Lost in Netherfield Park di Reagan_ (/viewuser.php?uid=510681)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Altra Realtà ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
-Ma non credi nell'amore cugina?-
Alice Pendall guardò la cugina che continuava a spazzolarsi
i capelli castani.
-E' Orgoglio e
Pregiudizio!Il libro più romantico del mondo!-
esclamò saltellando sul letto e stringendo al un libro dalla
copertina stropicciata. -E' il romanzo romantico perfetto, Mr. Darcy
è l'uomo che tutte vorrebbero!- sospirò
teatralmente sdraiandosi fra i cuscini e i pupazzi del letto.
Sua cugina si voltò e posò la spazzola, si
avvicinò, le sfilò il libro dalle mani e
fissò concentrata il libro.
-L'ho letto una volta, una mia professoressa ci obbligò a
fare una tesina sul concetto di amore.- disse Paloma Wagner sfogliando
le pagine.
-E il tuo responso?- domandò Alice mettendosi a sedere
interessata.
Paloma alzò un sopracciglio, un'ombra di sorriso le
increspava le labbra. -La mia conclusione è molto semplice.
Le signorine Bennett non si sarebbero tanto affaticate nel sembrare
perfette dame se non avessero avuto l'eterna preoccupazione di spendere
la loro virtù nel complicato mercato del matrimonio.-
Alice fece una strana smorfia.
Conoscendola si era aspettata una risposta del genere, ma di recente
Paloma esibiva un cieco cinismo che riusciva a distruggere ogni momento
gioioso della vita.
Le loro famiglie si erano ritrovate nel Hampshire a festeggiare le
nozze di George Pendall, fratello maggiore di Alice, e Selina Sullivan,
una pasticcera. Il matrimonio si sarebbe celebrato il pomeriggio
seguente nella tenuta dei Pendall in campagna.
Paloma si era volutamente eclissata dall'organizzazione delle nozze,
l'unico supporto fu un assegno staccato senza fiatare per l'eccessivo
conto salato dell'immensa torta nuziale e dei i vari fiori e
centrotavola. Alice sapeva benissimo che a scegliere tutti quei
bellissimi fiori era stata sicuramente la segretaria della cugina,
l'adorabile Johanna Smith. Nonostante i Wagner facessero parte
dell'antica aristocrazia terriera tedesca giunta quasi per caso in
Inghilterra, erano decisi a mantenere vivo il ricordo di quella terra
lontana che agli inizi del novecento non godeva certo di gran fama.
Paloma lavorava o meglio, si degnava di firmare decine di fogli e
sentire cosa i suoi consiglieri le suggerivano due volte a settimana,
il resto dei giorni li dedicava ai suoi adorati cavalli, alla lettura
di romanzi da mille pagine, a qualche passeggiata per le terre di cui
era proprietaria e saltuariamente seguiva seminari di matematica ed
economia nelle migliori università del paese. Una volta suo
fratello l'aveva definita una burbera scozzese con il titolo
altisonante.
Più passava il tempo e più le convinzioni
romantiche di Alice venivano sotterrate da chili di realismo puro.
-Ma non trovi che sia affascinante Mr Darcy? O almeno il modo in cui si
ricrede e tenta di conquistare il cuore di una riluttante Elizabeth?-
domandò cercando di colpire il cuore ghiacciato della cugina
con secchiate di zucchero.
-No.- rispose secca Paloma. -Assolutamente no. Non capisco
perché un uomo così ragionevole sia poi finito
fra le braccia di una così volubile come la Bennett.
Insomma, sarebbe stato meglio che sposasse la sorella bella.-
Gli occhi sbarrati dalla sorpresa e la bocca aperta furono le uniche
manifestazioni dell'infarto emotivo che Alice stava vivendo.
Da grande appassionata di Jane Austen e socia di uno dei club di Londra
più esclusivi, non poteva sopportare tali eresie. Nella sua
breve ma alquanto appassionata vita si era dovuta scontrare con un
fratello allergico ai “libri
per ragazzine isteriche”, un padre dalle
limitate capacità comunicative, una madre che aveva fatto
del femminismo estremo una specie di religione e una cugina che non
credeva nei buoni sentimenti, ma la sua passione per il concetto
dell'amore austeniano era riuscito a fronteggiare qualunque ostacolo.
-Come … Come puoi anche solo dirlo?!?- squittì
riprendendosi il libro.
-Perché no? Se non sbaglio, Jane è quella gentile
e un po' passiva giusto? Una che non se la prende mai, dovrebbe sposare
uno che si prende troppo sul serio. Vivrebbero in una casa abbastanza
serena senza grandi complicazioni. Una coppia ottima.-
Alice aggrottò la fronte e posò il libro sul
letto lisciando la copertina.
Per un attimo un pensiero la fulminò.
Aveva passato gran parte della mattina a poltrire sul letto con vari
libri e si era concessa di vedere una puntata di un telefilm su una
moderna ragazza finita nel bel mezzo dell'Inghilterra di inizio
Ottocento. Come sarebbe stato divertente vedere la sua composta e
serissima cugina vivere in un mondo dove era di vitale importanza
apparire giovali e simpatiche senza essere troppo invadenti!
Se solo avesse potuto! Se solo avesse avuto dei poteri!
-Al di là dei libri e di Jane Austen, Paloma tu ci credi
nell'amore? Ti sei mai innamorata?-
Quella domanda sussurrata colpì Paloma come una frusta in
pieno viso.
Non era abituata a parlare di sentimenti. Conduceva una vita solitaria,
si occupava con severa dovizia degli investimenti dell'antica famiglia
Stuart-Wagner cercando di mantenere alti i profitti, adorava il torpore
del suo camino in soggiorno e i gialli che divorava ogni
weekend. Era una persona dalle abitudini consolidate e poco concilianti
con la moderna tendenza a vivere connessi alla moltitudine.
-Anni fa … Quando ero piccola ci credevo.-
confessò sistemando i capelli castani dietro le orecchie.
-Ma erano solo fantasie di una bambina che non voleva crescere.- Paloma
si chinò per prendere il libro dalle mani di Alice che la
fissava triste. -Visto che ti piace così tanto questo
argomento me lo leggo stasera, ti dispiace?-
Alice scosse la testa, con un sorriso lasciò che la sua
solitaria cugina prendesse quella copia e la portasse nella sua camera.
Era certa che quelle parole scritte almeno due secoli fa, le avrebbero
aperto almeno un po' gli occhi sulla forza dei sentimenti.
Presa da una strana foga si lanciò sulla scrivania,
cercò un foglio e cominciò a scrivere.
Alice sapeva che questa sua bizzarra abitudine di scrivere le lettere
indirizzate alla defunta Jane Austen poteva essere tranquillamente
scambiata per pazzia o troppa immedesimazione.
Se ne rendeva conto, ma trovava confortate rivolgere a lei, una donna
che aveva saputo superare il rifiuto del suo amore non condannando
nessuno, continuando a scrivere di amicizie, di amore, di matrimoni e
di situazioni domestiche talmente universali da essere applicabili
anche nell'attuale millennio. Si rivolse a Jane Austen chiedendole di
aprire gli occhi della cugina sull'amore. Su quanto fosse importante
amare sé stessi e gli altri, su quanto fosse liberatorio
farsi coinvolgere un poco dai sentimenti.
Chiuse la lettera in una piccola busta e sospirò. La mise in
una piccola scatola di legno bianco con su disegnate i nomi di tutti i
personaggi delle storie di Jane Austen, accarezzò il nome di
Lydia e quello di Catherine Morland.
Per un attimo s'immaginò di dover partecipare a un ballo
Regency e d'incontrare un ragazzo dai modi cortesi e gentili. Le
sembrò quasi di poter sentire la musica dei balli fino a
quando non si accorse che probabilmente era Paloma che suonava qualche
pezzo prima di dormire.
Le note scivolavano sicure e con una note malinconica, Alice si
domandò se Paloma non facesse di tutto per fingere di non
aver sofferto per la perdita dei genitori e scaricasse tutte le lacrime
che non versava nel pianoforte e nella lettura.
Poteva quasi vederla china sul pianoforte verticale in legno chiaro,
suonare con precisione ogni nota, il volto serio e concentrato, il
cuore gonfio di ricordi.
Si coricò a letto e puntò la sveglia all'alba.
Il giorno dopo avrebbe partecipato alla manifestazione pubblica
dell'amore.
Sorrise senza motivo, fissando la scatola che conteneva le lettere
scritte a Jane Austen e si addormentò quasi subito.
*§*§*§*
Non aveva dormito per nulla Paloma.
Aveva suonato per mezz'ora, poi si era chiusa nella camera degli ospiti
e aveva letto “Orgoglio
e Pregiudizio” in poche ore.
Si ricordava di alcuni passaggi ma si era scordata la sottile ironia
con cui la scrittrice dipingeva il ménage familiare dei
Bennett, le sorelle starnazzanti, la moglie costantemente sull'orlo di
una crisi nervosa, il padre incline al menefreghismo becero e i
pretendenti incapaci di giocare al meglio la partita.
Quando chiuse il libro si rese conto che erano le quattro di mattina,
per nulla stanca decise che una ricerca su internet le avrebbe
conciliato il sonno e si gettò l'amo nella rete alla ricerca
di qualche film ben scritto su quella storia.
Casualmente s'imbatté sulla specie di parodia che Alice
divorava in continuazione e decise di guardarlo per riderci un po' su.
Gli occhi le si chiusero improvvisamente e tutta la stanchezza la fece
scivolare in un sonno senza sogni e senza colori che lei ben conosceva.
Quando riaprì qualche minuto, o forse ora, dopo gli occhi
era certa che quel peso che inclinava il materasso altro non era che
sua cugina Alice o al massimo il loro cane Jojo. Fissò
confusa il vassoio con un sevizio da tè e qualche biscotto.
Aggrottò la fronte non appena si accorse che a sistemare il
tutto erano mani di una donna bassa e con forme generose.
Fissò sconcertata quella donna in abito scuro che la
ricambiò leggermente confusa.
-Milady Paloma … Si sente bene?-
Paloma sbarrò gli occhi e si guardò intorno, la
sobria ed efficiente camera degli ospiti era stata sostituita da una
stanza arreda con pochi ma raffinati mobili antichi. Vi era un grande
scrittoio, un armadio imponente, una cassapanca e una piccola
poltroncina accanto alla finestra, libri rilegati sparsi ovunque e una
vaso con dei fiori da campo ancori freschi.
-Milady Paloma … Mi state facendo preoccupare!-
squittì la donna avvicinandosi per mettere una mano sulla
sua fronte. -Non mi sembrate accaldata signorina, le fa male lo stomaco
per caso?-
Paloma gettò via le coperte, facendo rovesciare parte del
contenuto del vassoio e schizzò via verso la finestra,
pallida ed atterrita. Il panorama che si poteva vedere dalla finestra
non era costellato da auto, strade asfaltate qualche albero e passanti
in bici, bensì vi era un immenso giardino che si estendeva
oltre l'orrizonte.
Per un attimo pensò di essere prossima ad avere un infarto,
si portò la mano al petto e boccheggiante si
accasciò a terra.
Il peggior incubo della sua vita stava per cominciare, stava vivendo il
periodo Regency.
La giusta punizione per aver passato la notte in bianco guardando
telefilm e e leggendo parole vecchie duecento anni.
Lei odiava gli incubi. Odiava i sogni.
Fissò la donna in abito scuro e chiuse gli occhi e quasi
gridò.-Merda!-
[Ispirato sia al romanzo di Jane
Austen, Orgoglio e Pregiudizio, sia alla serie televisiva Lost in
Austen. Reagan_]
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Capitolo 2 *** Altra Realtà ***
Capitolo I
Altra Realtà
-Non posso mettermi quella cosa … - gridò quasi
Paloma non appena vide uno strano abito pieno di pizzi e volant che la
cameriera le aveva disposto sul letto.
-Milady … La prego stasera c'è il ballo!-
gracchiò la donna anziana. -Non può fare una cosa
simile, non può non presenziare!-
Paloma fece una smorfia, da circa quattro ore si trovava bloccata in
una specie di incubo Austiano. In camicia da notte aveva perlustrato la
grande dimora e per un attimo le sembrava di essere rimasta nel
castello di famiglia nel Sud dell'Inghilterra che avevano venduto due
generazioni fa e che occasionalmente visitavano. Si chiese come fosse
possibile che i sogni, o meglio gli incubi, potessero essere
così vividi. Di genere i suoi sogni non erano chiari e
concisi come questo.
Un brivido di paura le attraversò la schiena quando si
domandò se non fosse un'allucinazione dovuta al coma. Fin da
piccola era solita cavalcare tutti i giorni e qualche incidente non
degno di nota era capitato ma spesso rimaneva sconvolta dai racconti di
altri cavalieri che le narravano di gravi cadute, schiene spezzate e
coma irreversibili.
Forse dopo il matrimonio di suo cugino, di cui non ricordava nulla, si
era decisa a visitare un maneggio per fare qualche chilometro e BAM! Si
era ritrovata stesa e in coma.
Così adesso era quasi del tutto convinta che fosse un lungo
e travagliato sogno e che la nuova realtà che stava vivendo
non era altro che una pallida rappresentazione della sua versione
inconscia del Regency.
Aprì le ante di un piccolo armadio e trovò un
vestito meno femminile. Una sorta di abito lungo a righine celesti e
bianche. Decisamente più sobrio di quello che la sua
disperata cameriera aveva provato.
-Metterò questo. Senza discussione.- disse tirandolo fuori e
facendolo svolazzare fino al letto in gesto di sfida.
Non sapeva perché ma l'idea di essere finita in un sogno del
genere, nel profondo passato dove l'aristocrazia a cui apparteneva
contava moltissimo, le sembrava divertente. Anche se da quando era
nata, la gente la guardava a metà fra l'ammirazione e
l'invidia, sapeva benissimo di non poter fare più nulla. Non
poteva amministrare città, villaggi o intere contee. Poteva
concorrere ai seggi tramite elezione ma non di certo pretendere di
sedersi alla camera dei Lords come facevano tranquillamente i suoi
antenati.
Scosse la testa, quasi ridacchiando. Sì, sarebbe stato
interessante.
-Non ho mai trovato signorile, l'arrivare in perfetto orario, Lady
Paloma.-
Paloma fissò sconcertata la donna che le stava di fronte, la
sua assistente. O meglio, signora Smith, così si era
presentata quando lei aveva inventato di essere caduta e di avere la
mente confusa.
-Oh, povera piccola!- esclamò lei andandole incontro e
toccandole il braccio. Paloma si scostò automaticamente, i
contatti fisici erano qualcosa che ripudiava quando non era necessari.
Osservò con attenzione la sua assistente, aveva sempre
l'aria allegra con gli occhi castani vispi ma sembrava più
grande di lei di almeno cinque anni. Anche se nella realtà
erano coetanee.
Aggrottò la fronte e si lasciò annodare l'assurdo
cappello dalla donna che la trattava come una bambina e si
lasciò condurre su una carrozza.
Non appena chiuso lo sportello, Paloma prese un lungo respiro. Almeno
quello le era famigliare, ogni tanto lei e il signor Biggs si mettevano
a restaurare carrozze da poi mettere nel mercato. Era abituata alla
generale scomodità e quasi senza accorgersene stava
canticchiando un motivo dei Arctic Monkeys.
-Lady Paloma … Ma cosa sta dicendo?-
-Cosa … Oh è una canzone.-
La signora Smith alzò un sopracciglio. -E' una canzone
spinta! Ma dove l'avete sentita?-
-Alla radio … - mormorò senza notare lo sguardo
confuso. -E comunque ce ne sono di più volgari, o sbaglio?-
-Certo … Ma cosa vi prende oggi? E' per la caduta? Volete
tornare indietro?-
Paloma per un attimo pensò che tornare a casa, qualunque
fosse, non era un'idea così stupida, almeno avrebbe potuto
canticchiare tranquillamente. Ma la carrozza era già entrata
nel parco della villa dove si teneva la festa, e ne rimase
affascinata.
-Oh, come si chiama questo posto?-
La signora Smith aggrottò la fronte. -Scusi Lady Paloma, io
credo che voi stiate molto male, quella è Netherfield, la
conoscete benissimo perché siete stata a cavalcare nei
dintorni per giorni.-
Paloma le venne quasi da ridere, quel sogno si stava trasformando in
qualcosa di divertente. -Beh, bella casa.- giudicò scendendo
dalla carrozza senza aspettare che il valletto le porgesse la mano.
Si guardò intorno, le scale erano lucide e ben distanziante
l'una dall'altra, tutte le finestre erano illuminate e brusii e risate
ne uscivano fuori.
Era così che le donne della famiglia Stuart, divenuta poi
Wagner, si sentivano quando andavano alle feste nell'Ottocento? Feste
in cui avrebbero incontrato il partito giusto per poi sposarsi e fare
una decina di bambini e morire di parto?
Il sorriso entusiasta fu sostituito immediatamente dalla cruda
verità. Non erano tempi buoni per le donne.
Salì le scale con decisione e s'inoltrò
nell'atrio senza aspettare la sua segretaria – chaperon.
Si tolse la mantella con stizza e lanciò quasi il cappellino
alla cameriera in attesa.
Avrebbe annunciato a quei bifolchi l'inizio delle mille rivoluzioni che
il loro secolo stavano per affrontare, tanto era un sogno, no?
-Bingley, chi è quella ragazza che è appena
entrata?-
Charles Bingley guardò il punto indicato dal cenno
dell'amico e si ritrovò a fissare nuovamente la ragazza che
negli ultimi giorni l'aveva ossessionato.
-E' Lady Paloma Stuart. Suo padre è il defunto Conte di
Richmond.-
Fitzwilliam Darcy aggrottò il viso, era insolito vedere in
campagna donne titolate e di alto lignaggio partecipare a un ballo
qualunque.
-L'ho vista cavalcare nei dintorni e pensavo che fosse educato mandarle
un invito. Vedo che ha accettato.- disse con un sorriso.
Entrambi osservarono la donna. Alta, solida e seria camminava a passo
di marcia e sembrava più interessata ad osservare le
decorazioni della sala che fissare le persone o gettarsi nelle
relazioni sociali.
-Vado ad accoglierla.- disse Bingley avanzando velocemente verso Lady
Paloma.
Darcy provò un moto d'invidia.
Lady Paloma sembrava a prima vista, la ragazza più
interessante del ballo.
I capelli castani erano acconciati in maniera sobria ed elegante e
qualche ciocca cadeva sulla nuca. Il suo viso era regolare e ben
definito e la sua figura particolarmente alta per un inglese. Doveva
avere per forza sangue straniero. Seguì Bingley, voleva
stringerle la mano e sentirla parlare, prima di formulare un giudizio
completo.
-E' un onore ricevervi qui, Lady Paloma. Siamo molto contenti di avervi
qui con voi.-
disse Bingley lasciandole la mano che aveva baciato con educazione.
-Volete inserirmi nel vostro carnet, per il primo ballo?-
Paloma lo fissò seria. -Carnet?- poi il suo viso
arrossì pesantemente. -Oh, vogliate scusarmi, ma ho fatto
una … Una brutta caduta ed è già un
miracolo che sia in piedi.-
Bingley la squadrò preoccupato. -Siete caduta! Volete per
caso sedervi? Se vi sentite male non obbligatevi a rimanere, ve ne
prego.-
Paloma rimase sconcertata da tanto ardore e preoccupazione. Che fossero
tutti così gli uomini dell'Ottocento? Bravi attori?
Rivolse uno sguardo interrogativo all'uomo accanto al biondo Bingley.
Scuro e silenzioso le rivolse un inchino e Bingley lo
presentò come signor Darcy.
Paloma riuscì a collegare i due nomi solo dopo aver lasciato
la mano a Darcy.
Darcy e Bingley.
Quel Darcy e quel Bingley inventati da quella pazza di Jane Austen!
Sarebbe scoppiata a ridere se non fosse che le sembrava tutto insensato.
-Piacere di conoscervi, signori. Ora … Torno dalla mia
chaperon e vi lascio alle vostre dame da ballo.- disse e si
dileguò con uno strano sorriso fra le labbra.
Se si fosse svegliata, Alice sarebbe morta d'invidia.
La signora Smith la controllava con circospezione e non sembrava per
nulla contenta della piega che gli eventi stavano prendendo. Prima di
tutto la sua protetta non sembrava per nulla una nobile, si comportava
come una timida donnina di campagna, standosene in un angolo ad
osservare la festa danzante e a tracannare bicchieri su bicchieri.
Quando aveva cercato di fermarla, l'aveva guardato con disprezzo e le
aveva detto che sangue tedesco e che ogni weekend era un OktoberFest.
Il che l'aveva lasciata perplessa a lungo.
Per non parlare di come i due signori degni di questo nome, Darcy e
Bingley, avevano cercato di conversare con lei più volte,
senza riuscirci.
-Ehi, voi!- gridò una donna sulla cinquantina. -Presentateci
alla figlia del Conte!- gracchiò rivolta a lei, si
trascinava dietro di lei ben tre ragazze in età da marito.
Avrebbe voluto rispondere di no ma Paloma le stava sorridendo.
-Bene, vi presento Lady Paloma, figlia del Conte di Richmond e della
Marchesa Olympia.- Lady Paloma si esibì in una specie di
inchino sbrigativo.
-Oh, chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo trovati un giorno di fronte
a una vera Lady. Io sono la signora Bennett e queste sono alcune delle
mie figlie, Mary, Jane ed Elizabeth.- strillò la donna
indicandole.
La signora Smith guardò le figlie e cercò di
raggelarle con lo sguardo dato l'inchino non abbastanza profondo. Ma
Paloma sembrava a dir poco euforica.
Quasi le abbracciò e rimase a fissarle incantate, quando le
ragazze si accomodarono in fondo alla fila, le si avvicinò e
con voce roca le disse. -Però, sono finita nel bel mezzo di
un cazzo di libro!-
La signorina Smith svenne.
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