The Catcher

di mairileni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Uno] ***
Capitolo 2: *** [Due] ***
Capitolo 3: *** [Tre] ***
Capitolo 4: *** [Quattro] ***



Capitolo 1
*** [Uno] ***


Ciao a tutte! (*v*)/

 

Allora, che emozione ^_^”

Questa è la prima storia che scrivo per la sezione dei MCR, ma è la diciassettesima in assoluto, e – ho riscritto questa frase ottocento volte e fa sempre schifo, quindi ora la taglio, così impara.

 

Non so da cosa nasca, di preciso *fissa la pagina meditabonda*, ma era un’idea che avevo da un po’, quindi, be’, se avrete voglia di seguire, benvenute! Mi farebbe davvero piacere sapere che cosa ne pensate, specie perché in questa sezione sono nuova e ancora non ci “conosciamo”! Quindi, se avete tempo e voglia, lasciatemi una recensione con il vostro parere!

 

Troverete delle imprecisioni, perché le date e i rapporti tra i personaggi sono in parte modificati ai fini del racconto. Ci sono anche cose completamente inventate.

 

DISCLAIMER: scrivo per arricchirmi, tutto quello che dico è vero e sono amica di vecchia data dei My Chemical Romance, anzi, i My Chemical Romance sono miei, anzi, scrivo sotto dettatura dei My Chemical Romance stessi, anzi, i My Chemical Romance sono io. Ovviamente scherzo, sono povera, scrivo balle e i My Chemical Romance ce li ho soltanto sotto forma di poster, adesivi e magliette.

 

Buona lettura e infiniti cuori,

 

 

pwo_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Uno]

 

 

 

 

 

 

Mikey Way non ha mai corso così tanto in vita sua, e sta continuando a correre. Lungo il tragitto ha urtato due signori anziani, una ragazzina, un bambino, due cani e un uomo vestito da coniglio per una campagna promozionale della Duracell. L’uomo vestito da coniglio è stato anche piuttosto gentile, gli ha comunque offerto gratuitamente una pila che ancora adesso Mikey tiene stretta nel pugno. È quasi arrivato a casa, ed è più che certo che Gerard lo stia aspettando seduto sul divano, con le braccia conserte e lo sguardo inceneritore.

 

 

 

 

 

 

Gerard lo sta aspettando sul divano, con le braccia conserte e lo sguardo inceneritore. Mikey è sempre in ritardo, a qualsiasi appuntamento. Controlla di nuovo lo schermo del telefono e si gratta pigramente la nuca. E dire che ha dovuto chiedere perfino un permesso al suo capo per finire prima il turno e farsi trovare a casa per l’ora prestabilita, e Mikey che fa? È in ritardo, come al solito. Sospira; sono le sette e trentotto; la porta si spalanca.

- Gee! Ti prego, scusami, è successo un casino!

- Mikey, cazzo, se ti chiamasse il Signore Onnipotente arriveresti in ritardo pure da lui! Ma è mai possibile? Santo cielo!

- E scusa, scusa! - Mikey si libera della giacca e sparisce in sala per prendersi qualcosa da bere, mentre tenta di giustificarsi in qualche modo. - Ma Sarah è stata male, e quindi è andata via, e in tutto il bar c’eravamo solamente io e Ted, quindi dovevo rimanere per forza, almeno finché non abbiamo chiamato Steve perché arrivasse prima del suo orario a coprire Sarah e…

- Ho capito, ho capito. Il regalo per Clawson l’hai preso?

- Certo!

- Non sarà mica quella pila che hai in mano?

- No, è che c’era un coniglio, per strada, cioè, non un coniglio vero, sai, un uomo vestito da coniglio, e…

- Le tue scuse sono ridicole, Mikey.

- Ma…

- Sbrigati a scrivergli un biglietto decente e andiamo. Il treno parte tra un quarto d’ora.

 

 

 

 

 

 

L’Eagle Silver è una discoteca piuttosto grossa dei pressi di Nutley, un paesino a un tiro di schioppo da Belleville. Di questa discoteca Gerard non capisce due cose: la prima, perché nel nome siano fastidiosamente invertiti d’ordine l’aggettivo e il sostantivo. La seconda, come faccia il proprietario a tirare avanti, visto che è aperta soltanto da marzo a ottobre. Roba di mafia, risolve, mentre con Mikey varca la soglia del secondo portone e si ritrova in una bolgia composta da conoscenti ubriachi, ubriachi sconosciuti e musica di cattivo gusto. Gira i tacchi e tenta di fuggire esattamente da dove è entrato, ma il fratello lo trattiene piazzandogli le mani aperte sul petto.

- E andiamo, Gerd, è la festa di Jonathan Clawson, gli avevi promesso che saresti venuto!

Gli risponde con un mugolio contrariato e borbotta qualcosa che assomiglia a un: “E va bene” accondiscendente. Passano davvero pochi secondi prima che i due si perdano completamente di vista. Gerard si insinua in uno spazio vuoto del bancone e riesce a ordinare in tempi ragionevoli una birra che finisce in quattro sorsi, mentre cerca gente nota con cui possa passare la serata senza annoiarsi eccessivamente. Jonathan, il festeggiato, va all’università con Mikey, ha ventun anni, è di un’altra cerchia; così come tutto il resto degli invitati.

- Gerard Arthur Way! -, esclama improvvisamente una voce alle sue spalle.

- Oho! Jesse Roy Helders!

Un breve abbraccio.

- Ma dove ti eri cacciato? -, chiede Gerard.

- Mah, mi sono preso un anno sabbatico. Ho fatto qualche viaggio, una cosa che avevo già in testa da un po’, e ora sono tornato a Belleville che saranno quattro o cinque giorni... quando vedi cosa c’è la fuori, Way, questo posto ti sembra ancora più depresso!

Gli piace, Jesse. È uno che non ha ben chiara la definizione di anno sabbatico, dato che il college l’ha già bello che finito, e che tergiversa vivendo alla giornata, ripromettendosi che un giorno troverà un lavoro stabile, cosa che però alla fine non fa mai. Gesticola blandamente con la mano che regge la birra e l’altra la tiene ben premuta in una tasca dei jeans. Quello che a Gerard piace di lui è che Jesse è uno che magari non si fa sentire per un anno, ma quando torna a parlarti ha sempre qualche argomento interessante su cui buttare via una chiacchierata.

- E tu, Way? Novità musicali?

- Nulla di che, in realtà. Continuo a sperarci senza impegnarmici davvero. Diventerò un impiegato come i tre quarti della popolazione mondiale, ma va bene lo stesso.

Jesse ride, guarda dietro alle sue spalle e gli indica un divanetto libero. In realtà, in un angolo del divanetto qualcuno c’è, un ragazzino dagli occhi segnati che non avrà più di vent’anni, i capelli corti portati da un lato e attaccati alla faccia con tonnellate di gel.

- Frank Iero Gerard Way, Gerard Way Frank Iero -, scorcia Jesse.

Il ragazzino gli rivolge un sorriso alcolico e biascica un: “Piacere” amichevole.

- Bene, ora siete amici -, conclude Jesse, - io ho visto che c’è Glenn Sullivan, laggiù, andrò a farle un saluto. A dopo!

Sparisce tra la folla di ballerini improvvisati accennando qualche passo di danza, giusto per mimetizzarsi mentre cammina, e lascia Gerard e Frank lì impalati sul divanetto, a distanza di cortesia l’uno dall’altro, senza che sappiano cosa dirsi o cosa fare. Frank non sembra troppo colpito dalla cosa, e comunque dev’essere un po’ brillo. Nessun imbarazzo, nessun disagio. Soltanto quei capelli pieni di gel che si riempiono di riflessi azzurri ogni volta che butta indietro la testa per prendere un sorso di birra. Gerard lo guarda meglio, perché tanto l’altro non sembra abbastanza lucido da accorgersene: è truccato, potrebbe giurarlo. Dio santo, non ha gli occhi segnati, ha solo la matita. Un ragazzo che abbia l’audacia di truccarsi in una cittadina così violentemente provinciale come Belleville può essere solo due cose: o una persona molto interessante o un completo idiota. Si volta nuovamente verso Frank e lo trova già intento a fissarlo di rimando.

- Quindi ti chiami Gerard.

- Quindi ti chiami Frank.

- Così dicono. Conosci questo... Clawson che si festeggia?

- È un amico di mio fratello Mikey, viene spesso a casa nostra. Quindi sì, un po’ lo conosco. Tu no?

- No, io mi sono imbucato, perché sapevo che sarebbe venuto Jesse. È un mio amico d’infanzia.

- Ah.

Tornano entrambi a guardare la massa di gente che occupa il centro della discoteca, e si massaggiano la gola nello stesso momento perché per farsi sentire hanno dovuto gridare. La musica è ridicolmente alta. E poi Frank ha una voce piuttosto profonda, quindi per lui deve essere ancora più difficile.

- Stai nei Pencey Prep, avete già fatto due dischi, no? -, chiede Gerard.

- Sì. Ma ci manca la seconda chitarra, ci ha mollati recentemente. Quindi, finché non troviamo qualche anima buona che ce lo rimpiazzi, siamo arenati. Tu non è che sai suonarla, eh?

- Malissimo. Mio fratello Mikey, lui la sa suonare.

- Sì, conosco tuo fratello, ogni tanto ci vediamo al parco. Senti, se grido ancora tra poco le corde vocali mi mandano a fanculo, che ne dici di uscire?

 

 

 

 

 

 

Hanno preso la porta secondaria del locale e imboccato il viale sulla destra fino a raggiungere un’aiuola stentata, costretta in un basso muretto. Si siedono lì. Frank è un tipo strano, e a dirla tutta Gerard non sa nemmeno perché abbia accettato di parlargli in un posto più silenzioso, come se fossero amici o avessero qualcosa di importante da dirsi. Sono soli, se escludiamo una coppia di assatanati che qualche metro più in là si baciano contro il cofano di una macchina.

- Qual è la tua passione?

Frank se n’è uscito così, guadagnandosi un’occhiata confusa dal suo interlocutore.

- Cosa intendi?

- Esattamente quello che ho detto.

- Mmmh... non ho passioni.

- Gerard, hai la faccia troppo intelligente per non avere passioni.

- ... Disegnare.

- E cosa disegni?

Si sarebbe aspettato una presa in giro, perché normalmente, nelle province americane, se le tue passioni non sono baseball e football sei l’ultimo degli sfigati. La presa in giro non è arrivata. Anzi. Frank aspetta di sentirsi rispondere, guardandolo con un’espressione colpita e genuinamente curiosa allo stesso tempo.

- Ehm... be’, fumetti, in realtà. Ma non...

- Che tipo, di fumetti?

- Avventura. Supereroi… cazzate.

- Sminuisci il tuo lavoro, Gerd, se posso chiamarti così.

- Sì, puoi. E no, sono solo realista. È un hobby, tutto qui. Nulla di concreto o di economicamente risolutivo. Tempo fa ero riuscito a far pubblicare il primo numero di una cosa che avevo scritto, ma non mi hanno mai fatto pubblicare il secondo. Quindi no, nulla di che -, taglia corto Gerard.

- Ci sono personaggi reali a cui ti ispiri, per creare quelli del tuo fumetto? -, torna all’attacco Frank, inesorabile.

- Sì, c’è un personaggio che è ispirato a Mikey.

Non dirà che il protagonista è ispirato a se stesso; un conto è parlare con uno sconosciuto di cose private, un conto è essere completamente idioti ed esporsi al pubblico ludibrio.

- Figo! -, strilla Frank. - Morirei, per essere il personaggio di un fumetto, giuro. - Prende la bottiglia per il collo e la fa dondolare distrattamente a destra e a sinistra. - Sarebbe pazzesco. Praticamente è un modo per renderti immortale, no? Tu resti su quelle pagine, e ci resterai sempre. E poi non so. Trovo che quello che fai sia davvero forte. Sul serio.

Gerard si passa una mano sulla nuca. Nessuno gli ha mai detto qualcosa del genere, o almeno non con questo entusiasmo e senza nemmeno avere visto i suoi lavori. Frank si è complimentato così: sulla fiducia. 

- Grazie -, risponde. - Mi fa piacere che la pensi così.

- Non c’è di che.

Ora che Gerard lo guarda meglio, alla luce, si accorge che Frank non solo non ha gli occhi segnati, ma non è nemmeno brillo. Ha solo lo sguardo vagamente spento, come fosse stanco e, di conseguenza, facesse più fatica a muoversi e a parlare.

- Siamo più simili di quanto immagini.

- Cosa?

- Siamo più simili di quanto immagini -, ripete Frank. - Entrambi abbiamo un sogno che siamo riusciti a realizzare solo per metà, ed entrambi fingiamo di esserne soddisfatti, che ci vada bene così. Ma non è vero. Lo sai anche tu, no?

- ...

Ora Iero ha ruotato gli occhi verso un punto indefinito sul palazzo davanti a sé, e parla piano.

- Entrambi vorremmo qualcosa di grosso, vorremmo... lasciare il segno, capisci, no?

- Ma tu hai già fatto due dischi -, ritorce Gerard. - Tu, in un certo senso... ce l’hai fatta.

L’altro scuote la testa con convinzione.

- No, no. Chi cazzo li conosce, i Pencey Prep? Ma quando mai? Io non voglio questo. Questa è una palestra, e va bene. Ma io voglio che tutto il lavoro, l’impegno che metto nel fare ciò che mi piace, intendo, diventi una cosa grande. Grande abbastanza perché ci sia qualcuno, dall’altra parte del mondo, che preghi la sera per riuscire ad averne un assaggio, sai, qualcuno il cui desiderio più grande sia vedere i Pencey Prep live, o di... ti sembrerò un megalomane, lo so.

No, non gli sembra un megalomane. Gli sembra che sia l’unica persona coraggiosa abbastanza per dire chiaro e tondo ciò che chiunque altro si vergognerebbe di dire, temendo di risultare troppo ambizioso.

- Non trovo che tu sia un megalomane, Frank. Penso che tu possa farlo, sai? Quello che desideri. Penso che tu possa farcela. Sentendoti parlare così, mi sembrerebbe assurdo il contrario. Sul serio. È quello, che mi manca.

- Cosa? La determinazione?

- Le palle. Le palle di provarci davvero.

- Be’, invece devi farlo. Non ci perdi nulla, te lo assicuro. Nel tuo caso, magari perdi qualche soldo per le matite e tutte le cose che ti servono.

- Il tempo. Quello lo perdo.

- E qui ti sbagli -, risponde Frank, e gli punta contro un indice per sottolineare la cosa. - Se usi il tempo per fare qualcosa che ti piace, allora non lo perdi, lo impieghi. Se ora tu ti mettessi a fare un corso accelerato di... che so, cos’è che proprio ti fa schifo?

- ... Mmmh... diritto?

- Sì, sì, se tu... se tu ora ti mettessi a fare un corso accelerato di diritto, solo per diventare un avvocato ed assicurarti un lavoro stabile per il resto della tua vita, allora sì, in quel caso avresti perso il tuo tempo. - Pausa. - Ma non perdi il tuo tempo, se fai quello che ti piace nel tentativo di farlo diventare la professione con cui vivere.

Gli verrebbe voglia di abbracciarlo, come in quei film drammatici di quarta categoria in cui due sconosciuti si parlano per qualche minuto e subito diventano culo e camicia. Frank gli piace, sa che potrebbe starlo a sentire per tutta la sera. Ma non glielo dice, e torna a guardare dritto davanti a sé.

- Gerd?

- Mh?

- Sai, pensavo... qualche volta potremmo...

- FRANK! FRANK!

Si voltano verso quel richiamo. È un ragazzetto tutto barba e occhiali, che chiama a gran voce sporgendosi dalla porta di servizio che hanno usato anche loro due per uscire dal locale.

- Sbrigati, c’è Kyle Letterman completamente ubriaco, è una cosa folle!

- Kyle? Dio santo, non me lo posso perdere! -, gli grida indietro Frank con un grosso sorriso incredulo stampato in faccia.

- Vieni, veloce!

Il ragazzino che è venuto a chiamarlo scompare con la stessa velocità con cui è apparso. Frank si alza, si spazza via dal sedere la polvere del muretto. A Gerard dà fastidio che se ne vada, ma non dice nemmeno questo.

- Gerd, mi ha fatto davvero piacere conoscerti. Io devo andare con gli altri, stasera li sto un po’ trascurando, sai... sono pur sempre la mia band.

- Sì, ma certo.

- Magari qualche volta ci vediamo, sì?

- Ehm... sì, possia...

Frank si abbassa su di lui e gli schiocca un bacio in bocca.

- Allora ciao, a dopo! -, saluta con naturalezza.

Poi fa dietrofront, e dopo una breve corsetta infila rapidamente la porta secondaria.

 

 

 

 

 

 

Gerard è lì da solo, impalato sul muretto, da otto minuti e quarantatré secondi, un’aria piuttosto stupida dipinta in faccia. A parte che, all’alba dei suoi venticinque anni, non era ancora stato baciato da nessuno. E ok. Strano, eh, per carità di Dio, ma ok. Ma che il suo primo bacio gli sarebbe stato dato da un maschio, per di più mai visto prima, non l’avrebbe mai immaginato. Decide che resterà lì ancora per un po’, sempre impalato con l’aria piuttosto stupida di cui sopra. No, no, una cosa simile non era nei programmi. Non era nemmeno nei programmi che dovesse… magari non piacergli, ma nemmeno dispiacergli. Di certo, non è stato un bacio di quelli che subito dopo ti vien voglia di pulirti la bocca con una manica per cercare di cancellarne ogni traccia. Gerard si chiede con tranquillità se ci sia l’eventualità che sia gay. Si risponde che non lo sa, ma che normalmente, se uno non è gay e viene baciato da un altro ragazzo, allora quella cosa del pulirsi la bocca con la manica dovrebbe farla subito. Lo fa, si pulisce la bocca con la manica. Ecco. Ora non sono gay. Si trova davvero poco convincente. Ora come ora, vorrebbe tornare dentro, trovare Frank, prenderlo per la collottola e trascinarlo di nuovo fuori per chiedergli spiegazioni, ma non lo farà. La bocca se l’è pulita, anche se a scoppio ritardato. Questo fa di me un eterosessuale con i fiocchi, risolve, e resta sul muretto per altri quattro minuti e quattordici secondi prima di tornare dentro al locale, con la musica che gli tortura i timpani e la testa pesante come un macigno. Ci penserà in un altro momento.

 

 

 

 

 

 

Per il ritorno a casa si fanno dare un passaggio da Jesse, che ha un pullmino fiorato che fa molto figlio dei fiori, con tanto di ruota di scorta davanti. Ride, mentre racconta che durante il suo recentissimo viaggio in Spagna, in occasione dell’anno sabbatico che si è preso, ha incontrato una coppia di hippy disposti a venderglielo.

- Quei due erano fuori di testa, lo giuro -, sta dicendo, le mani strette sul volante. - Lei non si toglieva mai da sopra al naso questi occhiali rotondi con le lenti blu, e lui portava la barba lunga fino alla fine del collo, non scherzo! Sono arrivato lì e ho detto: “Mi vendereste il vostro furgoncino?”, e loro me l’hanno praticamente tirato dietro, perché a quanto pare ne avevano appena comprato uno nuovo e molto più grosso. Robe da matti, questo affarino l’ho pagato l’equivalente di centocinquanta dollari, ci credete?

- Spero che avrai la decenza di ridipingerlo, Jez -, ribatte una voce da dietro.

Sono talmente ammassati, lì dentro (nel pullmino dovrebbero entrare in sei, massimo in otto e loro sono in quindici), che Gerard, schiacciato contro il finestrino, non sa nemmeno chi ci sia oltre alle persone che ha di fianco, due ragazze mai viste prima l’una sulle gambe dell’altra. La voce che ha sentito, però, è inconfondibile. Frank. Non riesce a vederlo né si era accorto che fosse a bordo, ma dev’essere da qualche parte nella fila di sedili dietro alla sua.

- Assolutamente no, Iero! Dipingere questo affare? Mai!

- E invece dovresti farlo -, insiste Frank. - Non si può guardare! Cazzo, mi sembra la Mystery Machine di Scooby-Doo!

Quindici persone su quindici scoppiano a ridere, lo stesso Frank si è fatto ridere da solo. Gerard, nello scompiglio generale, cerca di voltarsi per vedere dove sia, mentre ancora ridacchia. Poi si rende conto di stare cercando con gli occhi un ragazzo che l’ha baciato soltanto poche ore prima, senza preavviso e con naturalezza, come se nulla fosse. Allora torna a guardare dritto davanti a sé. Si pulisce la bocca con la manica per la seconda volta, di riflesso. Oh, decisamente, si dice quindi. Non sono gay. Nel frattempo, lo scambio tra Frank e Jesse continua, e tutti tacciono per paura di perdersi altro divertimento. Anche Mikey assiste alla scena con un sorrisetto di aspettativa a stirargli le labbra.

- Fottiti, Iero! Il mio pullmino spacca! Guarda che velocità, senti che motore!

- Ma ti prego! Ho visto un vecchio in sedia a rotelle superarci sull’altra corsia.

Altre risate, una ragazza grida: “Sei in forma, stasera, Frank!”.

- Oh, ragazzi! Approfittiamone -, dice dunque Jesse. - Il mio amico Frank ha bisogno di una seconda chitarra per la sua band, perché quello stronzo di Richard Chrysler ha deciso che era troppo bravo, per continuare a suonare con lui! Qualcuno vuole proporsi?

Si alzano voci di disapprovazione, specialmente femminili.

- Oh, sul serio, Frank? Ma che stronzo!

- Non ci credo, ma quando è successo?

- Io lo dicevo che quel Chrysler era la vostra pecora nera!

- In realtà si è degnato di dircelo piuttosto recentemente -, spiega Frank. - Quindi confermo, siamo decisamente a piedi. Faremo delle audizioni il 20 di ottobre per trovare un rimpiazzo, in un luogo molto esclusivo anche noto come casa mia, e… nulla, se qualcuno di voi è interessato…

- Io la so suonare, la chitarra!

Gerard riconosce la v0ce di suo fratello, di cui vede la mano alzata dietro a un ammasso informe di persone.

- Chi sei, voce proveniente dal nulla? -, chiede Frank al vuoto.

- Sono Mikey!

- Oh, Mikey! Mi farebbe piacere se ti unissi al gruppo! Vieni a casa mia, il 20, ti facciamo suonare qualcosa e vediamo! Sei il fratello di Gerard, no?

Gerard sobbalza appena sente pronunciare il suo nome. Magari Frank è uno che dopo aver baciato in bocca perfetti sconosciuti del suo stesso sesso, ha pure voglia di raccontarlo ad altre tredici persone a bordo di un’auto che sembra la Mystery Machine di Scooby-Doo. Lui e Mikey devono essersi conosciuti mentre io me ne stavo lì impalato sul muretto, pensa.

In realtà, tra un minuto scarso saranno già arrivati a Belleville e Frank ha già cambiato discorso, quindi Gerard conclude che no, non lo dirà a nessuno. Ora che però lui e suo fratello hanno stretto amicizia, il suo timore principale è di ritrovarselo in casa. Dio, fa’ che Mikey non lo inviti a casa, fa’ che Mikey non lo inviti a casa.

- Ehi, Frank! Possiamo vederci a casa mia per discutere dell’audizione, che ne dici? -, chiede Mikey.

Ecco, e figuriamoci. Frank, di’ di no, di’ di no, ti prego, di’ di no.

- Per me va benissimo! Gerard, a te va bene se domani vengo da voi?

Assolutamente no.

- Sicuro, Frank!

Gerard si morde la lingua, ma ormai il danno è fatto. Mentre gli altri due si accordano per l’orario, pensa a qualche scusa credibile da poter sguainare all’ultimo momento, oppure ora, seduta stante. Non ne trova nessuna. Entro dodici ore, Frank sarà a casa sua, magari in sala, magari a sorseggiare un tè con Mikey, magari seduto proprio al suo posto, quello più vicino al muro. Si rassegna alla prospettiva di doverlo vedere anche domani, e prega solo che non venga fuori la cosa del bacio. Rivolge un lungo sospiro al tettuccio dell’auto.

Ci sarà da ridere.

 

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Capitolo 2
*** [Due] ***


Ciao a tutte (*v*)/

 

Mi scuso se ci ho messo un po’, ma ho altre storie in corso e sto già cercando di sfornare capitoli a più non posso… vi ringrazio per il grande seguito! In particolare, grazie a MayQueen, placeboeffect_, OriginalPrankster, MySkyBlue182, SameMistakes_ e GwenCassandra per aver recensito! Grazie anche a chi già segue (nainai, fedenow, rocketqueenx, Les_  , Sunset_Lily) e a chi ha messo tra i preferiti (A Sekai e Bli) o tra le ricordate (rocketqueenx, Mayqueen).

Buona lettura!

 

 

pwo_   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Due]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Vi ho portato un pensiero.

Frank solleva la mano in cui tiene un piccolo sacchettino e sorride.

- È gentile, da parte tua.

- Già.

- Sì, è molto gentile.

- Già.

Si fissano per una quantità di tempo indefinibile, che a quanto pare è la cosa che entrambi sanno fare meglio (specialmente Frank).

- Pensi... pensi di farmi entrare?

- ... Oh, ehm... sì, scusa. Prego.

Gerard gli fa spazio spostandosi da un lato mentre tossicchia imbarazzato; se lo sente passare di fianco assieme a un profumo che registra immediatamente come femminile, gli richiude la porta alle spalle e si fa dare la sua giacca per metterla nel portabiti dell’ingresso. Controlla distrattamente i movimenti del nuovo ospite, che ha preso a curiosare nel loro salotto. Per lui avrebbe una definizione che, anche se non vorrebbe, gli suona invariabilmente cattiva, qualunque sia la sua accezione: pansy. Molto poco gentile, certo, ma Frank sembra che ce l'abbia scritto in faccia. Pansy.

- E Mikey? - è l’inevitabile domanda di Iero.

- Arriva subito. Sei un pochino...

- In anticipo, già -, conclude per lui Frank, mentre analizza con evidente interesse un suppellettile sulla mensola sopra al tavolo centrale. Solleva gli occhi dalla statuina. - Scusami, Gerard.

- Per cosa?

- ... Per l’anticipo.

- Ah. Be’, sì, non c’è problema, immagino, ehm... vuoi sederti?

Gli indica il divano e tenta di pensare rapidamente. Argomento, argomento, argomento, trova un argomento, forza, forza, Mikey dove cazzo sei, argomento, argomento, argomento. Lo trova proprio mentre Frank accavalla le gambe e rilassa la schiena contro il divano con un lungo sospiro, pansy.

- Abiti molto lontano da qui? -, chiede.

- No.

Silenzio. D’accordo, d’accordo, evidentemente Frank è uno che lascia cadere facilmente il discorso. Anche questa volta, come ieri, nessuna traccia di disagio. Ha risparmiato ai suoi capelli due dita buone di gel e del trucco non c’è traccia, cosa che a Gerard quasi dispiace, perché, quando è truccato, Frank ha qualcosina in più. Artistico, ecco cosa. Gerard lo trova artistico. Si siede sulla poltrona di fianco a lui e intreccia le dita, osservandolo con attenzione mentre è voltato dall’altra parte.

- Forse mezz’ora era un po’ troppo.

- Come dici?

- No, dico, forse presentarmi mezz’ora prima era... un po’ troppo prima. L’anticipo è già disgustoso, ma trenta minuti tondi metterebbero in difficoltà chiunque, mi rendo conto. Se vuoi posso sparire e ritornare all’una.

- G-guarda che non è necessario.

- Ma sei a disagio.

Gerard si chiede se ci sia qualche meccanismo per cui, ogni volta che è a disagio, il suo interlocutore glielo fa notare, o lo fissa (o lo bacia, certo, perché ormai esiste anche questa variante). Frank non stacca gli occhi da lui nemmeno quando indica distrattamente il sacchettino che ha portato con sé, come per ricordare che Vi ho portato un pensiero, nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato.

- Vuoi che lo apra ora? -, chiede Gerard. - Non aspettiamo anche Mikey?

- C’è un pensiero per te e uno per Mikey -, risponde con aria ovvia Frank.

- ... Oh. Grazie.

Glielo porge, guardandolo con attenzione, e Gerard si sente... studiato. Sì, “studiato” è la parola giusta. È da quando Fank ha varcato la soglia di casa, che gli sembra di essere la cavia di una specie di esperimento. Ecco cosa fa, Frank: lo sonda. Sì, sì, fa proprio così. Gerard apre il piccolo sacchetto usando soltanto la punta delle dita, come se si aspettasse di trovarci dentro una bomba che gli farà esplodere la faccia (poco ansioso, lui), o la testa mozzata di un qualche animale (poco macabro, anche). E invece no, sono solo due pacchettini, innocui, ben incartati. Uno rosso e uno blu.

- Il tuo è quello rosso. Pensavo che fosse un colore… non so, ti si addice -, notifica Frank, senza smettere di fissarlo.

Gerard si disfa della carta tentando di strapparla il meno possibile (un bel contrasto con Mikey, la cui furia distruttiva davanti ai pacchetti regalo dà quasi le vertigini). Una scatolina di plastica. Gesù. Potrebbe morire da un momento all’altro, lo sente: è un pennino a inchiostro per disegnatori, la cosa che più desiderava al mondo, e che ora... è sua, sì, gli è stata regalata e quindi è sua!

- Ti piace?

Avverte la velata preoccupazione che intride quelle due semplici parole, la trova insensata. È ovvio, che gli piaccia! Come potrebbe essere altrimenti?

- Certo che mi piace! È bellissimo! Lo volevo tanto! Io...

Frank sorride.

- Sì, sai, non ti conosco molto bene, ma a casa mia c’è la regola di portare almeno un regalo, quando si va a pranzo a casa d’altri. Non sapevo che cosa desiderassi, ma parlando con te ho scoperto del disegno. Mi sembravi troppo rassegnato all’idea che non sarai mai un fumettista, quindi mi sono detto: “Sicuramente gli manca!”... avevo ragione?

Gerard alza lo sguardo famelico che stava riservando al proprio regalo su di lui, annuisce senza motivo e, nonostante ci stia provando con impegno, non riesce a darsi un contegno.

- È fantastico, Frank! No, non ce l’avevo, ma avrai speso un sacco di soldi, e poi...

L’altro lo interrompe, scorciando con la mano come per spazzare via la fine di quella frase. Sembra contento di aver fatto centro, tutto lì.

- Mi fa piacere. Per Mikey ho pensato a un accordatore elettronico per chitarra; io lo uso, e secondo me è davvero irrinunciabile. È... il mio in bocca al lupo per l’audizione con il nostro gruppo, sai.

- Sei stato davvero gentilissimo.

Restano in silenzio almeno per un minuto; Gerard si rigira il pennino tra le mani con grande devozione e Frank gli riserva, di tanto in tanto, qualche divertitissima occhiata in tralice. Way considera, per la prima volta, un’idea folle. Quella di riprendere in mano il suo fumetto, temporaneamente chiamato Party Poison & The Killjoys, e di creare un personaggio sfacciatamente ispirato a Frank, con tanto di trucco. Non gli metterebbe nemmeno la mascherina, per far vedere il trucco, e poi…. si dà dello stupido quasi all’istante, accantona l’idea. Per disegnare una persona sotto forma di supereroe avrebbe bisogno o della persona stessa che posi per lui, almeno per prendere familiarità con i primi schizzi, o di alcune sue foto. Riflette. “Frank, poseresti per me perché io possa ritrarti?” No, suona stupido ed eccessivamente imbarazzante. “Frank, mi regaleresti alcune delle tue foto perché io possa ritrarti?”. No, nemmeno. “Frank, mi faresti toccare il tuo volto per conoscerne megl…” – Dio santo, no, no! Terribile, ridicolo e ambiguo. Si rassegna, dovrà andare a memoria, o, molto più consigliabile, dovrà rinunciare a inserire Frank Iero in Party Poison & the Killjoys. Non importa, si dice, non importa. Forse, questa ondata improvvisa di entusiasmo nei confronti di Frank è stata solo un effetto collaterale della gratitudine che prova ora nei suoi confronti, perché Frank potrebbe anche essere Hitler o Vlad l’Impalatore, ma gli ha appena regalato un pennino a inchiostro, ed è normale che, ora, Gerard abbia voglia di abbracciarlo per il resto della sua vita. Però deve mantenere la calma. Metti che poi si mette in testa che stiamo assieme.

 

 

 

 

 

 

Per Michael James Way, nessun regalo poteva essere più gradito di un accordatore elettronico per chitarra. Volteggia come una trottola in mezzo alla stanza – lui, non l’accordatore di chitarra –, abbraccia Frank sollevandolo da terra e festeggia come se avesse tredici anni anziché ventuno. Un po’ diversa dalla reazione di Gerard, che, per l’imbarazzo, a Frank non ha nemmeno stretto la mano (e non che quando uno riceve un regalo debba stringere la mano a chi glielo fa, però insomma, un minimo). Si preme contro lo schienale del divano sperando che lo fagociti, rosso come un peperone davanti alla scena gioiosa e manifestamente estroversa degli altri due. Perfino Frank ha allargato il suo sorriso-base, come Gerard lo definirebbe, fino a farlo diventare un sorrisone contento. Forse sono stato un po’  freddino, si dice. Continua a osservare la scena, che ormai dura da quasi due minuti. Sempre stato una persona grata, Mikey.

 

 

 

 

 

 

Nel conversare, Frank ha un grande talento. Parla bene, risponde al momento giusto, fa considerazioni interessanti e non è nemmeno di quelli che aspettano tu finisca di parlare solo per riprendere in mano le redini del discorso. Racconta del suo percorso di studi, della sua famiglia, della sua passione per la musica e per le band come i Green Day, del suo sogno di riuscire a diventare un front man dello stesso carisma di Billie Joe Armstrong, di sé, di dove è arrivato e di dove vorrebbe arrivare. Mikey commenta quello che dice e apre nuovi discorsi, Gerard si limita ad ascoltare, la faccia fissa nel piatto. Non è abbastanza in confidenza, ecco tutto. Fa roteare la forchetta attorno all'unica polpetta superstite.

- Sei un tipo forte, lo sai? -, biascica all'improvviso, interrompendo un racconto di Mikey.

Ecco, silenzio. Perché non posso semplicemente starmene zitto, porca di quella miseria…

- Come dici?

Eh, ormai.

- No, dico… sei uno forte, uno che si gode la vita alla grande. Mi sembra. Forse. Ok, no, lascia perdere.

- Grazie -, risponde con tranquillità Frank. - Penso l’avessi già capito alla festa, che la mia filosofia di vita è questa qui.

Lo fissa per qualche secondo, senza motivo, due occhi scuri ingombranti come non mai appiccicati ai suoi. Riesce a mettergli soggezione, anche se ha saputo da Mikey che ha ben quattro anni meno di lui. Ricambia a fatica lo sguardo, nella speranza che l’argomento “festa” passi subito nel dimenticatoio.

- Sì l’avevo capito -, risponde.

- Gerard. C’è qualcosa che ti turba?

- No, perché?

- Appena ho detto la parola “festa”, la tua faccia si è schiarita di quattro toni. - Pausa, sempre qui maledettissimi occhi inchiodati nei suoi. - Mi sbaglio?

- … Sì. Ti sbagli.

 

 

 

 

 

 

Si è tenuto alla larga da Frank finché non ha sentito la porta sbattere dietro alle sue spalle. In quel momento, Gerard si era già infilato dentro alla doccia, per evitare di doverlo salutare e di doverlo ringraziare ancora per quel regalo stupendo. Vigliacco. Ma con uno come Frank, non sai mai se nei saluti puoi perderti in abbracci ed effusioni senza essere frainteso, oppure se è meglio tendere la mano aspettando che te la stringa compostamente. Gerard è nella sua stanza, davanti a un foglio completamente bianco che aspetta solamente di essere riempito. Il pennino nuovo sta nella sua mano destra, in attesa. Gerard riflette: le parole che inaugureranno un oggetto prezioso come quello non possono essere parole casuali, devono essere scelte con cura. Non gli viene in mente nulla. Il suo nome? Banale. Il nome del suo fumetto? Banale. Il viso del protagonista di Party Poison & The Killjoys, una versione molto imbellita del suo? Banale. Il nome di Frank? ... Perché, poi. Niente, il vuoto più totale. Solleva lo sguardo sull’ultimo libro regalatogli da sua zia, un chirurgo mancato che ama dispensare testi di medicina ai parenti non appena se ne presenta l’occasione. È lì, intonso – e tale rimarrà, sia chiaro. Gerard ne legge il titolo, perché anche se i libri che gli regala sua zia non li aprirebbe nemmeno con la pistola puntata alla tempia, leggerne almeno i titoli gli sembra davvero il minimo dell’etichetta.

 

 

Ecstasy: Three Tales Of Chemical Romance

 

 

Beh, questo non è così banale. Scuote la testa come per scacciare il pensiero, risolve che ora ha solo voglia di inaugurare il suo stramaledettissimo pennino e cominciare a usarlo seriamente, senza troppe paturnie sul cosa e sul come. Prima però deve fare una cosa. "Il tuo è quello rosso. Pensavo che fosse un colore... non so, ti si addice". Cambia la fialetta di inchiostro nera. Rossa. La vuole rossa. Ecco fattoAbbassa la punta metallica sul foglio, piano piano, per godersi ogni istante. Che bellezza, ragazzi, un pennino nuovo di zecca. Scrive. Cazzo, se questo affare ha un bel tratto.

 

 

Chemical Romance.

 

 

Sì, così. Con il punto. Non è mai stato così entusiasta di due semplici parole scritte al buio sopra un foglio bianco. “Ti accechi!”, gli griderebbe sua nonna se potesse vederlo in questo momento. Rimira la sua opera – che poi capirai che opera, due parole – e scribacchia un’altra breve cosina, all’inizio, senza nemmeno pensarci. Quell’aggiunta gli viene naturale, è lì che deve stare. Riguarda ciò che ha scritto per l’ennesima volta e gli piace. Molto. Quel pennino è davvero fenomenale.

 

 

My Chemical Romance.

 

 

Oh, sì. Molto meglio.

Gerard sospira, chiedendosi che cosa stia facendo di preciso. Sto perdendo tempo, e alla grandissima, si risponde. Piega con cura il foglio in quattro, accertandosi prima che l’inchiostro sia del tutto secco, e lo ficca nella tasca della giacca che ha appeso dietro di sé, sullo schienale della sedia. Chissà perché, sente di non doverlo buttare via. Per nessuna ragione al mondo.

 

 

 

 

 

 

- Berkeley! -, grida Mikey, con gli occhi che gli brillano dalla gioia.

- …

- Berkeley!

- Guarda che non è che più lo ripeti e più mi piace, sai?

Il fratello si lascia cadere con malagrazia sul divano del loro salotto, sotto lo sguardo incredibilmente annoiato di un Gerard che, appena sveglio, altro non vorrebbe che tornarsene a dormire.

- Gee, e andiamo! Non andiamo a Berkeley Heights da quando eravamo piccolissimi, non puoi farmi credere che tornarci non ti interessi minimamente! Non puoi liquidare la notizia con una faccia annoiata!

- Posso benissimo, invece. Guarda. - Si indica il viso con l’indice.

Berkeley Heights, dieci minuti di distanza da Belleville e la bellezza di quasi (sia chiaro, quasi) diecimila abitanti, è un paesino del tutto anonimo in cui i fratelli Way, da bambini, usavano passare le vacanze natalizie in compagnia di nonna Elena. Mikey lo adorava. Gerard decisamente no.

- E andiamo, Gee, cerca di capire… se mamma ci ha chiamati per avvisarci che lei e papà sono riusciti a fare ristrutturare la casa che abbiamo lì, un motivo ci sarà. Pensaci: tutta questa fatica per concludere i lavori prima dell’anno nuovo, e poi nemmeno ci mettono piede. Ma ci avvisano che la casa è a posto. Probabilmente sperano che ci torniamo noi, per rilassarci un po’ dagli studi. No?

- …

Non c’è nulla di interessante, a Berkeley. Quando erano piccoli, non potevano mai uscire dalla loro villetta perché i genitori li lasciavano soli con la nonna, che faceva già non poca fatica a muoversi. Per questo, di quel paesino, gli unici ricordi che Gerard ha sono solo le immagini intraviste dal finestrino all’arrivo e il giardino in cui giocava con Mikey a palle di neve.

- Gerd?

- Mh?

- Allora, partiamo o no?

- Per quanto.

- Due giorni.

- Perché.

- In memoria dei bei vecchi tempi.

- Quanto ci vuole.

- Dieci minuti, se c’è traffico forse dodici.

- Dammi cinque buoni motivi per seguirti in  questa tua stressantissima, orrenda, insensata iniziativa.

- Uno, mamma e papà ci tengono, due, io non vedo l’ora di andarci, tre, c’è un salotto molto grande con tanto di camino, cosa che tu adori, quattro, è un posto molto rilassante e cinque, finalmente scopriremo che cosa c’è in quel posto oltre alla nostra casa.

- …

- … Allora?

Gerard sbuffa pesantemente.

- E va bene, e va bene, ho capito, hai vinto. Partiamo domani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutte! Mi scuso per il capitolo molto breve, ma mi è uscito così. Spero sia stata comunque una piacevole lettura ^_^ Grazie di essere arrivate fin qui!

 

A presto!

 

pwo_

 

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Capitolo 3
*** [Tre] ***


Ciao a tutte!

 

Oggi sono arrabbiatissima. Una ragazza ha plagiato la mia ultima OS (sezione Death Note) sfacciatamente, così l’ho segnalata all’amministrazione nella speranza che si possa fare giustizia. Sono davvero furiosa, non capisco proprio come sia possibile che accadano cose simili – oltretutto la ragazza ha pure recensito la OS che poi ha copiato subito dopo.

Fatto sta che nulla, è stata proprio una brutta giornata. Mah.

 

Spero che la vostra sia stata migliore della mia e che il capitolo che segue vi piaccia.

 

Infiniti cuori e grazie del sostegno,

 

 

pwo_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Tre]

 

 

 

 

 

 

- Luce?

- Spenta?

- Gas?

- Chiuso.

- Hai chiuso anche i rubinetti?

- No, Gee, li ho lasciati aperti perché ho sempre sognato di allagare il nostro appartamento per spostarmi dalla camera al salotto in canoa! Certo, che l’ho chiuso!

- Fammi fare il fratello maggiore, ogni tanto, Mikey.

- Forza, Sali. Staremo via solo due giorni, mica due anni!

Gerard sistema l’ultimo borsone nella loro auto, un pick-up scassato e piuttosto pacchiano, arancione, con tanto di bandierina dei Miami Heats attaccata al finestrino del passeggero. Un’auto che sono riusciti a portarsi via per cinquecento dollari da un amico di famiglia concessionario a Kearny. L’ultima volta che sono stati a Berkeley Heights, Gerard aveva undici anni e Mikey otto, motivo per cui nessuno dei due conosce la strada. Hanno deciso che se la caveranno con i cartelli, e una volta lì riconosceranno le quattro curve che li porteranno dritti dritti alla loro villetta.

- Quanto ci voleva? -, chiede Gerd, mentre si sistema la cintura.

- Mezz’oretta al massimo.

- Non ho ancora capito che cosa ci stiamo andando a fare.

- Cambiamo aria e ci rilassiamo un po’, Gee. Nulla di che. - Mikey ingrana la retromarcia e controlla che non ci sia nessun’altra auto dietro di loro. - Magari ci informiamo anche su quel festival musicale che fanno ogni anno all’acciaieria di Millburn. Se non sbaglio, dovrebbe essere proprio in questo periodo.

 

 

 

 

 

 

Hanno appena pranzato nella cucina della loro villetta di famiglia a Berkeley Heights, e nessuno dei due ha detto più una parola da quando hanno finito di bere il caffè. Gerard si accende una sigaretta e ci riflette su, lo sguardo inchiodato alla finestra. Come dire, sono due ragazzi giovani, soli in una casa sul lago nei pressi di Berkeley Heights, che certo splendida non è ma insomma, e non hanno idea di che cazzo fare. Lo dice.

- Come dire, siamo due ragazzi giovani, soli in una casa sul lago nei pressi di Berkeley Heights, che certo splendida non è ma insomma, e non abbiamo idea di che cazzo fare.

- Già.

Si aspettava una risposta più complessa, ma non importa. Ora, invece, è molto più urgente trovare un'occupazione che non gli faccia rimpiangere questo dannatissimo posto, una volta tornato a Belleville. Questo è quello che pensa. Stavolta non lo dice.

- C'è un minimarket, a mezzo miglio da qui -, notifica.

Se poi Mikey non avrà voglia di fare nemmeno quello, allora lui gli dirà che non era una proposta, ma una semplice affermazione come tante: “Che bella giornata”, “Abbiamo finito le uova”, “C'è un minimarket, a mezzo miglio da qui”. Si versa due dita di caffè in una tazza fiorata che fa molto nonnina.

- E allora?

Oggi suo fratello è poco collaborativo.

- Non so, se c'è un minimarket magari ci sono anche... che so, un parco, delle case.

- E allora?

- Be’, in realtà noi Berkeley non l’abbiamo mai vista davvero. Intendo il paese paese.

- E allora?

- ... Senti, Mikey, lascia perdere, ok?

Mikey è appoggiato alla parete davanti a lui, senza nessuna posizione particolare. Se a Gerard chiedessero di immaginarsi un tizio anonimo, appoggiato a una parete e senza nessuna posizione particolare lui si immaginerebbe l’immagine precisa di Mikey in quel momento.

- Sembri un imbecille, Michael Way -, è il suo lapidario verdetto.

- E perché, scusa?

Gerard prende a gesticolare, lo indica, con disprezzo, lascia ricadere la mano e lo indica ancora, come se non gli uscissero le parole.

- M-ma guardati, che ne so. Non sei seduto, non sei in piedi, non sei niente! E poi di che cazzo di colore è quel maglione che hai addosso? Che cazzo di colore è? Giallino

- Senti, e va bene, ho capito, ho capito! Andiamo a questo stradannatissimo minimarket, così sei contento.

- Posso anche andare da solo.

- No, vengo anch'io.

- Come credi.

Si infilano la giacca nell'ingresso di casa,  Gerd si guarda pure allo specchio per qualche secondo; lui è uno che ci tiene.

Fuori fa un freddo cane, e il sentiero sterrato è coperto di foglie, quindi è tutto arancione, e non si vede altro che arancione, arancione, arancione ovunque. Alla fine di questa vacanza odierò l'arancione, pensa Gerard. Ruota gli occhi sul maglione che fa capolino dalla giacca nera del fratello. Figurati se con la luce esterna non si capiva che anche quello è arancione, considera mentalmente. Lungo il tragitto parlano poco, e se lo fanno è solo per registrare dati di fatto. Gerard sta seriamente considerando l'idea di rimettersi al lavoro con Party Poison & the Killjoys, è ispirato. Succede una cosa strana, ogni volta che lo fa. Sì, perché ogni volta si siede davanti alla scrivania, si mette al lavoro per qualche minuto, diciamo per ventidue minuti, ad esempio, dopodiché dà una seconda occhiata a ciò che ha fatto e allora si sente un completo idiota. Forse dovrebbe solo smetterla di leggere fumetti, perché è ovvio che quelli che sono venduti nei negozi siano fatti meglio del suo. Lo dice il fatto che quelli siano venduti nei negozi. Però a lui infastidisce ugualmente. A Mikey non ha ancora parlato di quest'idea, anche se non saprebbe dire perché. Forse perché Mikey è buono. Sì, è quello, il problema, riesce quasi già a vederlo. Mikey gli prende il fumetto dalle mani, legge velocemente, gli scocca un'occhiata ammirata mentre glielo restituisce e poi assaggia un po' di silenzio prima di dire: “Gee, non c'è niente da fare. Sei bravissimo.” Gentile, per l’amor di Dio, gentile, ma le case editrici non producono un fumetto soltanto perché il fratello dell’autore sostiene che sia fatto bene.

E se gli rivolgesse una frase simile, come del resto fa ogni volta, Gerard non lo sopporterebbe. Sarebbe sempre presente l'atroce sospetto che Mikey lo incoraggi solo perché sono fratelli. E perché sa che Gerard ci tiene, e in un certo senso ci crede, anche. No, no, serve un parere più obiettivo, si dice, il parere di qualcuno che mi trovi totalmente indifferente. Preme i pugni nelle tasche: Frank!

... No, non avrebbe mai il coraggio di mostrargli Party Poison & the Killjoys. Dio, che idee assurde gli vengono in testa, a volte.

- Ci verrai?

Si volta di scatto.

- Eh?

- Gee, hai ascoltato una singola parola di quanto ti ho detto finora?

- No.

Mikey smette di camminare e sbuffa, portando il volto al cielo. A volte, per quanto è introverso e riflessivo, ha degli sprazzi di teatralità che danno quasi alle vertigini.

- Allora -, spiega per la seconda volta. - Sai che tra poco è il 31 ottobre, e...

- Halloweeeeeen! - interrompe Gerard, dopodiché porta le braccia al cielo e si lascia andare a un gridolino infantile: - Yeee!

- No, Gee, stammi a sentire.

- Sì. Scusa.

- Il 31 ottobre è anche il compleanno di Frank Iero.

Ah, pensa Gerard. Lo dice.

- Ah.

- Sì, e dato che lo fa in una specie di parco gigantesco, la sera, mi ha detto di invitare anche qualcun altro che voglio, per fare numero.

- E allora?

- E allora, il “qualcun altro che voglio” sei tu.

- Mikey, Frank ha quattro anni meno di me. Anzi, se vogliamo essere precisi, in questo momento ha cinque anni in meno di me. Non mi va di partecipare alla festa di compleanno di un bambinetto.

- A parte che vi siete già conosciuti, e poi guarda che compie ventun anni, mica otto! E ha la mia stessa età.

- Non partecipo alle feste dei ventunenni.

- Beh, e allora perché alla mia hai partecipato?

- Obblighi familiari.

- E a quella di Sam Portley?

- Obblighi sociali.

- E a quella di Sylvia Keenan?

- Le facevo il filo.

- E a quella di Jonathan Clawson?

- E che Cristo, Mikey, che cazzo sei, un notaio?

- Senti, Gee. Se hai qualche problema con Frank, allora risolvilo. Lui sta nei Pencey Prep, sono forti! Hanno bisogno di una seconda chitarra perché il tizio che la suonava li ha mollati, e quella seconda chitarra potrei essere io. Ti prego, non ho intenzione di far saltare all'aria questa opportunità.

Sono entrati nel minimarket. È meno emozionante di come se lo immaginava Gerard, effettivamente. Una cassa, un banco dei formaggi, uno della carne e un numero indefinito di scaffali traboccanti di roba in scatola e carta igienica e biscotti e creme da mettere sui piedi e cianfrusaglie varie. Solleva distrattamente una confezione di biscotti al burro.

- E io dove sto? -, chiede.

- Cosa?

- In tutto questo programma per la scalata al successo, io dove sto? - Si volta verso di lui. - Dietro alle quinte? Sulla poltrona di casa, ad aspettare il tuo ritorno? Sotto al palco, a lanciarti reggiseni gridando: “Ti amo, Mikey”? Dove sto, io?

- Gerard, ma che accidenti stai dicendo? - Gli toglie i biscotti dalle mani e li ripone sullo scaffale. Gli dà fastidio che suo fratello armeggi con oggetti, quando gli parla. -  Tu sarai sempre con me. E poi lo sai come vanno le cose: se riesco a sfondare, è fatta. Se sfondi hai i soldi, se hai i soldi hai gli agganci e se hai gli agganci hai anche un posto per il tuo fumetto sullo scaffale del negozio, Gerard. E questa volta per più di un mese soltanto.

Mentre parla gli tiene le mani appoggiate sulle spalle, come fosse lui, il maggiore. Le leva di lì, e lo guarda in attesa di una qualsiasi risposta. Gerard annuisce, è tutto quello che può rispondergli. È rimasto poco convinto, lo ammette. Ma smontare i castelli in aria di Mikey sarebbe cattivo, se lo facesse si sentirebbe in colpa subito dopo e probabilmente non chiuderebbe occhio per tutta la notte. No, gli vuole troppo bene per non assecondarlo nei suoi sogni. In ogni caso, Mikey, secondo lui, potrebbe davvero entrare a far parte dei Pencey Prep. È la bravura della band, che lui mette in dubbio, anche se si tratta pur sempre di una band che ha già due dischi all’attivo. Si chiude nella giacca, mentre accanto al fratello cammina senza meta tra gli scaffali. Non sa nemmeno perché abbia insistito tanto per arrivare fino a lì, quando il frigo è pieno zeppo e alla televisione danno la maratona horror fino alle due di notte. Con quel breve viaggio fino al minimarket, due film se li sono certamente persi.

- Mikey, torniamo a casa -, propone.

- Ma non vuoi vedere se c’è un parco? Siamo venuti qui apposta.

- Tu vuoi?

- Io sì. Abbiamo passato ogni dannatissimo natale della nostra infanzia qui e non abbiamo nemmeno mai messo un piede fuori casa, perché la nonna non riusciva a muoversi e noi non potevamo ancora andare in giro da soli. Mi incuriosirebbe vedere cosa c’è a Berkeley Heights, oltre alla nostra villetta. E poi, prima hai insistito tanto!

- Mh. D’accordo, allora.

 

 

 

 

 

 

Effettivamente, un parco c’è, ammesso che un quadrato verde di venti metri per venti possa definirsi tale. Ci sono delle panchine, allineate lungo uno dei lati. Ne scelgono una, la seconda da destra, Gerard vi si siede sopra con un pesante sbuffo e Mikey si abbarbica con malagrazia sullo schienale scivoloso per l’umidità. Fissano il vuoto, perché non è che ci sia tanto altro da fissare, ora come ora.

- Ma sono morti tutti, in questo posto? -, chiede Gerard.                        

- Sembra una città fantasma -, concorda Mikey. Riserva un lungo sospiro al cielo e guarda la nuvoletta di vapore appena uscita dalle sue labbra finché non si sfilaccia e poi si dissolve nell’aria. - Perché ti sta tanto sulle palle l’idea di partecipare alla festa di Frank? È uno forte, sai? Ha avuto un sacco di grane, di salute, intendo, ma non l’ho mai sentito lamentarsi o nulla del genere.

- Che tipo, di grane di salute?

- Mah, bronchite, robe di polmoni, comunque. Poi se non sbaglio ha anche l’otite facile, e il virus di Epstein-Barr.

- Cioè?

- Mononucleosi.

- Cioè?

- È una roba che ti colpisce alla gola ma che può arrivare assieme a una marea di altre cose. Me l’ha spiegato lui. Si trasmette con i baci.

Gerard deglutisce.

- Ah. Bene.

- Perché?

- No, nulla. Be’… mi spiace per lui, ok? Ma non penso che partecipare alla sua festa sia una grande idea. Non lo… conosco così bene, e poi non avrei idea di che cosa regalargli.

- Fallo per me, Gerd. Con te parlerà volentieri, avete un sacco di cose in comune. Siete molto più simili di quanto immagini.

Siamo molto più simili di quanto immagini. Il ricordo travolge Gerard talmente velocemente che gli viene automatico coprirsi gli occhi con le dita e stropicciarseli. Conosce bene suo fratello, Mikey non smetterà di dargli il tormento finché non accetterà di partecipare a quel dannatissimo compleanno.

- E sia -, capitola, rivolto più a se stesso che a lui. - Andiamo alla festa di Frank Iero.

 

 

 

 

 

 

- E di questo che ne pensi?

- Sembri la versione nerd di Vegeta, Mikey.

La versione nerd di Vegeta risponde a Gerard con un sonoro sbuffo, e torna nel camerino del negozio per togliersi i pantaloni che ha indosso. Avranno passato almeno un’ora a cercare qualche capo carino da regalare a Frank per la sua festa, ma sembra che ogni abito in vendita a Berkeley Heights sia stato disegnato da vecchi per altri vecchi. Nulla di decente.

- Poi mi spiegherai com’è che tutti questi vestiti te li stai provando tu, quando in realtà sarebbero per Frank.

- Portiamo la stessa taglia.

- Come lo sai?

- Alla festa di Clawson gli ho chiesto di farmi provare i suoi pantaloni. Fighissimi, avevano più borchie che stoffa. Da paura, sul serio.

Gerard intravede la manica di una giacca piuttosto stravagante spuntare tra gli altri vestiti. Non gli sembra male, così la tira per vedere il resto.

- Dio santo, Mikey, guarda qua! Questa giacca ha perfino i glitter! Ma esistono vie di mezzo, in questo dannatissimo negozio? Si passa dai corpetti rimodellanti per anziani alle giacche glitterate alla David Bowie!

L’uscita gli fa guadagnare un’occhiataccia accusatoria dal proprietario, un uomo sui sessant’anni tutto barba, baffi e capelli. Indossa una delle orribili camicie quadrettate che ha anche il coraggio di vendere.

- Bene. Leviamoci dai piedi, Mikey. Mi sa che il signore non ci ha presi in simpatia.

 

 

 

 

 

 

Accanto al negozio di vestiti c’è una gelateria artigianale chiamata Margaret’s Ice, una stanzetta minuscola come il resto di quel paesino in miniatura, tutto cemento e alberi stentati. Un posticino carino, con le pareti dipinte in strisce verticali gialle e bianche. La signora dietro al bancone non è così carina, invece. Sembra la vecchia tenutaria di un bordello, con i capelli cotonati, il trucco pesantissimo e l’abbondante seno costretto in un bustino che lascia poco all’immaginazione. Le guance le pendono dal viso come due orribili tasche di pelle e il tutto è condito da dieci artigli laccati di viola, unghie finte di quarta categoria.

- Salve, bella signora -, esordisce con vago sarcasmo Gerard. - Come sta?

Si becca uno sguardo carico di sospetto e diffidenza.  La bella signora non è una che ama parlare, questo si è capito piuttosto chiaramente.

- Bene. Allora…

- Allora? -, lo incalza maleducatamente lei.

- Penso proprio che prenderò un gelato.

Lei sospira seccata, come se dare gelati alla gente non fosse affar suo.

- A che gusto? -, chiede stancamente.

- Ehm… cioccolato fondente.

- Non c’è, il cioccolato fondente.

- Allora crema e pistacchio.

- Non c’è, il pistacchio.

- Mh… crema e panna?

- La macchina della panna ci si è scassata l’altro ieri, mio marito Earl aveva bevuto più di qualche bicchiere e le ha sganciato un bel pugno sul muso. Se la panna ti va bene marcia, te la posso dare lo stesso.

- Ehm, no, gra…

- Allora cosa vuoi?

- Senta, mi dia i gusti che ha.

- Come credi.

Gerard scambia una veloce occhiata con il fratello, che ha seguito tutta la scena con la bocca un po’ aperta e gli occhi strabuzzati. Mikey si picchietta un dito sulla tempia e con l’altro indica la proprietaria del negozio, e quando Gerard annuisce sorridendo per fargli capire che sì, anche lui pensa che quella donna sia mezza matta, gli fa cenno di farsi avanti e chiederle comunque le informazioni che cercano. Ma chi, io? Questa mi ammazza, mima Gerard con le labbra. Mikey sospira. Provo io, risponde con il labiale.

- Signora, scusi.

- Che c’è? -, risponde lei lapidariamente, rinunciando alla missione di far stare in equilibrio la pallina alla crema su quella alla stracciatella.

- Mi chiedevo… lei sa dove possiamo trovare una libreria, qui nei paraggi?

- No.

Mikey torna a guardare il fratello, che nel frattempo ha ricevuto il cono che gli spettava direttamente dalle mani sudicie della donna, che pare non aver nemmeno pensato a frapporre un fazzolettino tra la cialda e la propria mano.

- Ah -, risponde dunque Mikey. – Ma… è sicura di non sapere dove si trovi, lei non è di qui?

- Io mi sveglio tutte le mattine alle cinque per venire in treno da Millburn e aprire questo maledetto negozio, alla sera abbasso la saracinesca e mi riprendo il mio treno per tornarmene a casa. Tutto qui, nient’altro da dire.

Mikey annuisce. Allora niente libri per te, Frank, pensa.

- E sa qualcosa di un concerto che ci sarà tra qualche giorno nei pressi di Millburn? Parteciperanno moltissime piccole band locali, e allora ci chiedevamo se fosse possibile…

- Sono due dollari per il gelato e quattro per le informazioni -, scorcia lei.

- Che cosa? -, sbotta Gerard. - Adesso dobbiamo pure pagarle le informazioni?

- Io devo dare da mangiare a due figli e a un gatto piuttosto grasso, ragazzino. Se c’è modo di tirare su qualche spicciolo, non sarò certo così stupida da farmelo scappare.

Gerard sbuffa, ma abbassa comunque la cerniera della giacca. La sua mano sparisce nella tasca interna e riemerge con una banconota da dieci. Gliela porge, riluttante.

- Guardi che deve darmi il resto -, precisa.

- Il concerto di cui parlate è l’Orange Festival. - Porge distrattamente i quattro dollari di cambio a Gerard, che se li rimette in tasca e pensa che allora è vero che l’arancione lo sta perseguitando. - Sono quasi trent’anni che quella baggianata va avanti. La organizzano ragazzi provenienti da Springfield, Berkeley, Millburn, Cranford… ma il gruppetto di scellerati che negli anni Settanta ha dato inizio al tutto veniva da South Orange, e da qui il nome del festival. Dura dai tre ai cinque giorni, a seconda, ed è pieno di tossici e ubriaconi. La musica è atroce. Fanno metal, o come si chiama quella robaccia che va di moda adesso; fatto sta che è tutto uno strepitio, e non invidio quelli che abitano vicino alla vecchia acciaieria in cui si svolge il tutto. Quest’anno cade tra il 29 di ottobre e il 2 di novembre, quindi figuriamoci quei pazzi, già me li vedo, a fare i vandali in giro! A bussare con la pancia piena d’alcol alle porte della povera gente! - Riserva l’ultima, indignatissima frase del suo monologo alle poche vaschette di gelato che ha davanti. - Tutti in prigione, dovrebbero metterli, quegli sciamannati. Tutti in prigione e via la chiave.

A parlare, dopo qualche secondo di silenzio, è Mikey.

- Ma scusi, ma se odia tanto il festival, com’è che sa tutte queste cose?

- Avete presente quando vi parlavo del gruppetto di scellerati che ha avuto la bella idea di dare inizio a questa assurda tradizione? Be’, mio marito Earl era tra loro.

 

 

 

 

 

 

Si prepara un caffè mentre Mikey usa il telefono fisso per parlare con chissà chi. Sono solo le cinque e mezza del pomeriggio ed è già il sesto, che Gerard beve. Devo darmi una regolata, pensa, appoggiato con il bacino al pianale della cucina. Guarda Mikey passeggiare avanti e indietro con il cordless all’orecchio mentre si sorbisce con calma la bevanda (sta ancora usando la tazza fiorata che aveva preso dopo pranzo, sente di essercisi affezionato).

- Non bello, grandioso -, sta dicendo Mikey a chi sta dall’altra parte del filo, - e ci vogliono solamente venti minuti o neanche, per arrivarci! Sì, sì. Be’, penso si possa fare. Sì, sarebbe fantastico! Prova a proporlo a quelli che avevi già avvisato, casomai io e Gerd possiamo portare qualcuno con il pick-up! D’accordo, d’accordo. Richiama tu, a dopo.

- “Io e Gerd possiamo portare” cosa, Mikey?

Gerard sta fissando gelidamente il fratello minore da dietro la sua bellissima tazza fiorata da nonnina.

- Era Frank -, si sente rispondere. - Gli ho parlato del festival e indovina un po’? Gli piace. Sta valutando di spostare la sua festa di compleanno da quel parco che ti dicevo al festival stesso. Offre lui il biglietto di entrata a tutti, e una volta dentro chi vuole bere paga da sé! Sarà divertente!

Gli sorride. Mikey sa essere così positivo ed entusiasta. Posa la sua tazza accanto a sé e lo guarda a braccia conserte per qualche secondo, prima di rispondere.

- Se il compleanno si farà al festival, allora molto meglio. Verrò volentieri.

- E per il regalo? Oggi è già il 15!

- Non lo so, lo conosci meglio tu di me, questo è poco ma sicuro.

- Ci vorrebbe qualcosa di originale, qualcosa di…

 

 

 

 

 

 

- Orribile -, sentenzia Gerard tra sé e sé, rimirando con aria schifata il capitolo su cui ha appena finito di lavorare.

Mikey è andato a dormire quasi due ore fa, e allora lui si è messo al lavoro per conto suo, nell’altra stanza da letto della casa. Si è impegnato, ma il risultato gli fa comunque schifo. Non è un problema di trama, né di disegni (anche se negli ultimi si scorge qualche imprecisione dovuta alla stanchezza): il problema sono i personaggi principali. Party Poison è forse il meglio delineato, anche perché Gerard si è segretamente ispirato a se stesso, per crearne la personalità e l’aspetto fisico. A lui ha solo tolto qualche chilo di troppo e colorato i capelli di rosso anziché di nero. C’è anche Mikey, nel suo fumetto. Anche senza conoscerlo, chiunque lo rivedrebbe nel personaggio di Kobra Kid. E comunque no, il problema non è neanche Kobra Kid. Il problema è Fun Ghoul. È piatto, banale. Fisicamente potrebbe essere un supereroe tanto quanto un impiegato in banca, mentre nel lettore dovrebbe restare impresso come la fondamentale spalla di Party Poison. Gerard si porta le mani sugli occhi e sbadiglia sonoramente. Ha appena buttato due ore di sonno in un lavoro inutile che non lo porterà da nessuna parte.

Verso mezzanotte, prima di sparire nella propria stanza per la notte, Mikey gli ha confermato che Frank festeggerà il compleanno fermandosi all’Orange dal 29 al 2. Pare che saranno costretti a dormire in macchina, cosa che sarebbe illegale. Ma anche Frank si è informato, e, stando a quanto ha sentito dire, le autorità locali chiudono un occhio su qualche cavillo, durante l’evento. A ben guardare, l’evento stesso sarebbe illegale. , conclude Gerard, tutto sommato sarà divertente.

 

 

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Capitolo 4
*** [Quattro] ***


Ciao a tutte! 


Vi ringrazio davvero tanto per le recensioni che state continuando a scrivermi e che mi incoraggiano a scrivere il più veloce possibile c:

Troverete imprecisioni e svariati strafalcioni sulla vera storia dei My Chem, come al solito, ma sapete già che molte cose sono modificate ai fini della storia.


Mille mille baci e buona lettura,



pwo_










[Quattro]










Sembra che tutte le persone della terra abbiamo deciso di trovarsi all'Orange Festival nella sera del 29 ottobre, una bolgia infernale di metallari e sciamannati — tutti in prigione e via la chiave! — accorsi lì per passare cinque giorni nel proprio ambiente naturale. Gerard non vorrebbe ammetterlo, ma pensa che questo posto è la figata più figata che ci sia, mentre col naso all'aria di appoggia all'inferriata che tiene compatta la lunga coda di persone in attesa di entrare. Frank sorride stolidamente sotto al cappuccio del suo impermeabile nero, entusiasta come non mai. È periodo di nevicate, come notifica il cumuletto di neve sulla sua testa.

- Gli altri stanno arrivando col pulmino di Jesse -, informa, le braccia conserte nel tentativo di illanguidire il freddo. 

Il loro gruppetto, per ora, è formato solo da Jesse stesso, Mikey, Gerard e Frank, quattro ragazzetti dai vent'anni ai venticinque con in faccia l'impazienza di dare inizio ai festeggiamenti. Gee è di spalle, voltato verso la strada su cui continuano a camminare tecnici e componenti del personale con piglio serio e passo affrettato. 

- Jesse, com'è che hai lasciato le chiavi tuo pulmino a quindici persone che conosci appena? -, chiede. 

- Cosa vuol dire questa domanda?

- Mah, non so, non hai paura che te lo rubino, che te lo righino?

- Capirai, mancava poco che quei due hippy mi pagassero loro, pur di rifilarmi quel cassone! Se anche si rompe non ci rimetterò un patrimonio. E poi dove pensi che possano andare, quindici ladri su un'auto a fiori? 

Gerard non risponde; gli sembra un ragionamento logico. Sbuffa una nuvoletta di vapore caldo nell'aria e la guarda dissolversi. Mikey è rimasto zitto per tutto il tempo, ha lo sguardo vacuo incollato alla macchina con cui sono arrivati lì, come se non l'avesse mai vista prima (l'auto in questione è il famoso pickup appartenente alla famiglia Way da ormai quasi tre anni). Stiamo avanzando a circa un metro al minuto, pensa, la fila di persone non è dritta, ma serpeggia formando curve profonde, e le porte saranno a un trecento metri di distanza, roba da poterci mettere una Tour Eiffel sdraiata, breve calcolo... sì, tra trecento minuti, ovvero tra cinque ore, dovremmo riuscire a entrare! ... Dio di un Dio, cinque ore? Decide che terrà gli altri all'oscuro della sua sconcertante scoperta, giusto per non scoraggiare nessuno, e torna a fissare il pick-up, muto come un pesce. Spera di aver solo calcolato l'attesa rimanente in modo pessimistico. Dio di un Dio, cinque ore.

- Non so voi, ma io ho una fame assurda - è la prima frase che viene pronunciata dopo un lungo silenzio, e per essere precisi viene pronunciata da un Jesse elevato sulle punte dei piedi nel vano tentativo di avere una visione più chiara del posto in cui si trovano (come se uno, mettendosi in punta di piedi e allungando il collo, riuscisse a buttar l'occhio tanto più in là). 

- Sono le sei del mattino, Jess -, lamenta Mikey, rompendo finalmente il suo mutismo, - come fai ad aver fame?

- Guarda che io faccio colazione cinque volte, il mattino!

- Starai scherzando!

- Assolutamente no, la colazione è un pasto molto importante.

- Sì ma uno, non cinque -, si intromette Frank, facendo ridere tutti. - E comunque ho fame anch'io.

Adocchiano un camioncino dai colori sgargianti parcheggiare proprio davanti a loro, dall'altra parte di un'aiuola che dovrebbe rallegrare il cortile di quella ex-acciaieria senza minimamente riuscirci. Dal camioncino in questione scende un uomo con le braccia nere di peli; sarà alto un metro e sessanta per cento chili, e prende ad aprire, chiudere, montare e smontare per trasformare il suo mezzo di trasporto in un chioschetto di hot dog.

I quattro raccolgono qualche soldo e Frank viene spedito in rappresentanza, il modo più semplice per comprarsi qualcosa da mettere sotto i denti senza per questo perdere un posto nella fila che è costato loro già quasi un'ora. Passa qualche secondo di silenzio, durante il quale Frank fa loro segno da lontano che il tizio davanti a lui ci sta mettendo tre ore, a scegliere il suo accidenti di hot dog. Poi Jesse tira fuori qualcosa dalla borsa: un cartoccio argentato.

- Qualcuno vuole dei biscotti? -, chiede, conviviale.

- Ma scusa, hai mandato Frank a... -, lamenta Gerard la mano tesa disordinatamente verso uno Iero sempre più esasperato dietro al lentissimo cliente che lo precede.

- Tempo che prende l'hot dog, faccio la seconda colazione della giornata! ... No?







Sono passate tre ore — gioia e giubilo — e ora sono a centoventi metri circa dalle grosse porte metalliche che li separano dall'Orange Festival. Mikey realizza con orrore che il suo calcolo era spaventosamente esatto, ne avranno ancora per almeno due ore. Jesse, comunque, ha già concluso la sua quarta colazione, leggera, sana, un triplo cheeseburger con formaggio e pancetta e maionese e carne e formaggio e carne e formaggio e carne e maionese e una foglia stenta di insalata messa lì per dare la parvenza di un briciolo di salubrità.

Per ingannare il tempo, addirittura, a un certo punto giocano a “vedo-vedo”, una disperazione unica. E comunque sta vincendo Gee, con più di venti punti all'attivo (a “vedo-vedo” Gee è proprio bravo, non c'è nulla da dire). Ora è il turno di Jesse, che invece per “vedo-vedo” è negato e che finora ha totalizzato menoquattro punti, al negativo perché si è preso delle penalità — è un gioco serio, insomma.

- Vedo-vedooo... un oggetto con le ruote...

- La macchina blu accanto al nostro pick-up -, tenta Mikey.

- No.

- La macchina gialla accanto alla macchina blu accanto al nostro pick-up -, rilancia Frank.

- No, no, no!

- La sedia a rotelle di quel signore indiano -, prova Gee.

- No -, l'invariabile risposta di Jesse. - Non avete indovinato. Non era la sedia a rotelle, era il signore indiano sopra alla sedia a rotelle! 

- Ma che cazzo dici, è una persona, non è un oggetto con le ruote! 

- Eh, solo perché vuoi vincere!

- Cinque punti di penalità a Jesse, che non ha ancora capito come si gioca -, propone Mikey.

- Giusto, ben detto!

- Cinque punti di penalità!

- Ecco! Siete delle merde!

- Ora sei a menodieci -, ricorda Gee.

- Eh no, sono a menonove!

- No, ti togliamo un altro punto perché protesti.

- Non protesto!

- Lo vedi che protesti?

- Confermo, siete delle merde!

- Menoundici per affronto ai giudici di gara!

- Non siete giudici di gara, siete delle merde! Vi siete messo d'accordo per farmi perdere, Mikey per primo!

- Menoventuno per calunnie! 

Alcuni ragazzi in fila attorno a loro hanno preso a seguire, divertiti e al contempo sollevati dalla presenza di un buon diversivo dalla loro attesa.

- Merde! Siete delle merde!

- Menosessanta per insistenza e grida moleste -, infierisce Frank.

- E va bene, rinuncio!

- Menocento per scarsa combattività!







Sono davanti alle porte di metallo e sì, sono passate poco meno di cinque ore. Gerard comincia a controllare i biglietti spasmodicamente, perché pensa se dopo tutta questa attesa ce li siamo dimenticati o li abbiamo persi. Sarebbe una tragedia, un dramma! Li trova, grazie a Dio, nella stessa tasca in cui ha controllato anche poco fa. 

- Ragazzi, ci siamo, ci siamo! -, trilla Frank.

È tutta una questione di minuti, dopodiché daranno loro il dannatissimo braccialino dell'entrata e potranno transitare liberamente dentro e fuori senza ulteriori code per l'ingresso, come già vedono fare ad alcune facce che stavano davanti a loro fino a mezz'ora fa. Gli altri, con il fantastico pulmino fiorato di Jesse, hanno parcheggiato da poco nel primo posteggio libero, lontanissimo dall'entrata. Hanno provato a inserirsi nella fila assieme a Gerard e Frank, ma hanno desistito davanti alle occhiatacce dei poveretti che assieme a loro hanno atteso per cinque ore prima di poter entrare. Ed ecco che ora sono tutti laggiù in fondo, proprio dove alle sei del mattino si trovavano Gerard, Frank, Mikey e Jesse, che nel frattempo ha concluso la sua partita a “vedo-vedo” con menocentoquarantotto punti, un record storico. Accanto alle porte li attende un omone con capelli lunghi e barba nera.

- Biglietti, prego -, intima Omone con Capelli Lunghi e Barba Nera. 

Gerd glielo porge, lancia un'occhiata divertita agli altri. L'uomo guarda appena i rettangolini di carta arancione — arancione! — e con una manata severa li spedisce all'uomo-timbrino, che piazza il simbolo del Festival sulla mano di tutti e quattro. 

Sono dentro.







Un tizio sulla cinquantina picchietta indice e medio sul microfono, mormora: “Prova, prova” e attira su di sé l'attenzione di, a occhio e croce, più di ventimila teste. Siamo al palco 1, il palco più grosso, quello delle band davvero forti, quello più affollato di tutti, e dove i ragazzi da ogni parte del New Jersey e non si sono riuniti per stare a sentire il discorso di apertura. Il tizio sulla cinquantina si schiarisce la gola, ventimila teste si zittiscono e si voltano verso lo stesso punto.

- Buonasera, gente dell'Orange!

Urli, applausi. 

- Anch'io sono contento di essere qui! Mi chiamo Earl Stevens, e...

- È il marito della gelataia! -, gridano Mikey e Gerard assieme. - È lui, è lui!

Si guadagnano occhiate confuse da Frank e Jesse e una marea di “ssshht”, con tanto di dito davanti sulle labbra, da tutti quelli intorno a loro.

- ... Ed è per questo che nonostante tutte le difficoltà che ha incontrato, anche quest'anno, il Festival Orange continua, e con la stessa grinta con cui è cominciato! In questi giorni avremo l'onore di ospitare tutte le più brave band emergenti del momento, a partire dai Portland Bridge...

Un gruppo di ragazzine che stanno da qualche parte dietro di loro improvvisa il ritornello di una canzone che Gerard non ha mai sentito prima e che dopo pochi secondi si perde in un grido entusiasta. Earl Stevens non si lascia scoraggiare, perché tutto sommato a tumulti di questo tipo dovrebbe essere abituato, e continua a parlare per poco meno di altri due minuti, un lungo elenco di band in cui i quattro, e specialmente Frank, riconoscono vecchie conoscenze dei loro lettori musicali. Venti minuti circa passano senza che succeda nient'altro di rilevante, se non una blanda rissa da qualche parte alla loro destra. Durante questo breve periodo di tempo Jesse riesce anche a scorgere gli altri, che si sbracciano per farsi vedere, trenta file dietro di loro. Si accordano a gesti: almeno fino alla prossima esibizione, nessuno si muoverà da dov'è. Earl esce di scena e lascia il microfono dietro a una quinta, le luci si abbassano.

Si inizia.







Mangiano tutti assieme in un bar a metà strada tra due tendoni per i concerti. Jesse e un certo Ray, un tizio dai capelli ricci e neri che questi ha conosciuto mentre suonavano i Portland Bridge, devono stare in piedi a causa della scarsa quantità di posti, mentre Gerard, Mikey e Frank siedono l'uno vicino all'altro. È un sollievo, per Gerd, che Mikey sia in mezzo, e per diversi motivi — tra cui l'odiosa prospettiva di dover trovare qualche argomento di conversazione con uno come Frank, che se può le conversazioni le tronca sul nascere. Poi però succede. Succede che Mikey annuncia che deve andare in bagno, davanti alla porta del quale c'è una coda di almeno una sessantina di persone, e che quindi tornerà al tavolo tra una mezz'oretta buona (se gli va bene). E succede che a Ray viene improvvisamente un gran mal di gambe, che sostiene di poter placare solamente trovando un posto a sedere, e che Frank, per fargli spazio, si appiccica a Gerard, che ora sente il braccio a contatto con il suo diventare talmente caldo che per un attimo teme che gli cadrà. Questo Ray è già partito malissimo, pensa, ma effettivamente che altro si poteva fare? Non fare spazio a un poveretto con un mal di gambe lancinante? Dargli una legnata in faccia per neutralizzarlo? Non avrebbe fatto buona impressione, ecco. E così, Gerard si ritrova con la bocca impastata di un boccone troppo grosso (per la distrazione non se n'era accorto) e con un dispensatore di baci non richiesti — attenzione, “Non richiesti” non vuole necessariamente dire: “Non apprezzati” — appiccicato al braccio, dispensatore di baci non richiesti meglio noto come Frank Iero, lo strambo con la matita attorno agli occhi. Però... nota che oggi non è truccato. Lo dice.

- Noto che oggi non sei truccato.

Si maledice per averlo detto, ma quando Frank gli chiede di ripetere lo dice di nuovo. 

- Noto che oggi non sei truccato.

- Già.

Ecco. Fine della conversazione. Il bello è che non è che Frank gli risponda in modo antipatico, o male, il bello è che Frank gli risponde e basta — “Bella giornata, eh?”, “Già”, “Come stai, oggi?”, “Bene”, “Ti ricordi di quando...?”, “No”. Gli risponde e poi sta zitto, in attesa di nuove domande o più semplicemente con un sorrisetto enigmatico che potrebbe esprimere la volontà di essere amici tanto quanto una totale indifferenza alla presenza di Gerard. Forse alla festa di Clawson era ubriaco. Forse non voleva nemmeno baciarlo in bocca, magari puntava all'orecchio e aveva sbagliato mira. Gerard si rassegna a giocherellare con il porta-tovaglioli sul tavolo, se lo rigira tra le dita con finta aria assorta. Ed è buffo che, ad un certo punto, diciamo due minuti di assoluto silenzio dopo, Frank si alzi avvisando gli altri che lui e Gerard si faranno un giro per le bancarelle presenti al festival. È buffo soprattutto perché Gerard, del fatto che ci fossero delle bancarelle e che ci sarebbe andato con Frank, non sapeva proprio nulla. Rimane zitto (non vuole grane, lui) e attende che gli eventi continuino a susseguirsi secondo il loro corso.

- Ci troviamo qui per il prossimo concerto? - chiede Jesse.

- Sì -, risponde Gerard.

- No -, risponde Frank. - Ci vediamo al tendone tre. Beh, no, ci sarà casino, quindi probabilmente no, non ci vediamo neanche per un cazzo. Facciamo che dopo il concerto ci troviamo qui al chiosco. 

- Ma cos'è che dovete comprare? 

- Nulla -, risponde Gerard.

- Un sacco di cose -, risponde Frank.

È una situazione piuttosto bizzarra. Una ragazza bionda che Gerard ricorda di aver visto qualche volta da Starbucks e che fa parte del gruppo di invitati di Frank fa per mettersi in spalla lo zainetto.

- Anch'io vorrei fare un giro per le bancarelle -, dice, - posso venire con voi?

- Assolutamente sì -, risponde Gerard.

- Assolutamente no -, risponde Frank. La ragazza torna a sedere con aria stupita, ma il resto del gruppo sembra non aver notato quest'ultimo scambio, e ignora la cosa. 

- E ora con permesso -, conclude Frank con un inchinetto scemo. - Noi andiamo a far compere.







- Che cosa devi comprare? -, chiede Gerard cercando di stare dietro all'altro, che si muove a passo spedito nella calca immane dell'Orange Festival. 

- Io nulla, tu? 

Gee pensa che Frank debba davvero fare pace col cervello. A parte che il prossimo concerto a cui vogliono andare inizierà tra quasi due ore, perché nel frattempo si esibiranno band che non interessano a nessuno dei due, quindi, in qualche modo, quelle due ore devono farle passare. E poi, se proprio voleva compagnia, Frank poteva evitare quella di uno come lui, che non è in grado nemmeno di sostenere una conversazione. Viene urtato da un ragazzino ubriaco che canta disordinatamente una strofa dei Ramones e in un attimo perde completamente di vista Iero, che come se non bastasse è pure bassissimo, e nella folla sparisce in men che non si dica. Si guarda intorno, spaesato, cercando l'identificativo ciuffetto nero del suo... amico? No, non amico. Sì... no, no. Sì. No. Boh. Forse. 

Per quanto si sforzi, Gerard non riesce a trovarlo, e si chiede quand'è che anche Frank noterà di star camminando da solo. Dato che non si stavano parlando, né Frank si girava mai per controllare di essere ancora seguito, Gerard suppone che probabilmente l'altro non si è nemmeno accorto di averlo perso per strada. 

- Gee.

Per prima cosa vede una mano, e solo dopo segue il corso del braccio e vede anche la testa.

- Frank. 

E poi, per la prima volta, o almeno per la prima volta genuinamente, Frank gli sorride, ma non di un sorriso indecifrabile, più di un sorriso che sembra dire...

- Prendimi questa cazzo di mano e muoviti.

... Sì, più o meno. Gerard se l'era immaginata un po' diversa, ma anche così può andare, non c'è nessun problema. Obbedisce, avvolge le dita attorno alla manina bianca e gelida di Frank e si lascia trascinare fino a un cancello su cui è affisso un cartello che reca la scritta: “VIETATO ENTRARE”.

Frank entra; tiene stretta la mano di Gerard, talmente forte che questi non potrebbe evitare di seguirlo nemmeno se ci provasse. 

- Dove stiamo andando, Frank?

- ...

- Frank?

Ecco! Ecco, ora mia ammazza!, pensa già, sulla fiducia, mentre con gli occhi cerca di registrare tutte le possibili vie di fuga dalla stradina cementata in cui Frank lo sta portando. Per ora, tuttavia, se venisse ammazzato ci sarebbero dei testimoni, tipo quella ragazza laggiù, quella con la gonnellina scozzese. Si trovano nella lingua di strada che separa un edificio dall'altro. L'ex-acciaieria in cui si svolge l'Orange è un grosso complesso industriale, ed è normale che, anche per un evento musicale importante come quello, alcuni blocchi non vengano utilizzati, vuoi perché non servono, vuoi perché sono poco sicuri o troppo bui. Fatto sta che c'era scritto: “VIETATO ENTRARE” e Frank è passato lo stesso, tranquillamente e senza indugiare nemmeno per un attimo. Svoltano più volte, se vogliamo essere precisi due volte a sinistra, una a destra due a sinistra e un'altra a destra, finché si trovano davanti a un grosso blocco di cemento dalla porta metallica. Sull'insegna è scritto: “Club 24”. Ci sono soltanto due gruppetti di persone, nei dintorni, nulla a che vedere con la bolgia dei tendoni principali.

- E questo posto che cos'è? -, chiede Gerard.

- Birra.

- Questo posto è birra

- No, in questo posto c'è birra.

- La birra c'era anche al chiosco, Iero.

- Ma al chiosco c'erano anche delle persone che conosciamo e con cui siamo più o meno in confidenza, Way.

- Io li chiamo “amici”.

- E io li chiamo “persone che conosciamo e con cui siamo più o meno in confidenza”.

- ...

- ...

- E allora?

- E allora beviamo.

- Ma io non voglio bere! -, esclama Gerard, e fa per girare i tacchi. Frank gli posa una mano sulla spalla, che da sola non fermerebbe nemmeno un bebè, ma che a lui basta per darsi una calmata. Sarebbe meglio che non bevessi, pensa, tornando a inchiodare i propri occhi in quelli di Frank. Lo dice.

- Sarebbe meglio che non bevessi.

- Dov'è il mio regalo di compleanno? -, chiede allora Frank, cogliendolo completamente alla sprovvista.

È una domanda piuttosto maleducata, se vogliamo analizzarla bene. Un festeggiato non dovrebbe ma propinare una domanda simile a un suo invitato. Non si fa. No, non si fa! 

- Come sarebbe a dire: “Dov'è il mio regalo”? -, ritorce Gerard cercando di assumere sicurezza nella voce. - Il tuo regalo te lo darò dopodomani, nel giorno del tuo compleanno!

Frank non fa una piega.

Ma dove vuole arrivare?

- Non ti credo.

- Che cosa?! 

Questa esclamazione non doveva uscirgli così stridula, davvero. Ma ora Gerard è più spaesato dell'idea platonica di atopia, non sa nemmeno se deve sorridere e assecondare oppure inarcare le sopracciglia e opporsi. Nel dubbio, continua a mantenere il suo fiero tono stridulo.

- Come sarebbe a dire che non mi credi, Frank? Ce l'ho davvero, il tuo regalo, è in macchina!

- No, non hai nessun regalo.

- Ma che cosa dici, sì, invece!

- No, invece.

- Perché non dovresti credermi quando ti dico che il tuo cazzo di regalo di compleanno è nella macchina?!

Gee gesticola come un matto, Frank si mette a braccia conserte e assume un'aria supponente e anche vagamente divertita insieme.

- Non ti credo.

- E allora cosa vuoi che faccia, perché tu mi creda? Vuoi che ti dica già che regalo è?

- No. Voglio che tu mi fai la garanzia. Il regalo devi farmelo ora.

- Ma non ho soldi.

- Ce li ho io.

- Vuoi che ti compri un regalo con i tuoi soldi? Dio santo, Frank, spiegati!

- Non hai capito un cazzo, Gee. Il regalo fammelo ora: stai con me in questo bar. E bevi.

Gerard alza gli occhi al cielo, si guarda intorno nell'assurda speranza di trovare qualcuno che lo aiuti. Niente, niente, niente. E soprattutto nessuno. Non capisce perché Frank abbia tutta questa urgenza di trovarsi un compagno di bevute. Iero, dal canto suo, non ha staccato gli occhi da lui nemmeno per un attimo, in attesa di una risposta che già conosce. 

- E va bene -, capitola Gerard. - Ma sia chiaro: se pensi che mi ubriacherò, ti sbagli di grosso.







Gerard è ubriaco. Non ubriaco normale, eh, proprio fradicio. Gli occhi lucidi, segue con devozione un racconto di Frank, ubriaco anche lui, mentre dall'altra parte del complesso industriale il loro gruppo di amici salta al ritmo dell'ultima canzone dei Seventh Rose, il concerto che avrebbero dovuto vedere tutti assieme. Poi, però, il palco del Club 24 si riempie di passi. Un'altra band è pronta a suonare, nonostante gli spazi ridottissimi. All'Orange Festival è quasi impossibile entrare in un locale senza imbattersi in un gruppo di alternativi emergenti! I quattro ragazzini emo che calcano la scena si presentano brevemente come i Black Owls, e poi il pub è subito avvolto da un riff di chitarra graffiante, lento e ansimante. Roba da gettarsi a terra e darsi all'autoerotismo. 

- Sono forti! -, grida Gerard a vuoto, mentre già alcuni ragazzi formano un piccolo grappolo di spettatori sotto al palco. I Black Owls sono la classica band senza esperienza, ma che suona di pancia, e con talmente tanto entusiasmo da potersi permettere di imbroccare una nota su cinque. 

- Vieni -, gli urla Frank.

Gli afferra un braccio, corre in direzione del palco senza preoccuparsi del fatto che né lui né Gerard siano in grado di mettere un passo dietro l'altro senza cadere, sopraffatti dall'alcol. Sono praticamente in braccio ai Black Owl, che si trovano a tre, forse due metri da loro. Sono forti, sì. Sono dannatamente forti. Gerard e Frank ridono senza nessun motivo a giustificarli, e ballano. Ballano tanto, uno di fronte all'altro, finché una ragazza con il trucco gotico e i codini alti da bambolina spinge Frank per avvicinarsi al cantante che sta sul palco; e allora Frank sbatte contro qualcosa di molto morbido e profumato, che poi è il collo di Gerard, e Gerard sente sbattergli contro qualcosa di duro e nient'altro, che poi è il cavallo dei pantaloni di Frank. È una cosa che Gerard stesso registra con distrazione, obnubilato dalla birra e da qualsiasi cosa fossero quegli altri drink che Frank mi ha rifilato con un sorriso da orecchio a orecchio. Gerard, comunque, ha già deciso che prima di togliersi Frank di dosso lascerà passare ancora un pochino.

- Iero, ti è forse venuto dritto?

Non gli veniva in mente nulla di più elegante. Gli è rivolto dall'altro un ghigno malizioso e indecentemente stupido, che sa di birra, sonno e ancora birra. Frank avvicina le labbra al suo orecchio, e da come mormora si capisce che sta ancora sorridendo.

- Sì. È un problema, Way? 

Dio santo, pensa Gerard. Roba da gettarsi a terra e darsi all'autoerotismo.









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