Le avventure dei fratelli Hianick

di FiammaBlu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La nascita ***
Capitolo 2: *** La scelta ***
Capitolo 3: *** Insieme ***
Capitolo 4: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 5: *** I pretendenti ***
Capitolo 6: *** La scatola ***
Capitolo 7: *** La caverna ***
Capitolo 8: *** Un nuovo compagno ***
Capitolo 9: *** Il furto ***
Capitolo 10: *** Malintesi ***
Capitolo 11: *** Infuso di ortiche, occhio di pipistrello, tela di ragno ***
Capitolo 12: *** L'assassinio ***
Capitolo 13: *** Il prigioniero e il baule ***
Capitolo 14: *** Fuoco e fulmini ***
Capitolo 15: *** Agrabaar ***
Capitolo 16: *** L'oasi ***
Capitolo 17: *** L'esecuzione ***
Capitolo 18: *** La lettera ***
Capitolo 19: *** La spedizione e l'anello ***
Capitolo 20: *** Il Drago del Mare ***
Capitolo 21: *** Le Terre del Fuoco ***
Capitolo 22: *** La Regina Ragno ***
Capitolo 23: *** Le Catacombe di Hilizia ***
Capitolo 24: *** Alito di Drago ***
Capitolo 25: *** Fede ***
Capitolo 26: *** Chiaro di Luna ***
Capitolo 27: *** La Tempesta ***
Capitolo 28: *** Il Regno degli Elfi ***
Capitolo 29: *** Il Cavaliere, la Maga e il Capitano ***
Capitolo 30: *** Il matrimonio ***



Capitolo 1
*** La nascita ***


1. La Nascita

 

L'uomo, le mani chiuse a pugno dietro la schiena, stava rigidamente in piedi al lato di una porta di legno finemente decorata con motivi floreali dalla quale uscivano lamenti di sofferenza. Cercava di essere indifferente ma la tensione che rigava il suo bel volto dagli zigomi pronunciati diceva il contrario. L'altra porta sul fondo del corridoio si spalancò improvvisamente lasciando entrare una corrente di risa e capelli biondi. Due bambine di sette e quattro anni invasero l'anticamera rincorrendosi come gatto e topo. Entrambe avevano capelli biondo miele, pelle chiara e guance arrossate per la corsa. L'uomo le osservò con un misto di severità e orgoglio, i suoi occhi scuri si fissarono sulla coppia che correva verso di lui. Il vano della porta fu occupato da un'altra figura.

- Eccola, arriva! - esclamò Celia, fissando i suoi occhioni azzurri sulla zia che aveva appena varcato la soglia e riparandosi dietro le gambe del padre seguita dalla sorellina.

- Presto scappiamo! - proruppe Katherin lasciando la gamba del padre che aveva afferrato e dirigendosi verso un'altra porta dalla parte opposta a quella da dove erano entrate.

- Ferme! - la voce profonda e minacciosa del padre alle loro spalle le fece fermare improvvisamente. Le due bambine si voltarono cautamente. Si trovarono a guardare nei profondi occhi castani del loro padre, gelidi come ghiaccio.

- Cosa avete combinato questa volta? - chiese, ammorbidendo lo sguardo e inginocchiandosi. Le bambine, anche per sfuggire alle ire della zia che stava sopraggiungendo, corsero fra le sue braccia protettive ridendo come matte.

- Ho tentato di tenerle lontane... - cominciò zia Amelia, le mani chiuse in grembo - Ma è tutto inutile, vogliono sapere cosa sta succedendo - spiegò la zia cercando di rimettere a posto i capelli grigi nella crocchia che dava un aspetto severo al suo volto rugoso.

- Allora, cosa avete da dire? - domandò la voce imperiosa del genitore all'indirizzo delle due bambine. Stentò a restare serio osservando i graffi sulle guance delicate e le macchie che costellavano i vestitini delle sue figlie. Le bambine si guardarono poi la più piccola, Katherin, si portò un dito fra i riccioli d'oro e fissò per un attimo il severo genitore.

- La zia voleva che giocassimo con i cavalli di legno ma noi volevamo sapere perché ci sono le Guaritrici con la mamma - biascicò la bambina con la sua voce ancora instabile e acuta. Il padre osservò le sue due figlie curiose e per poco non scoppiò a ridere nell'udire il tono tentennante della figlia. Si alzò in piedi prendendo una figlia per braccio e iniziò a passeggiare.

- Ricordate che vi abbiamo detto che presto avrete un fratellino o una sorellina? - disse lentamente Fabris Hianick, facendo appello a tutta la sua forza, non gli riusciva un granché parlare di queste cose. Le bambine assentirono ricordando la discussione di pochi mesi prima, quando la mamma aveva cominciato a ingrassare incredibilmente... ma questo cosa c'entrava?

- Ecco - continuò il padre - il bambino sta per arrivare, è per questo che ci sono le Guaritrici - concluse Fabris spostando nervosamente lo sguardo fra le due bambine.

- E come fa a nascere? - chiese Celia alquanto scettica in proposito. Fabris spostò lo sguardo sulla zia in cerca di aiuto ma in quel momento gli spasmi lamentosi da dietro la porta si intensificarono diventando grida. Fabris si voltò di scatto verso la porta in legno e strinse forte le figlie che teneva in braccio. Le bambine udirono le grida e si guardarono preoccupate: cosa accadeva alla loro mamma? Improvvisamente le urla di dolore terminarono, ci fu una pausa di terribile silenzio e poi un grido acuto e penetrante perforò con prepotenza la barriera che lo separava dalla vita. Fabris lasciò le figlie alla zia con sguardo ammonitore e varcò la porta che portava alla sua camera da letto.

All'interno c'era uno strano odore, un misto di sangue e sudore, di erbe e incenso. Nel camino a destra scoppiettava un fuoco vivace. Sul grande letto giaceva sua moglie, stanca e sudata, i capelli scuri appiccicati al volto bianco. I suoi splendidi occhi castani brillavano d'orgoglio. Fabris spostò lo sguardo sulle tre Guaritrici. Una di loro teneva in braccio un fagottino bianco. Si avvicinò con timore e la donna gli porse il fardello. Lo prese con delicatezza e spostò la coperta bianca svelando il corpicino rosso di sangue e grinzoso di suo figlio. Era un maschio! Teneva i pugni stretti, residuo del suo breve periodo nella pancia della madre, e le gambe grassottelle ripiegate, con i ginocchi che toccavano quasi il pancino. Il bambino aprì gli occhi lentamente, osservò il genitore e urlò con quanto fiato aveva in gola. Fabris lo guardò costernato e, imbarazzato, rese il figlio alle Guaritrici che lo portarono immediatamente alla madre. Appena gli fu fra le braccia smise di piangere. Fabris si avvicinò ancora meravigliato del miracolo a cui avevano dato vita, si inginocchiò accanto al letto e prese sua moglie per mano.

- Ci sarà mai qualcosa che possa ripagare il dono che mi hai appena fatto? - domandò Fabris guardando intensamente la moglie. Erika strinse forte le dita del suo uomo, sospirò, socchiuse gli occhi e guardò amorevolmente il bambino che giaceva nell'incavo del suo braccio.

- Ho una fame da morire! - esclamò ad un tratto Erika - Voi uomini a volte vi lamentate del duro lavoro di ogni giorno ma non potete neppure immaginare quanta fatica serva per mettere al mondo un bambino! - Fabris rise di gusto e abbracciò forte moglie e figlio.

- Tutto ciò che vuoi, mia cara - rispose dopo un attimo - Perché non facciamo preparare il bambino e poi lo presentiamo al resto della famiglia che attende con ansia fuori dalla porta? - suggerì Fabris che guardava dolcemente suo figlio.

- Penso che sia un'ottima idea, così potrò lavarmi - aggiunse Erika sentendo il sangue fra le gambe raffreddarsi in modo raccapricciante. Fabris si rialzò e si diresse alla porta. All'esterno c'era ancora la zia con le sue figlie ad attendere, imbronciate per essere state messe in disparte.

- Allora, cosa sono queste facce imbronciate? - chiese con un ampio sorriso. La tensione era sparita e le bambine se ne accorsero subito, così si lanciarono dalle braccia della zia verso quelle protese del padre. Lui affondò il volto in quella massa di morbidi capelli biondi e le lacrime gli inumidirono gli occhi.

- Se avrete la pazienza di aspettare ancora un po' potrete vedere il vostro fratellino - disse Fabris con orgoglio sedendosi su una sedia al lato del corridoio e posandosi le figlie una su ogni ginocchio. Le bambine lo guardavano con aria interrogativa e sperava segretamente che le domande non ricominciassero.

- La mamma come sta? - chiese invece Celia grattandosi un cicatrice rossa che stava guarendo. Fabris di riflesso e d'abitudine scostò le dita della bambina dalla loro attività e le tenne strette nella sua grande mano.

- La mamma sta bene e fra poco, quando si sarà fatta un buon bagno, potrete vederla - spiegò tranquillamente. Katherin guardava fissa suo padre, si sforzava ma non riusciva proprio a capire come poteva nascere suo fratello e poi che cos'era un fratello? Celia era sempre stata 'sorella'…

- Possiamo andare ora? - chiese speranzosa Celia dando di gomito alla sorellina. Katherin capì immediatamente e rincarò - Possiamo? - chiese con la sua vocina stridula. Fabris le guardò impotente e si volse verso la zia in cerca di un'idea. E la trovò.

- Ho un'idea - esplose improvvisamente sperando di distrarre le figlie - La mamma ha chiesto qualcosa da mangiare, perché non aiutate la zia a prepararlo e poi glielo portate insieme? - allargò un ampio sorriso e osservò i volti della bambine per vedere se avevano abboccato. Celia guardò Katherin e insieme guardarono la zia, impettita nel suo abito antiquato dalla gonna ampia e le maniche a sbuffo. La zia sorrise gentilmente e le bambine scesero dalle ginocchia del padre per dirigersi verso la cucina con fare cospiratore.

- Non avresti mai dovuto suggerire la cucina... - iniziò la zia, tentando di rimproverare il nipote ma vedendo le bambine sgattaiolare dalla porta in fondo al corridoio decise di rimandare e di seguirle rapidamente prima che ne combinassero un'altra delle loro. Fabris osservò zia e figlie uscire e si affrettò a rientrare nella camera da letto. Le Guaritrici nel frattempo avevano lavato il bambino e gli avevano tagliato il cordone della vita. Adesso la creatura giaceva nella culla di noce intarsiata e dormiva beatamente. Forse sentì del movimento perché appena il padre si avvicinò aprì gli occhi e lo fissò con aria decisa. Il padre sostenne quello sguardo indagatore e avvicinò un dito alla manina del figlio. L'esserino allungò curioso la manina verso quella strana cosa che si stava avvicinando, aprì le minuscole dita e strinse forte il dito del padre con un gridolino di soddisfazione.

- Sarai il mio erede, lungimirante, onesto, coraggioso e impugnerai la spada con abilità e saggezza - sussurrò Fabris alla stretta decisa del figlioletto. Erika uscì dalla stanza da bagno adiacente alla camera. Era raggiante con la vestaglia bianca ricamata e i lunghi capelli scuri ancora bagnati dall'acqua. Fabris staccò gli occhi dal bambino e li posò sulla moglie che aveva quasi ripreso le sue proporzioni. Una cosa era ancora enorme. Il seno, prospero e pieno di latte attendeva solo che suo figlio ne succhiasse la linfa vitale. La raggiunse e l'abbracciò con delicatezza.

- Come lo chiamiamo? - domandò con voce malferma Fabris prendendo in braccio la moglie e posandola sul letto. Le Guaritrici avevano rifatto il letto con lenzuola pulite profumate di lavanda. L'incenso al gelsomino addolciva l'ambiente e l'aria fredda dell'inverno novembrino entrava dalla finestra appena aperta. Fabris si fidava delle Guaritrici, le loro arti erano infallibili e se loro dicevano che il freddo non faceva male alle sue due perle, allora la finestra poteva restare aperta.

- Mi piacerebbe, Klod - disse Erika abbassando delicatamente le palpebre stanche.

- Klod Hianick, benvenuto in famiglia! - esclamò con gioia Fabris alzando il figlio dalla culla e tenendolo fra le mani. Le sue urla riempirono la stanza a conferma del fatto che era vivo e che adesso anche lui faceva parte del mondo. Portò il bambino da sua madre e il piccolo cercò subito un seno a cui attaccarsi. Fabris guardò con un sospiro la tenera scena che gli offrivano la moglie e il suo bambino. La porta di legno si aprì e zia Amelia con un grande vassoio entrò preceduta dalle due piccole pesti.

- Eccoci qui - disse la zia sorridendo e appoggiando il vassoio sul cassettone - perché non ci mostri il tuo capolavoro Erika? Celia e Katherin non stanno più nella pelle - Infatti le due bambine erano saltate sul letto e si stavano avvicinando con fare sospetto alla madre, stranamente serena e bellissima, e al fagottino bianco che stringeva al petto. Fabris e Erika osservarono la scena divertiti seguiti dalla zia e dalle tre Guaritrici. Celia allungò una mano e scostò rapidamente la copertina bianca. Entrambe spalancarono gli occhi alla vista del corpicino minuscolo che succhiava beatamente il latte dal seno della loro madre. Era rosa scuro e aveva pochissimi capelli neri e la pelle grinzosa.

- Questo sarebbe un fratello? - domandò Katherin guardando il padre con disappunto. Si era aspettata qualcosa di diverso.

- Questo è vostro fratello - annuì il padre rivolto alle due figlie - e si chiama Klod - aggiunse, toccando delicatamente un braccio in miniatura.

- Lo possiamo toccare? - chiese Celia dopo averlo visto fare a suo padre.

- Sì - disse Erika con voce profonda e piena d'amore - ma con molta attenzione - fissò il suo sguardo intenso sulle figlie e sfiorò a sua volta un piedino.

- Lo tocca come il vaso di porcellana che c'è in salotto - sussurrò a bassa voce Katherin ma tutti sentirono e proruppero in sonore risa. Kathe si guardò intorno e poi si mise a ridere anche lei. Celia allungò una mano e toccò un braccino rotondetto. Era morbidissimo e caldo e sembrava si potesse rompere a momenti. Un attimo dopo anche le sottili dita di Katherin iniziarono a esplorare il fratellino, fino a che non vide quella strana cosa che aveva fra le gambe.

- Cos'è? - chiese quasi impaurita indicando la strana protuberanza. Erika represse una risata, cercando di restare seria.

- Quello è ciò che fa di lui un 'fratellino' - spiegò Erika con un lieve sorriso - voi non ce l'avete e infatti siete delle 'sorelline' -

- Ahh... - dissero Katherin a Celia all'unisono cercando di far credere di aver capito.

- E ora che sta facendo? - chiese Celia alla madre puntando i brillanti occhi azzurri sulla bocca del piccolo attaccata alla mammella.

- Ora sta mangiando - rispose, poi alzò lo sguardo verso la zia - Anch'io avrei una certa fame... - supplicò con occhi avidi verso il vassoio. Una delle tre Guaritrici, che fino ad allora non avevano parlato, si fece avanti accostandosi al letto.

- Il nostro dovere è terminato, torniamo al Monastero - disse rivolta ai due genitori - Ogni giorno per tre settimane passerà una Guaritrice per fare dei controlli sulla madre e sul bambino - aggiunse - anche se non mi sembra che ne abbiano bisogno - terminò allargando un sorriso generoso verso Erika e il suo piccolo, si inchinò e, seguita dalle compagne uscì silenziosamente dalla stanza portandosi dietro il grande baule che le seguiva sempre. Fabris le accompagnò e pagò il servizio che gli era stato fatto e aggiunse anche due cavalli da tiro per il Monastero.

- Siete molto gentile - disse una guaritrice prendendo le redini dei due animali - A proposito - continuò - La vostra figlia più grande è dotata per le arti clericali, perché non la mandate da noi uno di questi giorni così le mostriamo il Monastero? - suggerì la donna incamminandosi verso il cortile esterno.

- Sarà un compito arduo ma ci proverò - rispose con orgoglio Fabris. Pochi potevano avere il privilegio di essere scelti dall'Ordine Clericale. Non sapeva in che modo ma loro riuscivano a capire quando un bambino era dotato e lo sceglievano senza esitazione.

- Non potrà sfuggire al suo destino, nessuno può - sentenziò la donna avviandosi per la strada di casa.

- Portate i miei saluti e ringraziamenti all’Alto Chierico. Ve la manderò la prossima settimana - promise Fabris, ansioso di tornare dalla moglie e dal figlio. Salutò le donne gentili e corse in casa. Per fortuna le bambine avevano accolto bene la nascita del fratello e non avevano fatto scenate. Avrebbe dato una grande festa per celebrare la nascita di suo figlio e Villa Hianick sarebbe stata addobbata a dovere. Salì di corsa i gradini d'entrata, entrò nell'ingresso spazioso, prese le scale di legno e rientrò nell'anticamera. Aprì la porta e osservò ancora una volta la sua splendida famiglia, adesso al completo con l'erede. Avrebbero dovuto faticare per tirar su quei tre monelli ma alla fine, insieme, ce l'avrebbero fatta. Chiuse dolcemente la porta e si sedette sul letto dove sua moglie stava mangiando con gusto. Klod dormiva nella culla di legno coperto da un lino ricamato di splendida fattura.

- Padre? - chiamò Celia osservando il genitore assorto, lo sguardo perso all'interno della culla. Fabris si girò, un tenero sorriso stampato sulla faccia - Perché non facciamo una festa? - domandò la bambina spostando lo sguardo sulla madre. Erika mise in bocca un biscotto alle mandorle ancora caldo, lo sgranocchiò per un po', poi guardò il marito con occhi interrogativi.

- Ci avevo già pensato - ammise Fabris prendendo in braccio Katherin - E sarà la più grande festa mai vista nella Contea - esultò passandosi una mano fra gli ondulati capelli neri.

- Inviteremo tutti e apriremo il Parco della Villa - aggiunse Erika guardando le bambine che ridevano di gioia pregustando il momento. Zia Amelia tolse il vassoio dal letto e lo posò sul cassettone. Si lisciò la lunga gonna grigia e prese parola.

- Dovremo spedire gli inviti a molti parenti e ci sarà un sacco di lavoro da fare, perché voi bambine non lasciate riposare vostra madre e venite con me a preparare i biglietti? - la zia strizzò l'occhio e si diresse alla porta seguita dalle due saltellanti monelle, i biondi capelli che ondeggiavano nella fredda brezza di novembre che entrava dalla finestra. Quando uscirono fu come se una luce fosse stata spenta, notò Erika stringendo la mano forte del marito.

- Ti rendi conto del lavoro che ci aspetta per i prossimi anni, vero? - chiese la donna con un sospiro.

- Sì - rispose semplicemente Fabris posando le labbra su quelle della moglie.

 

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Capitolo 2
*** La scelta ***


2. La Scelta


Al centro esatto del Regno, formato da venti enormi Ducati, nel mezzo della lunga catena montuosa che lo attraversa, sorge la Fortezza, il castello abitato da Re Fredrik a cui tutti i Duchi e Conti devono totale fedeltà e rispetto. E' lui che tiene le redini del Regno di Aliati ed è nella Fortezza che ogni anno si tiene una grande festa, un'occasione per fare un punto politico, economico e culturale. Nella Fortezza vi sono centinaia di stanze e sale che restano vuote per la maggior parte dell'anno fino al momento dei festeggiamenti in cui tutte le famiglie di Duchi e Conti si recano lì con i loro seguiti.

Il Ducato di Tockaha è diviso in dieci grandi Contee che devolvono denari e servizi alla famiglia Arstid, che lo governa saggiamente da ormai cinque secoli, la quale a sua volta li versa al Re.  

La Contea di Torap è amministrata dalla famiglia Hianick e vede il suo centro economico e culturale nella città omonima che è divisa in quattro Rioni: l'Orso, l'Aquila, il Leone e il Drago. A nord ovest e nord est di Torap due catene di alte colline coperte di boschi proteggono la città che è attraversata dal fiume Enfys, ampio e dalle acque basse e placide che si ricongiunge al grande fiume Harn che attraversa la città di Fir Ze nella Contea omonima dove ha sede il Castello degli Arstid. A sud di Torap la vallata si apre su pianure verdeggianti che il fiume ha reso produttive: oliveti dalle foglie d'argento ammantano come brillanti le zone alla base delle colline e frutteti dalle sfumature variopinte tingono la primavera di tenui colori pastello. Ma la vera risorsa di Torap è il tessuto. Qui si producono stoffe di mille qualità che vengono vendute in tutto il Regno, dalle sete alle lane più pregiate, dai lini ai cotoni più morbidi. Tutta la città ruota intorno a questa grande produzione, nota anche negli angoli più remoti del mondo.

Una grande biblioteca sorge nel centro della città, vicino al Palazzo Hianick, il luogo in cui vive il Conte con la sua famiglia quando non si trasferisce nella Villa estiva e dove si tengono tutte le riunioni volte a prendere decisioni e verificare e raccogliere i libri contabili e le tasse da versare annualmente al Duca.

A Torap, ogni anno, l'ottavo giorno di settembre e per tutta la settimana seguente, arrivano mercanti da tutto il Regno per vendere e comprare tessuti e questa colorata fiera attira cantori, scultori, pittori, acrobati, bardi, storici, musici, eruditi e saggi, allevatori, gioiellieri, e naturalmente ladri, cambiando completamente il volto della città dove anche i più umili possono sfoggiare il loro sapere girando per le vie della città affollata, parlando di magia, guerra e arti con i più dotti di tutto il Regno. Le famiglie si spostano in massa nei giorni di festa perché è il momento migliore per acquistare o vendere, divertirsi e ritrovare i vecchi amici.

Fabris Hianick governa saggiamente e con pugno di ferro le sue proprietà. I territori sotto il suo dominio comprendono il fiume Enfys, fertili pianure coltivate e allevamenti di cavalli. Ma indubbiamente tutto ruota intorno alla produzione dei tessuti. Lana, seta, cotone, entravano sotto forma di batuffoli nelle botteghe artigiane e ne uscivano coperte, teli, abiti, tappeti e qualsiasi cosa un telaio e l'abilità di un tessitore potessero creare.

Ogni Contea è controllata e protetta dai soldati del Re che fanno capo alle Guarnigioni, di solito situate presso la città più grande della Contea, che reclutano guerrieri che vengono addestrati a diventare Guardie Reali del Re o restano a far parte della forza militare che protegge le città. I guerrieri scelti vengono addestrati all'Accademia della Guarnigione al rigore, all'obbedienza e alla disciplina, oltre che alle arti della guerra. Nella città di Torap, la Guarnigione è situata nel Rione del Leone, un edificio in pietra, basso e robusto, che incute timore anche nei ragazzini più ribelli e disobbedienti.

Villa Hianick, dimora estiva del Conte, sorge su una collina che domina la vallata in cui è adagiata Torap. L'erba gialla e verde ondeggia dolcemente nel vento autunnale e in lontananza, verso nord, si possono vedere alte colline ammantate di boschi verde scuro. La posizione è strategica visto che domina su tutta la pianura e la forma ricorda più quella di un castello. All'interno della cinta muraria di pietre che la protegge si trovano gli edifici necessari alla tenuta degli edifici e del territorio circostante. Ad una prima occhiata potrebbe sembrare senza difese ma un esperto militare noterebbe immediatamente i parapetti, i merli, le feritoie per le frecce e le alte torri di osservazione della cinta. Per costruirla erano occorsi anni di intenso lavoro ma alla fine il risultato aveva valso gli sforzi. Splendidi marmi verdi e rosa coprono la facciata, dominata dal portone principale di legno e ferro a due ante e dall'ampia scalinata che lo precede. Sopra il portone è appeso lo stemma degli Hianick, un sole e una luna uniti da una spada, scolpito in un pezzo di nera roccia vulcanica che Fabris si fece specificatamente portare da una Contea del sud del Regno. Lo scultore fece un ottimo lavoro con la roccia vulcanica rendendola lucida e brillante e ora, appeso sul portone, spicca nettamente in contrasto con il marmo bianco della facciata. Oltre lo stemma si affacciano grandi finestre di vetro colorato che gettano nei corridoi interni una luce surreale di mille sfumature. Dall'esterno è possibile osservare la sua forma quadrata sui cui angoli si innalzano quattro maschi quadrati. Al centro della Villa sorge un giardino, quadrato anch'esso, a cielo aperto. Ma la caratteristica di Villa Hianick risiede nel favoloso Parco alle sue spalle ed è noto in tutta la Contea tale è la sua bellezza. Piante rare, animali e fontane formano quello che molti ritengono sia un giardino magico dove perfino fate e folletti desiderano dimorare. Fabris e Erika iniziarono col piantare alberi, cespugli e fiori nel retro del castello senza lontanamente immaginare che quei gesti si sarebbero intensificati fino a trasformare le aiuole di allora nel Parco lussureggiante e magnifico di adesso. Ora, con la nascita di Klod, il Parco sarebbe stato riaperto dopo anni alla gente e, dopo l'annuncio affisso per tutta la Contea, c'era già fermento. Tutti sarebbero stati invitati, dalle famiglie più nobili agli artigiani e commercianti ai lavoratori più umili. Sarti e conciatori stanno già impazzendo con gli ordini dei clienti e gioiellieri e fabbri si sono messi all'opera per creare monili di impareggiabile bellezza per le dame e spade eleganti e fini armature per gli uomini.

- Ditemi tutto - iniziò Fabris rivolto alle dodici persone davanti a lui nella grande sala da pranzo dell'ala ovest della Villa. Quell'estate, vista la vicinanza della nascita del loro terzo figlio, Fabris aveva preferito restare alla Villa anziché tornare a Torap. Celia e Kathe giocavano ai piedi del padre emettendo risa gaie e borbottii sommessi.

- Per quanto riguarda gli alloggiamenti dei parenti abbiamo già sistemato tutto. Ci sono trentacinque stanze pulite e lucide pronte a ospitare genitori, fratelli, zii e cugini - iniziò zia Amelia sedendosi comodamente su un alto scranno - Sono stati effettuati tutti i lavori di riparazione nei bagni, nelle stalle e tutti quei piccoli lavoretti che riguardano lampadari, tende, tappeti, cardini delle porte, candele e lucidatura degli oggetti. I camini sono stati ripuliti e riaccesi, le camere ventilate e profumate bruciando gli olii - fece un attimo di pausa puntando lo sguardo sul nipote che la osservava con una mano poggiata sul mento.

- Quindi per quanto riguarda il castello siamo a buon punto - affermò con voce profonda - Passiamo al resto - ingiunse spostando lo sguardo su gli altri presenti. Ognuno riportò i progressi dei lavori, partendo dalla ristrutturazione delle cinte murarie, alla pulizia dei quartieri e delle fogne, alla raccolta di cibo che avrebbe dovuto sfamare centinaia di persone per sette giorni, e, infine ai dettagli del Parco.

- Il giardino è sempre curato e quindi non ha bisogno di attenzioni particolari - iniziò Mahatma, capo dei giardinieri che si occupavano del Parco. Il colore ambrato della pelle, il taglio degli occhi leggermente obliqui e i nerissimi capelli raccolti in una treccia fino a mezza schiena indicavano chiaramente la sua provenienza dal continente sud orientale. Indossava sempre abiti del suo paese: splendidi drappi coloratissimi di seta e cotone, strane scarpe con le punte arricciate e spesso un turbante cingeva la sua testa.

- Ma ho fatto una piccola aggiunta - proseguì Mahatma - Nella parte dei salici ho sistemato alcune panche di legno per potersi sedere. E ho bordato i sentieri di lampioni in ferro battuto. Stasera potrete vedere il risultato - concluse e un sorriso astuto gli si dipinse sul volto che mostrava i segni dell’età.

- Oserei dire che ci siamo - sospirò Fabris soffermandosi su ognuno con lo sguardo - Fra tre giorni cominceranno ad arrivare gli ospiti, alloggiateli in base al loro grado di parentela, mi raccomando, non voglio una guerra proprio ora. E' aprile ma la notte è ancora fresco mantenete i camini sempre accesi -

- Bene signori, tornate al vostro lavoro - disse zia Amelia battendo energicamente le mani e rivolgendosi agli altri occupanti della sala. Si girò verso il nipote e vide la stanchezza attraversargli i lineamenti.

- Perché non vai un po' a riposarti? - suggerì la zia indicando la porta del corridoio che conduceva alle camere.

- Credo che sarà proprio quello che farò - acconsentì Fabris spingendo via lo scranno e stirandosi lentamente. Nel frattempo le bambine si erano alzate accorgendosi che non c'era più nessuno e fissarono lo sguardo sul padre.

- Andate fuori a giocare, nel giardino quadrato - suggerì Fabris e quando vide le espressioni delle figlie cambiare e aprirsi in un sorriso sincero il suo cuore sussultò. Con un vorticare di capelli biondi e di risa le due bambine imboccarono la porta a vetri della sala da pranzo che dava direttamente sul giardino. Fabris si allontanò dirigendosi verso le camere dove sua moglie e suo figlio stavano facendo il riposino pomeridiano. Nell'immaginarsi il quadretto evocato sorrise fra sé ma subito un altro pensiero invase i suoi sogni. Uno solo sarebbe stato l'ospite più importante e veniva ovviamente per la benedizione di Klod ma soprattutto per Celia: l'Alto Chierico del Monastero. Presto sua figlia avrebbe fatto i conti con la realtà che non era fatta né di giochi né di spensieratezza.


Villa Hianick era in subbuglio, gli ospiti erano arrivati e affollavano la corte all'interno delle mura. Alloggiati nel castello, oltre ai parenti di Fabris e Erika, vi erano i nobili di rango più alto, l'Alto Chierico con tre Apprendisti e il Direttore della Scuola di Magia di Fir Ze. Tutti gli altri invitati alloggiavano nei padiglioni costruiti fuori dalle mura o nelle tende colorate che punteggiavano la pianura. Il Parco era ancora chiuso ma quella sera avrebbe brillato in tutto il suo splendore.

La sera scese presto sulla casa estiva, chiassosa e piena di colori. Tutti fremevano per l'eccitazione: a momenti sarebbero cominciati i festeggiamenti con la presentazione di Klod Hianick. L'Alto Chierico avrebbe invocato la sua benedizione e poi vino a fiumi e cibo a volontà servito su tavoli posti nel grande cortile davanti alla facciata.

Squilli di tromba solcarono l'aria e ben presto la confusione si smorzò fino a un debole sussurro. Tutti gli occhi erano puntati verso il portone d'entrata dal quale sarebbe uscita la famiglia del Conte. I portali vennero aperti e Fabris e Erika con in braccio Klod varcarono la porta fra applausi e grida scroscianti. Celia e Kathe seguivano i genitori e, troppo eccitate per osservare l'etichetta, ridevano come matte. Fabris, splendido in nero e argento, portava una lunga spada al fianco, sull'elsa lo stemma di famiglia tempestato di gemme preziose. Erika indossava un magnifica tunica lunga fino ai piedi di seta dorata, i lunghi capelli castani acconciati all'insù e inframmezzati da perle e fiori. Celia e Kathe in azzurro, il colore dello stendardo degli Hianick, i biondi capelli raccolti sulla testa in morbide cascate dorate. La folla rimase in silenzio per tutto il rito della benedizione dell'Alto Chierico con cui Klod faceva ufficialmente il suo ingresso in società e veniva riconosciuto dai tre Ordini della Chiesa. Alla fine della cerimonia il sole stava già tramontando dietro le colline e i lampioni di Mahatma, usati anche fra i tavoli oltre che nel Parco, vennero accesi. Una luce calda e soffusa circondò la folla estasiata che si guardava intorno stupita e senza parole. Tutto il cortile sembrava invaso da lucciole giganti, visto che era questa la sensazione che davano le candele che brillavano negli strani contenitori di ferro e vetro che pendevano da aste incurvate sulla cima. Il profumo dolce e intenso dei fiori in pieno sboccio di primavera si mescolò a quello penetrante e aromatico dei cibi e dei vini speziati. Questo bastò alla gente per riprendersi dalla meraviglia e riportare lo sguardo sul Conte.

- Che i festeggiamenti inizino! - esclamò Fabris stringendo con un braccio moglie e figlio. Gli invitati applaudirono e urlarono la loro gioia e, dopo che gli ospiti importanti presero il loro posto e che anche la famiglia Hianick fu seduta, uno strascicare di sedie sul selciato indicò che tutti erano a tavola. Fabris ordinò che le pietanze venissero servite e concentrò tutta la sua attenzione sulla sua famiglia. Questa sera forse avrebbe perduto una figlia. Ma, dopotutto, Celia cominciava la sua vita.

La cena si protrasse fino a notte inoltrata, le pietanze si susseguirono, apparentemente infinite, sui tavoli apparecchiati sontuosamente. Carni e cacciagione accompagnati da vini e birre, sformati e patate, pane caldo e formaggi precedettero una cascata di dolci, dai mandorlati croccanti ai biscotti con le noci, agli zuccherini all'anice, alle torte di frutta, ai succulenti bocconcini di pasta dolce coperta di miele.

- Fra quanto andremo nel Parco? - chiese Kathe al padre guardandolo speranzosa, le guance sporche di marmellata.

- Fra poco, molto poco - promise Fabris emozionato come la figlia per questo evento, pulendo con un pollice la guancia.

- Caro, la gente sta aspettando, lo sai che il Parco è una specie di leggenda - fece notare Erika osservando nervosamente la folla. Quasi tutti gli sguardi andavano da Fabris al retro del castello dove sapevano si celasse il Parco.

- D'accordo - si convinse - Mel! - chiamò ad un tratto voltandosi verso la scalinata alle sue spalle. Un giovane di circa quattordici anni sedeva paziente sugli scalini. Si alzò in piedi e corse dal suo Signore.

- Avverti Mahatma che stiamo per arrivare -  disse strizzandogli l'occhio in segno d'intesa e il ragazzo schizzò via veloce come un fulmine. Fabris si alzò, la folla in attesa abbassò la voce certa dell'annuncio che stava per fare.

- Come sapete la ragione di questa festa è la nascita di mio figlio Klod - Fabris abbassò lo sguardo su sua moglie che portava in braccio il figlioletto addormentato, la folla esplose in un applauso.

- E' in suo onore che stasera ho deciso di aprire il Parco a tutti voi - se possibile, il boato crebbe d'intensità, saturando l'aria del cortile.

- Venite, dirigiamoci ai cancelli del Parco - e detto questo prese sua moglie sotto braccio e seguito dai nobili e dall'Alto Chierico si diresse verso l'ala destra del castello che portava direttamente davanti al cancello di ferro che cingeva tutto il parco. Una fila di soldati in armature lucenti formava un corridoio umano fino all'entrata del Parco dove Mahatma attendeva con pazienza. Piante enormi e rigogliose premevano contro la cancellata e le chiome gigantesche ricadevano fluenti oltre le punte di ferro della grata. Fabris giunse davanti al cancello chiuso, guardò Mahatma sorridendo.

- Aprilo - gli disse.

Lo straniero dette le spalle agli ospiti illustri stese le braccia davanti a sé, aprì i palmi delle mani con le dita verso l'alto e salmodiò una breve litania in una lingua dolce e musicale. Lentamente, sotto gli sguardi attoniti di quelli che potevano vedere, le enormi ante di ferro battuto si aprirono cigolando verso l'interno. La famiglia Hianick aveva assistito molte volte a quell'incantesimo e non rimase sconvolta come la maggior parte della gente. 'Allora è davvero un giardino magico', 'Ci saranno le fate delle favole mamma?', 'E gli unicorni? Ci saranno?', 'Si dice che nel laghetto abitino delle sirene...', 'Sì, sì è tutto vero, l'ho sentito dire anch'io!' questi e altri mille sussurri serpeggiavano fra la gente raccolta vicino all'entrata del Parco.

- Sarà meglio entrare - suggerì Erika gettando uno sguardo fugace alle sue spalle, verso i nobili ospiti e la folla radunata dietro. Fabris annuì e varcò il cancello.

Fabris e Erika avevano già visto il Parco modificato e con le luci accese ma quella sera aveva davvero qualcosa di magico. Il Viale delle Viole era uno ampio corridoio di ghiaia bianca fiancheggiato da decine di quelle lampade di ferro dietro alle quali si allargavano gli alberi. La luce soffusa creava un'atmosfera intima e dolce, il profumo delle viole che crescevano lungo il ciglio del sentiero permeava l'aria, ubriacandoti. Se per loro fu una meraviglia non fu difficile immaginarsi le reazioni degli altri. Erano un coro di meraviglia e sospiri di commozione misti al frusciare delle stoffe e dei metalli. Ben presto il sentiero si allargò in una grande radura dalla quale dipartivano molti altri sentieri, tutti illuminati. Al centro della radura, circondata da piante dalle foglie larghe e roseti in fiore, c'era una magnifica fontana nel mezzo della quale si ergeva una statua di impareggiabile bellezza. Era in marmo bianchissimo e raffigurava una donna con le braccia aperte in segno di benvenuto vestita con un unico drappo che le copriva le nudità. Ma il particolare più spettacolare era il paio di ali semi aperte che le spuntavano dalla schiena. Si aveva la sensazione che da un momento all'altro potesse prendere il volo. La folla si sparpagliò nella radura e agli occhi di tutti fu chiara la modella che aveva ispirato lo scultore: era sicuramente la moglie del Conte: Erika Lauweren.

Klod aprì gli occhi guardandosi intorno con meraviglia, osservando tutte le luci che danzavano sospese nella notte. Iniziò a sbracciarsi verso una di quelle cose portentose e lanciò un sonoro gridolino. Le persone intorno risero e si avvicinarono alla Contessa per vedere il bimbo.

- Vi prego signori, visitate liberamente il Parco. Tutti i sentieri sono illuminati e troverete ad aspettarvi bevande e dolci sparsi dovunque. Ammirate il lavoro di decine di uomini! - esclamò soddisfatto Fabris chiamando Mahatma che portava un vassoio pieno di dolci e coppe di vino speziato.

- Un uomo portentoso, questo tuo giardiniere - disse l'Alto Chierico prendendo una coppa dal vassoio.

- Sono rari i migliori - ammise Fabris. Mahatma servì anche gli altri ospiti nobili, si inchinò doverosamente e sparì fra la folla.

- Dunque Fabris, hai deciso qualcosa per le tue figlie? Sono grandi ormai - chiese il Chierico puntando gli occhi su Celia. Anche i suoi tre Messi non avevano mai smesso di osservarla. L'Alto Chierico era un uomo di oltre un metro e novanta, molto robusto e dai lunghi capelli grigio argento. Portava una barba corta e un unico anello all'anulare della mano destra con tre pietre incastonate, simbolo dei tre Ordini della Chiesa.

Celia notò quel gigante vestito con una lunga tunica nera e argento e si mise a fissarlo e quando gli occhi neri del Chierico si posarono su di lei sentì una certa familiarità sebbene non avesse mai visto quell'uomo prima d'allora. Tentò di abbassare lo sguardo ma non poteva. La bambina, anche se piccola, si rese subito conto che suo padre e l'uomo parlavano di lei e sua sorella. Sapeva che tutti lo chiamavano Alto Chierico e che aveva fatto la benedizione del fratello. Poi Kathe le tirò una manica del vestito e la tensione si infranse. Le due bambine si unirono a cugini e amici e si diressero verso la parte del Parco che più amavano: la Radura dei Giochi, dove Mahatma e Fabris avevano creato una serie di giochi in legno ben fissati per terra.

- Quando nacque mio figlio le Guaritrici mi dissero di Celia ma non ho ancora avuto il coraggio di parlarle, visto che vuole fare la guerriera, e per quanto riguarda Kathe, lei ha già deciso, andrà alla scuola di magia - ammise Fabris posando lo sguardo sulla moglie raggiante circondata da decine di dame che si complimentavano con lei.

- Forse stasera sarà la volta buona, quando terminerà questa settimana di festeggiamenti vorrei portarla via con me - rivelò l'anziano chierico ma quando vide l'espressione desolata di Fabris aggiunse - Sarebbe solo per qualche giorno -

- Sono onorato della scelta anche se non vi nascondo il mio timore per lei - rispose Fabris - Sarà meglio intrattenere gli ospiti, altrimenti mia moglie domani si farà sentire - constatò il Conte captando le occhiate in tralice che gli mandava Erika. L'Alto Chierico sorrise e, insieme ai tre Messi si apprestò a fare il giro del favoleggiato Parco. Ogni vialetto che si dipartiva dalla radura aveva all'inizio un cartello di legno con inciso a fuoco il nome del sentiero che riprendeva dai fiori che vi crescevano. Così c'era un Viale dei Gigli, uno delle Bocche di Leone, uno delle Margherite, uno dei Giaggioli, uno delle Gardenie, uno delle Ortensie, un altro ancora delle Azalee e così via. La qualità di fiori sbocciati sembrava infinita e le piante verdissime alle loro spalle indicavano una terra fertile e irrigata. Quel giardiniere straniero, un mago sicuramente anche se non potente, aveva trasformato un giardino in un angolo da sogno e se la gente credeva davvero che fate e folletti potessero abitarlo forse non era andata tanto lontano. Decine di fontane e giochi d'acqua brillavano alla luce delle candele chiuse nei lampioni e quella luce tenue mista alle intense emanazioni dei fiori inebriava i sensi. Ovunque si trovavano i paggi con vassoi sempre ricolmi e si vedevano coppie di innamorati abbracciati teneramente nei viali più piccoli, gli occhi persi in quelli dell'altro.

Svoltarono un angolo e si trovarono travolti da una marea di ragazzini sporchi e polverosi. Vedendo l'Alto Chierico tutti i bambini si raccolsero intorno a loro, vociando e gridando per attirare la sua attenzione. Improvvisamente dalle sue mani cominciarono a scivolare dolci e caramelle. I Messi, imbarazzati da tale manifestazione di gioia, osservarono il loro maestro usare la magia per far contenti dei bambini. Così operarono anche loro l'incantesimo di creazione e furono sommersi da baci, abbracci sorrisi e tirate di capelli. Nell'orda urlante c'erano anche Celia e Kathe che si sbracciavano per ottenere i dolci. L'Alto Chierico diresse i bambini verso i suoi Messi e fece un cenno a Celia. Si sedette su una panca di legno e indicò alla bambina titubante lo spazio vuoto accanto a lui. Celia lo guardò con diffidenza poi si sedette. Nella mano del Chierico comparve una caramella morbida e il volto di Celia si illuminò d'incanto. Afferrò la caramella e se la mise in bocca con avidità. L'Alto Chierico la osservò per qualche istante, sapeva già che era destinata all'Ordine, tutto stava nel farglielo capire.

- Allora, Celia, sei contenta del nuovo fratellino? - esordì dopo aver scartato altre possibili domande. La bambina annuì con vigore, la bocca ancora piena.

- In questi giorni i tuoi genitori saranno indaffarati, vorresti venire con me al Monastero per visitarlo? Dopo la settimana di festa naturalmente - aggiunse alzando le mani in segno di resa e sorridendo al meglio. Celia smise di masticare per un attimo spostando il boccone da un lato.

- Io voglio fare la guerriera - disse decisa intuendo, con l'innocenza di tutti i bambini, la trappola del chierico. L'anziano abbassò le spalle come colpito al cuore, Celia vide quel cambio di espressione e ne rimase stranamente turbata.

- Sono già stata con mio padre a vedere la Guarnigione in città dove studiano e si allenano tutti quelli che vogliono diventare guerrieri - rincarò Celia.

- La tua sarebbe solo una visita - provò ancora il Chierico - E vorrei dirti che la Chiesa è divisa in tre Ordini. Uno è costituito dai Guaritori, esperti nell'invocare l'aiuto degli dèi per operare gli incantesimi clericali più potenti. Poi ci sono gli Storici, che conservano le conoscenze di tutto il mondo con un lavoro di paziente studio, raccolta e copiatura. Infine... - le parole si persero nella brezza per Celia mentre una strana magia la avvolgeva facendole vedere nei particolari i vari compiti dei tre Ordini, come in un sogno. La voce dell'Alto Chierico echeggiava nella sua mente, descrivendo, spiegando e dimostrando la vita del Monastero. C'erano così tante cose che non sapeva…

Era quasi l'alba e per tutti era giunto il momento di rientrare dopo la notte di baldoria. Erika e Klod si erano già ritirati da tempo ma le giovani coppie amoreggiavano ancora nei viali appartati, gli uomini discutevano di politica e guerre e le dame della tendenza della moda per l'estate in arrivo. I bambini erano stati condotti dai tre Messi a da Mahatma nel padiglione allestito per loro e adesso dormivano beati, quattro Guardie Armate sorvegliavano la porta d'ingresso.

Fabris cercò l'Alto Chierico scomparso da molte ore. Vagò per i Viali finché non lo trovò su una panca di legno con in braccio sua figlia Celia che dormiva beatamente.

- Maestro, non dovreste essere ancora qui, perché non avete portato mia figlia con gli altri bambini? - domandò sottovoce Fabris cercando di non svegliare Celia. Gli occhi del chierico erano appesantiti e le spalle non più erette come qualche ora prima.

- Non preoccuparti Fabris - rispose l'anziano a tono basso - Mi ha fatto piacere parlare con lei. E' una bambina sveglia sai? E credo che verrà a farci almeno una visitina - aggiunse con uno strano sorriso stampato sul volto severo, gli occhi scuri balenavano d'intelligenza. Celia si girò, aprì gli occhi e sbadigliò sonoramente. I due uomini sorrisero e Fabris si sedette sulla panca accanto al Chierico.

- Allora Celia, hai dormito bene sul nostro Reverendo Chierico? - chiese suo padre scostandole i capelli dal volto assonnato. La bambina prese coscienza del mondo, si accorse di dove era, arrossì violentemente e scese di scatto poggiando i piedi a terra.

- Scusate - balbettò confusa Celia lo sguardo basso e le guance in fiamme.

- Non preoccuparti bambina, mi è capitato altre centinaia di volte - assicurò con uno strano tono l'anziano chierico, come se davvero fosse per lui normale far dormire i bambini fra le sue braccia.

- Ascolta Celia - iniziò Fabris rassegnandosi all'arduo compito che l'attendeva - Avevamo pensato che alla fine dei festeggiamenti tu avresti potuto... - non riuscì a finire la frase perché Celia l'interruppe bruscamente. Era la prima volta che accadeva. Non aveva mai osato fermare suo padre durante un discorso ma questa volta le era venuto spontaneo. Corse un attimo di panico poi Fabris si rese conto che Celia non era stata irriverente ma solo istintiva, così si appoggiò con la schiena alla panca.

- Ho già deciso, ripartirò con l'Alto Chierico finiti i festeggiamenti per una visita al Monastero - affermò con la voce assonnata. Con le mani iniziò a lisciarsi le pieghe del vestito. Fabris la guardò sorpreso.

- Vorrei andare a letto - si scusò la bambina con un lieve inchino. Si voltò e si diresse verso il Viale.

- Maestro, è lei l'artefice di questo cambiamento? - domandò infine Fabris dopo qualche minuto di silenzio.

- In parte - ammise il chierico incrociando le braccia sul petto e fissando il punto in cui era sparita Celia.

La bambina percorreva il Viale delle Orchidee, il profumo intenso le solleticava le narici, affrettò sempre più il passo fin quasi a correre. Arrivò al padiglione e le Guardie la fecero entrare nella tenda confortevole. Decine di altri ragazzini dormivano beati fra cuscini colorati, tappeti e coperte. Celia si gettò in un letto vuoto e si nascose sotto le coperte rievocando lentamente il sogno che aveva fatto a occhi aperti. E rivide i Guaritori e gli Storici ma soprattutto fu vivo in lei il ricordo del terzo Ordine, quello più potente e ambito, quello dei Chierici Cavalieri.


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Capitolo 3
*** Insieme ***


3. Insieme


La sporca taverna dell'Occhio Rosso puzzava di birra stantia e di sudore. Molti dei tavoli erano occupati da tipi loschi pieni di cicatrici. La maggior parte di loro era armata e aveva davanti a sé un grosso boccale di birra scura. Sul lato sinistro, appoggiato alla parete, c'era un bancone vecchio e unto sommerso di bicchieri sporchi. Un uomo molto alto e magro con un grembiule nero come il carbone fece cenno di entrare. Le due figure incappucciate, che portavano un lungo mantello scuro da viaggio, spinsero la mezza porta a molla e si avvicinarono al banco. Una delle due era più bassa e minuta ma fu l'altra a prendere parola.

- Vorremmo bere e mangiare qualcosa, c'è un tavolo? - una voce femminile scaturì da dietro il cappuccio che ne celava il volto. L'oste, un po' sorpreso, cercò di intravedere qualcosa sotto il cappuccio ma un movimento impercettibile nelle pieghe del mantello della sconosciuta lo fece desistere.

- Quello vicino al camino è libero - indicò un tavolo rotondo con quattro sedie - e per pranzo abbiamo carne di cervo di ieri, pane nero e birra scura - aggiunse il taverniere tendendo in avanti la mano col palmo aperto. La donna incappucciata pagò e, posando una mano guantata sulla spalla dell'altra figura, si diresse verso il tavolo. Un sinistro tintinnio accompagnò il suo movimento, ormai quasi tutti stavano osservando le due figure incappucciate. La più alta avvicinò l'altra al limite del camino poi le tolse il mantello poggiandolo sulla sedia. Una ragazza sottile e dai lunghi capelli biondo cenere iniziò a sfregarsi le mani alla calda fiamma. Una lunga tunica azzurra con fregi e ricami le cadeva dalle spalle fino al pavimento coprendo le sue forme, anche se ogni uomo nella sala immaginò le bellezze che doveva celare. Il bagliore del fuoco la contornava come fosse una visione eterea. Si spostò improvvisamente in modo che il calore le riscaldasse la schiena e i capelli fluttuarono intorno al suo volto minuto e delicato, in cui dominavano due splendidi occhi grigi. Dai tavoli lontani si levarono alcuni sospiri lascivi.

L'altra figura si mise davanti alla ragazza, tolse due zaini da sotto il mantello e li posò sul tavolo. Poi a sua volta si slacciò la cappa da viaggio sporca e la gettò su un'altra sedia. Lentamente si girò verso i tavoli per mettere a tacere quegli odiosi sospiri. Era una ragazza anche lei, un po' più alta, robusta e grande d'età della precedente ma non vi era dubbio sulla loro somiglianza. Un paio d'occhi azzurro cielo spazzarono con determinazione tutti i presenti nella sala. Il portamento deciso e l'intensità dello sguardo obbligarono molti degli avventori ad abbassare gli occhi sui loro boccali. Indossava una casacca di cuoio borchiato sopra una tunica azzurra dalle maniche lunghe e un paio di calzoni neri che si infilavano in una coppia di stivali di camoscio logori per l'uso. Portava una lunga treccia di capelli biondi che le arrivava quasi alla vita e una spada era assicurata al suo fianco.

- Te l'avrò detto mille volte di non metterti in mostra, Kathe! - disse fra i denti Celia voltandosi verso la sorella - Questi qui sono tutti affamati e un giorno ti metterai in un brutto guaio - aggiunse sedendosi vicino al fuoco.

- Invece ti sbagli, non mi accadrà niente e lo sai bene - rispose Kathe scostandosi i capelli dal viso e buttandoli dietro le spalle e sedendosi. Il taverniere giunse con il pranzo e non poté fare a meno di soffermarsi con lo sguardo sulla ninfa dai fini capelli biondi. Era minuta e delicata come un fiore. Posò il vassoio sul tavolo e se ne andò, riluttante ad abbandonare la vista della ragazza.

- Quello scemo di Klod! - esclamò Celia all'indirizzo della sorella che aveva cominciato a mangiare il cervo - Ma non c'era un posto più decente dove incontrarsi? -

- Lo sai che pensa poco - spiegò Kathe alzando gli occhi dal piatto - Tutto muscoli, niente cervello - concluse, scartando un ossicino dalla carne.

- Eh già, tendo a dimenticarlo - disse Celia fissando lo sguardo sulle fiamme che crepitavano allegramente nell'alcova del camino. Prese un pezzo di pane nero e lo intinse nel dolce sugo del pasticcio di cervo.

- Abbiamo bisogno di un bagno - constatò Kathe passandosi una mano fra i capelli e sul collo - Non vorrai che nostro fratello ci scambi per straccione, vero? - alzò il boccale di birra e bevve avidamente.

- Va bene, chiamo l'oste e prendiamo una stanza - concordò Celia osservando con occhio critico le macchie di sporco sulla pelle e sui vestiti - Ma stavolta paghi tu - aggiunse alzando distrattamente un braccio per chiamare il taverniere. Kathe strinse gli occhi cercando una scusa ma non trovandone si arrese all'evidenza: questa volta avrebbe pagato.

Il magro taverniere giunse pochi attimi dopo, riferì che c'erano solo due camere libere e che il bagno era in comune. Kathe storse la bocca per rifiutare ma Celia la prevenne, confermando la richiesta.

- Ma fa schifo! Non voglio lavarmi in un posto dove si lavano i cani - sussurrò a denti stretti la giovane - Vuoi che mi prenda i pidocchi? - aggiunse disgustata.

- Ci si lava con l'acqua, non con gli oggetti - spiegò Celia - Basta che indossi gli stivali e non tocchi niente - le rispose con un sorriso ironico sulle labbra. Era divertente stuzzicare la sua sorellina così schizzinosa. Kathe diventò rossa e riprese a mangiare fissando gli occhi sul piatto.

- Quando arriverà Klod? - domandò Kathe dopo qualche minuto di silenzio. Ripulì il piatto con il pane nero e finì la birra del boccale. Prese lo zaino e iniziò a frugare.

- Nel tardo pomeriggio - rispose la sorella spingendo il piatto vuoto davanti a sé - Probabilmente poco prima di cena. Ha detto di aspettarlo qui -

- Ho bisogno di un mercato - disse la voce di Kathe da dentro lo zaino - Domattina al massimo. Ho bisogno di spazzola, sapone e lacci per i capelli. Non trovo più niente! - esclamò tirando fuori la testa dallo zaino, le guance rosse per la birra e il calore del fuoco.

- Sì, sì, domani ci andiamo subito - si arrese Celia. Era sempre così, rischiavano la vita, affrontavano tormente e bufere di neve, uccidevano ma lei aveva bisogno delle sue cure personali.

- Lo so a cosa stai pensando - disse Kathe osservando il sorriso sulle labbra della sorella - Ma io sono convinta che bellezza e valore si possano combinare, se si vuole. Tu piuttosto! Quando ti deciderai e diventare un po' più femminile? - aggiunse svuotando con rabbia il contenuto del suo zaino sul tavolo unto. Ne uscì di tutto, da pezzi di pergamene e indumenti, a un piccolo pugnale ingemmato, da una lanterna da viaggio a resti di cibo, fino a un grosso libro rilegato di pelle nera. Frettolosamente Kathe riprese il libro e lo gettò nello zaino, guardandosi intorno sospettosa.

- Io vado a fare il bagno - disse Kathe passando la borsa alla sorella che la mise sotto la sua sedia. Celia distese i piedi sul limite del camino, sistemò la spada in modo da poterla estrarre in ogni momento e chiuse gli occhi - Vai pure, vorrà dire che io lo faccio dopo - concordò esalando un forte sospiro.

Kathe osservò la sorella per qualche istante alla luce rosata del fuoco, spostò lo sguardo sugli occupanti della taverna dell'Occhio Rosso e, non vedendo pericoli e certa che Celia sapesse proteggersi da sola, si incamminò verso le scale che portavano al bagno comune.


Il tempo era passato e fuori il sole era già basso quando Celia si svegliò. Emise qualche mugugno per il dolore causato dalla sedia alle sue ossa, si alzò in piedi e si stirò la casacca di cuoio. Notò che il fuoco era ancora acceso ed era stato ravvivato con legna secca, poi girò lo sguardo cercando la sorella. Possibile che fosse ancora a fare il bagno? Un campanello d'allarme risuonò nella sua testa. Osservò gli avventori ma era tutta gente nuova rispetto al loro arrivo qualche ora prima. Gli zaini erano ancora sotto la sedia e l'oste dietro al suo banco. Lo chiamò e si fece portare da bere. Forse Kathe si stava riposando nella camera che avevano affittato.

L'atmosfera si stava riscaldando, la birra circolava generosa e le risa e il fumo si intensificavano. Celia stava sorseggiando la birra quando vide Kathe scendere le scale. Era semplicemente radiosa. La tunica azzurra era stata smacchiata e risaltava sul suo incarnato chiaro. I capelli, puliti e pettinati, le scendevano in una cascata dorata fino a mezza schiena. Si muoveva con grazia felina, scendendo gli scalini lentamente. Lei e le sue entrate... un giorno... ma Celia non riuscì a terminare il suo pensiero. Da un grande tavolo al centro della sala si levò un coro di apprezzamenti e fischi. Un uomo barbuto e ubriaco si alzò e si diresse verso la ragazza che scendeva le scale, con un unico pensiero in mente.

- Ehi, Oreb! - gridò con voce strascicata l'uomo dalla barba nera verso il taverniere - Come mai non mi hai avvertito del tuo nuovo acquisto! - borbottò spogliando con gli occhi il delizioso bocconcino. Celia osservò la scena portandosi una mano alla fronte, sospirò e portò la mano sull'impugnatura della spada. Il taverniere tentò di spiegare che quella non era una prostituta ma il barbuto si avvicinò alle scale e alzò lo sguardo. Kathe si era fermata e aveva le mani in grembo come una novella sposa davanti all'altare. Abbassò lo sguardo gelido sull'uomo rozzo e puzzolente con un misto di sdegno e noncuranza.

Improvvisamente l'uomo ghignante l'afferrò per un braccio sottile e l'attirò verso di sé, facendole scendere gli ultimi gradini. I lunghi capelli si sparpagliarono a ventaglio e Kathe sbatté sull'ampio torace dell'uomo. Freneticamente la ragazza iniziò a salmodiare una strana litania. Celia si rese conto di cosa stava facendo sua sorella e corse ai ripari. Non le avrebbe mai permesso di usare la sua magia in una taverna, come minimo sarebbero saltati tutti in aria! Si alzò in piedi di scatto estraendo la spada dal fodero con un sibilo sinistro.

- Non la toccare - esclamarono due voci contemporaneamente. Quella di Celia, forte e determinata, e una maschile, profonda e minacciosa. Celia spostò lo sguardo verso l'entrata della taverna, come fecero anche tutti gli altri avventori. Notò che gli amici dell'uomo barbuto, sette in tutto, avevano estratto le armi. L'unica nota positiva era che non indossavano armature.

Il vano della porta era occupato da un ragazzo di circa diciassette anni con una lucente armatura di maglia sopra una tunica azzurro mare. I lunghi capelli mogano erano legati in una coda che gli scendeva fin sotto le spalle e una spada brillante era puntata in avanti. Il giovane entrò tenendo sempre la spada davanti a sé e puntò i suoi occhi accesi d'ira nel punto in cui l'uomo stringeva il braccio di Kathe.

- Ma guarda, due ragazzini che danno ordini! - esclamò l'ubriaco tornando a fissare avidamente il davanti della tunica della ragazza che nel frattempo aveva smesso di cantilenare - Ragazzi pensateci voi, se farete un buon lavoro ve la passerò - gracchiò rudemente il barbuto. Tutti gli altri avventori uscirono e rimasero solo il taverniere, Klod e Celia e i sette compagni dell'uomo.

- Tu pensa a questi, io sistemo il nostro amico là - disse fermamente Klod senza spostare lo sguardo dalle scale.

- Io da sola contro sette? - protestò Celia alzando perentoriamente la spada per difendersi da un affondo. Klod si lanciò verso l'uomo barbuto impugnando la spada con due mani e falciando come erba uno dei suoi tirapiedi che le si era parato davanti. Tavoli e sedie volarono in mille pezzi mentre Celia cercava di tenere a freno gli altri sette folli. Iniziò a ferirli con metodo come le era stato insegnato quando non si voleva uccidere un avversario. I combattimenti duravano di più ed erano più stancanti ma poi si potevano ottenere informazioni dal malcapitato o si poteva aver risparmiato una vita. Nel tempo in cui Klod raggiunse Kathe, altri due caddero tenendosi stretto un ginocchio sanguinante sotto i micidiali affondi di Celia.

- Klod! - esclamò Kathe cercando di divincolarsi dalla stretta dell'uomo. Cercò nella sua mente un incantesimo adatto ma era stanca e non aveva studiato bene nei giorni passati. Si fece scivolare il pugnale nella mano e si preparò per il momento propizio.

- Allora, vigliacco, perché non te la prendi con qualcuno come te? - chiese Klod con scherno tenendo la spada davanti a sé.

- E saresti tu, ragazzino, quel qualcuno? - gracchiò con forza l'uomo estraendo la spada con rapidità, troppo veloce perché fosse realmente ubriaco.

- Se non provi non lo saprai mai! - lo sfidò Klod calando un fendente preciso al braccio dell'uomo che teneva la spada. Il barbuto gettò la ragazza sul pavimento e subito uno scagnozzo alzò la spada per trafiggerla. Kathe, in ginocchio sul pavimento gelido, mise le mani davanti a sé e evocò quattro piccoli dardi di fuoco che si conficcarono nel torace dell'ubriaco, uccidendolo all'istante. Celia stava disarmando anche gli ultimi due rimasti mentre Klod duellava abilmente contro l'uomo. Le lame stridevano e cozzavano, gli occhi attenti seguivano i movimenti dell'avversario senza lasciarlo un attimo. I due compagni dell'uomo si accasciarono al suolo doloranti per le ferite inflitte da Celia. La giovane corse subito dalla sorella e insieme osservarono lo scambio di stoccate. Nessuna delle due avrebbe fatto niente per aiutare il fratello, non solo per una questione di onore ma perché in tutta Torap ormai si parlava del valore di Klod Hianick. Dopo anni finalmente tornavano a casa insieme e avevano pensato di incontrarsi... non di fare un combattimento! Quello scemo di Klod ma non poteva scegliere un quartiere meno malfamato?

La lama di Klod affondò nel braccio sinistro dell'uomo e il sangue sgorgò copioso macchiandogli la casacca. Ma quella mossa lo scoprì sul fianco dove il barbuto calò il suo fendente. Un taglio profondo s'incise sulla coscia del giovane e una smorfia di dolore gli si dipinse sul viso. Stanco della scaramuccia, iniziò una serie di affondi, finte e parate fino a far cadere l'avversario sotto la pioggia incessante dei suoi colpi precisi che ogni volta aprivano piccoli dolorosissimi tagli. Klod puntò la spada al petto dell'uomo, ansando per lo sforzo e l'emozione.

- Allora, vuoi rimangiarti le offese? - domandò il giovane guerriero, l'armatura di maglia che tintinnava nel silenzio della taverna, rotto ogni tanto dai mugolii dei cinque scagnozzi doloranti. Celia e Kathe videro lo sguardo trionfante del fratello e furono orgogliose del suo valore e  abilità pur essendo così giovane.

- Sì - disse soltanto l'uomo abbassando lo sguardo sul pavimento. Celia e Kathe si avvicinarono, avevano con loro i mantelli e gli zaini.

- Per stavolta vi lasciamo andare - disse Kathe - Ma la prossima chiameremo la Guardia Armata -

- Puoi dirlo forte, sorellina! - esclamò Klod rinfoderando la spada e abbracciando le sorelle. L'uomo si guardò attorno spaesato e arretrò fino a sbattere la schiena contro la zampa di un tavolo rovesciato.

- Vieni, fratellino, che ti sistemo la gamba - disse Celia osservando con occhio critico il taglio insanguinato. Klod si sedette su una sedia traballante. Celia si piegò su un ginocchio.

- Hai mai visto un chierico all'opera? - domandò Kathe al fratello tutta emozionata. Intanto Oreb, il taverniere, stava risistemando la sala ma aveva già capito dall'incantesimo di Kathe che quelle non erano persone comuni. Badando sempre a restare lontano dal trio, rimise in piedi tavoli e sedie.

- No, non mi è mai capitato di vedere un chierico, sono così rari... - spiegò Klod osservando la sorella maggiore stendere le mani aperte sopra la ferita e chiudere gli occhi. Le sue labbra si muovevano ritmicamente salmodiando una strana litania. Una luce soffusa e calda circondò le mani della sorella e poi si trasmise alla gamba. Il dolore sparì immediatamente e la cicatrice si rimarginò lasciando solo un sottile filo rosso. L'incantesimo si ruppe e Celia tornò nella sala, lo sguardo meravigliato degli altri presenti era su di lei.

- Non è fantastico? - chiese Kathe ormai consueta a quegli incantesimi dato che aveva fatto qualche viaggio insieme a Celia.

- Sì, lo è - sussurrò Klod tastandosi la gamba. Celia arrossì leggermente e si diresse verso i sei relitti umani vicino al camino.

- Chi è il primo? - domandò la giovane chierica puntando i pugni sui fianchi. Avrebbe preferito non farlo ma l'Ordine lo imponeva.

- Allora è vero che siete costretti ad aiutare quelli bisognosi... - iniziò uno dei disgraziati a terra, balbettando ogni parola.

- Sì, ma se non vi sbrigate potrei anche cambiare idea - aggiunse Celia inginocchiandosi di fronte al capo barbuto. L'uomo dopo un iniziale timore si affidò alla potenza e benevolenza degli dèi. Celia allungò le mani e ripeté l'incantesimo su ogni ceffo risanando le loro ferite, per i morti purtroppo non avrebbe potuto fare niente.

- Bene, ora siete a posto - disse Celia tergendosi la fronte sotto lo sguardo attento di tutti - Se avete bisogno di un lavoro invece di stare qui a molestare le ragazze, recatevi da mio padre il Conte Hianick, lui vi troverà qualcosa da fare - propose la giovane alzandosi e tornando dai fratelli.

- Che ne dite se cambiamo locanda? - suggerì Kathe guardando con occhi feroci il fratello - Ma ti sembra normale ospitare le tue povere, dolci, sorelline in un luogo così schifoso? - rincarò la minuta ragazzina con i pugni tesi. Klod e Celia scoppiarono a ridere e insieme uscirono dalla taverna dell'Occhio Rosso e si addentrarono per le vie di Torap.


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Capitolo 4
*** Ritorno a casa ***


4. Ritorno a Casa


L'inverno stava cedendo il posto alla primavera, gli alberi spogli e le praterie sterili si stavano coprendo di germogli e fiori, dimostrando che la terra si stava preparando ad un clima più mite. I camini lasciavano salire pigramente i loro sottili fili di fumo e nubi grigie formavano una noiosa ragnatela all'orizzonte. Una pungente brezza da nord agitava debolmente gli ulivi, le loro strette foglioline si contorcevano mostrando ora il lato verde ora quello argento, in una danza frenetica e magica. I tre fratelli avevano deciso che forse sarebbe stato meglio fare a piedi la strada fra la locanda e il castello per rivedere i luoghi che frequentavano da bambini. Anche se negli anni erano tornati spesso a casa, non lo avevano mai fatto insieme. Ora, invece, ad ogni passo, facevano un commento rievocando avventure marachelle, dispetti, ruberie, fughe, giochi. Tutti e tre erano cresciuti e i segni dell'adolescenza andavano cancellandosi per lasciare il posto ai tratti adulti.

Celia aveva trascorso gli ultimi diciassette anni a studiare e far pratica presso il Monastero per accedere all'Ordine dei Chierici Cavalieri. Cinque anni prima aveva concluso il corso di studi previsto e per i cinque anni seguenti aveva viaggiato molto e svolto innumerevoli missioni per conto dell'Alto Chierico fiancheggiando sempre graduati della Chiesa e Cavalieri già ordinati.

Kathe, invece, aveva sostenuto e passato l'esame per essere ammessi alla Scuola di Magia quando aveva solo dieci anni. Bisognava avere determinati talenti naturali e psicologici per poter superare questo primo ostacolo: è così che gli Arcimaghi e i Maestri scelgono i giovani che mostrano segni evidenti di predisposizione e li forgiano preparandoli ad usare la magia e gli incantesimi. Sorpassato questo esame, ogni apprendista può seguire il corso avanzato per un massimo di dodici anni, in cui la Scuola addestrerà ulteriormente il mago fino ad una serie di esami finali che Kathe aveva brillantemente superato solo un mese prima.

Klod, come ogni altro giovane, sognava di diventare un abile spadaccino e stratega, così suo padre lo aveva spedito all'età di cinque anni presso la Guarnigione, dove aveva appreso tutte le tecniche di combattimento con armi e a mani nude, a cavallo e su terreni disagevoli. Aveva imparato come si ferisce e come si uccide, come usare oggetti diversi dalle armi per difendersi e attaccare ma soprattutto aveva imparato l'umiltà e l'obbedienza, due doti assenti quando era partito e che sua madre Erika notò immediatamente al suo primo ritorno a casa, dopo solo due anni di addestramento. Due giorni prima aveva superato con successo l'ultimo gradino dell'addestramento e aveva ricevuto il ruolo di attendente del Comandante della Guarnigione e una licenza per tornare a casa, così avevano deciso di tornare tutti insieme.

I loro genitori avrebbero voluto una festa ma i tre giovani si erano subito dichiarati contrari. All'arrivo al castello sarebbero stati stanchi e infreddoliti e non volevano trascorrere la notte a salutare parenti e amici. Se proprio si doveva fare, sarebbe stato meglio qualche giorno dopo, così Fabris e Erika rimandarono ad un momento successivo.

- Ci siamo - disse con emozione Klod. Il gruppetto uscì dal vicolo del Rione del Drago entrando nella Piazza Grande. Il sole di mezzogiorno la inondava e il castello era lì, di fronte a loro, come un raro gioiello. Le possenti mura di pietra davano sicurezza, le Guardie Armate in rosso e blu, presidiavano l'ingresso.

- Avevo dimenticato quanto fosse bello -  affermò Kathe allungando lo sguardo verso la sua casa che non rivedeva da quattro anni. Lacrime spontanee le colmarono gli occhi, il vento debole le spinse lungo le guance.

- Andiamo, altrimenti nostra madre diventerà isterica se non ci vede arrivare - disse Celia avanzando nella piazza.

- Dovrò affrontare l'esame più difficile - disse Klod, in mente aveva solo suo padre e la determinazione che gli sarebbe occorsa per dimostrare che non aveva perso tempo in tutti quegli anni ma aveva sfruttato pienamente l'addestramento alla Guarnigione traendone il massimo insegnamento.

- Non vedo l'ora di rivedere tutti gli abitanti del castello e andare alla Villa estiva per visitare il Parco! - disse Kathe avviandosi decisa verso la sorella.

- Allora affrettiamoci - suggerì Celia aumentando il passo. In breve furono davanti al grande portone, le guardie li riconobbero e li fecero entrare. In un attimo raggiunsero la grande sala centrale, dove solitamente si svolgevano tutti i banchetti e si diressero immediatamente alle scale che portavano al piano superiore e allo studio del Conte.

Celia bussò alla porta e quando udì la voce calda di suo padre, entrò aprendo la porta. Fabris Hianick era in piedi dietro la grande scrivania, colma di libri e pergamene, sua madre sulla grande sedia vicino al camino con un libro aperto in grembo. Erika si alzò sorridente allungando le braccia.

Klod fece esitante un passo avanti e poi si gettò fra le braccia della madre, che ormai aveva passato in altezza di molti centimetri. Kathe corse dal padre raggiunta subito da Celia.

- Quanto sei cresciuto! - esclamò Erika volgendo lo sguardo in alto per poter guardare il figlio negli occhi.

- L'aria dell'Accademia deve farmi bene - sorrise Klod arrossendo e portandosi imbarazzato una mano fra i capelli.

- Kathe, Celia, credo di aver perduto due bambine e di aver acquisito due donne in questi anni - disse serio Fabris cingendo con le braccia le spalle delle figlie. Notò con piacere che i suoi tre figli indossavano l'azzurro, il colore di famiglia. Celia aveva già ventiquattro anni, Kathe ventidue e Klod diciassette e avevano perduto molti anni nei loro ritiri di studio. Celia era in età da matrimonio, ma come dirle che avevano trovato diversi pretendenti e che la prossima settimana ci sarebbe stata una festa in cui glieli avrebbero presentati? Scosse la testa e si obbligò a pensare solo al momento di estrema felicità che stava provando, rimandando a dopo i problemi, perché era sicuro che quella caparbia di sua figlia gliene avrebbe creati molti.

- Padre - salutò Klod facendo un lieve inchino e porgendo la spada ingemmata al genitore - Come di consueto rimetto nelle tue mani la spada che mi donasti, se mi riterrai degno di portarla, io la riceverò con umiltà quando uscirò da questa casa - recitò Klod con enfasi porgendo la spada al padre. Fabris la prese e la poggiò sulla scrivania.

- Se ti riterrò degno, la riceverai dalle mie mani quando uscirai da questa casa - recitò Fabris a sua volta concludendo il rito, senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi ardenti del figlio. Si voltò verso i tre figli pensando che forse si era sbagliato, che non erano affatto cambiati ed erano sempre gli stessi bambini di quando se ne erano andati ma vedendo la spada al fianco di Celia, la veste azzurra e ricamata di Kathe e la corporatura di Klod si convinse del contrario.


Anche se il pranzo sembrava non finire mai, giunsero i dolci e i liquori a completamento del pasto principesco. Fabris ed Erika avevano avuto modo di parlare durante il pranzo e avevano deciso di comune accordo di non dire a Celia che la festa della settimana prossima era per il loro ritorno ma anche per presentarle alcuni validi pretendenti. Sicuramente Celia l'avrebbe presa male, invece così facendo forse c'era la possibilità che qualcuno le piacesse. Così alla fine annunciarono la data della festa senza spiegare il secondo fine. Tutti applaudirono con calore la proposta e i tre fratelli concessero che una settimana di riposo sarebbe stata più che sufficiente per riprendersi.

- Perché non ci raccontate cosa avete fatto in questi ultimi mesi? - suggerì Erika con orgoglio rivolgendosi ai figli, in modo che il loro impegno e coraggio potesse essere apprezzato dai presenti. I tre fratelli si guardarono e Klod prese la parola per primo.

- Certo! - accordò giulivo - E poi per quanto mi riguarda la storia è breve. Ho concluso l'addestramento e sono Attendente del Comandante della Guarnigione di Torap - disse con orgoglio il giovane guerriero.

- Siamo fieri di te - proferì Fabris osservandolo con sguardo serio. Sapeva per esperienza che non era certo la quantità di tempo che faceva un buon guerriero ma il talento e la volontà. Se suo figlio credeva di aver durato fatica in quegli ultimi anni, forse non aveva ancora capito che il duro lavoro doveva ancora arrivare. Erika si profuse in un sorriso pieno di amore e orgoglio.

- Ho terminato due giorni fa l'ultima missione affidatami dall'Alto Chierico insieme ad alcuni miei compagni di corso che aspirano a diventare Chierici Cavalieri. L'Alto Chierico mi ha nominato Messo, che è solo sotto la carica quasi irraggiungibile dei Cavalieri - spiegò Celia con naturalezza, come se l'impresa da lei compiuta non fosse almeno straordinaria. Con i suoi ventiquattro anni era il Messo più giovane, tenendo conto che gli altri pari grado sono uomini e donne adulti. E per di più una ragazza! Fabris e Erika ammirarono l'umiltà della figlia e compresero finalmente ciò che l'Alto Chierico aveva visto in Celia una magica notte di tanti anni prima.

- E adesso? Che farai? - chiese Fabris con voce profonda, negli ultimi cinque anni Celia era tornata a casa solo tre volte.

- Ho una proposta da fare ai miei fratelli in merito, ma ne parleremo più tardi - aggiunse sorridendo agli sguardi meravigliati dei fratelli - Adesso Kathe deve illuminarci sui suoi progressi! -

- Sì, Kathe, adesso sta a te! - esclamò Klod, ricordando il piccolo incantesimo alla taverna e sicuro che la sua fragile sorellina nascondesse altri assi nelle maniche.

- L'esame deve essere stato duro - commentò Erika posando un dolce sguardo sulla figlia minuta. Come era cambiata! Sembrava che dietro ai suoi occhi si celasse una conoscenza troppo profonda per il suo esile fisico. Kathe aveva mandato una lettera informandoli del traguardo raggiunto ma non era tornata ancora a casa da allora.

- Ho finito l'apprendistato e posso accedere al corso avanzato! - rispose candidamente la ragazza, conscia di avere un talento particolare nelle arti magiche e un desiderio incrollabile di acquisire potere e prestigio.

- Perché non ci dai una piccola dimostrazione? - suggerì Klod, con ancora in mente il vivido rosso dei dardi evocati nella taverna.

- Io non credo sia il caso! - esplose Celia ricordando alcuni interventi di Kathe durante due viaggi fatti insieme. Kathe notò lo stretto sorriso della sorella diffidente e, per dimostrazione, aprì le mani davanti a sé e cantilenò una breve litania, una piccola sfera di luce prese forma nel vuoto fra le sue mani. Alzò gli occhi sui presenti per osservare le reazioni e vide che tutti erano affascinati. Così sorridendo allargò lentamente le mani e la sfera divenne più grande. Poi si alzò in piedi spostando la sedia e distese le braccia di scatto in avanti. La sfera volò lungo la sala, ingrandendo ad ogni metro, fino a infrangersi con impeto sullo stemma di famiglia appeso al muro, generando un intenso cerchio di vivida luce bianca. La luce continuò ad illuminare lo stemma per molto tempo, poi si dissolse in una miriade di piccoli puntini luminosi.

- Fantastico! - esclamò Klod dirigendosi verso lo stemma per tentare di raccogliere le stelline di luce.

- Allora fai qualcos'altro, oltre che far saltare in aria le cose! - esplose Celia meravigliata.

- Io non faccio saltare in aria le cose! - disse con veemenza Kathe - Ancora la mia magia non è così potente ma ho imparato molti nuovi incantesimi - la giovane guardò la sorella con la fronte corrucciata.

- Avanti Kathe! Mostraci ancora qualcosa! - chiese Erika raggiante di orgoglio.

- Dunque, vediamo, potrei... - iniziò la giovane ma all'improvviso una Guardia Armata si precipitò nella sala da pranzo, col fiato corto e la tunica rossa e blu polverosa e stropicciata.

- Mio Signore, predoni a est! - comunicò inginocchiandosi allo stesso tempo - Saccheggiano le mandrie di cavalli! - Fabris si alzò in piedi seguito da Klod e Celia.

- Manda subito una Guardia a cavallo alla Guarnigione di stanza al pozzo dell'acqua, che si rechino subito ai recinti! - ordinò perentorio Fabris al soldato che si inchinò uscendo - Mel fai sellare i cavalli, andiamo a cacciare i ladri dalle mie terre! - il giovane, che diciassette anni prima era seduto sulle scale della Villa alla benedizione di Klod, scattò in piedi.

- Veniamo anche noi! - disse Klod con sicurezza e decisione.

- Non se ne parla nemmeno! - esclamò Erika aggrappandosi al braccio del marito. Fabris vide il coraggio e la fermezza negli occhi dei figli e decise di acconsentire.

- Va bene! E sia! - disse Fabris dirigendosi verso le sue stanze. Erika esalò un sospiro.

I tre fratelli seguirono Mel a rotta di collo per i corridoi sbucando nel cortile esterno, verso le stalle. Rapidamente i soldati si schierarono fuori dal castello e i tre fratelli saltarono in sella, cancellando la stanchezza che li pervadeva. Fabris uscì dal portone principale con indosso una leggera armatura di cuoio e la tunica azzurra con lo stemma del sole e della luna trafitti da una spada. Raggiunse il gruppetto, montò a cavallo tirando le redini del destriero impaziente, poi gettò la spada di famiglia fra le braccia del figlio.

- Mel, dammi un'altra spada, oggi sarà mio figlio a brandire la mia - disse il Conte rivolgendosi al suo attendente.

- Ma io, veramente non credo... - iniziò il giovane imbarazzato e meravigliato.

- Niente ma! Se la disonorerai, disonorerai te stesso! Quindi usala al meglio - concluse Fabris e, raccogliendo la spada che gli porgeva Mel, spronò il cavallo fuori dalle mura del castello.

- Ecco il tuo primo esame, fratello - disse Celia battendogli una mano sulla spalla - Intendo un esame vero, perché niente è peggiore che deludere il proprio padre - Klod annuì, incitarono i cavalli e seguirono il padre.

Uscirono al galoppo da Torap seguiti dagli sguardi curiosi della gente, la campagna scorreva veloce e gli zoccoli dei cavalli sollevavano zolle di erba. Gli alberi stavano mettendo le foglie e il sole pomeridiano era più caldo. I campi arati da poco mostravano una terra ricca e fertile, marrone scura. I contadini alzavano lo sguardo per veder passare i cavalieri al galoppo e riconoscendo il loro Conte, si sbracciavano per salutare.

- Dirigiamoci verso il pozzo dell'acqua! - gridò Fabris a Mel.

- Troveremo sicuramente gli altri ad aspettarci! - disse Mel di rimando, spronando ancor più il cavallo.

La strada battuta si aprì su un'ampia radura al centro della quale spiccava un grande pozzo di pietra. Molte case e capanne circondavano l'area come un piccolo villaggio. Un drappello di soldati attendeva, i cavalli scalpitanti e nervosi.

- Ci siamo - disse Klod tirando le redini. Suo padre si diresse verso un soldato imponente dalla lucente corazza di metallo. La consueta tunica rossa e blu era stata sostituita da un'altra completamente bianca che indicava il disprezzo in battaglia e la si usava quando si voleva offendere il nemico, accusandolo di codardia e altre cose non troppo piacevoli.

Fabris discusse rapidamente con l'uomo poi fece riunire i due drappelli. La mandria si trovava nella valle oltre le colline a est e l'unico modo per prendere i ladri era quello di tagliargli l'unica via di fuga bloccando cioè il passo. I soldati spronarono i cavalli dietro al Conte. Mel e i tre fratelli chiusero la fila.

- Quanti cavalli avranno già rubato? - chiese Kathe, con i biondi capelli al vento.

- Non lo so ma vostro padre li riprenderà tutti - rispose Mel con sicurezza da tutti gli anni trascorsi al servizio di Fabris Hianick.

Aggirarono le colline e si fecero strada attraverso la bassa boscaglia fino a raggiungere lo sbocco della valle riparata. Il drappello si divise in due gruppi: uno sarebbe restato a proteggere l'uscita dalla valle, mentre l'altro, capeggiato da Fabris e i tre fratelli, si sarebbe diretto incontro ai predoni. I cavalli vennero spronati e improvvisamente la bassa boscaglia cedette il posto all'aperta radura. Centinaia di splendidi cavalli correvano impazziti. I predoni avevano acceso molti fuochi per radunare le bestie al centro della valle ma non avevano fatto i conti con uno stallone fiero e orgoglioso che avevano guidato la mandria oltre i fuochi. Adesso i ladri si trovavano a dover cercare di riunire gli animali inferociti e arrabbiati. Fabris notò che molti cavalli avevano il pelo bruciacchiato ed erano feriti dalle frustate. Il drappello irruppe nella radura e i soldati si divisero cercando di accerchiare la banda di predoni che stava fuggendo tentando di risalire le colline dopo aver visto il rosso e il blu delle tuniche serpeggiare fra i cavalli impazziti.

- Non puoi fare qualcosa per quei fuochi? Incendieranno la radura - chiese Celia alla sorella che osservava pensosa i piccoli incendi che stavano divampando rapidamente.

- Ci penso io, Celia - annuì Kathe - Tu pensa ai cavalli - aggiunse scendendo da cavallo. Klod e Mel sguainarono le spade e inseguirono i fuggitivi sulle colline.

Kathe prese dallo zaino una pergamena arrotolata. La srotolò con cura e iniziò a leggere a bassa voce. Lentamente, le note musicali della lingua della magia giunsero alle orecchie di Celia che aveva iniziato a concentrarsi per il suo incantesimo. Si era diretta verso lo stallone vicino. Il suo essere si riempì di energia divina, che fluì lentamente dalle sue labbra nella forma dell'incantesimo. Lo stallone imponente guardava furioso con le narici dilatate quella sconosciuta che gli si parava davanti preparandosi a caricarla. Ma l'incantesimo raggiunse la mente dell'animale e la bestia fu in grado di comprendere le sue parole. 'Raduna i tuoi fratelli. Portali nella foresta. Portali al sicuro'. La voce dolce e melodiosa ripeteva la litania all'infinito, suadente, persuasiva, finché la bestia comprese lo scopo di quello strano essere umano che poteva parlargli. S'impennò orgoglioso e scartò sulla destra lanciando nitriti potenti all'indirizzo della mandria. Galoppando all'impazzata per la radura, lo stallone spronò gli altri cavalli a rifugiarsi nella foresta. Le bestie obbedirono agli ordini del loro capo branco e ben presto fra nitriti impauriti e una colossale nube di fumo e polvere la mandria fu in salvo.

Kathe ripeté più e più volte l'incantesimo sulla pergamena sentendo la magia erompere prepotente dal suo stesso essere, finché una colonna d'acqua prese forma dal nulla, o forse scaturì da sotto terra questo Celia non avrebbe saputo dirlo, e si modellò come un gigante d'acqua azzurra e spumeggiante. L'essere si inchinò davanti a Kathe, che aveva la fronte imperlata di sudore e le mani che tremavano leggermente.

- Spegni il fuoco! - ordinò la ragazza senza abbassare lo sguardo dal gigante - Spegnili tutti! - La pergamena che teneva in mano si sgretolò lentamente diventando polvere e perdendosi nel vento. Kathe riabbassò le braccia ma gli occhi restarono fissi sul gigante d'acqua che si rialzò e si diresse verso i fuochi che stavano divampando per la radura. Si fermò di fronte al più esteso, chiuse le grandi mani a coppa e una cascata di acqua cristallina si riversò sulle fiamme, soffocandole immediatamente. Il processo si ripeté per ogni incendio e Kathe appariva sempre più stanca. Celia corse verso sua sorella, posò le mani guantate sul braccio di Kathe e mormorò un semplice incantesimo di cura. L'energia della fede uscì da lei e si riversò nel corpo stanco della sorella apportandole un po' di sollievo.

- Grazie per aver risposto - le parole volarono dalla mente di Kathe verso quella del gigante e ad un gesto della mano della ragazza la creatura scomparve in una miriade di minuscole goccioline brillanti. Celia sostenne la sorella prima che si accasciasse al suolo.

- Forse avrei dovuto aspettare a fare un incantesimo del genere - disse sorridendo Kathe prima di chiudere gli occhi.

Klod e Mel, lanciati all'inseguimento dei predoni, udirono uno strano boato seguito da un rumore di acqua scrosciante. Si voltarono mantenendo l'andatura e videro il gigante nella radura che spegneva i fuochi. L'acqua usciva copiosa dalle sue grandi mani e si riversava sugli incendi come un mantello d'argento.

- Non credo di aver visto ciò che ho visto - mormorò Mel e un sorriso enigmatico gli apparve sul volto.

- E brava sorellina - concordò serio Klod lanciando un ultimo sguardo al gigante d'acqua. Fabris e gli altri soldati avevano raggruppato alcuni ladroni al centro di un ampio sentiero che risaliva la collina ma altri tre stavano scappando verso ovest e la salvezza. Un solo sguardo corse fra padre e figlio ma Klod comprese istantaneamente, girò le redini verso sinistra e, seguito da Mel, lanciò la sua cavalcatura all'inseguimento dei briganti. Ad un tratto i tre si divisero e Mel inseguì quello che aveva imboccato un sentiero sulla destra mentre Klod continuò a spronare il cavallo dietro a uno che si era infilato nella boscaglia. Il terzo ladrone sparì oltre la curva della collina.

- Fermati bastardo! - gridò Klod all'indirizzo dell'uomo in fuga. Per tutta risposta l'altro piantò gli speroni nei fianchi sanguinanti del suo cavallo e aumentò la velocità. Klod incitò la sua cavalcatura senza posa, finché non fu quasi a fianco dell'altro, poi all'improvviso si gettò sul predone con la spada sguainata. L'uomo, sbilanciato dal peso di Klod, perse la presa sul cavallo e rotolò a terra seguito dalla sua cavalcatura e dal giovane guerriero. Per un attimo Klod perse l'orientamento soffocato dalla nube di polvere sollevata dai cavalli. Poi si rialzò di scatto puntando la spada in avanti in posizione di guardia, pronto all'offesa.

L'affondo giunse pochi attimi dopo. L'uomo sbucò dalla polvere come un fantasma con la punta della spada protesa in avanti ma Klod aveva avvertito l'avversario e si era girato su un fianco parando la stoccata.

- Così questo è l'unico modo che hai per sconfiggermi, vigliacco! Sorprendendomi alle spalle! - gridò Klod con furia duellando abilmente, lanciando e ritraendo la lama della spada con tale rapidità da lasciare l'uomo a bocca aperta e incapace di difendersi. Piccoli tagli dolorosissimi si aprirono sulle braccia del malcapitato, pezzi della tunica di cuoio leggero volavano nella polvere, mischiandosi al sangue. Klod eseguì un affondo perfetto e l'uomo, per poterlo evitare, si gettò a terra perdendo la spada.

- Torniamo da mio padre e stai sicuro che lui non sarà così clemente da graffiarti soltanto - proferì Klod ansando coperto di polvere quando un colpo violento lo raggiunse al fianco destro, costringendolo a piegarsi in due dal dolore. Con la coda dell'occhio vide l'altro fuggiasco con un lungo bastone che si accingeva a colpirlo di nuovo mentre il compagno si alzava e raccoglieva la spada da terra.

- Vediamo come te la cavi, moccioso - gracchiò il ladro ferito osservando con un sorriso il giovane a terra che si stringeva il fianco. Klod non perse tempo, si preparò ad accusare il secondo colpo del compare col bastone e quando giunse strinse i denti e si rialzò di scatto girando con destrezza la spada nella mano. All'Accademia aveva affrontato mille di questi combattimenti a tre, e adesso era curioso di sapere se la pratica acquisita sarebbe servita a qualcosa. Così iniziò a impostare con freddezza le mosse adeguate ricordandosi di tenere sempre un occhio all'avversario che aveva alle spalle. Aveva deciso di uccidere prima quello ferito. Eseguì due rapidi affondi e rotolò a terra, schivando il colpo del bastone del predone alle sue spalle. I suoi occhi non si staccarono mai dall'uomo ferito e ora due tagli profondi gli solcavano il petto. Ripeté la tecnica ma stavolta si voltò di scatto spingendo violentemente a terra il ladro che brandiva il bastone. Il suo fianco restò scoperto e la lama dell'avversario affondò dolorosamente, per un attimo Klod temette di svenire ma il brillio delle gemme della spada di suo padre gli impedì di cadere a terra. Invece si girò con rabbia mulinando la spada con grazia e confondendo l'avversario fino a piantare la sua punta lucente nel petto del predone che si accasciò con un gorgoglio roco. Il giovane si voltò verso il secondo ladro che nel frattempo si era rialzato bersagliandolo con una serie di affondi e ritirate in cui la spada eseguiva una danza magnifica. Alcuni deboli colpi lo raggiunsero alla mano sinistra ma anche stavolta la lama arrossata sparì nel petto scoperto del nemico.

Un cavallo si stava avvicinando al galoppo e Klod si preparò a saltare sul Cavaliere ma dalla polvere uscì Mel, impolverato e sporco di sangue.

- Fermo giovane signore, sono io! - avvertì Mel tirando le redini del cavallo - Vedo che si è difeso bene - osservò con occhio critico spostando lo sguardo sui due ladroni.

- Direi di sì - accordò Klod - Ma se tu fossi giunto un po' prima mi avresti risparmiato molta fatica - sorrise il giovane abbassando la lama della spada, piccole gocce di sangue scivolarono lungo il suo filo cadendo nella polvere e creando minuscoli crateri.

- Ho preso l'altro - rispose giustificandosi e passando una mano fra i nerissimi capelli sudati. Il braccio era ferito e il sangue usciva copioso macchiando la tunica.

- Non volevo riprenderti, perdonami - Klod si guardò intorno - Credo che Celia dovrà fare gli straordinari - sorrise Klod tendendo una mano verso Mel per farsi issare in sella, dato che il suo cavallo se ne era andato.

- Vostro padre mi rimprovererà quando vedrà che siete ferito - sospirò Mel posando gli occhi sui tagli profondi del fianco e del braccio di Klod.

- Non penso Mel. Quando vedrà questa non penserà più a me - disse fiero Klod sollevando la lama insanguinata fin quasi all'elsa ingioiellata. Rubini e smeraldi brillarono nel sole pomeridiano che si avviava al tramonto.

- Torniamo indietro - disse Mel incitando il cavallo stanco a riprendere il cammino. La calda luce rosata del tramonto allungava le ombre e la campagna sembrava bruciare di mille incendi intervallati da ombre profonde e inquietanti. Klod posò ancora lo sguardo sulla lama che teneva in mano e che ancora non aveva rinfoderato. Pendeva al suo fianco, il braccio troppo debole per poterla sollevare. Era magnifico sentire quella stanchezza che ti permeava le membra e che compariva sempre dopo ogni combattimento. Sapevi di aver dato tutto, di aver impiegato ogni muscolo attivo, ogni fibra tesa, ogni grammo di energia nell'intento di sconfiggere il nemico. Alla Guarnigione aveva imparato a controllare le sue forze ma stavolta c'erano stati troppi sentimenti in gioco e lui aveva dimenticato alcune regole fondamentali e gli era andata bene. Se il suo maestro avesse saputo del suo errore elementare lo avrebbe rimproverato aspramente. Ma l'ardore della battaglia bruciava ancora il suo corpo e Klod strinse con due mani la splendida lama d'acciaio, rabbrividendo al contatto col metallo freddo e viscido. Filo perfetto, bilanciamento sublime, impugnatura eccellente, un'ottima forgiatura. Magnifica.

- Mel? - chiamò Klod dopo un lunghissimo silenzio. La sua voce risuonò roca e profonda, come quella di un uomo invece che di un ragazzo.

- Ditemi -

- Sai dove mio padre si fece forgiare la spada? - chiese, spostando il peso sull'anca ferita e sussultando per il dolore.

- Vostro padre non me lo ha mai detto - confidò Mel con voce stanca. Anche lui aveva spesso pensato alla spada fin dalla prima volta che la notò quando da ragazzino divenne paggio del Conte Fabris Hianick e la vide appesa alla sua cintura. Era una spada bastarda e l'aveva osservata così tante volte che ne conosceva ogni gemma e fregio, ogni intaglio e smussatura. Molto tempo fa si era anche chiesto se fosse incantata in qualche modo.

- Oh... - sussurrò Klod dopo qualche istante.

- Potete semplicemente chiederglielo - affermò serio voltandosi verso il giovane conte, i capelli rossicci splendidi nei riflessi ramati del tramonto.

- Lo farò - annuì Klod abbassando gli occhi sulla spada che teneva in grembo.

- Siamo arrivati - disse poi indicando la radura e gli esili fili di fumo che si levavano dagli incendi spenti dal gigante d'acqua di Kathe.

Celia si aggirava fra i cavalli rassicurandoli e offrendo le sue cure più attente mentre Fabris, l'uomo con la tunica bianca e Kathe erano seduti su una serie di basse rocce levigate. Della guarnigione e dei ladroni non c'era traccia. Il cavallo di Klod brucava tranquillo vicino al branco.

- Finalmente! - esclamò Kathe preoccupata - Credevamo che aveste fatto una brutta fine - proferì Kathe appena scesero doloranti dal cavallo. Klod dovette reggersi ai finimenti della sella per non cadere ma il braccio teneva saldamente la spada insanguinata. Il Conte non disse una parola ma fissò lo sguardo sulla lama e il suo volto si aprì in un sorriso tirato, poi lo spostò sugli occhi brillanti del figlio, ardenti e fieri, e infine sulla ferita al fianco che sembrava la più grave.

- Celia! - chiamò Fabris - Tuo fratello ha bisogno di te - ordinò con voce ferma. La ragazza, udendo la voce del padre, uscì dalla boscaglia in cui erano radunati i cavalli e irruppe correndo nella radura. Quando vide Mel e il fratello con le vesti insanguinate corse verso di loro. Si fermò di fronte a Klod e stese le mani verso il fianco del fratello. La preghiera le uscì spontanea e dolce dalle labbra appena socchiuse e un calore si diffuse nel corpo di Klod. Ben presto la ferita si rimarginò sotto gli occhi meravigliati dei presenti. I lembi di carne si richiusero lentamente e il sangue si asciugò in una crosta secca e scura, la piccola ferita al braccio si risarcì del tutto. Alzò gli occhi verso il fratello e lesse riconoscenza nei suoi occhi scuri e stanchi. Così, con un sorriso tirato, Celia si volse verso Mel. Che dote incredibile quella dei Guaritori, anche se Celia era un semplice chierico per ora poteva far uso della maggior parte degli incantesimi clericali, a parte quelli più potenti, usati solo dai Guaritori più esperti.

- E' ora di tornare - suggerì Fabris montando a cavallo - Vostra madre ci aspetta, anche se il drappello è tornato da un pezzo con i ladroni lei sarà sicuramente in pensiero - aggiunse il Conte sorridendo all'indirizzo dei figli.

- Allora andiamo - disse Kathe ansiosa di sedersi su una soffice poltrona e mangiare qualcosa di dolce.

- A proposito, ragazzi - continuò il padre mentre i figli e Mel salivano sulle cavalcature - Questo è Slash, tenente del drappello che presidia la Villa durante l'estate e che ora si trova qui al confine - disse indicando l'uomo dalla tunica bianca, splendida come quando erano partiti. Slash si inchinò formalmente e sorrise verso i figli del Conte, poi saltò con grazia sul cavallo, spostando la spada da un lato per non intralciare il movimento. I sei spronarono i cavalli e si diressero rapidamente verso Torap. Gli zoccoli rimbombavano sonoramente nella campagna silenziosa e arrossata dal tramonto. La primavera stava arrivando ma i brevi giorni invernali non si erano ancora allungati. Ombre lunghissime solcavano i campi come artigli giganteschi mentre il sole cadeva sonnolento oltre le colline a ovest.


- Allora fratelli, la mia proposta consiste in questo - cominciò Celia sprofondata comodamente in una poltrona nella biblioteca del castello. Klod era seduto su un ampio divano e Kathe su una sedia a dondolo vicino al camino spento. Il ricordo dell'inseguimento del giorno prima era ancora vivo. Centinaia di volumi e pergamene rare erano allineati ordinatamente negli scaffali di mogano. Era la stanza più tranquilla e rilassante del castello. La dama di compagnia di sua madre aveva l'abitudine di bruciare l'incenso profumatissimo e il suo odore dolciastro si mescolava amabilmente con il sentore della pergamena vecchia e del legno stagionato solleticando piacevolmente le narici.

- Avanti, sentiamo questa proposta - acconsentì Klod distendendosi sul divano.

- L'Alto Chierico mi ha ordinato di portare un oggetto al Monastero sul monte Albany ma stavolta non mi ha dato compagni di viaggio o esaminatori. E' la prima vera missione che mi è stata affidata - spiegò Celia con voce neutra - Mi ha detto che potevo portare con me chi volevo, a patto che l'oggetto arrivasse prima dell'inizio della primavera al chierico Cavaliere che gestisce il Monastero -

- Che oggetto è? - chiese Kathe interessandosi improvvisamente.

- Sinceramente non lo so - rispose Celia con fare guardingo - E' una strana scatoletta che sembra senza giunture né coperchio, serratura o cerniere. Sembra un tutt'uno - confidò Celia.

- E tu vorresti che noi ti accompagnassimo? - chiese Klod incrociando le gambe sul divano.

- Klod se entra la mamma si arrabbierà - suggerì Kathe - Togli quei piedi dal divano - disse alzando lo sguardo dal grande libro che stava leggendo con attenzione. Klod fece uno sberleffo all'indirizzo della sorella e mise i piedi sul tappeto.

- Infatti questa era la mia proposta. Dovete sapere che saremo pagati per la consegna e potremmo spartirla equamente fra noi tre - suggerì Celia allargando le braccia in segno di accordo.

- Come idea non è male - acconsentì Klod - E tu, Kathe, che ne dici? Potrebbe essere un buon banco di prova per le tue arti - Kathe alzò il viso dal libro sulle ginocchia e guardò pensierosa sua sorella.

- Va bene anche per me - annuì - Ma devo tornare alla Scuola per gli inizi di aprile - aggiunse.

- Non preoccuparti - disse Celia - Il Monastero di Albany è vicino e a cavallo dovremo impiegare una settimana circa - fece un rapido conto - Consegneremo l'oggetto, riposeremo e ripartiremo. Saremo a casa molto prima degli inizi di aprile - decise infine sorridendo felice alla sorella.

- Bene allora, siamo tutti d'accordo! - proferì Klod entusiasta del viaggio imminente - La prossima settimana ci sarà la festa e poi ci metteremo in viaggio verso il Monastero di Albany - soppesò il giovane guerriero, gioendo al pensiero delle belle ragazze che sarebbero state presenti alla festa.

Ovviamente Kathe non riuscì a tornare alla Scuola di Magia per gli inizi di aprile.


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Capitolo 5
*** I pretendenti ***


5. I Pretendenti


- Pensi che si sia accorta di qualcosa? - chiese apprensiva Erika al marito, osservando preoccupata dalla finestra le decine di carrozze e cavalli che sostavano davanti all'ingresso della Villa estiva. La scusa ufficiale per la festa era il ritorno dei loro tre figli ma, in verità, Fabris aveva pensato ad un'unione per la figlia maggiore e aveva invitato moltissimi pretendenti, alcuni l'avevano già conosciuta, altri erano venuti solo per interesse: il Conte Hianick era molto potente e un matrimonio con la figlia avrebbe apportato notevoli cambiamenti a qualunque famiglia. Fabris sapeva tutto ciò, per questo avrebbe visionato attentamente ogni pretendente. Non avevano detto niente a Celia, che si sarebbe sicuramente rifiutata di partecipare a una farsa simile.

- Spero di no - sospirò Fabris tirando le tende di velluto blu - E poi se si fosse resa conto di qualcosa sicuramente ce lo avrebbe fatto notare. Adesso sono troppo occupati a organizzare il viaggio imminente - aggiunse con un sorriso, prendendo la moglie sotto braccio.

- Non oso pensare a una sua reazione durante la festa se dovesse sospettare qualcosa - confidò Erika lisciandosi la gonna di morbidissima seta dorata.

- Adesso non è più una bambina, reagirà di conseguenza quando si vedrà circondata da bei ragazzi - osservò Fabris con un sorriso - Sarà meglio non farci attendere, la sala sarà già gremita di ospiti - aggiunse e accompagnò dolcemente la moglie verso le scale.

Il marmo bianco rifletteva le tenui luci delle torce appese e una strana atmosfera di attesa serpeggiava per la sala. Gli invitati erano tutti ansiosi di rivedere i tre giovani, di sapere come erano cambiati in quegli anni. La maggior parte delle persone era presente anche alla festa per la benedizione di Klod e quindi tutti gli amici d'infanzia dei tre bambini adesso erano tutti ragazzi. Molti di loro avevano preferito seguire le orme dei genitori e proseguire i loro mestieri, altri, come Klod, Celia e Kathe, avevano scelto strade un po' più difficili e indipendenti. Decine di famiglie erano riunite nella grande sala magnificamente addobbata.

Mahatma, dietro suggerimento della Contessa aveva posizionato molte piante in vaso che facevano contrasto con le bianchissime pareti. I lampadari di cristallo erano stati accesi e centinaia di candele inondavano la sala e gli abiti con la loro caldissima luce. Rossi, verdi brillanti, gialli accesi, azzurri, porpora riempivano gli occhi e attraversavano la stanza come un fiume accompagnati da una miriade di luccichii di pietre e metalli. Le feste come questa erano attese da tutti, facevano incontrare le famiglie e gli amici, gli amanti e i fidanzati, i politici e i mercanti maghi e chierici. Fabris e Erika sostarono qualche istante all'inizio della scalinata per ammirare la tavolozza di colori che riempiva la sala.

- Magnifico -  disse solo Erika osservando compiaciuta le meravigliose piante che Mahatma aveva sistemato con arte in punti strategici della sala e gli sguardi invidiosi delle altre dame. Il marmo bianco brillava nella sua magnificenza facendo risaltare ancor più i colori vivaci degli abiti e dei gioielli.

- Andiamo, mia cara - disse Fabris, elegantissimo in nero e argento - I nostri tre figli vorranno fare un'entrata trionfale, quindi possiamo anche precederli - osservò prendendo la mano della moglie. La coppia iniziò a scendere e la voce di Mahatma annunciò la loro presenza. In un movimento fluido e unico, tutti i presenti si voltarono verso la scala in un fruscio di vesti e uno stridere di metallo, facendo un lieve inchino.

Fabris e Erika scesero e vennero immediatamente inghiottiti dalla folla di parenti, amici e conoscenti, vocianti e invadenti. Le presentazioni e i saluti li occuparono per più di un'ora ma Mahatma aveva già iniziato a far passare i giovani in livrea con i vassoi colmi di leccornie e sfavillanti calici traboccanti di ottimo vino rosso e bianco. Furono aperte tutte le vetrate che si affacciavano sul cortile interno debitamente illuminato dai lampioni di Mahatma e corredato delle onnipresenti fontane e panchine di legno. Gli invitati gustarono gli antipasti sotto le chiome dei grandi alberi del cortile: decine di tavoli si piegavano sotto il peso dei vassoi stracarichi di stuzzichini salati e dolci. Un profumo penetrante aleggiava per il giardino e al centro un palco di legno accoglieva una piccola orchestra formata da un violino, un flauto e un'arpa che accompagnavano un'esile ragazza dalla bellissima voce. Le note si diffondevano melodiche e struggenti fra le foglie e le fontane, fra i capelli delle dame e gli abiti preziosi allietando il cuore e l'anima.

- Avanti, Celia, sbrigati! - gridò Klod da dietro la porta bussando ripetutamente ma senza risposta. Era impaziente di vedere chi aveva risposto all'invito di suo padre. La musica già riempiva i corridoi e il profumo delle pietanze solleticava le narici. Per lui era stato facile scegliere l'abito ma sapeva che per le donne era tutt'altro discorso. Camicia bianca e corpetto azzurro su un paio di pantaloni di velluto blu separati da una cintura di cuoio che si accoppiava perfettamente con gli stivali al ginocchio e i bracciali ai polsi. Da dietro la porta giunsero grida di diniego e un pianto improvviso, poi la porta si aprì e una giovane cameriera uscì di corsa seguita da altre tre, tutte in lacrime. Klod osservò tutto con un mesto sorriso sulle labbra. La porta si richiuse ma dopo pochi minuti Celia uscì dalla camera in un completo elegantissimo da Cavaliere. Indossava una camicia di seta con corpetto e un paio di pantaloni sempre di seta, tutti di tre diverse tonalità di blu. I lunghi capelli acconciati in una treccia alla quale erano state applicate delle perle bianche e grosse come chicchi d'uva. Klod la guardò con occhio critico, poi trovandosi soddisfatto porse il braccio alla sorella con un sorriso.

- Adesso andiamo dall'altra sorella sperando che sia pronta - disse il giovane guerriero incamminandosi con una certa fretta verso la camera di Kathe.

- Speriamo che anche lei non sia in blu - osservò Celia posando lo sguardo sull'abbigliamento del fratello. Klod raggiunse la porta e bussò.

- Eccomi! - esclamò una voce ovattata dall'interno piena d'eccitazione. La porta si spalancò improvvisamente e Kathe fece la sua comparsa. Aveva scelto un magnifico abito rosso che metteva in risalto la sua pelle chiara e i suoi capelli biondissimi erano acconciati sulla testa in una cascata dorata di fiori e gemme. La profonda scollatura bordata d'oro mostrava più di quello che nascondeva ma con molta discrezione e l'ampia gonna si allargava in morbide pieghe fino al pavimento. L'unico gioiello era rappresentato da un girocollo di perle che le illuminava il volto.

Kathe era raggiante e passò al vaglio il fratello approvando l'insieme ma il sorriso le morì sulle labbra quando vide l'abito di sua sorella.

- Celia! Ma ti sembra un abito adatto a una festa?! - domandò stupita e arrabbiata Kathe - Stasera ci saranno molte personalità e anche moltissimi ragazzi e tu vuoi presentarti in pantaloni? - la giovane maga premette i pugni sui fianchi allargando i gomiti. Celia e Klod fecero un passo indietro intimoriti - Sarai anche la sorella maggiore ma in quanto a femminilità sei una frana! - disse, prese per mano la sorella e la trascinò fino in camera sua.

- E adesso cerchiamo qualcosa di adatto per questa sera, che non saranno certo dei pantaloni! E via quella treccia! - disse decisa Kathe con sguardo furente - Klod! - chiamò dopo un attimo senza staccare gli occhi dalla sorella - Vai a chiamare le ragazze per aiutare Celia! - il suo tono non ammetteva repliche così Klod si rassegnò a scendere e si diresse verso gli appartamenti delle dame di compagnia di sua madre.

- Ma Kathe, cos'ha che non va il mio abito? - chiese Celia meravigliata del comportamento di sua sorella.

- Come? E me lo domandi? - chiese esasperata Kathe con gli occhi che le uscivano dalle orbite - Ti rendi conto che sei una ragazza nel fiore degli anni? Ti devi vestire di conseguenza! Mi sento una scema a spiegarti queste cose! Com'è possibile che non ti sia rimasto un briciolo di femminilità? L'hai lasciata tutta in quel cavolo di Monastero? - gridò disperata Kathe sotto lo sguardo incredulo della sorella. Kathe quel pomeriggio aveva letto i nomi degli invitati e un sospetto si era insinuato nella sua mente diventando sempre più una certezza via via che aveva continuato a leggere. Erano state invitate sì tutte le famiglie ma soprattutto i loro figli maschi e questo significava una sola cosa: suo padre aveva intenzione di trovare un marito a una di loro e lei aveva il sospetto di non essere il bersaglio. E ora si rendeva conto del perché suo padre e sua madre avessero tenuto nascosto il vero fine delle festa: Celia non l’avrebbe mai accettato. Ma adesso ci avrebbe pensato lei. Attimi di tensione corsero fra le due, poi Celia iniziò a spogliarsi sbuffando e Kathe tirò un sospiro di sollievo. Forse c'era una speranza... Kathe le sciolse la treccia, le perle caddero a terra in un tintinnio e i capelli si allargarono sulla schiena. Le dame entrarono evitando di guardare Celia e Kathe comprese che anche loro dovevano aver lottato con sua sorella per farle indossare un abito più adatto, senza risultato.

- Raccogliete le perle, mia sorella ha deciso che stasera indosserà un abito, come dire, da donna - concluse dopo una breve pausa e un sorriso le illuminò la faccia mentre apriva l'armadio e l'occhio le cadeva su un vestito bellissimo. Le dame collaborarono soddisfatte e gioirono nel vedere la scelta di Kathe.

Klod attendeva disperato fuori dalla porta ormai sicuro che tutte le ragazze della festa si sarebbero trovate altri compagni per quella sera, e tutto a causa delle sue sorelle! Adesso avrebbe potuto trovarsi fra le braccia di una bellissima dama dalla profonda scollatura e dal corpetto di seta. Percorse un tratto di corridoio fino a trovarsi davanti ad una finestra che dava sul giardino. Da lassù poteva osservare senza essere visto e vide i suoi genitori al centro del giardino circondati da molti invitati e tutti ascoltavano la voce della ragazzina che cantava come un usignolo. Così era sua la voce che aveva sentito fino ad allora. Veramente notevole. Non era molto alta e mani esili dalle lunghe dita sporgevano dai polsini del vestito. Era un abito semplice con una gonna non troppo ampia e una scollatura quadrata di un verde intenso. I capelli neri e ricci le arrivavano alle spalle e uno splendido smeraldo le pendeva al collo. Dalle sue labbra sensuali uscivano le parole dolcissime di una ballata famosa. A questo secondo esame fu certo che non era tanto giovane come si era aspettato a prima vista, o forse si era lasciato ingannare dalla pelle chiara e delicata. Comunque la prima cosa che avrebbe fatto una volta sceso sarebbe stato guardarle gli occhi, chissà di che colore erano.

Si voltò di scatto sentendo dei passi dietro di lui. Spalancò gli occhi per la sorpresa e muovendosi lentamente si spostò fino al centro del corridoio. Le torce illuminavano perfettamente una figura che avanzava verso di lui a capo basso. Celia alzò il volto e guardò titubante il fratello.

- Non credo che riuscirò a stare in questo coso per tutta la sera - proferì Celia allargando con le mani l'abito. Un sorriso bellissimo le cambiò il volto.

- Sei magnifica - disse solo Klod rimirando la sorella. Non l'aveva mai vista vestita con abiti femminili ma solo in armatura e pantaloni facendola somigliare così a un uomo e nascondendo le sue forme. Ma adesso quella semplice tunica bianca e oro rivelava un tesoro. Era senza maniche e di seta. La vita era molto alta, sotto il seno, messo in risalto dalla scollatura a cuore. La gonna lunga fin quasi al pavimento era formata da molti strati di morbidissima seta bianca che si muovevano fluidamente ad ogni suo passo e lasciavano intravedere le gambe dalla pelle chiara. Ma la cosa più bella erano i capelli. Lasciati sciolti e trattenuti solo da una coroncina di brillanti si allargavano in una cascata dorata e le ricadevano in avanti con una morbidezza infinita. Erano lunghissimi, fino alla vita ma lui non se ne era mai accorto, forse perché li portava sempre legati.

- Credo che stasera tu non andrai da nessuna parte - disse serio Klod incrociando le braccia sul petto e osservando le trasparenze della seta. Celia alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri brillarono allegri.

- Cosa c'è che non va? - disse una voce da dietro. Kathe avanzò nel corridoio, l'abito che frusciava debolmente.

- E' indecente - disse semplicemente Klod allargando le gambe deciso.

- No, è donna - rispose Kathe osservando il risultato delle sue fatiche.

- Non può scendere così - insisté convinto Klod, continuando a guardare Celia.

- Certo che può, l'abito è bellissimo - disse Kathe con noncuranza avanzando verso Klod.

- Scusate, voi due state parlando come se io non ci fossi! - esclamò Celia - A me il bianco non piace, mi fa sembrare una mucca e odio queste scarpe strette e non sono affatto capace di camminare fra la gente mezza nuda! Sembrerò un palo! - disse Celia allargando le braccia, sul petto brillava il medaglione dell'Ordine.

- Sarai bellissima e perfetta. Smetti di lagnarti e andiamo a far vedere a tutti chi sono i fratelli Hianick! - disse Kathe con voce dura prendendo il fratello per un braccio e trascinandolo verso le scale - Allora sorella, vuoi scendere tutta sola? - domandò Kathe indicando con gli occhi l'altro braccio del fratello. Celia ebbe un attimo di indecisione poi ricordandosi che era molto tardi e che non ci sarebbe stato tempo per cambiarsi di nuovo decise che avrebbe cercato luoghi riparati e avrebbe evitato di ballare. Alzò le gonne e corse verso Klod e Kathe.


- Sai Erika, la tua Villa è più bella ogni volta che torno - disse una dama rivolta alla Contessa - Ma i tuoi figli? Dopotutto siamo qui per loro, no? -

- Sai come sono i ragazzi - rispose Erika con calma senza lasciar trasparire neppure una briciola della tensione che l'attanagliava. Dove erano quei tre birbanti? Perché tardavano così? Era sicuramente colpa di Kathe! Con lo sguardo cercò il marito attorniato da un gruppo di uomini e ragazzi riccamente vestiti, forse alcuni dei pretendenti. Poi, come sempre più spesso negli ultimi minuti, spostò gli occhi sulla scalinata e finalmente la vide occupata dai suoi tre figli.

- Arrivano i miei figli - disse semplicemente Erika e si diresse verso la scalinata. La voce di Mahatma li annunciò e scesero lentamente la scala godendosi il momento. Cugini, amici e conoscenti li raggiunsero sommergendoli di domande e abbracci. In quell'istante tutti i bambini che diciassette anni prima circondavano l'Alto Chierico nel Parco occupavano ora il centro della sala e Fabris e Erika si guardarono con orgoglio. Era passato molto tempo da allora e molte cose erano cambiate ma erano stati ripagati. I saluti, le strette di mano, gli abbracci perdurarono fino a che Fabris annunciò che le danze erano aperte. Celia si voltò e vide che la piattaforma di legno dell'orchestra era stata spostata all'interno e i musici avevo iniziato una melodia dolcissima. Dopo qualche attimo la voce ricca della cantante si aggiunse alle note, rendendo completa la musica.

Fabris e Erika raggiunsero il centro della sala e iniziarono a ballare. Klod si avvicinò alla zia Anty, sorella di suo padre, si inchinò e le porse il braccio con un sorriso accattivante accompagnandola al centro e iniziando a ballare. Kathe fu invitata dal cugino Karl, figlio dello zio Tib, fratello di sua madre, e Celia raccolse il braccio del cugino Duk, figlio di zia Anty. Alle quattro coppie se ne aggiunsero presto moltissime altre e sulle note della voce della cantante si mischiarono ricordi e risa, racconti e confessioni, dichiarazioni ad amanti dietro a cespugli profumatissimi.

- Chissà se Celia si è insospettita - disse Kathe a Klod durante uno dei rari balli che riuscivano a fare insieme.

- Insospettita di cosa? - chiese il fratello ingenuamente.

- Ma come? Non vedi la quantità eccessiva di ragazzi che popolano questa festa? A te sembra normale? - fece osservare Kathe gettando lo sguardo verso Celia e il fornito gruppo di ragazzi che la circondavano.

- Effettivamente hai ragione - concordò Klod - Come mai sembra che tu ne sappia qualcosa? - chiese dopo un attimo il giovane riportando lo sguardo sulla sorella.

- Ieri pomeriggio ho letto per caso gli inviti e mi sono resa conto che qualcosa non andava, infatti in ognuno veniva invitato il primogenito maschio - rivelò Kathe sussurrando e continuando a osservare Celia.

- Per caso? - domandò curioso Klod alzando un sopracciglio. Effettivamente stasera c'era un'ottima rappresentanza della nobiltà di Torap e dintorni, suo padre aveva scelto bene. Stasera Celia era radiosa e avrebbe spezzato molti cuori, e forse si sarebbe spezzato il suo, chi lo sa. Ma Klod aveva alcuni dubbi in merito.

- Beh, non proprio per caso - confessò Kathe sorridendo - Volevo sapere chi sarebbe venuto, tutto qui -

- Tutto qui? Hai sbirciato volutamente fra le carte di nostro padre e dici tutto qui? - disse Klod con una smorfia stringendo forte la sorella e facendola ruotare più volte in un complicato passo di danza. La musica fluì melodica e dolce lungo pareti e pavimenti, fra tendaggi e foglie, spegnendosi lentamente. Kathe e Klod si diressero verso la sorella che sembrava in difficoltà. Entrambi sapevano che Celia non era affatto abituata agli affari di cuore e non era in grado di destreggiarsi abilmente per sottrarsi alle grinfie degli insistenti pretendenti. Klod osservò i giovani che la circondavano e uno in particolar modo attirò la sua attenzione. Per quanto ricordava doveva essere Amarin, figlio della marchesa Lothieren, che stava proprio per appoggiare la sua mano schifosa sulla schiena di sua sorella. Klod allungò il passo e in pochi secondi raggiunse il gruppetto insinuando il suo braccio nella curva avvolta dalla seta bianca suscitando un piccolo scompiglio. Tutti i ragazzi fecero involontariamente un passo indietro e Celia si voltò stupita alzando il viso per guardare il fratello negli occhi. Klod invece continuò a tenere lo sguardo su Amarin che prontamente aveva ritirato il braccio.

- Allora, signori, mia sorella vi allieta? - iniziò il giovane mentre giungeva anche Kathe - O vi annoia? - aggiunse con un sorriso accattivante. Celia fece una smorfia per niente femminile e si sottrasse al suo abbraccio protettivo.

- Celia non potrebbe mai annoiarci - rispose Amarin dall'alto del suo metro e ottanta - Questa sera è radiosa -

- Vedo - disse freddamente Klod senza staccare gli occhi da quelli di Amarin.

- Sono passati anni dall'ultima volta che ci siamo incontrati - continuò Amarin - E non sembrava che avesse i capelli così lunghi - disse protendendo una mano verso le chiome dorate che si riversavano in avanti. Questa volta Celia fu più svelta di Klod e facendo un lieve spostamento quasi invisibile evitò che le dita di Amarin toccassero i suoi capelli. Klod invece afferrò saldamente il polso del giovane ardito bloccandolo a mezz'aria.

- Tieni le mani a posto - consigliò notando che anche Celia non aveva apprezzato il gesto. Per un attimo tutti i componenti del gruppo avvertirono la tensione crescente, poi Amarin abbassò il braccio e si voltò verso gli altri amici radunati intorno indignato.

- Eppure credevo che questa festa fosse per trovare un marito a Celia - disse candidamente Amarin con una punta di asprezza. Vide i volti dei compagni cambiare improvvisamente dopo aver forse guardato Klod Hianick, così si girò e vide il bel viso di Celia impassibile e freddo come il ghiaccio, bellissimo in quella sua staticità. Il pallore della pelle gareggiava con il bianco della seta. Un dubbio si insinuò in lui, probabilmente Celia era all'oscuro dello scopo della festa e raccogliendo tutto il suo coraggio spostò gli occhi su Klod. Anche se era più giovane di lui era un valido avversario, preparato e motivato. Gli occhi castani di Klod incrociarono furenti quelli grigi di Amarin.

Kathe osservò tutto da dietro le spalle del fratello e decise di tentare una soluzione. Mise il dito indice sotto la collana e tirò decisa. Con uno scenico gridolino di sorpresa abbastanza acuto perché quelli intorno udissero ma non troppo alto da allarmare la sala, le perle caddero sul pavimento di marmo in un magico tintinnare sparpagliandosi rapidamente. La trovata ebbe l'effetto desiderato, tutti i giovani intorno a Celia si chinarono per raccogliere le perle, compresi Klod e Amarin. A volte gli uomini restavano prigionieri della semplice cavalleria. Kathe spostò lo sguardo sulla sorella che aveva raccolto le gonne morbide e si stava dirigendo verso suo padre e sua madre. Con eleganza ogni giovane porse le perle a Kathe ottenendo un caldo sorriso di ringraziamento che avrebbe sciolto un pezzo di ghiaccio. Così Kathe in un attimo conquistò quei giovani distraendoli da progetti bellicosi. Perfino Amarin mostrò di gradire il piccolo disastro sorridendo amabilmente all'indirizzo di Kathe.

- Veramente provvidenziale, mia cara Kathe - disse Amarin lasciando cadere tre perle nella manina minuscola e affusolata.

- Provvidenziale? - Kathe sorrise dolcemente e porse il braccio ad Amarin che adesso non poteva rifiutare e si allontanò con lui verso il giardino. Gli altri giovani si dispersero con grazia e Klod osservò per un attimo ancora Kathe e Amarin che si allontanavano poi si diresse verso il terzetto al centro della Sala prevedendo una bufera.

- Almeno potevate dirmelo, mi sembra di essere abbastanza grande per decidere se voglio un marito oppure no! - stava dicendo Celia a sua madre. Erika guardò impotente Fabris poi prese la figlia sottobraccio.

- Effettivamente, mia cara, eravamo preoccupati ma tu sei sempre così indecisa che ci era sembrato carino darti l'occasione di poterti interessare a qualcuno e tuo padre ha invitato i migliori pretendenti - disse tentando di avere il tono più conciliante possibile.

- Davvero padre mi avreste data a uno di questi? - esclamò Celia spostando lo sguardo sul padre pensieroso e allargando un braccio che comprendeva tutta la sala. Fabris non aveva ancora detto una parola, se ne stava in piedi a braccia conserte e osservava la figlia accalorata.

- Veramente avreste permesso che uno di questi smidollati mi mettesse le mani addosso? - insisté Celia stringendo la seta delicata fra le dita contratte.

- Io credo che Celia abbia ragione - si intromise Klod inserendo la sua alta figura nel cerchio. Fabris spostò lo sguardo sul figlio ma invece che collera Klod vi lesse il dubbio che probabilmente aveva commesso un errore. Ovviamente non l'avrebbe mai ammesso ma per Celia poteva essere una via d'uscita.

- Noi volevamo solo che tu avessi la possibilità di scegliere - disse infine suo padre con voce profonda.

- Allora significa che non sono costretta a scegliere stasera! - esclamò Celia illuminandosi in volto.

- Questo non lo avremmo mai voluto, mia cara - aggiunse Erika stringendo le spalle della figlia - Stasera ti devi solo divertire e devi guardare e ascoltare - concluse con un sorriso d'intesa tornando al fianco del marito.

- Bene, ora mi sento meglio - sospirò Celia lasciando andare la seta del vestito - E poi io ho Klod, non lo sapevate? E' il nostro protettore e credo che sarà per causa sua se non troverò mai un marito. Mi tallona e scaccia i miei pretendenti! - Fabris e Erika guardarono il figlio che arrossì violentemente.

- Ma veramente io... - balbettò il giovane passandosi una mano fra i capelli. Celia scoppiò a ridere e la tensione svanì in un attimo.

- Avanti, mio Cavaliere protettore, dirigiamoci verso il banchetto, altrimenti non ci resterà niente - suggerì Celia poggiando una mano sul braccio del fratello. Klod strinse la mano della sorella e rapidamente la trascinò nella folla. Fabris e Erika si guardarono un attimo, sorrisero e il Conte invitò la moglie a ballare.

- E così era tutto organizzato - accusò Celia con sguardo truce continuando a camminare a fianco del fratello.

- Per la verità io non ne sapevo niente ma Kathe ha letto gli inviti e aveva intuito - ammise Klod varcando una vetrata e inspirando la fresca aria della notte carica di profumi e suoni.

- Ecco perché mi ha fatto indossare questo abito ridicolo! Lei sapeva! - esclamò Celia ad un tratto fermandosi accanto ad un tavolo carico di frutta candita, dolci, biscotti.

- Non sei ridicola, sei bellissima - affermò Klod fermandosi a sua volta e osservandola nel tenue alone delle torce. La luce dorata si adattava perfettamente al biancore della seta e della sua pelle fondendosi nell'oro dei suoi capelli simili a fili aurei.

- Grazie fratello ma per me è ancora presto per cose come l'amore o il matrimonio, devo fare moltissime altre cose prima di fermarmi - disse Celia addentando una ciambellina all'anice.

- Fermarti? Perché? - Klod afferrò una manciata di noccioline tostate nel miele e se le mise in bocca.

- Perché, caro fratello, dovrei trovare un uomo che la pensa come me, abbia le mie stesse passioni e ideali, che voglia viaggiare e proteggere la gente. Io sarò un Chierico Cavaliere. Come sai quasi nessuno di noi ha moglie o marito o fidanzato a causa della vita che conduciamo e i pochi che si innamorano, o di altri membri degli Ordini o di gente comune, di solito non riescono a vivere un'unione che possa considerarsi tale. Inoltre l'uomo che troverò dovrà andare bene a nostro padre e apportare un vantaggio economico e politico alla famiglia - sospirò Celia con una nota di rammarico.

- Perché pensi che anche tu non riuscirai ad innamorarti? - domandò Klod dopo qualche attimo di silenzio.

- Non dico che non mi innamorerò, dico solo che soffrirò molto, e che probabilmente alla fine dovrò arrendermi a ciò che sceglierà nostro padre per me - precisò Celia incamminandosi verso il centro del giardino, la seta che frusciava delicatamente contro la pelle.

- Non potresti essere l'eccezione? Forse troverai davvero l'uomo adatto, chi lo sa, il destino a volte gioca brutti scherzi, o belle sorprese, a seconda di come lo si vuole vedere - il giovane guerriero si sedette su una panca di legno sotto uno dei lampioni di Mahatma.

- Non credo Klod. Trovare un uomo così sarebbe come chiedere alla luna di non sorgere. Pochissime donne riescono a trovare una vera intesa con il loro amante ed io, che non ho tempo neppure di cercarlo, come posso illudermi? - domandò mesta Celia sollevando i tristi occhi azzurri verso il volto scuro del fratello.

- Mi sembravi molto più coraggiosa - osservò Klod allungando le gambe. Per lui sarebbe stato tutto più semplice. Avrebbe sposato una donna importante per una robusta alleanza economica e probabilmente militare. Magari l'avrebbe amata o più semplicemente, come spesso avveniva, avrebbe avuto delle amanti.

- Qui il coraggio non c'entra. Il fatto è che non ho tempo da dedicare a sentimenti complicati come l'amore per un uomo - Celia distese il tessuto delle gonne, il tono della voce particolarmente malinconico.

- Katherin mi ha detto che l'amore e il tempo non legano. L'amore non guarda in faccia a nessuno. Quando arriva... arriva - disse semplicemente Klod tirando le labbra in un debole sorriso.

- Forse avete ragione. Per ora, comunque, non penso neppure lontanamente a instaurare un rapporto con un uomo. Mi dispiace per la mamma ma l'idea non mi sfiora, ancora - precisò Celia - Anche se, devo dire, stasera ci sono moltissimi splendidi esemplari! -

- Vuoi dire Amarin? - domandò incredulo Klod sollevandosi di scatto.

- Perché? Mi sembra a posto ed è anche molto carino - disse Celia stringendo delicatamente gli occhi.

- Ma davvero? Secondo me è solo un incapace! E poi non mi sembra adatto a te - disse Klod veemente con voce profonda.

- Caro fratello, ti rendi conto che se i miei futuri pretendenti dovranno passare quattro esami io resterò sola per sempre? - domandò Celia sorridendo apertamente. Klod le prese le mani, la sollevò dalla panca e la trascinò nella danza sull'onda delle note di una magnifica ballata.

- Non preoccuparti sorella, qualcuno riuscirà sicuramente a oltrepassare ogni mia opposizione, perché sarai tu che l'avrai scelto! - Klod eseguì perfettamente un complicato passo di danza e rientrò nella sala, subito molti sguardi si voltarono verso i due fratelli. Kathe e Amarin stavano ancora ballando vicini a Fabris e Erika. Klod si diresse verso di loro senza sbagliare neppure un passo, le sete di Celia svolazzavano dolcemente nei volteggi in una nuvola di bianco che si fondeva spesso all'azzurro dell'abito del fratello.


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Capitolo 6
*** La scatola ***


6. La Scatola


Una nebbia spessa copriva la pianura verde. Tutto sembrava immoto e spettrale, solo occasionalmente si potevano udire grida d'uccelli seguiti da uno sbatter d'ali, o tonfi sordi la cui fonte era ignota. Gli sbuffi dei cavalli si perdevano nel grigio uniforme della nebbia e gli zoccoli calavano pesantemente sul terreno fertile. Rami scheletrici sembravano sospesi nel nulla e si protendevano come artigli fendendo l'aria. Con un tintinnare di finimenti i tre cavalieri si arrestarono.

- Sei sicura che stiamo andando nella direzione giusta? - la voce stanca di Kathe rimbalzò sulla spessa nebbia.

- Sì, dobbiamo proseguire ancora per un paio d'ore seguendo la pista e poi svolteremo percorrendo una strada battuta che ci condurrà fra le montagne - spiegò Celia spostando il peso sulla sella e allungando le gambe. Da quando erano partiti aveva mantenuto un atteggiamento scontroso e a tratti insofferente e sia Kathe che Klod l’avevano giustificato con la responsabilità che doveva gravare sulle sue spalle per quella consegna.

- Siamo partiti da tre giorni e ora inizia la parte più difficile, l'ascesa della catena del Monte Albany - disse Klod girandosi sulla sella in modo da guardare in faccia la sorella - Come puoi essere già stanca? Abbiamo appena cominciato! -

- La mia preparazione fisica lascia molto a desiderare, visto che lo studio alla Scuola non comprende anche un addestramento come quello dei guerrieri - spiegò Kathe massaggiandosi dolorosamente il fondo schiena - E non sono abituata a cavalcare così tanto - sospirò la giovane inarcando la schiena.

- Bene, allora direi di raggiungere il bivio e fare una piccola sosta così potremo iniziare la scalata a metà mattinata - suggerì Celia raccogliendo le redini e incitando il cavallo a percorrere al galoppo l'ultimo tratto. Klod strizzò l'occhio a Kathe e piantò i tacchi degli stivali nei fianchi del cavallo.

- Ma come fanno ad avere tanta energia? - la frase di Kathe si perse nella nebbia e la giovane maga incitò la cavalcatura ad un lento trotto.

La zona circostante era costantemente nebbiosa a causa delle correnti calde sotterranee che attraversavano quella parte della pianura e che poi terminavano in un ampio complesso termale, molto famoso, chiamato Montek. Là venivano praticati fanghi, bagni, saune che riscuotevano un notevole successo soprattutto fra le signore ma anche gli uomini non disdegnavano quei magnifici trattamenti. L'umidità era altissima e piccole gocce trasparenti macchiavano le armature lucide e la pelle dei cavalli, brillando debolmente. Ogni tanto, in lontananza, si potevano udire sibili sommessi e sbuffi acuti, nei punti in cui il vapore caldo fuoriusciva da crepe nel terreno morbido.

Improvvisamente il cavallo di Kathe nitrì spaventato e iniziò a indietreggiare. La ragazza tentava di guardare davanti per vedere cosa lo aveva spaventato ma la nebbia e i movimenti bruschi del cavallo coprivano tutto.

- Ma che ti prende stupida bestia! - urlò la giovane tirando le redini e serrando i ginocchi, cercando di mantenere il controllo. La cavalcatura continuava a indietreggiare, inarcando il collo e nitrendo disperatamente. Poi, ad un tratto, una forma scura emerse dalla nebbia, avventandosi sull'animale impaurito e disarcionando Kathe che finì sul sentiero battuto dalle carovane. Kathe si rialzò immediatamente iniziando a mormorare parole sommesse che si mescolavano a ringhi sordi e ai nitriti del cavallo che scalciava e si impennava. Subito comparvero quattro frecce infuocate che si diressero istantaneamente verso la creatura. I dardi si conficcarono nel pelame scuro e la bestia ululò dolorosamente spostando l'attenzione su Kathe. Da lontano giunse lo scalpiccio di cavalli al galoppo seguito da grida di incitamento. La creatura aggirò il cavallo atterrito e si pose in traiettoria per balzare su Kathe. Era una specie di lupo ma grosso come un vitello adulto dal lungo pelo nero e irsuto con denti lunghi e affilati scoperti in un ghigno crudele. Dalla nebbia sbucarono altre due bestie che aggredirono il cavallo costringendolo a terra.

- Sono worg! - gridò Kathe, iniziando a preparare un altro incantesimo, un po' più complesso del precedente. Il lupo avanzò di un altro passo e poi spiccò un salto verso il bocconcino succulento. Nell'aria fra Kathe e il lupo si formò una rete appiccicosa che avviluppò completamente la bestia, facendola ricadere al suolo con un tonfo sordo. Più l'animale scalciava e ringhiava e più i filamenti bianchi si stringevano attorno al suo corpo peloso. Celia e Klod sbucarono all'improvviso dalla nebbia e si avventarono sugli altri due lupi comprendendo immediatamente la situazione. Klod aveva già estratto la spada quando toccò terra e subito iniziò una seria di affondi letali che aprivano profondi tagli nel pelame scuro. Celia smontò da cavallo e, dopo aver rivolto un'occhiata alla sorella per vedere se era tutto a posto, sguainò la spada protendendo il braccio sinistro in avanti pronunciando una breve preghiera e una sfera di luce scaturì dalla sua mano colpendo la bestia sul muso che arretrò accecata. Celia avanzò rapida conficcando la spada nel ventre scoperto dell'animale, voltandosi appena in tempo per vedere la lama di Klod affondare nel collo dell'altro lupo.

- Che splendida piccola lotta - gongolò Klod pulendo il piatto della spada sull'erba umida. Kathe si rialzò scoccandogli un'occhiata severa e si diresse verso Celia.

- Tutto bene? - domandò la chierica rinfoderando la spada.

- Sì, ma i cavalli... - disse Kathe guardandosi intorno e non scorgendo gli animali che si erano dati alla fuga.

- Ci penso io - rispose calma Celia, dalla sua bocca uscì una preghiera sommessa e dolce e per un attimo i suoi occhi si fecero assenti ma dopo pochi secondi i cavalli rientrarono esitanti sul sentiero. Quello di Kathe era ferito sul fianco e sul collo così Celia usò le sue arti di guaritrice sulle ferite profonde cercando di arginarle come meglio poteva.

- Non avresti dovuto restare indietro - la rimproverò Klod rimontando a cavallo - Non lo sai che questa zona pullula di bestiacce selvatiche e briganti che attaccano le carovane? - la redarguì con più durezza di quella che avrebbe voluto.

- Mi sono solo distratta - fu l'unica risposta di Kathe, che stancamente rimontò in sella e spinse la cavalcatura lungo il sentiero. Klod osservò l'esile sorella accasciarsi lentamente sulla sella. La stanchezza le sarebbe passata con la pratica e il viaggio le avrebbe sciolto i muscoli.


Celia fermò la cavalcatura nel centro di un grande incrocio. La nebbia camuffava la sua vera ampiezza ma sul lato destro si poteva intravedere una grande capanna di legno e un cartello con le indicazioni. Celia si diresse verso la capanna e scese da cavallo avvicinandosi alla porta. L'aprì ed entrò decisa. Un odore di chiuso permeava l'aria e l'onnipresente nebbia bagnava le pareti di legno. L'arredamento semplice era costituito da un tavolaccio con sei sedie e quattro letti a castello. Un camino dominava sulla parete di fronte alla porta.

- Venite, non c'è nessuno - chiamò Celia da dentro la capanna. Un leggero tintinnare di finimenti e deboli passi precedettero l'arrivo dei suoi fratelli.

- Klod occupati dei cavalli. Dietro la capanna dovrebbe esserci una specie di tettoia, portali lì - disse Celia invitando silenziosamente la sorella a distendersi sul letto.

- Non è che avresti qualcosa per le vesciche? - chiese Kathe con un debole sorriso.

- Ma certo, adesso ti preparo subito la crema - assentì Celia dirigendosi verso la porta - Klod portami le bisacce! - gridò sulla porta rivolta alla nebbia inerte. Rientrò chiudendo la porta, si slacciò la spada dal fianco e si diresse al camino. Non faceva freddo ma il fuoco avrebbe tolto un po' di umidità. Lavorò per qualche minuto e poi un'allegra fiamma brillò nell'alcova. Celia si rialzò soddisfatta e nello stesso istante entrò Klod carico di bisacce. Il ragazzo posò tutto sul tavolo e iniziò a preparare il pranzo mentre Celia, seria e concentrata, prendeva il suo zaino e mescolava gli ingredienti per un unguento lenitivo.


La strada battuta si inerpicava decisa all'interno della catena montuosa. Bassi arbusti e rovi si aggrappavano con tenacia alla roccia viva, quasi con disperazione. Conigli e scoiattoli scappavano all'arrivo dei cavalieri, nascondendosi rapidamente. Il sole inondava il paesaggio severo e i marroni e i verdi brillavano di mille tonalità. Klod si voltò e osservò la pianura sottostante. La nebbia creava una strana illusione facendo assomigliare la piana ad una distesa di bianche nubi e si aveva l'impressione che la montagna che stavano scalando fosse aggrappata al nulla.

- Quanto ci vorrà per raggiungere il Monastero? - domandò Klod riportando lo sguardo in avanti.

- Se procediamo con decisione e attenzione dovremmo arrivare domani notte - rispose la chierica spostando lo sguardo sul sentiero ancora pianeggiante anche se in salita ma presto sarebbe diventato insidioso per le cavalcature e c'era anche un punto dove avrebbero dovuto condurle a mano.

- Per fortuna non è freddo e il paesaggio è bellissimo - commentò Kathe. Il riposo alla capanna e l'unguento di Celia avevano fatto miracoli.

- Ma cosa le hai dato? Lo voglio anch'io! - sussurrò con fare cospiratore Klod alla sorella più grande con un ampio sorriso. Kathe sembrava aver ripreso le forze in quelle tre ore... chissà cosa c'era nell'unguento di Celia.

Il pomeriggio volse rapidamente al tramonto e il gruppetto si fermò in una piccola rientranza del sentiero.

- Potremmo proseguire ancora un po' - suggerì Celia - Io e Kathe possiamo fare luce con la magia visto che il terreno non è ancora così insidioso e i cavalli possono procedere abbastanza bene - la proposta fu accettata e sommesse parole, delicate e musicali, riempirono l'aria e pochi istanti dopo due grandi sfere di luce illuminavano la zona in un ampio raggio. I tre proseguirono ancora fino a che la tenebra divenne così spessa e loro così stanchi che decisero di fermarsi. I globi di luce svanirono rapidamente e i fratelli si trovarono sprofondati in una spessa coltre di buio, animata da rumori estranei e una debole brezza.

- Possiamo riposare qui - disse Celia massaggiandosi le tempie - Accendo un piccolo fuoco - scese da cavallo e a tentoni raccolse un po' di arbusti secchi mentre Klod sistemava i cavalli e Kathe preparava i giacigli e la cena fredda a base di pane nero, formaggio, birra e frutta secca. Il fuoco rischiarò debolmente la zona creando strane ombre sulle pareti della montagna che si innalzava sui lati del sentiero. I ragazzi si addormentarono subito dopo aver mangiato consci che la giornata seguente sarebbe stata faticosissima.

Il sole giunse leggermente in ritardo nella gola in cui si erano accampati. I giovani, rinvigoriti dalla notte di sonno, mangiarono rapidamente, smontarono il campo senza lasciare tracce, sellarono i cavalli e cominciarono la salita vera e propria. Il sentiero si inerpicava tortuoso fra le montagne, ripido e cosparso di massi, erbacce e crepe per cui l'avanzata era lenta e difficile. I cavalli potevano ferirsi gravemente quindi il terreno andava vagliato con cura e attenzione. Il gruppo procedeva in fila ad una certa distanza gli uni dagli altri in modo da avere ampio spazio di manovra. Pareti di roccia scura si innalzavano prepotenti dai lati del sentiero, incombendo come giganti con la loro mole enorme. Una brezza costante manteneva l'aria fresca e pungente e il sole caldo scaldava le vesti di lana rendendo piacevole la cavalcata.

- Questo Monastero è come quello di Torap? - chiese Kathe durante un tratto pianeggiante, pensando alle decine di allievi che dovevano percorrere quel sentiero ogni volta che volevano raggiungere una città.

- No, il Monastero di Albany è una grande biblioteca, un luogo di preghiera e riposo e un importante centro officinale dove erboristi, alchimisti e Guaritori uniscono le loro conoscenze per trovare sempre nuove cure e incantesimi e approfondire le loro arti. E' un posto bellissimo, vedrete, io ci sono già stata - spiegò Celia con sguardo assente, rievocando probabilmente le visite precedenti. Ogni ora che li avvicinava al Monastero sembrava rendere Celia più nervosa e distante.

- Allora i Chierici che vivono lassù sono eremiti! - esclamò Klod pensando alla vita solitaria di quel gruppo di persone.

- Non sono eremiti, la comunità è molto grande e gli studiosi arrivano e partono spessissimo mantenendo così vivo il loro sistema sociale - spiegò ancora Celia.

- E tu non sai cosa c'è nella scatola che stiamo consegnando? - domandò Kathe fissando la sorella negli occhi. Il vento le scompigliò i lunghi capelli biondi e per un attimo quella massa dorata le circondò il volto.

- Sinceramente no, visto che non so come si apre, non ho potuto guardare cosa ci sia dentro, e se anche fosse stato possibile farlo, non so se avrei osato - confidò Celia riportando lo sguardo sul sentiero.

- Magari quando ci fermiamo per mangiare me la potresti dare e io potrei darci un'occhiata - suggerì speranzosa Kathe, con un tono di falsa noncuranza. Klod e Celia iniziarono a ridere, e le loro grida gioiose rimbalzarono vivacemente nella gola e sulle pareti montane creando un'eco profondo.

- E' proprio una maga, non c'è dubbio! Tutti loro sembrano attratti dagli oggetti strani e incomprensibili - rise Klod osservando il disappunto di Kathe, sempre incuriosita da tutto ciò che poteva celare un mistero.

Il sentiero peggiorò di nuovo e il gruppo fu costretto a procedere in fila per evitare i pericoli che avrebbero danneggiato le cavalcature. Il tempo trascorreva veloce e il percorso si inoltrava sempre più in profondità e verso l'alto. Ormai gli arbusti avevano ceduto il passo a fiori magnifici e solitari che spuntavano dalle crepe naturali e dalle fenditure della montagna. Il vento si era fatto più freddo e il sole stava girando lasciando il sentiero all'ombra delle alte pareti scoscese. Ad un certo punto la pista voltava intorno ad un costone di roccia e quando il gruppo raggiunse faticosamente il promontorio seguente una vista magnifica riempì il loro sguardo.

- Guardate il Monastero di Albany - disse semplicemente Celia allungando un braccio verso un'imponente costruzione ad una certa distanza in linea d'aria. Klod e Kathe spinsero i cavalli avvicinandosi al precipizio che si apriva sul lato più lontano del sentiero e da cui si godeva di una vista meravigliosa. Il Monastero era stato scavato all'interno del fianco nord del Monte Albany. Le pareti degli edifici si fondevano perfettamente con la roccia naturale e i tetti appuntiti e le merlature lo facevano assomigliare ad un imponente castello dalla strana forma. Praticamente solo la parte anteriore era scoperta e gli altri tre lati erano protetti dalla montagna stessa. Le mura esterne si estendevano per settanta metri e sembravano impedire che la cittadella cadesse dalla montagna, come una grande diga, ricreando perfettamente il taglio del lato della montagna. Un gigantesco portone di ferro e legno dominava la parte centrale delle mura. Una strada battuta e ben tenuta serpeggiava perdendosi fra le pareti scoscese. Klod calcolò che doveva essere molto ampia se erano in grado di vederla da quella distanza. Una nebbia azzurra circondava l'intera costruzione e i raggi del sole che ancora la raggiungevano penetravano lo strato nebbioso avvolgendola con una luce surreale.

- Il Monastero di Albany fu costruito dai nani moltissimi secoli fa - esordì Celia, i fratelli che guardavano affascinati l'imponente costruzione.

- E' bellissimo, sembra che abbiano modellato la roccia per ottenere gli edifici, proprio come si fa con l'argilla o il legno - sospirò Kathe sedendosi sul bordo del precipizio.

- Sì, infatti l'allora Alto Chierico si rivolse ai nani perché sapeva che solo loro avrebbero potuto manipolare la roccia e costruire quel bastione di pace e preghiera. Gli edifici all'interno sono splendidamente decorati e la pietra, anche dopo tutti questi secoli, mantiene ancora il suo splendore. Inoltre i nani impiegarono marmi magnifici, legni pregiati e le forgiature migliori per ottenere quello che potete vedere ma avrete modo di apprezzare ogni cosa dal suo interno - Celia voltò le spalle al Monastero e riportò il cavallo sulla pista, seguita dai fratelli che stentavano a spostare lo sguardo. Nonostante avesse parlato con rispetto del Monastero a Klod non sfuggì lo sguardo scuro che le rabbuiò il volto.

Il viaggio procedette con costanza e al tramonto avevano raggiunto il versante nord del Monte Albany e il sentiero che stavano percorrendo doveva essere quello intravisto da Klod che partiva dal portone del Monastero.

- Ci siamo sorelle, questo è il sentiero che si scorgeva dalla rupe dove ci siamo fermati stamani. Se ci sbrighiamo questa notte potremo dormire in un letto e mangiare un pasto decente - suggerì Klod togliendo i piedi dalle staffe e allungando le gambe.

- Possiamo chiamare la luce come l'altra sera - propose Kathe, anche lei ansiosa di godere delle comodità sicuramente offerte dal Monastero. Celia annuì pensierosa, poi improvvisamente alzò il volto verso il cielo e un caldo sorriso le distese i lineamenti.

- Guardate - disse indicando un puntino che si avvicinava sempre più scendendo in ampi cerchi. Klod e Kathe strinsero gli occhi per poter vedere nel crepuscolo che si infittiva sempre più e notarono la grande aquila planare dolcemente girando in cerchio, a circa cinquanta metri sopra di loro. Celia mormorò una rapida preghiera gentile stringendo con delicatezza il medaglione che portava al collo. L'aquila emise un grido acuto, riprese quota e si diresse verso il Monastero.

- Doveva essere già da tempo che ci seguiva ma io sono stanca e distratta. Credo che mi puniranno per questo - sorrise mesta Celia incitando il cavallo ad avanzare - Andiamo fratelli, il Cavaliere che governa il Monastero ci sta aspettando non facciamolo attendere -

- Come si chiama il Chierico Cavaliere di Albany? - chiese ad un tratto Klod affiancando il cavallo a quello di Celia, l'espressione del suo volto non presagiva niente di buono.

- Mark, il suo nome è Mark Nateshwar - borbottò Celia continuando a fissare la strada davanti a sé con cupa determinazione. Klod la osservò con attenzione con un sospetto che si andava lentamente insinuando ma non aggiunse niente. La pista prese ad allargarsi diventando una vera strada. I magici globi di luce di Celia e Kathe illuminavano vivacemente il terreno battuto, riflettendosi sulle lisce pareti montane. I tre cavalieri giunsero in vista delle porte del Monastero a notte inoltrata, la luce rimbalzò sulla superficie di levigato legno scuro intersecato da pesanti barre di ferro battuto. Entrambe le ante erano finemente decorate con immagini di guerre e eroi ormai perduti nel tempo e il ferro era cesellato con motivi floreali e animali. Al loro avvicinarsi, il rumore di gigantesche catene rimbombò fragorosamente nella valle e i portoni, obbedienti, si aprirono lentamente davanti ai tre ragazzi. A parte le catene che scorrevano non si udiva nessun altro suono.

- Entriamo - asserì Celia spronando il cavallo attraverso gli enormi portoni. L'interno era illuminato e mostrava un'ampia piazza quadrata lastricata, di fronte si trovavano altre due porte di dimensioni leggermente più piccole. Alla destra del portone c'era una grande abitazione di pietra dalla forma rettangolare, con porte e finestre illuminate. Al centro della piazza un uomo alto che indossava un'armatura di cuoio e una tunica nera e argento gli stava venendo incontro seguito da tre chierici con tuniche marroni.

- Buonasera Messo Hianick, benvenuti al Monastero di Albany - proferì l'uomo sorridendo. Gli altri chierici presero le redini dei cavalli invitandoli a scendere.

- Buonasera a voi, Sir Mark - rispose Celia scendendo da cavallo e avanzando verso l'alto Cavaliere - Questi sono i miei fratelli, Kathe e Klod - aggiunse presentandoli. Klod notò che la sorella evitava di guardare il Cavaliere.

- Benvenuti, spero che la nostra ospitalità incontri il vostro favore - la voce calda raggiunse i due fratelli, che fecero un breve inchino.

- Sir Mark, siamo onorati di calcare un suolo tanto sacro - disse Kathe abbassando lo sguardo.

- Vedo che siete stanchi, se mi seguirete troverete cibo e un letto caldi - sorrise il Cavaliere avviandosi verso la casa di pietra. I tre fratelli lo seguirono all'interno dell'edificio arredato con mobilio di legno di ciliegio e tappeti dai colori vivaci. Un fuoco ardeva vivace nell'angolo destro, una porta si apriva nella parete di fronte a quella d'entrata. Sir Mark si diresse verso di essa e l'aprì, rivelando un portico molto ampio fiancheggiato da panche di pietra e torce appese alle pareti che dava su un giardino. Un tappeto rosso correva per tutta la lunghezza del portico, terminando davanti ad un'altra porta. Sir Mark aprì anche questa e i fratelli si ritrovarono all'interno del Monastero stesso. La sala ottagonale era adibita a mensa: centinaia di panche e tavoli erano allineati perfettamente e candelabri appesi al soffitto e torce alle mura fornivano luce all'immensa stanza. Ad un tavolo erano stati preparati tre piatti, un vassoio di pasticcio e uno di pane, coppe e vino.

- Prego, accomodatevi e servitevi - disse Sir Mark spostando una sedia e sedendosi a sua volta.

- Grazie! - esclamò Klod ammirando l'enorme sala. Anche Celia e Kathe presero posto iniziando a servirsi.

- Allora Celia, dov'è la scatola? - chiese Sir Mark ad un tratto spostando il peso sulla sedia. Kathe e Klod alzarono lo sguardo all'unisono dai piatti e smisero di mangiare. Il tono che aveva usato il Cavaliere era di estrema confidenza. Celia rimase immobile qualche istante sollevando lo sguardo sul Cavaliere, si pulì dalle briciole del pane e infilò la mano nel pettorale dell'armatura estraendone la piccola scatola. Alla luce della stanza Kathe osservò Sir Mark. Torace ampio, mani forti, capelli corvini mossi e lunghi fino alle spalle, occhi scuri che brillavano impudenti, naso diritto e una bocca sensuale.

- Ecco qua Sir, con questo io completo la missione che mi è stata affidata dall'Alto Chierico - disse formalmente Celia con voce decisa porgendo la scatolina al Cavaliere e ai due fratelli non sfuggì l'occhiata rovente che lei gli lanciò.

- Bene - rispose semplicemente Sir Mark prendendo la scatolina e rigirandola fra le mani - Potete restare qui quanto volete. Domani mattina passate dalla Tesoreria e fatevi pagare il compenso promesso dall'Alto Chierico - il Cavaliere si alzò facendo scricchiolare l'armatura e restò immobile qualche attimo come se volesse aggiungere qualcosa. Celia sollevò lo sguardo verso il Cavaliere.

- Vi ringraziamo ma domani ripartiremo - tagliò corto Celia distogliendo subito lo sguardo.

- Fra poco verranno qui i chierici che avete incontrato nella piazza e vi condurranno ai bagni e alle vostre stanze - i suoi passi rimbombarono sonoramente nella grande stanza, la porta scricchiolò debolmente e poi si richiuse con un tonfo. Klod e Kathe osservarono intensamente la sorella che mangiava a testa china ma non aggiunsero niente, lo sguardo che si scambiarono era eloquente.


L'assassino attendeva paziente e silenzioso in un antro oscuro ben riparato, un suo compagno era nascosto poco più avanti. Un nero mantello lo copriva completamente, solo un occasionale brillio, che poteva essere notato solo se si guardava direttamente nella sua direzione, rivelava la presenza di un affilato pugnale sotto le pieghe della cappa. Un unico occhio azzurro osservava attentamente il corridoio illuminato debolmente e la porta di legno della mensa. Il sicario aveva imbevuto la lama del pugnale con un potente veleno, fabbricato tra l'altro dagli stessi Guaritori, in modo che, anche un piccolo graffio avrebbe causato la morte istantanea della vittima. Ottenerlo non era stato facile ma lui era pagato per questo. Un sorriso malefico gli attraversò i lineamenti ripensando a quanto era stato facile intrufolarsi nel Monastero, individuare Sir Mark e i forestieri incaricati della consegna. Avevano atteso pazientemente il loro arrivo e il momento in cui il Cavaliere avrebbe attraversato quel corridoio con la scatola. Il momento si avvicinava lo sapeva, dopo anni di agguati e uccisioni, adesso sentiva perfino l'avvicinarsi della vittima, fra loro si creava un legame. Spostò rapidamente l'occhio nella zona d'ombra dove era nascosto il suo compagno. Detestava lavorare in coppia ma il secondo uomo gli era stato imposto e lui non aveva potuto rifiutare. Un lievissimo movimento gli disse che la Vipera, questo era il suo soprannome, si trovava al suo posto, perfettamente fuso con le tenebre. Ancora una volta riportò lo sguardo sulla porta che lentamente si aprì mostrando l'alta figura del Cavaliere. L'assassino ghignò orribilmente e alzò il pugnale.

Sir Mark chiuse la porta e si apprestò a percorrere il corridoio che l'avrebbe portato allo studio dove avrebbe riposto la scatolina in attesa che l'emissario degli Elfi giungesse ad Albany. Chissà cosa conteneva, l'Alto Chierico gli aveva solo detto che avrebbe mandato un messaggero con un pacchetto per il Re degli Elfi. Quando aveva visto Celia su quel cavallo era stato colto di sorpresa, non si era aspettato proprio lei. L'Alto Chierico sosteneva che la scatola avrebbe viaggiato più sicuramente con una persona anonima che con una scorta, così aveva scelto un giovane Chierico affidandogli la preziosissima scatola di legno magico degli elfi. Celia era sicuramente all'oscuro di quello che aveva trasportato, come i suoi fratelli, ma erano comunque in pericolo. Serrò la mascella e strinse la scatola nella mano. Qualcuno poteva essere interessato alla scatola e al suo contenuto. Proprio mentre completava il pensiero un movimento impercettibile gli salvò la vita.

L'assassino fece scattare la lama in avanti nel momento in cui la schiena della sua vittima occupava il suo campo visivo ma fu tradito dal tremolio di una torcia. Sir Mark si abbassò istintivamente ed evitò il pugnale avvelenato rotolando di lato e atterrando sul morbido tappeto rosso. Il sicario infuriato per il fallimento si gettò sul Cavaliere nel tentativo di ferirlo e di strappargli la scatoletta. Il secondo sicario era uscito dall'ombra e stava raggiungendo il compare col pugnale proteso pronto ad affondare nella schiena del Cavaliere. Nella furia della lotta la scatola rotolò sul pavimento finendo sotto una panca di pietra con un lieve tonfo sordo. Sir Mark riuscì a rialzarsi in piedi trattenendo le mani del sicario orbo ma il suo compare si stava già avvicinando alla scatola di legno.

- Celia! - gridò il Cavaliere con quanto fiato aveva in gola cercando di scaraventare l'assassino sul pavimento.

- Prendi quella dannata scatola, Vipera! - ordinò con voce gracchiante l'orbo in direzione del compagno che ormai aveva afferrato l'oggetto.

- Già fatto! - disse soddisfatto mostrando la sua conquista e iniziando a correre dalla parte opposta del corridoio. La porta della mensa si aprì di schianto e i tre fratelli Hianick ne uscirono come una valanga invadendo il corridoio. In un attimo compresero la situazione.

- Kathe, ferma quello che scappa! - gridò Celia indicando la figura che fuggiva. Nello stesso istante avevano estratto le spade e si stavano dirigendo verso Sir Mark e il sicario. L'aria si riempì di una cantilena dolce e suadente e poco dopo quattro frecce di fuoco oltrepassarono Celia e Klod che stavano correndo conficcandosi nella schiena dell'assassino. L'uomo cadde in avanti e la scatola rotolò sul tappeto.

- Arrenditi! - intimò Sir Mark continuando a stringere i polsi del sicario orbo, l'uomo emise un soffocato grido di protesta ma ghignò orribilmente e cercò ancora di trafiggere Mark. La punta della spada di Klod si posò al centro delle schiena dell'assassino e il giovane sorrise all'indirizzo del Cavaliere.

- Getta il pugnale - ordinò perentoria Celia minacciandolo con la spada tesa. Ma il sicario, dopo un momento di esitazione, girò la lama e se la conficcò nel petto con un gesto rapido.

- No! - gridò Sir Mark lasciando andare i polsi inerti dell'avversario, il veleno aveva già fatto il suo effetto. Celia e Klod abbassarono le lame osservando il corpo inerme accasciarsi al suolo con un tonfo. Kathe nel frattempo si era avvicinata all'altro sicario per recuperare la scatola ma questo, con uno scatto felino, si era alzato barcollante, aveva preso la scatole e aveva ricominciato a correre senza neppure voltarsi. Kathe lo inseguì pensando ad un incantesimo adatto alla situazione.

- Non lasciartelo sfuggire! Recupera la scatola! - gridò Sir Mark voltandosi di scatto dopo aver udito i passi in corsa ma Celia e Klod erano già partiti all'inseguimento - Arriviamo Kathe! - gridò Klod stringendo i denti e continuando a correre.

- Dove porta il corridoio? - domandò Celia al Cavaliere che gli correva poco dietro.

- In fondo c'è una porta che si affaccia su un giardino interno e ci sono altre tre porte: una conduce alla biblioteca, una alla cucina e una ad una serie di scale e torrette e poi sui bastioni - spiegò rapidamente il Cavaliere.

- Lo prenderemo - affermò Celia con sicurezza. Quando sbucarono nel giardino, un silenzio opprimente li investì. La luna argentea si rifletteva sugli schizzi d'acqua di una fontana di marmo bianco e gli alberi apparivano neri e soffocanti. Celia spostò lo sguardo sulle porte. Erano aperte tutte e tre!

- Dividiamoci! - suggerì Klod esprimendo a voce quello che era chiaro a tutti, e si diresse immediatamente verso la porta a sinistra che portava alla cucina. Celia e Sir Mark si guardarono un attimo, il Cavaliere avrebbe voluto dirle qualcosa ma la giovane chierica si diresse a destra verso la biblioteca e Sir Mark scattò verso il portone che permetteva di raggiungere i bastioni occidentali.

Le scale sembravano non terminare mai. Piccole torce illuminavano la spirale in salita e gli stretti scalini ripidi. L'assassino era lì davanti a lei, poteva vedere la sua ombra poco più su, se avesse corso un po' più veloce... ma era stanca e non poteva competere con l'agilità del sicario. Kathe si frugò nella veste azzurra ricamata di rune dorate ed estrasse un piccolo pugnale dalla lama affilatissima con una delicata elsa d'argento. Ogni mago imparava ad usare in maniera letale il pugnale, un'arma veloce che non impediva i movimenti necessari per gli incantesimi e che spesso aveva salvato la vita ad un incantatore. La giovane ripeteva mentalmente le parole dell'incantesimo che si era preparata quando all'improvviso sentì sul volto il vento freddo della notte e un forte odore di muschio e pietra bagnata. Varcò cautamente la porta della torretta nascondendo il pugnale nella manica per non esser tradita dal suo bagliore e si nascose in un cono d'ombra creato da una merlatura. Tese le orecchie e udì passi lievi in lontananza sulle pietre lastricate dei bastioni e poi vide l'ombra lunga creata dalla luna del mantello dell'assassino. Sorrise e si concentrò. Arcane parole uscirono silenziosamente dalle sue labbra semichiuse e dopo pochi attimi aprì gli occhi e la sua visione era cambiata totalmente: adesso vedeva tutto in toni di blu e azzurro. Una macchietta rossa invase il suo campo visivo, Kathe abbassò lo sguardo e vide un grosso topo attraversare la porta della torre e scendere le scale. La maga si concentrò ancora e di nuovo la magia fluì in lei riversandosi all'esterno e creando l'incantesimo che l'avrebbe protetta dalla maggior parte degli attacchi fisici, o almeno avrebbe ridotto le possibilità dell'avversario di colpire. Avanzò decisa nella direzione dei passi, tutti i muscoli tesi e allerta, le parole dell'incantesimo sulle labbra, dopotutto il sicario era ferito e sarebbe bastato un sortilegio minore. Piccole macchie rosse interrompevano la monotonia della sua visione azzurra permettendole di seguire le tracce del ladro. Il bastione voltava leggermente verso destra e l'interno del Monastero, verso la parete occidentale del Monte Albany. Kathe oltrepassò il punto curvo nascondendosi in un anfratto buio, osservando il resto del camminamento esposto alla luce lunare. Due corpi giacevano al suolo riversi in una pozza di sangue. Kathe si avvicinò lentamente e con circospezione, rabbrividendo quando notò le divise dei Cavalieri del Monastero. Si inginocchiò e valutò che quei due erano morti già da un'ora, forse più, sgozzati abilmente. Ecco perché non aveva ancora visto guardie. Poi, alzò lo sguardo per un attimo verso la zona buia oltre il fascio lunare dove il camminamento continuava e scorse una sagoma rossa acquattata nelle tenebre. Riabbassò lo sguardo pronunciando nel frattempo le parole dell'incantesimo. Ad un tratto allungò il braccio destro e ad un'ultima parola una sfera luminosissima volò verso il ladro. L'uomo lanciò un grido stupito e poi entrò nel raggio lunare coprendosi gli occhi e urlando. Kathe si diresse lentamente verso di lui in posizione d'attacco e con il pugnale estratto tenendo sempre d'occhio la scatola che il sicario teneva in mano. Vipera si dibatteva come preso da convulsioni ma appena Kathe fu più vicina, spiccò un salto e le cadde addosso. Lasciò cadere la scatola e serrò le dita intorno al collo esile della giovane maga.

Sir Mark udì un grido e si diresse immediatamente verso la parte occidentale del camminamento arrivando proprio nel momento in cui Vipera balzava su Kathe. Il Cavaliere sapeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla in tempo, così estrasse un pugnale e con fredda determinazione lo scagliò verso l'assassino. La lama si conficcò fino all'elsa nel petto del sicario e Sir Mark perse così ogni possibilità di averlo vivo. Sospirò e corse verso Kathe, sepolta dal cadavere di Vipera soffermandosi un attimo con lo sguardo sui due Cavalieri stesi al suolo. La maga si stava alzando faticosamente e Sir Mark l'aiutò porgendole una mano.

- Ecco la vostra scatola - la ragazza indicò la scatolina di legno che giaceva sul lastricato inondato dalla luna.

- Grazie - Sir Mark si spostò e raccolse l'oggetto rigirandoselo fra le mani - Chissà cosa conterrà per creare tutto questo interesse - mormorò alzando lo sguardo su Kathe.

- E' morto, avete un'ottima mira per mia fortuna - disse Kathe osservando il petto del cadavere trafitto da quattro ampi fori bruciacchiati e dal pugnale del Cavaliere che spuntava orrendamente dalla tunica nera bagnata di sangue.

- Vostra sorella mi avrebbe ucciso se non avessi fatto tutto ciò che era in mio potere per salvarvi - puntualizzò Sir Mark avvicinandosi poi ai Cavalieri morti - Andiamocene di qui, i vostri fratelli vi stanno ancora cercando. Manderò qualcuno che si occupi di tutto quassù -

- Quindi neanche voi sapete cosa contiene la scatola? - chiesa la ragazza avviandosi verso la porta e la scalinata.

- Sinceramente no - ammise Sir Mark varcando la soglia, un mesto sorriso gli rischiarò il volto - Ne parliamo nel mio studio - disse con tono conclusivo e iniziò a scendere le scale.


Sir Mark e Kathe raggiunsero il giardino deserto e buio. Il Cavaliere guardò subito le due porte e improvvisamente da quella della biblioteca uscirono quattro Cavalieri armati. Lo raggiunsero e si inchinarono rapidamente.

- Sir, il Messo ci ha messo in allarme, dove sono gli intrusi? - domandò un giovane dalla corta barba bionda.

- Uno è nel corridoio che porta alla mensa e uno sui camminamenti occidentali - disse soddisfatto - Ci sono due Cavalieri uccisi sul camminamento occidentale - annunciò con voce tetra e Kathe vide i quattro giovani trasalire. I sentimenti che legavano questo corpo dovevano essere molto forti: lealtà, amicizia, dovere, coraggio univano questi prodi Cavalieri e facevano di quell'Ordine il più ambito e il più precluso. Anche Celia ne faceva parte e un po' la invidiava visto che raramente i maghi facevano alleanze e anzi preferivano stare da soli proprio perché solo lo studio poteva renderli più potenti degli altri maghi. Invece la forza dei tre Ordini, Guaritori, Storici e Chierici Cavalieri, si basava proprio sull'unione e la fedeltà, attributi che avevano creato leggende e storie sull'invincibilità degli uomini che ne facevano parte.

- Per favore occupatevene e cercate Celia e Klod Hianick e accompagnateli nel mio studio - ordinò dirigendosi verso la porta della biblioteca. Kathe seguì Sir Mark attraverso il giardino fino al grande portone della biblioteca. Quando entrarono non poté fare a meno di spalancare la bocca. La quantità di libri superava quasi quella della Scuola. Migliaia di volumi rilegati e pergamene riposavano pazienti su altissimi scaffali di scuro legno in attesa che qualche Storico o Guaritore si servisse di loro. Lunghi tavoli puliti fornivano un appoggio sicuro per i preziosi libri e alti candelabri d'argento illuminavano le pagine ruvide e inchiostrate. Un penetrante odore di cuoio e carta invecchiata riempiva le narici, misto al forte sentore del legno e della cera d'api. Kathe rimase sempre più indietro ammirando affascinata la sapienza che la circondava, sfogliando di tanto in tanto le pagine massicce di qualche volume appoggiato su un tavolo. Adesso non c'era nessuno ma dalla posizione delle sedie si capiva che qualcuno aveva abbandonato il posto in tutta fretta. La giovane maga si sedette davanti ad un libro e girò le pagine: botanica, piante e medicina. Kathe immaginò le decine di studiosi chini per ore su quei volumi intenti a trovare una nuova cura o un nuovo incantesimo clericale e ripensò ai giorni passati alla Scuola e alle interminabili ore di studio.

- Affascinante, vero? - la voce profonda di Sir Mark interruppe i suoi ricordi e Kathe avvertì la presenza alle sue spalle. Il Cavaliere la osservava curioso.

- E' bellissima la vostra biblioteca - ammise semplicemente Kathe senza neppure voltarsi e continuando a sfogliare anche se non capiva una parola di quello che c'era scritto.

- Ti piacerebbe poter studiare qui? - domandò Mark spostandosi in avanti per poter vedere la reazione del suo volto.

- Sì Sir, mi piacerebbe molto - ammise candidamente Kathe fissando i suoi occhi grigi in quelli scuri del Cavaliere. Nessuno dei suoi 'colleghi' avrebbe avuto mai un'opportunità come questa e, anche se era molto giovane, poteva imparare moltissimo - Ma io sono una maga - disse poi come se questo spiegasse tutto riportando lo sguardo sul libro e chiudendolo con dolcezza.

- La cultura non è divisa in classi. Tutti possono apprendere - spiegò l'uomo - Adesso andiamo - attese che la ragazza si alzasse e poi riprese il cammino attraversando quell'opificio di sapienza con apparente noncuranza.


L'interno dello studio era caldo e confortevole. L'ampia stanza aveva pareti di legno scuro e bellissimi arazzi colorati e preziosi ne rallegravano l'austerità. Tutti i mobili, dall'immenso tavolo alla libreria, dalle sedie alla credenza a vetri, erano in noce e profumavano di cera d'api. In un angolo un grande camino forniva calore alla stanza e adesso un fuoco sopito brillava debolmente nella sua alcova. Era indubbiamente una stanza maschile. Sir Mark si avvicinò al camino e riattizzò il fuoco aggiungendo della legna presa da una cesta intrecciata. Restò chino davanti al fuoco, fissando la sua fiamma ipnotizzante. Kathe si avvicinò al tavolo e accese il candelabro. La luce debole spaziò su carte e pergamene, libri e splendidi pennini di piume mappe, strani oggetti per la misurazione del tempo, boccette d'inchiostro, un delicato pugnale abbandonato su una pila di documenti, forse un peso per evitare che le carte volassero via e infine sulla misteriosa scatola che Sir Mark vi aveva poggiato stancamente. Kathe spostò lo sguardo sulla credenza con le ante a vetro e notò che era piena degli oggetti più strani e preziosi: gemme levigate e lucenti, fermagli dalla lavorazione finissima, strane monete che non aveva mai visto. Statuette di legno, giada marmo, che raffiguravano persone o animali giacevano ordinatamente sui tappetini rossi che rivestivano gli scaffali e soprammobili di cristallo, vetro soffiato, oro e argento erano mischiati a vecchissime pergamene aperte miniate, alcuni bicchieri singoli abilmente decorati svettavano snelli come campanule su un prato di preziosi medaglioni, che a Kathe ricordavano quello che indossava sua sorella. Il suo esame minuzioso fu interrotto dall'aprirsi della porta e dall'entrata di un Cavaliere e dei suoi fratelli.

- Sir, i fratelli Hianick - disse il giovane Cavaliere con un lieve inchino. Sir Mark si voltò visibilmente sollevato e sorrise con un assenso, il giovane Cavaliere uscì e chiuse la porta.

- Sedetevi prego - Sir Mark indicò le sedie di fronte alla grande scrivania e notò che Klod aveva ancora la spada sguainata mentre Celia fissava sua sorella con occhio indagatore - Vi prego sedetevi - ripeté - Dobbiamo parlare e devo spiegarvi alcune cose - aggiunse dopo un attimo il Cavaliere.

- Sì, credo che ce lo dobbiate - affermò Klod rinfoderando la spada con un sibilo acuto. I tre giovani si sedettero e Sir Mark prese a camminare avanti e indietro di fronte al camino.

- Dunque, questa scatola deve contenere qualcosa di molto importante ma anche io ne sono all'oscuro - ammise il Cavaliere fermandosi e prendendo in mano l'oggetto di legno.

- Anche voi non sapete? - chiese Celia meravigliata - Io credevo che la scatola fosse vostra - ammise pensierosa - Ma allora di chi è? -

- Un messaggero del Re degli Elfi dovrebbe venire a ritirarla questa notte, ovvero tra breve - aggiunse guardando una clessidra.

- Elfi?! - Klod spostò rapidamente lo sguardo sulle sorelle - Sono secoli che non se ne vede più uno! -

- Sì fratello, esistono, anche se si tengono ben nascosti - spiegò Kathe rifacendosi alle noiose lezioni apprese alla Scuola.

- Infatti è così, giovane guerriero - ammise Sir Mark con un sospiro - Intrattengono pochissimi rapporti con gli umani. Sono una razza molto schiva e tutto deve risalire a qualcosa che accadde centinaia di anni fa e di cui ormai si è perduto il ricordo sebbene questi problemi sembrano non affliggere l'Ordine, dato che comunicano costantemente con noi. Anche io, che spesso ne incontro, ogni volta rimango meravigliato dalla loro grazia e dal loro aspetto -

- Quindi la scatola appartiene agli elfi. Ecco perché non ha aperture e il legno è così ben lavorato. Avrei dovuto accorgermene - ammise Kathe picchiandosi la fronte con le dita.

- Vorreste dirmi che adesso potremmo incontrare un elfo? Un elfo vero? - chiese Klod con il volto illuminato dalla curiosità.

- Sì, è proprio per questo che vi ho fatto venire nel mio studio. Fra poco dovrebbe arrivare e voglio che gli raccontiate tutto quello che è successo qui e dovete cercare di ricordare ogni avvenimento strano durante i tre giorni di viaggio che vi sono occorsi per giungere al Monastero - Sir Mark si sedette incrociando le braccia al petto.

- Ho visto gli elfi solo ritratti in dipinti o arazzi e voi? - chiese Klod alle sorelle.

- Anche noi non ne abbiamo mai visto uno dal vero e spero voglia anche chiarirci questa situazione - disse Celia con tono grave.

- Potrebbe non dire nemmeno una parola - ammise Sir Mark - A volte alcuni messaggeri hanno solo preso quello che dovevano e se ne sono andati -

- Forse questa volta sarà diverso, a quanto sembra il contenuto della scatola interessa qualcuno e potrebbe essere motivo di apprensione per gli elfi - suggerì Kathe alzandosi e portandosi davanti al camino e al calore della fiamma vivace. Qualcuno bussò alla porta interrompendo le riflessioni dei presenti.

- Avanti - Sir Mark, Klod e Celia si alzarono voltandosi verso la porta. Un Cavaliere entrò, il suo giovane volto pervaso da una sorta di meravigliata curiosità.

- Il messaggero che attendevate è arrivato, Sir - annunciò, accostò la schiena alla porta aprendola completamente. Un'alta figura entrò nel cerchio di luce delle candele rivelando un ragazzo di circa vent'anni avvolto in un magnifico mantello di velluto blu notte, il cappuccio tirato giù. Celia, Kathe e Klod fissarono ammirati i tratti squisiti del giovane, dalla pelle chiara e liscia agli orecchi appuntiti che spuntavano dai lunghi capelli, neri come l'ala di un corvo. Gli occhi avevano un taglio leggermente obliquo ed erano neri anch'essi, due agate che spiccavano sul marmo bianco, e dalla bocca sottile appena aperta in un sorriso si intravedevano i denti candidi.

- Buonasera, signori - le labbra dell'elfo si mossero appena, la voce profonda e molto più matura dell'età che il giovane sembrava avere. L'elfo si slacciò il mantello blu aiutato dal Cavaliere alle sue spalle e Klod notò la raffinata armatura di cuoio e borchie e la preziosa tunica nera e oro lunga fin sotto i ginocchi. Il Cavaliere uscì dalla stanza richiudendo la porta. Un carisma fortissimo attorniava quell'elfo, lo si poteva quasi toccare tanto era imponente. Una spada lunga pendeva dal suo fianco destro in un fodero di cuoio consumato e unto e calzava morbidi stivali di pelle di daino. Era mancino dunque, notò Celia. Avanzò silenzioso e leggero fino al trio ammutolito togliendosi i guanti di cuoio nero.

- Buonasera - rispose Celia per tutti.

- Prego sedetevi - annunciò Sir Mark indicando una sedia vuota vicino al camino - Avete bisogno di bere o mangiare? - chiese con gentilezza il Cavaliere osservando con un certo interesse il giovane elfo. Celia notò lo sguardo incuriosito di Mark, probabilmente era la prima volta che lo vedeva, non aveva detto che i messaggeri erano quasi sempre diversi?

- Vi ringrazio Sir Mark ma non ho tempo, devo recuperare l'oggetto che avevamo chiesto all'Alto Chierico e ripartire immediatamente - la profonda voce dell'elfo riempì la stanza e le fiamme del fuoco vibrarono in maniera strana. Aveva un accento affettato ed era chiaro che il comune non era la sua lingua.

- A proposito di questo, vorrei presentarvi le persone che hanno portato qui la scatola - il Cavaliere indicò i tre ragazzi - Questi sono i fratelli Hianick, Celia, Katherin e Klod, della città di Torap -

- Vi ringrazio a nome di Re Nofiles per aver consegnato tanto celermente quest'oggetto al Monastero di Albany e nelle sicure mani di Sir Mark, un Cavaliere molto rispettato fra la nostra gente - gli occhi scuri dell'elfo analizzarono meticolosamente i tre fratelli, uno per volta, poi si posarono avidi sulla scatola posata sul tavolo - Posso? - chiese quasi con supplica. Celia si domandò cosa mai conteneva quel piccolo oggetto per suscitare un tale interesse.

- Certo, prendetela pure, dopotutto è per questo che siete venuto - annuì Sir Mark avvicinando la scatola verso l'elfo - Ma è mio dovere informarvi che stanotte due assassini si sono intrufolati nel Monastero e hanno tentato di rubare la scatola. Due Cavalieri sono morti e solo grazie all'aiuto dei fratelli Hianick e soprattutto di Kathe, abbiamo potuto recuperare l'oggetto che vi è tanto prezioso - lo informò Sir Mark notando con interesse la reazione spontanea di meraviglia dell'elfo che passò con rapidità sul volto liscio fino a fermarsi su un cipiglio infastidito.

- Sapete chi li aveva mandati? - chiese dopo qualche minuto di silenzio.

- Purtroppo la situazione non ci ha permesso di catturarli vivi ma erano professionisti e sapevano fare il loro lavoro - disse Mark sedendosi stancamente.

- Mi dispiace per i Cavalieri - disse abbassando lo sguardo - Questo mi induce ad affrettare il mio ritorno per evitarvi ulteriori fastidi - l'elfo si girò di scatto dirigendosi verso la porta dello studio.

- Vi prego, aspettate - proferì Sir Mark uscendo da dietro la scrivania - Ormai il pericolo qui al Monastero è stato scongiurato, le guardie sono in allerta e i turni sono stati rinforzati, perché non vi fermate per mangiare? -

- Potreste farci compagnia, la nostra cena si sta raffreddando - suggerì Celia sorridendo all'indirizzo del giovane elfo in nero. Il messaggero osservò il quartetto e, dopo una iniziale diffidenza, rilassò i tratti del volto e accennò un sorriso accondiscendente.

- D'accordo - accettò - E poi non è sicuro partire di notte -

- Bene, seguitemi, vi porto alla mensa e faccio preparare qualcosa di caldo - disse Sir Mark sorridendo apertamente, forse c'era ancora la possibilità di instaurare un rapporto più profondo con quella razza schiva e riservata, se almeno ci fossero più elfi come questo messaggero sarebbe tutto più facile! Pensò il Cavaliere aprendo la porta e imboccando il corridoio in penombra. Avvertì gli occhi di Celia che lo guardavano intensamente ma evitò con cura di ricambiare lo sguardo, sicuramente la giovane si stava chiedendo perché non le aveva mai parlato delle sue conoscenze elfiche.


Il pasticcio era buonissimo e il pane caldo e imburrato completava il manicaretto accompagnato da un ricco vino rosso speziato. L'elfo e i ragazzi, che avevano dovuto interrompere la cena, mangiarono sotto lo sguardo vigile di Sir Mark. Pochi minuti dopo aver finito, nel silenzio della sala, Kathe si addormentò beatamente appoggiando la testa sul tavolo.

- Non è abituata a tutto questo movimento - si scusò Celia - E' uscita dalla Scuola di Magia da pochi giorni e questo è il suo primo vero viaggio fuori da quelle mura protettive -

- Con il tempo e l'allenamento imparerà ad essere più resistente - ammise Sir Mark - Forse sarebbe meglio portarla a letto - suggerì a bassa voce.

- Siete tre fratelli molto assortiti vedo - disse l'elfo. Celia quasi sussultò nell'udire la voce profonda tanto rari erano stati i monosillabi del messaggero durante la cena.

- Sì - annuì Celia - Abbiamo scelto strade diverse ma non per questo ci siamo separati. Dopo anni di studi ci siamo ritrovati e questo è il primo viaggio che facciamo insieme - la ragazza si sistemò più comoda sulla sedia. Quindi Mark conosceva degli elfi... La cena gli aveva dato modo di osservare il giovane elfo, e sempre più si era convinta che non fosse un elfo qualunque, forse un mago. Infatti aveva sentito che molti elfi avevano capacità magiche, dovute forse alla loro origine, e che si dedicavano allo studio delle arti, oltre ad essere ottimi arcieri e spadaccini.

- E' stata Kathe a fermare il secondo assassino che era fuggito sui bastioni - aggiunse Klod alzandosi e prendendo la sorella in braccio.

- Capisco perché sia stanca, la magia sfinisce - rifletté l'elfo - Mi sembra molto giovane per essere già uscita dalla Scuola - fece notare addentando un pezzetto di pane.

- In effetti ha un talento spiccato - ammise Celia con una certa soddisfazione, notando come l'elfo conoscesse le pratiche degli uomini, o almeno le loro scuole. Erano loro che non sapevo niente, o quasi, degli elfi.

- E tu sei un guerriero ben addestrato, alla Guarnigione giusto? - disse l'elfo rivolgendosi a Klod e spolverando la tunica nera dai bricioli.

-  Sì signore - rispose Klod cortesemente - Ho trascorso gli ultimi dieci anni presso la Guarnigione e adesso ho accettato di accompagnare mia sorella al Monastero di Albany per consegnare la scatola -

- Così è partito tutto da te? - domandò il messaggero spostando l'attenzione sulla giovane chierica.

- Sì, signore - iniziò Celia - Io ero già stata al Monastero ma mai da sola, così ho accettato l'incarico dell'Alto Chierico, anche se non sapevo cosa stessi trasportando -

- Vi prego, basta col 'signore', io mi chiamo Lewel - disse il giovane e la pronuncia del suo nome risultò musicale e molto dolce. Celia e Klod annuirono sorridendo.

- Avrei una richiesta da farvi - l'elfo sembrava impacciato - Partirò all'alba e vi vorrei come compagni, non posso viaggiare da solo dopo quello che è accaduto qui, e non posso privare Sir Mark neppure di un uomo - la richiesta giunse inattesa e Lewel si agitò nervoso sulla sedia. Si vedeva che non era abituato a parlare molto con gli umani e tanto meno a chiedere aiuto.

- Kathe deve ritornare alla Scuola per aprile ma se ci sbrighiamo dovremmo farcela - suggerì la chierica già ansiosa di partire, gli occhi che brillavano accesi. Klod annuì distrattamente già pensando alla possibilità di vedere altri elfi, e elfe naturalmente.

- Ovviamente mi accompagnerete solo per tre quarti del viaggio, non potrete avvicinarvi di più al Regno degli Elfi - precisò Lewel alzandosi a sua volta, una nota di disappunto si disegnò sul volto di Klod - Affare fatto? Vi pagherò tramite Sir Mark - tese la mano verso Celia.

- Affare fatto! - concluse la giovane stringendo la mano forte e delicata con un ampio sorriso - Non vi pentirete di averci scelto -

Sir Mark osservò la giovane entusiasta e un nodo d'angoscia gli strinse la gola.

- Non me ne pentirò, lo so già, cosa posso volere di più se non un abile guerriero, una maga preparata e un Chierico dell'Ordine? Perché è questo che siete vero? Un Chierico Cavaliere - aggiunse Lewel con sguardo fermo. Celia annuì.

- Per ora sono solo un Messo ma ho intrapreso quella strada - ammise la giovane.

- Dovete stare attenta a come indossate il vostro medaglione - disse poi toccando con le dita l'amuleto che usciva dalla tunica - Nei territori che attraverseremo sarà pericoloso esporlo - Celia strinse forte il simbolo del suo potere fra le dita nascondendolo immediatamente sotto la tunica. Solitamente lo portava a contatto con la pelle ma forse quella sera, durante la corsa, le era uscito. Klod si era incamminato lentamente verso la porta della mensa.

- Adesso sarà meglio riposare, domani ci aspetta una giornata dura, soprattutto per Kathe - proferì il giovane guerriero - A proposito, glielo dici tu che non torniamo a casa? - chiese Klod con un sorriso mesto.

- Sì, non preoccuparti - acconsentì Celia sempre continuando a fissare Lewel intento a guardare la scatolina. Eppure quell'elfo aveva troppa autorità nella voce e nei movimenti per essere una persona comune. Anche lì, in mezzo ad una razza diversa sembrava perfettamente a suo agio e tutte le dicerie sul conto degli elfi, su come fossero schivi e riservati, crollavano rovinosamente davanti al suo comportamento franco e spigliato. Uscirono dalla mensa nello stesso corridoio dove era avvenuto l'agguato, e trovarono ad attenderli due Cavalieri che li accompagnarono alle loro stanze.


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Capitolo 7
*** La caverna ***


7. La Caverna


- Uccidilo! Muoviti! - urlò Celia a Klod affondando la lama della spada nel viscido corpo verde. La creatura simile ad un verme ma munita di affilatissimi denti si accasciò al suolo in una pozza di sangue nero e denso.

- Ci sto provando! - gridò di rimando il giovane guerriero con un sorriso infastidito dipinto sul viso. Quei vermi avevano dei lunghi tentacoli con cui cercavano di afferrarti e poi trascinarti verso le loro bocche zannute. Klod mulinava la spada con eleganza tagliando i tentacoli e cercando di non farsi prendere.

- I tentacoli sono velenosi, non fatevi toccare! - gridò Lewel muovendosi agilmente per scansare le protuberanze viscide.

- E' tutta colpa vostra se sono in questa situazione! Ma perché ho acconsentito ad accompagnarvi? - Kathe imprecava cercando di arrampicarsi su un'antica quercia, in modo da sfuggire ai vermi. La creatura si impennò e protese i tentacoli verso la preda in fuga ma il suo movimento venne bruscamente interrotto e Kathe, voltandosi, scorse una lama macchiata di nero sbucare dal ventre del verme. La creatura si capovolse rivelando l'alta figura dell'elfo.

- Salite fino a quel ramo lassù - Lewel indicò un ramo robusto con un sogghigno crudele.

- Non mi sto affatto divertendo! - esclamò Kathe con sguardo di fuoco, la lunga tunica e lo zaino sulle spalle l'intralciavano oltremodo e la salita stava diventando molto faticosa.

- Celia! - la voce di Klod era soffocata e incrinata dal dolore. L'elfo si voltò di scatto e vide il giovane avvinghiato dai tentacoli grigi e bavosi del verme. Lentamente gli occhi di Klod si chiusero e le membra si rilasciarono come senza vita.

- Klod! - Celia falciò con furia un altro verme, ma non finivano mai quelle bestiacce? Sembravano sbucare da sotto terra e ti si avventavano addosso come api sul miele. Corse verso il fratello e cominciò a recidere con precisione i filamenti che lo trattenevano mentre Lewel infilzava ripetutamente il corpo verdastro del verme. La creatura strideva impazzita per il dolore ma continuava ad avvicinarsi la preda alla bocca enorme e spalancata. Quattro frecce di fuoco si conficcarono nel ventre del verme e Celia sorrise, finalmente c'era anche sua sorella!

- Colpiscilo nel punto in cui i tentacoli si attaccano alla bocca! - suggerì Celia lanciando uno sguardo d'intesa all'elfo. Lewel annuì e fece un meraviglioso spostamento laterale che avrebbe fatto invidia a qualunque maestro di spada umano. I capelli neri si mossero come un'onda seguendo il suo movimento e le braccia e le gambe erano perfettamente coordinate, Celia dovette smettere di combattere per ammirare quel passo felino. Lo sguardo dell'elfo era fermo e deciso mentre il suo polso mancino compiva la letale danza della morte facendo saettare rapidamente la lama della spada e recidendo i filamenti alla base. La bestia allentò la presa con un ringhio rabbioso e Celia strattonò Klod facendolo cadere a terra. Il giovane era inerte e rigido come una statua ma vivo.

- Attenta! - il grido di allarme di Kathe giunse a proposito e Celia si gettò a terra evitando i tentacoli di un altro verme. Una sfera di luce colpì la creatura in pieno muso e Celia affondò ripetutamente la lama striata di nero nel petto scoperto dell'essere. Dai tagli il sangue scuro usciva copioso macchiando il verde sottobosco. Lewel sbucò dal nulla e trafisse con forza il verme accecato fino a che questo non cadde riverso al suolo. Celia si guardò rapidamente intorno e, non vedendo altri pericoli, si inginocchiò accanto al fratello.

- Eccomi Klod, fra poco starai bene, vedrai - disse Celia ansimando. Posò le mani sul petto protetto dalla corazza e pregò intensamente fino a che le parole dell'incantesimo non affiorarono sulle sue labbra. Una cantilena sommessa e gentile invase il sentiero e Kathe e Lewel assistettero rapiti al piccolo sortilegio. Improvvisamente la rigidità sparì dal corpo di Klod e le membra si rilassarono distendendosi delicatamente a terra. Gli occhi ripresero il loro abituale colore castano e il petto iniziò ad alzarsi e abbassarsi ritmicamente. L'incantesimo cessò e Celia lasciò cadere stancamente le braccia.

- Come stai, fratello? - chiese Kathe sedendosi sull'erba soffice. Klod si alzò a sedere e si guardò intorno notando i cadaveri dei vermi accasciati al suolo.

- Avete fatto un bel lavoro! - esclamò il giovane come se non fosse accaduto niente - Ma la prossima volta non mi lascerò mettere fuori combattimento da un lombrico! Lo infilzerò dritto fra gli occhi e non gli darò tempo di usare quei suoi schifosi tentacoli! - disse, e mimò il gesto allungando un braccio.

- Capisco perché molti guerrieri umani muoiano in giovane età... - Lewel sorrise apertamente sfregando la lama della spada nell'erba umida.

- Perché? - domandò Klod un po' offeso - Dov'è la mia spada? - chiese poi cercandola intorno.

- Perché, mio caro - spiegò Celia - sei un po' avventato. Non ci si getta su un nemico che non si conosce - la ragazza si alzò con un sospiro osservando lo sguardo assolutamente privo di comprensione sul volto di Klod. Probabilmente era proprio quello che gli avevano insegnato alla Guarnigione negli ultimi dieci anni, ma forse c'era ancora una speranza se avesse continuato a viaggiare con loro. Si diresse verso il verme che aveva paralizzato suo fratello e ne estrasse la spada dal ventre, riportandogliela.

- Puliscila! - disse soltanto, e andò a sedersi alla base di un tronco di un albero. Lewel aiutò Klod ad alzarsi e lo portò vicino a Celia.

- Come facciamo con i cavalli? - chiese l'elfo a Kathe visto che le cavalcature erano fuggite dopo che era iniziato il combattimento. Erano già trascorsi cinque giorni dalla loro partenza dal Monastero ma Kathe aveva ancora lo sguardo infuocato ogni volta che parlava con Lewel, accusandolo dell'attuale situazione.

- Ci penserà Celia, non è vero sorella? - disse la maga togliendosi lo zaino e sedendosi a terra - Vogliamo mangiare qualcosa? Fra poco sarà ora di pranzo, tanto vale iniziare - suggerì Kathe con il viso illuminato.

- Ci sto! - approvò Klod fregandosi le mani.

- Volete restare qui? - domandò l'elfo indicando il massacro alle loro spalle e soprattutto il fetore che emanavano i cadaveri.

- Effettivamente... - Celia gettò uno sguardo disgustato oltre le spalle dell'elfo. Kathe mise il broncio e fece una linguaccia a Lewel, chissà come mai provava gusto nel rovinare ogni sua proposta. L'elfo tese una mano e aiutò Celia ad alzarsi.

- Ora richiamo i cavalli e ci spostiamo, forse potremo uscire da questo bosco e raggiungere il ruscello che lo costeggia - suggerì la chierica chiudendo gli occhi e mormorando le parole dell'incantesimo. Appena finito si tolse lo zaino e lo gettò a terra, slacciandosi anche il cinturone e la spada che affondarono nell'erba.

- Allora? - chiese Lewel massaggiandosi i palmi delle mani.

- Allora, cosa? - domandò Kathe con astio.

- I cavalli? - specificò l'elfo indurendo lo sguardo, quella ragazzina aveva il potere di irritarlo enormemente e aveva la forte sensazione che lei lo canzonasse ogni volta che lui le girava le spalle.

- Arriveranno, vedrai - disse Kathe con tono sicuro - Ma tu degli uomini non sai proprio niente? - chiese poi togliendo dallo zaino una spazzola ovale di legno.

- E adesso che c'entra la mia cultura sugli umani? - chiese Lewel irritato marcando volutamente la parola 'umani'. Anche lui si tolse cinturone e spada, e la tunica nera si allargò. Celia si accorse che gli elfi portavano le corazze sotto le tuniche e d’altronde era una cosa che faceva anche lei.

- Non conosci la nostra società, i nostri usi o religioni? - chiese Kathe cercando disperatamente di sciogliere il nastro di cuoio che legava la sua treccia ma senza risultato. Alzò lo sguardo disperata ma senza fissare niente in particolare ed in quel momento a Lewel parve piccola e indifesa, così si avvicinò per aiutarla.

- No, effettivamente non vi conosco molto ma cosa c'entra questo con i cavalli? - domandò nel modo più gentile, sperando che lei raccogliesse la tregua.

- Che stai facendo? - Kathe fissò i suoi occhi grigi in quelli neri dell'elfo che aveva allungato le mani.

- Ti vedo in difficoltà, ti voglio solo aiutare a slegare il nodo - spiegò Lewel alzando le mani in segno di resa e pensò che le rose hanno sempre le spine, purtroppo, e che Kathe Hianick non era affatto piccola e indifesa, poteva sembrarlo ma non lo era.

- Come mai voi due vi punzecchiate sempre così? - domandò Klod affilando la lama della spada che si era intaccata nella lotta.

- Perché è tutta colpa sua se siamo in questa situazione orrenda! E io non riuscirò mai a tornare in tempo alla Scuola! - piagnucolò Kathe continuando a strattonare il nodo.

- Non è colpa sua, tu lo sai bene, ma non trovando un capro espiatorio, hai scelto lui - disse Celia - Ma questi vostri battibecchi allietano il viaggio e sono un divertente diversivo - aggiunse sorridendo.

- Vedrai che torneremo in tempo a casa - disse Klod con tono sicuro.

- E poi è lui che mi irrita! - disse d'un fiato ma subito si rese conto dell'assurdità - Ribatte su tutto ciò che dico ed è contrario sempre alle mie proposte! - si lamentò, evitando di guardare nella direzione dell'elfo che la stava osservando con un misto di meraviglia e curiosità.

- Finalmente ecco i cavalli - proruppe Celia alzandosi in piedi e raccogliendo zaino e spada - Andiamocene di qui in fretta - suggerì fermando il tutto alle sacche della sella. Gli altri la seguirono rapidi, ansiosi di abbandonare il bosco. Spronarono i cavalli al galoppo e l'andatura costante li portò presto fuori dalla piccola foresta e sulle rive del ruscello allegro che la costeggiava.

- Attraversiamo e cerchiamo una radura soleggiata dall'altra parte - suggerì Klod spingendo il cavallo nell'acqua.

- Concordo - assentì Lewel con un cenno del capo.

La pianura oltre il ruscello si estendeva pigra interrotta qua e là da boschetti di betulle dalle argentee cortecce preceduti da una fitta boscaglia cespugliosa. Il sole splendeva gaio illuminando la campagna circostante per chilometri. Da qualche parte, laggiù, si trovava nascosto il Regno degli Elfi, dove si diceva vivessero anche fate e folletti, unicorni e grifoni e altre decine di razze magiche.

- Celia, ti rendi conto che ci stiamo dirigendo verso il Reame degli Elfi? - chiese Kathe sottovoce, apparentemente dimentica del suo parere contrario circa quel viaggio. Celia osservò la sorella in tralice accennando un sorriso leggero.

- Sì, ma ti dimentichi che Lewel ha detto che lo avremmo accompagnato solo per tre quarti del viaggio e questo significa che non lo vedremo direttamente - spiegò Celia.

- Ti ricordo che io stavo dormendo quando voi avete deciso tutto! - le ricordò Kathe con voce tagliente e pericolosa.

- Oh, andiamo! Non fare la capricciosa! Anche tu avresti accettato! Come può un mago rifiutare l'occasione di poter forse vedere la favoleggiata città magica degli elfi? - chiese Celia con cipiglio meravigliato e Kathe sbuffò spazientita ma non rispose. Dopo qualche minuto di silenzio la giovane maga rivolse alla sorella un sorriso d'intesa.

- Ho fame - disse Celia e spronò il cavallo accanto a quello di Klod - Dove ci stiamo dirigendo, fratello? - chiese osservando la direzione che stava tenendo.

- In quel boschetto di betulle che si intravede a est, oltre quella collinetta - rispose sicuro il guerriero indicando il posto con il lungo braccio.

- Perché non acceleriamo l'andatura? - domandò Celia strizzando l'occhio al fratello.

- Pensavamo che voi signore foste stanche - proferì Klod con tono solenne e canzonatorio. Lewel accennò un sorriso ma evitò di guardare Celia in volto.

- Allora vediamo se riesci a superarmi! - gridò la ragazza spronando il cavallo con forza. La bestia, colta all'improvviso, accennò un'impennata ma i comandi perentori del suo cavaliere gli imposero di rispondere e il cavallo partì al galoppo. Klod raccolse la sfida e incitò il suo destriero all'inseguimento. Lewel sorrise e voltò la cavalcatura dirigendosi verso Kathe che era rimasta indietro.

- Dove vanno quelli? - domandò la maga osservando i fratelli in corsa verso la collinetta.

- Credo si tratti di una questione di onore - rispose l'elfo affiancando il cavallo a quello di lei.

- Onore? - Kathe si voltò verso di lui sorridendo. Non riusciva a vedere i suoi fratelli impegnati in una tale questione.

- Sì, qualcosa che ha a che vedere con l'orgoglio femminile - Lewel si accorse troppo tardi di aver scelto le parole sbagliate. Dopo tutto le donne umane non erano poi tanto diverse da quelle elfe. L'espressione di Kathe cambiò immediatamente e la luce che aveva illuminato il suo volto quando aveva sorriso scomparve lasciando il posto ad un cipiglio irritato.

- E cioè? Ne vorrei sapere di più sull'orgoglio femminile. Perché non me ne parli? - domandò con apparente noncuranza. Lewel stava camminando su un terreno pericoloso ma purtroppo non gli veniva in mente niente per poterne uscire.

- Klod le ha detto che mantenevamo un'andatura lenta per permettere a voi signore di non stancarvi e a quanto pare Celia l'ha presa come un'offesa personale - Lewel decise di dire la verità, in fondo non aveva niente da perdere. Kathe sembrò soppesare le sue parole e alla fine, non trovando niente da ridire, si voltò verso di lui con un sorriso accattivante.

- Nel tuo paese sei un diplomatico? - domandò Kathe approvando il modo elegante con cui aveva girato la situazione a suo favore.

- Diciamo che affronto spesso i rivali con le parole, più che con la spada, è vero - ammise Lewel riportando lo sguardo in avanti. Sembrava che non volesse parlare della sua carica, perché quell'elfo carismatico doveva essere un'esponente importante nel suo Regno e di sicuro non aveva vent’anni, così Kathe gli chiese di parlarle delle bellezze della sua città, della gente e dei magici animali che popolano le sue foreste. Lewel rispose al meglio che poteva ma a volte non riusciva a tradurre nella lingua degli umani alcuni termini o nomi, così la conversazione risultò un misto di parole in lingua comune, elfico e gesti, con cui Lewel cercava di spiegare a cosa si stesse riferendo. Kathe avvertì l'amore per la sua terra, per la sua gente, e per tutta la natura in generale, un affetto che trascendeva quello che provavano gli esseri umani. Lewel parlava di ogni cosa con entusiasmo e dolcezza, come se anche i sassi provassero sentimenti e dolore. Le parlò della loro diffidenza per gli umani, meschini e mentitori, e di un sentimento nuovo che stava dilagando fra i giovani elfi. Molti pensavano che gli uomini meritassero un'altra possibilità, che non tutti fossero assassini, ladri e traditori ma che la maggior parte di essi fosse come gli elfi: lavoratori, amanti della terra e della famiglia. Le raccontò dei giochi preferiti dai piccoli elfi, del cibo e delle tradizioni. A volte sembrava omettere qualcosa ma Kathe era troppo affascinata dalla sua voce calda e penetrante per poter pensare che stesse facendo qualcosa di male, probabilmente erano cose del suo popolo e lui semplicemente non voleva dirle. Era già strano che le raccontasse tutte quelle cose, alcune neppure scritte sui libri degli uomini che parlavano di elfi. Gli occhi di Lewel brillavano ardenti e rapiti ad ogni parola ed era magnifico sentirgli uscire dalla bocca i suoni dolci e melodiosi della sua lingua. Kathe rifletté che il mondo aveva perduto un grande tesoro con la scomparsa degli elfi ma forse qualcosa stava cambiando. Solo quando giunsero all'interno del boschetto di betulle e trovarono Klod e Celia comodamente seduti su un tronco coperto di muschio, si resero conto che Lewel non aveva ancora smesso di parlare dopo l'iniziale domanda di Kathe. L'elfo tossì imbarazzato e smontò di sella aiutando Kathe a scendere. La ragazza sorrideva misteriosamente e i fratelli si guardarono con sguardo interrogativo.

- Scusa, io di solito non parlo tanto - disse semplicemente Lewel fissando i suoi occhi neri in quelli grigio azzurri di Kathe.

- Forse è perché sei lontano dalla tua casa - disse Kathe incapace di distogliere lo sguardo da quel volto dalla pelle perfetta. Lewel le lasciò andare la vita su cui aveva messo le mani per farla scendere e si rabbuiò improvvisamente in volto. Kathe notò quel cambiamento repentino ma non seppe spiegarselo.

- Volete accomodarvi e mangiare? - domandò Celia indicando gli zaini sui quali poggiavano fette di pane, formaggio rosso, frutta e due borracce di birra.

- Eccomi! - Kathe corse e si sedette per terra afferrando pane e formaggio. Anche Lewel, dopo aver legato i cavalli, mangiò pensieroso. Dopo la loquacità precedente quel comportamento sembrò a Kathe alquanto strano.

- Speriamo di non fare altri incontri - sospirò Klod. Per giungere il prima possibile a destinazione ,Lewel aveva suggerito la strada più rapida ma più pericolosa, loro per il ritorno contavano di deviare a ovest e raggiungere la Strada del Sole, un'ampia pista frequentatissima che li avrebbe ricondotti a casa senza problemi anche se molto più lunga.

- Mancano solo quattro giorni al momento in cui ci separeremo e fra due giorni incontreremo il villaggio di Roccalbegna, lì potremo riposare e dormire in una locanda decente - disse Lewel accomodandosi il mantello sulle spalle ampie. Celia aveva notato che in viaggio teneva sempre il cappuccio alzato.

- E' stata una scelta giusta quella di spedire un messaggero ai nostri genitori. Staremo fuori per più di un mese - disse Kathe dopo qualche momento di riflessione. Klod e Celia annuirono.

- Sarà meglio trovare un posto riparato per dormire - suggerì Lewel guardandosi intorno.

- Fra poco il terreno inizierà ad incresparsi formando le pendici del Monte Amiata e molte caverne poco profonde costellano le sue colline - disse Celia indicando l'orizzonte ondulato - Se spingiamo un po' i cavalli ci arriveremo prima di notte - aggiunse, e una nota di sconforto uscì dalle labbra di Kathe. Gli altri iniziarono a ridere e un sordo battito di zoccoli al galoppo dilagò per la piana.

I cavalli mantennero un passo costante e quando il sole tramontò a ovest giunsero in vista delle prime alte colline rocciose. Avvicinandosi sempre più Lewel notò alcune macchie scure sulle pareti delle montagnole e intuì che fossero le bocche delle caverne a cui aveva accennato Celia. Quella ragazza sembrava aver viaggiato molto più di quello che lasciava intendere e poi, secondo quello che gli aveva riferito Sir Mark, lei era una delle allieve preferite dell'Alto Chierico di Torap ed era stata scelta per diventare Chierico Cavaliere già da piccola. Sapeva che i chierici avevano un modo particolare per riconoscere i bambini che non si sarebbero fermati al semplice rango di Cavalieri nel Terzo Ordine ma che si sarebbero spinti oltre accedendo a quella speciale categoria di chierici che faceva di quei giovani degli eletti leggendari. Perfino gli elfi conoscevano alcuni Chierici Cavalieri e conoscevano e rispettavano profondamente il loro potere e i loro valori puri. Quei tre fratelli erano veramente un terzetto stravagante.

- Ci siamo quasi, facciamo rilassare i cavalli - disse Celia cambiando il galoppo in un trotto veloce. Anche gli altri si adeguarono e ben presto l'unico suono udibile era l'ansare profondo dei cavalli.

- Conosco alcune caverne alla base del canalone che si addentra nella catena del Monte Amiata e possiamo fermarci lì - suggerì Celia accarezzando il collo sudato della sua cavalcatura e pronunciando alcune parole sommesse.

- Per noi va bene - disse Klod - Basta che non siano infestate dai briganti, non ho voglia di combattere prima di cena -

- Appoggio appieno la mozione del giovane guerriero - disse Lewel in uno strano linguaggio formale, tanto che i tre fratelli si voltarono per osservarlo.

- Più ci conosciamo e più mi convinco che non sei un messaggero elfo comune - disse Kathe socchiudendo gli occhi sospettosa ma Lewel distolse lo sguardo e i neri capelli gli ricaddero sul volto impedendole di vedere la sua reazione. Era leggermente più basso e snello di Klod ma nel complesso era abbastanza muscoloso. Sapeva usare le armi ma le sue mani dalle dita lunghe e forti ma senza calli dimostravano che non era certo un guerriero e poi, non aveva detto lui stesso che 'spesso doveva combattere i propri nemici con le parole'?

- Ecco l'imbocco del canalone - proferì Celia - Deviamo leggermente a sinistra e dirigiamoci verso quel costone esposto di roccia, sotto c'è una caverna abbastanza grande che i Cavalieri usano spesso durante i loro spostamenti.

- Vedo che sei già stata qui - disse Klod battendo una mano sulla spalla della sorella.

- Sì, in occasione di alcuni controlli sull'agricoltura e per due processi - rispose la ragazza - io facevo sempre parte della scorta o accompagnavo un Chierico Cavaliere e lo assistevo durante i processi -

- Hai viaggiato molto - Kathe espresse quel pensiero più come un dato di fatto che come una domanda. Celia era stata la prima fra i tre fratelli a partire per la sua destinazione ed era giusto che fosse la più esperta.

- Siamo quasi arrivati - disse Celia. Sotto il naturale tetto roccioso c'era solo tenebra e l'ampia entrata nera della caverna sembrava una bocca gigantesca spalancata in un urlo muto. Il quartetto si fermò sotto il costone e Celia scese apparentemente cercando qualcosa. Sparì nell'ombra scura e pochi istanti dopo una fiamma scarlatta bruciava in un braciere posto su un treppiedi all'inizio della caverna. La luce gialla e rossa illuminava un ampio spazio che si apriva in profondità nella piccola montagna. Gli altri la raggiunsero e notarono l'interno della grotta arredato con mobili semplici fatti di canne di fiume. Klod si meravigliò che ci fossero ancora, infatti la caverna era aperta a tutti e i ladri potevano aver fatto razzia. Al centro una grande buca circondata da grossi sassi delimitava il posto del fuoco e una dispensa di canne a tre ante conteneva vettovaglie e cereali secchi, cibo essiccato, sottolio e sottaceto. Incassate nella parete più lontana c'erano molte tavole di robusto legno scuro, sopra le quali poggiavano giacigli di paglia spessa.

- Ma come può esserci ancora tutta questa roba? - domandò esterrefatto Klod osservando piatti, posate e bicchieri di legno e le cibarie ordinatamente sistemate.

- Perché qui dimorano i Cavalieri - la risposta di Lewel meravigliò Celia che si voltò verso di lui. Negli ultimi giorni l'elfo aveva parlato pochissimo e sentirgli fare un'asserzione del genere l'aveva scioccata non poco.

- E' vero - ammise semplicemente la chierica dirigendosi verso la catasta di legna appoggiata alla destra dell'entrata e prelevandone alcuni tronchi di svariate misure.

- Io sistemo i cavalli e li striglio a dovere - Klod uscì dalla caverna e presto i rumori dei finimenti che tintinnavano si mescolarono al crepitare del fuoco. Kathe si sedette su uno dei letti incastrati nella parete e iniziò a frugare nel suo zaino togliendone un libro dall'aspetto molto pesante e iniziando a leggerlo con rapita attenzione mentre Lewel rovistava fra le provviste lasciate dai Cavalieri. Finalmente stasera avrebbero mangiato qualcosa di caldo.

- Proporrei fagioli, piselli e carne secca speziata, fette di pane con formaggio fuso, che ne dite? - chiese Celia aprendo la dispensa.

- Birra! - la richiesta di Klod giunse ovattata da fuori.

- Certo, mio giovane guerriero - rispose la sorella sempre con tono allegro prelevando dalla credenza due sacchi di tela, una scatola di legno e due grandi pentole di terracotta.

- Aspetta, ti aiuto - Lewel prese piatti, bicchieri, posate e depose tutto su un lungo tavolo basso davanti al cerchio di fuoco, senza sedie visto che si stava seduti per terra. Celia lanciò un’occhiata fugace all’elfo che sembrava a proprio agio con la cucina. La cena venne preparata in fretta e un profumino penetrante raggiunse Klod ancora alle prese con i cavalli. I piselli stavano cuocendo con la carne speziata e i fagioli bollivano pigramente mentre il formaggio sulle fette di pane nero messe sulle rocce calde fondeva lentamente.

Tutto fu un successo e i quattro si distesero sfiniti a terra massaggiandosi la pancia gonfia. Il fuoco ardeva ancora nel cerchio di pietre e il tepore li faceva quasi sembrare a casa, nella sala da pranzo del castello di Torap. Celia rivide sé stessa e i fratelli che da piccoli si rincorrevano nella grande stanza ed ebbe una fitta di nostalgia al petto.

- Dovrebbero abolire le gallette - disse Lewel - I viaggiatori dovrebbero poter contare più spesso su posti come questo. Anche se, ammetto, solo l'Ordine può avere la bontà di regalare tutto questo -

- Ma noi non regaliamo niente! - esclamò Celia alzandosi a sedere - Noi paghiamo quello che prendiamo! - e così dicendo si riempì il boccale di birra.

- Davvero? - Klod distese le braccia e le piegò sotto la testa.

- Sì, incontreremo un Cavaliere o un Monastero e pagheremo il dovuto a loro. Il Cavaliere si occuperà di consegnarlo ad un Monastero - Celia spiegò tutto come se fosse ovvio.

- Ma si deve essere troppo onesti per fare una cosa del genere! - esclamò Kathe, stranamente silenziosa negli ultimi giorni.

- Per ora tutti coloro che hanno usato rifugi come questo hanno pagato, prima o poi - disse orgogliosa Celia, in effetti lei si fidava forse un po' troppo del genere umano ma in fondo era un Chierico, e così veniva insegnato

- Prima o poi? - domandò Klod alzandosi con un boccale di birra e dirigendosi verso un letto.

- Ovviamente non è facile trovare qualche Cavaliere che torna ad un Monastero e a volte doversi recare in una città che ne ha uno può far perdere un profitto ad un mercante, così i pagamenti arrivano anche a distanza di anni ma tutti hanno pagato, finora - la giovane chierica ammiccò con malizia.

- Ma come fate a sapere che tutti pagano? - chiese Lewel curioso.

- Non importa che paghino proprio tutti, l'importante è che le offerte per l'utilizzo di un rifugio coprano le spese e così c'è chi lascia una moneta di rame e chi dieci d'oro - Celia mimò i piatti di una bilancia con le mani che ondeggiavano in alto e in basso.

- Siete proprio strani - ammise l'elfo sorridendo. Si alzò, si scosse la tunica nera impolverata e si distese su un letto.

- Per ora ha funzionato - constatò Celia raccogliendo le vettovaglie sparse sul tavolo.

- Magari noi tre, in futuro potremmo... non so come dirlo - iniziò Kathe - Potremmo creare una specie di catena di rifugi. Grandi capanne o case di legno, che forniscano vitto e alloggio, come le locande ma non così grandi, e scegliere una famiglia che le gestisca in nostra vece, e il profitto annuale andrà una parte alla famiglia che lo gestisce e una parte a noi - Kathe tentennò per tutta la spiegazione alla ricerca dei termini adatti con cui voleva esporre il suo progetto. Gli altri tre la guardarono a lungo fissando lo sguardo sulla sua figura snella che andava avanti e indietro, rimuginando ancora.

- Che idea strana - disse infine Klod alzando un sopracciglio - Cioè noi saremo proprietari, diciamo, di dieci locande nella nostra contea ma sarebbero delle famiglie a gestirle per noi e il nostro unico compito sarebbe di passare a ritirare i profitti? Ma chi vuoi che accetti un simile compromesso? - eppure più ci pensava più le cifre di guadagno crescevano a dismisura, con il crescere delle locande che potevano costruire in tutto il paese. Anche Celia e Lewel realizzarono che il progetto di Kathe, non solo era attuabile ma poteva rendere moltissimi soldi. La maga stava ancora camminando e non si era resa conto del cambiamento di espressione degli altri, così la voce profonda di Lewel la riportò improvvisamente alla realtà.

- Credete che la gente riuscirà ad accettare gli elfi? - domandò improvvisamente l'elfo.

- Se sono tutti come te non avrete problemi - la risposta di Kathe giunse evasiva e distratta, infatti lei stava ancora pensando alla sua idea e non si era resa effettivamente conto di quello che aveva detto. L'elfo la guardò socchiudendo gli occhi per cercare di capire dove stesse l'offesa nelle parole appena dette dalla maga ma il sorriso di Celia lo rassicurò che Kathe aveva voluto fargli solo un complimento inaspettato. Anche Klod stava osservando la sorella con curiosità, non era da lei fare simili valutazioni apertamente.

- Io sono sfinita, Kathe, fai tu il primo turno di guardia? - disse Celia proponendo la sorella ben sapendo che amava studiare fino a tardi quel suo grande libro di incantesimi. Kathe annuì distrattamente riordinando la tavola con sguardo assente.

La giovane maga si sedette all'entrata della caverna, vicino al braciere, con gli orecchi tesi verso l'esterno e i rumori della notte e gli occhi puntati sul libro.

Era già un'ora che studiava ininterrottamente così decise di fare una pausa, si alzò e si sedette davanti al fuoco al centro della caverna prelevando una spazzola di legno dal suo zaino. Cercò pazientemente di sciogliere il nodo dispettoso della treccia e dopo qualche minuto di lotta riuscì a toglierlo con un sospiro di soddisfazione. Lewel osservava la scena rapito, disteso su un fianco, svegliato dai movimenti un po' sbadati della giovane. Kathe sciolse la treccia e i capelli biondo chiaro restarono separati in tre ciocche, così lei impugnò decisa la spazzola e con pochi colpi la chioma splendette magicamente contro il fuoco, avvolgendola come un manto scarlatto. I lunghi capelli toccavano terra, così Kathe fu costretta ad alzarsi per poterli spazzolare completamente. Il fuoco creava strane ombre sul suo viso delicato e Lewel si sorprese a ripensare ad ogni frase, ogni singola parola, ogni sorriso, che lei gli aveva fatto mentre il suo cuore batteva incontrollato. La tunica azzurra ricamata frusciava debolmente e la spazzola fra i capelli scivolava come un remo nell'acqua di un fiume. Kathe alzò improvvisamente gli occhi incontrando quelli neri dell'elfo che la fissavano intensamente. Lewel non si mosse e Kathe si raddrizzò, guardandolo a sua volta; la spazzola continuava a districare i nodi fra i capelli.

I suoi occhi, dolcissimi per la prima volta, si spalancarono ad un tratto terrorizzati e, come in un sogno, Lewel vide la punta di una freccia insanguinata spuntare dal suo torace inarcato. La giovane maga cadde all'indietro e Lewel, pur scattando, non riuscì a raccoglierla, così il suo corpo si accasciò a pochi centimetri dalle sue mani protese.

- Celia! - il suo urlo riecheggiò potente svegliando i due fratelli. La giovane scattò a sedere sul letto e dopo qualche secondo si rese conto del corpo inerte fra le braccia dell'elfo, i capelli sciolti, le mani abbandonate. Klod impugnò la spada e si diresse verso la sorella mentre Celia prendeva la spada e lo zaino con le erbe.

Nell'istante in cui entrambi giungevano accanto al fuoco, quattro figure ammantate di scuro entrarono nella caverna. Klod e Lewel si gettarono sui nuovi venuti, buoni o cattivi, qualcuno doveva pagare per quella freccia! Le lame d'acciaio balenavano rapidamente cozzando e stridendo. I quattro sembravano semplici briganti ma al grido - Ammazzate l'elfo bastardo! - capirono che l'obiettivo era la scatola.

Così uno sguardo solo passò fra Klod e Lewel e i due rinnovarono gli sforzi avendo il vantaggio di occupare la bocca della caverna. Un brigante si portò le mani al petto e con un gorgoglio disperato cercò di togliere la lama di Lewel dalle sue carni trafitte ma cadde riverso all'indietro privo di vita. Dal varco aperto passò una freccia che si conficcò nella spalla sinistra di Klod, che con un ringhio sordo si strappò l'asta dalla carne ma la distrazione permise al brigante di affondare la sua lama nel fianco esposto del giovane. Klod strinse i denti per non svenire dal dolore e impugnò la spada con due mani trapassando il brigante dall'alto, conficcandogli la lama nella schiena. L'assassino spalancò la bocca e un fiotto di sangue caldo si riversò sulle gambe di Klod, provocandogli una smorfia di disgusto. Con i gomiti uniti spinse via il cadavere e la lama uscì con uno stridio agghiacciante sfregando contro l'osso del fianco.

- Se continui così non ti resterà più sangue per sopravvivere - ghignò Lewel vedendo il sangue uscire copioso dalle due ferite del giovane. Il braccio mancino eseguì un semi cerchio perfetto e la spada si conficcò di taglio nel collo dell'avversario recidendoglielo quasi di netto.

- Eh già, hai ragione - sentenziò Klod stringendosi il fianco dolorante - Ma dove sono questi arcieri così precisi? - chiese quasi implorando e immediatamente dovette fronteggiare un altro brigante.

Celia si era estraniata dalla battaglia alle sue spalle e aveva prestato tutta la sua attenzione alla sorella. La freccia l'aveva attraversata come un coltello caldo fa con il burro e adesso la punta usciva orrendamente da suo petto che si alzava e abbassava sempre più debolmente. Presa dalla disperazione decise di provare a farle un incantesimo risanatore, così, con le lacrime agli occhi, mormorò la preghiera e posò le mani sulla tunica di Kathe, poi, quando il battito riprese un po' più forte, distese la sorella per terra e spezzò la punta della freccia. Kathe emise un grido e svenne di nuovo. La girò ed estrasse l'asta libera dal suo uncino. Appena la tolse il sangue uscì copioso, come se avesse tolto il tappo. Raggomitolò un po' di tessuto della tunica e lo premette con forza sul foro, il pallore scomparve dal volto di Kathe per far posto ad un lieve rossore. Aprì lo zaino e ne estrasse alcuni sacchettini e piccoli contenitori, mescolò qualche ingrediente e lo applicò sulla ferita alla schiena dopo aver strappato la tunica, poi prese dei pezzi di stoffa bianca e pulita e li mise sopra l'intruglio medicamentoso per evitare l'infezione. Voltò sua sorella in modo che il viso guardasse la volta della caverna, strappò la tunica anche sul davanti e osservò il disastro creato dalla freccia sulla pelle bianca e delicata. Forse le sarebbe rimasto il segno ma avrebbe avuto ancora la vita. Preparò una crema molto potente contro le infezioni e che aiutava a cicatrizzare e poi lanciò un altro incantesimo di cura pregando intensamente. La litania finì e Celia, seppur stanca, si alzò e coprì Kathe con il suo mantello, poi si voltò e vide Klod e Lewel tenere disperatamente l'entrata della caverna. Entrambi erano feriti e dalla gamba destra di Lewel spuntava l'asta spezzata di una freccia, mentre Klod sembrava aver perduto tutto il suo sangue che si allargava in una pozza ai suoi piedi. La chierica corse verso il fratello e con occhi freddi come ghiaccio mosse le labbra nell'inizio di un incantesimo che non aveva la solita inflessione dolce e gentile.

- Arrivano i nostri! -  esclamò Klod udendo la lingua della magia alle sue spalle e strizzò l'occhio a Lewel. Questi briganti sembravano non finire mai! Le parole dure e profonde del sortilegio volarono verso la lama di Klod, che si illuminò per un attimo per poi tornare fredda e liscia.

- Colpisci fratello, fai sentire il potere di una lama benedetta dagli dèi! - gridò Celia estraendo la spada e conficcandola nel terreno accanto a sé.

- C'è un arciere bastardo là fuori che si sta divertendo con noi - disse Lewel trafiggendo un altro brigante. Adesso il combattimento si era spostato fuori dalla bocca della caverna perché i cadaveri impedivano i giochi di gambe, senza i quali non si poteva duellare.

- Adesso vediamo che si può fare - la chierica pronunciò poche rapide parole e una sfera luminosa apparve a circa venti metri dall'entrata della caverna illuminando tutto nel raggio di quaranta metri. Celia individuò l'arciere e si concentrò per fare un altro incantesimo, se avesse fallito avrebbe dovuto raggiungerlo a piedi e ammazzarlo. Nient'altro avrebbe placato la sua rabbia.

Klod calava fendenti come mietesse grano e la lama sembrava causare un danno maggiore del solito, le ferite erano più profonde e il sangue usciva copioso, mentre Lewel faceva danzare abilmente la sua spada mancina amputando e recidendo con grazia letale. Le dure parole dell'incantesimo fluttuavano decise alle spalle di Lewel e l'elfo sentì dalla loro inflessione che l'effetto non sarebbe stato benefico come al solito. Un'ultima, secca parola pose fine alla litania e il potere uscì da lei come in una cascata inebriante dirigendosi verso il bersaglio. L'arciere si stava preparando a scoccare un'altra freccia ma all'improvviso si bloccò come pietrificato. Celia sorrise soddisfatta e, anche se Klod e Lewel non avevano visto assolutamente niente dirigersi verso l'arciere, gioirono nel vederlo immobilizzato e aumentarono gli sforzi. Anche Celia disincagliò la spada dal terreno e si gettò nella mischia menando fendenti precisi e letali. I tre spadaccini riuniti, mossi dallo stesso istinto crudele e vendicatore, sgominarono presto la banda di briganti e la battaglia terminò improvvisamente come era cominciata quando, guardandosi intorno i tre videro solo cadaveri orrendamente sfigurati e mutilati e un lago di sangue.

- Ma come, sono già finiti? - chiese Klod con sarcasmo piantando la punta della spada in terra, inginocchiandosi e sorreggendosi ad essa. Davanti alla caverna giacevano dodici cadaveri.

- Vieni dentro, voglio darti un'occhiata - disse Celia perentoria al fratello osservandolo con occhio critico - Ed anche tu - aggiunse voltandosi verso Lewel. La tunica nera camuffava il sangue ma l'asta della freccia era ancora piantata saldamente nella sua coscia.

- Preoccupati di tuo fratello, io torno subito - disse solo, rinfoderò la spada ancora insanguinata e prese l'arco e la faretra fissati alla sella del cavallo.

- E quello? - chiese Klod gettando uno sguardo all'arciere ancora nella sua grottesca posizione da statua.

- Non preoccuparti resterà così per molto tempo, ce ne occuperemo dopo - disse Celia, si voltò per richiamare Lewel e dirgli che le ferite si infettano presto ma l'elfo era scomparso.

- Che strano tipo vero? - Klod si rialzò con fatica aiutato da Celia, il sangue sull'armatura macchiò la tunica azzurra.

- Uno strano tipo che si sta interessando a tua sorella in un modo molto preoccupante - aggiunse Celia attraversando l'entrata della caverna e stendendo il fratello sul basso tavolo. Klod alzò un sopracciglio, sorpreso.

- Credo che soffrirai un po' - la chierica prese lo zaino e cominciò ad estrarre vasetti, boccette, sacchettini dall'odore sgradevole - Purtroppo ho esaurito tutti gli incantesimi di cura per Kathe e con te dovrò usare ago, filo e unguenti - Celia sorrise malignamente estraendo un piccolo ago ricurvo da una scatolina di legno nero, il metallo brillò minaccioso alla fiamma del fuoco.

- Oh no! Quelle poltiglie che fai puzzano e bruciano da morire e i punti lasciano le cicatrici! - Klod fece per alzarsi ma un dolore lancinante alla spalla lo costrinse a ridistendersi.

- Adesso vedremo quanto sei uomo - Celia iniziò a disinfettare le ferite e poi passò alla cucitura, lenta e dolorosa. Grida acute si mischiavano a risatine canzonatorie, mentre Celia cuciva come un'esperta sartina e con un occhio osservava il lento gonfiarsi del torace di Kathe. Lewel rientrò dopo circa un'ora con il volto oscurato e statico. Klod dormiva sul suo giaciglio mentre Celia stava preparando qualcosa da mangiare. La ragazza abbandonò tutto e obbligò il giovane elfo a farsi curare. Non una sola parola corse fra i due ma gli sguardi frequenti che entrambi rivolgevano a Kathe chiarivano tutto.

- Ora vado a prendere il nostro ospite, forse sapremo qualcosa di più su tutta questa storia. Ma cosa contiene quella scatola? - chiese Celia guardando Lewel negli occhi.

- Non lo so - gli occhi di lui restarono fermi mentre rispondeva, nere profondità misteriose.

- Aiutami - disse Celia alzandosi e dirigendosi all'esterno per trascinare l'arciere nella grotta. L'uomo pesava enormemente ma alla fine riuscirono a portarlo dentro.

- Fra poco dovrebbe svegliarsi, aspettiamo che si renda conto di dove è - consigliò Celia legandolo saldamente al tavolo basso con un sorriso tirato. Lewel sedeva pensoso su un giaciglio accanto a quello di Kathe e la guardava spesso. I suoi capelli, il suo volto minuto e pallido, la mani delicate e sottili, la bocca rosa e carnosa, il petto che si alzava sotto il soffio della vita.

- Appena giunti al villaggio di Roccalbegna voi farete immediatamente ritorno a casa e io procederò da solo. La situazione si fa troppo pericolosa ed io voglio consegnare questa scatola al più presto. Verrete pagati per il servizio che mi avete reso, i soldi saranno nelle casse del Monastero di Albany al più tardi la prossima settimana - Celia osservò lo sguardo fisso sul fuoco di Lewel e non replicò sulla sua decisione, sarebbe stato meglio per tutti. Probabilmente Kathe si sarebbe svegliata tra qualche giorno e Roccalbegna era al massimo a due giorni di viaggio. Le nere pupille di Lewel tornarono a fissare il volto di Kathe e i capelli caddero in avanti scoprendo i suoi orecchi appuntiti. Celia lo osservò e stabilì che la decisione presa da Lewel era la più giusta, un elfo e un'umana non potevano vivere felici. Gli elfi vivevano una vita molto più longeva degli esseri umani, e Lewel avrebbe visto invecchiare Kathe senza poter fare niente.

Deboli gemiti sommessi li distrassero dalle loro riflessioni e entrambi si sedettero per terra di fronte all'arciere. Trascorsero diversi minuti prima che l'uomo si riprendesse completamente ma poi gli occhi astuti saettarono tutt'intorno, soffermandosi rapidamente sulle corde che lo legavano e infine sui due tizi comodamente seduti davanti a lui. L'elfo, tutto nero, somigliava ad uno spettro vendicatore e la ragazza aveva uno sguardo duro e deciso.

- Bentornato - la voce della ragazza ruppe il silenzio - Tu sai cosa vogliamo da te -

- Sì, ma non posso dirvi niente, perché non so niente - sorrise l'arciere con voce ancora impastata.

- Ma davvero? - il tono della ragazza divenne duro e tagliente.

- Qualcuno ha ingaggiato il nostro capo per recuperare una scatola in mano ad un elfo - disse semplicemente l'arciere tirando su col naso. Gettò uno sguardo oltre le spalle dei suoi carcerieri ma vide solo la tenebra esterna.

- E dov'è il tuo capo? - chiese l'elfo in nero muovendo appena le lebbra. L'arciere non aveva mai visto un elfo, così lo osservò un po' più attentamente, forse non gli sarebbe più capitata l'occasione, notando il taglio leggermente obliquo degli occhi, gli orecchi appuntiti, il fisico snello e atletico.

- Era con noi - rispose il brigante osservando con gioia la reazione immediata di rabbia dell'elfo. Probabilmente tutti i suoi compagni erano morti. Che strana compagnia quella... due ragazzine, un ragazzino e un elfo avevano sgominato una banda di tredici briganti addestrati? L'arciere pensò che forse non erano quelli che si era immaginato.

- I tuoi compagni sono tutti morti - disse solo Celia alzandosi con un sospiro. Questo tizio non sapeva davvero niente. Osservò lo sguardo truce di Lewel e si immaginava già come sarebbe andata a finire.

- Significa che tu non ci servi più - Lewel si alzò agilmente in piedi. Celia era stupita per la rapidità con cui si era ripreso. Il suo pensiero corse subito ai fratelli: Kathe e Klod dormivano sotto l'effetto di uno sciroppo calmante e le bastò uno sguardo per capire che stavano meglio.

L'arciere avrebbe fatto un passo indietro se avesse potuto per sottrarsi a quegli occhi neri e duri come la pietra.

- Sei stato tu a lanciare tutte le frecce vero? - chiese con tono tagliente e secco. L'arciere annuì e notò lo sguardo dell'elfo farsi vacuo. Lewel prese da terra un sacco che aveva contenuto i fagioli e lo cacciò con forza in bocca al prigioniero, poi slegò i nodi che lo tenevano al tavolo e lo trascinò fuori reggendolo per i giri di corda, tutto sotto lo sguardo afflitto di Celia che non era abituata a uccidere senza motivo ma forse Lewel un motivo ce l'aveva. Così si girò e tornò dai suoi fratelli mentre un grido penetrante fendeva la notte, seguito da un silenzio opprimente e da passi ovattati che rientravano nella grotta. Celia levò una preghiera e socchiuse gli occhi, stanca.



Il villaggio di Roccalbegna era un crocevia di mercanti e mandriani, che lo usavano come postazione di riposo, infatti le locande abbondavano e i prezzi erano abbastanza bassi. Celia, Klod e Lewel scelsero una locanda e sistemarono subito Kathe che, ancora sotto gli effetti degli intrugli che Celia aveva continuato a somministrarle, dormiva beatamente. La mattina dopo la dura lotta alla caverna, Celia aveva trovato una lettiga da attaccare al cavallo per trasportare Kathe. Lewel doveva aver fatto tutto mentre lei dormiva.

I tre ora sedevano nella sala da pranzo sorseggiando caldo vino speziato e sbirciando ogni tanto gli altri avventori. Celia aveva usato ancora la magia per curare le ferite dei tre compagni ma Klod aveva perduto molto sangue e Kathe era meglio che dormisse ancora un po'. Lewel si era ripreso completamente e aveva già preparato tutti i suoi bagagli, intenzionato a partire a metà mattinata. Non aveva più parlato molto e gli sguardi interrogativi di Klod dimostravano che il suo comportamento destava sospetti.

Lewel si alzò e dopo aver guardato i due fratelli uscì dalla locanda, un'ombra nera che aveva attraversato le loro vite, dimostrando che le razze potevano ancora vivere insieme se ci si rispettava gli uni gli altri. Il mondo doveva rendersi conto che con gli elfi sarebbe stato più completo, rimarginando quella ferita dimenticata ormai da tutti, che si diceva sanguinasse ancora fra loro, e magari la stessa cosa dicevano gli elfi degli umani…

- Ce la farà? - domandò Klod poggiando i gomiti sul tavolo.

- Non è un elfo comune - annuì Celia - In lui c'è qualcosa di dignitoso e potente ed è molto carismatico. Forse è un mago, o forse ci siamo imbattuti in un personaggio di spicco della politica elfa, un dignitario, un soldato di alto rango, o altro, non saprei -

- Hai notato l'anello? - domandò Klod massaggiandosi la spalla dolorante.

- Quale anello? - Celia si voltò con espressione stupita.

- Mentre combattevamo all'entrata della grotta l'altra notte qualcosa è uscito da sotto la sua tunica nera - spiegò Klod - L'ho notato perché brillava, così ho visto che era una catenina appesa alla quale c'era un anello d'oro con uno strano fregio e una pietra che sembrava un diamante - Klod allargò le mani evidenziando che quello era tutto.

- Sapresti disegnare il fregio? - chiese Celia speranzosa, forse il loro misterioso amico avrebbe avuto un'identità più netta.

- Penso di sì, ma dovrei farlo subito, altrimenti la memoria mi giocherà brutti scherzi, dopo tutto l'ho visto solo per pochi attimi - Celia scattò in piedi e corse al piano superiore a prendere pergamena e carboncino. Tornò al tavolo e trovò Klod intento a consumare una seconda colazione piuttosto sostanziosa per l'ora.

- Avanti fratello, dimostrami le tue capacità pittoriche - propose Celia osservandolo avidamente mentre impugnava il pennino e nella sua mente prendeva forma un piano per il futuro prossimo. Klod tracciò linee e curve, delineando uno schizzo approssimativo dell'anello. Il giovane riprovò più volte, ricominciando sempre dall'inizio, finché non fu soddisfatto e il disegno ebbe un aspetto pulito.

- Bene - Celia arrotolò le pergamene, anche quelle che Klod aveva scartato e in cui aveva disegnato l'anello da diverse angolazioni, e ritornò in camera mettendole al sicuro.



Celia aveva fatto in modo che Kathe dormisse tranquillamente fino alla partenza dell'elfo, anche se effettivamente avrebbe preferito svegliarla la mattina dopo l'agguato in modo che la circolazione riprendesse immediatamente. Verso mezzogiorno la svegliò con l'aiuto di un sale dall'odore acuto e penetrante. Kathe si riprese subito e volle mangiare. La sua vocetta acuta si fece sentire presto e Klod fece in modo di trovarsi sempre indaffarato, nella ricerca delle provviste, nuovi ferri per i cavalli, erbe per Celia. E così Celia dovette rispondere alle decine di domande della sorella che desiderava sapere tutto quello che era accaduto da quella notte e la chierica raccontò tutto, eliminando le sue osservazioni personali su Lewel, della battaglia, del valore di Klod, dell'arciere, della lettiga costruita dall'elfo, del viaggio fino a Roccalbegna e della partenza affrettata di Lewel.

- Se ne è già andato? - domandò sconsolata Kathe posandosi una mano sul petto ancora dolorante.

- Sì, ha detto che era diventato troppo pericoloso coinvolgerci e ha deciso di tornare al più presto in patria e consegnare la scatola al suo Re - Celia la osservò rattristarsi, forse anche lei si stava affezionando al giovane elfo. Era stato meglio che lui se ne fosse andato quella mattina, sicuramente da qualche parte c'era un uomo tanto ardito da permettersi sua sorella! Kathe spostò lo sguardo oltre la finestra della stanza, fissando il cielo azzurro.

- Non ce la farò mai a tornare alla Scuola in tempo - era un'asserzione più che una domanda e Celia fu contenta che se ne rendesse conto da sola. Adesso non poteva certo cavalcare, doveva riposare e rimettersi in forze.

- Klod e io avevamo pensato di tornare al Monastero di Albany, visto che il denaro guadagnato si trova tutto là, e potremmo trattenerci un po', che ne dici? - Celia sussurrò quasi le ultime parole pregando che Kathe accettasse senza riserve, doveva recuperare, non poteva portarla a casa in quelle condizioni anche se per lei sarebbe stato un tormento. La giovane maga riportò lo sguardo alla realtà al solo nominare il Monastero. Pensò subito alla biblioteca e alle immense opportunità che questa le forniva e all'isolamento e alla tranquillità del luogo.

- Per me va bene, ormai non riuscirò a rientrare nel corso primaverile, così tanto vale occupare il tempo in altro modo - Kathe sospirò, si distese nel letto caldo e posò la testa sul cuscino. Chiuse gli occhi e il respiro diventò debole e regolare. Celia si alzò lentamente dal bordo del letto dopo qualche minuto dirigendosi silenziosamente alla porta.

- Lo sai che quella notte Lewel mi stava osservando? - le parole le giunsero appena ma Celia le comprese perfettamente. Sospirò, aprì la porta e uscì, preferendo non rispondere e facendo finta di non aver sentito, forse neppure Kathe si sarebbe ricordata di aver detto una cosa del genere.

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Capitolo 8
*** Un nuovo compagno ***


8. Un Nuovo Compagno


Anche se la primavera era ormai arrivata, la fredda aria montana si addolciva solo nelle ore più calde della giornata. La vita del Monastero era monotona ma ricca di impegni. I tre fratelli si adeguarono presto e mentre Klod e Celia si esercitavano nella sala d'armi, Kathe trascorreva tutto il suo tempo nella biblioteca, spesso osservata discretamente da Sir Mark. La giovane aveva una vera e propria passione per la cultura in generale e per l'arcano in particolare, soprattutto per gli oggetti magici.

La sera del loro arrivo i tre giovani trascorsero la notte a raccontare quello che era accaduto a Sir Mark, dell'imboscata alla grotta e della decisione dell’elfo di ritornare immediatamente a casa senza esporli più a simili pericoli. Celia omise i suoi sospetti sui veri sentimenti dell'elfo ma osservò sua sorella con apprensione cercando di interpretare i suoi stati per determinare se la causa della sua tristezza fosse la mancanza dell'elfo. Ma niente le lasciò sospettare che Kathe si fosse innamorata di Lewel. Sir Mark ascoltò tutto con pazienza facendo attenzione a non lasciar trapelare niente del nervosismo che lo affliggeva dall'istante in cui erano tornati.

Una settimana dopo un messaggero elfo, di notte, consegnò la loro ricompensa a Sir Mark e ritirò alcuni oggetti che erano stati commissionati ai Cavalieri. La mattina seguente Sir Mark convocò i tre fratelli e gli consegnò uno scrigno di ferro scuro, chiuso da un lucchetto.

- Qui dentro ci sono le ricompense dei vostri due viaggi - disse il Cavaliere sorridendo alla vista dei volti soddisfatti dei ragazzi. Dopo tutto era la loro prima missione, e anche lui ricordava con gioia l'emozione provata toccando le lucenti monete d'oro della sua prima ricompensa.

- Aprila - disse Klod rivolto alla sorella più grande. Celia prese lo scrigno, lo posò sulla scrivania e, dopo aver raccolto la chiave, aprì il cofanetto. Sir Mark osservò i loro volti illuminarsi e gli sembrò quasi di intravedere i loro pensieri ed i desideri che avrebbero soddisfatto con quella piccola fortuna.

- Bene sorelle - esclamò Klod - Credo sia ora di ritirarci per dividerci il bottino - il giovane chiuse lo scrigno rapidamente e fuggì letteralmente dallo studio come una saetta seguito da Kathe.

- Vi ringrazio per la premura che avete nei nostri confronti e per l'ospitalità che ci state dando - Celia fece un lieve inchino abbassando lo sguardo, poi si voltò.

- Aspetta Celia, non andare - Sir Mark la raggiunse prendendola per le spalle. Lei si irrigidì come un pezzo di legno.

- Perché sei così scontrosa e fai finta di non conoscermi? - Sir Mark la voltò lentamente cercando di guardarla negli occhi ma lei teneva lo sguardo basso. Sospirò e si passò una mano fra i capelli scuri.

- È questo ciò che siamo, due sconosciuti. Tu sei un Cavaliere e io sto studiando per diventarlo - rispose Celia a bassa voce.

-  Non sembravamo due sconosciuti a Fir Ze - sussurrò ancora lui facendola arrossire, il primo segno della giovane di cui si era innamorato.

- È stato un errore e lo sai anche te, quindi torniamo al voi se non ti dispiace - rispose lei senza guardarlo. Sir Mark osservò il suo volto basso dalle guance lievemente arrossate: era capace di usare la magia, di combattere e uccidere ma rifiutava l'idea dell'amore.

- Non hai detto niente a nessuno vero? Neanche a tua sorella - constatò dopo qualche istante il Cavaliere con rammarico.

- Non c'è niente da dire - rispose Celia secca alzando il volto e guardandolo finalmente negli occhi.

- Allora sai che i miei occhi sono qui - sorrise indicandoli con un dito - Quando ti ho visto ai cancelli non volevo crederci, speravo fossi venuta per me -

- Non dire sciocchezze! - sibilò lei - È una cosa che non si può fare, è stato un errore, sono venuta solo perché l'Alto Chierico mi ha mandato qui! - ripeté tra i denti.

- Smetti di chiamare errore ciò che proviamo - si avvicinò di nuovo sussurrando e Celia si irrigidì.

- Non starmi così vicino! - sibilò Celia facendo un passo indietro. La porta era ancora aperta, qualcuno avrebbe potuto vederli.

- Cosa temi Celia, che i tuoi sentimenti ti tradiscano? - Sir Mark restò immobile, non c'era niente di peggio che obbligare una donna a fare qualcosa che non voleva.

- Non voglio che qualcuno pensi che otterrò la carica di Chierico Cavaliere perché sto con te! Inoltre noi siamo Chierici dell'Ordine, tu sei un mio superiore, siamo lontani, non possiamo mai vederci, rischiamo la vita praticamente ogni giorno in missioni assurde, contro mostri improbabili! Amare qualcuno è un rischio troppo grande oltre che impossibile! - rispose Celia adirata, i pugni stretti e la bocca serrata. Sir Mark la fissò per un istante, solo lo scoppiettare del fuoco era udibile nella stanza.

- Non ho alcuna intenzione di rinunciare solo perché ti rifiuti di vedere le cose come stanno e scappare non annullerà ciò che sento né ciò che provi tu - dichiarò lui, Celia sbiancò e il Cavaliere sollevò un sopracciglio perplesso. La ragazza arrossì mentre lui sorrideva compiaciuto.

- Permettimi di andare - sussurrò lei tenendo lo sguardo basso. Non udì alcuna risposta così si voltò e uscì dalla stanza sentendo il suo sguardo sulla schiena. Non poteva cedere ai sentimenti, aveva accettato tutti i lavori che le aveva dato l'Alto Chierico, aveva girato mezzo Regno pur di stargli lontana, e ora dove l'aveva mandata? Ad Albany, dove lui dirigeva il Monastero...


Era ormai trascorso un mese da quel giorno, e adesso le monete riposavano tranquille nella cassaforte dello studio di Sir Mark, ben divise ovviamente. Kathe aveva esaminato tutta la biblioteca e ogni mattina sceglieva un argomento e vi si dedicava finché non ne sapeva abbastanza o finché soddisfaceva la sua curiosità. Così si era interessata di botanica, la biblioteca conteneva migliaia di volumi a causa degli studi degli erboristi, anatomia, astrologia, chimica matematica, geografia, navigazione, mineralogia, fenomeni atmosferici, storia, letteratura abbandonandosi totalmente in quel mondo infinito nascosto sotto ogni riga. Sir Mark spesso sostava sulla porta a vetri che dava sul giardino e la osservava sfogliare mille e mille pagine, prendere appunti su pergamene intingendo il pennino nell'inchiostro nero, alzarsi e scegliere un altro volume fino a che il tavolo dove studiava ne risultava coperto e lei doveva cambiare scrivania. Decine di mozziconi di candela giacevano sciolti in morbide figure cremose sul legno pregiato segno innegabile del tempo che passava. Il Cavaliere sorrideva e si dispiaceva solo che Kathe avesse scelto di dedicarsi alla magia invece di diventare Guaritrice o Storica, avrebbe svolto un ottimo lavoro.

Sir Mark partecipava ogni mattina all'allenamento quotidiano dei suoi uomini. Klod stava imparando in fretta e stava apprendendo tutte le tecniche di combattimento dei Cavalieri, come guerriero era addestrato ad imparare dal suo nemico, così ogni giorno migliorava notevolmente incamerando anche le tecniche più difficili con una rapidità strabiliante. Celia stava osservando il fratello compiaciuta, era molto più abile della maggior parte dei Cavalieri, sebbene molti fossero ancora solo allievi e svolgessero mansioni militari. Sarebbe diventato un grande guerriero adatto al comando. La giovane vide Mark ai bordi dell'arena dalla parte opposta in cui due Cavalieri combattevano selvaggiamente con lunghi bastoni di legno e il suo sguardo si rabbuiò. Aveva le braccia appoggiate al bordo di legno dell'arena e la fissava. La polvere si alzava in nuvole soffici sotto i passi pesanti dei guerrieri rendendo l'aria acre e offuscata. Si incamminò nella sua direzione.

- Buongiorno, Celia - Sir Mark piegò leggermente il capo in segno di saluto raggiungendola - Vedo che vostro fratello fa progressi - affermò usando un tono formale e osservando acutamente il giovane guerriero appoggiato alla staccionata di legno dall'altra parte dell'arena. Klod guardava avido i due combattenti al centro dell'arena, sfiorando dolcemente l'impugnatura della spada al fianco. I rossi capelli scompigliati e le brillanti gocce di sudore che gli velavano il volto indicavano che aveva combattuto fino a poco prima.

- Sì, ammetto che è bravino - ammiccò Celia soffiandosi sulle unghie e lucidandole distrattamente sulla tunica blu, felice che non avesse fatto battute sconvenienti. Sir Mark rise calorosamente.

- È bravo - acconsentì Sir Mark - Ma non facciamoglielo sapere, così si impegnerà di più e otterrà risultati migliori! - il Cavaliere spostò lo sguardo sul giovane, osservando attentamente la muscolatura asciutta ma guizzante, le spalle ampie e le mani guantate salde e decise - Vestite sempre di blu o azzurro? - notò improvvisamente Sir Mark vedendo che anche il completo di Klod era in diverse sfumature di blu.

- E' il colore di famiglia, fin da piccoli lo abbiamo sempre indossato - spiegò Celia lisciando la morbida tunica di lana lavorata. Sir Mark annuì poi si avvicinò all'orecchio di Celia.

- Il blu ti sta benissimo, riprende i tuoi occhi - sussurrò facendola rabbrividire - Perché tieni sempre i tuoi capelli legati in una treccia? Sono bellissimi e lo sai -

- Perché non si può combattere con una massa di capelli che ondeggiano di qua e di là e mi dispiace tagliarli, così li lego - Celia rispose restando immobile e con lo sguardo fisso davanti a sé mantenendo la voce ferma e neutra.

- Ho incontrato vostra sorella e mi ha detto che voleva parlarvi - aggiunse Sir Mark senza darle tempo di ribattere e tornando al tono formale. Due anni prima l'Alto Chierico l'aveva mandata a Fir Ze a seguito di Sir Reginald, un Cavaliere anziano ed esperto che fungeva da collegamento fra l'Ordine e il Duca. Celia non passava certo inosservata, gli ci vollero dei mesi solo per avvicinarla…

- Mia sorella vi ha usato come messaggero? - Celia si voltò lentamente fissando i suoi occhi scuri ed esattamente come la prima volta, un brivido l'attraversò.

- Non preoccupatevi, non è importante - Sir Mark sorrise apertamente.

- Credo non si renda conto del vostro rango, Sir - aggiunse Celia rossa in volto.

- Andava di fretta, mi ha visto e mi ha chiesto di dirvi di andare in biblioteca, sempre continuando a correre - Sir Mark osservava divertito l'imbarazzo della giovane, era deliziosa e dovette reprimere l'istinto di baciarla in mezzo all'arena davanti a tutto il Monastero.

- Con permesso, Sir - disse Celia, contenta di potersi sottrarre alle attenzioni del suo superiore. Lui annuì e Celia bordeggiò l’arena raggiungendo il fratello. Si scambiarono qualche parola e poi si diressero entrambi verso il portone ad arco che riportava nella Sala d'Armi interna.

Sir Mark osservò la coppia meditando sul rapporto intenso che legava quei tre fratelli. Insieme avrebbero compiuto imprese impossibili per la gente comune, lo sapeva, e avrebbe pagato per poter rinunciare al suo ruolo e seguire Celia. Se solo l'avesse incontrata prima.

- Kathe ti rendi conto che hai usato il Cavaliere di rango più alto di questo Monastero come messaggero? - la voce di Celia sibilava, a stento contenuta. Klod rideva di gusto seduto su una sedia. Il grande tavolo era sommerso di libri, tomi e pergamene, l'aria era satura dell'odore della polvere, del cuoio e della carta scricchiolante.

- Mah, che ne so io dei vostri ranghi? - chiese Kathe con falsa innocenza. Sfogliava un libro rilegato in pelle rossa, alzò lo sguardo sulla sorella dal volto in fiamme - E poi mi pareva di aver capito che ti avrebbe fatto piacere parlarci - disse con noncuranza mantenendo lo sguardo sul libro - Siediti, devo dirvi una cosa importante - concluse senza lasciarle il tempo di ribattere, gli occhi le brillavano intensamente. Celia si riscosse dalla sua collera e si lasciò cadere su un alto scranno.

- Alla Scuola, nei primi anni di apprendimento e esperimenti, tutti gli allievi imparano molti incantesimi, la maggior parte semplici, di difesa, di individuazione, alcuni di attacco - iniziò la giovane maga con voce bassa e pacata nel silenzio opprimente della biblioteca.

- Quando poi gli allievi, a seconda delle loro capacità, salgono di livello e iniziano a viaggiare, possono recuperare altri incantesimi, solitamente scritti su pergamena, custoditi da altri maghi o nelle tane di mostri, o semplicemente nella casa di qualche signore ricco che non ha idea del valore della cosa che possiede -

- Intendi dire che la Scuola, dopo un certo periodo, non vi insegna più incantesimi? - chiese Klod poggiando il mento sulle mani incrociate.

- Esatto fratello, la Scuola è limitata in questo senso, dato che pochissimi maghi scrivono gli incantesimi più potenti e preferiscono tenerli ben nascosti nel loro libro magico, così le pergamene sono rarissime e molto preziose - aggiunse Kathe smettendo di sfogliare il libro e fermandosi su una pagina piena di illustrazioni.

- Ma allora perché non rubi il libro di un altro mago? - domandò Klod con aria interrogativa.

- Perché, mio caro, io non riuscirei mai a leggere ciò che c'è scritto - sorrise Kathe - Ogni mago ha le sue rune personali che non possono in alcun modo essere comprese, ed anche le pergamene che si trovano, per essere capite e poi trascritte o lanciate necessitano prima di essere lette con un incantesimo speciale - spiegò la giovane maga.

- Mi sembra tutto molto complicato - Klod si passò una mano fra i capelli.

- Di cosa vuoi parlarci? Hai trovato una pergamena? - chiese Celia con sguardo sospettoso. Sapeva che la sorella era alla ricerca continua di incantesimi e di conoscenza.

- Esatto - disse solo Kathe, poi abbassò lo sguardo sul libro davanti a lei. Dopo alcuni minuti di silenzio la giovane sospirò e si rivolse ai fratelli.

- Nelle mie ricerche ho scoperto che un potente incantesimo di attacco sarebbe conservato nel Museo delle Antichità di Fir Ze - sospirò la giovane tutto d'un fiato.

- Nel Museo delle Antichità? - esclamò Klod meravigliato.

- Prima dobbiamo comunque assicurarci che sia la pergamena giusta, poi penseremo ad un modo per rubarla - propose Kathe, gli occhi che brillavano avidi.

- Rubarla? - esclamò Celia scattando in piedi.

- Ma certo! Cosa credevi? Che volessi comprarla? - disse Kathe stupita come se fosse una cosa ovvia - E' un oggetto magico che appartiene ai maghi, cosa ci fa in un museo? È giusto che un mago se la riprenda! Che ci sta a fare, tutta sola, in una teca? - aggiunse la giovane maga con un sorriso perverso. Klod sorrise, e si rese conto che la ricerca del potere magico era tutto per la sorella e non gli sfuggì neppure lo sguardo adirato di Celia che Kathe si badava bene dall'incrociare. Tre fratelli, tre strade diverse, tre caratteri.

- E questo incantesimo, se lo otterremo, ci servirà in futuro? - domandò Klod ancora scettico per quanto riguardava quel piano un po' troppo semplice.

- Oh, sì che ci servirà, vedrai da solo - annuì Kathe con vigore.

- Non posso assolutamente appoggiare questa idea Kathe - disse Celia categorica. Klod sapeva che la sorella maggiore, addestrata ai principi di onestà e onore, sarebbe stata difficile da convincere.

- Non puoi farmi questo Celia, ho bisogno di te, non mi puoi abbandonare ora! - supplicò Kathe sperando di far breccia nei princìpi saldi della sorella

- Kathe, io non ti sto facendo proprio niente, sono un Chierico, non posso rubare in un museo, mi caccerebbero dall'Ordine all'istante! - Celia non riusciva a capire come Kathe potesse chiederle di rinunciare a tutto ciò per cui aveva lottato fino ad ora.

- Ti prego sorellina, non ci abbandonare proprio questa volta - supplicò ancora Kathe, le abilità di cura di Celia erano fondamentali.

- Non usare la parola pregare invano sorella, quella serve solo con gli dèi, o hai dimenticato le lezioni? - la ammonì Celia digrignando i denti.

- Diventi orrenda quando fai quella faccia Celia, così non troverai nessun uomo e anche Sir Mark volgerà il suo sguardo altrove - la rimbeccò acida Kathe.

- Se Sir Mark sapesse perché lo hai usato come messaggero, ti sbatterebbe in prigione all'istante in attesa della Guardia Armata! - replicò Celia battendo un pugno sul tavolo ignorando l’allusione della sorella.

- Sorelle non litigate - si intromise Klod - Almeno ha un nome, questo incantesimo? - chiese sapendo che con o senza Celia sarebbero partiti alla volta di Fir Ze. Kathe annuì illuminandosi, apparentemente dimentica del diverbio con la sorella, voltò il libro nella loro direzione.

- Palla di Fuoco - l'immagine rappresentava un'immane esplosione sferica di fuoco e fiamme che scaturiva dalle mani del mago.


Fir Ze è la città più importante del Ducato. Un'aria magica e sottile serpeggia per le sue vie antiche, lastricate con pietroni e fiancheggiate da negozi che vendono di tutto. Pasticceri famosi adornano le loro vetrine di torte decoratissime, armaioli e fabbri appendono le loro opere sui portoni di legno o sulle pareti esterne, lame magnifiche e corazze possenti che brillano nel sole e bimbi ammaliati osservano la distesa di acciaio lucido e terribile. Candelai, ciabattini, conciatori, gioiellieri, tessitori, falegnami, vetrai, cartografi, punteggiano le vie ampie con vetrine varie piene di lavori perfetti e rari. E poi fruttivendoli, salumieri macellai, espongono le loro merci sui marciapiedi larghi, come macchie di colore su una tavolozza. Pittori, scultori, musicisti e artisti di ogni genere si ritrovano negli edifici con le sale splendidamente affrescate dai soffitti altissimi facendo di Fir Ze la capitale dell'arte, della poesia, della letteratura e della musica. Per le strade affollate mimi maghi dilettanti, giocolieri incantano i bimbi negli angoli e nelle piazze, fra esplosioni di luce e colombe che fuoriescono dai cappelli. Il fiume Harn l'attraversa per intero e molti ponti collegano le due parti della città. Su un ponte in particolare, chiamato Ponte delle Ere, sono sorti decine di negozi di gioielli, oggetti, strumenti musicali, tele dipinte, mobili antichi. Sul fiume navigano snelle barche dai lunghi remi, che trasportano ricche signore o merci da una parte all'altra della città.

- Incredibile, non trovate? - Klod camminava lentamente col naso in su, ammirando le splendide pareti delle case, le colonne, le fontane e i viali alberati pieni di gente indaffarata, oberata di pacchi o che trainava carretti carichi all'inverosimile.

- Veramente affascinante - assentì pensierosa Celia sbirciando oltre la vetrina di una pasticceria che ostentava un magnifico dolce alla cioccolata, decorato con rose di zucchero.

- Avrei dovuto viaggiare di più - aggiunse Kathe posando devotamente una mano su una parete affrescata che rappresentava una immenso giardino in salita a terrazze, grandi scalinate di pietra conducevano ai vari piani, gruppi di signore e cavalieri passeggiavano tranquilli fra l'erba di tempera. Kathe aveva l'impressione di averli visti muovere, tale era la perfezione del dipinto.

- Che ne dite di cercare il museo? - chiese Klod accarezzando con delicatezza un soffice scialle di lana verde smeraldo, che, chissà perché, gli ricordò la ragazza che cantava alla festa a Villa Hianick molti mesi prima.

- So dove si trova il Museo delle Antichità - rispose Celia cercando qualcosa con lo sguardo. Individuò ciò che cercava e si diresse verso un edificio enorme, con un colonnato lunghissimo e un portico ampio. Un portone gigantesco si spalancava sulla piazza.

- Che nome interessante - mormorò Kathe seguendo la sorella e prendendo Klod per una manica. Le colonne dovevano essere alte almeno trentacinque metri e larghe sette. Celia seguì il loro disegno snello e possente fino al tetto e alla trave imponente che le univa.

- Ecco il Castello degli Arstid! - esclamò Kathe indicando la grande dimora della famiglia del Duca, subito a sinistra del colonnato del museo. La giovane maga aveva abbandonato la tunica ricamata e ora indossava un semplice abito lungo fino ai piedi di un marrone tenue e portava i capelli biondo cenere raccolti in una lunga treccia. Anche Celia e Klod indossavano semplici abiti da città, costituiti da pantaloni di pelle scura e farsetti di cuoio sotto un lungo mantello di lana. Tutto il loro equipaggiamento si trovava in un baule chiuso, nella loro stanza alla taverna dell'Oste Addormentato.

- Bene fratelli, potete entrare, io vi attenderò alla locanda - concluse Celia salendo le scale che si addentravano sotto il portico e poi nella grande porta spalancata.

- Non ci vuoi proprio ripensare? - le chiese Kathe un'ultima volta.

- Già il fatto che io sia a conoscenza di un crimine e non lo denunci mi mette in una posizione pericolosa. Apprezza almeno questo... - le disse Celia dandole un bacio sulla guancia.

- Cosa dobbiamo fare di preciso? - chiese Klod con sguardo assente.

- Mi sembrava di aver già chiarito il nostro piano - sospirò afflitta Kathe scuotendo affranta la testa - Dunque, visiteremo il museo come tutti i turisti, tu disegnerai una piantina approssimativa del luogo, con finestre e porte, cercheremo la teca e la pergamena, poi io verificherò se è quella esatta, infine, nella tranquillità della nostra stanza alla taverna escogiteremo un modo per entrare di notte evitando tutti i pericoli - Kathe spedì un'occhiata speranzosa al volto scettico del fratello.

- Lo sai che non mi piacciono i piani troppo semplici. Nascondono sempre falle letali - spiegò Klod - Comunque adesso visitiamo il museo. Dopo riguarderemo con calma come impossessarci della pergamena - il giovane guerriero varcò la soglia e si diresse verso una scrivania al centro dell'ingresso seguito dalla sorella. Celia li osservò con la fronte aggrottata, poi tornò sui suoi passi.

Dietro la scrivania sedeva un uomo attempato, dai corti capelli grigi, che scriveva con dovizia su un grande tomo.

- Buongiorno - disse educatamente Klod -  Vorremmo visitare il Museo delle Antichità - lo scrivano alzò lo sguardo sui due ragazzi e un debole sorriso gli attraversò il volto. Posò la penna d'oca e incrociò le mani davanti a sé.

- Buongiorno a voi, signori - la voce squillante contrastava con l'apparente calma dell'uomo - Il museo è aperto tutti i giorni dall'alba al tramonto - e così dicendo porse loro una pergamena tirata fuori da un cassetto della scrivania. Era una piantina delle sale da visitare con indicati i contenuti e alcune descrizioni. Poi prese altre due pergamene pulite e le distese sulla scrivania.

- Per favore, i vostri nomi - chiese gentilmente l'uomo e dopo che i fratelli glieli dissero lui iniziò a scrivere sulle pergamene e infine annotò i loro nomi sul registro. Si alzò e porse le due pergamene a Klod che controllò il contenuto che li autorizzava a visitare il Museo. Pagarono due monete d'argento a testa ed entrarono.

- Grazie - disse Klod arrotolando le pergamene e infilandosele nel farsetto. L'uomo sorrise e riprese a scrivere con calligrafia pulita e lenta.


Il Monastero di Fir Ze era immenso e si trovava nel mezzo di una grande piazza. Aveva la forma di una croce e una cupola gigantesca torreggiava al suo centro. Tre porte ad arco, una centrale più grande e due ai lati più piccole, si aprivano sulla navata principale. Celia salì la scalinata di marmo bianco che portava alla porta centrale, presidiata da quattro Cavalieri in armatura completa. Spade pendevano ai loro fianchi e lunghe picche svettavano sopra i loro elmi lucenti. Celia aveva accuratamente esposto il suo medaglione e attraversò decisa l'ingresso, le guardie non si mossero neppure. Era circondata da pareti affrescate, altissime, che si perdevano nel buio. Alte finestre ad arco erano composte da mosaici fatti di vetro colorato che rappresentavano ministri, cavalieri famosi, re e regine, battaglie epiche, vedute di Fir Ze, e il sole le attraversava in lampi colorati creando strani disegni sul pavimento di mattonelle lucide. Statue e torce si assecondavano lungo l'ampia navata principale e molte porte si affacciavano sul corridoio. Celia proseguiva sicura verso la fine del corridoio, dove una porta di legno massiccio e scuro poneva fine alla sequenza di affreschi. Celia bussò decisa e una voce ovattata rispose di entrare.

- Buongiorno, sono il Messo Celia Hianick e Sir Brigham mi aspetta - disse formalmente la giovane chierica all'uomo dietro la scrivania di noce.

- Prego accomodatevi, sarete ricevuta immediatamente - disse l'uomo alzandosi e aprendo una porta laterale che dava su un'anticamera arredata con comodi divani di pelle e tinteggiata di un pallido giallo. Celia osservò il tavolino con i bicchieri e la bottiglia di vino, poi spostò lo sguardo sulle tele appese e sulla porta di ferro e legno opposta a quella da cui erano entrati.

Sir Brigham è uno dei più importanti Ministri del Regno ed era a comando di uno dei più grandi contingenti di Cavalieri, molti dicevano fosse più importante del Re. La porta si aprì.

- Prego, accomodatevi - disse il giovane sulla soglia indicando l'interno della stanza seguente.

Lo studio di Sir Brigham era sfarzoso, quasi al limite del gusto. Tutti i mobili erano decorati con fregi d'oro e i legni pregiatissimi brillavano alla luce delle decine di candele che bruciavano pigramente sull'enorme candeliere appeso che fluttuava al centro della stanza. Alcune piante in vaso rallegravano l'ambiente e una voliera conteneva un merlo bellissimo dalle penne nere come l'ebano e il becco di un vivido arancio. Dietro la scrivania enorme stava un uomo austero e molto alto, che indossava una tunica nera e argento, le mani incrociate sul tavolo. Sul suo petto spiccava un medaglione come quello di Celia. Si avvicinò e strinse Celia in un forte abbraccio, l'aria severa scomparsa come d'incanto.

- Celia! Come sei cresciuta, eri solo una bambina l'ultima volta che sei stata qui! - disse con voce tonante Sir Brigham.

- Sir, è stato solo due anni fa - sorrise Celia imbarazzata cercando di non soffocare. Brigham lasciò la giovane chierica e la scrutò attentamente.

- Come sta Sir Mark? Mi ha mandato un messaggero per avvertirmi del tuo arrivo. Perché non hai alloggiato qui al Monastero? - le domande di Sir Brigham si susseguirono rapide, poi Celia prese parola non appena il Cavaliere si sedette facendola accomodare sulla poltrona di fronte alla scrivania.

- Sir Mark sta bene e guida magnificamente il Monastero di Albany - iniziò Celia accarezzando il medaglione magico. Brigham annuì, lui era stato uno di coloro che avevano votato a favore per affidare il comando del Monastero a Mark. Anche se giovane l'aveva reputato subito all'altezza del compito.

- Abbiamo preferito alloggiare alla locanda dell'Oste Addormentato. Non sono sola, ci sono anche i miei fratelli e abbiamo abusato fin troppo dell'ospitalità di Sir Mark ad Albany - spiegò Celia.

- Capisco - annuì sorridendo Sir Brigham. Sir Mark gli aveva dato molte informazioni circa i tre ragazzi, e gli aveva scritto che la sorella di Celia era rimasta ferita e si erano trattenuti presso il Monastero.

- Colgo l'occasione per chiedervi se avete necessità di un Messo - si propose Celia. Il Cavaliere la guardò con occhio severo. Si era affezionato a quella giovane ostinata e coraggiosa, una delle poche donne che aspiravano alla carica di Chierico Cavaliere. Un giorno avrebbe guidato un Monastero, ne era certo.

-  Celia, mia cara, sono due anni che non fai che andare in giro per il Regno, non ti sei stancata? Non vuoi fermarti e riprendere fiato? Potresti affiancare un maestro di spada e insegnare ai giovani nelle prime classi - offrì il Cavaliere, la giovane era animata da un fuoco che le bruciava l'anima, qualcosa la spingeva a muoversi in continuazione, come se fermarsi potesse causarle un danno irreparabile. Quando l'Alto Chierico gliel'aveva raccomandata, non l'aveva presa molto bene, non gli piaceva quando gli venivano imposte delle persone ma la giovane Hianick si era rivelata una sorpresa. Non era la solita damigella viziata, al Monastero di Torap l'avevano formata a dovere, ubbidiva, era abile e coraggiosa, e conosceva molto bene il suo ruolo.

Celia si rabbuiò e abbassò lo sguardo. Non voleva offendere Sir Brigham, era sempre molto gentile con lei.

- Sir, vi prego, se avete qualche lavoro per me, inviatemi pure, io sono disponibile a qualsiasi incarico. Spero che l'Alto Chierico sia rimasto soddisfatto della consegna della scatola che mi aveva affidato - insisté lei mantenendo uno sguardo dimesso. Sir Brigham sospirò.

- Certo che è rimasto soddisfatto, come ogni lavoro che ti si assegni, Celia. Ma ci sono altre cose che puoi fare nella vita, l'Ordine non è tutto, e non richiede abnegazione totale ai suoi Chierici - ma Celia rimase con lo sguardo basso e non dette alcun cenno. Picchiettò le dita sulla scrivania.

- Quanto vi tratterrete qui? - le domandò infine sospirando rassegnato.

- Non so esattamente - rispose lentamente la giovane sperando che i suoi occhi non tradissero ciò che celava nascosto nel cuore, il piano folle di sua sorella.

- Ti farò recapitare una lettera col tuo nuovo incarico presso la taverna dell'Oste Addormentato - disse gentilmente Sir Brigham. I giovani erano davvero testardi. Molti pensavano che lui ormai fosse un vecchio Cavaliere buono solo alla diplomazia ma era stato un ragazzo anche lui, e anche lui aveva amato e sofferto e il particolare interesse di Sir Mark per la giovane e la caparbia volontà di Celia di stare lontano dai luoghi dove potrebbe incontrarlo erano un segno inconfondibile.

- Grazie, Sir - disse Celia alzandosi e facendo un lieve inchino. Uscì dallo studio con la consapevolezza che per la prima volta aveva nascosto informazioni su un crimine ad un suo superiore e, anche se coinvolgevano i suoi fratelli, il rimorso le serrava il cuore.


Kathe e Klod uscirono dal Museo delle Antichità. Si immersero nella piazza ovale gremita di gente, il Castello degli Arstid si imponeva su ogni cosa.

- Davvero meraviglioso, ci sono quadri bellissimi, statue e affreschi, per non parlare dei pezzi di ceramica o dei gioielli! - lo sguardo di Kathe brillava pieno di emozione.

- Ma se è di una noia mortale! - esclamò Klod con veemenza.

- Non capisci niente come al solito. Hai segnato tutto bene? - chiese poi sussurrando con fare cospiratore. Il fratello la guardò per un attimo alzando un sopracciglio perplesso e pensando a quanto fosse complessa e intricata la sorella.

- Sì, inoltre la pergamena con la mappa del museo che ci hanno dato all'inizio ha aiutato moltissimo - Klod portò una mano al farsetto che celava la pergamena piegata accuratamente.

Kathe stava per aggiungere qualcosa ma improvvisamente si sentì tirare alla vita. Abbassò lo sguardo e notò che la cintura del vestito era stata tagliata di netto e adesso il tessuto si allargava libero. Ovviamente era sparita anche la sua borsa. Alzò rapidamente gli occhi e intravide una figura sgattaiolare rapidamente fra la folla.

- Fermatelo! E' un ladro! - gridò Kathe gettandosi all'inseguimento dello sconosciuto. Klod spintonò la folla cercando di vedere il ladro fra le decine di persone che si lamentavano per le spinte ricevute e le merci cadute sul pavimento lastricato. Kathe uscì finalmente dalla calca e si ritrovò in un vicolo in cui le era sembrato di veder entrare la figura ammantata di scuro. Subito seguita da Klod imboccò la stradina stretta e puzzolente ma del ladro nessuna traccia, sembrava sparito.

- Ma dove è andato? - ansò la giovane maga adirata guardandosi freneticamente intorno.

- Non può essere sparito così! - concordò Klod, poi l'occhio gli cadde su una crepa nel muro, o quella che sembrava una crepa. Il giovane si avvicinò cauto e infilò le dita nella spaccatura, tirando leggermente. La parete si mosse come su un perno rivelando una porta nascosta.

- Guarda! Se fosse stata chiusa non l'avrei vista - dichiarò il giovane guerriero mostrando la sua scoperta.

- Andiamo, deve essere entrato qui dentro! - annuì Kathe infilandosi nella porta segreta. Klod la seguì sguainando la spada con un sibilo sinistro.

Il corridoio buio terminava con una porta di legno chiusa a chiave. Kathe spinse con forza ma la porta non si mosse.

- Che facciamo? Se la buttiamo giù avvertiremo tutti - disse Klod osservando la porta con occhio critico.

- Maledetto! - esclamò Kathe picchiando un pugno sul muro intonacato.

- Proviamo a forzarla - suggerì Klod appoggiando la spalla alla porta e tenendo il pomello con entrambe le mani, spinse con decisione insieme alla sorella e la porta scricchiolò.

- Se continuiamo così la spaccheremo e le assi risuoneranno come una campana - Klod spinse ancora un po' e un'asse nel mezzo si sfondò con un sordo crack.

- Continuiamo un altro po' - implorò Kathe - Dentro alla borsa c'erano i miei soldi e l'anello di famiglia - la giovane aveva le lacrime agli occhi.

- Ma come non lo porti al dito? O appeso ad una catena? - Klod spostò lo sguardo sulle mani della sorella e effettivamente vide che non portava nessuna anello, mentre lui ne sfoggiavano uno identico con una grande H incisa, una luna e un sole vegliavano su di essa.

- Allora ce lo dobbiamo proprio riprendere! - disse Klod - Mi sono stancato di queste delicatezze - Si spostò leggermente e picchiò con forza sulla porta chiusa. I cardini vennero divelti e la porta cadde oltre lo stipite, sollevando una nuvola di polvere - E ora cerchiamo questo ladro impertinente! - impugnò la spada ed entrò con decisione nella stanza. L'ambiente era buio, poi l'aria si riempì di magiche parole sussurrate e una sfera di luce si diresse al centro della stanza. Era uno sgabuzzino piccolo e angusto, con un'altra porta, un tavolo e una sedia, un armadio e un grosso baule ma del ladro nessuna traccia. I fratelli iniziarono a cercare dovunque. Klod aprì l'armadio e vi trovò molti abiti maschili, tutti scuri, neri o blu notte, e moltissimi pugnali appesi ad un'anta, lucidi ed affilati.

- Guarda che arsenale! - esclamò Klod accarezzando le impugnature semplici ed evidentemente lucidate dall'uso.

- Perché non hai ancora visto qui dentro - disse Kathe alzandosi e indicando il grande baule. Era pieno di statuette d'oro, tessuti pregiatissimi, libri, pergamene, fiale e boccette, dipinti, soprammobili, e altri oggetti rari e costosi.

- Abbiamo trovato il suo covo - sorrise Kathe malignamente - Che sbadato questo ladro, a lasciare la sua porta segreta aperta -

- Forse è solo inesperto, dopotutto ti sei accorta del furto e un buon ladro non si fa mai sentire, deve essere come la brezza fra le foglie, come un raggio di sole sulla pelle - disse Klod - Comunque non ci sono né gioielli né monete in questo baule e devono essere nascosti da qualche altra parte - constatò il giovane chiudendo il coperchio di legno e ferro.

- Il tavolo ha un cassetto ma ci sono solo pergamene e alcuni pennini con inchiostro - aggiunse Kathe spargendo i fogli sul tavolo.

- Mi è appena venuta un'idea - disse Klod - Sicuramente tiene i preziosi in un luogo sicuro ed è inutile cercarli qui ma noi potremo portare via tutto e ricattarlo - suggerì il giovane iniziando a passeggiare avanti e indietro, mentre un altro piano prendeva forma.

- E' vero! Gli potremo lasciare un messaggio per fare uno scambio, tutta la sua merce per la mia borsa - Kathe sorrise speranzosa contorcendosi le dita.

- Svuotiamo l'armadio e gettiamo tutto nel baule - la ragazza si diresse verso gli abiti e li buttò tutti nel baule, seguiti dai pugnali. Kathe premeva i mantelli e infine si sedette sul coperchio per abbassarlo.

- Klod aiutami a chiuderlo - disse ma non udendo risposta si voltò verso il fratello - Klod! - chiamò con decisione Kathe. Klod si riscosse dalle sue meditazioni smettendo di camminare avanti e indietro.

- Eh? Ah sì, arrivo - rispose poi infilando un pugnale nei due anelli per fermare il coperchio - Ecco fatto - disse sollevando il pesante baule per verificare se potevano portarlo.

- Kathe scrivi il messaggio e andiamocene di qui, questo posto puzza -

Lentamente ma con decisione si diressero verso la taverna.


- Perché non lo assoldiamo? - domandò ad un tratto Klod nel silenzio della stanza, davanti alla stufa che emanava un gradevole tepore.

- Assoldiamo chi? - chiese Kathe continuando ad esaminare gli oggetti del ladro. In quel baule c'era proprio di tutto, anche una sottile armatura di cuoio ben tenuta, di taglia non troppo grande. In effetti la figura ammantata gli era sembrata poco più di un ragazzo.

- Il ladro che verrà a riprendersi il baule - disse Klod alzando lo sguardo sulle sorelle.

- Il ladro? - domandò Kathe meravigliata poggiando per terra un delicatissimo boccale di cristallo lavorato con fili d'oro.

- Dunque oggi stavi pensando a questo - rifletté Kathe distendendosi sul letto. Celia li guardava con la fronte corrucciata.

- Sì - ammise Klod - Dobbiamo rubare un oggetto e riuscire ad entrare di notte in un museo, quale scelta migliore di un ladro addestrato? -

- Vuoi dire che dovremo pagarlo? - domandò Kathe annaspando.

- Vedi Kathe, nessuno lavora gratis, men che meno un ladro - spiegò dolcemente Klod alla sorellina sgomenta. Era incredibile come fosse attaccata ai soldi.

- Vi rendete conto che avete derubato un ladro? - disse gelida Celia - E ora lo volete anche assoldare? - la chierica era sgomenta, la situazione era chiaramente degenerata.

- Sì Celia, e mi sembra anche una buona scelta, possiamo sempre chiederglielo no? - ammise Klod alzandosi e sedendosi sul suo letto.

- Credo che fra poco arriverà il nostro ladro - disse freddo Klod avvicinando una mano all'impugnatura della spada. Kathe si sistemò seduta sul baule ripassando alcuni semplici incantesimi che le sarebbero potuti tornare utili, e Celia sfoderò la spada adagiandola sul letto, il metallo affondò nella coperta. I minuti trascorrevano lenti ma del ladro nessuna traccia. Che rinunciasse al suo bottino? Kathe si osservò la mano sinistra. Il dito medio recava una zona più chiara di pelle alla base, dove normalmente portava l'anello di famiglia. Perché se lo era tolto? Improvvisamente una ventata di aria fredda le colpì la guancia e si voltò verso la finestra. Era aperta, e seduta sul balconcino c'era una figura avvolta in un mantello nero con cappuccio.

- Ma che bella famigliola - disse la voce profonda da dietro il cappuccio. Klod e Celia si voltarono di scatto e videro che Kathe già guardava nella direzione della finestra. La figura sedeva tranquillamente.

- Finalmente - disse Kathe con insolita freddezza. Indossava la sua tunica azzurra ricamata di rune e i capelli sciolti le ricadevano sulle spalle e sulla schiena in una nuvola biondo cenere, gli occhi grigi dardeggiavano ardenti. La figura saltò nella stanza con un movimento fluido e silenzioso chiudendo nello stesso momento la finestra. Klod e Celia si guardarono stupiti, poi spostarono lo sguardo sulla sorella seduta sul baule e acconsentirono tacitamente che fosse Kathe a gestire la situazione. La figura si appoggiò alla parete, sembrava perfettamente a suo agio anche se era chiuso in una stanza ed era solo contro tre.

- Immaginavo che quest'anello avesse un valore - disse ancora la voce dalle profondità scure del cappuccio. Una mano sottile e dalla pelle chiara uscì da sotto il mantello tenendo fra il pollice e l'indice l'anello finemente lavorato. Kathe si alzò in piedi e i carboni ardenti della stufa trasformarono i suoi capelli in una colata di lava fusa. La figura continuava a guardare nella sua direzione e Kathe si erse nella persona, notando che la mano non recava cicatrici, anzi era magra e curata.

- E' mio, lo rivoglio - disse solo la giovane maga - In cambio ti renderemo la tua refurtiva - aggiunse indicando il baule alle sue spalle. Klod e Celia si alzarono dal letto e si appoggiarono alla porta della stanza da letto, le spade in evidenza.

- Siete fratelli - disse ad un tratto il ladro abbassando la mano e facendola sparire sotto il mantello.

- Questo non deve interessarti - disse fredda Kathe - L'anello - ingiunse allungando la mano aperta vedendo che il ladro non si decideva. La figura si mosse lentamente senza fare il minimo rumore, come un felino.

- Va bene, ecco l'anello - disse la solita voce gettando il prezioso verso Kathe. La giovane lo prese al volo infilandoselo subito al dito.

- Vedo che anche voi ne avete uno - notò il ladro indicando Klod e Celia. I due fratelli non spostarono gli occhi dal malvivente.

- Questo è il tuo bottino, prendilo e vattene - disse Kathe spostandosi e raggiungendo i fratelli. La figura arrivò al baule e vi si sedette con scioltezza. I tre fratelli si guardarono, poi la figura abbassò il cappuccio rivelando un volto aquilino dalla pelle chiara, in cui due occhi azzurrissimi contrastavano con i corti capelli neri. Kathe lo osservò intensamente ed una strana scarica elettrica l'attraversò improvvisamente facendola sussultare.

- Vi ho sentito parlare prima - disse solo il ladro. Klod allora si rese conto che il ladro si trovava già fuori dalla finestra quando loro avevano discusso del piano per rubare la pergamena, così decise di tentare di assumerlo, dato che sembrava predisposto.

- Effettivamente noi dovremo rubare una pergamena dal museo ma dobbiamo entrarci di notte e inoltre ci saranno trappole o congegni per proteggerla - spiegò semplicemente Klod ignorando lo sguardo duro di Celia - Così avevo pensato che l'aiuto di un esperto avrebbe potuto tornarci comodo, ovviamente dietro compenso - aggiunse il giovane guerriero osservando il ladro.

- Voglio tremila monete d'oro - propose il ladro dopo qualche minuto di silenzio. I tre fratelli annasparono nell'udire la cifra spropositata.

- Ma sei matto? - sbottò Kathe facendo un passo avanti con un pugno alzato, i capelli seguirono morbidamente il suo movimento.

- Per entrare nel Museo delle Antichità è il minimo che chiedo. Inoltre le teche sono protette da incantesimi e sarà difficile aprirle - aggiunse il ladro.

- Tremila monete sono uno sproposito e dal modo maldestro con cui mi hai derubata non mi sembri molto esperto. Come puoi chiedere una cifra così esagerata?! - proruppe Kathe rossa in volto.

- Veramente non sono stato io a derubarti - disse tranquillamente il ladro allargando con noncuranza il mantello nero sul baule.

- Non sei stato tu? - domandò Celia iniziando ad intuire. Klod guardò intensamente la strana figura seduta ed effettivamente non sembrava un ladro maldestro. I suoi movimenti erano stati felini e silenziosissimi, perfino quando aveva aperto la finestra di legno.

- No. E sinceramente questo baule non appartiene a me. Avete trovato la refurtiva di qualcun altro... - proferì seriamente il ladro allargando le labbra sottili in un sorriso ironico.

- Non posso crederci… - Klod si buttò sul letto è iniziò a ridere. Dopo tutto questo strano tipo iniziava a piacergli. Ma allora come mai aveva l'anello di Kathe? Anche Celia si rilassò e posò la spada sul letto, riflettendo sul malinteso. Kathe guardava sbalordita il ladruncolo impertinente con la certezza che stesse mentendo, in un modo o in un altro.

- Ma allora come mai tu hai il mio anello? - chiese Kathe con un sibilo. Celia osservò le mani della sorella e le vide muoversi lentamente, pronte per un incantesimo. Certa che stesse commettendo un errore, la chierica attraversò lentamente la stanza mettendosi fra la sorella e il ladro.

- Ho visto il piccoletto che ti ha derubata e l'ho inseguito fino nel vicolo derubandolo a mia volta, poi ho ascoltato la vostra discussione sull'anello e che era così importante per voi, così dopo che siete usciti dal nascondiglio, sono entrato e ho letto il messaggio di scambio. Ho deciso che forse valeva la pena tentare di recuperare il baule che magari conteneva qualcosa di valore - il ladro spiegò tutto con calma, mentre la luce dorata della stufa si rifletteva sui suoi lucidi capelli neri che, nonostante la giovane età, mostravano alcuni fili bianchi.

- Così tu vorresti dirmi che sei stato toccato in fondo al cuore dalla storia dell'anello di famiglia e sei semplicemente tornato a rendermelo? - Kathe esplose dopo qualche attimo di silenzio generale. Uno scoppiettio dalla stufa sottolineò le sue dure parole. La giovane maga avanzò di un passo osservando acutamente il ladro vestito di nero.

- Veramente io volevo il baule - asserì tranquillamente il ladro - Ma adesso, con la vostra proposta di collaborazione, le cose sono cambiate - aggiunse dopo un attimo, osservando la giovane adirata che gli stava davanti. I biondi capelli lunghi risaltavano sulla tunica azzurra e dalle rune ricamate sopra il ladro dedusse che era una maga. Aveva morbide labbra rosa e mani piccole e flessuose. Chissà cosa potevano scatenare quelle piccole dita con l'aiuto di una formula magica… Due occhi grigio-verde lo stavano puntando con decisione.

- Sei solo un approfittatore e non mi unirei mai ad uno come te! - la voce di Kathe sibilò decisa per la stanza; Klod si alzò dal letto deciso a non lasciarsi sfuggire l'occasione.

- Vuoi quella pergamena? Senza il mio aiuto non ce la farete mai - asserì il ladro - Io ho rubato altri oggetti e conosco il museo e le magie che ci sono -

- Kathe, ha ragione, abbiamo bisogno di qualcuno che possa aprirci la strada e questa volta le nostre spade non saranno di grande aiuto - aggiunse Klod posando una mano sulla spalla della sorella e si meravigliò nel trovarla stranamente tesa.

- Il fratellino ha ragione, avete bisogno di un buon ladro e soprattutto di buoni incantesimi - disse il ladro passandosi una mano fra i capelli.

- Io sono completamente contraria a tutta questa faccenda e ve lo ribadisco, deve esserci un altro modo per ottenere quella stupida pergamena - disse Celia spostando lo sguardo verso la sorella. Kathe osservò i fratelli e poi il ladro, così attraente e pieno di sé, con quel modo felino di stare seduto sul baule, le mani bianche e lisce posate sul legno massiccio. Anche adesso la stava fissando e sempre più prendeva in lei il dubbio che questo strano tipo avesse un secondo fine nell'accettare l'incarico propostogli ma adesso quello che le interessava era la pergamena nascosta in quel maledetto museo. E, anche se le costava ammetterlo, adesso aveva bisogno di questo ladro. Dopo avrebbe pensato a come liberarsene.

- D'accordo, mille adesso e mille a fine lavoro - proferì la maga dopo qualche minuto di silenzio, toccandosi l'anello al dito.

- Ma la somma fa duemila e non tremila - disse il ladro con l'accenno di un sorriso incrociando le braccia al petto.

- E' la mia ultima offerta - aggiunse Kathe continuando a fissarlo negli occhi azzurri.

- Allora accetto - disse il ladro alzandosi dal baule e avvicinandosi a Kathe protendendo la mano per sancire il patto - Domani sera ci incontriamo di nuovo qui e decidiamo il piano da seguire -

- Affare fatto - disse Kathe stringendo la mano sottile ma forte del giovane. Non era molto più alto di lei ma aveva spalle ampie e braccia muscolose, e gli occhi bellissimi come il cielo dopo la tempesta. Kathe si riscosse e lasciò la presa.

- A proposito io sono Erik Cools, molto piacere - disse il ladro.

- Noi siamo i fratelli Hianick - disse Celia - Questa è mia sorella Kathe, mio fratello Klod - disse spostando lo sguardo sul fratello - e io sono Celia - aggiunse la chierica. Erik la guardò per un attimo con intensità.

- Sei una chierica dell'Ordine - disse il ladro - Che terzetto formidabile - valutò dopo un attimo di silenzio. Celia annuì e non seppe decidere se la stesse prendendo in giro o meno.

- A domani - salutò il ladro con un sorriso mentre scavalcava la finestra.

- Ma come farai a portare giù il baule? - domandò Klod osservando il pesante fardello.

- Ero pronto a tutto - affermò Erik, e dopo un attimo ladro e baule erano scomparsi nell'oscurità. I tre fratelli corsero alla finestra e videro il baule appeso ad un gancio che lentamente scendeva a terra e Erik appeso ad una fune che sgattaiolava giù per il muro.

- Che tipo - osservò Klod - Ma inizia a piacermi -

- Speriamo che ci serva davvero, altrimenti ti strozzo con le mie mani. La pergamena è molto importante! - sbottò Kathe, le guance leggermente arrossate per la precedente discussione.

- Vedrai che ce la faremo sorellina - la rassicurò Klod continuando a guardare il buio oltre la finestra.


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Capitolo 9
*** Il furto ***


9. Il Furto


Erik sarebbe arrivato a breve e avrebbero discusso il piano. Ancora Kathe si domandava cosa le fosse successo la sera precedente. Lo strano rancore verso lo sconosciuto era inspiegabile, dopotutto le aveva reso l'anello… eppure c'era qualcosa che non andava ma non riusciva a capire cosa fosse. Quell'aria da superiore? Era nella stanza con un guerriero, un mago e un chierico e sembrava non temerli affatto, o forse era solo un abile ingannatore. E la storia che aveva raccontato? Era vera? Per tutto il giorno non l'aveva abbandonata l'idea che il ladro avesse un secondo fine e a lei non piaceva quando qualcuno agiva all'oscuro, alle sue spalle. Ma avrebbe scoperto il suo gioco. Come la sera precedente, una lieve brezza sfiorò la sua guancia e un attimo dopo un'ombra scura entrò nella stanza dalla finestra.

- Buonasera - salutò Erik, facendo un lieve inchino all'indirizzo dei tre. I fratelli posarono i boccali e sgombrarono il piccolo tavolo mentre Erik prendeva posto e estraeva un grosso rotolo di pergamena da sotto il mantello nero.

- Dunque, questa è la pianta del museo e all'interno sono stati lanciati gli incantesimi di individuazione del magico, dell'invisibile e del male. Inoltre la Guarnigione di ventiquattro guerrieri è affiancata da sette maghi e tre chierici, che stanno nascosti in passaggi segreti e intervengono al momento del bisogno, e da una muta di segugi invisibili, evocati dai maghi. L'assetto difensivo è così alto perché il museo contiene moltissimi oggetti magici e di valore. Inoltre tutte le teche sono protette da un incantesimo di blocco e non possono essere aperte senza far scattare un allarme sonoro - spiegò rapidamente Erik indicando le varie aree.

- La pergamena giusta è quella nella terza teca da destra, ho controllato durante il giro di ieri. Le altre sono dei falsi - precisò Kathe alzandosi e dirigendosi alla finestra aperta, una leggera brezza entrava nella stanza. Klod osservò la pergamena con la mappa dettagliata e sorrise ripensando alla fatica inutile del giorno precedente dove aveva dovuto prendere nota di tutte le stanze.

- Come facciamo ad evitare tutti gli incantesimi? - chiese Kathe voltandosi.

- Ci vuole un diversivo - esordì Klod facendo eco ai pensieri di Erik.

- Li faremo scattare, naturalmente. Ovviamente non tutti i chierici, i maghi e i guerrieri accorreranno e dovremo combattere ma riusciremo a scappare. Inoltre abbiamo un altro problema, non dobbiamo farci riconoscere, giusto? Non vorrete diventare dei ricercati alla vostra giovane età! Una volta all'interno ci separeremo e agiremo così: Klod resterà nella sala dei gioielli e tu Kathe evocherai qualche incantesimo che possa creare confusione, puoi farlo vero? - chiese Erik rivolgendosi a Kathe con uno strano tono sommesso.

- Sì, posso farlo - rispose Kathe annuendo vigorosamente, un brivido che le scendeva lungo la schiena. Aveva già qualche soluzione.

- Io andrò nella sala delle pergamene e ruberò quella che mi hai indicato, poi vi raggiungerò e ce ne andremo - continuò Erik illustrando il percorso.

- Domani pomeriggio andremo a trovare una persona che cambierà il vostro aspetto senza bisogno della magia che farebbe scattare gli allarmi - aggiunse con un sorriso astuto sulle labbra - Mi raccomando fate sparire anelli e qualunque altra cosa vi leghi alla vostra famiglia e che vi possa far riconoscere nonostante le maschere - consigliò poi arrotolando la pergamena con la mappa.

- Non credevo sarebbe stata una cosa così complicata - disse Klod mantenendo lo sguardo fisso sul fuoco scoppiettante nel camino. Cominciava a temere il peggio.

- Vi rendete conto che volete rubare un oggetto in uno dei musei più sicuri del Regno? - domandò Erik sconcertato al pensiero dei guai in cui sarebbero potuti andare incontro quei due sconsiderati. Osservò per un attimo Celia, era stata inamovibile e non voleva assolutamente prendere parte al furto. Per lei doveva essere una situazione insolita, la sua fede, le regole a cui era addestrata, la mentalità che le avevano instillato fin da bambina nell'Ordine rendevano tutto più difficile da accettare quando c'erano di mezzo i suoi fratelli.

- Forse ho scelto il posto sbagliato - disse mestamente Kathe guardando i fratelli. Erik si alzò e la guardò negli occhi - Vuoi rinunciare proprio adesso? - chiese deciso stringendo la mappa nella mano.

- No ma penso ai miei fratelli e al guaio in cui potrei metterli per un mio desiderio - spiegò Kathe scuotendo la testa graziosa. Celia si accorse di quanto adesso sua sorella dubitasse del piano.

- Non sei obbligata a farlo Kathe, si può tornare indietro - insisté Celia guardandola intensamente.

- Io invece credo che ce la faremo - disse invece Klod alzandosi in piedi guardando la sorella - L'importante è che non ci facciamo prendere e che nostro padre non venga a sapere di questo fatto… -

- … e non dimentichiamoci di Sir Brigham - aggiunse Celia fredda.

- Tutto deve restare nel più assoluto anonimato e soprattutto non dobbiamo farci prendere. A proposito, visto che non potremo portare armi all'interno, come faccio a 'creare il diversivo'? - domandò Klod all'indirizzo del ladro.

- Userai le mani - spiegò Erik - Una bella, genuina rissa e gli incantesimi di Kathe aumenteranno la confusione -

- Domani ci troviamo nel Vicolo degli Armaioli e vi condurrò nel posto dove cambieremo il vostro aspetto - Erik scavalcò agilmente la finestra e si fuse con il nero della notte.

- Non temete, ce la faremo - la voce profonda proveniva dall'oscurità e sembrava stranamente rassicurante.

- Credo che dovrò rafforzare i miei guanti - proferì Klod osservando le sue mani.

Kathe si avvicinò alla finestra in cui pochi secondi prima era scomparso Erik. Come mai si sentiva attratta da un tipo simile?


- La persona che incontrerete ha lavorato per molti anni in una compagnia teatrale che viaggiava per tutto il mondo ed è un vero mago con le maschere. E' in grado di cambiare totalmente una persona, rendendola irriconoscibile - raccontava Erik attraversando una piazza gremita di gente, mercanti, cittadini, contadini.

- Sarà un'impresa ardua non farci catturare, il museo è sorvegliatissimo - disse Kathe da sotto il cappuccio blu scuro.

- Non dubitate, dopo la trasformazione non crederete ai vostri occhi! - garantì Erik con un sorriso astuto. Rapidamente il ladro entrò in un vicolo stretto e oscuro. I due lo seguirono tappandosi il naso per il fetore che vi aleggiava. Erik svoltò molte volte e cambiò tanti vicoli finché non si arrestò di fronte a quella che sembrava una casa di appuntamenti. Kathe guardò il fratello che sembrava stranamente soddisfatto.

- Questo tipo mi piace sempre più - aggiunse il giovane approvando la scelta. Erik sorrise e i suoi occhi brillarono maliziosi. Aprì la porta di legno e si addentrò nella casa. Un'aria fumosa riempiva i locali pieni di gente seminuda, uomini e donne, ragazzi, perfino animali, si aggiravano nelle stanze. Erik le attraversò con decisione rifiutando molti inviti lascivi da parte delle signore che occupavano divani e poltrone negli abbigliamenti più stravaganti. Il ladro si fermò di fronte ad una porta di legno scuro e l'aprì entrando in una stanza diversa dalle altre. Il fumo era assente e anche lo strano odore dolciastro che permeava i locali precedenti. Era un piccolo giardino quadrato all'aperto e la tenue luce del sole illuminava ancora le piante e i fiori. Una piccola fontana torreggiava al centro, l'acqua scorreva libera. Erik attraversò la piccola oasi e oltrepassò un arco accedendo ad un corridoio. Molte porte vi si aprivano ma Erik ne scelse una e varcò la soglia. Si ritrovarono in una camera da letto ammobiliata lussuosamente. Cuscini dorati erano sparsi dovunque e un grande letto a baldacchino dominava l'angolo destro. Un camino in pietra occupava il lato sinistro e decine di candele ardevano seducenti su tavolini, sedie e tappeti morbidissimi. Klod si guardò intorno a bocca aperta pensando a cosa accadeva di solito in quelle stanze. Kathe gli diede una gomitata nelle costole e inviò uno sguardo accusatore verso Erik che sembrava divertirsi profondamente. Per fortuna nessuno aveva visto i nuovi entrati anche perché molti nobili arrivavano con mantelli lunghi e cappucci per non farsi riconoscere e loro erano sicuramente passati per clienti. Erik chiuse la porta a chiave e si diresse verso il letto fra gli sguardi attoniti dei due fratelli. Una spessa tenda copriva tutta la parete dietro il grande letto, il tessuto un pesante velluto rosa scuro che riprendeva quello del letto. Erik sparì dietro di essa e poco dopo i fratelli sentirono un lieve clic provenire da dietro la tenda.

- Venite, siamo quasi arrivati - disse la voce profonda del ladro da dietro la tenda. Kathe e Klod si guardarono e oltrepassarono la tenda trovandovi una piccola porta di legno aperta. Erik era indubbiamente un ladro dalle mille risorse. Uno stretto corridoio conduceva ad un'altra porta aperta, un'unica candela ardeva debole in un candelabro appeso al muro.

- Credo che rinuncerò al piano - disse ad un tratto Kathe guardando la porticina aperta, un lieve odore di incenso riempiva il corridoio.

- Ma non dire sciocchezze! - disse Klod prendendo la sorella per una spalla la spinse nella stanza. La stanza era grande e quadrata con un ampio soffitto a volte. Un grande braciere ardeva nell'angolo subito a sinistra della porta e il forte incenso proveniva proprio da lì. Avanzarono e Klod chiuse la porta dietro di sé. Erik era comodamente seduto sua poltrona verde, in effetti tutto l'arredamento verteva verso quel colore e le sue sfumature, dal grande tappeto dal taglio irregolare, alle candele che illuminavano l'ambiente, alla grande tenda nell'angolo in alto a sinistra, alle poltrone, perfino al grande armadio sulla parete a destra della porta che era stato verniciato di un verde smeraldo. Le poltrone erano disposte a elle nell'angolo in alto a destra e un grande tavolo ovale di vetro giaceva tra esse. La zampa del tavolo era formata da una bellissima scultura di un pegaso accucciato in atto di spiccare il volo e il vetro poggiava sulle sue ali semiaperte. Kathe e Klod si sedettero vicino a Erik rivolgendogli sguardi interrogativi qualcuno uscì da dietro la tenda.

- Benvenuti nella mia casa - disse una esile voce femminile. I quattro ragazzi si alzarono e solo allora Kathe si rese conto che l'anziana signora dal portamento eretto era un'elfa. Due piccole orecchie a punta spuntavano da sotto i capelli argentei e lunghissimi. Un abito di lana verde avvolgeva la sua regale figura.

- Nehellenia, questi sono i ragazzi di cui ti avevo parlato - disse Erik con un lieve inchino. Anche i due fratelli lo imitarono e dopo che la signora si fu seduta, si sedettero a loro volta.

- Così il vostro desiderio è di cambiare aspetto per un po' di tempo, vero? - chiese l'elfa. I suoi occhi verdissimi si posarono su Kathe e la giovane maga arrossì leggermente.

- Sì signora, solo per un breve tempo - disse con un filo di voce senza usare la sua solita vocina stridula e ironica. Erik osservava la giovane maga il cui viso di alabastro risaltava incorniciato dal mantello nero, solo qualche lungo capello biondo sfuggiva da sotto quella prigione innaturale. Chissà come sarebbe stato poterci passare le dita. Erik si riscosse quando Nehellenia parlò ancora.

- Allora chi di voi vuol essere il primo? - l'elfa si alzò dalla poltrona e si diresse verso la tenda aprendola leggermente. Klod si alzò per primo.

- Sarò io il primo - disse il giovane guerriero entrando deciso nella tenda. Kathe e Erik lo osservarono entrare e quando la tenda si fu chiusa l'atmosfera si fece inspiegabilmente tesa.

- Puoi metterti comoda, ci vorrà un po' di tempo prima che abbia fatto - disse Erik andando verso l'armadio e prelevandone tre bicchieri e una brocca di vino. Posò tutto sul tavolo e riempì i bicchieri. Kathe non riusciva a staccare gli occhi da quelle mani snelle e rapide. Forse lo aveva giudicato troppo frettolosamente. Si alzò e si tolse il mantello appoggiandolo sul bracciolo della poltrona.

- Perché volete quella pergamena? - chiese il ladro porgendole un bicchiere. Kathe lo prese e anni di buone maniere la indussero a sfoggiare il suo sorriso migliore mentre prendeva il calice.

- Sono rare, molto rare, e questa è particolarmente potente, in un museo è assolutamente sprecata - rispose brevemente bevendo un sorso. Non aveva mai visto degli occhi così azzurri e intensi.

- Tua sorella la pensa diversamente - obiettò avvicinandosi al braciere. Kathe fece un gesto con la mano e si sedette raccogliendosi i capelli sul davanti.

- Celia è un chierico, non mi aspettavo una reazione diversa anche se sinceramente sono rimasta meravigliata dal fatto che non abbia provato a fermarci -

- Le è costato, è arrabbiata e confusa, mentire al suo Ordine non fa parte di ciò che le hanno insegnato per anni - alzò lo sguardo su di lei ed era veramente uno splendore, come due giorni prima, quando la voleva derubare.

- Come puoi dire una cosa del genere? - chiese Kathe sulla difensiva. Quel ladro non li conosceva affatto!

- Mi piace osservare la gente - disse lui in modo enigmatico.

- E osservare e basta ti dà il diritto di giudicare? - Kathe terminò il vino d'un fiato. Erik soppesò la risposta, era una ragazza dalla mente sveglia e dalla fervida immaginazione e non voleva che interpretasse male le sue parole.

- Gli occhi, la bocca, la posizione degli arti, le espressioni facciali, indicano molto di ciò che una persona è o pensa - spiegò lentamente, si avvicinò riempiendole il bicchiere. I suoi movimenti non erano rozzi e indicavano che aveva ricevuto un'educazione raffinata. Perché allora rubava?

- Quindi ti sei già fatto un'idea di chi siamo? - chiese Kathe trattenendo la rabbia. Che insolente! Lui sospirò palesemente e si sedette accanto a lei.

- Sì, ma non nel modo in cui stai pensando te - rispose paziente fissandola con un lieve sorriso.

- Quindi sai cosa sto pensando?! - chiese Kathe digrignando i denti. Erik la osservò un attimo alzando un sopracciglio perplesso.

- Qualsiasi cosa io dirò adesso non la prenderai nel modo giusto, vero? - asserì lui serio. Kathe aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse di scatto.

- Osservare è importante, riflettere anche - aggiunse lui dopo qualche minuto di silenzio, in cui aveva visto diversi stati d'animo avvicendarsi sul volto squisito della maga.

- Avete un'ottima educazione, un soldato, una maga e un chierico dell'Ordine, i vostri anelli hanno uno stemma inconfondibile, siete i figli del Conte Hianick. Celia è indubbiamente la più responsabile e matura, Klod è un guerriero, abile ma poco riflessivo, e poi ci sei te, colta e indipendente che non riesce a tenere a freno la lingua - sorrise lui alzando una mano quando Kathe cercò di ribattere - Ma la mia analisi si ferma qui, non so chi siate veramente, so cosa aspettarmi da voi per la parte del vostro carattere che è più evidente -

Kathe richiuse la bocca. In una frase aveva riassunto i loro tratti principali. E aveva questo modo confidenziale di parlare, senza alcun rispetto ma era chiaro che gli veniva naturale farlo.

- Sei un ladro ma hai ricevuto un'educazione raffinata, non sei certo un mascalzone qualsiasi - se voleva giocare gli avrebbe dimostrato che anche lei sapeva osservare. Erik sollevò le sopracciglia perplesso poi scoppiò a ridere. Kathe lo osservò restando pazientemente in silenzio.

- Mi hai osservato allora... - il modo in cui lo disse cambiò completamente il senso della frase e Kathe arrossì stringendo il calice.

- Certo, come hai fatto te - ribatté la giovane maga.

- E vedo che ti sei fatta un'idea - aggiunse avvicinandosi. Kathe rimase congelata, il cuore le batteva in petto all'impazzata.

La tenda si aprì rompendo la tensione.

Il risultato globale era strabiliante! Klod aveva ricevuto un paio di lunghi baffi e i suoi occhi erano stati cambiati in castano scuro grazie ad uno strano liquido profumato di uva, i capelli rossi erano scomparsi e adesso sfoggiava un corto capello biondo. La sua corporatura andava bene e gli abiti blu notte gli calzavano a pennello.

- Incredibile! - balbettò Kathe voltandosi di scatto.

- Sono felice che l'aspetto vi piaccia - disse l'elfa compiaciuta annuendo.

Il ladro si alzò in piedi ed entrò nella tenda mentre Klod si sedeva un po' imbarazzato. Occorsero altre due ore per terminare con i camuffamenti di Erik e Kathe. Il ladro appariva di qualche anno più vecchio con la corta barba non rasata, gli occhi azzurrissimi cambiati in un castano scuro, il volto e le mani lievemente scuriti, i capelli lunghi e neri, e il completo grigio scuro risaltava la sua figura snella e muscolosa. Kathe, che fino a poco fa era abbigliata con la sua tunica azzurra ricamata e i lunghi capelli biondi le scendevano in una cascata dorata sulla schiena, adesso sembrava un uomo. I tratti maschili del suo volto ne avevano indurito l'espressione e gli occhi scuri rabbuiavano la luce che vi era prima. I capelli neri alla spalla erano legati in una coda bassa con un legaccio di cuoio che riprendeva l'abito color sabbia. Il suo torace era stato fasciato per simulare i muscoli maschili e nascondere il seno ma Kathe era sempre stata esile e le braccia apparivano comunque magre ma Nehellenia era stata in grado di modificarle, perfino le mani avevano cambiato aspetto e sembravano maschili.

- Credo che neppure nostra madre ci riconoscerebbe! - Klod si buttò su una sedia sorridendo apertamente.

- Ricordatevi che non posso fare niente per la voce, quindi lasciate parlare Erik o vostro fratello - suggerì Nehellenia sorseggiando il vino bianco e rivolgendosi a Kathe.

Tutti gli abiti che indossavano erano comodi e ampi e permettevano tutti i movimenti.

- Credo sia ora di andare - disse Erik dirigendosi alla porta.

- Grazie - disse Kathe, sentendosi responsabile per ciò che erano costretti a fare. La signora sorrise gentilmente e scosse la testa.

- Non preoccuparti, bambina, questo è il mio lavoro, spero che vi sia utile - Nehellenia li accompagnò alla porta e la richiuse con calma.


L'entrata del museo era ancora affollata, una lunga fila di gente entrava lentamente nelle sale gremite.

- Ci siamo - disse Erik - Muovetevi fermamente e non fatevi prendere dal panico. Se vedete un pericolo agite d'istinto, se vedete maghi o chierici bloccateli immediatamente o uccideteli -

Klod teneva i guanti nascosti nelle tasche interne pronti per l'uso. Il gruppetto avanzava in fila. Era pomeriggio inoltrato e fra poco il museo avrebbe chiuso i portoni e i visitatori sarebbero usciti alla fine del loro giro ma nessuno sarebbe più entrato. La sala scelta per scatenare la rissa era piuttosto centrale e sarebbe stata piena di gente.

- Ricordatevi che i segugi invisibili seguono sempre un solo ordine e di solito sono a guardia di speciali oggetti ma se dovessero arrivare, usa la magia Kathe - suggerì Erik in un sussurro.

L'entrata si avvicinava e come per incanto si ritrovarono all'interno. La tensione era così alta che non avvertivano lo scorrere del tempo. I tre si guardarono e presentarono i loro lascia passare all'ingresso che riportavano nomi falsi. Quando, con estenuante lentezza, come se fossero turisti curiosi, giunsero nella sala degli oggetti d'arredamento, scelta per la rissa proprio perché si sarebbe creata molta confusione, Klod e Kathe si fermarono di fronte ad un magnifico armadio per abiti lunghi mentre Erik proseguì lentamente per la sala delle armi. Klod iniziò a guardarsi in giro per cercare la vittima del suo primo attacco e la individuò in un tipo poco più basso di lui e dallo sguardo iroso. Lui sarebbe stato solo il primo. Kathe individuò un paio di posti da dove avrebbe potuto lanciare un paio di incantesimi ben piazzati direttamente sui passaggi segreti da dove sarebbero usciti i maghi e i chierici. Aveva in mente un incantesimo adattissimo, molto più delle tenebre, che sarebbero servite dopo.

- Speriamo che non accada niente - disse Kathe sottovoce per non far sentire la sua voce femminile.

- Non preoccuparti - disse Klod mantenendo lo sguardo sul tizio che aveva scelto.

Erik aveva raggiunto la sala delle pergamene, non era particolarmente affollata. Udì alcune urla e l'allarme sonoro del museo inondò le sale con la sua nota acuta.

- Adesso tocca a me! - Erik estrasse da una tasca un piccolo martello e stava per spaccare la teca indicata da Kathe quando udì un ringhio soffocato e profondo alle sue spalle. Si voltò estraendo due lunghi pugnali in un movimento fluido e rapido. Sapeva come fronteggiare un lupo anche se non aveva mai affrontato un segugio infernale. La bestia si avvicinò lentamente sbavando e ringhiando, poi saltò. Erik riuscì ad evitare il morso e con un movimento da acrobata riuscì a salire in groppa all'animale affondando i due pugnali subito dietro la testa della bestia.

L'animale si accasciò e Erik non perse tempo, frantumò la teca e prese la pergamena. La sala si era svuotata e non c'era più nessuno. L'allarme suonava e la gente fuggiva gridando.


Kathe uscì da dietro l'armadio di vecchia foggia e si diresse sulla porta che conduceva alla sala delle armi e poi delle pergamene. La rissa che Klod aveva scatenato provocando un tizio permaloso era stata perfetta e aveva instillato il panico generale. Nello stesso istante lei si era nascosta e aveva lanciato un chiavistello magico sulle porte che Erik aveva indicato.

- Presto andiamocene di qui! - urlò il giovane guerriero.

- Aspetta, un ultimo incantesimo! - disse Kathe ponendosi al centro della stanza e mormorando una litania. Klod attese finché non vide un'area di tenebra profonda riempire la prima metà della sala. Kathe prese a correre, seguita da Klod, verso la sala delle pergamene.

I dardi saettarono rapidi verso il petto del giovane mago che stava uscendo dal suo nascondiglio, l'uomo serrò le mani al torace e cadde a terra nel corridoio. Incontrarono Erik che correva guardingo e gli fece un cenno rapido svoltando in un altro corridoio. I due fratelli lo raggiunsero e Kathe fu stranamente felice di vedere il ladro sano e salvo.

Attraversarono altre stanze ormai vuote e almeno quattro grandi corridoi. All'improvviso, nonostante la cautela del ladro, in fondo al corridoio sbucarono due Guardie Armate.

- Fermatevi! - intimò una delle due guardie estraendo la spada alla vista dei tre uomini che gli correvano incontro.

- Lasciateci passare e avrete salva la vita! - gridò Erik estraendo i pugnali. Klod sguainò la spada e si mise in posizione di attacco. Kathe aveva la visuale sgombra, avrebbe potuto lanciare un altro dardo magico. Iniziò a salmodiare l'incantesimo che si interruppe bruscamente. Klod si voltò e vide un'altra guardia alle loro spalle che aveva conficcato il pugnale nel fianco della sorella.

- Noooo! - la voce di Klod risuonò cavernosa e il giovane si gettò sul soldato che brandiva il pugnale sanguinante. Kathe si inginocchiò stringendosi il fianco con le mani.

Erik scattò verso le altre due guardie che ingaggiarono immediatamente battaglia. Lanciò un pugnale ma la guardia di sinistra lo schivò sorridendo ed eseguì un affondo pericoloso che lui riuscì ad evitare. L'altra guardia lo ferì sul fianco scoperto ma il ladro lanciò un altro pugnale che questa volta si conficcò nel petto della guardia che l'aveva ferito.

Klod uccise rapidamente la guardia e corse immediatamente dal ladro, evitando di guardare la sorella a terra. Vide immediatamente il taglio sul fianco del ladro che sanguinava copiosamente. Lanciò un urlo che distrasse la guardia e permise a Erik di conficcargli due pugnali nel torace scoperto. Raggiunsero Kathe senza indugio e si accorsero che era priva di sensi.

- Prendila, ce ne andiamo da qui - disse il ladro in un sussurro, iniziando a correre lungo il corridoio che stavano percorrendo prima dell'arrivo delle guardie. Klod prese Kathe in braccio, respirava appena. Se Celia fosse venuta avrebbe potuto curarla subito. Erik salì una lunga rampa di scale e Klod lo seguì ansimando. Raggiunsero il tetto del Museo delle Antichità e Klod notò che Erik stava facendo qualcosa al bordo del tetto. Si avvicinò e notò che stava srotolando una corda.

- E questa da dove viene? - domandò indicando la corda.

- Non lascio mai niente al caso - fu la rapida risposta del ladro. Era stato lì la notte precedente e aveva preparato la loro via di fuga. La corda cadeva sul tetto di una vecchia casa sottostante. Klod con Kathe sulle spalle si calò lentamente e Erik sganciò la corda e saltò agilmente sul tetto, raggiungendo i fratelli.

- Presto! - disse il ladro aprendo una botola nascosta sul tetto e saltando dentro. Klod fece scivolare delicatamente Kathe nelle braccia del ladro e poi scese a sua volta. Con un lungo gancio che si trovava nella soffitta di quella strana casa richiuse la botola. Le tenebre avvolsero tutto. Poi si udì il rumore della pietra focaia e i pesanti respiri di Klod, e una tenue luce illuminò la piccola soffitta.

- Andiamocene via di qui - disse il ladro aprendo una piccola porta.

Klod lo guardò e sorrise, era davvero pieno di risorse. Spostò lo sguardo sulla sorella ferita ma era fiducioso nella capacità di Celia, sarebbe andata a chiamarla immediatamente. Discesero le scale che si celavano dietro la porta e si ritrovarono su un pianerottolo. Continuarono a scendere fino ad arrivare nelle cantine.

- Ma tu entri in casa della gente sempre così? - domandò Klod ansimando e sistemando meglio la sorella. Erik stava facendo qualcosa alla parete più lontana della cantina.

- Questa è casa mia - disse Erik, un sorriso astuto gli illuminò il volto. Intanto un clic sordo rivelò il meccanismo della porta segreta e la pietra stridé contro la pietra.

- Ma davvero? - Klod era sinceramente sorpreso. Quel ladro era qualcosa di più di quello che dimostrava. Il terzetto oltrepassò la porta segreta e Erik la richiuse con cura.

- Procediamo - disse semplicemente il ladro. Il corridoio di pietra scendeva fino a che non si ritrovarono in una stanza rotonda fredda e buia. Erik accese qualche candela e Klod distese Kathe su un tavolo di nero mogano. La stanza era ammobiliata semplicemente con il grande tavolo, sei sedie, un armadio, una scrivania e un letto.

- Togliamoci questo travestimento - proferì Erik strappandosi la maschera che aveva modificato i suoi connotati. Anche Klod lo imitò e poi Erik aprì l'armadio e ne estrasse degli abiti.

- Vai a chiamare tua sorella - disse gravemente il ladro. Klod indossò rapidamente i nuovi abiti, sebbene i pantaloni gli andassero stretti e corti. Li infilò dentro gli stivali e in un attimo uscì dalla porta principale trovandosi in mezzo ad un vicolo affollato dietro il museo. Senza indugio si diresse alla taverna dell'Oste Addormentato.

Erik indossò altri abiti e prese una camicia bianca, la stracciò e la usò per tamponare la ferita. Il tempo scorreva troppo rapidamente, se Celia non fosse giunta presto, Kathe sarebbe morta. Anche se il volto della maga era coperto di trucco e i capelli erano racchiusi sotto la parrucca, non avrebbe mai potuto dimenticare i tratti delicati del suo viso e le fossette quando sorrideva o come arricciava le labbra quando era irritata.

La porta si spalancò e Celia entrò seguita da Klod. Lanciò uno sguardo irato al ladro e poi si concentrò sulla sorella.

Il sangue sgorgava rosso dalla ferita aperta ma Celia intonava già la preghiera che le avrebbe salvato la vita chiudendo la ferita. Sarebbe stata debole per alcuni giorni. Le parole fluivano dolci e melodiose e Erik assistette al piccolo miracolo. Le mani di Celia si distesero sul torace della sorella e lentamente il sangue smise di uscire e la pelle terribilmente strappata si richiuse lentamente. Quando l'incantesimo ebbe termine la ferita appariva rossa ma sigillata. Il respiro di Kathe era regolare anche se non aveva ripreso conoscenza.

- Grande cosa la fede - constatò Erik osservando la ferita arrossata. Celia stava togliendo la maschera alla sorella.

- Io sono un Chierico dell'Ordine, ricordi? - disse la ragazza come se questa fosse una spiegazione valida, continuando a togliere il trucco.

- Ho solo curato un po' le sue ferite, di più adesso non posso fare - disse Celia con voce gelida.

- Permettetemi di cambiarle l'abito - chiese Celia. Klod e Erik uscirono nel corridoio, mentre Celia toglieva gli abiti alla sorella. Prese gli abiti dall'armadio e la vestì… ma Erik quando aveva preparato tutto questo? Le legò i capelli in una lunga treccia. Notò che nella stanza c'era un'altra porta. L'aprì e vide che c'era un altro corridoio che si perdeva nel buio. La richiuse e chiamò Klod e Erik. I due entrarono e Erik prese dall'armadio uno zaino e ci infilò la pergamena.

- Dobbiamo bruciare questa roba - aggiunse il ladro indicando il mucchio di abiti.  Celia li guardò pensierosa ma non aveva nessun incantesimo che potesse far sparire o bruciare quella roba.

- Non ho niente che faccia al caso… - disse Celia.

- D'accordo allora li seppelliremo nelle fogne - soggiunse Erik raccogliendo gli abiti incriminanti.

- Fogne? Ma quando abbiamo parlato di fogne? - esordì Klod pensando alla puzza, agli abiti puliti…

- Vuoi uscire vivo di qui, sì o no? - domandò Erik dirigendosi alla seconda porta - Questa è la strada - aggiunse il ladro varcando la porta con lo zaino sulle spalle e il fagotto dei vestiti.


La parte delle fogne fu la più assurda di tutto il piano. Erik li condusse per una serie di canali puzzolenti e pieni di topi, dove, è vero, si poteva camminare fuori dall'acqua melmosa ma l'odore ti si attaccava addosso. Passarono anche per un canale inondato da una strana fosforescenza verde… Ad un certo punto del tragitto Erik seppellì gli abiti sotto un mucchio di… Celia non avrebbe saputo dire di cosa fosse composto ma servì allo scopo. Klod teneva Kathe fra le braccia e pensò che era una vera grazia che sua sorella fosse priva di sensi perché sarebbe stato davvero impossibile udire le sue lamentele. Dopo decine di svolte, incroci, scale, tunnel, Erik si fermò sotto quello che sembrava essere un tombino.

- Tu vivi qui sotto vero? Non puoi conoscere così bene le fogne se non ci vivi… - sibilò Klod affannato per il trasporto della sorella.

- Veramente io uso le fogne per sopravvivere - spiegò semplicemente il ladro iniziando a salire la scala che conduceva al tombino. Erik lo sollevò leggermente.

- Venite - disse, e si issò su. I fratelli lo seguirono e sbucarono in una stalla, o rimessa per animali di qualche genere. Si spolverarono per quello che potevano e uscirono dal grande portone. Erano nella parte della città in cui si affittavano carrozze e cavalli, dove i fabbri facevano ferri e riparavano le carrozze.

Erik sgattaiolò fra le ombre e raggiunse una piccola carrozza già aggiogata con un cavallo dal pelo scuro. Aprì la porta della carrozza e Klod entrò adagiando Kathe sulla panca imbottita.

- Molto astuto - disse Celia notando che le finestrelle della carrozza avevano delle tendine. Il ladro le strizzò l'occhio sorridendo, chiuse la porta, salì a cassetta e Celia sentì che incitava il cavallo e la carrozza si metteva in movimento.


Erik li portò in giro per la città per diverse ore. Klod ebbe modo di raccontare alla sorella tutto ciò che era accaduto. Celia ascoltò mentre si occupava di Katherin. Ogni tanto alzava lo sguardo sul fratello corrucciando la fronte ma non fece alcun commento. Sbirciò fuori sollevando una tendina di pizzo ma si trovavano in un quartiere che non conosceva. Klod si addormentò lasciandosi cullare dai movimenti della carrozza. Dopo circa un'ora Kathe si svegliò, Celia le aveva fatto un altro incantesimo ed era completamente guarita.

- Come ti senti? - chiese la chierica evitando di pensare che i suoi due fratelli si erano macchiati di omicidio a sangue freddo.

- Sto bene - disse Kathe biascicando e tastandosi addosso.

- Non riesco a farmi una ragione delle vostre azioni Kathe... - disse Celia con voce malinconica.

- E' inutile che ne parliamo Ce' - rispose fredda la sorella - Dov'è Erik? Perché siamo in una carrozza? -

- Erik ci sta portando in giro da un'ora, è quasi buio - Celia spostò lo sguardo su Klod.

- Ha ucciso in un secondo la guardia che mi aveva trafitto col pugnale - sussurrò Kathe portandosi una mano al fianco e notando gli abiti, ricordando la rapidità del fratello e il suo sguardo feroce.

- Avevi un aspetto terrificante, sembravi un uomo - commentò Celia ripensando al suo aspetto quando era entrata nella casa del ladro.

- Nehellenia è stata brava, è un'elfa sai? - disse osservandosi le mani ancora truccate per sembrare maschili.

- Klod mi ha raccontato ogni cosa - annuì Celia. La carrozza si fermò e la porta si aprì dopo pochi secondi.

Kathe e Erik si guardarono all'istante e Celia non poté evitare di immaginare cosa si celava dietro quello sguardo. Levò una preghiera silenziosa, che Sosistras dèa Madre proteggesse sua sorella.

- Stai meglio - disse sorridendo il ladro.

- Sì, grazie - annuì Kathe stranamente dimessa.

- Siamo davanti alla taverna dell'Oste Addormentato, riporto la carrozza alla rimessa e vi raggiungerò - aggiunse il ladro tenendo sempre lo sguardo sulla giovane maga.

Celia dette uno scossone a Klod che dormiva beatamente.

- Ho fame - disse il fratello con voce assonnata.

- Sempre il solito - commentò Kathe. Klod la guardò in tralice e sorrise.

- Stai meglio - constatò - E sei acida come sempre, quindi è tutto tornato come prima - rise e scese dalla carrozza aiutando la sorella. Poi si voltò verso Erik.

- Sei un maestro dei furti - gli sussurrò sorridendo e il ladro gli strizzò l'occhio.

Entrarono nella taverna e la carrozza ripartì.

- Mi devo lavare - disse Kathe disgustata.

Celia osservò i due fratelli salire le scale, sospirò e li seguì col cuore cupo.


Era notte fonda quando Erik si presentò alla loro finestra. Avevano fatto un bagno tutti e tre e si erano cambiati. Erano scesi ed avevano cenato e parlato.

Celia gli aveva fatto la ramanzina, insistendo sui suoi rapporti con l'Ordine e Sir Brigham e sul fatto che loro sembravano ignorare completamente questo legame. Via via che il tempo passava, Kathe diventava sempre più nervosa. Erik se ne era andato ma non aveva lasciato la pergamena che aveva rubato. Per la precisione, non era neanche sicura che l'avesse presa davvero.

- Sei sicura che verrà? - chiese per l'ennesima volta alla sorella. Celia la fissò in silenzio per qualche secondo.

- C'eri anche tu quando ha detto che ci avrebbe raggiunto - rispose pacatamente.

- Klod hai visto se aveva la pergamena con sé? - chiese di nuovo al fratello che impilava le mille monete d'oro che rimanevano da dare al ladro come pattuito. Il giovane alzò la testa annoiato

- Kathe, perché non ti metti a leggere quel tuo librone? - suggerì Klod, la sorella si torceva le mani nervosamente.

Udirono un rumore e Celia si alzò lentamente mentre Kathe scattò in piedi. Erik aprì la finestra ed entrò con un movimento agile.

- Ben ritrovati, fratelli Hianick - fece un lieve inchino sorridendo e posò lo sguardo su Kathe.

- Ecco la pergamena - disse infilando una mano sotto il mantello nero e mostrando una pergamena piegata. Kathe si illuminò e allungò la mano.

- Prima vorrei vedere la parte del pagamento che ancora mi spetta - disse Erik ritraendo leggermente la mano. Lo sguardo di Kathe si indurì all'istante.

- Ecco per te - Klod allungò un sacchetto gonfio e tintinnante. Il ladro soppesò la borsa sorridendo, si avvicinò e posò la pergamena nella mano aperta di Kathe.

- Sei un ladro viscido e disgustoso - gli disse lei sibilando.

- Lo stesso ladro che ti ha permesso di entrare in possesso di quella pergamena e che ti ha salvato la vita - rimarcò Erik fissandola intensamente. Kathe non si scompose, strinse la pergamena e si sedette al tavolo aprendola.

- Non sei certamente una donna semplice da accontentare - borbottò Erik, poi scoppiò a ridere.

- Assolutamente no - precisò Klod versando della birra e avvicinando un boccale al ladro. Kathe era così assorta nella lettura che non si accorse dello scambio di battute.

- Cosa farai adesso? - chiese Klod al ladro.

- C'è una ricca signora, frequenta il castello degli Arstid, ha una grande quantità di gioielli, troppi per una persona sola, quindi credo che la alleggerirò del fardello che è costretta a portare - sorrise Erik svuotando il boccale. Klod rise di gusto.

- Come fai a vivere così? - domandò Celia realmente incuriosita. Il ladro alzò le spalle.

- E' un modo come un altro per vivere, alcuni hanno più di ciò che gli necessita, io meno, quindi pareggio il conto - rispose semplicemente. Celia lo fissò restando in silenzio.

- E' lei, è la pergamena giusta! - esclamò Kathe infrangendo il silenzio che si era creato.

- Non posso ancora aggiungerlo al mio libro ma una volta tornata alla Scuola potrò riprendere i miei studi - era raggiante, i lunghi capelli ancora umidi per il bagno.

- Sono lieto di aver assolto bene al compito che mi avevate affidato, spero di potervi servire ancora in futuro - disse Erik aprendo la finestra.

- Dove potrò trovarti? - chiese Klod ripensando alla casa di piacere che avevano attraversato per raggiungere Nehellenia. Quel ladro aveva un potenziale nascosto.

- Lascia un messaggio a Nehellenia, lei me lo recapiterà - rispose Erik saltando nel buio. Kathe si alzò di scatto dalla sedia e corse alla finestra, Celia e Klod si scambiarono uno sguardo d'intesa.

- Se ne è andato... - sussurrò la maga.

- Credo che andrò a letto - Klod si spogliò rapidamente e in un attimo era sotto le coperte.

Celia rimase ad osservare la sorella coi gomiti appoggiati alla finestra che scrutava le tenebre di quella notte senza luna.


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Capitolo 10
*** Malintesi ***


10. Malintesi


Sir Brigham non inviò alcuna lettera, così i tre fratelli tornarono a Torap e al castello di famiglia per la gioia della loro madre. Dopo circa tre settimane Klod tornò alla Guarnigione, Kathe alla sua amata Scuola e Celia all'Ordine.

Non parlarono più del furto al museo né del ladro affascinante dagli occhi azzurri che li aveva aiutati. Celia ebbe così la possibilità di scoprire cosa fosse il simbolo sull'anello dell'elfo Lewel che Klod aveva scorto durante la battaglia alla caverna.

La biblioteca dell'Ordine nel Monastero di Torap era molto grande, anche se non come quella di Fir Ze ma le bastò consultare un vecchio libro di stemmi e araldica per scoprire la verità.

Il disegno che le aveva fatto rozzamente Klod rappresentava un albero dalla chioma importante e nel suo centro c'era un diamante. Aveva trovato uno stemma molto simile, un grande albero con le radici e un'ampia chioma, al cui centro era incisa una stella a sei punte. Quello di Lewel era un anello, quindi magari lo stemma era stato adattato ma se era davvero quello, si erano imbattuti in un appartenente alla casa reale elfica, perché l'albero era il simbolo dell'attuale Re degli Elfi.

La prima cosa che le venne in mente fu di scrivere a Mark ma solo per un fugace momento, poi accantonò l'idea. Lewel parlava troppo bene e si muoveva in modo perfetto fra gli uomini. Prese altri libri che parlavano degli elfi, della loro storia. Non c'era molto perché erano riservati e non avevano rapporti con il Regno ma gli Storici dell'Ordine avevano fatto un lavoro eccellente. La storia degli elfi era antica, molti Re si erano susseguiti ma le dimensioni del popolo elfico erano sempre rimaste stabili. In nessuno dei libri aveva trovato l'esatta ubicazione del loro regno ma Celia era sicura che qualcuno sapesse esattamente dove si nascondevano.

Il Re in carica era Nofiles della Casa Amillar, una delle più antiche e stimate fra gli elfi. Uno dei libri spiegava nei dettagli la complessa politica elfica, il trono non andava di diritto al principe della casa che governava ma doveva dimostrare di poter ascendere a quella carica. Il Concilio dei Sei era composto dalle sei Case più importanti che fungeva da appoggio al Re per le decisioni da prendere e per scegliere un nuovo Re quando era stato necessario.

In un altro libro era dettagliatamente scritta la vita sociale, adoravano gli stessi dèi degli uomini di quella parte del mondo e in particolare maniera erano devoti a Ferinel, dèa della grazia e della saggezza. Erano scultori, pittori, compositori e apprezzavano le cose belle e delicate ma questa loro natura apparentemente aulica non doveva ingannare perché sviluppavano da migliaia di anni tecniche di combattimento con armi e magia. Questi guerrieri spietati e letali si chiamavano ayros che in elfico significava fedeltà.

C'era qualcosa di molto simile all'Ordine, l'Olyhamar, che preparava quegli elfi che si avvicinavano alla fede e desideravano diventare chierici, che in elfico si chiamavano rehim, che significava saggezza.

Vivevano molto a lungo, più del doppio della vita di un comune essere umano. Un elfo abbandonava quasi subito la casa in cui nasceva per frequentare i kiliaeh, le scuole in cui venivano formati. Un libro parlava esplicitamente della loro grande abilità nel creare e forgiare gioielli e spade.

Quando Celia chiuse l'ultimo libro, si appoggiò con la schiena alla sedia. Sollevò lo sguardo e fuori era ormai buio. In tutti quegli anni di studio presso l'Ordine non aveva mai pensato di interessarsi di altri popoli, era stata troppo concentrata ad imparare e assorbire tutto ciò che l'Ordine era disposto a darle. Sapeva che gli elfi esistevano, come i nani o gli gnomi ma non aveva mai avuto occasione né interesse per studiare qualcosa.

Chissà chi era Lewel e perché lo avevano mandato ad Albany a ritirare la scatolina come un semplice messaggero.

- In biblioteca a quest'ora Celia, non è da te - la voce bassa e roca dell'Alto Chierico la raggiunse. La giovane sorrise prima di voltarsi e alzarsi.

- Avete ragione, Maestro - rispose arrossendo. In quegli anni al Monastero aveva frequentato molto poco la biblioteca a favore di lezioni più fisiche e, se ci andava, era la sera tardi per leggere, non certo per studiare.

- Come mai ti interessano gli elfi? - chiese l'anziano Chierico sedendosi stancamente. Celia ricordava ancora perfettamente il giorno in cui lo conobbe durante la benedizione di Klod. Quel giorno lui cambiò la sua vita.

- Vi ricordate la scatola che mi avete chiesto di consegnare ad Albany? - l'Alto Chierico annuì.

- Avete svolto un ottimo lavoro, ricordo ancora la lettera inviata da Sir Mark dove, oltre agli eventi, elogiava la tua puntualità e disponibilità - Celia arrossì e chinò la testa. L'Alto Chierico sorrise osservandola.

- Sir Mark è stato troppo gentile - sussurrò la giovane senza rialzare lo sguardo.

- Credo che la gentilezza non c'entri affatto - ribatté dolcemente l'Alto Chierico. Celia  sollevò lo sguardo.

- Nonostante tutto ciò che è accaduto al Monastero ha saputo gestire al meglio la situazione - nell'istante in cui guardò l'anziano chierico, la giovane seppe che sapeva ogni cosa. Il saggio maestro sorrise e lei arrossì di nuovo.

- Celia bambina, non c'è alcun bisogno di mentire con me - le disse l'anziano chierico posandole una mano sulla spalla. Celia scosse vigorosamente la testa.

- Avete frainteso Maestro - disse cercando di mantenere la voce salda - Ho grande stima per Sir Mark, un giorno vorrò essere un Chierico Cavaliere come lui - l'Alto Chierico soppesò le parole della giovane.

- Sono dolente del malinteso - concluse mantenendo un sorriso enigmatico - Torniamo agli elfi - suggerì toccando uno dei libri. Celia si sedette e gli raccontò ogni cosa. Era la seconda volta che mentiva ad un suo superiore.


L'estate era trascorsa freneticamente, il Comandante della Guarnigione aveva preso alla lettera il ruolo di attendente di Klod, costringendolo a fare i lavori più inappropriati, dal punto di vista del giovane, una volta gli aveva fatto addirittura lucidare gli stivali.

Ma quei mesi di obbedienza avevano forgiato e cambiato il suo modo di vedere le cose. Per poter comandare una Guarnigione non si doveva solo saper usare una spada ma soprattutto aver imparato ad obbedire per farsi obbedire dai propri uomini.

Il Comandante Arnesh era inflessibile quando doveva ma spesso beveva con alcuni di loro, scherzava, per poi tornare ad essere severo. Klod ormai aveva imparato ognuno di questi stati d'animo. In base a come usciva la mattina dai suoi alloggi, era in grado di sapere che giornata avrebbe avuto e di conseguenza cosa avrebbe dovuto aspettarsi lui.

Aveva ricevuto una lettera da Celia, dove gli spiegava di avere risolto l'enigma dell'anello e aver scoperto probabilmente chi fosse il loro comune amico dagli orecchi a punta. Nella lettera era indicata anche una data in cui avrebbero potuto trovarsi a casa e, oltre a fare una visita ai genitori, gli avrebbe raccontato ogni cosa.

Klod non era certo che il Comandante gli avrebbe dato il permesso di andare ma avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per riuscire ad ottenerlo.

Quella mattina di inizio settembre l'aria era fresca. Il sole non era ancora sorto e lui era già in piedi. Arnesh gli aveva chiesto di riorganizzare l'archivio delle reclute. C'erano anni di scartoffie inutili da buttare, altri documenti invece dovevano essere tenuti. Si presentavano decine di giovani, tutti benintenzionati, che volevano entrare nella Guarnigione, pochi oltrepassavano il primo anno.

C'erano circa venti grandi scatole di legno che Arnesh aveva tirato fuori da chissà quale degli inferni abissali. Erano polverose e piene di ragni, alcune pergamene si sbriciolavano fra le dita appena le toccava. Ogni scatola aveva dentro un registro dove erano stati segnati i nomi e le città di provenienza delle reclute.

A metà mattinata circa il caldo iniziò a farsi sentire. Anche se la mattina e la sera era indubbiamente più fresco, durante il giorno il sole era ancora molto caldo. Klod alzò lo sguardo e notò con piacere che due terzi delle casse erano a posto, gli restava solo un terzo ed era quasi ora di pranzo. Nel pomeriggio avrebbe terminato e potuto partecipare agli allenamenti di spada e lotta.

Si alzò e si diresse agli alloggi per darsi una lavata e togliersi la polvere dalla pelle che lo faceva sentire come un vecchio straccio. Il sole picchiava prepotente sulla piazza lastricata fuori dagli uffici di Arnesh. La attraversò rapidamente ed entrò nel fresco riparo dei bagni comuni. C'era grande silenzio, tutti gli altri erano sicuramente già nella sala comune dove veniva servito il pranzo.

Si spogliò e si lavò rapidamente con l'acqua della grande tinozza che veniva riempita ogni mattina. Quella sera avrebbe incontrato la dolce Nissea, aveva occhi blu come il mare e un fondo schiena perfetto. Si asciugò sorridendo e sentì la porta aprirsi.

- Ancora qui? Se farai tardi non ti serviranno il pranzo - disse Shazer dandogli una pacca sulla spalla.

- Arnesh mi riempie di lavori inutili - borbottò Klod infilandosi brache e pantaloni. Shazer sorrise e si tolse l'armatura di cuoio restando a torso nudo.

-  Resisti, tutto ciò che fai ora ti tornerà utile dopo - filosofeggiò il guerriero sedendosi e massaggiandosi la mascella.

- Hai un bel livido lì - notò Klod e invidiò l'amico che aveva potuto allenarsi insieme agli altri tutta la mattina.

- Grian deve avermi rotto un dente - e imprecò sputando a terra.

- Fammi vedere - disse Klod, si avvicinò e si chinò per guardare. In quell'istante la porta si aprì alle sue spalle e il giovane si rizzò in piedi.

- Non volevo interrompere - disse Arnesh ghignando osservando i due giovani mezzi nudi.

- Avete frainteso Comandante - replicò Klod arrossendo - Io stavo solo... -

- Hianick, non mi dovete alcuna spiegazione, sono adulto, lo so come vanno certe cose - rincarò Arnesh dirigendosi alle latrine.

- Stavo controllando se aveva un dente rotto - insisté Klod serrando i pugni - Digli qualcosa anche te! - sussurrò poi a Shazer.

- Comandante mi stava solo controllando i denti... - aggiunse l'amico.

- Non mi interessa cosa stavate facendo - udirono la voce cavernosa dalla latrina.

- Mi sfotterà per la vita eterna... - Klod si sedette sulla panca accanto a Shazer.

- Se ne sarà dimenticato fra un minuto - lo rassicurò - E poi io ho la donna che mi aspetta a casa, lui lo sa - e gli strizzò l'occhio - Ti prende solo in giro -

Klod guardò l'amico che sorrideva, la mascella che si gonfiava lentamente.

- Spero tu abbia ragione - disse il giovane guerriero finendo di vestirsi e uscendo mestamente dai bagni.

Quando raggiunse la sala da pranzo era ormai vuota ma riuscì a mangiare lo stesso. Pulì per bene la ciotola con lo spezzatino col pane scuro e bevve la birra stantia. Tornò immediatamente nell'ufficio di Arnesh per terminare il lavoro con la speranza di non incontrarlo fino al giorno seguente.

Speranza che si vanificò nell'istante in cui aprì la porta.  Arnesh era seduto alla scrivania laterale, quella che occupava lui con lo schedario, anziché alla sua scrivania al centro della stanza.

- Hianick, ti sei rifocillato? - lo canzonò il comandante.

- Sì signore - rispose Klod chiudendo la porta.

- Vedo che stai facendo un ottimo lavoro qui - constatò osservando le carte ordinate. Klod non gioì neanche per un istante del complimento, sapeva che come gli scorpioni Arnesh lo avrebbe punto.

- Grazie Signore, sto facendo del mio meglio - annuì Klod restando immobile. Il Comandante si alzò.

- Pensavo che il tuo meglio lo stessi dando prima a Shazer nei bagni - gli fece notare con falsa noncuranza. Klod per poco non assecondò il suo istinto più feroce che gli diceva di colpire quell'uomo insolente che non ascoltava mai nessuno.

- Signore vi ho già detto che avete frainteso - rispose invece serrando la mascella. Arnesh scoppiò a ridere lasciandolo interdetto.

-  Hianick tu prendi le cose sempre troppo sul serio - e rise ancora. Klod rimase in silenzio ma mantenne lo sguardo rovente sul suo Comandante.

- Ti sei trattenuto quando avresti voluto colpirmi - aggiunse quando la risata si spense.

- Non volevo colpirvi - cercò di giustificarsi il giovane.

- Sì, volevi ma non l'hai fatto. Forse c'è ancora una speranza per te - gli assestò una sonora pacca sulla spalla spingendolo sulla sedia.

- Finisci il lavoro, stasera ti aspetto nella piazza, porta una spada - e uscì chiudendo la porta.

Klod rimase qualche istante immobile, con le parole che gli rimbombavano in testa. Avrebbe combattuto contro di lui, non poteva ancora crederci! Prese il pennino e si gettò a capofitto sulle vecchie pergamene.


Quando Kathe ricevette la lettera di Celia rimase sorpresa dall'indagine che la sorella aveva compiuto. Non era certo da lei mettersi sui libri a cercare informazioni.

Non era rientrata nel corso di studi di aprile proprio a causa di ciò che avvenne in quel viaggio. Se chiudeva gli occhi poteva ancora rivedere il volto di Lewel. L'appuntamento con Celia era per la metà di settembre e visto che non stava seguendo alcun corso in particolare sarebbe partita subito per tornare a casa qualche giorno prima.

La Scuola di Magia si trovava a soli due giorni di carrozza, quindi poteva fare con tutta calma. Sua madre e suo padre sarebbero stati lieti di riaverla in casa per un po' e lei non vedeva l'ora di godere delle comodità del castello di Torap.

Aveva la testa piena di mille pensieri e chiuse il libro di incantesimi che stava cercando di studiare dato che non riusciva a concentrarsi. Appoggiò il pesante tomo sulla scrivania e si distese sul letto. Aveva proprio necessità di staccare un po'. In quei mesi, dal ritorno da Fir Ze, non aveva smesso un attimo di studiare, voleva essere in grado di lanciare al più presto l'incantesimo che avevano preso al Museo delle Antichità. Gli incantesimi erano divisi per classi e i maghi dovevano studiare molto per poter lanciare quelli più potenti. La magia aveva un funzionamento molto semplice: era dovunque, come un flusso invisibile. Ai maghi veniva insegnato il sistema per richiamarla e soggiogarla con gli incantesimi in modo che agisse a piacimento del mago. La stessa cosa, un po' più complessa, veniva fatta quando si desiderava incantare un oggetto.

Il talento di un mago si riassumeva nella capacità di capire questo funzionamento e nella rapidità di esecuzione di un incantesimo. Inoltre la conoscenza del corpo umano e della mente aiutava un mago a accrescere la sua abilità nello scegliere l'incantesimo migliore.

La potenza di un mago era data dalla quantità di incantesimi che riusciva ad imparare e scrivere sul proprio libro con le rune. Ogni mago sviluppava un proprio linguaggio runico, con cui codificava attentamente ogni incantesimo rendendolo illeggibile ad altri maghi quando si trovava all'interno del libro. Quando era necessario incantare una pergamena invece, dato che il suo uso doveva essere pubblico, veniva usato un alfabeto runico universale, che veniva incantato per renderlo invisibile ed era quindi necessario un incantesimo di individuazione per comprendere il testo dell'incantesimo.

La maga si alzò uscendo dalla piccola stanza che condivideva con un'altra allieva. Aloir era viziata e petulante. Si lamentava per ogni cosa, perfino per il cibo che veniva servito nella Scuola, e non aveva un particolare talento per la magia. Spesso Kathe si domandava cosa ci facesse lì.

I corridoi erano silenziosi. C'era una dimostrazione nell'Aula della Terra, la professoressa Inhaila eseguiva un noioso incantesimo di primo livello che lei sapeva evocare alla perfezione. La lettera di Celia l'aveva incuriosita, così aveva deciso di recarsi in biblioteca. Era completamente diversa da quella del Monastero di Albany, molto più grande e fornita, ma in questa c'erano libri sconosciuti al mondo che trattavano di magia nera, oscura e infernale e di negromanzia, con cui si poteva avere il dominio sui morti e, molti maghi dicevano, diventare potenti ed eterni non-morti. Non erano libri che si potevano consultare, solo il direttore della Scuola aveva la chiave magica per aprire la teca che li custodiva.

Imboccò il corridoio dove si trovavano gli uffici degli insegnanti e un movimento attirò la sua attenzione. Si bloccò, era sicura di aver visto qualcuno nell'ombra del corridoio poco più avanti. Avanzò cautamente e si accorse che una delle porte sulla destra era aperta.

Si guardò intorno ma non c'era nessuno, il tappeto a terra attutiva i rumori. In punta di piedi si avvicinò alla porta socchiusa, era l'ufficio della professoressa Yvette che insegnava la magia del fuoco. Alla fine di settembre avrebbe frequentato le sue lezioni per imparare l'incantesimo che aveva preso al museo. L'interno era più buio del corridoio, c'era odore di zolfo e di incenso. Kathe entrò silenziosamente e si fermò per abituarsi all'oscurità. Se qualcuno si era introdotto lì lo avrebbe colto sul fatto. Vide alcune sagome davanti a sé e ricordava un basso tavolino e due divani uno di fronte all'altro.

Li oltrepassò e fece attenzione a non urtare le due sedie di legno che si trovavano di fronte alla scrivania. Le aggirò e sfiorò con il gomito lo scaffale sulla destra. Si acquattò con il cuore che le batteva all'impazzata per la paura e la tensione. Aveva già ripassato qualche incantesimo che sarebbe potuto tornare utile, come la ragnatela.

Girò intorno alla scrivania e raggiunse il muro. C'erano altri scaffali e una credenza con le ante. Represse un'imprecazione quando sbatté in una delle ante che era aperta. La tastò con la mano. Qualcuno l'aveva aperta. Si mise di fronte alla credenza facendo attenzione a non urtare nuovamente qualcosa.

- Allieva Hianick, lei cosa ci fa nel mio ufficio? - la voce squillante giunse in contemporanea alla luce magica che si accese. Kathe si bloccò voltandosi lentamente.

- Le assicuro che non è come sembra - disse Kathe maledicendosi per aver voluto seguire l'ombra che aveva visto.

- E come sembra, allieva Hianick? - insisté la professoressa Yvette chiudendo la porta dell'ufficio. La credenza dietro a Kathe era aperta, c'erano delle pergamene a terra e tutti nella scuola conoscevano la sua insaziabile curiosità e brama di conoscenza. Kathe abbassò la testa.

- C'era qualcuno nel corridoio, l'ho visto entrare qui ma era tutto buio... - cercò di giustificarsi Kathe sapendo che stava calcando un terreno pericoloso, non aveva alcuna prova per confermare ciò che stava dicendo. La stanza era vuota, eppure era sicura di aver visto entrare qualcuno.

La professoressa si guardò intorno. La credenza non era l'unica cosa che era stata aperta.

- E lei vorrebbe farmi credere che è entrata qui, seguendo un'ombra, al buio, a tentoni, senza lanciare un incantesimo di luce né altra protezione? - Yvette alzò un sopracciglio perplessa - Mi sta chiedendo molto allieva Hianick - avanzò nella stanza guardando gli scaffali, le pergamene spostate. Raggiunse la scrivania e si sedette. Ogni cosa lì era intatta.

- Sì signora, è esattamente quello che è accaduto - ripeté Kathe mantenendo ferma la voce. La professoressa fissò l'allieva per qualche secondo. Magra, molto carina, dai lunghi capelli biondo cenere, figlia del Conte Hianick, era abituata sicuramente ad ottenere tutto ciò che voleva.

- Parlerò di questo episodio con il direttore della Scuola - esordì dopo un po' - Nei prossimi giorni sarà chiamata per chiarire questa spiacevole situazione - e abbassò lo sguardo sulle carte della scrivania prendendo una piuma d'oca dal calamaio. Kathe avrebbe voluto ribattere, spiegare ma si rese conto che la professoressa si era già fatta la sua idea. Strinse le labbra, fece un lieve inchino, ed uscì proseguendo per la biblioteca e imprecando a bassa voce per la sua stupida e inutile curiosità.

Eppure c'era qualcuno.


Il Monastero dell'Ordine di Torap si trovava a circa un giorno di viaggio dalla città, sulla cima di una collina, da cui dominava la pianura circostante. Era un punto di riferimento per i viaggiatori che venivano da sud, tutti sapevano che presso il Monastero si riceveva ospitalità e un pasto caldo. Somigliava ad un castello, era basso, non c'erano torri svettanti ma un solo maschio quadrato sulla destra, le mura che circondavano la parte centrale contenevano stanze, scale e corridoi. C'era anche un sotterraneo dove c'era l'armeria e la cantina.

Il maschio era formato da tre piani, al piano terra c'era la sala d'armi dove si allenavano i cavalieri, al primo piano gli alloggi dei Chierici Cavalieri e dei Guaritori, al secondo gli alloggi degli Storici e la biblioteca, al terzo le stanze dell'Alto Chierico e dei suoi attendenti, solitamente Storici o Guaritori, e la cappella dove venivano tenute tutte le funzioni giornaliere. I Monasteri in cui venivano insegnate le arti avevano a capo un Alto Chierico, quelli che fungevano da difesa o espletavano servizi diversi erano gestiti da un Chierico Cavaliere.

Al centro del Monastero, nell'ampio cortile interno, c'erano alcuni edifici di legno e pietra, dove i Guaritori accoglievano e aiutavano i viandanti che arrivavano al Monastero con cibo, cure e alloggi, il fabbro, le stalle, e la grande macina di pietra, molti contadini dei dintorni portavano il grano al Monastero per trasformarlo in farina. Inoltre c'era un edificio alla sinistra dei portoni d'entrata, dove i Guaritori producevano e vendevano pozioni, unguenti, miele, saponi, tisane, liquori d'erbe, e uno alla destra presidiato dai Cavalieri. All'interno delle mura c'erano le stanze dove gli Storici copiavano abilmente libri e pergamene e i Guaritori creavano le pergamene e gli oggetti magici, le aule per l'insegnamento, la mensa e le cucine.

Nonostante settembre fosse ormai inoltrato, il sole scaldava ancora e la sala d'armi era un forno. Un giovane allievo aprì le grandi finestre e l'aria raffrescò l'ambiente. Celia indossava l'armatura, la sentiva pesante come un macigno dopo due ore di allenamento. Il Cavaliere davanti a lei non le dava tregua, intorno a loro c'erano altri che si allenavano alla stessa maniera.

La provocava, la derideva, diceva che una donna non poteva fare il Chierico Cavaliere, che per lei era più adatto il ruolo di Guaritore, che gli uomini per natura sono più portati alle battaglie e le donne alla cura. Ogni giorno la stessa storia. Le parole taglienti si alternavano alle stoccate, agli errori, alle cadute, al sudore, al sangue. Lei stringeva i denti, si rialzava, si rimetteva in guardia, usava la magia, senza mai proferire parola, senza raccogliere insulti, era addestramento, in battaglia poteva capitare che gli uomini ti deridessero così si allenava a non dargli peso. Sir Oswald le dette una spallata dopo un affondo e la buttò a terra.

- Per oggi basta - grugnì il Cavaliere che formava gli allievi che desideravano diventare Chierici Cavalieri.

- Ancora - disse Celia rialzandosi.

- Ho detto basta! - ripeté il Cavaliere - Alistar, prendi quella tua brutta mazza e vieni qui! - urlò ignorando completamente Celia. La giovane si spostò sul bordo della sala raggiungendo Rhienne e Locanir, con cui si allenava e studiava solitamente, seduti su una panca di legno.

- Ti ha battuto oggi - commentò Locanir, un accenno di barba e baffi stava iniziando a coprire il suo volto abbronzato.

- Mi batte sempre - borbottò Celia ansimando e guardando con occhi roventi Sir Oswald.

- Chissà perché Sir Oswald non è mai diventato Chierico Cavaliere e ha preferito restare come Maestro d'Armi - sussurrò Rhienne per non farsi sentire. La chierica proveniva dalla contea accanto a Torap. La sua famiglia si era trasferita dieci anni prima e quando lei era arrivata al Monastero era sola e non conosceva nessuno. Aveva fatto amicizia con Celia che si era rivelata subito schietta e simpatica, oltre che estremamente decisa a diventare un Cavaliere.

- Perché è un pusillanime - rispose Celia.

- Tieni la voce bassa amica mia o incorrerai in qualche punizione - Rhienne le dette una gomitata amichevole.

- Aiutami con l'armatura - Celia si alzò mettendosi davanti all'amica che sganciò le fibbie laterali.

- Ti ha ferita al fianco - la avvertì Rhienne, anche Locanir si spostò per vedere.

- Non me ne sono accorta - Celia abbassò lo sguardo e vide il sangue che bagnava la tunica. Rhienne appoggiò il pettorale dell'armatura sulla panca e Celia fece una smorfia.

- Dovete migliorare le parate a sinistra - la voce inconfondibile di Sir Mark la raggiunse alle spalle. Rhienne e Locanir si alzarono e fecero un lieve inchino.

- Sir Mark - salutarono insieme. Celia socchiuse gli occhi e poi si voltò.

- Sir Mark - disse a sua volta, e fece un lieve inchino reprimendo una smorfia. Aveva la spiacevole abitudine di arrivare sempre nei momenti sbagliati. Era appena arrivato, indossava l'armatura e il mantello che erano polverosi, le sorrideva nel solito modo sfrontato.

- Fatemi dare un'occhiata - e si avvicinò.

- Non è necessario - Celia fece un passo indietro e Sir Mark si fermò. Perfino Rhienne e Locanir avvertirono la tensione e si guardarono.

- Non accetto un diniego - insisté Sir Mark, con una mano sollevò il gomito di Celia e posò l'altra sulla ferita. Pronunciò l'incantesimo e la ferita guarì del tutto in pochi attimi. Avvertì il calore della sua mano, il profumo di cuoio e metallo e tutto ciò che aveva cercato di seppellire in quei mesi tornò a galla.

- Grazie Sir, ma non era necessario - disse Celia a denti stretti. Che ci faceva al Monastero di Torap?

- Sì, era necessario, perché io ho deciso che lo fosse, volete forse darmi degli ordini? - domandò Sir Mark stranamente serio.

- Avete frainteso Sir, non era mia intenzione - disse Celia abbassando lo sguardo. Rhienne e Locanir si guardarono di nuovo.

- La prossima volta prestate più attenzione al combattimento, e alzate la guardia sul fianco sinistro quando Sir Oswald solleva la punta della spada ruotando il polso - consigliò lui, le strizzò l'occhio e se ne andò verso la scala che conduceva ai piani superiori del maschio.

Celia arrossì e osservò il suo mantello che ondeggiava mentre si allontanava.

- Non commentate per favore, oggi non sono dell'umore adatto - sussurrò affranta guardando Rhienne e Locanir. I due amici si guardarono e annuirono.

- Andiamo a farci un bagno - propose Rhienne toccandosi la tunica intrisa di sudore e polvere.

- Io resto a guardare gli allenamenti - disse Locanir salutandole. Le due giovani si diressero all'uscita che dava sul cortile. Fuori il sole del pomeriggio inondava il cortile e si poteva ancora sentire nell'aria il profumo del grano e dell'estate. Oltre le stalle, addossato alle mura nord, c'era un edificio di pietra, senza finestre, con una pesante porta di legno che ospitava i bagni e le latrine.

- Me ne vuoi parlare? - chiese Rhienne guardando davanti a sé. Celia rimase in silenzio.

- Non ti fa bene tenere tutto dentro - insisté l'amica sfiorandole un braccio.

- Non c'è niente da dire - borbottò lei aprendo la porta dei bagni.

- Ti importuna? - la voce di Rhienne era seria. Celia si voltò guardando l'amica negli occhi meravigliata.

- No Rhienne, non preoccuparti - scosse la testa e sorrise mestamente.

- Per la dèa, vi siete innamorati! - si portò una mano alla bocca sgranando gli occhi felice.

- Lascia stare la dèa Madre, lei non c'entra niente in tutto questo... - Celia appoggiò il pettorale sulla panca vicino alla tinozza. Si tolse anche tutti gli altri pezzi, la tunica e l'intimo e si lasciò scivolare nell'acqua. Anche se l'incantesimo aveva guarito la sua ferita, non aveva eliminato la spossatezza delle due ore di allenamento che aveva fatto.

- Perché non mi sembri felice come dovresti essere? - chiese Rhienne immergendosi accanto a lei nell'acqua. Celia teneva gli occhi chiusi.

- Parlami di un solo amore fra Cavalieri che abbia avuto un lieto fine, portami un solo esempio e io correrò fra le braccia di Sir Mark Nateshwar - sussurrò Celia fissando il soffitto. Rhienne rimase in silenzio per molto tempo, tutte le storie che conosceva e di cui aveva sentito parlare in quei dieci anni presso il Monastero avevano tutte avuto esito tragico. Era morto lui, o lei, o entrambi. Nessuna delle coppie che si erano amate aveva avuto figli.

- Questo non significa che voi non possiate essere l'eccezione - esordì Rhienne voltandosi. Celia si girò sorridendo.

- Non ci credi neppure tu - rimarcò Celia con un sorriso amareggiato.

- Perché si è comportato in quel modo nella Sala d'Armi? - domandò l'amica appoggiando la testa sul bordo della tinozza, l'acqua fresca rilassava le membra e addolciva il dolore dei muscoli.

- Ciò che accadde due anni fa è stato un errore. Lui è un Chierico Cavaliere, guida un Monastero, è coraggioso, abile, un ottimo diplomatico. Io mi sto ammazzando di studio e di allenamenti per diventarlo. Non voglio una relazione fatta solo di lenzuola nelle due volte all'anno che potremo vederci e non posso pensare di perderlo ogni volta che parte per qualche missione o combatte in qualche battaglia. Ma lui ha deciso che vuole convincermi del contrario, che ciò che proviamo è troppo importante e non può essere trascurato... - quando terminò la frase si sentì stranamente meglio, parlare dei problemi alleviava davvero la pena del tenerseli dentro.

- Scusami se te lo dico ma concordo con lui - Rhienne si sciolse i capelli ramati e li bagnò nell'acqua.

- L'amore è una distrazione, mi impedisce di concentrarmi e mi fa commettere degli errori - puntualizzò Celia passando il sapone sulle braccia.

- Non lo potrai controllare Celia, ti sopraffarà se non imparerai a gestirlo - le fece notare Rhienne insaponandosi i capelli.

- Ho già imparato, l'ho seppellito - rispose Celia alzandosi e uscendo dalla tinozza.

- Non mi pare funzioni molto, perfino Locanir se ne è accorto solo guardandoti in faccia e sono convinta che chiunque abbia visto la scena ha compreso cosa stesse accadendo - fissò l'amica corrugando la fronte.  

- Abbiamo entrambi responsabilità e doveri, una carriera da percorrere, se ne farà una ragione e alla fine capirà che è la cosa migliore - Celia si alzò e uscì dall'acqua.

- Sir Mark non mi sembra un tipo abituato ad arrendersi... - Rhienne si sciacquò i capelli e li strizzò bene.

- Sir Mark non conosce Celia Hianick... - ribatté lei mentre si rivestiva.

- Celia se cedi a ciò che provi non cade il mondo - Rhienne la guardò con durezza - Ammettere i propri sentimenti, dimostrare dolcezza o femminilità non sono debolezze -

- Per me lo sono, non riesco a restare lucida e concentrata, commetto degli errori. Amore e odio sono sentimenti che un Cavaliere non deve provare, annebbiano la mente e ti portano alla morte - Celia smise di vestirsi e guardò l'amica che usciva dalla tinozza.

- Hai imparato a combattere ed usare la magia, puoi imparare ad amare - rispose implacabile Rhienne asciugandosi.

- No, non posso - borbottò Celia infilandosi gli stivali.

- L'hai già baciato? - chiese all'improvviso Rhienne sussurrandole all'orecchio. Celia sollevò lo sguardo arrossendo ma non rispose.

- Sì, decisamente l'hai baciato, e avete anche... - indagò fissando gli occhi azzurri dell'amica. Celia restò in silenzio e abbassò lo sguardo.

- Celia! - Rhienne si tappò la bocca con la mano stupita.

- Una sola volta Rhienne, una sola, e ti ho già detto che è stato un errore - Celia si alzò irritata.

- E com'è? - domandò Rhienne piazzandosi davanti all'amica che stava cercando di fuggire.

- Bellissimo... ma questo non c'entra niente! - ribatté lei arrossendo - Rhienne devi promettermi di non farne parola con nessuno, io devo studiare e allenarmi, non ho tempo per queste cose, sono stata chiara? E l'ultima cosa che voglio è che si sparga la voce che otterrò il ruolo perché vado a letto con un Chierico Cavaliere! - prese l'amica per le spalle scuotendola leggermente.

- Sì ho capito, non preoccuparti - annuì lentamente Rhienne - Ma voglio tutti i particolari! - disse sorridendo.

- Stasera nella nostra stanza ti racconterò tutto ma ora usciamo di qui! - acconsentì Celia sbuffando. Non aveva raccontato a nessuno ciò che era avvenuto due anni prima, neanche a sua sorella alla quale confidava ogni cosa. Non avrebbe dovuto dire niente a Rhienne, anche se era una cara amica da anni. Nonostante non ci fosse alcun regolamento scritto, i rapporti intimi fra Cavalieri, se non ufficialmente riconosciuti, erano visti come comportamenti lascivi e dettati dalla lussuria e dell'egoismo personale.

Raggiunsero la loro stanza per lasciare l'armatura e mettersi le tuniche. Rhienne si diresse a alle aule per seguire una lezione, le strizzò l'occhio prima di uscire ricordandole la promessa di raccontare i particolari.

Qualcuno bussò discretamente alla porta. Celia aprì la porta e sorrise al giovane allievo che aveva di fronte.

- Celia Hianick, l'Alto Chierico vi attende nel suo studio - riferì e attese immobile davanti alla porta.

- Vi seguo - rispose la giovane chiudendo la porta.


Tornare a casa era sempre piacevole e allontanava la nostalgia dei luoghi conosciuti e la distanza dalle persone care. Alla fine il comandante Arnesh gli aveva concesso il permesso di tornare a casa per due giorni. L'estate era ormai finita e si iniziavano a vedere le prime foglie gialle. Klod fermò il cavallo sulla collina osservando la Villa dall'alto. I loro genitori si erano trattenuti nella dimora estiva, e quando i figli avevano scritto che sarebbero tornati a casa, la missiva di risposta li invitava a raggiungerli alla Villa. Osservando il villaggio si chiese se Feria andasse ancora a prendere l'acqua al pozzo ogni mattina…

Spinse la cavalcatura al galoppo e in pochi minuti raggiunse l'elegante Villa. Due Guardie Armate sorvegliavano il cancello delle mura, lo riconobbero e lo lasciarono passare.

Lasciò il cavallo alle stalle alle cure di Oyster, lo stalliere capo. Salì di corsa le scale e si diresse alla biblioteca dove sapeva avrebbe trovato sua madre intenta nella lettura. Salutò con parole o gesti cordiali ogni persona che incontrava e infine bussò alla porta, udendo un assenso l'aprì deciso ed entrò.

La penombra del pomeriggio inondava la biblioteca, sua madre si alzò e gli andò incontro sorridendo. L'abbraccio fu lungo e silenzioso.

- Sai di cavallo - proferì sua madre storcendo il naso.

- Andrò a lavarmi, prima volevo salutarvi madre - disse Klod posandole un bacio sulla guancia.

- Tuo padre è ai recinti, controlla i cavalli, ne venderà un centinaio al Duca Arstid - lo informò Erika tornando a sedersi.

- Le mie sorelle sono già arrivate? - si versò del liquore ambrato in un bicchiere dalla credenza vicino alla porta.

- Sì, sono al Parco - sorrise Erika guardando il figlio che cresceva e si irrobustiva ogni volta di più.

- Avete previsto altre feste a sorpresa? - gli domandò il figlio sollevando un sopracciglio. Erika sorrise e scosse la testa.

- Niente feste, niente fidanzati. Non la prese bene Celi, vero? - sembrava angosciata.

- Conoscete Celia madre, non potete obbligarla a fare qualcosa che non vuole - bevve un sorso del liquore, sapeva di agrumi e ginepro.

- Klod non c'è necessità che ti spieghi che tua sorella invecchia, deve prendere un marito che accresca il potere economico e politico della famiglia - Erika strinse le mani in grembo.

- Magari non vuole... - rispose sedendosi sul bracciolo della sedia di fronte alla madre.

- Non le è concesso, se non deciderà da sola, tuo padre lo farà per lei - spiegò Erika scuotendo la testa.

- Sapevate il tipo di vita a cui sarebbe andata incontro scegliendo l'Ordine - Klod sollevò le spalle finendo il liquore.

- Le abbiamo fatto fare ciò che voleva, è ora di tornare a casa e lasciare quella strada per una più indicata e proficua - insisté Erika fissando il figlio.

- Non capisco perché vi siate così intestarditi, in fondo erediterò io il titolo, non mi sembra ci siano problemi politici ed economici, perché volete per forza maritarla a qualcuno? - Klod ripensò inevitabilmente al Monastero di Albany e a Sir Mark Nateshwar, non ci voleva certo un indovino per capire che fra loro era accaduto qualcosa.

- Non deve riguardarti, Celia deve prendere marito, possibilmente un altro Conte o, se la dèa volesse, il figlio di Arstid -

- Quel terrificante moccioso?! Madre non potete davvero pensare di dare vostra figlia a quella nullità! -

- Una nullità che varrebbe alla nostra famiglia denari sonanti in tasse annuali e un'alleanza politica direttamente davanti al Re! - Erika si alzò in piedi ergendosi sulla persona.

- Celia è una bella ragazza, poco femminile è vero ma possiamo rimediare. Ciò che non si rimedia è il tempo che scorre, venticinque anni sono già troppi! - aggiunse la madre al silenzio di Klod.

- Avete detto le stesse cose a Kathe? - chiese il figlio dopo qualche attimo di silenzio, era troppo convinta, non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea.

- Sì, e lei è d'accordo - ammise la madre tornando a sedersi e lisciandosi i lunghi capelli castani acconciati in una treccia sulla spalla.

- Perché non fate sposare lei ad Arstid? - ridacchiò Klod al pensiero della sua sorellina che brucia il sedere del Duca con un incantesimo.

- Non dire assurdità! Kathe è secondogenita, non è pensabile proporla al Duca come sposa per suo figlio - Erika riprese in mano il libro che stava leggendo e questo pose fine alla discussione.

Klod si lavò e andò nelle cucine a mangiare qualcosa, poi si diresse al Parco dove trovò le sorelle che chiacchieravano animatamente su una panca nel Viale delle Viole. I piccoli fiori profumati iniziavano a punteggiare il verde delle aiuole.

- Klod! - Celia gli andò incontro abbracciandolo.

- Sorelle! - sorrise lui ricambiando. Anche Kathe lo raggiunse abbracciandolo a sua volta. Si sedettero di nuovo godendo del tepore del tardo pomeriggio settembrino.

- Adesso voglio sapere tutto ciò che hai scoperto, ho solo due giorni di licenza, poi devo tornare alla Guarnigione. Ho dovuto trattenere la curiosità fino ad ora dall'arrivo della tua lettera! - esordì Klod guardando Celia. Lei rise di gusto, poi estrasse un disegno che rappresentava una quercia con le radici e in mezzo una stella a sei punte.

- Somiglia all'anello di Lewel - Klod prese il disegno.

- Non gli somiglia, è proprio lo stesso stemma -

- Lewel aveva un anello? - chiese Kathe incuriosita.

- Sì - annuì Klod - Lo teneva ad una catenina al collo, l'ho visto durante la battaglia alla caverna, dove sei stata ferita -

- Che stemma è? - chiese Kathe prendendo a sua volta la pergamena.

- E' della casa reale elfica che governa in questo momento - disse lentamente Celia. I due fratelli alzarono lo sguardo stupiti.

- Un principe elfo? - domandò Kathe in un sussurro sconvolto.

- Non lo so ma sicuramente un appartenente alla casa reale, quegli anelli non si possono dare in giro, me lo ha confermato anche l'Alto Chierico - spiegò Celia fissando sorridente i due fratelli.

- Era educato, parlava perfettamente il comune, e non era affatto a disagio con gli umani, inoltre aveva una dialettica e un modo di muoversi e comportarsi che lo elevava al di sopra del comune messaggero - constatò Klod guardando ancora una volta il disegno.

- Chissà chi è realmente - sussurrò di nuovo pensierosa Kathe.

- Ahi! Cotta amorosa in vista? - disse Klod dandole un buffetto sulla spalla.

- Ma no! - rispose Kathe arrossendo - Però dovete ammettere che era davvero carino -

- Un po' magro e basso per me ma ammetto che era affascinante - fu costretta ad ammettere Celia annuendo.

- Io l'ho trovato simpatico - disse Klod, e le due sorelle scoppiarono a ridere.

Celia raccontò tutto ciò che aveva scoperto sugli elfi, leggendolo sui libri della biblioteca del Monastero. Spiegò che l'Alto Chierico aveva confermato che era un anello reale e che chi lo portava doveva per forza appartenere alla famiglia reale. Si era stupito anche lui che avessero mandato una persona così importante a prendere la scatola ma probabilmente doveva essere un oggetto molto speciale.

- Come mai il comandante Arnesh ti ha dato solo due giorni? Lo hai fatto arrabbiare? - chiese Kathe cambiando discorso dato che la questione elfi si era esaurita. Klod scosse la testa.

- Non l'ho fatto arrabbiare ma credo abbia un progetto segreto per me, mi fa lavorare il doppio degli altri e ultimamente mi ha allenato tre volte di persona - raccontò Klod distendendo le gambe sulla ghiaia del vialetto.

- Vorrà promuoverti - disse Celia sorridendo. Era felice che suo fratello avesse trovato qualcuno capace di tenergli testa.

- Non penso, soprattutto dopo un malinteso di qualche tempo fa - rise sonoramente Klod e raccontò alle sorelle l'episodio dei bagni.

- Voleva solo prenderti in giro Klod, ti fai troppi problemi - disse Kathe, il fratello scosse la testa.

- Se permetti, io ci tengo alla mia reputazione! - bofonchiò lui incrociando le braccia al petto.

- Klod, credo che tutta la contea sappia che ami le donne come la spada e la birra... - sospirò Celia - E lo sa anche Arnesh... -

- Preferisco che non vengano messe in giro certe notizie - borbottò Klod guardando le sorelle.

- Anche a me è accaduto un malinteso davvero singolare alla Scuola - Kathe raccontò l'episodio dell'intruso che era certa di aver visto nell'ufficio della professoressa Yvette.

- E alla fine come si è risolto? - domandò Klod con lo sguardo corrucciato. Kathe era bramosa di conoscenza, poteva anche derubare un museo ma di sicuro non entrava come una sprovveduta nell'ufficio di uno dei professori della Scuola di Magia per rubare!

- Il direttore mi ha chiamato, c'era anche al professoressa Yvette, mi hanno interrogato, ho risposto sinceramente raccontando tutto e sembra mi abbiano creduto. La professoressa Yvette si è anche scusata per il malinteso - sorrise la sorella.

- E te Celia, nessun malinteso ha reso più divertente la tua permanenza all'Ordine? - chiese Klod posando una mano sulla spalla della sorella. Celia lo guardò, ripensando al colloquio con l'Alto Chierico, poi scosse la testa.

- No, nessun malinteso - disse ma Klod la sentì irrigidirsi e seppe che aveva mentito.

- Però ho qualcosa di interessante da dirvi - Celia rialzò lo sguardo che brillava intensamente. Istantaneamente i due fratelli si zittirono e le prestarono attenzione.

- Devo recuperare un libro e una pergamena da uno Storico a Moreha, nel Ducato di Rachme, e portarli all'Alto Chierico di Torap - era raggiante mentre lo comunicava ai suoi fratelli.

- L'Alto Chierico ti affida molte missioni, dovresti essere felice, deve avere grande stima di te - si congratulò Klod.

- Moreha è a dieci giorni di cavallo a sud est - constatò Kathe pensando ai pericoli, alla distanza e al clima che avrebbero incontrato attraversando la catena montuosa centrale del regno.

- Quando partirai? - domandò il fratello dandole una pacca sulla spalla. Più restava in viaggio più possibilità c'erano che il loro padre si rassegnasse e non le cercasse per forza un marito.

- Hai frainteso fratello - ammiccò Celia - Noi partiremo - disse marcando la parola.


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Capitolo 11
*** Infuso di ortiche, occhio di pipistrello, tela di ragno ***


11. Infuso di ortiche, occhio di pipistrello, tela di ragno


L'attraversamento della catena centrale del Regno di Aliati era una sfida per viandanti e mercanti. Permetteva di raggiungere più rapidamente i ducati a est o ovest ma il clima era sempre inclemente sulle montagne e i pericoli si annidavano dietro ogni anfratto o gola. Slavine nei punti innevati, mostri e predatori di ogni genere, ladri e briganti tendevano imboscate per derubare le carrozze o le carovane di merci.

Celia aveva informato i fratelli che l'Alto Chierico aveva fatto richiesta alla Guarnigione e alla Scuola di un permesso per entrambi che li avrebbe allontanati per quindici giorni. Klod aveva esultato lieto di potersi sottrarre alle attenzioni di Arnesh e anche Kathe aveva tirato un sospiro di sollievo, dopo il piccolo episodio nell'ufficio della professoressa un periodo lontana dalla scuola le avrebbe solo giovato.

Erano partiti la mattina seguente, tra i borbottii della madre e il saluto severo del padre. Celia lo rifuggiva dopo la festa, non voleva che le parlasse di matrimonio, lei voleva solo dedicarsi alla magia, al combattimento e all'Ordine. Avevano preso anche abiti invernali, per far fronte al clima sulla parte alta delle montagne.

Avevano mantenuto un'andatura costante e al quarto giorno di viaggio avevano raggiunto il passo Kolimar che gli avrebbe permesso di raggiungere il Ducato di Rachme. La taverna del Lupo Bianco dava vitto e alloggio a tutti i viaggiatori e un'ampia stalla dava rifugio agli animali da trasporto.

Celia pagò la camera per la notte e la cena. C'era una carovana di spezie arrivata via mare che si stava dirigendo a ovest e quando Celia si sedette al tavolo, un uomo si avvicinò.

- Buonasera milady - disse in modo ossequioso - Vorrei chiederle com'è la strada fino a Fir Ze - indossava un'ampia tunica bronzea e due vistosi orecchini d'oro, la testa era calva e gli occhi scuri attenti e intelligenti.

- Troverete un clima mite e quattro giorni fa splendeva un sole tiepido - rispose Celia sorridendo.

- Vi ringrazio milady, siete stata gentile - fece un lieve inchino e tornò al suo tavolo riferendo la cosa agli altri uomini seduti. Dall'abbigliamento ricordava Mahatma ma la sua pelle era chiara. Klod e Kathe stavano facendo il bagno e lei li aspettava paziente. Osservò gli altri tavoli, a parte il gruppo della carovana mercantile, c'erano un uomo e una ragazzina, probabilmente padre e figlia vista la somiglianza, altri tre uomini barbuti che potevano essere taglialegna, al tavolo quadrato in ombra vicino al camino acceso era seduto un uomo incappucciato, e non è mai una cosa positiva quando qualcuno cela il proprio volto.

Klod e Kathe la raggiunsero al tavolo e l'oste portò la cena.

- E' una taverna tranquilla - disse Kathe a bassa voce.

- Sembrerebbe di sì - Celia indicò con gli occhi l'uomo incappucciato e Klod recepì il messaggio istantaneamente.

- L'importante è non provocare problemi, hai capito Kathe? - aggiunse Celia guardandola di traverso.

- L'altra volta non sono stata io - si risentì la giovane maga.

- Ma se sei scesa da quelle scale come una regina! - sbuffò Celia notando che questa volta i capelli erano raccolti in una treccia e indossa il mantello che copriva l'abito.

- E' stato quell'uomo insolente, io non c'entro... - insisté Kathe sorridendo amabilmente.

- Vado a lavarmi, niente risse - aggiunse guardando Klod, si alzò e si diresse alle scale. Il fratello alzò le mani in segno di resa e le sorrise.

La stanza era semplice, come in tutte le taverne, con tre letti, una scrivania ed una sedia e un armadio. Si tolse armatura e spada e si diresse al bagno comune. Non era il massimo della pulizia ma dopo quattro giorni a cavallo andava bene. Si lasciò gli stivali e si lavò rapidamente fuori dalla tinozza piena di acqua sporca usandola solo per sciacquarsi rapidamente. Si rivestì lasciando che fossero gli abiti ad asciugare l'acqua e tornò in camera.

Appena entrò si rese conto che c'era qualcun altro all'interno. Afferrò rapida la spada estraendola dal fodero e puntandola davanti a sé, nel cono d'ombra creato dalla luna che entrava dalla finestra.

- Indubbiamente rapida - proferì una voce d'uomo.

- Mostratevi - disse gelida Celia tenendo la spada in avanti.

- Quella non serve con me chierico - la snella figura di Erik uscì dall'ombra sorridendo. Celia sbuffò e abbassò la spada.

- Che ci fai qui? - domandò rinfoderando l'arma e sistemandosi meglio i vestiti addosso.

- Andiamo nella stessa direzione e vorrei accompagnarvi - disse serenamente fissandola.

- E come fai a sapere dove stiamo andando? - davvero un uomo dalle mille risorse questo ladro.

- Ma chiaramente perché vi spio - ammise candidamente con un sorriso sfrontato. Celia alzò un sopracciglio perplessa.

- Quindi ci accompagneresti e basta? - chiese sospettosa Celia cercando di capire dove fosse l’inganno. Quello non era uno che faceva niente per niente, oppure stava cercando una spiegazione complessa quando invece era molto semplice e aveva i capelli biondi e gli occhi grigi…

- Esattamente - annuì il ladro appoggiandosi alla parete.

- E non hai alcun secondo fine? - lo fissò con gli occhi socchiusi.

- Un secondo fine? Io? Ma cosa dici? - aveva spalancato gli occhi ed era chiaro come il sole che mentiva.

- Va bene - acconsentì Celia affibbiandosi la spada e aprendo la porta per tornare dai fratelli.

- Non ho ancora cenato, mi posso unire? - domandò Erik entrando nel corridoio. Celia lo guardò sconsolata per qualche secondo poi annuì.

 

 


- Abbiamo un compagno di viaggio - esordì Celia sedendosi al tavolo. Lanciò un'occhiata fugace all'uomo incappucciato al tavolo, ed era ancora lì, immobile. Klod e Kathe alzarono lo sguardo e Erik sollevò una mano a mezz'aria.

- Erik, qual buon vento! - lo salutò Klod stringendogli l'avambraccio.

- Affari a Rachme - sorrise lui, poi guardò Kathe che aveva le guance lievemente arrossate, forse per il calore nella taverna, e una briciola di pane nero vicino al labbro che lui avrebbe tolto volentieri…

- Milady sei sempre più raggiante - disse baciandole la mano. Kathe si illuminò come un piccolo sole e Celia previde guai seri.

- Come mai da queste parti? - chiese la giovane mentre il ladro si sedeva accanto a lei.

- Devo raggiungere un amico a Rachme per tirarlo fuori dai guai - sospirò in modo teatrale.

- Spero niente di grave - Kathe aggrottò la fronte smettendo di mangiare.

- Lo impiccano fra cinque giorni - precisò Erik bevendo la birra dal boccale.

- Quindi significa che lo farai evadere... - constatò Klod sorridendo. Questo tizio doveva fare una vita davvero avventurosa. Celia alzò lo sguardo al cielo.

- Evadere? - ripeté Kathe pensando alle implicazioni. Erik sorrise spezzando un pezzo di pane e intingendolo nel sugo scuro del pasticcio di carne.

- E voi invece? Rapinate qualche altro museo? - domandò con sguardo furbo.

- Non mi pare il caso di parlare di queste cose in mezzo ad una taverna - sussurrò Celia a denti stretti. Erik la guardò con espressione falsamente stupita.

- Non volevo, scusatemi - disse continuando a mangiare.

- Dato che viaggeremo insieme avremo tempo di parlare - disse Klod alzandosi - Vado a letto, non riesco a tenere gli occhi aperti -

Celia osservò di nuovo il tizio vicino al fuoco, era ancora seduto lì. Erik seguì lo sguardo della chierica e notò anche lui la figura ammantata di scuro.

- Ci dobbiamo preoccupare? - sussurrò Celia al ladro.

- Non saprei sinceramente, era lì anche quando sono arrivato io. Lo terrò d'occhio - rispose a bassa voce.

- Di che parlate? - chiese Kathe sbadigliando.

- Niente di importante ma forse è meglio che tu raggiunga Klod - Celia sorrise dolcemente alla sorella.

- Devo studiare - borbottò lei affranta.

- Studierai domani - insisté Celia, Kathe la guardò un momento poi si rassegnò all'evidenza, non sarebbe riuscita comunque a tenere il libro aperto. Si alzò e dette un bacio alla sorella.

- Non fate tardi - aggiunse, alzò la mano verso Erik salutandolo e si diresse alle scale. Il ladro la seguì con lo sguardo finché non sparì.

- Sai che Kathe è dedita allo studio della magia vero? - gli disse Celia dopo un silenzio prolungato.

- Lo so - ammise lui.

- E sai chi è nostro padre? Non ti permetterà mai di prenderla - aggiunse Celia mentendo lo sguardo fisso sul volto tirato del ladro.

- Lo so - ripeté, e si alzò - Ci vediamo domani mattina, devo bere qualcosa di forte, questa birra è acqua -

Celia lo seguì con lo sguardo mentre usciva dalla taverna. Chissà dove andava, in mezzo a quei monti c'era solo la taverna del Lupo Bianco…

 


La mattina seguente nevicava. L'oste li informò che il passo, quasi mille metri più in alto della posizione della taverna, era completamente innevato da giorni. Klod prese i cavalli dalla stalla e raggiunse le sorelle fuori.  Qualche minuto dopo arrivò anche Erik, era già a cavallo e non aveva un'aria felice. Klod gli lanciò un'occhiata e ridacchiò, Celia sollevò lo sguardo al cielo con una breve preghiera e Kathe corrugò la fronte seccata. Aveva i chiari postumi di una sonora sbronza.

Nessuno disse una parola, Celia condusse il cavallo sulla via principale, lasciandosi la taverna alle spalle. Una delle finestre si aprì e una giovane dai capelli corvini e la pelle bianca come la neve si affacciò osservando i quattro cavalieri e soffermandosi su Erik. Sollevò una mano e lo salutò, lui la guardò un attimo, fece una smorfia e riportò lo sguardo sul pomo della sella. La giovane sorrise, avrà avuto forse sedici anni ma Celia non ci avrebbe giurato.

Klod guardò la sorella trattenendo una risata e si voltò appositamente per vedere lo sguardo di Kathe. Era furibonda e Klod pensò che se avesse imparato quel terribile incantesimo che avevano rubato al museo, lo avrebbe lanciato al simpatico ladro, facendo di lui un mucchietto di cenere.

Più salivano più il freddo si intensificava. Le conifere secolari profumavano l'aria di resina e sottobosco. Non nevicava più ma il cielo era coperto. A mezzogiorno Erik dette i primi di ripresa. Kathe non aveva alcuna intenzione di rivolgergli la parola, così dopo due secche risposte, il ladro spostò il cavallo in avanti verso gli altri due fratelli.

- Speriamo di non fare brutti incontri - esordì guardando il bosco silenzioso intorno a loro.

- A volte i briganti tendono delle imboscate, catturano i mercanti, rubano la loro merce e chiedono dei riscatti. Di solito alle famiglie arriva un dito o un orecchio - raccontò Klod ripensando ad alcuni episodi di cui era venuto a conoscenza alla Guarnigione.

- Ci difenderemo - disse semplicemente Celia lanciando uno sguardo a Kathe che da sola chiudeva la fila. Klod capì e spostò il cavallo andando dietro alla sorella che stava leggendo il suo librone in equilibrio sulla sella.

- Vi proteggete molto e vi intendete con uno sguardo, è una capacità rara e importante, indica grande affiatamento - disse Erik alla chierica.

- Siamo fratelli, è naturale - Celia fece spallucce - Ti sei ripreso - gli sorrise lei quando gli si affiancò. Il ladro fece una smorfia e si tastò una tempia.

- Odio profondamente i postumi di una sbornia - sussurrò come se parlare gli causasse dolore.

- Basterebbe non ubriacarsi - commentò serafica Celia. Il ladro le lanciò un'occhiataccia in tralice.

- Mi sembrava la cosa migliore da fare al momento - si giustificò lui sempre a bassa voce.

- Ci sono moltissime altre donne Erik - suggerì Celia, sapeva che non avrebbe potuto fermarli se si fossero innamorati né tanto meno se avessero voluto fare qualsiasi cosa insieme a prescindere dall'amore.

- E' bellissima - sussurrò il ladro portandosi di nuovo la mano alla tempia e facendola scorrere fra i capelli scuri. I vividi occhi azzurri erano arrossati e spenti.

- Lo so - ammise Celia - Ma è la figlia del Conte Hianick, e ha un gran brutto carattere, te lo assicuro - Celia gli sorrise nuovamente.

- Me ne sono accorto - borbottò il ladro.

Il grido di allarme di Klod giunse troppo tardi. Una pesante rete calò su di loro, Celia e Erik caddero da cavallo in un groviglio, Klod era già sceso da cavallo e aveva tirato giù Kathe. I briganti invasero il sentiero che stavano percorrendo e incrociarono le spade col giovane guerriero che si concentrò sulla battaglia.

Nonostante Klod combattesse con ferocia e avesse già ucciso due briganti, un colpo potente alla testa lo fece accasciare sul terreno ghiacciato bagnato di neve. Prima di svenire del tutto cercò Kathe intorno ma non la trovò. Poi tutto divenne buio.

 


Quando riprese conoscenza, sentì che era legato, sbatté le palpebre e vide che era chiuso in un'angusta stanza, accanto a lui, incatenati al muro alla stessa maniera, c'erano Celia e Erik ma non Kathe. I due lo stavano guardando.

- Tutto bene Klod? - chiese la sorella preoccupata.

- Quanto tempo è passato? - chiese il giovane sentendo il sapore del sangue in bocca.

- Circa quattro ore, è pomeriggio inoltrato - rispose Erik che aveva un taglio profondo sulla fronte che aveva sanguinato.

- Chi è questa gente? Dov'è Kathe? - Klod saggiò i legami che lo trattenevano legato all'anello nel muro in quella posizione scomoda ma erano solidi e stretti.

- Briganti penso, hanno preso tutte le nostre cose, anche il mio medaglione - spiegò Celia - Kathe non era più lì dopo pochi istanti, forse ha lanciato un incantesimo magari quello di invisibilità - fece spallucce.

- Se è stata così scaltra, sarà la nostra salvezza, troverà un modo per tirarci fuori di qui - sorrise Klod con gli occhi che gli brillavano. La prigione buia era puzzolente e l'aria stantia ti entrava nelle narici facendoti soffocare.

- Aspettiamo e vediamo cosa vogliono - concluse Celia appoggiando la testa al muro di pietra e pensando all'appuntamento che aveva con lo Storico.

 


Kathe lanciò l'incantesimo dell'invisibilità appena Klod la fece scendere da cavallo. Stava ripassando proprio quello quando erano stati attaccati. Corse al riparo nella foresta, scansando un brigante, non avrebbe potuto fare niente e forse era meglio che restasse libera. La foresta era grande e silenziosa e quando i rumori della battaglia furono ovattati e lontani si fermò ansimando. Aveva con sé solo il libro degli incantesimi ma tutto il resto era rimasto sul cavallo.

Si guardò intorno ma non vide nessuno, gli unici rumori erano una debole brezza fra le fronde degli abeti e i versi di alcuni uccelli. Compì un ampio giro, sperando di raggiungere un punto della pista un po' più avanti rispetto all'imboscata. Gli aghi di pino attutivano i suoi passi, camminava da circa dieci minuti quando avvertì un terribile odore nell'aria. Si tappò il naso con la mano tanto era penetrante. Vide del fumo uscire da una piccola capanna poco più avanti sulla destra. Decise di girare al largo dallo sgradevole odore e dal proprietario della capanna per non incorrere in altri problemi quando si sentì afferrare per una spalla.

Si voltò di scatto col cuore in gola con un incantesimo pronto ma vide che era solo un uomo anziano e curvo. Bloccò l'evocazione dei dardi e abbassò le mani.

- Che ci fai qui, ragazzina - chiese il vecchio burbero con voce roca. Kathe fece appello a tutta la sua pazienza e educazione.

- Mi sono persa in questa foresta - disse con voce lieve cercando di apparire dimessa e indifesa.

- Menti, è un po' che vaghi qui in giro - la prese per un braccio e la portò alla capanna.

- Vi prego signore, lasciatemi andare - disse Kathe cercando ancora di sfruttare la carta della fanciulla indifesa. Ma il vecchio, incredibilmente forte e robusto, non rispose, continuò a trascinarla, aprì la porta di legno e la spinse dentro.

Era un unico ambiente, di forma circolare, con il fuoco al centro circondato da sassi. C'era tanto fumo, molti tavoli unti e sporchi, ciotole e vasi di legno con le etichette più assurde. Spostò una vecchia sedia e indicò di sedersi. Kathe lo fece restando in silenzio e stringendo a sé il grande libro.

- Tieni molto a quel libro - disse il vecchio armeggiando con una teiera. Kathe annuì e non seppe se il vecchio l'avesse vista o meno. Aveva robuste mani nodose, la pelle raggrinzita, gli occhi erano nocciola a vividi nonostante l'età. Indossava una lunga tunica marrone legata con una corda, i capelli castani erano sporchi e lasciati liberi dietro le spalle.

- Come ti chiami, ragazzina - domandò dopo aver messo dell'acqua nella teiera e averla messa direttamente sulla brace ardente del fuoco centrale. Kathe aveva le lacrime tanto era il fumo all'interno della capanna puzzolente.

- Katherin Hianick - rispose meccanicamente spinta dall'abitudine e dalle buone maniere.

- E' un nome che ho già sentito - disse pensieroso, poi fece spallucce e prese due coppe di legno.

- Vivete solo qui? - chiese Kathe educatamente, cercando un modo per andarsene da quel posto e raggiungere al più presto i suo fratelli e quell'idiota di ladro. Ripensandoci le salì di nuovo la rabbia.

- Sì - rispose semplicemente il vecchio osservandola - Perché state cercando di andare via? -

Kathe arrossì violentemente.

- Scusatemi è che io... - balbettò incapace di proseguire abbassò lo sguardo.

- Perché non mi dite la verità? - domandò il vecchio che aveva addolcito la voce. Kathe era molto dibattuta, non sapeva chi fosse questo vecchio strambo che viveva da solo in mezzo ad una foresta ma doveva andarsene il prima possibile e forse quella era l'unica maniera.

- Dei briganti ci hanno attaccato, sono fuggita ma hanno catturato i miei due fratelli e un altro che viaggiava con noi - raccontò brevemente rendendosi conto solo in quell'istante della gravità di quella situazione. Il vecchio soppesò le sue parole e la guardò intensamente. Si alzò dalla sedia sgangherata e prese la teiera, versò un po' di acqua bollente in entrambe le coppe di legno, poi prelevò alcune foglie sbriciolate da un barattolo sempre di legno e le gettò nella coppa.

- Bevi - le disse porgendo rudemente la coppa. Kathe la prese e la osservò, poteva essere un veleno qualsiasi.

- Non è veleno ragazzina, è tè, bevi - insisté il vecchio burbero fissandola. La giovane lo bevve.

- Sei una maga della Scuola di Magia vero? - chiese all'improvviso. Per poco Kathe non sputò tutto il tè in faccia al vecchio tale fu la sua sorpresa.

- Ragazzina sono vecchio, non stupido - disse offeso.

- Scusatemi non volevo offendervi - il tè bollente era piacevole col freddo che faceva fuori.

- Questo gruppo di briganti da troppo tempo infesta la foresta - lo disse con un astio inconsueto e Kathe restò impressionata - E' ora di fare qualcosa di definitivo - fissò il suo sguardo acceso sulla giovane maga che restò interdetta dal cambio repentino di atteggiamento. Il vecchio iniziò a rovesciare cose, aprire bauli di legno, borbottando fra sé parole incomprensibili.

- Assolutamente la tela di ragno ma dove sarà? - sbottò ad un certo punto, il volto tutto rosso per essere stato chinato con la faccia in un baule per diversi minuti.

- Ragazzina, renditi utile, cerca un barattolo con scritto aranea - non si voltò nemmeno e continuò a cercare. Kathe si alzò lentamente, su un vecchio tavolo c'erano tanti barattoli di legno tappati con cera o altre sostanze.

- Eccolo qui - disse piano Kathe rigirando fra le mani il barattolo con la scritta 'aranea'. Il vecchio alzò la testa di scatto e si girò. In due lunghe falcate la raggiunse con il volto illuminato di gioia. Kathe pensò che doveva essere pazzo.

Fece spazio su un altro tavolo, dove si trovava anche un pestello di pietra e degli strani e contorti alambicchi. Prese un altro barattolo e Kathe lesse sopra 'ortica'. Prelevò il contenuto e lo versò nella teiera con l'acqua bollente insieme ad una strana pallina d'argento.

- Perfetto per l'ora di cena - gongolò il vecchio strambo. Kathe avvicinò la sedia e si sedette sconsolata. L'infuso di ortica puzzava incredibilmente. Il vecchio prese un altro barattolo ancora e ci infilò le mani dentro. Ne uscì un suono disgustoso e raccapricciante, come se avesse infilato le dita in qualcosa di viscido e melmoso. Gettò ciò che prelevò nel mortaio e richiuse il barattolo. Kathe lesse l'etichetta e recitava 'occhi di pipistrello', la giovane maga storse la bocca schifata. Tolse la teiera dal fuoco e versò l'infuso verde scuro in un alambicco, ci aggiunse una polvere nera e una rossa e lo scosse mescolando tutto, poi lo versò nel mortaio. Prese il pestello e iniziò a spiaccicare il terribile e puzzolente intruglio. Il rumore era raccapricciante e Kathe per un attimo ebbe la chiara visione dell'occhio di pipistrello che si spappolava... per poco non vomitò sul pavimento.

Il vecchio saltellava soddisfatto e borbottava fra sé in una lingua sconosciuta a Kathe. Versò l'intruglio liquido in una vecchia zucca svuotata e secca e la tappò.

- Possiamo andare - disse con occhi pieni di follia, aprì la porta ed uscì con passo svelto senza neanche aspettarla. Kathe si alzò di scatto e lo seguì.

- Aspettate, dove stiamo andando? - gridò Kathe cercando di fermarlo. Il sole stava calando e si allungavano le prime ombre della sera. Il vecchio si fermò all'improvviso, guardandola con occhi ardenti e furiosi.

- Ragazzina, vuoi liberare o no i tuoi fratelli? - chiese sputando sulla barba incolta e sporca.

- Sì, ma non so dove sono - disse sconsolata abbassando le braccia, con una mano teneva ben stretto il suo libro.

- Oh - disse solo il vecchio, poi si voltò verso la foresta e salmodiò una litania sommessa. Restò immobile per diversi minuti, Kathe credette si fosse addormentato in piedi. Stava per toccarlo quando una volpe fulva sbucò da dietro un cespuglio. La creatura diffidente li guardava con gli occhi gialli pieni di curiosità. Il vecchio si avvicinò di qualche passo e la volpe restò immobile. Sembrava stessero parlando con il pensiero. Poi d'un tratto l'animale scappò via.

- Andiamo - disse il vecchio e cominciò a camminare in una direzione specifica. Ma chi era quello strano vecchio? Aveva sicuramente fatto un incantesimo, molto simile a quello dei chierici che aveva usato anche Celia per calmare i cavalli.

Camminarono per circa mezz'ora in mezzo alla foresta, il vecchio borbottava in continuazione di rispetto per la foresta, del fuoco che era pericoloso, del sudiciume che lasciavano gli uomini, degli animali impauriti. Poi Kathe avvertì l'odore di un fuoco che bruciava. Il vecchio si fermò e si nascose dietro un tronco, mossa del tutto inutile perché sarebbero stati visti di sicuro. Kathe sospirò.

- Cosa ne pensate se vi faccio un incantesimo di invisibilità? - disse sussurrando, udì delle voci e cercò di nascondersi meglio che poté. Il vecchio la guardò con occhi spalancati.

- Sarebbe perfetto ragazzina, così farai qualcosa anche tu - grugnì soddisfatto. Kathe corrugò la fronte poi recitò la formula che conosceva alla perfezione. Il vecchio scomparve alla sua vista e lei pregò la dèa che non gli accadesse niente e che non si facesse scoprire.

L'attesa sembrò infinita, probabilmente trascorse circa mezz'ora, poi si sentì tirare per la manica. Per poco non gridò per il terrore.

- Mi avete fatto morire di paura - sussurrò a denti stretti trattenendosi la veste sul petto.

- E' fatta! - gracchiava il vecchio, e lo sentiva saltellare.

- Cos'è che avete fatto esattamente? - chiese titubante Kathe sperando in una risposta sensata.

- Mal di pancia, oh sì sì, tanto mal di pancia - e rideva come un folle. Kathe alzò gli occhi al cielo.

- Ora che si fa? - chiese Kathe sconsolata.

- Ora che si fa? - la scimmiottò il vecchio - Ora si aspetta, ragazzina - e Kathe lo vide riapparire all'improvviso. Si guardò addosso e sembrava quasi triste che l'incantesimo fosse finito.

- Aspettiamo allora - concordò Kathe senza sapere cosa stessero aspettando.

Dopo circa un'ora tutti i suoni che veniva dal campo cessarono. Il vecchio ghignò fregandosi le mani, poi iniziò a correre. Kathe rimase basita qualche secondo e poi gli andò dietro. Ma come faceva a correre in quel modo?

Vide le prime tende, poi un edificio basso di pietra rozza, senza finestre e con una porta. Il fumo del fuoco si alzava pigro nelle ombre della sera, un calderone bolliva quasi vuoto in mezzo al fuoco.

Tutto intorno c'erano uomini sdraiati a terra che gemevano e si lamentavano, molti di loro sporchi del loro stesso vomito. Kathe osservò la scena incredibile che le si parò davanti. Il vecchio invece ignorò tutto e tutti e si diresse alla casa di pietra. Afferrò l'ascia dalla cinta di uno dei briganti senza curarsi di lui e proseguì fino alla porta, calò un fendente e spezzò il lucchetto. Kathe restò a bocca aperta, nonostante l'età sembrava avere una forza ed un vigore inconsueti.

Tirò un calcio alla porta spalancandola verso l'interno. La debole luce della sera illuminò uno spazio angusto dove Klod, Celia e Erik erano incatenati al muro e seduti per terra.

- Che vi avevo detto? - disse Klod sorridendo felice.

Li liberarono rapidamente dalle catene e Celia interrogò con lo sguardo la sorella circa la presenza del vecchio ma la sorella scosse la testa.

- Dobbiamo trovare i nostri cavalli - disse Celia massaggiandosi i polsi.

- Vado - ed Erik era già fuori dalla stanza. Uscirono tutti da quel buco puzzolente e osservarono l'accampamento intorno a loro.

- Ma che è successo qui? - chiese la chierica trattenendo un sorriso, sembrava che tutti i briganti avessero dolorosi mal di pancia. Kathe indicò in silenzio il vecchio che borbottava e rideva.

- Grazie per averci aiutato - disse Celia sfiorandolo su un braccio.

- Questi briganti puzzolenti erano qui da troppo tempo - disse semplicemente lui con la voce roca.

- Torneranno ad attaccare i viandanti - constatò Klod dopo una breve riflessione.

Il vecchio lo guardò incuriosito. Poi sembrò illuminarsi. Si voltò verso il campo e iniziò a salmodiare un incantesimo. Kathe e Celia fecero un passo indietro.

- Ma chi è questo vecchio? - sussurrò Celia alla sorella.

- Non ne ho idea, l'ho trovato nella foresta in una capanna, anzi per la precisione mi ha trovato lui... -

- Usa la magia - Celia osservò il terreno che pareva smuoversi. Radici contorte uscirono dal suolo e cominciarono ad avviluppare ogni cosa, tende, oggetti, uomini, avvolgendoli delicatamente ma saldamente. I briganti si lamentavano ancora, alcuni vomitavano, altri rantolavano a terra, altri erano svenuti.

- E' un druido - la voce di Erik li raggiunse alle spalle, aveva con sé i cavalli e i loro zaini e bisacce.

- E' vero! - esclamò Klod picchiandosi un pugno sulla mano. Celia tornò con lo sguardo sul vecchio imitata dalla sorella.

- Come ho fatto a non pensarci? - sussurrò Kathe lentamente.

- Andiamocene di qui - suggerì Erik osservando rapito le radici che si muovevano e catturavano ogni cosa sotto la voce gracchiante dell'incantesimo del vecchio.

Si allontanarono quel tanto che bastava a non restare invischiati nelle radici e attesero che il druido finisse l'incantesimo, poi si batté le mani l'un l'altra come se le pulisse da qualcosa e annuì soddisfatto.

- Così non andranno da nessuna parte - disse guardando il quartetto di giovani.

- Rachme dista tre giorni, possiamo avvisare la Guarnigione così verranno a prenderli - suggerì Klod osservando la prigione naturale in cui il druido aveva chiuso quegli uomini.

- Ma resteranno sette giorni senza mangiare - obiettò Celia.

- Mi occuperò io di loro - ghignò il druido tenendo lo sguardo sui briganti. Celia sollevò un sopracciglio sospettosa: probabilmente li avrebbe fatti morire di fame…

- E sia dunque - accettò la chierica - Grazie ancora del vostro provvidenziale aiuto - Celia fece un lieve inchino. Il druido li guardò uno ad uno, poi si voltò e si inoltrò nella foresta senza una parola.

- Uomo di molte parole... - ridacchiò Klod salendo a cavallo.

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Capitolo 12
*** L'assassinio ***


12. L’assassinio


Una tormenta di neve li costrinse a rifugiarsi in una caverna e li rallentò di un giorno ma finalmente giunsero a Moreha nella Contea di Rachme. La piccola città era piena di gente indaffarata nonostante l'ora tarda della sera quando arrivarono.

Celia chiese alla Guardia Armata all'entrata dove fosse la casa dello Storico indicata dall'Alto Chierico e la Guarnigione, lo ringraziò per la risposta cortese e guidò il gruppo secondo le indicazioni.

- Sarò rapido - disse Klod smontando da cavallo. Era impossibile non notare la Guarnigione nella grande piazza indicata dalla guardia. Era un edificio enorme con le sbarre alle finestre. Il portone di entrata era presidiato da due guerrieri con la tunica gialla e rossa di Rachme.

Klod parlò brevemente con una di loro e lo lasciarono entrare. Celia si guardò intorno. Nella piazza c'erano una decina di persone che si affrettavano verso casa, alcuni negozi ancora aperti e una grande fontana. Vide che Erik puntava insistentemente una piccola taverna con una botte sull'insegna.

- Non credo sia una buona idea - gli sussurrò cercando di non farsi udire dalla sorella. Erik la guardò sofferente.

- Ma sono tre giorni che non tocco un goccio di birra - si lamentò il ladro guardando di nuovo la taverna.

- Infatti sono stati tre giorni perfetti - la voce secca di Kathe li raggiunse. Lui la fissò per un attimo, leggeva il suo libro assurdo, non aveva neanche alzato lo sguardo. Il ladro sospirò affranto.

Klod uscì dalla Guarnigione e dal suo sguardo fu subito chiaro che era andato tutto bene.

- Andranno a prelevare i briganti - disse salendo a cavallo - Con calma - aggiunse sorridendo innocentemente.



Trovarono subito la casa dello Storico di mattoni d'argilla con cui erano fatti tutti gli edifici e che conferivano a tutta la città un rosso soffuso.

Smontarono da cavallo e Celia bussò con decisione. Non ottennero alcuna risposta. Erik guardò attraverso il vetro della piccola finestra che dava sulla strada ma l'interno era buio e non si vedeva niente.

- Sembra non ci sia nessuno - riferì Erik osservando la casa nella sua interezza - Faccio il giro della casa - aggiunse, non attese la risposta di nessuno e svoltò l'angolo.

Celia bussò nuovamente ma niente. Attesero qualche istante, udirono dei rumori dall'altra parte e la porta si aprì. Celia fece un passo indietro e si trovò a guardare gli occhi azzurri di Erik.

- Erik! - la chierica emise un grido soffocato. Klod ridacchiò appoggiandosi al cavallo.

- La casa è vuota ed è stata messa a soqquadro, credo sia accaduto qualcosa al tuo Storico - sussurrò lui spalancando completamente la porta e facendoli entrare. Klod legò i cavalli al palo apposito, entrò e chiuse la porta.

In effetti l'interno era stato frugato dovunque. Cassetti divelti, cuscini rovesciati, quadri staccati dal muro. Celia si guardò intorno preoccupata.

- Cosa sarà successo? - domandò il giovane guerriero.

- Magari cercavano la stessa cosa che sei venuta a prendere te - fece notare Kathe.

Erik sparì nella stanza seguente seguito da Klod. Celia e Kathe cercarono di rimettere a posto e di capire cosa cercasse l'intruso. Apparentemente avevano cercato dovunque, senza una logica precisa. Udirono alcuni rumori dalla stanza accanto e raggiunsero il fratello e il ladro. Era un piccolo studio e un'altra porta dava sulla camera da letto semplice. Anche lì avevano frugato dovunque.

- Guardate - disse Erik indicando a terra. Una sottile scia di sangue portava dalla sedia dello scrittoio alla camera. Klod la seguì e rimase interdetto quando la vide terminare davanti all'armadio. Erik aprì le ante e iniziò a tastare l'interno. Ci fu un suono metallico e il retro dell'armadio si aprì come una porta.

- Ma guarda cosa può nascondere uno Storico in casa sua... - commentò sarcastico il ladro. Celia vide che la scia di sangue proseguiva all'interno e scendeva per le scale buie di pietra oltre l'armadio.

- Scendiamo - disse Erik - Vado avanti io - e si inoltrò nel buio dove sembrava essere a suo agio. Celia invitò Klod a seguirlo, poi Kathe e lei chiuse la fila.

- Vi serve della luce? - domandò Kathe sussurrando.

- Per ora no - rispose Erik sempre a bassa voce. Le tenebre si infittivano scendendo, Kathe appoggiò la mano al muro di pietra e la ritirò immediatamente quando toccò qualcosa di viscido e freddo.

Le scale terminarono e nonostante il buio si capiva che erano in una stanza.

- Luce grazie - chiese Erik restando immobile. Kathe mormorò il breve incantesimo e la sfera di luce inondò la stanza.

- C'erano molti scaffali le cui pergamene erano state tutte buttate all'aria. Alcuni bauli, anch'essi aperti e frugati, due casse di legno i cui coperchi erano stati divelti. C'era un altro scrittoio coi cassetti aperti e un letto spoglio.

- Sei sicura che questo tizio fosse uno Storico dell'Ordine? - chiese Erik alzando un sopracciglio. Questo sembra più il rifugio di un ricettatore -

- E' quello che ha detto l'Alto Chierico - rispose Celia guardandosi intorno. C'era un'altra porta dalla parte opposta alle scale che era aperta e rivelava un altro corridoio di pietra.

- Fatemi controllare se c'è qualche trappola, non si sa mai - disse Erik sospettoso.

- Ma dove hai imparato a individuare le trappole? - chiese Kathe seccata. Quel tizio presuntuoso sembrava sapere tutto.

- Esperienza milady, esperienza - le disse strizzandole l'occhio. Quando si voltò Kathe gli fece una linguaccia. Celia la vide e aggrottò la fronte scuotendo la testa.

- Potete venire - disse Erik dal corridoio dopo qualche minuto.

- Questa porta è stata aperta da questo corridoio, quindi chi è entrato in questa casa è passato da qui - fece notare il ladro mostrando il lato della porta che era stato scassinato.

- E tu da dove sei entrato? - domandò Celia guardandolo di sottecchi.

- Dalla finestra della piccola cucina - ammise lui sorridendo apertamente.

- Le gocce di sangue proseguono qui - indicò Klod guardando avanti.

- Vediamo se troviamo a chi appartiene - disse Celia, e seguì Erik nel corridoio illuminato da Kathe.



Il cunicolo di pietra, inizialmente fatto di grossi pietroni, divenne una vera e propria galleria scavata nella terra. Klod era costretto ad abbassarsi per passarci e l'aria era asfissiante.

Sembrava non avere mai fine, Celia calcolò mentalmente che erano forse venti minuti che camminavano.

- C'è una luce - disse Erik quasi con sollievo - E' da un po' che stiamo risalendo, probabilmente porta all'esterno -

In effetti si intravedeva un chiarore in fondo al tunnel e anche Celia si era accorta che stavano risalendo.

- Datemi qualche minuto, torno subito - disse Erik e non dette tempo a nessuno di ribattere.

- E' un tizio veramente irritante - ribatté secca Kathe.

- Veramente a me sembra attento, paziente e preparato... - la contraddisse Klod.

- Ma se è un ladro che deruba la gente, come fa a starti simpatico? - chiese Kathe meravigliata e stizzita.

- E a te? - domando Klod fissandola negli occhi serio.

- A me non sta affatto simpatico! - esclamò la sorella spalancando gli occhi.

- Direi il contrario, sorella - rispose serafico Klod alzando un sopracciglio e lasciandola senza parole.

- Venite! - la voce di Erik riecheggiò nella galleria.

Il passaggio segreto terminava alla base di una bassa collina, appena fuori Moreha, coperta da un grande arbusto. Oltre c'era una radura e un bosco di querce.

- Il sangue - indicò Erik - Ma non è necessario che vediate dove porta, il tuo Storico ha raggiunto il Padre e la Madre - aggiunse con tono grave.

Celia aggrottò la fronte contrariata e si incamminò seguendo la traccia. Klod la seguì ma quando Kathe mosse un passo Erik le mise una mano sulla spalla scuotendo la testa. La giovane maga scrollò la spalla infastidita e lo guardò con occhi pieni d'ira. Lui la lasciò andare sospirando e lei seguì i fratelli.

- Hanno preso qualcosa dal suo stomaco... - disse Erik alle loro spalle.

Il cadavere dello Storico pendeva appeso per le caviglie dal ramo robusto di una quercia, aveva le mani legate sulla schiena e una pozza immensa di sangue al suolo lordava il terreno coprendo l'erba. Era stato sventrato come un maiale, gli avevano aperto la pancia e tirato fuori ogni cosa, lo stomaco era stato squarciato.

Kathe si voltò terrea e Erik si rimangiò un te l'avevo detto che aveva sulla punta della lingua. S'era portata una mano alla bocca e dominava dei conati di vomito.

- Chi può aver fatto una cosa del genere ad un uomo così anziano? - si domandò Celia. Non attese alcuna risposta e la udirono sussurrare una litania alla Dèa Madre Sosistras.

- Klod, mi dai una mano a controllare i dintorni? - chiese Erik a bassa voce. Klod annuì lanciando un'ultima occhiata al cadavere dilaniato.

Sicuramente c'erano stati degli uomini e dei cavalli, almeno sei dedusse Erik guardando il terreno. Klod individuò il punto da cui erano venuti e da lì vide un granaio di legno dall'alto tetto rotondo.

- Riprendiamo le tue sorelle e andiamo a dare un'occhiata a quel granaio - disse Erik rialzandosi dopo aver controllato il terreno - le tracce vanno in quella direzione -

Celia aveva tirato giù il cadavere massacrato e lo aveva ricomposto chiudendo le interiora all'interno. Kathe era livida e guardava la sorella con occhi spalancati.

- Klod avresti dovuto vedere cosa ha fatto - balbettò Kathe - Come se niente fosse ha tirato giù il cadavere e con le mani ha rimesso dentro le cose che gli pendevano sanguinanti -

- L'Ordine le avrà insegnato come ricomporre un cadavere... - rifletté Klod guardando la sorella che era in ginocchio e salmodiava una diversa preghiera.

- Celia dobbiamo andare, ci occuperemo dopo dello Storico, c'è un granaio dove probabilmente hanno atteso gli intrusi - riferì Klod toccando la sorella su una spalla. Celia terminò la preghiera e alzò lo sguardo seria.

- Andiamo - si alzò sistemandosi la spada e lanciò un'occhiata allo Storico, poi si incamminò seguendo Erik.

 


L'interno del granaio era buio, quando lo raggiunsero la sera stava cedendo il posto alla notte. C'era odore di fieno, di escrementi e di animali.

- Purtroppo non ho più incantesimi di luce per aiutarvi - disse Kathe affranta.

- Faccio io - rispose Celia evocando la sfera di luce. L'enorme granaio era quasi completamente pieno di ragnatele. E non ragnatele qualsiasi, erano enormi, bianche e dense. Klod vide chiaramente Erik sbiancare.

- Io odio profondamente i ragni - disse sussurrando, guardò Celia per un secondo chiedendole perdono con lo sguardo, poi uscì di corsa dal granaio lasciando di stucco i tre fratelli.

- E non sono neanche ragni normali, guardate che roba... - ammise Klod sfoderando lentamente la spada.

- Ho incontrato delle ragnatele simili in una caverna vicino ad Albany un paio di anni fa ed erano il covo di un branco di aranee. Sono grossi ragni verdi picchiettati di giallo, mordono e sputano un veleno mortale. Inoltre sono molto veloci e oltre al veleno sputano la loro ragnatela appiccicosa dall'aculeo che hanno in fondo all'addome - sussurrò Celia.

- Potremmo fare come Erik... - suggerì Kathe balbettando un po'.

- Devo capire come siano collegati questi ragni all'omicidio dello Storico. Non possono essere qui per caso - spiegò Celia - Ma lo puoi raggiungere se vuoi - la chierica teneva lo sguardo fisso sulle ragnatele cercando di scorgere un movimento.

- Preferisco restare - disse Kathe risoluta. Celia salmodiò un breve incantesimo e tutti e tre sentirono la benedizione degli dèi che li avrebbero aiutati in questa battaglia.

Il primo ragno si calò dal soffitto atterrando esattamente davanti a loro. I fratelli non attesero e si lanciarono all'attacco dell'enorme ragno. Klod gli recise una zampa col primo colpo, Celia infilò la sua spada fra le zanne grondanti veleno e Kathe trapassò l'animale con i suoi dardi incantati. Il ragno gemette e crollò al suolo. L'odore nauseabondo che emetteva non era paragonabile a niente che Klod avesse mai sentito prima.

- Che schifo! - esclamò Kathe portandosi la manica della veste al naso.

- Ce ne saranno altri - Celia era guardinga, la spada levata, faceva scorrere lo sguardo su tutte le ragnatele, lentamente avanzò.

- C'è qualcosa lì - disse Klod puntando la spada in avanti. Celia cercò di individuare ciò che indicava il fratello ma senza risultato. Si spostò affiancandolo e procedettero insieme per alcuni metri.

Otto occhi gialli li fissavano da una ragnatela arrotolata come un grande cono. Il ragno era rannicchiato, balzò in avanti con un salto così rapido da cogliere completamente di sorpresa Celia e Klod che si trovarono schiacciati a terra dalla mole del ragno peloso. La bestia infilzò la gamba di Celia con uno degli aculei delle zampe e la giovane gridò.

Kathe si concentrò recitando un incantesimo e all'improvviso ci furono quattro maghe identiche di aspetto. La giovane corse verso il ragno e le altre tre immagini illusorie fecero altrettanto. Klod sollevò la spada e recise una delle otto zampe pelose del ragno, la bestia gemette e quando vide arrivare le quattro Kathe fece un balzo all'indietro.

Celia si rialzò dolorante, mormorò un altro incantesimo sulla spada di Klod.

- E' incantata ora - disse a denti stretti la chierica avanzando.

- Stai bene? - Klod le lanciò un'occhiata.

- Tutto a posto, uccidiamolo - Celia riportò lo sguardo sul ragno che stava per attaccare di nuovo. Sputò il suo veleno verde e vischioso ma Celia e Klod lo scansarono e colpì una delle immagini illusorie di Kathe.

Klod si lanciò levando la spada in posizione di attacco e Celia lo seguì. La spada incantata penetrò profondamente nel fianco della bestia che emise un suono terrificante. Celia tranciò un'altra zampa e con la cosa dell'occhio vide qualcosa sopra di sé. Sollevò un braccio per proteggersi ma si rese conto che era Erik, si era lasciato cadere sul dorso della bestia conficcando due lunghe lame ricurve direttamente nel cranio del ragno che si accasciò morendo all'istante.

Klod andò con lo sguardo al soffitto domandandosi da dove si fosse lanciato lo spericolato ladro. Erik scese con un balzo, il volto terreo e le lame lorde di sangue della bestia.

- Un'entrata davvero ad effetto - commentò acida Kathe guardandolo con occhi roventi e raggiungendo la sorella. L'incantesimo delle immagini svanì e ci fu una sola Kathe.

Erik la guardò meravigliato, poi spostò lo sguardo su Klod.

- Ma che ho fatto? - chiese strisciando le lame a terra sulla paglia.

- Donne amico mio, donne! Non gli va mai bene niente - rise Klod pulendo sommariamente la spada a sua volta.

Celia recitava il suo incantesimo di cura, la ferita smise di sanguinare ma non si chiuse del tutto.

- Ora va meglio... - ansimò la giovane chierica rinfoderando la spada.

Si guardarono intorno, c'era silenzio e tutto era immobile.

- Sembra che i ragni siano finiti. Vediamo cosa ci facevano qui queste bestie... - suggerì Celia seguendo Klod che falciava la ragnatele con la spada.

- Perché te ne sei andato in quel modo! - ringhiò Kathe affrontando il ladro. Lui la guardò per un istante, quella piccola maga era capace di saltare da una emozione all'altra senza apparentemente un filo logico.

- Non li sopporto - disse conciso sulla difensiva.

- Ti fanno paura? - e sembrava un gatto che aveva appena preso un topo.

- No! Sono pelosi e orrendi, inoltre il loro veleno uccide all'istante... - si giustificò Erik.

- Ho capito tutto ora - disse sorniona Kathe come se Erik non avesse detto niente in merito. Il ladro alzò gli occhi al cielo.

- E' impossibile discutere con te - si voltò e seguì Celia e Klod. Kathe osservò le spalle diritte del ladro ammettendo che il modo in cui aveva ucciso il ragno era stato davvero incredibile. Ma naturalmente non l'avrebbe mai ammesso.

- Ci sono dei bozzoli - Klod indicò a terra con la spada.

- Togliamo le ragnatele - disse Celia estraendo la spada e aiutando il fratello.

- Due donne, un uomo e un bambino - esordì Klod alla fine quando tirarono fuori tutti i corpi.

- Probabilmente il fattore, la moglie e i due figli - rifletté Erik osservando i cadaveri risucchiati. Kathe distolse lo sguardo e notò il cadavere di un uomo che non era avvolto dalle ragnatele ma mezzo sepolto dalla paglia.

- C'è qualcun altro lì - disse attirando l'attenzione. Erik si avvicinò, lo tirò fuori e lo girò. Era stato assassinato e indossava le vesti degli Storici.

- Lo conosci? - domandò il ladro a Celia. Lei si sporse per guardarlo ma scosse la testa.

Erik lo frugò accuratamente e trovò una minuscola chiave appesa ad un braccialetto insieme ad altri monili che poteva essere scambiata per una delle decorazioni.

- Questo non è un pendaglio del bracciale, è una chiave - Erik la sollevò, era piccola e sembrava un giocattolo.

- Dobbiamo scoprire cosa apre - disse Celia con lo sguardo sullo Storico - Portiamolo con noi alla quercia -

 


Il granaio non nascondeva altre sorprese. Controllarono anche la casa del fattore poco oltre ma era tutto deserto. Celia si chiese più volte che collegamento potevano avere i due ragni con gli assassini dei due Storici ma non riuscì a darsi alcuna risposta. Lasciarono il secondo cadavere vicino al primo e rientrarono nel passaggio tornando alla stanza segreta.

- Questa chiave era ciò che gli assassini cercavano nel primo Storico che hanno sventrato. Non hanno pensato forse che poteva essere così piccola. Ciò che apre si trova qui dentro - disse Erik che si guardava in giro febbrilmente. Era chiaro che quella fosse l'attività che preferiva. Kathe lo guardò mentre cercava con dovizia, era attento e scrupoloso e non lasciava niente al caso. Anche Celia e Klod cercavano dovunque, spostando oggetti e guardando attentamente.

- Ci siamo - disse Erik quasi sussurrando. Gli occhi brillavano di curiosità repressa mentre mostrava un quadro anonimo. Lo appoggiò sullo scrittoio e gli altri si radunarono intorno. Da un lato della cornice c'era indubbiamente una piccolissima serratura. Erik la controllò attentamente poi inserì la chiave minuscola e girò.

Un cassettino basso e sottile nascondeva un'altra chiave.

- Un'altra? - sbuffò Klod. Questa era a grandezza naturale e di foggia molto particolare. Era di bronzo, incisa e nel lato tondo c'erano incastonati tre piccoli rubini.

- Però è bellissima - Erik la guardava attentamente, la rigirò più volte fra le dita abili.

- Forse non è una chiave comune - disse Kathe - Proviamo a vedere se è magica - sussurrò le parole dell'incantesimo che le permettevano di vedere se un oggetto era magico o meno. Al termine della litania sommessa la chiave si illuminò di un blu intenso.

- E' magica! - disse Klod sorridendo.

- Chissà cosa apre - Erik si guardava in giro ma lì non c'era più niente di interessante, quindi qualsiasi cosa aprisse probabilmente era nella casa dello Storico - Dobbiamo risalire in casa - aggiunse imboccando la scala seguito dai tre fratelli.

- Cosa ti hanno mandato a prendere esattamente? - il ladro si rivolse pensoso alla chierica.

- Un libro ed una pergamena - rispose lei.

- Sono oggetti piuttosto grandi, devono stare in qualcosa che possa contenerli. Erik si guardò intorno imitato dai fratelli. La stanza da letto era stata completamente messa sotto sopra. Il letto era divelto, la cassettiera aperta e tutti gli abiti fuori. Il ladro si soffermò sull’incisione del legno nella testiera del letto. Poi s'illuminò.

- Eccola! - tutti si voltarono al grido di giubilo del ladro che era saltato sul letto. Iniziò a tastare con attenzione tutta l'incisione che rappresentava fiori e foglie. Poi guardò Celia e infine inserì la chiave in una serratura davvero ben camuffata. Il suo volto era raggiante. Udirono un clic ma apparentemente non accadde niente. Erik scese dal letto e tolse il materasso di paglia controllando tutta l'intelaiatura. Poi spazientito allontanò il letto dalla parete e finalmente dietro la testiera c'era uno sportello aperto.

- Ecco per voi, Cavaliere - disse Erik con tono trionfale sorridendo alla chierica. Celia lo raggiunse e osservò il vano segreto. Dentro c'era un libro con una copertina di cuoio e un lucchetto e una pergamena arrotolata.

- Incredibile... - sussurrò Klod mettendosi una mano fra i capelli. E quel ladro era davvero molto esperto.

Celia prelevò libro e pergamena e li osservò attentamente.

- Magari la chiave apre anche il lucchetto - suggerì Klod.

- E' magico e non ho neanche bisogno di lanciare un incantesimo per dirvelo - disse Kathe con sguardo di sufficienza.

- Come fai a dirlo? - chiese Klod guardando l'elaborato lucchetto.

- Perché a Scuola ho dovuto imparare ad usare un incantesimo apposito su decine di lucchetti come quello... - spiegò la giovane maga.  

- Riprendiamo i cavalli, dobbiamo avvisare l'Ordine dei due Storici e devo tornare al più presto a Torap - disse Celia pensando a quanto era costato il recupero di quel libro. La pergamena aveva un sigillo di cera ma non osò neanche pensare di aprirla, se ne sarebbe occupato l'Alto Chierico.

- Non vuoi sapere cosa riporta la pergamena e cosa c'è nel libro? - disse Kathe suadente come se le avesse letto nel pensiero - Posso studiare l'incantesimo e domani mattina lo apriamo -

- Non ci pensare nemmeno - Celia la fulminò con lo sguardo.

- Perché no? - chiese innocentemente la sorella. Klod e Erik sorrisero. Celia continuò a fissarla con occhi di fuoco e non aggiunse niente. Attraversò le stanze e raggiunse i cavalli all'esterno.



Celia si diresse al piccolo Monastero di Moreha, avvisò i Guaritori che presero un carro trainato da due grossi cavalli. Raccolsero i due Storici e Celia trascorse più di un'ora con il Chierico Cavaliere che gestiva il Monastero per spiegare ogni cosa.

Il giorno seguente ripartirono per Torap. Erik partì all'alba, senza avvisarli, Celia poteva immaginare il motivo del suo comportamento che invece irritò enormemente sua sorella.

- E' veramente insopportabile e pieno di sé - sbottò Kathe mentre riempiva lo zaino.

- Doveva aiutare il suo amico e ha sicuramente perduto almeno un giorno aiutando noi - le fece notare Klod osservandola incuriosito.

- Ha deciso lui di seguirci, non gliel'abbiamo chiesto noi, vero Celia? - la sorella si riscosse, fissava il libro da un po' sovrappensiero.

- Sì, lo ha chiesto lui - rispose distrattamente massaggiandosi la gamba ferita, prima di montare a cavallo avrebbe evocato un altro incantesimo di cura.

- Vedi, che dicevo io? - insisté Kathe guardando il fratello. Klod fece spallucce ed evitò di dire ciò che pensava realmente sui sentimenti che legavano la sorella a quello strano tipo schivo.

Il passo innevato richiese tre giorni in più per l'attraversamento ma il cattivo tempo aveva almeno fatto allontanare briganti e bestie.

Quando furono nei pressi del luogo dell'agguato, Celia volle controllare il campo dei briganti ma era deserto e non c'era traccia del vecchio druido. La neve copriva ogni cosa ormai anche lì, le radici che il vecchio aveva evocato serravano ancora nel loro abbraccio tende e vettovaglie.

Sostarono di nuovo alla taverna del Lupo Bianco e la discesa verso Torap non ebbe inconvenienti. Rivedere dall'alto la pianura dove si estendeva la città e i villaggi circostanti fu un vero sollievo. La neve non era ancora arrivata ma pioveva.

Kathe tornò alla Scuola e Klod alla Guarnigione mentre Celia si diresse al Monastero per consegnare i documenti all'Alto Chierico e fare rapporto del misterioso doppio assassinio. L'attendeva una serata intensa.



Il Monastero era silenzioso, la pioggia batteva incessante, il cielo era scuro e vicino alla notte. Celia attese pazientemente fuori dallo studio dell’Alto Chierico, bagnata e infreddolita. La porta si aprì e uscì una donna in armatura, dai lunghi capelli neri, una cicatrice lunga e scura le solcava la guancia destra. La donna la guardò per un istante e proseguì lungo il corridoio. Celia si domandò chi fosse ma fu interrotta dalla voce dell’Alto Chierico che la invitava ad entrare.

La stanza era in penombra, solo un candelabro ardeva solitario e forniva un po’ di luce.

- Vieni, Celia - chiamò la voce dell’anziano maestro. La chierica avanzò.

- Consegno il libro e la pergamena dello storico che avevate richiesto - esordì la giovane osservando il volto rugoso. Poi iniziò il racconto. Era stanca e avrebbe preferito buttarsi in una tinozza e poi andare a dormire ma questo faceva parte di ciò che l’Ordine le aveva insegnato.

- E’ un evento molto strano quello che mi hai riportato, bambina - disse confidenzialmente il chierico. Picchiettava con le dita sul tavolo. Si alzò e girò intorno alla scrivania prendendo in mano il libro.

- Ti sei ferita, va tutto bene? - aggiunse notando la maglia dell’armatura e il sangue rappreso.

- Va tutto bene Maestro, solo un graffio - commentò lei guardandolo.

- Riceverai il tuo compenso come di consueto - sembrava assorto e Celia fece un lieve inchino uscendo, lasciandolo ai suoi pensieri.

- Credi che abbia visto qualcosa? - l’Alto Chierico pose la domanda all’angolo buio della stanza vicino alla sua scrivania.

- No, ha fatto ciò che doveva ed è tornata - Sir Mark Nateshwar uscì dal buio che lo circondava, aveva le braccia conserte e indossava una leggera armatura di cuoio nero e un mantello. L’Alto Chierico lo osservò in silenzio per un istante. Era un gioco pericoloso quello che aveva chiesto a Sir Mark. I giovani erano più avventati e sprezzanti del pericolo. Nonostante Celia l’avesse negato, lo sguardo di Sir Mark palesava i suoi sentimenti più di qualsiasi confessione.

- Non perdere la lucidità che ti ha portato dove sei - lo consigliò l’anziano chierico. Sir Mark si voltò guardandolo con la fronte aggrottata.

- Non devi temere padre - rispose dopo qualche attimo di silenzio.


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Capitolo 13
*** Il prigioniero e il baule ***


13. Il prigioniero e il baule

Tre settimane dopo il loro ritorno Celia ricevette una lettera da Katherin. Andando contro ogni logica, la sorella aveva chiesto aiuto a Erik Cools per rubare una bacchetta magica e naturalmente non aveva detto niente né a Klod né a lei. Le confidava di essersi pentita di aver derubato un ricco grassone di Fir Ze ma la bacchetta era bellissima e molto potente, e ora aveva paura di essere cacciata dalla Scuola se fossero venuti in qualche modo a sapere delle sue azioni.

Celia scosse la testa e gettò la lettera nel camino della sala comune del Monastero. La pergamena sfrigolò e fu avvolta dalle fiamme. Era deserto, non c’era nessuno, l’ora tarda aveva spinto tutti a letto. Le avrebbe risposto con calma, senza farsi prendere dalla rabbia che la pervadeva in quel momento. Sicuramente la bacchetta le interessava ma era convinta che in realtà fosse attratta dal ladro dagli occhi azzurri. Sospirò.

- Sospirare è un'azione che mal si addice ad un Cavaliere o aspirante tale - Celia sobbalzò udendo la voce alle sue spalle, si alzò di scatto voltandosi.

- Che ci fai qui? - domandò sulla difensiva la chierica.

- Bel modo di salutare un tuo superiore - Sir Mark sorrise avanzando.

- Lo sai che non voglio che ci vedano insieme, non voglio che i miei compagni d'arme pensino che ottengo dei favori da un Cavaliere! - sussurrò Celia a denti stretti. Sir Mark si oscurò in volto ma continuò ad avanzare lentamente. La donna che amava lo rifiutava categoricamente, ignorando ciò che sentiva, annullando le parole che gli disse quel giorno. Indossava solo la tunica grigia dei messi, lunga fino ai piedi celava le sue forme ma nonostante ciò sapeva cosa nascondeva e l'avrebbe voluta lì in quel momento.

- Questa è solo una scusa Celia - prese una sedia, l'avvicinò alla poltrona e si accomodò. Celia restò in silenzio e un istante dopo si rimise a sedere. Non era una scusa, era la verità che l'aiutava a non abbandonarsi ai sentimenti.

- Che ci fai qui? - chiese di nuovo con voce tesa. Sir Mark la guardò per qualche secondo, gli occhi chiari ardevano d'ira, era arrabbiata o forse aveva solo bisogno di essere baciata? Ci pensò un attimo, poi cambiò idea.

- C'è qualcosa che dobbiamo fare - esordì facendola trasalire.

- Dobbiamo? - chiese lei alzando un sopracciglio e appoggiandosi allo schienale morbido della poltrona.

- Sì - annuì il Cavaliere - Lavoreremo insieme e, che tu ci creda o no, non è per mia volontà -

Celia lo osservò sgranando gli occhi e artigliando i braccioli della poltrona, lui invece le sorrise compiaciuto. Era proprio curioso di vedere cosa sarebbe accaduto.



Nelle due settimane seguenti una pioggia incessante si rovesciò sul Ducato degli Arstid. Celia si buttò a capo fitto negli allenamenti nella sala d'armi e nello studio. La pioggia, unita a ciò che le aveva detto Mark, resero il suo umore cupo e silenzioso. Sarebbero partiti fra quattro giorni, l'avrebbe avuto accanto ogni momento della giornata, da quella sera ogni notte aveva sognato i momenti intimi che avevano passato insieme due anni prima. Si svegliava agitata e sudata e Rhienne sobbalzava nel letto accanto a lei. Nei sogni rivedeva sé stessa desiderare ardentemente il contatto con lui, affondare le mani nei capelli corvini, perdersi nei suoi occhi neri e profondi. Aveva allontanato tutti, compresi i suoi fratelli. Erano arrivate due lettere, una di Kathe e una di Klod ma non aveva risposto a nessuna delle due.

Quella sera si trovava alla mensa dopo una sessione intensa di allenamento mangiava da sola, e le doleva un braccio nonostante l'incantesimo che aveva usato.

- Celia c'è qualcuno per te nella sala d'attesa all'ingresso del Monastero - la giovane chierica trasalì nell'udire la voce di Rhienne tanto era concentrata sui suoi cupi pensieri.

- Qualcuno per me? - chiese meravigliata posando la forchetta.

- Sì - annuì Rhienne - Ti accompagno - si offrì sorridendole. Celia si alzò e la seguì.

Passarono dall’interno delle mura visto che fuori pioveva a dirotto. I corridoi erano illuminati da piccole luci magiche perenni e l’odore di chiuso e umidità avvolgeva le narici.

L’attendente dietro al bancone all’ingresso le salutò con un cenno del capo quando entrarono dalle doppie porte laterali. Un’alta figura incappucciata e fradicia aspettava in piedi vicino alle porte d’uscita. Si voltò abbassandosi il cappuccio e Celia sentì salire un nodo alla gola.

- Klod! - chiamò sorridendo. Il fratello si avvicinò a passo rapido e l’abbracciò.

- Se non rispondi alle mie lettere mi preoccupo, sorella - le sussurrò lentamente. Rhienne osservò per la prima volta il fratello di Celia. Sapeva dal nome che era lui, come sapeva che la sorella era Katherin. Era alto e magro, dai capelli rossicci raccolti in una coda e occhi scuri. Si intravedeva una spada sotto il mantello e anche un’armatura, forse di cuoio.

- Sono occupata, mi dispiace non aver risposto - disse lei cercando di mascherare il suo reale stato d’animo. Klod la guardò per un istante e sembrò accettare quella risposta senza fare ulteriori domande.

- Lei è Rhienne Firebringer, una delle mie compagne di corso - Celia presentò l’amica e Klod le prese elegantemente la mano e la baciò.

- Puoi essere solo il figlio del Conte Hianick e fratello di Celia - sorrise Rhienne arrossendo lievemente - Vi somigliate molto - aggiunse.

- Sono io milady, Klod in carne e ossa - disse lui teatralmente - E il mondo ha assunto una luce diversa da quando vi ho visto, peccato mia sorella non mi informi di certe sue conoscenze - Rhienne arrossì lievemente di nuovo e Celia aggrottò lo sopracciglia.

- Klod smettila subito, cosa penserà Rhienne? -

- Che hai un fratello affascinante ed educato - ribatté lui con quel suo modo di fare accattivante con cui dominava sempre la scena davanti alle signore.

- Lascia la spada all’attendente e entra, così finisco di cenare - suggerì Celia lanciandogli un’occhiataccia, sebbene Rhienne sembrava aver gradito quel modo galante che aveva usato con lei.

- Mangi così tardi? - commentò Klod posando la spada sul bancone dell’attendente. Il giovane chierico gli fece anche firmare un registro delle visite che entravano nel Monastero.

- Tua sorella non fa che studiare e allenarsi, anche oggi il nostro maestro le ha rotto un braccio - lo informò Rhienne. Klod si rabbuiò.

- Rhienne, parli sempre troppo - disse Celia imboccando il corridoio e voltando le spalle a entrambi.

- Cosa succede? - sussurrò Klod ma Rhienne gli fece gesto che non era il momento. Ripercorsero il corridoio al contrario e Rhienne intratteneva Klod spiegando molte cose del Monastero mentre Celia li precedeva poco avanti.

- Non sono mai stato qui in effetti - valutò Klod riflettendo per un attimo.

- Non ti perdi niente - la voce di Celia li raggiunse - E' solo un altro posto dove studiare e imparare, come la Guarnigione -

- Ma voi imparate ad usare la magia divina, è molto diverso - aggiunse serio il fratello.

- Però passiamo molti mesi chiusi qui dentro, alcuni ci passano anni - aggiunse Rhienne - Quella è la corte centrale - la chierica indicò oltre una finestra con le grate di ferro. Klod si avvicinò e guardò oltre.

- E’ grandissima e ci sono anche degli edifici. Non si direbbe dall’esterno -

- Ci sono degli orari durante il giorno dove la gente può entrare a visitarla, c’è anche il tempio della dèa là in fondo e c’è un negozio che vende molte cose che produciamo - spiegò Rhienne con orgoglio. Klod si voltò a guardarla, aveva dei bellissimi capelli e una piccola cicatrice sotto l’occhio destro.

- Vuoi diventare anche te un Chierico Cavaliere? - le domandò all’improvviso. Rhienne annuì.

- Studio da molti anni ma Celia è molto più brava di me nello studio e nell’apprendimento, non so se riuscirò mai a diventare Cavaliere - ammise la giovane chierica.

- Lei è arrivata qui solo dieci anni fa, non ha potuto iniziare da bambina come me, eppure ha recuperato molto bene e ora siamo nella stessa classe, quindi direi che ti stai sottovalutando e che sarai un Cavaliere potente e coraggioso - le disse Celia facendo qualche passo indietro e stringendole una spalla come segno di incoraggiamento.

- Allora sei te che hai battuto la fiacca sorellina se ti sei lasciata raggiungere! - rise Klod dando una pacca alla sorella. Celia lo guardò in cagnesco e riprese a camminare verso la mensa.

La sua cena era ovviamente fredda, così chiese gentilmente di avere un’altra porzione di stufato e tre birre.

- Kathe mi ha detto che non hai risposto neanche alla sua missiva, eri sempre occupata? - chiese Klod bevendo dal boccale. Rhienne osservava il fratello, era evidente la sua preoccupazione per la sorella e si rammaricò di non aver avuto fratelli con cui condividere la vita. Celia non alzò neanche lo sguardo.

- Sì, sono impegnata, fra quattro giorni devo partire - e continuò a mangiare ma Klod doveva conoscerla molto bene e proseguì ignorando il suo atteggiamento.

- Dove andrai? - doveva essere un incarico particolare per irritarla così, in un modo o nell’altro avrebbe saputo tutto.

- A sud, Mitrander - ripose secca Celia sempre continuando a mangiare.

- E’ molto lontano, si trova oltre lo stretto, giusto? - Celia annuì. Klod allungò i piedi su un’altra sedia e sembrava valutare la sorella. Spostò lo sguardo su Rhienne e la giovane con lo sguardo sembrava sconsigliarlo di proseguire ma Klod indagò ancora.

- Come mai questa volta non ci hai chiesto di seguirti? -

- Non è stato l’Alto Chierico di Torap a formare la squadra, la richiesta viene dall’Alto Chierico di Fir Ze, ha fatto tutto lui - Celia allontanò il piatto e bevve la birra.

- Quindi hai già dei compagni di viaggio -

- Sì - disse lei alzando finalmente lo sguardo sul fratello.

- E non ti piacciono - aggiunse il fratello. Rhienne si mosse a disagio sulla sedia e Klod seppe di essere sulla strada giusta.

- Non posso scegliere con chi viaggiare a volte, e io non sono ancora un Cavaliere, solo un Messo, non ho alcun potere al riguardo - Celia evitò la risposta diretta, non era necessario che Klod sapesse ogni cosa. Lui rifletté in silenzio qualche secondo poi sorprese Celia facendole spalancare gli occhi.

- Sir Mark Nateshwar - disse solo Klod osservandola. Rhienne scoppiò a ridere e Celia restò interdetta poi sorrise.

- Sono giovane, non stupido - borbottò il fratello di fronte all’ilarità generale.

- Non ho mai pensato tu fossi stupido, solo non credevo di essere così trasparente - ammise la sorella appoggiandosi allo schienale della sedia di legno. Un giovane attendente passò a togliere tutto dal tavolo.

- Ce ne siamo resi conto al Monastero di Albany, Kathe era sicura che fosse accaduto qualcosa - il fratello le sorrise apertamente.

- Non vuole accettare l’unione con lui, sarebbe tutto più facile - si azzardò a dire Rhienne e Celia la fulminò con lo sguardo. Klod soppesò per un attimo le parole della chierica.

- Stai rifiutando l’unione con un Chierico Cavaliere di alto rango? Perché sorella? - Klod ricordava perfettamente Sir Mark, era indubbiamente un uomo affascinante ed aveva sicuramente dei natali importanti.

- Non voglio che i miei compagni d’arme pensino che ottengo dei favori e che è l’unico motivo per cui avrò la carica di Cavaliere. Sono anni che studio sodo e mi faccio prendere a mazzate dal maestro ogni giorno e non voglio veder crollare tutto solo perché ho ceduto ai sentimenti. E questo è solo il primo dei problemi… - la voce di Celia era triste e malinconica. Era chiaro quanto gli dovesse costare tutto ciò ma era decisa a percorrere quella strada.

Klod ascoltò la sorella in silenzio. Ecco qual era il vero motivo per cui non voleva un matrimonio con pretendenti proposti dal loro padre. Si era innamorata, non avrebbe accettato altro uomo.

- Chi è Sir Mark, realmente? - chiese Klod d’improvviso. Celia sospirò.

- E’ il figlio dell’Alto Chierico di Torap, Adam Nateshwar - l’espressione di Celia esprimeva tutto il dolore e l’angoscia per la situazione in cui si trovava.

- Se non fossi al cospetto di due signore imprecherei - disse Klod lentamente. Non era in effetti una bella situazione.

- Inoltre il nostro Sir Cavaliere non vuole arrendersi, è deciso a conquistare la nostra bella chierica - Rhienne completò il quadro e Celia non ebbe neanche la forza di ribattere.

- Sinceramente farei la stessa cosa - annuì Klod all’indirizzo della sorella - Me ne fregherei altamente del giudizio degli altri. Una volta che avrai ottenuto il cavalierato, potrai stenderli tutti in un regolare duello, così dimostrerai che il tuo legame con Sir Mark non ha niente a che vedere con il grado che hai ottenuto -

- Klod, non mettertici anche te! - Celia si alzò di scatto stringendo i pugni - I due mesi che mi aspettano mi esauriranno, non c’è necessità che rigiri la lama nella ferita! -

- Ti fai troppi problemi - aggiunse ignorando lo stato alterato della sorella.

- Tu non sai niente della vita del Monastero né della fatica che dobbiamo fare perché siamo donne - disse a denti stretti Celia.

- In questo non posso darle torto. Anche se dall’esterno sembra che tutti siamo alla pari, non è vero. Molti chierici trattano le donne come sottomesse, non le ritengono loro pari, e quando c’è da fare un'investitura storcono sempre il naso se c’è qualche donna -

Klod alzò un sopracciglio. Era convinto che l’Ordine accettasse chiunque a prescindere, sebbene venissero fatti degli esami attitudinali iniziali. La Guarnigione non aveva questi problemi, venivano accolti solo uomini. Rhienne si alzò e Klod la imitò.

- Io mi ritiro, sono sfinita - disse la chierica - La prossima settimana dovrò partire anche io per Fir Ze, accompagno Sir Solias Deepwater, non sarà un viaggio semplice neanche per me con quel vecchio esigente - Rhienne storse il naso e Celia sorrise.

- Buonanotte e che le stelle più luminose riempiano i tuoi sogni - disse Klod baciandole lievemente la mano. Rhienne sorrise e si allontanò. Celia alzò gli occhi al cielo.

- Ti faccio vedere la sala d’armi - lo sguardo di Klod si illuminò e Celia sorrise incamminandosi nel corridoio interno.

La pioggia batteva ancora forte fuori e per raggiungere il portone del maschio fecero una corsa rapida. La porta scricchiolò e si aprì sul buio. Celia mormorò una breve preghiera e la luce magica illuminò l’interno. C’erano decine di panche di legno addossate ai muri, rastrelliere piene di armi di metallo e di legno, scudi, tappeti imbottiti manichini, bersagli. Era una sala enorme e dall’esterno non si comprendeva quanto si estendesse realmente. C’era odore di cuoio, metallo, terra e sudore.

- E’ molto bella e spaziosa - disse Klod andando in giro e guardando tutto.

- Di solito durante gli allenamenti usiamo le armi di legno - Celia soppesò una spada.

- Che ne dici di fare uno scambio? - propose Klod prendendo una spada a sua volta. Celia lo guardò sorpresa, poi si massaggiò il braccio destro che ancora le doleva.

- Va bene ma userò la sinistra, così non ti farò troppo male - sogghignò la sorella spostando rapidamente la spada di mano. Klod si mise immediatamente in guardia.

I primi scambi furono rapidi, i due fratelli si affrontavano per la prima volta e un avversario va sempre conosciuto a meno che non lo si voglia uccidere all’istante.

- Sei rapida - disse Klod sempre più entusiasta del combattimento.

- Sei preciso - valutò lei. Sapeva che i comandati della Guarnigioni allenavano duramente i loro soldati e aveva già visto Klod combattere, sapeva che era bravo. Le spade si scontrarono più volte facendo volare schegge di legno. Nessuno dei due commetteva passi falsi né mostrava il fianco, trovare quindi un punto per ferire era difficile.

- E se venissimo anche noi a Mitrander? - chiese Klod all’improvviso. Celia si distrasse e Klod la toccò sul fianco - Un punto a me - Celia sbuffò e si rimise in posizione.

- Non dire assurdità. Staremo via due mesi e non so neanche cosa andiamo a fare - eseguì un affondo perfetto, fintò e colpì Klod su un ginocchio che era rimasto esposto.

- Pari - disse lui massaggiandosi l’arto. Si rimise in posizione e il combattimento riprese.

- Klod perché sei venuto qui? - un sospetto aveva iniziato a insinuarsi nella sua mente.

- Kathe era preoccupata, temeva che se fosse venuta lei non le avresti confidato niente, così ha mandato me - disse lui candidamente. Celia si distrasse di nuovo alle sue parole e lui la colpì di piatto sulla schiena.

- Saresti morta, sorellina - sorrise il giovane guerriero rimettendosi in posizione di guardia.

- Mi distrai con chiacchiere inutili - ringhiò lei - E inoltre sto usando la sinistra -

Klod passò rapidamente la spada di mano - Ora siamo alla pari -

Celia allungò la spada di legno e si scambiarono delle rapide stoccate. Kathe era capace di inventarsi il modo per riuscire a seguirla e lei non voleva peggiorare la situazione di quel viaggio più di quanto non fosse già.

- Ti darò una lettera per nostra madre, così sapranno dove sono. Non potrò essere a casa per la festa dell’Inverno, fai te gli onori di casa e non far venire un malore alla zia Amelia, è troppo vecchia per reggere i tuoi scherzi - disse fra un colpo e l’altro.

- A Kathe non piacerà - ribatté Klod parando un affondo pericoloso.

- Raccontale tutta la verità, forse si accontenterà di quello - suggerì Celia stringendo i denti quando Klod la colpì sul braccio destro. Una fitta dolorosa si propagò fino alla spalla.

- E qual è la verità? - domandò il fratello facendo segno con le dita del punteggio.

- Mark e tutto il resto - arretrò per evitare un affondo e cadde sulla schiena.

- Oh lo chiami Mark, quindi siete molto più intimi di quanto credevo - sorrise, e le puntò la spada di legno al petto - E con questo fanno tre, sei morta sorellina -

Celia si adagiò completamente al suolo lasciando andare la spada di legno. Ansimava ed era sudata, le girava la testa e il braccio destro pulsava incessantemente.

- Klod inventati qualcosa, dì a Kathe ciò che vuole sentire ma non permetterle di fare una stupidaggine - Celia accettò la mano protesa del fratello e si rialzò.

- Pensi che mi ascolterà? - la sua faccia incredula era più eloquente di qualsiasi commento.

- Deve, non voglio assolutamente che ci veniate dietro, inoltre la vostra presenza non cambierebbe niente - si spolverò la tunica imbottita e si strinse il braccio al petto.

Klod soppesò le parole della sorella, poi annuì.

- Farò il possibile ma non ti assicuro niente, Kathe è imprevedibile e quando si mette un’idea in quella sua testolina non sarà contenta finché non l’avrà soddisfatta - si picchiò col palmo della mano sulla nuca. Celia sorrise.

- Ti riaccompagno all’ingresso, ci vediamo fra un paio di mesi se tutto va bene - Celia abbracciò forte il fratello. Riposero le spade e si incamminarono sotto la pioggia.



Mitrander è la prima città costiera oltre lo stretto sul Mare Azzurro nel Sultanato di Agrabaar. L’Ordine non ha alcun potere lì, ci sono alcuni Monasteri ma il Sultano reggente non gradisce particolarmente la cosa. La loro fede è orientata ad altri dèi e loro andavano a imporre credenze che non gli appartenevano. Celia non aveva mai trovato corretta la cosa ma non era lei a capo dell’Ordine. Nella prima settimana di viaggio, scendendo verso sud, il tempo migliorò istantaneamente. Non pioveva più e faceva leggermente più caldo, come se rincorressero l’estate.

Come Messo serviva direttamente Sir Ogrimar, un gigante di colore come Mahatma, era un Cavaliere coraggioso ed estremamente forte, che aveva battuto decine di avversari nelle giostre e, si diceva, migliaia di nemici in battaglia. Sir Ogrimar parlava perfettamente la lingua di Agrabaar ed era spesso in viaggio in quelle terre per aiutare i Monasteri ed intercedere presso i capi delle decine di tribù sparse sul territorio del Sultano. Quando aveva saputo cosa sarebbero andati a fare una scossa fredda le aveva attraversato la schiena.

Trasportavano un baule di monete d’oro e un prigioniero. L’uomo era rinchiuso in una gabbia trasportata da quattro cavalli, mentre il baule si trovava dentro un grande carro che conteneva anche vettovaglie e armi, trainato da sei cavalli. Questo gli permetteva di muoversi abbastanza velocemente, si fermavano in taverne quando potevano o si accampavano quando non c’erano villaggi nei paraggi. Per fortuna il tempo era stabile e il sole scaldava ancora la pelle.

Sir Ogrimar aveva una voce profonda e calda e si avvertiva l’accento della sua terra nel modo in cui parlava il comune. Lo aiutava ogni volta che ne aveva bisogno, la chiamava per consegnare messaggi o togliergli l’armatura. Si occupava del suo cavallo e della sua tenda. Aveva scoperto che questo viaggio e la scelta dei componenti risalivano addirittura al Patriarca Eldingar Jaldhar in persona. Lui era la guida spirituale e principale dell’Ordine, tutti gli Alti Chierici, uno per ogni Contea, riferivano direttamente a lui. Il prigioniero doveva essere qualcuno di importante ed era lei a doversene occupare. C’era anche un altro Messo di Fir Ze, Janos, che si occupava invece dei quindici Cavalieri che formavano la scorta. C’erano anche un cuoco dell’Ordine e un Guaritore. I due messi servivano all’occorrenza anche i due Sir Cavalieri che accompagnavano Sir Ogrimar: Sir Mark Nateshwar e Sir Alish Dumar.

Per fortuna la sua giornata era talmente piena che non c’era modo di incontrare Mark. La sera del decimo giorno di viaggio il prigioniero le parlò.

- Come ti chiami? - domandò con voce roca. Lo faceva uscire due volte al giorno per espletare i bisogni corporali, era sempre incatenato mani e piedi, indossava vesti lacere, era alto e magro, con barba e capelli lunghi e sporchi. Gli occhi erano castani e brillavano fieri a dispetto della condizione in cui era tenuto.

- Non dovresti parlare con lui - la voce stanca giunse alle sue spalle. Celia si voltò e vide che Janos era proprio dietro di lei.

- E’ la prima volta che mi fa una domanda, mi sembra educato rispondere e non c’è niente di male - Celia si voltò verso il prigioniero - Il mio nome è Celia - disse, fece passare la ciotola di stufato fra le sbarre, il boccale con l’acqua e il pane nero. Il prigioniero annuì e prese la ciotola.

- E’ un condannato a morte - le sussurrò nell’orecchio il ragazzo. Avrà avuto la sua età, un po’ più alto di Celia, capelli biondi alle spalle e occhi chiari e una profonda cicatrice gli solcava la guancia sinistra. Celia si voltò con sguardo interrogativo allontanandosi dalla gabbia.

- E lo portiamo a morire a Mitrander? - sussurrò meravigliata Celia lanciando uno sguardo al prigioniero.

- Pare che il suo crimine riguardi il Sultano e che lo voglia torturare prima di impiccarlo - Janos mantenne la voce bassa sedendosi su una grossa pietra nella radura che avevano trovato per accamparsi.

- Come le sai tutte queste cose? - chiese Celia con un filo di voce.

- I cavalieri parlano… - sussurrò Janos addentando una mela e lanciandone una a Celia. La radura era rischiarata solo dal fuoco centrale dell’accampamento e ormai tutti erano a dormire.

- Chissà cosa avrà fatto… - si domandò sommessamente la chierica addentando la mela.

- Sai perché ti hanno assegnato questo incarico? - Janos si era alzato e l’aveva raggiunta, fissando il prigioniero che mangiava in silenzio.

- No - rispose Celia - E tu? - aveva un profilo deciso, il naso diritto e labbra perfette. In quei dieci giorni di viaggio non avevano avuto neanche il tempo di rivolgersi la parola. Janos scosse la testa.

- O abbiamo fatto arrabbiare qualcuno o siamo i migliori - le sorrise strizzandole l’occhio.

- Nel mio caso è più probabile la prima… - disse mestamente Celia.

- Non credo - ribadì Janos fissandola. Lei abbassò lo sguardo e il buio della sera celò le sue guance arrossate. Il prigioniero posò la ciotola e bevve. Celia si avvicinò e prese tutto.

- Il mio nome è Egwain Norwich - le afferrò il polso e la trattenne fissandola con sguardo duro.

- Lasciala - l’ordine secco arrivò da Janos, la punta della spada vicina al petto del prigioniero. Celia spostò lo sguardo, Janos era immobile come una statua, non l’aveva udito muoversi né estrarre la spada. Il prigioniero lasciò la presa e si rimise a sedere in silenzio.

- Andiamo - disse Celia posandogli una mano sull’avambraccio per attirare la sua attenzione. Janos rinfoderò la spada e la seguì.



Nella settimana seguente il prigioniero non rivolse più la parola a Celia, anche se la fissava durante il giorno mentre svolgeva i suoi compiti. Ci furono due occasioni in cui avrebbe ucciso volentieri Sir Ogrimar. Una volta le chiese di portare un libro e una sorta di scrigno a Sir Alish. Si erano fermati lungo la via alla taverna dell’Impiccato, che aveva questo nome a causa di una vecchia forca che pendeva lì vicino, e i Cavalieri avevano una stanza al piano superiore. Sicura che tutti fossero all’esterno, Celia entrò nella stanza ma Sir Alish era seduto nudo su una sedia e sopra di lui c’era una ragazza molto giovane, nuda anche lei. Rimase interdetta un attimo, posò il libro e lo scrigno sulla sedia vicino alla porta e quando Sir Alish le disse ridendo se voleva unirsi, Celia si voltò di spalle chiudendo immediatamente la porta. Evitò il Cavaliere per i quattro giorni a seguire tanto era imbarazzata.

La seconda risaliva al giorno prima, si erano accampati in una vasta pianura, non c’erano alberi né altro che potesse offrire ombra e il sole era stato molto caldo durante tutto il giorno, l’unico motivo per cui avevano scelto quel punto preciso era la presenza di un pozzo. Infatti non erano soli, c’erano altre due carovane accampate che guardarono incuriosite la colonna di Cavalieri. L’unico modo per abbeverare i cavalli e gli uomini era prendere l’acqua dal pozzo, così Janos a Celia avevano faticato sotto il sole del pomeriggio. Sir Ogrimar aveva anche voluto fare un bagno, e per fortuna si lavava da solo ma fu costretta a portare otto secchi d’acqua nella tinozza. Mentre si lavava scese la sera e lei stava oliando i pezzi della sua armatura, rimuovendo ruggine e lucidandola. Il suo vocione dall’altra parte della tenda le disse di avvisare Sir Mark di andare da lui quella sera. Per fortuna la tenda impedì a Sir Ogrimar di vedere il gestaccio che Celia gli rifilò. Il sole stava tramontando e finalmente si respirava un’aria più fresca. Raggiunse la tende di Sir Mark, espirò l’aria e si annunciò.

- Sono Celia Sir, porto un messaggio di Sir Ogrimar - e nel frattempo sperava vivamente di non trovarlo in una posizione compromettente come quella di Sir Alish.

- Entra - rispose la voce ovattata di Mark. Indossava solo i pantaloni e gli stivali, visto il caldo, e sorrise nel vedere la reazione di Celia. Lei distolse volutamente lo sguardo fissando un piccolo strappo nella tenda oltre Mark.

- Questa sera Sir Ogrimar desidera incontrarvi nella sua tenda - riferì, e si voltò per uscire senza attendere licenza.

- Visto che sei qui, potresti oliare la mia maglia? Scricchiola - chiese il Cavaliere. Celia avrebbe voluto rispondere con almeno cento no diversi ma chiuse gli occhi, si voltò e lo fronteggiò.

- Datemela e provvederò - rispose con la cordialità che riservava ad ogni Cavaliere allungando una mano. Lo sguardo continuava a tornarle sul suo torace nudo, perfettamente scolpito.

- E’ nel baule, c’è anche l’olio - disse Mark indicando sulla destra della tenda. Celia si avvicinò, l’aprì e la sollevò scrutandola con occhio critico. In effetti aveva bisogno di essere oliata. Prese la boccetta con l’olio e lo straccio. Quando si voltò Mark aveva predisposto una sedia, lui si sedette sul letto. Celia lo guardò per un istante, avrebbe voluto andare a pulirla fuori ma sembrava che Mark volesse metterla in difficoltà. Si sedette e iniziò a oliare abilmente la parte frontale.

Mark la osservava, era concentrata e bellissima, probabilmente non si rendeva conto neanche lei di quanto lo fosse. O magari era bella solo ai suoi occhi. Aveva i capelli lunghi e biondi intrecciati come di consueto, un lieve rossore sulle guance, causato forse da lui o dal caldo, le ciglia erano bionde e lunghe, e negli occhi azzurri c’erano delle pagliuzze dorate. Trascorse tutta l’ora seguente in silenzio, a guardarla oliare la maglia che divenne lucida in breve tempo. Lei non alzò lo sguardo, neanche una volta, quando terminò si alzò e rimise l’armatura nel baule con l’olio e lo straccio. Si voltò chinandosi lievemente.

- Posso andare, Sir? - gli domandò guardandolo con occhi supplici. Probabilmente in quella sua testolina stava già pensando ai venti Cavalieri che l’avevano vista entrare nella sua tenda e uscire dopo un’ora. Avrebbe voluto fare l’amore con lei tutta la notte come quella sera di quasi tre anni prima ma non era uomo da costringere chicchessia a fare niente che non volesse. Annuì e lei uscì.


Cinque giorni dopo arrivarono i suoi fratelli.

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Capitolo 14
*** Fuoco e fulmini ***


14. Fuoco e Fulmini


Era circa mezzogiorno, avevano raggiunto l’argine del grande fiume Agrimir, l’unico modo per attraversarlo era usare le enormi chiatte che facevano la spola da una sponda all’altra. Sir Alish pagò il passaggio per cavalli, cavalieri e carri e i due uomini tirarono a riva la chiatta e li invitarono a far salire i cavalli. Celia vide di sfuggita Sir Ogrimar che parlava con uno strano tipo dai capelli giallo stoppa e i denti tutti neri e storti. Gesticolava e indicava un carro alle sue spalle. A cassetta era seduta una ragazza dai capelli neri legati in due trecce e c’era anche un ragazzo a cavallo, dai capelli scuri e armatura di cuoio, che attendeva paziente accanto al carro.

Sir Ogrimar ascoltò e poi alla fine fece cenno di sì con la testa. Raggiunse Sir Alish e Sir Mark e parlò brevemente anche con loro. Poi gridò il suo nome e lei gli portò il cavallo.

- Quelli vengono con noi a Mitrander - le disse salendo a cavallo. Celia gli passò le redini e guardò l’uomo dai capelli di stoppa che, incredibilmente, le fece l’occhiolino. Celia sbiancò: era Erik Cools. Spostò lo sguardo sulla ragazza che le sorrideva, era Kathe, e il ragazzo era Klod, sollevò una mano e salutò con fare disinteressato.

Come avevano fatto ad avere il permesso di uscire dalle rispettive scuole per un periodo così lungo? Celia si voltò cercando di mantenere una parvenza di autocontrollo. Aiutò Janos a far salire i cavalli, poi i carri, poi i cavalieri e infine la piccola carovana.

- Grazie, Sir - le disse Erik biascicando le parole. Lei lo fulminò con lo sguardo ma lui le sorrise bonariamente.

- Non sono Cavaliere - ribatté secca tirando i cavalli e il carro. Guardò in tralice anche Klod e Kathe ma loro due sorridevano beatamente.

Oltrepassarono il fiume Agrimir che nei prossimi mesi si sarebbe gonfiato per le piogge e in alcuni momenti sarebbe diventato inattraversabile. Proseguirono fino a sera, alloggiando alla taverna Ala di Drago che era famosa nei dintorni, a detta di un contadino, per il suo stufato piccante e speziato. Le droghe arrivavano direttamente da Mitrander e erano eccellenti.

Celia si occupò del cavallo di Sir Agrimir come ogni giorno, e portò le sue cose nella stanza che aveva preso in condivisione con Sir Alish e Sir Mark. Quando entrò, i due cavalieri erano seduti ad un piccolo tavolo e sorseggiavano dei boccali di birra.

- Hianick, come mai non siete ancora Cavaliere? Eppure siete figlia del Conte, o mi sbaglio? - domandò Sir Alish quando entrò. Mark scoccò un’occhiata al Cavaliere.

- Non vi sbagliate Sir, ma non ho alcun vantaggio dalla mia parentela - rispose lei cortesemente posando il piccolo baule dove Sir Ogrimar teneva l’occorrente per scrivere, le candele, i libri e altre cose personali.

- Dovreste sposarvi con un Cavaliere, raggiungereste il grado in breve tempo. Mi candido se doveste prendere in considerazione l’idea, avete visto di cosa sono capace - alluse Sir Alish sorridendo. Celia rimase immobile, smise quasi di respirare. Mark interrogò con lo sguardo Sir Alish.

- Qualche tempo fa è entrata nella stanza ed ero in dolce compagnia - spiegò il Cavaliere con sufficienza. Mark osservò in silenzio Alish poi guardò Celia.

- Desidero dimostrare a mio padre di farcela con le mie forze, senza alcun aiuto e non ho interesse per il matrimonio - ripose dopo un attimo di riflessione, soprattutto con uno come te, pensò la chierica facendo un lieve inchino e congedandosi.

- Le piacciono le donne? - Alish alzò un sopracciglio meravigliato.

- Non dire idiozie - ribatté Mark guardando pensieroso la porta chiusa.

- E’ carina ma sta oltrepassando l’età da marito, se non trova qualcuno che la sposi resterà da sola a meno che suo padre non le imponga qualche rampollo - Alish si alzò e si distese sul letto.

- Sembra che sia quello che vuole - aggiunse Mark tornando a guardare Sir Alish. Non gli era mai piaciuto, e ora meno di prima. Ricordò l’ammonimento di suo padre e mantenne la calma.

Celia uscì dalla stanza e si appoggiò alla porta con la schiena. Sir Alish era proprio il tipo d’uomo che le metteva i brividi. Per fortuna Mark non aveva fatto commenti.

- Va tutto bene? - era Janos nel corridoio che la osservava preoccupato.

- Tutto bene - annuì Celia. Janos era sempre gentile e educato, la trattava con rispetto, come faceva con tutti gli altri. Lui le sorrise.

- Vado a mangiare qualcosa, poi mi devo occupare della spada e degli stivali di Sir Ogrimar -

- Io ho già mangiato e me ne vado a letto, sono sfinito - la oltrepassò scendendo le scale e dirigendosi all’uscita della taverna e alle tende.

Celia non aveva affatto intenzione di andare a mangiare. Percorse il corridoio verso le altre camere. Spalancò la porta di quella che sapeva occupata dai fratelli. Tutti e tre balzarono in piedi.

- Che ci fate voi qui? - scandì ogni parola lentamente con lo sguardo di fuoco.

- Suvvia Celia non fare così, non sei contenta di vederci? - Kathe le andò incontro sorridendo, i capelli scuri le donavano.

- No - rispose seccamente lei. Era furiosa e sapeva che le cose ora potevano solo degenerare.

- Non lo pensi veramente... - disse Kathe col broncio.

- Se accade qualcosa vi riterrò responsabili! - aggiunse la chierica passando lo sguardo su Klod e Erik.

- Io non c’entro niente - spiegò il ladro - Ero davvero in viaggio, ho comprato dei tessuti e li porto a Iskem - era una città sul mare, distava ancora tre giorni di viaggio.

- E come ti sei fatto convincere ad andare a Mitrander? - chiese freddamente Celia chiudendo la porta.

- L’ho pagato ovviamente - rispose Kathe per lui. Celia si voltò.

- Eh sì, sono schiavo delle monete d’oro lo ammetto - sospirò il ladro dagli occhi azzurri.

- Klod non ti avevo chiesto di evitare proprio una cosa come questa? - Celia era ormai rassegnata.

- Sì, ma ti ricordi anche la mia risposta? - la guardò con un sogghigno. Chiaramente l’autrice di tutto era Kathe.

- Non voglio neanche sapere che giustificazione avete trovato con la Scuola e la Guarnigione… - Celia si sedette sul letto.

- Vogliamo solo aiutarti sorellina - disse Kathe innocentemente.

- Non mi serve aiuto, e poi combinerete solo guai! - esclamò Celia disperata.

- Sì, ti serve aiuto, se sarai in pericolo potremo darvi una mano. Ho imparato due incantesimi nuovi che saranno molto utili - lo sguardo si Kathe ardeva fiero.

- Dovresti vedere quello di fuoco… - sussurrò Klod e Erik rise.

- Zitto te! - lo redarguì la sorella - e poi c’è Sir Mark… - ma non poté terminare, Celia sollevò lo sguardo, era gelido e Kathe fece un passo indietro.

- Non si parlerà mai di Mark mai, sono stata chiara? - sillabò lentamente ogni parola mantenendo lo sguardo sulla sorella.

- L’ha chiamato per nome… - sussurrò Kathe guardando Klod che annuì. Celia si coprì la faccia con le mani disperata. Non aveva alcun modo per fermare sua sorella tanto meno fare affidamento sul suo buonsenso.

Li aggiornò rapidamente sulla loro meta e su ciò che trasportavano. Erik fece molte domande sul prigioniero che aveva intravisto nella gabbia durante il breve viaggio. Lasciò la stanza in silenzio facendo attenzione a non essere vista da nessuno e tornò alla sua tenda.



Raggiunsero Iskem e sostarono alla taverna dell’Onda Blu, poco fuori città, dove c’era lo spazio per mettere le tende. I tre cavalieri presero una stanza a testa e Celia fu sollevata di non dover incontrare Sir Alish e Mark mentre si occupava di Sir Ogrimar. La taverna disponeva di una grande stalla e insieme a Janos si occupò dei cavalli dandogli finalmente una bella strigliata.

- Ne avevano bisogno - valutò Janos osservando la polvere che usciva dal pelo.

- Non ci sono state molte occasioni per occuparci di loro - ammise Celia spazzolando con forza - Va tutto bene con Sir Ogrimar? - le domandò dopo qualche istante di silenzio.

- Sì, perché me lo domandi? - la testa di Janos sbucò dalla schiena del cavallo che stava spazzolando.

- Mi pare che tu non sia particolarmente felice di servirlo - le fece notare il giovane Messo.

- Ti sbagli, mi dispiace aver dato questa impressione. E’ un Cavaliere molto coraggioso, mi tratta con grande rispetto e spesso mi fa assistere alle piccole riunioni che fa con gli altri due cavalieri. Imparo molto anche ascoltando - spiegò Celia pulendo i ferri del cavallo. Janos rimase in silenzio forse riflettendo sulle sue parole.

- Il prossimo anno darò l’esame per il cavalierato - la sua voce giunse sommessa.

- Bene! Sono felice per te! - esclamò Celia raggiungendolo. Ma Janos era seduto sullo sgabello a fianco del cavallo e non sembrava particolarmente felice.

- Non ce la farò mai - disse sconsolato guardandola.

- Ma non dire sciocchezze. Sei preparato e se sei qui è per i tuoi meriti. Continua a lavorare sodo e vedrai che tutto andrà a posto - Celia gli tese la mano per farlo alzare. Janos la strinse e si sollevò.

- Ho una carenza sul combattimento, ho sempre preferito studiare che allenarmi - aggiunse quasi sussurrando.

- A questo possiamo rimediare, iniziando stasera - gli sorrise lei fiduciosa.

- Iniziare cosa? - la guardò alzando un sopracciglio.

- Ci alleneremo insieme ogni sera, dopo cena, non mangiare troppo pesante - gli disse facendogli l’occhiolino - E non ti risparmierò, sappilo - aggiunse sorridendo. Janos si illuminò, la abbracciò forte.

- Oh grazie, Celia! - esclamò felice Janos stringendola forte.

La porta della stalla scricchiolò e Sir Mark entrò seguito da Sir Alish.

- Ammetto che era un’idiozia quell’allusione che le piacevano le donne… - sussurrò Alish a Mark.

- Infatti - ripose Mark con lo sguardo fisso sui due messi che istantaneamente si separarono. Celia arrossì violentemente e tornò al suo cavallo che fortunatamente le fece scudo.

- Sir, posso fare qualcosa per voi? - Janos ebbe la prontezza di intervenire subito.

- I nostri cavalli - ordinò Sir Alish. Janos agì all’istante sellando i due destrieri che erano già spazzolati e puliti.

I due Cavalieri uscirono tenendo i cavalli per le briglie, nessuno parlò e di questo Celia fu immensamente grata alla Dèa Madre Sosistras.

- Temi ciò che potrebbero pensare? - Celia sussultò, Janos era alle sue spalle.

- No, non preoccuparti - rispose sorridendo - Stasera ti aspetto dietro le tende, dove c’è lo spazio pianeggiante. Ma dovrai promettermi di darmi qualche dritta con l’alchimia e la matematica, sono una vera capra - ammise la giovane chierica tornando a spazzolare il cavallo.

- Sarà uno scambio equo, studio per allenamento - annuì Janos occupandosi dell’animale che nitriva felice.



Erik vendette i tessuti al mercante a cui li aveva promessi e riempì il carro di porcellane variopinte fatte da artigiani locali dove agrumi, uva, datteri, uccelli marini, facevano bella mostra di sé in colori meravigliosi. Celia cercava di tenersi distante da loro ed evitava anche di guardarli.

Quella sera Janos si presentò puntuale, con una leggera armatura di cuoio e la spada al fianco. Celia lo osservò entrare nella radura, era alto, avrebbe dovuto modificare gli affondi e le parate. Era asciutto ma molto in forma, non si capacitava come potesse essere carente nel combattimento.

- Credevo non venissi più - lo provocò Celia estraendo la spada lentamente.

- Non posso rifiutare l’invito di una bella donna - ammiccò lui estraendo l’arma a sua volta.

- Vediamo dove sei carente - suggerì, e attaccò immediatamente. Aveva scelto anche lei un’armatura di cuoio leggera che le permetteva tutti i movimenti necessari. Restarono concentrati e in silenzio per molto tempo, Celia ripeteva tutte le lezioni che faceva nella sala d’armi, così scoprì presto dove erano le lacune di Janos.

- Concentriamoci sulla parata a sinistra, scopri sempre il fianco, così morirai - disse Celia ansimando leggermente. Janos annuì, più in affanno rispetto alla ragazza. Lo scambio ripartì ma Celia ripeteva sempre le stesse mosse, e Janos rapidamente si adeguò.

Un applauso alla fine di uno scambio particolarmente intenso attirò la loro attenzione. Kathe, Klod e Erik erano seduti alla base di un albero e stavano osservando.

- Complimenti, Cavalieri - gridò Erik con la bocca sdentata e nera.

- Non siamo Cavalieri - ribadì seccata Celia.

- Sono i viandanti che ci usano come scorta? - sussurrò Janos e Celia annuì riportando la spada in posizione.

- Adesso la girata di spalle. Janos, sei troppo lento, perderai la testa se non migliorerai, soprattutto con chi impugna una spada bastarda - disse lei guardandolo negli occhi. Chissà da quanto tempo i suoi fratelli erano lì.

Sir Alish e Sir Mark rientrarono e udendo rumori di combattimento si diressero nella loro direzione fermando i cavalli al limite della pianura.

- Sarà un ottimo Cavaliere - asserì Alish osservando il combattimento - Ma la porterei a letto volentieri per dominare quella fiamma che ha negli occhi -

Mark osservò un istante il profilo pulito di Alish e ancora una volta ricorse alle parole di ammonimento di suo padre per evitare di commettere un errore.

- C’è qualcun altro che guarda l’allenamento - disse invece indicando con lo sguardo verso la gabbia del prigioniero. Si trovava fra due tende di soldati e uno di loro faceva la guardia ma in quel momento seguiva gli scambi fra Celia e Janos. Sir Alish indurì lo sguardo.

- Non vorrei essere lui quando il Sultano di Agrabaar lo avrà fra le mani… - commentò con un bieco sorriso, voltò il cavallo dirigendosi alle stalle.

Mark osservava i due giovani scambiarsi stoccate e affondi. Celia era una donna ma aveva sopperito alla mancanza di muscoli con un’agilità sorprendente. Avrebbe potuto uccidere facilmente Janos. Averla di fronte in combattimento sarebbe stato interessante e in questo caso non avrebbe avuto niente da ridire niente neanche lei. Lanciò un’ultima occhiata al prigioniero che seguiva avidamente il combattimento con le mani serrate alle sbarre, poi diresse lentamente il cavallo vicino ai tre mercanti seduti sotto la grande quercia.

- Sir Mark - Erik fece un lieve inchino alzandosi, imitato da Klod. Kathe invece rimase seduta quasi ignorandolo.

- Messer Boris - salutò Mark con un cenno del capo scendendo da cavallo. Tolse le briglie all’animale e gli dette una pacca sul posteriore. L’animale andò in direzione della stalla e lui posò le redini a terra. Fece cenno anche a Klod e baciò la mano di Kathe che lei sollevò quando lui si avvicinò.

- Katherin Hianick, la vostra bellezza risplende anche sotto la maschera - proferì con un sorriso seducente. Li aveva riconosciuti fin da quando Sir Ogrimar gli aveva detto che il mercante aveva chiesto se era possibile proseguire il viaggio insieme così da proteggere la sua mercanzia fino a Mitrander. Kathe non sbatté neanche le ciglia mantenne un contegno perfetto, mentre Klod deglutì irrigidendosi, invidiando l’autocontrollo della sorella.

- Sir Mark manterrete per noi questo piccolo segreto? - chiese muovendo in modo sensuale la bocca e gli occhi. Klod dedusse che Kathe sarebbe stata in grado di convincere chiunque a fare qualsiasi cosa. Erik si avvicinò a Klod rimanendo immobile.

- Solo se voi mi permetterete di duellare con vostra sorella e di dimenticare l’affronto che le farò quando la sconfiggerò - annuì lui socchiudendo gli occhi. Dietro di loro le spade si scontravano a ritmo serrato. Kathe lo osservò valutandolo, le sembrava vagamente di ricordare che gli allievi non potevano combattere coi cavalieri, poi spostò lo sguardo su Klod, anche Mark lo fece con nota interrogativa. Klod annuì restando in silenzio.

Il Cavaliere squadrò Erik - E voi chi sareste, di grazia? - domandò in modo schietto - Deduco che questo non sia il vostro aspetto - il ladro sorrise sfacciatamente mostrando i denti marci.

- Erik Cools per servirla Sir, al giusto prezzo ovviamente - si presentò Erik con un profondo inchino.

- Conoscete delle persone ambigue, Katherin - ironizzò Mark slacciandosi il mantello e mostrando la semplice armatura di cuoio nera dei cavalieri, robusta e perfetta per duellare. Sganciò anche il fodero e lo lasciò cadere sull’erba estraendo la spada.

- L’ambiguità è relativa Sir, non credete? A volte si è costretti ad agire e parlare in modo diverso da ciò che vorremmo spinti dagli eventi - Kathe fissò i suoi occhi grigi in quelli scuri del Cavaliere che si rabbuiarono e la giovane maga seppe di aver centrato il punto.

- C’è chi non si lascia condizionare dalle convenzioni e consuetudini milady, e coerentemente mostra sé stesso senza paura, sempre - strinse l’impugnatura ed avanzò nell’area pianeggiante quando il sole stava iniziando a tramontare.

- Tieni salda la spada o ti disarmerà - esordì Mark verso Janos. Il ragazzo si voltò di scatto e la sua spada volò lontana colpita dalla lama di Celia.

- Sir, noi stavamo solo… - iniziò allarmato Janos ma Mark lo fermò alzando una mano.

- So cosa stavate facendo, raccogli la tua spada e osserva - disse il Cavaliere posizionandosi di fronte a Celia con lo guardava con occhi sbarrati, la spada lungo il fianco.

- In guardia - le disse fissandola, con la punta della spada levata. Stava scherzando? Non poteva duellare con un Cavaliere, neanche per allenamento, era proibito.

- Sapete che non posso duellare con voi - replicò lei con sguardo duro ma Mark non attese altro tempo, si mosse rapido e affondò immediatamente la spada sul fianco scoperto. Celia sollevò rapida la spada intercettando quella del Cavaliere, che altrimenti l’avrebbe trafitta.

- E’ un ordine Messo, obbedite - disse lui stringendo i denti e facendo forza sulla lama. Si separarono spingendosi l’un l’altro. Celia ansimava, era già stanca per gli scambi con Janos ma non avrebbe ceduto. Janos raggiunse il mercante, la donna e il ragazzo sotto la quercia all’ombra.

Celia resistette a ogni attacco ma a differenza del duello con Janos, qui era lei a difendersi, Mark non le lasciava spazio per nessuna contromossa, a volte neanche per muovere i piedi.

- E’ rapida - commentò Janos.

- Ma la sconfiggerà - disse Klod. Gli erano bastati tre secondi per accorgersene. Sir Mark era troppo abile e abituato al combattimento reale per lasciarsi intimorire da una ragazza, anche se dotata.

Celia si voltò rapida per difendersi ma Mark fu ancora più veloce e col piatto della spada la colpì sul fondo schiena. Celia terminò la virata e affondò la spada che il Cavaliere allontanò con facilità, arretrò per evitare il suo affondo e cadde di schiena, esattamente come col maestro d’armi. Mark puntò la spada al petto della chierica che ansimava visibilmente nonostante gli occhi ardessero vividi e ancora pieni di sfida.

- Hai osservato bene Janos? - disse Mark con il respiro leggermente accelerato.

- Sì, Sir - rispose prontamente il giovane.

- Allora dimostramelo, prendi la tua spada - aggiunse Sir Mark guardandolo, poi ritirò la spada e tese la mano a Celia. Lei la accettò dopo qualche istante tirandosi in piedi. Janos aveva attraversato solo metà della distanza che li separava quando un boato devastante squassò l’aria.

Si voltarono tutti nella direzione del tuono sordo e videro del fumo alzarsi in mezzo alle tende. Senza neanche dirsi una parola, Sir Mark, Celia e Janos corsero in quella direzione, seguiti da Klod che li raggiunse con ampie falcate e da Kathe e Erik, che continuava a mantenere il suo aspetto dimesso da mercante.

- Che succede? - gridò Sir Mark alla guardia vicino alla gabbia del prigioniero che era stranamente tranquillo. Sedeva a gambe incrociate e li guardava con aria di sfida.

- Non lo so, Sir - aveva sguainato la spada e si guardava intorno. Altri erano usciti dalle tende e cercavano di spegnere l’incendio.

Si addentrarono nel campo, Sir Alish era uscito dalla taverna e stava gridando ordini. Da un punto imprecisato del piccolo bosco a est giunse uno sfrigolio. Mark si voltò e vide arrivare la sfera infuocata. Si girò d’istinto verso Celia coprendola col suo corpo. La stessa cosa fece Erik con Kathe, che avevano raggiunto le tende. La sfera si abbatté sulle tende, esplose violentemente uccidendo due chierici e sollevò detriti e terra dovunque.

- Tutto bene? - sussurrò Mark alzando lo sguardo sulla chierica. Lei annuì e si allontanò, voltandosi verso i fratelli.

- E’ magia - disse Kathe socchiudendo gli occhi - E con la magia risponderemo -

Klod alzò gli occhi al cielo pregando la dèa che non accadesse un disastro, poi li puntò sul piccolo bosco. Vide dell’acciaio baluginare e avvisò Sir Mark. Il Cavaliere annuì e gridò alcuni ordini. Un gruppetto di chierici lo seguì e si diressero verso il boschetto.

Celia li osservò, avrebbe voluto seguirli ma si ricordò il ruolo che aveva in quella missione. Abbassò la spada e guardò prima i fratelli e poi il prigioniero. Egwain Norwich le sorrise.

- Sono qui per lui - disse Celia al fratello indicando il prigioniero con la punta della spada.

- Chi è? - chiese il fratello avvicinandosi.

- Non lo so… - sussurrò Celia continuando a fissarlo.

Un gruppo di uomini avanzò furtivo finché non si trovò davanti i tre fratelli e Erik. Avevano tutti il mantello con il cappuccio alzato ma appena videro il prigioniero, si gettarono in avanti. Celia e Klod si lanciarono verso di loro seguiti da Erik con le lame che brillavano nel tramonto. Avevano attaccato quando i soldati andavano a letto e si toglievano le armature.

La piccola battaglia fu feroce, i dardi di Kathe trafissero ferendo gravemente due briganti. Celia poté vedere le loro armature rosse sotto i mantelli, e le spade ricurve che brandivano svelavano inequivocabilmente che appartenevano ai Fratelli di Sangue, una banda di banditi e assassini, capeggiata dal famigerato Artiglio Rosso. Celia si girò verso il prigioniero, folgorata dalla rivelazione. Lui sorrideva ancora tranquillo nella sua gabbia. In lontananza si udivano i chierici combattere contro i briganti nel bosco.

Klod trafisse l’ultimo bandito rimasto e si guardò intorno rapidamente.

- Kathe, puoi chiudere la gabbia con un incantesimo? - Chiese Celia ansimando con la voce roca. La sorella annuì e si avvicinò mormorando le parole arcane che sigillarono il lucchetto della gabbia.

- Se hanno un mago potrebbe annullare il mio incantesimo - avvisò Kathe.

- Significa che dobbiamo trovarlo e ucciderlo prima che lo faccia - disse Celia risoluta guardando Artiglio Rosso chiuso nella gabbia.

- Attenti! - gridò Erik indicando davanti a sé. Kathe non rifletté nemmeno, pronunciò l’incantesimo, e un grande globo di fuoco attraversò l’aria e si abbatté su tre briganti spedendoli contro una tenda ed esplodendo immediatamente dopo.

- Eccolo, è questo l’incantesimo di fuoco che vi dicevo - disse fiera Kathe sorridendo.

- Kathe! Ci sono dei chierici qui! - gridò Celia osservando lo sfacelo provocato dall’incantesimo. La sorella fece spallucce e tirò fuori la lingua. Una tempesta di ghiaccio si abbatté sul campo, devastando ogni cosa e ferendo gravemente uomini e animali.

- E’ un mago potente Celia! - disse Kathe vacillando per la prima volta.

- Allora preghiamo la dèa che ci dia forza e coraggio - evocò gli incantesimi di protezione e benedizione e incantò la sua spada.

- Erik, trovami quel mago - disse la chierica con sguardo fermo. Il ladro schizzò fra le ombre della sera, verso il bosco.

- Klod, devi restare vicino alla gabbia, quello lì dentro è Artiglio Rosso il capo dei Fratelli di Sangue, non deve fuggire in alcun modo - il fratello la osservò e annuì, era pronta per essere Cavaliere, non c’erano dubbi, la sua voce non vacillava, la spada era salda in mano, padroneggiava la magia.

- Kathe, andiamo - Celia seguì Erik e la sorella si sollevò la gonna andandole dietro borbottando.

Il tramonto aveva ormai ceduto il posto alla sera, le prime stelle ammiccavano in cielo come fiori d’argento su un prato blu scuro. Erik si muoveva silenzioso nelle ombre della foresta. Individuò immediatamente il gruppo di chierici che combatteva contro i briganti. E individuò anche il mago quando fece partire dei dardi che colpirono Sir Mark. Il Cavaliere si inginocchiò e Erik vide che accusava il colpo ma non era morto. Tornò indietro e trovò Celia e Kathe. Certo che la maghetta era davvero affascinante coi lunghi capelli neri e quell’abito scollato.

- Che hai da sorridere? - chiese Celia alzando un sopracciglio. Erik si riscosse.

- Ho trovato il mago, è leggermente più lontano, venite - disse, e si mosse rapidamente e in silenzio. Celia e Kathe lo seguirono più lentamente e cercando di fare meno rumore possibile. Raggiunsero una grande quercia e Erik si nascose dietro il suo tronco.

- Posso renderti invisibile Erik - sussurrò Kathe ammiccando. Il ladro si illuminò come il sole di giorno. La giovane maga tessé l’incantesimo e il ladro sparì nelle tenebre.

- Siamo perfetti Celia! - esultò Kathe tirandole il braccio e mantenendo la voce bassa.

- Perfetti per cosa? - domandò la sorella pregando la dèa che non fosse un altro incantesimo di fuoco.

- Il mio fulmine! Funziona in linea retta, guarda! - indicò il mago che si apprestava a fare un altro incantesimo. Celia guardò il mago e poi la sorella esaltata.

- Va bene, sei sicura che non colpirai Erik? - acconsentì Celia sussurrando.

- Il mio fulmine arriverà prima di lui - annuì Kathe che stava già muovendo le labbra con le parole arcane che avrebbero evocato il fulmine. L’incantesimo terminò e un fascio rettilineo brillante e sfrigolante scaturì dalle sue mani aperte in avanti e dopo pochi secondi colpì il mago che lanciò un grido di meraviglia. Si voltò verso di loro accasciandosi in ginocchio. Sembrava stesse preparando un incantesimo quando due lame scintillanti gli spuntarono dal petto. Il sangue gli uscì dalla bocca e crollò a terra privo di vita. Dietro di lui c’era Erik che ammiccò a Kathe.

- Sì! - esultò Kathe tirando la manica di Celia. Doveva ammettere che era stata davvero brava. L’incantesimo non era ancora potente ma efficace.

- Aiutiamo Sir Mark - disse Celia rabbuiandosi quando notò le ferite che macchiavano di sangue l’armatura. Kathe annuì, si spostarono verso il gruppo cautamente, con la coda dell’occhio Celia vide Erik dirigersi nella stessa direzione.

- Ho l’incantesimo adatto - sghignazzò Kathe.

- Ti prego non combinare un disastro - implorò Celia raggiungendo i cavalieri e lasciando la sorella imbronciata vicino ad un tronco.

Celia decapitò un brigante, il sangue colò sull’armatura rossa e il suo grido si perse nel buio. Alcune luci magiche illuminavano l’area circostante. I briganti erano quasi tutti morti ma restavano solo due chierici, e ce ne erano quattro a terra morti, e Sir Mark. Le scoccò un’occhiata di rimprovero ma lei lo ignorò e si mise di fianco ad un altro Cavaliere che aveva una profonda ferita sulla spalla sinistra. Distese un braccio e curò la ferita con un incantesimo levando una preghiera alla dèa. Il Cavaliere si voltò e la ringraziò con un cenno. I tre uomini si apprestarono a fronteggiare i quattro briganti rimasti ma all’improvviso furono avvinti in una ragnatela bianca e appiccicosa.

Mark sollevò un sopracciglio e le sue labbra si incresparono in un sorriso. I due chierici si guardarono intorno, poi riposero le spade. I briganti imprecavano nella loro lingua e cercavano inutilmente di uscire da quell’intrico magico senza successo. Udirono uno scalpiccio alle loro spalle e la faccia rubiconda del Guaritore si fece strada fra la fitta boscaglia. Li raggiunse e valutò in un’istante la situazione dirigendosi dal chierico più ferito.

Celia rinfoderò la spada, osservò un attimo il bosco ma di Erik e Kathe non c’era traccia. Quando riportò lo sguardo sul gruppo Mark la stava fissando, la spada ancora sguainata.

- Non avreste dovuto venire qui - la redarguì il Cavaliere.

- Sir, non avete ancora compreso che io raramente faccio ciò che mi viene detto? - rispose lei sostenendo il suo sguardo. Mark avrebbe voluto ribattere ma rimase in silenzio. Quando l’aveva vista sopraggiungere, in mezzo alla battaglia, il cuore gli si era stretto in una morsa, come vicino alla gabbia, quando l’aveva protetta dall’esplosione. Per un attimo si era distratto e il brigante di fronte a lui l’aveva colpito aprendogli un lungo taglio sull’avambraccio.

Celia rimase immobile, vedeva il sangue uscire dalle sue ferite, avrebbe voluto raggiungerlo e aiutarlo ma fece un lieve inchino e si voltò tornando alla gabbia del prigioniero. Era impaurita e spaventata, non dalla battaglia ma da ciò che aveva sentito nel profondo del cuore. L’altro mago avrebbe potuto ucciderlo. Amare qualcuno è una debolezza, ed ora ne aveva l’assoluta certezza.


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Capitolo 15
*** Agrabaar ***


15. Agrabaar


Alla fine della quarta settimana di viaggio raggiunsero Roghudi. Il grande porto marittimo era anche la città principale del Ducato di Kalebb nella contea omonima. Sir Ogrimar era pratico ed era evidente che era già stato altre volte in quella città in fermento. Diresse il convoglio direttamente al Monastero, prima di attraversare lo Stretto avrebbero dovuto far unire altri chierici cavalieri per sopperire a quelli morti nello scontro con la Fratellanza di Sangue.

Non c’erano state più incursioni né tentativi di liberare l’illustre prigioniero. Tutti vennero messi al corrente di chi fosse realmente. Celia venne chiamata direttamente da Sir Ogrimar, si aspettava una ramanzina, invece la ringraziò per l’intervento fatto, per l’aiuto portato al Cavaliere ferito e per essersi assicurata che Artiglio Rosso non potesse fuggire. Non le risparmiò alcune rimostranze sul comportamento dei suoi fratelli e sul fatto che gli avessero deliberatamente mentito ma acconsentì che terminassero il viaggio insieme e che il mercante potesse vendere le sue merci.

Sir Alish e Sir Mark parteciparono alla conversazione e lei sperò che Mark mantenesse il segreto circa la vera identità di Messer Boris. La fissò in silenzio per tutto il tempo in cui Sir Ogrimar parlò ma non aggiunse niente.

Da quel giorno, ogni sera, Mark duellò con Janos, Celia e a volte Klod. Puntualmente riempiva tutti di lividi e tagli e li scherniva con le parole o con sfrontate facce derisorie. Janos mantenne la parola e, libri alla mano, colmò le lacune di Celia giungendo alla conclusione che l’intelletto non c’entrava niente, era una ragazza arguta e sveglia ma non aveva alcuna voglia di applicarsi allo studio di materie complesse. Preferiva di gran lunga la spada e vederla combattere, quando i suoi occhi ardevano fieri pieni di sfida, gli faceva battere inspiegabilmente il cuore.

La città-porto era piena di gente, di tante razze diverse. La maggior parte delle persone aveva la pelle scura o bronzea anche perché lì c’era il sole tutto l’anno. I vestiti erano sgargianti, ampi pantaloni e lunghe vesti rosse, gialle, arancioni, ravvivavano l’ambiente. I vicoli del mercato risuonavano di voci e musica e le spezie odorose saturavano l’aria. Ogni negozio aveva tende colorate per fare ombra, molti offrivano coppe di un particolare liquore alla menta, che rinfrescava nonostante fosse alcolico.

Kathe e Erik si erano praticamente dileguati, immergendosi completamente nella vita della città e Celia sperava solo che non si cacciassero nei guai. Avevano preso una stanza in una piccola ma tranquilla taverna, lontana dal clima rumoroso del centro del porto e dalla parte opposta del Fondo di Botte, la zona malfamata e pericolosa della città. Klod trascorreva la maggior parte del suo tempo ad osservare i chierici cavalieri che si allenavano nella sala d’armi del Monastero.

Quella sera Celia e Janos avevano appena terminato le loro mansioni, erano stati alloggiati in una grande camerata con altri venti allievi del Monastero, si ripulirono, cenarono e finalmente poterono sedersi all’esterno senza particolari pensieri. I Cavalieri erano dall’Alto Chierico e Celia non avrebbe dovuto preoccuparsi di veder sbucare Mark da tutte le parti. C’erano state molte occasioni in cui avrebbe potuto parlarle, anche da soli, o durante gli allenamenti ma non aveva mai fatto niente di sconveniente e non l’aveva mai messa in imbarazzo. Celia aveva apprezzato questa delicatezza e sperava che anche lui avesse compreso che l’amore non è un sentimento che due cavalieri possano condividere.

Il Monastero di Roghudi era una struttura di pietra solida, di forma quadrata, come quasi tutti i monasteri ma molto più spartano di quello di Torap. Gli Storici e i Guaritori condividevano un unico edificio di pietra all’interno appoggiato alle mura, troppo strette per contenere delle stanze. Una delle cose che lo differenziavano da quello di Torap era la possibilità di passeggiare sulle mura. E Celia non si lasciò sfuggire l’occasione. La città brillava e l’odore delle carni e delle spezie la raggiungeva. Appoggiò i gomiti alla balaustra, indossava solo la tunica grigia, faceva caldo e non c’era necessità di altro. Una brezza lieve portava l’odore del mare e se si prestava attenzione si potevano udire le onde.

- E’ bella vero? - Celia si voltò e incontrò il volto sorridente di Janos.

- Molto colorata - ammise Celia, anche se aveva visto i sobborghi pieni di poveri e accattoni. Torap da quel punto di vista era una città che offriva molto di più. Notò che aveva le mani dietro la schiena e sospirò.

- Ti prego Janos, niente libri stasera - lo supplicò. Lui sorrise e mostrò una fiasca.

- Niente studio, è liquore - sussurrò con occhi brillanti. Celia spalancò la bocca per la meraviglia.

- Stare dietro ai cavalieri esigenti è difficile e dispendioso, ce lo meritiamo - aggiunse Janos avvicinandosi e porgendole la fiasca di pelle morbida. Celia la stappò e bevve un piccolo sorso.

- Brucia! - era dolce, sapeva di mandorle ma molto alcolico. Rise forte e la passò al chierico.

- Per la dèa! - imprecò deglutendo il liquore.

- Janos! - lo redarguì Celia con il volto contrito, poi sorrise prendendo la fiaschetta.

- E’ stato un mese intenso. Chi l’avrebbe mai detto che trasportavamo Artiglio Rosso - commentò appoggiando i gomiti sulla pietra accanto a Celia e guardando la città.

- Era un personaggio strano in effetti, anche come stava seduto, non dava l’aria di un sottomesso - ammise Celia.

- Sono fiero di essere stato assegnato a questa scorta, significa che si fidano di noi e ci ritengono all’altezza di un compito così delicato - rifletté Janos bevendo un altro sorso.

- E’ vero, e l’abbiamo svolto bene direi - aggiunse Celia bevendo - Per gli inferi se è alcolico! - esclamò, e rise gettando la testa all’indietro. Janos l'attirò verso di sé e la baciò.

Fu così improvviso che Celia non ebbe il tempo di reagire e si trovò fra le sue braccia che la stringevano e la bocca ardente che sapeva di mandorle. Era stato così carino con lei, ed era così tanto tempo che non andava con un uomo, e il liquore non l'aiutava, così dopo l'iniziale resistenza cedette e rispose al bacio.

- Janos non è una buona idea questa - disse Celia guardandolo malinconica quando lui la lasciò.

- Perché? - sussurrò vicino alle sue labbra.

- Perché l’amore fra cavalieri non funziona - replicò lei uscendo dall’abbraccio e rimettendo i gomiti sulla pietra delle mura.

- Noi possiamo fare la differenza - le disse avvicinandosi ma senza farla sentire a disagio. Celia sorrise guardandolo.

- Qualcuno mi ha già suggerito la stessa cosa... ma dimmi, Janos, quante coppie felici di cavalieri conosci? Quanti sono rimasti in vita? - gli domandò fissandolo triste. Il giovane sembrò rifletterci, poi tornò a guardare la città.

- E’ vero, nessuna ma può essere diverso! - ammise dopo qualche secondo tornando con lo sguardo su di lei. Era così tanto tempo che voleva stringerla, avere fra le mani quei fianchi, quella schiena diritta e agile, la sua bocca sensuale e piena. Lei scosse la testa mestamente.

- Non sarà così. Io morirei, o tu moriresti, oppure ci preoccuperemo così tanto da commettere un errore, e moriremo lo stesso. L’amore è solo una debolezza, non va d’accordo con il ruolo dei cavalieri - lo disse con tale amarezza che Janos comprese all’istante.

- Ami già qualcuno - asserì guardandola. Celia si voltò e lo fissò abbassando poi lo sguardo che era di per sé un’ammissione.

- E ora che il liquore incredibilmente mi ha aperto la mente invece di ottenebrarla, so anche chi è - molte cose erano andate a posto con quell’unico sguardo di ammissione. Particolari, frasi che aveva sentito, il comportamento della ragazza in certe occasioni.

- Non farti idee strane Janos, ciò che provo e ciò che faccio sono due cose distinte. Non ho alcuna intenzione di infilarmi in un intrico di rovi così pericoloso e pungente. E ti prego di non farne parola con nessuno per favore, se tieni alla nostra amicizia - gli chiese allungando una mano. Janos era combattuto, non voleva rinunciare così facilmente, sentiva ancora il suo sapore in bocca, avrebbe voluto stringerla di nuovo. La verità era che non avrebbe potuto fare niente, il suo cuore era già stato catturato. Allungò la mano a sua volta e la strinse.

- D’accordo Celia - disse annuendo. Lei sorrise sollevata. Per fortuna la notte nascondeva le sue guance che avvamparono al pensiero di poterci trascorrere la notte insieme, se il bacio era una cattiva idea, quella era pessima e grazie alla dèa lui non fece niente per alimentarla. Si incamminò lungo le mura senza voltarsi, dirigendosi immediatamente all'edificio dei bagni, doveva assolutamente immergersi nell'acqua fredda.

Janos sorrise suo malgrado e si appoggiò alla pietra lasciandola andare, osservando i fianchi muoversi e la treccia ondeggiare. Per lei era stato facile liquidare la faccenda ma per lui sarebbe stato diverso. Il bacio era impossibile da dimenticare, almeno non ora. Fissò la fiaschetta e alzò un sopracciglio pensando che poteva farsi dare una mano dal liquore. Lo stappò, bevve e tornò a guardare la città. L'unica consolazione che gli alleviava il dolore in quel momento era la consapevolezza che Celia non condivideva il letto neanche con Mark Nateshwar.



La mattina seguente si imbarcarono su una chiatta larga e bassa che permetteva l'attraversamento dello stretto. Dall'altra parte li aspettava Mitrander, con la reggia del Sultano di Agrabaar. Celia, Kathe e Klod non si erano mai spinti così lontano da casa.

Kathe aveva la faccia verde e anche Celia non aveva apprezzato in modo particolare l'ondeggiare del mare. Klod invece giocava a dadi con uno dei chierici della scorta che aveva riacquisito il numero originale di componenti. Erik si prendeva cura della sorella e Celia si rese conto che nonostante lei borbottasse, il ladro restava in silenzio e pazientemente attendeva.

Aveva visto di sfuggita Janos mentre sistemava le loro cavalcature e lei caricava le cose di Sir Ogrimar. Erano così occupati che non si erano neanche salutati. Sperava di superare quanto prima l'imbarazzo per la notte precedente. I tre cavalieri erano a prua e vicino a loro c'era la gabbia con Artiglio Rosso. Mark le lanciò un'occhiata una sola volta, poi riservò le sue attenzioni al prigioniero.

Probabilmente temevano che i seguaci della Fratellanza di Sangue provassero a liberarlo di nuovo. C'erano sempre due chierici di guardia alla sua gabbia ma lui non sembrava affatto preoccupato. Era un uomo inquietante, a volte le sorrideva quando il suo sguardo si spostava verso di lui.

La traversata richiese un giorno intero, e la notte era appena calata quando attraccarono nel porto di Mitrander. Le banchine erano illuminate da grandi torce il cui fumo nero si levava pigro, sospinto da una brezza lieve. Il porto, nonostante l'ora, era pieno di marinai, brutti ceffi, mercanti, e c'erano tante navi e barche ormeggiate. Scesero lentamente, facendo scendere prima tutti i cavalli, in modo che i chierici potessero montare, e al centro della colonna fu inserita la gabbia, poco distante c'era il carro con il baule e chiudeva la fila il piccolo carro di Erik e Kathe seguiti da Klod a cavallo.

C'era un odore terrificante, un misto di fumo, spezie, alghe, pesce marcio, salsedine, vomito. Celia storse il naso e Janos, che gli si affiancò, rise sommessamente.

- E' terribile - annuì. Celia arrossì e fu grata di nuovo alla notte, Janos sembrava tranquillo ed era convinta che avesse preso nel modo giusto ciò che era accaduto.

- Mai sentita un odore del genere - sussurrò per non farsi sentire. La gente intorno parlava una lingua strana ma musicale e come a Roghudi indossavano lunghi abiti sgargianti, morbidi pantaloni e corpetti vistosamente ricamati, gli uomini portavano in testa un tessuto colorato arrotolato. C'era molta umidità e Sir Ogrimar diresse il convoglio direttamente al Monastero, da una breve conversazione che aveva udito, l'Alto Chierico sarebbe stato lì ad attenderli.

Le strade erano tutte ricoperte di ciottoli ma sporche e maltenute. Agli edifici del porto, si alternarono le taverne piene di gente e fumo, poi qualche negozio, poi le prime case della città. Celia sollevò lo sguardo seguendo la strada e vide in fondo ad essa, meravigliosa come un diamante, la sagoma della reggia del Sultano di Agrabaar. Centinaia di bracieri ardevano sulle finestre dalla forma simile alla toppa di una serratura illuminando come fiamme intense i muri rossi della reggia.

- Hai mai visto qualcosa di simile? - sussurrò Janos, lei scosse la testa abbagliata.

- Come può avere le mura così rosse? - domandò sussurrando. Contò circa quindici torri che svettavano nelle tenebre.

- Dicono sia completamente bagnata dal sangue della Fratellanza ribelle che il Sultano tortura nelle sue segrete - il soldato nella colonna a fianco si intromise nella conversazione. Celia spostò lo sguardo su Artiglio Rosso e lui la stava già guardando. Sussultò sorpresa ma non abbassò lo sguardo.

- Celia, qualcuno ci segue - Klod si affiancò alla sorella sussurrando e sganciando la sicura della spada. La giovane utilizzò la massima cautela possibile e individuò almeno due persone di bassa statura che camminavano a passo svelto per seguire la colonna che avanzava lentamente nella via trafficata.

- Aspetta Klod, avvisiamo i cavalieri - ribatté la sorella, che spinse il cavallo fino in cima alla colonna attirando l'attenzione di Sir Ogrimar.

- Sir, siamo seguiti, due figure incappucciate alle nostre spalle sulla destra - riferì Celia lentamente. Sir Alish e Sir Mark si voltarono a guardarla. Sir Ogrimar annuì senza scomporsi e fece un cenno a Sir Mark.

- Vivi Sir, mi raccomando - Mark annuì sorridendo, fece cenno a due cavalieri e si staccò dalla colonna sparendo in un altro vicolo. Celia tornò da Klod.

- Continuiamo a tenerli d'occhio - disse sussurrando sia al fratello che a Janos.

Svoltarono a destra e non ebbero più di fronte la reggia del Sultano ma Celia si accorse che in fondo alla strada c'era il Monastero. Fra poco sarebbero stati al sicuro

Un trambusto improvviso provenne dalle loro spalle. Sir Ogrimar fermò la colonna, Celia si scambiò uno sguardo d'intesa veloce con Kathe e Erik e dalla via che percorrevano precedentemente videro arrivare Sir Mark, i due cavalieri e i due figuri incappucciati legati per le mani. Sir Ogrimar sorrise.

- Raggiungiamo il Monastero - disse con voce severa. Sir Mark annuì e la colonna riprese ad avanzare. Celia, Klod e Janos osservarono le due figure ammantate di nero passare accanto ai loro cavalli. Poi ci fu l'attacco.



- Che mal di testa - si lamentò Kathe muovendola lentamente. Sbatté le palpebre ma era al buio. Un forte odore di urina, escrementi, paglia marcia e vomito le fece rivoltare lo stomaco. Tossì e una fitta terribile le perforò la testa. Si sentì stringere la mano e qualcuno vicino.

- Sono io Kathe - sussurrò Erik. Kathe per poco non si mise a piangere e gli strinse forte la mano. I ricordi cominciarono ad affiorare. La nebbia era calata improvvisamente, densa, fitta e magic

Aveva appena fatto in tempo a vedere alcuni cavalieri cadere inermi da cavallo forse addormentati magari un mago aveva fatto l'incantesimo del sonno. C'era stato un cozzare di spade e scudi, lei stava cercando di pronunciare un incantesimo, indistintamente aveva udito grida e ordini e la voce di Klod che la chiamava, poi qualcuno le aveva tappato la bocca e afferrata per la vita tirandola via dal carro. Aveva udito un incantesimo e ora si era risvegliata in quella cella maleodorant

- Dove siamo? Che è successo? - biascicò la ragazza ricacciando le lacrime.

- Quelli della Fratellanza di Sangue ci hanno catturati - sussurrò lui - E devono aver liberato Artiglio Rosso - aggiunse avvicinandosi. Lei si appoggiò alla sua spalla, aveva le mani e le caviglie incatenate.

- Sei incatenato anche te? - chiese Kathe.

- Sì - le sussurrò lui all'orecchio facendola rabbrividire - Ma le catene non sono mai state un problema per me -

Kathe sollevò una mano nel buio della cella cercando il suo volto, era certa che stesse sorridendo. Lui le prese la mano e posò un bacio lieve sul palmo.

- Non preoccuparti, usciremo presto e i tuoi fratelli non ti lasceranno prigioniera qui, su questo puoi scommettere. Dobbiamo solo essere pazienti e sfruttare il momento giusto - il ladro si appoggiò con la schiena alla pietra fredda. Il sangue usciva ancora dalla lacerazione sul fianco che uno degli aggressori gli aveva fatto con un pugnale. Era stato rapido e veloce e solo un breve anticipo da parte sua gli aveva salvato la vita da un affondo mortale. Raccontare tutto ciò a Kathe sarebbe stato inutile, tanto quanto dirle ciò che aveva visto pochi secondi prima che gli infilassero il cappuccio in testa.



Il dolore era intenso e penetrante. Il seguace folle era balzato dal tetto al lato della via, trascinandola a terra giù dal cavallo. Erano caduti rovinosamente sull'acciottolato e Celia aveva sentito chiaramente l'osso della spalla sinistra uscire dalla sua sede. Ansimando si era rialzata e aveva strattonato la spada per farla uscire dal fodero. Aveva ucciso rapidamente l'uomo in armatura rossa e aveva cercato di capire qualcosa in mezzo alla nebbia densa e innaturale. Klod e Janos non erano più vicino a lei, sentiva solo grida e ordini di Sir Ogrimar ma niente altro.

Cercò di dirigersi verso di lui tenendosi il braccio dolorante che le faceva quasi perdere i sensi. Un altro seguace la affrontò ma lei era troppo concentrata e pronta, le bastarono pochi fendenti per ucciderlo. Sentì la voce di Klod che gridava il nome di Kathe, così cambiò direzione e provò a raggiungerlo.

Aveva quasi raggiunto il carro di Erik, lo avevano tirato giù e stava combattendo contro due della Fratellanza. Celia non perse tempo e scattò in avanti cercando di non pensare al dolore. Evitò un fendente e ne piazzò due, con lo sguardo cercò freneticamente di individuare Kathe, la vide trattenuta da un uomo in armatura rossa, era spaventata. Poi vide un secondo uomo che estratto un pugnale, aveva ferito Erik e lo aveva immobilizzato con una corda. L'uomo si alzò in piedi, la guardò sorridendo, si tolse l'arco dalla spalla, incoccò una freccia, lanciò rapidissimo colpendo Klod prima ad una gamba, poi ad un braccio e infine prese lei sulla spalla destra. Gridò come non aveva mai fatto prima, non per la spalla slogata, non per la freccia che gli trapassava l'altra ma quando vide crollare Klod e sua sorella portata via.

Non aveva mai visto un arciere così veloce, era alto e magro, con una corazza di cuoio tinta di rosso, una polsiera anch'essa di cuoio, capelli corti chiari e occhi scuri. Quando la nebbia si era alzata, avevano contato i morti e gli assenti scoprendo così che la Fratellanza del Sangue aveva liberato Artiglio Rosso e portato via Kathe, Erik e tre chierici cavalieri e ne aveva uccisi otto. E naturalmente avevano preso il baule.

Janos era arrivato mentre lei teneva Klod fra le braccia, il fratello era vivo ma ferito gravemente e quando lo vide arrivare gli chiese aiuto con gli occhi implorante. Il giovane l'aveva raggiunta, sanguinava copiosamente da una ferita alla gamba ma rinfoderò la spada e l'aiutò a sollevare Klod.

- Come stai? - Janos si inginocchiò e passò un braccio sotto quello di Klod.

- Non preoccuparti, va tutto bene - rispose lei ma il giovane chierico non poteva evitare di guardare la freccia che sporgeva. Si alzarono e Celia per poco non perse i sensi dal dolore. Si guardarono intorno e la chierica incontrò lo sguardo severo di Mark. La sua mano sanguinava e teneva la spada con la sinistra. Li raggiunse e senza dire una parola strappò la freccia in un attimo e fu altrettanto rapido da evocare un incantesimo di cura tanto che Celia non ebbe neanche tempo di gridare per il dolore che esso venne e scomparve. Si accorse in un istante che Celia era spaventata per il fratello, così lo prese sottobraccio al posto suo.

- Prendi un cavallo e raggiungi il Monastero, ci serve un altro Guaritore, Erin è morto - le disse a denti stretti soffocando il dolore alla mano. Lei annuì ringraziandolo con lo sguardo, salì sul primo cavallo riprendendo fiato per le fitte che gli dava la spalla fuori posto e corse al Monastero.



- Sto bene, possiamo andare anche subito - Klod si era rialzato all'istante dopo gli incantesimi dei Guaritori del Monastero.

- Andare dove? - Celia digrignò i denti tenendosi la spalla lussata dolorante. I Guaritori si erano occupati prima dei feriti gravi, ora toccava a lei. Janos le era seduto accanto, restava in silenzio e aveva parlato poco da quando la Fratellanza aveva attaccato.

- A salvare Kathe ovviamente - rispose Klod come se stesse spiegando la cosa a qualcuno che tardava a capire.

- Ti senti bene? - sussurrò Celia a Janos. Il giovane alzò la testa e annuì.

- Non sappiamo dov'è, dove vuoi andare a caso... - rispose Celia sospirando. Una fitta le fece storcere la bocca. Janos le strinse l'avambraccio per darle coraggio e lei gli sorrise. Con la coda dell'occhio vide Mark avvicinarsi.

- Ma dobbiamo fare qualcosa! - Klod sembrava una belva in gabbia, camminava avanti e indietro, gli abiti sporchi di sangue.

- E lo faremo - ribatté seria Celia fissandolo. Un Guaritore giovane si avvicinò con fare pratico.

- Togli l'armatura e la tunica, rimettiamo a posto l'osso prima - le disse guardando la spalla con occhio critico. Janos sganciò le fibbie dell'armatura di cuoio e lentamente gliela tolse. Per la tunica sarebbe stato più difficile, così il Guaritore prese un pugnale dalla cintura e la tagliò.

- Il dolore sarà un secondo, poi passerà - la rassicurò il Guaritore. Non aveva neanche terminato di dire la frase che le afferrò il polso, mise la mano sinistra nell'incavo della spalla e tirò rapido con una torsione decisa. Celia cacciò fuori un urlo singolo, il dolore era sì durato un secondo ma era stato lancinante.

Il Guaritore evocò l'incantesimo e improvvisamente tutto tornò come prima.

- Grazie - gli disse Celia massaggiandosi la spalla.

- Che la dèa ti protegga - rispose il giovane sorridendo. Si voltò per andarsene ma si trovò davanti Sir Mark. In un attimo il chierico si accorse che il Cavaliere era ancora ferito alla mano.

- Sir, permettetemi di sanare la vostra ferita - disse gentilmente ma non attese alcuna risposta, sussurrò l'incantesimo curandolo in breve tempo.

- Grazie, ma non era necessario - borbottò lui aprendo e chiudendo le dita - Per favore occupatevi dei due prigionieri, sono chiusi nella stanza dopo l'ingresso - il Monastero non aveva prigioni e incredibilmente i due tizi che li seguivano e che avevano catturato erano sopravvissuti. Celia aveva pensato che fossero della Fratellanza ma a quanto pare non ne facevano parte. Il Guaritore annuì e si diresse verso l'ingresso.

- Come stai? - chiese in modo confidenziale senza curarsi di chi aveva intorno. Celia indurì lo sguardo, era proprio questo che detestava, il doversi preoccupare, essere sempre in ansia e terrorizzati che l'altro non sopravviva.

- Bene, Sir - rispose lei guardando poi il fratello - Klod per favore vai ad occuparti del carro di Erik -

- Ma... - iniziò il giovane e Celia lo fulminò con uno sguardo gelido. Strinse i pugni e andò come aveva suggerito la sorella.

- Non state pensando di fare qualche follia vero? - chiese Mark guardandola.

- Vi chiedo scusa Sir, Sir Ogrimar ha bisogno di me, devo andare - Celia si alzò imitata da Janos e glissò la risposta.

- Non sapete dove sia il loro covo, non potete andare alla cieca in una città come Mitrander - disse risoluto Mark. Celia si avvicinò guardandosi per un attimo intorno, non c'era nessuno.

- Sai che non posso lasciarla lì, ovunque lei sia, sai che la troverò, sai che andrò e sai che la libererò - sussurrò fra i denti abbandonando ogni forma di rispetto per il suo superiore. Mark ammirò il coraggio che avvampava negli occhi azzurri e limpidi. Sapeva che avrebbe fatto tutto ciò che aveva detto, rischiando la sua vita pur di salvarla, esattamente come avrebbe fatto suo fratello. Passò lo sguardo anche su Janos, che era rimasto in silenzio ascoltando senza commentare.

- Non puoi allontanarti dal Monastero Celia, è diserzione senza un permesso - la avvisò lui sperando che un briciolo di timore dell'Ordine potesse far breccia e farla desistere.

- Se l'Ordine vorrà punirmi, facciano pure, significa che io non posso farne parte, non posso credere che una banale regola possa impedirmi di salvare mia sorella - ribadì lei fredda alla minaccia velata del Cavaliere. Mark sospirò, non sarebbe mai riuscito a farla desistere.

- Ora scusatemi, devo andare - fece un lieve inchino tornando alla formalità e si allontanò. Janos rimase immobile, Cavaliere e messo si guardarono per un istante. Poi il giovane fece un lieve inchino abbassando lo sguardo e si diresse alle stalle, aveva lavoro per una settimana almeno. Il breve scambio di battute fra Celia e Sir Mark aveva confermato ciò che aveva intuito e inoltre era chiaro che fra i due ci fosse molta più confidenza di ciò che pensasse.



Sir Ogrimar parlava con Sir Alish dell'attacco. Il baule era stato rubato, andava recuperato, e possibilmente dovevano riprendere anche Artiglio Rosso. C'erano voluti due anni per catturarlo, sarebbe stato davvero molto difficile prenderlo a casa sua. Era furioso, per i chierici morti, per quelli rapiti e perché non erano riusciti a sconfiggere la Fratellanza che aveva usato la nebbia come vile copertura.

Parlarono anche dei due prigionieri mentre lei stava sistemando l'armatura di Ogrimar che era tutta ammaccata e sporca. Non facevano parte della Fratellanza e non erano neanche umani, erano due nani e li avrebbero interrogati fra poco. Bussarono alla porta ed entrò Sir Mark.

- Eccovi Sir, andiamo dai nostri due ospiti - disse Sir Ogrimar alzandosi stancamente dalla sedia seguito da Sir Alish. Erano praticamente usciti quando il vocione di Ogrimar la raggiunse - Celia, portatemi la spada e venite anche voi! - la giovane che ormai non ci sperava più espirò tutta l'aria, prese la spada e chiuse la porta.

La piccola stanza dove erano richiusi i due prigionieri era angusta e quando entrarono anche loro quattro divenne minuscola. C'era un piccolo tavolo con una candela e niente altro, solo pareti di roccia. I tre cavalieri rimasero immobili fissando i due nani che avevano abbassato il cappuccio e mostravano i loro volti fieri e barbuti. Erano tarchiati e robusti, le barbe e i capelli lunghi e incolti erano rossicci, gli occhi scuri ed erano innegabilmente gemelli.

Sarebbe dovuta intervenire la Guarnigione e prenderli in consegna ma Sir Ogrimar aveva voluto quell'interrogatorio, solo dopo avrebbe permesso ai soldati di portarli via. Celia stava per assistere al lato più controverso e temuto dallo stesso Ordine di Sir Ogrimar. Non aveva alcuna pietà quando gli servivano le informazioni e usava sistemi che l'Ordine non gradiva ma immancabilmente, quando poi le informazioni arrivavano, tutte le lamentele decadevano.

Il Cavaliere dalla pelle scura avanzò ma i due nani non si mossero né sembravano particolarmente intimiditi.

- Chi siete? - la sua voce era bassa e glaciale. Ci fu un attimo di silenzio poi si decisero a rispondere.

- Khul - disse il primo con voce profonda e cavernosa.

- Kurtz - aggiunse il secondo con lo stesso timbro.

- Perché seguivate il nostro convoglio? - domandò secco Sir Ogrimar incrociando le braccia al petto che lo facevano sembrare ancora più imponente. I due nani si guardarono un istante.

- Abbiamo cercato di spiegare a quelli che ci hanno catturato ma erano troppo impegnati a fare i cavalieri - borbottò Khul e lanciò un'occhiataccia a Sir Mark.

- Siete della Fratellanza di Sangue? - domandò ancora Sir Ogrimar. I due nani scossero con vigore la testa.

- No - dissero all'unisono.

- Al porto parlavano della vostra nave, del prigioniero che portavate, molti dicevano che fosse Artiglio Rosso, altri dicevano un amante della principessa Sanie che il Sultano non aveva gradito e che avrebbe spellato in fretta, altri che fosse un Cavaliere caduto in disgrazia - aggiunse Kurtz - Ma noi abbiamo saputo la verità appena lo abbiamo visto nella vostra gabbia - gli occhi dei due nani brillavano intensamente e Celia avrebbe giurato che sorridessero sotto le barbe.

- E come mai di grazia? - sibilò Sir Ogrimar fissandoli senza lasciar trapelare niente di ciò che pensasse.

- Perché noi siamo stati schiavi nel suo covo per tre anni e siamo riusciti a fuggire qualche mese fa - rispose Khul ergendosi sulla schiena.

Mark non poté evitare di lanciare uno sguardo a Celia. La giovane era rimasta immobile, era riuscita a non dimostrare meraviglia neanche con lo sguardo. Già la immaginava insieme al fratello, mentre liberavano i due nani e si facevano condurre al covo della Fratellanza. Ma c'era ben altro in gioco, se davvero i due nani sapevano del covo di Artiglio Rosso sarebbe stata un'occasione unica e non avrebbe permesso ai fratelli Hianick di sconvolgere i loro piani. Forse era arrivato il momento di parlare con Celia.

Sir Ogrimar non batté ciglio. Si voltò verso Celia, estrasse la spada lunga affilata come un rasoio dall'impugnatura foderata di cuoio, si voltò verso i due nani e all'improvviso afferrò la mano di Kurtz, il gemello a destra. Il nano cercò di evitarlo ma Ogrimar fu troppo rapido e inaspettato. Appoggiò la mano sul tavolo e levò la spada.

- Se avete mentito - sussurrò con voce glaciale a Khul - Taglierò in un secondo la mano di tuo fratello - il nano lo guardava con occhi roventi, sembrava volesse saltargli addosso da un momento all'altro. Sir Ogrimar era il doppio del nano ma Khul era robusto, abituato sicuramente alla battaglia e voleva disperatamente salvare suo fratello.

- Non abbiamo mentito, volevamo solo uccidere Artiglio Rosso nella sua gabbia per averci tenuto come schiavi per tre anni! - ruggì il nano facendosi avanti.

- Ci potete condurre al loro covo? - gli domandò sibilando Sir Ogrimar abbassando la lama lentamente.

- Sì - disse chiaramente Khul. Parlavano il comune del nord con uno strano accento gutturale che rendeva la pronuncia cavernosa e profonda. Sir Ogrimar fissò il nano, abbassò la spada al fianco e trascinò Kurtz da Sir Alish. Consegnò la spada a Celia e si voltò.

- Per suggellare il nostro patto, tuo fratello Kurtz resterà nostro ospite presso il Monastero mentre noi ci recheremo al covo della Fratellanza - gli comunicò glaciale Sir Ogrimar. I due nani si guardarono e Celia si vide nella stessa situazione e per un attimo odiò profondamente il Cavaliere.

- Così sia Cavaliere ma assicuratevi che non gli venga torto un capello - sibilò il nano per niente intimorito dalla mole e dall'atteggiamento di Sir Ogrimar, era solo preoccupato per il fratello.

Celia rinfoderò la spada badando bene a non guardare mai Mark, non voleva gli leggesse l'esultanza negli occhi per la notizia appena appresa. Avrebbero salvato Kathe!


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Capitolo 16
*** L'oasi ***


16. L'oasi


Incredibilmente si sentiva nervoso mentre l'aspettava. Inevitabilmente i pensieri tornarono al passato e ad un ricordo molto simile. Non aveva mai avuto nessun problema a parlare con le donne, né a corteggiarle ma Celia si era rivelata subito testarda e schiva. Era solo un'allieva quando assistette con suo padre ad un allenamento nella sala d'armi del Monastero di Torap. Quando gli chiese chi fosse quella ragazza così abile con la spada, suo padre lo guardò in silenzio, poi gli disse che era la figlia del Conte Hianick. Lui continuò a guardare l'allenamento e da allora non le uscì più dalla testa. Sarebbe dovuto partire ma rinunciò all'incarico pur di restare al Monastero e incontrarla per i corridoi, sebbene inizialmente non volesse ammetterlo neanche a sé stesso. Lei non sapeva neanche che lui esistesse. Era concentrata sullo studio, sulla magia e sugli allenamenti ma tutti al Monastero sapevano chi fosse, la primogenita del Conte, aveva altri due fratelli, una sorella alla Scuola di Magia e il maschio, che avrebbe ereditato castello e beni del padre, all'Accademia della Guarnigione. Suo padre si era affezionato a quella ragazza e gli raccontò che anni prima, quando era solo una bambina, fu lui stesso a rivelarle la strada dei Chierici Cavalieri e a convincerla ad entrare nell'Ordine.

Riuscì a scambiare qualche parola con lei grazie a Sir Emil che era un amico di famiglia ed uno dei pochi Cavalieri con cui Celia parlasse. Era vivace, solare, generosa, determinata, coraggiosa, amava profondamente i suoi fratelli e la sua famiglia. Ascoltava poco, era istintiva e facile allo scontro inoltre sembrava in perenne competizione con sé stessa. Aiutava senza chiedere niente in cambio e trascorreva ogni minuto libero che le restava nella biblioteca del Monastero a leggere. E l'aveva trovata lì il giorno in cui aveva deciso che quell'ossessione doveva finire. Ma nonostante la sua esperienza, lei riuscì a trascinarlo in una discussione infervorata sull'uso indiscriminato e incontrollato di certi incantesimi, su come gli Storici evitassero di riprodurre alcuni libri apparentemente eliminando quelli sconvenienti o troppo espliciti, sull'influenza dell'Ordine nella politica del Regno. A quella discussione ne seguirono molte altre nei mesi seguenti, lei si accalorava, rideva o diventava malinconica seguendo le emozioni che le provocavano i vari argomenti. L'Alto Chierico dovette intervenire per obbligarlo ad accettare una missione per conto di Sir Brigham di Fir Ze. Quando le disse che l'indomani sarebbe partito in un viaggio di un mese, lei lo sorprese lasciandogli nella mano un piccolo medaglione con il simbolo della Dèa Madre Sosistras, lo baciò d'impeto sulla guancia e scappò via. A dispetto degli anni che li separavano e della proverbiale freddezza di cui andava fiero, non ebbe l'impulso di fermarla tanto rimase stupefatto.

Quel mese fu una prova per lui. Non era uomo abituato a soccombere alle emozioni e non voleva in alcun modo compromettere le sue azioni durante un incarico perché non riusciva a restare concentrato. Quando tornò, il cortile del Monastero era pieno di gente, cercò un solo volto ma lei non c'era. Era stanco, impolverato, indossava ancora l'armatura e il mantello ma non gli interessava, voleva solo vederla, abbracciarla e dirle quanto fosse importante per lui. In quel mese aveva accettato che il sentimento che lo legava a Celia non era passeggero, non era come conquistare una ragazza qualsiasi per una notte. Si diresse alla biblioteca, la cercò fra gli scaffali polverosi e si spinse fino all'area più lontana che conteneva vecchi tomi di incantesimi che nessuno usava più o che non avevano mai funzionato. Scorse una candela e Celia era in piedi davanti ad uno scaffale con una pergamena in mano. Il debole chiarore soffuso avvolgeva l'ambiente rendendolo intimo e riservato. Ma non gli sarebbe interessato neanche se fossero stati al mercato. Lei sollevò lo sguardo e spalancò gli occhi sorridendo e arrossendo pronunciando il suo nome in un sussurro. L'afferrò per le spalle spingendola contro lo scaffale e la baciò. Credeva avrebbe opposto resistenza, invece, esattamente come un mese prima, lo sorprese rispondendo con calore al bacio. Non riuscirono più a fermarsi e restarono in quell'angolo nascosto per tutta la notte.

Si dissero molte cose e ne promisero altre ma dalla mattina seguente, Celia sembrò sparita. Per un motivo o un altro non riusciva più a incontrarla. Una sera l'attese al dormitorio, così non avrebbe avuto modo di fuggirgli. Arrivò con Rhienne che appena lo vide si dileguò lasciando l'amica basita. Lei gli spiegò le sue ragioni, era stato un errore, non ci poteva essere amore fra cavalieri, tutti quelli che ci avevano provato avevano distrutto ogni cosa, comprese le loro vite. E poi voleva diventare un Chierico Cavaliere, doveva studiare, impegnarsi e non voleva assolutamente che la sua famiglia o altri sapessero che aveva ottenuto il grado perché si portava a letto il figlio dell'Alto Chierico di Torap. Litigarono, lui cercò di spiegarle che avrebbero potuto gestire la cosa al meglio, che non c'era bisogno di recidere il legame che c'era fra loro solo per paure infondate, che le cose vanno affrontate e non si seppelliscono sotto la sabbia. Ma lei non volle sentire ragioni. Accettò ogni incarico l'Alto Chierico le proponesse, viaggiò praticamente in continuazione nei sei mesi seguenti e non riuscirono più ad incontrarsi finché non la vide nel cortile del Monastero di Albany due anni dopo.

Un bussare lieve alla porta della stanza che gli avevano assegnato lo riscosse. Aprì e la fece entrare. Lei teneva lo sguardo basso ed era scura in viso. Sarebbe stata una mezz'ora difficile.

- Siediti ti prego - disse il più gentilmente possibile chiudendo la porta e indicando l'unica sedia disponibile. Lei obbedì senza obiettare.

- Lo so che vuoi andare a salvare tua sorella ora che sai che il nano conosce la strada. Immagino pensiate di liberarlo, uno dei due, e di farvi condurre dalla Fratellanza - la vide arrossire lievemente, gli occhi azzurri dardeggiarono e se possibile era ancora più bella di tre anni prima nella biblioteca buia. Si allontanò, raggiungendo la finestra.

- Non lo potete fare - concluse a bassa voce guardando fuori. Celia si alzò spostando la sedia. Mark si voltò lentamente.

- Posso andare ora Sir? - lo sfidò lei fissando la parete di fronte.

- No - disse lui secco. Era impertinente, faceva finta di ascoltare e poi faceva come le pareva. Celia spostò lo sguardo su di lui rimanendo in attesa.

- Fai parte dell'Ordine Celia, non puoi decidere tu quando essere una di noi e quando non esserlo - iniziò Mark con voce severa - Ci sono cose più grandi degli interessi personali e questa è una di quelle -

- Niente è più importante dei miei fratelli, e tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro - gli aveva parlato spesso di loro, dell'infanzia passata insieme, del forte affetto che li legava.

- Celia so bene cosa stai provando... - ma si bloccò quando vide una singola lacrima scendere sul volto altrimenti immobile.

- No, non lo sai, altrimenti non saresti qui a farmi perdere tempo - aggiunse lei cercando di mantenere salda la voce. Cancellò la lacrima con la mano maledicendosi silenziosamente per non aver mantenuto quel sangue freddo di cui si vantava tanto.

- Non voglio che tu vada da sola, voglio aiutarti ma devi ascoltarmi - Mark si avvicinò, non voleva che scappasse di nuovo così cercò di mantenere un tono conciliante. Lei annuì. Era terrorizzata, si vedeva in fondo ai suoi occhi azzurri, all'idea che la sorella fosse già morta e il tempo scorresse così velocemente.

- Ti ricordi l'incarico della scatola e il messaggero elfo? - iniziò Mark evitando di guardarle le labbra che tremavano lievemente. Celia annuì. Erano soli, non c'era nessuno e era troppo vicino…

- Lewel è il secondogenito del Re degli Elfi e la Fratellanza lo ha rapito, dobbiamo riportarlo indietro - Mark attese qualche secondo che le sue parole facessero effetto. Celia allargò gli occhi stupita.

- Un Principe? - domandò in un sussurro, ricordando le ricerche che aveva fatto in merito al simbolo sull'anello. Cosa aveva a che vedere Lewel con la Fratellanza Rossa?

- Inoltre, Artiglio Rosso e la Principessa Sanie sono amanti e sembra che nel rapimento sia coinvolto il Sultano di Agrabaar. Non ti sto chiedendo di attendere passivamente, ti sto mettendo a conoscenza di quanto la situazione sia più grave e delicata di ciò che sembra e di avere un po' di pazienza senza fare niente di avventato - concluse Mark fissandola intensamente.

Celia sostenne lo sguardo riflettendo in silenzio.

- Se ci portate con voi attenderò - gli disse senza timore di eventuali conseguenze. Mark sorrise, scacciando con forza il ricordo di quella notte nella biblioteca.

- Così sia - acconsentì lui. Non sarebbe riuscito comunque a tenerla al Monastero a meno che non l'avesse imprigionata insieme a suo fratello e non era sicuro che non riuscisse a scappare, quindi tanto valeva portarla, almeno l'avrebbe avuta accanto.

Celia si illuminò come un sole e Mark ancora una volta si stupì di quanto riusciva a cambiare umore in breve tempo.

- Posso andare ora Sir? - chiese con un tono completamente diverso dall'inizio della conversazione. Non poteva restare in quella stanza un minuto di più…

Mark annuì in silenzio, se avesse parlato le avrebbe chiesto di restare e non voleva vedere la delusione sul suo volto un'altra volta. Celia uscì come un fulmine, probabilmente stava correndo dal fratello. L'unico modo che aveva per scacciare il desiderio di lei nuda fra le sue braccia era sconfiggere Sir Alish in un sano e robusto allenamento. Con spade vere.



Il nano fu di parola. Il giorno seguente il suo colloquio con Mark, a sera inoltrata, giunsero in vista dell'oasi nel deserto roccioso che Khul aveva indicato come il posto dove erano stati tenuti schiavi.

Uscita dalla stanza era corsa da Klod, che stava assistendo ad un combattimento nella sala d'armi. Era appoggiato al muro e sembrava annoiato. Quando lei entrò stava fissando una brunetta non troppo alta, in armatura di cuoio, dal fondo schiena perfetto e grandi occhi nocciola.

- Ci portano con loro nel covo della Fratellanza - gli disse sussurrando. Klod non si voltò neanche, continuando a fissare la giovane allieva che rigirava nervosamente una spada nella mano sinistra.

- Quando si parte? - domandò mantenendo lo sguardo sulla giovane.

- Stanotte - rispose lei. Finalmente si voltò, lo sguardo freddo e calcolatore.

- Se Kathe muore, ucciderò il tuo Cavaliere - gli disse senza battere ciglio. Si allontanò lanciando un ultimo sguardo all'allieva che ora stava combattendo contro un maestro di spada.

Celia si riscosse dal ricordo e strinse le redini del cavallo che aveva scartato per evitare un grosso masso a terra. Il nano, che non aveva fatto altro che borbottare, gli aveva fatto fare un giro lungo, in modo da evitare la pista più battuta dove avrebbero potuto essere scoperti. Oltre il nano, Klod e lei, c'erano Mark, Sir Alish e quattro cavalieri. L'idea era di salvare il Principe elfo, Kathe e Erik e possibilmente catturare Artiglio Rosso. Il tutto senza svegliare tutto il covo e scatenare una guerra.

- Dove si trova l'entrata? - sentì Mark domandare al nano. Non c'era luna, fra poco sarebbero calate le tenebre e per i cavalli sarebbe stato davvero difficile proseguire senza spezzarsi una zampa.

- L'oasi gli serve solo per l'acqua, che viene incanalata in un percorso di roccia, e finisce dentro il covo. L'entrata si trova celata dietro un falso muro di roccia - rivelò il nano con la sua voce cavernosa.

- E sai aprire questa entrata? - chiese ancora Mark appoggiando un gomito sul pomo della sella per guardare il nano che cavalcava un piccolo cavallo pezzato.

- Sì - rispose secco il nano. Mark si accontentò della risposta e non chiese ulteriori spiegazioni.

- Adesso basta parlare, siamo vicini, lasciamo i cavalli qui dietro - sussurrò il nano sparendo dietro una bassa collina. Lo seguirono e, incredibilmente, una bassa costruzione dal tetto orizzontale, fatta di sassi e tronchi, era appollaiata sul fianco della collina. Il nano sfruttò la poca luce rimasta, scese da cavallo, aprì la doppia porta che dava sull'esterno ed entrò trascinando il cavallo.

Smontarono tutti e condussero i cavalli dentro. C'era un odore terribile di sterco e paglia marcia, se era una stalla, erano anni che non veniva pulita.

- L'entrata dista ancora qualche minuto a piedi, un sistema di occultamento sarebbe perfetto ma non mi pare di vedere maghi fra voi - il nano controllò che la grande ascia che portava sulla schiena, e che aveva chiesto a Sir Alish, fosse assicurata, poi uscì senza attendere risposta.

Il buio nel deserto roccioso portava anche un freddo intenso, opposto al calore del giorno. Khul si muoveva rapido e a suo agio, sembrava quasi vedere al buio.

Li guidò fino ad un'altra grande collina. Sembrava identica a tutte le altre: rocce, piante grasse, arbusti spinosi. Ormai le tenebre avevano preso il sopravvento, e il buio era quasi tangibile. Sentirono uno scricchiolio e lo sfregamento della pietra che in quel silenzio sembro acuto come lo schianto di un lampo. Li fece entrare rapidamente richiudendo la porta di pietra. Dentro era ancora più buio, Celia sbatté contro la schiena del fratello, che la prese per mano.

Percorsero quel tunnel buio e freddo per circa mezz'ora, sebbene tenere il senso del tempo fosse davvero difficile.

- Potete accendere una luce se volete ora - la voce del nano li raggiunse. Celia udì un mormorio breve e la luce magica illuminò la galleria.

- Dove siamo? - chiese Sir Alish che non sembrava particolarmente a suo agio sotto metri di terra.

- Questa galleria non viene utilizzata dalla Fratellanza, porta ad un vecchio pozzo d'acqua che si è esaurito e non la usano più. Ma attraversandola potremo raggiungere agilmente la parte principale del covo evitando di fare incontri spiacevoli - non attese commenti, si voltò e riprese a camminare.

La galleria non aveva niente di particolare, era roccia scavata, e la sensazione era che scendesse. All'improvviso sbucarono in una caverna di dimensioni incredibili.

- Spegnete la luce per favore - chiese il nano. Il Cavaliere che l'aveva accesa estinse l'incantesimo. Chiamarla caverna era riduttivo. Era una cupola gigantesca, di cui si intravedeva la forma a causa dei fuochi che ardevano sul fondo. C'era un accampamento formato da decine ti tende stinte e grigie, di forme e dimensioni diverse. Molte altre caverne si affacciavano sull'immensa caverna centrale che potevano essere raggiunte tramite scale scavate nella roccia o fatte con pioli di legno.

- Ci credo che non trovavano il covo della Fratellanza... - ghignò Klod scuotendo tutti.

- Indubbiamente ben nascosti... - commentò Sir Alish guardando di sotto.

- Siamo molto in alto. Dove sono le prigioni, Khul? - chiese Mark spostandosi davanti. Il nano indicò dalla parte opposta, c'era una caverna illuminata da un braciere.

- Figurati se era vicina e facilmente raggiungibile... - borbottò Klod. Khul costeggiò il limitare della caverna e imboccò un sentiero roccioso a tratti scoperto, che si dipanava lungo il fianco. Lo seguirono in fila indiana, restando nascosti nei tratti visibili e facendo attenzione a non scivolare.

Dovettero fermarsi due volte per oltrepassare dei tratti interrotti da crepacci dove la roccia era franata. Usarono delle corde che avevano i cavalieri in due zaini e le lasciarono appese nel caso fossero tornate utili per fuggire.

Discesero alcune scale naturali sempre andando nella direzione della caverna che ospitava la prigione. Quando furono abbastanza vicini, si fermarono in un piccolo spazio ristretto dove il sentiero si allargava leggermente.

- Quella tenda rossa è di Artiglio - indicò il nano. Adesso il fondo era molto più vicino e le persone che gozzovigliavano vicino al fuoco o che camminavano entrando e uscendo dalle varie tende erano riconoscibili e si udivano sprazzi di conversazioni. Mark e Sir Alish si guardarono.

- Vado - annuì Sir Alish senza aggiungere altro. I quattro cavalieri lo seguirono.

- Dove va? - sussurrò Klod a Celia.

- Non lo so... ma penso vada a catturare Artiglio... - gli rispose lei titubante osservando il Chierico Cavaliere che scendeva il crinale verso la tenda.

- Da ora in poi ci sarà da combattere e se qualche seguace riesce a dare l'allarme le cose si complicheranno enormemente per noi. Avete visto dove siamo e come si esce, memorizzate la strada... - consigliò il nano proseguendo verso la caverna.

Il braciere illuminava l'interno. Sgattaiolarono dentro con la speranza che nessuno da sotto vedesse le loro sagome. La galleria diveniva più stretta e buia man mano che procedevano.

- Poco prima delle celle ci sono sempre due guardie - avvisò Khul rallentando. Sganciò l'ascia e la afferrò saldamente.

- Non sarà necessario, nano - Mark gli mise una mano sulla spalla - Lasciatemi andare avanti -

Khul gli lasciò spazio e il Cavaliere si mosse rapido. La galleria curvava a sinistra e una debole luce indicò che erano arrivati. Mark si sporse oltre la curva. Vide i due uomini e Celia lo udì mormorare le parole dell'incantesimo che avrebbero bloccato tutti i muscoli delle due vittime. Era un incantesimo pericoloso, spesso falliva e le vittime resistevano all'incanto ma se avesse funzionato sarebbero rimaste immobili per un po' di tempo.

Sir Mark si insinuò nel cono di luce e quando lo raggiunsero le due guardie erano immobili, sedute, due dadi a terra e due sul tavolo.

Khul non perse tempo e proseguì. Era evidente che l'uomo aveva messo mano al tunnel naturale, c'erano nicchie e rientranze, brevi muri di rocce e malta, ganci di ferro e catene. Si udivano anche alcuni lamenti. Celia guardò Klod e un nodo le strinse la gola. Il fratello estrasse la spada e Celia lo imitò.

Raggiunsero le celle, anguste e strette con piccole porte di ferro che ne chiudevano le entrate.

- Troviamoli - disse Sir Mark muovendosi rapido.



Sir Alish scese in silenzio mantenendosi nelle ombre seguito dai quattro cavalieri. Grandi rocce sporgenti occupavano la parte finale e gli occorse tempo ed estrema attenzione per non ferirsi e non fare rumore. Mandò un Cavaliere a sinistra e uno a destra per verificare la situazione, mentre lui si diresse verso la tenda che si trovava un centinaio di metri più avanti. C'erano casse accatastate, barili, assi di legno, tutti buttati alla rinfusa.

Silenziosamente chiese ai due cavalieri che erano con lui di guardare il fondo della tenda per vedere se si poteva entrare. Il tessuto era pesante e ben fissato e dopo qualche minuto Sir Alish si stancò di cercare, estrasse un pugnale affilato e aprì un varco. Entrò con estrema cautela, sentiva delle voci e dei rumori, un penetrante odore di cera e incenso gli invase le narici. Davanti a lui c'era un armadio, forse, e altri tendaggi pesanti e scuri. Lentamente si avvicinò all'armadio e scostò la tenda.

L'ambiente era sontuoso, pieno di tappeti pregiati, cuscini, panche di legno intarsiato un gigantesco letto a baldacchino adornato di tessuto bianco trasparente occupava la parte centrale. Artiglio Rosso era disteso sul letto, sopra di lui una donna dalla pelle come bronzo, lunghi capelli ricci castani, un fondo schiena perfetto che si alzava e abbassava ritmicamente. La donna gemeva di piacere e lui grugniva ogni volta che lei scendeva. Le afferrò le natiche con le mani e intensificò la velocità.

Sir Alish sorrise, era la situazione perfetta, avrebbe potuto prenderli entrambi. La donna era la Principessa Sanie, figlia del Sultano di Agrabaar. C'erano anche una scrivania, delle sedie, un tavolo con del cibo ma non c'erano guardie. Arretrò in silenzio e uscì chiamando i quattro cavalieri mettendoli rapidamente al corrente. Avevano altre corde che avrebbero usato per immobilizzarli.

Entrarono tutti dallo squarcio aperto da Sir Alish. Quando riaprì la tenda Artiglio Rosso era di spalle e la stava prendendo da dietro. Il Cavaliere sorrise e ringraziò la dèa per le voglie estreme della Principessa, che in quella posizione a quattro zampe aveva poco di regale, che gli avrebbero permesso di catturare il suo amante. Entrarono all'improvviso proprio mentre Artiglio Rosso era impegnato a raggiungere l'apice del piacere, uno dei quattro cavalieri mormorò un incantesimo di silenzio, non volevano certo attirare tutti i briganti della Fratellanza a seguito della colluttazione, volevano fare tutto rapidamente.



L'odore che proveniva dalle celle era nauseante. Avevano tutte un grande lucchetto. Klod e Celia si scambiarono una rapida occhiata, poi il giovane tornò indietro e frugò nelle guardie alla ricerca delle chiavi. Le trovò, insieme ad alcune monete che prese e li raggiunse nuovamente. Iniziò ad aprire qualche cella, alcune erano vuote, altre con ossa sbiancate, altre con relitti umani, denutriti e sanguinanti.

- Non ci sono! - sibilò Klod freneticamente.

- Queste sono le prigioni, devono essere qui - disse il nano borbottando.

- Ma non ci sono! - Klod lo afferrò scuotendolo.

- Forse si sono liberati, Erik è un ladro dalle mille risorse - commentò Celia osservando l'interno di una cella vuota.

- Non c'è neanche Lewel -Valutò Mark pensieroso. Restare ancora lì era pericoloso, dovevano scoprire dove si trovavano, se fossero stati scoperti, affrontare l'intera Fratellanza in quattro sarebbe stato davvero difficile.

- Chiudiamo le guardie dentro alle celle e andiamo via da qui - disse Mark senza ulteriori indugi. Rinfoderò la spada e ripercorsero rapidamente il corridoio fino all'uscita della caverna.

Un'esplosione devastante rimbombò nella vasta caverna. Detriti e rocce caddero intorno a loro. In mezzo al campo della Fratellanza, la gente correva di qua di là, si udivano urla e ordini nella loro lingua. Sul lato destro un incendio di proporzioni immani devastava le tende.

- Mi viene in mente una sola persona che possa aver lanciato una palla di fuoco in una caverna... - sussurrò Celia sorridendo. Klod si voltò verso di lei raggiante.

- Andiamo a dargli una mano! - disse con sguardo pieno di sfida. Si gettò dal crinale, dirigendosi direttamente sul fondo della caverna, dove era posizionata la tenda di Artiglio Rosso a detta del nano. Mark tentò di fermarlo ma quando anche Celia lo seguì non gli restò che scendere imprecando.




Catturare Artiglio Rosso fu estremamente semplice. Prima Sir Alish stordì lui con il pomo della spada, un Cavaliere si occupò di legarlo e mettergli un cappuccio in testa, mentre gli altri due presero la donna per le braccia che urlava e scalciava come un gatto selvaggio. L'incantesimo li proteggeva da quei rumori, poteva urlare quanto voleva.

-Principessa Sanie - la chiamò con voce melliflua il Cavaliere osservando avido il suo corpo nudo.

- Chi siete? - ringhiò lei con quella bocca dalle labbra carnose e invitanti. La sua pronuncia del comune era perfetta.

- Sir Alish dell'Ordine, Altezza - si presentò lui con un lieve inchino sorridendo. Gli occhi di lei saettarono indignati.

- Come osate mettermi le mani addosso? - domandò perentoria con la voce di chi è abituato a farsi obbedire e riacquistando la calma.

- Da lui ve le facevate mettere le mani addosso, però - obiettò Sir Alish guardandola di sottecchi. Ansimava e i seni sodi e pieni si muovevano in modo sensuale. Il triangolo in mezzo alle gambe era coperto di una peluria ricciuta del colore dei capelli. Lei ringhiò di nuovo e scalciò per colpirlo.

- Altezza non dovete temere niente da noi, vi riconsegneremo a vostro padre e non vi verrà torto un capello - disse Sir Alish - Legatela, imbavagliatela e mettetele il cappuccio - disse poi ai due cavalieri che annuirono. Lei ricominciò a scaldare e urlare come un'ossessa. Il Cavaliere la ignorò, si voltò e aprì l'armadio. Prese due tuniche e li vestirono rapidamente. Poi udirono l'esplosione.



Liberarsi dei legami era stato relativamente semplice, soprattutto quando non vieni perquisito in modo adeguato e ti lasciano addosso un chiodo sottile. Gli portarono la cena, pane secco e dell'acqua, e quando i rumori iniziarono a scemare, Erik si mise all'opera. Kathe si era addormentata così lui poté lavorare in pace senza le mille domande con cui l'avrebbe sommerso. Una volta libero raggiunse immediatamente la porta ma si rese subito conto che il lucchetto si trovava dall'altra parte ed era completamente irraggiungibile. Anche se Kathe avesse avuto un incantesimo per aprirlo, come avrebbero fatto a toglierlo dal gancio? Era quasi sicuro che non ci fossero guardie nell'immediata vicinanza della porta. Doveva attirare una. Svegliò Kathe dolcemente, il buio all'interno era praticamente totale, non si distingueva niente.

- Che succede? - chiese con voce tentennante.

- Dobbiamo uscire di qui - sussurrò Erik, e in quell'istante lei si rese conto che le catene ai polsi non c'erano più ed esultò di gioia.

- Come hai fatto? - chiese lei felice. Erik sorrise nel buio.

- Adesso non è importante. Lamentati come sé stessi male con voce abbastanza alta ma non troppo - suggerì lui, poi si spostò verso la porta.

Kathe iniziò a lamentarsi e chiedere aiuto. Dopo qualche minuto di attesa finalmente sentirono il lucchetto aprirsi. Appena la guardia entrò, Erik gli saltò addosso e con una torsione rapida e secca gli spezzò il collo senza fargli emettere un suono.

Kathe rimase a bocca spalancata e in silenzio.

- Vieni, usciamo di qui - le porse la mano che afferrò all'istante tirandosi in piedi. La trascinò fuori cautamente, osservando attentamente i dintorni. Richiuse la cella e il lucchetto, come se non fosse stato aperto poi prese Kathe per un polso e si nascose dietro una tenda verdognola. La cella in cui li tenevano era scavata nella roccia del fianco di una caverna immensa. Molti bracieri illuminavano il covo della Fratellanza di Sangue, doveva essere notte perché tutti dormivano vicino ai fuochi o nelle tende e in giro si sentiva solo lo scoppiettare delle braci. Era perfetto. Erano stati portati lì incappucciati ma ricordava chiaramente di aver percorso un corridoio o una galleria in discesa. Erano sul fondo della caverna, quindi l'uscita doveva essere in alto. Osservò i crinali e vide che c'erano tante caverne che si aprivano tutt'intorno. Sul lato sinistro in alto rispetto alla sua posizione c'era una caverna con un braciere, forse quella era l'uscita. Decise di dirigersi in quella direzione e se era fortunato potevano passare dietro le tende e restare nascosti.

- Raggiungiamo quella caverna illuminata lassù - sussurrò il ladro indicando in alto - Probabilmente è il tunnel da cui siamo scesi - la fissò credendo di trovarla impaurita, invece era tranquilla e attenta. Annuì stranamente senza ribattere.

- Hai studiato qualche incantesimo? - le chiese continuando a guardarsi in giro.

- Sì - rispose brevemente Kathe. Erik si mosse rapidamente e lei lo seguì dietro la tenda accanto. Da dentro uscivano suoni inequivocabili di ciò che stava avvenendo. Kathe arrossì leggermente e Erik sorrise. Proseguì ancora ma c'era un cumulo di casse che impediva di restare nascosti, dovevano per forza passare per un tratto illuminato. Erik guardò un attimo Kathe che annui capendo immediatamente.

Scattò rapido aggirando le casse ma quando sbucò dall'altra parte sbatté contro un seguace della Fratellanza. Caddero a terra e Erik lo afferrò all'istante per la gola, soffocandolo. Fu così rapido che Kathe non ebbe neanche il tempo di gridare. Si guardarono in giro ma nessuno aveva sentito o notato niente. Erik afferrò il corpo per le spalle e lo trascinò dietro un gruppo di barili. C'era un'altra tenda lì vicino, Erik la raggiunse immediatamente e controllò la posizione individuando la caverna in alto. Quando tornò con lo sguardo su Kathe, lei non c'era più. Per un attimo gli si fermò il respiro. Imprecò e tornò indietro verso i barili. Kathe era in piedi, camminava lentamente in mezzo alla caverna e guardava qualcosa fisso davanti a sé. Erik seguì la traiettoria e vide una gabbia quadrata, dentro c'era una persona ma era in ombra e non riusciva a capire chi fosse. La giovane maga proseguì, mentre Erik osservava febbrilmente i seguaci che dormivano a terra vicino al fuoco alla sua destra.

Kathe non poteva crederci, non poteva essere lui. Osservando il lato opposto della caverna aveva notato la gabbie a per un fugace attimo aveva intravisto un volto. La persona chiusa nella gabbia afferrò le sbarre e si avvicinò così poterono vedersi. Se lei rimase meravigliata, Lewel lo era di più. Lentamente e silenziosamente, Kathe attraversò lo spazio che li separava.

- Lewel - sussurrò la giovane con occhi spalancati.

- Kathe - sussurrò a sua volta l'elfo stringendo le sbarre finché le nocche delle mani non sbiancarono.

- Che ci fai qui? - chiese con apprensione Lewel.

- Siamo stati catturati, e te? - era smagrito, indossava pantaloni neri e una camicia blu vecchia e lacera.

- Mi hanno fatto prigioniero mesi fa, ho perduto il conto dei giorni - disse fissandola negli occhi, i lunghi capelli sciolti scendevano dietro le spalle come una cascata dorata illuminati dal fuoco. Poi l'elfo vide un'altra figura.

- Kathe, ma che fai? - ringhiò Erik prendendola per un braccio. Solo allora vide in faccia l'elfo nella gabbia e Lewel vide lui.

- Dobbiamo tirarlo fuori - sussurrò la maga con occhi supplicanti.

- Non dire idiozie, dobbiamo andarcene da qui - sibilò il ladro fra i denti guardandosi intorno.

- Erik, lo conosco, si chiama Lewel, è un elfo - aveva gli occhi lucidi mentre lo supplicava. Erik spostò lo sguardo sull'elfo e si chiese chi fosse e in che modo fosse legato a Kathe.

- Lo vedo che è un elfo - disse secco lui. Poi apparentemente dal nulla tirò fuori il chiodo sottile, leggermente piegato in cima. Trafficò un po' con il lucchetto della gabbia che dopo qualche secondo si aprì. Kathe si illuminò e guardò Lewel che le sorrise. Era dimagrito e aveva una cicatrice profonda e ancora un po' rossa sul collo. Appena uscì dalla gabbia raggiunse Kathe e l'abbracciò. La giovane rimase stupita ma ricambiò avvolgendolo dolcemente e sorridendo. Erik alzò un sopracciglio perplesso.

- Ma che bel quadretto romantico - la voce gutturale li fece sussultare. Un seguace in armatura rossa e spada levata li fronteggiava.

- Entrate immediatamente dentro la gabbia - disse con un accento molto stretto.

- Ti avevo detto che non era una buona idea - iniziò a lamentarsi Erik con Kathe puntandole un dito al volto.

- Potevi andartene, non ti ho chiesto di restare! - gridò lei in cagnesco d'istinto senza rendersi conto che era un diversivo. Lewel non perse tempo, sfruttò i secondi guadagnati mormorando un incantesimo. Dardi rossi si conficcarono nel torace del seguace che crollò a terra morto. Kathe si zittì all'improvviso quando Erik le strizzò l'occhio.

- Nascondiamoci! - disse correndo verso i barili. Alcuni uomini si stavano già alzando svegliati dalle grida. Rimasero nascosti qualche minuto, poi fu inevitabile il grido di allarme per la gabbia vuota dell'elfo. Erik imprecò e iniziò a correre seguito da Kathe e Lewel. Tutto il campo si risvegliò, poi una voce gridò forte e Erik comprese che li avevano visti. Poco più avanti, sulla destra, c'era una grande tenda rossa, voleva provare a raggiungerla ma cinque seguaci gli sbarrarono la strada. Imprecò di nuovo.

- Ne conosci di epiteti - gli fece notare l'elfo serafico.

- Molti più di quanti immagini, e anche in diverse lingue - rispose secco il ladro pensando ad una soluzione. Ma non fu necessario. Venne raggiunto dalle parole di un incantesimo e una gigantesca palla di fuoco colpì e uccise all'istante i cinque uomini investendo la tenda subito dietro che prese fuoco. Sia Lewel che Erik si voltarono meravigliati verso Kathe, che aveva le mani sui fianchi e lo sguardo fiero.

- Sono stanca di scappare come un coniglio - si giustificò Kathe. Rocce e detriti vennero giù dalla volta della caverna.

- Proviamo a raggiungere l'uscita - disse Erik indicando la caverna illuminata.

- Ma quella non è l'uscita, sono le prigioni - spiegò Lewel contraddicendolo. Erik aggrottò la fronte.

- L'uscita è da quella caverna là - indicò dalla parte completamente opposta, in linea retta rispetto alla tenda rossa, c'era una caverna che non aveva particolari segni di riconoscimento ma era simile a tutte le altre.

- E tu come fai a saperlo? - gli domandò impaziente il ladro.

- Sono molti mesi che sono prigioniero qui, vedo da dove arriva la gente... - confidò l'elfo sorridendo a Kathe. Erik serrò i denti e fece per ripercorrere i propri passi quando udì qualcuno chiamare Kathe.

La maga si voltò verso il grido e Klod sbucò da dietro la tenda rossa, la spada levata trafisse il seguace che gli si parò davanti senza alcuna pietà. Subito dopo vide Celia uscire allo scoperto seguita da Sir Mark e da un nano... Kathe si stropicciò gli occhi, era una scena troppo inverosimile. Il nano roteò l'ascia e aprì in due un seguace, tutte le budella fuoriuscirono mollemente. Celia fronteggiò un seguace abilmente mentre Klod li raggiunse correndo ed evitando ostacoli.

- Kathe! - disse abbracciandola forte. Non si accorse neanche degli altri.

- Come stai? - le prese il volto fra le mani e controllò se era ferita.

- Va tutto bene Klod - gli sorrise felice lei - Siete venuti a prendermi -

- E' un po' più complessa la situazione - ammise, poi guardò Erik e lo salutò con un cenno del capo. Si girò verso Lewel fissandolo qualche secondo, poi fece un lieve inchino e lo salutò.

- Principe, è un piacere rivedervi e un onore potervi portare in salvo -

Se non fosse stata troppo occupata a spalancare la bocca, Kathe si sarebbe accorta che l'elfo era arrossito.

- Principe?! - dissero all'unisono Kathe e Erik lui ironico, lei sussurrando.

- Non sono necessari i titoli per favore - chiese Lewel guardando Kathe. Era bellissima come nella caverna.

Celia, Mark e Khul li raggiunsero correndo. La situazione stava degenerando, si udivano grida e avvertirono chiaramente un gruppo correre nella loro direzione.

- Parleremo dopo, adesso usciamo da qui! - disse Sir Mark perentorio.

- Direi un tempismo perfetto - si voltarono udendo la voce di Sir Alish alle loro spalle. Uscì dall'entrata principale della tenda rossa e portava i due prigionieri sostenuti dai quattro cavalieri.

- Chi è l'altro prigioniero? - domandò Mark indicandolo con la punta della spada.

- La Principessa Sanie - sogghignò Sir Alish - Che stava fottendo con discreta abilità il nostro Artiglio. Oh scusate signore, non volevo offendere il vostro delicato udito - disse il Cavaliere sgarbatamente. Mark spostò lo sguardo sulla donna incappucciata.

- Dobbiamo risalire il fianco e raggiungere il crinale - disse Sir Mark incamminandosi dietro la tenda.

Khul fissava in modo spaventoso Artiglio Rosso e stringeva convulsamente l'impugnatura dell'ascia.

- Placa la tua sete di vendetta nano - lo redarguì Sir Alish frapponendosi sulla linea visiva. Khul grugnì e seguì Sir Mark.

Celia strinse forte la sorella fissandola intensamente, lei gli sorrise con gli occhi lucidi. Poteva solo immaginare la confusione e i mille pensieri che affollavano la sua testolina complessa. C'era Erik, affascinante e misterioso, pieno di risorse, e c'era Lewel, bellissimo ed elegante e addirittura un Principe. Poteva quasi vedere bollire il calderone delle sue idee. La sospinse in avanti e salutò con un lieve inchino l'elfo attendendo che tutti sfilassero e chiuse la fila insieme a Celia.

- E' davvero una strana situazione, non trovi? - disse l'elfo sussurrando.

- Non so quanto sia casuale, Lewel - rispose lentamente Celia - Sai perché ti hanno rapito? Cosa vogliono da te? - da quando Mark l'aveva messa al corrente della situazione, era certa che quel gruppo fosse stato messo insieme appositamente per liberare Lewel. Artiglio Rosso e il baule pieno di monete per l'Ordine dovevano essere in realtà solo pedine di uno scambio per liberare il Principe degli Elfi e Mark doveva aver pensato bene di ricatturarlo visto come erano andate le cose…

L'elfo la guardò stupito.

- Non comprendo perché mio padre abbia chiesto aiuto all'Ordine ma sono sicuro che tutto questo a che vedere con la scatola che mi avete consegnato mesi fa - disse fra sé e sé Lewel tenendo lo sguardo fisso sulla schiena di Kathe. Celia rimase in silenzio soppesando le sue parole.

Iniziarono a risalire usando la scala scavata nella roccia e raggiunsero il crinale. Un gruppo di arcieri si radunò sotto di loro e iniziò a bersagliarli.

Sir Mark stava per gridare un allarme, quando udì distintamente le parole di un incantesimo. Kathe allargò le mani verso il basso e un altro enorme globo infuocato colpì gli arcieri, incendiando completamente la tenda rossa.

- Quanto adoro questo incantesimo - sussurrò la giovane orgogliosa. Klod ridacchiò e Celia si mise una mano sul volto.

- Vedo che hai studiato molto - le sussurrò Lewel, e lei arrossì. Erik socchiuse gli occhi, si voltò e passò in cima alla fila insieme a Khul. Celia sospirò pensando che la situazione si stava complicando e chiaramente Kathe ci si crogiolava dentro.

Ripercorsero il crinale, i seguaci della Fratellanza erano troppo lontani in basso per poterli raggiungere con le frecce. Cercarono di muoversi il più in fretta possibile ma i due prigionieri erano legati e quando raggiunsero i due tratti dove era stata necessaria la corda Lewel li stupì evocando un tremolante disco levitante che gli permise di oltrepassare le voragini.

Il fumo dei due incendi aveva ormai riempito la caverna, gli occhi lacrimavano e quando raggiunsero la caverna riuscirono a respirare meglio.

Ripercorrere la galleria fu semplice ma abbandonarono ogni precauzione usando le luci magiche per vederci e non perdere tempo. Questo attirò i seguaci dai tunnel vicini, gli scontri furono brevi e violenti, Sir Mark, Sir Alish, Klod e i quattro cavalieri riuscirono a scongiurare il peggio ogni volta.

- Fatemi aprire la porta - borbottò il nano muovendosi nel corridoio affollato. Mise la mano in una nicchia e attivò una leva. La porta scivolò e entrò l'aria notturna dall'esterno. Si precipitarono tutti fuori inspirando boccate d'aria fresca e pulita. Il deserto roccioso era silenzioso, la luna illuminava la sua vastità rivestendolo di un manto argenteo.

- Se non fossimo inseguiti da un migliaio di predoni mi soffermerei a godermi lo spettacolo della notte - sussurrò Kathe guardandosi intorno.

- Nel regno degli elfi c'è un albero, che chiamiamo La Sentinella. E' altissimo e molto antico, una scala conduce fino in cima alle sue fronde da dove è possibile osservare tutto il regno e lì si vedono albe e tramonti incredibili e la luna è enorme e vicina. Mi piacerebbe mostrartelo una volta - le sussurrò Lewel in un orecchio facendola rabbrividire. Erik sollevò gli occhi al cielo portandosi le mani al volto rassegnato. Celia sorrise e prese la sorella per un braccio che avrebbe tanto voluto rispondere che sarebbe stata felice di poterci andare con lui.

Corsero verso la stalla dietro la collina, tirarono fuori i cavalli ma oltre Lewel c'erano anche Artiglio e Sanie. Sir Alish prese naturalmente la Principessa e la issò sul suo cavallo salendo dietro, Sir Mark salì dietro ad Artiglio Rosso e Lewel con Kathe. I quattro cavalieri poterono evocare le luci magiche sarebbero stati visibili ma avrebbero potuto far correre i cavalli.

All'alba avvistarono Mitrander e le sue case a cupola.


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Capitolo 17
*** L'esecuzione ***


17. L'esecuzione


Quando Kathe si svegliò nel tardo pomeriggio, si trovò a guardare la schiena nuda della sorella. Storse la bocca avvertendo un dolore diffuso e pulsante a ogni muscolo, in punti che neanche sapeva di avere. Sbadigliò e si distese gemendo.

- Buongiorno - le disse Celia dolcemente sedendosi sul bordo del letto e indossando la consueta tunica grigia.

- Mi fa male dovunque... - si lamentò Kathe. L'occhio le cadde sul grande libro di magia posato sulla scrivania e il suo sguardo si illuminò. Celia sorrise e si rialzò.

- Ti consiglio un bagno - suggerì celia. Aveva tutti i capelli arruffati ed una faccia buffa e assonnata. Si alzò lentamente avvolgendosi nel lenzuolo e si diresse alla port

- Dove sono i bagni? - le chiese gentilmente Celia. Lei si voltò con sguardo scuro.

- Ti accompagno - Celia sorrise e la accompagnò. Kathe si trascinava per i corridoi come un fantasma.

- Ho fame - disse dopo qualche minuto. Celia aprì la porta dei bagni del Monastero riservati alle donne ed entrarono.

- Prima lavati, poi andremo a mangiare qualcosa. Io devo andare adesso, non perderti. Ci sono molti chierici, chiedi aiuto se hai bisogno - Kathe sbadigliò spalancando la bocca in modo poco femminile.

- Klod dov'è? -

- Non lo so - Celia sospinse la sorella - Lavati bene - suggerì sorridendo.

Kathe si inoltrò lentamente nei bagni e Celia tornò nella camera che le era stata assegnata. Aveva dormito poco, quando erano arrivati, Kathe, Klod e Erik erano potuti andare a dormire, mentre lei e gli altri cavalieri erano stati ascoltati dall'Alto Chierico insieme a Sir Ogrimar e al Principe Lewel.

Il baule non era stato recuperato e l'Alto Chierico aveva corrucciato la fronte e aveva borbottato. Dopo tutto quello che avevano fatto aveva anche il coraggio di lamentarsi! Celia dovette imporsi di mantenersi calma e non invitare il vecchio ad andarci lui nel covo della Fratellanza la prossima volta a prendere Artiglio Rosso.

Sir Alish, Sir Mark e il Principe vennero trattenuti mentre lei e i quattro cavalieri lasciati andare. La prima cosa che aveva fatto era stata spogliarsi e buttarsi in una tinozza. Khul era stato messo insieme a suo fratello e Klod e Erik erano da qualche parte a bere in città. A volte invidiava davvero la libertà che avevano.

Sollevò il medaglione dell'Ordine bagnato dall'acqua saponata. Fede, onore, regole magia, arma, erano le cinque parole fondamentali per un allievo che volesse diventare Chierico Cavaliere. Ma nell'Ordine c'erano tanti intrighi, tante trame e molto cavalieri non rispettavano affatto il codice del Monastero, soprattutto quando lontani. Mise la testa sotto l'acqua scacciando quei pensieri negativi e si lavò i capelli. Erano troppo lunghi anche legati con la treccia, quando li scioglieva se li trovava dovunque, prima o poi avrebbe dovuto tagliarli.

L'Alto Chierico li aveva informati che il giorno seguente Artiglio Rosso sarebbe stato impiccato nella piazza centrale di Mitrander dalla milizia del Sultano. La Principessa Sanie inveì contro tutti i chierici minacciandoli di morte certa quando arrivò una delegazione del Sultano a prendere lei con una carrozza tutta d'oro e una gabbia per Artiglio Rosso. Però Celia notò le lacrime che bagnavano i suoi occhi. Se davvero amava Artiglio Rosso il giorno dopo sarebbe stato messo a morte e lei non l'avrebbe rivisto mai più. Era impossibile stabilire se il Sultano e la Fratellanza fossero in combutta, né se lui sapesse o meno quanto la figlia fosse coinvolta. Aveva udito Mark e Sir Alish discutere di questo, temevano che lasciare Artiglio nelle mani del Sultano non fosse cosa da fare. Avrebbero potuto permettergli di scappare vanificando tutto il loro lavoro.

Quando era tornata in camera, Kathe dormiva beatamente e lei si era soffermata a guardarla un istante. Ricordava ancora il terrore che le aveva attanagliato il cuore quando aveva pensato che fosse morta.

Un bussare discreto alla porta l'aveva riscossa. Aveva aperto stancamente asciugandosi le lacrime. Janos aveva sussultato al vederla.

- Stai bene? - le aveva chiesto sussurrando e avvicinandosi. Aveva gli occhi scuri e le labbra tirate e sembrava in procinto di piangere. Lei rimase sulla porta.

- Va tutto bene, è solo la tensione che se ne va - gli sorrise.

- Tutto il Monastero parla della vostra incursione nel Covo della Fratellanza - era entusiasta e orgoglioso.

- Devo dormire un po' Janos, non sto in piedi, stasera ti racconterò ogni cosa, prometto - Janos era arrossito lievemente e si era tirato indietro.

- Scusami non volevo essere inopportuno - aveva detto abbassando lo sguardo.

- Non sei stato inopportuno, sono solo stanca - aveva richiuso la porta e si era buttata sul letto. L'ultima cosa che voleva in quel momento erano le sue attenzioni anche se era stato gentile a preoccuparsi.



Celia si risvegliò bruscamente e Kathe non era nel suo letto. La udì chiacchierare dal corridoio. Quando aprì la porta c'erano tre cavalieri con lei, che si affannavano ad essere gentili. Celia si passò una mano sugli occhi.

Entrò strizzandole l'occhio.

- Questi cavalieri sono stati così gentili da riaccompagnarmi Celia, l'avresti mai detto che ci sono ancora uomini così in giro? Mi ero perduta andando in bagno - le disse con aria civettuola.

Celia ringraziò i chierici e chiuse la porta.

- Perché devi fare sempre così? - chiese sistemandosi la tunica grigia.

- Perché a me la compagnia maschile piace sorella - disse serafica Kathe spazzolandosi i capelli.

Celia la guardò con occhi roventi.

- Piuttosto cerca di non fare un pasticcio con Erik e Lewel, d'accordo? - Kathe la guardò come se cadesse dalle nuvole.

- Ma che dici Celia? Non c'è niente fra noi! - era indignata ma conosceva troppo bene la sorella per cadere in queste piccole recite.

Celia la guardò intensamente e lei arrossì.

- Non trovi che siano entrambi affascinanti e misteriosi? - se ne uscì dopo qualche secondo ammettendo ogni cosa.

- Non è il tipo d'uomo che piace a me ma capisco che tu ne possa essere attratta, fai solo attenzione e ricordati che qualsiasi cosa deciderai di fare, impatterà sul tuo futuro - si mise gli stivali e legò i capelli in una lunga treccia bionda.

- E tu invece? Come va col nostro Cavaliere tenebroso? - domandò Kathe avvicinandosi nuda e indossando una delle tuniche blu della Scuola di Magia. Era inutile continuare a fingere un ruolo che non era più necessario. Celia si oscurò e la sorella capì che non era argomento su cui scherzare.

- Va benissimo, lui sta al suo posto, io al mio. Il prossimo anno potrò diventare Chierico Cavaliere, non voglio insinuazioni che macchino il mio avanzamento. Ho speso troppo tempo e troppe energie per rovinare ogni cosa - si diresse alla porta - Vuoi mangiare o no? - chiese Celia. Kathe si mise gli stivaletti in fretta, ripose il libro sotto il materasso e corse dietro alla sorella coi capelli che svolazzavano.



La cena trascorse tranquilla. Celia cenò ad un tavolo coi suoi fratelli, Erik, Janos e i due nani a cui era stata concessa la libertà visto l'aiuto concreto che avevano dato.

Il Principe Lewel era ad un tavolo con Sir Ogrimar, che quel giorno l'aveva lasciata in pace, Sir Alish e Mark.

Khul raccontò ogni cosa al fratello, abbondando in particolari ed esagerando. L'incendio divenne un abisso di fuoco, la scalata un'impresa epica, l'incursione alle prigioni un'azione da manuale. Kathe e Erik raccontarono la loro prigionia e la liberazione del Principe elfico e Celia raccontò come lo avevano conosciuto molti mesi fa senza sapere chi fosse realmente.

Né a lei né a Erik sfuggirono le occhiate che lanciò spesso verso il tavolo dei cavalieri. Klod, che per Celia non aveva chiuso occhio, propose di andare in un posto vicino alla piazza centrale che serviva un ottimo liquore con della frutta secca ed era frequentato da molti.

L'idea venne appoggiata soprattutto dai nani e si unirono anche Kathe e Erik. Celia declinò, non amava particolarmente bere e l'ultima volta che l'aveva fatto si era lasciata andare con Janos e non era una situazione che doveva ripetersi.

- Sei sempre la solita, Celia - brontolò Kathe alzandosi.

- Kathe, questo è un Monastero, ti ricordi? Io sto cercando di diventare un Chierico Cavaliere dell'Ordine. Là a quel tavolo c'è il mio comandante Sir Ogrimar che mi mette alla prova una volta sì e una sì... - sussurrò Celia sibilando. Janos ridacchiò e lei lo fulminò con la sguardo.

- Fai come ti pare - concluse la sorella.

Sir Mark vide i fratelli di Celia alzarsi e uscire dalla mensa seguiti dai nani e dal ladro. Lei invece rimase seduta al tavolo con Janos. Non era la prima volta che li vedeva insieme ed era ovvio che il messo di Fir Ze, lo ricordava qualche anno prima come un giovane promettente Cavaliere, fosse attratto da lei. Socchiuse gli occhi infastidito, la gelosia non era un sentimento che gli apparteneva e finora non gli era mai interessato cosa facessero le donne che frequentava quando non erano con lui. Ma iniziò a domandarsi se fra loro ci fosse stato qualcosa di più della semplice amicizia. Janos si avvicinò, le sussurrò qualcosa e lei rise. Aveva un cucchiaio di legno in mano, che spezzò improvvisamente facendo voltare gli altri. Si scusò borbottando qualcosa di incomprensibile.

Si alzarono e quando uscirono Janos la accompagnò mettendole una mano sul fondo della schiena. Era solo un ragazzino e quella sua reazione era inutile e ingiustificata. Inoltre Celia poteva fare quello che voleva della sua vita.

Sir Alish stava raccontando in che modo aveva catturato Artiglio Rosso abbondando nei particolari erotici e l'idea di Janos e Celia a letto insieme gli gelò il sangue nelle vene.

- Scusate - si alzò congedandosi con un lieve inchino della testa. Gli altri lo guardarono per un istante, poi Sir Alish continuò il suo racconto.

Non voleva fare scenate ma solo capire come stavano realmente le cose. Anzi no, in realtà voleva uccidere Janos e costringere Celia alla ragione ma sapeva che non avrebbe fatto nessuna delle due cose. La luna illuminava l'interno del Monastero e si udivano i rumori della città oltre le mura protettive. Li cercò nella corte ma era deserto, spostò lo sguardo e li vide in alto sul camminamento. Mentre andava a passo spedito una parte di lui non si riconosceva, quella riflessiva e fredda, l'altra era completamente oscurata ed era quella che lo spingeva su per quelle scale.

- Dopo l'esecuzione domani ripartiremo, non vedo l'ora di tornare a casa - disse Janos sorridente.

- Hai qualcuno che ti aspetta? - domandò Celia strizzandogli l'occhio e sorridendo.

- Sì, la mia famiglia, mia sorella che ha dieci anni, è una piccola peste e un po' mi ricorda tua sorella Kathe -

- Spero che da grande non diventi come lei! - esclamò Celia ridendo insieme a Janos.

- Qui il clima è indubbiamente più caldo, nonostante l'ora, fuori si sta bene - fece notare il giovane appoggiandosi alle mura e guardando la città. C'erano ancora molte candele accese nelle case e alle finestre aperte si potevano vedere scene di vita casalinga.

- Sì, il mare mitiga probabilmente - ammise Celia.

- Mi volevo scusare per il mio comportamento - iniziò Janos - Durante il viaggio vorrei riprendere con le lezioni, sia di allenamento che di studio, e non vorrei che ciò che ho fatto possa modificare questo stato di cose - lo disse tutto d'un fiato.

- Non pensarci Janos, altrimenti non sarei qui ora se avessi qualcosa da recriminarti - gli sorrise lei. Lui annuì guardandola.

- Ciò non cambia quello che provo nei tuoi confronti, ma non sono un animale, so trattenermi. Adesso è meglio che vada, non vorrei essere costretto a rimangiarmi la parola - disse serrando le labbra. La tunica grigia da messo scendeva morbida e quando l'aveva baciata aveva sentito ciò che nascondeva. Non attese neanche che lei rispondesse, si voltò e proseguì lungo il camminamento.

Celia lo osservò andare via. Si sedette a terra con le spalle al muro. Non si era mai ritenuta una bella ragazza, non pensava mai a sé stessa da quel punto di vista e prima Mark, ora Janos, non riusciva a capire cosa trovassero in lei e soprattutto perché fosse così strano che lei volesse dedicarsi all'Ordine, invece che alla famiglia…

Il pensiero della famiglia le fece tornare in mente Kathe chiusa nella cella nel covo della Fratellanza. Era un mistero come potesse essere ancora viva. Aveva cucito nell'interno della tunica una tasca dove teneva un ritratto a olio di loro tre che gli aveva fatto Mahatma molti anni fa. Il tessuto era sgualcito e i colori non si vedevano molto ma Celia lo guardava con gli occhi del ricordo.

Mark percorse a grandi passi il camminamento ma non erano più lì. Poi notò qualcosa nell'ombra a fianco del muro, immaginandoli avvinghiati colmò rapidamente lo spazio che li separava. Ma si bloccò, Celia era seduta a terra e Janos non c'era.

- E' una splendida serata - esordì lui appoggiando i gomiti sulla balaustra di pietra, il cuore che gli martellava instancabile in petto.

Celia sussultò, era così presa dai ricordi da non accorgersi che si era avvicinato.

- Sì, molto bella e non fa freddo - notò che sulla destra, poco più avanti, c'erano due chierici sul camminamento che facevano la ronda.

- A Torap, mio padre non permette di passeggiare sul camminamento del Monastero - ridacchiò il Cavaliere. Si era reso ridicolo anche troppo con sé stesso, non l'avrebbe fatto anche con lei dicendole perché era salito lassù.

- Tuo padre è l'Alto Chierico ed è molto severo ed esigente - aggiunse Celia sorridendo nel buio. Mark si sedette a terra vicino a lei distendendo le lunghe gambe.

- E' molto affezionato a te - disse guardando il suo profilo e si accorse che teneva qualcosa in mano.

- Fu lui a convincermi a entrare nell'Ordine - sorrise lei al ricordo ancora vivido di quel momento nonostante fossero passati molti anni.

- E' sempre stato molto convincente - ammise il Cavaliere. Celia sollevò la piccola tela col ritratto.

- Eravamo nel nostro giardino nella Villa estiva. Vostro padre venne per il battesimo di mio fratello Klod, che era nato da pochi mesi. Si sedette accanto a me e iniziò a parlarmi dei Chierici Cavalieri. Non sono mai riuscita a capire se ciò che vidi fu un sogno, la mia immaginazione o un suo incantesimo - sorrideva guardando la cosa che teneva in mano. Mark si sporse incuriosito e lei glielo porse.

- Lo disegnò per me il nostro giardiniere quando partii - sussurrò lei persa nei ricordi. Il tessuto rappresentava i tre fratelli molto più giovani di come erano adesso.

- Siete davvero molto uniti - disse Mark restituendoglielo.

- Non posso immaginare che gli capiti qualcosa, a nessuno dei due - sussurrò guardando davanti a sé.

- Per questo saresti andata comunque nel covo della Fratellanza - puntualizzò lui fissandola. Lei si voltò, una singola lacrima scese sulla guancia destra.

- Per questo sarei andata comunque - annuì lentamente, sollevò una mano stizzita e cancellò la lacrima.

- E' piacevole avere qualcuno che si preoccupa per te - doveva essere un legame davvero forte.

- L'avevo immaginata morta, violentata, e altre mille cose diverse in quelle ore in cui sono stata costretta ad attendere - sibilò con la voce rotta dall'emozione. Guardava davanti a sé, immobile e tesa. Piangeva in silenzio e Mark la lasciò in pace anche se avrebbe voluto abbracciarla e riempirla di baci per scacciare quella tensione.

Sentì improvvisamente la mano di lei insinuarsi sotto la sua appoggiata sulla pietra. Gliela strinse delicatamente ma con fermezza rimanendo immobile, gioendo per quel contatto, felice di essere lì in quel momento e dandosi dello stupido per i suoi pensieri precedenti.

Rimasero così a lungo, la sentì rilassarsi e smettere di piangere sommessamente. Poi lei ruppe il contatto.

- Scusami, non è da me cedere così alle emozioni, grazie per essere rimasto - sussurrò lentamente. Si alzò in piedi scuotendosi la veste.

- Lo sai che mi ha fatto piacere essere qui - gli disse lui rimproverandola - E non devi preoccuparti, nessun Cavaliere saprà di questo tuo momento di debolezza - aggiunse alzandosi e sorridendo. Celia rimase seria e Mark scoppiò a ridere. I due chierici di ronda si voltarono, poi tornarono a passeggiare.

- Prendi tutto sullo scherzo - ribadì con voce gelida.

- Sono contento che almeno uno di noi due lo faccia ogni tanto - le disse fissandola.

- Chiedo il permesso di andare - Celia fece un lieve inchino. Mark annuì e lei percorse a rapidi passi il camminamento oltrepassando i due chierici e dirigendosi alle scale dalla parte opposta.

Era testarda, caparbia e orgogliosa ma nonostante ciò voleva conquistarla e convincerla che potevano restare insieme nonostante fossero cavalieri. Forse avrebbe cambiato idea una volta raggiunta quella carica che tanto bramava. Domani sarebbero ripartiti nel pomeriggio dopo l'esecuzione e quel mese di viaggio che li separava da Torap sarebbe stato un incubo.



La piazza era gremita, c'era così tanta gente che non si riusciva a camminare. Uno sgradevole odore di sudore e di bestiame saturava l'aria. Celia si fece spazio tra la folla cercando di raggiungere Janos e altri chierici che si trovavano nei pressi della forca allestita per l'occasione.

- Preferirei di gran lunga tornare in quella taverna e bere qualche birra che essere qui a vedere un uomo penzolare dal cappio... - borbottò Klod dando uno spintone ad un uomo grasso che colava sudore.

- Terminata l'esecuzione partiremo immediatamente, non voglio doverti raccogliere in qualche bassofondo di Mitrander... - ribadì Celia guardandolo storto.

- Fa caldo! - si lamentò Kathe scuotendo un grande ventaglio che aveva acquistato la sera precedente al mercato. C'erano migliaia di mosche e altri fastidiosi insetti che ti volavano intorno e mordevano senza sosta.

- Dov'è Erik? - chiese alla sorella intravedendo Janos che le fece un cenno.

- E' andato a vendere le porcellane, ci raggiungerà appena possibile - rispose Kathe guardandosi intorno.

- Ma che bisogno c'era? - sbuffò Klod guardando la sorella.

- Ha detto che tanto valeva realizzare qualcosa da quelle porcellane - Kathe fece spallucce. Avevano raggiunto l'impalcatura di legno. Dietro di essa c'era già un carro con le sbarre che teneva rinchiuso Artiglio Rosso.

- Sei arrivata appena in tempo Celia - le disse Janos indicando il boia che apriva la gabbia.

Celia individuò Sir Ogrimar, Sir Alish e Mark insieme all'Alto Chierico di Mitrander. Non c'era il Principe Lewel che credeva avrebbe partecipato ma forse per una questione di sicurezza lo avevano lasciato tra le mura protettive del Monastero.

Klod fece passare avanti Kathe che aveva seguito il consiglio della sorella e aveva acconciato i capelli sulla nuca coprendoli con un turbante come usava da quelle parti.

Il boia, un gigante dalla pelle d'ebano con una tunica lunga e nera, prese Artiglio Rosso per un braccio trascinandolo con fermezza. Era legato ai polsi e alle caviglie con catene robuste. Salirono le scale, lo posizionò sotto il cappio e glielo passò intorno al collo assicurando bene il nodo.

Celia colpì col gomito Klod attirando la sua attenzione verso una carrozza bianca e regale. Chissà se il Sultano sapeva che la figlia era lì. La porta della carrozza si aprì e Sanie uscì lentamente. Il pubblico che mormorava si zittì. La bellissima Principessa piangeva ininterrottamente ma manteneva il passo regale mentre si avvicinava alla forca. Stava dicendo a tutti quale era il suo ruolo in quella faccenda e quali i sentimenti che la legavano al bandito.

Il boia, che stava per tirare la leva della botola, si fermò guardandola. Sanie salì sulla piattaforma seguita da due soldati della Guardia Reale del Sultano. Indossava uno stupefacente abito bianco, quasi trasparente, che poco lasciava all'immaginazione. I capelli ricci e lunghi erano sciolti in una nuvola sulla schiena e indossava un paio di sandali bassi e ricamati.

Artiglio Rosso osservò ogni suo passo, la bramava e ammirava con lo sguardo e sorrideva della sua audacia. Sanie lo raggiunse, si asciugò le lacrime che scorrevano incessanti, lo fissò qualche istante, gli circondò il collo con le braccia sensuali e lo baciò profondamente.

Si scostò da lui al limite della botola, restando con lo sguardo fermo sull'uomo che amava, ricambiato da lui allo stesso modo, fece cenno al boia, che tirò la leva impiccandolo. Sanie lo guardò morire, poi si voltò a guardare la folla. Aveva uno sguardo glaciale e terribile, carico di rabbia e vendetta.

Fece un passo verso la carrozza e una freccia la colpì in pieno petto. La prima non era ancora entrata del tutto che ne seguì immediatamente una seconda e una terza. La piazza urlò all'unisono, le guardie scattarono, i chierici corsero verso la Principessa.

Celia e Klod si guardarono. L'arciere era stato talmente veloce che poteva essere solo quello che aveva rapito Kathe ed Erik. Si guardarono intorno ma poteva aver scoccato i suoi dardi da qualsiasi finestra.

- Non troveranno mai quell'arciere - la voce di Erik li raggiunse dal delirio che li circondava. Celia notò che si avvicinò immediatamente con atteggiamento protettivo a Kathe.

- Torniamo al Monastero, è inutile restare in questa calca - suggerì Janos lanciando un'ultima occhiata alla piattaforma dove Artiglio Rosso pendeva ondeggiando lentamente e la sua Principessa giaceva morta in un lago di sangue.

Celia annuì, girarono intorno alla piattaforma, evitando la calca della folla, e si diressero rapidamente al Monastero.

- Che storia incredibile - commentò Kathe.

- Sembrava amarlo davvero - aggiunse Erik - Quel bacio ha dimostrato a tutti come stavano davvero le cose -

- Era un brigante, rubava, rapiva e uccideva, se scegli un tipo d'uomo sai cosa aspettarti... - disse Celia borbottando.

- Non mi sembri molto esperta per giudizi del genere -  la rimbrottò la sorella sbuffando.

- Non lo sono ma non mi sceglierei mai un uomo del genere se potessi - ammise Celia tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, non voleva che Kathe capisse che non riteneva Erik alla sua altezza.

- Oh no, certo, la mia sorellina perfetta sceglie i suoi amanti fra i cavalieri dell'Ordine infatti! - ringhiò Kathe facendoli voltare tutti, per ultima Celia. Janos sollevò un sopracciglio perplesso.

- Come io non interferisco nelle scelte discutibili dei tuoi uomini, non provare a farlo con me - sibilò Celia tornando a camminare. Kathe avrebbe voluto ribattere ma Klod le dette di gomito e lei si zittì borbottando.

In pochi minuti, in tutta la città si sapeva dell'assassinio. La gente parlottava per le strade, alcuni correvano verso la piazza, altri scappavano da essa. Quando videro le confortanti mura del Monastero, Celia tirò un sospiro di sollievo. I portoni si aprirono e nella corte interna incontrarono i due nani gemelli Khul e Kurtz che discutevano animatamente con un divertito Lewel. Appena li videro entrare compresero che c'era qualcosa che non andava.

- Cosa è accaduto? - chiese il Principe elfo senza staccare gli occhi da Kathe.

- Hanno assassinato la Principessa Sanie - disse Celia proseguendo verso le stanze di Sir Ogrimar. Janos andò direttamente alle stalle.

- Sarà meglio prepararci a partire - disse Erik raggiungendo il suo carro, pieno di meravigliosi tessuti, spezie e profumi che avrebbe rivenduto a caro prezzo a Torap.

- Voi cosa avete intenzione di fare? - chiese Klod ai due nani. Erano compagni di bevuta perfetti oltre che guerrieri indomiti e coraggiosi. I due gemelli si guardarono colti alla sprovvista.

- Siamo soli, non abbiamo nessuno che ci leghi qui, forse è ora di tornare alla nostra terra, a nord - disse Khul.

- Ci uniremo volentieri alla carovana se ci volete con voi - aggiunse Kurtz lisciandosi la barba.

- Saremo scortati da una colonna di chierici, cosa volete di più - sorrise Klod dando una pacca sulla spalla ad entrambi i nani. Lewel sorrise.

- Sarà un viaggio interessante - commentò l'elfo fissando Kathe che aiutava Erik a sistemare le cose sul carro.

- Se posso permettermi, Principe, vi consiglio di fare attenzione con mia sorella - gli sussurrò Klod sotto lo sguardo attento dei due nani.

- Durante il nostro viaggio non avevi alcun problema a dirmi le cose come stavano e non usavi titoli - borbottò Lewel, e i due nani ridacchiarono.

- Le cose cambiano, Principe - ammiccò Klod - Prepariamo i cavalli? - aggiunse poi incamminandosi verso le stalle.

Quando l'Alto Chierico e i Chierici Cavalieri tornarono, era ormai pomeriggio inoltrato. Il comandante delle guardie reali li aveva trattenuti per ascoltare la loro versione. La città era stata chiusa, le porte sbarrate, e c'erano in giro centinaia di soldati armati fino ai denti. La Principessa Sanie era stata trasportata alla reggia seguita da cittadini che piangevano e si disperavano.

- Hianick dove sei?! - gridò Sir Ogrimar. Klod si affacciò dalla stalla, Kathe dal carro e Celia uscì di corsa dagli alloggi dei Cavalieri rossa in volto. Sir Mark e Sir Alish sorrisero guardandosi.

- E' tutto pronto Sir - rispose la giovane che si accorse immediatamente di quanto fosse irritato per essere stato trattenuto.

- Sir Alish, la colonna pronta nel cortile in dieci minuti. Sir Mark, con me dall'Alto Chierico, finiamo questa farsa e andiamocene da qui prima che cambino idea e ci chiudano dentro - gridò Sir Ogrimar infastidito. Celia esalò il respiro, contenta che l'avesse ignorata. Si voltò per tornare negli alloggi e caricare le casse sul grande carro.

- Hianick portami il bauletto! - gli gridò dall'altra parte della corte. Celia sussultò e si mise a correre, Klod e Lewel sorrisero e lei gli lanciò un'occhiataccia. E credeva di averla scampata…

Quando entrò nello studio dell'Alto Chierico, Sir Ogrimar stava discutendo animatamente con lui. Mark le lanciò un'occhiata di ammonimento e lei rimase in silenzio. La discussione verteva sul baule di monete d'oro e sull'assassinio della Principessa. Il Sultano riteneva in qualche modo responsabili i chierici del Monastero e gli aveva interdetto l'accesso a palazzo.

L'Alto Chierico girava a loro il problema ma Sir Ogrimar non ci stava a rimanere incastrato in quella città puzzolente per chissà quanti mesi.

- Ci abbiamo messo anni per riuscire a suscitare interesse e rispetto in questi popoli barbari e schiavizzati. Voi arrivate e in due giorni, dico due giorni, vi fate scappare Artiglio Rosso, distruggete il loro covo e il giorno della sua impiccagione permettete che i suoi sicari lo vendichino impalando la Principessa di Agrabaar! - l'Alto Chierico picchiò un pugno sulla scrivania. Celia pensò immediatamente alla palla di fuoco di Kathe e abbassò lo sguardo al suolo.

- Abbiamo ripreso Artiglio Rosso e lo abbiamo assicurato alla guardia reale, se loro non sono capaci neanche di difendere la loro Principessa, cosa possiamo farci noi? - ribadì ringhiando Sir Ogrimar, poi si voltò verso Celia e le prese il baule dalle mani. Lo aprì e tirò fuori una pergamena sigillata. L'Alto Chierico lo guardava con sospetto.

- Questa è una missiva dall'Alto Chierico di Fir Ze nel caso le cose fossero degenerate - la sbatté sul tavolo, chiuse il bauletto e porgendolo a Celia si apprestò ad uscire.

- Non vi ho ancora congedato Sir Ogrimar! - gridò l'Alto Chierico con gli occhi fuori dalle orbite. Mark tratteneva a stento una risata.

- Mi sono appena congedato - rispose di spalle Sir Ogrimar senza neanche voltarsi. Celia era sicura che all'Alto Chierico sarebbe venuto un colpo, aveva la faccia paonazza e gli occhi iniettati di sangue. Mark uscì celando un sorriso e lei lo seguì chiudendo la porta dello studio.

- Sir Mark, acceleriamo le operazioni di uscita, voglio raggiungere lo stretto quanto prima - ordinò Sir Ogrimar. Nella corte interna i chierici erano già a cavallo, Sir Alish che gridava ordini. I due nani su pony pezzati robusti, il Principe Lewel e Klod affiancavano il carro che a cassetta aveva Erik e Kathe.

- Sembra che Sir Alish abbia intuito i vostri pensieri - ridacchiò Mark. Janos gli stava venendo incontro tirando per le redini i due cavalli dei cavalieri e le lanciò uno sguardo interrogativo. Lei fece cenno che gli avrebbe raccontato tutto dopo. Celia rimise il bauletto al suo posto nel grande carro, raggiunse rapidamente il cavallo, le grandi doppie porte del Monastero di Mitrander si aprirono e uscirono nella città agitata e piena di soldati.



Per tutto il viaggio fino allo stretto, i cavalieri furono nervosi, si guardavano intorno e si aspettavano imboscate dai seguaci della Fratellanza di Sangue ma non accadde niente. La traversata fu tranquilla come la sosta nel Monastero di Roghudi. Avere i suoi fratelli vicino rese il viaggio di ritorno meno stressante. Era impossibile dimenticare il bacio di Janos sulle mura, così Celia si tenne sempre occupata attenendosi scrupolosamente ai suoi doveri nei confronti di Sir Ogrimar. Quando la sera aveva del tempo libero, studiava con Janos assicurandosi di scegliere un posto ben in vista a tutti, in modo che fosse chiaro cosa stavano facendo.

- In questi giorni ho avuto modo di osservare Mark - esordì Kathe quella sera, erano in viaggio da dodici giorni e si erano accampati fuori dal villaggio di Vilen, che non aveva una taverna, così avevano montato le tende. Celia guardò la sorella, sapeva che il giorno di questa chiacchierata sarebbe arrivato.

- Ti ricordo che è un Cavaliere, gli devi rispetto - borbottò Celia. Kathe fece un gesto che indicava che la cosa non era importante, almeno non per lei.

- Ogni sera, quando studi insieme a Janos, lui si trova da qualche parte e vi guarda. Ha lo sguardo scuro, come quello di un vendicatore - Celia sorrise inevitabilmente immaginandosi la scena - E quando vi allena con la spada, ti spoglia con gli occhi - concluse la sorella sussurrando.

- Smettila di dire sciocchezze Kathe - ribadì Celia passando il panno sulla lama della spada. Erano sedute vicino ad un tronco, era buio ma non faceva freddo.

- Io non sbaglio mai quando osservo - la contraddisse la maga - Sei andata a letto con Janos? - chiese poi d'improvviso. Celia sollevò lo sguardo fissandola.

- No - rispose concisa, e tornò ad occuparsi della spada.

- Ma c'è stato qualcosa - insisté lei avvicinandosi.

- Un bacio - ammise - E niente altro! - aggiunse quando sentì Kathe emettere un suono soffocato.

- Se il nostro Cavaliere tenebroso lo sapesse, ucciderebbe il povero Janos in un sol colpo! - disse Kathe con tono teatrale. Celia sollevò lo sguardo corrucciato.

- Non mi guardare così, sai che è vero - e fece una linguaccia.

- Tu piuttosto, hai intenzione di giocare ancora molto con quei due poveretti? - chiese Celia rinfoderando la spada perfettamente lucida.

- Non sto giocando affatto... - sussurrò Kathe e per la prima volta le parve davvero indecisa.

- Non si possono amare due persone contemporaneamente - tagliò corto Celia fissandola.

- E chi l'ha detta questa cosa assurda? - domandò la maga guardandosi le dita.

- E' così e basta, ci si dedica a malapena ad una persona, è impossibile spartire l'affetto equamente fra due... - Celia le prese una mano fra le sue.

- Non lo so Celia, davvero, se lo sapessi avrei già scelto, mi serve tempo ancora... - sussurrò con le labbra che tremavano.

- Nostro padre acconsentirebbe ovviamente ad una unione con la casa reale elfica ma nel caso di Erik... - lasciò la frase in sospeso. Kathe aveva gli occhi lucidi.

- Ma non è detto che la casa reale elfica ceda un suo Principe - balbettò lei.

- Non è primogenito, non credo abbia degli obblighi matrimoniali anche se non possiamo saperlo... - annuì Celia.

- Erik non è il semplice ladro che dice di essere. C'è qualcosa in lui, come parla, come si muove, certe sue idee, non può venire dalla strada è impossibile... - disse più a convincere sé stessa che la sorella. Celia sorrise e strinse la mano delicata fra le sue.

- Si sistemerà tutto - e la baciò sulla guancia stringendola forte.

- Cosa farai se nostro padre ti imporrà un matrimonio? - le chiese dopo qualche minuto di silenzio.

- Farò il mio dovere - rispose Celia rassegnata appoggiandosi al tronco.

- Lo ami? - le domandò la sorella. Trascorsero alcuni minuti ma Kathe attese paziente.

- Sì - rispose Celia infine con un filo di voce.

Dopo quella chiacchierata Kathe sembrò lasciarla in pace, non fece più battute pungenti su Mark e perfino Klod venne a chiederle se era accaduto qualcosa.

Sir Mark proseguì con l'allenamento ma anche lui stranamente non la tormentò più e non avrebbe saputo dire se perché non c'era materialmente tempo o perché si era rassegnato.

Rivedere le mura di Torap fu un sollievo così grande che per poco Kathe non si mise a piangere. La colonna rientrò al Monastero con il Principe Lewel, mentre Klod, Kathe, Erik e i due nani si congedarono e Sir Ogrimar borbottò qualcosa col suo vocione, una via di mezzo fra una maledizione ed un ringraziamento per aver aiutato nella cattura di Artiglio Rosso.


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Capitolo 18
*** La lettera ***


18. La lettera


La festa dell'inverno era ormai passata e Klod rimpiangeva il caldo del sud e la sua birra scura. Brevi nevicate avevano inasprito il clima e i torrenti più piccoli erano gelati in superficie. Il primo mese dell'anno era trascorso e lui e Kathe si trovavano a casa per una breve licenza. Celia non era venuta, si trovava da qualche parte al nord insieme ad un Cavaliere. Verso la metà dell'anno avrebbe affrontato l'ultimo ostacolo che la separava dalla carica di Chierico Cavaliere.

- Pensi che Celia tornerà mai più a casa? - domandò Klod alla sorella che stava leggendo il suo solito libro di incantesimi.

- Certo che tornerà - rispose lei senza alzare lo sguardo.

- Siamo tornati tre mesi fa da Mitrander e da allora non l'abbiamo più vista... - obiettò il giovane.

- Lo sai che deve prepararsi per quel dannato esame, poi tornerà la Celia di sempre - Kathe sollevò lo sguardo.

- Poco prima dell'estate avrò la possibilità di affrontare un esame anche io e potrò fregiarmi del titolo di Capitano e avrò sotto di me una piccola guarnigione di soldati, potrebbero anche spostarmi -  Klod si alzò e osservò i piccoli fiocchi di neve che imbiancavano il selciato del castello.

- Che la dèa ci aiuti... - sussurrò Kathe immaginando suo fratello che dava ordini.

- Guarda che ti ho sentito - borbottò il giovane.

- Io potrò affrontare la mia ultima prova della Scuola in autunno, dopodiché potrò insegnare a mia volta, entrare al servizio di qualche nobile, viaggiare, oppure costruirmi una bella torre e dedicarmi completamente alla magia e ai nuovi incantesimi - Klod vide distintamente il brillio nei suoi occhi mentre parlava del suo futuro.

- Sempre che nostro padre non ti combini un matrimonio - le fece notare lui versandosi un liquore speziato. La sorella si rattristò e lui si pentì di averlo detto.

Quando erano tornati da Mitrander, il Principe Lewel era rimasto una settimana presso il Monastero, sotto l'ala protettiva dell'Alto Chierico. Poi una scorta, guidata da Sir Ogrimar e Sir Alish, lo aveva riportato nel suo regno. Sapeva tutto questo grazie ad una lettera di Celia in cui le aveva parlato anche dei suoi prossimi viaggi.

Da quello che sapeva Klod, Erik si era dileguato, insieme ai nani, dopo averla riportata alla Scuola ma la sorella non gli aveva confidato niente in merito, e da allora non l'aveva più rivisto.

- La cena è pronta - Erika entrò sorridente nella biblioteca, era contenta di poterli avere a casa qualche giorno anche se la mancanza di Celia l'aveva rattristata.

I due fratelli si alzarono, Kathe chiuse il libro mettendoselo sotto braccio, e seguirono la madre nella sala. Si erano appena seduti che entrò Fabris Hianick. Aveva trascorso tutto il pomeriggio nello studio dopo l’arrivo di un messaggero con una missiva. Aveva il volto scuro e tutti compresero che era accaduto qualcosa.

La cena venne servita, il silenzio di Fabris aveva contagiato tutti e nessuno parlò. Quando erano ormai a fine, Fabris si rivolse a Klod.

- Dobbiamo recarci a Fir Ze, il Duca riunisce i Conti e voglio che tu venga con me - era un ordine, non una richiesta. Klod annuì lentamente anche se non avrebbe saputo che scusa rifilare questa volta al Comandante Arnesh.

- Non preoccuparti per la Guarnigione, ho inviato una lettera al Comandante Arnesh - lo informò suo padre dissipando ogni dubbio. Non era mai stato al palazzo del Duca né aveva mai frequentato nessuno di quella cerchia di potenti.

- Quando partite? - chiese Erika un po' in apprensione come sempre.

- Domani mattina - rispose Fabris alzandosi e tornando nel suo studio.

- E' la prima volta che sento di una convocazione di Conti presso il palazzo, deve essere accaduto qualcosa - sussurrò Erika al figlio.

- Lo scopriremo - disse Klod pensieroso.



Quando Kathe tornò alla Scuola, il giorno dopo la partenza di Klod con suo padre, trovò due lettere presso la segreteria dove venivano lasciati pacchi e missive dall'esterno. Ogni cosa veniva ampiamente controllata e visionata con incantesimi e gli addetti si assicuravano che non ci fossero magie pericolose o nocive.

Una era di Celia, l'altra riportava una calligrafia elegante e arrotondata. Prese le lettere, firmò il registro e si diresse in camera, il baule con tutte le sue cose che fluttuava su un disco levitante accanto a lei.

Appena entrò aprì la finestra, nonostante il freddo dell'inverno la stanza aveva bisogno di essere arieggiata. Aprì la grata che permetteva all'aria calda di entrare. Nei sotterranei della Scuola c'era un'enorme stufa che spingeva l'aria calda nei condotti scavati nella pietra fino nelle stanze e aule. Era un sistema ingegnoso e la magia non c'entrava niente.

Svuotò il baule, mise il suo libro sulla scrivania e si sedette sul letto aprendo la lettera di Celia. Gliel'aveva spedita poco prima di partire per Ashai, la Contea più a est nel Ducato di Lisemo. Klod aveva detto che era a nord, quindi era tornata e ripartita.

La lettera era breve, la informava che Lewel era arrivato sano e salvo da suo padre, che l'Ordine aveva ricevuto grandi onori per questo motivo dal popolo elfico, e che aveva ricevuto dal Principe un piccolo pacchetto per lei.

Kathe si bloccò, la bocca asciutta. Ma come... Celia era partita senza portarle il pacchetto? Come aveva potuto?! Era furibonda, strinse la pergamena nel pugno che si accartocciò crepitando. Poi si ricordò che c'era scritto altro. La distese appoggiandola sulla coperta e scoprì che Celia aveva lasciato il pacchetto presso l'Ordine dove poteva ritirarlo. Arrossì vergognandosi di aver pensato male. L'indomani sera, alla fine dei corsi pomeridiani, sarebbe passata a prenderlo. Chissà cos'era. Piegò la lettera e la mise insieme alle altre ricevute dai fratelli che teneva in uno scrigno di legno.

Si sedette di nuovo e prese la seconda lettera. Non era la solita pergamena gialla ma era bianca e più sottile, ruvida al tatto. Scorse rapidamente la calligrafia elegante fino alla firma, era di Lewel. Il suo cuore iniziò a battere rapido. Tornò all'inizio della lettera leggendo avidamente. Raccontava brevemente del suo viaggio di ritorno e di come i cavalieri dell'Ordine fossero stati ligi al loro dovere. Poi si scusava, per non aver detto subito chi fosse in realtà, e aggiungeva che fare parte della famiglia reale non era così vantaggioso come ci si poteva aspettare. Si rammaricava di non averle potuto parlare durante il viaggio di ritorno come avrebbe voluto e voleva rimediare a questa sua mancanza invitandola nel Regno degli Elfi insieme ai suoi fratelli per mostrargli la sua casa. Kathe espirò tutto il fiato e si appoggiò la lettera al petto. Pochi umani avevano avuto il privilegio di visitare il regno elfico, e loro sarebbero stati addirittura ospiti della famiglia reale! Doveva scrivere immediatamente a Klod e Celia per avvisarli! Terminò di leggere la lettera con la mente in subbuglio. Lewel si augurava che il piccolo dono che aveva inviato sarebbe stato di suo gradimento e chiudeva la lettera dicendole che non passava giorno in cui non pensasse al suo sorriso.

Kathe piegò la lettera, se la infilò in tasca, uscì dalla camera, corse a perdifiato giù per le scale fino all'ingresso della Scuola. Aveva il respiro corto per la corsa improvvisa, la giovane che presidiava l'ingresso e accoglieva i visitatori la guardò alzando un sopracciglio.

- Devo andare al Monastero, subito - disse Kathe avvicinandosi più lentamente.

- Sapete che la sera gli allievi non possono uscire - rispose rimproverandola.

- Per favore, io devo andare! - supplicò Kathe. Ma la ragazza scosse la testa senza aggiungere altro. Tornò in camera e scrisse immediatamente due lettere ai fratelli.



Il castello del Duca Arstid a Fir Ze si trovava su una collina ed era elegante, di pietra e marmo, non aveva niente di militare. Somigliava ai castelli delle favole, con il fossato, il ponte, le torri, i corridoi e le stanze immense, piene di specchi e camini. C'erano una quantità di servitù che si preoccupava di ogni ospite, ogni famiglia che era stata invitata aveva almeno due cameriere in abiti lunghi bianchi e rossi, e paggi, giovani ragazzini figli di nobili che servivano presso il duca.

Klod rimase a bocca aperta quando varcarono la grata principale oltre il ponte. All'interno c'era un giardino pieno di alberi e un prato perfettamente curato e pieno di fiori. Gli ricordò molto il giardino della Villa estiva che curava Mahatma. Ai lati si innalzavano le mura, con archi e passaggi che si intersecavano fra loro. In mezzo c'era un ampio selciato di pietra che portava ad un arco e alla corte interna dove gli stallieri si prendevano immediatamente cura delle cavalcature e delle carrozze.

Furono accolti da un servitore in livrea nera e bianca che li accompagnò all'interno. Una grande scalinata si apriva a destra e sinistra e si ricongiungeva in alto dove si intravedeva un corridoio. Imboccarono la scala a destra, grandi finestre ad arco coperte di vetri a mosaico illuminavano di colori l'ambiente. Il grande corridoio superiore aveva un tappeto lungo e spesso che attutiva i loro passi sulla pietra. In fondo svoltarono a sinistra e salirono un'altra larga scala che piegò su sé stessa due volte fino a raggiungere un altro corridoio e trovarono due cameriere che li accompagnarono nella loro stanza.

Fabris aveva preferito viaggiare leggero, non aveva intenzione di trattenersi, aveva scritto al Duca che non serviva una stanza per loro, che sarebbero ripartiti la sera stessa ma la sua richiesta non era stata accolta dato che gli era stata assegnata una stanza. Erika aveva preparato un piccolo baule con il materiale per scrivere da cui Fabris non si separava mai e dei vestiti eleganti di ricambio, conoscendo Klod non voleva che sfigurasse in mezzo a tutta la nobiltà. Quando erano arrivati, un giovane paggio aveva preso il baule dalla sella di Klod e lo aveva portato via.

Stavano per entrare quando Klod si accorse che la stanza accanto alla loro era aperta e un paggio stava faticando nel portare dentro un baule enorme.

Guardò un istante suo padre, che annuì, e lo aiutò a portarlo dentro. Il paggio alzò lo sguardo quando il peso divenne minore e sorrise al giovane in abiti semplici che lo stava aiutando.

- Una mano fa sempre comodo, questi ricchi quando viaggiano si portano dietro i loro castelli - sbuffò il ragazzino lentigginoso. Probabilmente lo aveva scambiato per un paggio di uno degli ospiti. Klod sorrise e fece finta di niente.

- Sembra che dentro ci siano dei sassi... - constatò ridacchiando. L'interno della camera era perfettamente arredato, con un grande letto a baldacchino, tende pesanti di velluto, un camino di marmo che ardeva, tavolino e sedie, un divanetto e un vaso di fiori profumati.

- Gli abiti costosi pesano, non lo sai? - la voce giunse alle sue spalle, il paggio sbiancò sollevando lo sguardo e Klod si voltò. Due occhi neri sotto una fronte corrucciata lo fissavano. La giovane indossava un bell'abito per cavalcare, aveva i guanti e i capelli neri e ricci erano raccolti sulla nuca e fermati da una coroncina dorata.

- Sei sfacciato a guardarmi così, lasciami passare - disse arrossendo all'esame spudorato di Klod e passò in mezzo a loro entrando nella stanza.

- Sono dolente, milady - disse il paggio facendo un inchino profondo e balbettando.

- Portatelo dentro, su che aspettate? - disse senza neanche voltarsi a guardarli. Si tolse i guanti e li buttò sul letto. Klod alzò un sopracciglio apprezzando la schiena diritta e le braccia tornite, non era troppo alta ma proporzionata. Il paggio gli lanciò un'occhiataccia, riprese il baule e aiutato da Klod lo portò dentro.

- Appoggiatelo lì - ordinò indicando il fondo del letto - Mia madre sta arrivando e non volete che si irriti - aggiunse guardandoli con cipiglio deciso. Klod alzò di nuovo un sopracciglio, aveva le labbra piene e le guance arrossate per la cavalcata. Il paggio si inchinò e uscì chiamandolo con lo sguardo. Klod si attardò un attimo in più e lei lo fulminò con lo sguardo che indicava un profondo disprezzo.

- Ma chi è? - domandò Klod al paggio che era bianco come un fantasma quando furono fuori dalla stanza.

- E' la figlia della Contessa Roderick di Pemiol, Arielle, la madre è vedova e in cerca di un marito che possa portarle un'alleanza forte - sussurrò il paggio. Klod lo guardò meravigliato. Era indubbiamente ben informato.

- Grazie dell'aiuto, devo tornare ai miei doveri - e scappò via in direzione della scala. Klod entrò in camera, suo padre era alla scrivania e stava scrivendo qualcosa. Aveva indossato l'abito nero e blu che sua madre aveva messo nel baule e lui si accinse a fare la stessa cosa riflettendo sull'atteggiamento della contessina nei confronti della servitù. Suo padre non aveva mai trattato con disprezzo nessuno e loro erano cresciuti con quel tipo di educazione. Klod e le sue sorelle non si erano mai permessi di denigrare nessuna cameriera o altra persona che lavorasse presso di loro. La voce del padre lo riscosse dai suoi pensieri.

- Stasera dovrai fare attenzione a tre persone, il Duca Arstid, l'Alto Chierico di Fir Ze e il Conte Morris di Niesa - iniziò suo padre - Inoltre dovrai fare molta attenzione con il figlio del Duca, Alexei, e i figli dei conti che ci saranno, ascolta molto e parla poco - gli suggerì Fabris guardandolo intensamente.

- Cosa sta succedendo? - chiese Klod finendo di vestirsi. Era un abito molto simile a quello del padre, nero e blu con alcuni ricami d'argento vicino ai polsi e al colletto della casacca.

- La morte di Artiglio Rosso non ha portato alcun beneficio. Qualcun’altro ha preso il suo posto e portato avanti il suo piano. La Fratellanza di Sangue non ha rapito solo il Principe Lewel degli elfi ma anche altri importanti membri di famiglie nobili, compreso il Principe Stephan - Fabris aveva parlato lentamente, con un tono pacato ma teso.

- Il Principe Stephan? - Klod non poteva credere ai suoi orecchi. Era il primogenito del Re ed erede al trono.

- Ciò che avete fatto liberando il Principe degli elfi è stato encomiabile e coraggioso, oltre che avventato ma era solo la punta di un vulcano dormiente -

- Ma cosa vuole la Fratellanza? - domandò Klod incredulo di esser stato parte di una cospirazione su scala così vasta.

- Soldi e terre, le uniche due cose per cui valga mettere in piedi una cosa del genere - rispose suo padre sospirando.

- Vogliono fare una guerra? - gli domandò con voce appena udibile.

- No, siamo qui per questo motivo, il Re vuole provare qualcosa di molto simile a ciò che avete fatto, ispirato proprio dalle azioni dei cavalieri dell'Ordine ad Agrabaar - lo guardò con un sorriso compiaciuto. Era orgoglioso di quanto avevano fatto anche se inizialmente, quando Klod e Kathe gli aveva raccontato quell'avventura, lui si era alzato ritirandosi nel suo studio senza fare alcun commento.

Klod tirò un sospiro di sollievo. Le guerre non gli erano mai piaciute, muore tanta gente, quando magari un gruppo ristretto e ben addestrato potrebbe risolvere ogni cosa.

Un bussare discreto alla porta interruppe i loro discorsi.

- Conte Hianick, siete atteso - disse con deferenza il paggio che aprì la porta. Era lo stesso del baule e quando vide Klod sbiancò riconoscendolo e rendendosi conto che era il figlio del Conte Hianick. Klod gli strizzò l'occhio e il giovane si riprese.

Lo seguirono lungo il corridoio facendo la strada indietro fino all'ingresso. Scesero la grande scalinata e passarono sotto la sua volta, una sala enorme si apriva, piena di specchi e candelabri che riflettevano la luce. Sul lato destro e sinistro erano state posizionate molte piante in vaso che rallegravano la sala. Lunghe e pesanti tende rosse coprivano i vetri delle finestre alte e strette. Fuori doveva essere ormai sera ma lì dentro il tempo sembrava sospeso. Quattro grandi camini ardevano e scaldavano la sala, un lunghissimo tavolo era al centro circondato da decine di sedie, molte erano già occupate.

Il paggio si diresse sicuro verso due sedie, le spostò indicando così i loro due posti. Fabris lo ringraziò ma preferì dirigersi verso alcune persone.

Klod lo seguì guardandosi intorno, non conosceva nessuno dei presenti. C'erano circa una cinquantina di persone, riunite in gruppetti che sussurravano fra loro. Si udiva una musica di sottofondo, e voltandosi Klod notò due violinisti e una cantante in un'alcova sulla destra.

Suo padre fece le presentazioni e scoprì di essere al cospetto del Conte Vilyu Morris, alto e magro con due lunghi baffi, suo figlio Jenil dalla faccia antipatica e rotonda come una mela, l'Alto Chierico di Fir Ze Leon Gelithar, il Conte Vincent e il Conte Hightower.

Parlarono brevemente del problema della Fratellanza e poi passarono al rapimento del Principe Stephan. Sembrava che la Fratellanza fosse stranamente interessata ai tre ducati nel sud del regno. Voleva quei territori per un motivo sconosciuto e nessuno sapeva spiegarsi perché era stato rapito anche il Principe degli elfi.

- Potrebbe essere relativo a ciò che la terra degli elfi e i regni del sud hanno in comune - il gruppo si voltò verso la voce che aveva parlato e Klod si rese conto delle meraviglia sui loro volti, perfino su quello di suo padre.

- Saggia Eleanor, è un onore poter condividere con voi i nostri timori - disse ossequiosamente il Conte Morris. Mentre tutti si presentavano, Fabris rimase indietro ed ebbe così tempo di avvisare Klod.

- E' l'Arcimaga che guida la Scuola di Magia, paragonabile al Patriarca dell'Ordine in quanto a potere politico. Ma non comprendo cosa faccia qui, è molto raro incontrarla, tanto più da un Duca... - gli sussurrò Fabris. Poi fu il loro turno di salutare l'anziana maga. Era alta e sottile come un giunco, i lunghi capelli grigi erano acconciati intorno alla nuca in due grandi trecce e fermati con spille di legno intarsiato. Indossava una veste ampia e lunga fino ai piedi, con le maniche grandi e comode, di un intenso rosso scuro. Fabris baciò la mano che porgeva e la salutò.

- Conte Hianick, ho saputo dell'impresa dei vostri figli presso la Fratellanza ad Agrabaar - disse Eleanor con la sua voce calma e riflessiva, guardando attentamente prima il padre e poi il figlio.

- I miei figli sono giovani e difficili da guidare - ammise Fabris mantenendo un tono sicuro e pacato.

- Sembra che abbiate fatto un ottimo lavoro - disse invece la maga tenendo lo sguardo su Klod che si sentiva stranamente a disagio.

- A volte sfuggono al nostro controllo - sorrise Fabris apprezzando il complimento

- Ciò che hanno fatto è stato ardito anche se avventato - fissava sempre Klod che con la coda dell'occhio vide una donna grassoccia con un abito giallo canarino pieno di pizzi e gale attraversare quasi di corsa la sala.

- Saggia Eleanor, la penso esattamente come voi - annuì Fabris guardando il figlio.

- Riverita Eleanor! - la voce stridula della Sylvie Roderick pervase l'aria. Klod era certo di aver intravisto un lampo di irritazione negli occhi dell'anziana maga.

- Contessa Roderick, è passato molto tempo - le sorrise però in modo benevolo - Vi siete ripresa dal vostro lutto? - aggiunse osservando lo sgargiante vestito.

- E' stato così doloroso perdere il mio dolce marito, il mio cuore sanguina ancora - disse in modo teatrale la contessa spingendo avanti la figlia. Klod trattenne una risata.

- E questo giovane fiore è indubbiamente la piccola Arielle, che è sbocciato stupendamente - disse la maga avvicinandosi alla giovane che appariva dimessa, con lo sguardo abbassato.

- E' un onore incontrarvi, riverita maga - Arielle fece un inchino da manuale

- Siete educata e molto bella Arielle, non perdete queste qualità e il mondo vi cadrà ai piedi - le parole di Eleanor suonarono come una profezia, tanto che la giovane alzò lo sguardo e vide così Klod. Quando il giovane si accorse che Arielle aveva capito che non era un paggio, le strizzò l'occhio.

- Vedo che avete notato il nostro coraggioso Klod Hianick - aggiunse la maga sorridendo - Le sue gesta hanno permesso la liberazione del Principe Lewel -

Klod fece un lieve inchino all'indirizzo della giovane e fu compiaciuto nel constatare che era stizzita e imbarazzata. Sua madre le diede di gomito e Arielle fece un lieve inchino cercando di sorridere.

La discussione circa la Fratellanza riprese e Klod si avvicinò lentamente ad Arielle.

- Quindi voi siete il figlio del Conte Hianick - esordì la giovane sussurrando, la voce tesa.

- Per servirvi, milady - rispose Klod avvicinando le labbra al suo orecchio. Lei si voltò scostandosi di scatto.

- Perché non mi avete detto chi eravate in camera? - gli domandò stizzita con le guance in fiamme.

- Avete fatto tutto da sola, milady - le fece notare lui sorridendo eccessivamente. Era divertente vederla in imbarazzo. Lei chiuse la bocca e rimase in silenzio.

- Vogliamo ricominciare? - le propose lui sempre sorridendo. Indossava un abito dalla gonna ampia, turchese, che faceva risaltare la sua meravigliosa cascata di capelli ricci, neri come l'ala di un corvo. Gli occhi erano grigi e brillavano come gemme. La pelle chiara e rosea appariva liscia e al tatto doveva essere come seta. Le porse la mano aperta.

Arielle lo guardò per qualche attimo, poi posò la mano sopra la sua e lui la baciò lievemente. La pelle profumava di violette.

- Ora che abbiamo rimesso le cose a posto, cosa ne dite di una passeggiata in giardino? - suggerì Klod avvicinandosi. Arielle lo guardò esterrefatta.

- Voi siete veramente sfacciato! - sibilò voltandosi e tornando dalla madre. Klod la guardò per un istante pensando che non avesse tutte le rotelle a posto.

- È una donna complicata e volitiva, dovete fare attenzione se desiderate entrare nelle sue grazie - disse una voce alle sue spalle. Klod si voltò e si trovò di fronte un giovane alto e asciutto, biondo e con gli occhi chiari, che aveva forse una decina d'anni più di lui. Indossava un farsetto rosso e oro, pantaloni neri e stivali di cuoio lucidi come specchi.

- Oggi mi ha scambiato per un paggio e ora si è resa conto che non lo sono. Un brutto colpo per il suo ego - ridacchiò Klod.

- Milord Alexei - la voce suadente e perfettamente impostata lo fece voltare. Una ragazza dai lunghi capelli biondi acconciati in modo complesso con un meraviglioso abito blu notte si avvicinò sorridendo dolcemente al figlio del Duca. Klod osservò più attentamente il giovane attraente e serio.

- Helen, siete radiosa questa sera - rispose il giovane baciandole la mano con un movimento perfetto.

- Guardate la nuova generazione che cresce! - esclamò una voce femminile e gioviale.

- Madre - e Alexei fece un lieve inchino imitato da tutti i presenti. La Duchessa Arstid era una donna robusta fasciata in un abito ampio di un tenue rosa pastello che la faceva somigliare ad un grande pasticcino.

- Ma chi abbiamo qui? - tutti si avvicinarono intorno a loro - Helen cara siete raggiante come una stella, dov'è vostro padre? -

- Duchessa, siete la più bella rosa del giardino - la adulò una voce profonda il Conte Berin di Rovilon, una delle contee sulla costa.

- Che adulatore siete, Conte Berin - gli sorrise la Duchessa guardandosi intorno - Riverita maga, è un onore ospitarvi nella mia casa - e fece un lieve inchino ricambiato dalla maga - Arielle ma che bel faccino avete ottenuto crescendo - la giovane fece un lieve inchino e così la madre - E questo bel giovane ha un volto familiare - scrutò Klod, che le sorrise inchinandosi.

- Klod Hianick, Duchessa - rispose, sebbene sapesse che il cerimoniale voleva che fosse suo padre a presentarlo la prima volta.

- Hianick, i fratelli del problema ad Agrabaar... - disse socchiudendo gli occhi e avvicinandosi. Klod rimase stupito che la questione fosse salita così in alto. - Dov'è vostro padre? -

- Duchessa, avete portato un raggio di sole in questa stanza altresì piena di pensieri oscuri - Fabris sorrise e si inchinò lievemente ma a Klod non sfuggì lo sguardo teso che si scambiò con il Conte Berin.

- Conte Hianick, quando riaprirete il vostro meraviglioso giardino? - chiese la donna con un sorriso incantevole e trasognato.

- La prossima estate, se tutto andrà per il meglio - annuì lui orgoglioso.

- Vostra figlia Celia non è qui con voi? - chiese poi guardandosi intorno. La domanda insospettì immediatamente Klod.

- Purtroppo no milady, l'Ordine la tiene molto occupata - rispose Fabris restando impassibile. La Duchessa si imbronciò mentre il Conte Berin sorrise sotto i baffi che rendevano il suo volto austero e attraente.

- Fra poco arriverà mio marito e potrete trascorrere le prossime ore a parlare di rapimenti, guerre e sangue. L'unico modo che ho per alleviare la vostra presenza qui è con la musica e il cibo - batté le mani e decine di camerieri entrarono con vassoi colmi di cibo passando in mezzo agli ospiti deliziati. Vennero aperte anche le grandi vetrate che conducevano al giardino quadrato interno.

Klod osservò attentamente suo padre e il Conte Berin, c'era una strana tensione fra loro e non ne capiva il motivo. Helen e Alexei sembravano in confidenza, Jenil stava tormentando Arielle e lui andò in suo soccorso.

- Milady, vostra madre ha necessità di voi - disse Klod intromettendosi garbatamente nella discussione. Arielle colse al volo l'opportunità, fece un lieve inchino e si congedò. Chiaramente Jenil concentrò tutta la sua attenzione su Klod e iniziò a chiedergli di Agrabaar e lui gli raccontò ogni cosa, tralasciando i particolari che avrebbero potuto compromettere la situazione. Il giovane rubicondo aveva l'entusiasmo di un cactus e con le spine faceva battutacce improponibili e volgari.

Il Duca Arstid fece il suo ingresso da una porta laterale, accompagnato da due Guardie Reali e da un ufficiale tarchiato e robusto, coi capelli bianchi e una cicatrice sulla guancia destra.

Tutti i chiacchiericci terminarono e in breve furono seduti al grande tavolo centrale. La Duchessa si ritirò chiedendo prima se qualche signora volesse seguirla in giardino ma tutte rifiutarono gentilmente e si sedettero. Klod notò che Alexei e Helen era seduti accanto e che alla sua destra c'era Arielle. Chi aveva assegnato i posti aveva sicuramente rispettato il protocollo per non offendere nessuno dei Conti. Sorrise alla giovane ma lei lo ignorò, così lui si avvicinò.

- Potreste almeno ringraziarmi per avervi salvato da Jenil - le sussurrò all'orecchio.

-Dovete smettere di avvicinarvi così, non è conveniente - sibilò lei guardando il centro tavola di fiori e frutta davanti a sé

- Vi fate troppi problemi Arielle, non sto facendo niente di male, e avete un odore buonissimo - replicò lui sempre sussurrandole all'orecchio. Lei arrossì ma non si voltò.

Il Duca Arstid aveva probabilmente l'età di suo padre, alto e biondo come il figlio, aveva gli stessi occhi azzurri, limpidi ma freddi. Iniziò riportando un elenco di personaggi rapiti dalla Fratellanza, lasciando per ultimo il Principe Stephan. Poi l'ufficiale passò ad elencare sommosse, furti di varia natura, assassini, tutto legato alla Fratellanza.

L'Alto Chierico di Fir Ze espose il problema di Agrabaar in modo generale ma il Conte Berin e il Conte Morris chiesero ulteriori approfondimenti, così l'anziano chierico spiegò più nel dettaglio e quando uscirono i nomi dei fratelli Hianick, si voltarono tutti verso Fabris e Klod, che mostrarono una calma serafica sostenendo gli sguardi indagatori.

Il Duca proseguì nell'illustrare le esigenze del Re Fredrik, padre di Stephan e alla guida del Regno, che non voleva una guerra contro i territori desertici né tanto meno sviluppare inimicizie coi paesi confinanti sacrificando anni di trattative e matrimoni per portare la pace.

L'Ordine era concorde nell'usare un sistema simile a quello utilizzato ad Agrabaar e la saggia Eleanor della Scuola di Magia stupì tutti portando i saluti del Re degli Elfi e la loro offerta di collaborazione per cercare di risolvere il problema senza dover fare una guerra e aggiunse che la Scuola avrebbe sostenuto i costi di eventuali oggetti magici e inviato dei maghi all'occorrenza.

Klod rimase stupito dalla facilità e fluidità con cui si svolse la discussione. L'unica cosa che aveva notato era che nessuno aveva parlato degli interessi della Fratellanza né del perché stesse facendo tutto ciò. Così lo chiese lui.

Suo padre lo guardò ma non aveva un'espressione di rimprovero, era più incuriosito.

- Credo che a questa domanda possa rispondere più chiaramente la riverita Eleanor - disse lentamente il Duca Arstid tenendo lo sguardo sul giovane che ad Agrabaar aveva liberato il Principe degli Elfi insieme alle sorelle e ai cavalieri dell'Ordine.

- I territori che hanno chiesto in cambio degli illustri rapiti sono le tre contee a sud del regno. C'è una leggenda che affonda le radici in un passato antico e dimenticato, dove i grandi draghi dominavano la terra divorando e distruggendo ogni cosa coi loro soffi letali. Essa racconta di un mondo sotterraneo, che sarebbe appunto ubicato sotto i tre regni del sud interpretando alcuni passi di tomi antichi, che celerebbe la fonte di un potere magico che risveglierebbe i draghi permettendo di dominarli e costringerli al proprio volere - la maga terminò il suo racconto, la sala era silenziosa e attenta.

- E' una leggenda o esiste davvero? - Klod ruppe il silenzio con un'altra domanda. Eleanor guardò sorridente prima Fabris, che sorrise a sua volta, e poi Klod.

- Giovane e audace guerriero, temo che, visto l'interesse della Fratellanza di Sangue, questo luogo sia ben più di una leggenda - annuì l'anziana maga.

Arielle per la prima volta si voltò e lo guardò di profilo. Aveva il naso diritto, un accenno di barba ai lati delle guance, e le mani robuste piene di cicatrici confermavano la sua fama che lo indicava come uno dei migliori allievi della Guarnigione del Ducato. Ma restava sfacciato e impudente.

Il Duca riprese le redini della discussione virandola su aspetti più materiali, come la formazione del gruppo che avrebbe agito, e per questo si propose l'Alto Chierico di Fir Ze, e cavalli e materiali necessari.

Fabris offrì i suoi destrieri e monete d'oro che avrebbero concorso all'acquisto di oggetti magici presso la Scuola di Magia.

Alla fine fu deciso di creare due gruppi distinti, che avrebbero agito uno presso Agrabaar e la Fratellanza e uno nei regni del sud, alla ricerca di questa fantomatica fonte magica. Ogni contea partecipò con monete e accordi di varia natura che avrebbero permesso almeno un buon avvio delle operazioni. L'ufficiale anziano della Guardia Reale si chiamava Giolin Eveter e avrebbe svolto una funzione di collegamento fra Re Fredrik, il Duca Arstid e i tre Ducati del sud e relative contee.

Questa fase fu un po' agitata, il Conte Berin e il Conte Morris offrivano navi per un trasporto veloce a sud e volevano l'esclusiva ma alla fine il Duca decise che Morris avrebbe fornito la nave per il gruppo che andava ad Agrabaar e Berin per quelli nei regni del sud.

Vennero fatti i nomi di alcuni Chierici Cavalieri, fra cui Sir Mark Nateshwar, e l'Alto Chierico assicurò che l'Ordine avrebbe fornito dei Guaritori da unire alle spedizioni. Giolin propose anche di inserire dei guerrieri valorosi, nomi che perfino Klod conosceva tale era la loro fama: Andrew Minahir di Cresta Dorata, Daemon Yfer di Quercia Grande, uno dei più famosi Maestri di Spada del Regno, Frances Tujon di Piazza Ardente, al confine col Regno dei Nani a nord.

- Direi che possiamo ritenerci soddisfatti e dedicarci alla cena che viene servita in giardino - proferì il Duca alzandosi imitato da tutti gli altri con uno strusciare di sedie.

Si spostarono tutti fuori, ormai era buio ma il giardino erano illuminato da lampioni con grandi candele che diffondevano la loro luce calda. Quando varcò la soglia della sala si accorse che il giardino in alto aveva una vetrata a punta che lo chiudeva alle intemperie dell'esterno.

- Siete soddisfatto dell'incontro padre? - chiese Klod camminandogli a fianco. Fabris gli sorrise annuendo ma dalla tensione del volto Klod comprese che c'era altro.

- Come mai non corre buon sangue con il Conte Berin? - chiese delicatamente il giovane a voce bassa. Fabris soppesò la risposta.

- Perché gli ho portato via tua madre e lui ora vuole portare via qualcosa a me - il Conte spostò lo sguardo su Alexei che parlava con Helen. Quella rivelazione stupì Klod che non era a conoscenza di questo particolare legato a sua madre ma non riusciva a collegare quella faccenda ai due giovani che sinceramente a lui parevano innamorati.

Alcuni grandi tavoli erano stati sistemati direttamente sull'erba soffice. Grandi candelabri pieni di candele illuminavano al centro i tavoli, gli ospiti si sedettero guidati dai paggi e vennero servite solo quattro portate, squisite e abbondanti. Klod ebbe a fianco Arielle per tutta la cena e poté così osservarla senza che lei si innervosisse. Notò che era sempre molto attenta a rispettare il protocollo, che sua madre tendeva a soffocarla, e che sotto la maschera che indossava quella sera c'era un volto triste probabilmente legato alla morte del padre. Aveva mani delicate, la pelle chiara creava un meraviglioso contrasto coi capelli neri, le ciglia erano lunghe e arcuate, gli occhi grandi e luminosi.

- Dovete smetterla di fissarmi, è sconveniente - gli disse lei ad un tratto senza voltarsi. Klod rise e gli altri al tavolo si voltarono a guardarli facendola arrossire.

- Arielle, sarebbe sconveniente se qualcuno mi vedesse mentre io faccio questo - le sussurrò all'orecchio lasciando cadere la frase. La giovane sentì la sua mano che scivolava sulla coscia sotto il tavolo celata ad occhi indiscreti. Emise un gridolino soffocato, avvampò abbassando gli occhi sul piatto e con la mano scostò d'impeto la sua.

Klod rise di nuovo e ignorò l'occhiataccia che gli lanciò la Contessa Roderick. La cena terminò e si formarono dei gruppetti che discutevano soprattutto della Fratellanza. Klod raggiunse suo padre che stava parlando col Duca Arstid e suo figlio Alexei in una zona appartata. Due Guardie Reali impedivano ad altri di avvicinarsi ma lasciarono passare lui. Il ragazzo non aveva un'aria felice.

- Celia terminerà i suoi studi a metà anno e potremo procedere con il fidanzamento - stava dicendo Fabris. Klod si immobilizzò con la bocca asciutta.

- Auspico l'unione delle nostre due famiglie da molti anni. I vostri cavalli e i tessuti che producete sono una grande ricchezza e la vostra Contea è florida e in continua espansione. Le cifre e i conti che abbiamo condiviso vi pongono in cima all'elenco dei candidati per una unione di casati. Vostra figlia Celia e mio figlio Alexei saranno una bella coppia e un giorno lei sarà duchessa -   

- Non dimenticate la Guarnigione - aggiunse Fabris tenendo lo sguardo sul Duca.

- Non dimentico, avrete approvvigionamenti, più uomini per proteggere i confini dai briganti e una nuova Accademia - acconsentì con fare bonario, come se per lui, investire migliaia di monete d'oro fosse cosa da niente. I pensieri di Klod erano rivolti a Celia, a ciò che sarebbe accaduto quando avrebbe saputo del fidanzamento.

- Mio figlio Alexei farà il suo dovere e sarà un buon marito, non è vero? - e assestò una pacca sulla spalla del figlio visibilmente infelice.

- E mia figlia è stata addestrata dall'Ordine, è devota e robusta, non ha mai preso una malattia, conosce molti incantesimi di cura, sarà una buona moglie - aggiunse Fabris. Solo l'autocontrollo imparato all'Accademia gli impedì di scoppiare a ridere. Suo padre aveva omesso tutto ciò che la vera Celia era: testarda, orgogliosa, combattiva, indipendente, e quando era triste e malinconica, invece di piangere come tutte le altre donne, lei si rabbuiava e preferiva sfogarsi duellando o cavalcando. Alexei avrebbe avuto da fare con lei.

Fabris si congedò e Klod lo seguì. La notte aveva preso il sopravvento, le chiacchiere erano diventate sussurri, molti si apprestavano a ritirarsi e loro sarebbero tornati a casa. Klod vide Arielle vicina a sua madre, appoggiata al tronco di uno degli alberi. In un fugace attimo si rese conto di ciò che provava Celia quando veniva costretta a prendere un uomo che non voleva.

- Perché costringete Celia ad un matrimonio che non vuole? Lei vuole restare nell'Ordine - chiese Klod nonostante sapesse già che suo padre si sarebbe irritato. Vide che serrò la mascella, come se avesse trattenuto la prima risposta che gli era venuta in mente.

- Perché ci servono gli investimenti del Duca nella nostra Contea, perché è meglio che sia Celia a sposare Alexei, che Helen o Arielle o altra contessa. Niente vale più dell'alleanza stretta da un'unione con una casata Ducale, ricordalo sempre - gli rispose suo padre concisamente. Klod annuì lentamente e comprese che in realtà non avevano alcun controllo sulla loro vita e che probabilmente ne avevano molto di più i figli dei contadini o dei mercanti. Con la coda dell'occhio vide Arielle dirigersi verso la serra dei fiori che la Duchessa Arstid amava tanto. Chiese congedo a suo padre che lo osservò allontanarsi senza fare alcun commento.

La porta della serra era aperta, l'aveva vista entrare. Dentro i profumi erano intensi e c'era molta umidità che colava lentamente sui vetri piombati. Non c'era luce e si vedeva a malapena il sentiero centrale. Klod lo seguì lentamente, cercando di non fare rumore, voleva spaventarla e vedere ancora una volta quel lampo di furore negli occhi. Invece udì un pianto sommesso. Urtò un ramo e Arielle si voltò di scatto con un moto di stupore.

- Che ci fate qui? - sibilò lei, infuriata per essere stata vista in un momento così privato.

- Scusatemi, non volevo turbarvi - le disse il giovane passandosi una mano fra i capelli imbarazzato.

- Siete invadente e sfacciato, Klod Hianick, e non vi rendete conto che non tutti apprezzano un approccio così diretto e aperto! - Si alzò e lo superò ma Klod la afferrò per un braccio attirandola verso di sé.

- Perché piangete? - le chiese sussurrando. Faceva grandi respiri, il suo petto si alzava e abbassava rapidamente e i suoi occhi lo fissavano spalancati. Nella penombra riusciva a vedere ancora le lacrime che bagnavano le guance rosee.

- Non sono affari vostri! - sibilò divincolandosi. Ma Klod non lasciò la presa.

- Non vi lascerò andare finché non me lo direte - disse lui a voce bassa ma risoluto.

- Griderò - gli disse lei irrigidendosi.

- Non credo, siete troppo attenta alle apparenze. Tutti saprebbero che eravamo qui insieme al buio e… - la sentì arrendersi e allentò la presa.

- Mio padre è morto un mese fa e mia madre cerca già altri uomini. Mi troverò con un patrigno che probabilmente mi vorrà nel suo letto, mi comanderà come una schiava e soprattutto sperpererà tutta la mia eredità - disse lei tutto d'un fiato - Posso andare ora? - aggiunse quando lui rimase in silenzio nel buio.

- No, non potete - sussurrò lui stringendola e baciandola dolcemente. Arielle rimase di stucco, si divincolò inizialmente, poi cedette alla sua insistenza e dolcezza. Si abbracciarono lentamente, poi il bacio si intensificò e l'abbraccio si fece serrato. Arielle stava perdendo l'ultimo barlume di ragione che le avrebbe impedito di commettere una follia, così puntò le mani sul petto e si staccò nonostante fosse l'ultima cosa che volesse in quel momento.

- Vi chiedo perdono milady, io di solito non mi lascio andare così - si scusò Klod maledicendosi per non essersi trattenuto ma quelle lacrime, la sua bocca che tremava, ciò che gli aveva detto avevano abbattuto l'ostacolo della prudenza e dell'apparenza.

Ma Arielle restò in silenzio e lo abbracciò cingendolo stretto. Klod restò di sasso per un momento poi la cinse a sua volta dolcemente, affondando il volto nella cascata di capelli neri.

- Non permetterò che nessuno vi tocchi Arielle, lo prometto sulla dèa - le sussurrò all'orecchio facendola rabbrividire. Era inutile nascondere che quella ragazza aveva fatto breccia nel suo cuore dal primo istante in cui l'aveva vista. Le tenebre silenziose rendevano i suoni ovattati e distanti. Restarono a lungo abbracciati, lei che piangeva sommessamente, Klod che le toccava la schiena rassicurandola.



Celia lasciò andare la spada stizzita, sedendosi accanto a Rhienne. Erano tornate da due giorni e aveva convinto l'amica ad un allenamento nella sala d'armi.

- Siamo stanche Celia, basta, non tengo neanche la spada in mano - si lamentò Rhienne. Sapeva perché faceva tutto quello, era nervosa, si avvicinava l'esame, si sentiva inadeguata e impreparata, iniziava a dubitare della sua abilità e degli sforzi che aveva fatto per raggiungere quel traguardo.

- Solo un'ultima volta - replicò Celia alzandosi e riprendendo la spada. Non avevano usato quelle di legno, le impedivano di impegnarsi al massimo sapendo che non ci sarebbero state ferite. La sala d'armi era vuota, nessuno le controllava, era proibito usare le spade vere in allenamento.

- No - rispose secca Rhienne dirigendosi verso l'uscita. Celia la osservò e abbassò le spalle rinfoderando la spada che pesava come un macigno. L'amica si diresse ai bagni e lei la seguì in silenzio. L'acqua tiepida fu ristoratrice e quando si gettò sul letto dopo una cena veloce nella mensa vuota, si addormentò all'istante.

La mattina seguente aveva terminato di vestirsi quando un giovane allievo bussò alla porta avvisandola di recarsi nello studio dell'Alto Chierico che desiderava parlarle. Finì di vestirsi, lo disse a Rhienne sussurrando per non svegliare gli altri.

Lo studio dell'Alto Chierico era identico a tutte le altre volte in cui c'era stata. L'unica differenza era l'Alto Chierico stesso. Non lo chiamava mai per nome ma le piaceva pensare a lui come Adam. Provava un profondo affetto per l'anziano chierico e lui aveva sempre avuto un occhio di riguardo per lei. Ma quella mattina era affossato nella grande sedia, come provato da un profondo dolore.

- Celia, bambina, siediti - le disse dolcemente indicando la sedia davanti a lui.

- Buongiorno, Maestro - disse lei con deferenza sedendosi.

- E' arrivata una lettera da tuo padre, Celia - iniziò l'Alto Chierico abbassando lo sguardo e la ragazza comprese all'istante che era accaduto qualcosa. Forse a Klod magari a sua sorella. Il sangue le si gelò nelle vene.

- Che tu superi o meno l'investitura a Chierico Cavaliere, questo sarà l'ultimo semestre che passerai al Monastero - lo disse lentamente e a Celia occorsero diversi secondi per capire cosa le stava dicendo.

- Perché, Maestro, mi dite così? - chiese con voce tremante. Adam Nateshwar sembrava in evidente difficoltà.

- Richiede la tua presenza al castello per il tuo fidanzamento con Alexei Arstid - concluse l'anziano chierico con tono estremamente dispiaciuto.

Celia rimase immobile e lui le lasciò tutto il tempo di cui aveva bisogno per assorbire la cosa.

- Il figlio del Duca? - disse dopo un po' e il chierico annuì.

- Sapevi che prima o poi sarebbe giunto questo momento e poteva non essere Alexei. E' un giovane gentile e coraggioso, addestrato dai Maestri di Spada migliori del Regno, è un ottimo cavallerizzo, molto preciso con l'arco e mi dicono di bell'aspetto - l'Alto Chierico le fece un mezzo sorriso.

Suo padre aveva sostanzialmente incaricato l'anziano chierico di comunicarle quanto aveva deciso per il suo futuro. Non aveva avuto il coraggio di dirglielo neanche di persona, come con la festa dell'anno precedente. Era furibonda e Adam Nateshwar se ne accorse all'istante. Il fuoco della fede che aveva visto in lei quando aveva solo sette anni era stato alimentato ed era cresciuto, e insieme ad esso erano cresciuti l'abilità, determinazione e indipendenza di quella ragazza forte e generosa.

Il ruolo delle donne in quella società era ancora di obbedienza nonostante potessero accedere alla Scuola di Magia, o all'Ordine ma se la famiglia necessitava di loro, soprattutto fra i nobili, dovevano rispettare quella volontà. Forse nel futuro le cose sarebbero cambiate.

Celia non ascoltò gli elogi dell'Alto Chierico al figlio del Duca. Si immaginò costretta a letto con lui, avere dei figli, non poter più impugnare una spada o indossare dei pantaloni, relegata a fare uncinetti, bere tè, o chiacchierare nei giardini tutto il pomeriggio.

- Perché siete venuto da me diciotto anni fa e mi avete fatto vedere cos'erano i Chierici Cavalieri? Perché mi avete portato via dalla mia famiglia dove sarei cresciuta come una perfetta lady e mi avete fatto addestrare qui se sapevate che un giorno tutto questo mi sarebbe stato negato? - gridò fra i denti con le lacrime che scendevano copiose lungo le guance arrossate per la rabbia. Si inginocchiò e posò la testa sulle gambe dell'Alto Chierico, che le lisciò i capelli con la mano nodosa.

Adam Nateshwar comprendeva perfettamente tutto ciò che la giovane gli stava dicendo. La lettera era arrivata la mattina precedente e a lui era occorso un giorno intero per trovare il coraggio e le parole per parlare con lei al posto di suo padre.

- Non fare così bambina, concentrati sull'investitura, affronta una cosa per volta, sfrutta tutta la caparbietà e determinazione per superare questo primo ostacolo, poi affronterai quello seguente - si sentì di consigliarle l'Alto Chierico. Celia si calmò e smise di piangere.

- Maestro, mi scuso per questa mia debolezza - la ragazza tenne lo sguardo basso.

- Celia non c'è niente di male a dimostrare le emozioni, soprattutto quando sono profonde. Ricorda che sono un dono della Dèa Madre Sosistras e del Dio Padre Shekhar, sono una benedizione e una forza, non una maledizione da scacciare - le sorrise dolcemente.

- Siete sempre stato gentile con me, non ho alcun diritto di parlarvi così, mi dolgo del mio comportamento e vi chiedo scusa - Celia si rialzò. L'Alto Chierico osservò la giovane che sembrava un'ombra della ragazza combattiva che era fino a qualche minuto prima.

- Non devi perdere la fede Celi,a né il fuoco che arde nel tuo cuore e che fa di te la donna che sei - la fissò intensamente sperando di trasferirle un po' della serenità di cui aveva bisogno. Celia accennò un sorriso.

- Otterrò l'investitura, non dovete dubitare di questo. E obbedirò a mio padre, come è mio dovere - fece un lieve inchino e quando lui annuì congedandola, la giovane uscì in silenzio. Si appoggiò alla porta e pianse sommessamente.

L'Alto Chierico era fortemente combattuto. Celia non era una donna qualsiasi, sicuramente inadatta ad un matrimonio che la costringesse all'immobilità. Aveva un talento inusuale, che uscì fuori immediatamente nelle prime settimane che la videro ospite del Monastero, e aveva solo sette anni. Aveva assistito ai suoi esami, agli allenamenti nella sala d'armi, alle sconfitte, alle vittorie, e al progredire delle sue abilità tecniche e magiche. La fede influisce sulla potenza degli incantesimi, sulla loro durata, e sulla capacità di poterne memorizzare quanti più possibile. Lei non aveva mai avuto alcun problema, mentre la maggior parte degli allievi che vuole diventare Chierico Cavaliere ha una capacità limitata in quel campo. E Celia aveva una fede così radicata e profonda da essere riuscita a scacciare un non morto a undici anni, dopo solo quattro di scuola. Avvenne a Fir Ze, nel Monastero dell'amico Sir Brigham. Insieme ad altri allievi in visita assisté ad una lezione. Il Guaritore voleva dimostrare come scacciare un fantasma ma la situazione gli sfuggì di mano, gli allievi gridarono, la creatura stava minacciando le loro vite. Lei estrasse il suo medaglione ed evocò la preghiera giusta, come fosse la cosa più naturale del mondo. Lo spettro tremolò e lei riuscì a scacciarlo.

Lasciarla andare sarebbe stata una grave perdita per l'Ordine ma intercedere per lei presso l'Alto Chierico di Fir Ze poteva essere visto come una mossa a carattere politico. Le due famiglie volevano unirsi per trarre profitto, se l'Ordine fosse intervenuto per cambiare questo stato di cose avrebbero potuto interpretare il gesto come la volontà di schierarsi con le famiglie rivali e questo non sarebbe mai stato permesso dal Patriarca Eldingar: nessun legame politico doveva legare Ordine e Ducati.

Senza contare il sentimento che la legava a suo figlio.

Ma forse un modo per allungare i tempi c'era, e non si poteva sapere cosa sarebbe successo.


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Capitolo 19
*** La spedizione e l'anello ***


19. La spedizione e l'anello

 

- E questo è quanto ho appreso - Klod terminò il racconto della riunione dal Duca finendo la birra. L'aria asfissiante della taverna sapeva di fumo, sudore e stufato. Kathe fissava il fuoco e rigirava fra le mani un pendaglio d'oro a forma di quercia, le cui foglie erano formate da piccoli e brillanti smeraldi.

- Mi dispiace, Celia - aggiunse il fratello sussurrando stringendole una spalla.

- E' mio dovere - rispose Celia serafica che tutto sommato sembrava aver accettato la situazione. Due giorni dopo aver parlato con l'Alto Chierico aveva ricevuto la lettera di Klod ma ciò che aveva raccontato andava oltre il suo fidanzamento con il figlio del duca. C'era molto di più in gioco, qualcosa di pericoloso, una trama segreta che coinvolgeva il regno, l'Ordine, la Scuola di Magia, gli elfi e il Re di Aliati.

- Dovere o no, avrebbe dovuto parlartene - ribatté Klod appoggiando il boccale sul tavolo.

- Kathe, stai bene? - chiese Celia sedendosi accanto alla sorella che non aveva aperto bocca. Il pendaglio che rigirava fra le mani era il dono di Lewel che a quanto pare l'aveva scossa più di quanto credesse lei stessa.

- Sì, sto bene - sollevò gli occhi verso la sorella - Devi parlare con nostro padre, devi dirgli dei tuoi sentimenti per Mark, è il figlio dell'Alto Chierico, è vero non è il figlio del Duca ma... - Celia la interruppe.

- Kathe, non ti devi preoccupare, è tutto a posto. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato prima o poi - le sorrise ma la sorella non si lasciò incantare da quel sorriso, in fondo agli occhi le leggeva rabbia, dolore e tristezza.

- Chissà come risolveranno la questione delle due spedizioni che dovranno intraprendere. Non è una situazione semplice - valutò Klod avvicinandosi a sua volta. La taverna era affollata, indossavano abiti da viaggio, nessuno li avrebbe riconosciuti.

- Non ci riguarda, tu devi diventare capitano, Kathe superare l'ultimo esame per diventare mago e io devo ottenere quella maledetta investitura prima che mi incatenino ad un matrimonio - rise Celia facendo voltare qualche avventore.

- Ma Celia, non puoi accettare questa costrizione così! Dov'è finito tutto il tuo spirito combattivo e il tuo orgoglio? - Kathe rigirava nervosamente il ciondolo.

- Li uso in battaglia Kathe, non contro mio padre - sorrise lei. Aveva già pianto il giorno in cui l'Alto Chierico gliel'aveva detto, perché avrebbe dovuto abbandonare l'Ordine, perché veniva costretta a fare qualcosa che non voleva, perché suo padre non le aveva parlato e aveva delegato qualcun altro, per ciò che celava sepolto in fondo al cuore.

- Verrete con me nel Regno degli Elfi? - domandò Kathe dopo qualche attimo. Non era stato semplice prendere una decisione. L'iniziale moto di felicità si era interrotto quando aveva riflettuto bene su ciò che avrebbe comportato accettare il dono e andare a trovare Lewel.

- Hai deciso, quindi - constatò Klod pensando a quanto fosse elaborata e complessa la mente della sorella. Lei annuì arrossendo.

- Non posso ignorare questa cosa, e stiamo parlando di un Principe... - Kathe sorrise dolcemente stringendo il ciondolo prezioso.

- L'hai già detto a nostro padre? Non credo avrebbe qualcosa da obiettare... - chiese Celia, Lewel si era dimostrato un elfo coraggioso e affidabile, ed era chiaramente innamorato di lei e si stava parlando del Principe degli Elfi. Non avrebbe potuto volere niente di più.

- Non ancora, non è un incontro ufficiale fra le famiglie, ha invitato solo noi - disse Kathe in un sussurro.

- Ricordati che il padre di Lewel è il Re e potrebbe imporre il suo volere, sei umana, loro vivono più a lungo e non sei una principessa... - fece notare Celia con delicatezza.

- Ho pensato molto, Celia, so quali sono gli ostacoli ma vorrei davvero visitare il regno degli elfi e rivedere Lewel - la voce di Kathe era solo un sussurro, lieve come vento il vento di primavera che in quei giorni accarezzava le campagne.

- Non c'è altro allora che io possa dirti, rispondigli magari posticipando la visita all'estate, quando avremo finito i nostri esami - suggerì Celia abbracciandola.

Nonostante tutte le precauzioni che avevano preso, qualcuno aveva ascoltato ogni parola. Quando i tre fratelli uscirono dalla locanda delle Tre Lance il ladro si passò una mano fra i capelli corvini che mostravano già qualche filo bianco celando un amaro sorriso.



- Cosa stanno cercando di fare? L’Ordine vuole forse sabotare questa alleanza? - Fabris Hianick accartocciò la pergamena - E da quando gli interessa la politica! -

Erika osservò il marito furioso che passeggiava avanti e indietro. Era giunta da pochi minuti una missiva da parte dell’Alto Chierico di Fir Ze in persona. I loro tre figli erano stati inseriti nella spedizione nei Regni del sud alla ricerca della fantomatica sorgente di cui avevano parlato.

- Sono troppo giovani, non possono rischiare la vita così quando ci sono altri cavalieri e maghi disponibili! - la pergamena rotolò sul tappeto fino ai piedi di Erika che la raccolse. La calligrafia del Chierico Cavaliere Leon Gelithar era fluida ed estesa, poche righe per informare che erano stati decisi i due gruppi che avrebbero cercato di risolvere la situazione critica della Fratellanza di Sangue e che visti i meriti, la scaltrezza e l’abilità con cui i loro tre figli si erano introdotti nel covo ad Agrabaar, erano stati scelti per introdursi nei sotterranei delle Catacombe di Hilizia. Quando Erika lesse quel nome, un brivido freddo le attraversò la schiena.

- Devi importi, non puoi mandarli in quel posto di tenebra e sconforto! - gli disse con la voce rotta dal pianto. Le Catacombe di Hilizia erano conosciute in tutto il Regno. Decine di avventurieri avevano perduto la vita alla ricerca dei tesori inestimabili che si diceva l’antico Re Hilizia vi avesse sepolto insieme al suo intero popolo. Le anime perdute di quella povera gente infestavano le catacombe e nessuno sapeva cosa ci fosse sotto. La lettera spiegava che quell’entrata era stata scelta di comune accordo con l’arcimaga Eleanor della Scuola di Magia come la più probabile e diretta per accedere a ciò che il sottosuolo celava.

- Parlerò col Duca, faremo il fidanzamento ora, l’Ordine non oserà mandare a morte certa la mia primogenita promessa alla famiglia Arstid! Kathe è troppo giovane, non può andare e Klod… è il mio erede, vincolato all’Accademia della Guarnigione! - Fabris sembrava più voler convincere sé stesso, sapeva che l’Ordine, la Scuola di Magia e la Guarnigione potevano disporre dei suoi figli come volevano finché non terminavano i corsi, come avevano fatto con Celia negli ultimi anni. Picchiò un pugno sulla scrivania.

- Questa situazione deve essere sistemata, gli investimenti del Duca ci servono - prese pergamena, penna e calamaio e scrisse una missiva.



Quando Celia ricevette la convocazione dall’Alto Chierico sperava fosse per affrontare una delle prime prove per accedere alla carica di Chierico Cavaliere. Il suo stupore genuino fece sorridere Adam Nateshwar e gli fece anche comprendere fino in fondo perché suo figlio si fosse innamorato di lei.

- Io… voglio dire noi, scenderemo nelle Catacombe di Hilizia? - Celia aveva la testa piena di pensieri dove capeggiava la possibilità di evitare il fidanzamento col figlio del Duca e anche di morire là sotto da qualche parte. L’Alto Chierico annuì.

- Anche i tuoi fratelli hanno ricevuto la convocazione ed è stata mandata una lettera a vostro padre - sembrava particolarmente compiaciuto. La missione era pericolosa ma confidava nel coraggio e nel buon senso dei tre fratelli che sarebbero stati affiancati da altri cavalieri e maghi.

- A mio padre? Non ci lascerà mai partire! - l’iniziale sorpresa lasciò immediatamente il passo allo sconforto.

- Celia, se devo proprio dire le cose come stanno vostro padre avrà poca voce in capitolo. Finché resterete degli studenti nelle nostre scuole potremo disporre di voi come più ci aggrada esattamente come abbiamo fatto con te in questi ultimi anni e nessuna protesta è giunta dal Conte per nessuna delle destinazioni in cui ti abbiamo mandato... - l'Alto Chierico non sorrideva ed era estremamente serio. Celia lo guardò sconcertata, appariva molto più simile ad una minaccia e l'anziano chierico aveva perduto ogni traccia di benevolenza e affetto.

- Maestro questa volta si tratta di qualcosa di molto delicato e diverso. Mio padre deve aver necessità per qualche ragione dell'alleanza con la famiglia degli Arstid e non rinuncerà facilmente ad un accordo che ha già ottenuto e che gli farà avere l'unica cosa che può portargli la sua primogenita femmina: un matrimonio vantaggioso... - per la prima volta in tanti anni Celia provò un moto di orgoglio e allo stesso tempo di odio per l'Ordine. Non sapeva perché avevano insistito per farli partecipare a questa missione ma non avevano il diritto di interferire con le decisioni di suo padre. Aveva dedicato tutti i suoi anni all'Ordine ma la fedeltà principale andava alla famiglia.

- Non preoccuparti di queste cose Celia, obbedisci agli ordini e tutto andrà a posto - rispose l'Alto Chierico con un tono che non aveva mai usato prima con lei e che le ricordò all'improvviso suo figlio. La giovane annuì.

- Partirete fra quattro giorni, qui dal Monastero e ti proibisco di uscire senza autorizzazione, sono stato chiaro? - aggiunse guardandola intensamente.

Quindi l'Alto Chierico sapeva delle sue uscite occasionali... si vergognò immensamente e abbassò la testa incapace di reggere lo sguardo indagatore.

- Sì, Maestro - disse in un sussurro.

- Puoi andare - la congedò l'Alto Chierico. Provava affetto per quella giovane coraggiosa e determinata e anche Mark, e gli sarebbe davvero dispiaciuto che lei lasciasse l'Ordine inoltre gli Arstid non gli erano mai stati molto simpatici e quando aveva ventilato a Leon Gelithar la possibilità di legare la famiglia Hianick alla sua e quindi all'Ordine, il vecchio amico aveva cambiato completamente idea in merito.



- Un'altra volta - disse Celia con voce roca ansimando.

- Non capisco perché ti punisca così - rise il maestro - Non ti reggi in piedi, vai da un Guaritore - le disse riponendo la spada di legno nella griglia.

- Non c'è nessuno che ha il coraggio di fronteggiarmi? - urlò ai presenti nella sala d'armi.

- Lasciate il quadrato allieva, è un ordine - disse il maestro di spada ma Celia lo ignorò, le sarebbe costato un'ammonizione davanti all'Alto Chierico, lo sapeva. Nessuno dei presenti si mosse e vide Rhienne con la coda dell'occhio che le faceva il gesto di avvicinarsi.

Quella sera sarebbe tornata a casa, con una licenza che contraddiceva l'ordine ricevuto dall'Alto Chierico stesso, e domani mattina avrebbe firmato l'accordo di fidanzamento con Alexei Arstid. Suo padre e il Duca in qualche modo erano riusciti ad ottenere il benestare, non dall'Alto Chierico di Fir Ze, ma presentando istanza al cancelliere del Patriarca dell'Ordine. Inizialmente aveva chiesto di togliere i figli dalla missione e quando questa richiesta era stata negata, aveva chiesto un matrimonio con le firme sui documenti, che sarebbe stato celebrato presso il tempio dell'Ordine e davanti agli dèi quando Celia fosse tornata. Ma questa volta era stato il Duca a negare il consenso, probabilmente non voleva che suo figlio rimanesse vedovo e aveva acconsentito solo alle carte di fidanzamento.

- Non costringetemi a prendere provvedimenti, fuori dal quadrato - ripeté il maestro di spada con tono severo e inflessibile. Rhienne le fece nuovamente cenno e lei la raggiunse.

- Vieni, andiamo a darci una lavata - disse l'amica e Celia annuì lentamente - Devi calmarti Celia, non riuscirai ad affrontare la missione e gli esami in questo stato - le sussurrò l'amica.

L'acqua tiepida ebbe un effetto calmante. Le dolevano tutti i muscoli, e le ferite aperte dalla spada di legno bruciavano per il sapone.

- Spero vivamente che le donne del futuro possano avere un maggiore controllo della propria vita... - disse Celia con voce appena udibile.

- Tuo padre non ti ha dato al primo che passava per strada, ti ha concesso al figlio del Duca! - le fece notare Rhienne borbottando mentre le lavava la schiena.

- Guarda come sei ridotta, devi andare dal Guaritore - aggiunse dopo qualche attimo. Celia indossò la sua divisa da Messo, salutò l'amica che la osservava con apprensione, andò dal Guaritore per sanare le sue ferite, poi si recò alle stalle e prese il cavallo che le avevano assegnato per tornare a casa.

Era pomeriggio ma il castello era silenzioso. Raggiunse la biblioteca camminando lentamente per i corridoi, sorridendo ai ricordi che riaffioravano quando coi suoi fratelli si rincorreva per le stanze. Bussò alla porta della biblioteca ed entrò.

- Padre, sono lieta di vedere che state bene - disse Celia e suo padre annuì sorridendole lievemente. Aveva creduto che in quell'occasione le avrebbe detto qualcosa ma non avvenne niente di tutto ciò. Poi si diresse verso sua madre e la baciò con affetto.

- Celia, ti trovo bene - le sorrise la madre con calore stringendole le mani.

- Madre, siete uno splendore - e la abbracciò con forza.

Cenarono e dormì nella sua vecchia camera, che aveva condiviso coi fratelli finché non era partita per il Monastero. La mattina seguente, venne lavata e vestita dall'ancella di sua madre che le acconciò i capelli, lasciandoli sciolti legati solo da una sottile coroncina e le aveva fatto indossare un abito lungo turchese. Quando Erika la vide, rimase stupefatta dall'insieme e le disse che avrebbe dovuto smetterla di indossare armature a favore di abiti eleganti che le stavano benissimo.

Si recarono presso la Segreteria del Re, ce ne era una in ogni città abbastanza grande e importante, dove venivano registrati tutti gli atti ufficiali. Quando entrarono nella sala, c'erano sei Guardie Reali, il Duca, sua moglie e Alexei. Per tutta la mattina sua madre le aveva spiegato praticamente ogni cosa di quella potente famiglia. Fortunatamente non era un rospo brutto e grasso. Era alto e biondo, con gli occhi azzurri e le sorrideva dolcemente. Ebbe l'impressione che non fosse a suo agio neppure lui.

- Celia, sei uno splendore - la Duchessa Irina le venne incontro e lei fece un lieve inchino arrossendo.

- Erika cara, quanto tempo! Non vedo l'ora che riapriate il vostro meraviglioso giardino! - e si strinsero le mani iniziando a parlottare sommessamente. Anche suo padre e il Duca si salutarono, lasciandoli in piedi immobili e in imbarazzo. Alexei fece qualche passo avanti e la raggiunse.

- Siete raggiante come una stella milady e sono felice di incontrarvi - disse il giovane con quella frase di rito che aveva poco di spontaneo.

- Lo stesso vale per me, milord - e fece un lieve inchino abbassando lo sguardo.

- Somigliate molto a vostro fratello - le fece notare sorridendo. Celia annuì e notò che aveva mani lisce ma robuste, almeno sapeva usare le armi, un lieve accenno di barba e conosceva alla perfezione l'etichetta. Indossava un farsetto rosso e argento e pantaloni e stivali neri, era una vera meraviglia.

Parlarono per diversi minuti, in attesa del funzionario che avrebbe apposto il sigillo dopo le loro firme, convalidando l'accordo. Era molto istruito, le domandò dell'Ordine, della fede, della magia, di che tipo di corsi potevano frequentare, degli allenamenti nella sala d'armi. Lei gli chiese della vita di corte, dei cavalli che amava tanto, della sua collezione di archi. Tutte domande che le aveva preparato sua madre e che lei ripeté educatamente ascoltando le risposte fingendosi interessata.

Per fortuna il funzionario arrivò, ponendo fine a quella recita. Era un bravo ragazzo e si capiva che era stato educato perfettamente, era galante e gentile ma non si conoscevano e non provavano niente l'uno per l'altra. Erano lì solo perché le loro famiglie l'avevano voluto.

La lettura del contratto fu lunga, vennero apposte delle modifiche da suo padre e dal Duca, infine il funzionario, basso e calvo, gli chiese di apporre le loro firme. Alexei mise la sua e Celia esitò un istante prima di apporre la propria, poi la calligrafia tracciò il suo nome e quello della sua famiglia.

Il funzionario recitò tutte le frasi di rito, Alexei le mise un anello all'anulare sinistro, era quadrato con inciso lo stemma degli Arstid, un giglio stilizzato. La prese dolcemente per le mani e la baciò sulle labbra appoggiando appena le sue. Da ora in poi era sua proprietà.

- Vi prego di farmi la cortesia di tornare tutta intera dalla ricerca della sorgente - le sussurrò stupendola quando erano vicini e nessuno poteva udirli.

- Baderò ad avere cura della mia persona milord, non vedo l'ora di tornare e unirci in matrimonio - Celia ripeté la frase meccanicamente come le aveva detto di rispondere sua madre se fosse venuto fuori l'argomento. Alexei la fissò per un attimo e il suo sguardo fu così malinconico che lei rimase a bocca aperta. Si avvicinò ancor più ma lei rimase immobile.

- Sappiamo bene entrambi che non è vero - il suo tono era velato di malinconia e comprese all'istante che Alexei era innamorato di una donna, che non era quella che avrebbe sposato.

Celia arrossì e fece per giustificarsi ma lui sollevò una mano dicendole silenziosamente che non serviva dire altro.

Le due famiglie si salutarono, il Duca Romir e il Conte Fabris ridevano ed erano estremamente compiaciuti. Parlavano del matrimonio e dei grandi festeggiamenti che ci sarebbero stati. Sua madre e la duchessa confabulavano sottovoce e lei e Alexei camminavano fianco a fianco in silenzio.

Durante tutto il viaggio di ritorno in carrozza, Erika non fece che tessere le sue lodi, che era bellissima, che si era comportata bene e aveva dato tutte le riposte giuste, che era evidente come Alexei fosse rimasto impressionato. Celia rimase quasi sempre in silenzio, dando solo le risposte necessarie e guardava suo padre, inflessibile e integerrimo, che teneva lo sguardo fuori dal finestrino con il mento appoggiato ad una mano.

Al castello indossò nuovamente il suo abito grigio e allora si sentì veramente a suo agio. Era quella la vita che avrebbe voluto. Gliel'avevano concessa solo per breve tempo, adesso doveva pagare il suo debito con la famiglia e concedere a suo padre un matrimonio vantaggioso per tutta la Contea. Erika pianse almeno mezz'ora chiedendole di fare attenzione e di aiutare i suoi fratelli.

- Madre, sapete che lo facciamo sempre, ci aiutiamo - le disse sorridendo e cercando di rassicurarla.

- Lo so Celia, ma Kathe è così dolce e gracile... - e pianse di nuovo. Probabilmente non si era accorta di come era cambiata la sorella in quegli anni. Forse avrebbe dovuto chiederle di farle vedere una palla di fuoco…

- Non preoccupatevi troppo, avrete presto nostre notizie - la rassicurò un'ultima volta. Salì a cavallo e tornò al Monastero nel crepuscolo della sera. Suo padre non era nemmeno sceso a salutarla.



Quando rientrò era buio, consegnò il cavallo alle stalle e si diresse in camera. Rhienne aveva già mangiato e la stava aspettando.

- Allora? Fammi vedere! - disse schizzando fuori dal letto. Celia arrossì lievemente e mostrò la mano.

- Non ci posso credere! Sei davvero fidanzata con Alexei Arstid! E' così bello come dicono? Capelli come grano dorato, occhi come il cielo e due spalle ampie e robuste... - disse Rhienne alzando gli occhi al cielo con sguardo sognatore.

- Sì, è davvero un bel ragazzo, educato, sensibile, colto, addestrato, sarà un ottimo Duca ma ama una donna, ne sono sicura, e non sono io -

- Come fai a saperlo? - chiese Rhienne spalancando gli occhi.

- Perché è stato costretto da suo padre come me ma non è me che vorrebbe - Celia sorrise mestamente.

- E tu cosa vorresti? - l'amica le prese il volto fra le mani ma Celia si rabbuiò.

- Diventare un Chierico Cavaliere, restare nel Monastero e un giorno magari poterne gestire uno, non importa dove... ma non avrò niente di tutto ciò - sussurrò lei distogliendo lo sguardo. Rhienne sospirò e la lasciò andare.

- Hai fame? - le domandò sedendosi sul letto e fissando l'anello al suo dito.

- No, vado a leggere in biblioteca - le dette un bacio sulla fronte e uscì.

La biblioteca era buia ma l'attendente aveva lasciato il camino acceso. Prese alcuni libri sui draghi e si sedette vicino al fuoco spostando la poltrona, così avrebbe avuto luce e calore.

Doveva essere una magia molto potente se la Fratellanza avrebbe potuto comandare addirittura i draghi. Le leggende dicevano chiaramente che i draghi non esistevano più, estinti o nascosti, confutate dal fatto che non ne erano stati avvistati negli ultimi secoli. Trovò anche qualcosa relativo ad una sorgente magica. Sembrava essere nelle Terre del Fuoco, sepolta in profondità. Era una fonte arcana, quasi tutti i testi erano concordi, di magia allo stato primordiale, per questo così potente. Era la stessa di cui aveva raccontato Klod e che aveva citato l'arcimaga Eleanor durante la riunione dal Duca.

Il collegamento le fece ricordare Alexei. Chissà chi era la donna di cui era innamorato. Molte spose di matrimoni combinati accettavano le amanti dei mariti e loro stesse si portavano a letto gli uomini che desideravano. L'importante era dare degli eredi. Non sapeva se si sarebbe adeguata ad una simile vita. Posò il libro sui ginocchi e sospirò. Si tolse l'anello rigirandolo fra le dita e osservandolo attentamente.

Mark era andato alla biblioteca, sapendo che l'avrebbe trovata lì. Era rimasto piacevolmente sorpreso quando aveva ricevuto la convocazione dall'Alto Chierico di Fir Ze per partecipare alla ricerca di quella fonte arcana che tanto interessava alla Fratellanza. Doveva presentarsi al Monastero di Torap per raccogliere altri membri che avrebbero partecipato e poi andare a Fir Ze. Lui aveva eseguito gli ordini ma quando era arrivato quella sera, suo padre aveva voluto parlare con lui e così ora sapeva ogni cosa.

Avrebbe voluto parlare con lei, condividere i pensieri oscuri che gli attraversavano la mente e che doveva avere anche lei: essere costretta a lasciare il Monastero e sposarsi era una combinazione che avrebbe distrutto chiunque. Ma quando la vide vicino al fuoco rimase celato nelle tenebre della stanza e ogni proposito svanì. Cosa avrebbe potuto dirle? Quell'anello d'oro con lo stemma degli Arstid diceva ogni cosa, parlava di un futuro che non avrebbero più condiviso e lo costringeva a fare i conti con una realtà che aveva allontanato per tanto tempo e che lei gli aveva indicato tre anni prima. Sapeva che lo amava, anche per lui che era un uomo certi suoi atteggiamenti erano chiari e ciò che era accaduto quella notte, ciò che si erano detti, non era un sentimento che potevi cancellare a comando, era solo stata più furba di lui, allontanandolo immediatamente, concentrandosi sul suo obiettivo senza distrazioni.

Celia si rinfilò lentamente l'anello, chiudendo gli occhi. Fino a quel momento non si era resa veramente conto di ciò che stava perdendo. Non tanto la libertà di decidere, come aveva creduto all'inizio e che tanto l'aveva fatta infuriare, non il dolore di non poter più partecipare alla vita del Monastero, non il fatto che suo padre l'avesse ignorata tanto da farle dare la notizia dall'Alto Chierico, ma stava perdendo Mark.

Lo aveva allontanato per così tanto tempo che credeva di aver chiuso la questione, di poterla gestire ma ora si sentiva svuotata e smarrita e una straziante tristezza prese il sopravvento. Una singola lacrima scese mentre fissava l'anello.

Lei piangeva incessantemente e Mark avrebbe voluto raggiungerla e stringerla ma non lo fece. Celia appoggiò la testa al bracciolo, il pianto divenne singhiozzi e infine si placò.

Mark la osservò con i denti serrati. Non c'era soluzione a meno che i due padri non decidessero di recidere il contratto ma lui non poteva permettere che qualcuno la toccasse, non poteva proprio. Si voltò stringendo i pugni e tornò ai suoi alloggi.



L'indomani mattina all'alba, quando Celia uscì in cortile pronta per la partenza, vide i suoi fratelli. Klod le venne incontro seguito da Kathe che teneva su il vestito per evitare che si sporcasse col fango. Le fecero mille domande sul fidanzamento, Kathe volle vedere subito l'anello e si mostrò profondamente offesa per non aver potuto partecipare.

- Sai chi farà parte del gruppo? - le chiese Klod sistemando la sella del suo cavallo. Provenivano dalle scuderie del loro padre, ed erano tutti animali splendidi e resistenti.

- No - rispose la sorella scuotendo la testa - Ancora non mi sembra vero che abbiano scelto proprio noi - aggiunse lasciando cadere la frase in un sussurro mentre osservava un gruppo di cavalieri vicino agli altri cavalli.

- Sir Mark Nateshwar, era ovvio che l'Alto Chierico di Torap ci infilasse suo figlio, si parla di gloria, fama e probabilmente tanti soldi... - Klod strinse la cinghia della sella con un grugnito.

Kathe guardò Celia per un attimo e la vide sbiancare. Così non andava proprio bene. La prese per un braccio e ricominciò a chiacchierare, raccontandole degli ultimi incantesimi che aveva imparato e che sarebbero stati molto utili in questa avventura. Celia fu costretta e impegnare la mente per seguire l'incessante racconto della sorella ma il fatto che Mark fosse lì, che indossasse l'armatura di cuoio nero dei cavalieri ordinati, che il suo cavallo fosse pronto indicava una sola cosa: faceva parte del gruppo che avrebbe cercato la sorgente. Per un fugace momento ebbe la sensazione che la dèa le stesse mettendo alla prova facendoglielo avere sempre fra i piedi.

Per fortuna non fu costretta a rivolgergli la parola e portava i guanti che celavano l'anello. Bastava un mantello per viaggiare ormai e comunque erano diretti al porto di Rovilon per prendere la nave che li avrebbe portati a sud, verso la loro destinazione e il caldo. I cavalli avevano due bisacce a testa molto capienti e piene di provviste e attrezzature come corde, ganci, chiodi, candele, borracce, una coperta a testa, un'accetta e una pala o un piccone martello e punteruoli.

Per strada avrebbero accolto altri due partecipanti ma non gli era stato detto chi erano. Celia si augurava solamente di non doversi confrontare con lui.


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Capitolo 20
*** Il Drago del Mare ***


20. Il Drago del Mare


Al termine del secondo giorno di viaggio, mentre cenavano alla taverna del Barile Rovesciato, entrò Erik Cools, presentandosi a Sir Mark come il quinto membro del gruppo scelto dall'Alto Chierico. Gli porse una pergamena sotto lo sguardo attonito di Kathe. Klod le diede di gomito per scuoterla e lei gli gettò un'occhiataccia in tralice.

Sir Mark ruppe il sigillo, lesse la pergamena poi la bruciò nel fuoco.

- Benvenuto Erik, questa volta in vesti ufficiali vedo - gli sorrise in maniera fin troppo benevola.

- Questa è una missione importante, devo metterci il massimo del mio impegno - si voltò e strizzò l'occhio a Kathe.

- Come hai fatto a farti assumere! - gli chiese Klod stringendogli l'avambraccio e dandogli una pacca sulla palla.

- Conosco delle persone, che ne conoscono altre... - disse evasivamente sedendosi e chiamando l'oste.

- Hai pagato - constatò Kathe che aveva ancora uno sguardo meravigliato.

- Ebbene sì, ho anche pagato, e sottolineo anche, perché conosco veramente persone importanti e, modestamente, nel mio campo, sono conosciuto e stimato - disse con aria di sufficienza.  

- E quale sarebbe il tuo campo? - domandò Sir Mark incrociando le braccia al petto e sorridendo. Erik lo guardò offeso.

- Ma chiaramente quello delle relazioni personali, degli interessi e degli investimenti! -

- Investimenti... - Sir Mark era ammirato da come quello scaltro ladro riusciva a girare le questioni. Scoppiò a ridere e gli avventori della taverna si girarono.

- Quindi siamo solo noi? Dobbiamo aver fatto colpo con la nostra incursione ad Agrabaar - un ampio e compiaciuto sorriso gli illuminò il volto.

- Manca un altro componente, è un ex Cavaliere dell'Ordine - disse Mark lentamente portando l'attenzione su Celia.

- Non credevo che i Cavalieri potessero abbandonare l'Ordine - fece notare Erik bevendo la birra portata dall'oste. Klod fece cenno e ne ordinò dell'altra.

- Non possono, ma ci sono particolari dispense che un Alto Chierico può dare, Sir Gwaine Midnight ne ha ottenuta una -

- Ero certo che l'Ordine e la Scuola di Magia avrebbero scelto ben altri nomi per affrontare questa missione - disse Klod fissando intensamente Mark - Eppure siamo qui, contro ogni previsione - aggiunse vuotando il boccale.

- Hanno una visione d'insieme della faccenda che noi non abbiamo, siamo semplici esecutori - disse Mark alzandosi in piedi - Vi auguro una buona notte signori e signore, domani mattina sveglia all'alba - concluse dirigendosi verso le scale.

- Sbaglio o è più scontroso del solito? - disse Erik alzando un sopracciglio.

- Non mi pare proprio - rispose Celia alzandosi - Vado anche io a dormire, non fate tardi - e si diresse alle scale.

- Sbaglio o è più scontrosa del solito - chiese Erik alzando anche l'altro sopracciglio. Klod scoppiò a ridere ma Kathe gli diede una gomitata.

- Si è fidanzata tre giorni fa con il figlio del Duca Arstid... - lo informò Kathe che guardava la schiena della sorella scomparire sulle scale.

- Davvero? Ecco perché il nostro tenebroso Cavaliere guardava sempre la mano di Celia... - Erik si portò una mano al mento pensieroso.

- Vuoi dire che lo sa? - chiese Kathe meravigliata.

- I guanti che porta tua sorella dovevano servire a celare l'anello? - ridacchiò - Credo che in qualche modo il nostro Cavaliere abbia saputo del contratto che lega la nostra Celia al bel Alexei! -

- Non ridere, è una cosa seria - borbottò Kathe.

- Vostro padre l'ha data in moglie al figlio del Duca, non mi pare sia così grave! - sbottò Erik allargando le braccia - Pensa se le capitava un vecchio decrepito! - e rise.

- Non lo dire nemmeno - sussurrò Kathe.

- Celia è consapevole del suo ruolo, non ha esitato quando nostro padre l'ha chiamata - precisò Klod. Era evidente ciò che provassero l'uno per l'altra ma Celia era una donna complicata, anche se mai come Kathe, non voleva che gli altri credessero fosse stata aiutata nell'ottenere la carica di Cavaliere e sapeva che un giorno suo padre l'avrebbe maritata per ottenere dei vantaggi.

- E' la vita, tutto ruota intorno ai soldi, più ne puoi portare, più vali - filosofeggiò Erik sospirando.

- Meglio dormire, altrimenti domani mattina Sir Mark ce la farà scontare - Klod si alzò stirandosi tutti i muscoli. Gli altri convennero e si diressero alle stanze al piano di sopra.

Kathe aveva la testa piena di pensieri, del viaggio che avrebbero fatto in estate nel Regno degli Elfi e dell'emozione che aveva provato quando aveva visto Erik varcare la soglia della taverna.



La sera seguente sostarono nel piccolo villaggio di Gavilas. Le case dei contadini erano ordinate, coi fiori che le adornavano e un pozzo al centro. C'era un'osteria che forniva anche alcuni posti letto. Sir Mark pagò il dovuto, si sistemarono nelle due stanze disponibili, Celia e Kathe in una e gli uomini nell'altra. Quando scesero per la cena, c'era un uomo ad attenderli. Sorrise mostrando i denti bianchi e perfetti, Sir Mark gli andò incontro salutandolo calorosamente.

- Mark Nateshwar! Come sta tuo padre? - domandò con voce chiara e potente abbracciandolo.

- Gwaine Midnight! La tua stretta è ancora forte come una tenaglia! -

Non avevano usato i titoli da Cavaliere e questo a Celia non sfuggì. Era alto come Mark, capelli castani ricciuti e corti, lineamenti decisi e occhi verdi. Indossava l'armatura nera dei cavalieri e un mantello nero anch'esso ma sulla spada che portava al fianco non c'era inciso lo stemma dell'Ordine sull'elsa. Forse aveva una decina d'anni più di Mark.

Sir Mark presentò il resto del gruppo e Gwaine fu simpatico con gli uomini e galante con Celia e Kathe. Si informò dei loro rispettivi ruoli e rimase affascinato quando scoprì che Kathe era una maga.

- Non vedo l'ora di vedervi in azione milady, la magia arcana mi ha sempre incuriosito - le disse baciandole delicatamente la mano.

- E io non vedo l'ora di ammirare la vostra tecnica milord, di cui tutto il regno parla - rispose amabilmente Kathe. Klod sollevò gli occhi al cielo imitato da Erik.

Cenarono con dell'ottimo stufato di coniglio, patate e una birra rossa e densa che dava alla testa. Mark riportò alcune notizie sulla fantomatica sorgente di potere che permetterebbe il dominio dei draghi, Celia aggiunse le informazioni che aveva letto, Klod raccontò della loro incursione ad Agrabaar e della Fratellanza di Sangue con interventi divertenti di Erik e Kathe.

Le chiacchiere si erano prolungate e le tenebre avevano preso il sopravvento, la piccola osteria si era svuotata dei pochi avventori e solo il gruppo era rimasto, vicino al camino a bere birra. Gwaine si alzò stirandosi.

- Ho cavalcato tutto il giorno e le navi non sono mai state il mio mezzo di trasporto preferito, quindi è meglio che sfrutti il tempo sulla terraferma per riposarmi al meglio -  e la sua risata allegra invase la stanza fumosa.

- Ti seguo, amico mio - disse Erik alzandosi, imitato da Klod, Kathe e Celia.

- Aspetta Celia - disse Mark, la giovane si fermò, una scossa fredda le attraversò la schiena. Scambiò uno sguardo rapido con Kathe e si sedette di nuovo. Rimandare era inutile.

Mark rimase immobile e in silenzio, la gambe distese in avanti, i piedi incrociati. Lei lo guardò qualche secondo, poi si tolse il guanto sinistro mostrando il dorso della mano con l'anello degli Arstid.

- Il tempo mi ha dato ragione - Celia sorrise debolmente. Sapeva già come rispondere alla sua prossima obiezione, ci aveva pensato e ripensato ma era la cosa giusta da fare.

- Quando torneremo da questo viaggio, parlerò con tuo padre, sono un Cavaliere e mio padre è l'Alto Chierico di Torap, non sono nobile come Alexei Arstid ma un'alleanza con l'Ordine può valere tanto quanto quella con un Duca. La vostra famiglia potrebbe diventare l'unica a fornire e addestrare i cavalli dei cavalieri di tutto il regno... - disse Mark incrociando le braccia.

Celia rimase sbalordita dall'audacia e dalla testardaggine di quell'uomo così determinato e pacato. Inspirò profondamente e disse ciò che doveva.

- Mark, la mia vita appartiene a mio padre, ne dispone come vuole. Gli accordi sono firmati, sarò la moglie di Alexei Arstid e ti chiedo di desistere dai tuoi propositi - probabilmente fu la birra a darle il coraggio per pronunciare chiaramente quella frase. Vide gli occhi scuri di Mark brillare sotto l'impeto della rabbia. Si sedette appoggiando i gomiti sul tavolo.

- E di grazia, milady, perché dovrei fare una cosa del genere? - Mark la fissò con aria di sfida ma lei non si lasciò intimidire.

- Perché, come ti dissi tre anni fa, ciò che accadde è stato un errore, non avrei dovuto cedere e non puoi capire quanto questo mi abbia dilaniato nel tempo. Non sono innamorata di te, non voglio che tu prosegua più per questa strada e vorrei che ne imboccassi una nuova - tutto sommato fu un discorso compiuto e riuscì anche a mantenere un tono e un contegno di cui sua madre sarebbe andata fiera. Mark socchiuse gli occhi, come analizzandola. Poi si appoggiò allo schienale della sedia.

- Menti - le disse con voce grave. Celia scosse la testa e rimase in silenzio. Si alzò dirigendosi alle scale che portavano alle camere stringendo i denti per non piangere. L'ultima cosa che Mark vide fu il bagliore del fuoco sull'anello d'oro.



Due sere dopo raggiunsero la città costiera di Rovilon dove il Conte Berin li attendeva ansioso di mostrargli la sua ammiraglia. Era una nave possente, dalla grande stiva che avrebbe potuto ospitare tutti i cavalli, munita di tre alti alberi e altrettante enormi vele bianche. La nave aveva anche un piano per i rematori e gigantesche balestre sui ponti e sui fianchi.

Sulla punta della prua, dipinto di bianco, capeggiava il suo nome: Drago del Mare.

- Non poteva avere nome più appropriato - la voce del fratello la raggiunse alle spalle.

- E' una bella nave robusta, asservirà egregiamente al suo dovere e ci porterà rapidamente a sud, al porto di Grigeo cento chilometri dopo quello di Raghudi dove abbiamo attraversato lo Stretto per Agrabaar - constatò Celia coi gomiti appoggiati alla balaustra.

- Temo che soffrirò il mal di mare - disse Klod sofferente.

- Temo che sarà lo stesso per me e Kathe - ridacchiò Celia osservando il mare blu. Da quando aveva parlato con Mark, le cose sembravano migliorate, si parlavano ma non c'era più la tensione precedente e anche lui sembrava più sereno. Quella sera in biblioteca aveva capito davvero quanto di lui serbasse nel cuore e quanto ne fosse attratta ma il futuro era deciso, la scelta fatta era responsabile e coerente anche se le era costato dovergli mentire.

- Mi sento già male - la voce di Kathe era tragica.

- Ma se siamo in porto! - esclamò Klod ridendo.

- Non importa, io sto male - rispose caparbia la sorella che aveva indossato nuovamente la tunica blu e oro della Scuola.

- Quanto durerà il viaggio? - chiese Kathe inspirando l'aria marina.

- Circa dodici giorni, un terzo rispetto al viaggio a cavallo - spiegò Celia notando il Conte Rovilon salire a bordo insieme a Sir Mark. Vide Gwaine avvicinarsi coi cavalli e gli andò incontro per aiutarlo. Quando si avvicinò al Conte, notò una figura vicino a lui che indossava mantello e cappuccio.

- Conte Rovilon, questa è Celia Hianick, allieva dell'Ordine e figlia del Conte Hianick - la presentò Mark formalmente.

- Sono onorato di fare la vostra conoscenza milady, il nome della vostra famiglia risuona dovunque dopo la vostra ardita impresa ad Agrabaar - il Conte le baciò la mano - Vi faccio anche le mie felicitazioni più sentite per il vostro recente e quanto meno improvviso fidanzamento con Alexei Arstid - aggiunse osservando l'anello alla mano sinistra. Celia non comprese perché le stesse dicendo ciò, finché la figura alle spalle del Conte si abbassò il cappuccio. Era una ragazza bionda, dai lunghi capelli acconciati perfettamente, gli occhi azzurri come il mare e la pelle chiara e liscia.

- Mia figlia Helen - la presentò il Conte.

Ecco dov'era l'inghippo, probabilmente voleva maritare la figlia al figlio del Duca e invece suo padre l'aveva spuntata. Alexei c'aveva sicuramente perso nello scambio. Lei era bella come una stella. Perfino Mark si soffermò a guardarla. La giovane fece un lieve inchino.

- Sono lieta di incontrarvi - e sfoggiò un sorriso che avrebbe fatto rifiorire un fiore morto.

- Piacere mio, milady - Celia ricambiò l'inchino e si congedò raggiungendo Gwaine e aiutandolo coi cavalli. Sentiva lo sguardo di Helen su di sé, le dispiaceva per la giovane che avrebbe magari apprezzato l'unione con Alexei, ma non dipendeva da lei.

- Prendi queste - Gwaine le porse due coppie di redini e Celia fece entrare nella stiva i due cavalli, sui loro musi erano stati messi dei canovacci in modo che non capissero cosa stava accadendo e non si innervosissero.

L'interno della stiva era scuro, ammassate sulla destra c'erano le selle e le coperte dei cavalli, l'odore era sgradevole ma Celia notò che il fondo della stiva era fatto in modo da poterlo lavare rapidamente e buttare tutto lo sporco in mare. Oltre lo spazio riservato agli animali si potevano vedere moltissimi barili, casse, corde, attrezzi di varia natura e fasci di frecce da balestra.

- Non vorrei essere nei panni di questi cavalli che per dodici giorni resteranno chiusi qui dentro! - esclamò Gwaine ridendo.

- Non deve essere piacevole - convenne Celia lisciando il collo di un cavallo.

- E' l'anello della casa ducale Arstid quello che portate al dito? - gli domandò lui all'improvviso.

- Sì, sono promessa al figlio del Duca - disse Celia meccanicamente.

- Non sembrate particolarmente felice - aggiunse Gwaine dopo qualche secondo.

- Mio padre voleva fortemente un'alleanza col Duca e a quanto pare anche il Duca con la mia famiglia, e così è stato fatto - sorrise lei.

- Capisco - il Cavaliere si rabbuiò e Celia lo fissò per qualche attimo.

La nave rollò e risalirono sulla tolda. I marinai dalla pelle abbronzata avevano tirato su le cime e le ancore. Due barche più piccole piene di rematori si affiancarono al Drago del Mare, due enormi cime vennero gettate e la nave si mosse per uscire dal porto.

Celia e Gwaine raggiunsero Mark, Erik, Klod e Kathe. Sulla banchina il Conte Berin era già salito a cavallo, intorno la sua guardia armata. Helen invece era ancora in piedi, immobile, e li guardava. Celia ebbe la sensazione che avesse atteso proprio lei e che la stesse fissando nonostante la distanza.

Klod rievocò la serata dal Duca e la parte che non aveva ancora detto alle sorelle, che riguardava la loro madre, suo padre e il Conte Berin e ciò che legava Alexei e Helen. Inevitabili furono i ricordi di Arielle. Dopo quella sera erano riusciti ad incontrarsi solo altre due volte, lei aveva corso un grave rischio ma si era rivelata una ragazza coraggiosa e molto testarda... Magari in quei giorni di viaggio avrebbe condiviso ogni cosa con le sorelle.



La navigazione fu tranquilla, la Drago del Mare si rivelò possente e affidabile nel superare un terribile temporale, alcuni gorghi e un branco di uccelli volanti, che i marinai detestano perché distruggono le vele e mordono il legno.

I primi giorni furono davvero terribili. Kathe fu quella che subì di più il mal di mare, Erik quello che non lo soffrì affatto. Beveva mangiava e giocava a dadi, mentre Kathe si innervosiva sempre più. Mark e Gwaine passarono la maggior parte del tempo insieme, chiacchierando delle vecchie imprese, dell'Ordine e una volta Celia udì un nome: Seline. Gwaine ne parlava sussurrando, quindi lei smise di origliare e tornò in cabina.

Klod ebbe modo di raccontare alle sorelle ogni cosa di Arielle e Celia seppe anche che Helen e Alexei si amavano. Kathe ebbe parole di conforto per la sorella ma denigrò il comportamento di Klod e della figlia della Contessa. Arielle stava rischiando molto e avrebbe potuto mettere a rischio tutti gli sforzi della madre. Klod avrebbe dovuto parlarne al padre, probabilmente un'alleanza fra le due Contee poteva essere ben vista anche da lui e tutto si sarebbe risolto con una cosa ufficiale. Il giovane ribatté piccato che lei non comprendeva la situazione, che Arielle era testarda e faceva sempre come voleva e che non c'era stato il tempo materiale per fare niente. Promise che al ritorno da quel viaggio avrebbe sistemato tutto.

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Capitolo 21
*** Le Terre del Fuoco ***


21. Le Terre del Fuoco

 

Il porto di Grigeo era piccolo e la nave attraccò al largo. Il mare era calmo e per poter trasbordare i cavalli usarono delle grandi chiatte, gli abitanti erano abituati a quanto pareva.

Una volta a terra, vennero accolti da un gruppo di cavalieri dell'Ordine che li condusse al Monastero di Barilev, la città principale del Ducato di Cabilasita. Era ormai notte fonda del quattordicesimo giorno di viaggio quando lo raggiunsero. Lasciarono i cavalli alle stalle e il Cavaliere che li aveva accolti li portò alle camere assegnate avvisandoli che l'indomani mattina avrebbero potuto parlare con l'Alto Chierico.

Erano tutti stanchi e approfittarono dei letti comodi per riposare.


L'Alto Chierico era un uomo anziano, più del padre di Mark a Torap. La pelle raggrinzita aveva preso una sfumatura grigia, gli occhi liquidi e scuri avevano profonde occhiaie. Tutti lo chiamavano Spina ma Klod non riuscì a comprendere da dove provenisse quel soprannome. In realtà si chiamava Sergey Haralin. Quando li convocò, restarono diversi minuti in piedi, mentre lui in silenzio li valutava. Infine si decise a parlare.

- Così voi siete il gruppo messo insieme da Leon di Fir Ze. Tre ragazzini, un tagliaborse, un Cavaliere rinnegato e un altro che crede di essere un campione degli dèi - sbuffò. Celia rimase sconcertata dalla crudezza delle parole ma né Mark né Gwaine batterono ciglio incassando il giudizio. Erik fece spallucce e si sedette senza badare più all'etichetta. Kathe e Klod si guardarono incupendosi ma non dissero niente.

- Maestro, mio padre vi saluta e vi manda questa - disse Mark porgendo una pergamena sigillata - Dobbiamo raggiungere le Fauci del Drago, dovreste avere una mappa da darci -

L'anziano chierico sbuffò di nuovo. Spezzò il sigillo e lesse lentamente il contenuto della pergamena.

- Voi Nateshwar date sempre tutto per scontato - gracchiò, gettando la pergamena nel fuoco del camino. Mark restò in silenzio ma Celia vide le sue labbra assottigliarsi.

- Sapete cosa stiamo andando a fare, ci serve quella mappa, volete finire sotto il dominio della Fratellanza di Sangue? Sapete cosa fanno ai chierici dell'Ordine quando li catturano? - ribadì Mark con decisione alludendo a certe torture di cui aveva sentito parlare. Sergey lo fissò con sguardo truce.

- Giovanotto ricordati da dove proviene il tuo potere clericale. Se perdi il favore degli dèi per la tua boria, non potrai più utilizzare la loro magia - lo rimbrottò l'Alto Chierico. Mark serrò la mascella ma non replicò.

- Forse ho capito da dove proviene il soprannome che ha - sussurrò Klod a Kathe ridacchiando.

- Cedric! - urlò il vecchio facendoli sussultare. La porta si aprì di scatto e un messo con la veste grigia e le guance rosse entrò di corsa.

- Eccomi, Maestro - disse prontamente.

- La mappa delle Terre di Fuoco, dov'è? - gracchiò sputacchiando. Il giovane e imbarazzato messo aprì le ante di uno scaffale chiuso e prelevò una mappa fra altre centinaia. Erik guardò avido l'interno e Celia gli scoccò un'occhiata ammonitrice.

- Eccola, Maestro - Cedric porse la mappa arrotolata e l'Alto Chierico la prese sgarbatamente. La srotolò e indicò un punto che era raffigurato con il muso di un drago stilizzato.

- Le Terre di Fuoco sono un gruppo montagnoso impervio, non ci cresce neanche un filo d'erba ed è abitato da serpenti, rapaci, conigli e bande di orchi, minotauri, troll, giganti e altre razze selvagge. Le Fauci del Drago sono un dedalo di caverne che si dipanano fino in profondità sotto la montagna ma nessuno è mai tornato con mappe per raccontarcelo - la voce dell'anziano chierico era grave e roca.

- Vi occorreranno almeno sette giorni di viaggio per raggiungere le Fauci ma anche con la mappa non le troverete facilmente, il tempo è inclemente su quelle cime e i pericoli troppo frequenti e letali, vi serve una guida - nonostante li stesse praticamente consigliando e aiutando, il suo tono rimase di scherno.

- Fai entrare Annie - disse a Cedric, che uscì e tornò dopo qualche secondo seguito da una ragazza in abiti di cuoio morbido, aderenti e provocanti, che mettevano in risalto il suo corpo snello e tornito. Aveva a tracolla un arco e faretra e una spada sottile e ricurva dall'elsa praticamente inesistente e l'impugnatura d'osso finemente incisa, un pugnale assicurato alla cinta della vita sottile, un altro infilato nello stivale destro. Portava corti capelli neri, un paio di orecchini a cerchietto dorati, uno strano anello a forma di teschio, la pelle era di una lucida tonalità bronzea e i suoi occhi scuri e brillanti guardavano tutti con celata ilarità. Fece un lieve inchino e raggiunse l'Alto Chierico.

Klod dette una gomitata a Kathe che lo guardò di traverso, Erik si alzò in piedi con gli occhi che gli uscivano dalle orbite e anche Mark e Gwaine non poterono fare a meno di ammirare quel corpo femminile in abiti succinti che mostravano praticamente ogni cosa.

- Lei è Annie, è una guida e una cercatrice di tracce, vi porterà alle Fauci del Drago - gracchiò Sergey e un sorriso enigmatico gli distese i tratti del volto.

- Vi ringraziamo, Maestro... - iniziò Mark ma l'Alto Chierico lo interruppe bruscamente.

- Domani mattina vi voglio fuori dal Monastero, all'alba - disse il vecchio, prese un grande libro alla sua sinistra e iniziò a scrivere ignorandoli.

Gwaine e Mark si guardarono scambiandosi un lieve sorriso. Annie li raggiunse muovendosi come un felino.

- Vi ha congedato, se non l'aveste capito - la sua bocca piena e sensuale si inarcò in un sorriso gentile.

- Avevamo capito - annuì Mark indicando la porta che Cedric aveva diligentemente aperto.

Occuparono il resto della giornata a sistemare i cavalli e le provviste e Celia assisté ad alcune scene esilaranti che coinvolsero Kathe ed Erik che, insieme a Klod, trascorse ogni secondo con Annie. La giovane era abituata alle attenzioni degli uomini ed era chiara la disinvoltura con la quale parlava con loro.

- Sembra che Mark non ti tormenti più - le disse Kathe quella sera nel letto che dividevano.

- Gli ho detto chiaramente che non deve continuare a sperare, che quanto successo fu un errore, che non lo amo - rispose Celia sommessamente.

- Gli hai mentito, ti ha creduto? - Kathe insinuò la mano in quella della sorella.

- Non c'era altro da fare, voleva parlare con nostro padre. Sì, credo mi abbia creduto, non c'è motivo per cui si ostini ancora - Celia tirò fuori la mano con l'anello, poi spense la candela.


I primi tre giorni viaggiarono spediti ma dopo aver attraversato un ponte di corda su una gola, il terreno iniziò ad inerpicarsi. Annie sembrava sapere sempre che svolta prendere, che zona evitare.

La sera del quarto giorno il cavallo di Gwaine si azzoppò ma il Cavaliere scese ed evocò immediatamente un incantesimo che permise alla bestia di continuare. Quella notte dormirono in una caverna fredda e umida. Annie accese un fuoco con i pochi ramoscelli trovati in giro ma la roccia della montagna era davvero spoglia come aveva detto l'Alto Chierico.

Il quinto giorno vennero attaccati da un gruppo di goblin, probabilmente un'avanscoperta in cerca di cibo. Il combattimento fu breve e violento e per la prima volta videro Annie alle prese con un nemico. La guida si occupò dei tre arcieri che dall'alto bersagliavano il gruppo uccidendo ognuno con una singola freccia alla gola. Erik emise un fischio di apprezzamento e lei gli strizzò l'occhio rimettendosi l'arco a tracolla con un gesto fluido.

Si accamparono nei pressi di una roccia che curvava su stessa fornendo un piccolo riparo. Fecero dei turni ma non accadde niente.

Il sesto giorno di viaggio trovarono una gola occlusa da una frana. Annie sembrò particolarmente seccata e dopo un attimo di riflessione voltò il cavallo tornando indietro e prendendo una svolta diversa.

Il sentiero che percorrevano in fila era sassoso e nel dirupo sottostante c'erano i resti di un'antica foresta carbonizzata. I tronchi neri puntavano verso il cielo, coperti di un muschio giallo e vecchio.

- Avrei voluto evitare questa strada - disse Annie che precedeva la fila - Cercate di tenere i cavalli più vicino possibile alla montagna -

- Mi sembrava scontato - borbottò Kathe e Celia, che le stava subito davanti, sorrise.

Quella sera un temporale potente squassò la montagna. L'acqua scendeva a fiumi lungo le rupi scoscese, senza alberi o altri ad impedirne il cammino. Annie li condusse ad una sorta di casa di pietra, fatta coi sassi della montagna, legati con una malta semplice, e con un tetto di massicci tronchi di pino che erano sicuramente stati portati visto che non c'erano alberi.

Costrinsero i cavalli ad entrare e quando furono tutti all'interno lo spazio risultò completamente occupato. L'odore forte della pioggia e del sudore dei cavalli rendeva l'aria quasi irrespirabile ma almeno erano al riparo. Mangiarono carne secca e pane duro dalle provviste e si addormentarono quasi subito.

Celia si svegliò probabilmente disturbata da un rumore. Si alzò lentamente per non svegliare Kathe e uscì dalla casupola. Era freddo e il sole stava per sorgere a est. Lo spettacolo era incredibile. Il cielo dietro la montagna che aveva di fronte sembrava ardere di luce e fiamme. Restò col fiato sospeso finché il sole non comparve. La pioggia torrenziale era cessata, le rocce erano bagnate di goccioline e la luce dell'alba accese le pietre come diamanti.

- Un vero spettacolo - la voce di Mark giunse dalle sue spalle. Celia si voltò di scatto spaventata.

- Scusa, non volevo spaventarti - le disse alzando le mani.

- Stavo guardando l'alba - si difese lei. Lui annuì e si avvicinò.

- Esistono pochi uomini che possono dire di aver visto una cosa del genere - commentò il Cavaliere guardandosi intorno.

- Stupefacente - ammise Celia. Il sole stava illuminando il fianco della montagna, poi la valle sottostante, come un velo le tenebre si alzavano. La luce mostrò l'imboccatura di una caverna che era indubbiamente le Fauci del Drago.

- Guarda - sussurrò la giovane indicando verso ovest. L'imboccatura assomigliava veramente al muso di un drago, addirittura nella parte superiore c'erano due spuntoni che sembravano denti.

- Impressionante - disse Mark guardando le Fauci.

- Chissà cosa troveremo là sotto - rifletté a voce alta la chierica.

- Qualsiasi cosa sia non dobbiamo permettere che entri in possesso della Fratellanza di Sangue -

- Non l'ho pensato neanche per un momento - rispose lei guardandolo e sorridendo. La porta si aprì ed uscirono gli altri.

- Che meraviglia! - esclamò Kathe guardandosi intorno.

- Si vedono le Fauci del Drago - disse Mark indicando la montagna a ovest. Gli altri si voltarono osservando la caverna e lui ebbe modo di osservare Celia ancora qualche attimo. Non aveva creduto ad una sola parola di ciò che gli aveva detto. Sapeva perché l'aveva fatto sebbene conoscendola non comprendeva come avesse accettato quella situazione senza lottare con il suo solito ardore.


Occorsero altri tre giorni per raggiungere le Fauci, la montagna era impietosa e le bestie che la abitavano affamate e selvagge. Dopo aver ripreso il cammino dalla casa di pietra, Annie li condusse oltre il promontorio, aggirando la gola franata, poi in un'ampia valle dove furono attaccati da un branco di lupi prima e di leoni di montagna poi. Kathe dette sfoggio delle sue qualità e Klod e Erik non furono da meno. Tuttavia, vedere Annie in azione era strabiliante. Era agile come un gatto, veloce e precisa, che usasse l'arco, la spada o il pugnale.

- Siete un vero talento con quell'arco milady - disse Gwaine con la sua solita formalità e gentilezza.

- Mi sono allenata molto - disse sbattendo le ciglia in modo sensuale. Ma Gwaine sembrava immune a quel tipo di atteggiamento.

- Siete molto giovane eppure estremamente accurata e letale - aggiunse come fosse un maestro che valutava un'allieva.

- Non fai parte dell'Ordine - fece notare Mark pulendo la spada su un cespuglio secco.

- No, Cavaliere - disse Annie avvicinandosi felina - Io lavoro per me stessa, mi alleno per sopravvivere e a far sopravvivere quelli che accompagno. Il Maestro Sergey è così buono e dolce poi, che non riesco a dirgli di no - sospirò lei come se parlasse del principe dei suoi sogni.

- Chi? Quel vecchiaccio? - disse Klod alzando un sopracciglio - Sarà dolce con te, col resto del mondo è un astioso e impudente vecchio bavoso - Celia lo guardò di traverso indicandogli che non approvava il commento ma Klod la ignorò.

- Vieni qui, Kathe - la giovane maga si avvicinò, uno dei leoni di montagna aveva aperto un profondo graffio sul braccio. Celia evocò la sua magia e la ferita si rimarginò.

- Raggiungiamo il fondo della valle, dobbiamo risalire fino ad una caverna dove potremo riposarci - li avvisò Annie. Celia richiamò i cavalli usando un incantesimo e ripresero il viaggio.

Risalirono il crinale seguendo un sentiero aspro e tortuoso fino ad un piccolo spazio. Annie fermò il cavallo e venne affiancata dagli altri. Alcune picche erano infilate nel terreno e sulle punte erano infilzate delle teste umane, coperte di sangue rappreso e sfigurate dagli uccelli.

Una freccia si infilò nel terreno davanti al suo cavallo che scartò di lato nitrendo. Annie lo trattenne e guardò in alto. C'erano una decina di goblin e loro erano tutti sotto tiro.

- Lasciate parlare me, se qualcosa andrà storto, preparatevi a combattere - sussurrò Annie.

- Non possiamo passare da un’altra parte? - chiese Gwaine a voce bassa.

- Anche se ci spostassimo ci infilzerebbero come polli - rispose indicando il crinale.

Dal sentiero poco avanti, che diventava stretto come un imbuto, uscì un goblin coperto di pelli e piume, seguito da sei goblin con strane armature rattoppate, armati di lance e spade.

- Questo territorio Gulegh, paga per passare - disse quello che sembrava lo sciamano in un comune stentato. Annie scese lentamente da cavallo, sganciò un sacchettino dalla cinta e, facendolo rimbalzare sulla mano, si avvicinò al goblin. La creatura seguiva avidamente con lo sguardo il sacchetto e quando fu abbastanza vicina sollevò una mano.

Annie gli lanciò il sacchetto che lui prese al volo con un ghigno felice.

- Sono poche, donna colorata - disse il goblin soppesandolo.

- Sono tutte d'oro massiccio, goblin, guardale bene, non ti capiterà più un bottino così facile, prendile e lasciaci passare - ribadì Annie mantenendo al calma.

Il goblin aprì il sacchetto e i suoi occhi brillarono, perfino le guardie e gli arcieri sul crinale si mossero per guardare. Grugnì un assenso storpiato, Annie tornò lentamente indietro, rimontò a cavallo e riprese verso il sentiero. I goblin li seguirono saltellanti, Kathe si guardò indietro e li vide confabulare fra loro.

- Credo ci saranno dei problemi - sussurrò a Klod che avvisò anche Celia.

Dopo circa un chilometro, sulla destra e sinistra del sentiero si allargava una radura sassosa dove i goblin avevano costruito il loro villaggio.

- Non c'era fino al mese scorso - sussurrò Annie. Gwaine con movimenti lenti sganciò la fibbia che chiudeva la spada, imitato da Mark.

Fuori dalle capanne sudice c'erano decine di goblin maschi, femmine, cuccioli, bitorzoluti, dalla pelle verde, grandi orecchi a punta, pochi capelli sfilacciati e unti. L'odore era terrificante e Kathe si mise una mano davanti al naso.

Quando furono praticamente in mezzo al villaggio vennero attaccati. I goblin mirarono subito ai cavalli ma loro erano già pronti. Annie aveva già ucciso tre goblin arcieri mentre Gwaine, Mark e Klod difendevano le cavalcature imbizzarrite.

Kathe e Celia si dedicarono alla retroguardia. Lo sciamano lanciò dei dardi di fuoco, Celia si mise davanti alla sorella e incassò il colpo, i tre dardi si conficcarono nella carne, bruciando e lacerando. Kathe completò l'incantesimo e una ragnatela appiccicosa intrappolò lo sciamano e i sei goblin che erano con lui. La maga si voltò, furibonda, evocò la palla di fuoco che distrusse e uccise nel lato destro del villaggio.

- Stai bene? - chiese alla sorella.

- Sì, restami dietro - disse Celia cercando di fermare il sangue di uno dei dardi. Si riunirono al gruppo, Kathe si posizionò dietro Gwaine, il Cavaliere stava falciando goblin come fossero grano, usava la spada e lo scudo in maniera eccellente. Cantilenò un incantesimo e un'altra palla di fuoco oltrepassò il Cavaliere, che si voltò esterrefatto, e si infranse sull'altro lato del villaggio. I goblin fuggirono urlando e improvvisamente il villaggio fu deserto, c'era solo il crepitare del fuoco.

- Milady, dovete ricordarmi di non farvi arrabbiare - le sorrise Gwaine pulendo la spada sulle vesti lacere di un goblin morto.

- E' una scelta saggia, milord - rispose Kathe spolverandosi la veste della Scuola.

- Lasciati aiutare - Kathe udì il sussurro di Mark.

- Non è necessario, so come si lancia un incantesimo di cura - ringhiò Celia sottovoce. Kathe sospirò, per quei due non c'era possibilità, sapeva che, in un modo o nell'altro, sarebbero finiti insieme. Forse ora il tempo e gli eventi li stavano dividendo ma avrebbero avuto la loro occasione.

Mark evocò la magia nonostante i borbottii di Celia e Kathe si accorse di come Gwaine e Annie li guardavano sorridendo.

- Faccio un giro velocissimo per il villaggio - le sussurrò Erik all'orecchio. Avrebbe voluto fermarlo ma era già schizzato via. Si diresse immediatamente alla tenda più grande, che doveva essere dello sciamano. Controllò che fosse ancora imprigionato nella ragnatela magica, poi rovistò in mezzo alle macerie fumanti. Trovò quello che cercava, l'aprì in pochi secondi e si mise in tasca tutto ciò che c'era dentro.

Raggiunsero la caverna ma si trovava in alto e per raggiungerla Erik scalò la parete come una scimmia, assicurò una corda coi nodi intervallati e la lasciò cadere. I cavalli dovevano restare sotto e qualcuno con loro. Per il primo turno si offrì Kathe, che doveva comunque studiare sul suo libro di magia. La caverna era piccola e aleggiava un odore di selvaggina e sterco però gli permise di ripararsi dal freddo della notte.

Erik era rimasto ad osservare Kathe seduta a terra, il grande libro appoggiato sulle gambe incrociate, le labbra che si muovevano ripetendo le complesse formule magiche. Aveva evocato una piccola sfera di luce e i lunghi capelli biondi poggiavano a terra avvolti da un caldo bagliore.

- Resto io coi cavalli, vai a mangiare -  le disse schiarendosi la gola. La maga si riscosse, sollevò la testa e gli sorrise. Erik, incantato, si inginocchiò, le prese il volto fra le mani e la baciò poggiando le labbra sulle sue.

- Perché? - sussurrò Kathe con il cuore che le batteva all'impazzata. I suoi occhi azzurri erano come un mare infinito e si sarebbe smarrita in essi.

- Perché sei bellissima e perché ho in mente solo te dal primo momento in cui ti ho visto - la baciò di nuovo ma questa volta non seppe fermarsi, le sue labbra erano troppo morbide e invitanti.

Kathe sentiva il cuore scoppiare di gioia, di paura, per i dubbi che aveva, per Lewel. In quell'istante, se gliel'avesse chiesto, sarebbe andata via con lui in qualsiasi posto del mondo.

- Devo andare ora - gli disse con voce tremante per l'emozione.

- Perché? Siamo fatti per stare insieme, è evidente - sussurrò Erik sfiorandole ancora le labbra umide.

- Non lo so Erik, ci sono delle cose... - obiettò Kathe fissando i suoi bellissimi occhi. Si alzò e il libro cadde a terra, Erik lo raccolse e glielo porse.

- Se mi concedessi questa notte, fugherei ogni tuo dubbio - piegò la bocca in un sorriso di sfida. Kathe arrossì e abbracciò il libro.

- Ne sono sicura ma concedimi di chiarire alcune cose prima - sussurrò lei evocando un incantesimo di levitazione che le permise di raggiungere la bocca della caverna seguita dallo sguardo fermo e sorridente del ladro.


- Non acconsentirebbe mai, lo sai - era notte fonda ma Kathe non si arrendeva al sonno. Era troppo agitata e Celia aveva insistito perché le raccontasse cosa non andava.

- Devi scoprire chi è, Celia, fallo per me - sussurrò Kathe nelle tenebre della caverna. Non le aveva raccontato del bacio, ma le aveva chiesto di indagare.

- E se non fosse nessuno? - insisté Celia, voleva che indagasse ma sinceramente sembrava un ladro qualsiasi, educato ma un ladro.

- Celia, ha un modo di parlare e di muoversi che non è comune, ne sono sicura! E tu sei l'unica che può scoprire chi sia! - era disperata e la voce era incrinata per il pianto. Celia era sicura che fosse attratta da entrambi ma questa ostinazione nel cercagli una parentela nobile indicava che l'ago pendeva più dalla parte del ladro che da quella del principe elfo.

- Quando ho scoperto chi fosse Lewel avevo un anello con un disegno per poter risalire. Con Erik non posso fare niente, ho solo il suo nome - le posò un bacio sulla fronte e la tenne stretta.

- Parti da quello! - esclamò soffocata artigliandole il braccio.

- D'accordo - sospirò Celia accostando la guancia alla sua. Sentì il suo respiro farsi lieve e infine si addormentò. Probabilmente Erik si era unito alla spedizione proprio per starle vicino. Vide Mark alzarsi nell'ombra, la sua sagoma inconfondibile, e scendere per dare il cambio a Erik. Gwaine avrebbe fatto l'ultimo turno prima dell'alba e Annie avrebbe dormito tutta la notte, dopotutto era lei a guidarli ed era bene che fosse in forze. Klod russava come un mantice.


Raggiunsero le Fauci del Drago due giorni dopo sotto una tempesta di pioggia e fulmini. Entrarono coi cavalli al riparo della grande caverna, il vento sibilava e ululava. Smontarono rapidamente scuotendosi l'acqua dai mantelli. Annie assicurò le cavalcature ad alcuni anelli incastrati nella roccia. Sembrava che gli avventurieri fossero frequenti.

- Proseguirò l'esplorazione con voi - esordì Annie facendo voltare tutti.

- Non è necessario, potete attendere qui il nostro ritorno e riportarci al Monastero - disse Mark assestandosi la spada e mettendo nello zaino alcuni oggetti dalle bisacce.

- È stato l'Alto Chierico stesso a ordinarmelo - sorrise lei in modo enigmatico.

- Hai capito il vecchiaccio... - commentò Klod sussurrando ma poteva essere solo piacevole avere la possibilità di guardare ancora quel fondo schiena perfetto e sodo. Celia gli lanciò un'occhiataccia.

- Allora è deciso - annuì Mark voltandosi verso il buio della caverna.

- Annie, cosa sai dirci delle Fauci del Drago? - chiese poi il Cavaliere.

- Le Fauci sono il complesso montagnoso su cui siamo ora. E' inospitale, ci sono orchi, troll, goblin, bestie selvagge e molti altri tipi di creature. Sebbene nessuno sia tornato dal suo interno con delle mappe, sappiamo da racconti e libri che c'è sicuramente un primo livello di caverne e dedali scavati nella roccia dall'acqua durante i secoli. Da qualche parte deve esserci una discesa verso le Catacombe di Hilizia ma non ne conosco l'estensione né se le leggende che si raccontano siano vere - spiegò Annie sistemandosi l'arco a tracolla.

- Quindi nessuno è tornato da qui... - valutò Erik guardando il buio davanti.

- Dovremo essere molto cauti - suggerì Gwaine evocando una sfera di luce.



Ma diventa molto difficile muoversi cautamente quando si è inseguiti da un'orda di ragni giganti.

 

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Capitolo 22
*** La Regina Ragno ***


22. La Regina Ragno


L'interno della montagna era freddo e umido. Le parete gocciolavano acqua, il fondo era viscido e scivoloso. La prima parte della galleria era in discesa e si aprì su una caverna a volta con un piccolo lago sotterraneo. Annie e Erik andarono in esplorazione e tornarono dopo qualche minuto.

- C'è un'altra galleria dall'altra parte e non ci sono tracce fresche per terra - riferì Annie con Erik che annuiva.

Riempirono tutte le borracce disponibili e imboccarono la seconda caverna addentrandosi sempre più in profondità.

- Cos'è questo fetore? - chiese Kathe portandosi una mano al naso.

- Cadaveri... - disse Annie e si scambiò un'occhiata con Erik. Si mossero rapidi in avanti mentre Celia, Klod, Mark e Gwaine sguainavano le spade.

La galleria scendeva ancora più repentinamente fino a quella che sembrava una caverna larga e bassa che si perdeva nelle tenebre. Avevano una piccola torcia con loro e individuarono due gallerie, una a destra e una a sinistra ma non si capiva cosa ci fosse davanti. L'odore era persistente e faceva venire la nausea.

- Digli di venire - disse Annie al ladro. Erik si incamminò silenzioso, raggiunse il gruppo che lo aspettava e li guidò nella caverna.

Annie si era inoltrata nella grande caverna buia verso le due gallerie sulla destra. La seguirono a distanza e il fetore diventava sempre più forte. Gli indicò di attendere lì vicino alle due gallerie e insieme a Erik perlustrò tutta la caverna. Quelle due uscite erano le uniche disponibili.

- Non c'è altro passaggio, solo questi due - riferì Erik osservando le due bocche nere.

- L'odore sembra provenire da entrambe, quindi direi di sceglierne una e andar - disse Gwaine dopo una breve valutazione.

- Concordo ma fatemi controllare se c'è qualche impronta - disse Annie muovendosi rapida in avanti.

Celia si era domandata come facesse a cercare delle tracce sulla roccia nuda, non c'era terra lì né sabbia. Tornò dopo qualche istante col volto scuro e preoccupato.

- In quella di sinistra ci sono tracce di orso, molto grandi, mentre quella di destra sembra pulita - riferì la cercatrice.

- Allora andiamo a destra - disse Gwaine imboccando sicuro la galleria.

Dopo circa un centinaio di metri la galleria iniziò a stringersi e improvvisamente davanti a loro comparvero alcune enormi ragnatele argentee.

Erik si immobilizzò e Annie chiese silenzio. Si fermarono tutti.

- Abbiamo un problema - sussurrò la cercatrice guardandosi intorno. Gli altri si avvicinarono.

- E' una tana di aranee - sussurrò - Sono ragni grandi come pony, il loro veleno è molto potente, catturano le prede, le mettono nei bozzoli e le mangiano nel tempo... - spiegò brevemente. Erik era impallidito.

- Ti senti bene, amico mio? - gli chiese Gwaine sguainando lentamente la spada.

- No, io odio i ragni, profondamente - rispose il ladro quasi balbettando a bassa voce.

- Sono dei mostri, non ragni, uccidili e basta - consigliò allegro il Cavaliere.

- Torniamo indietro - suggerì lentamente Annie girandosi ma dalla galleria da cui erano venuti erano state tessute pesanti ragnatele che impedivano l'uscita.

Annie imprecò in modo così colorito che Gwaine e Mark alzarono un sopracciglio.

- Dobbiamo proseguire - disse a denti stretti - Avere della armi magiche sarebbe molto utile - aggiunse poi.

- La mia lo è - disse Gwaine sollevando la lama lucente.

- Anche la mia - aggiunse Mark.

- E le mie - disse Erik con un filo di voce mostrando le due lame ricurve.

- Bene - annuì Annie - Forse abbiamo una speranza - proseguì lungo il corridoio di pietra tagliando le ragnatele, aiutata da Gwaine e Mark. Celia e Kathe erano in mezzo e Klod e Erik chiudevano la fila.

- Da dove viene questo tuo terrore per i ragni? - Klod ricordava perfettamente la sua fuga dal granaio pieno di ragni giganti.

- Da ragazzino i miei cugini mi hanno riempito di botte, cosparso di miele e legato. Mi sono svegliato nella stalla, su una balla di fieno, completamente coperto di ragni, posso sentire ancora le loro mandibole succhiare il miele... - se possibile diventò ancora più terreo. Klod deglutì e rimase in silenzio.

- Arrivano, preparatevi - sussurrò Annie. Gwaine fece un cenno a Klod che si avvicinò, mormorò alcune parole e per un attimo la lama del giovane brillò.

- Per un po' sarà incantata anche la tua, non posso fare di meglio - si scusò il Cavaliere.

- La userò al meglio - gli strizzò l'occhio Klod.

Celia stava per lanciarlo sulla sua arma ma Mark la fermò.

- Faccio io mantieni i tuoi incantesimi e cerca di fare attenzione - le disse il Cavaliere. Lei accettò l'aiuto e lo ringraziò con un cenno della testa.

- Niente palle di fuoco qui dentro - aggiunse poi rivolto a Kathe sorridendo.

- Come il Sir Cavaliere comanda - rispose la giovane maga facendo un lieve inchino.

Uno sputo verde si appiccicò e colò dalla parete alla loro sinistra. Klod e Erik tennero le retrovie con Celia e Kathe, mentre Annie, Mark e Gwaine fronteggiarono i ragni che venivano dalla galleria.

Per fortuna lo spazio era ristretto e poterono facilmente tenere testa ai giganteschi ragni pelosi dal ventre giallo. Klod assestava fendenti e affondi ed Erik aveva l'incredibile capacità di fondersi con le tenebre per sbucare nei posti più impensabili ed affondare le sue lame letali.

Kathe evocò i suoi dardi magici ed uno strano incantesimo che permetteva a Klod e Celia di essere molto più veloci e letali. Il primo ragno di fronte a loro cadde, Celia si voltò e vide i due cavalieri e Annie fronteggiare due grandi ragni. Gwaine sembrava una furia e mulinava la spada con precisione e rapidità. Mark aveva gli avambracci coperti di sangue rosso e denso, Annie era arretrata e lanciava frecce ad una velocità impressionante, ognuna centrava il bersaglio.

Da ampi buchi nel soffitto che non avevano notato sbucarono le zampe pelose di due ragni. Sputarono la loro ragnatela dai ventri gonfi e gialli, catturando Celia e Annie. Riavvolsero rapidamente i bozzoli e scomparvero nelle cavità.

- Il soffitto! - gridò Kathe allarmata quando vide Celia scomparire. Erik sfilò le spade dalla gola del ragno che crollò a terra e si voltò appena in tempo per vedere un altro ragno scendere dal soffitto. Si gettò su Kathe rovinando a terra e Klod roteò la spada tagliando via il pungiglione da cui usciva il filamento appiccicoso.

- Grazie... - balbettò Kathe nonostante la caduta pesante, Erik la teneva ancora stretta fra le braccia. I due cavalieri si voltarono di scatto e compresero la situazione all'istante.

- Se si comportano come altri ragni e come quelli che abbiamo trovato in passato, porteranno le vittime nella loro dispensa, per mangiarle con calma, che di solito si trova nei pressi del nido della regina... - disse Klod affrontando un altro ragno.

- Andiamo a riprenderle - ringhiò Mark - Cominciamo col dare fuoco alle ragnatele - raccolse la torcia a terra che ardeva ancora e appiccò il fuoco alla prima grande ragnatela davanti a lui. Dall'altra parte c'era un ragno, che fuggì in un buco nel soffitto.

- Fate attenzione alla volta della galleria! - gridò Gwaine mentre procedeva rapido in avanti. Erik e Klod estrassero e accesero altre torce bruciando le ragnatele che bloccavano gli stretti cunicoli.

Cercarono di muoversi il più rapidamente possibile ma dovettero scontrarsi con altri ragni ed evitare di essere catturati. Le gallerie erano un dedalo di roccia e terra, piene di fosse coperte da ragnatele.

- Ma non finiscono mai? - domandò Kathe esausta appoggiandosi a Klod.

- Le ragnatele si sono infittite, ci stiamo avvicinando - fece notare il fratello indicando la galleria che si apriva sulla sinistra che ne era praticamente piena.

- Sarà già morta - sussurrò la giovane maga con voce rotta dal pianto.

- Non lo pensare neanche - Klod la scosse per le spalle, la mano sinistra sanguinava da un profondo taglio.

- Proseguiamo - ordinò Mark addentrandosi nella galleria. Incendiò le ragnatele e si aprì un varco con la spada. Dall'altra parte si apriva una caverna un po' più piena di anfratti e buchi. C'erano tantissime ragnatele e una tenebra intensa.

- Facciamo un po' di luce - disse Gwaine, ed evocò una sfera magica che illuminò una porzione più ampia.

- Per gli dèi... - sussurrò Klod osservando lo spettacolo.

Di fronte a loro si apriva una grande voragine, su cui era tessuta una ragnatela spessa e densa, dalla forma geometrica quasi perfetta. C'erano anche delle sorte di liane fatte di ragnatele avvolte, che pendevano dal soffitto roccioso a cui erano appesi enormi ragni pelosi dal ventre giallo e dalle lunghe zanne colanti veleno.

Nel centro della ragnatela era accucciato un enorme ragno nero, dall'addome giallo e arancio. Si alzò sulle otto zampe e li fissò con gli otto occhi liquidi.

- Non vi muovete - sussurrò Mark sollevando una mano. Stava già mormorando un incantesimo anche se Klod non vide accadere niente. Gwaine gli si avvicinò.

- Cerca di comunicare con quel ragno - sussurrò a voce talmente bassa che Klod dovette avvicinarsi.

- Non posso lanciare qualche palla di fuoco? - domandò Kathe a voce bassa e Klod la guardò male.

- Magari Mark riesce a convincerla - disse Gwaine non troppo convinto.

- Non sappiamo neanche dove siano Celia e Annie - aggiunse Klod.

- Secondo me sono là - il sussurro di Erik la fece sobbalzare. Seguì la direzione che indicava il suo dito e notò sulla destra della grande ragnatela c'era una sorta di cono fatto della sostanza bianca e appiccicosa, molto simile a quello che i ragni normali usano come tana. Erik fissò i suoi occhi in quelli grigi della maga e lei seppe cosa fare. Pronunciò rapida l'incantesimo di invisibilità e il ladro scomparve alla vista.

- Cosa fate? - chiese Gwaine sibilando.

- Salviamo nostra sorella e Annie - rispose pacata Kathe, confidando nelle tecniche e nell'astuzia di Erik. Klod strinse una spalla alla sorella per esprimere la sua solidarietà.

- Abbiamo ucciso molti suoi figli così per lei basteranno quattro di noi, due li ha già e ne vuole altri due - si intromise Mark, la sua voce un sussurro gelido.

- Dov'è Erik? - chiese poi sospettoso.

- Pensa che Annie e Celia possano essere tenute là - rispose Gwaine indicando discretamente il cono di ragnatela. Mark digrignò i denti.

- Non ci resta che dargli il tempo necessario per tirarle fuori... - si voltò e tornò a parlare con la regina ragno.

- Non posso tirarle fuori di lì - il sussurro lieve di Erik la fece quasi gridare.

- Se fai così mi fai venire un colpo! - ringhiò lei - Perché non puoi? -

- Sono avvelenate, non so neanche se sono morte o vive - poi si zittì. Kathe sbiancò e guardò Klod.

- Conosco un incantesimo per aiutarle neutralizzando il veleno ma dovrei raggiungerle, non hai un altro incantesimo? -

- Di invisibilità no ma la palla di fuoco sì... - rispose lei con sguardo truce. Gwaine la osservò per un istante.

- Se tocco la ragnatela per raggiungere la regina mi sentirà all'istante anche se non può vedermi... - sussurrò Erik dal nulla.

- Possiamo uccidere la regina ma non affrontare tutti gli altri ragni. Lancia il tuo incantesimo sul soffitto, incendia ogni cosa e non preoccuparti per noi, fai in modo che i ragni non ci raggiungano - le disse il Cavaliere. Kathe si illuminò.

- Non devi incentivarla così Gwaine... - commentò Klod e dall'aria accanto a loro uscì la risatina di Erik.

- Allora io cercherò di cavalcare, di nuovo, quello schifoso ragno... - sospirò il ladro, poi non lo sentirono più.

- Non vogliamo avvisare il nostro tenebroso amico lì davanti? - suggerì Klod indicando Mark.

- La sorpresa ci darà un vantaggio e lui comunque reagirà - Gwaine gli strizzò l'occhio e lanciò un incantesimo sulla spada di Klod mantenendo la voce molto bassa.

Kathe stava già terminando l'incantesimo, Klod si scostò leggermente e d'improvviso fu come se l'Abisso fosse risalito dalle profondità della terra. La palla di fuoco esplose sul soffitto, incendiando le ragnatele e facendo fuggire tutti i ragni, molti caddero carbonizzati, le zampe rattrappite verso il ventre.

La regina ragno sputò una sostanza verde e viscosa su Mark che ne fu completamente avvolto schiacciandolo a terra. Rapida si mosse in avanti pronta a ghermirlo ma si trovò a fronteggiare Klod e Gwaine che impugnava la sua spada bastarda a due mani.

I due guerrieri si lanciarono all'attacco sfruttando l'attimo fornito dalla regina ragno, mentre intorno a loro piovevano fiamme e ragnatele infuocate. Kathe evocò i dardi incandescenti e uccise due ragni che tentavano di raggiungere Klod e Gwaine e proteggere la loro regina. L'aria stava diventando irrespirabile, l'odore di carne carbonizzata era nauseante.

Un ragno fiammeggiante cadde sulla ragnatela al centro della voragine, distruggendola e precipitando nel vuoto. Le fiamme si stavano esaurendo e Kathe decise di cambiare posizione e cercare di colpire la regina con un fulmine. Trovò una piccola sporgenza e si riparò dietro di essa, si concentrò e richiamò il fulmine magico. La catena splendente e sfrigolante si abbatté sul posteriore del ragno peloso, che emise un lamento stridulo. Da quella posizione Kathe poté vedere Erik, appeso come un acrobata a uno dei filamenti che scendeva dal soffitto e che non si era incendiato. L'incantesimo era terminato e un gelo improvviso l'assalì.

Erik scese fino a che non rimase più ragnatela, poi si lasciò andare. Kathe trattenne il fiato e il cuore smise di battere per un istante, poi il ladro atterrò con grazia sulla congiuntura fra la testa e l'addome, le spade già sguainate.

Klod e Gwaine avevano reciso due delle zampe della regina e ferito gravemente gli occhi e la bocca zannuta per impedirle di sputare ancora. Quando videro Erik saltare in groppa al ragno, aumentarono i loro sforzi colpendo con precisione i punti vitali della bestia.

Dai fori nel soffitto giunsero altri ragni dato che le fiamme si erano ormai esaurite. Kathe si concentrò e un'altra palla di fuoco si infranse sul soffitto, i ragni fuggirono e alcuni presero fuoco e caddero a terra con tonfi sordi. Erik affondò ripetutamente le spade nel cranio della regina ragno che inarcò la testa e Klod e Gwaine affondarono le loro armi sotto la mandibola esposta. La regina ragno crollò al suolo e Erik saltò giù con un balzo agile, le lame delle spade lorde di sangue denso e scuro.

Kathe finalmente esalò il respiro e corse verso di loro. I ragni non si videro più, probabilmente scoraggiati dalla morte della regina.

- Tiratemi fuori di qui! - gridò Mark che si contorceva nella sostanza appiccicosa. Gwaine e Klod recisero i filamenti resistenti con le spade incantate e finalmente il Cavaliere fu libero.

- Ma cosa vi è saltato in mente! - ruggì con occhi infuocati passando lo sguardo da uno all'altro e fermandosi su Gwaine.

- Erik non è riuscito a tirare fuori dai bozzoli Celia e Annie, sono incoscienti, non c'era altro da fare... - ma non riuscì a terminare la frase, Mark si era già precipitato nella galleria sulla destra raccogliendo un frammento di ragnatela infuocato durante la corsa e gettandolo sul cono che ostruiva il passaggio. La tela bruciò all'istante e lui si gettò dentro.

- Tu guarda cosa non fa fare l'amore... - commentò Erik ridacchiando. Klod seguì il Cavaliere nel tunnel con Gwaine, Kathe e Erik. La roccia era annerita ma la breve galleria sbucava in una bassa caverna, completamente piena di ragnatele e bozzoli. C'erano tantissime ossa e scheletri di animali e uomini. Alcuni bozzoli erano gonfi e quando Klod entrò Mark aveva già tagliato via le ragnatele da uno dove si intravedeva il volto terreo di Celia, la spada adagiata a terra al suo fianco. Gwaine ruppe un altro bozzolo che Erik indicò rivelando il volto di Annie che aveva perduto tutta la lucentezza della sua pelle ambrata.

Entrambi i cavalieri intonarono lo stesso incantesimo che avrebbe dovuto eliminare gli effetti del veleno. Poi Mark sollevò la testa.

- Quanti incantesimi per curare le ferite gravi? - domandò all'amico.

- Uno - rispose Gwaine.

- Vediamo di non sbagliare perché non arriveranno a domani - il volto di Mark si oscurò, il medaglione che si intravedeva fuori dall'armatura prese a brillare intensamente, le sue labbra mormoravano incessantemente l'incantesimo e le sue mani appoggiavano sull'armatura di Celia. Gwaine era nella stessa identica posizione e mormorava le stesse parole. Le uniche che Kathe comprendeva citavano i nomi degli dèi nelle loro forme terrene: il padre, la madre, la giustizia, il dovere, la saggezza, l'umiltà, il coraggio, la morte.

Le mani si illuminarono brevemente e Celia ed Annie presero a respirare di nuovo. Il sollievo di Mark fu evidente e anche sul volto di Gwaine si allargò un ampio sorriso.

- Sembra abbia funzionato - commentò Gwaine e Mark annuì riportando poi lo sguardo su Celia.

Kathe strinse forte il braccio di Klod che le sorrideva e anche Erik palesò la sua approvazione.

- Bene, ora che la fase critica è passata mi posso dedicare ad esplorare un po' questa caverna   piena di ossa e, spero, tesori! - e schizzò via sparendo fra le ragnatele. Kathe scosse la testa e Klod rise di gusto.

- Credo che mi dedicherò anche io alla ricerca di qualche tesoro. Ecco dove finivano tutti gli avventurieri! - e seguì il ladro.

Kathe si avvicinò alla sorella inginocchiandosi accanto a lei e accarezzandole una guancia. Il pallore era scomparso e il colorito era tornato.

- Grazie - disse solo alzando gli occhi lucidi su Mark. Lui annuì e rimase in silenzio tornando a fissare la giovane donna. Non si sarebbe mai perdonato se fosse morta.

Gwaine si distese appoggiandosi ad un bozzolo, evitando di domandarsi che ci fosse dentro. Aveva un taglio profondo al braccio sinistro, evocò una cura minore e sanò la ferita con una smorfia.

Mark si rialzò guardandosi intorno. Ripercorse il tunnel fino alla caverna della regina per trovare un'altra uscita e vedere se i ragni stavano tentando di attaccarli. La caverna era buia, si vedevano solo alcuni brandelli infuocati che bruciavano ancora. Non c'erano altre uscite, così rientrò nella dispensa coi cadaveri. Solo in quell'istante si accorse dell'odore terrificante che vi aleggiava.

Erik e Klod erano tornati e stavano mostrando a Kathe alcuni oggetti trovati.

- Ho un solo incantesimo di individuazione del magico, quindi per ora possono identificarne solo uno se volete sapere se è magico e che proprietà ha, quindi scegliete - gli sorrise la giovane maga. I due si guardarono poi si sedettero a gambe incrociate a discutere.

- Dobbiamo uscire di qui - esordì Mark sedendosi accanto a Gwaine.

- Da quella parte c'è una breve galleria che porta al nido delle uova e ancora oltre un'altra galleria che potrebbe essere la prosecuzione di questo dedalo roccioso - disse Erik alzando la testa.

- E cosa aspettavi a dircelo? - Mark lo squadrò con occhi roventi. Erik gli sorrise e tornò a discutere con Klod.

- Possiamo trasportarle usando i bozzoli stessi come lettighe - suggerì Gwaine riportando l'attenzione sul problema.

- D'accordo, andiamo - Mark si rimise in piedi e fissò una corda in modo da poter trascinare i bozzoli. Era rudimentale ma funzionò.

Bruciarono ogni cosa nella camera delle uova e proseguirono nell'angusto corridoio naturale indicato da Erik finché non sbucarono in una piccola caverna con una polla d'acqua. Gwaine evocò un incantesimo di purificazione, bevvero e riempirono le borracce.

Un'altra galleria si dipanava, la imboccarono e la percossero fino a raggiungere un costone di roccia che ne decretava la fine.

- Dobbiamo risalire fino lassù e vedere cosa c'è - disse Mark.

- Datemi una corda, vado io - si propose Kathe allungando una mano. Erik stava per ribattere ma lei lo fulminò con lo sguardo.

- Prendi - Gwaine le porse il capo della corda, lei mormorò l'incantesimo di levitazione e si staccò delicatamente da terra salendo in verticale circa quattro metri sopra le loro teste.

Sbucò con cautela ma non c'era niente di pericoloso. Cercò una roccia, fissò la corda e si sporse.

- Potete salire! - gridò la maga. Poi lanciò una luce magica che illuminò l'area circostante. Era un'altra galleria, bassa e piatta, dall'inusuale forma rettangolare. Con un grugnito Gwaine si aggrappò al bordo della roccia e si tirò su. Lo seguì Klod, poi Erik mentre Mark assicurava il bozzolo di Annie alla corda. I tre uomini tirarono e trascinarono il bozzolo fino in cima. La stessa cosa venne fatta con Celia. Ributtarono giù la corda e Mark poté finalmente salire. Una volta che furono tutti su decisero di fare una sosta. Erano stremati, Celia e Annie avrebbero potuto riprendersi e quell'area era protetta. Aveva un buon punto di osservazione sulla galleria in basso e si vedeva perfettamente quella nuova che iniziava.

Avrebbero mangiato le provviste secche che avevano portato dato che era impossibile accendere un fuoco e avrebbero fatto dei turni di guardia per non essere colti di sorpresa.



Dopo circa due ore Celia si svegliò. Aveva la vista offuscata e intorno a lei c'era una debole luce. Si sfregò gli occhi e cercò di tirarsi su senza riuscirci. Realizzò di essere avvolta in un bozzolo di tela di ragno e si guardò intorno. Alla sua destra c'era Klod che dormiva appoggiato alla parete rocciosa, alla sua sinistra Kathe che leggeva il suo libro.

- Tirami fuori di qui... - borbottò la chierica sorridendo.

- Celia! - Kathe soffocò un moto di sorpresa, posò il libro e prese il piccolo pugnale che teneva alla cinta iniziando a tagliare la tela robusta.

- Come ti senti? - sussurrò la sorella con voce bassa per non svegliare gli altri.

- Bene, che è successo? - Celia tirò fuori un braccio. Kathe le raccontò brevemente mentre tagliava la tela resistente. Finalmente uscì dal bozzolo stirando braccia e gambe. Kathe l'abbracciò stretta e Celia ricambiò.

- E' stato Mark, senza di lui saresti morta - le sussurrò indicando la figura del Cavaliere fuori dall'imbocco del tunnel che faceva il suo turno di guardia. Celia la strinse per le spalle e dette un bacio sulla fronte. Annie dormiva, sebbene sembrasse morta, e Gwaine, Erik e Klod avevano il volto sereno.

- Devo andare vero? - chiese Celia con sguardo supplicante alla sorella che poi si spostò su Mark.

- Sì, devi - annuì lei sorridendo - Non morde -

Celia si incamminò lentamente avvertendo lo sguardo della sorella alle spalle. Sembravano su un corridoio naturale rialzato. Chissà come avevano fatto a salire lì sopra. La metteva a disagio doversi confrontare con lui ma l'aveva aiutata e non poteva ignorarlo. Mark si voltò udendo i passi che si avvicinavano. Il suo viso s'illuminò e l'abbracciò d'impeto.

- Celia! - quasi gridò il suo nome e il sollievo di vederla viva era evidente nella sua voce.

- Mi stai stritolando - ridacchiò lei - Ma sto bene, in realtà non sento niente, è come se avessi dormito -

- Non volevo - si giustificò Mark. La lasciò dall'abbraccio così repentinamente come l'aveva fatto.

- E' tutto a posto, non preoccuparti - lo rassicurò lei sorridendo.

- Sono felice che gli incantesimi abbiano funzionato - la fissava e Celia avvertì un calore intenso affiorarle alle guance per quelle attenzioni. Si soffermò con lo sguardo sulle sue labbra e le tornarono in mente i baci di lui. No, così non andava. Toccò con il dito l'anello che indossava che la riportò alla realtà.

- Io ne sono sicuramente più felice - annuì sorridendo. Si sedette a terra e Mark la imitò.

- Puoi andare a dormire se vuoi, sto io qui, ho dormito fino ad ora e mi sento riposata - disse la giovane distendendo le gambe.

- Se non ti dispiace resto qui - rispose lui schietto guardandola. Celia annuì e trascorsero le due ore seguenti a chiacchierare come non gli accadeva più da anni.

Anche Annie si svegliò e anche lei stava bene e non ricordava niente a parte il combattimento nella prima galleria. Ripresero il cammino inoltrandosi nella galleria dall'inusuale forma rettangolare. Il terreno digradava lentamente, dal lato destro scorreva un rivolo d'acqua che trasudava dalla parete soprastante. C'era molta umidità e la temperatura era salita. La discesa terminò con una voragine e un ponte di legno e corda. C'erano altri tunnel che conducevano in quello stesso punto.

- Cosa ci fa un ponte dentro la montagna? - domandò Erik con sguardo critico. Sembrava un ponte robusto ma chissà da quanto tempo era lì. Si avvicinò cautamente e verificò ogni anfratto, ogni crepa, ogni anomalia, in modo da scongiurare trappole o trabocchetti.

- Dall'altra parte di questo ponte ci sono le Catacombe di Hilizia - esordì Annie avvicinandosi al ponte.

- Non perdiamo tempo allora, attraversiamolo e proseguiamo - disse Gwaine.

- Lasciate andare avanti me, controllerò se è resistente e se c'è qualche congegno a protezione - si offrì Erik. Gwaine annuì e il ladro salì sul ponte cautamente.

Era indubbiamente resistente, la voragine sottostante era buia e profonda, sentiva un lieve gorgoglio, forse in fondo c'era un fiume. La torcia illuminò la fine del ponte e un ampio spazio circondato da una parete di roccia che si fondeva con il soffitto. In mezzo c'era una porta.

Mosse la torcia facendo cenno agli altri di raggiungerlo, poi si dedicò alla porta. Si avvicinò con estrema circospezione, l'esperienza gli aveva insegnato che niente è come sembra. Sulla destra, ancorata alla parete, c'era una torcia. Ci appoggiò la sua e la accese. La roccia prima della porta non poteva celare dei meccanismi così proseguì controllando che non ci fossero fili o pietre che calpestate avrebbero attivato una trappola. Si voltò e vide il resto del gruppo avvicinarsi.

- Datemi qualche altro minuto, restate lì - gli disse alzando una mano.

La porta era di metallo, arrugginita ma spessa e perfettamente allineata alla roccia. I cardini erano all'interno e c'era una grande serratura con maniglia, entrambe lavorate con una bella incisione. Erik controllò la lastra di ardesia che formava lo scalino che dava accesso alla porta ma non individuò alcuna trappola. Si inginocchiò davanti alla serratura, infilò la mano sotto l'armatura leggera e estrasse una custodia nera e morbida. Prese due grimaldelli sottili e iniziò a sondare l'interno della serratura.

- Pensi che moriremo? - sussurrò Klod osservando Erik al lavoro.

- Penso di no... - rispose Celia un po' dubbiosa.

- Ha delle qualità nascoste davvero eccellenti il nostro amico, chissà cos'altro nasconde... - disse Annie osservandolo attentamente. Se lo sguardo avesse potuto incenerire a quest'ora la cercatrice di tracce sarebbe un mucchietto di cenere tale fu l'occhiata che le rifilò Kathe.

- Ci saranno mummie e fantasmi? - domandò Klod rifacendosi ad alcuni libri che aveva letto sulle Catacombe di Hilizia.

- Spero vivamente di no - disse Mark fissandolo e guardando Gwaine e Celia.

- Siamo tre chierici dell'Ordine è vero ma scacciare una mummia diventa davvero difficile... - aggiunse Gwaine con voce grave.

- Scacciare? - chiese Kathe con sguardo interrogativo. Mark infilò una mano nell'armatura ed estrasse il medaglione, così fecero anche Celia e Gwaine. Era lo stesso, rappresentava un cerchio con dentro una croce le cui quattro estremità fuoriuscivano dal cerchio.

- Questo è il simbolo sacro che ci permette di comunicare con gli dèi e accedere alla loro immensa magia. Tramite esso la magia clericale viene plasmata dagli incantesimi e con potenti preghiere scacciamo i morti rimasti intrappolati qui rispedendoli nelle Terre Grigie in attesa del giudizio sulla loro condotta mortale che li getterà fra le braccia della Dèa Madre Sosistras o nella Fossa, dove demoni e orrori inimmaginabili tormenteranno il loro spirito per sempre - spiegò il Cavaliere.

- I Guaritori sono in grado di scacciare i non-morti più potenti, gli Storici sanno a malapena come si fa e noi cavalieri stiamo nel mezzo, sebbene alcuni di noi abbiano un talento naturale - aggiunse Gwaine rigirando il medaglione fra le dita e spostando lo sguardo su Celia.

- Perché hai guardato mia sorella? - chiese Klod sospettoso.

- Perché è uno dei talenti di cui parlava - si intromise Mark.

- Non è vero... - cercò di giustificarsi Celia ma la voce di Erik li interruppe.

- Allora siamo in una botte di ferro! - Klod dette una pacca sulla spalla della sorella.

- Venite! - gridò il ladro facendo cenno con la mano.

Lo raggiunsero e con fierezza Erik girò la maniglia e aprì il portone tirandolo verso l'esterno che scricchiolò sinistramente. All'interno si intravedeva un corridoio in malta chiaramente frutto di opera umana.

- Siete pieno di sorprese - gli sussurrò Annie quando gli passò vicino.

- Al vostro servizio, milady - e si profuse in un profondo inchino sorridendo. Recuperò la torcia dalla parete esterna e seguì gli altri chiudendo la porta dietro di sé. La trappola era elaborata ma disinnescarla era stato semplice. Qualcuno voleva tenere fuori gli estranei e ci era riuscito perfettamente. Questa non era mai una cosa buona ed era preludio ad altri marchingegni e trappole per proteggere ciò che quelle catacombe celavano.


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Capitolo 23
*** Le Catacombe di Hilizia ***


23. Le Catacombe di Hilizia


Klod concluse che Re Hilizia doveva essere stato un uomo egocentrico e che aveva una grande considerazione di sé stesso, probabilmente doveva ritenersi un dio vista la tomba che si era fatto costruire facendoci seppellire dentro tutto il suo popolo. Mai come in quel momento si ritenne fortunato di essere nato in un secolo più illuminato, in cui gli uomini avevano indubbiamente fatto un passo avanti.

Le stanze e i corridoi scavati nella roccia e rifiniti con mattoni e malta erano tutti bui. C’erano delle torce vecchie alle pareti, alcune prendevano fuoco, altre no. Dopo una breve esplorazione, fu evidente che la porta da cui erano entrati permetteva l’accesso delle salme. Il corridoio era in lieve discesa e terminava in una grande stanza dove i morti venivano preparati. C’erano scaffali con vasi pieni di strane e puzzolenti sostanze, bauli strapieni di tessuti bianchi che probabilmente veniva utilizzati per mummificare alcuni corpi, sicuramente quelli dei più ricchi e facoltosi.

Erik fu estremamente scrupoloso e probabilmente evitò la loro morte in almeno tre occasioni. Sembrava che gli ingegneri di Hilizia si fossero divertiti a distribuire trappole e congegni un po’ dovunque per impedire a ladri e razziatori di tombe di depredare ogni cosa. C’erano mattonelle a pressione che aprivano botole piene di aculei, lame o dardi che uscivano dai muri, vasi di coccio che si rompevano e liberavano veleni tossici, per non parlare degli scorpioni.

- Ma come hanno fatto a sopravvivere lì dentro così tanto tempo? - domandò Kathe dopo una corsa forsennata per sfuggire alle bestie arrabbiate che gli erano piovute addosso dopo che Gwaine inavvertitamente aveva toccato una torcia attivando una trappola.

- Non lo so! - rispose seccato Erik - Non toccate niente per favore! - e guardò torvo Gwaine che sorrideva innocentemente.

- Si sono attrezzati bene - Klod si guardò intorno muovendo la torcia. Era una grande sala dalla volta bassa e affrescata. Alla loro destra e sinistra c’erano delle catacombe scavate nella roccia. Ognuna di esse conteneva uno scheletro. Uno scricchiolio sinistro fece gelare il sangue nelle vene a tutti.

- Cos’è? - chiese Kathe tossendo per la polvere.

- Ciò che temevamo… - sussurrò Mark infilando una mano sotto l’armatura e afferrando il suo simbolo sacro e sguainando la spada nello stesso momento.

- E’ un suono raccapricciante… - ammise Annie imbracciando l’arco.

- Solitamente sono lenti e si possono prevedere le loro mosse ma ce ne sono alcuni molto pericolosi e letali… -  aggiunse Gwaine. Celia era rimasta stranamente in silenzio, osservava le tombe aperte.

- Dov’è Erik? - domandò in un sussurro. Si voltarono tutti intorno ma del ladro nessuna traccia.

- Avrà sfruttato le ombre per nascondersi, i suoi lunghi pugnali diventano letali se te li infila nella schiena… - valutò Klod avendolo visto combattere.

Dalle tombe si rialzarono una decina di scheletri scricchiolanti, le orbite vuote e gli abiti a brandelli. Si diressero immediatamente verso di loro come attirati dall’alone di vita che li circondava.

- Sono scheletri, niente magia per loro, una buona lama può bastare - disse Celia gettandosi all’attacco con la spada sguainata e seguita da Mark, Gwaine e Klod. Annie bersagliava i non-morti con precisione incredibile e Kathe era pronta nel caso in cui fosse servito qualche incantesimo sebbene i suoi fratelli se la cavassero egregiamente.

La piccola battaglia terminò rapidamente e nessuno venne ferito. Annie recuperò tutte le frecce e Klod accese tutte le torce ai muri facendo attenzione a non muoverle.

- Complimenti, bel lavoro! - la voce allegra di Erik li riscosse.

- Dove eri finito? - gli chiese Mark ringhiando.

- Ho controllato la strada più avanti - rispose il ladro offeso incrociando le braccia al petto. Poi la sua attenzione venne attirata da un luccichio all’interno di una delle catacombe. Con un movimento fluido la raggiunse e frugò fra i resti.

- Ma sei un uomo terribile! - disse Annie oltrepassandolo.

- Colgo l’attimo mia cara, colgo l’attimo - filosofeggiò lui mettendosi in tasca qualcosa. Il bottino del villaggio dei goblin si era rivelato una piccola meraviglia. Kathe era riuscita ad identificare tutti e tre gli oggetti che aveva ritenuto interessanti. Un anello riportava incise delle piume tutte intorno e la maga gli aveva detto che era un anello della caduta morbida che permetteva a chi lo indossava di non sfracellarsi al suolo cadendo da piccole altezze. Un paio di grezzi bracciali si erano rivelati magici e capaci di proteggere chi li indossava. Il terzo era una pozione per curare le ferite. La spada che Klod aveva trovato dalla Regina Ragno era estremamente affilata e capace di ferire profondamente.

L’esplorazione li condusse oltre altri corridoi e sale, dovunque c’erano catacombe piene di scheletri vecchi di millenni. A volte si animavano e li attaccavano ostinatamente, le orbite vuote e le bocche spalancate. In altri casi restavano immobili.

- Questo labirinto sembra infinito - commentò Kathe accasciandosi su una sedia polverosa in una grande stanza dove Erik aveva appena disinnescato una trappola nel pavimento.

- Sono ore che camminiamo e combattiamo, sono stanca e, a meno che non volete che lanci una palla di fuoco ai prossimi morti che incontreremo, devo riposarmi e studiare - aggiunse la maga sospirando. I due cavalieri si guardarono.

- Erik, Annie potete trovare un posto sicuro? - chiese Mark spostando l’attenzione sui due.

- Al giusto prezzo… - iniziò Erik ma Annie lo spinse senza troppa grazia verso il corridoio che dovevano ancora esplorare. Sentirono il ladro borbottare e poi zittirsi ad una battuta sagace di Annie.

- Dobbiamo trovare la camera sepolcrale di Hilizia, le leggende dicono che costruì il suo letto eterno sul cuscino di luce… - citò Celia recitando alcune parole che aveva letto in uno dei libri al Monastero.

- Sembra proprio che parli della fonte che cerchiamo - annuì Gwaine sedendosi. La stanza conteneva alcuni scaffali pieni di pergamene che si polverizzavano appena le toccavi, alcuni tavoli e tre sedie sgangherate oltre i resti distrutti degli ultimi scheletri che avevano combattuto.

- Venite, di qua! - la voce di Annie li chiamò dal corridoio. Li raggiunsero lungo il corridoio illuminato dalle torce fumose fino in una stanza che non aveva altri accessi tranne l’entrata.

- Da qui potremo facilmente controllare la posizione e il corridoio che va a destra sfocia in una stanza più grande in cui potremmo spostarci in caso venissimo sorpresi - spiegò Annie.

- Non si può fare di più in questo labirinto di pietra - aggiunse Erik uscendo dalla stanza.

- Dove vai? - gli chiese Mark prendendolo per un braccio.

- Esploro - gli sorrise il ladro divincolandosi e scappando rapido come un gatto.

- Sembra che non riesca a stare fermo - disse Annie andandogli dietro con un sospiro. Celia osservò i due uscire, poi si dedicò alle provviste, togliendole dai tre zaini che si erano portati dietro. Sarebbero state sufficienti forse per tre giorni. Forse. E stavano finendo l’acqua delle borracce.

- Dobbiamo trovare dell’acqua - sussurrò e sentì Mark avvicinarsi. Era incredibile come poteva riconoscerlo anche se non guardava.

- Avremmo dovuto obbligare l’Alto Chierico a darci un Guaritore, avrebbe creato acqua e cibo senza problemi oltre che riuscire a curare anche le ferite più gravi - appoggiò le mani sul tavolo di assi vecchie e cigolanti osservando le provviste.

- Ce la faremo, tre giorni devono essere sufficienti per trovare la fonte e uscire di qui. Inizieremo ora a razionare la carne secca e il formaggio, così riusciremo a mangiare un giorno in più - disse Celia dividendo le porzioni. Ne portò a Klod, Gwaine e Kathe, che era già china sul suo libro e fece passare la borraccia dell’acqua.

Annie e Erik tornarono dopo circa due ore, Kathe, Klod e Gwaine dormivano mentre Celia e Mark erano seduti fuori dalla stanza di guardia.

- Si amano, vero? - chiese Annie in un sussurro al ladro mentre mangiava lentamente la carne secca seduta al tavolo.

- Sì ma lei è promessa al figlio del Duca e lui non è nessuno per reclamarla - rispose il ladro con amarezza spostando lo sguardo su Kathe che dormiva come un sasso, i lunghi capelli che l’avvolgevano come una nuvola d’oro. Annie osservò il profilo aquilino del ladro, la barba brizzolata come i capelli corti che ne invecchiavano l’età.

- E tu chi sei, Erik Cools? - gli chiese Annie stringendo gli occhi.

- Io? Io non sono nessuno - rispose bevendo da una fiaschetta d’argento che portava sotto l’armatura leggera.

- Questo non è vero - lo studiò la cercatrice, e se c’era qualcosa che sapeva fare bene era individuare chi fossero le persone - Le tue mani, come ti muovi, come combatti, come parli, niente di tutto questo fa di te una persona comune. L’unica cosa che ti avvicina ad un cittadino qualsiasi sono le abilità da ladro che avrai imparato probabilmente lasciando la tua famiglia, forse perché non andavi d’accordo con tuo padre o magari per la presenza ingombrante di un fratello - parlò lentamente ed Erik la ascoltò incuriosito alzando un sopracciglio.

- Quanto ci sono andata vicino? - e gli strizzò l’occhio.

- Molto - disse lui lentamente - Ma non ha alcuna importanza -

- Questo dipende solo da te a da quanto tieni ad una certa persona… - gli fece notare Annie - Si può sempre tornare indietro, ricordalo - e gli picchiò con una mano sull’avambraccio. Erik rimase in silenzio fissandola, poi si alzò e uscì. Mark fece per chiamarlo ma Celia lo fermò.

- Sa badare a sé stesso -

Mark annuì.

- Svegliamo Klod e Gwaine - aggiunse la chierica stanca alzandosi ma la sua faccia si fece terrea quando si spostò verso il corridoio.

- Per la dèa… - sussurrò. Mark seguì il suo sguardo e scattò nella stanza gridando e svegliando gli altri. Annie era già uscita con l’arco imbracciato.

- E’ uno spettro, non permettetegli di toccarvi, risucchia la vita! - gridò Celia sguainando la spada e lanciandoci sopra un incantesimo che l’avrebbe resa più letale e la lanciò a Klod che l’afferrò al volo meravigliato. La creatura traslucida avanzava lentamente nel corridoio, sospesa da terra. Sembrava un uomo dai lunghi capelli, le orbite nere e senza fondo, con un tunica stracciata e lacera, le mani grifagne protese in avanti pronte a ghermire le prede.

- Che fai, Celia? - gridò il fratello.

- Se necessario usa quella - disse Celia senza staccare lo sguardo dalla creatura. E corse verso di essa.

Klod udì Mark imprecare e lo vide seguire Celia insieme a Gwaine. Annie lanciò una freccia, che trapassò la creatura senza ferirla. Anche lei imprecò in modo poco femminile.

- E’ una creatura pericolosa - disse l’esploratrice digrignando i denti.

Celia si arrestò davanti allo spettro che proseguiva la sua fluttuante avanzata. Protese le mani in avanti e recitò la preghiera con voce sommessa, come una litania. Ripeté la formula più volte, a voce sempre più alta, dove chiedeva l’intercessione del Dio Padre Shekhar e della Dèa Madre Sosistras per scacciare per sempre quella creatura delle tenebre, corrotta e malevola. Il medaglione brillò e una luce accecante investì lo spettro che spalancò la bocca sdentata in un grido muto e disperato. La forza della fede e la risposta degli dèi all’invocazione di Celia fu totale e lo spettro svanì nel nulla. La chierica riabbassò le braccia lungo i fianchi e quando si voltò si ritrovò a guardare gli scuri e adirati di Mark.

- Non lo fare mai più, non da sola - disse a denti stretti.

- Non avrei mai permesso che si avvicinasse ai miei fratelli, so come si scaccia uno spettro - replicò lei indurendo lo sguardo. L’evocazione la indeboliva sempre, prosciugava le energie chiamare gli dèi.

- Sono creature potenti e pericolose, uccidono al tocco, volevi morire? - si voltò di scatto chiudendo la discussione senza permetterle una replica e tornò nella stanza. Celia sospirò.

- Devi ammettere che ha ragione - disse Gwaine in tono conciliante.

- Se avessi fallito ci sareste stati voi due, io ho ragione - ribatté Celia fissandolo freddamente.

- Se morissi non se lo perdonerebbe mai, non fargli un torto così grande - il Cavaliere addolcì lo sguardo e tornò verso il gruppo. Celia rimase immobile nel corridoio.

- Gran bel tocco il tuo - la voce di Erik alle sue spalle la riscosse.

- Grazie - disse Celia, e si incamminò verso gli altri.



Il giorno seguente trovarono le scale che scendevano al livello sottostante. Oltre agli scheletri animati incontrarono anche ghoul e ghast, orrendi non morti dalla pelle tirata intorno alle ossa e dai morsi velenosi che paralizzano che si cibano di carne morta, svariati tipi di spettri e fantasmi per non parlare dell’orda di zombi affamati che si trovavano immobili da chissà quanti decenni dietro la porta di un gruppo di catacombe che ospitavano contadini e cittadini di minor rilievo. Rimasero tutti feriti ma nessuno venne infettato dai morsi velenosi dei non morti affamati.

Erik dette sfoggiò della sua abilità nel disinnescare trappole e congegni e Kathe fu certa di vederlo infilarsi in tasca oggetti di varia natura raccolti da terra o nelle catacombe.

Il secondo livello era indubbiamente più elegante e curato del primo. Le tombe spesso erano singole stanze e i morti avevano ricevuto particolari attenzioni e spesso erano stati mummificati. Tutte le stanze e perfino alcuni corridoi erano affrescati. Erano centinaia di anni che nessuno metteva più piede in quelle stanze, la polvere era spessa e lasciavano orme a terra al loro passaggio.

- I soldi hanno sempre fatto la differenza - sghignazzò Klod vedendo le tombe elaborate fatte di marmi e pietre. Erik aveva gli occhi fuori dalle orbite che si posavano avidi su ogni pietra preziosa incastonata.

- Non pensarci neppure - lo redarguì Mark - Conosci la strada, sai dove si trovano queste catacombe, potrai tornare a depredarle quando vorrai - il suo sguardo non ammetteva repliche. Il ladro sembrò quasi in procinto di piangere tanto era lo sforzo che stava facendo per trattenersi.

- Questo corridoio è diverso dagli altri - notò Annie fermandosi. In effetti era ampio almeno il doppio e si perdeva nell'oscurità. Erik avanzò lentamente e con la torcia accese le altre oltre a verificare sempre la presenza di trappole e trabocchetti. Gli altri rimasero tutti immobili e videro il corridoio affrescato illuminarsi lentamente fino a mostrare due enormi porte di ferro intagliate. Ai lati due grandi statue umane di guerrieri in armatura completa con elmi e lance.

- Impressionante - sussurrò Annie avanzando seguita dagli altri.

- Sembra che ci siamo. Un porta del genere non può che condurre alla sala del trono del suo riposo eterno. Il Re Hilizia faceva indubbiamente le cose in grande - commentò Klod con un fischio.

- Ciò che mi insospettisce di più è che non ci siano trappole... - aggiunse Annie. Erik stava già esaminando la porta e quando lo raggiunsero imprecava come uno scaricatore di porto.

- Serve una chiave, questa serratura è molto particolare, non si può scassinare! - e imprecò di nuovo. Kathe lo guardò alzando un sopracciglio.

- Quindi c'è qualcosa a cui devi arrenderti - sogghignò la giovane maga.

- Questa non è una porta qualsiasi, è stata progettata e costruita appositamente per non essere aperta se non con la sua chiave. Il meccanismo è complesso e non c'è alcun modo di aggirarlo - e imprecò ancora dando un calcio alla porta enorme.

- Cerchiamo questa chiave - esordì Gwaine guardandosi intorno. A destra e sinistra della porta c'era un corridoio per parte che si perdeva nel buio e si intravedevano delle statue a dimensione umana che seguivano il cammino.

- Tiriamo una monetina - disse Klod frugandosi in tasca.

- Dividiamoci, faremo prima - ribatté Celia guardandoli.

- Assolutamente no - la contraddisse Mark fronteggiandola.

- Concordo con il Cavaliere, non è una buona idea dividerci - concordò Annie.

- Stiamo finendo il cibo e l'acqua, moriremo qui dentro se non ci sbrighiamo ad uscire - spiegò calma Celia guardandoli uno ad uno.

- Sai che ho ragione - Celia si avvicinò a Mark sfidandolo con lo sguardo. Il Cavaliere rimase in silenzio. Celia si voltò imboccando il corridoio di sinistra.

- Klod, Kathe, Erik - chiamò scandendo i loro nomi. Erik fissò un attimo i due cavalieri ed Annie, alzò le spalle sorridendo e poi schizzò rapido nel corridoio buio.

- Cerchiamo questa maledetta chiave - ringhiò Mark imboccando l'altro corridoio. Gwaine e Annie si guardarono e sorrisero.



- Non ti muovere - sibilò Celia tenendo premuta la mano intorno alla lama infilzata profondamente nella schiena di Erik. Kathe piangeva senza posa, aveva sangue dovunque ma Celia sapeva che era del ladro. Una volta raggiunto il fondo del corridoio, le statue si erano sgretolate, mummie orrende e dai bendaggi marci li avevano aggrediti alle spalle muovendosi silenziosamente. La battaglia era stata furiosa e solo alla fine una delle ultime mummie era riuscita a piantare la sua spada arrugginita nella schiena del ladro. Celia aveva evocato ancora il potere degli dèi e ancora una volta essi avevano risposto, alcune mummie si erano completamente disintegrate sotto la potenza della fede ma avevano dovuto affrontare le altre.

- Klod devi estrarre la spada con un colpo secco, nessuna esitazione, chiaro? - gli disse Celia iniziando a mormorare l'incantesimo che gli avrebbe salvato la vita. Il fratello annuì, piantò bene i piedi a terra, afferrò l'impugnatura e tirò. Il sangue scaturì copioso nonostante Celia premesse con le mani, poi l’incantesimo fece il resto sanando ogni cosa. La chierica si appoggiò sui talloni e sospirò. Erik si voltò verso di lei con sguardo pieno di gratitudine.

- Sembra che i guerrieri proteggano qualcosa, vediamo cosa c'è oltre questa porta - Celia si rialzò imitata da Erik aiutata da Kathe che gli passò un braccio sotto le spalle. Klod dette un calcio alla porta con poche cerimonie. Le assi vecchie cedettero e la porta cadde in avanti. Oltre c'era una stanza buia, di cui si intravedeva solo una parte del mobilio. Klod accese una torcia a muro vicino alla porta ed entrò.

- E' uno studio - disse Kathe in un sussurro. Klod si spostò e accese altre torce illuminando così la stanza.

- Uno studio pieno di trappole - aggiunse Erik staccandosi dall'abbraccio.

- Cercate di non toccare niente e restate fermi, il pavimento potrebbe essere pericoloso - borbottò il ladro iniziando il suo meticoloso controllo.

Kathe fece spaziare lo sguardo sull'ampia stanza. C'era una grande scrivania piena di carte e libri, candele consumate e strani oggetti che non vedeva l'ora di guardare da vicino. Sul lato sinistro c'erano tre scaffali pieni di pergamene e su quello destro una dispensa chiusa da pesanti ante. Dietro la scrivania si intravedeva un baule e al muro era appeso un arazzo che rappresentava una specie di vulcano da cui usciva una colonna di luce anziché un'eruzione di lava.

- Sembra stranamente tutto a posto e quando è così mi insospettisco sempre - disse Erik sedendosi sulla grande poltrona dietro la scrivania.

- Significa che posso vedere se c'è qualcosa di interessante? - domandò Kathe piena di speranza con gli occhi che brillavano. Celia e Klod sorrisero e quando Erik annuì la giovane maga si gettò sullo scaffale pieno di pergamene.

- Il baule si può aprire Erik? - chiese Celia esaminando la scrivania - Ti senti bene? Ho qualche altro incantesimo che può aiutarti - aggiunse la chierica osservandolo con occhio critico. Il ladro guardò il baule, poi tirò fuori una piccola boccetta e ne trangugiò il contenuto. Celia la riconobbe immediatamente, era una pozione dei Guaritori del Monastero per curare le ferite, chissà dove l'aveva trovata. Era un procedimento elaborato ma replicava quasi perfettamente gli effetti dell'omonimo incantesimo.

- Klod per favore mi potresti tirare giù le altre pergamene che non ci arrivo? - Kathe era seduta a terra circondata da pergamene aperte che aveva scartato e pergamene chiuse che aveva riposto ordinatamente vicino a sé. Il fratello si allungò e le mise vicino tutte quelle che mancavano. Una nuvola di polvere invase l'aria ma Kathe sembrò non farci caso.

La scrivania non sembrava avere niente di interessante a parte un piccolo scrigno che Celia sollevò. I libri erano tutti antichissimi, le pagine si sgretolavano, e parlavano tutti di magia, di resurrezione, di draghi e di vita eterna. Erik si alzò e si inginocchiò davanti al baule esaminandolo accuratamente. Celia osservò lo scrigno. Era intagliato, forse d'oro ma se Erik l'aveva lasciato lì probabilmente non era di valore. Un piccolo pulsante sul davanti ne permetteva l'apertura. Lo premette e il coperchio scattò rivelando all'interno un carillon. Era rivestito di velluto rosso e una figurina femminile con una lunga veste bianca e le braccia allargate iniziò a ruotare su sé stessa al suono di una dolce melodia. Si voltarono tutti, Erik con lo sguardo allarmato.

Le torce tremolarono, un'aria gelida riempì la stanza. Celia posò lentamente lo scrigno, Klod sguainò la spada e Kathe raggiunse Erik vicino al baule stringendo in mano una pergamena.

- Che succede? - sibilò Klod avvicinandosi a Celia.

- Niente di buono... - sussurrò la chierica guardandosi intorno. La stanza era piccola, se qualcosa doveva accadere sarebbe avvenuto lì.

- Sotto la scrivania c'è una botola, se qualcosa non va per il verso giusto nasconditi lì sotto - il sussurro di Erik fu così lieve che per poco Kathe non comprese bene ciò che le stava dicendo. Avrebbe voluto ribattere ma dal centro della stanza, davanti alla scrivania, sorse uno spettro nero e traslucido. Passò attraverso la pietra levigata finché non fu completamente visibile. Fluttuava leggero da terra, inconsistente e trasparente.

- Per la dèa - sibilò Celia estraendo la spada lentamente.

- Cos'è? - chiese Klod mettendosi davanti a lei.

- E' un wraith, uno spettro potente che può essere trovato in antiche catacombe o a guardia di tesori vincolato da un incantesimo di un potente mago. Non dovete assolutamente farvi toccare - disse in modo che anche Erik e Kathe potessero sentire.

- Se è qui significa che protegge qualcosa e che siamo nel posto giusto -

La creatura era immobile, poi all'improvviso si lanciò su Klod. Il giovane sollevò la spada magica a difesa, lo spettro scartò evitando la lama e cercò di artigliarlo al braccio. Ma Klod fu più veloce, lo evitò e vide Celia con la coda dell'occhio che si spostava di lato e mormorava un incantesimo.

I dardi magici di Kathe trafissero lo spettro che lanciò un grido agghiacciante. Cercò ancora di ghermire Klod ma il giovane attinse a tutte le abilità acquisite e riuscì ad evitare lo spettro e a colpirlo con la spada. Celia aveva terminato l'incantesimo e Klod la vide all'improvviso accanto a sé.

- Non riesco a scacciarlo ma sono riuscita a fare un incantesimo che ci proteggerà per un po' - gridò la chierica frapponendosi fra il fratello e lo spettro gemente.

Klod la udì sussurrare un'altra preghiera, la sorella allungò la mano e afferrò lo spettro. Il medaglione dell'Ordine si illuminò, lo spettro urlò quando l'incantesimo lo colpì e si allontanò dalla chierica guardandola con occhi che bruciavano come tizzoni ardenti.

Celia vide Erik schizzare fuori dalla stanza e immaginò che fosse andato a chiamare Mark. Ma non sarebbe stato necessario, loro tre avrebbero rimandato lo spettro nelle tenebre da dove era uscito.

- Insieme! - gridò la chierica, e Klod colpì la creatura con tre fendenti veloci e precisi, Kathe lanciò ancora i suoi dardi che non fallivano mai il bersaglio e Celia gli afferrò nuovamente il braccio infliggendogli ferite dolorose grazie alla magia divina. La creatura lanciò un ultimo grido lacerante e si polverizzò svanendo nel nulla. Per la prima volta Klod udì Celia tirare un sospiro di sollievo.

- Siamo stati fortunati, è una creatura molto pericolosa. Non sono neanche riuscita a scacciarlo, come vedi non sono così brava come sostengono i due cavalieri - sorrise stancamente e Klod l'abbracciò.

- Ce la siamo cavata, come sempre - e le strizzò l'occhio sorridendo.

- La chiave deve essere qui da qualche parte, troviamola - aggiunse Celia iniziando a frugare sulla scrivania. Klod si dedicò al baule che Erik aveva già aperto. Kathe aprì la pergamena che stringeva in mano con occhi sognanti.

- Sembra che tu abbia trovato qualcosa di prezioso

- Klod guardò la sorella che aveva un'espressione estasiata.

- Sì, è un incantesimo molto raro e potente, si chiama tempesta di ghiaccio - sussurrò appena leggendo le fitte rune sulla pergamena - Potrò copiarlo nel mio libro e studiarlo e usarlo in futuro -

- Almeno qualcosa abbiamo trovato - le sorrise il fratello. Il baule conteneva un pugnale in una fodera lavorata, molti sacchetti di cuoio pieni di monete, alcune strane boccette dall'aspetto poco invitante, quello che sembrava un ramo di quercia levigato, un paio di guanti e un piccolo sacchettino di velluto. Klod prese il sacchetto e lo aprì versando il contenuto sulla mano. Ne uscirono cinque meravigliosi rubini dalla forma a lacrima. Pensò istantaneamente a Arielle, le sarebbero stati benissimo, li avrebbe fatti incastonare in una collana e in due orecchini. Rimise le pietre nel sacchetto e se lo infilò in tasca.

- Nel baule la chiave non c'è - disse tirando fuori tutte le cose e mettendole sulla scrivania. Kathe e Celia, che stava mettendo a soqquadro la dispensa chiusa a destra, si avvicinarono.

- Il pugnale è molto bello ed è sicuramente magico ma adesso non posso identificarlo, le pozioni non hanno etichette, se volete potete provarle per vedere che effetti danno - disse ridacchiando la giovane maga - Questa invece è sicuramente una bacchetta magica! - aggiunse con un gridolino soddisfatto prendendo il ramo di quercia.

- Stavo per buttarlo, credevo fosse un ramo - disse Klod osservando lo strano oggetto leggermente attorcigliato.

- Buttare!? Per la dèa... - Kathe sbiancò e strinse la bacchetta al petto spalancando gli occhi. Celia sorrise e la sua attenzione cadde sullo scrigno a terra che aveva evocato lo spettro. Lo raccolse e lo osservò attentamente, rigirandolo più volte e cercando altre aperture.

- Maledetto congegno! Sono sicura che la chiave è qui dentro nascosta - imprecò Celia cercando di sfilare il rivestimento di tessuto rosso del carillon.

- Così lo rovinerai, è carino - valutò Klod mentre contava le monete nei sacchetti di cuoio.

- E' un oggetto incantato, chi lo ha creato lo ha legato allo spettro - spiegò Kathe - Ma è probabile che nasconda anche la chiave -

- Forse vi posso dare una mano io - la voce di Erik interruppe le loro riflessioni. Si girarono e Erik entrò nella stanza seguito da Mark, Annie e Gwaine. Nonostante stessero bene, avevano gli abiti macchiati di sangue segno che anche loro avevano combattuto. Mark sollevò la mano mostrando la chiave.

- L'hanno trovata - disse Klod, e un sorriso si allargò sul suo volto dove la barba iniziava a scurire la pelle.

- E' solo metà - spiegò Erik - Venendo verso di voi l'abbiamo provata ma è ovvio che è solo metà della chiave originale -

- Era incastonata in una statua di bronzo che si è animata, non è stato facile abbatterla... - ammise Annie.

Erik prese lo scrigno che prima aveva ignorato reputandolo di poco valore, e lo rigirò fra le mani. In pochi istanti trovò un vano nascosto che scattò rivelando la chiave.

- E ora mettiamole insieme - disse raggiante. Mark gli porse la sua metà e il ladro le avvicinò, con una piccola torsione le incrociò e infine, raddrizzandole, ottenne la chiave completa con un lieve clic. Era molto più grande delle chiavi normali, d'altronde la serratura non era comune.

- Bene ora possiamo vedere cosa c'è oltre quella grande porta - esordì soddisfatto Erik mostrando la chiave completa.

Misero in uno zaino tutto quello che avevano trovato nel baule e tornarono alla porta. Erik inserì la chiave e girò. Al momento non accadde niente ma dopo qualche secondo un cigolio profondo mise in moto il meccanismo legato alla serratura. I due portoni si spalancarono lentamente verso l'interno buio e polveroso.

- Il soffitto non ci è crollato addosso, il pavimento non è collassato, non sono spuntate lame o dardi per ucciderci... siamo stati fort... - ma Klod non riuscì a terminare la frase. Le due grandi statue ai lati della porta si animarono.

Erik imprecò e lanciò un'occhiataccia a Klod che aveva già estratto la spada. L'armatura a piastre che lo proteggeva era pesante e gli era occorso del tempo per abituarsi a portala ma fu felice di indossarla contro quei colossi di pietra.

- Sono golem... - sussurrò Kathe - Sono animati magici -

- Come si sconfiggono? - chiese Erik arretrando insieme al resto del gruppo.

- Non lo so - rispose lentamente la maga fissando esterrefatta le due creature che muovevano il primo passo verso di loro.

- Spada e magia insieme sono sempre un'ottima accoppiata! - gridò allegro Gwaine lanciandosi nel primo attacco impugnando la spada bastarda a due mani.

Annie arretrò imitata da Kathe, afferrò una manciata di frecce dal piumaggio giallo e iniziò a colpire i due golem. Il golem sulla destra era solo così Kathe si concentrò e lanciò la palla di fuoco, non voleva ferire i compagni dato che la sua esplosione era sempre ampia e imprevedibile. Il costrutto arrestò la sua avanzata ma l'incantesimo lo aveva danneggiato.

Il golem a sinistra colpì Gwaine e Klod che vennero atterrati e Celia e Mark riuscirono ad andare a segno con ogni fendente. Le lame magiche delle loro armi intaccavano la pietra resistente senza perdere il filo.

Gwaine e Klod si rialzarono e colpirono nuovamente il golem che barcollò ma riuscì a colpire coi pugni giganti sia Celia che Mark. Kathe notò che quando la sorella si rialzò dolorante passò la spada nella mano sinistra. Un nodo d'angoscia le strinse lo stomaco. Evocò il fulmine che colpì in pieno il golem a sinistra che ormai le aveva quasi raggiunte. Annie spostò la mira e iniziò a bersagliarlo. Un braccio si sgretolò e zoppicava vistosamente ma continuò ad avanzare.

Gwaine abbandonò il primo golem e colpì quello che si stava avvicinando a Annie e Kathe attirando la sua attenzione. La creatura si arrestò e calò il suo pugno colpendo pesantemente il Cavaliere che rovinò a terra apparentemente privo di sensi.

Klod e Celia evitarono i due pugni del golem e lo attaccarono ancora. Mark scattò versò Gwaine e in un attimo evocò la magia divina e aiutò l'amico guarendo una parte delle sue ferite. Kathe lo colpì coi suoi dardi magici e il golem finalmente crollò al suolo sgretolandosi. Mark e Gwaine si ripararono dai detriti anche se vennero inevitabilmente colpiti da alcune rocce.

Annie mirò ancora in piedi che aveva evidenti difficoltà di movimento e aveva perduto una delle mani di pietra. Mark e Gwaine raggiunsero i due fratelli e tutti e quattro insieme riuscirono a sconfiggerlo. La creatura si sgretolò e vennero colpiti da una pioggia di detriti di roccia.

- State tutti bene? - la voce di Mark li riscosse. Si rialzarono scuotendosi via la polvere borbottando e tossendo. Klod esplose in una risata che li fece voltare.

- La prossima volta giuro che non aprirò bocca! - e rise ancora. Annie e Kathe li raggiunsero e la maga cercò Erik senza vederlo.

- Dov'è Erik? - chiese spostando lo sguardo. Tutti si voltarono e si resero conto che il ladro era sparito.


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Capitolo 24
*** Alito di Drago ***


24. Alito di Drago


- Questo posto mette i brividi - sussurrò Annie avanzando lentamente nell'oscurità. Una volta sconfitti i golem di guardia all'entrata e appurato che Erik era scomparso, avevano deciso di inoltrarsi nella sala e di esplorarla. Normalmente Annie era attirata da luoghi che non conosceva ma in quel posto aleggiava un'aura innaturale, come se il luogo stesso non ti volesse lì.

- Queste colonne sono enormi - fece notare Klod spostando il raggio di luce della torcia.

- C'è un silenzio incredibile - disse Kathe a voce bassa. Stavano camminando nella parte centrale della sala immensa, un colonnato a destra e sinistra segnava la strada ma era impossibile dire cosa ci fosse sia davanti che ai lati oltre le colonne perché il buio era intenso.

- E' troppo maestosa questa sala, è sicuramente la tomba del Re Hilizia - Gwaine si era completamente ripreso dopo la battaglia contro i golem e gli incantesimi di cura che avevano evocato.

- Se Hilizia aveva protetto così le sue catacombe, cosa avrà messo di guardia alla sua tomba? - si domandò Celia sussurrando a bassa voce la sua riflessione.

- Spero fosse abbastanza arrogante da pensare che nessuno sarebbe mai giunto qui... - Mark si voltò rispondendole. Il golem le aveva rotto un braccio ma lei non aveva versato una lacrima. L'aveva curata nonostante i suoi borbottii e gli era tornata in mente la sera sui bastioni del Monastero di Agrabaar quando pianse per sua sorella che aveva creduto morta.

Un grido acuto invase l'aria, Celia, Mark, Klod e Gwaine si voltarono estraendo le spade all'unisono.

- Tu sei pazzo! Ti folgorerò la prossima volta! - Kathe alzò le mani chiuse a pugno per picchiare il ladro che era sbucato dalle tenebre spaventandola a morte.

- Chiedo perdono milady non volevo spaventarvi - si scusò Erik afferrandole i polsi, unendo le mani e baciandole delicatamente. Celia sorrise e rinfoderò la spada imitata dagli altri.

- La sala è vuota, non c'è nessuno di vivo né di animato - disse il ladro oltrepassandoli sentendo lo sguardo rovente di Kathe sulle sue spalle.

- La prossima volta che deciderai di abbandonarci durante un combattimento avvisaci! - ringhiò Mark quando gli passò vicino.

- Coraggioso Cavaliere come ben saprete non sono protetto come voi per affrontare simili avversità così ho pensato di andare in avanscoperta - si giustificò offeso il ladro allargando le braccia. Gli strizzò l'occhio e proseguì. Annie ridacchiò seguendolo e Gwaine appoggiò una mano sulla spalla di Mark.

- E ho scoperto una cosa molto interessante - aggiunse il ladro avanzando con sicurezza. La sala era lunga circa cinquanta metri e in fondo terminava con una scalinata fino ad un trono completamente d'oro.

- Ma è oro vero? - Kathe lo guardava a bocca aperta. La luce delle torce rimbalzava sul metallo prezioso che la rifletteva tutt'intorno.

- Sì, milady - rispose Erik in un sussurro osservando il trono scintillante.

- Si può portare via secondo voi? - domandò Kathe senza distogliere lo sguardo, dando vita al pensiero che da un'ora assillava Erik. Il ladro si voltò a guardarla, era rapita dalla visione dorata, le guance leggermente arrossate. Scoppiò a ridere facendo voltare tutti.

- Non credo riusciremo a portarlo via - le disse vedendo svanire il sogno dai suoi occhi.

- Dov'è la tomba? Qui non c'è niente - fece notare Gwaine dopo essersi guardato intorno.

- E' la stessa domanda che mi sono fatto io quando sono giunto qui. Se la tomba non è qui, non ci sono trappole, né guardiani di sorta, dove può essersi nascosto il nostro Hilizia per la sua immortalità? - esordì il ladro in modo teatrale.

- Così ho trovato questo... - si spostò sulla destra sparendo nelle tenebre. Lo seguirono e le torce rivelarono un corridoio che dopo due svolte a destra terminava in una stanza quadrata con un grande argano a leva.

- Cos'è? - chiese Klod osservando il marchingegno.

- Dall'altra parte della sala c'è una stanza identica a questa, con un'altra leva. Servono due persone per azionarlo e non so cosa faccia ma credo apra qualcosa - spiegò Erik avvicinandosi alla parete a destra dell'argano e indicando col dito uno strano cono di ottone che usciva dal muro.

- E poi c'è questo - disse sorridendo - Ce ne è un altro identico dall'altra parte -

Si avvicinarono tutti incuriositi. Lo strano cono sembrava proseguire nel muro con un tubo di ottone anch'esso.

- A cosa serve? - domandò Gwaine toccando il metallo.

- Per parlare - disse Annie stupendo tutti.

- Lo penso anche io - le sorrise Erik - Probabilmente i due che azionavano l'argano si coordinavano parlando in questo cono -

- Resto io qui - si propose Klod inserendo la torcia in un gancio al muro e avvicinandosi all'argano e afferrando la grande leva di legno e metallo.

- E io vado all'altro - esordì Annie. Tornarono nella grande sala buia e Annie sparì verso il muro sinistro dove c'era l'altro corridoio gemello.

Il silenzio circostante era interrotto solo dallo sfrigolare lieve delle torce e dal loro respiro. Rimase tutto immobile per alcuni attimi poi iniziarono i primi scricchiolii, che divennero cigolii che si trasformarono in tonfi sordi e metallici di un grande ingranaggio che si muoveva.

- Il pavimento! - gridò Erik afferrando Kathe e facendo un balzo indietro. Caddero a terra mentre la sezione di pavimento davanti alle scale che portavano al trono si apriva separandosi in due parti. La pietra strideva e sfregava ma inesorabilmente veniva trascinata dal potente meccanismo.

Anche Celia, Mark e Gwaine saltarono rapidamente quando il pavimento iniziò a muoversi. L'ingranaggio terminò il suo movimento rivelando un'ampia rampa di scale che scendeva nelle tenebre sotto il trono. Erik si rialzò tirando su Kathe che lo ringraziò con lo sguardo e sbirciò oltre le scale.

- Ecco dove si è nascosto il nostro Re! - constatò Erik mentre Klod e Annie li raggiungevano.

- Ma perché creare qualcosa di così complesso? - domandò il giovane guerriero osservando la scalinata.

- Per nascondere qualcosa - gli rispose Annie.

Un ticchettio inquietante invase l'aria.

- Cos'è? - domandò Kathe avvicinandosi a Erik.

- Non lo so... - rispose in un sussurro il ladro guardandosi intorno poi comprese che veniva dalle scale. Puntò la torcia all'ingiù e il rumore divenne più intenso, somigliava a un punteruolo di ferro che grattava sulla pietra ripetuto e amplificato decine di volte.

- Via di qui! - gridò il ladro, prese Kathe per la vita appena in tempo per evitare un fiume di scarafaggi che risalì dalle scale. Il rumore che facevano le loro zampe sulla pietra e i carapaci che si scontravano era terrificante e faceva venire i brividi.

Gettarono le torce a terra e si raggrupparono in cerchio, sembrava che le creature non amassero particolarmente il fuoco.

- Ma sono enormi! - gridò Kathe aggrappandosi al ladro. Erano neri, con l'addome rosso, grandi come gatti, con due tenaglie robuste davanti. In un'altra circostanza Erik sarebbe stato ben felice di sentirla addosso ma così gli impediva i movimenti.

- Kathe, stai calma, guarda non amano il fuoco - cercò di rassicurarla Erik. Intorno a loro si era formato un cerchio stabilito al fuoco e le creature non si avvicinavano. La maga si rilassò e lasciò la presa arrossendo lievemente.

- Non pensare nemmeno di usare la palla di fuoco! - le gridò Celia quando vide la sorella iniziare un incantesimo. Si bloccò interdetta, erano troppo vicini e potevano ferirsi. Poi le tornò in mente la bacchetta. La tirò fuori dalla veste e la impugnò decisa. Disse un'unica parola e una lingua di fuoco emanò dalla punta della bacchetta creando un ventaglio davanti a lei. Gli scarafaggi giganti si ritirarono permettendogli di raggiungere le scale. Procedettero a ritroso e quando le scale furono sgombre Annie si precipitò giù seguita da Erik.

- Come gli impediamo di seguirci? - urlò Gwaine per sovrastare il fragore degli insetti.

- C'è una porta, venite! - il richiamo di Erik li raggiunse dalle tenebre in fondo alle scale. Scesero rapidamente seguiti da decine di quegli scarafaggi famelici, oltrepassarono una doppia porta spalancata ma Erik e Annie avevano afferrato un'anta a testa ed erano pronti a chiudere.

Le porte erano pesanti e alcuni scarafaggi entrarono mentre si chiudevano. Klod e Mark erano già pronti e con pochi colpi ben assestati si liberarono degli insetti. L'ultima torcia che reggeva Celia si spense. Gwaine mormorò una parola e la luce magica invase l'area illuminandola.

- Deve nascondere qualcosa di veramente importante qua sotto per un sistema di sicurezza di questo calibro... - valutò Erik incamminandosi lungo il corridoio.

- Siamo stanchi, dobbiamo riposare - disse Celia osservando la sorella pallida e con le spalle accasciate. Mark fece scorrere lo sguardo fra tutti ed effettivamente le ultime ore erano state piene di combattimenti così annuì.

- Dobbiamo trovare un posto dove poterci difendere per riposare in pace - concordò Erik - Annie vogliamo esplorare i dintorni? Sir Cavaliere avrebbe la creanza di attenderci qui qualche minuto? - fece un profondo inchino sorridendo e senza attendere risposta si inoltrò nel corridoio.

- Che ho detto? - chiese Mark con sguardo interrogativo.

- Niente, è fatto così - rispose Kathe stancamente. Klod la raggiunse e le mise un braccio intorno alle spalle e lei si appoggiò.

Celia si spostò un po' più avanti nel corridoio e si sedette a terra evitando i cadaveri degli insetti. Non le erano mai piaciuti i luoghi chiusi, tanto meno quelli sotto terra. Avvertiva tutto il peso della montagna sopra di loro, o forse era solo una sensazione. Con le dita della mano sinistra prese a girare l'anello che le aveva messo Alexei e come se fossero legati da una catena rivide Helen di Rovilon sulla Drago del Mare che la fissava. Klod le aveva raccontato che in passato Fabris Hianick conquistò la loro madre e che anche il Conte ne era innamorato. Suo padre era riuscito ad ottenere un accordo con un matrimonio favorevole e il padre di Helen aveva perduto l'occasione di una vendetta. Ma le tre famiglie avevano tenuto conto solo delle questioni economiche senza rendersi conto che due dei loro figli si erano innamorati.

- Andrà tutto bene, non pensarci - il sussurro di Klod la riportò alla realtà. Si era seduto accanto a lei e anche Kathe. Gwaine e Mark parlavano sommessamente fra loro. Indossavano le armature nere dei Cavalieri dell'Ordine ed entrambi le portavano magnificamente. Involontariamente era andata con lo sguardo su di lui, sebbene fosse consapevole di come sarebbe stato il suo futuro. Tre anni prima, in un momento di follia, aveva creduto in qualcosa di completamente diverso. Ma i sogni sono solo desideri inespressi che raramente si realizzano.

Si voltò verso il fratello sorridendogli e lui le dette un bacio sulla guancia. Lei si avvicinò sussurrandogli all'orecchio - E' una magra consolazione ma sarò ricchissima, andrà bene per forza - Klod rise e lei arrossì.

Dalle tenebre del corridoio udirono dei passi lievi e Erik e Annie sbucarono dal buio.

- Sulla destra c'è una stanza sicura, molto ampia e stranamente vuota. La porta è pesante e robusta e ci permetterà di restare al sicuro - Erik si avvicinò a Kathe che si era assopita appoggiata a Klod. La prese in braccio senza alcuno sforzo apparente e senza aggiungere altro tornò nel corridoio buio. Annie lo seguì con lo sguardo e poi si incamminò dietro di lui seguita dagli altri.

La stanza era ampia, quando Celia entrò Klod aveva già disteso Kathe. I primi a fare il turno di guardia sarebbero stati Mark e Gwaine, così le torce nella stanza vennero spente e poterono addormentarsi dopo un breve pasto frugale. Kathe non venne svegliata ma Celia le lasciò la sua parte. Appena posò la testa sulla spalla di Klod si addormentò all'istante.

Gwaine chiuse la porta e infilò la torcia accesa nel reggi torcia a muro. Di fronte, dall'altra parte del corridoio, c'era una nicchia rettangolare e i due cavalieri si sedettero in silenzio.

- Mi vuoi dire come stanno le cose? - chiese Gwaine dopo qualche minuto di silenzio mentre affilava il pugnale.

- Non c'è niente da dire, suo padre l'ha promessa al figlio del Duca, hanno già firmato le carte, lo sai come funziona meglio di me - Mark teneva lo sguardo fisso sulla porta della stanza.

- Non puoi chiedere a tuo padre che interceda sfruttando il potere dell'Ordine? - domandò Gwaine anche se sapeva che non avrebbero mosso un dito.

- Il Duca Arstid e il Conte Hianick hanno interessi troppo profondi e l'Ordine non ha alcuna intenzione di intromettersi in faccende del genere - rispose Mark girandosi verso l'amico. Gwaine aveva avuto un problema molto simile, lui però era andato a prenderla una notte, erano fuggiti, si erano sposati, il padre di lei li aveva inseguiti per due mesi e in uno scontro lei era rimasta uccisa e lui catturato. Solo l'intercessione dell'Ordine e la sua condanna con l'allontanamento e il passaggio delle sue proprietà al padre di lei gli fecero salva la vita.

- Non sono certo la persona più adatta a darti consigli in merito - sussurrò Gwaine abbassando lo sguardo.

- E' disposta a sacrificare ogni cosa pur di soddisfare suo padre - si guardò il palmo della mano ricordandosi di quando gliel'aveva stretta sui bastioni del Monastero di Agrabaar.

- Non so cosa sia accaduto ma lei ti cerca con lo sguardo Mark, l'ho vista molte volte, durante i combattimenti, quando dormiamo, quando camminiamo. Ma quante coppie di cavalieri sono sopravvissute per vivere il loro amore? - aggiunse il Cavaliere.

Mark si voltò verso l'amico - Nessuna, ed è ciò che mi ha detto lei - tornò ad abbassare lo sguardo.

- Forse non ha torto - aggiunse Gwaine.

- L'idea che qualcun altro possa toccarla mi fa perdere la ragione - ringhiò cupo Mark alzandosi di scatto e facendo scricchiolare l'armatura.

- Devi mantenere la calma amico mio altrimenti ti ritroverai nella mia stessa condizione. Solo in questa occasione ho potuto usare la mia armatura, altrimenti mi è proibito come mostrare il medaglione dell'Ordine - gli consigliò mesto Gwaine.

- Ha fatto in modo di essere distante per oltre due anni! Si è fatta mandare in giro per il regno accettando qualsiasi missione pur di non vedermi, e adesso che posso starle accanto appartiene a qualcun altro! - la voce sibilante trasudava disprezzo per sé stesso, per aver permesso il distacco e per non essersi imposto prima.

- Le donne sono un mondo strano e mutevole, tutt'oggi, nonostante l'esperienza acquisita, non le comprendo - il Cavaliere sorrise all'indirizzo dell'amico più giovane. Capiva la sua frustrazione e ciò che lo dilaniava ma sapeva che non c'era soluzione e che non avrebbe potuto fare niente per lui.

I turni si assecondarono e riuscirono a riposare tutti, non svegliarono mai Kathe dato che non fu necessario. Celia si rese conto di aver perduto completamente il senso del tempo. Assecondavano gli istinti basilari come mangiare o dormire, senza sapere se era giorno o notte. Nonostante avesse dormito si sentiva ancora frastornata, le gambe pesanti e le mani irrigidite. Kathe studiava sul suo libro assorta, vicino a lei riposava Erik che sembrava assopito ma più di una volta l'aveva visto guardare la sorella. Annie dormiva nell'angolo destro, distesa su un fianco, la testa appoggiata allo zaino. Gwaine e Mark erano distesi sulla nuda pietra, come facessero a dormire con quelle armature addosso era un mistero. Aveva appena finito l'ultimo turno con Klod ed era il momento di ripartire. Si soffermò con lo sguardo su Mark, la stanza era in penombra, solo la luce della torcia all'esterno che filtrava dalla porta aperta forniva un po' di chiarore.  Si odiava per questo suo comportamento ma era inutile imporsi con la volontà, immancabilmente tornava a guardarlo. Era innegabile ciò che la legava a quell'uomo serio e coraggioso, averlo vicino non l'aiutava e aveva risvegliato ogni sentimento, ogni pensiero, ogni desiderio. Toccò l'anello di Alexei e si impresse nella mente il suo volto pulito e sereno con la speranza che scacciasse via ogni cosa. Si avvicinò a Erik e lo scosse lievemente. Poi passò ad Annie. Entrambi distesero i muscoli e si alzarono.

- Ripartiamo - li avvertì la chierica ed uscì dalla stanza lasciando a Klod il compito di svegliare i due cavalieri.



Il corridoio conduceva ad una serie di stanze vuote e ad altrettanti corridoi deserti. In passato dovevano aver avuto una funziona ma era impossibile stabilirlo. Erik poté dare sfoggio delle sue abilità disinnescando una trappola molto pericolosa che tra l'altro gli avrebbe impedito di proseguire facendo collassare il corridoio.

- Ci siamo - sussurrò Erik indicando avanti. In fondo al corridoio si intravedeva una luce lieve, che aumentava man mano che avanzavano. Entrarono in un'ampia stanza con un colonnato centrale, simile a quella precedente ma più profonda e larga. Ad ogni colonna c'era una torcia, indubbiamente magica, che brillava da migliaia di anni. Percorsero lentamente il centro della sala, Erik e Annie li precedevano, poi il ladro si spostò nel lato sinistro oltre le colonne mescolandosi alle tenebre.

- Quello deve fare sempre di testa sua - borbottò Mark vedendolo sparire.

- Ci ha salvato la vita più volte, lascialo fare - lo rimbeccò Celia. Incredibilmente, nel tempo, quello strano personaggio aveva catturato la sua fiducia. Mark la guardò in tralice ma non rispose.

In fondo c'era una scalinata, più alta di quella nella sala precedente, e un trono, che non era d'oro ma di pietra solida e levigata. Due grandi bracieri ardevano ai lati, anch'essi sicuramente magici. Sul trono sedeva uno scheletro, che doveva aver indossato abiti regali, una corona ingioiellata pendeva sul cranio liscio, la spada che doveva avere al fianco, giaceva a terra.

- Secondo voi quante probabilità ci sono che si animi quel coso? - chiese Klod indicando lo scheletro con la punta della spada. Gwaine lo guardò e scoppiò a ridere.

- Purtroppo temo che qui ci sia ben più di un vecchio scheletro - disse l'esploratrice con un sussurro teso. Annie avanzò lentamente verso la scalinata.

- Non avvertite niente? - la voce incerta di Kathe li fece voltare. Era terrea e le tremavano le labbra. Celia si avvicinò e la prese per le spalle.

- Davvero non sentite niente? - chiese ancora la giovane maga guardandosi intorno.

- Cosa dovremmo sentire? - domandò gentilmente Celia cercando di rassicurarla.

- Magia, non avvertite l'energia che c'è qui dentro? - si avvicinò alla sorella come a cercare riparo. Si guardarono ma nessuno sentiva niente.

- Ho trovato la fonte - Erik sbucò dalle tenebre facendoli sussultare - Venite a vedere - aggiunse il ladro incamminandosi verso la scalinata e raggiungendo Annie.

Salì i grandini con sicurezza fermandosi sulla piattaforma che ospitava il trono e lo scheletro di Hilizia. Li invitò a fare altrettanto con lo sguardo e attese che salissero tutti, poi indicò in basso.

La piattaforma non era di pietra come il resto della sala ma era una grata di metallo ancorata ai lati. Sotto di essa un pozzo profondo era pieno di luce vorticante.

- Per la dèa - imprecò Klod passandosi una mano fra i capelli.

- La fonte c'è davvero allora - sussurrò Kathe che guardava di sotto con sguardo rapito.

- La forza che sento viene da qui - aggiunse la maga senza distogliere lo sguardo dalla luce scintillante.

- Come facciamo ad impedire che la Fratellanza di Sangue usi questa magia arcana? - chiese Gwaine rivolto a Kathe.

- Non lo so... Non credevo neanche che la magia potesse esistere in forma visiva. Essa è energia, attraversa le cose e le persone. Alla Scuola ci insegnano come imbrigliare questo potere con l'aiuto delle rune magiche degli incantesimi e piegarlo al nostro volere - spiegò la maga fissando la luce.

- Si può distruggere? - chiese Mark osservando il pozzo largo forse una decina di metri. Era quasi perfettamente cilindrico, la roccia ai lati sgretolata come se qualcosa di molto potente l'avesse scavata dandogli quella forma.

- Ma questa non è una cosa da distruggere! - disse Kathe inorridita - E' da studiare, da usare, è da... - ma Mark la interruppe.

- Va distrutta o confinata, non possiamo permettere che la Fratellanza la usi per i suoi scopi, soprattutto se è in grado davvero di richiamare e comandare i draghi - disse il Cavaliere serio fissandola.

- Come possiamo sapere cosa fa? Prima dobbiamo studiarla... inoltre non ho idea di come si distrugge un campo magico, potrebbe esserci un incantesimo che si chiama disintegrazione ma io non lo conosco ed è molto potente - balbettò la maga tornando a guardare la luce accecante.

- Dobbiamo togliere questa grata - constatò Annie fissando il trono con lo scheletro - Così magari potremo scendere nel pozzo e vedere cosa c'è in fondo che genera questa luce -

Erik si avvicinò con cautela al re scheletro. Aveva anelli pieni di pietre alle dita ossute, un bracciale e una collana completamente d'oro massiccio, appoggiato sul trono alla sua destra c'era uno scettro tempestato di gemme. Girò intorno e osservò tutta la grata. Guardò ma non toccò la spada a terra, era nel fodero, il cuoio che la teneva alla cinta si era rotto lasciandola cadere. La grata sembrava inglobata nella roccia, non c'erano cardini, come fossero riusciti a fare una cosa del genere era inspiegabile.

- Sembra che non si possa togliere, inoltre il trono pesa troppo, anche se potessimo sollevare la grata, come togliere quello? - fece notare il ladro con tono spazientito indicando la struttura pesante di pietra.

- Proviamo a guardare bene intorno - suggerì Gwaine rinfoderando la spada.

- Non c'è niente, ho già controllato. Non ci sono porte né anfratti, non ci sono leve né trappole, trabocchetti, o altro che possa indicarci la strada - era afflitto e adirato.

- Possiamo provare a guardare in un altro modo - propose Kathe frugando nel suo zaino. Erik alzò un sopracciglio infastidito. La maga tirò fuori una piccola bacchetta, era una di quelle che aveva rubato a Fir Ze al grasso mercante.

- Questa bacchetta individua le cose invisibili se ci sono - disse Kathe col volto raggiante. Sussurrò una parola e la bacchetta venne circondata da un lieve alone. Scese dalla piattaforma, dirigendo la bacchetta per cercare di coprire il maggiore spazio possibile. Sulla grata e sul trono non c'era niente, così si diresse alla parete a sinistra e iniziò a percorrere il perimetro. Dietro al trono, al centro esatto della parete, apparvero i contorni di una porta. Kathe si voltò sorridendo.

- Davvero interessante... - ammise Erik passando le dita sul bordo della porta cercando qualche congegno che potesse nuocergli.

- Controllo anche quest'altra parte - disse Kathe proseguendo lungo la parete seguita da Klod. Quando raggiunse il colonnato fu evidente che non c'erano altre porte nascoste.

- Non c'è niente, torniamo indietro - disse la maga al fratello che annuì.

Quando raggiunsero il resto del gruppo Erik era riuscito ad aprire la porta. Un vento gelido e fetido li investì.

- Che odore terrificante - disse Annie coprendosi il naso con l'incavo del gomito. Il corridoio oltre la porta era ampio come la porta stessa e potevano camminare solo uno dietro l'altro. Risultò lungo circa venti metri, poi sfociò in una stanza. La torcia di Erik illuminò quello che innegabilmente era lo studio di un mago. Entrarono tutti, per ultima Kathe che si raggelò.

- Fuori tutti di qui, subito! - gridò allarmata. Celia si voltò e vide che stava fissando a terra il pavimento. Vi era disegnato un cerchio, anzi più di uno, con altri disegni all'interno. La maga alzò lo sguardo terrorizzata, gridò di nuovo lo stesso avvertimento e ripercorse il corridoio al contrario di corsa seguita dagli altri.

- Perché ci hai fatto uscire Kathe? - gridò Klod sbucando nella sala.

- In quel luogo hanno eseguito un rituale che serve ad un mago per diventare un lich, sapete cos'è? - chiese tremando. Celia, Mark e Gwaine si scambiarono un'occhiata.

- Sappiamo cos'è - disse il Cavaliere più anziano - Un non-morto potente, che mantiene nell'eternità i suoi poteri quasi intatti. Anche alcuni chierici che perdono la fede o impazziscono accedono a quel tipo di immortalità -

- Lo abbiamo appena liberato - sussurrò Kathe balbettando.

- Come si uccide? - domandò Klod sfoderando la spada.

- Servono armi molto potenti, che non abbiamo, forse qualche incantesimo - disse Mark posando lo sguardo su Kathe - Inoltre il suo tocco risucchia la vita -

- Ma per ucciderlo realmente dobbiamo trovare la sua anima rinchiusa in un'urna o simile - concluse Celia portando lo sguardo su Erik - Devi trovare quell'urna - gli disse. Il ladro spostò lo sguardo su Kathe che tremava come una foglia, poi sparì nel corridoio buio.

In quell'istante si scatenò il finimondo.  

Un'enorme palla di fuoco si infranse sul trono di pietra mandandolo in mille pezzi e scardinando la gigantesca grata di metallo pesante. Il fuoco e l'esplosione investirono il gruppo davanti alla porta nascosta spedendo tutti a terra e ferendoli gravemente. Klod si rialzò dolorante e pieno di ustioni, raggiunse Kathe e la protesse col proprio corpo finché Celia non li raggiunse evocando la sua magia divina per curare la sorella.

Mark, Gwaine ed Annie fronteggiarono il Re Hilizia in forma di lich. Il non-morto fluttuava da terra, vestito di una lacera veste nera e oro, nel cranio scarnificato brillavano due aloni rossi al posto degli occhi e brandiva un bastone magico la cui sommità riluceva malevola.

- Cercate di non farvi colpire dai suoi incantesimi né dai suoi artigli! - gridò Gwaine affrontandolo. Mark guardò Celia che per una volta ricambiò lo sguardo. Si alzò e insieme al fratello lo raggiunse. La battaglia era impari, non avevano alcuna possibilità contro il lich e Gwaine se ne accorse all'istante.

Lo avevano accerchiato e ogni volta che tentava di fare un incantesimo Gwaine o Mark o Klod riuscivano a colpirlo e distrarlo. Ma sembrava che le loro armi lo ferissero appena. Il lich cercò di artigliare Gwaine ma non ci riuscì, mormorò alcune parole oscure e dalla sua mano grifagna scaturirono dieci lucenti dardi infuocati che colpirono Celia scaraventandola a terra. L'urto la fece rotolare fino al bordo del pozzo. Mark la raggiunse giusto in tempo per afferrarla per un braccio ma aveva perduto i sensi ed era pesante. Gridò il suo nome sperando che si svegliasse e si riprendesse ma non riuscì più a trattenerla. Con un grido angosciato la vide cadere nel pozzo e scomparire nella luce bianca che vorticava. Con gli occhi spalancati e il cuore in tumulto gridò ancora il suo nome poi un boato lo costrinse a girarsi.

Kathe aveva lanciato il suo fulmine che aveva colpito il lich senza ferire i compagni. Klod abbandonò la sua posizione e raggiunse il Cavaliere al bordo del pozzo. Mark era ancora disteso con le mani che artigliavano il bordo frastagliato di roccia dura.  Imprecò duramente e si rialzò, ogni cosa si era come annullata, non riusciva a sentire niente che non fosse il suo cuore che batteva all'impazzata per la paura e l'angoscia.

- Dobbiamo andare a riprenderla! - gridò Klod con gli occhi sbarrati afferrandolo per un braccio.

- Prima il lich, altrimenti moriremo tutti - rispose sibilando Mark divincolandosi e tornando di corsa alla battaglia. Klod passò lo sguardo esterrefatto dal Cavaliere al pozzo, poi lo spostò su Kathe. La sorella si era alzata, ancora ferita ma riusciva ad utilizzare la sua magia. La raggiunse di corsa sostenendola.

- Dov'è Celia? - chiese a voce bassa. Lui scosse la testa guardandola intensamente e lei pianse.

- Cerchiamo di tenere occupato il lich finché Erik non trova l'urna con l'anima - sussurrò Klod con la voce incrinata dall'angoscia. Lasciò la sorella e raggiunse gli altri che combattevano strenuamente il non-morto.




Celia si svegliò con la schiena a pezzi e un dolore lancinante alla gamba destra e al braccio sinistro. Senza contare l'inferno di fuoco che sentiva nel petto. Ciò su cui era distesa era stranamente tiepido ma duro e irregolare, aprì gli occhi ansimando e gemendo per il dolore e si trovò a guardare l'enorme muso zannuto di un drago. Morì quasi di paura, smise di respirare quando si rese conto che la creatura la teneva in un suo artiglio. Restò immobile, la paura profonda copriva perfino il dolore terribile che provava.

- Salve fanciulla dai capelli dorati - il drago parlò alla sua mente, le scaglie d'oro brillavano nel riverbero della luce del pozzo e i suoi occhi come pepite, feroci e obliqui, la fissavano intensamente. Celia rimase interdetta, gli occhi spalancati e la bocca che ansimava per la paura e il dolore.

- Chi sei? - balbettò terrorizzata dopo diversi minuti.

- Io sono Jayashekhar - le rispose mentalmente il drago dorato. Celia provò a ripetere il nome senza riuscirci. Il drago emise uno sbuffo dall'odore terrificante che probabilmente equivaleva ad una risata.

- Puoi chiamarmi Ash se preferisci - disse il drago dorato con una profonda voce maschile che avrebbe associato ad un uomo maturo, come suo padre magari.

- Perché non mi hai ancora mangiato? - chiese la chierica balbettando. Il dolore era insopportabile. Ancora una volta il drago emise quello sbuffo sollevando il muso enorme.

- Io non mangio le fanciulle - disse con tono indignato. Celia cercò di trascinarsi in una posizione migliore ma le risultò impossibile. Il medaglione dell'Ordine scivolò fuori dall'armatura.

- Sei un chierico - asserì serio il drago. Celia cercò di concentrarsi sul drago per non pensare al dolore che la dilaniava. Annuì perché parlare le risultava impossibile. Cercò di richiamare la magia divina e di invocare l'aiuto degli dèi per curarsi ma non ci riuscì. Ansimando si distese nuovamente. Il drago la osservò qualche istante, poi Celia avvertì nella sua testa una cantilena in una lingua gutturale e sconosciuta, sentì l'usuale afflusso di potere e le sue ferite guarirono. Aveva eseguito uno degli incantesimi di cura più potenti che solo i Guaritori più esperti erano in grado di fare. Si massaggiò gambe e braccia ma tutto sembrava a posto. La sensazione di benessere era incredibile, il dolore scomparso all'improvviso. Sollevò la testa e vide sopra di sé il vortice di luce bianca.

- Cos'è quello? - chiese alzandosi in piedi cercando di restare in equilibrio sul palmo dell'artiglio aperto.

- La mia prigione da tremilacinquecento anni - disse il drago con tono rassegnato e malinconico. L'immensa creatura aveva le ali ripiegate sulla schiena, sulla fronte partiva una schiera di rostri appuntiti e due lunghe corna affusolate svettavano sul cranio coperto di scaglie. I rostri proseguivano fino a mezza schiena, le zampe possenti erano piegate come quelle di un cane quando si accuccia. Celia lo fissò inorridita.

- Sei chiuso qui da così tanto tempo? - domandò la chierica iniziando ad intuire ciò che doveva essere accaduto. Lì non c'era alcuna fonte magica, solo un drago imprigionato. Quanto avrebbe voluto vedere la faccia di quelli della Fratellanza.

- Fui catturato da Hilizia ma diventammo amici, usando un termine umano, volava insieme a me e governavamo giustamente. Poi lui incontrò Azhora una bellissima donna dalla pelle ambrata che praticava la magia. Era potente, lo misi in guardia da lei ma non mi ascoltò. Anzi, preferì fidarsi delle parole della strega, che insinuò nella sua mente pensieri oscuri di immortalità e poteri sconfinati. Quando i miei avvertimenti si fecero troppo arditi, mi incatenò in una caverna nel suo regno usando delle catene magiche. Azhora usurpò il suo trono, lui venne a liberarmi e insieme cercammo di sconfiggerla senza riuscirci. Mi catturò chiudendomi qua sotto insieme a tutto il popolo di Hilizia che condannò alla non-morte eterna. Il Re era ormai privo di forze, solo un barlume di vita risiedeva nel suo petto. La strega compì l'incantesimo di magia  nera e lo trasformò in un lich che ancora vaga per queste sale -

- Come si infrange l'incantesimo? I miei compagni e i miei due fratelli, sono su che lo combattono, li devo raggiungere - disse Celia risoluta dopo aver ascoltato la storia. Il drago la fissò per un tempo che le sembrò infinito. Forse i suoi fratelli, Mark, erano tutti morti ma se avevano una possibilità di sopravvivere, quella era il drago.

- Per eliminare questa barriera devono trovare l'urna che contiene la sua anima, infrangerla, così potrò uscire e sconfiggere il lich che avrà così il riposo che merita - il timbro del drago era velato di tristezza e malinconia.

Celia strinse i pugni. Non aveva alcun modo di avvisare i suoi fratelli né di sapere cosa stava accadendo lassù. Il drago sembrò avvertire la sua tensione, continuava a scrutarla coi suoi occhi intelligenti. Li chiuse come se si fosse appisolato e li riaprì dopo pochi minuti.

- Se ti stai domandando dei tuoi amici, il lich ha tolto la vita a uno di loro, una giovane maga è gravemente ferita, un ragazzo cerca di aiutarla e un uomo ha l'urna ma sta morendo - parlò lentamente, il tono profondo pieno di tristezza. Celia sbiancò e restò in piedi solo grazie alla forza di volontà.

- Sei in grado di avvisare l'uomo di rompere l'urna al più presto? - se avesse potuto guardare con la mente la scena lassù forse avrebbe potuto anche parlare ad una mente distante come faceva con lei in quel momento. Non voleva assolutamente pensare che Mark potesse essere morto, no non voleva. Il drago annuì e chiuse nuovamente gli occhi. La chierica sentì distintamente la mente del drago uscire dalla sua.



Erik imprecò in almeno tre lingue diverse quando sentì l'ago avvelenato pungergli il dorso della mano. C'era una trappola anche dentro la scatola e gli era sfuggita. Imprecò di nuovo ma tolse l'urna di ceramica afferrandola saldamente. Il veleno era già in circolo, aiutato dall'agitazione e dalla paura. Si voltò di scatto per uscire e raggiungere gli altri ma venne colto da un forte capogiro. Si fermò, riprese il controllo e ripercorse il corridoio buio. Quando uscì nella sala, sulla sua destra Klod stava aiutando Kathe che era più morta che viva, c'era sangue dappertutto. Spostò la visuale e venne colto dalla nausea, questa volta il veleno l'avrebbe ucciso. Il lich aveva afferrato Gwaine ed Erik vide distintamente il sangue sprizzare da tutte le parti. Una freccia di Annie che si teneva a distanza trafisse la creatura. Mark giaceva a terra senza vita.

- Rompi immediatamente l'urna! - la voce profonda e antica gli perforò la mente invasa dal veleno con tono di urgenza. Il ladro si guardò intorno spaventato.

- Getta l'urna a terra! - gridò di nuovo la voce ancora più insistente. Erik lasciò andare l'urna che si infranse liberando un breve ma intenso balenio d'energia. Si inginocchiò a terra rendendosi conto di aver appena visto l'anima del Re Hilizia. Un boato immane scosse la sala, il lich, che stava per afferrare Annie, si voltò di scatto verso il pozzo. C'era uno spiacevole suono, simile ad un punteruolo che sfrega sulla pietra, poi un muso enorme, pieno di zanne e scaglie dorate sormontato da due corna affusolate sbucò dal pozzo. Gli artigli possenti afferrarono il bordo e il drago uscì mostrando tutta la sua imponenza.

Celia era aggrappata agli aculei sul suo collo e quando il drago raggiunse la sala lei si lasciò cadere a terra. Vide immediatamente Klod e Kathe e corse da loro col cuore in gola. Con un ringhio basso e cupo il drago dorato si gettò sul lich. La chierica vide l'evidente sollievo sul volto del fratello che probabilmente l'aveva creduta morta. Si inginocchiò accanto alla sorella e intonò immediatamente l'incantesimo di guarigione più potente che conosceva. Le ferite si sanarono e il colorito tornò sulle sue guance rosa. Poi Celia guardò il fratello ma Klod a parte qualche ferita meno grave stava bene. Indicò Erik steso a terra vicino a loro. La chierica vide i cocci dell'urna e annuì. Lo raggiunse e usò l'ultimo incantesimo che ricordava, non era molto potente ma sperava facesse effetto, solo dopo averlo pronunciato si accorse che sulla mano destra c'era una puntura, circondata da sgradevoli vene nere. Lei non conosceva l'incantesimo per neutralizzare il veleno, Gwaine sapeva come fare, così sollevò lo sguardo e fu allora che vide Mark disteso a terra.

Solo in quel preciso istante, con il drago e il lich che lottavano e distruggevano ogni cosa, Celia si rese conto di ciò che aveva perduto. Mark era la sua metà perfetta, il suo completamento, ciò che di lei mancava, lui vi suppliva. Era l'uomo che aveva desiderato e atteso, che quando si era dichiarato lei non gli aveva creduto nonostante la gioia immensa che le aveva donato e che poi lei stessa aveva respinto. Lacrime amare e dolorose bagnarono il suo volto, desolazione e angoscia riempirono il suo cuore e l'anima.

Si alzò raggiungendolo, vicino giaceva Gwaine che rantolava indistintamente in una pozza di sangue. Avvertì una presenza ma il dolore atroce le ottenebrava i pensieri. Annie si inginocchiò accanto a Mark e sollevò lo sguardo verso Celia. Ogni tratto del suo volto trasudava dolore e sofferenza tanto che l'esploratrice fu costretta e distogliere lo sguardo.

Il lich gli aveva risucchiato ogni briciolo di vita. Celia si inginocchiò accanto a lui e appoggiò le mani sull'armatura nera dell'Ordine piangendo ininterrottamente. Il volto era terreo, i capelli corvini spiccavano lucidi di sudore. Sentì un braccio intorno alle spalle, era Klod. La chierica si accorse che intorno era tutto quieto. Sollevò lo sguardo e vide il drago accucciato davanti a loro che la fissava intensamente, del lich non c'era traccia. Anche Annie, Klod e Kathe si voltarono e si accorsero che il combattimento era finito, in qualche modo il drago aveva sconfitto il lich.

La giovane maga aveva assistito al combattimento affascinata prima di raggiungere la sorella. Non aveva mai visto un drago, le sue scaglie scintillanti erano strabilianti, le zanne, le corna e la cresta sulla schiena gli davano un aspetto feroce, solo gli occhi mitigavano la sensazione di terrore che incuteva. Era immobile ora ma nella sua battaglia contro il lich aveva distrutto parte del colonnato della sala e da molte ferite il sangue scendeva copioso macchiando le scaglie dorate.

- Grazie - disse Celia al drago piangendo, sconfiggendo il lich aveva salvato la vita a tutti loro.

- Chi è quell'uomo? - la voce del drago fu di nuovo nella sua mente.

- Un Chierico Cavaliere dell'Ordine - rispose Celia. I fratelli e Annie si voltarono a guardarla.

- Ma piangi per lui - le fece notare il drago inclinando la testa.

- Sì, piango per lui - il suo cuore era così vuoto e dolorante, perché le faceva quelle domande inutili?

Klod ascoltava il mezzo dialogo immaginandosi che il drago le parlasse nella mente. Quanto avrebbe voluto poter scambiare due parole con lui o cavalcarlo!

- Chi è quell'uomo? - chiese di nuovo Ash con un tono così ammaliante e convincente che fu costretta a dire la verità.

- E' l’uomo che amo - rispose semplicemente, una lacrima scese sul viso e avvertì Klod che le passò la mano sulla schiena in segno di conforto. Annie e Klod si guardarono, Celia rispondeva indubbiamente al drago anche se loro non sentivano niente. La cercatrice si alzò raggiungendo Gwaine e cercando di sollevarlo.

- Vorresti salvarlo? - domandò il drago con quel tono così persuasivo.

- Con tutto il cuore ma non posso - tornò a guardare il volto di Mark, che tante notti aveva sognato.

- Puoi farlo, posso insegnarti un incantesimo - la contraddisse Ash scuotendo le ali membranose. Celia sollevò lo sguardo irata serrando i denti.

- Non posso, è proibito e non ho l'abilità, altrimenti l'avrei già fatto - chiuse le mani a pugno, sotto avvertiva solo il freddo metallo della corazza.

- Il tempo scorre, se la sua anima si staccherà non potrai più salvarlo e raggiungerà la Dèa Madre Sosistras e il Dio Padre Shekhar - spiegò serafico il drago.

- Solo i Guaritori più potenti possono eseguire quell'incantesimo, io non ho quella capacità! - ringhiò Celia piangendo di rabbia - Perché mi fai questo? -

Il drago la fissava intensamente, sembrava soppesare le sue parole.

- Se è così allora non posso aiutarti - rispose gelido il drago e Celia avvertì la sua mente che si ritirava. Schizzò in piedi facendo sussultare Klod.

- No!  Non andare, ti prego insegnami! - Ash mantenne il legame mentale e Celia esalò il fiato. Il drago si alzò occupando praticamente tutta la volta della sala e si avvicinò facendo tremare il pavimento.

- Celia che stai facendo? - sussurrò il fratello che aveva capito che stava accadendo qualcosa.

- Provo a salvargli la vita anche se questo probabilmente mi costerà l'espulsione dall'Ordine ma non posso lasciarlo morire - disse lei con sguardo determinato fissando il fratello.

- Un'anima può essere richiamata in un corpo solo grazie ad una enorme volontà che spinga gli dèi ad ascoltare la tua preghiera e a permettere che la magia divina agisca correttamente - spiegò il drago - Conoscere le parole dell'incantesimo non è sufficiente - aggiunse con tono grave.

- Insegnami le parole - gli disse Celia risoluta inginocchiandosi nuovamente. Ash salmodiò la litania con un accento davvero inconsueto. In fondo la preghiera che evocava la magia divina era davvero semplice eppure avrebbe realizzato una delle cose più meravigliose e complesse al mondo: ridare la vita.

Celia ripeté mentalmente l'incantesimo poi distese le mani e quando lo evocò mise tutta sé stessa, i ricordi che la legavano a Mark, quello che avevano trascorso insieme, quello che provava in quel momento per lui. Aprì completamente il suo cuore alla dèa con la speranza che lei vi leggesse ogni cosa e le conferisse la capacità di resuscitarlo. Fu impossibile non avvertire la volontà schiacciante della Dèa Madre Sosistras che le invadeva la mente e l'anima. Era la prima volta che entrava in contatto con un dio ed era sicura che se non avesse smesso di analizzarla sarebbe impazzita. Come era venuta, la dèa se ne andò.

Klod la vide chiudere gli occhi, il medaglione dell'Ordine si illuminò, le parole della preghiera invasero l'aria e Mark respirò.

Celia avvertì il movimento del torace che si alzava e si abbassava sotto le mani appoggiate alla corazza e un sollievo incredibile inondò il suo cuore. Ringraziò Sosistras per il potere che le avevano concesso. Nella sua mente poteva sentire la soddisfazione del drago che approvava il suo comportamento e la sua tenacia.

Mark si sollevò a sedere un po' confuso e stordito. Celia ritirò le mani dal suo torace e lui si tastò addosso ma ogni ferita e ogni dolore era scomparso, al loro posto solo un benessere diffuso e piacevole.

- Sei viva - sussurrò il Cavaliere con sollievo. Celia annuì sorridendo e arrossendo per ciò che gli leggeva nello sguardo. Mark avrebbe voluto abbracciarla e baciarla. Non sapeva come ma era riuscita ad eseguire uno degli incantesimi più difficili e complessi, riservati solo ad alcuni eletti dell'Ordine.

Inevitabile fu notare il grande drago dorato. Scosse la testa intontito credendolo un'apparizione. Invece era reale, con tanto di zanne, artigli e ali. Un singhiozzare continuo lo raggiunse, alle sue spalle Kathe piangeva sul corpo disteso di Erik. Mark si alzò con fatica aiutato da Klod e raggiunse l'esile maga. Vide i cocci dell'urna a terra e comprese che il ladro era riuscito a trovare e rompere l'urna con l'anima del lich ma qualche tipo di veleno lo stava uccidendo. Quando Kathe lo vide, spalancò gli occhi pieni di lacrime.

- Aiutalo ti prego - supplicò singhiozzando incessantemente.

Mark si inginocchiò ed evocò l'incantesimo per neutralizzare il veleno seguito da uno per curare le ferite. Per essere rinato si sentiva incredibilmente bene. Il volto di Erik si rasserenò e riacquisì un colorito naturale e sano. Kathe smise di piangere e lo strinse forte.

- Quindi l'unico modo per attirare la tua attenzione è essere in fin di vita... - gracchiò Erik con un filo di voce e un sorriso sbilenco. Kathe corrucciò la fronte e lo lasciò andare di scatto. Il ladro batté la nuca sul pavimento, imprecò e vide le luci davanti agli occhi per il dolore. Celia raccolse le ultime energie e aiutò Gwaine appoggiato a Annie.

- Sono felice di constatare che sei ancora viva - sorrise Gwaine - E' un drago quello? - disse il Cavaliere. Celia annuì.

- Ha sconfitto il lich, è una storia lunga, ve la racconterò con calma - rispose Celia sfinita.

La terra tremò e dal soffitto piovvero pietre e polvere. Il drago sollevò il muso e guardò la volta della sala. Non c'erano più le colonne a sostenerla e sarebbe crollata.

- Dobbiamo uscire di qui, crollerà tutto - disse la voce allarmata del drago. Celia sollevò la testa e notò le crepe sul soffitto.

- Non c'è uscita, dobbiamo tornare indietro - Celia si domandò come avrebbe fatto il drago ad uscire e valutò che non sarebbero mai riusciti ad andarsene in tempo.

- Salite - sussurrò il drago alla sua mente. Celia si voltò a guardarlo.

- Presto, in groppa al drago, ci porterà fuori di qui! - gridò Celia per sovrastare il fragore di un crollo anche se non aveva idea di come avrebbe fatto. Klod aiutò Kathe, Erik si trascinò fino alla zampa possente, Annie aiutò Gwaine.

- Stai bene? - chiese Celia a Mark quando si avvicinò. Lui annuì e lei sorrise illuminandosi in volto. Il Cavaliere la osservò con calma, c'erano mille domande che voleva farle ma salì in groppa al drago in silenzio le tese la mano e l'aiutò a salire.

Poi Ash sputò il suo fuoco dalla bocca spalancata, la volta crollò rivelando un luce fievole. Il drago si arrampicò usando artigli e soffio, finché non furono fuori. Il fianco della montagna collassò ma il drago prese il volo spalancando le ali maestose. Kathe gridò ma tutti subirono la prima esperienza di volo nel vuoto. Celia gli chiese se poteva portarli al Monastero di Barilev e il drago acconsentì. Faceva molto freddo ed erano scomodi ma avrebbero completato un viaggio di una settimana a cavallo fra i monti in poche ore.

Celia avvertiva lo sguardo penetrante di Mark ma non aveva alcuna voglia di parlare con lui ora, non in groppa ad un drago d'oro mentre sorvolavano le Terre del Fuoco e aveva appena fatto un incantesimo di resurrezione riservato ai Guaritori più esperti e proibito agli altri.

Non c'era alcuna fonte magica i Fratelli di Sangue sarebbero rimasti delusi. Chissà com'era andata all'altro gruppo che si era diretto ad Agrabaar per sterminarli nel loro covo... Posò lo sguardo su Kathe che dormiva in braccio a Klod che le sorrise. In fondo non era andata così male.


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Capitolo 25
*** Fede ***


25. Fede

 

Il soggiorno presso il Monastero di Barilev fu breve e tranquillo. Mark e Gwaine fecero rapporto all'Alto Chierico Sergey Haralin e il vecchio volle che fosse presente anche Annie. Il resto del gruppo venne esonerato da questi compiti tediosi così poterono lavarsi e rifocillarsi. Quando avevano sorvolato la città dall’alto Celia aveva visto i pennoni della Drago del Mare che era in porto ad attenderli per riportarli a Rovilon.

I due Cavalieri vennero trattenuti tutto il giorno mentre Annie a metà mattina circa fu lasciata libera. Celia la incontrò nei bagni e così poterono scambiare due parole. L'Alto Chierico li aveva interrogati su molte faccende e l'esploratrice la mise in guardia avvisandola che avrebbe sicuramente chiamato anche lei.

- Io? - domandò Celia mentre strofinava i lunghi capelli in un ampio telo. Annie si spogliò e la chierica poté vedere molte cicatrici che segnavano la sua pelle bronzea.

- Vuole sapere come hai fatto quell'incantesimo - riferì Annie guardandola intensamente.

- Oh capisco - in realtà non capiva e non sapeva cosa dire all'Alto Chierico.

- Come hai fatto Celia? - le domandò immergendosi nell'acqua calda che avevano portato appositamente per loro.

- Non lo so Annie, il drago mi ha detto come fare e io ho eseguito - dopo averli lasciati in una radura poco distante da Barilev, Ash il drago dorato si era involato, solo un grazie era arrivato nella sua mente. L'antica creatura era finalmente libera e loro ancora increduli di aver vissuto un'avventura del genere.

Annie la scrutò in silenzio e vide che rigirava incessantemente l'anello che portava all'anulare sinistro.

- L'avevi mai studiato prima? - indagò ancora la giovane esploratrice.

- Mai - Celia scosse la testa - Inoltre è un incantesimo riservato ai Guaritori più esperti. L'Ordine è molto chiaro in merito, gli incantesimi vengono imparati e assimilati durante gli anni scolastici presso i Monasteri, c'è una struttura molto rigida che separa gli Storici, dai Guaritori, dai Chierici Cavalieri - Celia finì di vestirsi con la tunica grigia e lasciando cadere la veste si rammaricò del fatto che probabilmente non avrebbe mai avuto quella nera dei Cavalieri e sospirò.

-  Sposerai il figlio del Duca e lascerai l’Ordine? - chiese uscendo dall'acqua. Celia annuì.

- Se potessi, sceglieresti diversamente? - Annie aveva sempre pensato che la ricchezza e un titolo nobiliare facessero nettamente la differenza ma adesso, osservando quella ragazza seria e coraggiosa si domandava quanta verità ci fosse dietro l’apparenza.

- La Contea e mio padre hanno bisogno di questa alleanza - rispose Celia voltandosi a guardarla.

- Non hai risposto alla mia domanda - insisté Annie asciugandosi. Celia corrugò la fronte.

- Sì - disse semplicemente uscendo e chiudendo la porta dietro di sé. Lo aveva capito nell'attimo in cui la magia divina aveva restituito la vita a Mark. Quell'incantesimo è diverso da tutti gli altri, ti mette in comunicazione direttamente con la Dèa Madre Sosistras e il Dio Padre Shekhar, Sosistras le ha letto nel cuore e nell'anima, non avrebbe potuto nascondere niente. Gli dèi avevano accolto la sua preghiera solo perché genuina e spinta dall'amore che provava per lui.


L'Alto Chierico convocò Celia e le fece delle domande sull'incantesimo di resurrezione scrutandola coi suoi occhi liquidi. Non c'era nessun altro con lei. Il vecchio ascoltò attentamente ogni parola, fece altre domande per approfondire ma sembrò soddisfatto del risultato. Le chiese se era a conoscenza che aveva infranto una delle regole che si accettavano entrando nell'Ordine per un proprio tornaconto personale. A quell'insinuazione Celia si irrigidì. Aveva salvato Mark perché l'amava, era vero ma era stata la dèa a concedergli la capacità. Così aveva risposto all'Alto Chierico cercando di mantenere la voce ferma. Lui aveva annuito in silenzio ma le disse che avrebbe scritto una missiva all'Alto Chierico di Torap.

Quando uscì da quella stanza era svuotata e adirata. Il tornaconto personale non ha niente a che vedere col salvare la vita di un Cavaliere coraggioso che si era battuto fino allo stremo. Inoltre gli dèi avrebbero tranquillamente potuto negarle la magia e impedirle di salvarlo accogliendolo fra le loro braccia amorevoli. Erano questi i princìpi che venivano insegnati agli allievi dei Monasteri. La fede era principalmente amore verso gli dèi e tutto il creato. Ormai tremila anni fa il primo Patriarca scoprì la magia divina, completamente diversa da quella arcana, come due correnti di energia che corrono parallele senza incontrarsi mai. Fondò l’Ordine con il preciso intento di trasmettere ad altri fedeli quei princìpi e di aiutare le persone. L’Ordine si è evoluto nel tempo e ci sono stati anche casi in cui gli dèi sono intervenuti direttamente per punire o premiare, per rettificare, per portare consiglio.

Gli dèi non si sono mai espressi in merito all’Ordine, non hanno mai interferito con il suo operato e questo è stato visto sempre come un segno positivo. I Monasteri portavano cure, custodivano e replicavano la storia sui tomi, fornivano protezione ai più deboli. Mai, neanche per una volta, l’Ordine si era schierato politicamente, almeno all’apparenza, né aveva partecipato a guerre interne o venduto la propria forza militare a qualcuno.

Shekhar Dio Padre, Sosistras Dèa Madre, Niamh Dèa della Giustizia, Mazhar Dio del Dovere, Ferinel dèa della Saggezza e della Grazia, Turgay Dio dell'Umiltà, Ekrem Dio del Coraggio, Khorkan Dio della Morte, erano i sei nomi che gli uomini avevano associato agli dèi che erano entrati in contatto con loro finora. L’Ordine aveva raccolto nei secoli tutte le loro apparizioni e ogni informazione possibile che li aveva aiutati a creare il loro regolamento interno e il Libro della Fede che veniva utilizzato nei Templi dai preti, solitamente dei Guaritori, che officiavano i riti. Gli incantesimi e la magia divina vengono insegnati oralmente, non esistono libri scritti come invece usano fare i maghi con la magia arcana.

I concetti che l’Ordine promuoveva e portava in tutto il mondo erano basilari per un vivere civile, dove il più forte aiuta e protegge il più debole, dove l’amore, il rispetto e l’umiltà dovevano essere alla base di ogni rapporto umano, dove saggezza e giustizia si aiutavano per scacciare il male, dove il coraggio di affrontare le avversità della vita aiutava anche ad accettare la morte inevitabile.

Nessuno degli dèi aveva mai rivelato il legame fra magia divina e anima. Tutti i chierici erano consapevoli, dopo secoli di studi, che ogni essere nasceva con un’anima, una sorta di immagine speculare di sé stessi nel piano divino. Era stato ampiamente verificato che anima e corpo una volta separati non possono più essere ricongiunti e il corpo muore definitivamente. Cosa accada all’anima nessuno lo sa. Alcuni negromanti sono in grado di separare l’anima creando immondi spettri malvagi e corrotti. Molti dicevano che non c’era alcun legame ma non si spiegherebbe perché uno degli incantesimi più potenti impedisce il distacco dell’anima da un corpo risparmiandogli la morte definitiva. L’incantesimo falliva spesso, non tutti i Guaritori, anche quelli più potenti, riuscivano ad eseguirlo, per questo l’Alto Chierico le aveva fatto così tante domande. Non sapeva spiegarsi perché era riuscita, l’unica cosa che ricordava perfettamente era il tocco della dèa sul cuore, lei aveva visto ogni cosa nel suo profondo e aveva acconsentito a farle usare la magia.

La mattina seguente raggiunsero il porto, Annie li accompagnò e Erik fu così generoso da regalarle alcuni oggetti e una borsa di cuoio piena di monete che aveva in qualche modo raccolto nelle Catacombe di Hilizia.

- E questi da dove vengono? - Annie alzò un sopracciglio sospettosa.

- Ai morti non servivano più - rispose serafico il ladro balzando sulla tolda della nave. Annie sollevò un braccio agitandolo mentre salpavano.

- Sei stato generoso - notò Mark appoggiato alla ringhiera di legno.

- Sì, uno di quegli anelli è magico. A volte mi sorprendo da solo… - ridacchiò e scese sotto coperta. Il vento gonfiò le grandi vele e spinse la nave fuori dal porto.

Il Cavaliere si guardò intorno, la Drago del Mare era grande ma era una nave, ignorarsi era difficile. Aveva già capito che Celia non gli avrebbe rivolto parola anche se lui avrebbe voluto chiederle dell’incantesimo con cui gli aveva salvato la vita e che gli permetteva ora di rimirare il mare in quella bellissima giornata.

Sarebbe stato un viaggio lungo.


Un vento forte e costante spinse la Drago del Mare verso nord e in dieci giorni furono in vista delle coste del Ducato di Tockaha. Per tutto il tempo Celia riuscì ad evitare Mark, sapeva che avrebbe voluto parlarle ma sarebbe stato inutile, niente sarebbe cambiato. Kathe fece altrettanto con Erik e quando le chiese come mai lo tenesse a distanza la sorella rispose che aveva paura.

- Paura di cosa? - chiese Celia chiudendo il libro che stava leggendo. Anche se la cabina era stretta riuscivano a dividerla senza problemi.

- Di lasciarmi andare. Erik è sempre gentile ma mi ha baciata una volta e... - rispose Kathe sospirando e Celia la interruppe.

- Quando? - forse le era sfuggito qualcosa.

- Nelle Terre di Fuoco dopo il villaggio dei goblin. E io sono riuscita a resistergli solo perché sono scappata - sussurrò Kathe arrossendo fino ai capelli.

- Le cose si sono complicate quindi.... Vuoi ancora andare nel Regno degli Elfi? - chiese Celia immaginando la reazione di suo padre sapendo di Erik... Kathe afferrò immediatamente la spilla che tratteneva il suo mantello.

- Devo, Lewel è stato gentile, onesto e chiaro con me, devo fare altrettanto -

- Ma hai già scelto, non è vero? - era evidente dagli occhi della sorella. Kathe annuì vigorosamente arrossendo di nuovo.

- Non so dove mi porterà questa strada ma intendo percorrerla fino in fondo - le disse con sguardo fiero e convinto. Celia avrebbe voluto dirle che faceva bene a lottare per ciò che desiderava, che sarebbe andato tutto bene, invece le disse ciò che pensava.

- Sarà molto difficile un lieto fine lo sai vero? - dalla reazione della sorella si pentì immediatamente di averglielo detto.

- Io almeno lotto e non mi arrendo alle imposizioni -  Kathe indurì lo sguardo e la voce.

- Sai bene che non potevo fare altrimenti - ribadì Celia stanca di doversi giustificare ogni volta, rigirando l’anello al dito.

- Sì invece, avresti potuto dire no - replicò Kathe reggendo lo sguardo adirato della sorella.

- Anche se mi hanno lasciato frequentare l'Ordine, io sono la primogenita, nostro padre può e deve maritarmi per ottenere favori e vantaggi, esattamente come Klod dovrà ereditare la Contea, il titolo, i castelli. Tu invece sei la secondogenita e potresti avere qualche possibilità di scegliere un marito ma se nostro padre avrà dei vantaggi ti darà in sposa ad un rampollo senza pensarci due volte. E’ così da sempre! - disse Celia a denti stretti nonostante il nodo che le serrava la gola. Kathe la guardò e il labbro inferiore prese a tremarle. Celia l’abbracciò forte, non voleva che piangesse ma le cose stavano così, mentire a sé stessi era una follia.

- Mi dispiace Kathe, non volevo essere brusca ma non devi illuderti. Erik è una brava persona, anche se devi ammettere che è un po’ strano, non ha titoli né ricchezze né vantaggi da portare alla Contea… - le sussurrò nell’orecchio mentre singhiozzava.

- Perché non possiamo scegliere i nostri compagni come fanno tutte le altre? - disse fra i singhiozzi.

- Perché noi siamo le figlie del Conte Hianick, non facciamo parte delle altre - rispose Celia pensando a quanto fosse semplice e incatenante quella semplice verità.

- Vieni, andiamo a prendere un po’ d’aria - propose Celia alzandosi e barcollando per il rollio della nave. Kathe si asciugò il volto, prese dallo zaino un vasetto con una crema profumata alla camomilla e se la spalmò sulla faccia con delicatezza. Celia sorrise guardando la sorella, nonostante la disperazione trovava il tempo per farsi bella.

Klod, Mark, Erik e Gwaine condividevano delle piccole cuccette sotto il ponte di coperta con il resto dei marinai, ed erano quasi sempre sul ponte con tutti gli altri, così loro potevano starsene tranquille nella loro cabina sotto il cassero di poppa vicino a quella del capitano. Nei racconti i capitani delle navi vengono sempre descritti come prodi comandanti o pirati affascinanti ma Anamir Occhiocavo non era nessuno dei due. Aveva veramente un occhio cavo e non si preoccupava neanche di coprirlo con una benda come faceva la maggior parte degli orbi, tarchiato ma muscoloso, sfoggiava una lunga barba nera con alcune perline colorate e masticava sempre bastoncini di liquirizia che gli donavano un odore particolare e intenso.

La brezza del mare le fece rabbrividire, il viaggio era quasi terminato e presto sarebbero stati a casa. Il sole era alto nel cielo, era circa la metà della giornata, i gabbiani stridevano e seguivano la nave volando placidamente intorno alle sue grandi vele. Il mare blu brillava come uno zaffiro e deboli onde increspate si rincorrevano spumeggiando. Raggiunsero il capitano al timone salendo sul cassero dalle scale sulla destra e così poterono osservare tutta la nave al lavoro. Anamir Occhiocavo le salutò con un secco cenno della testa e tornò a guardare il mare.

C’erano almeno trenta marinai che tiravano corde, trasportavano barili, spostavano materiale di vario genere a cui Celia non sapeva dare un nome. Era molto caldo ed erano quasi tutti a torso nudo o con camice stracciate e lacere. Si appoggiarono alla ringhiera di legno e Celia sentì Kathe tirarle la manica e seguì con lo sguardo ciò che indicava in silenzio.

Più avanti sulla sinistra a circa metà ponte c’erano Klod, Mark, Gwaine ed Erik, indossavano solo pantaloni e stivali e stavano tirando una corda enorme.

- Smettila di girare quell’anello e goditi lo spettacolo - le disse brusca Kathe dandole una gomitata. Celia arrossì e nascose le mani dietro la schiena. I muscoli di Mark si flettevano e non aveva mai dimenticato cosa significava passarci le mani sopra. Facendo più attenzione in effetti loro quattro non erano i soli a mostrare un fisico asciutto e allenato. Molti marinai, di diversa provenienza, erano altrettanto prestanti, la pelle abbronzata dal sole e sudata per la fatica.

- A volte Celia mi meravigli sai? - disse la sorella alzando lo sguardo.

- Perché? - arrossì di nuovo guardando le assi di legno della tolda.

- Sei un asso con la spada, unita alla tua magia affetti in due i nemici in battaglia ma arrossisci fino ai piedi se vedi un bell’uomo mezzo nudo - Kathe scosse la testa sconsolata e Celia rise. Klod alzò lo sguardo riconoscendo la risata della sorella e le salutò con la mano. Così fecero anche gli altri e Kathe e Celia risposero, la prima con vigore, la seconda accennando appena un gesto con la mano.

- Mi sono sempre concentrata sulla fede e l’Ordine, gli uomini non facevano parte del pacchetto - rispose Celia serenamente.

- A parte Mark Nateshwar - insinuò Kathe guardandola in tralice.

- A parte Mark - ripeté Celia sussurrando.

- Lo hai accettato dunque - constatò la sorella attirando la sua attenzione.

- Sì - la chierica si voltò a guardarla. Stranamente non si sentiva in imbarazzo.

- E’ un inizio - concluse Kathe raggiante - Adesso dobbiamo trovare un modo per far sciogliere il fidanzamento - raccolse la lunga veste e si incamminò.

- Dove vai? - domandò sconsolata Celia rimpiangendo immediatamente di aver ammesso ogni cosa. Kathe era imprevedibile.

- A dare inizio al piano geniale che ti permetterà di convolare a nozze felici con il nostro Mark - sussurrò strizzandole l’occhio. Celia spalancò la bocca e rimase senza parole, terrorizzata per ciò che poteva avere in mente la sorella. La vide scendere con movimenti calcolati la scala e dirigersi alla porta delle cabine. Tirò un sospiro di sollievo, per un attimo aveva temuto che stesse andando da Mark.

Il capitano Anamir, che aveva ascoltato ogni cosa, rimase immobile al suo timone e non fece alcun commento.

- Terra! - il grido penetrante del marinaio di vedetta fece voltare tutti e ci furono risa e applausi. Celia allungò lo sguardo e vide la costa di Rovilon stagliarsi all’orizzonte. Erano a casa.


Quando raggiunsero il Monastero di Fir Ze, quattro giorni dopo, era notte e un silenzio innaturale serpeggiava per le vie della grande città. L’Alto Chierico Leon Gelithar ottenne un breve resoconto da Mark e il Cavaliere fu avvisato che nei prossimi giorni sarebbero stati tutti assorbiti dall’Ordine che aveva necessità di fare chiarezza su quanto avvenuto nelle Terre del Fuoco e che nessuno di loro doveva lasciare il Monastero.

Raggiunse gli altri che lo attendevano nella mensa dove avevano bevuto qualcosa dato che il cuoco era a letto da ore ormai. La delusione fu evidente soprattutto in Erik che voleva approfittare della grande città per concludere qualche affare.

- Non mi possono rinchiudere! - si lamentò il ladro facendoli sorridere. Sembrava un condannato a morte.

- Si tratta solo di qualche giorno, poi sarai libero di andare - disse Gwaine battendogli una pacca sulla spalla.

- Ci sono molte cose divertenti da fare anche qui - aggiunse Mark sedendosi e prendendo il boccale che gli passava Klod.

- Il tuo modo di divertirti Cavaliere è noto a tutti - rispose mesto il ladro appoggiando la fronte sul tavolo.

- Io mi diverto - disse serio Mark. Nessuno aggiunse altro poi Erik e Klod scoppiarono a ridere e anche sul volto di Gwaine si allargò un sorriso tirato. Mark si oscurò in volto borbottando qualcosa e terminata la birra andarono a dormire negli alloggi che gli erano stati assegnati troppo stanchi per discutere ancora.

Quando Celia si distese nel letto chiuse gli occhi quasi immediatamente imponendosi di non pensare alla mattina seguente e notò che Kathe rimase alla scrivania a scrivere alcune lettere.


All’alba Celia raggiunse la sala d’armi. Non era sola, qualcun altro era sveglio e se la stava prendendo con il manichino di allenamento. Nonostante la buona volontà aveva dormito solo poche ore.

- Sir Gwaine buona mattina - lo salutò entrando nel suo raggio visivo.

- Celia, come mai di nuovo i titoli, sai che non sono un Cavaliere dell’Ordine - replicò assestando un fendente al manichino che tremò sotto la forza del colpo.

- Siamo nel Monastero di Fir Ze, il mio ruolo impone deferenza nei tuoi confronti - disse la giovane allacciandosi i parabracci di cuoio. Il Cavaliere si fermò ansimando lievemente e la guardò.

- Va bene ma una volta fuori di qui tutto torna come prima - le sorrise e allungò la spada in segno di sfida. Celia socchiuse gli occhi, estrasse lentamente la spada di legno dalla rastrelliera continuando a fissarlo. Entrò nell’area di combattimento mentre lui arretrava, allungò la spada e con la punta toccò la sua.

Si scontrarono a lungo, non fu un allenamento ma entrambi avevano qualcosa che li rodeva e sfruttarono l’altro per sfogarsi. Gwaine era più forte ed esperto e atterrò Celia tre volte ma lei si rialzò ogni volta, più combattiva che mai.

- Sei molto preparata e concentrata - notò Gwaine tendendole una mano per farla rialzare.

- Ma tu sei troppo preparato - sorrise lei togliendosi il sudore dalla fronte.

- Forse non ora ma fra qualche anno sarai in grado di battere la maggior parte dei nemici che incontrerai - valutò il Cavaliere.

- Non continuerò il mio addestramento nell’Ordine - mormorò Celia.

- Il matrimonio? Mark mi ha detto ogni cosa - annuì Gwaine senza rendersi conto che Celia era sbiancata.

- Ogni cosa? - balbettò lei. Gwaine sollevò lo sguardo e corse ai ripari.

- Che sei promessa al figlio del Duca - precisò il Cavaliere anche se Mark in realtà gli aveva fatto confidenze ben più importanti.

- Sì, la mia strada è stata decisa - confermò la chierica uscendo dall’area di allenamento e riponendo la spada.

- Ciò che stai facendo porterà grande benessere alla Contea e un legame politico di incredibile valore - lui aveva fatto una scelta diversa che si era trasformata in tragedia e non voleva certo che altri commettessero il suo stesso errore. Celia sorrise mestamente.

- Sono fiera e orgogliosa di poter essere d’aiuto a mio padre - rispose meccanicamente - Fra poco dovrò presentarmi dall’Alto Chierico, vado a rendermi presentabile -

Gwaine annuì e la osservò mentre usciva. Gli dispiaceva per l’amico e per ciò che aveva visto negli occhi di Celia ma sposare il figlio del Duca le avrebbe portato grandi vantaggi anche se ora la vedeva come una prigione.


Mentre Celia era in attesa fuori dalla porta dello studio di Leon Gelithar udì dei passi e i suoi pensieri vennero interrotti.

- Janos! - Celia si alzò in piedi sentendo i muscoli tirare per l’allenamento della mattina e la tensione dell’incontro imminente.

- Celia come stai? - domandò lui visibilmente preoccupato.

- Bene grazie, sto attendendo l’Alto Chierico - l’avrebbe abbracciato se non avesse visto il suo sguardo. Non avrebbero mai più potuto essere amici, non dopo quel bacio. Almeno non ora. Aveva commesso lo stesso errore due volte.

- Devo portargli questo - disse il giovane mostrando un Libro della Fede. Sembrò voler aggiungere qualcos’altro invece la salutò rapidamente ed entrò.

Dopo qualche minuto uscì di nuovo e le fecce cenno di entrare. Iniziava l’interrogatorio, sperava solo che finisse tutto presto.

Lo studio era in penombra, gli scuri delle ampie finestre chiusi a ponte ed entrava poca luce. Un candelabro a braccio forniva l’unica fonte di chiarore diffuso. Leon Gelithar era seduto al suo scranno, davanti a lui il Libro della Fede. Janos chiuse la porta ed uscì dopo averle stretto la mano rapidamente.

- Vieni avanti, Celia - la chiamò l’Alto Chierico con la sua voce profonda e roca. La giovane si sedette su una delle sedie davanti alla scrivania dopo un breve inchino.

- Buona mattina, Alto Chierico - lo salutò lei cercando di sorridere.

- Questa mattina ho parlato a lungo prima con Sir Mark Nateshwar e poi con Gwaine Midnight - Leon non perse tempo ed iniziò senza tanti preamboli. Celia notò che aveva omesso il titolo di Gwaine.

- Conosco ogni particolare della vicenda adesso ma necessito della parte che riguarda il drago e l’incantesimo che hai eseguito - si sporse in avanti appoggiando i gomiti sulla scrivania. Celia deglutì lentamente, non c’era alcun motivo per cui dovesse essere così nervosa, aveva avuto il favore degli dèi, tanto bastava.

- Durante la battaglia contro il lich di Hilizia sono caduta nel pozzo sotto il trono dove credevamo giacesse la fonte magica di cui parlava la Fratellanza di Sangue - iniziò la chierica mettendosi comoda.

- Sir Mark ha cercato di aiutarti? - domandò scrutandola.

- Sì, ma non è riuscito a trattenermi - per un attimo rivide la scena come sé stesse accadendo in quel momento, la stretta, la caduta, il risveglio.

- La barriera che credevamo fosse la fonte arcana era una trappola che rinchiudeva Jayashekhar il drago d’oro da tremilacinquecento anni. Gli sono caduta addosso, oppure mi ha salvato non lo so ma quando mi sono risvegliata il drago mi stava guardando -

Leon annuì gravemente in silenzio. Né Mark né Gwaine conoscevano questa parte della storia quindi Celia non gliel’aveva raccontata.

- Jayashekhar mi ha parlato nella mente, raccontandomi la sua amicizia con Hilizia, l’arrivo della strega Azhora di cui il re si innamorò. Lei lo circuì, lo ammaliò e lo convinse ad eseguire un rito di magia nera che lo avrebbe reso immortale e potente. Azhora intrappolò Jayashekhar, usurpò il trono di Hilizia ormai inginocchiato e portò il suo popolo nelle catacombe seppellendolo, poi trasformò il re in lich - finì il breve riassunto e fece una pausa.

- Chissà in base a quali fonti la Fratellanza credeva che li sotto si celasse un potere che comandava i draghi - si domandò pensieroso Leon alzandosi e aprendo uno degli scuri delle finestre. Il sole illuminò la stanza.

- A volte le storie vengono distorte - era probabile che nei secoli la questione del drago e della trappola sia stata riportata fino a trasformarsi in una fonte arcana che poteva comandare i draghi.

Leon si voltò fissandola intensamente.

- Poi cos’è accaduto? - chiese l’Alto Chierico sedendosi nuovamente.

-  Jayashekhar mi ha detto che per poter infrangere la barriera i miei compagni avrebbero dovuto trovare l’urna che conteneva l’anima di Hilizia, ero chiusa là sotto con lui e gli ho chiesto se poteva parlare a uno di loro nella mente come stava facendo con me e avvisarlo. Credo l’abbia fatto perché la barriera è scomparsa e siamo potuti uscire. Il drago ha combattuto contro il lich di Hilizia sconfiggendolo e ci ha portati fuori dalle catacombe permettendoci di sopravvivere - concluse la giovane tenendo lo sguardo sull’Alto Chierico. Lui annuì in silenzio.

- Sei stata molto fortunata quando sei caduta - constatò poi aprendo il Libro della Fede.

- E’ stato il drago a curarmi, avevo qualcosa di rotto ma ha eseguito un incantesimo molto potente curando ogni mia ferita all’istante - ammise Celia torcendosi le mani in grembo. Adesso sarebbero arrivate le domande che non voleva sentire. Leon alzò un sopracciglio.

- Sapevo che i draghi, soprattutto quelli più antichi, potevano essere in grado di utilizzare la magia - confermò dopo un attimo di riflessione. Poi tornò a consultare il Libro apparentemente dimentico di lei. Celia si rilassò e distese le dita delle mani levando una preghiera sommessa alla dèa.

- Come hai fatto ad eseguire correttamente l’incantesimo di resurrezione? - chiese all’improvviso alzando gli occhi.

Celia ebbe un sussulto, avrebbe voluto gridargli che non lo sapeva ma riacquistò la calma e rispose.

- Non lo so Maestro, era disteso a terra senza vita, il drago mi ha sfidato con parole di scherno nella mente, così ho accettato la sfida, volevo che vivesse, mi ha insegnato le parole, le ho recitate e gli dèi mi hanno concesso il loro favore - era quello che contava alla fine, se fosse stata una cosa così sbagliata gliel’avrebbero negata.

Leon si appoggiò allo schienale. Perfino pochi Guaritori che dedicavano tutta la vita allo studio della magia divina e degli incantesimi riuscivano ad eseguirlo correttamente. Gli dèi ti guardano dentro, se non restano soddisfatti da ciò che trovano l’incantesimo fallisce. Quindi non c’era alcun mistero, nessun talento particolare in Celia Hianick come aveva pensato quando aveva ricevuto la missiva da Sergey Haralin di Barilev. Il fattore scatenante di così tanto potere era solo il sentimento genuino e profondo che la legava al Cavaliere e che le aveva permesso di ottenere il favore degli dèi.

- Non considereremo questa tua azione come un’infrazione del nostro regolamento. Quando farai ritorno a casa e lascerai l’Ordine sposando il figlio del Duca la tua carriera sarà pulita e costellata di ottimi raggiungimenti. Ti sei impegnata molto in questi anni e con caparbietà e determinazione hai raggiunto risultati per altri impensabili - sembrava davvero rammaricato e Celia per poco non si mise a piangere per la rabbia e lo sconforto. Si alzò abbassando gli occhi.

- Porta i miei saluti all’Alto Chierico di Torap - la raggiunse mettendole una mano sulla spalla. Celia fece un lieve inchino ed uscì in silenzio.

Fuori dalla porta c’era Klod che scattò in piedi vedendola. Celia lo fissò per un istante poi scoppiò a piangere abbracciandolo con forza. Il fratello le sussurrò parole di conforto, meravigliato dalla reazione della sorella, forte e fragile allo stesso tempo.


 

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Capitolo 26
*** Chiaro di Luna ***


26. Chiaro di Luna


Anche Kathe, Klod e Erik vennero interrogati e ognuno separatamente rispose alle domande che gli porse l’Alto Chierico. Quattro giorni dopo poterono lasciare il Monastero di Fir Ze e tornare a Torap. I fratelli Hianick poterono raggiungere il castello per un riposo di una settimana, Gwaine e Mark si trattennero presso il Monastero e Erik alloggiò nella taverna dei Tre Alberi.

Fabris e Erika vollero dare una piccola festa dove furono invitati solo i parenti più stretti, che ammontavano comunque a quasi cento persone. Quando Celia uscì dalla stanza con la tunica grigia dell’Ordine, Kathe la afferrò per il braccio e la costrinse a indossare un abito femminile.

- Non imparerai mai, vero? - grugnì la sorella mentre l’ancella stringeva il corpetto azzurro dell’abito.

- Non respiro! - protestò Celia, quell’abito pesava quasi più dell’armatura che indossava di solito.

- Smettila di lamentarti! - la redarguì Kathe apprezzando il risultato finale. Coi capelli sciolti stava decisamente meglio.

- Vuoi che Alexei Arstid ti veda conciata così? - la madre le aveva avvisate solo il giorno prima che anche il figlio del Duca aveva accettato l’invito. Kathe non avrebbe potuto desiderare di più. Aveva faticato non poco da quando erano sbarcati a Rovilon ma ogni tassello stava andando al suo posto…

Klod era perfetto come sempre, aveva sistemato i capelli e la corta barba e indossava il suo completo preferito nero e azzurro. Quando erano tornati dal viaggio, aveva trascorso molto tempo col loro padre, e quando era uscito portava la sua spada che adesso mostrava alla cintura.

La sala era gremita di gente, tutte le candele accese, i valletti portavano vassoi coperti di cibo e bicchieri colmi di squisito vino bianco direttamente dalle cantine del loro padre. Kathe si muoveva con disinvoltura in mezzo a tutti i parenti sempre ben felici di partecipare alle feste del Conte. Celia la seguiva in silenzio, se avesse potuto avrebbe preso il cavallo e sarebbe andata nelle praterie a est per sentire la brezza della notte sul volto.

- Sei bellissima - la voce la raggiunse alla spalle, si voltò e trovò Janos che le sorrideva amabilmente.

- Janos! Che ci fai qui? - chiese Celia arrossendo.

- Bel modo di salutare un amico - Janos alzò un sopracciglio perplesso - Sono con lui - aggiunse indicando qualcuno. Celia si sporse e vide l’Alto Chierico di Fir Ze, quello di Torap e suo padre.

- Che ci fanno qui? - chiese di nuovo la chierica sbarrando gli occhi. Janos indossava la tunica grigia dei Messi e i due Chierici quella nera e argento, quindi erano in veste ufficiale.

- Celia ti senti bene? - Janos le prese le mani e le baciò lievemente. Celia si riscosse scusandosi.

- Perdonami Janos, le attenzioni non mi piacciono e soprattutto non mi piace quando avvengono delle cose di cui non sono a conoscenza - rivolse uno sguardo seccato a Kathe che sbatté le palpebre innocentemente mentre continuava a conversare con due cugine senza perdere una battuta.

- Vuoi ballare? - chiese il giovane con disinvoltura. Appena l’aveva vista tutto quello che era accaduto nei due mesi di viaggio per Agrabaar riaffiorò con forza anche se l’aveva spinto in fondo al suo cuore.

- No Janos, per la dèa! - sibilò lei imprecando - Portami via di qui! - supplicò.

- Non posso lo sai - rispose lui rammaricato. Celia vide le vetrate del giardino interno aperte e si diresse là seguita da Janos.

L’aria fresca della sera era accompagnata dall’umidità delle piogge dei giorni precedenti. Il giardino scintillava di gocce di rugiada. Celia fece attenzione a restare sul sentiero piastrellato per non rovinare il vestito.

- Odioso vestito! - sibilò tirandolo su con le mani.

- Ti sta benissimo - commentò Janos seguendola a distanza.

- Preferivo la veste dell’Ordine - protestò sedendosi su una delle panche di pietra.

- Tuo padre sarebbe molto contrariato se dovesse vederci fuori da soli - le fece notare Janos che era rimasto in piedi ad una distanza che poteva essere scambiata solo per un banale rapporto di amicizia. Celia sbuffò mostrando l’anello.

- Ha già concluso il suo affare. Siediti - disse gentilmente battendo con la mano sulla pietra.

- No - rispose Janos restando immobile. Celia lo osservò per un attimo poi si rassegnò. Iniziò a raccontargli ogni cosa, come fosse il suo confessore. Il giovane restò in silenzio, ascoltando del fidanzamento, del viaggio, di Annie, delle Terre di Fuoco, dei goblin, dei non-morti, del drago dorato.

- E’ meglio rientrare - disse Janos dopo qualche minuto di silenzio - Fa freddo e hai le spalle scoperte -

Celia lo fissò per un attimo, aveva parlato praticamente solo lei e lui si era riservato solo qualche breve commento.

- Janos, va tutto bene? - gli chiese alzandosi, effettivamente aveva freddo.

- Domani inizierò l’esame per diventare Chierico Cavaliere - disse il giovane con un sospiro. Celia si illuminò.

- Ma è una cosa meravigliosa! Vedrai andrà tutto bene! - esclamò la chierica con un po’ d’invidia.

- Niente andrà bene - sussurrò Janos malinconico.

- Non dire sciocchezze, hai studiato e ti sei allenato, sarai investito Cavaliere! - insisté Celia riempiendo di buonumore e positività le sue parole. Janos aprì le vetrate della sala permettendole di entrare restando sempre alla giusta distanza. L’interno era caldo e piacevole e ormai erano arrivati tutti. Intravide Kathe e Klod e li raggiunse insieme a Janos.

- Mi vuoi dire cosa stai architettando? - sibilò la chierica all’orecchio della sorella con un bellissimo abito blu e argento e i capelli acconciati all’insù.

- Io? Niente… - rispose innocentemente ma vide lo sguardo di Celia farsi distante e guardare oltre lei.

- Che ci fanno loro qui? - ringhiò a denti stretti.

- Loro? - Kathe si voltò e vide Mark e Gwaine con le tuniche nere e argento dell’Ordine e Erik in un bellissimo farsetto verde smeraldo.

- E’ tutta la sera che fa questa domanda - fece notare Janos e Kathe scoppiò a ridere.

- Finalmente sono arrivati - disse tutta emozionata e si incamminò verso Erik, seguita da Klod che ridacchiava.

- Come puoi stare al suo gioco e non dirmi niente, fratello? - sibilò Celia afferrandolo per un braccio.

- Se sapessi qualcosa ti avviserei, ma non so niente, solo che la situazione è troppo divertente - sussurrò a sua volta.

Ricevere l’invito direttamente dal Conte Hianick li aveva sorpresi non poco, eppure sembrava tutto in regola. I due Cavalieri e il ladro si erano ritrovati qualche ora prima ed avevano condiviso dei boccali insieme rievocando il viaggio, poi si erano diretti al castello nel centro di Torap.

Il castello era abbastanza grande, con una corte interna per le carrozze e una stalla per i cavalli. Un grande portone dava accesso ad un corridoio con un lungo tappeto a terra. Due grandi scale a destra e sinistra portavano ai piani superiori e di fronte a loro c’erano due grandi doppie porte davano accesso alla sala dei banchetti. Quando erano entrati Mark aveva individuato subito i due Alti Chierici che gli avevano fatto cenno di avvicinarsi. Così aveva anche potuto conoscere il padre di Celia. Il Conte Fabris Hianick espresse grandi lodi per l’impresa compiuta ma non accennò neanche per un istante al fatto che Celia avesse fatto parte della spedizione e fosse un Chierico dell’Ordine. Si congedarono mescolandosi fra la folla che rideva e si divertiva. Erik sembrava perfettamente a suo agio mentre i due Cavalieri ricevevano continui sguardi di ammirazione e sospiri di giovani dame, probabilmente cugine dei tre fratelli. Poi vide Celia stentando a riconoscerla in abiti femminili, era bellissima e accanto a lei c’era Janos, il Messo dell’Alto Chierico di Fir Ze.

- Chi è? - la voce salda e bassa di Gwaine raffreddò il suo animo.

- Un Messo - rispose semplicemente Mark ma al silenzio insistente di Gwaine rispose Erik disinvolto.

- E’ Janos, il Messo di Leon Gelithar, ed ha una cotta per la nostra Celia maturata durante il viaggio ad Agrabaar, chissà se gli è passata - gli disse strizzandogli l’occhio e raggiungendo Kathe raggiante che gli veniva incontro.

Si salutarono e Kathe fu abilissima nell’ignorare l’imbarazzo di Celia, andava tutto alla perfezione!

- Milady, siete uno splendore - disse Erik baciando la mano della giovane maga che arrossì a beneficio di tutti.

- Vi siete ripresi bene vedo - constatò Klod assestando pacche sulle spalle.

- Hai mantenuto la barba - gli fece notare Gwaine toccandosi la propria, tagliata corta e sempre in ordine - Approvo completamente - disse sorridendo.

- Finché qualche donna non si lamenterà, la terrò - annuì Klod gioviale.

- Stentavo a riconoscerti Celia - esordì Erik con troppa meraviglia - Dovresti indossare più spesso abiti femminili - ridacchiò.

- Non sono a mio agio con questa roba addosso - disse la giovane. Avrebbe voluto ribattere con più decisione, invece la sua risultò solo una lamentela.

Invece Mark riteneva che fosse un vero splendore, l’azzurro riprendeva i suoi occhi e i lunghi capelli lasciati liberi dalla costrizione della treccia che portava di solito erano lucenti e morbidi.

Se Celia avesse potuto avrebbe ucciso sua sorella. Come era riuscita a far invitare anche loro? Cosa aveva in mente quella piccola maga intrigante? Nonostante l’occhiata che si scambiarono Mark e Janos, la conversazione proseguì tranquilla, si aggiunsero altre cugine e cugini e Celia prese a raccontare del viaggio e dei mostri che avevano incontrato ma quello che riscosse maggior successo fu il racconto sul drago d’oro Jayashekhar.

- Ne parlate con ardore e fierezza, devo essere geloso? - la voce di Alexei costrinse tutti ad alzarsi e a fare un lieve inchino coi saluti di rito. Celia arrossì tanto che la sua pelle bianca avvampò come avesse il fuoco sotto.

- Non ne avete motivo Milord, era una bestia maestosa, impossibile non esserne attratti - ribatté Celia fissando il pavimento poi gli porse la mano ricordandosi l’etichetta e lui gliela baciò.

- Siete uno splendore Milady - le disse poi porgendole il braccio e portandola via dal gruppo sotto lo sguardo rovente di Mark e quello compiaciuto di Kathe. Un po’ di sana gelosia era positiva e poi tutto ciò era a fin di bene. La giovane maga incontrò lo sguardo del fratello che scosse la testa sorridendo.

- Sembra che il destino ci abbia fatti riunire tutti - sussurrò Mark rimanendo in piedi e guardando la coppia allontanarsi verso il giardino.

- Amico mio, ho sempre creduto poco al destino, e molto agli dèi anche se in questo caso temo ci sia lo zampino di una giovane maga… - rispose Gwaine sorridendo amabilmente a Mark. Il Cavaliere si voltò a guardare la sorella di Celia che aveva ripreso a narrare gli eventi e rispondeva alle domande incalzanti degli altri insieme al fratello e al ladro. Sembrava innocente e troppo giovane ma dopo averle visto lanciare quegli incantesimi devastanti aveva cambiato idea. Non riusciva proprio a capire come quella dolce fanciulla potesse essere artefice di una tresca e soprattutto a che scopo. Mark si incamminò ma Gwaine lo prese per un braccio.

- Non è una buona idea amico mio - aveva lo sguardo pieno di malinconia e rammarico e Mark si fermò.

- Non posso lasciarla andare Gwaine, ho provato a ignorare e accettare la cosa ma non ci riesco - sibilò Mark trattenendo la rabbia.

- Devi. Siediti - la stretta di Gwaine era salda e dopo una prima resistenza Mark annuì e si riunirono al gruppo dove Erik stava raccontando della trappola sulle porte della sala che aveva animato le statue.

Alexei aveva immaginato l’invito del Conte per il ritorno dei figli ma non si era aspettato una festa di quelle dimensioni. C’era tutta la loro famiglia presente, soprattutto i figli, molti dei quali senza i genitori. Suo padre gli aveva raccontato brevemente dell’esito della missione che aveva saputo dall’Alto Chierico e lo aveva informato che la sua futura sposa era sana e salva. All’istante il suo pensiero era andato ad Helen. Avevano parlato e litigato a lungo, lo aveva accusato di non lottare per il loro amore, di aver accettato passivamente la scelta del padre. Lui aveva provato a spiegare la situazione, fin da bambino era cresciuto con la consapevolezza che suo padre un giorno gli avrebbe combinato un matrimonio, l’essersi innamorato di lei era stato un errore. Helen si era arrabbiata ancora di più e aveva pianto per ore. Non c’era via d’uscita da quella situazione e lo sapeva anche lei, solo che non voleva arrendersi all’evidenza.

Quando aveva raggiunto il castello, il Conte gli aveva reso onore rispettando perfettamente l’etichetta ma lui non aveva voluto che lo annunciassero, voleva vedere Celia com’era nella realtà, senza le costrizioni dovute alla sua presenza. Stava raccontando di uno spettro nelle catacombe di Hilizia. Il suo volto era illuminato e pervaso di gioia mentre raccontava come era riuscita a scacciarlo con l’aiuto della magia divina. Poi il fratello, che era presente alla riunione al castello di suo padre, prese la parola e Alexei notò una cosa sconcertante. Il Cavaliere dell’Ordine dai capelli neri era innamorato di lei! Celia evitava di guardarlo e questo gli disse che probabilmente ricambiava ma che per gli obblighi presi aveva scelto la sua strada. Quindi con una sola firma avevano infranto due sogni. Ora che la osservava alla luce della luna, ogni traccia di ciò che aveva visto in quella sala era scomparsa. Celia era una bella ragazza e si comportava perfettamente rispettando l’etichetta ma non era la vera Celia, era ciò che le avevano detto di essere con lui. Passeggiavano ora e lei gli stava chiedendo del castello, del Duca e di sua madre e quando lui la interruppe e le chiese di raccontare delle Terre di Fuoco lei rimase interdetta e si zittì.

- Cosa volete sapere milord? - domandò lisciandosi l’ampia gonna.

- Ogni cosa - rispose lui sedendosi accanto - E per favore chiamatemi Alexei e cercate di essere naturale come eravate in quella sala con i vostri fratelli - le chiese sorridendo. Celia spalancò gli occhi e arrossì, davvero incantevole, poi fissò il terreno e iniziò a raccontare la storia dall’inizio.

La festa procedeva e finalmente arrivò l’ultima pedina del piano geniale di Kathe. Probabilmente suo padre l’avrebbe diseredata e chiusa in qualche cella ma ne sarebbe valsa la pena. Klod era seduto su una grande sedia e una giovane amica di una cugina era seduta sul suo ginocchio e lui stava raccontando con fervore la battaglia contro il lich di Hilizia. Tutti ascoltavano rapiti quando una voce dolce ma decisa colse tutti di sorpresa.

- Sembra che il giovane protagonista di questo racconto abbia un’abilità donata addirittura dagli stessi dèi - Arielle Roderick prese la gonna fra le mani e fece un lieve inchino. Klod scattò in piedi e per poco la giovane ragazza cadde a terra ma lui l’afferrò saldamente per la vita.

- Cosa ci fai tu qui? - chiese imbarazzato.

- Questa sera è la domanda che va per la maggiore - constatò Janos ridacchiando. Arielle alzò un sopracciglio restando in un silenzio glaciale.

- Fratello, ti sembra il modo di accogliere le nostre ospiti? - disse Kathe alzandosi con eleganza e andando incontro ad Arielle. Un’altra ragazza, alta ed esile dai lunghi capelli biondi entrò nella visuale di tutti. Era Helen Berin di Rovilon, Klod la riconobbe all’istante.

Kathe fece tutte le presentazioni ufficiali, Klod si scusò e baciò la mano di Arielle che non vedeva da moltissimo tempo. Ma cosa stava architettando sua sorella? Le lanciò un’occhiataccia ma lei lo ignorò.

- Vedo che non perdi tempo - mormorò Arielle mentre si sedeva e scambiava un’occhiata di intesa con Kathe. Klod rabbrividì. Erano d’accordo…

- Ti prego Arielle non fraintendere, stavamo solo raccontando il viaggio… - rispose Klod titubante, era bellissima, i capelli neri e ricci incorniciavano il suo volto ovale e splendido e l’abito rosa pallido le conferiva un aspetto principesco.

- Ma io non fraintendo niente e neanche la ragazza che ti si strusciava addosso, era tutto molto chiaro - ribatté lei freddamente. Kathe e le cugine erano tutte attorno all’eterea Helen e chiacchieravano come un gruppo di uccellini.

- Non si strusciava, era seduta - replicò Klod stringendo i denti - Cosa state architettando voi due? - e indicò la sorella che intratteneva Helen. Arielle spalancò gli occhi offesa.

- Non devi pensare male, milord, noi siamo le salvatrici dell’amore! - disse teatralmente arrossendo come una giovinetta. Klod si passò una mano sul volto desolato. Chissà cosa significava.

- E devi darci una mano anche tu - sussurrò avvicinandosi al suo orecchio tanto che sentì il suo soffio sensuale che lo fece rabbrividire.

- Io? - Klod aveva quasi più paura ora che nelle catacombe di Hilizia davanti al lich - Cosa devo fare? - chiese rassegnato.

- Corteggiarmi - disse lei semplicemente piegando le labbra in un sorriso caldo. Lui alzò un sopracciglio.

- Questo lo so fare - annuì disinvolto il giovane e un po’ rasserenato. Arielle si alzò e lui scattò in piedi.

Kathe si avvicinò ai due cavalieri seguita da Helen, e Klod tremò immaginando i piani della sorella.

- Sir Mark, sareste così gentile da accompagnarci in giardino? La nostra adorata Helen è senza Cavaliere questa sera - propose Kathe con un tono per cui era impossibile rifiutare.  Mark si alzò immediatamente imitato da Gwaine e Erik.

- Certamente milady - accettò Mark con un lieve inchino. Kathe sorrise raggiante e porse il braccio a Erik. I due cavalieri si guardarono per un istante poi Mark prese Helen sottobraccio preceduto da Kathe ed Erik e seguito da Klod e Arielle. Gwaine li guardò attraversare la sala lentamente. Qualsiasi cosa quella piccola testolina bionda avesse escogitato stava per entrare nel culmine.

- Ti ricordi cosa devi fare? - sussurrò Kathe a Erik, il contatto col suo braccio l’aveva emozionata più di quello che pensava e le riusciva difficile restare concentrata.

- Sì - rispose lui a bassa voce stringendo lievemente la presa.

- Chiedi aiuto a Gwaine e Janos ma fai in modo che nessuno venga in giardino - aggiunse la giovane maga.

- A volte mi fai paura Kathe… - le sussurrò lui nell’orecchio facendola rabbrividire di piacere.

- E’ giusto che sia così, devi stare sempre all’erta con me - la maga gli strizzò l’occhio sorridendo.

Individuò immediatamente Celia e Alexei e li raggiunse dopo pochi minuti, erano seduti e lei stava parlando, come al solito. E non le sfuggì affatto lo sguardo di Alexei quando vide Helen al braccio di Sir Mark.

- Milord, mia sorella vi sta tediando con le sue solite chiacchiere? - Alexei si alzò staccando a fatica lo sguardo da Helen.

- Assolutamente no, il vostro viaggio nelle Terre di Fuoco è affascinante - il giovane sorrise amabilmente.

- Immagino… - sospirò Kathe in modo teatrale e Erik trattenne una risata.

Salutarono le due nuove arrivate seguendo l’etichetta e Kathe si gettò a capofitto in una discussione che coinvolse tutti e verteva, incredibilmente, sul commercio dei cavalli. Klod rimase sconcertato da quante cose sapeva la sorella su quell’argomento. Lui aveva aiutato spesso il padre con l’allevamento e avevano anche parlato spesso di come incrementare la vendita di quegli animali.

Kathe era così abile che riuscì in modo del tutto naturale a separare la discussione in due parti che coinvolsero Alexei, Helen, Klod e Arielle da un lato, e Celia, Mark, Erik e lei dall’altro.

Klod rimase sconcertato quando Kathe si incamminò lentamente sul vialetto trascinandosi dietro gli altri e allibito quando Arielle attirò la sua attenzione sulla discussione. Helen e Alexei erano vicini ma ad una distanza tale da non destare nessuna malalingua. Anche Arielle aveva doti dialettiche perché riuscì dopo non molto tempo a congedarsi dai due e trascinare Klod lungo il vialetto, verso un grande olivo e una panca di pietra. Quando il giovane si sedette avvertì un sospiro teso.

- Ma cosa state combinando? - le chiese stizzito.

- Tu cosa vedi? - gli domandò di rimando Arielle voltando lo sguardo verso il giardino. Klod seguì il suo sguardo.

- Vedo Alexei e Helen, Celia e Mark, noi due qui ma… Kathe e Erik dove sono? - il suo cuore perse un battito. Arielle indicò una finestra illuminata al primo piano.

- Per la dèa - balbettò mentre un sudore freddo gli ghiacciava la schiena. Kathe e suo padre guardavano da lassù.

- E ora? - chiese il giovane.

- Ora mi devi baciare Klod Hianick - disse Arielle alzandosi lentamente. La luna si rifletteva sulle sue labbra umide e ogni altra riserva si cancellò dalla mente del giovane guerriero che abbracciò e baciò con passione la donna che desiderava ardentemente.



Celia ancora non si capacitava di come sua sorella fosse riuscita a fare una cosa del genere. Oltre un cespuglio che le oscurava la vista c’erano Alexei e Helen da soli. Su una panca di pietra al centro del giardino vedeva appena Klod e Arielle. Lei era lì con Mark, il cuore che batteva follemente, e sua sorella, in un modo che poteva essere solo attribuito alla magia, era scomparsa con Erik.

- Non ti sembra una situazione strana? - domandò la giovane chierica dopo un silenzio troppo lungo. Come era possibile che fosse da sola con Mark dopo averlo evitato praticamente per anni?

- Direi proprio di sì, non ne conosco il motivo ma tua sorella sta escogitando qualcosa - rispose Mark lentamente con voce profonda avvicinandosi. Celia rabbrividì ricordando le parole di Kathe mentre erano sulla Drago del Mare.

- Quella piccola strega! - sibilò Celia stringendo i pugni.

- Io ho gradito questa macchinazione, qualunque sia lo scopo - sorrise Mark guardandola. Celia sollevò gli occhi e sentiva le gambe tremare sotto la gonna dell’abito. C’era Alexei a due passi e non voleva spezzare un’alleanza così forte né deludere suo padre. Ma lui era così vicino! Gettò un’occhiata alla vetrata, era chiusa e nessuno stava guardando. Le sembrò di vedere Erik e Janos per un istante.

Mark notò il suo sguardo spaventato verso le vetrate e immaginò cosa stesse pensando.

- Mi hai evitato dalle Catacombe di Hilizia e io non ho insistito per parlarti - iniziò Mark cercando di catturare il suo sguardo fuggevole.

- Lo so e ti ringrazio per questa delicatezza - annuì Celia abbassando lo sguardo.

- Ma non ho avuto modo di ringraziarti per avermi salvato la vita - la sua voce era piena di riconoscenza. Era deliziosa quando era così dimessa sebbene lui sapesse perfettamente cosa era capace di fare con una spada in mano.

- Hai fatto la stessa cosa per me nella tana dei ragni - gli rispose sorridendo imbarazzata.

- Come è stato? Come funziona l’incantesimo? - chiese poi con una nota di curiosità. Celia sollevò lo sguardo e per fortuna la poca luce lunare camuffò il suo imbarazzo.

- Il drago mi ha insegnato le parole, è una preghiera semplice, si chiede l’intercessione degli dèi per impedire il distacco dell’anima - spiegò Celia evitando di addentrarsi nei particolari che non voleva rivelargli.

- Quindi tecnicamente è come tutti gli altri incantesimi? - sembrava deluso ma l’espressione di Celia gli fece cambiare idea.

La chierica distolse lo sguardo, era impegnativo stargli così vicino e non poterlo toccare mantenere quella parvenza di controllo a favore di una conversazione civile e serena.

- Loro guardano dentro di te, solo se ciò che trovano li soddisfa, solo se ti apri completamente possono consentirti di usare la magia divina in quel modo, non puoi mentirgli - disse lentamente e in un sussurro Celia fissandosi le mani in grembo.

Mark rimase in silenzio riflettendo. Ciò che aveva appena detto significa una sola cosa, che la dèa l’aveva ritenuta degna dei sentimenti che provava e che giustificavano l’uso di quell’incantesimo così potente. Avrebbe voluto abbracciarla e dirle quanto l’amava ma vide l’anello degli Arstid brillare al suo dito e si fermò.

Così rimasero a lungo in silenzio, vicini, senza toccarsi, nessuno dei due aveva il coraggio di guardare l’altro per non commettere quell’errore che avrebbe compromesso ogni cosa.



- Ora padre sapete tutto - terminò Kathe cercando di rallentare il cuore che batteva all’impazzata. Era stato difficile convincerlo a salire nello studio e ancora di più dirgli ogni cosa.

Fabris Hianick osserva il giardino del suo castello immerso nella notte, solo la luce della luna quasi piena illuminava debolmente. Sua figlia Katherin lo aveva affrontato con un piglio deciso, sapeva di non poterle dire di no quando faceva così e aveva accettato di salire con lei nello studio visto che doveva dirle qualcosa di molto importante proprio nel mezzo della notte durante quella festa.

- Perché mi stai facendo vedere questo spettacolo indegno? - domandò freddamente senza distogliere lo sguardo. Tre coppie erano nel giardino, una si scambiava un bacio appassionato e due erano immerse in una conversazione fatta di sussurri.

- Perché voi potete fare la differenza - ribadì la giovane mantenendo la voce ferma ed evitando di pensare alle segrete piene di topi.

- Ho già fatto la differenza, promettendo in moglie Celia al figlio del Duca, una differenza di cui beneficeranno tutti gli abitanti della Contea - rispose serafico l’uomo mettendo le mani dietro la schiena in quella posizione che gli piaceva così tanto.

- Potreste anche pensare al bene di vostra figlia - aggiunse lei e fece quasi un passo indietro quando il padre si voltò con sguardo irato.

- Ho pensato a mia figlia, l’ho promessa al figlio di un Duca, non ad un ciabattino! - la sua voce gelida la trafisse come un pugnale.

- Si amano, non lo vedete? - indicò il giardino - Anche Alexei e Helen, potreste così pareggiare il conto con il Conte Berin - sapeva di rischiare dicendogli quella cosa. Fabris si oscurò in volto. Come faceva sua figlia a sapere di quella storia? Poi si ricordò di averla accennata a Klod…

- Non devi mai più parlare del Conte Berin, sono stato chiaro? - sibilò Fabris mantenendo la calma. Ma Kathe comprese di aver segnato un punto a favore, suo padre stava pensando. Adesso c’era la mossa finale. Annuì in silenzio.

- Quale futuro avrebbe con un Cavaliere? Tutta la sua vita dedicata all’Ordine sarebbe sprecata! -

- Si amano - ripeté Kathe in un sussurro.

- L’amore non deve essere causa di disastri e può anche venire col tempo - Fabris fissava Celia in giardino seduta compostamente, il Cavaliere vicino quanto bastava a non far fraintendere le sue intenzioni.

- Voi però vi siete preso la donna che amavate - si aspettò uno schiaffo, invece Fabris rimase in silenzio guardando in basso.

- Sì, l’ho fatto - sussurrò dopo alcuni minuti di silenzio. E Kathe seppe che era il momento di chiudere la questione.

- Quel Cavaliere è Sir Mark Nateshwar, figlio dell’Alto Chierico di Torap Adam Nateshwar e a comando del Monastero di Albany - iniziò Kathe avvicinandosi alla scrivania e prendendo le pergamene che ci aveva appoggiato. Fabris la seguì con lo sguardo.

- Ho recepito alcune informazioni - e passò le pergamene al padre che le prese lentamente - Se Celia e Mark dovessero unirsi in matrimonio, potreste diventare l’unico fornitore di destrieri per l’Ordine, so che hanno un problema in merito, e anche di tessuti, per le vesti dei Guaritori e degli Storici e le armature dei Cavalieri, senza contare gli abiti e le tuniche per le diverse occasioni, lenzuola, coperte, cuscini… e si parla di tutti i Monasteri del Regno di Aliati… - Kathe parlò lentamente mentre suo padre scorreva i numeri sulle pergamene.

- Non conosco il tipo di accordo che avete fatto col Duca ma questo parla di una cifra estremamente consistente che si protrae negli anni, inoltre sono convinta che Celia rinuncerebbe volentieri alla sua dote e ai privilegi per restare nell’Ordine - rincarò la giovane maga.

Fabris sollevò lo sguardo con un lieve sorriso. Come era riuscita a organizzare una cosa del genere?

- Perché stai facendo tutto questo Katherin? Niente potrà mai equiparare un matrimonio con un Duca, non solo per il prestigio o il denaro ma anche per la politica. Inoltre è impossibile sapere se l’Ordine accetterà l’influenza dell’Alto Chierico per una fornitura di queste dimensioni - erano cifre veramente impressionanti ma, nonostante la buona volontà della figlia, imparagonabili ad una unione con un Duca.

- Perché Celia soffrirà e non voglio che accada. Lei non può stare rinchiusa in un castello, la sua vita è con l’Ordine e con Sir Mark Nateshwar. Padre non l’avete vista combattere, non l’avete vista utilizzare un incantesimo proibito per ridare la vita al suo amore, non l’avete sentita evocare la magia divina - spiegò con fervore Kathe, poi aggiunse la ciliegina finale.

- Non posso sapere se l’Ordine accetterà la proposta dell’Alto Chierico ma sono sicura che il Patriarca Eldingar ascolterà il suggerimento di sua sorella, moglie di Adam Nateshwar e madre di Mark - trovare quell’informazione non era stato facile ma era stata fondamentale. Fabris sorrise in modo enigmatico distendendo il volto.

- Sei davvero piena di risorse - ammise il padre con una punta d’orgoglio. Kathe sorrise tirando un sospiro di sollievo.

- E la ragazza avvinghiata a tuo fratello chi è? - chiese indicando Klod nel giardino.

- Arielle Roderick di Pemiol - rispose semplicemente.

- La figlia della Contessa Sylvie in perenne ricerca di un marito? - Fabris sembrò genuinamente meravigliato.

- Si sono conosciuti quando lo avete portato con voi dal Duca - aggiunse Kathe senza dirgli che da allora si erano incontrati molte volte di nascosto. Unire le due Contee con un matrimonio poteva essere molto vantaggioso ma suo padre avrebbe tratto le conclusioni da solo. Fabris Hianick restò diversi minuti in silenzio guardando fuori dalla finestra. Poi tornò a guardare quella sua figlia singolare.

- Hai perorato la causa di tre coppie innamorate, cosa mi dici di te, hai già deciso la tua strada? - indagò il padre sedendosi alla sedia della scrivania. Kathe rimase interdetta dalla domanda che non si aspettava. Cercò di prendere tempo avvicinandosi alla finestra e poggiando una mano sul vetro freddo.

- Io voglio diventare un Mago padre - disse lei semplicemente alla fine. Entrambi sapevano che significava terminare gli studi alla Scuola di Magia e abbandonarla per percorrere la sua strada da sola, viaggiando lontano da casa.

Fabris sorrise con due dita che premevano sulle labbra. Non invidiava affatto l’uomo che avrebbe condiviso la vita con lei.

- Katherin sai a cosa mi riferivo - la fissò con sguardo indagatore. Era l’unico che la chiamava con il suo nome per esteso.

- Non approvereste padre e non voglio litigare con voi - rispose Kathe voltandosi con gli occhi appena umidi, era una tattica che funzionava sempre.

- Il suo nome - rispose lui glaciale senza farsi commuovere dalle lacrime della figlia. Kathe attese un po’, il labbro prese a tremarle ma suo padre non cedette di un millimetro.

- Erik Cools - disse in un sussurro sentendo tutto il sudore che si gelava sulla pelle. Fabris socchiuse gli occhi.

- Cools - ripeté il secondo nome di Erik soppesandolo. Poi si alzò. Qui giocava in vantaggio, avrebbe fatto un po’ di scena per terrorizzarla ma quando gli avevano detto i nomi che avrebbero partecipato alla spedizione nelle Terre del Fuoco si era informato. Sapeva naturalmente chi fosse Mark Nateshwar anche se non si era informato su chi fosse sua madre.

Prese un grande libro da uno degli scaffali di legno lucido e tornò alla scrivania posandolo delicatamente. Era molto grande, con la copertina di legno coperta di cuoio lavorato. Sul davanti c’erano alcune incisioni fra cui Kathe riconobbe lo stemma della loro famiglia.

- Hai idea di chi sia? - le chiese fissandola severo.

Kathe scosse la testa.

- E lui non ti ha detto niente - aggiunse il padre con quel tono che la terrorizzava sempre.

Kathe scosse ancora la testa.

- Ma ti sei innamorata di lui - concluse con voce gelida.

Kathe annuì lentamente, stava per scoppiare a piangere. Fabris iniziò ad aprire il libro fermandosi ad una pagina specifica, la pergamena crepitava in modo sinistro. Poi girò il libro e le fece cenno di avvicinarsi. Kathe raggiunse la scrivania e posò una mano sottile sulla pergamena. C’era uno stemma che non conosceva e una storia.

- E’ il figlio diseredato di Stephan Cools, il più grande allevatore di pecore da lana della Contea. La sua produzione di filo è fondamentale per il nostro tessuto. Se riuscissi a convincerlo a tornare nelle grazie del padre e dietro accordo economico approverei anche una vostra eventuale unione - Fabris Hianick si alzò raggiungendo la finestra. Le tre coppie parlavano fra loro, Mark Nateshwar aveva almeno un briciolo di onore nel tenersi distante da Celia, anche Alexei ed Helen erano seduti ad una distanza conveniente mentre Arielle era seduta sulle gambe di suo figlio.

Kathe non voleva credere a ciò che stava leggendo. Se avesse avuto Erik per le mani l’avrebbe spellato. Perché non le aveva mai detto la verità? Si voltò verso suo padre e corse fra le sue braccia protettive.

- Oh padre! Mi adopererò affinché ciò avvenga prima possibile - disse la giovane maga fra i singhiozzi. Fabris la strinse forte posando lo sguardo anche sugli altri due fratelli in cortile.

Non era sicuro che Erik Cools sapesse a cosa stesse andando incontro ma stava facendo la cosa giusta.


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Capitolo 27
*** La Tempesta ***


27. La Tempesta

 

La mattina dopo la festa il cielo non presagiva niente di buono. Grandi nuvoloni neri oscuravano l’orizzonte e un pallido sole faceva appena breccia dietro la bruma. Il castello degli Hianick era silenzioso e solo alcune cameriere, che iniziavano a preparare per il giorno, vagavano per le stanze arieggiando e pulendo.

- Come hai potuto fare tutto ciò a nostra insaputa! - ringhiò Klod alla sorella che nonostante l’ora era perfettamente pulita e coi capelli acconciati.

- Ma come, fratello, io mi sacrifico per farvi avere un futuro radioso e pieno di amore e ti lamenti? Non saresti contento se nostro padre acconsentisse all’unione con la casata Roderick? - Kathe appoggiò la tazza di tè sul tavolino coperto con una bianca tovaglia di pizzo e lo guardò con un sorriso disarmante.

- Non sono ancora pronto per il matrimonio - sibilò lui stringendo un pugno. Kathe non si scompose, sorrise debolmente all’indirizzo del fratello incrociando le mani in grembo.

- Questo è un dettaglio che dovrai discutere con Arielle, non trovi? - quando aveva chiesto aiuto alla giovane amante del fratello aveva scoperto quanto fosse arguta e caparbia. Inoltre aveva già tracciato una strada per sé stessa e per lui, e Kathe non era sicura che il fratello ne fosse a conoscenza.

- Come sei riuscita a organizzare tutto in così poco tempo! - Klod era veramente furioso.

- Ho scritto a persone che conoscono altre persone, non è stato così difficile - rispose sollevando una mano come se non fosse importante. Gli aveva raccontato ogni cosa, tranne il dettaglio di chi fosse realmente Erik, ma al fratello non era piaciuta la sua intromissione.

- Celia potrebbe non gradire quello che hai fatto - borbottò dopo qualche minuto di silenzio. Doveva ammettere che aveva rischiato molto solo perché Celia potesse continuare a stare nell’Ordine e magari a sposare il suo Cavaliere.

Kathe alzò lo sguardo lentamente.

- Infatti non le dirai niente - disse serafica la maga sorseggiando il tè.

- Le dovrei mentire? - Klod era incredulo ma vide il volto di Kathe trasformarsi in un’espressione offesa. Gli venne quasi da ridere.

- Certo che no! - rispose indignata la sorella - Dovrai solo alterare un po’ la realtà per il suo bene - e sbatté le ciglia.

- Ma cosa dovrei dirle quando mi farà delle domande? - chiese affranto. Sapeva che tutta quella faccenda sarebbe diventata un rovo pieno di spine.

- Dille che non sai niente, che sei all’oscuro di tutto, in fondo non è accaduto niente, no? - spiegò Kathe.

Era vero. Non era accaduto niente. Avevano solo parlato, non c’erano stati baci compromettenti fra le due coppie, né altri atteggiamenti deleteri. Celia poteva anche non chiedere niente.

- E’ mentire - borbottò lui poco convinto. Kathe lo guardò severamente.

- Lascia che le cose facciano il loro corso. Io devo tornare alla Scuola di Magia e andare da Lewel. Servirà comunque del tempo per vedere se le mie parole in qualche modo hanno fatto breccia. Torna alla Guarnigione e passa quell’esame - consigliò Kathe finendo il tè e appoggiando la tazza con delicatezza.

Klod la fissò per qualche istante, quando fece per ribattere, Kathe lo precedette.

- No, non puoi venire con me nel Regno degli elfi, pensa al tuo esame da comandante. Io me la caverò benissimo da sola, è uno dei regni più protetti e isolati del mondo. Il mio esame alla Scuola è in piena estate, avrò tutto il tempo di studiare al mio ritorno -

Klod chiuse la bocca e restò in silenzio. Si fissavano ma Kathe sostenne il suo sguardo indagatore.

- Erik lo sa? - il ladro si era avvicinato molto a sua sorella, anche se non capiva come potesse trovarla attraente, e credeva dovesse saperlo.

- No, non c’è alcuna necessità, è una cosa che non lo riguarda -  Kathe chiuse la discussione aprendo il libro degli incantesimi che studiava in continuazione. Fuori un tuono squassò l’aria con prepotenza. Klod si voltò verso la finestra e vide le prime gocce di pioggia.

- Torno alla Guarnigione, vado a salutare nostra madre - si voltò e uscì. Kathe chiuse il libro sospirando. Domani sarebbe tornata alla Scuola, l’insegnante di magia degli elementi voleva parlarle ma niente l’avrebbe distolta dal suo viaggio nel Regno degli Elfi. Una delle lettere che aveva inviato una volta che la Drago del Mare era attraccata a Rovilon era destinata a Lewel. Non vedeva l’ora di ammirare le meraviglie di quel regno segreto che gli elfi tenevano ben distante da tutti gli altri.

Un altro tuono fece tremare i vetri. La pioggia batteva incessante. Kathe si alzò, dalla finestra della biblioteca si vedeva la corte interna. Vide Klod salire a cavallo ed uscire dal castello.



Celia tornò al Monastero due giorni dopo la festa e un litigio con la madre Erika che avrebbe voluto che la figlia restasse a casa per prepararsi al matrimonio. Quando lei disse che invece voleva terminare il corso con l’investitura, la madre era andata su tutte le furie e le aveva detto senza mezzi termini che il Duca non avrebbe atteso così tanto tempo e che la data del matrimonio sarebbe stata decisa per il mese seguente. Celia concluse dicendo che lei non si sarebbe presentata al Tempio e che Alexei sarebbe rimasto lì da solo perché lei in quei giorni sarebbe stata assorbita completamente dal suo maestro di spada, di scegliere quindi una data dopo l’esame di luglio. Erika era diventata paonazza urlandole dietro che avrebbe fatto intervenire suo padre, che ormai l’impegno era stato preso.

Lo sapeva bene che l’impegno era stato preso, aveva firmato lei! Aveva lei l’anello al dito! Quel maledetto cerchietto che le ricordava ogni istante che era proprietà di qualcun altro. Aveva lasciato il castello senza salutare neanche Kathe, la notte della festa aveva in qualche modo orchestrato quello strano incontro nel giardino ricordandole con prepotenza ciò che aveva ormai accettato e che la legava a Mark.

Il temporale dei due giorni precedenti aveva schiarito il cielo e grandi nuvole bianche si rincorrevano spinte dal vento della tarda primavera. Rhienne e Locanir avevano ascoltato tutto il racconto delle Terre del Fuoco una volta terminate le lezioni e l’addestramento a cui Celia non aveva voluto rinunciare. Anche loro chiesero insistentemente del drago e dell’incantesimo e Celia soddisfece il più possibile la loro curiosità. I prossimi mesi sarebbero stati intensi, Mark era ad Albany e finalmente poteva concentrarsi sull’investitura a Cavaliere. Un giovane Messo era venuto a portarle un messaggio dell’Alto Chierico che l’indomani mattina voleva incontrarla. Non rimase particolarmente turbata, avrebbe affrontato qualsiasi cosa, lo scopo finale era il cavalierato.



Quando Kathe entrò alla Scuola di Magia l’attendente all’entrata la avvisò subito che c’erano delle missive per lei. La giovane maga, trascinandosi dietro il baule sul disco levitante, raggiunse rapidamente la segreteria e ritirò due lettere col volto raggiante. Erano entrambe di Lewel, riconobbe la calligrafia.

Corse in camera e svuotò il baule, appoggiò il libro sulla scrivania e si gettò sul letto con le due lettere. La prima era arrivata molto tempo prima, probabilmente durante il suo viaggio nelle Terre del Fuoco. Le chiedeva notizie dei suoi studi, dei suoi fratelli, e si diceva impaziente per il momento in cui sarebbe andata a fargli visita. Le anticipava che avrebbe percorso un tratto fino ad un certo punto e poi qualcuno sarebbe venuta a prenderla per portarla nel Regno degli Elfi.

La seconda lettera era invece in risposta alla sua che aveva inviato da Rovilon. Era breve, anche se si percepiva l’entusiasmo, e diceva esattamente dove recarsi e il giorno, e che ci sarebbe stato qualcuno ad attenderla. Piegò le due lettere con cura e le mise insieme alle altre nel cofanetto.

Si dedicò interamente allo studio e condivise con l’insegnante di incantesimi elementali la tempesta di ghiaccio che aveva trovato scritta su una pergamena nelle Catacombe di Hilizia. L’insegnante le fece vedere come, modificando leggermente l’incantesimo, si poteva ottenere un muro di ghiaccio anziché una tempesta. Kathe entusiasta si allenò senza sosta e preparò il piano di studio che le avrebbe permesso di diventare mago a tutti gli effetti e di uscire dalla Scuola.



Quando arrivò il giorno della partenza, Kathe non stava più nella pelle. Ancora non riusciva a credere che avrebbe visto il Regno degli Elfi. Riempì uno zaino con le cose che riteneva necessarie e aveva già preso un cavallo dalle scuderie poco fuori dalla scuola con cui avrebbe raggiunto il punto indicato nella lettera che si trovava un po’ oltre quello che avevano raggiunto mesi prima ma la direzione era quella. Aveva dovuto usare tutta la sua persuasione per convincere il Direttore a lasciarla partire di nuovo per fortuna il suo rendimento presso la scuola era molto alto, una delle allieve più giovani e promettenti, e questo aveva facilitato la decisione finale.

Aveva una mappa con sé e sapeva le tappe che avrebbe dovuto fare, compreso dove fermarsi a dormire per la notte. Sarebbero occorsi circa sei giorni per raggiungere il bosco di querce indicato da Lewel, l’unico ostacolo sarebbe stata la Palude di Kharin il Nero, dal mago che aveva maledetto la sua torre e aveva avvelenato il terreno circostante più di mille anni fa. Ma c’erano dei tratti asciutti segnati anche sulle mappe che facilitavano l’attraversamento ed era sicuramente la via più veloce. La palude era a nord est del villaggio di Roccalbegna, quando fosse arrivata lì si sarebbe occupata del problema della palude.

Uscì dalla scuola e appoggiati alla parete di destra c’erano Celia e Klod. Lì guardò interdetta e loro sorrisero.

- Pensavi di essere l’unica a poter scoprire le cose? - domandò Klod avvicinandosi e dandole un bacio sulla fronte.

- Credevi davvero che ti avremo permesso di andare da sola? - aggiunse Celia abbracciandola. Kathe sorrise e per una volta non fece commenti.

- Andiamo a prendere il mio cavallo - disse la giovane maga. Celia e Klod presero i loro per le briglie e la seguirono alla scuderia di Aris, che spesso aiutava anche il loro padre coi cavalli.



I primi giorni di viaggio trascorsero rapidamente. Celia gli raccontò del secondo gruppo che ad Agrabaar aveva scovato e sconfitto ciò che restava della resistenza della Fratellanza di Sangue. Erano guidati dalla Principessa Sanie che un potente mago aveva trasformato in un non-morto privo di qualsiasi sentimento, potente e spietato. Andrew Minahir di Cresta Dorata aveva condotto la spedizione formata da sei persone di cui però Celia non conosceva le identità. Il Cavaliere era riuscito, con un’azione che Adam Nateshwar aveva definito benedetta dagli dèi, a salvare uno dei membri del gruppo e ad uccidere definitivamente la Principessa Sanie.

- Noi abbiamo incontrato un lich e un drago - commentò Klod finendo di staccare la carne dal pollo arrosto che si erano fatti portare per cena dall’oste della taverna Il Covone di Roccalbegna.

- E’ vero, e abbiamo superato molti ostacoli, mostri, tu hai addirittura ridato la vita a Mark - aggiunse Kathe entusiasta. Celia annuì.

- Vi ho solo raccontato quello che l’Alto Chierico ha detto a me, non volevo cercare un confronto. Andrew Minahir di Cresta Dorata è un Chierico Cavaliere molto coraggioso, nessuna della sue azioni viene mai messa in discussione -

- Quando sarai anche tu Cavaliere otterrai rispetto e prestigio - Klod lasciò cadere l’osso nel piatto con un grugnito di soddisfazione.

- Nostra madre avrebbe preferito che io abbandonassi subito l’Ordine e mi dedicassi al matrimonio. E non capisco perché mi devo preparare per mesi! - per Celia era incomprensibile la richiesta della madre.

- Perché ci sono tante cose da fare - spiegò Kathe lentamente alzandosi in piedi e stirandosi i muscoli.

- Domani ci aspetta la Palude, vado a letto - sbadigliò e si diresse verso le scale. Aveva salito il primo scalino ma si sentì afferrare al braccio. Si voltò e venne investita dal tanfo di birra acida e sudore.

- Ehi bella bionda, dove vai tutta sola? - gracchiò il mandriano facendola quasi svenire per l’odore terrificante del suo alito. Kathe udì uno spostarsi rapido di sedie sul pavimento.

-  Non la toccare - Klod scandì ogni parola lentamente, la spada puntata in avanti. Celia era in piedi e guardava l’uomo ubriaco.

- Non ti sembra una scena che abbiamo già vissuto? - commentò la chierica estraendo la spada.

- E’ sempre colpa di Kathe - sibilò il giovane. La taverna si svuotò rapidamente, l’oste era sgomento e terreo.

- Kathe stai calma e non pensare a incantesimi come palle di fuoco o altre cose devastanti - suggerì Celia - Non vorrai carbonizzare l’uomo accanto a te, vero? -

L’ubriaco, nonostante la birra che doveva avere in corpo, si riscosse, lasciò la presa, li guardò per un attimo poi uscì di corsa senza aggiungere una parola. Klod e Celia rinfoderarono le spade.

- Per una volta la paura ha avuto la meglio - sorrise il giovane lasciando un po’ di monete d’oro sul tavolo.

- Kathe ti devi ricordare di mettere il mantello e il cappuccio quando ti muovi, gli uomini guardano… - le consigliò la sorella avvicinandosi. Celia fece un cenno all’oste che annuì sorridendo debolmente. Almeno non gli avevano distrutto la taverna come era accaduto poco tempo fa.

La mattina seguente ripartirono per la Palude di Kharin il Nero, dirigendosi verso il sentiero asciutto che la attraversava. Durante il periodo delle piogge anche il sentiero diventava impraticabile. Celia non l’aveva mai attraversata ma sapeva che c’erano degli strani personaggi, chiamati traghettatori, che, dietro compenso, con chiatte basse e larghe, aiutavano gli avventori ad attraversarla quando erano in difficoltà. Il loro villaggio si trovava nella Palude, vicino alla vecchia torre del mago.

- Che odore di marcio - proruppe Klod verso metà pomeriggio.

- E’ la palude e la vedremo solo domani mattina - spiegò Celia - Ci accampiamo in una piccola osteria poco prima dell’inizio della palude, si chiama Il Giunco e vicino ha anche una fattoria che alleva anguille e rane - Klod storse la bocca facendo una faccia schifata.

- Dovresti assaggiarle prima di giudicarle - suggerì Celia sorridendo sebbene neanche lei amasse particolarmente nessuna delle due. Klod sollevò un sopracciglio e borbottò che non condivideva il gusto dell’ignoto come lei.

A buio inoltrato, col vento che spirava forte portando con sé l’odore insano della palude, avvistarono le luci dell’osteria. La strada era battuta e accelerarono il passo dei cavalli raggiungendola in breve. Era una grande casa di legno a due piani, sicuramente sopra c’erano le camere. Dal camino usciva il fumo spinto via dal vento.

Klod scese ed entrò chiedendo all’oste la possibilità di mettere i cavalli nella stalla posteriore. L’oste, alto e magro come uno stelo d’erba, acconsentì con un sorriso bonario. Assicurarono i cavalli nella piccola scuderia ed entrarono riparandosi dal vento.

L’oste li fece sedere vicino al fuoco, nella piccola sala c’erano sedute solo altre due persone, ognuna in solitario con davanti un boccale di birra.

- Cosa posso portarvi signori? Abbiamo stufato di cinghiale, di anguilla, rane fritte, pane scuro e birra rossa - domandò cordialmente.

- Direi tre stufati di cinghiale e birra - disse Celia parlando anche per i fratelli che annuirono.

- Attraverserete la palude? - chiese ancora con la solita curiosità dei tavernieri.

- Sì - rispose semplicemente Celia - Abbiamo anche necessità di una camera per la notte -

- Posso darvene due se volete - annuì l’oste sorridendo.

- Una andrà bene grazie, siamo fratelli - ripose Celia con un cenno della testa.

- Come desiderate, milady - si allontanò sparendo dietro la porta della cucina.

- Vi sconsiglio di attraversare la Palude di Kharin il Nero - la voce roca giunse dal tavolo che ospitava un uomo curvo, con mantello scuro e cappuccio.

- Come mai? - i tre fratelli si voltarono e Celia dette voce ai loro pensieri.

- Perché lo spettro del mago vaga senza sosta per le sue lande acquitrinose e rende schiavi i viandanti incauti che lo servono per l’eternità nella sua torre - l’uomo alzò la testa e li guardò. Gli mancava un occhio e una profonda cicatrice andava dalla fronte fino all’orecchio destro.

- Conosciamo le leggende che gravano sulla palude ma la attraverseremo in pieno giorno e il tempo è buono - rispose Celia gentilmente.

- Giorno o notte non fa differenza per lo spettro e il tempo domani cambierà - sentenziò il vecchio bevendo una generosa sorsata di birra. Klod sollevò un sopracciglio poi si tolse gli stivali e mise i piedi vicino al fuoco.

L’oste tornò con i piatti fumanti, poi andò al bancone e spillò la birra rossa spumeggiante.

- Ecco signori, spero sia di vostro gradimento - sorrise con un lieve inchino.

- Diglielo Arìstar di non proseguire per la palude - la voce dell’uomo gracchiò il suo avvertimento. L’oste si voltò arrabbiato.

- Non gli avrai detto dello spettro! - si voltò verso i tre fratelli - Signori, è solo un vecchio ubriaco, lo spettro non esiste - aggiunse con voce delicata e sincera.

- Non preoccupatevi Arìstar, non siamo persone che si spaventano facilmente - commentò Klod prendendo il cucchiaio di legno e affondandolo nel sugo rosso dello stufato.

- Il coraggio non c’entra! - gridò il vecchio - Lo spettro del mago ruba le menti! -

- Smettila Tigha, è tardi, tornatene a casa - gli intimò l’oste tirandolo su dalla sedia.

- Questa birra non l’ho finita! Non la pago! - farfugliò Tigha lasciandosi trascinare fuori.

- La offro io, stai tranquillo ma ora vai a casa - l’oste lo spinse gentilmente fuori e chiuse la porta con un sospiro.

- Vi chiedo scusa signori, non dovete lasciarvi impressionare - l’oste si affrettò dietro il banco, prese uno straccio e iniziò a pulire il bancone sporco di birra.

- Invece dovrebbero - disse l’altro uomo seduto. I tre fratelli si voltarono verso di lui. Arìstar sospirò rassegnato scuotendo la testa.

- Siamo sempre disponibili ad ascoltare i consigli, messere - disse Celia cercando di essere accomodante. Klod sbuffò e tornò ad occuparsi dello stufato.

- Domani ci sarà una tempesta e potreste non essere in grado di uscirne, inoltre lo spettro c’è davvero -  l’uomo si alzò e li raggiunse al tavolo. Kathe si avvicinò a Celia e gli fece spazio.

- Sembrate molto informato - annuì Celia tuffando il pane scuro nello stufato. L’uomo aveva abbassato il cappuccio e il suo volto mostrava le prime rughe, era abbronzato, con barba e baffi castano chiaro come i capelli lunghi fino alle spalle.

- Permettetemi di guidarvi, conosco bene la palude - suggerì incrociando le braccia sul tavolo. I fratelli alzarono lo sguardo contemporaneamente.

- Siete gentile ma non vi conosciamo - disse Kathe parlando per la prima volta.

- Il mio nome è Gelaren - disse l’uomo sorridendo porgendole la mano. Kathe la strinse un po’ sospettosa.

- Kathe, Celia e Klod - si presentò la giovane maga.

- Questo però non cambia il fatto che non vi conosciamo - puntualizzò Celia cordialmente. Gelaren la fissò in silenzio.

- Se entrerete senza qualcuno che conosca la strada vi perderete e con molta probabilità lo spettro vi darà la caccia, vi separerà e vi ucciderà. Io conosco la palude da molto tempo e porto spesso i viandanti in entrambe le direzioni - tenne gli occhi fissi in quelli di Celia e parlò lentamente cercando di essere convincente.

- Quanto è il vostro compenso? - chiese Celia anche se avvertì sotto il tavolo Klod che la toccò col piede.

- Non voglio essere pagato ma che mi aiutiate ad uccidere lo spettro se lo incontriamo, solo questo - lo sguardo di Gelaren si fece improvvisamente freddo.

- Cosa vi fa pensare che manterremo la parola e non scapperemo a gambe levate? - gli sorrise Celia prendendo il boccale.

- Quello - rispose Gelaren indicando l’anello al dito di Celia - E’ della casa Arstid. Non mi interessa chi siete voi tre ma confido nel vostro onore e coraggio -

I fratelli Hianick lo guardarono in silenzio, poi Celia annuì.



La mattina dopo all’alba lasciarono Il Giunco seguendo Gelaren verso la Palude. Il vento spirava ancora con forza anche se non faceva particolarmente freddo. Il sentiero era di poco superiore alla palude, piena di cespugli bassi, canne, ninfe fiorite, e rospi, ranocchi, serpenti e altre sgradevoli creature.

Procedevano in fila indiana prestando molta attenzione al terreno. L’odore fetido costringeva a tenere naso e bocca chiusi così si scambiarono solo poche parole. In un tratto in cui il sentiero era un po’ più largo Celia si avvicinò a Gelaren.

- Perché non mi raccontate la vostra storia? - chiese affiancandosi col cavallo.

- Perché dovrei? - l’uomo non si voltò e continuò a fissare il terreno davanti al cavallo.

- Perché io so ascoltare. Il vostro nome è molto particolare - gli fece notare Celia, Gelaren si girò, il cappuccio si tirò e lei vide l’orecchio appuntito.

- Mia madre era elfa - asserì il mezzelfo tirando il cappuccio in avanti e tornando a guardare il sentiero. Celia osservò il suo profilo in silenzio, aspettando che lui continuasse ma Gelaren non aggiunse altro.

Procedevano speditamente mangiarono a cavallo e nel pomeriggio il vento cessò ma l'odore nauseante della palude divenne più intenso. Quando il sole stava per tramontare oltre le brume nebbiose raggiunsero uno slargo nel sentiero con un grande albero morto su cui era stata costruita una piattaforma di assi di legno.

- Dormiremo qui - li avvisò Gelaren scendendo da cavallo. I tre fratelli lo imitarono.

- Credevo che un giorno bastasse per attraversarla, o ci avete fatto fare la strada più lunga apposta? - fece notare Klod con voce fredda. Il mezzelfo alzò lo sguardo.

- Questa è la strada più sicura, stanotte pioverà e saremmo rimasti impantanati se avessi scelto la strada più veloce - assicurò il destriero ad un gancio di ferro che qualcuno aveva incastrato nel legno morto del tronco dell'albero.

Klod brontolò sottovoce non molto convinto che assicurò il suo cavallo e quello delle sorelle seguendo Gelaren sulla piattaforma che poteva essere raggiunta grazie ad una scala.

Appena il sole calò del tutto l'umidità della palude si insinuò nelle ossa facendo avvertire il freddo più di quanto non fosse realmente. Klod avvolse Kathe nella coperta che stava sotto la sella mentre lei leggeva il suo libro di incantesimi. Mangiarono rapidamente e in silenzio poi Gelaren si avvolse nella sua coperta, Kathe si distese e si addormentò mentre Celia e Klod affilavano le spade.

- E' un mezzelfo - sussurrò Celia al fratello. Klod alzò lo sguardo smettendo per un attimo di affilare.

- In qualche modo la sua famiglia è coinvolta con lo spettro della palude, forse li ha uccisi - aggiunse la chierica sempre sussurrando.

- Sarai in grado di scacciarlo se lo incontreremo? - chiese Klod a bassa voce scrutandola in volto. C'era solo una candela fra loro che illuminava debolmente.

- Non so che tipo di spettro sia - sussurrò guardandolo - Non sono così brava come dicono - sorrise debolmente.

- Ti ho visto nelle Catacombe di Hilizia - Klod le strinse una spalla - Sembra che gli dèi ti tengano in grande considerazione - le sorrise infondendo sicurezza e fiducia nelle sue parole. Celia abbassò lo sguardo.

-  Anche se non riesco a scacciarlo dovrei riuscire a ferirlo, le nostre spade inoltre sono magiche e Kathe ormai ha un arsenale di incantesimi molto potente - spiegò Celia riponendo la spada. Sussurrò un incantesimo e Klod comprese solo che evocava protezione per sé stessa e per loro.

- Sei pronta per l'esame? - chiese poi dopo un attimo di silenzio.

- Sì, sono pronta - annuì la sorella sorridendo - Ho fatto innervosire la mamma che avrebbe voluto lasciassi subito l'Ordine - soffocò una risata e si distese.

- In cosa consiste la prova? - domandò il fratello a voce bassa appoggiando la testa allo zaino e coprendosi con la coperta.

- La parte più semplice è quella orale, la commissione di Alti Chierici o Chierici Cavalieri che soprassiede l'esame per il cavalierato fa alcune domande inerenti ai vari rami di studio, poi c'è una seconda prova fisica, con uno scontro dove il chierico deve dimostrare le sue abilità con armi e incantesimi - Celia sospirò fissando il cielo, qualche stella si intravedeva oltre la nebbia.

- Simile al nostro dunque - Klod si voltò a guardarla incrociando le braccia dietro la schiena.

- Quella fisica è la prova più temuta dagli aspiranti cavalieri. Ogni chierico deve fronteggiare un Cavaliere anziano, scelto a caso - sospirò e si voltò su un fianco.

- Non dovresti temere quella prova, mi sembra che gli dèi abbiamo espresso più volte la loro approvazione del tuo operato. Con la tua magia e la spada lo sconfiggerai - il fratello le sorrise ricordando i combattimenti in cui l'aveva vista agire.

- La commissione non giudica solo l'esito ma osserva l'aspirante Cavaliere sotto molti aspetti. Vincere non è importante né necessario - sospirò Celia.

- Non devi preoccuparti di questo - Klod cercò di essere il più convincente e fiducioso possibile ma se gli dèi avessero dovuto guardare nel suo cuore anziché in quello della sorella le cose sarebbero andate diversamente.

Celia annuì, chiuse gli occhi e si addormentò mentre Klod rimase a fare il primo turno di guardia.



Lo spettro avanzò lentamente sfiorando appena l'acqua putrida della palude. Raggiunse la radura, avvertiva chiaramente l'odore dei vivi e bramava la loro energia. Intessé il suo incantesimo, invadendo i loro sogni. Li avrebbe terrorizzati e resi vittime della paura così avrebbe potuto risucchiargli la vita e farne suoi schiavi. La lingua di tenebra completò l'incantesimo ma sembrava non avere effetto come le altre volte, nessuno dei quattro si muoveva, uno continuava a lucidare una spada.

Lo spettro allargò le braccia mormorando un'altra evocazione. Uno scricchiolio sinistro pervase la palude e Klod si alzò in piedi. Le tenebre avvolgevano completamente la palude impedendogli di vedere poco oltre la piattaforma. L'acqua si mosse in modo sgradevole e il suono di ossa che sfregavano divenne più vicino e consistente. Si inginocchiò e scosse Celia fino a svegliarla.

- Che succede? - domandò con voce assonnata sfregandosi gli occhi.

- Non lo so ma c'è un suono sgradevole e l'acqua della palude si muove - sussurrò Klod guardingo. Celia ascoltò con attenzione, si alzò ed estrasse la spada svegliando Gelaren mentre Klod scuoteva Kathe. Entrambi lanciarono uno sguardo ai due e compresero immediatamente.

- Ci siamo - disse Gelaren con un ghigno malsano. Estrasse la spada e saltò giù dalla piattaforma. Klod cercò di fermarlo senza riuscirci. Imprecò e lo seguì scendendo la scala.

Kathe mormorò un incantesimo e la luce invase l'area. Centinaia di scheletri coperti di alghe e muschio grondanti acqua circondavano l'albero. La maga lanciò un grido mentre Celia scese dalla piattaforma.

- Era troppo bello riuscire ad attraversare la palude senza incontrare lo spettro! - urlò Klod falciando i primi scheletri scricchiolanti che si avvicinavano.

-  Kharin, dove ti nascondi vieni avanti! - gridò Gelaren abbattendo un non-morto.

Celia evocò la magia divina e un gruppo di scheletri si vaporizzò all'istante. Kathe mormorò le parole arcane e una ragnatela viscida e appiccicosa coprì buona parte del terreno davanti ai suoi fratelli.

L'orda avanzava inesorabile, bocche sdentate e mute urlavano in silenzio. Klod e Gelaren abbattevano non-morti senza sosta, Celia evocò un'altra sfera di luce e finalmente vide lo spettro Kharin.

- Eccolo! E' lui! - gridò Gelaren, abbandonò la sua posizione gettandosi contro la creatura.

- Gelaren aspetta! - Celia falciò facilmente alcuni scheletri e corse verso il mezzelfo.

- Kharin stanotte ti rimanderò negli abissi neri a cui sei scampato! - eseguì un affondo perfetto e quando la spada toccò l'essenza incorporea dello spettro si illuminò di un blu intenso e la creatura si ritirò come bruciata.

- Klod cerca di raggrupparli da quella parte! - gridò Kathe indicando una zona lontana da Celia e Gelaren. Klod non perse tempo e si mosse in modo da attirarli. Uno scheletro lo ghermì alla gamba ferendolo e un altro gli afferrò il braccio. Sollevò la spada e tranciò via l'arto ossuto che si spezzò sotto la forza della lama magica.

Celia evocò la magia divina e recitò l'incantesimo per scacciare i morti appellandosi alla Dèa Madre Sosistras. Il medaglione dell'Ordine brillò, lo spettro resistette ma la magia divina lo percosse con forza costringendolo ad arretrare.

Gelaren balzò avanti con agilità e cercò di colpire lo spettro, lo sguardo pieno di follia ma la creatura lo afferrò per le spalle e in un attimo gli risucchiò la vita. Celia gridò avvicinandosi allo spettro. Lo afferrò ed evocò la magia divina convertendo un incantesimo di cura in uno per ferire. Lo spettro si ritirò, sparendo nelle tenebre.

Klod lanciò uno sguardo alla sorella che aveva gridato e quando vide che lo spettro non c'era si concentrò nuovamente sugli scheletri. All'improvviso dal cielo si scatenò una furiosa tempesta di ghiaccio che devastò i non-morti in pochi attimi. Klod strizzò l'occhio a Kathe e corse da Celia che stava tenendo Gelaren fra le braccia.

- Lo puoi aiutare? - sussurrò il fratello con occhi spalancati osservando il volto raggrinzito ed esanime del mezzelfo. Celia scosse la testa.

- Non puoi provare con l'incantesimo che ti ha insegnato il drago? - balbettò Klod inginocchiandosi, avvertì Kathe alle sue spalle.

- Non servirebbe a niente, non c'è più la sua anima, non posso ricongiungerla al corpo - sussurrò lei con le mani posate sul torace del mezzelfo.

- Non ci resta che uccidere lo spettro - asserì gelida Kathe - Ci sono ancora gli scheletri da sistemare - e indicò alle loro spalle l'orda che avanzava cigolando. Davanti a loro comparve lo spettro di Kharin e Kathe non perse tempo colpendolo con i suoi dardi infuocati.

Celia e Klod si lanciarono all'attacco, con fendenti rapidi e precisi si aprirono una strada in mezzo all'orda di scheletri silenziosi, si sentiva solo il rumore delle lame sulle ossa e lo scricchiolio inquietante.

Klod fu il primo a colpirlo, la lama affondò oltrepassandolo e si illuminò con una luce argentea e brillante. Lo spettro cercò di afferrare Celia ma lei scartò e lo afferrò per un braccio ripetendo l'incantesimo precedente. La creatura spalancò la bocca muta e strattonò finché Celia non venne scaraventata in mezzo ai non-morti che la assalirono immediatamente.

Kathe gridò un avvertimento a Klod che all'ultimo istante si abbassò evitando un'enorme palla di fuoco rovente che si abbatté sullo spettro e sugli scheletri circostanti carbonizzandoli.

- Kathe! - urlò Klod rialzandosi e lanciandole uno sguardo rovente. Celia era sommersa di scheletri e lui si lanciò nella mischia cercando di liberarla.

Una preghiera si levò nell'aria e gli scheletri intorno a loro si carbonizzarono istantaneamente sotto la forza del potere divino. Celia si rialzò, il sangue usciva copioso da molti graffi profondi causati dagli artigli degli scheletri. Si scambiò un'occhiata con Klod e tornò ad affrontare lo spettro. La creatura uscì eterea dalle fiamme dell'incantesimo di Kathe che si esauriva. Cercarono di colpirlo ma era sfuggevole e rapido. Un'altra palla di fuoco spazzò via gli scheletri che si avvicinavano e Celia sentì il calore sulla pelle.

Klod eseguì un affondo ma lo spettro di Kharin scartò e con una mano scheletrica lo toccò sulla schiena. Celia gridò, afferrò lo spettro ed evocò ancora una volta il potere divino. L'energia fluì pervadendola completamente e si riversò nella creatura distruggendola. Klod cadde a terra privo di sensi e Celia lo raggiunse immediatamente ignorando il caos intorno a lei. Kathe si sarebbe occupata dei pochi non-morti rimasti senza alcun problema.

- Avanti fratello, non cedere proprio ora - supplicò mormorando l'incantesimo per curare le ferite più potente che conosceva. La magia divina fluì e le sue mani furono circondate da un bagliore dorato. Klod tossì e si mise seduto. Celia tirò un sospiro di sollievo e lo abbracciò con forza.

I dardi di fuoco fendettero ancora l'aria notturna della palude e gli ultimi scheletri tentennanti caddero sbriciolandosi al suolo. Kathe li raggiunse ansimando ma il suo sguardo si rasserenò quando si accorse che Klod stava bene.

- Andiamocene da qui - suggerì Kathe dando un calcio ad un osso. Celia annuì, misero il cadavere di Gelaren sul cavallo e aiutati dalle luci magiche lasciarono la radura infestata proseguendo lungo il sentiero mentre la notte raggiungeva il suo apice e avvolgeva ogni cosa.



Dall'altra parte della Palude di Kharin c'era una locanda, Le Tre Lance, e i fratelli Hianick affidarono il corpo di Gelaren all'oste. Era sera inoltrata, si erano persi almeno due volte ma alla fine avevano raggiunto il limitare della palude. L'uomo gli raccontò che la guida mezzelfa faceva avanti e indietro nella palude da anni, chiedendo ai viaggiatori che riteneva capaci di sconfiggere lo spettro se lo avessero incontrato.

Celia gli raccontò dello scontro, di come fosse stato valoroso nel combattere quell'antica nemesi e l'uomo sorrise apertamente narrandogli la sua storia e ringraziandoli. Gelaren e Asiya vivevano vicino al confine col Regno degli Elfi. Era nato da poco il piccolo Riwal e Gelaren fu costretto ad un viaggio improvviso. Asiya non voleva partire ma lui la convinse. Attraversando la Palude lo spettro uccise la moglie e il figlioletto e Gelaren non si era mai perdonato per ciò che accadde.

- Sono felice che siate riusciti a sconfiggere quel terribile spettro e vi sarei grato se voleste alloggiare nella mia taverna, Gelaren era un uomo onesto e sono convinto che gli farebbe piacere questo mio piccolo gesto - disse l'oste uscendo da dietro il bancone sorridente.

Celia stava per rifiutare ma Kathe prese la parola.

- Ve ne saremo immensamente grati messere, siamo sfiniti e abbiamo bisogno di riposo - annuì sbattendo dolcemente le ciglia.

- Non preoccupatevi per Gelaren, ci penseremo noi, lo seppelliremo vicino alla moglie e al figlio - l'oste fece un cenno al ragazzo fermo sulla porta della cucina che scattò subito fuori.

- Vi faccio preparare una stanza - aggiunse e il suo sguardo si fermò - Ma voi, milady, sanguinate - indicò il fianco sinistro di Celia. La giovane accostò il mantello stringendolo a sé.

Klod le afferrò il braccio - Fammi vedere Celia - e scostò il lembo, Celia non fece particolare resistenza e solo in quell'istante Klod si accorse di quanto fosse debole.

- Hai cavalcato in queste condizioni? Perché non ti sei curata? - sussurrò il fratello fissando i suoi occhi azzurri e stanchi.

- Non posso, devo riposare, sono stanca - ammise con un debole sorriso.

- Hai curato noi due - Kathe le strinse la mano.

- Non sapete che è questo uno dei doveri di un chierico dell'Ordine? Prima il sostegno agli altri, per ultimi sé stessi - Celia strinse di nuovo il mantello. L'oste alzò un sopracciglio e decise di soprassedere, lasciò il gruppo discretamente e salì le scale.

- Non avresti dovuto, se dovesse accaderti qualcosa Sir Mark verrebbe a cercarmi in capo al mondo - sibilò Klod distogliendo immediatamente lo sguardo quando vide la sorella spalancare gli occhi per la sorpresa.

- Cosa c'entra lui adesso? - sussurrò lentamente Celia afferrandogli l'avambraccio. Udì Kathe sospirare.

- Vuole sapere sempre dove sei, cosa fai e ci ha chiesto semplicemente di informarlo... - spiegò Klod facendo un passo indietro.

- Semplicemente? - sibilò Celia e il suo sguardo si fece gelido.

- Non abbiamo fatto niente di male Celia, solo parlare con lui qualche volta - aggiunse Kathe mettendosi davanti alla sorella.

- Sa che sono con voi, ora? - domandò freddamente avvolgendosi nel mantello. La ferita aveva sanguinato tutta la notte, era stanca e non abbastanza lucida.

- Sì - rispose Klod distogliendo lo sguardo. Celia tremò per il freddo e il dolore, fece qualche passo avanti e raggiunse la scala irrigidendosi.

- Non preoccupatevi, domani mattina starò bene - salì le scale lentamente sotto gli sguardi sofferenti dei fratelli.

La mattina seguente quando Kathe e Klod si svegliarono, Celia non occupava più il suo letto. Raccolsero le loro cose e scesero nella taverna. L'oste della sera precedente gli servì un abbondante piatto di farinata di latte dolce, pane scuro e miele. Gli chiese come stesse la sorella e Klod lo rassicurò, l'oste gioviale ritirò le ciotole e li informò che Celia era nella stalla a preparare i cavalli.

Klod fece per lasciare le monete al taverniere ma come promesso la sera precedente non volle alcun pagamento. I due fratelli ringraziarono e raggiunsero Celia.

Il sole splendeva alto nel cielo e la tempesta del giorno precedente era solo un ricordo.

- Come stai? - le domandò Klod ma vide immediatamente che la tunica che indossava non era macchiata di sangue.

- Sto bene grazie. Raggiungiamo il punto di incontro con Lewel? - salì a cavallo dandogli un colpetto per farlo partire. Klod e Kathe non aggiunsero altro, salirono a cavallo e la seguirono.


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Capitolo 28
*** Il Regno degli Elfi ***


28. Il Regno degli Elfi


La radura indicata da Lewel non fu difficile da trovare e anche l’attesa fu breve. Celia era convinta che fossero seguiti da tempo, aveva udito dei fruscii e una volta aveva sentito distintamente un ramo spezzarsi.

Dall’altra parte della radura si intravedeva un sentiero ampio e battuto da cui fece il suo ingresso una carrozza elegante e leggera trainata da quattro cavalli bianchi. Il cocchiere era un elfo biondo, rigido come il manico di una scopa. La carrozza era bianca con fregi dorati e sulla porta recava incisa la quercia e il diamante della casa reale elfica.

- Sei proprio sicura di voler scartare Lewel? - sussurrò Klod piegandosi verso di lei con un sopracciglio alzato.

- Stai zitto! - sibilò Kathe che aveva trattenuto il respiro.

Dietro la carrozza c’erano due cavalieri splendidamente vestiti che la precedettero e si fermarono davanti a loro.

- Milady, siamo qui per scortarvi a palazzo, ci occuperemo noi dei vostri cavalli - l’elfo dai lunghi capelli neri intrecciati si espresse in un comune perfetto anche se affetto da un lieve accento che rendeva la sua parlata affascinante.

- Vi ringraziamo - disse Kathe formalmente scendendo da cavallo. Raccolsero le loro cose dalle selle e Klod le mise nella carrozza. L’interno era foderato di bianco, morbido e confortevole.

Il cocchiere incitò i cavalli con una sola parola e la carrozza si inoltrò fra gli alberi riprendendo il sentiero da cui era venuta.

- Sicura sicura? - domandò Klod sorridendo e picchiettando con l’indice sul bordo della finestra coperta da tendine raffinate. Kathe lo fulminò con lo sguardo.

- Però effettivamente ci dovresti pensare bene - concluse Celia sbadigliando. Klod la imitò accomodandosi sui cuscini morbidi.

- E’ proprio comoda questa carrozza, non mi sembra neanche di sentire le buche nel terreno… - disse Celia con gli occhi semichiusi.

- E’ un incantesimo… - sussurrò Kathe che inutilmente cercava di restare sveglia. Ecco come facevano ad impedire ai visitatori di scoprire la strada. I tre fratelli si addormentarono cedendo al potente sortilegio.



Un sobbalzo della carrozza li risvegliò. Klod si sporse immediatamente fuori dal finestrino e gli fu impossibile reprimere un moto di meraviglia.

- Dovete assolutamente guardare! - disse a denti stretti e a bassa voce mentre le sorelle si stropicciavano gli occhi.

Kathe e Celia scostarono le tendine e nessuna delle due riuscì a proferire parola. Il buio avvolgeva ogni cosa, calde luci sferiche fluttuavano in giro offrendo un tenue bagliore. Non c’erano edifici come vengono intesi nei loro regni, né assi di legno, né mattoni, né malta ma solo giganteschi alberi collegati da ponti di rami abilmente intrecciati. Non c’erano strade lastricate ma erba e sottobosco, fiori aperti nelle tenebre che diffondevano i loro profumi inebrianti.

Le abitazioni dovevano per forza trovarsi all’interno dei tronchi immensi. C’era qualche elfo in giro, camminavano lentamente e chiacchieravano fra loro. Sembrava che gli elfi fossero riusciti ad armonizzare tutto perfettamente con la natura, senza invadere i suoi spazi ma facendone interamente parte. Celia non vide guardie né soldati ma era sicura che ci fossero.

- Per la dèa! - imprecò Klod in un sussurro indicando davanti a loro. Kathe si sporse e vide il palazzo.

Era una quercia, ma stentava a credere che potesse esisterne una così immensa. Decine di quelle sfere luminose fluttuanti illuminavano l’ambiente di luce soffusa magica e surreale. Una scalinata centrale di rami intrecciati e vivi portava ad una grande apertura nel tronco. Sui rami spessi c’erano piattaforme e terrazzi di rami intrecciati da cui si potevano intravedere gli alloggi interni.

- Celia, perché non sposi tu Lewel se a Kathe fa così schifo? - sussurrò Klod fissando l’immenso e antico albero. La sorella lo guardò torva.

- I soldi non sono tutto, Klod - rispose serafica la chierica.

- Sicuramente, ma sono una buona parte del tutto - filosofeggiò il giovane.

La carrozza curvò fino a portarsi davanti alla scalinata e si arrestò. In fondo alle scale c’era un’elfa, vestita di verde, che sembrava bella come una dèa. Klod restò a fissarla diversi attimi finché Celia non gli dette di gomito riscuotendolo.

Scesero dalla carrozza e lei li accolse con un sorriso dolce.

- Benvenuti fratelli Hianick, il mio nome è Eliros, vi accompagno ai vostri alloggi. Nei giorni che resterete ospiti del Principe Lewel io sarò la vostra guida - fece un lieve inchino e iniziò a salire le scale. Dietro di loro due elfi, apparentemente sbucati dal nulla, stavano trasportando i loro bauli.

All’interno la quercia si allargava generosamente in un ampio atrio. In alto galleggiavano centinaia di sfere che offrivano luce e tepore. Una scala a chiocciola, ampia e apparentemente ricamata nel legno, saliva dolcemente all’interno del tronco. Eliros li precedeva in silenzio, non incontrarono nessun altro sebbene la scala fosse abbastanza grande da permettere il passaggio di persone anche verso il basso.

La scala terminò su un vasto pianerottolo, apparentemente formato dall’albero stesso. C’era silenzio e molti archi si aprivano a destra e a sinistra. Eliros imboccò decisa il primo sulla destra e, seguendola, arrivarono alle loro stanze. Non c’erano mura, né porte ma un ampio spazio che terminava con un’apertura nel tronco e un terrazzo di rami e foglie. C’erano tendaggi morbidi e bianchi che si muovevano lentamente nella brezza lieve, tre letti, sedie e un tavolo tutti fatti di rami. Gli elfi depositarono i bauli e sparirono.

Eliros si addentrò dirigendosi ad uno scaffale fatto di tronchi pieno di abiti ordinatamente ripiegati, a terra c’erano tre paia di stivali, uno indubbiamente maschile mentre gli altri due di foggia femminile.

- Questi sono per voi, usateli per la cena di questa sera dopo esservi ripuliti - l’elfa sorrise e Klod rimase a fissarla per diversi secondi.

- Siete gentile, Eliros - Celia gli si mise davanti dandogli uno scossone mentre passava.

- Vi accompagno dove potrete lavare via la stanchezza del viaggio - la giovane sorrise di nuovo mentre imboccava l’arco di rami intrecciati.

- Ti senti bene? Sei stranamente silenziosa - Celia passò un braccio intorno alle spalle di Kathe.

- Va tutto bene, sono solo frastornata dal viaggio - rispose la maga con un debole sorriso.

- Vedrai che un bagno ti rimetterà in sesto - aggiunse Celia e Kathe annuì.



E il bagno fu non solo ristoratore ma incantato. Se non ci fosse stata Eliros nessuno dei tre sarebbe stato capace di tornare all’albero-castello. Percorsero un corridoio di rami attorcigliati completamente coperto che sembrava snodarsi in mezzo agli alberi e ad una considerevole altezza. Svoltarono e cambiarono direzione così tante volte da far perdere completamente l’orientamento fino ad una parete rocciosa che nascondeva una laguna spettacolare. Un’alta cascata cadeva dolcemente nel lago sottostante di un verde smeraldo cangiante. Le zone più vicine avevano una bordura di rocce naturali che formavano delle vasche. L’acqua in quei punti era calda, probabilmente gli elfi usavano la magia divina per alterare lo stato dell’acqua.

Eliros li condusse in un’ansa nascosta e riservata. Decine di globi luminosi e fluttuanti illuminavano dolcemente l’area, rendendo tutto soffuso e intimo.

I tre fratelli restarono così meravigliati che si lavarono in silenzio senza proferire parola. Quando finirono, Eliros gli porse dei lunghi asciugamani e delle strane scarpe morbide di tessuto, poi li condusse in una stanza di roccia dove c’erano altri elfi. La sensazione fu incredibile. Il calore all’interno della camera magica asciugava praticamente all’istante pelle, tessuti e capelli.

- Davvero impressionante - sussurrò Celia guardando la sorella.

- Comodo e utile - ridacchiò Klod sventolando l’asciugamano.

Alcuni elfi si girarono a guardarli sorridendo, poi scossero la testa e uscirono da un varco sulla destra.

Eliros li riaccompagnò nei loro alloggi e li lasciò con un breve inchino avvisandoli che qualcuno sarebbe venuto a prenderli entro un’ora.

- Cosa pensi che accadrà? - chiese Celia mentre spazzolava i lunghi e lucenti capelli di Kathe. Ormai erano pronti, i vestiti calzavano a pennello come se conoscessero le loro taglie perfettamente.

Klod in pantaloni neri e farsetto blu, Celia con un abito lungo blu e bianco senza maniche in cui si sentiva un po’ impacciata e Kathe con un abito lungo blu e argento dalle lunghe maniche a calice. Era radiosa, al pari di tante elfe che Celia aveva visto e avrebbe conquistato qualsiasi Principe.

- Non pensavo accadesse neanche questo, non credevo che Lewel intendesse una cosa del genere quando ci aveva invitato - Kathe era stranamente silenziosa e non si era confidata con la sorella.

- Klod, cerca di non combinare guai capito? - Celia si voltò verso il fratello disteso sul letto con le mani dietro la nuca.

- Io non combino mai guai - rispose lui serio. Dopo qualche istante iniziò a ridere di gusto e Celia scosse la testa.

Un giovane elfo, probabilmente un bambino anche per il loro senso del tempo, entrò silenziosamente scostando una delle tende che si muovevano pigramente.

- Prego signori - proferì serio con un accento molto forte.

Klod si alzò e permise alle sorelle di uscire e seguire l’elfo. Nel corridoio principale si diresse a destra, c’erano altri elfi splendidamente abbigliati che camminavano nella stessa direzione. Quando loro passavano si voltavano tutti a guardare ma non commentavano.

- Sono tutti molto riservati ed educati - notò Celia sussurrando.

- A me sembrano rigidi e altezzosi - ribatté Klod avvicinandosi al suo orecchio.

- Non vedono molti umani, a parte qualcuno di loro, e noi siamo qui a passeggiare nel loro castello come se niente fosse - gli fece notare Celia sorridendo ad un elfo che la osservava da un po’ di tempo con fare palesemente curioso.

- Anche io non vedo molti elfi ma non mi comporto così - rispose Klod serafico incrociando le braccia dietro la schiena.

Celia si domandò come l’interno di una quercia potesse avere quelle dimensioni. Stava cercando di capire quale magia stesse operando quando una grande scalinata si aprì su una sala incredibile, come solo nelle favole si poteva raccontare.

Era immensa, la volta acuta raccoglieva decine di globi luminosi e rami, foglie, tronchi, erano magistralmente attorcigliati a formare colonne, tavoli, statue. C’erano piccoli animali dovunque, come uccellini, scoiattoli, lucciole, serpenti, farfalle e decine di cuscini colorati erano appoggiati a terra vicino ai bassi tavoli.

In fondo, una scalinata conduceva a due troni, di legno anch’essi, che formavano due piccole querce. La sala era piena di elfi che parlavano fra loro e una musica soave riempiva l’aria rendendola magica.

- Per la dèa - sussurrò Klod e Celia gli diede una gomitata.

- Incredibile… tutto questo non può stare dentro la quercia! - sibilò Celia. Kathe osservava ogni cosa a occhi spalancati.

- Devono aver creato una sorta di piano parallelo in cui convive sia la foresta che la città… - scese lentamente le scale seguita dai fratelli.

- Sono lieto che la mia casa ti piaccia, Katherin - la voce maschile gentile e dall’accento gradevole venne dal basso. Kathe abbassò lo sguardo e incrociò quello di Lewel che le tendeva la mano.

- Sei radiosa come la prima stella della notte - aggiunse il principe elfo sorridendo. Klod alzò un sopracciglio e Celia gli mise una mano sotto il braccio facendosi accompagnare. La sala sembrò quietarsi per un attimo e ogni sguardo si posò su di loro.

- Chiamarla casa mi pare riduttivo, Lewel - Klod lo salutò con un gesto della mano e Celia gli dette un pizzicotto. Era chiaro che l’elfo era concentrato sulla sorella e non aveva udito una parola.

- Sono lieta di rivederti, Lewel - sussurrò Kathe arrossendo e abbassando lo sguardo. Appoggiò la mano nella sua e si lasciò guidare. Celia e Klod li seguirono, Lewel e Kathe parlavano sommessamente.

- Come può scegliere Erik invece di un Principe elfo?! - chiese Klod avvicinandosi all’orecchio della sorella.

- Deriva proprio dal fatto che possa scegliere e poi c’è l’amore, non lo devi dimenticare - rispose Celia sollevando la mano con l’anello degli Arstid.

- Certo che Kathe è strana - borbottò il fratello guardandosi intorno. Una coppia di elfi si avvicinò con passo lieve.

- Benvenuti a Solisthar - l’elfo fece un lieve inchino imitato dall’elfa dai lunghi capelli biondi - Sono Riwan e lei è mia moglie Neela, voi siete i figli del Conte Fabris Hianick della Contea di Torap? - chiese gentilmente l’elfo con una pronuncia del comune quasi priva di accento.

- Lo siamo - rispose Klod fermandosi.

- Vi ringraziamo per la vostra ospitalità - Celia fece un lieve inchino.

- Mio cugino sembra molto preso da vostra sorella, cose ne dite se noi invece ci intratteniamo parlando di tessuti e cavalli? - la domanda innocente dell’elfo nascondeva sicuramente qualche altro interesse. Klod annuì e lasciò che i due elfi facessero strada fino ad uno dei bassi tavoli dove scoprirono che c’erano delle aperture dove poter mettere le gambe e stare seduti sui cuscini. Klod aiutò Celia, e Riwan intavolò immediatamente una discussione circa l’importazione di certi tessuti.



Un vento lieve accarezzava le foglie dell’antica quercia e la luce della luna spargeva ovunque il suo bagliore argentato. Kathe appoggiò le mani sui rami intrecciati che formavano la balaustra. Non credeva sarebbe stato così difficile dire a Lewel della sua scelta. Solisthar era una città meravigliosa e questa sera Lewel aveva perduto ogni tratto del messaggero che aveva conosciuto al Monastero di Albany ed era un Principe elfo, elegante e bellissimo.

- Quindi è vero che tua sorella nelle Catacombe di Hilizia è riuscita a ridare la vita a un Cavaliere dell’Ordine - la voce dolce e sommessa di Lewel era davvero irresistibile.

- Sì, e per poco non le è costato l’espulsione dall’Ordine anche se lo dovrà lasciare comunque prima di unirsi in matrimonio con Alexei Arstid - quando si voltò lui la stava fissando con un gomito appoggiato alla balaustra.

Avergli raccontato di quell’avventura aveva smorzato la tensione che si era creata e aveva permesso al suo cuore di rallentare i battiti. Stava evitando di dirgli ciò per cui era venuta e questo non era da lei.

- Lewel, io non posso accettare il tuo dono - disse d’un tratto aprendo la mano che conteneva la spilla. Il Principe la raccolse dalla sua mano esile e sorrise.

- L’ho capito nell’istante in cui ti ho visto - Lewel si avvicinò e le posò un bacio sulla guancia.

Kathe rimase immobile, lo sguardo fisso davanti a sé.

- Mi dispiace - aggiunse abbassando la testa, i capelli le ricaddero in avanti.

- Anche a me - sussurrò lui - Non avrei dovuto lasciarti - le prese le mani fra le sue, calde e forti.

- Non sarebbe cambiato niente, Lewel - Kathe gli sorrise, sapendo che stava dicendo la verità. Ciò che provava per Erik andava oltre qualsiasi altro sentimento avesse mai provato per qualcuno.

- Per un attimo ho sperato diversamente - la sua voce malinconica e carica di rammarico le strinse il cuore in una morsa dolorosa ma era anche sollevata di avergli detto la verità. Nonostante la magia che avvolgeva Solisthar e le migliaia di domande che avrebbe voluto fargli non vedeva l’ora di tornare a casa, di rivedere Erik per strigliarlo a dovere e di affrontare l’esame per diventare Mago.

- Che splendida serata! - la voce di Klod la raggiunse facendoli voltare.

- Davvero splendida - aggiunse Riwan seguito da Neela e Celia.

- Kathe mi ha raccontato delle vostre prodezze nelle Catacombe di Hilizia - proruppe Lewel sorridendo.

- Ebbene sì, neppure il lich di un antico Re ha potuto fermarci - rispose Klod in modo teatrale.

- Sembra che siate inarrestabili - commentò Neela con voce suadente. L’elfa si era rivelata abile nelle trattative e quasi subito Klod si era reso conto che avrebbe dovuto parlare con lei per ottenere un contratto commerciale e che Riwan si occupava solo di tessuti e cavalli.

- Permettimi di farti i migliori auguri per la tua unione con la casa Arstid - disse Lewel rivolto a Celia. La chierica annuì portando una mano al medaglione al collo.

- Dovrò lasciare l’Ordine ma è un prezzo che pago volentieri per la mia Contea - sorrise serenamente, ormai si era abituata all’idea.

La nota profonda di un corno si propagò nell’aria.

- Fra poco verrà servita la cena e potrete conoscere mio padre e mia madre, sapete che è una rehim e fa parte dell’Olyhamar - le confidò Lewel porgendo il braccio a Kathe.

- Non lo sapevo e sarò onorata di fare la sua conoscenza - rispose Celia educatamente prendendo il braccio di Klod.

- Potete restare a Solisthar quanto tempo desiderate - aggiunse il Principe elfo varcando la soglia della grande sala.

- Ripartiremo domani mattina - si affrettò a puntualizzare Kathe. Riwan e Neela la guardarono meravigliati.

- Non vi trovate bene qui? - chiese l’elfa dispiaciuta.

- La vostra è una città meravigliosa, e avrei mille domande da farvi in merito ma devo sostenere un esame molto importante e devo tornare alla Scuola di Magia per studiare - spiegò Kathe lentamente.

- Un esame? - proseguì Neela, la sala si era quasi completamente riempita.

- E’ l’ultimo, mi permetterà di avere il titolo di Mago, potrò lasciare la Scuola e dedicarmi ai miei studi oppure rimanere e insegnare - i suoi occhi brillavano mentre ne parlava e fu chiaro a tutti i presenti quanto ci tenesse.

- Raggiungiamo il nostro tavolo mangiamo serenamente senza pensare agli impegni futuri - suggerì Riwan afferrando il cugino per una spalla con affetto. Si sedettero e alcuni elfi in livrea servirono piatti squisiti in cui predominavano verdura, frutta, fresca e secca, una strana carne salata ed essiccata e dolci di ogni tipo.

Lewel spiegò che gli elfi non cacciavano animali, se ne trovavano in fin di vita li uccidevano e ricavavano la carne salata per cui non era un alimento che faceva parte dei loro pasti comuni. La stessa cosa avveniva per le pelli.

Klod e Riwan discussero a lungo sul commercio dei cavalli e sul loro allevamento con Neela che ogni tanto interveniva facendo irritare il marito.

Di sfuggita Celia osservò Re Nofiles della Casa Amillar e la Regina Yashila. Erano entrambi regali e bellissimi, di età indefinibile come quasi tutti gli elfi ma lo sguardo del Re era distaccato mentre quello della Regina dolce e gentile. Quanti nel mondo avevano avuto l’opportunità di conoscere il Re degli Elfi che fra poco sarebbe stata concessa a loro?

- Raccontateci della corte del Duca Arstid, come promessa sposa del suo primogenito la frequenterete - la voce di Riwan la riscosse.

- In realtà sono stata al castello una sola volta, quando ho firmato i documenti per il fidanzamento - sorrise Celia gentilmente.

- Celia non è quella che comunemente si definirebbe una dama - ridacchiò Klod - Io stesso l’avrò vista in abiti femminili come stasera forse cinque volte! - Celia arrossì e Neela spalancò gli occhi.

- Sono un Chierico dell’Ordine, lo sono sempre stata, hanno fatto di me una guerriera al servizio degli dèi e della gente, la femminilità non serve - ribadì freddamente Celia.

- Eppure questo abito vi calza a pennello e vi dona - commentò Neela sospirando.

- Sarebbe molto difficile indossarlo mentre si usa una spada o si lanciano incantesimi - sorrise di rimando la chierica cercando di non far trapelare il suo disagio.

- Alexei farà bene a capire alla svelta come domare mia sorella - Klod rise gettando la testa all’indietro. Kathe seguì lo scambio di battute ma non aggiunse alcun commento. Era sicura di aver fatto breccia nei sentimenti di suo padre ed era convinta che avrebbe sistemato la situazione.

- Preferirei trovare un compromesso - annuì Celia - Anche Alexei avrà dei lati negativi -

- Non lo conoscete? - chiese Neela fissandola intensamente.

- I nostri padri hanno deciso l’unione, serve per rafforzare le alleanze e stipulare migliori trattati commerciali - spiegò Klod brevemente.

- Fra gli elfi questa pratica non c’è, ci uniamo per amore - aggiunse Neela stringendo la mano di Celia che si irrigidì.

- Devo tutto a mio padre, è mio dovere obbedire - affermò con voce decisa che metteva la parola fine alla discussione.

Gli elfi intorno a loro si alzarono, la cena era finita e si formarono diversi gruppi. La musica pervadeva ancora l’aria, una brezza lieve attraversava la sala e muoveva dolcemente i tendaggi sottili.

- Adesso andiamo da mio padre - disse Lewel alzandosi e porgendo la mano a Kathe. Salutarono Riwan e Neela con la promessa di rivedersi a Torap per visionare tessuti e cavalli.

Attraversarono la sala passando in mezzo a decine di elfi splendidamente abbigliati, dai lunghi capelli acconciati, le donne spesso in elaborate pettinature mentre gli uomini in trecce o semplicemente legati con fermagli.

Re Nofiles stava discutendo pacatamente con un elfo dai lunghi capelli argentei e Celia si domandò quanti anni avesse e chi fosse. Il Re indossava una tunica bianca e oro con una grande quercia ricamata al centro e la Regina Yashila una tunica molto simile a quella del marito ma argento e verde. Celia notò che la corona del Re era un sottile e semplice cerchietto sulla fronte e che la Regina non aveva corona. Era una rehim, un chierico, usava la magia divina e doveva essere molto potente.

Lewel si avvicinò al Re e fece un lieve inchino. Suo padre gli sorrise anche se il suo sguardo rimase distaccato.

- Padre, vorrei presentarvi i figli del Conte Hianick di Torap - proferì il Principe elfo. Il Re si voltò guardando attentamente i tre fratelli.

- Sono lieto di fare la vostra conoscenza e potervi così ringraziare di persona per aver prestato aiuto a mio figlio Lewel - la sua voce era soave e gentile ma senza alcun calore.

- E’ stato un onore, Maestà - rispose Celia chinando lievemente la testa

- Indossate il sigillo dell’Ordine - fece notare Re Nofiles soffermando lo sguardo sul medaglione di Celia.

- Sì, Maestà, sono un Chierico dell’Ordine - sorrise fiera la chierica.

- Sono curiosa di scambiare due parole con voi - la voce dolce della Regina si intromise delicatamente nella discussione.

- Sarà un piacere Maestà - rispose Celia educatamente con un lieve inchino.

- Madre, questi sono i tre fratelli Hianick che mi hanno aiutato ad Albany, Celia, Kathe e Klod - li presentò Lewel. La Regina si soffermò su Kathe scrutandola attentamente. Sollevò una mano delicata e dalle lunghe dita sottili e le prese una ciocca di capelli.

- Avete dei capelli bellissimi, Katherin - disse la Regina facendo arrossire la giovane maga.

- Vi ringrazio, Maestà - rispose abbassando lo sguardo.

- Klod, vi chiedo di portare i miei saluti a vostro padre - chiese Nofiles sorridendo alla faccia stupita del giovane.

- Conoscete nostro padre? - domandò Klod meravigliato.

- E’ una storia di molto tempo fa… Dovreste farvela raccontare - e per la prima volta il Re sorrise apertamente.

- Sicuramente Maestà, sono molto curioso - annuì Klod che ancora non riusciva a credere che suo padre conoscesse il Re degli Elfi.

- Celia mi accompagnate ai giardini? Vieni anche tu Lewel? - propose la Regina.

- Che gli dèi veglino sempre su di voi Maestà - Celia salutò il Re con un lieve inchino, imitata da Klod e Kathe.

La Regina si incamminò con passo lieve verso una grande scala a chiocciola seguita da Celia e Klod, il Principe porse il braccio a Kathe.

La scala sembrava infinita, scendeva nel tronco della grande quercia ma Kathe sapeva perfettamente che c’era di mezzo un incantesimo. In qualche modo gli elfi padroneggiavano perfettamente la magia dei piani e tutti gli incantesimi elementali.

Uscirono da una grande doppia porta di legno, lucido e levigato, davanti a loro un giardino magico, molto simile a quello della loro villa estiva. I tre fratelli si guardarono.

- Volete dire che nostro padre ha preso l’idea del giardino da questo? - sussurrò Klod osservando i viali con le luci magiche soffuse, le fontane, i fiori.

- E’ meraviglioso - disse Celia piena di riverenza.

- Sono contenta che vi piaccia, molti elfi dedicano il loro tempo a questo giardino che raccoglie migliaia di piante e fiori da tutto il mondo - la Regina Yashila osservava con dolcezza il giardino davanti a lei. Scese la scalinata addentrandosi in quel bosco fatato, pieno di lucciole, farfalle notturne, uccelli che cantavano.

- Stupefacente - sussurrò Kathe spostando lo sguardo su Lewel.

- Questo giardino è uno dei motivi per cui vi avevo invitato - sorrise il Principe anche se Kathe avvertì una nota malinconica nella voce.

- Vorrei mi raccontaste come siete riuscita a salvare la vita al Cavaliere nelle Catacombe di Hilizia - esordì la Regina dopo un lungo silenzio. Celia osservò stupita l’elfa regale e bellissima, i suoi occhi avevano una strabiliante tonalità di verde.

Raccontò succintamente l’accaduto: il pozzo, il drago, la sua sfida e l’incantesimo che le aveva insegnato l’antica creatura alata.

- Il Cavaliere che avete salvato vi stava a cuore? - domandò Yashila fermandosi, la lunga veste frusciava sui sassolini del sentiero.

- Sì, Maestà - ammise Celia senza vergogna - Non so se altrimenti sarei riuscita nell’intento. Forse la Dèa Madre Sosistras mi avrebbe folgorato per la mia presunzione - sorrise mestamente la chierica.  

- Nofiles non è d’accordo ma io voglio tentare - iniziò Yashila, Celia la guardava senza capire.

- Madre, sapete che è inutile, Celia inoltre fa parte dell’Ordine, è proibito usare quell’incantesimo! - disse Lewel con sguardo ardente. I tre fratelli osservarono madre e figlio, entrambi combattuti e sofferenti.

- Perché non mi dite cosa sta accadendo? - chiese gentilmente Celia attirando l’attenzione della Regina.

- Mia figlia, è caduta da un albero e da allora non siamo riusciti in alcun modo a riportarla in questo mondo. E’ viva, respira ma la sua anima è distante dal corpo. Nessuno dei nostri rehim è riuscito a guarirla. Vorreste provare voi? - lo chiese quasi piangendo. Celia passò lo sguardo dalla Regina a Lewel.

- Mi dispiace Celia, non avevo idea che volesse chiederti una cosa del genere - si scusò il Principe.

- Maestà, non sono sicura di riuscire in ciò che desiderate - esordì Celia scuotendo la testa. Salvare Mark era stata una necessità ingigantita dall’affetto che provava per lui, ma anche se le dispiaceva, questa bambina restava una sconosciuta per lei. Cosa sarebbe accaduto se avesse chiesto alla dèa di ricongiungere l’anima e guarirla? Ricordava ancora le parole ammonitrici dell’Alto Chierico: vanità, presunzione e arroganza potevano recidere il legame di fede e gli dèi non avrebbero più risposto, la magia divina avrebbe cessato di fluire e il chierico non avrebbe potuto fare più incantesimi.

- Vi supplico, fate un tentativo! - implorò la Regina afferrandola per le spalle. Celia annuì e guardò i fratelli. Yashila le sorrise con le lacrime che scorrevano sul bel volto.



La stanza di Elianna era calda e spaziosa. Non c’erano camini né stufe e Klod si chiese come riuscivano ad ottenere un calore del genere, come la stanza di roccia vicino al lago dove si erano asciugati dopo il bagno.

La piccola elfa giaceva su un grande letto di rami, un massiccio strato di tessuti lo rendeva confortevole. Se fosse stata umana avrebbe avuto forse dieci anni. La brezza lieve muoveva dolcemente i tendaggi e all’esterno era ormai notte fonda. Celia si avvicinò al letto, Elianna sembrava dormire, le guance rosate, il torace che si alzava e abbassava lentamente. La chierica sospirò poi guardò per un attimo la Regina Yashila. Tutto si sarebbe aspettata da questo viaggio tranne dover ripetere quell’incantesimo.

Sul ripiano vicino al letto vide la scatola che aveva portato ad Albany. Spostò lo sguardo interrogativo su Lewel.

- Conteneva una pozione creata dai Guaritori dell'Ordine di Fir Ze, ma non ha funzionato - spiegò il Principe in un sussurro. Celia riportò lo sguardo sulla piccola elfa e sospirò.

Allungò le mani e iniziò l’evocazione, le parole dell’incantesimo sotto forma di preghiera invasero l’aria. Voleva davvero aiutare quella bambina ingiustamente confinata in una non-vita a metà fra due mondi. E come nelle Catacombe si spalancò quella porta sul mondo divino che l’aveva spaventata. Avvertì la pressione immane della dèa che sondava la sua mente e lei si aprì completamente. Mentire era impossibile. La dèa sembrava interessata a particolari che per lei erano stati normali, quando aveva aiutato qualcuno, quando aveva sofferto, quando era stata felice.

- Perché vuoi aiutare questa bambina? - la voce della dèa entrò nella sua mente e Celia rimase sconcertata. Le stava parlando, la Dèa Madre Sosistras stava parlando proprio a lei.

- E’ incatenata fra due mondi, non merita questa non-vita, se mi concederete il potere potrò ricongiungere la sua anima - rispose Celia serenamente.

- Non hai alcun legame con lei, perché la vuoi aiutare? - insisté la dèa.

- Il legame non mi importa, la voglio salvare - ripeté Celia.

- Sei disposta a cedere qualcosa di te? - domandò la dèa dopo qualche attimo di silenzio. Quella domanda rimbombò a lungo nella sua mente.

- Sì - rispose Celia decisa. Sentì la magia divina fluire attraverso di lei, il medaglione bruciava sulla pelle, l’anima di Elianna venne ricongiunta completamente al corpo su quel piano, ogni danno venne riparato e l’incantesimo cessò. Celia cadde in ginocchio e Klod le fu subito accanto.

- Va tutto bene? - le domandò sussurrando.

- Ha voluto qualcosa in cambio - balbettò spaventata la chierica con un filo di voce.

- Cosa? - chiese Klod tirandola su.

- Non lo so - ammise Celia stravolta. Questa volta eseguire quell’incantesimo era stato completamente diverso.

La Regina e Lewel corsero vicino al letto. Yashila scosse con dolcezza la figlia che sbatté gli occhi e guardò la madre.

- Ho fame - disse Elianna mettendosi seduta e stropicciandosi gli occhi. La Regina l’abbracciò piangendo mentre la piccola elfa la guardava stupita. Lewel ringraziò silenziosamente Celia, poi strinse forte la sorella.

- Non avresti dovuto accettare - le sussurrò Kathe avvicinandosi.

- Non potevo lasciarla incatenata a due mondi - sospirò Celia abbassando lo sguardo.

- Lo dirai all’Alto Chierico? - le chiese Klod osservando il sorriso di Elianna e della Regina degli Elfi.

- Devo, se lo venisse a sapere da altre fonti mi radierebbero dall’Ordine - ammise Celia tristemente.

- Sei consapevole delle conseguenze? - Kathe la prese per le spalle e la fece voltare.

- Sì - rispose lei sicura. Non usava mai a caso la magia divina, ponderava sempre gli incantesimi e non ne abusava.

- Non potrò mai ripagarvi! - proferì Yashila felice. Celia guardò i fratelli poi le venne un’idea.

- Un modo ci sarebbe Maestà - sussurrò Celia, lentamente.

- Domandate e io esaudirò qualsiasi cosa chiederete! - rispose la Regina.

- Mandate un elfo da mio padre che possa occuparsi del nostro giardino, Mahatma è vecchio e non riesce più a curarlo come vorrebbe - suggerì Celia e la Regina si illuminò.

- E’ ben poca cosa per ciò che avete fatto - acconsentì la Regina.

- Io non ho fatto niente Maestà, sono solo un tramite, dovete ringraziare la Dèa Madre Sosistras - rispose Celia sorridendo.

La porta si aprì ed entrò Re Nofiles, il volto scuro, le labbra tirate. Con uno sguardo comprese immediatamente la situazione.

- Yashila, cos’hai fatto! - sibilò il Re, poi la voce di Elianna lo riscosse.

- Padre! - gridò la piccola elfa visibilmente meravigliata per tutto ciò che stava accadendo. Nofiles ebbe un attimo di esitazione. Guardò Celia ma tutto il rancore scomparve dai suoi lineamenti.

- Grazie - disse, poi andò dalla figlia. Lewel si staccò dalla sorella e raggiunse i fratelli.

- Vi riporto nei vostri alloggi, così potrete riposare - propose il Principe con sguardo commosso. Kathe lo osservò di spalle mentre gli faceva strada ripensando a ciò che si erano detti.

Raggiunsero la stanza e Celia si buttò sul letto sfinita con ancora le parole della dèa che le rimbalzavano in mente. Klod la imitò togliendosi gli stivali e distendendosi con un sospiro. Avrebbe preferito rivedere Eliros che essere tallonato da Lewel ma le cose non sempre andavano nel verso giusto.

- Celia non avrebbe dovuto acconsentire alla richiesta di mia madre - sussurrò Lewel evidentemente imbarazzato.

- Non ti devi preoccupare, se ha deciso di aiutarla aveva le sue ragioni - rispose Kathe sorridendo con un gesto della mano.

- Non vi ho fatto venire qui per questo motivo, lo sai vero? - aggiunse lui, sembrava preoccupato per qualcosa.

- Certo Lewel, so perché siamo qui - gli sorrise di nuovo arrossendo lievemente.

- C’è un’altra cosa che devo farti vedere oltre il giardino, vieni! - le afferrò la mano e la trascinò con sé.

- Klod torno subito! - gridò nel corridoio sperando che il fratello avesse udito.



Lewel la trascinò per corridoi e scale, era consapevole che avevano abbandonato da tempo la grande quercia. Il bosco era silenzioso e non c’erano elfi in giro. L’elfo proseguì sicuro guidato dal bagliore dei globi di luce magica. Il terreno iniziò a salire dolcemente ma Kathe non riusciva a capire dove fossero.

Lewel seguiva un sentiero che si inerpicava per la collina fiancheggiato da alti pini. Quando raggiunsero la cima, Kathe si rese conto che non era affatto una collina ma uno sperone di roccia molto grande. La luna illuminava ogni cosa col suo biancore. Sulla sinistra c’erano degli edifici forse di legno ma erano completamente in ombra e non capiva cosa fossero.

- Vieni - sussurrò con voce lievemente ansimante. Le prese di nuovo la mano e la guidò verso la sporgenza.

- Che posto è questo? - chiese la maga col fiato corto.

- La vallata che illumina la luna si chiama Mano della Dèa e le erte montagne ancora oltre sono il Pugno del Dio - indicò Lewel allungando un braccio.

Era uno spettacolo impressionante, la luce lunare si rifletteva sui ghiacci delle montagne e sul verde degli abeti sottostanti.

- E’ una vista mozzafiato - disse Kathe avanzando lentamente. Si voltò di scatto quando udì Lewel intonare un incantesimo. La voce elfica, melodiosa e dolce, ripeteva parole che non conosceva. Il Principe terminò e la guardò.

- Vieni allontaniamoci un po’ - sussurrò prendendole la mano.

- Perché questi misteri? Che posto è questo? - chiese Kathe con un po’ di apprensione nella voce. Lewel non rispose, le sorrise in modo enigmatico, poi diresse lo sguardo verso le montagne e lei lo imitò.

All’improvviso una figura s’innalzò da sotto la rupe oscurando la luna, Lewel si avvicinò mettendole un braccio intorno alla vita.

- Non devi temere, Kathe - le sussurrò nell’orecchio facendola rabbrividire.

La grande creatura atterrò sulla punta dello sperone sbattendo le ali enormi. Era un drago. Kathe trattenne il fiato e si aggrappò a Lewel. La fiera creatura avanzò sinuosa e allungò il muso verso il Principe. Lui allungò una mano toccandolo e il drago sembrò contento del contatto.

- E’ magnifico - sussurrò Kathe con gli occhi spalancati fissando il drago. La luna si rifletteva sulle scaglie argentate, lucide come specchi, due lunghe corna affilate s’innalzavano sulla fronte e una lunga coda si muoveva sinuosa come un serpente.

Lewel le prese la mano e l’avvicinò al muso della creatura che rimase immobile fissandola coi suoi occhi enormi ambrati. Nelle Catacombe non aveva avuto alcun modo per interagire con Ash che si era battuto contro il lich con ferocia.

- Sono le creature più antiche e magiche della terra - sussurrò Lewel - Fra draghi e elfi c’è sempre stato un legame, non sappiamo perché ma è così. Vengono ad un nostro richiamo, scelgono i loro cavalieri… -

- Cavalieri? - Kathe si voltò di scatto a guardarlo - Li cavalcate? - domandò esterrefatta. Il muso era freddo al tatto, come quello di un rettile, rigido e coriaceo.

- Sì - rispose semplicemente Lewel - Il suo nome è Chandrashekhar ma io lo chiamo Khar - all’udire il suo nome il drago ruggì e Kathe si rifugiò fra le braccia del Principe.

- Avrei preferito tu mi abbracciassi senza essere spaventata dal ruggito di un drago ma non si può sempre avere tutto - le sorrise dolcemente e la lasciò andare.

- Lewel, avete una vita molto lunga, completamente diversa dalla nostra e tuo padre e tua madre non avrebbero certo approvato un’umana per il loro figlio -

- Non devi spiegarmi niente, Kathe - Lewel scosse la testa - Se fossi stato umano probabilmente avrei lottato per averti ma io sono elfo, hai fatto la tua scelta e va bene così -

Kathe gli gettò le braccia al collo abbracciandolo stretto sotto lo sguardo vigile del drago.

Il Principe si staccò dolcemente e si rivolse al drago in elfico. La creatura scosse il muso e lo puntò verso Kathe. La giovane allungò una mano toccandolo.

- Addio Khar - sussurrò Kathe al drago.

Il drago sbatté le grandi ali e si involò gettandosi oltre la rupe. La luna inondò di nuovo sperone roccioso. Nonostante ciò che era venuta a dire a Lewel, quella visita si era rivelata una sorpresa continua che li aveva arricchiti profondamente. I regnanti elfi, Elianna e ora il drago.



La mattina seguente ripartirono, Lewel e Eliros li accompagnarono alla carrozza che li avrebbe riportati alla radura. Tre elfi a cavallo tenevano i loro destrieri per le briglie. I saluti furono brevi e Kathe si sentì estremamente in imbarazzo mentre Lewel sembrava sereno. Non avrebbe mai dimenticato l’elfo né l’incontro col drago d’argento.

Appena la carrozza raggiunse i margini della città di Solisthar vennero nuovamente colti dal sonno magico. Kathe rifletté prima di addormentarsi che la città elfica poteva anche essere a decine di chilometri di distanza in qualsiasi direzione.

- Siamo arrivati - biascicò Klod scuotendo le sorelle. Scese dalla carrozza sgranchendosi le braccia e prese il cavallo che gli stava porgendo l’elfo. Celia e Kathe presero i loro e osservarono gli elfi scomparire nella foresta.

- Sei proprio sicura di voler rinunciare a tutto questo? - chiese Klod alla sorella con volto mesto.

Kathe lo guardò aggrottando la fronte e spronò il cavallo verso la palude senza rispondergli.



Celia non riusciva a mantenere la calma. Aveva chiesto un colloquio all'Alto Chierico ma ora che si trovava davanti alla sua porta avvertiva uno spiacevole sudore freddo sulla schiena. Il Messo uscì facendo scricchiolare la porta.

- Prego, puoi entrare - le disse, lasciò che scivolasse dentro, chiuse la porta e se ne andò.

Il sole stava tramontando e Adam Nateshwar era seduto alla sua scrivania. Adesso non era più così sicura che raccontargli di Elianna fosse la cosa giusta da fare. Espirò il fiato e si fece avanti.

- Buonasera, Maestro - esordì con un lieve inchino. L'Alto Chierico sollevò la testa come se non si fosse accorto della sua presenza finché non aveva parlato.

- Celia, siediti - disse indicando la sedia davanti alla scrivania. La osservava attento e lei sentiva su di sé quegli occhi intensi che assomigliavano incredibilmente a quelli del figlio.

- Come mai questo colloquio, c'è qualcosa che non va? - la gentilezza con cui glielo chiese fece sentire Celia ancora più in colpa. Si schiarì la gola cercando di mantenere il controllo delle proprie emozioni.

- Maestro durante la nostra visita nel Regno degli elfi è accaduto qualcosa - iniziò la giovane, evidentemente a disagio sulla sedia. Adam si fece immediatamente attento raddrizzandosi sullo scranno in attesa che proseguisse.

- La figlia minore di Re Nofiles era inferma da anni, confinata in una non-vita. Vi ricordate la scatola che ho consegnato al Monastero di Albany quasi un anno fa? - Adam annuì lentamente.

- Conteneva una pozione creata dai Guaritori di Fir Ze per il Re elfo ma non ha aiutato la bambina. La regina Yashila conosceva i fatti accaduti presso le catacombe di Hilizia e mi ha chiesto di aiutarla - la sua voce si spense in un sussurro.

- Che hai fatto, Celia? - le domandò l'Alto Chierico lentamente, la voce appena udibile, colma di rammarico.

- Ho evocato il potere di Sosistras Maestro, lei ha guardato di nuovo dentro di me e mi ha concesso di salvare Elianna - si interruppe incapace di sostenere lo sguardo del chierico che la penetrava. Adam strinse le labbra come impedendosi di parlare.

- Temo che non sia finita qui - aggiunse dopo qualche attimo di riflessione. Celia sollevò lo sguardo per riabbassarlo immediatamente.

- Mi ha chiesto qualcosa in cambio - ammise la giovane fissando un punto a terra. Adam si alzò in piedi poggiando le mani sulla scrivania -

- Sosistras ti ha parlato? - chiese in un sussurro. Celia annuì. L'anziano chierico celò abilmente la sua meraviglia. Gli dèi raramente rivolgevano la parola agli uomini, davano e toglievano i poteri in base alle loro considerazioni ma non si fermavano a fare due chiacchiere.

- Cosa le hai dato in cambio? - chiese ancora.

- Non lo so, mi ha solo chiesto se ero disposta a cedere qualcosa di me - Celia cercò di sostenere lo sguardo del suo Maestro. Adam strinse di nuovo le labbra come se stesse pensando intensamente.

- Torna nei tuoi alloggi Celia. Non farò menzione di questo all'Ordine, non avresti alcuna possibilità di affrontare il cavalierato in questa situazione. Hai infranto la regola due volte e per tua ammissione. Non avrai altro modo di sapere ciò che la dèa vorrà finché non te lo richiederà. Questo ti sia di monito per il futuro, non si gioca con le forze divine, il loro potere è immenso e non sempre lo applicano come noi ci aspetteremmo, per questo l'Ordine ha imposto una regola per quel tipo di incantesimo - la sua voce non era arrabbiata né acre, solo piena di comprensione.

Celia annuì profondamente colpita dalle sue parole. Attese qualche secondo poi si alzò e uscì. Adam Nateshwar osservò le spalle abbattute della giovane, aveva rischiato ben più di ciò che immaginava. Gli dèi erano imprevedibili e misteriosi, non potevi sapere a priori cosa avrebbero fatto né cosa passava per le loro menti insondabili ed eterne.

Si alzò ed estrasse un grande libro dalla copertina di legno levigato, antico e consunto. Lo appoggiò sulla scrivania facendo posto e lo aprì lentamente per non rovinare le pagine. Erano secoli che l'Ordine riportava le maledizioni degli dèi a seguito di patti stipulati per ottenere dei poteri. Celia stava seriamente rischiando la vita o, cosa ancor peggiore, una modifica radicale al suo stile di vita o al suo fisico. Non potevi mai sapere cosa avrebbe preso un dio in cambio del potere che ti permetteva di usare. Sosistras le aveva permesso di salvare suo figlio e di questo non poteva che essere immensamente grato a entrambe ma con la principessa elfa la dèa aveva chiesto uno scambio. In passato altri chierici si erano lasciati ammaliare dal potere divino, dalle promesse di eternità e grandezza e avevano pagato tutti un caro prezzo. Molti erano stati trasformati per servire lo scopo del dio, altri avevano perduto l'anima diventando corpi morti in movimento sulla terra, altri erano morti e la loro anima vagava irrequieta per il mondo. Adam Nateshwar chiuse gli occhi chiudendo il libro.

Celia Hianick non si meritava niente di tutto questo.


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Capitolo 29
*** Il Cavaliere, la Maga e il Capitano ***


29. Il Cavaliere, la Maga e il Capitano


Finalmente l’estate aveva inondato coi suoi colori caldi le campagne del Ducato di Tockaha. La Contea di Torap risplendeva d’oro per i suoi campi di grano che presto sarebbe stato battuto. Ogni anno si teneva una grande festa per il raccolto che veniva fatto e partecipava anche la famiglia Hianick. Tutte le fattorie erano in fermento e anche la città si era riempita di mercanti per l’imminente fiera.

Erika, quell’anno, avrebbe organizzato solo una cena informale per un centinaio di ospiti che avrebbero compreso i parenti più stretti e i fattori che operavano nella Contea con le rispettive famiglie perché i figli erano impegnati nei loro corsi di studi. Fabris avrebbe partecipato alla festa delle fattorie che solitamente si teneva presso la grande fattoria di Darmesh dove venivano allestiti tavoli e si cucinava per tre giorni per rifocillarsi dalle fatiche della mietitura.

La signora del castello osservava la servitù indaffarata che stava sistemando il salone per la cena che si sarebbe svolta fra tre giorni. Era molto caldo e invece dei fiori freschi aveva optato per grandi fasci di spighe dorate e girasoli, molto più resistenti e colorati. Non sarebbe stata la stessa cosa senza i figli e il castello era vuoto da quando loro lo avevano lasciato ma era una ricorrenza troppo importante per il popolo e non potevano esimersi dal festeggiarla.

Celia avrebbe lasciato l’Ordine e fra qualche mese avrebbe sposato Alexei Arstid, questo stava ripagando tutte le tensioni e la tristezza per la sua lontananza. Non era il posto per lei e aveva dovuto mantenere un estremo autocontrollo quando Kathe le aveva raccontato di Mark Nateshwar, Cavaliere dell’Ordine e figlio di Adam Nateshwar, Alto Chierico del Monastero di Torap. La moglie dell’Alto Chierico era la sorella del Patriarca e il figlio era stato nominato più volte per il suo coraggio e la determinazione con cui gestiva il Monastero di Albany ma non voleva neanche immaginare Celia con quell’uomo che non avrebbe potuto darle alcun futuro. Aveva tirato un sospiro di sollievo invece quando le aveva raccontato di Arielle Roderick di Pemiol. Avrebbe preferito Helen di Rovilon per Klod, figlia del Conte Berin, ma anche Arielle era un ottimo partito e Fabris non avrebbe fatto obiezioni ad una loro eventuale unione. Le due contee ne avrebbero giovato sicuramente, rafforzandosi sia economicamente che militarmente.

Inevitabili furono i ricordi legati a Cedric Berin. Erano passati così tanti anni ma un sorriso le apparve sul volto. Una delle ragazze posò un mazzo di girasoli in vaso al centro di un grande tavolo rotondo assicurandosi che fosse perfetto. Erika scese la scala e raggiunse la sala scrollandosi di dosso i ricordi.

Poi Kathe le aveva raccontato ogni cosa della Scuola di Magia e di quello che era accaduto nell’ultimo anno. Aveva cercato di dissuaderla dal frequentare quel tipo poco raccomandabile ma si era resa conto all’istante che ne era innamorata, niente di ciò che avrebbe detto le avrebbe fatto cambiare idea. Mentre Kathe raccontava, rigirava fra le mani una spilla molto bella, era nervosa e Erika comprese immediatamente che non le stava dicendo tutto. Le aveva detto che sarebbe stata via qualche giorno e poi sarebbe tornata alla Scuola per affrontare l’ultimo esame. Era una conversazione avvenuta ormai due mesi prima e da allora non aveva avuto più modo di parlare con lei né con gli altri due figli.

E poi c’era Fabris. Dall’ultima festa che avevano dato al castello stava macchinando qualcosa. Aveva provato a parlargli ma lui aveva borbottato parole incomprensibili e si era chiuso nel suo studio. Trascorreva la maggior parte del suo tempo fra l’allevamento di cavalli, i campi e le botteghe di tessuti di Torap. C’era qualcosa che bolliva in pentola ma non era riuscita a scoprire cosa. Quella mattina era la terza volta che un Messo dell’Ordine di Fir Ze faceva visita al loro castello. Raggiungeva Fabris nel suo studio e ne usciva dopo ore. Aveva ospitato a cena anche diverse famiglie di ricchi mercanti di Torap, le signore erano state intrattenute dai cantori e musici, mentre gli uomini si erano chiusi in quello studio. Quanto avrebbe voluto essere una mosca per ascoltare quello che stavano tramando! Celia, Kathe e Klod erano impegnati nel completare i loro studi, era fiera e orgogliosa di loro ma le mancavano terribilmente. Adesso non le restava che attendere che tornassero.



Il Comandante Arnesh gli fece scontare ogni giorno di permesso che Klod aveva chiesto. Lavorava talmente tanto che aveva poco tempo per allenarsi con le armi ma non si rassegnò alle angherie del Comandante e chiese a Shazer di allenarlo la notte e l’amico si disse disposto ad aiutarlo senza riserve. Erano entrambi stanchi e durante il giorno Arnesh, che sapeva perfettamente delle uscite notturne dei due giovani, non gli dava tregua, li scherniva, li appellava con epiteti e soprannomi che facevano ridere il resto dei soldati.

- Un giorno riuscirò a prendere il suo posto di Comandante! - ringhiò Klod evitando un affondo di Shazer.

- Lascia perdere Klod, non ne vale la pena, in fondo Arnesh fa solo il suo lavoro - sibilò Shazer ritirando la lama ed evitando un affondo.

- Sei pronto? - gli chiese l’amico dopo una serie di scambi rapidi.

- Sì - rispose Klod senza perdere la concentrazione.

- E Arielle sa della prova? - Shazer arretrò rapido per evitare un fendente. Klod ebbe un’esitazione e si ritrovò la punta letale della spada dell’amico al petto.

- No, non è importante che lo sappia - borbottò lui gettando la spada a terra e prendendo un mazzafrusto.

- Non devi pensare a lei durante la prova, ti deconcentri e Arnesh ti massacrerà - concluse Shazer sorridendo.

- Mi preoccupa molto più la prova tecnica di quella fisica - strinse il mazzafrusto e si lanciò all’attacco.

- Se hai studiato non hai niente da temere, non è difficile, me l’ha detto Aron che è diventato Capitano due anni fa, l’hanno mandato al confine col Regno dei Nani, ci sono dei subbugli lì… - Shazer mise la spada davanti a sé e le catene del mazzafrusto si attorcigliarono, c’era un solo modo per liberarsi da quella presa ed eseguì la tecnica alla perfezione. Klod alzò un sopracciglio quando vide la sua arma volargli via di mano.

- Sono sfinito - Klod si lasciò cadere a terra.

- Tutte scuse - Shazer lo imitò e si distese con le mani dietro la nuca.

- Conoscendo Arnesh mi spedirà in qualche angolo buio del Regno… - borbottò Klod osservando il cielo stellato.

- Non credo, sei il figlio del Conte, non lascerai Torap - e gli strizzò l’occhio.

- Mio padre mi ha già detto che dovrò seguirlo nell’amministrazione della Contea, non mi lascerà mai fare il soldato - sbuffò il giovane che iniziava a sentire le catene della responsabilità. Frequentare l’Accademia, la Guarnigione e partecipare alle avventure con le sorelle e Erik era stato davvero meraviglioso ma le cose sarebbero cambiate. Ciò nonostante non aveva alcuna intenzione di affrontare l’esame con meno determinazione e avrebbe sconfitto il suo avversario davanti alla Commissione di Comandanti che sarebbe venuta a giudicare i candidati alla carica di Capitano.

Nella prova tecnica c’erano dei veri e propri esercizi scritti di tattiche di guerra, imboscate, gestione approvvigionamenti, dislocazione delle risorse, valutazione delle armi e delle soluzioni migliori su campi di battaglia diversi. Potevano trattare qualsiasi argomento e se l’esame scritto non soddisfaceva, la Commissione poteva richiedere un’ulteriore verifica orale.

- Sarà meglio andare a dormire, domani ti aspetta la prova - Shazer si alzò e gli tese la mano.

- Grazie dell’aiuto - rispose Klod afferrandola.

- E’ stato un piacere, Hianick - Shazer gli sorrise tirandolo su.



I candidati alla prova estiva per la carica di Capitano vennero svegliati all’alba. Il Comandante Arnesh era stranamente silenzioso. I sei giudici della Commissione che avrebbe valutato i candidati, e di cui lui non faceva parte, venivano da altre Guarnigioni ed erano alloggiati nella caserma riservata agli ufficiali. Al mattino ci sarebbero state le prove tecniche, al pomeriggio quelle fisiche e nella giornata seguente avrebbero affisso tutti i risultati. Arnesh sostava immobile davanti alla bacheca all’esterno del suo ufficio, ancora piena dei precedenti risultati e di altre comunicazioni. Nell’edificio dove venivano fatti gli allenamenti con le armi quando fuori il tempo non lo consentiva vennero allestiti dei rozzi tavoli dove i candidati avrebbero affrontato la prova scritta. Erano ormai molti anni che all’esame, inizialmente solo una prova di abilità con le armi, era stata integrata una verifica delle capacità intellettuali. Ai soldati non era più consentito non saper leggere e scrivere e dovevano avere dimestichezza coi numeri. Un Capitano gestiva approvvigionamenti e monete, doveva essere in grado di contare e tenere registri oltre che essere un abile spadaccino.

La maggior parte degli uomini che si presentava alle caserme aveva tanti muscoli e poco cervello per questo restavano a vita dei semplici soldati. Poi ogni tanto arrivava qualcuno che si distingueva e non sempre le sorprese venivano dalla nobiltà, dove era più frequente che i bambini ricevessero un’educazione scolastica. Klod Hianick era arrivato con troppe idee in testa e poca voglia di fare inoltre era il figlio del Conte ma Arnesh non si era mai fatto intimorire dalla sua origine e lo aveva trattato come ogni altro soldato, anzi a guardare bene era stato sicuramente più severo. Però aveva ottenuto dei risultati: era diventato un ottimo stratega e un abile guerriero, con la spada era capace di inventarsi mosse efficaci che disorientavano l’avversario. Avrebbe voluto mandarlo al confine con le Terre del Fuoco a sud, per dare manforte ad una Guarnigione il cui valoroso capitano aveva da poco perduto la vita ricacciando un gruppo di orchi. Erano territori pericolosi e le Guarnigioni erano fondamentali per evitare che altre razze invadessero il Regno e sterminassero persone innocenti. Ma era già arrivata la lettera, direttamente dal Comandante Superiore delle forze del Regno di Aliati che rispondeva direttamente a Re Fredrik, con cui informava Arnesh che Klod Hianick sarebbe tornato alla sua famiglia e non doveva essere inviato presso altri avamposti a prescindere dall’esito dell’esame.

Il Comandante si voltò verso la corte interna della Guarnigione. Il sole era già spuntato, scorse la guglia della torre del castello del Conte e si domandò per quale motivo i nobili dovevano mandare i loro figli in posti come la Guarnigione per poi richiamarli a casa.

Si diresse al suo ufficio preparandosi per quella lunga giornata, avrebbe incontrato i candidati e sarebbe stato un ostacolo per ognuno di loro, soprattutto per Hianick che lo vedeva come un nemico e non c’è bersaglio più vulnerabile di uno arrabbiato e deconcentrato.



Klod si alzò indolenzito alla sveglia dell’alba. Si sentiva poco riposato e sapeva che questo avrebbe influito sulla sua prova. Si recò ai bagni e ne fece uno gelido, riempiendo la tinozza direttamente con l’acqua del pozzo. Per fortuna l’estate era calda e il sole ardeva prepotente sulla Contea. Si rivestì e alla mensa trovò gli altri sette candidati che come lui avrebbero affrontato la prova quel giorno. Mangiò abbondantemente sapendo che fino alla fine della prova, quella sera, non avrebbe rivisto cibo. Rimasero tutti in silenzio e non si guardarono nemmeno, la tensione era percepibile.

Come voleva la prassi, si recarono all’ufficio del Comandante Arnesh per registrarsi. Quando entrarono, c’erano anche i sei giudici della Commissione. I giovani sbrigarono tutte le pratiche e vennero accompagnati nella stanza dove avrebbero affrontato l’esame scritto. C’era un’atmosfera densa e pesante e la tensione poteva essere tagliata con la lama di una spada. Quando attraversarono la corte, tutto era pronto per gli incontri del pomeriggio dove ogni candidato avrebbe affrontato un avversario in un combattimento in cui sarebbero state messe alla prova capacità, concentrazione e inventiva.

La sala allestita coi tavoli era priva di aria, nonostante fosse mattina presto la calura estiva ammantava ogni cosa e perfino il legno sembrava sudare. I sei commissari si sedettero al lungo tavolo con brocche e bicchieri d’acqua, i candidati presero posto su quello di fronte che aveva già le pergamene predisposte con pennini e calamai. Arnesh entrò da una porta laterale e si mise di fianco all’ultimo commissario, un Comandante di una Guarnigione vicino alle Terre del Fuoco con una profonda cicatrice sull’avambraccio sinistro.

- Bene signori, quest’oggi affronterete l’esame per la carica di Capitano. Risolvete i quesiti posti sulle pergamene, avete sei ore di tempo al termine del quale ritireremo tutto. Nel pomeriggio si svolgerà la prova fisica - guardò ognuno di loro e parlò lentamente. Klod lo osservò, era rilassato e teneva le mani incrociate dietro la schiena, indossava un’armatura borchiata e aveva la spada al fianco come sempre. Nessuno dei commissari parlò, restarono tutti in silenzio e tenevano lo sguardo sui giovani davanti a loro: non avevano ancora preso in mano i pennini ma l’esame era già iniziato. Erano tutti uomini adulti, forgiati da molte battaglie, Comandanti di altre Guarnigioni sparse per il regno e Klod ringraziò la dèa di non dover incontrare nessuno di loro nel combattimento del pomeriggio. Prese il pennino e iniziò a leggere le pergamene.



Kathe chiuse il grande libro di incantesimi che stava consultando in biblioteca. Alzò la testa e guardò fuori, il sole era già alto. Klod stava sicuramente affrontando il suo esame. Gli avevano chiesto se si poteva assistere ma lui aveva scosso la testa, spiegando che tutti gli esami erano sempre interni alle Guarnigioni. L’unico esterno che veniva ammesso era il Guaritore del Monastero che veniva convocato per prestare aiuto durante i combattimenti.

Emise un sospiro e riportò il libro a posto. La sua prova sarebbe stata fra una settimana, non si sentiva affatto pronta e il colloquio della sera precedente con la professoressa Yvette non l’aveva rassicurata. L’esame consisteva sempre in una serie di situazioni in cui veniva chiesta al mago una risoluzione con il solo ausilio della magia. A volte le simulazioni erano state così reali che i maghi ne erano usciti provati, feriti e in alcuni casi avevano perduto il senno. Ciò non era confortante. Stava facendo una vita da reclusa, non vedeva più i suoi fratelli né Erik. Avrebbe voluto parlargli di suo padre prima dell’esame e dirgli di Lewel, ma al ritmo in cui studiava non sarebbe mai riuscita a incontrarlo, non vedeva neanche il sole.

Camminò lentamente fra due scaffali cercando attentamente un libro, quando lo vide prese uno sgabello, ci salì sopra e lo prelevò. Aveva la copertina blu notte e un fregio argento. Le rune dicevano semplicemente: magie di morte. Non si era mai interessata a quel ramo e non conosceva incantesimi che strappassero la vita con una parola, ma ritenne doveroso esplorare anche quel campo nel caso in cui gli fosse risultato necessario durante la prova. Lasciò la biblioteca e tornò nella sua stanza, quel libro necessitava di tutta la sua attenzione e concentrazione. Nel breve tragitto levò una veloce preghiera alla dèa, che proteggesse suo fratello e gli desse la forza e la determinazione per superare l’esame. Domani sarebbe stata la volta di Celia. Il castello era in fermento, la loro madre stava impazzendo per preparare le nozze con Alexei e l’ultima volta che aveva visto la sorella aveva la fronte aggrottata ed era nervosa, di certo non era l’atteggiamento giusto per affrontare la commissione dell’Ordine.

Entrò in camera, i corridoi della scuola erano silenziosi e deserti e non incontrò nessuno. Appoggiò il libro sulla scrivania e si sedette. L’ultimo pensiero prima di immergersi nella lettura fu per suo padre: aveva fatto breccia nel suo cuore, lo aveva spinto ad agire nella direzione giusta?



Sapeva che l’avrebbe perduta. L’aveva capito il giorno in cui le aveva visto l’anello al dito. Aveva raggiunto un tale grado di follia da aver pensato di chiedere aiuto a sua madre che intercedesse presso il Patriarca e costringesse i due Conti a rinunciare a quel matrimonio combinato. Il Patriarca Eldingar Jaldhar era suo zio, ma non aveva mai neanche pensato di sfruttare la parentela per raggiungere i suoi scopi. E non l’aveva neanche mai chiamato zio. Ma in un momento di lucidità aveva visto il volto di Celia: non avrebbe approvato e probabilmente si sarebbe infuriata. Sorrise in silenzio mentre la osservava dalla finestra dello studio dell’Alto Chierico durante un allenamento nella corte esterna contro il suo maestro. Era arrivato durante la notte, non voleva si sapesse che era al Monastero. Aveva raggiunto silenziosamente gli alloggi di suo padre, era entrato socchiudendo la porta ma Adam Nateshwar era seduto alla scrivania e aveva alzato lentamente la testa.

- Sapevo che non avresti obbedito - gli aveva detto con sguardo truce. No, non ce l’aveva fatta.

- Mi dispiace, padre - era l’unica cosa che era stato in grado di dire abbassando lo sguardo come quando era un ragazzino.

- Trovati un posto dove dormire e non farti vedere in giro se non vuoi davvero rovinarle la vita - aveva riabbassato lo sguardo sul tomo riprendendo la lettura.

Questo era accaduto la notte precedente. Adesso si trovava nello studio del padre e guardava la corte del Monastero fuori dalla finestra.

Aveva ricevuto una missiva da Kathe Hianick una settimana prima. Quella maga estrosa e imperscrutabile restava un mistero per lui. Lo informava blandamente che nella giornata di oggi Klod avrebbe affrontato la sua prova per diventare Capitano e che Celia lo avrebbe fatto il giorno seguente. Aveva meditato a lungo, più volte si era convinto a restare ad Albany, a non tornare a Torap solo per vederla senza essere visto. Suo padre era stato inamovibile, con poche parole gli aveva ordinato di restare a fare il suo lavoro e di iniziare a pensare a qualcosa di diverso dal Messo dai capelli biondi. Ma nonostante tutta la sua buona volontà e gli impegni, la mente aveva sempre davanti lei, il suo sorriso, le sue mani, il suo sguardo. Era ritornato sul ragionamento più volte e dopo aver deciso di restare ad Albany si era ripromesso di non pensarci più. Poi era partito. Aveva pensato anche ad altre soluzioni più drastiche. Conosceva tanta gente, delinquenti dei peggiori bassifondi e ne aveva spediti tanti nelle celle delle Guarnigioni. Ma pagare qualcuno per uccidere il figlio del Duca non faceva proprio parte del suo stile. E poi come avrebbe vissuto col rimorso? Inoltre c’era l’interrogativo più grande: non era affatto sicuro che Celia l’avrebbe accolto a braccia aperte.

- Se resterà calma e lucida non avrà alcun problema a superare la prova domani - Mark sussultò nell’udire la voce di suo padre alle spalle, non l'aveva neanche sentito entrare, tanto era assorto.

- Ci sono dodici aspiranti Chierici Cavalieri e per quanto mi riguarda sono tutti pronti per diventarlo, Celia compresa. L’Ordine ha mandato Sir Thorin dal nord… - Adam lasciò la frase in sospeso. Thorin era un Cavaliere esigente e non erano state rare le volte in cui aveva affrontato di persona i candidati.

- Sir Thorin Halicar… - Mark sussurrò il nome del gigantesco Cavaliere tornando a fissare la corte e Celia che schivava abilmente un affondo. Voci lo volevano imparentato coi minotauri tale era la sua imponenza.

- Cercherò di mantenere le acque calme, non voglio che qualche aspirante Cavaliere ci rimetta la vita - aggiunse Adam sospirando. L’Alto Chierico faceva parte della commissione esaminatrice e fungeva da collante fra i progressi dell’allievo e gli esaminatori che non sapevano niente di loro. Non partecipava però ai giudizi finali. Se un allievo si preparava adeguatamente, la prova non era particolarmente difficile, ma quando erano le donne ad affrontarla, accadeva sempre qualcosa. I quattro commissari erano tutti uomini e Celia l’unica donna a presentarsi. Era alla pari se non migliore di tanti uomini ma il mondo ancora non accettava questo tipo di parità. Era sicuro che non avrebbe avuto alcun problema a superare l’esame in sé, nonostante l’insicurezza che gli aveva manifestato solo il giorno prima, ma la cosa che avrebbe potuto danneggiarla di più riguardava l’uso non autorizzato dell’incantesimo che aveva riportato in vita suo figlio. La dèa le aveva dato il potere e questo sarebbe bastato a convincere chiunque della bontà dell’azione ma l’Ordine aveva una visione tutta sua di come doveva essere usata la magia divina, soprattutto la resurrezione.

- Non avrei dovuto lasciarla andare - mormorò Mark indurendo lo sguardo.

- Donne come Celia sono difficili da incatenare - Adam incrociò le braccia dietro la schiena seguendo lo sguardo del figlio e fissandolo sulla chierica. Sapeva perfettamente cosa stava passando il figlio, conquistare sua madre e sposarla era stata l’impresa più ardua e difficile della sua vita.



Era il momento, la corte era affollata, c’erano tutti. Aveva assistito ai tre precedenti combattimenti e i suoi compagni si erano difesi bene dai tre avversari, tutti veterani della Guarnigione, abili e spietati, ai quali non interessava affatto concedere alcun vantaggio o aiuto ai candidati, ma lottavano come se avessero davanti il loro peggior nemico. Sentiva il sangue ribollire nelle vene e il cuore che batteva furioso in attesa dello scontro.

- Hianick - il comandante Igor delle Terre del Fuoco chiamò il suo nome a voce alta. Klod annullò ogni pensiero e si concentrò. Mentre si incamminava al centro dell’arena improvvisata, estrasse lentamente la spada con un movimento fluido che sembrava solo una prosecuzione dell’arco elegante che fece il suo braccio. Indossavano tutti la stessa armatura di cuoio borchiato e affrontavano lo scontro che l’arma che preferivano. Si fermò al centro, gli occhi leggermente socchiusi per la calura, il respiro lento e controllato, in attesa che il suo avversario uscisse dalla caserma. Probabilmente lo conosceva. Aveva osservato tutti gli allenamenti, appena avesse visto il suo volto avrebbe saputo anche i suoi punti deboli. La porta scricchiolò, si aprì e Klod fu costretto a serrare con forza l’impugnatura della spada per evitare che cadesse a terra. Il comandante Arnesh avanzò lentamente, un sorriso sornione appiccicato sul viso fiero e rigido indicava quanto fosse compiaciuto dell’effetto che stava facendo sul giovane Conte.

Un mormorio insistente serpeggiò tutt’intorno, ma il Comandante Igor batté un pugno spazientito sul tavolo e tutti tacquero. I due avversari, in silenzio, iniziarono a girare in cerchio fronteggiandosi, analizzandosi, aspettando il momento opportuno per fare la prima mossa. E fu Arnesh ad effettuare il primo, rapido affondo, esattamente quando Klod si trovò con il sole in faccia. Il giovane reagì più d’istinto che di tecnica, scartò di lato mettendo la sua spada fra sé e la lama del suo Comandante. Rotolò a terra e si rialzò rapido, la mente che cercava di ricordare quali punti deboli avesse il suo avversario. Arnesh era un vero bastardo e voleva metterlo alla prova fino alla fine, ma non avrebbe ceduto!

Arnesh sorrideva lievemente, solo un angolo piegato della bocca ma, per la dèa, se lo faceva infuriare. Eseguì alcuni affondi dettati dalla rabbia e fu facile per il Comandante intralciarlo, fermarlo e farlo cadere di nuovo. Klod si rialzò di scatto, senza dare la schiena al suo avversario. Doveva calmarsi, così l’avrebbe sconfitto. Gettò uno sguardo alla commissione e gli bastò per rendersi conto che non stava dando un bello spettacolo. Inspirò ed espirò profondamente rilassandosi e ritrovando la calma. Arnesh comprese il gesto e finalmente si mise in guardia. Ora sarebbe cominciato il combattimento vero.

Klod isolò l’arena, rumori, calore, emozioni, tutto sparì, c’era solo Arnesh. Si scambiarono fendenti rapidi e potenti, se fossero andati a segno avrebbero potuto uccidersi a vicenda ma nessuno dei due sembrava intimorito. Spesso si trovarono a pochi centimetri, il sudore che imperlava le loro fronti, gli sguardi concentrati e freddi. Arnesh eseguì alla perfezione tecniche e passi come fosse una danza letale ma Klod respinse ogni suo attacco e il primo sangue fu del Comandante. Per un attimo Arnesh rimase scoperto sul lato sinistro e Klod ne approfittò rapido come un serpente lasciando un taglio profondo sull’avambraccio dell’avversario.

Il giovane sorrise per la prima volta nonostante lo sguardo e il respiro rimanessero freddi e concentrati. Si allontanarono per riprendere fiato, girando in circolo e valutandosi, il sangue gocciolava lento sulle pietre polverose e bollenti della corte, ma non sembrava aver distratto Arnesh. Colpì di nuovo, veloce, fintò e si ritrovò addosso al giovane. Spinse con la spalla gettandolo a terra e gli puntò la spada al petto. Klod sollevò la schiena dolorante, stava per disimpegnarsi da quella situazione ma la voce roboante di Igor interruppe la prova.

- Basta così! - disse, Arnesh ritirò la spada rinfoderandola e protese una mano per farlo rialzare. Klod strinse i pugni e digrignò i denti ma accettò alla fine la mano tesa rialzandosi. Con la spada in mano si diresse ai bagni per lavare via la polvere e il sudore dalla pelle, la mente un turbinio di pensieri in cui si malediceva per la sua stupidità. Arnesh osservò le spalle del giovane che, nonostante tutto, si era difeso bene, ma sembrava non essere soddisfatto del risultato. Diverse volte lo aveva messo in difficoltà anche se non se ne era accorto, probabilmente. Era davvero un peccato che dovesse lasciare la Guarnigione.



Aveva provato a dormire, si era impegnata ma proprio non ce l’aveva fatta. Era nervosa, irritata e il cuore le batteva a mille. Così ebbe tutta la notte per pensare e ricordare. Quella mattina Klod avrebbe saputo l’esito della sua prova e lei avrebbe iniziato la sua. Pensò al fratello sorridendo e levò una preghiera silenziosa e accorata alla dèa chiedendole di sostenere quel suo fratello avventato e orgoglioso. Immancabile fu un pensiero anche per Kathe che stava sicuramente studiando come una matta ma Celia era sicura che non avrebbe avuto alcun problema nel superare la prova. Sua madre era impegnata coi preparativi per il suo matrimonio e il cuore le si strinse in una morsa di gelo. Rigirò l’anello intorno al dito nel buio della camera che condivideva con altri sei chierici. Continuava a ripetersi che Alexei era bello e ricco, che era stata fortunata e che poteva andarle molto peggio. Ma l’incontro con il drago Ash e ciò che era avvenuto nelle catacombe di Hilizia aveva cambiato ogni cosa. Aveva aperto il suo cuore alla dèa per ricevere la capacità di usare la magia divina al suo massimo livello e così entrambe avevano potuto vedere la verità. Amava Mark così profondamente che la dèa non aveva avuto alcuna difficoltà a concederle quel potere. Era rimasta scioccata da ciò che celava nel suo cuore, era sicura di aver superato quel sentimento di anni fa ma l’aveva solo seppellito. Scacciò l’immagine dell’uomo dai capelli corvini e ripassò mentalmente alcuni incantesimi ritrovando la calma. Aveva imparato a richiamare la magia divina così rapidamente che sapeva sarebbe stato un punto a suo favore durante la prova pratica. Sorrise nel buio poi si alzò avvicinandosi alla finestra. Stava albeggiando, decise di lavarsi via la stanchezza di dosso e di andare a mangiare qualcosa. Lasciò silenziosamente la stanza e si diresse ai bagni all’esterno con una tunica grigia appoggiata al braccio. Nonostante fosse notte l’aria era calda e inspirò profondamente godendo di quel momento. Raggiunse la porta e la aprì evitando di farla cigolare. All’interno era buio, accese alcune torce e riempì una tinozza con l’acqua del pozzo subito fuori.

Il Cavaliere osservò la giovane fare avanti e indietro col pozzo. Il sole non era ancora sorto e lei era lì a lavarsi. Doveva proprio essere nervosa. Aveva fatto un passo per raggiungerla ma poi aveva cambiato idea: suo padre l’avrebbe spellato vivo. Restò ad osservarla finché non chiuse la porta e si dedicò al bagno.

Quando Celia uscì il sole era sorto. Si diresse alle cucine già in fermento e mangiò con calma, tenendo la mente sgombra. Si obbligò a quello stato rilassato, controllando la respirazione, pregando silenziosamente, ripassando gli incantesimi. Tornò in camera, si erano alzati quasi tutti, ripose l’armatura di cuoio nel suo baule, per la prova gliene avrebbero data una diversa. Rhienne le acconciò i capelli in una treccia come di consueto in modo che non le dessero fastidio durante il combattimento. Rimasero in silenzio a lungo finché l’amica non sospirò.

- Dicono che Sir Thorin a volte combatta con i chierici personalmente -

- Se fossi lui avrei un solo motivo per scegliere me come avversaria: umiliarmi. Ma gli renderò la vita difficile, promesso - Celia si voltò strizzando l’occhio all’amica preoccupata. Aveva pensato anche lei a quell’opzione e ciò che aveva risposto a Rhienne era la pura verità: non avrebbe permesso al gigante di intimorirla né di sopraffarla. Il lich nelle catacombe era stato un avversario più temibile. Un corno risuonò.

- Ci siamo - proferì Celia espirando. Si alzò dirigendosi verso la sala comune dove si sarebbe tenuta la prima parte dell’esame. Rhienne la seguì in silenzio. Poco prima che Celia tornasse in camera aveva visto Sir Mark, ma lui le aveva fatto segno di mantenere il silenzio ed era sparito nel buio del corridoio. Così non aveva riferito niente all’amica per paura di deconcentrarla. Ci mancava altro che Celia adesso si mettesse a pensare a quell’insistente Cavaliere pochi minuti prima della prova!

La sala comune era gremita, un mormorio diffuso rimbombava sommessamente. Da quando i chierici erano ammessi alla prima parte della prova? Celia spalancò la bocca, non voleva che tutti assistessero! Sentì Rhienne che le stringeva un gomito e si appoggiò all’amica in cerca di sostegno.

- Resta concentrata, andrà tutto bene - sussurrò la giovane avvicinandosi al suo orecchio.

L’Alto Chierico Adam Nateshwar fece il suo ingresso dalla porta laterale seguito dagli altri quattro commissari. Sir Thorin era facilmente identificabile, un gigante a cui mancavano le corna per somigliare ad un minotauro. E a Celia non sfuggì che non era solo muscoloso e potente ma anche agile e la sua camminata fluida lo testimoniava. Come si vince contro un avversario del genere? Semplice, non si vince, si cerca di sopravvivere.

- Silenzio! - gridò un Messo vicino all’Alto Chierico e tutti smisero di parlare.

- Un caldo benvenuto a tutti - iniziò l’anziano chierico - Come avrete notato da quest’anno abbiamo deciso di far partecipare gli appartenenti all’Ordine anche alle prove orali. Sono prove importanti, che non coinvolgono solo lo studio ma anche i sentimenti e le attitudini caratteriali. L’Ordine ritiene che le prove possano essere un ottimo bagaglio da acquisire sia per chi le sostiene che per chi le guarda, esattamente come il combattimento. Quindi siete pregati di mantenere il più assoluto silenzio durante le interrogazioni - si sedette accanto a Sir Thorin che sbuffò incrociando le braccia enormi al petto. Celia osservò anche gli altri tre commissari. Erano seri e silenziosi, l’ultimo a sinistra, con lunghi baffi neri, sembrava impaziente di terminare quella giornata e andarsene.

Dei dodici candidati, Celia fu ascoltata per ultima. Ci avrebbe scommesso. Era tesa e nervosa nonostante le rassicurazioni di Rhienne. Aveva fame e si sarebbe messa ad urlare per la rabbia e la notte insonne non la stava aiutando. Le domande spaziavano sugli argomenti più disparati, qualcuno venne tenuto di più, altri meno, a qualcuno venne chiesto di eseguire degli incantesimi, ad altri di usare oggetti o pergamene. Ci furono domande tecniche sui metalli, sulla sopravvivenza, sui colpi critici, ad un candidato venne chiesto se avesse mai visto la Dèa Madre Sosistras.

Sir Mark era rimasto nella stanza da cui erano usciti suo padre e i commissari. Poteva osservare Celia, la tensione era visibile anche a quella distanza e sorrise pensando che avrebbe tranquillamente potuto esplodere uscendosene con qualche frase tagliente delle sue e perdendo ogni speranza di accedere ai combattimenti del pomeriggio.

- Celia Hianick - la chiamò l’Alto Chierico sorridendo. Celia si fece avanti espirando tutta l’aria sotto la lieve spinta di Rhienne. Rimase in piedi davanti ai commissari come aveva fatto ognuno degli altri candidati. Sir Thorin la fissava intensamente, poi si alzò, forse per intimorirla, rimanendo però sempre dietro il lungo tavolo di legno, ma la prima domanda venne dall’ultimo Cavaliere a sinistra. Era di carattere generale e chiedeva un dettaglio circa la magia divina. Celia rispose e si susseguirono altre domande poste alternativamente dagli altri due Cavalieri. Sir Thorin passeggiava e la osservava ma non partecipò all’interrogazione. Trascorse circa un’ora a rispondere a tutte le loro domande, sembrava che le risposte non li soddisfacessero mai. Aveva quasi sperato di essere giunta al termine, quando il Cavaliere coi baffi alzò la testa verso Sir Thorin. Ecco dunque il vero esame.

- Siete la figlia maggiore del Conte di questa Contea, vero? - chiese dopo un attimo di silenzio. Celia si chiese cosa questo avesse a che fare con la prova.

- Sì, Sir - rispose limpidamente rimanendo immobile in piedi. Sentiva un formicolio fastidioso per il troppo tempo passato in quella scomoda posizione.

- Lascerete l’Ordine una volta terminato questo esame - era una constatazione di fatto, non una domanda, ma Celia rispose lo stesso, aggrottando leggermente le sopracciglia.

- Sì, Sir -

- Perché, dunque, avete voluto seguire questa strada se sapevate che non avreste potuto proseguire? Siete qui a farci perdere tempo? - si fermò di fronte a lei, solo il tavolo si frapponeva in mezzo.

- E’ stato mio padre a decidere, mio dovere è obbedire prima a lui che all’Ordine - rispose in un sibilo, era la sua vita privata e tutti stavano ascoltando. Che voleva questo gigante scorbutico?

- Quindi non vi interessa niente dell’Ordine e degli obblighi nei suoi confronti? - domandò secco Sir Thorin. Celia lo fissò con occhi roventi e si prese qualche attimo prima di rispondere.

- Ho meditato a lungo se disobbedire a mio padre ma l’impegno in cui mi ha costretto porterà benessere a tutta la Contea, il mio volere non ha alcun significato. Nonostante ciò, proprio per i miei obblighi verso l’Ordine, ho posticipato l’impegno il più possibile per sostenere questo esame e poter ottenere il titolo di Chierico Cavaliere per cui ho studiato e lottato per tanti anni e per permettere all’Alto Chierico di usarmi come meglio voleva in questo periodo. In questi anni trascorsi qui ho dedicato ogni momento all’Ordine, trascurando qualsiasi altra questione - la frase ponderata le uscì fluida, il tono della voce deciso ma moderato. Sir Thorin rimase in silenzio qualche attimo.

- Ma nonostante sembriate a conoscenza dei doveri che avete nei confronti dell’Ordine non avete esitato nell’usare la magia divina in modo improprio - proseguì implacabile il Cavaliere. Celia assottigliò gli occhi a due fessure e per un attimo guardò anche l’Alto Chierico. Le stava chiedendo perché avesse resuscitato Mark? Anche il Cavaliere, sullo stipite della porta, attento a non farsi vedere, si irrigidì stringendo i pugni. Tutto questo non aveva niente a che vedere con l’esame.

- Sono già stata sottoposta ad un interrogatorio e assolta - si difese Celia cercando di mantenere un tono civile.

- Ma adesso siamo qui noi a giudicarvi, Messo. Come potete chiederci anche solo di esaminarvi se ve ne andrete domani e non rispettate le regole dell’Ordine! Ci state solo facendo perdere tempo! - ripeté Sir Thorin con voce baritonale e profonda, la rabbia celata a stento.

Celia si impose qualche secondo di riflessione per evitare la prime dieci risposte pungenti che le erano balzate alla mente e che le avrebbero precluso definitivamente l’esame del pomeriggio e il raggiungimento dei suoi scopi.

- Probabilmente Sir, per voi è una perdita di tempo ma per me è il traguardo di un impegno che avevo preso e protratto nel tempo con determinazione e costanza e che se potessi proseguirei - rispose lentamente cercando di trattenere la rabbia che inevitabilmente affiorò e il dolore per tutto ciò che avrebbe perduto. Sir Thorin la fissava con sguardo truce, le fronte aggrottata non prometteva niente di buono.

- E’ risaputo che i figli dei nobili tornino all’ovile e sono anni che mi batto perché vi venga negato il permesso di entrare nell'Ordine! - sibilò - Presuntuosi, sfrontati, arroganti, restate qui qualche anno, vi credete superiori perfino agli dèi! - tuonò dall’alto della sua imponente stazza, gli occhi ardenti che non lasciavano adito a dubbi su come la pensava. Celia lo osservò per qualche istante, era così furiosa che gli avrebbe urlato contro. Cercò riparo con lo sguardo spostandolo sull’Alto Chierico con la speranza di guadagnare un minimo di autocontrollo. L’anziano uomo sostenne il suo sguardo e lei ci rivide inevitabilmente la determinazione del figlio. Inspirò e decise cosa rispondere.

- Ho levato una preghiera in un momento di estrema difficoltà e questa è stata accolta. Potete condannarmi ma io lo rifarei anche senza il consenso dell’Ordine - sapeva che con quell’affermazione si sarebbe giocata per sempre la possibilità di accedere alla seconda fase della prova ma non avrebbe mai ritratto la sua versione dei fatti né avrebbe ammesso un pentimento che non provava per aver infranto una regola. Senza contare che era proprio ciò che aveva fatto anche per Elianna.

Sir Thorin l’avrebbe fulminata con lo sguardo se avesse potuto.

- Vi rendete conto che utilizzare quell’incantesimo senza regole è pericoloso? Siete forse pazza? Cosa accadrebbe se l’Ordine non perseguisse chi abusa della resurrezione? -

Non sono pazza, sono innamorata! Avrebbe voluto rispondere, ma ebbe la prontezza di frenare la sua sua lingua.

- Se posso permettermi Sir, l’uso di tutta la magia divina ha un filtro naturale, indipendente dalla volontà del chierico, ed è l’intervento divino. Non vi siete mai accorto cosa accade quando usate la magia? Loro ci scrutano nell’anima, impossibile nascondergli un secondo fine. Se volessero potrebbero negarci la capacità di usare la magia… - ormai il danno era fatto e non voleva in alcun modo cedere di fronte a quel Cavaliere che, era chiaro, non vedesse di buon occhio le donne nell'Ordine. E lei era non solo donna ma nobile e aveva infranto le regole, un trio di negatività che Sir Thorin proprio non poteva accettare.

Il Cavaliere stava bollendo come una pentola. Mark aveva osservato tutta la scena, quell’inutile attacco che non aveva niente a che vedere con quella prova. Gli fu impossibile reprimere un sorriso di fronte alle risposte pacate ma infuocate che aveva dato Celia.

- Questo pomeriggio sarò io il vostro avversario - proferì infine Sir Thorin dopo aver riacquisito il controllo della sua rabbia. Si voltò e uscì a grandi falcate dalla porta principale della sala. I chierici si aprirono come due ali per lasciarlo passare. Celia abbassò finalmente lo sguardo, svuotata, avvertendo tutta la tensione di quegli attimi. Né l’Alto Chierico né gli altri tre commissari erano intervenuti.

- La sessione mattutina è terminata, potete andare. Nel pomeriggio si svolgeranno le prove di abilità - esordì Adam Nateshwar alzandosi lentamente. I tre commissari lo imitarono seguendolo nella stanza da cui erano entrati e dalla quale Mark aveva visto ogni cosa. Quando Sir Thorin era uscito, Mark aveva visto Celia abbassare la testa rassegnata e la rabbia l’aveva pervaso fin nel profondo. Aveva sacrificato ogni cosa per diventare Chierico Cavaliere e ora le precludevano la possibilità di ottenere quel titolo impuntandosi su cavilli inutili. Non contavano le missioni a cui aveva partecipato con coraggio e l'impegno che aveva profuso?

Mark aveva lasciato la stanza facendo ritorno allo studio di suo padre appena Sir Thorin era uscito dalla sala comune. Teneva i denti serrati e i pugni stretti ma era consapevole che se non voleva peggiorare la situazione avrebbe dovuto mantenere la calma. Suo padre aveva ragione: avrebbe dovuto restare ad Albany, aver ceduto a ciò che provava era stato un errore.



Celia probabilmente stava affrontando la prova in quell'istante. Klod si mise a sedere sul letto poggiando a terra i piedi nudi e rabbrividendo. La camerata era vuota e lui aveva un mal di testa che gli perforava il cervello. Il caldo era intenso e avrebbe voluto immergersi in una tinozza ma non riusciva a fare un altro movimento. Finiti i combattimenti del giorno prima inevitabilmente la stanchezza aveva preso il sopravvento sull'eccitamento che l'aveva pervaso nella prova contro Arnesh. Era furioso e insoddisfatto e si era chiuso in un silenzio cupo. Ma  Shazer era andato da lui e lo aveva trascinato insieme ad altri quattro in almeno dieci taverne di Torap. Era sicuro che sarebbe andato tutto bene, che vederlo combattere contro Arnesh era stato un vero spettacolo e che i commissari non potevano non aver notato la sua abilità contro un Comandante addestrato ed esperto.

Alla quinta taverna non ricordava più chi fosse e il mondo aveva un aspetto alquanto lattiginoso e stranamente mobile: le cose non sembravano mai essere nel punto in cui lui credeva fossero. Nonostante l'atroce mal di testa che l'affliggeva chiuse gli occhi al ricordo di Arielle. Ovviamente gli dèi non potevano concedergli almeno una volta la loro grazia e permettergli un attimo di debolezza senza che lei lo dovesse cogliere in flagrante. Aveva proprio questa spiacevole capacità innata di beccarlo in situazioni quanto meno compromettenti e questa volta per rimediare avrebbe dovuto fare qualcosa di davvero speciale, era sicuro che belle parole e baci ardenti non l'avrebbero mossa a compassione. Si strinse la testa fra le mani.

Shazer gli aveva portato l'ennesimo boccale di birra, avevano tutti e sei già oltrepassato il limite da tempo ma in qualche modo doveva scaricare la tensione. Stavano cantando una qualche canzone di cui non ricordava le parole quando tre ragazze si avvicinarono.

- Buonasera a voi messeri - disse la bionda dai grandi occhi azzurri - Siete soldati della Guarnigione, vero? - aggiunse suadente squadrandoli da capo a piedi, la divisa rossa e blu indicava la loro appartenenza.

- Sicuro, dolcezza - annuì Shazer imitato dagli altri cinque che fissavano le tre con sguardi roventi.

- Cosa festeggiate? - chiese la ragazza dai lunghi capelli neri sulla sinistra avvicinandosi a Shazer ancheggiando. Il giovane posò il boccale sul tavolo e piegò la testa verso di lei.

- Il nostro amico qui sta per avere la sua promozione - spiegò brevemente con voce tentennante mostrando un largo sorriso e indicando Klod.

- Possiamo unirci? - offrì la terza puntando lo sguardo sensuale su Daren che la stava spogliando con gli occhi. Indossava una gonna morbida e lunga e un corpetto che non vedeva l'ora di aprire.

- Ma certo! - annuì contento Shazer sebbene qualcosa in fondo alla mente gli stesse urlando che quelle non erano semplici ragazze…

La ragazza bionda spostò la sedia su cui Klod aveva poggiato i piedi, si avvicinò e gli salì  a cavalcioni avvolgendogli le braccia intorno al collo. Profumava di biancheria e Klod si perse in quello sguardo limpido che prometteva gioie incontenibili. Le afferrò le natiche, che si rivelarono sode e perfette, tirandola verso di sé.

- Avverto con piacere una certa... tensione - gli sussurrò nell'orecchio facendolo rabbrividire.

- Non resterai delusa, prometto - sussurrò a sua volta con voce roca e instabile. La giovane sorrise e gli baciò il collo. In quell'istante la vide.

Arielle era davanti a lui a braccia conserte e lo guardava con occhi di ghiaccio e le labbra tirate. Spostò lo sguardo sulle sue mani che tenevano strette le natiche della bionda, si girò e se ne andò in un frusciare di sete.

Non aveva neanche avuto la forza di alzarsi e seguirla tanto era stordito. Aveva appoggiato la testa al muro alle sue spalle chiudendo gli occhi e abbandonandosi alle carezze della bionda sconosciuta.

La porta della camerata si spalancò interrompendo i suoi ricordi e una fitta dolorosa gli trapassò la testa.

- Stanno affiggendo i risultati, Klod! - Shazer che lo raggiunse agitato scuotendolo per le spalle ma lui non era sicuro di voler sapere come era andata a finire.

- Oh... - borbottò senza troppa convinzione. Si alzò barcollando, la divisa rossa e blu sgualcita. Non si era neanche spogliato, in realtà dopo Arielle non ricordava granché di quello che era successo.

- Dai datti un contengo e andiamo a vedere! -  Shazer lo trascinava per un braccio, anche se lui l'esame non l'aveva affrontato.

- Piano, piano - sussurrò lui stringendo gli occhi alla luce del sole. Un conato di vomito gli salì dallo stomaco.

La corte era gremita di guerrieri, tutti accalcati davanti alla bacheca fuori dall'ufficio di Arnesh. Klod e  Shazer si avvicinarono e l'amico iniziò a spingere per fare spazio finché non raggiunsero le pergamene affisse. In quei pochi metri il suo cuore accelerò fino allo spasmo, il sole picchiava sulla testa aumentando le fitte dolorose e la nausea.

Scorse l'elenco fino a trovare il suo nome. Era Capitano. Un ampio sorriso si allargò sul suo volto.



Non era riuscita a mangiare niente, arrovellandosi nel cercare una soluzione per affrontare Sir Thorin e dimostrargli che era degna del loro giudizio, che aveva studiato, si era impegnata e che se suo padre non l'avesse costretta a sposare Alexei sarebbe stata un ottimo Chierico Cavaliere. Ma non aveva trovato nessuna soluzione. Il Cavaliere era troppo potente ed esperto, non aveva alcuna possibilità. Avrebbe potuto battersi in difesa, c'erano incantesimi che avrebbero potuto aiutarla, ma non sarebbe stato un bello spettacolo. Poteva contare sulla sua agilità e su qualche trucco che le aveva insegnato Mark durante il viaggio per Agrabaar. Il pensiero dell'uomo che amava placò istantaneamente paure e ansie. Sorrise nel silenzio della camera indugiando sui ricordi, i suoi capelli, i suoi occhi, la sua bocca dolce e generosa, il torace ampio e muscoloso, le braccia forti in cui si sarebbe abbandonata volentieri anche in quel momento. Lui probabilmente era ad Albany ed era meglio così. Rigirò l'anello di Alexei fissando quella fascetta semplice che l'aveva incatenata per sempre ad una vita che non voleva.

Rhienne entrò silenziosamente e si sedette accanto a lei.

- Iniziano - disse semplicemente passandole un braccio intorno alle spalle.

- Sì - rispose seguendola nel corridoio e svuotando la mente da ogni pensiero superfluo.

La corte centrale del Monastero era gremita. Mark poteva vedere tutto dalla finestra dello studio di suo padre. Adam era con gli altri quattro commissari e non si era fatto vivo. Era stata sistemata una lunga panca per farli sedere e osservare i combattimenti. C'erano alcuni Cavalieri già pronti per affrontare i candidati, nelle loro armature nere lucenti e perfette.

Arrivarono i commissari e i candidati, i primi si sedettero e i secondi si posizionarono di fronte in fila, uno a fianco all'altro. Sir Thorin indossava la sua armatura e se possibile sembrava ancora più gigantesco. Si alzò ed espresse immediatamente la sua decisione: avrebbe affrontato Celia nel primo combattimento. Gli altri si ritirarono vicino alla panca dei commissari e Sir Thorin si posizionò davanti a lei estraendo la spada con un movimento fluido. Celia lo imitò ma non si fermò a quello. Recitò una sequenza di incantesimi rapidamente, perfino il Cavaliere alzò un sopracciglio meravigliato. Mark si avvicinò al vetro stupefatto: era stata molto rapida. Due erano sicuramente di protezione e uno aveva infiammato la lama della sua spada.

- Sei veloce ragazzina, ma questo non ti servirà a niente! - tuonò Sir Thorin. Celia rimase concentrata e iniziò a girare in tondo. Si scontrarono rapidamente con affondi e parate, per saggiarsi. Celia teneva gli occhi sull'avversario, dimentica di ogni altra cosa. Non avrebbe vinto quell'incontro ma gli avrebbe dato filo da torcere.

Cadde di spalle ma rotolò evitando un affondo che l'avrebbe uccisa. Mark appoggiò le mani al vetro: Sir Thorin non stava affrontando il combattimento di una prova, non avrebbe esitato ad ucciderla se la lama fosse arrivata a segno. Il Cavaliere rientrò con una torsione rapida del polso e la punta della spada aprì un taglio profondo nella spalla di Celia. La giovane si rialzò spinta anche dal dolore e si premette una mano guantata, il sangue che scendeva copioso. Alzò lo sguardo verso il Cavaliere, pronunciò qualche parola che Mark non poté udire e la ferita si rimarginò all'istante.

Scattò rapida sulla destra ma Thorin non si fece ingannare, si girò di scatto affrontandola, i piedi ben piantati a terra, la spada in avanti. All'ultimo Celia si accucciò scivolando, raggiunse con una mano la gamba del gigante ed evocò un altro incantesimo che pervase il Cavaliere infliggendogli pesanti ferite. Thorin urlò di dolore ma riuscì ad appoggiare la mano aperta sulla schiena della chierica pronunciando a sua volta un incantesimo. Celia rotolò lontano con un grido acuto e la smorfia che le deformava la bocca indicò il dolore intenso che doveva provare. Mark vide suo padre agitarsi sulla panca e parlare sommessamente con il Cavaliere coi baffi. L'avrebbe uccisa, Celia non aveva possibilità di sopravvivere. Ma il suo sguardo diceva che non si sarebbe mai arresa. Digrignò i denti e trattenne il fiato osservando l'attacco di Celia.

Sir Thorin parò facilmente, allungò un braccio possente e spinse a terra la giovane. Con un movimento rapido la bloccò a terra, sollevando la spada. Per un lungo istante si fissarono, ansimando, poi Adam Nateshwar si alzò e mise fine al combattimento.

- Può bastare così, Sir Thorin, abbiamo potuto saggiare le capacità della candidata - Mark tirò un sospiro di sollievo e rilasciò i muscoli in tensione.

Sir Thorin attese ancora qualche istante, Celia avvertiva tutto il suo peso sullo stomaco e non riusciva a respirare bene. Poi il gigante si rialzò rinfoderando la spada, lasciò il centro e raggiunse i commissari con noncuranza, come se fosse tornato da una passeggiata.

Celia si rialzò, fece un lieve inchino e sentì Rhienne passarle un braccio sotto la spalla. Lentamente la condusse all'interno del Monastero verso i Guaritori. L'incantesimo che gli aveva fatto Sir Thorin era identico a quello che gli aveva fatto lei solo molto più potente, camminava a stento ma non avrebbe ceduto proprio ora che usciva di scena. Strinse i denti e rifiutò l'aiuto dell'amica che cercava di sostenerla.

Appena fu nel buio del Monastero si appoggiò al muro freddo. Rhienne le fu immediatamente accanto.

- Celia perché non hai chiesto aiuto all'Alto Chierico? Perché non hai interrotto il combattimento! Ti avrebbe ucciso! - ringhiò Rhienne sorreggendola.

- Neanche morta - sussurrò con voce flebile alzando lo sguardo che brillava.

- Tu sei pazza - commentò l'amica sorridendo. Celia si appoggiò alla sua spalla, dolori lancinanti la pervadevano dovunque, doveva curarsi ma non riusciva a mantenere la concentrazione.

- Mi devi aiutare Rhienne, non riesco neanche a parlare, usare la magia ora è fuori discussione - respirava male e balbettava.

- Vieni, c'è la sala d'armi lì, entriamo - Rhienne la trascinò lentamente nella sala passando dalla doppia porta sul corridoio - Siediti qui e aspettami. Non ho preparato incantesimi per oggi, non pensavo certo di averne bisogno, ma vado a chiamare qualcuno che ti aiuterà - il suo sguardo era strano ma uscì così rapidamente che Celia non ebbe modo di ribattere.

Si appoggiò al muro ripensando all'incantesimo di Thorin che l'aveva praticamente quasi uccisa. L'aveva pronunciato rapidamente subito dopo il suo ed era riuscito a mantenere la concentrazione. Davvero notevole. Chiuse gli occhi sospirando cercando di rallentare il cuore e il respiro.

- Ti spingi sempre troppo oltre, Celia - un breve movimento e la voce profonda la raggiunsero. Aprì gli occhi e si trovò a fissare quelli di Mark che con la fronte aggrottata si era inginocchiato e aveva proteso avanti le mani.

- Che ci fai qui? - gli domandò gracchiando con gli occhi che improvvisamente si indurirono. Se l'avessero vista con lui ogni sforzo sarebbe stato vano.

Mark la ignorò, appoggiò le mani sui suoi ginocchi e levò un incantesimo. Celia guardò Rhienne mantenendo lo stesso sguardo irritato mentre la magia divina passava da lui a lei, la inondava e cancellava ogni dolore, curando tutte le ferite inferte dall'incantesimo di Thorin. L'amica abbassò lo sguardo colpevole ma rimase immobile. Quando l'incantesimo terminò suo malgrado tirò un sospiro di sollievo.

- Tua sorella mi ha mandato una lettera e sono venuto ad assistere alla tua prova - rispose Mark rialzandosi. Indossava l'armatura nera dei Chierici Cavalieri e se possibile era più bello dell'ultima volta che l'aveva visto.

- Ma non temere, come vedi sono rimasto in disparte, nessuno sa che sono qui - le sorrise piegando dolcemente le labbra.

- Non proprio nessuno - ribatté Celia spostando lo sguardo su Rhienne.

- Oh, ma io non ho detto niente! - si affrettò a ribadire l'amica. Celia sorrise debolmente e si alzò.

- Grazie - disse Celia sollevando lo sguardo su Mark - Anche per essere qui - aggiunse in un sussurro. Il Cavaliere la guardò arrossire lievemente, non credeva a ciò che aveva sentito. Rhienne avvertì distintamente la tensione fra i due e trattenne il fiato.

Mark fece un passo avanti sollevando le braccia ma Celia si affrettò ad abbassare lo sguardo facendo un movimento indietro. L'uomo la guardò aggrottando la fronte e stringendo i pugni.

- Andrà tutto ben, non devi preoccuparti - borbottò uscendo dalla sala d'armi. Rhienne vide l'espressione del suo volto e comprese ogni cosa che era avvenuta. E anche lui.

Celia strinse gli occhi ma inevitabilmente le lacrime liberatorie scesero calde sulle guance. Avrebbe voluto abbandonarsi fra le sue braccia ma se l'avesse fatto sarebbe stata perduta per sempre. Rhienne la strinse dolcemente fra le sue braccia senza dire niente e lei gliene fu immensamente grata.



Non aveva ancora saputo se Klod avesse passato la prova né a che punto fosse Celia. Si avvicinò alla finestra e vide il tramonto incandescente a ovest. Sospirò e tornò alla scrivania. Gli incantesimi di morte erano davvero una spina nel fianco. Complessi, pericolosi e sinceramente non sapeva neanche se li avrebbe mai usati, ma doveva comunque studiarli. Quattro giorni e avrebbe affrontato la sua prova. Sbuffò in silenzio e riprese a studiare.

- Buonasera, Contessa - la voce bassa e profonda la fece trasalire. Si voltò di scatto e Erik era lì, sul bordo della finestra, come se fosse comodamente seduto su una poltrona.

L'aveva osservata diversi minuti, il sole che baciava i lunghi capelli biondi, soffici come seta. Sapeva che era stata dall'elfo, sapeva che forse l'aveva perduta e non aveva più avuto il coraggio di incontrarla. Poi la lontananza si era fatta lacerante e non aveva più resistito.

- Erik! - gridò lei con sguardo di fuoco - Non sono Contessa - farfugliò poi incapace di far smettere il cuore di battere all'impazzata.

- Sono qui per tuo fratello - proferì Erik scendendo agilmente nella stanza e avvicinandosi alla scrivania.

- Mio fratello? - indagò lei seguendo il suo profilo. Erik sfogliò qualche pagina, erano tutte rune e non ci capiva assolutamente niente. Chiuse il grande libro e la guardò sorridendo.

- E' un Capitano, adesso - si accomodò sulla sedia senza chiedere il permesso.

- Che meraviglia! Lo sapevo! - esplose Kathe picchiando un pugno sulla mano.

- Ma credo che avrà qualche problema con la sua dama - sospirò teatralmente.

- Che intendi? - gli chiese Kathe avvicinandosi.

- Ieri sera sono usciti a festeggiare, forse per allentare la tensione, hanno incontrato tre ragazze e immancabilmente l'umore pungente di cui tutti gli dèi beneficiano ha fatto in modo che entrasse Arielle - sospirò nuovamente con finto rammarico.

- Per la dèa - sussurrò Kathe sedendosi sul letto. Non riusciva a calmare il battito del cuore, sapeva che era l'occasione giusta per parlargli di suo padre ma non si era preparata!

- Come stai? - domandò Erik dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante.

- Sto bene - annuì lei abbassando lo sguardo. Lui non aggiunse altro e il silenzio teso riempì nuovamente la stanza.

- Ti lascio ai tuoi studi - esordì alzandosi e tornando alla finestra.

- No! Aspetta, Erik - lo fermò lei alzandosi di scatto. Lui si voltò e capì che qualcosa non andava.

- C'è qualcosa di cui vorrei parlarti - aggiunse la giovane maga, le mani che tremavano. Erik la fissò intensamente e avvertì una scossa gelida lungo la schiena. Ecco il momento che aveva voluto evitare, quando gli avrebbe detto che aveva scelto l'elfo.

- Parla, dunque - la spronò lui con un sorriso di sbieco mascherando le sue emozioni. Kathe inspirò e radunò tutto il suo coraggio.

- So chi sei - e il ricordo che le aveva mentito le fece ritrovare un po' di sicurezza - Chi sei veramente, intendo - aggiunse visto il suo sguardo interrogativo.

- Oh... - disse lui mettendosi le mani sui fianchi e sorridendo. La raggiunse lentamente e si fermò davanti a lei. Quella piccola intrigante era riuscita a scoprire ogni cosa.

- Perché non mi hai detto la verità? - cercò di mantenere la voce salda ma la rabbia sibilò tra i denti.

- Perché quella vita non mi riguarda più - rispose rabbuiandosi. Allungò una mano a carezzarle la guancia. Kathe socchiuse gli occhi al tocco rovente, le labbra le tremarono e Erik non poté proprio resistere. Passò la mano dietro il collo e l'attirò a sé baciandola dolcemente.

Kathe spalancò gli occhi ma ricambiò il bacio che divenne intenso e travolgente. Lo cinse con le braccia e sentì le sue mani decise sulla schiena che le trasmettevano scariche di calore. Ma non doveva perdere di vista l'obiettivo. Se avesse continuato così la situazione sarebbe degenerata. Non che non le avrebbe fatto piacere…

- Non torneresti da tuo padre? - gli sussurrò sulle labbra roventi per il bacio. I suoi meravigliosi occhi azzurri brillavano nel buio della camera.

- No - rispose lui catturando di nuovo le sue labbra morbide. Era perfetta e minuta, profumava di vaniglia e la sua bocca era calda e avvolgente. Kathe cedette al bacio e sentì le gambe tremare per l'intensità di ciò che provava.

- Neanche per me? - sussurrò con un filo di voce staccandosi di malavoglia. Erik si allontanò per guardarla negli occhi con sguardo meravigliato.

- Per te? - chiese stringendo l'abbraccio. Lei annuì, i meravigliosi capelli ondeggiarono lievemente.

- Se riuscissi a farti perdonare da tuo padre, mio padre acconsentirebbe a... - Erik la interruppe mettendole un dito sulle labbra.

- Quindi mi stai dicendo che tu... e io... - iniziò lentamente, non riusciva a credere a quello che stava sentendo. Kathe annuì sorridendogli dolcemente. Si sporse verso di lui e lo baciò di nuovo e per cercare di convincerlo si avvicinò ancora di più. Sentì un verso arrochito profondo e seppe di aver fatto centro.

- Va bene - sussurrò facendola tremare di gioia.



Celia raggiunse rapidamente l'entrata del Monastero con il cuore che le batteva di felicità. Attraversò il corridoio e sbucò nell'atrio correndo fra le braccia del fratello.

- Sono così felice, Klod! - gli disse stringendolo quasi singhiozzando, un misto di gioia e lacrime.

- Anche io lo sono, finalmente posso tornare al castello e seguire le orme di nostro padre senza peccare di difetto - era emozionato anche lui e appena aveva potuto era andato al Monastero.

- Vieni, entriamo - lo prese per mano e lo trascinò fin nella corte interna. C'erano chierici dovunque, impegnati nelle loro mansioni. Lei era dispensata, in attesa quella sera dell'esito dell'esame. Il sole stava tramontando e la tensione della prova e dell'incontro con Mark si era attenuata.

- Raccontami ogni cosa! - lo esortò la sorella con sguardo luminoso. Si sedettero sull'erba appoggiandosi al muro esterno della sala d'armi. Così Klod le narrò brevemente ciò che era accaduto e Celia fece lo stesso, includendo la visita di Mark e il fatto che lui fosse ancora lì da qualche parte.

- Fino all'ultimo non credevo che ce l'avrei fatta - confessò abbassando lo sguardo e appoggiando le braccia sui ginocchi.

- Ti ho visto combattere, non c'è storia, fratello. Se ti avessero negato la carica, nessun altro l'avrebbe avuta - e scoppiò in una risata profonda e cristallina. Klod la guardò contento e si rese conto che la tensione l'aveva abbandonata del tutto nonostante ci fosse due aloni scuri sotto i suoi occhi.

- Adesso lo scoglio più grande sarà Arielle - sospirò alzando gli occhi al cielo.

- Ce la farai come sempre - gli sorrise dolcemente. Un'ombra si proiettò davanti a loro, alzarono lo sguardo e videro Rhienne.

Klod si alzò con un movimento fluido e le prese la mano sfiorandola con un bacio. Celia lo guardò con occhi accusatori e comprese come mai era sempre ne guai con Arielle…

- Milady, siete radiosa - esordì con sguardo penetrante. Rhienne arrossì e ritirò la mano lentamente.

- Klod Hianick, è un vero piacere rivedervi - lo salutò con garbo ma senza esporsi.

- Celia, vi hanno convocato nella sala comune - aggiunse poi rivolgendosi all'amica. Il sorriso sparì dalle labbra di Celia che si fecero tirate improvvisamente. Si alzò dirigendosi alla sala comune seguita da Rhienne e Klod.

Anche se la sera era vicina, il caldo era ancora intenso e la frescura della sala fu un sollievo. Lentamente si riempì come quella mattina. Brusii e sussurri facevano da sottofondo. Celia raggiunse gli altri candidati e Klod e Rhienne rimasero in mezzo agli altri.

Attesero solo qualche minuto e i cinque commissari entrarono sedendosi dietro lo stesso tavolo del mattino. Era sicura che come per gli anni precedenti sarebbe stato l'Alto Chierico Adam a dare i risultati ai candidati. Serviva l'unanimità, non ci potevano essere voti di scarto.

- E' stata una giornata intensa per tutti ma siamo qui a dare la degna chiusura - esordì Adam - Quindi senza indugi procediamo agli esiti - chiamò il primo candidato, espresse il giudizio positivo e ci furono i primi brusii di assenso. La lista proseguì, ogni candidato aveva passato la prova e ora era un Chierico Cavaliere. Poi fu il suo momento. L'Alto Chierico la guardò intensamente e suo figlio, dietro la porta della stanza adiacente, fece lo stesso. Celia ricambiò lo sguardo ma lo spostò anche su Sir Thorin, la sua espressione era indecifrabile.

- Celia Hianick, vi dichiariamo idonea a ricoprire il ruolo di Chierico Cavaliere. Da ora e finché l'Ordine avrà vita ad esso sarete vincolata, alle sue leggi, alle sue regole e agli dèi che lo benedicono - espresse il giudizio con un lieve sorriso osservando con gioia lo sguardo limpido della giovane che si riempiva di orgoglio e felicità ad ogni parola.

Klod e Rhienne si abbracciarono ridacchiando e Mark sorrise lanciando un ultimo sguardo alla donna che amava. Volse le spalle alla porta e si diresse alle stalle e al suo cavallo che l'avrebbe riportato ad Albany.



Klod e Celia erano andati alla Scuola di Magia per incontrarla e avevano trascorso un pomeriggio insieme distraendola e raccontandole ogni cosa. Si era rilassata e finalmente aveva potuto confidargli di aver scoperto chi fosse Erik. Non l'aveva più visto da quella sera e non sapeva se aveva parlato con il padre.

- Sono felice per la decisone di nostro padre - le sorrise la sorella. Almeno lei avrebbe potuto scegliersi l'uomo che voleva.

- Il castello è in fermento - aggiunse Klod - Nostra madre sta impazzendo - ridacchiò ma quando Celia abbassò lo sguardo cambiò discorso.

- Sei pronta per l'esame? - chiese a Kathe che sembrava dimagrita e stanca.

- Sì, lo sono. A differenza dei vostri esami, il mio ha esito immediato. Se riesci ad uscire dalla simulazione sei un Mago, altrimenti no - fece spallucce e sorrise mestamente.

La discussione prese decisamente una piega più frivola e quando il sole tramontò i due fratelli la salutarono promettendosi di incontrarsi fra due giorni dopo la sua prova.

E finalmente il giorno era arrivato. Raggiunse l'ufficio della professoressa Yvette, aveva già indossato la sua veste bianca, non avrebbe potuto indossare né amuleti, né anelli né alcun oggetto magico. La professoressa le carezzò dolcemente una guancia poi la precedette verso la Stanza delle Illusioni senza proferire parola.

Nella stanza erano presenti tutti i professori del suo corso e altri allievi pronti per affrontare la prova, tutti con la tunica bianca, lunga fino ai piedi. Dalla parte opposta a quella da cui era entrata c'era un'altra porta a doppio battente. Si sentiva la bocca riarsa, così cercò di rallentare il battito furioso del cuore con ampi respiri. Chiamandoli per nome, ogni allievi varcò la porta richiudendola.

- Katherin Hianick - la voce della professoressa scandì il suo nome con voce ferma. Si incamminò verso la porta, girò il pomello ed entrò. La porta si chiuse istantaneamente alle sue spalle. Era completamente buio e poteva sentire il suo respiro nelle tenebre. La quantità di incantesimi a sua disposizione era limitata. Aveva scelto quali studiare e ora avrebbe dovuto superare la prova con quelli. Pensò di fare luce ma cambiò idea e si affidò ai suo sensi. Non sembrava ci fossero ostacoli e non avvertiva altre presenze ostili. Camminò lentamente avanti finché le sue mani protese incontrarono un'altra porta. Girò il pomello ma era chiusa a chiave. Evocò l'incantesimo che le avrebbe permesso di scassinare la porta e questa cedette girando la maniglia. Sorrise nel buio e la oltrepassò. Avvertì delle voci e vide un chiarore poco più avanti nel corridoio. Si sporse cautamente dall'angolo e contò tre uomini poco raccomandabili seduti ad un tavolo rotondo che bloccavano il passaggio alla stanza seguente. Le loro spade erano appoggiate al bordo del tavolo e stavano giocando a dadi. Ricordò una situazione simile nelle prigioni della caverna della Fratellanza Rossa ad Agrabaar così decise di addormentarli. Sussurrò l'incantesimo e gli uomini appoggiarono le teste sul tavolo. Stava per oltrepassarli quando decise di guardare se poteva esserci qualcosa di utile. Prese un pugnale, una candela e acciarino, una corta corda e li mise in un piccolo zaino appoggiato alla parete.

La stanza seguente portava ad un corridoio buio. Invece di usare la magia decise di accendere la candela. Il corridoio sbucava in una stanza. La percorse con la candela ma l'unica cosa degna di nota era una porta. Sulla porta, inciso nel legno, c'era un indovinello e subito sotto tre pulsanti quadrati che raffiguravano tre elementi. Lesse rapidamente le rune e sorrise premendo con sicurezza il pulsante del fuoco. La porta si spalancò verso l'esterno rivelando un corridoio illuminato. Spense la candela e proseguì. Si susseguirono altri corridoi e stanze che cercò di oltrepassare cercando di usare la magia meno possibile. Poi giunse alla stanza della sfera. Non c'erano porte né altre uscite ma solo una sedia e un tavolo tondo con una sfera di vetro appoggiata sul velluto rosso. Accese la candela e la appoggiò sul velluto sedendosi.

Non c'era altro da fare che poggiare le mani sulla sfera. Era fredda al tatto, liscia e un fumo denso vorticava al suo interno. Scrutò intensamente al suo interno e in un attimo venne catturata da quel sogno di follia e morte. A differenza delle precedenti scelte, tutte quelle che dovette fare e gli incantesimi che adoperò erano vincolati ai suoi sentimenti, alla sua resistenza mentale e fisica. Le situazioni si susseguivano senza darle tregua né tempo di riprendersi. Fu costretta ad uccidere per difendersi, a fuggire, a tradire, a mentire evocando la magia alla stregua di una disperazione feroce. Fallì però l'ultima prova. Era sfinita, deconcentrata e non aveva più incantesimi a disposizione. Il quesito era molto semplice: Erik e Celia si trovavano in pericolo di vita e avrebbe potuto salvare solo uno di loro. La simulazione era così reale che il cuore sembrava scoppiarle nel petto per l'angoscia e il dolore. Pianse intensamente, forse se avesse avuto ancora qualche incantesimo avrebbe potuto provare a salvarli entrambi ma scegliere no. Proprio no.

Morirono fra atroci tormenti senza che lei potesse fare assolutamente niente.

Cadde in ginocchio portandosi le mani al volto incapace di proseguire oltre. La simulazione svanì e una luce invase la stanza della sfera. Solo allora Kathe si riprese, ricordandosi il motivo per il quale era lì. Era stato tutto così reale che aveva quasi perduto il suo equilibrio mentale. Di fronte a lei si aprì una porta. Si alzò stancamente asciugandosi le lacrime e varcò la soglia.

La professoressa Yvette le venne incontro con un sorriso e la prese per le spalle. Kathe pianse di nuovo scaricando tutta la tensione.

- Complimenti Katherin, hai passato la prova - la strinse per rassicurarla.

- Ma non capisco, ho fallito l'ultima prova, ora lo so... - rispose in un sussurro tirato. L'insegnante con sguardo dolce posò gli occhi sulla veste e quando Kathe seguì il suo sguardo notò che era diventata completamente nera con ricami argento e blu. La veste dei Maghi.

Abbracciò la professoressa che ricambiò stringendola con affetto.


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Capitolo 30
*** Il matrimonio ***


30. Il Matrimonio


Il caldo soffocante dell'estate piegava i corpi e addormentava le menti. Durante le ore più torride era praticamente impossibile uscire. Celia e Klod erano nel giardino della villa estiva cercando un po' di frescura. La settimana seguente alle loro prove Klod aveva lasciato la Guarnigione e Celia il Monastero. Da quel momento, la giovane, aveva accantonato l'emozione del cavalierato ottenuto e perduto e si era chiusa in sé stessa, apatica e malinconica, in attesa del matrimonio con Alexei che si sarebbe tenuto il primo giorno di settembre.

Klod aveva rivisto Arielle e non era stato facile farsi perdonare il suo incontro ravvicinato con la bionda della taverna. Era arrivato addirittura a scriverle una poesia e a donarle i rubini che aveva trovato nella catacombe di Hilizia. Celia alzò lo sguardo e lo osservò sulla panca accanto alla sua, disteso coi piedi accavallati, le braccia muscolose sollevate dietro la testa, gli occhi chiusi. Forse era troppo giovane per una relazione stabile. Avrebbe dovuto farsi le ossa al castello sotto il loro padre e magari più avanti legarsi a una donna. Temeva che Arielle avrebbe sofferto. Tornò al libro che stava leggendo, riprendendo la lettura.

Un rumore di sassolini la avvisò che stava arrivando qualcuno. Sollevò di nuovo lo sguardo e vide Kathe al braccio di Erik. Fu costretta a spalancare gli occhi. Erik era impeccabile e aveva perduto completamente quell'aspetto trasandato da ladro avventuriero. Indossava un elegante farsetto ricamato, camicia bianca e pantaloni neri. Dedusse che aveva parlato con suo padre e in qualche modo riacquisito la sua posizione. Cosa non si fa per amore…

- Siete splendidi! - esordì felice alzandosi e abbracciandoli con affetto. In fondo, alla fine, si era affezionata anche ad Erik, che più volte le aveva dimostrato l'amore che provava per sua sorella. Klod si tirò su, svegliato dal trambusto.

- Sei la stessa persona? - disse borbottando, rivolto ad Erik e stringendogli il braccio.

- Sempre io - sorrise in modo misterioso, lucidando distrattamente un bottone.

- Dimmi che ti porti via mia sorella - lo implorò sussurrando. Erik rise.

- In realtà credo che sia stata lei a portare via me... - rispose portandosi una mano fra i capelli.

Celia e Kathe, tenendosi le mani strette, si sedettero sulla panca.

- Sei radiosa, Kathe - le disse con occhi sorridenti. Era bellissima, i capelli acconciati all'insù, lucenti e biondi, una veste di seta verde pallido che riprendeva perfettamente i suoi occhi colmi di felicità.

- Erik e suo padre hanno discusso due giorni - sussurrò Kathe parandosi il volto con un ventaglio variopinto.

- Mi sembra che sia stata una discussione fruttuosa - Celia le strizzò un occhio in segno d'intesa.

- Cosa farai adesso? - aggiunse quando smisero di ridere.

- Per ora resterò alla scuola qualche mese, forse fino alla fine dell'anno. Insegnerò... - rispose celando una misteriosa impazienza. Celia la osservava incuriosita.

- Kathe, qualcosa non va? - domandò sospettosa sorridendo. La sorella arrossì e Celia ebbe un tuffo al cuore.

- Siamo appena usciti dallo studio di nostro padre. Erik ha chiesto la mia mano! - disse quasi singhiozzando senza più trattenersi. Klod si voltò prima verso le sorelle, poi stritolò Erik in un abbraccio ruvido.

- Non ti invidio per niente amico mio - gli sussurrò in un orecchio senza farsi sentire dalla sorella, suscettibile e lunatica.

Si abbracciarono ridendo felici, scambiandosi battute e condividendo ricordi delle loro avventure mentre il sole calava lentamente all'orizzonte sui campi dorati.

- A proposito, Celia, nostro padre deve parlarti, raggiungilo nello studio - esordì Kathe all'improvviso battendosi una mano sulla fronte. Celia si oscurò e istintivamente portò due dita all'anello di Alexei.

- Torno subito - comunicò a tutti alzandosi e ripercorrendo il sentiero di ghiaia.



La frescura dello studio la fece sospirare di sollievo. In quei pochi minuti aveva cercato di immaginare il motivo di quel colloquio. Quando erano tornati a casa, entrambi i genitori si erano profusi in complimenti e domande, soprattutto la loro madre, con le lacrime agli occhi, aveva voluto sapere ogni cosa. La sera precedente, a cena, Erika era apparsa provata e stanca, con gli occhi rossi come avesse pianto. Aveva mangiato poco e si era ritirata subito. Fabris invece aveva mantenuto lo stesso contegno di sempre e parlato con loro fino a tardi. Celia non aveva dato peso alla cosa finché non la vide seduta sulla poltrona vicino alla finestra appena entrata nello studio.

Nell'istante in cui chiuse la porta si rese conto che era accaduto qualcosa. Fabris era seduto alla grande scrivania, i gomiti appoggiati e le dita unite per i polpastrelli.

- Vieni, Celia - fece un gesto delicato con la mano e lei si fece avanti, un brivido gelido le attraversò la schiena. Guardò sua madre che sostenne lo sguardo solo un attimo poi lo distolse come se fosse seccata della situazione.

- Buonasera, padre, madre - cercò di sorridere ma Erika rimase impassibile, rigida sulla poltrona.

- Non ho intenzione di girare intorno alla questione, quindi verrò subito al punto - era tipico di suo padre non perdere tempo in tanti giri di parole. Si alzò e si mise davanti alla scrivania appoggiandosi e incrociando le braccia al petto.

- Ascolto, padre - disse in un sussurro, terrorizzata da quella voce solenne e severa.

- Ho incontrato il Duca Arstid e abbiamo convenuto che non è necessario un matrimonio per scambiarsi vantaggi commerciali, quindi abbiamo rotto il fidanzamento. Puoi rendermi l'anello - proferì serio porgendo la mano aperta davanti a sé. Osservare il volto della figlia che non riusciva a mantenere la meraviglia fu la cosa più appagante e seppe davvero di aver fatto la cosa giusta. Non era stato facile prendere quella decisione, ma alla fine aveva ceduto.

Celia lo fissò immobile, non era certa di aver capito bene. Guardò sua madre e comprese all'istante perché era così afflitta: il matrimonio dell'anno era saltato insieme al futuro roseo di sua figlia e come ciliegina sulla torta era sicura che suo padre non l'avesse coinvolta più di tanto.

Fabris attendeva ancora con il palmo della mano aperto, un lieve sorriso gli increspava le labbra, le stesse che aveva suo fratello.

Celia si guardò la mano, sfilò l'anello lentamente, il cuore che galoppava come un cavallo impazzito. Il sole aveva abbronzato la mano e una fascetta bianca era sotto l'anello. Si avvicinò lentamente e lo mise nella mano protesa.

- Cosa significa, padre? Ho fatto qualcosa di sbagliato? - era sicura che tutto derivasse dal fatto che aveva rimandato per completare il cavalierato dell'Ordine. Fabris scosse la testa.

- E' una decisione che ho preso in prima persona coinvolgendo il Duca. Tu non hai alcuna parte in tutto questo - la fissò con sguardo chiaro e limpido. Non le stava mentendo ma aveva la mente confusa e piena di immagini che si accavallavano.

- Sebbene tua sorella abbia un ruolo in tutta questa faccenda - aggiunse visto il silenzio della figlia.

- Kathe? - era sconvolta. Come poteva sua sorella avere una parte nella rottura del suo fidanzamento? Fabris sorrise.

- E' una giovane coraggiosa che ama il rischio nonostante il fisico minuto - il Conte spostò lo sguardo sulla moglie che lo fissò freddamente.

- Kathe? - ripeté di nuovo Celia stupita oltre ogni modo.

- E' venuta da me, mesi fa, mi ha messo davanti alcuni fatti e incredibilmente mi ha fatto notare una diversa via commerciale - piegò la testa di lato, come se riflettesse fra sé e sé.

- Quali fatti? - Celia si raddrizzò, raffreddando improvvisamente la voce. Fabris poggiò l'anello sul tavolo e incrociò nuovamente le braccia al petto. Non era mai a suo agio quando doveva parlare di queste cose coi figli. Sarebbe stata sicuramente più adatta la sua dolce moglie ma da quando aveva saputo tutta la faccenda si era chiusa in un silenzio ostinato.

- Sir Mark Nateshwar - scandì perfettamente il nome del Cavaliere. Celia diventò terrea e per poco non cadde in ginocchio.

- Padre io non... - iniziò balbettante. Possibile che Kathe non si facesse mai gli affari suoi?

- Lo so - la fermò subito suo padre alzando una mano - So chi è Sir Mark, chi è suo padre e che il Patriarca è suo zio - aggiunse lentamente Fabris, ma quando Celia spalancò la bocca seppe che probabilmente non sapeva di quella parentela illustre.

- Patriarca? - balbettò, si sentiva una stupida ma non stava capendo niente.

- La madre di Sir Mark è la sorella del Patriarca - Fabris soddisfece la sua curiosità.

Celia afferrò la sedia vicina e si sedette. Fabris non poté fare a meno di aprirsi in un sorriso.

- Ho visto come si comporta nei tuoi confronti quel Cavaliere e non ho niente da ridire, ma non azzardarti a fare le cose di nascosto - proferì subito serio, la voce fredda come ghiaccio.

Celia lo osservò piegando la testa da un lato, ripensando a ciò che era avvenuto tre anni prima nella biblioteca del Monastero.

- Padre, non credo di capire... - che confusione! Quando, suo padre, aveva visto come si comportava Mark con lei?!

- Ho scritto all'Alto Chierico, Adam Nateshwar - lo disse sospirando, tenendo gli occhi nocciola in quelli azzurri della figlia.

- Avete scritto all'Alto Chierico? - ripeté la frase anche se era ovvio.

Erika si alzò di scatto dalla sedia raggiungendola.

- Smettila di ripetere ogni cosa come se fossi stupida! Lo ami? - domandò a bruciapelo. Se avesse lasciato finire il marito si sarebbe fatto notte. Fabris mascherò un sorriso osservando la moglie.

- Madre? - non era sicura che le avesse fatto veramente quella domanda. Erika alzò gli occhi al cielo spazientita.

- Sei innamorata di quel... Cavaliere? - a stento riuscì a pronunciare il grado dell'Ordine, probabilmente non lo giudicava all'altezza. Era da tempo che Celia aveva accettato la situazione così non le fu difficile rispondere.

- Sì - rispose fissando la madre.

- Bene - ribadì Erika - E puoi tornare alle tue spade e a quel maledetto Ordine che ti ha portata via da noi! - ringhiò piangendo, appoggiandosi al marito e nascondendo il volto fra le mani. Celia si sentì mancare. Non avrebbe mai voluto che sua madre la prendesse così né che credesse che Mark o l'Ordine avessero una qualche responsabilità nell'impegno che aveva preso.

- Madre, la mia devozione e la fede che provo vengono dal mio interno. C'è stato un momento in cui la Dèa Madre Sosistras mi ha toccato il cuore e l'anima e lì ho saputo per certo che questa era la mia vocazione ed è ciò che vide l'Alto Chierico nei Giardini quella sera di tanti anni fa, quella luce che mi arde dentro e che mi permette di richiamare la magia divina - disse accalorandosi con gli occhi che brillavano.

- Spero vivamente che in futuro ti ricorderai della decisione che abbiamo preso - proferì suo padre abbracciando la moglie.

- Non potrò mai dimenticarlo, padre - trattenne a stento la felicità che traboccava dal cuore. Sarebbe potuta tornare all'Ordine, avrebbe potuto essere un Chierico Cavaliere, avrebbe potuto avere Mark, se ancora l'avesse voluta. Si rialzò ed uscì dalla stanza appoggiandosi alla porta. Esalò tutto il respiro, poi corse ai Giardini dai suoi fratelli.



Due giorni dopo Celia aveva ripreso il suo posto presso l'Ordine nel Monastero di Torap. Le avevano assegnato una camera sul piano dei Cavalieri e aveva appena ritirato la sua armatura e gli abiti del suo nuovo ruolo. La distese sul letto toccandola lievemente. Era nera, come il mantello e la tunica, con leggeri ricami argentati. Sorrise compiaciuta, tutti gli sforzi alla fine erano stati ripagati.

Quando si era presentata nello studio dell'Alto Chierico c'erano stati i soliti convenevoli e si era meravigliata nello scorgere un lampo divertito nei suoi occhi. Non aveva parlato della lettere che il Conte gli aveva inviato e lei non tentò neppure di portare il dialogo in quella direzione. Sir Adam l'aveva avvisata che molto presto avrebbe avuto il suo incarico presso un nuovo Monastero e che avrebbe potuto impiegare i prossimi giorni come meglio credeva.

Si riscosse dai ricordi, ripose tutto nel baule e corse alla sala d'armi dove sperava di incontrare Rhienne e Locanir. Si stavano allenando e un brusio serpeggiò fra coloro che si trovavano ai bordi quando lei entrò. Rhienne la raggiunse immediatamente abbracciandola.

- Come puoi essere qui? - le chiese sussurrando per non disturbare. Uscirono nella corte, il sole che ardeva alto nel cielo.

- E' una storia lunga - iniziò e le raccontò ogni cosa delle ultime settimane.

- E' incredibile, sono contenta che tu possa restare nell'Ordine! - l'amica la abbracciò di nuovo.

- Anche io stento a crederci - sussurrò Celia per timore che l'incanto finisse.

- Sir Mark lo sa? - appena Rhienne pronunciò quella frase si rese conto di aver detto la cosa sbagliata. Celia si rabbuiò e distolse lo sguardo.

- Non ancora - rispose, incerta anche su ciò che avrebbe dovuto fare davvero.

- Vai da lui, Celia - Rhienne la prese per le mani, catturando il suo sguardo. Celia risentì le voci dei suoi fratelli che le avevano detto la stessa cosa. Avrebbe potuto usufruire dei giorni che le aveva dato l'Alto Chierico…



Durante il viaggio che la portò ad Albany cambiò idea almeno venti volte e altrettante rischiò di tornare indietro. Non era sicura che fosse la cosa migliore e non aveva alcun diritto di sconvolgere la vita a quell'uomo dopo averlo respinto innumerevoli volte. Lo spettacolo del Monastero, arroccato sul fianco della montagna, era mozzafiato. Si voltò credendo di vedere i suoi fratelli come se fossero lì con lei, nel primo viaggio che avevano fatto insieme. Diresse il cavallo lungo la strada battuta e ironizzò come il cerchio sembrasse chiudersi.

Quando raggiunse le grandi porte, una piccola si aprì, permettendole di entrare col cavallo. Lo lasciò al chierico che l'accolse con un saluto rispettando il suo grado di Cavaliere mostrato dalla tunica nera e argento sotto il mantello.

- Dov'è Sir Mark? - domandò gentilmente assestandosi il mantello. Ormai la notte aveva ammantato tutto.

- Vado subito ad avvisarlo - rispose prontamente il chierico.

- Non preoccupatevi, conosco la strada - non aveva assolutamente voglia di confrontarsi con lui ma nascondersi non aveva senso, doveva affrontare ciò che celava in fondo al cuore. Percorse i corridoi con passo svelto, sicura della meta. Davanti alla porta del Cavaliere bussò con decisione. La sua voce profonda dall'altra parte l'autorizzò ad entrare. Girò il pomello ed entrò con decisione.

Mark era chino sulla scrivania, alzò la testa con noncuranza, poi scattò in piedi, il calamaio si rovesciò e l'inchiostro si sparse sulla pergamena che stava scrivendo.

- Celia! - come poteva essere sulla porta del suo studio? Indossava l’armatura da Cavaliere eppure aveva lasciato l'Ordine! Aggirò lentamente la scrivania mentre lei gli andava incontro. Aveva uno sguardo indecifrabile sebbene sorridesse lievemente.

- Mark, lavori a quest'ora? - gli domandò fermandosi a qualche passo da lui. E fu sicura di aver fatto la scelta giusta. Era la sua metà, il suo completamento, loro due avrebbero creato un precedente nell'Ordine.

- Stai bene? E' successo qualcosa? Perché sei qui? - fece le domande una dietro l'altra, quasi senza respirare. Celia lo osservò piegando leggermente la testa e sorridendo. Si tolse i guanti e il mantello e li gettò sulla sedia vicina alla scrivania. Adorava quando si preoccupava per lei.

- Va tutto bene, Cavaliere - rispose pacatamente facendo un passo avanti. Mark si irrigidì e rimase immobile. Era atroce averla così vicino e non poterla neanche sfiorare. Indicò la tunica che indossava.

- Ti sta bene - le sorrise, cercando di rilassarsi - Perché la indossi? -

- Perché me la sono guadagnata - rispose lei facendo un altro passo avanti e mantenendo gli occhi nei suoi. Avvertì la sua tensione e sentiva il cuore batterle all'impazzata.

- Perché sei qui? - le chiese di nuovo. Era vicina, troppo vicina e non andava affatto bene.

- Per scusarmi - la risposta lo spiazzò completamente. Celia perse all'istante quell'atteggiamento sfrontato, abbassò lo sguardo e arrossì.

- Di cosa? - le domandò socchiudendo gli occhi senza comprendere.

- Di questo - colmò la distanza che la separava da lui, fermò le mani sul suo torace e, sollevandosi, appoggiò le labbra sulle sue. Mark l'afferrò per le spalle e un attimo dopo intensificò il bacio abbracciandola con forza.

Quanto le era mancato. Si domandò come avesse potuto vivere in quei tre anni lontana dalle sue labbra e dalle sue braccia. Le mani forti scorrevano sulla sua schiena riempiendola di brividi, anticamera di ciò che sarebbe seguito.

- Che stai facendo, Celia? - sussurrò sulle sue labbra con voce roca.

- Ti sto baciando, Mark - rispose, e una scossa l'attraversò quando sfiorò le sue labbra.

- Non sarò in grado di fermarmi, questa volta - ammise lui stringendola ancor più a sé.

- Non devi - e Mark soffocò la sua risposta con un altro bacio ardente.



Tutte le fatiche di Erika per organizzare il matrimonio di Celia, che non ci sarebbe mai stato, non furono vanificate. Con incredibile meraviglia di tutti, Klod chiese la mano di Arielle due settimane dopo il reintegro di Celia nell'Ordine. Il castello era in fermento e decine di cameriere trasportavano tovaglie, fiori, argenteria. Erika visionava su tutto e sembrava aver superato la delusione di vedere la sua primogenita sposata al figlio del Duca. Era felice per Klod, Arielle era una giovane vibrante e determinata e riusciva a gestire quel suo figlio cocciuto e ribelle. Il castello aveva tante stanze e avrebbe accolto la nuova famiglia senza problemi, insieme ai figli che avrebbero voluto avere.

L'estate stava volgendo al termine, il sole non era più così caldo e si poteva stare fuori anche durante le ore centrali della giornata. Erano stati chiamati cantori, musici maghi, e fuori dal castello c'era un circo intero con spettacolari animali esotici e mostri incatenati.

- Sarà una bellissima giornata domani - sospirò Kathe appoggiata al grande olivo al centro del giardino mentre osservava Klod poco lontano che chiacchierava con Erik e Mark.

- Sì, ma ti rendi conto? Si sposa... - Celia era ancora basita per la rivelazione nonostante fosse trascorso quasi un mese.

- Non vorrei essere Arielle... - borbottò Kathe abbassando la voce il più possibile. Celia rise e i tre uomini si girarono. Klod le raggiunse sorridendo, Erik e Mark rimasero all'ombra della grande quercia.

- Ho come l'impressione che stiate ridendo di me - le guardò di sottecchi. Indossavano entrambe un abito azzurro che riprendeva perfettamente i loro occhi in quella limpida giornata. Celia per una volta aveva abbandonato quella lugubre armatura nera a favore di qualcosa di più femminile.

- Ahimè, sì - ammise Celia con un sorriso caldo.

- Dov'è Arielle? - chiese Kathe guardandosi intorno.

- Non ne ho idea. Sarà chiusa in qualche stanza con sua madre e la nostra - alzò le spalle - Non immaginavo che per indossare un abito e pronunciare una promessa servissero tre giorni di reclusione... - borbottò infelice. Aveva sperato di trascorrere quel tempo in modo più piacevole chiuso in camera con lei ma tutti i suoi sogni si erano infranti quando l'aveva vista sparire in mezzo a uno sventolare di gonne e sete, senza neanche un bacio.

- Ma cosa ti aspettavi? Non lo sai che serve tempo per prepararsi? - Kathe gli mollò un pugno sul braccio arricciando le labbra irritata.

- A me bastano dieci minuti - ribatté lui sorridendo amabilmente.

- Ma se siamo state costrette a darti la stanza in fondo al corridoio che aveva il suo bagno perché tu non uscivi mai! - lo rimbeccò indignata Celia mettendo le mani sui fianchi. Klod abbassò lo sguardo e tossicchiò imbarazzato.

Fabris osservava i tre figli dalla finestra dello studio, la stessa della sera del ballo in cui Kathe venne a parlargli. Sorrise appena guardandoli, ormai cresciuti, e gli tornò in mente il giorno della nascita di Klod. Erano passati molti anni ma tutti gli sforzi fatti erano stati ripagati. Una delle figlie doveva aver fatto una battuta particolarmente pungente sostenuta dall'altra perché Klod prese a rincorrerle con le braccia protese. Le due ridevano come matte e si gettarono fra le braccia dei rispettivi uomini ma questo non le risparmiò dalla punizione del fratello. Ridevano tutti e il suo petto si gonfiò di orgoglio. Avvertì il profumo di sua moglie ancor prima che arrivasse. Le cinse la vita con le braccia e sospirò guardando il giardino.

- Se potessi scegliere l'eternità, ripeterei questa storia all'infinito - proferì Fabris abbracciando la moglie con tenerezza.




..: Angolo dell'Autrice :..


Non sono solita scrivere angoli dell'autrice, ma per questo manoscritto ci tengo particolarmente. Alcuni di voi che lo hanno letto, magari avranno riscontrato una certa noia o staticità nella narrazione, oltre che una trama scontata. Questo dipende da due fattori: il primo è che l'ho scritto quando avevo ventanni (mancavano pochi capitoli che ho completato nel 2009) e il secondo è che è autobiografico. Lo iniziai a scrivere quando morì mio padre ma non riuscii a terminarlo sebbene mi aiutò a metabolizzare parte di quel vuoto che non si è mai più riempito. Quindi questo libro è soprattutto per lui, Fabris Hianick, e per mia madre, Erika. Poi ci sono i miei fratelli, Katherine e Klod, senza i quali la mia vita sarebbe stata davvero una noia. Una menzione speciale la merita Erik, che è stato veramente il fidanzato di mia sorella e ora marito, al quale posso solo fare le mie congratulazioni per esseri preso una delle donne migliori che io conosca. 

Quando iniziai a scriverlo, Mark Nateshwar era un personaggio di fantasia e quando l'ho revisionato l'ho reso simile all'allora fidanzato, che poi è divenuto mio marito. La sua calma serafica, la sua pragmaticità, il suo istinto di protezione nei miei confronti, si adattavano perfettamente al personaggio che avevo inventato e trasformarlo in lui è stato semplice. Come se i miei sogni di ragazza si fossero concretizzati in una persona vera ^_^

E ovviamente io sono Celia Hianick. 

Ci ho messo anni per darlo ai miei familiari da leggere e anni per decidere di pubblicarlo. 

Spero vi siate divertiti in compagnia della mia famiglia e mia!

Vi abbraccio con affetto sapendo che, in parte, avete partecipato a questa avventura, leggendola.


Cecilia Cianchi

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