Come vita e temporali

di nelnerodellanotte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Maggie ***
Capitolo 2: *** Violet ***
Capitolo 3: *** Pomeriggio serio al solito pub ***
Capitolo 4: *** Il lampo giusto ***



Capitolo 1
*** Maggie ***


Incontrai Maggie in un freddo 22 di dicembre, ero alla fermata dell'autobus di fronte all'università.

Michael continuava a parlare di esami e io cominciavo a non poterne più.

Ero più un tipo da “beviamoci sopra”, quando avevo paura di non farcela.

E poi c'erano le vacanze, c'era tempo per pensare agli esami.

“Ehi Pete mi ascolti?”

“Mike rilassati, ti devi laureare a giugno, non domani”

“Tu non capisci, ho gli esami di genomica funzionale da dare entro aprile e io non capisco nulla di genomica funzionale! E poi la tesi quando la preparo?!”

“Facciamo così, io in queste vacanze ti trovo un genio di genomica funzionale e tu in cambio ti godi almeno un po' queste vacanze di Natale. Ci stai?”

“Si, dici così solo perché sei al secondo anno”

“Dico davvero Mike, rilassati o arriverai alla laurea con un esaurimento nervoso”

“Quanto mi stai sulle balle quando ti comporti così, Peter. E hai pure ragione”

Sorrisi.

A volte Michael aveva solo bisogno di ricordarsi di respirare.

Presi una sigaretta dal pacchetto e l'accesi.

Ormai era diventato un rito: le chiacchierate con Mike erano sempre impegnative.

“Ma quando diavolo arriva questo autobus?”

E due minuti dopo cominciò a diluviare.

Imprecai così tanto che Michael e una signora ottantenne mi squadrarono in un misto di terrore e disapprovazione.

Fu in quel momento che la vidi.

Camminava sul marciapiede di fronte, una borsa a tracolla e un paio di stivali alti: non aveva nemmeno l'ombrello.

Intravidi una gonna a fiori e pensai che dovesse essere pazza a uscire senza ombrello, perché qui quando la pioggia ti si asciuga addosso il freddo ti entra nelle ossa e anche un bicchiere di vodka farebbe fatica a scaldarti.

Aveva dei capelli neri, neri come la pece e un profilo spettacolare.

Non l'avevo mai vista prima di allora, ma sentii che quel volto mi sarebbe rimasto dentro per l'eternità.

Mentre tutti cercavano riparo da quella pioggia battente lei si fermò in mezzo al marciapiede e alzò la testa,

chiuse gli occhi,

sorrise.

Sorrise.

Lei stava sotto il diluvio e sorrideva, capite?

Avrei voluto correre al di là della strada, prenderla e spingerla sotto i portici, urlarle “Ma sei matta? Ti prenderai una polmonite, perché diavolo non ti sei portata dietro un ombrello?”

Ma quel sorriso, il modo in cui sorrideva al cielo, alla pioggia.

Come diavolo faceva a sorridere con un tempo così?

Michael mi strattonò, l'autobus mi si fermò davanti.

La osservai un'ultima volta attraverso i finestrini, lei aprì gli occhi e sorrise.

“Allora mi aiuterai a trovare un genio di genomica funzionale?” sentii chiedere Michael.

“Si, si” risposi distratto, mentre quella matta senza ombrello continuò per la sua strada.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Violet ***


 

 

Non vidi più Maggie per diverse settimane dopo quel 22 dicembre, come se fosse scomparsa nella pioggia, una ventata di buon umore destinato a dissolversi nell'aria natalizia di quei giorni.

Il 28 dicembre decisi di uscire con i miei compagni di università, con l'intenzione di bere sugli esami passati e su quelli che avremmo dovuto preparare di lì a poco.

Michael ormai si era integrato nel gruppo, così ero riuscito a trascinarmelo dietro facendogli lasciar perdere almeno per una sera libri e calcoli, e nonostante tutto era nervoso peggio del pomeriggio.

Per convincerlo a venire gli avevo promesso che avrei portato al pub un genio di genomica funzionale, anche se lui stentava a crederci.

“Avrei fatto meglio a rimanere a casa a studiare”

“E falla finita Michael, ti ho promesso che ti avrei presentato un genio, no? John è il nuovo Einstein, quindi vedi di rilassarti”

Maledissi John per essere in ritardo e pregai che si presentasse nella sua versione da secchione tranquillo, e non in quella da Don Giovanni ubriacone.

Chiaramente arrivò nella sua versione peggiore.

“Ehi Peter, come va'?” disse con il petto in fuori stringendosi accanto una ragazza che a giudicare dalle unghie lunghe due chilometri e dalle labbra rifatte, doveva avere un cervello equivalente a quello di una lumaca.

Imprecai mentalmente in aramaico.

“E' questo il nuovo Einstein di cui parlavi, Peter?” sussurrò Michael fulminandomi.

“Tutto bene John. Senti quest'uomo il cui secondo nome è ansia è Michael, Michael, ti presento il tuo futuro 110 e lode”

“Piacere di conoscerti Michael. Peter mi ha detto che hai bisogno di una mano con la genomica, giusto?”

“Sbagliato, ho bisogno di un miracolo, non solo di una mano”

“Be' allora sono nel posto giusto. Ho portato sulla retta via i più disperati incapaci in questo campo”

“Magnifico, perché devo dare l'esame assolutamente entro aprile”

“Sarà fatto. Cominciamo subito?”

Michael s'illuminò.

“Diamine, si!”

All'istante la lumaca avviluppata al braccio di John mugugnò.

“Mi tratti come se non t'importasse niente di me” disse.

“Keira sei ubriaca, e poi ti conosco solo da mezz'ora, non farla tragica. Andiamo Mike, fammi vedere quali sono le tue condizioni”

John era il classico genio in ambito universitario, ma con le donne era tutta un'altra storia.

Noi lo chiamavamo “Il Don Giovanni dalle belle parole”: riusciva ad avere tutte le ragazze ai suoi piedi per la sua bellezza e a lui importava solo della scienza.

Altri lo chiamavano scienziato, io lo chiamavo imbecille.

Il fatto era che aveva paura d'impegnarsi, così si trovava solo delle ragazze con cui passare una serata e niente di più.

Più tardi il pub si riempì di gente e i ragazzi, già alticci, cominciarono a farsi avanti con le ragazze.

Davanti a me si presentarono due tedesche bionde, il lucidalabbra evidente anche alla luce fioca del locale e gli occhi di chi aveva unicamente intenzione di divertirsi.

Con una scusa mi levai di torno e uscii a fumarmi una sigaretta.

Non mi era mai capitato prima.

Solitamente ero il primo a fare il cretino con le straniere, ma quella sera non riuscivo a lasciar perdere la ragazza temporale.

Si, la chiamai così.

Che diavolo c'era da sorridere con una pioggia del genere?

E perché diavolo non si era portata dietro un ombrello?

Mi rendevo conto di rasentare l'assurdo, ma quella ragazza doveva avere delle risposte precise a domande che a poco a poco cominciavano a sorgermi spontanee.

Mentre ancora pensavo alla ragazza temporale mi accorsi di una ragazza che mi guardava incuriosita appena più in là, appoggiata al muro con una birra in mano.

“Chi ti ha ridotto così?” mi disse sorridendo.

“... così come?”

“Così. Così pensieroso intendo”

Sorrisi.

“Se sapessi chi è le avrei già chiesto spiegazioni, non credi?”

Allargò le braccia.

“Touché... Ti va una birra?”

“Si, volentieri” risposi confuso.

Mi avvicinai lentamente fino a quando la luce non le illuminò completamente il volto.

Era splendida, delicata e leggera.

“Come ti chiami?” mi chiese mentre prendeva due birre da terra.

“Peter, Peter Barnes. E tu?”

“Violet, Violet Powell. Ma tu puoi chiamarmi Violet. Lei preferisce che la chiami Peter Barnes?”

“No, Peter è sufficiente” risposi ridendo.

Aveva i capelli mossi, castani, gli occhi chiari.

“E cosa ci fai qui da solo Peter?”

“Pensavo – risposi – e tu? Anche tu sei qui da sola se non sbaglio”

“Aspettavo un'amica ma è rimasta bloccata a lavoro, arriverà un po' più tardi del previsto”

“E non ti dà fastidio rimanere qui fuori da sola fino a tardi?”

“A dir la verità no. Si notano molte cose interessanti a stare da soli in attesa. E se posso permettermi s'incontrano anche tante persone curiose” disse squadrandomi.

“Curiose?” chiesi.

“Si, curiose.

Vedi, tu sei uno di quei ragazzi che non vanno mai in giro da soli, eppure eri qui fuori a guardare lontano con la faccia di chi cerca qualcuno che potrebbe essere da tutt'altra parte.

E' curioso, non trovi?”

“Come fai a sapere che non vado mai in giro da solo?”

“Basta guardarti. Le persone che sanno osservare scoprono molte cose di una persona anche solo da un gesto, uno sguardo. In più hai salutato un po' di persone prima, devi essere un tipo molto socievole”.

 

Me ne stavo lì ad ascoltare Violet ed era come se mi conoscesse più di chiunque altro.

Non riuscivo a capire se avesse bevuto un po' o se semplicemente avesse sviluppato una grande capacità di osservazione... fatto sta che in parte mi spaventava.

“Ti sembro pazza, vero?” chiese ridendo.

“No, forse solo un po' ubraica” risposi facendo spallucce.

Violet rise.

“Ti posso assicurare che sono così al naturale, non sono ubriaca”

“Buono a sapersi Violet, cominciavi a spaventarmi”

Ridemmo entrambi.

“Mi piaci Peter Barnes, c'è qualcosa di profondo dietro quella maschera da ragazzo strafottente”

“Anche tu non sei niente male, Powell. Sei forte”

“Ti ringrazio”

In quel momento il suo cellulare vibrò.

“Ah, eccola qui. Devo andarla a recuperare alla metro. Finalmente l'hanno lasciata andare. E' stato un piacere conoscerti Peter Barnes, spero d'incontrarti ancora per fare due chiacchiere”

“Ti andrebbe di trovarci qui domani verso le 18:00? Non è un appuntamento, è solo per... parlare un po'. Potremmo diventare buoni amici”

“D'accordo. Domani alle 18:00 allora. Ciao amico Peter!” urlò mentre correva verso la metropolitana.

“Ciao Violet!” le risposi ridendo.

Ed era vero, non chiedevo un appuntamento.

Chiedevo solo di poter parlare, di potermi confidare con qualcuno che sapevo non mi avrebbe giudicato pazzo... e questo qualcuno poteva essere proprio Violet.

Finita la birra mi alzai e tornai dai ragazzi, mentre la signorina Powell, a mia insaputa, andava a recuperare la ragazza temporale.

 

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Capitolo 3
*** Pomeriggio serio al solito pub ***


Alle 18:00 precise mi feci trovare di fronte al pub della sera precedente, Violet era già lì.

“E' tanto che aspetti?” chiesi.

“Appena qualche minuto. Ma non è colpa tua, è mia abitudine arrivare prima”

“Sempre per osservare?” chiesi sorridendo.

“Vedo che ci capiamo”, sorrise.

Aveva una gonna nera a vita alta e una camicetta bianca, un rossetto rosso cremisi a disegnarle le labbra, delicata come sempre.

I capelli erano raccolti in uno chignon disordinato, ma non avrebbe potuto essere più bella: se fosse venuta a studiare nella mia università avrebbe avuto tutto il mondo maschile ai suoi piedi.

 

La cosa che m'incuriosiva di Violet, era che sembrava avere un modo diverso di vedere il mondo, di vedere le persone.

Non si fermava mai alla prima impressione, non giudicava mai da un abbinamento stravagante o da una risposta frettolosa: era la ragazza dei “perché”.

Osservava in silenzio, da lontano, chiedendosi perché la gente reagisse in un determinato modo o perché si comportasse in un particolar modo: andava chiedendosi i perché del mondo.

Pensammo di ordinare due birre all'inizio, ma visto il freddo optammo per due cioccolate calde.

“Mi spiegherai finalmente chi ti ha ridotto così?” chiese sorridendomi dopo qualche mio minuto di silenzio.

“... può darsi, ma non subito. Per diventare buoni amici bisogna conoscersi pian piano – dissi - Tu sai già qualcosa di me, io invece so solo che ti chiami Violet Powell e che ti piace osservare il mondo per cercare di comprenderlo”

“Allora sai già qualcosa di me”

“Ma è ancora poco. Devo ancora sapere qual è il tuo colore preferito, dove studi, cosa studi, quali sogni hai chiusi nel cassetto e soprattutto se fai la ballerina, perché hai la faccia da ballerina”

“Sono domande profonde Peter Barnes”

“Be' sai, non sono solo lo strafottente di turno”

“Non ho mai creduto che tu fossi solo quello” rispose, e la sua risposta mi lusingò.

Violet ci sapeva fare con quegli occhi, sapeva scorgere anche quello che le persone tendevano a celare al mondo.

“Ad ogni modo, cominciamo” disse ancora.

Era una studentessa al Magdalen college, primo anno.

Studiava storia antica e moderna e il suo colore preferito era il blu, amava la notte; come avevo immaginato faceva la ballerina nel suo tempo libero, ballava dall'età di due anni e non aveva la minima intenzione di smettere: avrebbe voluto fare della danza la sua vita, uno dei tanti sogni nel suo cassetto, ma le scuole più serie erano troppo costose e portavano spesso molte ragazze a rischiare l'anoressia, così aveva preferito continuare a studiare nella scuola di danza dietro casa sua.

Amava osservare le persone da lontano, diceva che il mondo non è mai solo come appare, che c'è sempre molto di più dietro, e io cominciavo a crederci, cominciavo a entrare nell'ottica dei suoi occhi: quella diversa prospettiva non mi sembrava tanto sbagliata.

Non era fidanzata, le chiesi come fosse possibile.

Chiarii che la mia non intendeva essere una sviolinata, si trattava di semplice incredulità.

Era una delle ragazze più belle e dolci che avessi mai visto ed era anche profonda nel guardare la vita.

Lei non viveva semplicemente, lei viveva per davvero.

“In passato non ho avuto storie facili, per cui vado con i piedi di piombo quando si tratta di relazioni, tutto qua”

“Sei stata ferita e cerchi di proteggerti, è comprensibile” dissi.

Violet mi guardò con gli occhi di chi ringrazia per non aver voluto approfondire l'argomento.

“E tu invece? - continuò lei sorridendo – vuoi dirmi chi è la bella che ti ha reso così pensieroso ieri sera?”

E allora le raccontai di Maggie, di quella ragazza di cui ancora non conoscevo il nome e che nonostante tutto era riuscita a entrarmi nella mente.

Le raccontai dell'assurdità del suo stare ferma, in mezzo al diluvio, puntando gli occhi al cielo a sorridere come una bambina, del mio continuo pensare a lei, delle domande bizzarre che andavano formandosi nella mia mente da quel benedetto 22 dicembre.

“Stava sotto l'acqua e sorrideva, capisci? E' assurdo” dissi ancora.

Violet abbassò lo sguardo e per un attimo ebbi l'impressione che sapesse benissimo di chi stessi parlando.

“A te non piacciono le piogge forti Peter Barnes?” mi chiese allora.

“No, per niente. Quando piove aumenta il traffico e finisco sempre per bagnarmi tutto”

Violet rise.

“Dovresti rilassarti, hai lo spirito ribelle di un cinquantenne”

“Come ti permetti Powell?” risposi ridendo, ma archiviai la sua risposta per analizzarla in un altro momento.

“La vita è ora, Peter, devi saperla vivere. Hai mai corso sotto un temporale? Hai mai alzato gli occhi per guardare i colori del cielo in un temporale? Perché sono cose che dovresti fare, come rimanere sveglio per guardare l'alba anziché fare after al solito pub”

“E tu come fai a sapere che faccio after in questo pub?”

“Non lo sapevo, l'ho immaginato” rispose sorridendo.

Rimasi in silenzio, meditando sulle parole che Violet aveva appena pronunciato.

Ero davvero un cinquantenne, dentro?

E che diavolo c'era di bello nel rimanere sotto il diluvio universale a bagnarsi da capo a piedi?

Ancora non riuscivo a capire.

Verso ora di cena ci salutammo e ci lasciammo con la promessa di rivederci dopo capodanno per un altro pomeriggio così.

La guardai andare via con il suo sorriso color cremisi e i suoi capelli ondulati, ora sciolti.

Credevo che Violet in parte sarebbe riuscita a dare una risposta ad alcune delle mie domande... ma al contrario era riuscita ad offrirmi ancora più incognite di prima.

Ma del resto, Violet Powell, era la ragazza dei mille perché.

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Capitolo 4
*** Il lampo giusto ***


 

 

Il periodo natalizio finì troppo presto, come al solito, e nell'arco di qualche settimana mi ritrovai per l'ennesima volta a seguire le lezioni in università e a imprecare contro me stesso per la mia modalità di studio, ovvero “faccio il ribelle che fa quello che vuole” fino a due giorni prima dell'esame.

Dopodiché le notti per me diventavano solo tempo extra per studiare.

Violet al contrario era un genio, riusciva sempre a prepararsi volta per volta e agli esami arrivava sempre preparata.

Insomma, faceva tutto quello che io in due anni di università non avevo mai avuto il coraggio di fare.

Dal pomeriggio del 29 dicembre ci eravamo visti sempre più spesso, l'amicizia tra noi andava solificandosi mano a mano e forse grazie a lei stavo diventando una persona migliore.

Una sera mi decisi a presentarla ai miei compagni di sventure universitarie e in poco tempo entrò a far parte del gruppo, come se fosse sempre stata una di noi.

Avvertii John il secchione di starle alla larga, non avrei ammesso nessun tentativo di approccio alla John Don Giovanni di Oxford con lei: era la creatura più bella e fragile che avessi mai conosciuto, e mi sentivo in dovere di proteggerla, come se fosse stata mia sorella.

L'unico che forse poteva essere degno di lei era Fred, Fred Thompson.

Vedendolo interessato lo avvisai subito di non fare scherzi, gli dissi che se l'avesse fatta soffrire avrei anche potuto spaccargli le ossa nel vero senso della parola.

Mi rispose che avrebbe preferito pugnalarsi piuttosto che farla soffrire: la trovai una risposta soddisfacente.

 

Il 22 gennaio era un giorno come un altro al Christ Church college, fuori si gelava e le lezioni erano sembrate interminabili.

Faceva un freddo becco e per di più pioveva.

Ed io odiavo la pioggia.

Mi avviai bofonchiando alla fermata dell'autobus trascinando i piedi, furioso per il mal tempo e poco predisposto a sopportare il freddo britannico.

Continuavo a pensare di essere stato vittima di uno scambio in ospedale: forse non ero inglese, forse ero nato in uno di quei posti caldi, come l'Africa o la California... ma era alquanto improbabile che fosse avvenuto uno scambio di bambini tra gli ospedali di Oxford e quelli americani.

Stavo continuando con i miei deliri mentali quando davanti a me si fermò il mio autobus; mi si affiancò una ragazza che sembrava sparire sotto il suo k-way nero: intravidi il suo profilo, dei capelli lunghi neri e ondulati ad accarezzarle il volto.

Per un attimo mi mancò il respiro.

“Mi scusi ferma a Oxford street per caso?” le sentii chiedere.

“Si signorina, prego”

La guardai ringraziare e andare a sedersi in fondo all'autobus, i capelli neri a incorniciarle il viso.

Gli occhi erano di un color nocciola chiaro, un colore così particolare che sicuramente alla luce del sole avrebbe preso la tonalità dell'ambra; portava un paio di stivali da cavallerizza, dei pantaloni scuri e un maglione bianco a illuminarla, coperto in parte da un trench corto nero.

Le labbra a cuore spiccavano sotto il tocco di un lucidalabbra rosso, delicato nell'insieme.

Era la cosa più bella che avessi mai visto.

Salii sull'autobus, andai a sedermi poco più indietro rispetto a lei e rimasi a guardarla per un po', chiedendomi come avrei mai potuto avvicinarmi a lei, chiederle il nome, scoprire qualcosa in più sul suo conto.

Si avvicinò Oxford Street, lei prenotò la fermata e andò verso l'uscita.

Si voltò per caso a guardare verso la mia direzione, incrociò per qualche minuto il mio sguardo: inizialmente sorpresa, sorrise, le sue labbra a cuore si curvarono all'insù.

Il mezzo si fermò: ringraziò e scese.

Quando l'autobus continuò la sua corsa la osservai fino a quando non sparì dalla mia vista.

In quel momento ne fui certo: un giorno, anche a costo d'inseguire il pullman sotto il diluvio universale, l'avrei ritrovata.

E diavolo, l'avrei inseguita anche senza ombrello.

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