente fra le nuvole e si rese conto solo in quel momento di non sapere nemmeno come quel ragazzo si chiamasse. Era stato uno scontro casuale, un’amichevole fra sconosciuti e tanti saluti. L’aveva sconfitta ed era spartito. Non era tanto il fatto che fosse sparito il problema, meno persone in giro conoscevano quella radura più pace aveva lei, ma il fatto che non avrebbe più avuto modo di ottenere una rivincita, di dimostrare che, bé, sì, aveva perso una lotta, ma che era stato a causa dell’inesperienza e non dell’inabilità, e che la prossima volta che a qualcuno fosse venuto in mente di sfidarla gli avrebbe fatto capire chi comandava.
Una volta tornata a casa sentì il rumore della doccia al piano superiore, suo fratello doveva essere tornato da poco. Non aveva la forza di salire i due piani di scale, quindi si buttò sul divano del soggiorno, rigirandosi fra le mani la Poké Ball dove Zorua dormiva e recuperava dalle sue ferite, valutò l’idea di guardare un po’ di tv, ma realizzò che il telecomando era decisamente troppo lontano dal posto dove si era seduta e sbuffò pesantemente, sprofondando ancora di più nei cuscini e chiudendo gli occhi. Lì riaprì dopo qualche secondo, sentendosi toccare sulla spalla. Era il Gallade di suo fratello, che le allungava il telecomando. Non si era accorta della sua presenza nella stanza, ma non ne rimase sorpresa. Conosceva Gallade da quando era piccola, era stato il primo Pokémon di suo fratello e quando lei aveva quattro anni era un timido Ralts che raramente si mostrava a qualcuno oltre il suo allenatore. Adesso che era arrivato al capolinea della sua evoluzione era potente e veloce e si occupava generalmente sia delle lotte, sia di aiutare in casa, sia di difendere la stessa.
“Grazie, Gallade. È da tanto che siete tornati tu e Ryan?”
Rachel lo chiese mentre con le dita affusolate prendeva il telecomando dal Pokémon e lo usava per fare un rapido zapping nei canali. Il Pokémon le annuì brevemente, e poi tornò a fissarla. Nonostante si fosse evoluto da molto il Pokémon aveva mantenuto la capacità di percepire le sensazioni di chi gli stava attorno, e probabilmente aveva anche percepito il malumore della ragazza. Rachel distolse lo sguardo dal Pokémon, concentrandosi sulle figure di una pubblicità di prodotti di cura per i Pokémon che promettevano risultati incredibili.
“È tutto a posto, tranquillo.” cercò di giustificarsi “In ogni caso, non è che potresti chiedere a Ryan di scendere quando ha fatto?”
Cercò di evadere lo sguardo del Pokémon, nella vana illusione che bastasse a far sì che non intuisse il suo umore. Se non altro era dotato di una comprensione ai problemi incredibile, quindi si limitò ad annuire nuovamente ed a dirigersi verso il piano superiore muovendosi tanto silenziosamente da credere che non stesse affatto camminando, ma galleggiando a pochi centimetri da terra.
Guardò noiosamente la tv, continuando a passare in fretta da un canale all’altro, senza trovare qualcosa che la interessasse veramente.
Mentre continuava imperterrita nella sua opera di zapping intravide qualcosa che le era familiare. Dapprima non se ne curò, fu solo dopo essere andata avanti di numerosi canali che le tornò in mente. Era il ragazzo. Quello che aveva incontrato in tarda mattinata. Quello che l’aveva sconfitta. Quello che col suo Growlithe aveva ferito Zorua (bé, okay, era normale nel contesto, ma lei ancora stentava a farsela piacere come situazione). Cercò di tornare indietro, senza riuscire a ritrovare il canale giusto, e iniziando ad imprecare a bassa voce.
Quando Ryan entrò nel salotto si trovò davanti sua sorella, quasi seduta sul tavolino che teneva il telecomando quanto più vicino al tv, intimando parole come ti troverò, stanne pure sicuro.
“Sei impazzita del tutto, oppure c’è un valido motivo per questa bizzarra sceneggiata?”
La ragazza si bloccò alla voce del fratello, e si girò verso di lui, che la osservava con aria perplessa, subito dopo cercò di fare mente locale su quello che stava facendo e notando la posizione che aveva assunto lentamente riprese una postura umana sul divano. Guardò per altri due secondi il televisore, dubbiosa sulla possibilità di continuare a cercare oppure rinunciare e convincersi che forse alla fine era solo entrata in fissa con quella storia ridicola. Osservò di nuovo suo fratello, che la fissava con la testa leggermente piegata a destra, e decise di lasciar stare la ricerca e di raccontargli quello che era accaduto durante l’allenamento di poche ore prima.
Rachel iniziò a riassumere gli eventi di quella mattinata, erano appena le quattro del pomeriggio ma era già stanca. Mentre raccontava, aveva fatto uscire Zorua dalla sfera,  Ryan stava vedendo di curare la ferita del piccolo Pokémon e per farlo si erano spostati in cucina.
“In pratica stai facendo tutto questo casino solo perché sei stata sconfitta, cosa normale per una principiante, e perché ti è sembrato di vederlo alla tv?” lo disse con voce atona, e con gli occhi concentrati sulla piccola fasciatura che aveva messo alla zampa del Pokémon malavolpe che il cucciolo si guardava con aria incuriosita e che spiccava nel pelo nero.
“Ecco, vedi? Tu semplifichi troppo” brontolò la giovane “Non è tutto così semplice e lineare nella psiche di una ragazza.” mormorò riprendendo in braccio Zorua e carezzandogli distrattamente il ciuffo rosso.
“E allora qual è il problema?”
“Non ho saputo fare nulla, non sono stata in grado di reagire!” si voltò a guardare il fratello “Mi sono allenata con te, abbiamo anche lottato contro Pokémon selvatici. Ma niente! Adesso che c’era un altro allenatore non ho saputo fare niente!”
Ryan sospirò nuovamente.
“Ma da come sono andate le cose non hai davvero perso, avete solo trattato un pareggio, avete usato attacchi con potenza simile ed entrambi sono andati a segno... Forse tu saresti stata in svantaggio a continuare, ma la situazione si è conclusa lì e non c’è modo di dire che non avresti reagito in modo diverso se la sfida fosse continuata, magari mettendoci più rabbia e mettendolo ko...” fece una pausa mentre rimetteva a posto le bende avanzate e il disinfettante “adesso riposati e pensa bene a quello che è successo, a come ti senti e a cosa vorrai fare in futuro. Tieni presente che non è scritto ad nessuna parte che dovrai combattere con i tuoi Pokémon” rimase in silenzio per un attimo. Ryan era abbastanza rinomato in città come allenatore, oltre a Gallade aveva anche un esemplare piuttosto giovane di Trapinch, che non usava in battaglia ma che aveva comunque iniziato ad allenare con molta precisione. Rachel immaginò che per lui dire quella frase non fosse affatto facile. “Puoi restare con Zorua e mantenere il rapporto che avete adesso, senza dover per forza allenarlo per le lotte”
“Hm.”
Più che una risposta, quella di Rachel era stata un grugnito. Non si sentiva soddisfatta per il semplice motivo che la risposta che le era stata data era estremamente sensata. Se non sai farlo e non ne sopporti le conseguenze non farlo.
“Ma se volessi farlo?” chiese innocentemente.
“Allora cerca qualcuno da sfidare in città e fatti le ossa così, se vuoi posso venirti dietro e a fine match dirti cosa sbagli e come potresti migliorare, se vuoi, ma non posso fare miracoli, lo sai bene”
La ragazza annuì nuovamente, conosceva abbastanza bene suo fratello da sapere che se glielo avesse chiesto l’avrebbe riallenata da zero, ma non voleva arrivare a quello.
Ringraziò il fratello per la disponibilità e corse su in camera, quella giornata poco a poco l’aveva stancata.
“E non è ancora finita, eh?” chiese a Zorua, che aveva deposto sul letto e che adesso vi si rotolava beatamente, cercando di acciambellarsi per schiacciare un pisolino. Gli si sedette accanto, accarezzandogli il pelo.
Combattere e allo stesso tempo desiderare che il proprio Pokémon non si ferisse era assurdo, eppure la sensazione che provava quando si allenava, quando lottava contro un Pokémon selvatico le piaceva, le faceva capire quanto realmente fossero connessi lei e Zorua.
Per oggi aveva fatto abbastanza, erano appena le cinque quindi avrebbe passato il resto della giornata a rilassarsi, ma la salita sarebbe iniziata immediatamente il giorno dopo.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Secondo: Impulsi ***


Impulsi - Pt. 1


Quella notte Rachel dormì pesantemente. Stringeva Zorua a sé, parevano entrambi stremati.
Mai come quella notte non ebbe tempo di fantasticare un po’. Solitamente sguinzagliava la sua mente, lasciandola un po’ libera prima di cadere tra le braccia di Morfeo, quella notte invece capì che aveva finito anche l’esigua energia per pensare.
La mattina successiva si alzò prima del solito.
La sera precedente aveva stilato una tabella di marcia. Tabella di marcia che prevedeva una mattinata piuttosto piena.
Suo fratello le aveva suggerito di dirigersi in città, con l’intento di cercare sfidanti. A Rachel parve una buona idea, ma prima voleva assicurarsi che la ferita di Zorua non gli impedisse di combattere e per farlo si sarebbe accertata delle sue condizioni combattendo contro qualche Pokémon selvatico nel bosco.
Si vestì e scese al piano di sotto.
Ryan era già in piedi e osservava distrattamente la tv. I suoi occhi cremisi sembravano perdersi fuori dalla finestra, ignorando le macchie di colore sparse sul televisore. Pensava a qualcosa, qualcosa che intorpidiva i suoi sensi, tanto da non riuscire a percepire i passi della sorella per le scale.
“Hey, tutto a posto?” domandò Rachel. Ryan tornò mentalmente attivo, sobbalzando e voltandosi di scatto. Fissò negli occhi la ragazza. Adorava il colore di quegli occhi. Non aveva mai visto nessuno con la stessa tonalità di azzurro. “Oh, Rachel, buongiorno. Ti sei svegliata presto” osservò.
Il suo sorriso era tirato, stanco.
“A quanto pare oggi avrò una giornata piena, quindi ho preferito anticipare la sveglia... hai già fatto colazione?” concluse spostando lo sguardo in direzione della cucina.
Il ragazzo scosse la testa, seguendola in cucina e alzando il volume della tv in modo che potessero ascoltarla anche dalla stanza accanto.
Rachel prese del succo dal frigo, mentre Ryan con la stessa aria distratta mise sul fuoco la macchinetta del caffè. Zorua, ancora in forma umana e con la benda sul braccio, lo guardava assorto.
L’atteggiamento di Ryan incuriosiva la ragazza, anche se non vi diede più peso del necessario. Ryan era meteoropatico, e con una giornata nuvolosa come quella, la ragazza sapeva di non potersi aspettare molto dal suo umore. Prese un pacco di biscotti dalla mensola, ne allungò un paio al suo Pokémon e vide il fratello versarsi una tazzina di caffè.
“Quindi che hai intenzione di fare?” le chiese d’un tratto.
Rachel alzò gli occhi dai biscotti e pensò a come aveva ordinato la giornata.
“Faccio colazione, preparo la borsa e vado nel bosco a vedere come se la cava Zorua contro qualche Pokémon selvatico... sai, per la ferita di ieri. Dopodiché vado al centro Pokémon e cerco qualche avversario... poi...” si fermò un attimo a pensare a quello che avrebbe fatto dopo. In quel momento l’attenzione di Ryan fu catturata dal TG alla tv, tanto che alzò la mano facendole segno di restare un attimo in silenzio.
Allungò le orecchie, cercando di capire cosa avesse attirato l’attenzione del fratello.
...Proseguono nella regione di Hoenn violenti terremoti. Lo sciame sismico di natura sconosciuta che si è abbattuto sulla regione è in crescendo d’intensità, tanto che la città di Forestopoli è stata in larga misura evacuata e la palestra chiusa. Altri disagi si riscontrano nell’isola di Ceneride, dove il livello del mare si sta pericolosamente alzando. Per maggiori dettagli vi rimandiamo allo speciale...
Ryan scosse la testa, sospirando e riportando la sua attenzione al discorso della sorella.
“Scusa, continua pure”
“Dicevo, dopo il centro Pokémon non so davvero cosa fare, che mi consigli?”
Il ragazzo restò qualche secondo a riflettere sul piano della ragazza, bevendo il caffè e pensando a quali altre alternative avesse. “Direi che per il momento può bastarti” concluse alla fine “Dopotutto come prima giornata è più che sufficiente” le sorrise. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa all’improvviso.
“Aspettami qui” le disse sparendo al piano di sopra.
Rachel annuì. Ryan tornò pochi secondi dopo che lei avesse finito di fare colazione.
Il ragazzo mise sul tavolo degli oggetti che attirarono immediatamente l’attenzione della ragazza.
“Qui abbiamo Poké Ball, pozioni ed antidoti” le disse.
Rachel ovviamente sapeva già cosa fossero. Anche se non li aveva mai utilizzati, aveva visto diverse volte suo fratello prendersi cura di Gallade e Trapinch con rimedi simili.
“Sono per me?” chiese con la voce emozionata. Suo fratello le annuì, guardandola con aria divertita.
“Se vuoi andare prima al bosco ad allenarti potrebbero esserti utili, soprattutto le sfere. Zorua è un buon Pokémon, ma più Pokémon hai, più possibilità hai di vincere”
Ryan spiegò brevemente l’utilizzo dei rimedi, cercando di essere il più chiaro e pratico possibile.
“Tu verrai a guardarmi combattere?” domandò all’improvviso lei.
Ryan annuì, dopo averle fatto un sorriso dolce.
“Non so bene a che ora arriverò, ho una cosa da sbrigare, ma penso che per le 11 dovrei essere lì”
Rachel fece un segno d’assenso. Zorua riprese la sua forma originale e rientrò nella sua sfera, mentre la ragazza si preparava ad uscire. Una volta pronta e con la borsa con i nuovi strumenti con sé si precipitò verso la radura.
Il sole nascosto dietro le nubi era avaro di luce, rendendo il percorso nel bosco inquietante. Anche se Zorua non era al massimo delle forze, aveva capito che era benissimo in grado di difenderla da pericoli medio-piccoli, e quindi, a meno che non avesse trovato un Feraligatr in quel bosco, cosa alquanto improbabile, poteva contare sul suo migliore amico. E poi la strada la conosceva a memoria.
Batterono qualche piccolo Pokémon coleottero, per lo più Wurmple, prima di arrivare alla radura.
Era in ansia all’idea che potesse di nuovo trovare lo strano ragazzo del giorno prima, ma una volta arrivata notò che la radura era vuota. Tirò un sospiro di sollievo, senza rendersene conto, ed iniziò il solito allenamento fisico. Notò soddisfatta che Zorua riusciva a muoversi senza problemi, la ferita era completamente guarita.
“Adesso dovremmo seguire il consiglio di Ryan e catturare qualcosa, che dici?” Zorua la guardò un po’ dubbioso. La giovane gli carezzò la testa.
“Tranquillo, non ti metterò mica da parte” lo canzonò. Il Pokémon si diede una scrollata, smuovendo il nero e lucido pelo.
“Quindi... da queste parti cosa si può catturare?” ricordava vagamente di aver affrontato qualche piccolo Pokémon coleottero, ma non erano certo quelli il suo bersaglio.
“Se proprio devo catturare qualcosa voglio che sia un Pokémon... forte... tu che dici?”
Zorua emise il suo verso in assenso. Decisero di addentrarsi nel bosco alla ricerca di qualche Pokémon selvatico.
Continuarono per circa due ore, nel bosco l’aria umida le faceva sentire ancora più freddo. Affrontarono qualche Caterpie, Sewaddle, ancora Wurmple e altri piccoli Pokémon, ma nessuno sembrò catturare l’attenzione della ragazza.
“Il primo Pokémon che catturerò dev’essere qualcosa di grandioso, capisci? Uno di quelli che posso guardare negli occhi e dire: sì, aspettavo proprio lui!” parlava col suo Pokémon, proprio come se quello la potesse capire. Zorua le trotterellava al fianco, attento ad altri possibili avversari.
Alla fine decisero di rinunciare e tornare in città. Aveva ancora gli strumenti nella borsa. Tirò fuori una Poké Ball osservandola con aria curiosa. Si chiedeva come sarebbe stata la sua prima cattura.
Dentro di sé sperava non finisse come la sua prima lotta.
Scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli corvini, poi si avventurò verso la città.
Primaluce era un sobborgo piuttosto piccolo, da un lato dava sul mare, nell’entroterra c’era qualche casa e ben presto si perdeva nel Bosco Memoria. Era di origini antiche e la parte centrale era circondata da alte mura medioevali. All’epoca Primaluce era famosa come grande luogo di scambio e di commercio, ma oramai era solo un piccolo porto, utilizzato specialmente per l’arrivo delle merci da trasportare a Timea, metropoli e capitale della regione.
Il Centro Pokémon si trovava proprio vicino al porto. Di solito era una zona piuttosto attiva, con un bel viavai di pescatori e allenatori, oltre che di qualche piccolo mercante che vendeva prodotti a basso prezzo su piccoli banchetti mobili. Rachel li visitava spesso. Nonostante non amasse molto portare catenine ed altri ninnoli, amava guardare la mercanzia.
 
Una volta davanti alle porte del centro, la ragazza si bloccò per un secondo. Non aveva idea di come cercare uno sfidante, forse poteva riconoscere gli allenatori in mezzo ad un gruppo, vedendo quelli che avevano Poké Ball in vista.
Riconobbe con noia di sentirsi totalmente spaesata.
Entrò nel centro medico, nella speranza di trovare qualche conoscente, magari qualcuno degli amici di suo fratello a cui chiedere consiglio.
C’era più gente del previsto e dopo un’occhiata fugace intuì che non ci sarebbe stato nessuno disposto a darle una mano. Si sedette nell’angolo di un divanetto, a debita distanza da una chiassosa coppia di bambine, probabilmente gemelle, probabilmente in attesa dei loro genitori.
Continuava a restar lì a sprecare tempo quando si rese conto che erano quasi le dieci e mezza. Suo fratello sarebbe arrivato e lei gli avrebbe detto che non aveva affrontato nessuno perché si vergognava a chiedere una lotta. Scosse la testa con veemenza. Doveva affrontare la situazione. Si ricompose e si avvicinò ad un ragazzo, sembrava avesse la sua età.
Rachel sfoderò il sorriso della domenica, e fece uscire Zorua dalla sua sfera, quindi gli toccò un braccio, per attirare la sua attenzione. “Ciao... ti andrebbe una sfida? Così, per allenamento...”
Cercò di far sembrare il suo sguardo quanto più determinato possibile. Il giovane la guardò per un istante, cercando di valutare che tipo fosse, dopodiché le sorrise.
“Va bene. Mi chiamo Kyle. E tu?” Il ragazzo dai capelli a spazzola corvini le porse la mano.
“Rachel” gliela strinse.
“Bene, Rachel, allora andiamo”
Lei annuì e i due si diressero verso la sala di allenamento. Zorua li seguiva al trotto, concentrato.
Arrivati sul campo, il ragazzo tirò fuori il suo Pokémon, un esemplare di Solrock. Zorua lo aspettava già in campo, ringhio poco convincente e assetto d’attacco, basso. Spavaldo.
Al via i due ragazzi partirono con gli attacchi.
“Solrock, vai con Introforza”
Il Pokémon meteorite s’illuminò, emanando energia dal suo corpo.
“Zorua, non farti intimorire! Ripicca!”
Zorua incassò il colpo, senza tuttavia riportare danni preoccupanti, e si scagliò sul bersaglio, centrandolo in pieno e causandogli parecchi danni.
Rachel non perse l’occasione e continuò l’attacco.
“Ed ora, Zorua, vai con Sbigoattacco!”
L’attacco preventivo di Zorua impedì a Solrock qualunque tipo di difesa, e fu quindi colpito.
“No! Solrock, riprenditi!” urlò Kyle. Quello tornò a fluttuare davanti al ragazzo. “Bravo! Usa l’attacco Lanciafiamme!”
Rachel spalancò gli occhi. L’immagine del fuoco che colpiva la sua povera volpe, nell’incontro precedente, le aveva causato non pochi problemi di autocontrollo. Vedeva l’avversario caricarsi, e cominciare a cacciare un getto di fiamme ad alta temperatura, diretta proprio contro Zorua.
L’impatto era vicino, e poco prima che avvenisse, Zorua si girò verso Rachel, fissandola negli occhi, noncurante del fatto che stesse per essere colpito dall’avversario.
E fu quello sguardo a dare l’impulso di un pensiero a Rachel. Un pensiero ben preciso.
Zorua aveva bisogno di lei, delle sue parole, dei suoi comandi. Non poteva abbandonarsi alla paura e all’ansia. In quel modo non sarebbe mai riuscita a vincere, ed il suo amico si sarebbe fatto male.
Zorua stava giocando col fuoco. Non si scansava, e magari sarebbe stata la cosa migliore da fare. Ma aspettava che fosse la sua padrona a dargli degli ordini.
Quando quel pensiero raggiunse il centro operativo della mente di Rachel, lei reagì prontamente.
“Protezione! Ora!”
Il suo Zorua fu ricoperto da una sorta barriera protettiva, sul quale l’attacco di Solrock si abbatté impetuoso.
Zorua si girò di nuovo. Un sorriso comparve sul suo volto.
Rachel lo seguì. Aveva capito che era lei a doverlo difendere.
“Bene! Ora usa Finta!”
La volpe dribblò il getto di fuoco avversario e partì all’attacco, fintando un attacco a destra, conclusosi poi alla sinistra del Pokémon fluttuante.
L’attacco fu di nuovo violento. Zorua era davvero carico quella mattina.
E fu così Solrock ritornò nella sua sfera, sconfitto, e Rachel ottenne la sua prima vittoria. Non riuscì a trattenere un sorriso, soddisfatta per com’erano andate le cose. Zorua le corse vicino, lei si limitò ad abbracciarlo, carezzandogli la testa.
“Sei stata brava” disse Kyle. Le si riavvicinò e le porse la mano, stavolta per complimentarsi con lei dell’incontro.
“Ho avuto fortuna con il tipo del mio Pokémon” si limitò a rispondere.
“Ora sarà meglio che vada, è stato un bel match, se ripasserò di qua spero di rincontrarti”
I due si avviarono verso l’uscita della stanza, dividendosi una volta nel centro medico. Rachel controllò rapidamente le condizioni di Zorua, rendendosi conto che era praticamente illeso.
Si sedette di nuovo sul divano, quando notò suo fratello che entrava nel centro, guardandosi attorno finché non la vide. Le si avvicinò.
“Allora? Come è andata?” domandò.
“È andato tutto bene! Mi sono allenata al bosco e poi qui ho sconfitto il mio primo avversario”
Ryan le carezzò la testa, soddisfatto.
“E invece per la cattura hai trovato qualcosa?”
“Non c’era niente di... interessante” si limitò a mormorare.
Ryan sospirò, aspettandosi quella reazione.
“Dovresti mirare ad un team bilanciato se intendi vincere... comunque lasciamo stare quest’argomento... fammi vedere un po’ come te la cavi”
“Vuoi sfidarmi?!” chiese terrorizzata la ragazza.
“No...” sorrise divertito Ryan. “...non io... qualcun altro”
Tre ore più tardi, erano di nuovo a casa, impegnati a mangiare qualcosa al volo mentre Rachel ascoltava attentamente quello che il fratello aveva da dirle riguardo la costruzione di un team bilanciato. Aveva affrontato altre quindici sfide, vincendone 10, ottenendo 3 pareggi e 2 sconfitte. Era decisamente soddisfatta del risultato, ma dopo quella mattinata si sentiva stremata. Aveva utilizzato sia gli Antidoti che le Pozioni che il fratello le aveva dato e sul momento ne aveva anche dovuti comprare altri.
Finita anche la parte delle spiegazioni, Ryan l’avvertì che sarebbe dovuto uscire e che probabilmente sarebbe tornato solo in tarda serata. Rachel si stese un po’ a riposare, era decisamente stanca, ma Zorua dal canto suo era davvero distrutto. Aveva sopportato stoicamente ogni incontro, mettendoci il massimo impegno. Dormirono per un bel po’, recuperando le energie spese durante tutta la prima parte della giornata.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Secondo: Impulsi 2°Parte ***


Impulsi - Pt. 2


Al suo risveglio il cielo si stava colorando d’arancio. Le nuvole erano sparite appena in tempo per permettere al tramonto di mostrarsi in tutta la sua malinconica luminosità. Rachel era nel letto e si godeva quel torpore post sonno. Quasi post coma. Guardava il soffitto, pronunciando le labbra. Quando dormiva molto pesantemente le si gonfiavano, ma non ne capiva il motivo. Stese le dita, toccando la folta coda di Zorua. A quel contatto, il Pokémon scosse il pelo.
Era stanchissimo. Aveva lottato fino allo stremo.
Rachel si alzò, sedendosi sul letto, la volpe si appallottolò, mettendosi più comoda. La ragazza sorrise. Lo guardò poi. Alcuni graffi non erano ancora guariti.
“Ryan...” rifletté.
Pensò bene di prendere in prestito gli strumenti di suo fratello, per rimettere completamente Zorua in sesto.
Decise di fare il grande passo, e si alzò.
Ryan le aveva detto che la borsa con i suoi rimedi era nel ripostiglio del sottoscala. Quindi vi si avviò portando Zorua in braccio, fallendo nel tentativo di non svegliarlo. Quello sbadigliò, irrigidendo i muscoli, in maniera illegalmente dolce. Rachel sorrise e lo depositò ai piedi della porta. Una volta aperta si rese conto che la missione sarebbe stata più difficile del previsto.
La valigetta si trovava esattamente sul ripiano più alto.
“Dannazione!” esclamò, quando si accorse che anche mettendosi in punta di piedi non riusciva per un soffio a toccare la valigetta.
Sbuffò contrariata, ripromettendosi di lamentarsene con Ryan in futuro, ma senza demordere. Cercò di spingersi ancora oltre, con l’unico risultato di riuscire a sfiorarla. Si ritrasse per qualche istante, valutando la strategia migliore, dopodiché si riavvicinò, afferrando con un braccio il ripiano e spiccando un balzo, riuscendo finalmente ad afferrarla. Non si rese conto però che il ripiano non era correttamente fissato, o forse semplicemente l’età ne aveva rovinato i sostegni. Improvvisamente la borsa con i rimedi e un altro contenitore dall’aria piuttosto pesante, assieme a pile di libri e scartoffie, le vennero catapultati addosso. Si parò istintivamente la testa con le braccia, cadendo di schiena e ascoltando il tonfo e il rumore assordante.
Restò immobile per qualche secondo, con il cuore che le batteva a mille, poi si abbandonò sul pavimento, sentendo i canini di Zorua che le mordevano l’estremità della manica per attirare la sua attenzione.
“Tutto a posto” si limitò a sussurrare. “È tutto a posto, ora calmati...”
Sospirò profondamente sedendosi sul pavimento ed incrociando le gambe.
“Perché sono così bassa?” si chiese, annoiandosi già solo ad immaginarsi nel mettere a posto tutta quella roba. Poi la sua attenzione fu catturata da qualcosa.
Il secondo contenitore si era aperto, riversando tutto ciò che aveva al suo interno sul pavimento. Iniziò a raccogliere tutto il contenuto analizzandolo attentamente. Erano cose vecchie e polverose. Sorrise, quando vide che erano di suo padre, professore universitario a Edesea, la città della regione famosa per il gran numero di università e musei.
“Documenti, documenti, foto... come era carino papà... e... e questa cos’è?”
Una lettera. Dietro riportava la firma del padre e la dicitura ‘Per Rachel’.
La osservò incuriosita per qualche secondo, prima di decidersi ad aprirla.
Zorua le saltò sulle gambe, come se volesse sbirciare quello che l’elegante grafia che John Livingstone molto tempo prima aveva inciso in modo indelebile sulla carta.
 
Mia adorata bambina, se stai leggendo questa lettera vuol dire che la mia codardia ha avuto il sopravvento e che non sono riuscito ad essere sincero con te come realmente meriti...
 
 
Era ormai sera quando Ryan tornò a casa. Le luci della casa erano spente, eccetto quella del corridoio del primo piano. Il ragazzo aveva appena messo piede in casa quando Zorua gli corse incontro con aria agitata, addentando il lembo del suoi pantaloni.
Cercava di tirarlo verso le scale.
In un attimo al ragazzo si gelò il sangue nelle vene. Temeva che potesse essere successo qualcosa di grave, una caduta dalle scale o un malore. Si precipitò al piano di sopra sorpassando Zorua. Salì i gradini due a due, finché non trovò Rachel inginocchiata davanti al sottoscala.
Non sembrava ferita, ma c’era qualcosa in lei che lo inquietò. Era immobile e sembrava non aver sentito né i suoi passi né la sua voce, quando l’aveva chiamata. Fra le mai stringeva un pezzo di carta di cui il ragazzo ignorava l’identità.
Per un istante, un brevissimo istante, Ryan ne fu spaventato. Non riusciva a riconoscere sua sorella. Strinse i denti, e le si inginocchiò di fianco, toccandole leggermente una spalla e mormorando il suo nome.
“Rachel...”
Meccanicamente, la ragazza si voltò verso di lui, lo sguardo era ancora perso, e sbatté due volte le palpebre nel tentativo di metterlo a fuoco.
“Tu lo sapevi?” chiese debolmente.
Erano le uniche parole che riuscì a dire. Ryan si sentì percorrere da un brivido. Diede una fugace occhiata alla lettera che la ragazza stringeva tra le mani e capì. Capì, ma rimase in silenzio, un silenzio ben più esplicativo di qualunque parola.
Lo sguardo della ragazza si fece di nuovo vivo, intenso. E incredulo.
“Tu lo sapevi”
La sua voce sembrava un soffio. Per un attimo mille pensieri le attraversarono la mente. In un istante la sorpresa si trasformò in rabbia.
“Tu sapevi tutto!” in un attimo balzò in piedi. Il battito fuori controllo, respirava con enormi difficoltà. Sentiva di aver perso ogni controllo su sé stessa, sentiva di aver perso sé stessa.
“Era tutta una menzogna! Tutta la storia come fratello e sorella, tutto quanto!” si scagliò addosso a Ryan, che non ebbe nessun problema nell’immobilizzarla, incrociandole le braccia e stringendola al suo petto.
“Sapevi tutto! Mi hai tenuto tutto nascosto! Mi hai mentito! Da sempre!”
Il ragazzo non aveva idea di come arrestare la sua furia, non sapeva cosa dire per calmarla, per non risultare ancora più meschino di quanto non apparisse ai suoi occhi in quel momento. Non riusciva a trovare niente nel database delle scuse. Tutto ciò non poteva essere scusato.
“Rachel... cerca di capire” abbozzò “Era troppo presto, e poi... non c’era motivo di dire tutto... non c’era motivo di dover distruggere la nostra famiglia...”
Rachel trovò nuovo impeto dalla rabbia, sapeva che le era possibile sovrastare il fratello, ma non trovava altro modo di sfogare quella rabbia, e quindi tornò ad urlare.
“Ma sarebbe stata la verità! Non hai mai pensato che fosse giusto che io sapessi?!”
Ryan sospirò, abbassando la testa, incontrando lo sguardo di brace della ragazza. Poi la rialzò, non riusciva ad affrontare quel peso.
Rachel sbuffò, stanca, sfibrata dentro, e all’improvviso scoppiò a piangere.
Aveva perso la carica che la rabbia le aveva dato. Si staccò dal fratello correndo in camera e chiudendosi a chiave, ignorando le proteste del ragazzo.
Zorua non fece in tempo ad entrare, e rimase fuori.
Il pianto le stava attutendo i sensi, stordendola al punto da non riuscire più a distinguere la voce del fratello dal ronzio di pensieri che sentiva le si stava creando nella mente. Senza nemmeno rendersene conto, restando rannicchiata sul pavimento, con le spalle contro la porta, si addormentò.
 
Ryan continuò a chiamare Rachel per qualche minuto, prima di rinunciare. Gallade al suo fianco lo guardò preoccupato, ma il ragazzo si limitò a sorpassarlo mentre tornava al piano di sotto. Era tardi, non si sentivano più rumori provenire dalla città. Sospirò pesantemente, era stata una giornata pesante anche per lui, ma non poteva ancora fermarsi. Al piano di sotto iniziò a risistemare gli oggetti caduti dall’armadio. La lettera era rimasta per terra. Soffocò l’impulso di strapparla. Era tardi ormai, avrebbe dovuto farlo molto tempo prima. La riguardò per l’ennesima volta, la conosceva, la ricordava. Ricordava di aver scoperto suo padre a scriverla, cinque anni prima e di aver provato a farlo desistere. Si rese conto di avere un mal di testa fortissimo. Finì di risistemare in fretta e se ne andò in camera, portando la lettera con sé.
Si buttò sul letto, scivolando in un nero mare senza sogni.
 
Fu Zorua a svegliarla, alcune ore dopo, battendo con la zampa sulla porta.
Rachel riconobbe l’autore di quel piccolo rumore, e si spostò quando bastava per aprire la porta. Zorua si fiondò dentro, e dopo che Rachel chiuse di nuovo la porta a chiave, le si fiondò addosso, leccandole il viso, che sembrava stesse cadendo a pezzi per via del trucco sciolto. La ragazza lo abbracciò stretto mormorando qualcosa che neppure lei ritenne comprensibile. Si guardò attorno, uno strano malessere le bloccava lo stomaco. Improvvisamente le sembrò che quella stanza la soffocasse. Doveva andarsene. Prese una borsa e cominciò a buttarci dentro tutto quello che aveva nelle vicinanze e che pensò potesse esserle utile. Indugiò qualche secondo sulle Poké Ball che Ryan le aveva lasciato, ma poi decise di prendere anche quelle.
“Non si sa mai” bisbigliò.
Stava per avviarsi alla porta quando si bloccò. Non ce l’avrebbe fatta ad uscire senza che nessuno la sentisse. Anche ipotizzando che Gallade stesse dormendo, camminare per la casa avrebbe procurato comunque troppo rumore. L’altra alternativa era la finestra. Era al secondo piano della casa, un’altezza eccessiva per lanciarsi nel vuoto e anche ammettendo che sarebbe caduta sulla siepe in giardino e che questa avrebbe attutito il rumore, oltre che la caduta stessa non era comunque sufficiente. Ci pensò per un attimo. Prese in braccio Zorua, facendo in modo che si potessero guardare negli occhi.
“Ho bisogno del tuo aiuto, sai?”
Pochi minuti dopo era sul cornicione della finestra, zaino in spalla. Faceva freddo, ma l’adrenalina intorpidì la sua capacità di percezione, guardò di nuovo Zorua, che stringeva fra le braccia e si scambiarono un cenno d’assenso, dopodiché si getto nel vuoto. Lasciò che fosse il suo Pokémon a decidere il momento e a poco da terra quello utilizzò l’attacco Protezione.
Erano ancora interi.
Restò col fiato grosso per alcuni secondi, volle accertarsi di essere viva davvero, e quando ne fu sicura iniziò a correre. Era quasi l’alba eppure non se ne accorse. Superò l’entrata al bosco che tanto la terrorizzava in un soffio, correndo quanto più le sue gambe potessero, lo zaino pesava ma non gliene importava, aveva un boccetta vuota e una vecchia borraccia rinvenute nel suo armadio, sarebbe passata vicino il ruscello, le avrebbe riempite e sarebbe corsa verso Timea, nel tentativo di far perdere le sue tracce.
Dopo una lunga corsa arrivò al ruscello. Se suo fratello si era svegliato e aveva capito che non era a casa l’avrebbe cercata alla radura, dalla parte opposta a quella in cui si trovava. Restò per un attimo a riprendere fiato, aveva i polmoni che le bruciavano ed ogni respiro era doloroso. Si permise solo in quel momento di controllare se tutto ciò che aveva era ancora a posto e non era stato danneggiato dalla caduta. Con sua gioia era tutto in ordine, i vestiti di ricambio più spiegazzati, ma non aveva importanza. Aveva preso tutti i suoi risparmi ed era sicura di poterci arrivare abbastanza lontano. Intanto mentre pensava ad una possibile tabella di marcia, faceva scorta d’acqua. Era di nuovo pronta a rimettersi in cammino, quando qualcosa le sbarrò la strada.
Aveva la criniera carica d’elettricità. Ad un primo sguardo risultava grazioso, ma qualcosa le fece capire che probabilmente in quella zona non erano spesso ammessi visitatori.
Rachel si ritrasse istintivamente osservando le sinistre scintille del Blitzle che aveva davanti conficcarsi a terra e gli zoccoli del Pokémon raschiare nervosi il terreno, senza distoglierle lo sguardo di dosso. Era in pericolo.
Improvvisamente il Pokémon iniziò a brillare, caricando il proprio corpo di energia elettrica.
Sottocarica.
Quella parola le attraversò la mente, Il Pokémon si stava preparando a rinforzarsi per sferrare un attacco. Deglutì rumorosamente. Indietreggiando ulteriormente e ritrovandosi a pochi centimetri dall’acqua del ruscello.
Zorua s’intromise, ringhiando al Pokémon che aveva davanti. Si pose davanti a Rachel, come per proteggerla. La ragazza cercò di recuperare un po’ di buonsenso. Doveva attaccare prima che lo facesse il suo avversario. Ma era già troppo tardi. Il Pokémon Caricavolt era scattato. La ragazza non riuscì a trattenere un urlo, la confusione, l’emozione, la rabbia, tutto si era messo ad impedirle di ordinare qualcosa a Zorua, qualcosa che servisse per difendere entrambi. Blitzle aveva attaccato, e come con il Lanciafiamme di Solrock, solo all’ultimo lei trovò la forza di reagire. Si avventò su Zorua, afferrandolo e saltando lateralmente, evitando per un soffio l’attacco Scintilla del nemico. Di nuovo l’adrenalina che fluiva nel corpo, vide il Pokémon caricare il prossimo attacco, e dentro di sé non poté fare a meno di ripensare alla lettera che aveva scatenato tutto questo.
 
Mia adorata bambina, se stai leggendo questa lettera vuol dire che la mia codardia ha avuto il sopravvento e che non sono riuscito ad essere sincero con te come realmente meriti.
È passato tanto tempo da quando ti vidi per la prima volta.
Quella sera io e Ryan aspettavamo la fine del turno di tua madre. Eravamo da soli in casa, e quel monello, che all’epoca aveva appena otto anni, non riusciva a star fermo. Gli avevo appena promesso che per il suo decimo compleanno gli avrei dato il permesso di tenere un Pokémon ed era fuori di sé dalla gioia. Continuava a dire che doveva assolutamente andare al centro medico per informarsi, per sapere come avrebbe dovuto trattarlo e che avrebbe avuto bisogno di molto tempo per prepararsi. Ridevamo su queste sciocchezze quando Martha tornò, spalancando la porta. Era pallida, i suoi begli occhi cremisi erano appannati dall’inquietudine. Forse fu per quello che ci misi qualche istante a realizzare che teneva due esserini tra le braccia. Una bambina, ed un cucciolo di Zorua. Quella fu la prima volta che ti vidi e posso assicurarti che non sarò mai in grado di dimenticarmene finché avrò vita.
Non ci spiegò mai dove ti avesse trovata, avevi all’incirca due anni, quindi esclusi che fossi stata abbandonata dopo un parto. Ero agitato, lo ammetto, Martha aveva decretato che restassi con noi, e per quanto pieno di sconcerto non sarei mai stato in grado di negarglielo. Avevi lo sguardo triste di chi era reso conto di essere solo. Uno sguardo che mi uccise dentro e che mi strinse le viscere. Ryan ti guardava incuriosito, fu lui che dopo un attimo di sbigottimento si limitò a chiedere:
“Come si chiama?”.
Ti indicava come se fossi qualcosa mai visto e avevo nello sguardo quella genuina curiosità che solo i bambini possono avere.
Martha disse semplicemente “Rachel”.
Ti adottammo quella sera stessa.
Fu un procedimento lungo, ma non ti avremmo mai lasciata. Non lo faremo mai, bambina, ricordalo sempre.
 
Chiuse gli occhi istintivamente, ed una lacrima non riuscì a restare aggrappata alle sue lunghe ciglia. Tutto ciò era troppo, non ce la poteva fare a sopportare quel peso dentro. Si abbandonò a sé stessa, stringendo il piccolo Pokémon a sé.
Fu quando poté sentire l’elettricità caricare l’aria che qualcosa spezzò quell’incantesimo di dolore e terrore.
“Palmoforza, Lucario!”
Una voce che dentro di sé conosceva già troppo bene riempì l’aria, spazzando via la carica elettrica che la circondava. Fra lei e il Blitzle ora si frapponeva un Lucario e alle spalle della ragazza apparve il tipo dal bizzarro ciondolo. Il tipo che due giorni prima l’aveva sconfitta e che adesso si frapponeva fra lei e il suo avversario.
Fu stupito quanto lei di trovare un volto conosciuto in quella boscaglia, dove i primi raggi del sole bianco invernale si insinuavano nei rami e illuminavano l’acqua, facendola splendere di un bianco accecante.
Rachel si sorprese a piangere.
Quello le si chinò affianco, cingendole le spalle con un braccio.
“Va tutto bene, tranquilla” le sorrideva con la stessa espressione di quando l’aveva sfidata e di quando le aveva regalato quella Baccafrago. L’aiutò a rimettersi in piedi, sollevandola quasi di forza, mentre il Pokémon nemico continuava ad osservarli dubbioso, senza togliergli gli occhi di dosso.
“Lucario, fatti da parte, è l’avversario di questa signorina ed è un’allenatrice abbastanza capace da sconfiggerlo da sola” fece quello.
Rachel sobbalzò, ma non protestò, si asciugò a forza le lacrime col braccio e lasciò che Zorua si rimettesse in posizione d’attacco, mentre sia il ragazzo che il suo Lucario si facevano da parte. Blitzle iniziò a caricarsi di nuovo, più lo faceva, più la sua difesa aumentava, ma improvvisamente Rachel capì che quello non era affatto un problema.
“Zorua, Punizione!”
Il Pokémon partì, veloce, all’attacco. Fu un colpo decisamente potente che lo spinse con forza, tanto da farlo cadere nell’acqua del torrente.
“Prima che si rialzi, vai con Finta!”
Zorua caricò di nuovo l’avversario, raggiungendolo e sparendo un istante prima di colpirlo, il Pokémon che si stava rialzando rimase disorientato e non poté evitare il colpo sul fianco che gli sferrò la piccola volpe e che lo fece di nuovo cadere in acqua, stremato.
Senza nemmeno pensarci Rachel tirò fuori la sua Poké Ball. Se doveva catturare un Pokémon, aveva deciso che sarebbe stato quello.
La Ball intrappolò il Pokémon, troppo stremato per opporle una resistenza degna di questo nome e finalmente tutto finì.

 

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Capitolo 7
*** Primo Interludio ***


Primo Interludio


Timoteo sospirò. L’ultimo gradino lasciò sotto le suole dei suoi calzari tutta l’insicurezza di un uomo che doveva morire, che sapeva che sarebbe andato via.
Poco distante dalla scalinata, le sue truppe erano schierate. La gran parte di quegli uomini quella notte sarebbe morta. Prima non gli aveva detto chi avrebbe vinto la battaglia, e questo un po’ lo rincuorava.
Tuttavia, se i templari avessero vinto la battaglia, lui non avrebbe potuto festeggiare con loro.
Le fiamme lo avrebbero ucciso.
Lui sarebbe morto.
Il suo primo pensiero andò a Prima. Sarebbe rimasta sola, senza di lui.
Poi cercò di immaginarsi come doveva essere la morte. Cosa si potesse provare.
Cosa sarebbe successo.
Cercò di catapultare lontano da lui le immagini del suo corpo carbonizzato, ed entrò nell’accampamento. La luce della luna splendeva, copriva con un velo di zucchero tutto ciò che non fosse in ombra. Qui e lì varie fiaccole illuminavano l’accampamento.
I suoi compagni erano pronti. Marcello, il suo migliore amico, stava seduto su di un muretto, intento a guardare i suoi Pokémon. Gli stava trasmettendo la sua forza.
Davanti c’erano i suoi compagni di sempre. Lairon, Cacturne e Noctowl.
Si guardavano. Cercavano di caricarsi.
“Marcello” lo chiamò.
“Timoteo! Dannazione, sei tornato!”
“Eccomi. Qualcosa da segnalare?”
“Niente. Ma gli ingiusti attaccheranno? Sei sicuro?”
“Sì”
“Le nostre forze sono diminuite dall’ultima battaglia”
“Lo so...” rispose Timoteo, cupo.
“Ho un brutto presentimento”
“Non dirlo nemmeno!” urlò Timoteo.
Lairon ruggì, mentre Noctowl si alzò in volo. Marcello spalancò gli occhi.
“Hai ragione. Scusa”
“Non dire neanche questo. Non preoccuparti. Ma dobbiamo pensare positivo. Le persone ed i Pokémon di Adamanta hanno bisogno di noi”
“Ne sono benissimo a conoscenza”
“Fuori” disse calmo, facendo uscire dalle sue ball Haxorus, assieme ad un Absol e ad un esemplare di Scyther. 
“È bene che respirino un po’” disse Marcello, sorridendo. “Ti affidi sempre alla tua spada. Capisco che tu ti senta sicuro di te stesso. Ma devi fare affidamento anche su di loro. Sono o non sono tuoi amici?”
“Di più. Sono la mia famiglia”
“Già. Haxorus era un draghetto quando l’hai trovato”
“Ricordo” sorrise Timoteo.
Poi la tensione si sciolse leggermente. Timoteo si sedette per un momento, accanto al suo amico, e gli mise una mano sulla spalla. L’armatura di Marcello era congelata.
“Prima come sta?” domandò quest’ultimo.
“Oh... bene... sta bene. Almeno credo”
“Non me la conti giusta. È successo qualcosa”
“Ci siamo baciati” vuotò subito il sacco Timoteo. “E abbiamo fatto l’amore”
“Eh?! Timoteo... la notizia principale è la seconda”
Sorrisero entrambi. Poi Timoteo sospirò.
“Cioè... hai fatto l’amore con l’oracolo. L’oracolo di Arceus. Questo non imporrà qualche sciagura, o altre cose così?”. Timoteo adorava la schiettezza di Marcello.
“Probabilmente stanotte morirò”
Marcello sorrise, poi gli diede uno spintone. “Nessuno potrà ucciderti. Ci sono io che ti copro le spalle”
Timoteo non riuscì a trattenere un sorriso da un orecchio all’altro.
“Grazie. Ed anche io ti proteggerò”
“Ti voglio bene, fratello”
“Anche io”
All’improvviso uno squillo di tromba allarmò tutti, Pokémon compresi.
“Gli ingiusti stanno arrivando”

 

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Capitolo 8
*** Capitolo Terzo: Vibrazioni ***


Vibrazioni - Pt. 1


Blitzle. Nelle sue mani c’era una Poké Ball, e dentro la Poké Ball un Blitzle. Rachel sorrise, riuscendo ad imitare alla perfezione i clown che piangono, in quei quadri dal dubbio gusto artistico. Il trucco sciolto, il volto in lacrime, erano tutti elementi che non creavano la minima armonia con il sorriso da ebete che si era inchiodata in volto.
“Blitzle! Zorua, bravissimo! Blitzle!” mise via la sfera contenente il nuovo Pokémon e strinse tra le braccia il suo amico di sempre.
Fu dopo una dozzina di secondi, di moine e carezze che si accorse che il ragazzo ed il suo Lucario erano li, in attesa di qualcosa.
“Ehm... immagino che debba ringraziarti... ancora” arrossì Rachel.
“Non sei obbligata... ma si, credo che tu debba farlo”. Quel tipo le rubò un altro sorriso.
“Allora grazie. Non penso che senza di te sarebbe finita bene...”
“Non preoccuparti. Adoro aiutare le donzelle in difficoltà”
“Meno male che sono donna, allora...”
“Già. Altrimenti ti avrei lasciata morire...”. Altro sorriso. “Comunque sono Zack...”
Rachel guardò la mano del ragazzo avvicinarsi al centro di un immaginario segmento che c’era tra i due.
Per un momento rivalutò la situazione. Stava per essere ammazzata, se non ferita gravemente da un Pokémon selvatico. Nonostante non avesse nessuna voglia di fare nuove amicizie, a quel ragazzo, Zack, doveva la vita.
Intanto quello continuava a tenere tesa la mano in direzione della ragazza, i secondi passavano ed il silenzio diventava ancora più imbarazzante.
“Ehm... afferri la mano, la stringi e la scuoti” fece il ragazzo, con sarcasmo.
Lei si risvegliò dai suoi pensieri, e sorrise. E tre. Quel ragazzo aveva qualcosa di stranamente anomalo. Vuoi per la timidezza, vuoi per una chiusura caratteriale, Rachel non era tipo che si apriva con il primo che capitava. Ma l’aveva fatta sorridere per tre volte in meno di due minuti, e quello era già un gran risultato.
Gli strinse la mano.
“Wow... brava...” sfotté lui.
“Smettila...” lei cercò di fare una faccia seccata.
“Ora dovresti dirmi il tuo nome, poi dovremmo essere a posto”
“Mi chiamo Rachel. E sono incredibilmente di fretta. Mi devi scusare, ma ora devo scappare”
“Dove devi andare di così tanto urgente?! Stavamo facendo pratica su come conoscere una persona, e te ne vai sul più bello?!”
E quattro. Rachel sorrise ancora, ci stava prendendo gusto.
“Devo arrivare a Timea il prima possibile”
“Sei diretta in qualche punto in particolare di Timea?”
“Ehm... dai... miei... zii! Si, abitano li, e devo portargli...” cercò mentalmente nella sua borsa, ma non riuscì a trovare niente di abbastanza brillante quanto veritiero da non lasciare alcun dubbio sulla veridicità della menzogna. Alla fine si dovette accontentare. “...devo portargli una Poké Ball”
“Non le vendono, a Timea?”
“Senti... devo andare. Grazie ancora” e Rachel riprese il cammino.
“Di niente... ma... aspetta un minuto!” lui volle seguirla.
“Che c’è?” domandò disinteressata, cercando di scansare gli ostacoli boschivi.
“Anche io devo andare a Timea... magari facciamo il viaggio insieme...”
“Non credo sia una buona idea”
“Ti farai ammazzare se non avrai nessuno a proteggerti”
“Non ho bisogno di protezione! E tu non sei mio padre, quindi cercati un’altra donna da proteggere!” cominciò ad irritarsi la ragazza.
“Hey, calmati... che bel caratterino... volevo solo un po’ di compagnia...”
“Uff...” Rachel sbuffò, poi si bloccò all’improvviso, facendo inciampare Zack. Lei non riuscì a trattenere una risata.
“Senti... sto scappando da mio fratello”
“Sei una fuorilegge?”
“No”
“Non c’è nessuna taglia sulla tua testa?”
“...non ti rispondo nemmeno...”
“Uff... mai un giorno fortunato... e perché scappi da tuo fratello?”
“Non è importante adesso. Se vuoi venire con me fallo pure, ma cerca di parlare il meno possibile, di non darmi fastidio, e non ti aspettare nulla di nulla”
“Okay...”
“Bocca cucita!”
Zack fece capire a gesti di aver recepito il messaggio, e mimò la chiusura di una zip immaginaria davanti la sua bocca.
“Perfetto... ora andiamo”
Il Bosco Memoria era il posto perfetto per chi amava i Pokémon coleottero. Vari Cascoon pendevano dagli alberi, mentre Caterpie e Wurmple si cibavano di foglie verdi, ma, come dimostrato anche da Blitzle, non c’erano solo insetti. Qui e li Sunkern e Hoppip volavano di ramo in ramo, mentre Paras e Foongus cercavano di mimetizzarsi con il fitto sottobosco, formato da foglie, rametti, aghi di pino e qua e la qualche fiore.
Rachel fu in grado di vedere il sole, nonostante il fitto tetto di foglie. Era presto. Davvero presto.
Si chiese cosa ci facesse Zack a quell’ora nel bosco.
E glielo chiese.
“Non sono neanche le otto del mattino... che ci fai qui?”
“Il bosco è li posto dove passo il mio tempo... mi alleno, cerco nuovi Pokémon, cerco delle bacche e del cibo”
“E dove dormi?”
“Dove capita... non ho una dimora. Ho qui il mio sacco a pelo”
“Sacco a pelo?”
“Ne sono abituato, tranquilla. Sono almeno dieci anni che sono in viaggio...”
“Ecco il perché di Lucario. È un Pokémon molto raro da queste parti...”
“Già... ma dov’è finito il bocca cucita?”
“Hai ragione. Chiudi il becco”
Zack sbuffò, sistemandosi meglio la bandana. Sbadigliò, quella notte era durata davvero troppo poco.
“Sei antipatica...”
“E tu logorroico!”
“Questa è la tua riconoscenza?!”
“Non si tratta di riconoscenza, è che...”
E poi, come se qualcosa avesse voluto interrompere quella futile lite, la terra prese a tremare. Forte, davvero forte. Gli alberi oscillavano qui e li, stormi di Spearow e Taillow si alzavano in volo, emettendo i loro versi impauriti, lasciando dietro di loro una cascata di piume e di foglie.
Rachel si irrigidì, ed il suo primo istinto fu subito di prendere in braccio Zorua. La bocca schiusa, gli occhi dilatati. Stava cercando di capire cosa stesse succedendo.
Zack invece non sembrava impaurito. Era scuro in volto, quasi arrabbiato. Anzi, serio.
Pochi secondi dopo la terra si fermò.
“Santo cielo, che è successo?!” urlò lei, dopo aver fatto entrare Zorua nella sua sfera.
“Era un terremoto. Allora è vero...” mormorò il giovane.
“Cosa è vero?”
“Dobbiamo andare in un centro Pokémon”
“Centro Pokémon?! Ed ora che c’entra?!”
“Devo fare una videochiamata”
“Videochiamata? Non puoi aspettare finché non arriviamo a Timea?!”
“Potrebbe essere tardi”. Quando non rideva, o cercava di farla ridere, Zack sembrava un’altra persona. “Dobbiamo tornare indietro” proclamò.
“Io non posso tornare indietro! Ryan mi troverebbe!”
“Rachel... non si tratta più di te. E neanche di me! Si tratta di tutti noi!”
“Cosa?!”
“Dannazione!”. Zack estrasse la sua mappa da una tasca laterale dello zaino, quindi la aprì. “Bene... Edesea è a pochi chilometri da qui... dobbiamo solo uscire dal bosco, andando verso est, e quindi continuare dritto”
“Edesea? Dobbiamo arrivare li?”
“O torniamo indietro o andiamo ad Edesea”
“Ma è dalla parte opposta di Timea!”
“Avanti! Non devi portare nessuna Poké Ball ai tuoi zii!”
Rachel fece il muso. Lui la vide ed inarcò un sopracciglio. Poi un’altra scossa di terremoto, questa volta di assestamento, diede il colpo di grazia a parecchi alberi che erano riusciti a stare all’in piedi per miracolo.
“Dobbiamo andare via di qua!” urlò lui, cercando di far prevalere la sua voce sul rombo della terra. Prese una sfera e la tirò in aria. Un meraviglioso esemplare di Braviary spiegò le ali, emettendo il suo verso.
“Presto, saliamo!”
“Cosa?!”
“Vuoi rimanere qui e rischiare che ti cada un albero in testa, o preferisci volare?”
“Ho paura di volare...”
“Hai mai volato?”
“No...”
“E allora sali!” urlò lui, afferrandola per un braccio ed aiutandola a salire sulla grande aquila. Rachel toccò le morbide piume del Pokémon. Zack salì davanti a lei e gli diede un colpetto alla spalla.
“Vai, vola verso Edesea!”
Gli alberi cadevano, i Pokémon autoctoni del bosco fuggivano, o cercavano di nascondersi. Per loro non era semplice da comprendere. Una grande quercia stava per abbattersi sui ragazzi, ma con un’abile manovra, Braviary la evitò e volo su, in alto, verso il cielo blu.
 
Zack stava basso lungo la schiena di Braviary, e Rachel lo stringeva in vita talmente forte da compromettergli il respiro. Il vento le spettinava i capelli, e le faceva uscire altre lacrime dagli occhi, questa volta però non c’entrava nessun implicazione emozionale.
Andare sulla moto con Ryan non era la stessa cosa, ma fece finta che lo fosse, nonostante stessero volando a più di cento chilometri orari, e a più di cinquanta chilometri dal terreno.
“Siamo nella mesosfera, dannazione, possiamo scendere un po’?!”
Zack rise.
“L’aria è così pulita qui”
“È rarefatta invece, stupido! Moriremo!”
“Uff... scendi un po’ Braviary... ma te la sei voluta tu, Rachel”
“Voluta? Cosa?!”. Neanche il tempo di finire la frase, che la ragazza fu letteralmente costretta ad emettere un urlo sovraumano. Braviary era in picchiata, e mentre Zack si stava preoccupando solo di non perdere la bandana, Rachel aveva la stessa preoccupazione riguardo la sua vita.
“Stronzo!” urlava, e ciò non faceva altro che far ridere di più Zack.
“Hai fatto un errore da principiante, cara... hai guardato giù”
“Sai com’è! In caduta verticale non è che posso guardare altro!”
“Va bene così, Braviary,  non ci avviciniamo troppo al suolo, potrebbe cascarci qualcosa addosso”
Braviary frenò, facendoli sobbalzare, e facendo in modo che Rachel cingesse ancor più forte la vita del ragazzo.
“Giuro, che appena scendo da qui ti ammazzo di botte!”
“Quante storie per un giretto su Braviary... c’è chi mi prega di farlo”
“Ora ho capito che le tue amicizie non sono compatibili con le mie”
“Poco male... se vuoi scendere qui fai pure” sorrise lui.
Rachel ebbe l’avventatezza di guardare in basso. Il bosco era ormai un cumulo di alberi distrutti, che sarebbero spariti. Un forte incendio divampava, probabilmente qualche Pokémon fuoco doveva essersi spaventato.
Prontamente i vigili del fuoco, assieme alla squadra dei Wartortle e dei Blastoise stavano cercando di spegnerla. Qualche vecchio palazzo era crollato, lungo la strada per Edesea, ma allungando lo sguardo verso la città degli intelligenti non si intravedevano né macerie né linee di fumo che sinuose si snodavano nel cielo.
“Siamo arrivati... scendi, Braviary”
Un’altra picchiata. E naturalmente un altro urlo sovraumano di Rachel. Non fu un’esperienza da ripetere, decisamente no. Ma erano arrivati sani e salvi ad Edesea.
 
Ryan aprì leggermente gli occhi, e l’ancora mancata di presa di coscienza impose al suo cervello di chiedersi, su una scala da uno, a dieci, quanto fosse normale che il lampadario oscillasse in quel modo.
Gallade lo spinse. Non era la prima volta che succedeva che il suo Pokémon disturbasse il suo sonno, quella mattina.
E, proprio come con quelle vecchie televisioni a cui bisognava dare una botta per farle funzionare, Gallade percosse ancora Ryan.
Funzionava.
Ryan si svegliò, il suo cervello partì al quarto colpo.
“Dannazione, Gallade, che vuoi?” il tempo di aprire gli occhi, e vide Gallade esibirsi nell’attacco Psichico, mentre cercava di rialzare una grande libreria, da cui dei libri erano caduti. Se Gallade non fosse stato li, la libreria sarebbe caduta addosso ad un dormiente Ryan, e probabilmente sarebbe rimasto a dormire per sempre.
“Cazzo! Si è rotta... oppure... terremoto! Rachel!”
Uscì dalla stanza dei genitori, in cui aveva dormito quella notte, e si avvicinò alla stanza della sorella. Grandi crepe si snodavano nel muro, la porta di quella stanza era quasi uscita dai suoi montanti.
“Gallade, Breccia!”
Gallade sfondò la porta. Pezzi di intonaco caddero sulle loro teste. Gallade e Ryan oltrepassarono l’ingresso in stanza, non curandosi del fatto che la terra stesse ancora tremando. Ryan contava sulla forza di Gallade, che avrebbe protetto entrambi.
“Rachel! Rachel, dove sei!” Ryan si guardò attorno, né Zorua né Rachel erano li.
“Forse si sono nascosti...” pensò, prese a guardare sotto al letto, sotto la scrivania, nell’armadio. Niente... Rachel non era li.
Poi la finestra aperta.
In inverno. Rachel era uscita dalla finestra.
Ryan si incamminò verso la finestra, mentre Gallade usava Psichico per evitare che qualcosa lo colpisse.
“Si... è probabile che sia saltata dalla finestra per salvarsi. Ma... dal secondo piano... si sarà fatta male” ragionava con una lucidità che sembrava non appartenergli. “Andiamo a vedere, Gallade”
Uscirono fuori, sotto la finestra. La siepe distrutta, ma non una macchia di sangue o un ciuffetto di peli.
“Come diamine ha fatto? Rachel! Rachel! Sei qui?!” urlava lui.
Gallade fermò il suo allenatore, e gli fece segno di no con il volto.
Gli occhi di Ryan cominciarono ad inumidirsi. Salì sopra ancora, da vero incosciente, e tornò nella stanza di Rachel. Gli armadi ed i cassetti erano aperti. Ok, il terremoto avrebbe tranquillamente potuto causare cose del genere. Ma...
Ryan guardò nei cassetti. Il primo era totalmente vuoto. Ed il secondo semivuoto.
“Do-dov’è la sua roba? Dov’è Rachel?!”
E poi collegò. Cassetti vuoti, finestra aperta, siepe ammaccata. Rachel era scappata.
“No! Cazzo!”

 

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Capitolo 9
*** Capitolo Terzo: Vibrazioni 2°Parte ***


Vibrazioni - Pt. 2


Zack e Rachel entrarono nell’università di storia di Edesea. Molti giovani erano in apprensione per il terremoto, qualcuno era rimasto ancora sotto i tavolini.
“Aspetta qui, e stai attenta a tutto” le disse Zack, avvicinandosi ad un indaffarato uomo grassoccio, con la barba di qualche giorno, che aiutava ad evacuare i malcapitati.
Rachel si prese del tempo per guardare un po’ Zack.  Era un ragazzo dalla perfetta forma fisica, alto circa un metro e ottanta, snello. Occhi verdi brillanti su di un volto spigoloso. Naso puntuto, labbra normali per un uomo. Aveva la bandana in testa, ma i capelli si intravedevano. Erano di un marrone scuro, molto comune insomma.
Il voluminoso zaino rimpolpava la linea della sua schiena. Indossava un bomber gilet rosso, maglione blu, abbastanza scollato, e quello strano ciondolo che gli pendeva al collo, dello stesso colore dei suoi occhi.
Completavano l’opera un paio di pantaloni comodi e delle scarpe per ogni suolo.
Pratico. Funzionale. E carino.
Ma Rachel non l’avrebbe mai ammesso. Quel tipo aveva cominciato bene, ma non era riuscito a rimanere nelle sue grazie.
Proprio in quel momento si stava chiedendo cosa diamine stesse facendo Zack.
Lui finì di discutere con il tizio grassoccio, e poi si girò. Guardò Rachel, e le fece segno di raggiungerlo con la mano.
Lei eseguì.
Lo vide avviarsi lungo degli stretti corridoi, che come in un labirinto prendevano le più disparate direzioni. Arrivarono davanti ad una rampa di scale, la salirono, ed entrarono in un altro corridoio.
“Ma dove stiamo andando?!” domandò lei, preoccupata.
Lui non rispondeva. Aprì una porta, e fece per entrare, quindi allargò le braccia e si bloccò velocemente. Una voragine enorme si era aperta nel pavimento di quella stanza. Seduta su di un tavolo, gambe accavallate, c’era una donna.
“Meno male, qualcuno si è ricordato di me” sorrise sarcastica quella.
“Come dimenticarmi di lei, professoressa... per fortuna sta bene”
“Si... tranne qualche graffio. Fortunatamente i computer sono salvi”
“Ah! Rachel, lei è la professoressa Alma, della facoltà di storia. Professoressa, lei è Rachel, una mia amica”
“Piacere” Rachel cercò di sorridere in modo da sembrare sincera, ma la paura prevaleva sui suoi stati d’animo.
“Zack... bisogna raggiungere la mia borsa lì...” fece la professoressa, indicando una mensola che reggeva per miracolo una borsa da donna.
“E come ci arrivi lì?” domandò Rachel.
“Lucario, pensaci tu...” disse, facendo uscire il Pokémon dalla sfera. “Devi prendere quella borsa, naturalmente senza cadere giù”
Quello fece cenno di aver capito. Balzò, facendo un veloce salto verso il muro che reggeva la mensola, afferrò la borsa al volo, e facendo leva sui piedi si diede lo slancio per tornare indietro.
“Ottimo Lucario” fece Zack, sorridendo, e facendolo rientrare nella sfera. “E la sua borsa è qui, professoressa. Ora?”
“Dentro c’è una Poké Ball. Lì c’è il mio Ralts”
“Ralts?” domandò Rachel.
“Si... fallo uscire, Zack”
Detto fatto.
Il piccolo umanoide dal grande casco verde si sentiva spaesato in presenza di tutte quelle persone.
Poi vide la professoressa Alma, ed esplose in un gran sorriso.
“Uscite dalla stanza... Ralts. Usa Distortozona”
Ralts sorrise ancora, e delle linee luminose investirono la stanza, creando una griglia di luce.
“Bene...” la professoressa con tutta calma prese a camminare sulla parete accanto a lei, come se la gravità si fosse spostata. “Grazie Ralts” disse quando poi fu in grado di tornare a camminare con i piedi sul pavimento. Quello vero.
“Zack. Non ti aspettavo” sorrise quella. I recettori critici di Rachel si accesero, e come ogni donna cercò di trovare un difetto alla professoressa, fallendo miseramente. Era davvero bella.
Una lunga treccia nera portava ordine sulla sua testa, facendo in modo che il viso, delicato, fosse esposto. Due occhi neri venivano leggermente coperti da un paio di occhiali, molto semplici, ma addosso a lei riuscivano addirittura a darle uno strano fascino. Naso piccolino, labbra piene, pronunciate, rosee, che sul marrone chiaro della sua pelle risultavano ancora più grandi. E belle.
Il camice era chiuso, ma nascondeva delle curve da pin up. Non le avrebbe dato più di 33 o 34 anni
Si chiese cosa ci facesse lì una donna come quella. Le avrebbe urlato di tornare a fare gli spogliarelli, e l’idea la fece sorridere.
Nonostante tutto le piaceva l’idea che donne di tale bellezza non si fossero ridotte nello stereotipo moderno. Nude a ballare in qualche salotto televisivo.
Alma era una studiosa. E questo le piaceva.
“Professoressa... lei una volta mi parlò di... di una profezia”
“Ce ne sono molte, mio caro” disse la donna, cominciando a camminare per il corridoio. Scesero le scale e tornarono nell’atrio.
“Si, ma me ne parlò di una in particolare”
Alma si fermò e lo guardò. “Illuminami”
“È quello che io vorrei da lei... parlo della profezia di Arceus”
Alma pronunciò le labbra ed inclinò la testa verso destra. “Ok... ci serve un posto tranquillo dove parlare”
Alma, Rachel e Zack salirono sulla Toyota della donna, e raggiunsero una radura. L’erba era bruciata dal freddo, dei sassi erano sparsi qui e li, e c’erano delle buche. Probabilmente qualche Digglett viveva nei dintorni.
I tre scesero dalla macchina.
“Perché ci ha portato qui?” domandò incuriosito il ragazzo.
“Perché hai colto perfettamente nel segno, Zack... questi terremoti, gli incendi... sono frutto di una profezia” fece la donna, andando ad aprire il portabagagli dell’auto. “Se qualcuno sentisse le mie parole, si cadrebbe nel panico. La notizia è di massima riservatezza. Ed io sono una delle poche fortunate addette ai lavori”
La donna prese un pc portatile, e lo accese.
“Quindi siamo qui perché nessuno ci deve sentire?” domandò Rachel.
“Esatto. Ed è inutile dirvi che questa cosa è top secret”
“Certo professoressa” rispose Zack.
“Bene. Circa mille anni fa, in questa zona si combatté una dura e sanguinosa guerra. Vi erano due schieramenti. Gli ingiusti, che utilizzavano i Pokémon come armi, comandati da Nestore, e dal generale Adamo. E l’altro era quello dei Templari, a difesa del tempio. I Pokémon di questo schieramento erano soldati, che avevano scelto di arruolarsi per combattere. Erano comandati da Timoteo”
“Perché combatterono?” domandò Rachel.
“Per un cristallo” rispose lei, mostrandone una probabile riproduzione al pc. “Questo era un cristallo speciale. Era in grado di mettere in contatto determinati tipi di persone con Arceus”
“Arceus?! Il leggendario Pokémon?!” fece stupita la ragazza.
“Già. Nel tempio viveva una giovane donna. Si chiamava Prima. Prima era l’oracolo della nostra regione, l’unica persona in grado di mettersi in contatto con Arceus, tramite il cristallo”
Zack ascoltava attentamente.
“Quella fu una guerra sanguinosa. Morirono migliaia di individui, tra Pokémon ed umani. E questo ad Arceus non piacque. Quando Prima si mise in contatto con lui, quello profetizzò la distruzione delle nostre vite partendo dal suolo che calpestiamo, se i Pokémon non fossero lasciati liberi di vivere le proprie vite in quanto esseri viventi”
“Quindi...” Rachel sbiancò più del normale.
“Quindi Arceus si è venuto a prendere quello che è suo. E con tutta probabilità, ad Hoenn, i terremoti sono causati dal Pokémon Groudon. Arceus si sta servendo di lui per abbattere le città. Ed in qualche modo deve essere fermato”
“E come si può fermare Groudon?”
“Il problema non è fermare Groudon. Il problema è fermare Arceus. Perché si servirà degli altri Pokémon per completare l’opera”
I ragazzi rimasero in un silenzio titubante.
“Calmatevi. Le più grandi menti della nostra nazione stanno cercando un modo per far terminare questo incubo. E credo che sia ora di andare a mangiare qualcosa” sorrise.
 
Alma aprì la porta, e guardò il suo appartamento. Perfettamente in ordine.
“Questi palazzi sono incredibili. Attutiscono ogni oscillazione...” fece quella. “Accomodatevi”
“Grazie, professoressa, fece Zack, poggiando lo zaino per terra. Rachel fu in grado di sentirlo sospirare di sollievo.
“Rachel... accendi la tv” chiese Alma.
Rachel, un po’ spaesata, trovò il telecomando ed eseguì.
Notizia straordinaria! Il Monte Camino, il vulcano di Cuordilava, ad Hoenn, ha eruttato una grande quantità di lava! I villaggi limitrofi, tra cui Cuordilava, appunto, Mentania e Brunifoglia sono stati coinvolti dalla discesa lavica. Sembra che si siano aperti tre grossi crateri sulle pareti a sud ovest, ovest e nord ovest del vulcano, dopo l’ennesima scossa di terremoto. Vari studiosi sono venuti qui per studiare il fenomeno, tanto spettacolare quanto distruttivo”.
Sul volto di Alma apparve della preoccupazione. Smise di fare quel che faceva e zampettò velocemente davanti alla tv.
“Adesso con noi c’è il Professor Oak, assieme ad un’altra autorità, il Professor Birch. Dopo una lunga intervista, siamo riusciti a capire che il motivo di questi terremoti è dovuto al risveglio di un Pokémon dalla leggendaria forza, Groudon. Tutt’ora non siamo in grado di individuare dove sia di preciso locato Groudon, ma si teme per la vita di tutti gli abitanti di Hoenn. Dopo il risveglio di Groudon si teme anche per quello di Kyogre, nomi che portano alla mente antiche storie su di una lunga battaglia tra i due. Secondo il professor Birch, l’unico modo per evitare questo scontro leggendario, e soprattutto per fare in modo che i fenomeni sismici qui ad Hoenn terminino, è la cattura. È stata contattata dal Professor Oak, un’esperta di catture, proveniente da Johto, che dovrebbe riportare la situazione alla normalità. Da Cuordilava è tutto, Tea vi saluta”
Il silenzio piombò forte nella stanza. Poi un forte sfrigolio proveniente da una padella rimise in moto i pensieri della professoressa.
“È... sconcertante...” sospirò Rachel. Si sentiva davvero impaurita da quella situazione.
“Già” convenne Zack.
“Beh... fortunatamente Hoenn è lontana da qui. Ed il fatto che si sia attivato il Professor Oak mi rassicura. Ma il problema è che qui non sappiamo l’ira di quale Pokémon si possa abbattere su di noi. Si dovrebbe cercare Arceus, e fermarlo”
“Già...” sospirò Rachel.
“Per fare questo dobbiamo trovare il cristallo” osservò Zack.
Il silenzio veniva interrotto ritmicamente dalle lancette di un orologio appeso al muro.
Poi Rachel si rese conto pienamente delle parole di Zack.
“Che cosa?! Che vorresti fare?!”
“Trovare il cristallo, Rachel! Dobbiamo parlare con Arceus!”
“Non basta un confessionale ed un sacerdote?”
“Finiscila di fare la pappamolle, suvvia! Sarà elettrizzante!” sorrise lui.
“Io non sono pappamolle...” s’imbronciò lei, poi si alzò e si sedette al tavolo.
“Dove potremmo trovare il cristallo?” chiese il ragazzo.
Rachel fece spallucce, e lui fece segno con la testa che la domanda era stata posta alla professoressa Alma.
“Beh... non saprei... se ne sono perse le tracce tanto tempo fa”
“E da allora non abbiamo più un colloquio con Arceus?!”
“Proprio così. Forse esiste qualche antica leggenda che ne parla. Io sono specializzata su fatti realmente accaduti e documentati, non su vecchie storie. Forse però conosco il tipo che fa per voi”
“Ah... e chi sarebbe?”
Alma portò a tavola il pranzo.
“Un anziano signore di Kanto. Mr. Fuji, dovrebbe vivere nei pressi di Lavandonia”
“Non mi dice nulla questo nome” ragionò Zack.
“È il proprietario della Casa Memoria se non sbaglio” disse Rachel.
“Esatto, Rachel. È un uomo molto anziano, e potrebbe sapere qualcosa”
“Ottimo” sorrise Zack.
 
Dopo mangiato, Rachel e Zack si recarono in un centro Pokémon. Alma aveva cucinato davvero in modo divino. Probabilmente non esisteva essere umano migliore di lei.
Zack si avvicinò al videotelefono.
“Non credo che Mr Fuji abbia un videotelefono...” osservò Rachel.
“Donna di poca fede...” si limitò a dire, mentre componeva un numero.
“Vuoi dire che ha un videotelefono?!”
“No”
Allo schermo comparve un ragazzo. Era giovane, doveva avere sui 25 anni. Ricci capelli di un castano chiaro gli circondavano un viso dall’aria gioviale. Nonostante ad una prima occhiata potesse risultare un volto forse un po’ infantile, la giovane vide che i suoi occhi erano vivi e soprattutto svegli. “Zack! Ciao!” esclamò quello.
“Ciao, Bill...”
“Bill! Quel Bill?!” rabbrividì Rachel.
“Che succede di bello?”
“Mah, di bello proprio niente... ti vorrei presentare Rachel, una mia cara amica”
“Ciao cara amica. A che devo la tua insolita chiamata?”
“Ecco... ho bisogno di parlare con Mr Fuji riguardo ad una vecchia leggenda”
Il giovane dall’altro lato del monitor sgranò gli occhi. Poi riprese l’espressione tranquilla che aveva all’inizio della chiamata.
“Oh. Ok... però mi ci vorrà un po’ per ottenere la sua attenzione” si limitò a commentare.
“Beh, digli che c’entra Arceus, è che è di vitale importanza”
Stavolta la sua espressione stralunò totalmente. Strabuzzò gli occhi sentendo nominare il Pokémon leggendario. “Cosa?!”
“Non fare domande...” rispose pazientemente Zack.
Scosse la testa, mantenendo un’aria incredula. “Sei sempre il solito... beh... domani a quest’ora riceverete una telefonata su questo videotelefono. Non posso fare di più”
“Va già benissimo così”
“Mi devi un favore”
“Oh, fidati che ne dovrai uno tu a me...” sorrise Zack, salutandolo e chiudendo la comunicazione.
“Conosci Bill?! È incredibile!” esclamò Rachel.
“Già... è una brava persona”
“Come fai a conoscerlo?”
“Te l’ho detto che ho viaggiato molto”
“Sei stato a Kanto?”
“Anche. Ho visto molte cose, e col tempo ho imparato che chiunque, anche tu, piccola Rachel” Zack si avvicinò in modo pericoloso al volto della ragazza “...puoi fare la differenza”. Lui le prese il mento con le prime due dita.
“Giù le mani, pistolero”
Zack sorrise. “Sto scherzando. Tu invece? Per quale motivo scappi?”
“Lasciamo perdere... piuttosto, dove passeremo la notte?”
“Credo che Alma non avrà problemi ad ospitarci”
“E tu dormirai con lei?” chiese giocando lei.
“No... la professoressa è solo una cara amica. Bellissima, ma solo una cara amica”
“Beh... ti vedrei bene con lei”
“Troppo grande per me”
“Una donna del genere colpisce ad ogni età” sorrise quella.
Lui si limitò ad annuire.
 
L’uomo biondo, dai lineamenti affilati sedeva sul sedile posteriore di una lunga auto scura. I vetri fumé impedivano di scorgerlo dall’esterno, ma d’altra parte lui non sembrava troppo interessato a ciò che si trovava al di fuori dell’auto. La giovane autista dai dread neri, al pari della sua carnagione, guidava concentrata, cercando di evitare quanto più possibile che l’auto soffrisse degli effetti del terremoto causati alla strada. Teneva la punta della lingua fra i denti, in una inconscia forma di concentrazione.
“Siamo quasi arrivati” proclamò quando la piccola casa a tre piani fu finalmente in vista.
L’uomo non le rispose, si limitò a sospirare pesantemente, annoiato. Tuttavia, in quegli occhi color ghiaccio si accese una scintilla.
 
Ryan si trovava seduto sul divano del salotto. Sapeva benissimo quanto restare in casa fosse pericoloso, ma si sentiva svuotato. La scoperta della fuga della sorella lo aveva prosciugato di tutte le energie e nonostante la vicinanza del proprio Pokémon non riusciva a far altro che a restare lì, a vegetare sul divano nel salotto distrutto. Aveva il volto fra le mani ed i capelli dorati gli ricadevano di pochi centimetri davanti agli occhi, occhi che erano cerchiati dalla stanchezza e dall’improvviso stress che le ultime 12 ore gli avevano lasciato cadere addosso. Sapeva che sarebbe dovuto andare a cercare la sorella, sapeva che non poteva lasciar correre e che ora più che mai la situazione lo richiedeva, ma dopo aver fatto un rapido giro dei dintorni e aver chiamato alcuni suoi conoscenti si rese conto che non aveva la forza fisica per farlo.
Era lì, quando qualcuno bussò alla porta di casa. Si alzò di scatto, provocandosi un capogiro tale da doversi appoggiare alla spalliera del sofà per reggersi in piedi.
Quando aprì la porta rimase per un attimo interdetto. Dentro di sé sperava fosse Rachel, tornata a casa impaurita dalla situazione o comunque qualcuno che gli portasse notizie della ragazza. La coppia che si trovò davanti e che non corrispondeva a nessuna delle situazioni che si era immaginato era composta da una ragazza sconosciuta e da un uomo vestito elegantemente. Fece istantaneamente un passo indietro, come se cercasse di valutare la situazione. Prima che potesse riuscirci, l’uomo parlò.
“Eravamo venuti per il professor Livingstone... anche se vista la situazione non eravamo molto fiduciosi di trovare qualcuno in casa”
La voce dell’uomo era calma, profonda. Ryan impiegò qualche secondo per capire il significato di quelle parole.
“Credo che siate arrivati tardi, allora.” rispose stancamente il ragazzo “Mio padre è morto tre anni fa”.
L’uomo sbarrò gli occhi, stupito.
“C-cosa?” la sua voce era agitata e deglutì pesantemente.
Nonostante tutto Ryan non era in condizione di ascoltare le parole dell’uomo e si limitò a rispondere seccamente
“Esattamente quello che le ho detto. Sono passati più di tre anni dalla morte di mio padre. Ora, se vuole scusarmi...”
La ragazza si intromise, fermando con una mano la porta prima che Ryan la chiudesse.
“Aspetta, per favore!” la voce era agitata quanto quella dell’uomo. “La questione è della massima importanza... Anche pochi minuti, ma ti prego, ascoltaci”
Il ragazzo li trovò decisamente seccanti, tuttavia era stato in grado di percepire la disperazione dietro quella voce, sospirò pesantemente, prima di riaprire la porta.
“Mi auguro per voi che siano davvero solo pochi minuti. Purtroppo il momento non è dei migliori nemmeno per me, quindi se non vi dispiace seguitemi e arrivati dritti al sodo”
Li portò in cucina, dove i danni alla casa erano stati minori, a parte qualche pensile caduto e numerosi cocci sparsi sul pavimento che il ragazzo non si era preso la briga di ripulire. Una volta seduti attorno al tavolo l’uomo riprese parola.
“Mi chiamo Lionell Weaves, e conobbi il professore diversi anni fa, ad uno dei suoi convegni. Mi affascinò totalmente con la sua argomentazione sulle leggende della regione, di cui tutt’ora lo ritengo il più grande conoscitore...” i suoi occhi vagarono sulla stanza, come se stesse chiedendosi come potesse un uomo dell’altezza intellettuale del professor Livingstone vivere in condizioni simili. Scosse leggermente la testa, smuovendo i capelli biondo platino prima di continuare a parlare.
“Ci sentimmo frequentemente, e finanziai una sua ricerca, quella che fu la base di tutti i suoi studi futuri. Ero affascinato dal suo modo di parlare, dal suo interesse continuo. Ero rimasto affascinato da lui stesso. Ci scambiammo alcune lettere tramite l’università ad Edesea, ma alcuni anni fa dovemmo salutarci. Le mie condizioni di salute non mi permisero di continuare ad incontrarci e pian piano anche i nostri contatti andarono persi.” lo sguardo dell’uomo era perso, volto al passato, verso dei ricordi che Ryan non poteva conoscere.
“Mi parlò più di una volta della sua famiglia, e di conseguenza di te. Era molto fiero di suo figlio. Anche tu dovresti essere fiero di tuo padre.”
Ryan lo aveva lasciato parlare, ma davanti a quell’affermazione schioccò la lingua seccato.
“Non sarà certo uno sconosciuto a dirmi di essere più o meno fiero del mio vecchio. Finora ti ho lasciato parlare, ma i patti erano altri. Voglio sapere perché siete venuti qui e cosa volete. Dopodiché preferirei che ve ne andaste, come ho detto sono in una situazione delicata” gli occhi cremisi del giovane erano freddi, e la ragazza distolse lo sguardo dal ragazzo, come se non riuscisse a sostenerne la visione. In quel momento Lionell si rese conto che lo sguardo di quello che lui valutava come un semplice ragazzino era quello di un predatore.
“Riguarda i terremoti.” iniziò “Tuo padre stava studiando una vecchia leggenda e gli ultimi eventi mi danno da pensare che non fosse solo una vecchia storia...” si fermò un attimo, pesando bene le parole.
“Lui era il maggior esperto, forse l’unico che saprebbe comprendere davvero la situazione... Ma se non c’è più siamo tutti in grave pericolo.”
Ryan lo osservò, senza variare l’intensità del suo sguardo.
“Ma è così che stanno le cose. Ed è qualcosa che non può essere cambiato.”
L’uomo annuì brevemente.
“Lo so, ma non possiamo arrenderci così. Ragazzo, Ryan, se non erro, ho bisogno del tuo aiuto. Tu sei il legame più stretto di quell’uomo... e l’unico che forse può aiutarci a raccogliere tutta la sua documentazione...più di una volta mi disse che lo aiutavi come assistente nelle sue ricerche, quindi sei l’unico che può sostituirlo e salvare questo paese”
Tacque, sostenendo lo sguardo di Ryan e fissando il ragazzo dritto negli occhi.
“Come assistente mi spiace, ma l’unico aiuto che gli davo era il trasporto delle scartoffie... e ora non posso. Mia sorella è scomparsa... Rachel... è uscita stamane... e devo cercarla. Devo almeno aspettarla, se dovesse decidere di tornare”
Lionell ascoltò le sue parole ed annuì.
“Marianne, l’hai sentito?”
La giovane mulatta annuì a sua volta.
“Di quello non dovrai preoccuparti. Mi occuperò personalmente di rintracciare la ragazza... basta che tu mi dia una sua descrizione, una sua foto ed anche un suo vestito... Forse non lo sai, ma non siamo un duo di mecenati interessati alla mitologia... siamo membri di un grande gruppo. Abbiamo i mezzi e le energie per aiutarti.” Gli occhi, colorati di un verde acceso, chiari ed intensi, fissavano il giovane, determinati.
Per un attimo Ryan tentennò, l’avrebbero davvero ritrovata? Sarebbero davvero stati in grado di riportarla a casa?
La ragazza prese il suo silenzio come un assenso. Gli si avvicinò, prendendogli la mano.
“Possiamo aiutarti, davvero. In cambio del tuo aiuto potremo fare di tutto, ci bastano anche i vecchi appunti di tuo padre... qualunque cosa, adesso può fare la differenza”
La sua voce sembrava supplichevole, tanto che il ragazzo tardò a divincolarsi dalla stretta della ragazza.
“Lo farai, Ryan? Ci permetterai di salvare questa regione e non solo?”
Il ragazzo li osservò ancora per un istante, dubbioso. Alla fine annuì.
Non riuscì a non perdersi nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni.
“Rachel... dove sei?”

 

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Capitolo 10
*** Secondo Interludio ***


Secondo Interludio - Pt. 1


Vari anni prima dell’incendio del tempio di Arceus, Adamanta era un posto unico al mondo.
Lunghi corsi d’acqua si snodavano in un territorio rigoglioso di vita. Il Monte Trave sovrastava ogni cosa, guardando dall’alto le piccole pianure e le valli popolose come un padre guarda la propria prole.
Come detto, nelle valli si accumulavano le persone, piccoli villaggi spuntavano come funghi, per poi espandersi lentamente.
Tutti paesini piccoli, senza un’identità specifica. Anonimi, quasi tutti uguali. Ogni regnante seguiva dei dettami semplici e pacifici di governo, che permettevano una diplomatica coesistenza di quei piccoli nuclei.
Qualcuno si salvava, per la fama di qualche grande eroe nato o morto li, ma solo due centri spiccavano su tutti.
Il primo era Solnascente. Situato proprio ai piedi del Monte Trave, era noto per la presenza dei templari e per la lunghissima scalinata, quella dei mille eroi, che portava fino ai piedi del tempio.
La scalinata era stata costruita in onore di mille uomini, mille eroi che avevano combattuto una lunga e dolorosa guerra, ed ognuno di quei scalini, scolpiti interamente nella roccia della montagna, aveva inciso il nome di uno degli eroi. Morti tutti per salvare Solnascente.
Molto più grande di Solnascente, Nuovaluna era una città nata sul fiume Astro, che aveva fatto del commercio la sua ricchezza. E, come ogni città più grande, oltre alle cose buone, ci sono anche le cose cattive.
Il problema era che le cose cattive, a Nuovaluna partivano dal vertice.
 
“No Adamo. Non hai capito”
“Me lo rispieghi allora, sua altezza”
Avvolto in un ampio mantello di seta nera, sporcato qua e la di qualche rubino, Nestore camminava frettoloso per la stanza. La mano ingioiellata teneva un bicchiere colmo di vino, rosso come i rubini, che di tanto in tanto portava alla bocca.
Quando si fermò davanti alla finestra, Adamo strinse gli occhi. Il re eclissava quasi totalmente con le grandi e voluminose spalle la luce che filtrava, e quello sporadico raggio che riusciva nel transito, sprigionava più luce del dovuto. Colpivano alcuni dei rubini sulle spalline pompose e si trasformavano in colorate strisce verdi, blu e gialle.
Nestore si girò, spostandosi un ciuffo candido dalla fronte, fissandolo sotto la pesantissima corona.
“Bene. Questo... mondo... è semplicemente una coincidenza”
“Si spieghi meglio” lo esortò Adamo. Certe volte trovava difficile seguire i discorsi del re. D’altronde era il capo delle truppe, non uno studioso.
“La maggior parte della plebe, e per dirla tutta, anche molti tra i nobili, venerano il dio Arceus...” cercò di ridicolizzare con il tono le ultime due parole. “...in quanto pensano che sia stato lui a creare tutto. Umani, Pokémon, piante, alberi, prati, fiumi, laghi, mari... tutto. Beh, si sbagliano”
“Come può essere certo di questa cosa?”
“Se io fossi l’autore del creato vorrei esser venerato da esso. Se avessi dato il respiro a tutti i Pokémon, li comanderei tutti. Se lo avessi fatto con gli uomini farei lo stesso. Vedi...” poi lentamente si avvicinò all’uomo che quotidianamente si ritrovava seduto su quella sedia lussuosa.
“...non mi nasconderei in una –dimensione- parallela. Permetterei a chiunque di vedermi”
Adamo inarcò entrambi le sopracciglia.
“Certo. Da lontano, tenendo le persone di cui non mi fido a debita distanza... ma avrebbero motivo di credere ai loro occhi. Avrebbero una prova”
“Ma... se non Arceus, chi? Oppure, quale Pokémon?”
“Nessuno, Adamo. Il mondo si è creato per una pura coincidenza. Non esistono forze superiori... vieni” disse poi, avvicinandosi a delle ampolle.
Adamo lo seguì, e guardò curioso le mani del re.
“Questa...” mischiò un liquido celeste con della polvere, poi lo unì ad un altro liquido. Pochi secondi dopo, il colore del liquido all’interno dell’ampolla che teneva in mano cambiò. E l’ampolla esplose in mille pezzi.  ”Vedi... questa non è potenza divina. Questa è alchimia. Unire vari elementi, per creare altri effetti”
“Effetti strani” sorrise Adamo.
“Tanto strani quanto inaspettati. E secondo te, questi elementi sono stati creati da Arceus?”
 
 
“...ehm... No?”
“Bravo. D’altronde, se avessi creato veramente tutto io qui, non darei a nessun altro la possibilità di poterlo fare. Terrei questi preziosi strumenti per me” fece Nestore, asciugandosi la mano.
“Comprensibile, certo. Ma ancora non arrivo al nesso”
“Questi strumenti, o meglio, questi elementi, esistevano già prima delle nostre terre. Ed è stato il loro casuale miscuglio a creare quello che vedi oggi”
“Oh. Ora è chiaro”
“Ora, caro Adamo, converrai con me che non possiamo lasciare che la gente pensi che sia stato un Pokémon, a creare tutto. I Pokémon sono creature incapaci di comprendere quali sono i fattori utili a far muovere la vita. I Pokémon sono semplici mezzi che utilizziamo per assoggettare altri popoli. Sono le nostre armi”
“Beh... qui, a Nuovaluna è così” convenne Adamo. “Ma a Solnascente non lo è affatto. Li i Pokémon sono venerati, considerati come amici, al pari degli uomini”
“Ed è possibile che questa cosa accada?”
“No, mio re”
“In quanto ambasciatore del genere umano, mi sento coinvolto. Voglio che la gente smetta di porre quelle bestie sul nostro stesso piano”
“Certo”
“È per questo che cattureremo Arceus. E lo uccideremo”
“Come?!”
“Arceus”
“Ma ha appena detto che non ci crede, in Arceus”
“Adamo, la comprensione di semplici parole non dovrebbe esserti difficile, nonostante il tuo basso grado d’istruzione. Io ho detto che Arceus non è il responsabile della creazione. Ma so della sua esistenza. Arceus è un Pokémon molto raro”
“Bene. Quindi? Il da farsi qual è?” domandò Adamo, spaesato.
“Tu e le tue truppe, dovrete velocemente spiegare questa semplice verità ai sovrani degli altri popoli. E chiederai loro di unire le loro truppe alle mie, in modo da raggiungere velocemente questo obiettivo”
“E chi non si rivede nei nostri ideali? Che succederà a chi non riconoscerà la nostra verità?”
“Ucciderai i re di tali popoli, ed invaderai quel posto”
“Ma questo a che ci porterà?”
Nestore sorrise, i suoi denti si mostrarono in tutto il loro splendore. Si sedette, ed incrociò le braccia.
 “I templari sono guerrieri fenomenali. Uomini devoti che votano la propria vita alla preghiera ed all’allenamento. Il loro compito è proteggere il tempio sul Monte Trave e l’oracolo. Ma ciò che è ancora più importante è il cristallo della conoscenza, presente all’interno del tempio. È l’unico modo per ottenere udienza da Arceus. Ebbene. Noi dobbiamo impossessarcene, ed evocare Arceus. Lo cattureremo, lo indeboliremo, e in pubblica piazza lo uccideremo. Saremo i padroni di un mondo senza un dio. Capisci, Adamo?”
“Si, mio re”
“Se riuscirai in questa impresa, divideremo questi ampi territori, e ti regalerò quello che più ti aggrada. Diverrai re, Adamo. Ricchezze, donne, potere. Tutto per te. Ma dovremmo combattere contro i templari”
Adamo sorrideva. “Si, mio re”
“Bene. Ora esci fuori, motiva le tue truppe ed invadi Vallecometa”. Vallecometa era il centro cittadino più vicino a Nuovaluna.
"Si, mio re. Con permesso” e si dileguò.
Nestore rimase li. Sorrideva. Un sorriso ispido, ricco di rabbia.
Una rabbia che esprimeva sugli altri.
Ormai il suo piano si era delineato. Adamo avrebbe dovuto rendere vero quello che nei suoi sogni erano solo furori e pazzie.
 
 
La luce della luna risplendeva forte sugli scudi, sulle spade, sulle armature dei soldati.
Timoteo guardò Haxorus, poi Absol e Scyther. I suoi allenatori di spada. Ognuno di loro aveva delle lame, affilate e taglienti.
I suoi amici. I suoi guerrieri.
Si avvicinò ad Absol, accarezzandolo. Quello ricambiò con un sorriso. Era un esemplare bellissimo. Sembrava stare perfettamente a suo agio sotto la luce della luna.
Tutti i suoi soldati erano perfettamente schierati, i loro Pokémon davanti ai propri scudi.
Marcello guardò Timoteo, sorridente. Era carico, voleva dare una lezione a quegli uomini, odiosi e seccanti.
Haxorus guardava Gengar, che avanzava lentamente. Sogghignava, come suo solito.
 L’esercito degli ingiusti si stava schierando.
Adamo guardava il tempio con occhi bramosi. Nestore aveva bisogno di quel cristallo a tutti i costi.
Lui e Timoteo si squadrarono per un momento. Entrambi concentrati, entrambi fieri di quello che erano.
Timoteo fece la sua ultima carezza ad Absol, e si pose al centro delle sue truppe. Una truppa fatta di soldati, di uomini e Pokémon.
Anche gli ingiusti avevano truppe formate da tali schieramenti, la differenza però era netta: Haxorus, e gli altri Pokémon del suo schieramento erano amici degli umani, e lottavano per difendere il tempio. Anche loro si battevano per il loro dio, anche loro combattevano per Arceus. Tra i templari ed i loro Pokémon c’era un legame mistico, un filo che li teneva uniti tra di loro, nella gioia e nel dolore. Nessuna differenza, nessun tipo di pregiudizio ne scala di valori. Gli unici valori che vigevano in quel contesto erano quelli militari. Tutti stavano a ciò che diceva Timoteo. Subito dopo, in uno schema a piramide, c’erano gli altri, tra umani e Pokémon.
Tra gli ingiusti ed i loro Pokémon, invece, non esisteva nessuno stato di parità. I primi erano i padroni, gli altri i servi. E ciò bastava a far capire il tutto. Nonostante di natura quei Pokémon non fossero malvagi, furono inquinati dai pensieri dei loro padroni. Ed erano costretti a combattere. Quelli erano stati iperallenati fino allo sfinimento, basandosi su un sistema di premi e punizioni. Se riuscivano ad ottenere quello che i loro padroni volevano, i Pokémon potevano mangiare, bere, rilassarsi. Altrimenti niente. Ed i maltrattamenti continuavano. Venivano tenuti in cattività, quando non si allenavano, non uccidevano e non stavano nelle loro sfere, venivano tenuti in gabbia.
Fu proprio per via dei metodi di allenamento degli ingiusti che Arceus inveì contro il mondo che egli stesso aveva creato.
Timoteo guardava Adamo sguainare la spada, puntarla contro il tempio ed urlare qualcosa.
Come in ogni battaglia, il capo dei templari diede le spalle al nemico, guardando le sue truppe. Uomini e donne, stanchi, ricchi di paure e sonni non trascorsi tra le braccia di chi amavano.
“Questa... questa è probabilmente la mia ultima battaglia. Si. Perché oggi sconfiggeremo definitivamente i nostri avversari. Lo faremo, per noi e per loro. Per Prima, e le altre donne che vivono su, nel tempio. E sopra ogni cosa lo faremo per Arceus”
Il volto di Marcello si indurì.
“Sapete cosa vedo davanti? Vedo uomini stanchi, e vogliosi di tornare a casa, tra le loro famiglie. Di divertirsi, e sorridere, senza il peso che questo esercito di pazzi porta alle nostre anime. Ed è proprio alle nostre anime che dobbiamo parlare, chiedendo loro di mantenere strette le catene della nostra concentrazione. Non lasciamoci andare oggi. Non perdiamo. Non perdiamo le nostre vite, non perdiamo i nostri amici. Io... io lotterò per Prima. Voi per chi lotterete?”
Un leggero brusio si alzò.
“Benissimo. Per Arceus” disse Timoteo, alzando la spada verso Adamo.
“Per Arceus!” urlò l’esercito alle sue spalle.
La guerra cominciò. Prima vide dall’alto una scena incredibile. Uomini e Pokémon coperti di bianco entravano in uno schieramento di elementi neri come la pece, formando una miscellanea strana.
Come se ci fossero tante stelle in un cielo profondamente scuro.
Come se un onda si abbattesse sul bagnasciuga e ristagnasse li, riempiendo piccole pozze.
Preoccupata, Prima andò da Abra, e gli ordinò di trasmettere nella pozza d’acqua le immagini di Timoteo e della sua battaglia.
 
Timoteo strinse la spada, e prese a correre verso Adamo. Haxorus lo seguì. Gengar lo stava aspettando.
“Non l’avrai vinta!” urlò il templare, attaccando forte con la sua spada. Adamo alzò lo scudo, e contrattaccò. La spada di Timoteo fermò quella di Adamo.

 

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Capitolo 11
*** Secondo Interludio 2°Parte ***


Secondo Interludio - Pt. 2


Da sempre i due si rivaleggiavano, ma nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro.
La spada di Timoteo stava a pochi centimetri dalla sua fronte, quella di Adamo spingeva, per affondare nelle carni di quell’uomo che tanto odiava.
Doveva riuscire a vincere quella battaglia. Doveva arrivare al tempio, e prendere il cristallo.
Il cristallo.
L’unica ragione di tutta quella solfa, di quello spargimento di sangue.
L’unico modo di far apparire Arceus. Ed allora Nestore avrebbe avuto la possibilità di catturarlo, e di ottenere tutto ciò che voleva.
Dopodiché avrebbe reso Adamo ed i suoi uomini delle persone schifosamente ricche. Adamo si immaginava già capo di una grande metropoli. Metropoli che avrebbe portato a diventare la capitale di un enorme stato, che lo avrebbe venerato come unico re.
Doveva esaudire questa sua sete di potere ad ogni costo, avrebbe ammazzato anche Nestore se ce ne fosse stato il bisogno.
E Timoteo e quell’esiguo rimasuglio di esercito erano il suo ostacolo.
Da levare di mezzo.
Eticamente non era corretto far attaccare gli umani dai Pokémon, ma ad Adamo non era mai importato nulla dell’etica.
“Gengar!”
Quello stava scansando i Dragopulsar di Haxorus. L’allenamento del templare con il suo drago erano stati molto intensi, tanto da rendere quest’ultimo indipendente in battaglia.
Il fantasma distolse per qualche secondo lo sguardo dall’avversario, ciò lo costrinse ad abbassare la guardia.
“Vai Haxorus, ora!” urlò Timoteo, dando una pedata sulle gambe di Adamo, facendolo ruzzolare per terra.
Haxorus, come se fosse stato temprato dalle parole del suo compagno, usò un forte Lanciafiamme su Gengar, che accusò il colpo, balzando indietro. Il viso dello spettro era contrito.
“Gengar, usa Palla ombra su Timoteo!” urlò Adamo da terra. Haxorus ruggì, ma non riuscì ad evitare che la sfera oscura prodotta dalle mani di Gengar partisse.
Ad alta velocità stava per raggiungere Timoteo. Questo sapeva che il suo scudo sarebbe servito a poco, e che se fosse sopravvissuto a quell’attacco, non l’avrebbe fatto senza pochi danni. Nonostante tutto era coraggioso e carico. Prima non mentiva. E gli aveva detto che sarebbe stato del fuoco ad ucciderlo, fuoco e null’altro.
Fermo restando questo, la sfera oscura si stava avvicinando. E lo stava per colpire. Si nascose dietro allo scudo, cercando di lasciare scoperta il meno possibile dall’abbraccio di quella protezione inefficace.
Haxorus ruggì ancora, riprendendo ad usare Dragopulsar su Gengar, come se non dovesse accadere nient’altro.
“Cosa... cosa è successo?”
La confusione della guerra circostante si calmò per un momento, e lui cacciò la testa fuori.
Absol era fermo, sguardo contrito assetto basso. Era pronto ad attaccare.
“Grazie, Absol!” urlò Timoteo, rialzandosi, cercando di quantificare quanto fosse ignobile quell’uomo. “Palla ombra non ha fatto un graffio al mio amico Absol”
“L’ho visto...” Adamo sbuffò, sembrava quasi volesse bruciare Timoteo con lo sguardo. Poi diede un urlo enorme, attaccando Timoteo con forza. La spada voleva andarsi ad infilare tra il collo e la cassa toracica, ma lo scudo bloccò ancora l’attacco. Con un veloce strattone, Timoteo gli fece cadere la spada, e gli diede un forte calcio alle ginocchia.
“Arrenditi, Adamo, e stasera non morirai”
“Sarai tu a morire! Gengar, vai con Ipnosi!” e finalmente, ricevuto l’ordine, Gengar attaccò Haxorus, mettendolo a dormire.
“No! Absol, pensa a difendere Haxorus!” poi girò lo sguardo verso Adamo. “E tu smettila di fare il vigliacco, e lotta ad armi pari contro di me!” un forte colpo di spada andò a battere rumorosamente contro lo scudo di Adamo, che contrattaccò, raccogliendo la sua spada da terra, sbattendone violentemente il manico sul torace protetto dall’armatura del templare. Timoteo barcollò, poi cadde, stordito.
Marcello accorse, preoccupato. “Timoteo! Come stai?!”
“Sto bene. Pensa a lottare piuttosto” rispose il capo dei templari, rimettendosi lentamente in piedi. Fu in grado di vedere Scyther lottare contro la spada di Adamo, che sarebbe andato volentieri a finire Timoteo.
“Scyther, cerca Makuhita e portalo qui!”
La mantide si dileguò velocemente, mandando a vuoto l’attacco di Adamo, colpito poi sul volto da un pugno di Marcello.
“Torna di là, Marcello, ed aiuta chi è in difficoltà”
“Si, Timoteo”, fece, e poi sparì. Timoteo prese la sua spada da terra, ma si rese conto che Adamo era sparito dalla sua visuale. Poi si girò di spalle, e quello lo colpì ancora al volto, stavolta con lo scudo.
Dolore atroce.
Timoteo urlò, il sangue si espanse sul suo volto da una ferita sulla fronte, andando a sporcare la candida armatura.
Ora era davvero infuriato. Con la spada prese a martellare forti colpi sullo scudo, in serie. Stringeva l’impugnatura e rilasciava la sua rabbia sullo scudo di Adamo. Le onde d’urto che inferivano i colpi sulla difesa del malvagio facevano in modo che quello indietreggiasse.
 “Tu!” e poi un colpo. “Non” altro colpo. “Puoi” ancora. “Fare così!” questa volta il colpo fu davvero tremendo, tanto da spaccare lo scudo in due pezzi, e da scheggiare la spada.
Adamo giaceva impaurito per terra. Timoteo sferrò un potente calcio sul volto di quello, che poi perse conoscenza.
Intanto Scyther era arrivato assieme a Makuhita.
“Eccoti, meno male. Usa Svegliopacca su Haxorus, presto”
Detto fatto. Timoteo ringraziò il Pokémon lotta e si guardò attorno. Non c’erano fiamme. Si combatteva alla luce della luna, che quella notte stava dando il meglio di se.
Forse Prima si sbagliava.
Tornò a guardare Adamo. Giaceva ancora per terra, muovendosi lentamente. Non riusciva ad alzarsi.
Nonostante odiasse uccidere, Timoteo si trovava costretto a farlo.
Adamo era un individuo pericoloso, ed avrebbe fatto correre rischi impensabili a tutte le persone devote e di buon cuore.
“È finita, Adamo”. Timoteo impugnò la spada e portò la lama scheggiata accanto al volto del malvagio.
“Tu... tu non potrai fermare la distruzione. Siamo fatti per questo. Per rompere, per abbattere tutto ciò che è stato creato. Voi non capite che Arceus si ciba di voi. Vi utilizza come mezzi per vivere, riempiendo con la vostra felicità la sua pancia. Io so che per te è assurdo ascoltare le mie parole. Ma io non voglio che nessuno possa controllare le mie volontà, sfruttare i miei stati d’animo, punirmi se sbaglio. Nessuno può punirmi”
Timoteo ebbe un accenno di sorriso, inarcando un sopracciglio. “È quello che sto facendo”. Gli diede un altro calcio poi, nello stomaco.
Adamo sputò sangue sulla lama della spada del templare. Pochi metri dietro di lui vi era un precipizio, molto ampio, in cui quella notte erano caduti centinaia di Pokémon ed allenatori. Gli sembrava strana quella calma, mentre urla e morti si susseguivano come note su di un pentagramma.
“I miei Pokémon mi vendicheranno” disse Adamo, asciugandosi dal sangue e dalla saliva che gli sporcava il volto.
“Tu hai solo un povero sfortunato Gengar che non sa agire da solo. Sta cercando di scampare agli attacchi di Haxorus e di Absol, ma tra poco sarà il suo turno. Lo cattureremo con le sfere pulitrici costruite dall’artigiano, lavando via le macchie che hanno sporcato la sua anima. E lo addestreremo a fare del bene”
“Ti sbagli se credi che io abbia solo Gengar. E comunque posso ancora dare degli ordini ora. Muk, attacca!”
D’improvviso Marcello si sentì immobilizzare le gambe. Un Muk, tanto puzzolente quanto grosso, aveva invischiato le sue gambe, immobilizzandole con il suo corpo.
“No! Noctowl aiutami!”
Marcello però non si era accorto che uno Skarmory aveva sconfitto Noctowl, che ora giaceva esanime.
E fu così che Marcello fu inghiottito da quella melma mobile. Pochi attimi dopo, Muk si ritirò, lasciando per terra il corpo esanime ed irriconoscibile di Marcello, con l’armatura bruciata dagli acidi interni del suo corpo, che avevano reso una tavolozza scombinata la sua faccia.
Marcello era morto.
“No! Bastardo!” un altro calcio di Timoteo rivolto verso Adamo lo avvicinò al precipizio.
“Gengar...” quello affannava. “...occupati di Prima. Ora”
“Non toccare Prima!” urlò Timoteo, che colpì con violenza immane la faccia di Adamo, che ricadde indietro, tuffandosi nel vuoto del precipizio.
Adamo era andato. Morto.
Gengar, invece, fluttuava in aria, a grande velocità, e si avvicinava velocemente alla scalinata degli eroi.
 “No, dannazione! Haxorus, Scyther, Absol, e chiunque possa farlo! Fermate Gengar!”
Timoteo si limitò a dire quello. Il terrore bloccò i suoi arti. La spada cadde dalle sue mani. Poche decine di templari stavano fronteggiando ancora meno ingiusti, centinaia di cadaveri e di feriti stavano su quel terreno come foglie cadute in autunno.
Sangue ed odio erano riversati nell’aria, la morte camminava tra di loro con una disinvoltura quasi imbarazzante.
Si era portata via anche Marcello.
Marcello non c’era più. C’era solo un corpo esanime. Chiuse quello che rimaneva delle sue palpebre, le pupille erano state interamente bruciate e disciolte dall’acido di quel Muk che ora giaceva sotto forma di pozza.
Guardava Gengar viaggiare spedito, mentre fluttuava verso il tempio. La foresta, con i suoi colori scuri, che costeggiava la scalinata del monte Trave, riusciva a mimetizzare il fantasma. Haxorus però riusciva a stargli dietro. Poco dopo c’era Scyther e più distante uno stanco Absol. Avevano dato tutto quella sera, ma la battaglia era quasi vinta.
E di fuoco nessuna traccia. Possibile che Prima avesse sbagliato?
 
 
No.
 
 
Haxorus rincorreva Gengar, standogli a meno di cinque metri di distanza. Il ghigno malefico dello spettro innervosiva il drago, che ruggiva, lanciandogli enormi lanciafiamme contro. Quello però era più rapido, e riusciva abbastanza facilmente a scansare gli attacchi di Haxorus. Molti si schiantarono contro la pietra della montagna, facendo alzare in volo numerosi stormi di Pokémon. Altri presero in pieno gli alberi della foresta.
Ed un incendio divampò in maniera magniloquente.
Un incendio che non conosceva ragioni. Arceus stava cominciando a riprendersi ciò che era suo. Partendo dal monte Trave. E sul monte Trave c’era il tempio.
“No! Prima!”
Timoteo prese a correre, appesantito dal suo equipaggiamento. Non vedeva più niente di tutto ciò che aveva attorno, non sapeva su cosa stava muovendo i suoi passi, se fosse il normale campo di battaglia oppure qualche corpo senza vita.
Dapprima lasciò lo scudo sul campo di battaglia. Quello pesava e non poco.
Poi gettò anche la spada.
Doveva correre, salire i mille scalini, provare a raggiungere il tempio prima del fuoco.
Ma le sue gambe non potevano farlo.
Era troppo stanco ed appesantito.
“Haxorus!” urlò. Quello si voltò, ruggendo, mentre continuava a correre.
“Scyther, presto insegui Gengar e fermalo. Vai con Extrarapido!”
La mantide velocemente sfruttò la mossa per scattare davanti allo spettro, che spaventato attaccò con un attacco Ipnosi, che non andò a segno. Scyther utilizzò Nottesferza, mossa che si rivelò efficace. Gengar lentamente prese ad accasciarsi.
“Haxorus vieni! Scyther, mettilo fuori combattimento! Absol, aiuta chi è in difficoltà!”
Timoteo levò l’armatura, rimanendo a petto nudo e con i calzoni che usava di solito sotto la sua protezione. Poi salì in groppa ad Haxorus.
“Ora! Andiamo al tempio!”
Haxorus ruggì di nuovo, e prese a correre velocemente verso la cima del monte, salendo le scale sei alla volta, mentre le fiamme divampavano ai fianchi di esse.
Sapeva che sarebbero stata la causa della sua morte, ma doveva provarci. In quel momento non pensò neanche al fatto che potesse morire.
Ed invece, arrivati più o meno alla fine delle scale dei mille eroi, le fiamme presero il sopravvento sulla sua voglia di salvare Prima.
E morì.
Bruciato dalle fiamme del suo amico, Haxorus. Entrambi lasciarono quel mondo con le lacrime al viso.
 
 “Devi scappare! Ora!” urlò Olimpia.
Abra fluttuava  a mezz’aria, e poco lontano da lei c’era Prima, distrutta dal pianto, seduta per terra, con la testa e le braccia sul suo letto.
“Prima! Le fiamme stanno distruggendo il tempio!”
“Non importa! Non mi importa niente! Timoteo è morto, ed io l’ho visto con i miei occhi! Stava venendo qui a salvarmi!”
“Prima...” Olimpia si avvicinò e si sedette sul letto. “...Timoteo ha fatto quello che doveva. Il suo dovere era fermare gli ingiusti. Hanno vinto la battaglia.
Abbiamo vinto la battaglia”
“Lui è morto!”
Olimpia fissava la giovane. “Guardami”
Quella alzò il viso, cercando di focalizzare il viso dell’anziana. Nel fantastico caleidoscopio che le sue lacrime avevano creato, il volto di Olimpia sembrava di troppo.
“Lui non è morto. Lui è vivo. Dentro di te”
“Come?”
Olimpia si alzò, e prese per mano Prima. La fece sollevare dal pavimento, e la mise in piedi. Poi sorrise, e le toccò la pancia.
“Qui c’è Timoteo. Il tuo Timoteo è qui. Ha voluto lasciare un pezzo di se all’interno della tua anima”
“Come?” chiese ingenuamente Prima, stupita dalla notizia.
“Darai al mondo un erede. Ma devi scappare da qui. Nei pressi della cascata di Zefira c’è una piccola grotta. Vai li, e cresci il tuo bambino”
Prima guardava shoccata Olimpia.
“Sandra verrà con te, e ti aiuterà”
“O-ok” tentennò Prima, scossa dai singhiozzi e dalle lacrime.
Olimpia prese ancora le mani dell’oracolo.
“Cosa più importante, però, è che tu porti in salvo con te questo”. Olimpia diede una scatola di pietra, piena di intarsi bellissimi.
“È il cristallo sacro ad Arceus. Se questo venisse perso, non potremmo più metterci in contatto con lui”
“Ok”
“Abbine cura”
“Si, Olimpia”
“Ora vai”
Prima annuì. Posò per un attimo il cofanetto sul letto e strinse forte Olimpia.
Quella sorrise. L’aveva letteralmente cresciuta ed educata per adempiere ai suoi doveri.
Era come una figlia per lei. Quella figlia che non aveva mai potuto avere.
L’abbraccio durò il più del previsto, e senza accorgersene le fiamme divamparono nella stanza.
“Sandra!” urlò Olimpia. Quella accorse velocemente con una tinozza, cercando invano di spegnere il fuoco.
“È inutile! Vieni qui!” urlò ancora l’anziana.
Sandra si trovò spaesata davanti alla richiesta di raggiungerla senza spegnere le fiamme. Olimpia le mise una mano sulla spalla.
 “Prenditi cura di lei”
Le fiamme inghiottivano velocemente tutto.
“Vieni anche tu, Olimpia!” urlò Prima.
“No. Io devo stare qui. Abra, Teletrasportati alle cascate”
E fu così che le fiamme inghiottirono il tempio. Ma Prima ed il cristallo erano in salvo.
In fondo era quello che interessava.
Che il cristallo fosse in salvo. E che Prima fosse con esso.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo Quarto: Decisioni ***


Decisioni - Pt. 1


“È la sera che mi piace. A dire il vero è il momento della giornata che preferisco di più. La gente per le strade è poca, il sole non illumina tutto... e non ti fa vedere quello che c’è...” sospirò Zack.
La casa di Alma era davvero calda, e nonostante fuori ci si avvicinasse allo zero, i ragazzi godevano della temperatura e dell’ottima scelta della professoressa di montare un condizionatore.
Alma scribacchiava qualcosa su di un quaderno, seduta al tavolo della cucina, e non faceva caso alle parole del giovane, mentre un sassofono risuonava dalle casse di una radio polverosa e stagionata.
Rachel rimaneva li ad ascoltare le parole del ragazzo, cercando di capire per quale motivo si trovasse li.
Si, scappava da Ryan. Ed il motivo preciso non lo sapeva nemmeno bene.
In fondo Ryan l’aveva sempre trattata con dolcezza e le aveva dato tutto l’amore che un fratello le potesse dare.
La rabbia, però, imbruniva il suo viso, increspava la superficie liscia dei suoi occhi, inclinava la forma a cuore delle sue labbra, a formare qualcosa di diverso. Qualcosa di spontaneo, che non si riusciva a nascondere.
“...non sempre siamo obbligati a guardare quello che l’universo ci impone di vedere. Qualche volta basta chiudere gli occhi. Ed immaginarsi una vita nuova. Normale.”
Il ragazzo pose le mani sul vetro, congelato, e come se avesse perso le forze, vi poggiò anche la fronte.
Un respiro caldo creò la condensa sul vetro, e lui, scoraggiato, vi scrisse sopra “Why?”.
Poi si arrese alla stanchezza e alle emozioni del giorno, e se ne andò a dormire.
Rachel lo vide, e decise di darsi un contegno. Risistemò l’equilibrio del suo volto, e poi si alzò.
Si avvicinò alla finestra, lesse la scritta, ormai sbiadita, su quel vetro che sembrava essere di ghiaccio, e guardò la porta chiusa dove Zack si era rifugiato.
“Che cosa ha passato per buttarsi giù in questa malinconia così velocemente?” si domandò tra se e se.
“Il passato pesa, Rachel” rispose Alma, noncurante di tutto ciò che avveniva attorno a lei. Almeno di tutto ciò che non facesse rumore.
“Non lo dica a me... ma... è strano. Stamattina sembrava così energico, e ieri era gentile. Oggi pomeriggio riflessivo, mentre stasera era depresso”
“È un tantino umorale, il ragazzo, c’è da ammetterlo. Ma ci deve essere qualcosa che gli toglie la serenità. Ecco perché parte sempre all’avventura. Cerca un modo di abbandonare i suoi pensieri”
“Ma questo non è possibile...” realizzò Rachel, a bassa voce.
“Esattamente”
“E cosa gli è successo?”
“Io non lo so. Abbiamo un buon rapporto, io e Zack, ma non si è mai aperto volontariamente con me. Ed io non sono una persona che di solito chiede”
Rachel fece una smorfia col volto, consapevole che la professoressa non avrebbe potuto vederla, in quanto concentrata nella stesura di qualcosa. E la smorfia stava per: “è naturale che tu non chieda mai, bella come sei non hai mai avuto bisogno di chiedere niente”. La sua voce interna sembrava un tantino infastidita, ma lasciò correre, e tornò a guardare il vetro.
Why? Perché? Il suo passato. E poi Ryan comparve nella sua testa, a sprazzi, come un lampo, più volte. Digrignò i denti, Rachel, ed abbassò il volto. I capelli corvini le ricaddero davanti, rendendo impossibile a chiunque volesse il mettere a fuoco il suo viso. Ma tanto Alma non sembrava essersene accorta.
“Da dove viene, Zack?” domandò la ragazza, cercando di cambiare discorso, per distrarsi da quelle epifanie costanti e fastidiose.
“La sua famiglia è originaria di Adamanta. Ma lui è nato a Kanto. A Celestopoli, per la precisione”
“Non ci sono mai andata”
“È da vedere. Una bella cittadina”
“Ed è partito da lì”
“Si. Circa 10 anni fa”
“Ok... bene...”. E poi calò il solito silenzio imbarazzante di quelle situazioni. Fu quasi forzato, Rachel vedeva Alma impegnata a scrivere, e non aveva alcuna intenzione di disturbarla. Almeno non più di quello che già faceva.
“Ehm... che... che cosa sta...” Rachel allungò le mani puntando il quaderno, e mutilando la sua frase sul punto di domanda.
“È un promemoria per voi, ragazzi”
“Cosa?!”
“Promemoria” sorrise Alma, per via del tono di voce della giovane. Per la prima volta alzò gli occhi dal quaderno e la guardò. “Vi sto annotando alcune cose importanti riguardanti la leggenda e l’utilizzo del cristallo. Purtroppo risulterà inutile se non troverete una persona con le giuste caratteristiche”
“Ovvero? Quali sono?”
“Beh... la leggenda parla di una donna, vergine, e dall’animo realmente puro e devoto”
“Andremo a cercare in un convento” sorrise Rachel. Riuscì a strappare un sorriso ad Alma.
“Bene. È tardi. Ti preparo una coperta... il divano non sarà comodissimo, ma è il massimo che posso offrirti. A meno che tu non voglia dormire con Zack”
“Non credo sia il caso, no. Il divano andrà più che bene”
“Lui è entrato automaticamente li, perché quando viene ad Edesea soggiorna da me, di solito”
“Oh, certo. Si, naturalmente”
“Ok”
La bella donna, che finalmente aveva visto senza camice, si dileguò, e tornò dopo poco con delle coperte ed un cuscino.
“Domattina io scenderò presto. Spero di non svegliarti”
“Non si preoccupi”
“E dammi del tu. Non sono così vecchia”
Rachel sorrise. “Ok, Alma. Buonanotte, e grazie”
Alma sparì, e Rachel si preparò per andare a dormire.
Davanti allo specchio, fievolmente illuminato da una lampadina sulla via di non ritorno, si pettinò per bene i capelli con la spazzola che si era portata da casa, mentre Zorua, che aveva fatto uscire attimi prima, si stiracchiava. Non era abituato a rimanere nella sua sfera, ma per forza di cose, il pavimento non era più un posto tranquillo.
“Eh... Zorua, eccoci qua... protagonisti della nostra storia... il nostro viaggio”
Zorua la guardava, ma non riusciva a capire il senso delle parole della giovane.
“Partiremo con Zack, cercheremo di salvare Adamanta. In realtà credo che la cosa avrà effetti planetari... ad ogni modo è una cosa importante. Tu sarai con me?”
Zorua saltellò sulle gambe di Rachel, e si appallottolò.
“Questo è un si...” sorrise.
La ragazza continuava a spazzolare, chiedendosi perché avrebbe dovuto seguire Zack in quella folle impresa. Insomma, oltre ad essere un totale sconosciuto, che le aveva salvato la vita, ma dettagli, non sapeva niente di lui. Poteva essere un violentatore, uno stupratore, un maniaco feticista o chissà cos’altro. No, non era saggio partire all’avventura per salvare il mondo.
Sorrise. Quanto era mainstream quella cosa. Stavano andando a salvare il mondo.
Le piaceva la cosa. Le piaceva molto.
Ma con uno sconosciuto... cioè... le sembrava improbabile.
Era stata catapultata all’improvviso in un mondo strano, fatto di doveri e di persone straordinarie, capaci di stupirti con incredibile semplicità.
Zack era bravo abbastanza per riuscire da solo in quella strana ed improbabile avventura.
Insomma, aveva paura di sentirsi d’intralcio. Magari avrebbe fatto danni, casini, che avrebbero rallentato il ragazzo.
Quello strano ragazzo.
Sbuffò. I pensieri si annodavano nella sua testa come se all’interno vi fosse il migliore dei marinai.
Almeno non pensava a Ryan.
“Oh, cavolo!”
Aveva pensato al fatto che non lo stava pensando, e si rese conto di averlo pensato. Zorua fu leggermente disturbato dalla stizza della ragazza, ma non si svegliò.
I capelli erano pettinati, fin troppo. Li legò in una pratica coda, e decise che quella giornata doveva decisamente finire.
 
 
Era notte fonda, ma Ryan aveva finito da poco di caricare i documenti del padre presenti in casa sul furgoncino del sottoposto di quello strano tizio. Quando, nel pomeriggio, altri sconosciuti avevano cercato di entrare in casa per prendere la documentazione presente, il ragazzo si era fermamente opposto. Non voleva che degli sconosciuti frugassero in casa sua, anche solo per pochi minuti.
Ora che il camion era carico Ryan era di nuovo seduto in quel che restava del soggiorno, mentre Lionell e la ragazza al suo fianco (che aveva scoperto si chiamasse Marianne) discutevano su quale via fosse meglio percorrere viste le condizioni del manto stradale. Non ne sapeva molto di loro, l’uomo gli aveva accennato che era a capo di un’associazione paragonabile ad un gruppo di vigilantes. Il loro nome era Omega Group. Gli era stato detto che avevano una sede principale a Timea, ma anche altre succursali in vari punti della regione, erano economicamente indipendenti grazie all’incredibile fiuto per gli affari del loro fondatore e spesso partecipavano ad opere filantropiche.
Niente di tutto questo lo interessava.
Ma capire le reali dimensioni dell’organizzazione che aveva di fronte e sapere che sarebbero state impiegate anche per cercare Rachel lo tranquillizzava abbastanza da costringerlo a cooperare. I suoi occhi cremisi erano cerchiati dalla stanchezza. L’orologio era caduto e si era fermato durante la prima scossa di terremoto e non aveva idea di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che avesse dormito decentemente.
Sembrano essere passati secoli...’ pensò stancamente. Lionell gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla.
“Immagino che sarai distrutto, ragazzo.” disse calmo “Questo posto non è più sicuro per dormirci. Vieni con noi a Timea. Lì potrai sapere subito se avremo notizie su tua sorella e appena saprai potrai raggiungerla immediatamente.”
Si accorse di non riuscire a distinguere le parole dell’uomo come avrebbe voluto, la stanchezza iniziava a compromettere seriamente le sue capacità. Tuttavia da quel che poteva capire la proposta era sensata.
“In più devi darci una mano con il lavoro di tuo padre. Abbiamo davvero bisogno di te” Gli tolse la mano dalla spalla, mentre tornava a parlare con la ragazza.
Ryan fu solo vagamente cosciente di aver annuito.
Salì sul furgone assieme a Marianne e sprofondò in un sonno denso e nero.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo Quarto: Decisioni 2°Parte ***


Decisioni - Pt. 2


La porta di casa si chiuse leggermente, ma era riuscita ugualmente nell’intento di svegliare Rachel.
Quel divano era più scomodo di quanto pensasse. Zorua, al contrario di lei, sembrava essere fresco e riposato.
Mosse lentamente le spalle, con la paura di rompersi qualche osso, mettendosi a sedere. Zorua rotolò pigramente sul cuscino, riscaldato dalla testa della sua allenatrice.
“Ben svegliata” disse Zack, con un accenno di sorriso.
Era seduto al tavolo, proprio dove Alma era seduta la sera prima, con una tazza di caffellatte in mano mentre sfogliava un quaderno.
“Ciao”
“Dormito bene?”
“Tutt’altro. Che fai?”
“Colazione”
“Intendo l’altro...” indicò con l’indice della mano sinistra. “Cosa leggi?”
“Ah. Sono gli appunti che ci ha lasciato la professoressa”
“Posso leggerli anche io?”
“Devi. Altrimenti non potrai accompagnarmi”
Rachel si stiracchiò, stendendo le mani al cielo, e stringendo i pugni, poi crollò di nuovo distesa, accanto al muso di Zorua, che si spaventò, e si alzò di scatto, abbaiando.
“Calmati, Zorua, sono io...” fece tranquilla Rachel.
“Allora? Andiamo?”
“Dove vuoi andare?”
“Ad allenarci”
“Allenarci?”
“Già. Non dimenticarti che hai appena catturato un Blitzle, e che non hai nemmeno fatto la sua conoscenza”
“Hai ragione. Devo allenarmi”
“Non puoi partire all’avventura senza essere sufficientemente pronta”
Rachel si alzò ed andò a sedersi accanto a lui. Si versò una tazza di caffellatte e guardò Zack.
“Hai deciso da solo che ti dovessi accompagnare”
“Non sei d’accordo?”
“Non è questo. È che non ti conosco nemmeno, non vedo perché debba seguirti. Potresti anche essere un delinquente”
“Non lo sono”
“E a me chi lo dice?”
“Mi piace la tua compagnia. E dopo quello che è successo al bosco pensavo che... insomma... fossimo dentro questa storia insieme...”
Rachel pensò a Braviary e gli vennero i brividi. “Io dovevo andare a Timea...”
“...a portare qualcosa ai tuoi zii, si lo so, ma non ti sembra ridicola come scusa?”
“Non sono brava a mentire” sorrise lei, portando la mano alla testa.
“Avanti... che sarà mai? È un’avventura!”
L’entusiasmo di Zack strappò un altro sorriso alla ragazza. Lo guardava, era li, con i capelli arruffati, gli occhi verdi ed uno strano pigiama blu, assieme al suo immancabile sorriso smagliante.
Le doleva ammetterlo, ma quello strano e odioso ragazzo, che pareva perfetto, ma anche l’essere umano più sbagliato della terra, era carino.
“So che è un’avventura... ma ho paura”
“Di cosa?”
“Di perdermi”
“E cosa c’è di brutto nel perderti, quando non sai dove andare?”
Rachel sbatté le palpebre, abbassando gli occhi. Zack aveva ragione.
“Puoi fidarti di me. Oppure no, non farlo. Ma resta il fatto che, anche se ci conosciamo da pochissimo tempo, mi sei simpatica. Ed ho bisogno di qualcuno che mi segua, che mi faccia compagnia e che mi spalleggi. Potrei trovare qualcosa di troppo forte da fronteggiare da solo. In un certo senso... si, ho bisogno che mi aiuti”
“Hai bisogno di me?”
“Si”
“Perché proprio io?”
“Perché non tu?”
Rachel sorrise. E poi annuì. “Ok... ti seguirò. Partiremo insieme”
“Ottimo!” esclamò Zack, talmente pregno di energia che cadde dalla sedia.
I due si vestirono, e raggiunsero lo spiazzo dove il giorno prima Alma li aveva messi al corrente della leggenda di Arceus.
Zack era di fronte a Rachel, Braviary si manteneva in aria sbattendo energicamente le ali.
Era una lotta.
“Vai Wizard!” gridò la ragazza mentre dalla sfera uscì l’esemplare di Blitzle che aveva catturato il giorno prima.
“Wizard?” Il ragazzo la guardò incuriosita, mentre inclinava la testa.
“È il suo nome. L’ho appena deciso.” replicò Rachel soddisfatta dell’aria sorpresa di Zack.
“Dai soprannomi ai tuoi Pokémon? Lo ha anche il tuo Zorua?” Continuò a interrogarla il ragazzo, con i brillanti occhi verdi a metà fra lo stupito e il divertito.
“Bé... no. Ma lui è speciale. È stato il primo Pokémon che io abbia mai catturato. Un momento magico” annuì ancora più soddisfatta la giovane.
“Oh. Ok. Bé, per me possiamo cominciare” decise di concludere lui, accettando il nomignolo del Pokémon della ragazza e l’inspiegabile soddisfazione che le procurava.
“Ma Blitzle è un Pokémon elettrico. Non sarà difficile per Braviary?” domandò ingenuamente Rachel.
Zack sorrise. “Braviary è abituato a questo ed altro. Piuttosto, conosci le mosse e le caratteristiche del tuo Pokémon?”
“Sul Nintendo era facile da allenare”
“Questa è la vita vera”
“Ne sono al corrente. Wizard, usa scintilla!”
Blitzle soffiò l’aria con il naso, battendo lo zoccolo per terra. La sua criniera cambiò colore, e partì un fendente fatto d’energia elettrica, in direzione di Zack e Braviary.
“Dannazione! Braviary, volo!” urlò Zack, gettandosi velocemente per terra, nel tentativo, vincente, di evitare l’attacco di Blitzle. Braviary non fu così fortunato, ma sembrò non aver subito grossi danni.
“No, Wizard! Non attaccare anche Zack! Lui è nostro amico! Ed anche Braviary... ma lui deve andare al tappeto”
Zack si rialzò, ed guardò il suo Pokémon, in alto, mentre aspettava il momento migliore per attaccare.
“Attento, Blitzle! Sta per scendere in picchiata!”
“Attendi Braviary!” urlava l’altro.
Rachel ragionò. Quel Pokémon uccello era molto potente. Doveva cercare di evitare l’attacco.
“Wizard! Doppioteam!”
“Non può usare quella mossa, se non gli viene insegnata!” urlò Zack, dall’altra parte del campo.
“Eh?!”
“Uff... Braviary, attacca!”
“No, Blitzle! Attento!”
Ma Braviary lo colpì in pieno. Bastò una mossa, e la zebra andò K.O.
“No! Wizard!” Rachel corse verso la zebra, che stava per terra. L’attacco di Braviary era di una potenza inaudita. Blitzle sbatteva gli occhi lentamente, e si muoveva con difficoltà.
“Come sta?” chiese Zack.
“Male! Perché ha attaccato con tutta questa potenza, il tuo Braviary?!”
“Lui attacca così, non è colpa sua... avresti dovuto aumentare l’elusione di Blitzle”
“Ho provato ad usare Doppioteam, infatti!” urlò quella, arrogante.
Zack portò le mani ai fianchi, poi sospirò. Tornò allo zaino, e portò con se uno strano disco ed una pozione.
“Cura il tuo Blitzle” le porse il rimedio spray quello.
“Grazie...” fece Rachel, scura in volto. “Cos’è quello che hai in mano?”
“È Doppioteam”
“Cosa?”
“È una MT. Macchina Tecnica”
“So cos’è”
“Insegnala a Blitzle se proprio vuoi”
“E... e tu? Non ti serve?”
“No, uso una strategia differente dalla tua”
“Strategia?” chiese ancora la ragazza, stavolta più confusa di prima.
“Si. Tu sei attendista. Io invece cerco di crearmi sempre dei vantaggi... certo, con te non sarebbe servito a nulla, i tuoi Pokémon hanno bisogno di più allenamento per mettere Braviary o Lucario in difficoltà”
Rachel si inacidì. “Growlithe però stava per cedere. Sono convinta di poterlo battere”
“La prossima volta, magari. Credo sia meglio fare un po’ di allenamento individuale”
“Giusto. Aspetta che...” Rachel poggiò la MT sul Pokémon, che fu avvolto da una strana luce. Quello si agitava, irragionevolmente.
“Ecco fatto. Ora ha imparato Doppioteam” sorrise Zack.
“Grazie”
“Di niente”
 
Qualche ora dopo i due tornarono nel centro Pokémon di Edesea.
“Oh, Zack!” lo chiamò l’infermiera.
“Si?”
“È appena arrivata una telefonata da parte di Bill. È in linea”
“Oh, perfetto!”
Zack si affrettò al video telefono. Rachel riuscì a tenere il suo passo.
“Ciao Bill!” sorrise in maniera smagliante il ragazzo.
“Ciao Zack, contento di vederti sorridente...” fece cupo quello.
“Hey, che succede?” cambiò all’improvviso umore l’altro.
“Stamattina è apparso Ho-Oh ad Amarantopoli”
“Wow. È una buona cosa, no?”
“Non esattamente. Ha scatenato la sua ira sull’intera città. Sono morte migliaia di persone, ed Amarantopoli non esiste più”
“Cosa?!”
“Si. Ho cercato di contattare qualcuno tra i Dexholder, ma ho ricevuto notizie soltanto da Silver. Cercherà di aiutare”
“Oh. Ottimo. Salutamelo”
“Sarà fatto... come promesso Mr. Fuji è qui”
“Ho urgente bisogno di parlare con lui”
“Ok. Ciao. E ciao anche a Rachel”
Rachel diventò paonazza. Bill, quel Bill, si ricordava il suo nome. “Ciao Bill...” riuscì ad uscire dalla sua bocca.
Poco dopo davanti al videotelefono comparve Mr Fuji. Era uno strano vecchietto, molto magro, larghe sopracciglia, folte, barba incolta, occhi aperti il minimo sindacale nascosti da un paio di lenti molto spesse.
“Salve. Chi è?” domandò quello. La voce era roca.
“Buongiorno, Mr. Fuji. Mi chiamo Zack, e questa è la mia amica Rachel”
“Buongiorno a voi. Cosa posso fare per voi?”
“Vorremo ce ci parlasse meglio della profezia di Arceus”
“Oh. Siete giovani. Come fate a conoscere queste cose?”
“Sappiamo molte altre cose. Per esempio sappiamo che quello che è successo ad Hoenn, o anche ad Amarantopoli non sono casi”
“Arceus sta venendo a riprendersi quello che era suo”
“Diamine...” si lasciò scappare Rachel. Zack la guardò, poi tornò a riparlare con Mr. Fuji.
“Parlando con la Professoressa Alma, qui ad Adamanta, siamo riusciti a carpire alcune deboli informazioni, riguardante un cristallo. Ma non sappiamo dove cercarlo”
“Naturalmente il frutto di questa conversazione che stiamo avendo non è certo. È altamente possibile che quello che sta succedendo è davvero il frutto di un caso. Come è possibile che il cristallo non sia mai esistito e che Arceus non distruggerà la terra”
“Quindi?”
“Beh. Sul monte Trave c’era un tempio, tanto tempo fa”
“C’è ancora” affermò Rachel.
“Beh... li ha vissuto Prima, che secondo la leggenda fu l’oracolo di Arceus. Dovreste provare a cercare da li”
“E... una volta trovato il cristallo?”
“Il cristallo potrà essere utilizzato solo da una donna, pura di animo ed illibata”
“Beh. Credo sarà il problema minore... basta cercare” sorrise Zack.
“Ed invece è la parte più difficile. Un animo puro è un animo che non è mai stato inquinato dalla malvagità e dalla voglia di peccare contro qualcuno. Ma... mi pare che molto tempo fa, proprio ai tempi di Prima e Timoteo, il grande eroe che ha vissuto nella regione dove vi trovate adesso, vi era un inventore abbastanza originale. Si chiamava Hermann”
“Uhm...” Zack cercò di ragionare, aspettando la lampadina che si accendesse sulla sua testa. Nulla. Guardò poi Rachel.
“Non mi dice nulla questo nome” disse la ragazza.
“Beh... in ogni caso ha sfruttato la potenza e l’energia di alcuni Pokémon, per costruire una particolare lastra di pietra, in grado di capire chi possa essere in grado di sfruttare la potenza del cristallo”
“Chiederemo ad Alma per questo” ragionò ad alta voce Zack.
“Bene... l’importante è che facciate in fretta. Sono morte tantissime persone”
“Ok, ok. Partiremo subito”
“Bene”
“La ringrazio, Mr. Fuji”
“Di nulla. E buona fortuna, ragazzi”
 
I raggi del sole non riuscivano a raggiungere il letto in cui Ryan riposava. Assieme a Marianne erano arrivati a Timea solo a notte fonda ed era stato portato in una stanza che la donna gli permise di usare a suo piacimento. Non ricordava molto delle giornate precedenti. I suoi sensi erano ovattati e quando voltava la testa vedeva delle dolorose strisce luminose. Si coprì gli occhi con l’avambraccio, chiudendosi in quelle tenebre così indolori e confortevoli. Cercò di fare mente locale sulla sua situazione.
La fuga di Rachel.
Giusto, Rachel.
Aveva scoperto di essere stata adottata ed era fuggita via, probabilmente un po’ per paura, ma soprattutto per semplice impulso rabbioso.
Nonostante non sembrasse una persona impulsiva, Rachel lo diventava se messa alle strette e spesso assieme al suo lato impulsivo veniva fuori anche una leggera e innata rabbia.  
Ryan si morse il labro.
Dopo aver scoperto la fuga della sorella, ci fu il terremoto. Anzi, durante. Era durante il terremoto che si era accorto che Rachel era scappata. C’erano state due scosse di terremoto, decisamente forti, tanto da devastare buona parte della casa.
E dopo la fine delle scosse aveva cercato la sorella, nel bosco, in città e infine era tornato a casa, sperando che lei fosse tornata.
Poi erano arrivati Lionell e Marianne. Gli avevano detto che i terremoti erano causati da qualcosa che suo padre aveva previsto, che avevano bisogno del suo aiuto e che in cambio di quell’aiuto avrebbero ritrovato Rachel. Per questo aveva caricato sul loro furgone i risultati delle ricerche che il genitore teneva in casa ed era andato con loro a Timea.
Ricontrollò mentalmente più volte tutto il percorso fatto e alla fine concluse che sì, era andata davvero così. Erano stati così i suoi ultimi due giorni.
Si alzò lentamente, sistemandosi i capelli dorati e notando che le borse sotto i suoi occhi erano sparite. Non aveva orologi con sé, quindi non si sorprese nel chiedersi che ora fosse. Si cambiò alla svelta, mettendo una semplice maglia bianca e un paio di jeans con sopra un felpa grigia, prima di aprire le tende scure che tenevano fuori la luce del sole. Istintivamente si ritrasse quando la luce gli ferì gli occhi. A giudicare dalla posizione del sole dovevano essere almeno le 4 del pomeriggio.
Si morse un labbro, contrariato per aver dormito così a lungo, e uscì alla svelta dalla stanza. Non fece in tempo a mettere un piede fuori dalla porta che si bloccò. Il lungo corridoio su cui sbucava la sua porta e su cui se ne affacciavano almeno altre 3 era nero lucido, il marmo che ne costituiva la pavimentazione era incredibilmente pulito, dando al ragazzo l’impressione che potesse specchiarvisi senza problemi. Le mura, anch’essere nere, erano però decorate con un motivo classico in una tonalità più opacizzata di nero. Si passò una mano fra i capelli rendendosi conto che non aveva la più pallida idea di dove andare. Sospirò guardando a destra e sinistra e decidendo d’impulso di prendere la sinistra. Iniziò a camminare lasciando che i suoi passi risuonassero secchi per il corridoio. Ogni tanto si fermava a leggere le targhette sulle porte, parlavano di laboratori, archivi e ripostigli. Alla fine si sentì chiamare alle spalle. La ragazza di ieri lo stava rincorrendo con una certa fretta.
“Dio, eccoti finalmente” lo apostrofò col fiato grosso per la corsa. “Io e Lionell ti stavamo cercando, seguimi.”
Gli occhi verdi della ragazza lo fissarono e lui si limitò ad annuire.
Tornarono indietro nel corridoio e passarono una scalinata che il ragazzo non aveva notato in precedenza. Una volta salite piombarono in un corridoio del tutto uguale a quello sottostante.
“Avete notizie di mia sorella?”
Quella si limitò a scuotere la testa.
“Mentre venivamo qui mi hai fatto vedere la sua foto e oggi l’ho mostrata ai vari addetti, dacci un paio di giorni e probabilmente sapremo qualcosa”
Ryan digrignò i denti in silenzio. Doveva esserle grato per quello che stava facendo, ma la preoccupazione non gli lasciava spazio per altri sentimenti.
Alla fine del corridoio la donna bussò due volte su una porta, e senza aspettare risposta entrò, facendosi poi da parte per far spazio al ragazzo e chiudendosi la porta alle spalle.
In piedi, accanto ad una scrivania c’era un’altra ragazza. Capelli biondo cenere, occhi cerulei e una spruzzata di lentiggini le incorniciavano il grazioso naso alla francese, che sovrastava due piccole labbra. Marianne le si avvicinò e Ryan si sorprese a pensare che nonostante tutto quelle due erano perfettamente armonizzate fra loro, come se compensassero ognuna le diversità dell’altra e in modo perfettamente naturale.
“Ben sveglio, ragazzo. Ti presento Linda la mia seconda assistente” sorrise Lionell, seduto accanto a lei, dietro alla scrivania.
La ragazza gli accennò un inchino, che il ragazzo ricambiò in modo piuttosto impacciato.
“Mi auguro che tu abbia dormito bene, Ryan, perché ho bisogno che tu oggi sia in ottima forma” continuò Lionell. Il suo sguardo era cordiale, ma il ragazzo lo osservò dubbioso. Che genere di aiuto volevano da lui?
“Ho saputo che sei un eccellente allenatore, è vero?” continuò l’uomo osservandolo curioso.
Il giovane si passò una mano sulla nuca, guardando in basso.
“Diciamo che passo abbastanza tempo ad allenarmi”
“Ottimo, ottimo!” esclamò quello contento “L’allenamento è essenziale. Che ne dici di dare un’occhiata all’addestramento delle nuove reclute, allora? Puoi prenderne parte, se vuoi, così avrai anche un modo per distrarti... penso che tu ne abbia bisogno” per concludere la frase il tono calò, come se si stessero confidando un segreto fra loro.
Ryan non rispose. Allenarsi non sarebbe stata una pessima idea, soprattutto in un ambiente controllato come quello. Temeva solo di non essere in grado di combattere seriamente.
Lionell si alzò, avvicinandolo e mettendogli una Poké Ball in mano. Il ragazzo la guardò confuso, ma l’uomo non gli diede il tempo di chiedere.
“La verità è che mi piacerebbe poter contare anche sulla tua forza. Non ti sto arruolando, sia chiaro, mi piacerebbe solo che finché questa situazione non sia finita tu ci dessi una mano. Hai talento, so riconoscerlo dallo sguardo e so di averne bisogno. Ti chiedo solo di darci una mano nel caso si verificasse qualche episodio di violenza in città, come sciacallaggio e simili, oppure in caso di altre anomalie naturali. Ho notato il tuo Gallade e devo ammettere che è fra i Pokémon più in forma che abbia mai visto, perciò mi sento tranquillo ad affidarti questo ragazzaccio” Lionell picchiò col dito sulla Ball, per dare enfasi alle sue parole.
“Che ne dici?”
Ryan ci pensò un attimo, poi accettò. “Va bene, mi sembra doveroso visto quello che state facendo per me.”
“Ne sono lieto” sorrise quello “Marianne, mettiti a disposizione del ragazzo, fagli fare un giro della struttura e portalo nella sala allenamenti. Oh. Portalo anche alla mensa, anche se non se ne è reso conto sarà sicuramente affamato.”
Tornò a sedersi mentre Marianne prendeva posto affianco al giovane, impegnato d osservare il Bisharp nella sfera che gli era stata ceduta.
“Vieni pure” lo chiamò quella mentre uscivano dalla sala.
 
Lionell sospirò pesantemente mentre si sedeva pesantemente alla scrivania.
“Ti sbagli, ragazzo, ti sbagli” mormorò piano “sei tu che stai facendo molto per noi”

 

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Capitolo 14
*** Terzo Interludio ***


Terzo Interludio - Pt. 1


È indescrivibile la paura che si prova poco prima di morire. La coscienza che hai del fatto, di morire s’intende, è qualcosa che ti cambia la vita.
Ci si rende conto di aver passato tanto tempo a non far niente.
Tempo che si era molto vicini a perdere.
Il tempo è importante. Non bisognerebbe perderne.
Anzi.
A guadagnare tempo certe volte ci si potrebbe sentire sollevati.
E a non morire ci si sente grati.
Prima aprì gli occhi dopo che un enorme fascio di luce aveva inondato il uso volto. Era tutta intera, forse un po’ di fuliggine aveva sporcato la sua lunga tunica, ma niente che una buona lavata non curasse. I suoi piedi toccavano la roccia. Umida e fredda. Lo scroscio dell’acqua di una cascata, che scorreva proprio davanti l’ingresso di quell’antro, era un rumore persistente, ma rilassante, che le dava voglia di sdraiarsi ed addormentarsi.
Forse non era lo scroscio.
Forse era la stanchezza psicologica, o le tante notizie ricevute in così poco tempo.
La prima di queste risiedeva nel suo ventre.
Abbassò il volto, toccandosi la pancia con le mani sottili. Lì c’era suo figlio. Un misto di gioia e dolore partì dal suo cuore, impetuoso come quella cascata che aveva accanto, e scorreva fino a riempirla di confusione.
Timoteo non c’era più. Timoteo era morto. E questo le uccideva il cuore.
Poi alzò un attimo lo sguardo, rendendosi conto che non era più nel tempio.
“Prima...” la chiamò Sandra.
Prima girò la testa verso di lei, la vide, anch’ella a piedi scalzi, anch’ella con la tunica sporca di fuliggine.
“Sandra... dove siamo?”
“Olimpia ha ordinato tempo addietro di far scavare una caverna dietro le cascate, per momenti come questo”
“Quindi siamo in una caverna?”
“Già”
Abra cominciò a fluttuarle davanti.
“Abra” sorrise Prima. Era lì con lei.
La mente era confusa ed annebbiata, non ricordava bene le fasi che avevano scandito i momenti precedenti al teletrasporto.
La curiosità prese a fare il suo corso, e si guardò attorno. La caverna era abbastanza in alto nella montagna, più di ottanta metri forse, scavata in un monte minore. Un piccolo sentiero nascosto nella montagna permetteva di raggiungere l’antro in totale sicurezza. Era grande abbastanza per le due donne ed Abra. Tutto era fatto di granito, la pietra della montagna in cui chi di dovere aveva scavato. Alcuni pezzi di roccia erano stati volutamente lasciati e levigati, in modo da servire come appoggi, sedie o mensole. Un cesto di provviste era posto in un angolo.
“Olimpia...” sorrise amaramente l’oracolo. Aveva fatto organizzare tutto. Ed era morta. Sarebbe potuta venire lei, lasciando Sandra lì, ma aveva preferito salvare una giovane donna, in grado di accudirla.
 “Ciao Olimpia...” disse Prima, quasi in un sussurro. Poi si voltò verso Sandra. Aspettava a testa bassa delle direttive, come era sempre stata abituata a fare. I capelli castani, ricci, lunghi, avevano le parvenze della cascata limitrofa alla grotta.
Lineamenti delicati, labbra doppie, a cuoricino, ed un naso quasi inesistente facevano di quella ragazza qualcosa di irresistibile agli occhi lussuriosi dei templari, che puntualmente ricevevano prova della sua castità, dato che non riuscivano ad ottenere neanche un sorriso o una risposta.
“Sandra...”
Quella alzò la testa.
“Non stare più a testa bassa. Non mi piace”
“Come vuole, Prima”
“E dammi del tu. Abbiamo quasi la stessa età”
“Va bene, Prima” sorrise Sandra. “Prima. Questo è tuo” fece poi, dandole il cofanetto dal prezioso contenuto.
Prima lo afferrò velocemente, e lo aprì quel tanto che bastava da farne fuoriuscire il bagliore di cui era illuminata la pietra.
“Il cofanetto ti era caduto dalle mani non appena teletrasportati. E l’ho preso io”
“Hai fatto benissimo”
“Il cristallo si è rotto?” domandò l’ancella.
“No, credo che sia tutto intero”
“Va bene. Vuoi che faccia qualcosa per te?”
“Ora dobbiamo riposarci. È tarda notte, tra poco albeggerà. Domani vedremo”
Si stesero su due stuoie, fatte di morbide foglie.
L’oracolo pensò un po’, prima di cadere nel sonno. Si chiese se ce l’avrebbe fatta a vivere lì dentro. Portare avanti una gravidanza, e partorire in una caverna. Le mancava la sua finestrella, dalla quale guardava Adamanta tutte le mattine e i pomeriggi. E poi aspettava la mezzanotte, per vedere la lanterna che Timoteo liberava in cielo.
Ora non ci sarebbero state più lanterne. Non ci sarebbe stato più nessun Timoteo a farle sognare una vita migliore.
Poi però toccò ancora il suo ventre, e capì che Timoteo era lì, e che non l’avrebbe mai abbandonata, per nessuna ragione. Sogni di vita normale e piaceri mai ottenuti si alternarono nella testa della donna, che stringeva forte il cofanetto tanto prezioso. La poca luce che filtrava da un’apertura di esso la fece tranquillizzare.
 Ma è quando tutto si sta per fermare che succede sempre qualcosa a movimentare il tutto. Lo scrigno si spalancò all’improvviso, ed il cristallo si illuminò dieci volte tanto. Sandra si svegliò, cercando di allontanarsi, senza un motivo che non dipendesse dall’improvviso spavento.
Prima prese ad urlare, ma non poteva, non doveva, l’avrebbero scoperte. Allora cercò di abbassare i toni, lasciando che l’energia entrasse forte in se stessa, la rapisse, la soggiogasse e prendesse il controllo di lei.
Gli occhi di Prima erano interamente ricoperti da una patina luminosa, dello stesso colore candido del cristallo.
Sandra era con le spalle contro la parete fredda della grotta, spaventata. Poi ricordò Olimpia e tutti i suoi insegnamenti, ed abbassò la testa, mettendosi in posizioni di prostrazione. La sua paura era rappresentata dal fatto che alla fine di tutto il cristallo si rompesse, o che Prima non uscisse correttamente da quello stato.
Era spaventata, Sandra, ma per forza di cose ora era la vergine più anziana.
Prima allargò le braccia, cercando di trattenere le sue urla, e riuscendoci.
“Prima...” la voce, quella voce speciale e profonda, riecheggiava nei meandri della sua testa. “...il mio appello alla pace non è stato ascoltato. E questo vuole dire che entro mille anni avverranno fatti. Fatti preparatori alla distruzione di questo mondo. Tra mille anni questa terra, come voi la conoscete, non esisterà più. La salvezza è perduta, e la mia parola è questa”
“Mi spiace, grande Arceus”
“Il dispiacere non potrà mai sostituire urla e lamenti di dolore di umani e Pokémon”
“Ma c’è stato chi ha provato a combattere gli ingiusti, grande Arceus. C’è chi è morto per salvare altri Pokémon, e persone. Tanti innocenti hanno perso la vita. La collettività di pensiero non è qualcosa di realizzabile”
“Ma il buonsenso è qualcosa di tangibile, Prima”
“Non è giusto che paghino tutti per le azioni di alcuni!”
“Tutti voi avete avuto la possibilità di poter cambiare. Di arrivare a qualcosa di diverso, che io stesso vi ho richiesto. Ed il vostro rifiuto non può non scatenare le mie ire. La terra che calpestate, e che ricoprite di sangue, non sarà più un privilegio che vi riserverò. E finché non sarà ricoperta di lacrime e sangue, di nuovo, non avrete possibilità di dormire con beata tranquillità. Il cielo si ribellerà, la terra si ribellerà, il mare si ribellerà. Il fuoco dilanierà il vostro creato, e la morte e la distruzione saranno l’unico premio per la vostra insolenza”
“Grande Arceus, le ripeto che non tutti volevano arrivare a questo punto”
“La mia parola è questa”
Prima alzò gli occhi verso l’alto, il bagliore la investiva rendendola agli occhi di Sandra una macchia scura indefinita su di una tenda di luce.
“Ci dia l’ultima possibilità. I responsabili devono essere puniti”
“E saranno puniti”
“Ma così saremo puniti anche noi, che reputiamo i Pokémon come amici, e non come armi!”
“La mia parola è questa” ripeté Arceus, per l’ultima volta.
Poi il contatto si interruppe, la luce piano sparì e Prima si adagiò delicatamente per terra. Il cristallo ricadde nelle mani abili e pronte di Sandra, che si era affrettata per non farlo distruggere al contatto col pavimento della grotta.
 Depositò il cristallo nel cofanetto, e tornò da Prima.
Quella si teneva la testa tra le mani, e si muoveva con estrema lentezza. La caduta le aveva fatto strappare l’abito vicino alle ginocchia.
“Prima... come stai?” domandò la vergine.
“Bene... Sandra...” e poi l’oracolo prese coscienza del fatto che il suo tentativo di salvare il mondo era andato a farsi benedire. Si sentiva spacciata. Sapeva che prima che i mille anni fossero scaduti lei sarebbe già morta e sepolta, ma nutriva un senso di responsabilità non piccolo, in quanto rappresentante della popolazione umana nei confronti della divinità. Le lacrime scivolarono lente sul suo volto, fino a toccare la fredda pietra. Sandra le teneva una mano, mentre le accarezzava il ventre.
“Povero mio figlio. Vivrà in un mondo senza giustizia divina”
 
Le giornate passavano, i mesi passavano ed il ventre di Prima si ingrossava ogni giorno di più.
“Buongiorno” le sorrise un giorno Sandra.
Prima allungò le braccia e le gambe, stiracchiandosi. Aveva voglia di un bagno. Ma erano riuscite solo nel creare una sorta di doccia.
Sandra aveva trovato nella grotta un pannello di pietra non molto ampio. Messo sotto la cascata, deviava il corso dell’acqua, in minima quantità, che ricadeva su chi ne beneficiava.
Si erano adeguate alle condizioni. Sandra si faceva in quattro per rendere l’ambiente più confortevole possibile. Del resto avere a che fare con una donna pregna non era facile. Prima passava da evidenti stati di euforia, per via della creatura che portava in grembo, a forti stati emozionali in cui le lacrime scendevano copiose.
Dal canto suo, Prima capiva quanto potesse essere difficile per Sandra occuparsi di lei. E quindi cercava di limitarsi.
Capitò poi che durante un pomeriggio nuvoloso, Prima ebbe un dubbio.
“Sai...se il cristallo non esistesse, in forma fisica intendo, non ci sarebbero più guerre”
Era un semplice ragionamento. E Sandra lo sapeva. Si limitò a guardarla mentre lavava la veste sacra della donna in una tinozza accanto alla cascata. Lo scroscio era un sottofondo perenne in quel luogo, ma nessuna delle due se n’era mai lamentata.
“Già... ma purtroppo per noi è qui, in questa scatoletta”
“È strano pensare come un piccolo pezzo di pietra abbia causato tanti problemi”
“Cosa vuoi dire, Prima?”
“Io ho paura. E sono stanca di averne. Fra non molto avrò anche un figlio... non posso vivere con questo patema d’animo per tutta la mia vita”
“Tu sei la prescelta. Arceus ha scelto te per colloquiare con noi. Dovresti esserne onorata”
“E lo sono, non fraintendermi. Vorrei solo che il cristallo non... fosse con me... ecco tutto”
“Ma vorresti continuare a parlare con Arceus?”
“Esatto”
“Non credo sia possibile”
“Tutto è possibile” fece l’oracolo, cercando di muoversi a fatica e di cambiare posizione. Un letto di foglie non era minimamente paragonabili ai materassi fatti di piume di Swablu ed Altaria, a cui era abituata. Si alzò all’in piedi. Una camminata per l’antro le avrebbe fatto rifluire il sangue alle gambe.
Poi accarezzò Abra.
“Spiegati meglio, Prima”
"Vorrei che il cristallo cessasse di esistere, di per sé. Vorrei che fosse celato. Nascosto da qualche parte"
 Sandra si alzò. La guardò negli occhi.
“Forse... forse posso fare qualcosa... aspetta qui e non muoverti per alcuna ragione al mondo”
“Come al solito”
“Già. Come al solito”
Era stanca di stare in quella grotta. Non che facesse la bella vita nel tempio, ma l’unico momento di vita, in quei mesi, era quando, tempo permettendo, si sedeva a guardare Adamanta che andava avanti. Di Nestore non c’era più notizia. In pochi mesi i Templari avevano rimpolpato le proprie fila, e riconquistato tutte le città che Nestore e gli ingiusti avevano convertito.
Il mondo aveva ripreso ad adorare il dio Arceus.
Ma era troppo tardi. Si chiedeva in che modo quello si sarebbe ripreso tutto, così come aveva detto durante il loro ultimo incontro.
Un bruciore intenso, il senso di colpa, maturava accanto alla sua prole. Di tanto in tanto scalciava, regalandole un momento di inaspettata simpatia. C’era della vita, dentro di lei.
E avrebbe dovuto proteggerla da chiunque. Timoteo avrebbe fatto così.
“...Timoteo...” fece, dopo un sorriso. Le mancava quell’uomo. Di tanto in tanto saliva su, al tempio, e ridevano, scherzando su ogni cosa. Timoteo rideva di lei, trovava ogni assurdo motivo per prenderla in giro. Ma lo faceva con dolcezza. E lei faceva finta di offendersi, per poi prendersi un suo abbraccio, lontana dai severi occhi di Olimpia. Lei gli chiedeva sempre come fosse andare al mare.
 Aveva sempre voluto andare al mare.
Ma Olimpia entrò nella sua povera casetta, e la portò al tempio quando aveva soltanto quattro anni. Molte esperienze di vita comune le erano state precluse.
Ricordava il volto di suo padre. Era felice. Contento. E lo era anche sua madre, nonostante velasse del risentimento verso quella scelta. Col senno di poi capì che non voleva allontanarsi da lei.
Sua madre non voleva abbandonarla.
Prima si toccò la pancia. Quel bambino. Sarebbe diventato un guerriero.
O forse era una bambina. Ed in quel caso sarebbe stata nominata da Prima stessa oracolo di Arceus.
Avrebbe volentieri evitato. Ma era il dono migliore che potesse farle.
L’avrebbe dirottata sulla via della purezza, e se un giorno il popolo avesse ricostruito il tempio, ella avrebbe dimorato lì.
Prese la spazzola, e guardando il cielo tramontare, passò il tempo.

 

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Capitolo 15
*** Terzo Interludio 2°Parte ***


Terzo Interludio - Pt. 2


Due ore più tardi, Sandra tornò nell’antro.
In mano aveva un piccolo sacchetto.
“Ciao, Prima. Hai fame?”
“Un po’...”
“Tra poco preparo da mangiare”
“Dove sei stata?”
“A prendere questo”. Sandra aprì il sacchetto, e Prima fu in grado di vederne il contenuto. Era il frammento di una stella.
“Cos’è?”
“I mercanti lo chiamano pezzo stella. È proprio un frammento di stelle”
“E... cosa c’entrerebbe con la mia situazione?”
“Una leggenda dice che esiste un Pokémon primitivo, in grado di leggere nell’animo delle persone. Si chiama Mew. È un Pokémon quasi estinto, gli avvistamenti si contano sulle punte delle dita di una mano. C’è chi crede che sia venuto dallo spazio, tramite un’enorme stella. E questo è un frammento di quella stella. Beh, gli alchimisti mi hanno detto che bruciando questo pezzo di stella, assieme a del sangue di una vergine dovrei riuscire a produrre un profumo irresistibile per Mew... che verrà qui”
“Non ho intenzione di sanguinare...”
Sandra la guardò con sufficienza. “Ehm... tu non sei più vergine, Prima. Ma io ho mantenuto la mia virtù”
“Meno male. E Mew che farà?”
 “Non ne ho idea... ma è un Pokémon dagli straordinari poteri. Provare non costa nulla”
E fu così che il pezzo di stella fu immerso in un pentolone dove bolliva dell’acqua. Prima guardò inorridita quando Sandra, riluttante, incise il polpastrello del suo pollice destro per ottenere un po’ di sangue.
Andò a mettere il dito sotto la cascata, la donna con i capelli ricci.
“Beh... non resta che aspettare” fece poi.
Le due si addormentarono. E come ogni mattina fu il sole a svegliarle. Il cielo era di un colore strano, siccome albeggiava. Tra il nero della notte, il celeste ed un bianco luminoso. Quel sole non riscaldava. Quel sole illuminava.
Sandra aprì leggermente gli occhi, carezzandosi una guancia e stropicciandosi gli occhi. Sbadigliò, nell’aria si era espanso un profumo leggero, dolce, quasi come se fosse stata messa a bollire una pentola di arance e fragole. Forse un odore ancora più dolce.
Anche Prima aprì gli occhi. Ma lo fece con poca voglia di farlo. Aveva ancora sonno, e quel dannatissimo sole le dava fastidio.
Nonostante tutto, però, ringraziava Arceus per aver creato tale prodigio di bellezza.
Il sole. Caldo per l’inverno e luce per il buio.
Luce indisponente.
Come la mattina precedente allungò gli arti, e si alzò. Il silenzio era quasi monumentale in quel momento, ma le venne da urlare quando vide il volto impietrito di Sandra.
“Hey! Che c’è?!”
Quella non si mosse. Si limitò ad allungare una tra le sue dita affusolate, e a puntare una figura dormiente che fluttuava nell’aria.
Prima voltò la testa di scatto. Era Mew.
Sandra si alzò, dopodiché aiutò Prima a fare altrettanto.
L’oracolo si avvicinò al Pokémon, toccandolo con la punta dell’indice sulla testa. Quello aprì dolcemente gli occhi.
Prima sorrise quando i suoi occhi verdi si tuffarono nel blu di quelli del Pokémon.
 Poi, istintivamente, Mew li spalancò, e spaventato si nascose, diventando invisibile.
“No! Mew! Mew ti prego! Ho bisogno del tuo aiuto!”
Si sentì il verso del Pokémon. Sandra fu sollevata, perché pensava che fosse scappato.
“Io... mi chiamo Prima. E qui dentro c’è il mio bambino... o la mia bambina”
Mew apparve a pochi metri dalle due donne, facendo il suo dolce verso. Prima sorrise, si carezzò la pancia.
“Io sono l’oracolo che il dio Arceus ha prescelto. Mesi fa il tempio dove vivevo, sul monte Trave è bruciato. Ed io ho paura, perché cercavano questo cristallo. Sandra, passamelo per cortesia”
Sandra si chinò sulle sue esili gambe, raccolse il cofanetto e lo consegnò alla donna in dolce attesa.
“Ecco” disse poi Prima, aprendolo. “Questo è il cristallo di Arceus. È questo che cercano. Quelle persone sono malvagie e vanno fermate”
Mew svolazzò rapidamente verso il cristallo. Inclinò di lato la testa, emettendo ancora il suo verso.
“Tu sei un Pokémon potentissimo. E da quello che mi ha spiegato Sandra sei in grado di utilizzare ogni mossa”
Abra era nascosto dietro la breve sagoma di Sandra. Era impaurito da Mew. “Tranquillo” cercò di tranquillizzarlo quest’ultima.
“Puoi, Mew, celare questo cristallo, in modo che nessuno lo trovi più? E fare in modo che ci sia ancora un modo per contattare il dio Arceus semmai si presenterà il bisogno?”
Mew emise ancora una volta il suo verso, dopodiché i suoi occhi si illuminarono di un azzurro acceso, ed il blu delle sue iridi scomparve. Il cristallo si alzò di colpo, mentre Prima, come anche Sandra, sentiva il suo corpo fermo ed immobile. I poteri psichici del Pokémon erano incredibili.
Di getto il cristallo uscì dal cofanetto, e si illuminò anch’esso di bianco. Il bagliore costrinse i presenti a chiudere gli occhi.
Una forte energia stava fuoriuscendo dal Pokémon rosa,  una forte luce faceva lo stesso dal cristallo, ed un’enorme confusione si espandeva come fuoco sulla legna secca.
 
 Fu un momento.
Prima e Sandra ritornarono a sbattere le palpebre, che forse traumatizzate dalla luce cercavano di cancellare tutto quello che era successo chiudendosi ed aprendosi velocemente.
Il verso di Mew riecheggiava in lontananza, ma entrambe avevano capito che quello era andato via.
Il cofanetto ricadde dalla mano di Prima, sul pavimento della grotta. Ed il cristallo al suo interno non c’era più.
“Prima!” urlò Sandra, muovendosi ed afferrandola per le spalle.
“Sandra, tranquilla, sto bene”
“Hai visto il bagliore?! Arceus ti ha detto qualcosa?”
“No. Non era Arceus. Non mi ha detto niente. Ma... il cristallo è sparito?”
“Tu hai chiesto questo a Mew, no?”
“Chissà che cosa avrà fatto?”
“Già. Chissà ora dov’è quel cristallo?”
“Non ne ho idea... so solo che ora non rischiamo più la vita, perché il cristallo non c’è più. Posso lo stesso parlare con Arceus, ma non rischiamo di morire in un agguato. Voglio andarmene da questa grotta, e dare alla luce il figlio di Timoteo in un posto più accogliente. Mi seguirai, vero?”
“Certo!” sorrise Sandra.
E fu così che Prima e Sandra, aiutati dal teletrasporto di Abra, si materializzarono nel bosco. Il bosco Memoria.
“Dove siamo?” domandò Prima.
“Siamo vicine ad un piccolo centro abitato. Nuovaluce, si chiama”
Beh. Col senno di poi, Nuovaluce sarebbe diventata Primaluce, in onore della donna.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo Quinto: Trasformazioni ***


Trasformazioni - Pt. 1


Rachel non si sentiva più le gambe. Avevano passato quasi una giornata intera in groppa a Braviary per spostarsi da Edesea fino a Miracielo, e per Rachel fu decisamente un’esperienza da non ripetere.
Quando scesero, decisero di dar riposo ai loro corpi provati. E a Braviary. Rachel era seduta su una panchina del lungo viale che costituiva il centro della città. Faceva freddo, ma rispetto a quello provato in volo sentiva di poter affrontare la brezza cittadina anche in canottiera.
Il tramonto bussava alle porte della giornata, e dall’altopiano il cielo si tingeva di un rosso incantevole. Zack borbottava qualcosa sulla scarsa resistenza della ragazza in alta quota, ma quella non aveva la forza di ascoltarlo. Fu solo quando anche l’ultimo spicchio di sole scomparse dal cielo che ebbe il coraggio di porre la fatidica domanda.
“Senti, ma stanotte dove dormiamo?”
Zack la guardò meravigliato, senza risponderle immediatamente, quasi fosse sicuro che la domanda che gli era stata fatta fosse puramente retorica.
“Bé, abbiamo i sacchi a pelo, la professoressa Alma te ne ha prestato uno adatto. Appena finiamo di riposarci ci mettiamo in marcia ed arriviamo alla Grotta delle Lanterne, lì dentro fa caldo quasi tutto l’anno”
Zack reggeva tra le mani una mappa del tunnel, e stava controllando bene la sua struttura, cercando di individuare eventuali vicoli ciechi e le zone che potevano essere più pericolose.
“Bene, direi che possiamo metterci in marcia anche adesso. Più o meno verso la metà del tunnel c’è una specie di spiazzo, lì avremo abbastanza spazio per stenderci entrambi senza disturbare i Pokémon della grotta”
Aveva concluso il suo ragionamento con una certa soddisfazione, ricontrollando accuratamente il tutto prima di rimettersi lo zaino in spalla. Avrebbero potuto utilizzare di nuovo Braviary, ma l’aquila aveva usato già gran parte delle sue energie. Non era il caso di sfruttare ancora le sue ali.
Poi si voltò a guardare la ragazza, che non mostrava esattamente lo stesso entusiasmo di Zack.
“Dai, su, non vorrai fare ancora più tardi? Ci aspetta già una bella camminata, posticipare non ci porterà niente di buono”
“Aspetta” lo fermò “mi stai dicendo che dormiremo nella grotta? In una grotta famosa per i gas che la riempiono e che ogni tanto causano delle piccole esplosioni qua e là?”. Rachel era incredula.
E Zack la guardò con tranquillità disarmante, facendo spallucce.
“Va bene i sacchi a pelo, ma credevo che avremmo pernottato in qualche centro medico, oppure in qualche altra zona sicura”. Rachel incrociò le braccia al petto, mentre Zorua, di nuovo in forma umana, le teneva un lembo della maglia e guardava una volta la ragazza e una volta Zack, come se stesse assistendo ad una partita di tennis, senza sembrare veramente colpito dalla discussione.
“Rachel, compagna di avventure, in condizioni normali sicuramente faremmo come dici tu. In condizioni normali non ti avrei nemmeno fatto prendere un sacco a pelo, avrei fatto in modo di trovare una pensione e di assicurare un tetto sulla testa ad entrambi. Posso giurartelo sulla mia stessa vita. Ma questa è una situazione di emergenza e richiede un trattamento diverso. Non possiamo perdere tempo a cercare un alloggio più confortevole e per quanto possa sembrarti una scelta pericolosa ti assicuro che io stesso ho dormito più di una volta nel tunnel. È tutto a posto, so quello che sto facendo e so anche che dobbiamo sbrigarci” la sua espressione era seria, tanto che la ragazza non riuscì a reggere il peso del suo sguardo e abbassò gli occhi.
“Lo spero per te” si limitò a borbottare alla fine, mentre prendeva la mano al suo Pokémon e iniziava a seguirlo docilmente. La sua testa fece un incredibile salto mortale, ed andò a pensare a Blitzle, nella sua sfera, che riposava pacifico, senza alcun cenno dell’ostilità che aveva mostrato il giorno precedente.
“Comunque dovresti davvero essere contenta della grotta, è il posto adatto per te” ritornò sull’argomento Zack.
Rachel rivolse al suo compagno di viaggio uno sguardo interrogativo.
“Ma sì, dico, non hai avuto tempo di allenarti come si deve ad Edesea, quindi è ragionevole pensare che potrai farlo nel tunnel! Ci sono parecchi Pokémon selvatici. Certo, sarai un po’ svantaggiata con i possibili tipi, ma d’altra parte sarà ancora più utile per imparare a destreggiarti in ogni situazione” le sorrideva raggiante, sicuro che la sua fosse davvero la miglior idea del mondo.
“Cosa cosa cosa?! Ma sei impazzito?! Ho un Pokémon elettrico ed uno di tipo buio, cosa posso fare in una grotta popolata in larga misura da Pokémon terra, roccia e fuoco? È un atto suicida! Più dell’idea di dormirci dentro!”
 Questa prima giornata di viaggio la stava provando a livello psicologico più di quanto potesse ammettere.
“Tranquilla, dovrebbero essere abbordabili persino al tuo livello e in ogni caso potresti approfittare per catturare qualche Pokémon diverso. Se vuoi vincere devi variare il tuo team”
Le sue parole per un istante la gelarono. Erano identiche a quelle che suo fratello le aveva ripetuto appena pochi giorni prima. Sentì un brivido scenderle per la schiena e si limitò a restare in silenzio, lasciando cadere la sua affermazione. Avrebbe combattuto nella grotta e avrebbe catturato uno o due Pokémon, quello che era, dopotutto se il suo compito era mettere quanta più strada possibile fra lei e la sua vecchia vita quello era un compromesso più che ragionevole.
Arrivarono alla grotta dopo un’ora di cammino. Visto il suo ruolo di apprendista con il dovere di sconfiggere i Pokémon selvatici, Rachel entrò per prima, seguita subito dopo da Zack, che nonostante tutto non si permetteva di abbassare la guardia. Le consigliò di far uscire immediatamente i suoi Pokémon e di evitare quei Pokémon che per primi sembravano ignorarli. Doveva rivolgere al sua attenzione solo a quelli che pensava la stessero puntando fin da subito. E per buona misura doveva cercare di sconfiggerli al massimo con due mosse, in modo che eventuali Pokémon nei paraggi non si accorgessero di loro, in modo da non attirare troppo l’attenzione.
Non era affatto sicura di potercela fare, ma fece comunque uscire Blitzle dalla sfera e fece tornare Zorua nel suo normale aspetto da Pokémon. Iniziarono l’esplorazione della grotta senza guardarsi mai alle spalle, Rachel si muoveva seguendo le indicazioni di Zack e, nonostante non lo credesse possibile, buona parte delle lotte si concludevano davvero con poche mosse di Blitzle, che, nonostante il tipo avverso al luogo, lasciava che la sua velocità e la potenza pura arrivassero dove gli attacchi elettrici non potevano.
“Hmm... è davvero un bell’esemplare” commentò il ragazzo ad un certo punto “ti invidio quasi, è difficile trovarne di così potenti selvatici, può venirne su davvero uno dei migliori in circolazione... certo... sul carattere dovrai un po’ lavorarci”
Il Pokémon infatti, se da un lato appariva mansueto di fronte alla sua allenatrice, dall’altro era del tutto diffidente verso il ragazzo.
“Non c’è niente su cui lavorare” rispose la ragazza, guardando Zack che cercava con scarso successo di accarezzare il Pokémon Caricavolt “Ha semplicemente buon intuito nel riconoscere le brave persone. Inoltre ha buonsenso sufficiente da tenere lontane quelle inaffidabili” continuò a canzonarlo
“È forse una tua forma di vendetta per la scelta del luogo in cui pernottare?” le fece quello, sarcastico.
“Figurati, non uso metodi tanto sottili, e poi...” fece vagare lo sguardo nella grotta, illuminata dal cristalli, alla ricerca di altri Pokémon da sfidare “E poi hai ragione tu.” concluse “Non siamo in vacanza né altro, e non credere che non sia difficile per me abituarmi... ma sto iniziando a farlo. Devo farlo” era determinata, si spostò una ciocca di capelli corvini dagli occhi e si voltò di nuovo verso il ragazzo.
“Sono una persona difficile. Abbi pazienza” concluse rapidamente.
“Il motivo per cui stai scappando da tuo fratello però non vuoi ancora dirmelo” la punzecchiò.
La ragazza non si girò nemmeno a guardarlo.
“Ovviamente no. Il fatto è che non sono del tutto certa di saperlo nemmeno io. Però lo sto facendo e non ho intenzione di tornare indietro. Bada bene, non pensare che lui sia una cattiva persona o che mi abbia fatto chissà che... è un ragazzo davvero dolce. Sono io quella che non va”
Zack sospirò. Non gli piaceva chi si piangeva addosso.
Tornò di nuovo il silenzio.
E poi arrivarono nel punto che il ragazzo aveva scelto come ultima tappa della giornata.
“Bene, ti pare davvero così squallido per passarci la notte?”
L’ambiente era largo circa dieci metri la forma era prevalentemente ovale, i cristalli illuminavano la zona a giorno ed era forse il miglior punto in tutta la grotta per riposare.
“Touché. Hai ragione, è il posto migliore che potessi chiedere. E devo darti ragione anche sulla temperatura, pare una giornata di inizio estate qui dentro.” La ragazza si era già sbarazzata di zaino e cappotto, buttandoli sul terreno della grotta. Poi si accomodò per terra.
Zack aveva portato con sé delle provviste. Mangiarono in silenzio ascoltando i suoni della grotta che rimbombavano sulle pareti. Non era un silenzio imbarazzato, erano semplicemente esausti, fra la giornata in volo e la camminata dentro la grotta i due erano sfiniti. Decisero di addormentarsi subito, in modo da poter riprendere il cammino verso Palladia il prima possibile.
 
Durante la notte Rachel ebbe un sonno agitato. Zorua si era intrufolato nel suo sacco a pelo e il ciuffo di peli sulla sua testa le procurava un costante solletico. Blitzle invece si era posizionato accanto al sacco a pelo della ragazza, ed emetteva saltuariamente qualche scintilla dalla cresta. Zack invece riposava supino con il sacco a pelo mezzo aperto. Dormivano così da circa due ore, quando un rombo scosse la grotta.
Rachel si svegliò di soprassalto, urlando qualcosa di incomprensibile, ma Zack fu più veloce, la spinse di nuovo nel sacco a pelo.
“Stà giù!”
Era vero, la grotta era calda, ed abbastanza larga, ma onestamente non aveva calcolato il rischio costituito dai possibili terremoti. Semplicemente aveva dato per scontato che non ce ne sarebbero stati altri ancora per un po’. Digrignò i denti, cercando di proteggere Rachel. Tirò fuori dalla sfera Lucario, che prese a guardarsi attorno, pronto a distruggere le rocce che potevano staccarsi dal soffitto.
Durò tutto una decina di secondi, che ai due ragazzi parvero eterni. Cercarono di affinare l’udito e di captare i suoni di qualche crollo lontano, ma non ce ne furono. Sospirarono quasi all’unisono, alzandosi da terra. Zorua si stava agitando fra le braccia di Rachel e Blitzle aveva messo il suo muso vicino al viso della ragazza, come per controllarla.
“Che brutta cosa...” si limitò a sbuffare il ragazzo, ancora agitato.
“Sembrava... diverso da quello nel bosco” Rachel si rese conto di essere stranamente lucida. Forse la soglia di panico era salita così tanto da non rendersi nemmeno conto di quello che le stava accadendo.
Zack si scosse sentendo quelle parole. Sicuramente era diverso. Era stato più debole. Non quadrava, se fosse stato uno dei soliti terremoti la loro potenza sarebbe dovuta aumentare, non diminuire.
“Hai ragione, è diverso da quello nel bosco” ripeté. Allora gli ingranaggi nella sua testa presero a ruotare con maggiore velocità. I terremoti della profezia erano causati da Groudon. E Groudon era un Pokémon potentissimo. Se Groudon avesse causato un terremoto, la grotta sarebbe sicuramente crollata.
Non era la profezia. E se non era uno dei terremoti della profezia, allora probabilmente non era stato del tutto naturale.
“Rachel, alzati e preparati. Quel terremoto non era normale. Probabilmente è stato causato da qualche Pokémon. Non è sicuro restare qui” la voce calma e seria le fece capire che non c’era tempo da perdere.
Risistemarono le proprie cose, cercando di fare quanto meno rumore possibile, e quando stavano per terminare vennero letteralmente assaliti da un piccolo gruppo di Pokémon. Erano una quindicina e si muovevano in fretta, come se stessero scappando da qualcosa. Non ci sarebbe stato nessun problema se non stessero scappando proprio dall’uscita della grotta. Rachel e Zack si scambiarono una rapida occhiata e non appena i Pokémon sparirono dalla zona decisero di avventurarsi verso la loro meta.
Camminarono per circa un centinaio di metri, stavolta i due ragazzi camminavano fianco a fianco, guardinghi. Credevano di averla scampata quando a pochi metri dall’uscita un esemplare di Larvitar decise di sbarrar loro la strada. Era in piedi, al centro del passaggio e li fissava minaccioso, senza mostrare la minima intenzione di muoversi.
I due ragazzi si fermarono, lasciando fra loro e il Pokémon nemico circa sei metri di distanza. Rimasero per qualche secondo fermi prima che Rachel decidesse di muovere un passo.
Zack le afferrò il braccio.
“Non vorrei esagerare, ma quello potrebbe essere al di sopra delle tue possibilità”
Parlava senza staccare gli occhi dal piccolo Pokémon Peldisasso. Ma Rachel si liberò dalla stretta, facendo un altro passo.
“Mi occupo io dei Pokémon della grotta, no? Tu devi solo pensare a quelli che mi attaccano mentre sto combattendo. Eravamo rimasti così”
Doveva diventare più forte. E sconfiggere quel Pokémon l’avrebbe aiutata. Sapeva anche che sarebbe stata difficile come sfida, ma dopotutto se Zack aveva elogiato il suo Blitzle a tal punto, magari poteva farcela, no?
Il suo Pokémon fronteggiò quello nemico, la criniera emetteva incredibili lampi di elettricità e allo stesso modo gli zoccoli, colpendo il terreno, rilasciavano delle scintille.
Larvitar allo stesso modo si preparò a colpire, avvertendo l’ostilità nemica.
La prima mossa fu di Blitzle, che si lanciò a tutta velocità sull’avversario, utilizzando l’attacco Nitrocarica. Rachel sapeva bene che di per sé l’attacco non sarebbe stato molto efficace, ma sapeva anche che in quel modo avrebbe aumentato la velocità del proprio Pokémon. Larvitar riuscì ad evitare il colpo, contrattaccando con l’attacco Stridio, che costrinse Blitzle a fermarsi, dolorante per il rumore che l’avversario stava emettendo. Il piccolo Pokémon ne approfittò per attaccare, colpendo la piccola Zebra con l’attacco Insidia.
“Wizard, sta attento!” urlò la ragazza “Usa il Doppioteam!”
Il Pokémon scosse la testa, e iniziò a muoversi tanto in fretta da moltiplicare la propria immagine. A causa del tipo Terra dell’avversario eventuali attacchi elettrici verrebbero neutralizzati, lasciando alla giovane ben poche chance di attacco.
nel frattempo Larvitar osservava la situazione stordito, senza riuscire a distinguere quale fosse il suo avversario in mezzo alla moltitudine di false immagini.
“Ora, Wizard, Inseguimento!”
Le varie immagini create dal Pokémon si avvicinarono al Larvitar, portando avanti l’attacco senza che l’avversario potesse capire da dove sarebbe arrivato il colpo, fu solo quando stavano per colpire che le figure si dissolsero lasciando spazio al vero Blitzle di attaccare il Pokémon. Il colpo andò a segno, ma Larvitar continuava a resistere.
“Wizard, di nuovo Doppioteam!”
Di nuovo il Pokémon si sdoppiò in numero immagini, ma stavolta Larvitar non si scoraggiò. Il piccolo Pokémon infatti, avendo capito che non poteva attaccare una sola copia, decise di colpirle tutte insieme, utilizzando l’attacco Terremoto.
La terra riprese a tremare. Zack e Rachel si scambiarono un’occhiata, era stato proprio Larvitar a scatenare la scossa che li aveva svegliati, ma non c’era tempo di perdersi d’animo, Blitzle non sarebbe riuscito a resistere a lungo all’attacco nemico.
“Wizard, attacca con Pestone!”
Il Pokémon iniziò a sbattere prepotentemente i piedi al suolo, contrastando e diminuendo l’effetto del terremoto avversario.
Quando la scossa si fermò la situazione per Blitzle era grave. Il Pokémon ansimava, mentre l’avversario sembrava reggere meglio la situazione. Rachel digrignò i denti. Doveva fare qualcosa, ma non sapeva cosa.
Fu proprio mentre stava per lasciarsi prendere dal panico che il suo Pokémon si bloccò. Ad un primo momento pensò che senza essere visto il Larvitar avesse attaccato Wizard, ma la situazione era diversa, decisamente. Il Pokémon improvvisamente iniziò a mutare la sua forma. Le piccole zampe si allungarono, striandosi anch’esse di bianco e nero, la criniera si fece più ispida e la coda si allungò.
Rachel era rimasta stupita.
“Ma com’è possibile...” mormorò “Com’è possibile? L’avevo appena catturato!”
Esclamò più a se stessa che a Zack.
“È perché era un esemplare già sul punto di evolversi in natura. Gli ultimi incontri di oggi devono avergli permesso di fare subito il grande passo...” la sua voce era atona. Aveva risposto meccanicamente alla domanda della ragazza, nonostante anche lui fosse piuttosto sorpreso per un’evoluzione tanto repentina del Pokémon.
Zebstrika sbatté violentemente gli zoccoli a terra, emettendo scintille e crepando il terreno stesso. Rimase però fermo, senza attaccare il nemico, aspettando il comando della sua allenatrice.
Rachel si riscosse “Wizard! Doppiocalcio!”
Il Pokémon si mosse fulmineo, senza che lo stesso Larvitar riuscisse ad accorgersene gli fu addosso e lo attaccò. Non ci fu spazio per un contrattacco. Larvitar crollò a terra esausto. Rachel si avvicinò, tirando fuori dalla tasca la sua seconda Poké Ball.
“Chiudiamola qui” disse semplicemente lanciando la Poké Ball addosso all’avversario.
 
Uscirono dalla grotta esausti. Era appena l’alba e l’aria fuori dalla grotta era gelida. Rachel guardava soddisfatta le sue Poké Ball, la prima contenente Wizard appena evoluto e la seconda con il Larvitar, ancora esausto. Cercava disperatamente di camminare normalmente, ma sembrava lo stesso che stesse volteggiando a una decina di centimetri da terra. Zack la guardava con lo sguardo di qualcuno che conosce bene quella sensazione e la lasciava fare. Stava di nuovo consultando la cartina. Non che ce ne fosse granché bisogno. Palladia era davanti a loro, a circa mezz’ora di cammino.
“Potrei farmela in groppa a Zebstrika” sorrise Rachel “ci metterei meno di cinque minuti, esagerando”
Stava gongolando, inutile negarlo.
Zack la ignorò, continuando a pensare alla tabella di marcia.
“Bene, ascoltami attentamente. Appena arriviamo ci fiondiamo al centro medico, mandiamo giù tutto quello che possiamo mandar giù per rimetterci in forze, tu fai curare i tuoi Pokémon, cioè, anche io faccio curare i miei, poi ci dirigiamo alla funivia, saliamo sul monte Trave e vediamo di trovare qualche indizio. Domande? Proteste? Considerazioni?”
Rachel si limitò a rispondere scuotendo la testa, continuando a fissare le Poké Ball, rischiando di inciampare in una radice e rimettendosi in piedi per puro istinto, ma senza perdere quell’espressione estasiata che manteneva dal momento della cattura.
Il ragazzo sospirò, sperando che le passasse in fretta. Nonostante tutto, però, gli faceva piacere vedere che per una volta quella ragazza non avesse quell’aria depressa che aveva spesso, o comunque che non fosse irascibile come la serata precedente. Il fatto era che temeva che restando troppo sulle nuvole potesse cacciarsi in qualche guaio senza nemmeno accorgersene.
Arrivarono a  Palladia con cinque minuti di anticipo rispetto alla tabella di marcia, e ringraziarono che i centri medici fossero aperti 24 ore su 24, in modo da poter entrare e mettersi al caldo. L’ambiente era silenzioso e i due decisero di iniziare facendo uno strappo al piano, permettendosi quei minuti di sonno che l’attacco di Larvitar aveva disturbato. Avevano già consegnato i propri Pokémon all’infermiere di turno, fatta eccezione per Zorua che aveva ripreso sembianze umane e si era addormentato in braccio alla ragazza. Dormirono per circa un’ora, decidendo che in ogni caso se fossero partiti troppo presto avrebbero rischiato di trovare la funivia o l’accesso stesso chiusi.
Quando si risvegliarono erano decisamente più in forma. Fecero un’abbondante colazione prima di recuperare i propri Pokémon e di uscire dal centro. Erano circa le otto e mezza quando si ritrovarono in strada. Rachel osservava la città con aria stupita.
“Non eri mai stata qui, prima?” le chiese Zack.
Quella scosse la testa “Sono stata solo un paio di volte a Timea e ogni tanto ad Edesea, con mio padre” l’ultima parola aveva un tono più basso. Prima che potesse iniziare a pensare a qualcosa a riguardo Zack continuò il suo interrogatorio.
“Come mai? Per lavoro?”
Rachel annuì “Sì, era un professore universitario. Anche un archeologo. Veniva spesso a Palladia, ma visto che il viaggio poteva essere lungo e spesso rimaneva sul sito per qualche giorno non ci portava mai...” lasciava che la sua voce si perdesse nei ricordi.
“Era?” le chiese cauto Zack
Di nuovo la ragazza diede un cenno d’assenso.
“Morì tre anni fa, assieme a Martha, mia madre...” fece una pausa “Un incidente automobilistico. Lei lavorava all’ospedale di Edesea, mentre tornavano una notte ci fu un incidente. Non c’è molto da raccontare...” continuavano a camminare mentre parlavano. Palladia aveva mantenuto un aspetto più antico rispetto a Timea, divenuta ormai una città moderna. Nonostante fosse una metropoli anch’essa, Palladia manteneva una dignità storica e artistica non indifferente e il suo aspetto sembrava portare indietro i viaggiatori di almeno tre secoli.
Zack rimase in silenzio per qualche secondo prima di iniziare a parlarle della città, dalla sua fondazione, avvenuta nel luogo della storica battaglia fra Templari ed Ingiusti, come simbolo di rinascita dalle ceneri di quella guerra ad altri accenni e leggende sentite in giro durante i suoi viaggi. Chiacchierando arrivarono nella zona del monte, avventurandosi verso la funivia. Notarono che c’era qualcosa che non andava, osservando la struttura, ma a primo impatto nessuno dei due riuscì a capire cosa fosse.
Fu solo una volta arrivati davanti all’impianto che se ne resero conto. La funivia era ferma. Un grosso cartello avvisava i gentili utenti che a causa dei recenti terremoti poteva essere pericoloso l’utilizzo della funivia e che per questo motivo il servizio veniva sospeso.
Seguirono secondi di silenzio tombale fra i due ragazzi. Non osavano guardarsi in faccia, ma ancora meno osavano guardare il secondo e in quel momento unico modo per raggiungere la sommità del monte: la scalinata.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo Quinto: Trasformazioni 2°Parte ***


Treasformazioni - Pt. 2


Data la situazione avevano dovuto abbandonare l’idea di utilizzare la funivia come metodo per raggiungere la cima del Monte Trave e avevano dovuto optare per l’utilizzo dei mille Gradini degli Eroi. Nessuno dei due era particolarmente entusiasta della scelta. Zack perché si rendeva conto dell’enorme quantità di tempo che avrebbero sprecato, Rachel perché aveva seri dubbi sulla possibilità di riuscire ad arrivare in cima. Il clima della giornata era particolarmente rigido e ventilato. L’aria secca sembrava bruciare sul viso dei due ragazzi, che continuavano a salire lentamente i gradini.
“Quanti ne abbiamo fatti?” spezzò il silenzio Rachel.
“Rachel, abbiamo appena iniziato, saranno a malapena una settantina...”
Zack cercava di aguzzare la vista, ma non riusciva a vedere nemmeno vagamente la fine della scalinata.
Sospirò, maledicendo i terremoti e la sua incapacità di prevedere una situazione simile. Rachel lo seguiva qualche scalino dietro di lui, continuava a tenere la mano al suo Zorua, che sembrava del tutto intenzionato a restare in forma umana.
“Ma è normale che faccia così?” le chiese il ragazzo, indicando il bambino.
Rachel lo guardò sorpresa per la domanda, dopodiché guardò Zorua e alzò le spalle.
“Suppongo di sì... Non vedo perché non dovrebbe” rispose semplicemente.
“E non dice niente?” continuò lui sempre più dubbioso.
“Hmm... no, non ha mai detto niente. Ma credo sia normale, ci sono stati casi di Zoroark in grado di parlare il linguaggio umano, almeno quando assumevano un aspetto umano, ma di Zorua non si è mai sentito niente...” ci pensò su per qualche secondo “Non so se non può o non vuole” e poi osservò il bambino dai capelli rossi, arruffati, che le mostrò un ampio sorriso, come suo solito.
Rachel sapeva che era solo la sua abilità illusoria, eppure la mano del piccolo che teneva nella sua era reale. Estremamente reale. Come poteva essere solo un’immagine che il piccolo stava proiettando? Sospirò, non trovando una risposta che la soddisfacesse.
“Da quando è con te?” continuò il ragazzo.
“Hmm, da che ho memoria, sempre. Siamo cresciuti assieme.” Non era una bugia, a quanto pare era con lei da ben prima che avesse memoria, erano insieme quando fu trovata dalla famiglia Livingstone.
A ben pensarci quel piccolo Pokémon era tutto ciò che la collegava al suo passato.
Non aveva ancora avuto modo di pensarci. Qual era la sua famiglia, da dove veniva davvero?
“Sei diventata silenziosa, tutto a un tratto, come mai?”
La voce del suo compagno di viaggio la scosse dai suoi ragionamenti.
“Pensieri. Niente di importante” tagliò corto “Quanto manca?”
“Cavolo, ma hai cinque anni? Stiamo salendo da dieci minuti, saremo a malapena a duecento scalini, abbi pazienza”
Rachel strabuzzò gli occhi. Guardò verso la cima, dove si distinguevano delle colonne. Poi si girò dietro.
“Stiamo salendo” notò.
“Se così non fosse sarebbe un bel problema” la prese in giro il ragazzo. “E pensa, dobbiamo come minimo salire cinque volte tanto!”
“Non ce la farò” concluse semplicemente la ragazza, come se stesse pronunciando la più grande delle ovvietà. “Perché non sali tu a vedere se c’è qualcosa? Io ti aspetto giù” chiese poi, con aria angelica.
“Molto spiritosa. La risposta è, ovviamente, no. E poi fare così non farà altro che peggiorare la situazione, su!”
Stavano continuando a salire, erano arrivati a metà della scalinata quando Zorua si fermò. Gli occhi cerulei erano contriti e fissava per terra quasi arrabbiato. Quando alzò lo sguardo verso la sua allenatrice, la ragazza intuì subito cosa volesse.
“Zorua, no. Dimenticalo. In questo momento è totalmente fuori luogo. Se sei stanco ti addormenti nella tua sfera, capito?”
Zack li fissava interrogativo. Non conosceva la gestualità del piccolo Pokémon Malavolpe e non sapeva cosa stesse accadendo, tuttavia stavolta sentiva che era meglio non impicciarsi nella loro discussione.
Mentre li vedeva discutere (o meglio, vedeva Rachel discutere con il Pokémon che non sembrava intenzionato ad ascoltarla) il bambino si espresse con un gesto molto chiaro. Tese le braccia verso la ragazza nel gesto che tutti i bambini piccoli fanno per chiedere al proprio genitore di essere presi in braccio.
Iniziò a ridere a crepapelle, guadagnandosi un’occhiataccia dalla ragazza e venendo ignorato dallo Zorua, che considerava la sua presenza futile ai suoi fini.
I tentativi della ragazza si protrassero per qualche minuto, prima che questa rinunciasse e si caricasse il Pokémon fra le braccia.
“Pensi davvero di riuscire a farti cinquecento scalini tenendolo in braccio?” le chiese il ragazzo a corto di fiato.
“Pare che non abbia alternative” sospirò quella, continuando a salire, gradino dopo gradino con il bimbo fra le braccia.
“Se vuoi posso portarlo io”
Per tutta risposta il piccolo Pokémon si strinse al collo della ragazza con più forza, quasi temesse di venirvi strappato via.
“Ma cosa ho fatto ai tuoi Pokémon? Non sembrano sopportarmi più di tanto”
“Te l’ho detto, Zack. È buonsenso, semplicemente buonsenso” l’apostrofò.
“Si, vediamo fra cento scalini questo buonsenso dove vi porta, miei cari”.
Nonostante continuassero a scherzare fra loro, i due iniziavano davvero ad avere il fiatone. Il vento gelido si faceva più intenso man mano che salivano.
“Sono davvero solo mille?” Zack non si accorse di pensare ad alta voce. In ogni caso erano davvero quasi arrivati. Sentiva dietro di sé i passi pesanti di Rachel, che, con il Pokémon fra le braccia e il fiato grosso, lo seguiva.
Quando finalmente il calvario finì i due si sedettero su alcune panchine, nello spiazzo adiacente all’entrata del museo. Avevano entrambi il fiatone e nonostante il freddo intaccarono significativamente le loro scorte d’acqua. Zorua, terminata la scalinata, scorrazzava libero per lo spiazzo, sempre con l’aspetto umano. Si avvicinò alla pesante porta del Museo, notando che vi era attaccato un cartello. Il Pokémon impiegò qualche secondo nel tentativo di decifrare cosa ci fosse scritto, poi rinunciò e corse a chiamare la sua allenatrice. Dopo brevi proteste sul fatto che la ragazza non aveva la forza di alzarsi, il piccolo la ebbe di nuovo vinta.
“Zack” chiamò quella “credo i problemi non siano finiti.”
Parlò in modo atono, neutro in modo inquietante. Il ragazzo andò a controllare con lei il cartello.
Su cui era scritta una sola parola.
“Chiuso”
 
Zack guardava la porta del tempio, maestosa, dall’alto verso il basso. Era fatta in legno, probabilmente era stata aggiunta in tempi molto successivi alla costruzione del tempio. Era in legno, con bardature in ferro battuto.
Il ragazzo si sedette davanti alla porta, dando le spalle a Rachel e a Zorua. Poi si stese per terra, chiudendo gli occhi.
Rachel lo guardava incuriosita. “Dormi?”
Zack sbuffò, e si rialzò velocemente, cercando di ripulirsi la schiena dalla polvere, poi fece due saltelli. “No. Dobbiamo trovare un altro modo per entrare”
“Forziamo la porta?”
“Che cosa hai fumato?”
“Niente!”
“E allora non dire assurdità” fece il ragazzo, portando le mani ai fianchi. “Dobbiamo capire come fare” continuò.
“Guarda che agiamo in buona fede, e non siamo sciacalli. Stiamo cercando di salvare il mondo”
“Calmati, Superman, ogni sasso che calpesti ha più anni di quanti capelli hai tu in testa. Dobbiamo aver rispetto per questo tempio”
“Uhm... ok... scusa”
“Tranquilla... è che... uhm... di solito ci sono delle aperture nei pressi dell’ingresso”
“Che ne sai tu?”
“Erano costruiti in questo modo. La questione è che questo tempio è alto almeno sette metri...devo riuscire a salire li sopra”
“Come hai intenzione di fare per...”
“Gyarados! Esci fuori!”
Rachel non riuscì a trattenere un urlo di stupore quando vide uscire dalla sfera un enorme esemplare di Gyarados. Arrabbiato. Molto arrabbiato.
 
“Hai un Gyarados?! È un Pokémon difficilissimo da ottenere!”
“Lasciamo perdere questa cosa... Gyarados, fammi salire sulla tua testa!” urlò.
L’enorme drago azzurro si abbassò, dando un pesante ruggito. Zorua si nascose dietro di Rachel, cercando di non farsi vedere, e ringhiando, sapendo che quel Pokémon non l’avrebbe mai sentito.
Una volta che Gyarados si abbassò, permise a Zack di salirgli sulla testa. “Su!” disse poi. Cercò di mantenersi il meglio possibile, e Rachel lo capiva. Cavalcare quel genere di Pokémon non doveva essere per nulla facile.
Gyarados superò di gran lunga l’altezza del tetto del tempio. Zack gli ordinò di scendere un po’, quindi mise lentamente piede sul tetto del tempio.
E Rachel intanto guardava intimorita il Pokémon del compagno di avventura. Sembrava ben addomesticato. Ma non voleva rischiare, e Zorua stavolta non fece alcuna obiezione quando Rachel lo fece entrare. Lo sguardo di Gyarados era iracondo, rabbuiato da qualcosa. E Rachel continuava ad avere paura
 “Zack! Fai presto!”
Dal tempio si sentiva la voce del ragazzo sotto sforzo. “Sono un momento in difficoltà... sono a sette metri da terra!”
“È che qui il... il tuo...”
E poi un altro ruggito di Gyarados. Stavolta davvero forte.
“Calmo, Gyarados!” urlava Zack da dentro, ma non sembrava che il suo Pokémon gli desse ascolto. Densi banchi di nuvole nere si ammassavano sulla cima del tempio.
“Dannazione, questa è Ira di Drago! Zack fai presto!”
“Un momento!”
“Sei uno zuccone!”
“E tu...” e poi si sentì un urlò da parte del ragazzo, dopodiché un tonfo. Era caduto. Cosa che in condizioni normali avrebbe fatto spanciare la ragazza dal ridere. Ma la totale incoscienza doveva ancora prendere il sopravvento sul suo parametro di giudizio della pericolosità. E quella situazione si era messa decisamente male.
Gyarados ruggiva ancora, e stavolta dalle nuvole cominciarono a cadere grosse gocce d’acqua condite di qualche tuono e lampo qua e la.
“Questa è l’ira dei Gyarados...” la pioggia cadeva addosso alla ragazza, in modo da infradiciarle i vestiti. Il panico e la meraviglia le impedivano di muoversi da li.
“Zack...” riuscì solo a dire, prima che un altro ruggito di Gyarados la risvegliò da quello stato di incoscienza. “Dannazione, Wizard! Vai!”
Zebstrika uscì fuori, raschiando il terreno con lo zoccolo. Non avrebbe mai creduto di dover affrontare un Gyarados. Almeno non da sveglia.
“Zack!”
Gyarados ruggì ancora, ed il vento si alzò in modo violento. Stava per preparare un attacco Tornado.
Poi Zack aprì la porta, con il volto scuro, e la sfera di Gyarados in mano.  “Rientra” fece, e l’enorme drago sparì, le nuvole si diradarono ed il vento si calmò. Rimase solo Zebstrika con assetto basso, pronto per l’attacco, e Rachel, con i vestiti fradici.
“La porta era aperta” concluse quello, con evidente disappunto. “Bastava spingere...”
Rachel, con il trucco sciolto, i capelli bagnati, i vestiti messi peggio dei capelli, non poté far altro che ridere. Ridere istericamente, come se non ci fosse un domani.
 “Che diamine ridi?”
“Sei caduto da oltre sette metri!” rideva a crepapelle. “E bastava che spingessimo quella porta”
“Finiscila... o permetto a Gyarados di arrostire te e quella sottospecie di cavallo a pile”
“A proposito! È del tutto impensabile che tu abbia un Gyarados e non gli abbia insegnato a non attaccare a casaccio le persone”
“Non attacca le persone a casaccio. Ha buon senso, e voleva eliminare un grande problema al suo padrone” la chiuse quello, che girò i tacchi ed entrò nel tempio. Nonostante il sole fosse tornato a splendere, la luce non era molta. Il novanta per cento degli elementi erano in pietra, ed erano conservati abbastanza bene.
Rachel lo seguiva, ed ogni suo passo riecheggiava come se si trovassero dentro ad una grotta e lei stesse camminando in una pozzanghera.
"Sai... questo tempio è rimasto integro dopo un grande incendio avvenuto centinaia di anni fa. In compenso però sono morte tantissime persone, che avevano donato la loro vita al dio Arceus”
“Come se ce ne fossero altri”
“Beh, c’era chi non ci credeva. E per queste persone, bruciare il tempio fu come un simbolo di liberazione dalla schiavitù che Arceus gli imponeva”
“Arceus era un dittatore?”
“Nessuno ha mai visto Arceus. Tranne che l’oracolo del tempio”
“Aspetta, ma se nessuno ha mai visto Arceus perché si sentivano schiavi?”
“Perché le loro volontà erano assoggettate al volere comune di agire secondo le regole di Arceus. E qualcuno si ribellò”
“Uhm... tu che ne sai?”
“Passare del tempo con la professoressa Alma da i suoi vantaggi”
“Non mi limiterei a parlare di cultura, se fossi in te...”
Zack e Rachel si guardarono per un momento.
“...come se lo facessi” lo canzonò poi la ragazza.
“Guarda che è stata la mia professoressa qui ad Edesea. Niente di più”
“Eri l’unico suo studente?”
“Non dire assurdità”
“E allora perché ti ospita quando sei nei paraggi?”
“Finiscila di fare stupide congetture, per altro inutili al nostro scopo. E cerchiamo il cristallo”
Si guardarono intorno, ma oltre a scodelle di pietra imbrunite dall’incendio e da rimasugli di suppellettili in ferro battuto, nulla era rimasto.
Oppure no.
I ragazzi si erano divisi, camminavano liberamente nel tempio. Zack era in un lungo corridoio. C’erano almeno sei stanze che vi si affacciavano. Era appena uscito dalla quinta stanza, senza trovarvi nulla. Rimaneva l’ultima stanza.
La speranza di trovare qualcosa era poca davvero, ma tentare non avrebbe nociuto a nessuno. Entrò nella stanza. Una grande apertura nel muro, che un tempo doveva essere utilizzata come finestra, era stata sostituita da delle finestre blindate in acciaio, atte a non far entrare nessuno. Zack toccò il muro, ruvido al tatto. Qua e là c’erano ancora i buchi dove inserivano i portalampade, dei grossi anelli di ferro che servivano a tener fermi dei pezzi di legno ardenti, che servivano a fare luce e calore. Al centro della stanza vi era un fossato scavato nella pietra.
Doveva essere una sorta di impluvio o di vasca. Optò poi per la seconda scelta, poiché non c’era alcuna apertura nel soffitto, utile per far riempire la vasca.
Qui e lì dei piani di appoggio, sempre in pietra, con il colore bianco imbrunito dal fuoco, e vicino alla finestra ne vide uno più alto e vasto, probabilmente serviva come base per un letto o altro.
 Si avvicinò, e vi ci sedette sopra. Poi bussò sulla pietra. Dura.
Ed un particolare catturò la sua attenzione. Al di sopra dell’ingresso vi era come una nicchia.
“Dentro... c’è qualcosa”
Si alzò, muovendosi velocemente, cercando di mettere con difficoltà a fuoco quel buco nel muro. La luce era davvero poca.
“Zack!” lo chiamò Rachel.
“Hey! Sono di qua!”
“E grazie... di qua dove?! Ci sono decine di stanze!”
“Ultima stanza dell’ultimo corridoio”
“Oh... ok”
Rachel lo raggiunse, e sorrise, mentre lo vide cercare di allungarsi il più possibile per prendere qualcosa.
“Che fai?”
“C’è qualcosa sulla porta... ma non ci arrivo”
“Usa Lucario, no?”
“Già...”
E così Lucario, celermente, riuscì a prendere il contenuto della nicchia. Una piccola spazzola, ed una stele, scritta in caratteri che nessuno dei due aveva mai visto.
“Che cos’è?” domandò lei.
“Non ne ho idea. Dovremo farla vedere ad Alma”. Sospirò, quando Rachel fece un sorriso malizioso sul volto, poi ripose nella borsa la stele, quando sentì un rumore.
“Hey! Chi c’è?! Guardate che vi siete introdotti in un posto vietato al pubblico!” la voce di un uomo riecheggiava tra le pareti dei corridoi.
“Diamine!” esclamò a bassa voce lei.
Zack si guardò intorno. Ad un certo punto Rachel vide il suo volto illuminarsi. Mentre i passi dell’uomo che li aveva scoperti si avvicinavano, rimbombando in modo sempre più forte, Zack corse verso la finestra blindata, prese uno dei suppellettili di ferro battuto che c’era li, molto sottile, e forzò la serratura. Aprì la finestra, e saltò fuori, aiutando poi Rachel.
“Avanti, forza!” cercava di fare meno rumore possibile il ragazzo.
“Chi va là?” urlò il custode, entrando nella stanza dove i due ragazzi si trovavano in precedenza, ma intanto loro due erano già sul dorso di Braviary, che volavano verso Edesea.
 
“Uhm... questo è antico Adamantese” concluse la professoressa con un sospiro. Concentrata a guardare la stele, non si accorse di aver messo in bocca la stanghetta degli occhiali. Ma lo faceva sempre quando pensava, l’aiutava a concentrarsi. L'ufficio di Alma era ben arredato, e senza troppi fronzoli. Minimal chic.
“Può tradurcela?” chiese Zack.
“Ovviamente. Ma come ve la siete procurata?”
“Ehm... siamo stati messi in... in condizione... è stata un’idea di Rachel!” esclamò il giovane. L’attenzione dei due si focalizzò sulla ragazza.
“Ma non è vero! Siamo entrati nel tempio perché è lì che Mr Fuji ci ha indirizzati per la ricerca del cristallo”
“Cristallo?!” chiese poi Alma.
 “Si. Pare che Prima usasse un cristallo per mettersi in contatto con Arceus” rispose il ragazzo.
“Uhm... beh, dopo la traduzione di questa tavola, la restituirò, dicendo di averla trovata in un giardino della facoltà. È un bene che appartiene ad Adamanta, avete sbagliato ad appropriarvene...”
“Ma...”
“Tuttavia è in gioco ben più che il destino di questa tavola. Quindi in un certo senso siete giustificati”
“Ok. Può tradurre la lastra, ora?!” chiese un po’ arrogantemente Rachel.
“Oh, si, scusami, Rachel... beh... la... la lastra dice che... leggo letteralmente quello che c’è scritto. Ove mai si... si trovasse in pericolo, l’oracolo sarà... trasportato. Si trasportato, e nascosto dove lo scudo d’acqua che sempre vigila lo proteggerà. È questo che c’è scritto”
“Il tempio è stato bruciato” osservò Rachel.
“E probabilmente sono state adottate queste misure nel momento in cui hanno capito che l’oracolo era in pericolo” concluse Zack.
“Ora non vi resta che capire cosa sia lo scudo d’acqua che sempre vigila”
“Già...” sospirò la più giovane dei tre.
“Ah, professoressa. Mr Fuji ci ha parlato di un certo Hermann” disse poi Zack.
“Si. Era un inventore di Palladia, vissuto proprio negli anni relativi all’incendio del tempio. Che ha detto di lui, Mr Fuji?”
“Che inventò un aggeggio in grado di individuare chi fosse in grado di poter ricoprire il posto di oracolo di Arceus”
“Ah, si. Beh... è un antico pezzo che un giovane esploratore donò all’università di storia e mitologia di Edesea parecchi anni fa. Si trova nella stanza del rettore. Probabilmente non avrò problemi ad ottenerlo, ma dovete farne buon uso e non dovete romperlo”
“Si figuri. Come è fatto?”
“È una sorta di tavola di pietra con su scavata la forma di una mano. Nel momento in cui la persona dai giusti requisiti metterà la mano sulla lastra, questa si illuminerà. Hermann la creò utilizzando il potere di oltre cento esemplari di Lunatone e Solrock”
“Ok. Professoressa, col suo permesso tornerei a casa a lavarmi, Rachel ha bisogno di mettere addosso vestiti puliti, e prepareremo la cena per stasera. Crede di riuscire a portarci la stele di Hermann per quando ritorna?”
“Non credo ci sarà nessun problema. Dirò al rettore che dovrò approfondire gli studi sulla lastra. Se la berrà” sorrise poi.

 

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Capitolo 18
*** Quarto Interludio ***


Quarto Interludio - Pt. 1


“Il bosco Memoria è così silenzioso...” osservò Prima, nascosta da mille scialli attorno al capo. Non potevano rischiare che la riconoscessero.
“Già. È un posto molto tranquillo per rilassarsi” rispose Sandra, guardandola per poco, per poi tornare a mantenere lo sguardo fisso su qualunque cosa si muovesse nel bosco.
“Una volta che questa storia sarà finita, verrò tutti i giorni a rilassarmi qui”
“Spero tu possa farlo davvero. Sei stanca?”
“Un pochino...”
“Siamo quasi arrivati”
“I tuoi genitori saranno propensi ad ospitarci?”
“Non lo so. Non li vedo da dieci anni, circa. Ma non credo che rinnegheranno la loro unica figlia in questo modo”
“Lo spero proprio...”
Prima sospirava, sotto il caldo asfissiante della copertura che Sandra le aveva magistralmente propinato. Abra fluttuava a meno di un metro dietro le loro spalle, e di tanto in tanto faceva qualche capriola su se stesso.
“Ha voglia di divertirsi” giustificò Prima, allo sguardo interrogativo di Sandra.
Camminarono per ancora dieci minuti, quando videro la prima canna fumaria, e di conseguenza il fumo che usciva da una casa.
“Siamo arrivati”
Uscirono dalla folta coltre di fogliame e dopo pochi passi i loro piedi calpestavano dei ciottoli.
“Eccoci. Questa è Nuovaluce” sorrise Sandra.
Nuovaluce era un paesino non molto grande, e sembrava che lì gli effetti della grande guerra non fossero proprio arrivati. Le case erano fatte di pietra, non superavano i due piani, e componevano piccoli quartieri. Erano tanti agglomerati di case, che si affacciavano su di una piazza, con al centro una grande fontana.
Era piccola. Ma ridente.
Si stava bene. Sembrava un classico paesino di montagna. L’aria era fresca, il sole caldo, e sullo sfondo c’era il monte Trave.
“Ottimo” sorrise Prima.
Le urla giocose dei bambini nella piazza, mentre giocavano e si inseguivano, aumentava le loro speranze di vivere una vita normale.
Prima voleva scrollarsi da dosso il peso di essere l’oracolo. Cioè, voleva ancora essere l’oracolo, ma non voleva che la gente lo sapesse. Storse il labbro, ma ora come ora Arceus aveva già preso la sua decisione. Non poteva più cambiare le cose, quindi nessuno avrebbe avuto nessun vantaggio dal sapere che lei potesse parlare con Arceus. Anzi. Sarebbe stato scomodissimo per lei, che aveva vissuto tutta la sua vita, o quasi, in un posto dove i segreti non esistevano, e adesso aveva bisogno di diventare la migliore tra le bugiarde.
Sandra invece non l’avrebbe mai ammesso, ma voleva vivere la vita di una qualunque bella donna quale lei era. Trovare un uomo, e magari avere dei bambini. Ma doveva accudire Prima. Un po’ le pesava, ma in queste condizioni, l’oracolo non poteva non avere bisogno di lei.
Era importante che le stesse vicino.
Camminavano spedite, cercando di assecondare il passo di Prima, che pregna, ogni tanto si fermava a prendere fiato.
“Tutto ok?”
“Si...” ansimava. “Andiamo”
“Ok. Comunque siamo quasi arrivati. La casa dei miei genitori è proprio dietro questa curva.
Prima sorrise, vedendo la fedeltà e l’assiduità con cui quella donna dai capelli lunghi e ricci la seguiva ovunque in ogni suo piano bislacco.
Girarono quella curva, e si fermarono. Prima poggiò la mano al muro di pietra di quella casa, fermandosi a recuperare il fiato, mentre Sandra, lentamente e non senza qualche remora, si avvicinava al grande portone di legno.
Guardò Prima, poi sospirò. E bussò.
Pochi secondi, il cuore di Sandra stava prendendo le sembianze di una pallina da flipper prima che il flipper stesso andasse in tilt, e mentre la circolazione del sangue aumentava, le gambe cominciavano a tremare.
“Stai tranquilla” sorrise Prima. “Ti amano”
Fu proprio quando quella porta si aprì, che Sandra fece un passo indietro. Era un passettino, niente di che, ma doveva guardare per intero colei che aveva davanti.
Sua madre.
Quella inclinò di poco la testa sul lato sistemandosi gli occhiali e quei maledettissimi ricci che le cadevano davanti agli occhi.
“Sandra?”
“Mamma” scoppiò in un pianto silenzioso la ragazza, che si avvinghiò al collo della sua ormai anziana madre come fa un bambino piccolo appena uscito da scuola.
“Sandra... pensavo fossi morta” disse quella, quasi rassegnata mentre la stringeva, e sentiva sotto le sue mani sua figlia diventata donna.
“Possiamo entrare? Qui c’è una mia amica”
“È incinta” osservò la donna.
“Abbiamo bisogno di un posto dove stare”
“Entrate pure”
Prima camminava con fatica, ma Sandra la andò ad aiutare subito, prendendole una mano.
Entrarono in casa di Sandra.
Qui e lì giravano Pokémon di tutte le razze e specie. Quasi tutti di piccola taglia.
Prima era in grado di vedere con una sola occhiata due Chatot, un Caterpie, un Budew ed uno Psyduck.
Non era molto illuminato, come ambiente, il pavimento era di legno, come i mobili ed il tavolo. Un grosso pentolone era stato messo a scaldare, con qualcosa dentro, ma da dov’erano non riuscivano a capirne il contenuto.
“Chi è la tua amica?” chiese la più anziana, poi, dopo essersi accomodata al tavolo principale.
Sandra guardò Prima. Nel suo sguardo c’era preoccupazione. Poi Sandra annuì.
Prima levò gli scialli, e mostrò il volto.
La donna spalancò la bocca.
“Che Arceus mi perdoni... ma che diavolo sta succedendo?!” chiese leggermente alterata.
“Signora... mi chiamo Prima, e sono...”
“So benissimo chi sei! Ma dovevi essere morta anche tu!”
“Beh, non è così”
“Mamma, ci serve un posto dove stare. Prima è incinta, sta quasi per dare alla luce la sua creatura, ed abbiamo vissuto in una caverna per quasi tutta la durata della sua gravidanza. Ha bisogno di vezzi ed affetto. E qualche comodità. Siamo venute qui, a piedi, scendendo da una montagna ed attraversando il bosco, da sole. Siamo impaurite. Ed affamate...”
“Oh... ragazze, scusatemi. È che non mi aspettavo di trovarvi qui. Comunque io mi chiamo Flavia” sorrise la donna più anziana, offrendo la mano a Prima, che l’accettò volentieri.
“Non si preoccupi signora” sorrise quella.
“Sandra. Portala di la, nella stanza accanto, e falle mettere qualcosa di più comodo. Tra un po’ vi servirò un po’ di zuppa”
“Grazie mamma” sorrise la figlia. Prese Prima per mano ed andarono nell’altra stanza.
Flavia si alzò e portò le mani ai fianchi. Sorrise, e poi sbuffò. Non si finisce mai di essere madri.
 
L’ospitalità di Flavia era deliziosa. Era una donna amorevole, piena di cure, ma soprattutto sola, che non aveva aspettato altro momento per riempire il vuoto lasciato dalla morte del marito con i Pokémon, compagni di una vita.
“E così papà è morto...”
Sandra guardava il fuoco del camino scoppiettare, seduta per terra, mentre sua madre pelava delle patate.
“Già. È morto qualche anno fa, mentre progettavano la costruzione del ponte per Sabinia”
Sabinia era un’isola non molto lontana da Adamanta.
“Lavorava ancora per quel ponte?”
“Già. Era il suo sogno costruire quel ponte. Far entrare nuove persone, nuovi Pokémon, e dare a noi la possibilità di uscire. Di scappare”
Sandra abbassò lo sguardo.
“Ebbene, ora è scappato anche lui”
“Quanti anni aveva?”
“Beh, aveva l’età di un uomo che aveva visto il mondo attorno a se. Nonostante tutto sapeva che sarebbe potuto succedere qualcosa da un momento all’altro”
“Capisco... e tu... come fai a tirare avanti?”
“Grazie a Martino. Il giovane figlio di un collega di tuo padre. Ogni giorno mi porta qualcosa da mangiare. È un ragazzo d’oro. E invece... tu?”
“Io cosa?”
“Insomma... Olimpia venne a prenderti quando avevi otto anni. Mi ricordo” sorrise. “Avevi già questi lunghi boccoli” disse, prendendoli in mano. “Te ne andasti, e non avemmo più notizia di te”
“Vuoi sapere quello che facevo al tempio?”
“Se vuoi dirmelo”
“Beh... era... un posto particolare. C’erano molte regole da seguire. Ad esempio non potevamo parlare con Prima senza che lei ci avesse rivolto la parola. Potevo stare solo con le vergini, al massimo potevo accennare qualche parola ad Olimpia, ma sempre tenendo il capo chino”
“Oh. Deve essere stata davvero dura”
“Beh... neanche tanto. L’unica cosa che ti metteva in difficoltà erano i templari. Non potevamo avere alcun tipo di contatti con loro. E quelli che stavano a guardia del tempio... insomma, mi parlavano. Ed ero costretta a scappare a testa bassa, perché non volevo correre il rischio di inquinare la mia virtù”
“Capisco. Non è stato facile”
“Ma è stato formativo”
“Forse qualche volta ti sarà sembrata brutta la questione... la nostra scelta è stata dettata dall’amore che proviamo per te. Io e tuo padre ci siamo privati di vederti, per donarti una vita regolare che non avesse il cancro della povertà e delle preoccupazioni ordinarie. Che sono tanto deleterie. E sono felice di vederti ora. Sei viva, e... sei bellissima”
“Ti ringrazio, mamma. Di tutto”
 
Una mattina di dicembre pioveva. La pioggia batteva forte sui ciottoli delle strade e sulle tegole delle case, ed il sole sembrava bel lungi dal voler uscire dal suo letto di nuvole.
Un urlo squarciò il silenzio, tagliandolo di netto.
“È ora!”
La voce di Prima era forte, ed un gran dolore le si radicò in tutto il corpo.
Sandra saltò giù dal letto, con gli occhi spalancati. Ringraziò Arceus, perché se Prima avesse dovuto partorire in quella grotta non avrebbe saputo quali pesci prendere.
Flavia si alzò con calma. Prima la vide entrare nella sua stanza con una pentole ed una benda di lino.
“Calmati. È la tua creatura che sta nascendo”
Prima sorrise leggermente, mentre si contorceva per il dolore.
Sandra entrò in stanza, preoccupata ed impacciata.
“Che devo fare?” domandò alla madre.
“Imbevi d’acqua questa benda e tienila sulla sua fronte. Ricambiala ogni cinque minuti. Dobbiamo tenere bassa la sua temperatura”
“Abra può aiutare in qualche modo?”
“No. Non possiamo neanche addormentarla. Abbiamo bisogno che Prima spinga, per farlo uscire. A proposito... credi che sia un maschio o una femmina?” chiese poi all’oracolo.
“È uguale. Se sarà maschio lo chiamerò Timoteo”
“E se sarà femmina?”
“Non lo so” e poi urlò di nuovo.
Sandra le posò la benda sulla fronte, mentre le stringeva la mano sinistra. Le carezzava il viso, asciugandole il volto sudato e bagnato dall’acqua che trasudava dalla benda.
Flavia si posizionò tra le sue gambe.
“Ok. Ci siamo. Prima, ora devi spingere”
Lo fece. Ed urlò. Faceva male. Un male assurdo.
“Dai, so che è doloroso, ma immagina la pace che proverai quando avrai il tuo Timoteo tra le braccia!”. Flavia la incitava, mentre Sandra sentiva Prima stringere la sua mano, come per avere maggiore energia da immettere nella spinta.
Ancora. Altre spinte.
Di nuovo.
Ad un certo punto Prima lasciò la mano di Sandra, ed afferrò il letto sotto di se, urlando più forte di tutte le altre volte.
Una vocina nuova si espanse nella stanza. Il torace di Prima, in precedenza compresso per lo sforzo, si rilassò. Sandra le carezzò la testa, ridendo, e le cambiò la benda. Prima accasciò la testa sul guanciale, e si abbandonò ad un meritato riposo in dormiveglia, mentre Flavia sciacquava il neonato e lo schiaffeggiò sulle natiche. Il nascituro pianse, attivando la respirazione.
Sandra prese di nuovo la mano di Prima, sorridente, ma in lacrime. “Prima... è nato”
“No, Sandra. È nata. Ecco qui” fece Flavia, poggiando la bambina sul grembo della madre.
Prima cercò dentro di se la forza di aprire gli occhi e di sorridere. La trovò.
“Cosa provi?” chiese Sandra.
“Pace”
“Hai pensato a un nome?”
Prima abbassò il capo. La bambina era stupenda, dai tratti delicati e dagli occhi grandi. Lo stesso sguardo di Timoteo era sul volto della bimba.
“Beatrice. Sarà Beatrice” disse con un ultimo accenno di forza della donna, prima di porgere la bambina a Sandra e cadere in un sonno profondo.

 

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Capitolo 19
*** Quarto Interludio 2°Parte ***


Quarto Interludio - Pt. 2


Nestore guardava il tempio, o quello che ne rimaneva. Dalle sue stanze, il monte Trave era davvero lontano. Era passato quasi un anno, ma il dolore ed il risentimento per quell’unica battaglia che non dovevano perdere gli infilzavano lo stomaco con tanti piccoli spunzoni di ferro appuntiti.
“No” disse. Ormai lo ripeteva da ore, giorni, mesi. Tirò un pugno nel muro e sospirò.
La mano gli doleva. La testa bassa, sotto il peso della corona. La prese e la gettò sul suo letto.
Non doveva finire così.
No. Ora Adamanta sarebbe stata solo il passato. E via per la conquista di nuove terre. Per la conquista di nuove ricchezze.
Avrebbe posseduto Arceus. Il Pokémon più importante di tutti, il più forte, quello che tutto può.
Si era dovuto accontentare di quegli inutili Pokémon che aveva.
Li fece uscire dalle sue Poké Ball.
Persian stava li, e lo guardava.
“Siete... inutili. Voi Pokémon siete inutili. E deboli!” prese ad urlare. Persian, dal canto suo, non capiva niente.
Ma lo sentiva ostile.
Non si sarebbe mai sognato di attaccarlo. No. Nestore era lo stesso bambino che giocava con lui quando era un Meowth.
“Se non fosse stato per la vostra debolezza avrei vinto la guerra! Ora sarei il re del mondo!”
Persian si leccò la zampa.
Nestore aveva il volto contrito, la rabbia fluiva dentro e fuori dal suo corpo come se fosse un fiume in piena.
Riprese la Poké Ball di Persian e lo fece rientrare. Provava tanto odio in quel momento.
Levò il mantello e lo lasciò cadere ai suoi piedi. “Wilma!” urlò.
Pochi secondi dopo entrò nella stanza del re una donna di mezz’età, i capelli neri, pittati di candido qua e la. Il volto smagrito e scavato. Gli occhi erano l’unico elemento di luce di quella donna che aveva perso l’estro della femminilità.
“Si, mio re?”
“Prendi le mie Poké Ball. E distruggile”
“Ehm... non credo di aver capito bene...”
“Devi distruggere le Poké Ball. E basta”
“Ed i Pokémon all’interno?”
Nestore abbassò il volto.
Wilma deglutì. Le sembrò di avere della sabbia in gola.
“Vuole che uccida i suoi Pokémon?”
“È difficile?”
“Io... io non credo di poter fare una cosa del genere”
“Peccato. Perché è la fine che faranno tutti i Pokémon del mio regno. Devono pagare per la loro inutilità e per la loro debolezza”
Wilma non disse nulla.
“Ora vai”
 
Prima camminava per casa, con in braccio Beatrice. Sandra sorrideva, mentre tagliava degli ortaggi. Le sarebbe piaciuto provare quelle sensazioni. Lo spirito di maternità spingeva dentro di lei.
Flavia rientrò in casa, e guardò la scena. Prima alzava in aria Beatrice, le chiedeva se sapesse quanto bella fosse, e la vedeva ridere.
Quella bambina era uno splendore.
“Ciao” disse poi la più anziana.
“Oh, salve Flavia” rispose la neomadre.
Con difficoltà poggiò un pesante sacco sul tavolo.
Sandra, curiosa, andò ad aprirlo. “Ancora carote?”
Flavia fece spallucce, e si avvicinò a Prima. “Vuoi che la tenga un po’ per te?”
“Sarebbe fantastico... posso chiudere la porta?” chiese, mentre passava sua figlia a Flavia, come fossero due corridori col testimone.
“No, aspetta. Martino sta portando altri due sacchi”
“Martino?” chiese Sandra.
“Si, te l’ho detto. È il ragazzo che ci aiuta a tirare avanti”
Dalla porta entrò Martino. Le larghe spalle erano cariche di due pesanti sacchi, ma non sembrava curarsene. Il sorriso splendente sottendeva il naso dritto. Gli occhi castani, molto chiari, quasi gialli, ed i capelli rossi, lunghi fino alle spalle. Alto ed atletico.
Prima guardava Sandra. E voleva chiederle di chiudere la bocca.
“Oh, grazie Martino. Volevo presentarti mia figlia. Sandra. E questa è... mia nipote... la figlia di mia sorella. Si chiama... Frida”
Martino sorrise, e fece un cenno col capo.
“Non sapevo che avessi una figlia che ti somigliasse così tanto, Flavia. E soprattutto così bella”
“Grazie” risposero all’unisono madre e figlia.
“Allora vado... ciao signore”
Prima sorrise. Ma qualcosa non andava.
Lo sentiva.
Spingeva da dentro.
Inciampò, riuscendo a mantenere l’equilibrio.
Poi urlò.
Flavia strinse Beatrice, che prese a piangere per lo spavento. Sandra invece era abituata a quelle manifestazioni, quindi prontamente lasciò cadere il coltello sul tavolo, e corse a pochi passi dall’oracolo.
La luce si espanse dal corpo di Prima. La donna cominciò a fluttuare a mezzo metro da terra.
“Mamma! Le tende!” urlò Sandra.
Già. Non potevano rischiare che qualcuno vedesse la luce. D’altronde stavano cercando di nascondere Prima.
Flavia corse a chiudere le tende.
“Prima... cerca di contenere le urla” fece ancora Sandra.
Ma Prima non sentiva più niente.
Prima era immersa nella sua visione.
Luce. Tanta luce. Tutto bianco.
Arceus non c’era. Non parlava.
Ma una scena era chiara davanti ai suoi occhi, secondo dopo secondo.
Era un uomo. Un uomo, e c’era il fuoco.
Si.
Cercava di iperscrutare, ma non riusciva a intravedere nulla. Immaginava che l’uomo, dalle spalle muscolose e scoperte, stesse ravvivando il fuoco.
Poi si girò. Non lo conosceva.
Aspettò alcuni secondi. Vide prendere una sacca. Era bianca.
Pane?
No. Svuotò il sacco sul fuoco. Erano Poké Ball.
Prima spalancò la bocca. Poi il bianco tornò a riempire la sua vista.
Arceus. Era li.
“Ecco come l’umanità apprezza il mio creato. Il responsabile soffrirà terribili sofferenze durante il mio giudizio”
“Si, mio Arceus. Mi perdoni, mio Arceus”
E poi il bianco scomparve. Prima lentamente scese verso il pavimento, e si abbandonò alle braccia di Sandra.
Aprì lentamente gli occhi, l’unico rumore era lo scoppiettare del fuoco del camino, e le urla di pianto di Beatrice.
“Cosa ha detto?” chiese la vergine, mentre la portava nella stanza da letto.
Prima si stese, e sospirò.
“Arceus... mi... mi ha fatto vedere...”
“Cosa?”
“Una scena”
“Che scena?”
“Qualcuno ammazzava dei Pokémon”
“...cosa stai dicendo?”
“Ha detto che provvederà da solo a punire il responsabile. Ma voleva farmi capire come l’umanità ha sbagliato nei suoi confronti”
“...va bene. Ora riposati e non pensarci. Pretendere che gli uomini facciano il giusto è utopia”
 
Il tramonto aveva dipinto il cielo di chiazze rosa. Un po’ di vento spostava le cime degli alberi, ma tutto sommato il sole splendeva chiaro sul promontorio.
Un ragazzino aveva il volto in lacrime.
“Si... non ti lascerò morire...”
Camminava lentamente lungo la salita, tenendo tra le mani la sua Poké Ball.
Il suo Pokémon. Il suo unico Pokémon. Era poco più di un bambino, e non aveva ancora imparato a catturare altri Pokémon, ma in quel momento pensò che fosse stata una fortuna.
Dover abbandonare una cosa che ti sta tanto a cuore deve essere difficilissimo. Figurarsi a farlo più di una volta.
Arrivò su quel promontorio. Una ringhiera di ferro battuto divideva la strada, dove i più romantici venivano la sera a guardare le stelle, e la scarpata.
Tirò la sua Poké Ball, da cui ne uscì uno Starly.
Quello sbatté le ali, e si andò a poggiare sulla ringhiera. Vide il volto affranto del suo allenatore ed inclinò il capo.
“Allora... domani verranno gli scagnozzi del re Nestore nel nostro quartiere. Cercheranno ovunque, e metteranno la nostra casa sottosopra. Cercheranno te. Se ti trovassero ti porterebbero in una stanza, e ti getterebbero sul fuoco con tutta la Poké Ball. E morirai”
Starly continuava a fissare il suo allenatore. Una lacrima rigò il viso del ragazzino.
“Ed io non voglio che tu muoia. Vorrei vederti un giorno diventare grande. E forte. Uno Staraptor. Sarai bellissimo, con le piume lucide, e le ali lunghe. Sarai fortissimo. E per far sì che questo accada, ora devi andare via”
Lo sconforto lo investì come un tir e le lacrime trovarono il via libera per scendere in tutto il loro vigore.
“Vai! Vai via!”
Starly si alzò in volo, sbattendo velocemente le ali. Guardava piangere il suo allenatore. Aveva capito. E avrebbe voluto ringraziarlo.
Il giovanotto sentì l’uccello gracchiare, e poi una folata di vento, che lo aiutò nel salire nell’aria, e spiccare il volo verso mete lontane.
“Ecco... sei andato via...” piangeva il ragazzo. Si girò, in lontananza vedeva il castello del re Nestore.
Era furioso con lui.
Ed urlò.
“Che tu sia maledetto!”
La voce del giovanotto si espanse lungo la valle, e viaggiò velocemente fino a sparire velocemente.
La notte era scesa, ormai. Il buio era pesante, e non tutto era semplice da mettere a fuoco.
Poi un forte sibilo.
E del vento. Tantissimo vento.
Vento molto forte. Il ragazzino fu costretto a stringersi alla ringhiera. Qualcosa stava succedendo, e la curiosità, anche quella volta, ebbe la meglio sulla paura di morire.
Alzò gli occhi al cielo, e vide una cosa che non aveva mai visto.
Un drago. Un enorme drago verde, con delle linee luminose sul corpo, che velocemente si muoveva verso il castello di Nestore. A poco meno di cento metri una forte luce uscì dalla sua bocca, ed il castello fu letteralmente distrutto.
Il ragazzo impallidì, l’esplosione prodotta fu terribile.
Il drago verde ruggì rabbioso, poi partì ancora più veloce, in verticale, verso l’alto.
E sparì. La notte era scesa.
Starly era scappato via.
Ma il castello non c’era più. E Nestore era morto.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo Sesto: Ritrovamento ***


Ritrovamento - Pt. 1


Le dita sul vetro scivolavano scorrevolmente, e la condensa spariva. L’immagine che ne usciva fuori, però, sembrava distorta.
Si chiese chi l’avesse disegnata così male.
Porzioni nascoste del suo viso, su quello specchio bagnato e velato di una coperta di vapore, erano sovrapposte a quattro strisce di chiarezza.
Un volto per metà.
A che serviva avere un volto per metà?
“Perché non so chi sono i miei genitori?”.
Rachel si rese conto di aver reso il bagno di Alma una laguna.
Questo capita quando si sta nella doccia quasi un’ora. Pace all’anima di Alma, ed alla sua indipendenza monetaria, la bolletta del gas quel mese sarebbe stata salata.
Quel bagno aveva qualcosa di kafkiano. Forse erano le luci di quel giallo opaco, o forse le luci andavano bene, ma era il vapore che aleggiava a rendere tutto più pesante alla vista della giovane.
Qualche macchia d’acqua a terra la guardava, e la sfidava. “Sei inutile, non hai un futuro! E nemmeno un passato!” e poi rideva.
“Non è così...” disse poi quella. Sapeva che era la sua immaginazione. Sapeva che era solo il suo subconscio a parlare.
Ma era così che si sentiva. Inutile. E soggiogata.
Per tanti anni aveva chiamato papà un totale sconosciuto.
Totale sconosciuto a cui aveva molto da ringraziare, probabilmente in quel momento non si sarebbe trovato in quel bagno a litigare con le chiazze d’acqua sul pavimento.
Né lei né Zorua, che continuava a picchiettare con la zampa fuori alla porta.
Pensò che allevare quel Pokémon fosse davvero complicato. Insomma, avevano la stessa età, forse lui era più grande. Ma sembrava sempre un cucciolo.
Un cucciolo capriccioso e bisognoso d’attenzioni.
Proprio come si sentiva lei in quel momento. E per quanto le costasse ammetterlo, si, il ricordo di Ryan che l’abbracciava, e le preparava la colazione al mattino le puntellava il cuore. Con qualcosa di molto doloroso.
I ricordi sono la porta che conduce dalla mente al cuore. Porta la cui serratura non sarà mai serrata, perché dentro di noi, in fondo, sappiamo benissimo che i ricordi sono tizzoni ardenti nel cuore dell’inverno freddo.
Almeno un sorriso te lo strappano, se belli, qualunque guaio tu stia passando.
Ryan era un bravo fratello. O quello che era.
Non era suo fratello.
Non aveva neanche una madre, come poteva avere un fratello?
Tormentava la sua psiche, come uno strizzacervelli che aveva bisogno di uno strizzacervelli.
Un folle masochista.
Con la licenza di far del male, di indurre alla pazzia. E nonostante Rachel sapesse che più pensava a Ryan, e alla sua vecchia vita, e magari alle sue vere origini, più si sarebbe fatta del male, ebbene, lei lo faceva.
E non per procurarsi quel dolore immane, ma solo per capire.
Certe cose ti segnano, come marchi a fuoco.
Aveva un grande dubbio, prima di tutti gli altri.
Era stata abbandonata? Oppure i suoi genitori furono costretti dall’eterna mietitrice a lasciarla sola, loro malgrado, con un cucciolo di Pokémon?
Il secondo dubbio riguardava la ricerca del significato di un gesto.
Che senso aveva mandare allo sbaraglio un piccolo cucciolo di Zorua, che nulla c’entrava in quella situazione? Perché rischiare che entrambi morissero? Almeno il piccolo Pokémon avrebbe potuto essere salvato.
“Perché così tanto mistero nel mio fottutissimo passato?! Perché io?! Con tutti i miliardi di persone su questo dannato pianeta, perché proprio io!” urlò all’improvviso.
La zampetta di Zorua si fermò, previa ripartenza dopo pochi secondi di respiro affannato.
Pochi secondi, e qualche passo dopo, sentì bussare alla porta.
“Rachel...” sentì
“Chi sei?” chiese davvero scoglionata.
“Beh, in casa ci siamo solo io e te...”
“Uff... scusa, Zack... è che...”
“Non darmi nessuna spiegazione”. Le parole del ragazzo riecheggiavano in quel minuscolo spazio dalle mattonelle orribili. “Sappi solo che io ascolto più del tuo specchio. Se lo guardi bene non ha la faccia di qualcuno in grado di ascoltare i tuoi problemi”
Rachel guardo allo specchio. C’era lei.
Capì immediatamente.
“Non puoi farti carico dei tuoi problemi, non da sola. Sono cose più grandi di te. E di me. Di entrambi e di tutti messi assieme”
“Non è necessario, Zack”
“Voglio solo dirti che se avessi una figlia come te non l’abbandonerei mai”
E poi il silenzio. Zack poggiò la mano sulla porta, mentre Zorua lo fissava in attesa che l'aprisse.
Fu proprio quando una lacrima si tuffò in tutto il suo splendore dagli occhi della ragazza, seguendo un percorso distorto sul suo viso fino a cadere su di un seno, che il suo “grazie” risultò spontaneo e vero.
“Ora vestiti ed esci da quel bagno. Ti ho preparato il pranzo. E se ci sbrighiamo riusciamo anche a partire prima che faccia buio. Le uniche cascate di Adamanta sono le cascate Armonia, e la lastra che ha tradotto la professoressa indicano che dietro la cascata ci sia un antro”
“Ehm... si... faccio presto” la voce distorta dal pianto.
“Se puoi portarmi la collana quando esci... l’ho dimenticata sul lavandino prima, quando ero io sotto la doccia”
Tacito assenso, annuì pure, con la convinzione che lui potesse vederla, dopodiché prese un asciugamano e lo gettò per terra.
“Sei solo acqua”
 
Una volta vestita ed asciugata, uscì dal bagno. Zack non l’aveva mai vista con le braccia scoperte, né con i capelli alzati, e non poté far altro che sorridere appena la vide.
Rachel indossava una T-shirt degli AC/DC, ed il paio di jeans sembrava rivestire finemente le sue gambe affusolate.
“Che c’è?” domandò, dopo il terzo secondo che Zack la fissava.
“Niente. Ho preparato un po’ di pasta. Ti va?”
“A dire il vero non ho molta fame”
“Eppure qualcosa mi dice che mangerai”
Rachel sbuffò. “Non mi va Zack, non costringermi”
“Guarda che tiro fuori Gyarados...”
“Ed ecco che mi è salito l’appetito... che hai cucinato?”
“Una semplice pasta col pesto. Mi dai una mano per il secondo?”
“Ai fornelli non sono molto pratica”
“Eppure mi sa che tagliare della mortadella a cubetti è al primo livello per diventare Masterchef, o sbaglio?”
Risero entrambi. Rachel prese la mortadella, un tagliere ed il coltello, ed usò il tavolo come postazione di controllo. Zack davanti a lei, di spalle, al piano cottura.
Approccio alla cucina 1 cominciato. Una chiacchierata non ci stava male, nel mentre.
“Comunque dovresti addestrare meglio il tuo Gyarados...”
“Ne abbiamo già parlato...”
“Non ne abbiamo già parlato, mi stava per ammazzare!”
“Quasi lo rimpiango” fece quello, sarcasticamente.
“Se non la finisci ti avveleno la mortadella. Solo la tua”
“Oh, brava. Molto maturo da parte tua” sorrise il ragazzo.
Era sempre così solare. Rachel si chiese come facesse a non levarsi mai quel sorriso dal volto. Era finto. Era ovviamente un sorriso posticcio adesivo che utilizzava per ogni momento, non c’era altra spiegazione.
E poi durante le lotte diventava così serio da fargli paura.
“Comunque dovresti accettare il mio consiglio riguardo al tuo Gyarados... non voglio sminuire le tue doti di allenatore, anzi, complimenti a te che hai allevato un Gyarados, ma dovresti regolare il suo comportamento”
“Se vuoi lo lascio fare a te. Le sei già simpatica”
“Smettila di fare il cretino!”
“È un dannatissimo Gyarados! Come pensi che debba insegnare l’educazione ad un drago di 13 metri?! Senza morire, per giunta!”
“Mica attacca anche te?!”
“No. Ha rispetto e paura di me. Sei tu che non gli vai a genio”
“Hai detto che le sono simpatica”
“Attiva la ricezione per il sarcasmo”
Ed un pezzo di mortadella colpì Zack dietro la testa.
“Wow, signorina Livingstone, molto maturo da parte sua”
“Grazie signor Recket. Trovo che nel tiro al bersaglio abbia poco da imparare”
Zack rise.
“Non vincerai mai Masterchef tirando la mortadella contro i giudici”
“Oh che peccato”
 
Era passato già qualche giorno da quando Ryan aveva iniziato a frequentare gli allenamenti delle reclute dell’Omega Group ma doveva ammettere che non si sentiva a disagio.
La tabella di marcia era più rigida di quanto credesse. Nonostante attualmente la città di Timea fosse ancora in allerta per il disastro causato dai terremoti, la vita nel quartier generale sembrava non esserne stata influenzata. Marianne gli aveva mostrato tutto ciò che era necessario conoscesse e probabilmente anche qualcosa in più, come il centro di controllo delle telecamere che la ditta aveva installato in tutta la regione e tramite le quali la ragazza contava di ritrovare Rachel. Era a conoscenza del fatto che la foto che le aveva dato della sorella, scattata qualche mese prima durante una festa di compleanno, era stata visionata da tutti i vari collaboratori del reparto informatico.
Come Lionell gli aveva suggerito, allenarsi gli stava facendo bene, avendo orari da rispettare e allenamenti da portare a termine la sua mente riusciva a non pensare a tutto quello che stava accadendo. Aveva ripreso l’allenamento dei suoi Pokémon il giorno stesso in cui si era risvegliato nel quartier generale del gruppo e aveva scoperto che il Bisharp ricevuto dal Lionell era davvero un ottimo Pokémon.
Aveva usato principalmente lui e Trapinch, ormai evolutosi in un Vibrava in quei giorni, lasciando che Gallade si ambientasse al continuo flusso di emozioni e pensieri che percepiva in quel luogo. Diversamente dal suo allenatore, il Pokémon psico non si trovava bene in quell’ambiente nero e cupo. Non abituato prima di tutto alla presenza di così tante persone, si sentiva costretto. Ryan sapeva che dati i suoi poteri avrebbe impiegato un po’ ad abituarsi e aveva deciso di lasciarlo libero di rilassarsi come preferiva.
Anche quel giorno il ragazzo continuava il suo allenamento, decidendo di trattenersi nell’ala adibita agli scontri più a lungo. Era madido di sudore. La maglia bianca che indossava gli si era attaccata alla pelle e ansimava violentemente. Nonostante allenandosi riuscisse a combattere contro i pensieri che gli affollavano la mente, l’ansia lo stava rodendo poco a poco. Quel silenzio lo uccideva e lo spingeva verso un baratro fatto di follie e paranoie.
Andò a farsi una doccia, restando sotto il getto caldo per molto più tempo di quanto fosse realmente necessario. Aveva saltato il pranzo, ma non sentiva nessun appetito e decise di lasciar perdere. Dopo aver finito di vestirsi, mentre decideva di dirigersi in camera sua per cercare di dormire o di assistere agli allenamenti del turno seguente, Gallade attirò la sua attenzione. Marianne lo attendeva fuori la porta. Non se ne sorprese. La ragazza era stata la sua ombra in quei giorni. Lo seguiva, a debita distanza, controllando le sue condizioni. Si assentava per andare ad informarsi sulla situazione della ricerca di Rachel e non appena tornava lo informava subito. Onestamente credeva che non sarebbe riuscito a sopportarla ancora a lungo.
Aspettò che fosse lei ad iniziare a parlare, ma nei suoi occhi vedeva qualcosa di diverso dal solito. Sembrava eccitata.
“Forse l’abbiamo trovata.”
Pronunciò solo quelle parole, ma Ryan si bloccò del tutto. Senza nemmeno rendersene conto afferrò la ragazza per le spalle, scuotendola con una certa veemenza.
“Dove?”
Aveva ripreso ad ansimare, se da un primo momento Marianne sembrò spaventata della sua reazione, piano si calmò, sciogliendosi dalla presa del ragazzo e iniziando ad informarlo, lo condusse verso la sala principale dove si riunivano di solito gli addetti al controllo delle varie telecamere e dove venivano coordinati i vari interventi del team nella regione.
“È stata avvistata a Palladia” iniziò “nel centro medico, ieri mattina. Una ragazza dai lunghi capelli neri, occhi chiari e in compagnia di uno Zorua. Impossibile sbagliare. A modo suo tua sorella è vistosa. Era in compagnia di un ragazzo, suppergiù della sua stessa età, forse un paio di anni più grande”
A quelle parole Ryan si gelò. Un ragazzo? Chi diamine era?
“Chi è quel tipo?” ringhiò.
Gli occhi della ragazza si rabbuiarono.
“Anche di questo dovevo parlarti... beh... ecco”
“Avanti!”
Un brivido percorse la schiena del ragazzo. Cosa significavano quello sguardo e quell’attesa?
Nonostante facesse fatica a reprimere la propria inquietudine lasciò che la ragazza finisse il resoconto.
Una volta arrivati nella sala, lo portò davanti ad uno dei monitor, un 32 pollici dove erano proiettate le immagini di quattro diverse videocamere. Su due di esse la figura di sua sorella era chiaramente riconoscibile. Addormentata su uno dei semplici divanetti del centro, sua sorella gli sembrò estremamente indifesa. Improvvisamente sentì una stretta al cuore. Come diavolo avevano potuto finire così? Avrebbe voluto sbattere il pugno sul monitor, urlare. E invece si costrinse di nuovo a restar fermo, impassibile, stringendo i pugni tanto da sentire una goccia di sangue bagnargli le mani.
Poco distante da sua sorella, sul divanetto accanto, un altro ragazzo dai corti capelli coperti da una bandana sembrava dormire altrettanto tranquillo. Se fosse stato possibile uccidere con lo sguardo, Ryan in quel momento lo avrebbe fatto. Poi un lampo gli balenò in mente. Era il tipo che Rachel aveva incontrato, il giorno prima che sparisse, nella radura. Ricordava vagamente la descrizione datagli dalla ragazza, ma era sicuro che coincidessero.
“Chi è?” si limitò a chiedere nuovamente alla ragazza.
Marianne abbassò nuovamente gli occhi, poi li rialzò per guardarlo.
“In effetti mi sembra giusto che tu sappia chi sia quel tipo...”
 
Mangiarono, si riposarono per un po’ e poi scesero. Braviary li portò velocemente ai piedi della cascata Armonia.
Una magniloquente massa d’acqua bianca e rumorosa ricadeva suicida da più di 150 metri di altezza.
Il fiume seguiva il suo corso partendo dal monte Nebbia, che si trovava sul versante nord, attraversava la montagna, ricca di vegetazione e si tuffava in caduta libera. Lo spettacolo era magnifico. I ragazzi persero alcuni secondi per goderselo.
Lo scroscio copriva ogni rumore, ma tuttavia la scena risultava piacevole ed il rumore rilassante.
“Dannazione, hai dimenticato di portarmi il ciondolo!”
“Uh... scusa” sorrise quella, a cento denti.
“Si, ok... quindi, ora?”
“Beh, ora dovremmo effettivamente... non so. Forse dovremmo risalire la cascata”
“Non hai mai visto un dannatissimo film sulle cascate?!” chiese Zack, avvicinandosi al punto di terraferma più vicino alla parete rocciosa. Si sporse, cercando di vedere oltre quel potente muro d’acqua.
“Qui c’è un’insenatura” fece poi.
“Non ho intenzione di bagnarmi le scarpe”
“Rachel. Sei il peggior compagno di avventura di tutti i tempi! Avanti, c’è in gioco il destino di tutti e tu pensi alle tue scarpe?!”
“Eddai, non costringermi a fare una cosa del genere!”
“Guarda che tiro fuori Gyarados”
“Ed io Zebstrika!”
“Ed io Lucario. E contro di lui non si vince”
“Questo è tutto da vedere!”
Zack levò le scarpe ed i vestiti, rimanendo in boxer. Si, anche se non l’avrebbe mai ammesso, Rachel indugiò nel guardarlo, mentre si levava la maglietta e ce l’aveva davanti agli occhi, in modo che lui non potesse vedere mentre lo guardava.
Mise poi i vestiti nello zaino, assieme alle Poké Ball, e lanciò lo zaino oltre la cascata.
“Avanti” fece poi, e si tuffò. L’acqua era azzurra e limpida in prossimità delle rive del fiume, mentre si intorbidiva mano a mano che ci si avvicinava alla cascata.
Zack riemerse, i capelli arruffati sulla testa ed il sorriso smagliante, mentre l’acqua scivolava deliziosa sulla sua pelle. Si alzò in piedi. L’acqua gli arrivava di poco sotto la vita. In quel fastidioso punto che quando si va al mare ti fa sobbalzare non appena un onda un po’ più allegra la raggiunge.
“La corrente non è debolissima, ma non preoccuparti, non dovresti avere difficoltà”
Ancora indugiava, Rachel sul fisico del ragazzo. Poi decise di darsi una mossa.
“Ehm... girati”
“Eh?!”
“Girati!”
“Dovrei girarmi? E perché?”
“Perché mi devo spogliare!”
“E non pensi che ti vedrò lo stesso appena ti getterai in acqua?”
“No, perché non guarderai, ovviamente”
Rachel si svestì, rimanendo con i suoi intimi neri, ed imbarazzatissima immerse le gambe nel fiume, sussultando per la temperatura. Come una donna anziana immerse le mani nell’acqua, portandone un po’ alle braccia, e massaggiando qua e la.
“Che stai facendo?” chiese il ragazzo, con le mani alla vita, in attesa di un segno.
“Mi sto abituando alla temperatura dell’acqua, caro mio. Non voglio rischiare l’ipotermia”
“Ipotermia. Per fare sei passi nel fiume?”
“Già! Ipotermia, bello!”
Come ovvio, Zack la schizzò. E Rachel urlò quasi fosse dal dolore.
“Ma che ti salta in testa?! Sei matto?!”
“Avanti, vieni”
“Sei uno stronzo!”
Zack rise.
“E non mi guardare” aggiunse quella. Zack abbassò la testa, notando due Barboach a godere della temperatura corporea del ragazzo a pochi centimetri dai suoi piedi.
 
Rachel infilò tutto nel suo zaino, lanciandolo a Zack, che a sua volta lo tirò oltre la cascata.
Lei prese a camminare sul fondale cinicamente puntuto del fiume, tastando con la morbida pianta del piede il punto più idoneo per poggiarvisi.
Si sorprese Zack di come, una volta arrivata vicina a lui, Rachel gli avesse afferrato il braccio.
“Andiamo” disse poi.
Con cautela si avvicinavano alla cascata.
“Ok... il trucco per passarla è farlo sul lato. C’è meno acqua, ed è meno potente. Inoltre lo devi fare molto velocemente, altrimenti la forza dell’acqua ti farà cadere sotto e non ti farà più rialzare”
“È pericoloso” disse con fare ingenuo lei.
Zack le sorrise, occhi negli occhi. “Non preoccuparti”
Il fatto di stare seminudi creava intimità, nella testa del ragazzo.
In quella di Rachel solo un profondo imbarazzo. Non aveva mai avuto un ottimo rapporto con il uso corpo. Troppo magro, troppo dritto nei punti nevralgici.
Qualche curva in più le avrebbe fatto comodo. Per i ragazzi, naturalmente.
Ma poi abbandonò l’idea di doversi cercare qualcuno da avere accanto. Se fosse arrivato lo avrebbe accolto con tutta se stessa.
In quel momento però la sua testa la portava a vagare come una piuma sospinta dal vento verso altri pensieri. Le sue origini, e Ryan, per esempio.
Si muoveva, trascinando le gambe in quell’acqua di piombo, con fatica, stringendo il braccio vigoroso di Zack, che si muoveva scorrevolmente nel fiume.
Arrivarono davanti alla parete fragorosa.
“Guarda come faccio io” fece il ragazzo.
Proprio come aveva premesso, il ragazzo si avvicinò al bordo destro della cascata, ed infilò la mano al suo interno, andando ad infrangere quello specchio liquido dalla forza immane.
Tanto forte che la mano fu costretta ad abbassarsi.
“È molto forte. Dovremmo davvero utilizzare Gyarados” disse Rachel.
“Le tue Poké Ball sono nello zaino. Oltre la cascata. Ed anche il mio. Non possiamo utilizzare i Pokémon. Che intendi fare?”
“Beh...”
E all’improvviso Rachel vide Zack gettarsi nella cascata, attraversandola.
Pochi secondi. Pochi secondi di panico. Non c’era alcun rumore che non fosse lo scroscio della cascata.
“Zack...”
Niente. L’acqua cadeva impetuosa, urlando prima di infrangersi al suolo.
“Zack... dove sei?” la voce risuonava dolce e si scontrava contro l’acqua.
Niente.
Zack era morto. Probabilmente era così. E Rachel, che in quei giorni stava vivendo la peggiore delle sindromi dell’abbandono, non poté far altro che lasciarsi cadere in un baratro di lacrime ed abbassare il volto.
Il corpo del giovane non riaffiorava dall’acqua. La cascata lo aveva fatto suo. Nessuno avrebbe più potuto guardarlo negli occhi, i suoi occhi verdi, come gli smeraldi, come il colore di quel ciondolo che portava sempre, e che quel giorno lei aveva dimenticato nel bagno della professoressa Alma.
“Hey... guarda che non riuscirò a tenere la mia mano li per sempre”
Rachel alzò la testa così velocemente da non riuscire a mettere subito a fuoco quello che i suoi occhi vedevano.
La mano. La mano di Zack. La mano di Zack che lottava contro la furia dell’acqua, e che attendeva di unirsi con quella di Rachel. Lei si asciugò il viso, colmo di lacrime, ed afferrò la mano.
Zack la strinse, e la tirò a se con talmente tanta forza che quella non si accorse neppure di aver attraversato il muro d’acqua.
La sensazioni che provò nel momento esatto in cui era all’interno di esso erano contrastanti.
La paura le appesantì quella misteriosa parte compresa tra lo stomaco ed i polmoni, le dava una pessima sensazione. Era il timore di non farcela, di non sentirsi adeguati nel fare qualcosa.
La voglia di fare invece le diede una scossa di adrenalina assurda. Con gli occhi chiusi, non riuscì a vedere nulla. Il volto contrito, la bocca semiaperta, le labbra turgide indurite, tutto era concentrato.
“È tutto finito” disse poi quello.
Rachel aprì gli occhi, mentre le lacrime si mischiavano alle gocce d’acqua che cadevano precise dai suoi capelli. La mano che aveva preso era ancora stretta alla sua, la faccia poggiata sul petto del ragazzo, l’altra mano che lo stringeva dietro la schiena.
“Calmati... ti sono mancato così tanto?”
Rachel non si mosse per qualche secondo, bloccata dalla sorpresa che le aveva fermato anche le lacrime.
“Ho... ho pensato... ho pensato che tu fossi morto...” disse poi, staccandosi poi di colpo dal ragazzo, come se si fosse resa conto solo in quell’istante di cosa stesse accendo.
“Va tutto bene. Non ti lascerei mai da sola... devo salvaguardare l’umanità, dannazione. Sbadata come sei... chissà che fine faresti”
Rachel gli mostrò un sorriso tirato, ancora imbarazzata per il contatto avuto con l’altro.
Salirono sulle rive del fiume in quella che sembrava una grotta molto vecchia. Qua e la entravano sprazzi di luce da vari fori nella parete. Il pavimento era levigato. Non era naturale, qualcuno doveva essersi occupato del rendere quel posto più accogliente.
Del resto quella era la dimora d’emergenza dell’oracolo di Arceus, una vera rockstar a quei tempi.
Rachel e Zack si asciugarono velocemente, si rivestirono e si misero in marcia.
Varie iscrizioni, nello stesso linguaggio della tavola trovata nel tempio, si trovavano sulle pareti della grotta.
Quella aveva una percorso circolare, leggermente in pendenza. La grotta in effetti saliva sulla montagna, seguendo la linea naturale della parete rocciosa.
“Perché credevi che fossi morto?” chiese Zack.
“Non lo so... ed in effetti è folle... io non so niente di te”
Camminavano da qualche minuto, e tranne qualche Zubat spaventato che era svolazzato via non avevano avuto alcuna sorpresa.
“Cosa intendi?”
“Beh... di te mi hai detto solo il tuo cognome... ed ho visto solo un Gyarados, un Growlithe, un Braviary ed un Lucario tra i tuoi Pokémon, nonostante tu abbia sei sfere nella tua cintura. Altre informazioni me le ha date Alma, ma oltre questo rimani uno sconosciuto che inconsciamente ho accettato di accompagnare in una folle avventura”
“Che vuoi sapere di me?”
“Che ci fai qui ad Adamanta, per esempio”
“Te l’ho detto. Sono un avventuriero. Ho viaggiato per tanti anni, e due anni fa arrivai ad Adamanta. Mi sono trovato bene e mi sono fermato qui per un po’. Ma ciò non vuol dire che non ripartirò”
 “Uhm... e la tua avventura? Quando è cominciata?”
“Circa una decina di anni fa. Partii da Celestopoli, a Kanto e non mi sono più fermato. Ho lottato contro tantissimi allenatori, più o meno forti, ho allenato tanti Pokémon, a cui sono molto affezionato”
“Quindi non possiedi solo quelli nelle Poké Ball?”
“No. Ho un box pieno di Pokémon a dire il vero, ma tra tutti ho fatto una selezione, per ottenere una squadra equilibrata”
“Ed il tuo primo Pokémon?”
“Il mio primo Pokémon è stato il Growlithe che ha sfidato il tuo Zorua la prima volta che ci siamo incontrati. Ne ha viste molte” sorrise.
“E come mai non lo hai fatto evolvere?”
“Beh, non mi lamento delle sue prestazioni a dire il vero, è un Pokémon molto forte. Forse... beh, forse non voglio che cambi, voglio che resti il mio Growlithe. Non penso che riuscirò a chiamare il mio amico Arcanine, dopo tanti anni che l’ho chiamato Growlithe”
“Ma diventerà più forte!” urlò quella. La voce della ragazza rimbombò forte nella grotta. Zack le fece segno di non urlare. Il soffitto dell’antro era in buone condizioni, ma sapeva che non avrebbe retto per sempre.
E se fosse crollato sopra di loro non voleva che a provocare il tutto fossero delle inutili discussioni sull’evoluzione di Growlithe.
“Ci vuole la pietrafocaia per l’evoluzione di Growlithe”
 “Oh... beh, la grotta delle lanterne ne conterrà sicuramente qualcuna”
“Dopo l’ultima volta non ho più intenzione di entrare in quella grotta”
“Era solo il mio Larvitar... quante storie per un Pokémon così piccino. Ti lamenti di lui e non di quel mostro orribile”
“Ti riferisci al mio Gyarados?”
“Naturalmente. Non vorrai mica dire che il tuo mostro è più carino del mio Larvitar?!”
“Che discorsi inutili, Rachel...”
“Sto cercando solo di conoscerti...”
“No, stai mettendo a paragone due Pokémon. Inutilmente, peraltro”
“Ok, ok. A-aspetta un minuto... oggi... oggi in bagno. Mi hai parlato. Mi hai detto che se tu avessi avuto una figlia come me non mi abbandoneresti mai”
“Già. Ma ora che c’entra?”
“Che ne sai tu del fatto che sono stata abbandonata?!”
“Ehm... beh... veramente... parli nel sonno”
“Io e te dormiamo in due stanze differenti...”
“Senti, una notte mi sono svegliato per andare in bagno, e tu stavi tenendo un lungo sermone sulla tua vita e sulle tue preoccupazioni...”
“E tu naturalmente hai ascoltato tutto!” Rachel impresse la sua voce nella testa del ragazzo con molta aggressività.
“Beh... volevo sapere qualcosa in più sul tuo conto e mi è sembrata una buona cosa...”
“Certo...”
“Beh... comunque mi spiace. Vorrei che non fosse mai successo”
“Già. Così ora non sarei sudicia e bagnata in una grotta piena di chissà cosa”
“Non lamentarti, ci è andata di lusso. Non siamo ancora morti, abbiamo scoperto un posto dove nessuno era mai stato... non penso ci sia da lamentarsi”
“Umpf...”
“L’unica cosa che non capisco è il perché tu fugga da Ryan”
“Non ti riguarda”
“Cioè tu puoi chiedermi quello che ti pare, mentre io no”
“Parli sempre! Stai in silenzio!”
D’improvviso un boato riempì le orecchie dei ragazzi. Repentinamente, Zack chiamò Lucario. Rimasero fermi, piantati sui piedi. Rachel guardava il volto contrito e concentrato di Zack, simile a quello di Lucario.
Pochi secondi di silenzio. La volta non crollò.
“Ti ho detto di non urlare...” fece Zack, gettando fuori dal suo corpo tanta aria ricca di ansie e preoccupazioni con un sospiro.
“Ma è possibile che ogni volta che litighiamo succede qualcosa?!”
“Già... vedo più luce. Siamo quasi arrivati”
Ed in effetti era così.
Arrivarono in una zona piuttosto larga. La luce entrava da una grande apertura, coperta integralmente dall’acqua della cascata. Zack provò ad avvicinarsi al bordo dell’apertura. Erano davvero molto in alto. Vedeva la pozza d’acqua formata dalla cascata, dove c’erano dei Barboach.
“Vieni qui, che cadi...” gli fece Rachel, afferrandolo per lo zaino, e tirandolo a se. Il ragazzo fece qualche passo indietro, guardando Adamanta attraverso il filtro che gli imponeva l’acqua. Chiazze di colori indistinti formavano, nella sua fantasia, montagne, città, paesini, mari e case. Si girò, poi. Rachel sostava, mentre guardava il soffitto della grotta.
“È solido. È stato costruito molto bene” concluse poi.
“Prima era protetta da un esercito, hai sentito Mr Fuji...era una donna importante”
Il pavimento era sconnesso, l’erosione del tempo aveva cominciato da li. Nonostante tutto, tranne qualche ragionevole dislivello, si poteva camminare tranquillamente.
Non c’era traccia di alcuna stuoia, brandina, letto o luogo dove dormire. C’erano in compenso molti utensili per cucinare, un pestello, delle ciotole, degli utensili, tutto in pietra.
Mensole e piani d’appoggio erano stati creati con la roccia della grotta stessa. Varie insenature erano vuote. Una sola conteneva qualcosa.
“È un cofanetto...” osservò Rachel, afferrandolo. Lo aprì, dentro di esso vi erano incisi numerosi caratteri simili a quelli già visti sull’altra stele.
“Già. Lo porteremo ad Alma. C’è altro?”
“No. Niente. Bene. Andiamo”
“Aspetta, riposiamoci”
Zack sbuffò, la prese per il braccio, e la trascinò con se fino al bordo della cascata.
“Che dannazione vuoi fare?!”
“Stringimi forte” sorrise lui.
“Eh?!” fece lei, urlando, noncurante della grotta pericolante. Lo abbracciò però, mentre lui si gettava oltre la cascata.
Si erano buttati oltre la parete d’acqua, in caduta libera.
Rachel strinse gli occhi, mentre gli urlava le peggiori maledizioni ed offese. Zack rideva. Adorava quella sensazione di libertà, unita a quella percezione pungente che gli spingeva nello stomaco.
A poche decine di metri dal suolo, mentre erano dei potenziali proiettili, Rachel smise di urlare.
Sentiva le sue gambe sostenute da qualcosa, mentre le risate di Zack diminuivano.
Il vento passava tra i loro capelli, ma non cadevano più.
Rachel aprì gli occhi. La schiena di Zack.
“Puoi lasciarmi. Siamo in volo verso Edesea”
Braviary.
“Giuro che appena scendiamo ti ammazzo!”

 

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Capitolo 21
*** Capitolo Sesto: Ritrovamento 2°Parte ***


Trasformazioni - Pt. 2


“Professoressa Alma, eccoci di ritorno” fece Zack, levandosi la bandana e lasciando cadere lo zaino accanto alla porta. Nell’appartamento di Alma c’era un profumo divino.
“Fame?” chiese quella, facendo un sorriso da first lady.
“Beh... un po’”
Solo allora entrò Rachel. I capelli letteralmente sconvolti, la faccia di più. Non disse una parola, entrò solo nella stanza del ragazzo, sbattendo la porta.
Alma e Zack si guardarono.
“Che diamine lei hai fatto?! Pareva avesse una nuvola di pioggia sulla testa”
“È stata una giornata piuttosto pesante. Abbiamo trovato la grotta di Prima”
“Davvero?! Cavolo, ma siete bravissimi!”
“Grazie, professoressa. Ed abbiamo trovato un cofanetto”
“Mostramelo”
“Ce l’ha Rachel nella sua borsa, un momento”
Fece due passi indietro guardando gli occhi della bella donna, si girò, ed andò alla porta della sua stanza.
Bussò. “Rachel...”
Niente. Nessun rumore.
“Rachel!”
“Che diavolo vuoi?!”
“Stai bene?”
Silenzio. Zack guardò Alma, lei fece spallucce, dopodiché la porta si aprì.
“Secondo te sto bene?! Mi hai fatto fare un volo di cento metri in caduta libera, e se non sono morta oggi non morirò mai più!”
“Che le hai fatto fare?!” esclamò Alma, avvicinandosi alla ragazza.
“Ma niente! Quante storie per un lancio!”
“Poverina... vieni qui, siediti un po’...” Alma la prese sotto braccio e la fece sedere sul divano. “Ti metto a preparare una camomilla, avrai avuto una giornata molto pesante”
“Bah, troppo sensibile a queste cose! Stiamo partendo per salvare l’umanità ed i Pokémon, e tu ti metti a fare queste scene”
“Ma almeno potevi avvertirmi! Potevi dirmi: scusa Rachel, possiamo lanciarci da centocinquanta metri di altezza per poi utilizzare il mio Braviary per tornare ad Edesea?”
Zack abbassò la testa ed infilò le mani in tasca, facendo il vago.
“Che poi anche con la domanda è una cosa folle! Potevamo salire entrambi su Zebstrika, e scendere rapidamente!”
“Ok, ho sbagliato, scusa. Devo abituarmi ai tuoi limiti”
Alma assisteva alla presa di coscienza del suo pupillo mentre metteva un pentolino sui fornelli.
“Mi hai fatto sciogliere le gambe! Mi vendicherò!”
“Ok, come vuoi piccola, ora però, puoi darmi il cofanetto di Prima?”
“È nello zaino, prenditelo da solo”
“Ok”
Ne uscì un minuto dopo con lo scrigno in mano. Lo diede ad Alma, che lo prese e si sedette al tavolo della cucina.
“Uhm... un esame alla pietra del cofanetto potrà accertare che è dello stesso periodo della stele precedentemente tradotta. Qui a casa non ho apparecchiature in grado di farlo, però. Dovremmo andare in università”
“In realtà sarei più interessato al contenuto dei caratteri piuttosto che alla pietra del cofanetto...”
“Si, la traduco subito... bene. Sono gli stessi caratteri. Non so se siano stati incisi dalla stessa persona, ci vorrebbe un confronto con gli altri fatto da un calligrafo”
“Il contenuto” sorrise Zack, facendo sorridere anche la donna.
“Dice... il cristallo è andato. Il cristallo non esiste più, ma l’essenza di esso e l’amore verso Arceus continueranno a vivere nel mio cuore, e nel cuore di chi proviene dal mio ventre. In questo modo le guerre cesseranno. Nessuno sa della cosa. Chiunque cercherà ancora di fare del male al grande dio Arceus, continuerà a cercare il cristallo, ma esso non c’è più. Sfiancati dalla ricerca, un giorno la smetteranno, ed accoglieranno il suo amore in tutto il suo splendore. Per ora, l’unica cosa da fare è aspettare. E dare alla luce il mio cristallo, prole nata dall’unione con il magnifico Timoteo. Pace all’anima sua... Zack, questa è una testimonianza storica importantissima! Ma come hai fatto a trovarla?”
“L’ho trovata io!” esclamò arrabbiata Rachel.
“Si, è stata lei a trovarla”
“È incredibile... questo cofanetto è una pietra miliare della storia antica di Edesea...”
“Già... ma questo complica il nostro compito... senza cristallo come contattiamo Arceus?” sbuffò Zack.
“A questo proposito...” Alma si alzò, ed entrò in bagno. “Beh... questa è la tua collana, vero?” domandò poi, una volta uscitane, con il ciondolo in mano. Una semplice catena, con un grosso smeraldo. Zack la riprese.
“Si, l’avevo dimenticata in bagno... e Rachel aveva dimenticato di darmela, prima di uscire”
“Che diamine vuoi da me?! Sei tu che dovresti ricordarti di prendere le tue cose!” urlava isterica quella.
“Hey, piccola calmati...” sorrise Zack, e quel sorriso le fece venir voglia di lanciargli contro un corpo contundente.
“Beh... guarda questa immagine sacra... questo è Arceus”. Alma gli pose davanti un disegno fatto ad acquarello. Ritraeva il Pokémon Primevo in una posa monumentale. Le zampe anteriori sollevate ed il collo alzato.
“Beh... quello che voglio farti notare sono dei piccoli particolari presenti al di sopra di quella sorta di ruota dorata che ha attorno alla vita...”
“Ma...”
“Si. Sono dei cristalli. Proprio come il tuo. Oggi dopo pranzo sono tornata a casa, sono andata a farmi la doccia ed ho visto il tuo ciondolo. Avevo i miei dubbi, insomma sarebbe potuto essere un semplice smeraldo, quindi l’ho controllato al microscopio. E mi sono sorpresa quando mi sono resa conto di non conoscere nessun elemento con una simile conformazione. È molto particolare, ed i legami tra le particelle sono incredibilmente fitti. È un nuovo elemento, mai incontrato sul nostro pianeta”
“Dici sul serio?!”
“Già”
“Questo ciondolo me l’ha dato mio padre prima che partissi. Non lo levo quasi mai. Non sapevo fosse così tanto importante”
“Hai appesa al collo la causa di una delle guerre più sanguinosa mai avvenute nella nostra regione”
“Incredibile”
“Non si spiega però perché Prima abbia dovuto incidere quelle parole se il cristallo è qui” instillò il dubbio Rachel.
“Magari contavano che la trovassero. E che leggessero il contenuto del cofanetto” provò a rispondere Alma.
“Alla fine ce ne siamo dimenticati, proprio come ha scritto lei”
“Beh... sono molto convinta di quello che dico. Questo elemento non esiste sul nostro pianeta. Questo, ragazzi, è il cristallo di Arceus”
Rachel si alzò, ed andò vicino a Zack. Lo prese, lo toccò. Era strano sentire tra le sue mani qualcosa di così importante.
“Beh... dovremmo metterlo al sicuro. Non credo sia saggio che tu lo tenga al collo” fece poi.
“Non se ne parla neanche!” lo strappò di mano alla ragazza. “Questo è il ciondolo che mi ha regalato mio padre, è il mio portafortuna, e non si allontanerà dal mio collo!”
“Beh, lo spero per te, perché altrimenti dovrai trovare un nuovo pianeta dove attentare alla mia vita”
Zack rise, e le strinse per le spalle, tirandosela verso di lui. Rachel lasciò fare, senza replicare al contatto, ma staccandosene non appena quello allentò la presa.
“Uh... la camomilla è pronta” sorrise Alma.
 
Mangiarono, risero, scherzarono e si crearono un piano d’azione. Alma consegnò inoltre ai ragazzi la tavola di Hermann. Era una lastra di pietra abbastanza sottile, su cui era incisa la forma di una mano.
“Questa è in grado di rivelarvi la purezza d’animo di una vergine. L’inventore deve aver probabilmente utilizzato qualche Pokémon per conferirgli il potere del riconoscimento, ma come abbia fatto rimane tutt’ora un mistero. Inutile dirvi che avete tra le mani un cimelio di inestimabile valore archeologico, e che dovrete usarlo con cautela, senza danneggiarlo. Quando questa storia sarà finita, il rettore della facoltà di scienza lo rivuole nel suo studio. È chiaro?”
“Sissignora” rispose Rachel.
“E come funziona?” domandò l’altro.
“Beh. Basta semplicemente che la vergine poggi la mano qui e la tavola dovrebbe reagire. È certificato il suo funzionamento”
“Ok, va bene. La ringrazio”
“Ora se permettete vado a dormire. Domani dovrò studiare meglio il cofanetto ed inviare un’equipe di studiosi alle cascate Armonia”
“Se trovate qualche frana è stata Rachel e la sua voce incredibile” fece Zack, a mo’ di avvertimento.
La più giovane lo spintonò, ma quello non si mosse di molto.
“Non credo ci saranno problemi. Abbiamo dei Pokémon scavatori molto abili. Notte” sorrise poi, in quel modo che faceva sciogliere chiunque.
“Notte, professoressa” risposero all’unisono i due. Alma sparì nella sua stanza, mentre i due si sedettero sul divano. Accesero la tv.
 
“Edizione straordinaria del tg Adamanta. Quasi contemporaneamente in più parti della regione di Kanto è iniziato l’attacco dei tre leggendari uccelli Articuno, Moltres e Zapdos. Il primo ha causato un’abbondante grandinata nella città di Zafferanopoli, provocando numerosi danni ai palazzi e alle autovetture e ferendo molte persone. L’uccello di fuoco ha invece preso di mira il Monte Argento, su cui  sta divampando un forte incendio, che inutilmente il team dei Blastoise sta cercando di domare. Per ultimo Zapdos, che ha causato una forte tempesta di fulmini che ha colpito Plumbeopoli. Inutili gli sforzi dei capipalestra per difendere le proprie città. Tra i migliaia di feriti c’è da registrare la presenza del capopalestra Green, che ha subito gravi ustioni sul Monte Argento cercando di contrastare Moltres. Per ora è tutto, da tg Adamanta”
 
“Dobbiamo sbrigarci, Rachel” sospirò Zack.
 
Era chiuso in camera sua, steso sul letto della camera che gli avevano dato. Aveva i palmi delle mani scorticati per aver serrato i pugni troppo stretti. Aveva ascoltato quello che Marianne aveva da dirgli riguardo quel ragazzo, Zackary Recket senza battere ciglio, e con la stessa maschera impassibile le aveva voltato le spalle e se ne era andato. La ragazza gli aveva detto che quelle che giravano sul suo conto erano solo voci, ma per lui oramai era impossibile fidarsi. Nonostante oramai fosse più che tardi, il suo animo era in tumulto e gli impediva di addormentarsi. Gallade lo guardava preoccupato, ma il ragazzo sapeva di non potergli rivolgere nemmeno una parola.
Sapeva che nel preciso istante in cui avrebbe riaperto la bocca, probabilmente, avrebbe detto parole che non gli appartenevano realmente e che pure non sarebbe riuscito a fermare. Restava così, disteso a fissare il soffitto, mentre pensava all’indomani. Marianne lo aveva rincorso per dirgli che sarebbero partiti alla volta di Palladia, nel tentativo di rintracciare i due, ma che forse non erano già più lì. Sbatté il pugno sul materasso, che cigolò infastidito dalla mossa del ragazzo. Poi qualcuno bussò alla porta.
La tentazione di non aprire era tanta, ma la speranza che fossero nuove notizie gli impose di calmarsi e di accogliere chiunque lo stesse disturbando.
A sorpresa, il visitatore notturno era Lionell.
Il ragazzo lo guardò confuso. Nonostante fossero sempre nello stesso palazzo non gli era mai capitato di incontrarlo in quei giorni. Impreparato dall’evento, non seppe che balbettare qualche sillaba scendendo man mano di tono finché non tacque. Nemmeno l’uomo parlò. Sembrava pensieroso. E indeciso. Questo sorprese ancora di più il ragazzo. Poi quello parlò.
“Scusami, ragazzo, posso entrare qualche minuto?”
La voce era bassa, calma, non sembrava quasi la sua. Ryan si fece da parte per farlo passare e richiuse la porta dietro le spalle dell’uomo. Sebbene avesse giudicato che non dovesse avere più di quarantacinque anni, improvvisamente gli sembrò molto più vecchio.
Lionell si sedette sul letto, con la faccia stanca. Impiegò alcuni secondi prima di guardare Ryan.
“Ho saputo che la ragazza è stata trovata.”
Iniziò.
Ryan annuì, senza dire altro. Era a disagio.
“L’ho vista nel filmato, per la prima volta, stasera. La foto l’ha avuta Marianne tutto il tempo...” fece un’altra pausa.
“Ryan... penso che ci siano un paio di cose di cui devo metterti al corrente...”
Il ragazzo lo guardò.
A quanto pareva quella giornata era ben lungi dall’essere finita.
Già... Quelle giornate non finivano mai. Soprattutto nella mente.
 
Rachel si svegliò nel cuore della notte. Aveva freddo ai piedi, e al naso. E alla guancia sinistra.
Quella destra sembrava stare bene. Aprì meglio gli occhi, cercando di focalizzare bene la situazione.
Qualcuno accanto a lei si muoveva. Espandeva il torace, che poi tornava di normali dimensioni.
La luce della luna entrava impertinente in quella nottata, illuminando il tavolo e due sedie nella cucina.
La televisione era accesa, probabilmente si erano addormentati mentre vedevano Pokémon Show. Continuava a trasmettere immagini. Ora c’era un programma letterario. Lo schermo televisivo illuminava il volto di Rachel.
E quello di Zack, che abbattuto dormiva accanto a lei.
Aveva avuto una giornata pesante.
Tante emozioni, tante sensazioni. Tutto unito ed inseguito dalla paura di una fine quasi certa.
Oppure no. Quel cristallo che aveva appeso al collo poteva essere la speranza.
Non si volle muovere, lei, per non svegliare Zack. Era rimasta con le gambe piegate una sull’altra, i piedi scoperti, il braccio destro rintanato dietro la schiena di Zack e quello sinistro sul suo addome. La faccia sul suo petto completava il tutto. Sembravano fidanzati.
Pensava, lei.
La chiamava piccola. La stringeva, quel giorno l’aveva tenuta stretta a se, al suo petto, si era scusato con lei, ed aveva condiviso tante emozioni.
Era senza dubbio un testone. Ma rimaneva un testone molto carino. E dolce, quando serviva. Le aveva preparato il pranzo, e detto quelle cose carine nascosto dietro la porta del bagno.
Doveva staccarsene. Le venne da pensare. Quel contatto la feriva, era come se le mostrasse qualcosa che non meritava di avere. Doveva dormire. Allungò la mano verso quella di Zack, che manteneva il telecomando, sfilandoglielo elegantemente, cercando di farlo il più velocemente possibile.
Spense la tv, ed il salotto e la cucina piombarono nel buio.
Forse fu la mancanza di quel ronzio fastidioso a far aprire gli occhi al ragazzo.
“Hey... Rachel... che succede?” fece quello, confuso e appena sveglio.
“Niente, Zack. Ho spento la tv. Ho freddo”
“Vado a dormire, ti lascio riposare per bene”
“Sì, ti ringrazio” la voce atona sembrava stridere con l’espressione che l’oscurità nascondeva.
“Bene”. Zack si alzò e si voltò verso la ragazza. Si era alzata, e prendeva le coperte.
“Ma non sei scomoda?”
“No, tranquillo, va tutto bene.”
“So che può sembrarti fuori luogo ma se vuoi di la il letto è molto grande e confortevole. Possiamo dividerlo”
“Non è il caso, Zack, non preoccuparti. A domani”
“Ok. Ciao piccola”
“Ciao...”

 

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Capitolo 22
*** Capitolo Settimo: Limiti ***


Limiti - Pt. 1


Quella notte il letto collaborò. Le coperte non diedero fastidio, nessun fastidioso insetto che ronzasse nelle orecchie e finestre serrate. La luce non sarebbe entrata neanche con regolare invito, e Zack avrebbe dormito, e recuperato il sonno perduto.
Alma si svegliò presto quel mattino, come sempre del resto.
Avrebbe potuto seguire l’esempio del ragazzo, tutto sommato. In fondo era domenica.
Sospirò, non ci riusciva. Erano le otto e già era attiva.
Il sole aveva appena messo piede fuori, nel cielo, e l’aria era carica del freddo della notte.
Alma, affacciata alla finestra del suo palazzo, respirava con la bocca. L’aria calda si condensava, andando a formare una nuvoletta. Sospirò, solite preoccupazioni della vita, e soffiò via l’ansia dall’interno dell’esofago.
Rimise la testa in casa, dove la temperatura era ragionevolmente migliore, facendo attenzione a non fare rumore. Rachel dormiva sul divano, avvolta da due calde coperte di lana. Zorua era acciambellato sulle sue gambe, e di tanto in tanto muoveva la testa.
Alma sorrise. Era davvero un bel Pokémon. Lo prese, e lo strinse. Quello non fece una grinza. Il pelo era lucido e caldo. Lo poggiò sul tavolo, e notò come Rachel, senza il peso mellifluo del suo Zorua, piegò le gambe, mettendosi in una posizione più comoda.
Zorua dormiva e Alma lo accarezzava, seduta al tavolo. I capelli neri, legati in una treccia, e le curve eleganti avvolte in un accappatoio bianco. Aveva le gambe piegate sulla sedia, e la testa poggiata sul braccio, quello che non accarezzava Zorua.
Più di tutto le premeva che l’intera umanità, se quella profezia fosse realmente esatta, fosse nelle mani di quei ragazzini. Certo, di Zack non c’era di che preoccuparsi. Ma Rachel le sembrava inesperta.
Acerba.
Si, forse era acerba la parola adatta. Era abbastanza discutibile, ma forse aveva bisogno di più allenamento per stare dietro ai ritmi di Zack.
D’altro canto, i due come squadra erano davvero azzeccati. Lui estroverso al massimo, con un’ottima capacità di controllare la sua squadra.
Lei molto più riflessiva, ma anche più intuitiva. Aveva tanto da imparare, ma serviva a dare un limite alle ambizioni e alle spericolatezze di Zack, che altrimenti, incosciente, avrebbe potuto farsi del male, dato che non usava darsi dei limiti.
Lei poteva diventare forte, e levarsi da dosso quella debole armatura fatta di carta argentata, aprirsi al mondo ed affrontare i suoi fantasmi a testa alta. Migliorare la propria tecnica di allenamento, vedere posti nuovi, e dimenticare i suoi problemi. Quella ragazza tendeva a parlare nel sonno, e si svegliava più stanca e nervosa della notte prima.
Lui poteva consacrarsi come vera leggenda. Lo immaginava, e sperava tanto di vederlo così, mentre bussava alla sua porta, abbracciandola e dicendole che era tutto risolto.
Alma sospirò. Ma era sicura che non fu quel sospiro, quanto la mancanza di Zorua sulle sue gambe a far svegliare Rachel.
Quella si sentiva la bocca impastata di colla. Aveva un saporaccio sulla lingua.
Cercava il ciuffo di Zorua con la mano, senza trovarlo. Poi sentì ridere.
“È qui...” disse Alma.
Attivò il visore mattutino e mise a fuoco Alma, in accappatoio, seduta al tavolo, mentre accarezzava Zorua.
“Oh... pensavo fosse scappato”
“Spero di non averti svegliato”
“No, tranquilla, sei sempre silenziosissima. E non so come fai”
Alma sorrise, e vide Zorua sbadigliare.
“Zack dorme ancora?” chiese Rachel.
“Si. È in stanza. Che programmi avete per oggi?"
“Ci muoviamo. Abbiamo stabilito di andare verso Plamenia”
“Come mai Plamenia?”
“Beh... si trova un grande parco divertimenti, frequentato da tanti giovani. Li avremo più probabilità di incontrare una vergine”
“Eh già... ottima pensata”
“Fosse stato per Zack saremmo dovuti andare a Timea”
“Beh... è più grande”
“Ciò non toglie la validità del ragionamento fatto per Plamenia. Perché perdere altro tempo? La gente muore, se li c’è più possibilità di trovare una vergine che ad Arceus vada bene, ebbene, io mi fiondo li”
“Ti sei lasciata coinvolgere...” sorrise dolcemente Alma.
“Già... mi sento... responsabile”
“E lo sei. Tu, con Zack”
“Non mi rincuora, questa cosa” sorrise Rachel, alzandosi dal divano. Prese a piegare la coperta, fasciata nel suo largo pigiama di pile.
“Non ti fidi di lui?”
“Beh... è un bravissimo ragazzo... ma... avanti, non lo conosco da così tanto tempo da poter dire di fidarmi di lui”
“Sei quel tipo di persona, allora” osservò la più grande tra le due.
“Ovvero?”
“Non ti piace dare una possibilità a chi hai di fronte”
“La questione è che ho paura di farmi del male, Alma”
“Posso comprenderlo"
“E tu? Il tuo uomo dov’è?”
“Non c’è nessun uomo”
“Appunto. Odio ammetterlo, e la mia autostima cederà per questo, ma sei bellissima anche con i capelli spettinati ed in pigiama”
Alma rise, svegliando Zorua. “Non dire assurdità. Comunque ti ringrazio”
“E quindi?”
“Quindi cosa?”
“Perché non hai un uomo accanto?”
“Perché il mio uomo è partito. E non è più tornato”
“Partito? Per dove?”
“Lui era un ricercatore. Frequentavamo lo stesso corso all’università, ma ci conoscevamo già da prima. Ci volevamo molto bene. Io ho tecnica di ricerca basata molto di più sull’osservazione fatta in laboratorio... mentre lui... beh, lui era come Zack, adorava viaggiare, e si muoveva sempre qui e lì. Un giorno partì per una spedizione, e non tornò più”
“Che spedizione?”
“Riguardava il mondo distorto. Pare che lì spazio e tempo abbiano una struttura a sé stante. Ma... non siamo riusciti mai a saperlo con esattezza. Lui è partito tre anni fa, Zack lo sa. Stavamo per sposarci. Questa doveva essere casa nostra. L’ho presa lo stesso... e mi fa piacere, di tanto in tanto, ospitarlo quando è qui in città. È un ragazzo d’oro, nonostante sia molto testardo”
Rachel annuì. “Mi spiace”
“Oh, figurati...” sorrise Alma. “Un giorno tornerà. Ed io starò qui ad aspettarlo”
“Te lo auguro”
Alma si alzò, esi diresse verso un mobile. Rachel si incuriosì, ed aspettò che tornasse li, al tavolo. La sentiva strana, quasi come se fosse incorporea. Pareva fluttuasse, tanta la leggerezza che mostrava.
Aprì un cassetto, poi lo richiuse. Tornò al tavolo, poggiandovi sopra una Poké Ball.
“Beh... lui...” Alma stava cedendo alla commozione, ed al dolore, ma era una donna forte, e si impose di non perdere quella battaglia contro se stessa ed il suo istinto. “...lui aveva catturato per me questo Litwick... non ho mai avuto l’occasione di utilizzarlo, volevo fosse lui a mostrarmi come funzionassero i suoi attacchi...”
“Non hai altri Pokémon? Insomma... dovresti sapere come funziona...”
“Si, lo so. Ma... lui credeva che fossi imbranata, ed io glielo lasciavo credere, perché adoravo quando si avvicinava e cercava di aiutarmi. Era sempre così generoso... e pieno di vita”
Alma diede un leggero colpetto alla sfera, ed un piccolo Litwick prese a
ondeggiare sul tavolo. Zorua, incuriosito, si avvicinò a Rachel, strofinandogli la coda contro i piccoli arti.
“Rachel... vorrei che lo usassi tu” tagliò corto Alma.
“Eh?!”
“So che non è un Pokémon semplice da allenare, ma potrebbe aiutarvi nella vostra causa. Ed in più è molto crudele il fatto che debba stare rinchiuso in un cassetto quando può vedere il mondo”
“Alma, io non so se...”
“Fallo per me. Come ringraziamento” il volto della donna si contrasse in una sorta di preghiera, da cui ottenne un sorriso dolce.
“Ok”
“Non è facile. Non ha praticamente mai lottato, tranne quando è stato catturato. Ma può essere davvero utile se allenato con dovere. Magari puoi farti aiutare da Zack, lui è molto bravo”
“Oh, credo che ci riuscirò anche senza di lui”
Alma sorrise ed annuì, capendo che tra i due vi fosse una leggera rivalità. Fece rientrare Litwick nella sfera, e sorridendo la porse a Rachel.
“Abbine cura”
“Certamente”
Rachel la prese, gustandosi il calore che aveva dentro quando otteneva un nuovo Pokémon.
“Per che ora avete stabilito la partenza?” domandò poi Alma.
“Quando quel testone si sveglia...”
La porta della stanza di Zack si aprì, scricchiolando.
“Il testone è sveglio...” fece, con i capelli sconvolti da un corpo a corpo perso con il cuscino ed il pigiama messo al contrario.
"Grazie di tutto Alma!” sorrideva Zack, agitando la mano, mentre si allontanavano da Edesea. Il sole, adesso caldo, li investiva.
“State attenti, mi raccomando!” urlava quella. “Qualunque cosa scoprite telefonatemi! Vi voglio bene!”
Rachel sorrise. Alma era bella. Ma con il cuore ripieno di dubbi, come ogni donna.
“Buongiorno socia!” sorrise Zack.
“Hey...”
“Vitale come sempre” sfotté.
“Già...” lei si fermò e tirò fuori Zebstrika.
“Eh?! Che vuoi adesso?”
“Non voglio niente da te, ma mi fa piacere il fatto che Zebstrika ti incuta timore. È così che deve essere” Rachel sorrise e Zebstrika soffiò, graffiando il terreno con lo zoccolo.
“Posso stendere il tuo Zebstrika quando voglio... dopotutto io... ma che stai facendo?”
Con difficoltà Rachel salì in groppa al suo Pokémon.
“Sei seria?” chiese lui.
“Certo”
“Non è un cavallo, è una zebra”
“Come ti pare. Al trotto Wizard”
Rachel credeva che le creste sul dorso del Pokémon fossero dure. Ed invece al tatto erano morbide, e lisce. Lo erano solo con le persone di cui il Pokémon si fidava davvero.
La zebra prese a trottare, lasciando indietro velocemente uno sbalordito Zack.
“Oh... santo cielo... aspettami!” urlò. Ma Rachel era già lontana.
“Braviary!” lanciò la sfera per terra e saltò, in modo da trovarsi già sul suo Pokémon. Adorava le sue piume. Erano morbidissime.
“Raggiungiamoli!”
Braviary partì come un razzo.
Questione di secondi, almeno una ventina, e videro Braviary volare velocemente sulle loro teste.
“Ho anche io i miei mezzi!” urlava Zack.
Rachel sorrise. Accettò quella sfida mai apertamente rivelata, e si compiacque, sorprendendosi di come tempo prima non avrebbe mai osato mettersi contro nessuno, contando unicamente su se stessa e sui suoi Pokémon.
“Avanti! Corri, Wizard!”
Zebstrika nitrì e prese a correre per le valli che costeggiavano la città di Miracielo. Avrebbero dovuto superarle per arrivare a Plamenia.
L’aria passava tra i capelli di Rachel e se ne andava, baciandole la pelle e lasciandole un piacevole brivido addosso, mentre l’erba alta si apriva al loro passaggio, mostrandogli il cammino.
Ed era così che voleva sentirsi. Con l’aria che le graffiava la pelle, e quella paura impellente che potesse succederle qualcosa, bello o brutto che fosse. Ma almeno pretendeva di vivere con quel dubbio, sperando che le cose si mettessero meglio. Il peso delle responsabilità cominciava a diventare fastidioso, ed ogni battito di ciglia sembrava insormontabile, come se solo con gli occhi avrebbe dovuto alzare tonnellate.
Ma il bello era quello. Non voleva fermarsi. Lo sentiva. Qualcosa stava cambiando. Dentro di lei niente era fermo, era proprio come se si stesse evolvendo anche lei. Stava per diventare un’altra. Stava per aprirsi, e per conoscere il mondo. Ridendo, scherzando, sfidando chiunque, sapendo che più di cadere con il sedere per terra non poteva.
La paura c’era, quel persistente bruciorino sullo stomaco, ma andiamo... chiunque ce l’ha.
Non si chiese dove fosse Zack, sapeva solo che doveva correre, scappare dalla vecchia Rachel, che invano cercava di raggiungerla. Non poteva, non doveva raggiungerla. Doveva correre, e lasciare il pregiudizio ed il timore alle spalle.
Affrontare. Era quella la nuova parola d’ordine.
Zack intanto rideva, sempre compiaciuto dai suoi voli ad alta velocità con Braviary. “Scendi su Rachel!” sorrise poi.
Braviary andò in picchiata, e Rachel vide l’ombra di Braviary ingrandirsi sempre di più su di lei. Alzò la testa. Zack la guardava sorridendo.
“Non ti ho mai vista ridere in questo modo! Sei carina quando ridi!” urlava, cercando di farsi ascoltare.
Ma tanto Rachel non sentiva. Voleva solo il suo dannatissimo iPod, per sentire gli Snow Patrol. In quel momento avrebbe voluto ascoltare “What if the storm ends?”, le sarebbe sembrato leggendario. 
 
I chilometri da percorrere erano tanti.
E quando videro Miracielo da lontano, capirono di essere a metà strada.
“È ora di pranzo” sorrise Zack, scendendo a terra. Saltellò un paio di volte, per riattivare la circolazione delle gambe, poi si avvicinò ad uno degli sporadici alberi presenti nell’erba alta della vallata.
“Qui credo sia perfetto” fece sorridente il ragazzo. Come sempre.
“Siamo un po’ isolati... non sarebbe meglio incamminarci verso Miracielo... almeno li potremmo stare più tranquilli e sicuri, senza il rischio di qualche attacco di un Pokémon selvatico”
“Siamo allenatori, e sappiamo affrontare queste situazioni... per me qui va benissimo” Zack fece una piroetta, allargò le braccia e si lasciò cadere sull’erba alta e morbida. Sentiva quel dolore dietro alla schiena rapito dall’aria frizzante, e sparire velocemente. Le nuvole scappavano via dal suo sguardo, lasciando solamente una grossa tela azzurra ben tesa.
La fissava. “Chissà oltre cosa c’è?”
“Eh?” chiese Rachel, cercando uno dei sandwich che Alma gli aveva preparato. Pensò che quella donna fosse veramente premurosa.
“Intendo oltre al cielo... secondo te cosa c’è oltre?"
“L’universo”
“Sicura?”
“Si”
Zack alzò la testa. “Lo hai visto?”
“Beh... no... ma...”
“E se volessero che tu creda che ci sia l’universo? E magari in realtà non c’è nulla? Oppure tutto. Potrebbero esserci tutte le risposte, oltre il cielo...”
“Hai tutta questa voglia di chiederti cosa c’è oltre l’atmosfera?”
“Mi pongo spesso questa domanda”
“Credevo che volando in alto con Braviary fossi arrivato su Marte...”
“Sbagli... che si mangia?” chiese lui, mettendosi a sedere.
Rachel gli lanciò un sandwich avvolto nella pellicola trasparente. Insalata e gamberetti.
“Buono...” riuscì a dire lui, masticando. Prese una Poké Ball, tirandola nel silenzio più che totale.
Ne uscì Growlithe.
“Eccolo qui!” sorrise Zack, appena il Pokémon accorse verso di lui, saltandogli addosso. Divise il suo sandwich e gliene diede metà.
Rachel vedeva quel ragazzo ridere, così tanto in armonia con l’ambiente che lo circondava che quasi sembrava fosse un elemento del paesaggio.
E poi quel Growlithe. Le orecchie puntate verso l’alto, gli occhi vispi, ed il pelo folto e lucido. Questo era strano. Non era arancione, tendeva invece sul giallo. Prima di incontrare Zack, Rachel non mai visto un Growlithe con quello strano colore di pelo.
“Come mai il tuo Growlithe non è del colore normale?”
“Perché è un Pokémon cromatico”
“Ovvero?” chiese lei, sedendosi con il suo pranzo in mano accanto a lui. L’ombra dell’albero che avevano alle spalle si estendeva attorno alla zona circostante, creando un perimetro di fresco. Nonostante fosse inverno il calore stava aumentando in modo massiccio. Rachel pensò che fosse per via del risveglio di Groudon, a Hoenn. Adamanta non era poi così distante.
“Un Pokémon cromatico è un normalissimo Pokémon, che ha l’unica particolarità di avere una parte del dna modificato. Ciò significa che il suo aspetto, molto spesso il colore, varia dalle specie normali”
“Wow...”
“È difficilissimo trovare dei Pokémon cromatici”
“Come hai trovato Growlithe?”
“Oh... beh, è stato il mio primo Pokémon. Tu lo vedi così, piccolino e tenero, ma in realtà questo Pokémon ha tantissima esperienza”
“Ma hai deciso di non farlo evolvere” gli rammentò.
Zack mosse impercettibilmente le sopracciglia. Stirò le labbra e distolse lo sguardo. “Beh... è il mio amico, come ho detto, mi piace vederlo così... e tu? Larvitar come sta? Ancora devo vederlo meglio”
“Ti accontento subito” sorrise lei. Larvitar uscì fuori dalla sfera.
Si guardò stranito ed impaurito, immobilizzandosi, muovendo solo gli occhi, mentre guardava il cielo e le nuvole in lontananza.
“Presentati” disse a bassa voce Zack.
“Larvitar”
Il Pokémon fissò il suo sguardo su Rachel, che sorrideva. Vedeva i suoi occhi azzurri, e poi il sandwich.
“Ha fame...” suggerì ancora a bassa voce il ragazzo.
“Oh... tieni...” fece ancora Rachel, staccando un pezzo del suo pranzo, e porgendolo a Larvitar.
Quello abbassò la testa, tenendo gli occhi fissi su Rachel, e spostandoli ritmicamente sul cibo. Lentamente si avvicinava alla ragazza, schivo, impaurito da qualsiasi gesto o mossa inopportuna. Intanto il vento soffiava, e l’erba alta frusciava.
“Avanti. È tuo” Rachel cercava di essere incoraggiante.
Larvitar allora prese il cibo, e fece due passi indietro, guardando sempre Rachel.
“Sposta lo sguardo” suggerì per l’ultima volta Zack.
Lo fece. E Larvitar si rilassò, mangiando il sandwich.
“Aveva fame” osservò Zack. “Più piccoli sono, i Pokémon, più hanno bisogno di mangiare”
“Già...” sorrise lei, affascinata dal Pokémon.
Larvitar finì il suo pasto, poi guardò Rachel. La ragazza guardò il suo panino, o almeno quello che ne era rimasto, e glielo diede. Larvitar si avvicinò e lo prese, stavolta con maggiore fiducia nei confronti della sua allenatrice. Si lasciò accarezzare, mentre mangiava il sandwich.
“E così, la nostra eroina cedette il pranzo per fare amicizia con Larvitar”
Zack sorrise dolcemente. “Aspetta...” si girò, verso lo zaino, da cui cacciò delle mele. Sembravano buone.
“Alma mi ha dato queste mentre, tu eri in bagno”
“Come al solito... sempre le solite preferenze...”
“Che vuoi farci...” sorrise lui. “Comunque sono due mele, una testa. Le ha date ad entrambe”
“Sicuro che ti abbia dato solo le mele?”
“Si, non aveva molto cibo in casa”
“Non intendevo quello”
“Finiscila”
Rachel squittì sorridendo, poi si alzò. Larvitar prese a seguirla.
“Vado a fare un po’ di allenamento. Tu che fai?” domandò lei.
“Riposo un po’...”
“Ok”
E fu così, che mentre Rachel si incamminava nell’erba alta, in attesa di qualche Rattata molto territoriale, Zack si stese nell’erba, sotto l’ombra di quel grande platano e si rilassò. Tirò fuori anche Braviary.
“Riposati all’aria aperta...”
L’aquila aprì le ali, e dopo una breve volata di sopralluogo, si poggiò sul platano. Anche Growlithe era fermo, vicino al suo allenatore, con il muso sulla sua pancia.
“Eh... lo so... il cielo è immenso... guai se non fosse così”
 
Rachel camminava, e ad ogni suo passo cercava di abbassare l’erba calpestata, per permettere a Larvitar, che in quell’erba scompariva, di seguirla.
Si girò a guardare per un attimo Zack, e Braviary che si era appena appoggiato sul platano. Poi si guardò le mani, sudate, che asciugò sul giubbino.
Le piaceva quella liberta. Le piaceva anche il fatto che girasse in cerca di un Pokémon selvatico, il fatto che sarebbe potuto uscire all’improvviso dall’erba alta, e coglierla di sorpresa.
Le piaceva quella pressione che aveva nello stomaco, e le piaceva che il sole le baciasse la pelle. Sciolse i capelli, per un momento, per rifarsi la coda di cavallo, poi la rimise su. Le piaceva la coda, le risaltava il collo. Credeva di avere un bel collo. E delle belle mani.
E mentre si perdeva nei suoi pensieri, si rese conto che Larvitar non era più dietro di lei.
“Oddio! Larvitar!”
Si girò velocemente, avvitandosi sui piedi come se fosse una vite, cercando di vedere quella macchiolina scura nel verde chiaro dell’erba alta.
“Larvitar! Vieni qui!”
Non c’era. Si girò, cercando di calmare il sistema nervoso. Si rese conto di avere troppo caldo. Levò il giubbino da dosso, rimanendo con il maglioncino di filo.
“Calmati, Rachel... deve essere qui, non può essere andato lontano... Larvitar!”
Fece qualche passo indietro, cercando un viottolo nell’erba. Magari, incuriosito da qualcosa, Larvitar aveva lasciato il percorso creato dai piedi della sua allenatrice, forgiandone uno dall’erba alta.
Si guardò attorno, ed effettivamente un viottolo c’era.
“Oh, grazie al cielo!”. Con i suoi piedi ingigantì quel percorso, che si snodava qui e lì nell’erba. Cercava di guardarsi attorno, di vedere il corno che aveva sulla testa.
Niente.
Larvitar era sparito, e non riusciva a trovarlo. L’unica strada da seguire era proprio il piccolo percorso.
Che sembrava girare in tondo per varie e varie volte.
Arrivò a rassegnarsi. “Uff... che diamine!”
“Un Larvitar qui?! Santo cielo! È il momento giusto per catturarlo!”
La voce, maschile ed anche un po’ fastidiosa, nasale, proveniva da qualche decina di metri alle spalle di Rachel. Dopo qualche alto ciuffo d’erba, c’era qualcuno.
Vedeva una sagoma.
Beh... una testa. Un testa... scura. Nera.
Capelli neri. O era un cappello.
Senza curarsi di nulla, prese a correre verso quell’individuo misterioso, noncurante del fatto di essere entrata nel territorio degli Zigzagoon. Qualcuno di loro utilizzò anche Turbosabbia, alzando un alto quantitativo di terreno.
Rachel chiuse gli occhi a fessura, e si mise a tossire, cercando di coprire il naso e la bocca con il maglione, alzandolo collo e scoprendo la pancia.
Confusa prese a girare. Abbassò lo sguardo, un Zigzagoon era basso, e la puntava.
“Oh, santo cielo, no!”
Fece per andarsene, ma le si pose avanti, ed attaccò con Azione. Colpì Rachel sulle gambe, che perse l’equilibrio e cadde.
Faccia per terra, nel terreno e nell’erba. Nonostante le piacesse l’odore dell’erba umida, in quel momento stabilì che la sua priorità dovesse essere Larvitar. Cercò di alzarsi, barcollando per il colpo subito, quando Zigzagoon ruggì. Un lieve terremoto scosse il già precario equilibrio della ragazza, costretta a fare un passo indietro per ritrovare il giusto bilanciamento.
“Lasciami passare, dannazione! Wizard!”
Zebstrika uscì, e guardò Rachel col volto contrito. Poi vide Zigzagoon. Nitrì, perdendo qualche scossa d’elettricità qua e la.
“Ora lasciami andare, o ti friggo!” urlò. Salì in groppa a Zebstrika, e da lì ebbe una visuale migliore del posto. L’uomo misterioso lottava, davanti a lui c’era un Grovyle.
Larvitar si stava difendendo con vari attacchi, cercando di scappare quando quello usava frustata o fendifoglia.
“No! Larvitar! Wizard, raggiungiamolo!”
Zebstrika cominciò a trottare velocemente verso il punto davanti ai suoi occhi, fino a quando l’erba alta non si diradò verso una zona sterrata.
“Larvitar!”
L’allenatore misterioso si girò, e finalmente Rachel poté dipingergli un volto. Occhi neri, inespressivi, viso smagrito, pallido, capelli rossi, al collo, e naso grande.
Indossava una felpa nera e dei jeans, ma anche sotto alla felpa voluminosa sembrava fosse molto magro.
“Guarda che questo è il mio Larvitar! Cercatene un altro!”
“In realtà questo Larvitar è mio! Finisci subito di attaccarlo!”
“Che?! Perché dovrei crederti?! È rarissimo trovare un Larvitar in queste zone, non lo lascerò di certo ad una tipa dal bel viso”
“Non è che è rarissimo... è impossibile trovarlo! Se vai alla grotta delle lanterne ne troverai sicuramente qualcuno”
“Ora ho questo tra i miei desideri, e questo prenderò”
“Uff...” Rachel tirò fuori la Poké Ball e ci fece entrare Larvitar.
“Ma... hey! Lo stavo catturando!”
“Cavolo! È mio! Lo vedi?!”
Quello appuntì ulteriormente il viso, e si avvicinò. “Ti sfido!”
“Eh?!”
“Accetti?!”
“Perché vuoi sfidarmi?”
“Perché mi hai mancato di rispetto, e queste cose non le tollero. E poi voglio sconfiggere quel Larvitar una volta per tutte. Per levarmi questo sfizio”
“Non credo che contro di te userò il mio Larvitar. È anche in svantaggio, come tipo”
“Tsk... fifona. Se proprio vuoi, userò un altro Pokémon, al posto di Grovyle”
Rachel toccò la morbida criniera di Zebstrika, mentre quel bruciorino nello stomaco divampava forte come un incendio. Era preoccupata. Si girò in direzione di Zack, ma non lo vedeva. Era troppo lontana dal platano.
Poi si convinse che ad ogni modo, quella sfida sarebbe risultata un valido allenamento.
“Ok. Andiamo”
Scese da Zebstrika e lo ripose nella sfera. Poi mandò in campo Larvitar.
Gli si avvicinò, per poi accasciarsi sulle ginocchia quando ce lo aveva davanti.
“Non devi più scappare. Segui sempre me, o stammi vicino. Ma non scappare più”
Larvitar sembrava aver capito.
Rachel allora si alzò, e guardò il tipo. “Avanti. Sono qui”
“Bene. Vai Corphish!”
Un crostaceo rosso e bianco prese a sbattere le chele in modo frenetico.
Rachel rifletté. Anche Corphish era più forte, come tipo, rispetto a Larvitar. Quindi sicuramente avrebbe utilizzato mosse basate sull’attacco speciale del crostaceo. Quindi non avrebbe avuto bisogno di avvicinarsi.
“Ok... Larvitar, Terrempesta!”
Sabbia e detriti cominciarono ad alzarsi da terra, e presero a soffiare. Rachel non sembrava esserne colpita.
“Hey!” urlò l’altro.
Il tipo alzò il cappuccio della felpa, cercando di proteggersi dalla sabbia.
“Cor...  Corphish! Vai con Protezione!”
Una patina di energia rivestì temporaneamente il corpo del crostaceo.
“Bene! Larvitar, vai con Stridio!” e velocemente si tappò le orecchie con le dita.
Stridé.
E Corphish rabbrividì. Un detrito più grande colpì il suo carapace, facendo svanire l’effetto di Protezione. “Dannazione!” il tipo digrignò i denti. “Vai con Bollaraggio”
Corphish saltò, e prese a sparare bolle, molto velocemente.
Sfortunatamente per lui, neanche una riuscì ad arrivare a destinazione. La sabbia ed i detriti le fecero scoppiare tutte.
“Ottimo! Usa l’attacco Insidia!”
“Attento Corphish!”
Larvitar svanì per un momento, per poi riapparire poco distante dall’aragosta, e la colpì, facendola ruzzolare di poco.
“Ora che è vicino! Vai con Presa!” urlò il secco.
Una chela di Corphish afferrò il corno di Larvitar, quello che aveva sulla testa. Il Pokémon di Rachel prese a urlare.
“Vai, scaraventalo per aria!”
La chela strinse ancora di più nel momento in cui i piedi del piccolo Larvitar si alzarono da terra, quindi Corphish lo lanciò in aria.
“Ora! Colpiscilo con Martellata!”
Aspettò che Larvitar stesse per scendere, quindi Corphish balzò, per colpire con grande veemenza il corpo dell’avversario, che atterrò poco lontano da Rachel.
“No! Come va, Larvitar?!”
Quello si rimise sulle due zampe, volenteroso di vendetta. Aveva un gran temperamento.
“Usa l’attacco Frana!”
Pietre di media–grande dimensione si formarono sulla testa di Corphish, per poi crollargli addosso.
“Cerca di evitarle!” urlò l’altro.
Corphish prese ad usare Martellata sulle pietre. Ma erano tante, e più lui le evitava e più Larvitar si infuriava e ne creava in maggior quantità.
Ed alla fine soccombette. Corphish fu sommerso da tante pietre, che fecero abbastanza danno, nonostante non fossero efficaci al massimo.
Forse fu lo stridio ad abbassare la difesa del crostaceo.
Fatto stava che Corphish barcollava.
“Ora, Larvitar, usa Colpo!”
Larvitar corse velocemente verso Corphish, e lo colpì con forza, due volte, prima di fermarsi, a respirare profondamente.
La tempesta cessò. Corphish era a terra, fuori combattimento.
“Si! Bravo Larvitar!”
“No! Corphish!” l’avversario corse verso il suo Pokémon.
“Contento?” chiese con una punta d’orgoglio e di superbia Rachel.
“Si... ho scoperto i miei limiti. E complimenti, sei un’ottima guerriera”
“Sono un’allenatrice, non una guerriera. Comunque grazie”
“Ora vado. Ci becchiamo in giro” e si dileguò.
Larvitar tornò nella sfera, e Rachel, in groppa a Wizard, arrivò velocemente al platano.
“Allora? Allenata?”
“Oh, si... quei Zigzagoon sono davvero audaci”
“Beh... andiamo”

 

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Capitolo 23
*** Capitolo Settimo: Limiti 2°Parte ***


Limiti - Pt. 2


Il viaggio fino a Palladia parve essere eterno. Seduto sul retro di un camioncino dell’Omega Group, Ryan non riusciva a pensare ad altro oltre la sorella. Dopo la nottata passata quasi del tutto sveglio a parlare con Lionell, sentiva che la testa stesse per scoppiargli. La mole di informazioni ricevute nella giornata precedente era bastevole a causare uno shock in chiunque, tuttavia il ragazzo sapeva di non potersi permettere un lusso simile. Ogni volta che credeva di trovarsi al limite, gli apparivano davanti gli occhi vuoti della sorella, quando l’aveva trovata vicino alle scale con in mano quella vecchia lettera.
Si riprese di scatto, ad uno scossone del mezzo. Non si era reso conto di essersi addormentato. Controllò il suo orologio, erano appena le undici. Erano in viaggio da quattro ore, ciò voleva dire che non mancava molto al loro arrivo. Indossò il giacchetto che aveva portato con sé, di semplice incerata nera, e si avvicinò al portellone. Marianne si trovava accanto al posto di guida da dove sembrava diramare istruzioni agli uomini già stanziati nella città e che sembrava non avessero idea di dove si trovasse la ragazza.
Una volta arrivati, quella gli riassunse la situazione, non ci volle molto, visto che si trattava di un semplice “Non abbiamo idea di dove sia finita” a cui Ryan non diede troppo peso. Se l’aspettava. Proprio per questo aveva già pensato ad un modo per cercarla senza doversi necessariamente affidare ai cani di Lionell. Liberò Gallade dalla sfera e si diresse verso il centro Pokémon.
Sapeva che per il Pokémon sarebbe stato difficile risalire alla scia emozionale della sorella, ma sapeva altrettanto bene che non sarebbe stato impossibile. Erano passati più di due giorni da quando la ragazza era stata lì, ma conoscendo il suo Pokémon in circa mezz’ora sarebbe riuscito a rintracciare una qualche pista. Si avvicinò al bancone dell’infermiera, consegnandole una foto della sorella e sperando che avesse qualche informazione da dargli.
“Scusi, sa dirmi per caso se ha visto questa ragazza?”
La donna inclinò il capo, assorta. Ryan la incoraggiò.
“Dovrebbe essere passata di qui un paio di giorni fa... di mattina. Mattina presto.”
Sperava che quella notasse l’impazienza nella sua voce, ma dopo alcuni istanti di silenzio la ragazza gli riconsegnò la foto.
“Aspetta qui” si limitò a dire. Ryan annuì, sedendosi ad un tavolinetto lì di fianco. Si sfregò gli occhi per resistere alla sonnolenza che cercava di impadronirsi del suo corpo. Stava davvero arrivando al limite, ammise. Il suo corpo necessitava un riposo che in quel momento lui non poteva, né tantomeno voleva, dargli. Gallade era fermo al centro della stanza. Teneva gli occhi chiusi, e lo stesso Ryan poteva percepire l’energia psichica che il suo Pokémon stava utilizzando, nel tentativo di districare quell’immensa matassa di fili che nella mente del Pokémon rappresentavano le emozioni e le tracce psichiche dei vari visitatori del centro.
Mentre lo osservava da una porta dietro al bancone uscì un uomo. Doveva essere sulla quarantina, i capelli erano brizzolati e gli occhi castani trasmettevano un innato senso di tranquillità.
“Sei tu che cerchi la ragazza?” chiese. In quel momento il centro era assolutamente deserto. Il ragazzo annuì, alzandosi e avvicinandolo.
“Ha visto questa ragazza? È mia sorella, è sparita da qualche giorno... Qualcuno ha detto di averla vista qui, all’alba di un paio di giorni fa e non ho nessun’altra traccia” non sapeva nemmeno più definire come potesse suonare la sua voce. Stanca? Esasperata? O semplicemente vuota?
 L’uomo annuì alla domanda.
“C’ero io di turno quella mattina, me li ricordo. Era con un ragazzo, più o meno della sua età, capelli castani, occhi verdi”
“Sì” lo interruppe lui, “è un nostro conoscente. Non troviamo nemmeno lui” mentì.
“Bé,” alzò le spalle l’uomo “Onestamente non so dirti molto, so che parlavano del museo sul monte. Non appena entrati mi hanno consegnato i loro Pokémon, hanno dormito e quando si sono svegliati hanno mandato giù tutto quello che un essere umano poteva divorare in dieci minuti. Parlavano del monte e sembrava stessero cercando qualcosa da quelle parti...” si fermò di nuovo a pensare.
“Non so cos’abbiano trovato, però. L’unica cosa presente sul monte era il museo, ma quel giorno era chiuso.” concluse l’uomo restituendo la foto a Ryan.
Il ragazzo annuì, stringendo la mano dell’uomo.
“La ringrazio, davvero, non ha idea di quello che valgono le sue parole, mi creda.”
Mentre finivano di parlare, Gallade riaprì gli occhi. Si avvicinò al suo allenatore, toccandogli appena il braccio e annuendo quando quello lo guardò.
“Ora devo andare” si congedò col medico “La ringrazio ancora”
Uscì dal centro di corsa, seguendo il Pokémon Lama fino all’accesso della funivia. Nonostante l’allerta terremoti fosse ormai scemata, il mezzo pubblico era ancora chiuso, segno della forse eccessiva prudenza degli abitanti di quella città. Dopo qualche altro secondo immobile Gallade trovò nuovamente la strada percorsa dai due ragazzi e guidò Ryan fino alla base della scalinata. Il giovane schioccò la lingua, contrariato. Non era sua intenzione arrampicarsi fin lassù a piedi, probabilmente l’unica possibilità era utilizzare il teletrasporto di Gallade, sperando che quell’ulteriore azione non stancasse eccessivamente il suo Pokémon, visto che ne avrebbe avuto bisogno anche al ritorno.
Stava per teletrasportarsi quando squillò il telefono. Dopo essersi diviso dagli altri dell’Omega Group si sorprese a pensare che Marianne avesse aspettato fin troppo prima di chiamarlo. Si limitò a deviare la chiamata. Ora non aveva tempo per ascoltare le lamentele di quella donna sul suo allontanamento. Al ritorno, con qualche indizio in mano, le avrebbe dato le informazioni e aspettato che lo conducesse al posto giusto. Dopotutto con l’elaborazione dei dati di suo padre stava ampiamente ricambiando il favore.
Si smaterializzò in un istante, coprendo la distanza della scalinata in una frazione di secondo e trovandosi improvvisamente in cima. Le condizioni di Gallade erano ottimali, il Pokémon non aveva minimamente risentito dello spostamento e questo sollevò il ragazzo.
“Sei l’unico su cui posso davvero contare” si limitò a dirgli, dandogli una pacca sulla spalla. Quello annuì, conscio della frustrazione che il suo allenatore stava provando e preoccupato anch’esso per la ragazza. In poco tempo recuperò la traccia abbandonata sulle scale e si diresse verso la porta del museo. Erano entrati.
Il ragazzo constatò che l’edificio era chiuso e ripensando alla funivia arrivò alla conclusione che doveva essere chiuso anche quella volta. Eppure le indicazioni del suo Pokémon erano fin troppo precise.
“Sono entrati” si limitò a mormorare.
Senza perdersi d’animo ricominciò a bussare sulla porta, cercando di fare più rumore possibile. Per quanto il museo fosse chiuso, doveva per forza esserci un guardiano all’interno. E le probabilità che fosse lo stesso di quel giorno erano decisamente alte.
Impiegò all’incirca un quarto d’ora prima di riuscire a farsi notare da qualcuno, ma alla fine un uomo di mezz’età, con un tesserino sul petto gli fece cenno che doveva andarsene, cercando di spiegarsi a gesti. Il ragazzo gli fece capire che doveva assolutamente parlargli. Proprio a lui. No, il museo in sé non c’entrava. Sorpreso, l’uomo gli fece cenno di girare attorno all’edificio, verso una probabile entrata secondaria. Ryan eseguì, trovandosi davanti la porta del gabbiotto che ospitava il custode e che impediva un accesso diretto al museo.
“Che vuoi?” gli ringhiò quello.
Ryan non si fece intimorire e tirò nuovamente fuori la foto della ragazza.
“Da quel che mi risulta è venuta qui un paio di giorni fa, sa dirmi se l’ha vista?”
L’uomo storse il naso, senza nemmeno prenderla in mano.
“Ragazzo, da che ne so qui non è arrivato nessuno, o almeno, nessuno che io abbia visto. Tuttavia, se ti interessa saperlo, c’è stata un’intrusione nel museo, due giorni fa” strinse i pugni.
“Non so chi diamine sia stato, ma a parte un mattone rotto, pare non ci siano stati altri danni...” Ryan non aveva intenzione di ascoltare le fisse dell’uomo, ma la seppur remota possibilità che potesse fornirgli qualche indizio lo indusse a star fermo fino alla fine del suo racconto.
“Li avevo quasi presi, ma appena entro nella stanza, puff, non c’era più nessuno, scomparsi. Erano due perché ho sentito delle voci e ho sentito dei passi diversi, sai, a fare questo mestiere certe cose s’imparano” gli confessò con un certo orgoglio. “...ma al dunque sono scomparsi. La cosa più strana, è che ieri il direttore del museo è stato chiamato da una ricercatrice di Edesea, Calma, Asma, non ricordo come si chiamasse, che gli ha chiesto di passare sul fatto, visto che non erano degli intrusi ma dei ricercatori. Ricercatori, ci credi?” concluse quello.
Ryan non lo stava già più ascoltando. Aveva ottenuto quello che gli serviva. Si districò assecondandolo con qualche frase e concludendo con un:
"Capisco, allora non l’ha vista, grazie mille per il tempo che mi ha concesso. Arrivederla."
Di nuovo, non aspettò una replica dell’uomo, ma con un cenno fece capire e Gallade che era arrivato il momento di tornare ai piedi del monte. Quello eseguì.
Non appena fu sceso dal monte chiamò Marianne, ignorando le sue parole si limitò a comunicarle quanto aveva scoperto e a dirle di venirlo a prendere. Erano le due del pomeriggio, in serata sarebbero sicuramente arrivati ad Edesea. Quello che Marianne doveva fare era trovare questa ricercatrice. Al resto avrebbe pensato lui.
 
Arrivarono a Plamenia dopo tre ore di volo\trotto ed un’ora di cammino, atta a far riposare i Pokémon.
Era una città immensa, piena di palazzi e di uffici. Le strade erano colme di traffico, mentre la gente sui marciapiedi si affannava a correre da qualche parte.
“Eccoci arrivati” disse Zack. Il suo stare fermo era in netto contrasto con la fretta degli altri.
“Non sono mai stata a Plamenia”
Alzò il naso al cielo, cercando, senza riuscirci, di raggiungere con lo sguardo le punte degli immensi grattacieli. Il cielo cominciava a scurirsi.
“Beh... cominciamo la nostra missione” sorrise Zack. Tirò fuori la tavola di Hermann, e si guardò intorno.
“Qui non ci sono ragazzi...” osservò Rachel.
Guardandosi attorno, tantissimi uomini e donne, impomatati, incravattati ed impettiti, con le loro valigette e buste varie, si affrettavano.
Ma di ragazzi neanche l’ombra.
“Beh... forse potremmo cercare anche qui...” disse la ragazza.
Zack rise. “Ma dai! Non vedi come sono stressate queste persone?! Se non facessero... cose... impazzirebbero”
Rachel ammise che il ragionamento filava. “E allora dobbiamo recarci direttamente al parco divertimenti”
Da lontano riuscivano a vederlo. Il sole cercava invano di nascondersi dietro una grande ruota panoramica. Il sole al tramonto illuminava i loro visi, e rendeva quella sagoma ludica nera.
“In quanto tempo ci arriveremo?” chiese Rachel.
“Non lo so. Il tempo che passi l’autobus”
Arrivarono fuori le porte del parco divertimenti.
“Due biglietti” sorrise Zack. Adorava quel parco. Ci andava sempre, quando si recava a Plamenia.
Pagò, e anche abbastanza, offrendo anche per Rachel, senza accettarli quando lei dopo volle rimborsarlo.
“Senza problemi, anzi... mi fa piacere”
“Oh... ok... potevo incontrarti prima”
Zack sorrise, fece una decina di passi, e poi si fermò. Una marea di persone, perlopiù ragazzini con meno di quindici anni, si muovevano come elettroni in stato eccitato.
“E... ora?” chiese a Rachel.
“Dobbiamo provare”
“Ok, ok... andiamo”
E dopo una marea di “scusa, puoi mettere la mano qui?” vicino ad ogni ragazzina, senza che la tavola si illuminasse, Zack sospirò.
“È impossibile!”
“Non demordere. Vedi... quella”
Una ragazzina giocava con il suo Meowth. Era piccola. Molto piccola, non gli avrebbe dato più di dieci anni.
“È troppo piccola per questa cosa... anche se fosse lei, non potrebbe seguirci. Non riusciremo a gestirla durante i momenti tragici”
“Prova!”
Una ragazza più grande si avvicinò a quella. Una ragazza più grande e più pettoruta. Notevolmente più pettoruta.
Zack partì, reattivo come una mina.
“Figurati se è vergine, quella...” sbuffò Rachel. Portò le mani ai fianchi, cercando di capire gli uomini ed i loro ormoni.
“Ciao, mi scusi se la disturbo, ma...” gli occhi di Zack lottavano con il suo cervello per rimanere al livello del volto della ragazza che aveva di fronte. La bambina guardava curiosa il ragazzo.
“Si?”
“Ecco... puoi metterla qui?”
“Come?”
“La mano. Puoi metterla... qui?”
“Perché dovrei?”
“Stiamo facendo una ricerca... avanti, non succederà...” gli occhi cedettero. “...niente...” per poi ridimensionarsi immediatamente, e tornare a guardare lo sguardo ceruleo della ragazza.
“Ehm... ok”
“Fidati”
Tentennando, la ragazza mise la mano sulla lastra.
Come immaginabile, non successe niente.
“Ok. Gra... grazie”
Ultima guardata e poi fuga. La ragazza si aggiustò la scollatura e si dileguò, prendendo per mano la bambina.
“Che abbiamo risolto?” chiese infine Rachel.
“Non era quella giusta...”
“Oh! Non mi dire! La maggiorata non era vergine?! Chissà come mai!”
“Non è che non era vergine... questo non lo so. Non aveva un animo puro...”
“Bah... da adesso la tavola la tengo io...”
“Infatti te la stavo dando, perché voglio andare sulla ruota panoramica”
“Ok... ti seguo... anche se non dovremmo. Dobbiamo salvare il mondo dall’ira di Arceus”
“Arceus ci darà una tregua per un giro sulla ruota, dai...”
Rachel si girò di spalle, per far sistemare nel suo zaino la lastra di Hermann, poi giusto il tempo di due passi, in direzione dell’imponente ruota, che qualcosa cominciò a non andare per il verso giusto.
“Oh... cavolo...” dissero insieme i ragazzi.
La terra tremava. Ancora.
“Santo cielo! Rachel, allontanati da qui! Torniamo all’ingresso, dove non c’erano palazzi né giostre!”
Il terremoto, stavolta più forte di molto rispetto a quella volta nel bosco, sembrava non dar tregua a niente e nessuno. Le persone urlavano disperate, mentre cercavano riparo dalla gran parte dei palazzi che crollavano.
Rachel si girò, durante la sua corsa, e la meraviglia e lo stupore la costrinsero a fermarsi.
“Non... no”
La ruota panoramica si era staccata dal perno. No, non stava rotolando, bensì si era sbilanciata, ed ora stava crollando su di un lato.
E fu così che tonnellate di ferro si abbatterono sulla casa degli specchi e vari stand, oltre che sui bagni.
“Rachel!” esclamò Zack, tirandola per la mano.
Passarono davanti ad un palazzo, e poco dopo un’esplosione violenta diede il via ad un incendio.
“Cazzo!” esclamò Rachel, spaventata. Il terremoto si fermò, ma le urla delle persone che gridavano erano davvero tragiche.
Il fuoco cominciò a divampare, bruciando vasti tendoni di plastica e palazzi già pericolanti dopo la scossa di terremoto.
Fu allora che Zack la sentì. Quasi come se vedesse tutto al rallentatore, si rese conto che il palazzo in preda alle fiamme non era vuoto.
“Aiuto! Qualcuno mi aiuti!”
Una voce di donna. Nel palazzo infuocato.
“No!” Zack partì in una corsa forsennata, tirando fuori dalle sue sfere Absol e Lucario.
“Zack! Dove vai?! Tra un po’ ci sarà la scossa di assestamento!”
Ma Zack non sentì nulla. Chiuso nella sua testa, cercò di isolare tutto quello che non provenisse dalla sua testa. E ci riuscì. Tranne che per il battito del suo cuore, che scalpitava come un cavallo nella prateria.
Rachel lo vide entrare nella casa, ma poi sparì dietro alle fiamme.
“No!”
 
La notte stava calando davvero in fretta. Marianne aveva impiegato buona parte della restante giornata per trovare la presunta ricercatrice Asma, rivelatasi poi Alma. Maledisse mentalmente la scarsa capacità mnemonica del custode, ma alla fine si rilassò.
Ryan aveva dormito e mangiato e sebbene non fosse al massimo delle sue capacità, si sentiva quantomeno in forma. La città di Edesea stava lentamente riprendendo il suo corso, la maggior parte dei palazzi pubblici erano stati danneggiati solo lievemente grazie alle imponenti misure di sicurezza che, come a Timea, erano all’ordine del giorno nella costruzione degli edifici. Si recò personalmente nella sede della Facoltà di Storia e Mitologia di Edesea. La conosceva fin troppo bene, anche suo padre aveva lavorato lì. Sperava di poter sfruttare il suo legame con l’università, per quanto flebile, per riuscire a contattare la donna, ma onestamente non sapeva a chi chiedere. Si sedette per un attimo, per riprendere nuovamente fiato. Un mal di testa allucinante lo stava divorando. Sembrava che l’emicrania fosse diventata la sua nuova malattia cronica.
“Finirà tutto... quando la troverò” ansimò sottovoce.
“Tutto a posto?” la timida voce che lo scosse apparteneva ad una ragazza. Doveva avere circa vent’anni. Capelli castani raccolti in una coda laterale, spruzzata di lentiggini ed occhi ambrati. Probabilmente era una studentessa.
“Tutto... a posto” annuì il ragazzo.
“Non ti ho mai visto qui, sei di un’altra facoltà?”
Lui scosse la testa
“Cercavo una persona, dovrebbe insegnare qui. Si chiama Alma... Ma mi sono reso conto di non avere nessuna idea di come trovarla a quest’ora”
La ragazza lo guardò dubbiosa.
“Alma è una professoressa. Come mai la cerchi a quest’ora?”
La domanda lo mandò nel panico. Era preparato a mentire con qualche funzionario del luogo, magari a qualcuno che poteva aver sentito parlare di suo padre, chiedendo un qualche recapito, ma con l’emicrania non era sicuro di poter trovare una scusa sul momento. Optò per una mezza verità.
“Sto cercando qualcosa... e credo che la professoressa potrebbe aiutarmi. È una questione di vita o di morte, non posso aspettare domani”
Aveva letto da qualche parte che dire “è una questione di vita o di morte” alle donne fa più effetto, sperò fosse vero.
Quella, sempre dubbiosa, sembrò comunque notare la sincerità nelle sue parole.
“Sono una sua studentessa. Non so se c’è ancora, ma qualche ora fa era nell’aula 7. Non c’era una vera e propria lezione, ma stava discutendo con altra gente, quindi forse si è trattenuta ancora...” Ryan si alzò, ringraziandola. Alla fine aveva ottenuto ciò che voleva. Per fortuna senza fare il nome del padre. Forse gli sarebbe stato necessario, una volta avvicinata la donna, ma sperava non servisse.
Impiegò pochi minuti per arrivare davanti alla porta dell’aula. Nonostante volesse entrare di colpo e prendere la donna da parte si costrinse a non farlo. Se era il suo unico collegamento con la sorella, doveva cercare di rabbonirla, non assalirla. Si sedette di nuovo, respirando lentamente e cercando di riprendersi.
Nella sua mente tutto vorticava a velocità inimmaginabile.
Si ritrovò di nuovo costretto a fare un punto della situazione, come fosse uno di quei giochi in cui ogni volta che si arrivava ad un check point si veniva obbligati a ricontrollare tutte le proprie azioni per vedere se si era capito tutto del percorso svolto.
Dalla sua entrata nell’Omega Group, un probabile gruppo di security nazionale, aveva iniziato ad allenarsi nell’attesa di ricevere informazioni su sua sorella. Aveva ricevuto Bisharp, il suo Trapinch si era evoluto in Vibrava, poi all’improvviso era piovuta dal cielo la notizia dell’avvistamento di Rachel. In un filmato di una telecamera del centro Pokémon, che il ragazzo si guardava bene dal chiedere come fosse finito in mano loro, la si vedeva riposare vicino ad un altro ragazzo, identificato a sua volta come Zackary Recket.
Su di lui gli erano state passate informazioni sommarie, non sapeva quanto affidabili, non sapeva quanto complete. Si limitò a riportare nella sua mente i fatti essenziali, il ragazzo era nato a Celestopoli da una famiglia originaria di Galeia. Era tornato in patria dopo aver viaggiato in molte altre regioni, principalmente per Kanto e Johto, ma anche in altri luoghi. Questi erano gli unici dati ufficiali che gli avevano fornito e non gli interessava cercarsene altri. Il solo fatto che fosse insieme a Rachel gli impediva di catalogarlo nella rosa dei suoi favoriti. Stava per passare all’ulteriore analisi della giornata precedente, quando la porta si spalancò.
La donna che ne uscì, accompagnata da due uomini, era davvero bella. Ryan la osservò, aveva visto una foto, ma trovarsela davanti lo lasciò impreparato per qualche istante. Fu il ricordo del suo scopo a permettergli di avvicinare la donna senza subirne alcuna conseguenza.
“Scusi, ha un minuto?” i suoi occhi cremisi la fissavano, ma quella non riuscì a capire cosa ci fosse dentro. Indietreggiò di un mezzo passo, facendo in modo che ci fosse circa un metro di distanza fra i due.
“Ti serve qualcosa?” gli chiese con aria sorpresa.
“Probabilmente abbiamo un’amicizia comune... e avrei un favore da chiederle al riguardo” iniziò, guardandosi intorno. “Sarebbe un problema parlare in un posto più tranquillo?” le chiese poi Ryan.
Alma sembrò voler temporeggiare. Si guardò intorno, poi cedette.
“L’aula da cui sono appena uscita, possiamo parlare lì” gliela indicò. Il ragazzo annuì, precedendola e dando un’occhiata sommaria al posto. Per un brevissimo istante si rivide mentre aiutava il padre a trasportare incartamenti o ad attaccare il proiettore. Si chiese se ancora oggi i professori non sapessero accendersi i proiettori da soli. Poi tornò in sé. Prese nuovamente la fotografia di Rachel e la porse alla donna.
“Sono più che sicuro che lei conosce questa ragazza” si limitò a constatare.
Alma deglutì pesantemente. Non sapeva molto su Rachel, ma Zack le aveva accennato qualcosa su una fuga, solo che non ne erano mai state chiarite le motivazioni. In quel preciso momento si chiese in che guai si fosse cacciata quella ragazza prima di arrivare da loro.
“Perché la cerchi?” si limitò a chiedere.
Domanda prevedibile, lecita.
“È mia sorella” non aveva bisogno di mentire su questo punto “È scappata di casa qualche giorno fa. La sto cercando.”
Il tono di voce era neutro, stanco.
Alma ebbe un brutto presentimento.
“Come puoi ben vedere, non è con me” rispose evasiva.
Ryan le sorrise, come si sorride ad un bambino che si sa stia mentendo.
“Questo posso notarlo, professoressa, ma lei probabilmente sa dov’è” il tono era ancora paziente, tuttavia una parte di lui iniziava ad irritarsi.
“Guardi, se può essere d’incoraggiamento, il suo nome è Rachel Livingstone, è scappata di casa la notte fra domenica e lunedì, probabilmente l’ha incontrata presto, era in compagnia di un ragazzo, so che si chiama Zackary Recket, ma non ho idea di dove si trovino al momento. Ed ho davvero bisogno di saperlo”
Il suo sguardo non ammetteva repliche, Alma se ne rendeva conto. E si rendeva conto che c’era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Probabilmente aveva ragione lui. Era sua sorella, era scomparsa e dopo chissà quali ricerche era arrivato fino a lei proprio per trovarla. Eppure qualcosa la spaventava. Quel ragazzo la spaventava, era come se dietro al suo sguardo si nascondesse dell’altro.
“Mi spiace, l’ho incontrata, ma ci siamo separati quasi subito. L’ultima volta che li ho sentiti si dirigevano a Palladia” le venne naturale mentire, non sapeva nemmeno dirne il motivo.
“Oh, ma questo non è vero, professoressa. Perché nei giorni scorsi ha contattato il museo, probabilmente per coprire una loro effrazione”. Ryan era seccato, davvero tanto. Questi ultimi giorni stavano davvero mettendo alla prova la sua pazienza. Alma indietreggiò nuovamente, appoggiandosi alla cattedra.
“Non so di cosa tu stia parlando” negò.
“Lei no, ma il custode sì. Ricorda, anche se in modo leggermente inesatto, il suo nome. Ha parlato con il direttore e con una scusa davvero pessima ha coperto il loro accesso al museo.” la braccava.
Alma rimase in silenzio, spostandosi dietro la cattedra, quasi volesse mettere quante più barriere possibili fra lei e il ragazzo.
“Signora Alma, davvero...” cercò di usare il tono di voce più comprensivo che aveva, ma si rese conto persino lui dei suoi scarsi risultati “...ho solo bisogno di sapere dove si trova Rachel. Una volta che me l’avrà detto sparirò, sarà come se non fossi mai esistito per lei” sorrise. Era il sorriso di un serpente. Alma si sentiva una rana.
“Mi spiace, ma non ho idea di che cosa tu stia parlando” chiuse, secca. “Adesso, devo andare” fece un passo verso la porta, ma lui la bloccò. Fece uscire Bisharp dalla sfera.
“Non ho intenzione di ripetermi ulteriormente, lo tenga da conto” gli occhi cremisi ardevano.
Alma respirò profondamente.
“Nemmeno io” rispose. Poi pigiò un bottone. Era il pulsante d’allarme. Una sirena suonò nel corridoio. Ryan sibilò, fece rientrare Bisharp nella sua Ball e chiamò Gallade. Sparirono prima che gli agenti riuscissero ad entrare nell’aula, lasciando Alma confusa e spaventata.
I due riapparvero dentro il furgone dell’Omega Group, facendo sobbalzare Marianne, che istintivamente aveva messo mano alle sue Poké Ball. Ryan la bloccò con un cenno della mano.
“Non ha voluto dirmi nulla” fu il suo unico commento. Tremava dalla rabbia.
Marianne si rimise seduta, era tranquilla.
“Non preoccuparti, in ogni caso sono più che sicura che quest’incontro l’abbia scossa abbastanza da voler riferire ai ragazzi della tua visita. Rintracceremo la sua chiamata ed allo stesso tempo li troveremo” la sua voce era calma.
Ryan si stese sui sedili laterali del mezzo, crollando dalla stanchezza.
“Lo spero” fu il suo unico commento.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo Ottavo: Ardere ***


Ardere - Pt. 1


Come un martello pneumatico, i battiti del cuore rimbombavano nella testa di Alma. Era la pressione sanguigna, talmente alta, da manifestare delle pulsazioni alle vene ai lati della testa.
Chiuse la porta di casa sua, e senza nemmeno accendere la luce, diede tre mandate alla serratura, poggiandosi di schiena. Sospirò, e tirò fuori tutta l’ansia che aveva.
O forse no. Forse qualcosa era rimasta dentro.
La paura per Rachel e Zack; doveva avvisarli assolutamente.
Tuttavia le sue gambe si rifiutavano di muoversi. Capì che doveva calmarsi. Lentamente, strusciando la schiena contro la porta, si accasciò, cominciando a piangere.
Quel ragazzo l’aveva spaventata, e fatta sentire inerme, più di quanto non fosse già.
Le mancava la stretta di qualcuno.
Qualcuno che la difendesse, che la facesse sentire protetta e le permettesse di non sentirsi così. Impotente.
Senza alcuna speranza di farcela.
Quel giorno il mondo le aveva mostrato ciò che i malintenzionati fossero disposti a fare per ottenere quello che volevano.
Rabbrividì pensando a cosa sarebbe potuto succedere se quelle aule non avessero montato i pulsanti per le emergenze.
Sospirò, e cercò il cellulare nella sua borsetta, nel buio più che totale del salotto del suo appartamento, eccezion fatta per qualche raggio di luce che proveniva da un lampione bianco in lontananza. Di profilo risaltavano i suoi lineamenti delicati, il suo naso piccolo, e le labbra morbide.
Tirò fuori il cellulare, e, con le mani tremanti, compose il numero di Zack.
Suonava. E ancora.
“Avanti! Rispondi, Zack!” urlò Alma.
Ma niente. Gli squilli continuarono, fino a che la sua speranza fu convogliata solo su Rachel.
“Si... devo chiamare Rachel”
 
Il fuoco divampava forte, bruciava il palazzo, e tra il fruscio delle fiamme che inghiottivano tutto e lo scoppiettio ritmico che esse producevano, il viso di Rachel fu investito da una forte zaffata di aria calda. Lo abbassò, guardando lo zaino di Zack. Lo raccolse e lo tenne vicino a se, ma non fu in grado di sentire la suoneria del cellulare mentre squillava, per via dell’evidentissimo e giustificato caos.
La gente urlava, scappava, mentre lei stava ferma, e vedeva la sagoma di Zack diventare sempre più indefinita dietro al muro di fiamme che aveva attraversato.
Era preoccupata.
Ascoltava le urla della ragazza in preda al panico imprigionata nel palazzo. Dietro una fitta colonna di fumo riusciva persino ad intravederne la sagoma.
Sembrava avesse i capelli lunghi, e cercasse di respirare quanta più aria è possibile. Non riusciva a vedere nient’altro.
Abbassò la testa e sospirò, portando le mani ai fianchi. Voleva aiutare, doveva aiutare, ma non sapeva che fare. Dopotutto la testa matta del duo era Zack. Lei era quella pacata. E soprattutto quella più impressionabile.
Quella che non si sarebbe mai sognata di entrare in un palazzo in fiamme dopo un terremoto, quella che non avrebbe mai dormito in una grotta con fuoriuscite di gas, quella che doveva andare a portare soltanto una cosa dagli zii a Timea, e nient’altro.
Il fumo saliva verso l’alto, quando un rumore familiare la risvegliò dai suoi pensieri. Le vibrava la gamba.
Era il cellulare.
“Pronto?” rispose, comprensibilmente scossa.
“Rachel?! Stai bene?!”
“Io... io si. Alma, è successo qualcosa?”
“Oggi sono stata avvicinata un ragazzo che chiedeva di te. Mi ha minacciata, ha detto che doveva cercarti e che era importante. Aveva un Bisharp con lui”
“Bisharp?!”. Ok, obiettivamente il pensiero che aveva fatto era stato quello di collegare al misterioso possessore di Bisharp che la cercava la figura di Ryan, suo fratello. O quello che era.
Ma Ryan non aveva un Bisharp.
“E com’era fatto?”
“Alto. Molto alto. E biondo”
Rachel spalancò gli occhi. Poi respirò profondamente. Ryan non era l’unico ragazzo alto e biondo del pianeta. E soprattutto possedeva solo Gallade e Trapinch. Niente Bisharp.
“I suoi occhi... io li sento ancora addosso” continuò Alma.
La giovane si rese conto che quella difficile domanda che stava per porre alla professoressa avrebbe messo in crisi anche lei. In cuor suo sperava che fossero azzurri. Insomma, molti biondi hanno gli occhi azzurri. O anche marroni. Sarebbero potuti essere anche totalmente bianchi, non l’avrebbero sconvolta più di tanto.
“Di... di che colore erano i suoi occhi?”
Rachel deglutì un groppone di sabbia, arido e pesante, pieno di detriti appuntiti.
“Rossi. Come il fuoco. Come il sangue, e la rabbia. E ti chiamava per nome, dicendo di essere tuo fratello”
Rachel si lasciò cadere col sedere per terra, immobile, mentre vedeva le fiamme divampare.
Sembrava quasi un ossimoro gigantesco il fatto che lei stesse immobile in quel modo quando tutte le persone sane di mente scappavano preoccupate ed impaurite dopo il terremoto ed il crollo della ruota.
“Rachel?” chiese Alma, atterrita quasi quanto lei.
“Alma”
“Allora?”
“Allora niente... grazie”
“È davvero tuo fratello?”
“Si”
“E perché ti cerca?”
“Vorrà dirmi qualcosa”
“Mi ha fatto morire mille volte, in pochi minuti... il suo sguardo... Rachel, non ho mai visto un uomo con quello sguardo. Sembrava pronto a tutto pur di ottenere quello che voleva”
“Stai calma, ora. Dove sei?”
“A casa mia, seduta davanti alla porta, sul pavimento”
“Direi che è il caso di alzarsi. Fatti una bella doccia, preparati una cena che non ti concedi mai, magari ingrassi un po’ e fai aumentare la mia autostima, e poi vai a dormire. Non vuole niente da te. Cerca me. Stai tranquilla”
“Zack dov’è?”
“In un palazzo in fiamme”
“Dannazione! Sta bene?!”
“E chi lo sa... spero di si. Se lo rivedo gli porgo i tuoi saluti...”
“Ehm... ok...”
“Grazie... devo andare”
“Ciao, Rachel... fammi sapere”
Rachel attaccò e gettò il telefono tra le fiamme che aveva di fronte.
Inorridì capendo che Ryan la stava cercando. La stupiva il fatto che avesse minacciato Alma con un Bisharp, la cosa non la rendeva per nulla entusiasta.
Le parole, la voce di Alma, la lasciavano spiazzata.
Ryan era sulle sue tracce.
Doveva fuggire da lui. Ed il motivo non era nemmeno tanto chiaro, lo conosceva solo lei, e lo proteggeva come una fiammella, viva dentro la sua anima.
Si sentiva offesa. Offesa e spaventata da quella persona. Aveva sempre reputato Ryan come suo fratello.
Ora non cambiava molto, probabilmente se non fosse stata così orgogliosa la loro vita sarebbe andata avanti come sempre, perché in fin dei conti gli voleva bene.
Ma lui sapeva. Lui lo sapeva, sapeva tutto, da sempre, e le aveva celato quel segreto, così inutile per forza di cose, ma così importante e vitale per lei.
Aveva intenzione di rompere i ponti col passato, scappare via, crearsi una nuova vita, dove non ci fosse più nessuna Rachel. Non voleva più essere così debole. Aveva voglia di correre, e di affrontare le situazioni con orgoglio e fierezza.
Si sentiva piccola.
E questo non andava bene, perché sapeva di aver bisogno di tanta fiducia in se stessa per andare avanti e combattere contro le sue remore.
Guardò all’uscita.
Sapeva che Ryan sapeva.
Lo stava aspettando. Aspettava solo il momento in cui avrebbe dovuto scontrarsi con lui. Era stanca di scappare.
 
“Ecco che Alma ha telefonato” Marianne sorrise con una smorfia di sollievo sul volto.
Erano nel furgoncino dell’Omega Group. Una recluta guidava, mentre altre due erano dietro con la ragazza e Ryan, nell’intento di rintracciare la chiamata.
“Porta a Plamenia” concluse una della due reclute.
“Dove di preciso?” chiese Ryan.
Marianne premette un pulsante, e la telefonata tra Alma e Rachel venne messa in vivavoce.
Alma parlava, e Rachel rispondeva.
Ryan invece sorrideva. “È lei! È Rachel!”
“Si. L’abbiamo rintracciata davvero” sorrise tronfia Marianne.
“Ma non abbiamo ancora capito dove si trova...”
“Sei sicuro?”
Ryan aguzzò l’udito. C’erano le parole di Alma, e quelle di Rachel. Ed in sottofondo un rumore.
“Questo è... una giostra. Al parco divertimenti! Rachel è al parco divertimenti!”
“Già”
“Ma come arriviamo li?! È quasi il tramonto, e ci vogliono almeno 4 ore di auto!”
“Ci vorrà meno di mezz’ora con i nostri Salamence”
“Salamence?”
“Si. Li utilizziamo per gli spostamenti aerei rapidi, quando non possiamo perdere tempo. Sono davvero veloci in volo” fece Marianne. 
“Oh... ok. Quando partiamo?”
“Direi anche subito. I Salamence sono qui”
Marianne tirò fuori una valigetta d’acciaio da un vano del furgoncino, e la aprì. Dentro c’erano 5 ultraball. Lei ne prese 3, dandone una a Ryan e l’altra ad uno degli scagnozzi.
“Possiamo anche andare. Stiamo per riportarti Rachel”
“Già!” esclamò euforico Ryan. Stavano per riportargli Rachel.
 
Solo fumo. Fumo e fiamme. Quel palazzo era davvero diabolico, sembrava di stare al pianoterra dell’inferno.
Zack abbassò la bandana che portava, sul naso e sulla bocca, in modo da proteggersi contro il fumo e la cenere.
Ragionamenti rapidi. Il calore era altissimo, si superavano tranquillamente i sessanta gradi in quel posto. Faceva davvero molto caldo.
Inoltre era da annotare mentalmente che il palazzo aveva appena subito, oltre ad una grande scossa di terremoto, un’esplosione veemente, probabilmente di qualche serbatoio del gas.
Terza annotazione, ma non meno importante, tre o quattro piani sopra la sua testa c’era una ragazza impaurita ed in preda al panico.
Gli serviva la visuale libera, almeno per qualche secondo, per capire dove si trovasse la scalinata che conduceva al piano superiore.
“Braviary!”
L’aquila sbatteva velocemente le ali, rimanendo a pochi metri da terra.
“Vai con raffica, e cerca di incanalare il fuoco verso la parete a nord!”
Gli sembrò che Braviary avesse capito. Fece qualche passo indietro, giusto per passare alle spalle del Pokémon, che poi cominciò con l’attacco. Aguzzò quindi la vista.
Davanti aveva una grande parete. Era proprio li che Braviary stava spingendo le fiamme. C’era inoltre un piccolo corridoio, ma era sicuro che non avrebbe condotto da nessuna parte degna di importanza in quel contesto. A destra aveva l’ingresso al palazzo. Rachel era seduta per terra, la sua figura ardeva attraverso le fiamme al di fuori del palazzo.
“A sinistra!”. La vide. La scalinata per il piano superiore. Corse, noncurante del pericolo, e velocemente mise mano alla Poké Ball per far rientrare Braviary. Si promise di ringraziarlo in seguito, mentre si immetteva lungo la tromba delle scale. Un boato sordo lo avvertì che le fiamme avevano nuovamente ripreso posizione al pianterreno.
Gli scalini erano stretti, la tromba delle scale anche. Alzò la testa per un momento. C’erano più di sei piani. Sarebbe stata davvero dura.
“...” arrivò al primo piano. Le fiamme erano molto più forti rispetto al piano terra, e sembrava avessero inghiottito tutto. Ragionò, pensò che la ragazza non potesse essere nascosta li, aveva sentito la sua voce, non era così vicina.
Provò a chiamarla.
“Hey!”
Quella urlò. “Aiuto! Aiuto!”
“Calmati! Dove sei?!”
“Al quinto piano! Fai presto, qui crolla tutto!”
“Crolla?! Sto arrivando!”
Si fermò per un momento, prima di immettersi nuovamente nella tromba delle scale, per i piani superiori.
Sospirò. Stava elaborando una strategia. Poi, come se fosse il microonde, un campanello suonò.
“Lucario! Absol!” esclamò.
L’esemplare di Absol di Zack si girò con eleganza in quel contesto poco armonioso, ed assieme a Lucario guardò Zack.
“C’è una ragazza, su, al quinto piano. Ora ci arriveremo insieme. Attenzione, mi raccomando”
Zack era benissimo in grado di capire che, salendo le scale con i suoi Pokémon, li avrebbe messi in pericolo. Sapeva anche però che se si fosse trovato in grave difficoltà, l’abilità di premonizione di Absol sarebbe risultata utile. Ed anche la forza e l’agilità di Lucario.
“Ok. Partiamo!”
Salirono la prima parte della scalinata che divideva il primo ed il secondo piano senza alcuna difficoltà. Ebbero forse un po’ più di problemi quando si trovarono, durante la seconda rampa, delle travi infuocate a formare una sorta di X.
“Quanto mi avrebbe fatto comodo Larvitar ed un po’ di terra, adesso! Allora... valutiamo la situazione. Lucario, non avvicinarti. Il fuoco non è per niente il tuo elemento. Absol, usa Ventagliente!”
Absol fece qualche passo indietro, poi ruggì, inclinò la testa, e dalla lama sulla sua testa partirono dei fendenti d’aria che distrussero le travi in vari punti, estinguendo l'incendio.
“Ottimo. Forza!”
“Aiutami!” urlava la ragazza.
“Sto arrivando, cerca di non respirare il fumo!”
“Ci... ci provo. Ma qui brucia tutto!”
“Non hai Pokémon con te?”
“Chikorita!” urlava ancora quella.
“Non permetterti di tirarlo fuori, se non vuoi vederlo morto!”
“Dove sei?!”
“Al secondo piano!”
“Ancora?!” e poi una finestra esplose per l’alto calore, e la ragazza urlò.
“Calmati! Come ti chiami?” disse Zack, cercando di farla calmare, mentre salivano senza difficoltà anche la scalinata tra il secondo ed il terzo piano.
“Mia!”
“Ciao, Mia, mi chiamo Zack! Io ed i miei Pokémon stiamo venendo a salvarti!”
“Fai presto!” e poi un’altra esplosione.
Erano arrivati al terzo piano. Lì le fiamme sembravano non aver colpito molto l’arredamento. Uffici e macchinari erano ancora intonsi. Ma la scalinata era totalmente crollata, e non si poteva passare.
“Dannazione... ed ora?”
“C’è qualche problema?!” urlava Mia, da sopra.
“No, niente, tranquilla...” disse Zack a bassa voce, senza rendersene conto. Si girava, ma non riusciva a vedere un modo per attraversare quell’enorme voragine nella scalinata.
Lucario poi attirò la sua attenzione. Zack ed Absol lo seguirono velocemente. Una finestra dava sulla scala antincendio. Absol abbaiò, e colpì con l’attacco azione Zack, spingendolo fuori dalla finestra.
“Absol! Ma sei matto?!”
Il Pokémon catastrofe saltò fuori giusto in tempo di vedere il soffitto infuocato crollare proprio dove prima c’erano le loro teste.
Zack spalancò gli occhi. Stava davvero per morire. Erano sulla scala antincendio, e Zack si toccava leggermente dolorante il fianco: Absol non c’era andato piano.
Si rimise in piedi e carezzò la testa di quest’ultimo, poi velocemente seguì Lucario sulla scalinata.
Sarebbero saliti direttamente al quinto piano se non che la scala antincendio era letteralmente spezzata in prossimità del collegamento tra il quarto ed il quinto piano. Probabilmente l’effetto di qualche esplosione.
Erano costretti ad entrare al quarto piano, e salire l’ultimo piano per la scala normale, affrontando le fiamme.
Avrebbe potuto anche tirare Gyarados in ballo, con qualche mossa d’acqua, ma il palazzo, già pericolante di suo, avrebbe risentito del peso dell’enorme drago d’acqua.
Non era il caso di morire. Aveva troppi impegni per farlo.
Lucario sfondò la finestra, che incredibilmente era ancora intera, quindi entrarono con cautela.
Le fiamme divampavano forti li, forse più che in ogni piano che avevano visitato.
Lucario a sinistra, Absol a destra e Zack al centro. Era la formazione iniziale.
“Dove siete?!” urlava Mia.
“Siamo al quarto piano!”
“Non riesco quasi più a respirare!” tossì.
“Stiamo arrivando!”
Le scale erano proprio di fronte a loro. I corridoi laterali erano impraticabili, ma sembrava che l’accesso al quinto piano, tranne che per le mura sporcate di fuliggine, fossero in buono stato. Sarebbe bastato camminare dritti, e non ci sarebbe stato alcun problema.
Lo fecero. Zack prima di tutti, e poi i due Pokémon.
Il fuoco divampava a pochi centimetri dai loro volti. Zack era sudatissimo ed accaldato, senza contare la grande quantità di polvere nera che aveva addosso.
Absol abbaiò ancora.
Tutti si fermarono. Quello cominciò a ringhiare e balzò davanti a Zack.
Un’esplosione molto potente fece tremare il palazzo. Ed urlare Mia.
“Non preoccuparti!” cercò di tranquillizzarla Zack. “Sto arrivando!”
Ma ancora non capiva il motivo del balzo di Absol.
Poi se ne rese conto.
Un’ombra enorme cominciò a diventare sempre più nitida, passando attraverso le fiamme.
Fino a che non fu ben visibile.
“È un Magmortar...” fece Zack, digrignando i denti.
Quello lasciò partire un forte Lanciafiamme dalle braccia, diretto contro il soffitto.
Sembrava di essere in una gabbia di fuoco.
“Dobbiamo levarti di mezzo. Absol. Doppioteam! E poi Danzaspada!”
Absol abbaiò, poi creò un’illusione tramite le sue abilità, formando attorno a Magmortar altri 19 Absol. E tutti e 19 cominciarono ad usare l’attacco Danzaspada.
“Lucario, ritorna”. Il fuoco era troppo, non voleva rischiare che quello rimanesse ferito. In fondo era un tipo acciaio, profondamente debole alle fiamme.
Magmortar, vedendosi decuplicare gli avversari si innervosì, e cominciò ad attaccare a casaccio chiunque vedesse. Compreso Zack, costretto a lanciarsi a terra.
“Devo finire in fretta questa incombenza pratica... Absol, usa Ultimocanto”
Il Pokémon si esibì in una melodia melensa. Magmortar spalancò gli occhi. Aveva capito da dove proveniva la voce. Si girò ed attaccò quello che secondo lui fosse l’Absol prescelto.
Ma niente, sbagliò.
“Absol, usa Psicotaglio!”
Magmortar non si rese conto che, dopo essere andato a vuoto, uno degli Absol che riteneva un’illusione lo attaccò alle spalle, con un attacco potentissimo, che lo fece ruzzolare per terra.
Magmortar sembrava arrabbiato. Era un esemplare davvero forte. Usò l’attacco Fuocobomba, e lo scagliò rapidamente contro Absol.
“Absol, Individua!”
Absol fissò per bene la sagoma di fuoco, e balzò verso destra, evitando abilmente l’attacco.
“È così che si fa!” esclamò entusiasta Zack. “Ora utilizza Ritorno!”
Absol camminava lentamente verso Magmortar, mentre lui cercava di fermarlo, con attacchi di tipo fuoco, ma sembrava aver perso la concentrazione. Absol ruggì, fece un balzo, saltando un muro di fiamme di circa un metro, e colpì con la lama sulla sua testa Magmortar, che cercò di proteggersi col suo braccio.
E ci riuscì.
“Ha una difesa altissima...” ringhiò, stavolta Zack.
Poi però, qualcosa li sorprese. La melodia che Absol aveva cantato in precedenza cominciava a farsi sentire. Era l’Ultimocanto.
“Absol, rientra” fece Zack, lasciando Magmortar da solo, mentre lentamente si accasciava al suolo ed andava fuori combattimento.
“Ok. Vai, Ultra Ball”
 La sfera andò a cozzare contro il Pokémon, ormai K.O., e lo catturò, adagiandosi dolcemente su quel pavimento rovente.
“Bene così!” esclamò Zack.
Lucario uscì fuori dalla sfera, e corse sopra, seguito da Absol e Zack. Questo aveva bisogno di Lucario. Il Pokémon era in grado di captare l’aura delle persone, e quindi localizzare Mia sarebbe stato più semplice.
Salirono senza difficoltà all’ultimo piano. Il fumo ristagnava sul soffitto, le fiamme si muovevano alte e sinuose, mentre il calore aumentava sempre di più.
“Mia! Siamo qui! Dove sei?”
Zack acuì l’udito, ma non riuscì a sentire la voce dolce della ragazza.
“Lucario... tocca a te”
Quello fece un passo in avanti, e chiuse gli occhi, allungando le braccia davanti a lui. Zack si avvicinò ad Absol, e lo carezzò sulla testa. Era stato davvero molto bravo.
Lucario spalancò gli occhi, quindi guardò Zack. Cercò di fargli capire che Mia si trovasse dietro nella stanza che avevano di fronte.
“Mia!” la chiamò ancora il ragazzo, ma quella non rispondeva. “Sarà svenuta. Dobbiamo fare presto!”
Zack scattò, aprendo la porta, ma un denso lenzuolo di fuoco cominciò a ballare sinuoso davanti ai suoi occhi. Non poteva penetrare li. L’ossigeno stava finendo davvero, anche per lui.
Doveva salvare i suoi Pokémon.
“Bravissimi...” li fece rientrare nelle loro sfere.
La finestra che aveva di fronte era distrutta.
“Braviary! Andiamo!”
Saltò nel vuoto, e l’aquila gli comparve sotto le gambe.
“Giriamo il palazzo e cerchiamo di entrare nella stanza dove c’è Mia!” fece Zack. Si abbassò, per rendere il volo più aerodinamico e veloce, mentre Braviary virò, girando velocemente l’angolo del palazzo, mentre l’aria faceva vibrare le sue piume.
Si fermarono davanti alla scala antincendio. Zack saltò giù e fece rientrare l’aquila, chiamò quindi ancora Lucario.
Cercarono di entrare per la finestra, ma era bloccata. Accanto c’era il muro.
“Breccia! E fai attenzione a non ferire Mia!”
Lucario velocemente creò un’apertura nel muro abbastanza grande da permettere a Zack di entrarvi e di far uscire un po’ di fumo.
Si tuffò dentro, facendo una capriola e rialzandosi agilmente in piedi. Il fuoco era poco, ma il fumo rendeva l’ambiente irrespirabile. La ragazza era per terra, incosciente. I capelli biondi erano sparsi sul pavimento a raggiera, e qua e la erano sporchi di cenere e fuliggine. Gli occhi erano serrati, mentre la bocca schiusa cercava di attirare il poco ossigeno rimasto.
 “Eccoti qua”
Zack le si avvicinò, e la raccolse da terra, caricandosela in spalla. Lucario attendeva fuori, sulla scala, ed aiutò Zack a far passare la ragazza.
Un’altra esplosione, stavolta davvero forte, spaventò non poco Zack. Sentiva dei rumori. Il palazzo stava per crollare.
“Dobbiamo fare presto! Lucario ritorna! Vai Braviary!”
E prima di una spettacolare esplosione, Zack stringeva Mia tra le braccia, mentre raggiungevano Braviary in caduta libera.
 
Rachel li vide. E non poté nascondere un piccolo sorriso compiaciuto. A poca distanza, vide Braviary planare e poi scendere lentamente vicino a lei.
Zack balzò giù, stringendo Mia esanime tra le mani. La adagiò lentamente sul vicino prato, e prese un po’ d’acqua dalla sua borsa, accanto a Rachel, per poi gettarla sulla faccia della ragazza bionda.
Fu un attimo, quella spalancò gli occhi in preda al panico, e prese a tossire nervosamente, e poi ad affannare, come se avesse appena finito di correre i 100 metri.
Zack la strinse tra le braccia, in modo da farla calmare.
“Stai calma... sei fuori... sei salva” fece il ragazzo, quasi in grado di sentire il battito accelerato del suo cuore.
Rachel guardava stupita ma immobile la scena.
“Tieni, bevi un po’ d’acqua” le porse poi la bottiglia Zack.
Mia la afferrò, e bevve ad ampie sorsate.
“Oddio. Oddio. Oddio” ripeteva. Ed in effetti la reazione pareva piuttosto ponderata: era più morta che viva.
“Ciao. Sono Zack. Hai parlato con me prima, ricordi?”
“Si... oddio” fece poi, lasciandosi cadere sull’erba, affondando sui morbidi fili verdi.
“Ora sei salva. Probabilmente hai respirato una grande quantità di fumo, ma a quanto pare non hai subito danni al cervello... credo...”
“Dovremmo chiamare un’ambulanza” sospirò Rachel.
“Già... ma che hai? Sei strana”
“Vuoi davvero sapere che ho?”
Mia prese a piangere, e strinse Zack, che ricambiò l’abbraccio ma intanto guardava Rachel.
“Certo che voglio sapere che hai! Hai trovato la prescelta?”
“No. In compenso Ryan mi sta cercando”
“Cosa?!”
“Ha telefonato Alma. È stata minacciata da Ryan. Dice che non ha detto niente riguardo la nostra destinazione... ma...” e Rachel sospirò.
“Hai bisogno anche tu di un abbraccio, eh?”
Rachel sorrise, e si girò verso l’uscita. Lo stava aspettando. Sapeva benissimo che sarebbe arrivato.
Arrivò un infermiere, e raccolse Mia, che con le sue gambe andò fino all’unità mobile di pronto soccorso.
“Ok... sono pronta” fece Rachel.
“Pronta per cosa?”
“Per lui”
Dietro la testa dell’infermiere, in lontananza, Ryan camminava spavaldo tra la folla. Accanto a lui due persone indossavano una strana uniforme. Una era una donna di colore.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo Ottavo: Ardere 2°Parte ***


Ardere - Pt. 2


Il trio di giovani dell’Omega Group era arrivato a Plamenia in pochissimo tempo. I Salamence, molto più veloci di quanto Ryan si aspettasse, volarono a piena potenza per ben metà dell’intera regione, tagliando l’aria a velocità superiore a qualunque altra cosa che il ragazzo avesse mai visto. La distanza fra Edesea e la città dei divertimenti era stata quindi coperta in una manciata di minuti. Dentro di sé il ragazzo si sentiva vivo, dopo un lungo periodo in cui credeva non avrebbe mai più provato questa sensazione.
La vista della città lo scosse per un istante. Il terremoto non era stato avvertito da Edesea e la vista di quella distruzione per un momento lo lasciò impietrito. Scosse la testa, passandosi un braccio su occhi e fronte, cercando la concentrazione necessaria per fare il suo dovere.
Rachel.
Scacciò ogni pensiero dalla mente eccetto quello della sorella. Prese un lungo respiro e incurante del caos in cui era caduta la città si diresse verso la zona del parco. Marianne lo affiancò rapidamente, per capire cosa avesse intenzione di fare.
“Ci sono un mucchio di feriti, in questi casi vengono organizzate delle zone di soccorso, dove occuparsi dei feriti meno gravi per non intasare inutilmente ospedali o simili” Ryan le parlava di fretta, muovendosi lentamente e guardandosi attorno con molta calma.
“Potrebbero essere rimasti feriti, o comunque essersi rifugiati in un posto sicuro, quindi inizieremo dai campi medici” era sicuro di sé e della sua strategia.
Marianne annuì, soddisfatta della logica mostrata dal ragazzo e continuò a seguirlo, tenendosi a qualche passo di distanza da lui, per evitare di intralciarlo nei suoi movimenti.
Un’altra recluta li seguiva, a debita distanza. Era un ragazzo, appena vent’enne, capelli rossicci e riccioluti lunghi appena qualche centimetro, con un viso dai profondi occhi ambrati. Sembrava provare un certo timore verso i due e li seguiva tenendosi una manciata di passi indietro, e continuando a fissare lo spettacolo di distruzione con aria sgomenta.
Ryan arrivò nello spiazzo centrale del parco. I suoi occhi cremisi sembravano passare oltre i corpi delle persone, alla ricerca del suo unico obiettivo. Poi la trovò.
Si chiese come avesse potuto non notarla prima. La ragazza era ferma, immobile e fissava nella loro direzione. Non era sicuro che l’avesse visto, vista la folla che li separava, ma ormai era più che sicuro che non l’avrebbe persa.
Si fece largo fra la folla facendo cenno a Marianne di restare indietro, non voleva che la sua presenza potesse allarmare la sorella.
Continuò ad incamminarsi, li separavano appena una decina di metri, quando lei lo vide. I suoi occhi di quel misto fra l’azzurro e il grigio s’incupirono per un istante, velandosi d’inquietudine, mentre lo fissavano. Fu solo un instante, poi lo sguardo della giovane si fece duro, impenetrabile.
Ryan la osservò, dubbioso.
Aveva ascoltato la chiamata, aveva sentito l’ansia nella sua voce, ma non si aspettava di trovarla nei suoi occhi. Sapeva che era una ragazza orgogliosa e immaginava quanto dolore quella vicenda le potesse aver causato, ma non credeva che sarebbe riuscita a covare risentimento tanto a lungo.
Scrollò le spalle. Era pronto anche a quest’evenienza.
Ciò che doveva fare ora era solo riportarla a casa, col tempo le sarebbe passato tutto.
Avvicinandosi notò anche l’altro. Il ragazzo di nome Zack, era ancora accovacciato a terra, con la bandana legata intorno al collo, il volto annerito dalla fuliggine e i capelli scompigliati. Non aveva niente da vedere con lui. Se fosse restato in disparte, non l’avrebbe attaccato.
Non voleva perdere tempo inutilmente.
Sentiva i passi di Marianne a qualche metro da lui, troppo lontana perché potesse interferire.
Si fermò solo quando fra i due gruppi erano rimasti una manciata di metri.
La zona man mano si spopolava, i feriti venivano trasportati verso il tendone del pronto soccorso, mentre i vigili del fuoco si dirigevano verso la zona interna del parco, dove i danni erano stati maggiori.
La gente gli correva vicino, senza badare a loro, senza notare la tensione che man mano andava creandosi nell’aria.
“Finalmente ti ho trovata” furono le uniche parole di Ryan. Il suo tono sorprese Marianne. Era dolce. Stanco, a causa dell’esasperazione e dello stress di quei giorni, ma dolce.
“Già” fu la risposta, rassegnata, della ragazza. Non sorrideva, diversamente dal ragazzo, i suoi occhi erano impenetrabili, e nascondevano il turbinio di emozioni che la ragazza provava.
 
Rachel tergiversava. Aveva immaginato quel momento dal giorno della sua partenza, l’aveva analizzato in ogni minimo dettaglio, ma ora che era arrivato, si rese conto di essere impreparata. Gli occhi di fuoco del fratello indugiavano nei suoi. Si sentiva nuda, di fronte a quegli occhi. Avrebbe voluto indietreggiare, abbassare lo sguardo, scusarsi.
Ma per cosa?
Aveva deciso di scappare d’impulso, sfuggendo a quella casa che non era sua e fuggendo da quel fratello che non era un vero fratello. Non era stata tanto la mancanza di quel legame di sangue ad angustiarla, ma il castello di bugie che vi era stato costruito sopra.
Ryan, con la stessa voce calma di poco prima, la riportò alla realtà.
“Torniamo a casa, Rachel” Il suo sguardo era carico di speranza.
“Non voglio”. Si sentì incredibilmente leggera dopo averlo detto. Tuttavia il malumore era evidente sul suo viso.
Gli occhi di Ryan s’incresparono, dapprima un misto di insicurezza, poi una maschera di perplessità gli si formò in volto. Rachel non gli diede tempo di controbattere.
“Non voglio tornarci, a casa.” Lo sguardo basso, come se cercasse la concentrazione nel pavimento. “Vorrei dirti che non è colpa tua, che sono solo io quella che non va, e probabilmente in parte è così. Ma, Ryan, io non riesco ancora ad accettare quella menzogna” le tremava la voce, in parte se ne vergognava, era una debolezza che non voleva lasciar trasparire, ma non poteva farci nulla.
Ryan abbassò lo sguardo, era davvero dolore quello che gli vedeva dipinto in volto? Sembrava che qualcuno avesse posato un macigno sulle sue spalle.
Rialzò di nuovo lo sguardo, indicando Zack.
“Però le menzogne che ti dicono questi tizi vanno bene?” il suo tono era sprezzante. La ragazza per un attimo vacillò. Di che cosa stava parlando? Fu Zack a chiederlo, prima di lei. Si era messo in piedi, e si era ripulito il volto annerito, macchiando la sua bandana.
“Che cosa stai cercando d’insinuare?” sibilò.
Gli occhi verdi erano gelidi, osservavano quello che ormai aveva catalogato come nemico con malcelato disprezzo.
“Esattamente quello che ho detto.” rispose Ryan, come se fosse l’ovvio “Perché mai Rachel dovrebbe accettare le vostre menzogne, quelle che le avete detto sia tu, sia la dottoressa che ho avuto il piacere d’incontrare qualche ora fa, riguardo questa situazione?”
“Non mi risulta di aver mentito su nulla” la tensione che si stava creando fra i due era divenuta palpabile.
“Di che cosa stai parlando, Ryan?” gli occhi di Rachel erano dubbiosi, la sua voce non riusciva a nasconderlo.
Zack si voltò verso di lei, stupito.
“Gli credi?” la sua voce era quasi irritata.
“Voglio solo sapere cosa sta cercando dire.” la ragazza si era messa sulla difensiva.
“Saranno stronzate inventate sul momento!” stava iniziando ad alzare la voce.
“Non ne sarei proprio sicuro” la pacatezza di Ryan irritò ulteriormente Zack. “Rachel, prima di poter anche solo fidarti di loro e del loro piano di salvataggio del mondo, sai che il primo, vero studio sulla profezia di Arceus fu fatto da nostro padre?” era sicuro delle sue conoscenze, e non si creava problemi a mostrarlo.
Alla parola nostro Rachel sussultò un poco, avrebbe voluto dire qualcosa, ma il resto della frase l’aveva già colpita abbastanza.
“E con questo?” il ringhio di Zack sovrastava ogni altro pensiero della ragazza.
Ryan lo ignorò.
“Ti sembra un caso che proprio tu, la figlia di colui che ha fondato la ricerca, sia stata avvicinata e circuita in modo da cooperare con loro?” la sua voce insinuava in Rachel il veleno del dubbio.
“Stai dicendo che l’abbiamo ingannata per farci aiutare? Ma se nemmeno lei sapeva nulla al riguardo!” Anche la logica di Zack non era fallace. Rachel osservava sbigottita i due ragazzi discutere.
“Già, immagino che per voi sia stato un bel problema scoprire che Rachel era all’oscuro di tutto. Era troppo piccola per interessarsi in qualche modo alle ricerche di nostro padre. Troppi libri polverosi e noiosi, diceva”
Era vero, con una punta di nostalgia ricordò di averli davvero definiti così, una volta. In realtà non le piaceva il mestiere del padre, lo costringeva a lunghi periodi lontano da casa, e quando tornava era spesso sommerso di scartoffie, e si chiudeva nel suo studio a lavorare.
“No che non è stato un problema, visto che non è mai stata avvicinata con secondi fini simili!” Zack era esasperato, forse in parte si rendeva conto di quante insignificanti possibilità ci fossero che la ragazza salvata nel bosco fosse casualmente la figlia dello scopritore della teoria del Cristallo e che questa venisse coinvolta in quella stessa storia. Per essere una coincidenza era veramente assurda. Ma lo era.
“Rachel, lasciali perdere. Stanno solo cercando un modo per usarti, credimi. Ti getteranno via non appena avranno ciò che cercano, ossia il cristallo e la persona per utilizzarlo, puoi starne certa” la sua voce era calda, c’era un misto di affetto e di disprezzo in quel tono. Il primo indirizzato alla sorella, il secondo verso il ragazzo.
Rachel deglutì. Si fidava di Zack, ovvio. Ma fino a che punto? Era davvero stata trascinata in quella storia a causa di un’ignota macchinazione? E di che tipo?
Fu nuovamente Zack a distrarla. Aveva messo mano alle sue Poké Ball, mandando in campo il suo Braviary.
“Adesso basta, non tollero insinuazioni simili sul mio conto! Non ti permetto di parlare di me in questo modo!  Non puoi dire falsità su di me così come stai facendo!” tremava, il suo corpo era scosso dalla rabbia. Quel tipo era venuto da chissà dove e senza conoscerlo si permetteva di affermare quelle idiozie come se fossero verità rivelate. Non poteva sopportarlo. Non importava se fosse il fratello di Rachel o chiunque altro. Non poteva sopportarlo.
Braviary dominava il campo, con le ali spiegate. Ryan prese nota di quel Pokémon, ma non se ne preoccupò, era affaticato, quindi non sarebbe stato difficile per lui sconfiggerlo.
Mandò in campo Bisharp,  accogliendo la sfida di quello.
“Non so cosa speri che possa fare il tuo uccellino, ma non pensare di potermi battere con quel Pokémon malconcio!”
Il Pokémon Fildilama osservava il suo avversario con la stessa aria sicura del suo allenatore.
Zack lo scrutava, cercando di analizzarlo.
Era un buon esemplare, e i tipi giocavano a suo favore.
“Non credere che quei due graffi possano creargli qualche problema! Braviary inizia con Rocciotomba!”. L’ordine di Zack fu preciso e chiaro, quindi l’aquila si scagliò verso il Pokémon avversario in velocità, lanciandogli rocce che sebbene non ebbero un grosso effetto in quanto a potenza, furono bastevoli per rallentarlo.
Non era il suo solito stile minare alle abilità dell’avversario, di solito giocava d’attacco, ma davanti ad un avversario simile si rese conto di non poter far altro che dare davvero il meglio di sé.
Ryan lasciò che il suo Pokémon incassasse il colpo, come a dimostrargli che non era affatto preoccupato delle sue abilità.
“Bisharp, non perdiamo tempo, vai con Ripicca!” Il Pokémon Acciaio si mosse veloce, sebbene rallentato dal precedente attacco, sfruttando l’enorme potenziale offensivo di Braviary e rivoltandoglielo contro. Fu solo l’incredibile esperienza che il Pokémon volante aveva accumulato a permettergli di ammortizzare il colpo, nonostante il danno ricevuto fosse in ogni caso notevole.
“Braviary, presto Trespolo!” Zack strinse i denti, sapeva che utilizzare Trespolo rendeva il suo Pokémon vulnerabile, ma la fatica accumulata durante il salvataggio di Mia aveva stancato troppo il suo Pokémon. L’aquila si posò a terra, recuperando in breve tutte le sue energie.
“Pensi che basti? Bisharp, Tuononda!”
Il Pokémon metallico attaccò con una scarica elettrica Braviary, momentaneamente indifeso, paralizzandolo.
“Non sarei mai riuscito a centrarlo in volo, onestamente confidavo in questa tua mossa” lo schernì.
Zack ebbe un gesto di stizza, non era davvero il caso di prendere alla leggera quel tipo.
Fece rientrare Braviary nella sua sfera.
“Avrei preferito evitarlo, ma a quanto pare non mi lasci altra scelta. Concludiamo questo match in fretta, Lucario!” Dalla seconda Ball del giovane uscì in campo Lucario.
Nonostante anche il Pokémon Aura fosse stato impegnato nel palazzo in fiamme, non sembrava risentirne quanto Braviary.
Ryan valutò nuovamente il Pokémon avversario. Stavolta la partita si giocava su tutto un altro livello. Si arrischiò a continuare ad usare Bisharp, nonostante il calo di velocità, almeno per cercare di testare le abilità avversarie. Sapeva bene che i tipi pendevano a suo sfavore.
“Bisharp, non facciamoci pregare, vai con Ghigliottina!”
Bisharp scattò, cercando di stringere il nemico fra le sue innumerevoli lame, ma non fu abbastanza veloce, Lucario evitò facilmente il colpo, piazzandosi sotto il braccio del’avversario.
“Vai, Palmoforza!” l’ordine di Zack non si fece attendere, il Pokémon era posizionato esattamente doveva voleva, nel punto in cui avrebbe fatto più male.
Il colpo prese in pieno Bisharp, che finì a terra a diversi metri di distanza dall’avversario. Si rialzò traballante, usando le sue ultime energie.
“Non puoi ancora arrenderti! Vai con Metalscoppio!” Ryan incalzava il suo stesso Pokémon. Sapeva che non ce l’avrebbe fatta, ma doveva stancare Lucario quanto più possibile.
Bisharp si mosse di nuovo, stavolta centrando il Pokémon nemico con il colpo, che incassò stringendo i denti.
“Hai sfruttato la potenza del mio stesso attacco come contromossa...riconosco la tua abilità come allenatore, sul serio, ma credimi...hai bisogno di molto più allenamento per mettere in difficoltà il Campione della Lega Pokémon di Adamanta!”
Per un istante sul campo scese il gelo, la dichiarazione di Zack era arrivata inaspettata per tutti, ma fu Rachel a mostrarsene più sorpresa.
“Tu sei... cosa?” Gli occhi chiari erano sgranati, e osservavano quel ragazzo con un’espressione stupefatta.
“Io... non te l’avevo detto, scusa” le rispose senza distogliere gli occhi dal campo di battaglia “Ma di solito non è qualcosa di cui piace vantarmi” borbottava più che parlare. In un certo senso era davvero imbarazzato.
Ryan indurì lo sguardo. Quindi era questo quello che non gli avevano detto su di lui all’Omega Group? E perché tenerglielo nascosto? Scacciò quei pensieri con rabbia. Non era quello il momento adatto.
Zack aveva di nuovo preso in mano le redini dello scontro e grazie ad un secondo attacco Palmoforza aveva mandato definitivamente Bisharp fuori combattimento.
Ryan lo richiamò nella sua sfera.
“Per essere uno a cui non piace vantarsi direi che ti messo in mostra più che a sufficienza. Ma non credere che urlare un titolo ai quattro venti basti a far vincere gli scontri. Gallade, dimostragli di che pasta siamo fatti!”
Il Pokémon Lama adesso fronteggiava il Pokémon Aura.
I danni ricevuti da Lucario nonostante tutto erano minimi. Era come se la vera lotta stesse iniziando solo ora che i due allenatori avevano svelato i propri assi nella manica.
“Lucario, Vuotonda!”
Zack fu di nuovo il più veloce a chiamare la prima mossa. L’attacco prioritario di Lucario si scontrò con l’attacco Riflesso di Gallade, giungendo a lui indebolito.
“Gallade, Nemesi!”
Di nuovo Ryan contrattaccò a piena potenza, Gallade colpì Lucario, con un colpo di potenza raddoppiata grazie alla precedente sconfitta di Bisharp.
“A quanto pare sei abile a sfruttare le mosse nemiche...uno dei pochi che conosco che riesce ad utilizzare tecniche simili” Zack si congratulò a denti stretti, nonostante fosse più che sicuro di poter battere Gallade, Ryan era un avversario pericoloso.
“Lucario, facciamogli vedere come ce la caviamo a restituire i colpi! Contatore!”
Stavolta fu Lucario a sfruttare il colpo nemico. Nonostante l’attacco non fosse efficace sul suo tipo, Gallade accusò il colpo, indietreggiando e aumentando la distanza fra lui e l’avversario.
“Non diamogli respiro, Lucario, adesso usa Palla Ombra!”
Di nuovo il Pokémon Aura si avventò su Gallade, usando stavolta una mossa più che efficace sul suo tipo, ma poco prima dell’attacco Ryan riuscì a difendersi.
“Gallade, Protezione!”
La sfera di energia oscura si abbatté sullo scudo del Pokémon psico, dissolvendosi.
Nonostante l’attacco Riflesso avesse protetto Gallade da buona parte dei colpi fisici ricevuti, il Pokémon Lama non era in buone condizioni. Ryan se ne rese conto. Dalle ricerche della mattinata, allo stress subito nei giorni precedenti, le condizioni di Gallade erano andate peggiorando. Tuttavia non sembrava disposto ad arrendersi.
“Gallade, adesso usa Focalcolpo! Non farti abbattere!”
Gallade restò per qualche istante fermò. Ryan percepì il pericolo di quell’attacco.
“Lucario, preparati”. Fu un sussurro.
Quello annuì, pronto a difendersi dall’attacco nemico. Gallade interruppe la concentrazione, lanciandosi contro l’avversario e concentrando tutta la potenza che aveva nel proprio attacco.
Lucario evitò l’attacco, abbassandosi.
“Dannazione! Gallade, Introforza!”
Gallade interruppe il Focalcolpo, caricando invece l’aria con l’energia che lasciava scaturire dal suo corpo. L’attacco, di natura elettrica investì Lucario con una potenza tale da creare una piccola esplosione.
Il fumo aveva invaso il campo di battaglia, ma dopo alcuni secondi svanì, mostrando un illeso Lucario e un esausto Gallade.
“Gallade! Com’è possibile!?”
Ryan era esterrefatto. Aveva calcolato tutto. La finta preparazione del Focalcolpo e il caricamento dell’Introforza di modo che risultasse più potente della norma.
“Ho semplicemente usato Individua per proteggere il mio Pokémon. Non c’era nessun bisogno di infierire sul tuo Gallade ulteriormente, era già esausto di suo. Tuttavia, essendo un Pokémon molto protettivo nei confronti dell’allenatore, ha continuato a combattere. Semplice.”
La ritrovata calma di Zack spazzò via la tensione di quello scontro.
“Ora sparisci. Hai già creato fin troppi casini. Rachel non vuole venire con te. Per quanto sia duro accettalo.” il suo tono non ammetteva repliche.
Ryan suo malgrado richiamò il suo Pokémon nella sfera. Il suo sguardo prometteva vendetta.
Marianne stava per raggiungerlo, ma si bloccò. Ryan aveva voltato le spalle al campo di battaglia.
“Rachel, renditi conto il prima possibile della situazione in cui ti trovi. Torna a casa, davvero, ti prometto che ci penserò io a trovare le risposte alle tue domande. L’ho già fatto” La sua voce era indecifrabile.
Quindi si voltò, ed assieme ai componenti dell’Omega Group si allontanarono nel continuo caos scemato, lasciando i due ragazzi in silenzio, troppo stanchi o confusi per parlare.
 
Marianne vide Ryan sbattere i pugni contro le pareti metalliche del furgone che avevano raggiunto dopo essersi rimessi in volo da quella città devastata. Ogni colpo la faceva sobbalzare. Le nocche del giovane dai capelli dorati erano scorticate e sanguinavano.
Il suo sguardo tradiva un dolore che sembrava arrivare dal profondo. Lo sentiva anche lei, nello stomaco. Ma vedeva anche il fuoco dell’odio che lo divorava.
“Perché non me l’avevate detto?”
Le urlò contro.
“Non credevamo fosse un’informazione rilevante. Tutto qui” fu la sua piatta risposta.
“Il fatto che fosse il Campione della Lega Pokémon per voi non è una dannatissima informazione rilevante?!” urlava al punto che Marianne credeva avrebbe tossito sangue.
Lei restò in silenzio, accettando gli urli di quell’incomprensibile e spaventoso ragazzo come fossero acqua.
Quando ebbe finito di sfogarsi, lo lasciò solo, scendendo e dirigendosi al posto di guida. Le altre reclute erano spaventate.
Ryan si lasciò scivolare sul pavimento, coprendosi gli occhi con le mani insanguinate.
“Rachel... torna. Sei in pericolo” furono le sue ultime parole prima che il sonno lo facesse suo.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo Nono: Chiarezza ***


Chiarezza - Pt. 1


Si capisce che qualcosa non va quando attorno a noi le cose cominciano a cambiare.
Insomma, non sono come ce le aspettavamo. La nostra mente crea uno scenario immaginario dove proietta la nostra persona, ci disegna su di uno sfondo più o meno utopico che troppe poche volte si rivela essere reale.
In quel disegno, Ryan teneva la mano di Rachel. Nella sua casa.
E tutto era finito.
Ed era felice di aprire le finestre per far entrare la luce del sole.
Invece no.
Sospirò, Ryan, e tornò a stringere i pugni e a digrignare i denti.
Rachel volutamente era rimasta dov’era. Ovvero lontana da lui.
Gli mancava che quella goffa e sbadata ragazza girasse per casa urlando al suo Zorua dispettoso di fare qualsiasi cosa oltre a dormire.
Sorrise per un momento.
Non era sua sorella. No, non lo era mai stata, ma in cuor suo sapeva di volerle bene come se lo fosse. E non capiva i motivi di quell’allontanamento, di quella fuga.
Il lato positivo c’era. Ormai non era più difficile rintracciarla, sapevano da dove partire, le telecamere avrebbero lavorato per lui e se non fossero bastate era stato messo alle calcagna di Rachel un agente novizio, a pedinarla.
Gallade riposava. Lottare contro quel Lucario lo aveva stremato.
Quel Lucario ultrallenato di Zackary Recket, alias il fottutissimo campione della fottutissima Lega del fottutissimo Pokémon. Ricordava sul suo volto la determinazione, la forza che esprimevano i suoi occhi, i denti che digrignavano, proprio come quelli di Ryan in quel momento.
Ricordava le mani strette, quei pugni rabbiosi che teneva bassi, e la sua fastidiosissima voce. Quella voce che gli aveva impedito di riportare Rachel con se.
“Bah...”
Non era rilevante, per Marianne dirgli che fosse il campione.
Incompetenti. Sono ovunque.
Aveva saggiato la forza di quel ragazzo, e probabilmente non sarebbe stata l’ultima sfida tra di loro. Ryan non avrebbe ceduto.
Nonostante questo la sua testa si tormentava, quasi cercava di rigirarsi su se stessa, nel tentativo di capire per quale dannatissimo motivo Rachel fosse scappata.
Era stata solo la menzogna? L’omissione di un importantissimo dettaglio?
Immaginava la voce di Rachel ad urlargli che quello non era un dettaglio.
Un momento... non la stava immaginando.
Rachel era li. Davanti a lui.
“Non è un dettaglio! È la mia vita! La mia vita! Tu hai voluto rubare la mia vita!”
Era davvero li. Ryan sentiva la sua voce, e nel suo naso inalava il suo odore.
“Rachel... io... io ero solo un bambino quando...”
“Ma poi sei cresciuto! Dovevi dirmi che non eri mio fratello!”
“Sei cresciuta con me però! Sei mia sorella!”
Rachel cominciò a prendere a pugni il muro con una forza fuori luogo. Non si aspettava tale veemenza nel percuotere quelle pareti. Pareti che rimbombavano forte, come rintocchi di una campana. E la testa cominciava a fare male.
Ryan portò le mani alle orecchie. “Basta! Rachel, Basta!”. Si alzò dal letto e corse da lei, ma non c’era più. Era andata via.
Gallade era tranquillo, e questo era strano. Una persona che manifestava tale rabbia avrebbe avuto delle ripercussioni sull’umore di Gallade.
Invece no.
Ryan necessitava della presenza di Rachel accanto. Sì, altrimenti sarebbe impazzito. E forse era già sulla buona strada.
Rachel non era li. Si rese conto di ciò mentre si lasciava cadere sul letto, sconfitto dalle lacrime e dal malessere, e mentre immaginava i suoi segni di squilibrio, si abbandonò sfinito al sonno.
 
 
La notte passò lenta, e Rachel fu convinta da Zack a dormire fuori, in tenda e sacco a pelo, per via dei terremoti.
“Non sappiamo se il sisma abbia compromesso la stabilità delle fondamenta dei palazzi. Non è saggio dormire in albergo. Potrebbero crollare, o essere pericolanti. Staremo qui...”
Avevano scelto uno spiazzo lontano da ogni cosa. Un bel prato verde all’interno del parco cittadino di Plamenia.
Il freddo congelava tutto, e quando uscì dalla tenda, Rachel non si sorprese di vedere la cima del Monte Trave imbiancata.
Non smetteva di pensare al giorno prima.
Non smetteva di pensare alle parole di Ryan.
“Perché mai Rachel dovrebbe accettare le vostre menzogne, quelle che le avete detto sia tu, sia la dottoressa che ho avuto il piacere d’incontrare qualche ora fa, riguardo questa situazione?”
Possibile che fosse tutta una montatura? Possibile che Zack sapesse già tutto?
“Ti sembra un caso che proprio tu, la figlia di colui che ha fondato la ricerca, sia stata avvicinata e circuita in modo da cooperare con loro?”
La voce di Ryan sembrava così sicura.
Ma che senso avrebbe avuto?
Mosse dei leggeri passi sull’erba umida mentre il sole nasceva, disinteressato come il giorno prima e quello prima ancora.
Era possibile, ed era solo un ipotesi, che Zack l’avesse volutamente incontrare nel Bosco Memoria, quando lottò contro Wizard. O forse prima ancora, quando combatté contro il suo Growlithe.
Il Growlithe del campione della lega di Adamanta...
“Dannazione!”
C’era qualcosa che Zack le stava nascondendo. C’era da dire, inoltre, che dopo l’incontro con Ryan del giorno prima, la situazione tra Rachel e Zack era entrata in fase di stallo. I due non si parlavano se non per cose necessarie.
Non ricordava nemmeno quello che si erano detti. Solo uno stralcio di conversazione riguardante Mia. Zack voleva andarla a trovare nel campo medico, dove aveva passato la notte.
Zack sentì il volto investito dal freddo. Intuì che la tenda fosse aperta. Allungò la gamba, cercando di toccare Rachel, ma non la sentì. Si alzò di scatto, gli occhi spalancati, mentre cercava di mettere a fuoco ciò che aveva attorno.
Aveva timore che quel Ryan potesse tornare nel cuore della notte.
“Rachel!” urlò.
“Zack, sono qui...”
Era fuori alla tenda.
Quello sciolse la tensione che aveva in petto e si lasciò cadere, steso nel caldo e morbido sacco a pelo di lana.
Si alzò, passò una mano sul volto per allontanare il sonno ed uscì dalla tenda. Il freddo era massiccio.
Lei però era a piedi scalzi sull’erba.
“Hey... come stai?” domandò lui. Quella non si muoveva, e continuava a guardare il Monte Trave.
“Io sto bene. E tu? Stavolta cerca di non omettere informazioni importanti”
“Rachel...”
Quella si voltò di scatto. “Ok! Può essere successo ogni dannatissimo evento nella tua vita, ma credo che io debba sapere con chi viaggio e con chi condivido la tenda! Oppure quali dannatissimi Pokémon possiedi!”
“Voglio che tu faccia una netta distinzione tra le cose...”
Il volto di Zack sembrava differente. Rachel non lo aveva mai visto con quell’espressione. O forse solo mentre lottava.
Era estremamente, dannatamente serio.
Gli occhi verdi incrociavano lo sguardo infuocato e contemporaneamente glaciale di Rachel.
“L’unica mia colpa è quella di non averti detto che sono il campione. Quello che ha detto tuo fratello non è assolutamente vero”
Nella mente di Rachel rimbombava la voce di Ryan. “Non ti fidare di lui” diceva, come se le stesse sussurrando nelle orecchie e lei non lo vedesse. Sentiva le sue mani carezzarle il collo, scostarle i capelli, il suo naso carezzarle il viso.
Poi riaprì gli occhi. C’era solo l’alter ego di Zack, granitico come non mai, a pochi metri da lei.
“E il resto? Il piano che avresti architettato?”
“Non so neanche chi sia tuo padre, Rachel, e non so cosa contengano le sue fantomatiche ricerche. Ho cercato solo di difenderti nel momento in cui ti ho vista in difficoltà. E questo perché ti voglio bene”
“Anche io te ne voglio”
Il volto di Zack si ammorbidì leggermente, ed una piccolo sorriso fece la sua comparsa.
“Non ti mentirei mai. Non vorrei mai farti del male. E se pensi che abbia architettato tutto questo con Alma ti sbagli. Mi sono affidato alle sue conoscenze perché è molto competente in materia”
“Già”
“Inoltre non credo che se fossi venuto a conoscenza dei dati delle ricerche di tuo padre, avremmo girato a vuoto l’intera regione” sorrise ancora lui.
“Sì. Anche questo è vero”
“Insomma... in quel caso te ne avrei parlato, mi sarei presentato direttamente a casa tua... e non avrei coinvolto né Bill né Mr. Fuji in questa situazione... è da loro che ho appreso per la prima volta la leggenda di Arceus”
Rachel annuì.
“Ti fidi di me?” domandò poi il ragazzo, con lo sguardo sincero.
Rachel tentennò. Ma si perse nel verde dei suoi occhi, e sorrise leggermente prima di annuire. Zack esplose in una risata e corse ad abbracciarla. La testa di Rachel si poggiò sul petto del ragazzo, dopodiché lo cinse con le braccia.
“Ho avuto paura. Devo abituarmi a pensare con la mia testa, ma purtroppo Ryan ha ancora molta influenza su di me”
“Mi pare giusto, ma devi allenare il tuo senso del giudizio. Non ti ingannerei mai”
“Ok”
E l’abbraccio terminò. Gli occhi di Zack fissarono per un momento quelli di Rachel. Stavolta erano davvero vicini. Poi il ragazzo si voltò verso il Monte Trave.
“È innevato. Le temperature sono scese molto, stanotte”
“È vero”
“Ancora non vuoi parlarmi?”
“No. Ho freddo”
Zack sorrise. “Se non sbaglio abbiamo una piccola fiammella per riscaldarci”
Lei sorrise, ed entrò nella tenda. Infilò le scarpe, e prese le Poké ball.
“Vai, Litwick”
 
Il Pokémon Candela uscì, sbadigliando. Zack sorrise, mentre Rachel esplose in un “quanto sei carino!”. Zack scommise di aver visto stormi di uccelli volare a più di un chilometro per via dell’urlo della ragazza.
Quello si guardò attorno. Sorrise velocemente allo sguardo allegro di Rachel. Poi guardò Zack e la sua fiammella si ingrossò.
“Oh, santo cielo!” Zack fece un balzo indietro.
“Che cosa?! Zack, che c’è?!”
“La fiamma! Hai visto la fiamma?!”
“Sì che ho visto la fiamma! Ma perché sei scappato?!”
“Mi ha guardato ed ha cominciato a succhiare la mia energia vitale!”
“Eh?!” Rachel sembrava confusa. Prese Litwick in braccio. Era morbido e profumato, e la fiammella viola era calda. Donava un po’ di colorito alle sue guance, dove il sangue stava per smettere di passare.
“Mangia l’energia vitale. Si nutre di quella” spiegò Zack, a distanza.
“Oh... davvero?”
“Già”
“Alma vuole uccidermi?” chiese ingenuamente.
“Non penso”
“Me l’ha dato lei”
“Sei la sua allenatrice, non ti farà del male”
“Invece tu verrai mangiato” concluse lei, sorridendo sardonicamente, alzando in aria la candela. “Mi è già simpatico”
Zack storse il muso, e si girò.
In venti minuti si erano vestiti e rifocillati, avevano smontato la tenda ed erano pronti per camminare.
Il campo medico non era molto lontano.
 
Marianne aprì la porta. Ryan dormiva come un bambino, in posizione fetale, mentre Gallade era poggiato al muro, e vegliava il suo riposo come una balia premurosa.
Sorrise a quella vista, poi si diede un contegno, e tossì, per farlo svegliare.
“Ehm...”
Niente.
“Ryan”
Gallade la fissava. Marianne aveva leggero timore di quel Pokémon. E Gallade lo sentiva, trovandolo ingiustificato. Lui era un Pokémon dalle buone intenzioni, ben allenato ed educato.
La ragazza scostò qualche ciuffo corvino dalla pelle scura, e sbatté lentamente le ciglia. Il sole in quella stanza, forse, non ci era mai entrato. E a quanto le sembrava, Ryan non aveva intenzione di invitarlo ad illuminare quel posto, e a diradare i suoi dubbi.
Vedere un uomo in posizione fetale ti faceva rivalutare alcuni aspetti della vita in generale.
Ad esempio la sicurezza.
Molte persone possono sembrare sicure e preparate, molte volte ostentano dei sorrisi che non hanno la forza materiale di mantenere sui loro volti, e dentro di loro crollano come castelli di carte al minimo soffio di vento, lasciando solo full e poker alla rinfusa sul pavimento.
Eppure non pensava lui fosse così. Credeva riuscisse a sopportare quella pressione.
La pressione della sconfitta. Non a tutti riesce semplice perdere.
A nessuno riesce semplice. Ma qualcuno lo somatizza di meno, e continua a testa alta la propria vita.
“Ryan” lo chiamò ancora.
Quello non accennava a muoversi.
Si sedette sul letto, dietro di lui. Da quando era arrivato li, nell’edificio dell’Omega Group, il ragazzo aveva temprato il suo corpo, con duri allenamenti quotidiani.
Questi allenamenti comprendevano ore di corsa, di sollevamento pesi e di isometria.
Forse dormiva per la stanchezza. E forse, e si intende forse, stare in quella posizione lo faceva solo stare più comodo.
Gli toccò il braccio sinistro, rigonfio dall’allenamento mattutino, e lo strinse. “Ryan” lo chiamò.
Ancora nulla.
Rimase in silenzio ad ascoltare, concentrandosi sul respiro del ragazzo. Respiro che c’era, non era morto.
Non lo voleva sulla coscienza.
I suoi occhi si poggiarono di nuovo su Gallade. Aveva visto il combattimento che aveva avuto contro Braviary. Molto duro. Molto crudo. Aveva messo fuori combattimento uno dei Pokémon più forti della regione di Adamanta.
Già, perché era uno dei Pokémon dell’allenatore più forte di Adamanta.
Il campione della lega Pokémon.
“Dovevi dirmelo” disse Ryan, steso di fianco. Gli occhi chiusi, le braccia contro il petto, come a proteggersi dal freddo, dato che quella aderentissima maglietta grigia non aveva alcuna funzione in tal senso.
“Cosa?”
“Non ritenevi fosse un’informazione importante dirmi che Zackary Recket fosse il campione della lega Pokémon?” chiese lui, con una punta di sarcasmo.
“No. Anche se non so come faccia tu a non sapere chi sia il campione della lega”
“Prima di conoscervi, lavoravo tutta la giornata, e la televisione per me era uno strumento nocivo e di disturbo. Tendevo a non accenderla quasi mai. Disturbano Gallade”
Marianna fece una strana smorfia in volto. “Mi spiace”
“Era Rachel a stare tanto tempo davanti alla tv. Forse anche troppo. Infatti l’ho dovuta letteralmente costringere ad allenare quel suo Zorua”
“Ho capito...”
“Resta il fatto che mi hai consegnato un... come lo chiamate voi? Dossier? Ad ogni modo era incompleto”
“È stata un’idea di Lionell. Temeva tu potessi essere colto da una sorta di... sudditanza psicologica” disse, fermandosi a pensare alle parole che doveva dire.
“Beh, avrei usato un’altra strategia. Avrei messo in campo Vibrava. Anzi, Flygon”
“Si è evoluto?”
“Già. Sono tornato e mi sono chiuso nella sala allenamento per Pokémon. E Vibrava si è evoluto”
“Fantastico” sorrise sinceramente Marianne.
“Che notizie abbiamo ora di Rachel?”
“Nulla di nuovo. È seguita dalle nostre reclute. E dalle telecamere sparse per la regione. È ancora a Plamenia, ed è ancora con Zack”
“Non riesce proprio a capire che la stanno sfruttando...”
“Non farti il sangue amaro. Anzi... dovresti uscire da questa stanza. Andiamo a fare una passeggiata”
Ryan si girò, e guardò i suoi occhi lucidi, mentre sottendevano un sorriso splendente. Poi vide Marianne offrirgli la mano.
Ryan l’afferrò. “Peggio di così non potrò sentirmi. Andiamo”
“Infatti. Andiamo”

 

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Capitolo 27
*** Capitolo Nono: Chiarezza 2°Parte ***


Chiarezza - Pt. 2


“Hai posato quel fiammifero succhia anime?”
“È una candela... comunque sì... è nella sfera”
“Andiamo allora”
Cominciarono a camminare, seguendo una stradina di terra battuta, immettendosi sulla strada principale del parco.
“E quindi hai... difficoltà... con il tuo ruolo?”
“No, a dire il vero no. Non mi da molte responsabilità materiali. Ma mi da molta tensione. Non posso perdere una sfida, altrimenti mi sentirei deriso. È strano. Inoltre non voglio che una persona che ho appena conosciuto cambi il proprio comportamento perché so utilizzare i Pokémon un po’ meglio degli altri...”
“Beh... se sei il campione della lega sai davvero utilizzare i Pokémon meglio degli altri”
“Io non utilizzo i Pokémon” rispose scuro in volto Zack. “Io ed i miei Pokémon abbiamo gli stessi obiettivi. E collaboriamo. Io dipendo da loro quanto loro dipendono da me. Siamo una squadra”
“Oh... è una bella cosa. Un momento... hai detto che la gente cambia atteggiamento quando sa che sei il campione della lega?”
“Sì”
“E che farebbero?”
“Cominciano col chiedere consigli, vogliono vedere i Pokémon, vogliono scambiare, lottare, ed io già mi vergogno a stare sotto i riflettori”
“Non si direbbe”
“Non mi sento a mio agio. Mi sento... controllato”
“In molti ti ammirano”
“Nessuno capisce cosa si prova quando sei costretto a non perdere nessun incontro”
“Non la vedo così... però è la tua opinione, e la rispetto”
“Non credo sia una cosa opinabile. La gente comincerà a guardarmi come fanno con il vecchio campione, quello che ho battuto”
“E chi sarebbe?”
“Oh, un certo Hugh. Usava Pokémon di tipo buio, spettro e psico. E poi perse. Era un tipo molto pieno di se”
“In che senso?”
“Antipatico. Credeva che il mondo fosse suo, che i suoi Pokémon fossero i migliori. Lucario mi fu molto utile in quella lotta”
“È davvero molto ben allenato”
“Lo so. I miei Pokémon sono spaventosamente forti” sorrise, audacemente.
“Il mio Litwick li farà scappare a gambe levate” civettò lei.
Arrivarono al campo medico. Zack credeva fosse stato pieno di persone.
Invece si sbagliava. C’erano pochi feriti gravi, la maggior parte se l’erano cavata con una fasciatura o un gesso.
Certo, qualcuno aveva perso la vita, era ragionevole pensarlo in una situazione del genere, ma si aspettava di peggio.
Qui e li erano piantate grandi tende verdi con su dei cartelli bianchi con una croce rosse. Chansey e Blissey si affrettavano a destra e sinistra, mentre pochi esemplari di Audino seguivano gli infermieri.
 
Il cielo era carico di dense nubi. Da lontano riuscivano a vedere il Monte Trave.
Stava nevicando.
Davanti la loro faccia si formano fastidiose nuvolette.
“Vedo il mio respiro” disse Zack, pensando ad alta voce. “Quando succede così dobbiamo riscaldarci”
L’infermiera di turno era davvero indaffarata. Sembrava stanca.
“Infermiera ...” si fermò Zack.
“Oh, ciao Zack. Come stai? Mica ti sei fatto male anche tu?!”
Rachel capì che i due si conoscevano.
“No, tranquilla, sto benissimo, io. Sto cercando una ragazza. Si chiama Mia. Mi sa dire dove la trovo?”
“Oh, la biondina con intossicazione da fumo”
“Eh?! Intossicazione da fumo?!”
“Si... aveva respirato cenere e fumo in quantità esagerate. Ora sta meglio”
“Meno male...” sorrise Rachel.
“Dove possiamo trovarla?” domandò il giovane.
“È nella tenda 5. Lì”. La ragazza gliela indicò con le sue dita affusolate, avvolte in guanti di lattice. Zack e Rachel ringraziarono con un cenno della testa e si incamminarono verso la tenda numero 5.
“Magari avessimo delle tende così grandi” sospirò Rachel, portando le mani ai fianchi.
“Sono tendoni... vorrei vedere dove lo mettiamo, una volta smontato.
“Ok, calmati. Entriamo”
“È permesso?” domandò Zack, entrando.
C’era poca luce, entrava da delle aperture nella tenda, una sorta di finestrella plastificata e quindi impermeabile.
C’erano due persone che dormivano. Erano sul lato sinistro. E poi a destra c’era una ragazza, bionda, dal viso angelico, seduta mentre le fasciavano una mano.
Zack e Mia si scambiarono un’occhiata. Lei lo riconobbe immediatamente, e sorrise.
“Avanti” fece poi. Che voce dolce che aveva. Rachel vide l’infatuazione crescere come un fungo sul volto di Zack.
“Ciao” la salutò lui, avvicinandosi lentamente, temendo di far rumore.
“Ciao”
“Come stai?”
“Ora meglio. Volevo ancora ringraziarti... per ieri. Se non ci fossi stato tu sarebbe stato tutto molto complicato”
“Diciamo letale” sorrise Zack.
“Diciamo letale” ripeté Mia.
Blissey terminò la fasciatura, salutò ed andò fuori. Rachel si avvicinò.
“Ti ricordi di lei, vero? È Rachel, la mia compagna di viaggio”
“Ciao, Rachel. Ricordo vagamente di te. Come mai siete qui?”
“Siamo venuti a vedere come stavi” sorrise lui.
“Te l’ho detto, ora sto meglio. Comunque ancora mi devo presentare. Mi chiamo Mia, Mia Vernon, molto piacere”
“Zackary Recket, per gli amici Zack. E lei è Rachel Livingstone, per gli amici Rachel Livingstone”
E Mia sorrise.
“Un momento. Hai detto Vernon? Proprio quei Vernon?! Thomas Vernon?!” Rachel impallidì.
“Si, è mio padre” sorrise imbarazzata Mia.
“Chi è Thomas Vernon?” domandò poi Zack, appena ritornato sulla Terra.
“Non conosci Thomas Vernon?! È uno degli uomini più ricchi è potenti di Adamanta!” esclamò Rachel.
“Non esagerare” fece l’altra, imbarazzata più di prima.
“Thomas Vernon possiede il 50% delle industrie sul suolo di Adamanta. Ha un fiuto per gli affari incredibile!”
Mia e Zack guardarono Rachel interdetti.
“Hey! Basta guardare un tg per sapere queste cose!”
Zack sorrise e le scarmigliò i capelli. “Comunque eravamo passati per sapere come stavi”
“Lo hai già detto sei volte” riprese la mora.
“Nel caso lo avesse dimenticato. Che ci facevi li, ieri?”
“Il parco divertimenti appartiene a mio padre. Ed io sono andata li, un po’ negli uffici... da piccola lo facevo sempre, mi è salita la nostalgia e... così mi sono levata lo sfizio”
Maligna. Rachel pensò che con un padre del genere e con tutti i suoi soldi si sarebbe potuta levare tutti gli sfizi che le sarebbero venuti. “E com’è che nel palazzo c’eri solo tu?”
“Ma che ne so?! Sono entrata in bagno, e quando sono uscita sembrava di essere sulla superficie del sole! Meno male che Zack era li”
Zack sorrise sornione.
“E voi invece? Che ci facevate nel parco divertimenti? Coppietta in gita?” sorrise Mia, dolcemente.
“Ma non pensarci nemmeno! Io e lei siamo solo amici! Non riuscirei a starci insieme, troppo lunatica!”
Rachel lo guardò corrucciata. Non credeva di essere così malaccio, in fondo. “In realtà staremmo cercando una persona” disse poi.
“Chi cercate? Magari la conosco”
“Non cerchiamo una persona in particolare. Cerchiamo una persona con determinate caratteristiche”
“Caratteristiche? Quali?”
Poi l’infermiera entrò nella tenda. Tutti la guardarono.
“Devo levare la benda dietro la schiena di Mia. Zack, esci un minuto”
“Oh... ok” annuì il ragazzo, che si dileguò.
Mia si alzò dal lettino, e levò il maglioncino, mostrando un fisico di tutto rispetto, nonostante l’esilità delle carni poco esperte. Si girò, dando le spalle all’infermiera, mentre guardava Rachel, che si era appena seduta sul lettino.
“Che caratteristiche?” richiese poi, la bionda.
Rachel sbuffò. Onestamente si vergognava a dire che doveva essere vergine e perfetta. Ma un tentativo con Mia Vernon doveva farcelo, sai che risate se era lei la prescelta.
Anzi no.
Zack avrebbe reso quella missione un inferno. Un po’ le dava fastidio il suo comportamento.
“Caratteristica essenziale deve essere quella di far emozionare questa stele”
“Stele?”
“Si... è nella borsa, sul lettino, accanto a te. Prendila”
Mia prese la tavola, e la poggiò sul lettino. “Che strana”
“Sinceramente ho visto di peggio. Allora... vediamo un po’ se puoi essere tu la persona giusta per questa cosa”
“Cosa?”
“Poi ti spiego. Metti la mano sulla sagoma”
Rachel prese la tavola e Mia mise la mano nel punto indicato. Pochi secondi dopo la stele sprigionò una luce enorme, che costrinse i presenti a chiudere gli occhi.
“Oddio! Zack! È Mia!” urlò Rachel, svegliando gli altri degenti.
“Cosa?!” Zack entrò nella tenda.
“Zack! Esci fuori!” urlò l’infermiera.
“Si! Mi scusi! Rachel! Che succede?!”
“La stele si è illuminata! È Mia! Proprio Mia Vernon!”
Mia però non ci stava capendo niente. “Chi sono? Cosa? Perché sei così entusiasta?!”
Rachel volle aspettare che l’altra finisse di medicare la piccola ustione sulla schiena della ragazza per cominciare. Anche per dare adito a Zack di entrare.
“Allora... credici o meno... puoi salvare il mondo” disse Rachel.
“Eh?!”
“Già. Hai l’animo puro e caratteristiche fisiche che... ehm... dimostrano la tua integrità morale...”
“Wow” sorrise Zack, sorpreso per il complesso giro di parole. Rachel lo fulminò con lo sguardo e continuò.
“...e per questo abbiamo bisogno di te. Devi venire con noi”
“Voi?! Aspetta un momento... io non vi conosco e non so perché dovrei seguirvi”
“Zack, sei tu che convinci le persone. Tocca a te”
Mia puntò i fari su di lui.
“Ehm... Arceus...”
“Sshh!” Rachel gli fece segno di stare zitto. “Usciamo da qui. Troppe orecchie indiscrete”
 
Zack, Rachel e Mia raggiunsero un posto più isolato. Erano tra i campi incolti appena fuori Plamenia. L’erba alta rendeva Mia inquieta.
“In pratica per un profezia antica, Arceus sta distruggendo il mondo. E noi dobbiamo opporci a questa cosa” riassunse in breve lui.
“Questo è il vero motivo dei terremoti” aggiunse Rachel, mentre carezzava Zorua, che intanto si era svegliato.
Mia pareva confusa. “Credevo fosse dovuto a Groudon”
“Che è comandato da Arceus. Stiamo cercando di fare luce su questo mistero. È tutto da ricercare in una battaglia di mille anni fa, tra ribelli ed i protettori del tempio di Arceus” continuò il ragazzo.
“Quello sul monte Trave?”
“Si. Indipendentemente dal vincitore della guerra, Arceus era adirato, per via delle troppe morti e dell’uso sbagliato che l’uomo faceva dei Pokémon. E così, dopo un ultimatum, Arceus ha maledetto queste terre, ed ora sta uccidendo tutti, riprendendosi ciò che era suo”
Mia sbiancò. “E... e cosa c’entro io?”
“In quel periodo, nel tempio di Arceus, viveva un oracolo. Prima, si chiamava. Lei aveva il potere di parlare con Arceus”
“Oh... ma ancora non capisco”
“Anche Prima poteva far emozionare la stele” tagliò corto Rachel.
Le sopracciglia di Mia si inarcarono.
“Avete le stesse caratteristiche. Tu sei il nuovo oracolo di Arceus”
Quello bastò. Mia si lasciò cadere sul sedere, incrociando velocemente le gambe e prendendo fiato.
“E quindi?! Io non posso! Non ho mai parlato con Arceus! Cioè...”
“Capisco che tu possa essere confusa”
“Non ho mai parlato con Arceus” ripeté.
“Perché ti mancava questo”. Zack si tolse il ciondolo dal collo e lo diede a Mia. “Questo è il cristallo di Arceus”
Mia lo teneva in mano come se fosse l’ultima goccia d’acqua del mondo.
“Cosa posso fare per voi?”
“Concentrati. Cerca di metterti in contatto con Arceus, e di farlo desistere”
Mia mise il cristallo attorno al collo, proprio come ce l’aveva Zack, e strinse la pietra tra le mani. La concentrazione era alta, stava focalizzando il proprio centro con la sua testa, respirando lentamente, cercando di non perdere quella linea che stava cercando. Quella linea, la sua strada.
Doveva salvare il mondo.
Doveva riuscirci. E aveva paura. Stava piangendo.
“Mia” la fermò Rachel. Quella aprì gli occhi.
“Non ci riesco” lacrimava la bionda, sentendo all’improvviso un forte senso di responsabilità investirla come un treno.
“Non preoccuparti, hai fatto del tuo meglio” la giustificò Zack, abbracciandola. Sì, un po’ se ne stava approfittando.
Rachel portò le mani ai fianchi, mentre una goccia d’acqua la colpì sul naso.
“Piove. Dobbiamo ripararci” disse Zack.
“No. Secondo me... dobbiamo cambiare luogo”
“Eh?!” chiese Mia.
Il dito di Rachel andò a puntare il Monte Trave. “È li che dobbiamo andare. Al tempio. Forse li il cristallo funzionerà”
 
Lionell fumava un sigaro, mentre un po’ di musica soul fuoriusciva dalle casse del suo pc. Adorava quel genere. Lo rilassava.
Di solito non era una persona che perdeva la calma, anzi, molti si sorprendevano del sangue freddo che riusciva a mantenere e che, in certe situazioni, sorprendeva anche lui stesso.
Si trattava solo di tenere bene a mente i propri obiettivi. I propri traguardi, le mete da raggiungere. Tutto ciò che succede attorno a quel segmento di vita non deve turbare l’animo.
E mentre tirava un po’ di pace da quel sigaro, appoggiato alla sua scrivania di mogano, guardava le reclute allenarsi, nel giardino della sede dell’Omega Group.
Certo, li guardava attraverso le tapparelle, che creavano un effetto veramente fenomenale all’interno di quell’ufficio in penombra. Il soul si ascolta così.
In penombra.
E intanto sorrideva. Stava andando tutto come previsto. La ricerca di John Livingstone, il padre di Ryan, era stata smembrata e ripresa interamente daccapo.
Avevano fatto nuove scoperte, e ciò faceva ben sperare.
Si. Sperava che sulla sua scrivania di mogano, proprio accanto alla penna laccata in oro e la fotografia di una giovane donna, un po’ sbiadita, ci fosse al più presto una pila di documenti, di informazioni.
Perché le informazioni portano alla conoscenza.
E la conoscenza porta al potere.
E chi non vorrebbe essere potente?
Tirò ancora dal suo sigaro, e si perse nella sua fantasia, mentre la tromba di Miles Davis entrava nella sua testa, volteggiava ed usciva, morbida e dolce come era entrata.
Sognava. Sognava di controllare il mondo da quell’ufficio.
Si, forse era un po’ troppo banale, ma andiamo... sarebbe stato perfetto. Finalmente tutto avrebbe avuto una funzione, le persone avrebbero avuto qualcosa da fare.
Credeva che le sue capacità avrebbero potuto creare un mondo migliore. Un mondo dove i bambini sarebbero potuti crescere con la piena consapevolezza delle proprie capacità, più autonomi, e dove gli adulti avrebbero basato i loro discorsi e le loro relazioni interpersonali maggiormente nell’ambito professionale.
Lavorare.
Produrre.
Creare.
Arricchire il capo, che poi avrebbe dato ai cani un po’ del suo pasto.
Tutti cani. Tutti per terra, a scodinzolare, a quattro zampe. Ed un mondo utopico.
Con il potere tra le mani.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo Decimo: Nevica ***


Nevica - Pt. 1


Il sole filtrava attraverso quelle tapparelle come sempre, ed esili fili di luce illuminavano seppur poco l’ufficio di Lionell, creando un bellissimo gioco di luce sulle pareti.
Lionell era seduto alla scrivania, mentre leggeva da un vecchio libro. Era concentrato al massimo, sembrava davvero interessato a ciò che faceva, tanto che annullò ogni sorta di rumore che il suo corpo avrebbe potuto produrre. Solo il respiro era un esile strascico nell’aria.
Lionell era così.
Un perfezionista. E già, perché senza perfezione non si raggiunge nessun obiettivo.
Non si ottiene un bell’ufficio, un’azienda, dei collaboratori e soprattutto le tue ambizioni non crescono.
Il ticchettio dell’orologio, sulla parete di fronte a lui, lo infastidiva e non poco. Sospirò, guardandolo. Il tempo passava.
Andava avanti.
Quelle lancette non osavano fermarsi, battevano un colpo ogni secondo, e poi scappavano, verso la meta successiva.
Si chiese cosa potesse succedere se tramite quell’orologio avesse potuto far tornare il tempo indietro.
Sì. Lo avrebbe staccato dalla parete ed avrebbe portato indietro di un’ora la lancetta piccola, in modo che tutto attorno a lui tornasse indietro di sessanta minuti.
Avrebbe potuto salvare vite e cogliere occasioni perse.
Già. Gli interessavano molto le occasioni perse.
Poi qualcuno bussò alla porta e Lionell scosse la testa. Non capitava di rado che si perdesse tra le sue fantasie. Forse era proprio il fatto che avesse tutta questa fantasia ad averlo reso uno degli uomini più ricchi di Adamanta.
“Avanti”
La porta si aprì, scricchiolando. Lionell segnò mentalmente di mettere un po’ d’olio nei cardini. Odiava il rumore inopportuno.
Era Linda, la segretaria. Capelli biondo cenere, occhi cerulei e una spruzzata di lentiggini le incorniciavano il grazioso naso alla francese, che sovrastava due piccole labbra. Era una bella ragazza, molto formosa, e dal sorriso smagliante.
Nonostante si accorgesse che certe volte Linda volesse essere più provocante di quanto non fosse naturalmente, a lui queste cose non interessavano.
Non gli interessava il sesso e non gli interessava avere qualcuno accanto.
Obiettivi. Linea dritta. Mai uscire dal seminato.
“Signore”
“Linda, buon pomeriggio”
“Salve” arrossì quella.
“Ecco... il signor Ryan Livingstone è qui. Mi avevate detto di organizzare un appuntamento”
“Oh, certo, mi era proprio passato di mente!” sorrise Lionell, dismettendo il libro e chiudendolo in un cassetto. “Lascialo entrare”
Linda si fece da parte, e Ryan entrò nell’ufficio. Non aveva una buona cera. Sembrava smagrito, e gli occhi erano scavati. Nonostante questo, ogni volta che entrava in quell’ufficio aveva in volto un’espressione di meraviglia.
Gli piaceva tanto la sedia di Lionell. E la sua scrivania. Ed i suoi vestiti. Aveva un portamento molto elegante, signorile.
Gli sembrava un vero gentiluomo.
“Salve, signore”
“Ti ho detto di chiamarmi Lionell, Ryan” cercò di smorzare un po’ quel servilismo.
“Mi scusi”
“E dammi del tu. Non sono poi così vecchio” sorrise Lionell. Aveva davvero un bel sorriso.
“Va bene. Perché voleva incontrarmi?”
“Non ci riesci?” sorrise ancora.
“Ehm... scusi. Scusa” si corresse ancora.
 “Non preoccuparti... ma dimmi... ti trovo in pessime condizioni. Cosa succede?”
“Niente, Lionell, niente...” abbassò la testa Ryan.
“Sei sciupato, ed hai il volto cereo. Stai mangiando?”
“Si, certo”
“Forse non ti piace quello che cuciniamo in mensa?”
“È tutto buonissimo, non è questo”
“Allora forse è l’allenamento. Ti stai allenando troppo”
“A dire il vero quello dell’allenamento è l’unico momento della giornata in cui mi rilasso”
“Non farmi preoccupare, Ryan”
“È Rachel il problema”
“Ti ho chiamato proprio perché devo parlarti di lei”
“Rachel?!” spalancò gli occhi Ryan. La sorpresa e la paura riuscivano ad attraversare quella maschera di cera che aveva in volto.
“Ecco... io... devi sapere che...”
 
Zack, Rachel e Mia camminavano nei campi attorno a Plamenia. Erano appena usciti dalla città, dopo qualche ora di attesa. Mia doveva assestare le membra e capire per bene quello che stava succedendo.
Notava che Zack la guardava spesso. Zack era carino.
Anche Rachel la guardava. Ma lei era spesso seria, e usava quello strano sguardo che aveva, quello che ti attraversava.
Sembrava incantata, imbambolata. O forse guardava dentro di te.
Anche in quel momento.
“Rachel” la chiamò la ragazza.
Quella spalancò gli occhi, e mossi impercettibilmente le sopracciglia. “Si... scusami, ero sovrappensiero”
“A cosa pensavi?”
“Ma a niente... le solite cose. Ho un po’ di paura”
“Paura?”
“Si. I terremoti, i combattimenti, mio fratello...”
“Oh. Forse dovresti focalizzarti sulle priorità”
“Già, lo so”
“Come fa Zack”
Rachel storse le labbra. “Se sapessi cosa quel ragazzo ha in testa non lo seguirei così volentieri”
Mia sorrise, ma non sapeva che Rachel non stava scherzando così tanto.
Ryan non aveva totalmente mancato il bersaglio. Instillando il dubbio nei confronti di Zack, puntava a sgretolare quel legame che si era andato a creare col tempo.
Zack era misterioso. Troppo. Rachel non si fidava del tutto.
“È un bravo ragazzo, non dire così”
Rachel sospirò. “Ragazzi fermiamoci un momento, ho sete”
Zack si girò, e la guardò. Gli occhi brillavano, illuminati dalla luce pallida del sole dicembrino.
“È quasi Natale” sorrise lui.
“Già” rispose Mia. “A casa mia il Natale è la festa più bella dell’anno. Mio padre e mia madre finivano di pensare al lavoro, e stavano con me. E mio fratello, quando c’era”
“È morto?”
“No, non è morto, che assurdità” sorrise la ragazza. “È sempre stato uno spirito libero, e nonostante mio padre abbia provato ad iniziarlo alla vita imprenditoriale, non si è mai visto dietro ad una scrivania. La cravatta gli stringeva il collo” sorrise di nuovo. “Gli dava l’impressione di un guinzaglio”
“Come si chiama?”
“Raymond. È partito quattro anni fa, con un bellissimo Absol, e da allora riceviamo di tanto in tanto delle cartoline da tutte le parti del mondo”
“Anche io ho un Absol”
“Si, l’ho visto prima di svenire, nel palazzo”
“Già... a questo proposito... possiedi solo un Chikorita?”
“No. Ho anche un Metang”
“Potevi provare ad utilizzarlo per rompere una finestra e scappare”
“Era a casa. E comunque non saprei come utilizzarlo. Quel Pokémon mi è stato regalato da mio padre, ma non... so cosa farci”
“È un Pokémon molto potente”
“A me non piace lottare. È poco empatico, come tipo. Ed io con i Pokémon ci faccio amicizia. Lui non... non ricambia”
Zack pensò al fatto che Metang non rispettasse Mia. Era possibile. “Senza offesa, ma Chikorita è un Pokémon molto vulnerabile. Hai bisogno di qualche Pokémon che ti protegga in caso di necessità. Cioè, io, come anche Rachel, ti proteggeremo laddove potremo, ma Arceus non voglia che ti capiti qualcosa mentre noi non siamo nei paraggi”
“Non sono una ragazzina” si irritò leggermente Mia. “So benissimo cavarmela da sola”
“Lo so. Proprio per questo voglio darti questo Pokémon” e Zack prese dalla tasca la ball di Magmortar. “Tienilo. Io non ne ho bisogno”
“È un Magmortar!”
“È lui che ha provocato l’incendio. L’ho catturato e sono venuto a salvarti”
Mia lo prese. “Lui ha scatenato quell’incendio incredibile? Non era stata l’esplosione di una bombola?”
“Ha fatto tutto lui. È un Pokémon molto potente. Dovresti tenerlo tu”
“Grazie”
“Di nulla. E poi potrebbe esserci d’aiuto. Io ho già sei Pokémon con me, e tu ne hai due, quindi puoi portarlo”
“Grazie ancora”
“Smettila di ringraziarmi. Hai finito, Rachel?”
Quella alzò la testa, mentre riponeva la borraccia nello zaino. “Si... lascio un po’ libero Litwick... è così carino... poi ci scalderà, con questo freddo...”
Litwick uscì, e si guardò intorno.
C’era Rachel, la sua amica. Poi Zack. Quello non gli stava molto simpatico. E poi una ragazza bionda.
Gli tese la mano.
“Tieni quel coso lontano da me!” esclamò Zack, allontanandosi di qualche passo.
“Ma è una candelina” disse confusa Mia, prendendogli la mano che Litwick gli offrì.
“È un Pokémon, Mia” sospirò Rachel, camminando.
“Lo so... dicevo solo che...”
“Vabbè lascia perdere... stringilo forte, nel caso tu abbia freddo” sorrise malignamente, guardando Zack. Quello aggrottò le sopracciglia.
Mia strinse Litwick per mano e presero a camminare.
“Com’è carino!”
Litwick sorrideva, mentre fluttuava a mezz’aria.
E fu così che Litwick camminò mano nella mano di Mia. Rachel lo guardava infastidita.
Pensava. Zack stravedeva per lei, Litwick stravedeva per lei. Solo lei la trovava irresistibilmente irritante?!
La guardava. Sapeva benissimo perché Zack era attratto da lei.
Bel viso, voce dolce. E forme un po’ ovunque.
O almeno era questo che voleva credere. Purtroppo le forme erano tutte dove dovevano essere.
Nei punti giusti.
Sospirò consolandosi credendo di essere più intelligente. Poi aumentò il passo, raggiungendo e superando Zack. Aveva voglia di camminare, di correre, sentiva dentro una strana sensazione, come se un lucchetto ed una catena comprimessero il petto e tutto ciò che conteneva.
“Hey... dove corri?” chiese a voce stranamente bassa Zack.
Rachel lo guardò, con lo sguardo opaco. “Dove stiamo andando?”
“Al monte Trave”
“Ho freddo” cambio netto di direzione del discorso.
“Se vuoi ti prendo il giubbino dallo zaino”
“No, non fare niente”
“Rachel, c’è qualche problema?”
Ma lei non rispose, camminando oltre. Zack rimase li, come un citrullo, fino a quando Mia, pochi passi dietro di lei lo raggiunse.
“Che succede?” chiese la bionda.
Zack tentennò a risponderle. Era davvero bella. “Ehm... sarà in quel periodo... è un po’ strana”
“Sarà forse per la sua candelina?” chiese ancora, con immane ingenuità.
A quel punto Rachel esplose. Si girò verso Mia e prese ad urlare.
“È un Pokémon! Un fottuto Pokémon! Guarda!” Rachel prese la sfera di Litwick e lo fece entrare.
Mia lo vide sparire.
“Le candeline non entrano nelle sfere!” continuò.
“Ehm... scusami” disse Mia, innocente.
“Figurati... almeno io sono chiara fin dapprincipio!” alzò abbastanza la voce, in modo da farsi sentire.
“Stai parlando di me?!” chiese poi Zack.
“Certo che sto parlando di te!”
Mia si fece da parte, come fosse l’arbitro tra due sfidanti.
“Credevo che quella storia fosse chiusa!”
“Non ho chiuso un bel niente! Non sei chiaro con le persone!”
“Ma che dannazione vuoi?! Se non voglio dire una cosa a qualcuno non vedo perché mi debba sentire obbligato!”
“Ma almeno che eri il campione! Mi sarei sentita molto più tranquilla!”
“Ma spiegami il motivo!”
“Perché se mi avessi rapita sapevano già la faccia che avevi!” urlò. Ammise a se stessa di esser stata un po’ troppo sarcastica, cosa attestata anche dal sorriso di Mia.
“Non ti fidi proprio, eh?!”
“Perché dovrei?! Sei un totale sconosciuto! E non so nemmeno il motivo per cui Mia ci sta seguendo! Che ingenuità!”
“Io che c’entro?” domandò Mia, e fu quello il momento in cui la terra prese a tremare.
Altro terremoto, Mia urlava come se le stessero per tagliare un braccio, mentre Rachel si irrigidì. Non riusciva ad abituarsi a quella sensazione squilibrio sotto i suoi piedi.
Zack tirò a sé le ragazze, e guardò attorno.
“È lì” disse poi.
“Eh?!” chiesero all’unisono loro.
“Qualcosa sta per uscire da li” disse Zack, puntando il dito contro un punto indistinto del terreno.
Rachel si girò. Plamenia era ancora in ordine.
Mia si appiattì contro il petto del ragazzo, mormorando una preghiera, mentre i suoi occhi venivano nascosti da un ciuffo biondo.
Rachel pensò in fretta. Nonostante l’ostilità ingiustificata nei suoi confronti, quella ragazza era il cristallo. La strinse, cercando di proteggerla da qualsiasi cosa fosse uscita dal terreno.
“Ecco... state indietro”
Rachel raccolse Mia dal petto di Zack, e la cinse sopra i seni e sulla pancia.
La terrà si squarciò con un tonfo sordo, e pietre e polvere si alzarono ovunque.
Zack indietreggiò di qualche passò, poi mise mano alle Poké Ball.
“Eccoti qui...” sorrise poi, quando una torre di più di venti metri si erse davanti ai suoi occhi.
Era uno Steelix. 
Occhi rossi spiritati ed uno strano sorriso sul volto. Quel Pokémon era dannatamente alto, e sembrava essere fuori controllo.
“Forse era lui la causa dei terremoti, e non Groudon” fece Rachel.
“Non ne ho idea... vai Growlithe”
“Growlithe?!” esclamarono contemporaneamente le ragazze.
Il cane poliziotto si sistemò sul campo. Vide Steelix, poi, e fece un passo indietro, ma solo per poterlo guardare meglio. Prese a ringhiare, rizzando il pelo ed avvicinandosi il più possibile al pavimento con la testa, reattivo.
“Che cosa vuoi fare?! Tira fuori Gyarados e lotta alla pari!” urlava Rachel.
“Zitta. So quello che faccio” fece lui, quasi sussurrandolo.
“Ci farai uccidere!”
“Almeno ora! Fidati di me almeno ora!” si girò per un attimo lui, e fu allora che Steelix attaccò.
Delle rocce aguzze cominciarono a cadere sul povero Growlithe, che si vide costretto a schivarle. Non ci fu neanche bisogno che Zack glielo indicasse, bastò un po’ di senso di autoconservazione.
Saltava qua e la.
“È Cadutamassi” sospirò Zack, ragionando. Growlithe sembrava quasi divertirsi mentre schivava quei proiettili che cadevano dall’alto. Intanto Steelix si innervosì, prendendo ad intensificare l’attacco.
“Hai bisogno di aiuto!” urlò Mia.
“No, stai tranquilla... ora lo stendiamo... Growlithe, usa Fossa!”
Growlithe scavò velocemente un tunnel, e saltò dentro. Steelix non lo vedeva, e non sarebbe lo stesso riuscito a farlo, per via dell’enorme quantità di polvere alzata dal trambusto e dalla sua stessa mossa.
“Sai, vero che Steelix è un Pokémon di terra?” chiese Rachel.
“Infatti! È uscito da sottoterra, ci saprà tornare!” esclamò l’altra.
Zack sbuffò, e schioccò le dita. Come d’incanto Growlithe saltò fuori alle spalle di Steelix.
“Sali!” urlò Zack, e vide il suo Pokémon salire velocemente lungo i massi d’acciaio che componevano il corpo dell’avversario. Steelix pareva non accorgersi di nulla, e continuava a bombardare di masse la zona che aveva davanti, ormai piena di nulla oltre che sassi.
Growlithe velocemente raggiunse la cima di Steelix poi abbaiò.
“Ora!”
Quello lanciò un Lanciafiamme potentissimo dritto sul volto di Steelix, che ruggì.
Poi urlò.
Lentamente cercava di muoversi, ma il fuoco stava facendo il suo effetto.
Fu pochi secondi prima che Steelix cominciasse a barcollare che Zack fece rientrare Growlithe nella sfera.
Già. Si volle godere lo spettacolo in completa tranquillità.
Steelix chiuse gli occhi, e con il capo rosso, per via dell’acciaio surriscaldato, cadde di gran peso alle sue spalle, producendo un fortissimo rumore.
Mia cercava riparo tra le esili braccia di Rachel, che volle proteggerla unicamente per il suo status quo.
Poi il silenzio. Si sentiva il rombo lontano dei tuoni che cadevano sul suolo.
“Ed ecco che il mio piccolo Growlithe stende un Pokémon alto quanto un palazzo”
“Bravissimo!” esplose in un sussulto di gioia Mia, correndo ad abbracciare Zack.
Rachel storse le labbra e sospirò. Beata ingratitudine.
Ringraziarono Arceus per lo spavento e continuarono a camminare, per arrivare al monte Trave.

 

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Capitolo 29
*** Capitolo Decimo: Nevica 2°Parte ***


Nevica - Pt. 2


“Che ha detto?” chiese Marianne, non appena vide Ryan uscire dall’ufficio.
Quello silenzioso salutò Linda con un cenno del capo e raggiunse la ragazza afroamericana.
Fu proprio Lionell a chiedere a Linda di limitare al massimo i rumori inutili, e lei rispettava diligentemente le indicazioni fruitegli dal capo.
Si sentivano solo i neon ronzare.
I passi di Ryan risuonavano forti nel corridoio, come rintocchi di campane a mezzanotte, fin quando non le si fermò dinnanzi.
“Andiamo a parlarne in un altro posto. Ho voglia di allenarmi”
“Non pensi di esagerare?”
“Con l’allenamento?”
“Già”
“No”
“Forse dovresti rilassarti. Inseguire tua sorella non è molto semplice”
“Novità?”
“Si stanno dirigendo verso il Monte Trave. Di nuovo”
“E noi saremo li ad aspettarli”
“Che hai in mente?”
“Voglio prendermi la mia rivincita. E finalmente riuscire a strappare mia sorella dalle grinfie di quel ragazzo”
“Che ti ha fatto di male?”
“Mi ha rubato Rachel. È già abbastanza” disse poi, riprendendo a camminare. Marianne allungò il passo, cercando di raggiungerlo, e lo tirò per un braccio.
“Aspettami! Che vorresti fare ora?”
“Beh, a quanto pare Rachel ha un motivo in più per tornare qui con me”
“Vuoi spiegarmi?”
“Tutto a tempo debito, mon cheri...ora cerchiamo di organizzarci per la prossima uscita”
Marianne lo guardava, a testa alta perché era bassa, e cercava di cogliere un indizio dalla luce che aveva negli occhi.
“Non vuoi dirmelo?”
“Ho detto che te lo dirò... ma calmati. Ora andiamo a combattere”
“Già... a questo proposito, hai un nuovo membro nella tua squadra”
“Membro?”
“Si, un nuovo Pokémon”
“Chi?”
“Avrai un Feraligatr”
“Wow” non si sconvolse Ryan.
“Il tuo team sta diventando davvero forte”
“Per competere con quello di Zackary Recket dovrò utilizzarlo al meglio. Andiamo in palestra”
 
Era forse il silenzio che più di ogni altra cosa infastidiva Zack.
Non che Rachel fosse una grande parlatrice.
Lui divideva le persone in due tipologie. Quelle che sanno parlare, e quelle che sanno ascoltare.
E Rachel sapeva ascoltare.
Ma stare zitta per più di due ore, senza neanche fare un cenno non era naturale.
Era forzato.
Rachel non voleva parlargli, e intanto camminava come capogruppo, mentre Litwick fluttuava accanto a lei. Il freddo diventava sempre più pungente, e fu costretta, come poi fecero anche Mia e Zack, a tirar fuori il giubbino.
L’erba alta ad un certo punto si interruppe. Era stata bruciata dal freddo.
Erano entrati nella zona del Monte Trave.
“È ancora arrabbiata?” domandò Mia, dispiaciuta.
“Non lo so”
“Spero solo di non essere stata io ad aver creato questo qui pro quo”
“No, non sei tu, non preoccuparti... è con me che ha dei problemi”
“Proprio come dei fidanzati” sorrise dolcemente la bionda.
“Non siamo fidanzati”
“All’inizio ho pensato lo foste”
“Un ruolo del genere richiederebbe più pazienza di quanta ne esiste nel mio corpo. Rachel è complicata”
“Come tutte le donne. Ma ha qualcosa da donarti, che nessuno tranne che una donna può darti. Ed è l’amore”
“Mia, non amo Rachel, non stiamo insieme e probabilmente non mi parlerà mai più”
E quest’ultima frase fece sorridere, anche se per poco, la diretta interessata, che intanto ascoltava con attenzione ogni cosa.
Il vespro cominciava a manifestarsi. Quel pallido sole stava lentamente facendo ritorno dove nessuno poteva vederlo, e mano a mano che scompariva, il buio scendeva, e la luce di Litwick diventava più luminosa.
A meno di dieci chilometri c’era il Monte Trave. E sul terreno videro tracce di nevischio.
Il vento prese a soffiare forte, e da terra fogliame ed altro si alzò, volteggiando in una girandola, danzando per sparire dalla loro vista.
“Fa freddo” disse ad un certo punto Mia.
“Lo so, tesoro, ma non è questo granché. Sono stato sulla Vetta Lancia, una volta, durante un mio viaggio. E beh, li c’era davvero da disperarsi”
“Sei stato a Sinnoh?”
“Si, sono stato anche li. Ho viaggiato molto”
“Eppure sei così giovane”
“Ho avuto la fortuna di partire presto”
“Eppure è difficile avere gli stimoli adatti a non volersi mai fermare in un posto”
“Questo si... ma dopo un po’ hai dentro questa cosa che preme e che ti parla. Come voci, segnali di fumo che percepisco solo io, mi dicono di partire e di cercare nuove avventure. Allora preparo la mia squadra, il mio zaino e parto”
Mia sembrava essersi dimenticata del freddo pungente, anche se il respiro cominciava a condensarsi davanti ai loro volti.
“Siamo quasi arrivati” fece Rachel, stupendo i due compagni di viaggio. Si girò per un momento, quelli erano così vicini che sembravano essere rimasti attaccati con la colla.
“Ti sei ripresa?” chiese Zack.
“Con te non voglio parlarci. Mi hai deluso molto. Pensavo fossi diverso”
“Io non ti ho fatto niente”
“Di te mi fidavo”
“Non ti farei mai del male, e lo sai. Ti voglio bene”
“Finché non mi dirai chi sei non potremo avere un rapporto”
“Ragazzi finite di litigare... non potrei sopportare un altro spavento come quello di prima”
Rachel sorrise. “In effetti ogni volta che litighiamo la terra trema”
“Fosse causa nostra?” domandò lui.
Rachel dipinse per un momento un piccolo sorriso sul suo volto, onde cancellarlo con velocità. Si fermò, facendosi raggiungere dai ragazzi.
Un fiocco di neve gli si era poggiato sulle labbra.
“Nevica” sussurrò, poi lo catturò con la lingua. “Converrebbe fermarci qui, ed accamparci per la notte”
“Ti avrei seguito sicuramente, Rachel, ma non c’è tempo. Non vorrei che si manifestasse qualche altro terremoto. Potrebbe benissimo finire peggio di così”
“Vuoi salire le scale?”
“Scale?!” esclamò Mia.
“Si. I mille scalini degli eroi” rispose Rachel.
“Spero che Zorua stavolta rimanga dentro la sfera” punzecchiò il ragazzo, ottenendo solo una brutta guardata da parte della mora.
“Avete intenzione di salire mille scalini?!”
“Abbiamo intenzione... con noi ci sei anche tu”
“Non so se ce la faccio”
“Mia, puoi fare quello che vuoi, la fatica è tutta una questione psicologica... basta che ti distrai”
“Già. Basta che conti cento volte da uno a dieci, e poi è fatta” aggiunse Rachel.
“Non possiamo volare nemmeno con Braviary... il tempo non è dei migliori... è meglio mettersi in marcia prima che le condizioni meteo peggiorino” concluse Zack, che poi prese per mano Mia e ritornò a camminare, lasciando Rachel da sola, indietro.
Litwick girava attorno alla sua testa, facendo una sorta di strana danza, e cantando armoniosamente.
“Beato te che ridi”
 
E fu così, che tra risate le di Mia e Zack e mugugni di Rachel arrivarono alle scale.
“Diamoci da fare” fece il ragazzo. Erano le 20, e non accennava a smettere di nevicare. Anzi, pareva nevicasse ancora più fitto.
Cominciarono la salita, e Rachel era sempre più persa nella sua testa.
Pareva fosse circondata unicamente dal buio, non riusciva ad uscire da quel posto, e nonostante si trovasse in mezzo alla natura, sotto la neve, e stava salendo una lunga scalinata il suo unico problema in quel momento era Zack.
Lo guardava, mentre sorrideva alle battute di Mia.
Era forse gelosia?
Non si trattava di Mia, no. Il problema era davvero Zack.
Celava qualcosa, lo si vedeva da lontano, e Rachel, che spesso non si fidava nemmeno di se stessa, e faceva bene, non capiva perché avrebbe dovuto fidarsi di un totale sconosciuto.
Sempre così sfuggente, sempre così evanescente nel momento in cui si parlava di lui.
E quell’incredibile attitudine all’avventura che lo portava categoricamente ogni volta a sfidare la morte, senza alcun timore, come se fosse sicuro di non poter morire.
Si sentiva indistruttibile.
Ed il motivo non lo conosceva.
Sapeva il suo nome ed il suo cognome, sapeva fosse un ventunenne e sapeva che era nato a Celestopoli. Dopo un salto temporale enorme, di cui non sapeva nulla, arrivò ad Adamanta, e studiò con Alma ad Edesea. Per forza di cose vinse le medaglie alle palestre associate alla Lega Pokémon e diventò il campione di quel torneo.
Poi lo incontrò nella radura accanto Primaluce e da li tutti i guai.
Maledetti terremoti.
Nonostante Rachel l’avesse sollecitato a parlare di sé più di una volta, le informazioni scaturite furono sempre melliflue.
E mentre la fatica cominciava a farsi sentire, la neve continuava a coprire di bianco le chiome smorte degli alberi che aveva accanto. Il vento soffiava, Rachel sapeva che se non si fosse mantenuta in equilibrio, sarebbe stato proprio quel vento, unito alla stanchezza che aveva nelle gambe, a farla volare giù.
Pensò che quello fosse un grande problema. Ricominciare la scalinata daccapo, oh no, dannazione.
A dispetto di tutto continuava a stringere i denti, ed a salire le scale, sferzata dal vento vorace d’inverno.
Quella partenza avventata, cominciata come una fuga rappresentava per lei l’inizio di qualcosa di dogmatico.
Diventare una donna.
Era importante che rivestisse di duro ferro la sua esile figura per evitare che proprio il vento dell’insicurezza la portasse a perdere la sua strada.
E a dover ricominciare daccapo.
 
“Sono quasi arrivati, Ryan” riferì Marianne.
“Perfetto. Prepariamo i Salamence. Dobbiamo essere li velocemente”
Ryan stava facendo delle flessioni. Accanto a lui, Gallade meditava, mentre Flygon, Bisharp e Feraligatr erano stati lasciati liberi.
Quello era il modo di Ryan per rilassarsi. Fare flessioni. Non pensare. Stare in silenzio.
Non pensare.
Zackary Recket.
Non pensare.
Sconfitta.
Non pensare.
Poi sbuffò, e si lasciò cadere a pancia per terra. Marianne guardava silenziosa i movimenti del biondo, senza muoversi.
“Stavolta pensi di farcela?”
“Stavolta so che ce la farò. La mia squadra è migliorata. E quel Feraligatr è davvero forte”
Poi una voce dall’interfono di Marianne disturbò il silenzio.
“Si... subito. Ryan, Rachel è sulla cima”
Negli occhi di Ryan splendette qualcosa. Ambizione e vendetta.
“Bene. Andiamo”
 
“Siamo arrivati”
La voce di Zack suonava così piena di serietà che pareva non fosse stato lui a parlare.
Mia fu l’ultima a mettere piede sulla cima innevata del Monte Trave. Sentiva qualcosa di strano serpeggiargli nello stomaco.
Stava per vomitare, ma ne valeva la pena.
Stava tutto per finire.
Stava tutto per tornare alla normalità.
“Pensi che dovremmo entrare nel tempio?” domandò Rachel a Zack.
“Dopo l’ultima volta non credo sia il caso. Anzi... qui dovrebbe andare bene”
“Che devo fare?” domandò Mia.
Rachel e Zack si guardarono, poi la guardarono.
“Il cristallo dov’è?” chiese la mora.
Mia aprì il giubbino, mostrando la gemma verde sui seni.
“Ok. Non so... prendila in mano e concentrati. Pensa ad Arceus”
“Si! Pensa ad Arceus!” fece l’altro.
Mia levò lo zaino, e lo gettò per terra. La neve cadeva, e le si poggiò sul volto una volta che alzò la testa.
“Arceus...” sussurrò Mia, protendendo il cristallo al cielo.
Rachel e Zack fecero automaticamente un passo indietro.
Immaginavano entrambi Arceus. Immaginavano entrambi di vedere la divinità.
E poi Mia prese ad urlare.
Rachel ebbe un sussulto, ma poi sospirò.
“Non ci riesco!”
“Ma siamo sicuri sia lei l’oracolo?” chiese il ragazzo.
Rachel e Mia lo guardarono interdette. L’ultima annuì.
“Riproviamo” fece lui.
Rachel levò lo zaino e prese la stele, quindi Mia mise velocemente la mano sul punto.
E la stele si illuminò.
“È lei” sentenziò Rachel”
“Riproviamo ad evocare Arceus, allora!” urlava Zack.
“Ok, ci riprovo”
Rachel ripose la stele illuminata nello zaino e rimase a guardare Mia, che abbandonò le ansie ed i dispiaceri ad un lungo sospiro. Poi afferrò il cristallo e lo alzò al cielo.
“Arceus” sussurrò. Serrò poi le labbra e strinse gli occhi, emettendo un piccolo lamento. “No! Non ci riesco!”
“Non ci riesci perché non state facendo le cose nel verso giusto!”
La voce non era dei tre ragazzi. Quelli si guardarono intorno, mentre Mia raccolse lo zainetto e si avvicinò a Zack.
Ryan ed altre quattro reclute, compresa la scagnozza di colore apparvero davanti a loro.
“Ancora tu?!” urlò Zack.
“Ryan! Sparisci!” lo sovrastò Rachel.
“Rachel... devi sapere tutto”

 

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Capitolo 30
*** Capitolo Undicesimo: Fuga ***


Fuga - Pt. 1


Il sole era tramontato da un bel pezzo, e la cima del Monte Trave era illuminata unicamente da alcune torce, che per altro erano state accese probabilmente dal custode, quasi a farlo apposta.
Quello era ignaro del fatto che di lì a poco, quel posto sarebbe diventato un campo di battaglia.
La neve continuava a scendere sottile e tranquilla, e fredda si scioglieva a contatto con la pelle dei ragazzi.
Mia, Rachel e Zack guardavano Ryan con un’ostilità mai vista prima. Se ne avessero avuta la possibilità, lo avrebbero fulminato con la vista.
“Che ci fai qui?!” urlò Rachel, facendo un passo avanti a Zack.
“Ti ho detto alcune cose, su questo ragazzo, l’altra volta, ricordi?”
Rachel ammutolì immediatamente. Quella cosa gli interessava.
Ryan invece con tutta calma scese dal suo Salamence ed incrociò le braccia.
“Ricordo”
Zack la guardò senza sapere dove quella discussione avrebbe potuto portare.
“Beh. Continuo a ripeterti che non è chi dice di essere. Nel suo passato ci sono cose spiacevoli. Cose che nessuno vorrebbe aver fatto”
“Il mio passato è pulito. Come la mia coscienza” rispose Zack.
“Chi era Emily White, Zack?”
Zack spalancò gli occhi facendo un passo indietro.
“Tu... tu che sai di Emily White?!” chiese il ragazzo, impanicato.
Mia e Rachel lo guardarono preoccupate.
“Avanti. Rispondimi”
“Chi è Emily White?” sollecitò Rachel.
“Emily è una parte del mio passato. Una parte che non voglio ricordare”
“Chi è Emily White?” domandò Ryan stavolta.
“Dannazione! Che vuoi da me?! Che vuoi dalla mia vita?! Che ti ho fatto?!”
“Hai costretto mia sorella a seguirti”
“Io non ho costretto nessuno!”
“Rachel dovrebbe stare accanto a me”
“Rachel è libera di andare con chi gli pare!”
“Calmati. Ragazzi, fate il vostro dovere”
Le quattro reclute, più Marianne si fecero avanti.
“Oh cavolo...” tentennò Rachel.
“Stai calma. Ricordati gli allenamenti” fece Ryan. Zack alzò gli occhi e lo guardò in modo interrogativo. Per un attimo il verde smeraldo del suo sguardo incontrò il rosso rubino di quello dell’avversario. Quello rideva sornione.
“Combattiamo!” urlò una delle reclute.
“Rachel... mi raccomando” Zack la guardava con fare serio.
“So quello che faccio” rispose fredda lei.
Siccome era un 4 contro 2, Zack combatteva contro Marianne ed una recluta, mentre Rachel contro due reclute.
“Vai Wizard! Forza Zorua!” la ragazza lanciò due sfere sul campo di battaglia.
Il vento aumentava. Si stava scatenando una bufera di neve. Mia si chiuse nel giubbotto, facendo qualche passo indietro. Vide gli avversari di Rachel mandare in campo un esemplare di Golbat ed un Combusken.
“Non farti prendere dal panico. Forza” la incoraggiò Zack.
Rachel strinse le mani nei pugni, respirando lentamente con la bocca.
“Ok. Mi raccomando. Dobbiamo essere veloci. Siamo più allenati e più motivati di loro. Wizard, vai con l’attaccò Ondashock! Colpisci Golbat. Zorua, tu ti occuperai di Combusken, anche se sei svantaggiato. Mi raccomando!”
Zorua fece un cenno con il capo, mentre vide un potente attacco Ondashock andare a colpire il pipistrello avversario. Un colpo. Più che efficace.
Fuori combattimento.
Ryan inarcò un sopracciglio. Quel Pokémon era notevole.
“No! Golbat!” urlò il proprietario di quello.
“Combusken! Vai con Doppiocalcio su Zorua!” ordinò l’altro.
“Zorua cerca di evitarlo!”
Combusken saltò veloce verso l’avversario, mentre Zorua rimaneva basso.
Forse per un errore di calcolo non si rese conto della velocità dell’avversario, che piombò su di lui come una meteora in collisione colpendolo con un primo calcio, e caricando per il secondo.
“No!” Rachel era pronta al peggio, quando vide Zebstrika utilizzare un Attacco Rapido proprio mentre il secondo calcio stava per essere scagliato.
“Grande Zebstrika! Zorua! Ora vai con Falselacrime!”
E come un grande attore, Zorua finse di piangere, facendo abbassare per un attimo la guardia di Combusken.
“Attento, Combusken!” urlò il suo proprietario.
“Wizard, vai con l’attacco Scintilla!”
Zebstrika caricò il pelo di elettricità. La criniera cambiò velocemente colore, diventando gialla, e piccole particelle elettriche cominciarono a propagarsi nell’aria, quindi corse incontro a quello, mentre Zorua lo stava distraendo.
“No! Combusken!”
Quello si girò di scatto, e saltò, facendo una capriola, per evitare di essere caricato da Zebstrika.
“Vai con Calciardente!”
Combusken fece una capriola, mentre dalla sua zampa una fiamma luminosa apparve. Con potenza l’attacco si abbatté sull’avversario, ma fu una mossa poco furba, considerato l’attacco che Zebstrika aveva in canna.
Il potenziale elettrico fece il resto. Combusken rimase fulminato e paralizzato per terra, mentre Zebstrika si rialzò con fatica.
“Bravissimi, tutti e due” sorrise Rachel, facendoli rientrare. Zack intanto aveva sconfitto molto più semplicemente Marianne e lo scagnozzo con la solita coppia Absol – Lucario.
Ryan rimase a braccia conserte, sorridendo.
“Bravissimi. Ma... quello era solo l’aperitivo”
“Ryan, non voglio combattere contro di te” fece Rachel, riponendo le sfere.
“Ma io si” aggiunse Zack.
“Io puntavo proprio te”

Ed è qui che torniamo a parlare di nuovo di potenziale elettrico. Ioni positivi contro ioni negativi, poli opposti.
Che stavolta si respingevano.
Un lampo partiva dagli occhi di entrambi, e raggiungeva l’avversario. Metaforicamente parlando.
Già, perché la neve intanto continuava a cadere, e si ammucchiava sui loro cappucci.
“Vogliamo cominciare?” domandò Zack.
“Dopo di te. Mi concederai la mia rivincita”
“Dovrò concedertene ancora molte, a quanto pare”
“Vai, Flygon!”
Il Pokémon uscì dalla sfera, e prese a volare velocemente in aria, per poi scendere di nuovo in picchiata.
“Scontro Aereo? Ti accontento subito! Vai Braviary!”
L’aquila uscì fuori, gridando.
“Rendiamo la cosa più interessante! Flygon! Terrempesta!”
Flygon ruggì, ed una potente tempesta di sabbia si espanse velocemente.
Il problema era che nevicava.
E fu così che cominciò a piovere fango.
Ryan sorrideva. E Zack aveva già capito. “Non ci tengo. Non sacrificherò il mio Braviary per questa inutile lotta”
“E così il Campione della Lega perde uno dei tre match contro il sottoscritto... io lascio qui il mio Pokémon. Tocca a te” sorrise sornione Ryan.
Zack lo sapeva. Era inutile far lottare Braviary nel fango. Conosceva già la strategia di Ryan. Prima avrebbe temporeggiato, e sfruttato la velocità di Flygon per permettere al fango di posarsi sulle ali di Braviary, dopodiché avrebbe usato un semplice attacco Raffica, che avrebbe permesso al fango di solidificarsi. E così Braviary avrebbe perso lo stesso.
Lui già aveva previsto tutto. Far lottare lo stesso il suo Pokémon non era saggio.
Non era un sadico.
“Vai Gyarados” fece, stufo.
Il fango cadeva ancora, e Flygon era fermo, a pochi metri dalla testa di Ryan.
“E così sono in vantaggio...” disse Ryan.
“E per quale motivo?”
“Uno a zero per me. E poi io posso volare”
“Da quanto tempo sei un allenatore, Ryan?”
“Abbastanza da conoscere le combinazioni tra tipi”
Zack sorrise. “Se non fossi così terribilmente impertinente ti sfiderei più volentieri”
“Beh, tutti dobbiamo fare qualcosa per tirare avanti. Ma dopo oggi ti scomparirà la voglia di sfidarmi. Flygon, vai con l’attacco Agilità!”
Flygon cominciò a volare come un proiettile, fermandosi di tanto in tanto per dare un punto di riferimento fittizio all’avversario. Gyarados ruggiva, e questo impauriva leggermente Rachel. Mia invece era terrorizzata.
“Gyarados, usa Dragodanza”
“Uhm... interessante”
Gyarados ruggiva ancora, mentre il suo corpo lungo si torceva come se stesse davvero danzando sulle note di una danza tribale.
Il fango cadeva sul suo corpo umido, e scivolava per terra, accumulandosi sulla neve che andava via via sciogliendosi.
“Flygon, usa Extrarapido!”
“Gyarados, vai con Colpo”
“Cosa?!”
Zack non si difese. Attaccò. La loro precedente lotta aveva portato Ryan fuori pista. Un approccio difensivo, che Zack non era solito usare, non faceva per Pokémon con la potenza di Gyarados, e con il vantaggio sui tipi.
E quindi Ryan si aspettava al massimo che Zack urlasse a Gyarados di schivare l’attacco, ma non di contrattaccare.
E fu così che come un lampo Flygon si gettò a capofitto verso Gyarados, che, vedendolo arrivare, prese bene la mira e lo colpì con una grossa capocciata.
Flygon si abbattè sulla neve sporca con violenza.
“Attacca, Gyarados!”
Quello si scagliò con una ferocia immane sull’avversario, colpendolo altre due volte.
“Flygon! No! Prova a schivare!”
Quello con le ultime forze rimaste si spostò, evitando l’ultimo colpo, che Gyarados inflisse al pavimento della montagna. Quest’ultimo ruggì. Era davvero furioso.
“Flygon, usa Doppioteam! E poi Riposo!”
Quello si volle cautelare. Insomma, il suo Flygon non poteva perdere in quel modo, preso in contropiede.
Salì in volo ad una buona altitudine, e si sdoppiò in varie copie, cominciando a planare in cerchio.
Dopodiché si addormentò.
Ryan sorrise.
“Non mi fermerà questo. Gyarados, usa Mulinello!”
“E arriverebbe fin li sopra?!” esclamò sorpreso Ryan.
Gyarados ruggì, e creò un mulinello dalle dimensioni abnormi. Ryan non si rese conto di aver spalancato la bocca.
“Ora!”
Il mulinello si abbatté su Flygon e sulle sue copie, che nemmeno il tempo di recuperare le poche energie rimaste, era finito fuori combattimento, schiantandosi con veemenza sul pavimento.
“Umpf... Flygon, ritorna... a quanto pare siamo pari”
Zack sorrise leggermente. Il fango smise di cadere su di loro. Al suo posto di nuovo la morbida e delicata neve.
“Già. Ed ora?”
“Ora ho un giocattolino nuovo che vorrei provare”
“Oh, adoro provare giocattolini. Di solito però li rompo”
Ryan sorrise e tirò in campo Feraligatr.
Quello ruggì. Gli occhi spiritati, apriva e chiudeva voracemente la bocca, come se stesse masticando aria.
“Gyarados, torna. Rachel, ti farò vedere il mio sesto Pokémon”
Quella inclinò la testa, con le braccia conserte, ed una gamba dinnanzi l’altra. Non pareva essere molto interessata, a quanto traspariva dal suo viso.
“Vai, Torterra!”
Un esemplare enorme di Torterra fece la comparsa sul campo. Mosse lentamente la testa, guardò Zack, e poi Feraligatr, cominciando ad emettere un verso spaventoso.
Feraligatr ruggì.
“Cominciamo... a quanto pare neanche loro sono più nella pelle” fece Ryan.
“Libero di accontentarti. Torterra,  usa Foglielama!”
Torterra ruggì, e dall’albero enorme che aveva sul guscio partirono delle foglie taglienti, che velocemente si fiondarono su Feraligatr.
“Usa Geloraggio!” fece invece Ryan.
Quello fece partire un raggio celeste dalla bocca, che prese in pieno le foglie, andatesi poi a schiantare sul corpo di Feraligatr senza alcun danno, e continuò, andando a colpire Torterra sul guscio.
“No! Torterra, resisti!”
“Vai!” esclamò sorridente e pieno di entusiasmo Ryan. Il Geloraggio aveva creato una patina ghiacciata sul guscio di Torterra, vicino alla testa.
“Torterra, usa Radicamento!”
Dal carapace di Torterra partirono delle radici, che scavarono nella neve e scavarono nella roccia.
“Divertiti” disse poi Zack al suo Pokémon.
“Non servirà contro il mio geloraggio! Continua Feraligatr!”
Il geloraggio continuava a picchiare sul guscio di Torterra.
“Resisti! E continua con il Radicamento!”
“Ma che stai facendo, Zack?!” urlò Mia. Non reagiva all’attacco. In quel modo avrebbe perso l’incontro.
“Feraligatr... fermo...” Ryan sentiva qualcosa.
“Ora!” urlò Zack. Dal terreno uscirono le radici che partivano dal guscio di Torterra, che afferrarono Feraligatr per la coda e le zampe posteriori.
“No!” urlò Ryan.
“Ottimo! Continua! Avvolgilo per bene!”
Continuavano ad uscire radici dal terreno, che fasciavano con ancora più forza il Pokémon d’acqua.
Feraligatr ruggiva, ed impotente per via dell’immobilità prese a ruggire con forza. Le radici presero a coprirgli le gambe ed il torace. Quello sbatteva con forza la coda, ed agitava inutilmente le zampe anteriori, cercando di liberarsi.
Ma niente.
“Torterra, chiudiamo!”
Le radici uscirono con ancora più forza e velocità dal terreno, e bloccarono anche le braccia dell’alligatore azzurro, quindi presero a stritolarlo.
“Fermati” fece Ryan, facendo rientrare Feraligatr nella sfera. Era cupo.
“Hai perso”
“Ho perso, si”
“Ci vuole allenamento per cose come questa”
“Complimenti. Hai reinventato una mossa. Radicamento serviva a recuperare punti salute...”
“Ed io l'ho utilizzata per levarti i tuoi”
“Capisco perché sei il campione della Lega... ma Rachel...” disse poi, voltandosi verso di lei. Lo sguardo di quella era paragonabile a quello di una cerbiatta ferita.
“...stai vagando per la regione con un finto scopo, quando l’unica cosa che vuoi è trovare te stessa. Rachel, io ho trovato la tua famiglia”
“Cosa?!”
“La tua famiglia, Rachel. Io ho parlato con la tua famiglia” 
Rachel si bloccò.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo Undicesimo: Fuga 2°Parte ***


Fuga - Pt. 2


Crack.
Lo aveva sentito. E quasi giurava che tutti in quel posto, da suo fratello all’Oracolo, avessero potuto sentirlo a loro volta.
Ryan la guardava, gli occhi cremisi fissi su di lei, come se ci fossero stati solo loro due in quello spiazzo. E per un attimo Rachel aveva davvero desiderato che fosse così. Che ci fossero solo loro due e che potessero parlare senza urlare per sorpassare la distanza fisica e psicologica che li separava.
Ma poi alle sue parole qualcosa si era spezzato.
Conosco la tua famiglia. So che loro ti stanno ingannando. Il tuo viaggio è vuoto. Inutile.
Non era così, non voleva che fosse così.
Troppe cose le stavano vorticando per la mente.
Salvare il mondo. Ho trovato la tua famiglia. Contattare Arceus. Ti stanno ingannando. Proteggere l’Oracolo. Non fidarti di loro. Salvaguardare il Cristallo.
Era stanca. Psicologicamente.
Teneva la testa bassa e respirava affannosamente.
Avrebbe voluto urlare. Piangere. Aveva bisogno di liberarsi di quella sensazione che la consumava.
Zack adesso stava iniziando a preoccuparsi.
“Rachel... va tutto bene?” il suo tono lasciava trasparire la sua ansia.
Provò ad avvicinarla, ma la ragazza si ritrasse. Il campione si accorse solo in quel momento che stava tremando. Una minima parte di lui sperava di poter incolpare il freddo, ma capiva da solo quanto ridicola fosse quell’idea.
“Stammi lontano, per favore” la ragazza sembrava volersi piegare su sé stessa. Si cingeva da sola con le braccia e si teneva bassa col busto. Continuava a tremare, violentemente, e si ostinava a fissare il suolo.
“Hai capito, Rachel? Lascialo stare, torna a casa, torna con...” fece il ragazzo con gli occhi rossi.
“BASTA PER FAVORE, STA’ ZITTO!!” le parole di quello furono interrotte dal grido della ragazza.
Quello rimase immobile, come se gli fosse impossibile anche solo prendere per vere le parole della ragazza, come se non gli fosse possibile accettare e assimilare quel rifiuto.
Intorno a Rachel si stava creando un vuoto. Mia, spaventata si era allontanata, cercando riparo dietro Zack, che, nonostante volesse, temeva di peggiorare la situazione avvicinandosi alla ragazza.
Lui e Ryan erano gli unici che si mantenevano ad una distanza equa dalla giovane, ma nessuno dei due sapeva come affrontare quello che le stava capitando. Rachel si era abbassata definitivamente, continuava a tenersi stretta mentre si trovava quasi a sfiorare il terreno.
Ryan tentò di avvicinarla, nel tentativo di calmarla, ma quella scattò in piedi, mettendo di nuovo distanza fra i due.
“Io... non ci capisco più niente!” era più una sua presa di consapevolezza che un messaggio ai due ragazzi.
Un modo per dire, okay, basta, sono al limite e non ce la faccio davvero più.
Gli occhi erano pieni di lacrime e il suo sguardo sembrava un misto fra rabbia e smarrimento. Ryan ricordava di averglielo visto quella sera, ormai così lontana, mentre cercava disperatamente di tenerla fra le braccia per far calmare la sua furia.
Si avvicinò nuovamente, l’avrebbe presa con la forza, portata a casa e lì le avrebbe dato tutto il tempo di calmarsi, ma doveva agire adesso che tutti sembravano incapaci di muoversi.
Tuttavia, senza che nemmeno se ne accorgesse un Larvitar gli sbarrava la strada.
Gli occhi rossi del piccolo Pokémon lo fissavano pieni di astio, mentre Zebstrika e Zorua sembravano voler riparare la loro allenatrice. Persino il piccolo Litwick, ancora incapace di una vera e propria lotta si mostrava accanto alla ragazza, facendo divampare la sua fiammella.
Ryan indietreggiò per forza di cose. Sapeva quanto fosse pericoloso quel piccolo Pokémon per un normale essere umano.
In quel momento Larvitar lanciò forte il suo verso, e si bloccò. Il piccolo Pokémon Peldisasso iniziò a cambiare il suo aspetto, il verde del suo corpo iniziò a mutare in un colore grigiastro, e una corazza gli crebbe attorno, lasciando solo delle piccole cavità per gli occhi o poco più.
 
Per un attimo la tensione di Rachel si sciolse.
Anzi no. Si sentiva soffocare, di nuovo. 
Era colpa della neve, di tutta quella neve che rendeva il paesaggio tanto bianco da farla risaltare come una macchia nera, un errore su un foglio immacolato.
Diede l’ordine senza nemmeno pensare.
“Pupitar, Terrempesta!”
Improvvisamente il Pokémon iniziò a girare su sé stesso, creando un vortice di terriccio che si abbatté sullo spiazzo e sui presenti, che si unì alla neve, creando di nuovo una pioggia sporca e fitta. Non si riusciva a vedere nulla, anche perché i ragazzi tenevano gli occhi chiusi.
Ryan indietreggiò ulteriormente, sentendo solo vagamente uno spostamento d’aria alla sua sinistra e rendendosi conto dal rumore che esso era creato dalla corsa di Zebstrika.
Si, era proprio Zebstrika. Rumore di zoccoli.
Rachel stava scappando.
“Maledizione!” le parole gli morirono in gola, rendendosi conto di non avere con sé nessun Pokémon per bloccarla e che riuscisse a destreggiarsi contro la tempesta.
Dopo un minuto quasi eterno, nello spiazzo tornò a cadere semplice neve. Mia, protetta da Zack che l’aveva riparata col suo stesso corpo, era terrorizzata. Il ragazzo invece era incredulo.
Dall’altra parte dello spiazzo invece si trovavano Marianne e le altre tre reclute, ancora stupiti ed accovacciati a terra.
Concludeva lo scenario Ryan, immobile al centro dello spiazzo.
Aveva già capito quanto sarebbe stato faticoso rintracciarla. La neve stava aumentando l’intensità della sua caduta e fra poco le orme degli zoccoli sarebbero state coperte. Aggiungendoci la velocità del Pokémon, la possibilità di recuperarla era pura utopia.
 
Zack era rimasto interdetto. Si girò verso Mia, con il volto funereo, e schiuse leggermente la bocca.
“Zack...”
“Mia”
“Dov’è Rachel?”
Zack aveva ancora sul volto la paura e lo sgomento. Rachel aveva mollato. Si girò verso la scala. “Non... non c’è più...”
Il respiro cominciava ad accelerare, il petto non riusciva a contenerlo, e le voci di tutte le persone presenti li rimbombavano nella sua testa con forza.
Il fango che aveva sulla faccia colava, come lacrime, cadeva per terra, rimbombava con le voci.
Rimbombava con i suoi pensieri.
Con la sua rabbia.
Di scatto corse verso Ryan, che lo vide arrivare all’ultimo, spiccò un salto e lo colpì in faccia con un pugno, facendolo cadere per terra. Gli si avventò addosso come un avvoltoio in picchiata, continuando a colpirlo.
“Perché?! Perché non sei rimasto dov’eri?! Perché hai rotto quest’armonia?!”
Marianne e gli scagnozzi corsero verso Zack, afferrandolo per le braccia.
“Sei uno stronzo!” urlò ancora. Una volta che lo separarono da Ryan, cercò di liberarsi in tutti i modi, mordendo, agitandosi e sputando.
“Stai mettendo a rischio il destino del mondo!” urlò Zack.
Ryan era a terra, con un prevedibile mal di testa. Rivoli di sangue uscivano dalla sua bocca, e l’occhio destro si sarebbe gonfiato in seguito all’ecchimosi.
Aprì l’occhio sinistro, l’unico che riusciva ad aprire d’altronde, e si rialzò, aiutato da Marianne. Un treno lo aveva investito. Si doveva essere proprio così, perché si sentiva davvero come se si fosse addormentato sulle rotaie.
Poi ricollegò. “Recket...”
“Ryan! Ti distruggo! Ti ammazzo!”
“La prossima volta finirà diversamente... andiamo via” fece quello.
Salirono sui Salamence e volarono via, velocemente.
Zack rimase sotto la neve, sporco di fango e sangue, ed urlava al cielo.
 
“Maledetto! Che tu sia maledetto!”
 
Rachel correva in groppa a Zebstrika. Sentiva le raffiche di vento gelido sfiorarle il viso, ma non se ne sentiva intaccata. Non sentiva niente. O forse semplicemente sentiva troppo. Così tante cose che non aveva spazio per provare nient’altro. Fosse dolore, freddo, fame.
Corse lasciando che fosse il suo Pokémon a decidere la destinazione. Nonostante il ghiaccio e la neve si fossero depositati in grandi quantità sugli scalini, i duri zoccoli di Zebstrika non correvano il rischio di perdere la presa, ed in una manciata di secondi il Pokémon era già sceso dal monte e cavalcava a velocità impressionante verso il bosco che circondava la montagna
Teneva gli occhi chiusi, stringendoli al punto da indolenzirle la testa.
Quando si trovò nel folto del bosco, Zebstrika si fermò. Rachel tardò qualche istante ad accorgersene e quando se ne rese conto aprì timidamente un occhio e poi l’altro. Quella scalinata così insidiosa da salire era stata ridiscesa in pochi secondi.
Smontò dalla groppa del Pokémon, indugiando per qualche secondo sul terreno ghiacciato. Dopodiché chiamò fuori Pupitar.
Era stanca, ma gli sorrise ugualmente.
“Grazie”
Si era evoluto, probabilmente in risposta al suo stato d’animo. Le dispiaceva, da una parte, che fosse stata la rabbia a spingere il suo Pokémon a mutare, ma d’altro canto era felice che l’avesse protetta, anzi, che l’avessero protetta, erano stati tutti i suoi Pokémon a proteggerla e difenderla in modo da permetterle di scappare.
Era stanca, ma doveva muoversi. Si prese qualche minuto per valutare la situazione. Mentre pensava un piccoli gruppo di Salamence si stava allontanando dalla montagna e solo dopo qualche minuto avvistò anche Braviary. Si fece più piccola, cercando di rimanere immobile. Volava in cerchio.
Zack e Mia la stavano cercando.
Doveva scappare, di nuovo. Sospirò. Il peso di quella convinzione le cadde addosso. Voleva allontanarsi di nuovo. Da tutto e da tutti. Era stanca, tuttavia addormentarsi in mezzo a quella nevicata, nonostante il sacco a pelo e il calore dei suoi Pokémon, poteva essere davvero pericoloso.
Si rimise in groppa a Zebstrika, facendo rientrare Pupitar nella sfera e lasciando liberi solo Litwick e Zorua. Il piccolo Pokémon malavolpe aveva preso di nuovo le sue solite sembianze umane e la osservava preoccupato. La ragazza gli sorrise, scompigliandogli i capelli rossi e lo abbracciò stretto.
Era il suo unico legame, era tutto ciò che aveva. Era sempre stato tutto ciò che aveva. Una lacrima le sfuggì e se la asciugò con la manica del giacchetto. Non poteva crollare adesso. In mezzo alla neve il suo unico indizio per orientarsi erano le luci di Palladia, smorzate dal continuo cadere della neve. Non si preoccupava nemmeno troppo di possibili inseguitori dall’alto, vista la tormenta che si stava per scatenare gli sarebbe stato impossibile seguirla. Incredibilmente quelle condizioni meteorologiche così avverse avevano finito per facilitarle la fuga.
Sorrise. Ma era un sorriso amaro, un po’ triste, manifestato all’ironico pensiero di quanto fortunata fosse stata quella nevicata. Dopodiché diede un colpo con le gambe a Zebstrika e lo indirizzò verso la Grotta delle Lanterne.
 
Braviary atterrò a Palladia. Il centro Pokémon, aperto fino a tarda notte, rappresentò per Zack e Mia un ottimo riparo.
La ragazza era pallida. Il freddo le aveva congelato il sangue, e si stava per presentare un principio di ipotermia. Non sentiva più le punte delle mani.
Tremava.
Zack si rese conto di quanto delicata fosse.
“Mia... come va?” chiese lui, una volta seduti ad un tavolino. Le si mise accanto, cingendola con il braccio. Il giubbino la imbottiva, ma stranamente non era riuscita nel contrastare il freddo.
“Ho... ho freddo” rispose lei, battendo i denti.
“Hai ragione. Ho già chiesto due brodini caldi”
“Grazie”
“Non preoccuparti. Anzi, scusami”
“Perché?”
“Stai vivendo queste disavventure per via mia...”
“In fondo lo facciamo per una buona causa”
Zack sorrise, e poggiò la sua testa contro quella della bionda. Il sonno cominciava a farsi sentire.
“È stata dura, vero, sconfiggere quel ragazzo dagli occhi rossi?”
“Ogni lotta deve essere presa nel modo giusto. I miei Pokémon sono allenati. A questo proposito li ho lasciati qui, per essere curati. Torterra è rimasto congelato, e tuttavia ha continuato a lottare”
“Non me l’aspettavo, a dire il vero”
“La mossa delle radici?”
“Già”
“Il frutto di anni di allenamento. Torterra è molto forte”
“Senti...” disse poi la ragazza, cercando di muovere lentamente le mani e le dita. “...vorrei parlare di Rachel”
“Sì”
“Era così importante per te?”
“Non ci conoscevamo da tanto. Anzi, eravamo quasi dei completi sconosciuti, ma le volevo del gran bene. È una ragazza che ha sofferto molto. Non volevo abbandonarla da sola contro il mondo”
“Perché è scappata? Che aveva contro di te?”
Zack sospirò, lasciando Mia dalla presa e poggiando la testa sul tavolo.
“Ryan ha fatto di tutto per mettermi in cattiva luce. Ha svelato cose che non le avevo detto, come ad esempio la questione della Lega Pokémon... di cui sono campione...”
“O quella riguardo Emily White”
“Sì” Zack s’incupì immediatamente.
“Posso sapere chi è?”
“Mi fa male parlarne”
“Dimmi solo se posso fidarmi di te. Ho visto le tue capacità di allenatore, e sei il migliore che abbia mai incontrato... nonostante la mia esperienza ho... ho riconosciuto in te una grande forza d’animo. Ma non conosco il Zack uomo. Ho paura che tu possa essere una brutta persona”
“Io sono così come mi vedi”
“Vorrei sapere se prima eri come adesso”
“Avrebbe tanta importanza saperlo? L’importante è adesso. L’importante è domani”
“Zack... chi è Emily White?”
Zack deglutì. Gli sembrò di ingoiare un pugno di sabbia. Distolse lo sguardo.
Emily White era una cicatrice.
Una cicatrice aperta.
E Mia stava girando il coltello nella piaga.
 
Ryan provava una bizzarra miscela di emozioni.
Una parte di questa era rabbia. I suoi occhi cremisi osservavano il soffitto della sua stanza, ripensando alla sfida di quella giornata. Gli era impossibile dormire, ma ormai era una condizione con cui stava imparando a convivere.
La sua seconda sfida contro il campione della lega era stata di nuovo un fallimento. Non riusciva ad accettarlo.
Passò una mano fra i capelli dorati, facendola scendere fino ad arrivare a coprirsi gli occhi. Aveva fatto del suo meglio. Ne era sicuro. Tuttavia non era ancora sufficiente. Feraligatr era stremato, così come lo era Flygon. Avevano fatto del loro meglio, non erano loro il problema, se ne rendeva tranquillamente conto. Il problema era semplicemente che il ragazzo di nome Ryan era ancora inabile con combattimenti di quel livello.
Strinse la coperta su cui era disteso, avrebbe voluto strapparla. Avrebbe voluto lasciar sfogare quella parte di lui che bruciava nella rabbia. Ma non era quello il momento giusto. Non poteva permettersi delle distrazioni così improduttive.
E d’altra parte era felice. Ammettendo che nonostante tutto le cose non erano andate come aveva previsto, era comunque riuscito a guadagnare una piccola vittoria. Era finalmente riuscito a dividerli. Rachel era scappata, era finalmente riuscito a spezzare l’assurdo legame di fiducia che la univa a quel ragazzo. Adesso la strada era tutta in discesa. Se Arceus avesse voluto, Zack e Rachel non si sarebbero mai più rivisti.
Ma dopotutto c’era anche un lato negativo. L’aveva persa anche lui.
Si alzò di scatto dal letto, pensando alla situazione.
La tempesta di sabbia che Rachel aveva scatenato era stata potente quanto bastava a bloccare tutti i presenti, e la velocità con cui si era dileguata non lasciava dubbi sulla scelta del Pokémon che aveva usato. Era stato impossibile per chiunque seguirla e da quella posizione centrale della regione poteva essersi diretta in qualsiasi altra città.
Una mossa imprevedibile, degna di sua sorella.
Avrebbero dovuto ricominciare da zero con le ricerche, tuttavia contava che non sarebbe stato difficile ritrovarla.
Era sola, confusa e probabilmente anche spaventata. In più Ryan era sicuro che non avesse abbastanza denaro per sopravvivere da sola a lungo. E a quel punto era ovvio che sarebbe tornata da lui.
Avevano mandato a controllare la Professoressa Alma, in uno slancio di eccessiva prudenza, ma era più che sicuro che non si sarebbe fatta viva da quella donna.
Questo insieme di sensazioni lo confondeva.
Rendeva il suo instabile carattere ancora più lunatico.
Si affacciò alla finestra. Davanti aveva la città di Timea. La luce notturna della luna padroneggiava su quel cielo d’ebano, puntinato da innumerevoli fiocchi di neve.  Il Monte Trave, indifferente alla battaglia tenutasi sulle sue pareti continuava la sua sonnacchiosa veglia sulla regione e le sue città.
Tirò la tenda per coprire quella visione, ed uscì dalla stanza.
Non aveva voglia di far nulla e allo stesso tempo quell’inattività lo uccideva. Chiamò fuori dalla sfera Gallade. Aveva immediatamente curato i suoi Pokémon non appena rientrato e adesso erano di nuovo in forma, per quanto subissero ancora l’affaticamento della sfida.
Decise di uscire in città.
Il caos a Timea non si era mai davvero fermato dall’inizio dei terremoti. La gente continuava a muoversi velocemente, senza la minima consapevolezza di ciò che gli accadeva attorno. Li trovava ridicoli. Piccole formichine interessate solo alla vita del loro formicaio, senza capire che la foresta in cui vivevano stava morendo.
Si avventurò in quella marmaglia senza guardarsi alle spalle, vagando per vicoli sconosciuti semplicemente seguendo la folla di persone.
Gli occhi cremisi fissavano attentamente ciò che lo circondava. Alla fine era possibile che Rachel fosse arrivata anch’essa in quella città, quindi, perché lesinarsi nel pattugliarla?
Camminava osservando volti, memorizzando abiti, visi, pettinature.
Gallade lo seguiva fedelmente, controllando a modo suo quella marea di sensazioni che captava e ordinandole nella sua mente.
La loro camminata continuò, allontanandosi dalle folle e arrivando alla periferia della città. Davanti a lui iniziavano a mostrarsi i primi alberi del Bosco Memoria. Lo osservò quasi sorpreso. 
Ricordava come tempi lontani quelli in cui accompagnava la sorella nel bosco per i suoi primi allenamenti e ripensava divertito alla sua furia quando l’aveva seguita alla radura. S’incamminò verso il bosco d’istinto, seguendo il sentiero che collegava la capitale a Primaluce.
Non gli capitava spesso di usare il bosco come via di collegamento fra le due città, piuttosto lo usava solo per allenamenti sporadici, quando non aveva modo di arrivare in altri posti o aveva poco tempo a disposizione.
Adesso invece camminava con calma, osservando la notte farsi largo fra quei rami e oscurare il sentiero che aveva davanti. La neve crepitava sotto i suoi passi, riempiendo l’aria immobile con quel solo rumore. La vita nel bosco sembrava essersi fermata quella notte in cui la sorella era fuggita.
Camminò a lungo, osservando le ampie macchie bruciate dagli incendi e pensò a quanto quel panorama fosse cambiato in una manciata di ore. Continuò a camminare, notando come qualche sporadica pianta cercava di affermarsi fra le neve e come alcuni Pokémon, troppo incauti per considerare la sua presenza un pericolo, sfrecciassero nei sentieri o svolazzassero fra i rami, riempiendo per qualche istante la notte con il suono dei loro movimenti. Camminò fino ad arrivare alla radura.
Fu sollevato nel trovarla intatta, la roccia su cui sua sorella era solita sedersi era ancora al suo posto e la zona non era stata interessata dagli incendi. Si sedette sulla roccia, abbandonandosi per qualche istante alla stanchezza. Quel luogo che così tanto gli ricordava sua sorella lo tranquillizzava. Era sicuro di sentire ancora la presenza della ragazza in quel luogo. Si sarebbe addormentato volentieri, lasciandosi coprire da quella coperta bianca, ma sapeva quanto letale potesse essere quella sensazione. Anche Gallade sembrava aver trovato un po’ di calma in quel luogo.
Restarono così per parecchi minuti, senza muoversi.
Le parole di Lionell continuavano a scorrergli nella testa, come quando ci si fissa con una canzone.
Ripensava a quelle parole. Le sentiva nelle orecchie.
Ryan... Rachel è mia figlia”
“Cosa?!”
“Ho passato innumerevole tempo a maledirmi per essermela fatta sfuggire”
“Come?! Cosa stai dicendo?!”
“Hai sentito bene. Rachel è mia figlia”

Gli pareva difficile credere a quelle parole. Dopotutto però Lionell non aveva motivo di mentire.
La neve si posava sugli indumenti del ragazzo, gelandolo fin dentro alle ossa. Fu solo quando iniziò davvero a non sentire più le braccia e le gambe che si alzò e con un ordine al suo Pokémon si teletrasportarono via da lì.

 

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Capitolo 32
*** Quinto Interludio ***


Quinto Interludio


Esiste uno stato di incoscienza del corpo, che è quasi più un’incoscienza finta. Quel classico momento in cui gli occhi sono chiusi, ma il cervello è ancora acceso, e le orecchie sentono ancora, e le labbra non si sono schiuse.
Dormiveglia.
Una neomadre non conosce altro. Non ci sono alternative al riposo che non siano una dormiveglia.
Eh sì, perché i neonati si muovono, gesti inconsulti, piangono, hanno fame.
Hanno dei bisogni che il senso di maternità rende primari agli occhi di una madre.
E quindi una neomadre che dorme non dorme.
Fa finta.
Ma in quel finto sonno stava bene.
Prima riposava, gli occhi pesanti, messa sul fianco nel tentativo di tenere il più sotto controllo possibile la piccola Beatrice.
Profumava, la bimba. Ed aveva una voce che per lei era una delizia.
Piangeva raramente, anzi, al contrario rideva spesso.
Era bellissima. Timoteo viveva in lei, ed usciva ad ogni sguardo della bambina, ad ogni sospiro, ad ogni sorriso e ad ogni lamento.
La mano di Prima la cingeva, quella piccola di Beatrice afferrava il dito della madre.
La luce era coperta dalle tende scure, c’era buio nella camera e tutto era immobile. Sandra e sua madre cercavano di preservare il riposo dell’oracolo, e nel contempo si godevano i momenti in cui Beatrice dormiva.
Ma quella volta Sandra non poteva assolutamente lasciar passare.
“Prima” la chiamò, a voce bassa, aprendo la porta della camera da letto.
“Sandra” rispose quella.
“Esci”
“Beatrice sta dormendo”
“Entrerà mia madre”
Prima cercò di liberare il dito dalla stretta di Beatrice, ed uscì lentamente. I postumi del parto li sentiva tutti, nonostante fossero passati quasi cinque mesi dal giorno in cui aveva dato alla luce la bimba.
Uscì fuori, nel salotto, assieme alla ragazza con i capelli ricci, e si sedette al tavolo. Aveva una pessima cera.
“Prima... c’è un problema”
“Cosa?”
“Qualcuno ti ha visto. Circola voce che una commissione del re ti verrà a prendere e ti giustizierà”
“Prendere? Re?! Nestore è morto mesi fa, Sandra”
“Il successore non è da meno” sospirò la riccia, arrotolandosi un ciuffo tra i capelli.
“Ma sei sicura?”
“Voce di popolo, voce di Dio”
Prima deglutì, e sospirò. Aveva cominciato ad abituarsi a quella situazione, e mentre una linea di dubbi e paure le si disegnò sulla fronte, mise in discussione tutto ciò che stava cercando di consolidare.
Le sue sicurezze, le sue certezze.
“Prima. Io ti voglio bene. Ma devi andare via da qui”
Quella sapeva che prima o poi sarebbe successa una cosa del genere. Sapeva che prima o poi sarebbe dovuta fuggire.
Ma per andare dove?
Sbuffò, stanca di tutto quello che succedeva. Abra fluttuava steso, dietro la testa di Sandra. Aveva Abra con sé.
Poteva difendersi.
Ma contro chi avrebbe combattuto?
Lo sapeva. Timoteo glielo ripeteva in continuazione, i Pokémon degli ingiusti venivano allenati in modo innaturale, in cattività, e crescevano oltremodo, manifestando grande ferocia e rabbia.
E se avesse avuto di fronte un Pokémon terribile? Come quel Nidoking della sua infanzia.
Ricordava con orrore tutto quello che successe.
Quel Nidoking attaccò un Ursaring, la madre di un piccolo Teddiursa, infilandole il corno che aveva sulla fronte nell’addome.
Fortunatamente quell’Ursaring fu salvato da Olimpia, pace all’anima sua, e poi liberato nel Bosco Memoria.
Divagava, se ne rendeva conto. Ed il tempo passava inesorabile; c’era bisogno di più tempo, e di idee fresche.
Dopo aver scartato l’idea della lotta contro gli ingiusti, pensò alla fuga, peraltro suggerita da Sandra.
Sì, ma come si poteva fuggire con una bambina di nemmeno un anno?
C’erano dei bisogni... no, quella cosa non era pratica abbastanza da essere fattibile.
“Non posso scappare” concluse.
“Invece devi”
“E come farò con Beatrice?! Come dovrei crescerla?! Come una nomade che non potrà trovare una dimora?!”
Sandra abbassò la testa. Le spiaceva.
Poi sentirono dei vagiti. Beatrice si era svegliata, e piangeva.
L’impulso primario della madre era quello di andare verso di lei, ma qualcosa la tratteneva sulla sedia, forse proprio la necessità di trovare una soluzione.
Una soluzione.
Una soluzione indolore.
Prima non doveva morire, altrimenti Arceus non avrebbe avuto più il suo oracolo.
Scomoda come cosa.
Inoltre non poteva scappare, non aveva speranza di crescere bene, Beatrice, in quel modo.
“Dovete separarvi” sorrise amaramente Sandra.
Prima spalancò gli occhi. Abra girò la testa, percependo forse lo stupore ed il timore dell’oracolo. Lo sguardo di Prima analizzava tutto ciò che si trovasse sul volto della giovane donna dai capelli ricci. Lo sguardo basso, le labbra piegate verso l’interno della bocca, il colorito candido, forse più del normale.
Era delusa.
Delusa dalla situazione.
Certo, anche Prima lo era. Era sotto shock, sinceramente non si aspettava di dover fuggire ancora, soprattutto dopo il tanto tempo passato nella grotta dietro le cascate Armonia, ma a quanto sembrava qualcuno viveva sulle disgrazie altrui.
Nestore era morto eppure qualcuno continuava a perseguitarla.
“Ma perché?!” sbatté il pugno sulla tavola, sentendo subitamente aumentare il pianto di sua figlia.
Figlia.
Sua.
Sua figlia. La sua dolce figlia. Quella che rideva d’amore, felice, senza i denti ma piena di gioia negli occhi, ancora di uno strano colore chiaro.
Il colore degli occhi dei bambini.
Separarsi da lei era la soluzione? Abbandonarla lì, con Sandra e la madre, e farla crescere senza farle sapere chi sia realmente la sua famiglia.
Crudele come cosa, ma col senno di poi avrebbe fruttato.
Beatrice sarebbe cresciuta con una donna in grado benissimo di prendersi cura di lei, in un luogo adatto per una bambina, dove forse l’unico peccato erano le voci che giravano troppo in fretta.
“Va bene”
“Cosa?”
“Ti lascerò Beatrice”
“Sei sicura di quello che stai facendo?”
“È l’unico modo per rimanere viva, e per garantire a Beatrice un’infanzia dignitosa”
Sandra annuì, amaramente. Era pronta a raccogliere quella grande sfida, però.
Avrebbe aiutato Prima.
Come sempre.
Poi si sentì bussare alla porta. Abra svolazzò li vicino, mentre il pianto di Beatrice non accennava a calmarsi, tanto che Prima fu costretta ad andare a prenderla e a cullarla.
Stava mettendo i dentini, levando il sonno a tutto il vicinato.
“Chi è?” domandò Sandra, dietro la porta. Un raggio di sole la colpiva giusto negli occhi, costringendola a chiuderla.
“Sono Martino”. La voce penetrante di quello fu in grado di risvegliare un primordiale senso di inadeguatezza in quel momento. Sandra si sistemò i capelli con le mani, e poi sospirò. Aprì la porta.
Martino.
Sempre più biondo.
Sempre più bello.
“Guarda che quello vuole sposarti” ripeteva in continuazione sua madre, mentre un “magari...” sospirato si espandeva nella testa della ragazza come se ci fosse l’eco.
Adorava quell’uomo. Tutto. I suoi muscoli, i suoi capelli, il suo sorriso. La sua gentilezza.
E forse anche quel suo essere così costantemente nella parte del giusto. Era venuto a conoscenza della storia di Prima, dato che naturalmente sia Sandra che sua madre nutrivano in lui un gran senso di fiducia. Lui, da gran fedele che era, annuì, poi si prostrò ai piedi di Prima, baciandole le mani.
Non succedeva da tempo, tant’è vero che Prima rimase un attimino interdetta in quel momento.
Aveva ancora il pancione, ricordava. Si toccò il ventre, mentre cullava sua figlia, che lentamente si stava calmando.
“Martino” disse Sandra, sorridendo.
Lo sguardo del ragazzo era torbido.
“Che succede?” chiese Prima.
“Domani mattina verranno gli uomini del re. Stanotte devi scappare” rispose quello, con quella voce fredda e dura.
“E... e dove dovrei andare?”
“Non lo so, Prima. Purtroppo Adamanta non è più un luogo sicuro. Sarai costretta a vagabondare, con una bambina piccola. Questo però è l’unica via d’uscita perché tu non muoia”
“Sarà il vento a trascinarmi” fece poi.
“Stanotte passerò qui, e ti porterò fuori città, indicandoti i percorsi meno battuti. In questo modo ti terrai lontana dai guai e dagli sguardi indiscreti. Nuovaluce non è più sicura”
“Tornerò alla grotta per un po’... poi vedrò di andare via da Adamanta”
“Sei sicura?” chiese ancora Sandra. Lei non si sarebbe mai separata da sua figlia, ma capiva come l’istinto di protezione peculiare all’essere madre coincidesse con lo stare lontano dalla figlia, quando proprio la madre era una calamita per i guai.
 
Il sole si abbassò velocemente, quasi si fosse tuffato oltre l’orizzonte, e le stelle sembravano pennellate sporche di un pittore da strapazzo.
Senza le luci delle torce, quei cieli notturni mettevano in soggezione. Tanti piccoli occhi ti guardavano, ti illuminavano, ti facevano sognare.
Il camino era acceso, ed un ceppo scoppiettava, incoraggiato da una calda e sinuosa fiamma.
Prima e Sandra erano sveglie. Anche la madre di Sandra lo era, mentre si dondolava sulla vecchia sedia di legno.
“Abra. Torna nella sfera” fece Prima, facendolo rientrare. Doveva prepararsi per bene. Nella borsa qualche vecchio straccio caldo, addosso aveva più indumenti del dovuto, per tenersi calda e sformare la sua esile e riconoscibile figura, mentre uno scialle le avvolgeva la testa.
“Tieni anche questo” fece Sandra. Era un vecchio bastone, e con esso il camuffamento era perfetto. Sembrava davvero una vecchina.
“Mi raccomando” fece la più anziana tra le tre, alzandosi dalla sedia. Quella emise un fastidiosissimo cigolio.
Prima sospirò, prese il bastone ed abbracciò la donna.
Passò poi a Sandra, che non riuscì a trattenere le lacrime.
“Cercherò di provvedere a me stessa... durante questi mesi mi avete insegnato tanto”
“Baderò a Beatrice come se fosse mia figlia” disse la ragazza con i capelli ricci.
“Mi fido di te. E conto anche in tua madre” si voltò poi verso di lei.
“Cerca di farci avere tua notizia”
“Cercherò di riuscirci. Intanto promettetemi una cosa”
Le due donne fissavano immobili l’oracolo, mentre il fuoco dorava il lato destro delle loro facce e scuriva il sinistro.
Si sentì bussare, e le tre sussultarono.
“Chi sei?” chiese la madre di Sandra, guardinga.
“Martino” rispose quello. Sandra si aggiustò di nuovo i capelli, quindi andò ad aprire.
Martino la vide. Col volto disteso, caldo, nonostante fossero tutti sotto molto stress e fuori il freddo pungesse.
Sorrise nel vederla, poi tornò serio.
“Entra” disse la riccia.
Martino si fece strada nella piccola casetta, e chiuse la porta. Il sangue tornò a scorrere nelle sue dita, mentre si abituava al caldo conforto del fuoco del camino.
“Sei arrivato prima del previsto” osservò Prima, mettendo entrambe le mani sul bastone, poggiato per terra.
“Sono partiti prima. Stanno venendo qui, ora. Dobbiamo andare via. E comunque complimenti per il camuffamento”
Prima sospirò. Le farfalle nello stomaco svolazzavano forte, ed avrebbe voluto tirarle fuori con un bell’urlo.
“Fuori!” avrebbe urlato, lei si sarebbe sentita meglio, e la tensione si sarebbe dissipata.
Beatrice dormiva, e lei non c’entrava nulla: perché levarle il sonno?
Prese ad ansimare, sudava freddo, il sistema nervoso si vendicava dei colpi scorretti, quando poi si decise.
Strinse Sandra tra le sue braccia calde ed imbottite.
“Mi raccomando. È mia figlia, ma trattala come se fosse tua. Proteggila, falla crescere bella e felice, e fa che sia in grado di giudicare per bene le persone, carpendone l’animo. Falla sposare con un uomo giusto, fedele, ed insegnale ad essere una brava donna. E ricordati di non dirle chi ero io. E non spiegatele nemmeno che suo padre è l’uomo che è rappresentato dalla statua giù in piazza. Io ti ringrazio di quello che hai fatto per me, fin dal primo momento mi hai sempre fatta stare bene. Ed io ci tengo a te. Grazie di tutto” la strinse, mentre le lacrime rigavano le sue guance rosee. Si voltò poi verso la madre di Sandra. Annuì, un semplice cenno, come per salutarla.
Ma poi si strinsero di nuovo, e le lacrime trovarono corrispondenza anche nella donna più anziana.
L’abbraccio fu lungo, e struggente, ma come ogni cosa terminò.
“Devo fare solo una cosa”
Prima sospirò, pulendosi le lacrime con la manica del grosso maglione di lana, che inevitabilmente le strascicò sulla sua guancia. In religioso silenzio aprì la porta della stanza dove dormiva la sua creatura.
“Beatrice... già sai...” sorrise. Le prese la manina, la baciò e si levò la sua collana dal collo, quella col ciondolo d’argento a forma di cuore, quindi la piazzò accanto a lei. Poi si voltò, velocemente, per non cambiare idea, ed uscì dalla stanza.
“Andiamo, Martino” fece quella. Il ragazzo caricò lo zaino di Prima in spalla, diede un bacio sulla guancia a Sandra, e chiuse la porta.
Si immisero nel freddo della notte.
Nuovaluce era spenta. Calma.
Non c’era un’anima che si muovesse, e loro erano gli unici a passare silenziosi nella piazza del paese, che col sole era gremita di persone, grandi o piccole che fossero, assieme ai Pokémon.
Le montagne erano lontane, si vedevano delle macchie nere in lontananza, dietro le case, mentre il blu scuro del cielo si fondeva con il resto.
Prima cercava di captare ogni cosa, sforzandosi di camminare proprio come una donna anziana, poggiata sul vecchio bastone, nonostante avesse il passo di una podista.
I ciottoli della pavimentazione stradale erano sconnessi. Di tanto in tanto inciampava, e Martino doveva prenderla per le spalle, onde evitare di farla cadere e di bruciare la copertura.
Passarono poi davanti alla statua di Timoteo.
Gli assomigliava molto. Lo scrutò per bene, fermandosi anche per un momento, e ricevendo la comprensione di Martino.
Avrebbe tanto voluto averlo accanto. Avrebbe voluto fare l’amore con lui.
E mentre si perdeva in ricordi più o meno lussuriosi, cullata dallo scroscio dell’acqua della fontana, erano quasi usciti dalla città. Il sentiero acciottolato diventava  sempre più sterrato, fino a che i ciottoli scomparvero e non rimase terra battuta.
“Ti accompagnerò fino al limite con il bosco, altrimenti non farò in tempo a tornare indietro. Domani devo lavorare nella cava”
“Non preoccuparti, Martino. Ti ringrazio lo stesso”
“Ok”
Le case diventavano sempre più sporadiche, mentre quel fastidioso ed imbarazzante silenzio serpeggiava come un alone, o forse come le nuvolette in cui i loro respiri si erano trasformati.
I frinii degli insetti diventavano sempre più forti mano a mano che si allontanavano dalla civiltà, ed entravano nella parte più selvaggia di Adamanta.
L’erba cominciava a diventare sempre più alta, e mentre loro seguivano il sentiero, Martino allungava le mani in basso, per toccare le punte delle spighe, ancora intensamente verdi.
“Senti...” ruppe gli indugi lei.
“Si?” rispose l’altro, senza voltarsi.
“Sandra. Non farle del male”
“Io amo Sandra”
“Sarete una coppia meravigliosa”
“Io lo spero. E cresceremo la tua bambina in modo sano e sicuro”
“Allora per te valgono le stesse raccomandazioni di Sandra. Fate in modo che Beatrice non si senta sola” sorrise Prima, maliziosa.
Intendeva dire di fargli una sorellina. Sorellastra.
Quello che era...
E mentre parlavano, ed il cielo li guardava, l’erba diventava sempre più alta.
Ed agitata.
Probabilmente era solo qualche Furrett, che si muoveva furtivamente, ma non era il caso di rischiare.
Non con l’oracolo.
“Luxio, vieni fuori” fece Martino. Il Luxio di Martino la guardò, con una luce negli occhi particolare.
Era un Pokémon davvero bello.
“Almeno in questo modo non ci faremo trovare impreparati, nel caso di attacco di Pokémon selvatici”
“Già”
E fu proprio mentre camminavano silenziosi, Prima sempre avvolta in mille indumenti, con lo scialle in testa ed appoggiata al bastone di legno, che sentirono dei passi.
Proprio davanti a loro.
Martino si fermò, mentre Luxio rizzò il pelo.
Da lontano si intravedevano delle fiaccole. “Sono loro” disse freddo il giovane.
“Ci nascondiamo nell’erba?”
“No, ci vedrebbero lo stesso, hanno le fiaccole. No, piegati di più e camminiamo”
E fu così che Prima recitò come mai fatto prima d’ora, fingendo un po’ d’artrite e di dolori alla cervicale. La madre di Sandra le aveva posto un pezzo di stoffa dietro il collo, tanto che pareva avesse la gobba.
Teneva la testa bassa, guardava dove i suoi piedi poggiavano, e poi vedeva i talloni di Martino.
La luce arancione delle fiaccole diventava sempre meno fievole, fino a che il vociare indistinto di quelli, dei quali non era riuscita ad ottenere il numero esatto, non diventò un insieme di parole ben distinte.
“Chi va là?!” esclamò uno di quelli. Luxio prese a ringhiare.
“A bada...” lo tranquillizzò Martino. “Calmatevi. Mi chiamo Martino, e vengo da Nuovaluce. E questa è la mia povera madre, che soffre di terribili mal di schiena. Stiamo raggiungendo una città più grande, in cerca di un medico che possa curarla”
La voce era ferma, ma trapelava un po’ d’emozione.
L’uomo che aveva davanti nascondeva il proprio viso dietro la fiamma, quindi Martino non fu in grado di decifrarne i tratti somatici.
“Uhm... è tarda notte. Non conviene che una donna anziana viaggi a queste ore” fece quello.
“Lo so, ma io domani ho da lavorare molto, e non posso tardare. E nessuno può accompagnarla”
“È vero?” domandò poi, a Prima.
Panico. Panico puro, di quelli tangibili, sotto le mani, sotto i palmi sudati.
“Lei non può parlare. È muta. Ha fatto un voto” la salvò in corner Martino.
“Ok. Va bene, spostatevi” fecero quelli.
Erano diciotto.
Passarono, e si allontanarono, e intanto Prima ansimava, per lo spavento.
“Beh... ora dovrebbe essere molto più semplice” sorrise il biondo.
 
Camminarono per un lungo periodo, fino a che il sole non illuminò leggermente le creste dei monti.
La strada sterrata continuava, e Prima, stanca di stare con la schiena piegata, fu costretta a fermarsi più di una volta, per riprendersi.
Arrivarono poi ad un bivio, e la strada sterrata incontrò un’altra strada acciottolata.
Davanti avevano un cartello. Una freccia puntava a sinistra. Segnava <-- MIRACIELO.
L’altra puntava a destra. --> GOLFO LIBERO.
“Bene. Io torno indietro. Fai la tua scelta” disse poi Martino. Prima gli prese le mani.
“Grazie mille. Per tutto”
“Stai attenta”
“Ci proverò”
Martino voltò le spalle e se ne andò.
“Golfo... Golfo Libero...” Prima camminava verso destra, sempre logorata dalla fatica. L’aria cominciava a riscaldarsi, mentre la luce del giorno aumentava gradualmente.
Arrivò a Golfo Libero, salì su di una barca diretta per una città chiamata Aranciopoli, e sparì.
Adamanta la salutava.

 

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Capitolo 33
*** Capitolo Dodicesimo: Emily 1°Parte ***


Emily - Pt. 1


Un cerchio alla testa.
Come se qualcuno gli stesse staccando la calotta cranica.
Zack era seduto sul letto del centro Pokémon e stringeva la testa con le mani, come se fosse un brufolo, per far uscire i cattivi pensieri e liberarsi di quel dolore fastidioso.
Aveva freddo, ed il Natale si avvicinava.
I suoi pensieri si susseguivano in un miscuglio di terrore, per il destino di quel mondo, e di dispiacere, per via della questione di Rachel.
Riguardo la prima situazione si chiedeva come potesse essere possibile, che un Pokémon, che per quanto raro potesse essere era qualcosa di tangibile, potesse minare alla vita di miliardi di individui, umani e non.
Arceus era un Pokémon unico. Era una divinità.
Tutto era regolato dalle sue volontà. E se i terremoti stavano devastando il mondo, era per via sua, che controllava Groudon come se fosse una pedina di una vasta scacchiera.
La seconda situazione, invece, lo stancava mentalmente.
Rachel se n’era andata. E se Ryan non si fosse messo di mezzo, probabilmente nel lettino sopra al suo non ci sarebbe stata Mia, ma proprio Rachel.
Segreti. Tanti piccoli segreti.
Forse non proprio.
Emily White. Si chiedeva come Ryan sapesse di quella faccenda.
Si chiedeva come Ryan sapesse di Emily.
Sorrise leggermente, ricordando il suo sorriso, e si accasciò sul letto, abbandonandosi ai ricordi, con le lacrime appuntate alle palpebre con gli spilli, pronti a spezzarsi, a rompere gli argini.
 

 
Prima che a Zack venisse la voglia di stabilirsi ad Adamanta, viaggiò molto.
Vide tante cose, lottò contro i Pokémon più potenti, e contro i loro allenatori.
All’epoca aveva voglia di muoversi, di viaggiare, veloce come un’auto da corsa.
Beh... all’epoca. Otto anni prima.
Non aveva ancora avuto molte delle esperienze che lo avrebbero segnato per la vita, cose che ti marchiano. Non era un uomo, ma un giovanotto.
Niente sigarette, niente alcool, niente patente, non ne aveva l’età, e non aveva neanche mai fatto l’amore con una donna.
L’incoscienza costituiva per lui una sorta di arma a doppio taglio, che da un lato lo portava a fare delle scoperte incredibili, e da un altro lo metteva in costanti situazioni di pericolo.
Aveva bisogno di una doppia armatura di mattoni ed acciaio per andare avanti, perché agli occhi di chi gli stava accanto pareva fosse diventato una calamita per le calamità.
Problemi qui e lì, e la voglia di superare tutto.
Era giovane, partito da qualche anno, con la sfrontatezza unica solo dei giovani.
Di quei giovani che non avevano ancora preso batoste.
Era appena sbarcato a Porto Selcepoli, una ridente cittadina sul mare nella regione di Hoenn.
Mise piede nel porto della città, sentendo la gradevole sensazione della terra stabile. Il sole splendeva, il rumore del mare faceva da sottofondo ad ogni attività.
Qua e là gracchiavano dei Wingull, che placidamente planavano lungo la costa sabbiosa, gremita di gente.
C’erano varie spiagge, vari chalet, tanta folla, e non sembrava ci fosse uno spazio libero nel mare. Poco più lontano dalla riva si vedeva qualche scoglio un po’ più grande, sul quale i ragazzi adoravano tuffarsi.
L’estate urlava “presente!” ad alta voce, ed un po’ di sudore cominciò a grondare dalla fronte di Zack, coperta dalla bandana rossa che portava sempre.
Portafortuna, segno distintivo, capo di alta moda (almeno per lui), non se ne disfaceva mai.
Quella volta si trovò costretto a farlo.
Guardava le nuvole, mentre camminava, cercando di riconoscere qualche sagoma.
Non ci riusciva mai, e si sorprendeva di questo. Del resto aveva molta fantasia.
Poggiava le scarpe, con le doppie suole di gomma, sulla pavimentazione non livellata della piazza centrale, dove si teneva il mercato. Il vociare aumentava, mentre qualche venditore di bacche urlava a squarciagola che ci fosse un’offerta speciale prendi tre paghi due.
“Quella nuvola... sembra... sembra un Unown...”
“Hey!” urlò qualcuno. Qualcuno che aveva urtato.
Zack abbassò la testa. Qualcuno che aveva urtato ed era caduto a terra.
Guardò meglio. Qualcuno che aveva urtato, era caduto per terra, ed era dotato di graziosissimi occhi color nocciola... era una lei. Una bella lei.
Capelli, in quel momento sconvolti per l’incidente, lunghi, castani. Il ciuffo vaporoso, in condizioni normali, le avrebbe coperto l’occhio destro.
Il naso pareva un punto, quasi inesistente, mentre le labbra erano pronunciate. Quello superiore era screpolato, forse era il caldo. Oppure no, forse lo mordicchiava per il nervosismo.
Indossava il pezzo di sopra di un bikini, rosa.
Fu onesto e coerente con il suo modus operandi, e diede un’occhiata anche li.
Gradevole. Sorrise lui, arrossì, poi continuò il tour di sguardi sulla malcapitata. Fisico magro, giusto per lei, un pantaloncino bianco ed un paio di scarpe da ginnastica dello stesso colore..
Sembrava avessero la stessa età.
“Scusami tanto”
“Guarda un po’ dove metti i piedi!” urlò quella, mentre afferrava la mano di Zack che la tirava su.
“Ero assorto a guardare il cielo e...”
“Come ti pare!” esplose lei, prendendo a correre.
“Eh?!”
Zack era ufficialmente confuso. Si guardò attorno, cercando il motivo di cotanta irruenza, ma oltre a quattro persone vestite di nero che camminavano sospetti non vedeva niente.
“Eccola li!” esclamò uno di quelli, magro, levandosi il sudore dalla fronte con il guanto. La sua divisa, come anche quella dei suoi colleghi, era aderentissima. Una R imperava sul petto di quelli.
Indossavano un basco dello stesso colore della tuta, abbinato a degli stivaloni di gomma dura.
La ragazza, dalla lontananza sobbalzò alla loro vista, e prese a correre velocemente.
Quattro contro uno. Non va bene.
Quattro tizi vestiti in modo ridicolo contro una ragazza in bikini. Non va bene per niente.
Zack prese a correre, inseguendo i quattro sgherri, seguendo fin dove lo sguardo gli permetteva i movimenti della ragazza.
Quella entrò nella spiaggia.
Compatte come in un file .rar, le persone davano poco spazio per permettere il passaggio, e siccome tutti bramavano un po’ d’agognata freschezza, scendevano velocemente verso la battigia, muovendosi e rendendo l’individuazione della bella ragazza in bikini ancora più difficoltoso.
Zack entrò in spiaggia e si fermò. Frenò, un po’ di sabbia calda si alzò, toccandogli lo stinco.
Il caldo sembrava essere maggiore, lì. Tanti ombrelloni, tutti colorati con fantasie differenti, spuntavano come funghi di tessuto.
Non era difficile vedere i quattro brutti ceffi.
Erano vestiti di nero, e la maggior parte delle persone non indossavano un berretto come loro.
E poi la vide. La ragazza carina.
Era entrata in un negozio sulla spiaggia.
Zack corse velocemente verso quel posto.
Lo sguardo della ragazza, prima che sparisse oltre l’uscio di quel negozio, sembrava davvero un oblò per guardarle dentro. Preoccupazione, paura, la concentrazione e l’autocontrollo si persero all’improvviso come pezzi rotti di uno specchio.
“Eccola, è entrata li!” fece uno dei men in black.
“Fermi!” urlò Zack.
“Cosa?!” disse quello.
“Fermatevi dove siete!”
“Stai cercando anche tu l’acrocongegno, vero?!” chiese un secondo.
“Acrocosa?!”
“Levati di mezzo, prima che perdiamo la pazienza” fece un terzo.
“Non vi vergognate a mettervi contro una ragazza indifesa?!”
Uno di quelli guardò un suo compagno. “Tanto indifesa non direi. Levati davanti e facci entrare, oppure lo faremo lo stesso. Calpestandoti”
“Provateci” li sfidò Zack, mettendo mano alle Poké Ball.
“Me la vedo io... non sarà difficile” fece uno di quelli, fermando due dei suoi compagni. Sembrava sicuro di se. “Vedi, ragazzino. Sfidare noi, per uno come te, è come lottare per la Lega Pokémon. Dannatamente difficile”
“Eppure ho fatto entrambe le cose. Vai Crobat. Finiamo questo tipo velocemente”
“Come osi?! Vai, Seviper!”

Era la prima volta che Zack vedeva quel Pokémon. Tirò fuori il Pokédex, e lo analizzò.
“Uhm... Crobat, attento alla sua coda. Può farti male. Fortunatamente non può avvelenarci. Sarebbe impossibile, dato che sei un tipo veleno”
Crobat fece un cenno di assenso, muovendosi velocemente in tondo. Mal sopportava la luce del sole.
“Cominciamo! Seviper, usa Stridio!”
Tutti i presenti portarono automaticamente le dita alle orecchie, e Seviper emise uno strano suono, che fece girare la gran parte delle persone in spiaggia e le fece accumulare attorno ai duellanti. E soprattutto ebbe l’effetto di far vacillare Crobat, che abbassò la guardia, e calò di qualche metro la sua volata.
Ora era fattibile per Seviper attaccarlo fisicamente.
“Morso, ora!”. Per l’appunto.
Seviper balzò in aria, ed allungò i suoi due metri e settanta, azzannando Crobat per un’ala. Quello urlò dal dolore.
Zack non poteva perdere. Si girò, la ragazza lo stava guardando, nascosta dietro ad un uomo più grande.
“Dai Crobat. Con l’ala rimasta libera usa Alacciaio!”
E prima che Seviper ricadesse dal suo grande balzo con Crobat tra le fauci, l’ala sinistra del pipistrello si illuminò, e venne sbattuta sul muso della vipera.
Quella lasciò la presa, e tornò per terra.
“Crobat! Sei in grado di volare?” chiese poi Zack. Quello sembrava non aver subito danni ingenti.
“Ok. Ora vai con Malosguardo”
“Seviper non guardarlo per nessuna ragione al mondo!”
Crobat usò la mossa, fissando imperterrito il suo avversario, che, come ipnotizzato, non riusciva a muoversi con velocità e convinzione.

Stava solo li, a guardare distrattamente Crobat.
“Bene, Crobat, ora usa Eterelama!”
Crobat partì come un missile e colpì in pieno Seviper, che si rese conto solo alla fine delle urla del proprio allenatore.
K.O. tecnico. E con quelli si va a casa senza altri round.
Tyson insegna.
Lo sgherro digrignò i denti. “Non finisce qui!” e poi i tre sparirono.
La folla sorrideva, ed applaudiva Zack, che si avvicinò a Crobat per controllargli l’ala.
“Non hai gravi danni, ma ti voglio portare lo stesso al centro Pokémon. Sei stato bravissimo”
Zack fece per girarsi quando una mano lo trattenne sulla spalla.
“Hey...”
Voce di donna. Zack girò la testa. Era bikini rosa.
“Ciao”
“Ciao. Scusami per prima”
“Non... non preoccuparti. Ma perché ce l’avevano tanto con te?”
“Quelle non sono persone raccomandabili. Mia cugina ha già avuto a che fare con loro... sai, abita a Johto, lì hanno combinato tante brutte cose”
“Bel posto Johto. Sono appena sbarcato da Olivinopoli”

“Si trova a Johto? Non sono pratica”
Zack sorrise. “Si. È la città del faro”
“Bene... allora grazie”

“Lo avrei fatto per chiunque” concluse Zack, girandosi.
Qualcosa gli diceva che non sarebbe stata l’ultima volta che i due si sarebbero visti.
Non poteva essere l’ultima volta che si incontravano.
 
Zack curò Crobat e decise di passare la notte nel centro Pokémon. Fece un lauto pasto, e finalmente col buio la temperatura si abbassò, permettendogli di nuovo di respirare.
Uscì, lasciando lo zaino in stanza, e andò a fare una camminata. Comprò diversi strumenti al mercato, che pareva non chiudesse mai, poi decise di godersi un po’ la calma serale della spiaggia
Non un’anima sulla sabbia. Qui e li piccoli versi di Pokémon.
L’aria aperta portava anche a questo.
Si sedette sulla spiaggia, che nel tardo pomeriggio sembrava fosse stata pettinata con un rastrello.
Poi lasciò uscire Growlithe.
“Attento al mare... va a farti un giro”
Quello abbaiò, e prese a scorrazzare per la spiaggia, scavando buche e rotolandosi.

Il mare era vasto, immenso, e la luna si specchiava su di essa come una candida sfera al centro del cielo.
Chissà oltre cosa c’era.
Oltre a tutto. La sua testa cominciava a porgli domande esistenziali a cui i vari Nietzsche, Schopenhauer e simili non erano riusciti a rispondere senza tirare in ballo la divinità.
Ma lui era Zack, non parlava tedesco ed in ogni caso non si sarebbe interessato di quel tipo di filosofia.
Preferiva Platone. Gli piaceva davvero tanto.
Leggeva di tanto in tanto qualche libro di filosofia antica, rimanendo affascinato dai meccanismi e dai concetti elementari che muovevano il mondo.
Cose di cui non ti accorgi finché qualcuno non te ne fa rendere conto.
E intanto il mare cantava e danzava davanti ai suoi occhi, sporcato di tanto in tanto dei riflessi argentati della luna.
Zack affondò le mani nella sabbia calda, poi gettò la testa all’indietro.
Qualcuno accarezzava Growlithe.
Pochi secondi, poi il cervello gli impose di girarsi per bene, e vedere chi poteva essere quell’individuo.
“Come sei bello” faceva quello, riferito al Pokémon.
Zack si alzò e si avvicinò. Si preoccupava.
La voce era dolce. Femminile.
L’aveva già sentita.
‘Bikini rosa’ pensò. Quella alzò la testa, mentre carezzava Growlithe sulla pancia, quindi sorrise.
“Ancora qui?” chiese.
Zack annuì. “Posso stare qui, vero? O la spiaggia è privata?”
“Non preoccuparti, mio padre non ti darà problemi. Almeno non dopo quello che hai fatto oggi”
“Ti ho vista in difficoltà... ti ripeto, l’avrei fatto per chiunque”

“Grazie ancora”
Zack si sedette accanto a lei, mentre Growlithe gli poggiò il muso sulla gamba.
“È bellissimo questo Pokémon. È tuo?”
“Si. Growlithe è stato il mio primo Pokémon”
“Hai anche un Crobat”
“Ho molti altri Pokémon. Questo Crobat era uno Zubat, che ho catturato a Kanto”
“Sei stato a Kanto?”
“Sono nato a Kanto”
“Kanto, Johto... sei un allenatore in viaggio?”

“Già” sorrise Zack. La guardò in volto, sembrava molto più distesa. Indossava ora lo stesso paio di pantaloncini, ed una camicetta bianca.
Gli occhi brillavano al riflesso della luna.
Era bella.
“Come mai ti inseguivano?”
“Dirtelo rappresenterebbe un rischio”
Zack inarcò le sopracciglia, mentre disegnava con le dita dei cerchietti nella sabbia.
“Sono pronto a correre tutti i rischi del mondo per avere delle risposte”
“Poi però quando lo saprai dovrò ucciderti” sorrise lei.

“Sarà un piacere farmi uccidere da una ragazza così bella”
Quella arrossì. “Comunque mi chiamo Emily. Emily White”
“Zackary Recket. Zack per te”

“Piacere”
Si strinsero la mano.
“Piacere mio. Ora spara”
“Sono... sono venuta a conoscenza, tramite questa mia cugina, Jennifer, che io chiamo Jenna, che un’organizzazione criminale sta cercando di catturare un Pokémon rarissimo che si trova qui ad Hoenn, per assoggettare al loro potere umani e Pokémon. E per farlo hanno rubato ad un’altra organizzazione criminale uno strumento”
“L’acrocongegno”

“Esatto. Io sono riuscita ad entrare nella loro base e a rubarlo”
Zack rimase in silenzio. Emily lo guardò, arrossendo ancora sotto il suo sguardo.

“Chiamare la polizia no, eh?”
“Uff... non potevo aspettare. Alla fine ho rubato l’acrocongegno, e proprio quando stavo per scappare mi hanno vista. Poi ho sbattuto addosso a te e sai com’è andata...”
“Torneranno di sicuro alla carica”
“Già. Il problema, più che altro è che questo acrocongegno non era il pezzo che dovevano usare. Lo hanno utilizzato per creare un prototipo che sfrutta molto di più le potenzialità del Pokémon su cui questo viene applicato”
“A che serve questo acrocongegno?”
“A sfruttare le potenzialità del Pokémon su cui questo viene applicato” ripeté lei, quasi sorridendo.

“Quindi dobbiamo introdurci nella base di questa organizzazione e sabotare questo strumento per sfruttare le potenzialità del Pokémon su cui questo viene applicato”
“Dobbiamo?! Mi vuoi aiutare?!” chiese quella, sgomenta.
“Certo”
“Andiamo” sorrise lei.

 
“Ecco... qui dovrebbe essere il posto giusto”
Erano davanti ad una ventola enorme, che spuntava dal terreno, attorno al nulla più assoluto.
“Non sono molto furbi, eh?” chiese Zack.
“Non molto. Una ventola che spunta da terra senza che ci siano edifici indica che gli edifici sono sottoterra”
“Si entra da Ciclanova”
“E che è?”

“Poi ti spiego. In ogni caso non possiamo entrare per l’ingresso principale”
“Quindi entriamo dalla ventola. Hai un Pokémon d’acqua non molto alto?”
“Vai Marshtomp!” fece quella.

“Bene. Growlithe!”. Il cane dorato uscì dalla sfera, scodinzolando. “Usa l’attacco Lanciafiamme sulla ventola!”
Emily e Zack fecero un passo indietro, e Growlithe sputò fuoco come un drago mitologico. La ventola cambiò colore, diventando rovente, ma continuando a girare velocemente. L’aria calda veniva spinta sui volti dei ragazzi che si coprirono gli occhi per non lacrimare.
“Ho capito cosa vuoi fare. Marshtomp, vai con Idropompa!”
Quest’ultimo attaccò con un massiccio getto d’acqua la ventola, che ritornò ad una temperatura normale. Poi questa cominciò a fare un po’ di rumori strani, fino a che non si fermò.
“Ottimo. Rientra nella sfera, Growlithe!”
Emily fece altrettanto con il suo Pokémon, e seguì il ragazzo all’interno della tubatura. Inizialmente era un tratto verticale.
“Crobat”
Quello usci, e si fermò a testa in giù sulla tubatura.
“Portaci giù lentamente”

Il pipistrello li afferrò con le zampe, e lentamente planò giù, fino a che Zack ed Emily toccarono il pavimento della tubatura.
“Bravo. Ora rientra. Dove andiamo?”
“Verso la luce. Poi saprò orientarmi meglio” rispose Emily. Una decina di metri davanti a loro c’erano delle grate. Da lì, la giovane avrebbe potuto vedere dove si trovavano.
Lentamente gattonarono, limitando al massimo i rumori.
Zack si domandò per quale motivo fosse in un posto come quello. Poi si voltò, facendo attenzione a non fare rumore.
Lei era li, e guardava attentamente tutto ciò che accadeva. Un ciuffo le usciva fuori posto, coprendole l’altro occhio, e lei lo spostava, soffiandolo via.
Col senno di poi si accorse che lo avrebbe fatto spesso.
E poi, nel profondo dei pensieri, arrivarono all’apertura. Una griglia li divideva da un corridoio sterile, con pochi elementi colorati. Il bianco imperava.
Di tanto in tanto passava qualche persona, sempre con lo stesso vestito dei quattro ceffi.
“Bene... ho capito, siamo nell’ala 4C” fece Emily.
“Colpito e affondato”
“Hai voglia di scherzare?” sorrise leggermente quella.
“Decisamente. Qual è il piano?”
“Entriamo, sabotiamo ed usciamo. La stanza dell’acrocongegno potenziato è pochi metri davanti a noi. Non dovremmo neanche avere impedimenti da parte di guardie o altro. Nessuno può entrare li dentro, tranne pochi eletti, che la sera tornavano a casa”
“Ho capito. Quindi quando si accorgeranno che sono stati sabotati noi avremo già un giorno di vantaggio”
“All’incirca”
Zack ed Emily continuarono a gattonare lentamente, cercando di ammortizzare al massimo i rumori. Delle voci, però, catturarono la loro attenzione. Delle ombre si muovevano davanti la prossima apertura.

“C’è qualcuno nella stanza dell’acrocongegno” fece lei.
“E... ora?”
“Andiamo a vedere”
Raggiunsero la grata. Un uomo con un completo elegante nero ed i capelli castani, corti, era in piedi davanti ad un grosso macchinario. Tre uomini in camice lavoravano attorno a quell’enorme meccanismo, una sorta di anello gigante, metallico.

Emily guardò Zack e viceversa.
Un altro uomo in camice, con i capelli lunghi e bianchi, come la barba, parlava ad alta voce.
“Il macrocongegno e pronto”
L’uomo con il completo sorrise. “Ottimo. Ora dobbiamo solo individuare dove dorme il Pokémon... lo cattureremo e domineremo Hoenn... poi il mondo”

La voce di quello era profonda, ed un subdolo scintillio viveva nei suoi occhi.
“Ora caricatelo nel camion. Dobbiamo arrivare a Porto Alghepoli entro una settimana. Dite all’autista di partire domattina alle 10”
“Ok, signor Giovanni”
Emily guardava terrorizzata Zack, che le fece segno di tornare indietro.
Gattonarono, mentre i pensieri si avviluppavano attorno alle volontà.
Zack cercava questo. Avventura, ragazze da aiutare, salvare. Amare.
Emily aveva solo molto senso della giustizia.
“Non guardarmi il sedere” fece la ragazza, che gattonava davanti a lui.
“Anche se volessi è tutto buio”
Uscirono dalla tubatura tramite Crobat, quindi si diedero appuntamento per il giorno dopo, davanti al centro Pokémon.

 
La mattina arrivò troppo in fretta.
Zack si alzò controvoglia. Cambiò opinione, poi, ricordandosi che doveva vedere Emily. Sarebbero partiti per il viaggio.
Per quel viaggio.
Dovevano camminare tanto, aveva visto la cartina di Hoenn, e raggiungere Porto Alghepoli non era molto semplice, specialmente facendolo a piedi. Non avrebbero dovuto destare sospetti, ed avevano decurtato dalla lista di opzioni utili quella di prendere una nave per raggiungere la destinazione, in quanto avrebbero cercato di fermare il camion con il carico incriminato prima che raggiungesse l’obiettivo.
Quella mattina si vestì come se avesse dovuto sopportare le peggiori situazioni climatiche ed ambientali, e nonostante il caldo scelse di indossare un jeans in denim.
Zaino in spalla e scese, salutando l’infermiere del centro Pokémon, quindi uscì fuori. Il sole splendeva, come il giorno prima.
Emily aspettava con le cuffiette nelle orecchie. Era appoggiata ad una parete esterna del centro Pokémon e canticchiava una canzone.
Zack la vide e sorrise.
Aveva indosso un gilet nero, sopra ad una canottiera totalmente bianca. Indossava un cappello, di quelli gonfi, beige anch’esso, con su delle strisce dei colori dell’arcobaleno, abbinato alle scarpe ed alla borsa.
“Ciao” sorrise Zack.
“Hey”
Che bella voce, pensò Zack. Le piaceva. Era il classico tipo che gli faceva perdere la testa.
Il classico tipo per cui sarebbe morto per amore. Per il suo amore.
“Allora, andiamo... tra un po’ partirà il pullman”
Mossero i passi lungo la strada acciottolata della piazza, un Pelipper che era lì prese il volo, forse spaventato dalla vicinanza con i due.
“Dormito bene?” chiese Zack.
“Non tanto. Ero preoccupata”
“Cerca di rimanere concentrata”

“Certo”
Arrivarono fino alle rive di un laghetto, che divideva Porto Selcepoli da Ciclamipoli.

Un’isola si scorgeva al centro di esso.
“Ecco... quella è Ciclanova” disse la ragazza.
“Il camion come uscirà di li?”
Appena le parole del ragazzo si sedimentarono, videro da lontano un battello che si avvicinava.
“Ecco come” aggiunse Zack.
“Dobbiamo raggiungere velocemente l’altra sponda del lago”
“Potremmo camminare velocemente lungo la riva, o attraversarlo con i Pokémon d’acqua”
“No... passeremo per la pista ciclabile. Seguimi”

 

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Capitolo 34
*** Capitolo Dodicesimo: Emily 2° Parte ***


Emily - Pt. 2


I ricordi erano pochi.
Tuttavia molto vividi. Spezzoni di vita vissuta si alternavano a momenti forse immaginati.
Con gli occhi aperti nel letto, Zack aveva immaginato molte volte come sarebbe stato se le avesse parlato dell’amore che provava per lei.
Immaginava.
Immaginava lei e lui, a baciarsi, sotto casa, sotto il palazzo di Edesea, spingendo il corpo contro il suo, e sentendo il calore aumentare.
“Andiamo su” diceva Zack.
“Ma qui abita Alma”
“Non è in casa, ed ho le chiavi”
Poi tornavano ad utilizzare le loro bocche per qualcosa che non fosse parlare.
Salivano e si spogliavano.
Gli occhi di Emily splendevano nel buio, mentre si cibavano di quell’amore goloso, ed andare avanti in un turbinio strano e piacevole di emozioni, dove la cosa più difficile era smettere.
La sua fantasia però non si fermava qua. Pensava ancora più distante, loro che si scambiavano i regali di Natale, mentre la casa, la loro casa, era addobbata a festa, piena di foglie di agrifoglio.
L’immaginazione riempiva i buchi che il suo bisogno d’amore creava.
Continuava a pensare, immaginandosi come sarebbe potuta andare avanti la sua vita con Emily.
 
Era innamorato, e se era innamorato, Zack riusciva a muovere il mondo.

 
 
 
I ragazzi arrivarono a Forestopoli. Una città molto particolare, costruita all’interno degli alberi.
Il posto perfetto per chi come lavoro faceva il giardiniere.
Nonostante tutto era molto suggestiva.
Il caldo però ammazzava.
Le nuvole si muovevano velocemente, mentre un acquazzone si alternava spesso con il sole del deserto.
Zack guardava Emily, e sorrideva. Non aveva mai avuto quell’attaccamento ad una persona.
Lei era ostinata nelle sue scelte.
Come lui.
E le piaceva stare a capo, guidare, comandare.
Come lui.
Forse non andava bene. Ma più Zack guardava quegli occhi, e più se ne innamorava.
Sentiva il petto esplodergli, e ad ogni sua occhiata si sentiva come ucciso, impotente nelle sue voglie, pregne d’affetto.
Sapeva che in fondo anche lei provava lo stesso, ed in quel caso sembrava un kamikaze, perché con il suo immobilismo uccideva sia lui che lei.
Pura dinamite, quei due.
Zack alzò la testa al cielo.
Le nuvole sbattevano le ali.
“Sono Altaria. I Pokémon della capopalestra Alice” fece Emily, come se sapesse quello che stava pensando Zack.
E già. Perché Zack sapeva tante cose, ma Emily le sapeva meglio.
“Sono velocissimi”
“Infatti”
“Potremmo chiederne due in prestito”
“E perché dovrebbe darci due Altaria?”
“Provar non nuoce”

Si arrampicarono su di una scaletta fatta di legno, che saliva sugli alti alberi della foresta, e presero a camminare su pontili che a lui non sembravano stabili. Emily si manteneva sulla spalla del ragazzo, facendo vibrare l’anima del ragazzo ad ogni stretta.
Si stava cuocendo davvero.
Totalmente irrazionale.
Arrivarono infine alla palestra di Alice.
Entrarono, lei era seduta su di una panca, sudata. Stava facendo esercizio.
I capelli sfatti, lunghi, di quella strana colorazione lilla, vedevano in due ciuffi laterali il termine della pettinatura. Lei era in una tuta piuttosto larga, che non impreziosiva le sue curve.
Tante luci illuminavano quel posto. A Zack fece strano rientrare in una palestra, dopo che l’ultima volta lo aveva fatto ad Ebanopoli.
Ricordava ancora Sandra, ed il suo temibile Kingdra.
“Si?” chiese Alice, non appena si rese conto che qualcuno fosse entrato.
“Ehm... salve... io sono Emily e questo è il mio amico Zack. Stiamo cercando di evitare una catastrofe”
“Di che tipo di catastrofe parlate?”. Temeva in un risveglio di Groudon e Kyogre.

“Non lo sappiamo di preciso. Ma le volevamo chiedere il piacere di poter utilizzare due dei suoi Altaria per raggiungere velocemente Porto Alghepoli”
“Perché dovrei darvi i miei Altaria?” Alice non capiva.

“Ha perfettamente ragione a non fidarsi di noi, non ci conosce, ma ne va del destino di Hoenn”
“Se veramente ne andasse del destino di Hoenn avrei saputo qualcosa, no?”
“E se stavolta i cattivi fossero stati davvero bravi da non far scappare alcuna notizia?”

Alice rimase perplessa, in silenzio.
“Come so che siete in buona fede?”
Emily esplose. “Signorina, stiamo perdendo tempo! Chissà con cosa verrà abbinato quel marchingegno malefico!”
“Cosa?! Marchingegno?!”
“Si!”
“Come vi chiamate?”
Risposero.

“Mi fido di voi”
Emily sorrise, ed abbracciò Zack.
 
 
Zack sorrise nel ricordare quella stretta. Ricordava il suo profumo, ricordava il suo sguardo, e rimpiangeva il suo angelo perduto, sapendo che avrebbe potuto stringerlo tra le sue braccia.
È tutta una questione di attimi, e con persone come loro, di impulsi.
Prendevano la vita così come veniva, e la prima occasione per loro era il treno da prendere. Tutto ciò che c’era dopo non importava. Non bisognava perdere tempo, non bisognava aver paura di nulla, ed affrontare tutto con il massimo dell’impegno.
Si girò nel suo lettino, abbracciando il guanciale che aveva sotto la testa.
Mia si mosse leggermente, e la rete del suo letto cigolò proprio sul capo del ragazzo.
Pensava ancora al volto angelico di quella, alla sua dolce voce.
Adorava cantare.
Adorava la musica.
E Zack, che era un folle, si convinse, una volta finito tutto il teatrino di imparare a suonare il pianoforte, magari per cantare le canzoni di Natale, o qualcosa del tipo anni 20.
E magari fare l’amore, proprio sul piano.
Che bella voce che aveva Emily. Le mancava molto.
Quante volte il cuscino che stringeva era diventato Emily.
Quanti baci su quel cuscino.
Quanto lacrime.
Quante volte  aveva chiesto scusa a quel cuscino.
 
“No, Emily. Non andare di là”
 
Ricordava quelle parole come se le avesse appena pronunciate. La testa dura di quella ragazza non era comparabile a nulla.
Alla fine si era ritrovato senza di lei. Ma sempre con il suo ricordo nel cuore.
Emily alla fine scelse.
Scelse male.
E lui non la fermò.
 
 
Le piume degli Altaria erano morbide. Sembrava di toccare batuffoli di ovatta.
Zack volava su Chicago, l’esemplare più forte che Alice avesse a disposizione, mentre Emily su Paris, quello più veloce.
I due si mantenevano forte, mentre l’uno inseguiva l’altro.
Il sole era forte, il mare tranquillo, e si avvicinavano ad una zona perennemente piena di nebbia.
“Ecco... quella deve essere la Torre dei Cieli... si stanno dirigendo li” fece Emily.
“Benissimo, cerchiamo di non farci distanziare troppo”
Una grande nave stava portando il Macrocongegno, assieme a tutto l’equipaggio di bordo, probabilmente persone al soldo di Giovanni.
“Più in alto” fece Zack. In questo modo si sarebbe confuso con le nuvole, e non avrebbe corso il rischio di essere avvistato.
Emily lo seguì.
La nebbia cominciava a diventare sempre più densa, fino a che il sole non passò più. Ora faceva freddo, e c’era molto buio. Il faro della nave puntava dritto verso un piccolo pontile di legno, abbandonato a se stesso.
“Scendiamo” fece Emily.
Gli Altaria in effetti erano stanchi, avevano volato per molto, molto tempo.
Atterrarono vicino l’ingresso della torre. C’erano calcinacci ovunque. La torre sembrava potesse crollare da un momento all’altro, non sembrava per niente un posto accogliente.
“Vieni qui” fece Zack, nascondendosi dietro un piccolo muretto, in modo da vedere chiaramente tutti i movimenti della nave.
Emily lo seguì, e sospirò.
Una dozzina di Salamence erano stati legati al Macrocongegno, e lo trainavano su, abbastanza spediti.
“Oddio!” rabbrividì Emily. “Il Pokémon si trova sopra questa torre!”
“Dobbiamo andare! Usiamo gli Altaria!”
“Non ce la faranno, Zack. Hanno volato per tanti chilometri. Dobbiamo salire a piedi”
“Ma saranno un centinaio di piani!”
“Io voglio bene ai Pokémon. Non voglio che stiano male”
“Hai ragione, anche io. Andiamo”

Spalancarono la porta della torre. Non entrava un po’ di luce da lì dentro da veramente tanto tempo. I ragazzi videro diversi Rattata correre a nascondersi in angoli più protetti.
“Ci sono dei Pokémon qui” osservò Emily.
“Tranquilla”. La mano del ragazzo erano sulle sue Poké Ball. “Dobbiamo aiutarci in qualche modo. Ed il primo accorgimento che potremmo prendere è utilizzare Absol”
Lui lo tirò fuori. Lo aveva catturato poco prima di volare via da Forestopoli. Era stata una lotta difficile per Crobat, ma alla fine Absol entrò nella Premier Ball.
“Lo sapevo... ti affidi troppo a quel Pokémon. Non è accertato che sappia prevedere le catastrofi” rispose Emily, con un po’ di sufficienza.
“Intanto fino ad ora non ha mai sbagliato”
“Io non seguirò un cane con una spada infilzata nella testa”
“Avanti... cominciamo a salire”
Il pavimento di legno si lamentava sotto i passi cauti dei due ragazzi. Absol si muoveva con eleganza, guardandosi attorno.
“Zack... sei innamorato” osservò Emily.
Quello avvampò. “Ehm...”
“Da quando hai catturato questo Absol non hai più occhi per niente”

Zack respirò ed il sangue riprese a circolare nelle mani, dopo aver slegato i pugni stretti.
Il sovraccarico di emozioni, in quel momento, gli stava per dare alla testa. Troppe sensazioni tutte assieme, non si era accorto che Absol abbaiava.
“Che ha adesso quest’uccellaccio del malaugurio?” chiese la ragazza.
Tutti fermi, solo il pavimento che scricchiolava. Qualcosa si stava avvicinando. I due ragazzi non riuscivano a vedere cosa fosse, poiché si trovavano sulla rampa di scale.
Zack si ridestò e corse verso Emily, immobile. Absol poi prese a ringhiare, vedendo svolazzare via un Duskull, mentre ululava.
Quel verso metteva i brividi.
 
 
Per l’ennesima volta quella pellicola stava per concludersi nella sua testa.
Atto finale di un qualcosa che non avrebbe mai voluto recitare. Non così vividamente.
Non così vero.
Ed invece si trovò a dover affrontare la realtà, per l’ennesima volta.
I suoi occhi aperti proiettavano lungo il muro accanto al letto i ricordi del ragazzo, in quello show privato.
Nonostante la neve di quella notte non gli permettesse di uscire all’aria aperta senza morire assiderato, lui aveva lo stesso voglia di strapparsi quelle catene da dosso, e correre velocemente dove la sua testa avrebbe potuto dimenticare quelle brutte cose in modo semplice.
Dove avrebbe potuto leggere il suo destino nelle stelle, dove era felice di vivere la sua vita per quello che era.
Un cretino.
Si alzò dal letto, andando verso la finestra, e come sempre vi appoggiò le dita sul vetro.
Era freddo.
Aveva bisogno di qualcosa di confortevole. Di caldo.
Qualcosa che gli tenesse i piedi ben saldati per terra.
Almeno per quella notte.
 
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Intorno al trentesimo piano, Zack era davvero stanco. Absol camminava davanti a loro, sempre utilizzando movimenti sinuosi.
Emily teneva stretta la mano di Zack, che la tirava su, scalino dopo scalino. Era davvero massacrante come allenamento.
“Ho fame” disse la ragazza.
“Non c’è tempo. I Salamence saranno arrivati da più di dieci minuti li sopra!”
“Hai ragione... andiamo”

Absol rizzò il pelo. Anche Zack.
“Sta per succedere qualcosa”
“Non sta per succedere niente! Finiscila di mettere il tuo destino in mano ad Absol! Affronta la vita come capita!”
“Smettila di dirmi queste cose! Io mi fido dei miei Pokémon!”
“Appena hai visto questo Absol ti sei dimenticato di tutto il resto del mondo!”
“Emily smettila!”

“Adesso che vorrà spadaintesta?!”
Absol continuava a ringhiare, e prese a camminare verso sinistra. Il pavimento era gravemente danneggiato. Un enorme foro bucava il pavimento al centro.
Era una voragine e due piccoli viottoli passavano alla destra e alla sinistra di esso.
Absol abbaiò e si avviò a sinistra.
Zack ed Emily si guardarono.
“Di qua” fece lui, prendendola per mano.
“Non seguirò quel cagnaccio!”
Zack non capiva i motivi di cotanta rabbia.
“Calma i toni”
“Io parlo come mi pare di chi mi pare!”
“Sei arrogante! Io sto cercando di rendere le cose più veloci e sicure!”
“E lo fai mettendo in campo un Pokémon che non ti da sicurezza in tal senso?”
“Ma che ne sai tu?! Ovunque si parla della capacità premonitoria degli Absol”
“Ovunque... sono solo leggende... e poi non sono neanche ventiquattro ore che hai visto un Absol, e già fai l’esperto”
“Vieni di qua”
“No. Ti dimostrerò che ti sbagli. Il pavimento qui è sicuro”
Zack ribolliva di rabbia. “Mmmhaaaaa! Fai come ti pare! Ma non dire che non te l’avevo detto!”

“E certo! Anzi, faresti bene a seguirmi!”
“Io mi fido del mio Absol! Perché so riconoscere il vero potenziale dei Pokémon!”
“Non sai riconoscere una ceppa!” rispose a tono lei. Camminò lentamente lungo la lingua di pavimento alla destra del buco. Zack si ostinò e fece altrettanto. Sentivano dei forti scricchiolii.

Emily si fermò, quindi mosse leggermente la testa, quindi incrociò le braccia.
Zack invece passò inerme, preceduto da Absol, fino ad arrivare alla scalinata.
“Avanti. Vieni!”
“Vengo! Ti dimostro che questa parte di pavimento non cederà”
E aveva ragione.

Arrivò a pochi centimetri dalla scala, e dentro di lei sentì una sorta di liberazione. Aveva sfidato il fato ed aveva vinto.
Oppure no. Poggiò il peso sulla gamba destra, ed uno scricchiolio impercettibile si trasformò in una rottura fragorosa del pavimento. Emily spalancò gli occhi, e cadde giù, sepolta da quintali di legno marcio e roccia umida.
“Emily!” esclamò Zack, correndo velocemente verso la scalinata che portava al piano di sotto, fregandosene del pavimento che cadeva e del Macrocongegno.
Scese le scale tre a tre, poi si avvicinò al cumulo di macerie.
Rimase a scavare per più di dieci minuti, con le mani nude nel legno marcio, quando finalmente riuscì ad afferrarla.
La liberò in fretta dalle altre macerie, riportandola alla luce e chiamandola innumerevoli volte, nel tentativo di svegliarla. Gli occhi di Zack erano spalancati dall’agitazione, le iridi si erano ristrette.
C’era qualcosa che non andava.
Il corpo di Emily sembrava impallidire a vista d’occhio, e un leggero rivolo di sangue le scorreva da un lato della testa. Strinse fra le braccia l’esile fisico della ragazza dal bikini rosa, sollevandola e spostandosi dalle macerie laddove sembrava passare un filo d’aria. Le avrebbe fatto bene, fu l’unica cosa che riusciva a pensare.
Perché ancora non riusciva a rendersene conto.
Emily era morta.
Era morta nella Torre dei Cieli.
E Zack non aveva fatto niente per salvarla.
 
 
Zack stava piangendo, come ogni volta che finiva di pensare a questa storia.
La testa e le mani poggiate al vetro, vi si era formata la condensa, ed una goccia scivolava sul vetro, emulando una lacrima sulla guancia del giovane. La città dormiva, assopita e coccolata dal caldo dei lampioni, di quel colore arancione, che modificava i colori, certo, ma che creava quella straordinaria atmosfera.
Il pensiero però non gli permetteva di evadere. Doveva salvarla.
“Emily...” disse, trafitto dal pianto.
Bastava dare uno sguardo a quel ragazzo, in quel momento, per chiedersi chi fosse davvero. Come faceva a nascondere il proprio sguardo dietro quella maschera di simpatia?
Si diede un paio di pugni sulle gambe. Se li meritava tutti.
La neve scendeva, e lui stava ancora aspettando un miracolo.
Lei era andata, lui era lì. Non era pronto per quella cosa, non era pronto per salutare il suo primo amore, senza neanche aver ammesso a questo di provare dei sentimenti per lui.
Lei. Emily White.
Emily White sarebbe vissuta per sempre nei ricordi più vividi di Zack, negli incubi ricorrenti e nei sogni di una vita migliore. Sognava un amore scoppiettante.
Ed invece aveva un cristallo, l’oracolo di Arceus, e tanto freddo.
Le continue responsabilità che si prendeva, che erano notoriamente più grandi di lui, servivano a distoglierlo da quei pensieri truci, di morte e paura.
Insieme avrebbero sconvolto il mondo.
Pensieri, ricordi, tutto si mescolava nella sua testa, in quel momento. Credeva che nonostante fosse continuamente distratto dalla bellezza di quella, lui cercava di essere abbastanza tenace da piacerle. Da farle pensare “ecco, questo è l’uomo per me!”.
Avrebbe voluto avere una macchina del tempo, per tornare indietro, per poter gustarsi il sapore di un suo bacio, ed una volta fatto sarebbe diventato l’uomo più ricco del mondo.
Ricco di autostima, d’amore, di carica, di perfezione.
Si sarebbe rammollito, pensò simpaticamente. Lei aveva troppa personalità per non prevalere tra i due.
Ricordava quando lo salutava.
Ciao.
Ciao, e la voce della ragazza.
Adesso quella voce non lo avrebbe più salutato.
Il pianto lo tartassava, e svegliò Mia, che scese dal letto, con un po’ di difficoltà. Aveva indosso un pigiama di flanella, caldo, e molto antiestetico.
“Zack” lo chiamò.
Quello si girò.
“Che succede?”
Zack rimase in silenzio, e tornò a guardare la delicatezza della neve che si posava sui tetti delle case.
Aveva lasciato fare Emily di testa sua, quando sapeva che avrebbe dovuto convincerla a seguirlo.
Anche per Rachel era così. Spalancò gli occhi quando se ne rese conto. Vecchi terrori presero a scorrergli neri nel sangue.
“Zack... perché piangi?”

 

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Capitolo 35
*** Capitolo Tredicesimo: Vapore ***


Vapore - Pt. 1


La lunga corsa in sella al suo Pokémon l’aveva stremata. Lentamente Rachel, con gli occhi offuscati e il passo incerto, si fece strada all’interno della Grotta delle Lanterne. Wizard procedeva al suo fianco e Pupitar si muoveva agile per sondare il terreno della grotta, cercando un posto che fosse abbastanza sicuro per passarvi la notte. Zorua e Litwick erano nelle loro sfere, dove sarebbero stati al sicuro.
Una volta arrivati in un posto che il Pokémon terra reputava sicuro la ragazza si lasciò scivolare sul terreno e si abbandonò al pianto.
La notte dall’interno della grotta sembrava più nera del solito. La ragazza si trovava a poco più di una decina di metri dall’entrata e da lì poteva osservare una parte della volta celeste.
La luce soffusa che si spandeva dai cristalli della grotta creava ancora più contrasto con l’oscurità del cielo. Non che Rachel potesse notarlo. I suoi occhi erano ricoperti da lacrime e il suo pianto non sembrava volersi arrestare.
Era arrivata ad un livello superiore a quanto potesse sopportare, non voleva più avere niente a che fare con nessuno. Dopotutto, non sapeva nemmeno più a chi o cosa potesse credere. Le parole di Ryan avevano scavato a fondo nel suo petto, gelandole il cuore in modo assoluto, come i ghiacciai perenni che nemmeno il sole più potente poteva sciogliere. Come nemmeno Zack poteva sciogliere. Dopotutto anche Zack aveva la sua parte di colpa in tutta quell’assurda situazione. Colpa non inferiore a quella che aveva lei stessa.
“Ma che diamine mi ero messa in testa?” parlava tra i singhiozzi, senza riuscire a controllare la propria voce, né tantomeno i propri pensieri.
“Salvare il mondo... come no. Chi me lo dice che non si sono sognati tutto? Dopotutto anche Mia, che doveva essere l’Oracolo, non è in grado di fare niente!” non riusciva a fermare la valanga di parole che, spezzate dal pianto, uscivano dalle sue labbra.
“Ho vagato in lungo e in largo, ho rischiato di morire per colpa di quell’incosciente, con un falso proposito.” Su questo, Ryan aveva ragione. Non era mai stata abile nel capire le persone che aveva di fronte, non era mai stata in grado, fin da piccola, di capire cosa gli altri pensassero o volessero davvero. Non era nemmeno mai stata in grado di capire che la famiglia con cui viveva non era la sua vera famiglia. Cosa pretendeva?
Rise. Di se stessa e delle sue fragili convinzioni.
Appoggiò la nuca al muro e guardò il soffitto della grotta, che era illuminato dal bagliore degli innumerevoli cristalli ed era reso caleidoscopico dalle lacrime che non ne volevano sapere di abbandonare i suoi occhi.
“Ma chi diamine voglio incolpare... ho fatto tutto da sola” lo disse chiudendo gli occhi, e cercando di abbandonarsi al sonno.
“E, tuttavia, non posso che continuare su questa strada”.
 
Il malumore continuava a crescere, come se qualcuno innaffiasse la pianta del dispiacere.
E a testa bassa, il giorno dopo Ryan era costretto a sorbirsi la paternale di Lionell.
“E così te la sei lasciata scappare...” faceva quello. Ryan guardava i palmi delle mani, poi le scarpe, e si concentrava su ogni dettaglio che potesse cogliere con quel colpo d’occhio.
La scrivania, i piedi della sedia, le scarpe di Lionell, la moquette grigia, polverosa, al di sotto di quelle.
“Scusa, Lionell”
“Non devi scusarti. In fondo hai combattuto contro l’allenatore più forte di Adamanta, no?”
“Si...”
“Come mai perdi? Cosa ha lui che non hai tu? Cosa ti manca rispetto a lui?”
E quella domanda, che inoltre si stava ponendo da giorni infiniti, gli stava trapanando lo sterno. Ancora un po’ ed avrebbe finito per distruggere tutto.
“Non lo so...”
Ed era vero. Non lo sapeva. Cioè, aveva solo dei Pokémon, niente di che, e per altro non erano più forti dei suoi.
Feraligatr, per non parlare di Gallade e Flygon, ma anche Bisharp. Il suo team era forte, allenato, e ben concentrato, ma ad ogni battaglia aveva dovuto deporre le armi.
C’era un piccolo dettaglio, che era il legame che Zack aveva con i suoi Pokémon. Loro avevano viaggiato assieme, avevano vissuto tante avventure, ed avevano lottato contro le avversità.
Per Ryan, oltre a Gallade e Flygon, al secolo un Trapinch, i suoi Pokémon erano tutti nuovi. E questo non aiutava a crescere il legame, né tra di loro come Pokémon, né tra loro e l’allenatore.
Zack aveva probabilmente catturato tutti i suoi Pokémon tanto tempo addietro, e probabilmente li aveva fatti anche evolvere.
Era difficile riuscire ad instaurare un legame più forte di quello.
“Ti servono Pokémon più forti?” chiese con delicatezza innaturale Lionell, che fece alzare velocemente la testa al ragazzo.
“Beh... io ho quattro Pokémon... per completare la squadra me ne servirebbero altri due”
“Dimmi cosa ti serve e vedrò di fartelo avere, allora... l’importante è che mi riporti mia figlia”
“Beh... avrei bisogno di un Pokémon alto, molto alto. E di un tipo elettrico”
“Ne parlerò con Marianne”
Ryan si mostrò riconoscente a quella generosità.
“Allora? Spiegami un po’ cos’è successo” Lionell si sistemò meglio sulla sedia.
“Beh... eravamo arrivati sulla cima del Monte Trave. Nevicava molto. E Zackary Recket e Rachel erano assieme ad un’altra ragazza, una biondina. Hanno cercato di evocare Arceus”
“Hanno evocato Arceus?!”
“Sì... no... loro credono che quella ragazza sia il tramite per Arceus”
“Ah... credono questo?”
“Si”
“...va bene. Ora vai. Chiederò per quei Pokémon che vuoi”
“Ti ringrazio, Lionell”
“Ciao”
Ryan si alzò ed uscì da quell’ufficio, rimanendo quel misterioso uomo a rosolare nella sua aura oscura.
 
Il giorno seguente la sorprese ancora addormentata, senza sacco a pelo e rannicchiata vicino al corpo possente di Wizard. Pupitar aveva vegliato sul suo sonno finché le forze lo avevano sostenuto e poi a sua volta si era abbandonato all’incanto di Morfeo. Il calore della grotta le aveva permesso di resistere al clima invernale e quando pian piano iniziò a svegliarsi si rese conto di avere le gambe appena infreddolite.
I primi istanti li impiegò per capire dove fosse. Un mal di testa incredibile stringeva una morsa sui suoi pensieri e le lacrime seccatesi nella notte le avevano arrossato gli occhi. Si guardò intorno, cercando di ricordare cosa fosse successo la sera precedente e come mai fosse sola.
Poi ricordò.
Strinse i denti, soffocando l’istinto di piangere che la stava per assalire, e si alzò in fretta. Wizard e Pupitar, svegliatisi di soprassalto la fissarono allarmati. Rachel si girò verso di loro, le bastò guardare le loro espressioni per capire quello che doveva avergli fatto passare. Si abbassò nuovamente, abbracciandoli.
“Grazie. Vi ringrazio davvero. Scusatemi” il suo tono era stanco, ma sincero. I due Pokémon le si strinsero vicino, restando per qualche istante tutti e tre uniti.
Rachel sentiva il calore del corpo di Zebstrika e il freddo della corazza di Pupitar contro il suo petto. Erano tutto ciò che le era rimasto. I suoi Pokémon erano gli unici che non le avevano voltato le spalle, fino ad allora.
“Siamo insieme da davvero poco tempo, ma grazie, grazie di cuore”
Si staccò dai due, guardandoli poi negli occhi.
Probabilmente è vero, aveva fatto delle scelte sbagliate, aveva tentennato e forse aveva riposto la sua fiducia nelle persone sbagliate. Ma non tutto ciò che quel viaggio aveva portato era stato un errore. Se non si fosse mossa non avrebbe mai trovato dei Pokémon come loro, disposti a combattere per lei e disposti a proteggerla contro tutto e tutti.
Non c’era niente da rinnegare in ciò che aveva fatto.
Si alzò di nuovo, stavolta più lentamente e guardò Wizard negli occhi.
“Te la senti di fare un’altra cavalcata?”
Il Pokémon annuì, e quindi si rimisero in marcia.
Il freddo pungente della giornata la rendeva partecipe della natura selvaggia che stava attraversando.
Per evitare di poter incontrare Zack o di essere nuovamente rintracciata da Ryan, aveva deciso di muoversi al di fuori delle grandi città, passando per piccoli paesini, prove tangibili di quel periodo in cui la regione era ancora divisa in feudi. Non aveva una destinazione precisa e vagava, così come facevano i suoi pensieri.
Stava scappando di nuovo da tutti, ma poco a poco quell’idea la spaventava sempre meno. Avrebbe trovato una soluzione.
Intanto però doveva allontanarsi da tutti i posti in cui era stata e dove qualcuno poteva riconoscerla. E doveva farlo in fretta.
Era abbastanza sicura che Zack avrebbe fatto rapporto ad Alma, ora che Ryan non li inseguiva più. Mia non riusciva ad entrare in contatto con Arceus e dovevano capirne il motivo, quindi si sarebbero di nuovo rivolti ad un esperto.
Che fosse Fuji o chicchessia per lei non aveva importanza. Col destino del mondo in bilico non avrebbero certo perso tempo a cercarla.
“Ti getteranno via non appena avranno ciò che cercano, ossia il cristallo e la persona per utilizzarlo, puoi starne certa”
Scacciò con rabbia le parole che Ryan le aveva detto quel giorno, quando lo avevo rincontrato per la prima volta. Non poteva fidarsi nemmeno di lui.
Nonostante tutte le parole pronunciate da Ryan finora avevano trovato un lieve fondo di verità nei fatti, c’era qualcosa in lui che la disturbava. Quello sguardo, quell’atteggiamento. C’era qualcosa in lui che adesso la spaventava. Ma non riusciva in ogni caso ad ignorare le parole che le aveva detto.
“Ho trovato la tua famiglia”
Era vero? E se sì, dove? Come?
Cercava di liberarsi di quelle parole, ma erano un tarlo fisso.
In più c’era un altro tarlo che le rodeva la mente. Chi diavolo era Emily White? Zack si era rifiutato di rispondere alle domande e avevano iniziato a combattere subito dopo. Non aveva avuto il tempo di chiedere. Di sapere.
Continuava a spronare Wizard, nel tentativo di mettere quanta più strada possibile fra lei ed i suoi pensieri.
Senza riuscirvi davvero del tutto, ma trovando sollievo nel paesaggio che la circondava. Gli alberi le sfrecciavano accanto, spogli e carichi di neve. Il cielo era di un azzurro pallido, poco più intenso del colore dei suoi occhi. E la neve era bianca e abbagliante.
Stranamente non si sentiva fuori posto. Non si sentiva soffocare. Forse bastava solo questo, non pensare al passato, concentrarsi sull’attimo e smettere di affannarsi su domande che non potevano comunque trovare risposta.
“Tempo al tempo” bisbigliò.
Non poteva continuare a pressarsi così, doveva mettere in pausa la sua mente e ricominciare a respirare.
Distrarsi.
Poi con uno stato d’animo più sereno sarebbe tornata a riflettere sui suoi problemi.
Se lo doveva. Prese in mano la Poké Ball di Zorua. All’interno il suo Pokémon riposava placido. Voleva proteggerlo. Proteggere lui e il resto dei suoi Pokémon. Da se stessa, dagli avversari, dal futuro. E da quella maledetta profezia, indipendentemente dal fatto che fosse vera o meno.
 
Ryan aveva finito gli allenamenti fisici, ed era tornato nella sua stanza. Entrò in bagno, mentre Gallade fluttuava dormiente a mezz’aria.
Tensione e stanchezza. La testa gli stava scoppiando.
La maglietta sudata volò via. L’avrebbe alzata dopo. Si fermò davanti allo specchio, mentre si guardava meglio.
I capelli biondi, arruffati, scarmigliati, scombinati, spettinati, sudati e chi più ne ha più ne metta avevano bisogno di una leggera sfoltita: stavano crescendo.
Mise una mano tra quei fili dorati, e li spostò tutti sulla destra, mostrando l’occhio sinistro.
Rosso.
Si era sempre chiesto come mai i suoi occhi fossero rossi, e sua padre ebbe la costanza ogni volta di rispondergli “genetica” senza spiegargli effettivamente cosa essa fosse.
Poi studiò, e guardò diverse foto. Sua madre aveva questo strano colore d’occhi.
Ed aveva dei capelli lunghi, molto gradevoli. Profumavano. Ricordava quando affondava il naso nei suoi capelli, e si addormentava.
Era piccolo, sua madre lo teneva in braccio e gli cantava quella tenera ninna nanna.
Abbassò lo sguardo al suo fisico. Una fitta schiera di addominali era ben ordinata sotto i pettorali sodi. L’allenamento aveva dato i suoi frutti, le sue braccia e le sue gambe si erano rinforzate, come ogni suo muscolo del resto.
Sentiva la necessità di lavarsi. Slacciò la cintura, e lasciò cadere pantaloni e boxer, rimanendo completamente nudo.
Aprì l’acqua, necessitava di calore, perché dopotutto era quasi Natale, e subito dalla doccia cominciò ad uscire parecchio vapore.
Tornò allo specchio, aspettando che il getto della doccia raggiungesse la giusta temperatura, e si fissò meglio.
Era decisamente cambiato. Da quel gracile ragazzo che era, ora era diventato muscoloso, ben piazzato.
“Barba...” disse tra sé e sé. Non si radeva da quattro giorni, e sottili spilli cominciavano ad uscire dal suo volto. Prese una lametta usa e getta, e senza utilizzare la schiuma grattò via quel principio di barba. Stava per mettere il dopobarba quando poi il rumore del getto d’acqua nello doccia lo persuase: lo avrebbe fatto dopo.
Lentamente mosse ossa e muscoli fino alla cabina doccia, e vi entrò, lasciandosi possedere dal calore dell’acqua. Ci voleva proprio. Quella accarezzava le sue linee dure, mentre nuvole di vapore si levavano verso il soffitto.
Abbassò la testa, l’acqua ci picchiava sopra. Ryan aveva voglia che quel getto lavasse tutti i suoi cattivi pensieri.
Dov’era? Che stava facendo lì?
Non sapeva nemmeno il motivo per cui lui stesse aiutando Lionell, quando poteva benissimo fare tutto da solo.
L’acqua scivolava generosa verso il suo petto, carezzava gli addominali e terminava cadendo lungo le gambe.
Forse non era poi così vero che poteva fare tutto da solo. Lionell gli aveva messo a disposizione persone, mezzi, Pokémon per riuscire ad eccellere in quella missione, e l’esito era sempre stato negativo.
Si stava convincendo che Zackary Recket avesse vinto Rachel, anche se lei era fuggita da entrambi.
Lei preferiva stare con Zack.
Lei non voleva più avere nulla a che fare con lui.
Fu quello il momento in cui le lacrime si mischiarono all’acqua della doccia, che purificava le sue carni, donandogli un po’ di caldo sollievo dalle spade dell’inverno.
Le lacrime erano solo il primo passo.
Si scoprì letteralmente a piangere, poggiato con la testa contro il muro, e le mani su, a proteggerla, ad evitare l’acqua, quel getto che voleva cancellare tutto e che irrimediabilmente portava nello scarico tutte le frustrazioni che stava piangendo.
Il vapore continuava ad aumentare.
Chiuse gli occhi, li riaprì. L’acqua creava un caleidoscopio di colori davanti il suo sguardo. Le mani riportarono tutto all’ordine iniziale, quando vide la porta della doccia aprirsi.
“Rachel...”
Quella sorrise, mentre il vapore la copriva quasi integralmente. La sua caviglia nuda si posò sul piatto della doccia, e le sue mani cercavano appoggio sulle braccia muscolose del ragazzo per non scivolare.
“Rachel... che ci fai qui?”
“Ryan”
Era nuda, ma poco gli importava. Ryan la portò sotto il getto con sé per poi stringerla. Sentiva i seni della ragazza compressi sul suo petto.
La cosa stava diventando un tantino strana.
In fondo Ryan sapeva che Rachel non fosse davvero sua sorella, ma comunque gli faceva strano trovarsela nuda davanti.
“Non lasciarmi” fece sinuosa e sensuale la ragazza.
“Come?”
“Non lasciarmi andare”
La ragazza aveva i capelli bagnati, legati sulla testa, e guardava in alto, in corrispondenza delle labbra di Ryan. Non si era mai reso conto di quanto quella fosse femminile. Di quanta carica erotica fosse piena la sua voce.
“Rachel...” qualcosa lo frenava. Lei non era lì, e lui lo sapeva. Quel corpo, quella voce, il suo odore, tutto quello non era reale.
Eppure sentiva i suoi occhi bruciargli la pelle, e le sue mani arpionargli le carni.
Alla fine, se la follia lo stava prendendo davvero, che male c’era nel farsi soggiogare in quel modo?
Avvicinò le labbra, lentamente, e partì un conto alla rovescia mentale prima che le sue labbra toccassero quelle della bella moretta.
Poi successe, e la strinse, facendola sua con un abbraccio.
“Ryan...” disse lei, una volta chiuso quel legame. Ancora una fastidiosa goccia davanti l’occhio, ancora un caleidoscopio di colori, e quando fece per pulirsi gli occhi, davanti Ryan aveva solo vapore.
Quello aguzzò la vista. La cabina era chiusa, l’acqua entrava normalmente nello scarico ed il vapore si era attaccato alle porta della doccia.
Lei non era lì.
“No!” urlò Ryan, battendo il pugno contro il muro, con forza.
Rachel non c’era. Rachel viveva un’altra vita, nella sua testa, dove giocava un ruolo che in realtà non avrebbe mai potuto giocare, in una commedia alla quale non si sarebbe mai presentata a fare il provino.
Eppure sentiva ancora le sue mani ancorate alle sue braccia, al suo petto, al suo collo.
Sentiva il suo profumo.
Il suo sapore sulle labbra.
Ryan chiuse l’acqua, grondante, ed uscì dalla cabina, asciugandosi con un asciugamano, avvolgendoselo successivamente attorno alla vita.
Infilò le ciabatte ed entrò nella stanza. Gallade era in piedi, e fissava Ryan con attenzione. Aveva captato le sue sensazioni, e non riusciva ad esprimere un giudizio.
Rachel era sua sorella.
No, non lo era. Ma avevano fatto finta che lo fosse per tanti anni.
Il gioco era durato per troppo tempo, tanto è vero che in quella recita ognuno si era adeguato al proprio personaggio.
Ryan diede un colpo di spugna a quella situazione, e si stese sul letto, aspettando che il sole di mezzogiorno gli asciugasse i capelli.
Davanti agli occhi riviveva confuso quelle scene, senza sapere se gli piacessero o se gli facessero ribrezzo, e proprio quando quella bellissima Rachel lo stava baciando, qualcuno bussò alla porta.
Senza neanche rispondere, Ryan si alzò, ed aprì la porta, con il torace nudo ed un asciugamano a dividere le sue intimità dal mondo esterno.
“Ryan... ti stavi lavando?” Marianne era lì. Non aveva la divisa, e gli faceva strano.
Non aveva mai notato avesse un seno così grande.
“No, sono appena uscito dalla doccia”
“Oh, allora ok”
“Entra”
Marianne indossava un maglioncino a collo alto ed un jeans, sopra ad un paio di sneakers.
“Come mai non hai la divisa?” chiese Ryan.
“Sto uscendo dall’Omega Center. Sto raggiungendo casa dei miei”
“Oh, mi fa piacere”
“Si, Lionell mi ha concesso un pomeriggio di permesso, devo andare a trovare mia madre. Intanto mi ha detto di darti queste”
Dalle tasche tirò fuori due Poké Ball.
“Uno è un Manectric... credo tu conosca il Pokémon”
“Certo” rispose Ryan, guardando le sfere, e poi le mani ben curate di Marianne.
“L’altro è un Tyranitar. Il Pokémon alto che hai richiesto”
Il pensiero di Ryan si proiettò al Pupitar di Rachel.
“Ti ringrazio, Marianne”
“Figurati... anzi... dovresti coprirti. Capisco che vuoi fare colpo sulle reclute mostrando il fisicaccio, ma non puoi permetterti di ammalarti. Dobbiamo cercare tua sorella”
“Non è mia sorella” rispose cupo lui.
Marianne distolse per un momento lo sguardo dallo sguardo sanguigno del ragazzo, perdendosi in quella griglia di addominali. Poi scosse il capo, lo salutò con un bacio sulla guancia e se ne andò sculettando.
 
Rachel era esausta ed era quasi sera quando arrivò a Solarea. Era andata quanto più a nord gli zoccoli di Wizard le permettessero di andare.
La silenziosa città era immersa in una luce dorata che dal Golfo Libero si spandeva per le colline innevate. Attorno a lei tutto era dorato e abbagliante. Un mondo che si sfumava in innumerevoli colori, ombre, illusioni e giochi di luce. Si avviò in città a piedi, permettendo al suo Pokémon esausto di riposare. Avrebbe evitato il centro medico. Non le dava sicurezza e in più non c’era motivo per soggiornarvi. Aveva qualche spiccio ed era in grado di pagarsi una pensione per la notte. Niente sacco a pelo o scomodità che non avrebbero causato altro che pensieri infausti nella sua mente. Passeggiava per le vie di quel posto sconosciuto, riprendendo le sue vecchie abitudini e lasciando uscire Zorua e Litwick dalle sfere.
Il piccolo Pokémon Candela le volteggiava attorno, giocando con i riflessi dell’acqua che affiancava il lungomare della città.
Era tutto così rilassante. Si sedette su una panchina. Non aveva mangiato nulla dal pranzo precedente, ma non aveva appetito. Sospirò, accarezzando ritmicamente il pelo di Zorua. Dopodiché, con una calma esasperante si rialzò, iniziando a cercarsi un alloggio per la nottata e un posto dove mangiare.
La mattina dopo avrebbe riflettuto nuovamente sul suo piano d’azione, ma per quella giornata poteva bastare.

 

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Capitolo 36
*** Capitolo Tredicesimo: Vapore 2°Parte ***


Vapore - Pt. 2


Il sole di quel mattino splendeva pallido su Solarea. Rachel si svegliò, salutando Zorua e Litwick, mentre la luce debole di dicembre baciava la sua carnagione candida.
Si alzò, e si levò il pigiama, decidendo di meritarsi una bella doccia. Si spogliò, aprendo l’acqua, e legò i capelli sulla testa.
Un brivido le attraversò il corpo nella sua intera quanto poca lunghezza, il freddo pungeva come tanti piccoli spilli.
Gli occhi azzurri riflettevano ansia e paura dallo specchio, mentre fissavano i riccioli che aveva vicino al collo. Le ricordavano l’infanzia, in qualche strano modo.
Pronunciò le labbra, screpolate dal freddo, notando quanto piccolo fosse il suo viso. Il naso, soprattutto, era davvero minuscolo.
Se avesse dovuto salvare qualcosa di quel volto erano le sopracciglia. Perfette ali di gabbiano, e rideva a pensarci.
Poi entrò nella doccia, godendo del caldo piacere che le scivolava sulla pelle.
Il rimorso di aver abbandonato il progetto per salvare miliardi di persone la perseguitò per un po’, giusto il tempo di insaponarsi. In fondo credeva nelle capacità di Zack, e sapeva che, nella remota possibilità quella profezia fosse risultata veritiera, lui avrebbe fatto il massimo, fino al compimento della missione.
Sospirò. Nonostante ce l’avesse a morte con lui, doveva ammettere che con i Pokémon era un mago.
La doccia finì, si asciugò ed uscì, rivestendosi.
Zorua era acciambellato sul cuscino, cercando di reperire quanto più calore possibile dal letto di Rachel. Litwick invece la vide e le si gettò addosso. Le regalò un sorriso.
Si avvicinò alla finestra, e si accorse con piacere che la neve non scendeva.
E fu allora che le venne quella malsana idea. Doveva lasciare Adamanta. Andare via. Magari a Sinnoh, o a Unima. Zack e Ryan l’avrebbero persa di vista, e lei avrebbe potuto incominciare una nuova vita, amando chi voleva, dicendo di essere chi voleva.
Doveva solo tornare a casa sua e farsi una valigia, insomma, qualcosa di più consistente di uno zaino con quattro magliette e due mutande buttate alla meno peggio.
Aveva bisogno di un cambio d’abiti.
“È il momento di andare” sospirò, facendo rientrare i suoi Pokémon nella sfera, e pagando il conto, per poi mettere piede nella piazza principale di Solarea.
Questa era a pochi metri dal porto, quattro panchine attorno ad una statua di Timoteo, con attorno circoli per vecchietti, un bar dalla cattiva nomea ed il circolo del libro di Solarea.
Poco distante dalla piazza c’era il porto. Lì, parecchie navi partivano per varie mete.
Il mare era una tavola celeste, arrabbiata ed impetuosa, e questo un po’ la frenava.
Cioè... non era molto amica del mare. Preferiva camminare piuttosto che nuotare. O volare.
Diciamo che l’avere qualcosa sotto i piedi la calmava.
Si avvicinò al botteghino del porto, dove abitualmente vendevano i biglietti per i traghetti e le navi. C’era un po’ di fila, molti dovevano attraversare semplicemente il Golfo Libero ed andare dall’altra parte, ad Edesea, altri ancora, come Rachel, abbandonare quella regione piena di errori e distrazioni umane.
Arrivò il suo turno. Una prorompente e pettoruta ragazza aveva l’occhio poco lucido, ed aspettava che Rachel dicesse ciò di cui avesse bisogno.
“Voglio partire”
“Dove vuole andare?” la voce era calma, quasi dormiente.
“Lontano. Un biglietto di sola andata per il posto più lontano che avete dove porta?”
“Groenlandia”
Rachel spalancò gli occhi. Già aveva abbastanza freddo così.
“Ehm... troppo lontano”
“Unima ti piace?”
“C’è di meglio, ma mi accontento”
“Quando deve partire?”
Rachel rifletté. Timea non era poi così distante, ed in groppa a Wizard non ci avrebbe messo più di un giorno. “Domani?”
“Perfetto. Il pagamento è anticipato, ed il biglietto è di sola andata... la MN Oceana partirà domani alle nove del mattino al molo quarantatre”
“Il viaggio quanto dura?”
“Quattro giorni. Unima è lontana”
“Immagino. Ok, grazie” Rachel pagò, e mise il biglietto nello zaino, in un posto sicuro, dove era sicura di non poterlo perdere.
Poi sospirò. Pestava gli ultimi passi sul suolo di Adamanta, e nonostante sapesse di dover rimanere lì, e lottare per il bene dell’umanità e di tutte le altre creature, voleva andare via. Adamanta era troppo piccola, l’avrebbero rintracciata subito.
Si guardò attorno, mentre capì di essere terribilmente affamata. Entrò nel bar, sorridendo a forza al barista. In quella città tutti sembravano essere stanchi e sfatti, come se il tempo li avesse logorati. Prese un paio di tramezzini, accorgendosi che aveva finito ufficialmente gli ultimi spiccioli rimasti. Non gli rimaneva null’altro che quello che aveva addosso in quel momento.
E non valeva molto.
Mangiò subito un tramezzino, tenendone un altro per il viaggio. A Primaluce, una volta tornata a casa, avrebbe chiesto la gentilezza a Jacob, il ragazzo del supermercato, di lasciargli prendere delle provviste.
“Dirò che passerà Ryan a pagarle” sorrise malignamente lei. Nonostante fosse buona di natura, spesso si sorprendeva a pensare di rubare qualcosa che magari aveva davanti agli occhi.
Mise anche il tramezzino in borsa e cominciò ad avviarsi lungo il corso principale di Solarea, per raggiungere velocemente Primaluce. Sulle panchine del lungomare parecchie persone, anziani specialmente, cercavano baci ed attenzioni da un sole poco gentile, che stava sulle sue.
Poi si fermò a guardare il mare.
Era agitato, sì, e le faceva paura. Ma diamine quanto era bello e romantico.
Tutto andava avanti, e poi tornava indietro, mentre a largo le onde si cullavano tra di loro, accelerando nel momento opportuno, per poi infrangersi contro le mura dei moli del porto e contro le chiglie delle navi.
Il vento, ricco di aria salubre, portava al naso odori speciali, che chi viveva lì stentava a riconoscere, ormai assuefatto da quello e dalla brezza, che le spettinava i capelli. Il giubbino le si strinse addosso, e qualche goccia di mare le baciò il viso.
Proprio alle sue spalle c’erano antichi palazzi.
“Deve essere fantastico vivere qui...” disse tra sé e sé, quando poi vide quelle costruzioni disintegrarsi lentamente dal basso, ed infrangersi come bicchieri di plastica schiacciati con la mano.
Le urla della gente, tra feriti e semplici impauriti, riuscirono per un momento a coprire il sussurro del mare, che intanto si infrangeva sempre più violento contro le navi.
La marea cominciava ad alzarsi.
Un altro terremoto.
Pareva che Arceus, Groudon o qualunque cosa provocasse quei terremoti la stesse perseguitando. Il suo primo impulso fu quello di mettersi sul dorso di Zebstrika ed allontanarsi celermente da lì, facendo finta che nulla fosse successo.
Poi ragionò velocemente.
L’indomani, con la città in quelle condizioni, la MN Oceana sarebbe potuta partire?
Sospirò, cercandola tra i moli. Non la vedeva.
“Allora partirà. Non c’è, e non avrà subito danni”
Il mare cominciava ad accorciarsi, a ritirarsi, e parecchi Krabby e Magikarp comparvero sul fondale ricco di conchiglie e qualche Clamperl.
Stava per mettere mano alla Poké Ball di Zebstrika, quando poi la sua coscienza gli mise una mano sulla spalla.
Stava per abbandonare quelle povere persone in difficoltà, e la maggior parte di loro erano tutti anziani.
Doveva aiutarli. Almeno accertarsi che non ci fosse nessuno tra le macerie.
Sospirò, arrabbiata con sé stessa dopo essersi resa conto di essere troppo puntigliosa su quelle cose, e corse verso le macerie.
“Pokémon! Aiutatemi!” urlò Rachel, facendo uscire Zebstrika, Pupitar, Zorua e Litwick. Anche se non potevano fare granché, ogni aiuto in quel momento poteva risultare essenziale per la vita di qualche povero sventurato sotto qualche pezzo di pilastro o fila di mattoni e cemento.
Rachel si gettò a capofitto in quel caos di fumo, acqua e mattoni, prendendo a scavare a mani nude.
Cercava di sentire le voci di aiuto di qualcuno che cercasse soccorso, ma il mormorio del mare e quello meno nascosto della gente impaurita tutta attorno a sé la distraeva, e cercava quindi di farsi spazio tra le macerie a mani nude, molto lentamente.
“Così non ci riuscirai mai” la disturbò una voce femminile.
“Almeno ci sto provando” Rachel rispose sgarbatamente, fermandosi e girandosi.
Una ragazza magra, dal fisico atletico e dai capelli castani, mossi, con qualche colpo di sole qua e là, sostava in piedi. Aveva in mano un elastico per capelli, probabilmente prima che il terremoto colpisse si stava sistemando la coda.
Indossava una tuta nera, di quelle strette per fare jogging, scarpe bianche per il medesimo uso ed un top bianco. Con quel freddo.
Era straordinariamente bella. E forse un po’ incosciente.
“Calmati...” fece tranquilla quella, aprendo il borsello che aveva a tracollo. Ne prese alcune sfere, e le lanciò.
Apparvero quattro Pokémon massicci e possenti. Un Rhydon, un Seismitoad, un Exploud ed un Electivire prendevano con forza i pezzi di calcinacci e cemento persi alla rinfusa sul lungomare della città.
“Aiuto!” sentì Rachel. Proveniva da sotto le macerie. Si allarmò, e corse a scavare, mentre le sue mani chiedevano pietà. Anche la bella ragazza sprezzante della temperatura la raggiunse, ed insieme presero a scavare e tirarono fuori un uomo ferito, con la testa sanguinante in vari punti ed il naso rotto, oltre ad altre dozzine di fratture.
Pochi minuti dopo i soccorsi stavano accorrendo con pale e picconi, mentre ambulanze e pompieri avevano riempito la zona. Rachel sospirò, aveva fatto il suo dovere, e fece entrare nelle sfere i suoi Pokémon.
Fece per andarsene quando una mano le strinse la spalla.
“Hey...”
Era ancora la ragazza.
“Ah... sei tu. Che c’è?”
“Volevo presentarmi... mi chiamo Milla”
“Milla? Mi sembra di averti già vista, sai?”
“Sono una capopalestra, infatti. Volevo ringraziarti per il tuo aiuto... questi terremoti sono terribili”
“Un momento... tu sei Milla, la capopalestra di Miracielo... che ci fai qui a Solarea?”
“Ero qui di passaggio... stavo correndo”
“Mica avrai cominciato a correre da Miracielo?!”. Non erano propriamente vicine.
“No, tranquilla” sorrise lei.
Questo spiegava molte cose. Milla era una maestra della concentrazione, e niente poteva scalfire il suo autocontrollo. Nemmeno il freddo o la stanchezza.
“Fortuna che mi trovavo a passare qui...” sorrise la giovane. Rachel le sorrise, chiedendosi perché la bellezza non fosse stata equamente distribuita a tutti.
“Mi sa che non abbiamo ancora finito...” la voce rude e forte di un uomo interrusse i pensieri di Rachel.
Milla e Rachel si girarono, vedendo uomo, sulla cinquantina, con le mani nelle tasche.
“Ah... Rupert...” Milla sembrava lo conoscesse. “Sei accorso inutilmente. Fortunatamente ero io qui”
“No, Milla... non abbiamo finito, te lo ripeto”
Rachel fissava quell’uomo, rimanendone affascinata. Nonostante fosse di molto più grande di lei, trovava fosse davvero bello. I capelli bianchi, pettinati ed ordinati sulla testa, erano dello stesso colore della barba, ispida, sul suo volto. Una polo a stento riusciva a contenere il fisico allenato di quello, e Rachel rimase a fissare per più di dieci secondi gli ampi bicipiti di quello.
“Che succede, Rupert?”
“Succede che il mare si è ritirato”
“Si è ritirato... bassa marea, no?” Milla osservava la spiaggia ed i Pokémon sul bagnasciuga, ora più vasto che mai.
“No. Almeno non dopo un terremoto. L’acqua si è ritirata”
“Si è ritirata?” domandò Rachel.
“Si... l’epicentro del terremoto è stato individuato a pochi chilometri dalle rive di Edesea”
“...è un maremoto?” chiese ancora, la giovane.
Milla annuì. “L’acqua si è ritirata per poi ritornare. Solarea sarà colpita da un’onda gigantesca”
Rupert guardava il volto contrito di Rachel, quindi sorrise.
“Non ti spaventare, ragazzina... è per questo che l’Associazione della Lega Pokémon ha voluto che i capipalestra intervenissero”
E nonostante questo la tensione continuava a salire. Non avrebbe mai fatto in tempo ad allontanarsi da Solarea senza essere maciullata da ciò che le onde avrebbero trascinato nella loro cavalcata.
Milla si voltò di scatto. “Eh?!”
“Si. Non ti è arrivato il messaggio?”
“Io veramente mi trovavo qui per combinazione”
Rachel stava connettendo lentamente tutte le giunture di quel discorso. “...quindi, Milla è la capopalestra di Miracielo... e tu? Anche tu sei un capopalestra?”
Rupert la guardò, con i suoi occhi azzurri, e le sorrise, facendola sciogliere.
“Si, angelo. Sono il capopalestra di Edesea”
“Oh... bella città” fece lei, con gli occhi a cuoricino.
“Non è il momento per le adulazioni, Rachel... dobbiamo prepararci” fece Milla.
“Dobbiamo?! Ma sei impazzita?!”
“Non è difficile. Hai dei Pokémon e tanta forza di volontà”
Rachel guardava Milla confusa. Quella si spiegò.
“Ti ho visto che stavi per andare via. Invece sei tornata, ed hai fatto ciò che era giusto. Tu sei buona. Non puoi abbandonare Solarea in questo momento”
Le parole della ragazza la toccarono nel profondo. Allora Rachel sorrise leggermente, ed annuì. “Ok. Lo faccio”
Rupert sorrise, e le fece un piccolo applauso, cosa che lenì di poco quel macigno che stava crescendo nel suo stomaco.
Milla si avvicinò all’uomo, e guardò il mare. In lontananza non riuscivano ancora a scorgere nulla.
“Chi altro verrà?” chiese seria.
“Robbie non c’è. La sua palestra è chiusa da mesi. Rimane Trevor. Ah, e tua sorella Stella”
“Figurati se si degnerà di presentarsi...”
“Penso che non sia nemmeno qui ad Adamanta”
“Che capipalestra incoscienti... non riescono a fare un lavoro così semplice”
“Ovvero?”
“Stare seduti ed aspettare qualcuno che venga a sfidarli”
Rupert sorrise, mentre guardava Rachel che quasi tremava.
“Ragazza... ho detto che puoi stare calma”
“Non aver paura” aggiunse Milla.
“Sei con noi. Non preoccuparti di nulla. Inoltre ai capipalestra interessa di preservare il territorio di...” il telefono squillò, interrompendo Rupert. Quello lo prese e rispose.
“Pronto...”
Milla guardava l’orizzonte sospirando. Il sole era stato improvvisamente coperto dalle nuvole, ed il vento cominciò a salire velocemente. I capelli assecondarono tutti il soffio di quello, mentre lo sguardo gli andava incontro, lottandoci.
“Cosa... cos’è quello?” chiese Rachel, confusa, vedendo una sagoma scura nel cielo avvicinarsi sempre di più.
Rupert  attaccò al telefono. “Era Trevor... dice che si trova ad Hoenn. Ha parlato con Stella, brevemente, ed anche lei sembra essere lì”
“Uhm... siamo solo noi tre?” chiese Milla.
“A quanto pare”
Ed intanto il vento aumentò vorticosamente, fino a che la sagoma nera nel cielo fu ben distinguibile.
“È un... Pidgeot” disse Rachel, confusa.
“Oh... c’è Kendrick” sorrise Milla.
“E chi è?”
"È uno dei Superquattro, Rachel” rispose Rupert.
Il Pidgeot sbatteva più velocemente le ali quanto più arrivava verso il terreno, alzando parecchia polvere. Il tipo aveva una maschera nera, tutt’un pezzo, ed i capelli a spazzola. Scese poi dal Pokémon dalle lunghe piume gialle con un balzo veloce.
Rachel lo fissò meglio. Era elegantissimo.
Aveva un lungo soprabito nero, caldo, ed un paio di scarpe dello stesso colore, laccate.
“Ciao Kendrick” fece Rupert.
Quello fece un cenno con la testa, quindi guardarono tutti dritti verso la spiaggia.
Il mare si stava avvicinando.

 

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Capitolo 37
*** Capitolo Quattordicesimo: Climax ***


Climax - Pt. 1


Il muro d’acqua camminava veloce e potente sulla superficie del mare, avvicinandosi sempre di più alla costa della città di Solarea.
Rachel lo fissava attonita. Non aveva mai visto uno spettacolo simile se non in alcuni di quei film catastrofici che davano il venerdì in tv. Non si era resa conto di star nuovamente tremando. Fissava le schiene di Milla, Rupert e di quel misterioso uomo mascherato senza riuscire a trovarvi conforto.
Tuttavia non era quello il momento adatto per bloccarsi. Si morse il labbro, sentendo dopo qualche istante il sapore metallico del sangue. Aveva liberato tutti i suoi Pokémon, ma sapeva che nessuno di loro era davvero adatto.
“Come...” si bloccò, cercando di deglutire, e poi riprese “Come possiamo bloccare un’onda simile?”
La sua mente lavorava nel tentativo di pensare ad una soluzione in cui anche lei potesse far qualcosa. Invano.
Le spalle di Kendrick sussultarono leggermente.
“Hey, non mi sembra il caso di ridere così della ragazza. È inesperta.” Lo apostrofò gioviale Rupert.
‘Era una... risata?’ Rachel lo guardò perplessa.
“Kendrick non parla” le spiegò Milla, telegrafica.
Rachel annuì, lasciandosi sfuggire un “oh” di sorpresa e fissando il dandy in nero col malcelata curiosità.
“Non gli va di parlare, non è che muto. E non è sordo, tienilo a mente. Sente davvero tutto” Rupert glielo sussurrò con tono ilare, alzando il tono nell’ultima frase.
Rachel trovava tutto ciò... surreale.
Nonostante la situazione fosse critica quei tre sembravano mantenere un tono abbastanza tranquillo e Rupert si permetteva addirittura di scherzare.
Quelli nel frattempo si scambiavano sguardi e qualche commento, dopodiché Kendrick che aveva solo annuito un paio di volte salì nuovamente in groppa al suo Pidgeot, dirigendosi verso l’onda.
“Che cosa vuole fare?” Rachel sembrò volergli correre dietro, ma fu trattenuta da Milla.
“Lui disturberà l’onda con i venti, noi dobbiamo occuparci delle correnti marine e di proteggere la costa. Diamoci tutti da fare”
La ragazza piantò i suoi occhi in quelli di Rachel, che piano a piano si calmò.
“Ho capito” le rispose. “Ditemi cosa posso fare”
“Questi sono tutti i Pokémon che hai?” si intromise Rupert. I suoi occhi gentili fissavano i Pokémon della giovane, cercando di valutarne capacità e potenza. Rachel gli annuì di rimando, osservando Kendrick tirar fuori un Tropius e un Crobat, che iniziarono a loro volta a creare dei piccoli tornado in alcuni punti della baia.
Il capopalestra d’acqua si grattò la testa, pensoso.
“Okay, pendi questo” si decise alla fine. “Non posso controllare alla perfezione tutti i miei Pokémon contemporaneamente, quindi del mio Carracosta dovrai occupartene tu, per questa missione. Prendi il tuo Zebstrika e raggiungi la zona al limite del molo, da lì la vista è migliore. Una volta fatto, cerca di fare in modo che Carracosta crei correnti marine contrarie all’onda. Perpendicolari sarebbe l’ideale. Devono congiungersi con i Tornado, chiaro?” Rachel osservò l’Esca Ball. Le sembrava pesante. Sapeva bene che più che il peso fisico era quello psicologico che la rendeva pesante ai suoi occhi.
Accettandola si stava davvero mettendo in gioco. Senza possibilità di ritirata. Pensò a tutto ciò che aveva visto fino ad allora. Il terremoto che l’aveva colta con Zack all’alba della sua fuga, la ruota inclinata di Plamenia e i feriti sotto le macerie visti qualche istante prima.
Annuì all’uomo, e con un fischiò fece avvicinare Zebstrika. Milla l’avvicinò.
“Se permetti nel frattempo io utilizzerò il tuo Pupitar, servono quante più barriere naturali si possano creare per impedire l’avanzata dell’onda, hai qualche problema?”
L’allenatrice scosse la testa e fece un cenno a Pupitar, che diede mostra di aver capito la conversazione e che seguì l’atletica capopalestra verso la parte centrale della costa. Zorua e Litwick salirono anch’essi in groppa a Zebstrika e Rachel si spinse così verso il punto che le era stato indicato.
 
Rupert era rimasto nel luogo iniziale, e aveva chiamato il suo Blastoise. Il possente Pokémon Crostaceo osservava placido il mare. Nemmeno l’impressionante onda in avvicinamento sembrava spaventarlo.
“Eccoci di nuovo, vecchio mio, ancora in pista!”
Rupert fece scrocchiare le mani, preparandosi ad impartire gli ordini ad i suoi Pokémon. Sapeva che non ci sarebbe stata una seconda possibilità e che tutto doveva andare alla perfezione. Chiamò in campo Lanturn e Golduck, scoccando un’occhiata a Rachel, mentre la vedeva raggiungere la sua posizione, controllare la situazione e tirar fuori il Carracosta.
Tornò a concentrarsi sui Pokémon, spiegandogli il piano e lasciando loro qualche istante per assimilarlo. Dopodiché tornò a rivolgere la sua attenzione al muro d’acqua. Sempre più vicino.
“È il momento!”
I Pokémon non avevano bisogno di nessun altro comando. Si diressero verso i punti che il capopalestra gli aveva indicato, avvicinandosi alle trombe d’aria create dai Pokémon volanti.
Il capopalestra era preoccupato. Aveva visto altre onde anomale, nel corso della sua vita, ma quella superava ogni precedente. L’unica strategia che era riuscito ad elaborare, sfruttando al massimo le abilità dei presenti era quella di creare nuove correnti, sia aeree che marine che convogliassero l’onda in altri punti e poi la disperdessero con calma. Milla si sarebbe occupata di creare delle barriere naturali, per proteggere la costa da eventuali residui della potenza dell’onda che si sarebbero abbattuti sulla terra e anche il suo Walrein era lì per quello scopo.
Tuttavia si sentiva inquieto. Non era la ragazzina a preoccuparlo, il suo Carracosta sapeva bene o male già cosa fare e l’aveva comunque spostata in una zona relativamente più sicura. Ma aveva un brutta sensazione su tutta quella faccenda.
Tutti quei casini non erano naturali. Terremoti e maremoti non erano mai capitati prima con quella frequenza. Non nella placida regione di Adamanta, dove persino i Capipalestra facevano così poco da potersi permettere di girovagare senza alcun problema. Sospirò, carezzando la testa del Pokémon Spaccagelo e preparandosi al peggio.
 
Rachel osservava la situazione con un’agitazione crescente. La baia sembrava divisa da una linea formata dai quattro tornado, cui gli attacchi acquatici dei vari Pokémon di Rupert si stavano congiungendo.
Era uno spettacolo mozzafiato.
In breve le colonne d’aria sembravano avere un doppio nel mare. Mulinelli d’acqua creavano una depressione sulla superficie marina,come se vi avessero scavato profonde buche.
Dopo pochi istanti, l’onda vi si infranse.
Nonostante la velocità a cui viaggiava fosse decisamente alta, questa s’infranse contro i muri d’aria e contro le correnti marine. I Pokémon volanti di Mister Kendrick continuavano ad alimentare la potenza dei mulinelli d’aria, che avevano assorbito l’acqua al loro interno. Nel frattempo i mulinelli sottostanti continuavano ad ingrandirsi, ospitando man mano tutta l’acqua che gli s’infrangeva contro.
La ragazza aveva gli occhi sbarrati e si era lasciata cadere a terra. Era davvero questa la potenza di Capipalestra e Superquattro? Com’era possibile che esistessero allenatori e Pokémon simili?
Le onde pian piano si stavano calmando, la potenza dell’onda che era riuscita a sfuggire ai vari mulinelli non faceva altro che contrarsi con i muri di sabbia o ghiaccio che Rupert e Milla ergevano nei vari punti della costa.
Durò tutto meno di quanto credesse. Quando si riscosse dall’agitazione che l’aveva immobilizzata, la situazione si stava calmando. I Pokémon controllavano le correnti in modo da far placare gli attacchi e presto la superficie del mare tornò scossa solo da onde, che per quanto alte erano pressoché innocue.
Carracosta le si riavvicinò, scuotendosi di dosso l’acqua che gli si era accumulata sul guscio. Rachel lo guardò davvero per la prima volta. Era un esemplare gigantesco. Non sapeva quanto dovesse essere grande un esemplare medio, ma quello sembrava toccare i due metri. Una volta che le fu vicino la osservò incuriosito per qualche istante, prima di guardarsi intorno ed individuare il proprio allenatore.
Rachel si rialzò lentamente, osservando la situazione nuovamente sottocontrollo e si rimise in groppa a Zebstrika.
“Ehm... rientra nella tua sfera, ti riporto dal tuo padrone” Rachel lo guardava dubbiosa, nonostante fosse salita in groppa al suo Pokémon poteva quasi guardare la tartaruga negli occhi.
Carracosta annuì lievemente e lei lo richiamò nella sfera.
Si avviò con lentezza verso il centro della città, osservando la distruzione che il terremoto aveva portato.
Solarea era per lo più vuota. Il terrore dell’onda aveva fatto fuggire tutti gli abitanti. Era spaventata. Dai terremoti e dalle persone. Erano fuggiti tutti, abbandonando forse qualcuno sotto le macerie, abbandonando ciò che avevano di caro.
Sentì un brivido percorrerle la schiena. Era davvero così diversa da loro?
Si guardò intorno. Anche lei era scappata. Aveva abbandonato Ryan. Zack e Mia. La missione che aveva accettato.
Era davvero giusto quello che aveva fatto?
Zorua era con lei, sembrava aver intuito lo stato d’animo della ragazza, tant’è che, dal suo aspetto umano, allungò una mano, per carezzarle la testa. Il risultato fu piuttosto impacciato, ma Rachel lo apprezzò.
“Che devo fare?” la sua voce era un sussurro. Era confusa. Troppo.
Mentre era lì, in groppa al suo Pokémon a pensare alla pessima decisione presa, si accorse di essere arrivata al luogo d’incontro.
Milla era già lì, con Pupitar al suo fianco. Rachel smontando gli andò incontro.
“Allora, si è fatto valere?” chiese con aria orgogliosa.
La capopalestra annuì.
“È stato davvero preciso, è un buon Pokémon” esclamò contenta. Era sollevata, glielo si leggeva in viso. Nonostante nessuno l’avesse dato a vedere, era stato uno stress non indifferente anche per loro.
“Chissà cosa diamine sta succedendo... Sembra l’inizio dell’apocalisse” sospirò.
Rachel strinse i pugni d’istinto. “Finirà” disse “Presto finirà”
Più che Milla, Rachel stava cercando di convincere se stessa. Pensava a Zack. Lui era bravo. Ce l’avrebbe fatta. Lo ripeteva dentro di sé, come un mantra, nel tentativo di scacciare il dubbio.
Ma se si trovasse in difficoltà?
Quel pensiero le strisciava dentro. Era preoccupata. Non doveva, ma continuava ad esserlo.
Il ritorno di Rupert e Kendrick.
“Visto ragazze? Ce l’abbiamo fatta!” sembrava che il vociare del capopalestra compensasse anche il silenzio del Superquattro, che si limitò ad annuire, un movimento tanto elegante da risultare visibile solo per il cambio di luce che attraversò la sua maschera. Rachel si chiedeva come fosse realmente il suo viso. E la sua voce.
“Allora, come ti è sembrata la strategia?” chiese il capopalestra a Rachel.
Quella annuì. “È stata una fortuna che foste qui. Da sola... sarei stata persa.” lo disse guardando in basso. Quasi vergognandosi della sua inutilità.
“Nah, sbagli a pensarla così” le rispose Milla. “Hai aiutato anche tu, a salvare le persone dalle macerie, a tenere sotto controllo al situazione” aveva un sorriso caldo in viso.
“Certo” le fece eco il collega “...forse non sei stata indispensabile... ma è sempre meglio avere una riserva pronta!” era tornato ad aleggiare sul gruppo lo spirito ilare che governava l’ambiente prima dell’arrivo dell’onda.
“Solo perché non avevo Pokémon adatti” rispose puntuta Rachel “Se avessi avuto un Pokémon d’acqua mio avrei gestito la situazione anche da sola” scherzò di rimando.
Dentro di sé però lo pensava sul serio. Era colpa della sua debolezza. Di spirito, d’animo e fisica.
“Ma davvero?” sembrò prenderla sul serio il capopalestra. Kendrick scosse la testa, quasi a volerlo invitare a lasciar perdere l’argomento, ma quello non se ne accorse.
“Alla fine hai agito bene, quindi probabilmente hai ragione... Dove ti stavi dirigendo, eh, signorinella?”
Rachel si trovò impreparata per un istante.
“A... A Primaluce, signore.” rispose incuriosita dalla curiosità di quello.
“Come mai? Stai tornando a casa?” continuò incessante Rupert.
Rachel annuì, anche se non era vero. Ci passava solo, per casa. Se voleva partire doveva prendere altri bagagli. Se voleva.
Improvvisamente si sentì vacillare.
“Hmmm... non sembri convinta” la incalzò.
Milla e Kendrick sospirarono all’unisono. Consapevoli del fatto che l’uomo era ormai partito con il suo questionario.
“Non lo sono, infatti. Non del tutto.” titubava.
“Hm. Ragazza, non ti conosco e non ho il diritto di dirti nulla. Non so a cosa stai pensando, ma... Cerca di scegliere qualcosa di cui non ti pentirai in futuro. Sei giovane, ma ogni occasione ci appare davanti una volta sola. Devi scegliere con attenzione” rimase in silenzio per un istante.
“Ti auguro di scegliere il meglio per te.” esitò prima di continuare.
“Portalo con te. Il mio Carracosta, dico” Potresti trovarti nei guai sulla strada per Primaluce. Se un giorno ripasserai per Edesea me lo riporterai. E mi dirai se la scelta che hai fatto è stata quella che ti ha resa più serena.”
Milla lo osservava sbalordita. “Hey, Hey, Hey!” lo interrusse “Cosa diamine significa? Sei un capopalestra, non puoi liberarti dei tuoi Pokémon così!”
Quello la guardava confuso.
“I capipalestra proteggono i cittadini, no? Lei è una cittadina che senza quel Pokémon non sarebbe protetta, quindi è un’azione giusta per il mio ruolo”. E mentre rispondeva, Rupert strizzò l’occhio a Rachel, sorridendo, concludendo poi la conversazione con un gesto impaziente della mano.
“Adesso rimettiamoci al lavoro, non abbiamo tempo da perdere, presto qui tornerà la gente, vediamo di ripulire la città per allora!”
Si stava rimettendo in marcia, ma Rachel li trattenne.
“Io... non posso restare. Se voglio arrivare a casa prima che sia notte, devo muovermi adesso... Grazie. Di tutto”
I tre la guardarono. Kendrick le annuì e Rupert le dette una pacca sulla spalla, abbastanza vistosa da lasciarle un possibile livido. Milla invece le si avvicinò, sistemandole i capelli che la corsa in groppa a Zebstrika le aveva scompigliato.
“Stai attenta. Questo posto non sembra più sicuro... Sii responsabile e bada a te stessa”
Rachel annuì, facendo un passo indietro. Osservò l’Esca Ball di Carracosta, e la mise nel suo zaino, dopodiché risalì in groppa al suo Zebstrika, saluto con un cenno i tre e si avviò.

 

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Capitolo 38
*** Capitolo Quattordicesimo: Climax 2° parte ***


Climax - Pt. 2


E mentre il sole spento cominciava a scendere la lunga scalinata del tramonto, Rachel si ritrovò a camminare lungo un percorso sterrato e fuori mano.
Strinse meglio il cappotto, il freddo non era poco, e si era alzato quel fastidioso vento, quello che quando vedeva il mare soffiava e soffiava e non la finiva più.
Ed il vento, quando il sole non riscaldava, era una pugnalata nelle gambe.
Girò la testa verso sinistra, camminava verso est, poi avrebbe deviato, per raggiungere Primaluce.
Per raggiungere casa.
Casa. Questa parola, da un po’ di tempo, suonava sempre più poetica.
In fondo si chiedeva cosa fossa realmente una casa. E non si limitava all’essenziale, ovvero alle quattro mura ed al tetto.
La casa era qualcosa di diverso.
La casa è un posto in cui ti puoi sentire protetto, libero, dove dopo la scuola, o anche il lavoro, ti levi le scarpe e ti butti sul divano, stanco e fiero di esserlo.
“Sono a casa...”
Parole dette con un attimo di amarezza, certe volte può anche capitare questo. Sì, perché c’è chi senza muoversi, senza viaggiare non può stare. E nonostante tutto, quando tornano, amano godersi le mura amiche e tutti i comfort che contengono.
Essenzialmente, quindi, per Rachel, la casa era un rifugio, che teneva lontano il mondo esterno.
La casa era una roccaforte, un castello. Una tana.
E convenne con sé stessa che in quel momento lei un casa non ce l’aveva.
Eh già, perché non dormiva nello stesso posto da giorni, lunghi e pieni di guai, almeno da quando aveva lasciato casa di Alma, che comunque gli lasciava un senso di inquietudine addosso.
Stava ritornando a casa sua, ma ora che quella casa si era scoperta essere contemporaneamente la sua tana e quella del lupo, non sapeva che fare.
Doveva essere veloce. Dopo quella mattinata non voleva però sforzare di più i suoi Pokémon. Wizard sarebbe rimasto nella sfera, niente trotto quel giorno. Le avrebbe fatto bene un po’ di sana e buona camminata. Il mare era alla sua sinistra, e mormorava sicuramente riguardo quello che era successo.
Le avevano fatto un’impressione esagerata i Pokémon fermi e bloccati sul fondale, senza acqua.
Segnò mentalmente il fatto che, ove ma il mare si ritirasse all’improvviso, doveva scappare.
Onda anomala... Ci mancava anche quella.
Nonostante tutto, però, assieme ai capipalestra ed a quel fortissimo e misterioso componente dei Superquattro, erano riusciti a scongiurare il pericolo.
In più Rupert le aveva dato anche un Carracosta. Quel Pokémon era davvero gagliardo. Si sentiva molto più competitiva ora.
In fondo era il Pokémon di un allenatore fortissimo.
Rupert, Milla e Mr. Kendrick. Avevano sfoderato una forza eccezionale, tanto da contrastare la natura stessa ed i suoi tentativi di riportare tutto alla normalità, di riprendersi ciò che era suo.
Era stato avvilente non poter aiutare più attivamente i tre, ma sembravano essersela cavata egregiamente anche senza il suo apporto.
Le sarebbe piaciuto diventare forte in quel modo, ma aveva capito che la sua vita non poteva basarsi su desideri come quello.
Essì, perché nel momento in cui si fosse ritenuta più forte, si sarebbe messa in cerca di nuove sfide, e quindi nuove avventure. E l’unica cosa di cui Rachel aveva seriamente bisogno, in quel momento, era un’altra doccia calda, anzi forse era meglio un bagno, un cambio di vestiti, e vedere nuovi orizzonti ed il sole da un’altra angolazione.
Avrebbe lasciato l’indomani Adamanta. E non l’avrebbe rimpianta.
Avrebbe incominciato una nuova vita.
Immaginava il suo futuro, ad Unima. Aveva sentito parlare di quello che era successo, lì, ma poi tutto si era risolto.
Unima era tranquilla, e ricca di possibilità.
Avrebbe imparato un mestiere, e si sarebbe data da fare fino a quando la sua salute glielo avrebbe permesso. Magari avrebbe incontrato un bel ragazzo, si sarebbe innamorata e stop.
Il resto faceva parte del fantastico libro dei desideri fatti da bambina, quello con la copertina rosa ed i fiocchettini.
Non le piacevano i fiocchettini, ma inevitabilmente immaginava così i pensieri d’infanzia.
Stava divagando troppo.
Quello che doveva fare era semplice: arrivare a Primaluce, truffare il gestore del supermercato dicendo che il conto lo avrebbe pagato Ryan, alla strafacciaccia sua, tornare a casa e chiudersi dentro. Doccia, cena abbondantissima, del tipo: se mangio ancora un po’ non posso più ingoiare tanto sono piena dal cibo, quindi relax, sonno e sveglia.
Semplice, lineare.
Al mattino si sarebbe servita di Zebstrika per raggiungere velocemente Solarea. Un’ora di trotto, due e mezza di cammino. Non distava molto.
La visuale del mare fu abbandonata non appena Rachel voltò ad una curva: di lì in poi sarebbe stato un solo e lungo rettilineo, che l’avrebbe portata a Primaluce, passando accanto a Miracielo.
Cercava di orientarsi, ma se non avesse viaggiato con Zack, quelle strade non se le sarebbe mai ricordate.
“Zack...”
Pensava a lui.
Quel ragazzo sfacciatamente vivace. E fottutamente bastardo.
Lo odiava. Ed in un certo senso il contrario, in un certo senso gli voleva bene. Sì, perché non voleva che il destino del mondo fosse segnato. Zack ci avrebbe provato, lui era ostinato.
Lui si doveva ostinare, o altrimenti lei avrebbe convissuto con i sensi di colpa fino a che non fosse morta. Aveva abbandonato la nave, lasciato Zack ed una pivella totale piena di soldi a guidare quella che dovrebbe essere la riconciliazione tra Arceus e l’umanità.
“Arceus...” fece poi. Alzò la testa al cielo, ancora celeste, ma quasi rosato. Il tramonto stava invadendo prepotentemente quella tela blu, macchiata di qualche nuvola qui e lì. Era proprio lì che viveva Arceus, nelle sue fantasie.
In cielo. Dove nessuno poteva vederlo.
Le domande le sorsero spontanee. Come poteva un dio far morire tutti per le azioni di pochi?
Forse non esisteva nessun dio. Forse gli antichi avevano solo troppa fantasia, forse Prima era una fanatica e Timoteo era morto senza alcun motivo plausibile.
Non ci voleva Arceus a far risvegliare Groudon. Avrebbe potuto benissimo risvegliarsi da solo, come aveva già fatto in precedenza più di una volta.
Ed anche gli altri Pokémon leggendari.
“Sì”
Arceus forse non esisteva neppure. Lei non lo aveva mai visto, né conosceva qualcuno che lo avesse fatto. Poi pensò che non aveva visto la stragrande maggioranza dei Pokémon esistenti, ma esistono vari criteri per classificare la rarità di un Pokémon.
Uno può essere raro, e vedere alcuni esemplare di specie di Feebas, per esempio, era davvero difficile.
Ma vedere alcuni esemplari di un Pokémon unico, era impossibile.
Di Arceus ne esisteva solo uno.
Sapeva che sarebbe potuta restare tutto il tempo possibile ed immaginabile a scervellarsi su quella cosa, ma non avrebbe fatto altro che aumentare i suoi dubbi.
Del resto quei pensieri servivano unicamente ad accompagnare i suoi passi pesanti e pieni di preoccupazione.
“Ciao”
Quella voce la conosceva già, era di un ragazzo. Non era Zack, no. E nemmeno Ryan.
Rachel si guardò attorno, senza vedere nulla, oltre che campi incolti di grano ed erba troppo alta per lasciare tranquilla la ragazza.
“Hey...non mi vedi?” chiese poi, lanciandole un sassolino sulla scarpa.
Rachel allora si voltò verso la sua destra; seduto per terra, con le gambe distese, c’era un ragazzo.
“Io...io ti conosco” fece Rachel.
“Certo che mi conosci”
“Non mi ricordo come ti chiami, ma mi ricordo che sfidasti il mio Larvitar”
“Esatto”
“E perdesti”
“Esatto anche questo...dove vai di bello?”
“Me ne vado”
“Per dove?”
“Fatti miei” rispose scontrosa Rachel. Non le piacevano le persone troppo indiscrete.
“Eddai, non farti pregare...voglio solo fare due chiacchiere”
“Non ho tempo per chiacchierare, ora”. Rachel ricominciò a camminare, lasciando il ragazzo da solo, disteso sull’erba appiattita.
“Ma...aspetta!” quello si alzò velocemente e la raggiunse.
“Che vuoi, ancora?!”
“Lottare!”
“E perché?!”
“Ho allenato il mio Corphish, ora si è evoluto...voglio mostrarti i suoi miglioramenti”
“Ti credo sulla parola”
“Eddai!” quello gli balzò davanti, fermandola per le spalle. Era dannatamente alto.
Rachel sospirò, e girò la testa, cercando il mare con lo sguardo, senza risultato.
“Hey, tizio...”
“Mi chiamo Hugh”
“Ok, come ti chiami ti chiami...io non posso perdere tempo, ora”
“Ma che allenatrice sei?! Fai lottare i tuoi Pokémon!”
“È per via delle persone come te che ora Arceus è infuriato”
“Cosa?!”
“No, niente...”
“Ok...e comunque io ti ho detto il mio nome...tu non lo hai fatto”
“Ha importanza?”
“Certo che la ha. Dovrò vantarmi di averti battuto con i miei amici, e non posso dire che ho battuto la ragazza con i capelli neri e gli splendidi occhi azzurri”
Rachel inarcò un sopracciglio. Squallido tentativo di avances. “Spostati”
“Solo una lotta!”
“Ok...solo una lotta”
Hugh prese un’altra espressione in volto, e si allontanò di qualche metro, per creare un po’ di spazio tra lui e la sua avversaria.
“Sceptile, scelgo te!” urlò quello.
“Sceptile?! Ma non avevi detto che utilizzavi Crawdant?”
“Non ho detto esattamente questo...”
“Oh, sei il solito scorretto...non ho voglia di lottare, e spero finisca al più presto. Vai!”
Rachel lanciò una sfera per terra, dalla quale uscì Litwick.
“Un...un Litwick?!” chiese Hugh, incredulo. Poi però partì con una risata isterica e nervosa, da perfetto maniaco. “Questo è uno Sceptile! Uno Sceptile! E tu vorresti combattere con un Pokémon che non arriva nemmeno alle sue ginocchia?! Ma stiamo scherzando?!” e riprese a ridere.
Rachel era sicura di ciò che faceva. Nonostante Litwick fosse molto incosciente, da quando aveva conosciuto Zack aveva imparato ad allenare meglio i suoi Pokémon. E da quando si erano separati, voleva passare il suo tempo in modo costruttivo.
“Che ha che non va, Litwick? È perfetto”
“Come ti pare...vorrà dire che stavolta vincerò io...”
“Vedremo. Litwick comincia con Smog...” fece calma, Rachel. Ed era una calma irreale su di lei. Lei era sempre irrequieta, ma quella volta si sentiva così dannatamente tranquilla e sicura che niente avrebbe potuto smuovere le sue condizioni zen.
“Sceptile! Allontanati, quindi usa la coda come un ventaglio per spazzare lo smog”
Dalla candelina uscì del fumo viola, ricco di solo Arceus sa quali sostante nocive, e quando si stavano avvicinando a Sceptile, quello fece un enorme balzo finendo accanto a Hugh. Quindi sventagliò la grossa coda, disperdendo il fumo.
Hugh sogghignò.
“Ora utilizza Nottesferza!”
Sceptile si rivelò essere davvero veloce. Fisicamente quel Pokémon aveva delle caratteristiche incredibili. Tanta forza, ma soprattutto tanta velocità. Per non contare l’attacco speciale.
“Minimizzato” disse Rachel, e vide la sua piccola candelina scomparire sotto il corpo sfrecciante di Sceptile, che lo mancò. Quello si fermò, frenò, e per girarsi diede un colpo con le fronde della sua coda a Rachel, che perse l’equilibrio e ricadde nell’erba.
“Non vi nasconderete!” urlò Hugh. “Usa Battiterra! Calpestiamo lui e la sua piccola fiammella!”
Rachel incrociò le gambe, e vide Sceptile utilizzare ancora la coda come martello, per cercare di colpire Litwick.
Hugh sapeva dove si trovava. La ragazza dai bellissimi occhi azzurri non aveva ordinato di muoversi a Litwick, e quindi quello era ancora dove si era rimpicciolito.
Se fosse andato a segno, l’attacco sarebbe stato superefficace.
“Facciamola finita. Litwick, vai con Fuocofatuo”
Proprio davanti a Rachel, che non accennava ad alzarsi, ricomparve Litwick. Una fiamma blu, come quelle ricche di gas, come quelle dei fornelli, colpi sulla schiena Sceptile.
Inizialmente quasi non si accorse dell’attacco, ma poi il tempo passava, ed il bruciore lo costrinse ad urlare dal dolore.
“Sceptile! Utilizza Forbice X!”
Quello avrebbe fatto male, una volta andato a segno.
“Litwick, Distortozona”
E d’improvviso l’attacco di Sceptile diventò così lento da permettere a Litwick di schivarlo con una facilità assurda.
“Io ho da fare, chiudiamola in fretta. Usa Lanciafiamme”
“Sceptile! Schivalo!”
Ma Sceptile era troppo lento, e la fiammata lo colpì in pieno, sul torace e sul collo. In più la scottatura sulla schiena non migliorava, anzi, portava sempre più allo stremo le forze di Sceptile.
“Non possiamo perdere contro un Litwick! Non posso perdere di nuovo contro di lei!”
Rachel sorrise, tronfia.
“Chiudiamola, ho fretta. Palla Ombra, Litwick”
La piccola candela, con il volto perfido, creò una sfera ricca di rabbia e cattiveria, che scagliò contro l’enorme lucertolone. Sceptile ruzzolò per terra.
Hugh ragionava.
“Attacco rapido!”
Quella doveva funzionare.
“Schivalo!”
Sceptile attaccò, e fece in tempo a colpire Litwick, che indietreggiò per terra di qualche metro.
Rachel sorrise e si rialzò da terra. Quello era troppo carino.
“Litwick...”
Qualcosa era cambiato.
“L’effetto di Distortozona è finito! Approfittiamone! Sceptile, Verdebufera!”
Sceptile allargò le braccia, e cominciò a sbattere la coda vorticosamente. Un vento enorme, e pieno di fronde, foglie e terreno cominciò ad abbattersi contro Rachel ed il povero Litwick.
“Lit...Litwick, resisti” sussurrò lei, a denti stretti.
“Soffia, Sceptile!” urlava felice Hugh.
Rachel doveva fare qualcosa. Non avrebbe potuto utilizzare mosse di fuoco, quel vento non creava le giuste condizioni per fare in modo che l’attacco andasse a segno.
Nonostante non fosse molto efficace, quell’attacco Verdebufera aveva arrecato molti danni al suo Pokémon.
Ci voleva una strategia intelligente.
“Litwick...usa Malcomune!”
Gli occhi del piccolo Litwick si oscurarono del tutto, e la candela quasi si spense, quando Sceptile terminò di attaccare, e prese a strillare in modo immane.
“Che cosa succede?!” urlò Hugh, sgomento.
“L’attacco Malcomune somma le energia residue dei nostri Pokémon, e le distribuisce equamente”
Hugh guardava il suo Sceptile semistremato, ripiegato su sé stesso.
Era vulnerabile.
“Ora, Litwick, vai con Sciagura!”
Litwick sorrise, e scattò verso l’avversario, ruotandogli attorno con calma quasi irreale. Un velo nero si stava lentamente abbassando su Sceptile. Questo poi lo ricoprì.
Sceptile urlò ancora, stavolta per l’ultima volta, prima di finire fuori combattimento.
Rachel sorrise, e ripose Litwick nella sua sfera. “Bravissimo, piccolo. L’allenamento funziona”
“Cosa?! Come è possibile?! Il mio Sceptile ha perso contro una candela!”
A Rachel quella cosa faceva ridere davvero tanto. Insomma, sapeva che Litwick fosse vicinissimo all’evoluzione, ma ad ogni modo era lo stesso un Pokémon potentissimo. Avrebbe dovuto ringraziare Alma.
“Non è il Pokémon a essere forte o debole. È l’allenatore ad essere uno scarso”
Rachel godette nel proferire quelle parole.
“Ma come ti permetti?! Tu non sai contro chi ho combattuto io! Dove sono arrivato con i miei Pokémon!”
“Ma so dove sei ora...in un campo, dopo aver perso una sconfitta contro una pivella”
“Tu imbrogli. Non può essere possibile. I tuoi Pokémon sono troppo forti”
“Non esistono Pokémon deboli e forti. Esistono allenatori bravi e non”
“Bah!” Hugh voltò le spalle e si incamminò verso Edesea.
Fortunatamente il suo cammino si divideva da quello di Rachel.

 

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Capitolo 39
*** Capitolo Quattordicesimo: Climax 3° parte ***


Climax - Pt. 3


“I tempi stringono, e non possiamo più aspettare. Ryan ha avuto notevoli difficoltà nello sconfiggere Zackary Recket, ma ora ha un team completo, si è allenato ed è motivato”
Lionell era in piedi, appoggiato col sedere sulla parte davanti della sua scrivania, mentre la luce gli inondava le spalle.
Chi aveva di fronte non riusciva a mettere a fuoco la sua faccia, bensì vedeva la sua silhouette scurita dal contrasto con la luce del sole del tramonto.
“Ryan e Marianne. Ora è il caso che a voi si affianchi Linda. Mi fa da aiutante, conosce benissimo il mio modo di ragionare e sa cosa farei in ogni momento. Siamo praticamente la stessa persona. Un tempo anche lei era una recluta, poi è passata ai piani alti...”
“Ciao, ragazzi” fece Linda, seria, alla loro sinistra. Marianne la squadrò, da brava donna vanitosa qual era e cominciò a segnarsi mentalmente tutti i suoi difetti fisici.
I pochi difetti fisici.
“Da oggi Linda seguirà le operazioni con voi. Il nostro obiettivo primario è Rachel Livingstone”
“Dobbiamo rapirla” sottolineò Linda.
Ryan deglutì. Doveva rapire sua sorella. Sì, per riaverla accanto.
“Quello che sappiamo su di lei è tutto in questa cartellina. Le ultime informazioni ci portano all’idea che Rachel stia per lasciare Adamanta. E questo è un peccato, perché a noi Rachel serve qui”
“E come mai?” domandò Marianne.
“Marianne” Lionell si staccò dalla scrivania e prese a camminare lentamente lungo il pavimento del suo ufficio, lasciando dietro i suoi passi un leggero velo d’inquietudine. “...tanti anni fa, più di mille, in questa stessa isola, le cose erano un po’ diverse. Il dio Arceus veniva adorato con convinzione da parte degli abitanti di Adamanta, e sul Monte Trave c’era un tempio in cui viveva l’oracolo di Arceus. Lei cercava di proteggere tutti, ma un malvagio re, chiamato Nestore, voleva impadronirsi del cristallo che permetteva all’oracolo di invocare la divinità, e fare suo il Pokémon tanto unico quanto potente. Non riuscì a farlo, e preso dall’ira ordinò a tutti i suoi sudditi di ammazzare i propri Pokémon. Noi dobbiamo tornare indietro ed evitare tutto questo, perché sarà quello il motivo di tutte le calamità di oggi”
“Cosa?!” Marianne spalancò gli occhi.
“Dobbiamo tornare indietro nel tempo, ed evitare questo inutile eccidio”
“E come pensa di poter tornare indietro nel tempo?!”
“Ragazzi...siete mai stati a Sinnoh?”
“No...” rispose Ryan.
“Beh, lì vive un leggendario Pokémon, padrone del tempo. Il suo nome è Dialga. Noi dovremo catturarlo, e tornare nell’Adamanta di mille anni fa”
“Oh...ma non cambieremo il tempo?” domandò Ryan.
“Dialga è in grado di modificare il flusso del tempo a suo piacimento. Certo, questo avrà delle ripercussioni sullo spazio...tempo e spazio vivono in simbiosi, e se si contrae uno dei due l’altro si espande. Quindi dobbiamo per forza gestire anche lo spazio”
“E come dovremmo fare?” domandò ancora Ryan.
“Esiste, sempre a Sinnoh, un Pokémon chiamato Palkia. Lui si occupa dello spazio”
“Oh...ok...”
“Ma non siamo in grado di decidere un momento specifico ed esatto per tornare indietro. Dobbiamo per forza provare. E nel caso l’eccidio sia già avvenuto, dobbiamo rivolgerci direttamente ad Arceus. Ed è qui che entra in gioco Rachel”
“Rachel?”
“L’oracolo di Arceus, Prima, possedeva un cristallo, l’ho già detto. Poi lo fece sparire, nascondendolo dentro di sé. E lo trasmise a sua figlia, quando nacque e così via”
“Quindi...” Marianne si fece un rapido calcolo mentale.
“Quindi Rachel è una discendente di Prima. Rachel è il cristallo”
Attimo di sgomento.
“Ma loro credono che sia quella ragazza bionda, Mia, ad essere il cristallo!” esclamò Marianne.
“E noi dobbiamo approfittare di questa cosa per catturare Rachel, perché oltre al cristallo, ci serve anche l’oracolo, ovvero Prima. Dovremo tornare indietro nel tempo con Rachel, e fare in modo che Nestore non uccida nessuno”
“Benissimo...” sorrise Linda. “Se permettete ho un piano”

Le stelle fiorivano nel cielo di quel 22 Dicembre come non avevano mai fatto. Rachel si perse nel guardarle, mentre stava provando sulla sua pelle sensazioni contrastanti.
Era sul vialetto di casa sua, con lo zaino sulla spalla, i suoi cinque Pokémon nelle sfere e la spesa in mano.
Nuovaluce non era per nulla cambiata.
C’era solo una casa inabitata in più. Ryan aveva abbandonato il nido senza neanche curarsi di chiudere le persiane. Lo sciacallaggio, fortunatamente, in quei posti non era stato mai all’ordine del giorno.
Cercò nel suo zaino, le chiavi di casa tintinnarono al tocco delle sue dita.
Era stanca. Aveva camminato per tantissimo tempo.
Infilò le chiavi nella serratura, e quasi le sembrò che qualcuno stesse facendo lo stesso, su di lei però, e con un coltello.
Sentiva che stava per aprire una ferita, e nel momento stesso in cui girò quella chiave, ed il meccanismo della serratura rispose buonasera con un semplice “tlac”, aveva capito che quella notte c’era poco da restar tranquilli.
Entrò dentro, il buio assorbiva tutto.
Preferì rimanere per un attimo al buio, dopo aver chiuso la porta. Ascoltava. Voleva accertarsi che non ci fosse davvero nessuno lì dentro, ed il buio aumentava la concentrazione uditiva, non ricordava dove lo aveva letto.
“Niente...nessun rumore”
Accese la luce. Quell’interruttore la salutò illuminando il salone per lei. Si guardò attorno.
Tutto era come lo ricordava. C’era un po’ di disordine, ma era naturale, pensò. Il terremoto aveva fatto i suoi danni, naturalmente.
Guardò il divano, c’erano due cuscini per terra e poi vide quel vecchio lampadario di tela, infeltrito e sporco.
Da quando sua madre, anzi, la madre di Ryan, se n’era andata, a quelle cose non ci faceva neanche più caso.
Martha Livingstone era davvero una santa donna. Nonostante gli impegni di lavoro non le permettessero di essere sempre presente, faceva di tutto per essere una brava madre.
Non le aveva mai fatto mancare niente.
Almeno fin quando non era stata strappata via dalle sue braccia.
Una lacrima era involontariamente scesa sulla guancia destra. Aveva voglia di rilassarsi.
“Uscite tutti fuori” disse Rachel. Voleva animare quella casa, sentire un po’ di compagnia, premiare gli sforzi dei suoi Pokémon ed in più avere qualcuno che la proteggesse efficacemente e con costanza.
I suoi compagni ebbero tutti una reazione particolare.
“Non rompete niente. Questa è la mia casa. O almeno lo è stata. Ci tengo”
Rachel si concentrò in particolar modo sulle sensazioni di Zorua. Lui si guardava attorno, felice e perplesso contemporaneamente.
Era nella casa dove correva e scorrazzava libero. Ricordava vagamente la sua routine, ma quello che non dimenticava mai era in assoluto il suo posto, quello nell’angolo a destra sul divano. Si acciambellò lì, prendendo sonno.
Gli altri si muovevano un po’ qui e lì, nel tentativo di esplorare quel nuovo ambiente.
Quell’espediente permise a Rachel di non sentire la solitudine e di evitare di perdersi nei meandri della sua mente.
Lo sapeva, e ne era più che convinta. Se avesse varcato la soglia della memoria, in quel posto, non ne sarebbe più uscita, e sarebbe caduta in un baratro incolmabile.
Non si sarebbe salvata.
Non sarebbe uscita.
Pensava, ed intanto accese il televisore. Lo schermo polveroso prese a dare notizie sparse.
“Come sempre. Ryan ed il suo dannato telegiornale”
Lo guardava sempre, il ragazzo. Era come ossessionato dalle cose che succedevano attorno a lui.
Quella casa ora sembrava un po’ più animata.
Si meritava una bella cena. Mise un po’ di mangiare per i suoi Pokémon in alcune ciotole. Qualcuna era di Zorua, altre del piccolo Trapinch di Ryan.
Carracosta e Litwick ne rimasero senza. “Poco male” si disse Rachel. Litwick avrebbe mangiato con le mani, mentre Carracosta avrebbe trovato il modo per nutrirsi.
Entrò infine in cucina, accendendo la luce. I mobili bianchi risplendevano lucidi al bagliore della lampadina. Il tavolo era capovolto. Con qualche difficoltà lo rimise in piedi, ed alzò anche una sedia.
Si era comprata un bel pezzo di pane, un paio di salsicce ed un sacchetto di patate surgelate.
Aveva voglia di patatine fritte.
Con tanto ketchup e maionese. Adorava la maionese.
Mise a preparare tutto, ed intanto apparecchiò la tavola. Ci voleva ancora un po’ di tempo prima che il cibo fosse pronto, quindi decise di salire, a controllare la sua stanza.
“Zorua...”
Quello alzò la testa dal suo cibo, poi la riabbassò.
“Seguimi...mangerai dopo”
Zorua a malincuore obbedì alla sua allenatrice, quindi salì lentamente le scale davanti a lei.
Rachel si premurò di accendere tutte le luci che trovava a portata di mano, se non altro per manifestare la sua presenza lì.
Zorua si voltava velocemente, rizzava le orecchie, cercava di capire se veramente ci fosse qualcuno lì.
Rachel cominciò a pensare che forse avrebbe fatto meglio a far salire tutta la truppa. Più erano e più sarebbe stata protetta.
Invece era solo lei, con il suo Zorua, fuori la porta della sua stanza.
Fino ad allora era tutto tranquillo.
Rachel notò dei piccoli graffi nella parte bassa della porta. Erano stati fatti da Zorua, quando lei aveva scoperta della lettera di suo padre, o quello che era, e si era chiusa dentro da sola. Zorua era rimasto fuori, ed aveva grattato la porta nel tentativo di attirare l’attenzione ed entrare.
Zorua, d’altronde, reagiva d’istinto. Avvicinatosi alla porta, la toccò con la zampa. Rachel fece un passo indietro, non appena vide che quella si mosse con facilità. Uno scricchiolio, proveniente dai cardini, fece rabbrividire entrambi.
Zorua, piccolo cuor di leone, spinse più forte la porta, e la spalancò.
Rachel sbarrò gli occhi. La finestra della sua stanza era totalmente aperta. E non era questo a preoccuparla. Bensì quegli occhi rossi che la fissavano nel buio più che totale della stanza.
“Zorua...” quella indietreggiò.
Zorua prese a ringhiare. Poi abbaiò, facendo volare via l’intruso.
“Era...era solo un...un luridissimo Noctowl...” Rachel aveva il battito accelerato. Quegli occhi le avevano messo un’inquietudine addosso senza pari.
Zorua entrò nel buio, tranquillo. Era nel suo elemento.
Rachel lo seguì, quindi accese la luce.
Zorua era diventato un bambino. Il solito bambino con i capelli rossi ed arruffati. Si stese sul letto, e sorrise, allungando le mani.
A Zorua mancavano le notti in cui i due dormivano stretti, vicini.
Era stato costretto ad abituarsi alla Pokéball. Non gli piaceva assai.
“Non è il momento...”
Rachel aprì l’armadio, e ne prese la sua valigia. Poi notò le grucce per terra, gli abiti ed i pantaloni gettati per aria. Aveva davvero cercato di fare il più in fretta possibile quando aveva lasciato quella casa.
E ripiegare i vestiti e sistemare i pantaloni non le avrebbe di certo fatto dimezzare il tempo.
Aprì la valigia sul letto, accanto a Zorua, che la analizzò curioso, come con ogni cosa nuova che vedeva del resto.
Poi prese pantaloni, vestiti, ed accessori per la toeletta assolutamente necessari e non rimpiazzabili facilmente, quindi riempì la valigia.
Sorrise, e a fatica la portò giù, piazzandola vicino al divano, davanti alla porta.
“Oddio! Si stanno bruciando le patate!”
Le patate non si bruciarono.

Era tutto pronto, tutti erano in posizione.
Ryan visse un momento di agitazione purissima non appena vide che le luci in casa sua erano accese.
“Rachel...”
In mente gli ritornarono quelle immagini perverse ed incestuose.
Le rimosse con una manata, preparandosi mentalmente.
Poggiò la testa alla porta, quindi bussò, e fece un passo indietro.

Toc – toc.

La porta reclamava attenzione.
Rachel spalancò gli occhi.
Aveva appena finito di lavarsi, ed i capelli erano ancora umidi, ora legati con una bacchetta, in una pettinatura alta. Si alzò dal divano, indossando semplicemente dei comodi pantaloncini ed una canottiera bianca, evitando il reggiseno.
I piedi scalzi creavano un rumore piatto a contatto con il pavimento, e nonostante i passi fossero i più lenti possibili, arrivò alla porta in men che non si dica.
Avrebbe voluto evitare quell’incontro con il mondo esterno almeno fino al giorno dopo.
I capelli erano irrequieti come il suo respiro, anche Zorua aveva captato l’agitazione di Rachel. Si alzò e l’affiancò.
La ragazza non si accorse di essere stata accompagnata fino alla porta.
La mano viaggiò lentamente dai fianchi fino alla maniglia.
Sapeva che stava per commettere l’errore più grande della sua vita.
Lo sapeva.
“Lo sapevo...” disse tra sé e sé una volta che i suoi occhi azzurri incrociarono il fuoco di quelli di Ryan.
“Rachel...” quello pareva stranito.
“Ryan...”

 

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Capitolo 40
*** Capitolo Quindicesimo: Panico 1° parte ***


Panico - Pt. 1

“Rachel...sei davvero tu?” chiese sgomento Ryan, quasi commosso.
Zorua fece un passo avanti e ringhiò forte, prima di abbaiare.
“Rachel...” lui si gettò quasi esanime su di lei, stringendola. Zorua spaventato fece un passo indietro, ma poi percepì il timore della sua amica, e prese a mordere le scarpe di Ryan, senza recargli alcun danno.
Rachel aveva le mani larghe, quasi la stessero crocifiggendo, e non capiva appieno cosa succedesse.
“Staccati...” disse poi, realizzando.
“Rachel... come stai?”
“Prima stavo meglio”
“Ce l’hai ancora con me?”
“Non voglio più vederti”
“Andiamo... smettila”
“Hai sentito cosa ho detto?! Sparisci dalla mia vita!”
Ryan abbassò gli occhi, affranto. Si sentiva male. “Perché non mi vuoi più nella tua vita?”
“Perché nella mia vita tu non ci saresti dovuto essere”
Rachel spintonò Ryan, colta da un impeto di rabbia, facendo ruzzolare il ragazzo nell’erba.
“Rachel...”
“Vattene via! Vattene via dalla mia vita!”
“Ma io voglio soltanto tornare a vivere come un tempo! Qui! A casa nostra!”
Rachel portò le mani ai fianchi. Ryan allontanò pensieri maliziosi, ma non fu in grado di farlo una seconda volta. Stava diventando proprio bella. Con i capelli legati, e quel fisico asciutto.
“Devi venire con me, allora” fece serio.
“Non verrò da nessuna parte”
“Rachel. Devi venire con me!” urlò poi Ryan, facendola sobbalzare. Fu a quel punto che Pupitar si presentò davanti a lei, creando una tempesta di sabbia. Cercava di tenere lontano Ryan.
“Non sarà questo a spaventarmi! Facciamo una lotta! Se vinci tu, sarai libera. Ma se vinco io tu verrai con me”
Rachel fu spaventata dal tono di voce del ragazzo. “Tu sei un maniaco”
“Accetti?”
Rachel sapeva che Ryan era molto più abile di lei con i Pokémon. Ma doveva dare una chance a quei fedeli amici che la stavano proteggendo.
“Pupitar... aiutami tu, per questa lotta”
“E così accetti” disse sorridente Ryan, facendo qualche passo indietro.
“Perché hai quella tuta?”
“Faccio parte dell’Omega Group”
“Che roba è?”
“Ci occupiamo di cose buone. Ora vai, scelgo te, Tyranitar!”
Rachel spalancò gli occhi. In che guaio si era messa?
Come suo solito, partì sconfitta mentalmente. Secondo lei, non sarebbe mai riuscita a sconfiggere quel Pokémon.
Tyranitar. Lo guardò meglio. Era strano. Di solito i Tyranitar sono di un colore simile al verde. Quello no.
“È nero...”
Era vero. Era davvero nero. Gli occhi rossi, la corazza al centro del petto anche. Ruggiva e perdeva bava dalla bocca, sembrava avesse contratto la rabbia.
“Cavolo...” si lasciò scappare Rachel.
“Tyranitar! Portiamoci Rachel con noi! Facciamole vedere cos’è una vera Terrempesta!”
La tempesta di sabbia fu investita da un fenomeno che assomigliava quasi ad un tifone. La sabbia si ammucchiava in ogni punto, mentre Tyranitar sembrava indemoniato.
Pupitar sembrava stesse subendo l’attacco della sua forma evoluta.
“Fermati, Ryan!” urlava Rachel. Ma niente poteva turbare quell’attimo di follia del ragazzo.
Adesso aveva un solo obiettivo: portare Rachel con sé.
Sarebbero tornati alla base, avrebbero condiviso la stanza e... e basta.
Doveva finirla.
L’importante, però, era che si sarebbe ricongiunto con lei. Con il tempo non le sarebbe più pesata quella situazione, ed avrebbe ripreso a volergli bene.
Doveva vincere, Ryan. Doveva vincere a tutti i costi.
“Tyranitar! Distruggiamo quel Pupitar! Usa subito Frana!”
Rachel sospirò. Aveva studiato, e quella mossa non sarebbe stata molto efficace sul suo Pupitar.
Poi guardò meglio. Tyranitar lasciò cadere su Pupitar dei massi grandi quanto automobili, aguzzi e cattivi.
Forse avrebbe avuto più danni del previsto.
“Perché questo Tyranitar è nero?!” urlò Rachel, per farsi sentire. La tempesta di sabbia rumoreggiava e sibilava fortemente, con picchi di suoni altissimi.
“Perché noi dell’Omega Group vogliamo il meglio! Il meglio per tutti!”
“E cosa c’entra questo?! Perché dovrei venire con te?!”
“Perché tu sei mia!”
“Io non sono tua!”
“Avanti Rachel! Sai bene come andrà a finire! Tyranitar, scava tra le macerie e prendi Pupitar tra gli artigli!”
Tyranitar muoveva lenti passi, che rimbombavano rumorosi ovunque, mentre la tempesta di sabbia continuava ad imperversare. Gli artigli tra le macerie, prese a scavare, a cercare. Pupitar era lì, quasi esanime.
“Ora lancialo via!”
“Fermo!” urlò Rachel, quando la terra cominciò a tremare. Ancora un terremoto, che fece irrigidire Ryan e Rachel, come anche Tyranitar. Una grossa crepa si aprì sotto i suoi piedi e lui cadde, liberando Pupitar dagli artigli.
“Ma che...?!” Ryan si guardava attorno, non voleva che qualcosa potesse crollargli addosso.
Il terremoto terminò, e nelle orecchie dei ragazzi un solo sibilo, oltre agli antifurto delle automobili. Poi una voce familiare.
“Ryan! Lascia stare Rachel!”
Quella spalancò gli occhi. Sul guscio di Torterra, Zack sostava in piedi, tronfio, e Mia si manteneva al grosso albero su di esso.
“Zack!” esclamò Rachel.
Lui saltò giù dal suo Pokémon, e corse a stringere Rachel.
Ryan ribollì vedendo i loro sguardi incrociarsi.
“Recket...” digrignò i denti.
“Sei ancora qui?!” urlò Zack, nei confronti del ragazzo dagli occhi rossi.
“Tyranitar, ferma questa tempesta. Devo parlare col giovanotto...”
“Abbiamo quasi la stessa età...”
“Si. Ma non in testa. Lì non sei maturo. Lì sei solo un poppante che gioca a fare il campione di Adamanta”
“Se permetti è un po’ più di un gioco. Ho combattuto contro i migliori allenatori della regione per avere quel titolo”
“Ed oggi perderai contro di me. Guarda un po’ che strana la vita...”
“Non resta che vedere”
Tyranitar si rimise in piedi, e ruggì. Mia rabbrividì e scese da Torterra, per raggiungere Zack e Rachel. Strinse la ragazza.
“Rachel! Stai bene, che sollievo”
“Mia... come stai?”
“Bene, ma ci hai fatto preoccupare”
“Novità sul cristallo?”
“Niente di niente... ma non credo sia il momento per parlarne...” disse quella. Rachel guardò la ragazza. Mia, l’oracolo. Al collo aveva il ciondolo di Zack. Dovevano proteggerla.
“Torterra! Usa Radicalbero!”
“No, Recket! Non stavolta!”
Le radici di Torterra presero la via di Tyranitar. Quello continuava a ruggire, sembrava Godzilla.
“Tyranitar! Iperraggio!”
Dalla sua bocca un puntino luminoso cominciava ad ingrandirsi sempre di più. L’energia che accumulava si accresceva secondo dopo secondo fino a quando prese la forma di una sfera abbastanza ampia.
“Ora!”
Tyranitar piantò bene i piedi per terra, e lasciò partire l’attacco. Una forte luce si espanse inizialmente, costringendo i presenti a chiudere gli occhi per un momento.
Zack fu in grado di vedere la radici di Torterra venire spazzate via dall’attacco. L’Iperraggio si stava dirigendo verso il Pokémon.
“Torterra, Ritirata!”
Quello rientrò nel guscio, ma sobbalzò quando sentì l’attacco colpire forte il guscio. Ruggì.
Poi finì, e Tyranitar sospirava forte.
“Torterra, Ora! Usa le liane per immobilizzarlo!”
Delle liane verdi, vive, andarono ad avviluppare il corpo del Pokémon mastodontico, che prese a ruggire, rabbioso, furioso.
Ma Ryan aveva la soluzione.
“Tyranitar! Usa Pietrataglio!”
Delle rocce comparvero dal nulla, e taglienti, liberarono Tyranitar da quella morsa.
“Non demordiamo, Torterra! Usa Verdebufera!”
Un vento, colorato di verde dalle foglie e dai detriti si abbattè su Tyranitar.
Quello ruggì forte, l’attacco lo stava colpendo in pieno.
“No! Reagiamo! Usa Terrempesta!”
“Ora, Torterra! Terremoto!”
E mentre i primi granelli di sabbia svolazzavano all’interno della bufera verde, Torterra fece aprire di nuovo la terra sotto i piedi di Tyranitar, che cadendo, con la coda distrusse vari alberi e parte dello steccato.
“No, Ryan! L’albero di papà!” urlò Rachel.
Quello non se ne curò, ma sobbalzò all’enorme rumore provocato dalla caduta di Tyranitar.
Del suo Tyranitar.
Del suo Tyranitar fuori combattimento.
“No! No! Recket, maledetto! Dannazione!” Ryan sembrava fuori di sé. Gli occhi colmi di lacrime, mentre Rachel si avvicinò a Zack, prendendogli la mano.
Quel gesto a Ryan bruciò come un marchio a fuoco.
“Sparisci!” urlò Zack.
“Non è finita qui” fece l’altro, con calma apparentemente piatta, e schioccò le dita. Da dietro la casa si alzò d’improvviso un silenziosissimo elicottero cargo, di quelli in dotazione all’esercito. Tutti rimasero scioccati alla vista del mezzo.
“Ma cosa...?” Rachel si strinse a Zack, e d’improvviso un urlo li fece saltare di nuovo.
“Mia!” urlò Zack.
La donna di colore con i dread che avevano visto a Plamenia aveva messo un panno con del cloroformio sotto il naso di Mia, che aveva cercato di reagire, prendendo una Poké Ball, ma le energie la abbandonarono.
Fu un attimo. Salirono sull’elicottero e scomparvero.
Lasciando Zack e Rachel davanti alla staccionata rotta.

 

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Capitolo 41
*** Capitolo Quindicesimo: Panico 2°Parte ***


Panico - Pt. 2

Un senso di vuoto rapì i ragazzi, mentre l’elicottero dell’Omega Group scappava via. Zack aveva negli occhi ancora il volto spaventato di Mia, le sue lacrime, vedeva le mani di uno dei ceffi metterle un bavaglio alla bocca e trascinarsela via.
Strinse i pugni, quindi sospirò. Lasciò uscire tanta brutta rabbia, che in realtà era solo anidride carbonica.
Riviveva quei momenti, riviveva quella strane fasi della battaglia, ed ancora Emily saltò nella sua testa.
Mia ed Emily. E Rachel. Si prendeva tutte le responsabilità, di ogni cosa.
Avrebbe dovuto stare più attento, avrebbe dovuto mettere Mia al sicuro, prima di salvaguardare sé stesso e Rachel, che bene o male aveva dei Pokémon e se la stava cavando.
Quando però si accorse davvero di quello che era successo, la desolazione lo prese per mano, bastonandogli le gambe, e facendolo inginocchiare per terra.
Rachel guardava Zack, pochi passi accanto a lui. Lo vedeva piangere, ma senza produrre un solo rumore che fosse più forte del suo respiro.
“Zack...” in quel momento non le veniva in mente alcuna frase di circostanza. L’unica cosa che trovò giusto, fu avvicinarsi e tendergli una mano.
Zack la guardò. Guardò gli occhi lucidi di quella, guardò le sue labbra, i suoi capelli lunghi, la sua mano piccola e poco curata. Non era una mano. Era un’ancora, una scaletta di salvataggio.
Rachel gli stava offrendo un attimo di salvezza in quella folle corsa contro il destino.
E prendersi la responsabilità di rimettere tutto a posto era da corsia di centro d’igiene mentale.
Ma Zack era un supereroe, doveva farlo.
Era il campione. Adamanta era la sua terra, e non poteva permettere che qualcuno ci lasciasse le penne. Non era per niente il caso.
Allungò la mano, ed afferrò quella di Rachel. Si alzò, e la tirò al suo petto, aprendo i boccaporti delle lacrime, e piangendo insieme come due cretini.
“Mi spiace, Rachel! Non volevo che succedesse tutto questo!” Zack la strinse al petto, mentre lei faceva di tutto per mostrarsi forte, e non far pendere su di lui anche la responsabilità di farla sentire meglio.
“Non... non preoccuparti. Sistemeremo tutto”
“Torna con me. Torna con noi. Mia ha bisogno di noi”
“Sì. Tranquillo, partiremo di nuovo insieme, domani, ed andremo a salvare Mia” tra le lacrime e lunghi sospiri, che mantenevano il pianto legato con le funi, i due si rialzarono a vicenda.
Ma quell’abbraccio non stentava a diminuire.
“Mi sei mancata” disse lui, sembrando un ragazzino.
Rachel non poté far altro che sorridere. “Anche tu”
“Perché sei scappata?”
“Che ne dici se entriamo dentro e ci sediamo comodi? Starei più tranquilla, e mi rilasserei un attimo”
“Sì. Oh, guarda...” Zack lasciò dalla stretta Rachel, e fece qualche passo. “Questo è il Metang di Mia”. Raccolse una Poké Ball, nascosta nell’erba incolta e bruciata dal freddo della casa della ragazza.
“Oh... e che dovremo farci?”
“Io ho già sei Pokémon, ora. Tienilo tu, quando andremo da lei glielo ridarai”
“Va bene”
Ed insieme, Rachel e Zack entrarono nella casa della ragazza. I Pokémon giravano per casa tranquilli.
“Perché sono liberi?” chiese il ragazzo.
“Avevo paura... ero da sola, e volevo protezione”
“Hai fatto bene. Ma non dovevi scappare... com’è grosso questo Carracosta!”
Rachel rise, tra le lacrime. “Sì. È di Rupert, il capopalestra di Edesea”
“Sul serio?!”
“Sì. Ci siamo incontrati a Solarea, ieri. C’erano anche Milla ed uno dei Superquattro”
“Mi stai prendendo in giro?”
“No! Abbiamo salvato Solarea da un maremoto...”
“Ho visto... al telegiornale”
“Conosci i capipalestra?”
“Molto bene. Sembra quasi che tutti rispondano a me...” sorrise ancora leggermente Zack.
“Come mai Mister Kendrick sta zitto?”
“Non ne ho idea. Ginger dice che fa parte del suo personaggio”
“Chi è Ginger?”
“Un’altra dei Superquattro”
“E serve a qualcosa essere un personaggio?”
“Non proprio. Ma i Superquattro ad Adamanta sono persone che non bisogna far arrabbiare, quindi meglio lasciarli fare come vogliono” sorrise lui, ricordandosi delle sue sfide prima di diventare il campione.
I due si sedettero sul divano, l’uno a destra e l’altro a sinistra. Rachel levò le scarpe, e stese i piedi sulle gambe di Zack.
“Perché piangevi, prima?” domandò la ragazza.
Zack non voleva parlarne. Si limitò a tornare cupo e a spostare lo sguardo verso la finestra.
“Ti prego... dimmi chi sei. Dimmi che hai fatto, dimmi cosa sei diventato e come ci sei riuscito... basta con i segreti”
La predica della moretta suonò quasi come una lamentela.
Zack guardò ancora Rachel, le lacrime adornavano il suo viso nuovamente, mentre i ricordi lo assalivano, gli tiravano i capelli, gli mettevano le mani al collo e stringevano.
“Zack...”
“Io ho ucciso una ragazza”
Rachel sbiancò. Tirò i piedi dalle gambe di Zack e lo guardò impaurita. Zorua d’improvviso fece uno scatto, ed analizzò la situazione. Il suo istinto non gli imponeva di ringhiare contro Zack. Ma sentiva Rachel impaurita.
Non sapeva perché, ma Rachel un po’ se lo sentiva che Zack nascondesse un segreto del genere. Per un attimo inorridì. Aveva dormito nella stessa tenda con un assassino.
“Davvero?”
“Sì...”
“Sei pericoloso? Hai problemi mentali?”
“No. Sono una persona normalissima”
“E...” Rachel si rilassò sensibilmente. “...come? Quando?”
“Diversi anni fa. Ero ad Hoenn, nella torre dei cieli. Lì con me c’era...”
“Emily White” lo anticipò lei.
“...Emily White. Era una ragazza meravigliosa, ed io la amavo”
“Eravate fidanzati?”
“No. Era una ragazza incredibile. L’estroversione in persona... era bellissima”
Rachel guardava Zack fissare il vuoto, davanti a sé, come se vivesse davanti a sé le immagini di quella ragazza.
“E poi?”
“E poi eravamo nella Torre dei Cieli... ad Hoenn”
“E cos’è?”
“Il luogo dei miei incubi, Rachel. Io... io sapevo che lei si sarebbe messa in pericolo... ma...”
“Zack. Calmati”
La voce distesa di Rachel impose al ragazzo di guardarla. “Spiegami” aggiunse poi.
“Il pavimento della torre era molto malandato. Absol mi aiutava a capire quando succedeva qualcosa. Contavo su di lui per capire quali parti del pavimento calpestare o meno, ma Emily non si fidava di nulla che non fosse il suo istinto”
“E tu come l’avresti uccisa?”
Zack la guardò. Era spaventata a morte, la voce a testimoniare la tensione che c’era nell’aria.
Una lacrima fuggì poi dalla morsa delle ciglia di Zack.
“Absol non sbaglia. Absol non sbaglia mai”
“E quindi?! Zack!” Rachel lo prese per le spalle e lo scosse.
“E quindi dovevo impedirle di camminare dove sapevo che il pavimento sarebbe crollato!” rispose lui, a tono, facendo sbiancare Rachel. Quella si bloccò immediatamente, inginocchiata sul divano, pochi centimetri da lui, totalmente immobile.
“Cioè... tu non le hai fatto del male?”
“Dovevo fermarla, Rachel”
“Ma l’hai avvertita?”
“Certo! Ma avrei dovuto insistere, Rachel! Ed ora lei non è più qui!”
“...Zack...” Rachel sospirò, levandosi un macigno enorme dallo stomaco. Aveva davvero pensato che Zack potesse essere stato un assassino. “...mi hai fatto credere che fossi stato tu ad uccidere Emily...”
“Ed infatti è così”
“No, Zack. Non è così” Rachel sorrise dolcemente, e carezzò Zack sulla guancia. Lui si voltò verso di lei.
“Perché dici così?”
“Perché tu hai fatto quello che dovevi. Se mi puntassi una pistola alla tempia, e tu mi dicessi che sparando morirei, e poi mi sparassi, di chi sarebbe la colpa della mia morte? Mia, che ho premuto il grilletto, o tua, che non hai fatto niente?”
“Appunto, Rachel... non ho fatto niente”
“Non massacrarti più. Non piangere più sul latte versato. Ora...”
E fu quello il momento in cui Zack la strinse tra le sue braccia, strappandole un altro sorriso.
“...dicevo, ora dobbiamo concentrarci su Mia. E dobbiamo chiedere ad Alma come parlare con Arceus”
“Già...”
“Stai meglio?”
“Beh... sempre uno straccio. Ma un po’ meglio...”
“Non puoi vivere tenendoti tutto dentro. Io ti voglio bene, ti sono amica. Con me puoi confidarti...”
Zack lasciò la presa dall’abbraccio, in modo da vedere gli occhi di quella.
“...con me puoi parlare di tutto”
E se Emily fosse stato solamente un capitolo della sua vita, e non l’atto conclusivo della pace della sua anima? E se l’atto conclusivo fosse stata invece Rachel?
Questo ed altri quesiti si contrapponevano nella sua mente, alternando ricordi crudi e macabri ad immagini dolci e costruttive. La confusione lo stava attanagliando, ma si rese conto che le parole di Rachel funsero da ammortizzante per i suoi sensi di colpa.
Dentro aveva ancora tanto peso da reggere, certo. Ma sentiva che qualcuno stava lavorando per alleggerirlo.
Rachel.
Quella ragazza, che in quel momento le sembrava così bella. Così dolce, così comprensiva.
Con quegli occhi blu.
E quelle labbra.
“Grazie” disse lui, prendendole le mani. Poi Zack si avvicinò a lei, e lentamente poggiò le labbra sulle sue.
 
Rachel spalancò gli occhi per un attimo, poi li richiuse, toccando rapidamente il paradiso ed il fondo del baratro. Non riusciva a dare un nome esatto a quelle emozioni ambigue che nascevano in quel momento nella zona incerta che sta tra i polmoni e lo stomaco, fatto stava che sentiva la mani di Zack stringere le sue, carezzare le sue labbra con le proprie, entrare debolmente in lei con un soffio, un alito di speranza.
Speranza di vita. Speranza di cambiamento.
Quel bacio terminò infiniti secondi dopo, ed i loro occhi si riaprirono.
Nessuna parola, né niente.
I loro cuori battevano all’unisono, e martellavano nei petti, trascinando i loro respiri incatenati, impossibilitati a lasciare quel luogo magico.
Quel luogo mistico.
Zack le guardò il volto. Un piccolo sorriso spuntò fuori dal nulla, mentre le guance avevano preso lo strano colorito roseo che di tanto in tanto vedeva quando aveva freddo.
Si specchiò negli occhi azzurri di quella, e vide nuova linfa, nuova vita, nuova speranza.
Crescere, diventare grandi.
E quella volta Zack riuscì a vedere il suo futuro negli occhi di qualcun altro.
Rachel si sentiva strana. Quel bacio aveva scombussolato tutti i suoi pensieri, e le sue sicurezze.
Ora si chiedeva chi aveva davanti.
Zack. Il bellissimo ragazzo dagli occhi verdi e dal torbido passato.
“Zack...”
“Shh...” quello la zittì, mettendole l’indice sulla bocca. Si avvicinò ancora, e la baciò nuovamente, stringendola ancora a sé.
Sì, stava per succedere. Il calore aumentava sempre di più, come se un fuoco divampasse proprio davanti ai loro volti. Zack la spinse, lei cadde sotto di lui, stesa sul divano.
Lui le sciolse i capelli, legati sulla testa, che si riversarono sul divano come raggi di sole. Il profumo di Rachel catturava Zack e lo costringeva a restare li. Le mani della ragazza cercarono le braccia forti di lui e diventarono strumenti di avanscoperta, per conoscere e meglio comprendere la morfologia di quei corpi ancora poco maturi.
Zack la carezzò, ovunque, la spogliò, poi salirono di sopra, e fecero l’amore.
 
Ryan era appena rientrato nella base dell’Omega Group. Non sapeva cosa fosse successo a Mia, né aveva intenzione di saperlo.
L’ennesima sconfitta subita contro Zackary Recket bruciava come un marchio a fuoco.
“Ora ha anche Rachel...” disse sottovoce, come se sussurrasse alle ombre della sua stanza.
Nonostante avesse messo in conto di poter perdere di nuovo, non pensava che Rachel accettasse di riabbracciare il ragazzo da cui era fuggita.
Sospiri e sbuffi si alternavano, mentre la pazienza, piccola porzione di una personalità ormai stracciata dai dubbi e dalle ingiustizie, diminuiva sempre più.
Tutto era immobile lì, tutto era così anonimo da far risaltare solo lui.
Si spogliò velocemente, e si lavò. Si godette l’acqua. Era calda, e fuori faceva freddo. Gli piaceva quando poi sarebbe uscito dalla cabina della doccia e tutto il vapore sarebbe rimasto nel bagno, quasi ci fosse stata nebbia.
E poi no, non vide Rachel. Almeno non come l’altra volta.
Non nuda.
E non stavano per baciarsi.
La rivide solo nei suoi pensieri, e capì quanto alta fosse la voglia di stringerla. E di baciarle il collo.
No.
Non doveva pensarci. Scosse la testa, e spazzò via questi pensieri.
“È mia sorella, porca puttana!” urlò, come per far capire alla sua testa che non doveva più fare pensieri del genere.
E sembrava quasi di averla convinta.
Sospirò, quando l’acqua prese a scivolare dietro la sua schiena, donandogli sensazioni simili a brividi.
Tremori.
L’ansia cominciò a crescere d’improvviso, e la rabbia lo assalì vandala.
“Cazzo!” urlava lui. “No! Cazzo, no!”
La sua voce rimbombava nel bagno e terminò con un sibilo. “No!”
Rachel e Zack ora erano insieme di nuovo. Ricordava lo sguardo che i due si erano dati, la sorpresa della ragazza quando il Campione era venuto a salvarla, le loro mani che si toccavano.
Chiuse l’acqua, e grondante, infilò l’accappatoio. Uscì fuori, nella stanza. Voleva stendersi sul letto, e farsi una dormita degna di questo nome. Ma aperta la porta del bagno sobbalzò.
Zack e Rachel.
Zack e Rachel erano lì, davanti ai suoi occhi.
Zack e Rachel erano lì, davanti ai suoi occhi, e lui stava profanando la sua purezza.
Stavano facendo sesso.
Era troppo.
Ryan urlò di rabbia, quasi stesse per partorire l’anima, strappò la lampada dalla presa e la lanciò su quei due.
La lampada esplose, ed il letto prese fuoco rapidamente. Le fiamme non arrossivano ulteriormente gli occhi di quello, già pieni di ira e di lacrime.
Il fumo raggiunse in sensori antincendio, e le bocchette dell’acqua presero a spruzzare il prezioso liquido ovunque, infradiciando ancora il ragazzo.
Almeno così le sue lacrime sarebbero passate inosservate.
 
Il mattino arrivò forse troppo in fretta. Il sole entrò a svegliare Zack. Non si mosse, si godeva quel torpore piacevole, e quella sensazione di rilassatezza che viveva addosso ogni qualvolta finiva di fare del sesso.
Si corresse da solo, pensando. Era amore, non sesso.
L’amore lo si fa con sentimento. Il sesso serve unicamente a svuotarsi dagli ormoni in eccesso.
Poi sospirò, godendosi quell’aria frizzantina nei polmoni. Il Natale era davvero vicino. Era il 22 Dicembre, ed intanto il mondo stava per finire.
Grazie per il regalo, Arceus.
Non aveva mai provato una simile pulsione verso un’altra persona. Nemmeno per Emily.
Non le era mai saltato addosso in quel modo, e non aveva mai desiderato stringerla così.
Mosse il braccio destro, carezzando la testa di Rachel. I capelli scarmigliati di quella emanavano un profumo assurdo.
Riguardava davanti ai suoi occhi tutte le scene di quella notte, eppure ricordava con nitidezza solo quelle in cui c’erano gli occhi della bella.
Che begli occhi...
Era davvero bella. E lei che non aveva mai fatto nulla per aiutare la sua bellezza era una sciocca. Come una gemma che si rifiuta di diventare un fiore, di aprire i suoi petali.
Zorua era sul letto, tranquillo, appallottolato ai suoi piedi. Zack sorrise, immaginandolo lì anche in momenti meno opportuni.
Sapeva che per Rachel fosse la prima volta, ma non sembrò avere alcun peso, quella faccenda. Ognuno faceva quello che faceva per il piacere dell’altro, per regalare all’altro un sorriso, un attimo di gioia e di distrazione da quella brutta situazione.
“...buongiorno...” fece Rachel, muovendosi lentamente. Alzò gli occhi, e vide Zack, mentre la osservava. Osservava il suo corpo, i suoi movimenti, i suoi respiri.
“Ciao, Rachel. Buongiorno”
“Dormito bene?”
“Sì. Accanto a te non ho avuto incubi”
Rachel sorrise, poi si voltò a pancia sotto, per guardarlo meglio. “Che cosa strana...”
“No. Sapevo fin dal primo momento che tu mi avresti cambiato la vita”
Un sorriso timido comparve sul volto della ragazza. Zack si avvicinò e la baciò ancora. Nessuno dei due si capacitava del fatto che tutto ciò stesse accadendo, sul serio.
Accadeva e basta. Come lo scorrere del tempo, o un battito di ciglia.
Non ci andavano a riflettere più di tanto.
“Ho bisogno di usare il bagno...” fece lei, tirandosi la coperta, ed avvolgendosela alla vita. Pratica che da sempre Zack aveva ritenuto inutile. Che senso ha coprire ciò che è già stato visto scoperto?
Rachel si alzò ed andò in bagno, seguita da Zorua, e Zack si stese ancora, affondando nei cuscini del letto dei genitori di Rachel.
Il letto cominciò ad inclinarsi, come quando qualcuno si siede ai piedi del letto. Zorua forse si era svegliato, e si era alzato in piedi.
“No... Zorua è con Rachel...” ragionò ad alta voce.
Alzò la testa, ma gli occhi incontrarono i raggi del sole a combatterli con tenacia. Mano sulla fronte e problema risolto. Bolle di luce fluttuavano qua e là, e forse era il sonno a suggestionarlo in quel modo.
Ma non si sarebbe mai sbagliato nel vedere il suo volto.
Nel riconoscerlo.
“Emily...” Zack inclinò la testa, per vedere meglio.
Quella sorrise, e si mosse verso di lui, gattonando. Aveva indosso i vestiti che portava il giorno del disastro.
Zack spalancò gli occhi.
“No... Emily!”
Quella sorrise di nuovo, accovacciandosi lì.
“Rachel! Corri, Rachel! Non è morta!”
Allarmata, la ragazza tornò correndo dal bagno, e vide Zack, con gli occhi spalancati, a fissare un punto indefinito.
“Zack! Che succede?!”
“Emily! Emily è qui!”
“Dove?!”
“Come dove?! Sul letto! Rachel, Emily è sul letto!”
Rachel allora sospirò, calmandosi. Si avvicinò a Zack, e gli baciò la guancia.
“No, Zack. Non è Emily”
“Ma è qui. È davanti a me”
“Zorua ti ha ingannato...”
“Zorua... Zorua cosa?!”
La mano di Rachel passò apposta sul petto di quello. Il cuore batteva come un metronomo impazzito. Era letteralmente agitato.
“Zorua è piccolo, ma è molto abile nell’usare le illusioni. Io lo vedo come un bambino. Tu lo hai visto come Emily, perché sfrutta le nostre debolezze”
“Cosa?”
“Può sembrarti cattiva come cosa... ma non lo fa neanche apposta. È semplicemente il suo modo di allenarsi, e di passare il tempo”
“Emily non è qui?”
“No. Questo è Zorua”
Zack si avvicinò lentamente, con la mano. Anche Emily faceva lo stesso.
“Lei è qui...”
“No”
Tutto prese a muoversi a scatti. Rachel prese Zorua in braccio, poi cominciò a morderla, e lei urlò forte.
 
Zack gridò come un forsennato, facendo sussultare Rachel al suo fianco.
Entrambi nudi, entrambi nel letto dei genitori di lei, nella sua casa. Avevano finito da poco di fare l’amore.
“Zack?! Zack, che succede?!”
“Rachel! Stai bene?!”
“Sì... sì, che sto bene... anzi no, mi stavi facendo venire un attacco di cuore...”
“Scusami...” ansimava quello.
“Calmati. Hai fatto solo un incubo...”
Zack alzò gli occhi, mentre vedeva il ciuffo rosso di Zorua illuminato dalla luna, mentre dormiva.
Il ragazzo si voltò a guardare l’orologio.
5 : 24.
“Torniamo a dormire, che domani abbiamo tanto da fare... Timea ci aspetta” sospirò Rachel, stringendolo al suo petto, sperando di regalargli un po’ di sicurezza nella morbidezza dei suoi seni.

 

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Capitolo 42
*** Capitolo Sedicesimo: Convinzioni ***


Convinzioni - Pt. 1


Il sole venne a bussare alle loro porte quando ormai era su in cielo già da un paio d’ore.
“Hey…” la voce di Rachel accarezzò le sue palpebre, tanto da aprirgliele.
Zack la guardò, stanco più di quando era andato a dormire, ma felice.
Quella notte fu leggermente movimentata. Guardò Zorua in malo modo. Lo scherzo, “l’allenamento” così come lo chiamava Rachel, non gli era andato a genio. Aveva davvero avuto Emily davanti agli occhi, e questa cosa aveva scioccato sia Zack che Rachel.
“Buongiorno, Rachel” disse lui, stiracchiandosi, e sorridendo. Non dormiva in un letto così comodo da quando aveva lasciato casa di Alma.
“Ciao, Zack”
C’era un po’ di timidezza. Insomma, i due avevano fatto davvero quello che avevano fatto quella notte, ma era come se ciò non fosse avvenuto, e si trovassero ugualmente nudi l’uno accanto all’altra.
Come se Zack non avesse dormito tra i seni di Rachel.
Come se Rachel non avesse poggiato le mani sul sedere di Zack. Le piaceva.
Le piaceva tutto. La sensazione di libertà e pienezza che provava in quel momento, quel torpore, il calore dei loro corpi, e poi il piacere che derivava dalla loro unione.
“Era la tua prima volta?” domandò lui, voltandosi verso di lei, e stringendola al petto. Lei portò le mani alla schiena del ragazzo, saggiandone tutte le irregolarità.
Rachel si limitò ad annuire, arrossendo violentemente. Come se fosse una cosa di cui vergognarsi.
“Mi spiace dire che non sia altrettanto... avrei voluto condividere con te questa novità. Di sicuro è la prima volta che faccio una cosa del genere con la voglia di svegliarmi accanto a lei”
“Cioè?”
“Non lo so. Forse è stata la mancanza che ho sentito di te. Insomma, sei entrata nella mia vita come un fulmine a ciel sereno...”
“Semmai è il contrario...”
“Non vorrai davvero continuare con la storia della commissione per gli zii?”
Rachel sorrise. “Continua”
“No, niente. Volevo solo dirti che c’era del sentimento in quello che ho fatto”
E seppur ne avesse sentito parlare, Rachel non credeva che una cosa così potesse essere fatta senza sentimento. Cioè, aprirsi ad una persona a tal punto da farla entrare in sé.
Tanto doveva bastare alle persone per inciampare in un letto.
Purtroppo, invece, era solo la parte veniale a farlo; i cinque secondi di paradiso, seguiti da un purgatorio senza precedenti.
Si immaginava la situazione. Si sarebbe sentita davvero a disagio, se si fosse mai trovata in quel contesto.
Respirò a fondo, riuscendo a realizzare che non era il suo caso. Zack era lì con lei, non era scappato via, ed anche lui stava parlando di quel fantastico e misterioso “sentimento”.
Che fosse amore?
Zack si alzò, andando alla finestra, e spalancandola. Era nudo. Rachel ebbe una visione frontale della sua schiena, e di ciò che stava sopra e sotto. Capelli spettinati e fondoschiena di marmo.
Senza pudore, lui. Senza vergogna. Mostrava alla natura, ed anche al vicinato, ciò che sua madre gli aveva fornito con nove mesi di gestazione.
“Fa davvero freddo...” sorrise lui, girandosi poi. Rachel arrossì quando poté vederlo anche davanti.
Tralasciando i dettagli, si rivestirono. Lei aspettò che lui fosse girato di spalle per alzarsi e scappare nel bagno dopo aver preso un completo intimo, per poi uscirne coperta, sicura e felice.
 
Quella notte travagliata le aveva donato solo un paio d’ore di tranquillità, nonostante pareva stesse dormendo da anni.
A Mia scoppiava la testa.
Aprì gli occhi lentamente, anche se avrebbe preferito farlo in modo molto più rapido. Si guardò attorno, e si rese conto subito di essere imbavagliata.
Poi la sua prima preoccupazione la portò ad abbassare lo sguardo.
Tra i due seni, il cristallo di Arceus non c’era più.
Avrebbe urlato un bel “No! Ridatemi il cristallo e lasciatemi uscire!” se fosse servito a qualcosa.
Ma sapeva come quelle cose andavano a finire. E se non sarebbe morta dopo quella situazione sarebbe già stato un grande miracolo.
Le mani erano legate dietro quella scricchiolante sedia di legno su cui l’avevano piazzata. La stanza dove l’avevano messa era vuota, deserta. Solo dei vetri neri, dove, pensò, ci sarebbe di sicuro stato qualcuno, e delle lampade al neon sul soffitto bianco.
Non avrebbe potuto fare niente. Si guardò le gambe, e si rese conto di essere ancora vestita, per sua fortuna. Non era stata violentata.
Quello che volevano era il cristallo.
Alla cintura c’erano ancora i suoi Pokémon, ma non avrebbe mai trovato il modo di far uscire Chikorita o Magmortar per liberarla.
O Metang.
“Un momento...” pensò. Lì mancava una sfera. Lì mancava il suo Metang.
Le avevano preso anche Metang, oltre che al cristallo.
Pensava, Mia. Lei era in grado di evocare Arceus, lo aveva detto la stele di Hermann.
Ma non sapeva farlo, e non sapeva cosa dovesse fare per saperlo.
In effetti, riconobbe, lei ed i ragazzi brancolavano nel buio, a tentoni, cercando di carpire informazioni alla bene e meglio. Nonostante questo, però, si vedeva che questa responsabilità non era da attribuire ad un gruppo di persone la cui più grande aveva meno di venticinque anni.
Non era il caso.
Forse Zack ci stava... insomma, lui era il campione. Ma Rachel... ed anche lei stessa.
Erano impreparate, e troppo emotive per affrontare una missione del genere.
Missione che vedeva invischiato anche quel Team Omega, e quel Ryan.
Fratello di Rachel, o quello che era, stava combattendo contro di lei, nel cortile di casa sua, ed aveva distrutto tutto con quell’orribile Tyranitar nero.
Un Tyranitar nero, poi... chissà come avevano fatto ad ottenerlo.
I suoi pensieri si susseguivano, ma tornava sempre ad un quesito, che si stava ponendo continuamente, e con venti secondi di regolarità.
“Perché ho accettato di seguire quei due sconosciuti? Perché mi sono messa nei guai?”
Magari era la prospettiva di salvare delle vite... forse sì.
Ma mentre prima aveva il sospetto che la faccenda del cristallo fosse una stupidaggine, ora aveva la certezza che stesse sbagliando opinione. Insomma, qualcuno era arrivato persino a rapire una persona per quel pezzo di pietra strana.
Quel pezzo di pietra verde.
Il cristallo di Arceus.
Con quello si evocava Arceus.
Arceus. Arceus distruggeva tutto. E tra terremoti e maremoti, il mondo si stava riducendo sempre di più ad un ammasso di macerie e calcinacci, sempre più distante dalla visione utopica di natura mischiata con la tecnologia.
Alla fine tutti sarebbero morti, e nessuno avrebbe ricostruito nulla. Solo qualche Pokémon avrebbe rivendicato la sovranità di quella terra.
Di quella terra di nessuno.
D’improvviso sentì un cigolio alle sue spalle. Era una porta. Qualcuno entrò nella stanza, erano tre persone. I cigolii si ripresentarono, e quindi la porta si chiuse.
Mia riuscì a sentire chiaramente lo scatto della serratura.
Poi alcuni passi, fino a che fu in grado di vedere chi avesse alle spalle grazie al riflesso dei vetri oscurati.
“Ciao, Mia”. A parlare era Linda, ma Mia non conosceva il suo nome. Era solo una bella ragazza, con gli occhi vispi. Ed una scollatura forse troppo esagerata per quel contesto. L’altra ragazza, quella con i capelli ricci, di colore, aveva una divisa. E poi c’era anche Ryan, il fratello di Rachel.
No, non era il fratello, si ripeteva nella testa.
Ryan le levò l’impedimento alla bocca, e la guardò. Gli occhi rossi di quello erano davvero troppo penetranti per non lasciare la prigioniera perplessa, almeno per un attimo.
“Chi siete... perché mi avete rapito?”
“Mia...” Linda ripeté il suo nome.
“Cercate soldi? Mio padre è un ricco uomo d’affari! Parlate con lui, ma per favore non fatemi del male e lasciatemi andare!”
Marianne aprì la mano, lasciando pendere dal suo dito il cristallo. Il cristallo verde, quello che le aveva dato Zack.
“Volevate quello?” chiese poi, Mia, con le lacrime agli occhi. Si chiedeva per quale motivo quelle persone volessero che il mondo scomparisse. Insomma... tutti ne avrebbero guadagnato, se non fossero morti.
“In realtà volevamo solo vedere cosa vi ha tratti in inganno per tutto questo tempo...” fece Linda.
“Eh?!”
“Si, Mia. Tu non sei l’oracolo, e questo non è il cristallo. Sei una normalissima ragazza, bionda, ricca e neanche molto intelligente...”
“Vaffanculo!” urlò Mia.
Linda sorrideva. Poi si avvicinò al viso della ragazza. “Sei stata tratta in inganno dalle parole di quei ragazzi. Erano totalmente fuori strada”
“Che cosa stai dicendo?!”
“Ryan... spiegaglielo tu”
La parola passò al ragazzo dagli occhi rossi.
“Beh...”
Qualcosa vibrò all’interno della giovane donna, legata alla sua sedia, rapita da quella sguardo e volenterosa di sapere in che guaio era capitata.
“Si?”
“Mio padre ha studiato per anni questa profezia. E nonostante molti credono che sia leggenda, morendo, mio padre si è portato nella tomba la testimonianza del fatto che Prima, l’oracolo di Arceus, abbia inglobato il cristallo, in modo da diventare sia lo strumento che l’utilizzatore stesso...”
“Capito?” domandò Linda.
Il silenzio forzato di Mia, scioccata e spaesata, rendeva ancor più rumoroso il ronzio dei neon sulle loro teste.
“In pratica... Prima era il cristallo...” fece la bionda, davvero stralunata.
“Ed anche l’oracolo” concluse Marianne.
“Ma io sono l’oracolo!”
“Tu non puoi essere l’oracolo. Altrimenti saresti anche il cristallo” spiegò Ryan.
“Ma la tavola di Hermann si è illuminata quando l’ho toccata. Io sono l’oracolo!”
“Chi ti ha sottoposto all’esame della tavola di Hermann?” chiese poi il biondo.
“...Rachel”
Lui sorrise. “Questo è il più grande equivoco di sempre. Mia, la tavola si è illuminata perché, mentre la toccavi tu, l’ha toccata anche Rachel. È lei l’oracolo. È lei il cristallo”
Mia spalancò gli occhi, e rivisse nella sua testa tutti gli attimi che avevano caratterizzato quei racconti.
C’era tutto. Il tendone medico, l’infermiera, Zack e Rachel. Poi lui uscì fuori, perché lei doveva levarsi la maglietta, ed intanto Rachel le aveva chiesto di prendere dalla sua borsa, accanto al letto, la tavola di Hermann. Processi mentali assurdi le suggerirono che lei stessa fosse davvero stata l’oracolo, la tavola si sarebbe dovuta illuminare già allora, quando la passò a Rachel. Ed invece si illuminò giusto quando Rachel e lei posero le loro mani sulla tavola, contemporaneamente.
Sbiancò. Lei non c’entrava niente in questa storia.
E per quanto sollievo questa conclusione le avrebbe dovuto creare, si sentiva ancora più angosciata.
Voleva dire che i ragazzi erano totalmente fuori strada. Stavano cercando qualcosa che non esisteva.
“E... e quel cristallo cos’è?” chiese poi Mia, confusa.
“È un affascinante materiale, poco diffuso sulla terra. Ma fidati. Non è il cristallo di Arceus” disse Marianne, sorridendo.
“Quindi è inutile”
“È un bel ciondolo... ma oltre che tenerlo appeso al collo, non puoi farci nulla”
“Qualcuno deve avvertire Zack e Rachel allora!”
Ryan s’incuriosì.
“Qualcuno deve dirgli che non sono io l’oracolo! Loro stanno provando a salvarci! E voi ancora lo dovete capire!”
“I tuoi amici stanno cercando inutilmente di parlare con Arceus, che non vedo perché debba accettare di scendere a compromessi con due perfetti sconosciuti. Noi invece faremo in modo che questa punizione non ci colga. Ci salveremo. Anche noi facciamo parte dei buoni”
“Non vedo perché rapirmi allora!”
“Ci avresti dato la pietra, se te l’avessimo chiesta?”
“Certo che no! Ma se sapevate che il cristallo era Rachel avreste dovuto prendervela con lei, non credi?”
“Beh. Si. Ma c’è un piccolo particolare. Noi sappiamo che Rachel è l’oracolo... ma loro non lo sanno. Loro credono che sia tu la prescelta”
Mia si perse in quelle parole, sempre più confusa, prima che i tre la nutrissero, la bendassero ed imbavagliassero di nuovo e spegnessero le luci, andando via.
 
Rachel e Zack arrivarono alle porte di Timea. Era la città più grande della regione. Alti palazzi si alternavano a zone verdi ed ancora a parti residenziali, dove si trascorreva una vita tranquilla e morigerata.
Il nome Timea, derivava dal nome del grande eroe di Adamanta, Timoteo il templare.
Le grandi lotte che aveva tenuto, e che l’avevano visto soccombere tra le fiamme della grande Battaglia del Plenilunio, così denominata perché si tramandò che quella notte il ciclo lunare indicasse proprio tale stato della Luna, lo portarono a diventare vera e propria leggenda, ancora oggetto di studi e protagonista di storie e racconti. Nella piazza principale vi erano varie statue, e la più grande era la sua. Lui, con il suo Haxorus, il suo Scyther ed il suo Absol.
“Anche Timoteo aveva un Absol...” sorrise Zack, passando davanti alla statua.
“Beh... il suo è un eroe” Rachel punzecchiò, come solo una donna sa fare in certi casi.
“Il mio è Campione, però”
“Meglio essere eroe”
Zack la mandò a gesti a raccogliere le albicocche, quindi la strinse, la baciò e poi la lasciò andare.
“Zack... siamo troppo deconcentrati. Dobbiamo focalizzarci sull’Omega Group. Dobbiamo recuperare Mia ed il cristallo”
“Già. Dovremmo trovare la base del gruppo”
“Dove potrebbe stare?”
“Secondo me non dovremmo pensare all’Omega Group come ad un gruppo criminale. Dovremmo più che altro vedere il tutto sotto un’ottica diversa”
“Del tipo, io ho una società di vigilanza ma di nascosto siamo dei criminali”
“Esatto” sorrise Rachel.
“Quindi dovrebbe essere facile trovare il loro indirizzo”
“Chiediamo... a qualcuno”
Poi a Zack venne un’illuminazione. Guardò Timoteo, e ben nascosta, riuscì ad individuare una piccola telecamera.
Pensò, Zack. “Riuscivano sempre a trovarci. Sapevano sempre dov’eravamo. Che avessero sparso telecamere per la regione? Non ci resta che provare...”
“Andiamo” disse poi, il ragazzo, prendendo per mano Rachel e camminando il più lontano possibile, uscendo dall’ottica della videocamera.
“Dove stiamo andando?” chiese Rachel, ad un certo punto.
“Aspetta...”
Cacciò il Pokégear e fece una telefonata.
“Stella... dimmi che sei a Timea... che fortuna sfacciata che ho... sì, so che ieri eri ad Hoenn, ho sentito in serata Milla... non importa adesso di Milla, piuttosto ho bisogno che tu faccia una comparsata in piazza... dopo ti spiegherò il perché, puoi farlo adesso?”
Alcuni secondi, e Zack spalancò gli occhi. “Quanto tempo?! Mi serve un escamotage di pochi secondi per manomettere una telecamera!”
Poi sorrise. “Ma che ne so... meno vestita sei e più attenzione avrai, sai com’è... grazie, ti devo un favore. Ti voglio bene” e poi attaccò.
“Chi è che vuoi bene?!” chiese con una punta di gelosia la compagna.
“Stella. La sorella gemella di Milla”
“Meno vestita sei e più attenzione avrai... non mi piacciono queste cose” si offese quella.
“È per una buona causa”
“Se Stella assomiglia a Milla credo che non avrà problemi a catturare l’attenzione...”
“Lasciamo perdere questo dettaglio, Rachel... ora stiamo pronti”
Stella aprì il portone del palazzo in cui viveva, in pieno centro. Una ragazza dalla bellezza magniloquente, con un fisico scolpito nell’alabastro. Occhi marroni, vividi e lucenti, dello stesso colore dei lunghi capelli. Indosso un grazioso top primaverile, decisamente scollato, ed una gonna rosa con un ampio spacco. Zack doveva concentrarsi e non guardare la coscia di quella. E poi una sciarpa, legata al collo e lasciata pendere libera, dietro la schiena nuda. Nonostante fosse Dicembre a pochi interessò del freddo, vedendo la bella donna seminuda passeggiare in piazza, lontana dalla statua.
Zack le fece segno di continuare
Credeva di aver trovato un punto cieco alle telecamere. Lentamente si avvicinò alla statua, e senza dare nell’occhio, salì sull’Absol di pietra, quindi ruppe i fili della videocamera per poi scappare velocemente.
Arrivò da Rachel, la prese per mano e lentamente entrarono in un vicolo, appoggiandosi al muro accanto ad una porta sul retro di un qualche bar o ristorante.
“Avete davvero un bel tipo di rapporto, tu e Stella...“ incrociò le braccia Rachel, infastidita da quell’atteggiamento. “Lei, poi... non si fa alcun problema nello scendere seminuda da casa...”
“Dobbiamo ringraziarla, finiscila di fare la cretinotta...”
“Si, vabbè...”
Zack sorrise e la strinse tra le braccia.
C’era da ammetterlo. Lì, Rachel stava davvero alla grande. Sembrava che quell’incavo, quello tra il collo ed il petto del ragazzo, fosse stato fatto apposta per lei.
Poi la porta si aprì. Ne uscì Stella.
Rachel vide il volto di Zack illuminarsi ulteriormente. Quello sorrise.
“Stella! Ciao!”
Lasciò la stretta con Rachel per abbracciare Stella.
Rachel ribolliva dalla rabbia, a maggior ragione perché non riusciva a smontare quel mito. Non possedeva alcun difetto fisico, quella donna.
“Zack! Non ti vedo da un secolo!”
Rachel pensò che avesse la voce da oca, mentre sperava che quell’abbraccio tra i due cessasse, e quando il suo desiderio si avverò, si vestì del suo sorriso più finto quando il ragazzo le presentò.
“Stella, lei è Rachel, una mia... amica... Rachel, lei è Stella, la capopalestra di Timea”
Ed intanto nella testa di Rachel risuonava quella parola. Amica. E mentre gli voleva urlare che lui, con quell’amica, quella notte ci aveva fatto l’amore, si limitò ad annuire, ed a cercare di friggere con lo sguardo le persone.
Non ci riuscì.
“Sono felice di conoscerti” sorrise lei. Non sembrava molto intelligente.
“A chi lo dici... sei identica a tua sorella”
“Non per niente siamo gemelle”
“Forse lei è un po’ più vestita, ma vabbè, lasciamo perdere”
Stella guardò Zack, chiedendosi quali problemi avesse la sua amica, e poi ritornò a sorridere. “Spero di essere stata utile” aggiunse.
“Utilissima!” Rachel anticipò Zack, che le diede un pizzico sul braccio.
“Ti ringrazio, Stella. Poi ci rincontreremo. Ora ho un affare da sbrigare da queste parti”
“Dovere mio aiutare il campione” lei sorrise, facendo l’occhiolino al ragazzo. Rachel eruttò come il Fukushima, ma fu costretta a suicidare la sua rabbia, e ad inghiottire tutte le maledizioni che stava lanciando, convincendosi per un attimo di essere affetta dalla sindrome di Tourette, per poi ritrattare.
Stella sparì oltre la porta dalla quale era entrata e nel vicolo rimasero solo uno Zack più determinato che mai ed una donna indiavolata. Prese Zack per dietro il collo, stringendo e costringendolo ad abbassarsi.
“E così sarei un’amica?!”
“Ra-Rachel! Posso spiegarti!”
“Che vuoi spiegare?! Stanotte ti ho dato tutto quello che avevo!”
“E te ne sono davvero grato! Ma lasciami il collo!”
Rachel fu mossa a pietà da quello, ed eseguì. Zack si massaggiò la parte interessata, quindi si alzò all’in piedi.
“Il fatto è che non so come dovrei rapportarmi a te. Non voglio correre troppo, e non voglio che tu possa pensare che io snobbi la tua persona o altro... quello che c’è stato stanotte per me è eccezionale. Non voglio che tu possa pensare che io non lo abbia apprezzato. Ma vuoi davvero che ti definisca la mia ragazza? La mia donna?”
Rachel inarcò un sopracciglio ed incrociò le braccia, quindi dopo pochi secondi annuì.
“Davvero? Non sei spaventata da quello che può succedere?”
“Che dovrebbe succedere, scusa?”
Zack sorrise bonariamente. Dopotutto era la prima esperienza di Rachel, e detta tutta, sinceramente, non aveva mai incontrato ragazze serie. Per quelle una notte o poco più era troppo. E quando si era ritrovato ad essersi innamorato ed a volerle dare un appellativo più vicino a FIDANZATA che ad AMICA, quelle avevano risposto con un bel due di picche.
Ecco spiegato l’arcano.
Zack non sapeva come comportarsi.
Agli occhi di Rachel, però, quella mossa era sembrata come un volersi rabbonire la bella capopalestra, in modo da farle capire che la strada era libera, e che non ci fosse alcuna FIDANZATA.
“Perdonami... sarai la mia donna, da ora in poi. Per tutti quanti”
E la cosa non poté far altro che far sorridere la ragazza e rinsaldare sempre di più il loro rapporto.
“Ora controlliamo la piazza... qualcosa sta per accadere”

 

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Capitolo 43
*** Capitolo Sedicesimo: Convinzioni 2°Parte ***


Convinzioni - Pt. 2


Venne alla fine il momento.
Un omino tarchiato, con una tuta nera da lavoro ed un cappello, seguito da uno Smeargle, si avvicinava lemme alla statua di Timoteo, in piazza.
“Eccolo” fece Zack, seduto ai tavolini di un bar, con in mano il giornale sportivo. Rachel guardava con finta distrazione il tanto agognato tecnico dell’Omega Group.
O quantomeno quello che Zack credeva fosse il tecnico di tale azienda.
“Se è veramente dell’Omega Group, effettuerà la riparazione e tornerà alla base. Noi intanto lo seguiremo da lontano” Zack ripeteva con cura il suo piano.
“E se lo perdiamo?”
“Braviary vola su di noi, e lo seguirà. Sapremo di per certo dove andrà questo tizio.”
 
La riparazione avvenne, ed assieme al suo Smeargle, il tecnico lasciò la piazza di Timea.
Braviary lo seguì dall’alto, mentre da dietro Zack e Rachel si tenevano per mano, facendo i romantici.
Quello salì su di un piccolo furgoncino, e partì.
“È andato...” osservò la ragazza, costernata.
“Saliamo su Zebstrika e seguiamolo. Tanto c’è Braviary che ci dirà dove si dirige”
“Si chiama Wizard...”
“Il tuo Wizard non è uno Zebstrika?”
“Non c’entra. È come se ti chiamassi Essere umano. Non pensi sia riduttivo?”
“E perché Pupitar non si chiama Amilcare?”
“Ottima idea!”
Zack si bloccò sul posto, resettò il sistema e ripartì. “Dai... fammi salire sul tuo quadrupede e facciamo in fretta”
“Suona male anche detto così”
“Rachel!”
Quella sorrise, e tirò fuori dalla sfera Wizard. Dopodiché salirono sulla sua groppa e presero a trottare a distanza, seguendo Braviary, alto nel cielo.
Uscirono dalla zona centrale, passando anche per la zona industriale. Il furgoncino prese una strada sterrata, passando per un piccola boschetto. Gli zoccoli di Wizard non aderivano molto bene al sottobosco, donando ai ragazzi oscillazioni e per Zack anche qualche caduta.
“Non riesci a stare sul mio quadrupede?” chiese Rachel con aria di sfida.
“Mi sta disarcionando di propria volontà...”
“Vuol dire che sarai pesante...”
“Semmai tu... sei diventata un po’ più rotondetta da quando sei scappata”
“Smettila di dire stupidaggini. O alla base dell’Omega Group ci arrivi a piedi”
Zack sorrise e strinse da dietro la ragazza, affondando la faccia nei suoi capelli profumati.
Alcuni minuti dopo, in cui Zack cadde da Zebstrika altre tre volte, il furgoncino si fermò davanti ad un cancello.
“Ecco, Rachel... siamo arrivati”. Quei due si nascosero dietro ad un albero, intanto Zack guardava Braviary. Come gli avvoltoi, volava in cerchio sulla base.
Il furgoncino suonò il clacson, e dal cancello uscì un uomo, che andò a parlare con il tecnico.
“Abbiamo fatto centro, Rachel... quel tipo ha la stessa divisa che aveva Ryan”
 
Si misero a girare intorno alla struttura, cercando una falla, un buco nel muro, un posto dove scavalcare o una porta di servizio. Ma nulla di nulla.
“È inespugnabile!” esclamò Rachel.
“Lo so, ma dobbiamo trovare il modo di entrare! Mia è lì dentro da troppo tempo per i miei gusti”
“Smettila di fare il premuroso con Mia”
“No! Sto facendo il premuroso con il cristallo di Arceus! E dovresti fare altrettanto”
“...ok. Scusa”
“Quanto sei gelosa, mamma mia...”
Rachel aspettò che quello si girasse per fargli una smorfia, quando poi il ragazzo si bloccò.
“Hai Carracosta, giusto?”
“Sì... perché?”
Zack sospirò e portò le mani ai fianchi, quasi come se avesse fatto venti chilometri di corsa.
“Hey...” Rachel si affiancò a lui, senza capire. Davanti aveva il condotto d’areazione. “Carracosta è qui...”
“Bene... fallo uscire”
“Vai, Carracosta!”
L’enorme tartarugone si materializzò davanti ai loro occhi. Guardò Rachel e Zack, con calma quasi impressionante. Sembrava una statua.
“Bene, Rachel. Ora vai, Growlithe”
Dalla sfera uscì anche lui. Ed una volta che Zack gli ordinò di usare il Lanciafiamme sul condotto dell’areazione, quello lasciò partire una bomba di calore, che rese incandescente la mascherina di metallo del condotto.
“Ottimo! Ora ordina a Carracosta di usare Idropompa, presto!”
“Carracosta! Idropompa sul condotto!”
La potenza di quel Carracosta era davvero assurda. I suoi attacchi erano pura forza. Rupert lo aveva allenato con molta cura.
L’acqua fece lo stesso effetto a quella grata che gli fece l’attacco del Marshtomp di Emily, e questo fu l’unico pensiero di Zack.
Stava entrando nella base di un team malvagio, come fece con Emily, con la donna che amava, come fece con Emily, e stava cercando di salvare il mondo, come fece con Emily.
Ma quella storia non doveva avere lo stesso epilogo.
Una volta che la grata si consolidò, Zack la staccò facilmente dal muro, e poté entrarvi, seguito dalla ragazza.
 
“Sono appena entrati, signore” Marianne informò Lionell dell’accaduto. Una telecamera, presente su ogni angolo dello stabilimento Omega teneva informati i vari operatori di tutto ciò che accadeva lì nei pressi.
Lionell guardava dal suo monitor le immagini di Zack e Rachel che entravano nell’impianto di areazione.
“Bene. Vuol dire che oggi stesso attueremo il piano. Chiama Linda e Ryan, e falli venire qui”
 
Gattonavano lentamente nel condotto dell’areazione, Rachel dietro a Zack.
“Non fare rumore” ripeteva come un metronomo ogni cinque secondi.
“Hai fatto più rumore tu, per dirmi queste cose, che io durante tutta questa settimana”
“La solita esagerata...”
Camminavano, cercando di essere più silenziosi ed invisibili possibile in corrispondenza di ogni apertura del condotto.
Sgusciarono via, fino ad arrivare a vedere qualcosa.
“È Ryan...” la voce di Zack pareva un piccolo soffio.
Rachel spalancò gli occhi, guardinga ed impaurita. L’ultima volta aveva visto qualcosa di strano nei suoi occhi. Pareva quasi fosse uno psicopatico maniaco.
“Sì... lo vedo”
Ryan parlava con una ragazza bionda, molto procace. Zack ricevette uno schiaffo dietro la testa.
“Non guardarla troppo...”
“Rachel... appena finisce questa storia ti squaglio nell’acido”
“Proprio come un mafioso”
“Esatto, proprio come un mafioso, capisti?”
Rachel lasciò scappare una risatina, quando poi un piccolo clac li zittì.
“Cosa è stato?” chiese Zack.
“Boh... penso che sia...”
E neanche il tempo di finire la frase che la conduttura crollò, e Rachel ricadde sopra Zack, dopo un breve volo di tre metri dal soffitto al pavimento.
Ryan e Linda sembravano essere in posa per una foto. Entrambi a braccia conserte, mentre aspettavano di capire se quel volo fosse stato fatale per i due.
“Respirano...” osservò la bionda.
“Già... purtroppo...” Ryan mostrò loro un cacciavite, e Zack arguì che il biondo avesse manomesso la conduttura.
“Ryan...” Zack digrignò i denti, toccandosi la testa. Sentiva il sangue scorrere da qualche parte, ma in quel momento gli interessava altro.
“Zackary Recket... ci incontriamo di nuovo”
“Basta con queste frasi di circostanza. Dov’è Mia?”
“Mia è proprio dietro la porta alle nostre spalle. Ciao Rachel” fece il ragazzo, sorridendo poi alla sorella. O quello che era.
“Ti aspetti anche che ricambi il tuo saluto? Ma vedi cosa sei diventato?”
“Che intendi?”
“Un tempo aiutavi nostro pa... tuo padre nelle ricerche... lavoravi per il bene del mondo. Ed ora...” una lacrima le sovvenne.
“Ed ora state condannando il mondo all’oblio” concluse Zack.
“Invece no. Stiamo cercando solamente di impedirvi di ammazzarci tutti e di perdere la nostra unica occasione” rispose Linda.
“Cosa stai dicendo?”
“Il vostro piano è quello di parlare con Arceus, pregarlo che le disgrazie finiscano...”
“Invece il vostro qual è?”
“Non così in fretta!” esclamò Ryan. “Mi devi una rivincita”
“Un’altra?!”
“Ora gioco in casa”
Zack sorrise, mosso dalla battuta del ragazzo. “Bene! Ma se vinco io voi mi ridate Mia ed il cristallo”
“Perfetto! E se vinciamo noi voi rimarrete qui dentro”
“Bene!”
“Cosa stai dicendo, Zack?!” Rachel sobbalzò. “Non sia mai vinca questo squilibrato, non potremmo più fare nulla”
“Hey... ogni volta che questo tizio ha provato a sfidarmi se n’è sempre tornato con la coda tra le gambe...”
“Stavolta non andrà così” chiuse Ryan. “Combattiamo! Un match uno contro uno!”
“Ok! Vai Lucario!”
“È il tuo turno, Manectric!”
Un esemplare splendido di Manectric camminò elegante per la stanza, creando subito tensione nell’aria. Dal capo fuoriuscivano scintille. Gli occhi spiritati, rossi, fissavano Lucario, che dal canto suo era impassibile.
Concentrazione massima, Zack respirò profondamente e analizzò il suo avversario.
Un Manectric. Pokémon in grado di attaccare da ampie distanze, veloce e, siccome era di Ryan, pericoloso ai limiti dell’impossibile.
Manectric prese a ringhiare.
“Cominciamo, Manectric, e facciamolo col botto... Usa Fulmine”
Ryan pareva calmo. In realtà cercava di trattenersi, e di mostrarsi forte agli occhi di quella ragazza bionda che gli altri non sapevano chiamarsi Linda.
Il fulmine partì dall’ampia struttura a forma di casco di Manectric, e si abbatté violentemente su Lucario, che dal canto suo non fece una piega.
Non si mosse, e fu colpito. Nonostante questo sembrava non essere assolutamente colto da quell’attacco. Era inerme.
“Ma che...” Ryan pareva perplesso.
Lucario guardò Zack con un’espressione del tipo “quando cominciamo a divertirci?”, e quello sorrise.
“Mostriamogli la vera potenza, Lucario! Forzasfera!”
Lucario canalizzò tra le mani la sua energia, che formava un’aura blu, mentre la polvere cominciò ad alzarsi.
“Vai!” urlò da bravo mitomane Zack, senza interessarsi di distruggere parte dell’edificio con quell’attacco.
“Schivalo!” urlò Ryan.
La sfera d’energia partì dalle mani di Lucario, che la lanciò verso Manectric. Poco prima che si schiantasse sul pavimento, formando un’enorme quantità di detriti, il Pokémon elettrico saltò agilmente via.
Ryan e Linda si coprirono il volto, Rachel invece si nascose dietro le spalle larghe di Zack.
“Manectric! Vai con Flash!”
Urlò Manectric, abbaiò poi, ed emise una forte luce, che accecò per poco i presenti.
Naturalmente Linda e Ryan chiusero gli occhi.
Ma Lucario pareva spaesato, una macchia bianca non abbandonava il suo sguardo.
“Lucario!” urlò Zack, strofinandosi gli occhi.
“Manectric, vai con Morso!”
“Lucario, l’aura! Leggi l’aura!”
Lucario era in grado di vedere l’aura delle persone, come se avesse una telecamera termica che indicava con vaste macchie blu l’aura degli altri individui, persone o Pokémon che essi siano.
L’aura di Zack era grande. Ed anche quella di Ryan. Quella di Linda sembrava minuscola, mentre Manectric pareva non avere aura, se non una piccola scia che lasciava muovendosi.
Rachel invece invadeva di luce azzurra tutto ciò che aveva attorno.
Ad ogni modo, Lucario fu in grado di vedere Manectric avvicinarsi. Non fu in grado di capire che stava per azzannargli una gamba, ma fu abbastanza per lui per crearsi una difesa adeguata.
E per Lucario, come anche per Zack, la migliore difesa era l’attacco.
Cominciò a sventolare l’osso che aveva in mano, in corrispondenza dei movimenti della piccola scia di aura che Manectric lasciava.
“È Ossoraffica” fece Linda.
L’osso veniva usato come mazza, ma l’enorme agilità di Manectric gli consentì di svincolarsi da ogni pericolo.
“Manectric, punta alle zampe inferiori!”
Quello ascoltò il consiglio del proprio allenatore, e morse la zampa destra, rapido.
Lucario urlò per il dolore, e prima di fracassargli l’osso sul capo, Zack sentì Ryan urlare al suo Pokémon di elettrificare il tutto.
Fulmindenti.
Certo, il colpo sul capo, dopo che tutto avvenne, Manectric lo ebbe, ma riuscì lo stesso a paralizzare Lucario, semiceco e quasi immobile, mentre cercava l’osso che aveva utilizzato.
“Manectric, tutto bene?”
Quello si rialzò dopo il colpo ricevuto.
“Bene. Concludiamo! Usa Gigaimpatto!”
Manectric saltò forte, arrivando a toccare il soffitto, e fu su di quello che fece forza con le zampe. Si diede la spinta con le zampe inferiori al soffitto, quindi il suo corpo sembrava avere le parvenza di un meteorite.
Che impattò su Lucario, facendo il massimo dei danni possibili.
Già. Lucario era fuori combattimento.
 
“Ho... ho perso...” Zack, che intanto aveva recuperato la vista aveva gli occhi spalancati, mentre, allibito, si rendeva conto di ciò che succedeva.
“Zack...” Rachel guardò con lo sguardo ricco d’ansia il suo ragazzo, con la testa alta e la bocca schiusa.
E poi l’altra faccia della medaglia. Ryan rideva sornione, compiacendosi di esser riuscito a sconfiggere il campione di Adamanta davanti alla sorella. “Ce l’abbiamo fatta. Bravo, Manectric”
“Bene!” Linda schioccò le dita, e venti reclute comparvero all’improvviso dalle porte attorno.
Non appena Zack si sentì toccare il braccio, si girò velocemente, e diede un forte pugno sul volto di una recluta Omega.
“Non osate toccarmi!”
“Zack! Dobbiamo pensare a Mia!” lo rimbeccava Rachel.
E mentre lentamente i cattivi sopraffacevano i ragazzi, sotto gli occhi compiaciuti di Linda e Ryan, Rachel urlò. Di rabbia.
“Fermatevi! Ti prego! Ti prego, Ryan! Devi lasciar andare Mia e Zack! Volevi me, e mi avrai! Ma lascia Mia e Zack liberi di andare! Ti prego!” le lacrime agli occhi ed un vasto senso di impotenza mentre le forti mani di un uomo la tenevano stretta ai polsi.
Ryan sorrise, con lo stomaco corroso dal rimorso per aver messo sua sorella, la sua adorata sorella, nelle condizioni di poter dire quelle parole, poi guardò Linda.
Erano arrivati proprio dove Lionell aveva previsto.
“E sia... Rachel, vieni con me”
“No! Rachel!” le urla di Zack rimbombarono in quel corridoio come se avesse lanciato degli ultrasuoni, ed intanto Rachel piangeva, lasciando lacrime ad ogni passo come briciole di pane.
Lacrime che sembravano sciogliere tutto.
Lacrime che bruciavano come fuoco.

 

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Capitolo 44
*** Capitolo Diciassettesimo: Oppressione ***


Oppressione - Pt. 1


“Rachel...”
Seduta su di un divano, le gambe strette e le mani sulle ginocchia, mentre la sconfitta le abbassava il capo. La ragazza era stranamente composta, rigida, quasi non volesse lasciar scappare nulla, come se volesse controllare tutto.
Tutto... beh. Il controllabile.
Ormai il controllo non era più nelle sue mani.
“Rachel... sono io”
Ryan le si inginocchiò davanti, carezzandole il mento con le dita. Quella stanza era davvero piccola, ed odorava di chiuso. C’era solo quel divano, ed un paio di lampadine scarne ad illuminare lo sterile ambiente.
“Tu chi?” domandò Rachel.
E fu questa domanda a far sobbalzare Ryan.
“Come io chi? Sono io, Rachel, tuo fratello”
A quella parola, la parola fratello, Rachel alzò il volto, con gli occhi in lacrime, e le labbra che cercavano di mantenere la linea del taglio dritta, non riuscendoci.
“Tu mi hai costretta a lasciar andare l’uomo che amo. Tu mi hai costretta a stare qui, quando non voglio starci. Tu mi hai costretta a vivere in un mondo che non mi appartiene, e che mi fa stare male. E ammesso che esistano persone come te, non li definirei mai con il termine fratello. Inoltre non sei mio fratello... quindi non pensare di te stesso una cosa del genere”
Lo sguardo di Ryan si appesantì, ed una nota scura comparve nel rosso dei suoi occhi.
Il silenzio urlava. Tanto che quando Ryan schiuse le labbra per proferire parola, lo schiocco fu quasi assordante.
“E se io avessi agito in questo modo per dei motivi?”
“Dammi i tuoi motivi” fece quella, sterile.
“Non posso”
Rachel fu stranamente divertita da quella cosa. “Cioè... sono costretta a stare qui con te, ma non mi è dato sapere il motivo di questa cosa... giusto?”
“Beh... messa così può sembrare una cosa cattiva, la questione però...”
“È una cosa cattiva” lo interruppe l’altra.
“...la questione...” sospirò Ryan “...è che tu sei preziosa tanto per me quanto per Lionell...”
“E chi sarebbe?”
“Lionell è tuo padre, Rachel”
Fu quello il momento in cui la porta alle spalle del ragazzo si spalancò. La luce inondò la stanza, e rese difficile per la giovane riconoscere chi stava entrando. Erano più figure.
“Chiudi la porta” fece una voce profonda. Una voce strana, calda e tagliente allo stesso tempo. Di quelle che ti muovono qualcosa dentro.
La porta si chiuse, e Ryan si alzò all’in piedi. Rachel si irrigidì tutta non appena fu in grado di riconoscere i volti delle persone che aveva di fronte.
C’era la stessa bionda che stava con Ryan quando aveva battuto Zack. E poi la ragazza di colore con i dread. In più, però, c’era qualcuno che non aveva mai visto.
Era un uomo. Un bellissimo uomo, un po’ troppo in avanti con l’età per lei, con un elegante completo Valentino che gli calzava come un guanto. Il fisico, nonostante i cinquantacinque anni d’età che lei gli attribuiva, sembrava atletico.
“Rachel...”
“Immagino...” Rachel deglutì. Gli occhi di Ryan si illuminarono come quelli dei gatti al buio. “Immagino che lei sia Lionell”
Quello abbassò il capo, e serio annuì. Le labbra, che parevano scolpite nel marmo si mossero lentamente, e la lingua di quello le inumidì
“Ciao”
“Ryan dice che sei mio padre”
La ragazza si accoltellò metaforicamente dopo questa domanda. Non pensava di aver tutta questa scioltezza nel parlare con l’individuo che aveva donato alla madre il seme per metterla al mondo.
“Non mente”
“E... per quale motivo sono cresciuta con John e Martha Livingstone?”
“Lasciateci soli, per favore”
Marianne guardò Linda, ed assieme a Ryan uscirono tutti, lasciando l’uomo di mezza età e la giovane ragazza nella stanza.
“Posso accomodarmi accanto a te?”
Rachel si fece più in là, timorata da quella figura misteriosa. Sembrava un cucciolo spaventato, con gli occhi enormi e pronti a riesplodere per il pianto.
Lionell si sedette, ed accavallò la gamba destra. Sospirò, e lentamente girò la testa verso Rachel.
“Hai diciassette anni, Rachel, vero?”
“Sì, signore”
“Chiamami Lionell. O papà”
“Non riuscirei a chiamarla in nessuno dei due modi. Mio padre fu John Livingstone, e nessun altro chiamerò in quel modo. E lei è di molto più grande di me, e non posso darle del tu”
“Ti do il mio permesso”
“Non si tratta di questo. Io non la conosco. Lei dice di essere mio padre, ma in realtà è un perfetto estraneo. Uno sconosciuto... mi dica, signor Lionell... è stato lei a farmi rapire?”
“Io non ti ho fatta rapire. Io ti ho fatta prelevare”
“Prelevare... uhm...” Rachel voleva ridere istericamente in faccia a quel signore, ma non poteva sapere che genere di reazione avrebbe manifestato quello.
“So che i nostri metodi possono esserti sembrati un po’ bruschi, ma la verità è che tu sei un importante tassello per la salvezza di tutti noi. Rachel, tu sei il cristallo di Arceus”
Quella spalancò gli occhi.
Maledisse tutto ciò che aveva fatto in quelle settimane di peregrinazione rivelatasi inutile per cercare quel cristallo. Il maledetto cristallo era lei.
“Sono io? Il cristallo di Arceus sono io?”
“A quanto ha scoperto tuo zio, John Livingstone, sì”
“Zio?! Momento, una cosa alla volta! Perché si riferisce a mio padre come a mio zio?”
“Perché tuo padre sono io. E John è il marito della sorella di mia moglie”
“...mi sono persa...” fece quella, asciugandosi una lacrima galeotta e fuggente.
“Martha era la sorella di tua madre. Irya”
“Irya?” chiese lei, affascinata come un bambino che vede per la prima volta il mare.
“Sì. Irya. Era bellissima. E ti assomigliava tantissimo”
“E lei dov’è ora?”
“Lei purtroppo non è più con noi. Morì tanto tempo fa, quando decidemmo di darti in affidamento a John e Martha. Nonostante ti abbia amata dal primo momento che ti vidi, non sarei mai riuscito ad occuparmi di te senza di lei”
“Evidentemente non aveva abbastanza spirito di paternità, all’epoca. Ma sembra che ora le sia ricomparso” punse come un’ape, mentre la disperazione la scuoteva per le spalle, come il bullo della scuola. Al posto delle monete, Rachel perse delle lacrime.
“Non si tratta di questo. Ho preferito mandarti dai tuoi zii, che già avevano Ryan con loro. Lavoravano, e vivevano delle vite morigerate. Avrebbero potuto crescerti dignitosamente”
“E non ha pensato che una volta cresciuta io avessi avuto bisogno di sapere?” le lacrime di Rachel si annodavano tra di loro, stringendosi per mano prima di cascare nel vuoto ed infrangersi contro la copertura morbida del divano.
“Certo... io voglio tornare ad essere parte di una famiglia. Di essere parte della tua famiglia”
“Lei mi ha rapito, signor Lionell... non mi fido di lei”
“Mi spiace che tu la pensi così, ma ti ripeto che non ti ho rapito. Ti ho prelevata. Ti ho reclutata”
“Per cosa, di preciso?”
“Essendo il cristallo di Arceus...”
“...vuole fermare la distruzione...” disse, prendendosi una pausa ogni tanto tra una parola e l’altra.
“Sì, Rachel”
“Ma anche Zack ed io lo stavamo facendo. E perché poi avete rapito Mia?! Che c’entra lei, poverina?”
“Mia è libera adesso. Ed è stata semplicemente un trucco che abbiamo utilizzato per farti venire qui. Sei stata incredibilmente difficile da rintracciare, piccola mia” sorrise Lionell.
Rachel guardava perplessa l’uomo, ed intanto i suoi dubbi si moltiplicavano come cellule all’interno della sua testa.
Doveva fidarsi di quest’uomo?

Zack fu portato in una stanza e malmenato pesantemente da diversi energumeni.
Aveva il labbro ed il sopracciglio spaccato, e delle vistose ecchimosi si erano create sui suoi occhi e su varie parti del torace.
Dopodiché fu preso di peso e gettato in una stanza buia.
“...fanculo...” fece, cercando senza esiti di capire dove si trovasse. Era al buio.
“Chi sei?!” chiese una voce allarmata.
“Tu chi sei?!”
“Zack?! Sei tu?!”
“Chi sei?! Come fai a conoscere il mio nome?”
“Sono Mia, Zack! Che ci fai qui?!”
“Mi hanno catturato... ed hanno preso Rachel...” la voce di Zack esprimeva rabbia, fatica e stanchezza contemporaneamente. “Non so se riusciremo a salvare la situazione, Mia”
“Finché siamo chiusi qui, non credo”
“Non ho neanche i miei Pokémon qui... me li hanno presi”
“Che è successo?”
“Poi ti spiego... ora parliamo delle cose importanti... il cristallo... è ancora con te?”
“Quello che mi hai dato tu sì”
“Che significa? Quanti altri cristalli hai?”
“Io nessuno. Il problema è che ho scoperto tante cose... tra cui il piano dell’Omega Group ed il fatto che io non sono l’oracolo”
“Cosa?! Che cazzo stai dicendo, Mia?!”
“Rachel è il cristallo”
“Rachel?!” il tono di Zack si era alzato ulteriormente, ora sfiorava l’urlo.
“Sì... è una discendente di Prima, l’oracolo”
“Quindi lei è l’oracolo, ora”
“Non lo so. Non ci ho capito molto”
“Qualcosa non quadra...” Zack tastava a tentoni il pavimento, cercando di incontrare la mano della biondina, per ricongiungersi a lei, e per condividere un po’ del suo calore. Aveva tutti i muscoli indolenziti.
“Cosa intendi?”
“Siamo saliti sul Monte Trave più di una volta, e stiamo cercando di metterci in contatto con Arceus da settimane... come mai, se davvero è l’oracolo, non ha mai ricevuto la sacra chiamata?”
“Non ne ho idea, Zack. Quello che so, però, è che quello che mi hai dato è solo un raro ninnolo, e non il cristallo”
Zack toccò il piede di Mia. “Eccoti. Sei su di una sedia”
“Sono legata”
“Oh... ti slego, poi dobbiamo cercare un modo per uscire da qui”

“Si, tranquilla, Rachel. Zack e Mia stanno bene. Sono stati portati rispettivamente ad Edesea e Plamenia, ognuno nelle proprie abitazioni”
Lionell vedeva il volto contrito della ragazza, sporco di trucco e di lacrime, mentre le labbra tremolavano ad ogni sussulto della ragazza. Il singhiozzo la stava dilaniando, e voleva tranquillizzarla.
“E... e quindi io sono il cristallo?”
“Sì, Rachel. Sei il cristallo”
“E come... come devo fare per parlare con Arceus”
“Questo non lo so. E non lo sapeva nemmeno John. Purtroppo la morte lo ha strappato dal suo lavoro troppo in fretta. È per questo che ci seguirai”
“Dove?”
“Andiamo a parlare con Prima. Torneremo nell’Adamanta di mille anni fa, ed eviteremo il grande eccidio che culminerà con la decisione di Arceus di portare morte e distruzione su questa terra”
Rachel ebbe un accenno di sorriso. “Come dovremmo tornare indietro nel tempo, scusa?”
“Con Dialga”
“Dialga... non è il leggendario Pokémon di Sinnoh?”
“Esatto. Abbiamo già pronto un jet privato per Giubilopoli”
“Giubilopoli si trova a Sinnoh” concluse Rachel stupita. “Allora andrò davvero a Sinnoh con voi”
“Già”
“E perché devo venire anche io? Insomma, Prima aveva il cristallo, ai suoi tempi. Per quale motivo non potete usufruire di quello?”
“Semplicemente perché può accadere di tutto. E per cautelarci porteremo te”
“Io sono il cristallo...” si ripeteva incredula.
Lionell sorrise.
“Partiremo domattina. Marianne ti farà strada verso la tua stanza”

Zack era pieno di lividi, schiena al muro, mentre stringeva Mia, tra le sue gambe, schiena contro petto.
“Non succederà niente, stai tranquilla”
La sentiva nervosa, e la cosa gli pesava. A quanto aveva capito era stato del tutto inutile coinvolgerla. Non era l’oracolo. Ed il cristallo non serviva a niente.
“Se solo avessi i miei Pokémon qui...” ragionava Zack.
“Anche a me li hanno presi”
“Ah... hai perso Metang... ora ce l’ha Rachel. Stavamo aspettando per dartelo”
“Mi sarà caduto quando mi hanno rapita...”
Mia rabbrividì ricordando quelle cose. Davanti agli occhi il nero, il vuoto più assoluto, ed intanto la preoccupazione e l’ansia crescevano.
Come avrebbero fatto ad uscire di lì?
Zack, dal canto suo, non aveva nemmeno uno straccio d’idea. Senza Pokémon, senza un po’ di luce e con una fame pazzesca.
“Avevano detto che ci avrebbero lasciati andare” fece poi quello.
“Hai capito solo ora quanto cattiva sia questa gente?”
“Pensavo che Ryan fosse un uomo di parola... mi delude ancora. Di nuovo...”
E poi la depressione cominciò a farlo suo.
Aveva perso. Aveva perso una sfida, una sfida troppo importante, l’unica sfida che non doveva perdere.
Aveva perso la libertà, il suo amore, il calore delle mani di Rachel, il brivido di tenerla accanto.
Ora era con quel maniaco di suo fratello, o qualunque cosa egli fosse.
Alla fine si era semplicemente rivelato uno sconosciuto.
Si morse forte le labbra, già screpolate dal freddo, tanto nessuno avrebbe potuto vederlo. Una lacrima scese anche a lui, sconfortato e demotivato.
Non aveva mai perso da quando era diventato il Campione di Adamanta.
Non che non avesse mai perso in generale, anzi, ce ne volle di allenamento per sconfiggere Sandra, a Jotho. Perse almeno sei volte, prima di decidersi a cambiare strategia.
Catturò un Dragonair, che gli diede tante soddisfazioni.
La questione era però che veder perdere Lucario in quel modo gli aveva aperto qualcosa dentro, qualcosa che difficilmente sarebbe riuscito a richiudere con velocità.
Aveva sfidato Ryan, per recuperare Mia, per confermarsi l’eroe della situazione, e invece era stato costretto a cedere Rachel alla parte avversa, per venire poi rinchiuso in una cella.
Ad un certo punto il silenzio la fece da padrone. Solo i respiri dei ragazzi, entrambi sconfortati e demoralizzati, sembravano la cassa ed il rullante di quel ritmo liscio e poco cadenzato.
Mia si accorse che qualcosa non andava. E se Zack, il sempre attivo Zack, quello con una soluzione per ogni cosa, si avviliva, beh, in quel caso sarebbe stato davvero difficile uscire da quel problema.

 
 

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Capitolo 45
*** Capitolo Diciassettesimo: Oppressione 2°Parte ***


Oppressione - Pt. 2


Ryan fremeva, Marianne non lo aveva mai visto così tanto sorridente.
I tre erano seduti nell’anticamera dell’ufficio di Lionell, mentre Linda era alla sua scrivania.
Il solito ronzio dei neon bianchi non sembrava dare fastidio. Stavolta c’era di che essere felici.
Stavolta c’era di che festeggiare.
“Siamo riusciti a prendere Rachel, finalmente” sospirò Marianne, stravaccandosi sulla sedia. Il suo volto apparve all’improvviso più rilassato, anche se i segni dello stress li aveva incisi sul volto come fossero cicatrici.
“Finalmente ho vinto” disse Ryan.
“Quel Lucario è fottutamente forte” fece ancora la ragazza di colore.
“Lo so benissimo”
“Hai avuto la meglio. Manectric è stato allenato alla perfezione”
“Anche se non l’ho allenato io...” una crepa si formò sul volto del biondo.
“Ma l’hai portato tu alla vittoria” s’intromise Linda. Ryan la guardò, con quella prepotenza attraente. Le gambe erano coperte dalla scrivania, ma aveva le braccia incrociate sotto i seni bianchi, che parevano dovessero uscire a breve dal loro posto. Il sorriso soddisfatto di chi aveva dato la giusta spinta per portare a termine quell’operazione.
“Rachel è nostra” aggiunse quella.
Ryan continuava a guardarla. Poi si girò verso Marianne, con gli occhi socchiusi. Pareva stesse vedendo un film proiettato nell’interno delle palpebre, e le tenesse aperte quel tanto per non perdersi nulla neanche nell’altro mondo.
L’altro.
Quello dove rapivano le ragazzine per scopi buoni.
“Vado a cena e poi a letto. Domani dobbiamo partire presto” fece Ryan.
Marianne riattivò il cervello e gli sorrise debolmente, per poi alzarsi. “Penso che ti seguirò”
“Io rimando qui a sbrigare alcune faccende. Aspettatevi la convocazione da parte di Lionell, dopo... sicuramente ci detterà il piano d’azione”

Rachel e Lionell avevano preso a parlare un po’ più scioltamente. Rachel si era rilassata, e stava chiedendo dei dettagli sull’operazione.
“Quindi partiremo domani?”
Lionell le sorrise. Aveva un fascino strano, con quel sorriso, e quei capelli ben pettinati. Il viso duro, ma si vedeva che quelli di Lionell erano occhi che aveva usato per tanto tempo. Gli occhiali, sobri e sottili, con la montatura trasparente, lo aiutavano a mettere a fuoco gli eventi nuovi.
Chissà quanti punti nella sua vita erano stati così importanti da essere stati incisi sulla calotta cranica dalla memoria, scultrice di professione, modellatrice di verità.
Molto spesso ricordiamo quello che vogliamo, molto spesso ricordiamo male.
Ma la verità è che tendiamo a ricordare solo quello che ci piace e ci ha stupito.
Le labbra di quello, ancora incredibilmente turgide, nonostante l’età, schioccarono quando si disunirono.
“Sì. Partiremo di buon mattino. Ma tranquilla, potrai continuare a dormire sull’aereo”
Rachel annuì, e nonostante quello che disse Lionell le provocò un certo divertimento non poté sentirsi libera di esprimerlo.
“E Zack sta bene?”
“Mi sembra di capire che questo Zack è importante per te”
“È la persona più importante che c’è, per me”
Lionell inarcò le sopracciglia. Poi annuì. “Te l’ho detto, ora starà dormendo, ad Edesea”
Lei annuì e poi tornò il silenzio.
In effetti la situazione era un po’ particolare. Aleggiava come smog nell’aria di quella stanza, e lo si vedeva. L’imbarazzo, s’intende.
Rachel non capiva per quale motivo quell’uomo così silenzioso gli stesse vicino dato che non le diceva niente. Ma un dubbio voleva levarselo.
“Lionell... mi può parlare della mia mamma? Che tipo era?”
“Era una donna meravigliosa. Bellissima, mi ero innamorato della sua schiena. Una notte mi sorprese, svegliandosi, mentre le guardavo le spalle, e gliele baciavo” l’uomo ricordava quell’avvenimento  con il sorriso sulle labbra. Una piccola ruga d’espressione, una crepa sul viso di quello, si formò non appena rilassò i tendini.
Si era deconcentrato ed il suo viso aveva regalato a Rachel l’impressione di quello che Lionell in effetti era: un uomo avviato verso gli ultimi atti della vita.
“E poi?”
“E poi sorrideva sempre. Stendeva quelle labbra che ancora oggi ricordo quanto belle fossero. Tu assomigli a lei alla sua età. È strano davvero, sembra di vederla, con quel giubbino di jeans, che se ne stava con il walkman a fantasticare sulla strada principale di Edesea”
“Abitavate ad Edesea?”
“Lei studiava all’università, in quel periodo. Ed io mi stavo laureando”
“Lei è laureato?”
“Sì, Rachel. Sono laureato in storia antica e mitologia”
Rachel parve colpita. “Io sarei dovuta andare quest’anno all’università... ma le sole forze economiche di Ryan non bastavano a pagare la retta”
“Eh lo so... purtroppo questa è una brutta cosa. Ma al diavolo, adesso ci sono io! Studierai e ti laureerai se vuoi”
Rachel si sorprese del futile tentativo di sembrare un buon padre dopo un assenteismo pressoché totale dai suoi ricordi.
Stette in silenzio, lasciando sedimentare quelle parole, rimbalzare sul fondale della sua mente e posarsi poi leggermente su di essa.
“Come è morta di preciso, mia madre?”
Lionell sospirò ed abbassò la testa.
Rachel si sentì padrona di riprendere la parola. “Mi scusi se le rievoco brutti pensieri, ma io ho bisogno di sapere. Ho vissuto nella menzogna fino ad ora”
“Beh... tua madre Irya aveva una brutta malattia, che la rese cagionevole di salute. Era sempre debole, gracilina, e lo sforzo del parto le diede il colpo di grazia. Collassarono alcuni organi interni per lo sforzo, e morì... senza neanche aver visto cosa avesse dato alla luce”
“Oh...”
“Non parliamone più. Ti va?”
“Decisamente”
“Bene. Hai Pokémon con te, vero?”
Rachel annuì.
“Posso vederli?”
“Beh, ho un Zebstrika ed un Pupitar piuttosto impressionabili. La stanza è piccola e non è il caso di liberarli qui. Ed anche Carracosta... sa, non lo conosco bene, me l’ha prestato un... amico. Però posso presentarle Zorua, il mio amico di sempre”
Un lampo si accese negli occhi di Lionell, dopo un sorriso. “Ma certo. Adoro quel Pokémon”
“Zorua, ti presento una persona”
Rachel mise mano al cinturone e prese la ball di Zorua, quella dietro a tutte. Quello comparve sul pavimento, davanti a loro.
Dagli occhi di Zorua la situazione era un po’ particolare. Ogni volta che usciva dalla sfera vedeva quello strano bagliore rosso, che poi diventava una luce bianca, che quasi ti accecava.
Lui chiudeva gli occhi.
Quando succedeva voleva dire che stava per vedere la luce.
Che stava per vedere Rachel, la sua amica.
Lentamente la luce bianca andava svanendo, e lui se ne accorse subito. Aprì gli occhi lentamente, col timore di rimanere accecato.
Non rimase accecato.
Gli occhi erano aperti, e finalmente lui era fuori. Guardava tutto ciò che c’era attorno, ma la prima cosa di cui si rese conto fu il fatto di avere un pavimento freddo sotto i cuscinetti delle zampe.
Il divano, il posto dove adorava addormentarsi.
E lì c’era Rachel. Ma aveva qualcosa che non andava, era scossa, lo sentiva a pelle.
Lui aveva un sesto senso per quelle cose.
Salì sul divano con un saltò, mentre due voci familiari scambiavano parole.
Si chiese come facessero. Quando diventava un bambino provava una difficoltà abnorme nel parlare, sembrava quasi che gli scoppiassero i polmoni.
Si sistemò sulle gambe di Rachel, magari si sarebbe sentita meglio avendolo vicino.
Poi alzò gli occhi, per vedere l’interlocutore della ragazza.

Era lui.

Zorua prese a ringhiare, con sorpresa per i presenti.
“Zorua!” lo rimproverò Rachel.
Lionell spalancò gli occhi. Vari processi mentali si annodarono alla testa come liane all’albero, per poi arrivare ad una conclusione.
Zorua ricordava tutto.
“Mi spiace, signore... cattivo, Zorua! Rientra!”
Zorua scomparve, lasciando di nuovo da soli i due.
“Mi spiace, davvero tanto” aggiunse ancora lei.
“Tranquilla, non mi conosceva, può succedere”
Toc toc, ed entrambi si girarono verso la porta. “Avanti” disse il più anziano tra i due.
Un uomo basso, con la barba lunga castana, e con i capelli pettinati dello stesso colore si presentò ai due. Indossava un camice, a Rachel parve subito uno scienziato pazzo.
Lionell si sorprese di vederlo. “Che succede, Stark?”
“Bluruvia non esiste più. Kyogre si è svegliato”
“Oh...” Lionell si alzò in piedi 
Quella notizia scioccò Rachel, che fece altrettanto. “Kyogre? Quel Kyogre?”
“Sì, tesoro. Rimani qui, potresti perderti. Tra un po’ una recluta di porterà nella tua stanza. Riposa bene, perché domani ci aspetta un lungo viaggio”
“Ok”
“A domani”

Ryan e Marianne erano seduti al tavolo della mensa.
Quella roba, stranamente, era buona. Lionell si premurava di sottoporre alle sue reclute, ma più in generale a chiunque lavorasse per lui, il meglio.
Non voleva rivolte inutili.
I due, l’uno di fronte all’altro in quella stanza ricolma di gente ed illuminata da grossi lampadari che emettevano luce bianca, mangiavano il loro rancio, parlottando del più e del meno.
“Linda ti si è attaccata addosso come una mosca cavallina” disse sorridente Marianne. Masticava lentamente, assaporando il cibo con gusto.
Adorava mangiare, non lo faceva mai troppo spesso. Masticava, ed un ciuffo di quei capelli che tanto sembravano molle di un materasso si presentò cordiale davanti al suo sguardo.
Non era il caso in quel momento, lo riportò su con la mano, e quello si arpionò in un altro ciuffo.
“Meglio così. Da quando c’è lei abbiamo raggiunto buoni risultati”
Ryan mangiava velocemente, l’unica cosa che gli interessava era la doccia di fine serata. Forse sarebbe passato da Rachel, a parlarle. Forse.
“Io non credo sia stato tutto merito suo. Forse fare colpo su di lei ti ha spinto a fare di più”
“Non volevo fare colpo su di lei”
“Bugiardo”
“Non è vero”
“È vero invece”
“Ti dico di no”
“Lasciamo perdere... comunque, se lo vuoi sapere, e scommetto che non è così ma io te lo dirò lo stesso, Lionell favorisce i rapporti sentimentali tra colleghi”
“E perché mai?” chiese incuriosito l’altro.
“Perché la famiglia è il nemico naturale della professione, queste le sue parole. E se la tua famiglia fa parte della tua professione, si aggira un importante ostacolo”
“Tu credi sia così?”
“Io non lo so di per certo. Ma forse crea meno problemi da ambo le parti. Insomma, lavorando assieme, due persone sanno entrambe cosa fa l’altro, e le liti in questo senso diminuiscono”
“Io andrei a lavorare solo per sentire la mancanza di mia moglie. Perché poi tornerei a casa e la ritroverei”
Marianne rimase stupita da quelle parole. Non lo pensava così profondo.
La cena passò velocemente, almeno per Ryan. Marianne continuava a gustarsi il suo cibo.
Lui si alzò educatamente, la salutò e se ne andò in stanza.
La doccia, il momento più felice della sua giornata. Perché significava che anticipava un altro grande momento della giornata, ovvero il sonno.
Ryan era un pelandrone, adorava dormire, ma era il classico tipo che se aveva qualcosa da fare lo prendeva a cuore e la faceva.
Uscì da quella doccia pulito e felice. Sul fondo di quella tutta la rabbia e la cattiveria dei giorni precedenti. Rachel era davvero in quell’edificio, non aveva più senso ora immaginarla lì.
Asciugamano attorno alla vita, uscì fuori, Gallade era nella sfera, quel giorno non lo aveva liberato se non per gli allenamenti. In fondo meritava un po’ di riposo anche lui.
La porta era socchiusa.
Ryan, che stava preparandosi per la notte, si bloccò d’improvviso.
La sua porta non era stata chiusa. Qualcuno era in stanza.
“Hey, ti ci vuole molto?”
Linda. Linda era sul letto, e lui non l’aveva vista.
“Linda! Ho letteralmente ingoiato le tonsille quando ho visto la porta aperta”
“Scusami. Non era chiusa a chiave, e così sono entrata”
“Bene...”
Linda guardava la schiena del ragazzo mentre prendeva una maglietta nera e la infilava su quelle spalle larghe, piena di muscoli.
“Sei qui per la convocazione?” chiese Ryan.
“No. Volevo solo dirti che sono felice di aver trovato tua sorella”
“Ah. Ok, grazie. Sono felice anche io”
I due temporeggiarono, mentre una nuova tensione riempiva l’aria. 
Fu la bionda a spezzarla.
“Bé... ti lascio al tuo risposo, allora. Ricordati che la sveglia domani è alle cinque.”
Si congedò da Ryan, uscendo dalla porta e facendogli un cenno con la mano, senza voltarsi a guardarlo.

Zack e Mia erano rimasti per un paio d’ore in quella posizione. Non sapevano neppure che ora fosse. Ma avevano fame.
Tanta fame.
“Mia...”
“...”
“Mia”
“...hh...”
“Mia! Mia, non cedere, Mia!”
“Zack...” la voce funerea, stanca, assonnata.
“Come stai?”
“Sto bene... sto bene. Ho fame”
“Anche io. Mi spiace”
“Forse non avrei dovuto seguirti”
“Se avessi saputo che ti saresti cacciata in questo guaio non avrei mai fatto in modo che ci seguissi. Inutilmente, peraltro”
“Ho voglia di un bagno”
“Ed io di un cheeseburger, come la mettiamo?”
Mia sorrise, e Zack la sentì. Entrambi deboli, entrambi stremati e demotivati.
“Usciremo da qui?” fece poi lei.
“Io spero di sì”
Dei passi presero a rimbombare nel corridoio. I ragazzi si irrigidirono, e Mia strinse il braccio di Zack, impaurita.
Zack si alzò in piedi, facendosi avanti a lei, nascosta dietro le sue caviglie, troppo stanca e denutrita per alzarsi.
I passi diventarono sempre più forti, fin quando la flebile luce al di sotto del taglio della porta fu coperta da due piedi. Poi quattro. Sei.
Sei piedi, tre persone. O forse no, forse qualcuno era su di una gamba sola.
Se Zack avesse detto a Mia una cosa del genere probabilmente quella avrebbe trovato la forza per prenderlo a morsi dietro ai polpacci, e rise per questi deliri che la fame gli regalava già confezionati con carta da regalo rossa e nastrino dorato. In fondo il Natale era vicino.
Una chiave entrò nella serratura della porta, e Mia strinse Zack, impaurita.
Sembrò quasi eterno quell’istante, in cui la chiave faceva scattare il meccanismo della serratura, e permetteva alle rotelle di girare ed al piolo che bloccava la porta di ritirarsi dentro.
La maniglia si abbassò, e la luce inondò la stanza.
Tre figure erano in piedi.
Tre figure ombrate erano in piedi.
“Chi siete?” chiese Zack, con la mano a protezione degli occhi sensibili.
“Rancio” rispose una voce grossa. Posarono per terra due vassoi ed una bottiglia d’acqua.
“Aspettate... per favore” fece Mia, quando vide che quelli si girarono per andarsene.
Due completarono l’azione. Uno si fermò, e pareva guardarla, anche se agli occhi della ragazza era solo un’ombra.
“Che vuoi?”
“Puoi accenderci una luce? Ti prego. Ho paura”
Quando le lacrime di Mia sembrarono turbare il respiro della bella, Zack deglutì un boccone tanto amaro quanto lungo, parve affogarsi con i suoi stessi rimorsi. Era stato lui a metterla in quel guaio.
La figura misteriosa si voltò e poi chiuse di nuovo la porta a chiave.
Al buio di nuovo.
Mia continuava a piangere, stavolta con più intensità, e Zack non poté fare a meno di accovacciarsi davanti a lei, e stringerla tra le braccia.
Mia era lì, e piangeva, mentre nella sua testa c’era Rachel. Pregava Arceus che stesse bene e che non le fosse successo nulla.
Poi la luce si accese.
Sia Zack che Mia strinsero forte gli occhi, stuprati dalla luminosità del neon bianco accesosi. Lentamente Zack vide il volto di Mia, sfatto e distrutto, cimitero delle fossette che le si creavano sul viso quando rideva, il trucco sciolto agli occhi a testimoniarlo.
Non era ridere, che voleva Mia. Voleva respirare l’aria aperta.
Quando Mia riaprì gli occhi fu in grado di vedere Zack sorridere. “Hai visto?” le disse. “Hanno acceso la luce”
Mia annuì leggermente, ancora scossa. Zack la strinse ancora, poi si alzò ed andò a prendere il cibo e l’acqua.
Mangiarono famelicamente, e decisero di non sprecare l’acqua, non sapendo se ci fosse stato un altro rancio.
Quella stanza non conteneva aperture, come finestre o condotti per la ventilazione. Lì si entrava dalla porta. Da quella porta chiusa a chiave.
Da quella porta da cui sarebbero dovuti uscire.
Tutto ciò che avevano erano un vassoio, la sedia, l’acqua, sonno, fame, sete e paura.

 

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Capitolo 46
*** Capitolo Diciottesimo: Preparativi ***


Preparativi - Pt. 1


L’orologio segnava chiaramente che erano le sette del mattino. Rachel aveva dormito quasi tutto il tempo, se si tolgono quei piccoli istanti in cui si risvegliava e si riaddormentava.
Alla fine, il riposo quella mattina era stato quasi nullo. Si sentiva stanca, sfibrata, e soprattutto delusa da quella situazione.
Zack l’aveva persa. Come se fosse una semplice posta in palio di una scommessa.
E non si era degnato di combattere per riaverla.
“...no ...non è andata così”. Lei lo sapeva, e se lo ripeteva. Zack aveva sicuramente fatto il massimo per non perderla.
Si impose di smettere di pensare al peggio riguardo Zack, e di farsi forza.
Doveva seguire Lionell, quello che si era presentato in quello stravagante modo (ciaosonotuopadrepuoichiamarmipapàanchesenoncisiamomaivisti) e cercare di fermare quella brutta situazione.
Aveva sentito che anche Kyogre si era svegliato. Non era per niente una buona cosa.
Ora sarebbe ricominciata una battaglia di incredibile ferocia, ad Hoenn. Sperava che non mietessero troppe vittime, quei due.
Le sembrava incredibile quanta potenza potessero sprigionare i Pokémon.
Se questi avessero avuto dei tratti prettamente umani, come l’ambizione e la vendetta sarebbe stata la fine.
Lo smoderato senso di potere che deriva da queste caratteristiche, porta gli uomini ad abbeverarsi dalle peggiori acque che esistono. Essi smettono di calcare le strade del bene e dell’altruismo, del vivere in comunità che ha spinto l’uomo a diventare sedentario, per la realizzazione personale, che al giorno d’oggi viene vista come obiettivo da perseguire con ogni mezzo ed a qualsiasi costo.
Gli uomini sono essere impotenti, che più di calci e pugni non riescono a dare altro.
I Pokémon invece hanno poteri straordinari. Se Groudon, per esempio, o Kyogre, avesse voluto controllare il mondo, non avrebbe avuto difficoltà a togliere di mezzo i suoi nemici. Eruzioni vulcaniche e terremoti, nemici naturali degli inutili uomini, capaci solo di trastullarsi nelle comodità.
Ad un certo punto Rachel capì Arceus, e se non fosse coinvolta lei stessa, ed i suoi cari, all’interno di quella profezia maledetta, avrebbe lasciato fare. L’umanità aveva bisogno di una bella pulita.
Si alzò dal letto, continuando a rimuginare sulla questione e riflettendoci capì che gli uomini che sfruttavano i poteri dei Pokémon potevano essere cattivi.
Quindi non c’era nessun vantaggio nel fatto che gli esseri umani non avessero forze superiori, in quanto capaci di sfruttare quelle dei propri Pokémon.
“Basta seghe mentali...”
Si spogliò, ed entrò nella doccia. L’acqua calda era confortevole, e sembrava levarle da dosso tutta l’angoscia che si era portata in quelle ore addosso.
Voleva Zack. Voleva lui accanto, voleva stringerlo, voleva baciarlo ancora, e farci l’amore.
Le immagini di quella notte gli passarono davanti agli occhi veloci come un treno in corsa. Avrebbe voluto saltarci sopra, su quel treno, prendere il mezzo che la portasse sui binari dei ricordi, e perdersi in quel posto dove tutto ciò che accade è già accaduto.
Sì, magari per poter cambiare qualcosa. Magari non avrebbe lasciato combattere Zack in quella sfida, magari sarebbe andata direttamente a Sinnoh, per catturare Dialga.
Poi si chiese come avrebbe fatto, lei, a catturare Dialga.
“Sono una semplice ragazzina...” si disse, frastornata dal rumore dell’acqua.
Una semplice ragazzina con un potere speciale. Una semplice ragazzina che poteva parlare con Arceus.
Ok, non era una semplice ragazzina. Ma non sarebbe mai riuscita a catturare Dialga.
Nel suo cervello succedevano cose del genere, prima che fosse uscita da quella doccia buia e calda, e che si infilasse un asciugamano attorno al corpo. I capelli ancora bagnati, lo specchio di nuovo pieno di condensa.
Casa di Alma, ricordava bene una situazione analoga. Stesso sconforto, ma minore peso addosso.
Sentì bussare alla porta, i suoi piccoli piedi calpestarono il pavimento della sua stanza, per poi aprire leggermente la porta, giusto per vedere chi fosse.
“Hey... posso?”
“Ryan”
“Come stai?” chiese quello, guardando la ragazza da quel piccolo spiraglio tra la porta ed il muro.
“Non molto bene”
“Posso fare qualcosa?”
“No. Non puoi fare molto”
“Posso entrare?”
“Sono nuda. Mi sto vestendo”
“Oh... ok. Allora mi raggiungi tu dopo?”
“Non credo di avere voglia di parlarti, Ryan”
Quello portò le mani ai fianchi ed abbassò il volto, sospirando. “Sei ancora arrabbiata con me?!”
“Sì, Ryan. Sono ancora arrabbiata con te”
Quindi Rachel sbatté la porta, e chiuse a chiave.
Mentre Ryan si vide costretto ad andare via, lei decise di passare un po’ di tempo con sé stessa, cercando di riuscire a capire qualcosa.
Non che avesse molte speranze di riuscirci...
 
Ryan tornò ad ampie falcate verso la sua stanza. La tensione e l’ansia in lui stavano crescendo velocemente, pareva quasi che un diavolo si fosse impossessato di lui.
La rabbia saliva, la voglia di rompere tutto cresceva.
Percorreva il corridoio, quel corridoio vuoto e freddo, illuminato dai neon bianchi, ed ogni passo rimbombava come fossero nella valle dell’eco, forte, ritornava all’orecchio, quasi per ricordargli di non smettere di camminare, di continuare.
I passai sempre più veloci, iniziò praticamente a correre, arrabbiato con sé stesso e con il mondo, quando arrivò davanti ad una porta e la spalancò.
Era la zona allenamento.
Zona allenamento che a quell’ora era naturalmente vuota.
Si levò la giacca della divisa e la maglietta, e a petto nudo iniziò a boxare contro il sacco.
“No!” urlava, mentre colpiva freneticamente il sacco a mani nude. Il dolore imperversava dalle sue mani alla sua schiena, lasciava tracce di sangue sul suo avversario, che inerme incassava tutti i colpi e le maledizioni che gli lanciava quello.
Gli occhi erano rossi e spiritati, qualche venuzza si intravedeva qua e là attorno all’iride, mentre stringeva i denti così forte al punto da temere che si spezzassero.
Nella sua testa c’era lo sguardo di Rachel. Il disprezzo nei suoi occhi e tanta, ma tanta voglia di non essere in quella situazione. E nonostante non avessero questa parentela stretta, si ripeteva di averla sempre trattata come una sorella, e di averla amata in quanto tale.
Dopo la morte dei genitori aveva provveduto a farla crescere, e la stava addestrando per la partenza con Zorua ed i Pokémon.
Se solo non avesse letto quella dannatissima lettera.
Se solo non avesse incontrato quello stronzo. Zackary Recket. Il sacco aveva la sua faccia, il suo sorriso, il suo corpo, ed in quel momento lo stava colpendo giusto in volto.
Le parole della ragazza, poi, non gli lasciavano scampo. Se n’era innamorata, e nulla avrebbe potuto fare in modo che Zack uscisse dalla sua vita, per riportare Rachel in quella casa ormai sgangherata per via dei terremoti, e tornare a vivere la loro semplice e morigerata vita di orfani.
Sempre l’uno accanto all’altro.
Zackary Recket. Era stato lui.
Colpiva il sacco, ancora, e ancora ed ancora. Nulla lo placava, nemmeno il pensiero che ora sua sorella non vagasse più in giro per la regione, in balia di ogni pericolo.
Ora era in una stanza di quel corridoio polveroso, vuoto e freddo, ma c’era una porta a dividerli. Una porta che Rachel non voleva aprire.
“Stronzo!”
I colpi stavano ormai facendo male, e le nocche erano spaccate da ben cinque minuti, ma gli occhi di Ryan erano chiusi, e non avevano intenzione di aprirsi.
“Ryan...”
Marianne era entrata lì, ancora in pigiama. I capelli ricci erano spettinati e senza un senso compiuto. Gli occhi piccoli, le labbra gonfie per il sonno ed i seni che prepotenti erano velati unicamente dalla camicetta da notte.
La ragazza gli andò vicino, e gli afferrò la mano.
Immediatamente Ryan si fermò.
Quella alzò gli occhi e guardò il ragazzo, poi tornò alla mano. Insanguinata, immobile, dolorante.
Marianne portò ancora lo sguardo agli occhi di Ryan, pieni di rabbia omicida, mentre ansimava pesantemente per lo sforzo a freddo.
Successivamente i suoi occhi verdi furono riempiti dalla vista del sacco insanguinato e ammaccato dalle botte del ragazzo.
Ryan e Marianne si guardarono ancora, ma stavolta gli occhi del ragazzo erano pieni di lacrime, e tutta la sua verve sembrò essere scomparsa, tanto che le energie lo abbandonarono e lui svenne, senza forze.
 
Gli occhi del ragazzo si riaprirono lentamente. Il solito faro bianco ad accecare gli occhi del ragazzo.
“Che...” i dubbi nella testa di Ryan si moltiplicavano come virus mentre cercava di capire dove fosse e se fosse ancora vivo. Quei fari bianchi lo avvicinavano molto all’idea di paradiso che si era creato. Almeno, pensò, avrebbe conosciuto Arceus.
“Ryan... ti sei svegliato, finalmente” Linda era li davanti, sorridente. Marianne accanto a lei, il volto stanco e apprensivo, mentre cercava di riprendersi da quel forte shock.
Il ragazzo si alzò, e passò da steso a seduto, molto lentamente. O almeno ci provò, in quanto le forze lo avevano abbandonato.
“Dove... dove sono?” si chiese.
“Siamo in viaggio, Ryan. Siamo sul boeing privato di Lionell” rispose Linda.
“E Rachel? Dov’è Rachel?”
“Rachel è nella stanza accanto, con Lionell. Stanno parlando”
“Io... io devo parlarle... devo scusarmi”
“Devi scusarti per cosa?” chiese Marianne, fermandolo sul letto. Le mani tastavano il petto riluttante di quello, che, senza forze, non riusciva ad opporre la resistenza necessaria all’alzarsi.
“Sono stanco...” fece lui.
“Lo so. Dormi da sei ore” disse Linda.
Ryan la guardò. Era molto rilassata, pareva l’opposto di Marianne in tutto e per tutto.
Indossava la divisa dell’Omega Group, che le stava davvero aderente sui fianchi e sui seni, ed enfatizzava nel ragazzo tutti i pensieri eticamente non corretti ma che ogni uomo dall’età della pubertà fa su di una donna a lui gradita.
E nonostante avesse già allontanato quella donna attraente e dallo sguardo ammiccante, non avrebbe disdegnato nel dare uno sguardo a quello che quella stretta tuta copriva.
“Riposati. Domani saremo a Sinnoh” disse Marianne. La premurosa Marianne. Non se n’era accorto, lui, gli teneva la mano, gliela stringeva, quasi per fargli sentire la presenza di qualcuno accanto.
Linda guardò la mano di Ryan stretta a quella di Marianne, ed inarcò un sopracciglio. Poi voltò le spalle ed uscì fuori da quella stanza, sbattendo la porta.
“Ti mangia con gli occhi”
“Lo so” sorrise Ryan, dolorante e stanco per via del riposo forzato.
“Accanto a te però vedo una donna buona. Quella ha tutta l’aria di volerti controllare”
Ed intanto il modo di fare della ragazza avvenute ore prima continuavano a vorticare nella testa del ragazzo. “Già...”
“Ad ogni modo ora pensiamo ad Arceus. Dobbiamo far finire questo pandemonio”
“Già”
“Sinnoh è bellissima”
“Già”
“La nostra meta è il Monte Corona”
“Già”
“Lì troveremo Dialga... e non rispondermi ancora in quel modo, mi stai facendo innervosire”
“Voglio andare da Rachel” fece lui, cercando di alzarsi, ma fu spinto ancora verso il lettino dalla fortissima mano d’incudine di Marianne. Pareva fosse in una pressa, e che tutti gli sforzi che facesse risultassero nulli.
“Devi riposare. Più tardi Rachel verrà di qua. Non costringermi a legarti al lettino”
“In quel caso fai entrare Linda” sorrise sfrontato Ryan.
“Non penso ti convenga... comunque ora riposa. Io vado di là. Per qualunque cosa chiamami ed io ci sarò”
“Grazie Marianne”
 
Il pomeriggio passò così velocemente che il sole cadde oltre l’orizzonte come se la gravità lo avesse attirato nelle profondità del mare.
Nonostante ciò, nella stanza di Zack e Mia, era sempre buio.
La fame ed il sonno avevano lentamente rosicchiato la volontà del ragazzo, che ora era riverso sul pavimento, come un bicchiere d’acqua rovesciato.
Mia accanto a lui, gli teneva la mano, impaurita, ma sveglia. Tenere Zack accanto la rassicurava molto, ma se lui dormiva, lei non riusciva ad emularlo. Si sentiva in dovere di badare al buio che avevano intorno.
Come se qualcosa fosse potuto cambiare.
Purtroppo per lei, i litri di lacrime versate non servivano a niente. Aveva sete, e la scorta d’acqua era finita.
Aveva perso la cognizione del tempo. Qualche ora prima era abbastanza sicura fossero le quattro del pomeriggio.
Qualche passo che rimbombava nel corridoio, di tanto in tanto, li ridestava dal loro torpore, come se fossero attaccati alla lenza, tirati fuori e poi rilanciati più lontano.
La voglia di uscire da lì era diventata troppa.
“Mia...” disse Zack, con la voce compressa, mentre si raddrizzava sul pavimento. Era avvitato per terra, con le gambe in una direzione ed il torace in un’altra.
“Zack...”
“Come stai?”
“Ho sete. E sonno”
“Dormi. Tra un po’ verranno a portarci il pasto... spero”
“E se non vengono?”
“Verranno. Verranno sicuramente. Rachel non ci farà morire”
“È stata Rachel a metterci qui dentro?”
“No, non è stata lei. Tranquilla”
“Ho sete, Zack”
“Tra un po’ verranno”
“Ho sete. Ho tanta sete”
“Non pensarci”
“Ed ho sonno”
“Dormi pure. Sono qui accanto a te”
“Dobbiamo uscire da qui”
“Lo so... e lo faremo”
 
Rachel aprì la porta della stanza dove Ryan riposava. Non era molto grande, era l’infermeria. Non c’era nessuno, tranne che un addetto che pareva dormire da parecchio tempo, steso su di un divanetto. Ormai la sera era scesa, e lei aveva preso il coraggio a due mani per porlo al centro del suo petto.
Rachel Cuordileone era ora riluttante ad avvicinarsi al lettino di quello che un tempo disegnava con orgoglio come suo fratello, in quei disegni senza un perché, su ogni membro della famiglia.
Sorrise, pensò che disegnasse davvero bene. Ma ora non era importante.
Ora voleva capire come stesse Ryan.
La ragazza con le tette grosse ed i fianchi generosi era silenziosa, pareva guardasse in cagnesco la mulatta riccia, che parlava con Lionell in maniera entusiastica del sarcasmo utilizzato da Ryan durante la prima conversazione dopo lo svenimento.
Per Lionell era importante che Ryan partecipasse all’operazione, perciò non rimase nella base dell’Omega Group. Era vitale che un allenatore del suo calibro partecipasse dalla sua parte in quel contesto.
Non sapeva chi si sarebbe trovato di fronte, e contare su Ryan era un grosso vantaggio.
Rachel avanzava lentamente in quella cabina stretta e buia, illuminata da qualche freddo neon bianco qua e là, lasciando in penombra il paziente.
La ragazza si avvicinò così tanto da riuscire a vedergli il volto. Gli occhi erano aperti, fissavano il cielo fuori dai finestrini, e le nuvole, ora solo striature nere in lontananza, donavano un po’ di vivacità alla tavola opaca che era la notte.
Quella notte.
A Rachel faceva sempre un po’ impressione guardare gli occhi di Ryan. Soprattutto quando non se lo aspettava, per lei era difficile non sobbalzare. Non era abituata agli occhi rossi.
Nessuno aveva gli occhi rossi nella vita reale. Twilight era solo un film, ed un libro di successo.
E mentre rimuginava sulle questioni più sciocche che riuscisse a trovare, Rachel vide la testa del ragazzo muoversi. Voltarsi verso di lui.
Ryan sorrise dolcemente.
“Sei venuta... volevo parlarti”
“Ciao. Come stai?”
“Stanco. Ho sonno”
“Hai avuto una brutta crisi di nervi. O un esaurimento nervoso. Insomma, devi rilassarti”
Ryan sorrise. “Ci proverò”
“Riprenditi. Ero venuta a vedere come stavi”
“Sto bene, sto bene, tranquilla. Quello che volevo, te lo ripeto, era parlarti”
“Di che volevi parlarmi?”
“Mi spiace per tutta questa situazione... questa strana situazione. Ora so che tu mi vedi come un mostro, e forse ho sbagliato a non dirti tutta la verità fin dall’inizio, ma la verità è che per me, dirti che non eri mia sorella era come mentire a me stesso. Perché anche se non sei mia sorella, io ti ho sempre vista come tale, e mai finirò di farlo. Sei la persona con cui sono cresciuto, quella che conosce tutti i miei segreti, quella con cui sognavo di partire, per diventare un allenatore. E se sono rimasto a casa, dopo la morte di mamma e papà, è solo perché c’eri tu, che avevi bisogno di qualcuno accanto...” terminò con un attimo di dolcezza quello.
Rachel lo fissava con gli occhi languidi.
“No, Ryan... non funziona così...”
“Rachel, mettiamo la parola fine a questi sproloqui inutili. Smettiamola davvero. Voglio solo stare bene con te e tornare a casa nostra”
“Io voglio che tu sappia che i sacrifici che tu hai fatto per me sono importanti. Voglio che tu sappia che non lo do per scontato. Mi hai praticamente cresciuta, quando mamma e papà sono andati via. Ma per me è un dolore troppo grande. Ed il sapere che Lionell è il mio vero padre non mi ha dato sicurezze”
“Come mai dici questo?”
“Perché è uno sconosciuto per me. E mi ha messo alle calcagna persone alquanto ambigue”
“Eh?!”
“Cioè... non capisco perché agiate come un’agenzia segreta quando poi alla fine siete una società privata. Ma questo è insignificante rispetto all’interrogativo principale: perché rapite le persone?”
“Io non lo so, e personalmente non mi interessa. Voglio solo che tu sappia che io e te, una volta finita questa situazione, torneremo a vivere come prima”
“Ryan... io voglio stare con Zack. Voglio viaggiare con lui, andare via. Io lo amo”
“Non sai quanto mi feriscano queste parole”
“Riposa ora... credo sia meglio”
Rachel carezzò la guancia del ragazzo, sapendo che forse non avrebbe dovuto farlo, unicamente per non dare troppo peso ad un gesto che in un altro contesto sarebbe davvero stato un messaggio di chiarimento e riappacificazione, e poi andò via.
Ryan sentì la porta chiudersi, e pensò alle parole di Rachel.
Zack. Io lo amo. Lei amava Zack.
E lui sembrava quasi un pretendente geloso.

 

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Capitolo 47
*** Capitolo Diciottesimo: Preparativi 2°Parte ***


Preparativi - Pt. 2


Gli occhi rimanevano chiusi. Tanto, nel buio che cosa avrebbero potuto vedere? L’unica cosa che manteneva Mia e Zack ancora nel mondo reale erano i loro respiri.
Zack sentiva quello di Mia, Mia quello di Zack, ed entrambi si facevano forza mentre la fame li attanagliava e rubava tutte le energie necessarie a vivere.
“Mia...”
“...”
“Mia... ci sei?”
“...sì...”
“Come stai?”
“Male...”
Zack la strinse di più al suo petto, con le poche energie rimaste, e le baciò la testa, per tranquillizzarla. Quella posò il volto sul braccio del ragazzo, che pochi minuti dopo si bagnò delle lacrime cristalline della ragazza.
Zack le sentì, quasi come se facessero rumore, se ne accorse, pareva fossero luminose, scintillavano per quanto fossero preziose.
E nel buio della stanza e della sua mente l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che Mia non meritava nulla di quella situazione.
La sua gentilezza, la sua benevolenza, erano state mal ripagate dal destino, che ora se n’era approfittato in malo modo, e la teneva rinchiusa in quella stanza, stretta tra due braccia amiche, che necessitavano due braccia amiche a loro volta.
Zack cercava di fare forza a Mia, ma in realtà era un muro di foglie. Era tutta facciata. Voleva donare sicurezza a quella ragazza fragile e ferita, ma se qualcuno avesse provato a buttarlo a terra si sarebbe infranto in mille pezzi come un vecchio specchio polveroso.
Poi il cigolio di una porta, probabilmente quella del corridoio, li fece sobbalzare.
“Si mangia...” sorrise Mia.
“Ho pregato Arceus perché succedesse”
“Zack... dobbiamo riuscire ad andare via”
“Hai ragione”
 
Tre membri del Team Omega erano pronti a servire il pasto ai due prigionieri.
Erano in tre, perché anche senza forze, quei due avrebbero potuto crear danni.
E a Lionell i danni non piacevano. Meglio evitare i danni. Quel lavoro era ben pagato, e a loro piaceva fare quello che facevano. Loro salvavano il mondo, anche se usavano metodi poco ortodossi.
Uno di loro portava due bottiglie d’acqua. Queste erano state in frigorifero tutta la giornata, ed anche col freddo dicembrino Mia e Zack si sarebbero accontentati della temperatura. Questo tipo era molto magro, lungo, naso grande, occhi piccoli, capelli rasati e sorriso arcigno.
Guardava quello che portava il vassoio con la cena dei due. Quello era invece tutto il contrario dell’altro. Basso, tarchiato, con i capelli lunghi alle spalle e la barba incolta, nera. Gli occhi verdi, il naso piccolo e la fronte perennemente sudata. Davanti a loro c’era il responsabile di quell’operazione giornaliera, ovvero il tenente Magnus. Era un armadio a quattro ante, bandana in testa, volto granitico che filtrava ogni emozione e la traduceva in rabbia.
Uno di quei tipi che ad incontrarlo per strada ti fa cambiare direzione.
Camminavano, i loro stivali schioccavano all’unisono sul pavimento traslucido della base.
“Siamo arrivati” disse il secco. Magnus bussò, poi infilò la chiave nella serratura e lasciò che il secco ed il corto entrassero a dare rifocillamento ai due prigionieri.
 
Non appena il primo entrò, quello con l’acqua, Zack, nascosto dietro di lui, accanto alla parete, prese la sedia sulla quale era legata Mia, e gliela sbatté in testa. Gli occhi di Mia si accesero in un lampo, non appena videro il corto ed il tenente Magnus accendere la luce per analizzare la situazione.
Magnus vide i due prigionieri stropicciarsi gli occhi per via della luce, che il tenente accese tramite un telecomando che aveva in mano. Poi c’era Arnold, il secco, per terra, con la testa aperta ed il sangue che fuoriusciva, esanime.
“Che cazzo succede qui?!”
Zack aprì gli occhi, e maledisse il momento in cui gli avevano levato le Poké Ball. In quella situazione Growlithe gli sarebbe stato veramente d’aiuto.
Mia sembrava spaesata, Zack si mosse lentamente, con sempre la sedia fra le mani, andando a farle da scudo.
Quella gli toccava le braccia, un modo per capire che aveva lui davanti, e che era protetta, al sicuro. La cosa non la rassicurava tanto, però. Infatti Zack a stento riusciva a stare in piedi.
E siccome l’effetto spinaci/braccio di ferro non esiste, non avrebbe neanche potuto ingoiare un po’ di cibo, per poi sentirsi più forte.
Zack aveva sonno.
Mia era impaurita ed era stanca. E quello strano uomo alto come due persone si avvicinava minaccioso.
Zack stringeva forte la sedia. Aveva paura. Sapeva che anche se avesse colpito quel tizio più di una volta avrebbe solo rotto la sedia, mentre quello lo avrebbe preso e malmenato ripetutamente.
Se non ammazzato.
Si guardò attorno. Nulla. Il nulla più assoluto. C’era solo Mia alle sue spalle, non poteva utilizzare nulla come arma ed in più c’era il tizio corto e chiatto vicino alla porta, che avrebbe caricato a sua volta se avesse visto che qualcosa non andava.
“Forse non avete capito la gerarchia dei ruoli... noi siamo quelli che vi fanno mangiare. Tu hai voglia di morire” disse a Zack l’abnorme.
“Voglio vedere la luce del sole”
“La vedrai. Dalla tua tomba”
Il corto sorrise, mentre quello grosso si avvicinava ancora di più. Meno di un metro pensava a dividerli, e Zack pensò che fu quello il momento di provare a colpirlo. Si diede lo slancio con un colpo di reni, allungò braccia e gambe, saltò, per provare a colpire con la sedia il suo avversario.
Fu un colpo molto violento. Il grosso rallentò per un momento il suo passo lento ed inesorabile, mentre la sedia si fece in dodicimila pezzi, quasi fosse di cristallo.
Ora c’erano cinquanta centimetri tra i due, non c’era un’arma che potesse proteggerlo ed aveva Mia stretta alla schiena.
“Mia... allontanati”
“Zack. Che vuoi fare?”
“Non posso fare niente. Ma stai lontana da lui”
Il volto di Zack pareva contrito. Probabilmente sarebbe morto, pensò.
Poi accadde l’impensabile. Qualcosa prese a camminare per una parete. Era un Ariados.
Un Ariados bello grosso. Il grosso lo guardò in silenzio, indeciso sul da farsi, mentre quello, pochi secondi dopo creò velocemente una ragnatela molto resistente tra i due ragazzi e i due ceffi.
“Che cazzo sta succedendo?!”
La voce del grosso rimbombò nella stanza vuota come se stessero parlando in un pozzo.
Ariados prese a sparare bombe viola.
“Attenzione!” urlò il corto. “È un Fangobomba!”
“Lo so! Vai Exploud!”
Un grosso Exploud fece la sua comparsa li dentro.
“Ariados! Usa Ragnatela!” urlò qualcuno.
“Ma... ma questa è la voce di Trevor!” sorrise Zack.
Ariados produsse un’altra grande ragnatela. In questo modo si sarebbe potuto spostare molto più velocemente.
“Exploud!” urlò il grosso. “Usa Granvoce!”
“No!” urlò Mia, tappandosi le orecchie come meglio poteva. E mentre le orecchie del corto sembravano essere state lese dal forte attacco, mentre Zack e Mia se le proteggevano alla meno peggio, il tenente pareva non averne bisogno. Il bello degli attacchi sonori è che difficilmente falliscono. Ariados ricadde sul pavimento, ma poi si riprese, rimettendosi in bilico sulla parete alle sue spalle.
Zack guardava attentamente.
D’improvviso delle liane legarono velocemente il corto, e lo tirarono via. Quello lanciò un urlo disperato. Da quello capì che le liane appartenessero ad un Pokémon piuttosto lontano.
“Ariados! Vai con Limitazione!”
Delle ragnatele furono sparate ad alta velocità su Exploud. Ariados riuscì a bloccargli il braccio destro al corpo, ma l’avversario, con quello sinistro, si liberò.
“Iper Raggio Exploud!”
Avrebbe probabilmente distrutto la parete.
“Chiudiamola” fece un’altra voce. D’improvviso entrò nella stanza un Blaziken, che colpì con un forte Calciardente Exploud, prima che potesse far partire l’attacco. Quello rimase a terra.
D’improvviso nella stanza entrarono Trevor e Robbie.
“Ragazzi!”
“Ariados” fece Trevor, il suo proprietario. “Usa le tue ragnatele per bloccare sia Exploud che il suo allenatore”
“Già. Blaziken, guarda che non venga nessuno” disse invece l’altro.
“Ragazzi!” sorrise Zack.
“Chi sono?” chiese invece Mia.
“Sono Trevor, capopalestra di Plamenia e Robbie, capopalestra di Palladia!”
Trevor sorrise, mentre il suo Ariados compieva il grosso del lavoro. Trevor era un uomo abbastanza particolare. Un grosso paio di occhiali, doppi, si appoggiavano sul suo naso disarmonico. Era grosso, con una grande gobba. I capelli erano neri, lunghi fino alle spalle, mentre gli occhi, dietro quei grossi fondi di bottiglia, si erano ridotti a due piccoli puntini.
Fisicamente era alto, e magro.
Era il re dei Pokémon Coleottero ed Erba, e almeno ad Adamanta nessuno ne sapeva più di lui.
“Che fine ha fatto quell’altro?” domandò Zack, rivoltò proprio a Trevor.
“Venusaur lo ha tenuto legato, poi lo ha addormentato”
“Oh. Il tuo Venusaur. Come sta?”
“Ottimamente direi. È in forma”
Zack sorrise, e guardò Mia. Era confusa. Lei fissava stranita Robbie.
Robbie era l’altro capopalestra. Probabilmente il più forte nel gruppo dei Gym Leader.
Era un uomo di statura normale, abbastanza tonica la sua muscolatura.
Aveva viaggiato molto ed aveva molte cicatrici sulle braccia e sulle gambe, ma un maglioncino di lana caldo ed un jeans, quel giorno, coprivano tutto.
I capelli castani tirati all’indietro, una piccola coda sulla testa, ma davvero quasi inesistente. La barba incolta sul viso, castana anche questa, gli davano un’aria davvero vissuta. Gli occhi azzurri, le labbra carnose ed il naso normale completavano il quadro.
Robbie era un ragazzo di poche parole. Quasi di nessuna.
Quando Ariados ebbe finito, Blaziken aprì un varco nella ragnatela con un piccolo attacco di fuoco, permettendo a Zack e Mia di uscire. I due si mantenevano a stento in piedi.
“Ragazzi. Come state?” chiese Robbie.
“Stanchi. Abbiamo bisogno di nutrirci. E di bere”
Trevor si abbassò e prese da terra le due bottiglie d’acqua. Le distribuì ai due, che bevvero velocemente metà del contenuto in pochi sorsi.
“Ora andiamo via”
 
I ragazzi recuperarono i loro Pokémon ed uscirono dalla base. Si ritrovarono al centro di Timea, Stella era lì ad aspettarli.
“Ragazzi... meno male. Non vi ho visti tornare e mi sono preoccupata” fece la bella. Trevor sorrise.
“Meno male, Stella. Stavolta non sapevo davvero in che modo uscirmene da questo guaio” sospirò il Campione.
“Ci ha chiamati allarmata. Eravamo entrambi di ritorno da Hoenn, ma la situazione lì è davvero complicata. E siccome abbiamo saputo che qui non è migliore abbiamo deciso che ci voleva aiuto anche qui, che è casa nostra. Quindi siamo tornati” disse Trevor.
“Appena ci ha detto che eri nei guai, e che non ti aveva visto tornare dalla base dell’Omega Group ci siamo attivati” fece invece Robbie.
Zack sorrise. Di solito, quando era a Timea passava sempre a trovare Stella. Quella, non vedendolo tornare, dopo quella sceneggiata in mezzo alla piazza, si era spaventata, pensando che forse sarebbe potuto essere successo qualcosa.
“E Rachel dov’è? Già è finita?!” chiese stupita la bella capopalestra.
“Rachel è in viaggio verso Sinnoh. Lei è Mia, una cara amica. Dobbiamo raggiungerla”
“Va bene. Cerca di non finire più nei guai” lo avvertì Robbie.
“Sarò anche il Campione. Ma senza Pokémon sono un semplice essere umano. Ragazzi, mi spiace, ma ora devo tornare velocemente ad Edesea”
“Ok. Per qualunque evenienza fai un fischio” disse Trevor.
“Cercherò di fermare questi cataclismi. Ma voi occupatevi della regione. E salutatemi tanto Milla e Rupert”
“Sarà fatto”
Salirono poi su Braviary, e partirono, direzione casa di Alma.

 

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Capitolo 48
*** Capitolo Diciannovesimo: Contromisure ***


Contromisure - Pt. 1


Zack era sulla schiena di Braviary, in volo, quando pensò che avere dei Pokémon fosse una gran cosa. Era stato due giorni senza poter usufruire dei loro servigi e si era sentito veramente un minorato.
In groppa a Braviary, invece, a metri e metri d’altitudine ora, guardava Adamanta con i suoi occhi.
La distruzione aveva fatto parecchie vittime. La distruzione si era portata via case, persone, sogni e voglia di andare avanti.
C’è chi lavora una vita intera per una casa. Per costruirla, per pagarla, per abbellirla e per viverci dentro. Poi la terra trema, e sei costretto a rimanere senza nulla.
Gli dispiaceva.
Edesea era a meno di una trentina di chilometri, il sole stava per nascere e Mia lo stringeva forte, impaurita per l’altezza, anche se col tempo si sarebbe abituata.
I due erano stanchi.
Dopo essere stati salvati da Robbie e Trevor, erano andati da Stella. Avevano mangiato, bevuto, e si erano riposati il giusto.
Avevano ringraziato la ragazza per l’ospitalità, ed aveva raccomandato loro di non mollare mai per la causa di Adamanta. Erano loro, i capipalestra, assieme ai Superquattro ed al Campione a dover aiutare chi ne aveva bisogno.
“Dovrò molto probabilmente partire per un’altra regione. Sarò assente. Durante la mia assenza farete capo a Robbie. Mi raccomando” le parole di Zack non solo stupirono il diretto interessato, ma lo allietarono.
Si era sempre allenato, impegnato al massimo, e non avrebbe mai pensato che qualcuno avrebbe riconosciuto i suoi sforzi.
Zack tagliò il nastro dei pensieri, ritrovandosi di nuovo in groppa a Braviary. Non spiegava le ali da parecchi giorni, la voglia di volare sprizzava da ogni piuma.
“Zack!” urlò Mia, con il vento che le colpiva il volto. Il freddo era terrificante, ma dovevano resistere.
“Mia! Che c’è? Stai bene?” chiese l’altro, sempre ad alta voce, mentre il rombo dell’aria circostante riempiva i loro padiglioni auricolari.
“Manca ancora molto?!”
“Pochissimo! Meno di cinque minuti!”
“Ok! Devo andare in bagno!”
Zack sorrise, e fece sorridere anche Mia. Poi ripiombò nella depressione e principalmente fu per via della questione di Rachel. Nulla da togliere a Mia, ma alle sue spalle avrebbe voluto averci la sua donna. Gli mancavano quelle mani piccole e delicate, quella voce liscia, sottile, e quello sguardo perso e rassegnato, ma al contempo sognatore, pronto per un viaggio attraverso mille avventure.
Un piccolo sorriso gli tagliò il volto di lungo quando in mente gli sovvennero alcuni passi di quella notte benedetta. Fu davvero magico.
Non si era mai sentito in questo modo. Non si era mai sentito così vivo, e pieno di voglia di fare.
Voleva finire quella maledetta partita a poker col destino, e, finalmente, poter riuscire a fare un tris al river.
La sfortuna era davvero sulla sua spalla, come un pirata ed il suo pappagallo.
“Hey... non deprimerti” disse Mia, nel suo orecchio.
Zack spalancò gli occhi, mentre il sonno combatteva per chiuderli. “Hai ragione... ma è difficile”
Oltre l’orizzonte un piccolo raggio di sole fece la sua comparsa. Era giorno.
“So quanto possa essere difficile avere tutto e poi perderlo, l’ho provato proprio nei giorni scorsi, con te. Ma non perderti d’animo. Perché se ti abbatti tu, Adamanta non avrà speranze”
Quelle parole rimbombarono come un gong nella testa e nel petto del ragazzo.
Si voltò un attimo, per guardarla in volto. Era sgualcita, ed aveva bisogno di riposarsi.
Carezzò leggermente la schiena dell’aquila, il calore tra le dita non riusciva a raggiungere il suo cuore, dato che il vento gelido lo spazzava via.
“Hai ragione” ripeté.
 
L’aereo atterrò a Giubilopoli quel mattino. Era presto, molto presto. Dall’aereo scesero tutte le reclute dell’Omega Group, parevano un esercito.
Lionell e Rachel scesero prima di Linda, Ryan ed infine Marianne, seguita dal dottor Stark.
Giubilopoli era una città davvero enorme. Nonostante ci fossero una grande quantità di palazzi, il verde rimaneva tutelato. Gli alberi erano cittadini di quel posto, e non sarebbero mai stati sfrattati. Certo, non si poteva paragonare a Forestopoli, ad Hoenn, ma resta sottinteso che Forestopoli è un villaggio di capanne, mentre a Giubilopoli c’erano anche alcuni grattacieli di diversi piani. La piazza era enorme, e Rachel lasciò lì un pezzo del suo sguardo per permettere ai suoi occhi di vederla tutta.
“Dove siamo diretti?” chiese Linda a Lionell.
“Ci serve una base. Qualche stanza in un albergo sarà più che sufficiente”
Quella annuì, poi guardò il volto della ragazza. La sorpresa per Giubilopoli fu sostituita dal suo solito sguardo spento e deluso.
Quello Zack doveva proprio mancargli.
Pensava, immaginava quei due, mentre si baciavano, si abbracciavano, e ad un tratto tutto sparì. Voleva davvero che quella situazione finisse. Aveva paura che qualche terremoto o cose così avessero potuto portare dei problemi alla loro causa.
Loro dovevano salvare il mondo.
Loro dovevano diventare gli eroi, e di pivelli che si mettevano di mezzo non ne avevano proprio bisogno. Ad ogni modo Zackary Recket era il campione della Lega di Adamanta, ma già il fatto che avesse perso una sfida contro Ryan non significava niente di buono.
Forse Ryan era davvero più forte di Zackary Recket.
Ryan era un allenatore preparato sia fisicamente che mentalmente per intraprendere avventure e situazioni analoghe a quelle che stavano affrontando.
E poi c’era anche Lionell con loro.
Il misterioso Lionell, quello che quando chiedevi un Pokémon te lo faceva avere. Si chiedeva il motivo di cotanta generosità, ed anche se sapeva che il commercio di Pokémon fosse illegale, in fondo in fondo era a conoscenza del fatto che lui pagasse per le varie richieste delle sue reclute.
Ciò che più di ogni cosa affascinava Linda era che Lionell avesse alcune sfere con sé, nella cintura.
Le fantasie su quali Pokémon quello potesse portare con sé erano davvero all’ordine del giorno.
Bestie potenti, veloci, intelligenti.
Lionell sarebbe riuscito ad interloquire con Arceus, avrebbe convinto Prima ad evocarlo e a terminare quella battaglia. Lionell doveva assolutamente riuscirci.
Altrimenti sarebbero morti tutti.
Giubilopoli era gremita di persone, sarebbe bastato un terremoto per permettere ad Arceus di attuare il suo piano. Anche se Sinnoh sembrava non aver per niente ricevuto gli effetti di quella maledizione.
Non lo sapeva di per certo, ma era sicura che c’entrasse qualcosa Regigigas e l’equilibrio della natura della regione.
Spazzò via dalla testa quei pensieri e seguì nell’Hotel Giubilopoli tutta la truppa. Occuparono un piano intero, tutto pagato dall’Omega Group.
“Ryan, Marianne e Linda. Voi condividerete la stanza. Rachel, tu avrai una singola tutta per te. Mi raccomando. Fuori la tua porta ci sarà sempre una coppia di reclute, a tua disposizione”
Lionell stabilì le camere, dopodiché, assieme al dottor Stark e a qualche altro pezzo grosso si dileguò in una stanza.
Prima di farlo, però, si avvicinò a Ryan.
“Giovanotto... sai già cosa devi fare. Comincia con il Lago Valore. Lì, ad attenderti ci sarà Azelf. Marianne e Linda ti accompagneranno”
“Va bene”
“Mi raccomando. Dobbiamo fare in fretta. Il destino del mondo è nelle tue mani adesso... senza contare che tra due giorni è Natale”
“Già...”
“Facciamoci questo regalo. Andate, ora”
 
Quando la porta si aprì, Zack e Mia si trovarono avanti una donna assonnata. Alma aveva i capelli spettinati anche se legati, la solita treccia, mentre la camicia da notte malcelava la perfezione delle curve di quella.
Gli occhi aperti il minimo sindacale e le labbra gonfie di sonno.
Anche la più bella del mondo, di primo mattino non fa una grande impressione.
“Alma... perdonami per l’orario... ma ho bisogno di parlare con te” fece Zack, abbassando la testa.
La donna, lo guardò meglio, avvicinandosi al suo volto, e toccando con i mignoli gli ematomi che aveva.
“Che ti è successo?” chiese con calma quasi irreale.
“Stiamo praticamente venendo a capo dell’arcano. Ma ho bisogno di consultarmi con te, che sei l’esperta, prima dell’atto finale”
Alma, appoggiata allo stipite della porta, annuiva, mentre combatteva contro la gravità per mantenere aperti gli occhi.
“Entrate...” quella si voltò, e con i piedi scalzi prese a camminare per casa sua, lasciando per sottinteso che Zack potesse entrare e chiudere la porta proprio come se fosse a casa sua.
Il ragazzo diede una leggera spinta a Mia per farla entrare, che esordì con un “permesso”, figlio della sua educazione, quindi il ragazzo la seguì, chiudendo bene la porta.
Lasciò andare il suo zaino per terra, e liberò Growlithe. Non lo vedeva da tempo, aveva bisogno delle sue attenzioni.
“Metto a fare un po’ di caffè... ne volete?”
“Sì, ti ringrazio, Alma. Comunque volevo presentarti Mia, una cara amica che sta perorando come me la nostra causa”
Alma si sorprese dell’insolito utilizzo di termini del ragazzo, quindi con un sorriso usa e getta si presentò alla ragazza.
“La tavola di Hermann ci aveva portati a lei per errore, e così le abbiamo detto tutto ciò che sapevamo riguardo la faccenda di Arceus” aggiunse il ragazzo.
“In che senso, scusa?”
“Praticamente quando le abbiamo fatto mettere la mano sulla tavola, questa si è illuminata... ma perché la teneva anche Rachel tra le mani”
Alma spalancò gli occhi, mentre il verme della consapevolezza si infilava a forza nella mela dell’illusione.
“Cioè... Rachel...”
“Esatto. È Rachel l’oracolo. A quanto abbiamo capito è una discendente di Prima, l’oracolo di Arceus al momento dell’incendio al tempio”
“Santo cielo...” Alma teneva gli occhi spalancati e si grattava una tempia con l’unghia ben curata.
“Hai avuto la nostra stessa reazione” le fece il ragazzo.
“A saperlo avremmo fatto davvero prima. Ed il cristallo? Dov’è?! Non è più al tuo collo”
Mia si fece avanti, tirandolo fuori dalla sua maglietta.
“Questo non è il cristallo” disse con la solita voce dolce la bionda. “Prima ha fatto sparire il cristallo di Arceus. In pratica il cristallo e l’oracolo, adesso, coincidono”
“Quindi Rachel può evocare Arceus?!”
Mia e Zack annuirono contemporaneamente.
“E Rachel dov’è?!”
“Rachel è stata rapita dall’Omega Group. Ora è in viaggio per Sinnoh” disse Zack.
“Sinnoh?! E che c’entra?”
“A quanto ho capito il tempio ora non ha nessuna forza spirituale. E l’Omega Group vuole fermare questa distruzione tornando indietro nel tempo, utilizzando Dialga. Ma hanno rapito Rachel, e questa cosa non mi piace! Io devo inseguirli, io devo salvare Rachel!”
“Probabilmente vorranno utilizzare Prima, e per non rischiare che le vergini distruggano il cristallo, o comunque facciano in modo da renderlo inutilizzabile, si sono cautelati ed hanno portato con loro Rachel, che funge da cristallo”
Zack annuiva alle parole di Alma. Poteva davvero aver ragione.
“Ma io ho paura che le succeda qualcosa. Io devo fermarli. Devo riprendermi Rachel...”
Il tono di Zack si addolciva sempre di più, fino a quando non diventava malinconico nel pronunciare il nome della sua bella. “Io non posso perdonarmi quello che è successo. Io non posso vivere in pace con me stesso, se non la riporto qui accanto a me, e non mi godo la sua presenza. Mi mancano le sue mani, i suoi occhi. Le sue labbra”
Alma spalancò gli occhi, guardando Mia e cercando qualche conferma sulle congetture che si era impalcata in testa. La bionda annuì.
“Devo salvare la donna che amo” fece il ragazzo, cancellando poi ogni dubbio.
“Ti sei innamorato di lei?”
“Sì. Siamo stati assieme, qualche notte fa. Io ho bisogno di lei, Alma”
Quella sorrise dolcemente, con gli occhi più chiusi che aperti, ed andò ad abbracciare il ragazzo.
“La troveremo” cercò di fargli forza.
Zack annuì, chiedendosi per quale strano motivo le emozioni non stessero impattando contro la sua voglia di rimanere con gli occhi asciutti. Non piangeva.
Non ci riusciva.
Non che volesse, ma in una situazione del genere sapeva che avrebbe pianto.
Ragionò meglio, e capì che avrebbe potuto piangere per Rachel solo se si fosse rassegnato per averla persa. E lui non l’aveva persa. La determinazione cresceva in lui, si avvicinava in velocità come una Ferrari in rettilineo, e lui sarebbe salito al volo sul bolide per raggiungere la sua donna.
“Dobbiamo andare a Sinnoh”
“Senza problemi, Zack. Possiamo utilizzare l’Alakazam del rettore della facoltà. Ma sai, vero, che per catturare Dialga devi prima riuscire ad ottenere la Rossocatena?”
“Rossocosa?!”
“Per richiamare Dialga, il Pokémon che gestisce le trame del tempo, e Palkia, quello che giostra con lo spazio, hai bisogno dei cristalli dei tre guardiani dei laghi”
“Spiegati meglio”
Alma sospirò, e si sedette sul divano, accavallando vertiginosamente le gambe. “A Sinnoh esistono tre laghi. Il Lago Arguzia, il Lago Verità ed il Lago Valore. In ognuno di questi laghi vive uno dei guardiani leggendari. Loro sono Uxie, l’onnisciente, Mesprit, l’onnipresente, ed Azelf, l’onnipotente. Tutti e tre hanno sulla fronte un cristallo rosso, da cui il nome della Rossocatena. Dai loro cristalli partirà una sorta di raggio, un’interconnessione che unirà i tre guardiani, che sarà in grado di controllare sia Dialga che Palkia. Naturalmente sarà una questione molto difficile da affrontare... Oltre a Dialga anche Palkia si sveglierà. I due Pokémon hanno lottato per secoli per il predominio dello spazio sul tempo e viceversa. Sono molto potenti, e bisogna riuscire a calmarli immediatamente, prima che Giratina, quello che controlla il caos, cerchi di fare la sua apparizione per ristabilire le cose. Giratina non deve apparire assolutamente nella nostra dimensione, altrimenti la sua esistenza potrebbe risultarne compromessa”
Zack ascoltava affascinato, mentre Mia si stava letteralmente mettendo paura.
“In pratica dobbiamo catturare i tre guardiani... e poi?”
“Arrivare sulla cima della Vetta Lancia, sul Monte Corona, ed evocare Dialga e Palkia. Bisogna cercare di immobilizzare anche Palkia mentre Dialga sarà utilizzato da voi, altrimenti lo spazio prenderà il sopravvento sul tempo”
“In pratica bisogna catturare anche Palkia”
“Esatto. E tutto questo prima che Giratina avverta il pericolo o siamo fritti”
“Fantastico. Moriremo di sicuro” sospirò Mia, spostandosi un ciuffo dal volto. Zack sorrise, poi la strinse a sé nel tentativo di calmarla.
“Ci riuscirò. Devo riuscirci” Zack si caricava.
“Mi raccomando, Zack. Perché non ti fai accompagnare da qualcuno dei capopalestra o dei Superquattro?” Alma fece preoccupata.
“Perché loro hanno il compito di stare qui. Devono aiutare chi è in difficoltà”
“Hai ragione... mi vesto e scendiamo in facoltà. Ci serve quell’Alakazam”
 
Flygon volava ad alta velocità, e poco più dietro seguivano Linda e Marianne su due Salamance. Ryan era abbassato sul suo Pokémon per aumentare la velocità, per essere più aerodinamico, mentre il vento creava vaste vie tra i suoi capelli.
Gli occhi semiaperti, per vedere le vaste pianure di Sinnoh passare immobili sotto di loro, mentre qua e là dei paesini si alternavano alle grosse creste rocciose del Monte Corona. Il sole del mattino era ormai fuori. Erano le otto. Quella giornata sarebbe sicuramente stata piena di sorprese.
Bisognava essere veloci, concisi, precisi, e soprattutto bisognava limitare al minimo i rischi.
Tra i tre guardiani, Azelf, quello che si stava accingendo a catturare, era il più forte. Aveva un attacco molto alto, e, a dispetto della stazza minuta, era un Pokémon molto ostico da affrontare. Così come Uxie e Mesprit.
Se erano dei Pokémon leggendari un motivo ci doveva essere.
Flygon continuava la sua volata, un battito d’ali bastava per coprire più di una decina di chilometri.
“Quella è Pratopoli” disse tra sé e sé il ragazzo. Avevano sorvolato Cuoripoli, aveva visto un ragazzino che piangeva per esser caduto dalla bici, ed un padre che lo rimetteva in piedi e lo stringeva.
Ora che ci pensava poteva anche non essere il padre.
Insomma, non deve per forza essere tuo padre qualcuno che ti da amore ed affetto. Rachel ne era la dimostrazione assoluta.
La ragazza aveva vissuto senza i reali genitori, ma non aveva mai messo in dubbio il fatto che John e Martha fossero coloro che l’avessero messa al mondo, perché le avevano donato tutto l’amore possibile ed immaginabile. Proprio come se Rachel fosse uscita dal ventre della madre di Ryan.
Ryan sorrise, ricordando una scena. Rachel piccolina, quel piccolo caschetto nero, gli occhi chiari e la frangetta davanti agli occhi, che ogni due minuti era costretta a levarsi dal volto perché era troppo lunga.
Non avrà avuto più di tre o quattro anni, e mentre Ryan giocava con il suo Ralts, che in seguito sarebbe divenuto Gallade, quella parlava con Zorua.
Col senno di poi capì che probabilmente il volpino aveva usato le sue abilità illusorie per diventare un bambino, ma Rachel, che ancora non capiva bene quella situazione, si comportava con una naturalezza quasi assurda.
Ryan sorrise, mentre uno stormo di Staravia attraversò veloce il cielo di Sinnoh. Rachel da piccola era adorabile. Ricordava alla perfezione il giorno in cui quella entrò nella loro casa, per la prima volta.
Lui era piccolo, davvero molto piccolo, probabilmente quello fu il uso primo ricordo.
Nella sua testa c’erano le luci della cucina di casa sua. Quelle luci gialle, calde, che in inverno ti riempivano di tutto ciò che ti mancava. Il papà era seduto al tavolo, conti alla mano, anche i professori dovevano pagare le tasse, e con la penna tra le labbra si lamentava circa il fatto che non riuscisse a godersi i soldi appena guadagnati.
Lavorava come professore. Non appena poteva, Ryan coglieva ogni insegnamento da parte del padre.
Lui era seduto accanto al papà, euforico per la promessa che gli era stata fatta da poco, prendere il suo primo Pokémon, e sul tavolo c’erano sparsi qui e lì automobiline e soldatini, di quelli di plastica con la piattaforma che sembrava facessero snowboard.
Ripensandoci ora, a Ryan mancava giocarci. Gli ricordavano momenti dolci e felici, quando i pensieri più grandi sono rappresentati dal non voler andare a dormire.
Una vita piena di possibilità, senza doveri. Una vita da bambino.
Ricordava alla perfezione il gioco che faceva. Aveva una action figure di Tyranitar, alta circa venti centimetri, ovvero enorme rispetto agli altri giocattoli sul tavolo.
Tyranitar era il mostro, ed i soldatini usavano le automobili come skateboard per sfuggirgli ed attaccarlo.
Tyranitar non vinceva mai. Il suo soldatino preferito, quello che teneva l’occhio vicino al mirino del fucile, sparava colpi a ripetizione. Non si curava nemmeno del fatto che tutti i rumori che faceva giocando, per rendere più realista la situazione, potessero infastidire il papà.
John forse era abituato, forse in aula, quando insegnava, era costretto a cose ben peggiori.
Ad ogni modo la sera era già scesa da tempo, e la fame si faceva sentire.
“Papà... ma la mamma dov’è? Ho fame”
“Lo so, Ryan, non preoccuparti. Tra poco la mamma è a casa. Mi ha chiamato dieci minuti fa”
“E dov’era?”
“A dieci minuti di auto”
“E quindi?”
“Se ce ne servono dieci, e ce ne danno dieci...?”
“Dov’è la mamma?!”
“Rispondi”
“Uff... ripeti”
“Se ce ne servono dieci, e ce ne danno dieci cosa abbiamo?”
“Tutto”
“Quindi?”
“Quindi la mamma è qui?”
“Esatto” sorrise John, sorridendo per l’arguzia del figliol prodigo.
“Ma la mamma non è qui”
“Era solo un piccolo problema di matematica, Ryan”
“Ma io ho fame”
John sorrise, e subito dopo i fari della Bmw di famiglia illuminarono brevemente il salotto, lasciato buio per non sprecare corrente.
Ecologisti, loro.
E mentre Ryan sorrideva, levando tutto da mezzo, sapeva che quando si doveva mangiare i giocattoli dovevano essere messi a posto, John si avvicinò alla porta.
La aprì, il rumore dell’auto cessò, ed i fari si spensero, facendo ripiombare, tavolino, divano e televisore di nuovo le buio più che totale.
“Martha” la chiamò John.
Ryan cercava di vedere la sagoma della madre dietro le spalle del padre, ma non ci riusciva. Poi John fece un passo indietro, e rimase sgomento.
“Cosa è successo? Di chi è?”
Ryan corse a vedere. Sicuramente era un Pokémon. Il Pokémon che suo padre gli aveva promesso quel pomeriggio era già lì. Sua mamma glielo aveva sicuramente portato. Scavalcò il papà, per vedere il volto di sua madre.
Stropicciato, come quasi sempre dopo il lavoro. Martha aveva entrambe le braccia occupate. Da un lato un piccolo fagotto, ripieno di una deliziosa bambina sonnecchiante. Nell’altra mano una Poké Ball.
"Chi è?” chiese Ryan, curioso ma anche un po’ contrariato dal fatto di essere stato colto alla sprovvista.
“Lei è Rachel. Una bellissima bimba” rispose sorridendo stancamente sua madre, stendendo quelle bellissime labbra che gli baciavano la fronte ogni notte.
“E la Poké Ball?! Che c’è nella Poké Ball?”
“Questo è un amico di Rachel”
“Non può diventare anche amico mio?”
“Oh, sicuro. Ma sarà più amico di Rachel. Qui c’è uno Zorua”
“Oh...” fece quello, meravigliato. John sorrise mettendo una mano sul caschetto biondo del figlio, sapendo che non sapesse cosa fosse uno Zorua.
“Presto anche tu avrai un Pokémon, vero? Potrai anche farlo giocare con Zorua” ripeté il concetto la mamma.
“Ok, mamma. Ho fame”
“Ora cucino subito”
I pensieri si tagliavano tra di loro, si univano, si stracciavano, si bruciavano, lasciando un odore conosciuto, ma non distinguibile. Rimorsi e rimpianti si susseguivano e non si raggiungevano mai, e alla fine, Ryan si ritrovò davanti il Lago Valore.

 

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Capitolo 49
*** Capitolo Diciannovesimo: Contromisure 2°Parte ***


Contromisure - Pt. 2


“Grazie signor rettore” sorrise Alma, uscendo dall’ufficio di quello col sorriso stampato sul volto.
Mia pensò che pochi uomini avrebbero potuto resistere ad un sorriso del genere.
La sfera di Alakazam tra le mani, Alma guardò Zack e prolungò il sorriso.
In quel momento un po’ d’ansia colse il giovane. Le mani tremavano leggermente. Avrebbe dovuto aver a che fare con Pokémon potentissimi. L’adrenalina cominciò a riversarsi nelle sue vene come se avessero aperto i boccaporti. Strinse i pugni, dandosi la carica. Mia lo guardava un po’ spaventata, credendo che se quella situazione avesse messo in difficoltà Zack, che era in assoluto l’allenatore più forte che conosceva, lei avrebbe dovuto girare con un coltello per l’intera avventura, in modo da ammazzarsi non appena la situazione si fosse fatta irreversibile.
“Ce la posso fare” disse Zack a sé stesso. E bastarono queste parole a far sorridere la bionda.
“Io sarò con te” gli disse. Zack sorrise e la guardò. “Ce la faremo” continuò la ragazza.
Zack e Mia seguivano Alma lungo il disastratissimo corridoio della facoltà. I terremoti non avevano risparmiato quel pezzo di storia, e quindi macerie e pareti cadute venivano ricostruite con certosina precisione da parte degli addetti ai lavori.
Alma camminava, quasi volava in direzione di un posto in cui erano tranquilli di poter fare quello che volevano. La facoltà non era il posto giusto, piena di operai che ricostruivano.
Salirono nell’auto della professoressa, ed arrivarono allo spiazzale dove Alma aveva parlato a Zack e Rachel della leggenda di Arceus.
Scesero dalla vecchia auto, le porte cigolarono aprendosi.
“Dovrei usare un po’ d’olio” fece lei. Tirò fuori la Poké Ball dalle tasche ed un bell’esemplare di Alakazam si presentò davanti ai loro occhi.
I tre rimanevano l’uno accanto all’altro, Zack tra le due donne, in attesa che Alma prendesse il coraggio di lasciar partire il suo pupillo.
“Beh... Alakazam. Devi teletrasportare questi due ragazzi a Sinnoh. Cerca di farli comparire in una zona sicura” si premurò quella.
Alakazam sembrò aver capito. Giostrò un po’ con i cucchiai e smaterializzò i due, per poi farli riapparire su di una stradina sterrata costeggiata da erba alta ed alberi spogli.
Mia aprì gli occhi e si guardò attorno. Non vedeva null’altro che neve. Neve fresca, ben stesa per terra, nessuno aveva camminato lì prima di loro, non c’era alcun segno sul quel foglio bianco.
“Zack” lo chiamò lei.
“Sono qui, Mia”. Quello era alle sue spalle, mentre si sistemava la bandana sulla testa.
“Fa molto freddo, qui...”
“Già... dobbiamo muoverci, o andremo in ipotermia” fece quello.
“Come vorrei avere qui quella candelina, ora...” sorrise lei.
“Ce la riprenderemo”
Zack alzò il piede destro, e lo affondò nella neve bianca, cominciando a camminare. I loro passi, nella candida neve, parevano trattini disuniti e storti, di una linea sgualcita che linea non era mai stata.
“Dove siamo?” chiese lei, con quella voce incredibilmente dolce che si ritrovava.
“Non lo so... dobbiamo cercare il centro abitato più vicino” fece il ragazzo, alzando gli occhi al cielo depresso del mattino. Le nuvole erano ancora cariche di neve, ed al primo tamponamento questa si sarebbe riversata a mo’ di zucchero a velo su quella torta piena di guai.
Mia alzò gli occhi. “Fumo... sarà qualche comignolo, Zack”
“Hai ragione. Brava la bionda”
“Grazie” sorrise timidamente lei.
Si incamminarono verso quella direzione, attraversando il bosco addormentato, nel quale la gran parte dei Pokémon era in letargo. Un Glaceon si nascondeva dietro ad un cumulo di neve, mentre un Honchkrow era appollaiato su di un ramo, in silenzio, raccolto nel calore delle sue piume.
Mia guardava la fauna tutta affascinata, mentre Zack apriva la strada davanti a lei, come una forbice ben tagliente. Lei metteva i piedi nelle orme formate dal ragazzo, per star sicura di non incappare in nessuna trappola.
“In questo periodo gli Abomasnow scendono a valle, qui a Sinnoh...” disse Zack.
“Valle? Mica hai capito dove siamo?”
“Credo di sì” si girò e si fermò, per guardare la montagna alle sue spalle. “Quello è il Monte Corona. La Vetta Lancia è orientata verso nord da qui, e ciò vuol dire che dovremmo trovarci nei pressi di Duefoglie”
Superarono gli ultimi alberi e si trovarono di fronte ai tetti innevati del piccolo paesino.
 
Ryan si guardò attorno. Il Lago Valore era un posto attorniato da alberi, abbastanza nascosto ed isolato dal sentiero principale che porta da Rupepoli alla zona dell’Hotel Gran Lago.
Ryan avanzò di qualche passo, Marianne e Linda lo seguirono parecchio affascinate dalla zona. Il sole illuminava solo una parte di quel posto, così vasto ma così nascosto.
Le rive del lago sembravano calme e tranquille. L’acqua era immobile, trasparente. Vari Magikarp e Poliwag sguazzavano qui e lì, e ti veniva davvero tanta voglia di immergerti in quelle acque protette.
Ah, già. Era praticamente Natale.
Al centro del lago vi era un isolotto.
“Dobbiamo circumnavigarlo” fece Linda. “Troveremo l’ingresso per l’antro di Azelf”
Ryan e Marianne annuirono. Ryan mise in campo Feraligatr, che entrò in acqua ed attese che Ryan gli salisse sulla schiena. Si assicurò con le gambe ai fianchi, quindi aspettò che Marianne facesse altrettanto con il suo Sharpedo e Linda con il suo Kingdra.
“Andiamo” fece quest’ultima, ed assieme ai loro Pokémon tagliarono la superficie liscia dell’acqua.
Ryan si sentiva un po’ in ansia. Il destino del mondo dipendeva anche da quello che sarebbe successo quel giorno.
Non aveva mai avuto a che fare con un Pokémon leggendario.
Sinceramente credeva fosse solo un Pokémon più raro degli altri. Ma poi pensava alla faccenda di Relicanth, rarissimo Pokémon preistorico, che non era altro che un pesce, anche un po’ brutto.
Azelf era potente.
L’isolotto si avvicinava vorticosamente, ed intanto lui analizzava la situazione di Zackary Recket. L’aver inibito la sua azione di salvataggio riguardo il maremagnum della profezia di Arceus poteva sicuramente risultare controproducente, dopotutto Zack aveva più volte dimostrato di essere uno dei più abili con le sfere tra le mani, ma sicuramente c’era qualcosa che andava oltre.
Mentre Feraligatr quasi scivolava sull’acqua, Ryan capì che doveva esserci qualche situazione economica particolare. Sì, perché salvare il mondo ti rendeva riconoscibile a chiunque, anche se sei il Signor Nessuno.
E passare da Signor Nessuno a Signor Qualcuno conviene a tutti.
Sicuramente Lionell aveva in mente dei forti progetti a livello economico per questa impresa, anche perché a lui non interessava la notorietà, era già abbastanza ricco di suo.
Avrebbe espanso gli affari, il buon nome dell’Omega Group avrebbe viaggiato in lungo ed in largo alla velocità della luce.
I Pokémon d’acqua rallentarono fino a fermarsi del tutto. I ragazzi scesero ed immersero le caviglie nell’acqua, dopodiché fecero rientrare nelle sfere i Pokémon e si avvicinarono all’ingresso dell’antro.
Alcune piante crescevano qua e là, qualche bacca penzolava dagli alberi, ma uno strano rumore fuoriusciva dall’apertura della grotta, come se un grosso e rumoroso stomaco reclamasse cibo in continuazione.
Se non avesse avuto idea delle dimensioni di Azelf, probabilmente se lo sarebbe aspettato alto quanto uno Steelix.
“Andiamo?” chiese Ryan.
“Andiamo” risposero in coro le due.
Loro dietro, il ragazzo avanti, mossero i primi passi all’interno della Grotta Valore. Qua e là qualche infiltrazione creava grosse pozzanghere per terra, profanate dal fango degli stivali dei tre.
Le gocce cadevano rumorose per terra, creando un ritmo quasi perfetto. Stalattiti e stalagmiti si alternavano, Marianne fu in grado di vedere un paio di queste che erano riuscite ad unirsi, a formare una colonna di calcare.
La luce che proveniva dall’esterno si esaurì, dopo una decina di passi era già tutto buio. I ragazzi tirarono fuori dalle loro cinture delle grosse torce, la cui luce spaventò alcuni Zubat che veloci schizzarono fuori.
Il corridoio dentro il quale i ragazzi camminavano si assottigliava sempre di più, ad un certo punto raggiunsero un punto in cui le due pareti quasi si incontravano, formando un angolo davvero stretto. Ryan abbassò il volto, lì c’era un’apertura abbastanza ampia da permettergli di passare. E se fosse passato lui, le due ragazze, decisamente più minute, non avrebbero avuto problemi.
Si districarono da quell’abbraccio di roccia, e davanti ebbero una visione meravigliosa.
Una grossa stanza era interamente illuminata da zaffiri ed altri cristalli blu. Nonostante il loro alto numero, la visibilità non era delle migliori. Una nebbiolina poco densa vagava stanca come un uomo appena uscito dall’ufficio.
Penombra ovunque, e ancora il rumore delle gocce che cadeva, a formare delle pozze di acqua limpida, filtrata dal tetto della grotta.
“Eccolo” fece Ryan, mettendo mano alla Poké Ball.
Azelf era dritto, immobile a tre metri da terra, teneva gli occhi spalancati mentre le tre code parevano lance allungate verso il pavimento.
“È lui” disse Marianne.
“Viene definito il Pokémon Volontà. Si dice che chiunque gli faccia del male, dopo un po’ perda la voglia di fare, divenendo totalmente apatico” aggiunse l’altra.
“Uhm... cercherò di non fargli del male, allora. Vai Gallade”
Gallade scese in campo. Alla vista del Pokémon, Azelf parve quasi esplodere.
Velocemente i cristalli si illuminarono ancora di più, il blu fece quasi sparire la nebbiolina, ma più di ogni cosa risaltava il cristallo che proteggevano. Il cristallo di Azelf, rosso, sulla sua testa, pareva il sole che sorge dopo una lunga notte buia.
“Si sta preparando alla lotta” avvertì Marianne.
“Lo so. State indietro. Gallade, vai con Palla Ombra”
Gallade velocemente si piazzò al centro dell’arena, lasciando partire una veloce sfera oscura, che colpì dritta in petto il veloce avversario. Azelf accusò davvero molto il colpo, e ruzzolò indietro di parecchi metri.
Il cristallo gli si illuminò ancora di più. Gli occhi diventarono blu, e dello stesso colore era l’aura che lo avvolse.
“Divinazione...” fece Linda.
Non era molto efficace, almeno su questo era tranquillo, Ryan. Bisognava chiudere in fretta quella lotta.
“Gallade, Nottesferza!”
Il buio scese velocemente, e quasi come se un soffio di vento oscuro lo avesse investito, Azelf strillò di dolore.
Ryan stava cercando di utilizzare tutte mosse efficaci su quel tipo di Pokémon.
Azelf  però non si perse d’animo, e si alzò in volo.
“Attento, Gallade”
Il piccolo Pokémon psico prese a roteare velocemente, ed il movimento di code di quello quasi ipnotizzò il suo avversario, che colpì fu colpito repentinamente al petto.
Gallade cadde a terra. Era un attacco Acrobazia.
“Bene... ma il fatto che fosse forte lo sapevamo già. Gallade, usa Psicotaglio!”
Quello si rimise in piedi, e dagli avambracci fuoriuscirono delle onde bianche, energia psichica, che Azelf schivò abilmente, quindi utilizzò a sua volta l’attacco Palla Ombra.
“No! Devi evitarlo assolutamente! Gallade, Teletrasporto!”
Prima che l’attacco andasse a segno, Gallade sparì, e si materializzò alle spalle dell’avversario.
“Ora! Usa Nottesferza!”
E stavolta non ci furono più storie. Azelf ricadde veloce per terra, quindi Ryan lanciò la Ultra Ball e catturò il suo obiettivo.

Fuori uno.

 

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Capitolo 50
*** Capitolo Ventesimo: Rincontri ***


Rincontri - Pt. 1


La neve aveva preso a scendere lieve, quasi era un piacere nonostante il freddo li stesse divorando. Zack tirava Mia per mano attraverso il bosco accanto Duefoglie. La ragazza era stanca, ma andava avanti, non voleva essere un peso per il giovane.
Di tanto in tanto inciampava in qualche sasso nella neve. Aveva i piedi congelati, non era preparata per quell’evenienza.
“Zack...”
“Mia”
“Stai bene?”
“Io sì. Tu come stai?”
“Bene, bene...”
“Pensavo che potresti fermarti per un po’ mentre vado a catturare Mesprit. Poi insieme andremo a prendere Uxie, che è più lontano, potrei aver bisogno di te. Infine Azelf, che è il più forte tra i tre”
“Io non voglio abbandonarti”
“Mia... sei stanca. Non ce la fai”
Mia si fermò e portò le mani ai fianchi, sformati dal grosso ed avvolgente soprabito che le teneva il torace al caldo.
“Io voglio aiutarti” disse, guardandolo.
“E lo farai. Ma bisogna essere realisti. Potresti creare problemi, prima a te che a me. Devi riposare”
“Non vuoi che ti segua?”
Lo sguardo che fece in quel momento Mia bruciò ogni pensiero di Zack.
“No... non è questo. Ma ti voglio bene, e voglio che tu sia pronta a tutto. Ti prego...”
“Zack... non chiedermi di abbandonarti...”
“Non lo sto chiedendo! Voglio solo che ti riposi!”
“Credi di riuscirci? So che il mio aiuto non è per niente annoverato in caso di emergenza, ma vorrei lo stesso aiutarti per quanto posso”
“Ce la metterò tutta. E saperti al caldo mi farà stare meglio”
“Allora ok...”
Duefoglie era un piccolo agglomerato di comignoli fumanti. Qua e là qualche bambino ignaro giocava con la neve. Per terra piccoli e grandi passi si alternavano come le onde nel mare, mentre piccoli sentieri venivano disegnati con le pale da alcuni uomini volenterosi, che spalavano la neve alta, ridando alla luce la strada.
Vitale, ma non troppo.
Poche anime, poca vita, poca gente, l’essenziale. Duefoglie probabilmente era un di quei paesini con un solo supermercato, un’edicola (forse) e la chiesa.
Camminando lì, Zack e Mia si guardarono attorno. Zack vide una di quelle casette. Nonostante il freddo, avrebbe adorato passare la sua vecchiaia in una di quelle baite, con Rachel, che sarebbe avvizzita lentamente accanto a lui.
Poi pensò a Rachel, ed abbassò la testa. Non riusciva a capacitarsi di quello che stava succedendo. Non sarebbe nemmeno riuscito a trovarla, così. Non aveva indizi, né basi dalle quali partire. L’unica cosa che sapeva era che calcavano il terreno della stessa regione.
Zack e Mia presero la stradina principale, mentre degli Snorunt ed alcuni Delibird coloravano il candido paesaggio con un pizzico di brio e di colore.
Poi Zack prese per mano Mia, conducendola in una stradina secondaria, cosa che turbò non poco la giovane, ma quando uscirono da quel vicolo, ritrovandosi sul decumano di quello sputo di vita, Duefoglie per l’appunto, vide ancora strada, ancora case, ed ancora neve.
Una baita era particolare. Le luci erano accese, perché anche se era giorno le nuvole increspavano il cielo, rendendolo buio e polveroso.
La porta chiusa, una ghirlanda appesa sulla porta, mentre fuori parecchie decorazioni adornavano alberi sporcati dal bianco e dal freddo.
Un Blissey stava decorando un’altra metà di giardino.
Zack sorrise. “Eccoci. Siamo arrivati”
I due si avvicinarono alla baita, Blissey si girò e si rese conto di ciò che stava succedendo, poi prese a fare le feste a Zack.
Mia sorrise, incuriosita da quel comportamento. “È tutto normale?”
“Sì. Io conosco questo Blissey da quando era un Happiny”
“Chi vive qui?”
“Una cara amica”
Zack bussò alla porta, ritmicamente, a formare un motivetto. Pochi secondi dopo si sentì qualcuno precipitarsi alla porta, e spalancarla.
“Zack” fece Demetra, sorridendo. Lo strinse a sé, maternamente, mentre il ragazzo si perdeva nel profumo floreale di quella.
“Demetra, ciao...”
“Che bella sorpresa che mi hai fatto”
Gli abbracci con Demetra non duravano mai quanto volevi, lei si staccò e lo guardò. Zack fece lo stesso, non era molto cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista.
I capelli lunghi e verdi erano acconciati in una treccia accanto alla testa. Gli occhi, dello stesso verde acceso dei capelli, sorridevano come lei, in modo tranquillo e calmo. Zack indugiò qualche secondo in più sulle labbra di quella, per poi ritornare a guardarla in toto.
Era alta, Demetra, con indosso un maglioncino e quella solita gonna lunga che la contraddistingueva, e che probabilmente, pensava Zack, nascondeva un fisico da pin up.
Se solo non fosse stata così pudica, probabilmente i due avrebbe scoperto gioie particolari in tempi non sospetti.
“Entrate” disse poi, con quella calma irreale che riusciva a mantenere anche quando non era possibile. Aromaterapia. Era quello il segreto. O dosi massicce di marijuana.
Ma la prima era l’ipotesi più probabile.
Demetra fece strada ai due, e a Mia e Zack si presentò davanti la vista di una bellissima baita. Il camino era acceso, ed il freddo esterno lì dentro non c’era. Tutti gli elementi di arredo, tavoli, credenze, mensole, erano tutti in legno. Qualcosa bolliva in pentola, quella stava probabilmente preparando qualche tisana o decotto.
“Che fate qui?” domandò poi lei, versando un po’ di camomilla in due bicchieri.
“Sono qui per un’importante missione. Stiamo passando di tutto” fece Zack, con il volto contrito.
“Mi spiace. E lei chi è? La tua fidanzata?”
Mia avvampò, mentre Zack velocemente scosse la testa.
“No. Lei è Mia, una buona amica. Mi sta accompagnando in questa avventura, ma mi sono reso conto che non riesce a sopportare il carico di lavoro che ci stiamo sobbarcando. Solo ieri eravamo rinchiusi in una specie di prigione...”
“Cosa?” chiese lei, incuriosita più che allarmata. Conoscendo Zack da molto, non si stupiva più.
“È una lunga storia. Sono venuto apposta qui a Sinnoh per catturare i tre guardiani dei cristalli”
“C’entrano Dialga e Palkia, vero? Di nuovo?”
“Niente a che vedere con il Team Galassia, stavolta. Stavolta dobbiamo solamente cercare di salvare la mia ragazza, quella vera, Rachel. È stata rapita da un gruppo di ceffi, ed io non voglio stare con le mani in mano. Siamo qui a Duefoglie perché devo arrivare al Lago Verità, per prendere Mesprit”
“È il primo dei guardiani che stai cercando di catturare?”
“Sì, Demetra. Devo riuscirci”
“Ti auguro il meglio. Credimi”
“Grazie Demetra. Ma volevo chiederti un favore”
“Avanti, dici pure” sorrise lei.
“Sarebbe un problema se Mia stesse qui fino a quando non riesco a catturare Mesprit? Ha bisogno di riposarsi... lei è delicata, non è abituata né a queste temperature né a queste sfacchinate”
Demetra sorrise. Guardò poi il volto morbido di Mia, le labbra rigonfie di sonno, gli occhi stanchi e rossi per il pianto.
“Non c’è alcun problema, Zack. Metto a preparare una bella camomilla con un tocco di valeriana, cadrà addormentata come sotto effetto di morfina” sorrise la donna con la treccia.
“Va benissimo”
“Guarda un po’ il caso... tra un po’ arriva anche Gardenia. Passeremo le feste di Natale assieme”
“Gardenia, eh?”
“Già...” sorrise sardonica quella.
Gardenia era stato il tentativo di approccio al sesso femminile meno riuscito di sempre, per Zack.
“Oh beh... meglio andare”
“Fai del tuo meglio” disse Mia, prima di vederlo sparire oltre la porta di legno della baita.
 
Rachel passeggiava nella neve. Lionell le aveva dato fiducia, e d’altronde lei non aveva alcuna possibilità di fuggire. Non aveva risparmi con sé e non sapeva dove dirigersi per tornare a casa da Zack. D’altronde c’era la pungente questione di Arceus da definire, e se per qualche strano ed arcano motivo lei era una delle chiavi di volta per sbloccare quella situazione era meglio rimanere lì e salvare la vita a milioni di persone e Pokémon.
Il freddo però le mangiava le mani, non aveva un paio di guanti, e così decise di chiamare fuori Litwick. La fiamma di Litwick per un attimo parve spegnersi, per via di un soffio di vento troppo forte, ma poi si raddrizzò. Giubilopoli non era poi così tanto malaccio. Insomma, assomigliava a Timea, era una grande città, piena di palazzi, case, grattacieli.
C’era anche un’emittente televisiva lì.
“Litwick... come stai?”
Litwick pareva come sempre sorridente, e prese a volteggiargli attorno alla testa.
“Fammi riscaldare un po’ le mani. Mettiti qui”
Litwick si poggiò sulle ginocchia di quella, quindi Rachel riavviò la circolazione alle dita.
Guardò la candelina, e ricordò di quando era riuscito a sconfiggere quello Sceptile.
“Quante soddisfazioni che mi hai dato...”
Quello parve felice delle parole dell’allenatrice, e quando la ragazza ritenne possibile poter tornare a passeggiare lo fece. Uscirono dal cortile dell’albergo, ed avanzarono verso est, avvicinandosi al varco del Monte Corona.
Si chiedeva dove Ryan fosse in quel momento, cosa stesse facendo e se stesse avendo difficoltà, ma poi un ruggito la fece rabbrividire.
Un pezzo di legno enorme le volò davanti al volto.
“Ma... Mazzuolegno” riuscì a capire lei. Ed a Sinnoh, Mazzuolegno lo usavano pochi Pokémon. Torterra, per esempio, ma in una zona innevata era più facile incontrare un...
“Abomasnow!”
L’enorme Pokémon le si parò davanti, ruggendo cattivo di fronte alla giovane. Litwick il coraggioso si pose tra lei e l’avversario, come per difenderla.
“Dannazione...”
Ultimo grande ruggito di Abomasnow, poi Litwick prese ad illuminarsi, ed a mutare forma.
Le era successo con Wizard, e solo con lui. L’evoluzione era un atto abbastanza particolare per lei, quasi sempre inaspettato.
Litwick si allungò, si allargò, cambiò radicalmente.
Ora era un Lampent. Fluttuava dondolando, più veloce di quanto facesse quando era un Litwick, mentre due puntini gialli, a rappresentare gli occhi, si illuminavano ad intermittenza.
“Ottimo, Litwick! Sei un Lampent ora! Mettiamo fuori combattimento il nostro avversario!”
Abomasnow lanciò un attacco Slavina, che anche se poco efficace sul Pokémon, era molto efficace su di Rachel, che quindi decise saggiamente di stare qualche passo indietro.
“Schiva!”
Lampent con velocità si portò sul lato.
“Ora usa Lanciafiamme!”
Un’enorme fiammata viola partì dal centro della lampada, quella che probabilmente doveva essere la sua bocca, e colpì sulla testa l’enorme Abomasnow, che regalò a Rachel un incredibile senso di realizzazione quando cadde sul terreno, stremato.
K.O. in un colpo solo.
“Sì! Ottimo Lampent!”
Stava migliorando con i Pokémon, e questo non era da mettere assolutamente in dubbio. Forse era il caso di conoscere meglio quel Metang e Carracosta. Potevano diventare utili.
Decise quindi di rimanere lì ad allenarsi.
 
 
Zack procedeva lungo il percorso 201, in direzione del Lago Verità. Ricordava per bene quelle strade, le aveva calcate per bene con il suo Grotle, e non appena era diventato un Torterra aveva deciso di rivoltare l’intera regione e di far parlare di sé.
Aveva sempre viaggiato, e questo era un dato di fatto, ma forse, dopo Hoenn per la situazione di Emily, Sinnoh era la regione che aveva sentito di più.
Aveva appena raggiunto la maturità mentale, aveva appena finito di realizzare la grande perdita della sua vita, e si sa che il dolore ti fa crescere. Inoltre la conoscenza del Professor Rowan gli aveva permesso di conoscere tantissime cose in più sui Pokémon.
E poi Gardenia e Demetra.
Sorrise nel ripensare a tutto ciò che era successo.
Gardenia era la capopalestra di Evopoli, e lui era diretto in quella città proprio per andare ad organizzare un incontro in quella palestra.
Ma per arrivare da Giardinfiorito ad Evopoli bisognava attraversare lo spinosissimo Bosco di Evopoli, una sorta di labirinto pieno zeppo di Pokémon coleottero.
Certo, naturalmente si era perso. Ma cercando la strada giusta aveva allenato in maniera massiccia i suoi Pokémon, tanto che quando vide una giovane donna dai capelli verdi raccogliere fiori le chiese con decisione quale fosse la strada per raggiungere la palestra di Evopoli, perché voleva sfidare la capopalestra, certo di sconfiggerla.
“Sei lontanissimo dall’uscita del bosco, caro mio” rispose la giovane.
“Uff... saranno quattro giorni che sono qui dentro... aiutami, per favore!”
Quella sorrise e si presentò.
“Demetra”
“Piacere, Zack”
“Finisco di raccogliere queste margherite e ti porto ad Evopoli”
“Ti ringrazio” Zack sorrise spontaneamente a quarantasette denti, e quando furono fuori, Demetra lo condusse davanti alla porta della palestra.
“Gardenia utilizza Pokémon di tipo erba” sorrise la ragazza dai capelli verdi.
“Oh... beh, cercherò di arrangiare qualcosa” sorrise di nuovo Zack.
“Ti spiace se guardo l’incontro?”
“Oh, ci mancherebbe altro”
“Gardenia è un’amica, non mi avrebbe dato problemi a rimanere, ma non sapevo se tu ne fossi stato infastidito”
“Tranquilla, entriamo”
Ok. La neve continuava a scendere e Zack cercava di non perdersi nei pensieri, ma non poté cancellare dalla mente l’espressione divertita di Demetra non appena lui vide per la prima volta Gardenia.
Lei rideva, certo, ma era Zack il vero spettacolo. Spalancò la bocca, quasi la mascella avesse deciso di abbandonare il resto del corpo e mettersi in proprio.
Anche Gardenia avrebbe potuto evitare il bikini, ma era estate, il caldo giustificava tutto, e lei stava innaffiando le piante della palestra, approfittandone per rinfrescarsi un po’.
“Gardenia” sorrise divertita Demetra, con la solita calma irreale di chi è appena sveglio. “Lui è Zack. Vuole sfidarti”
“Oh... Ok. Ti chiedo scusa per l’abbigliamento, ma l’aria condizionata qui dentro non la posso utilizzare, le piante morirebbero” si rivolse direttamente a Zack.
“No, figurati... anzi, se vuoi continua”
Gardenia all’inizio fece finta di nulla alle spinte che gli occhi del ragazzo le davano, ma dopo un po’ ne fu infastidita.
“Mi metto qualcosa addosso e lottiamo” se ne andò imbarazzata, quindi Zack guardò Demetra.
“È davvero molto carina...”
“Già”
“Secondo te...”
“Non credo tu sia il suo tipo... le piacciono persone un po’ più...”
“Più?”
“Conosciute?”
Insomma, finché non fosse diventato qualcuno, non avrebbe potuto provarci con Gardenia. Motivo in più per arrivare in cima alla Lega Pokémon di Sinnoh.
Quella tornò, indosso quello strano poncho verde a coprire la magliettina nera e quindi i pantaloni cargo a mezza gamba marroni.
Zack sorrideva, sempre più affascinato dalla ragazza. Quella parlava, ma lui non poté far altro che cercare di concentrarsi e cancellare dalla sua mente le immagini di quella donna che lo avevano letteralmente fulminato.
La lotta cominciò, e neanche a dirlo, Gardenia perse nel minor tempo possibile. E la cosa non poté far altro che infastidire la ragazza.
“Tieni, la medaglia Bosco è tua. Ora sparisci” si girò, semioffesa, quasi Zack avesse provato ad ucciderla.
“Ma... non vuoi andare a prendere qualcosa da bere prima?”
“Hai sentito che ho detto? Sparisci!”
E poi un fiocco di neve si posò dritto e carino sulla punta del suo naso. Zack lo fissò con entrambi gli occhi e sospirò. Davanti aveva ormai le rive del Lago Verità.

 

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Capitolo 51
*** Capitolo Ventesimo: Rincontri 2°parte ***


Rincontri - Pt. 2


Forte del suo nuovo amico, e della rinsaldata esperienza con Metang e Carracosta, Rachel decise di tornare nell’hotel. La fame si faceva sentire, era quasi ora di pranzo, ma la neve scendeva inesorabile.
Rachel alzò lo sguardo, le sembrò che il cielo si fosse bucato, e da quel buco stessero fuoriuscendo tutti quei fiocchi bianchi e freddi.
Freddi.
Mise le mani nelle tasche, sperando che le cosce donassero un po’ di calore alle dita, che parevano aver perso ogni parvenza di vita. Temeva si seccassero e cadessero.
Entrò nell’hotel, il concierge la salutò e le diede le chiavi della sua stanza.
Il colorito riprese possesso delle guance, e fu in grado di tenere le mani fuori dalle tasche.
“Zorua...” pensò ad alta voce. Era nella sua sfera da troppo tempo, tanto che già arrivati a pochi passi dal suo pianerottolo lo fece uscire. Quello si guardò attorno e seguì la ragazza attentamente, fino ad entrare nella stanza.
Di nuovo il volpino esaminò tutto con attenzione, dopodichè vide il letto e vi si acciambellò sopra. Rachel accese il climatizzatore, in modo da riprendere interamente colorito, mentre guardava il suo Pokémon stiracchiarsi e riprendere a riposare.
Lasciò cadere il giubbino per terra, e poi tutto il resto, si spogliò e si sedette nella vasca, dopo averla riempita d’acqua calda.
L’acqua si alzava leggera e diventava vapore, quasi volesse sparire ed andare via, partire per un viaggio.
“Chi te lo fa fare...rimani tu che puoi...” disse la ragazza, e dopo si accorse di star parlando da sola.
Immerse un dito nell’acqua, poi lo tirò su. L’acqua che c’era su quel dito ricadeva a piccole gocce, andando ad increspare la superficie liscia, che di tanto in tanto vibrava alle sollecitazioni del corpo della ragazza.
Si sentiva diversa. Forse non portava più quello che lei considerava essere il dono più grande che una donna potesse fare ad un uomo.
Verginità. Forse troppo sopravvalutata negli anni addietro.
Forse troppo sottovalutata in quelli correnti.
Concedersi ad un uomo, per Rachel, era donarsi a quello, mettersi nelle sue mani e farsi condurre bendata in terre mai esplorate. Ci vuole fiducia per fare una cosa del genere.
Zack aveva avuto l’onore di saggiare la sua virtù.
Ripensava a quella notte bollente, calda più dell’acqua che riempiva quella vasca, ed un esercito di brividi l’assalì.
Zack era lontano, chissà dove, e lei sentiva quella lontananza come una serratura sente la mancanza della chiave che la apre.
Chiusa, con la voglia di mostrare ciò che nascondeva, che teneva segreto.
Solo con Zack riusciva ad essere sé stessa, ad aprirsi interamente, nonostante rimanesse nascosta dietro la mano quando rideva, per non mostrarsi troppo.
Non era nelle sue corde.
Gli mancava.
Era passata dall’avere mille rose tra le mani, piene di petali, a dover piangere su di un solo gambo, e per di più spezzato.
Il rovescio della medaglia.
Tirò indietro la testa, un grosso mollettone teneva legati quei fili di seta nera, il collo scoperto, baule della sua femminilità, mentre i seni rimanevano immersi per metà in quell’acqua torbida per il sapone e la schiuma.
Si era quasi auto convinta a riposarsi, ad addormentarsi nell’acqua fino a quando non avesse perso tutto quel calore rigenerante, quando qualcuno bussò alla porta e rovinò i suoi piani.
Sospirò, forse era uno sbuffo, non un sospiro, affondò in un enorme accappatoio azzurro ed infilò un paio di pantofoline rosa, morbide e confortevoli sotto i calli che aveva ai piedi.
Dopotutto aveva viaggiato molto, ed aveva massacrato quei piccoli portadita. Aprì la porta, infilando solo la testa fuori.
Un vento freddo entrò in stanza, smuovendo il sonno di Zorua.
Ryan era davanti alla porta, e sostava, in silenzio.
“Ciao...come va?”
“Bene. Mi sono appena lavata”
“Oh...ok. Mi chiedevo se avessi bisogno di qualcosa”
“Non preoccuparti”
“Ok”
“Va bene...”
Attimi di imbarazzo. Sembravano due ex fidanzati che si trovavano in ascensore l’uno di fronte all’altro. Entrambi si sentivano in dovere di dire qualcosa, ma alla fine il risultato sarebbe stato migliore se avessero percorso la strada del silenzio.
“Sei ancora arrabbiata con me per la lettera di papà?” chiese lui, prendendo il coraggio a due mani.
Rachel sospirò, quindi abbassò lo sguardo. “Entra...”
“Grazie”
Aprì la porta, mostrandosi avvolta nel caldo accappatoio, per poi chiuderla velocemente non appena occhirossicascobiondo fosse entrato in stanza.
Quello si guardò in torno. La sua stanza non era così lussuosa.
“Siediti sul letto...” fece Rachel.
Ryan eseguì, e appena lo fece, Zorua scattò d’istinto, prendendo a ringhiare. Il biondo capì che gli ultimi avvenimenti non lo avevano fatto entrare nelle grazie del volpino.
“Zorua, calmo. È in pace”
Zorua sembrò aver capito, ma lo stesso scese dal letto. Non voleva condividerlo con lui.
“Allora?” domandò poi Ryan.
“Ecco...” lei sostava all’in piedi davanti alla porta, mantenendo una certa distanza. “...ammetto che posso essere sembrata irragionevole, ma io su di te contavo davvero molto. E non mi è mai saltato in mente il dubbio che tu non fossi mio fratello. Prova a capirmi. In pochi secondi ho preso coscienza del fatto che non avevo un fratello, che non avevo dei genitori, e che quelli che reputavo tali in realtà non lo erano. Diciamo che oltre alla famiglia non ho mai reputato nulla come mio. Tranne Zorua, certo. E nella mia testa è partito un input. Dovevo creare qualcosa nella mia vita, qualcosa di cui sarei stata fiera, e cancellare tutte le menzogne. Ho conosciuto Zack, ho colto la palla al balzo, e poi sono partita”
“Uhm...”
“E mi manca. Tu lo odi a morte, ma non capisci che io lo amo”
“Purtroppo la mia posizione e la sua ci porta continuamente a scontrarci, ma so che è un bravo ragazzo. Se io non fossi io e lui non fosse lui, probabilmente potremmo anche avere un rapporto al di fuori del lavoro. Ma il mio compito ed il suo sono speculari. Lui deve salvare questo mondo, e lo devo fare anche io, ma siccome lui non ha nessuno che lo comanda, che lo paga, e che gli dice cosa fare, se questo mondo non lo salvo io non ci sarà nulla di buono per me. E poi siamo comunque parenti. Sei mia cugina” sorrise ancora.
Lionell era il padre di Rachel, ed era sposato con la sorella di Martha Livingstone, Irya.
“Non è la stessa cosa”
“Spero che comunque le cose possano tornare come all’inizio. Una volta che questa storia finirà, io voglio lasciare questo lavoro e partire”
“Come?! E non devi più lavorare?”
“No, Rachel. Lionell mi sta riempiendo di soldi”
Lei sorrise a mezza bocca, poi trovò una sedia e si sedette. “Dove andrai?”
“Vorrei tanto sfidare la Lega di Adamanta. Dovrò battere i capipalestra e poi i Superquattro” sorrise bonariamente lui.
“Oh, guarda che sono mostruosamente forti”
“Ci hai avuto a che fare?”
“Già...con molti di loro”
“Immagino che la conoscenza di Zack abbia implementato gli incontri con queste persone”
“Ma neanche...quando li incontrai Zack ed io eravamo lontani. Con Zack ho incontrato Stella, di Timea”
“Dannazione, quella donna è il mio desiderio!”
Rachel sorrise, e pure Ryan. Un po’ avevano ricreato fiducia ed armonia, ed il loro rapporto era sulla strada della riparazione.
“Ok...allora vado. Mi fa piacere aver riso e scherzato con te” disse il biondo.
“Anche a me. Ci vediamo dopo”
“Stasera. Ora sto andando a catturare Mesprit, poi andrò da Uxie. Azelf è già nelle mie mani”
Rachel annuì, aprì la porta e lo fece uscire.
 
Zack uscì dal percorso 201, ed entrò sulle rive del Lago Verità. Un po’ di erba alta costeggiava l’intero perimetro del lago. Oltre l’erba solo tanti alberi, con i capelli bianchi di neve.
“Gyarados...esci”
Le acque del lago, calme e remissive, ebbero una leggera botta di vita quando Gyarados si immerse lì. Zack salì velocemente su di lui, e a velocità di crociera presero ad avvicinarsi alla grotta presente al centro del lago.
Tutto era tranquillo, nella mente di Zack era sparito tutto. Stava già analizzando la strategia da utilizzare contro Mesprit. Era un Pokémon dannatamente veloce, di tipo psico, quindi avrebbe dovuto utilizzare una strategia intelligente.
E per farlo non si sarebbe attenuto alle normali regole di combattimento.
Gyarados arrivò all’antro dopo qualche minuto di Surf. Zack scese dal suo dorso, e mise piede sulla terraferma. Sotto i piedi tante pietruzze parevano sollevarlo.
L’antro era proprio davanti a lui. Un rumore mostruoso ne usciva, tagliato, di tanto in tanto, dalle gocce d’acqua che cadevano dalla parte superiore dell’arco naturale d’ingresso.
Zack prese coraggio ed annuì a sé stesso, quindi Gyarados rientrò nella sfera e lui avanzò deciso.
“Absol...esci fuori”
Il Pokémon eseguì. I suoi occhi catturavano la luce e si illuminavano al buio, come quelli dei gatti. Di lì a poco la luce esterna, dove il sole era ancora sotto le coperte di nuvole, sarebbe finita.
Cautelarsi con il sensitivo dei Pokémon non gli pareva un’idea pessima, anzi. Probabilmente avrebbe utilizzato lui contro Mesprit.
Absol era veloce, certo non quanto il suo avversario ma riusciva a prevedere dove sarebbe comparso durante la lotta.
Camminavano in quell’antro, per terra era pieno d’acqua, ma Zack ormai seguiva solo Absol. Sentiva i suoi passi e riusciva a definirne i contorni con la vista.
Venti metri più avanti la luce risplendeva forte. Una luce rosa. Zack si domandò il motivo di cotanta luminosità, e quando entrò finalmente nella sala di Mesprit lo capì.
Tantissime gemme, o pietre che dir si voglia, di colore rosso, emanavano una luce chiara e molto luminosa, quasi a coprire interamente la volta della grotta. Pareva un grosso, immenso lampadario.
Mesprit era di fronte ai due. Aveva gli occhi aperti, immobile, pareva una statua di sale.
Pareva che l’anima non fosse in lui.
“Mesprit...eccolo”
Absol era lì davanti. Ma a Zack non bastava. Mise in campo anche Braviary, Growlithe e Lucario.
“Mi spiace, Mesprit...ma devo catturarti”
D’improvviso Mesprit sbattè gli occhi, e diede un urlo agghiacciante, facendo rabbrividire i presenti, tranne Absol e Lucario, che lo videro schizzare in loro direzione.
Braviary si alzò in volo, mentre Absol andò a sinistra e Lucario a destra. Growlithe di fronte.
Avrebbe voluto dissimulare la posizione dei suoi Pokémon, facendo utilizzare a Growlithe Muro di fumo, ma Mesprit era talmente veloce che conveniva riuscire a vederlo.
“Growlithe! Fuocofatuo!” una piccola ed insidiosa fiammella prese ad inseguire Mesprit, che scompariva ed appariva in ogni punto. Braviary dall’alto cercava di aiutare sia Absol che Lucario, ma era chiaro che i tre non erano così veloci.
E dopo qualche minuto passato ad inseguire quel folletto dal cappuccio rosa, Zack capì che non sarebbe riuscito a colpirlo.
Piccoli calcoli logici, Mesprit si muoveva in uno spazio. Doveva fare in modo che fosse lo spazio a catturare quel Pokémon.
“Torterra!”
Uscì fuori anche l’enorme tartarugone.
“Torterra, pianta le tue liane ovunque. Dobbiamo limitare i movimenti di Mesprit. Braviary, tu attento. Lucario, leggi l’aura e cerca di capire dove possa essere Mesprit, e comunicalo ad Absol. Growlithe, fai partire qualche altro Fuocofatuo. Almeno aumentiamo le possibilità di prenderlo”
E così fecero. Braviary era immobile al centro, si manteneva in volo e pareva che quasi galleggiasse, mentre Torterra fece partire qualche centinaio di liane che si andarono ad innestare sulle pareti rocciose della grotta. Era diventato tutto una sorta di labirinto. Solo la parte centrale era rimasta più libera. Infatti dovevano cercare di contenere i movimenti e riuscire a prenderlo. Se Mesprit fosse riuscito a nascondersi dietro le liane di Torterra sarebbe stato davvero complicato andarlo a ritrovare.
Il Pokémon guardiano ancora riusciva a divincolarsi, ma Absol approfittò di un attimo di defaillance per salire su di una liana e far sbandare il Pokémon.
Lucario alle spalle di Mesprit, quello si fermò per un momento, e Braviary si fiondò su di lui, con gli artigli, fino a sbatterlo per terra.
Fuocofatuo lo colpì, Mesprit urlò di dolore. Dopodichè Absol si fiondò su di lui e, con la spada puntata al collo di quello, prese a ringhiare.
“Ok, ok” Zack prese la Ultraball e la lanciò.
Un’oscillazione. Due oscillazioni. Tre oscillazioni.
Fuori.
Mesprit uscì di nuovo, ed attaccò con Divinazione.
“Absol, veloce, Sgranocchio!”
Absol prese in pieno il corpo del piccolo guardiano, che urlò di dolore. Poteva bastare.
“Ultraball!”
Un’oscillazione. Due oscillazioni. Tre oscillazioni.
Dentro.
“Bene così. Dentro, ragazzi...”
Zack fece entrare i Pokémon dentro, poi salì in groppa a Braviary e volò velocemente fuori.
Fu per un paio di secondi. Divinazione fece effetto, Zack uscì fuori e la caverna crollò.
Era salvo. E Mesprit nella Ultraball tra le sue mani.
Non ci volle molto ad arrivare a Duefoglie. Il comignolo di Demetra aveva il pessimo vizio di fumare.
 

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Capitolo 52
*** Capitolo 21 - Gelo ***


Gelo


Ryan si trovò davanti una visione alquanto sgradevole.
“Per quale fottuto motivo l’Antro Verità è crollato?” chiese a Marianne.
“Non ne ho la più pallida idea”
“Mesprit è lì dentro?”
“Non ne ho la più pallida idea”
“Come possiamo fare per...lasciamo perdere, conosco già la tua risposta. Piuttosto, Linda...hai idee per capire se Mesprit e vivo ed è lì dentro?”
Linda si spostò una ciocca dal volto, mentre sperava non riprendesse a nevicare.
“Beh...potremmo utilizzare i poteri di Gallade”
“Già...ottima idea”
Gallade uscì fuori e si guardò attorno. Ryan era proprio alle sue spalle.
“Gallade, concentrati e cerca di capire se Mesprit è sotterrato dalle macerie”
Quello chiuse gli occhi, ma quando li riaprì fece segno a Ryan di non aver trovato nulla.
“Qualcuno è già stato qui...qualcuno ha già catturato Mesprit”
“Può anche essere successo un cataclisma, un terremoto, e la grotta è crollata. Che ne sai?”
“Hai ragione” disse il biondo, ma una brutta sensazione lo ingravidò. Gli pareva quasi di sentire gli urli di Braviary.
Gli pareva che l’ombra di Zackary Recket lo stesse per risucchiare.
 
“Grazie Braviary” sorrise lui, facendolo rientrare nella sua sfera. Dopodichè prese la sfera di Mesprit in mano e bussò il campanello di casa di Demetra.
Alcuni passi rimbombarono sul pavimento di legno, che scricchiolava sotto il peso di qualcuno.
In cuor suo Zack pregava che ad aprire la porta non fosse Gardenia. La situazione sarebbe stata un tantino imbarazzante.
E invece la porta...la aprì proprio Gardenia.
Gli occhi della ragazza si spalancarono per un istante, ma poi tornarono della normale grandezza.
“Hey...Zack, vero?”
Gardenia non si aspettava così cambiato quel giovane ragazzo che tanto la fece indispettire.
“Si. Come stai?”
Zack le tese la mano libera, e sorrise. Gardenia notò la Ultraball nella mano ma non chiese nulla, e fece spazio a Zack per farlo entrare.
“Io bene. La tua amica sta dormendo”
“Ne ero sicuro. Demetra dov’è?”
“Si è addormentata anche lei. Era stanca. Ma tu che ci fai qui?”
Zack sospirò e posò lo zaino, lasciandolo cadere accanto al camino scoppiettante. Posò la sfera sul tavolo e si sedette su di una sedia.
“È una lunga storia. Ma sto cercando di ricomporre la catena di cristalli dei guardiani dei laghi. Ho bisogno di Dialga”
“Oh, un bell’impiccio, insomma. E come mai?”
“Niente di straordinario. Cose che servono ad Adamanta, tutto qua”
Mentitore puro.
“Ah già...tu ora vivi ad Adamanta. Bel posticino, molto caratteristico”
“Ho abbandonato Sinnoh parecchi anni fa. Ad Adamanta sono il Campione”
“Se non ricordo male lo eri anche qui”
“Per un breve periodo. Camilla era troppo forte davvero”
“E beh...una come lei non nasce tutti i giorni”
“A proposito, come sta?”
“Credo bene. Ci incontriamo di tanto in tanto ai convegni della Lega di Sinnoh”
“Ah, ok”
“Sai bene che conduco una vita morigerata. Penso solo all’allenamento... e a migliorare l’aspetto e la salute delle mie bellissime piante”
“Immagino... sì. Comunque... Mia dorme da tanto?”
“Oh, si è addormentata pochi minuti prima che arrivassi tu”
Poi un rombo, che sembrava provenire dal cielo, riempì le loro orecchie.
Gardenia e Zack si guardarono. E no, non era il cielo.
“Hai fame?” sorrise lei.
“Un tantino...”
“Demetra ha preparato un ottimo stufato, e ne sarà sicuramente avanzato. Lei con le proporzioni, in fatto di cibo non è molto ferrata”
“Ne riscalderò un po’, se non crea disturbo”
“Siediti, lascia...faccio io”
Gardenia si alzò, mostrando il solito fisico tonico. Non indossava più il poncho, certo, il freddo era troppo per il solito abbigliamento che la caratterizzava.
Dei pantaloni cargo, stavolta lunghi, erano abbinati ad un paio di grossi stivaloni da trekking. Sopra un maglioncino di lana, molto aderente, la teneva al caldo. Nei capelli sempre la solita fascia nera.
“Come stai tu, invece?” chiese Gardenia, mettendo la pentola sui fornelli.
“Beh...non molto bene. Sto cercando la mia donna, è stata rapita”
“Ah...ecco perché ti serve la Rossocatena”
“Ehm...esatto”
“E parlami di lei”
Zack si stupì per quella strana ed immediata gentilezza, ed anche per quell’interesse fuori dalle righe. Gardenia lo aveva sempre trattato con freddezza immane.
Demetra l’aveva drogata, quasi sicuramente, pensò.
“L’ho conosciuta partendo per la mia ultima avventura. All’inizio non era niente di che, ma poi col tempo ho imparato ad apprezzare ogni suo lato, finchè non me ne sono innamorato”
“Wow!” sorrise entusiasta. “Non ti ho mai visto innamorato. Mi hai sempre dato l’impressione dell’invasato attratto solo da culi e tette”
“Nella vita si cambia”


Rachel si infilò qualcosa di comodo e scese nella hall. Avrebbe guardato un po’ di tv, non si concedeva quel piacere da parecchio tempo.
Il fatto che adesso qualcun altro si occupasse della faccenda Arceus\cristallo\profezia\catastrofi le donava un po’ di sicurezza nonostante vivesse con il tarlo continuo di Zack.
“Dove sei?”
Poi le si poggiò una mano sulla spalla.
“Con chi parli?”
Rachel girò la testa, e guardò in alto. Sotto la montatura di quelle lenti costose c’era Lionell.
“Oh...è lei”
“Dammi del tu, te l’ho già detto”
“Non ci riesco. Si vuole sedere?”
Lionell sorrise. “Si, va bene”
Si sedette accanto a lei. Rachel lo guardava, e ne rimaneva affascinata. Profumava di fresco e di pulito. Le sarebbe costato un occhio però ammettere che quell’uomo era suo padre.
“Senta...può parlarmi della mia vera madre?”
Lionell, da che guardava dritto, in direzione della televisione, alzò le sopracciglia, quindi si girò verso la ragazza ed abbassò di poco gli occhiali.
“Vuoi che ti parli di Irya?”
“Si”
“Naturalmente ti assomigliava in maniera straordinaria. Come assomigli a tua nonna del resto, la madre di Martha ed Irya. Lei era il cristallo prima che lo fosse Irya”
“Viene passato di generazione in generazione?”
“A quanto ho capito, il parto trasmette al nascituro la capacità di interloquire con la divinità”
“Io non ho mai parlato con Arceus”
“Probabilmente non ha mai avuto nulla da dirti” sorrise Lionell. Rachel trovava la cosa poco divertente.
“E quando vi siete conosciuti lei e la mamma?”
A Lionell dava un fastidio tremendo il fatto che lei fosse così distaccata e formale, mentre per Irya ci fu subito un mamma.
“Eravamo giovani ed inesperti. Eravamo studenti alla facoltà di storia di Adamanta e...beh, non voglio vantarmi, ma sono sempre piaciuto molto alle donne...” Lionell ricordava il passato con il sorriso sulle labbra, compiaciuto probabilmente per il suo trascorso.
“In effetti lei è un bell’uomo”
“Ti ringrazio. Ad ogni modo vidi tua madre. Mi fulminò al primo sguardo, con quegli occhi azzurri, proprio come i tuoi, ed io mi innervosii. Ricordo i miei amici che mi prendevano in giro per questo, perché non è mai stato nelle mie corde bloccarmi per una ragazza, che per di più mi aveva dato solo uno sguardo. Ricordo l’espressione divertita che ebbe quando mi accorsi che mi guardava. Probabilmente il mio volto le risultò comico. In ogni caso mi feci coraggio ed andai da lei”
“Avevate la stessa età, quindi”
“Si. Anzi no, lei era più piccola di un anno. Comunque mi presentai, e lei arrossì tutta. E da lì ebbi la strada spianata. Adoravo Irya” sorrise, con un leggero rammarico.
“E poi?”
“Poi ci cominciammo a frequentare. Lei aveva un carattere esplosivo. Molto solare, divertente, e con un ottimo senso dell’umorismo. Ma quando si arrabbiava o doveva proteggere i suoi cari era capace di scardinare porte chiuse e sigillate. Una vera forza della natura. Ci amavamo, tanto, e ci sposammo. E poi un brutto male la portò via. Tu eri appena nata, e...”
“E poi so com’è andata a finire”
“Mi spiace che tu abbia passato quello che hai passato”
“Lo so. Dispiace più a me”
“So benissimo che ai tuoi occhi posso esser sembrato un cattivo padre. Inutile definirmi assente...”
“Direi che invisibile è il termine giusto”
Lionell sorrise. “Ma tutti possono avere una seconda occasione”
Rachel guardava vuota l’uomo, che sorrideva. Lui le porse la mano e lei la guardò. Doveva afferrare quella mano. Quella mano assente, anzi, invisibile, che negli anni non le aveva donato né sicurezza e né calore, ma che adesso rivendicava ciò che era suo, prepotentemente.
Lionell rivoleva Rachel nella sua vita. Così pareva.
E a Rachel bastava afferrare quella mano, ma qualcosa la bloccava.
Le sembrava quasi fosse la firma di un contratto, quella stretta di mano, un marchio a fuoco indelebile.
Se avesse accettato quella mano, ne avrebbe dovuto sopportare le conseguenze.
Era sicura di voler far entrare quell’uomo nella sua vita?
“Avanti. Prendi la mia mano”
E poi una recluta entrò spedita in stanza. Rachel lo guardò stranita. Aveva la divisa fin troppo aderente, a risaltargli i muscoli in maniera quasi grottesca, mentre manteneva il copricapo della divisa tra le mani. La bocca aperta cercava di tirar dentro quanto più ossigeno riuscisse a prendere.
“Che maniere sono queste?!” si alterò Lionell.
La recluta affannava, e sembrava non dare alcun peso alle parole del suo principale.
“Signor...” ansimava. “...signor...signor Weaves...è appena arrivata una comunicazione da parte...”
“Da parte?!”
“Da parte di Ryan Livingstone”
“Ryan? Che vuole Ryan?”
Ed al sol pronunciare quel nome, le orecchie di Rachel si sintonizzarono su quella discussione, facendo finta di disinteressarsi. Il fatto non era di sua pertinenza.
“Ha...ha detto che la grotta...l’antro Verità, dove vive uno dei guardiani, non esiste più. È crollato, ed ora ci sono solo macerie”
“Cosa?!”
“Si. Ha detto che adesso si sta dirigendo a nord, verso Nevepoli, per prendere Uxie”
“Va bene. Digli di passare qui dopo aver preso Uxie”
“Sarà fatto. E...mi scusi per le mie maniere”
“Vai...Rachel” Lionell ritirò la mano e si alzò, poi la guardò, attendendo che il rumore della porta sancisse la loro ritrovata solitudine. “Ora ho delle cose urgenti da fare. Ma continueremo questo discorso. Hai bisogno di qualcosa?”
“No...sono a posto così”
“Benissimo allora”
Lionell si chinò sulla sua testa, le schioccò un bacio ed andò via, lasciandole un dolore inspiegabile dentro.
 
Gardenia era al tavolo della baita di Demetra, e sorrideva mentre scriveva un biglietto.
“Demetra, io e Zack siamo diretti verso Nevepoli, per catturare Uxie. Può aver bisogno di una mano. Mi raccomando, attenta a Mia e spiegale tutto. XOXOXO”
Lasciò la penna su quel foglio, per appesantirlo ed evitare che un po’ di corrente lo facesse sollevare e volare in un posto dove non avrebbe potuto vederlo.
Poi si alzò. Zack aveva di nuovo lo zaino in spalla, gli occhi arrossati ed enormi. Il sonno lo stava divorando.
“Hey...sicuro di non voler rimanere qui?” chiese la capopalestra.
“No, Gardenia. Non c’è tempo”
Stoico, lui. Gardenia annuì, e quindi si alzò, poi diede un ultimo sguardo a quella bellissima baita per infine uscirvi, seguita a ruota dal ragazzo.
“Come hai intenzione di arrivare a Nevepoli?” chiese lei, chiudendo con delicatezza la porta, evitando rumori molesti.
“Volando, Gardenia”
“Hai un Pokémon anche per me?”
“Ho un Braviary, e dovrai fartelo bastare”
Gardenia storse le labbra e poi sospirò. Stare così tanto a contatto con quel ragazzo non l’aveva mai entusiasmata.
L’aquila uscì fuori dalla sfera, ed i due le salirono sul dorso. Dopodichè quella prese a battere le ali.
Gardenia vide Duefoglie rimpicciolirsi sempre di più, finchè non distinse anche Sabbiafine e Giubilopoli, che come funghi, spuntavano tra un bosco ed un altro.
Zack mise un paio di occhialoni. Il freddo rendeva impossibile tenere gli occhi aperti, mentre Gardenia appoggiò la guancia alla schiena del ragazzo, rubando, di tanto in tanto, un’occhiata di quel paesaggio mozzafiato. Le nuvole erano proprio sopra le loro teste, ed il freddo aumentava vertiginosamente, ma nessuno dei due sembrava volerci pensare.
Gardenia nascondeva una tremenda fifa. Non aveva mai volato, almeno non così in alto e non senza aereo. Una volta Sapphire l’aveva portata su quel fantastico esemplare di Tropius, ma nulla di più.
Giardinfiorito era diventato una distesa bianca enorme, dove di tanto in tanto sorgeva qualche casupola.
Zack sorrise sorvolando il bosco di Evopoli. I ricordi l’avevano accompagnato fino al lago dove aveva catturato il Mesprit che calmo, adesso, riposava nella sfera all’interno dello zaino.
Ora toccava al Lago Arguzia.
Non ci era mai stato di persona, ma aveva sentito dire che era davvero ostico raggiungerlo.
In più Uxie era un Pokémon particolare. Giravano strane leggende sul suo conto.
Si diceva che dimorasse ad Adamanta, tanto tempo prima.
La leggenda della memoria persa, certo. Alma gliel’aveva raccontata un paio di volte.
Nel Bosco Memoria, dimorava un Uxie, ed era quello il motivo per cui tanta gente che entrava nel suo territorio, spaventando il Pokémon, tornava stordita e senza memoria presso la propria dimora.
Da qualche tempo, Zack aveva paura delle leggende che gli raccontava Alma. Temeva potessero essere vere, specularmente a quanto successo con quella di Arceus.
E se Uxie davvero avesse fatto perdere la memoria sarebbe stato davvero difficile ritrovare Rachel e salvare il mondo.
Di tanto in tanto il ragazzo gettava uno sguardo giù, a cercare il nero dei capelli della ragazza.
Nulla.
L’unica cosa che aveva notato era che, dopo Flemminia, la neve cominciò ad aumentare, e a diventare sempre più forte.
“Zack...ci vuole ancora molto?” chiese Gardenia? Erano in volo da circa mezz’ora ed il tempo era passato così in fretta tra un pensiero ed un altro.
“Non lo so. Mi sa che tra un po’ dovremmo proseguire a piedi...Braviary non può volare in questa neve”
“Poverino” fece lei, poggiando la mano tra le piume del dorso di quello, per donare un po’ di calore alle sue dita, cercando di lasciarvi conforto.
“Già. È il mio campione”
“Come l’hai catturato?”
“Era un Rufflet”
“Eh?”
“Si. L’evoluzione precedente di Braviary...ma è una lunga storia...”
“Beh...a quanto pare abbiamo tutto il tempo del mondo”
 
I Salamance sfrecciavano ad una velocità elevatissima. Così elevata che Ryan e le due ragazze, Linda e Marianne, si erano imposti di non stare con la schiena ritta, bensì di stendersi sul dorso dell’animale.
Questo perché l’alta quantità d’aria che i loro corpi trattenevano, avrebbe potuto sbilanciarli, e farli cadere giù.
Indi per cui i tre erano stesi, a rendere l’unione Pokémon-umano quanto più aerodinamica era possibile.
Nevepoli non era molto lontana, ma intanto i pensieri assalivano Ryan.
Mesprit.
“Dove dannazione sei?”
Linda e Marianne non sentivano nulla, tanto era forte il rombo dell’aria nelle loro orecchie, ma notavano nel ragazzo una flemma che non gli apparteneva.
Era pensieroso.
Ed il problema di Ryan era la paura. La paura di fallire. La paura di aver sentito davvero il grido di Braviary.
Ed il grido di Braviary significava solamente una cosa.
Zackary Recket.
Certo, era riuscito a sconfiggerlo e a fargli passare un brutto quarto d’ora, cosa che gli levò una soddisfazione non indifferente, ma non era sicuro di poterlo rifare ancora.
Poi qualcosa lo prese mentalmente a schiaffi, urlandogli di smettere di assomigliare più ad un cagnolino impaurito con la coda tra le gambe che ad un uomo grande e grosso che aveva battuto il Campione della Lega di Adamanta.
Insomma non era una cosa da tutti i giorni.
Superarono il passo del Monte Corona, e per quanto i Pokémon drago che stavano cavalcando fossero in sofferenza lungo la bufera di neve che stavano attraversando, sembrava che al loro passaggio, tanto erano veloci, la neve si sciogliesse.
Nevepoli era un cumulo di luci gialle in lontananza, in mezzo al bianco, mentre sulla montagna c’era il lago.
Probabilmente doveva essere il cratere di qualche vulcano spento da tempo.
Ryan immaginò l’epicità di un’eruzione sotto la neve. Eggià, doveva essere davvero una cosa che si vede una volta sola nella vita.
Poi il suo sguardo captò qualcosa.
Il suo sguardo vide due punti. Due punti che si muovevano a piedi, nella neve fredda.
“Zackary Recket!”
 
L’urlo di Ryan suonò talmente forte che lo stesso Zack si fermò e si girò. Non c’era nessuno.
“Che c’è?!” chiese Gardenia, allarmata.
“Mi...mi è parso di sentire qualcuno che chiamasse il mio nome”
Il vento soffiò ancora più forte, e la neve si accumulava ai loro piedi più velocemente di quanto pensassero.
Gardenia non sopportava il freddo, proprio come le sue piante, e si strinse nelle spalle, mentre Zack si guardava attorno. Gli sembrava di vivere su di un enorme foglio di carta, bianco, pulito, senza alcun punto di riferimento che non fosse l’orizzonte.
 
Ryan non ci credeva.
Mesprit e Zack erano collegati. Forse era stato proprio lui a catturarlo, Ryan se lo sentiva.
Forse la lotta che avevano avuto aveva fatto crollare l’Antro Verità. E l’urlo di quel Braviary non era l’ennesimo squillo del suo cervello a ricordargli che stava diventando totalmente pazzo.
Recket era lì, a meno di cento metri sotto i suoi piedi.
E stava raggiungendo il posto dove doveva andare LUI, a catturare il Pokémon che doveva catturare LUI, per creare la Rossocatena che doveva utilizzare LUI, e salvare il mondo come doveva fare LUI.
“Recket!” urlò Zack, facendo impressionare Marianne e Linda. Il Salamance del ragazzo scese in picchiata velocemente.
 
Zack e Gardenia stavolta lo avevano sentito insieme. A pochi metri avrebbero raggiunto le rive del Lago Arguzia, mentre la neve continuava a scendere forte.
E qualcuno, nel bel mezzo del nulla, chiamava il suo nome.
“Recket!” ancora.
“Chi sei?!” rispose indispettito lui, avvicinandosi a Gardenia, che per un attimo trovò riparo dalla neve per il volto.
D’improvviso dall’alto comparve un Salamance. Poi altri due.
Ryan e le sue appendici erano lì.
“Che diamine ci fai qui?!” chiese con rabbia immane il ragazzo. “Tu dovresti essere rinchiuso nelle prigioni dello stabilimento dell’Omega Group, a Timea!”
“Tu hai tenuto rinchiuso a pane ed acqua non solo me, ma anche una ragazza spaventata. E questo non ti fa onore, soprattutto perché i patti erano altri”
“Saresti venuto anche qui a Sinnoh a rovinare tutto”
“Io non sto rovinando niente! Siete voi che state rovinando tutto!”
Ryan sorrise, sorpreso da quelle parole. Alla fine stavano facendo la stessa cosa, ma nessuno dei due si fidava dell’altro per lasciarlo continuare.
“Hai...hai tu Mesprit, vero?”
“Perché lo vuoi sapere?”
“Rispondimi!” urlò il ragazzo.
“Non alzare la voce con me, perché altrimenti finisce male!”
“E che vorresti farmi?! Prendermi a pugni?! Di nuovo?!”
Gardenia era spaventata dal ragazzo con gli occhi rossi. Si chiedeva chi fosse e perché Zack fosse così arrabbiato con lui.
“Probabilmente farò di peggio se non mi dici dov’è Rachel!”
“Tsk...non hai capito nulla allora...”
Zack friggeva. Tanto che prese ad urlare, lì, nel bel mezzo del nulla. Gardenia sobbalzò, mettendo mano alla cintura, capendo però che lì, i suoi delicatissimi Pokémon d’erba avrebbero avuto vita breve.
“Stai calmo. E dimmi se hai tu Mesprit”
“Perché vuoi saperlo?!”
“Perché l’Antro Verità è crollato”
Zack sorrise leggermente. “Colpa mia...”
Gardenia sobbalzò. “Hai fatto crollare la grotta nel Lago Verità?!”
“La lotta con Mesprit l’ha distrutta”
“Ma è un pezzo della storia di Sinnoh, quella grotta!”
“Di Sinnoh non rimarrà niente se non catturo Uxie ed Azelf”
“Azelf è mio” si intromise Ryan. Zack spalancò gli occhi, mentre un brivido, freddo naturalmente, gli attraversava per intero la spina dorsale, veloce come una macchina sull’autostrada.
“Dammi quell’Azelf!”
Ryan sorrise. “Non posso. Piuttosto saresti così cortese se tu posassi sulla neve la sfera di Mesprit e ti dileguassi”
“Io devo salvare questo mondo!”
“Anche io!”
“Non ti credo! Tu sei solo un perfido uomo controllato dagli interessi di qualcun altro! Tu sei pazzo!”
Ryan sorrise, ed un ghigno malefico si presentò sul suo volto.
“Io...io credo che potremmo fare un patto”
“Patto?!”
Gardenia ascoltava attentamente. Non aveva mai visto Zack così determinato.
“Già. Siccome io ho quello che vuoi tu, e tu hai quello che voglio io, ed in ballo c’è il terzo pezzo del puzzle, Uxie, potremmo sfidarci. Tre sfide. Se vinco io tu mi consegni Mesprit e non ti darò fastidio mentre catturi Uxie. Altrimenti io ti darò Azelf e farò lo stesso mentre entrerai nell’Antro Arguzia. E ti darò Rachel”
Alla parola Rachel, il cuore di Zack prese a battere a mille.
“Ci sto”
La neve rendeva la visibilità quasi nulla, e mentre Gardenia appassiva infreddolita come un fiore d’inverno, pareva quasi perdesse i petali, Zack allargò per bene le gambe, per trovare stabilità su quel terreno bianco così poco stabile.
“Vai, Growlithe!”
“Bene!” Ryan sorrise. Mano alle Pokéball, e via. “Vai Manectric! Cominciamo come abbiamo finito”
“Non mi sconfiggerai!”
Growlithe vide davanti a sé un altro canide, e ciò gli bastò a prendere la questione sul personale. Se c’era un maschio alfa del branco, quello era lui. E quel Manectric, così posato e fermo, lo infastidiva.
“Growlithe, cominciamo! Usa Pirolancio!”
Growlithe abbaiò, e quindi si abbassò sulle zampe. La rabbia di Zack era ben nota al cane, che sentiva quanto fosse importante per lui sconfiggere quel Manectric.
“Manectric, usa Doppioteam!”
L’elusione così salì, ma tre copie del Pokémon elettrico svanirono a seguito dell’attacco di Growlithe.
“Ora, Manectric, usa Attacco Rapido!”
Sei Manectric presero a correre in direzione di Growlithe, che si vide accerchiato.
“Salta!”
Sembrava quasi che quelle copie, così vere, stessero per attaccare tutte insieme. Sarebbe stato un danno enorme per Growlithe, pensandoci, ma saltando schivò l’attacco. Le copie scomparvero, e Zack sorrise.
“Usa Ruotafuoco!”
Growlithe prese a soffiare fiamme, che avvolsero il suo corpo, ed incominciò a rotolare in aria su sé stesso. Poi si abbatte con forza su Manectric, che ancora doveva fermarsi dopo l’Attacco Rapido sferrato.
Morale della favola, Growlithe si abbattè sulla schiena del Pokémon elettrico.
Danni ingenti, danni ingenti. Ma quello aveva ancora energia a sufficienza per combattere.
“Manectric, riprenditi, ed usa Tuono!”
Nevicava, era insolito vedere dei fulmini e dei tuoni in una tempesta di neve.
Ma non impossibile.
Un Tuono bello forte cadde veloce ed improvviso sul suolo, mancando Growlithe di parecchi metri.
“Ottimo! Growlithe, approfittane per usare un Lanciafiamme!”
Le fiamme calde del Pokémon si abbatterono pesanti sul corpo di Manectric, che stremato si buttò per terra.
“Si! Bravissimo Growlithe!”
“Non è giornata, Manectric. Vai, Feraligatr!”
“Cazzo...”
Ryan sorrise, e Gardenia si stava rendendo conto di quanto quegli allenatori fossero di molto sopra della sua portata.
Erano davvero forti, con un’attitudine al combattimento che lei non aveva.
“Feraligatr, utilizziamo un bell’attacco Surf, e vediamo come se la cava il nostro avversario” sorrise quello.
Zack spalancò gli occhi. Doveva analizzare velocemente tutto ciò che aveva attorno.
Doveva fare presto, ma non trovava nulla. Growlithe non avrebbe potuto scampare il forte attacco di Feraligatr.
Quello infatti lasciò partire un’enorme onda, metri e metri cubi d’acqua che andò a sciogliere la neve, mostrando al di sotto dei loro piedi l’erba bruciata dal freddo e qualche stelo di alcune margherite ingiallito dalla neve.
“No...no, Growlithe, rientra, bravissimo”
Feraligatr prese a ruggire. Non era per niente un cliente facile.
“Bene. Siamo uno pari”
“Già. Ora l’incontro finale. Vai Lucario!”
Il Pokémon sciacallo si presentò sul campo di battaglia. Nello sguardo una luce spenta. Qualcosa non andava, ma Zack non se ne rese conto.
“Feraligatr, usiamo un altro attacco Surf!”
Feraligatr alzò le mani al cielo, lasciando cadere un’enorme onda, che si abbattè con forza sul suolo.
“Lucario! Individua!”
Lucario vide l’onda avvicinarsi, quindi fece un enorme salto. Fece una capriola in aria, sorpassò Feraligatr e si trovò alle sue spalle.
“Ottimo! Ora utilizza Stramontante!”
Lucario balzò velocemente verso il suo avversario, e lo colpì con forza immane sotto al mento, con un pugno, tanto da farlo cadere per terra.
Feraligatr si alzò, ruggendo, e si gettò con forza su Lucario, senza che Ryan avesse detto nulla.
Era con ogni probabilità un Pokémon molto iracondo.
“Feraligatr, usa Troppoforte!”
Feraligatr concentrò la forza negli arti, e prese a colpire massivo il suo avversario. Lucario parò un primo colpo, ma il secondo si abbattè sul suo volto.
Lucario si bloccò, quel colpo doveva avergli fatto parecchio male.
“Ancora! Usa Troppoforte!”
“Lucario! Schivalo!”
Ma pareva che Lucario non ci fosse più. Un primo colpo lo prese ancora sul volto, facendolo cadere per terra, mentre il secondo gli diede il colpo di grazia.
Zack prese a lacrimare non appena capì che aveva perso la sfida, ed intanto Feraligatr ruggiva, pareva urlasse vittoria.
Ryan sorrideva. Aveva vinto di nuovo contro il suo avversario.
“Bene. Recket, consegnami Mesprit”
Zack voleva davvero evitare. Ma un patto è un patto, e con riluttanza mise le mani nello zaino.
“Zack, no! Che stai facendo?!” urlò Gardenia, cercando di bloccare il braccio di quello.
“Sono...sono stanco di questa cosa”
Cercò tra i vari effetti personali l’unica cosa che non avesse spigoli, la trovò e la lanciò sulla neve. Dopodichè prese per mano Gardenia e si incamminò verso un punto meno battuto dalla neve, per poi sparire oltre le nuvole.

 

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Capitolo 53
*** Capitolo 22 - Motivazioni ***


Motivazioni


Il ticchettio della tastiera era veloce ed inesorabile, arrivava alla sua testa, quasi come il martello di un maniscalco, e sinceramente la stava infastidendo. Ma stava lavorando.
Ed Alma quando lavorava non doveva pensare ad altro.
Stava registrando tutti gli avvenimenti che stavano colpendo la Terra in quei giorni. I Pokémon sembravano essere impazziti.
O almeno solo i Pokémon più potenti e difficili da contrastare.
Non riusciva a credere che Ho-Oh avesse potuto bruciare Amarantopoli.
Era strano.
Lasciò perdere i processi mentali, mentre davanti agli occhi i suoi pensieri si manifestavano scritti sul foglio word. Si, forse ne avrebbe scritto un libro.
Intanto pregava che Zack riuscisse a bloccare quella situazione. Altrimenti stava solo perdendo tempo davanti a quella tastiera.
Proprio in quel momento si fermò per un secondo e ragionò.
Aveva passato la sua intera vita sui libri, dedicandosi alla conoscenza, a nutrire la propria mente di nozioni ed informazioni, lasciando divertimento e voglia di uscirne all’interno del cassetto del primaopoitiaprirò, ma si rese conto che, nonostante la giovane età, aveva davvero perso troppi attimi rinchiusa in quello studio, prona sui libri.
“Thomas...”
Il pensiero si spostò così rapidamente sul suo uomo da farle venire un momento di capogiro. Sbilanciò la testa dietro le spalle, guardando il soffitto bianco.
No, c’era una macchia di umidità, poco distante dall’angolo tra la parete ed il soffitto.
Dovevano riverniciare. E ricostruire per intero l’università, s’intende.
Non era saggio stare in quell’edificio pericolante, e nonostante il rettore le dicesse con regolarità di non sostare per troppo tempo nell’ufficio, lei se ne fregava, e lavorava.
Guardò la porta, come se qualcuno o qualcosa dovesse entrarvi e prenderla, rapirla con sé.
Scappare. Scappare dalle responsabilità. Scappare da ogni cosa.
E cercare il suo Thomas.
Sorrise ripensando ai dolci momenti che avevano passato. Piccoli momenti, episodi sparsi, apparvero davanti ai suoi occhi come i fari di un auto davanti ai suoi occhi, salvo poi spegnersi e scomparire.
Nel suo profondo il dubbio che fosse scappato via, e che avesse utilizzato la scusa della ricerca sul Mondo Distorto per andarsene, pulsava come il cuore di un toro.
Pensava alla favola, però, pensava all’amore e alla fiducia che aveva in lui, e sapeva che prima o poi, in quell’ufficio abbandonato e dismesso i suoi stivali, sempre un po’ sporchi di terreno, avrebbero chiesto il permesso di entrare.
Il fiume dei pensieri stava straripando, e il segno intermittente del foglio word reclamava la sua attenzione.
Le cose non si scrivono da sole.
Poi qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” disse la bella donna dopo un sospiro.
Zack. Zack a testa bassa.
“Zack!” Alma scattò in piedi, fregandosene del foglio word e del libro che avrebbe dovuto scrivere.
Se Zack era lì significava che non ce l’aveva fatta.
Se era a testa bassa significava che era stato sconfitto.
Se era stato sconfitto voleva dire che la situazione non la gestivano più loro.
“Alma...”
“Zack! Che è successo?!” erano un ossimoro, quei due insieme. Lei sembrava stesse per morire di palpitazioni. Mentre lui pareva già morto
“Ho perso. Di nuovo” disse Zack, con tono funereo.
“Beh... può capitare...”
“Alma non può capitare. Non in questa situazione. Io devo salvare tutto e tutti qui, e sono solo. Voglio soltanto che Rachel ritorni, ed aspettare questa fine in silenzio”
“Perché parli così?!”
Zack staccò la sua cintura, quella con le Poké Ball, e la posò sulla scrivania della donna, quasi volesse liberarsi dal peso che le sue anche portavano per tutta la giornata.
“Non ce la faccio più”
Alma capiva che per un ragazzo così giovane tutta quella pressione era deleteria. Aveva bisogno di essere motivato.
“Vuoi spiegarmi per bene?”
“Non voglio più lottare, Alma. Non lo so fare”
“Eh?!” chiese con un accenno di sorriso quella. “Sei il Campione della Lega! Come puoi non saper lottare?!”
“Il campione della Lega, come tu mi chiami, è stato sconfitto per due volte. Da un totale sconosciuto”
“Ma può capitare! Non puoi vincere sempre”
“Avrei preferito perdere incontri inutili, piuttosto che questi. Se avessi vinto il primo, ora Rachel sarebbe con me. E se avessi vinto il secondo adesso sarei sulla Vetta Lancia”
“Zack... non rimpiangere nulla. La vita è fatta di scelte. È soltanto il modo con cui queste si susseguono che fanno in modo che le cose accadano”
“Ho sbagliato a scegliere, allora”
“Ma può starci! Non puoi sempre fare la cosa giusta!”
Zack sospirò, e guardò la sua cintura. Mai come quella volta si era sentito così distante dai suoi Pokémon. Negli occhi aveva lo sguardo di Lucario dopo il colpo subito da Feraligatr.
“Lucario...” disse a bassa voce.
“Sta bene?”
“Sì... Lucario sta bene, ho curato i Pokémon e sono tornato qui. Il problema però è Lucario. Ha perso. Ha perso di nuovo”
“Come?!”
“Si è lasciato sconfiggere. Senza reagire”
“Oh...”
Alma rabbrividì per un attimo. Cose del genere potevano succedere, sicuramente, ma non in momenti importanti come quello. Zack aveva perso fiducia in sé stesso. Aveva perso fiducia nei suoi Pokémon, e la voglia di andare avanti.
Aveva perso la determinazione che lo aveva portato fino a lì e la fiducia in sé stesso, in pratica.
E se un uomo perde fiducia in sé stesso diventa un corpo vuoto, senz’anima, un bozzolo svuotato della crisalide.
“Zack... vuoi andare a casa a riposarti?”
“No... devo mangiare assolutamente un po’ di cioccolata. E poi devo fare due passi. Devo schiarire le idee...”
“Ok. Fai bene. Se hai bisogno di qualcosa io sono sempre con te”
“Ti ringrazio” fece quello, sorridendo leggermente e con mezza bocca. Poi si alzò, e si voltò.
“Zack, hai dimenticato i tuoi Pokémon”
“No. Non l’ho fatto. Sono stanco di fare l’allenatore. Sono stanco di tutto. Parlerò con la commissione della Lega di Adamanta e mi dimetterò dal mio ruolo di Campione”
“Per due sconfitte?! Alzati e vai avanti!”
“Non sono due sconfitte, Alma. Sono LE due sconfitte!” urlò leggermente il ragazzo, dando enfasi all’articolo.
“Tutti perdono!”
“Alma...”
I due si guardarono per dieci secondi buoni, in silenzio. La donna cercava le parole che servissero ad ancorarlo lì, consegnargli la canna da pesca della consapevolezza e mandarlo nello stagno degli eventi a ripescare la sua autostima.
Zack doveva solo aprire gli occhi.
Ma aprire gli occhi, quando non c’è voglia di vedere, è impossibile. Si voltò di nuovo e se ne andò, adagiando delicatamente la porta.
 
“Metang! Usa Confusione!”
Rachel impartiva gli ordini a quello strano e misterioso Pokémon metallico, che eseguiva come se fossero sempre stati insieme. Era davvero un buon Pokémon. Molto forte, molto preciso nei suoi attacchi.
Tutti gli Snover e Delibird che aveva incontrato nella neve erano stati giustamente rispediti nei loro nidi. Qualche Abomasnow l’aveva messa in difficoltà, ma se l’era cavata.
Non pensava. Non pensava a nulla, ed aspettava che il tempo passasse, che Ryan catturasse i tre guardiani per poi proseguire per la Vetta Lancia.
Lei alzava gli occhi. Lì sopra vivevano Dialga e Palkia.
Lì sopra c’era il loro destino.
L’ultimo Delibird cadde al tappeto. Erano quattro ore che allenava quel Metang. Ormai aveva imparato a conoscere i Pokèmon, ed aveva capito quando stavano per evolversi.
Quel Metang, infatti, stava per evolversi.
Avrebbe restituito a Mia un Metagross. Chissà se ne sarebbe stata felice, si chiese, quando poi il battito delle mani di qualcuno la distolse dai suoi pensieri.
“Brava”
Rachel si girò. Era Lionell.
“Grazie...”
“Sei molto brava con i Pokémon, sai?”
“Grazie, ma non è così. Conosco persone molto più abili di me”
“Apprezzo la tua modestia. Sei una persona intelligente”
“No. Sono solo sincera. So di avere dei limiti”
“Ma i limiti possono spostarsi. Noi dobbiamo allontanarli. È per questo che alleniamo i nostri Pokémon” sorrise quello.
Rachel annuì. Come al solito, Lionell aveva ragione.
“Come va?” chiese lei.
“Oh, tutto bene. Sto aspettando Ryan che torni, e sono un po’ in ansia. Non mi piace attendere, ma chi lo sa fare si ritrova sempre in alto”
“Lei è molto saggio”
“La vita ti forgia e ti modella in base alle tue esperienze. E le mie esperienze mi hanno fatto diventare quello che sono. La stessa cosa ha funzionato anche con te”
“Già”
“Metti tutto in tasca. Ti sarà utile”
Quanti consigli che le stava dando in meno di un minuto. Avesse avuto metà della saggezza che aveva Lionell, sicuramente non si sarebbe trovata in quella situazione.
Certo, non era del tutto sgradevole, ma stare lontana da Zack stava diventando una tortura. Quando la testa è da un’altra parte, nel cuore di un’altra persona, diventa difficile non muoversi come uno spirito.
“C’è qualcosa che ti turba?” chiese lui.
“Sì. A dire il vero sì”
“Posso domandarti cosa?”
“Vorrei rivedere Zack. Mi manca molto”
Lionell fece un impercettibile movimento con la fronte. Per Rachel quel ragazzo era importante, e se ne stava rendendo conto mano a mano che le parlava.
“È il tuo ragazzo?”
Rachel alzò le sopracciglia. La discussione avuta con Zack pochi giorni prima, quando c’era di mezzo la prorompente Stella aveva chiarito la cosa, ma non avevano avuto la possibilità di potersi godere quello status insieme.
Era come se si fossero fidanzati e separati contemporaneamente.
Quasi un po’ crudele.
“Sì. Stiamo insieme. Lo amo”
“E lui? Lui ti ama?”
“Sì. Ha detto che nessuna donna lo ha mai preso come me. Nessuna donna lo ha mai fatto innamorare come me”
Lionell sorrise, quasi schernendo l’ingenuità della ragazza. “Piccola... sono cose che gli uomini dicono in continuazione. Avete fatto quello che penso?”
“Non credo debba parlarne con lei...” fece schiva Rachel.
“Hai ragione, scusami se sono stato troppo indiscreto. Cerco però di farti capire che spesso le persone hanno secondi fini”
“E lei quale avrebbe?” lo spiazzò lei.
“Io non ho alcun secondo fine, se non quello di svegliarmi tra un mese, soddisfatto di essere ancora vivo”
A Rachel bastò come risposta. Il Dottor Stark li raggiunse poi, alle spalle, e sorrise.
“Chiedo scusa, signor Weaves. Ryan è tornato”
Lionell spalancò gli occhi.
Stark, per Rachel, era l’uomo che interrompeva le chiacchierate e riportava Lionell con la testa alle cose più importanti.
“Siamo pronti” fece.
“Ryan sta bene?” chiese Lionell, distogliendo velocemente lo sguardo dalla ragazza.
“Sì. Ha le tre sfere qui con lui”
“Abbiamo a disposizione la tecnologia per estrapolare la Rossocatena, giusto?”
“Naturalmente” sorrise soddisfatto Stark.
“Bene, andiamo”
Rachel rimase lì, guardando i due scomparire dietro la porta dell’hotel. Con un Metang quasi pronto ad evolversi.
“Alleniamoci ancora, và...”
 
Lionell e Stark aprirono la porta dello scantinato di quell’albergo.
Nonostante l’albergo avesse altissimi standard, quello era uno scantinato. E rimaneva uno scantinato.
Luce poco presente, qua e là qualche lampada ad incandescenza dondolante rivelava la presenza di macchinari altamente tecnologici e computer stracolmi di dati che emettevano strani rumori.
Ma su di tutti, un fastidioso suono, quasi uno strascico, continuo ed imperterrito, penetrò nelle teste dei due portando con loro il dubbio sulla causa di tale rumore.
Voltarono l’angolo, i loro passi rimbombavano in quella cantina come se qualcuno ripetesse gli stessi rumori.
Eco.
“Eccoci qua”
Ryan, Marianne e Linda aspettavano appoggiati ad un tavolo, visibilmente stanchi, ma soddisfatti in volto.
In tre gabbie vi erano i Guardiani.
A sinistra Mesprit. Il volto rivelava paura e sgomento. Aveva già passato momenti del genere, la prima volta che avevano creato la Rossocatena ci avevano pensato dei giovanotti a sistemare la situazione.
Ma ora non vedeva null’altro che persone senza scrupoli.
Al centro Uxie. Come sempre era calmo e tranquillo, quasi come se il fatto non lo riguardasse.
Gli occhi chiusi, pareva dormisse. In realtà aspettava solo il momento in cui si sarebbero impossessati del cristallo che aveva sulla fronte.
A destra, invece, c’era Azelf. Nei suoi occhi brillava ancora la scintilla della rabbia, che voleva utilizzare per bruciare con tutti i vestiti quelle persone sconsiderate.
Non capivano. Non capivano che evocare nel nostro mondo Palkia e Dialga era deleterio per esso. Avrebbe potuto avere gravi ripercussioni sulla linea dello spazio-tempo, tutto ciò che era razionalmente conosciuto sarebbe cambiato in maniera irrimediabile.
“Bene. Ryan, ragazze. Avete compiuto la vostra missione. Avete catturato i tre guardiani” sorrise Lionell, raggiante.
Ryan annuì, con le braccia incrociate e lo sguardo serio. Non gli piaceva il modo con cui erano stati intrappolati quei tre Pokémon.
“Dottor Stark, avvii il processo di fusione dei cristalli. Creiamo la Rossocatena”
“Subito, signor Lionell”
Da un macchinario centrale, da cui partiva quel rumore assordante, Stark lanciò l’inizio della fase due. La fase uno era catturare i tre Guardiani per formare la Rossocatena.
Ora bisognava formare quello straordinario strumento in grado di richiamare all’ordine Palkia e Dialga.
Il rumore aumentava, ed i cristalli di Mesprit, Azelf ed Uxie presero ad illuminarsi.
Urlavano di dolore, quelli, le loro gemme cominciarono a staccarsi dai loro corpi, e lentamente si avvicinarono in un punto centrale ai tre.
Ryan guardava con orrore quella scena. Era pur vero che dovevano tornare indietro nel tempo per salvare la situazione, la profezia, eccetera, ma quei tre Pokémon stavano soffrendo e non poco.
Sperava che quel martirio terminasse in fretta.
Marianne non riusciva a guardare, si girò non appena Mesprit emise un primo, pietosissimo urlo.
“Bene. Ora ci serve più energia. Vai!” Stark sembrava uno scienziato pazzo. Abbassò una leva, ed il rumore s’incrementò ancora di più, fino ad assordare i presenti. Linda con le mani sulle orecchie dovette voltarsi per non rimanere accecata dall’enorme quantità di luce rossa che i nove cristalli stavano sprigionando mentre si univano a formare la catena.
Forse è questo che ci rende umani. Il sentire il dolore degli altri, anche quando non ci tocca personalmente. Forse è solo questo che ci permette di rimanere con i piedi per terra, e non volare con le ambizioni verso qualcosa che non ci appartiene.
I tre Pokémon soffrivano, e solo loro sapevano quanto dolore stessero provando al momento, ma tutti, compreso Lionell, erano riusciti ad immedesimarsi in loro.
Era straziante.
Ma alla fine quell’attesa finì. Lentamente si adagiò sul pavimento la Rossocatena.
Era rovente.
Lionell si avvicinò molto lentamente e la guardò. Le nove pietre si erano fuse.
“Ryan. Ordina a Gallade di usare l’attacco Confusione su questa catena. Questo strumento è la chiave del nostro futuro. Fai in modo che la temperatura si abbassi, poi mi chiami”
“Sissignore”
“Bene. Tra un’ora saremo sulla Vetta Lancia”
 
Sinceramente, non appena aprì la porta di casa sua, Alma si aspettò di trovarvi Zack.
Invece non era lì. Posò la borsa sul tavolo, le buste con la spesa le poggiò per terra, e staccò il cinturone con le Pokéball del ragazzo dalla vita sottile.
Era davvero pesante.
Poi si buttò sul divano, e si levò quelle scarpe, talmente strette da provocarle, togliendole, un sollievo senza precedenti.
Scarpe nuove, il piede avrebbe dovuto modellare la sua forma all’interno di esse.
Con il cinturone sulle gambe, staccò tutte le Poké Ball, prendendole in mano.
Era strana la sensazione di avere in mano i Campioni della Lega.
Sapeva benissimo che non era solo merito loro, ma anche della strategia importantissima utilizzata dall’allenatore, e se Zack era arrivato fin dove era arrivato non era solo per la straripante potenza dei suoi Pokémon, anzi.
Era un abile stratega, e le sue battaglie, studiate anche dai più giovani nell’Accademia Pokémon, erano sempre caratterizzate da continui colpi di scena.
Conosceva benissimo il contenuto di quelle sei sfere, Zack.
Aveva stretto un grosso legame con ognuno di quei Pokémon, e conosceva a memoria ogni loro espressione.
Ricordava di quando gli raccontò di aver catturato Rufflet, quello che poi sarebbe diventato Braviary.
Raccontava con così tanta espressività le cose che pareva stessero avvenendo davanti ai suoi occhi.
La madre era stata cacciata dai bracconieri, lui da sotto un dirupo vide quell’aquila catturata da un elicottero e portata via con le reti.
Immaginava avesse dei cuccioli. Dei piccoli Rufflet, e decise di arrampicarsi a mani nude sulla parete rocciosa, fino ad arrivare ad una sporgenza.
Afferrò bene con la mano un pezzo di roccia, si assicurò che non cedesse e fece forza, fino a salire li sopra.
Un nido abbastanza vasto era ben saldo sulla parete. Nemmeno una forte folata di vento lo avrebbe potuto spostare.
Vari rami e fili d’erba secca erano intrecciati tra di loro, a formare un caldo riparo per i piccoli.
Zack si sporse oltre il bordo del nido.
Vide due piccole teste pigolanti, con le piume arruffate e di due colori diversi.
C’erano due Rufflet. Dovevano essere piccolissimi, nemmeno un mese ciascuno.
Il primo aveva un piumaggio grigio, occhi accesi e sembrava molto più iperattivo di quello che aveva accanto. Le piume di questo erano color sabbia, e restava zitto, quasi come se avesse capito ciò che era successo alla loro madre.
Ora erano orfani.
Benché non avesse nessuna nozione sul nutrimento e l’allevamento delle aquile decise lo stesso di catturare quei piccoli di Rufflet. Non ci volle molto, bastò poggiare delicatamente le Poké Ball sulle loro teste per far sì che seguissero tranquillamente Zack nella civiltà.
Andò in un centro Pokémon, e li fece visitare.
Erano entrambi in ottima forma.
“Che cosa vuoi farne?” chiese poi l’infermiera.
“Beh... i Rufflet sono Pokémon estremamente difficili da catturare. Mi hanno sempre affascinato. Direi che voglio tenerne uno”
“E l’altro?”
“L’altro rimarrà qui finchè non sarà abbastanza in forze per andare via da solo”
L’infermiera inarcò un sopracciglio, ma era lecito che un allenatore liberasse un Pokémon che aveva catturato.
“Quale dei due terrai?”
“Li ho guardati negli occhi. Questo color sabbia...” disse Zack “...ha negli occhi la voglia di rivalsa e di libertà. Non potrei mai tenerlo rinchiuso in una sfera”
“Vuoi liberare un Rufflet cromatico, Zack?”
In effetti era un’idea da idioti. E Zack poteva ritenersi il più idiota di tutti.
“Sì. Voglio che sia libero”
Gli occhi dell’infermiera si sgranarono per un paio di secondi, quindi ritornarono a fissare il volto sereno di Zack.
“Sul serio?”
“Già”
Zack prese il suo Rufflet e lo allenò, fino a diventare un Braviary, che poi vinse la Lega Pokémon, e che diventò uno dei pupilli del suo allenatore.
Alma guardava la sua sfera, poi passò accanto. Lucario.
Lucario aveva perso fiducia in sé stesso. Aveva perso fiducia nel suo allenatore.
Anche con Lucario c’era una storia di amicizia e fiducia, fin da quando il Pokémon era un piccolo e scontroso Riolu.
Cresciuti insieme. Diventati grandi.
Lucario era riuscito a sentire la forza che usciva dal corpo di Zack, a vedere il suo spirito scappare.
E se aveva mollato lui, Lucario non aveva più alcun motivo per combattere.
“C’è solo una cosa che posso fare...” si disse Alma.
 
La notte era scesa. Il rumore dei Pokémon insetto tagliava il silenzio come fosse una motosega a ciclo continuo, che combatteva unicamente con lo scroscio delle Cascate Armonia.
Era davanti alla luna, e la sua luce inondava di luminosità quell’acqua fin troppo scura per i suoi gusti.
Levò le scarpe e le mise in borsa. Tirò su le gambe dei pantaloni, ed immerse i piedi.
Era fredda. E buia.
Non aveva nessun Pokémon con sé, e sinceramente la cosa non lo infastidiva.
Certo, fosse uscito adesso un Gyarados o un altro mostro acquatico da quella pozza d’acqua a stento profonda un metro si sarebbe pentito di aver abbandonato i suoi amici.
Ma non era il caso. Con tutti i vestiti, alla vigilia di Natale, passò sotto la cascata, per farsi un regalo e donarsi un attimo di realtà.
Era bagnato fradicio.
Percorse poi la grotta, quella che portava fino all’antro di Prima. Qualche Zubat lanciò un grido, volando velocemente all’esterno della grotta, mentre lui si mantenne la bandana sulla testa, aspettando che tutto si calmasse.
“Non si calmerà niente. Il mondo sta per finire. Io morirò. Rachel morirà...”
La sua voce rimbombava all’interno dello stretto tunnel mentre i piedi bagnati producevano uno strano rumore nelle scarpe.
Alla fine arrivò nella parte abitabile di quella montagna. La cascata continuava a scendere inesorabile verso giù, come il corso degli eventi. Tutto ciò che serviva era un colpo di fortuna.
Ma ormai la fortuna non esisteva più.
Non esisteva più nulla. Si era chiamato fuori dai giochi, e l’unica cosa che voleva in quel momento era vivere in pace le ultime ore della sua vita.
Una birra. In quel momento voleva una birra. E forse una sigaretta. Sua madre gli aveva fatto tante raccomandazioni su questa cosa, ma lui, mal per lui, aveva voluto provare tutto.
A suo discapito. Delle volte gli saliva in gola la voglia di succhiare fumo da quella stecca di paglia, ma poi si convinceva che non gli avrebbe fatto bene.
Correre, arrampicarsi ed altre attività di sforzo sarebbero state praticamente impossibili da sostenere a quei ritmi.
La cascata continuava a buttare acqua giù, e quasi voleva seguire l’acqua. Farla finita, andare via da quel mondo ed anticipare ogni decisione divina.
Ricordò di quando in quella grotta, con Rachel, trovò lo scrigno del cristallo.
Le peripezie nella sua mente si susseguivano come auto sull’autostrada, e più lo facevano più lui aveva voglia di essere investito dai ricordi, per far sì che, anche se col pensiero, quella ragazza gli stesse accanto, lì, a rimpiangere l’accaduto.
Magari a provare a dargli forza.
A dargli coraggio.
“No... sono troppo stanco”
E fu così che la notte lo prese.
 
La mattina di Natale i bambini si svegliano con la smania di aprire i regali, ed il sorriso è uno status per chiunque. Se non ce l’hai o lavori anche a Natale o hai un brutto sorriso.
A Natale si ride.
A Natale si scherza.
A Natale, Zack, era solo felice di non essere morto. Era già un grande regalo essere vivo.
“Mia... chissà dov’è Mia...” si chiese tra sé e sé.
“Chi è Mia?”
Zack si alzò da terra, la schiena dolorante e piena d’acciacchi. Qualcuno aveva parlato, era sicuro che qualcuno lo avesse fatto. La birra non l’aveva bevuta, non aveva residui d’alcool ed aveva recuperato lucidità.
“Chi è Mia?” ripetè quella voce. Quella voce abbastanza familiare.
Gli occhi si abituarono alle luci dell’alba, mentre le forme della persona in più in quel contesto diventavano sempre più nitide, fino a manifestarsi in tutta la loro chiarezza.
“Green... Green!” Zack sobbalzò, e si alzò da terra. Green sorrise, in piedi, appoggiato alla parete con la schiena, scarpa poggiata al muro e braccia incrociate.
Appena quello si avvicinò, i due si abbracciarono.
Era diventato un uomo. Ormai aveva quasi trent’anni, ed aveva preso, meritatamente, il posto di suo nonno all’osservatorio di Biancavilla.
“Sei diventato grande” sorrise leggermente Green.
“Sono partito che ero un ragazzino, Green”
“Ora sei un uomo. Ho sentito alla televisione delle tue gesta qui ad Adamanta. Sono stato molto fiero di te quando ho sentito che sei diventato il campione”
“Beh...” abbassò la testa. Sentiva il senso della sconfitta ancora bruciargli addosso, ed anche se era formalmente il campione, sentiva di non meritarsi quella carica.
“Mi ha telefonato Alma”
“Oh... e come faceva a sapere dov’ero?”
“Non lo sapeva, infatti”
“E come mi hai trovato?”
“Alakazam. Il mio Alakazam. E poi ho risalito la cascata con Golduck”
“Perché sei qui?”
“Alma mi ha detto tutto, Zack. Mi ha parlato della cintura che hai slacciato. Dei Pokémon che hai abbandonato. Di Lucario”
Zack abbassò lo sguardo, timorato dal giudizio di quella che considerava come la più grande guida della sua vita.
“So bene quello che ho fatto”
“E vuoi spiegarmi perché?”
“Non lo so, Green. Ho perso, e questa cosa non mi è scesa giù”
“Nella vita non si può sempre vincere, Zack”
“Sì! Ma ci sono dei momenti in cui hai un solo risultato a disposizione, e non puoi sprecare l’occasione per farti valere!”
Green lo guardava, la rabbia scorreva negli occhi del più giovane e sgorgava fuori dal suo corpo sottoforma di lacrime.
“Perché piangi?”
“Perché... perchè pensavo di potercela fare! Perché pensavo di riuscire a fermare tutto questo! Ma invece non ce la faccio! Non posso farcela da solo! In più la mia donna è stata rapita, e non so che pesci prendere! Non ho la testa per fare più niente!”
Le lacrime continuavano a scendere, mentre Green stringeva al petto quel ragazzo che aveva visto crescere.
“Io non posso occuparmi di questa cosa. Come ben sai la regione di Kanto è bersagliata dagli attacchi di Articuno, Zapdos e Moltres. Io e Blue stiamo facendo il massimo per attutire i danni provocati dalla distruzione, ma siamo in difficoltà. A Jotho la situazione è più calma. Solo Amarantopoli è bruciata, ma Gold e Silver sono riusciti a catturare Ho-Oh, ed a fermare l’incendio. Di Hoenn so che è quella che ha subito di più i danni dei cataclismi, ma lì Groudon e Kyogre giocano in casa. Non si ha nessuna notizia di Ruby e Sapphire. Meno ancora di Emerald. Red è sparito e Yellow non ha dato più sue notizie...”
“Perché mi stai dicendo questo?”
“Ti sto dicendo questo perché voglio farti capire che la gente sta morendo. E tu sei in grado di fermare questa cosa. Tu sei in grado di riportare tutto alla normalità”
“Ci ho provato, Green! Ci ho provato! Ma non ci riesco!”
“E tu riprovaci! Ma non sperare che qualcuno ti regali qualcosa solo perché ci hai provato! Le cose te le devi conquistare!”
“Ad ogni modo avevo una sola occasione per catturare Dialga e l’ho sprecata. Oramai la Rossocatena sarà bella che pronta nelle mani di Ryan e dell’Omega Group”
“Chi?!”
“Gente che specula su questa situazione”
“E tu permetti a queste persone di prendere il tuo destino, il destino di tutti, tra le loro mani?!”
Zack spalancò gli occhi. Green aveva fottutamente ragione.
“Tieni...” Green lasciò penzolare dalla mano la sua cintura. Zack sorrise a mezza bocca e l’afferrò. C’erano tutte e sei le sfere.
“Lucario ha sentito la forza abbandonarti. È un Pokémon molto sensibile. E se smetti di crederci tu, smetterà di farlo anche lui”
Zack annuì, poi vide Green sorridere.
“Ho visto che hai ancora Growlithe con te”
“Già...” sorrise Zack, grattandosi la testa.
“Non hai intenzione di farlo evolvere?”
“No”
“Beh... ti capisco. Anche io non volevo che il mio Scyther si evolvesse. Ma la necessità mi ha portato a capire che Scizor era più forte, ed avrebbe fatto più al caso mio”
Zack storse il muso. Come sempre Green aveva ragione.
“Magari può succedere che durante una lotta, in un attimo di lucidità, ti venga in mente il fatto che un Arcanine possa essere più incisivo...”
“Non mi è mai passato per la testa”
“Spero non capiti... ma semmai ti trovassi in questa situazione...” Green staccò un sacchetto di iuta dal passante della sua cintura e lo diede al ragazzo. “...questa è una Pietrafocaia”
Zack strinse il sacchetto, sempre con le labbra storte, repellendone il contenuto come se avesse effetto su di lui.
“Conservala. Potrà esserti utile”
“Ora vorrei capire come fare per...”
“...per tornare indietro nel tempo, vero?”
“Già”
Green sospirò, mettendo le mani ai fianchi. Il suo fisico era sempre tanto asciutto. Indossava un paio di jeans ed una camicia nera, come quelle che portava da più ragazzo. I capelli erano leggermente più lunghi, e pettinati da una parte, mentre un paio di occhiali erano adagiati sul suo naso.
“Torniamo da Alma” disse poi.
E fu così che i due si tuffarono dalla cascata sui loro Pokémon volanti. Pidgeot e Braviary li condussero ad Edesea, fino alla casa della professoressa.
 
Rachel si risvegliò di scattò. Gli incubi la stavano perseguitando.
L’orologio segnava che fossero le sei e un quarto del mattino.
Del mattino di Natale.
“Contavo di passarlo con te... se mi senti, auguri, amore mio” disse, a bassa voce, con gli occhi ancora impastati di sonno.
Il giorno prima non era stato molto semplice, anzi. Però lo aveva sfruttato per evolvere alcuni dei suoi Pokémon. Dopo Litwick, anche Metang si era evoluto, ed era diventato un potentissimo Metagross. Infine Pupitar era diventato un Tyranitar. Zack sarebbe impazzito se gliel’avesse detto.
Ma non avrebbe potuto dirgli niente. Era ad Adamanta.
“Strano...” pensò. Zack non era mai stato il tipo da arrendersi. Era strano che ancora non fosse andato a cercarla. Un po’ di malinconia la scosse dall’interno, Rachel volle allontanare il pensiero di essere stata abbandonata a sé stessa.
La stanza dell’albergo odorava di notte. Si alzò, la camicetta stretta addosso lasciava poco spazio alla fantasia, quindi aprì le finestre e poi le imposte esterne.
Nell’aria c’era quello strano odore. L’odore di Natale.
Un po’ di calore le si formò nel cuore, sperando che quella debole fiammella non si spegnesse, e continuasse ad arderle nel petto.
E mentre pensava al suo uomo una domanda le sorse spontanea.
Come mai c’era un enorme aereo nello spiazzale dell’albergo?
 
Zack bussò alla porta, poggiando la testa sullo stipite. La stanchezza si faceva sentire sempre di più.
Passarono due minuti buoni, e la porta di casa di Alma si aprì. Lei aveva un viso sconvolto, capigliatura post-parto e tanto ma davvero tanto sonno, tanto che per mantenere gli occhi aperti stava per perdere una lotta con la gravita che mai avrebbe potuto ripetere.
“Zack... e... il Dottor Green Oak! È venuto davvero!” gli occhi della bella ragazza olivastra si aprirono immediatamente per lo stupore.
“Per il mio amico Zack questo ed altro”
Zack sorrise. Green gli donava attimi di sicurezza.
“Mi spiace per essermi fatta trovare così”
“Figurati, Alma. Dispiace a noi di essere piombati a casa tua a quest’ora”
“Entrate, che preparo un caffè”
Alma lasciò passare i due e li fece accomodare.
“Allora... dov’eri?” chiese Alma, di spalle, con tono di una madre sospirosa.
“Dietro le Cascate Armonia”
“Ah, il posto di Prima. Tutti questi avvenimenti mi hanno fatto ritardare il sopralluogo. Ci andrò al più presto. E Green che ti ha detto?”
“Mi ha detto che non posso lasciare che la mia forza se ne vada. Che il mio spirito mi abbandoni. Devo tornare alle origini”
Alma si girò e lo guardò, poi annuì.
Servì un caffè ciascuno, e pulì macchinetta e tazzine, dopodichè si sedette e prese a parlare.
“Allora... Dialga è in grado di viaggiare nel tempo. Questo è assodato. Ma per viaggiare indietro nel tempo è necessario che tu conosca la struttura del nostro universo”
“Ok” disse Zack.
“Il nostro universo è quadridimensionale, ovvero ha quattro dimensioni. Tre di queste fanno appello al contesto spaziale, l’ultima è il tempo”
“Continua”
“Lo spazio possiede altezza, lunghezza e profondità. Il tempo invece si basa solamente sul passare delle lancette”
“E fin qui...”
“Immagina il nostro universo e la sua vita come... come uno sfilatino di pane. Se tagliassimo il cozzo, vedremmo tante briciole all’interno dello sfilatino, giusto?”
“Naturalmente”
“Bene. Questo è tutto l’universo. La lunghezza dello sfilatino invece è il tempo”
Zack annuì.
“Se io prendessi il coltello e tagliassi lo sfilatino in un pezzo a caso, avrei sempre lo stesso universo. Ma in un altro contesto temporale”
“Cioè dopo tanto tempo”
“Esattamente. L’universo non si può tagliare, ma tramite Dialga tu puoi scegliere su quale fetta vuoi sfruttare il tuo universo”
“Cioè viaggia all’interno dello sfilatino senza tagliarlo”
“Bravissimo” sorrise la donna. “Quello che pochi sanno è che esiste un altro Pokémon in grado di fare questo”
“Eh?!” Zack sobbalzò mentre vide Green annuire. “Vuoi continuare tu, collega?”
“Con piacere”
Green si alzò all’in piedi e cercò nella sua borsa una Pokéball, poi la tirò fuori.
“Vai”
Dalla sfera ne uscì un piccolo Pokémon verde, con gli occhi azzurri ed un atteggiamento molto calmo.
“Lui è Celebi. È il Pokémon Tempovia”
“Lui... lui può viaggiare nel tempo?!”
“Sì”
“E che stiamo aspettando?!”

 

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Capitolo 54
*** Capitolo 23 - Paura ***


Paura


Il Monte Corona si ergeva padrone su tutta la regione di Sinnoh. L’elicottero dell’Omega Group era colmo di persone.
Rachel si affacciò al finestrino del veicolo aereo e si guardò intorno.
Sembrava strano come Sinnoh non paresse interessata a tutte le peripezie distruttive che il mondo intero stava passando.
“Bluruvia è andata totalmente distrutta” ripeteva incredula Linda.
Per quanto quei ragazzi potessero essere preparati ed abili, quelle cose li avvilivano. Si rendevano conto di essere delle piccole noccioline nel paniere di qualcun altro.
Qualcuno di troppo potente.
Non avevano idea di come avrebbero potuto colloquiare con Arceus. Non avevano idea di nulla.
Pratopoli era ricoperta da densi banchi di nubi.
Li stava per cominciare a piovere. Alle paludi di quel posto avrebbe giovato sicuramente.
“Rachel...” la chiamò Ryan. Quella girò lentamente la testa dal finestrino e lo guardò, scuotendo leggermente la testa come per chiedergli cosa volesse.
“Come stai?”
“Io bene. Tu?”
Ryan annuì leggermente. “Sto bene anche io. Un po’ nervoso”
“Come mai?”
“Stiamo per incontrare due Pokémon estremamente pericolosi”
“Mi sei sempre sembrato così sicuro di te...vederti tentennare è strano”
“Già. Hai sentito Zack di recente?”
“No...a dire il vero no”
“Come comunicate di solito?”
“Con la voce. Non siamo praticamente mai stati distanti...tranne quando sono fuggita”
“Ho capito. Voglio che tu sappia che una volta finita tutta questa situazione voglio parlarti di lui”
“E di cosa dovremmo parlare?”
“A me non piace che tu stia con lui”
“Ryan...forse non hai capito che non hai potere decisionale su di me”
Ryan distolse lo sguardo, accoltellandosi metaforicamente. Zackary Recket sarebbe ritornato nella sua vita, e ci avrebbe messo le radici. A meno che non fosse sparito del tutto.
Uccidere.
Avrebbe dovuto uccidere quel ragazzo?
No, stava esagerando. Eppure l’odore del sangue si materializzava nel suo naso, riempiva le sue narici e lo disgustava, quasi vedeva le sue mani lorde di quel rosso peccaminoso, tanto voluto, ma tanto proibito. Avrebbe levato di mezzo i suoi problemi, avrebbe fatto di tutto per non farlo rientrare nella sua vita.
Si rese conto di vaneggiare, quindi decise di darsi un contegno. Ma stava letteralmente diventando pazzo per lo stress.
“Siamo arrivati, ragazzi” fece il Dottor Stark.
Dall’elicottero venne mandata giù una scaletta, e tutti i componenti dell’elicottero presero a scendervi.
La Vetta Lancia. Da lì dominavano tutta la regione di Sinnoh.
Rachel era infreddolita, incappottata. Si guardò per un attimo attorno. Quattro colonne in stile dorico delimitavano gli angoli di un perimetro mattonellato, ma ricoperto di neve.
Era uno spazio davvero ampio.
Colonne più piccole spuntavano dal pavimento come se fossero alberi, tagliati alla sommità di netto.
Elementi decorativi, parallelepipedi di marmo bianco immettevano sulla vetta. Oltre quelli c’era una scalinata, e poi l’ingresso verso l’interno del Monte Corona.
Il cordone del Monte Corona spaccava la regione in due parti. Due parti che sembravano vivere due vite distinte e separate, tanto che Pokémon come Shellos avevano modificato le proprie caratteristiche corporee per adattarsi alle differenze di queste due zone.
A nord c’era Nevepoli. La si vedeva di sfuggita, avvolta, come sempre, dalla fitta coltre di nuvole che scaricavano neve a non finire.
Ovest offriva la visuale di Giubilopoli, e più da lontano Canalipoli ed il suo ponte.
Est regalava Pratopoli e più lontano ancora Arenipoli, piccola macchia di colore. E a sud solo il mare.
Rachel si chiese cosa ci fosse al di là di quella vasta tavola blu.
“Ok. Siamo pronti” disse Lionell.
 
“Dovrebbero essere...credo di qua”
I passi di Gardenia risuonavano sicuri, mentre la sua testa si era colmata di sicurezza e di voglia di avventura.
“Ma Zack dov’è?” chiese Mia, sentendo la propria voce rimbombare forte all’interno di quello scantinato.
Gardenia aveva fatto bene a seguire quel Ryan. Uxie, Mesprit ed Azelf dovevano vivere liberi.
“Non ne ho idea, Mia. So solo che ha consegnato Mesprit a Ryan ed è andato via, lasciandomi lì...da sola...oh, ma me la paga. Eccome se me la paga. Ha fatto tanto per passare un po’ di tempo con me, e quando ci riesce mi lascia lì da sola”
“Guarda che è fidanzato...”
“Ssh...” Gardenia si fermò all’improvviso. Una strana luce la mise in allerta. Si sporse oltre l’angolo che le proteggeva da un’eventuale pericolo.
I tre Pokémon sostavano in trance, guardando fisso il vuoto, ognuno nella propria gabbia speciale, atta a contenerli.
Gardenia guardò tutto per bene. “Via libera...”
Mia la seguì non appena la compagna d’avventure voltò l’angolo. La vista di quei Pokémon in gabbia le tagliò il cuore con forchetta e coltello.
Fu estremamente doloroso.
“Poveri...” fece la bionda.
“Mia...non hanno i cristalli...”
“Cosa?!”
“Si. Mesprit, Uxie ed Azelf possiedono tre cristalli: uno sulla fronte e due sulle code. Loro ne sono sprovvisti. Hanno già attivato la Rossocatena”
Mia non capiva.
Gardenia si avvicinò ad Uxie, il più pacato tra i tre in genere. Infilò la mano tra le sbarre, e gli toccò la testa. La ragazza visse un attimo di paura, proprio nel momento in cui quello aprì gli occhi.
“Uxie...mi chiamo Gardenia, e sono la capopalestra di Evopoli. So che sta per succedere qualcosa di catastrofico, e so benissimo che qualcuno sta per risvegliare Dialga e Palkia. Ma ciò che lo stesso vi chiedo di fare è di provare a fermare tutto ciò. Potrebbero esserci danni irreparabili”
Azelf e Mesprit aprirono i loro occhi quasi subito dopo che quella finì di parlare.
Mia fece un passo avanti, e si diresse verso Mesprit. Gli occhi spenti del Pokémon non miglioravano la situazione della ragazza, ancora più impietosita. Abbassò la testa, cercando qualcosa con cui forzare le sbarre, trovando semplicemente una spranga di ferro. La infilò tra due sbarre e fece forza, creando un’apertura.
Mesprit rimaneva fermo, mentre Mia fece un passo indietro, per farlo uscire.
“Dai, Mesprit” disse Gardenia. “Vai. Noi crediamo in te. Noi crediamo in voi”
Mesprit guardò Azelf, cercando di capire cosa fare. Mia sorrise leggermente guardando gli occhi del Pokémon, poi tese la mano, andando a carezzare la testa di quello.
Mesprit allora prese coraggio, ed uscì dalla gabbia.
“Evvai!” urlò Gardenia. Prese lei stessa la spranga lasciata cadere da Mia e aiutò ad uscire anche Uxie ed Azelf, ed una volta che i tre si ritrovarono davanti alle due ragazze, liberi, Mia prese la parola.
“Guardiani, c’è bisogno del vostro aiuto. Andate”
Non se lo fecero ripetere due volte. Schizzarono fuori come se non ci fosse un domani, e forse avevano ragione, dopodichè sparirono dalla visuale delle due ragazze.
Il loro aiuto poteva essere essenziale.
Sarebbe bastato un niente, Dialga e Palkia erano dei Pokémon con cui non si doveva scherzare.
Meno ancora con Giratina.
 
“Sono qui, con la Rossocatena, sulla Vetta Lancia. È tutto perfetto!” urlava felice Lionell. Tra le mani teneva stretta quella strana sequenza di pietre rosse, tutte esagonali, a formare quello strumento mistico che teneva in piedi tutto l’ambaradan dello spazio-tempo.
Per quell’occasione Lionell si sentì in dovere di doversi levare la camicia, tutto ciò che divideva la sua pelle chiara e villosa dal gelido freddo natalizio del Monte Corona.
Il freddo sembrava non intaccarlo.
“Che succederà adesso?” domandò Ryan, guardando la scena colmo d’ansia.
Il dottor Stark si girò e fissò il ragazzo. Gli sembrava strano che un uomo così oculato come Lionell, che pensava dodici volte prima di effettuare un semplice movimento avesse affidato alle mani di quel ragazzo così giovane ed inesperto il delicato compito di catturare i Guardiani dei laghi.
“Adesso la Rossocatena risveglierà il sonno dei Pokémon leggendari che dimorano qui, ovvero Dialga e Palkia. A noi interessa il primo, ma dobbiamo fare in modo che anche il secondo venga con noi, per evitare che lo spazio si allarghi troppo sul tempo”
“Capisco. Quindi adesso Lionell catturerà i due Pokémon?”
“Esatto”
Rachel guardava distante la situazione, mentre veniva controllata attentamente da Marianne e Linda. Si chiedeva quando le bestie leggendarie avrebbero fatto la propria comparsa.
Lionell avanzava lenti passi sulla neve della vetta, mentre tutta Sinnoh giaceva sotto il suo sguardo giudicatore.
Sembrava il re del mondo in quel momento, la sua incoronazione stava per avvenire e la Rossocatena era il suo scettro.
Lo scettro che gli avrebbe consegnato il potere.
“Voglio sfruttare il potere di questo strumento!” urlò Lionell, mentre l’eco viaggiò lontano come uno sciame d’api impazzite. “Voglio usare la Rossocatena per evocare Dialga, il padrone del tempo!”
Rachel e Ryan spalancarono gli occhi contemporaneamente, schiudendo la bocca quando la Rossocatena prese ad illuminarsi ed a fluttuare in aria.
Il vento sibilava, urlava, inneggiava a quel grande avvenimento. L’Omega Group stava risvegliando un Pokémon incredibilmente potente.
“Vieni a me! Dialga!” urlava Lionell, noncurante dei fiocchi di neve che si incastravano ed abbracciavano i peli del suo petto.
D’improvviso accadde quello che doveva accadere. Il tempo mancò un battito, tutti se ne accorsero, quasi come se avessero vissuto un momento in un posto non familiare.
Una piccola luce cominciò ad illuminare la parte destra della Vetta Lancia. Era una luce azzurra.
“Eccolo!” urlava Stark, mentre Lionell rideva compiaciuto.
La piccola luce, che pareva fosse una fiammella blu, mano a mano diventava sempre più grande, ed il tempo continuava a saltare battiti con maggiore regolarità. Il tempo stava cambiando il suo corso, nel grafico spazio-tempo la curva di quest’ultimo stava aumentando di intensità, sopraffacendo il primo elemento.
La fiammella blu d’improvviso si espanse con una velocità assurda, e fu lì che ognuno si rese conto che tutto ciò che c’era attorno non si muoveva più. Ognuno vedeva il tempo relativo a sé stesso, ognuno si poteva muovere, ma vedeva gli altri tutti immobili.
Tutto era fermo. Tutto. Sembrava che i respiri fumosi che il freddo aveva creato quel giorno, regali di quel Natale congelato, dovessero pendere dalle loro bocche come se fossero fumo di vecchie pipe. I fiocchi di neve erano puntini bianchi sparsi a casaccio sulla tela variopinta del pittore ed ognuno risultava protagonista silenzioso di quella vicenda.
Poi luce blu, ed un ruggito, il tempo si regolarizzò.
Ma Dialga era davanti a loro.
“Dannazione!” Lionell era a meno di due metri da quello. Il potere che emanava quel Pokémon era tale da averlo fatto spostare e cadere indietro. La Rossocatena ritornò stretta tra le mani, e cominciava a scottare, e mentre Dialga ruggiva di rabbia Ryan fece un passo avanti.
“No! Fermo!” urlò Lionell.
“Se Dialga ti attacca è la fine!”
“Non attaccherà nessuno! Basterà solamente tenerlo a bada”
“Ci penso io”
Lionell guardò per pochi secondi il figlioccio, alias suo nipote, e poi sorrise. Portò le mani alla cintura dei pantaloni e la girò.
C’erano sei sfere.
“Anche io sono stato un allenatore, da giovane”
Rachel guardò incuriosita. Pareva che anche Lionell avesse dei Pokémon.
Lo vide rialzarsi all’in piedi con un po’ di fatica, quindi si pulì dalla neve. Dialga si stava spazientendo ed i suoi ruggiti cominciavano ad impaurire tutti. Arceus solo sapeva la potenza che quello poteva sprigionare.
E Palkia, certo.
“Una...una volta...” Lionell sorrise e tossì, rivangando i vecchi tempi. “Beh, una volta chiesi ad un mio fidato collaboratore, che ahimè adesso non c’è più, quale fosse il Pokémon più potente di tutti”
Ryan e la ciurma lo guardavano in silenzio.
“Quello logicamente mi rispose che era Arceus”
Rachel annuì. Doveva per forza essere Arceus. Insomma, davanti avevano Dialga, una creatura grandiosa che esprimeva potenza solo ruggendo. Ed Arceus l’aveva imprigionato in una dimensione tutta sua, quindi doveva essere qualcosa di eccelso.
Lionell riprese la parola dopo un attimo di pausa. “Sapevo di Arceus, ma non c’era modo di catturare Arceus. Arceus è un Pokémon unico. Ma dopo di lui c’era un altro Pokémon molto forte. Unico. Creato dall’uomo”
Una Masterball volò dalle sue mani, ricadendo a pochi centimetri dall’ambita macchina del tempo con zampe, artigli e voce grossa. Mewtwo ne uscì.
Il Pokémon viola e grigio era silenzioso, come sempre, serio, stracolmo di una rabbia inspiegabile.
“Mewtwo, dobbiamo mettere alle strette questo Pokémon” disse Lionell.
Rachel aveva sentito parlare di Mewtwo, ed una volta vide anche una foto di lui su internet, ma non credeva che fosse di Lionell. Suo padre possedeva Mewtwo.
“Faccia in fretta, signore” disse Stark. Cominciava a notare gli sbalzi che le modifiche agli schemi del tempo stavano avendo sullo spazio.
“Un momento. Voglio mostrarvi la forza di questo Pokémon. Vai con Psichico”
Mewtwo illuminò gli occhi di azzurro, incrociando le mani, quelle con gli strani polpastrelli, ed una coperta di luce avvolse Dialga. Il dolore immenso di quello fuoriusciva tutto tramite le sue urla.
Mewtwo lo fece sollevare da terra, mentre Ryan cercava di immedesimarsi nel dolore che il suo avversario provasse in quel momento. Gli pareva come se quella strana forza gli stesse spremendo tutti gli organi, per farli uscire fuori dal petto contemporaneamente.
Ma quello che Mewtwo aveva contro era pur sempre un Dialga, che si liberò dopo poco dall’attacco dell’avversario. Quindi riatterrò sulle quattro zampe, e dopo l’ennesimo ruggito partì con un attacco Cannonflash, che andò a colpire forte Mewtwo.
Quello ruzzolò indietro per alcuni metri, per poi rialzarsi ed aspettare l’ordine da parte di Lionell, che intanto sorrideva davanti alla maestosità di Dialga. Si sorprese dell’altezza di quello. Era alto quanto due pullman l’uno sull’altro.
“Mewtwo, usa Psicobotta. A ripetizione, come se fossi una mitragliatrice!” e rideva come un bambino, Lionell.
E così fu. Energia della mente, così può essere definita la forza psichica, Mewtwo la incanalava tra le dita e la faceva partire, andando a colpire Dialga su tutto il corpo, e colpo dopo colpo Dialga cominciava ad indebolirsi.
“Signor Lionell, noi dobbiamo evitare che Dialga utilizzi la sua mossa principale, perché...” provò ad avvertire Stark, che era quello che veniva pagato per mettere ansia alla compagnia.
Purtroppo parve che Dialga lo avesse ascoltato, e quindi detto fatto. Un momento di lucidità gli bastò per ribaltare velocemente la situazione.
“Non deve usare Fragortempo!” urlò Ryan.
Dialga ruggì iracondo, poi inclinò la testa ed i suoi occhi si illuminarono.
Fragortempo era la mossa più forte che Dialga potesse usare. Modificava la trama del tempo ed arrecava un danno continuato, molto forte.
Rachel vide tutto illuminarsi, come dei forti flash di tante Reflex. Lentamente gli occhi si riabituarono alla luce. Mewtwo si vide colpito diverse volte da Dialga, con il suo attacco, e Lionell capì che in quel modo avrebbe perso la sfida. Avrebbe dovuto distogliere Dialga da quell’attacco prima che Mewtwo fosse stato messo fuori gioco.
“Comete!” urlò. Non erano molto efficaci, ma erano infallibili.
“Fermatevi!” sentirono poi urlare i ragazzi. Mia e Gardenia salirono velocemente le scale della Vetta Lancia.
Pochi secondi, e videro svolazzare dietro di loro Mesprit, Uxie ed Azelf.
“Mia!” urlò Rachel, sorpresa. Le braccia di Mia  le si posarono attorno alle spalle, in un caloroso abbraccio.
“Rachel! Stai bene?!”
“Si! Zack dov’è?!”
Gardenia guardò prima Mia e poi Rachel. Ritornò quindi a fissare Dialga. Era un Pokémon mastodontico.
“Dobbiamo fare qualcosa!” urlò Ryan.
“Occupatevi degli intrusi! A Dialga ci penso io!” fece altrettanto Lionell.
“No, Ryan! Fermati! Lascia stare Mia!” concluse Rachel, sempre ad alta voce. Ryan si stoppò, confuso, mentre distrattamente prese a guardare ancora Dialga, ignorando gli ordini.
Mesprit e gli altri guardiani presero a svolazzare attorno a Mewtwo.
“Stanno cercando di proteggere il flusso del tempo” spiegò Stark.
“Qui c’è bisogno di aiuto. Vai Dusknoir! Occupati dei guardiani! E tu, Mewtwo! Ora voglio che attacchi con tutta la tua potenza! Usa Forzasfera!”
Dalle mani di Mewtwo cominciò ad accumularsi energia azzurra. Sarebbe stata davvero la fine.
E fu quello il momento in cui Stark sobbalzò. Nella parte sinistra della Vetta Lancia, un piccolo puntino rosa fece la sua comparsa.
“Palkia! Palkia sta uscendo dalla sua dimensione! Dobbiamo fare presto! Non riusciremo mai a lottare contro Palkia e Dialga contemporaneamente!” urlò Stark.
“Lo so!” Lionell strinse i denti.
Dusknoir intanto era alle prese con i tre folletti.
Uxie fu il primo ad usare l’attacco Divinazione, a distanza di sicurezza, mentre Mesprit cercava di confondere l’avversario volandogli con velocità attorno ed Azelf provava ad abbatterlo con Extrasenso. Azelf pareva uscito dal suo corpo, ed attraversava quello di Dusknoir. Quello rabbrividì, e rimase fermo per un istante, tentennante.
“Vai, Mewtwo!” urlò forte Lionell. Forzasfera continuava a crescere tra le mani di Mewtwo, mentre il puntino rosa, porta dimensionale per l’universo dove Palkia era stato condannato, mano a mano si allargava con grande velocità, fino a diventare uno squarcio abbastanza grande.
“Rachel! Scappiamo!” urlò Mia.
“No! Dobbiamo catturare Dialga! Dobbiamo fare in modo che Arceus ci ascolti!”
“Loro non sono chi dicono di essere! Sono persone malvagie!”
“Perché dici questo?!”
“Io e Zack siamo stati rinchiusi nelle loro prigioni a pane ed acqua, quando tu sei andata con loro!”
Rachel spalancò gli occhi.
“Zack è vivo?!”
“Si! Ma non so dov’è?! Ed io e Gardenia siamo venute qui per provare a fermare tutto!”
Intanto lo squarcio dimensionale si apriva sempre di più, fino a diventare una grande apertura.
Le ragazze guardavano sgomente apparire un secondo, grandissimo Pokémon da lì.
“Palkia, signor Lionell! Palkia sta uscendo!”
“Vai Mewtwo!”
Quello lasciò partire Forzasfera, che velocemente si piantò alla base del collo di Dialga. La mossa era potentissima, tanto potente che Dialga finì fuori combattimento prima ancora di ricadere per terra.
Intanto però Palkia era uscito. E non si stava limitando a ruggire. Forzantica prese a far alzare dalla vetta alcuni frammenti di roccia.
“Veloce, Lionell! Cattura quel dannato Dialga!” urlava Ryan, accanto a Rachel.
“Si”. Quello prese una strana Pokéball, interamente nera, con venature rosse, e la lanciò velocemente su Dialga.
“Marianne, recupera la sfera di Dialga! Dusknoir, usa Pugnodombra!”
Quello eseguì contro Azelf, che però evitò il colpo. Tuttavia Dusknoir cominciò a lamentarsi, fino a quando non si distese per terra. Era l’attacco Divinazione di Uxie, che aveva fatto effetto.
“No!” si lamentò Lionell.
“Dobbiamo pensare a Palkia!” urlò Ryan.
“Tu pensa alle intruse!”
“No! Lasciatele stare!” si allarmò Rachel.
“Vai, Ryan!” ringhiò Lionell.
“Papà! Ti prego!” urlò quella. Fu un attimo. Un momento, un semplice istante, in cui il cuore di pietra dell’uomo si colmò, pieno di qualcosa che non conosceva così bene.
“Ok...pensiamo a Palkia...Ryan, aiutami”
“Marianne!” urlò quest’ultimo. Lei correva velocemente vicino a Linda, con la Pokéball di Dialga in mano. “Spostati da lì”
“Ci sto provando!”
“Stark... Dobbiamo per forza catturare anche Palkia?”
Palkia ruggì, e subito dopo utilizzò un forte attacco Idrondata. Una grande quantità d’acqua si riversò a fiotti sulla vetta, sciogliendo la neve che tutti calpestavano.
“Mewtwo! Aiuto!” urlò Lionell. D’improvviso i poter psichici del Pokémon gli permisero di creare una barriera in grado di proteggerli dall’attacco di Palkia.
“Dobbiamo catturare in fretta anche lui... Il problema non sono affatto Dialga e Palkia” gridò Stark.
“Già... Dobbiamo evitare che sia Giratina a venir fuori” convenne Lionell.
“Se Palkia è nel nostro mondo, automaticamente lo spazio comincerà a modificarsi. E Giratina è qui per equilibrare il tempo e lo spazio. O sparisce in fretta Palkia o appare anche Giratina”
“Non è il caso...” sospirò Ryan. “Flygon! Vai!”
Quello uscì dalla sua Pokéball, e Ryan gli saltò sul dorso. “Andiamo”
Volò fuori dalla barriera protettiva di Mewtwo, mentre il freddo lacerava il viso del giovane come se al posto del vento ci fossero tante lame.
“Mewtwo, rimani concentrato!” urlò Lionell, fiducioso del fatto che Ryan sarebbe riuscito a catturare Palkia. Lionell si girò, guardando Rachel. Era incredula ed impaurita. Era accanto alla capopalestra ed alla sua amica bionda, sventurate spettatrici di quella sciagura non ancora sventata.
Uxie, Mesprit ed Azelf stavolta si avventarono tutti e tre contro Flygon, che velocemente li dribblò, per poi dirigersi forte verso Palkia.
Quello ruggì, e sferrò un attacco Idropompa. Ed un attacco Idropompa, sferrato da un paio di fauci di un Pokémon di quattro metri e venti significava che un pilastro d’acqua, duro come il granito, che sta per investirti, non credo sia il massimo della vita.
“Schivalo Flygon!”
Palkia vide il suo attacco andare a vuoto. La grande colonna d’acqua si abbattè su Flemminia distruggendo una casa di due sventurati anziani.
Quando si dice la fortuna...
“Flygon! Forzantica!”
Il drago, quello con in grado di alzarsi nel cielo, prese a volare in circolo attorno alla testa di Palkia, e dopodichè l’attacco si manifestò. Ancora pietre, ancora si alzavano dal suolo.
Colpirono Palkia, lo colpirono forte, tanto che lo costrinsero a cadere, per poi rialzarsi.
“Ottimo Flygon! Attento adesso!”
Infatti Mesprit velocemente gli volò davanti, fissando negli occhi Flygon. Quello si distrasse per un attimo, il tempo che i suoi occhi tagliassero la corda che li legavano a quelli di Mesprit, ed Azelf si gettò su quello utilizzando Ultimascelta.
Il colpo prese Flygon, ma soprattutto Ryan, alla sprovvista, che perse l’equilibrio e cadde dal suo Pokémon. Flygon continuava a fissare Mesprit, nonostante il colpo subito da Azelf, e Palkia si era rimesso in piedi.
Stava utilizzando Dragopulsar.
E Ryan stava cadendo nel vuoto.
“No! Dannazione! Metagross! Usa Confusione!” urlò Rachel, che era lì presente e guardava con terrore quello che stava succedendo.
Mia ebbe il presentimento, esatto, che quell’enorme Pokémon di metallo, molto, ma molto potente, fosse il suo Metang.
Infatti non ci volle molto a Metagross per concentrare la sua energia psichica e fermare la caduta di Ryan, adagiandolo lentamente al suolo.
“Ma questo... ?” Mia si avvicinò lentamente a Rachel.
“Sì. Scusami se mi sono permessa di utilizzarlo o di farlo evolvere, ma per questa occasione credevo potesse essere utile la sua abilità”
“Hai...hai fatto bene...tranquilla...”
“Ok...Ryan! Tutto bene?!” si rivolse poi al biondo.
Quello, leggermente shoccato, fece segno di si.
“Bene”
Intanto un forte sibilo riempì le orecchie di tutti, una luce fortissima gli occhi, ed una grossa esplosione fece il resto.
Dragopulsar colpì Flygon con forza, e lo mise fuori combattimento. Quello ricadde già esausto sul pavimento della Vetta.
“Flygon, no!”
Ryan corse vicino al suo Pokémon, e lo guardò. Non potevano fermarsi ora.
“Vai Gallade!”
Il Pokémon uscì dalla sua sfera, e si ritrovò davanti quel gigante. Chiuse per un attimo gli occhi e raggiunse la concentrazione necessaria, mentre Uxie stava usando per l’ennesima volta l’attacco Divinazione.
Palkia continuava a ruggire tremendamente. Si stava avvicinando il momento in cui avrebbe fatto quello che tutti temevano.
“No! Signor Lionell, sta per usare Fendispazio! Dobbiamo assolutamente evitarlo, o ciò risveglierà anche Giratina!” urlò Stark.
“Dannazione! Mewtwo, blocca la barriera e pensaci tu! Psichico!”
Mewtwo eseguì e velocemente accorse davanti a Palkia. Usò poi il forte attacco, che come con Dialga, provocò enormi danni al Pokémon. Non riusciva a muoversi, e soffriva per il dolore.
“Ryan! Levati di lì!” urlava Rachel.
“Cosa?!”
“Levati da lì?!”
“Non voglio! Devo catturare questo Pokémon!”
“Ryan, cazzo! Levati da lì! Sta per apparire Giratina!”
Palkia intanto si liberò dall’attacco, e ruggì forte, braccia aperta e volto al cielo.
Fendispazio stava per abbattersi sulla Vetta Lancia.
E tutti sapevano che stava per succedere un casino assurdo.
D’improvviso una miriade di esplosioni abbatterono il campo di combattimento, quasi come piovessero proiettili.
“No! Mia!” Gardenia tirò a sé la bionda, ma quella fece appena in tempo a dare un urlo a Rachel, a prenderle la mano e a stringerla a sé prima di saltare per terra.
“Noi dobbiamo salvare lei! Lei è l’oracolo!” fece tanto coraggiosamente quanto inaspettatamente la Mia.
Gardenia annuì, il volto sporco e bagnato, mentre la paura la divorava. Palkia sembrava davvero un osso duro.
Le esplosioni che aveva provocato stavano colpendo tutti. Mewtwo fu ripetutamente preso da quelle esplosioni, piccole virgole nere sul foglio bianco dello schema dello spazio.
Uxie, Mesprit ed Azelf combattevano tutti contro Gallade. E Ryan lo dirigeva. Tra le mani stringeva la stranissima Ultraball nera che Lionell gli aveva consegnato.
E poi accadde quello che doveva accadere.
“Dobbiamo riuscire a catturare velocemente Palkia. Giratina sta per uscire dalla sua dimensione!” urlò Stark.
Lionell e Ryan si guardarono ed il primo annuì.
Lionell mise mano alla tasca. “Avrei...avrei voluto utilizzarla per un’altra occasione...ma...ma ora devo farlo per forza. Vai, Masterball!”
La sfera infallibile colpì Palkia, che, quasi fosse stato colpito da un moscerino minuscolo, non si accorse di niente.
Si ritrovò soltanto rinchiuso nella Masterball, prigioniero inerme di quella situazione.
Ryan non aspettò nemmeno che la Masterball si chiudesse definitivamente, corse a prenderla, prima che la macchia nera che si stava formando sotto i loro piedi, ovvero la porta dimensionale di Giratina, si espandesse del tutto.
Mesprit, Uxie ed Azelf attaccavano tutto e tutti con l’attacco Comete, rendendo molto più difficile il processo di concentrazione in un simile momento, e quando accadde quello che alla fine tutti aspettavano, conobbero davvero lo sgomento e la paura in tutta la sua magnificenza.
Un rumore, un sibilo, seguito da un enorme ruggito e da forti raffiche di vento anticiparono il tutto.
Rachel fu in grado di vedere enormi occhi rossi e penetranti fissare la Vetta Lancia dall’interno di quella macchia nera, e pochi attimi dopo un altro ruggito.
Giratina fuoriuscì potente, enorme, spaventoso, rumoroso. Tutti si stesero per terra quando uscì, ed intanto spiegò le ali e volò fuori. Fu un momento, giusto il tempo di capire che Palkia e Dialga non erano lì, fece una giravolta in aria e con un grande spiegamento di ali si rituffò nella sua dimensione, portando erroneamente con loro anche Mesprit, Uxie ed Azelf.
Poi tutto era finito.
“È...è andato...” concluse Stark.
“Questa storia sta per finire” disse Ryan, fiducioso. Tra le mani aveva Palkia. Tanto potere, rinchiuso in una piccola sfera. Gli faceva quasi specie.
Non riusciva a capire come un Pokémon enorme e così potente potesse rimanere chiuso all’interno di una sfera grande più o meno quanto una mano.
 
Rachel sospirò, ed affondò il viso nella manica bagnata del suo giubbino, mentre Mia la stringeva.
“Rachel...” faceva.
Quella si lamentava, come se qualcuno la stesse svegliando e lei non volesse alzarsi.
“Rachel!”
“Dannazione, che vuoi?!”
“Che hai?!”
“Mi sono un attimo fatta un calcolo, e adesso sarei dovuta essere morta da circa venti minuti...il fatto di essere ancora tra di voi mi fa molto piacere”. Ma come logico lo shock e lo stress che le avevano attraversato per intero il sistema nervoso come automobili sull’autostrada avevano avuto il loro effetto. Ed una volta che l’adrenalina che il cuore aveva pompato aveva smesso di fare effetto, Rachel aveva bisogno di una sana e buona dormita.
“Non sei morta. Non è morto nessuno...” disse Ryan.
Rachel alzò gli occhi e lo guardò. Poi urlò, con tale rabbia che in un corpo piccolo come il suo ci si chiedeva da dove provenisse, e si lanciò letteralmente addosso a Ryan, che ricadde sotto il suo esile peso. Rachel prese a colpirlo sul volto.
“E così li avevate liberati?! Così Zack è al sicuro ad Edesea ora?!”
“Rachel! Fermati!” Ryan cercava di parare i colpi, ma inevitabilmente fu colpito più e più volte al volto.
“Rachel!” Lionell corse dalla figlia e la prese per le spalle, tirandola indietro.
“Lasciami! Lasciami!”
“Fermati, Rachel!”
La ragazza si calmò per un attimo. Quindi Lionell di forza la tirò via dal corpo di Ryan.
“Che è successo?” chiese. Diplomatico, lui...
“È successo che il mio ragazzo e la mia amica qui, invece di essere liberati, come erano i patti, sono stati imprigionati!”
Lionell inarcò le sopracciglia. Era stato lui a dare quelle disposizioni, ma non poteva di sicuro dirglielo. C’era bisogno che lei si fidasse di lui.
“Qualcuno pagherà per questo...le mie disposizioni erano altre. Forse Zack ha dato fastidio a qualcuno, qualche generale, qualche mio subordinato, che ha preso l’erronea decisione di tenerli nelle prigioni...”
Mia inarcò le sopracciglia. Rachel ci stava credendo davvero.
“Beh...voglio solamente che loro stiano bene” disse. E lo disse con tanta, ma tanta ingenuità.
“Mi spiace per quanto accaduto, signorina...”
“Mia” rispose direttamente quella.
“Mia. Vogliate accettare le mie più sentite scuse”
“Oh, certo. Come penso vogliate accettare le mie più sentite denunce alla polizia di Adamanta, per rapimento”
Lionell spalancò gli occhi, poi li richiuse. Se il suo piano fosse andato in porto, non ci sarebbe stata polizia che tenesse.
Avrebbe comandato lui.
Sarebbe stato tutto suo.
“Beh...poi si vedrà. Ora vai, Dialga!”
La Pokéball nera e rossa permise a Dialga di rivedere la luce oscurata dalle nuvole del sole di Natale.
“Dialga. Devi portarci indietro nel tempo. Dobbiamo raggiungere la Battaglia del plenilunio”
Dialga ruggì, e tutti i componenti dell’Omega Group, assieme a Rachel naturalmente, sparirono dalla Vetta Lancia, lasciando soltanto Gardenia, Mia ed un enorme casino tra colonne distrutte ed acquitrini per terra.

 

 

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Capitolo 55
*** Capitolo 24 - Indietro ***


Indietro


La sensazione che si prova quando non sei più nulla, almeno per quell’attimo di nulla, per quell’attimo di “ci sono ma non è vero”, di viaggio extracorporeo, assomiglia più al coma che ad una morte vera e propria.
Rachel tenne gli occhi aperti per tutto il viaggio che Dialga gli offrì, ma il tempo di un battito di ciglia, l’allegra compagnia era arrivata nel passato. Erano tutti in una strada sterrata, poco battuta. Centinaia di persone si erano riversate tra i campi che costeggiavano quella stradina.
Dialga era davanti a tutti, e stava in silenzio. La luce della luna, di quella luna piena, brillava forte, e rimbalzava sulle bardature del Pokémon del tempo.
Lionell rinfilò la camicia che stringeva tra le mani, serio, e si sforzava di esserlo perché in realtà avrebbe voluto urlare di gioia. Stava per coronare il suo sogno.
I suoi progetti, quelli che aveva coltivato a lungo.
“Ragazzi...ci siamo quasi. Siamo sul palcoscenico di una delle più sanguinose battaglie di Adamanta. Eccoci sotto il Monte Trave. Stiamo per combattere contro gli Ingiusti ed i Templari all’interno della battaglia del plenilunio” disse Lionell.
Tutti a testa bassa, mentre l’ansia li mangiava da dentro, come fossero legna per le termiti.
Ryan guardava il tempio. C’erano due fiaccole accese alla base di un’enorme scalinata.
“Dobbiamo...dobbiamo raggiungere il tempio” ragionò ad alta voce.
“Già...” disse Linda.
Ryan la guardava. La luna la faceva diventare ammaliatrice con il solo sguardo. Oltre vedeva Marianne, ansiosa come sempre, ed ancora visibilmente spaventata per quello che era successo pochi attimi prima, stava lentamente facendo regolarizzare i battiti. La testa girava, e la vista era appannata ma era perfettamente in grado di vedere un esercito avvicinarsi.
“Stanno per arrivare” osservò alla fine.
“Si” disse Linda.
“Dobbiamo fare in modo di non interferire prima che la guerra cominci” tuonò Stark, alzando leggermente la voce.
“Non credo sia un problema. Basterà stare qui ed aspettare” rispose Ryan.
Tutti annuirono.
Rachel sembrava confusa. Ora non faceva più freddo,  e levò il pesante giubbino da dosso, gettandolo tra le sterpaglie e gli arbusti secchi bruciati dal sole estivo. Lionell le si avvicinò.
“Hey...tutto bene?”
“Si, Lionell...”
“Prima...prima non mi hai chiamato così”
“Prima ti ho chiamato papà, è vero”
“Quelle persone stavano per mettersi di mezzo nel nostro piano”
“Quelle persone vogliono le stesse cose che vogliamo noi”
“Ma non possiamo permettere che dei dilettanti mettano le loro mani dove dovremmo operare noi, sicuri e decisi”
Rachel annuì.
“Non possiamo permettere che qualcuno combini qualche guaio. Ecco perché Zackary Recket è stato convinto a smettere di provare a salvare la situazione. Perché noi sappiamo come fare, mentre lui andava a tentoni, e per quanto lui sia un ottimo allenatore di Pokémon, bisogna studiare ed avere l’intelligenza giusta per fare determinate cose”
“Ok...ma gli avete fatto del male”
“Già ti ho detto che...che chi ha fatto quello che ha fatto pagherà caro. Ma ora smettiamo di parlare di questa cosa”
“Io ci sto malissimo. Mi manca”
“Quando tutto sarà finito lo rivedrai”
“Lo spero...” sospirò lei.

Adamo avanzava lentamente lungo il percorso che portava verso il Monte Trave. Pensava, vagheggiava. Questa volta la vittoria sarebbe stata sua. Si era attorniato di persone determinate, che comandavano Pokémon dalla forza terribile. Nestore sarebbe stato felice di quello che stava per succedere. Gli Ingiusti avrebbero vinto, e sarebbero saliti al tempio.
Avrebbero rapito Prima, e l’avrebbero costretta con la forza ad evocare Arceus.
E sarebbe stato allora che l’avrebbero ammazzato.
Nestore sarebbe diventato il padrone di Adamanta, e poi dopo Adamanta sarebbero sbarcati in altri posti, dove avrebbero controllato altre zone ed altre città. Altre ricchezze, altri Pokémon.
Sarebbero diventati potentissimi. Ed immortali, nelle menti e nelle memorie di chi avrebbe vissuto gli anni a venire.
Si leccava i baffi, Adamo, pensando al fatto che Nestore gli aveva promesso un trono in una delle città di Adamanta a suo piacimento.
Avrebbe scelto sicuramente Timea. La più grande, vicina al Monte Trave, con più risorse a disposizione. Godeva di una non eccessiva distanza dal mare, ma che in ogni caso la proteggeva da attacchi da parte di pirati o Pokémon marini.
Tuttavia ritornò dal suo mondo immaginario a percorrere i passi che stava percorrendo, ad indossare l’armatura che stava indossando e ad entrare nell’ordine di idee che quella notte, anche se poco probabile, avrebbe potuto vedere la luce bianca.
La morte.
D’altronde aveva sempre di fronte Timoteo. Il suo più grande nemico, cultore del bene, della luce, della religione. Con la sua stralunata amicizia per l’oracolo.
Adamo disprezzava l’oracolo. Odiava quello che rappresentava, odiava il suo modo di essere, odiava quel suo essere bambina e contemporaneamente così dannatamente importante per tutti.
E Prima non era una bambina. Era una donna bella che fatta. Il problema risiedeva nella sua grande ingenuità, ed in quegli occhi da cerbiatta che gli avevano fatto perdere la testa da ragazzo.
“Sto divagando...” riconobbe. Doveva smettere di pensare a Prima. Doveva smettere di pensare a lei.
Doveva smettere di pensare. Stavano raggiungendo lo spiazzale che dava alla scalinata. Tutt’attorno il vuoto, era un pezzo di roccia collegato al mondo da una lingua di terra. Da lì si cadeva giù, se si ci sporgeva troppo. Da lì si moriva.

Rachel vide tutto.
Gli uomini vestiti di bianco si presentarono da nonsapevadove e si schierarono. Erano dei guerrieri.
“I templari...” sussurrò Ryan. “Quello davanti a tutti è Timoteo”
Rachel spalancò la bocca e sgranò gli occhi.
Era l’eroe di Adamanta. Quello della statua. Era davvero Timoteo.
Indossava una grossa armatura, voluminosa e sicuramente pesante. La maglia di ferro che indossava sotto era grigia, in modo da non scurire troppo l’immagine candida che quelli come lui si portavano appresso. Spalline e copri torace bardato con croci rosse e ghirigori dello stesso colore. Stessa cosa per le gomitiere ed i guanti in maglia di ferro. La parte che copriva l’addome era di un bianco un po’ meno pallido, entrante nel grigio, e sottendeva un cinturone, con la fodera dell’enorme spada che teneva nella mano sinistra ed il gancio che serviva ad appendere l’altrettanto grande scudo.
Tutti si sentirono un po’ in soggezione. Dialga e quegli strani viaggi nel tempo avrebbero potuto dare l’occasione di conoscere grandi personalità del passato, vederli da lontano, ammirarli nella loro compostezza, impregnati del loro potere; Adolf Hitler, Cristoforo Colombo, Enrico VIII, Cleopatra, ma ancora tanti altri, come Alessandro Magno, Napoleone Bonaparte, o Giulio Cesare.
Rachel fantasticava. Si chiedeva quali Pokémon avessero questi personaggi così illustri e noti.
“Forse è meglio che Dialga rientri nella sfera. Non vogliamo che gli altri ci vedano prima del tempo, vero?” chiese Stark.
Lionell annuì, e lo fece rientrare nella sua sfera.
Un urlo conclamò l’inizio di quella battaglia, e come un’onda che si abbatteva sul bagnasciuga, così il nero attraversò il campo per invadere il bianco, e viceversa. Rumori di spade che si scontravano furiose cominciarono a riempire le orecchie dei presenti, mentre urla, grida concitate e contestualmente adatte si alternavano ai mugolii che il dolore provocava.
Lionell sorrise quando vide Timoteo abbassare con forza la spada sullo scudo di Adamo.
Timoteo era potente. Lo invidiava soprattutto per quell’Haxorus che si portava dietro, che lottava valorosamente cercando di mantenere alti gli ideali di amore e fratellanza.
Per Prima. Per Arceus.
“E...e quando dovremo entrare in battaglia?” chiese Marianne, titubante.
“Beh, i libri ci insegnano che questa battaglia è stata vinta dai Templari, e tutto questo è incredibile. Ciò perché gli Ingiusti sono in numero assolutamente maggiore. Ciò spiega che i templari sono uomini votati alla preghiera ed all’allenamento, dalla forza incredibile. Aspettiamo verso la fine dello scontro per intervenire, in modo da cogliere Templari ed Ingiusti impreparati e psicofisicamente stanchi” spiegò Lionell.
Ryan annuì. Il ragionamento non faceva una grinza.
E mentre i corpi morti, quelli vestiti di nero, venivano catapultati al di sotto dello strapiombo presente accanto al campo di battaglia, quelli vestiti di bianco venivano lasciati lì dov’erano, o al limite spostati, per permettere ai compagni di calcare quel suolo con maggiore facilità. I loro corpi erano sacri. Meritavano una degna sepoltura.

Due paia di occhi color dello smeraldo fissavano il piccolo Pokémon verde.
Zack e Green erano seduti entrambi sul sedile posteriore della macchina di Alma. La loro destinazione era lo stesso luogo in cui tempo prima aveva rivelato a Rachel e Zack i dettagli sulla profezia di Arceus.
Il silenzio nell’autovettura era pesante. Solo il Pokémon Tempovia sembrava osservare interessato il panorama al di fuori della macchina, mostrando una calma che nessuno dei presenti aveva.
Il viaggio durò solo pochi minuti, ma Zack li sentì sulle spalle come se fossero stati giorni. Sapeva che quella era la sua unica, sola possibilità di riuscita. Nessun fallimento era ammesso. Non di nuovo.
Mandò giù la saliva, sentendola come un grumo di sabbia. Teneva gli occhi verdi serrati, alla ricerca della concentrazione.
Fu solo quando sentì un tocco leggero sulla fronte che si accorse che stava tremando. Aprì gli occhi, trovandosi quelli del piccolo Pokémon davanti. Non sapeva se Celebi fosse in grado di percepire le emozioni altrui. Essendo un Pokémon di tipo psico, probabilmente aveva un’abilità simile, ma Zack non aveva mai sentito niente al riguardo. Tuttavia, gli bastò guardarlo per rendersi conto che, empatia o no, quel Pokémon si era reso conto della sua situazione e si stava preoccupando per lui. Sospirò, sciogliendo la tensione e sorridendo al piccolo Pokémon, che continuava a fluttuare davanti agli occhi del ragazzo, mostrandogli un sorriso rincuorante.
“Bene, giovane eroe, sei pronto?”
La voce calma di Green e la sua vigorosa pacca sulla spalla rinsaldarono definitivamente la determinazione del ragazzo, che annuì verso l’amico.
“Alma, cosa dobbiamo fare?”
Zack si era rivolto verso la donna, che, con un pesante volume fra le mani, cercava di capire come attivare il potere del Pokémon anche in una zona tanto lontana dal Bosco di Lecci.
“Hmm... Devo ammettere che questo volume non è esaustivo quanto credessi.”
La giovane teneva una mano fra i capelli, grattandosi la cute, sovrappensiero.
“Purtroppo quando mi sono ritrovata voi due davanti agli occhi non ero abbastanza preparata alla cosa, né sono riuscita a rintracciare qualcuno più preparato di me sull’argomento...”
La voce sembrava tendere ad una lamentela, ma vedere nuovamente la determinazione negli occhi del ragazzo, dopo quell’apatia che sembrava averlo risucchiato i giorni precedenti, faceva brillare i suoi occhi di felicità. Sentiva di poter tornare a sperare, per lui e per tutti.
“Ad ogni modo, anche se non ho risposte chiare, abbiamo ancora il metodo migliore per procedere in questo tipo di ricerche.”
Sorrise, togliendosi gli occhiali che aveva inforcato per leggere dal pesante libro.
“Procedere per tentativi.”
Zack la guardò con aria sorpresa. “Come?” fu la sua unica domanda.
“Mi hai capita bene, faremo dei vari tentativi, in varie zone della regione, verificando se Celebi manifesta qualche reazione utile all’attivazione del suo potere.”
Dopo aver riposto il libro in macchina, dal vano davanti al sedile del passeggero la donna prese una cartina della regione.
“Vista la nostra destinazione, e il luogo mistico in sé, potremmo provare a vedere se il Monte Trave scatena qualcosa... Oppure...” la cartina frusciò mentre la donna cercava di allargarla, appoggiandosi al cofano della macchina “cercare un luogo che gli sembri più familiare... ad esempio il Bosco Memoria.”
Continuava ad osservare la conformazione del terreno di Adamanta, tenendosi il mento fra il  pollice e l’indice, assorta nei suoi pensieri.
Green le si avvicinò, osservando a sua volta la mappa, per poi constatare.
“L’unica zona valida secondo me è il Bosco Memoria. So che la conformazione del terreno non è delle più simili al Bosco di Lecci, ma Celebi è un Pokémon silvestre, è l’unico luogo in cui può concentrarsi liberamente.”
I due iniziarono a discutere sulle varie opzioni, mentre Zack osservava Celebi, impegnato a fluttuare e ascoltare la conversazione tra i due. Sospirò, sapeva di non poter perdere tempo in questo modo, tuttavia, quella situazione così apparentemente tranquilla lo rinfrancava. Riaprì lo sportello della macchina, sedendosi al sedile posteriore dietro il guidatore. Celebi gli si appoggiò vicino, approfittando del calore rimasto intrappolato nell’autovettura. Ogni volta che Zack respirava, timide nuvolette di vapore si mostravano davanti a lui, per svanire nel vento. Improvvisamente si alzò.
“Iniziamo dal Bosco Memoria.”
Lo disse prendendo la Pokéball di Braviary in mano e facendo uscire la grossa aquila nel freddo vento Natalizio.
“Ne sei così convinto anche tu? Guarda che ci conviene cercare un luogo che abbia più affinità con la nostra destinazione” protestò Alma.
“E io invece sono sicuro che deve essere affine a colui che effettua il viaggio, quindi al Pokémon” la rimbeccò Green.
“E io invece ho scelto il bosco perché è affine a me. Quindi andremo al bosco e, se non dovesse funzionare, poi ci dirigeremo verso la cima del Monte. Ad ogni modo è il più vicino, ci metterò massimo venti minuti, da qui, quindi è anche la scelta più sensata.” disse Zack.
Green lo guardò incuriosito.
“Che affinità avrebbe il bosco con te?”
Zack, spostò lo sguardo, osservando Braviary. Non sarebbe riuscito a dire apertamente all’amico che sentiva quel luogo speciale unicamente perché era lì che aveva incontrato Rachel. Si limitò a bofonchiare una risposta incomprensibile, sentendo comunque buona parte delle guance avvampare. Dopodiché salto in groppa a Braviary.
“Tieni il telefono acceso, non appena arrivi lì chiamami, da qui faremo in modo di aiutarti con l’avvio del viaggio temporale.”
Gli urlò Alma.
Zack annuì facendo rientrare Celebi nella sua sfera e alzandosi in volo verso il Bosco Memoria, osservando  sparire sempre di più Alma e Green dietro una cortina di nevischio e vento.

Come previsto, impiegò appena un quarto d’ora per raggiungere l’inizio del bosco e un’altra manciata di minuti per trovare una zona abbastanza sgombra da permettergli di atterrare.
Nonostante il freddo si facesse sempre più pungente, il ragazzo chiamò fuori dalla sfera il Pokémon, che osservò con aria curiosa il bosco attorno a lui, e poi prese a volteggiare tranquillamente.
“Pare che Green avesse ragione” mormorò guardando il Pokémon che vagava soddisfatto nel vento.
Intanto prese il cellulare dalla tasca, cercando nella rubrica il numero di Alma. Dopo appena uno squillo la donna rispose.
“Sei arrivato?”
“Sano e salvo, Celebi pare gradire il posto”
Intanto si avviava, seguendo Celebi che girovagava a suo piacimento, senza allontanarsi da lui.
“Cosa stai facendo?”
“Osservo Celebi, voglio capire se c’è qualcosa che lo attrae. Nonostante sembri muoversi senza meta, magari sta seguendo qualcosa”
La sua voce calava e saliva di tono, a seconda del terreno che calpestava e dei rami che lo ostacolavano.
“Hmm... per il momento proviamo a seguire questo ragionamento, vedi se reagisce a qualcosa in particolare.”
Alma sembrava acconsentire a quella strategia, dopotutto, se dovevano muoversi a caso l’avrebbero fatto fino in fondo.
Zack chiuse la comunicazione, promettendole di avvisarla se entro mezz’ora si fossero verificati cambiamenti.
I due vagarono per un po’, Celebi non sembrava del tutto cosciente della situazione in cui si trovava e Zack, un po’ intimidito dalla fama del Pokémon, decise di avviare un tentativo di comunicazione.
“Ci aiuterai, vero? Sei in grado di farlo... giusto?”
Sapeva di non dover dubitare del potere di quel Pokémon, e si maledisse per non essere in grado di capire ciò che quello avrebbe potuto dire. Invidiava quel potere così puro e empatico che solo Yellow e Lance sembravano possedere. Celebi si voltò a guardarlo, senza perdere il ritmo del suo volo, dopo aver inclinato un poco la testa, annuì leggermente. Zack spalancò gli occhi verdi, contento della risposta.
“E... di cosa hai bisogno per riuscirci?”
A quella domanda Celebi piegò nuovamente la testa, voltandosi poi in una direzione ben precisa. Zack lo guardò.
“Per farlo devi andare lì?”
Celebi annuì di nuovo, iniziando a muoversi più in fretta. Zack accelerò il passo, avrebbe voluto correre, ma il terreno del bosco non sembrava adatto a tale attività, continuò a camminare al passo più veloce che gli venisse permesso. Dopo alcuni minuti, Celebi gli aprì la strada, spostando alcuni rami che ostruivano la via con i suoi poteri psichici. Zack lo guardò stupito.
“Oh... grazie”
Gli sorrise. Stranamente, sentiva come se quel viaggio nel tempo fosse già iniziato, gli sembravano essere passati secoli da quando aveva messo piede nella foresta. Il suo cellulare squillò, era di nuovo Alma.
“Zack, dove sei?”
“Ancora nel bosco, pare che Celebi abbia trovato qualcosa; sembra dirigersi verso un punto preciso.”
Dopo pochi altri passi, Zack sbucò in una piccola radura. La conosceva bene. Era proprio quello il luogo in cui sentiva sarebbe arrivato.
“Quindi inizia e finisce tutto qui, eh? Siamo tornati all’inizio di tutto. Siamo tornati alle origini”
La sua voce fu un sussurro. Senza nemmeno rendersi conto sentiva gli occhi umidi. Rivedeva con una nitidezza impressionante le immagini di quella sera. Lui che stava pensando se accamparsi nel bosco per la notte oppure tornare da Alma e l’improvviso rumore e urlo che aveva sentito. La corsa, quando si ritrovò quella tipa così imbranata coi Pokémon che teneva terrorizzata il suo piccolo Zorua fra le braccia e che stava piangendo come un cucciolo abbandonato. L’aveva fissata fra le fronde per un attimo, senza capire la situazione, finché non si era reso conto del Blitzle.
Ricordava ancora gli occhi spaventati, annacquati dalle lacrime e anneriti dal trucco sciolto che lo guardavano come se gli avesse teso un’ancora.
“Zack, va tutto bene?”
La voce di Alma lo riportò al presente.
“Tutto a posto” rispose asciugandosi gli occhi con la giacca.
“Adesso guardiamo un po’ intorno e...”
Improvvisamente, Celebi iniziò a correre. Il piccolo Pokémon iniziò a volare velocemente verso nord rinfilandosi nel bosco.
“Cosa diavolo...”
Zack non terminò la frase e scattò in corsa. Non poteva permettersi di perderlo. Agilmente scartava le radici che fuoriuscivano dal terreno e con un braccio si faceva scudo dai rami.
“Zack, cosa sta succedendo?”
La voce di Alma era agitata, la comunicazione sembrava disturbata.
“Non lo so!” gridò Zack “Ha iniziato a correre... non so che intenzioni abbia!”
“Zack... sta' attento... sfera... corri!”
“Non ti sento, Alma!! Non capisco cosa mi stai dicendo!”
Correva a perdifiato, nel tentativo di seguirlo, odiava ammetterlo, ma quella corsa improvvisa, su un terreno tanto sconnesso, lo stava stancando.
“Alma, ripeti per favore!”
Sentì Alma prendere fiato, ma immediatamente la linea cadde.
“Maledizione!”
Urlò rimettendo il telefono in tasca e correndo con quanta forza aveva, nel tentativo di stare dietro il piccolo Pokémon verde. Sentiva i polmoni bruciare, come se fossero stati riempiti di fuoco.
“Come... diavolo fa... ad essere così veloce?”
Lo sussurrò col fiatone, non poteva perderlo, non dopo essere arrivato a quel punto. Lo aveva davanti agli occhi, non lo avrebbe perso.
“Celebi!!”
Urlò il nome del Pokémon con tutto il fiato che aveva, sentendo la gola invasa dallo stesso bruciore che gli consumava i polmoni. Celebi si girò ad osservarlo. Non era sicuro di ciò che il suo sguardo volesse dire, ma non si sarebbe arreso. Con un ultimo sprint, riuscì ad afferrare il piccolo Pokémon, che improvvisamente iniziò a brillare di una luce intensa.
Per un istante, Zack sentì il mondo crollare e ricomporsi. Era strano. Era come se un enorme respiro avesse investito la terra intera, concentrandosi solo su di lui. In un solo istante sentì il proprio corpo venire compresso e poi tornare in sé. Fu solo un momento, Celebi si liberò dalla sua stretta, mentre lui continuava a corrergli dietro per la foresta. Non ce la faceva più. Il Pokémon sembrava volersi dirigere verso Timea, ma Zack non capiva perché. Le gambe gli lanciavano fitte di dolore e non riusciva a comprendere se stesse correndo da ore o secondi.
Improvvisamente il bosco finì, lasciando che Celebi e Zack uscissero all’aria aperta. Zack crollò sulle ginocchia, posando poi le mani a terra. Il suo corpo sembrava voler protestare.
“Devo davvero essermi rammollito, per non riuscire a reggere una corsetta simile...”
Il suo respiro ansante era l’unica cosa che sentiva. In lontananza delle grida avevano invaso il suo udito. Grida, rumori come di una lotta. Lentamente, con le spalle che si alzavano e si abbassavano a causa del respiro, alzò gli occhi verso Timea.

La visione che riempi il suo sguardo lo face traballare per qualche istante. Timea non c’era. Alzò lo sguardo verso Celebi, che lo fissava curioso.
“Dannata peste... avresti potuto avvertirmi!”
Zack si alzò traballante. Timea non c’era davvero. Quella che lui intendeva almeno. La metropoli non era ancora nata. Nessun grattacielo oscurava la vista del monte Trave, dove l’immenso tempio si ergeva orgoglioso e benevolo verso gli abitanti della regione, ma solo piccole casupole. Non avrebbe saputo dire come si sentiva. Era stupito, felice e stanco. Ma sapeva che il peggio doveva ancora venire. Con una lentezza disarmante mise di nuovo mano alle sue Pokéball, chiamando al suo fianco Braviary.
Poi osservò di nuovo Celebi e tirò fuori la sfera.
“Tu resta qui dentro, se non altro così dovresti essere al sicuro... quella laggiù sembra una guerra”
Celebi lo osservò, poi annuì, lasciando che il raggio rosso lo circondasse e lo portasse al sicuro. Salì in groppa al suo Pokémon. Una parte di lui avrebbe voluto addormentarsi, la corsa e lo stress lo stavano stancando, ma sapeva che non era assolutamente quello il momento. Stringendo il pugno, sentì le proprie unghie incidere la pelle. Il dolore lo teneva sveglio, lucido. Il dolore e la speranza. Rachel era lì, da qualche parte, Zack pregava solo non fosse in mezzo alla mischia. Si avvinò al campo di battaglia, cercando di rimanere esterno per osservare la situazione.
Lo scontro che si stava verificando sotto ai suoi occhi era qualcosa che aveva solamente studiato su qualche libro. Cavalieri in bianco e guerrieri in nero si affrontavano in uno scontro disperato.
Fra tutti, un giovane uomo, dai folti e corti capelli neri e la barba di qualche giorno, seguito da un Haxorus affrontava uno dei guerrieri in nero, seguito da un Gengar.
I due combattevano cercando di uccidersi a vicenda. Zack si guardò attorno. Che fossero Templari o Ingiusti, tutti bramavano unicamente la morte del nemico. Seppur da lontano, Zack vedeva il sangue bagnare il terreno, venendone assorbito e colorandolo di rosso. Vedeva uomini combattere calpestando i cadaveri di altri uomini, spade infilzate nei corpi di guerrieri che nonostante tutto continuavano a combattere. Zack fece un istintivo passo indietro.
Quella era la Battaglia del Plenilunio.
Non c’erano singoli uomini, non c’era niente di quelle sfide orgogliose che aveva letto nei libri. Uccidi e non sarai ucciso. Sentì il proprio stomaco contorcersi e soffocò l’urgente bisogno di vomitare. Ripensò al corpo di Emily, freddo nelle sue braccia e pensò a quante donne avrebbero raccolto su quel campo ciò che restava dei loro consorti.
Perché?
La sua mente elaborò spontanea quella domanda.
Per il Cristallo.
Il suo cervello sembrava lavorare a velocità incredibilmente alta. Arceus valeva davvero tutto ciò? Per un istante si chiese se non fosse stata proprio una blasfemia come quella concepita in quell’istante la causa scatenante di ciò. Non sapeva rispondere.
La mano ancora premuta sulla sua bocca, gli occhi smeraldo spalancati e le pupille ridotte a puntini. Si sentiva immensamente piccolo. Il suo sguardo tornò sul primo uomo che aveva visto combattere. Si trovava accanto ad un precipizio. Mentre gli umani combattevano contro gli altri umani e i Pokémon contro altri Pokémon, l’Ingiusto in nero attaccava il guerriero in bianco con il suo Gengar.
Non è giusto.
Un Absol soccorse l’uomo, probabilmente era il suo allenatore. Sorrise, entrambi avevano un Absol con sé. Gli attacchi si susseguivano, mentre l’eroe venne a sua volta affiancato da un altro uomo, ed un esemplare di Scyther affrontava l’uomo in nero.
Green sarebbe stato felice di vedere un Scyther allenato in modo tanto prodigioso.
Pensieri di vita quotidiana, semplici, si sovrapponevano alle immagini di quel massacro. Zack concentrò la sua attenzione sulla lotta dei due uomini, come quel singolo scontro avesse potuto lavare via la bruttezza del restante campo di battaglia.
Va bene anche la vittoria del nero, ma non voglio vedere il resto della guerra. Due uomini che si uccidono sono abbastanza, non voglio vedere quello che accade all’intero esercito.
Forse erano pensieri vigliacchi, ma quella devastazione non poteva essere vera.
Si alzò lentamente, muovendo qualche passo verso lo scontro, cercando sempre riparo dalla loro vista. All’improvviso, il bianco sembrava aver messo a segno la mossa vincente. Come in una partita a scacchi, l’uomo dell’esercito bianco aveva messo alle strette il pezzo nero, stringendolo al burrone e minacciando di far precipitare l’avversario.
Ma in quel momento, una nuova forza a supporto degli Ingiusti si fece largo sul campo.

“Tu!” urlava Timoteo. “Non!” E diede un forte colpo con la spada sullo scudo di Adamo, che intanto stava indietreggiando. “Puoi!” ancora un colpo, che stavolta fece cadere per terra il biondo. “Fare così!” e con l’ultimo urlo, Timoteo rilasciò tanta potenza da distruggere lo scudo di Adamo in due parti.
Quello indietreggiava quanto più possibile, mentre nella sua testa viveva il pensiero che Timoteo, l’uomo che stringeva con forza assurda quella spada, ormai scheggiata per i colpi allo scudo, lo avrebbe ammazzato. La contesa era finita.
Aveva vinto lui.
L’ombra della rassegnazione lo stava ricoprendo a mo’ di piumone, e quasi gli penetrò nelle ossa, tanto da regalargli un brivido inaspettato.
Non avrebbe mai voluto uccidere qualcuno, Timoteo.
Era cresciuto con sani dettami; lui era un pacifico per natura. Ma Prima era in pericolo, e quindi doveva proteggerla. Arrivò Makuhita, gli ordinò di svegliare Haxorus, quindi alzò la pesante spada e la puntò alla gola di Adamo.
“È finita, Adamo” disse il templare.
Gli occhi del biondo malvagio si stavano riempiendo di odio e lacrime. La sabbia nella clessidra era quasi finita.
“Tu...tu non potrai fermare la distruzione. Siamo fatti per questo. Per rompere, per abbattere tutto ciò che è stato creato. Voi non capite che Arceus si ciba di voi. Vi utilizza come mezzi per vivere, riempiendo con la vostra felicità la sua pancia. Io so che per te è assurdo dare ascolto alle mie parole...ma io non voglio che nessuno possa controllare le mie volontà, sfruttare i miei stati d’animo, punirmi se sbaglio. Nessuno può punirmi”
Fu lì che Timoteo sorrise. “Lo sto facendo io, adesso”. Spostò di poco la spada, e lo colpì con due calci, uno al fianco ed uno nello stomaco.
I calci furono forti, e Adamo sputò sangue.
Era quasi finita.
E fu lì che Lionell disse “ora”.
Quell’ora significava una moltitudine assurda di cose. Significava che dovevano agire, entrare in battaglia, motivarsi velocemente, e vincere quel contenzioso, in modo da salire celermente al tempio.
Una marea di gente vestita di blu si riversò dalle campagne, con le Pokéball in mano. Ingiusti e Templari si fermarono a guardare attoniti, tanto che Timoteo non si rese conto che Adamo si era rialzato e si era allontanato dal precipizio.
“Forza, Ryan. Adesso tocca a te!” urlò Lionell, e con passò elegante si allontanò dal centro del conteso, avvicinandosi alle mille scale, che dovevano ancora diventare degli eroi.
Ryan mandò in campo Gallade, e prese a combattere contro vari Templari.
Uno di questi si avvicinò. Capelli biondi, ricci, e sangue sulle mani e sull’armatura. Era enorme.
“Chi siete?!” urlò quello. “Perché vi siete presentati qui? State andando contro il sommo volere del Dio Arceus!” urlava, quasi fosse sicuro che il suo avversario avesse problemi d’udito.
Ryan abbassò la testa. Fu un attimo, la convinzione di essere nel giusto lo investì come un tir a duecentocinquanta chilometri orari, e mandò in campo anche Flygon. Terra ed aria, avrebbe potuto controllare meglio il suo avversario.
“Adesso ti sconfiggerò! Vi sconfiggeremo! Vai Cacturne! Noctowl, aiutami anche tu!” urlava quello.
Ryan aveva studiato, e rimuginava su quei Pokémon. Cacturne, assieme a Noctowl e Lairon erano i Pokémon di Marcello. Ma voleva accertarsene.
“Sei Marcello?”
Quello spalancò gli occhi. “E tu come lo sai?!”
Ryan annuì. Davanti aveva un altro grande eroe. Con la loro venuta avrebbero fermato gli eventi ed avrebbero dato una nuova impronta alla storia. Marcello in realtà era morto ammazzato, dal Muk di Adamo.
Ora invece doveva essere Ryan ad occuparsene.
Si guardò le mani, cominciando a sentire l’ansia. Non aveva paura di perdere, anzi. Capiva che i Pokémon di Marcello non fossero eccezionali quanto i suoi e che lui non fosse un grande allenatore, ma quella era una guerra, non un incontro di Pokémon, e quindi oltre ai Pokémon, Ryan avrebbe dovuto sconfiggere anche l’allenatore.
“Fatti sotto!” urlò quello, sguainando l’enorme spada dal fodero ed avventandosi contro di Ryan.
Quello sbiancò per un momento, allargando la grossa iride rossa. Ragionamento veloce.
“Gallade, difendimi! Flygon, metti fuori gioco Noctowl!”
Gallade espose le braccia, come per far capire che se la sarebbe dovuta vedere con lui.
Marcello sferrò un grosso colpo sulle braccia di quello, ed un forte rumore metallico si sollevò.
“Confusione, Gallade!”
Sapeva che non era corretto. Sapeva tutto, Ryan. Ma Lionell doveva arrivare lì, sul Monte Trave, e lui doveva aiutare.
Marcello fu avvolto da un’aurea viola, e prese ad urlare dal dolore. La spada cadde per terra, facendo un tonfo sordo e metallico.
“Lasciami! Sei scorretto!”
“Lo so...” disse Ryan a bassa voce. “Mi spiace...”
Gallade lo fece volare lontano, e si rimise sull’attenti. Marcello ricadde pesantemente, ma non sembrava aver subito grossi danni. Si rimise in piedi, alzando quell’armatura che pareva pesare una tonnellata.
“No! Cacturne, vai con Sbigoattacco!”
E Ryan sapeva benissimo che quello Sbigoattacco era rivolto a lui. Quando il cactus partì, Gallade non fu in grado di fermarlo, e così l’allenatore dagli occhi rossi si ritrovò sul punto di portare le braccia davanti al volto per salvarsi.
Ma niente.
Lampent era lì davanti, ed aveva utilizzato un attacco Lanciafiamme contro il nemico, che ora stava bruciando per terra.
“Lampent...Rachel!” si voltò di corsa Ryan.
La ragazza era lì, con gli occhi ricolmi di lacrime. “Stavi...stavi per essere colpito” fece.
“Non preoccuparti, stai tranquilla...grazie”
E poi l’urlò di Marcello, che tornava alla carica con la spada in mano.
“Dannazione!” urlava, dopo aver saltato il corpo in fiamme di Cacturne. Volava, con la spada in mano, mentre stava per sferrare un forte colpo.
“Gallade, ancora Confusione!”
Rachel si avvicinò a Ryan, e guardò. Ormai anche Noctowl era finito K.O., e gli Ingiusti, assieme all’Omega Group, stavano facendo piazza pulita di vesti bianche. I corpi morti venivano lanciati oltre il precipizio, in modo da creare più spazio.
Marcello urlava, mentre la forza di Gallade lo portava allo stremo della resistenza.
“No! Marcello!” urlò Timoteo.
Gli si avvicinò velocemente, e lo afferrò per le anche, scuotendolo. Haxorus si avvicinò celermente al suo allenatore.
“Perché fate questo?” chiese Timoteo, con la sua voce grossa e cavernosa.
“Purtroppo il destino di questa battaglia ha segnato il nostro futuro” rispose Ryan.
“Voi state facendo incetta di vite. Come gli Ingiusti. Eppure non portate le loro armature, e non brandite nemmeno una spada”
“Ciò perché da dove veniamo noi le spade non si usano più”
Timoteo sobbalzò. “E...e come vi difendete?”
“Con le armi da fuoco. E con i Pokémon”
“Così...così anche voi usate i Pokémon come armi” sostenne Timoteo.
“Io...io no, non intendevo dire questo”
“Ma me lo stai mostrando”
Ryan spalancò gli occhi. E mentre Rachel rimaneva imbambolata, affascinata dallo sguardo e dalla voce dell’eroe, Ryan si rendeva conto di avere soggezione di quello.
“Io...io devo farlo. Altrimenti questo mondo non esisterà più tra mille anni”
Timoteo inclinò la testa.
“E tu che ne sai?”
“Noi...ebbene, noi veniamo dal futuro”
“Futuro?!” sobbalzò ancora Timoteo. Poi si voltò verso quello che parevano essere i resti di Cacturne, che bruciava ancora. “È forse questo il fuoco che mi porterà via?”
“Il...il fuoco che ti porterà via?” chiese Rachel.
“Prima, l’oracolo del tempio, ha predetto che il mio destino culminerà nel fuoco. Sarà questo fuoco ad uccidermi?”
Ryan guardò Rachel, poi tornarono ad osservare l’eroe. Marcello si stava rimettendo in piedi, mentre vedeva che il numero degli Ingiusti non era pressoché sceso. Tranne qualche sporadico guerriero, che avrebbe ceduto nel giro di qualche minuto, Ingiusti e persona dalla divisa blu stavano cancellando tutto il bianco da quella battaglia.
“Ora! È il momento di cambiare!” urlò Stark.
“Cambiare?!” si chiese Marcello.
“Rachel, sparisci!” urlò Ryan, ed immediatamente Gallade la teletrasportò lontana da lì, per poi tornare sul campo di battaglia. Subito dopo, l’Omega Group prese a bersagliare con gli attacchi dei propri Pokémon gli Ingiusti.
“Cosa?!” Adamo sobbalzò, quando vide che la ragazza con i capelli e la pelle scura, con la divisa blu, aveva preso ad attaccare il suo Muk.
“Che stai facendo?!” urlò.
Marianne non rispondeva, ed ordinava ai suoi Pokémon di continuare con gli attacchi.
Ryan fece un segno di assenso a Timoteo, ed insieme attaccarono gli ingiusti.

Timoteo non ebbe molta scelta. Tornò a bersagliare Adamo.
“Dove eravamo?!” domandò, mentre con un fendente di spada fece cadere per terra il nemico. Il forte colpo aveva ammaccato l’armatura.
“Timoteo!” Adamo riprese la spada, e parò i colpi con forza ed agilità.
“Gengar! Usa Pugnodombra!”
E così fece. Questo pugno attraversò la corazza di Timoteo, facendo saltare un battito all’eroe, che fu costretto a riprendere fiato con un grosso respiro.
“Ora!” urlò Adamo, che con il manico della spada colpì la fronte di Timoteo. Non voleva che morisse così. Doveva vedere il tempio in fiamme.
“Ad...Adamo...”
Absol, l’Absol di Timoteo, si presentò con velocità sulla scena, e prese a duellare come uno spadaccino contro Adamo. La velocità di quel Pokémon fu tale da costringere Adamo a giocare ancora sporco.
“Gengar! Usa Ipnosi su Absol!”
“No...” Timoteo si stava riprendendo, ma ancora non riusciva a rimettersi in piedi.
“No!” si sentì urlare. “Lucario, usa Pallaombra!”
Una luce nera anticipò la palla di energia oscura, che investì Gengar e lo fece ruzzolare oltre il precipizio.

 

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Capitolo 56
*** Capitolo 25 - Lacrime ***


Lacrime


Timoteo sgranò gli occhi, mentre si rendeva conto che la spada che stava usando diventava mano a mano più pesante. La stanchezza si faceva sentire, non sapeva da quante clessidre combattevano, ma aveva intenzione di finirla al più presto.
Lucario si presentò nel campo, seguito da Zack, dietro. Attorno c’erano tanti corpi esanimi, ed i pochi in piedi stavano combattendo tra di loro. Armature bianche non c’erano più. Gli unici due templari rimasti erano Timoteo e Marcello. C’erano circa duecento Ingiusti, e stavano combattendo contro un numero minore di membri dell’Omega Group, ma non riuscivano ad avere la meglio.
“Gengar!” urlò Adamo. “Ritorna qui!” Si sporse oltre il precipizio, e guardò il Pokémon fantasma risalire la parete rocciosa fluttuando.
Un ghigno apparve sul volto del capo degli Ingiusti. La guerra non era ancora finita. Tuttavia Marcello e Timoteo, assieme a quel ragazzo vestito in modo strambo con un Pokémon potentissimo, lo avevano messo con le spalle contro la morte.
Il precipizio.
“Chi sei?” chiese Adamo.
“Mi chiamo Zackary Recket. E vengo da terre...lontane. E sono venuto qui per aiutare Timoteo a difendere il tempio. Tutto questo in cambio di attenzione da parte di Arceus”
“Arceus è solo un Pokémon molto potente” rispose velocemente quello con l’armatura scura.
“Dove vivo io, gli effetti della sua ira si sono sentiti, ed ora terremoti ed onde giganti hanno raso al suolo tutto ciò che avevamo costruito con sudore. E questo è solo per colpa tua”
Adamo sospirò, poi fece un passo in avanti. L’Absol di Timoteo ringhiava. Zack ne era affascinato. Era davvero bellissimo.
“Quello che voi non capite è che le ambizioni bisogna divorarle, consumarle quando siamo vivi! Adesso! Vivere per qualcosa che si presume venga dopo non è vivere! È aspettare!” Adamo cercava di argomentare le sue azioni.
“Ma io sono libero di credere quello che voglio! Come anche tu del resto! Non vedo però il motivo di distruggere il tempio ed ammazzare uomini per via delle tue ambizioni!” urlò Marcello.
Adamo lo guardò. Odiava Marcello. Certo, odiava anche Timoteo, ma fra i due serpeggiava sempre l’ombra del rispetto, in virtù dei grandi guerrieri che erano. Marcello, invece, secondo Adamo, era un guerriero senza né infamia né lode, e quindi non meritava il suo rispetto.
“Devo farlo, Marcello. Devo portare avanti i miei ideali”
“E lo fai uccidendo altre persone, te ne rendi conto?”
“La distruzione fa parte del processo di creazione...” si sentì da dietro. I due templari e Zack si voltarono contemporaneamente. Era Nestore, presentatosi sul campo di battaglia.
“Gengar...” sussurrò Adamo, poi guardò Marcello. Gengar si insinuò nell’ombra di Marcello, e lo immobilizzò lì.
Quando quello provò a muoversi, e si rese conto di essere bloccato, spalancò gli occhi. “No! Timoteo attento!”
Velocemente la spada di Adamo penetrò nell’armatura, dietro la schiena del ragazzo con i capelli ricci e biondi. Marcello prese a sputare sangue, e poi si accasciò per terra, con ancora la spada dietro la schiena.
Timoteo aveva gli occhi più aperti che potesse. Cercava di capire cosa stesse succedendo, ed il cervello stava ordinando ai muscoli e a tutto il resto di reagire, ma il sistema nervoso era bloccato.
Tutto fermo. Sgomento, lui, guardava Adamo girare la spada nella ferita, e quindi ritirarla a sé, tutta sporca di sangue.
“Il sangue...il sangue di un...di un guerriero...” disse Zack, più spaventato di tutti.
Timoteo lo guardò. “Absol...pensa a Gengar...per quest’uomo la vita è un dono troppo prezioso”
L’ultimo templare rimasto sguainò l’enorme spadone, che tintinnò su quella di Adamo poco dopo.
“Adamo...mi raccomando...” disse Nestore, fiducioso. Poi prese una sfera in mano, e sorrise a Zack.
“Che...che cosa vuole fare?” chiese quest’ultimo.
“Voglio sconfiggerti, straniero”
Lucario si avvicinò guardingo a Zack. Lì bisognava avere mille occhi.
“Avanti, allora...”
“Benissimo. Il mio Darkrai aveva bisogno di un po’ di allenamento”
E poi davanti apparve il Freddy Krueger dei Pokémon. Darkrai, un Pokémon spaventoso. Sembrava essere sott’acqua, le parti nere del suo corpo si muovevano come mosse dalle correnti marine.
“Lucario...te la senti?”
Quello fece cenno di sì.
Le spade di Timoteo ed Adamo tintinnavano sotto il peso della loro rabbia ed i versi di sforzo di Gengar ed Absol contestualizzavano il tutto. Come se non se ne fosse nemmeno reso conto, Zack stava combattendo nella Battaglia del Plenilunio.
“A me non piace sporcarmi le mani con le spade ed il sangue. Ma quel Pokémon è incredibilmente forte, e lo bramo. Allora ti propongo una cosa: ove mai io vinca questo scontro, tu mi consegnerai il tuo Pokémon. Altrimenti io ti consegnerò il mio Darkrai.
Zack guardò Lucario. Di certo non era per la brama di possedere un Pokémon tanto raro quanto potente come Darkrai a spingerlo ad accettare una cosa del genere, bensì il desiderio di mettersi continuamente alla prova.
“Io credo in te, Lucario. Se tu vuoi, andiamo avanti. Insieme”
Lucario annuì, con il suo osso in mano.
“Bene” sorrise Nestore. “Presentiamoci con Funestovento”
E fu così che si alzò un forte vento. Soffi d’aria nera presero a coprire tutto ciò che c’era di visibile, tanto che ognuno riusciva a vedere solo sé stesso.
“Lucario! Tu puoi leggere l’aura! Leggi l’aura! Fallo!”
Lucario chiuse gli occhi e si concentrò. Tutto cominciava a diventare più tangibile, respiro dopo respiro. Percepiva tutto. Dal suo muso, fino all’osso che aveva in mano. Più lontano. Absol, il suo respiro. Le spade tintinnanti, Timoteo, ed una goccia di sudore che cadeva per terra. Una spada aveva trafitto qualcosa, ma non c’era tempo per soffermarsi sull’indovinare.
Doveva individuare Darkrai.
Il vento soffiava impetuoso, ma riusciva a sentire il rumore di quelle parti che si muovevano nell’aria, sospinte dal vento che lui stesso aveva creato.
“Lucario...sentilo” sussurrava Zack.
Lucario annuì, anche se Zack non lo vide, quasi come per dirgli “sì, amico, ci sto provando davvero”.
Nestore allora prese a ridere.
“Che vogliamo fare? Aspettiamo domani?”
Zack digrignò i denti. Nestore era la causa dei terremoti, delle morti ad Hoenn, a Kanto e a Jotho. Nestore era la causa di tanto sbattimento, di tanta ira, di tutto.
“Facciamo in fretta, Darkrai. Vuototetro!”
Era la mossa più potente e terribile di Darkrai. Era come se il tuo spirito venisse risucchiato nelle tenebre, e ti addormentavi, esanime. E Darkrai voleva portare Lucario proprio lì.
“Lo senti, Lucario? Cerchiamo di evitare tutto questo!”
Lucario sospirò, quindi sentì l’aura di Darkrai incanalare l’energia fino ad accumularla sotto i piedi dell’avversario.
Quello saltò, ed il vento oscuro cessò.
“Diciamo che...” Zack sorrideva. “Diciamo che un tipo buio non è proprio avvantaggiato contro il tipo lotta, eh?”
“Tipo?” chiese Nestore. A Zack non venne in mente che lo studio sulla combinazione tra tipi potesse essere avvenuto tempo dopo quell’avvenimento.
La faccia stupita di Nestore lo testimoniava.
“Ed anche se hai un Pokémon straordinariamente raro e forte...” Lucario fece una capriola in aria, per poi fermarsi a mezz’aria.
La luce negli occhi di Zack poteva illuminare tutta la valle buia al di sotto del Monte Trave.
“...il mio Pokémon è un campione! Usa Palmoforza!”
Nestore aprì la bocca stupito.
Fu quello il momento in cui Absol e Timoteo diedero contemporaneamente il colpo di grazia ai loro avversari. Gengar, esanime dopo vari attacchi, ricadde giù, seguito subito dopo dal corpo senza vita di Adamo. Si girarono entrambi, il tempo di vedere la potenza di Lucario abbattersi su Darkrai.
“Vai!” urlava rabbioso Zack. Un forte tonfo, poi polvere che si alzava. Un soffio di vento la spostò, e notò che Lucario fosse in ginocchio sul corpo senza forze di Darkrai, con la mano aperta sul suo petto.
Nestore era sconcertato. Era sicurissimo di vincere quella battaglia.
“Questo...questo non significa niente” fece. I suoi occhi erano la porta del suo umore. Incrinato, come le costole di Timoteo.
Quello si mosse lentamente e raggiunse Zack, mettendogli una mano sulla spalla.
“Bravissimo” disse l’eroe. Zack annuì in segno di rispetto.
“Tu...Timoteo! Ora è inutile vantarti di questa inutile vittoria! Hai sconfitto me, non il mio esercito! Quello sta ancora combattendo alle mie spalle!”
“Forse non hai visto bene quello che è successo...forse ti sei distratto, con questa lotta”
Nestore sospirava forte, ed impallidì quando si rese conto di quello che era successo.
Si voltò di corsa, e vide corpi su corpi, bianchi e neri, ma non uno in piedi. In lontananza c’era solo un gruppo, abbastanza esiguo, di persone vestite di blu, che si apprestava a salire sul tempio.
“Nestore...hai perso” disse Timoteo.
Quello digrignò i denti.
“E se non sbaglio, hai sfidato questo giovane facendo una scommessa”
Zack sorrise a sessantasette denti, soddisfatto di aver ricevuto Darkrai e di aver ritrovato la migliore intesa possibile con Lucario.
“Non gli darò niente!” urlò rabbioso Nestore.
Fu allora che Timoteo tirò fuori dal fodero la sua spada, e la puntò alla gola del marrano.
“Tanto a te non servirà più a nulla”
“Io...posso...posso renderti un uomo ricco”
Timoteo faceva segno di no, mentre lacrime e sudore si mischiavano sul volto di Nestore. Stava davvero per finire. Indietreggiava pieno di paura, mentre Timoteo lo seguiva con la spada.
Poi inciampò sul corpo esanime di Darkrai, trovandosi con i fondelli per terra.
Zack non aveva mai visto un uomo morire così. Ma Timoteo davvero gli tagliò la testa.
Abbassò il capo, come per scusarsi con qualcuno, quindi raccolse la sfera di Darkrai dalla mano ingioiellata di Nestore, che non oppose resistenza, e lo fece rientrare.
Zack guardava fisso negli occhi di Timoteo. Quello era serio, spigoloso, forte, grande.
Poi quello gli porse la sfera. “Tieni. Questo è tuo”
Zack stava tremando. Allungò la mano che vibrava, e poggiò le dita su quella sfera.
“Fanne quello che vuoi”

“E così ci hai seguiti anche qui?!”

Zack e Timoteo girarono velocemente la testa verso chi aveva parlato. La voce era familiare.
Almeno ad uno di loro.
“Ryan...” disse preoccupato Zack. Lucario accorse vicino a lui.
“Probabilmente non ti rendi conto di quello che succede. Non vuoi capire che c’è bisogno che noi completiamo il nostro piano. Dovrebbe rientrare nel tuo pensiero di autoconservazione. Perché vuoi ucciderci tutti?”
Zack sorrise. “E chi mi dice che tu non ci farai uccidere tutti?!”
“Perché io so cosa fare e quando farlo. Non vado a tentoni. Non con Arceus”
“Beh...e se ti dicessi che anche io so cosa fare?”
“Ti direi che sarebbe inutile. Lionell è già lì sopra e tra poco catturerà la vergine, costringendola ad evocare Arceus”
A Timoteo scattò la molla. “La vergine?! Prima! No!”
Ryan spalancò gli occhi non appena vide il Templare saltargli letteralmente addosso. “Gallade...”
Psichico.
Timoteo prese ad urlare con tutta la forza che gli era rimasta, tanto che, per lo sfinimento, si accasciò per terra, bagnandosi del sangue di Marcello, che giaceva a meno di un metro da lui.
“Ora siamo solo io e te” sorrise Ryan.
“Ma sei un totale incosciente?! Era l’unica persona in grado di salvarci!”
Zack e la sua rabbia scoppiavano, quasi fossero fuochi d’artificio.
“Finiscila di fare così. Stai solo perdendo tempo”
“Rachel è lì sopra, vero?”
“Sì. Ci sta aiutando”
“No! Dannazione! Ma come fa a non capire che Lionell la sta manipolando solo perché è il cristallo?”
“Lionell non sta manipolando nessuno...”
Zack sorrise. “Lionell sta manipolando tutti voi! Siete solo marionette del suo sporco e lurido gioco!”
“Ma di che stai parlando?! Folleggi”
“Io non sto folleggiando! Sei tu che hai perso di vista le priorità! Tutti noi le abbiamo perse! Rachel ora è da sola!”
Ryan sbattè lentamente le palpebre. Un piccolo serpentello si stava insinuando nella sua corazza di arroganza. E poi la rabbia per quel cigolio che sentì provenire dalle sue convinzioni esplose.
“Cazzo! Gallade, usa Psicotaglio!”
“Lucario, schivalo, presto!”
Gallade si gettò a capofitto in un attacco, ma ormai Lucario non era più quello della battaglia precedente. Lucario adesso era quello della rivalsa, della vittoria schiacciante.
Della consapevolezza dei propri mezzi.
“Usa Ossoraffica!”
Gallade di spalle, sbilanciato per l’attacco andato a vuoto, si ritrovò sotto una cascata di colpi d’osso. La rabbia che scaturiva dallo sciacallo pareva fosse immensa.
“Gallade! No! Teletrasportati alle sue spalle ed utilizza Zuffa!”
Detto fatto. L’ultimo colpo d’osso di Lucario andò a vuoto. Non fece in tempo a rendersi contro che l’aura di Gallade si era concentrata alle sue spalle, che fu colpito da una raffica di colpi assatanati.
“No, Lucario! Ribalta!”
Lucario afferrò l’arto superiore destro di Gallade, e lo girò, facendo perno sul piede, in modo da spingere Gallade con la schiena per terra.
Quello sentiva le sensazioni che Ryan provava. Rabbia e desiderio di vendetta.
Fu quasi automatico, quasi avesse letto nuovamente la mente del suo padrone, utilizzò l’attacco Psicotaglio. E stavolta andò a fondo.
Lucario rotolò indietro di qualche metro, ma si rialzò prontamente. Aveva sicuramente contribuito anche lo stress psicologico della battaglia vinta con Darkrai, ma Lucario provava una stanchezza immane.
E Zack lo sapeva. Sapeva anche che non doveva tirare troppo la corda. Perché tiri e tiri, ma prima o poi la corda si spezza.
“Lucario...ce la fai?”
Quello annuì.
“Ancora Psicotaglio, Gallade!”
“Lucario, vai con Forzasfera!”

E fu così che un’enorme esplosione catturò l’attenzione di Rachel, che saliva stanca quelle scale scoscese e mal costruite.
“Zack...” sussurrò. “...sei qui...” sorrise poi.

Gallade esanime per terra. Lucario no. Inginocchiato, mentre anche il semplice respirare stava per succhiare via gli ultimi residui di forza che gli erano rimasti.
Zack era soddisfatto.
“Bravissimo. Bravissimo. Sapevo che avresti fatto qualcosa di meraviglioso. Rientra ora”
E fu così che i due allenatori sgombrarono il campo dai Pokémon.
“Hai vinto solo questa battaglia. Ho ancora cinque Pokémon per te” disse Ryan, sfidandolo.
“Io sono qui”
“Vai, Bisharp!”
“Growlithe!”
Ryan sorrise. Quel cagnolino non gli incuteva timore.
“Bisharp, dobbiamo ammazzarlo!”
Zack se ne rese conto. La rabbia lo aveva fatto schiavo.
“Growlithe, usa Lanciafiamme!”
Bisharp evitò la mosse senza che neanche Ryan gli dicesse qualcosa.
“Ora! Vai con Ghigliottina!”
Bisharp era veloce, e con un grande balzo, si avventò su Growlithe. I guaiti del cane fecero rabbrividire Zack.
“Colpisci!”
“Vai con Fuocobomba!”
Fu proprio mentre le lame di Bisharp stavano per affettare il collo a Growlithe che quello si liberò tramite il potente attacco di fuoco. Quello non andò a segno, però ebbe l’effetto di allontanare quella strana e velocissima creatura.
“Bisharp, vai con Ferrostrido!” urlò Ryan, per poi tapparsi le orecchie con le dita.
“Growlithe! No!”
Zack fece in tempo ad emulare il suo avversario, ma Growlithe fu costretto a subire l’attacco.
Growlithe abbassò il volto, stringendo i denti e gli occhi, ed abbassando la guardia.
“Vai con Tagliofuria!” urlò Ryan.
Bisharp era velocissimo, e si gettò a capofitto su Growlithe, che dopo il primo fendente, subì un secondo, poi un terzo, un quarto e quindi un quinto attacco.
Bisharp saltò all’indietro, vedendo il cagnolino inerme, contento dell’ottimo lavoro fatto.
“Growlithe! No!”
Ryan rise a quel punto, ed i nervi di Zack volarono in alto, quasi come fossero delle colombe a sollevarli. Avrebbe voluto urlare forte, ma non voleva attirare l’attenzione di nulla che non conoscesse, e trovandosi fuori luogo in quel contesto decise di rimanere discreto e silenzioso.
“Growlithe!” si inginocchiò accanto a lui il ragazzo.
I tagli provocati da Bisharp erano grossi ed evidenti. Il respiro di Growlithe era affannato.
E poi fece IL ragionamento. QUEL ragionamento, quello che avrebbe dovuto fare per forza.
“Non...non riesco a capire come sia possibile...cioè, so che non sempre con il vantaggio sul tipo avversario si vince, ma...ma stavolta non riesco a capacitarmene...”
Growlithe tossì, ed aprì lentamente gli occhi.
Il suo amico. Il suo Growlithe, compagno di milioni di battaglie, avventure infinite sotto acqua, neve e vento, il sole infinito dei deserti, e le onde del mare in burrasca. Growlithe, quel Growlithe dorato, era sempre stato al suo fianco.
Era il momento.
Zack lo sapeva.
“Ti voglio bene. E sempre te ne vorrò...”
Mise mano alla cintura, fino a toccare il piccolo sacchetto di iuta. Lo tirò, strappandone il cotone che formava il piccolo nodo, ed afferrò la materia dura all’interno di esso.
La pietrafocaia al suo interno.
Lasciò cadere l’involucro del sacchetto, e guardò meglio quella pietra. Fuori, le venature rosse e gialle si intersecavano perfettamente, quasi come se una fiamma fosse rimasta intrappolata in un diamante.
“Questa...questa ti permetterà di diventare molto più forte...”
Growlithe aprì gli occhi. Lo sguardo stanco.
“Non che non abbia apprezzato il tuo lavoro. Ma Ryan, mi costa dirlo, è un avversario formidabile. Ed abbiamo bisogno di più forza. Tieni”
Zack poggiò la pietra delicatamente sul muso del suo amico, e prese a lacrimare lentamente. Chiuse gli occhi, e non riuscì a vedere quanto la pietra prese a brillare. Subito dopo Growlithe lo emulò, e si alzò all’in piedi.
La sua forma divenne più grande, più voluminosa, e parve che l’energia riprendesse a scorrere nel suo corpo rapidamente.
“Growlithe...rimarrai per sempre nel mio cuore!” urlò Zack. Quindi riaprì gli occhi.
Un Arcanine, dai colori dorati e gli occhi completamente rossi, era davanti a lui.
“Ciao”
Arcanine abbassò il capo, come cenno di saluto e rispetto.
“Bene! Finito questo patetico siparietto, possiamo andare avanti?”
“Direi proprio di sì. Arcanine, vai con Extrarapido!”
Il cane enorme scattò con una tale rapidità da aver preso di sorpresa anche Bisharp, il reattivissimo Bisharp, che sgomento finì per terra, ruzzolando.
“Bisharp! Rialzati! Usa Metaltestata!”
“Fondiamogli il cranio! Usa Ondacalda!”
Arcanine vide Bisharp in rapido avvicinamento, e dalla bocca rilasciò tanto di quel fuoco e di quel calore da colpire non solo l’avversario, ma anche parecchi dei cadaveri lì per terra, che presero a bruciare come candele.
Bisharp era per terra. Morente.
E sicuramente era fuori combattimento.
“Bisharp! No!” urlò Ryan.
“Arcanine! Sei stato mitico!”
Arcanine ruggì, facendo rabbrividire l’avversario.
“Non...non è finita qui! Ho altri Pokémon!”
“Ryan...potremmo combattere fino a dopodomani...ma potremmo anche utilizzare il nostro tempo per rendere il mondo un posto migliore. Dobbiamo fermare Lionell”
“Ma tu come sai che vuole appropriarsi di Arceus?!”
“Chiamalo sesto senso...” Zack abbassò lo sguardo. “...resta il fatto che ha rapito la mia Rachel. E la rivoglio. Ora. Puoi dirmi quello che vuoi, che non sarò mai né alla sua né alla tua altezza, che sono un inutile perditempo che cerca di metterti i bastoni tra le ruote da quando ci siamo conosciuti...te lo concedo. Ma stavolta vedila dalla mia parte. Stavolta pensa che non voglio andare contro di te. Voglio semplicemente poter addormentarmi stanotte e svegliarmi domani mattina accanto alla donna che amo”
“Zack...io...”
Lui gli porse la mano. “Non voglio più combattere. Voglio solamente finire questa storia. Sei con me?”
Ryan era stanco. Guardò il corpo di Timoteo per terra, che faticava a rimettersi in piedi, aiutato dal suo Absol, e poi sospirò. Tutti erano stanchi.
E tutti volevano la stessa cosa.
Modificare il passato per salvare il futuro.
“Andiamo sopra” disse Ryan, afferrando la mano del suo rivale.

Il tempio era davanti agli occhi di Rachel.
“Finalmente” fece Marianne.
L’ampio spiazzale in cima al Monte Trave sembrava molto più grande rispetto a quello dei giorni suoi: probabilmente qualche frana di troppo aveva minato alla grandezza originale del perimetro dove il tempio era stato costruito.
Un po’ di vento freddo soffiava forte, spostandole i capelli verso est. Quello sibilava, lamentoso e quasi dolorante, e Rachel ebbe un brivido, quasi a prevedere ciò che sarebbe successo.
Si girò lentamente, alle spalle le mille scale. Le mille scale degli eroi.
Le aveva già fatte una volta, con Zorua in braccio, ora non le sembravano più così faticose. Giù, c’erano due figure poco nitide che lottavano.
“No, sono quattro...” si corresse.
Due facevano tintinnare le spade. Altri due lottavano con i Pokémon.
C’era un grosso cane rosso e giallo.
Non sapeva di che Pokémon si trattasse. E mentre cercava nel suo Pokédex mentale una corrispondenza, Lionell si girò, dando le spalle al tempio, con quelle fiaccole che portavano il fuoco più luminoso e forte che avesse mai visto.
“Ragazzi. Ora che siamo qui possiamo davvero elevarci”
Linda annuì. Stark si pose accanto a lei.
“Dobbiamo fare quanto è nelle nostre possibilità per riuscire a prendere Arceus. Per catturarlo. E vi farò diventare così schifosamente ricchi e potenti che potreste anche smettere di lavorare per tutta la vostra vita”
Rachel e Marianne spalancarono gli occhi contemporaneamente.
“Come?!” fece la prima.
“Si. Adesso che siamo qui, posso svelare a tutti il mio piano. Arceus finirà di distruggere Adamanta, ed anche le altre regioni, se lo catturo. E diventerò la persona più potente di questa terra, se possiederò il Pokémon più potente di questa terra”
“Non...non erano questi i piani!” urlò Rachel.
“Rachel...tu ci sei preziosa, e non puoi tirarti indietro. Non adesso almeno, che sto per coronare il mio sogno di potere!”
“Io...io...lo sapevo che non dovevo fidarmi di te!”
Lionell rimase un attimo spiazzato.
“Rachel...hai appena fatto la stessa faccia di tua madre...il dolore...dai tuoi occhi leggo il dolore del tradimento”
“Tu...” e Rachel prese a piangere. E se quel mondo fosse stato in mano a Lionell, sarebbe stata la fine per tutti.
“Rachel...ti ripeto, tu hai un preziosissimo ruolo in questa faccenda”
“A che ti servo?! Sei qui ora! Hai decine di uomini che possono rivoltare questo posto da capo a piede! Per quale motivo ti servo io?!”
“Perché tu sei il cristallo, dannatissima Rachel!”
Quella sussultò, come se non lo sapesse. Ma nella sua mente si stava delineando quello che sarebbe successo davvero in futuro.
“Tu sei un uomo perfido...” disse a bassa voce.
“Prendetela, e legatela. Assicuratevi che non fugga. E adesso apriamo le porte di questo tempio, e catturiamo Prima”

“Sono qui fuori, Olimpia!” esclamò Sandra, guardando dalla piccola finestra.
La vetusta vergine si guardò intorno, cercando Prima con lo sguardo.
“Dov’è andata?” chiese poi, con calma irreale.
“È di là. Cerca di vedere Timoteo”
“Lei...lei e questo Timoteo...” Olimpia scattò velocemente, camminando per il corridoio buio, illuminato da qualche sporadica torcia qua e là, quindi girò nella penultima stanza, e vide Prima seduta sui bordi di una finestra. I piedi sul precipizio, mentre si manteneva ai montanti della finestra con le mani. Il vento spostava le sue gambe timorose, mentre lei, in lacrime ed impaurita, cercava di stare tranquilla, vedendo le fiamme che portavano quel fumo nero su, a superare quello scudo di alberi che le impediva la vista.
Tremava lei, e le lacrime le solcavano il viso. Timoteo non doveva vedere il fuoco.
Il fuoco l’avrebbe ucciso.
“Prima...Timoteo ha combattuto con onore...” disse Olimpia, cingendo l’oracolo per la vita.
“Timoteo è morto, vero?” chiese, mentre il pianto la dilaniava come fossero scosse di terremoto.
“Non lo so, Prima. Se domani saremo vive, ce ne accerteremo...”
Prima pianse ancora di più. La fede in Arceus non bastava.
“Qui fuori ci sono quasi trenta persone. Credo vogliano minare alla sicurezza del nostro dio. Credo che vogliano prendere Arceus”
“Lo vogliono tutti, ormai...”
Olimpia la fece scendere dalla finestra e la strinse. I polmoni della vecchia si riempirono d’aria quando sospirò.
“...Prima...”
Quella alzò lo sguardo. Gli occhi della donna erano sempre vispi, ma quella volta una stanca convinzione si era insinuata in quel viso.
“Io stanotte morirò, Prima. Morirò sicuramente”
Prima spalancò gli occhi. “No...non morirai”
“Queste persone entreranno nel tempio. Cercheranno di catturarti e di usare la forza per farti evocare Arceus tramite il cristallo”
“Ma...perchè?!”
“Perché Arceus è in grado di fare tutto. Ed un uomo che possiede Arceus possiede tutto. Ed io stanotte morirò, e non potrò proteggerti per sempre. Quindi ti prego, ascolta quello che sto per dirti. Sandra!” urlò Olimpia.
Nello sgomento, Sandra accorse, affannata, i riccioli davanti agli occhi.
“Si, Olimpia! Stanno per entrare! Stanno forzando la porta!”
“Adesso Abra vi teletrasporterà. C’è una grotta dietro le Cascate Armonia, che abbiamo predisposto per questi casi di emergenza. Prima, andrai lì. E tu, Sandra, occupati di lei, e fa che stia bene. Lei...ed il suo pargolo”
“Cosa?!” esclamarono insieme le due.
“Tu e Timoteo avete colto il frutto dell’amore. Il tuo ventre è pregno, adesso. Darai alla luce un bambino”
“Un...un bambino?” chiese dolcemente Prima, mentre la mano scese delicatamente sulla pancia.
“Già...Prima, concentrati...” Olimpia consegnò un cofanetto di pietra alla vergine (ops). “Questo è il cristallo. Proteggilo. Fai in modo che non vada a finire in mani sbagliate”

Poi Prima vide un uomo dalla bella presenza entrare in quella stanza. In mano una Pokéball, ma lei non sapeva cosa fosse.
Teneva stretta sotto il braccio destro una ragazza.
Una ragazza con gli occhi azzurri.
Straordinariamente somigliante a lei.
“Prima. Ora devi venire con me” fece.
Olimpia si piazzò davanti all’oracolo ed aprì le braccia.
“Esci subito da qui, o l’ira di Arceus ti perseguiterà fino a che non esalerai l’ultimo respiro”
L’uomo sorrise.
“Ho intenzione di esalare quanti più respiri è possibile”
La ragazza legata piangeva copiosamente. Indossava abiti che non aveva mai visto.
E nonostante fosse importante riuscire a parlare con Arceus, era più importante difenderlo.
Olimpia si rese conto che non c’era altra via d’uscita.
“Prima! Distruggi il cristallo!” urlò Olimpia.
“Cosa?!”
“Distruggilo!”
Sandra ebbe un moto di nervosismo vedendo la ragazza bloccata, impaurita per le parole della vetusta, e strappò il cofanetto dalle mani lemmi di Prima, lo aprì e fracassò il cristallo sul pavimento, inondandolo di frammenti luminosi bianchi, quasi si fossero svegliati la mattina dopo una nevicata fosforescente.
“Ora Arceus non può essere evocato!” urlò Olimpia. “Vai via!”
“Non c’è bisogno del cristallo. Anche noi abbiamo il cristallo”
Le parole dell’uomo fecero rabbrividire Prima.
“Vedete... Questa ragazza che ora ho qui legata... Lei è il cristallo”

 

 

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Capitolo 57
*** Ultimo Capitolo - The end has to come ***


The end has to come


Forse sarebbe stato meglio non alzarsi quel mattino. Rimanere nel letto, farsi gli affari propri, vivere una vita morigerata, aspettando la morte in santa pace.
E invece no, Rachel aveva voluto mettersi in quel fottutissimo casino.
E così si ritrovava legata, mantenuta da quella lurida cretina di Linda.
“Puttana...” le disse, girandosi e guardandola.
Linda sorrise, quasi schernendola per il fatto che tra le due una poteva muoversi e l’altra no.
“Stai zitta, altrimenti ti prendo a calci dietro la schiena”
Rachel spalancò gli occhi, e guardò avanti. Stavano prendendo Prima.
La legarono per i polsi, quindi la spinsero, fino a raggiungerla. I cocci del cristallo, riversi per terra, le avevano tagliato i piedi nudi. Prima sanguinava dalle piante dei piedi, lasciando come la scia dei suoi passi.
I suoi occhi erano pieni di lacrime, come del resto quelli di Rachel.
“Portatele all’altare” sentenziò Lionell, anticipandole con passo celere.
Dai suoi occhi malefici sembrava fuoriuscissero sangue e cattiveria. Agli occhi della figlia era diventato quasi grottesco, così alto, i capelli portati all’indietro da quello strano miscuglio di gel e sudore. Ed i denti acuminati, come un vampiro.
Scosse la testa, mentre sentiva i lamenti di Prima. Non aveva i denti acuminati.
Si chiese che fine avessero fatto Olimpia e Sandra, sicuramente sarebbero rimasti degli scagnozzi a fare in modo che non intralciassero i loro piani.
Camminavano per quel luogo vuoto. La solita torcia ogni tre metri illuminava d’arancione i loro volti, mentre i passi rimbombavano forti, come una goccia che cade nell’acqua di un lago sotterraneo dal soffitto di una grotta.
I volti delle due ragazze parevano dipinte da Munch, la disperazione, ma stavolta rappresentavano motivi differenti.
Mentre Munch voleva parlare della società, e della solitudine dell’individuo, loro si disperavano per qualcosa di più universale.
La vita di tutti, Rachel, e la fiducia mal riposta nelle persone.
Arceus, per Prima. Doveva proteggere Arceus.
 
Entrarono nella stanza dell’altare. Questo sostava centrale, di marmo bianco, unica star di quel palcoscenico.
Dello stesso materiale erano le file di colonne che accerchiavano l’altare.
Ai quattro punti cardinali le colonne erano più grosse e spesse, prive di entasi, che quasi sembravano cadere addosso a chi sostava sotto.
“Legatele lì!” urlò Lionell.
Linda si fece da parte, mentre due energumeni legavano l’oracolo ed il cristallo alla colonna proprio davanti all’altare.
Entrambe messe lì. Entrambe in lacrime.
Prima con la sua veste bianca, sporca di sangue e polvere, mentre il volto a pezzi e sconvolto dalle lacrime era nascosto da qualche ciocca di capelli qua e là.
Rachel, invece, indossava il giubbino che aveva indosso sulla Vetta Lancia, strappato, per via di qualche strattone di troppo da parte di Linda.
Sospirò, Rachel, quando i nodi potenti le costrinsero polsi e vita.
“Prima...” la chiamò lei, con la voce sconquassata.
“...come ...come fai a conoscermi?”
“Io ti conosco perché... non ha importanza perché... Prima, tu devi resistere. Non morire e non cedere ai ricatti ed ai soprusi di Lionell”
“Chi è quest’uomo?”
“Mio padre”
“E ti tiene legata qui? Così?”
“A lui non importa di sua figlia, o di altri legami. Sua moglie, mia madre, è morta chissà come e lui è ancora qui, a spendere del tempo cercando di catturare Arceus e di fare del male a tutti”
Prima sbatté quegli occhi di smeraldo, le lacrime imperlate come in una collana lunga sulle sue guance. La luce di una fiaccola li faceva risplendere.
“Il potere è qualcosa di vano. Alla fine è la bontà che lascia il ricordo nella mente delle persone. Lionell potrà anche catturare Arceus, e conquistare questo mondo, ma non rimarrà per sempre nei cuori delle persone... come Timoteo, per esempio. Lui è qui” si indicò il cuore con la punta del naso.
Rachel rifletté su quelle parole.
Timoteo era nel cuore di Prima.
Ed il Timoteo di Rachel si chiamava Zack. Era il suo eroe. Contro tutto e tutti aveva sfidato il tempo e la sorte pur di raggiungerla, pur di salvarla dal destino che quello che biologicamente era suo padre le aveva prefissato.
Zack era arrivato lì, lei lo sentiva.
Zack la avrebbe salvata. Perché Zack era potente, sì, ma anche buono. E come Timoteo con Prima, sostava nel suo cuore.
Lionell sistemò tutto ciò che doveva essere sistemato, quindi fece uscire tutti gli scagnozzi da quella stanza.
“Allora... Prima. Dobbiamo evocare Arceus” fece l’uomo.
“Senza cristallo non si può. Senza cristallo non sono che un’inutile persona”
Rachel sussultò. Nessuna persona è inutile.
“Ti ho già detto che il cristallo è qui...” voltò lo sguardo lui. “...accanto a te. Lei è il cristallo”
“Lei... lei?!” gli occhi verdi di Prima si spalancarono, e fu quasi come se illuminassero quella stanza.
“Sì”
“E com’è possibile?!”
“Vuoi dirglielo tu, Rachel?”
Prima voltò lo sguardo verso quella donna che tanto le somigliava. L’una accanto all’altra facevano impressione. Sembravano gemelle; la stessa persona foto montata con due vestiti differenti.
“Tu... tu, in un altro ipotetico futuro, hai trovato il modo per far sparire il cristallo, e trasferire il suo potere all’interno del tuo bambino... in questo modo chiunque provenisse dal tuo ventre, sarebbe diventato il cristallo”
“Quindi... quindi tu...”
“Sì. Io sono una tua discendente”
Lionell ghignava. “Ora che gli altarini sono stati scoperti, voglio che tu utilizzi Rachel per evocare Arceus, e farlo venire qui”
“Io non lo farò mai!” urlò rabbiosa Prima.
Quello si avvicinò lentamente alla ragazza, fissandola negli occhi. Il suo volto vitreo rimbalzò sulla candida giovinezza di quella donna leggendaria, e poi lo frantumò, tirandole un grosso ceffone.
Prima sussultò, soffocando solo in parte un urlo, dovuto più alla sorpresa che al dolore.
“Sei un vigliacco! Te la prendi con noi solo perché siamo legate!” urlò Rachel.
Lionell girò lentamente la testa verso di lei, e la trattò con la stessa moneta.
“Se Timo... se Timo fosse qui...”
“Io credo che Timo sia già qui...” sorrise ancora Lionell.
“Cosa?! Timo è vivo?!” spalancò ancora gli occhi Prima.
Lionell fece un cenno, e dalla porta entrarono, anch’essi legati, Zack e Timoteo. Non avevano la forza per stare in piedi, il volto tumefatto ed i lividi su tutto il corpo. Anche senza armatura, Timoteo era enorme.
“Timo! No! Timo!”
“Zack!” esclamò contemporaneamente Rachel. Strinse i pugni sulla corda, cercando di trovare il modo per liberarsi, ma nulla da fare. Nodi di marinaio, nodi eterni.
 
Timoteo era in uno strano mondo, fatto di voci e luci luminose, anche se strane. Sentiva le mani legate, ed il piacevole torpore dei muscoli liberati dal peso dell’armatura.
“Timo! No! Timo!”
Era la sua voce.
Quella voce delicata, liscia, dolce, che non si sarebbe mai stancato di sentire.
Era la voce di Prima.
“Zack!”
Quella voce era simile a quella di Prima, ma non era quella di Prima. La sua voce era inimitabile. La sua voce era fantastica.
In quello strano mondo di voci e luci la guerra era finita, ed avevano vinto. E non serviva più che Prima stesse nel tempio, potevano vivere in una casa tutta loro, dove lei badava ai bambini, accanto alla bottega d’artigiano che possedevano.
Sì, Timoteo sapeva maneggiare molto bene il legno, farne sedie, tavoli, e tutto ciò che serviva.
Il tempo era qualcosa di strano, in quel mondo: andava e veniva, come un pendolo.
E verso la fine di quelle oscillazioni, prima che il pendolo si rompesse, vedeva lui, che con un coltellino ricurvo, intagliava una piccola statuetta del suo Absol, e la donava ad una piccola bambina, dagli occhi azzurri e dai lunghi capelli neri.
“Timo ti prego!”
La voce lo pregava. Qualcosa non andava. Doveva uscire da quel mondo, anche se lì si stava bene, faceva caldo e la luce era confortevole.
Aprì lentamente gli occhi, e la prima cosa che vide fu quel ragazzo con la bandana in testa.
Non ricordava come si chiamasse.
Non lo ricordava proprio... però vedeva il suo volto viola, pieno di lividi. E sangue che cadeva dalla sua testa.
Sbatté leggermente le palpebre, in background c’erano sei gambe. Due erano di Prima, i piedi insanguinati ed il turbamento che cresceva in lui. Accanto altre gambe, coperte da strani indumenti. Era però una donna, lo si capiva chiaramente dalla forma allargata del bacino.
E poi un uomo.
Alzò lo sguardo lentamente, nessuno si era reso conto che i suoi occhi fossero aperti.
Era quell’uomo! E se ne accorse con così tanta rabbia che il suo respiro parve uscirgli dal corpo e randellare quel bastardo.
Prima piangeva.
“Perché piangi, Prima?”
Ma la sua voce era talmente fioca che nessuno riuscì a sentirla. Forse nemmeno lui.
 
Lionell prese a camminare lentamente per la stanza. Era uno strazio, per Prima.
Si avvicinò ad una parete, e prese una grossa spada.
“Questa... è affilatissima” ammise a sé stesso Lionell, quasi non volesse farsi sentire. Guardò Timoteo e poi Prima.
Lentamente armeggiò con quella spada, muovendola con eleganza, fino a quando non raggiunse la colonna dove c’erano le due. Puntò la sommità affilatissima di quella spada contro la testa di Prima.
Il respiro della donna rallentava lentamente, quasi fosse la paura a trattenerlo dentro, con la forza, e quando la punta gli toccò il collo, le labbra presero a tremarle.
La paura di morire era troppa. Ma lo sguardo di Lionell scese, sembrava lussurioso, sul corpo di quella. Carezzava con lo sguardo i seni velati delicatamente dalla tunica della donna, e con la spada scese, fino a fermarla sul ventre.
“Qui c’è qualcosa?”
“Ti prego, no!” urlò Rachel.
Prima era immobile, solo il suo respiro pareva scalpitasse, ma il suo sguardo era proiettato verso Timoteo, quasi fosse un ultima velatissima richiesta di soccorso all’uomo che più la faceva sentire protetta.
E Lionell se ne accorse.
“E così... tu ed il templare... ve la intendete?” chiese sorridendo quello. Staccò la spada dal ventre della donna, e Rachel ebbe un momento di sollievo, tanto che le gambe stavano per cedere.
“Timo...”
“La spada è molto affilata... potrei tranquillamente passarla da una parte all’altra del suo collo, Prima, se volessi”
“No, ti prego” sussurrava a bassa voce.
“Se tu evochi Arceus, lo lascerò vivere. A te la scelta”
Prima scoppiò nel pianto. Guardò Rachel, che ingoiava un boccone amaro, dato che aveva già capito tutto.
Sapeva.
Lei sapeva che una donna innamorata era capace di tutto. Anche di autodistruggersi, se avesse potuto, per salvare la vita dell’uomo che viveva nel suo cuore.
“Prima... ti prego...” le disse Rachel.
“Mi spiace...” e poi strinse gli occhi in maniera quasi esagerata.
 
Fu allora.
 
Rachel si sentì pervadere da un’energia senza eguali, come se il cuore avesse voluto scappare dal suo petto, ed un misto di dolore e piacere la investì.
Prima prese ad urlare, le mani dietro la colonna, legate con la corda, tremavano.
“Ar... Arceus!” urlò.
Lionell fece un passo indietro. Prima prese ad illuminarsi, e la luce che esplose successivamente inondò tutto.
L’urlò di Prima era l’unica cosa che manteneva Lionell alla realtà.
Poi un’enorme esplosione, la luce si ridusse pian piano, anche se una macchia luminosa rimase sui suoi occhi per parecchi minuti ancora.
Il tetto prese a crollare. E Lionell fu sbattuto per terra.
Energia. Troppa energia.
“Arceus!” urlò ancora Prima, mentre stavolta anche Rachel sentì il dolore, e prese ad urlare come lei.
Lionell aprì gli occhi, e mentre il tetto crollava sull’altare, Arceus era davanti a lui.
 
“Chi sei?”
La voce di Arceus era profonda e penetrante.
“Mi chiamo Lionell. Lionell Weaves”
Lionell indietreggiava, guardando l’enorme figura che gli si era presentata davanti. Era enorme, Arceus. Una sorta di cavallo, ma chiunque avrebbe pensato tre o quattro volte prima di chiamare cavallo quel potentissimo Pokémon.
Le zampe a punta, eleganti, salivano fino al corpo, bianco e sinuoso. Gli occhi rossi, e poi più dietro quel verde che lo contraddistingueva. Il volto scuro, e gli occhi che risaltavano al buio di quella notte, mentre qualche fiaccola creava atmosfera.
La ruota che aveva attorno alla vita era gialla, ed i quattro cristalli verdi che aveva gli ricordavano davvero quel piccolo pendaglio che apparteneva a Zackary Recket.
Insomma... Lionell era carico. Guardava il Pokémon con brama, voleva catturarlo.
Voleva usare il suo potere.
“E perché mi hai fatto evocare?” chiese quello. La voce di Arceus rimbombava forte e cavernosa.
“Perché voglio catturarti”
Il silenzio, poi tutto si illuminò. Arceus si stava scagliando contro Lionell con enorme velocità.
Fu un attimo, nella testa di Lionell girò qualche ingranaggio e si mosse repentinamente, per prendere due delle sue sfere.
Mewtwo ed un Charizard, di quelli grigi, uscirono dalle sfere.
Mewtwo mise subito in pratica l’attacco Barriera, facendo schiantare Arceus contro una parete d’energia. Quell’istrionico Charizard prese a volare velocemente, alzandosi in aria ed uscendo fuori, per avere più spazio di manovra. Prese a bombardare Arceus con vari Lanciafiamme.
Questo bastò a Lionell per tenere il suo avversario occupato quanto bastava per prendere le altre Poké Ball.
Era scorretto, certo, ma non era una novità. Lionell doveva catturare Arceus. Costasse quel che costasse.
E quindi mandò in campo anche Dialga e Palkia.
“Benissimo! Dialga! Fragortempo! Palkia Fendispazio!”
Fu solo una grandissima esplosione. Arceus si ritrovò bersagliato da attacchi su tutti i fronti, impossibilitato a muoversi, mentre Rachel e Prima piangevano, legate alla colonna.
 
I nodi le segavano i polsi, ma Rachel non se ne accorgeva. Con gli occhi velati da lacrime e rabbia guardava lo scontro fra Lionell e Arceus, rendendosi conto di non poter essere altro che una mera spettatrice nella battaglia che avrebbe sconvolto il destino del mondo. Non vedeva nemmeno più Zack, nascosto dall’enorme e possente corpo di Timoteo. Diede uno strattone alle corde, sentendo la iuta che formava la corda stringerle la carne viva del polso. Soffocò un grido, lasciandosi sfuggire qualche lacrima. Prima, accanto a lei, sembrava come priva di volontà. Gli occhi smeraldo, velati anch’essi dalle lacrime, osservavano Arceus, impegnato nella lotta contro Lionell, e sussurrava vano qualcosa che la ragazza non riusciva a capire.
Scosse la testa con veemenza, lasciando che alcune lacrime cadessero sul pavimento. Non poteva finire così. Non lo accettava. Cercò di distogliere lo sguardo dalla lotta per concentrarsi solo su ciò che aveva nei paraggi. Osservò i nodi che aveva già intuito non fosse possibile sciogliere dalla sua posizione. Poi mise a fuoco i detriti che la circondavano. Ancora, guardò con la coda dell’occhio Linda.
Per quanto fosse estasiata dalla lotta che si svolgeva davanti a lei, non mancava di riportare la sua attenzione sulle prigioniere ogni due o tre secondi. Troppo poco perché Rachel riuscisse a prendere uno dei frammenti del cristallo, per terra, e a nasconderlo. Senza contare che il movimento avrebbe allo stesso modo attratto la sua attenzione.
Sussurrò un’imprecazione.
Non poteva farcela.
Da sola era impossibile sfuggire sia allo sguardo della donna che alle funi che la legavano.
Appoggiò la testa alla colonna alla quale era legata. Arrendersi sembrava l’unica soluzione possibile. Ma era proprio l’unica via che la ragazza non accettava di seguire.
 
Ryan camminava nel lungo corridoio illuminato dalle sole torce.
Negli occhi ancora l’orrore della vile cattura di Zack. Fortunatamente era saltato in un cespuglio, altrimenti lo avrebbero marchiato come un traditore.
Cosa che in effetti era.
“Non sono un traditore...” si ripeté. “Ho scelto ciò che più è giusto...”
Da quando si era diviso da Zack, aveva continuato a chiedersi se fosse stato giusto separarsi da lui. Dopotutto loro erano lì per salvare il mondo, no? Lionell aveva progettato tutto in modo da tenere anche Rachel al sicuro, giusto?
Eppure non riusciva a stare tranquillo. Immensi boati provenivano dalla stanza davanti a lui, e le vibrazioni si propagavano in ogni dove, facendo cadere polvere e detriti dal soffitto. Dopo qualche metro, finalmente scorse la luce della Sala dell’Altare. Senza nemmeno rendersene conto iniziò a correre, fino ad arrivare alla soglia della sala.
Per un istante si chiese cosa stesse succedendo. Il tetto era crollato, così come alcune colonne. Al centro della sala, i Pokémon di Lionell ed un Pokémon che non aveva mai visto dal vivo combattevano ferocemente fra loro, sotto lo sguardo estasiato del signor Weaves. Istintivamente si ritrasse, distogliendo lo sguardo. Era ovvio cosa stesse accadendo, Lionell stava combattendo contro Arceus.
Lentamente rialzò lo sguardo, notando particolari che prima non aveva notato. Timoteo e Zack legati, gettati a terra dietro una colonna.
Dall’altra parte della sala, invece, notò quello che stava cercando.
Rachel era legata a sua volta, bloccata ad una colonna assieme ad un’altra donna. Notò solo vagamente la loro somiglianza, accecato com’era dalla rabbia. Avrebbe voluto gridare a Lionell, chiedergli cosa stesse facendo e che tutto ciò fosse assurdo, ma non poteva farlo. Zack aveva ragione, era stato ingannato fin dall’inizio. Quindi era ovvio che l’unica cosa che avrebbe ottenuto da quell’uomo sarebbe stata la derisione e non solo. Nella peggiore delle ipotesi non ci avrebbe messo niente a sbarazzarsi definitivamente di lui.
Si nascose, sapendo che nonostante tutto nessuno lo avrebbe notato e iniziò a pensare al da farsi. Rachel era sorvegliata da Linda, quindi prima di tutto doveva distrarre la donna. Un altro boato lo costrinse a tapparsi le orecchie e ad abbassarsi. Doveva muoversi, qualunque fosse stato l’esito, lo scontro non sarebbe durato in eterno. Doveva allontanare Linda. Cosa difficile visto che si sarebbe insospettita se non avesse detto nulla sulle condizioni di Rachel. Si morse un labbro, prendendo la sfera con Manectric. Avrebbe mandato lui a chiamarla e l’avrebbe portata qui e con calma l’avrebbe messa KO. Era l’unica idea che poteva elaborare in quel momento. Respirò a fondo, nascondendosi più a fondo nel corridoio e dando istruzioni al Pokémon, che partì.
 
Linda osservava lo scontro estasiata. Era al fianco di Lionell da anni, e nonostante tutto rimaneva sempre sorpresa dalle incredibili capacità che quell’uomo mostrava. Proprio adesso stava mettendo in ginocchio un dio. Però anche lei aveva il suo dovere, quindi ogni tanto (quando pensava di potersi perdere una frazione di secondo dallo scontro) rivolgeva la sua attenzione alle prigioniere. Fortunatamente sembravano abbastanza rassegnate da non tentare nessun colpo di testa, cosa che la rendeva immensamente felice e che le permetteva quindi di lasciare più tempo allo spettacolo. Proprio dopo aver dato l’ennesima occhiata alle due, qualcosa iniziò a tirare un lembo della sua divisa. Si voltò, infastidita, notando un Manectric che con aria seria continuava imperterrito a tirare il tessuto azzurro.
Il suo fastidio terminò di colpo. “Questo... questo Manectric è di Ryan!”
Lo osservò titubante per qualche secondo, indecisa sul da farsi. Lionell stava combattendo, ma Ryan aveva mandato il suo Pokémon a cercarla. Magari era successo qualcosa, magari era ferito, o magari qualcuno aveva fatto irruzione al tempio e in quel caso sarebbe stato davvero un bel problema. Un problema di cui era stata avvisata e che aveva volutamente ignorato. Portò il pollice alla bocca, mordendo l’unghia curata. No. Non poteva permettersi di ignorare la cosa. Si chinò verso il Pokémon.
“Sta succedendo qualcosa?” chiese.
Quello annuì, indicando col muso il corridoio.
“Ho capito”
Linda strinse i denti, e buttò un occhio alle prigioniere, quindi, solo alla fine, un lungo sguardo sconsolato alla lotta.
 
Ryan dovette attendere meno del previsto. Linda arrivò seguendo Manectric, che poi le rimase dietro quando la giovane si avvicinò al suo allenatore.
“Ryan... sei qui?”
Linda lo fissò interrogativa. Se stava succedendo qualcosa perché era qui, da solo, al buio? In più... In più sembrava evitare il suo sguardo, fissando un punto non precisato del muro di fronte.
“Mi... Mi era sembrato di capire che stesse succedendo qualcosa” disse, sempre più confusa.
“Infatti”
La voce fredda del ragazzo la gelò sul posto. Sì, stava decisamente succedendo qualcosa, ma si rese conto di aver totalmente frainteso al situazione. Istintivamente mise mano alle Poké Ball, ma quello le bloccò il braccio.
“Credi davvero che te lo lascerei fare?”
Il cervello di Linda lavorò in fretta, probabilmente era arrivato anche lui alla Sala dell’Altare e aveva visto Rachel legata. Doveva uscirne in qualche modo, quel ragazzo era parecchio pericoloso specialmente se vedeva la ragazza minacciata.
“Ryan... credimi posso spiegare...”
Doveva inventarsi qualcosa in fretta, ma quello le bloccò anche quell’unico tentativo.
“Oh, sono sicuro che lo farai, quando ti sarai svegliata.”
Il sorriso freddo del ragazzo e i suoi occhi cremisi furono l’ultima cosa che Linda vide prima che una forte corrente elettrica attraversasse il suo corpo e le facesse perdere i sensi.
 
Il ragazzo sollevò la giovane, poggiandola al muro. Controllò le sue tasche, togliendole i Pokémon che aveva preso a Rachel e prendendo i suoi, di Pokémon. Mentre cercava trovò un oggetto freddo nella sua tasca, tirandolo fuori ed esaminandolo alla luce della torcia lo riconobbe.
Era una Neropietra. Sorrise, osservando la Pokéball del Lampent della sorella.
Ora doveva correre. Mise in tasca le sei sfere di Linda, e si mosse rapido verso la fine del corridoio.
Entrò nella stanza, attento a non attirare l’attenzione. Vedeva Zack e Timoteo, stesi per terra senza forze. A loro avrebbe pensato dopo. Le colonne disposte a cerchio attorno all’altare gli avrebbero garantito di passare inosservato.
Arceus stava soffrendo parecchio. I suoi attacchi parevano tutti bloccati da parte dei Pokémon di Lionell. Sgattaiolò lentamente dietro le colonne fino ad arrivare dietro quella dove Prima e Rachel erano legati.
L’oracolo emanava luce. E si stupì per questo.
 Quando Rachel lo vide sembrò voler dire qualcosa, gli occhi le brillavano, ma lui le fece cenno di restare in silenzio. Aiutandosi con la Neropietra segò la corda che bloccava le due, avvicinandosi poi alla ragazza.
“Dobbiamo essere veloci. Questi sono i tuoi Pokémon, e questa è una Neropietra, serve a far evolvere alcuni Pokémon, fra cui il tuo Lampent. Prendila, usala nascosta dietro la colonna e porta lei al sicuro.” parlava quasi senza riprendere fiato, indicando poi la donna.
“Io interferirò con lo scontro, voi invece controllate in che condizioni sono Zack e Timoteo, prendeteli e scappate. Non voltatevi indietro. Per il corridoio troverete Linda, svenuta... se ce la fate, portate via anche lei. Non so cosa accadrà a questo posto.”
Man mano che parlava Rachel lo guardava sempre più confusa, poi spaventata. Le tremò la voce quando, con gli occhi umidi quando poi si rivolse al fratello.
“Ryan... cosa... cosa hai intenzione di fare?”
Quello, con gli occhi ulteriormente arrossati dalla fatica,  guardò a terra.
“Ho combinato troppi casini, Rachel. Ti ho messa nei guai, ti ho trascinata nel bel mezzo del pericolo... e me ne sono accorto tardi. Ora non credi che sia venuto per me il momento di rimediare?”
Rachel scosse la testa. No. Non sarebbe riuscita ad accettare anche quello.
“Sei stremato. Ed anche i tuoi Pokémon. Non ce la faresti. E io... io non lo accetterei. Quindi per favore, pensa tu a Prima, pensa all’Oracolo e a Zack e Timoteo... Lionell è mio padre. Lo fermerò io”
Prima guardava i due, confusa. Quelli erano decisi a sacrificare sé stessi cercando di salvare l’altro.
Tuttavia la ragazza aveva ragione. Il giovane dai capelli dorati non avrebbe retto a lungo. La battaglia intanto continuava ad infuriare e l’Oracolo temeva per Arceus.
“Ragazzo, vieni con me. Lei... ha ragione. Non puoi combattere. Ma puoi ancora salvare qualcuno... Non so che cosa tu abbia fatto per farti credere di meritare la morte come unico mezzo per riscattarti, ma... Ma di sicuro non è stato così terribile. Anche se fosse solo tua la causa di questa situazione, non sarebbe affatto una compensazione ma un sacrificio inutile. In questa battaglia si sono perse molte vite. Non aggiungere anche la tua a quel conto.”
La donna gli offrì la mano, guardando Rachel.
“Il nostro Dio Arceus non può perdere contro quell’uomo... questo è quello che vorrei dire, ma nonostante tutto sento che siamo tutti in terribile pericolo... Vorrei dire anche a te di non andare, ma guardo i tuoi occhi e vedo lo stesso sguardo del mio Timo. Chissà, forse è vero che nonostante tutto sei una mia discendente. Mia e del bambino che porto in grembo, perché altrimenti non potrei spiegarmi questa somiglianza... Quindi voglio che tu vada. Scendi anche tu in campo e combatti per coloro che vuoi proteggere. Sei il Cristallo che ha sconvolto il mondo, quindi forse in te hai davvero il potere di realizzare un miracolo”. Prima parlò con gli occhi a sua volta umidi, circondando con un braccio le esili spalle della ragazza che aveva di fronte.
Rachel annuì, chiamando i suoi Pokémon fuori dalla sfera e avvicinando la Neropietra a Lampent, che iniziò a brillare, ingrandendosi e cambiando la sua forma, fino a trasformarsi in uno Chandelure.
“Io attirerò l’attenzione di Lionell su di me. Voi due muovetevi in fretta. Ryan, qualunque cosa accada... Perdonami. Non è stata colpa tua. L’unica che è stata in errore, fin dal principio sono stata io. Se non fossi scappata fin dall’inizio... o magari se semplicemente fossi stata in grado di accettare tutto fin da subito non saremmo arrivati a questo punto... Però... però nonostante tutto, va bene così. Probabilmente, se avessi una seconda possibilità non cambierei nulla della strada che ho percorso.. forse...forse non lascerei Zack... ti prego, salvalo. Ma non sono pentita delle mie scelte. Rifarei davvero tutto. Dovessi anche ritrovarmi in questo preciso istante altre infinite volte”
Rimase un attimo in silenzio, guardando la battaglia che aveva di fronte e che in qualche modo avrebbe dovuto fermare.
“E altre infinite volte, adesso, prenderei sempre e comunque la stessa decisione!” urlò.
Corse verso lo scontro, seguita dai suoi Pokémon e lasciandosi alle spalle Prima e Ryan. Ce l’avrebbero fatta, ce l’avrebbero fatta e avrebbero portato al sicuro Zack. Questo era tutto ciò che contava e che non doveva assolutamente dimenticare.
 
Rachel guardava i Pokémon combattere fra loro, chiedendosi come poter fermare quella muraglia di Pokémon avversari. Fermò il tremore alle gambe con la sola forza di volontà. I suoi avversari non erano quei Pokémon giganteschi, ma quel minuscolo uomo che li comandava.
“Lionell!” gridò con quanto fiato aveva per sovrastare il rumore. Quello si voltò lentamente, osservandola come se la vedesse per la prima volta. La giovane si stagliava su uno sfondo di distruzione, con i suoi Pokémon alle sue spalle e Zorua al suo fianco.
“Cosa avresti intenzione di fare?” chiese quello calmo.
“Mettere fine a tutto questo. Non ti permetterò di catturare Arceus. Non ti permetterò di distruggere tutto.”
Quello rise, divertito.
“Meraviglioso, ma... mi chiedo come tu possa riuscirci. Ti reggi a stento in piedi, senza contare che nessuno dei tuoi Pokémon è in grado di affrontare i miei.”. Mise poi mano alla cintura, mandando in campo due Poké Ball contenenti un Alakazam ed un Gengar.
Rachel deglutì. Non poteva perdere troppo tempo con i pesci piccoli, per quanto fossero tutto tranne che piccoli. Avrebbe dovuto calcolare al meglio le forze. Dopo alcuni istanti di silenzio decise. Era una scommessa rischiosa, ma non poteva fare altro.
“Zorua, noi due affronteremo Gengar e Alakazam! Zebstrika, tu occupati di Charizard! Chandelure tu dovrai vedertela con Mewtwo, Metagross penserà a Dialga mentre Tyranitar, visto che si è evoluto da poco,  affronterà Palkia con Carracosta! Dobbiamo aiutare Arceus ad ogni costo!”
Lionell rimase per alcuni secondi immobile, prima di scoppiare in una grossa risata.
“Pensi davvero... di potermi fermare con quel cucciolo? Sarebbe stato meglio concentrare tutto il tuo attacco su di me, non credi?”
Rachel scosse la testa.
“Affatto, tutti i nostri Pokémon concentrati in un punto... Ti basterebbe un attimo far unire le forze a tutti gli altri per un secondo e spazzar via i miei Pokémon assieme ai tuoi, ma così ti è impossibile, ognuno di loro dovrà difendersi non solo dagli attacchi di Arceus, ma anche dai seppur deboli attacchi dei miei Pokémon. Il mio non può far altro che essere un tentativo di diversivo... Anche se qui dovessi perdere contro di te, loro continueranno ad attaccare, facendoti perdere altro prezioso tempo”
Non sapeva quanto potesse essere suicida una mossa simile, ma era davvero la sua unica speranza di salvezza. Con un cenno d’assenso ogni Pokémon si divise, muovendosi verso il bersaglio che gli era stato designato. Solo Zorua le rimase davanti, difendendola dagli attacchi dei due Pokémon che aveva di fronte. Dopotutto usare lui era l’unica scelta sensata. La sua immunità allo psico e resistenza allo spettro avrebbero impedito buona parte delle mosse speciali dei due Pokémon, lasciandoli con mosse naturalmente meno adatte ai due. In più erano entrambi deboli alle mosse buio, quindi nonostante tutto lei avrebbe potuto attaccare a piena potenza contro avversari che non potevano dare il meglio di sé.
“Zorua, muoviamoci, inizia con Sbigoattacco!”
Rachel sfruttò la priorità, utilizzando Sbigoattacco per iniziare ad infliggere colpi ad entrambi gli avversari contemporaneamente.
I due Pokémon incassarono il colpo, indietreggiando di qualche passo.
“Non credere che sia finita, Zorua, continua con Neropulsar!”
Di nuovo una sferzata oscura colpì i due Pokémon, mentre Rachel preparava già un nuovo attacco.
“Zorua, concludi con Urlorabbia”
Il ruggito rabbioso del Pokémon arrivò fino ai due Pokémon, calando il loro attacco speciale e lasciandoli un po’ storditi.
Lionell non aveva fatto una piega.
“Beh? Hai finito?” chiese senza intaccare il suo sorriso.
“Pensavi davvero che un Pokémon inevoluto come lui avesse qualche chance contro due Pokémon al loro stadio finale? Non essere sciocca. Per quanto i colpi siano efficaci e le mosse perfettamente calibrate, non c’è modo che la potenza sia devastante o quantomeno significativa. Posso solo complimentarmi per l’ottima combinazione. In altre situazioni sarebbe stata devastante.”
Fece una pausa di qualche secondo, mentre i suoi Pokémon si rimettevano in piedi, e focalizzavano la loro attenzione su Zorua.
“Ad ogni modo, anche i Pokémon buio soffrono le loro debolezze e questi Pokémon, anche se depotenziate dall’incompatibilità dei tipi, ne conoscono un paio interessanti. Gengar, vai con Breccia, Alakazam, Segnoraggio.”
I due Pokémon si mossero senza che Rachel riuscisse a vederli. Il raggio multicolore investì Zorua in pieno e mentre il piccolo ricadeva a terra Gengar lo attaccò senza pietà. Rachel soffocò un urlo. Zorua cadde a peso morto sul terreno, ferito e con difficoltà a muoversi.
“Come detto, le intenzioni erano buone, anche la strategia, ma la differenza sta nella potenza. Si può essere abili quanto vuoi, ma se non hai la forza necessaria a sconfiggere il tuo nemico è del tutto inutile. Ed ora...”
L’attenzione dei due Pokémon passò da Zorua a Rachel. Era ovvio che intendevano mettere fine al problema eliminandone la causa. Rachel strinse i denti. Lo sapeva. L’aveva capito fin dall’inizio di non avere speranze. Ma sapere che in quella sala Zack non c’era più e che, con un po’ di fortuna, i suoi Pokémon avrebbero aiutato Arceus era quasi serena. Chiuse gli occhi, spaventata dal colpo che sarebbe arrivato, ma il verso di Zorua la riportò alla realtà immediatamente. Seppur ferito e zoppicante il piccolo Pokémon si ergeva a sua difesa, senza pensare al pericolo o a fuggire.
 
I vari Pokémon lottavano fra loro. Tyranitar e Carracosta tenevano testa a Palkia. Il Pokémon Armatura, coperto dall’altro aveva utilizzato Dragodanza per aumentare le sue abilità e di seguito si era scatenato sul nemico sfruttando le mosse Dragartigli e Codadrago. Nonostante l’attenzione di Palkia fosse rivolta principalmente a difendersi dagli attacchi di Arceus, iniziava ad essere costretto a rivolgere la sua attenzione anche ai due Pokémon che in coppia continuavano a ferirlo. Si concesse di distrarsi, utilizzando la mossa Surf nel tentativo di spazzare via i due seccatori, facendogli abbattere contro un immenso muro d’acqua. In quel momento Carracosta creò con l’attacco Protezione uno scudo, in modo da proteggere Tyranitar e subendo lui stesso il minimo dei colpi. I due formavano un’ottima accoppiata, contando l’allenamento impeccabile che Rupert aveva impartito a Carracosta. I due non rallentarono un secondo e Tyranitar scatenò una tempesta di sabbia, sfruttando la sua abilità, in modo da ostacolare la visuale al nemico e continuando a colpirlo.
Poco distante Zebstrika seguiva Charizard, saltando da una parte all’altra del tetto distrutto insidiando il drago grigio con i suoi attacchi elettrici. Quest’ultimo, forte del suo orgoglio, aveva messo da parte la sua sfida con Arceus, concentrandosi unicamente sulla zebra elettrica. La lotta si era spostata del tutto all’esterno, con Zebstrika che inseguiva il nemico, cercando di colpirlo con Tuononda, in modo da farlo crollare al suolo e portare la battaglia sul suo terreno di gioco. L’altro dal canto suo lanciava pesanti attacchi di fuoco, di modo da tenere la distanza e approfittare della sua condizione sopraelevata rispetto all’avversario. Mentre Charizard continuava la sua battaglia, Zebstrika balzò, finendo tra le fiamme, ma approfittandone per usare la mossa Ondashock. Una carica di elettricità inarrestabile fluì addosso al Pokémon Fiamma, facendogli perdere quota e facendo in modo che il successivo Tuononda del Pokémon Saetta andasse a segno.
Proprio sotto la loro lotta, Chandelure continuava la sua azione diversiva, utilizzando inizialmente Fuocofatuo per scottare l’avversario e ridurre le sue capacità offensive e sfruttando poi la situazione con l’attacco Sciagura. Mewtwo però non sembrava fare troppo caso al nemico, e continuava a concentrare i suoi colpi su Arceus. Solo in alcuni istanti lanciava attacchi ad ampio raggio che Chandelure era costretto ad evitare portandosi a distanza di sicurezza. Lasciando che la situazione restasse in stallo.
Infine Dialga aveva Metagross come avversario. Quest’ultimo attaccava continuamente con l’attacco Martelpugno, usando Protezione per difendersi dai momenti in cui il leggendario del tempo decideva di rivolgere a lui la sua attenzione. I due continuavano a scambiarsi colpi, ma raramente Dialga rivolgeva unicamente a lui la sua attenzione, preoccupato di poter incassare colpi da Arceus.
Arceus invece continuava ad usare la mossa Giudizio, colpendo a ripetizione tutti gli avversari contemporaneamente. Se non fossero stati tutti Pokémon molto forti probabilmente sarebbe bastato meno di un unico colpo, per annientarli, ma man mano che li affrontava il Pokémon Primevo aveva capito quanto fossero pericolosi e aveva deciso di utilizzare tutta la sua potenza. In quel momento, dopo essere stato evocato al cospetto di quell’uomo, si sentiva vulnerabile. In lontananza, da quello che la lotta gli permetteva di notare, l’uomo stava affrontando qualcun altro. La ragazzina che aveva inviato gli altri Pokémon in suo soccorso. Ma la giovane sembrava non essere capace di mettere fine allo scontro, stremata dalla fatica e con il suo Pokémon sconfitto. Sembrava aspettare unicamente il colpo di grazia che l’uomo stava per infliggerle. Per un attimo considerò la sua lotta, e i Pokémon della ragazza che invece di difenderla avevano scelto di continuare a proteggerlo a costo della loro vite. Guardò loro e la ragazza, protetta da un unico Pokémon che sarebbe collassato al prossimo attacco e che nonostante tutto aveva deciso di dare la vita per la sua allenatrice. Considerò tutto questo, Arceus, quando socchiuse un attimo gli occhi, decidendo di dare alla giovane una speranza per capovolgere la situazione.
 
Rachel osservava impotente Zorua. Quello restava in piedi, il collare di pelo sporco di terra e innumerevoli ferite sul suo piccolo corpicino. Lo osservava provando rabbia per la sua situazione e per la sua ingenuità. Avrebbe dovuto scegliere di proteggere anche lui, affidandolo a Ryan e a Prima, in modo da farlo portare al sicuro. Zorua l’avrebbe odiata, ma almeno non avrebbe dovuto patire quel destino. I due Pokémon sferrarono il loro attacco finale, Fangobomba Gengar e Raggioscossa Alakazam.
“Scusami, piccolo...” fece Rachel. Si chiuse in sé stessa, abbassando lo sguardo verso di lui, ma poi non ebbe il coraggio di guardare, e chiuse gli occhi.
Poco prima che gli attacchi impattassero sul duo, un’incredibile luce scaturì dal corpo di Zorua e attorno a lui si venne a creare una sfera di energia luminosa. L’aria aveva iniziato a vibrare ed i due attacchi, schiantandosi contro la sfera vennero annullati dalla luce impetuosa. Subito dopo, mentre il vento continuava a soffiare, la sfera iniziò a svanire, rivelando la nuova forma di Zorua, adesso evolutosi in uno Zoroark. Il Pokémon Mutevolpe lanciò il suo grido in aria, per poi voltare lo sguardo verso Rachel.
La ragazza era rimasta impietrita. Il piccolo Pokémon che aveva con sé si era trasformato, La ragazza si alzò, avvicinandolo e passando una mano nella sua lunga criniera rossa. Quello le annuì e a sua volta la ragazza sorrise.
“Adesso vediamo come siamo messi a livello di potenza... pensi che basterà, Lionell?”
Rachel voltò gli occhi verso il padre, mostrando gelida risoluzione nel suo sguardo. Lionell digrignò i denti.
“Ovvio che non basterà!” urlò rabbioso quello.
Rachel sorrise di rimando. Vediamo, sembrava voler dire.
Zoroark ruggì nuovamente, e lo spazio sembrò deformarsi. Piante sembravano crescere dalla base delle sue zampe, propagandosi sui muri e da lì aumentando di numero, come se si trovassero in un bosco. Di lì a qualche istante la percezione dei due allenatori e dei Pokémon in campo vennero totalmente alterate. Le illusioni di Zoroark si erano impadronite di quel luogo.
La radura dove Rachel si allenava fin dall’infanzia le era stata riprodotta davanti agli occhi, quasi come fosse un incoraggiamento a combattere del suo stesso Pokémon. Rachel annuì.
“Avanti, prendiamoci la rivincita per la lotta di poco fa, usa Urtoscuro, Zoroark!”
La feroce onda d’urto nera si abbatté sui due Pokémon di Lionell, colpendoli in pieno e lasciandoli a terra, storditi.
La lotta sembrava essersi conclusa con quell’unico colpo. Lionell indietreggiò di un passo, affrontando forse per la prima volta in vita sua una sconfitta. Si girò verso i Pokémon rimasti, che combattevano con Arceus, ma notò scioccato che gli unici rimasti in piedi, anche se per poco, erano Dialga e Mewtwo. Ormai i cinque Pokémon di Rachel si stavano scagliando contro i due rimasti, e lo stesso faceva Arceus, che gettava i suoi attacchi prima su Mewtwo e poi sul signore del tempo.
Lionell urlò, frustrato. Si voltò verso Rachel tremante di rabbia. Zoroark si mise fra i due, ringhiando all’uomo.
“Consegnami le tue Poké Ball” gli fece Rachel.
Quello emise una risata che era più un lamento.
“Perché dovrei?”
“Mettiamo fine a tutto questo. Distruggendole anche i Pokémon che hai con te torneranno alla libertà. Palkia e Dialga potranno tornare a svolgere il ruolo che gli compete. Anche Mewtwo tornerà di nuovo libero... Senza che nessuno si faccia ulteriormente male.”
Lionell la guardò, lo sguardo carico di rabbia. Dopodiché, prese le Poké Ball che teneva alla cintura e le gettò a terra. Senza staccargli gli occhi di dosso, Zoroark si avventò su quelle, distruggendole con un solo colpo.
La lotta si bloccò di colpo. Dialga si fermò, scuotendo il proprio corpo come risvegliandosi da un lungo torpore. Lo stesso faceva Palkia, quasi esausto a terra. I due leggendari guardarono Arceus, poi si scambiarono sguardi a loro volta, annuendo. Una luce bianca li avvolse, mentre squarci sembrano aprirsi nello spazio e il tempo veniva a mancare di qualche battito. Quando di nuovo la luce svanì i due erano scomparsi.
Mewtwo si guardò leggermente intorno, gli occhi viola misero per un istante a fuoco Lionell, prima di spostare la sua attenzione su Rachel. Quella deglutì istintivamente, ma l’espressione di Mewtwo si fece più calma.
“Questo non è il mio tempo, tuttavia non posso andarmene da solo.”
Il Pokémon parlò direttamente nella mente di Rachel, che pian piano si era lasciata cadere a terra. Quella annuì. Comprendeva le parole del Pokémon. Cercò nelle sue tasche, ritrovando l’ultima delle Poké Ball che Ryan le aveva lasciato. Due erano state utilizzate per catturare Zebstrika e Tyranitar, all’epoca un Blitzle e un Larvitar, mentre altre due erano andate distrutte durante i vari combattimenti e gli eventi.
Il Pokémon le si avvicinò lentamente sfiorando appena il pulsante ed entrando nella Ball, senza opporre resistenza.
Lionell guardava tutto quello con sprezzo.
“Tu hai un gran cuore. Ma quel cuore l’ho creato io. E nel mio cuore c’è la pece”
“Nel mio cuore non c’è pece. Nel mio cuore c’è amore”
E alla fine di quella frase, Zack e Timoteo entrarono nella stanza, l’uno accanto all’altro. Accanto a Timoteo, Zack sembrava gracile.
Il templare si fece avanti, guardando Lionell con occhi pieni di rabbia.
“Tu... tu hai quasi fatto distruggere questo mondo. Tu lo hai fatto vacillare”
Lionell non riusciva a sostenere lo sguardo dell’eroe.
“Sarai imprigionato qui, per l’eternità!” gli urlò, quasi come se avesse voluto sfogare tutto l’orrore che aveva vissuto quella notte, e poi gli sferrò un violento pugno, che lo lasciò cadere per terra.
Alla fine di quella situazione, Rachel e Zack si riabbracciarono, stringendosi e baciandosi.
Timoteo, con grande forza, caricò l’uomo esanime sulla spalla, e guardò la ragazza.
“Tu sei una brava persona”
Poi si voltò, ed uscì dalla stanza, lasciando Zack e Rachel da soli davanti ad Arceus, senza che nulla li separasse.
 
“Rachel... Zack...” la voce profonda di Arceus penetrò fin dentro le viscere dei due ragazzi.
Entrambi abbassarono la testa.
“La vostra perspicacia vi ha portati qui. La vostra pazienza vi ha fatto raggiungere questo posto. La vostra forza ha fatto finire questa guerra”
“Al contrario, mio Arceus... è stata Rachel a fare tutto” disse Zack.
Arceus annuì, lentamente, mentre dietro a sé pareva che il tempo e lo spazio andassero per conto proprio.
“Io credo...credo che voi sappiate che noi non apparteniamo a questa epoca” aggiunse Rachel.
“Naturalmente”
“Ebbene... siamo tornati qui per poter parlare con voi”
“Lodevole”
“Nel nostro tempo il mondo sta collassando per la profezia che questa notte ha suggerito a Prima. Ebbene, tante brave persone e Pokémon innocenti stanno subendo la vostra ira distruttiva. Io vorrei che la predizione fosse revocata”
Le parole di Zack risuonavano forti in quella stanza, in cui continuavano a cadere ancora pezzi di intonaco dal tetto.
“Perché dovrei farlo?”
E quella domanda li spiazzò. Fu allora che la ragazza decise di prendere la parola.
“Le persone non sono tutte uguali, ed assoggettarle ad un unico stereotipo è sbagliato. Ognuno vive la propria diversità con orgoglio. È proprio la mia diversità da Lionell avermi condotto qui, per contrastarlo e cercare di salvarvi. Ora per quanto voi abbiate tutte le ragioni per far tuonare il cielo e coprire di sangue il mondo, c’è chi come noi non dovrebbe pagare. C’è chi come Prima ha sofferto per salvarla. C’è chi come Timoteo ha lottato, con sangue e sudore, e chi come... come Alma... che ha fatto il massimo per aiutarci, nelle sue possibilità. Bisogna saper distinguere il bene ed il male. L’unica cosa che vorrei, mio Arceus, è che tutto tornasse alla normalità. Vorrei questo”
Zack e Rachel fissavano speranzosi Arceus. Immobile quello, mentre la ruota attorno alla sua vita girava, fece risplendere i cristalli verdi.
“Ebbene, vi premierò”
“Grazie, mio Arceus” disse Zack, abbassando il capo.
“Sì. Grazie” seguì lei.
“Ora... andate...”
 
E poi luce bianca...
 
Rachel aprì gli occhi, e si trovava accanto a Zack, stesa in un prato, innevato.
Era il prato della radura. I trilli degli insetti, i loro ronzii, i rumori della foresta, tutto riempiva le loro orecchie.
“Zack...” disse lei, stanca e felice.
“Oi”
“Ce l’abbiamo fatta?”
“Sì, Rachel...ce l’abbiamo fatta. Buon Natale”
E sprofondarono in un sonno profondo e liberatorio.
 
Il giorno dopo Rachel e Zack incontrarono Ryan, a casa del ragazzo. I segni della distruzione erano rimasti, ma il biondo si era già attivato per ripristinare l’ordine iniziale delle cose.
A Zack parve strano incontrarlo senza quella strana divisa blu. Indossava un maglioncino rosso, di filo, ed un pantalone largo.
“Rachel... Zack...come va?”
“Va tutto bene” risposero in coro.
Ryan sorrise. Sicuramente non lo guardava ancora con buon occhio, però non voleva più disintegrarlo con lo sguardo.
E questo era un bene.
“Ieri era Natale... e stamattina vi ho comprato un regalo”
Rachel e Zack sorrisero, mentre si stringevano la mano. “Grazie” risposero ancora, all’unisono.
“Un momento...” disse quello, alzandosi ed andando a prendere due pacchetti.
Li aprirono.
Rachel ricevette in regalo un paio di guanti nuovi. Li indossò, erano confortevoli.
Zack invece ricevette in regalo un cappello, di quelli invernali.
“Magari fa freddo con quella bandana in testa, d’inverno” sorrise Ryan.
“Beh... in effetti...”
“Non preoccuparti, Ryan. Sa essere così tanto una testa calda che il freddo alla testa non lo sente proprio!” la sparò Rachel. Sorrisero, i tre, ringraziarono per i regali e sorrisero ancora.
C’era una sensazione di libertà e di spensieratezza nell’aria che li lasciava terribilmente tranquilli.
“Anche noi ti abbiamo portato un pensiero...” fece Rachel, per disobbligarsi.
Tirò sul tavolo una piccola piantina, infiocchettata.
“Tieni, ed auguri”
Ryan sorrise, mentre due lacrime si posizionarono negli angoli degli occhi.
“Grazie, Rachel. Grazie Zack...”
“Durante uno dei nostri scontri abbiamo distrutto l’albero di papà... ebbene... questo sarà il nostro. Fallo crescere forte e sano”
Ryan annuì, ed andò a stringere i due ragazzi.
Il calore del Natale, le lucine appese, l’abete che il ragazzo aveva sistemato in fretta e furia, il fuoco del camino e quelle canzoni che ti fanno sciogliere il cuore.
Il Natale è nella testa.
Il Natale è nel cuore.
“In realtà un regalo vorrei fartelo anche io...” disse Zack.
Rachel inarcò le sopracciglia, sorpresa.
“In tanti anni che sono qui ad Adamanta ho affrontato tante avventure. Certo, nessuna come questa, però mi sono sempre dato da fare per essere il migliore, tanto che sono arrivato a vincere la Lega Pokémon. Ma nessuno, e dico nessuno, mi aveva mai messo in difficoltà come hai fatto tu, Ryan. Non avevo mai perso... contro nessuno mi ero trovato con le spalle al muro in questo modo”
Ryan sorrise. “Mi spiace solo per il contesto che ci ha messo contro...”
“Non preoccuparti... però adesso voglio che tu sappia che ho fatto il tuo nome alla Lega di Adamanta, per succedermi. Tra qualche giorno sarai ufficialmente il nuovo campione della Lega di Adamanta”
Gli occhi di Ryan si sbarrarono, tanto che sembrava comico.
Rachel sorrise e guardò Zack.
Vissero per sempre felici e contenti.
 
Alma invece si passava le mani tra i capelli. Un altro Natale da sola, un altro triste Natale passato nella buia consapevolezza di aver perso il treno della vita.
Il suo uomo non era lì, o meglio, era solo nei suoi ricordi.
Thomas forse era solo un avvenimento del suo passato.
Mondo distorto... roba da pazzi.
Seduta a quel tavolo, lì a casa sua, stava studiando proprio il regno di Giratina.
Quella storia non sarebbe finita lì.
 
Mia invece imparò a scrivere.
Aiutata da Zack, Rachel e Ryan, che fecero un ampio resoconto, Mia stese un bellissimo romanzo su quella storia.
Una storia d’amore.
Una storia ricca d’avventura.
Perché tutti dovevano avere l’opportunità di leggerla.

 

 
 
Angolo Autore:
Ciao a tutti! Probabilmente è il primo ed ultimo spazio che mi prendo per parlare di questa storia, qui su EFP. Ringrazio tutti quelli che hanno letto, il feedback è stato mostruoso. La storia ha portato tantissime emozioni a me ed alla mia coautrice, Rachel Aori. La ringrazio di tutto, per l'impegno e la dedizione che ha messo. A chi interessa, è cominciata la produzione del manga di questa storia. Passate su Pokémon Adventures ITA su Facebook e lo troverete. Vi ringrazio ancora, buone cose...

Andy Black e Rachel Aori.

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Capitolo 58
*** Goodbye ***


Goodbye

Ma come sono andate a finire le cose per Prima e Timoteo? Due finali. Nel primo i nostri eroi non hanno cambiato il corso della storia.




La vita di una foglia è la metafora del tempo che passa.
Inizialmente è solo un germoglio. Una meravigliosa gemma, che debole è rinchiusa su se stessa, per proteggersi da quel mondo esterno, infame, rumoroso, fastidioso.
Mortale.
Poi la foglia cresce, ed il germoglio si apre, mostrandosi in tutto il suo splendore. La gemma diventa una foglia verde, viva, profumata, e piena di lineature.
Sfida il mondo, conscia della sua forza.
L’autunno passa una mano di rosso su tutto, e la foglia si tinge del colore della passione.
La forza di prima non c’è più, ma c’è più poesia, e già il fatto di essere sull’albero dimostra lo spirito di cui è dotata.
Non più così forte. Ma più bella.
E capita poi che quel sottile legame che la teneva ferma al ramo si spezzi.
La foglia si libra, negli ultimi atti di quella commedia, prima di poggiarsi delicatamente sull’erba secca, e morire.
Il tempo è relativo. Quindi anche la vita.
Mentre una foglia può essere ancora nella prima fase, è possibile che qualcuno sia più avanti.
Le vite della gente prendono strade diverse, si ramificano tra di loro, proprio come le radici di un albero.
Mentre qualcuno invecchia, qualcun altro cresce. E mentre qualcuno cresce, qualcun altro nasce.
Un po’ contorto forse, ma nessuno è mai riuscito a spiegare la vita a parole proprie.
Opinioni su opinioni, ciò che è certo è che il tempo passa.
I pavimenti delle strade di Nuovaluce, quella mattina, furono calcati da una vecchia donna.
Quella si girava, tranquilla, con i capelli lunghi, bianchi, legati in una treccia. Gli occhi vispi cercavano la piazza. Non ricordava per bene le strade, tutte le esperienze che avevano segnato la sua pelle avevano in un certo senso marcato anche i suoi ricordi.
Era giustificata, dopotutto era anziana.
Il sole di Adamanta le baciava la pelle, un toccasana per i suoi reumatismi. La pecca di vivere in città troppo umide.
Nuovaluce invece sembrava perfetta.
Avrebbe cercato qualcosa li.
Poco dietro di lei, un Alakazam camminava tranquillo, guardando con attenzione tutto quello che succedeva.
“Eccola” sentì l’anziana nella sua testa. Era Alakazam che stava comunicando con lei.
Intendeva la piazza; era lì, davanti ai suoi occhi. La statua del grande eroe Timoteo era ancora in piedi, forse un po’ più ingiallita dell’ultima volta che l’aveva vista.
In fondo erano passati più di quarant’anni.
Prima abbandonò quel paesino vestita come una vecchia e ci ritornò con tale abbigliamento.
I suoi lenti passi erano carichi di voglia, assaporava tutto ciò che faceva, concentrandosi al massimo su ogni cosa. Il leggero vento che distoglieva il calore dalla sua pelle, la luce forte del sole, le case, i loro tetti, i soliti bambini che giocavano a ricorrersi al centro della piazza, e poi ancora le persone, il mercato, i passi di Alakazam, gli uccelli che volavano ed Houndour che abbaiava.
La casa era vicina.
“Ci siamo quasi” ripeteva Alakazam, nella sua testa, affiancandola quando era stanca. Si fermavano a riposare, guardando la gente passare.
Qualcuno la fissava, soprattutto i più anziani, per poi passare avanti.
Girarono l’angolo, e si fermarono.
“Ecco qui la casa”
Prima bussò alla porta, in legno. Era sempre la stessa.
Quel rumore le portò il sorriso in volto, e dei ricordi nella testa dolcissimi. La gravidanza, la nascita, e poi la paura.
Sentiva dei passi oltre quella porta, e poi il cigolio della maniglia.
“Salve” disse Prima, sorridente.
“Salve... cosa posso fare per voi?”. Era una donna. Mora, capelli lunghi, occhi azzurri ed un bel sorriso.
Indosso portava una veste semplice, fatta di stracci.
Ma era bella. Molto bella.
“Signorina, salve. Cerco Sandra”
“Oh...” lo sguardo della più giovane si incupì, e sotto quello più intrepido dell’anziana decise di farla accomodare in casa.
“Mia madre... Sandra... è spirata qualche tempo fa”
Prima storse un labbro, prima che le lacrime le si formassero negli occhi.
“Come è successo?”
“Era anziana... Arceus l’ha presa e portata con se, probabilmente è stato meglio così... ma vi prego, sedetevi. Siete stanca. Mi spiace non potervi offrire nient’altro che un misero bicchiere d’acqua”
Lo prese e lo poggiò sul tavolo. “È di fonte. Mio marito stesso è andato a raccoglierla”
“Andrà più che bene, ti ringrazio” disse Prima, sorridente, ma ancora scossa dal pianto.
La giovane le porse un fazzoletto, e lei lo prese.
“E tu come ti chiami?” chiese Prima.
“Io mi chiamo Beatrice”
“Hai un nome perfetto”
“Mia madre lo scelse perché si beò della mia nascita”
“Lo credo bene. Sei bellissima”
“E voi? Non mi pare di avervi mai vista da queste parti”
Prima sorrise amaramente.
“Vengo da molto lontano. Ero qui per stare un po’ con lei. Sai, siamo cresciute insieme”
“Come vi chiamate?”
Prima si allarmò un po’, ma Alakazam venne in suo aiuto, suggerendogli il nome Anita.
“Anita”
“Avete un nome bellissimo”
“Grazie tesoro. Quanti anni hai?”
“Trentanove, compiuti da poco”
“Sei una donna bellissima. Assomigli a tuo nonno”
Beatrice sorrise. “Avete risolto uno dei misteri della mia vita. Non ho mai saputo a chi dei miei genitori assomigliassi. Ed i nonni, tranne la madre di mia madre, non li ho mai visti”
“Assomigli al padre di tua madre” storse leggermente la bocca Prima.
Beatrice sorrise di nuovo, stavolta inclinando la testa, e scoprendo leggermente la scollatura. Tra i suoi seni maturi splendeva l’argento di una collana.
Prima cercò di assottigliare lo sguardo. Si, era il cuore d’argento che le aveva lasciato prima che partisse.
“E tuo marito dov’è?”
“Ora sta lavorando... vende il grano”
“Ah, davvero?”
“Si. Mia madre, con i suoi risparmi, comprò per me l’appezzamento di terra qui accanto, e mio marito e mio padre cominciarono a lavorare il grano... a proposito, quella monella di mia figlia dovrebbe essere li fuori, a far danni”
“Hai una figlia?” sgranò gli occhi Prima, sorridendo quasi come un ebete.
“Si. Ha otto anni” disse quella, asciugandosi il sudore con il grembiale, per poi avvicinarsi ad una porta che quarant’anni prima non c’era. La aprì, inondando la penombra della casa di luce, e poi si affacciò fuori.
Era bellissima.
Prima si rispecchiava in lei, da giovane.
“Rachele!” urlava. “Vieni qui ed esci dal granaio!”
“Si, mamma” sentì poi una voce delusa.
Beatrice si fece da parte, e fece spazio ad una graziosa bambina, molto somigliante alla madre nel volto.
“Fai ciao ad Anita”
Quella scosse la mano.
“Ciao bella bimba. Ti chiami Rachele?”
Quella annuì, nascondendo le mani dietro la schiena. Timida. Poi si voltò verso la madre.
“Mamma, posso giocare con Pidgey?”
“Si. Ma sta attenta”
“Si!” urlò, mentre correva di nuovo fuori.
Beatrice sorrise, poi portò le mani ai fianchi. “I bambini...”
“Sono la gioia della vita” rispose velocemente Prima.
“Voi avete figli?”
“Si. Ma non ci vediamo da tantissimo tempo”
“Oh... vi mancherà molto, allora”
“Non sai quanto, piccola”
Beatrice sorrise, mostrando le fossette sul volto. Come quelle di Timoteo. Se solo avesse saputo chi fossero i suoi genitori, probabilmente non avrebbe vissuto facendo la casalinga e la contadina.
O forse avrebbe vissuto anche peggio, con qualcuno che cercava di ucciderla per il semplice crimine di essere nata dai genitori sbagliati.
Intanto canticchiava, e puliva la casa, spensierata.
“Sai, Beatrice... ti vidi che eri poco più che una neonata... hai sempre vissuto qui, a Nuovaluce?”
“Si, non sono mai voluta andare via da qui. In fondo ho conosciuto i miei amici qui, ho studiato...”
“Hai studiato?!” fece Prima, sgomenta
“Si, i miei genitori hanno fatto tantissimi sforzi per permettermi di imparare tante cose... è anche grazie a questo che abbiamo cominciato a coltivare il grano”. Sandra e Martino erano stati fenomenali.
“Quindi ve la vedete bene, con i soldi”
“Beh, relativamente. Ci sono tante spese, senza contare che anche io voglio far studiare Rachele, magari dandole uno spunto che non vada sull’agricoltura. Tutto quello che sappiamo sulla coltivazione del grano posso insegnargliela io, o suo padre. Mi piacerebbe diventasse un’ancella”
“Ho capito. Almeno vivrebbe in un posto regale”
“Si. Avrebbe da fare parecchie cose... ma... beh, imparerebbe a far tutto, cucinare, lavare, cucire... sarebbe una buona moglie ed una buona madre”
“Come te”
Beatrice arrossì e mosse leggermente il capo. “Non esagerate, signora. Faccio solamente il mio dovere di moglie e di madre”
“E già questo ti rende speciale”
“Perché lo dite?”
“Mia cara Beatrice... forse oggi nessuno capisce il ruolo che hai, ma col tempo sono sicura che chiunque riuscirà ad apprezzare il lavoro che noi donne facciamo. Gli uomini si sono sempre presi il merito per tutto, anche quando non dovevano prenderlo, o quando dovevano condividerlo, perché questa società non è stata creata nel modo giusto. Qualcosa cominciò a cambiare già quando Arceus in persona decise che il suo oracolo dovesse essere una donna. Gli uomini non potevano entrare nel tempio, sai?”
“...veramente non lo sapevo”
“Quello che tu fai qui non è per niente scontato. E se tuo marito è in grado di vendere il pane, e lavarsi, e stringere sua figlia e mangiare qualcosa, è perché ci sei tu qui. Sei piccolina, ma sei la rotella più importante di questo ingranaggio;
Sei una moglie, e soddisfi i piaceri di tuo marito, carnali e non che siano. Lo prepari alla difficile giornata di lavoro, lo aiuti talvolta, lavori il pane e dai da mangiare a lui e a sua figlia. Ti prendi cura di lui. Ed anche se lui non lo riuscirà ad ammettere, sappi che senza di te lui sarebbe perso. Tu sei la persona più importante qui dentro, sappilo;
Sei anche una madre, e stai preparando alla vita una piccola e bellissima bambina. Nella tua testa stai cominciando a costruire il suo futuro, la vuoi far studiare, vorresti che viva meglio di come abbia fatto tu, perché lei è parte di te. Ed anche quando tua figlia ti sarà lontana, sappi sempre che c’è un legame indissolubile tra di voi, come il cordone ombelicale che vi teneva unite, anche a migliaia di chilometri di distanza. E non si spezzerà mai e poi mai. Lei ti amerà sempre, e sono sicuro che anche tu lo farai.
Detto questo, segui il consiglio di una vecchia donna. Nel momento in cui ti sentirai giù, sappi sempre che c’è qualcuno che ti ama. Sempre. E vivi con la consapevolezza di avere degli obblighi, i più importanti, perché senza di te, questa casa sarebbe solo mattoni e cemento. Ora invece c’è amore”
Beatrice sorrideva, mentre una lacrima le adornava il viso. “Grazie” fece, per poi correre a stringere la vecchia anziana.
“La mamma piange”. Rachele era sull’uscio, nascosta a metà dal montante destro della porta, con il volto contrito.
Beatrice lasciò la stretta da Prima e sorrise dolcemente, allargando le braccia verso Rachele. Quella sorrise, e corse dalla sua mamma, che la strinse sui seni.
“Ti amo, piccola mia”
“Anche io, mamma”
Prima si alzò, sorridente. Era il potere della suggestione che spesso chi è più saggio di noi ci sa trasmettere, e quella volta credette di aver fatto il massimo. Aveva motivato Beatrice, sua figlia, a diventare una donna migliore.
Senza sapere che in realtà lei lo fosse. Beatrice non sapeva tante cose.
Non sapeva che in lei c’era il potere.
Non sapeva che in lei c’era il cristallo.
Non sapeva che in lei c’era la possibilità di cambiare questo mondo.

 

Nella seconda parte invece la storia è cambiata.



Il caldo sole di giugno le illuminava il volto.
Prima era seduta su alcune scatole, intenta a godersi il tepore e la luce che l’inverno e la burrascosa primavera appena passata le avevano negato.
Il ritmico battere del martello sulla legna scandiva il passare del tempo, così come il gocciolare dell’acqua che riempiva l’abbeveratoio lì vicino. Erano passati sei anni dall’evocazione di Arceus e nonostante tutto, nella mente del giovane oracolo sembravano essere passati secoli da quell’avvenimento. Nuovaluce, il paesino isolato e sulla costa dove l’aveva condotta Sandra. Del suo villaggio natale, dopo il passaggio degli Ingiusti, non erano rimaste tracce,  ma lì sembrava che la vita potesse continuare come se niente fosse mai accaduto, come se tutto il suo passato, il suo essere stata l’oracolo di un cristallo ormai scomparso, fosse stato tutto un lungo, lunghissimo, sogno.
Desiderava, Prima, che fosse davvero stato tutto un sogno, e che quella vita pacifica che conduceva adesso fosse l’unica realtà esistente.
Entrò nell’officina dove Timoteo stava lavorando altro legno. Dava le spalle alla porta, ma la donna immaginava il suo sguardo attento, mentre maneggiava il ciocco che aveva davanti. Ieri sera avevano notato che la ciotola da portata più grande che avevano si era rotta, e lui si era subito offerto di crearne un’altra. Beatrice lo osservava. I grandi occhi azzurri osservavano attentamente i movimenti dell’uomo e la bambina sobbalzava ogni qualvolta il padre desse un colpo troppo forte al ciocco.
La donna li osservò per un po’, prima di manifestare la sua presenza.
“A che punto siamo con il lavoro?”
L’uomo smise di maneggiare il legno, mentre la bambina saltava giù dal suo sgabello, anche quello costruito dal Timoteo, per correrle incontro. Prima la prese in braccio, mentre quella le si aggrappava al collo e iniziava a toccarle i lunghi capelli castani. Timoteo le guardò per un istante prima di rispondere.
“Oh, a buon punto, in serata sarà anche levigata a potremo già usarla, se continuo così”
Si massaggiò le mani, allentando un po’ la tensione. Se avesse voluto avrebbe potuto lasciare il grosso del lavoro ai suoi Pokémon, ma non ne sentiva il bisogno. Dopotutto era qualcosa che gli piaceva.
“Sei diventato davvero efficiente”
Si congratulò Prima, divertita dall’orgoglio che l’uomo stava iniziando a sviluppare verso le sue creazioni. Quello mise le mani sui fianchi, sospirando alle parole della moglie.
Prima mise a terra la bambina, che tornò a concentrare la sua attenzione sul manufatto del padre, prendendo alcuni riccioli di legno che l’uomo aveva tolto durante la levigatura.
Prima si concesse di dire che non erano cambiati troppo. Certo, le cicatrici di quella battaglia erano rimaste sia nei loro cuori che sul volto di Timoteo, dove i colpi ricevuti da Adamo quella notte e poi dai seguaci di quell’uomo abietto si erano trasformati in una serie di lunghe linee bianche che gli attraversavano la pelle.
Però, ironia della sorte, era stata proprio quella battaglia a dare la salvezza futura.
Ripensò per un istante a coloro che in quel tempo non erano ancora nati. Timoteo intuì i suoi pensieri, e sospirò malinconico.
“Se vuoi mostrar loro la tua gratitudine, continua a vivere. Se vogliamo dimostrare di aver apprezzato il loro aiuto non dobbiamo far altro che continuare, col sudore della nostra fronte, a creare il futuro.”
Uscì fuori, ammirando il cielo e osservando il Bosco Memoria che poco più avanti iniziava ad infoltirsi e ad ombreggiare la terra.
Ripensò alla sua spada ed alla sua armatura, ancora custodite sotto un telo in quella stessa officina, come promemoria per il futuro. Il suo futuro. E quello della sua famiglia, della moglie che amava con tutto sé stesso e della bambina che da quell’amore era nata. Se davvero era loro intenzione ricambiare quei ragazzi del loro aiuto, allora avrebbero dovuto fare di tutto per lasciare il mondo in cui vivevano un luogo migliore rispetto a quello di sei anni prima. Un mondo rifiutato dallo stesso dio che lo aveva creato. Era quello il giuramento che aveva fatto.
Sospirò, staccando gli occhi dal cielo e passandosi una mano fra i corti capelli d’ebano. Si girò, tornando nel suo laboratorio e riportando la sua attenzione sulla ciotola, ancora un abbozzo ma che in poche ore sarebbe diventata uno strumento utile. Ne vendeva anche, di utensili. Alcune volte creava giocattoli per i bambini del paese. Altre volte oggetti utili per i suoi Pokémon.
Prima lo osservava spesso. Il suo sguardo si faceva attento e meticoloso. Osservava ogni sfaccettatura delle sue creazioni, rigirandosele fra le mani e tastandole per verificarne la resistenza e la levigatura. Eppure nonostante tutto continuava anche ad allenarsi assieme ai suoi Pokémon, esercitandosi con bastoni o con qualche spada di legno che creava appositamente. Non voleva più toccare la sua spada e d’altronde lei stessa pregava ogni giorno Arceus affinché non ce ne fosse bisogno. Non sapeva se senza il Cristallo lui fosse in grado di ascoltare la sua voce, ma ad ogni modo avrebbe affidato alla speranza le sue preghiere.

 

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Capitolo 59
*** Manga - 0 ***


Ciao a tutti, ragazzi! Volevo ringraziarvi per l'enorme affetto con cui questa storia è stata accolta dal popolo lettore e recensore di Efp, le più di cento recensioni stanno a significare grande soddisfazione, sia per me che per Rachel Aori, autrice con il quale condivido la stesura di molti capitoli della storia, e più in generale del progetto Pokémon Courage, che da qualche tempo si è ampliato, tramite l'ingresso nel team di una mangaka, Laila. Ebbene, se volete, potete leggere la storia che io e Rachel abbiamo scritto a fumetti, seguendo il link qui sotto.

http://pcbtto.blogspot.it/2013/11/manga-0.html

Inoltre è partita la stesura di una storia speculare a questa, Hoenn's Crysis, che potrete trovare nel mio profilo.
Detto ciò vi saluto e vi ringrazio ancora!
A presto!

Andy Black
Rachel Aori

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Capitolo 60
*** Manga - 1 ***


Manga - 1

Colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che hanno recensito completamente questa storia, arrivando quasi a 400 recensioni, e questa cosa per me, ed anche per l'altra autrice, Rachel, è motivo di profondo orgoglio.
Voglio qui pubblicare il link per il primo capitolo effettivo del manga disegnato da Laila.

(http://www.mediafire.com/download/p86d8wkfbr0z858/02+-+Capitolo+1.rar)

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