Il cane e la fanciulla

di Amy Dickinson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 (Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Amy Dickinson © 2014 (01/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



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- Capitolo Uno -

 

C’era una volta una bambina. 

Non una bambina qualunque, ma una buona, gentile, educata e dalla bellezza assai rara. Era infatti alta e graziosa, fresca come un fiore delicato pronto a sbocciare, dai lunghi capelli rossi e dagli splendidi occhi azzurri. 

La bambina viveva a nord, nel paese di Winterfell, dove il clima era sempre molto rigido e la neve persisteva anche in estate. La gente del luogo abitava in piccole case arroccate su di un’ampia collina a ridosso delle montagne e conduceva una vita semplice e dura. Tutt’attorno alla collina sorgeva una fitta foresta che isolava il villaggio dalle pianure e che lo proteggeva dagli orsi e dai lupi, un posto talmente buio da incutere terrore perfino alla luce del giorno. 

Winterfell era governato da un saggio podestà di nome Eddard Stark. Sposato da tempo con la bella Catelyn Tully, egli era padre di sei figlioli, tra i quali vi era la deliziosa Sansa. 

Come ogni mattina Sansa si era svegliata di buon’ora ed aveva ricamato fino a pranzo. Nel pomeriggio si era recata in giardino insieme a Lady, il suo cane lupo, per passeggiare in tranquillità com’era consueta fare. 

La giornata era fresca ed il timido sole portava con sé un lieve tepore che consentiva di sopportare un po’ meglio il rigido clima stagionale. Lady raspava allegramente con le zampe in mezzo alla neve ed ogni tanto si abbassava ad annusare qualcosa, rialzando poi il capo e spostandosi poco più in là, sollevando mucchietti di neve dietro di sé. Intanto la sua padroncina ammirava il pallido cielo azzurro con aria pensosa. Quali fossero i pensieri nella sua mente nessuno può dirlo perché, all’improvviso, prima che potessero davvero prender forma nella sua mente, l’attenzione della bambina venne catturata da qualcos’altro. Qualcosa di soffice, freddo e bagnato, che le aveva appena colpito il mantello all’altezza della schiena. Lady stava scavando una buca poco distante e, probabilmente, era stata lei a mandarle addosso la neve con le zampe posteriori, si disse. Allora fece spallucce e sistemò una ciocca di capelli fuori posto, ma prima che potesse tornare ai suoi pensieri venne colpita una seconda volta, sul braccio. Voltandosi, vide che Lady si stava allontanando e, quindi, era chiaro che non poteva essere lei la responsabile. Ma allora di chi si trattava? Sansa si guardò attorno in cerca di risposta. Non c’è due senza tre, si suol dire, e infatti la poverina venne colpita di nuovo dalla neve, una candida, rapida e precisa palla che si scompose proprio nel bel mezzo del suo viso. 

«Centro!» gridò entusiasta una vocina poco lontana. «Ho vinto io!»

Sansa si spazzolò via la neve dalla faccia arrossata e si girò di scatto verso la persona alla quale apparteneva la voce.

«Sapevo che c’entravi tu, Arya!» urlò, piuttosto irritata.

Arya si avvicinò a grandi passi verso la sorella, sulla faccetta dispettosa apparve all’istante un sorrisetto compiaciuto. Dietro di lei arrancava il piccolo Brandon, penultimo dei fratelli di Sansa.  

«Mi dai la rivincita?» chiese il bimbo una volta che le ebbe raggiunte. 

«Non oggi, da questa distanza anche Rickon riuscirebbe a prenderla in faccia, è troppo facile» gli rispose Arya. 

«Come osi insegnargli un simile gioco?» domandò Sansa, indignata. 

«È molto divertente! Giusto, Bran?»

«Sì!»

«Beh, io non mi diverto affatto, perciò smettetela!»

«Scordatelo»

«Arya, ti ricordo che sono io la sorella maggiore, quindi devi ubbidirmi!»

La bimba salì su un cumulo di neve alzato da Lady poco prima e guardò Sansa con aria di sfida. 

«Io sono un lupo e ubbidisco solo a me stessa!» esclamò con fierezza. 

«Anch’io!» le fece eco il fratellino, imitandola.

«Basta così! Un giorno sarò una lady, dovete portarmi rispett...»

Non fece in tempo a finire la frase che Arya le si gettò addosso, facendola cadere distesa sul morbido pavimento di neve. Per lo spavento la maggiore cacciò un grido e poi si tolse di dosso la minore con una spinta. Arya non si diede per vinta, si mise subito in piedi e iniziò a colpire Sansa con la neve, non curandosi più di appallottolarla a dovere.  

La sorella tentò di proteggersi il viso alzando un braccio e contrattaccando con la mano libera, ma la più piccola era più rapida e più astuta e in un batter d’occhio il mantello di Sansa si bagnò completamente. 

«Allora, ti arrendi, sì o no?» la canzonò Arya. 

Sansa strinse i denti, si rialzò a fatica e diede un’altra spinta a sua sorella, facendola finire addosso a Lady che, sentendo il trambusto, si era riavvicinata alla sua padroncina. 

«Cos’è, non sai perdere?» continuò Arya, scattando in piedi. 

«Sta’ zitta!» rispose l’altra, allontanandosi.

«Batterti è sempre una passeggiata!»

«Ti ho detto di stare zitta!»

«Altrimenti?»

Sansa non ce la fece più, sua sorella era davvero snervante quando faceva così. Si voltò nella sua direzione e le corse incontro con un’espressione molto arrabbiata dipinta in volto. Arrestatasi ad un passo dalla bimba alzò una mano con fare minaccioso e la calò verso Arya che, dal canto suo, tenne gli occhi bene aperti, pronta a schivare il colpo e a farsi beffa dell’avversaria. Ma non fu necessario. 

«Vacci piano, Sansa» disse qualcuno alle sue spalle, bloccandole il braccio prima che potesse schiaffeggiare la sorella. 

«Lasciami andare!» gridò, cercando di divincolarsi dalla presa. «Questa mocciosa è insopportabile, è ora che qualcuno la punisca per i suoi dispetti!»

«Ci penserà nostro padre, non spetta a te» fece ancora un’altra voce.   

Si trattava di Robb e Jon, i fratelli maggiori. Il primo si accertò che Arya stesse bene, l’altro stava allentando la presa su Sansa. Intanto intorno a loro erano arrivati anche gli altri cinque cani di famiglia. Nymeria ed Estate avevano raggiunto Arya e Bran, Vento Grigio annusava l’aria vicino a Robb, il bianco Spettro trotterellava al fianco di Jon e Cagnaccio, il cui padrone era il neonato Rickon, gironzolava nelle vicinanze con fare esagitato.   

«Si può sapere perché dovete sempre litigare, voi due?» le rimproverò Robb. «Più che sorelle sembrate cane e gatto» 

«Ma che dici? Guarda che io sono un lupo!» protestò Arya. 

«È colpa sua! Lady e io ce ne stavamo qui tranquille quando lei e Bran sono venuti a disturbare, tirandomi palle di neve addosso!» spiegò Sansa, il volto livido per il freddo ed i nervi.

«Sei arrabbiata solo perché ti brucia la sconfitta!» la punzecchiò la sorella minore. 

«No, è che sono stufa, sei una monella!»

«E tu, allora? Avrei preferito un altro fratello a te!»

«Mi hai tolto le parole di bocca, non so che farmene di un maschiaccio di sorella!»

Robb e Jon dovettero mettersi in mezzo prima che potessero azzuffarsi. 

«Basta, bambine!» tuonò allora una voce. 

Tutti si volsero nella direzione dalla quale proveniva. Era stato Eddard a parlare. Se ne stava fermo sull’uscio della porta che dava sul giardino ed osservava i figli a braccia conserte. Sebbene avesse usato un tono di voce austero l’espressione sul suo viso appariva calma e rilassata. 

«Padre...» iniziò Sansa.

«Ho ascoltato quello che stavate dicendo, so come sono andate le cose» l’interruppe. «Siete sorelle, dovreste andare d’accordo. Vi sembra che i vostri fratelli litighino per delle sciocchezze?»

Sansa e Arya scossero la testa. 

«Infatti. Cercate di rispettarvi a vicenda, allora» continuò. «Non ci sono dubbi sul fatto che siate completamente diverse ma questa non è una scusa. Non potete discutere ogni giorno, dovete imparare a comprendervi»

«Ma non sa nemmeno stare al gioco!» esclamò la figlia minore.

«Ma lei comprende solo se stessa!» disse contemporaneamente la maggiore. 

«Basta, ho detto. Separatevi per un po’, vi farà senz’altro bene. Arya, puoi continuare a giocare in giardino con Bran, se vuoi, purché Jon e Robb vi sorveglino»

«Ma, padre, ci stavamo esercitando con le spade...» protestarono i più grandi. 

«Potete fare entrambe le cose» tagliò corto l’uomo. «Sansa, tu vieni dentro a scaldarti, tremi come una foglia»

La bambina ignorò la linguaccia che la sorella più piccola le rivolse, furtivamente nascosta dietro Jon, e raggiunse il padre, Lady fu subito dietro di lei. 

Sansa entrò in casa e andò a sedersi accanto al camino acceso, togliendosi il mantello fradicio e gettandolo sulla spalliera della propria sedia mentre il cane lupo si accucciò ai suoi piedi. Ned accostò le ante della portafinestra e andò a sedersi difronte alla figlia. 

«Non avercela con lei» esordì. «Arya è ancora molto piccola e non capisce quando agli altri non va di scherzare» 

«È solo un’egoista!» sibilò la bambina.

«E chi non lo è alla sua età?»

«Io non ero così!»

«Davvero? Strano, io ricordo diversamente...»

«Cosa volete dire?»

«Fino a qualche anno fa nascondevi i dolcetti al limone in fondo all’armadio per essere sicura che nessuno te li avrebbe rubati. Non è da egoisti?»

Sansa arricciò le labbra ed annuì. 

«Eri più piccola e non ti abbiamo mai punita per una cosa simile»

«Sì, ma io non davo fastidio a nessuno!»

«Arya non vuole davvero darti fastidio, desidera solo giocare con te. Sei l’unica tra i suoi fratelli che sta sempre in casa, non credi che cerchi solo di attirare la tua attenzione?» 

«Facendomi arrabbiare?»

«Ognuno hai i suoi modi di fare»

«Beh, i suoi non mi piacciono per niente!»

«Posso capirlo, però ricorda sempre che tu sei la figlia maggiore e, a parte vostra madre, sei l’unico esempio femminile che ha. Anche se ti fa arrabbiare non dimenticare che è sempre tua sorella e che devi trattenerti dal bisticciare con lei»

«Non è sempre così facile come sembra, Arya non fa altro che provocarmi! Perché non può essere come me?»

«Perché ognuno ha il suo carattere. Anche se siete sorelle non significa che dobbiate essere uguali. Tu desideri essere una lady, lei si sente un lupo, cosa c’è di male?»

«Nulla, padre, ma i lupi se ne stanno oltre la foresta e non danno fastidio a nessuno. Mia sorella, invece...»

In quel momento sopraggiunse Catelyn con il piccolo Rickon in braccio. 

«Non ho potuto fare a meno di ascoltare. Devi avere pazienza con lei, con il tempo crescerà e capirà cos’è giusto e cos’è sbagliato»

«E se non lo facesse?»

«Non dire così, sii ottimista»

«E se non ci riuscissi?»

«Certo che ci riuscirai» l’incoraggiò la donna. «Credi che fare la madre sia una passeggiata?»

«Non lo so» ammise la piccola. 

«Anche nel mio caso ci vuole tanta pazienza. E un amore infinito. Altrimenti come credi che riuscirei a guardare con affetto Rickon – o voi quando eravate molto piccoli - se non riesco mai a dormire più di qualche ora per via dei suoi continui pianti?» 

«È davvero così stancante?»

«Sì, ma è anche la cosa migliore che possa capitare a una donna»

Sansa aveva l’aria confusa. 

«Non badarci troppo ora, era solo un modo per dire che non sempre è facile convivere con gli altri, specie quando sono diversi da noi ma, se c’è l’affetto, possiamo farcela»

«Tua madre ha ragione. Hai forza di volontà, figlia mia, così tanta da aver imparato già moltissime cose, quindi puoi senz’altro superare i conflitti con Arya»

«Farò il possibile» assicurò Sansa, sospirando. 

Non trascorsero che pochi secondi quando Rickon, tranquillo fino a un momento prima, inspiegabilmente cominciò a piangere. Catelyn iniziò a cullarlo ma il neonato non voleva saperne di smettere. 

«Cat, perché non vai a riposarti? Ci penso io a lui» 

«Sei sicuro, Ned?»

«Certo, cara, va’ pure»

La donna sorrise con gratitudine e gli passò il figlio, baciò il marito sulle labbra e posò un bacio sulla guancia di Sansa, quindi sparì in corridoio. 

«Perché non vai in paese con Lady?» chiese Eddard poco dopo, cullando un Rickon che non accennava a quietarsi. «Cambiare aria ti farà bene»

«Sì, farò come dite, padre» acconsentì, alzandosi in piedi e andando a prendere un mantello asciutto. 

Quando fu pronta mise il guinzaglio a Lady, salutò suo padre e si avviò alla porta. Lì incrociò i fratelli maggiori.

«Stai uscendo?» le chiese Robb. «Potresti portare con te Vento Grigio?»

«Anche Spettro avrebbe bisogno di una passeggiata per sgranchirsi le zampe» si accodò Jon. 

«Non girano già abbastanza per il giardino?» domandò lei. 

«Andiamo, che ti costa? Quando siamo noi ad uscire non rifiutiamo mai di portare Lady»

«Questo è vero ma...»

«Bene, allora!»

Sansa non riuscì a finire la frase che i fratelli corsero a mettere il guinzaglio ai loro cani. Ma, con suo disappunto, tornarono anche con Estate, Nymeria e Cagnaccio. 

«Ehi, non ho detto che li avrei portati tutti quanti!» protestò. 

Ma suo padre, affacciandosi in corridoio, le fece un cenno di assenso con la testa e con le labbra mimò la parola “pazienza”. Sansa sbuffò, afferrò i guinzagli e, senza proferire parola, uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

questa è la prima parte di un piccolo lavoro che non so ancora bene dove mi porterà – Sandor arriverà presto ^_^

Come vedete qui i personaggi sono tutti più giovani delle loro età e ho giocato un po’ con i ruoli e gli elementi geografici. Spero davvero che venga fuori qualcosa di carino e, soprattutto, spero che vi piaccia! ^^

Lasciatemi le vostre impressioni, se avete un minuto, grazie ;)

Un saluto,

 

Amy 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Amy Dickinson © 2014 (07/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

 

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- Capitolo Due -

 

Il sole si stava abbassando progressivamente verso la linea dell’orizzonte e cominciava a far freddo quando Sansa uscì di casa con i sei cani lupo a precederla. Aveva fatto quel favore ai fratelli di malavoglia ma passeggiare non le dispiaceva, quindi non si era lamentata più di tanto. 

A quell’ora per le strade c’era poca gente, perlopiù lavoratori che facevano ritorno alle proprie case e bambini intenti a giocare ai cavalieri usando rametti di legno come spade. Il vento si stava alzando e portava con sé un buon profumo che le fece venire l’acquolina in bocca. 

“Dolcetti al limone, che delizia!” pensò. “Potrei comprarne un po’ e andare a mangiarli da Jeyne. Sì, farò così!”

Detto fatto: raggiunse la bottega del fornaio, comprò una mezza dozzina di tortine fumanti e si incamminò in direzione della piazza principale di Winterfell. 

Jeyne, figlia del vicesindaco, viveva con la famiglia in una graziosa casa alle spalle della piazza, era coetanea di Sansa e sua migliore amica da sempre. 

La bambina strinse i guinzagli dei vivaci lupi e dovette strattonarli un pochino affinché si fermassero davanti al portone giusto, quindi si mise a bussare. Non ottenne risposta. Attese un momento e riprovò. Silenzio. 

“Che strano” 

Prese allora il battente e lo usò per bussare più forte. Ma non accadde nulla. 

«Stai cercando Jeyne, piccola Sansa?» chiese una voce poco distante. 

Lei si voltò e vide avvicinarsi un ragazzo intento a trasportare sulle spalle un grosso sacco. 

«Salve, Jory» salutò con cortesia. «Sì, sono venuta a trovarla ma sembra che non ci sia nessuno in casa»

«È così. Vayon e famiglia sono partiti stamane per andare a fare visita ad un parente in un villaggio vicino Riverrun, non credo che torneranno molto presto» spiegò.

«Oh, capisco. Beh, non importa» sospirò Sansa, quindi si congedò con un cenno della mano e se ne andò al seguito delle bestiole. 

“Vorrà dire che proseguirò fino all’Albero-diga” decise, affrettandosi a tenere il passo. 

A Winterfell vi erano diversi alberi-diga ma quello a cui pensava Sansa era la più antica quercia del paese e segnava il confine con la Foresta del lupo. Quest’albero era grande ed imponente e negli anni le sue radici nodose si erano intrecciate dando forma ad una piccola panca naturale dove chi passava da quelle parti era solito sedersi a riposare. Arrivare laggiù non portava via molto tempo ma equivaleva comunque a fare una bella sfacchinata perché bisognava attraversare l’intero paese e poi arrivare in cima ad una strada in salita, ma lei l’aveva percorsa numerose volte insieme a Robb e Jon o a Jeyne, quindi l’idea di una lunga camminata non la spaventava.  

Superata la piazza principale, Sansa tentò di guidare i cani verso la direzione che intendeva prendere ma quelli iniziarono ad annusare con circospezione sia il terreno imbiancato che l’aria e perfino Lady prese a tirare la padroncina verso di sé.  

«Ma si può sapere che vi prende?» fece la bambina. «Avanti, da bravi, per di qua!»

Fu tutto inutile: i cani non accennavano a volerle dare retta, anzi, presero a tirare più forte. 

La fanciulla sbuffò e continuò a strattonare, non capendo il perché di quel comportamento, poi qualcosa attirò la sua attenzione. Poco più in là vi era un piccolo cocchio trainato da un robusto cavallo e un uomo stava aiutando qualcuno a scendere. Un ragazzino biondo e dal volto privo di difetti fece la sua comparsa. Sansa sussultò e si illuminò tutta. Il giovane si guardò attorno, poi la vide e le rivolse un sorriso. Al vederlo, i lupi ringhiarono. 

«Joffrey, mio caro!» disse lei, arrossendo vistosamente. 

«Sansa!» esclamò lui, avvicinandosi. «Stavo proprio venendo a cercarti»  

«Dici davvero?»

«Certo»

«Da quanto sei qui?»

«Un paio di giorni. Mio nonno ha degli affari da sbrigare a Torrhen’s Square, una noia mortale»

«Vi tratterrete ancora, spero»

«Non per molto. Penso che ripartiremo presto»

«Oh, è un peccato» 

«Già»

Joffrey era il nipote del ricco sindaco di Casterly Rock, un paese molto lontano del profondo sud, ed era piuttosto raro che si recasse lassù per più di una volta all’anno. Quando capitava che vi fosse una qualche faccenda della quale occuparsi, l’uomo lo portava con sé e così i due fanciulli avevano la possibilità di passare del tempo insieme. Era stato proprio in una di quelle occasioni che si erano conosciuti. Sansa aveva un debole per lui perché le sembrava bello come un principe, le faceva dei regali e, anche se a volte era più infantile di sua sorella Arya, era gentile con lei.  

Nell’avvicinarsi a Joffrey, Sansa si distrasse e, non volendo, lasciò andare il viluppo dei guinzagli. I cani lupo si dispersero, iniziando a correre e ad abbaiare sonoramente. Per un breve istante lei temette che avessero intenzione di lanciarsi sul ragazzino ma poi notò un cane spuntare proprio dietro di lui. Era grosso, tutto nero ed aveva l’aria minacciosa. I lupi si arrestarono a pochi passi dal bestione ed iniziarono a ringhiare in un modo così aggressivo che spaventò la bambina.   

«Questi cani sono tuoi?» chiese Joffrey, improvvisamente serio.

«Sì» confermò lei. 

«Farai bene a tenerli a bada, o dovrò sguinzagliare il mio» fece, minaccioso. 

«Non serve, sono solo dei cuccioli, non sono capaci di fare del male» 

Ma proprio mentre terminava la frase, Spettro, Vento Grigio e Cagnaccio si spinsero in avanti e attaccarono il grosso cane. 

«Fermi!» gridò loro Sansa. 

«Hai visto? Non dovevi lasciarli andare!» la rimproverò.   

Estate si avvicinò al ragazzino, lo annusò e prese a ringhiare, scoprendo una fila di denti acuminati. 

«Tu che vuoi? Sparisci, bestiaccia!» gridò Joffrey, scalciando per allontanarlo. 

Il cane lupo continuò a ringhiare e, anziché andarsene, gli si fece più vicino. Allora il ragazzino lasciò andare il guinzaglio e il suo grosso cane si scagliò su Estate. Si aggiunsero all’istante anche gli altri e iniziò una gran canizza. 

«Vi prego, basta! Basta!» gridava Sansa, sgolandosi e agitando le braccia in aria.

Ad un certo punto il cane di Joffrey le ringhiò contro e la bambina lanciò un urlo di terrore ed indietreggiò. Percependo la paura della padroncina, Lady si lanciò sul cane e combatté con la stessa temerarietà e fierezza dei fratelli. 

«Vuoi muoverti e fare qualcosa? Non startene lì impalata, stupida che non sei altro!» gridò il ragazzino all’indirizzo di Sansa.

Subito dopo Joffrey urlò ancora, ma di dolore. Nymeria lo aveva appena morso e ora la sua mano era macchiata di rosso. A quella vista, Joffrey inorridì. 

«È colpa tua!» inveì, guardando la fanciulla. «Sei solo un’inutile, stupida mocciosa! Dirò tutto alla mamma e saranno guai grossi per te!» 

«Mi dispiace, io non volevo, stavo solo...» tentò di dirgli, ormai sull’orlo delle lacrime, sentendosi mortificata dal trattamento che Joffrey le stava riservando. 

«Sta’ zitta!» fu la secca esclamazione del giovane. «Meryn, riacchiappa subito Gregor!»

L’uomo che lo aveva aiutato a scendere dal cocchio poco prima annuì e si mise ad aggirare il gruppo di cani, aspettando l’occasione giusta per prendere il guinzaglio di quello di Joffrey. Si beccò ringhi, colpi di coda e qualche zampata ma alla fine riuscì nel suo intento. 

«E adesso da’ una lezione a quelle bestiacce!» ordinò il ragazzino, riprendendo in mano il guinzaglio. 

I cani lupo avevano lottato fieramente ma erano ancora troppo giovani ed impreparati, tanto da essere coperti da una serie di segni di morsi e graffi nonostante fossero in vantaggio numerico. 

«No, per favore!» pregò Sansa, rabbrividendo.

L’uomo allontanò i lupi a pedate e, se facevano l’errore di avvicinarglisi scoprendo i denti, li colpiva con un bastone sino a farli guaire.

Sansa odiava che i poverini dovessero subire quel trattamento, ma non sapeva cosa fare per porvi fine. Così non trovò altra soluzione che avvicinarsi all’uomo e tentare di dissuaderlo.  

«Vi prego, lasciateli andare» supplicò. «Sono ancora dei cuccioli, non meritano tutto questo!»

«E io meritavo di essere morso da quella belva, forse?» s’intromise Joffrey, livido di rabbia. 

Alla fine, arrendendosi, i cani lupo furono costretti a battere in ritirata. Tutti tranne Lady che, seppur ferita, non se la sentì di abbandonare la sua padroncina. 

«Meryn, devi fare un’ultima cosa per me» fece il biondino, avvicinandosi nuovamente alla bambina. «Sei così graziosa che sarebbe un peccato sciupare questo visetto. Ma te lo meriti, Sansa. Avanti, Meryn, colpiscila»

L’uomo le si accostò e, senza batter ciglio, con la freddezza nello sguardo e nel cuore, calò la grande mano sul volto della piccola e le diede un pugno di tale portata che il rumore dell’impatto sembrò rimbombare nel silenzio. Sansa cadde in ginocchio sulla neve, un gemito le sfuggì dalle labbra insanguinate. 

Allora Lady si lanciò prima su Meryn che, però, la respinse con una gomitata, e poi su Joffrey, riuscendo a graffiargli un avambraccio, strappando via il tessuto del mantello e lambendo la carne. Il ragazzino gridò di dolore e si nascose dietro Gregor, che aveva ripreso a ringhiare. 

«Dannata cagna rognosa!» gracchiò, fuori di sé. «Prendila, Meryn, voglio la sua testa infilzata su una picca!»

A quelle parole, Sansa si riscosse.

«No, non la mia Lady! Ti prego, Joffrey, risparmiala!» gridò, mettendosi in piedi e prendendo la mano del giovane nelle proprie. «Se la lasci stare ti prometto che farò qualsiasi cosa mi chiederai...»

«Levati di mezzo, non so che farmene di te!» sputò, spingendola via con forza. 

Sansa barcollò ma non perse l’equilibrio. Corse dietro all’uomo e al ragazzino che si stavano frettolosamente avviando in direzione del cocchio. Il cane nero non le permise di avvicinarsi più di tanto, sporgendo il muso all’infuori e tentando di morsicarla. La povera Lady venne afferrata, legata con una robusta corda e assicurata all’asta laterale del cocchio, proprio tra le due ruote, poi Joffrey e Gregor vennero issati a bordo. Infine Meryn chiuse lo sportello, allontanò Sansa con una spinta e prese posto sul sedile frontale. Spronò il cavallo e il cocchio si mosse all’istante, aumentando di velocità di secondo in secondo. 

«Lady!» gridò la bambina, correndo più in fretta che le riuscì. «Lady, no!» 

Il cane lupo, costretto a correre a passo con la carrozza, ululò tristemente al richiamo della sua padroncina. 

Il cocchio si infilò in una stradina stretta, immersa nella luce dorata del tramonto e Sansa continuò a corrergli appresso. Era davvero dura stare dietro ad un cavallo e la fanciulla sapeva già che presto non ce l’avrebbe più fatta a sostenere quel ritmo forsennato. Ma doveva mettercela tutta, aveva visto odio negli occhi di Joffrey ed era certa che non avrebbe mai risparmiato la sua cara amica a quattro zampe. 

Ad un tratto il suo piede urtò contro qualcosa, forse un sasso o un rametto rimasto coperto dalla neve, inciampò e cadde in avanti. Si ripulì in fretta il viso dalla neve con la manica del mantello e si rialzò, ma ormai il cocchio si era fatto troppo lontano perché potesse sperare di raggiungerlo, soprattutto stanca com’era. 

“Mi dispiace, Lady. Non ce l’ho fatta. Ti prego, cerca di scappare, non lasciare che ti facciano del male...” pensò, guardando il cocchio farsi sempre più piccolo all’orizzonte. 

Respirò profondamente e sfiorò con un dito le labbra gonfie e doloranti. Ormai non c’era nulla che potesse fare, si disse, e a casa dovevano essere preoccupati per lei, quindi non le restava che tornare lì. Ma fu proprio mentre si voltava per prendere la strada del ritorno che ebbe un’idea. 

Il sentiero che il cocchio stava seguendo si collegava alla strada principale e ci sarebbe voluto un bel po’ prima che raggiungesse Torrhen’s Square. Sansa sapeva dell’esistenza di una scorciatoia: sarebbe arrivata a destinazione prima di Joffrey se avesse tagliato per la Foresta del lupo e, forse, questo le avrebbe dato un piccolo vantaggio, o almeno così sperava.

La Foresta del lupo sorgeva poco lontano, separata dal vicino Winterfell dall’Albero-diga. Appariva immensa, profonda, oscura. Al pensiero di entrarvi, un brivido freddo scosse Sansa e nella sua mente si fece strada il desiderio di scappare via, dritta a casa. Ma, se lo avesse fatto, cosa ne sarebbe stato di Lady? 

“Tanto non potresti fare niente, è spacciata” disse una vocina malevola nella sua testa con lo stesso timbro di Joffrey. “Vattene a casa e dimenticala”

Sansa scosse la testa con forza. 

“E cosa vorresti fare, allora? Pensi davvero di entrare nella foresta? Guardati, stai tremando!” ridacchiò la vocina, infierendo. “Arrenditi, ormai per Lady è finita. Non sei una brava padrona, sei solo una stupida bambina codarda. Se ti vedesse ora, Arya non smetterebbe più di farsi beffe di te!” 

«No!» gridò improvvisamente e un’ondata di coraggio le invase il petto come un fiotto d’acqua calda. «Salverò Lady. Non sarò più una fifona e Arya non mi prenderà in giro, non questa volta!»

Si strinse nel mantello e si incamminò rapidamente in direzione della Foresta del lupo. Quando giunse al limitare della boscaglia anche l’ultimo raggio di sole stava ormai scomparendo per cedere il posto a stelle lontane. 

«Sto arrivando, Lady» sussurrò Sansa nel vento, prima di prendere un bel respiro e lanciarsi in mezzo agli alberi. 

Un istante dopo, le tenebre la inghiottirono.

 

 

 

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

incredibile ma vero, questa mia Sansa qui è perfino coraggiosa! Anche se non so quanto durerà, la foresta è insidiosa e lei è solo una bambina... Ma non vi dico altro se non che ringrazio tantissimo chi ha letto e recensito il primo capitolo, spero che anche questo sia di vostro gradimento e, promesso, Sandor arriverà molto presto, seppur diverso dal solito... ;) 

Infine ho una domanda per voi: il mio Joffrey è odioso almeno la metà dell’originale? Spero di sì. 

Un saluto, 

Amy       


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Amy Dickinson © 2014 (15/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.







Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

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- Capitolo Tre -

La Foresta del lupo era profondamente buia ed il vento frusciava gelido tra gli alberi, scuotendo i capelli e gli abiti di Sansa, fino ad appiccicarglieli addosso. Prima d’allora non era mai stata nella foresta da sola, specie a tarda ora, e non aveva la più pallida idea di che direzione prendere. In quel momento il suo unico pensiero era per Lady e quindi, si disse, dato che non sapeva come orientarsi, qualunque direzione sarebbe andata bene, purché fosse andata avanti. 

Mosse passi lenti e cauti, cercando di stare attenta a dove metteva i piedi e sussultando ogni volta che udiva rumori nelle vicinanze. 

“Questo posto mette i brividi” pensò, osservando i rami spogli degli alberi-diga che recintavano una moltitudine di sempreverdi, a ogni passo più vicina man mano che Sansa avanzava nel folto della foresta. 

Sembravano creature grosse, deformi e mostruose, serve della fitta boscaglia che, narrava una vecchia leggenda di paese, divorava ogni cosa nelle sue fauci.

“No, non devo pensarci. Sono storie, solo storie” tentò di farsi coraggio. “Una volta che sarò fuori da qui potrò raggiungere Torrhen’s Square e andare a cercare Lady. Poi ce ne torneremo finalmente a casa”

Quando, tempo dopo, i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, i suoi passi si fecero più sicuri. Avanzò nella direzione che le suggerì la mente convincendosi che, se avesse seguito la fila di pini che le si stagliava davanti, sarebbe arrivata a destinazione più rapidamente. 

Ad un certo punto dovette appoggiarsi al tronco di un albero e fermarsi un momento a riprendere fiato, la strada era scoscesa e piena di piccoli ostacoli e camminare nella foresta era più faticoso di quanto ricordasse. Prima di proseguire diede un’occhiata al cielo, ma le cime dei pini erano così alte che le coprivano gran parte della visuale, permettendole di vederne solo un piccolo, scurissimo rettangolo. Sospirò e si rimise in cammino.   

Trascorse ancora un po’ di tempo, Sansa si fermò nuovamente e guardò dritto davanti a sé. Non aveva idea di quanto altro ci sarebbe voluto, stava per fare una supposizione quando notò due piccolissime luci non troppo lontano da dove si trovava.

“Delle luci?” si chiese, stupita, stringendo gli occhi più volte. “Che mi stia avvicinando a Torrhen’s Square?” 

Non poteva dirlo con sicurezza, ma un sorriso si dipinse spontaneamente sulle sue labbra. All’idea di lasciare la foresta per il sentiero, la bambina si sentì sollevata e prese a camminare più in fretta in quella direzione. Ma, anche se si faceva dappresso, le luci non divennero tanto grandi quanto lei si era aspettata ed il loro pallore giallo-rossiccio le diede i brividi. Il suono quasi impercettibile di un respiro si fece ad ogni passo più nitido, fu allora che Sansa si fermò e capì. 

Quelle luci non erano lanterne in lontananza, bensì gli occhi di un animale. Mentre lei realizzava ciò, il rumore sommesso e grave di un ringhio risuonò nell’aria, estremamente simile a quello dei cani lupo di casa Stark. 

«La-Lady?» chiamò con voce tremante, dopo un attimo di esitazione, sperando con tutto il cuore che si trattasse della sua buona amica, riuscita in qualche modo a scappare dalle grinfie di Joffrey. «Lady, sei tu?» 

Forse si trattava di un meta-lupo. Forse di un lupo e basta.  

Il ringhio divenne più forte e minaccioso ed il sinistro brillare di quegli occhi le fece capire che non poteva trattarsi di Lady. L’amica a quattro zampe era affettuosa e tanto buona, non le ringhiava mai contro e non l’avrebbe fatto neppure in quella circostanza. E poi, se davvero si fosse trattato di lei, sarebbe corsa tra le braccia della sua padroncina al primo richiamo, non vi era alcun dubbio. 

Improvvisamente, Sansa vide l’animale sbucare da dietro un albero. Al buio poté scorgere solo i contorni della figura, ma non le occorreva conoscerne i dettagli per sapere che quella bestia era pericolosa. 

Ned Stark si era sempre raccomandato con i suoi figli di non andare nella Foresta del lupo da soli perché, se si chiamava a quel modo, di certo c’era una ragione – e più che valida. Quando Arya gli aveva domandato il perché dovessero temere i lupi, il padre le aveva spiegato che questi erano animali selvatici e bisognava essere prudenti perché, qualora si fossero sentiti minacciati, non avrebbero esitato ad attaccare per difendersi. 

Il lupo annusò l’aria e non smise mai di fissarla con i suoi occhi da predatore. Sansa era così spaventata che riusciva a malapena a respirare. Come quello avanzò di un paio di passi verso di lei, la fanciulla non si trattenne e lanciò un grido, scappando a gambe levate nella direzione opposta. 

Alle sue spalle si udì un altro ringhio e il lupo le fu presto alle calcagna. La paura di essere aggredita le diede la forza necessaria per correre più in fretta, ma non servì a distanziarlo di molto. Inoltre, pensò che lo spavento le stesse giocando un brutto tiro perché, ad un tratto, quel respiro si fece così forte che le sembrò di essere inseguita non da uno, ma da cinque, dieci lupi. Non poteva essere, prese a ripetersi, eppure era certa che le sue orecchie non stessero mentendo, ma non aveva il coraggio di voltarsi ed appurarlo. 

La situazione peggiorò quando si trovò davanti un trio di alberi i cui tronchi erano così vicini da sbarrarle il passaggio. Il lupo la raggiunse in un baleno ed un numero imprecisato di altre figure identiche si avvicinava a gran velocità. La mente di Sansa corse frenetica, alla ricerca di una soluzione.

“Pensa, pensa!” ordinò a se stessa. 

Sentendoli arrivare, si appigliò a uno dei rami più bassi dell’albero alle sue spalle e, poggiando un piede su una sporgenza delle radici nel terreno, si spinse verso l’alto, afferrando un altro ramo. Combinando la forza di braccia e gambe, la bambina scalò metà tronco e si fermò soltanto quando si trovò a un’altezza tale che i lupi non avrebbero potuto raggiungere neppure alzandosi sulle zampe posteriori.   

Sebbene gli animali continuassero a ringhiare sotto di lei, Sansa si sistemò su un ramo ed ebbe modo di calmarsi e riprendere fiato. 

“Qui sopra sono al sicuro. Tra non molto si stancheranno e se ne andranno, allora potrò scendere” rifletté. 

Attese un tempo che le parve infinito e notò che quasi tutti i lupi presero ad allontanarsi, capendo che per loro non c’era alcun pericolo. Ma la bestia che per prima aveva rincorso la bambina, pur avendo smesso di ringhiare quasi subito, non accennava ad andarsene. Girava intorno al tronco con aria tenace e non staccava mai quello sguardo luminoso da Sansa. Non poteva salire fin lassù, era vero, ma averlo lì sotto in attesa non era comunque molto rassicurante. Dopotutto non gli aveva fatto nulla, perché se la prendeva con lei a quel modo? 

Poi, di punto in bianco, il quadrupede smise di camminare e si fermò proprio sotto il ramo sul quale sedeva la bambina, restando come in attesa di qualcosa. 

“Ma perché non te ne torni nella tua tana?” pensò, incrociando le braccia al petto. 

Non tardò ad ottenere la risposta. Con un rumore secco e deciso, il ramo sopra il quale sedeva si spezzò, staccandosi di netto dal tronco, e la povera Sansa, non facendo in tempo ad aggrapparsi a qualche altro ramo, precipitò in basso e toccò terra con un tonfo. 

«Ahi!» si lamentò, sfregandosi il corpo in più punti. 

Il lupo, che si era spostato di pochi passi non appena l’aveva vista cadere giù, coprì quella breve distanza e fu subito su di lei. La fanciulla, compreso di non avere più via di scampo, si gettò le mani sulla testa e chiuse gli occhi. 

Il respiro dell’animale era caldo e, ancora una volta, lo sentì crescere e moltiplicarsi. Avvertì movimento intorno a lei, zampe che si muovevano fra rametti e sassolini, nasi che fiutavano la sua figura immobile, scossa solo da un lieve tremito. 

Improvvisamente, due arcate di denti aguzzi si chiusero sul mantello all’altezza delle gambe e tirarono, strappando via brandelli di tessuto e sfiorandole il vestito sottostante. Sansa sussultò ed iniziò a singhiozzare forte, non riuscendo più a trattenere le lacrime. 

“Mi mangeranno!” si disse, inorridita. 

Nella sua mente iniziò subito a riecheggiare la storia di quella bambina che venne divorata da un lupo famelico insieme alla nonna, emergendo dai suoi ricordi con la voce di Nan, la vecchia balia di casa Stark. 

Iniziava a rassegnarsi a quel triste e forse inevitabile epilogo, quando accadde qualcosa di inaspettato. 

Un nuovo ringhio echeggiò forte nell’aria, grave e raschiante, diverso da quello dei lupi. Il branco non tardò a rispondere e presto ci fu trambusto. 

Sansa, spaventata come non mai, restò accucciata sul terreno senza muovere un muscolo, limitandosi solamente ad aprire gli occhi e a sbirciare la scena tra le proprie dita. Notò che era sbucata dal nulla un’altra figura, imponente e minacciosa, intenta a lottare contro i lupi. Il branco non era numeroso come lei si aspettava, riuscì a contare quattro esemplari in tutto, eppure quanto a forza ed agilità valevano per dieci. Ma l’altra bestia non era da mano: da sola riusciva a difendersi senza troppi sforzi, contrattaccando con morsi e zampate così potenti da far guaire i lupi adulti come fossero cuccioli. 

Quando ormai tutti avevano il fiato corto per via del duro combattimento, l’ultimo arrivato iniziò ad abbaiare, scoprendo i denti in modo minaccioso e i lupi, pur ringhiando ancora, furono costretti a indietreggiare e a lasciare quel tratto della foresta. 

“Se ne sono andati!” fu il pensiero incredulo di Sansa. 

Ma questo non la fece sentire del tutto sollevata perché, sebbene i lupi si fossero allontanati, il cane non accennava a farlo. 

“Dalla padella nella brace, sono proprio fortunata!” si lamentò, fissando i contorni dell’animale. “Senz’altro è un randagio, quindi non è molto diverso dai lupi” 

Se perfino loro si erano fatti intimidire, lei che speranza poteva avere contro un simile bestione?

“Forse dovrei risalire sull’albero, fintanto che è girato non mi vedrà. È l’unico modo che ho di sfuggirgli, devo solo stare attenta ai rami più piccoli”

Si mise in ginocchio con movimenti lenti ma, quando fece per sollevarsi, sentì dolore a una caviglia e quasi ricadde. Trattenendo un lamento, riuscì ad alzarsi in piedi appoggiando le mani sulla corteccia. Afferrò il ramo più basso come aveva fatto in precedenza e si sforzò di tirarsi su, in modo da raggiungere quelli più in alto, ma la caviglia bruciava. Istintivamente, posò una mano laddove sentiva male, avvertendo il tessuto delle calze invernali squarciato e bagnato.    

“Sicuramente mi sono ferita cadendo giù” constatò, sentendo sassi di varie dimensioni sotto i propri stivali. “Devo fasciarmi la caviglia come ha fatto quella volta maestro Luwin con il braccio di Jon”

Mentre pensava a come curarsi, la giovane non si era accorta che il cane si era voltato nella sua direzione e le si era avvicinato. Quando se ne rese conto, si addossò con la schiena al tronco dell’albero e lanciò un gridolino di spavento. L’animale, per tutta risposta, non si scompose e continuò ad annusarle il mantello e le scarpe come stava già facendo. 

“Anche se non riesco a vederne il muso, questo cane – perché dev’essere un cane – mi ricorda Gregor, il mastino di Joffrey. Mi fa paura. E se volesse farmi del male?” 

A dispetto di quello che lei pensava, la bestia non sembrava affatto intenzionata ad aggredirla, come se il cane che aveva appena combattuto contro i lupi fosse un altro e non lui.   

“Perché mi sta annusando? Non avrò addosso l’odore di Lady? Se è Gregor, di sicuro allora è scappata e la sta cercando”

Il cane le annusò prima una caviglia, poi l’altra, quindi fece l’ultima cosa che la bambina si sarebbe immaginata: aprì la bocca e iniziò a leccare la ferita. Sansa ne fu enormemente sorpresa perché, prima di allora, quel gesto lo aveva visto fare dai cani nei confronti dei padroni, ma mai verso degli sconosciuti. E poi, si chiese, possibile che Gregor volesse curarla? Quello stesso Gregor che si era scontrato con i cani lupo e che le aveva ringhiato contro con ferocia solo qualche ora prima? Stentava a crederci, eppure l’animale era lì e si stava impegnando per lenire il taglio.

La sua lingua era liscia, calda e umida e, passato il bruciore iniziale, cominciò quasi a farle il solletico. Quando ebbe finito e sollevò la testa, Sansa ne approfittò per ritrarre le gambe, portandosi le ginocchia al petto. Nel farlo sentì che il dolore alla caviglia era già diminuito un po’, tanto che riuscì a piegare le gambe senza grosse difficoltà. 

Il cane tenne gli occhi fissi su di lei, l’aria stranamente tranquilla. 

“Questo cane si comporta in modo strano, non c’è che dire. Prima mi ringhia contro e lotta con Lady e gli altri, poi mi difende dai lupi e mi cura una ferita. Se non fosse una cosa assurda direi che non si tratta dello stesso, ma è impossibil... Un momento, e se fosse così, invece? Che questo qui sia semplicemente un altro cane?”

Strinse gli occhi e osservò la bestia, cercando di esaminarla nonostante il buio.

“Guardandolo bene sembra leggermente più piccolo di Gregor. E poi non ha il collare. Non è abbastanza per dire con certezza che si tratta di un altro cane ma sono fermamente convinta che, se si trattasse di Gregor, a quest’ora mi avrebbe già sbranata. Sono ancora qui, invece, e tutta intera. No, non può essere lui, ne sono convinta. E potrei fare un tentativo per esserne certa...”

Prese un bel respiro e si schiarì la voce. 

«Gregor?» chiamò, titubante. 

All’udire quel nome, il cane fece uno scatto e si guardò attorno con circospezione, producendo un ringhio basso e minaccioso. Le si parò davanti e sembrò volerla nascondere dietro il proprio corpo, come a proteggerla da un pericolo imminente. Sansa non seppe il perché, ma sorrise con sollievo nel constatare che non si trattava di Gregor. Non conosceva affatto quel cane, però sentiva di potersi fidare di lui, dopotutto l’aveva salvata. 

«Non preoccuparti, lui non è qui» si sentì dire, rendendosi conto di aver proferito parola solo quando ormai aveva già richiuso la bocca. 

L’animale si volse verso di lei e la scrutò in silenzio, quasi come se stesse meditando su qualcosa. 

“Si è comportato come se lo conoscesse. E quando gli ho parlato si è girato, proprio come fanno Lady e i suoi fratelli quando vengono chiamati. Chissà, magari è un cane addomesticato” rifletté. “Mi chiedo se, trovandosi qui nella foresta, non sia stato abbandonato dal padrone. Non sarebbe né il primo, né l’ultimo, purtroppo”

Lasciandosi influenzare da quel pensiero, Sansa si sentì improvvisamente coraggiosa e pian piano, ma senza indugi, allungò una mano verso il cane. Quello l’annusò per qualche secondo, poi ne leccò il palmo. La bambina sorrise e capovolse la mano per accarezzare la grossa testa che gli si parava davanti agli occhi e lui si lasciò toccare, mansueto come un agnellino.   

«Sei buono» gli disse. «E non sai quanto ti sarei riconoscente se mi portassi fuori da questa foresta. Devo trovare Lady, la mia cagnolina, perché è in pericolo» 

La guardò con aria comprensiva, come se capisse perfettamente quel che gli aveva appena detto. Allungò la testa verso il polso della piccola e prese un lembo del mantello fra i denti, tirando leggermente verso di sé.

«Ma che fai?» chiese una Sansa piuttosto confusa.

Ovviamente, il cane non poté darle una risposta a parole, ma poi la bambina capì lo stesso. L’aveva tirata verso di sé per farle intendere che doveva alzarsi, quindi l’aveva aiutata a rimettersi in piedi permettendole di appoggiarsi alla sua schiena. Poi morse un altro lembo del mantello e tirò ancora per farle capire che doveva camminare e seguirlo. Si disse che non aveva niente da perdere, anzi, grazie al senso dell’orientamento del cane sarebbe arrivata alla meta molto più in fretta che affidandosi al proprio, quindi lasciò che la guidasse.   

Ma ben presto notò le querce sostituire il manto di pini-soldato e comprese che il cane non la stava portando dove desiderava andare, quindi si fermò di colpo.

«Non voglio tornare a Winterfell, lì c’è la mia casa. Devo trovare Lady che, ormai, sarà già a Torrhen’s Square» tentò di spiegare, sentendosi una stupida a continuare a parlare con il cane come fosse un essere umano. 

Il bestione la guardò un momento e poi abbaiò, come ad esortarla a seguirlo, però la fanciulla scosse la testa. 

«No, la mia direzione è un’altra» 

Ma quello continuò ad insistere, abbaiando ripetutamente. 

«Scusami, cane, ma non verrò con te. Ho già perso troppo tempo, devo proprio andare ora. Ciao e grazie per l’aiuto» disse con fermezza, dandogli le spalle e allontanandosi a grandi passi. 

Per un po’ lo sentì abbaiare ancora ma, avanzando di nuovo nel folto della Foresta del lupo, quei versi si fecero sempre più deboli e lontani, finché si spensero del tutto. 

“Speravo davvero che avrebbe potuto condurmi per la giusta via, invece temo che dovrò trovarla da sola”

Non aveva la minima idea di che ora fosse, la foresta era grande e per attraversarla ci si impiegava parecchio tempo. Si chiese se la sua famiglia la stesse cercando e, supponendo di sì, non poté che darsi della sciocca. Quando Joffrey le aveva portato via Lady non aveva pensato ad altro che a trarla in salvo, dimenticandosi di correre dalla sua famiglia e chiedere l’aiuto del padre e dei fratelli maggiori. Loro avrebbero saputo come arrivare a Torrhen’s Square più in fretta e anche come riprendersi Lady. Ma, in un’esplosione di coraggio per lei del tutto inusuale, si era lanciata alle calcagna del ragazzino senza pensare e, in quel momento, tornata ad essere la Sansa di sempre, la paura riprese il sopravvento e desiderò essere a casa, al caldo ed in buona compagnia. 

“Adesso non pensi già più a Lady?” improvvisamente, la vocina sprezzante tornò a farsi sentire nella sua testa. “Sapevo che sarebbe andata così, da una fifona come te non ci si poteva aspettare altro. Ritornatene a casa, finché sei in tempo, o finirai per incontrare altri lupi e non ci penseranno due volte a divorarti”

«È vero che ho paura» ammise a se stessa, dando voce ai propri pensieri. «Ma non l’abbandonerò mai. Attraverserò la foresta e non mi fermerò finché non avrò raggiunto Torrhen’s Square»

“Nemmeno se incontri un orso alto due metri?”

«Sciocchezze, è ancora inverno e gli orsi sono in letargo»

“Potrebbero esserci dei briganti...”

«N-non ci sono»

“Oh, davvero? E come puoi esserne certa?”

«Adesso basta!» gridò, esasperata. 

La sua voce riecheggiò tra gli alberi e non giunse alcuna risposta né fuori, né dentro la sua testa. 

«Calmati, Sansa, anche se sembra la voce di Joffrey è solo la tua immaginazione» si disse, facendo respiri lenti e profondi per scacciare l’agitazione che l’opprimeva. 

La foresta le sembrò più buia e minacciosa che mai e, sebbene avanzasse, non poteva che muoversi alla cieca in mezzo a quel mucchio di alberi tra loro identici. Cercò di non perdere le speranze e continuò per lungo tempo, vagando senza sosta in quella infinità di verde, marrone e nera oscurità, ripetendosi che non doveva mancare poi molto.

Qualche decina di passi più in là scorse una serie di piccole luci lontane. Si fermò e strinse gli occhi, osservando con attenzione e pregando che non si trattasse di nuovo dei lupi. Non ci mise molto a capire che quei piccoli guizzi di luce altro non erano che fiammelle. 

“Sono delle fiaccole, Torrhen’s Square non deve più essere lontana. Stavolta la direzione è quella giusta, me lo sento!” sospirò di sollievo. “Devo seguire quelle luci e arriverò in paese in men che non si dica. Ah, devo essere nata sotto una buona stella!”

Dirigendosi verso i fiochi bagliori delle abitazioni a valle, Sansa si inerpicò prima sopra una piccola altura e poi dovette superare un gruppetto di pioppi abbarbicati gli uni sugli altri, schiacciandosi contro le cortecce per passarvi attraverso. Dopodiché, poco alla volta, gli alberi cominciarono a diradarsi, finché la bambina non si trovò davanti un magnifico, intenso cielo blu costellato di stelle e, più avanti, oltre un ammasso di rocce, il guizzare delle fiaccole di Torrhen’s Square, più grandi e luminose di prima. 

Non potendo aggirarle, salì e ridiscese ogni roccia con cautela, finché non raggiunse la sommità dell’ultima e da lì si godé lo spettacolo della vallata sottostante: un insieme di medi e piccoli villaggi illuminati dalle torce, una vista che prima d’allora non le era mai stato possibile ammirare.  

Ipotizzò il nome di ciascuno dei centri abitati a seconda della posizione in cui esso si trovava, approfittandone per riposare un po’ dopo la lunga camminata. Quando non riuscì a distinguere i villaggi più lontani si sollevò sulle punte dei piedi, sperando così di poter scorgere ancora un po’ di quel panorama. Ma fu un errore. 

Sansa non si era accorta che l’ultima roccia sulla quale si era arrampicata era a strapiombo su un fosso. Nell’arco di un istante perse l’equilibrio e, con il mondo che le vorticava attorno, precipitò giù. 

L’impatto non fu piacevole: l’acqua sottostante, pur non essendo ghiacciata, era comunque così fredda che le sembrò di sentire una moltitudine di lame perforarle la pelle. 

“Dei, siate misericordiosi!” implorò dentro di sé, incapace di chiamare aiuto per via del gelo che le mozzava il fiato –comunque, anche se ci fosse riuscita, laggiù nessuno avrebbe potuto sentirla.  

Per non annegare, mosse gambe e braccia, scompostamente e spasmodicamente, faticando non poco per rimanere a galla con addosso i vestiti ormai zuppi e per non ingerire acqua. Cercò con tutte le forze un appigliò cui aggrapparsi, ma la parete rocciosa era liscia e le sue piccole mani continuavano a scivolare. Non ci vollero che pochi minuti perché fosse completamente esausta. 

“Che cosa farebbero i miei fratelli al posto mio?” si chiese, perdendo lucidità. “Probabilmente non si perderebbero d’animo e continuerebbero a nuotare. Ma io non sono come loro. Non sono né forte, né coraggiosa. So cucire e ricamare, ma non so lottare come i lupi, né nuotare come le trote. Oh, Madre...”

Lacrime sgorgarono copiose dai suoi occhi e andarono a confondersi con le gocce d’acqua e sudore che le imperlavano il viso. Era stanca, troppo stanca per continuare a nuotare, i suoi movimenti si fecero sempre più lenti e goffi, finché non sentì il proprio corpo irrigidirsi sotto il freddo morso di acqua e vento. Allora alzò la testa verso il cielo e le parve di distinguere ad uno ad uno i volti della sua famiglia. Eddard, così onesto e dignitoso, affiancava Catelyn, forte e amorevole al tempo stesso. Poi fu il turno di Robb e Jon, il primo sorridente e il secondo con quell’eterna aria un po’ mesta, ma gentile. In seguito apparvero Brandon e Rickon, poi arrivò Arya, con quella sua espressione furba e battagliera. Infine toccò alla sua Lady, per lei insostituibile compagna di giochi e passeggiate.

“Perdonatemi...” fu il suo ultimo pensiero, poi svenne. 

L’acqua si riversò addosso a quel piccolo corpo privo di sensi. Ancora un momento e, con tutta probabilità, la bella fanciulla di casa Stark sarebbe annegata. 

Ma lei era nata sotto una buona stella, dopotutto. 

Una mano si avventurò nell’acqua e frugò alla sua ricerca, non riemergendo finché non l’ebbe trovata. 

Sansa venne afferrata per il bavero del mantello e issata fin sulle alte rocce. Una corda venne slegata da un albero solitario ed un paio di braccia forti si caricarono la piccola in spalla, spostandosi in direzione della foresta. 

Era nata sotto una buona stella, dopotutto. 

     

 

 

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

ma chi avrà tirato Sansa fuori dall’acqua? Qualche idea? E quel cane da dove salta fuori? Okay, la pianto con le domande U.U

Grazie mille a chi legge, recensisce, segue e ha messo la storia nei preferiti, siete adorabili ^^

Se poi ne avete voglia, qui trovate un’altra mia SanSan (stavolta IC), mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate :3 

Un saluto e al prossimo capitolo, se vi va  ❤ 

Amy       

 

    

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Amy Dickinson © 2014 (22/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



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- Capitolo Quattro -

 

Sansa si sentì avvolgere dall’acqua, come fosse in un sogno. Poi le sembrò di fluttuare nell’aria notturna, leggera come una piuma, per un tempo indefinito. A poco a poco il freddo allentò la presa sulle sue membra, lasciandole addosso una gradevole sensazione di calore che si fece sempre più intensa. Le gocce sul suo viso, sui capelli e sui vestiti scivolarono via o evaporarono nel vento. Un odore familiare le riempì le narici e nelle orecchie risuonò chiaro un vivace scoppiettio. Aprì gli occhi lentamente e notò un soffitto di pietra debolmente illuminato, poi una luce alla sua destra che capì essere un fuoco, le fiamme che guizzavano consumando la legna, i contorni poco nitidi. Fu proprio osservando quel continuo movimento che qualcosa attirò la sua attenzione. 

Un’alta figura dai lunghi capelli scuri se ne stava in piedi oltre il fuoco, indaffarata a trafficare con quelli che sembravano ciocchi di legno. Era girata di spalle e perciò non era possibile scorgerne il volto. Solo allora la bambina si ricordò di quanto era accaduto da quando era uscita di casa il pomeriggio precedente: l’incontro con Joffrey, la decisione di addentrarsi nella Foresta del lupo per cercare di riprendersi Lady, la corsa per sfuggire ai lupi, l’arrivo del cane, le fiaccole di Torrhen’s Square e la caduta nel fosso... 

“Se sono qui allora non sono annegata” si rese conto. “Che questa persona mi abbia aiutata, dunque?”

Doveva accertarsene. Aprì bocca per dire qualcosa ma ne uscì solo un suono strozzato, simile a un rantolo, subito seguito da un tossicchiare che le tolse il respiro. Si girò su un fianco e sputò acqua sul pavimento di sassolini sotto di sé, quindi si schiarì la voce e si tirò su a sedere. Addosso aveva un mantello nero che le ricadde in grembo e sulle gambe, un mantello che non era il suo. 

Si voltò verso il fuoco ma la figura di un momento prima era improvvisamente scomparsa. Al suo posto, a fianco a una piccola catasta di legna, sedeva il cane che l’aveva salvata dai lupi, intento a grattarsi. 

“Ma dove...?” 

Quando l’animale si accorse che aveva ripreso i sensi, la raggiunse e le si sedette accanto. La bambina si stava ancora guardando intorno con aria spaesata, si trovava in una piccola grotta e davanti a sé vedeva chiaramente i pini della Foresta del lupo. 

«Oh, Mastino, sei qui» gli disse poi, accarezzandogli la testa. «Mi è sembrato di vedere qualcuno, ma non può essere o tu ti saresti messo ad abbaiare. Chi mi ha salvato, allora?»

Di certo non poteva trattarsi del cane. Sansa poteva credere che l’avesse trascinata fuori dall’acqua, ma come avrebbe fatto a tirarla su, sopra le rocce? E, sebbene le piacesse ascoltare le storie della vecchia Nan, era già troppo grande per credere che un cane potesse accendere il fuoco. Infine, c’era quel mantello in cui era stata avvolta, e i cani non ne indossavano.  

«Immagino che non lo scoprirò, almeno per ora»

Fuori il blu del cielo aveva assunto una sfumatura più chiara che faceva capolino fra i tronchi degli alberi. Ciò rattristò molto Sansa. Era quasi trascorsa una notte intera e non solo non era riuscita a trovare Lady, ma di sicuro aveva anche fatto preoccupare la sua famiglia. Se fosse mai riuscita a tornare a casa, era certa che l’avrebbero messa in castigo. 

Mentre era persa nei suoi pensieri sentì lo stomaco brontolare e si rese conto che non mangiava da un bel po’. Allora si ricordò dei dolcetti al limone che aveva comprato dal fornaio e li tirò fuori dalla tasca del mantello, trovandoli però mollicci e mezzo sbriciolati. 

«Che sia stato l’odore di questi a far avvicinare i lupi?» si chiese, pensando ad alta voce. 

Ne addentò un pezzo e iniziò a masticarlo, ma lo sputò via subito e, anche se a malincuore, gettò il resto nel fuoco.

«Beh, in ogni caso sono disgustosi, praticamente immangiabili. E addio cena» 

La testa del cane era morbida e Sansa gli fece le carezze per tutto il tempo. Non sapeva spiegarsi bene il perché, ma l’animale le dava l’impressione di sentirsi molto solo. Le era stato di grande aiuto nella foresta e coccolarlo un po’ le sembrava il minimo che potesse fare. Quando poi smise di sognare il gusto dei dolcetti appena sfornati, si accorse che il cane stava ruminando qualcosa. 

«Ma quello è un osso!» esclamò, vedendolo spuntare tra i denti della bestia. «Che fortuna, vorrei anch’io qualcosa da mangiare...»

Lasciò Mastino al suo pasto e si spostò un po’ più vicino al fuoco per continuare a scaldarsi. La legna si stava esaurendo in fretta e le fiamme non erano più alte e vivaci come prima, ma queste non furono le uniche cose che destarono la sua attenzione: c’erano dei pezzetti di carne che arrostivano sul fuoco. 

«Della carne!» gridò, incredula e felice, con la stessa meraviglia di chi ha appena scoperto di possedere una montagna di monete d’oro. «Ma chi può...?» 

Si guardò attorno per l’ennesima volta e, per l’ennesima volta, non vide nessuno. Era chiaro: chi l’aveva tratta in salvo dall’acqua del fosso aveva provveduto ad accendere un fuoco e a cuocervi sopra della carne, affinché lei potesse scaldarsi e mangiare qualcosa. Un gesto indubbiamente nobile e generoso, ma come poteva Sansa ringraziare il suo salvatore, se non sapeva chi egli fosse?  

La carne aveva assunto un bel colorito ed emanava un odore davvero invitante. Senza fare complimenti, prese uno degli spiedi sui quali erano stati infilzati i pezzi di carne e, soffiandoci sopra per intiepidirli, diede un morso alla sua cena. O era la colazione? Non seppe dirlo, ma quella pietanza le sembrò la cosa migliore che avesse mai mangiato, era addirittura saporita al punto giusto. 

«Ne vuoi un po’?» domandò al cane, mostrandogliene un pezzo. 

Ma lui era talmente impegnato a rosicchiare l’osso che non le badò. La bambina lo prese come un no e continuò a masticare avidamente finché non rimasero che gli spiedi vuoti.      

Il cielo sbiadiva sempre di più, finché non giunse l’alba. Seduta accanto al fuoco quasi spento, la piccola poté osservare il sole sorgere e brillare tra gli alberi in luminose sfumature oro-aranciate. 

«Direi che è inutile restare qui, forse è meglio che torni a casa» fece, alzandosi in piedi e sgranchendosi le gambe. «Avrei dovuto darti retta e seguirti quando volevi indicarmi la strada del ritorno, Mastino. Sono stata sciocca a voler andare a tutti i costi a Torrhen’s Square. Mi accompagni a Winterfell?»

Ovviamente non si aspettava alcuna risposta, ma il cane scattò su non appena udì le sue parole, come fosse pronto a mettersi in cammino. Sansa gli fece una carezza e si stiracchiò, poi raccolse il mantello nero, lo piegò con cura e lo sistemò vicino alla catasta di legna. 

“Non so chi mi abbia aiutata, è vero, ma sarebbe scortese andarmene senza lasciargli qualcosa come ringraziamento” pensò, frugando nelle tasche alla ricerca di un qualche oggetto che avesse il benché minimo valore. 

Il mastino era già uscito dal riparo nella parete rocciosa e aveva incominciato ad abbaiare, come ad esortarla a fare lo stesso. 

«Sì, un momento, adesso arrivo» gli rispose, tirando fuori dalle tasche quattro monetine di rame, un fazzoletto ricamato e una manciata di briciole appiccicose lasciate dai dolcetti. 

“Il fazzoletto non ha un gran valore e le monete sono una miseria, ma sempre meglio di niente” si disse, ripiegando il piccolo quadrato di stoffa bianca, bordato da minuscole sagome di uccellini azzurri, e adagiandolo sopra il mantello assieme alle monetine. 

Sistemò il nodo che chiudeva la sua cappa e indossò il cappuccio per ripararsi dal freddo, quindi si decise a seguire il cane. 

La Foresta del lupo faceva decisamente meno paura di giorno ma Sansa sapeva che i pericoli erano sempre li in agguato, perciò camminò al fianco dell’animale, affrettando il passo e seguendolo senza fare un fiato. Attraversare i filari dei pini-soldato richiese meno fatica e muoversi sul terreno scosceso non fu più un problema, dato che poteva finalmente vedere dove metteva i piedi e così evitare sassi e buche. 

Il pallido sole invernale si apprestava a salire oltre i tronchi quando i pini lasciarono spazio agli alberi-diga. Winterfell non era più lontana, la fanciulla lo sapeva e perciò sentì il cuore battere più forte all’idea che presto avrebbe riabbracciato la sua famiglia.  

«Sansa!» udì chiamare a un tratto. 

Una voce maschile. Suonava familiare ma inizialmente non la riconobbe.   

«Sansa!» gridò un’altra voce, più matura e profonda della precedente.

«Sansa!» si unirono le voci di due bambini. 

“Che siano Robb e Jon?” si chiese. 

Man mano che si avvicinava al limitare della foresta le voci divennero sempre più chiare, finché non ebbe la conferma che suo padre e i suoi fratelli la stavano cercando. 

«Padre!» gridò a sua volta. «Padre! Padre!»

Quando anche le querce si diradarono e i piedi tornarono a formare orme nella neve fresca, Sansa iniziò a correre e non si fermò finché non vide comparire un gruppo di uomini. Vento grigio, Spettro e Cagnaccio erano con loro, le corsero incontro e le fecero le feste, leccandole il viso e le mani. 

«Buoni, buoni!» disse loro, accarezzandone il morbido pelo.

«Sansa!» esclamò Eddard, correndo verso la figlia insieme a Robb e Jon. 

«Oh, padre!» singhiozzò lei, facendosi strada tra i cani lupo e lanciandosi fra le braccia dell’uomo. «Sapeste come sono felice di rivedervi!» 

«Anch’io, bambina mia. Hai avuto paura, vero?» domandò, accogliendola nel più caldo degli abbracci. 

«Sì...»

«Ma come ti è saltato in mente di addentrarti nella Foresta del lupo da sola e con il buio? Cosa vi ho sempre detto?»

«Non dovevo farlo, lo so, ma Lady è...»

«Cosa c’entra Lady? E dov’è adesso?»

«È stato Joffrey, padre... È venuto a Winterfell, aveva un grosso mastino che si è messo a litigare con i nostri cani... Ha preso la mia Lady e io volevo salvarla... Ma poi...»

«Adesso andiamo a casa, va bene? Quando ti sarai calmata ci spiegherai tutto. Non piangere più però, il pericolo è passato»

«L’importante è che non ti sia fatta nulla, piccola. Stai bene, vero?»

«Sì, Jory» rispose. «Grazie» 

Ned ringraziò chi lo aveva accompagnato e garantì a tutti una ricompensa per l’aiuto, quindi si avviò verso il paese con la figlia ancora tra le braccia, i figli maggiori e i cani lupo davanti a sé. 

Cullata dal dondolio della camminata del padre, Sansa scivolò nel dolce torpore del dormiveglia, dal quale si destò non appena giunsero a casa. Quando la porta si aprì, Estate e Nymeria uscirono di corsa e l’accolsero festosi. Il calore della sua dimora le parve soffocante comparato al freddo che faceva nella foresta e, proprio per quel motivo, lo amò come non mai. Subito dopo i fratelli la strinsero in un abbraccio collettivo nel quale si crogiolò per un po’. 

«Sei proprio una stupida» disse Arya, sussurrandole in un orecchio. «Ma una stupida coraggiosa, lo ammetto» 

Sansa sorrise, interpretando quella frase come un complimento. Tuttavia, quel sorriso svanì rapidamente dalle sue labbra non appena vide Catelyn in piedi davanti al focolare. Aveva le braccia conserte, una dura espressione in volto e la guardava con occhi di ghiaccio.       

«M-madre...» balbettò la figlia, avvicinandosi a lei a piccoli passi. 

La donna si protese in avanti e le diede un ceffone, arrossandole la pallida guancia. La piccola si portò una mano laddove era stata colpita, abbassò la testa per la vergogna e iniziò a piangere sommessamente. Non era mai stata schiaffeggiata prima. Robb, Jon e Arya sì, ma non lei, lei era sempre stata una brava bambina. 

«Cat...» mormorò Ned, cingendo le spalle della moglie. «Non fare così, è ancora spaventata»

«E noi, allora?» sbottò la donna. 

«Madre, so che eravate tutti preoccupati per me...» singhiozzò Sansa. «Vi chiedo perdono, volevo soltanto riprendermi Lady...» ancora un singulto. «Credevo di farcela e di tornare qui presto ma...» 

Per tutta risposta Cat le lanciò un’altra occhiata gelida e, dopo essersi divincolata dalla gentile presa del marito, se ne andò in cucina. Prima che sparisse dietro l’angolo del corridoio, a Sansa sembrò che anche sua madre stesse piangendo.  

«Vieni a sederti qui» disse allora il padre, indicandole la sedia vuota vicino al camino. «Robb, Jon, voi andate pure a riposare. Siete stati coraggiosi, meritate una bella dormita» 

La sera prima i ragazzini avevano insistito per uscire con lui in cerca di Sansa e in quel momento avevano l’aria molto stanca, quindi annuirono e si avviarono alla loro camera a suon di sbadigli. Invece Arya e Brandon si sedettero sul pavimento a gambe incrociate. 

«Raccontaci cosa ti è successo» l’esortò Bran.  

«È una storia un po’ lunga...» avvertì la sorella. 

«Abbiamo tempo» fece Arya, mordicchiandosi le unghie. 

«Su, dal principio. E non dimenticare nulla» si raccomandò il fratellino, sempre felice di ascoltare qualche storia avvincente. 

Sansa guardò Ned e, vedendolo annuire, iniziò a raccontare. Cominciò col parlare dei dolcetti al limone e della visita a casa di Jeyne, quindi parlò di Joffrey, di Gregor, di Lady e della Foresta del lupo. 

«Quel Joffrey è un idiota!» commentò Arya. «E scommetto che è anche una femminuccia. Se fosse qui, lo infilzerei con la mia spada di legno e...»

«Vuoi stare zitta? Non mi fai sentire la storia!» protestò Bran. 

«E se non volessi?» insisté lei.

«Sansa stava parlando» intervenne Ned. «Lasciatela finire»

Bran annuì e Arya sbuffò, poi la sorella maggiore riprese. Ma quando dovette menzionare il cane che l’aveva difesa dai lupi, Sansa si bloccò di colpo. 

«Mastino!» esclamò, alzandosi in piedi all’improvviso. «Come ho potuto dimenticarmi di lui?»

«Quando ci sei venuta incontro non ho visto nessun cane» disse suo padre. «Forse vive da randagio nella foresta»

La figlia annuì con aria preoccupata. 

«Continua!» insisté Bran. 

Sansa sospirò e proseguì con il racconto, interrompendosi solo per un istante quando sua madre rientrò nella stanza sorreggendo un vassoio di legno colmo di dolcetti alle mandorle e cinque tazze fumanti, tre di latte e miele e due di vino alle spezie. Mentre fece segno alla figlia di continuare, distribuì equamente tazze e dolcetti e poi prese posto su una sedia e si mise anche lei in ascolto.

«Adesso non pensarci più, sei a casa e stai bene, per fortuna» disse la donna non appena la bambina ebbe finito, andando ad abbracciarla. «Mi hai fatto morire di paura. Una bella punizione domani non te la toglie nessuno»

«Scusate, madre» rispose, ricambiando la stretta. 

«Comunque non devi preoccuparti per Lady» fece Ned, dopo un attimo di riflessione. «Rodrik ha delle faccende da sbrigare per mio conto, perciò nel pomeriggio si recherà a Torrhen’s Square. Gli dirò di cercare la famiglia di Joffrey e, se la troverà, stai pur certa che Lady sarà a casa prima di sera» 

«Spero sia così. Grazie, padre»

«Me lo auguro anch’io, piccola»

Sansa sbadigliò, coprendosi prontamente la bocca con una mano. 

«Va’ a prendere il sapone e la tinozza, poi aspettami nella tua stanza. Ti riposerai dopo il bagno»

«Sì, madre»

«Ned, riposati anche tu. Stai solo attento a non svegliare Rickon, va bene?» 

«Come la mia lady comanda» 

Cat sorrise e lasciò che il marito le posasse un bacio sulle labbra, poi lo vide dirigersi in corridoio, preceduto dalla figlia. Mandò Arya, Bran e i meta-lupi a giocare in giardino, lavò le tazze e mise a scaldare un enorme pentolone d’acqua. 

Il bagno fu piacevole e il sonno colse Sansa non appena si coricò nel suo lettino. 

 

Si svegliò qualche ora dopo e si tirò su a sedere, sfregandosi gli occhi con le mani. Fuori dalle finestre era ancora giorno ma la luce era più debole, quindi comprese che doveva già essere tardo pomeriggio. Si alzò, rifece il letto, tolse la camicia da notte e indossò un abito pulito. Corse fuori dalla sua stanza e si diresse in salotto, dove il fuoco ardeva vivace. Cat sedeva su una sedia lì vicino e cullava il piccolo Rickon tra le braccia. 

«Oh, ti sei svegliata» disse, notandola. «Hai fame?»

«Rodrik se n’è già andato?» chiese Sansa, ignorando la domanda e guardandosi intorno. 

«Rodrik? No, cara, non è arrivato»

«E quando arriverà?»

«Non oggi. C’è stato un problema in municipio e così non è più andato a Torrhen’s Square. È dovuto scendere in piazza anche tuo padre»

«Quindi non avrò notizie di Lady» dedusse la bambina, sospirando profondamente. 

«Non stare così in pensiero, vedrai che riusciremo a trovarla» 

“Certo, quando tutti i problemi del municipio saranno risolti e Joffrey le avrà fatto chissà cosa!” pensò, risentita, ma non disse nulla. 

«Perché non mangi qualcosa?» l’esortò la donna. «Manca ancora qualche ora alla cena» 

«No, grazie. A dire il vero non ho molto appetito. Credo che andrò in giardino» 

«Va bene» 

Sansa diede una carezza alla manina di Rickon, che spuntava fuori dalla copertina nella quale era avvolto, facendolo sorridere, poi andò a prendersi il mantello e uscì in giardino. 

Bambini e animali erano tutti impegnatissimi nei loro giochi, così tanto da non accorgersi di lei. Spolverò via un leggero strato di neve da un ceppo di legno e vi si sedette sopra, osservando gli altri con aria malinconica. 

Arya, stanca di duellare con Bran, stava pregando Jon di insegnarle come usare al meglio la daga di legno. Il fratellino, irritato per essere stato piantato in asso, abbandonò la sua arma, fece una palla di neve e la tirò contro la sorella, ma prese male la mira e colpì Robb in testa. Quest’ultimo rise e si mise ad appallottolare neve a sua volta, lanciando poi una pallina piccola e rapida che Bran schivò di un soffio. Intorno a loro, i cani giocavano a rincorrersi e a lottare. Nymeria e Vento grigio giravano in tondo, studiandosi, mentre Estate e Cagnaccio si stavano rotolando nella neve poco più in là. Spettro, invece, sostava in cima ad un alto cumulo di neve, candido e maestoso nella sua immobilità, e sembrava osservare il paesaggio oltre il giardino. 

Trascorse un po’ di tempo e il cielo imbrunì, portando con sé folate di vento freddo. 

«Rientrate, bambini. Venite a scaldarvi» disse Catelyn sulla soglia. «Vostro padre sta facendo il bagno e tra poco ceneremo. Su, venite» 

I figli lasciarono i giochi con riluttanza ma non obiettarono, avevano le guance e i nasi rossi come pomodori e un po’ di calore non sarebbe dispiaciuto a nessuno. Sansa si alzò dal ceppo e mosse qualche passo per sciogliere i muscoli delle gambe irrigiditi dal freddo. Stava per rimettere piede in casa quando si accorse che i cani non erano rientrati insieme ai loro padroni, stavano invece salendo tutti sul cumulo di neve vicino a Spettro. 

“Ma cosa staranno mai guardando di tanto interessante?” si chiese, prima di voltarsi ed entrare. 

La risposta giunse prima di quanto immaginasse. 

I cani lupo iniziarono ad abbaiare forsennatamente, saltarono giù dal cumulo e corsero dentro casa, lasciando ovunque impronte bianche e acquose. Nella foga, uno di loro urtò Sansa e rischiò quasi di farla cadere. Si diressero alla porta d’ingresso e presero a grattarne il legno con le unghie. 

«Ma che gli prende?» domandò Arya.

«Sembrano impazziti» commentò Bran. 

«Che abbiano fiutato una qualche preda?» ipotizzò Robb.

«Forse qualche altro cane ha invaso il loro territorio» si aggregò Jon. 

«Per l’amor del cielo, non statevene lì impalati e andate ad aprire, non sopporto tutto questo grattare!» ordinò spazientita la madre, intenta a dar da mangiare a un Rickon che proprio non voleva saperne di mandare giù la cena. 

Fu Bran il più veloce a ubbidire. Si diresse alla porta, si fece strada tra i cinque cani e fece scattare la serratura. Le bestiole uscirono fuori con la rapidità di un fulmine e si avviarono giù per la strada. 

«Ma dove accidenti vanno?» fece Robb, comparendo dietro Bran. 

«Seguiamoli» suggerì Jon, andando a prendere i mantelli che si erano tolti un momento prima.  

I fratelli maggiori uscirono di casa al seguito dei cani e, se Eddard non li avesse presi per una spalla, anche i più piccoli li avrebbero seguiti. 

«Restate con vostra madre» ordinò loro in tono austero, quindi prese il mantello e seguì i figli più grandi in strada. 

Sansa sostò sull’uscio insieme agli imbronciati Arya e Bran, restando in attesa. 

Non trascorse molto tempo dacché il gruppo fece ritorno. Guardandoli risalire il sentiero che portava verso casa, alla figlia maggiore parve di contare sei cani. Si sfregò gli occhi, ma non cambiò nulla. 

“Che strano” pensò. 

Ma non c’era nulla di strano: effettivamente vi era un sesto meta-lupo. Era ferito e avanzava piano, gli altri gli camminavano intorno, come a proteggerlo e scortarlo. A Sansa bastò guardare con un po’ più di attenzione per riconoscerlo. 

«Lady!» gridò, incredula e felice, correndo fuori. 

Non appena la vide, Lady si sforzò di camminare più velocemente e presto la raggiunse, abbaiando. La bambina si inginocchiò sulla neve e circondò la testa della cagnetta con le braccia, accarezzandole il pelo reso ispido dal freddo. 

«Lady è tornata, hai visto? Questi cani hanno l’istinto del lupo e sanno come sopravvivere» disse Ned con un sorriso. «Ora però entriamo o ti prenderai un malanno»

«Sì, padre» rispose la figlia, rimettendosi in piedi e conducendo l’amica a quattro zampe fino alla porta di casa. 

Era felicissima di riavere la sua Lady con sé. Aveva creduto che non l’avrebbe mai più rivista, invece era lì, aveva qualche ferita qui e là ma, fortunatamente, era viva. Eppure, nonostante il lieto evento, c’era ancora qualcosa che la rendeva malinconica, anche se la bambina non capiva di cosa si trattasse. Ignorò la sensazione e medicò le ferite di Lady con l’aiuto di sua madre, poi la famiglia si riunì intorno al tavolo e finalmente cenarono. 

Quella notte Sansa dormì tranquilla. Ma quando si svegliò, la mattina dopo, la malinconia della sera precedente era ancora lì, nel suo petto. Sentendola alzarsi, la cagnetta si svegliò a sua volta e percepì lo stato d’animo della padroncina. Le leccò il dorso di una mano e guaì piano. 

«Buongiorno, Lady» disse la piccola, accarezzandole la testa. 

“Hanno un pelo diverso, lei e Mastino” pensò improvvisamente, immaginando la figura del cane. “Chissà se è ancora nella foresta e se sta bene. Deve sentirsi molto solo, come lo sono stata io senza Lady”

Gettò uno sguardo alla finestra, fuori il cielo era ancora scuro ma sentiva che presto avrebbe albeggiato. Si lavò la faccia con l’acqua fredda della brocca posta sul comodino, rifece il letto, si cambiò d’abito e infilò gli stivaletti da neve ai piedi.   

“Mi ha aiutata, non so ancora spiegarmi bene il come e il perché, ma lo ha fatto. E io non ho pensato ad altro che a tornarmene a casa. Vivere nella foresta non è facile e, di sicuro, non ha molte prede. Forse potrei portarlo qui e farlo vivere insieme a noi. Il suo aspetto minaccioso fa un po’ paura all’inizio, ma io so che è buono e, se riesco a convincerli, magari i miei genitori mi permetteranno di tenere anche lui, oltre a Lady” 

Mastino le era stato fin troppo d’aiuto e, anche se era un cane, Sansa sentiva che era giusto fare qualcosa di carino per lui. Se fosse stato un essere umano lo avrebbe invitato a pranzo e avrebbe chiesto a suo padre di dargli una ricompensa ma, trattandosi di un animale, pensava che affetto, pasti regolari e una casa calda in cui rifugiarsi fossero più adatti.

“Sì, direi che potrebbe andare. Ma prima devo trovarlo” 

Uscì di soppiatto dalla propria camera, Lady subito dietro di lei. Dopo essersi assicurata che i genitori e i fratelli stessero ancora dormendo, si diresse in cucina e depose dentro uno strofinaccio gli ultimi rimasugli di carne della sera prima, quindi lo richiuse con un nodo e lo infilò in un cestino insieme a una manciata di carote. 

Prima di andare via, pensò bene di scrivere un biglietto in cui avvisava la famiglia delle sue intenzioni, pregandoli di non essere in collera con lei e di non preoccuparsi perché sarebbe tornata al più presto. Quando ebbe finito, lo lasciò in bella mostra sul tavolo del salotto e raggiunse l’ingresso. Indossò il proprio mantello e aprì la porta. 

«No, Lady, tu sta’ qui, io tornerò presto» sussurrò, quando il suo cane la precedette, uscendo in strada. 

Lady però non diede segno di volerle obbedire. 

«Va’ dentro, avanti» insisté. «Non ti porterò con me»

Invece alla fine dovette arrendersi e lasciare che l’accompagnasse perché, qualsiasi cosa dicesse o escogitasse, l’animale non si muoveva e l’attendeva paziente. 

«D’accordo, andremo insieme» sospirò infine. «Ma sbrighiamoci. Prima troviamo Mastino, prima saremo di ritorno»

Si avviarono a passo rapido verso il paese, superarono alcuni vicoli e imboccarono la strada che portava all’Albero-diga, oltre il quale troneggiava selvaggia la Foresta del lupo.   

 

 

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

ovviamente questo è un capitolo di transizione e, tranne per il ritorno di Lady, non è successo molto – a proposito, siete contenti che sia ricomparsa? Io sì ^^  –, ma per me scrivere della famiglia Stark è come mangiare dolcetti a volontà, non mi stanca mai <3  

Nel prossimo capitolo Sansa si metterà alla ricerca dell’amico canino, ma lo troverà? Oppure c’è altro che l’attende?

Un mega grazie a chi legge, recensisce e segue questa storia, specie a Phoenixstein, che adoro. 

Qui, se volete, trovate un’altra mia fanfiction, sempre a tema SanSan ^___^

Alla prossima ;) 

Amy    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Amy Dickinson © 2014 (26/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

 

 

 

 

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- Capitolo Cinque -

Alla luce mattutina la Foresta del lupo appariva vuota e spettrale, con i suoi alberi intirizziti dal vento e coperti da una leggera crosta di ghiaccio. Regnava un silenzio inquietante e l’unica cosa che trasmetteva a Sansa un po’ di tranquillità era la vicinanza di Lady, che in parte rimaneva pur sempre un lupo. 

“Questi pini-soldato sembrano tutti uguali” pensò, girando la testa da una parte all’altra. “E di rocce non vedo nemmeno l’ombra. Come farò a ritrovarlo se non so in che direzione andare?” 

La determinazione iniziale si affievoliva ogni passo di più, quella foresta era davvero grande e lei non aveva la minima idea di dove iniziare a cercare. Le sembrava di non avanzare, anzi, temeva che quella di girare in tondo non fosse solo una sensazione. Stava iniziando a perdere le speranze quando Lady fiutò qualcosa nell’aria e drizzò le orecchie.

«Che succede? Hai forse trovato la strada?» chiese la piccola, osservando l’animale annusare il terreno. 

La meta-lupa non le rispose, naturalmente, ma prese a seguire quella che doveva essere una pista e Sansa dovette correre per starle dietro. 

Per parecchi, lunghi minuti gli alberi sembrarono volersi chiudere su quelle due figure ma poi, inaspettatamente, si aprirono, portando uno spiraglio di livida luce tra tutto quel verde e marrone, rivelando un piccolo sentiero. 

“Questa dev’essere la strada per Torrhen’s Square” realizzò la bambina, notando minuscoli profili di case lontane. “Quando la cercavo non l’ho trovata. Adesso che non mi serve più, eccola qui. Che ironia!”

Ma, al contrario di lei, Lady non si fermò e raggiunse il sentiero con un balzo. 

«Aspetta, non è lì che dobbiamo andare!» la richiamò. 

Ma l’amica canina non le prestò alcuna attenzione e continuò a scendere lungo il sentiero. Sansa scosse la testa e le corse appresso. 

La stradina presentava una curva. Come aveva fatto Lady, la fanciulla svoltò e, subito dopo, si lasciò sfuggire un sussulto.

“Oh, Madre, cosa ci fa lui qui?”     

Joffrey era proprio lì, a una ventina di passi da lei. Era girato di spalle ma era certa si trattasse di lui, i capelli biondi e il farsetto porpora bordato d’oro sotto il mantello svolazzante erano inconfondibili. Poco distante da lui c’era Meryn, l’uomo che l’aveva schiaffeggiata, intento a cercare qualcosa in un cespuglio. In una mano teneva stretto il guinzaglio al quale era legato Gregor, anche lui impegnato nella ricerca.

«Cercate bene» stava dicendo il ragazzino, battendo un piede in terra per l’impazienza. «Deve esserci. È stato proprio qui che ho mirato a quello stupido coniglio»

«Credo che fosse una lepre...» fece l’uomo.

«Quello che è! Le frecce dorate sono un regalo di mia madre e, se scopre che ne ho persa una, non mi comprerà mai la balestra nuova che mi ha promesso per il mio compleanno. Avrò anche perso il trofeo di caccia, ma la freccia devo riaverla!» 

La grossa testa di Gregor emerse dal cespuglio senza preavviso, si volse dalla parte del suo padrone ed iniziò a ringhiare. 

«Che ti prende adesso, stupido cane?» 

Gregor non prestò la minima attenzione a Joffrey, lo superò con un balzo, trascinandosi dietro Meryn, e si scontrò con Lady, scivolata di soppiatto alle spalle del ragazzino. 

Meryn lasciò andare il guinzaglio, Joffrey si scansò e, notando il meta-lupo, si guardò intorno e vide Sansa. 

«Ancora tu!» gridò con irritazione. «Mi stavi seguendo?»

«Nient’affatto» gli rispose cauta la bambina. «Ho solo sbagliato strada»

«Vedo che ti sei ripresa la tua cagna. Sei stata fortunata, è vero, ma rimani una stupida: hai fatto male a portarla qui, non mi sfuggirà una seconda volta. Gregor, avanti, sbranala!»

«Per favore, lasciala stare! Ce ne andremo via subito, promesso» lo pregò. 

«Sai cosa puoi farci con le tue promesse?» ridacchiò mentre un sorrisetto sadico andava dipingendosi sulle sue labbra. «E poi ho deciso: regalerò a mia madre una mantellina di pelliccia di lupo!»   

Mentre i bambini parlavano, i cani lottavano senza sosta e nessuno dei due dava segno di volersi arrendere. Gregor aveva una forza spropositata ma Lady era velocissima a schivare i colpi e ne assestava di molto potenti. 

«Te ne prego...» 

«Prega pure quanto ti pare, la risposta è no!» 

Sansa si sentì tremendamente impotente, si morse il labbro inferiore e osservò il combattimento senza poter fare nulla. 

“Madre, la mia Lady...”

Una folata di vento le fece chiudere gli occhi per un istante. Quando li riaprì vide che Lady osservava i movimenti di Gregor ringhiando spaventosamente, ma a combattere con il bestione c’era un altro cane. 

«Mastino!» esclamò la fanciulla, lasciando cadere il cestino che aveva in mano e non potendo fare a meno di sorridere. 

«Meryn, pensi anche tu che sia lui?» domandò Joffrey all’uomo. 

«Sì, è Sandor, ci scommetto» fu la sua risposta. 

“Sandor? È dunque questo il suo nome?” pensò lei. “E come fa Joffrey a conoscerlo? Vuol dire che gli è appartenuto?”

«Prendilo, voglio riportarlo a casa e dargli una lezione che non scorderà facilmente!» 

L’uomo annuì all’ordine e si avvicinò ai cani in lotta. Impugnò una frusta e la face schioccare, una prima volta per separarli, una seconda per colpire Sandor. Ma la bestia schivò il colpo e l’arma colpì Gregor di striscio, facendolo guaire. Il mastino ringhiò contro Meryn, costringendolo ad indietreggiare, poi si avventò di nuovo sull’avversario. Lo scontro riprese e si fece sempre più violento, lasciandoli entrambi coperti di ferite. Lady si spostava da una parte all’altra, abbaiando e ringhiando contro Gregor.  

«Si può sapere che stai aspettando? Colpisci!» sbraitò Joffrey. 

Meryn si avvicinò di nuovo ma Lady arrivò a sbarrargli la strada. 

«Levati di mezzo!» gridò, cercando di colpirla con la frusta. 

Con un rapido scatto, la lupa afferrò un’estremità dell’arma e la strinse fra i denti, poi la strattonò via dalle mani dell’uomo e la lanciò lontano, in mezzo all’erba ai margini del sentiero.

«Cagna rognosa che non sei altro!» esclamò, assestandole un calcio. 

Lady guaì, ma non si lasciò intimorire e gli si avventò addosso, scaraventandolo a terra.

«Basta, lascialo andare» ordinò Sansa. «Tu sei buona, non sei come Gregor. Lady, vieni da me!»

Ma la cagnetta non sentì ragioni, ignorò la padroncina e affondò i denti in uno dei polpacci dell’uomo, vendicandosi del calcio. Meryn gridò un’imprecazione mentre si portava entrambe le mani alla gamba sanguinante. 

Un guaito disperato risuonò allora nell’aria, richiamando l’attenzione sui due mastini. Uno dei due era riverso in terra, la gola dilaniata e rossa di sangue. 

“Dei...” pensò Sansa. 

«Il mio mastino!» urlò Joffrey, prima incredulo, poi sempre più arrabbiato. «Meryn, lascia perdere la cagna e uccidi questa lurida bestiaccia!» 

L’uomo però era ancora bloccato sotto Lady e perciò non poteva fare come gli veniva detto. Il ragazzino capì che, finché la bestia lo teneva in scacco, il suo scagnozzo non avrebbe potuto farla pagare a Sandor. Andava distratta e lui sapeva bene come. 

Rapidissimo, si avvicinò a Sansa e la trascinò verso di sé, poi afferrò una delle frecce dorate dalla faretra sulla sua schiena e la puntò al collo della fanciulla. Spinse l’estremità di metallo contro quella morbida pelle finché non le uscì di bocca un lamento. 

Lady, sentendo la voce della sua padroncina, si allontanò dall’uomo all’istante e si avvicinò a Joffrey, ringhiando. 

«Meryn, fa’ qualcosa!» 

Non avendo altro con sé al momento, l’uomo armeggiò con delle pietre focaie e incendiò la punta di un rametto colto lì per lì. Si avvicinò al ragazzino e agitò la fiaccola davanti a Lady, che fu costretta a indietreggiare per non bruciarsi. 

Sandor, dopo aver abbandonato il corpo in fin di vita di Gregor, arrivò a dare man forte a Lady. Insieme attaccarono Joffrey ripetutamente, ma Meryn agitava il rametto infuocato a un palmo dai loro musi e li teneva a bada con facilità. Le bestie però erano tenaci e continuavano a provare, anche se invano. 

Il ragazzino sembrava molto divertito dal vedere come i cani ripetevano il tentativo senza sosta, ridendo ogni qualvolta fallivano. Stretta a lui suo malgrado, la povera Sansa non riusciva a muoversi ed era costretta a vedere i cani lottare disperatamente per liberarla. 

Meryn continuava ad agitare la fiaccola davanti al muso di una Lady ormai stanca e che non osava avanzare oltre. Sandor però non era dello stesso avviso e, stufo di indietreggiare, si scagliò in direzione di Joffrey. Meryn fu veloce e frappose il rametto infuocato tra il viso del fanciullo e il muso del cane. Inaspettatamente, la bestia non retrocesse. Le fiamme divamparono, bruciando il lato sinistro della testa dell’animale, affondandovi senza pietà. 

«No, no, no, no, no!» urlò Sansa, agitandosi nella morsa di Joffrey. 

«Sta’ ferma e goditi lo spettacolo!» le intimò lui, lasciandosi andare a sadiche risate. 

“Devo fare qualcosa!” pensò, disperata. 

Ma Sandor, nonostante il dolore atroce che era costretto a sopportare, non si fermò e, ululando mostruosamente, assestò una fortissima zampata al braccio di Meryn, facendolo vacillare e cadere lateralmente. 

“Adesso!”

Sansa piegò la testa in avanti senza alcun preavviso e morse il braccio di Joffrey più forte che poté. Lui gridò e lei ne approfittò per balzare in avanti, allontanando dal proprio collo la punta della freccia con una mano. Lady allora si avventò sull’uomo mentre Sandor si avvicinò a Joffrey. 

«Non fare un altro passo o io...»

Stava per minacciarlo, ma poi si rese conto di non avere nulla con cui difendersi, poiché aveva lasciato la balestra sul cocchio, fermo una decina di passi più avanti, e quindi non poteva usare le frecce. Lasciò la frase a metà e corse lontano, saltando oltre il corpo di Gregor alla velocità fulminea di un topolino spaventato. 

«Lascia perdere, andiamocene via!» ordinò, la voce incrinata dalla paura. 

Anche Meryn si avviò al cocchio, agitando la fiaccola davanti al muso di Lady, sperando di tenere lontana almeno lei. La cagnetta non fu temeraria quanto il mastino, ma continuò a ringhiare minacciosa all’indirizzò dell’uomo finché non lo vide salire a bordo. 

«Giuro che la pagherete cara!» strillò Joffrey, prima di rifugiarsi dietro il portello. 

Mentre il cocchio si allontanava, Sansa si avvicinò a Sandor. La bestia stava scuotendo la testa da una parte all’altra, forsennatamente, tentando di spegnere le fiamme che divoravano il suo muso, emettendo lugubri latrati che esprimevano solo in parte il dolore che stava provando. 

«Acqua, serve dell’acqua!» disse allarmata la fanciulla, guardandosi intorno disperatamente. «Se solo ci fosse un ruscello o...»

Il cane scattò su e corse via, immergendosi nei cespugli ai lati della strada, rischiando quasi di incendiarli.  

La fanciulla avvertì una stretta allo stomaco. Era preoccupata per il suo amico e non riusciva a pensare ad altro. Lady la raggiunse e le stette accanto, guaendo la sua comprensione.

«Dei, siate misericordiosi...» singhiozzò. 

I minuti iniziarono a scorrere e ben presto lo fece anche la pioggia, prima lieve, poi fitta. Sansa e Lady s’infradiciarono da capo a piedi in men che non si dica, ma non si mossero, quasi come se non ne avvertissero il costante ticchettio addosso. 

La piccola era immersa in un’invisibile nuvola di rimorso. Sentiva che avrebbe dovuto seguire il mastino, assicurarsi che riuscisse a spegnere le fiamme, tentare in tutti i modi di essergli d’aiuto. Ma una cosa l’aveva trattenuta – e continuava a trattenerla – dal correre a cercarlo: la paura. Arya l’aveva sempre presa in giro per via del suo costante timore di tutto e tutti. Perché Sansa aveva paura di sbagliare, di deludere i suoi genitori, di non ricevere più elogi, di essere punita, di farsi male. E, in quel momento difficile, aveva paura per Sandor, al punto da non avere il coraggio di seguirlo. Gli amici non si comportavano così, ne era consapevole, ma le sue gambe sembravano essere rigide e immobili come pezzi di ghiaccio e il suo stomaco era diventato pesantissimo. 

La pioggia era cessata da pochi istanti quando l’aria si riempì di rumori in lontananza. Voci ed abbaiare di cani la distrassero dallo stato di ansia e preoccupazione in cui versava. Lady alzò il muso al cielo, fiutò gli odori dispersi nel vento e stette in attesa. 

Tre dei meta-lupi di casa Stark sopraggiunsero, come avevano fatto la mattina precedente alle porte della foresta, e la circondarono, abbaiando. 

«Sansa!» esclamò Eddard, correndo dietro ai cani. 

«Padre...» mormorò lei, vedendolo arrivare.

Insieme a lui accorsero anche Rodrik, stretto collaboratore del sindaco, e Hodor, il ragazzone dalla mente semplice che lavorava al maneggio di Winterfell.  

«Hai disobbedito. Di nuovo. Non me lo sarei mai aspettato, non da te!» continuò il podestà. «Se volevi portare il cibo a quel cane avresti dovuto chiedermelo. Non ti avrei negato il permesso, anzi, ti avrei fatta accompagnare nella foresta e a quest’ora saresti già a casa. Invece ci hai fatto preoccupare. Tua madre era fuori di sé dall’angoscia quando ha letto il biglietto e non ti ha trovata. È la seconda volta che fai una cosa simile e stai pur certa che mi assicurerò sia anche l’ultima»

La figlia riconobbe di aver sbagliato ancora, così chinò il capo e neppure tentò di ribattere.  

«Vieni, andiamo a casa»

«Prometto, padre, che d’ora in poi farò tutto quello che mi direte ma prima, vi prego, consentitemi di cercare Sandor»

«Sandor?» 

«È il vero nome di Mastino. Mentre lo cercavo mi sono imbattuta in Joffrey e allora...»

«Lo cercheremo un’altra volta, ora noi...»

«No, dobbiamo cercalo adesso!» riprese a singhiozzare. «Voi non capite: Joffrey ha minacciato di farmi del male con una freccia e...»

«Che cosa ha fatto?»

«...lui gli si è lanciato addosso e il fuoco... Il suo muso ha preso fuoco! Lo ha fatto per me, per salvarmi, e io non posso lasciarlo solo!» 

Ned non poté restare indifferente davanti al tremore che iniziò a scuotere la sua bambina, l’abbracciò e le accarezzò i capelli umidi sotto il cappuccio. 

«Calmati» disse, il tono di voce improvvisamente addolcito. «Se tieni così tanto a quel cane, allora lo cercheremo»

«Oh, padre, vi ringrazio!»

«Non farlo, ti ricordo che sei in castigo»

Sansa annuì, sciolse l’abbraccio e andò da Lady.

«Tu conosci il suo odore, sei l’unica che sa dove cercare» sussurrò. «Portami da Sandor»

La cagnetta si prese del tempo per annusare prima la strada, poi l’aria ed infine abbaiò, addentrandosi in mezzo all’alta erba bagnata, quasi scomparendo alla vista. Sansa e i meta-lupi le corsero dietro, subito seguiti dagli uomini. 

La traccia portava oltre il prato, Lady la seguì meglio che poté, correndo a più non posso per non perderla, addentrandosi tra gli alberi della Foresta del lupo, scivolando rapida come un fulmine in mezzo ai tronchi e al fogliame dei rami più bassi. La sua padroncina aveva il fiato corto e i muscoli così tesi da farle male, ma continuava imperterrita a spingersi in avanti per non perdere terreno. Il suo dolore non era nulla in confronto a quello che provava il povero mastino, lo sapeva, per questo ignorava il cuore che batteva all’impazzata per la fatica e le urla di suo padre che le diceva di rallentare. Ma Sansa non poteva rallentare, doveva trovare Sandor, tutto il resto avrebbe aspettato. 

La pioggia poteva anche aver estinto il fuoco, ma questo era un avversario infido che mordeva senza indugi e in profondità, senza mai lasciare la presa finché non rimaneva nulla da consumare. Per centinaia di volte l’aveva visto divorare famelico i ciocchi di legno e mai, prima di allora, si era accorta di quanto potesse essere crudele e definitivo lo sfavillare di quelle ipnotiche fiammelle. Ma gli alberi erano ormai morti quando venivano gettati nel camino e non provavano più dolore. Il suo buon amico era vivo, invece, e i suoi versi erano terrificanti e disperati, li sentiva ancora risuonare nelle proprie orecchie e le davano i brividi. 

Quando Lady finalmente si fermò, la fanciulla lo vide. Era disteso su un tappeto di aghi di pino, immobile e scomposto. Sansa rallentò la corsa e andò ad inginocchiarglisi al fianco, mentre l’amica cercava di scuoterlo con le zampe. 

«No!» esclamò, coprendosi la bocca con entrambe le mani, gli occhi sbarrati.   

Del fuoco ormai non era rimasta che la traccia. Metà del muso del cane era stata duramente deformata dal calore, il pelo era stato bruciato e al suo posto restava solo carne secca e annerita. 

Sansa circondò delicatamente quella grossa testa con le braccia e calde lacrime caddero dalle sue guance, andandosi ad infrangere sul lato sano di quel muso martoriato e ancora bagnato di pioggia. 

«Non piangere, Sansa» mormorò Ned, posando un ginocchio a terra e toccando la spalla della bambina. 

«Guardatelo, padre. Guardate!» implorò, scostandosi per lasciare che l’uomo vedesse l’ustione. «Come potrei non piangere?»

Sebbene rimase serio mentre esaminava la bruciatura, la mascella dell’uomo si contrasse involontariamente.    

«È una ferita orribile, questo è vero» disse, toccando il collo dell’animale con due dita. «Ma è ancora vivo, per fortuna»

«Cosa?» sussultò lei. «Ne siete certo?» 

Ned annuì e Sansa avvicinò il palmo di una mano al muso del mastino. Attese un istante e le sfuggì un sospiro di sollievo non appena sentì un debole respiro scaldarle la pelle. 

«Sì, è vivo» confermò mentre un sorriso le si dipingeva sulle labbra. 

«Vedrai che se la caverà» 

«Hodor!» si aggregò anche l’enorme ragazzo dietro di loro. 

«Anche se porterà per sempre quella cicatrice» fu il tetro commento di Rodrik. 

«Per quanto sgradevole sia, meglio portare una cicatrice che perdere la vita» replicò Ned, gelido come il vento che fece gonfiare i loro mantelli. 

«È pieno di ferite» fece notare la fanciulla. «Dobbiamo curarlo» 

«Gli sei molto legata, lo vedo, ma è un altro cane e a casa ne abbiamo già sei. Non possiamo tenere anche lui, lo capisci, vero?»

«Ha bisogno di me, devo stargli vicino»

«Starà bene, si rimetterà in forze da solo»

«Come fate a dirlo? Se non ce la fa nemmeno a stare sulle zampe, come pensate che possa cacciare? Morirà...»

«Senti, mi dispiace per lui ma non posso fare quello che mi chiedi»

«Se non volete portarlo a casa allora vorrà dire che resterò qui con lui, non lo abbandonerò. Lui non l’ha fatto quando ero io ad essere in pericolo»

«Sansa...»

«Non voglio disobbedire ancora, padre, ma se lasciassi Sandor in queste condizioni non me lo perdonerei mai. Sarei una persona orribile, un’egoista, un mostro... Un mostro peggiore di quelli delle storie preferite di Bran!»

Ned aprì bocca per rispondere ma, inaspettatamente, la richiuse subito dopo. Guardò negli occhi lucidi della figlia e vi lesse una profonda disperazione. Ma non solo, in quel delicato azzurro vi era anche qualcosa che credeva non avrebbe mai visto nella sua tranquilla, remissiva e obbediente Sansa: determinazione. In quel momento in lei non vi era una piccola Catelyn Tully, ma un Eddard Stark. 

«D’accordo» sospirò, alzandosi. «Hodor, puoi prenderlo?»

«Hodor!» acconsentì. 

Sotto gli occhi esterrefatti della fanciulla, il ragazzo dalla mente semplice sollevò il bestione da terra come se pesasse quanto un bambino, caricandoselo in spalla. 

«Grazie, davvero» si rivolse a suo padre, l’accenno di un sorriso sulle labbra. 

«Non ti concederò altro, sappilo» le rispose. 

«E io non ve lo chiederò»

«Sarà meglio. Muoviamoci ora» 

In un batter d’occhio si misero in cammino verso Winterfell. I cani lupo aprivano il corteo, eccezion fatta per Lady che non accennava a lasciare il fianco della padroncina, che camminava spedita vicino a suo padre. Dietro di loro c’era Hodor con il suo carico e poi Rodrik che chiudeva la fila. 

Una volta arrivati a casa, Ned disse a Hodor di posare il cane sul tappeto davanti al camino quindi, prima che potesse proferir parola, prese da parte sua moglie e le bisbigliò qualcosa. Catelyn sembrò accigliarsi ancora di più ma si limitò a dirigersi in corridoio per andare a prendere l’ultimo dei suoi figli dalla culla. 

«Lui è Mastino?» domandò Bran a Sansa. 

«Sandor» corresse lei, annuendo. 

«Non mentivi quando dicevi che era grosso» commentò Arya. 

«Che brutta ferita...» fece Jon, scrutando la bruciatura, e Robb annuì. 

«Rodrik è appena andato a chiamare Farlen» annunciò il capofamiglia. «Nessuno conosce i cani meglio di lui, saprà come curare le ferite»  

«Anche la bruciatura, padre?» 

«Non credo che per quella si possa fare molto, Bran»

Sansa si morse il labbro e accarezzò un fianco della bestia ancora priva di conoscenza. Era nervosa e preoccupata ma, se lo diceva suo padre, sentiva di poter confidare nelle capacità di Farlen. 

L’uomo arrivò poco tempo dopo che Hodor se ne fu andato e si dedicò subito a pulire le ferite del mastino, benedicendo la pioggia per averle lavate e per aver spento il fuoco prima che arrivasse all’osso. Ricucì gli squarci più profondi e passò un unguento sui graffi e sulla bruciatura, ricoprendo la parte con una benda di tessuto. Raccomandò a Sansa di applicare altro unguento sulla bruciatura e di usare una benda nuova ogni giorno. 

«Ma starà bene?» gli chiese.

«Fa’ come ti ho detto e pazienta, piccola. Col tempo si rimetterà» le rispose, avviandosi alla porta d’ingresso con Ned. 

In seguito alla visita, la bambina venne mandata ad aiutare sua madre in cucina. Cat non le rivolse la parola, le passò un coltello e le indicò una montagna di cipolle, funghi e carote. La figlia capì che era arrivato il momento di scontare il castigo, non fece obiezioni e si mise subito al lavoro. 

“L’unica cosa che conta è che Sandor guarisca presto” pensò, grattando via la buccia dalla prima carota. 

Il resto della giornata fu lungo e faticoso per Sansa che dovette svolgere tutti i compiti che le affidava sua madre ma, tra una mansione e l’altra, trovava un istante per inginocchiarsi a controllare lo stato dell’animale steso sul tappeto. Lady le fu molto d’aiuto perché rimase accanto al mastino per tutto il tempo. 

Calò la sera e divenne presto notte, ma la giovane non cessò di assistere l’amico canino. Di tanto in tanto cercava di fargli bere dell’acqua usando un vecchio mestolo di legno e rattizzava il fuoco quando il calore nella stanza diminuiva. 

«Sansa, nostro padre dice di andare a letto» sbadigliò Robb, facendo capolino dal corridoio. 

«Vado subito» rispose distrattamente, sistemando un lembo della fasciatura.

Gli fece un’ultima carezza sul lato sano del muso, poi si alzò e si avviò in corridoio con Lady. Una volta nella propria stanza, si cambiò e si infilò sotto le lenzuola.

«Buonanotte, Lady» mormorò, poco prima di addormentarsi. 

 

La mattina dopo si svegliò presto e il suo primo pensiero fu per Sandor. Si lavò e vestì in fretta e andò in salotto dove, però, l’attendeva una brutta sorpresa. 

«Aiuto!» gridò. «Correte!»

«Che succede?» domandò suo padre poco dopo, uscendo di corsa dalla propria camera. 

«Ma che hai da urlare tanto?» chiese Jon, affacciandosi dal corridoio, subito seguito dagli altri fratelli. 

La fanciulla era in piedi davanti al caminetto e aveva l’aria sconvolta. Il tappeto sotto di lei era vuoto. 

«Sandor è sparito!» esclamò. 

«Hai visto se è in cucina o in qualche altra stanza?»

«Sì, padre, ma non c’è. Sembra come scomparso nel nulla!»

«Non è possibile che sia uscito, è un cane. Sei certa di aver cercato bene?» 

«Ho visto ovunque, eccetto che nella vostra stanza»

«Lì non c’è»

«Dove potrebbe essere, allora? È ferito e debole, e se gli accadesse qualcosa? Non voglio pensarci...»

L’uomo si passò una mano sul viso. Non ne poteva più di andare in giro ogni giorno alla ricerca di qualcuno. Ma conosceva sua figlia e non voleva che stesse male – né che prolungasse ulteriormente il suo castigo uscendo senza permesso. 

«Padre, qui c’è del sangue!» gridò Arya dall’ingresso. 

La figlia minore diceva il vero: una piccola macchia rossa spiccava vivida sul pavimento in cotto. 

«È secco» constatò l’uomo, toccandolo con un dito. 

«Oh, Dei!» esclamò Sansa, appoggiando entrambe le mani sulla testa. 

«Il chiavistello è aperto. Non so come abbia fatto, ma quel cane è davvero intelligente» ammise, esterrefatto, dopo aver dato un’occhiata alla porta. «Comunque non andrà lontano con quelle ferite. Vado a cercarlo»

I suoi figli si mossero tutti contemporaneamente, ma l’uomo li richiamò. 

«Non è necessario che veniate con me, restate qui. Andrò solo con i cani, così farò presto» 

«Ma padre!» protestarono Arya e Bran. 

«Obbedite» rispose seccamente. «Porterò Spettro e Vento grigio»

«Prendete anche Lady, vi sarà utile» propose Sansa. 

Lui annuì, andò a prendersi il mantello e subito dopo uscì di casa. 

I minuti trascorrevano lentissimi e la bambina non riusciva a stare tranquilla. Faceva avanti e indietro dall’ingresso al salotto e viceversa. 

«Piantala di camminare su e giù, mi fai venire mal di testa!» si lamentò la sorella minore. 

“Non può essere lontano” pensò la maggiore, ignorandola. “Lady, trovalo, ti supplico...” 

Un paio d’ore dopo – che le parvero anni – si sentì bussare alla porta. Sansa scattò su e corse per andare ad aprire, rischiando di inciampare in Cagnaccio che sonnecchiava all’inizio del corridoio. 

«Padre!» esclamò, vedendolo. 

Ned entrò in casa preceduto dai cani lupo. La figlia li guardò come smarrita.

«Dov’è Sandor?» chiese. 

«Sansa...» cominciò suo padre. 

«Ditemi che l’avete trovato...»

«Vieni con me, sediamoci»

Le appoggiò una mano sulla spalla e la condusse in salotto. In quel momento Catelyn era nella stanza da letto con Rickon, invece gli altri erano in giardino perciò, lupi a parte, padre e figlia erano soli. Si sedettero vicino al focolare in un silenzio teso. 

«Padre? Vi prego, parlate!» incalzò lei, ansiosa e insieme timorosa di conoscere la risposta.  

«Lo abbiamo cercato dappertutto, in paese e al limitare della foresta» rispose. «Ma non era da nessuna parte»

«E se fosse lì, nella foresta?»

Ned scosse la testa e la figlia strinse le labbra con fare nervoso. Era come se le stesse nascondendo qualcosa, non lo sopportava. 

«Come fate ad esserne certo se avete smesso di cercarlo?»

«Era inutile che continuassi» spiegò, non prima di aver fatto un lungo sospiro. «I cani hanno seguito la traccia fino all’Albero-diga, poi si sono fermati, come se si fosse estinta di colpo, e allora Lady ha iniziato a ululare in modo lugubre» tossicchiò. «Lungo la strada c’era del sangue. All’inizio erano piccole macchie come quella all’ingresso, poi però ho visto che si allargavano sempre di più fino a diventare pozze rosse nella neve. L’ultima, la più grande, era a pochi passi dall’Albero-diga. Insieme a questa»

Frugò nella tasca del mantello che portava ancora sulle spalle, ne estrasse qualcosa e lo consegnò alla fanciulla. Sansa ci mise qualche istante a riconoscere l’oggetto e a capire cosa significava averlo tra le mani.

«Non è vero!» gridò, scattando in piedi. 

«Purtroppo è la verità» le rispose. 

«E invece è una bugia!»  

«Sansa...»

«Perché mi fate questo? Sapete quanto sia preoccupata per lui, perché mi mentite?»

«Sansa, guardami!» 

La ragazza era scossa e aveva le lacrime agli occhi. Guardò suo padre e capì che era sincero. L’onestà del genitore arrivò, rapida e dolorosa, come un pugno nello stomaco. 

«Mi dispiace, tesoro mio, ma ormai nessuno poteva fare molto per lui. Non aveva che una possibilità, l’ha detto anche Farlen. Era troppo tardi e lui sapeva che stava per accadere»

Il colpo avvertito un momento prima fu niente in confronto all’effetto che le fecero quelle parole. Si lasciò cadere sul pavimento, sconfitta, atterrando con le ginocchia sul tappeto. Si portò le mani al volto, coprendo le guance rigate dalle lacrime. Il padre si chinò su di lei, la prese in braccio e la condusse in camera, adagiandola sul lettino. Sansa non diede segno di accorgersene, continuò a piangere lacrime amare e a singhiozzare sempre più forte. 

“Sandor non c’è più...” pensò con orrore, trovando il cuscino ed affondandovi la testa. “Mi ha salvata. Mi ha difesa. E poi, quando lui ha avuto bisogno di me, io non ho potuto fare nulla... Nulla!” 

Catelyn e i figli entrarono nella stanza, si sedettero sul letto vicino a Eddard e osservarono la bambina in silenzio, impotenti e rattristati. Anche Lady aveva l’aria mogia e guaiva piano, comunicando alla padroncina la propria vicinanza. 

«È morto» disse a un tratto, la voce rotta dal pianto. «Sandor se n’è andato. Ed è stata solo colpa mia...» 

 

 

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

sigh, che situazione spiacevole :( ma qualcosa deve ancora accadere...

Ringrazio sempre chi legge, recensisce e segue questa mia creatura, spero ancora che vi piaccia ^^ 

Un saluto, 

Amy   

 

 

 

 

 

 

  


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Amy Dickinson © 2014 (31/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

 

 

 

 

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- Capitolo Sei -

 

La testa gli scoppiava e la ferita in via di guarigione bruciava atrocemente. Era così debole che trascinarsi dalla casa fin nella Foresta del lupo gli era costato un’immane fatica e la perdita di molto sangue. Poté finalmente sedersi sotto un albero a riposare. 

Odiò se stesso al pensiero che, non vedendolo più, alla piccola Sansa si sarebbe spezzato il cuore. Era la creatura più adorabile che avesse mai conosciuto e l’ultima cosa che voleva era che soffrisse a causa sua. Ma non c’era altra soluzione, ammesso che fosse sopravvissuto, non poteva comunque stare con lei e la famiglia Stark, perché il suo posto era nella foresta ed era lì che sarebbe dovuto rimanere. Chiuse gli occhi e perse conoscenza.  

 

***

 

Sansa pianse per tutto il giorno e per tutta la notte. Il suo buon amico era venuto a mancare e lei non si dava pace, sentendosi responsabile di quanto era accaduto. A nulla servivano le parole di conforto dei genitori e gli inviti dei fratelli a giocare, lei rifiutava scuotendo il capo. Catelyn sospese il castigo e la lasciò libera di sfogare la tristezza, sperando che così si sarebbe ripresa presto. 

La luce del nuovo giorno era ancora pallida e debole quando la bambina sentì bussare piano alla porta della sua stanza. Lady si svegliò e drizzò le orecchie. 

«Cosa c’è?» domandò Sansa, la voce ancora impastata per il sonno. 

«Sapevo che era sveglia» si sentì una voce da fuori. «Possiamo entrare, sorella?»

«Fate come volete»

Un leggero cigolio annunciò l’apertura della porta e due ragazzini entrarono nella camera parzialmente buia.  

«Come stai?»

«Secondo te, Robb?» 

«Va bene, scusa»

«Perché siete qui? Di solito non vi svegliate così presto»

«Già, beh, la verità è che non riuscivamo a dormire, così...»

«Così abbiamo fatto una cosa per te» completò Jon. 

«Di che si tratta?»

I fratelli si scambiarono un’occhiata prima di allungare una mano verso di lei, porgendole qualcosa. La sorella li scrutò nella penombra per un attimo, poi prese l’oggetto e lo studiò con i polpastrelli.

«È un cane di legno?» 

«Sì, ma non un cane qualsiasi»

«Non c’è molta luce...» 

Jon annuì, uscì dalla stanza e tornò subito dopo reggendo una candela accesa. L’avvicinò alla bambina, permettendole di ammirare il lavoro di una notte. Il cane era intagliato rozzamente e aveva parecchie imperfezioni, ma le sembrò il dono più bello che avesse mai ricevuto. 

«Un mastino?» chiese, incredula. 

«Indovinato» rispose Robb.

«Ti piace?» fu la domanda di Jon. 

«Moltissimo» mormorò, gli occhi lucidi. «Grazie»

Si alzò dal letto e li abbracciò per un lungo minuto, poi si sedette di nuovo. 

«Gli somiglia almeno un po’?»

«Non tanto, Jon, ma non importa. È bello lo stesso»

«Perché non vieni con noi in giardino, più tardi? Potremmo giocare a Il signore del guado con Bran e Arya, tu saresti la lady del castello»

«Oppure potremmo giocare alla guerra e tu faresti la principessa in ostaggio, che ne dici?»

La sorella scosse la testa. 

«Perché no?»

«Siete gentili a preoccuparvi per me, ma non dovete»

«Non è bello vederti piangere» 

«Ho perso un amico, voi al mio posto come vi sentireste?»

«Lo sappiamo. Ma siamo la tua famiglia e ti vogliamo bene»

«Anch’io ve ne voglio. Però non mi va di giocare. Non oggi, almeno»

«E cosa vuoi, allora?»

“Vorrei che Sandor fosse qui con me. Vorrei non averlo perduto” pensò, amareggiata.

«Una cosa impossibile» rispose semplicemente. 

I ragazzini si guardarono un momento e stettero in silenzio per un po’, dondolandosi sui piedi, indecisi sul da farsi. Finché Jon non si schiarì la voce ed avanzò una proposta. 

«Ieri, mentre stavamo giocando, Bran ha detto che forse ti sentiresti un po’ meglio se facessimo un funerale per Sandor»

«Come?» domandò, colta di sorpresa.

I fratelli si strinsero nelle spalle. Sansa allora non rispose subito, prima rifletté un attimo. Non poteva riavere indietro il mastino, ma poteva comunque ricordarlo. Se esistevano sette inferi, si disse, allora dovevano esserci anche sette cieli e lui era senz’altro diretto lì, perché era buono ed era morto sacrificandosi per lei. Un cane non se ne sarebbe fatto molto di un funerale, di questo era certa, ma sentiva di doverlo fare per sé. 

«Lo vorrei, ma non credo che mi diano il permesso di uscire»

«Uscire? Perché, dove vorresti farlo?»

«Dove Lady e gli altri hanno perso le sue tracce: all’Albero-diga» 

I ragazzini si scambiarono un’occhiata. 

«Noi pensavamo bastasse il giardino...»

«Devo seppellire questa in suo ricordo e non posso farlo nel nostro giardino, visto quanto piace scavare ai nostri meta-lupi» spiegò, mostrando loro la benda. «È tutto ciò che mi rimane di lui» 

«Beh, vorrà dire che cercheremo di convincere nostro padre e nostra madre» 

«Robb, ti ricordo che sono in castigo»

«Non per il momento. E poi non devi andarci da sola, magari se uscissimo tutti insieme...»

«Francamente, ho i miei dubbi»

«Proviamoci lo stesso»

Sansa sospirò e guardò i fratelli nella luce ormai più chiara. Probabilmente non aveva mai provato tanto affetto per loro come in quel momento. L’espressione scettica sul suo faccino si tramutò presto in un caldo sorriso. 

«Grazie, ragazzi» 

Un attimo dopo chiese loro di uscire ad aspettarla in cucina, quindi si lavò e cambiò in fretta e li raggiunse. Preparò la colazione per tutti mentre loro accesero il fuoco nel caminetto ed apparecchiarono la tavola. Quando gli altri si alzarono e trovarono il pasto pronto, lo divorarono senza fare complimenti. Sansa fu l’unica che quasi non toccò cibo, assaggiando a malapena un pezzetto di pane caldo con il burro. 

«Padre, madre, posso parlarvi un momento?» chiese a un tratto la giovane. 

«Sì, cara» rispose Cat. «Cosa c’è?»

«Ecco, volevo chiedervi il permesso di uscire» disse tutto d’un fiato. 

«Per andare dove?» domandò Ned.

«All’Alberò-diga»

«E perché?» 

«Vorrei seppellire questa» 

Mostrò loro la benda del cane. 

«Sansa...»

«Potrà sembrarvi sciocco, immagino, ma per me è molto importante»

I genitori si guardarono in silenzio, come fossero indecisi sul da farsi. 

«So di essere ancora in punizione e non voglio mettermi nei guai. Ci vorrà poco, giusto il tempo di sotterrare la benda e dire una preghiera, poi tornerò a casa»  

«Andremo con lei, se può farvi stare tranquilli» disse Robb. «E porteremo anche i meta-lupi»

Jon annuì, subito seguito anche da Arya e Bran. 

«Vorreste andare anche voi?» chiese Cat ai figli minori. 

I bambini fecero di sì con la testa e Bran specificò che si trattava di una sua idea. Ned li studiò per un momento, poi guardò la moglie.

«E sia» decise infine, dopo che lei ebbe acconsentito con un leggero movimento della testa. «Vi concedo un’ora, non di più. Chiaro?»

«I più piccoli sono sotto la vostra responsabilità, assicuratevi che nessuno si faccia male» si raccomandò la donna, guardando Robb e Jon con espressione seria.

«Fidatevi di noi, madre» assicurò il primo. 

«Andate a mettervi gli stivali da neve e i mantelli. E copritevi bene perché oggi fa più freddo del solito» concluse Cat, alzandosi dalla sedia. 

Sansa abbracciò il padre e la madre e non mancò di ringraziarli, poi se ne andò in camera propria. 

Un paio di minuti dopo, cinque ragazzi Stark e quattro cani lupo si stavano già incamminando verso la piazza di Winterfell. Avanzando di buona lena impiegarono poco più di venti minuti a raggiungere l’imponente quercia bianca che sovrastava il paese dall’alto di una salita, precedendo la Foresta del lupo. Lungo il pallido tronco era stato scolpito un volto simile a quelli umani, vecchio migliaia di anni e recante un’espressione che, nonostante gli inquietati occhi rossi, sembrava malinconica. 

I lupi annusarono l’aria, l’albero e la neve sul terreno. 

«Dove vuoi seppellire la benda?» domandò Jon. 

Indicò la base dell’albero, vicino al punto in cui le grandi radici affondavano nella terra sotto la neve. 

«Non pensi che scavare vicino alle radici potrebbe irritare gli dei?» chiese Bran. 

«Mi auguro di no» fece Robb. «I loro occhi ci osservano, sanno che non abbiamo intenzione di profanare i loro corpi terreni»

I fratelli più grandi usarono la pala che si erano portati dietro e scavarono una buca piccola e poco profonda ai piedi dell’albero. Sansa si avvicinò, accarezzò la benda come fosse un prezioso tesoro e la collocò all’interno della buca, quindi si fece da parte e lasciò che la neve e la terra sottostante la ricoprissero del tutto. Chiuse gli occhi, giunse le mani e parlò. 

«Sette, io vi prego» la sua voce risuonò nel silenzio, triste ma chiara. «Padre, tu che osservi ogni cosa, giudica con equità il mio amico e le sue buone azioni. Madre, tu che doni la vita, sorridigli e fa’ sì che non provi più dolore. Vecchia, tu che sei la guida verso il destino, illumina il suo cammino oltre la vita affinché non sia mai buio. Straniero, tu che decreti l’ultima ora, non dimenticare chi gli ha fatto del male»

Robb e Jon alzarono un sopracciglio all’udire l’ultima frase: era raro che qualcuno si rivolgesse al più misterioso ed oscuro dei nuovi dei. 

Nessuno si unì a quella preghiera, perché di tutti loro solamente la fanciulla era solita pregare le nuove divinità come faceva la propria madre. 

«Quante storie per un cane...» bofonchiò Arya a bassa voce. 

Jon le diede una gomitata e si portò l’indice sulla bocca per farla tacere. La sorellina sbuffò e incrociò le braccia al petto mentre la maggiore continuava la sua solitaria litania.

«Antichi dei, la mia preghiera va anche a voi. Accoglietelo e guidatelo» aggiunse, sorprendendo gli altri. «Possa tu trovare pace, Sandor, se ciò compiace gli dei antichi e nuovi»

Il vento si alzò e raffreddò ulteriormente quella giornata cupa e grigia, frusciando tra i rami dell’Albero-diga. Sansa aprì gli occhi e sorrise tristemente. Suo padre soleva dire che il rumore sommesso del vento tra gli alberi scolpiti dai Figli della foresta equivaleva alla voce degli dei. Quel suono poteva essere la risposta alle sue preghiere, o forse solo una banale coincidenza – chi poteva stabilirlo con certezza?

«Addio» sussurrò, mentre una nuova folata le scuoteva i lunghi capelli e le accarezzava il volto come una fredda mano invisibile. 

Lady ululò brevemente, come ad unirsi al dolore di Sansa, poi le spinse la testa contro il fianco e la padroncina l’accarezzò. Quindi la bambina si asciugò le lacrime dagli occhi con la manica del mantello e si voltò verso i fratelli. 

«Grazie dell’aiuto» disse loro. «Possiamo andare»

Bran parve essere un po’ deluso: quando aveva proposto ai fratelli maggiori di fare un funerale si era immaginato qualcosa di molto più solenne di una benda sotterrata e di una preghiera lacrimosa. Arya, invece, sembrò sollevata dalla notizia. I ragazzini fischiarono all’unisono e richiamarono i cani, quindi ridiscesero la ripida strada e fecero ritorno in paese, diretti verso casa. 

 

Nei giorni che seguirono, Sansa tornò ad essere la figlia giudiziosa e diligente che era sempre stata. Ma Eddard e Catelyn erano molto preoccupati per lei poiché non la videro più sorridere, nemmeno per un momento. Inoltre, si accorsero che mangiava pochissimo, che aveva il sonno agitato e che aveva perso interesse sia nei giochi, sia nei dolcetti al limone. Quando non aiutava la madre nelle faccende, sedeva vicino al camino con Lady ai suoi piedi e ricamava fazzoletti. 

«Piccola mia» le disse un giorno Ned. «Sei sempre qui a cucire, perché non esci un po’ fuori in giardino?»

«Non ho voglia di giocare» rispose, senza alzare la testa dal proprio lavoro.  

«Oggi è una bella giornata: c’è il sole e non fa poi molto freddo. È il momento ideale per fare una passeggiata, sai?» consigliò Cat, cullando Rickon tra le braccia. 

«Credevo di essere in castigo e di non poter uscire»

«Hai scontato la punizione e due passi non ti faranno che bene. Purché tu non vada nella Foresta del lupo, ovviamente»

La fanciulla lasciò andare l’ago e guardò suo padre. 

«Questo vuol dire che posso arrivare fino all’Albero-diga?» 

I genitori si scambiarono un’occhiata. Non era quello che avevano sperato e, si dissero con lo sguardo, ci sarebbe voluto del tempo affinché potesse riprendersi del tutto, bisognava pazientare ed essere fiduciosi.  

«Se è quello che vuoi, per noi va bene. Porta Lady con te e sta’ attenta» 

«E torna prima che faccia buio, mi raccomando»

«Va bene»

Infilò l’ago nel fazzoletto, lo adagiò sul ripiano del camino e andò nella propria stanza a prepararsi. Ned osservò quel minuzioso lavoro e scosse leggermente la testa, mostrando a Cat i soggetti ricamati ai bordi: due diverse sagome canine, una grigia e una nera, facilmente riconoscibili. 

Sansa fu pronta in un minuto e uscì in strada con Lady. Passeggiò come le aveva suggerito sua madre ma non si fermò a parlare con nessuno, limitandosi a salutare chi incontrava. 

Quando ebbe raggiunto la quercia bianca, si sedette sulle radici a riposare, gettando indietro la testa e osservando distrattamente il lieve scintillio dei raggi solari tra i rami. Il punto in cui era sotterrata la benda era stato contrassegnato da un bastoncino conficcato nel mucchietto di neve e terriccio, perciò la fanciulla non ebbe alcuna difficoltà a localizzarlo. Lady, seduta sulle zampe posteriori, le stava accanto con una compostezza quasi umana. La padroncina le fece una carezza sulla morbida schiena prima di giungere le mani e formulare una preghiera. 

«Oh, quanto mi manca...» sospirò poi nel vento, dando voce ai propri pensieri. «Se solo potessi rivederlo un’ultima volta...»

Il guaire della lupa non alleviò la sua malinconia, però la fece sentire meno sola. Aveva perso colui che sarebbe potuto essere un nuovo amico ma, per fortuna, aveva ancora la sua Lady al fianco e non doveva dimenticarsene. Cinse la testa dell’animale con le braccia e le accarezzò le orecchie con una mano.  

«Smetterò mai di sentirmi in colpa per lui?» sussurrò, mordendosi il labbro per impedirsi di piangere. 

Il vento frusciò tra i rami e trascinò con sé le nuvole, coprendo il flebile raggio di sole che rischiarava il cielo. Allo scurirsi della luce pomeridiana, la bambina sciolse l’abbraccio, si strinse nel mantello e si alzò in piedi. Le nubi erano scure e cariche di pioggia. 

«Dobbiamo tornare. Vieni, Lady» 

Ma la bestiola aveva drizzato le orecchie e annusava l’aria con insistenza. La padroncina stava per ripetere quanto aveva appena detto, ma un rumore oltre l’albero attirò la sua attenzione. Un uomo, avvolto in una cappa nera come la pece, stava avanzando rapidamente in direzione della Foresta del lupo. 

«È solo un viandante. Andiamocene, su, o ci bagneremo»

Inutile: Lady guardava l’uomo con un’aria strana e non accennava a voler ubbidire. 

«Ho detto di andare!»

Per tutta risposta, il meta-lupo non solo continuò ad ignorarla, ma con un rapido scatto prese a correre nella direzione dell’uomo. 

«Torna subito qui!» ordinò, inseguendola. 

Il viandante non si voltò, ma Sansa ebbe l’impressione che stesse accelerando il passo. Forse aveva sentito che qualcuno lo stava inseguendo, forse aveva paura dei cani o, magari, aveva notato che stava per piovere da un momento all’altro e perciò voleva fare presto e cercare riparo tra i fitti alberi. 

Ad un certo punto, probabilmente stufa di corrergli dietro, Lady scattò nuovamente in avanti, coprì la distanza che li separava e si lanciò sul malcapitato, facendolo finire contro una quercia. 

«Oh, no!» esclamò la padroncina, affrettandosi a raggiungerli. «Cattiva, non si fanno queste cose!» 

Si voltò verso l’uomo che si stava rimettendo in piedi, reggendosi al tronco con entrambe le mani. 

«Vi prego di scusare il mio cane, signore. Come state? Non vi siete fatto male, vero?»

Quello scosse la testa e, quando tornò in posizione eretta, i loro sguardi si incontrarono per un istante. 

L’uomo che le stava davanti aveva un’aria stranamente familiare, sebbene lei potesse giurare di non averlo mai visto prima. Era molto alto, dalla corporatura imponente, lunghi capelli scuri gli scendevano disordinati sulle spalle, due occhi di onice in mezzo a un volto dai lineamenti austeri e dall’espressione tormentata. Il lato sinistro era deturpato da un’orribile ferita che solo le fiamme erano in grado di infliggere. 

«Ma...» sussultò la fanciulla, sgranando gli occhi e spalancando la bocca per lo stupore. 

Il viandante aggrottò la fronte, si strinse nel mantello che gli avvolgeva le spalle larghe e fece per allontanarsi, ma lei lo afferrò per un braccio, trattenendolo con tutta la forza che le riuscì. Nel farlo, Sansa intravide un pezzetto di stoffa chiara fare capolino dalla manica nera dell’uomo e lo riconobbe subito. Un fazzoletto bianco con degli uccellini azzurri ricamati agli angoli. Il suo fazzoletto. 

“Questo non è possibile...” pensò, enormemente confusa. 

Aveva lasciato il fazzoletto nella Foresta del lupo come dono di ringraziamento a chi le aveva salvato la vita, ma chiunque avrebbe potuto trovarlo e prenderlo. Oppure no. Oppure c’era un’altra spiegazione e quella ferita poteva essere la risposta alle mille domande che le ronzavano in testa. 

Ma come poteva credere che fosse proprio lui? Era una cosa assurda, non poteva essere così. Eppure era lì, davanti a lei. Gli occhi avrebbero potuto giocarle uno scherzo di pessimo gusto, ma il cuore non mentiva e aveva preso a battere forte. Doveva essere lui, iniziava a convincersi che non poteva essere altrimenti.  

Guardandolo in volto e soffermandosi su quegli occhi, la fanciulla avvertì un fremito che fu come una conferma.

«Sei vivo...» sussurrò, quasi timorosa di rompere quel silenzio. 

L’uomo non rispose, si limitò a guardarla, incatenato alle splendide iridi chiare davanti a sé e di colpo incapace di liberarsi da quella debole stretta. 

«Sei tornato da me, Sandor...» singhiozzò e le lacrime presero a scendere copiosamente sulle guance di porcellana arrossate dal freddo. 

Non attese una sua replica, si sporse in avanti, fece un salto e gli gettò le braccia al collo senza esitazione. Il viandante non tentò neppure di nascondere la sorpresa e, dopo aver indugiato un istante, avvolse la fanciulla nelle sue grandi braccia e la strinse dolcemente a sé, inspirando il profumo di primavera nei suoi capelli rossi e chiudendo gli occhi in un gesto di sollievo. 

«Mi sei mancato tantissimo, non lasciarmi più, mai più, ti prego...» mormorò lei, aumentando la presa, come se avesse paura di vederlo svanire da un momento all’altro.

«Non piangere, piccola» sussurrò lui. «Sono qui»

Sansa sussultò. Il tono di quella voce poteva sembrare duro e raschiante, quasi canino, ma a lei risuonò rassicurante, pieno di calore. 

Alzò la testa dalla spalla dell’uomo e lo guardò più da vicino. La bruciatura era ampia e profonda, avrebbe spaventato chiunque, ma lei non si mostrò impaurita. Sollevò una mano e gli accarezzò il lato sano del viso, toccando la barba incolta che gli cresceva sulle guance e che si infoltiva sul mento. Con la punta dell’indice seguì la forma del naso adunco e poi lo guardò nuovamente negli occhi. Vi lesse molte cose, come tormento e dolore, ma anche sollievo e tenerezza. Poi fece leva su quelle spalle forti e balzò giù, toccando il terreno con i piedi. 

Solo allora si accorse che stava grandinando. Era stata così impegnata a meravigliarsi di aver ritrovato il suo caro amico da non rendersi conto che l’acqua cadeva giù come una miriade di cristalli di ghiaccio. In un’altra circostanza avrebbe avuto fretta di mettersi al riparo, preoccupata di bagnarsi l’abito, ma quella volta non fece altro che piegare le labbra all’insù. 

«Vieni con me» gli disse, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. 

Si limitò a guardarla, indeciso sul da farsi. 

«Andiamo a casa» 

L’ultima parola aveva un suono bellissimo, un suono che Sandor credeva di aver dimenticato. 

Sansa gli prese una mano, lo guardò e gli sorrise con dolcezza. 

«Insieme» 

Quel tono di voce e quel sorriso disarmarono completamente Sandor. Strinse la piccola mano nella sua e s’incamminò con la bambina e Lady lungo la discesa che portava a Winterfell. 

 

         

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

sorpresa, Sandor è vivo! Contenti? ^___^ 

Nel prossimo capitolo ci saranno un po’ di spiegazioni, quindi vi consiglio di non perderlo se volete capirci qualcosa in più ;)

Siamo alle battute finali, quindi entro un paio di capitoli saprete come terminerà questa piccola favola. Grazie mille a chi ha ancora la pazienza di leggere e recensire ^^  

Un saluto e a presto, 

Amy  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Amy Dickinson © 2014 (02/08/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

 

 

 

 

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- Capitolo Sette -

 

Eddard e Catelyn furono sollevati nel veder rincasare Sansa prima che si scatenasse la tempesta di grandine che di lì a poco avrebbe sferzato Winterfell – i repentini cambiamenti del tempo erano un’abitudine da quelle parti e quando capitavano era bene essere al riparo in casa. Ma assunsero un’aria ragionevolmente sospettosa quando notarono che la loro bambina teneva per mano uno sconosciuto. 

«Per fortuna sei qui» disse Cat, non appena sua figlia mise piede nell’ingresso. 

«Sansa, puoi dirci chi è costui?» chiese Ned, scansandosi per evitare che Lady lo schizzasse con l’acqua che si stava scrollando di dosso.

«Certo, anche se so già che non mi crederete...» replicò la fanciulla. 

«Perché non dovremmo?» domandò sua madre. 

«Va bene» acconsentì con un lieve sorriso, chiudendo la porta d’entrata e aiutando l’amico a togliersi di dosso il mantello fradicio. «Padre, madre, vi presento Sandor»

Ned prima aggrottò la fronte, poi inarcò le sopracciglia con fare perplesso, infine distolse lo sguardo. 

«Figliola, so che sei dispiaciuta per aver perso un amico a cui tenevi, ma purtroppo è morto e dovresti fartene una ragione» ricordò. 

«Ma...»

«Ed era un cane, qualora lo avessi dimenticato. Non so cosa ti abbia fatto credere con tanta sicurezza che quest’uomo possa essere lui, ma sta di fatto che una cosa del genere è impossibile»

«Sapevo già che non mi avreste creduto. Lo so, anch’io stento ancora a farlo, ma guardatelo, padre. Guardate il suo viso, poi guardatemi negli occhi e vi accorgerete che non sto mentendo»

Mentre suo marito e sua figlia erano intenti a parlare, Cat osservò attentamente quella faccia alla luce delle candele e si rese conto che era parzialmente bruciata. Fu allora che l’espressione sul suo volto mutò, passando da scettica a incredula. Il mastino era gravemente ferito e di certo era morto nella Foresta del lupo. Solo un grande amante di storie di fantasia come il suo piccolo Bran poteva credere che il giovane uomo che si ritrovava davanti potesse essere lo stesso Sandor in forma umana, tutto ciò era semplicemente ridicolo. Eppure quella bruciatura... Possibile che non si trattasse solo di una coincidenza? Possibile che Sansa stesse dicendo il vero?

«Per quanto sfugga ad ogni logica, credo che nostra figlia abbia ragione, caro» commentò, fissando con insistenza la ferita su quella faccia dura.

«Cat, adesso non mettertici anche tu!» esclamò Ned, più sorpreso che irritato.

Ma la donna non fece caso a suo marito, avanzò di qualche passo e si fermò di fronte al nuovo arrivato. Lo scrutò con occhio indagatore, alla ricerca di conferme.     

«Puoi provare di essere davvero Sandor?» gli domandò. 

«Temo di no» le rispose. 

«È ovvio che non può!» sbottò il sindaco.  

«Ma puoi dirci come ti sei procurato quella bruciatura, no?» continuò imperterrita Cat.  

«Un uomo ha cercato di sbarrarmi la strada con una fiaccola, non mi sono fermato e così mi sono ritrovato con le fiamme in pieno viso» spiegò, la voce tradiva una nota di dolore che suonava simile al latrato di un cane. 

«Non ricordateglielo, madre» la pregò Sansa.  

«E perché non hai evitato che il fuoco ti bruciasse?»

«Perché volevo aiutare vostra figlia»

«Ma non è stata la prima volta che le hai prestato soccorso. Hai anche impedito che annegasse, dico bene?»

Sandor annuì in silenzio. 

«E come avresti fatto, se eri un cane?» chiese allora Ned. 

«In quel momento non lo ero. Ho legato una corda al tronco di un albero e mi sono calato giù» 

Ned aggrottò nuovamente la fronte, in un misto di scetticismo e crescente irritazione. 

«Siete libero di non credermi» continuò Sandor. «Volevo soltanto ringraziare voi e vostra moglie per avermi ospitato qui quando ero in fin di vita, per avermi nutrito e curato. E adesso tolgo il disturbo»  

«No!» esclamò Sansa, mentre la madre le avvolgeva addosso il proprio scialle. 

«Aspetta un momento» disse contemporaneamente il podestà, massaggiandosi le tempie con aria stanca. 

L’uomo restò in attesa. 

«Quando sono andato a cercare il mastino, il meta-lupo di mia figlia ha annusato il sangue sulla strada e ha ululato di dolore, come se sapesse»

«È così. Sono andato a nascondermi nella foresta e Lady ha fiutato odore di morte»

«Dunque, stai dicendo che sei morto?»

«Come cane. Poi però ho aperto gli occhi e mi sono risvegliato così»

Eddard non rispose, non sapeva cosa pensare. Credere in quelle parole era assurdo, ma lo era anche continuare a negare che quell’uomo sfigurato avesse ragione, visto che conosceva molti particolari che un perfetto sconosciuto avrebbe ignorato. E poi Sansa non era così sprovveduta da dare confidenza a uno sconosciuto. 

«D’accordo, ascolta, questa storia ha dell’incredibile, però non mi sembra il caso di restare qui impalati. Non ti conosco, ma non ho intenzione di cacciarti dalla mia casa, specialmente quando fuori c’è un tempo simile. Siete entrambi infreddoliti, venite a scaldarvi davanti al camino»

Si spostarono tutti in salotto e Catelyn andò a preparare qualcosa di caldo. Nel frattempo i fratelli di Sansa fecero capolino dal corridoio per vedere chi era arrivato. 

«Abbiamo ospiti?» chiese Jon, guardando il giovane uomo. 

«Sì» rispose Eddard. 

«Caspita che bruciatura!» esclamò Arya, additandolo in modo sfacciato. «È identica a quella che aveva il mastino» 

«Hai indovinato, Arya» commentò Sandor. 

Ned non nascose la sorpresa e non lo fecero neppure i suoi figli – ad esclusione di Sansa, che sedeva tranquilla accanto all’amico. 

«Ehi, come fai a sapere il mio nome?» fece la Stark più piccola, guardandolo con diffidenza e rivolgendoglisi in modo diretto.

«Già, non vi abbiamo mai visto» concordò uno dei fratelli. 

«Hai ragione, Jon» 

«Sapete anche il mio? Ma com’è possibile?» 

«Scommetto che il mio non lo conoscete» disse allora Robb. 

«E nemmeno il mio» si accodò Bran. 

«Invece sì» assicurò Sansa. 

«Robb e Bran» fece l’ospite. 

«Ma non vale, glieli hai spifferati tu!» protestò Bran, rivolgendosi alla maggiore delle sue sorelle, che in quel momento aveva un sorrisetto colpevole dipinto sulle labbra. 

«No, Sansa non c’entra» disse Ned. 

«Ma allora è un vostro amico, padre?» chiese Robb. 

«Non proprio» 

«Forse è il caso che vi racconti la mia storia» decise Sandor. «Ma  sarà difficile da credere» 

«Evviva, un racconto!» esultò Bran. 

«Qualsiasi cosa dirai, io ti crederò» volle fargli sapere la fanciulla dai capelli rossi al suo fianco. 

Lui accennò una specie di sorriso e bevve un sorso di vino alle spezie dalla tazza che Catelyn gli aveva appena offerto. 

«Tutto ebbe inizio sedici anni fa...»

 

 

Era una fresca giornata di inizio autunno a Torrhen’s Square e due vivaci fratellini si aggiravano nei pressi di un piccolo bosco di faggi al limitare della Foresta del lupo per raccogliere della legna. Stavano ridendo per una battuta del più grande quando una voce attirò la loro attenzione. 

«Bambini, aiutereste una povera donna in difficoltà?» chiese un’anziana contadina, accovacciata sul bordo di un pozzo. 

«Non vedi che abbiamo da fare? Va’ a scocciare qualcun altro» rispose il fratello maggiore. 

«Ma il secchio è troppo pesante per me e voi sembrate due giovanotti vigorosi» insisté.

«Lo siamo» confermò il fratello minore, mostrando il mucchio di rami che teneva fra le braccia. «Volete che tiriamo su l’acqua per voi?»

«Oh, sì, ve ne sarei grata» 

Il bambino si fece avanti, ma il fratello gli diede prontamente la sua parte di legna e si avvicinò alla donna. 

«Ci penso io, ma sappi che voglio una ricompensa» 

«Quello che vuoi, ragazzo mio. Non mi dimentico mai di chi mi è d’aiuto»

Il fanciullo si sporse sul ciglio del pozzo e tirò su le catene del secchio con tutta la sua forza. 

«Grazie, sei stato molto gentile» disse la contadina, protendendo le mani verso il secchio straripante d’acqua.   

Un ghigno malevolo si era dipinto sul volto del fratello maggiore e il minore, che lo conosceva bene e ne era spaventato, sapeva che non preannunciava nulla di buono. 

«To’, eccoti l’acqua!» fece, sollevando il secchio e svuotandone l’intero contenuto sulla testa della malcapitata, infradiciandola da capo a piedi. 

La scena era divertente e il bambino più piccolo, pur sapendo che non era giusto, scoppiò in una risata fragorosa insieme al fratello. 

«Vuoi dell’altra acqua, giusto?» ridacchiò il più grande. «Prenditela da sola, stupida vecchia!»

Così dicendo, la spinse oltre il bordo e la fece precipitare giù nel pozzo. La donna cacciò un urlo impressionante, che si interruppe solo quando toccò la superficie dell’acqua con un tonfo. 

A quella vista, il fratello minore smise di ridere immediatamente e impallidì. 

«Ma cos’hai fatto?» chiese con orrore. «Il pozzo è profondo, morirà annegata!»

«E allora? Cosa vuoi che me ne importi?» fu il commento sprezzante dell’altro. «Su, muoviti, dobbiamo portare la legna in piazza»

Il più piccolo fissò il pozzo con aria impaurita. Avrebbe voluto aiutare quella poveretta ma era solo un bambino e non aveva idea di come fare. 

«A meno che tu non voglia seguire la vecchia, Sand...» propose il fratello maggiore. 

Inutile dire che il bambino non ci pensò neppure e seguì il più grande, sebbene continuasse a voltarsi indietro con preoccupazione. 

Raggiunta la piazza del paese, si misero ad aiutare il loro padre, trasportando legna da ardere a casa di chiunque ne acquistasse. Faceva già abbastanza freddo da accendere il fuoco nei camini, così i guadagni erano cospicui e le giornate dei bambini lunghe e molto faticose, troppo per una cena a base di pane vecchio e una scodella di zuppa insipida. Eppure quella era la vita che conducevano e non potevano fare altrimenti o l’unico genitore che restava loro li avrebbe presi a bastonate. O almeno era così che l’uomo minacciava il più piccolo, dato che per il primogenito aveva in progetto di pagare un cavaliere affinché lo prendesse con sé come scudiero. Anche al minore sarebbe piaciuto imparare a combattere, ma il padre non aveva occhi che per l’altro. 

«Gregor è robusto e ha una forza spropositata per un ragazzino della sua età. Chi potrebbe dire che non ha le qualità per combattere con spada e mazza ferrata?» soleva dire l’uomo con compiacimento. «E tu, Sandor, spicciati a portare quel carico o, parola mia, stasera andrai a dormire a stomaco vuoto!»

Quella notte i due fratelli caddero in un sonno profondo e fecero sogni strani e inquietanti. Ma l’incubo peggiore lo ebbero al risveglio: di colpo erano diventati cuccioli di cane! 

«Dove si sono cacciati quei due buoni a nulla?» sbraitò il loro padre quando non li trovò in casa. «Gregor! Sandor!» 

Non si preoccupò minimamente dei due piccoli mastini che trovò nella loro stanza perché aveva già un cane e pensò che quelli facessero parte dell’ennesima cucciolata di una qualche cagna selvatica. 

Sandor e Gregor risposero alle grida con un sonoro abbaiare, ma non ricevettero alcuna attenzione. Allora presero ad incolparsi a vicenda e finirono con l’azzuffarsi. Il mastino che avevano in casa si svegliò e, non riconoscendoli, li cacciò di casa con ringhi minacciosi, costringendoli a saltare fuori da una bassa finestrella. 

Il fratello minore era certo che quella trasformazione fosse opera della vecchia contadina che il maggiore aveva fatto cadere nel pozzo il giorno precedente, quindi insisté che dovevano ritrovarla e scusarsi con lei. Gregor non ebbe da ridire, odiava essere un cane, e così si incamminò in direzione della foresta con Sandor.  

Arrivati sul sentiero, i due cani incrociarono diversi uomini, donne e bambini che diedero loro rapide occhiate curiose prima di distogliere lo sguardo e tornare ai propri pensieri. Poi fu la volta di un uomo che non avevano mai visto prima. Costui era alto, biondo ed era vestito in modo raffinato. Si fermò e osservò i cuccioli. 

«E voi da dove saltate fuori?» domandò, chinandosi ad accarezzarli. 

I cagnolini gli ringhiarono contro, scatenando in lui una risata altezzosa ma genuinamente divertita. 

«Avete un carattere forte, eh?» commentò, prendendoli per la collottola ed osservandoli alla luce del mattino. «Tu ti chiami Gregor. E tu Sandor. Avete già un padrone, dunque»

I fratelli erano stati talmente impegnati a bisticciare da non essersi accorti dei collari intorno ai loro colli. Erano sottili strisce di cuoio con incisi sopra i loro nomi. 

«Beh, due esemplari come voi sono sprecati in mezzo a questi zotici. Sono disposto a pagare una bella somma per avervi»

L’uomo mandò due servitori a cercare il proprietario e, non trovandolo, decise di tenersi i cagnolini, quindi li prese con sé e tornò alla locanda dove alloggiava. 

Sandor e Gregor appresero in fretta che si chiamava Tywin Lannister ed era un ricchissimo nobiluomo di Casterly Rock, luogo dove vennero portati nei giorni che seguirono.  

Trascorsero gli anni e i cani raggiunsero una stazza grande e robusta, ma conservarono anche un’inaspettata agilità, diventando imbattibili nel cacciare prede.    

Gregor era ormai abituato alla vita agiata che conduceva, perciò aveva smesso da tempo di tormentarsi, accettando di essere diventato un cane. Sandor, invece, covava risentimento per il fratello, non voleva rassegnarsi all’idea e non faceva che pensare alla possibilità di tornare umano. E quella possibilità gli si presentò in maniera inaspettata. 

Un giorno Tywin ritornò a Torrhen’s Square per sbrigare delle faccende e, come faceva quando viaggiava, portò con sé i due mastini. Il più giovane non poteva chiedere di meglio, la locanda dove alloggiavano sorgeva a nord, non lontano dalla Foresta del lupo e lui ricordava perfettamente quale fosse la strada da seguire. Attese l’arrivo della notte, sgattaiolò fuori dalla cuccia che il lord aveva fatto preparare per lui e suo fratello, quindi corse verso la foresta. 

Il bosco di faggi non appariva molto diverso da un tempo e trovare il pozzo fu tutt’altro che difficile. Dopo aver ripreso fiato, il cane si sollevò sulle zampe posteriori e guardò dentro la voragine nera rivestita di pietra. Non vide e non sentì niente. Abbaiò all’aria, ululò, si sedette e attese. Ma non accadde nulla. Era passato troppo tempo, realizzò. Sarebbe rimasto un cane per tutta la vita. Quella consapevolezza era dura da mandar giù, ma era la verità e continuare ad illudersi sarebbe stato solo più doloroso. Furioso, Sandor si strappò via il collare a morsi e unghiate, lo fece a brandelli e lo gettò in fondo al pozzo, poi corse via, nel folto degli alberi. Se doveva essere un cane, sarebbe stato un cane libero.

Qualche tempo dopo, migliaia di notti buie più tardi, Sandor fece un sogno. Sognò di abbeverarsi presso un ruscello e di vedere una donna anziana avvicinarglisi. Aveva l’aspetto insolito di quelle antiche creature che la gente soleva chiamare Figli della foresta. Ma anche così il mastino la riconobbe e le ringhiò contro. Lei non diede segno di essere spaventata e continuò a camminare. 

«Visto cosa succede a ridere delle sventure altrui?» domandò, fermandosi ad un passo da lui. «Ma penso di averti punito troppo duramente, dopotutto non sei stato tu a spingermi nel pozzo. Quindi ho deciso di ridarti un po’ della tua umanità. Ti basterà desiderarlo e tornerai uomo, ma solo dal tramonto all’alba, dopodiché sarai nuovamente un cane per tutto il dì, sino a che non farà buio. Ma perché ciò accada senza intoppi, dovrai trovarti nella foresta e non dovrai essere visto in volto da occhio umano» poi gli rivolse un sorriso benevolo. «Questo è il dono che ti concedo. Potrà sembrarti poco, lo so, ma per ora basterà. E, se sarai fortunato, qualcuno ti aiuterà a spezzare il sortilegio. Abbi fede» 

Sandor avrebbe voluto rispondere, dire la sua, ma le parole gli si bloccarono in gola, al loro posto uscirono solo deboli latrati. Poi la donna e  il ruscello svanirono, lasciando spazio alla grotta nella quale era solito rifugiarsi e al raggio di sole che filtrava in mezzo ai rami degli alberi. 

Non trascorsero che pochi giorni e Sandor s’imbatté in una fanciulla che aveva avuto l’ardire di avventurarsi nella Foresta del lupo. Indifesa e spaventata com’era, il mastino non ebbe cuore di lasciarla sola e la salvò dai lupi. E quando la giovane cadde nel fosso, lui tornò umano e la trasse in salvo prima che potesse affogare. 

 

 

«Aspetta un momento, e se Sansa ti avesse visto?» chiese di colpo Robb. 

«Avrei perso la possibilità di trasformarmi» gli rispose Sandor. 

«E tu hai rischiato tanto per aiutare questa stupida?» fu la domanda meravigliata di Arya, seguita da un’occhiataccia della sorella maggiore.

«Una vita è una vita, non potevo permettere che morisse» le spiegò. 

«Lasciatelo continuare!» esclamò un irritato Bran. 

 

 

Quando la bambina fu sana e salva tra le braccia del padre, lui tornò nella foresta. Lì fiutò l’odore di un altro cane che presto scoprì essere Lady. Gli raccontò quanto le era successo usando il linguaggio canino e lo pregò di aiutarla a ritrovare la strada per ricongiungersi alla sua padroncina. Il mastino acconsentì.

Passato un giorno dall’incontro con la giovane, Sandor fiutò l’odore di Sansa nella foresta e, avendo un cattivo presagio, ne seguì la traccia finché non la vide. Con lei c’era Lady ma anche Joffrey, il pestifero nipote di Tywin, Meryn il factotum e Gregor. Quando il suo sguardo e quello del fratello si incrociarono, si scatenò una lotta violenta che si concluse con la morte del maggiore. 

Joffrey era arrabbiato ma, soprattutto, aveva paura. Non solo se ne avvertiva l’odore nell’aria, ma si capiva anche dal fatto che stesse puntando una freccia contro la povera Sansa che, se possibile, era ancora più spaventata del ragazzino. Per salvarla, si gettò contro Joffrey ma il suo muso incontrò il fuoco acceso poco prima da Meryn. 

Sansa era finalmente in salvo, ma lui stava bruciando. Ricordò una corsa disperata, la pioggia improvvisa, il pianto di una voce, il buio. E poi dolore, dolore, dolore. Tremendo e bruciante. 

 

 

«Ma noi ci stavamo prendendo cura di te, perché sei scappato?» gli chiese poi Catelyn. 

«Quando stanno per morire, i cani vanno a nascondersi. Io lo sentivo e l’istinto ha prevalso. Dopotutto, sono stato un cane per sedici lunghi anni...» rispose Sandor. 

«Però alla fine ti sei salvato» disse Sansa con un sorriso. 

«In verità sono morto, come cane. Ma poi mi sono risvegliato e, sì, l’uomo è sopravvissuto»

«La magia esiste, lo sapevo, lo sapevo!» pigolò Bran, saltellando sul posto. 

«Piantala, nanerottolo!» fece Arya, scansando prontamente i piedi prima che il fratellino potesse calpestarglieli. 

«Quello che non capisco è perché hai ancora la ferita. Te la sei fatta quando eri un cane, quindi non sarebbe dovuta scomparire?» commentò Jon, grattandosi la testa.

«La vecchia mi è tornata in sogno e ha detto che la cicatrice resterà per sempre sulla mia pelle, affinché mi ricordi che è importante avere rispetto per gli altri» 

«Giusto» convenne Ned. 

«Perché non sei venuto a cercarmi quando hai ripreso i sensi?» gli domandò Sansa. «Ero preoccupatissima per te!»

«Lo so. Ma non speravo che mi avresti riconosciuto» 

«Come potevo non riconoscerti?»

«Perché ero un cane»

«Eri mio amico, anzi, sei mio amico. Li so riconoscere gli amici. E anche Lady, per fortuna»

«A quanto pare»

«Dunque è stato merito di mia figlia se l’effetto dell’incantesimo è svanito?» domandò Cat, dopo un momento di riflessione. 

«Esatto» 

«Se ti ha aiutato, allora è stato un bene che abbia disobbedito. Che non si ripeta più però, intesi, Sansa?»

«Intesi, madre»

«Cos’hai in mente di fare, adesso che sei tornato ad essere un uomo?» volle sapere Ned. 

«Vivrò nella foresta, come ho fatto finora» 

«Nella foresta? Ma non puoi vivere tutto solo e circondato da alberi, lupi e orsi!» esclamò Sansa. «È pericoloso!»

«Ormai ci sono abituato»

«Sai, sono d’accordo con mia figlia» intervenne il capofamiglia. «Hai vissuto lì per troppo tempo e una casa è decisamente meglio di una grotta, non credi?» 

«Questo sì. Ma dove potrei andare? Con mio padre non ho mai avuto un buon rapporto e, ammesso che il vecchio sia ancora vivo, non ho intenzione di andare da lui» 

«Non ti stavo suggerendo di tornare a Torrhen’s Square, pensavo che potresti stabilirti qui a Winterfell, se per te va bene» 

«Qui?»

«Sì, ti troverò una casa confortevole in cui stare e un lavoro con cui guadagnarti da vivere. Che ne dici?»

Sandor era stato preso alla sprovvista, proprio non si aspettava una simile offerta. 

«Hai salvato mia figlia, più di una volta. Credo sia il minimo»

«Per me è molto»

«È dunque un sì?»

«Beh...»

«Accetta!» lo pregò Sansa, con un sorriso persuasivo dipinto sulle labbra. «Così vivremo vicini»

Sandor la guardò, poi si voltò verso Ned e annuì. Sarebbe stato impossibile dire di no davanti alla dolcezza di quel visetto di porcellana. Già, persino per uno come lui. 

«Devi essere affamato, perché non resti per cena?» propose Catelyn. 

«È una buona idea» convenne il marito. «Inoltre fuori c’è un gran brutto tempo, probabilmente stanotte ci sarà una tormenta ed è sconsigliabile uscire di casa, quindi starai con noi»

«Non posso, non potrò mai sdebitarmi...»

«Chi dice che devi farlo? E poi siamo noi ad essere in debito con te, quindi non preoccuparti»

«Permettete che vi aiuti, almeno»

«D’accordo. Vieni in cantina con me, c’è bisogno di altra legna per il fuoco» 

A quell’ultima parola, il giovane uomo rabbrividì, ma non si scompose e seguì Ned oltre una porta vicino all’ingresso. Scesero giù per una piccola scala e si ritrovarono in una stanza buia che il sindaco rischiarò con la luce di una candela. C’erano delle botti ammassate lungo una parete, una grande quantità di sacchi contro un’altra e un’alta catasta di legna ricopriva l’ultima. Si diressero presso il mucchio di ciocchi.  

«Devi scusare mia figlia» 

«Per cosa?»

«È ancora una bambina, non capisce che non puoi giocare con lei. A proposito, quanti anni hai?»

«Ventiquattro»  

«Sembri più grande della tua età, forse è perché hai vissuto nella foresta per tutto questo tempo. Immagino sia stato tutt’altro che facile» 

Sandor fece un cenno di assenso. 

«Ma dimmi, come si è comportata Sansa quando ti ha riconosciuto? Era sorpresa? Felice?» 

«Tutte e due le cose. Ha capito subito che ero io» 

«Certo, i bambini hanno molta più immaginazione degli adulti e riescono a credere anche in ciò che può sembrare impossibile. Se la conosco bene come credo, vorrà starti sempre vicino, anche se sei molto più grande di lei. Sii onesto nei suoi confronti, non illuderla»

L’ospite si accigliò, non capendo a cosa si riferisse. 

«Alla sua età le fanciulle iniziano a sognare un amore romantico, come le dame di quelle storie che parlano di prodi cavalieri. Ho visto come ti guardava mentre raccontavi la tua storia. Da padre, non vorrei che si facesse delle idee sbagliate, pensando che tu sia il suo cavaliere»

«Lo capisco» 

Divisa equamente la quantità di legna che occorreva, i due uomini si avviarono alle scale e tornarono in salotto. 

I bambini e i meta-lupi scorrazzavano da una stanza all’altra, facendo un gran baccano. Ned e Sandor faticarono non poco per evitarli e raggiungere il camino con il pesante carico tra le braccia. Disposero la maggior parte dei ciocchi in una nicchia sotto il caminetto e il capofamiglia usò il resto per alimentare il fuoco, quindi si sedettero e discorsero per un po’. Lady andò a distendersi ai piedi dell’ospite, fissandolo come fosse alla ricerca delle sue carezze. Sandor passò una delle sue grandi mani sulla testa della lupa, sorprendendosi della morbidezza di quel pelo caldo. Era strano pensare che era stata sua alleata nella lotta contro Gregor e nel salvataggio di Sansa da Joffrey. Anzi, la cosa più strana era essere stato un cane per tutto quel tempo. Era tornato umano, ma non poteva dimenticare quei sedici anni passati tra la casa di un nobile e la Foresta del lupo. Il sortilegio era stato spezzato, eppure sentiva che il mastino avrebbe sempre costituito una parte di sé. E proprio la dignitosa onestà di quella parte animale lo avrebbe aiutato a iniziare la sua nuova vita e ad essere un uomo migliore di quelli che gli era capitato di conoscere – uomini come suo padre, suo fratello o i Lannister. 

Una mezz’ora più tardi tutti presero posto a tavola. Arya si sedette accanto a Sandor in modo da poterne studiare la metà arsa del volto, invece Sansa si sistemò dall’altra parte, soffiando il posto a Bran. 

«Ecco» disse la giovane all’ospite, passandogli un piatto. «Spero che il pollo ti piaccia»

«Molto» rispose, prendendo in mano la stoviglia di rame. 

Bevve e mangiò tutto ciò che gli venne offerto, non solo perché non gli sembrava giusto rifiutare davanti a tanta cortesia, ma anche perché erano giorni che non mangiava. La cena fu semplice ma abbondante e, al palato di Sandor, risultò il pasto migliore di sempre. 

A un tratto, Bran volle a tutti i costi raccontare a Sandor la storia del corvo con tre occhi, la sua preferita, poiché in casa l’ospite era l’unico a non conoscerla. Dietro il fratellino, Arya si mise a fargli il verso, facendo ridere i fratelli maggiori. L’uomo ascoltò, ma sembrava essere interessato più ai dolcetti al limone nel proprio piatto che a quello strano racconto. 

«Ti piacciono?» domandò la commensale che gli sedeva alla destra.

Lui annuì con la testa, impegnato com’era a masticare la parte croccante. 

«Davvero? Sono felice che ti piacciano. I tortini al limone sono i miei preferiti e questi...» arrossì leggermente. «Questi li ho fatti io»  

«Sono ottimi, Sansa» si complimentò, prendendone un altro.

«Oh, grazie» fece, alzandosi per andare in cucina e schivando Bran che stava rincorrendo Arya. 

Una volta lì, si chiuse la porta alle spalle e attese che le guance smettessero di ardere, ma continuò a sorridere. 

“Ha detto che i miei dolcetti sono buoni e poi mi ha chiamata per nome!” pensò, cercando di memorizzare il tono un po’ burbero di quella voce che, comprese all’istante, le piaceva tantissimo. 

In seguito aiutò sua madre a sparecchiare, a lavare i piatti e a rimettere in ordine. 

«Su, è tardi, tutti a letto!» ordinò Cat, indicando il corridoio ai figli.  

I più piccoli protestarono e, per una volta, Sansa era d’accordo. Avrebbe voluto che quella giornata non finisse mai, temendo che il suo nuovo amico potesse svanire nel nulla durante la notte. 

Entrò nella sua stanza insieme a Lady e si sedette sul letto con aria serena. Quasi subito un piccolo oggetto di legno attirò la sua attenzione e le strappò un sorriso, mentre un’idea si faceva strada nella sua testa. Tese le orecchie, aspettò che non vi fosse più neanche il minimo rumore in corridoio, quindi sgattaiolò fuori, reggendo la candela in una mano e l’oggetto nell’altra. 

Grazie al fuoco che ancora scoppiettava nel camino, il salotto era in penombra. L’imponente figura di Sandor sedeva su una branda, posizionata a debita distanza dal focolare. La bambina si fece coraggio e agitò la candela davanti a sé in modo che lui la notasse. 

«Scusa se ti disturbo» bisbigliò, avvicinandosi. «Volevo solo darti una cosa»

«Che cosa, piccola?» domandò, sussurrando a sua volta. 

Sansa sollevò l’altra mano e l’allungò verso di lui. Sandor prese l’oggetto, socchiuse gli occhi e lo osservò alla luce del camino. 

«Un cane» dedusse.

«Un mastino» lo corresse lei. «Bello, vero? Lo hanno intagliato Robb e Jon»

«Sì, lo è»

Osservò ancora un momento il quadrupede di legno e poi lo ripassò alla fanciulla che, però, scosse la testa. 

«Voglio regalarlo a te» disse. «In ricordo di come ci siamo conosciuti» 

Quella frase lo spiazzò e un’estranea sensazione di calore gli invase il petto. 

«Grazie» mormorò, appoggiando l’oggetto sulla branda sotto di sé. 

«Sono io che devo dirti grazie per tutto quello che hai fatto per me» 

«Non c’è di che, uccellino» 

Le guance di Sansa avvamparono al suono di quel nomignolo. 

«Allora, buonanotte» concluse. 

Con fare timido e impacciato, gli posò delicatamente le labbra sulla metà bruciata del viso, baciandogli la guancia, infine corse via in preda all’imbarazzo. 

Sandor si distese sulla branda e attese che il leggero pizzicore sulla guancia si estinguesse. Non era abituato a ricevere affetto, quindi non si aspettava minimamente quel tenero gesto, due ancora meno. Prese in mano il cane di legno e lo guardò con fare pensoso. 

“Questa è la tua seconda e ultima possibilità” si disse, vedendo immagini del proprio passato scorrergli davanti agli occhi. “Non bruciartela” 

A quel pensiero, la bocca distorta si piegò in un sorriso ironico e amaro, ma poi trasse un sospiro di sollievo. Chiuse gli occhi e il vino che aveva mandato giù a cena lo fece scivolare in un sonno profondo e senza sogni.  

 

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

che ve ne pare di questo capitolo? Finalmente conoscete la storia del mio Sandor, piaciuta? ;) 

Tra un paio di giorni posterò l’epilogo e ammetto che un po’ mi dispiace perché a questa piccola storia ci sono ormai affezionata, anche se sapevo che prima o poi avrei dovuto concluderla ^-^ 

Ancora una volta ringrazio con il cuore chi ha ancora la pazienza di leggere e recensire, siete carinissime ^^

Un saluto e al prossimo capitolo, 

Amy   

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 (Epilogo) ***


Amy Dickinson © 2014 (06/08/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

 

 

 

 

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- Capitolo Otto -

 

Dieci anni dopo...  

«...con la sua siamo già a tre proposte di matrimonio, ma che succede a tutti quanti?» stava dicendo Sansa, il respiro caldo condensato in nuvolette di vapore che si disperdevano nell’aria invernale, mentre camminava sulla neve fresca con passo leggero, preceduta da Lady come da abitudine. 

«Non lo so» rispose Sandor, trasportando in spalla un mucchio di ciocchi di legno dall’aria molto pesante. 

L’uomo mentiva, sapeva benissimo cosa passava nella mente di chi la guardava. Aveva ormai diciotto anni, era diventata una giovane donna, sarebbe stato impossibile non notarla. Era alta, aggraziata, formosa nei punti giusti. I capelli rossi erano cresciuti, le scendevano lungo la schiena e le incorniciavano il bel viso candido, sul quale spiccavano gote rosate e i sempre meravigliosi occhi azzurri. Era bellissima, incantevole. Infine, essendo figlia del podestà, era anche un ottimo partito. 

«Cambiando discorso, zio Benjen scrive che ha un incarico fuori da Castle Black e che, con l’occasione, verrà a trovarci e... Sandor, ma mi stai ascoltando?»

Annuì. 

«Che cos’hai?»

«Sono stanco» 

Come risposta era credibile, a parte Hodor non c’era uomo altrettanto forte nei paraggi, quindi lavorava da mattina a sera, tagliando legna nella Foresta del lupo e trasportandola fin dove occorreva.  

«Hai rifiutato le prime due proposte, che farai con la terza?» si decise poi a domandarle, spostando la conversazione sull’argomento precedente.  

«Mi stai davvero chiedendo se sposerò Petyr?» 

Fece una smorfia e una risata cristallina le uscì dalle labbra. 

«Proprio no. Né lui, né gli altri»

«Vuoi rimanere zitella?» 

La ragazza rise ancora e più forte. 

«Tutt’altro! Ma non voglio accontentarmi: sposerò solo chi mi ruberà il cuore» 

Sandor storse la bocca e fu il suo turno di ridere. 

«Non sei un po’ cresciuta per queste sciocchezze?»

«Essere romantici non ha età» 

«Ammettilo, è assurdo credere che arriverà qualcuno da chissà dove solo per sposare te»

«Parli proprio tu che sei stato un cane per anni? Andiamo!»

«È stato un incidente, non una mia fantasia. È diverso»

«Ma resta comunque una storia che ha dell’incredibile»

«Però è vera»

«Anche il fatto che avrò il mio lieto fine lo è»

«Con un aitante cavaliere?»

«E chi dice che stia aspettando un cavaliere?»

«No?»

«No» rispose secca, diventando seria e fermandosi di colpo. «Chissà, magari aspetto un mastino, invece»

Sandor avanzò di un paio di passi sul sentiero che dall’Albero-diga portava verso Winterfell, quindi si arrestò a sua volta. Aprì la bocca, richiudendola subito dopo. Era troppo sorpreso per dire qualcosa. 

«Hai sentito bene» disse lei, come se le avesse chiesto una conferma. 

«Non sai quello che dici» fece, riprendendo a camminare.  

«Perché no?» chiese, seguendolo. 

«Siamo amici»

«E con questo?»

«Una cosa del genere rovinerebbe tutto»

«Io credo che lo rafforzerebbe, invece»

«Ne dubito»

La ragazza lo guardò in silenzio per un lungo momento, studiando la sua espressione arcigna e meditando. 

«Qui c’entra mio padre. Sono stata una figlia buona, educata, giudiziosa e ubbidiente. Non capisco perché ora voglia negarmi di essere felice»

«Ned vuole solo il tuo bene, non si può biasimare per questo»

«Se volesse il mio bene non avrebbe fatto in modo di limitare la quantità di tempo che passo con te»

«Non mi sembra che te lo abbia impedito, comunque»

«Però non ha fatto altro che decidere per me»

«Eri una bambina»

«Beh, adesso non lo sono più!» 

«Non da molto»

Sansa gli diede un’occhiataccia. L’essersi scaldata le aveva colorito le guance di una tonalità poco più accesa, facendola apparire ancora più attraente del solito. Sandor lo notò e deglutì. 

«Dovrei provare a parlargli» insisté lei, mordicchiandosi il labbro con fare nervoso. 

«Sarebbe inutile, sai bene come la pensa e io sono d’accordo con lui» 

«Ma perché?»

«Perché è solo l’ennesimo capriccio, domani ti sarà passato e vorrai qualcos’altro. Non so neanche come ti sia venuto in mente»

Quelle parole la offesero. Solo i bambini facevano i capricci e lei non lo era. Non aveva più otto anni, eppure tutti continuavano a trattarla come se così fosse, persino lui. E la cosa non le faceva affatto piacere. L’avrebbe mai guardata con occhi diversi? Ma, soprattutto, l’avrebbe mai davvero guardata? 

«Ti dico che non lo è»

«Lascia stare. Diciotto anni sono ancora pochi, hai tutta una vita davanti»

«Quindi il problema è l’età?» chiese. «Avanti, sei solo qualche anno più grande di me»

«Qualche anno, dici?» sghignazzò, sinceramente divertito. «Sedici anni per te sono qualche anno? Buona questa!»

«Non sarebbe il caso peggiore, anzi, proprio l’altro giorno mio padre stava parlando con Vayon di un certo Walder e della sua nuova moglie che pare abbia quasi trent’anni meno di lui...»

«Io non sono un vecchio depravato!» ringhiò. 

«Lo so, non era un paragone, voleva essere solo un esempio...»

«Non accostare più quel nome al mio!»

«Va bene, non lo farò più» promise. «Ma sappi che a me non importa della differenza d’età»

Camminarono senza più aprire bocca per un tratto di strada, poi lei gli si parò davanti, sbarrandogli la strada. 

«Non provi assolutamente nulla per me?» domandò. 

«Che razza di domanda è?» fece, aggrottando le sopracciglia. 

«Su, rispondimi»

«Beh, siamo amici, lo hai sempre detto anche tu»

«Tante grazie, questo lo so già»

«Cosa vuoi che ti dica, allora?»

«Non ti piaccio?»

Sandor proprio non sapeva cosa rispondere. Avrebbe dovuto dirle di no, ma come poteva mentire in modo così spudorato? Nella penombra serale lei appariva come l’incarnazione terrena della Fanciulla, così bella e pura da togliere il fiato. Ma, d’altra parte, non poteva assecondarla, né illuderla. Distolse lo sguardo e si concentrò sulla strada. Si schiarì la gola ma non parlò. 

«Dimmelo, ti prego» insisté Sansa. «Voglio sapere la verità. Sei sempre stato sincero con me, non devi smettere di esserlo, non ora»

«Non si tratta di questo...»

«Almeno guardami!»

Pur sapendo che farlo avrebbe complicato le cose, obbedì. Spostò lo sguardo dal sentiero innevato su quel volto delicato. Il rossore sulle guance si era fatto ancora più intenso e nelle iridi cristalline si riflettevano le luci delle prime stelle. 

«Sansa...»

Lei sussultò. Erano passati dieci anni, eppure ogni volta che quella voce profonda pronunciava il suo nome, un leggero fremito la scuoteva. Nessun’altra persona lo diceva in quel modo, facendolo suonare così bene. 

Incominciò a nevicare, ma nessuno dei due parve accorgersene. 

«In tutta sincerità, sei la ragazza più bella che abbia mai visto» trovò il coraggio di dire, appoggiandole le mani sulle spalle. «Sono molto legato a te»

Un sorriso si estese sulle labbra della ragazza. 

«Ma è proprio per questo che non si può. Sono già vecchio per te e sono un essere mostruoso, inutile negarlo. Tu meriti di meglio»

Sansa scosse forte la testa. 

«Non dire questo, io non ho mai pensato che fossi un mostro»

«Vuoi negare che questa cicatrice ti faccia orrore?»

Osservò la bruciatura che copriva metà del volto dell’uomo. 

«Quando ero piccola mi spaventava un po’, lo ammetto. Ma ora le cose sono diverse»

«Cosa c’è di diverso? La mia faccia rimarrà così per sempre. Credi di volere al fianco una persona come me per il resto della tua vita?»

«Sì, accidenti!»

Fu il turno di Sandor di scuotere la testa. 

«Non ti rendi conto di cosa vorrebbe dire per te»

«Invece sì! Tu mi vai bene così come sei. E poi, se hai quella cicatrice è solo colpa mia...»

«È la compassione che ti fa parlare?»

«No, non è così, io...»

«Adesso basta!»

La scansò bruscamente con una mano e riprese a camminare. 

«Perché ti ostini a non voler capire?» gli gridò dietro. «Io... io...»

Sandor continuò a lasciare orme nella neve come se nulla fosse. 

«Ti amo!» 

Due semplici parole che riecheggiarono nel silenzio del sentiero, colpendo tutto ciò che c’era intorno a loro, rimbalzando sulla coda di Lady e giungendo alle orecchie dell’uomo, lasciandolo senza parole e inchiodandolo sul posto. Aveva capito bene? 

Girò lentamente la testa, poi il resto del corpo e la guardò. La giovane aveva il fiato corto, come se pronunciare quelle parole l’avesse provata fisicamente. Sulle guance delle lacrime brillavano come ghiaccio sul punto di sciogliersi, gli occhi erano due lucide gemme liquide, le ciocche rosse ondeggianti nel vento. Una visione di tormento e bellezza insieme. 

«È con te che sono cresciuta, è a te che devo tutto» disse con voce spezzata. «E come ti ho ripagato? Con una cicatrice!»

«Non è stata colpa tua» le rispose. 

«Sì, invece. Non mi perdonerò mai per quello che ti è successo a causa mia...»

«Ascolta...»

«...ma non si tratta di questo, adesso. Proverei le stesse cose per te, con o senza cicatrice. E non mi importa di quello che potrebbero dire o pensare gli altri. Sandor, tu mi piaci, dentro e fuori, e io ti amo per ciò che sei» 

L’uomo sgranò gli occhi, la carne intorno alla bruciatura pulsò per un istante. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole gli rimasero bloccate da qualche parte in gola. 

«Se tu non senti le stesse cose per me, sono pronta ad accettarlo, ma devi dirmelo. In tutto questo tempo non ti sei mai esposto e il dubbio mi ha quasi consumata. Sii sincero, ti prego»

Sandor appoggiò il mucchio di legna contro il tronco di una quercia e le si avvicinò, arrestandosi ad un passo da lei. La guardò con espressione seria e indecifrabile, soffermandosi sui suoi occhi chiari, incatenandovi i suoi più scuri. Alzò le mani davanti a sé, prese i lembi del cappuccio del mantello della ragazza e, sfiorandole una guancia con il dorso villoso, lo sollevò a coprirle la testa per ripararla dai fiocchi di neve.

“Se mi respingerà, dovrò rispettare la sua scelta” si disse la giovane. “Anche se ne uscirò con il cuore spezzato”  

«Onestamente, Sansa, credo che sarebbe un grosso errore»

Lei annuì con la testa, abbassò lo sguardo e affondò i denti nel labbro inferiore. La delusione era palese sul suo viso, quelle parole facevano male, anche troppo. 

“Non mi vuole” pensò con amarezza, sentendo nuove lacrime sporgersi oltre le ciglia. “Dovevo aspettarmelo, per lui sarò sempre e solo una bambina. Sono stata così stupida ad aver creduto che...”

«Tuttavia» continuò l’uomo, prendendole il mento tra il pollice e l’indice, costringendola ad alzare gli occhi e a guardarlo da vicino. «Se un errore può farmi stare così dannatamente bene, allora lo commetterò» 

Sansa sentì il cuore fermarsi per un istante. 

«Questo significa che...?» sussurrò, mentre un barlume di speranza le scintillò negli occhi e nel petto si andava diffondendo un piacevole tepore. 

Non disse nulla, si chinò su di lei e la baciò. Sansa necessitò di un momento per rendersi conto di quanto le stava accadendo, quindi chiuse gli occhi e rispose all’effusione. Le sue labbra si schiusero e accolsero quelle di Sandor, muovendosi prima con dolce impaccio, poi con una foga crescente. Lui cinse la vita della ragazza con entrambe le mani, sollevandola in alto e stringendola a sé con le sue braccia possenti. Lei gli affondò le mani nei capelli umidi di neve e seguitò ad assaporare quella grande bocca, mentre la barba le solleticava ripetutamente il mento e l’arco di cupido. Poi l’uomo si spostò a baciarle una guancia, la mandibola, il lobo, il collo e la clavicola, lasciando una scia rovente su quella pelle fresca e nivea. Tanto ardore le strappò un sospiro che risuonò come un gemito, al quale lui rispose con un sorriso di compiacimento. I loro occhi si incontrarono, vivaci come fiammelle. Sansa si sporse in avanti perché potessero baciarsi ancora, ma Sandor si limitò a guardarle le labbra. Il lampo di avidità che gli attraversò le iridi scomparve quando chiuse le palpebre. 

«È tardi, devo riportarti a casa, uccellino» disse, rimettendola giù. 

«Sì...» annuì lei, pur sentendo già la mancanza di quei baci. 

Sandor sciolse l’abbraccio, diede una carezza a Lady, che non aveva smesso di girare attorno a loro e scodinzolare allegramente nemmeno per un attimo, quindi andò a prendere il carico di legna e se lo rimise in spalla. La giovane e il meta-lupo lo raggiunsero e ripresero il cammino assieme.  

Ad un tratto, Sansa accostò la propria mano a quella grande e callosa di Sandor e sorrise quando lo sentì afferrarla e stringerla nella propria. 

«Sei davvero decisa a voler passare la tua vita con me?» chiese, improvvisamente incapace di guardarla in viso. 

«È quello che desidero di più al mondo» rispose senza esitazione, sorridendo. 

«Una vita è un tempo molto più lungo di quanto pensi, potresti anche pentirtene»

«Non potrei mai stancarmi di te. Forse tu potresti volere un’altra donna, un giorno...»

Sandor rise. 

«Dico sul serio»

«Non succederà. Sono anni che ti aspetto»

Il pollice accarezzò il dorso della piccola mano, come a darle una conferma. Ciò la fece sorridere ancora.

«Davvero?»

Lui annuì con la testa e lei sentì di potergli credere. 

Winterfell era magnificamente illuminata da centinaia di lanterne di pietra a forma di alberi-diga. Erano appese in ogni dove per via della ricorrenza annuale secondo cui gli abitanti glorificavano gli Antichi dei. 

Camminarono a passo spedito in mezzo a quel mare di luci fino a casa Stark, arrestandosi davanti alla porta per riposare un po’. La ragazza ne approfittò per fargli una carezza sulla guancia sinistra, toccando delicatamente la carne secca con il palmo. Un’espressione triste e colpevole le fece sporgere inconsapevolmente il labbro inferiore in avanti.  

«Lo rifarei» disse lui, intuendo i suoi pensieri e coprendole la mano con la propria. «Per salvare il mio uccellino»

“Il suo uccellino...” pensò, ancora incredula. 

Quel semplice appellativo non era mai stato tanto significativo per lei come in quel momento. Sansa sorrise e l’uomo fece altrettanto, poi si abbassò e la baciò di nuovo. 

«Resti a cena con noi?» gli chiese. 

«Un’altra volta» rispose Sandor.

«Ma...»

«Non essere impaziente. Abbiamo tempo, ma questo carico di legna non si consegna da solo» 

«Va bene. Posso accompagnarti a farne dell’altra anche domani?»

«Certo»

Si congedò da lui con un abbraccio e bussò alla porta. Vederlo allontanarsi la rese malinconica ma si rincuorò subito, pensando che la distanza che c’era stata fra loro in tutti quegli anni ormai non esisteva più e che, a partire da quel giorno, le cose sarebbero cambiate. E in meglio. 

Si ripromise che, dopo aver atteso per un decennio, nulla le avrebbe più impedito di amare il suo Sandor, l’uomo per il quale aveva perso la testa al primo sguardo, nonostante la bruciatura. Era cresciuta e adesso sapeva ciò che voleva. Nessuno avrebbe più potuto separarla dalla persona che amava, suo padre se ne sarebbe fatto una ragione. 

“Non ha detto apertamente che mi ama, ma i suoi occhi hanno parlato per lui. Oh, e le sue labbra...”

Quando, poche ore più tardi, si coricò nel suo letto, Sansa diede la buonanotte a Lady e sospirò, guardando il cielo oltre la finestra e pensando a colui che era stato un mastino. 

Mentre i pensieri fluivano nella sua mente, unendosi ai sogni leggeri del dormiveglia, un gufo bubbolò su un albero in giardino. 

“Io sono il suo uccellino, lui è il mio mastino. Insieme saremo felici, finalmente”

Da bambina si era sempre chiesta di cosa sapesse la felicità. Un sorriso piegò all’insù le sue labbra, perché ormai conosceva la risposta e un giorno l’avrebbe gridata ai quattro venti. 

La felicità aveva il sapore di Sandor. 

 

 

 

 - Fine - 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

è finita e so che mi mancherà. Lo so, ha mille imperfezioni, ma dovevo scriverla, erano mesi che questa piccola storia voleva uscire fuori e ci è riuscita, portandomi fino a qui. 

Vi è piaciuta? Mi auguro di sì, almeno un pochettino :3

Non mi resta che ringraziarvi con sincero affetto per aver letto, recensito e quant’altro, siete adorabili ^__^ 

Un saluto a tutti e spero di tornare presto a scrivere nel fandom e, in particolare, sul pairing SanSan - da cui sono dipendente! ❤ 

Amy 

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