Dieci numeri + 1

di Artemis Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Benvenuti in questa mia prima long!
Spero possa piacervi l'idea e che il prologo vi incuriosisca!
Si tratta di un esperimento per me, per cui se avete suggerimenti, critiche o semplicemente se il capitolo vi è piaciuto, lasciate pure una recensione.
Il raiting nei prossimi capitoli potrebbe essere soggetto a variazioni!
Buona lettura!







Prologo





John Watson attendeva di fronte all’ Irish Pub, le spalle ricurve e lo sguardo annoiato. Quella sera sarebbe volentieri rimasto a casa, nel suo appartamento a Shepherd’s Bush: sarebbe tornato dall’ambulatorio alla solita ora –cioè non prima delle diciannove-, avrebbe fatto una doccia rigenerante e avrebbe cenato con un pasto take away davanti alla televisione, per poi andare a letto presto. E invece si era ritrovato a tornare in fretta e furia a casa per cambiarsi e rituffarsi nella confusione delle strade londinesi.
Quel pomeriggio Mike Stamford lo aveva, infatti, costretto a uscire con lui, dicendogli: “Andiamo, John! E’ il mio compleanno! Compio cinquant’anni! Non vorrai lasciarmi da solo, spero!” Ovviamente il medico, sentendosi in colpa, non aveva potuto rifiutare l’invito dell’amico, e così aveva accettato suo malgrado.
Nonostante stesse tentando di farla tacere, l’immaginazione di John stava proponendogli immagini di lui seduto in santa pace di fronte alla sua piccola tv con un bel piatto di riso saltato con pollo giapponese, in totale contrasto con i rumori molesti che gli arrivavano dalla strada davanti a lui e dal locale alle sue spalle.
Dopo dieci minuti buoni e qualche sospiro rassegnato di troppo, Mike apparve accanto a lui, salutandolo calorosamente con un abbraccio.
“Grazie per essere venuto, John! Non avevo voglia di restarmene da solo stasera!” Esclamò.
John rispose con un sorriso tirato, sapendo di dover soffocare tutto il suo disappunto, che premeva per uscirgli dalla bocca.
I due amici entrarono nel pub, alla ricerca di un tavolo un po’ più appartato, per evitare quanto più possibile la confusione; quando lo trovarono, vi si sedettero e ordinarono due boccali di birra.
“Come va John? Che mi racconti?” Domandò Stamford, il tono di voce felice come quello di un bambino alle giostre.
John, che stava ammirando l’arredamento retrò del locale, si ridestò, concentrandosi sulla risposta da dare: bene non andava sicuramente, ma era anche vero che non poteva lamentarsi, anche se “discretamente” sembrava essere un parolone per definire la sua routine giornaliera.
“Normale.” Rispose, infine, neutrale.
Mike sospirò sonoramente e il suo sguardo si fece leggermente più cupo.
“Non sai quanto ti invidio! Da quando mia moglie ha chiesto il divorzio, non faccio altro che andare da un avvocato all’altro!”
Il medico roteò gli occhi. Sinceramente non aveva alcuna voglia di compatire l’amico- che già sembrava compatirsi da solo, a dire il vero-, ma la parte del suo animo gentile e altruista lo spronò a mettergli una mano di conforto sulla spalla.
“Vedrai, sono sicuro che tra qualche mese avrai già trovato un’altra donna, e magari sarà anche meglio della tua ex moglie!”
Stamford, abbattuto com’era, non fece caso al tono falso e per niente convinto che aveva sfoderato l’amico nel tentare di consolarlo, e così gli sorrise.
“Grazie, John! Sei davvero un grande amico!”
Quando arrivarono i due boccali di birra, qualche minuto più tardi, John ringraziò mentalmente tutti gli dei di tutte le confessioni religiose del mondo, dato che Mike, dopo nemmeno un quarto d’ora che erano arrivati, gli aveva già raccontato tutte le disavventure della vita matrimoniale, che avevano poi portato la moglie ha propendere per il divorzio, e tutti i cambiamenti occorsi al Barts Hospital negli ultimi mesi. Il medico, che fino a quel momento aveva finto di ascoltare con interesse gli aneddoti dell’amico, riuscendoci più o meno bene, si tuffò, quasi letteralmente, sulla sua pinta, afferrandola e bevendone il liquido ambrato; quando questo gli arrivò in gola, John si sentì quasi rinascere, pronto a sorbirsi almeno altre due ore di quelle noiosissime storie.
Quasi a metà del boccale, Mike gli aveva narrato le vicende personali di tutti i suoi studenti- tra l’altro John avrebbe giurato che l’amico non avrebbe potuto fare una cosa del genere, ma non aveva avuto il coraggio di farglielo notare per paura che avesse qualcosa da raccontargli pure in merito alle leggi britanniche riguardo la privacy-, quando improvvisamente il suo tono di voce si fece più basso e malinconico.
“Ho cinquant’anni, John. Cinquanta! Ho già vissuto metà della mia vita e neanche me ne sono accorto! Che cosa mi ritrovo in mano? Un matrimonio finito, un figlio che abita in America e che non sento da cinque anni e un lavoro mediocre!”
John si intristì sentendo le parole dell’amico: davvero credeva di non aver concluso niente in tutti quegli anni? Sentiva veramente di essere così insignificante? Dopotutto era diventato un docente con un buono stipendio, suo figlio era un bravo ragazzo, con una laurea in ingegneria nucleare e un buon lavoro a New York e il suo matrimonio era finito più per colpa della moglie che per colpa sua, a suo parere. Come poteva sentirsi così inutile di fronte a tutto questo?
 

A fine serata, dopo qualche discorso di consolazione, qualche brindisi a un futuro migliore e un paio di lacrime da parte di Mike, i due si erano salutati ed erano tornati alle rispettiva abitazioni.
John era corso a letto, pensando che l’indomani si sarebbe dovuto alzare presto per andare a lavoro; tuttavia non riusciva a dormire e continuava a rigirarsi tra le coperte: il discorso dell’amico riguardo la sua vita mediocre l’aveva scosso più di quanto non ci avesse fatto caso mentre era seduto al pub o mentre tornava a casa in taxi. Pensieri di compassione sbocciarono nella sua mente diretti a Mike, quando la coscienza sembrò sbucare da angolo remoto della sua testa: anche tu hai quasi cinquant’anni, John Watson. Compatisci Stamford, ma tu che cosa hai fatto di davvero importante in tutta la vita, da poterti permettere di consolare gli altri?
John gelò. Cielo, il suo subconscio aveva ragione! Tra poco più di due mesi sarebbe stato il suo compleanno e qual era il bilancio che avrebbe potuto fare allora? Un congedo anticipato dall’esercito, un lavoro part time all’ambulatorio, che gli fruttava una busta paga davvero troppo leggera, un piccolo appartamento in affitto e… nessuna relazione sentimentale. E Mike osava lamentarsi per la sua di vita?!
Il medico sentì la disperazione attanagliarlo. Non poteva essere possibile! Doveva esserci qualche dettaglio che aveva tralasciato nella sua esistenza, qualcosa che gli suggerisse che la sua vita avesse un senso e che non fosse veramente così vuota.
Si concentrò mentalmente sui suoi ricordi, tentando di ripescarne almeno un paio che potessero avvalorare quella tesi. Si ricordò che una volta da adolescente era riuscito a prendere il voto più alto della classe in un test di biologia e che, durante il servizio militare in Afghanistan, aveva salvato le vite a parecchi soldati, ma stranamente quei momenti di gloria non lo rendevano più felice e orgoglioso come un tempo, non adesso che si ritrovava da solo nel suo letto.
Si sentiva mancante, John Watson, mancante di tutte quelle cose che aveva rifiutato di possedere in passato: un posto come insegnante al Barts, al fianco di Mike, una bella casa, che avrebbe sicuramente potuto permettersi con uno stipendio migliore, e… qualcuno con cui poter condividere la propria vita. Non che il medico non avesse avuto occasione di trovare la sua anima gemella, ma ogni volta che si tuffava in una nuova relazione, sembrava che non fosse mai con la persona giusta, e così finiva tutte le volte per trovare nell’altra difetti su difetti e per esasperarle, finché uno dei due non si decideva a lasciare l’altro.
Ma ormai il medico si sentiva troppo vecchio per tornare alla ricerca di una compagna: non aveva più la forza di intraprendere una nuova relazione, di ricominciare a uscire e a flirtare; avrebbe soltanto voluto schioccare le dita e vedersi apparire di fronte la sua anima gemella, o almeno di vedersi comparire davanti qualcuno che già conoscesse, con il quale provare a fare un secondo tentativo, un esperimento in extremis.
E fu in quel momento che un lampo di genio gli attraversò la mente, spingendolo a tuffarsi giù dal letto e a correre verso la scrivania, aprendone il cassetto: eccola lì, proprio sul fondo di questo, giaceva la sua vecchia rubrica. John la afferrò famelico, soffiando sul sottile strato di polvere, che sembrava ricordargli per quanto tempo fosse rimasta inutilizzata, e la aprì con uno scatto. La sfogliò, finché non giunse a una pagina ben precisa, ovvero quella dove era solito scrivere tutti i nomi e i corrispondenti numeri delle ragazze con cui usciva: una decina di nomi segnati con vari tipi di inchiostro, accumulati nel corso degli anni, si stagliavano sul foglio ingiallito; alcuni di essi risalivano addirittura ai tempi della superiori, altri soltanto a tre o quattro anni prima.
John scrutò per qualche istante quella pagina: tutte le ragazze con cui aveva condiviso la sua vita sentimentale erano inchiodate lì sopra, come se il tempo non fosse affatto trascorso e il medico non fosse invecchiato di un solo giorno. Li contò mentalmente: erano dieci nomi- più uno-; quelli che erano stati forse i nomi più importanti della sua vita attendevano inermi che dicesse qualcosa e prendesse una decisione: richiudere il libretto oppure farne nuovamente la sua rubrica, tornando a chiamare quei numeri.
Si prese qualche minuto, riflettendo sul da farsi: che cosa aveva, in fondo, da perdere? Quale mai catastrofe si sarebbe potuta abbattere sulla sua esistenza se mai avesse provato a ricontattare quelle persone? Dopotutto la sua vita sembrava fargli già abbastanza schifo così com’era, dunque qualche semplice telefonata non avrebbe potuto peggiorare troppo la situazione, giusto?
Può andare soltanto meglio, John. Soltanto meglio!
E alla fine John Watson prese la sua decisione: avrebbe contattato quelle persone, avrebbe digitato nuovamente quei numeri, avrebbe incontrato ancora una volta quella dieci donne- e anche l’undicesima, forse-, e infine avrebbe trovato tra di loro la compagna della sua vita. 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Ciao a tutti!
Prima di procedere con questo capitolo, devo delle scuse a tutti voi: questo mese, tra vacanze e compiti, ho avuto davvero pochissimo tempo per dedicarmi alla scrittura, quindi chiedo umilmente scusa per non aver aggiornato e per non aver risposto alle recensioni. Spero che con il ritorno in carcere (e per "carcere" intendo "scuola") possa aggiornare più spesso di così.
In ogni caso, non voglio dilungarmi ulteriormente, SOOOO... buona lettura!







Capitolo uno





Era trascorsa soltanto una settimana dalla fatidica notte, durante la quale aveva ripescato la sua vecchia rubrica, e John Watson stava già facendo piani audaci e speranzosi riguardo al suo avvenire: si immaginava come sarebbe stata la sua vita con una moglie amorevole accanto e una bella casa, sempre che i suoi piani fossero andati a buon fine. Inoltre aveva deciso di mettere mano anche alla sua carriera, cominciando a mettere da parte un po’ del suo stipendio per aprire un ambulatorio tutto suo; certo, ci avrebbe messo anni con i pochi soldi che si ritrovava ogni mese nella sua busta paga, ma John si sentiva estremamente fiducioso in quei giorni, come non lo era da anni. E gli piaceva quella sensazione, lo faceva sentire di nuovo giovane, proprio come quando era ragazzo. Perché si sa: quando si è giovani si nutrono un sacco di speranze, si hanno grandi aspettative riguardo al proprio futuro; la testa si riempie di “quando sarò grande, farò…”, “quando sarò grande, diventerò…” e ci si emoziona per ogni traguardo che si raggiunge: anche piccole cose, come un compito perfetto o il riuscire a strappare uno sguardo dal tipo o dalla tipa che ci piace, ci fanno sentire più vicini alla nostra meta.
Ma non sempre le cose vanno come avevamo pianificato, talvolta per colpa nostra, altre per colpa di altre persone, e altre ancora a causa degli eventi, e John lo sapeva bene. Se qualcuno gli avesse chiesto, quando era adolescente, che cosa avrebbe voluto fare nella vita, egli avrebbe risposto che sarebbe entrato nell’esercito come medico militare, che si sarebbe sposato, che avrebbe avuto dei bambini e che avrebbe, poi, trascorso la sua vecchiaia in pace, magari andando a pesca o a giocare a tombola, come fanno la maggior parte degli anziani; eppure tutti quei buoni propositi non erano bastati, perché, di tutti gli obiettivi che si era fissato, il medico era riuscito a conseguirne soltanto uno, quello della carriera militare, che era comunque finita non nel migliore dei modi e in anticipo, rispetto ai suoi piani.
Nonostante ciò, John sentiva di non potersi arrendere di fronte alla disfatta delle sue aspettative e dei desideri di una vita: ci aveva messo degli anni per capirlo, e finalmente aveva realizzato, conscio, comunque, del fatto che ci volesse molto più coraggio adesso, a quasi cinquant’anni, nel fare una cosa del genere, che a diciotto o vent’anni. Ma egli aveva tutte le carte in regola, doveva averle per portare a termine questa missione e dare finalmente un senso alla sua esistenza.
Due giorni prima, aveva così cominciato il tortuoso cammino che lo avrebbe portato dritto al raggiungimento della sua meta, aprendo la sua rubrica alla pagina dei dieci numeri e digitando il primo della lista, sotto al nome di Cheryl Coleman, una sua vecchia compagna di liceo, nonché la sua prima cotta. John ricordava quella ragazza: capelli lunghi biondi e ricciuti, occhi grandi verde smeraldo, carnagione lattea e naso alla francese; era una cheerleader e anche una delle ragazze più ambite della scuola, che lui aveva saputo conquistare con i suoi modi gentili e il suo umorismo, al contrario di tutti gli altri, che la vedevano soltanto come un trofeo di cui far sfoggio con gli amici. Il medico rimase assolutamente sorpreso quando Cheryl, dall’altro capo del telefono, rispose con la sua voce squillante, poiché convinto del fatto che, dopo tutti quegli anni trascorsi da quando glielo aveva lasciato, il numero potesse non essere più lo stesso, e rimase ancora più sorpreso dal tono entusiasta nella voce della donna, non appena John le rivelò chi fosse. Così, dopo i soliti convenevoli, i due si erano dati appuntamento per quella sera.
Il medico ci aveva messo più del solito per prepararsi per quella cena, ma poteva dirsi soddisfatto del risultato: barba rasata, capelli in ordine e pieghe dei pantaloni al posto giusto. Aveva, poi, chiamato un taxi, facendosi portare di fronte al locale dove si era dato appuntamento con Cheryl, e con entusiasmo e anche il dovuto nervosismo la trovò che già lo attendeva davanti al ristorante. Allora scese velocemente dall’auto, pagando distrattamente il conducente e le andò incontro: voltata di spalle nell’abito rosso lungo fino alle caviglie, era proprio come se la ricordava, con i suoi boccoli biondi e una silhouette che sfiorava la perfezione, come se lo scorrere del tempo non l’avesse neanche sfiorata.
«Cheryl! Cheryl Coleman! » La chiamò John, agitando la mano in segno di saluto.
La donna si voltò verso il medico sorridendogli, e quello rimase negativamente colpito da ciò che vide: il volto di Cheryl era completamente diverso da come lo ricordava, così come il suo decolté, che sembrava essere lievitato dai tempi delle superiori. Il volto di John si contorse involontariamente in una smorfia contrariata, a cui la donna, fortunatamente, non fece caso.
«John Watson! Che piacere rivederti dopo tutti questi anni! » Esclamò la donna, tuffandosi poi addosso al medico, che rimase interdetto per la reazione eccessivamente affettuosa di quella.
Terminato il momento degli abbracci e dei baci, la coppia fece il suo ingresso nel locale, andandosi a sedere al tavolo indicatole dal cameriere e ordinarono alcune delle portate sul menù.
«Allora, Cheryl, come va? » Domandò John per rompere il ghiaccio, anche se la donna, in realtà, sembrava già perfettamente a suo agio, dato che si stava scolando un bicchiere di vino bianco, che il cameriere aveva sapientemente portato al tavolo poco prima.
«Alla grande! Tu invece? »
John deglutì, preparandosi mentalmente una risposta da dare: serviva qualcosa che non suonasse dannatamente lamentoso, ma non aveva neanche intenzione di mentirle spudoratamente, così optò per un semplice “bene”.
«Sei riuscito alla fine a entrare nell’esercito? »
«Oh, sì! E tu sei riuscita a diventare una modella? »
Cheryl sorrise, scuotendo la testa e versandosi altro vino nel bicchiere.
«Sì, ma soltanto per un paio di anni. E’ un mondo troppo spietato quello! Figurati che non volevano che facessi figli per paura che la gravidanza potesse rovinarmi i tessuti!- fece una pausa e bevve un altro sorso- Non che ne abbia fatti poi, però non si dicono certe cose alle persone! Insomma, faccio della mia vita quello che voglio, giusto John?! »
Il medico annuì poco convinto, restando in silenzio. Osservava la donna di fronte a sé, così diversa dalla ragazza semplice che aveva conosciuto molti anni prima, sia nei modi che nell’aspetto: John la ricordava essere estremamente timida ed educata, mentre adesso gli appariva così spartana e sguaiata, perfino nel tono di voce; il suo corpo, invece, doveva costare qualche migliaia di sterline, tanto doveva essere pieno di botox!
Il medico pensò che, a saperlo prima che era diventata così, non l’avrebbe neanche invitata a cena!
Ma ormai era lì e doveva trovare in fretta un argomento, perché Cheryl lo stava guardando già da qualche istante, aspettandosi che dicesse qualcosa.
«Allora… sei sposata? Fidanzata? » Chiese John.
«Sposata, sì. »
«E chi è il fortunato? »
La donna sfoggiò un ghigno, che a John parve non troppo rassicurante.
«Un certo magnate russo… un uomo anziano…» Rispose vaga.
Il medico spalancò gli occhi, mentre le sue labbra si dischiusero leggermente, dando vita a un’espressione decisamente stupita; Cheryl scoppiò in una fragorosa risata.
«Chiudi la bocca, Watson, o ci entreranno le mosche!- Esclamò, per poi ricomporsi, facendosi più vicina all’uomo- Lo vuoi sapere un segreto, John? »
Il medico annuì, curioso.
«In realtà questo è un matrimonio di convenienza. Ti spiego: io sono sposata con lui, che mi garantisce migliaia di sterline da spendere come voglio e dove voglio ogni giorno, e, allo stesso tempo, mi porto a letto chiunque voglio. Anche perché non sono certo una che può essere soddisfatta da un settantenne! »
John si allontanò istantaneamente dalla donna, come le sue parole lo avessero bruciato, e la guardò schifato. Come si potevano dire o anche solo lentamente pensare cose del genere? Se ciò che Cheryl aveva appena detto fosse stato vero o meno a John non importava, perché il suo discorso era già stato abbastanza ripugnante per lui. Quella non era decisamente più la ragazza che era stata fidanzata con lui quando aveva diciassette anni, quella non era la Cheryl Coleman che conosceva un tempo e che avrebbe rivisto volentieri quella sera.
Così scattò in piedi, pronto ad andarsene, quando la donna parlò nuovamente.
«Che cosa stai facendo? Dobbiamo ancora iniziare a mangiare! Non puoi aver già bisogno del bagno! »
John afferrò la giacca, che aveva appoggiato sullo schienale della sedia quando erano arrivati.
«Non sto andando in bagno infatti; sto andando via. » Disse, tentando di trattenere tutta la rabbia e il disgusto che stavano per sormontarlo; Cheryl lo guardò confusa.
«Che significa che stai andando via? »
«Significa che non ho intenzione di rimanere in questo ristorante neanche per un minuto di più! »
«Hai cambiato idea sul locale?- La donna si leccò il labbro superiore, ammiccando al medico- Se vuoi, possiamo andare in un posticino che conosco: fanno dell’ottimo salmone e poi… al dessert ci penso io. »
John la osservò per qualche momento, totalmente sconcertato. Adesso era troppo, decisamente troppo da sopportare: tutta quell’insolenza e quella sfacciataggine gli stavano facendo salire la bile dallo stomaco e, se non fosse uscito al più presto dal ristorante, avrebbe fatto una scenata, se lo sentiva.
Si voltò, allora, di spalle, incamminandosi a grandi passi verso l’uscita, mentre Cheryl lo chiamava ad alta voce da dietro, attirando l’attenzione degli altri commensali.
«John Watson, ti ordino di tornare qui immediatamente! »
John scosse la testa, prima di uscire, e, non appena fu sul marciapiede, fermò un taxi, salendovi sopra. Comunicò il suo indirizzo all’autista e poi si tuffò sui sedili posteriori, non curandosi di avervi sbattuto violentemente la schiena. Portò la mano destra sugli occhi, sospirando pesantemente, nel tentativo di dissimulare tutta l’ira e tutto il disgusto che aveva provato soltanto pochi minuti prima per quella donna- senza contare una piccola punta di compassione per suo marito, che, seppur milionario, si ritrovava a essere tradito continuamente-.
Non appena sentì scemare tutte quelle emozioni dal suo corpo, immerse la mano sinistra nella tasca della giacca, estraendone la rubrica; andò alla pagina dei numeri e con una penna, che si era premurato di inserire nel piccolo librettino, cancellò il nome e il numero di Cheryl, passandovi sopra più volte, finché non vi rimase soltanto una grossa macchia di inchiostro.
Il suo primo tentativo di migliorare la sua vita era stato un completo fallimento, ma aveva ancora nove possibilità. Più una. 







 

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