Non vidi più Maggie per diverse settimane dopo quel 22 dicembre, come se fosse scomparsa nella pioggia, una ventata di buon umore destinato a dissolversi nell'aria natalizia di quei giorni.
Il 28 dicembre decisi di uscire con i miei compagni di università, con l'intenzione di bere sugli esami passati e su quelli che avremmo dovuto preparare di lì a poco.
Michael ormai si era integrato nel gruppo, così ero riuscito a trascinarmelo dietro facendogli lasciar perdere almeno per una sera libri e calcoli, e nonostante tutto era nervoso peggio del pomeriggio.
Per convincerlo a venire gli avevo promesso che avrei portato al pub un genio di genomica funzionale, anche se lui stentava a crederci.
“Avrei fatto meglio a rimanere a casa a studiare”
“E falla finita Michael, ti ho promesso che ti avrei presentato un genio, no? John è il nuovo Einstein, quindi vedi di rilassarti”
Maledissi John per essere in ritardo e pregai che si presentasse nella sua versione da secchione tranquillo, e non in quella da Don Giovanni ubriacone.
Chiaramente arrivò nella sua versione peggiore.
“Ehi Peter, come va'?” disse con il petto in fuori stringendosi accanto una ragazza che a giudicare dalle unghie lunghe due chilometri e dalle labbra rifatte, doveva avere un cervello equivalente a quello di una lumaca.
Imprecai mentalmente in aramaico.
“E' questo il nuovo Einstein di cui parlavi, Peter?” sussurrò Michael fulminandomi.
“Tutto bene John. Senti quest'uomo il cui secondo nome è ansia è Michael, Michael, ti presento il tuo futuro 110 e lode”
“Piacere di conoscerti Michael. Peter mi ha detto che hai bisogno di una mano con la genomica, giusto?”
“Sbagliato, ho bisogno di un miracolo, non solo di una mano”
“Be' allora sono nel posto giusto. Ho portato sulla retta via i più disperati incapaci in questo campo”
“Magnifico, perché devo dare l'esame assolutamente entro aprile”
“Sarà fatto. Cominciamo subito?”
Michael s'illuminò.
“Diamine, si!”
All'istante la lumaca avviluppata al braccio di John mugugnò.
“Mi tratti come se non t'importasse niente di me” disse.
“Keira sei ubriaca, e poi ti conosco solo da mezz'ora, non farla tragica. Andiamo Mike, fammi vedere quali sono le tue condizioni”
John era il classico genio in ambito universitario, ma con le donne era tutta un'altra storia.
Noi lo chiamavamo “Il Don Giovanni dalle belle parole”: riusciva ad avere tutte le ragazze ai suoi piedi per la sua bellezza e a lui importava solo della scienza.
Altri lo chiamavano scienziato, io lo chiamavo imbecille.
Il fatto era che aveva paura d'impegnarsi, così si trovava solo delle ragazze con cui passare una serata e niente di più.
Più tardi il pub si riempì di gente e i ragazzi, già alticci, cominciarono a farsi avanti con le ragazze.
Davanti a me si presentarono due tedesche bionde, il lucidalabbra evidente anche alla luce fioca del locale e gli occhi di chi aveva unicamente intenzione di divertirsi.
Con una scusa mi levai di torno e uscii a fumarmi una sigaretta.
Non mi era mai capitato prima.
Solitamente ero il primo a fare il cretino con le straniere, ma quella sera non riuscivo a lasciar perdere la ragazza temporale.
Si, la chiamai così.
Che diavolo c'era da sorridere con una pioggia del genere?
E perché diavolo non si era portata dietro un ombrello?
Mi rendevo conto di rasentare l'assurdo, ma quella ragazza doveva avere delle risposte precise a domande che a poco a poco cominciavano a sorgermi spontanee.
Mentre ancora pensavo alla ragazza temporale mi accorsi di una ragazza che mi guardava incuriosita appena più in là, appoggiata al muro con una birra in mano.
“Chi ti ha ridotto così?” mi disse sorridendo.
“... così come?”
“Così. Così pensieroso intendo”
Sorrisi.
“Se sapessi chi è le avrei già chiesto spiegazioni, non credi?”
Allargò le braccia.
“Touché... Ti va una birra?”
“Si, volentieri” risposi confuso.
Mi avvicinai lentamente fino a quando la luce non le illuminò completamente il volto.
Era splendida, delicata e leggera.
“Come ti chiami?” mi chiese mentre prendeva due birre da terra.
“Peter, Peter Barnes. E tu?”
“Violet, Violet Powell. Ma tu puoi chiamarmi Violet. Lei preferisce che la chiami Peter Barnes?”
“No, Peter è sufficiente” risposi ridendo.
Aveva i capelli mossi, castani, gli occhi chiari.
“E cosa ci fai qui da solo Peter?”
“Pensavo – risposi – e tu? Anche tu sei qui da sola se non sbaglio”
“Aspettavo un'amica ma è rimasta bloccata a lavoro, arriverà un po' più tardi del previsto”
“E non ti dà fastidio rimanere qui fuori da sola fino a tardi?”
“A dir la verità no. Si notano molte cose interessanti a stare da soli in attesa. E se posso permettermi s'incontrano anche tante persone curiose” disse squadrandomi.
“Curiose?” chiesi.
“Si, curiose.
Vedi, tu sei uno di quei ragazzi che non vanno mai in giro da soli, eppure eri qui fuori a guardare lontano con la faccia di chi cerca qualcuno che potrebbe essere da tutt'altra parte.
E' curioso, non trovi?”
“Come fai a sapere che non vado mai in giro da solo?”
“Basta guardarti. Le persone che sanno osservare scoprono molte cose di una persona anche solo da un gesto, uno sguardo. In più hai salutato un po' di persone prima, devi essere un tipo molto socievole”.
Me ne stavo lì ad ascoltare Violet ed era come se mi conoscesse più di chiunque altro.
Non riuscivo a capire se avesse bevuto un po' o se semplicemente avesse sviluppato una grande capacità di osservazione... fatto sta che in parte mi spaventava.
“Ti sembro pazza, vero?” chiese ridendo.
“No, forse solo un po' ubraica” risposi facendo spallucce.
Violet rise.
“Ti posso assicurare che sono così al naturale, non sono ubriaca”
“Buono a sapersi Violet, cominciavi a spaventarmi”
Ridemmo entrambi.
“Mi piaci Peter Barnes, c'è qualcosa di profondo dietro quella maschera da ragazzo strafottente”
“Anche tu non sei niente male, Powell. Sei forte”
“Ti ringrazio”
In quel momento il suo cellulare vibrò.
“Ah, eccola qui. Devo andarla a recuperare alla metro. Finalmente l'hanno lasciata andare. E' stato un piacere conoscerti Peter Barnes, spero d'incontrarti ancora per fare due chiacchiere”
“Ti andrebbe di trovarci qui domani verso le 18:00? Non è un appuntamento, è solo per... parlare un po'. Potremmo diventare buoni amici”
“D'accordo. Domani alle 18:00 allora. Ciao amico Peter!” urlò mentre correva verso la metropolitana.
“Ciao Violet!” le risposi ridendo.
Ed era vero, non chiedevo un appuntamento.
Chiedevo solo di poter parlare, di potermi confidare con qualcuno che sapevo non mi avrebbe giudicato pazzo... e questo qualcuno poteva essere proprio Violet.
Finita la birra mi alzai e tornai dai ragazzi, mentre la signorina Powell, a mia insaputa, andava a recuperare la ragazza temporale.
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