There's No Life Without Love

di The Mad Tinhatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1: The Beginning ***
Capitolo 2: *** Cap. 2: Friendship ***
Capitolo 3: *** Cap. 3: Surprise ***
Capitolo 4: *** Cap. 4: Coward ***
Capitolo 5: *** Cap. 5: Blue As Your Eyes ***
Capitolo 6: *** Cap. 6: The Second Of May ***



Capitolo 1
*** Cap. 1: The Beginning ***


There's No Life Without Love


Cap. 1: The Beginning


Elizabeth posò le mani sulla fredda pietra del Pensatoio. Aveva iniziato il trattamento qualche anno prima, quando le esperienze del suo passato avevano iniziato ad avere effetti deleteri sulla sua vita presente.

Non era stata l'unica, in quegli anni, a richiedere le attenzioni degli psicologi del San Mungo, così erano stati sviluppati dei piani di cura alternativi, che richiedevano l'uso del Pensatoio. Nel suo caso, le cure avevano avuto effetto, nonostante tutto. Così, ormai per la maggior parte del tempo, il Pensatoio veniva riposto in un angolo del solaio, quasi dimenticato.

Qualcun altro avrebbe cercato di sbarazzarsi dell'oggetto, una volta esaurito il suo utilizzo. Elizabeth conosceva un sacco di persone che l'avevano fatto, ma i medici lo sconsigliavano, e lei non voleva farlo.

Almeno una volta all'anno, Elizabeth voleva ricordare. Ora che rivivere quei momenti non le faceva più così male, lei voleva che restassero impressi nella sua mente. Così, in quel momento di quel giorno, la giovane si trovava davanti a quel bacino colmo di materia argentea, pieno di quei ricordi che, dal più felice al più traumatico, l'avevano aiutata a tornare a vivere. Si trattava di un modello particolare di Pensatoio: mentre normalmente l'unica cosa permessa era di osservare i ricordi da un punto di vista esterno, quell'esemplare, assieme ad altri che erano stati prodotti negli anni, permetteva di rivivere i propri ricordi in prima persona e con la coscienza del momento, pur conservando ogni sensazione provata anche una volta tornati alla realtà. E quello era esattamente ciò che la giovane donna voleva fare.

Elizabeth fece un bel respiro, ed immerse la testa nel liquido. Subito sentì la familiare sensazione di instabilità, come se stesse per cadere....

*

- Mamma, perché devo andare a giocare con quelle bambine? - domandò la piccola Elizabeth, mentre sua madre le faceva la treccia.
- Perché adesso sono le nostre vicine di casa, tesoro - rispose la donna, prendendo un nastro rosa per capelli da un cofanetto. - Sono di buona famiglia, e tu sei una piccola Selwyn. È ora che tu faccia davvero amicizia con loro, dato che a Settembre le rivedrai a scuola. Sicuramente tu e Astoria sarete compagne di stanza. Daphne vi avrà già raccontato un sacco di cose, immagino!

Per una giovane purosangue c'era poco di che essere sorpresa, ad Hogwarts. Tutto ciò che Daphne aveva fatto fino a quel momento era stato parlare di quanto tutti i suoi amici di scuola fossero ricchi, e lamentarsi di qualche occasionale incontro con qualcuno il cui sangue non fosse completamente puro.

Elizabeth sapeva che la sua famiglia incoraggiava quel modo di pensare, ma lei non era ancora sicura del perché. In fin dei conti, il bersaglio preferito delle battute di Daphne, tale Hermione Granger, era mezzosangue, ma ciò non le aveva impedito (con grande irritazione della Greengrass) di prendere voti più alti dei suoi.

- Sono antipatiche - disse Elizabeth.
- Devi solo imparare a conoscerle. Prendi come esempio tuo fratello.

Edgar. La persona che, da quando era tornata a casa per le vacanze, non aveva più trovato un momento per stare con lei, tutto preso dai suoi nuovi amici.

Sua madre la fece voltare, e la guardò negli occhi. - Devi solo avere un po' di pazienza, tesoro - disse, poi le diede un bacio sulla fronte e la invitò ad andare.

Non appena chiuse la porta principale, il sole del sud della Francia le baciò la pelle. Quello era il primo anno che trascorrevano le vacanze lì, e da quando i Greengrass, i Malfoy e i Nott avevano deciso di passare l'estate nello stesso loro paesino magico, per sua madre ogni occasione era buona per un tè tutti assieme.

Elizabeth lisciò il vestito verde che sua madre le aveva fatto indossare. Aveva detto che faceva risaltare i suoi occhi blu, per quello l'aveva scelto. Attraversò il cortile per raggiungere le sorelle Greengrass. Si trattava di un giardino che si affacciava su tre case: la casa dei Greengrass, la casa della sua famiglia ed infine, la casa di una famiglia che ancora non avevano avuto l'opportunità di incontrare.

Daphne e Astoria stavano chiacchierando su una panchina. O, per meglio dire, Daphne parlava senza fermarsi, mentre la sorellina la osservava con curiosità. Di sicuro non si poteva dire che Daphne fosse timida, dato che faceva così con chiunque.

- Ciao – disse Elizabeth, quando fu vicina alle altre due bambine.
- Oh, ciao, Elizabeth – fece Daphne, interrompendo per un attimo il suo monologo. - Stavo giusto descrivendo ad Astoria il nostro dormitorio. Dicevo... i letti sono stupendi, davvero. Le lenzuola sono verdi, naturalmente, e i cuscini sono più comodi di quelli di casa. Per questo ho chiesto a papà di farli cambiare. Non voglio certo tornare a casa e farmi venire il torcicollo!

Elizabeth quasi smise di ascoltarla. Sapeva bene che sia i Selwyn che i Greengrass erano famiglie privilegiate che potevano permettersi i cuscini migliori del mondo, ma non le sembrava il caso di farne una questione di stato. Lei era soddisfatta di quello che aveva.

Guardò davanti a sé, e vide quasi subito qualcosa, o, meglio, qualcuno, che attirò la sua attenzione.

Si trattava di un ragazzino, seduto davanti ad un tavolino di pietra, che leggeva, da solo. Elizabeth cercò di capire che cosa stesse leggendo, ma era troppo lontano.

Probabilmente abita nell'altra casa.

Dei passi interruppero il discorso di Daphne, ed Elizabeth si voltò. Si trattava di suo fratello.

- Stiamo giocando a SparaSchiocco, in casa. Volete unirvi a noi? - disse.
- Va bene – rispose Daphne, alzandosi. La sorella si limitò ad annuire, e a seguirla.
- Io arrivo tra poco, voi iniziate ad andare – disse Elizabeth. Il ragazzino che leggeva l'aveva incuriosita, e voleva conoscerlo.

Elizabeth aspettò che gli altri fossero rientrati in casa, poi si incamminò verso il ragazzo.

- Ciao – disse, sedendosi davanti a lui. Gli occhi del ragazzo erano blu, proprio come i suoi.
- B-bonjour! - fece lui, mettendo giù il libro di scatto.

Oh, è francese.

- Comment tu t'appelles? - disse Elizabeth, ricorrendo ad una delle poche frasi di francese che conosceva.
- Mi chiamo Julian – rispose lui – e parlo anche inglese.

La ragazza sorrise. Lui aveva un accento simpatico.

- Io mi chiamo Elizabeth, piacere – disse lei, porgendogli la mano. Il ragazzino la strinse.
- Cosa stai leggendo? - continuò.

Julian sollevò il libro, facendole vedere la copertina.

Il mago dei numeri”, di Hans Magnus Enzensberger.

- È un libro babbano – spiegò. - Me l'ha regalato mio padre. Parla di matematica.
- Oh, sembra molto interessante – disse lei, e non stava fingendo. Da piccola aveva ricevuto, come tutti i piccoli maghi della sua età, le nozioni di base. I numeri l'avevano sempre affascinata, ma essendo la matematica una disciplina strettamente babbana, i suoi genitori le avevano proibito di coltivare questo suo interesse. E lì, davanti a lei, c'era un giovane mago a cui, invece, questo non era stato impedito.

Continuarono a parlare, ed Elizabeth notò che Julian era un ragazzo molto diverso da quelli attorno a cui era cresciuta: suo padre era un astrofisico babbano (Julian, stupito, dovette spiegarle cosa un astrofisico fosse, perché in quasi dodici anni di vita Elizabeth non aveva mai sentito quella parola), mentre sua madre era una Guaritrice che lavorava nell'ospedale magico di Nizza. Parlare con lui era molto diverso che parlare con le sorelle Greengrass, o con chiunque altro lei avesse mai conosciuto: nonostante potesse capire che anche la famiglia di Julian fosse messa bene economicamente, i beni materiali sembravano essere l'ultimo dei suoi pensieri. Aveva anche un certo interesse per i libri, sia magici che babbani, e l'appartenenza ad entrambi i mondi gli dava più possibilità sia in termini di conoscenza che in termini di divertimento. Infatti, fu con un'espressione divertita che lui si alzò, e le fece cenno di seguirlo.

- Sei sicuro che non ci faremo male? - chiese Elizabeth, mentre si arrampicava sui rami. Non l'aveva mai fatto in vita sua, e la cosa era evidente: Julian era più avanti, e lei cercava (abbastanza inutilmente) di non sporcarsi il vestito e di non impigliarsi da nessuna parte.
- Tranquilla, non saremo molto vicini alle api. Specialmente se hai paura – rispose lui, fermandosi. Evidentemente era arrivato nel punto giusto.
- Intendevo per l'altezza – disse Elizabeth, cercando di arrampicarsi più in fretta.

Finalmente, giunse anche lei al punto raggiunto da Julian. Il ragazzo indicò qualcosa davanti a lei. Era giallo, anche se poco della sua superficie era allo scoperto, dato che era quasi completamente circondato da api.

Ma certo, un nido!

Julian le spiegò varie cose, mentre lei, tutta orecchi, cercava di non mettere un piede in fallo e cadere. Si mise a parlare di api, della loro organizzazione, dei loro ruoli e della struttura del loro nido. Elizabeth lo ascoltava, affascinata, domandandosi quante altre cose non conoscesse del mondo che anche lei abitava.

- Non vi hanno mai spiegato tutte queste cose, a scuola? - le chiese lui.
Elizabeth scosse la testa. - I miei genitori mi hanno insegnato le conoscenze base. La mia famiglia è purosangue, sarebbe una tragedia se frequentassi una scuola babbana.

L'espressione di Julian si rabbuiò, come se fosse davvero triste per lei. - Mi dispiace – disse. - Ma se vuoi, finché saremo qui, potrò insegnarti io qualcosa!
Elizabeth sorrise, entusiasta. - Va bene!

Ben presto il sole cominciò a tramontare, e arrivò il momento di tornare a casa. Sicuramente tutti si stavano chiedendo dove fosse finita, e lei non avrebbe avuto troppe scuse da tirare fuori, specialmente viste le condizioni del suo vestito.

- Mamma non sarà contenta – disse, indicando uno strappo nel tessuto verde.
- Scusa – fece Julian.
- Non importa, mi sono divertita un sacco.
- Oh, tieni questo – disse lui, porgendole il libro. - Credo che potrebbe piacerti.

Elizabeth lo ringraziò, prima di rientrare in casa. Riuscì a sgattaiolare in camera sua per nascondere il libro (non osava immaginare cosa avrebbe detto suo padre se l'avesse beccata con un libro babbano tra le mani), ma per il vestito c'era poco da fare.

- Dove sei stata? I tuoi amici ti hanno aspettato per ore – disse suo padre, seduto a capotavola, non appena la vide entrare in sala da pranzo. Sua madre osservò il vestito strappato con aria di rimprovero, ma non importava: se solo avesse voluto, avrebbe potuto fargliene confezionare uno identico in uno schiocco di dita.
- Io... beh... - fece Elizabeth, titubante. Una cosa era certa: mai avrebbe tirato fuori il nome di Julian, perché i suoi genitori le avrebbero impedito di vederlo per il resto dell'estate.
- Non stavi facendo qualche gioco da Babbani, vero? - disse suo padre, alzando la voce.
Elizabeth strinse gli occhi. Suo padre le faceva davvero paura, quando usava quel tono minaccioso. - Io... ecco... ho provato ad arrampicarmi su un albero. Volevo vedere le api. Sono interessanti.

Sono caduta, avrebbe potuto dire. Sono inciampata, e sono finita in un cespuglio. Invece no, doveva proprio sputare fuori la verità. Che stupida.

La reazione di suo padre non si fece attendere. Si alzò in piedi, posando le mani sul tavolo.

- Ti sei arrampicata su un albero? - urlò, furioso. - Credi che ti abbiamo educata per diventare così, come la peggiore delle ragazzine babbane? Dodici anni di insegnamenti, e guarda un po' che cosa ne è uscito!

L'uomo si spostò dal tavolo, dirigendosi verso di lei.

A quel punto, Elizabeth stava per scoppiare a piangere per la paura. Non poteva dire che suo padre picchiasse spesso lei e suo fratello: la maggior parte del tempo, li viziava come se fossero stati i figli migliori del mondo. Tuttavia, quando si arrabbiava particolarmente tendeva a dare qualche sculaccione, cosa che, naturalmente, non le piaceva per nulla.

L'uomo fu bloccato dalla mano della moglie sul suo braccio.

- Edward, basta – disse lei. - Adesso, Elizabeth, prometti che non lo farai mai più, così chiudiamo la faccenda.
- Promesso – disse. Suo padre tornò a posto, visibilmente più calmo.
Sua madre le sorrise. - Tesoro, ora siediti qui e mangia.

Cenarono in silenzio, ed Elizabeth cercò di fare più veloce che poté: non vedeva l'ora di tornare in camera sua. Quando, finalmente, ci riuscì, chiuse la porta dietro di sé e si buttò sul letto, prendendo poi il libro dal cassetto del comodino in cui l'aveva riposto.

Sorrise, stringendoselo al petto. Forse, per la prima volta da quando era arrivata in quel luogo, aveva trovato un amico.

*

La giovane donna si tirò su. Il ricordo era finito e, come ogni volta in cui lo riviveva, stava sorridendo. Quell'incontro e quel libro le avevano cambiato la vita, ed era certa che, se non fosse stato per gli avvenimenti di quell'estate, in quel momento non si sarebbe di certo trovata lì.

Ricordò con nostalgia le nottate passate a leggere quel libro, e la sua curiosità che aumentava ad ogni pagina. Ricordò i pomeriggi trascorsi con Julian a chiacchierare, magari bevendo una cioccolata nella grande biblioteca di casa sua. Era stato triste dover tornare in Inghilterra per l'inizio della scuola, ma lui le aveva promesso che le avrebbe scritto durante l'anno, e così era stato.

Ora, però, era il momento di passare ad un altro ricordo.

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Capitolo 2
*** Cap. 2: Friendship ***


Cap. 2: Friendship

Elizabeth era in fila davanti al Cappello Parlante. La professoressa McGranitt aveva appena chiamato Astoria, e lei ovviamente era stata smistata in Serpeverde. Sapeva bene che quella era la Casa a cui anche lei sarebbe stata destinata: del resto, tutta la sua famiglia era Serpeverde, e tutti avevano dato per scontato che anche lei lo sarebbe diventata. La verità, però, era che non era affatto sicura che quella fosse la Casa per lei. Nessuna delle descrizioni che aveva letto al riguardo rispecchiavano completamente il suo carattere, e aveva paura di non trovarsi bene coi propri compagni di classe.

Quando ne aveva parlato con Julian, lui le aveva detto semplicemente di seguire il suo cuore, il punto era che nemmeno lei sapeva ciò che voleva. Forse un'altra Casa avrebbe rispecchiato meglio le sue attitudini, ma Serpeverde rappresentava la sicurezza. Del resto, lì c'era suo fratello, e magari anche tutti gli altri l'avrebbero accettata come una di loro. La sua famiglia sarebbe stata fiera di lei, e non ci sarebbero stati problemi. Tutto sarebbe filato liscio.

Così, non appena la McGranitt chiamò il suo nome e le mise il Cappello sulla testa, la prima cosa che lei disse fu: - Serpeverde.

- Ne sei sicura? - domandò il Cappello. Naturalmente lei non ne era affatto sicura.
- Vuoi essere Smistata a Serpeverde perché condividi i suoi valori, o solo perché tutti si aspettano questo da te?

Elizabeth non riuscì a rispondere, anche se sapeva che la seconda opzione era la più vicina alla verità.

Il Cappello continuò a parlare. - In te vedo tanta voglia di imparare e di impegnarti, oltre ad un cuore buono e leale. Non credo che Serpeverde faccia per te.

Elizabeth strizzò gli occhi. Il Cappello avrebbe emanato il suo verdetto, e il risultato non sarebbe affatto stato quello che sperava.

- Tassorosso!

Un boato si levò dalla relativa tavolata, mentre Elizabeth, quasi tremando, prese posto sulla panca. Cercò di sorridere ai suoi nuovi compagni, ma intanto lanciò uno sguardo al tavolo di Serpeverde. Suo fratello, il bambino che era stato il suo primo compagno di giochi, ora la stava guardando con un'espressione di puro disgusto sul volto.

Sarà dura, pensò Elizabeth, rattristandosi.

*

Elizabeth recuperò la sua coscienza per qualche secondo, ma immediatamente la sua mente si tuffò in un altro ricordo.

Si trovava nelle cucine, e stava piangendo davanti ad un piatto di cupcake e ad una pergamena. I suoi primi mesi ad Hogwarts non erano decisamente stati facili. Aveva cercato di parlare con suo fratello, ma lui sembrava che facesse di tutto per evitarla. Molto probabilmente ora era diventata soltanto una Tassorosso del primo anno da deridere, come se tra loro non ci fosse mai stato nessun legame.

L'unico tipo di contatto con la sua famiglia era stato un regalo, per il suo compleanno. Si trattava di una bellissima penna variopinta. Sarebbe stata molto contenta di questa manifestazione d'affetto da parte della sua famiglia, non fosse stato per il fatto che, alla fine del biglietto di auguri, l'unica firma presente era quella di sua madre.

Aveva sperato perlomeno di trovarsi bene con i suoi nuovi compagni, ma per certi versi non fu così. Aveva tre compagne di stanza: Megan Williams, Karen Matthews ed Anna Smith. In un primo periodo aveva legato con loro, e aveva pensato che, forse, avrebbe potuto trovare in loro la famiglia che aveva perso.

Poi, erano iniziati gli attacchi. Prima il gatto del custode, poi un ragazzo del primo anno di Grifondoro. Era normale che questi avvenimenti instillassero paura negli studenti, dato che non tutti erano purosangue. Tuttavia, anche lei aveva paura. E se il mostro, qualunque cosa fosse, sbagliando, avesse attaccato lei? E se avesse attaccato una qualunque delle sue amiche? I genitori di Megan e Karen erano Babbani.

Alcuni suoi compagni avevano iniziato a guardare il suo stato di sangue con sospetto ed invidia. Lei, intanto, cercava di fare del suo meglio per rassicurare tutti, ma non sempre era facile, anzi. Karen in particolare era un osso duro.

Quella sera avevano litigato. Elizabeth aveva cercato di spiegarle che anche lei aveva paura per loro e che non sopportava la situazione. Karen, in tutta risposta, le aveva urlato contro. "Cosa potrai saperne, tu, che sei purosangue!". La cosa peggiore era che si trattava della verità, e che lei aveva sbagliato a dire qualsiasi cosa, pur con le migliori intenzioni. Avrebbe voluto scusarsi, ma sul momento si era sentita ferita, così era scappata nelle cucine. Aveva tirato fuori una pergamena e la sua nuova penna, così avrebbe potuto scrivere a Julian.

Le sue lettere erano state un raggio di sole, durante quel periodo. Essendo più grande di lei di un anno, sapeva benissimo come ci si sentiva perlomeno a stare via da casa per lo studio, anche se magari non poteva comprendere appieno la sua situazione familiare. Lui aveva dei genitori che lo incoraggiavano e che gli volevano bene; lei aveva un padre che aveva smesso di contattarla nel momento in cui lei era finita nella Casa sbagliata. Come se fosse stata colpa sua, dopotutto.

Tirò su col naso, e addentò un cupcake. Mentre mangiava, sentì la porta che si apriva, e dei passi.

- Elizabeth? Sei qui? - fece una vocina.

Elizabeth si voltò. Una ragazzina bassa e con gli occhiali le si stava avvicinando. Megan.

- Stai bene? Mi dispiace per quello che è successo prima – disse Megan, sedendosi accanto a lei e circondandole le spalle con un braccio. Elizabeth si irrigidì leggermente. Non era molto abituata al contatto fisico, a parte con sua madre.
- Non importa – fece Elizabeth. - Karen ha ragione, io non dovrei dire niente.
- No. A me fa piacere che tu ti preoccupi per noi – disse Megan, sorridendo. - E questa situazione non piace a nessuno, credo che sia normale. Karen si è pentita subito di quello che ha detto, e io sono scesa a cercarti. Dovete fare pace, visto che siamo tutte amiche!

Elizabeth sorrise, tra le lacrime, e si alzò.

- Oh, e che ne dici di portare un bel vassoio di questi cupcake come segno di riconciliazione? Non avevi intenzione di mangiarteli tutti tu, spero!
- Forse! - disse Elizabeth, ridendo. Poi prese il vassoio, e lei e Megan si diressero assieme fuori dalla cucina.


*


Elizabeth ritornò al presente. Avrebbe tanto voluto avere Megan al suo fianco, in quel momento, ma questo non era possibile.

Era strano pensare che, se al momento del suo Smistamento avesse insistito per diventare una Serpeverde, molto probabilmente non avrebbe mai conosciuto la sua migliore amica. Ne era valsa la pena, anche soltanto per lei. Per quanto forse sarebbe stata capace di adattarsi ai Serpeverde, nulla avrebbe mai potuto sostituire l'affetto e il supporto che Megan le aveva sempre dato, sin da quella sera nelle cucine.

Tuttavia, non era il caso di rimuginarci troppo, perché pensarci prima di aver concluso il suo percorso l'avrebbe convinta a fermarsi, ed era una cosa che voleva evitare.

Così, Elizabeth andò avanti col terzo ricordo....

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Capitolo 3
*** Cap. 3: Surprise ***


Cap. 3: Surprise

Era seduta dentro la tenda, e stava leggendo un pesante tomo. “Numerologia e Grammatica”. Il modo in cui l'aveva ottenuto era stato alquanto curioso. L'aveva trovato sul pavimento, davanti alla porta di camera sua. Era incartato, e assieme ad esso c'era un biglietto. Il messaggio non era nulla di particolare, un semplice “Per Elizabeth”; la cosa strana era che, a giudicare dalla grafia, quel regalo arrivava da suo fratello.

Il suo rapporto con Edgar, come c'era da aspettarsi, era cambiato parecchio da quando lei era arrivata ad Hogwarts. Rendendosi conto che i suoi sforzi per tentare di recuperare il loro legame erano stati vani, Elizabeth aveva deciso di appoggiarsi soltanto ai suoi nuovi amici, e lasciar perdere un fratello che non voleva più saperne niente di lei. Ovviamente la cosa le faceva male, ma non poteva certo piangerci su per sempre.

Tuttavia, nel corso degli ultimi due anni, aveva notato qualcosa. A volte, durante le cene, le capitava di lanciare uno sguardo verso il tavolo dei Serpeverde. Spesso e volentieri scopriva suo fratello ad osservarla, quasi come se, pur da molto lontano, la stesse controllando. Non aveva paura di lui, ma sperava che, se davvero non si trattava soltanto di una coincidenza, le sue intenzioni fossero buone. Magari non era così disgustato da lei come voleva far credere.

Il regalo sembrava una conferma delle sue teorie. La sua passione per la matematica non era mai svanita, e quando dovette scegliere le materie da seguire durante il terzo anno Aritmanzia fu la prima che inserì nell'elenco. Regalarle il libro di testo era stata una manifestazione di attenzione.

Naturalmente, Elizabeth aveva cercato di parlarne con lui, ma lui aveva negato tutto. Era strano: se quello era un modo per farle vedere che in qualche modo teneva ancora a lei, perché non mostrarlo apertamente?

- Ehi! - esclamò Megan, entrando nella tenda. - Perché non metti giù quel librone? Tra poco si mangia, e poi dobbiamo iniziare ad andare verso lo stadio!

Elizabeth rise. Megan era così eccitata per quella finale... adorava il Quidditch, e per tutta l'estate non aveva fatto altro che parlare di come, una volta rientrate a scuola, avrebbe fatto i provini per entrare nella squadra. Quanto a lei, lo sport le era abbastanza indifferente, ma come poteva resistere alla sua migliore amica che le faceva gli occhi dolci? Da qualche parte nell'accampamento c'era anche la sua famiglia, ma lei si era trasferita nella tenda di Megan alla prima occasione. Era una comunissima tenda babbana, ma era comoda e, nonostante fossero ancora confusi da tutta la situazione, i genitori di Megan avevano fatto di tutto affinché lei fosse a suo agio.

- Perché è interessante! - disse lei, mostrandole la pagina sulla Tabella Pitagorica. Era affascinante sapere che anche le formule magiche potevano essere ricondotte a dei numeri, ma Megan non condivideva il suo entusiasmo.

- A proposito di interessante... - fece Megan, cambiando tono di voce - c'è un ragazzo, qua fuori, che ti sta cercando... se è chi penso io, direi che ti conviene proprio staccarti da quel mattone!

Un ragazzo? pensò Elizabeth, uscendo dalla tenda. Ma chi può... oh.

Impiegò qualche secondo a registrare chi si trovasse davanti a lei. Un ragazzo alto, dai capelli neri e gli occhi azzurri, che le stava sorridendo con calore. Era cambiato parecchio, in quei due anni in cui non si erano visti. E, cavoli, era diventato proprio un bel ragazzo.

- Jules! - esclamò Elizabeth, correndogli incontro.
- Liz – fece lui, abbracciandola. Poi, la baciò sulle guance, come era solito fare in Francia. Elizabeth si sentì arrossire.
- Non mi avevi detto che saresti venuto qui! – fece Elizabeth. Il cuore le batteva forte.
- Beh, la finale della Coppa del Mondo di Quidditch è un evento importante... nonché un'ottima occasione per fare una sorpresa alla mia migliore amica!

Elizabeth sorrise, continuando ad abbracciarlo. Era come se volesse recuperare il tempo in cui erano stati lontani.

- Sono così felice che tu sia qui!
- Ahem – fece Megan, che era dietro di loro. - Io sono ancora qui, eh!
- Oh, scusa – disse Elizabeth, sciogliendo l'abbraccio. - Julian, lei è Megan, la mia migliore amica.

I due si strinsero le mani. Elizabeth era così felice di vedere due delle persone più importanti della sua vita fare conoscenza.

- Ora vi lascio soli, devo aiutare mamma con la cena. A dopo! - disse Megan, facendo loro l'occhiolino. Elizabeth scosse la testa.

- Come stai? - le chiese Julian. Era più una domanda di cortesia, dato che non avevano mai smesso di sentirsi, almeno via lettera.
- Ora sto di sicuro bene – rispose lei. - Sono in buona compagnia! E tu?

Julian fece uno dei suoi sorrisi calorosi, ed Elizabeth sentì una strana sensazione allo stomaco. Le farfalle. Ecco di cosa si tratta. Arrossì, e scacciò via quel pensiero. Lui era il suo migliore amico, del resto. Un migliore amico figo, ma pur sempre amico.

- Sono qui, pronto a guardare una bella partita di Quidditch con la ragazza che preferisco di più al mondo. Posso chiedere di più?

La ragazza che preferisco di più al mondo”... beh, era un inizio.

Parlarono come se non si fossero mai separati, camminando a braccetto. Julian le raccontò di come passasse le sue serate assieme al padre, andando in un osservatorio astronomico ad imparare quanto più potesse sulle stelle e sullo spazio.

- Sarai un asso in Astronomia – disse Elizabeth.
- È la mia materia preferita – rispose lui. - Se non fosse stato per la magia, credo che mi sarebbe piaciuto molto diventare un astronauta.
- Uno di quei Babbani che volano per lo spazio, giusto?
Julian rise, probabilmente a causa della sua definizione molto limitata di “astronauta”. - Sì, uno di loro.
- Non so che carriere babbane prevedano l'utilizzo della matematica, ma io ho deciso di seguire Aritmanzia, quest'anno – disse Elizabeth, con orgoglio. - Ed è stato tutto grazie a te e al primo libro che mi hai prestato.
- Oh, davvero? Ne sono molto felice – rispose lui, poi la trascinò verso la tenda dei suoi genitori.

I signori Beaumont furono molto felici di vederla. La prima cosa che la madre di Julian fece, ovviamente dopo averla abbracciata, fu darle un regalo.

- Spero di aver scelto bene – disse la donna, mentre lei apriva il pacchetto. Dentro c'era un bel cerchietto per i capelli, con sopra attaccato un piccolo fiocco di colore blu.
- L'ha fatto a mano – disse Julian, alzando gli occhi al cielo. - Voleva che si intonasse ai tuoi begli occhi, così, visto che il colore è simile a quello dei miei, me l'ha fatto provare un sacco di volte finché non era soddisfatta dalla tonalità.

Elizabeth scoppiò a ridere. Immaginare Julian con un cerchietto in testa era estremamente divertente.

- Beh, per fortuna non devo solo immaginare la scena! - disse la ragazza, posando a tradimento il cerchietto sulla testa del ragazzo. - Grazie, signora Beaumont! - disse, mentre Julian si lamentava.
- Te l'ho già detto, tesoro, puoi chiamarmi Marie – disse la donna, con affetto. - Richard! - urlò, rivolta verso il retro della tenda. - Elizabeth è appena arrivata! Ovviamente – tornò a rivolgersi verso la ragazza – cenerai con noi, prima della partita, vero?
- Non lo so – fece Elizabeth – insomma, c'è anche Megan....
- Vai a chiamarla – disse Julian. - Siete entrambe invitate.

Mangiare assieme ai Beaumont e a Megan fu stupendo. Il padre di Julian e Megan avevano qualcosa in comune: la passione per i film di fantascienza. Ne parlarono durante tutta la cena, e furono decisamente scioccati quando Elizabeth disse loro di non avere alcuna idea di cosa Star Wars fosse. Ovviamente, Megan si offrì volontaria per guardare con lei tutta la serie, e lei accettò, perché era proprio curiosa di sapere che cosa ci fosse di così entusiasmante.

Dopo cena, si diressero tutti assieme verso lo stadio. Nonostante lo sport non fosse proprio la sua passione, l'entusiasmo di Megan (la quale non faceva altro che saltellare da una parte all'altra con aria eccitata) era contagioso, ed Elizabeth non vedeva l'ora di godersi la serata....

*

Erano sedute sui loro sacchi a pelo, dentro la tenda. Megan era sotto l'effetto dell'euforia post-partita, e se solo ci fosse stato abbastanza spazio, probabilmente si sarebbe messa a ballare. Invece, si stava accontentando di canticchiare.

- L'Irlanda ha vin-to! E Lizzie ha un ragaz-zo! - fece l'amica, ridendo.
- Oh, smettila! - disse Elizabeth, tirando un piccolo pugno all'amica. Stava diventando bordeaux. - Jules non è il mio ragazzo, è solo il mio migliore amico!
- Certo. Anche se appena l'hai visto ti sono venuti gli occhi a cuoricino? Avanti, non dirmi bugie!

Era ovvio che Megan si fosse accorta del suo repentino cambio di espressione non appena aveva visto Julian. Persino lei era rimasta scioccata. L'ultima volta in cui si erano visti, entrambi erano ancora dei bambini, e adesso... beh, lui era sicuramente cambiato, e decisamente in meglio. Due anni prima, di certo non si sarebbe mai soffermata a contemplare la profondità dei suoi occhi, o il suo sorriso... per non parlare del fatto che, anche caratterialmente parlando, era un ragazzo d'oro. Forse si stava davvero beccando una bella cotta per lui....

- Insomma, è molto carino, però....

Furono interrotte da delle urla.

- Cosa succede? - chiese Megan, spaventata.
- Non lo so, ma restiamo qui – fece Elizabeth.

Sentirono una serie di passi, come se un sacco di gente stesse correndo accanto a loro. Ad un tratto, la tenda si aprì, e una figura fece capolino.

- M-mamma? - mormorò Elizabeth, stupita.
- Uscite fuori, subito – disse la donna. - Megan, i tuoi genitori sono qui con me.

Corsero entrambe fuori, senza nemmeno cambiarsi. Si mossero tra le tende, mentre le urla e il rumore degli incantesimi risuonavano attorno a loro. Poco più avanti stava succedendo qualcosa, e quando Elizabeth si rese conto di che cosa si trattasse, si bloccò.

Vi erano una serie di figure nere incappucciate, che tenevano in alto le bacchette. Elizabeth, pur non avendoli mai visti, li riconobbe subito per ciò che erano. Mangiamorte. Con le loro bacchette stavano facendo levitare alcune persone, trattandoli come burattini. Si trattava della famiglia che gestiva il campeggio. Babbani.

- Elizabeth, non fermarti! - gridò sua madre, trascinandola per un braccio.

Continuarono a correre finché non raggiunsero la foresta. Anche Julian e la sua famiglia erano lì con loro. Non appena si fermarono, Elizabeth scoppiò a piangere tra le braccia della madre. Vedere quei Mangiamorte l'aveva spaventata.

Sua madre le accarezzò i capelli, mentre lei riprendeva coscienza di ciò che la circondava. Attorno a lei c'erano Julian e Megan, con le rispettive famiglie; c'erano sua madre ed Edgar, oltre ad un altro gruppo di persone. Mancava qualcuno.

- Mamma, dov'è papà? - domandò.
Sua madre continuò ad accarezzarle i capelli. Sembrava quasi che non volesse risponderle. - Tesoro....

Poi, Elizabeth ricordò qualcosa. Durante la prima guerra magica, prima che lei nascesse, la sua famiglia aveva avuto a che fare con Colui-che-non-deve-essere-nominato, tanto che suo nonno era morto in battaglia. Suo padre non aveva mai menzionato nulla riguardo un suo eventuale coinvolgimento, ma Elizabeth era sempre stata sicura che, nonostante tutto, lui di trovasse dalla parte degli innocenti.

Alzò gli occhi, ed incontrò lo sguardo triste di sua madre. Questo bastò a far crollare ogni sua certezza.

*

Davanti al Pensatoio, Elizabeth ricordò la delusione che aveva provato in quel momento. Suo padre aveva sempre avuto delle opinioni sul mondo che non le erano sembrate giuste. Aveva cercato di inculcare quegli ideali anche nei suoi figli, ma con lei non ci era riuscito. Tuttavia, mai aveva potuto immaginare che avrebbe agito di conseguenza.

Alla fine del suo terzo anno di scuola aveva visto Harry Potter uscire fuori dal labirinto usato per la terza prova del Torneo Tremaghi, portandosi dietro il corpo di Cedric Diggory. Potter aveva detto che Colui-che-non-deve-essere-nominato era tornato.

Elizabeth, almeno inizialmente, era indecisa se credergli o meno. Quello che era certo era che quell'estate suo padre aveva passato molto tempo fuori casa, e non per lavoro. Una parte di lei avrebbe voluto scappare via assieme a sua madre; il problema era che dipendevano completamente da suo padre dal punto di vista economico, e lei era soltanto una quattordicenne impaurita da ciò che suo padre avrebbe potuto fare se avesse scoperto la loro fuga. Così entrambe, madre e figlia, rimasero in quella casa.

Elizabeth si tuffò in un altro ricordo.

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Capitolo 4
*** Cap. 4: Coward ***


Cap. 4: Coward

Le due ragazze erano rintanate nella loro Sala Comune, senza alcuna intenzione di uscire. Avevano dato loro la possibilità di combattere, ma Megan stava tremando di paura, ed Elizabeth... con suo grande disappunto, semplicemente non aveva avuto il coraggio di farlo. L'anno prima si erano unite all'Esercito di Silente, ed entrambe si erano sentite invincibili, ma nel momento in cui avevano sentito i Mangiamorte che penetravano nella scuola il loro coraggio era venuto meno.

Megan stava piangendo, raggomitolata su una poltrona.

- Elizabeth – disse, tra i singhiozzi. - Secondo te moriremo tutti?

Elizabeth si avvicinò all'amica, e la abbracciò. Aveva paura anche lei, ma doveva cercare di tranquillizzare Megan. - No – disse. - Andrà tutto bene, non preoccuparti. E se riusciranno ad entrare qui, io ti proteggerò.

Quanta coerenza, pensò. Parlare di proteggere qualcuno quando ci si è appena tirate indietro per pura paura.

Potevano sentire i rumori della battaglia, poco distanti da loro. Ogni esplosione le faceva sobbalzare. Cercò in tutti i modi di non pensare che sarebbe bastato veramente poco per permettere ai Mangiamorte di irrompere nel dormitorio, a giudicare dai boati. Erano abbastanza vicini all'ingresso, del resto. Sarebbe bastato un incantesimo molto potente, e la porta sarebbe stata demolita.

No, non pensarci. Se ci avesse rimuginato su ancora per molto, sarebbe finita a piangere come Megan. Di solito era sempre lei quella che non si preoccupava, quella che cercava sempre di tirarle su il morale. Era uno dei pilastri della sua vita. Ma ora, di fronte alla paura della morte, quel pilastro era crollato, e toccava a lei aiutarla.

Per un attimo desiderò avere Julian accanto a sé. Lui le avrebbe detto che tutto sarebbe andato bene, e lei si sarebbe persa nel suo abbraccio, dimenticando per un attimo la paura della morte. Aveva covato dei sentimenti per lui sin dal giorno della finale della Coppa del Mondo, e aveva passato quell'anno attendendo le vacanze, perché con sua madre e suo fratello sarebbero dovuti tornare in Francia. Ora, però, non sapeva se l'avrebbe mai più rivisto.

Megan si strinse a lei, cercando di respirare regolarmente. Piano piano si stava calmando, e il graduale diminuire dei rumori provenienti da fuori stava contribuendo.

Ad un tratto, la porta della Sala Comune si aprì, e due studentesse del settimo anno entrarono. Avevano un'espressione abbattuta, ma sembravano illese. Furono accolte da un mormorio generale.

- È finita – disse una di loro. - Ma Silente è morto.

Il silenzio cadde sulla stanza.

*

La giovane donna si ritrovò a fissare il liquido argenteo. Il momento in cui avevano sentito della morte del loro preside fu probabilmente il momento in cui la bolla protettiva in cui avevano vissuto per cinque anni scoppiò. Ricordò le reazioni dei suoi compagni alla notizia, il caos che si era creato non appena quella ragazza aveva finito di parlare. Avevano vissuto con la certezza che Silente fosse l'unico mago di cui Tu-Sai-Chi avesse mai avuto paura, dunque era l'unico che potesse sconfiggerlo, specialmente dopo che il suo ritorno era stato confermato.

Ricordò che Megan aveva ripreso a piangere, e che tutti si erano sentiti completamente senza difese.

Elizabeth stava piangendo. Pensava all'ultimo ricordo che avrebbe dovuto affrontare. Quello più duro, ma allo stesso tempo più importante. In quel momento provò un forte desiderio di smetterla, e di uscire da quella stanza senza finire il suo percorso. Era una cosa che le era capitata tutti gli anni, ma era sempre riuscita a farsi forza.

Così, fece un lungo respiro e andò avanti. Dopotutto, non tutti i ricordi di quel periodo erano stati pieni di dolore....

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Capitolo 5
*** Cap. 5: Blue As Your Eyes ***


Cap. 5: Blue As Your Eyes

- Sono deliziosi - disse Julian, addentando un muffin. Elizabeth sorrise, piena di orgoglio. Aveva chiesto agli elfi domestici della scuola come si preparassero, giusto l'anno prima. Quella sera ne aveva fatto un'infornata, per farli assaggiare a Julian. Lui sembrava adorarli.

Erano seduti sul tetto della casa di Julian, a guardare le stelle. Il signor Beaumont aveva prestato loro un telescopio, ma dato che, anche a causa dei loro studi, conoscevano bene l'aspetto delle stelle, si erano limitati ad osservare il cielo ad occhio nudo, seduti l'uno accanto all'altro.

- Sai, mia madre ha scoperto che tuo padre è un Babbano - disse lei, improvvisamente.
Julian le accarezzò una guancia. - Ha... ha detto qualcosa?
- Non proprio - fece Elizabeth. - Quello ad arrabbiarsi è mio padre, anche se ora passa più tempo fuori che con la sua famiglia. Mi ha solo detto di non affezionarmi troppo.

Consiglio inutile, dato che era innamorata cotta di lui da secoli.

- Davvero? E cosa intendeva, con questo?
- Non lo so, ma credo che includesse anche il guardare le stelle assieme, di notte. Infatti, per lei adesso io sarei a letto.
- Oh, e io che pensavo ben altro! - fece lui, ridendo.

Elizabeth scosse la testa, arrossendo. Era ovvio che sua madre intendesse ben altro, e che quel ben altro fosse esattamente ciò che lei desiderava da lui. Si era comportato in maniera strana, quell'estate. Il modo in cui la guardava, la abbracciava, le sorrideva... tutto le era sembrato diverso, quasi come se Julian avesse voluto darle una speranza.

A volte lei scacciava via quei pensieri, pensando alla fila di ragazze molto più carine di lei che lui di sicuro conosceva; altre volte, invece, il suo sogno di diventare più di un'amica sembrava quasi avvicinarsi alla realtà. O, forse, era soltanto lei che vedeva tutto attraverso le lenti rosa dell'amore.

Comunque, aveva giurato a se stessa che, se lui non si fosse fatto avanti, durante l'ultimo giorno che avrebbero passato assieme lei avrebbe confessato i suoi sentimenti. Se il loro destino fosse stato quello di stare assieme, tanto meglio; altrimenti con un pizzico di fortuna sarebbero potuti almeno restare amici.

- Continuerò a sgattaiolare fuori dalla mia camera tutte le notti, se questo significa passare più tempo con te - disse Elizabeth, abbracciandolo.
- Sono felice che tu la pensi così. Anche se non dovresti rischiare. Tua madre ti vuole bene, dopotutto, e si fida di te. Dopo quello che è successo con tuo padre, forse dovresti tenertela stretta. Lei è la tua famiglia.
- Non mi importa. Voglio passare con te ogni ora a mia disposizione. Tu sei il mio... oh.

Le parole le morirono in gola. Voleva dire migliore amico, naturalmente. Il problema era che, nel suo cuore, lui era molto, molto di più, e in quell'attimo il suo corpo si era rifiutato di raccontare una bugia. Era diventata tutta rossa.

- Elizabeth, guardami negli occhi - disse Julian, con decisione.

La ragazza obbedì, e i suoi occhi si specchiarono in quelli di Julian, così identici ai suoi.

- Non so cosa volesse dire questa tua esitazione... - continuò il ragazzo - ... ma c'è qualcosa che devo dirti.

Elizabeth annuì. Era nervosa, adesso.

- Sei bellissima - disse lui, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Il cuore di Elizabeth si mise a fare le capriole. - L'ho pensato nel momento in cui ti ho vista uscire da quella tenda, durante la finale della Coppa del Mondo. L'avrei pensato il primo momento in cui ti ho vista, se solo fossimo stati più grandi.
- Grazie - fece Elizabeth, arrossendo furiosamente.
- Non ho finito - disse il ragazzo. - Ti sembrerà strano, del resto ci siamo visti per così poco tempo. Ma ci siamo conosciuti, no? Perlomeno attraverso le nostre lettere. Non ho mai conosciuto nessuna come te, Elizabeth. E ora... sì, credo di poterlo dire.

Il cuore di Elizabeth smise di scalpitare furiosamente. Per un attimo, forse, smise proprio di battere.

- Sono innamorato di te. Amo la tua voce, amo il tuo modo di sorridere. Amo i tuoi occhi, e potrebbe sembrare una cosa narcisistica, visto che sono uguali ai miei....
- Stupido - disse Elizabeth, buttandogli le braccia al collo.

Il secondo dopo, lo stava baciando. Lui la strinse per i fianchi, rispondendo al bacio con entusiasmo. Elizabeth si perse tra le sue labbra. Quel bacio sapeva di cioccolato, proprio come i suoi muffin....

Si separarono per riprendere fiato. - Ti amo anch'io, Jules - mormorò lei. Non poteva dire di essere mai stata più felice in tutta la sua vita.

Julian la baciò con tenerezza. - Ho aspettato tutta l'estate per dirtelo, scusami - disse.
- Non importa - fece Elizabeth, sorridendo. - E poi, nemmeno io sono da meno.

Era vero. Se avesse seguito l'istinto, l'avrebbe baciato già due anni prima. Ma ora tutto questo non aveva importanza. Si amavano, e tutto il resto non contava niente.

Rimasero tutta la notte sdraiati sul tetto, abbracciati; quando videro le prime luci dell'alba, però, Elizabeth a malincuore si tirò su.

- Devo andare. Se mia madre si dovesse accorgere della mia assenza sarebbe la fine - disse la ragazza, raccogliendo il vassoio vuoto dei muffin.

Con un po' di delusione, Julian la accompagnò giù, fino alla porta di casa sua.

- Ci vediamo dopo - disse Elizabeth, facendo per uscire.

Julian però la bloccò, abbracciandola e dandole un bacio che le fece sciogliere il cuore. - Ci vediamo stanotte - le disse, a fior di labbra.

*

Elizabeth chiuse il suo baule. Il giorno dopo sarebbe partita per Hogwarts. Ancora non poteva Smaterializzarsi, ma lì vicino ci sarebbe stata una Passaporta che l'avrebbe portata a King's Cross, preparata apposta per permettere ai vacanzieri inglesi del paese di restare lì fino all'ultimo giorno d'estate.

Non sapeva se avrebbe rivisto Megan. L'ultima volta che l'aveva sentita, le aveva scritto che stava partendo. Giravano voci secondo cui alcuni Nati Babbani erano stati arrestati per aver “rubato” la magia, e lei voleva essere al sicuro. Aveva detto che avrebbe cercato di tornare ad Hogwarts o ad Hogsmeade di nascosto, per vederla. Elizabeth aveva cercato di informarsi sui Nati Babbani che venivano catturati, ma il nome di Megan, con suo grande sollievo, non era mai spuntato fuori.

Il rumore della porta della sua camera che si apriva la fece sobbalzare. Sulla soglia c'era suo fratello.

- ... Edgar? - fece lei, sorpresa. Lui le parlava solo se strettamente necessario, dunque era strano vederlo in camera sua.
- Non andare - le disse. Sembrava molto serio.
Elizabeth lo osservò, stupita. - Perché mi stai dicendo questo?
- Non è sicuro - rispose lui.
- Edgar, ci saranno i miei amici, lì. Ed è pieno di insegnanti che possono proteggerci. Sarò al sicuro - disse, cercando di convincere anche se stessa. - Tu resterai qui?
Vide un lampo di incertezza negli occhi di Edgar. - Sì - rispose lui, con fermezza. - Dovresti farlo pure tu.
- Stai diventando protettivo nei miei confronti?
- Nemmeno mamma vuole che tu vada. E poi, sei mia sorella.
Che coraggio, pensò Elizabeth. - Beh, hai deciso un po' tardi di comportarti da fratello, non trovi? - disse, irritata.
Edgar scosse la testa, e fece per uscire dalla stanza. - Non dirmi che non ti avevo avvertito – disse, fermandosi sulla soglia. Poi, sparì.

Anche sua madre le fece visita. A differenza di suo fratello, però, si sedette sul letto, e iniziò a parlarle con dolcezza.

- So che cosa sta succedendo, tra te e quel ragazzo che abita qui – disse.

Elizabeth trasalì. Aveva fatto di tutto per mantenere la cosa segreta, ma era stato evidentemente inutile. Ovviamente non le importava che sua madre non fosse d'accordo, ed era pronta a difendere il suo amore.

- Da qualche giorno sembri così felice, tesoro. E so che la notte scappi via dalla tua camera per stare con lui – continuò.

Elizabeth si preparò alla sgridata, ma questa non arrivò.

- Non so bene cosa significhi essere innamorati. Ho imparato ad apprezzare tuo padre, col tempo, ma non credo che sia la stessa cosa. Tu sei molto fortunata. Ti vuole molto bene, quel ragazzo?

Elizabeth annuì. - Ci amiamo – disse.

- E sono certa che questo continuerà anche dopo la guerra – disse sua madre, facendo un piccolo sorriso. - Potreste avere un futuro, una volta che sarà finita. A differenza della me diciassettenne, tu non hai nessun altro legame qui, e potrai andartene ed essere felice. Ma quella felicità potrebbe non esistere, se tornerai ad Hogwarts. I Mangiamorte potrebbero attaccare la scuola, e allora non so se il tuo cognome potrà salvarti. Potresti morire!

Elizabeth ricordò il senso di paura che aveva provato soltanto qualche mese prima, e pensò a quanto si fosse sentita codarda nel restare chiusa nel dormitorio, aspettando solamente che qualche Mangiamorte venisse a tirarla fuori di lì. Non voleva che questo succedesse di nuovo. Se fosse stato necessario, avrebbe combattuto.

- Io... voglio stare con i miei amici, mamma. Megan ha detto che avrebbe cercato di tornare ad Hogwarts, e io dovrò esserci, se questo capiterà. È la mia migliore amica!
Sua madre si alzò. Quando parlò, si rivolse a lei in modo autoritario. - Non m'importa – disse. - Ti proibisco di tornare.

Non aggiunse altro. Se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé. Intanto, Elizabeth aveva preso una decisione. Sarebbe sgattaiolata via, come tutte le notti, ma stavolta si sarebbe portata dietro il baule. Julian l'avrebbe aiutata a raggiungere Hogwarts, ne era certa.

Tuttavia, con sua grande frustrazione, quando quella notte cercò di aprire la porta di camera sua notò che era stata sigillata. Aveva provato ad aprirla utilizzando la magia, ma evidentemente sua madre aveva preso precauzioni.

Le restava solo una cosa da fare: scappare dalla finestra. Non fu difficile calare giù il baule; trovandosi al terzo piano, però, sarebbe stato piuttosto complicato per lei saltare senza farsi del male. Esistevano degli incantesimi per questo, ma non erano stati ideati per essere evocati su se stessi. L'unica cosa che poteva fare era calarsi giù utilizzando i rami degli alberi che si affacciavano sulla sua stanza. Era da quando aveva undici anni che non si arrampicava da nessuna parte, ma avrebbe dovuto provarci.

Facendo molta attenzione, riuscì a tornare coi piedi per terra e con le ginocchia non troppo graffiate. Prese il baule, e corse verso casa di Julian.

Mi dispiace, mamma, pensò, senza guardarsi indietro.

*

Il ricordo del suo primo bacio era sempre la parte più dolce del suo percorso. In un certo senso, sua madre aveva avuto ragione, perché forse il suo rapporto con Julian era la cosa più bella che fosse mai esistita nella sua vita. Era stata davvero fortunata.

Ora doveva soltanto prepararsi ad affrontare l'ultimo ricordo. C'era un motivo ben preciso per cui il ricordo della loro dichiarazione d'amore fosse il penultimo, e non era solo una questione di ordine cronologico. Il boccone dolce serviva ad addolcire l'amaro della medicina, e quel ricordo felice serviva a prepararla meglio per l'ultimo.

Chiuse gli occhi.

Sono pronta.

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Capitolo 6
*** Cap. 6: The Second Of May ***


Cap. 6: The Second Of May

I lampi degli incantesimi la accecavano, e le grida degli studenti le riempivano le orecchie. Era confusa, e non sapeva bene cosa fare. Questo era ciò da cui l'avevano messa in guardia sua madre e suo fratello. Lei era stata testarda, e non aveva seguito il loro consiglio. Come aveva promesso a se stessa, quella volta aveva scelto di combattere per la sua scuola.

Aveva perso il conto degli incantesimi che aveva lanciato. Fino a quel momento poteva dire di essersi difesa abbastanza bene. Ora, il suo obiettivo era trovare Megan.

L'aveva riabbracciata soltanto poche ore prima, anche se ormai le sembrava un'eternità. Era riuscita ad entrare ad Hogwarts grazie ad un passaggio ricavato da un ritratto appeso alla Testa di Porco, ad Hogsmeade. Poco dopo i saluti, però, la battaglia aveva iniziato ad infuriare, e l'aveva persa di vista. Avrebbe dovuto proteggerla, e ora nemmeno riusciva più a trovarla.

Elizabeth pensava di aver provato paura, l'anno prima; nulla, però, avrebbe mai potuto superare ciò che stava provando in quel momento, vedendo i corpi degli studenti sparpagliati sul pavimento, col timore tremendo che il volto di uno di essi potesse essere quello della sua migliore amica....

Raggiunse la Sala Grande, il fulcro della battaglia. L'aria era piena delle urla di chi stava duellando. Tenendo la bacchetta tesa davanti a sé, i suoi occhi continuarono a cercare l'amica, tra i lampi e la massa di mantelli neri che volteggiavano. E, finalmente, la vide.

Stava duellando con un Mangiamorte, il braccio della bacchetta che tremava davanti a lei. Indietreggiava sempre di più, mentre il Mangiamorte torreggiava su di lei. Era visibilmente spaventata, stava piangendo. Elizabeth accelerò, dirigendosi verso di lei. Doveva aiutarla, doveva proteggerla. Avrebbe messo da parte ogni sua paura, per lei.

Schivò alcuni incantesimi; l'adrenalina la rendeva molto più agile di quanto fosse realmente. Resisti, Megan. Sto arrivando.

Sentì una voce, tra le tante. Una voce che le sembrò vagamente familiare.

- Avada Kedavra!

Elizabeth vide Megan volare, colpita da un lampo di luce verde. Cadde per terra, in maniera quasi aggraziata, il suo corpo completamente inerte.

Elizabeth non sentì l'urlo di dolore che uscì dalla sua bocca. Non sentì le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. Sentiva soltanto il suo cuore che batteva all'impazzata, pieno di rabbia e di dolore. Le sembrava che il tempo si fosse fermato, mentre correva verso il corpo dell'amica, buttandosi in ginocchio accanto a lei. Gli occhi di Megan erano sgranati, le lacrime di paura ancora fresche sulle sue guance.

- Che cos'hai fatto? - urlò, puntando la bacchetta verso il Mangiamorte.

Impiegò una frazione di secondo per capire di chi si trattasse. Se la sua voce le era sembrata familiare, c'era un motivo.

- Edgar....

Suo fratello. Suo fratello aveva ucciso Megan.

La sua bacchetta era puntata verso di lei, e lei non accennò ad abbassare il braccio.

- Come... hai... potuto....

La voce di Elizabeth non riusciva ad esprimere tutto ciò che stava provando. Sentiva come un fuoco, dentro di lei, una tempesta di emozioni. Delusione. Dolore. Rabbia. Ultimo, ma non meno importante, il desiderio di vendetta. Lui aveva ucciso Megan, e doveva pagare. Poco importava che fosse sangue del suo sangue.

In pochi attimi, uno di loro due avrebbe lanciato un incantesimo, e il duello sarebbe finito. Lei cos'avrebbe fatto? Sarebbe morta, lasciando suo fratello alla giustizia o a qualcuno di più abile di lei? Oppure avrebbe seguito quell'istinto irrazionale che voleva farle urlare quelle due parole, perché sentiva che questo era ciò che lui si meritava?

O io, o lui.

- Avada Kedavra!

Elizabeth aveva fatto la sua scelta.

*

- Elizabeth?

Era sempre così, tutti gli anni. Dopo aver finito il suo percorso, restava seduta sul pavimento, a piangere. Poi, dopo pochi minuti di solitudine, sentiva delle braccia forti che la stringevano, e Julian era con lei.

Era stato lui a trovarla, in un angolo della Sala Grande, mentre, in stato di shock, teneva stretto a sé il corpo di Megan. Non appena aveva saputo della battaglia si era precipitato ad Hogwarts per assicurarsi che stesse bene.

- Va tutto bene, Jules. Stai tranquillo – gli rispose, la voce ancora rotta dal pianto.
- Non devi farlo tutti gli anni – disse lui, preoccupato.
- È la cosa giusta – fece lei, mentre Julian la aiutava ad alzarsi.

Era stato lui a consolarla, quando di notte si svegliava urlando per gli incubi. Per un lungo periodo, non appena cercava di addormentarsi la sua mente le presentava gli occhi sgranati di Megan, o lo sguardo sorpreso di suo fratello nell'attimo in cui fu colpito dall'Anatema che Uccide. Incantesimo che lei aveva lanciato. Grazie a Julian, lentamente, si era rialzata, e aveva ripreso a vivere.

Il giovane le toccò la pancia, con amore. - La nostra piccola sta bene?
Elizabeth sorrise, asciugandosi le lacrime. - Adele sta benissimo. Non ci sono controindicazioni sull'uso del Pensatoio durante la gravidanza, te l'ho detto un sacco di volte!

Ed, infine, Julian le aveva fatto il regalo più grande della sua vita. Dopo la battaglia, Elizabeth era rimasta senza famiglia. Suo padre era stato ucciso da un Auror, mentre sua madre, all'ultimo momento, aveva deciso di abbandonare il suo rifugio per contribuire alla difesa di Hogwarts. Era caduta in battaglia.

Le aveva sempre voluto bene, nonostante a volte fosse stata brusca con lei. Probabilmente durante la battaglia la stava cercando, così come lei aveva fatto con Megan. Ad Elizabeth dispiaceva moltissimo che sua madre non avesse avuto la possibilità di vedere sua nipote. Per ricordarla, aveva deciso di chiamare la piccola come lei.

Julian l'aveva portata a casa sua, e si era preso cura di lei, senza smettere di amarla neanche per un secondo, nemmeno nei momenti peggiori. Lei era guarita, e due anni prima, in un bel giorno di primavera, si erano sposati. Ed in quel momento dentro di lei c'era una nuova vita, una creatura che, in pochi mesi, avrebbe richiesto tutte le loro energie e il loro amore. Non avrebbe mai smesso di ringraziare Julian per tutta quella felicità.

Elizabeth entrò in bagno per darsi una sistemata. Dopo il percorso dei ricordi, l'unica cosa che restava da fare era visitare il cimitero. Aveva già preparato i fiori: un bel mazzo di rose, rigorosamente di colore rosa. Provenivano dal loro giardino, ed Elizabeth le aveva piantate apposta.

Finì di pettinarsi i capelli. Era pronta ad uscire.

*

Lasciò andare la mano di Julian soltanto quando si trovò davanti alla lapide. Era molto semplice: sopra aveva applicata soltanto una foto di Megan sorridente, oltre alla sua data di nascita e alla data di morte. Sulla tomba c'era un bellissimo mazzo di fiori di malva.

I suoi genitori devono essere passati poco fa.

Elizabeth posò le rose vicino ai fiori di malva, poi si inginocchiò, e abbracciò la lapide. Sapeva che era una cosa stupida da fare, ma era l'unico modo che aveva di essere vicina alla sua amica. Senza nemmeno accorgersene, aveva ricominciato a piangere.

- Scusami, Megan. Scusami – disse, singhiozzando. Come ogni anno, un solo pensiero le attraversava la mente: se solo fossi arrivata qualche secondo prima, forse quel raggio verde non ti avrebbe colpita, e tu saresti accanto a me, viva. Saresti stata la mia damigella d'onore, saresti stata la madrina di Adele. Ogni anno, ritornava la sensazione di aver fallito completamente. Aveva giurato a se stessa che l'avrebbe protetta, e non era riuscita a farlo.


Ma, come ogni anno, dopo qualche minuto di crisi una sensazione di calma la pervase, come se, in qualche modo, Megan avesse trovato il modo per rispondere al suo abbraccio. Le sembrava quasi di riuscire ad udire la sua voce, almeno nella sua mente.

Ti voglio bene, diceva.

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