And your knee socks

di HeySoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight ***
Capitolo 9: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Salve a tutti! Questa è la prima volta che pubblico una storia, mi sono fatta un po' di coraggio e ora eccomi qua. Per qualsiasi commento, positivo o negativo che sia, vi prego di contattarmi perché è per me molto importante sapere se continuare a pubblicare.

I personaggi di Alex Turner e dei membri degli Arctic Monkeys non mi appartengono, né la storia vuole raccontare dei fatti veramente accaduti. Il personaggio femminile è frutto della mia immaginazione. Niente è a scopro di lucro.

Detto questo, buona lettura!

 
Chapter One
 
"And you were sitting in the corner with the coats all piled high.
And I thought you might be mine.
In a small world on an exceptionally rainy Tuesday night, in the right place and time."
 
Si sporgeva dal sedile posteriore, appoggiando l’avambraccio sulla spalliera dell’anteriore. Una canzone degli Smiths suonava alla radio, cullando i suoi pensieri e dando un ritmo a Matt, che era alla guida. Le sue dita tamburellavano a tempo sul volante, al ritmo della batteria di Mike Joyce. Il discorso era stato messo per un attimo da parte, così come le domande sulla destinazione. La musica riempiva l’abitacolo e il rumore dell’aria tagliata dall’alta velocità, delle gomme sulla superstrada, faceva da sottofondo. Al suo fianco Nick guardava oltre il finestrino, in silenzio, mentre Jamie muoveva nervosamente un ginocchio nel sedile anteriore. La melodia degli Smiths lasciò spazio ad una canzone sconosciuta, quasi priva di ritmo e con rumori distorti. Probabilmente era lo stesso sound che li avrebbe accompagnati per tutta la serata. E il solo pensiero di una musica del genere ad un volume assordante non poteva essere digerita senza qualche coppia di bicchieri.
«Dov’è, esattamente, che stiamo andando?» Chiese distrattamente Alex, riprendendo a mettersi comodo sul proprio sedile, appoggiando nuovamente la schiena ed allargando le gambe. Si capiva che la domanda era condivisa dai più, là dentro, visto il modo con cui gli altri due alzarono un sopracciglio e posarono la propria attenzione sul guidatore.
«A festeggiare!» Rispose prontamente Matt, dandogli una veloce occhiata dallo specchietto retrovisore, senza staccare le mani dal volante.
«E’ la prima volta che ci ritroviamo di nuovo tutti a LA, dopo le vacanze.» Aggiunse poi, non soddisfatto delle reazioni dei suoi compagni. Ed era vero, durante le festività natalizie si erano sì, incontrati a Sheffield, avevano passato il Natale con le loro rispettive famiglie, incontrandosi per la vigilia e ubriacandosi prontamente al primo dell’anno, ma Los Angeles era tutto un altro paio di maniche, con quelle luci e l’anonimato che potevano guadagnarsi fra i numerosi volti di altre persone, oltre che dall’alta concentrazione di celebrità californiane. La loro cittadina li accoglieva sempre con i soliti visi noti, con i luoghi caldi che frequentavano quando erano ancora degli adolescenti, con l’accento inglese e le voci dei propri famigliari. La neve di Sheffield mancava loro, non lo potevano negare. Il sole della città californiana li costringeva a portare occhiali da sole la maggior parte del tempo, non che ad Alex dispiacesse, ma per chi è abituato al cielo grigio dell’Inghilterra è un grande cambiamento. Per non parlare delle spiagge, delle onde del mare e dell’aria salmastra di Santa Monica, che avevano piacevolmente accettato come novità. I piccoli pub inglesi lasciavano ora spazio a delle discoteche più frequentate, con tanto di luci dai mille colori e delle casse capaci di suonare la musica all’interno della tua stessa cassa toracica, quasi. Ed era proprio lì, che erano diretti. Anche senza fare altre domande, si ricordavano l’ultimo locale che aveva catturato l’attenzione di Matt tanto da storcere loro la promessa di tornare là dentro. Le ragazze non sembrano più belle qua dentro? E la scelta della musica è fantastica, cazzo. Aveva detto quella sera, prima di venire trascinato nell’auto e posizionato in modo che non vomitasse i vari litri di birra che si era scolato durante tutta la serata. Gli altri tre dovettero ammettere che il luogo in sé non era poi così male, sebbene i vaneggi del loro amico non rispecchiavano totalmente la realtà. Ma quel locale aveva un nome orribile. Ricordava vagamente quello di un ristorante sul porto, di quelli scritti a mano su un’insegna di legno con tanto di un piccolo squalo disegnato al lato. Ora era la stessa impressione che dava ad Alex, una volta avvistate le luci sul nome della discoteca. Verde e rosa, ad intermittenza. Anche questa gli pareva una scelta sbagliata ma decise di non lamentarsi, dopotutto erano là per festeggiare, non per fare un sopralluogo del mobilio. Il ragazzo estrasse un piccolo pettine dalla tasca interna della giacca, prendendo a riportare all’ordine varie ciocche di capelli che credeva fossero scappate alla fermezza del gel. Poi lo ripose con la stessa aria automatica, di chi si è abituato a muoversi in quel modo e non ci fa più nemmeno caso.
«Chi è il guidatore prescelto della serata, ragazzi?» Lasciò cadere lì il bassista, voltandosi a guardare Alex. Sentiva che gli altri avevano avuto la stessa brillante idea, sentendo Jamie compiere un movimento simile a quello del compagno e Matt ridere, divertito dal modo silenzioso e unanime di scegliere.
«Il popolo si è espresso, amico.» Aggiunse, poi. Alexander semplicemente alzò le mani in alto, in segno di resa, borbottando un qualcosa simile a “come volete voi”. Non si sentiva in grado di iniziare una discussione, troppo placidamente rilassato al proprio posto e distratto dal suo stesso gioco di rigirarsi fra le dita la sigaretta che, una volta sceso da lì, sarebbe andato a fumare. Gesto che non avrebbe dovuto aspettare troppo a lungo, visto che l’auto era già stata accostata e la decisione di designarlo come l’astemio della serata era stata l’ultima conversazione all’interno dell’abitacolo. Il gruppo scese dall’auto, quasi sincronizzando il momento in cui chiudere gli sportelli. Il cantante non perse tempo, si portò la sigaretta alla bocca e una mano vicino, accendendo con l’altra con un abile movimento del pollice sull’accendino.
Matt aveva evidentemente prenotato un luogo appartato all’interno del locale perché li stava guidando nel retro, evitando volutamente l’entrata principale dove due ragazzine poco vestite avevano appena fatto il loro ingresso. La musica si poteva sentire chiaramente anche dall’esterno ma sembrava sovrastare i pensieri di Alex in un modo piacevole, come se fosse qualcosa che aveva ricercato per tutto il viaggio in auto e forse anche nel pomeriggio.
Il secondo ingresso della discoteca si trovava al primo piano e, dopo aver salito una scala di servizio e aver dato il proprio nominativo all’uomo che aveva tutta l’aria di essere un buttafuori stanco del proprio lavoro, si ritrovarono in un elegante privé. Non lo ricordava così, Alex. O forse l’ultima volta avevano semplicemente corso il rischio di incontrare qualche fan fra la folla danzante. Aveva tutta l’aria di essere un luogo abituato ad ospitare gente di un certo calibro. Le tende avevano una dolce trasparenza e tutto era di un colore tenue poco più scuro di un azzurro, che insieme alle luci soffuse contribuiva a rendere tutto più raffinato. Prese posto in uno dei candidi divani, buttandovisi sopra con aria svogliata e spegnendo nel posacenere quella che era stata la sua sigaretta. Gli altri avevano un’espressione divertita e probabilmente entusiasta per il luogo in cui avrebbero passato la serata, oltre che essere deliziati dal fondoschiena di quella che sarebbe stata la loro cameriera per tutto il tempo. La ragazza aveva un rossetto di un rosa fosforescente che rapiva l’attenzione di chiunque ogni volta che incominciava a parlare, anche se era solo per chiedere loro i drink che avrebbe dovuto portare. Aveva una voce squillante e se ne andò con l’ordinazione muovendo le proprie curve come chi ha una buona percezione del proprio corpo. Perfino Alex ne rimase affascinato, guardandola e leccandosi le labbra con distrazione. Accavallò poi le gambe con il suo fare maschile ed elegante, concentrandosi sulle proprie scarpe senza ascoltare il discorso che si era andato a creare fra gli altri. Era da più di un mese, anche prima delle vacanze invernali, che aveva questo tarlo fisso nella mente, ma non come un’idea – non un ossessione – solo vuoto. Niente ispirazione, silenzio. Ed era un qualcosa di così fastidioso, per lui. Ritrovarsi con una penna in mano e dimenticarsi quasi come si scrive, strimpellare alla chitarra senza essere attratto da nessun suono in particolare. Persino sua madre lo aveva rassicurato, riportandogli alla mente un periodo simile di tanti anni prima, dicendogli che sarebbe passata. Eppure la svogliatezza nei suoi movimenti rimaneva la stessa, così come il modo di guardarsi intorno, quasi avendo l’impressione che un velo invisibile lo separi da tutto il resto. E’ una maledizione. Si chiese persino se non fosse il caso di bere, quella sera, di ricominciare tutto daccapo. Staccare la spina, spegnere il cervello e quella sua autocommiserazione asfissiante, con l’obbiettivo di risvegliarsi la mattina dopo in un letto sbagliato ma con l’ispirazione che è di nuovo aria.
«Alex?» Lo richiamò il suo amico, e lui fu costretto a sbattere le palpebre un paio di volte, voltarsi dalla sua parte e alzare un sopracciglio.
«Mh?» Si limitò a questo, un verso che probabilmente, a causa della musica, non era neanche arrivato alle orecchie degli altri. Ma era ovvio che la sua attenzione era stata catturata da loro, ed era nuovamente sul pianeta Terra, proprio in quella discoteca.
«Stavamo apprezzando quella Wendy, la cameriera.» Intervenne Matt, scrutandolo più a fondo rispetto a quanto aveva fatto il chitarrista. Era ovvio che l’amico fosse preoccupato perché quei brevi istanti di distrazione, quasi di black out, diventavano sempre più frequenti e in momenti in cui non ci si aspetterebbe di trovarli. Ma Alex non aveva nessuna intenzione di iniziare una discussione proprio su quello, così cercò di mostrarsi come sempre, con un sorriso divertito.
«E cosa direbbe Breana di questa cameriera?» Nominare la sua ragazza aveva dato l’effetto sperato. Infatti, il ragazzo si portò una mano dietro la nuca, imbarazzato come chi è stato colto con le mani nel sacco.
«Oh, ma io non c’entro proprio nulla. Erano loro due che facevano apprezzamenti.» Snocciolò in fretta con un tono di voce talmente studiato da far risaltare maggiormente la bugia, e gesticolando con la mano allo stesso tempo. E neanche se gli altri due non si fossero girati nel medesimo momento verso di lui, gettandogli addosso delle occhiate eloquenti, non sarebbe risultato credibile nemmeno ad un bambino. Scoppiarono allora risate generali, sollevando Alex da quello che sarebbe potuto facilmente trasformarsi in un insieme di nauseanti rassicurazioni. In più la fantomatica Wendy era appena ritornata con il suo rossetto fosforescente e le ordinazioni. Qualcosa di più forte per i ragazzi, insieme a qualche birra fredda, e un drink analcolico per il guidatore scelto. Prese in proprio bicchiere di vetro, lottando contro il bisogno di nicotina. Si ripeteva ad ogni sigaretta che il fumo gli avrebbe rovinato la voce, oltre che i polmoni, e che doveva smettere. Così cercò di distrarsi con il suo drink speziato e le battute sulla ragazza di Matt, con tutti i possibili modi in cui lei avrebbe potuto fargli pagare simili comportamenti. Quella ragazza piaceva ad Alex, il modo in cui i due scherzavano complici, come se si conoscessero da anni e non solo da qualche mese. E sapeva che era perfetta per il suo migliore amico, che ci sarebbe potuto essere un lieto fine per loro. Lo rendeva felice, questo – sapere che una delle persone a cui teneva di più al mondo era in buone mani, mani che l’avrebbero persino fatto rigare dritto, per quanto surreale sembrasse guardando il ragazzo davanti a lui.
Risultava tutto così piacevole, quella sera. Le chiacchierate, gli scherzi e il luogo stesso. La musica riempiva il locale sottostante, così come il loro posticino riservato. Alla fine non risultava così male come Alex aveva predetto, anzi, sentiva il ritmo pompare nelle casse, insieme alla voce sensuale di una cantante sconosciuta.
Sorrise all’ennesima battuta della serata, sentendo il tempo scorrere anche senza guardare l’orologio, mentre notava quanto i suoi amici fossero già brilli. Lo divertiva vederli in quello stato, sebbene lui stesso desiderasse farne parte. Si sentì in dovere di distrarsi, di allontanarsi per un attimo, con l’intenzione di fumare una sigaretta perché il desiderio era diventato bisogno e i pensieri incominciavano a riemergere senza nessun permesso. Si appoggiò alla ringhiera che divideva il privè dalla discoteca ma che soprattutto impediva di fare un salto di qualche metro. La musica si fece più assordante e le luci coloravano il suo giubbotto di pelle, riflettendosi in mille sfumature. Il fumo lo avvolgeva in un invidiabile torpore, cullandolo insieme all’immagine di decine di corpi danzanti. Ma non si accorse del momento esatto in cui i suoi occhi spaziarono sulla sala, andando a scovare gli angolini meno popolati, quasi vergini dalle luci stroboscopiche. Ed era proprio quello lì, poco distante dalla sua posizione, a catturare la sua attenzione. Vi erano cappotti impilati in una catasta per niente facile da districare, alcuni a terra e altri appesi. Era caos, ma niente importava, adesso, perché poco più in là una chioma di capelli color grano diventava azzurra e poi verde, rossa. L’illuminazione e le sue magie, su un viso dalla pelle pallida e due occhi scuri. Lei gli dava le scariche elettriche anche da lontano. Guardarla era come un segreto sussurrato all’orecchio, un bacio proibito sotto la porta di casa. Era come bussare alla porta di un amico a notte fonda, senza permesso.
Prese un’altra boccata dalla sigaretta, senza staccare gli occhi dalla figura, temendo quasi di vederla svanire nell’esatto istante in cui avrebbe abbassato l’attenzione. Lei era ancora lì, con i piedi avvolti da due stivali e dei calzini che sbucavano sfiorando il ginocchio. Era alcool e musica, era la sua chitarra nel silenzio. Poi lei semplicemente si voltò, probabilmente punta da una sensazione innaturale, ricercando il motivo di tale fastidio. Alzò lo sguardò su Alex, un poco stupita dal modo con cui lui la continuava a fissare. Contro ogni aspettativa, gli sorrise. Un sorriso complice, più ricco di dolcezza che di malizia stessa. Sembrava piacevolmente lusingata, soprattutto quando lui ricambiò, piegando all’insù le labbra sottili. E lei continuava a cambiare colore sotto le luci, sembrava essere fatta di oscurità e luce in una convivenza pacifica, con quei cappotti vicini e i suoi stivali e i calzini. Pura ispirazione, aria e vita. Lui sapeva, sapeva che sarebbe potuta essere sua, quella sera o fra dieci giorni. Sentiva quasi il filo del destino avvolgere lui e il fumo della sua sigaretta, sussurrandogli all’orecchio che quelli erano la notte giusta e il momento perfetto. 

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


Chapter Two
 
“Well you cured my January blues,
Yeah you made it all alright.”


Il tempo sembrava essersi assopito, il rumore delle lancette veniva ora sostituito da quello dei respiri che rimbombavano nella testa di lui. Nel locale la musica faceva vibrare i vetri della porta d’ingresso come ad inizio serata ma ad Alex pareva silenzio quello che arrivava alle sue orecchie. O forse solo perché non vi erano più pareti a scandire il suo mondo. Le luci, da artificio accecante, divennero supernove. Se solo si fosse impegnato un poco, sarebbe persino riuscito a sentire le corde della propria Fender sotto le dita, con il suo suono raschiato e dolce. E le parole del testo di una canzone sconosciuto e mai scritto, le stesse che vorticavano nella sua mente proprio in quel momento, insieme alle luci e alla musica e al colore dei capelli di lei. Il suo sorriso era tutto quello e altro ancora, anche se rimaneva come inghiottito dall’oscurità.
Alexander spense la sigaretta che teneva fra le dita nel posacenere nel tavolino più vicino. Tutta la cenere era già caduta vicino alla punta delle sue scarpe, tanto la ricerca del coraggio di lasciare quell’incontro di sguardi sembrava assurda; o forse lo era solo la preoccupazione della scomparsa di lei, non appena avrebbe interrotto la magia di quell’incontro. Eppure ora i suoi piedi si muovevano velocemente sulle scale che collegavano il privè alla pista da ballo gremita di corpi danzanti, con il principio dell’adrenalina nelle vene, come se stesse andando incontro al più grande segreto dell’universo e lui fosse la persona più curiosa del mondo stesso. Gli scalini probabilmente scricchiolavano sotto il suo peso ma la musica e i suoi pensieri fitti non gli diedero la possibilità di scorgere quel dettaglio. Oltrepassò velocemente la figura dell’addetto alla sicurezza, guadagnandosi numerose occhiate. Ed ecco che davanti a lui, illuminati ad intermittenza, la stessa pila di cappotti accatastati lo salutava come se fosse un qualcosa che sarebbe rimasto incastrato sulla punta della penna con cui era solito annotarsi le idee. Lei era ancora lì, seduta con le caviglie incrociate e i suoi stivali chiari. Guardava dalla sua parte e probabilmente lo aspettava, senza nascondere un certo interesse. Non si scompose quando lui fece ancora qualche altro passo verso la sua direzione, piuttosto raddrizzò la schiena e sorrise con il suo fare dolce ed intelligente. Alex notò il colore di notte del suo vestito, piacevolmente sorpreso dalle curve che nascondeva sotto quel blu. Ricambiò il sorriso, alzando un angolo della bocca. Represse poi la voglia di estrarre nuovamente il suo fidato pettine, per ridisegnare la linea del suo ciuffo. La collana dorata che era solito portare al collo rifletteva i raggi delle luci artificiali, illuminandogli lo sguardo concentrato sul viso di lei. Quando le fu abbastanza vicino riuscì a notare l’esatta sfumatura nivea della sua pelle e del modo in cui il sorriso influenzava la guancia, formando una fossetta definita solo a sinistra.
«La vista è bella da lassù? O stavi solo giocando ad interpretare Raperonzolo?» Gli si rivolse con la più totale naturalezza, come se fosse stato un vecchio amico. Alex fu quasi infastidito dalla musica. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter avere la prima impressione su quella voce senza il tono volutamente alzato per sovrastare il rumore di quella stupida canzone. Decise di sorridere divertito, però, piuttosto che evidenziare quella sua piccola fissazione sul proprio viso. La guardò dall’alto verso il basso, con una mano affondata nella tasca e lo sguardo immerso nel pozzo scuro degli occhi di lei.
«Non sai nemmeno quante cose si possono vedere da quel posto. Ad esempio delle ragazze annoiate al lato della pista.» Parlare con quella tonalità forzatamente più alta del solito gli dava sui nervi ma l’aria divertita di lei sembrava calmarlo, mandando allo stesso tempo piccole scosse ovunque nel suo corpo e nella sua mente. In quel momento decise che non si sarebbe mai stancato di vedere quella ragazza ancora sconosciuta arricciare le labbra in una smorfia, insieme all’espressione scettica interpretata dalle sopracciglia alzate. Lui le si accovacciò accanto, inchinandosi e tenendosi in equilibrio sulle punte dei piedi, con la mano prima nascosta nella tasca ora appoggiata con naturalezza sulle cosce. 
«Ah, sì? E cos’altro si può vedere da lì?» Quel gioco era a dir poco delizioso per il ragazzo, e il modo in cui lei si piegò in avanti, protesa verso di lui, gli fece girare la testa. Aveva una malizia elegantemente studiata, in grado di non renderla volgare nemmeno se avesse avuto una scollatura ombelicale. E la dolcezza era in ogni suo minimo movimento e nelle lentiggini che le imperlavano il viso, rendendola più giovane di quanto in realtà non fosse. Alex non la smetteva di sorridere, arrivando persino ad allargare la piega delle labbra fino a coinvolgere l’altro lato della bocca. Fu rapito per un istante dall’idea di invitarla nel luogo tanto citato, sapendo quanto la musica fosse meno assordante e le luci poco insistenti, quando si ricordò degli altri tre, probabilmente troppo brilli anche per notare la sua assenza prolungata più del necessario. Dovette allora scacciare quel pensiero, non volendo infastidire la ragazza in alcun modo, contando sull’idea che Matt non si sarebbe risparmiato sulle battute.
Passò allora la lingua sulle labbra, insistendo su quel contatto fra sguardi.
«Mi sembra di vedere la stessa ragazza sulla pista da ballo, forse alla fine la serata non era noiosa come pensava che fosse.» Si alzò, raddrizzando nuovamente la schiena, mentre le porse la mano destra, aperta con il palmo verso l’alto. Il suo atteggiamento non aveva un obiettivo carnale, era evidente dalla sua gentilezza velata che avesse solo voglia della compagnia di lei. La ragazza lo guardò con uno sguardo eloquente da sotto le ciglia lunghe e con il suo solito sopracciglio alzato, ma senza aggiungere niente, posò la propria mano minuta su quella di lui. Il contatto provocò nel ragazzo diversi brividi, dovuti anche ai movimenti sinuosi di lei compiuti per alzarsi e camminare verso la folla danzante. La differenza d’altezza era un dettaglio che deliziò Alex, notando quanto quella decina di centimetri in meno di lui potesse renderla ancora più graziosa. Le avvolse la vita, posizionando le mani poco più su dei suoi fianchi, mentre lei gli circondò il collo con le braccia, unendo le dita proprio vicino all’attaccatura dei capelli di lui. La musica era evidentemente sbagliata, per quanto ritmo e bassi avesse nel proprio sound, ma per loro sembrava suonare qualcosa di diverso.
«Qual è il suo nome, Signor Raperonzolo?» Chiese ad un certo punto lei, con quell’ironia che ormai la caratterizzava. La risata di lui suonò più bassa del solito, breve.
«Alex.» Si affrettò a dirle, continuando ad ondeggiare in mezzo al caos dei corpi.
«E lei, signorina annoiata?» Darle del lei era un gioco appena scoperto, divertente per quello scambio di battute, per quanto presto sarebbe stato abbandonato. La vide arricciare nuovamente le labbra in un sorriso, nonostante Alex fu catturato da una veloce ombra nei suoi occhi. Un pensiero, una preoccupazione. Prima che potesse indagare oltre, o anche solo pensare di farlo, si ritrovò ad accarezzare con i pollici il vestito di lei, senza mai spostare le mani di un millimetro.
«Eileen.»
Alex si rigirò quel nome sulla lingua, accarezzandone il suono nella propria mente, sperando invano che non venisse marchiato a fuoco da quelle lettere. Una canzone diversa da quella che davano nel locale gli balenò nella coscienza, quasi invitandolo a fischiettare. Passò un’altra volta la lingua sulle labbra, ricercando il contatto con gli occhi scuri di lei che aveva interrotto per qualche manciata di secondi.
«Come on Eileen*» Le sussurrò all’orecchio, abbassandosi quel tanto per poterle quasi sfiorare la pelle con le labbra. La sua voce bassa e sensuale, quella che a volte toccava delle corde nelle altre persone, suscitando emozioni – spesso attraverso le canzoni degli Arctic Monkeys – che lui non pensava di poter inviare, fece rabbrividire la ragazza, costringendola a stringersi nelle spalle, oltre che a sorridere imbarazzata. Distolse lo sguardo per quello che parve ad Alex come un eternità, prima di poter riaffondare nella pece delle sue iridi. Sembrava avere delle parole sulle labbra, tanto che il ragazzo dovette rendersi conto di aver solo immaginato il movimento della bocca. Non gli disse nulla, infatti. Eileen sciolse il nodo delle sue dita, lasciando scivolare le mani sulle spalle di lui, carezzando la sua giacca. Istintivamente lui fece lo stesso, interrompendo il contatto con il suo corpo femminile, non senza prendere a comportarsi con una certa incertezza. La dolcezza della ragazza aveva lasciato il posto ad un atteggiamento pensieroso, tanto da farla sembrare lontano di qualche galassia. Inaspettatamente, nel giro di qualche istante, lei riprese ad avere il viso luminoso e gli occhi vispi, presenti. Gli afferrò la mano, intrecciando le dita e tirandolo appena, giusto per comunicargli l’intento di spostarsi da lì. Lui recepì pigramente il messaggio, per poi seguirla senza porre nessuna domanda. Lo condusse con abilità fra i corpi lenti per l’alcool della discoteca, afferrando dapprima il proprio cappotto nell’angolo dell’incontro, per poi varcare la porta d’ingresso. I due si ritrovarono sulla soglia, presi in contropiede dal temporale appena iniziato. La pioggia batteva fitta sulla strada, non lasciando asciutto nulla sotto il proprio dominio. Lei sembrava divertita come se avesse appena ascoltato un aneddoto buffo, mentre si infilava il suo montgomery grigio, lasciando intravedere le calze candide oltre gli stivali.
«Hai un cellulare?» Gli chiese d’improvviso, mentre si scostava i capelli con abilità, liberandoli dal soprabito. Lui annuì distratto, quasi deluso dall’improvviso divieto di vedere le curve del corpo di lei. Affondò la mano nella tasca interna della propria giacca, estraendo il cellulare richiesto e porgendoglielo. Era curioso, poiché riusciva a notare perfettamente la linea di un modello simile al suo nella tasca del cappotto grigio. Eileen afferrò il telefono con le sue mani minute, illuminando il display, per poi prendere a digitare sulla tastiera. Alex rimase a fissarla, senza dire niente come se avesse avuto paura di interrompere qualcosa di importante. La pioggia veniva ora spostata dal vento, minacciando di bagnare anche loro due, nonostante fossero stati inizialmente riparati dall’edificio.
«Devo scappare. Ora hai il mio numero, nel caso avessi voglia di ballare ancora.» Gli porse l’apparecchio esattamente nel modo in cui aveva fatto lui e, quando lo prese, Alex si ritrovò ad abbassare il viso istintivamente. L’incontro delle labbra di lei era come una tempesta in piena regola, fuochi d’artificio e l’esplosione di una stella. Ricambiò il bacio finché gli fu concesso, prendendo ad accarezzarle i fianchi. Quando lei abbassò le proprie punte dei piedi, perdendo quei centimetri in più, si sentì imperfetto. Ma la scarica che quel contatto gli aveva donato sarebbe stata capace di tenerlo sveglio per delle notti intere, a guardare le stelle se fosse stato necessario. Le sorrise alzando l’angolo della bocca, volutamente malizioso, questa volta. La vide poi sparire sotto la pioggia, dove i capelli di grano si erano già fatti più scuri e pesanti. Alex si sentì un idiota nel momento in cui si ricordò di avere le chiavi dell’auto di Matt nella tasca della giacca, avrebbe potuto risparmiare a lei una doccia e avrebbe così guadagnato qualche minuto in più della piega dolce dei suoi calzini al ginocchio.
 
Aveva combattuto contro se stesso per tutta la mattina, cercando di dimenticare volutamente il proprio telefono per casa. Avrebbe dato qualunque cosa per vedere sua madre sbucare dall’angolo, sgridarlo per qualcosa che non aveva commesso, e sequestrargli quello che a malapena si poteva chiamare cellulare, con la minaccia di non ridarglielo fino al compleanno. Il ricordo della sua adolescenza gli solleticò per un attimo la mente, rischiando di renderlo più serio. Si ritrovava persino a pensare che non avere i suoi amici fra i piedi fosse una condanna. Proprio lui che solo la sera prima tendeva ad estraniarsi anche dalla più semplice delle conversazioni, nonostante i numerosi richiami di Matt. Ora quasi pregava per la compagnia dell’amico che, ironicamente, era fuori uso come gli altri due. L’alcool della sera prima li aveva condotti ad un leggero delirio e a battute squallide alle tre di notte. Quando li aveva riaccompagnati a casa si era persino preso la premura di condurli fino alla porta dei loro appartamenti. Avrebbe dovuto aspettare almeno quella sera per poter sentire nuovamente le loro voci, anche solo per recepire le lamentele sull’emicrania. Sospirò forse per l’ottantesima volta da quando aveva messo il piede fuori dal letto. Il sole della città californiana stava iniziando la sua discesa, lasciando dietro di sé quella luce soffusa e quasi arancione, più calda.
Seduto sulla poltrona della camera da letto, si rigirò fra le mani l’apparecchio telefonico. Era maneggevole abbastanza da passare da un dito all’altro come una bacchetta della batteria. Sbloccò il display, solo per poi vederlo annerirsi nuovamente. Si sentiva come una ragazzina alla prima cotta, con le guance arrossate e la voce flebile, dopo un sospiro. Avrebbe voluto darsi uno schiaffo, giusto per ricordare a se stesso la sua età, insieme alla virilità che solitamente lo contraddistingueva. Alla fine, dopo numerosi tentativi, si decise. Aprì la casella dei messaggi e ricercò nella rubrica il numero di Eileen, sorridendo nel momento in cui notò il suo nome affiancato da uno smile intento a fare l’occhiolino. Ora sì, che aveva ultimato la sua retrocessione ad adolescente. Senza soffermarsi oltre – perché altrimenti avrebbe dovuto ricominciare tutto d’accapo – si affrettò a digitare sulla tastiera.
“Numero sbagliato?”
 
Spedì l’sms, dopo averlo riletto due volte e aver pensato per un minuto intero a rimandare più avanti, cancellandolo. Il punto era che le mancava, davvero. Sapeva a malapena il suo nome, e la sua voce era sfocata nei ricordi della musica alta. Voleva rivederla, il più presto possibile. Eppure, allo stesso tempo, pensava di aver ricercato un contatto troppo presto, evidenziando quella sua insicurezza. In più ora aveva preso a fissare l’orologio con insistenza, incominciando a pensare che il numero fosse sbagliato sul serio. O forse avrebbe dovuto chiamarla? E’ solo che si preoccupava di averla disturbata. I suoi pensieri degenerarono in quei quattro minuti di attesa. La sua gamba ballerina per il nervosismo si fermò di scatto quando il trillo definito della suoneria del suo cellulare tagliò il silenzio della stanza.

“Così poca fiducia in me, Alex?”
 
Quasi poteva immaginarsi il suo sopracciglio alzato e la fossetta a fianco del suo sorriso. E le lentiggini e le labbra soffici. Questa volta lasciò correre le sue preoccupazioni da scolaretto, rispondendo subito.

“Potevi rubarmi il cellulare e non l’hai fatto, ho già riposto la mia fiducia in te, ricordi?”

“Ti piacciono i dolci?”

 
La risposta lo prese un attimo in contropiede, obbligando a fissare lo schermo per almeno un minuto. Si alzò dalla poltrona, facendo leva sulle ginocchia con le mani. Si spostò in cucina, appoggiandosi alla penisola.
 
“A chi non piacciono? Certo, sì.”
 
Ammise fra sé e sé che si aspettava l’ennesima aggiunta ironica, poco prima. Appoggiò il telefono a fianco del forno a microonde, ancora con le sopracciglia aggrottate. Prese un bicchiere d’acqua fresca, aspettando qualche informazione in più dalla ragazza. Si morse il labbro tre volte, nel giro di quei dieci minuti che sembravano un’eternità. Si chiese se lo facesse apposta, lei, a farlo aspettare più del consentito. E di nuovo l’immagine della ragazza con le labbra piegate in un divertimento malizioso, con i capelli scompigliati e le sue calze alte, le gambe incrociate sul materasso. Sorrise anche lui, mentre riafferrava l’apparecchio, dopo il suo ennesimo suono d’avviso. Quel pomeriggio lei sembrava essere più enigmatica di come la ricordava ma lo intratteneva con piacere, suscitando in lui una certa dose di curiosità. Infatti, l’ultimo messaggio indicava solamente un indirizzo e un orario. Diede un’occhiata veloce all’orologio presente in alto a destra del display, notando che mancava solo un’ora a quello che si poteva definire come un appuntamento. Si fece accarezzare dall’idea di prendere le redini del gioco nelle proprie mani, tenendola sulle spine, imponendole di interrogarsi sul suo arrivo e la sua effettiva presenza. Però cedette nel giro di qualche minuto, ritrovandosi a digitare nuovamente per avvisarla.

“Arrivo”
 
Prese la sua giacca di pelle e il casco della moto che teneva vicino all’ingresso. Si fece un poco più serio, cercando di ricordare il percorso per arrivare all’indirizzo dato. Non fu difficile districarsi nelle strade di Los Angeles, avendo già memoria di quella particolare parte della città per essere stato là poco tempo prima, con Matt. Lasciò la propria vettura dove non avrebbe potuto disturbare, prendendo il casco ed estraendo il pettine dalla propria giacca quasi subito. Riportò i capelli all’ordine, in quell’acconciatura senza ciuffo ma che contribuiva comunque al suo stile anni cinquanta. Il suo anticipo non aiutava a combattere la leggera sensazione d’impazienza che lo costringeva a guardarsi intorno, ripetutamente. Aveva deciso di lasciare la sua fedele moto più in là, rispetto al numero sull’indirizzo, così da potersi tenere occupato, camminando con lo sguardo perso ovunque.
Il tempo diventò relativo e lui si concesse una pausa, un momento fuori dagli schemi e dal mondo, per guardare la ragazza da lontano. Quasi si sentiva come la sera prima, ad osservarla. Un ladro di bellezza e di istanti. I suoi capelli dorati venivano cullati dal vento, costringendola a riportarli continuamente dietro l’orecchio con le sue dita affusolate. Una sciarpa le scaldava il collo, proteggendola dove il cappotto oggi rosso non poteva arrivare. Alex passò la lingua sulle labbra, sorridendo ancora prima di vedere Eileen girare il viso verso di lui. E la scena era così simile alla notte precedente che i brividi rischiavano di diventare ricordi, mischiandosi con il passato. La luce naturale del sole ormai calante le rendeva decisamente più giustizia, decise Alex. Le illuminava il viso rendendo la sua pelle ancora più chiara, con le guance arrossate per il freddo in quel modo dolce. Il ragazzo si affrettò a raggiungerla, notando come si stringeva nelle spalle. Fu quasi amareggiato per l’assenza dei calzini candidi oltre il bordo degli stivali. Avevano lasciato il posto a delle calze scure che la riparavano dal freddo lungo tutte le gambe.
«Ehi.» La salutò lui, una volta arrivato ad una distanza accettabile.
«Ciao.» Il modo in cui sorrideva lo catturava ogni volta. Sapeva di essersi trattenuto un secondo di troppo sulle sue labbra, e ringraziò i propri occhiali da sole per averglielo potuto permettere. La sua voce era morbida e acuta, deliziosamente femminile.
«Troppo misteriosa? Avrei dovuto anticiparti qualcosa.»
Alex alzò un sopracciglio.
«No, davvero, va bene così. Niente di inquietante, giusto?» La vide prima allargare le labbra nell’ennesimo sorriso, per poi sentirla ridere. Quel suono lo catturò particolarmente, rendendolo praticamente certo di aver appena assistito a qualcosa di importante. Rise un poco anche lui, contagiato dalla sensazione di leggerezza che la presenza di lei gli regalava.
«Se per inquietante intendi dei muffin al cioccolato, allora sì.» Lei gli indicò con l’indice la vetrina del negozio dall’altra parte della strada. La scritta era in corsivo e citava: “Polly’s”. La vetrina presentava delle torte di pasta di zucchero, tutte colorate e con enormi cupcakes a decorarle. Gli sembrava un luogo così diverso da dove mai si sarebbe aspettato di entrare che lo incuriosì, ironicamente.
«Allora facevi sul serio con la storia dei dolci, eh?» Attraversarono la strada, stando uno al fianco dell’altra quasi si volessero tenere le mani a vicenda, ma senza avere il coraggio di prendersi una simile confidenza.
«Non si scherza con il cioccolato, Alex.» Lo ammonì con divertimento, con quel suo sopracciglio alzato e la fossetta proprio lì. Fu lei ad avanzare per prima, facendosi strada nel negozietto intimo e riscaldato. Non vi erano più di quattro tavolini e le sedie erano tutte diverse, di colore e stile. Solo un altro cliente occupava un posto, un ragazzo con un libro aperto in una mano e una tazza di tè nell’altra. Il classico bancone era stato rimpiazzato da delle vetrine ricche di ogni dolce immaginabile, dai tortini ai biscotti a forma di omino. Eileen aveva evidentemente confidenza con la donna dietro quel paese di delizie, tanto da potersi permettere di salutarla per nome. Chiese con la sua voce candida un cupcake alla crema e un cappuccino lungo, girandosi verso Alex, evidentemente fuori posto.
«Fidati di me.» Gli riferì, quasi sussurrando. Si sporse nuovamente in avanti, verso la donna di nome Renée, parlando di qualcosa che ad Alex sfuggì, mentre si perdeva in quello che lo avrebbe condotto al peccato di gola. Si ridestò in tempo per precisare un caffè amaro lungo, con la sua voce maschile e il suo accento.
Il dolce misterioso si rivelò essere un cornetto morbido, ripieno di crema al cioccolato e panna. Qualcosa che l’avrebbe portato ad ingrassare anche solo guardandolo, se solo non avesse avuto la classica costituzione magra. Si sfilò gli occhiali da sole, appoggiandoli sul tavolo a fianco del bicchiere di carta del caffè. Fece un movimento simile con il casco della moto, il cui laccio ancora teneva stretto tra le dita, lasciandolo invece andare vicino alla gamba della sua sedia.
«E’ ancora caldo e la sfoglia è croccante. E’ il mio preferito.» Lo informò lei, mentre si sfilava anche la sciarpa, oltre al cappotto. Il vestito che rivelò sotto il soprabito aveva dei buffi fiocchi di neve, sopra un celeste spento. Quel grazioso modo di vestirsi, insieme al dolce in cui aveva appena affondato il cucchiaino, la resero una creatura di fantascienza. Troppo fine con i suoi modi di fare eleganti per essere una semplice ragazza californiana.
Alex seguì il suo consiglio, cimentandosi a tagliare il dolce con le posate, piuttosto che rischiare di sporcarsi come un bambino con tutta quella panna. Era ovviamente buonissimo, dava quasi la sensazione di immergere le dita nel barattolo della crema al cioccolato tanto gli ricordava la sua infanzia.
«Il tuo vero nome è Alex? O è un diminutivo?» Le risposte a quel tipo di domande non erano il suo forte, come nelle interviste in cui tendeva ad aggiungere solo qualche piccolo dettaglio all’introduzione dei giornalisti stessi. Ma quella era piuttosto semplice, elementare.
«Alexander.» Chiarì lui, regalandole un mezzo sorriso. La sentì ridere, subito dopo, notando come i suoi occhi scuri si stringevano a delle fessure.
«Sei sporco di cioccolato. Proprio qua» Gli indicò un punto vicino al labbro inferiore, servendosi del proprio viso per mostrargli il punto esatto, ma, come succede di solito, Alex prese a pulirsi dal lato opposto.
«No, dall’altra.» Fu molto dolce vederla sporgersi sul tavolino, allungando la mano per carezzargli la guancia, prima di togliergli lo sbaffo di cioccolato con il pollice. Anche il ragazzo si era sporto sul tavolo, stando attento a non sporcarsi anche la camicia, tanto da poter incontrare il viso di Eileen a metà strada. Fu semplice unire le loro labbra, dopo. Un bacio che sapeva di crema e panna, decisamente più dolce di quello amaro di alcool della sera precedente. I due continuarono a mangiare poi, scoprendo piccole cose l’uno dell’altro, spesso senza domandare nulla. Ad esempio, era ormai evidente al ragazzo che Eileen avesse qualche problema con le domande troppo personali. Il modo in cui si stringeva nelle spalle e l’ombra di preoccupazione che le rendeva gli occhi ancora più scuri, ne era un chiaro segno. Accadeva ogni volta, prima che lei gli concedesse una mezza verità. Alex poté vantare solo poche informazioni su di lei, a fine conversazione. L’età di ventitré anni, il fatto che avesse una gatta nel suo appartamento, che le piacevano libri e che in quel periodo stesse lavorando a delle illustrazioni di uno per bambini, nonostante facesse la cameriera in un bar in fondo alla strada la mattina. Adorava il cioccolato e conosceva la Signora Renée da anni ormai. Era una persona semplice, di quelle che si alzano presto la mattina e vanno presto a letto la sera, di quelle che si concedono piccole follie solo di tanto in tanto. Il ragazzo si accorse di aver perso la testa per lei, di non riuscire più a trovare la via di fuga, né di volerlo fare. La baciò tre volte, in modi sempre più simili al primo di quella piacevole serata. Passeggiarono persino, lungo la via oltre il piccolo negozio. Il cielo aveva ormai sussurrato addio al sole, lasciando spazio ad una luna contaminata dalle luci della città.
«Ehi, io abito proprio qua.» Gli disse, girandosi e facendo alcuni passi al contrario, stringendosi nel suo cappotto rosso.
«Ti va di salire?»
Persino il suo appartamento la rispecchiava. Nelle tende candide, nelle luci soffuse delle lampade nascoste negli angoli delle stanze. Il parquet scuro attutiva i loro passi, ovattando i suoni delle calze di lei. La gatta di nome Medea ronfava calma sul divano, accogliendo il ragazzo con tranquillità. Fu una strana scena quella di Eileen e del suo rinchiudersi in un silenzio triste, l’evoluzione dell’ombra nello sguardo. In quei momenti rari le lentiggini sul naso sembravano ribellarsi contro di lei, facendola sembrare più vecchia. Alex non si permise mai di chiederle qualcosa, nemmeno come stava, temendo di ottenere l’effetto contrario a quello voluto.
Fecero l’amore quella sera, sorridendo con le guance arrossate, come se fosse stata la prima volta. Lui le accarezzava spesso le gambe lisce, riempiendola di soffici baci lungo il collo e un po’ ovunque. Lei rideva in quei momenti. Sussurrava spesso il suo nome, prima di ogni bacio che lasciava entrambi senza fiato. Si abbracciarono a lungo, dopo. Vennero cullati dal calore della notte e della stanza, dal silenzio dell’appartamento e dal rumore delle auto fuori. E quando entrambi si svegliarono il mattino successivo, con i capelli scompigliati e i vestiti stropicciati, sembravano solo innamorati, vivendo di quell’ironia nei discorsi e di voci calde, sconnesse.
 
*Come on Eileen, Song By Dexy’s Midnight Runners 


 

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Chapter Three

“When the zeros line up on the 24 hour clock;
When you know who's calling even though the number is blocked;
When you walked around your house wearing my sky blue Lacoste
And your knee socks.”
 
Gennaio passava lentamente, fra pomeriggi di pioggia e lenzuola intrecciate. Alex aveva ripreso a suonare la propria chitarra con regolarità, ritrovandosi a strimpellare persino a casa di Eileen, mentre lei leggeva qualcosa con la gatta accoccolata sopra le gambe. Condividevano il tempo senza chiedere qualcosa in cambio, se non qualche sorriso e bacio rubato di tanto in tanto. Il passato di Eileen era ancora un’enorme incognita. Non teneva nessuna fotografia incorniciata per casa, niente album di famiglia o cassette di ricordi. Le pareti ospitavano solo qualche quadro comprato a Sud della città e qualche disegno dei suoi. La ragazza concedeva una parte del suo presente, con la tacita richiesta di non cercare nulla di più. E ad Alex andava bene così. Si limitava a studiarla da lontano, qualche volta. In una moviola di capelli disordinati ed espressioni concentrate, di gambe accavallate deliziosamente e i suoi calzini al ginocchio a farla sembrare più giovane. Era il dettaglio preferito del ragazzo, amava stropicciarglieli, lasciandoli scivolare lentamente, coprendo la pelle liscia di carezze e baci. Adorava persino il rumore dei suoi passi attutiti dal parquet o lo scalpiccio dei tacchi degli stivali, a scandire i secondi con cadenze regolari. Le labbra di Eileen sapevano spesso di cioccolato, l’unico vizio che mai le aveva visto concedersi, oltre alla collezioni di libri sugli scaffali in salotto. Aveva potuto constatare che fosse una buona cuoca, la stessa sera in cui aveva capito che il suo canticchiare a bocca chiusa nascondeva in realtà una capacità di intonazione non da tutti. Non le aveva chiesto nulla di più nemmeno quella volta, sebbene la curiosità di sapere quel tipo di piccoli dettagli lo portasse spesso a dei silenzi brevi.
Non era mai andato a trovarla al lavoro, la mattina al bar, né si era concesso di farle una sorpresa presentandosi a casa sua senza prima averla chiamata al cellulare, sussurrandole quanto gli mancasse. Ma tutto sembrava scorrere nel modo giusto, riempiendo le notti dei loro sussurri e del calore provocato dai due corpi abbracciati. Condividevano qualcosa di semplice e questo sembrava essere abbastanza per entrambi. Portava serenità a lei, evidente nei minuti passati a sorridere con vera spensieratezza quando lui compariva sulla soglia della porta del suo appartamento, e dava la giusta scarica di emozioni ad Alex, spronandolo a canticchiare un motivo appena nato quando guidava l’auto. Eileen era ispirazione, con le sue lentiggini e il suo modo di ballare senza insistere sui propri passi.
«La mia maglietta ti dona, piccola.» Le riferì spostandosi sul divano per mettersi più comodo, mentre si leccava le labbra senza accorgersi di stare sorridendo con malizia. La sua Lacoste blu chiaro le accarezzava le cosce, evidentemente troppo lunga e larga sulle spalle. La rendeva ancora più graziosa, se possibile, e le dava una nota sensuale, insolito per un capo largo tendente al goffo. Lei gli sorrise, lasciando intravedere una linea di denti bianchissimi.
«Dovresti ballare anche tu!» Eileen alzò le braccia, spostando i capelli solo per poi rilasciarli cadere in disordine. Una canzone suonava alla radio che aveva appena acceso, convinta che l’avrebbe sostenuta nella sua insana voglia di ballare. Non aveva un’abilità in quello, tendeva perlopiù a fare piccoli passi sul posto, muovendo i fianchi senza seguire un vero ritmo. Alex si accorse di adorarla lo stesso e guardarla lo divertiva, oltre che deliziarlo. Se ne stava a petto nudo su quel divano, con le braccia incrociate dietro la nuca e i capelli privi di gel, scompigliati. All’esterno delle nuvole minacciavano una scarica di pioggia e il sole timido si affacciava di tanto in tanto, illuminando la stanza nell’esatto punto in cui Eileen si dimenava, ma il piccolo appartamento rimaneva piacevolmente riscaldato artificialmente. Se la ragazza aveva delle fissazioni, allora una di quelle era sicuramente mantenersi al caldo, con sciarpe e cappotti, se necessario, ma ancora di più amava poter camminare per casa senza la costrizione dei jeans stretti.
Alex non rispose per un po’, continuando a godersi lo spettacolo da lontano, anche se lei gli lanciava occhiate eloquenti e di invito. Solo dopo il tempo di due canzoni decise di partecipare, avvicinandosi a lei e stringendole la vita con le braccia, sorprendendola alle spalle. Approfittò del ritmo lento della nuova musica per baciarle il collo scoperto dalla forma della Lacoste. Lasciò poi la presa, solo per muoversi in modo da girarle attorno, afferrandole poi con delicatezza una mano. Le fece fare una giravolta, mentre lei rideva piano. Ondeggiarono per un tempo che pareva essere stato rubato, ritagliato dalla quotidianità e dal caos della città che andava sempre di fretta.
«Sai? Pensavo di farti conoscere Matt, stasera.» Prese a parlare, con la voce impastata, distratto dal modo in cui lei si muoveva con sensualità più marcata.
«Il tuo migliore amico?»
«Sì, proprio lui. Ti piacerà.» La vide riportarsi i capelli all’ordine con entrambe le mani. Lo guardò dritto negli occhi, con divertimento e sorpresa. Si sentiva lusingata, era evidente. Forse pensava di essere solamente un mondo diverso per lui, uno adatto solo ad un ritiro nel pomeriggio e nella notte. Lontano da tutto il resto, non abbastanza importante per essere portato oltre le quattro mura di quel posto. Ora Eileen stava processando l’evidente contrario, ormai messo alla luce dalla richiesta da parte di lui.
«Così come so che ti piacerà il viaggio in moto.» Aggiunse Alex, abbassando il viso per incontrare le labbra di lei e baciarla con un sorriso ancora stampato sul viso.
«Mh, sai troppe cose.» Mugolò lei, prima di appoggiare le mani sul petto di lui e spingerlo con delicatezza, insieme ad un’ilarità marcata nell’espressione del viso. Poi ritornò sui suoi passi, continuando a ballare, con la maglia di Alex che dondolava sul suo corpo esile.

Quando il cantante fece la sua comparsa con la sua fidata moto sotto la casa di Eileen, la ragazza stava già aspettando con la schiena appoggiata al muro del grattacielo. Alex non poté trattenere un’aria assolutamente divertita, mentre accostava maneggiando con abilità la propria vettura. Eileen aveva infatti messo da parte i suoi soliti vestiti da bambolina e le sue sciarpe calde, barattandole con qualcosa che sapeva di vecchio stile. La giacca di pelle ed un foulard giallo intorno al collo, jeans stretti e stivali alti, una coda di cavallo a legarle i capelli lunghi.
«Sembri appena uscita da Grease.» Le fece notare lui, senza togliersi il casco, piuttosto porgendole quello del passeggero.
«E’ divertente sentirlo dire proprio dal ragazzo che indossa mocassini e fa della giacca in pelle la sua divisa.» Gli fece l’occhiolino, senza perdere l’abilità nel rigirare il discorso con ironia. Gli occhi di lei erano impreziositi da una linea scura d’eyeliner, rendendo il suo sguardo più sensuale del solito.
«Ma ora sei la mia copia al femminile. Dovresti provare con gli occhiali da sole.» Indicò i propri con la punta dell’indice, mentre lei afferrava il casco e faceva in modo di indossarlo senza spettinarsi troppo.
«Il mondo è bello a colori, Alex.» Poi montò sulla motocicletta, con un movimento agile e senza avere nessun particolare problema. Avvolse il ragazzo con le braccia, stando attenta a tenersi stretta, tradendo anche un poco di timore.
«Non andare troppo veloce, okay?» Gli disse infine, stringendosi maggiormente a lui. La risata di Alex venne coperta dal rombo del mezzo, mentre presero a sfrecciare lungo le strade di Los Angeles. Le luci della sera si trasformavano in linee più lunghe e il vento sferzava senza pietà sul viso di Eileen, a malapena coperto dalla schiena del ragazzo. Il freddo invernale le si insinuava sotto la giacca e oltre la maglietta, provocandole brividi ovunque e convincendola persino di aver fatto una pessima scelta con quell’assortimento di vestiti. Era evidente che avrebbe dato qualsiasi cosa per le sue sciarpe morbide, anche se l’idea dei guanti le dava un certo vantaggio. Alex poteva sentire le braccia di lei avvinghiate al proprio busto, le dita strette sulla propria giacca con nervosismo.
Dopo svariati minuti, Alex accostò nuovamente, spegnendo il motore. Aspettò che lei sciogliesse la propria presa e scendesse, prima di imitarla, sfilandosi poi il casco. Passò le dita sui propri capelli, tenuti fermi all’indietro dal gel.
«C’è anche Breana, la ragazza di Matt, non è un problema, vero?» Le riferì quel dettaglio solo dopo aver controllato il suo cellulare, in cui un messaggio citava la presenza della modella. La vide aggrottare la fronte ed unire le labbra in una leggera smorfia.
«No, sono felice di poter conoscere entrambi. Solo… dammi un attimo.» Dopodiché prese a sfilare l’elastico dai capelli, lasciando la chioma dorata libera sulle spalle. Armeggiò sul nodo del foulard fino a lasciare il collo libero, per poi nascondere il pezzo di stoffa in una tasca della giacca, la stessa che avrebbe tolto non appena avrebbero varcato la soglia dell’edificio.
«Lo stile anni cinquanta non ti andava più?» Chiese lui, sfilandosi gli occhiali mentre procedevano lungo le scale, dopo aver optato per evitare l’ascensore a favore di un movimento pronto a combattere il freddo dell’aria notturna che si erano appena lasciati alle spalle.
«Quello era riservato solo a te, o alla moto. Insomma, sembravo davvero una tua piccola copia!» Risero entrambi, mischiando le proprie voci di tonalità così differenti in un qualcosa di armonico. Avevano sviluppato una certa complicità, frutto di uno scambio di battute frequente e dei pomeriggi passati assieme.
Quando Matthew aprì loro la porta del proprio appartamento, Eileen aveva l’aria di una perfetta ragazza californiana, non più della protagonista del film citato prima da Alex. Sorrideva amabile mentre stringeva la mano prima al ragazzo e poi alla sua compagna. Breana la superava di qualche centimetro in altezza. Alex credeva che la mora fosse sempre stata graziosa nel suo essere minuta ma Eileen, al suo fianco, poteva vantare la dolcezza dei lineamenti, e quel suo modo di fare che catturava ogni volta l’attenzione del cantante. Breana emanava sensualità e un carattere più sfrontato, mentre l’altra sembrava essere quasi timida – pur non essendolo affatto – al suo fianco. Nonostante questo l’ospite si ritrovò ad adattarsi facilmente, non che fosse difficile conoscendo gli amici di Alexander.
L’appartamento del ragazzo appena conosciuto da Eileen aveva un arredamento studiato, moderno e talmente elegante da spingere la ragazza a pensare che non fosse opera sua. La zona della città e il grattacielo in sé la dicevano lunga sul lavoro che svolgeva, essendo ancora a corto di informazioni su di lui.
Cenarono fra battute e aneddoti dell’adolescenza dei ragazzi, mettendo in imbarazzo Alex più volte ma spronando Eileen ad aprirsi, con la sua ironia  e la dolcezza tipica di lei. Il cantante la osservava, spesso senza rendersene conto, notando quanto sembrasse a suo agio. Dei dettagli catturarono la sua attenzione più di altri, rendendolo più silenzioso del solito. La sua ragazza sembrava essere preda anche quella sera dei fantasmi della sua vita. I suoi sorrisi ampi e solitamente ricchi di divertimento riuscivano a trasformarsi in un arricciarsi di labbra malinconico. Lo sguardo cadeva spesso lontano dalla tavola, segno di un flusso di pensieri estraneo alla conversazione. L’inizio della serata sembrava aver promesso ad Alex di poter avere Eileen tutta per loro, senza interruzioni da parte di quelle preoccupazioni misteriose. Il tutto si era sviluppato solo in seguito ad una prima vibrazione dell’apparecchio telefonico di lei, che aveva prontamente ignorato, fingendo indifferenza. Era invece ovvio che fosse proprio quel dettaglio ad averla resa schiava ed incapace di lasciarsi andare totalmente. Ora il pozzo scuro presente negli occhi di lei pareva più attento, complice il silenzio dettato dal suo cellulare. La radio presente all’interno della casa, collegata a numerose casse appese un po’ ovunque nell’appartamento, suonava Crying Lightning degli Arctic Monkeys, come appena annunciato dallo speaker. La melodia raschiata della chitarra elettrica rendeva chiaro il ritmo, mentre le parole della canzone venivano mimate dalle labbra di Eileen.
«Adoro questa canzone!» Esclamò, incrociando le gambe sul divano, continuando a canticchiare sottovoce. Matt e la sua compagna si scambiarono occhiate incerte, per poi puntare la propria attenzione su Alex con un punto interrogativo stampato sul volto. Lui dapprima si strinse nelle spalle, poi si ritrovò ad essere divertito dalla situazione, stranamente. Nelle varie settimane condivise con la ragazza californiana mai aveva accennato al suo essere un cantante di fama internazionale, membro di una band altrettanto famosa. Lei non si era interrogata molto sull’abilità di saper suonare la chitarra di lui, né della capacità di saper cantare. A volte ci scherzava su, ma l’argomento non era mai veramente saltato fuori come in quel momento, e ad Alex non era mai venuto in mente di spiegarle quel dettaglio. Non pensava però che potesse crearsi un problema, conoscendola.
«Oddio, la voce del cantante è così sexy.» Prese a gesticolare con la mano, non badando al suo modo di fare spontaneo. Emerse un suono di risate generali, insieme a sopracciglia alzate e occhiatacce lanciate ad Alex.
«Ah, sì?» Le fece il diretto interessato, improvvisamente curioso di sapere qualcosa di più.
«A me sembra solo la voce di un idiota.» Intervenne l’altro ragazzo, dando una gomitata leggera nel fianco dell’amico.
«Piuttosto senti il ritmo della batteria, quello sì che non è male.» Aggiunse nuovamente, sorridendo soddisfatto. In risposta Breana si spinse su di lui, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, per poi scambiarsi un bacio veloce.
«Sì, ha un ritmo fantastico.» Eileen continuò a dondolare il capo, mentre gli altri cercavano invano di nascondere le proprie espressioni di ilarità.
«Ma il cantante ha qualcosa in più, non so.»
Breana scoppiò a ridere di gusto, mentre l’altro, al suo fianco, si lasciava andare ad una smorfia di disapprovazione. L’innocenza che Eileen diffondeva in tutta quella situazione era tale da concederle il permesso di commentare in qualsiasi modo, senza che nessuno in quella stanza potesse offendersi.
«Vedi? Il cantante ha qualcosa in più.» Alex citò la propria ragazza solo per infierire di più sull’amico. Si sporse poi verso di lei, lasciandole un bacio nel punto fra i collo e la spalla. Solo in quel momento lei smise di canticchiare, con un’espressione interrogativa sul viso. Ormai doveva aver lasciato cadere l’idea che i tre stessero ridendo per qualcosa al di fuori di quel contesto, ormai era diventato evidente che le mancasse qualcosa, un pezzo del puzzle in quel divertimento condiviso da tutti tranne che da lei. Non fece in tempo ad esporre quel dubbio ad alta voce che la canzone terminò sulle ultime note, dando la possibilità al conduttore radiofonico di dare un’informazione sul cantante, nominandolo per nome e cognome. I tasselli si rimisero al loro posto e sul viso di Eileen comparve un’espressione di assoluto stupore.
«Ho sentito bene? Alex Turner?»
Si strinsero tutti nelle spalle, incerti sul da farsi. Breana e il suo ragazzo si scambiarono un’occhiata, temendo forse l’inizio di una discussione che sarebbe potuta diventare facilmente imbarazzante. Un sentimento di incertezza passò negli occhi del cantante, invece, ma solo per qualche istante. La reazione di Eileen non tardò ad arrivare. Il suo sguardo si illuminò, contagiando il resto del viso, dandole un’espressione bambina. Si spostò freneticamente sul divano.
«Wow! Voglio dire, sono senza parole.» Gli altri si rilassarono all’unisono ai loro posti, lasciandola processare il tutto. Era come un animale domestico dal muso adorabile nella stanza. Rimanevano tutti piacevolmente sopresi delle sue razioni, studiandola con curiosità oltre quel velo di lentiggini. Alex si avvicinò al suo viso, incapace di stare ad osservarla troppo a lungo senza ricercare un contatto, lasciandole poi un bacio a fior di labbra.
«Ma aspetta… Stavate approfittando della mia ignoranza per farvi fare dei complimenti?»
Risero tutti, compresa lei. La serata aveva preso una piega rilassante ma era comunque strano vedere tutto orbitare intorno ad Eileen. Aveva la capacità di attrarre le persone, di farsi amare anche da qualcuno con un cuore di pietra. Riscaldava l’ambiente con la sua presenza e spingeva tutti ad essere se stessi. Era aria, come l’aveva descritta Alex la prima sera. Si riusciva a capirne l’importanza solo quando non si aveva lo sguardo su di lei e allora la si ricercava. Alex pensò che fosse un qualcosa riservato solo a lui, visto che Eileen era la sua ragazza, ma dovette ricredersi.
Le persone all’interno del locale ampio di quella casa si separarono, rimanendo a coppie distanti. Breana ed Eileen avevano entrambe le gambe accavallate, sedute sugli sgabelli alti posti vicino al piccolo tavolo usato solitamente per le colazioni. I due amici, invece, erano rimasti placidamente seduti sui divani posti uno di fronte all’altro. Avevano posizioni simili, con le gambe aperte e solo le spalle appoggiate allo schienale, ma facevano trapelare qualcosa di diverso. Alex si accorse solo in quel momento della tendenza del suo amico di ricercare le due ragazze, continuamente, anche durante la loro conversazione. I due parlarono del gruppo, scambiandosi informazioni sul tipo di ritmo che avevano in mente di riportare, promettendosi di aggiornare gli assenti il più presto possibile. Fu più avanti, durante lo stesso scambio di parole, con una birra in mano, la seconda della serata, che Alex si lasciò andare al dubbio che continuava a scavargli i sensi. Si era ripromesso di evitare. L’aveva proprio pensato, ad inizio serata, ma decise che fosse umano farlo.
«L’hai notato?» Chiese, d’improvviso. Il suo pensiero era tutto per Eileen e l’ombra dei suoi occhi, per la vibrazione del cellullare e dei silenzi che si contagiavano a vicenda.
«Cosa? Che sembri brillo pur avendo bevuto – quante? – due birre.» Gli fece, decisamente sotto l’effetto di più alcool di quanto l’altro ne avesse bevuto. L’inizio di un sorriso e di quello che pensava un semplice scambio di battute si interruppe sul viso di Matthew quando fu chiaro che il discorso si stava promettendo più serio di quanto previsto.
«No, lei. Hai visto come si fa pensierosa quando le squilla il telefono?» Continuò Alex, senza fare caso al modo dell’altro di scongiurare il dialogo deprimente. Lo sentì sospirare e lo vide rigirare il contenuto della bottiglia come se fossero stati dei pensieri.
«In realtà no ma è stata Breana a farmelo presente, a tavola.» Un altro sbuffo ed entrambi posarono gli occhi sulle due ragazze che ora parevano scherzare senza nessuna preoccupazione.
«Cosa pensi che sia? Ne hai parlato con lei?» Aggiunse.
«Ho delle idee ma niente di confermato. E ogni volta che si accorge di come io l’abbia notato si fa ancora più pensierosa.» Il cantante si passò il pollice sul lato delle labbra, arricciandole poi in una smorfia. Era un qualcosa che l’aveva tenuto sveglio una notte, con lei fra le sue braccia. Era un tarlo che continuava a non volerlo lasciare in pace, logorando le sue convinzioni prima che potesse davvero rendersene conto. Pensava davvero di poter dare qualcosa senza chiedere nulla in cambio ma si accorse di non stare rispettando il suo stesso piano. I pomeriggi erano sempre stati così piacevoli insieme a lei ma ora si accorse di come certi silenzi non sembravano per niente quelli di due innamorati, piuttosto quelli di una vecchia coppia sposata.
«Un altro? Cazzo, questa conversazione non mi piace.» Ad Alex parve quasi divertente la reazione dell’amico, perché quello a dover essere completamente a disagio era lui. Invece si stupiva di come la stava prendendo con calma, sforzandosi di essere razionale e di non saltare alle conclusioni. Si chiese persino se quel cattivo presentimento non lo stesse lentamente portando alla pazzia. Cambiarono velocemente argomento, come se l’imbarazzo di Matt ne avesse dichiarato la priorità. Si accorsero entrambi di stare dando troppe occhiate verso la direzione di Eileen, tanto da spingerla a ricercare un contatto di sguardi rassicurante. Poi Alex le sorrise e lei ricambiò, piegando appena il capo da un lato, mentre i capelli dorati le ricadevano sul petto.

Le lancette dell’orologio si sfioravano quando ritornarono a casa di Eileen. Il freddo invernale della notte non rimbalzò sulle loro giacche, piuttosto li scosse entrambi. Agirono con grande sollievo quando varcarono la soglia dell’appartamento, sempre piacevolmente riscaldato. Medea fece la sua comparsa, andando a strusciare contro le gambe della padrona, miagolando in saluto. Alex si abbassò, avendo la cura di accarezzarle il capo. Una sensazione vagamente simile alla malinconia lo spinse a muoversi con estrema lentezza, quasi temendo il secondo successivo. Si rivelò un giusto istinto quando si accorse di come la ragazza ignorò la gatta. Solitamente amava soffermarsi per minuti interi, a sussurrarle qualcosa di dolce e chiederle persino come avesse passato la giornata. Eileen saltò quella parte adesso, estraendo dalla tasca della giacca il cellullare. Alex ebbe un pensiero malsano, che gli rabbuiò i lineamenti, rendendolo estremamente stanco. Si dovette trattenere dal prendere l’apparecchio e lasciarlo andare dalla finestra. Si immaginava se stesso con un’espressione soddisfatta e questo lo terrificava. Si tolse il proprio giubbotto, invece, appendendolo all’ingresso. Non staccava gli occhi dalla ragazza, come se potesse capire qualcosa di più anche solo con quell’insistenza. La vide digitare febbrilmente, con la solitudine sul volto, e l’attesa di una risposta le scavava le guance, quasi a renderla più magra. Alex si rigirò in mente due possibili soluzioni, chiedendosi se non fosse meglio lasciarla sola e vivere in quella sua ignoranza protettrice, anche se pareva un gesto egoista. La risposta fu che non aveva il coraggio di lasciarla in quello stato, convinto del fatto che non avrebbe chiuso occhio senza sapere se le lentiggini di lei l’avrebbero fatta ritornare bambina, quella sera.
Eileen, non contenta del silenzio del proprio apparecchio telefonico, si decise a ricercare un numero nella rubrica, per poi portarlo all’orecchio. S’impegnava ad ignorare il ragazzo, anche se aveva voglia di sorridergli, anche solo per mimare un “non preoccuparti” con le sue labbra rosee. Alex sentì una voce sconosciuta dall’altro capo del telefono, non ne capì le parole ma fu chiaro fosse semplicemente una segreteria. Lei richiuse, lasciandosi poi andare lungo la parete. Lo fece lentamente, portandosi addosso tutta la stanchezza del mondo. La sua pelle deliziosamente nivea era ora pallida, in un modo terrificante. Alex accorse da lei, con due lunghi passi per impedirsi di entrare nel panico. Le si inchinò davanti, poggiando proprio le ginocchia sul parquet.
«Stai bene, piccola?» Non glielo disse, glielo sussurrò, e pure con una certa paura nella voce, come se un tono più alto l’avrebbe spinta a stare peggio. Vezzeggiarla in quel modo era più per rassicurare se stesso, aggrappandosi alla quotidianità dolce di quel suono, pur di non sprofondare nell’oscuro oblio della verità. Lei alzò lo sguardo solo in quel momento, quello che prima teneva puntato sulle sue mani, che ancora stringevano il cellullare. Annuì piano, cercando di racimolare la convinzione necessaria per sorridere senza fare preoccupare il suo compagno. Non ci riuscì, non davvero. La fossetta sulla sua guancia non comparve e il suo sguardo la tradiva. Alex sentì il proprio cuore sprofondare in qualche parte ignota del suo corpo. Si appoggiò anche lui alla parete, circondandola con un braccio e traendola a sé con incertezza. La pelle di lei era fredda e i suoi capelli sembravano essere spenti di quel solito sole che li illuminava. Le baciò la tempia, tremante. Gli parve incomprensibile il distacco netto fra l’atteggiamento di lei solo un’ora prima, allegro e pieno di energia, e la macchia grigia che pareva ora. Voleva dire qualcosa, giusto per riempire il silenzio che li inghiottiva entrambi, ma non trovò niente di adatto. Restarono in quella posizione per un tempo indefinito, che pareva più eterno di quanto non fosse, con la gatta che li osservava attenta da lontano.
«Vieni di là?» Le chiese, con il tono più dolce di cui fosse capace. Lei lo guardò negli occhi, piacevolmente sorpresa da tutte quelle attenzioni. Per un istante parve di nuovo piena di vita, ma solo per una frazione di secondo. Alex si alzò per primo, tendendole la mano. Avrebbe voluto prenderla in braccio perché gli dava l’impressione di un animale ferito ma, in quel momento, gli sembrò più giusto cercare di farla uscire da quello stato insano. Il rumore dei tacchi degli stivali di Eileen riempivano la casa ma non passò nemmeno una manciata di secondi che lei li tolse, quasi con rabbia. Si lasciò andare sul letto, portandosi i capelli dietro le orecchie con entrambe le mani. Si vergognava profondamente, non avrebbe mai voluto farsi vedere da lui in quel modo, né tantomeno trascinarlo in quella miserabile storia. Lui che ora sembrava essere un bambino smarrito, con l’incertezza a tendergli i lineamenti e a guidare ogni suo movimento. Lui si tolse le scarpe, afferrando poi le estremità del lenzuolo e tirandolo fino scoprire una porzione di letto. Dopo si avvicinò ad Eileen, sempre con quella dolcezza e insicurezza dettata dalla malinconia, baciandole piano il collo, così delicatamente che dava quasi l’impressione di non starlo facendo affatto. Le tolse i jeans, senza mai smettere di darle attenzioni. Le rubò persino un sorriso, più convinto del precedente. Le gambe di lei ora erano coperte solo dal ginocchio in giù, dai suoi adorabili calzini al ginocchio. Alexander la fece accomodare meglio nel letto, mentre lei cercava conforto sul suo petto. Ci fu un silenzio profondo ma dolce, struggente.
«Ti racconterò tutto, te lo prometto.» Sembrava giusto che fosse lei a tagliare l’oscurità. Gli lasciò un bacio leggero proprio sulle labbra  Si accoccolò meglio su di lui, poi. Alex raccolse qualche parola nella propria mente. Rassicurazioni, qualsiasi cosa che la facesse sentire meno sola.
«Solo non adesso. Domani, forse. Non andartene, va bene?» Il tono di voce di Eileen avrebbe portato sull’orlo delle lacrime anche un non udente. Lui lasciò cadere ogni parola, non trovandone giusta alcuna. La strinse più forte, questo sì. La baciò per minuti interi, un po’ ovunque. E dormirono assieme, dopo che lui l’avrebbe sentita tirare su col naso più volte. Morfeo li prese molte decine di minuti dopo che gli zero si fossero allineati sull’orologio, segnando qualcosa che nessuno avrebbe mai davvero afferrato.

 

Mi ritaglio un angolino qua sotto per salutare chi sta leggendo la storia e ringraziare chi l’ha recensita o, in anticipo, chi ha intenzione di farlo. Spero di stare procedendo per il verso giusto e di non stare forzando troppo i personaggi, rendendoli poco reali.
Un bacio, HeySoul.

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Capitolo 4
*** Chapter Four ***


Ciao a tutti lettori! Volevo avvisarvi di aver cambiato il rating. Mi sono accorta che nei prossimi capitoli c’è un qualcosa di più complesso e, sebbene lo tratti solo a grandi linee, è sempre meglio avvisare, per andare sul sicuro, no?
Quindi, niente. Grazie ancora a chi sta leggendo! Ed ecco il capitolo quattro.
 

Chapter Four
 
“The ghost in your room that you always thought didn't approve of you knocking boots.
Never stopped you letting me get hold of the sweet spot by the scruff of your
Knee socks.”
 
A Los Angeles l’unico suono che poteva accompagnare un risveglio era il rombo delle automobili, proprio a qualche metro di distanza dalla finestra della camera da letto. Sarebbe stato carino avere degli uccellini canterini, come nei film e nelle fiabe di quando si era piccoli, avrebbe contribuito a rendere tutto più dolce e a regalare qualche minuto in più di beata ignoranza. Perché si sa, il momento peggiore non è l’aprire gli occhi in sé, né il fastidio dato dall’interruzione di un bel sogno, ma quando la realtà si abbatte sul viso: una ventata di aria fredda, acqua ghiacciata, crudeltà, forse. Alex cercò di rimandare quel momento il più possibile, ostinandosi a lasciare fuori da quella stanza ogni pensiero, tutto. Le ciglia di Eileen erano così lunghe da arrivare ad accarezzarle gli zigomi, forse complice il mascara dalla sera prima. Il trucco non più in ordine le dava un’aria buffa, forzandola ad assomigliare ad una ragazzina alle prime armi con quei colori che l’avrebbero tormentata per il resto della vita. Le lentiggini sparse su tutti gli zigomi e un poco sulla fronte contribuivano a quell’immagine, così come le guance arrossate per il caldo dato dall’abbraccio e dal riscaldamento. Non aveva il coraggio di spostare lo sguardo da quel viso sereno, temendo che avrebbe potuto disturbare quell’anima persa in una pace profonda. Avrebbe avuto voglia di stropicciarsi gli occhi, spostare il braccio da quella posizione che lo costringeva a sentire un fastidio costante, o anche solo dare un’occhiata alla gatta che sentiva ronfare placidamente poco più in là, forse anche lei sul letto. Ma rimase fermo, concedendosi solo un sorriso inconsapevole. La osservò per un tempo che sarebbe sempre sembrato solo una manciata di secondi, in qualsiasi universo e in ogni vita che avrebbe vissuto, prima di cedere all’istinto di accarezzarle le labbra con il pollice. Erano screpolate dal sonno inizialmente agitato ma sempre rosee e piene, senza espressione. Fu in quel momento che Eileen si mosse un poco, stringendosi di più a lui e mormorando qualcosa di indefinito. Quel gesto lo spinse ad allargare il proprio sorriso, punzecchiando persino la sua curiosità, poiché riusciva a capire bene che lei non fosse affatto sveglia, solo in procinto di aprire gli occhi. Avrebbe potuto bisbigliare il suo più grande segreto che non avrebbe avuto modo di accorgersene, lasciando la sua innocenza nel cuore di Alex. Lui prese a passare l’indice sulla curva di quel collo candido, disegnando qualcosa in uno stato d’incoscienza per minuti interi.
«Ti amo.» Sussurrò lei, senza dare nessun preavviso. Non un suono sommesso, né un mugolio distratto, solo una coppia di parole nel silenzio dolce di quella mattina che desiderava lasciare tutte le ore successive in un mondo a sé stante. Alex si congelò, smettendo di imprimere segni invisibili sulla pelle di Eileen e concedendosi un’espressione interrogativa. Non riusciva a capire se lei fosse ancora dispersa in un sonno profondo, non aveva nessun ricordo di averla sentita parlare da addormentata, nelle notti precedenti a quella. Ma la risposta a quell’enorme interrogativo non si fece attendere.
«Non smettere però. Era così piacevole.» Ora era chiaro che lei si fosse destata dalla sua condizione precedente, con quel lamento. Rimase per qualche altro secondo in quella posizione, per poi muoversi lentamente, appoggiando la testa sul cuscino a favore di Alex e il suo fastidio al braccio. Si riposizionò anche lui, poi. Adesso erano entrambi adagiati su un fianco, con gli sguardi intrecciati e le voci impastate dal sonno. Nonostante il cambio sulle lenzuola, Alex riprese ad accarezzarla, solo passando anche sulla linea della mandibola e sulle labbra.
«Avevo parlato a proposito di doverti riferire tutto. Mi sembrava un buon inizio.» Si giustifico così, stringendosi un poco nelle spalle con timidezza ma allo stesso tempo sorridendo con emozione e sincerità. Non era mai stata arruffata in quel modo, con i capelli tutti disordinati sopra il cuscino, il trucco scuro a contornarle gli occhi in modo per nulla omogeneo, quasi a darle l’effetto di un paio d’occhiaie da insonnia. Doveva aver pianto quella notte, perché il viso presentava dei segni quasi impercettibili, verticali e lungo le guance. Il passaggio di lacrime, il loro percorso casuale in un ombra di tristezza. Ma ad Alex non era mai apparsa più bella. Era reale e sapeva di verità, il suo sorriso pareva poter sconfiggere ogni male, oltre che in grado di illuminare l’intera stanza. Fu un attimo nella mente del ragazzo, un’istante per poterla ammirare, quasi di nascosto, poi le si avvicinò per incontrare le sue labbra.
«Ti amo.» Ripeté con la leggerezza nel cuore, nel suo tono di voce basso. La voglia di aggiungere qualcosa sulla sua bellezza stava diventando quasi un bisogno, ricordarle del sole dei suoi capelli e del nero desiderio nei suoi occhi, ma le parole appena pronunciate erano cariche anche di quelle impressioni e sapeva fossero arrivate a lei come di dovere. Si accostò alle sue labbra più volte, lasciando solo lievi carezze, mentre le dita vagavano fino a trovare il punto dietro il ginocchio di lei, proprio vicino alla stoffa dei calzini bianchi. Quella pelle era seta dal colore di mille perle alla luce, con i riflessi a mezzaluna a farle sembrare meno reali. Alex aveva l’impressione di non stancarsi mai di accarezzarla, di poter continuare in eterno sempre con il piacere sotto le dita.
«Hai profumo di notte.» Le parole erano proprio queste, pronunciate ad una distanza di qualche centimetro dal collo di Alex che rise, sentendola talmente seria e presa da quell’idea.
«Come?» Le passò una mano fra i capelli, mentre l’altra continuava a marchiare la pelle di invisibili segni.
«Sì, davvero. Qualcosa come aria notturna. Colpa del viaggio in moto, forse?» La piega delle sue labbra si congelò, e lei semplicemente si strinse di più a lui, non trovando nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi. Il ricordo della sera prima era tornato dentro quella stanza come una tempesta estiva, strisciando sui nervi ora non più rilassati di entrambi. Avrebbero avuto voglia di lasciare tutto quello fuori dalla calma e la dolcezza di quelle carezze, mentre adesso li spingeva solo ad avvinghiarsi maggiormente, come se uno dei due potesse svanire da un momento all’altro. Passò qualche secondo in un silenzio che non era più risveglio e nemmeno amore, ma incertezza concreta.
«Abbiamo bisogno di una colazione come si deve. Tu soprattutto di un caffè, anche se adoro i tuoi occhi quando sono assonnati.» Si sentiva in colpa, almeno un poco, per aver interrotto il filo di quel risveglio diverso. Eileen cercò di riparare, riportando meglio che poteva quella nebbia tranquilla che li aveva avvolti fino al momento precedente. Lei si permise di lasciare scorrere il dorso della mano sul profilo della mandibola di lui, prima di scostarsi con l’idea di alzarsi dal letto. L’ultima immagine che ebbe Alex di lei furono i suoi calzini, uno alto e perfetto nella sua solita posizione, e l’altro stropicciato, accartocciato sulla caviglia. Le cosce nude e la gatta che trotterellava curiosa dietro di lei. Si concesse una sigaretta, a quel punto, convinto che la nicotina gli sarebbe stata d’aiuto. Aprì la finestra, l’aria gelida ed invernale lo colpì in pieno viso, come una avvertimento. Si lasciò andare poi ad una doccia, col pensiero distratto di stare sostituendo quel profumo di notte. Incrociò la ragazza, solo per poi vederla sgattaiolare in un’altra stanza. Quando finalmente poté sentire il profumo di caffè spandersi nella cucina, i suoi capelli non seguivano nessuna logica, scompigliati in un contrasto con il solito ordine del gel, portando persino la ragazza a ridacchiare alla sua comparsa nella stanza. Eileen teneva fra le mani una tazza calda, facilmente comprensibile dal fumo denso che ne usciva, e dalla macchia scura sulle labbra si poteva prevedere della cioccolata. E ormai Alex aveva avuto modo di procurarsi qualche biscotto – sempre presenti all’interno della dispensa – e il suo amaro, quando lei riprese a parlare.
«L’appartamento è mio, sai? Non pago l’affitto.» A lui sembrò un’uscita piuttosto singolare, soprattutto senza l’anticipazione di un discorso simile. Nulla del genere aveva mai sfiorato il suo interesse ma ora che ci faceva caso gli sembrò curioso. Effettivamente il nascondiglio di Eileen e di Medea poteva essere un facile interesse per chiunque, soprattutto per un agente immobiliare in cerca di una promozione. Era piuttosto ampio, anche se contava solamente quattro stanze, con il parquet scuro in perfette condizioni e il mobilio elegante – probabilmente scelto dalla ragazza stessa. In più si trovava in una zona favorevole, all’interno della città.
«Mia zia me l’ha lasciato quando se n’è andata.» Continuò, anche senza ricevere una vera risposta. Alex si sedette sul bracciolo del divano, incontrando il suo sguardo con un sopracciglio alzato ma con aria seria, attenta. Lei se ne stava comoda in una felpa più grande di almeno due taglie, con le ginocchia piegate e la tazza ancora piena a scaldarle le mani.
«Era una donna deliziosa, si chiamava Rosemary. Faceva della sua vita un insegnamento per chiunque l’avesse vicina. Passava ogni mattina a vagare per le strade meno frequentate, alla ricerca di qualche randagio che prontamente recuperava. Dava loro sempre nomi dei suoi personaggi letterari preferiti e li regalava ai bambini del quartiere, ma solo dopo essere riuscita a storcere loro delle promesse sincere e aver riempito le loro coscienze di raccomandazioni sulla salute dei gatti.» Prese un sorso della cioccolata bollente, dando di nuovo vita alle labbra altrimenti screpolate. Era il suo modo di aprirsi, e partire da lontano la faceva sentire al sicuro. Entrambi sapevano che non era Rosemary ad essere il problema che angosciava continuamente la ragazza ma ad Alex parve di avere il permesso di aprire un libro sempre rimasto chiuso. Intuiva fosse un grande passo per lei e si accorse di ammirare il suo coraggio. Ebbe l’istinto primordiale di accompagnarla in quella che pareva essere un’ardua impresa, così cercò un contatto. Appoggiò la tazza di caffè ormai vuota sul primo ripiano a lui concesso, per poi sedersi a sua volta sui cuscini, catturando le gambe di lei e posizionale con delicatezza sulle proprie. Medea balzò su di loro, ritagliandosi un posto in quell’intreccio.
«Medea non era più grande di una tua mano, Alex, quando Rosemary la trovò sotto una auto. Era così magra che le sue ossa si potevano distinguere una ad una, nonostante il colore scuro del suo pelo. Era una brava persona, la migliore che io abbia avuto l’onore di conoscere.»
Pausa, carezze.
«Fu lei ad accogliermi qua dentro quando i miei genitori ebbero il coraggio di cacciarmi di casa, proprio come uno di quei gatti.» Ci fu una pausa più lunga, accompagnata da un incontro di sguardi. Eileen finì la sua cioccolata, mantenendo comunque la tazza vuota ma ancora tiepida fra le dita. Ad Alex parve, per qualche secondo, di non essere in grado di reggere tutto quello. Non avevano nemmeno sfiorato il vero argomento che gli mancava l’aria a sentirla così lontana. L’avrebbe voluta stringere fra le braccia e giocare con i suoi capelli, e sussurrarle egoisticamente che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Aveva ormai rinunciato a cercare delle parole proprie, così la lasciò continuare.
«Non avevano mai apprezzato la mia passione per il disegno, non quando avrebbero voluto una figlia diligente capace di intraprendere le loro stesse carriere. Medico o avvocato, grande scelta, eh?» Si sarebbe aspettato di vederla sputare veleno, su un argomento del genere, invece Alex percepiva solamente un ironia triste. Le concesse un sorriso incerto e ricco di malinconia, mentre si stringeva nelle spalle con disagio. Persisté con le sue carezze, sulle ginocchia e sulle cosce nivee.
«Già, che cliché. Dicevano che sarei finita sulla strada senza nemmeno un soldo ma suppongo abbiano solo avuto voglia di anticipare i tempi. Gli concedo solo una cosa, solo una. Avevano ragione su di lui. Suppongo che il mondo abbia voluto dare contrasto alla mia vita, perché aver avuto la possibilità di conoscere Rosemary comportava dovere aver perso la testa per lui.» A quel punto le tremava la voce. Non guardava verso Alex, non più, e i suoi occhi erano colmi di lacrime che si ostinava a non voler lasciar cadere. Quell’ossidiana liquida fece sprofondare il ragazzo in uno stato di malinconia che gli attanagliava ogni nervo. Si concesse dieci secondi, solamente dieci, per poi sporgersi verso di lei senza nessun preavviso. Una mano sulle guance ora bagnate, un incontro di labbra dolceamaro della cioccolata e del caffè, dei ricordi e della tenerezza che si ostinava a non voler lasciare andare. Le parole erano ormai un concetto astratto per lui ma ebbe la necessità di riportarla a casa, in un certo senso. Donarle amore come antidoto a tutti quei brutti ricordi, darle sicurezza e offrire un posto caldo in un suo abbraccio. Nella propria mente nacque persino la consapevolezza di stare agendo per il proprio bene e non solo per quello di lei, poiché tutto quello gli scavava l’anima, togliendogli energia. E forse non avrebbe dovuto interromperla, forse esternare tutto quello poteva confortarla, ancora prima di rendere il suo viso triste, mentre lui aveva interrotto quel qualcosa. Si ostinava a continuare per la sua strada, coinvolgendola in baci lunghi, stringendola poi con tutta la premura di cui disponeva. La gatta era scivolata via dal divano, ora non più un posto calmo come qualche minuto prima. Alex aveva solo voglia di creare un nido sicuro per Eileen, dove poterle dare la possibilità di ricercare sollievo ogni volta che quell’oscurità minacciava di eclissare il sole dentro di lei. La coccolò a lungo e lei non si oppose, semplicemente si lasciò amare, ricordando ad entrambi una di quelle creature a cui Rosemary era solita dare un’altra possibilità. Passò un’ora, o poco più, quando il cellulare di lei squillò tagliando con crudeltà l’aria di sollievo che con fatica avevano costruito intorno a loro. Eileen fece per prendere l’apparecchio, cercando di districarsi dall’abbraccio che adesso li legava.
«Potrebbe essere qualcosa di importante.» Fece, nel momento in cui lui tentò di impedirle quel movimento. Alex la lasciò andare con molta incertezza, dopo quelle parole, ricevendo come rassicurazione l’ennesimo bacio. La vide camminare con sicurezza, quasi ricordandogli la determinazione che ci si impone quando bisogna mandare giù una pillola amara.
«Devo scappare a lavoro, a quanto pare hanno licenziato Kurtney e sono a corto di personale.» Chiarì, prima di ritirarsi a favore di un cambio d’abiti. Alexander poté stringerla solo un’altra volta prima di salutarla, ammirando il suo cappotto rosso e la sciarpa scura che le solleticava le guance. Rimase nell’appartamento non suo per altro tempo, rivestendosi completamente dei vestiti della sera prima e prendendosi del tempo per accarezzare Medea dietro le orecchie, perdendosi nei suoi pensieri e nel verde acceso di quello sguardo felino. Il cellulare di Eileen, simbolo di ogni male, era rimasto dimenticato sul tavolino d’ingresso, quello dove lei era solita poggiare le chiavi di casa. Lui lo osservò a lungo, facendosi tentare da dei pensieri non del tutto etici. Avrebbe voluto rigirarselo fra le dita, prima di aprire la casella dei messaggi e scoprire qualcosa di più sulla causa delle preoccupazioni della ragazza. Era sicuro di poter trovare informazioni su quel lui precedentemente citato, ma alla fine abbandonò l’idea, uscendo dal quel luogo candido che ormai riportava anche il suo odore.

Si ricordava molto piccolo quando sua madre, in un pomeriggio autunnale, gli spiegò il motivo per cui, a volte, si ritrovava costretta a punirlo per delle azioni che a lui parevano totalmente innocenti. Non lo fece con parole recuperate da delle riviste lette dal parrucchiere, né tirò in ballo i soliti discorsi infiniti sull’educazione. Gli aveva spiegato con molta calma il suo punto di vista, esponendosi più di quanto una figura di riferimento dovrebbe fare. Chiarì che il motivo che la premeva di più era proteggerlo perché era nella natura di una madre farlo. Come Penny, la cagnetta del vicino, che allora era conosciuta in tutto il quartiere come una creatura benevola, che provava affetto per chiunque e per chiunque si sarebbe sacrificata; ma dal giorno in cui ebbe i cuccioli diventò molto scontrosa quando li aveva intorno, solo perché temeva per la loro incolumità e il suo istinto la obbligava a comportarsi in quel modo. Così si giustificò sua madre. A quel tempo si ricordava solo di averla guardata senza capire bene, con i suoi occhioni scuri spalancati per l’innocenza infantile e con l’aria di un broncio ancora presente sulle labbra, a causa del divieto di incontrare i suoi compagni come castigo.
Poteva sentire in se stesso scorrere un sentimento simile quando spinse con indecisione la porta di vetro del bar in fondo alla strada. Accadde ore dopo l’ultimo abbraccio con Eileen ma, nonostante il tempo passato e la visita a Matt nella mattinata, non era riuscito a liberarsi del pensiero di lei. La sentiva ancora tremante sotto le sue dita e l’immagine dei suoi occhi colmi di lacrime non l’aveva lasciato in pace. Di certo non si era trasformato in un cane, né in una donna, si disse, semplicemente riusciva ad individuare nei suoi movimenti un senso di protezione primordiale.
Delle campanelle precedettero il suo ingresso nel locale, il cui caldo lo avvolgeva con piacere. Aveva idea degli orari della propria ragazza solo in una scala approssimata, creata sui messaggi che lei gli riservava ogni volta che rientrava o usciva di casa. Pensò che quello dovesse essere probabilmente la fine del suo turno, mentre si guardava intorno assicurandosi di aver trovato il posto giusto. La sala non era tanto grande ma di una forma allungata che dava la possibilità ai nuovi ingressi di poter avere un’intera immagine della caffetteria; un bancone si estendeva coprendo quasi la distanza fra le pareti opposte, tracciando il confine con i tavoli di legno e le panche dai cuscini rossi. Non vi erano molti clienti, solo due ragazzini dall’aria distratta, un uomo sulla sessantina nel posto più vicino all’ingresso e una giovane donna con i gomiti poggiati sul bancone. Alex ne apprezzò la figura, prima di notare che la sua interlocutrice fosse Eileen che le dava le spalle, indaffarata con la macchina del caffè. Vederla serena, seppur impegnata con il lavoro, gli dava un senso di sollievo, ancora prima di poter avere la possibilità di vedere il suo sorriso, girandosi attirata dallo stesso suono di sonagli provocato dalla chiusura della porta. La sorpresa le si dipinse sul viso, facendole spalancare gli occhi scuri e dischiudere le labbra.
«Ehi, non c’era bisogno che venissi, staccherò fra qualche minuto.» Lo avvertì, prima di poggiare una tazzina e il rispettivo piattino sul vassoio, che consegnò al signore sulla sessantina con professionalità. Alex si guadagnò numerose occhiate evidentemente scettiche dalla ragazza che ora si era seduta con eleganza su uno degli alti sgabelli, poi ricevette un bacio di saluto da un Eileen sulla punta dei piedi.
«Avevo voglia di vederti, tutto qui.» Chiarì, avvicinandosi al bancone mentre lei ritornava dietro.
«Prendi il tè alle cinque o qualcosa del genere? No, forse sei più interessato alla birra.» Il tono sprezzante della sconosciuta lo portò ad essere quasi sulla difensiva. Alzò un sopracciglio, mentre lei continuava.
«Sheffield, giusto? Hai lo stesso accento di mia cugina che, tra parentesi, non sopporto.»
«Perspicace. E devo la tua attenzione su di me a…?» Era divertito, a dire il vero. All’inizio l’aveva trovata irritante, e adesso ancora di più, ma capì di esserne incuriosito.
«Alex, lei è Lana – Lana, lui è Alex.» Li interruppe Eileen, appena preoccupata per l’incontro non previsto. Prestava attenzione, nonostante stesse asciugando dei bicchieri, ma manteneva un sorriso tranquillo. L’aspetto di Lana non tradiva nessuna dolcezza. Il viso era squadrato e gli zigomi affilati, le labbra fini e gli occhi castani vispi. Il modo di porsi mostrava una donna con il pieno controllo della propria vita, e il carattere spigliato con cui lo affrontava ne era una prova. Lo stava studiando da testa ai piedi, dando l’impressione di un controllo pignolo e di un’estrema severità.
«Tesoro, non me ne ero propria accorta che lui fosse Alex.» Evidenziò con una smorfia divertita il nome. L’ironia tagliente lasciava però intendere un certo affetto, oltre che una complicità coltivata nel tempo, per l’amica che ora ridacchiava, pronta a godersi la scena.
«Devi la mia preziosissima attenzione al fatto che la qui presente Eileen – la indicò con l’indice, spostando lo sguardo fra i due velocemente – non sa badare a se stessa.»
«Ehi!» Protestò l’altra. Alex rise mentre si sistemava anche lui su uno degli sgabelli, per poi aggiungersi nuovamente, capendo che non sarebbe stata facile spuntarla con quella che si presentava come la personale guardia del colpo della propria ragazza.
«Non mi piace, il tè intendo. Mentre la birra sì, la preferisco. Piacere, comunque.» Le allungò la mano e lei la strinse con fermezza e senza esitare.
«Questo è da vedere. I capelli te li ha leccati una mucca? Hai l’aspetto di un mafioso ma suppongo che tu stia solo giocando a fare la rockstar.» Lei accavallò le gambe, sputando ogni parola che le veniva in mente. Lo stava mettendo alla prova, misurando le sue razioni con calibrata esperienza.
«Sì, qualcosa del genere.»
«Per tua fortuna mi piace la musica tua e del tuo gruppo. E hai un’espressione da bambino smarrito per la metà del tempo. Non puoi essere del tutto cattivo.» Gli concesse, prima di alzare un angolo della bocca mimando un sorriso. Alex capì immediatamente il ruolo di Lana nella vita di Eileen. Era un mastino pronto a dilaniare chiunque paresse essere un pericolo, e fu sinceramente felice di sapere che ci fosse anche qualcun altro, oltre a lui, a tenere così morbosamente alla sicurezza di Eileen. Decise perciò di sorvolare sul carattere peperino per mostrarle rispetto, in segno di quella tacita alleanza in favore della più dolce fra i tre.
«E’ il suo modo per dirti che le piaci. Posso portarti qualcosa?» Eileen gli si rivolse, sporgendosi sul bancone con la sua solita malizia velata e la premura, invece, più evidente. Lana borbottò qualcosa in risposta, soffocato dal gesto di bere da un bicchiere d’acqua.
«No, grazie. Sto bene così, piccola. Hai finito qua?» Le accarezzo la guancia con il dorso dell’indice. L’attenzione di tutti e tre venne catturata dal suono delle campanelle sulla porta, da cui ne entrò un ragazzo che Eileen salutò come Kevin.
«Sì, quasi.» Trotterellò poi dai clienti, come il suo lavoro le richiedeva. Dopodiché si sfilò il grembiule nero con il nome della caffetteria stampato sul petto, poiché quel Kevin era il collega che le avrebbe dato il cambio. E mentre quest’ultimo si infilava il suo, di grembiule, riconobbe la figura di Alex seduta nel locale in cui lavorava. Così, fra espressioni di sorpresa e complimenti, il cantante si dovette prestare ad una foto.
«Non tirartela troppo, Turner.» Lo provocò Lana, ricordandogli di essere ancora sotto il suo tiro. I due uscirono dall’edificio, sotto consiglio di Eileen che avrebbe dovuto recuperare i propri effetti personali sul retro. Alex non fece in tempo a varcare la soglia che si ritrovò ad essere nuovamente attaccato dalla ragazza, con un tono secco che non ammetteva repliche.
«Okay, cara rockstar. Eileen è bellissima e dolce, e persino sensuale se ci si mette. E Dio solo sa quanto è premurosa. Ma non hai il diritto di spezzarle il cuore, capito? E’ meno forte di quello che da a vedere e ho visto come ti guarda.» Gli puntava un dito sul petto e manteneva lo sguardo fisso nei suoi occhi, cercando di incenerirlo con la mente se si fosse rivelato necessario.
«Non so come sia possibile ma la fai stare bene. Non è ancora uscita da un periodo orribile della sua vita ma tu stai raccattando pezzi e nemmeno te ne accorgi. E-» A quel punto parlava talmente veloce che le parole parevano accavallarsi. Alex fu costretto ad interromperla, facendo un passo indietro per togliersi di dosso il suo indice e la sua furia.
«Senti, Lana, siamo sulla stessa barca, va bene?» Si prese un momento di pausa, cercando di ricomporsi e di trovare il giusto modo per esporre i propri pensieri.
«Eileen è fantastica, proprio come hai detto. Ieri sera ha avuto una crisi di qualcosa che non saprei come definire e ho passato la notte a la mattina a cercare di tenerla al sicuro. Non so cosa le succeda e probabilmente tu sì, ma non lo farò, non le spezzerò il cuore. Non sono uno stronzo.» Dichiarò, riprendendo la calma, anche se durante quei chiarimenti aveva sempre mantenuto il contegno. Si passò una mano fra i capelli tradendo un minimo di disagio, disordinando la logica del gel. La ragazza, al suo fianco, estraeva dalla borsa un pacchetto di sigarette, con lo sguardo crucciato.
«Cazzo, continua a nascondermi le cose.» Lana parlava fra sé, più che ad Alex, ma lo coinvolse porgendogli le sigarette, un’offerta che venne accettata dal ragazzo.
«Quella ragazza preferirebbe negare l’evidenza, piuttosto che far pesare i propri problemi sugli altri.» Continuò poi, ora rivolgendosi direttamente a lui. Alex si chiese se Lana potesse essere totalmente spensierata, se si concedesse il permesso di lasciarsi andare ad una risata e se avesse effettivamente mai avuto lo sguardo di una bambina. I lineamenti affilati le davano un’aria vissuta, mentre era piuttosto sicuro di non poterle dare più della sua stessa età.
«Ha nominato un lui, questa mattina.» Intavolò il discorso solo dopo aver preso l’ennesima boccata di fumo. Sentiva i propri nervi rilassarsi, pur sapendo di non essere così teso da mesi. Perché Eileen era stata ispirazione e lo era ancora, nei suoi calzini al ginocchio e nella pelle nivea, nel pozzo scuro di quello sguardo ricco di dolcezza e nei fuochi d’artificio dei baci, ma quelle preoccupazioni, che per settimane erano state solo ombre, erano diventate un qualcosa di concreto. E le tempeste erano freddo e devastazione, non più pomeriggi di sensazioni amplificate.
Lana lo guardò con sorpresa non celata, spalancando i suoi occhi castani e inarcando un sopracciglio, poi il suo sguardo si indurì nuovamente.
«Ci ha messo mesi ad aprirsi con me su quello.» Borbottò qualcosa a proposito delle leggi e dell’omicidio, inveendo su un nome: Eric. Quella furia venne presto calmata dalla comparsa di Eileen e dalle sue labbra tinte di un rossetto acceso. Si strinse ad Alex, mentre lui si destava dagli orrori legati a quel nome maschile solo per apprezzare la dolcezza e la sensualità di quella bocca che sarebbe potuta essere sua in qualsiasi momento.
«Lana ha la specialità di traumatizzare le persone, non l’ha fatto, vero? Sembri tutto intero.» Gli tastò il petto, prima di accarezzargli una guancia. Lanciò poi un’occhiata all’amica, sentendo il braccio del ragazzo circondarle la vita.
«Stai attenta a quello che dici, ragazzina!»
«E’ stata una piacevole compagnia, il tuo mastino.» Concesse, gettando la cicca della sigaretta a terra e spegnendola poi con la punta della scarpa.
«Ti tengo d’occhio, Turner.» Gli punto il dito contro, minacciandolo con ironia e verità velata. E dopo essersi guadagnata una risata roca da parte del ragazzo e una smorfia, con tanto di lingua, dall’altra, Lana li salutò con un gesto della mano.

Quel pomeriggio Alex ripensò spesso a Lana e al suo fare protettivo. La immaginava gravitare intorno alla figura di Eileen, tastando il terreno prima che l’altra potesse camminarci sopra. Il suo sarcasmo tagliente sui conoscenti, l’effetto sperato sulle compagnie poco desirate. Poteva figurarsi le due parlare animatamente, un abbraccio di rassicurazione e un consiglio importante. La continuava a ringraziare, nella sua testa, perché incominciava a concordare sull’innocenza della propria ragazza. Lei che sembrava sempre smarrita, quando lui non la toccava facendola sentire al sicuro; lei che accarezzava la gatta e minacciava con lo sguardo il proprio apparecchio telefonico; lei che leggeva una frase del libro del giorno, sopra le note della chitarra di Alex. Quella piccola dimora che continuava ad ospitarli si divideva fra un’aria di assoluta leggerezza, di carezze e voci soffuse, e un disagio crescente. Mezze verità e vite celate, segreti mai detti e storie da raccontare. Alex decise che, per quel giorno, ne aveva avuto abbastanza di ricordi sbiaditi e tristi, del segno indelebile di ragazzi. Quello che invece credeva di non poter rinunciare era la seta di cui parevano essere fatte le cosce della ragazza, della luce che le illuminava il viso mostrando meglio le lentiggini, e delle sue guance arrossate quando le stropicciava i calzini. Sentiva di amarla, più di quanto un colpo di fulmine – uno in piena notte, nel bel mezzo di una desolazione artistica – avrebbe predetto.

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Capitolo 5
*** Chapter Five ***


Questo è il capitolo per cui ho cambiato rating. Ci sono solo lievi accenni di violenza ma, a mio parere, non abbastanza per il rosso.
Come sempre, buona lettura!



Chapter Five
 
“You were a stranger in my phonebook I was acting like I knew
'Cause I had nothing to lose.”

 
«Siamo arrivati troppo presto, forse dovremmo tornare semplicemente più tardi.» Matt Helders riusciva ad essere come una piccola coscienza fastidiosa, a volte, si disse Alex. Anche lui, di tanto in tanto, si sentiva d’agire per il suo bene ma quella sera sapeva che l’amico fosse nel torto. Non vedeva Eileen da qualche giorno, niente di preoccupante, solo i rispettivi impegni li avevano trattenuti lontano dal nascondiglio candido di lei, dove erano soliti passare il tempo. In occasione della prima giornata libera che condividevano dopo quel breve periodo di distacco, lei li aveva invitati, entrambi, a cena. Aveva assicurato qualcosa di speciale e della cucina che non li avrebbe delusi. Italiano, aveva ripetuto al telefono. A lui era sembrata un’idea carina, per nulla fuori di posto, ma era quasi sicuro che, anche se avesse promesso loro qualcosa di totalmente imprevisto e strano, sarebbe stato contento di accettare. Voleva stringerla fra le braccia, sentire il profumo di acqua di rose e rivedere il colore dorato dei suoi capelli. Matt aveva accolto quella richiesta con piacere, adulando con qualche parola vaga la ragazza e i suoi modi gentili di fare, ripiegando poi su un discorso sul cibo e sull’educazione nell’accettare gli inviti. C’erano tanti argomenti di cui entrambi avrebbero voluto parlare, tutti riguardanti Eileen, ma nessuno dei due aveva scucito più di qualche informazione vaga. Il batterista percepiva la sensazione di disagio che era evidentemente legata alla storia precedentemente discussa delle chiamate senza risposta nel cellulare di Eileen, e decise in tacito accordo con se stesso di non dover esporre il problema finché l’amico non se la fosse sentita. Alex, dal canto suo, non poteva vantare un quadro intero della situazione, molti pezzi fondamentali mancavano ancora e le sensazioni negative legate a quei pomeriggi di silenzio erano come una ferita aperta, troppo sensibile per essere esposta alla luce.
Nonostante questo i due si ritrovarono ad essere seduti fianco a fianco, sui sedili dell’auto di Matt, quasi maniacalmente tenuta in ordine all’interno e con la carrozzeria sempre lucida. Avevano appena accostato, poco lontano dall’appartamento di Eileen, proprio dove Alex era solito parcheggiare la sua moto in quell’ultimo mese. Ed erano rimasti incastrati in quei dettagli sull’orario e sul disturbo, poiché erano in ampio anticipo e Matthew si sentiva un poco a disagio al pensiero di vedere il proprio amico perdersi in un incontro romantico con la sua ragazza.
«Non dire cazzate, Matt. Da quando ti importa di queste cose?» Il tono di Alex era studiato per quelle occasioni, in una confidenza sviluppata durante tutti gli anni passati assieme, prima sui banchi di scuola e poi in giro per il mondo, con il gruppo. Servendosi dell’indice si sistemò meglio gli occhiali dal sole sul naso, per poi scendere dall’auto senza aggiungere nient’altro. Sentì l’amico sbuffare appena contrariato ma lo vide seguirlo senza l’aggiunta di lamentele.
Il sole stava calando sulla città proprio in quel momento ma l’illuminazione artificiale era già stata accesa, formando delle ombre grottesche sui marciapiedi. E il freddo invernale pungeva senza sosta, arrossando i nasi dei bambini e intorpidendo le dita del cantante. Alex pensò qualcosa riguardo l’uso delle sciarpe, che avrebbe giovato senza dubbio alla sua gola, preservando la voce, ma una scena si stava svolgendo davanti ai suoi occhi, distraendolo nell’immediato. Avvertì l’amico, al suo fianco, irrigidirsi e lo sentì chiaramente imprecare a denti stretti. Ma Alexander non percepiva più il proprio corpo, e la sua mente pareva mandargli segnali da molto lontano. Si sentiva avvolto nella nebbia, per un tempo non quantificabile. Poteva vedere le luci spostarsi e i suoi piedi muoversi da soli, con un consenso non logico. L’unica cosa che percepì con chiarezza fu l’adrenalina nelle vene, che copriva ad intermittenza un dolore lacerante alla mano. Poi la tempesta spazzò velocemente via il torpore, collegando la propria coscienza con la realtà. Aveva colpito uno zigomo con una forza che pensava di non possedere, poteva sentire l’osso sotto le proprie nocche, la forma di denti oltre la pelle. Ogni muscolo del suo corpo si contorceva per la rabbia ma la voce della propria ragazza lo costrinse a fermarsi dal procedere con un secondo colpo. I fatti si susseguivano ad una velocità tale da frammentare tutto, ricordando uno di quei vecchi film dove la pellicola salta in un suono muto. Alex poté avere l’immagine di Eileen sul marciapiede, con i lineamenti storti in un’espressione di paura mista a sofferenza. Era stato così felice di vederla, poco prima, anche se quel sentimento non era durato più di qualche secondo. Il ragazzo che lei chiamava Eric le aveva urlato qualcosa contro, parole marce ed insulti, mentre Eileen lo affrontava con la tipica forza femminile, il mento all’insù e lo sguardo severo. Eppure gli era sembrata ancora più piccina stretta nel proprio cappotto rosso, sovrastata dalla figura maschile di fronte a sé. Le risposte erano sembrate coerenti anche da lontano, e forti, nonostante gli occhi lucidi che riflettevano le luci delle insegne al neon.
«Non sei Dio, Eric! Non puoi decidere su questo e soprattutto non puoi dirmi cosa fare! Non ti appartengo e mi devi stare alla larga!» Aveva detto, mostrando tutta la forza del mondo, imitando un piccolo uragano. Ma l’uomo davanti a lei sembrava aver l’aria meschina anche a distanza, dietro i lineamenti mascolini molto belli. Alex si era semplicemente messo a correre prima di verificare se il rumore che il suo udito aveva percepito fosse uno schiaffo o solo un tonfo sordo, di una caduta – o entrambi? E l’aveva colpito, senza badare alla differenza di corporatura e statura. Ma adesso lo sconosciuto si stava velocemente riprendendo dalla sorpresa iniziale, indurendo lo sguardo e sfoderando anche lui un destro. Alexander avvertì il dolore al viso, sentendo ogni nervo tirare, ogni cellula urlare e il percorso netto del taglio che si faceva strada sul suo labbro inferiore. Eileen, ancora stesa a terra, emetteva versi d’orrore, sconnessi, cercando di allontanarsi strisciando più indietro. Matthew avanzò velocemente, senza tardare più di un secondo, avvicinandosi con l’intenzione di dare spalla all’amico, forse preparandosi allo scontro. Ma alla sua vista, lo sconosciuto venne preso da un senso di destabilizzazione notevole, tanto da compiere alcuni passi indietro, giusto un momento prima di darsela a gambe. Urlò qualche insulto sconnesso ai ragazzi e qualcuno più chiaro ad Eileen, mentre una folla di curiosi e gente sensibilmente spaventata li guardava.
«Maledizione Eileen! Stai bene?» Fu Alex a riprendersi per primo dallo stato di shock, grazie ai riflessi accuratamente tenuti svegli dall’adrenalina in corpo, precipitandosi quasi subito dalla ragazza.
«I-io penso di essermi storta la caviglia. Alex, hai bisogno di ghiaccio!» Provò ad alzarsi, sostenendosi con le mani alla meno peggio, ma senza ottenere un risultato diverso da un sospiro mozzato, solo per ritornare alla posizione iniziale.
«Entra, stiamo dando spettacolo. Ci penso io.» Gli disse Matt, con fare pratico, spingendo via con delicatezza l’altro per poi posizionare un braccio sulla piega delle ginocchia e uno dietro le spalle della ragazza, prendendola in braccio per facilitare l’uscita di scena. Nonostante i muscoli delle braccia tesi, il peso della ragazza non risultava davvero un problema, non quanto lo sguardo sperduto dell’amico, che pareva seguirli solo per inerzia. Ed era vero, Alex era disperso nei pensieri di sollievo, tranquillizzato dalla certezza che quella bestia d’essere umano avesse sì, spinto Eileen, ma non l’avesse toccata in altro modo. Il suo viso era perfettamente integro; era sicuro che non avrebbe retto a vederla con le stesse macchie violacee che probabilmente stavano già comparendo sul proprio zigomo. Sapeva di dover risolvere quell’enorme punto interrogativo e tutta quella faccenda prima che potesse degenerare ulteriormente, ignorandola ancora, ma in questo momento si disse che aveva altre urgenze.
Si fecero strada fino all’appartamento della ragazza, mentre si scambiavano occhiate preoccupate con Alex.
«Non so cosa dire, grazie Matt, davvero.» Gli disse quando lui l’aiutò a posarsi sul divano dalla stoffa candida. In risposta ricevette solo un cenno del mento, mentre il ragazzo cercava di adocchiare il congelatore sotto indicazione di lei. Alex le si sedette a fianco, prendendo ad aiutarla a sfilarle gli scarponcini, in modo da fare spazio al sacchetto di ghiaccio. Ignorava completamente le lamentele di lei, disperso e assente. Continuava ad avere l’impellenza di farla stare bene, nonostante fosse evidente che la propria, di condizione, avesse la priorità. E i pensieri si accatastavano nella sua mente, distraendolo in modo preoccupante.
«Ehi, Alex. Sto bene, okay?» Lo rassicurò lei, fermando il suo gesto di posarle il ghiaccio sulla caviglia. Gli si avvicinò, accarezzandogli leggermente la parte del viso sana e poggiando il sacchetto dall’altra, in un gesto delicato, e sussurrandogli parole come “ecco, il ghiaccio”, “ti fa male?” e “grazie”, decine di volte.
«Non dà un pugno a qualcuno da anni, e non ne incassa da altrettanti. E l’ultima volta era ubriaco, ‘Leen.» L’altro ragazzo cercava di tagliare quell’aria densa di domande, riportando un poco di ironia nella stanza, riscontrando persino l’effetto sperato da parte di Alex.
«Non ero ubriaco! E se ti ricordi bene ho vinto io.»
A quel punto Eileen si concesse una breve risata, sentendo la tensione scivolare un poco dai propri nervi, mentre continuava a prendersi cura del ragazzo, con carezze e il freddo del ghiaccio a lenirgli il gonfiore. Gli occhi grandi di Alex apparivano molto più attenti, tanto da sollevarlo dalla spessa malinconia che aveva intorpidito i suoi lineamenti, rendendolo apatico per un breve periodo. A quel punto Matt era riuscito a recuperare dell’altro ghiaccio, prendendosi la briga di posizionarlo sulla caviglia della ragazza, gonfia e probabilmente dolorante. Lei decise saggiamente di non lamentarsi, pur essendo piuttosto propensa ad insabbiare la propria condizione; si limitò ad uno sguardo di ringraziamento.
A quel punto il batterista diede un’occhiata ad entrambi, assicurandosi sulla loro salute, prima di congedarsi dichiarando di voler prendere dell’altro ghiaccio e qualcosa da mettere sotto i denti, visto che ormai era diventato ovvio che Eileen non fosse in grado di cucinare. Non si trattava solo di salute fisica, nemmeno nel caso di Alex: erano tutti sensibilmente scossi, chi con i propri ricordi, chi con interrogativi a cui porre rimedio. Ma l’assenza di Matt lasciò spazio alla comparsa di Lana. La ragazza aveva infatti fatto il suo ingresso nell’appartamento dopo del rumore di nocche sul legno della porta e lo scrociare metallico delle chiavi. Le due non condividevano la casa, Eileen viveva solo insieme alla gatta – che adesso li guardava sospettosa, da lontano – e si era presa velocemente il tempo per spiegare che si fidava di Lana fino al punto di poterle dare libero accesso al proprio nido sicuro. Alla vista del volto violaceo del cantante ci fu un’immediata reazione di ilarità, un sorriso divertito ed un sopracciglio alzato, curioso, ma che venne frettolosamente rimpiazzato dapprima con del sospetto e poi con orrore. Aveva così abbandonato la posizione composta da un gomito su un fianco, allo scopo di precipitarsi dai due, quantomeno per delle spiegazioni.
«Vi prego, ho bisogno di sentire che non è stato quello stronzo di Eric.» Aveva già adocchiato la posizione da invalida di Eileen, costretta a tenere la gamba distesa e la caviglia poggiata con attenzione su un cuscino morbido, oltre che circondata dal sacchetto di ghiaccio. Quest’ultima sospirò, abbassando lo sguardo vergognosamente.
«A dire il vero penso che il suo nome sia stato proprio Eric.» Quindi fu Alex a rispondere, non senza evidenziare la severità dell’argomento, successivamente rilassò i lineamenti, continuando:
«E grazie per l’interessamento.» Poiché Lana si era precipitata ad accarezzare i capelli dell’amica, senza badare ad esternare pareri al ragazzo, il cui portava la testimonianza dello scontro sul viso.
Lana lo ringraziò, concedendogli un’espressione seria e della vera sincerità, a cui lui rispose con un gesto del mento. Eileen, nel mentre, era tornata ad accarezzare il ragazzo, disegnando col dito qualcosa di indefinito sui jeans scuri di lui. Una volta ritrovato il coraggio di incontrare lo sguardo dell’amica, fu pronta a raccontare l’accaduto, iniziando dall’atto di essere stata spinta e dall’arrivo di Alex. Aveva volutamente omesso la conversazione precedente con la gravità di quel ricordo che le scuriva maggiormente gli occhi, ritornando poi ad avere il viso basso, nascosto dai capelli che le ricadevano sulle guance, e ai suoi giochi invisibili.
«Non ti pensavo così coraggioso, Turner. Ma questo è l’unico commento ironico che mi sentirai dire stasera, perché ne riconosco il contrario.» E per questo Lana dovette letteralmente sforzarsi, essendo una tipa molto orgogliosa, ed infatti mantenne il mento per aria, gonfiando il petto senza davvero rendersene conto. Allora Alex sollevò un sopracciglio, lasciandosi andare ad una breve risata che gli illuminava lo sguardo.
«Ehi, Eileen, allora il tuo mastino è davvero domestico.»  Perché non poteva sottrarsi l’occasione di punzecchiarla, almeno un poco. E poi là dentro l’aria aveva bisogno di farsi meno densa, almeno per dare una tregua ad ognuno di loro. Ma la ragazza appena nominata sorrise debolmente, alzando lo sguardo solo per un istante, portando ad allarmare i due, che si scambiarono a loro volta delle occhiate interrogative. La risposta non tardò comunque, perché fu proprio la diretta interessata a tagliare il silenzio.
«Penso di doverti delle spiegazioni, Alex.» E guardò prima Lana, cercando un sostegno che arrivò con veloce gesto del capo. Un consenso e un tacito segno di appoggio, mentre prendeva fra le braccia Medea, che si era fatta meno timida e – pensò Alex – che voleva dare il suo supporto, con le fusa e i suoi occhietti verdi attenti.
«Non farlo, se non ti senti pronta o non vuoi, piccola.»
«Voglio farlo, e non solo perché devo.» Un sospiro, una lunga pausa. Si riposizionò meglio sul divano, senza spostare troppo la caviglia dolorante. Alex sentì un bisogno quasi fisico di toccarla, così incrociò le proprie dita con quelle della mano di lei, nivee ed affusolate.
«Stavo finendo l’ultimo anno di liceo quando l’ho incontrato.» Stava parlando di Eric e questo era chiaro a tutti, così come lo era ancora prima che iniziasse a parlare, ma quel discorso spingeva Alexander a sentirsi strano, quasi stanco.
«E Lana non ha tutti i torti a dire che sono innocente e non so badare a me stessa perché me ne innamorai, molto stupidamente, come se fosse stato scritto da qualche parte. In poco tempo mi ritrovai in un ambiente davvero poco sano, intrappolata in una relazione che non era altro che una bugia. Mi urlava contro spesso, anche senza ragione, e continuava ad essere fastidiosamente ubriaco, ad ogni appuntamento.» La gatta aveva preso un veloce slancio per saltare verso la padrona, posizionandosi sul suo grembo a ronfare. Eileen si concesse di affondare una mano in quel pelo nero che pareva essere fatto di nuvole, tanto si presentava morbido al tatto.
«E questo è andato avanti per anni. Senza contare tradimenti e continue bugie. Le sue preferite erano le promesse, raccontarmi che avrebbe smesso e sarebbe cambiato, diventando migliore.» Continuò a raccontare, il più del tempo tenendo lo sguardo basso. Parlò meglio del primo periodo, in cui ancora era solo un’adolescente spaurita, e poi si perse in alcuni dettagli su Eric, finendo con gli ultimi giorni della loro storia insieme. Ci teneva a mettere in chiaro che fosse soprattutto grazie all’amica se aveva raccolto abbastanza coraggio da uscire da quel tunnel di emozioni negative, madri di ricordi tristi. Il tono della sua voce era parecchio incrinato rispetto ad inizio discorso, e in più quella non suonava veramente come una conclusione. Ma lei non aggiunse nient’altro. Lana si era portata un ginocchio al petto, stringendolo senza emanare un particolare stato d’animo, sulla poltrona posta di fronte al divano dove, invece, i due si guardavano tradendo tutto uno spettro di emozioni. Alex, durante il racconto, non era riuscito a trattenersi dal passare le dita fra i propri capelli, tradendo più disagio di quanto avrebbe voluto. Perché quella storia era assurda e, semplicemente, non riusciva – o non voleva – figurarsi Eileen in tutta quella situazione. Perché lei era dolce e premurosa, così piccina avvolta nei suoi cappotti e nelle calze al ginocchio oltre gli stivali; le lentiggini a farla sembrare bambina e la forza nello sguardo a renderla donna. Era quello di più caro da proteggere, un uccellino con l’ala spezzata, ed immaginarlo nell’inverno più rigido gli dava la nausea.
«Dimmi che gli hai assestato un destro come si deve, Turner.» Se ne uscì improvvisamente Lana, riportando i piedi sul pavimento e sporgendosi, puntando i gomiti sulle cosce. Nonostante cercasse di mostrare calma, un occhio attento avrebbe potuto facilmente notare la rabbia nei lineamenti, e nel modo eccezionalmente studiato di muoversi. Per tutta risposta l’altro le mostrò le proprie nocche, violacee quanto lo zigomo. Si guadagnò un sorriso soddisfatto, mentre Eileen si perdeva ad accarezzare con un’attenzione morbosa la gatta. A quel punto si sentì chiaramente bussare, così Lena si congedò per qualche minuto, con la pretesa di dover aprire.
Eileen si destò dal suo stato quasi assonnato e frettolosamente si sporse in avanti, tanto da poter sfiorare con il proprio respiro il collo del ragazzo.
«E poi ho conosciuto te, Alex. Ed era passato così poco tempo che pensai di non poter reggere nemmeno la prima sera. Ma hai raccolto i pezzi, uno ad uno, e mi sentivo – mi sento – bene. Davvero.» E si avvicinò alla sua bocca, iniziando un bacio che sapeva di salato, di lacrime forse. Lui si ritrovò a stringerla più forte. Il dolore sullo zigomo diventava una sensazione lontana, così come le voci dei due in corridoio. Era avvolto dalla dolcezza tipica di Eileen, capendo, allo stesso tempo, di poter convivere con l’amaro di quelle confessioni.
«Sono qui, piccola.» Le sussurrò all’orecchio, la voce più calda che mai fosse uscita dalle sue labbra, per poi baciarla ancora, e ancora. E Lana aveva probabilmente avuto la brillante idea di tenere Matthew sulla porta con presentazioni prolungate più del necessario, per concedere loro qualche minuto da soli. Ne avevano bisogno più di quanto loro stessi avrebbero mai pensato. Stringersi per un secondo di troppo, scambiarsi carezze di labbra esigendo il bacio successivo, sentire il corpo caldo dell’altro solo per assicurarsi che fosse veramente lì.
Quando gli altri due rientrarono nella stanza, Alex ed Eileen si stavano sussurrando qualcosa, a voce troppo bassa per poter distinguere qualche parola anche da una manciata di metri di distanza. Matt gli interruppe, non preoccupandosi eccessivamente di disturbare l’amico, piuttosto facendo notare le sue compere. Lana, dietro di lui, teneva fra le mani dei cartoni di pizza, con su disegnato un uomo con dei folti baffi neri.
«Ho portato qualcosa per gli sfortunati piccioncini.» E detto questo mostrò il sacco di ghiaccio e una bustina probabilmente proveniente dalla farmacia in fondo alla strada. All’interno vi era una pomata per i tagli di Alex e delle fasce per comprimere la caviglia di lei. Si presero cura uno dell’altro, come avevano fatto fino ad ora. E mentre Lana scambiava qualche battuta con il batterista, Eileen passava la crema nei punti più critici del viso dell’altro, con una delicatezza tale da non provocargli nemmeno un piccolo fastidio. Fu Alex poi a fasciarle stretta la caviglia, prendendosi anche il tempo per passare il pollice sopra la linea del calzino candido, proprio sotto il ginocchio dell’altra gamba. Quei gesti assomigliavano a parole mai dette, e come tali perfette, che confortavano i due ragazzi con tacite promesse. Non avevano bisogno di nulla, se non della compagnia reciproca dell’altro. Per Alexander lei era una musa, ispirazione continua nelle notti più buie, proprio come una nota nel silenzio profondo. Da quando l’aveva incontrata, quella prima sera, sotto le luci arcobaleno del locale – quelle che la rendevano un quadro astratto – era riuscito a mettere su diverse melodie per le canzoni del nuovo album. Proprio come quell’accordo sulla sua Fender gracchiante, le dita ad accarezzare l’anima dell’oggetto, facendole cantare quello che a parole non riusciva ad esprimere. E per Eileen tutto quello era ordine nel suo piccolo mondo disastrato, un nido oltre le mura di quella casa. L’amore le dava forza, più di quanto avrebbe mai immaginato, dopo i suoi precedenti. Perché era creato sulle basi di carezze mattutine e balli curiosi il pomeriggio, di maglie troppo larghe e cieli blu. Perfino Matthew e Lana se n’erano accorti, anche se distratti dal nuovo discorso e dalle risate generali. Nonostante i due innamorati fossero piuttosto ridotti male, uno col viso violaceo e l’altra con l’impedimento di camminare senza essere sostenuta, gli amici non riuscivano veramente a figurarseli separati, non quando continuavano a sussurrarsi qualcosa con voci soffuse. E forse si sentivano un poco fuori posto, in quel luogo vissuto da notti d’amore, ma riuscirono a cavarsela, eliminando il ricordo di quel racconto. E quando la mezzanotte scoccò allineando le lancette, i due amici decisero che lasciarli riposare assieme fosse la scelta migliore. Prima di chiudersi la porta alle spalle, Lana si prese qualche minuto per salutare l’altra, chiamandola tesoro come suo solito. E mentre Alex si perdeva a ricordare all’amico di spostare quel servizio fotografico fra due settimane, per dare tempo ai lividi sul viso di guarire, Eileen si sporse vero la ragazza, parlando con voce bassa e misurata.
«Devo dirglielo.»
«Non pensi che le informazioni già dette siano abbastanza da digerire in una sola giornata?» Quando nel viso della più grande si dipingeva quell’espressione di serietà, cancellando ogni traccia d’ironia, si poteva intuire facilmente che la faccenda fosse importante, da prendere con giudizio.
«E continuare a trascinare tutto questo per settimane?» Quando l’innocenza lasciava spazio alla forza adulta nello sguardo di Eileen, Lana si stringeva sempre un poco nelle spalle con un fare indifeso che non le apparteneva. Perché la ragazza sembrava sempre più vecchia, e quasi ci si poteva figurare una piega sulla pelle, proprio lì, alla fine della linea dell’occhio destro. La gravità e le preoccupazioni la spingevano a crescere in fretta, mentre i tratti del viso erano ancora quelli d’una bambina. Lana dovette arrendersi, annuendo infine severamente, con un veloce e secco movimento del mento. Si concesse poi di baciare l’amica sulla fronte, chiedendole se avesse voluto sostegno, per accertarsi che entrambi non cadessero a pezzi.
«Penso di poterlo fare da sola, e a lui servirà del tempo.» Spiegò, dopo aver scosso la testa lentamente. Così le due si lasciarono, proprio nel momento in cui il ragazzo fece l’ingresso nella stanza.
«Così siamo arrivati vivi alla fine di questa giornata, mh?» Le disse, passandosi le mani fra i capelli che non avevano più una vera piega, con ciuffi sparsi ad uscire dalla formazione iniziale e voluta.
«Suppongo di sì.» Concesse lei, muovendosi con attenzione per appoggiare i piedi sul pavimento, che non era veramente freddo ma che la fece rabbrividire lo stesso. Eileen percepiva quella fitta acuta di quando si sforza un arto che dovrebbe stare al risposo, mentre cercava di alzarsi, poggiando il peso maggiormente sull’altro piede.
«Che fai, dolcezza? Non sforzare la caviglia.» La ammonì, pur non potendo fare a meno di vezzeggiarla. Accorse al suo fianco, avvolgendole la vita con il braccio, ponderando l’idea di sollevarla direttamente, anche senza il suo consenso.
«Ce la faccio, davvero. Il ghiaccio ha aiutato tanto, è molto meno gonfia e meno dolorante.» E così dicendo fece qualche altro passo in avanti, cauto. Alexander non poté fare a meno di sostenerla, nonostante gli fosse stato implicitamente chiesto di non farlo. L’aiutò ad arrivare al bagno, e nel momento in cui la vista della ragazza venne interrotta dal legno chiaro della porta, sospirò gravemente. Si concesse poi qualche minuto in compagnia della gatta, che l’aveva preso in simpatia durante i pomeriggi passati in quella casa, servendole del latte ed osservandola lappare rumorosamente.

Eileen si prese qualche minuto per sé, per poi posizionarsi di fronte allo specchio. Si accorse di essere tremendamente stanca solo in quel momento, notando le ombre scure sotto gli occhi e la pelle più pallida del solito. I suoi capelli avevano perso quella luce che li faceva sembrare grano maturo in una calda mattina d’estate, lasciando spazio ad un colore opaco. Infilò le dita fra le ciocche, sforzandosi di riportarli all’ordine, ma senza successo. Si sciacquò il viso, concentrandosi sui suoi respiri e poi sulle parole che avrebbe detto a lui. Tutta quella storia incominciava a sembrare assurdamente triste, tanto da preferire mentire, fuggire via e preservare il ragazzo da una notizia simile, piuttosto che mettere in evidenza quello che, ne era sicura, avrebbe finito per crepare la superficie del loro rapporto. Una notizia che avrebbe dovuto renderla felice, in un altro tempo, in altre circostanze. Teneva ad Alexander con tutta se stessa, sapeva di amare il respiro prima del bacio tanto quanto perdersi nel contatto stesso, e non ricordava di essere mai stata accarezzata con tanta attenzione quanto quella delle sue mani ruvide. Si rendeva però conto di saper dominare il proprio amore, capendo quanto fosse disposta a sacrificarsi per il bene dell’altro, di avere il coraggio di ritirarsi se la relazione si fosse rivelata un qualcosa di troppo complicato, costruito più su basi malinconiche che sui momenti di dolcezza.
Si guardò allo specchio per un altro minuto, osservando la sua espressione di fastidio quando poggiava il piede sul pavimento. Le labbra generose si arricciavano fino a diventare una linea sottile e delle strane pieghe le increspavano la pelle del naso, rendendo grottesche le lentiggini scure. Si stropicciò gli occhi, capendo solo in quel momento di non essersi mai truccata quel pomeriggio, per via dell’imprevisto. E ancora si sentì stanca, più di tutto. Il peso che gravava sulle sue spalle non era stato ancora tolto ed era piuttosto sicura che, nel momento in cui ne avrebbe parlato con Alex, sarebbe diventato solo più pesante, se non tagliente. Non riusciva a racimolare il coraggio necessario, anche se si accorse di avere già la mano posata sulla maniglia della porta. Sentì i passi dell’altro farsi convinti, più vicini. Prese un profondo respiro.

Alex sentì chiaramente lo scricchiolare tipico delle porte provenire dal corridoio. Diede un ultimo buffetto affettuoso a Medea, vezzeggiandola ancora una volta e sorridendo apertamente quando lei si dimostrò affettuosa con lui, ricambiando il gesto, spingendosi contro la sua mano e miagolando soddisfatta. Si mosse dalla sua posizione rannicchiata, in equilibrio sui talloni, prendendo a dirigersi verso dove sapeva avrebbe trovato Eileen. Questa volta, si disse, l’avrebbe aiutata a suo modo per spostarsi, capendo di non poter resistere ancora alla bugia sul poco dolore alla caviglia, né tantomeno alle espressioni di fastidio che le si dipingevano sul viso senza il suo consenso. Così le si avvicinò convinto, mettendo in chiaro quel punto prima che lei potesse anche solo pensare di precederlo.
«Coraggio, Eileen. Ti porto in braccio e no, non è un offerta.» Addolcì il tono di voce per non sembrare severo, poiché quella era solo premura. Lei gli sorrise debole, ma annuendo piano dandogli il consenso. Così, come aveva già fatto notti prima, caricò il suo peso sulle braccia. Per quanto avesse un fisico diverso dall’amico Matthew, più magro e decisamente più inglese, si accorse di non star facendo molta fatica, grazie anche al corpo minuto di lei. Eileen gli avvolse un braccio intorno al collo, mentre si serviva dell’altra mano per sfiorargli il taglio sulle labbra con il suo modo di non farlo davvero. Gli lasciò poi un bacio nell’angolo opposto della bocca, scaldandogli il cuore per quella dolcezza infinita che lasciava trapelare da gesti come quello.
Alex l’adagiò sul letto, stando ben attento alla posizione della caviglia per non toccarla, né tantomeno mandarla a contatto col pavimento. Medea fece la sua comparsa, ronfante come se qualcuno la stesse accarezzando, strusciandosi poi sulle gambe del ragazzo.
«Adoro Medea, è molto dolce. Ti somiglia molto, anche nei modi di fare. Ovviamente contando il fatto che lei sia un gatto, certo.» Riferì, perdendosi un attimo ad osservare i movimenti sinuosi della creatura dal pelo notturno. Quando sollevò lo sguardo lo fece con un allarme velato. Eileen solitamente amava perdersi a vezzeggiare la sua fedele compagna ed educata coinquilina, prendendosi tutto il tempo per raccontare qualche aneddoto divertente, ricordando quella volta che l’aveva portata al guinzaglio e il periodo in cui si era viziata al punto da pretendere solo un determinato tipo di crocchette per gatti. Ma tutto quello che fece fu annuire, lentamente e solo una volta, chiudendo gli occhi per la stanchezza e forse anche per non incontrare lo sguardo di lui. Così Alex prese a chiederle se avrebbe preferito mettersi subito a dormire, volendo aggiungere anche che la vedeva molto stanca, ma non fece a tempo poiché lei lo interruppe, portando una mano avanti.
«Non ti ho detto tutto, stasera.» E lo disse con voce talmente bassa e spezzata, prendendo un respiro lungo prima dell’ultima parola, che Alex non ebbe il coraggio di respirare a sua volta per un momento che gli sembrò infinito. Si accorse di stare trattenendo quel naturale bisogno solo quando dovette annaspare per la ricerca d’ossigeno. Si affrettò poi a raggiungerla, sedendosi al suo fianco e precipitandosi sul suo collo.
«Non voglio sapere, non importa. Eric può andare al diavolo.» Le sussurrò con la voce più struggente che avesse usato da anni, se mai l’avesse davvero fatto. Quelle confessioni gli prelevavano tutta l’energia di cui disponesse, e a quell’ora, dopo un pomeriggio passato come era passato, non pensava di poter reggere qualcos’altro. Ma lei congelò il proprio sorriso, continuando però ad accarezzare il profilo della mandibola di lui.
«E’ importante, Alex. Non posso rimandare oltre.» Mantenne la dolcezza nella voce ma lo sguardo rimase incastrato in un’espressione di serietà. Così lui dovette uscire dal nascondiglio fra le spalle e il collo di lei, controvoglia. Si accorse di avere improvvisamente sonno, di volere solo poggiare il capo sul cuscino e cadere in uno stato di pace, privo di sogni. Ma, al contrario, spalancò gli occhi scuri per prestare attenzione. Puntò lo sguardo dapprima sugli occhi di lei e poi sulle sue labbra rosee, aspettando le parole così importanti da non poter essere rimandate alla mattina seguente.

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Capitolo 6
*** Chapter Six ***


Chapter Six

“When the winter's in full swing and your dreams just aren't coming true.
Ain't it funny what you'll do?”
 
Teneva l’attenzione fissa su di lei, notando solo in quel momento le ombre sul suo viso, un principio di occhiaie. Si perse un istante a ricordarla in quel primo pomeriggio passato assieme, dietro una tazza di caffè, quando le guance nivee erano arrossate dal vento gelido, così come la punta del naso all’insù. Il sorriso e la fossetta a renderla genuina. Adesso il contrasto era evidente, tanto da spingere Alex a piegare le sopracciglia in un’espressione incerta. Come chi ha vissuto nell’oscurità più profonda e pensa di non poter vivere un nero più intenso, sognando la luce, lui rimaneva fiducioso, con i suoi grandi occhi scuri ad osservare la piega delle labbra di Eileen, aspettando che parlasse. I rintocchi delle lancette parevano essersi ammutoliti e il tempo si era fermato con loro, tanto lacerante incominciava ad essere quella lunga pausa. Lei sosteneva il suo sguardo, ostinandosi a cercare qualcosa all’interno della sfumatura impercettibilmente più chiara di quelle iridi, una risposta, o le stesse parole di quel segreto che la sciupava tanto da aggiungere una decina d’anni alla sua età. E se l’orologio rimaneva in silenzio, allora non si poteva dire lo stesso dell’inverno fuori da quel nido sicuro. Il vento soffiava forte, urlando nella notte buia e facendo tremare gli infissi. Uno spiffero avrebbe forse portato loro consiglio ma questo non accadde, lasciandoli in balia delle proprie insicurezze. Poi le labbra della ragazza si schiusero, tanto lentamente da lasciar intravederne il percorso.
«Aspetto un bambino, Alex.» Disse, tagliando quel silenzio come un lampo nella notte. La voce suonava rauca e terribilmente seria, nonostante l’accenno di sorriso. Un angolo della bocca alzato, in una malinconia che si estendeva su tutto il viso. Avrebbe abbassato lo sguardo, se solo non avesse avuto paura di vedere scomparire il ragazzo non appena l’avesse fatto.
In un primo momento, Alex si allontanò da lei, spostandosi scompostamente sul materasso, quasi dando l’impressione di volerla solo vedere meglio, in una figura più completa. Gli fischiavano le orecchie e non era sicuro di quello che aveva sentito, tanto da pensare che fosse uno scherzo. Aveva sorriso per una frazione di secondo, convincendosi di quello specchio di realtà, ma alla fine si alzò in piedi, come se qualcuno gli avesse dato la scossa. Eileen si strinse nelle spalle, sviando lo sguardo per un momento, incapace di guardare l’effetto che quelle parole tanto temute avevano portato.
«Come?» Lo sentì sussurrare, spaventato tanto quanto un cerbiatto ad una battuta di caccia. Il ragazzo tradiva disagio da ogni gesto. Infilare le dita fra i capelli, per poi riportare le braccia lungo i fianchi, rigide, ed infine ricominciare dallo stesso movimento. Lei non gli concesse la conferma vocale ma la vide portare le mani in grembo, accarezzare poi la pancia con i pollici. E allora lo shock scemò lentamente, lasciando spazio ad uno spettro intero di emozioni contrastanti. La prima era paura, liquida nei suoi occhi lucidi. Le mani gli tremavano ed era impalato sul posto, incapace di poter controllare gli arti con quel turbine di pensieri nella mente. Poi una sensazione calda si fece spazio nel suo stomaco, rilassandolo a tal punto da concedergli di alzare leggermente gli angoli della bocca, in un sorriso incerto. Immaginava delle guance paffute e delle manine piccine che afferravano la linea della guancia di Eileen, una vocina flebile e degli occhi scuri come i propri. Ma quel calore che sapeva di casa e di futuro scomparve, indurendogli i lineamenti in uno spasmo di nervosismo.
«E’ mio?» Chiese allora con incertezza nella voce ma non nello sguardo, che teneva fermo su di lei. Vide quegli occhi farsi prima lucidi e poi traboccanti di lacrime, in un pozzo nero e profondo, ma iniziò a versarne qualcuna solo quando scosse il capo, stringendo le palpebre tanto da dare il via a quel percorso salato. Neanche un urlo a pieni polmoni avrebbe potuto sortire lo stesso effetto, quello di indietreggiare di diversi passi tanto da appoggiare scompostamente la schiena all’armadio. Il tonfo sordo portò Medea, la gatta, a scappare dalla stanza, silenziosa come un ombra. Alex sentì il sapore amaro del tradimento, insieme a quello piccante della gelosia. Il vento irrequieto che faceva tremare i vetri della finestra assomigliava al turbamento che stava avvenendo dentro di lui. Il suo sguardo doveva essere talmente spaventato da allarmare la ragazza, priva di forze ma non abbastanza da lasciarlo in quello stato senza spiegazioni.
«Non ne avevo idea quando ti ho conosciuto, non avrai mai potuto farti qualcosa di simile.» Venne scossa da un singhiozzo profondo, tanto da farle tremare il petto e la schiena.
«Ma quando l’ho saputo non potevo – pausa, un altro singhiozzo, meno forte del precedente –
«E’ innocente.» Sentenziò infine, piangendo senza più un freno. Si strinse in se stessa, abbracciandosi il ventre con fare protettivo. Alex rimase rigido contro il legno dell’armadio, respirando con fatica e mantenendo gli occhi spalancati, sorpresi e spauriti. Un uragano di domande gli vorticava furiosamente nella testa, turbandolo sensibilmente tanto da dargli quell’aria persa. Alla fine si decise ad aggiungere qualcosa, pentendosi esattamente nel momento successivo.
«Eric è il padre?» Chiese stupidamente, come se l’appartenenza o il principio di quella vita fosse davvero rilevante. Non fece a tempo a rimangiarsi le sue stesse parole che lei annuì, grave e con lo sguardo basso. Nonostante il suo corpo si ostinasse a mantenersi rigido e i nervi gli si accavallassero pericolosamente, rendendolo fisicamente dolorante, fece un passo avanti tendendo una mano. Se c’era un qualcosa che lo sfiniva più di quella confessione imprevista ed assurda, era vedere Eileen in quel miserabile stato. Si accorse di non vedere in lei la scintilla che solitamente illumina lo sguardo delle donne in dolce attesa, preparandole all’esperienza primordiale di essere madri. Ma quando fu abbastanza vicino da poterle sfiorare il viso, ritrasse la mano, neanche si fosse scottato. Di nuovo si passò le dita fra i capelli, finendo di scompigliarli in una massa indefinita di ciuffi pendenti e dritti, su retro del capo. Quelle mura erano diventate improvvisamente strette, il nido aveva preso fuoco. Non si sentiva più accettato, né al sicuro, e non aveva mai avvertito così tanta stanchezza. Ogni arto sembrava cedere alla forza di gravità con il doppio del suo peso, la testa gli doleva e gli occhi pizzicavano.
«Penso di dover andare adesso.» Fu l’unica cosa che si sentì di dire e di fare. Voltare le spalle al baratro di tristezza che voleva risucchiarlo, un buco nero di incertezze e bugie. Abbozzò  qualche passo sicuro verso l’uscita, poi si fece più incerto tanto da voltarsi indietro. Vide Eileen alzarsi in uno scatto d’istinto, tendendo una mano verso di lui. Notò solo in quel momento le forme un poco cambiate del suo corpo, il seno più grande evidente anche sotto la maglia larga, i fianchi leggermene più generosi. Si diede mentalmente dello stupido per non averlo capito prima, e si chiese se non fosse l’unico essere umano al mondo a non aver prestato la giusta attenzione. Si fermò un secondo in più solo per sbirciare il suo ventre, convinto di poter intravedere il noto gonfiore, ma accorgendosi troppo tardi della fattezza troppo larga degli abiti. La osservò rimettersi seduta, costretta dal dolore alla caviglia, mentre lo guardava con una forza istintiva.
«Mi dispiace.» Gli disse, guardandolo dritto negli occhi. Alex non capì a cosa esattamente si riferisse, a quale aspetto di quella situazione assurda. Per avergli tenuto nascosto così a lungo qualcosa di tanto importante, per avergli mentito guardandolo negli occhi ogni giorno?
Si richiuse la porta alle spalle, avvertendo adesso una forte nausea. Si costrinse a scendere le scale con agilità, giusto per tenersi occupato e sveglio, per non cadere in uno stato di irrealtà. Venne investito poi dal forte vento nell’esatto momento in cui mise piede all’esterno. Si ritrovò a non esserne destabilizzato, si sentiva in armonia col tempo atmosferico, visto il turbine di pensieri e sensazioni che lo scuotevano. Il freddo si insinuava sotto il suo giubbotto di pelle, facendolo rabbrividire al punto da dover affondare le mani in tasca e stringersi. Girovagava senza meta, nelle strade deserte, continuando a rivivere i ricordi ancora bollenti di qualche minuto prima. Il viso segnato di lei e le mani a proteggere la vita che portava dentro, il suo sorriso triste. Il proprio zigomo doleva ancora, ora maggiormente, come a spronarlo a cercare quel ragazzo che aveva stravolto la vita di Eileen fino alle radici. Era stato per Eric se lei non aveva più una famiglia da cui tornare, se aveva sprecato anni della sua vita in ambienti nocivi, e soprattutto se si giocava il proprio futuro sulla linea del ventre.
Il freddo invernale lo scosse maggiormente, spingendolo a sollevare il braccio, facendo segno ad un taxi di fermarsi. L’autista lo guardò storto, fulminandolo con l’incertezza di quel viso martoriato e della rigidità nel corpo e nella voce.
Quando raggiunse il proprio appartamento, barcollò alla ricerca del letto, stordito più di quanto dell’alcool avrebbe fatto. Si addormentò nello stesso istante in cui la sua testa affondò nel cuscino di piume, cadendo in uno stato di incoscienza senza pensieri.

Una luce bianca ed intensa lo accecava, costringendo Alex a portarsi una mano sugli occhi per ripararli dal fastidioso fascio candido. L’intensità si attenuò gradualmente ma in un tempo decisamente breve, lasciando così intravedere le pareti di una stanza. Si accorse solo in quell’istante di non aver mai veramente sollevato la mano, quando la sua mente aveva comandato di farlo. Registrava i movimenti delle braccia e delle gambe come se fossero lontano da lui di qualche metro, li percepiva ma non era sicuro di poter vedere il proprio corpo nel caso avesse abbassato lo sguardo. Non lo fece, piuttosto continuò a guardare davanti a sé. Avrebbe giurato di trovarsi in una stanza pulita e vuota, di quelle dove l’eco rimbomba per la mancanza di mobili, ma adesso, proprio al centro, si estendeva un tappeto blu di forma circolare. Sembrava morbido; la sensazione di trovarlo vicino al letto ad accogliere la pianta dei piedi nudi di prima mattina lo spingeva verso una sensazione di pace. Fu quasi in procinto di fare un passo in avanti, spinto da quel nuovo desiderio bambino. Non credeva di avere i piedi nudi ma non era neanche convinto di essere vestito, solo e rinchiuso in quelle quattro mura lattee. Si concentrò sul proprio battito di ciglia allora, richiudendo le palpebre con calma misurata. Fu molto soddisfatto di vedere una nuova ombra all’interno di quel posto, dopo. Mettendo a fuoco notò la sagoma armoniosa di una coda arricciata e di un paio d’orecchie che puntavano nella sua direzione, come se percepissero i respiri che lui stesso non pensava di stare emettendo. Il gatto si girò verso di lui in uno scatto, guardandolo sull’attenti con i suoi occhi verdissimi. Riconobbe Medea, era lei e ne era sicuro. Sentì – o immaginò – il proprio viso stendersi in un sorriso, mentre cercava di richiamarla per poter condividere un momento assieme, magari accarezzandole il capo. Ma la sua voce calda e dai toni bassi non si espanse per la stanza, e con suo grande stupore e disappunto Medea distolse l’attenzione. Rimase a guardare, certo di non avere la facoltà e il permesso di uscire da quel posto. Avvertì con estrema intensità il miagolio della gatta, che muoveva qualche passo in avanti con l’eleganza felina tipica di lei. E solo in quel preciso istante gli fu concesso di vedere un nuovo esemplare, in un completo contrasto di colori con l’altro. Il pelo era di un bianco candido, simulando il giorno contro il buio gentile di Medea, e gli occhi insolitamente scuri rimanevano puntati su di Alex. La gatta si sedette con un movimento sicuro, avvolgendosi con la lunga coda. Continuava a fissare il ragazzo con insistenza, tradendo però una certa dolcezza, tanto da sembrare in procinto di miagolare sonoramente. Rimase in quella precisa posizione per molto tempo, mentre Medea sembrava essersi dileguata nel nulla che quella stanza rappresentava. Un verso molto più acuto e basso riempì adesso quel silenzio assoluto, rimbombando in ogni angolo. Alex lo trovò strano, visto che il miagolio di Medea non aveva rimbalzato allo stesso modo. Ci mise qualche secondo ad individuarne la fonte, nonostante avesse vagato lo sguardo in ogni dove. Un gattino delle dimensioni di una sua mano era appena spuntato da dietro la schiena dell’esemplare candido come una nuvola in un cielo d’estate. Si mise a correre contro ogni aspettativa, inciampando sul tappeto con le sue zampine troppo corte e con il suo fare goffo tipico dei più piccoli. Si riunì a quella che Alex intuì come la madre, strusciandosi contro il suo fianco ed emettendo le vibrazioni comunemente chiamate fusa. Ma il ragazzo continuava a perdersi negli occhi della gatta che non aveva mai smesso di fissarlo con quella sua dolcezza intensa. Si concentrò maggiormente, perdendo i contorni della forma che si fondevano perfettamente con il resto del bianco della stanza. Si disse che quello sguardo l’aveva già visto in precedenza, e solo dopo un poco di tempo si disse che quella gatta non assomigliava, ma era Eileen.

Aprì le palpebre di soprassalto, mettendosi seduto così velocemente da sentire la testa girare e la vista annebbiarsi. Si passò una mano sugli occhi, percependo con intensità il dolore alle nocche e al viso. Dovette guardarsi intorno per una manciata di secondi: le lenzuola aggrovigliate sul letto, all’altezza delle proprie caviglie; l’armadio di mogano a fronteggiare la parete di fronte a lui, mentre una coppia di poltrone si affiancavano poco più in là. Una volta appurato che la sua camera da letto fosse reale, scostò le lenzuola con l’intenzione di dirigersi in bagno. I ricordi della notte prima sembravano non dargli tregua, complici di quel sogno così strano che ancora lo stordiva, portandolo a barcollare un poco alla ricerca della doccia. Uno sguardo veloce allo specchio gli diede una visuale intera del colore nuovo dei propri lividi. Un violaceo intenso si estendeva lungo lo zigomo fino a metà guancia, dove sfumava in un blu scuro. Ringraziò la premura di Matt e, ancora di più, quella di Eileen per avergli evitato un brutto occhio nero e gonfio con l’aiuto del ghiaccio e della crema. Quando notò il taglio in fase di guarigione sul labbro inferiore, era già alle prese con i jeans. Pochi minuti dopo si trovava fuori dal suo appartamento, montando sulla motocicletta e inforcando gli occhiali da sole. Non aveva badato ai capelli, quella mattina, ed era piuttosto sicuro che, una volta tolto il casco, si sarebbero ribellati in mille piccoli ciuffi, ma in fondo non gli importava: altri pensieri richiedevano la priorità. Il vento gelido di Marzo gli leniva la pelle, portando con sé una sensazione di fastidio insieme ad una di sollievo, dove le ferite pulsavano ancora. Girovagò a lungo senza una meta, cullandosi nel rombo della fedele compagna e nel calore all’altezza della gola datogli dal caffè bollente. Guidò per ore, tanto che il naso gli si era arrossato per il freddo, e capì il luogo in cui si trovava solo nel momento in cui il suono profondo delle onde lo invase come un richiamo. Senza accorgersene aveva ricercato la bellezza del mare di Santa Monica, dove i cavalloni si ergevano fieri per poi infrangersi sulla spiaggia in un trionfo di schiuma bianca, in una continua cantilena che lo faceva sentire bene. Alex prese posto sulla sabbia, distante dal bagnasciuga per non incontrare l’acqua ma sufficientemente vicino per godere dell’odore salato e pungente dell’oceano. Si stupì di vedere tante persone, anche in una giornata casuale ed invernale come quella, e si perse ad osservarle, con una sigaretta fra le dita e con il fumo a riempirgli i polmoni.
Una ragazzina di una decina d’anni più piccola di lui si intratteneva osservando le proprie impronte sulla riva, indifferente alla temperatura dell’acqua che a tratti incontrava i piedi nivei, sommergendoli fino alle caviglie. I capelli scuri e lunghi svolazzavano al vento, aggrovigliandosi senza che lei se ne accorgesse. Il ragazzo non poté fare a meno di immaginarsi Eileen con il suo sole e con i suoi calzini proprio lì, sulla spiaggia. Il naso arricciato e gli occhi stretti per una risata, forse per qualcosa di buffo che lui stesso le aveva appena riferito. La pensava felice e spensierata, con il mondo fra le mani, un futuro incerto ma brillante davanti, a cui non pensava mai, proprio come quella ragazzina incurante dell’inverno. Poco più indietro una coppia si teneva per mano, sorseggiando a tratti dai bicchieri di carta qualcosa di caldo e fumante. Anche da lontano era evidente che stessero parlando di loro, anche solo dal modo in cui si stringevano nelle spalle ed abbassavano lo sguardo imbarazzati. Ed Alex rivide Lana, con il suo modo protettivo di fare nei confronti dell’amica. Lei le stringeva spesso la mano o le avvolgeva la vita o le spalle con un braccio, volendo tenerla vicina, forse temendo quell’allontanamento che Eileen era solita attuare quando qualcosa diventava troppo complicato da affrontare.
Prese un profondo respiro, riempiendosi il petto del profumo salato di mare e quello un poco pungente dell’inverno californiano. Si accese poi un’altra sigaretta, almeno per intrattenere le dita in quel gesto ormai automatico. Poi continuò con l’esplorazione della spiaggia e delle figure lì presenti. Non tardò molto che la propria attenzione venne catturata da un signore anziano, dai capelli tutti bianchi e le mani affondate nelle tasche. Aveva l’aria serena di chi sa amare i piccoli dettagli, e di tanto in tanto vagava lo sguardo verso l’orizzonte, sorridendo quando un cavallone particolarmente imponente si ergeva nella distesa d’acqua. Solo un poco più tardi capì che la premura del vecchio era in realtà tutta per una bambina davvero piccola. La creaturina era infagottata a dovere in un cappottino pesante, in una cuffia con le buffe orecchie e il muso di panda a tenerle caldo il capo, e una sciarpa a completare l’opera avvolgendole il collo fine. Aveva le guance tutte rosse, compresa la punta del naso minuto, ma nonostante questo continuava a correre, scampando all’acqua che si estendeva lungo la spiaggia dopo che l’ennesima onda si era riversata coprendo tutto di schiuma. Alex si accorse di stare sorridendo, in un’eco della risata del vecchio per quella che doveva essere la nipotina. Il ragazzo collegò quella creatura di dolcezza al gattino più piccolo del suo sogno, chiedendosi se la vita che Eileen teneva in grembo sarebbe davvero cresciuta fino a diventare qualcosa di così indifeso e speciale. Non riusciva a figurarsela con il pancione da gravidanza ma la pensava meglio inginocchiata di fronte ad un bambino come la nipotina dell’anziano signore, a parlare con il suo tono di voce acuto, accarezzando con premura il piccolo viso tondo della propria prole. Alex riusciva a percepire il sapore zuccherino di una vita così tranquilla, scoprendo poi l’amaro del contrasto con la frenesia di quella attuale. I concerti gli rubavano tanto tempo, mesi passati lontano da una fissa dimora, ed intere ore d’areo per potervici tornare. Era il suo lavoro e la sua più grande passione, un sogno diventato realtà. Era lui. Poteva quasi avvertire la sensazione di tristezza per essersi perso qualcosa di importante, il primo passo, la prima parola di quella creaturina che, ne era sicuro, avrebbe avuto la stessa dolcezza della madre e il suo stesso colore di grano maturo nei capelli. Sarebbe stato così tanto assente in quell’insieme di vite intrecciate che dubitava di poter davvero sforzarsi di esserci, tirato lontano da quello che era il mondo dello spettacolo.
Si alzò di scatto, facendo velocemente qualche passo in avanti, ma fermandosi in tempo per darsi dello stupido. La bambina era inciampata sulla sabbia, finendo per piagnucolare per lo spavento, e lui era scattato senza nemmeno rendersene conto. Stette fermo, continuando a guardare la scena da lontano, mentre l’anziano signore le sorrideva con tranquillità, aiutandola a tirarsi su ed intrattenendola con una conchiglia appena trovata sulla riva. Alex poté sentire chiaramente le risate cristalline della piccola, prima di voltarsi per lasciarsi dietro il vecchio e la bambina, la coppia di innamorati e la ragazza impavida del freddo.  

Il tardo pomeriggio si estendeva su Los Angeles con un tramonto di un rosso intenso, lasciando intravedere la sfumature di rosa dietro le nuvole che promettevano un fine settimana sereno. Nonostante Alexander avesse appena spento il motore della propria motocicletta, il rumore meccanico delle automobili e quello stridente degli pneumatici sull’asfalto continuava a riempirgli le orecchie, infastidendolo un poco. Il lungo viaggio di ritorno l’aveva scosso per il freddo, tanto che avrebbe potuto giurare di sentirselo fino dentro alle ossa. La pelle doveva essere ricoperta da brividi e dalla pelle d’oca, ma era troppo distratto per accorgersene. Teneva lo sguardo puntato in alto, quasi volesse osservare la luna nascosta in quel quadro di arancioni accesi, ma, ad un occhio più attento, si poteva intuire che la sua attenzione fosse puntata sulla finestra del quinto piano di quel grattacielo. La luce si era appena accesa, confermando la presenza di qualcuno all’interno. Quasi si immaginava la ragazza, proprietaria dell’appartamento, sporgersi all’esterno per potere avere una visuale migliore dello spettacolo che il sole proponeva quella sera, incurante dell’aria fredda e pungente. Aspettò così tanto a lungo, continuando a fissare i vetri con insistenza, che il bagliore all’interno si spense. Si strinse nelle spalle, sospirando sonoramente e dandosi dello stupido – forse per la terza volta quel giorno. Si sentiva un vigliacco, un uomo che non era tale, a starsene lì, senza trovare il coraggio di affrontare quello da cui era scappato per tutta la mattina. Ma quei pensieri l’avevano seguito come un cane domestico, accompagnandolo nel sonno agitato e lungo la spiaggia dorata. Gli serviva del tempo per riordinare il proprio disordine ma adesso si disse che ne aveva avuto abbastanza. Si aspettò di vedersi estrarre le chiavi dal mezzo, sfilarsi il casco e passare le dita fra i capelli, mentre si dirigeva in quel luogo tanto studiato. Ma si accorse di essere rimasto immobile, nella medesima posizione di qualche minuto prima. E di nuovo si diede del codardo, anche solo per stare tardando così tanto. Prese un altro respiro, sentendo il freddo bruciargli la gola ed un bisogno malato di nicotina. Mantenne lo sguardo sull’ingresso del grattacielo per qualche altro minuto, scacciando via l’idea di fuggire ancora tanto da sentirsi pressoché pronto a separarsi dal proprio mezzo che, in qualche strano modo, gli dava sicurezza. Prima che potesse smontare o accendersi la sigaretta tanto desiderata, vide il portone aprirsi, quasi timido. Lo sguardo incollato a quel movimento lento, con una curiosità pungente. Si era completamente dimenticato degli altri inquilini e stava proprio per insultarsi mentalmente un'altra volta, quando riconobbe una figura femminile avvolta in un cappotto lungo. Si concesse mezzo secondo, prima di attribuire la sicurezza di quei gesti a Lana, che ora aveva preso a camminare lungo la strada. Si chiese se fosse semplice istinto o il sesto senso femminile a farla voltare verso la sua parte, con un’espressione fra l’ostile e il curioso. Poi la vide rilassare i lineamenti ma senza sorridere in alcun modo. Una distanza di vari metri, e una strada trafficata, li separava, rendendo i dettagli confusi. La ragazza lo guardò per vari secondi, prima di tastare le tasche del cappotto per estrarne quello che sicuramente era un cellulare. Armeggiò per qualche secondo, con il capo chino sull’apparecchio e con la sfacciataggine di non lasciarsi andare al dubbio sulla presenza o meno di Alex. Quando finalmente rialzò lo sguardo, ripuntandolo con interesse verso la sua parte, lui sentì la propria giacca vibrare. Aggrottò le sopracciglia, mentre ricercava il proprio telefono nella tasca interna, dando un ultima occhiata a Lana che teneva il suo vicino all’orecchio. La imitò, affrettandosi a rispondere per primo, senza nemmeno salutare.
«Sto per ascoltare una ramanzina, o qualche insulto…?»
«Turner, mi stai servendo l’occasione su un piatto d’argento.» Lo interruppe, con un tono vagamente divertito, poi continuò:
«Ma devo rimandare.» Chiarì, facendosi più seria, tanto da lasciare che Alex si concedesse un sospiro di sollievo. Non era pronto a farsi dare dello stupido da qualcun altro, l’aveva già sentito sufficientemente  da se stesso. Si riprese da quel pensiero appena in tempo per avvertire chiaramente il sospiro pesante della ragazza. Non ricordava di averla mai sentita lasciarsi andare a qualcosa di tanto miseramente umano, sempre così composta ed impettita nel proprio orgoglio, in grado di mantenere il controllo nelle situazioni più difficili. Lo prese come un avvertimento, preparandosi mentalmente per le parole successive.
«Tieni ancora a lei? Dopo quello che ti ha detto?» Quelle domande lo colpirono in pieno petto, dando vita ad un principio di nausea.
«Certo, come puoi anche solo pensare –» Venne interrotto di nuovo, senza alcun riguardo, e quasi incominciava ad infastidirsi.
«Dovevo chiedere. Tu sei una rockstar, lei una ragazza qualunque piena di problemi da risolvere.» Alex venne preso da una voglia irrefrenabile di chiudere la comunicazione così distaccata per smontare dalla moto – sopra cui era ancora seduto – ed attraversare la strada, impavido delle auto che continuavano a sfrecciarvi, ma concesse lei qualche altro minuto.
«Dove vuoi arrivare, Lana?» Le disse allora, visibilmente seccato.
«Ricordi quando ti ho raccontato dei pezzi della vita di Eileen?» Annuì, sicuro di poter essere visto anche da quella distanza.
«Sono quasi tutti al loro posto e lei si sente fiduciosa dopo anni. Forse non glielo devi, ma puoi aiutarla con i più importanti.» Pausa. «Anche se tu non ne farai parte.» Concesse infine, prima di chiudere la chiamata senza dargli il tempo di aggiungere qualcosa. Rispetto alla scena precedente, non si sentì infastidito, ma quasi grato. Non avrebbe saputo davvero aggiungere qualcosa, non in un tempo breve e non senza inciampare nelle parole. Si stupì solo di essere stato spinto ad inseguire la decisione che, in realtà, aveva già preso.
Vide la ragazza guardarlo per qualche altro secondo, per poi entrare con eleganza in un taxi che aveva appena accostato di fronte a lei. Non aspettò oltre, smontò, rigirandosi fra le mani le chiavi nel loro suono metallico, deciso a rivedere Eileen per rendersi disponibile a ricomporre il quadro della sua vita, per quanto gli fosse concesso.

 

Mi ritaglio un angolino qua giù per darvi qualche spiegazione. Vi prego di prendere i tempi come qualcosa di romanzato. Eileen dovrebbe essere incinta più o meno di tre mesi, dove il ventre ancora non è sviluppato tanto da essere evidente. Lascio a voi il resto dei conti. Non voglio nemmeno sminuire troppo la storia non poco difficile che la ragazza ha avuto in precedenza, il cui tema può essere visto come delicato. Insomma, ripeto, è abbastanza romanzato, ma l’idea principale era questa e non mi sentivo in grado di cambiarla all’ultimo momento.
Dopo questo piccolo papiro vi avverto che solo tre capitoli ci separano dalla fine.
Ringrazio come sempre chi sta leggendo (anche i più silenziosi!) e chi recensisce.

 

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Capitolo 7
*** Chapter Seven ***


Salve di nuovo a tutti. Mi dispiace tantissimo per questo enorme e imperdonabile ritardo ma Settembre è un mese pieno di impegni e trovare momenti pieni d’ispirazione è risultato più difficile di quello che avevo pensato. In più questo capitolo è abbastanza importante è lasciarlo scritto in modo troppo mediocre mi faceva uscire di testa, ed è anche per questo che ho preferito lasciarlo con qualche parola in meno degli altri per non distorcere troppo il concetto.
Per farmi perdonare vi lascio un “regalo” qua su e uno alla fine del capitolo.

Per chi è interessato, o per chi ascolta musica leggendo, ecco la playlist che ho messo su per la storia. Sono perlopiù canzoni che hanno ispirato particolari momenti del racconto o che avevo come sottofondo mentre scrivevo, da cui poi ho tratto l’ispirazione.
https://8tracks.com/heysoul_tc/and-your-knee-socks-1

Come sempre ringrazio tutti e per qualsiasi cosa io sono qua!

 
Chapter Seven

“I got a feeling I might have lit the very fuse
That you were trying not to light.”

 
Si accorse solo dopo aver bussato alla porta di essere in completo disordine. Non che gli importasse davvero di apparire al meglio, non in una situazione del genere, ma, in fondo, ci teneva a mantenere un aspetto quantomeno accettabile. Stringeva fra le dita il laccio del casco, indicando che i propri capelli erano stati scomposti in tutti i modi possibili, durante la giornata. Il viaggio in motocicletta, il vento marino a renderli un poco più crespi, il suo continuo infilarci le dita per scaricare il proprio disagio. E se a quei ciuffi che gli ricadevano in continuazione sul viso si aggiungevano i lividi violacei – a cui di certo non avrebbe voluto fare l’abitudine – e l’aria stanca, allora incominciava a preoccuparsi sul serio di come sarebbe apparso agli occhi degli altri. Solo un istante più tardi decretò che l’unica persona a cui avrebbe voluto nascondere quell’aspetto sarebbe stata quella che di lì a poco l’avrebbe incontrato. Ma ormai aveva trovato la determinazione adatta ad affrontare quella situazione e nemmeno avere una figura cadaverica l’avrebbe fermato dal fondere il proprio sguardo con quello scurissimo di Eileen. Si umettò le labbra, incominciando a contare i secondi. In un primo momento si interrogò su tutto quel ritardo, in continuo aumento, poi si ricordò della caviglia di lei, di certo non ancora guarita. Sentì il bisogno di appoggiarsi alla parete, ricercare un sostegno fisico, in mancanza di quello morale, ma prima che potesse svolgere il movimento, la porta dal legno chiaro si aprì lentamente. Prima di qualsiasi altro dettaglio, Alex notò il cambiamento repentino nello sguardo della ragazza. Se dapprima era stato quasi allegro, attento e gioviale, adesso sembrava terribilmente stanco, tanto da accentuare le ombre scure sotto gli occhi.
«Alex?» La sentì chiedere, come se l’averlo proprio là davanti non fosse abbastanza per convincerla. A quel punto lui si concesse di esaudire il bisogno di sostegno, appoggiandosi allo stipite della porta, con un sorriso debole dipinto sulle labbra.
«Mi dispiace di non essere tornato prima.» Le confessò, dopo aver annuito una sola volta con un veloce movimento per rispondere alla sua domanda. Lei aprì la porta maggiormente, mostrando la sua intera figura. Era la prima volta che la vedeva tanto trasandata, ma in un modo talmente innocente da donarle una nota di dolcezza. Era avvolta in una felpa enorme, le maniche le si allungavano fino coprirle le mani, lasciando intravedere solo la punta delle dita; i capelli dorati rimanevano bloccati sul capo da un elastico, in uno chignon disordinato. Arricciò le labbra in un sorriso, uno di quelli malinconici che la rendevano sempre un po’ più grande.
«Non scusarti per quello.» Aggiunse, guardandolo dritto negli occhi. Lo invitò poi ad entrare, se lo desiderava, facendosi da parte. In quel momento il ragazzo notò uno sbaffo scuro proprio al lato della bocca, e poteva vantare di conoscerla abbastanza per capire che fosse cioccolato. Col senno di poi, si chiese distrattamente se fosse un vizio preso solo in seguito alla gravidanza. L’aveva vista più di una volta preferire i dolci, specialmente quelli ricchi di cacao, e notando quella piccola macchia scura proprio lì, gli venne l’istinto di avvinarsi per baciarla. Non lo fece, piuttosto si accorse di stare agendo da sconosciuto in quella casa, vanificando ogni pomeriggio di esplorazione nelle più pallide ombre e nei dettagli più caldi. La seguì con lo sguardo, lasciando che fosse lei a guidarlo proprio come un ospite in piena regola. Le gambe nude lo destabilizzavano un poco, rendendolo forse meno lucido di quanto avrebbe voluto. Erano coperte abbastanza da far sembrare la felpa simile ad un vestito largo, ma la pelle nivea rimaneva comunque scoperta fino alla caviglia, dove un paio di calzini semplici lasciavano intravedere la fasciatura stretta sul piede.
«Sono un disastro lo so, è solo che mi aspettavo fosse Lana alla porta.» Aveva senza dubbio notato che l’attenzione di lui si era posata sul proprio aspetto e questo le faceva arrossare un poco le guance per la vergogna. Alex le fece un segno distratto con la mano, dichiarando di non preoccuparsi.
«Non penso di essere nelle mie migliori condizioni neanche io.» Ed allungò il sorriso fino a mostrare, per un secondo, la dentatura bianca. Anche lei lo imitò, ravvivando il proprio viso di una luce che le si addiceva completamente.
«L’ho incontrata, comunque. Il mastino, intendo. Devo essere messo piuttosto male perché ha perfino evitato di ricordarmelo.»
«Solo un po’.» Confermò lei con evidente sarcasmo, raccogliendo tanto coraggio per prendersi la confidenza di toccarlo. Era un primo passo, il vero incontro dopo la notte appena passata. Alex si ricordava perfettamente, e con un certo orrore, di aver evitato qualsiasi contatto dopo la notizia che lo aveva scosso parecchio. Ne era stato tanto terrorizzato che temeva di aver dimenticato la sensazione di piacere che solo il calore di un altro essere umano poteva dare. E se quella creatura era Eileen, con il suo profumo di dolci e di lillà, allora le sensazioni si amplificavano, tanto da spingerlo a chiedersi con stupore come aveva potuto evitarla. Era un gesto semplice, le dita affusolate a scostargli i capelli dal viso. Fu così fugace da sembrare, paradossalmente, una scena al rallentatore, come nei film. Averla tanto vicino lo incantava, tanto da perdersi in quello sguardo scuro di emozioni liquide, forse ammirando quella forza che neanche la ragazza sapeva di avere.
«Sai? Sono piuttosto sicura che evitando di darle del cane da guardia, forse potrebbe anche addomesticarsi un po’ di più, nei tuoi confronti.» Gli disse, allungando di nuovo quelle distanze che, per qualche istante, gli avevano riscaldato il petto in una sensazione confortante. Si ritrovò ad essere divertito da quel commento, così sollevò un sopracciglio e le puntò l’indice contro.
«Hai detto “addomesticarsi nei miei confronti”, allora non sono l’unico qua a pensarla in quel modo!» Alzò nuovamente l’angolo della bocca, divertito. Desiderò ardentemente di poter bloccare le lancette dell’orologio, fermare il mondo e tutti i problemi. Avrebbe voluto stringere la ragazza con la consapevolezza di non doverla lasciare, baciarla fino a quando entrambi avrebbero avuto bisogno nuovamente di respiro, passarle le dita fra i capelli biondi e farla ridere ancora, per tutti gli istanti che, a quel punto, non avrebbero più avuto un numero.
«No, non l’ho detto!» Eileen iniziò qualche passo cauto, misurato per via della caviglia, verso la cucina, ma con l’ilarità che le illuminava i lineamenti, rendendoli più morbidi di quanto già fossero.
«Sì, l’ho sentito perfettamente, ma sarò così gentile da non riferirglielo.» Alex fece spallucce, seguendola nella casa. Tutta quella calma distratta e la dolcezza intrinseca in ogni parola lo avvolgeva, tanto da farlo di nuovo sentire al sicuro, e più coraggioso. Osservò la ragazza avanzare ancora, raggiungendo il tavolo dove vi era rimasta dimenticata una barretta di cioccolato scuro. Ne prese un pezzo, appoggiandosi al mobile con il fondoschiena e guardando il ragazzo con curiosità. Lui aveva lasciato la propria giacca e il casco della moto all’ingresso, ed ora se ne stava sulla soglia della nuova stanza a sorridere senza un motivo ben preciso.
«Non guardarmi così, non ne posso fare a meno.» Spiegò la ragazza, portando alla bocca il rettangolino scuro. Le labbra le si colorarono del medesimo colore, ma solo in una piccola porzione al centro. Aveva un’espressione così bambina e canzonatoria da far girare la testa ad Alex, che si chiese come facesse a saltare da un età all’altra in quel modo. Dopo un poco prese la consapevolezza di aver fatto qualche passo in avanti, raggiungendola tanto da poter vantare una distanza di solo qualche centimetro. Cedette al bisogno ardente di incontrare quelle labbra. Avvicinò il viso tanto da poter sentire il respiro di lei sulla propria pelle, offrendole la decisione di quell’incontro. Si sentiva vuoto di esperienze ed il pensiero di dover ricominciare da capo, da gesti del genere, lo esaltava e lo infastidiva allo stesso tempo, sentendosi un adolescente impacciato e senza sicurezze. Lei aspettò un istante di troppo, lasciandolo cadere in uno stato di profonda instabilità, solo per poi riscaldargli il cuore con l’effettivo contatto. Il sapore intenso del cioccolato fondente lo invase tanto quanto il calore del corpo di lei, che gli era mancato davvero. Trattenne il suo mento poco pronunciato e perfettamente liscio fra l’indice e il pollice, non lasciando la presa delicata nemmeno dopo l’interruzione del bacio.
«Pensavo che il fondente non ti piacesse.» Incuriosito, le parlò da quella distanza ancora minima, perdendosi nel suo sguardo. Poi lei si allontanò con grazia, stringendosi nelle spalle con fare timido.
«Infatti, è un qualcosa di nuovo. Forse non è un’idea mia.» E dicendo questo si portò entrambe le mani sul ventre, sviando lo sguardo imbarazzatissima. Fu in quel momento che ad Alex tornarono alla mente tutte le scene di quella giornata passata e il proprio filo di pensieri. Perse il sorriso aperto, sostituendolo con un’espressione meno divertita ma serena. I ricordi della spiaggia, della ragazza e della bambina, erano ancora vividi, insieme alla sensazione di calma che l’aveva accompagnato, tanto da restituirgli il suono delle onde marine, quasi fosse una ninna nanna. E proprio in quell’istante, con la vista delle dita di lei affusolate e proteggere qualcosa di tanto innocente, tutte le immagini che aveva vissuto quella mattina si sovrapposero in una. I capelli di Eileen venivano scomposti dal vento, tanto da solleticarle le guance di continuo, ma lei rideva al tramonto mentre il mare le solleticava i piedi nudi sulla sabbia; e la propria figura maschile si faceva spazio in quel quadro. Distante dalla ragazza solo di qualche metro, le labbra gli si arricciavano in un sorriso aperto, mentre la mano dalle dita lunghe, così abili sulle corde di una chitarra, stringevano una manina non più grande del proprio palmo. Quel pensiero fugace gli illuminò lo sguardo, e lo rese felice tanto da spingerlo a ricercare un altro contatto con la ragazza reale che aveva appena alzato lo sguardo sul viso di lui, con un timore che la rendeva insicura. Le accarezzò con attenzione la guancia, saggiando la pelle liscia sotto i polpastrelli, prima di permettersi di incontrare di nuovo le sue labbra.
«Hai paura?» Le chiese con una serietà che risultava quasi fuori luogo dopo quello sfiorare delicato. Quella particolare emozione era evidente nel comportamento di lei, nel gesto di stringersi nelle spalle e distaccarsi un poco dal corpo del ragazzo. Lo sguardo latitante ne era la prova definitiva. Si lasciava guidare, tanto che lui poté tenerle il viso alzato tramite l’indice posizionato sotto il mento. Quando finalmente avvenne la connessione di sguardi tanto ricercata, Eileen si ritrasse nuovamente, per quanto la vicinanza di Alex poco glielo permettesse.
«Un po’.» Ammise. La piega delle labbra rimaneva sottile e senza l’ombra di un sorriso.
«Non ti lascerò, se è questo che ti preoccupa.» Alex si allontanò di un passo, sia per avere un’immagine più ampia che di lasciarle il proprio spazio. Nella sua testa nacque una cantilena delle parole appena pronunciate, che sapevano di promesse e di futuro. Ora come ora aveva l’impressione di non poter fare a meno di tenere stretto il corpo caldo di Eileen o dei dettagli del suo viso, proprio quelli che aveva incominciato a riconoscere tanto da poter prevedere quale tipo di sensazione vibrasse nella sua anima. La gravidanza della ragazza era diventata facilmente un tabù, un segreto che entrambi avevano tenuto per sé senza coinvolgere apertamente l’altro, per quanto assurda apparisse una situazione del genere. Con il profumo del mare ad avvolgerlo, le sue decisioni erano sembrate così crudelmente reali ma adesso si accorse di non stare rispettando per davvero quello stesso filo di ragionamenti. L’altruismo nei confronti di quella piccola creatura non ancora nata l’aveva spinto all’idea di non poter rimanere al fianco della ragazza, per le continue assenze forzate dal proprio lavoro. Non ci sarebbe stato e non poter promettere il contrario l’aveva destabilizzato sensibilmente. Ma adesso sentiva un desiderio terribilmente umano. Il più giusto percorso da intraprendere era annebbiato dal piacere dato da quella pelle liscia e nivea, tanto da rendersi conto di stare agendo con egoismo solo per poter continuare a sentire la risata cristallina di lei. Forse per la prima vera volta da quando conosceva Eileen, si chiese se la sua bellezza e il suo modo di comportarsi, in grado di attrarre le persone a sé, fossero reali. Si ricordava perfettamente della prima impressione che lei aveva dato ai suoi amici. La premura di Breana che l’aveva inconsapevolmente presa sotto la propria ala protettrice e i continui commenti di apprezzamento di Matt. Era quasi tentato dal presentarla a Jamie e Nick, sicuro che ne sarebbero rimasti incantati. Scacciò quell’ultima idea, dischiudendo nuovamente le labbra nel secondo successivo al suo ultimo commento. La sua voce calda si sarebbe impastata sulle note di un accordo solenne, stretto più con se stesso che con la ragazza.
«Non farlo. So cosa stai per dire.» Aveva quel tono di stanchezza e il sospiro successivo ne era una prova. «Non farlo.» Ripeté, scuotendo il capo lentamente.
Alexander si irrigidì sul posto, continuando ad affondare la propria coscienza nel colore caldo di quelle iridi. Pareva ancora un poco spaventata ma il cambiamento rispetto a qualche minuto prima era davvero evidente. Tradiva forza e una fermezza d’animo che solo in poche occasioni Alex l’aveva vista tirare fuori.
«Stavi per prometterlo, te l’ho letto negli occhi.»
«Perché le mie parole erano sincere.» Storse la bocca al solo pensiero di poter essere frainteso su qualcosa di tanto importante. Gli scherzi non erano contemplati e non concepiva come lei potesse anche solo vederlo come un bugiardo. La sensazione di stupore per essere stato anticipato in quel modo arrivò con più lentezza. Non era sicuro che il suo viso fosse un libro aperto per le persone, nemmeno quelle più vicine a lui, nessuno glielo aveva mai riferito, nemmeno palesandoglielo come difetto. Ma adesso si chiese quanto profondamente la ragazza l’avesse studiato in tutti quei pomeriggi passati assieme. Si ricordò distrattamente del giorno in cui gli era stato concesso di entrare nella stanza in fondo al corridoio. Era lo studio di Eileen, dove lavorava ai suoi disegni e creava idee più interessanti di quanto mai ci si sarebbe aspettati di vedere da una persona così semplice. Quella volta aveva scoperto per caso i ritratti che lei si era permessa di fargli senza chiedere il permesso. Le immagini erano così intime e diverse da ogni altro disegno che i fan avessero fatto di lui che si sentì guardato dentro. Su quei fogli non vi era solo il suo aspetto terribilmente inglese o la sua passione per la musica ma c’era il suo cuore. Mai prima d’allora si era sentito così esposto, eppure il calore all’altezza del petto gli impediva di esserne spaventato. Nonostante tutti i disegni lo ritraessero in quell’appartamento di cui respirava l’aria anche in quel momento, lei aveva avuto l’opportunità di poter assistere ai momenti più segreti della sua vita. Mai aveva potuto afferrare appieno il concetto di concentrazione prima di vedersi col capo chino sulle corde della chitarra con quell’espressione così sperduta ma allo stesso tempo presente. Perciò rispolverò quell’emozione di genuino stupore solo per comprendere quanto profondamente Eileen fosse sensibile, trasportando tutto quello persino nella sua arte.
Eileen sospirò nuovamente, scuotendo il capo ed abbozzando un sorriso, un po’ come quando si riprende un bambino.
«Non sto dicendo questo, Alex.»
«E allora cosa?» Si stava scaldando, gli sembrava che ogni sua parola non avesse intensità ma, più di tutto, che Eileen non lo ascoltasse. Stava camminando su un tracciato prestabilito? Le sue mosse in quel gioco avevano uno scopo o a qualunque scelta ce ne sarebbe stata una altrui che gli avrebbe fatto cambiare direzione?
Si allontanò dalla ragazza di un altro passo, incrociando le braccia al petto e puntando i suoi grandi occhi scuri su di lei. La sentiva allontanarsi, non tanto nello stato fisico ma nel calore che la rappresentava. La loro complicità e confidenza svaniva piano, nebbia in una mattina invernale.
«Non voglio trascinarti in questo pasticcio.» Scosse la testa nuovamente, con aria triste. «Questa è un qualcosa che devo risolvere da sola. Non so ne sarò in grado, tutti sembrate ricordarmi di quanto non sia capace di prendermi cura di me stessa. Ma tu Alex, tu hai la facoltà di scegliere e non puoi farlo per senso del dovere.» La voce era più ferma di quanto lei stessa si sarebbe mai aspettata. Qualunque essere umano avrebbe colto il rapporto stabile di fragilità e forza che la caratterizzavano. Perché le sue parole avevano un retrogusto dolce, forse a causa della premura che nutriva per le persone a lei care. Il ragazzo, dal canto suo, non aveva cambiato ancora espressione. I lineamenti erano ancora duri, la mascella serrata e così le dita strette, ma un’ombra gli si era dipinta nello sguardo, rendendo un poco più sperduti i suoi occhi.
«Sarai una madre fantastica.» Le disse serio e atono, evitando volutamente l’argomento che lo riguardava. Lei sollevò gli angoli delle labbra per un breve momento, ringraziandolo tacitamente.
«Ma non mi stai ascoltando.» Appiattì la propria espressione serena per rimpiazzarla con una totalmente seria, profondamente stanca. Quelle parole esatte scacciarono il velo incerto nello sguardo di Alex per fare spazio ad una agitazione rabbiosa, esasperata.
«Certo che lo sto facendo! Ma come mi dovrei comportare? Dovrei abbandonarti solo perché le cose sono diventate complicate?» Si accorse di aver sollevato il tono della voce solo nel momento in cui quelle parole generarono una reazione nella ragazza: si ritrasse quasi impercettibilmente e spalancò gli occhi, dando l’immagine di un animale braccato, spaventato a morte. Rendendosene conto, il cantante decise di aggiungere l’ultima frase moderandosi.
«Non sono un codardo.» Il gesto del mento rappresentava il suo orgoglio.
«Questa decisione non spetta a me.» Si aspettava di vederla gridare, scagliargli contro il suo stato d’animo per sfogarsi, renderlo partecipe del proprio turbamento. Ma lei sembrava attingere da una fonte inesauribile di pazienza e bontà, probabilmente il punto più puro dell’intero universo. Continuo poi, senza marcare la pausa.
«Ricordi quando ho detto di amarti quella mattina? Era la verità e quello non è mai cambiato. Non ti sto scacciando.» La voce era così flebile che Alex si aspettava di vederla scomparire del tutto nel giro di qualche secondo, eppure continuava, con le guance arrossate e quella calma incredibile.
«Ma sei giovane a hai tutta una carriera davanti. Sarai sempre in città straordinarie ed incontrerai nuove persone. Vivrai il momento. Non ti meriti qualcosa che blocchi tutto questo, anche se solo in piccola parte.» Riprese il discorso con pazienza, anche se adesso i suoi occhi erano lucidi di lacrime che si ostinava a non voler lasciare andare. I contrasti nel suo aspetto, così bambino e fragile, e nella convinzione di quel discorso la rendevano una vera donna. Chiunque avrebbe potuto provare verso di lei un sentimento di incondizionata protezione, eppure ci si sarebbe fermati, capendo quanto forte il suo spirito fosse in realtà.
Alex, dal canto suo, si rigirava quelle verità nella mente. Lui stesso era arrivato a conclusioni simili ma sentirle con le sue stesse orecchie, proprio da Eileen, rendeva tutto più reale. Era riuscito a mettere a tacere quelle giuste verità a favore della figura dolce ed irresistibile di lei, eppure adesso sapeva di non poter svincolare. Affondò le dita fra i capelli già arruffati da quella giornata agitata, tradendo ancora una volta disagio.
«Voglio esserci. Posso provarci.» Abbozzò un passo in avanti con l’intento di riunirsi a lei ma non arrivò nemmeno a sfiorarla.
«Sappiamo entrambi che non dipende davvero da te.» Fu lei a colmare le distanze, carezzandogli il viso dopo essersi alzata sulle punte con cautela. Alex avrebbe voluto lasciarsi andare a quel contatto, chiudere gli occhi e fare in modo che la pelle liscia di quelle dita gli rimanesse impressa nel corpo e nell’anima. Un segno indelebile. Si limitò a guardarla negli occhi, scambiandosi calore attraverso quel contatto. Quell’ultima frase aveva sentenziato la più pura verità e difficilmente sarebbe riuscito ad aggiungere qualcosa che fosse sincero e che non lo straziasse più di quanto quella situazione avesse già fatto. Ma l’incapacità si estendeva anche sulla convinzione di non poterla lasciare andare, non in quel momento almeno. Non era preparato e solo l’idea di non sentire più la sua voce gli dava la nausea. La avvolse con le proprie braccia, stringendola con bisogno, mentre affondava il viso nell’incavo del collo.
«Non voglio ancora lasciarti andare.» Le parole non risultavano scandite alla perfezione, piuttosto mugugnate contro la pelle nivea.
«Non farlo allora, non adesso.» Ma solo finché entrambi saremo pronti a dirci addio. Il silenzio si impadronì della stanza, lasciando riecheggiare solo quello che non si erano mai detti. Il calore dei due corpi si fondeva fino a diventare sentimento, le bocche si incontravano bisognose nel sapore salato di lacrime e le braccia stringevano senza il coraggio di lasciare andare.

 
Il secondo “regalo” è per chi desidera sapere quale volto ha Eileen.

Mentre pensavo al suo personaggio ho notato delle foto di un’attrice, penso abbastanza conosciuta: Freya Mavor. L’unico appunto sono gli occhi che, nel nostro caso, sono scuri!

Di nuovo grazie e un saluto a tutti!

 

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Capitolo 8
*** Chapter Eight ***


 Doppio aggiornamento! Non dimenticate di leggere l'epilogo!
 
Chapter Eight
“You got the lights on in the afternoon
And the nights are drawn out long
And you're kissing to cut through the gloom
With a cough drop coloured tongue.”

 
«Dovresti fare una pausa.» La voce squillante di Eileen riempiva la stanza con un’acustica interessante. Alex aveva sempre pensato che la ragazza avesse un timbro femminile definibile solo con la parola dolce, un po’ come tutto di lei. Quelle identiche parole erano state ripetute più volte, sempre con un tono incalzante. Voleva essere la distrazione, e con quel suo modo di piegare il capo da un lato, nell’imitazione di un animale curioso, ci andava davvero vicina. Era seduta a gambe incrociate sul letto a due piazze del ragazzo, mentre lui s’impegnava a riempire valigie e riordinare capi di vestiario. Quel pomeriggio sarebbe partito per Sheffield, la sua città natale. Era da qualche mese che non vedeva la sua famiglia ma, più di tutto, doveva lavorare. Dovevano registrare la prima canzone del nuovo album che era un po’ un esperimento, visto il sound nuovo e tanto diverso dai precedenti, che forse non avrebbero nemmeno incluso nella dozzina di tracce. Alla fine si erano lasciati con l’idea di decidere solo a risultato ottimato. Avendo quei progetti in programma, il cantante necessitava di spostarsi e ritornare in Europa, ed avendo procrastinato troppo a lungo la faccenda delle valigie adesso si ritrovava a dover muoversi con frenesia da una parte all’altra, raccogliendo ogni oggetto che non avrebbe potuto lasciarsi dietro. La presenza della ragazza in quello stato caotico era giustificata dalla proposta di lei di aiutarlo, essendo la partenza dell’aereo solo qualche ora più tardi, ma alla fine si era ritrovata ad ammettere di non sapere da dove incominciare in quell’appartamento quasi totalmente sconosciuto. E allora se ne stava là annoiata, per quanto attenta ad ogni singolo gesto del ragazzo, con le mani sul ventre in continua crescita. Dal loro diverbio e dall’accordo, non completamente espresso a voce alta, sul doversi separare a causa di quello che lei aveva chiamato pasticcio, era passato poco più di un mese. Ai loro amici e a se stessi sembrava un’idea assurda che entrambi tendessero a restare uno al fianco dell’altra, pur avendo parlato dei motivi per cui la loro relazione, con l’aggiunta di una nuova vita, non avrebbe potuto funzionare. L’argomento era stato denominato proprio con quelle parole sentite in almeno altre dieci versioni diverse nei problemi di coppia, anche se i loro fatti raccontavano qualcosa di insolito. Infatti era stata lei, nonostante il bisogno della compagnia di Alexander e del sentimento che provava nei suoi confronti, ad essere tanto pura e altruista da mettere in primo piano la vita che il ragazzo, ancora troppo giovane per caricarsi impegni simili, portava avanti come rockstar. Eileen sosteneva che fosse una responsabilità interamente sua e che lui non si sarebbe sentito in dovere di restare al suo fianco, tanto più che il bambino era stato concepito da una relazione precedente. Tutta la faccenda sembrava dolorosamente surreale ma questi erano i fatti e loro si erano adattati, per quanto i sentimenti profondamente umani li guidassero in decine di diverse direzioni che dovevano sforzarsi di ignorare. La pancia della futura mamma era però un segno troppo evidente per essere ignorato davvero, anche se le dimensioni rimanevano ancora ridotte, così ogni tanto entrambi ci gettavano un’occhiata, ognuno perso nei propri pensieri.
«Davvero, sono quasi sicura che il tuo ordine stia per diventare maniacale.» Lei continuava a sporgersi per vedere l’interno della valigia con le maglie ripiegate alla perfezione e posizionate in una pila studiata. Si guadagnò solo una risata ma l’effetto sperato di distoglierlo almeno per qualche minuto dall’andare di qua e poi prendere una cosa laggiù restò solo un desiderio.
«Non ti facevo un tipo ordinato, sai?» Questa volta non sembrava voler lasciare perdere, così Alex decise di sistemare l’ultimo paio di pantaloni per avvicinarsi e lasciarle un bacio leggero sulle labbra.
«E’ una questione pratica, non voglio che le maglie si stropiccino.» Concesse infine, sperando che quella questione insistente non proseguisse oltre, per quanto, in parte, lo divertisse. La dolcezza che caratterizzava la ragazza consisteva nelle occasioni in cui dava mostra del suo lato infantile. Domande semplici e tipicamente curiose, modi bizzarri di fare e strane ostinazioni temporanee. I lati della bocca di lei si inclinarono leggermente all’ingiù, dando mostra di come quella risposta così logica l’avesse delusa. In fondo era ovvio che il suo unico obbiettivo fosse distrarlo, mentre lui era riuscito a raggirarla in quel modo fin troppo serio. Eileen non diede segno di voler ribattere anzi, si lasciò andare sul letto, coricandosi supina, con lo sguardo rivolto al soffitto. Così il ragazzo poté semplicemente tornare alla sua occupazione, notando distrattamente le chitarre ancora fuori dalle rispettive custodie e l’ultima pila di maglie da portare con sé. Prese a sistemare quest’ultime, aspettando il nuovo intervento della ragazza che sapeva sarebbe arrivato presto. Nel mentre si lasciò andare ad una serie di pensieri, tutti riguardanti la sua imminente partenza, il lasciarsi Los Angeles alle spalle per qualche mese. Per quel tempo non avrebbe rivisto una serie di amici californiani, fra cui Lana, se poteva davvero definire il rapporto fra loro come amichevole. Non ricordava perfettamente l’ultimo insulto che gli aveva riservato, qualcosa che riguardava i vecchi e i pantaloni a vita alta, le mode passate e il cattivo gusto. Doveva ammettere che quelle singolari attenzioni lo divertivano parecchio, nonostante lei ci tenesse a sottolineare la serietà dei suoi interventi. Si destò da quella serie di pensieri solo quando si accorse di stare sorridendo stringendo una delle maglie, in particolare una Lacoste blu chiaro. In un flashback rivide la propria ragazza ballare scompostamente al ritmo di una canzone mai sentita, muovendo i fianchi e con i capelli dorati ad ondeggiare sulla schiena; le cosce scoperte e i calzini al ginocchio candidi quanto l’innocenza che a volte lei rappresentava. Con ancora il sorriso ad arricciargli le labbra, si girò a ricercare quell’ultimo dettaglio nella ragazza che sapeva avrebbe trovato ancora sdraiata sul letto, sebbene le parole previste si stavano facendo attendere fin troppo. Quell’espressione ebete lasciò spazio ad una perplessa, le sopracciglia alzate e gli occhi grandi curiosi. Eileen non era infatti sdraiata, bensì in equilibrio sui talloni, accovacciata vicino ad una delle sue chitarre, quella acustica. Come un animale quando si sente osservato, lei volse lo sguardo dritto su di lui.
«Posso prenderla?» Chiese gentilmente, allungando la mano con incertezza ma fermandosi prima di poter anche solo sfiorare il legno dello strumento. Alex si sentì stranamente lusingato da quella richiesta così formale, per il semplice fatto che teneva per davvero alle sue compagne. Spesso tendeva a vederle come qualcosa più importante di un semplice oggetto, giustificandosi con se stesso pensando al suono che era anima e vita.
«Certo.» Si rigirò fra le mani il capo di vestiario, dimenticandosi quasi del suo attuale impiego alla vista delle dita affusolate di lei che stringevano, tradendo un poco di insicurezza, il manico dello strumento, fino a sollevarlo.
«Suoni?»
«Se per suonare intendi saper eseguire “Happy Birthday to You” e qualche altra canzone occasionale allora certamente. Potrei quasi farti concorrenza.» Un sorriso beffardo la avvolgeva dandole un’aria di divertimento. Ora aveva appena incrociato le gambe sul letto e sopra aveva posto la chitarra, accarezzando le corde senza preparare nessuna nota.
«Alex Turner non avrà futuro con te alle prese col mondo della musica, la band andrà in fallimento.» Annuì convinto, ostentando serietà per recitare nel modo migliore di cui era capace. La sentì ridere in modo cristallino, di quel suono armonico che riempie le stanze. Poi la vide farsi seria, guardarlo con una intensità non davvero adatta al momento, tradendo dolcezza grazie al gesto di piegare il capo da un lato.
«Hai appena realizzato di avere davanti l’affascinante cantante degli Arctic Monkeys o…?»
«Molto modesto, davvero.» Poi entrambi si lasciarono andare ad una risata. Alex sistemò la Lacoste nella valigia, dichiarando mentalmente di avere finito sul fronte abiti, mentre lei pizzicava le corde in un unico accordo semplice.
«In realtà stavo pensando di non averti mai davvero sentito suonare. Non veramente, non un intero pezzo degli Arctic Monkeys.» Un altro suono, questa volta meno preciso. Adesso il suo sguardo era basso sullo strumento, impartendo note staccate e senza ritmo. Una parte di capelli le ricadeva sulla guancia, nascondendo buona parte del viso. Quella richiesta era perfettamente normale e lecita ma qualcosa di celato suggeriva ad Alexander una certa malinconia. Gli ricordava vagamente l’ultima richiesta di un moribondo, non che Eileen stesse per morire, questo proprio no, solo che entrambi cercavano invano di nascondere il fatto che di lì a qualche ora lui sarebbe volato oltreoceano. Di certo i pomeriggi impastati di quel tipo di quotidianità sarebbero passati ad un numero nullo. A loro sarebbero rimaste le telefonate ma, per quanto la voce di Eileen fosse un qualcosa di celestiale nei suoi toni acuti, certamente non sarebbe stato lo stesso senza poter essere testimone del modo in cui le lentiggini le creavano ombre sul naso piccolo, o delle labbra a cuore che sempre si estendevano in un sorriso. Semplicemente lui non ci sarebbe stato. La lontananza avrebbe certamente portato beneficio ai propositi che si era prefissati, quelli che entrambi avrebbero voluto dimenticare per sempre. Così si ritrovò ad essere sicuro di non poter rifiutare quell’implicita richiesta per nessun motivo al mondo. Sarebbe stato crudele esattamente come vietare un ultimo desiderio sul letto di morte. Si limitò a guardarla più seriamente ma senza rendersi cupo, mantenendo un angolo della bocca leggermente alzato che gli dava un’aria complice; poi si sedette al bordo del letto, allungando la mano verso la chitarra che lei gli stava già passando, anche se non le aveva suggerito di farlo.
«Per la signorina Eileen Harvard suonerò Suck It And See.» Sistemando meglio lo strumento ed incontrando il suo sguardo con divertimento. Pizzicò le corde, intonando il primo accordo ma senza continuare oltre. In quel lasso di tempo la vide mettersi più comoda, portandosi un ginocchio al petto ed allungando l’altra gamba, mostrando così le parigine e la pelle nivea fra i pantaloncini e le calze. Con quell’immagine nella mente, Alex riprese la canzone da quello stesso accordo. Per la prima frase rimase con l’attenzione concentrata su di lei, le dita si districavano sulle corde senza fatica, con quella naturalezza che solo la passione e gli anni passati sullo strumento ti concedono. Le sorrise apertamente, modificando quasi impercettibilmente il tono di voce. Quando lei, con molta dolcezza, ricambiò con quell’ombra di malinconia nello sguardo, capì che quelle note erano anche un po’ per lui. Chiuse gli occhi, concentrandosi sulle parole e sul suono della sua compagna. Altre volte gli era capitato di immergersi tanto in quello stesso pezzo ma adesso si sforzò di lasciare da parte gli episodi che avevano ispirato, a suo tempo, il testo per rimpiazzarli con i ricordi legati alla ragazza che era sicuro lo stesse fissando con estrema attenzione. La rivide la prima sera, sotto l’influenza delle luci, provando la stessa sensazione di attrazione inspiegabile. Nonostante in quell’istante non la stesse osservando, poteva assaporare ogni dettaglio della sua bellezza genuina. Le sue dita stavano sul quel ruvido metallico ma la sua mente lo ingannava, dandogli la percezione di pelle liscia.
Be cruel to me ‘cause I’m a fool for you.
Si era sentito stupido dopo aver realizzato quanto era stato catturato da lei. Eileen non era una donna seducente, di quelle che sfiorano un ragazzo facendogli accapponare la pelle per l’eccitazione. Lei non era uragani e tempeste ma aveva intrinseca la tranquillità di quel posto che chiami casa. Il suo stile da bambolina e la sensualità velata in alcuni gesti studiati alla perfezione la rendevano tanto particolare da giustificare, in parte, il comportamento che Alex si era trovato ad adottare. Non gli era mai davvero piaciuto interpretare la parte dello stolto, tantoché il suo aspetto dagli occhi grandi e scuri, che rispecchiavano così bene la sua timidezza, l’avevano portato ad episodi in cui, quando era più giovane, gli altri glielo rinfacciavano quasi con disprezzo. Ma se con lei aveva recitato la parte della persona che non vuole vedere l’evidenza, che si aggrappa alle più piccole sporgenze di felicità per negare quello che sa essere tanto negativo, era solo per tenerla stretta a sé. Perché la bontà del suo cuore rimaneva una rarità eccezionale e, se accompagnata dalla dolcezza caratteristica, veniva da sé capire l’innata protezione che chiunque sembrava provare per lei.
Preso da quel filo di pensieri non si era nemmeno accorto di stare tenendo il tempo con un piede. Le palpebre erano ancora chiuse, le labbra lasciavano andare parole nel suo tono di voce caldo, ma riusciva a percepire lo sguardo di lei sulla propria pelle. Non un fastidio, una carezza, di quelle che ti fanno sentire bene e ti tengono al sicuro. Riaprì gli occhi nel breve stacco dove la chitarra cantava per lui. Non avrebbe saputo dire se quelle note fossero le stesse di sempre o se differivano di qualcosa. La musica era parte di lui e non si sarebbe stupito più di tanto se la ragazza del presente avesse sovrastato il ricordo di quella della canzone. La vide sorridente e pensò con un accenno di distrazione che fosse una scena rassicurante, visto la frase dove descriveva quel momento e il successivo. Erano proprio seduti uno accanto all’altra e lui sarebbe partito al più tardi quel pomeriggio. Sarebbero stati lontani, questo era l’unico pensiero che lo tormentava in quel punto della canzone. Una volta che riprese a cantare, richiuse le palpebre, immergendosi nelle note fino alla fine.
Le corde metalliche vibravano ancora quando l’immagine di Eileen con gli occhi scuri traboccanti di lacrime gli si presentò provocandogli un tuffo al cuore. Difficile dire se fosse per l’orgoglio di essersi immerso tanto nella performance per suscitare emozione al suo scarso pubblico o per la malinconia che gli trasmetteva l’innocenza così palesata davanti a lui.
«Quella ragazza doveva essere proprio fantastica.» Gli disse, cercando di nascondere la propria commozione con un commento del genere e una risata nervosa, mentre infilava le dita fra i capelli di grano. L’esatto istante in cui le lacrime traboccano da degli occhi tanto ricchi di vita diventa magico, se qualcuno riesce a cogliere il preciso momento in cui accade. Ad Alex si presentò un ventaglio di risposte, qualcuna ironica ed altre tanto veritiere da rivelare i segreti a cui quella traccia era legata, ma alla fine, quasi lo stesso ventaglio si fosse chiuso di scatto, capì di non riuscire ad esprimere a parole quello che provava.         Non era mai stato un mago con le risposte, almeno non quando non dovevano essere riportate su un foglio di carta e accompagnate dalla sua chitarra.
«Oh, signorina non piangere.» Pizzicò le corde in un ritmo nuovo, intonando quella frase nel suo accento inglese. Non avrebbe saputo dire con esattezza che emozione rappresentavano quelle perle liquide. Il fatto era che, in ogni caso, gli trasmettevano un disagio unico e di certo il suo intento non era stato quello di renderla ancora più triste.
«Nessuno qua sta piangendo.» Lei lo seguì, canticchiando quel verso di una traccia immaginaria mentre si asciugava con il dorso della mano quelle che erano palesemente lacrime, anche se non tante. Si guadagnò un’espressione sorpresa da parte del ragazzo, tanto la voce era stata cristallina e perfettamente intonata.
«Adesso tocca a te! Voglio sentirti cantare.»  Non poté fare a meno di chiederglielo. La sua vita era stata creata sulla base della musica e non si sarebbe mai perdonato l’essersi fatto sfuggire uno dei pochi momenti in cui avrebbe potuto convincere Eileen ad uscire dal suo nascondiglio di insicurezze. La sua voce non era esperta ma l’intonazione era straordinaria, tanto da chiedersi se in passato avesse preso lezioni di canto.
«Io non canto. E poi sarebbe decisamente fuori luogo dopo che tu hai suonato in quel modo
Alex allargò un po’ di più il suo sorriso, senza perdersi d’animo nemmeno per un istante.
«Tu stessa vuoi cantare, lo sento. Poco prima l’hai fatto, perché adesso dovrebbe essere diverso?» Articolare quel ragionamento semplice in così poche e chiare parole gli sembrava il miglior modo per incastrarla, convincendola a lasciarsi andare. Perché lui lo avvertiva, sapeva che lei stessa avrebbe voluto canticchiare, lasciando da parte la timidezza che raramente le infuocava le guance. E poco prima era stato così naturale non pensare ed intonare una nota che sarebbe bastato poco per disinibirsi ancora.
Sentì chiaramente la ragazza sbuffare rassegnata, gonfiando un poco le guance, ma senza tradire alcun sentimento di disappunto. Poco dopo sorrise ironica, stringendosi un po’ nelle spalle.
«Quando sentirai i tuoi timpani chiedere pietà e desidererai non amare così tanto la musica da sentirla dilaniata dalla mia voce non venire a lamentarti. Ti ho avvisato Alex Turner!» Eileen si guadagnò una risata dal ragazzo, che adesso aveva preso a pizzicare le corde sovrappensiero.
«Invece di borbottare scegli una canzone.» Le riferì, ancora più divertito. Per tutta risposta lei assottigliò lo sguardo, lanciandogli un’occhiataccia ma pur sempre con un velo di complicità.
«Here Comes The Sun.» Riferire anche l’artista sarebbe stato inutile, vista la fama di quel brano. Alexander alzò un sopracciglio, incuriosito da quella scelta, ma senza obbiettare oltre incominciò ad articolare le prime note. Si accorse di riuscire ad immaginare perfettamente la voce femminile della ragazza su quel pezzo ma questo non lo preparò al momento in cui lei intonò per davvero le prime parole. Lo fece con molta timidezza, tanto che il suono della chitarra copriva quasi quello della sua voce. Il cantante dovette plasmare il ritmo, adattandosi a quello un poco più lento e meno ritmato su cui Eileen pareva viaggiare. Più la canzone si evolveva, più la ragazza assumeva sicurezza, anche se adesso aveva preso ad ondeggiare a ritmo. La differenza maggiore fra l’esibizione precedente e quest’ultima stava essenzialmente nello sguardo del ragazzo. Se prima le palpebre erano rimaste socchiuse per la maggior parte del tempo, adesso i suoi grandi occhi scuri erano puntati sulla cantante. Perché adesso la musica proveniva da lei e il suo modo di esprimersi attraverso di quella era tanto struggente che risultava impossibile non rimanerne attratti.
«Era una versione davvero bella.» Le disse a fine brano. Normalmente si sarebbe limitato a sorriderle ma adesso gli premeva farle quel complimento, dandole quella sicurezza che, soprattutto all’inizio, le era mancata.
«Sì, certo, e i gatti abbaiano.» Gonfiò le guance che ormai si erano totalmente colorate di un roseo acceso. Era adorabile quando si perdeva in quell’atteggiamento infantile ma Alex capì in fretta che sarebbe stata dura convincerla del contrario, tanto si era immersa in quella modestia incallita. Subito dopo si alzò andando a ricercare la custodia della chitarra. Dopotutto il suo lavoro sui bagagli non era terminato.
«Se per una volta fai a meno della modestia non si offende nessuno, sai?»
«Ma qualcuno si offende se non ritorni subito qui. E poi cosa devi impacchettare ancora?» Cambiando posizione sul materasso. Era un invito a cui difficilmente ci sarebbe potuti sottrarre. In fondo il ragazzo si era sempre trovato a definire Eileen come una casa, il luogo in cui tornare, dove ci si sente accettati e al sicuro.
«In realtà non stavo impacchettando proprio nulla. Cosa c’è?» Ritornò da lei, spingendosi oltre il materasso abbastanza da poterle accarezzare un lato del viso con il dorso della mano. Gli ricordò un felino quando mise una leggera pressione, quasi a chiedere di più.
«Anche se Lana adora darti tanti aggettivi strani, sei consapevole di essere una brava persona?» Quasi ostentando una sicurezza di cui prima sembrava esserne priva, piantò il proprio sguardo in quello dell’altro.
«Siamo diventati sentimentali?» Quel contatto lo rendeva instabile, facendolo vacillare più di quanto avrebbe voluto. Ritirarsi nell’ironia era una strategia collaudata e sicura.
«Dico sul serio. Sei il ragazzo più buono che abbia mai incontrato, anche se ti nascondi dietro giubbotti di pelle e ciuffi anni cinquanta e a quell’aria strafottente. Ma l’ho visto quando suoni, lì non puoi mentire.» Ed era un qualcosa di tanto semplice da non poter che essere veritiero. Alex aveva sempre saputo che se qualunque parte di lui sarebbe mutata nel tempo, l’unica a rimanere la costante sarebbe stato il suo amore per la musica. E quando c’è quel tipo di amore così viscerale, profondo, non si riesce a mentire o a cambiarlo, renderlo scenico. In presenza di Eileen era sempre stato umano e poco costruito. Non il frontman di una band ma solo un essere umano con sentimenti reali e miserabili; eppure lei era riuscita ad andare ancora oltre. Era stato forse lui stesso ad abbassare ogni difesa? O Eileen era stata capace di vedere oltre il velo che inconsapevolmente portava, anche senza avere le istruzioni per farlo? Gli sarebbe piaciuto saperlo con esattezza, anche solo per indirizzare la conversazione su un qualcosa di diverso. Non sapeva cosa dire, oltre al cambiare totalmente argomento. Odiava quel suo modo di non trovare le parole al momento giusto e, se le trovava, allora gli suonavano terribilmente stonate. In fondo cosa avrebbe dovuto rispondere? Dare il suo assenso? Sarebbe sembrato così tanto pomposo da surclassare persino il personaggio che era andato a crearsi in quegli ultimi tempi.
«Non sono sicuro di essere quel tipo di persona che si ferma in un giorno di pioggia per accogliere un cane abbandonato.» Ammise, passandosi la mano sulle labbra con nervosismo. Interrogarsi su se stesso era qualcosa che non l’aveva mai portato da nessuna parte, non veramente. Aveva cercato di rimanere autentico, almeno quando era in compagnia di amici, di Eileen, ma adesso non era più tanto sicuro nemmeno di quello.
«Io penso di sì. In fondo è quello che hai fatto con me, no? Forse non mi avrai accudito come un cucciolo ma sei rimasto e questo è un dato di fatto. E poi quella sera pioveva.» La vide incrociare le gambe, forse cambiare posizione ancora una volta la rendeva più sicura. Per quanto serio poteva essere quel discorso, lei continuava a sorridere in un modo rassicurante ma non di quelli che fanno i medici, a labbra strette e finti, piuttosto quello che riserverebbe una madre per consolare un figlio. Lo era, lo teneva al caldo e al sicuro.
«Mi piace la pioggia.» Ribadì come se fosse molto importante a quel punto della conversazione. Fu sollevato dal sentirla ridere perché stava già pensando di essere stato stupido ed irrispettoso.
«Quello che sto cercando di fare è ringraziarti. Non sono sicura di poter essere come sono oggi se non ci fossi stato tu.» A quel punto si era avvicinata e aveva preso a disegnare strani cerchi invisibili sulla parte di pelle che lo scollo della maglia lasciava intravedere. Qualche volta giocherellava con la collana dorata che di tanto in tanto lui portava al collo.
«Sei più forte di quel che credi, piccola.» Ed era vero, questo l’aveva pensato tante volte in occasioni differenti. L’aveva stupido spesso la forza interiore da donna che lei portava dentro, in contrasto con l’aspetto innocente e bambino.
«Ricorda quello che ti ho detto, va bene?» Gli lasciò un bacio leggero sulla guancia, per poi inclinare appena il capo da un lato, con i capelli che le ricadevano in quel dettaglio tanto particolare quanto poco importante. Il perché le premesse tanto un qualcosa del genere gli sfuggiva. Ci pensò un po’ su, mentre le riportava all’ordine una ciocca di capelli di grano dietro l’orecchio e affondava poi il viso nell’incavo del suo collo. Anche l’utilità di ricordare un dettaglio simile non era per lui facilmente comprensibile. Non si era mai sentito una cattiva persona, questo proprio no, ma sapeva di non avere neanche un cuore puro come lei invece sosteneva. Si stupì solo della consapevolezza di avere la possibilità di stringere un essere umano così raro. Non corrotto dai soldi, né dalla gelosia o dall’egoismo, era stupefacente.
«Lo terrò a mente.» Le promise, continuando a saggiare quelle parole nella sua mente e a chiedersi il perché di tanta importanza.
«Ma sai? E’ solo un viaggio d’areo per l’Europa, non finirò negli inferi. Ci rivedremo ancora, ‘Leen.» Continuò poi, affondando il viso nel suo collo, inspirandone il profumo. Si aspettava di sentire una forte risata, di essere stato simpatico al punto giusto per sciogliere l’atmosfera appena malinconica. Invece dovette ritornare composto e guardarla negli occhi per scoprire che il sorriso che le piegava le labbra non coinvolgeva affatto gli occhi.
«Lo so. Starò qui ad aspettarti.» Gli concesse quasi subito, tanto che Alex si aggrappò a quel tono rassicurante per non finirci sul serio, negli inferi. Non sapeva come sarebbe andata finire e nemmeno come si sarebbe evoluta quella faccenda. Se c’era qualcosa che sapeva, invece, era di non voler lasciare quella stanza e di non voler slegare l’abbraccio che lo teneva unito ad Eileen. Cercò di prometterlo a se stesso: sarebbe tornato.

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Capitolo 9
*** Epilogue ***


 
 Doppio aggiornamento! Non dimenticate di leggere il capitolo otto!

Avviso a tutti che, in realtà, da quando ho scritto questo ultimo capitolo e quello precedente sono passati almeno tre mesi. Mi dispiace tantissimo per il ritardo ma ancora di più penso che si notino delle differenze, spero non vi diano fastidio. Ci vediamo a fine capitolo per i ringraziamenti! 

 
Epilogue

"You and me could have been a team.
Each had a half of a king and queen seat.
Like the beginning of Mean Streets
You could Be My Baby"

 
I pomeriggi le erano sempre piaciuti un po’ di più rispetto agli altri momenti della giornata. Erano tranquilli, e non implicavano niente. Nelle mattinate si era costretti ad impugnare le redini della propria vita, e magari andare anche a lavoro. Compiere tutte quelle azioni che, alla fine, non si pensa neanche di fare, se non quando, la notte prima, ti chiedi quali siano i tuoi impegni del giorno successivo; solo per infierire un po’ su un umore già pessimo di suo, poi. Alzarsi, preparare la colazione, aprire le tende, e così discorrendo. Le sere sono troppo frenetiche invece, perché le decisioni che non si possono prendere la mattina – perché già imposte – le si mettono in pratica la sera. Ogni sera, perché poi in una non c’è mai tempo. Le notti le piacevano ma non sempre, perché a volte fa freddo e si capisce che quel letto non è quello giusto, e che vorresti essere nel tuo. Sapeva che le piacerebbe il sorgere del sole ma sapeva anche che alzarsi presto per quello, ogni giorno, non sarebbe stato lo stesso. E poi dal suo appartamento l’alba non si vedeva, e sarebbe dovuta andare fuori città per ammirarla come si deve. Così i pomeriggi erano quelli che preferiva. Alcuni anni prima li avrebbe passati in un modo diverso: leggendo un libro, ballando senza seguire il tempo e sulle note di una canzone che nemmeno conosceva, magari. Invece di questi tempi quelle ore avevano assunto un ruolo ancora più importante. Iniziava quando entrava nella camera di sua figlia, dove la piccola si rintanava per giocare quando lei ancora era intenta a sparecchiare la tavola. La trovava sempre un po’ corrucciata, con la fronte corrugata e le labbra strette. A volte le chiedeva cosa non andava e alla fine risultava sempre un problema non della piccola, bensì della scimmietta di pezza che portava con sé. Allora Eileen si appoggiava alla parete, con le braccia incrociate al petto, e si perdeva un po’ a guardare la parete di fronte a lei. Prima dell’arrivo della bambina l’immagine dipinta cambiava spesso, tanto che a volte si chiedeva quanto spessore avesse aggiunto al muro. Poi ripassava mentalmente ogni disegno, finendo per dimenticarne qualcuno. Invece, da quando la piccola aveva fatto il suo ingresso in quella casa, il disegno era rimasto lo stesso. Le avevano chiesto spesso cosa raffigurasse. Ci provava a rispondere, davvero, ma alla fine glissava la domanda, dicendo che era solo un disegno. Eppure tutte le persone che la conoscevano sapevano di stare assistendo ad una bugia, quando si sentivano dire così. Lei non ci faceva caso e, invece, si girava e indicava l’altro dipinto, sulla parete opposta. Una scena di un acquario, molto calmante, a dire il vero. Poteva sembrare anche l’immagine di una vita della Grande Barriera Corallina o di un qualsiasi punto di un mare caldo, con un tasso particolarmente alto di vita sottomarina. Era stata la piccola a dirle che, invece, era proprio un acquario, perché i pesci avevano gli occhi un po’ tristi e, seguendo il ragionamento, nell’oceano non avrebbero avuto le stesse espressioni. Così ad Eileen il dipinto non era sembrato più così tanto calmante e si era ripromessa di cambiarlo. Ma finché le faceva da diversivo per il disegno della parete opposta non la disturbava. Il punto era che le piaceva tenere il ricordo di qualcuno ma non in modo troppo esplicito. Perché alla fine quella era casa sua e non trovava giusto che qualcuno, entrando, leggesse i ricordi di quelle mura come se glielo avesse permesso lei. Non teneva foto, infatti, ma disegnare le riusciva bene e perciò lasciava che i suoi ricordi venissero raccontati da pennelli e matite. Guardare quella parete lo faceva nel pomeriggio, mai in mattinata o durante la notte. L’avrebbe fatto durante l’alba, ma la luce non sarebbe stata quella giusta, così tradita dalla città, e allora ci rinunciava. Un’altra novità dei nuovi pomeriggi erano le domande della figlia. Sembrava che le più contorte le riservasse in quelle ore, come se lo avvertisse. E quella di quel giorno le era piaciuta particolarmente, quasi la stesse aspettando.
«Chi è lui, mamma?» E avrebbe potuto indicare il disegno della parete, invece prese per mano la sua scimmietta di pezza e si alzò, fino a premere la punta dell’indice sui colori, in un punto preciso. Eileen proprio non se lo spiegava, come sua figlia fosse riuscita a capirlo. Era pura astrazione, eppure aveva poggiato il ditino proprio dove l’autrice aveva immaginato il viso di un uomo, anche se, inutile dirlo, il viso di un uomo proprio non c’era. Allora Eileen sorrise, ampiamente pure, senza nascondere che la piccola avesse fatto pieno centro.
«La vuoi sentire una storia, mh?» Disse, prima di sedersi sul pavimento, incrociando le gambe. La bambina annuì con enfasi e un sorriso sdentato, ma dolce, scattando fino a raggiungere la madre. Si accoccolò sulle gambe con l’esperienza di un gesto ripetuto altre volte, appoggiando la schiena sul petto della donna. Aveva capito da sola che la storia raccontava di quel lui da lei indicato e, tirando le somme, aveva anche capito che necessitava di avere come sfondo di quel racconto il dipinto nella parete. Eileen si limitò a stringerla un po’ con le braccia.
«Lui è stato un mio amico, di quelli a cui vuoi molto bene, hai presente, tesoro?»
«Come Mindy?» Alzò il braccio, in modo da far dondolare il pupazzo.
«No, non come Mindy. Mindy mi ricorda un po’ Lana, lo sai.» Rise appena, stringendo la piccola maggiormente e affondando per qualche secondo il naso nell’incavo fra la spalla e il collo. Aveva un buonissimo odore, di shampoo e bambino: infantile.
«Come Thomas! Ecco, così.» Trovare le parole per descrivere un amore era sempre un po’ difficile. Perché con i bambini si pensa a mettere tutto sul piano più basso, più semplice possibile. Ma l’amore non è poi mica così semplice, come tante altre cose, così si finisce per mettere solo confusione. Basterebbe parlare invece, e loro capirebbero. Magari sbattendo le ciglia e arricciando il naso, prima. Dicendo che sono cose da grandi e tornando a giocare poi, che non si era rivelato mica così interessante. Comunque Thomas era un bambino della stessa età della figlia di Eileen, andavano a scuola insieme, ed era la prima ufficiale cotta della bambina. Di quelle cotte che viene voglia di restare vicino a lui e abbracciarlo, di tanto in tanto.
Storse il naso e poi alzò lo sguardo verso la mamma, trovando gli occhi scuri di lei senza difficoltà.
«E perché lui non è qui? Thomas è a casa sua, è anche lui a casa sua?»
«Certamente.»
«E perché non l’ho mai incontrato?»
«Perché è un vecchio amico. Anche io non lo vedo da tanto.»
«Come Bubi?»
Bubi era un gatto, di pezza anche lui, ma faceva parte della categoria dei giocattoli persi. Li si mette dentro uno scatolone, in uno sgabuzzino buio, e poi non li si ritrova più. Alla fine sono come vecchi amici: persi. Questo fu il secondo esempio per aiutare la bambina a capire la storia. Alla fine il racconto andò avanti con domande e risposte. Le raccontò del primo incontro con il ragazzo, nella stanza con tante luci eppure buia. Della pioggia e della musica. Si sentiva un po’ sperduta quella notte e non sapeva nemmeno come ci era arrivata in discoteca. Pensava che la musica ad un volume tanto alto l’avrebbe aiutata a non pensare, e alla fine era stato così. Non aveva pensato, o almeno non l’aveva fatto lucidamente, quando aveva sorriso ad uno sconosciuto e quando aveva accettato di ballare. Quando si era lasciata stringere e, senza volerlo, conoscere. Descrisse il vestito blu che portava, che sapeva un po’ di notte e un po’ di oceano. Forse ce l’aveva da qualche parte nell’armadio, disse. Glielo avrebbe fatto vedere di sicuro. Poi passò al secondo incontro. Sorvolò completamente sul fatto che, a quel tempo, il negozietto all’angolo non era gestito da Jamie, la ragazzina timidissima che serviva i cupcakes come se fossero bicchieri di cristallo, ma dalla Signora Renée, sua madre. La donna era morta in un incidente d’auto, senza che fosse all’interno della vettura, da pedone. Ad Eileen mancava il modo in cui le carezzava la guancia quando chiedeva la cioccolata fondente, dicendo che la vita che portava in grembo era un dono. Le sarebbe piaciuto che pizzicasse la guancia a sua figlia, adesso, passandole un dolcetto sottobanco.
Non descrisse il vestito che indossava quel giorno perché, disse, se lo era già dimenticato. Ma si perse nei dettagli sulla bontà del dolce che aveva mangiato.
«E lui cosa aveva mangiato, mamma?»
«Caffè amaro e cornetto al cioccolato e panna!» Inutile dire che si sorprese di ricordarselo così bene. Si guadagnò un’occhiata curiosa, a proposito. Se non altro, le due si intendevano su tali argomenti. Probabilmente la prima caratteristica che la piccola aveva ereditato dalla madre era quella della passione per i dolci.
«Lui ha gli occhi marroni?»
«Perché lo chiedi?» Prese ad arricciarle una ciocca di capelli biondissimi con l’indice.
«Non lo so. Il caffè a me non piace – pausa, smorfia – ma a te un po’ sì. Tu hai gli occhi marroni, mamma!» Come ragionamento non faceva una piega, anche se la statistica dell’esperimento era stata fatta su tre persone. E che, se in effetti sarebbe stata allargata ad altri individui, non avrebbe funzionato per nulla.
«Stai dicendo che chi ha gli occhi azzurri come te non può bere caffè?»
«Sì. No? Può! Ma non gli piace. O forse non è così?» Ad Eileen venne in mente la volta che la figlia era riuscita a battere probabilmente un record mondiale di bugie, quando aveva rotto il classico vaso e sparso terra e impronte di piedini in giro per casa. La prima volta che era stata incriminata aveva incolpato il gatto, la seconda volta aveva detto che si era rotto da solo, la terza che l’aveva trovato così, la quarta che era stato il vento.
Sembrò pensarci un po’ su, la donna. La piccola sapeva, invece, che era concentrata su qualcos’altro e che i suoi pensieri erano tutti per quel lui che, per adesso, ancora non capiva del tutto. Però se lo immaginava come una buona persona e non aveva paura di sapere. Era curiosa, eppure non troppo. Se guardava il dipinto, allora un po’ lui se lo immaginava.
«Ero molto triste, in quei mesi. Faceva freddo.»
«Era inverno?» Stropicciò la scimmietta, guardandola nei bottoncini lucidi che fungevano da occhi. Poi passò a guardare la sua mamma e la vide annuire, mentre sorrideva leggermente.
«Ti sentivi sola?» Le chiese, ancora.
«Quando faceva freddo, sì.» Non spiegò oltre. Si aspettava che sua figlia le ponesse un’altra serie di domande, invece riprese a stringere il pupazzo e a guardare il dipinto. Si prese una pausa. Di fuori si sentiva il rumore del traffico ma anche la musica sinfonica del vicino del piano di sotto. Pensava ad Alexander, ovviamente. Ricordava il modo con cui la stringeva e la faceva sentire al caldo, e al sicuro. Si sentiva amata ma non voleva esserlo, in fondo. Si colpevolizzava spesso e, come parola, non le piaceva neanche tanto. Se l’avesse ripetuta a voce alta, adesso per esempio, avrebbe risentito quello stesso vocabolo in almeno tre modi diversi, uscire dalle labbra rosee della piccola.
Poi decise che la pausa fosse durata abbastanza e riprese a raccontare.
«Persino Lana lo adorava! Dovevi vederla mentre lo prendeva in giro come solo lei sa fare, e lui rideva.» Rise anche la piccola. Per fortuna l’immaginazione aiutava in quella storia piena di lacune e vicoli ciechi. Continuò, con l’episodio del ghiaccio e delle scale.
«Io continuavo a mettere il ghiaccio sulla sua ferita e lui continuava a spostarlo su di me.»
«Tu lo fai sempre! Io ti pettino i capelli e tu li vuoi sempre pettinare a me!» Eileen le concesse un sorriso complice, mentre l’altra si spostava. Sgattaiolò da un abbraccio d’occasione e si sedette davanti alla donna. La guardava dritto dritto negli occhi, anche se non sempre lo sguardo veniva ricambiato. La luce era perfetta e vedeva il colore del dipinto riflesso nelle iridi che osservava con così tanta curiosità. Eileen tralasciava le parti che, ovviamente, non poteva raccontare ad una bambina di cinque anni. Tutte le volte che avevano fatto l’amore e si era lasciata volere bene, senza rimpianti. O quando lui aveva colpito in pieno il zigomo dell’altro uomo di cui era rimasta ipnotizzata, ma che mai aveva amato. Se ci pensava, lo rivedeva in ogni tratto del viso di sua figlia. Ma doveva impegnarsi per farlo. Alexander, di certo, si sarebbe curato di far notare che tutta la dolcezza di quel confetto biondo era specchio di quella di Eileen. Eric, poi, non lo vedeva da quel giorno. Non si era più rifatto vivo e, non troppo tempo dopo, era finito in prigione. Non era andata a trovarlo e non si era mai pentita di non provare empatia per lui. Non aveva semplicemente voltato pagina, iniziato un nuovo capitolo della propria vita, ma si era presa la briga di cambiare libro. E anche se ora la copertina era tutta sgualcita e la carta odorava di vecchio, sapeva di avere in mano il giusto racconto e di amare ogni sua riga.
Sorrise di sfuggita e la bambina lo notò immediatamente, neanche l’avesse sbandierato.
«Perché sorridi? Mamma?»
«Perché mi sono ricordata di una cosa. Aspetta, guarda.» In qualche secondo estrasse dalla tasca il suo cellulare. In quella casa non vi erano tabù, nemmeno quello della tecnologia. Smanettò per qualche secondo, per poi porgerlo all’altra che lo prese con entrambe le manine, facendo attenzione a non farlo cadere. Sullo schermo era apparsa una foto buffa che fece ridere immediatamente la biondina. Eileen aveva tutti i capelli arruffati e gli occhi volutamente storti; un sorriso divertito sul volto. Ma al suo fianco vi era il lui di cui stavano parlando e la piccola non poté fare a meno di dischiudere le labbra in una piccola O. Il ragazzo non guardava l’obiettivo ma l’amante, e rideva di gusto. Gli occhi erano un po’ socchiusi e il naso un po’ arrossato per il freddo. Sembravano felici.
«E’ bello, mamma!» Cantilenò, dando un’ultima occhiata al dispositivo e poi ripassandolo alla proprietaria.
«Ti piace, eh?» Sorrise maliziosa, precedendo un momento tanto conosciuto. La piccola tentò di fuggire ma venne comunque investita da un’ondata di solletico. La camera si riempì velocemente di risate e di movimento. Sembrava giusto mostrare del contrasto fra le posizioni pressoché statiche di poco prima e tutto questo nuovo trambusto. Quando si calmarono, la più piccola rimase appoggiata alla parete nota, i palmi orientati verso il muro, all’indietro, ma il corpo rivolto verso l’altra che non si era scomposta troppo. Sembrava pronta ad un secondo round. Stava giusto per incominciare a correre di nuovo, questa volta ponendosi l’obiettivo di portare Mindy con sé. Ma, prima che potesse effettivamente scattare, spalancò gli occhi per lo stupore e la curiosità. Sua madre aveva incominciato a cantare, inizialmente a voce bassa e poi più alta. Lo faceva solo quando la bimba era più piccola e la notte si prolungava troppo a lungo, e gli occhioni chiari rimanevano prepotentemente puntati sulla donna, sveglissimi. Poi aveva smesso. Sembrava fosse diventato un segreto, nascosto a tutti tranne che a se stessa. Cantava quando dipingeva ma mai era apparso alla piccola di sentire quella canzone uscire dalle labbra della propria mamma. Eppure la conosceva bene e, dopo l’iniziale stupore, si aggiunse, dando inizio ad un duetto. Erano felici e sorridevano in continuazione, così da dare alla loro musica il giusto sentimento. Quando la canzone finì, risero insieme.
«Lui canta?» Chiese la biondina, senza lasciarsi sfuggire il sorriso divertito. Eileen annuì piano, con gli zigomi alti per l’espressione compiaciuta, come se non aspettasse altro. Sentiva di aver creato un filo da ragno tessitore, capace di portare la sua ascoltatrice ad una conclusione. Prese ad intonare un'altra melodia. Allungò le gambe, districando l’intreccio in cui le aveva tenute fino ad ora, mostrando le calze al ginocchio, candide come erano sempre state. Le tenne così per qualche secondo, continuando a canticchiare piano, quasi timidamente. La bambina, in piedi com’era, affievolì la piega delle labbra, senza abbandonarla. Strinse un po’ più forte la scimmietta, guardando incantata la madre. Poi lasciò scivolare lo sguardo sulle gambe affusolate, ed ecco di nuovo ad incontrare lo sguardo scuro della donna. Infine si voltò completamente, immergendosi nel dipinto. La piccola sapeva, dentro di sé, che la risposta a qualsiasi domanda stava in quell’ammasso di colori e sfumature. L’aveva guardato tante volte, quel dipinto, e solo adesso si accorse di aver trovato la risposta. Restò così per minuti interi, con le labbra dischiuse. Ad Eileen piacque guardarla, anche se le era concessa solo la vista della schiena minuscola. Osservandola, pensò a quel ragazzo che aveva incontrato e che aveva lasciato andare. L’aveva visto partire, andare via fisicamente, ma si rese conto di essere stata lei a decidere di non tenerlo con sé. A suo tempo, aveva potuto possederne una parte. Gli occhi, la voce, il fascino e la dolcezza. Avrebbe potuto allungarne la permanenza ma aveva deciso, probabilmente ancora prima di conoscerlo, di non condividere un’esistenza con lui. Se avessero voluto, avrebbero potuto farlo, senza rimorsi e senza guardarsi indietro. Si sarebbero amati, per tutti il tempo. Ma avevano deciso di non farlo, capendo di non stare abbandonando tutto, ma di avere dei ricordi che permettessero loro di tornare a casa, ogni volta.
La bambina si voltò. Con lentezza, senza l’intenzione di rompere l’incanto che si era andato a creare. Spalancò gli occhioni chiarissimi e porse un’ultima domanda.
«Qual è il suo nome?» Lo chiese piano e con voce dolce.
«Alex
«Come me?»
«Come te, tesoro.»

 
Eccoci qui arrivati alla fine! Prima che ve ne andiate ringrazio tutti quelli che sono giunti fino a questo punto. Questa storia è stata un’avventura da cui ho imparato un sacco di cose. Ammetto che la storia non è un granché e i ritardi verso la fine nella pubblicazione erano dati proprio da una profonda indecisione. Ero arrivata ad un certo punto che volevo cancellare tutto e nascondermi in un angolino al buio. Ma alla fine tengo ai personaggi che ho creato più di quanto mi sarei mai aspettata. Eileen, Lana, la piccola Alex.
Ho imparato in primis a non pubblicare mai nulla senza prima aver concluso definitivamente la storia e a strutturarla meglio, senza nascondermi dietro all’aggettivo “romanzato”.
Ringrazio Monica, che è stata la prima a leggere ogni capitolo e darmi un parere.
E ovviamente ringrazio gli Arctic Monkeys! Che con Knee Socks e con la loro musica hanno ispirato questa folle fan fiction che, per quanto non sia venuta fuori come me l’ero immaginata, è pur sempre un inizio!
Ringrazio ancora tutti voi che avete letto e, in modo particolare, a tutti quelli che hanno trovato il tempo per recensire.





 
 

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