Andersen, 1973 di Darlene Hannigan (/viewuser.php?uid=727700)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era, una volta... ***
Capitolo 2: *** Cap.1 Robert/La Sirenetta ***
Capitolo 3: *** Cap.2 Bonzo/Il Guardiano Dei Porci ***
Capitolo 1 *** C'era, una volta... ***
ANDERSEN,
1973
~ Headley Grange,
Settembre del 1973
Si
avvertiva ancora un sussurro d’estate.
La
brezza tiepida, l’umidità raccolta sulle punte dei
fili d’erba, qualche grillo
che ancora cantava alle stelle. Ciò che restava era un
silenzio rassicurante,
il quale avvolgeva le mura del vecchio casale come un lenzuolo fresco.
La
finestra che dava sul salotto era ancora aperta, lasciando entrare un
vento
timido, ma che gonfiava ancora le tende di cotone leggero. Dalla
stanza,
arrivava solo un vociare leggero e un’unica, sola voce
narrante, dal tono
deciso, incalzante. Diceva: “Tutti
volevano far credere di vedere qualche cosa, per non essere giudicati
eccessivamente sciocchi o incapaci. Ma, ad un tratto, un bimbo
strillò …”
-
Oh! L’imperatore è senza vestito! –
squillò una voce piccola, delicata,
entusiasmata.
-
Scarlet, non interrompere John mentre legge!
-
Ma papà …
-
Jim, lasciala stare. È la sua storia preferita! –
disse John teneramente,
staccando una mano dal libro per poter accarezzare la testolina dorata
della
piccolina seduta ai suoi piedi. Di fianco a lei, in semicerchio,
sedevano altri
sei bambini, cioè l’intera prole della band,
perfettamente attenti e attente a
non perdere una parola di zio e
papà
John, nonostante alcune di quelle storie le conoscessero ormai a
memoria.
Pigramente abbandonati su divani e poltrone, invece, vi erano i
rispettivi
padri, intenti ad ammazzare il tempo come meglio potevano.
-
Comunque, il mezzo cinese non ha tutti i torti … -
sbadigliò pesantemente Bonzo,
stiracchiando in alto le braccia a pugni chiusi, seduto di fianco a un
Robert
mezzo insonnolito, ma presente, con una risata soffocata nel vedere la
faccia
contrariata di Jimmy.
-
Grazie dell’appoggio, Bonham! – fece
quest’ultimo, stringendo pericolosamente
le palpebre.
–
Di niente dolcezza! – fece lui sarcastico, sollevando una
mano in segno d’intesa
per poi usarla per stropicciarsi un occhio - Tra un po’
dovrò mettere le
mollette alle palpebre, Jonesy, vedi di sbrigarti! Il sonno lo stai
facendo venire a
noi, non ai ragazzi.
- “Ecco la voce
dell’innocenza!”
disse il padre – continuò
a leggere
Jonesy, rivolgendo uno sguardo strafottente a Bonzo, il quale gli
sollevò il
dito medio senza farsi vedere dai bambini – Le
parole del piccolino passarono di bocca in bocca … -
proseguì, indicando
con un dito le bocche dei piccolo pubblico seduto di fronte a lui,
facendoli
sorridere, ma fu interrotto di nuovo.
-
L’imperatore è senza
vestito, non ha
niente addosso! Lo ha detto un bambino! –
esclamò improvvisamente Robert,
saltando in piedi e alzando le braccia al cielo e facendo ridere i
piccoli e
Jonesy, mentre Bonzo sbuffava pesantemente e Jimmy lo guardava
incredulo, la
bocca socchiusa.
-
Bravo papà! – applaudì la piccola
Carmen.
-
Ogni cosa per compiacerla, principessa! – le rispose lui,
rivolgendole un
inchino.
-
E alla fine, tutto il popolo urlò
… -
disse Jonesy scattando in piedi davanti ai bambini che urlarono: L’imperatore non ha niente addosso!
-
Page, credo che l’ultima parte sia tua! –
tuonò Bonzo, mentre lo sguardo del
chitarrista si faceva sempre più affilato,
l’irritazione che sembrava
arrivargli fino ai capelli facendoli sembrare minacciosamente
più scuri e
gonfi.
-
L’imperatore era sulle spine
… - lesse
ancora Jonesy - …
perché non poteva dare
torto ai suoi sudditi. Pensava però …
- Se non mi mantengo
dignitoso e imperturbabile ne va di mezzo il gran corteo! – esclamò Jimmy con voce
fin troppo impostata, facendo ridere Bonzo e sollevando un pugno di
fronte a sé
come un Amleto a corto di teschio, mentre Scarlet, orgogliosa, corse da
lui,
andandosi a sedere sulle sue ginocchia e lasciandogli un bacio lieve
sulla
guancia tonda. Robert, invece, si avvicinò a Karac,
vedendolo barcollare avanti
e indietro, ormai quasi addormentato. Lo prese in braccio,
sistemandogli la
testa sulla propria spalla, e cullandolo in un walzer del sonno.
-
S’irrigidì dunque in un
portamento ancor
più altero e maestoso. E i paggetti seguitarono a camminare
curvi, sorreggendo
lo strascico che non esisteva! – concluse Jonesy,
sussurrando, mentre Jason
andava a sedersi accanto al padre, abbracciandolo, entrambi in cerca di
sonno.
-
Andiamo Jason? – chiese Bonzo ad occhi chiusi, poggiando il
capo su quello del
figlio.
-
Sì papà!
-
Infatti si è fatto tardi! – osservò
Jonesy, scrutando l’orologio e passandosi
una mano tra i capelli – A nanna signorine! –
disse, vedendo che ormai le
uniche sveglie erano le sue figliole e Carmen. Appoggiata al petto del
padre,
anche Scarlet era andata a far visita al mondo dei sogni.
In
pochi minuti, la stanza si svuotò. Ogni padre si
caricò del leggero peso dei
piccoli, portandoli uno ad uno nei propri letti. Qualcuno
baciò loro la fronte,
qualcun altro si assicurò che nemmeno un piedino spuntasse
da sotto le coperte.
Poi,
i quattro, si chiusero nelle rispettive stanze, crollando
immediatamente.
Felici
e contenti.
Angolo
dell’autrice
Salve!
Nuova storia, nuova faccia.
Ok, questa è una piccola
sperimentazione che spero
possiate apprezzare. Ammetto che per essere una “new
entry” risulterà un po’
azzardata, ma in quel caso siete più che autorizzati a
tirarmi frutta marcia
virtuale.
Preferisco non anticipare nulla a
storia iniziata,
lo farò man mano che andrà avanti!
Al prossimo capitolo!
D.H.
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Capitolo 2 *** Cap.1 Robert/La Sirenetta ***
‘Til
your singing eyes and
fingers
Sbuffò,
pizzicandosi lievemente il naso.
L’odore
dell’erba fresca e il profumo settembrino nell’aria
era piacevole fino a quando
non faceva pizzicare le narici. Così, sollevò
pigramente le braccia sopra la
testa, gonfiando il petto in un grosso sbadiglio prima di mettersi in
piedi,
restando all’ombra del grande salice piangente che cresceva
ai confini dei
possedimenti di Headley Grange.
Aveva
trascorso ore intere a passeggiare a vuoto, quasi misurando ogni metro
di terra
con i propri passi, ma l’ispirazione tardava, facendosi
attendere come la più
esclusiva delle ospiti.
-
Non ce la farò mai. – sussurrò tra
sé e sé, portando l’armonica sul bordo
delle
labbra sottili, soffiando piano e scrutando il cielo terso come i suoi
occhi.
The people turned away, the
people turned away…
Le
parole continuavano a rincorrersi nella testa senza incontrarsi mai,
evitando quel
filo logico che lui cercava. Riprese a camminare, mani e armonica
cacciate
nelle tasche, un filo d’erba tra i denti. Si fermò
soltanto quando,
attraversata una piccola radura spennellata di rosso autunnale, si
trovò
davanti ad un laghetto, ben nascosto da rocce vestite di muschio e
arbusti
sempreverdi ancora fioriti.
Non credevo ci fosse un
lago da queste parti,
pensò, avvicinandosi piano, in sincronia con il sorriso che
iniziava a
sollevargli le guance, fino ad essere abbastanza vicino da poter
contemplare
l’immobilità dell’acqua, la luce che si
rifletteva su di essa.
-
Dio, sembra un lago incantato! – sussurrò, quasi
come se qualcuno potesse
sentirlo.
Poi,
con la sorpresa di un acquazzone in pieno Agosto, le parole si
precipitarono
nella sua testa, chiare e limpide come gocce di pioggia.
Out in the country, hear the
people singin'…
Singin' 'bout their progress,
knowin' where
they're goin'.
Oh, oh, oh, oh, the people
turned away
Yes, the people turned
away
Iniziò
a rovistare nervosamente nelle tasche posteriori, impaziente, timoroso
di poter
perdere le parole; poi finalmente trovò il foglietto,
ridotto quasi a
brandelli, e la matita che, controllò attentamente, aveva
ancora la mina
perfettamente intatta. Frettolosamente la fece passare sulla punta
della
lingua, in quel gesto che tante volte aveva visto fare da suo padre,
quando era
immerso nei suoi calcoli infiniti, rifugiato sotto la luce verdognola
dell’abat-jour appoggiata sulla scrivania al centro del suo
studio,
accompagnato solo da silenzio e concentrazione.
Sorrise
a quel ricordo, mentre canticchiava le parole e le scriveva nella sua
accurata
calligrafia, piegato sulle ginocchia e foglio appoggiato su una coscia,
così perfettamente
immerso nell’attimo d’ispirazione che nemmeno si
accorse che stava perdendo
l’equilibrio. Fece giusto in tempo a reggersi sulle punte dei
piedi, ma nel
farlo perse di mano la matita, andata a rotolare poco distante dalla
riva del
laghetto. Sospirò di sollievo.
-
Wow! – disse, mettendosi in piedi – Che culo!
– esclamò, avviandosi a
raccoglierla, ma c’era una cosa che quella mattina Mr. Plant
non aveva messo in
conto. Qualcosa ce l’aveva con lui.
E
così, mentre era ad un passo dal raccogliere la matita,
inciampò contro la
radice di un albero e, ciò che vide prima di sbattere con la
testa contro il
suolo roccioso, fu soltanto la scia luccicante della superficie
dell’acqua.
*
Arricciò
il naso, in un gesto che gli sembrò di aver già
fatto quel giorno.
Infatti
si chiese subito se per caso non avesse sognato tutto mentre continuava
a
tenere gli occhi chiusi.
Invece
no.
Man
mano che si svegliava, sentì che un forte mal di testa
batteva contro la tempia
sinistra in maniera allucinante, quasi come se a percuoterla fosse
stato un
martello, mentre scoprì che a fargli arricciare il naso era
qualcos’altro, come
se una mosca dispettosa ci stesse girando intorno.
Aprì
lievemente gli occhi, lasciando che la luce si facesse strada poco a
poco,
senza abbagliarlo. Quando furono aperti, però, dovette
stropicciarli bene con i
pugni, per poter mettere a fuoco il volto sopra il suo.
La
chioma fulva le ricadeva su una spalla sola, mentre
l’espressione corrucciata e
preoccupata non gli impediva di scorgere i bei lineamenti della
ragazzina che
aveva di fronte. Labbra carnose, naso all’insù e
occhi azzurri.
Anzi no, viola, pensò.
-
Ciao! – sussurrò, tentando di sfoderare il solito
sorriso da marpione, ma
scoprì subito che ciò gli costava aumentare la
fitta alla testa. Così, rinunciò
volentieri alla sua arma di conquista preferita, preferendo portarsi
una mano
alla fronte e mettendosi a sedere, giusto per vedere in che condizioni
si
trovasse. Tirò un sospiro di sollievo nel vedere che non
c’era sangue, se non
un leggero graffietto sulla pelle e un gonfiore che andava aumentando.
Si
guardò intorno e dalla luce capì che non era
passato molto tempo da quando
aveva perso conoscenza, ma tornando a guardare la piccola creatura di
fronte a
lui, si accorse che era completamente sola.
-
Come hai fatto a trovarmi qui? – chiese, guardandosi intorno
ancora una volta,
giusto per essere certo di ciò che diceva.
Lei
non rispose, si limitò soltanto a fare spallucce, facendo
scivolare giù una
spallina dell’anonimo vestitino bianco che la copriva a
malapena fino alle
ginocchia. Robert se ne accorse subito, nonostante il dolore che
continuava ad
aumentare, e non perse l’occasione di passare lo sguardo su
ogni singolo pezzo
di pelle della giovane. Questa se ne accorse, arrossì di
vergogna e
frettolosamente sollevò la spallina e portò le
braccia avanti, come a volersi
coprire fino ai piedi.
-
Hey! – sussurrò lui, sconvolto da tanto timore
– Non ti mangio mica. – disse,
in quello che era il tono più rassicurante che riusciva ad
imitare, ma,
guardandola negli occhi, vide che non era imbarazzata, bensì
spaventata a
morte.
-
Che ti hanno fatto? – chiese, questa volta analizzando il suo
corpo in cerca di
lividi, tagli, qualcosa che gli desse da pensare, ma trovò
quella pelle più
candida di come gli era sembrata cinque secondi prima. Lei
continuò a restare
in silenzio, abbassando gli occhi e arricciando un angolo della bocca.
Non so nemmeno come ci
sono finita qui, questo
sembrò dire.
-
Ho capito! – disse lui, alzando un dito in aria con fare
ironico – Ti hanno
tagliato la lingua! – esclamò puntandole il dito,
sperando di farla ridere. Si
sbagliò di nuovo. La ragazzina arricciò le
labbra, tirandole dentro e
trasformando quell’espressione spaesata in un broncio che le
riempì gli occhi
di lacrime.
Robert
non seppe cosa pensare. Si era svegliato da soli venti minuti e in
così poco
tempo era riuscito a terrorizzare la ragazzina che lo aveva gentilmente
risvegliato. Bel traguardo, Plant,
si
disse, dovrai rivedere le tue tecniche di
seduzione.
-
Scusami! – disse, profondamente amareggiato e portandosi una
mano al petto - È
che ero qui, completamente da solo e mi chiedevo come fossi riuscita a
trovarmi, tutto qui. – aggiunse tutto d’un fiato,
mentre le spalle della
ragazza iniziavano a rilassarsi. Robert, senza ombra di malizia,
avvicinò una
mano ad una di esse. Si sorprese quando la ragazzina gli permise di
massaggiarla piano, con una delicatezza che per certe donne non avrebbe
usato e
sorridendo intenerito vedendo che lei lo fissava ipnotizzata.
-
Come ti chiami? – le chiese gentilmente senza interrompere il
contatto.
Anche
a quella domanda, rispose il silenzio, mentre gli occhi della fanciulla
diventavano sempre più tristi. Poi, la vide muoversi in modo
quasi
impercettibile e notò che stava allungando una mano vicino
al proprio fianco,
con la punta del dito indice rivolta verso il selciato, tracciandoci
sopra
alcune lettere con una grafia sottile e tonda.
Iris
-
È il tuo nome? – chiese lui e finalmente la vide
annuire e sorridere insieme,
in un’espressione luminosa che la rendeva ancora
più bella – Ma non puoi
proprio parlare? – chiese lui, sinceramente curioso. Lei fece
di “no” con la
testa, ma senza perdere la sua aria allegra e spensierata.
Robert
non insistette oltre. La poverina era di certo muta e farle altre
domande al
riguardo le avrebbe fatto perdere di nuovo quel sorriso meraviglioso.
Poi la
vide portarsi una mano sulla fronte, come se stesse per scordare
qualcosa, così
si alzò di scatto andando a raccogliere qualcosa nascosta
sotto un cespuglio di
more.
Quando
tornò, Iris porse a Robert il suo foglietto malandato, ma
ancora intatto e con
le parole ben scritte e leggibili, mentre lui sentì che
qualcosa di grande gli
cresceva nel petto. La gratitudine.
-
Oddio, hai trovato anche questo! – esclamò,
raccogliendo delicatamente il
foglio – Tu non sei una ragazza, sei un miracolo! –
aggiunse, facendola ridere
e sentì che, pur essendo muta, Iris aveva una voce
incredibile, cristallina.
Gli bastò quel piccolo suono per intuirlo. Dopo qualche
secondo, si rese conto
che la stava fissando e che Iris aveva smesso di ridere, guardandolo
con
un’aria curiosa e incerta, come se stesse aspettando il suo
prossimo passo.
-
Vuoi sentire? È una canzone che sto scrivendo. –
disse lui, facendola annuire
una seconda volta.
Iris
unì le gambe insieme e le portò entrambe da un
lato, sedendosi con le mani sul
grembo, pronta ad ascoltare Robert che aveva già iniziato a
cantare con voce
bassa e soffiata. Lo ascoltò ad occhi chiusi, ondeggiando
impercettibilmente
seguendo il ritmo della canzone, mentre Robert la guardava con un moto
di
tenerezza che non credeva di poter trovare. Era la prima volta che, pur
trovando
attraente una donna, sentiva tenerezza
per questa, quasi di fronte a lui ci fosse Carmen intenta ad ascoltare
ogni sua
nuova canzone o farsi ripetere quelle che di solito ascoltava lui.
-
Ti piace? – le chiese quando finì.
Lei
annuì ancora, sinceramente convinta e battendo piano le
mani; poi si guardò
intorno, in cerca di qualcosa, alzandosi di scatto non appena il suo
sguardo si
fermò.
-
Ma dove vai? – le chiese, vedendo che andava verso il
laghetto.
Quando
tornò, Iris aveva tra le mani una ninfea, bianca quasi come
la sua pelle.
-
Ma … che fai? – chiese Robert quando la vide
avvicinarsi ad un soffio dal suo
viso, credendo per un attimo che la donna nascosta dentro Iris stesse
per
uscire fuori. In realtà, la ragazzina andò a
sistemargli il fiore tra i capelli,
adagiandolo all’altezza dell’orecchio.
Robert
non seppe decifrare quel gesto. Nessuno (o nessuna) aveva mai provato
ad
adornargli i capelli, la maggior parte delle volte si limitavano a
criticarli,
adorarli o tirarli. Iris, invece, aveva scelto quel gesto che invece lui aveva rivolto ad altre donne. Non
sapeva se ad imbarazzarlo era “sentirsi” quasi una
donna o l’incapacità di
capire l’intenzione di Iris. Così, tentando anche
lui la strada del silenzio,
si limitò a guardarla, a capire attraverso i suoi occhi cosa
le stesse passando
per la mente.
Non
trovò nulla di particolare, se non una voglia di portare a
termine il lavoro e
di farlo nel migliore dei modi, quasi volesse sdebitarsi di quella
canzone
mezza cantata e mezza sussurrata.
Quando
ebbe finito, Iris si allontanò di poco per vedere la sua
opera, per poi
sorridere compiaciuta.
-
Sto bene? – la assecondò lui, gonfiandosi i
capelli con le dita, attento a non
far cadere il fiore. Iris fece di “sì”
con la testa, mordendosi le labbra con
fare infantile.
Piccola Iris, pensò, sei
così innocente da farmi provare affetto
per te.
Non
osò confessarglielo. Semplicemente si avvicinò
alla giovane, sentendone il
profumo fresco come la brezza marina, e le lasciò un
innocente bacio sulla
guancia, senza sentire il minimo desiderio di fiondarsi sulle labbra
carnose o
di addentarle il collo. Quella era una bambina vera, non un semplice
nomignolo
da appioppare alla prima che passa. Ne aveva rispetto, quasi fosse
sacra e la
guardò come se fosse stata una sorella minore quando
sì alzò in piedi. Vista da
lì, sembrava ancora più piccola.
-
Sì è fatto tardi, Iris. – disse lui,
notando subito la repentina espressione di
delusione sul volto della ragazzina – I miei amici potrebbero
preoccuparsi non
vedendomi ritornare. – si giustificò, per poi
chinarsi e prenderle una mano - È
stato un piacere, principessa. – le sussurrò,
baciando il dorso della mano
minuta – Spero di incontrarti ancora, prima o poi!
– concluse, mentre lei lo
guardava senza lasciar trapelare alcuna emozione che non fosse lo
sgomento.
Robert
impiegò tutte le sue forze per non sentire il senso di colpa
di fronte alla
delusione di Iris, così si incamminò subito verso
il casale e trovandolo dopo
appena venti minuti di passeggiata. Il sole era ormai nascosto alle
spalle dell’edificio,
dipingendolo di ombre e di una calda luce rossa. Poi, qualcuno lo
chiamò.
-
Robert! – e solo allora si accorse che la porta
d’ingresso era aperta, Maureen
appoggiata all’uscio. In quel momento, si ricordò
che aveva ancora il fiore tra
i capelli e, per paura che lei iniziasse a sospettare qualsiasi cosa,
se lo
sfilò senza danneggiarlo. Quando fu abbastanza vicino alla
moglie, questa gli
corse incontro, buttandogli le braccia al collo e sfiorandogli le
labbra con le
proprie.
-
Dov’eri? – gli chiese curiosa.
-
In cerca d’ispirazione. – sospirò lui.
-
E l’hai trovata? – fece lei, stringendosi ancora di
più a lui.
Robert
sollevò il fiore alle spalle della moglie, senza che lei lo
vedesse, poi
rispose: - Sì.
-
Perfetto. – esclamò lei, baciandolo una seconda
volta. Quando si staccarono,
lui le porse il fiore.
-
Robert, è bellissimo! Dove l’hai trovato?
– chiese lei, prendendo il fiore con
aria stupefatta.
-
Dopo il confine, c’è un laghetto nascosto tra le
rocce. – rispose con tono
monocorde.
-
Wow! – esclamò lei – Non sapevo ci fosse
un laghetto da queste parti.
-
Nemmeno io. – disse lui, mettendosi le mani in tasca, mentre
sua moglie portava
il fiore tra i propri capelli.
In
quel momento, sentì come un gemito di pianto sollevarsi
dalla radura, ma
abbastanza forte da essere scambiato per un urlo. Si voltò
di scatto.
-
Robert? Che succede? – chiese Maureen.
-
Non hai sentito?
-
Cosa? Io sento solo il rumore del vento. –
constatò lei, iniziando a guardarsi
intorno preoccupata – Robert, tutto bene?
-
Devo andare. – disse, proprio mentre si avviava verso la
radura con Maureen che
lo pregava di fermarsi. Non le diede ascolto, inoltrandosi in poco
tempo fino
al laghetto. Quando fu arrivato, Iris non c’era
più.
Solo
una cosa notò. L’acqua non era più
cristallina, coperta da una lieve schiuma
bianca e luminosa.
Come la pelle di Iris.
-
No, non può essere. – sussurrò, proprio
mentre nel bel mezzo della schiuma iniziarono
a sbocciare delle piccole e bellissime ninfee bianche.
Angolo dell'autrice
Salve!
Perdonate il ritardo. Siete state così tante a recensire che
avrei voluto pubblicare questo capitolo molti giorni fa. La
verità è che ho finito di scriverlo solo ora. ^^'
Ok, iniziamo con i credits:
- Down to the seaside, Led Zeppelin;
- Song to the siren , Robert Plant.
Detto ciò spero abbiate intuito cosa accadrà nei
prossimi nei capitoli ma, nel caso in cui invece non si sia capito una
mazza, ve lo dico...
Ad ogni componente, verrà abbinata una favola di Andersen.
E, come avrete notato (spero), quella abbinata a Robert è
"La Sirenetta".
Ok, date queste piccole informazioni, non vi resta che scommettere
sulla prossima favola con il rispettivo componente.
Ovviamente, ogni favola è riadattata in modo che possa
sembrare almeno verosimile e, per quanto riguarda "La Sirenetta", mi
sono ispirata alla trama originale della favola, in cui appunto il
principe non ricambia affatto la povera principessa dei mari.
Detto ciò, vi do appuntamento alla prossima favola.
D.H.
|
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Capitolo 3 *** Cap.2 Bonzo/Il Guardiano Dei Porci ***
I’m
just a simple guy, I
live from day to day
-
Ragazzi, ho bisogno di una pausa. – disse, stiracchiandosi le
braccia sopra la
testa.
-
Ma se è solo da un’ora che proviamo! –
esclamò Page infastidito.
-
JimJam – esordì – Non me ne frega un
cazzo. Ho bisogno di una pausa! – esclamò
e così si alzò dal suo sgabello,
sistemò le bacchette sulla grancassa e si
avviò nel giardino.
-
Ma dove vai? – chiese Robert aggrottando la fronte.
-
Lo lasciate in pace o avete intenzione di fare le mamme premurose
ancora per
un’altra mezz’ora? – chiese Jonesy dando
un tiro alla sua sigaretta, mentre
Bonzo, mani ficcate nelle tasche, attraversava il giardino respirando
l’aria
mattutina a pieni polmoni.
Le
prove, badare ai bambini, passare il tempo con Pat …
Erano
cose che amava terribilmente, ma che in quei giorni lo stavano
sfinendo,
specialmente se ogni mattina bisognava montare la batteria in giardino,
quando
lui avrebbe preferito lasciarla nell’ingresso, usando la
tromba della scala
come amplificatore.
-
Finalmente un po’ di pace. – sussurrò,
andandosi a sedere all’ombra di un pino,
recuperando una sigaretta e un accendino dalle tasche per dare inizio
ad una
bella fumata. Chiuse gli occhi, facendo scivolare lentamente il fumo
dalle
labbra.
Psss
Lo
sentì appena e tirò uno schiaffo nel vuoto,
credendo si trattasse di un
insetto.
Psss – Pss!
Eh
no, non era un insetto.
Aprì
gli occhi e drizzò la testa, andando alla ricerca della
fonte di quel suono
-
Hey, tu! Sono qui!
Si
guardò intorno, stringendo gli occhi per via del sole e solo
dopo essersi
voltato alle sue spalle vide che, aggrappata ad un cancello, una bella
ragazza
dai lineamenti sottili e le forme generose lo stava guardando con un
sorriso
radioso.
-
Ciao dolcezza! – sorrise, sollevando quei baffoni quasi fino
alle narici mentre
la ragazza lo ricambiava – Che ci fai lì?
– chiese gentilmente.
-
È qui che suona la band, vero? – chiese,
aggrottando leggermente la fronte
mentre il leggero vestito di seta purissima le svolazzava attorno alle
gambe
come ali di farfalla.
-
Sì. – disse lui, appoggiando il gomito contro il
cancello – E tu saresti?
-
Io sono Sally. – rispose quella, la voce sottile di chi cerca
di accarezzarti
la testa e non farti più capire nulla. Sorrise al
batterista, piegando un lato
della bocca in maniera impercettibile, segno che lo faceva con un certo
sforzo;
ma Bonzo non se ne accorse, troppo preso dagli occhi blu che lo
fissavano come
a volerlo ipnotizzare.
-
Sai, mio padre mi ha lasciata libera solo per un’ora.
È una persona molto
importante in paese. – disse, con un tono che sfiorava
l’intimidazione – E se
faccio tardi verrà a cercarmi come un pazzo.
-
Oh, immagino! – rispose Bonzo, continuando a sorriderle come
incantato – E
posso anche immaginare che tu voglia entrare. – e
così dicendo fece scattare la
serratura, aprendo piano il cancello per farla entrare.
Sally
saltellò dentro entusiasta, guardandosi intorno quasi fosse
entrata in un
tempio.
-
Benvenuta, principessa! – esclamò Bonzo,
cingendole le spalle con un braccio.
-
Hey, ma che fai? – chiese Sally stizzita, scattando lontana
da lui quasi
schifata.
Bonzo
rimase sconvolto, fissandola sbalordito con la bocca semiaperta.
-
Ma … che diavolo …
-
No, che diavolo vuoi tu! – fece la giovane con superbia
– Ho detto che voglio
vedere la band, non te! –
esclamò,
riempiendo di disprezzo l’ultima parola.
Il
batterista era ormai pietrificato. L’incanto col quale
l’aveva fissata pochi
minuti prima era tramutato in sgomento come per colpa di un tremendo
incantesimo. Aveva di fronte l’ennesima ugola strillante alla
vista di Robert o
Jimmy, una di quelle che ha solo occhi per loro e finisce col non
vedere lui o
Jonesy. Non l’aveva riconosciuto, il fatto era chiaro come il
cielo sulle loro
teste; ma, si sapeva, Bonzo non era di quelli che si perde
d’animo. Così fece
un passo indietro, rivolgendole un sorriso cordiale e portando le mani
dietro
la schiena.
-
Scusami! – disse, fingendo un dispiacere così
profondo da sembrare sincero – La
band è nel casale. Li troverai lì.
-
Grazie. – sputò lei con un disprezzo che a quanto
pare aveva spazzato via
qualsiasi traccia di gratitudine, sbattendo nell’aria
mattutina la lunga chioma
bionda ed avviandosi verso il casale.
Bonzo
sorrise sotto i baffi.
-
Adesso ti sistemo io!
E
così dicendo, afferrò una bicicletta che era
poggiata contro il muretto di
fianco al cancello e si avviò nel giardino correndo il
più veloce che poteva.
*
-
Ma tu non eri in pausa? – chiese Jonesy sconvolto, sollevando
lo sguardo dal
suo libro per vedere Bonzo infilarsi in salotto entrando dalla
finestra. Entrò
appena in tempo per vedere Sally apparire da dietro un albero, diretta
verso il
portone.
-
Ero! – riuscì a dire col fiatone, portandosi le
mani ai fianchi.
-
Qualcosa mi dice che stai tramando qualcosa. –
sussurrò Jonesy sollevando un
ciglio.
-
Bravo, Baldwin! – esclamò John, puntandogli il
dito indice – Mi piace quando
azioni quel cervello nascosto sotto la parrucca da fata turchina!
Jonesy
chiuse il libro con un colpo secco.
-
Ascolta, Bonz, non te …
-
Sì, ok! – disse questo, prendendo il bassista per
un braccio e sollevandolo di
peso – Non devo chiamarti più così.
Muovi il culo adesso!
*
Una
mano colpì più volte la porta
d’ingresso. Tre colpi precisi, secchi, ma deboli.
Robert li sentì appena, immerso in una discussione con Jimmy
in cui lui
ribadiva, per l’ennesima volta, che Trumpled
Under Foot somigliasse a Long
Train
Running dei The Doobie Brothers.
-
Ti dico di sì. – diceva Robert mentre si avviava
alla porta.
-
Plant, non essere pignolo. Non ci somiglia affatto! –
sbuffò Jimmy, portando
nervosamente la sigaretta alle labbra.
-
Sì, ok. – pose la mano sulla maniglia –
Tanto hai sempre rag… goodmorning,
sunshine! – esclamò,
sfoderando un sorriso raggiante alla vista di Sally che,
sull’uscio, aveva
assunto la rigidità di una statua di sale, fissando Robert a
occhi spalancati.
-
B-buongiorno! – riuscì a dire.
Barcollò.
La
vide perfettamente, nascosto dietro la porta del salotto rimasta
socchiusa, e
dovette recuperare tutte le forze per non ridere.
-
Robert, Dio, ma l’educazione te l’hanno insegnata?
– chiese Jimmy, alzandosi
elegantemente dal divano per avvicinare i due, mentre Robert rimaneva
silenzioso ad analizzare ogni centimetro di pelle, visibile e non,
della
ragazzina – Fai accomodare questa giovane bellezza!
-
Troppo gentili! – cinguettò lei, aggrappandosi al
braccio che Jimmy le offriva,
accompagnandola sul divano dove era seduto poco prima.
-
Come hai fatto a trovarci, dolcezza? – chiese Robert
aggiungendosi alla coppia,
sedendosi scomposto in modo che la ragazza lo guardasse non esattamente
negli
occhi.
-
Oh, beh … - disse lei, arrossendo vistosamente e portandosi
una ciocca di
capelli dietro l’orecchio – Lo sanno tutti in paese
che voi siete qui –
aggiunse, stentando un sorriso.
-
Oh, davvero? – sussurrò Jimmy, risistemandole la
stessa ciocca, ma la poverina
era troppo presa da quegli occhi verdi per notare che il chitarrista
l’aveva
appena imitata – E chi ti ha fatto entrare? –
chiese severo, facendo
impallidire Sally in un colpo solo e facendola deglutire pesantemente.
-
I-io … non so … credo un vostro aiutante, o
qualcosa del genere. – provò a dire
– è un problema? – chiese con un nodo
alla gola.
-
Certo che no, piccola. – la rassicurò Robert con
un ghigno che lo contraddiceva
– Ci fa piacere ricevere visite. Specialmente se sono tutte
come …
Ma
fu interrotto. Jonesy si precipitò nell’ingresso,
scompigliato e col fiatone,
attirando l’attenzione sorpresa dei tre.
-
Che ti prende? – chiese Jimmy con tono monocorde.
-
Maureen. Charlotte! – riuscì a dire –
Sono al cancello, le ho appena viste
arrivare dalla mia stanza.
-
Oh, cazzo! – esclamò Robert con voce stridula.
-
Già, quello che perderemo se questa non sparisce!
– esclamò Jimmy indicando
Sally con le mani.
La
poverina era ormai nel panico totale, gli occhi sgranati e lo sguardo
ferito,
probabilmente da come l’aveva appena indicata Jimmy. Si
alzò insieme ai due
guardandosi intorno come in cerca di una via di scampo. Quello che
sembrava un
sogno si era appena trasformato in un incubo.
-
Coraggio. – disse Jonesy, poggiandole una mano su una spalla
– Vieni con me.
Sally
annuì. Non si accorse nemmeno dello sguardo di Jonesy che
correva alla porta
del salotto e della testa che annuiva, troppo impegnata a fissare i
fianchi di
Robert e i capelli corvini di Jimmy che salivano le scale.
Bonzo
chiuse la porta, un sorriso trionfante sulle labbra.
-
E non finisce qui!
*
-
Ma, dove mi stai portando?
La
voce stridula di Sally gli arrivò all’orecchio
come se fosse stato il ronzio
fastidioso di un insetto, ma si stava divertendo troppo per lasciar
perdere e,
quando vide Jonesy aprire la porta del porcile, gli fu difficile
trattenere le
risate.
-
John. Nascondila. Le mogli dei membri della band sono arrivate e tu e
questa
signorina fate in modo di non farvi vedere in giro, chiaro? –
ordinò Jonesy con
tono di disprezzo e con una punta di vendetta, sapendo perfettamente
che non
poteva rispondergli a tono.
-
Sì signore …
-
Ma, come? Mi nascondete qui? – chiese schifata la ragazza,
fissando i maiali di
fronte a sé – E con questo qui?
-
Ma chi ti tocca! – esclamò Bonzo, sedendosi su uno
sgabello mentre Jonesy
chiudeva la porta ridendo sotto i baffi.
-
I-io non posso stare qui! Devo tornare a casa!
-
Stai zitta. Con quella voce potrebbero sentirti fino in paese e se le
mogli ti
scoprono, ti mettono al posto mio a spalar letame. –
puntualizzò, per poi
tirare fuori dal taschino un’armonica a bocca.
-
Ci mancava il porcaro musicista. – sbuffò
l’odiosa ragazzina, ma Bonzo non le
diede corda. Prese a suonare. Era un vecchio pezzo di Little Walter, Juke, che spesso si divertiva a suonare
insieme a Robert quando erano ragazzini, stesi sul bordo di qualche
muretto di
una delle tante campagne sperdute delle Midlands.
Sembrò
un incanto.
Sally
si voltò a guardarlo, forse era la prima volta che lo faceva
quel giorno, gli
occhi pieni di un interesse che fino a quel momento non gli aveva
rivolto. Il suono
di quell’armonica era così cristallino e al
contempo sporco, sensuale, che
sentì qualcosa muoversi al centro del petto. Forse
l’anima.
Si
sedette su un mucchio di paglia, le ginocchia raccolta tra le braccia,
fissando
Bonzo a bocca spalancata.
-
Wow! – sussurrò quando lui ebbe finito, incantata.
Lui
si voltò soddisfatto, sorridendole sbilenco.
-
Grazie. – disse, poi guardò fuori da una delle
minuscole finestre del porcile,
i poveri animali che continuavano a gironzolare pigri ed indisturbati.
-
Che c’è? – chiese lei.
-
Credo siano andate via. Ti accompagno su.
*
Dal
salotto, la chitarra di Jimmy urlava impazzita, persa in un assolo
malinconico.
-
Stanno provando! – sussurrò lei a Bonzo, ormai
avvicinandolo con sicurezza –
Perché non gli chiedi di suonare con loro? Sei bravo con
quell’armonica.
Bonzo
rise di gusto: - Il mio mestiere è la batteria, carina!
– esclamò e, così
dicendo, spalancò la porta del salotto, entrando entusiasta.
-
Ma dov’eri finito? – lo rimproverò Jimmy
vedendolo entrare e, pur notando la
presenza di Sally, la ignorò completamente.
-
Chiedilo a Miss Universo! – disse, afferrando le bacchette e
indicando Sally,
sempre più sconvolta e corrucciata.
-
T-tu … - balbettò, indicando Bonzo con un dito
mentre gli altri tre si
gustavano la scena iniziando a ridere – Se-sei il batterista?
-
No, suo nonno! – disse, battendo le bacchette una contro
l’altra – Riprendiamo a
provare? A mezzogiorno vorrei mangiare!
-
Agli ordini capo! – esclamò Robert mettendosi
sull’attenti e agitando a destra
e a manca la chioma leonina.
Sally
prese a piangere.
Bonzo
aveva organizzato tutto alla perfezione, mettendo in piedi quella
lezione che,
ne era sicura, non avrebbe mai dimenticato. Si voltò,
facendo per andarsene, ma
la voce di Bonzo la bloccò.
-
E ricorda una cosa, bambina!
Lo
guardò, gli occhi che trasmettevano il suo senso di colpa.
-
Mai giudicare dalle apparenze.
Detto
questo, batté il tempo e ricominciarono a provare, mentre
Sally andava via a
testa bassa e la sua presunzione ferita.
Angolo dell’autrice.
Eccomi qui!
Perdonate il vergognoso ritardo, ma il
tempo è
quello che è!
Ecco, questa è la fiaba
“appioppata” a Bonzo bello:
“Il porcaro” o “Il guardiano dei
porci”.
Per chi abbia letto la storia, sa
perfettamente che
la storia non è esattamente fedele per come l’ho
scritta, ma, lo ripeto, per me
la cosa fondamentale è adattare la fiaba originale alla
realtà e renderla quasi
verosimile. E per farlo, ciò che tento di
“salvare” è la morale che vuole
insegnare la fiaba vera.
Ad ogni modo, quella scritta qui
è anche una specie
di “critica”.
Lo so bene, tutte noi, esattamente come
Sally, non
possiamo fare a meno di spalancare la bocca di fronte ai fianchi
spettacolari
di Robert o incantarci di fronte agli occhi di Jimmy
però… Hey, c’erano altri
due componenti nel gruppo! :D
Quindi, eccovi la morale della fiaba
abbinata a
Bonzo!
Credits: Out On The Tiles, Led Zeppelin.
Sì, credo ci sia tutto, alla
prossima!
D.H.
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